Vangelo di Matteo. Commento ai capp. 26-28 [Vol. 4] 9788839408648, 8839408649

Il quarto e ultimo volume del Matteo di Ulrich Luz commenta la storia della passione e risurrezione di Gesù. Fondamental

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Italian Pages 552 [540] Year 2014

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Vangelo di Matteo. Commento ai capp. 26-28 [Vol. 4]
 9788839408648, 8839408649

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VANGELO DI MATTEO Ulrich

Luz

Edizione italiana a cura di Claudio Gianotto

Volume 4 Commento ai capp. 26-28

PAIDEIA EDITRICE

ISBN

978 8 8 394 0864 8

Titolo originale dell'opera: Ulrich Luz Das Evangelium nach Matthiius 4· Teilband Mt 26-28 (Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament) Traduzione italiana di Franco Ronchi Revisione di Claudio Gianotto Revisione redazionale di Donatella Zoroddu © Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn

2002

© Patmos Verlag & Benziger Verlag, Diisseldorf und Ziirich © Paideia Editrice, Brescia

20 1 4

2002

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PREMESSA

Finalmente il quarto e ultimo volume del «Matteo » è pronto. Sono pas­ sati quindici anni da quando il primo volume ha visto la luce! Matteo mi ha tenuto occupato molto più del previsto. Il commento è diventato me­ tà di una vita di lavoro. Ai miei occhi di teologo il testo biblico è molto più importante di tutte le scoperte e i disegni che escogitiamo. Perciò so­ no lieto di aver potuto scrivere un commento che già per il genere lettera­ rio fa capire chiaramente che noi riceviamo vita dai testi biblici e non che i testi biblici vivono grazie a noi. Sono grato di quanto ho potuto impara­ re nel testo biblico e attraverso il testo biblico e talvolta anche contro il testo biblico. Svizzero quale sono, vivo in un paese diventato secolarizzato, multi­ culturale e postcristiano. Per la maggior parte delle persone insieme alle quali vivo, la storia della passione è diventata qualcosa di esotico e anti­ quato. Anche il venerdì santo e a pasqua le chiese sono sempre più vuote. La maggior parte delle persone che vivono con noi incontra la passione di Gesù nel museo d'arte, nei locali delle chiese divenute attrazioni turi­ stiche e forse nel concertò del pomeriggio del venerdì santo. La nostra vi­ ta quotidiana - dalla politica alla scienza alla scuola all'economia con la sua lotta per la concorrenza che tutto domina - si svolge come se Dio non esistesse e come se nel mondo egli avesse abdicato del tutto. Questa at­ mosfera ha influenzato sin nel midollo la storia dell'interpretazione del­ la passione di Gesù nel xx secolo: Gesù diventa il prototipo dell'uomo sofferente per eccellenza, al quale Dio sembra aver volto le spalle e che ci è tanto vicino proprio per questo, perché Dio sembra essergli lontano (Mt. 27,46). L'esperienza della lontananza di Dio e dell'abbandono di Dio è una delle esperienze fondamentali del secolo giunto da poco alla fine, ed è il più importante sfondo esperienziale che tormenta anche me. Quanto diverso è il linguaggio dei testi della passione! E quanto diver­ se sono le voci che la storia della passione ha fatto risuonare nei secoli. Nel caso della storia della passione e di pasqua la storia degli effetti è particolarmente avvincente e schiude un panorama imponente della sto­ ria della pietà cristiana. Esso si apre con la pietà pasquale della chiesa antica che quasi inghiotte in sé la passione e morte di Gesù, mostra poi la devozione alla passione del basso medioevo, che in tempi oscuri aiu-

IO

PREMESSA

tò a recuperare in Cristo le proprie esperienze dolorose, conduce alla ci­ scoperta nella Riforma del Dio di grazia che ci sta di fronte e l'idealizza­ zione dell'uomo buono (anche di Gesù, uomo buono) nell'illuminismo fi­ no alla perdita quasi totale di Dio nel secolo xx. L'esperienza fondamen­ tale che ho fatto lavorando sulla storia dell'interpretazione e degli effet­ ti dei testi della passione è stata che qui si possono recuperare tesori di esperienze con i testi biblici che potrebbero tornare a essere importanti per noi. In questo lavoro è stato molto importante per me prendere sul serio cose e momenti apparentemente estranei e lungamente superati, tra i quali rientra, per la mia sensibilità di esegeta moderno, ad esempio l'in­ terpretazione allegorica dei testi biblici oppure, per l'esegeta protestante che sono, la devozione medievale alla passione troppo spesso ingiusta­ mente liquidata come «giustizia delle opere>> . L'esperienza della ricchezza della storia degli effetti mi ha condotto inoltre a scoprire più che in passato la ricchezza dei testi biblici stessi che con le loro potenzialità semantiche, la loro apertura e la loro forza, han­ no innescato e dominato questa storia degli effetti. I lettori scopriranno che in questo commento il problema dell'esegesi «giusta > e «sbagliata>> occupa una parte minima . Come se i testi biblici fossero anzitutto norma e non fonte di vita ! Ciò che mi premeva e mi ha impegnato è stato inve­ ce mettere in chiaro ciò che essi dicono, le loro aperture e le loro poten­ zialità semantiche, e inquadrare attentamente, in costante dialogo con la storia degli effetti e con uno sguardo (talora soltanto implicito) alla nostra situazione odierna, la direzione verso cui si muovono. Spero che il commento possa risultare così un aiuto indiretto ad apprendere con l'ausilio della Bibbia a provare e vivere di nuovo ciò che in larga misura abbiamo perso: la vicinanza di Dio e la forza della sua risurrezione nel­ l'abisso della nostra lontananza da Dio. Spero che sia ormai chiaro che questo commento mira a essere un com­ mento contestuale. Vuole aiutare noi, europei settentrionali e occidenta­ li, divenuti secolarizzati, a poter attingere di nuovo alla nostra propria storia, quella che ci ha compenetrati e ci ricrea, e lasciarci ispirare dalle esperienze storiche che altri hanno fatto con i testi. Vuole aiutarci a su­ perare le barriere di confessionalismi superati e imparare a diventare nuovamente « devoti>> nel nostro mondo diventato un mondo secolariz­ zato. Ho scritto il commento per il mio contesto - svizzero, nordeuropeo, postconfessionale e postcristiano. Se vivessi in Sudamerica, in Africa o in Asia o vivessi in uno di quei paesi dell'Europa orientale o meridiona­ le ancora profondamente permeati di senso cristiano, ad esempio in Ro­ mania, in Polonia o in Italia, l'avrei dovuto scrivere in modo affatto di­ verso, soprattutto nelle parti inerenti alla storia degli effetti.

PREMESSA

II

Riguardo alla storia degli effetti ho tentato di uscire più risolutamente di quanto mi sia fin qui riuscito dai confini della storia dell'interpretazio­ ne in senso stretto inserendo nell'esposizione materiali provenienti non solo dalla storia dell'arte e della devozione ma anche della musica e del teatro: passioni e sacre rappresentazioni. Non mi ha mosso primaria­ mente la ricerca di qualche nesso con i relitti della vita cristiana in cui og­ gi ci s'imbatte in musei e sale da concerto, e per quel che riguarda le ri­ produzioni che illustrano il commento non sono andato alla ricerca di materiale che offrisse spunti a quanti devono organizzare funzioni re­ ligiose per la passione o comporre meditazioni sulla passione. Ciò che m'interessava era mostrare, passando ad altri media interpretativi, che la propria comprensione di testi come quelli della storia della passione è una comprensione a tutto tondo che implica un proprio rapporto con tutta la vicenda. Ci sono cose che si capiscono cantando, meditando, pre­ gando, dipingendo, contemplando o recitando meglio che leggendo - o addirittura meglio che in un seminario esegetico. Perciò ho ritenuto im­ portante non passare sotto silenzio alcuni accenni sulle opportunità er­ meneutiche di altri « media » come la pittura, la musica, il teatro.1 Certamente tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di altri. Devo anzitutto menzionare i membri del gruppo di lavoro su Matteo che ancora una volta hanno discusso e ridiscusso a fondo tutti i miei testi, li hanno corretti e talvolta sottoposti a critica serrata. Parlo di Sarah Aebersold, Dorothee Bertschmann, Stephan Bosinger, Renate Hii­ ni, Luc Herren, Zenji Kato, Manuela Liechti-Genge, Moisés Mayordo­ mo-Marfn e Kiyoshi Mineshige. Senza di loro il commento non sarebbe quello che è! Alcuni studenti, membri del gruppo di lavoro, si sono spe­ cializzati in determinati campi: storia della devozione (Dorothee Bert­ schmann), storia della musica (Luc Herren), storia dell'arte (Stephan Bo­ singer), dramma sacro (Manuela Liechti-Genge) e storia degli effetti del­ la figura di Giuda (Renate Hiini). Tutti loro hanno contributo non soltan­ to raccogliendo materiali ma anche approntando la prima stesura delle sezioni corrispondenti.� A tutti loro un grazie particolarmente sentito! In generale si è trattato per me non solo di un esperimento didattico ben riu­ scito, ma soprattutto di un bellissimo lavoro di squadra. Ma anche ad altri va la mia gratitudine più grande: anzitutto a Salo­ me, mia moglie, che mi sostiene e sopporta, impresa non del tutto facile e agevole soprattutto nelle settimane in cui ho dovuto lavorare al com­ mento immobilizzato a letto con un piede rotto. In una fase preliminare r l

Cf. ad es. sotto

,

pp.

49· 56 s. 66-69.

In particolare per le pp. 3 2-69. 290-30 5 .

12

PREMES SA

del lavoro Pascal Mosli ha contribuito molto a iniziarmi alla storia del­ l'arte. Jeanette Vuillemin, Isabelle Noth, Daniel Wiederkehr e Ueli Dal­ lenbach hanno provveduto a correggere con cura tutto o parte del com­ mento. A Sarah Aebersold si devono gli indici parziali dell'opera intera. Con la collega Ellen Beer, docente di storia dell'arte, dovrei tenere un se­ minario comune sulla passione nella storia dell'arte, e con Andreas Marti uno analogo sulla passione nella storia della musica. Da entrambi ho ap­ preso molto. Ringrazio Joachim Gnilka e Paul Hoffmann, mio au�uycx; cattolico, per le loro utilissime osservazioni al manoscritto. Ringrazio i miei studenti e la Facoltà di Berna che mi hanno concesso un anno di li­ bertà a fini di studio e per ferie non godute. Ringrazio il Fondo Naziona­ le Svizzero per la Ricerca e l'Università di Berna che hanno stipendiato gli assistenti messimi a disposizione. Ringrazio infine il Benziger Verlag, in particolare il lettore Hans-Joachim Pagel, per l'attenzione scrupolosa con cui hanno curato il manoscritto, e la Druckerei Siegel di Breklum per l'accurata composizione tipografica. A chi vada, più che a ogni altro, la mia gratitudine perché questo com­ mento ha potuto nascere e giungere a compimento, si capisce bene da sé. Ma poiché in tempi lontani da Dio come i nostri neppure questo è più ovvio, l'ho voluto dire a chiare lettere a mo' di dedica. Laupen, febbraio 2002.

Ulrich Luz

INDICE DEL VOLUME

Premessa

9 17 17 20 20 23 23 25 25 27 28 31 32 32 34 40 42 43 44 45 46 48 49 so so

52 53

VI.

Passione e pasqua ( 2 6, 1 -28,2o) A . Introduzione 1 . Il testo 1 . 1 . Struttura 1 .2. Fonti 1 .2. 1 . Materiale aggiunto 1 . 2.2. Contatti con la passione lucana 1 .2.3 . Contatti con la passione giovannea 1 . 2.4. Contatti col Vangelo di Pietro 1 . 3 . Antecedenti delle tradizioni di passione e di pasqua 2. La storia degli effetti 2. 1 . Tre modelli fondamentali di devozione alla passione 2. 1 . 1 . La devozione orientale alla passione nella chiesa antica 2. 1 .2. La devozione alla passione nell'alto e basso medioevo 2. 1 . 3 . La devozione alla passione nella Riforma 2.2. La passione di Gesù in musica 2.2. 1 . Il medioevo 2.2.2. Il tempo della Riforma e la riforma cattolica 2.2. 3 . Il XVII secolo 2.2.4. XVIII e XIX secolo 2.2. 5 . Il xx secolo 2.2.6. L'importanza ermeneutica delle passioni musicali 2.3 . Rappresentazioni sacre di passione e risurrezione 2.3 . 1 . Celebrazioni pasquali e rappresentazioni sacre della pasqua 2. 3 . 2. Le rappresentazioni sacre della passione 2 . 3. 3. Intento delle sacre rappresentazioni

INDICE DEL VOLUME

14 55

2.3 .4. L'immagine dei giudei nelle rappresentazioni

56

2.3 . 5 . Il significato ermeneutico

della pasqua e della passione delle sacre rappresentazioni

58 58

2.4. La storia della passione nell'arte 2.4. 1 . Le raffìgurazioni della passione

61

2.4 . 2. Le raffìgurazioni della passione

62

2.4-3- Le raffìgurazioni della passione

65 66 7I 71 72 78 92 102 103 112 1 20 152 152 1 60 186 204 205 207 240 248 263 267 3 06 3 06 337

come confessione di fede

come strumento didattico

come fonte di devozione 2.4-4- Le raffìgurazioni della passione come espressione della devozione individuale 2.4. 5 . Considerazioni ermeneutiche: immagine e testo B. Commento 1 . Inizia la passione ( 2 6, I - 1 6) 1 . 1 . Si delibera la morte di Gesù ( 2 6, 1 - 5 ) 1 . 2. L'unzione di Betania ( 26,6- 1 3 ) 1 . 3 . Il tradimento di Giuda ( 26, 1 4- 1 6) 2. L'ultima pasqua di Gesù ( 26, 1 7-29 ) 2. 1 . Preparativi per l a pasqua ( 2 6, 1 7- 1 9 ) 2.2. Gesù smaschera Giuda ( 26,20- 2 5 ) 2 . 3 . La cena del Signore ( 26,26-29 ) 3 · Al Getsemani ( 26,30- 5 6 ) 3 . 1 . La defezione imminente dei discepoli ( 26,3 0-3 5 ) 3 . 2. Gesù prega al Monte degli Ulivi ( 26,3 6-46) 3-3- L'arresto di Gesù ( 26,47- 5 6 ) 4· Nel palazzo del sommo sacerdote ( 26,5 7-27, 1 0 ) 4 . 1 . Gesù e Pietro arrivano al palazzo del sommo sacerdote ( 26, 5 7 s.) 4 . 2. L'interrogatorio davanti al sommo sacerdote ( 26,5 9-66) 4-3- Primi oltraggi ( 2 6,67 s.) 4+ Il rinnegamento di Pietro ( 26,69-7 5 ) 4 · 5 · La sentenza della morte ( 27,1 s.) 4.6. I trenta pezzi d'argento ( 27 , 3 -Io) 5 · Gesù viene condannato dai romani ( 27, I I - 3 1 ) 5 . 1 . Il processo davanti a Pilato ( 27,u-26) 5 . 2. I soldati maltrattano e deridono Gesù ( 27,27-3 1 )

INDICE DEL VOLUME 3 54 355 37I 378 406 424 429 44 2 444 450 474 477 486 52 3 52 3 53 I

6. Gesù viene crocifisso ( 27,3 2-6 I ) 6. 1 . Il cammino verso la croce e la crocifissione ( 27,3 2-38) 6.2. Il dileggio del figlio di Dio ( 27,3 9-44 ) 6. 3 . La morte di Gesù ( 27,4 5 - 5 0 ) 6-4- La risposta di Dio alla morte di Gesù ( 27, 5 1 -54) 6. 5 . Le donne alla croce ( 27, 5 5 s.) 6.6. La deposizione di Gesù ( 27, 5 7-6 I ) 7· La risurrezione di Gesù e il doppio finale del vangelo di Matteo ( 27,62-28,20) 7. 1 . Un corpo di guardia al sepolcro ( 27,62-66) 7.2. La tomba vuota ( 28, I -8 ) 7-3- L'apparizione di Gesù alle donne ( 28,9 s.) 7·4· L'imbroglio con le guardie della tomba ( 28, I I - I 5 ) 7· 5 · Il mandato missionario del signore del mondo per tutte le nazioni ( 28, I 6-2o) Sguardo retrospettivo I . Riepilogo. Capisaldi della storia di Gesù narrata da Matteo 2. Significato odierno della storia matteana di Gesù

226 286

Excursus Il processo di Gesù davanti al sinedrio Giuda

53 7 542 544

Indice analitico Indice delle parole greche Indice dei passi

VI PASSIONE E PASQUA (26,1-28,20)

A INTRODUZIONE A. Esegesi. Mt. 26-28: D.C. Allison, Anticipating the Passion: The Literary Reach o( Mt 26,47-27,56: CBQ 5 6 ( 1 994) 70 1 -7 14; H. W. Bartsch, Die Passions- und Oster­

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PASSIONE E PASQUA

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INIRODUZIONE

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1

IL

TESTO

LI. STRUTIURA

Voler individuare una struttura sistematica nella storia matteana della passione è soltanto una perdita di tempo. Né è possibile tracciare una divisione netta fra storia della passione e storia di pasqua: le donne, le fi­ gure principali in 2 8 , 1 - 1 0, vengono introdotte già in 27,5 5 s. 6 1 . Prima dell'inizio effettivo della passione Gesù predice ai discepoli e in partico­ lare a Pietro non solo la loro fuga ( 26,3 1 . 3 3 -3 5 ) ma anche che egli si re­ cherà in Galilea ( 26,3 2 ) . La parte principale della storia della passione e della storia di pasqua consiste di un racconto articolato con precise in­ dicazioni cronologiche che copre l'arco temporale compreso fra il «pri­ mo giorno degli azimi » ( 26, 1 7 ), quindi giovedì, e la mattina di pasqua ( 2 8 , 1 ). L'evangelista espone una successione di eventi unica e coesa. Al­ lo stesso modo anche Gesù aveva già predetto gli eventi di Gerusalemme nelle sue anticipazioni riguardo alla passione e alla risurrezione ( 1 6, 2 1 ; 1 7,22 s . ; 20, 1 8 s . ) . A mio parere non è possibile articolare questo racconto organico se­ condo un principio formale unitario. Molti adottano un'articolazione continua per tutta la passione matteana se­ condo uno schema ternario. Heil articola la storia della passione e la storia di pasqua in tre parti principali ( 26, 1 - 5 6; 26,5 7-27, 54; 27, 5 5 -28,20) cia­ scuna delle quali si ripartisce a sua volta in tre punti suddivisi ciascuno, a loro volta, in tre sottopunti. 1 Come si poteva prevedere, tale suddivisione in alcuni passi va bene, in altri dev'essere forzata.2 Fiedler suddivide la storia della passione ( 26,1-27,66) in sei parti ciascuna delle quali presenta poi tre sottosezioni. La pericope centrale di ogni parte principale ha ogni volta una funzione centrale.3 Con il suo schema Fiedler deve accettare varie insensa­ tezze, ad esempio deve attribuire 26,17-1 9 alla pericope caratterizzata dal­ l'unzione di Betania, mentre deve far rientrare 26,30-3 5 nella sezione prin1

Hei l ", 2 s. A 2 dire d i Hei l " con Mt. 27, 1 5 ( ! ) iniziere bbe una nuova sottopane composta d i tre sot­ topericopi: 27, 1 5-26. 27-44·45-54· La storia de ll a scopena de lla tom ba vuota viene spez­ zettata; con 28,5 comincere bbe una nuova sottopane; l a sezione precedente 27,62-28,4 viene a d a bbracciare le tre pericopi d i 27,62-66; 28,1 ( ! ) . 2-4. 3 Uno sguardo a llo sc hema in Fie dler", 300 mostra su b ito le anoma l ie ne ll a simmetria.

I L TESTO

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cipale della «cena » . Dovrebbero bastare questi due esempi per mostrare che ogni tentativo di costruire uno schematismo unitario e costante comporta difficoltà nei particolari. La soluzione più naturale è quella di un'articolazione secondo punti di vista geografici e cronologici. Iniziamo dalla storia della passione: 26,I­ I6 sembra essere una sorta di introduzione con scene che cambiano e ancora senza un'inquadratura cronologica fissa. La sezione principale seguente ( 26, I 7-29 ) presenta tre brevi scene inerenti alla cena pasquale di Gesù (vv. I 7-I9.20-25 .26-29 ) . In 26,3 6-5 6 si contrappongono due scene al Getsemani; Gesù che prega da solo nel giardino ( 26,3 6-46) e la scena turbolenta dell'arresto (26,47- 5 6). La sezione seguente, il proces­ so giudaico di Gesù ( 26,5 7-27,2), è ambientata nella residenza di Caia­ fa e presenta cinque scene, quale più lunga e quale più breve ( 26,5 7 s. 5966.67 s.69-7 5 ; 27, I s.). Qui il contrasto è soprattutto fra l'irremovibilità di Gesù ( 26, 59-68 ) e il rinnegamento di Pietro (26,69-7 5 ) . La parte suc­ cessiva della storia della passione si svolge nel pretorio di Pilato (27, I I ­ JI) e consiste di una scena più lunga e unitaria, quella del processo ( 27, n-26), e di una più breve, la scena dei maltrattamenti ( 27,27-3 I ). La parte principale che segue tratta della crocifissione e si svolge prevalen­ temente sul Golgota ( 27,3 2-6 I ); si articola in sei episodi: 27,3 2-3 8 · 3 944·45-50·SI -H·5 5 s. 5 7-6 I . Alcuni singoli versetti o pericopi fungono da raccordo: 26,30.57 s.; 27,2. 31b-32.57-59 conducono da una scena alla seguente. I mutamenti di luogo

vengono quindi narrati. In questi «cambiamenti di scena in forma narrati­ va >> 1 il racconto fluisce da una scena alla successiva. La pericope 26,31 -35 riveste una funzione importante nella composizione: il protagonista, Gesù, predice qui gli avvenimenti imminenti compresa la propria risurrezione. La pericope 27,3-Io esce dallo schema e interrompe la continuità geografica e cronologica della narrazione. Ovviamente la correlazione dei suddetti ver­ setti di raccordo e delle singole pericopi alle sezioni principali soggiace sem­ pre a una certa arbitrarietà. Particolarmente difficile è la correlazione di 26, 30-35; 27,3-IO e 27,57-6I.

Per farla breve, suddividerò la storia della passione in sei sezioni prin­ c ipa li (26, I - I 6; 26, I 7-29; 26,30- 5 6; 26,5 7-27, I O; 27,I I-J I; 27,3 2-6I).1 Questa suddivisione non va intesa in senso schematico perché l'evange­

lista non tiene separati i grandi « blocchi » ma li unisce mediante passi di raccordo. A mio giudizio è impossibile comprendere la storia matteana della passione come opera d'arte articolata in episodi omogenei secondo I 1

La formula si deve a Moisés Mayordomo-Marfn. Se ne spiegano le ragioni nel commento alle rispettive pericopi, spec. sotto, pp. 3 54 s.

e442-444.

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PAS SIONE E PASQUA

criteri formali chiari. Piuttosto, sezioni principali articolate in modi mol­ to diversi si alternano a scene più o meno lunghe senza alcuna visibile si­ stematicità nella composizione. Ma ciò non significa che la storia della passione matteana non sia elaborata, anzi, a mio parere proprio questa rinuncia a una sistematicità lineare nella composizione risponde all'in­ tenzione del narratore. Questi vuole narrare un corso degli eventi che sia geograficamente e cronologicamente organico e fa dipendere la sua nar­ razione interamente dagli eventi narrati. Per questo si sofferma in un luo­ go un po' di più, in un altro un po' meno, talvolta si dilunga talaltra va per lt: spicce. Per questo non crea episodi chiaramente delimitabili ma passa studiatamente dall'uno all'altro. Il suo racconto, in questo simile alla storia marciana, sta tutto al servizio dei fatti riportati. Vale quindi particolarmente per la storia della passione ciò che vale per tutto il van­ gelo di Matteo: la si deve leggere nel suo complesso organico. Resta da considerare la conclusione ( 27,62-28,20). Un'articolazione secondo punti di vista cronologici e geografici è possibile solo fino a 2 8 , 1 5 : 27,62 e 2 8 , 1 contengono indicazioni d i tempo. 2 8, 1 1 fa capire chia­ ramente che il secondo episodio delle guardie avviene allo stesso tempo in cui le donne si recano dai discepoli, quindi ancora nella mattina di pasqua. In 28, 1 - 1 0 la scena è il sepolcro e immediati dintorni; in 27,626 6 certamente la residenza di Pilato e in 2 8 , 1 1 - 1 5 un luogo di riunione dei sommi sacerdoti che non viene specificato. In 2 8 , 1 6-20 quanto al luogo ci si trova invece in Galilea, lontano da Gerusalemme, e quanto al tempo la pasqua è passata, ma non si sa da quanto. Quest'ultima perico­ pe occupa una posizione particolare. 1 Un principio compositivo fonda­ mentale di questa parte pare essere l'alternanza tra le scene con le senti­ nelle del sepolcro, che sono per così dire le pedine mosse dai capi giudei e da Pilato, cioè dai nemici di Gesù, e quelle con le donne che possono al contrario essere considerate le pedine mosse da Dio ( 27,62-66; 28, 1 1 1 5 e 27, 6 1 ; 28,9 s.). Il racconto della scoperta della tomba vuota ( 2 8 , 1 - 8 ) mostra d'essere centrale: qui sono i n gioco sia l e donne sia l e guardie. Nei capp. 26-28 s'incontrano nel testo numerosi passi che mettono in risal­ to e raccordano singole parti. Basti ricordare, ad esempio, le tre predizioni della passione di Gesù in quanto figlio dell'uomo nella prima parte della storia della passione ( 26,2.24.4 5 ), i tre testimoni dell'innocenza di Gesù ( 27, 3 s. 19.24) oppure i tre passi sul figlio di Dio ( 27,40·4 3 · 5 4). Le predizioni del futuro pronunciate da Gesù, tra le quali è ovviamente da annoverare anche 26,3 1-3 5 , sotto l'aspetto letterario tengono insieme la narrazione e dimostra­ no che Gesù governa, sovrano onnisciente, tutta l'azione. Dopo che Gesù ta­ ce sulla croce, l'angelo al sepolcro assume questo ruolo richiamando le par

Cf. sotto, pp. 443 s.

IL TESTO

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role di Gesù e indicando la direzione che prenderà ora il racconto ( 28,6 s.). Sul fronte degli avversari di Gesù, in tre passi salienti dei racconti della pas­ sione e di pasqua ( 26, 1 5 ; 27,3 - 1 0; 28, 1 2. 1 5 ) entra in gioco il denaro (&pyU­ pta.): ogni volta è un mezzo della strategia dei nemici di Gesù. La storia della passione e di pasqua è strettamente unita al resto del van­ gelo. Ricordo qui gli annunci della passione della quarta parte principale del vangelo ( 1 6, 2 1 ; 17,22 s.; 20, 1 8 s.) con i quali Gesù ha predetto il suo futu­ ro cammino di figlio dell'uomo. Ma già prima (9,1 5b; 1 2, 1 4; cf. 1 2, 1 8-21 ) il narratore Matteo o Gesù hanno alluso al destino futuro di questi. Sono inoltre da ricordare i «segnali» che compaiono soprattutto nel prologo. I Ho definito > (9, 3 5 ; cf. Mt. 28,1a) e l'arrivo delle donne al sepolcro ( 1 2,50 = Mt. 28,1b) una grande epifania che descrive la risurrezione stessa (9,3 5 - 1 1 ,44). Testimoni ne sono le guardie poste alla tomba, non le donne. Su richiesta insistente dei capi giudei, Pilato intima infine alle sentinelle di mantenere il silenzio più assoluto su quanto hanno visto ( 1 1 ,4 5 -49; cf. Mt. 28,1 1 - 1 5 ).3 Il Vange­ lo di Pietro sembra quindi presupporre il compendio di Mt. 27,4 5-28,8 ( = Ev. Petr. 5 , 1 5 - 1 3 , 57), ma lo ha ampliato con la scena dell'epifania e modi­ ficato collocando la seconda parte dell'episodio delle sentinelle ( 1 1 ,4 5 -49) prima dell'episodio delle donne presso la tomba che inizia soltanto in 1 2,50. Delle altre tradizioni particolari di Matteo il Vangelo di Pietro sembra cono­ scere la scena di Pilato che si lava le mani ( 1 , 1 -2; cf. 1 1 ,46) e il terremoto dopo la morte di Gesù (6,2 1 ). L'orientamento del Vangelo di Pietro è antigiudaico, e ciò spiega come es­ so conosca le tradizioni antigiudaiche proprie di Matteo. Pilato viene sca­ gionato pressoché del tutto dalla colpa della morte di Gesù, mentre l'intera responsabilità ricade su sacerdoti, farisei, scribi e anziani guidati « da re Ero­ de >> . La distruzione di Gerusalemme è interpretata esplicitamente come pu­ nizione per il peccato dei capi d'Israele (7,2 5 ) . Il Vangelo di Pietro d'altro canto distingue più nettamente di Matteo i capi giudei dal popolo da loro guidato (cf. spec. 1 1 ,4 8 ), anche se la sua situazione storica è ben diversa da quella di Matteo: egli vive già a grande distanza dal giudaismo; è evi­ dente che l'autore nulla sa delle feste giudaiche dei tempi di Gesù, mentre co­ nosce istituzioni cristiane come la domenica (9,3 5 ; 1 2,50). 4

1 . 3 . ANTECEDENTI DELLE TRADIZIONI DI PAS SIONE E DI PASQUA

Non è compito di un commento a Matteo che opera sulla base dell'ipote­ si delle due fonti esaminare a fondo la questione degli antecedenti della 1 Lo indicano due testi: Ev. Petr. 8,30 = Mt. 27,64: (Jo�7tO't'E è),-86vnç o! (JoC1-8lJ't'a:Ì a:ù-roù xÀÉijxoatv a:ù-ròv xa:L..; Ev. Petr. 1 2,53 s.= Mc. 1 6,3 s.: 't'tç à7toKuÀtaEt Up.'tv . . . -ròv Àt&v . . . 't'ljç -8Upa.; 't'OÙ (.1-VlJ(J-EtOU. . . (.1-Éya:.; "(IÌp �V. . . opwatv. . . VEClVtaKOV KC1-8E'i;O(JoEVOV . . . I l teStO deJ Vangelo di Pietro è notevolmente ampliato rispetto a Mc. 1 6,3 s. e perciò secondario. 2. Similmente Brown, Ila 1 3 34 s. per Matteo, mentre più prudente si dimostra Kohler, Rezeption, 437-448. 3 Cf. inoltre sotto, pp. 444-446. 4 Brown, na, 1 3 40 s.

IL TESTO

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storia della passione e di pasqua, ed è per questo che qui mi limito ad ac­ cennare a mo' di tesi alle due ipotesi fondamentali con cui lavoro. I . La prima è che postulo l'esistenza di tre racconti scritti della passio­ ne e di pasqua, più antichi e letterariamente indipendenti: più precisa­ mente un racconto premarciano, uno pregiovanneo e uno prelucano, di cui il terzo evangelista si servì come fonte insieme alla passione di Marco. I. I . La storia della passione lucana mostra nel complesso un numero ecce­ zionalmente alto di differenze rispetto a quella marciana, e in alcuni passi non soggiace alla storia marciana né per lo schema espositivo né per i ma­ teriali. A differenza della maggior parte dei neotestamentaristi di lingua te­ desca, riesco a spiegarmi questa situazione soltanto con l'ipotesi di una se­ conda fonte della storia della passione, indipendente da Marco. r Fra le tra­ dizioni particolari della storia della passione prelucana rientrano un lamen­ to su Gerusalemme, i detti di Gesù inseriti nei discorsi di commiato in occa­ sione della cena pasquale, l'interrogatorio davanti a Erode, le donne in cam­ mino per la crocifissione e il buon ladrone. Essa non conteneva forse alcuni episodi della storia della passione premarciana (e pregiovannea), ad esem­ pio l'unzione, la fuga del giovane, Gesù maltrattato dai soldati, e la scena di Elia sotto la croce. Da diversi indizi si può dedurre che, rispetto alle altre due, la storia della passione prelucana rappresenta probabilmente uno sta­ dio più recente della tradizione. I . 2 . La storia della passione premarciana e pregiovannea. Queste due sto­ rie avevano certamente uno schema narrativo simile. Cominciavano entram­ be con l'entrata di Gesù a Gerusalemme; probabilmente seguivano poi la pu­ rificazione del tempio, la domanda sull'autorità e la decisione definitiva di metterlo a morte, l'unzione, l'ultima cena di Gesù e una scena al Getsemani. Inoltre raccontavano l'arresto di Gesù, un interrogatorio davanti ai sommi sacerdoti e ai notabili d'Israele in relazione con il rinnegamento di Pietro, il processo davanti a Pilato, la crocifissione, la sepoltura e la scoperta della tomba vuota. 2. Le storie ancora ricostruibili della passione che gli evangelisti han­ no utilizzato come fonti sono a mio parere relativamente esaurienti. So­ no interpretazioni teologiche della passione di Gesù e non cronache spas­ sionate. Sempre a mio parere, non sono invece più ricostruibili i cosiddet­ ti resoconti scritti « più antichi» della passione che risalgono ancora più addietro nel tempo.

2. r . Considero nel complesso senza speranza tutti i tentativi fra loro diver­ sissimi che sono stati fatti negli ultimi decenni di ricostruire mediante scom­ posizione e nell'ottica della storia della tradizione una forma antichissima di racconto scritto della passione. La diversità dei tentativi di ricostruzione 1

Sostenitori classici di questa ipotesi sono Taylora e Greena.

30

PAS SIONE E PASQUA

proposti ha avuto l'unico effetto di segnare la fine di molte illusioni. I In par­ ticolare non è a mio parere possibile risalire a monte dei racconti che inter­ pretano alla luce della Bibbia la passione di Gesù e ricostruire un resoconto breve e degli eventi.� 2 . 2 . Ciò a mio parere non esclude che lo svolgimento della passione di Ge­ sù nei suoi elementi fondamentali fosse fissato già presto: la convergenza nello schema generale dei tre racconti indipendenti più antichi della passio­ ne è considerevole. Molti indizi indicano inoltre che dietro a queste storie della passione si trovavano gruppi di narratori che avevano familiarità con le persone e i luoghi della storia della passione.3 La storia della passione ven­ ne narrata già ben presto da questi in modo ordinato e organico. Ma ciò è avvenuto certamente già nella fase della tradizione orale. Non è invece più possibile dire quanto presto e in quale forma la tradizione orale venne mes­ sa per la prima volta per iscritto. I Schenk0 distingue un racconto antico caratterizzato da presenti storici da un amplia­ mento d'orientamento apocalittico (cf. spec. 272-276). Dormeyer0 (cf. spec. 25 8-268) vede un redattore premarciano intento ad ampliare in stile dialogico i suoi antichi atti dei martiri (cf. nota seguente). Schenke0, 1 3 5-145 ricostruisce un resoconto premarciano del­ la morte sulla croce del messia Gesù. Reinbolda, 92-2 1 5 ricostruisce il resoconto più an­ tico della passione dalla tradizione comune ai racconti della passione premarciano e pre­ giovanneo. 2 È il tentativo a cui si dedicano ad es. Dormeyer0, 238-258; per il testo cf. 297-301 (brevi atti dei martiri); Myllykoski 11 °, 1 3 8- 1 62, per il testo 1 3 8 s. (breve rapporto sull'esecu­ zione del > .s Il pas­ saggio a cui si pensa è quello dall'ignoranza alla sapienza, dal vizio alla virtù e soprattutto dalla morte alla vita. Questa concezione si rispecchia I

Al riguardo cf. in particolare Kopfa. 2. Rinuncio al tentativo di delineare un quadro generale della devozione alla passione nel­ l'illuminismo (cf. sotto, pp. 46-48. 1 80. 3 8 8-390 e 470 s.) e nel xx secolo, per la quale non è ancora possibile avere una visione completa. 3 L'abbozzo dei paragrafi che seguono (2.. I . 1-2.. 1 . 3 ) si deve a Dorothee Bertschmann. 4 Come l'interpreta, per es., Melitone, Pascha 46. Cf. W. Huber, Passa und Ostem (BZ NW 3 5 ), 1969, 1 1 2.-1 2.0. 5 Orig. Cels. 8,2.2. (BKV 1/5 3 , 3 2. 5 ), come spesso da allora. Origene riprende la spiegazio­ ne dal giudaismo ellenistico, soprattutto da Filone. Cf. Huber, op. cit., 1 2.0- 1 2.9.

LA

STORIA DEGLI EFFETTI

33

nel culto cristiano del 1taax,a la notte di pasqua. Il culto comprendeva le ultime ore del digiuno con veglie di preghiera e letture bibliche; seguiva poi il grande « passaggio» all'eucaristia e al pasto comunitario. Ben pre­ sto si aggiunsero la festa della luce pasquale e soprattutto il battesimo dei catecumeni che sono morti e risorti con Cristo. 1 Tutto si svolgeva sotto il segno della gioia di pasqua. Non è un caso che in quasi tutte le lingue europee (non in inglese e tedesco) la parola greca 1taa'X.a o quella latina pascha formino la radice della denominazione della festa di pasqua. 2. Lo sguardo è dunque tutto puntato sul Risorto. La croce è il segno del­ la sua vittoria.3 I credenti guardano al Golgota dalla prospettiva della pasqua. Riguardo alla sua divinità Cristo è CÌ7ta'l9l)c; e più ciò sta al centro della devozione più la passione passa in seconda fila." Solo con molte esitazioni la passione di Gesù viene ad acquisire una sua importanza nella pietà della chiesa antica. In che modo ciò accade?

a) Anzitutto si deve richiamare l'attenzione sui cambiamenti nella liturgia

che si possono documentare dall'inizio del rv secolo. Al posto dell'unico culto della notte di pasqua, nel qu ale si celebrava il 1ti%axa di Cristo nella sua totalità, fecero la loro comparsa prima il triduum, cioè i tre giorni de­ dicati al culto, dal venerdì santo alla domenica di pasqua,5 e poi, ben presto, la «grande settimana » .6 Fu quindi inevitabile che con questa evoluzione la storia della passione e la stessa passione di Gesù in quanto evento storico venissero messe maggiormente in vista.7 Mediante la solennità della setti­ mana santa e mediante il successivo allungamento del periodo di digiuno la passione venne ad acquistare una propria importanza. b) Queste modifiche nella liturgia furono condizionate, oltre a ciò che si è detto, dalla riscoperta della tomba e della croce in età costantiniana. Ini­ ziò così l'epoca dei pellegrinaggi a Gerusalemme. La più antica relazione di un viaggio di pellegrinaggio, quella di Eteria, contiene importanti notizie cir1 Per l'evoluzione del culto pasquale nella chiesa antica cf. H. Auf der Maur, Feiem im Rhythmus der Zeit, 1. Herrenfeste in Woche und ]ahr (Handbuch der Liturgiewissen­ schaft 5 ), 1983, 63-83; M. Kl&kener, Ostem, Osterfeier, Ostertriduum, n. Liturgisch­ Theologisch, LThK' vu, 1 998, 1 177-1 1 8 1 . 2. Cf. Lampe, Lexicon, 1 048 s.; A . Blaise, Dictionnaire latin-français des auteurs Chré­ tiens, Turnhout 1 9 54, 597· Cf. ad es. fr. p.lques, it. pasqua, sp. pascua, rum. pasti, ecc. 3 Cf. il sarcofago della passione nel Museo Vaticano (sotto, p. 5 8 e fig. 2). 4 Ciò avviene nella maniera più chiara nella gnosi cristiana in quanto il redentore è una figura divina che scende intera dal cielo (Trogera, 302 s.). Per la concezione gnostica della passione secondo i testi patristici cf. Orbea. 5 Cf. Ambr. Epist. 23,1 2 (PL 1 6, 1030); Aug. Epist. 5 5 ,14,24 (PL 3 3 , 2 1 5 ). 6 Cf. Eteria, Itinerarium 30,1 (FC 20 [ 1 9 5 5 ] 25 6); Const. Ap. 8,3 3,3 (SC 3 3 6, 24 1 ) . 7 Klockener, art. cit. (qui sopra, n. 1 ), 1 178 parla d i «processo d i storicizzazione e dram­ matizzazione nella liturgia,. .

34

PAS SIONE E PAS Q UA

ca le cerimonie liturgiche della settimana santa in uso a Gerusalemme nel IV secolo. ' La passione di Gesù veniva seguita e rivissuta con grandi processio­ ni e con molte funzioni religiose nei vari luoghi degli antichi eventi. Queste cronache di pellegrinaggio fecero sì che simili celebrazioni fossero adottate anche fuori Gerusalemme. S'iniziò a immaginare i luoghi in maniera precisa; si creò un grande interesse per i realia. Questo aspetto è importante perché costituisce l'humus della pietà medievale. 2 c) Grazie alle molteplici letture liturgiche ora i fedeli venivano abbondan­ temente in contatto con la storia della passione. Verso la metà del v secolo papa Leone Magno stabilì che la passione di Matteo venisse letta la domeni­ ca delle palme e la passione di Giovanni il venerdì santo. Con il vn secolo si affermò inoltre l'usanza di leggere la passione di Luca il mercoledì e la pas­ sione di Marco il martedì della settimana santa. Nel periodo della passione, com'è ovvio, la predicazione era imperniata sulla passione.3 d) Per la religiosità popolare fu infine importante che il processo di for­ mazione delle leggende, i cui inizi si possono osservare già nei vangeli, sia proseguito ininterrotto. Il Vangelo di Nicodemo (IV sec.) 4 e più tardi il Van­ gelo di Gamaliele (vi sec.),5 che è introdotto dal forse più antico lamento di Maria, sono i documenti più importanti dell'antichità cristiana. In parti­ colare l'importanza che il Vangelo di Nicodemo ebbe per la religiosità popo­ lare e per l'arte fu decisamente notevole. 2. I . 2 .

La devozione alla passione nell'alto e basso medioevo

Tutti questi sviluppi fanno sì che a partire grosso modo dal xn secolo la passione di Gesù poté divenire sempre più il centro vero e proprio della devozione. Ora l'interesse non è più calamitato tanto dal dio incarnato vittorioso quanto piuttosto dall'uomo Gesù sofferente. Non solo la lode a Dio per l'opera della salvezza, ma ancor più l'amorevole compassio co­ stituisce la risposta umana alla passione di Cristo. In quest'epoca i pas­ saggi dal Cristo trionfante al Christus patiens sono alquanto fluidi. 6 Ber­ nardo di Chiaravalle è un precoce e straordinario esponente di questa nuova devozione/ Come nessun altro egli ha coniugato la meditazione r

Eteria, Itinerarium 30-39. Nel medioevo la conoscenza dei luoghi della passione venne accresciuta ulteriormente soprattutto dalle crociate. Ciò risultò importante per il realismo della passione nella de­ vozione della compassio, c;f. sotto, pp. 3 6-38. 3 Ad es. Aug. Sermones de tempore (De passione Domini I-Iv) (PL 39, 2036-20 5 5 ); Leone Magnoa. 4 Schneemelcher, s r , 395-424. 5 Cf. Schneemelcher, sr, 441 s. 6 Come mostra bene una descrizione del crocifisso opera di Matilde di Magdeburgo: egli ha «occhi imperiali » , ma da questi occhi sgorgano lacrime (Zingela, 3 2). 7 U. Kopf, Die Passion Christi in der lateinischen religiosen und theologischen Literatur, in Haug-Wachingera, 21-41 parla di «svolta decisiva nel rapporto con la passione di 2

LA STORIA DEGLI EFFETTI

35

sulla passione con un intimo « amore per Gesù» , spingendosi a leggere il Cantico dei cantici come testo della passione e interpretando questa sul­ lo sfondo di quello: il crocifisso è lo sposo, l'anima credente la sposa. Ca­ dono nel XII secolo anche gli inizi della venerazione del sacro cuore di Gesù, la venerazione delle cinque piaghe e degli attrezzi di martirio (ar­ ma Christi) . Molte di queste nuove forme di devozione alla passione so­ no documentabili in un primo tempo nelle ore canoniche claustrali sul­ la sofferenza di Cristo 1 e compaiono poi anche in libri di orazioni e me­ ditazioni delle persone colte. Se si ritiene che la storia della devozione eu­ ropea moderna sia una storia di individualizzazione crescente, allora il terreno è stato indubbiamente e decisivamente preparato dalla devozio­ ne alla passione nel basso medioevo. Nel XIII secolo gli ordini mendicanti avvicinano la passione a larghi strati popolari. La commemorazione della passione di Francesco d' As­ sisi non si limita all'imitazione interiore, ma si esterna in atti simboli­ ci 2 e gesti (ad es. la postura cruciforme assunta per pregare), anzi in tut­ to il suo radicale stile di vita nel quale rientrano sia la povertà assoluta sia l'automortificazione. L'acme di questa tangibile identificazione con il crocifisso sono le stimmate, con le quali la desiderata e vissuta conformi­ tas al Cristo sofferente diviene realtà che compenetra l'esistenza fisica. In Europa il XIV e il xv sono secoli di crisi. Carestie, peste, declino della produzione agricola e calo demografico caratterizzano quest'epoca. Na­ scono nuove forme di religiosità legata alla passione di Gesù: ecco appa­ rire i monti del Calvario e le viae crucis, ecco le sacre rappresentazioni di­ ventare sempre più lunghe e sceniche e pervadere per giorni e giorni la vita delle città. Il XIV e il xv secolo sono addirittura il «periodo aureo» della devozione alla passione. Nel basso medioevo vede la luce una corposa leueratura sulla passione di Gesù con numerose nuove forme letterarie, importante per un'interpreta­ zione della storia della passione nell'ottica della storia degli effetti. Oltre a rivelazioni e visioni,3 ore canoniche,4 e testi mistici,5 sono da ricordare in Cristo che Bernardo di Chiaravalle ha reso irreversibile, anche se non l'ha provocata >>, ossia « il coerente coinvolgimento del soggetto religioso nell'evento della passione» (4 1 ) . 1 Cf. J . Stadlhuber, Das Laienstundengebet vom Leiden Christi in seinem mittelalterli­ chen Fortleben: ZKTh 72 ( 19 50) 282-3 25. 2 Ad esempio il denudamento teatrale di Francesco davanti al vescovo di Assisi per «se­ guire nudo il Cristo nudo» (0. von Rieden, Das Leiden Christi im Leben des Hl. Franzis­ kus von Assisi. Passionsfrommigkeit: CFr JO [ 1 960] s-JO. 1 29-145· 24 1-26J. 3 5 3-3 97= 3 5 6; cf. anche Kopf, Passion [sopra, p. 34 n. 7], J I ). 3 In questo commento si tiene presente Anonimo0 ( Christi Leiden in einer Vision geschaut). Particolarmente potenti erano le visioni di Brigida di Svezia.

PAS SIONE E PASQUA

particolare i grandi libri di devozione sulla vita di Gesù o anche sulla sola sua passione del basso medioevo.6 Per l'ermeneutica essi sono particolar­ mente importanti perché coniugano esegesi e applicazione. La grande opera di Ludolfo di Sassonia, ad esempio, contiene una summa dell'esegesi medie­ vale specialistica della storia della passione - e al tempo stesso anche pre­ ghiere e consigli per la meditazione e l'applicazione. In opere di questo gene­ re s'incontra l'uomo in qualche modo inquadrato in una concezione integra­ le e personale come soltanto in casi eccezionali e solo in parte si ritroverà in interpretazioni posteriori.? L'esegesi specialistica trapassa qui immedia­ tamente nella meditazione e questa nella preghiera e nella prassi. 8 In età tardomedievale, di particolare interesse sono a mio parere tre aspetti della devozione alla passione, in parte complementari e connessi:

a) Compassio. Il presupposto dell'imitazione partecipe della passione di Ge­ sù è la possibilità di immaginarsi la sua sofferenza in modo preciso. Che co­ sa ha provato Gesù la notte, trovandosi tutto solo in carcere? Che cosa e quanto ha dovuto subire durante la flagellazione? Come si è svolta esatta­ mente la crocifissione? Una figura chiave per l'identificazione con il Cristo sofferente divenne Maria, la madre di Dio. Come ha vissuto quegli eventi tremendi ? A partire dal xn secolo si registrano scritti che rispondono pron­ tamente a questi interrogativi, ad esempio rivelazioni particolari come il dialogo dello Pseudo-Anselmo con la vergine Maria 9 oppure le visioni di Brigida di Svezia. Leggendo questi scritti si apprende ad esempio che Gesù venne fustigato diverse volte con vari tipi di «attrezzi •• , che il mantello che indossò di nuovo, tutto intriso di sangue, si era impastato con la carne vi­ va e prima della crocifissione gli venne brutalmente strappato di dosso. Il numero dei colpi di flagello, le dimensioni delle ferite, il modo in cui venne inchiodato sulla croce: tutto viene riferito minuziosamente. Si diventa te­ stimoni della disagevole deposizione della salma dalla croce e dei lamenti e delle carezze pressoché incessanti che Gesù riceve da Maria, sua madre.

4 Ad

es. (Ps.-)Beda, De Meditatione Passionis Domini per septem diei horas PL 94, 5 6 1 568. 5 Mechthild von Magdeburg, Das fliessende Licht der Gottheit (Christliche Mystik u ), ed. M. Schmidt, Stuttgart - Bad Cannstatt 1995· 6 Particolarmente autorevoli si rivelarono (Pseudo-)Bonaventura, Meditationes, di orien­ tamento francescano; Ludolfo di Sassoniaa; Tommaso da Kempisa e Ulrich Pindera. 7 Fatte le debite proporzioni si può dire lo stesso del grande commento riformato a Mat­ teo per la penna di W. Musculus e, per tutt'altri motivi e privi di un apparato esegetico accurato, anche di libri pietistici dedicati alla passione, soprattutto Rambacha. 8 Per i metodi della meditazione medievale sulla passione cf. l'eccellente saggio di F.O. Schuppisser, Schauen mit den Augen des Herzens, in Haug-Wachingera, 1 69-210. 9 (Ps.-)Anselmoa.

Figura

1.

Il realismo della passione che s'incontra a quei tempi non è fine a se stes­ so ma serve a suscitare la compassio: gli osservatori vengono coinvolti nella passione di Cristo, devono accendersi di amore e compassione e al tempo

PASSIONE E PASQUA

stesso imparare a comprendere, riconoscenti, che cosa Cristo ha fatto per lo­ ro. Qui si tratta non di distacco ma di vicinanza, non di conoscenza nozioni­ stica ma di partecipazione vissuta ed emotiva, non di dottrina ecclesiastica ma di devozione personale. Ciò è espresso molto bene, per esempio, in un dipinto di Margaritone d'Arezzo nella Basilica di San Francesco ad Arezzo (fig. I ) : 1 Francesco d'Assisi, questa grande figura che impersona la pietà tar­ domedievale, abbraccia e bacia il piede del crocifisso; il sangue, fonte di sal­ vezza, cola su di lui. b) Imitatio e conformitas. Nella chiesa antica l'interpretazione pareneti­ ca dei testi della passione era stata coltivata soprattutto nella tradizione ese­ getica influenzata da Giovanni Crisostomo. Nel basso medioevo la novità è costituita dallo stretto rapporto con la persona di Cristo. La sua sofferen­ za non è soltanto esempio, ma il collegamento con Cristo rende possibile la imitatio. Questo tratto è espresso chiaramente con particolare forza da un lato nella tradizione francescana, dall'altro nella devotio moderna. Davide di Augusta, francescano, vede ad esempio la passione come scuola di virtù alla quale dal perfetto esempio di Gesù i credenti possono apprendere amo­ re, umiltà, ubbidienza, castità e pazienza. In questa conformitas etica prati­ ca «la spinta all'imitazione e alla compassione non viene soprattutto dall'im­ magine del Salvatore sanguinante, ma ciò che ispira l'imitazione è piuttosto l'umiltà e la pazienza del Signore » ." Anche particolari della storia della pas­ sione vengono spiegati in senso morale: meditando sulla spoliazione di Ge­ sù, ad esempio, il fedele deve pregare: «Mio amato Signore, ti ringrazio per l'amore che hai avuto quando ti sei lasciato stendere e fissare sulla croce . . . Ti prego, inchioda i l mio cuore nell'amore » . 3 Anche i l movimento laico del­ la devotio moderna mira a trarre un'utile morale dalla contemplazione del­ la passione. La sua concezione della conformitas è sobria: si tratta di imi­ tare il cammino e la passione di Cristo con una condotta virtuosa, che rifug­ ge dal mondo, e lottando quotidianamente contro i propri peccati. Nel trat­ tato sulla passione di Tommaso da Kempis i lettori vengono esortati inces­ santemente a sopportare con pazienza e umiltà le avversità della vita. Nel Cristo sofferente è possibile scoprire tutte le virtù e tutti i rimedi contro ogni vizio. L'oggetto stesso della passione fa sì che si esorti soprattutto a pratica­ re le «virtù passive » come la pazienza. c) Mistica della passione. Nella mistica l'idea della compassione viene ap­ profondita e radicalizzata. La via mystica con le sue fasi di purgatio, illumi­ natio e unio viene stabilita in analogia con la passione di Gesù. La prima ad averlo fatto pare sia stata Matilde di Magdeburgo. Alla beghina non basta la commemorazione interiore di sentita partecipazione alla passione: > .4 L'abisso è il cielo. In realtà il primo che possa essere considerato in senso stretto un mistico della passione è Enrico Suso (Heinrich Seuse), poiché soltanto nei suoi scrit­ ti, soprattutto nel Buchlein der ewigen Weisheit (Libretto dell'eterna sapien­ za), la passione assurge a tema centrale. Si trova qui una particolareggiata (anche se non compiuta, narrativa ) rappresentazione della passione di Cri­ sto dal Monte degli Ulivi alla morte in croce. L'enfasi sta tutta sulla sofferen­ za interiore e spirituale di Gesù. Per Seuse nessuna devozione, per quanto pensosa, può passare oltre la contemplazione dell'umanità sofferente di Cri­ sto e la sequela nella sofferenza che ne consegue: «Nessuno può arrivare a una sublimità divina né a una dolcezza eccezionale a meno d'essere portato ad avanzare dall'immagine della mia umana amarezza » , dice Gesù a Suso nel Buchlein der ewigen Weisheit.5 La sofferenza di Cristo muove il cuore uma­ no divenuto di pietra ad amare e poi a soffrire a sua volta. Perché la sofferen­ za di Gesù è inclusiva: solo chi vi partecipa ha anche parte alla redenzione. Con la sua vivida e vivace mistica della sposa e della passione Suso esercitò enorme influenza sulla storia posteriore della devozione cristiana. Le nuove profondità aperte alla devozione alla passione non compor­ tano ora l'annullamento del significato della passione che la chiesa anti­ ca vedeva nell'atto salvifico di Gesù uomo incarnato e nella sua vittoria di pasqua. Al contrario: tutto l'approfondimento tardomedievale della devozione alla passione si fonda soprattutto sulla religiosi tà della chie1 Zingela, 36. Cf. anche il passo vibrante in cui in Das fliessende Licht der Gottheit Ge­ sù dice a Matilde: «Sarai martoriata con me, sarai tradita nell'invidia, piagata nella fal­ sità, incarcerata nell'odio . . . denudata dall'abbandono, flagellata dalla povertà, coronata con la tentazione, coperta di sputi dalla vergogna » (citato in A.M. Haas, Gottleiden Gottlieben. Zur volkssprachlichen Mystik im Mittelalter, Frankfurt 1 989, 1 3 1 ). 2 Haas, op. cit., 140. 3 L'assioma di Taulero suona: «also vii entwerdendes. also vii gewerdendendes>> ( «quan­ ta più spoliazione, tanta più divinizzazione» ), cit. in Haas, op. cit., 143. 4 Zingela, 57· 5 Cit. in Zingela, 84.

PASSIONE E PAS Q UA

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sa antica e sulla nuova importanza che le si attribuisce. Contrariamente a fraintendimenti comuni, a mio parere compassio non significa sempli­ cemente esercizio di pietà bensì appropriazione profonda della grazia di­ vina che si è sperimentata. L'imitatio non è la giustizia delle opere di un soggetto religioso autonomo ma la comprensione vissuta della passione di Gesù in unione con lui. La mistica della passione non è affatto l'asce­ sa graduale a Dio di un soggetto religioso autonomo, bensì la compren­ sione partecipata dell'annichilimento integrale di Dio in Gesù Cristo. 2. 1 . 3 .

La devozione alla passione nella Riforma

I cambiamenti meramente esteriori che si devono alla Riforma sono no­ ti: le processioni e le funzioni religiose della passione, la venerazione del­ le reliquie e degli attrezzi del martirio di Cristo e in parte le rappresenta­ zioni sacre scompaiono dai territori della Riforma. Ciò che rimane so­ no le letture del racconto della passione nel culto e nella predicazione. La Riforma sta quindi sotto il segno di una severa critica della devozione medievale alla passione. Ciò che viene aspramente criticato è soprattut­ to la natura meritoria e superficiale di molte forme di devozione. La pas­ sione di Gesù non dev'essere affatto un dramma osservabile dall'ester­ no, com'era particolarmente evidente nelle rappresentazioni sacre e nei quadri del tempo, bensì uno specchio per l'uomo. Teologicamente determinante non è la compassione con il Gesù mar­ toriato, bensì la conoscenza dell'atto salvifico di Cristo nella passione pro me. Rettamente intesa, conformitas significa patire nella propria co­ scienza il dolore di Cristo e accogliere con fede il giudizio di Dio e le sue parole di grazia. Le sofferenze esteriori di Cristo vengono quindi rappre­ sentate con riserbo decisamente maggiore, e per questo s'insiste tanto che Cristo ha patito sotto il peso dei peccati degli uomini e dell'ira del Pa­ dre. Leggendo i vangeli Lutero non lamenta che gli evangelisti siano sta­ ti parchi di dettagli decorativi della historia, bensì la povertà dell'inter­ pretazione teologica rispetto, ad esempio, alle epistole neotestamentarie. Riguardo agli evangelisti egli è critico: « Si fermano alla storia » , al con­ trario di quanto hanno fatto non solo Pietro, Paolo, gli Atti degli Aposto­ li, ma anche i profeti che hanno predetto la morte di Gesù per noi. 1 Qui si vede come tra la devozione alla passione della Riforma e la pietà tardo­ medievale non ci sia soltanto contrasto. Come nel basso medioevo così r Così suona il passo intero: «Quamquam taceant hoc Evangelistae und lassens bleiben bei der geschicht, tamen prophetae, Petrus, Paulus et Acta Apostolica non tacent» (pre­ dica del pomeriggio del venerdì santo r 5 28, Predigten des ]ahres IJ28 [WA 27], nr. 29,

104, 9- I I ).

LA STORIA DEGLI EFFETTI anche per Lutero in primo piano sta non la riflessione teologica astrat­ ta, bensì l'usus della passione. I Solo che questo viene messo ora in risalto in termini affatto diversi. A detta di G. Heintze si può riepilogare l'usus della passione in Lutero in tre punti: 1 . la passione di Gesù conduce l'uomo ad avere paura per se stesso: «quando vedi l'immagine del crocifisso . . . allora guardala come immagine che deve a ragione spaventarti. Poiché il tuo cuore dovrà dire: Ahimè, quant'è grande il mio peccato e l'ira di Dio su di me» ; :z. 2. l'usus più importante della passione di Gesù è quello della redenzio­ ne: « inspice autem non solum die marter, sed wie hertzlich gut ers meinet, wie ein gros hertz inn dem man gewesen ist, quod corpus suum pro nobis dedit» ( «guarda bene non solo i tormenti, ma quanto sia davvero buona la sua intenzione, quanto sia grande il cuore che batteva in quell'uomo che ha dato il suo corpo per noi >> ); 3 3 . anche nella tradizione esegetica della Riforma, infine, la passione di Ge­ sù ha valore esemplare. Essa è l'archetipo della sofferenza imposta a tutti i cristiani ed esortazione alla pazienza e alla fermezza. 4 L'ortodossia dei tempi successivi alla Riforma ha fissato dottrinalmente quest'uso triplice della passione, ma mai in modo tale da far diventare irri­ levante l'applicazione pratica alla vita di ciascuno.5 Dalla metà del XVI secolo e nel XVII il protestantesimo si apre nuovamen­ te con maggior forza alle influenze mistiche del periodo anteriore alla Ri­ forma . Ancora una volta ciò è connesso con l'esperienza della sofferenza : guerre, peggioramento del clima, carestia . 6 Benché si resti fedeli ai prin­ cipi fondamentali della Riforma, sempre più forti si fanno sentire note riflessive, compassionevoli, intime. Mentre i riformatori avevano dato grande risalto all'esclusività della sofferenza espiatrice di Cristo, un se­ colo dopo si torna a sottolineare il valore della propria esperienza e delI

Heintze0, 223. «Quando vides crucifìxi figuram ... inspice ut imaginem, das dich billich erschrecke, ut dicat cor: Awe, ist mein sunde et der Zorn so gross uber mich» (predica del venerdì san­ to, Predigten des ]ahres 153 8 [WA 46], nr. 27, 286,1 x; cf. Heintze0, 224-23 1 ). 3 Lutero, seconda predica della passione del 1 5 1 8 (WA 37), 22,34-36; cf. Heintze0, 2 1 3 24 5· 4 Heintze0, 245-256. 5 Axmacher0, 3 1-52 lo dimostra nel suo libro fondamentale prendendo in esame la tripli­ ce interpretazione della storia della passione come satisfactio, meritum e monitum nelle prediche del Superintendente di Rostock, Heinrich Miille�, le cui prediche a stampa han­ no esercitato grandissima influenza, tra l'altro anche su j.S. Bach. 6 Cf. M. jakobuwski-Tiessen (ed.), Krisen des 17. jahrhunderts. lnterdiszipliniire Per­ spektiven, Gottingen 1 999. 11 curatore parla (7) del periodo tra il 1 5 60 e il 1 720 come di «tempi pieni di contrasti e di sconvolgimenti » . :z.

42

PAS SIONE E PASQUA

la sequela nella sofferenza (proprio negli orrori della guerra dei trent'an­ ni) . Si riprendono e trasformano molte poesie medievali provenienti da­ gli ambienti influenzati dalla mistica di Bernardo di Chiaravalle, così co­ me il metaforismo del sangue e delle piaghe trova di nuovo posto nel les­ sico religioso r e verrà più tardi largamente sviluppato soprattutto nel pietismo. Si pubblica ora un fiume di libri sulla passione: opere di edifica­ zione, raccolte di prediche, letteratura omiletica per la preparazione dei sermoni e libri di meditazione. Il fiume esaurirà la sua portata soltanto attorno alla metà del XVIII secolo. Parallelamente a questa esplosione di letteratura di edificazione si as­ siste alla fioritura dell'innodica evangelica sul tema della passione. Tut­ ti gli inni evangelici più importanti sulla passione nascono nella prima metà del xvn secolo, ad esempio quelli di Paul Gerhardt � e Johann Heer­ mann. Questi inni mostrano una combinazione di elementi riformati e della mistica anteriore alla Riforma. Da un lato si dà risalto al propter me della tradizione riformata ( > ) ,3 dall'altro s'insiste sulla progressiva individualizzazione e inte­ riorizzazione: l'inno alla prima persona singolare subentra all'inno co­ munitario alla prima plurale fino ad allora predominante. 4

2.2. LA PAS SIONE DI GES Ù IN MUSICA 5 Insieme all'arte figurativa le passioni musicali sono fra le tracce perma­ nenti che la storia della passione ha lasciato dietro di sé nell'odierna Eu­ ropa postcristiana. Molti ogg i incontrano la passione di Gesù soltanto in sale da concerto o in musei. E perciò importante prendere in attenta con­ siderazione questi due ambiti della sua storia degli effetti. Per quel che riguarda le passioni musicali quest'attenzione non può purtroppo che essere molto limitata : qui ci si può servire soltanto del testo dei libretti, non della musica. 6 r Cf. ad es. l'inno di Paul Gerhardt, O Haupt voli Blut und Wunden ( « O capo insangui­ nato, coperto di ferite» ) (EG 8 5 ; G.S. 44 5; Gotteslob 1 79). 2 Cf. T. Koch, Drei Passionslieder Pau/ Gerhardts - und das lutherische Verstiindnis der Passion: KuD 3 7 ( 1 99 1 ) 2-23. 3 Ach, meine Siinden haben dich geschlagen!: J. Heermann, Herzliebster fesus, EG 8 1 ,3; G.S. 440,3; Gotteslob 1 80,3; cf. P. Gerhardt, O Welt, sieh hier dein Leben, EG 84,2-3; G.S. 44 1 ,2-3 . 4 Cf. G. Hahn, Die Passion Christi im geistlichen Lied, in Haug-Wachingera, 297-3 19, spec. 309; Axmachera, 202; von Fischera, So e v. sotto, pp. 4 5 s. n. 5· 5 La prima stesura di questa parte si deve a Luc Herren. La migliore introduzione gene­ rale è quella di von Fischera, al quale l'esposizione che segue deve molto. 6 Anche la base testuale resta ristretta: dove il testo cantato coincideva, come perlopiù in

2.2. 1 . Il medioevo Fino a buona parte del XII secolo nella liturgia della messa romana il te­ sto della storia della passione veniva cantilenato secondo melodie tradi­ zionali da un solo liturgo. Ci si deve senz'altro immaginare che già le let­ ture liturgiche della passione nella chiesa antica avvenissero solemniter, cioè probabilmente come recitativo. r Ciò corrisponde alla concezione che Agostino aveva dei racconti della passione come testi didascalici fonda­ mentali.2 Con il XII secolo si assiste a una svolta: dalla passione didascalica al­ la passione compassionevole. Il canto della passione si fa più espressi­ vo. La lezione viene affidata a più persone e letta con tonalità di altezza diversa. Nel xv secolo iniziano ad apparire composizioni della passione a più voci. Il desiderio di cerchie più estese di partecipare alla passione di Gesù stessa si riflette, per quel che riguarda la musica della passione, nell'intervento di un coro (inizialmente ancora poco numeroso) che canta il testo delle turbae.3 Al riguardo col tempo vengono a formarsi i seguenti tipi di passioni polifo­ niche: 4 passioni con responsorio: le recitazioni a una sola voce dei testi dell'evan­

gelista e anche di altre singole persone vengono eseguite alternativamente con sezioni dei discorsi diretti di più persone (ad es. del popolo, dei discepo­ li, dei falsi testimoni o anche di singole persone) cantate a più voci; passioni completamente composte (passioni nella forma polifonica del mottetto): tutto il racconto dell'evangelista è cantato a più voci. In questo caso si usa o il testo di uno dei quattro evangelisti (perlopiù in forma ridot­ ta) oppure una summa passionis composta col testo dei quattro vangeli, che contiene però sempre le sette parole di Gesù sulla croce. tempi antic h i, co l testo b i bl ico, esso era inuti l izza bi l e. Dove invece i l testo bi bl ico non viene più eseguito come sta ma è composto li beramente su ll a fa lsariga de l testo bi blico, come ne ll a maggior parte degl i oratori de lla passione de l xvm e XIX seco lo, poteva an­ ch 'esso essere uti l izzato so ltanto in parte. La scelta dei testi usata ne l commento è quin­ di assai limitata. Questo paragra fo de ll 'introd uzione mira a coll ocare gl i esempi sce lti in un orizzonte più genera le. r Così von Fisch er0, q. C f. Aug. Serm. 2 I 8 (PL 3 8 , 1084). 2. Aug. Serm 234 (PL 38, 1 1 1 6): crux il/a, schola erat. !bi docuit Magister latronem. Li­

gnum pendentis cathedra factum est docentis. 3 Le turbae de ll e passioni corrispondono ai •monti de l Ca lvario a ffoll ati » dei dipinti del­

l'epoca dove presso l a croce si a ffo ll ano non soltanto le figure bi bl ich e ma anche perso­ naggi contemporanei. C f. E. Roth , Der volkreiche Kalvarienberg in Literatur und Kunst des Spiitmittelalters (Phi lo logische Srud ien und Que llen 2), Berl in 1 9 5 8, �1 967. A dire di Roth ( 1 28 s.) si può osservare un processo ana logo ne lle rappresentazioni sacre: i l nume­ ro degl i attori aumentò notevol mente nelle rappresentazioni del xv e XVI secolo. 4 A detta d i von Fisc her0, 3 1 s.

PAS SIONE E PASQUA

44

Dal xvn secolo si aggiungono poi passioni oratorie, cioè passioni presen­ tate con gli elementi stilistici dell'oratorio (arie, recitazioni, intervento di strumenti musicali), mantenendo tuttavia il testo biblico, e oratori della pas­ sione nei quali il testo biblico non è più l'elemento principale. 2.2.2.

Il tempo della Riforma e la riforma cattolica

La Riforma affronta le passioni musicali con una riserva di fondo: ciò che i testi insegnano è assolutamente più importante degli affetti che la mu­ sica suscita. Il requisito primario è l a comprensibilità dei testi. Bugenha­ gen, ad esempio, fa leggere in pubblico una summa passionis con que­ sta giustificazione: « Ciò risulta più utile al popolo di quando si cantava a voce alta la passione . . . ma i laici non capivano niente» . ' Nonostante questa riserva di principio, nel protestantesimo l'esecu­ zione di passioni musicali si afferma ben presto nuovamente. Ciò cor­ risponde a una tendenza rilevabile anche nella storia della devozione: l'annuncio dell'opera salvifica di Cristo pro nobis non poteva sostituire l'esperienza sensibile del contenuto dell'annuncio. A questo punto anche il testo della Bibbia viene ben presto cantato di nuovo a più voci, a scapi­ to ovviamente della comprensibilità ... Molto popolari sono all'inizio le messe in musica del vangelo di Giovanni perché questo è particolarmente vicino alla teologia luterana paolina. Ven­ ne musicato anche il vangelo di Matteo, ma più di rado.3 I responsori del­ la passione di Heinrich Schiitz sono opere eccellenti più recenti di questo genere musicale. 4

Anche il concilio di Trento mostrò qualche riserva riguardo sia alle passioni musicalmente troppo «vivaci » 5 sia a quelle in madrelingua. r J. Bugen hagen, Der Ehrbaren Stadt Hamburg Christliche Ordnung IJ29 (Arb eiten zur Kirc hengesc h ic hte Ham b urgs I 3 ), ed . H. Wenn, Ham b urg I976, 9 1 . 2. Una pol i fonia particol armente vivace s'incontra in una passione tedesca con respon­ sorio con un convertito proveniente da ll 'Ita l ia, Antonio Sca nde llo (Johannespassion, an­ teriore a l I 5 6 I ; cf. Massenkei l i0, 6o s.). O ltre a ll e più costose composizioni de lla pas­ sione si cantavano anc he sempl ici inni su l tema dell a passione, c f. M. jenny, Geschichte des deutschschweiz;erischen evangelischen Gesangbuches im I 6. ]ahrhundert, Base ! I 962, 224 s. 3 Attorno a l 1 5 30 johann Wa lter el a borò i mode ll i d i una passione d i Matteo e d i una passione d i Giovanni ch e a l ungo funsero da para d igmi. 4 Lukaspassion (SWV 480) del I 663; ]ohannespassion ( SWV 4 8 1 ) del I 665; Matthiius­ passion ( SWV 479) del 1 666. Cf. M. Gregor-Dellin, Heinrich Schiitz;. Sein Leben, sein Werk, seine Zeit, Miinchen 1 984, spec. 3 5 2-364. 5 La musica ecc lesiastica non deve contenere niente di «sfrenato o impuro» (se duta 2.2 del I 7 settem bre I s 62, Decretum de observandis et evitandis in celebratione missarum; Con-

LA

STORIA DEGLI EFFETTI

45

Per questa ragione nella chiesa cattolica fino al xx secolo si preferirono le composizioni di tipo responsoriale. Nella seconda metà del XVI seco­ lo la passione di questo tipo toccò l'apice: apparirono opere superbe come la Passione di Giovanni di Paolo Aretino ( 1 5 8 3 ) e la Passione di Matteo di Orlando di Lasso (prima edizione 1 5 7 5 ) . 2.2 . 3 .

Il XVII secolo

Col xvn secolo nelle due confessioni maggiori il repertorio delle passio­ ni si sviluppa in modi indipendenti. In ambito cattolico uno sviluppo ul­ teriore venne frenato dalla norma che nelle funzioni religiose principali sarebbe stata consentita l'esecuzione unicamente di passioni basate sul testo biblico, mentre era vietata la messa in musica di compendi della passione e di passioni oratorie. In ambito evangelico di lingua tedesca 1 le passioni continuarono a svilupparsi ulteriormente in direzione delle passioni oratorie. Qui sono da segnalare soprattutto due innovazioni di grande importanza ermeneu­ tica: 1 1 . i compositori integrano le loro passioni con corali della comunità. In tal modo si mette in valore la natura liturgica della passione cantata. La comunità viene coinvolta nella passione musicale sia passivamente, quando ascolta anche la voce familiare del proprio coro, sia attivamen­ te, quando anch'essa aggiunge il suo canto; 3 2. i compositori aggiungono ai testi biblici arie e più tardi anche reci­ tativi, che per l'aspetto formale provengono dall'opera." Queste aggiun­ te contengono elementi meditativi, interpretazioni e reazioni agli avve­ nimenti della passione, spesso alla prima persona singolare. 5 Per la stocilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistolarum, tractatuum nova collectio, vol . 8 ed . Societas Goerresiana, Frei b urg I 9 I9, 963 ). La musica po l i fonica «non dovre bbe es­

sere composta per una futi le de lizia de lle orecch ie, bensì in modo ta le c he le parole pos­ sano essere capite da tutti » (seduta de ll a commissione sugl i a busi ne ll a cele brazione del­ la santa messa del IO settem bre I 5 62, op. cit., 927). 1 Ne l xvn secol o l a composizione d i passioni assurse in mod o partico lare a campo d i 2. C f. von Fisc her4, 79· competenza dei compositori l uterani tedesc h i. 3 È controverso se l a comunità a bb ia d avvero partecipato a l canto dell e parti cora l i. Pre­ va lgono i giu dizi negativi; cf. A. Sc hweitzer, ].S. Bach, Leipzig I908, 3 I92o, 3 5 e von Fisc her4, Io6: « S i tratta non de ll a comunità rea le ma d i que ll a che partecipa cantan do dentro d i sé » . Parere positivo esprime invece ad es. Sma ll man4, 7 I ; cf. I I9. 4 Per la passione d i Matteo i l primo fu un discepol o di Sch titz, johann Thei le (Ltibeck I673; cf. von Fischer4, 8 8 s.). 5 Un para llel o a questo svi l uppo si manifesta negl i inni ecclesiastici dove agl i inni della Ri forma a ll a prima persona p l ural e ( «Crediamo tutti in un so lo Dio» ; «Ti ringraziamo,

PAS SIONE E PASQUA

ria della religiosità queste composizioni rientrano nella tendenza indivi­ dualistica crescente della devozione alla passione che si va affermando dalla Riforma fino al pietismo. La moda della passione oratoria procede nel protestantesimo di pari passo con la riscoperta e la rivalutazione, verso la fine del XVII secolo, della de­ vozione tardomedievale della compassio con la sua partecipazione alla sof­ ferenza di Gesù. ' Alla fine della guerra dei trent'anni il tema dell'esperien­ za della sofferenza ha un'importanza capitale per i compositori di questo periodo. Ciò spiega anche perché dalla seconda metà del XVII secolo sia la passione secondo Matteo quella che viene messa più spesso in musica. Nel vangelo di Giovanni manca infatti la scena del Getsemani che offre uno spazio quanto mai opportuno a favorire la presa di coscienza dell'esperien­ za personale della sofferenza. 2

2.2.4. XVIII e XIX secolo La rottura decisiva con la tradizione della liturgia della passione musica­ ta accade nell'età dell'illuminismo: viene di moda l'oratorio della passio­ ne che ben presto è eseguito non più in chiesa ma in sale da concerto. Il libretto per una passione non liturgica che in Germania viene musicato più spesso è opera dell'amburghese Barthold Hinrich Brockes e reca il titolo Der fur die Sunden der Welt gemartete und sterbende ]esus.3 Il te­ sto biblico usato è una versione libera in rima e il contenuto mette in pri­ mo piano la drammaticità degli eventi. Gli ascoltatori dovrebbero esser mossi al pentimento e portati a un'esperienza di redenzione. La concilia­ zione con Dio avvenuta extra nos passa in seconda linea; la dottrina ec­ clesiastica della soddisfazione viene spostata nella sfera soggettiva. 4 I li­ bretti degli oratori della passione sono perlopiù libere versioni poetiche elaborate sulla base del testo biblico tradizionale; la parte dell'evangeli­ sta passa in secondo piano o manca del tutto. Per quanto attiene alla lin­ gua i testi sono parenti stretti dei libretti operistici contemporanei. Come che sia, si continuano anche a scrivere passioni oratorie. Opere straordinarie più recenti di questo genere sono la Passione di Giovanni S ignor Gesù Cristo » ) si aggiungono sempre più inni a lla prima singo lare ( «Ti canto co l cuore e con la bocca » ; «Quando i miei peccati mi a ffliggono » ). 1 C f. sopra, pp. 4 1 s. :z. C f. sotto, pp. 178 s. 3 Gesù martoriato e morto per i peccati del mondo. Il l i b retto d i Brockes venne musica­ to, ad es., da Reinhard Keiser ( 1 7 1 2), G.F. Handel ( 1 7 1 6 ) e G.Ph . Te lemann ( 1 7 19 ) . 4 Come mostrano i n partico lare i numerosi sol i loqui che esprimono i sentimenti e le ri­ flessioni dei personaggi in azione ne ll a storia della passione. Per i l signi ficato teol ogico de l testo di Brockes cf. Axmac her0, u6-r48, spec. 1 3 1 s. e 147 s.

LA STORIA DEGLI EFFETTI

47

e la Passione di Matteo musicate da J.S. Bach (prime versioni rispetti­ vamente 1 7 24 e 1729). Rispetto alla passione di Brockes i libretti di Christian Friedrich Henrici (alias Picander) musicati da Bach si distin­ guono dalla moda del tempo perché il testo biblico è riportato integral­ mente e costituisce l' «ossatura » della passione. 1 Henrici e Bach vi rie­ scono splendidamente: con i recitativi e le arie vengono incontro alla ne­ cessità di esprimere il sentimento individuale della fede e al tempo stes­ so a rappresentare mediante le corali della comunità il rapporto tradizio­ nale con la matrice della comunità ecclesiale. La religiosità di Bach riflet­ te l'ortodossia luterana approfondita dalla mistica protestante. Sotto l'aspetto ermeneutico le sue passioni sono estremamente feconde: il te­ sto biblico è chiaramente distinto dalla sua ricezione nel singolo e se ne mantiene distante. Il collegamento delle passioni con il servizio liturgico comunitario viene preservato. 1 Si staccano invece del tutto dal testo biblico soggiacente i libretti de­ gli oratori della passione non liturgici. Un successo straordinario conob­ be l'oratorio Der Tod ]esu (La morte di Gesù) di Cari Heinrich Graun, eseguito per la prima volta all'Opera di Berlino nel 1 7 5 5 . Non da ultimo per i tratti illuministici del libretto di Cari Wilhelm Ramler, esso sod­ disfa le mutate necessità della devozione borghese alla passione: Gesù è il pio amico dell'uomo, il nobile e giusto che muore di una morte orribi­ le che gli è stata inflitta dai giudei omicidi. L'opera di Graun continue­ rà a essere rappresentata sulle scene tedesche anche quando le passio­ ni oratorie, incluse quelle di Johann Sebastian Bach, saranno cadute da lungo tempo nell'oblio. Oltre all'oratorio di Graun sono importanti per esempio Der Fremdling auf Golgotha (Il forestiero sul Golgota) di Jo­ hann Christoph Bach ( 1 776) e nel XIX secolo Christus am Olberg ( Cri­ sto sul Monte degli Ulivi) di Ludwig van Beethoven ( 1 803 ) o Des Hei­ lands letzte Stunden (Le ultime ore del Salvatore) di Louis Spohr ( 1 8 3 5 ) . Lo scopo della rappresentazione della passione è sempre più chiaramen­ te la condivisione dei sentimenti dell'uomo Gesù che muore secondo i dettami della teologia liberale.3 r Ne ll 'autogra fo de ll a Passione di Matteo Bach sottol inea con inch iostro rosso i l testo bi bl ico; cf. von Fisc her0, 72. 1 0 5 . Per i l i b retti d i Pican der c f. Axmac her0, 149-203 . 2. O l tre a ll 'ecce llente saggio d i Axmac her0, per l a co llocazione d i Bac h ne ll a storia de ll a teo l ogia sono importanti anc he A. Mani, « die Lehre des Lebens zu harem•. Eine • • •

Analyse der drei Kantaten zum I7. Sonntag nach Trinitatis von ]ohann Sebastian Bach unter musikalisch-rhetorischen und theologischen Gesichtspunkten (BSHST 46), 1 9 8 1 ; M . Petzo ld t (e d .), Bach als Ausleger der Bibel. Theologische und Musikwissenschaftli­ che Studien zum Werk ]ohann Sebastian Bachs, Gottingen 1 9 8 5 ; L. Hase lboc k, Du hast mir mein Herz genommen. Sinnbilder und Mystik im Vokalwerk von ]ohann Sebastian Bach, Wien 1989. 3 C f. Axmac her0, 208 s.

PASSIONE E PASQUA Alla fine del xvm secolo la passione in quanto genere musicale è in lar­ ga misura scomparsa dalle chiese protestanti, migrando nelle sale da con­ certo e nei teatri lirici. Soltanto nel xx secolo vi è in parte ritornata, ma prevalentemente come concerto pomeridiano del venerdì santo e non co­ me celebrazione liturgica. Al contrario nella chiesa cattolica la passione responsoriale in latino si è mantenuta fino al concilio Vaticano n. L'evento epocale del XIX secolo nella ricezione musicale della passione in Germania è la rimessa in scena della Passione di Matteo di Bach da parte di Felix Mendelssohn Bartholdy nel 1 8 29. L'opera arrivò gradualmente a es­ sere considerata un bene culturale comune, ma continua a essere separata dal suo contesto liturgico: è un pezzo da concerto ovunque venga eseguito, in sale da concerto o in chiesa. 2.2. 5 . Il XX seco lo

L'incremento di composizioni musicali della passione dopo le due guerre mondiali ha di che sorprendere. Nell'Europa del xx secolo non restano che frantumi dell'ottimismo regnante nel secolo precedente, il tema della soffe­ renza torna in primo piano. Caratteristico di molte passioni del xx secolo è il ritorno dalle versioni libere ai testi «classici », o al testo biblico o ad altri te­ sti. Grande importanza viene riconosciuta poi anche alla comprensibilità del testo. 1 Fra i testi si ritrovano i racconti biblici della passione, altri testi bibli­ ci/ testi di Agostino 3 o in uso nella liturgia (credo, antifona, inno, Stabat mater),4 infine anche testi talmudici o della lirica moderna giudaica o cristia­ na pietista.5 Talvolta si stabilisce un rapporto con eventi della storia più re­ cente, ad esempio nel caso della Passione di Luca di Penderecki alle vicende polacche degli anni quaranta (olocausto, fosse comuni dell'eccidio di Ka­ tyn). 6 In molti compositori moderni si può quindi osservare un ritorno alla tradizione biblica, ecclesiastica e liturgica. Tuttavia nessuna delle loro opere si è affermata tanto da potersi definire > (in ge­ nere quattro pali con un telo per tetto). n pubblico distribuito sulla piazza può quindi guardare tutto intorno a sé l'azione. Un personaggio lascia la sua casa soltanto quando deve recitare. La scena comune, sulla quale si svol­ gono le azioni che non sono legate a un determinato luogo, si trova al cen­ tro della piazza. Rigidamente distinte sono tenute da un lato della piazza le «case » dei seguaci di Gesù (discepoli, angeli, ecc.) e dall'altro quelle dei suoi avversari (diavolo, giudei, ecc.). In tempi più recenti si può osservare una secolarizzazione crescente an­ che per quel che riguarda la gestione delle rappresentazioni. Più il tempo passa, meno sono esclusivamente i chierici responsabili delle rappresen­ tazioni. Questo compito può essere assunto anche da borghesi, ad esem­ pio da corporazioni o da confraternite nate proprio a tale scopo. A ciò si aggiunge che le rappresentazioni possono anche allontanarsi cronologi­ camente dalle date previste dal calendario ecclesiastico: non è più obbli­ gatorio che le sacre rappresentazioni della passione vengano inscenate nella settimana santa o nei giorni di pasqua, ma possono essere messe in scena talvolta anche prima della settimana santa o a pentecoste.

2. 3 . 3 . Intento delle sacre rappresentazioni 2. 3 . 3 . 1 . Le rappresentazioni al servizio della pedagogia della salvezza . Fate silenzio e prostratevi a terra: vogliamo farvi sapere come nostro Signore è risorto dai lacci dell'amara morte a conforto di ogni stirpe umana per redimere tutti, . . . 1

Come per i dipinti della passione nella chiesa occidentale, 2 anche per le rappresentazioni sacre della passione e della pasqua in volgare è impor­ tante un «Sitz im Leben» didattico. Si può addirittura parlare di «peda­ gogia della salvezza » 3 come obiettivo fondamentale delle rappresenta­ zioni. Questo scopo viene spesso dichiarato pubblicamente dal direttore di scena 4 all'inizio della rappresentazione oppure in passaggi importanI

s - x o (Meiera, 4). 2 C f. sotto, pp. 6 1 s. Cf. Linkea, 1 3 1 (i drammi rel igiosi ne l medioevo fungono da «parenesi e pedagogia del ­ la salvezza » ) . 4 I l d irettore d i scena - i n a lcune rappresentazioni la parte è a ffidata a d Agostino, i l Pa dre 3

Innsbrucker Osterspiel, vv.

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PASSIONE E PASQUA

ti dell'azione. Se si pensa poi che per la maggior parte queste rappresen­ tazioni sacre vennero messe in scena prima dell'invenzione della stampa, ossia in tempi in cui il mezzo di comunicazione della lingua scritta era ac­ cessibile esclusivamente agli eruditi, ci si potrà immaginare chiaramente quanto debba essere stata profonda l'influenza di queste rappresentazio­ ni sulla devozione popolare. Con le arti figurative queste rappresentazio­ ni erano in certo senso la Bibbia del popolo. Insieme alla predicazione il teatro era il più importante « mezzo di comunicazione di massa » dell'epo­ ca anteriore alla stampa. ' La gente accorreva talmente numerosa alle rappresentazioni sacre che nelle grandi città dovettero essere organizza­ te particolari ronde per evitare furti e incendi incontrollati nelle case la­ sciate vuote. 2.3 . 3 . 2. Le rappresentazioni come sussidio per la devozione: appello alla penitenza e a una vita gradita a Dio.

Ahimè, Signore mio amatissimo, perdonami i miei peccati, mi prostro ai tuoi piedi, accendi il mio cuore. 1 Così Maria Maddalena supplica Gesù quando decide di abbandonare la vita mondana. Questa vita mondana è fatta di ogni tipo di divertimen­ to: suonare, ballare, cantare; la gioia d'imbellettarsi e agghindarsi; infine e soprattutto le molte avventure nelle quali lei manovra gli uomini come marionette. Sensualità e trastullo,3 gioco e divertimento: ecco per che cosa vive Maria Maddalena. Ma infine l'incontro con Gesù la porta a cambiare radicalmente mentalità. La figura di Maria Maddalena non è l'unico modo in cui le rappresentazioni possono mettere in guardia dal­ la condotta «empia >>, lo possono fare anche rappresentando ad esempio crudamente e plasticamente al pubblico, così che tutti possano vedere con i propri occhi, le pene dell'inferno. 4 dell a chiesa - cond uce i l pu bbl ico anraverso i l dramma con riepi log hi, appe ll i e commenti vari. 1 C f. R.H. Sc hmi d , Raum, Zeit, und Publikum des geistlichen Spie/s. Aussage und Ab­ sicht eines mittelalterlichen Massenmediums, Miinchen 1 9 7 5 . 1 Maria Ma dd a lena ne l Wiener Passionsspiel, vv . 434-4 3 5 (Henninga, 3 9 ) . 3 Donaueschinger Passionsspiel, vv. 8 3 - 9 1 (Tou bera, 88 s.); Wiener Passionsspiel, v . 3 1 8 (Henninga, 3 5 ). Per l 'importanza d i Maria Ma dd a lena ne ll a storia de ll a pietà cf. sono, pp. 426 s. 4 Ne l Wiener Passionsspiel (vv. 1 89-278 [Henninga, 3 1 - 3 3 ] ), a d es., poco dopo i l peccato origina le d i Adamo ed Eva, vengono condone ne ll 'in ferno anc he a ltre anime d i traviati: l 'anima di un usuraio spietato, di un monaco, d i una fanucc h iera e d i un )a d rone.

LA STORIA DEGLI EFFETTI

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Le rappresentazioni della passione come sussidio per la devo­ zione: appello alla compassio. Il mio cuore si spezza dal gran dolore: deh, voi, le più care tra le donne, che piangete il vostro dolce amore che avete pietà delle sue grandi pene, aiutatemi a piangere la sua morte . . . 1 Il crescente interesse della pietà popolare del basso medioevo per la sof­ ferenza di Cristo si concretizza anche nelle rappresentazioni della pas­ sione. Il pubblico deve farsi commuovere da ciò che vede e provarne com­ passione. Scene centrali di questi appelli alla compassio sono i lamenti di Maria che possono essere collocati in vari posti attorno alla scena del­ la crocifissione."' Ma l'appello alla compassio non viene solo dalla madre di Gesù: può venire anche da Veronica o dal direttore di scena. Nella sa­ cra rappresentazione della passione di Alsfeld anche la luna e le stelle provano compassione. 3 2 .3 .3 - 3 -

Le rappresentazioni della passione come mezzi d'intrattenimen­ to. Anche il pubblico medievale non vuole essere soltanto ammaestrato e commosso - ogni tanto desidera anche semplicemente divertirsi. Par­ ticolarmente popolari sono a questo scopo le scene, per esempio, con le guardie quando ci si poteva divertire con la presunzione e le smargias­ sate delle guardie messe alla tomba dalle autorità giudaiche oppure con la scena, non biblica, dei bottegai, dove l'azione non si limita all'acqui­ sto dei balsami da parte delle donne ma prende di mira altre attività e faccende del medico, dello speziale, della sua signora e del suo garzone. Devozione e vita quotidiana, commozione e divertimento vivono m stretta simbiosi nelle rappresentazioni della passione e della pasqua. 2. 3 . 3 -4-

2 . 3 .4.

L 'immagine dei giudei nelle rappresentazioni della pasqua e della passione

Un lato più fosco delle sacre rappresentazioni della passione e della pa­ squa non può essere celato proprio in un commento al vangelo di Matr Lamento d i Maria ai pie d i de ll a croce in Donaueschinger Passionsspiel, vv . 3 5 59-3 5 6 5 (Tou bera, 222 s.). 2 I l amenti d i Maria non compaiono so l tanto nei d rammi d e ll a passione, ma sono stati traman dati in gran numero anch e come composizioni a sé stanti. Ciò fa capire quanto essi de bbano essere stati importanti per la pietà popo lare.

3 Alsfelder Passionsspiel, vv. 5 4 5 6-549 5, spec. vv. 5 4 8 1 ss. (Froning Ila, 763 s.); Luzer­ ner Osterspiel, vv. 8893-8895 (Wyss0, 1 8 5 ). Per la compassione d i l una e ste lle: Alsfelder Passionsspiel, vv. 63 20-63 5 1 (Froning na, 79 5 ) .

PASSIONE E PASQUA teo: si tratta dell'immagine negativa dei giudei in queste rappresentazio­ ni. 1 Nell'ampliamento delle scene bibliche nelle rappresentazioni più re­ centi divennero particolarmente importanti anche tutte quelle scene nel­ le quali era possibile mettere i giudei in cattiva luce. Si inventarono addi­ rittura nuove scene per dimostrare la perfida malvagità dei giudei. Ciò avvenne con particolare predilezione nelle scene dei maltrattamenti do­ po la condanna pronunciata da Pilato. Mentre per questo aspetto le rappre­ sentazioni più antiche del XIII e XIV secolo, ad esempio il St. Galler Passions­ spiel e il Benediktbeurer Passionsspiel, sono ancora molto moderate, in tem­ pi più recenti la scena dei maltrattamenti viene ampliata. La parte dei cattivi viene assegnata immancabilmente ai giudei anche quando i vangeli si pro­ nunciano altrimenti. Nel Frankfurter Passionsspiel del 149 3 , a d esempio, so­ no sì i soldati di Pilato che, come riferiscono i vangeli, malmenano Gesù, ma si vede a colpo d'occhio quanto questi soldati abbiano tratti giudaici e si identifichino con i giudei. 2. Da qui a vedere i tormenta tori di Gesù come giudei e basta il passo è breve e viene compiuto, ad esempio, nella sacra rappresentazione della passione di Heidelberg.J

Tuttavia i giudei sono soprattutto gli increduli antagonisti di Gesù e infine i suoi assassini. Nel medioevo ciò significa anche che essi sono stru­ mento del maligno; per questo vengono «demonizzati» nel senso più ve­ ro della parola - ad esempio nell'Alsfelder Passionsspiel dove il diavolo e la sua squadra escogitano con furbizia chi di loro debba entrare in que­ sto o quel giudeo e istigarlo al male." L'unica possibile via di salvezza dei giudei, la loro conversione, è tramandata solo nelle istruzioni francofor­ tesi per il direttore di scena.5 L'unico barlume di luce in questo fosco sce­ nario è che ogni tanto - in conformità ai vangeli - appaiono in scena an­ che figure positive di giudei come Nicodemo o Giuseppe di Arimatea. Il significato ermeneutico delle sacre rappresentazioni della passione Il romanzo Cristo di nuovo in croce ( 1 9 5 4 ) di Nikos Kazantzakis 6 racconta 2. 3 . 5 .

in termini vividi ai limiti dell'angoscia quanto - almeno nell'immaginazio1

Cf. in partico lare Bremer". Bremer", 1 5 1 ; cf. anche 1 5 4. Wenze l ", 9 1 : « S ull a scena questi so ld ati perdono la loro i dentità primaria poic hé parlano e agiscono da giudei . . . l 'i denti ficazione dei cru del i tor­ turatori con i giu dei viene insinuata » . 3 Heidelberger Passionsspiel, vv . 473 3-47 5 1 (Mi lch sac k ", 209 s . ) e vv. 494 5-4970 ( 22.0 s.). Per a ltri esempi v. sotto, p. 3 5 3 · 2.

Alsfelder Passionsspiel, vv. 1 3 3 -463 (spec. vv . 209. 220. 2 3 6 ) (Froning n ", 5 7 1 - s 8 x ). 5 Frankfurter Dirigierrolle, vv. 3 6 8 s. (Janota", 5 2 ). 6 Tito lo origina le O XpLa'!oc; �11VI1a'!l1upwve:'!I1L, A-8-i]v11 7 1 960.

4

LA STORIA DEGLI EFFETTI

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ne di uno scrittore - i vari ruoli di una rappresentazione della passione im­ prontino i caratteri e la vita degli attori, al punto che Manolios, che ha il ruolo di Gesù, paga con la vita il suo impegno. Questo esempio getta luce su un possibile significato ermeneutico delle rappresentazioni della passione: esse condensano e intensificano l'effet­ to della storia della passione che viene narrata o letta. Non solo le sto­ rie che la sorte recita con noi sono « realtà » , anche le storie che ci ven­ gono narrate o rappresentate, e in misura maggiore quelle che noi stessi insceniamo e recitiamo, diventano per noi parte della realtà, nel senso che hanno effetto su di noi e in noi. La realtà non è semplicemente un dato di fatto; essa può - fino a un certo punto - essere anche inscenata. Il significato ermeneutico delle rappresentazioni della passione è dato quin­ di dal fatto che esse aiutano gli attori - e in misura minore anche gli spet­ tatori - a identificarsi profondamente con i vari ruoli. Questa supposizione è strettamente affine a quanto Fulbert Steffensky affer­ ma, in un contesto diverso, per il gesto della benedizione, cioè che anche l'in­ teriorità dell'uomo viene profondamente segnata dalle figure e forme esterio­ ri che egli rappresenta: «L'uomo non si costruisce soltanto dall'interno ver­ so l'esterno, ma anche dall'esterno verso l'interno . . . Con la forma che noi compiamo esteriormente costruiamo la nostra interiorità, costruiamo la nostra fede, i nostri desideri e le nostre aspirazioni. Non siamo soltanto ciò che siamo nel cuore, siamo anche quelli che siamo nel nostro comportamen­ to esteriore>> . 1 Mi piace applicare questa nozione anche alle rappresentazioni della pas­ sione e della pasqua e dire: mettere esteriormente in scena la fede potreb­ be anche significare costruire la fede interiormente. La fede viene media­ ta non soltanto dalla parola ma anche da forme e gesti. Il teatro rappre­ senta, se si vuole, la forma più completa di tutte le forme di arte in quan­ to unisce in sé tutti gli ambiti parziali delle arti: l'arte figurativa, la musi­ ca, la danza e anche la parola . L'arte figurativa mira alla vista, la musi­ ca all'udito, la danza al corpo, la parola alla mente. Nel teatro si viene coinvolti e trascinati senza riserve. Viene tuttavia da chiedersi se le rap­ presentazioni della passione e della pasqua hanno fatto il loro dovere in tempi in cui la Bibbia era per varie ragioni inaccessibile ai più. Poiché la storia della passione è una storia che coinvolge il lettore, esse potreb­ bero fungere da importante medium per scoprire anche oggi la forza di coinvolgimento dei lettori in essa latente.

r

F. Ste ffens ky, Segnen: PTh 82 ( 1 99 3 ) 9·

2.4. LA STORIA DELLA PASSIONE NELL'ARTE 1 Non c'è passo biblico che sia stato dipinto o raffigurato plasticamente con la stessa frequenza della passione di Gesù. Nelle opere pittoriche si rispecchia la teologia e la pietà di un'epoca e quindi anche in particolar modo quella della ricezione della storia della passione. Tradurre in pit­ tura testi è al tempo stesso il tentativo ermeneuticamente molto interes­ sante di trasporre testi in un mezzo di comunicazione non verbale. Perciò in questo commento si dovrà riservare alla storia dell'arte un posto cen­ trale nel quadro della storia degli effetti ... Nei paragrafi che seguono si cercherà di articolare la storia degli effet­ ti nell'arte figurativa secondo quattro «Sitz im Leben» che ovviamente si sovrappongono. Sebbene essi siano diventati importanti più o meno nel­ l'ordine cronologico qui seguito, in tempi posteriori essi compaiono per­ lopiù contemporaneamente.3 Gli esempi riguarderanno soprattutto la raffigurazione della crocifissione, la scena della storia della passione in­ dubbiamente più importante per l'arte.

2.4 . 1 . Le raffìgurazioni della passione come confessione di fede Le prime raffigurazioni di scene della passione di Cristo si trovano nella plastica dei sarcofagi. In queste figurazioni protocristiane la passione non è concepita come via dolorosa, ma, alla luce di pasqua, come via trion­ fale. Ciò è particolarmente evidente su uno dei più a ntichi sarcofagi trion­ fali provenienti da Roma ( 3 40 ca. ) (fig. 2).4 La raffigurazione inizia da destra, con la traduzione di Gesù davanti a Pila­ to e con questi che si lava le mani. Gesù è la figura decisamente più grande delle altre e domina la scena; Pilato guarda indifferente da un'altra parte. Con la mano destra Gesù indica il serto del vincitore appeso in alto. Sul la­ to sinistro è raffigurata l'imposizione della corona di spine e anche qui Ge­ sù è la figura più grande e sta eretto in posizione regale. Non si tratta di sofferenza, ma di vera incoronazione regale della quale il soldato non sem­ bra tuttavia consapevole perché tiene la spada a portata di mano. Nell'ulti1

La prima stesura del testo è d i Step han Bosiger. 2. A d i fferenza dell a musica, le immagini possono essere riprod otte in un l i bro, quantun­ que so ltanto in modo se lettivo. A ta le scopo ne l commento si è cercato d i inc l udere esem­ pi dei tipi fondamenta l i de ll 'interpretazione artistica de ll a passione su lla base di opere sce lte per i l loro va lore esemp lare. 3 Come introduzione si è rive lato importante J. Engemann, Deutung und Bedeutung frnh­ christlicher Bilderwerke, Darmsta dt 1 997, e in modo de l tutto partico l are Be l tinga, i l qua­ le considera i l d ipinto ne ll a sua funzione e si ch iede a che cosa siano serviti i qua dri. 4 Immagine: Sch i ller, lkonographie n, 298 nr. I. Descrizione in Effen berger0, 5 8 . Per i l lato destro, d. sotto, pp. 3 2 8 s.

Figura

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mo riquadro a sinistra Simone il Cireneo porta la croce e qui Gesù non ap­ pare nemmeno, ma solo la sua croce e il serto della vittoria in segno di trion­ fo. Al centro del rilievo c'è una croce sulla quale un'aquila ad ali distese cala il serto della vittoria col monogramma di Cristo. Sulla traversa della croce sono posate due colombe funebri che beccano il serto e partecipano così alla vittoria di Cristo. Esse esprimono la speranza che i morti parteciperanno del­ la risurrezione di Cristo. Sotto la croce siedono le sentinelle del sepolcro. Raffìgurazioni della crocifissione nell'antichità stessa sono molto ra­ re perché sembravano inconciliabili con la divinità di Gesù/ In Occi­ dente s'incontra la prima crocifissione soltanto nel v secolo, su un rilie­ vo d'avorio proveniente dall'Italia settentrionale attorno al 4 20-4 3 0 e su un rilievo ligneo della porta di Santa Sabina a Roma del 4 3 2 circa. Que­ ste raffìgurazioni della crocifissione sono confessione del Risorto. Il rilievo in avorio (fig. 3 ) 2. raffigura Gesù in croce con indosso soltanto una fascia per i fianchi, gli occhi spalancati, inchiodato solo per le mani. Ciò che la croce vuoi dire qui, antiteticamente rispetto al Giuda impiccato, è chiaro: questi ha trovato la morte; Cristo trionfa invece sulla croce. Nella basilica di Santa Sabina a Roma (fig. 4 ) 3 s'incontra per la prima volta una raffigurazio­ ne della crocifissione in pubblico. Cristo è in posizione eretta, in una specie di postura da orante, e sovrasta di parecchio i due !adroni ai suoi fianchi. Tutti e tre sono sormontati da cuspidi. Gesù - lo si nota a stento - è inchio­ dato soltanto per le mani a una croce ridotta a due assicelle. I piedi sono libe­ ri, gli occhi ben aperti. Non ci sono tracce di sofferenza. 1 Sia l a l ipsanoteca d i Brescia sia i l cic l o de l mosaico d i S ant'Apo ll inare Nuovo a Raven­ na non contengono croci fissioni. Verso la fine de l VI seco lo Gregorio d i Tours ri ferisce d i una croci fissione in un d ipinto a Nar bonne che avre bbe scan da l izzato l 'opinione pu b­ bl ica (Liber Miraculorum 1 ,23 [PL 7 1 , 724 s.] ) . 2. Riprod uzione in Sc h i ller, Ikonographie u, 4 3 8 nr. 3 2 3 . 3 Interpretazione de ll 'immagine i n G. Jeremias, Die Holztur der Basilika S. Sabina in Rom (Bi lderh e fte des deutschen archao log. Instituts Rom 7), Tii bingen 1 9 80, 60-63, fig. 5 2..

Figura 3 ·

Con l'età carolingia l e raffigurazioni della crocifissione s i moltiplica­ no. Ora la passione viene intesa come sacrificio di Cristo per i peccati de­ gli uomini e raffigurata di conseguenza. Diventa importante l'episodio del colpo di lancia che fa scorrere il sangue salvifico di Cristo e mediante il calice stabilisce un rapporto col sacrificio della messa. Dal IX secolo e soprattutto su avorio s'incontra nella scena della crocifissione la Chiesa raffigurata come regina, con lo stendardo della vittoria e il calice che rac­ coglie il sangue che esce dal fianco ferito di Gesù. 1 Alla Chiesa è spesso messa di fronte la Sinagoga che si gira con gli occhi bendati. Nella pittura della Riforma, di scarsa consistenza, la crocifissione di­ venta oggetto della predicazione e della professione di fede. Sul noto qua­ dro della crocifissione di Lukas Cranach il Vecchio sulla predella dell'al­ tare della Stadtkirche di Wittenberg è dipinta la predica della croce.1 Per un esempio dell'arte della riforma cattolica del XVI secolo si ricordi la raf­ figurazione della cena di Tintoretto nella quale viene trasposta in imma­ gine la teologia eucaristica cattolica. 3 •

Sch ill er, Ik onograp b ie n, 1 22-1 24. 1 Cf. sotto, pp. 401.-404 e fig. 5 2.

3

C f. sotto, pp. 1 28 s. e fi g. 1 4 .

Figura 4·

2.4.2. Le raffìgurazioni della passione come strumento didattico Soprattutto i grandi cicli di immagini e i complessi figurati sui portali del­ le chiese della fine dell'età antica e del medioevo sono da considerarsi una sorta di sussidi didattici mediante i quali era possibile spiegare alle per­ sone comuni la storia della passione. La funzione didascalica delle imma­ gini fu importante soprattutto per la chiesa occidentale. Secondo un noto passo epistolare di Gregorio 1, «l'immagine viene usata nella chiesa affin­ ché coloro che non sanno leggere possano almeno leggere sui muri guar­ dando ciò che non sono in grado di leggere nei libri . . . >> . Non si tratta di venerare immagini ma di istruire il popolo con immagini, affinché sap­ pia chi debba venerare. 1 Sulle pareti delle chiese i fedeli possono ricono­ scere ciò che hanno ascoltato nel culto. In particolare gli stretti rappor­ ti tra rappresentazioni e raffìgurazioni della passione nel basso medio­ evo fanno capire chiaramente che si riconoscevano immediatamente nei quadri le scene che erano state rappresentate nei drammi sacri. 1 Greg. Magn. Epist. 9,z.o8 ( CC hr. S L CXL A, 768); cf. anche 873 s. C f. inol tre l a dottri­ na del tripl ice va lore delle immagini c he viene fatta risa l ire a Tommaso d 'Aquino: « I . ad instructionem rudium, z.. per ra fforzare la memoria, 3· ad excitandum devotionis affec­ tum», in von Campenhausen°, 3 64.

62

PAS SIONE E PASQUA

Si sa inoltre che si raccomandava ai chierici di spiegare ai fedeli i cicli sulle vetrate delle chiese. 1 Anche altri complessi figurati richiedevano l'interven­ to del teologo. Fra questi figura ad esempio il ciclo di affreschi di Sant'An­ gelo in Formis,1 dove le singole scene della passione si interpretano l'una con l'altra grazie ai rapporti tipologici che le collegano. Appunto sotto la scena di Pilato che si lava le mani è raffigurato ad esempio il re Salomone in rapporto al passo di Sap. 2,20: morte turpissima condemnemus eum. Similmente necessitano di spiegazione le cosiddette «Bibbie dei poveri» 3 e gli «specchi di salvezza » 4 che raffrontano in senso tipologico immagini della vita di Gesù a immagini dell'Antico Testamento e a figure di profeti. Di natura didascalica sono anche numerosi quadri singoli: menziono come ulteriore esempio di un'immagine con funzioni didascaliche il tipo di im­ magine della «croce vivente» : s ogni attività parte dalla croce. Con le brac­ cia della croce si incorona la Chiesa e si pugnala la Sinagoga. Col piede del­ la croce si apre il regno degli inferi e con l'estremità superiore della croce il cielo. Molte volte i quadri sono forniti di cartigli scritti in latino che spie­ gano il significato dei vari elementi. L'invenzione della stampa rende possibile una grande diffusione del­ l'immagine come «sussidio didattico » . Diventano ora importanti soprat­ tutto le xilografìe, le incisioni e le acqueforti. Libri di devozione illustra­ ti e Bibbie illustrate si diffondono a partire dal xvi secolo e diventano libri popolari. 6 2-4 - 3 .

Le raffigurazioni della passione come fonte di devozione

Qui si deve parlare in primo luogo delle icone. Le icone con temi della passione sono numerose, soprattutto fra quelle che adornano l'iconosta­ si con la successione dei giorni festivi. 7 Nelle raffìgurazioni delle immagi­ ni, nelle icone, sono efficaci e presenti, secondo la convinzione della chie' A detta di W. Schl in k , Der Beau-Dieu von Amiens, Frankfurt-Leipzig 1 99 1 , So si face­ vano visite gui date de ll a c h iesa so fferman dosi a l meno davanti a lle vetrate ricc he d i im­ magini e di scene: appena un gruppo di fede l i si era formato, un d iacono doveva spiega­ re i l nesso tra le immagini de ll a vetrata e i l loro signi ficato spiritua le. È da supporre che ciò acca desse anc he con a ltri cic l i d i immagini. :z. C f. sotto, p. 1 2 7. 3 Bi bbie i ll ustrate provenienti da l xm seco lo ch e ra ffrontano di volta in vo l ta fatti sa l vi­ fici de l Nuovo Testamento a d ue tipi de ll 'Antico Testamento e a quattro immagini di pro­ feti. Per i l contenuto sono composte per metà d i storie de ll a passione e d i pasqua. 4 Versioni più esaurienti de ll a Biblia Pauperum, risa lenti a l XIV seco lo. 5 Cf. anc he sotto, pp. 12 7 con fig. r 2. 6 K.A. Knappe, Bibelillustration, in TRE VI, 1 9 80, 146-r s S. 7 Vengono ra ffi gurate la cena e la lavan da dei pied i, i l tra dimento d i Giuda, l a flage llazio­ ne, la croci fissione e l a deposizione da lla croce, la discesa ne ll 'a de (signi ficativamente chiamata anastasis) e le donne a l sepo lcro.

LA

STORIA DEGLI EFFETTI

sa orientale, gli archetipi celesti, ed è per questo che «coloro che le con­ templano sono stimolati a ricordare gli archetipi, a desiderarli, e a tri­ butar loro affetto, rispetto e venerazione » . ' Come il corpo umano così anche l'icona è veicolo dello Spirito. L'immagine guida alla venerazione, ma non della «materia, bensì di colui che ha creato la materia e di colui che si è tramutato in materia per amore mio » . 2 Nel caso delle icone non si tratta quindi di insegnamento né primariamente di confessione di fe­ de e neppure di espressione della pietà individuale, bensì dell'analogo ef­ ficace dell'archetipo divino nell'immagine dipinta. Per questo le raffigu­ razioni della passione sulle icone non sono realistiche in senso terreno bensì rendono perspicua la realtà divina e la gloria di pasqua.3 Le icone sono immagini cultuali. In Occidente le icone vennero recepite, soprattutto in Italia, a partire dai tempi delle crociate 4 e servirono da modelli o almeno da ispirazio­ ne per dipinti su tavola. In quest'ambito spirituale si crearono crocifissi sul modello della pittura su tavole che raffigurano il crocifisso con Ma­ ria e Giovanni ai lati: queste due figure umane dovrebbero aiutare a sta­ bilire un rapporto con i fedeli e facilitare loro a sentirsi uniti nella pre­ ghiera al crocifisso. Mentre nelle immagini del xn secolo Cristo è rappresentato ancora piuttosto nel suo aspetto di trionfatore sulla morte, accompagnato da co­ ri angelici, nel xm secolo i cori angelici vengono via via sostituiti dalla tavoletta con INRI affissa sulla croce con Gesù raffigurato in agonia o già morto. Gli occhi chiusi o martoriati, il capo piegato col volto segna­ to dal dolore, il corpo rattrappito e afflosciato, i piedi sovrapposti inchio­ dati con un solo chiodo 5 e la corona di spine sono espressione diretta di questo cambiamento. Il crocifisso di Westlettner a Naumburg è un esem­ pio particolarmente eloquente di questo nuovo tipo. 6 L'immagine del crocifisso accompagna e sostiene le nuove forme della devozione alla 6 r Concilium Oecumenicum vn (Nicenum n), actio vn (D S 3 , nr. 6o1 ) . 2 lo. Damasc. Orat. de Sacr. Imag. 2, 1 1 4 (PG 94, 1 3 00). 3 La natura d ivina di Cristo non è ra ffìgura b i le rea l isticamente ma può essere soltanto a ll usa per mezzo d i sim bo l i e co lorazioni. « Se dovessi descrivere i l tuo corpo che ha so f­ ferto, d ic h iarerei che la tua natura divina non si l ascia descrivere» (epigramma del Patri­ arca Metod io de ll '843 cit. in M. Zi bawi, Die Ikone, Bedeutung und Geschichte, Solo­ thurn-Diisseldorf 1993, 20). 4 Per la via de lle icone a ll 'Occidente cf. spec. Be lting0, 208-509. 5 Ne ll 'a lto me dioevo s'incontra sempre più spesso i l cosi ddetto «Cristo dai tre ch iodi » in­ vece de l «Cristo con quattro chiodi » : se Cristo h a ogni piede inch iodato separatamente con un ch iodo a ll a croce l 'artista può ra ffìgurarlo con le gam be stese e para llele; se inve­ ce i due pie di vengono inc h iodati sovrapposti con un sol o ch iodo, le gam be del croci fisso risu ltano piegate e non più para ll ele. 6 Cf. sotto, p. 402.

PASSIONE E PASQUA passione che col xn secolo iniziano a diventare importanti: compassio, conformitas, imitatio e mistica della passione. Nel corso del basso me­ dioevo l'immagine cultuale costituita dall'icona si è mutata in Occidente in immagine devozionale. A questa trasformazione sono connessi quattro sviluppi, sui quali qui ci si può soffermare soltanto in breve: 1. Con il xm secolo assumono importanza anche altre scene della storia della passione di Gesù: oltre al­ la crocifissione, la flagellazione, la scena dell 'Ecce Homo, il trasporto del­ la croce, l'inchiodatura sulla croce, la deposizione dalla croce, il lamen­ to, la pietà e la sepoltura. A queste scene si accompagnano il « silenzio del Cristo crocifisso» 1 e il tipo iconico del « Cristo in ambasce » . 2. 2.. Sempre più predomina l'immagine isolata. Spesso i dipinti non sono più parti di un ciclo completo della passione, ma mirano ad attrarre l'osservatore come immagini a sé stanti. Talvolta la scena scompare del tutto: affatto privi di scena sono il « Cristo in ambasce » , la pietà, il «silenzio del Cri­ sto crocifisso » , il puro crocifisso o il ritratto della testa del Cristo marto­ riato. Tali raffigurazioni servono unicamente alla devozione personale o all'abbandono mistico. 3 · Per chi contempla le immagini si fanno sempre più importanti le figure con cui identificarsi. Nei quadri della crocifis­ sione sono Maria in cordoglio e il discepolo prediletto. Anche nel « la­ mento sul Cristo morto » , scena chiave nel basso medioevo, coloro che contemplano il dipinto possono identificarsi nel loro cordoglio con la ma­ dre di Dio che piange il figlio.3 Un'ulteriore possibilità d'identificazione è offerta dai «calvari affollati » 4 frequenti nel basso medioevo: la croci­ fissione di Gesù viene trasferita nelle vicinanze di una città tardomedie­ vale i cui abitanti sono presenti sul Golgota. 4· L'immagine devozionale non s'incontra soltanto nelle chiese ma si trova anche nelle celle di mo­ naci e monache e - come le Bibbie - sempre più anche in case private. La devozione diventa così sempre più una pietà individuale. In questa evo­ luzione l'immagine devozionale svolge una parte non indifferente. Si è così avviato uno sviluppo che nel XVI secolo verrà rafforzato e sug­ gellato dalla Riforma: le immagini compaiono nelle case private e spa­ riscono dalle chiese protestanti. Nella Riforma esse vengono ora rimos1 Le ra ffìgurazioni, per lopiù p l astic he, de l «si l enzio d e l Cristo croci fi sso» mostrano Gesù con la corona di spine e a ltri sim bo l i d i d i leggio c he siede tutto solo. L'elemento sa l iente è la so litu d ine d i Gesù. C f. Sch i ller, Ikonographie n, 83-8 5 . 2. Le immagini pl astic he de l «Cristo i n am basce » ra ffigurano l 'u ltima stazione d i Gesù sull a via verso i l Go lgota. Cristo indossa so ltanto una fascia per i fianc hi e h a lo sguar­ do a bbassato. Qui non c'è più la maestà de l «silenzio de l Cristo croci fi sso » . C f. S ch i ller, Ikonographie n, 95 s. e v. sotto, pp. 347 s. con fig. 3 9 · 4 Cf. Roth , Kalvarienberg (citato sopra, p. 4 3 n. 3). 3 C f. sotto, p . 439·

LA STORIA DEGLI EFFETTI se dalle chiese (Zwingli, Calvino) ora lasciate dove stanno, ma ridimen­ sionate in importanza religiosa (Lutero ) . ' Nei secoli seguenti quadri e statue di soggetto sacro arricchiscono soprattutto le collezioni d'arte più o meno grandi di principi e borghesi e infine dei musei. L' «arte » si costi­ tuisce come ambito autonomo dalla religione, e l'immagine devozionale finisce col diventare un'opera d'arte.

2.4.4. Le raffìgurazioni della passione come espressione della devozione individuale Col basso medioevo gli artisti appaiono sempre più personaggi impor­ tanti. E ciò anche perché accanto all'ordinamento feudale del potere si va affermando sempre più un ordinamento borghese della vita e a fian­ co di quella ecclesiastica emerge una produzione artistica borghese, in modo che nell'arte va imponendosi un naturalismo promotore anche di individualismo.1 Verso la fine del XIV secolo con l'ambiziosa crescita del­ la borghesia si sviluppa anche un vero e proprio commercio di oggetti artistici che accelera l'evoluzione già in corso: ora non sono più le chiese che ordinano opere d'arte, con un'iconografia quindi prestabilita. Con­ nessa a questa tendenza è la trasformazione dell'immagine di culto 3 in immagine devozionale individuale. La partecipazione alla passione e la devozione personali fanno esplicitamente tutt'uno nell'immagine devo­ zionale.4 Per la religiosità dell'imitatio, per la mistica e per altri versi anche per la spaccatura provocata dalla Riforma del mondo cristiano un tempo unito d'Europa, la religiosità del singolo diventa inconfondibile, e gli artisti iniziano a esprimere con maggior forza in immagini la propria devozione e il proprio stile. 1 Von Campenhausen°, spec. 3 80-3 8 3 . A lle pp. 392.-407 l 'autore vede tuttavia in retro­ spettiva una d i fferenza fon damenta le tra l a tra d izione ri formata e que lla l uterana. Mentre Zwingl i e Ca lvino insistono su ll a di fferenza fond amenta le tra l 'uomo e Dio che è Spiri­ to, e quind i per principio non ra ffìgura bi le (cf. Ca l vino, Inst. I , I I , I s.), su ll a base dell a sua concezione dell 'incarnazione Lutero si aprire bbe sempre più a ll 'i dea platonica e cri­ stiana orienta le dell 'ana l ogia tra l inguaggio figurato e immagine. Se così fosse, a llora so ltanto Zwingl i e Ca lvino potre bbero essere consi derati precursori dell a secolarizzazio­ ne moderna dell 'arte. 2 Cf. A. Hauser, Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, Miinchen 1 990, 2.42.-2. 56, spec. 2.45 s. 3 «Le icone in quanto immagini di cu lto . . . che servono a ll a commemorazione di ciò che viene venerato e non 'so lo' a ll a devozione dell a persona c he le contemp la non mostrano, proprio per la l oro funzione, a lcun carattere sti l istico individ ua le dell 'artista. Ch i dipinge passa in ultimo piano. L'iconogra fi a stereotipata garantisce i l riconoscimento» (Th . Ran4 C f. Hauser, op. cit., 2.78 s. ger- Schi ffers, Thesen, semestre invernale 1 99 2./9 3 ) .

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PASSIONE E PASQUA

Ovviamente qui non si può andare al di là di esempi spaiati. Particolar­ mente significativo è alla fine del xvi secolo El Greco, il quale all'inizio ave­ va adottato lo stile della pittura più recente delle icone, ma poi per influenza di Tiziano, Tintoretto e altri era giunto a sviluppare un proprio stile nuovo, dando vita più tardi in Spagna a quadri devozionali profondamente toccan­ ti. I suoi quadri si distinguono proprio per la mano estatica e la colorazione drammatica. 1 Ci si dovrà accontentare di un breve cenno anche per Remb­ randt, il quale nelle sue opere grafiche raffigura scene della passione giungen­ do a creare con i suoi caratteristici contrasti una mistica soprannaturale del­ la luce. In quanto artista riformato egli deve allontanarsi alquanto dalla ico­ nografia classica del medioevo e crea scene bibliche come quadri storici, co­ me del resto fa anche quando dipinge scene mitologiche. Circa l'impiego di queste immagini religiose nell'Olanda calvinista ostile alle immagini sacre si sa purtroppo ben poco. Nel xx secolo s'incontrano spesso raffigurazioni della passione come ela­ borazioni di esperienze personali o prese di posizione davanti a eventi attua­ li. Tra gli artisti presenti in questo commento si deve ricordare Otto Dix nella cui opera postbellica i temi biblici occupano uno spazio sempre mag­ giore e con i quali egli elabora esperienze dei due conflitti mondiali.� Desi­ dero anche ricordare Willy Fries, il cui ciclo della passione è riprodotto in varie parti di questo commento: 3 egli raffigura la narrazione biblica della passione in un villaggio contemporaneo che potrebbe trovarsi nella sua pa­ tria, il Toggenburg elvetico. Chiesa, stato ed esercito partecipano in pari mi­ sura alla violenza inflitta a Gesù. 2.4. 5.

Considerazioni ermeneutiche: immagine e testo

In questo commento le immagini rivestono un ruolo considerevole in quanto parte importante della storia della ricezione della passione. Poi­ ché nelle nostre interpretazioni torniamo a renderle in lingua e poiché le illustrazioni riprodotte in questo volume come mere e:lxovEç 'twv Etxovwv non possono rendere che in modo inadeguato l'effetto delle immagini originali, desidero anzitutto esporre a mo' di tesi alcune particolari pos­ sibilità del mezzo interpretativo « immagine >> rispetto al mezzo interpre­ tativo « testo >> : le immagini sono dotate di forza propria. Esse agiscono sugli osserva­ tori attenti con i colori e le forme. Avvicinano le persone raffigurate nel quadro agli osservatori, così che questi se ne sentono attratti o respinti. In quanto supporti delle immagini interiori che gli ascoltatori della sto­ ria della passione si fanno e fondono con queste, le immagini ne rafforza­ no l'effetto; 1 Cf. i l suo d ipinto de l Monte d egl i U l ivi (sotto, p. 177 con fig. 1 8 ). � Cf. sotto, p. 2.57. 3 Cf. sotto, pp. 182. s. fig. 2.0; p. 2.2.2. fig. 2.5; 348 s. fig. 4 1 .

LA

STORIA DEGLI EFFETTI

le immagini vengono recepite con l'occhio e col cuore e soltanto in seconda battuta con la testa. Esse sono espressione di una ricezione in­ tegrale dei testi biblici e a loro volta contribuiscono a farsene una analo­ ga. Commuovono e spesso parlano direttamente e personalmente all'os­ servatore. Solo un Cristo dipinto può guardarci dritto negli occhi; le immagini fanno essere contemporaneo ciò che contemporaneo non è, e soprattutto consentono di abbracciare tutto in una volta, con un uni­ co sguardo, ciò che si può dire soltanto in successione. Sul quadro di una crocifissione possono apparire contemporaneamente i soldati che tirano a sorte le vesti di Gesù, le piaghe sanguinanti di Gesù, Maria che piange e gli angeli che accolgono Gesù. Nei suoi polittici un altare può mostra­ re al tempo stesso la crocifissione o la risurrezione o anche la nascita di Gesù. Gli occhi possono passare da un'immagine all'altra e metterle in correlazione; per gli osservatori le immagini rendono contemporanea la storia pas­ sata di Gesù. Talvolta esplicitamente, inserendo nel quadro figure di fon­ datori o di altri celebri personaggi del tempo oppure raffigurando l'ulti­ ma cena di Gesù come una messa. 1 Ma in ogni caso ciò accade sempre, dal momento che le immagini si trovano nell'edificio di una chiesa in cui si prega il Cristo vivente e si celebra il culto; le immagini fermano per così dire il tempo rinchiudendolo in uno spa­ zio e fermandolo. Si possono guardare immagini quanto a lungo si desi­ dera, mentre i testi dopo che si è finito di leggerli vanno perdendosi. In ciò le immagini mostrano qualche affinità con il silenzio e la meditazione; le immagini possono essere tradotte in un linguaggio razionale e defini­ torio molto più difficilmente di testi narrativi. Esse mostrano «che il si­ gnificante non ha un unico significato » (Th. Ranger-Schiffers); da un punto di vista teologico le immagini mostrano d'essere partico­ lare vicine all'incarnazione. Esse consentono di rappresentare la realtà e la corporeità dell'incarnazione e al tempo stesso di alludere alla trascen­ denza di questa fisicità. 2 Spero con questi pochi cenni di aver fatto capire che parola e immagi­ ne sono mezzi complementari e che tra loro non si dovrebbe erigere alcu­ na antitesi di alcun tipo. Probabilmente con il veto posto alle immagini 3 r

Cf. ad es. i l tipo iconico de lla comunione apostol ica, sotto, pp. 1 24 s. A d esempio med iante gl i occh i aperti de l Cristo in croce (c f. i l Cod ice di Ra bbu i a, sot­ to, p. 40 1 ), mediante uno sfon do dorato, med iante l 'iconostasi su ll a qua le si trovano, me diante un sim bol o o un e ffetto d i l uce (a d es. in Tintoretto, v. sotto, pp. 1 28 s.) o a dd irittura per mezzo d i un tramonto (C.D. Fried rich , v. sotto, p. 399). 3 Campen hausen•, 403 fa osservare che i l veto d i Lutero è rivo lto non tanto contro l a concezione de ll a ch iesa orienta le de ll e immagini come riprod uzioni deg l i arc hetipi ce le2

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PASSIONE E PASQUA

la Riforma si è privata di una grande forza che è essa stessa espressione della forza efficace dei testi biblici. I Dimostrandoci forse in questo protestanti tipici, siamo 1 tuttavia convinti, per quel che riguarda l'iconografia,3 di poter constatare un primato relativo della parola sull'immagine. La storia nella quale Dio ha operato con gli uo­ mini ha dovuto essere in primo luogo narrata prima che la si potesse dipin­ gere. Nelle chiese i quadri della passione sono connessi a testi e costruiti per essere ritradotti in parole: essi vengono interpretati da una liturgia, da una meditazione interpretativa sull'immagine o anche dal semplice fatto di trovarsi in una chiesa fra i cui muri viene annunciata la passione. Soltanto in questa costellazione e mediante essa le immagini acquistano quella determi­ nazione semantica che è necessaria perché esse possano diventare una base di comunicazione nella comunione della chiesa .4 Ma parlando di « primato relativo >> non vogliamo affatto intendere che le raffigurazioni della passione debbano essere prima « definite >> o «spiegate >> con la storia biblica della pas­ sione o addirittura dalla dottrina cristiana per poter essere «immagini par­ lanti » . Assolutamente no! I quadri della passione vivono certo della storia della passione, ma hanno una loro propria energia, un «plus iconico » 5 an­ che rispetto al linguaggio dal quale esse provengono. Infine un'ultima parola riguardo all'indipendenza acquistata anche dalle raffigurazioni della passione come « arte >> in età moderna: ritenia­ mo l'emigrazione delle immagini della passione dalle chiese nei musei una perdita analoga a quella del trasloco della passione musicale nelle sa­ le da concerto. Le immagini della passione che vengono staccate dal con­ testo religioso generale al quale appartenevano, ossia dal testo della Bibsti quanto contro una concezione tardomedieva le dell e immagini come veicol i d i poten­ ze sacre e contro i l nesso di icono latria e i dea d i merito acquisito a d es. ne ll 'ind u lgenza. I Considerando l 'e ffetto delle immagini risu lta d el tutto chiaro c he non è su fficiente par­ lare di storia dell a ricezione o dell 'interpretazione, bensì che si deve parlare d i storia degli effetti. 2. S 'intend e S teph an Bosiger e i l sottoscritto. 3 So ltanto per questa ! Ciò non va le per a ltri am biti dell 'arte né per l a comunicazione in genera le. Ne ll a comunicazione i gesti, a d es., sono autonomi tanto quanto ne ll 'arte (pro­ prio in quell a moderna, priva d 'oggetto) lo sono i l l inguaggio dell e forme e dei co lori. Qui si parla di iconogra fia, va le a dire delle immagini che vivono della l infa dell a storia bi­ bl ica e di quella comunicazione particol are ch e rende ch iesa la chiesa. 4 Ne ll a discussione su questo testo i mem bri del gruppo d i lavoro su Matteo hanno sotto­ lineato energicamente che questo «primato re l ativo de ll a paro la sull 'immagine» va le in rea ltà so l tanto per l 'iconogra fia. Per la psico logia dello svil uppo la comunicazione non ver ba le precede la verba le, come sanno perfettamente una ma dre che comunica co l suo neonato e anc he un pastore d 'anime che comunica con un mori bondo. La comunicazione ver ba le non è che una componente della comunicazione. 5 G. BOhm, Zu einer Hermeneutik des Bildes, in H. G. Gadamer et a l . (e dd .), Seminar: Die Hermeneutik und die Wissenschaften, Frankfurt 1 978, 462..

LA STORIA DEGLI EFFETII bia, dal culto, dalla preghiera, dal loro significato per la propria fede, per­ dono una parte essenziale della loro propria efficacia correndo il perico­ lo di diventare puri oggetti estetici. D'altra parte oggi è da osservare con gratitudine che in una società secolarizzata nella quale chiesa, Bibbia e culto hanno subito una perdita di rilevanza, la storia della passione e al­ tri contenuti biblici fondamentali sono ancora presenti nei musei.

B

COMMENTO

1

INIZIA LA PASSIONE

( 2 6, r - r 6) La storia della passione inizia con l'esposizione del soggetto. Il narratore - paragoniamolo qui a un regista cinematografico - dirige la macchina da presa dapprima sui protagonisti del dramma che si svolgerà nelle ri­ prese successive: Gesù e i suoi discepoli ( 26, 1-2), poi i suoi nemici: i ca­ pi dei sacerdoti e gli anziani ( vv. 3 - 5 ) . La quarta scena della situazione di partenza metterà in moto l'azione con uno dei discepoli, Giuda, che prende contatto con la parte avversa ( 2 6, 1 4- 1 6). Frammezzo sta, isolata, senza agganci né col testo precedente né con quello seguente, il raccon­ to dell'unzione della donna di Betania ( 26,6- 1 3 ) . Questo ha un effetto ritardante e al tempo stesso di contrasto: ancora una volta le nubi si dira­ dano prima dell'inizio definitivo della tragedia della morte di Gesù. Ri­ spetto ai discepoli, che si allontaneranno da Gesù, la donna agisce come figura antitetica. Nel complesso la narrazione si svolge quindi a fasi alter­ ne di luci ( 26, 1 s.6- 1 3 ) e ombre ( 26,3 - 5 · 1 4- 1 6). I quattro episodi dell'esposizione non formano una sequenza ordinata né nello spazio né nel tempo. Hanno luogo in scenari diversi. In tutta la sezione c'è un'unica indicazione di tempo che perdipiù non si trova nel­ la narrazione ma in un discorso diretto di Gesù ( 26,2). Soltanto a par­ tire da 26, 1 7 la storia presenta uno svolgimento cronologico ordinato con continue indicazioni di tempo nel corso della narrazione, ed esso si estenderà fino a 2 8 , 1 0. ' La pericope conclusiva del vangelo ( 28 , I I -2o) pare corrispondervi. Anche qui non si sa più bene quando questo o quel­ l'episodio sia accaduto e anche qui non c'è più unità di scenario. La strut­ tura dell'esposizione di 26, 1 - 1 6 corrisponde, quantomeno in parte, chia­ sticamente alla struttura di questa conclusione: come all'inizio della sto­ ria della passione Gesù ha la prima parola ( 26,2), così nella conclusione ha l'ultima ( 2 8 , 1 8-20). Entrambe le volte Gesù svela il futuro ai discepo­ li. Se nel secondo episodio dell'inizio della storia della passione i nemici r

Cf. sotto, p. 102.

72

SI

DELIBERA LA MORTE DI GESÙ

di Gesù ordiscono il loro piano malvagio ( 26,3 - 5 ), nella penultima scena ( 28 , 1 1 - I 5 ) si racconta come la loro macchinazione sia definitivamente fallita. Se si prende in considerazione anche la pericope seguente al prin­ cipio e la precedente alla fine, si ha questo quadro: al terzo ( 26,6- I 3 ) e al terzultimo ( 2 8 , I - I O) posto si ha un testo che mette in risalto il ruolo positivo delle donne nei riguardi di Gesù. I Matteo ha visto senz'altro un rapporto tra 26,6- I 3 e 2 8, I : infatti secondo 26, I 2 l'anonima donna di Betania fa proprio ciò che le donne al sepolcro non devono più fare, ungere la salma di Gesù. 2 Si può quindi affermare che Matteo ha con­ nesso in una tripla inclusione a struttura chiastica l'introduzione della sua storia della passione e la conclusione del suo vangelo. Questo tipo di strutture si riscontra anche altrove nel vangelo matteano; 3 naturalmen­ te è possibile coglierle consapevolmente nell'ascolto e nella lettura soltan­ to quando il vangelo venga letto in pubblico a larghi brani e ripetutamen­ te, ed è verisimile che questo sia effettivamente il caso soprattutto della storia della passione.

I.I.

SI

DELIBERA LA MORTE DI GESÙ ( 2 6, 1 - 5 )

I Ed ecco, quando ebbe finito tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi disce­ poli: 2 « Sapete che fra due giorni ci sarà la festa di pasqua e il figlio del­ l'uomo verrà consegnato 4 per essere crocifisso >> . 3 Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel pa­ lazzo del sommo sacerdote, noto col nome di Caiafa, 4 e si consultarono per arrestare Gesù con cattiva intenzione e ucciderlo. 5 Ma dicevano: > (4, 1 2 ) . Giuda è colui che «consegnerà » Gesù ( 10,4 ). Anche i discepoli, che per i lettori sono le figure più importanti con cui identificarsi, verranno «consegnati >> ai sinedri ( 10, 1 7-2 1 ; cf. 24,9 s . ) . La via di Giovanni, la via di Gesù e la via dei discepoli sarà dunque la medesima . I lettori sanno: Gesù percorre adesso la «nostra >> via, cioè essi stessi devono percorrere la sua via. Co­ me Gesù, anche loro sono nelle mani di Dio. In questa identità della sor­ te sta la consolazione che la storia della passione fornisce. Anche nella tappa più oscura del cammino di Gesù che si sta avvicinando, la via della croce, non avverrà nient'altro che ciò che è conforme alla volontà di Dio e che Gesù stesso ha preannunciato. Ma al tempo stesso ai discepoli (e ai lettori ) viene ricordato implicitamente che la crocifissione del figlio dell'uomo non sarà l'ultima parola, perché nei suoi annunci della passio­ ne Gesù ha già parlato anche della propria risurrezione il terzo giorno. r

Come mostra 27,63, ne l computo sono inc l usi i giorni già iniziati. Per le testimonianze de l frequente uso greco d i ind icare un momento con l a paratassi cf. Kiih ner-B iass-Gerth , n/2, 23 1 . 3 Qui rraa-x.a signi fica o a ) i l giorno i n cui venivano mace ll ati gl i agne ll i pasqua l i, oppure b) la notte de lla festa d i pasqua (che secondo i l ca lend ario giudaico fa parte del giorno seguente), oppure ancora c) entram be le cose - ma a ll ora si presuppone c he l a notte sia contata ne l giorno prece dente secon do l 'uso popol are e ll enistico e romano. Nel caso de ll a sol uzione a l 'in dicazione di Gesù è inesatta - Gesù sarà consegnato soltanto i l giorno successivo a que ll o de lla mace ll azione deg li agne ll i pasqua l i. Ne l caso de ll a so­ l uzione b l 'indicazione d i Gesù è proprio s bagliata perc hé l a festa di pasqua e l 'arresto di Gesù avvengono so lo la notte c he appartiene già a l posdomani. La so l uzione c pre­ suppone che per Matteo l a mace ll azione degl i agnelli pasqua l i e l a festa di pasqua ap­ partengano a llo stesso giorno, cioè a l pomeriggio e a ll a notte ch e lo segue. Essa presuppo­ ne anc he che Matteo, un giu deo, non pensasse a ll a successione d i notte e giorno secondo i l ca len dario lega le giu daico. Questa è la so l uzione più prob a b i le e viene con fermata da 26, 1 7; 28, 1 . C f. sotto, pp. 102 e 4 5 7 s. 4 A di fferenza di 1 7,22; 20, 1 8 s. qui e in 26,4 5 non si parla più a l futuro. s C f. ad es. Rom. 4,25; 8,3 2; Gal. 2,20. 2

MT.

26, 1 - 5

75

Soltanto al v. 3 gli «attori di second'ordine » I del dramma della passione entrano in scena e recitano le loro battute. Matteo menziona quelli che nella storia della passione sono i due gruppi più importanti: i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo (cf. 26,47; 27, 1 . 3 . 1 2.20). Gli scribi, importanti in Marco, passano invece in seconda fila, mentre gli anziani avanzano sul proscenio. 2 È difficile dire fino a che punto dietro questa coppia si nasconda il ricordo che effettivamente le famiglie dei sommi sacerdoti e l'aristocrazia di Gerusalemme abbiano avuto un ruolo primario nell'eliminazione di Gesù oppure fino a che punto per Matteo sia importante il suo principio formale di presentare i nemici di Gesù riuniti in coppie. Le due ipotesi non sono alternative) Tra gli av­ versari di Gesù quelli che in Matteo primeggiano sono gli &.px.te:pe:i:c;: ven­ gono sempre menzionati per primi e sono gli unici che appaiono anche da soli.4 A differenza di O'X,ÀOI; (la folla ), ÀIX� è il popolo santo. Salta al­ l'occhio che nei vv. 3 - 5 ÀIXoc; appare due volte. La posizione del popolo è ancora aperta: da un lato Matteo sottolinea con l'espressione stereoti­ pata «gli anziani del popolo » (così anche in 26,47; 27, 1 ) l'unione degli anziani col popolo, dall'altra (v. s ) rivela il loro timore perché il popo­ lo potrebbe stare ancora, come in passato, dalla parte di Gesù. Gli avversari di Gesù si riuniscono nel palazzo 5 del sommo sacerdote Giuseppe, noto col soprannome di Caiafa.6 Non c'è dubbio che Matteo pensi a una seduta formale del sinedrio.7 Sotto l'aspetto storico l'infor­ mazione è come si sa imprecisa: il sinedrio non si è riunito nel palazzo del sommo sacerdote. 8 au�J-13ouÀe:uw significa «consigliare » , il medio «con3 -5 .

I 2.

Gnilk a, n, 3 84. ypa!J.!J.>, e la definizione di Giuda come (7tpoÒO'tlJç) compare nel Nuovo Testamento soltanto una volta (Le. 6, I 6). Piuttosto il verbo ha assunto connotazione religiosa grazie alle pre­ dizioni di Gesù circa la sua passione: il figlio dell'uomo viene «consegna­ to>> per essere crocifisso: Gesù stesso lo aveva detto più volte ( 1 7,22; 20, I 8 ), in ultimo in 26,2. Il testo si riallaccia a questo passo: anche se - con il suo enfatico Èyw - mette in evidenza il proprio ruolo, Giuda tuttavia non è altro che lo strumento della volontà di Dio,3 che Gesù stesso aveva proclamato all'inizio della passione. Cionondimeno per Matteo questo fatto non annulla l'iniziativa presa personalmente da Giuda - e quindi la sua colpa. La

I6. Matteo prosegue solennemente: «da allora >> ricorda le grandi ce­ sure del vangelo di Matteo in 4 , 1 7 e 1 6,2 1 . 4 Ora è iniziata l'ultima gran­ de sezione della storia di Gesù: il tempo della sua passione. Giuda cerca un «momento favorevole>> . I lettori ripenseranno alla preoccupazione dei gerarchi di arrestare Gesù nel modo meno appariscente possibile (cf. v. s ); molto probabilmente penseranno che Giuda «Svelerà >> loro un mo­ mento favorevole per arrestare Gesù. Le. 22,6 lo dice esplicitamente. I lettori sono ora sulle spine: quando sarà questo momento favorevole quando Giuda e i sommi sacerdoti colpiranno? 1 Wolzogen, 406. Bruno di Segni, 2.89 ritiene che il prezzo indicato sia ironico: è impos­ sibile che il Salvatore del mondo potesse essere venduto per una somma del genere. 2. Dionigi bar Salibi, m, 5 5 ; Ishodad di Merv, 102.; ma anche Ambr. Spir. 3 , 1 7 12. 5 (PL 1 6, 8o6): pezzi d'oro, non d'argento. 3 Nelle predizioni della passione di Gesù si allude all'azione di Dio con il ripetuto passi­ vo (divino). 4 Senior, Passionb, 49: «tÌ.1tÒ -ro-re: segnala un importante punto di partenza all'interno del vangelo» . =

IL TRADIMENTO DI GIUDA Riepilogo. La maggior parte degli esegeti mette in risalto due punti della nostra storia: 1 . la sua funzione parenetica: il comportamento di Giuda contrasta nettamente con quello della donna dei vv. 6- 1 3 . Giuda è indotto ad agire dall'avidità di denaro, la donna dalla dedizione più to­ tale. L'amorevole attenzione della donna per Gesù, la quale nasce dalla fede di lei, è antitetica al peccato mortale dell'apostasia; ' 2. si tratta di «mostrare con l'esempio di questo misterioso, oscuro fatto del tradimen­ to il potere della parola di Dio (veterotestamentario) e il suo 'compimen­ to'>>.� Entrambi i punti sono veri, ma non primari. Senz'altro l'antitesi della donna e Giuda è narrativamente efficace, ma il pun­ to di vista parenetico non viene messo esplicitamente in evidenza da Mat­ teo. La rinuncia agli averi è un tema importante in Matteo e perciò anche l'avidità di Giuda va letta sotto tale aspetto. L'apostasia dalla fede, al contra­ rio, non è un tema centrale nella comunità matteana, e nel vangelo di Mat­ teo il tipo primario del discepolo che rinnega e si pente è Pietro, non Giuda. Anche il rapporto con l'Antico Testamento non è messo espressamente in risalto da Matteo, il quale non cita Zacc. I I , I 2 esplicitamente, e resta tra le potenzialità di significato del testo che può essere attivata nella lettura quantunque il testo non indirizzi in questa direzione. Con riguardo a 26,2 si potrebbe piuttosto parlare di compimento della parola di Gesù.

Il significato principale del testo sta a mio parere nella sua collocazio­ ne nel macrotesto. Il testo non vuole anzitutto né esortare né insegnare, ma semplicemente raccontare: col tradimento di Giuda, uno dell'allora esclusiva cerchia dei dodici, ha inizio l'oscurità tremenda della storia del­ la passione di Gesù, una tenebra che in definitiva non può essere dissol­ ta da nessuna spiegazione teologica né in chiave parenetica né in chiave della storia della salvezza. I lettori sanno solo una cosa: tutto ciò che adesso accade è stato predetto da Gesù e avviene quindi in conformità alla volontà di Dio ( 26, 1 s. ). Essi sanno anche che alla fine del buio ci sarà la luce della risurrezione ( 1 6,21; 1 7,23; 20, 1 9 ) . Ma in Matteo non c'è alcuna soluzione anticipata dell'oscurità della passione. Ciò che egli si appresta a narrare resta in fondo misterioso, tremendo e mai comple­ tamente spiegabile mediante espedienti teologici. Questo stato di cose risulta chiaro quando si osserva che in Matteo la narrazione della pas­ sione di Gesù predomina costantemente sulla sua spiegazione concet­ tuale teologica. Ciò significa anche che la figura di Gesù occupa costantemente il cen­ tro della narrazione. È lui che soffre, lui che conosce il senso di questa 1 �

Cf. Gnilka, n, 3 92; Dormeyer h, 85 (per Marco). Lohmeyer, 3 50; cf. Bonnard, 372; Gundry, 5 22; Sand, 5 22.

MT. 26, 1 4- 1 6

97

sua sofferenza, lui che continuamente fa procedere gli avvenimenti e al contempo li interpreta. Ora la macchina da presa del narratore soltanto di rado si sposterà dall'inquadratura di Gesù ( 26,69-7 5 ; 27,3-Io). In questa centralità di Gesù nella storia della passione sta una chiave di let­ tura: i lettori devono capire la storia della passione come storia di Gesù e non come storia dei suoi nemici. Per la figura di Giuda ciò significa che questi è una comparsa che entrerà in scena solo episodicamente. Per par­ lare da semiotico: «Il 'traditore' . . è soltanto una figura nella struttura » . 1 Nella storia degli effetti questa figura si è tuttavia resa autonoma diven­ tando essa stessa una sorta di « Struttura » . .

Storia degli effetti. Nella storia dell'interpretazione e nella predicazio­ ne la nostra pericope non è mai risultata di grande interesse. Con Giuda gli interpreti hanno proceduto generalmente con piedi di piombo. Mol­ to più produttiva essa si è tuttavia rivelata per la leggenda e nella religio­ sità popolare. a) Interpretazioni parenetiche. Del nostro testo ci si è serviti anzitutto co­ me monito a gu ardars i dall'avidità di denaro. Non si è mai smesso di richia­ marsi a I Tim. 6,IO: «Radice di ogni male è la c:ptÀapyupta». Che cosa ciò significhi lo spiega chiaramente Giovanni Crisostomo in una sua predica: « Il danno non viene dalla povertà ma da noi stessi » . " Le catene ammonisco­ no tutti gli avidi che verranno precipitati nell'abisso più profondo degli in­ feri ancor più di Giuda, il più stretto compagno di Gesù.3 Altri ricordano che anche nel presente in cui vivono ci sono molti che inorridiscono sì da­ vanti al crimine di Giuda, ma in realtà fanno lo stesso: «Dietro compenso so­ no pronti a testimoniare il falso contro chicchessia e proprio perché per de­ naro negano la verità, vendono Dio per denaro » .4 Giuda non è dunque un caso unico. Per Cristiano di Stavelot si comporta come Giuda chi «dietro compenso opprime ingiustamente un membro del corpo di Cristo » . 5 - Giu­ da può tuttavia essere considerato anche il rappresentante della cupiditas, della praesumptio (riottosità) 6 o dei falsi amici che sono peggiori dei nemi­ ci dichiarati.? b) Giuda e i giudei. Agostino avanza un'interpretazione del numero 30 che incontrerà grande favore: il 30 è il risultato della moltiplicazione di 5, che rappresenta i 5 sensi del corpo, per 6, il numero dell'età del mondo nel­ la quale i giudei crocifiggono Gesù: così « Giuda significa i giudei che segui­ vano le cose carnali e secolari . . . e non hanno voluto avere Cristo » . 8 Già preMarin b, 1 64. :t Chrys. In Mt. 80.4 (PG 5 8 , 730). 3 Cramer, 2. 1 7. Rabano, 1 103; similmente Anselmo di Laon, 1468; Dionigi il Certosino, :z.8 5 il quale ag­ 4 giunge: avarus . . . non solum Christum, sed et animam suam habet venalem. 5 Cristiano di Stavelot, 1474. 6 Tommaso, Lectura, nrr. 2. 146 s. 7 Bullinger, 2.30. Aug. Quaest. Evang. 1 ,46 (3 2.), il quale prosegue: i giudei, che capivano la legge in senso 8 1

IL TRADIMENTO DI GIUDA sto il patriarca Giuda dell'Antico Testamento assurge a tipo di Giuda per­ ché ha venduto il fratello Giuseppe in schiavitù ( Gen. 3 7,26-2 8 ) . ' A fargli compagnia come tipo compare anche il tradimento di Assalonne a danno di David (2 Sam. 1 5 , 1 -6).2. Nei commenti attacchi ingiuriosi antigiudaici espliciti sono tuttavia rari. Se ne ha un esempio in Ruperto di Deutz: in lui si trova un'invettiva contro «quell'Israele >> che è sempre stato traditore e col crimine di Giuda non avrebbe che completato la misura dei padri (cf. Mt. 23, p). Egli conclude le sue argomentazioni con 3 0 maledizioni contro Giuda, una per ogni pezzo d'argento.3 Con crudeltà ancora maggiore, in una Vita di Gesù francese del xv secolo si parla della «divina >> ricompensa di Tito: «Si davano 30 giudei per un denaro d'argento . . . si vendettero 92 ooo giudei in schiavitù perpetua » .4 Molto più frequente è invece l'equiparazione di Giuda e giudei nella religiosità popolare, dove le sacre rappresentazioni della passione e le raffigurazioni pittoriche di Giuda con tipici segni caratteristi­ ci giudaici diedero il proprio contributo a questa identificazione.5 Del tutto singolare è lo sviluppo della tradizione dei trenta pezzi d'argento nell'aggiun­ ta su Gesù nel Giuseppe slavo: qui gli scribi giudei pagano a Pilato 30 talen­ ti ( ! ) per ottenere da lui il permesso di arrestare e crocifiggere Gesù.6 c) Giuda come modello per la polemica. Per la sua avidità Giuda era il modello adatto - soprattutto dopo la Riforma - per la polemica. La Riforma era iniziata con la lotta dei tedeschi contro l'avidità di denaro della chiesa romana. Per questo in Lutero Giuda rappresenta il papa: «est igitur proprie il papa; anche lui ha preso la borsa » .? Per contro nelle Parafrasi del 1 5 24 Erasmo polemizza contro quei capi della chiesa «che con false interpretazio­ ni tradiscono l'insegnamento di Gesù a magistrati empi e mondani >> , riferen­ dosi certamente ai riformatori. 8 d) Il motivo del tradimento. In conformità a Gv. 1 2,4-6, sovente si ripe­ te che il motivo del tradimento sarebbe stata la collera di Giuda per lo sprecarnale, hanno respinto il Signore e - sotto forma di denari d'argento con l'immagine del­ l'imperatore - tamquam in argento impressam saecularis principatus imaginem . . . tenue­ runt. Similmente Tommaso, Lectura, nr. 2148. 1 Rabano, no2; Pascasio Radberto, 885; Ruperto di Deutz, 1 5 3 9 s.; Tommaso, Catena u, 3 5 7· Forse è per questa ragione che in un'aggiunta cristiana a Test. Gad 2,3 che trat­ ta della vendita di Giuseppe, il prezzo per Giuseppe (Gen. 3 7,28: 20 sicli d'argento) viene alzato a 3 o sieli. 2. Aug. Gaud. 1,22 (PL 43, 720). I due tipi compaiono sovente nelle Bibbie dei poveri. 3 Ruperto di Deutz, 1 540 s. 4 Vie de Jésus (attribuita a Ludolfo il Certosino), cit. in L. Poliakov, Geschichte des An­ tisemitismus, 11. Das Zeitalter der Verteufelung und des Ghettos, Frankfurt 1989, 8 3 . 5 Cf. sotto, p . 293. 6 Ios. slav. Bel/. 2,9 ( 1 72), in A. Berendts - K. Grass (edd. ): Flavius Iosephus, Vom Judi­ schen Kriege I-IV, Dorpat 1 9 24 (rist. Hildesheim 1 979), 270. 7 Lutero, Tischreden, nr. 6os (WA.TR 1, 2 8 5 , nr. 3 749 WA.TR 5, 5 8 8 s.). Cf. ad es. anche Musculus, 54 3 · 8 Erasmo, Paraphrasis, 1 3 2. =

MT. 26, 1 4 - 1 6

99

co di denaro di Maria. I Si lavora di fantasia sull'appunto che Giuda era un ladro ( Gv. 1 2 , 6 ) : Giuda, il cassiere del gruppo di discepoli, si sarebbe sem­ pre trattenuto la decima parte di ogni entrata. Adirato perché nel caso di Maria ciò non gli era riuscito, avrebbe egli stesso fissato il prezzo del tradi­ mento e venduto Gesù per la decima parte dell'importo sfuggitogli di 300 de­ nari ... In alcuni drammi della passione l'avidità di Giuda viene presentata apertamente: ad esempio nella rappresentazione della passione di Alsfeld Giuda conta ogni singolo centesimo e controlla attentamente ogni moneta: una è rossa, l'altra rotta, la terza falsa, la quarta nera, ecc.l Qui si può os­ servare molto bene come «lacune>> del testo biblico possano venire «colma­ te» da leggende. In testi copti di età più recente che potrebbero presumibil­ mente appartenere a un Vangelo di Bartolomeo, è infine la moglie di Giuda che gli insinua l'idea del tradimento. 4 e) «Demonizzazione» di Giuda. A rendere l'immagine di Giuda ancor più oscura hanno contribuito considerevolmente Le. 22,3 e Gv. 1 3 ,2.27 con l'annotazione che il diavolo si era impossessato di Giuda. I Padri della chie­ sa ripetono di continuo che ciò non va inteso in senso fisico, ma morale. Tut­ tavia di immagini fisiche se ne ebbero a iosa: può valere come esempio la Bibbia dei poveri di Heidelberg nella cui raffigurazione di questa scena il diavolo sta in senso proprio «a cavalcioni » di Giuda (fig. 6): 5 Giuda, che indossa una veste gialla, contratta col sommo sacerdote. Entrambi hanno una borsa per il denaro. I pezzi d'argento volano davanti ai suoi occhi e il diavolo è accovacciato sulle sue spalle. Il dipinto più noto di questo genere è senz'altro quello di Giotto nella cappella dell'Arena di Padova dove la fi­ gura nera del diavolo sta dritta in piedi dietro a Giuda. Giuda, capelli rossi, barba a punta, naso aquilino, «aureola >> nera, veste gialla e una borsa del denaro in mano è decisamente brutto: è l'immagine stessa della malvagità.

Il significato odierno. La storia degli effetti della tradizione neotesta­ mentaria di Giuda è angosciante. 6 Colpisce anzitutto la completa diver­ genza fra interpretazioni e leggende: i commentatori si sono poco o nien­ te interessati alla nostra pericope. Le leggende hanno invece proliferato. Mentre nei commenti e nella predicazione ha prevalso l'esegesi tropolo­ gica e il tradimento di Giuda è assurto a modello negativo di un comporI

Per Matteo cf. sopra, p. 9 3 · A d es. Pascasio Radbetto, 88 5; l'epopea La redenzione (inizi XIV secolo), vv. 47574787 (ed. F. Maurer, Leipzig 19 34, 203 s. e ancora nel xx secolo Knabenbauer, 404. 3 Froning u h, 683 s. 4 Cf. Schneemelcher, 51, 4 3 8 : M.R. James, The Apocryphal New Testament, Oxford 1924, 1 49. Cf. inoltre sotto, p. 292. 5 Handschrift Cpg 1 4 8 , Biblioteca dell'Università di Heidelberg. Per l'interpretazione cf. M. Berve, Die Armenbibel. Herkunft. Gesta/t. Typologie, Beuron ' 1 9 89, 5 9 s., per la tavola p. 64. 6 Cf. il quadro d'insieme dell'excursus, sotto, pp. 290-305. 2.

--+

Figura 6.

tamento umano che in sostanza può incontrarsi in qualsiasi uomo, anzi proprio fra i credenti, per la leggenda Giuda è un caso unico e a sé, un ar­ chetipo del male, un posseduto da Satana, una mitica figura nera primi­ genia. Nella storia la leggenda si è spesso rivelata più influente della pre­ dicazione. L'età moderna si è data poi da fare per riumanizzare il Giuda sata­ nizzato. In questa impresa si sono talvolta create nuove leggende e so­ no nati nuovi miti, giungendo a trasformare la figura del Giuda demo­ nizzato in un eroe religioso. I La mia proposta è d'intenderlo come per­ sona, nella misura in cui la frammentarietà dei testi biblici lo consente, in modo da demitologizzare i miti nati dalla figura di Giuda e metterli a nudo come risultato di nostre proiezioni. Un esempio di quel che intendo è quella che si può senz'altro definire la più grandiosa, a mia conoscenza, raffigurazione artistica della nostra scena, quella del pontile occidentale del duomo di Naumburg ( 1 260 ca.; fig. 7).:z. I

Cf. sotto, pp. 286 ss. nell'excursus su Giuda, i punti 4 . 1 e 4·4· :z. Riproduzione in E. Schubert, Der Naumburger Dom, Halle/S. 1 996, 1 4 3 .

Figura 7·

Così G. Schiller descrive la scena: «Il gruppo mostra grande compiutezza grazie alle due figure laterali che si piegano in avanti. Il sommo sacerdote ascolta assorto la persona che gli sussurra nell'orecchio mentre egli stesso fa scivolare uno a uno i pezzi d'argento nel lembo del mantello sorretto da Giuda. Egli non guarda in faccia il traditore la cui postura e la cui espres­ sione sono un misto di paura, dubbio e rimorso. Un'inquietudine trepida pervade tutto il gruppo e viene espressa dai gesti del sussurrare e del tende­ re l'orecchio » . ' Sotto i cappelli di foggia giudaica indossati anche dalle fi­ gure di questa scena si vedono uomini: il sommo sacerdote è pensoso, Giu­ da è chinato. Nella scena è rappresentata visibilmente non la malvagità per­ sonificata, ma l'evento in tutta la sua tragicità. 1

Schiller, Ikonographie n, 34·

2

L'ULTIMA

PASQUA DI GESÙ

( 26, 1 7-29 )

Col v. r 6 l'esposizione si conclude; il v. 1 7 segna l'inizio del nucleo del­ la storia della passione. Segno visibile ne è una serie di indicazioni cro­ nologiche che d'ora innanzi producono uno sviluppo cronologico sen­ za vuoti. All'indicazione cronologica generale « il primo giorno degli azi­ mi » (v. 17) seguono indicazioni che si riferiscono a momenti del giorno: «quando si fu fatto tardi» (v. 20), « questa notte» (v. p ), «quando si fe­ ce mattina » ( 27, 1 ), « fattosi tardi» (27,57). Le indicazioni successive si riferiscono di nuovo al giorno: «l'indomani. . . il giorno seguente alla pre­ parazione» ( 27,62), «il sabato tardi, verso l'alba del primo giorno della settimana » (28, r ) . Alcune di queste indicazioni di tempo porranno pro­ blemi d'interpretazione. 1 Nell'insieme queste indicazioni mostrano a mio parere che Matteo considera il giorno secondo l'uso popolare, facen­ dolo iniziare dal sorgere del sole la mattina 1 e non secondo la legge ri­ tuale giudaica la sera, col tramonto del sole. 3 Questo è un ulteriore indi­ zio che Matteo, giudeo della diaspora, non appartiene ai pii osservanti della legge rituale bensì al «popolo della terra » . 4 D'ora in avanti l'evan­ gelista racconterà dunque gli avvenimenti in una successione cronologi­ ca continua. Di «momento favorevole » si era già parlato al v. r 6. I lettori sono an­ siosi di vedere come Giuda possa attuare il suo proposito. Devono però dominare l'impazienza ancora fino alla prossima pericope; la tensione creata dai vv. 14- 1 6 non verrà ancora soddisfatta. Una volta ancora la r

Cf. sotto, pp. 1 0 5 s., il commento al v. 17 e pp. 4 5 7 s., il commento a 28, 1 . I l giorno d i 2 4 ore del calendario iniziava per i romani a mezzanotte, per gli ateniesi pro­ babilmente la sera (così Sontheimer, Tageszeiten, PRE n/4, 1 9 3 2, 20 1 2-20 1 7). Tuttavia accanto alla suddivisione ufficiale, perlopiù determinata da tradizioni sacrali, esisteva an­ che una suddivisione popolare del giorno che lo faceva cominciare la mattina: volgus om­ ne a luce ad tenebras (Piin. Hist. Nat. 2,79 ); cf. Sontheimer, art. cit., 20 1 2 s. 3 L'argomento principe è al riguardo 28, 1 ; cf. sotto, pp. 4 5 7 s. Se ne ha un indizio impor­ tante anche in 26,2, cf. sopra, p. 74 n. 3· Per una concezione analoga v. inoltre Gv. 20, 19, dove la sera tardi che segue il sabato è chiamata òt}irx "Tl TJfi-Ép� ixe:ivTh e forse in tutti i passi in cui si ha la successione ljfi-Éprx. . . vu!;, ad es. Mc. 5,5; Le. r 8,7 a differenza di Mc. 4,27; Le. 2,3 7; cf. 23,54· Mt. 1 4,25 conosce la divisione romana della notte in quattro vigilie. Già Beza, u 6 osserva che Matteo definisce i giorni « Romanorum . . . modo». 4 Cf. anche vol. 111, pp. 3 84 s. a 23 , 5 ; p. 4 23 a 23 ,2 5 ; p. 428 a 23 ,27; p. 486 e n. 4· 2

MT.

26,1 7 - 1 9

1 03

macchina da presa del narratore inquadra Gesù: è infatti la sua storia quella che viene narrata. Seguirà dapprima la storia dell'ultima cena pa­ squale, articolata in tre episodi: nel primo si racconta ciò che avviene pri­ ma della cena (vv. 1 7 - 1 9 ), i secondi due, introdotti dal v. 20, trattano della pasqua stessa (vv. 2 1 - 2 5 . 26-29 ) . Soltanto ai vv. 21-25 si riparta di Giuda. Il traditore viene smascherato da Gesù (vv. 2 1 - 2 5 ) : la tragedia sta sicuramente per iniziare. 2. 1 .

PREPARATIVI PER LA PAS QUA

( 26, 1 7 - 1 9 )

J.P. Gabler, Ober die Anordnung des letzten Paschamahls ]esu: Neues Theologisches Journal 1 3 (Niirnberg 1 799) 44 1 -472; R. Jacob, Les péricopes de l'entrée à ]éru­ salem et la préparation de la Cène (ENEA. Etudes Bibliques), Paris 1 970; R. Pesch, Eine alttestamentliche Ausfuhrungsformel im Matthiiusevangelium: BZ n.s. r o ( 1 966) 220-24 5 ; n.s. 1 1 ( 1 9 67) 79-9 5 . Altra bibliografia ( b ) sulla storia della passione e pasqua i n Mt. 26- 28 sopra, pp. 17-19. 1 7 Il primo giorno (della festa) degli azimi i discepoli si avvicinarono a Ge­ sù e dissero: « Dove vuoi che ti facciamo i preparativi per mangiare la pa­ squa ? >> . r 8 Ed egli disse: «Andate in città dal 'tal dei tali' e ditegli: Il mae­ stro dice: Il mio tempo è vicino! Celebrerò la pasqua con i miei discepoli lì da te >> . 19 E i discepoli fecero come Gesù aveva ordinato loro e si occupa­ rono dei preparativi per la pasqua.

r. Struttura. La struttura dei vv. 1 7- 1 9 è semplice: dopo l'indicazione tem­ porale i discepoli fanno una domanda in funzione introduttiva (v. 1 7 ) e Ge­ sù risponde con un duplice ordine (v. 1 8 ) . Il v. 1 9 illustra l'esecuzione dell'or­ dine. é-tot(J.a�w . . . 'tÒ 1taaxr.1. (vv. 1 7b. r 9b) inquadra la pericope indicandone insieme il tema. 2. Fonte. Il nostro episodio è tramandato soltanto nella storia premarcia­ na della passione ma non in quella prelucana o pregiovannea. Fonte unica di Matteo è Mc. J 4, 1 2- 1 6. 1 Matteo ha abbreviato il testo marciano di un buon terzo. I tagli sono ormai familiari: tutto ciò che distoglie dall'ordine di Gesù e dalla sua esecuzione viene omesso. Sparisce completamente la pit­ toresca predizione marciana dell'incontro con l'acquaiolo (Mc. 14,1 3 b) e della descrizione del cenacolo (Mc. 1 4, 1 5 ). Alcune piccole omissioni si devo­ no all'intento dell'evangelista di tralasciare alcune formulazioni ridondanti di Marco. 2 Le aggiunte sono minime. La maggior parte delle aggiunte e pier Jacoba, 4- 1 8 . 28-3 5. 87-90 app. XIV-XVI presuppone - ipotesi inutilmente complicata e indimostrabile - che Mc. J 4, 1 2- 1 6 sia il risultato di una fusione di due diverse varianti e che Matteo si sarebbe basato su una di queste due fonti di Marco. 2 Da Mc. 1 4, 1 2: lJILÉP�· IÌ:rcEÀ-tlov-reç e forse anche on -ro :rcao-x.a &-tluov. Da Mc. 14,16: xal �ì.-tlov Eìç "�" :rcoì.�v.

1 04

PREPARATIVI PER

LA

PASQUA

cole modifiche al testo marciano è attribuibile ragionevolmente alla redazio­ ne di Matteo,' mentre soltanto in pochi casi la lingua non è o non è chia­ ramente matteana." - Le «convergenze minori >> con Luca in questo testo vanno ignorate.3

Storia degli effetti: età moderna. Agli interpreti moderni la pericope matteana piace molto perché non dà affatto l'impressione della leggenda diversamente dai paralleli in Marco e Luca e perché pare condurre mol­ to vicino ai fatti come si sono effettivamente svolti. A questi interpreti sembra che Matteo a bbia tolto via tutto ciò che sapeva di « divinatorio >> per raccontare semplicemente « che Gesù . . . si era messo d'accordo con un abitante di Gerusalemme il cui nome non è più noto al narratore » .4 Per H.E.G. Paulus il padrone di casa, amico di Gesù, avrebbe « messo un ser­ vo già al portone ad attendere con un segnale convenuto . . . i discepoli man­ dati avanti e accompagnarli subito, e senza dar nell'occhio, nell'abitazione desiderata >> .5 Ma allora perché gli evangelisti non raccontano questa storia con la stessa naturalezza con cui in realtà si era svolta ? Se non si vuole sup­ porre che i discepoli stessi non abbiano scoperto il gioco di Gesù, la rispo­ sta più naturale era che Gesù volesse mantenere segreto il nome del padro­ ne di casa o della sua abitazione. Questa tesi risale già ai tempi della chiesa antica e nel corso del tempo sono cambiate soltanto le motivazioni addotte per il comportamento. Mentre nella chiesa antica prevalse l'opinione che Ge­ sù abbia voluto tenere segreto il luogo della sua cena di commiato per non offrire a Giuda l'opportunità di farlo arrestare già durante la sua ultima ce­ na, 6 in età moderna prese forma anche l'idea che il padrone di casa amico di Gesù avrebbe fatto più tardi parte della comunità cristiana e il suo nome sa­ rebbe stato mantenuto segreto per proteggerlo da eventuali rappresaglie giu1 Come d'abitudine (cf. vol. I, introduzione, 4.2) Matteo aggiunge il nome o 'ITjaoix; al­ l'inizio e alla fine della pericope (vv. 17 e 1 9 ) indicando così chi occupi il centro della sto­ ria. Il resto sono varianti lessicali matteane note, cf. vol. I, introduzione, 4.2 e 4·3· Al v. q: Bi, 7tpoaip'X,Of1-1Xt, Àtyovnç, espunzione di ivtx. Al v. I8: o B� e:lm:v. Al v. I9: 7tOttw, auv­ 'taaaw, la > , talora anche «N.N. >> . 5 Il termine viene poi usato spesso quando l'identità della persona non è rilevante.6 Da questo passo non si può dunque dedurre che i lettori del vangelo di Matteo dovessero conoscere la storia marciana per poter capire il testo · Nei versetti precedenti le varia­ zioni sono minime o inesistenti (come nel v. 24); nei vv. 2 I s. esse sono nella lingua chiaramente matteane.3 Per il v. 23 ciò vale solo in parte 4 perché qui si è davanti a un singolare doppio minor agreement (-x.dp e 7t11p11ÒtÒW(J.t) con la tradizione particolare di Luca ( 22,2 I ). A mio parere ciò sta a indicare che anche nella comunità matteana la denominazione del traditore era nota in più di una versione. A differenza dell'episodio precedente, questo appar­ tiene forse - e quindi anche la tradizione del tradimento di Giuda - al nu­ cleo antico della storia della passione che venne tramandato in tre versioni tra loro indipendenti. 20. Una nuova indicazione temporale inquadra le due pericopi che se­ guono: è > e a ll a peri frasi del comparativo assente me­ d iante tob xaMv c f. vo l . 111, p. 34 n. 4· Per i l contenuto di questa proposizione giu dai­ ca già prover bia le c f. Hen. aeth. 3 8,2; l:fag. 2,1 e gl i a ltri para ll e li citati in Bi ll ., 1, 989 s. =

II6

GES Ù SMASCHERA GIUDA

mazione circa un'eventuale dannazione eterna di Giuda, un'idea del ge­ nere è nell'aria: in r 8,8 s. si era parlato di yÉEvvr:x. e di . Matteo è molto preciso nel distinguere i vari titoli con cui ci si rivolge a Gesù: l'appellativo «rabbi » non corrisponde a quello greco òt­ òci:axcxÀE, tipico degli interlocutori estranei al gruppo dei discepoli, ma è riservato unicamente per Giuda ( qui e di nuovo in 26,49). I lettori si ri­ corderanno di 23,8, dove @cx[3[3i venne inserito tra gli appellativi correnti prediletti dagli scribi giudei nemici di Gesù. Giuda si comporta dunque nei riguardi di Gesù come farebbe con uno scriba d'Israele. Per la comu­ nità che legge la storia e per la quale l'appellativo è da evitare ( 2 3 , 8 ), la parola funge da «indicatore di demarcazione» : Giuda è « fuori» - essa non ha più nulla a che fare con lui. 1 Quantomeno implicitamente Giu­ da è contrassegnato qui un « marchio giudaico>> negativo. Nella storia degli effetti spunti del genere nel Nuovo Testamento hanno conosciuto uno sviluppo funesto.3 - Che cosa devono pensare ora i lettori di que­ sta reazione di Giuda ? Egli ha l'ardire « far la parte dell'ingenuo» - e ciò, come osserva H.J. Klauck, getta > .'* Prima di lui già B. Weiss e J. Schmid hanno parlato di «sfacciataggine mostruosa >> .5 Questo atteggiamento di Giuda contra­ sta sfavorevolmente con la tristezza profonda degli altri discepoli sulla quale Matteo insiste (v. 22). 6 - Ma che ne dice Gesù? Egli si limita a con­ fermare laconicamente: «l'hai detto tu stesso» . L'espressione può essere variamente accentuata a seconda del contesto. Può valere «l'hai detto tu>> ( «sono le tue parole, non le mie » ) oppure come conferma esplicita dell'affermazione di chi ha parlato prima ( «tu lo hai detto» ).7 Nel no­ stro contesto è del tutto chiaro ciò che Gesù intende dire: senza se e sen­ za ma egli conferma che Giuda sarà colui che lo consegna. Al tempo stes­ so il aù d1tcxc; segna una presa di distanza tra lui e Giuda: con le sue par A sotto l ineare ancor più l a bizzarria de ll a domand a d i Giuda, Matteo si mostra del tut­ to esp l icito: o 7ttxptxotooù.; txù-rov. :z. C f. Lim bec k ', 61 s.: «Giu da Iscariota è per Matteo fuori d ella comunità dei d iscepol i » . 3 Cf. sotto, p. 2 9 3 . 4 Klauc k , ]udas ', 6o. 6 Vogler', 62. 7 C f. sotto, p. 2 1 3 , a 26,64. 5 Weiss, 4 5 3 ; Schmid , 3 60.

MT.

26,20-2 5

I I7

role Giuda si assume la responsabilità di quello che dice. Così l'episodio si chiude. Se si sta alla superficie di quanto viene raccontato, la narrazione risulta in­ completa. Una volta smascherato, Giuda lascia il cenacolo? Matteo non lo dice. Più avanti, certo non oltre il v. 47, i lettori si accorgono che prima o poi Giuda dev'essere uscito dalla stanza. La narrazione di Matteo non pre­ senta qui alcuno spazio vuoto che spetti ai lettori riempire, bensì sempli­ cemente una lacuna. Non si sa ad esempio se secondo Matteo (e Marco) Giuda fosse ancora presente al momento dell'istituzione della cena. È una questione importante sotto il profilo sia del dogma sia della storia dell'ese­ gesi. Il problema è stato sempre controverso, ma generalmente l'esito della discussione è stato positivo. 1 Una risposta chiara la dà Luca: per lui Giuda è presente all'istituzione della cena perché solo dopo questa si indica il tra­ ditore (Le. 22,2 1 -23 ) . Una risposta chiara, ma opposta, dà anche il Diates­ saron: Giuda non è presente all'istituzione della cena perché Mt. 26,26-29 viene narrato soltanto dopo Cv. I J ,J O-J 2. 1

Storia degli effetti. Giungiamo così alla storia degli effetti del testo. In generale nella chiesa gli esegeti non si sono allontanati molto dal testo li­ mitandosi a mettere in risalto o ad accentuare questo o quell'aspetto. In tal modo si sono attivate potenzialità di significato latenti nel testo, an­ che se è difficile dire fino a che punto le diverse priorità degli esegeti non colgano il testo. Qualche punto importante merita d'essere segnalato.

a) Quasi tutti i commentatori sottolineano con quale delicatezza Gesù, il pa­ store di anime, abbia trattato Giuda: «Egli non confonde il discepolo scelle­ rato con un rimprovero duro e pubblico: no, si avvicina a lui con un ammo­ nimento leggero e silenzioso per poter correggere tanto più facilmente col pentimento quello al quale è stata risparmiata la vergogna di un'espulsio­ ne » .3 Non c'è commentatore che non faccia osservare come Gesù abbia vo­ luto sempre condurre Giuda al pentimento e alla penitenza. 4 È in armonia con questa linea esegetica che anche il v. 25 non venga letto nel senso di uno smascheramento pubblico del traditore: 5 Gesù non vuole compromettere Giuda davanti a tutti e continua a sperare che si ravveda. L'espressione di conferma aù d1t1Xc; viene intesa come rimprovero benevolo: Gesù rinuncia a qualsiasi insulto nei confronti di Giuda. 6 r D. Haugg, ]udas Iskarioth in den neutestamentlichen Berichten, d iss. Miinchen 1930 Frei b urg 1930, 1 3 8- 1 4 1 fornisce una panoramica de lle opinioni dei Pa d ri dell a ch iesa. 2 E. Preusc hen, Tatians Diatessaron aus dem Arabischen iibersetzt, Hei de lbe rg 1926, 45, b 9- 1 6 ( 206). 3 Leone Magno , 7( 5 8 ),2 ( 1 1 2). 4 Chrys. In Mt. 8 1 ,1 (PG 58, 73 1 s.); Hier. In Mt. 249 e con loro pressoché tutta la tra dizione esegetica occidenta le e orienta le. 5 Cf. sopra, pp. 1 1 6 s. l h 6 C rys. In Mt. 8 1 ,2 (PG 5 8, 732). Bucero, 1 8 8B: 'esempio d i Gesù mostra c he anc he noi dobb iamo sopportare i ma lvagi in seno a lla c h iesa.

=

II8

GES Ù SMASCHERA GIUDA

b) Ciò non è in contrasto con la chiarezza con cui il peccato di Giuda viene messo in evidenza e chiamato per nome. Al riguardo è molto importante il v. 2 5. Al tradimento si aggiunge la sfrontatezza: Giuda è convinto di poterla fa­ re franca e di nascondere ipocritamente il suo tradimento ponendo a Gesù la stessa domanda di tutti gli altri discepoli! Per il v. 23 spesso si immagi­ na che gli altri discepoli avessero smesso di mangiare per la tristezza dopo il v. 21 (cf. Mc. 1 4 , 1 8); Giuda, invece, avrebbe intimo più che mai la mano nella ciotola insieme con Gesù per fingere di avere la coscienza pulita. 1 Per Musculus già il semplice fatto di farsi vedere alla celebrazione della pasqua di Gesù dopo avere ordito con i sommi sacerdoti un complotto contro di lui è segno d' «impudentia » . 3 Wolzogen è il primo che ragiona in termini più umani: è la vergogna che al v. 2 5 spinge Giuda all'ipocrisia. 4 c) Al v. 24 i commentatori sottolineano senza eccezioni che la necessità divina del disegno salvifico non esclude la colpa di Giuda. «Anche se era prefissato (7tpowpta'to, cf. Le. 22,22) che Cristo soffrisse per la salvezza del mondo» non è per questo che Giuda ha tradito Gesù: « non lo ha fatto per collaborare con la volontà di Dio, bensì ha esercitato la sua abituale mal­ vagità » . 5 A questo punto gli interpreti antichi possono parlare pressoché in­ distintamente sia di predestinazione sia di prescienza di Dio. 6 Solo ai tem­ pi della Riforma si è arrivati a polemizzare su questo punto: per Calvino il v. 24 è un esempio classico di come Cristo pensi insieme la predesrinazione divina e il libero arbitrio umano: . I o r

Eutimio Ziga beno, 664 (liva�ax.uv-r(a); Cramer, zzo. Hier. In Mt. 250; Beda In Mt. 1 1 2; Leone Magno b, 7 ( 5 8 ),z ( 1 1 3 ); Anse lmo d i Laon, 1469; Teolìlatto, 444; Tommaso, Lectura, nr. 2 1 6 3 , ecc. 3 Muscu l us, 546; c f. 549· lzogen, 407. lìlatto, 444; cf. Ch rys. In Mt. 8 r ,z (PG 58, 7 3 2). Wo 5 Teo 4 6 C f. ad es. Eutimio Ziga beno, 661: 7tpowp�a-ro, -roù -/)e:où 7tpoe:�òo-roc;. 7 Ca lvino, n , 3 1 1 . 8 Ma ld ona do, 5 3 9 · 9 A prescin dere dai commenti, sono natura l mente mo lte le a ffermazioni i n questo senso, ad esempio Ch rys. De Prod. Iud. (PG 49, 3 7 3 ) ; Eus. Orat. de Prod. Iud. (PG 86, 5 3 3 ) ( devo le segna lazioni a Renate Hani). Io Dionigi i l Certosino, 288 s. 1

MT.

26,20-2 5

I I9

Tutte queste considerazioni sono amplificazioni del testo che lo fanno apprezzare e lo approfondiscono, ma si spingono ben al di là di esso. Fino a che punto corrispondono all'orientamento del testo di Matteo? Con mio sommo rincrescimento mi sembra proprio che nelle amorevoli digressioni dei padri su Gesù pastore d'anime (a) si sia molto lontani dal­ l'intenzione matteana. Matteo che mette in particolare risalto (v. 2 5 ) il peccato di Giuda (b) e che (cf. c) lo sottolinea ulteriormente (v. 24b), non ha certo pensato che Giuda potesse ancora fare penitenza. Se si sia anche aspettato che Giuda patisse eternamente le pene infernali (cf. d) o meno, l'evangelista non lo dice esplicitamente. Oltre a delineare la malvagità del traditore, il testo matteano ha an­ che un secondo livello di significato: a mio parere esso contiene implici­ tamente una potenzialità di significato parenetica che diventa possibile perché i lettori s'identificano con la domanda dei discepoli (v. 2 1 ) : essi stessi devono chiedersi quale sia la propria posizione rispetto a Gesù. Nella storia dell'interpretazione si fa osservare anche questa dimensio­ ne di significato: e) L'interrogativo (J. �'tt Èyw è il punto dove ci si deve mettere nella situazio­ ne dei discepoli e domandarsi perché mai essi - gli innocenti - abbiano rea­ gito in modo tanto sentito e con estrema tristezza. Gli interpreti della chie­ sa antica danno una doppia risposta: da una parte osservano che i disce­ poli avrebbero riposto maggior fiducia nella profezia di Gesù che nella lo­ ro buona coscienza che, quando si tratta di riconoscere il proprio peccato, può anche sbagliarsi. r In secondo luogo nell'annuncio di Gesù essi speri­ mentano qualcosa della volubilità e della fragilità della natura umana ... Nella pietà protestante con la sua profonda consapevolezza del peccato, all'annuncio di Gesù sulla presenza di un traditore e alla domanda del v. 22 i lettori non reagiscono più sconcertati e con un moto di rifiuto come i di­ scepoli, bensì positivamente nel senso dell'usus elenchticus legis. L'annun­ cio dato da Gesù del tradimento di Giuda li rende consapevoli del loro pro­ prio peccato. Una testimonianza vivida al riguardo è la Passione secondo Matteo di Bach, che alla domanda dei discepoli (v. 22} fa rispondere il co­ ro con un verso di Paul Gerhardt: Lo sono io! Io dovrei espiare, legato mani e piedi, giù nell'inferno.3 r Basi l io, Reg. brev. nr. 301 (tr. K.S. Frank , St. Ottil ien 1 98 1 ): «Se non si è capaci d i av­ vertire i l proprio peccato. . . ci si deve fid are d i co loro ch e possono meg l io riconoscerlo»; Hier. In Mt. 249; Glossa Ordinaria, 1 6 8 ecc. :�. Orig. In Mt. ser. 8 1 (GCS u, 1 92); Leone Magno b, 7( 5 8 ),2 ( 1 1 2 ) (essi temono che la conoscenza che h anno di se stessi non corrispond a a ll a verità stessa).

3

Bac h", coro 10 ( 1 6) (EG 84,4; G.S 44 1 ,4).

1 20

LA CENA DEL SIGNORE

Sullo sfondo c'è qui la consapevolezza, avvertibile in molte interpretazioni protestanti della pericope, che la chiesa è un corpus permixtum e non è al riparo dalla presenza nel suo seno di traditori dell'evangelo. ' Con riguardo all'orientamento del testo matteano si deve mettere freno a tendenze del genere. Certo in Matteo Giuda può assurgere entro certi limiti a tipo etico: l'avidità, il tradimento stesso di Gesù possono essere pericoli per tutti i cristiani. Ma in Matteo Giuda resta un tipo negativo. La comunità invece non dev'esserlo affatto. La comunità di Matteo non è una comunità di peccatori caduti nell'abisso, bensì una comunità di co­ loro che devono affaticarsi per la giustizia. Il modello concettuale della chiesa come corpus permixtum mostra in Matteo una direttrice diversa da quella che avranno più tardi le chiese della Riforma.,. 2.3 .

LA

CENA DEL SIGNORE

( 2 6,26-29 )

Allison, Moses, 256-26 1 ; J. Betz, Eucharistie als zentrales Mysterium: MySal IV/2 ( 1 973 ) 1 8 5-3 1 3 ; J. Blank, Der «eschatologische Ausblick» Mk 14,25 und seine Be­ deutung, in P.G. Miiller - W. Stenger (edd.), Kontinuitiit und Einheit (Fs F. Muss­ ner), Freiburg-Basel-Wien 1 9 8 1 , 508-5 1 8; G. Braumann, Mit euch, Mt 26,29: ThZ 21 ( 1 965) 1 6 1 - 1 69; G. Delling, Abendmahl, n. Urchristliches Mahl- Verstiindnis, in TRE I , 1 977, 47- 5 8 ; H. Feld, Das Verstiindnis des Abendmahls (EdF 50), 1 976; K.W. Irwin, The Supper Text in the Gospel of Saint Matthew: DunR 1 1 ( 1 970) 1 70- 1 84; J. Jeremias, Die Abendmah/sworte jesu, Gottingen 3 1 960; G. Kretschmar - E. Iserloh - A. Peters, Abendmahl, m. Das Abendmah/sverstiindnis in der Geschich­ te der christlichen Kirchen, in TRE I, 1 977, 5 9 - 1 4 5 ; P. Lebeau, Le vin nouveau du royaume. Etude exégétique et patristique sur la parole eschatologique de jésus à la Cène (ML.B 5 ) , 1 966; Id., La parole eschatologique de jésus à la Cène (Mt 26,29) dans l'exégèse patristique, in F.L. Cross (ed.), Studia Patristica vn (TU 92), 1 9 66, 5 1 6-523; H. Leroy, «Mein Blut. . . zur Vergebung der Siinden» (Mt 26,28), in O. Knoch et al. (edd. ), Das Evangelium auf dem Weg zum Menschen (Fs H. Kahlefeld), Frankfurt a.M. 1973, 4 3 - 5 3 ; H. Patsch, Abendmahl und historischer ]esus (CThM. BW 1 ), 1 972; Réau, Iconographie n/2, 406-4 26; Schiller, Ikonographie n, 3 5- 5 1 ; G . Stemberger, Pesachhaggada und Abendmahlsberichte des Neuen Testaments: Kairos 29 ( 1 987) 1 4 7- 1 5 8 ; Strecker, Weg, 2 2 1 s. Altra bibliografia ( b ) sulla storia della passione e pasqua in Mt. 26-28 sopra, pp. 17-1926 Ma mentre mangiavano, Gesù prese un pane, pronunciò la benedizione, lo spezzò, lo diede ai discepoli e disse: «Prendete, mangiate! Questo è il mio corpo! » . 27 E prese un 3 calice, pronunciò il ringraziamento, lo diede 1 Bu ll inger, 23 2: «Typus est Iu d as omnium hypocritarum inserentium sese in societatem 2. C f. vo!. u, pp. 430-4 3 3 . ecc lesiae>> . C f. anche sotto, p. 29 5 sezione c. 3 ':1)45, A, C, D , f ' 3 e CJJl aggiungono l 'articolo 'tO. Questa lezione è certamente megl io at­ testata, ma è anc he più faci l mente comprensi bi le come uso l inguistico lirurgico (il ca l ice de ll a cena già pronto) e perciò sicuramente second ario. C f. Le. 2 2 , 20 ; I Cor. u,25. ·

MT.

26,26-2 9

121

loro e disse: « Bevetene tutti, 2 8 poiché questo è il mio sangue del patto 1 che viene sparso per molti per la remissione dei peccati. 29 Ma io vi dico: No,1 d'ora in avanti non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel regno di mio Padre » . 1 . Struttura. I l secondo episodio dell'ultima pasqua d i Gesù che l'evangeli­ sta descrive si apre, come al v. 2 1 , con un genitivo assoluto che presenta la situazione conviviale (v. 26aa) . Per il resto i vv. 26 e 27-28a - la pane con il pane e il calice - sono quasi perfettamente paralleli: 26 27

Àa(jWv cip-rov xaì e:ÙÀoy�aac; ÉxÀaae:v xaì òoùc; -roi'c; p.a81J-rai'c; aù-roi'c; Àaf3wv 1to-r�pwv xaì e:Ùl,apLa-r�aac; ÉÒwxe:v

EÌ1tEV Àtif3e:-re: q>aye:-re: ìJ:ywv 1tie:-re: è� aù-rou 1tci:v-re:c;

28

'rOI.Yt'O Èa'rLV 'rÒ awp.a (LOU -roli'ro . . . èa·nv -rò alp.a p.ou -rijc; ÒLa8�xlJc;.

Soltanto la conclusione del detto sul calice (v. 28b) esce dalla simmetria. - Per quanto attiene alla forma, tutto il testo è un «resoconto>> davvero singolare. Esso riporta unicamente ciò che Gesù dice e fa. Non si racconta né che i discepoli abbiano mangiato il pane e bevuto tutti dal calice né quale sia sta­ ta la reazione dei discepoli alle parole di Gesù. Ciò rende più facile per i let­ tori riferire l'ordine di Gesù direttamente alla prassi della propria comuni­ tà. Sebbene il testo non contenga l'ordine di ripetere quello che Gesù ha fat­ to, lo si deve certamente definire, in un'ottica di storia delle forme, un'ezio­ logia cultuale.3 2. Fonte. Com'è noto l'istituzione della cena del Signore viene narrata in tre varianti indipendenti, e precisamente: 1 . Mc. 1 4,22-25 (= Mt. 26,26-29 ): 2. I Cor. I I ,23-25 (= Le. 22, 1 9 s.) e 3· Le. 22,1 5 - 1 8 . L'ultima variante è la più singolare perché non contiene le parole dell'istituzione, ma presenta in­ vece due visioni escatologiche ed è inoltre l'unica che parli chiaramente di pasto pasquale. Questa variante proviene senza dubbio dalla storia della passione prelucana e la sua datazione è alquanto difficile da stabilire. In forma leggermente diversa, Matteo riproduce la variante marciana. I Testimoni testua l i occi denta l i e i l testo d i maggioranza leggono riJç xa.'v� a ,a.19 ljx1Jaye:-.e: e il parallelo 7tte-.e: trasformato in imperativo: il liturgo invita la comunità a mangiare e a bere. I Potrebbe avere carattere liturgico anche il 'tou-.ou del v. 29: nella liturgia può indicare il calice. Non si può invece spie­ gare come opera di Matteo l'omissione di cXfJ.�v al v. 29 trattandosi infatti di termine caro all'evangelista. È difficile esprimere un giudizio suHa frase e!c; &q>eatv àtJ.a.çmwv al v. 28. L'aggiunta è in tutto in linea con la concezione mat­ teana della remissione dei peccati come potestà di Cristo e della comunità ... Per contro si può pensare altresì che le affermazioni matteane sulla remissio­ ne dei peccati siano state suggerite dalla liturgia della cena seguita nella co­ munità di Matteo. Non è presumibilmente importante il cambiamento della preposizione tmÉp di Marco nel 7te:pi del v. 28 che dovrebbe essere di Matteo.3 I molti e lievi cambiamenti minori rispetto a Mc. 14,22-25 dovrebbero es­ sere attribuibili alla redazione matteana. 4

Questioni prioritarie e storia degli effetti. L'istituzione della cena del Signore rientra fra i testi biblici che hanno provocato il maggior nume­ ro di dispute dai tempi del medioevo e in età moderna. I testi della cena del Signore hanno tuttavia condotto a scismi ecclesiastici soltanto quan­ do vennero interpretati in senso concettuale e definitorio e perdipiù in chiese che consideravano le definizioni terminologiche essenziali alla co­ stituzione della loro propria identità. Ma i testi biblici perlopiù conten­ gono una varietà di potenzialità di senso che non si escludono affatto re­ ciprocamente. L'ultima cena di Gesù e l'istituzione dell'eucaristia cristiana sono sta­ te rappresentate figurativamente con tanta frequenza da reggere il conI Senior, Passionb , 76-86 suppone che si tratti soltanto d i mo di fic he letterarie. C f. Sand , 5 26 s. per una posizione ana l oga. 2. C f. 1 , 2 1 ; 9,6.8; 1 8, 1 5 - 1 8 e v. i l commento sotto, pp. 1 4 5 s. 3 Spesso si è vista qui una spiegazione de ll a ripresa de ll 'i dea b i bl ica di sacri ficio. Nei testi bi bl ici, è vero, si può in dicare con 7tEpl co l ui c he trae vantaggio da ll 'espiazione cu ltua le (a d es. Lev. 1,4; 4,2o; 5 , 1 6; 9,7; 10,7 perlopiù co l verbo ilaaxEa-81lt). Ma 7tEpl (circa 9x red . in Matteo) è mo lto semp l icemente più con facente d i u1tÉp a llo sti l e matteano. (c f. vo l . I, introduzione, 4.2): a l v. 26: oÉ, b 'I l)aoUc;, !J.Il-8l)'tllt; 4 lSono redazione matteana a v. 27: ÀÉywv; a l v. 2 8: yap; a l v. 29: oÉ, (ti7t')ap'tt (c f. 23,39), !J.E·9 ' u!J.WV (c f. 1 ,23; 1 8, 20; 28,20), 7tll't�p !J.OU. È invece un voca bo l o che Matteo cerca d i evitare (c f. vo l . 1, in­ troduzione, 4 - 3 ) OÙXÉ'tt (Mc. 1 4,25 ). G l i strani minor agreements (omissione di a�J.�V e di oùxÉ'tt; a1to) tra Mt. 26,29 e Le. 22, 1 8, che appartiene sicuramente a ll a tra dizione parti­ co l are lucana, si possono quin d i spiegare ne ll a maggior parte dei casi come redazione matteana.

Figura 8.

fronto nella storia della passione soltanto con la crocifissione di Gesù. I dipinti sono mezzi eccezionali per portare alla luce potenzialità di senso latenti nei testi. Essendo creazioni dell'arte figurativa, i dipinti fissano gli aspetti esteriori concreti in misura superiore ai testi, ad esempio la forma della tavola della cena del Signore o le vesti dei discepoli. A differenza del­ le interpretazioni teologiche le immagini sono molto aperte: alludono a un senso teologico, ad esempio, mediante simboli o per mezzo della loro composizione, ma non lo definiscono, diversamente da molte interpreta­ zioni in termini concettuali e teologici. Nel caso della cena del Signore le interpretazioni formulate in termini teologici si esclusero spesso vicende­ volmente assurgendo così a segno distintivo delle identità confessionali di singole chiese. Al contrario delle interpretazioni, la maggior parte delle raffigurazioni artistiche dell'ultima cena è rimasta, proprio come i testi biblici, un'eredità comune a tutte le confessioni, anche a quelle in cui non predomina il momento della comunione eucaristica, nonostante gli artisti siano appartenuti a epoche e chiese diverse. Per tale ragione faccio

Figura 9·

Figura 10.

precedere il mio commento da qualche cenno alle raffigurazioni dell'ul­ tima cena per fare osservare alcune possibilità interpretative diverse da quelle concettuali e teologiche. Vorrei coniugare questi spunti con le que­ stioni di fondo che mi paiono importanti per l'interpretazione. 1 Mi ser­

virò di una scelta della ricchissima storia dell'esegesi concettuale e teolo­ gica soltanto quando si giungerà a ll 'in terpreta zion e di quei passi biblici che sono diventati veri e propri punti controversi tra le co n fessioni. ra. Fino a che punto il testo va inteso primariamente come resoconto di un unico pasto celebrato in passato da Gesù nella cerchia dei dodici discepoli ? Questa e la seguente questione primaria possono essere illustrate mediante il confronto di due tipi fondamentali della raffigurazione della cena nel me­ dioevo. Mentre nelle chiese orientali la cena del Signore viene dipinta preva­ lentemente come comunione degli apostoli, in Occidente predomina il tipo della cena di commiato di Gesù. Questo secondo tipo di dipinto raffigura un evento del passato. Fino all'alto medioevo i commensali venivano dipinti distesi, secondo l'usanza antica, e solo più tardi si passò a rappresentarli se­ duti. Nella raffigurazione riprodotta alla fig. 8,.. un particolare della Mae­ stà di Duccio di Buoninsegna, si può vedere con particolare chiarezza che r Mo l to materia le usato per questa parte è stato approntato d a Stephan BOsiger, a l qua le si devono anche le tracce per l 'i ll ustrazione dell a maggior parte dei d ipinti se lezionati. :z. Ripresa da C. Jannell a, Duccio di Buoninsegna, Firenze 1991, 47 nr. 56.

Figura 1 1 . si tratta di un vero pasto. Sulla tavola c i sono varie vivande, tra cui un piatto con l'agnello pasquale, una brocca e vari bicchieri (c'è un solo calice), poi coltelli, numerosi pani azimi e frutta. Gesù porge il boccone a Giuda, che gli siede di fronte. Gli sguardi di tutti i discepoli sono puntati su di lui. La situazione è chiaramente quella di un pasto normale e la rappresentazi one non è minimamente influenzata dalla liturgia della messa.

I b. Fino a che pulito il nostro testo è un resoconto dell'istituzione del­ la cena del Signore cristiana, orientato quindi alla celebrazione della san­ ta cena che avviene

presentemente nella comunità ? della comunione degli apostoli nelle

Nelle raffigurazioni chiese orientali il testo è letto chiaramente in questa prospettiva. Molto spesso questi dipinti orientali vengono collocati nelle chiese sul muro dell'abside orientale, ossia nello spazio stesso dell'altare, così che già la posizione stessa crea il rappor­ to con la l iturgia. Anche l'immagine è influenzata dalla liturgia: Cristo sta al

centro, spesso non a una tavola, ma a un altare. Talvolta la figura di Cri­

sto è raddoppiata. Da sinistra e da destra si avvicinano per la comunione

sei apostoli per parte: da destra per ricevere l'ostia, da sinistra per ricevere il calice. A questo tipo di raffigurazione appartiene il dipinto sull'iconostasi della Chiesa della Trinità di Sergiev Posad della scuola di Andreij Ru bljov (figg. 9 e Io). 1 La fig. 9 (a sinistra ) rappresenta il pane che viene porto a sei

apostoli, la fig. IO (a destra ) l'offerta del calice. Qui Cristo è raffigurato co­ me sacerdote, gli apostoli come comunicandi. Nella liturgia la chiesa celebra la comunione con il Risorto. 1

Le figure sono tratte da V.N. Lazarev, Die Russische Ikone, Dtisseldorf 1 996, 300 s.

Figura 1 2.

2. Fino a che punto l'ultima cena di Gesù è stata considerata una pa­ squa ebraica e fino a che punto, invece, qualcosa di nuovo, cioè la cena del Signore cristiana ? Quale rapporto collega le due celebrazioni ?

MT. 26,26-29

1 27

In molte raffigurazioni medievali del pasto di commiato di Gesù, sulla tavo­ la c'è un piatto da portata con l'agnello. Prendo come esempio l'affresco del­ la cena sulla parete meridionale della Chiesa di Sant'Angelo in Formis (nei pressi di Caserta, opera dipinta dopo il 1 070, fig. I I ). 1 I discepoli sono ste­ si a tavola alla moda bizantina. Gesù è l'unico raffigurato con l'aureola e per la sua sovranità grandissimo. Sulla tavola ci sono dodici pani azimi e frutta. Al centro sta il piatto da portata concavo contenente l'agnello pasqua­ le. Giuda, che tiene la mano nel piatto con l'agnello, viene accusato da Gesù di tradimento."' L'agnello allude probabilmente a Cristo in quanto agnello pasquale (cf. I Cor. 5 ,7; Gv. 1 ,29 ) . Immediatamente sotto l'immagine del ce­ nacolo sta Mosè, dipinto tra gli archivolti. La sua figura è tipo della pasqua d'Israele. Ma la cena di Gesù è qualcosa di nuovo.

3 · In quale rapporto sta l'ultima cena di Gesù con la sua morte immi­ nente? Quest'ultima viene intesa come morte espiatrice o come morte sa­ crificale ? Il rito della frazione del pane e quello del calice rappresentano la morte di Gesù? In alcune raffigurazioni medievali dell'ultima cena, ad esempio in quella di Sant'Angelo in Formis (fig. u ) e in Duccio (fig. 8 ) , l'agnello nel piatto di por­ tata si riferisce, nel senso di Is. 5 3 ,7 e Gv. 1 , 29, alla crocifissione e quindi alla morte espiatrice di Gesù. Nel tipo di dipinto tardomedievale cosiddetto della > . 4 «Dopo aver celebrato la pasqua tipica e aver mangiato inr Circa l o svol gimento de ll a cena pasqua l e e b raica si h anno notizie so ltanto per l 'età mis hnica. A detta d i S tem berger0 è tutt'a ltro c he certo c he in tempi anteriori a l 70 la ce­ na pasqua le si svo lgesse e ffettivamente come la Mishna sta b i l isce post festum. 2. Al trettanto ipotetici sono anche i tentativi degl i esegeti moderni d i coll ocare il detto su l pane e i l detto su l ca l ice in questo o quel momento dell o svolgimento del pasto pasqua­ le. Soprattutto su lla scia de ll a monogra fia classica di J. Jeremias0 (78-82) si è sol iti asso­ ciare i l detto su l pane a lla bened izione pronunciata sugl i azimi prima dell 'inizio de ll a par· te principa le de l pasto e i l detto su l ca l ice a l cosi ddetto ca lice dell a bened izione che veni­ va bevuto dopo la parte principa le del pasto, i l terzo ca l ice della cena pasqua le. Ma ciò non è a ffatto certo. Già anc he co l primo piatto si è mangiato pane, e i l detto su l ca l ice si adattere bbe megl io a l secondo ca l ice della pasqua, i l cosi dd etto ca l ice de ll 'agga da, poi­ ché l a spiegazione de ll a pasqua precedeva, non seguiva i l pasto. I l v. 29, inoltre, presup­ pone certamente che i l ca lice de l v. 27 sia l 'u l timo c he Gesù ha bevuto, e ciò concorde­ re bbe meglio con i l quarto ca lice, que llo de l ha/lei (così Meyer, 437). 3 Ma ldona do, 540; così anc he Ca l vino, n, 3 1 3 (con rinvio a ll 'ord ine ind icato in Le. 22, 1 5- 1 8 . 1 9 s.) e i l conci l io tridentino, sess. 22,1 (DS 3 6 , nr. 1 74 1 ). 4 Chrys. In Mt. 82,1 (PG s8, 738).

LA CENA DEL S I GNORE

sieme con gli apostoli la carne dell'agnello, egli prende il pane, che confor­ ta il cuore dell'uomo, e passa a celebrare la vera pasqua » . 1 La cena del Si­ gnore istituita da Gesù non è dunque una pasqua ebraica, bensì sostituisce questa festa. In tempi più recenti questa idea verrà ulteriormente sviluppa­ ta. L'esegesi cattolica del periodo della Riforma parla delle tre portate del pasto completo, precisamente a) il pasto pasquale ebraico, b) un pasto co­ me assunzione di nutrimento e solo dopo c) l'istituzione dell'eucaristia.:. In questo modo non solo si arriva a distinguere nettamente l'eucaristia dalla pasqua ebraica, ma si riesce persino a procurarsi un argomento contro gli eretici della Riforma i quali cadendo in errore chiamavano l'eucaristia una cena o un pasto notturno. Nella comunità di Matteo i lettori non avranno letto i vv. 26-29 ve­ dendovi anzitutto un resoconto della pasqua ebraica celebrata allora da Gesù con i suoi discepoli. È certo plausibile supporre che essi si sentis­ sero ricordare da quei versetti la propria celebrazione del pasto del Si­ gnore, anche se a dire il vero poco o nulla si sa della celebrazione del pa­ sto del Signore nelle comunità matteane.3 In questo testo, quindi, Gesù ordina o spiega non soltanto ai propri discepoli ma anche ai membri del­ la comunità che cosa debbano fare. Come sempre in Matteo, anche qui il comandamento di Gesù vale per il presente e anche qui una storia su Gesù si fa perspicua per i suoi lettori: quando la comunità celebra la cena del Signore non fa che « osservare il comandamento del suo Signore» . 4 26. Gesù prende il pane e pronuncia la benedizione: qual è il referen­ te di e:ÙÀoy�aac;? Dio o il pane ?

Storia degli effetti: e:ÙÀoy�aac;. Dai tempi della Riforma nei commenti si discute su quale sia il referente di e:ÙÀoy�aac;, se si tratti di una formula di 1 Hier. In Mt. 25 1 ; cf. Beda In Mt. 1 1 3 . :. Maldonado, 541 s . ; Lapide, 479; cf. Giansenio, 262. 3 Da 9,8 si può dedurre che al loro interno avvenisse la remissione dei peccati. L'inter­ pretazione dei due racconti della moltiplicazione dei pani ( 14,1 3-21 e 1 5,32-39) diventa più plausibile se si può supporre che 14,19 e 1 5,36 non ricordassero ai lettori soltanto l'ultima pasqua di Gesù bensì anche le loro celebrazioni della cena del Signore. Cf. vol. n, pp. 502-505. 550. Se è lecito trarre qualche conclusione dalla Didachè, dietro alla quale c'è una comunità d'orientamento matteano (cf. vol. 1, p. 1 1 8), da 14,1 si può in ogni ca­ so evincere che la comunità abbia celebrato ogni domenica il pasto del Signore e non so­ lo una volta l'anno un pasto pasquale. Che la comunità confessi davanti alla tavola del Si­ gnore le proprie trasgressioni si accorda particolarmente bene all' dc; ilqltatv cip.ap't'twv di Mt. 26,28. Dalle preghiere conviviali di Did. 9 s. non trarrei direttamente troppe con­ clusioni, perché con K. Niederwimmer, Die Didache (KAV 1 ), Gottingen 1989, 1 79 s. sup­ pongo che queste preghiere venissero recitate prima e dopo il pasto comune che precede­ va la cena del Signore in senso proprio. Did. 10,6 funge allora da passaggio alla celebrazione della cena del Signore. 4 Strecker, Weg, 222.

MT.

26,26-2 9

133

lode e ringraziamento rivolta a Dio oppure della benedizione del pane. Gli esegeti della Riforma sono per la formula di lode a Dio. Perciò Calvino ri­ fiuta il segno della croce sugli elementi in quanto «formula magica >> . ' I cat­ tolici riferiscono invece e:ÙÀoy�acxç alla benedizione degli elementi.� Al ri­ guardo sorgeva ovviamente la questione di quale fosse il rapporto tra questa benedizione e le parole dell'istituzione del Canon Missae con le quali avviene la transustanziazione. Per Tommaso d'Aquino e:ÙÀoy�aCiç significava la revo­ ca della maledizione primordiale di Gen. 3 , 1 7 sulla terra. 3 Dionigi il Cer­ tosino e dopo di lui Salmeron identificarono questa benedizione con le pa­ role dell'istituzione pronunciate poco dopo." L'esegesi cattolica posterio­ re considerò la benedizione una preparazione degli elementi alla consacra­ zione.5 Per quanto attiene al senso del verbo, e:ÙÀoy�aaç può riferirsi tanto a Dio quanto al pane. 6 Poiché .:Xp·toç è oggetto di Àa�wv e poi anche ogget­ to (non esplicito) di txÀaae:v e di òouç, sarebbe quantomeno non innatura­ le pensare che lo sia anche di e:ÙÀoy�aaç. L'analogia più vicina al nostro passo è però la lode di Dio pronunciata da Gesù in occasione della prima moltiplicazione dei pani ( 1 4,19), che è chiaramente riferita a Dio - e qui non è nemmeno collegata esplicitamente al pane. Anche i testi paralleli giudaici di cui si ha conoscenza hanno tutti la forma della lode resa a Dio,7 anche se vengono naturalmente pronunciati «sopra >> i ci­ bi. 8 Lo sfondo g iu daico della lode fa capire anche senz'ombra di dub­ bio che il rendimento di lode non comporta affatto che questo pane sia in alcun modo diverso da altri cibi: nel giudaismo si rende lode sopra ogni cibo. Gesù spezza il pane e ne distribuisce i pezzi ai discepoli. Certo i letto­ ri si ricorderanno anzitutto delle due moltiplicazioni dei pani avvenute x Calvino, n, 3 14 (Gesù voleva ringraziare Dio per la salvezza eterna degli uomini do­ nata loro nella cena del Signore); analoga è la posizione di Bucero, 1 8 80 e Bullinger, 23 2. Calov, 4 3 8 sceglie una via di mezzo: e:ùxczpta'tta si riferirebbe a Dio, e:uÀorla agli elementi. 2. Maldonado, 542. 544 con rinvio a lust. Apol. 1 ,66,2 (e:ùxapta-8e:iaa -tpocpij). Lapide, 480 rimanda a 1 Cor. 1 0, 1 6; Giansenio, 263 invece all'oggetto menzionato prima, �-tov. Giansenio sembra identificare benedizione e consacrazione. 3 Tommaso, Lectura, nr. 2 1 76. 4 Dionigi il Certosino, 289 (Gesù ha pronunciato le parole esplicative prima della frac­ tio corporis [!)); similmente Salmeron, 9, 1 2 (secondo Knabenbauer, 434). Contrario è il parere di Caietano, 7 1A: « benedictio laudis, non benedictio consecrationis» . 5 Knabenbauer, 4 3 4 · 6 Cf. Bauer, Wb6, s.v. 7 Il parallelo più importante è Ber. 6, 1 : •(Che tu sia lodato, Jhwh, nostro Dio, re del mon­ do), tu che fai nascere i cibi dalla terra» ; cf. inoltre Bill., 1, 68 5 s.; IV, 6:z.o-625. 8 Anche le preghiere di ringraziamento per il calice e il pane associate alla lode a Dio di Did. 9, di sapore profondamente giudaico, indicano nella medesima direzione.

I34

LA CENA DEL SIGNORE

in Galilea, quando Gesù aveva già compiuto una volta il medesimo ge­ sto ( 1 4,19; 1 5 ,36). In quell'occasione in molti, giudei e gentili, erano sta­ ti saziati da Gesù in modo miracoloso. I lettori si ricorderanno inoltre anche di ciò che fa il padrone di casa o l'ospite all'inizio di ogni pasto: spezza la focaccia, ne distribuisce i pezzi agli ospiti e così facendo stabi­ lisce la comunione di mensa. I Per dirla in negativo: i lettori non hanno certo inteso la «frazione » del pane come metafora della morte violenta di Gesù. 2. Un rapporto con la morte di Gesù si crea unicamente con il detto esplicativo che Gesù pronuncia dopo: in modo relativamente oscuro nel detto sul pane, chiaramente poi in quello sul calice. Si giunge così all'interpretazione del detto sul pane, « questo è il mio corpo » . Quale significato ha qui la copula Èa·-dv? Questo è il problema che dal XVI secolo si è più aspramente discusso nella controversia con­ fessionale sull'eucaristia .

Storia degli effetti: Èa'ttv. •• Quanti processi, quante esplosioni d'odio, quante lotte e quanti scismi hanno provocato fra i cristiani queste poche parole! >> , esclama Wolzogen.3 Naturalmente qui non è possibile illu­ strare sia pure per sommi capi la disputa sulla cena del Signore prima e dopo il XVI secolo. Ci si concentrerà invece sulle giustificazioni esegeti­ che che dai tempi della Riforma vengono addotte dalle quattro posizio­ ni classiche tra loro in conflitto. a) La chiesa cattolica ha confermato la sua concezione della presenza reale di Cristo nel pane e nel vino e la sua concezione della transustanziazione nel­ le sessioni 1 3 e 21 del concilio di Trento, e ha spiegato il rapporto tra il sa­ crificio della messa e la morte sacrificale di Cristo nella sessione 22,1 s. Qui la presenza reale non ebbe bisogno di fatto di alcuna giustificazione biblica essendo diventata già per tradizione da lunghissimo tempo opinione domi­ nante della chiesa. 4 Per la transustanziazione ciò vale dal concilio Latera­ no IV del 1 2 1 5 . Già numerosi commenti precedenti alla Riforma rifiutano I Bill., IV, 7 1 . 623. La differenza tra il rito del pane e quello del calice sembra dunque es­ sere stata questa: mentre spezzare un pane e distribuirne i pezzi agli ospiti era un gesto del tutto abituale nel banchetto giudaico, il rito corrispondente col vino che gli ospiti beve­ vano tutti dallo stesso calice era insolito e quindi richiedeva d'essere spiegato. 2 I commentatori ecclesiastici hanno visto spesso nel pane spezzato una rappresentazio­ ne simbolica dell'uccisione di Gesù. Ad es. Tommaso, Lectura, nr. 2177 (quia in passione perforata sunt membra); Cristiano di Stavelot, 1476; Glossa Ordinaria, 1 69; Arezio, 2 1 0 ( «fractio mortifìcationis est symbolum » ). 3 Wolzogen, 409. 4 Fra i molti testi patristici che gli esegeti cattolici (ad es. Maldonado, 5 s6-s6o) conti­ nuano a elencare, è da ricordare qui per la particolare influenza la quarta catechesi mi­ stagogica di Cirillo di Gerusalemme (BKV 1/4 1 , 3 78-3 8 1 ): con l'eucaristia la carne e il sangue di Cristo entrano nelle nostre membra e noi diventiamo portatori di Cristo.

MT.

26,26-2 9

135

esplicitamente l'interpretazione simbolica delle parole di istituzione. ' Nei commenti del XVI e XVII secolo l' « argomentazione>> esegetica si limita in lar­ ga misura alla polemica contro le chiese della Riforma. Si respinge un'inter­ pretazione simbolica o figurata delle parole dell'istituzione di tipo zwing­ liano in quanto esegeticamente e concretamente impossibile: qui si tratta di discorso reale, non simbolico: «Non: sembra, non: significa, ma: è. Il mio corpo: non il corpo del pane! » .>. «Non c'è . . . alcuna lingua . . . nella quale è abbia un significato diverso da essere» . - «Né nella cena né sulla croce è data per noi la figura di un corpo>> .3 In realtà neppure la transustanziazione vie­ ne quasi mai giustificata esegeticamente. 4 Già Tommaso d'Aquino aveva fatto osservare che i verba sacramentalia sarebbero non tanto significativa (significativi) quanto factiva (efficaci), nel senso che non descrivono ma crea­ no la realtà cui si riferiscono. 5 È interessante vedere come Caietano e Mal­ donarlo argomentino la transustanziazione sulla base di -rou-ro (v. 26): que­ sto neutro non potrebbe riferirsi ad &p-roç, che è maschile, e quindi, in quan­ to pro nomen, riprenderlo e spiegarlo; bensì -rou-ro va inteso come aggetti­ vo e riferito a aw�J.cx. Gesù non è interessato a dire che cosa il pane «sia >> in realtà, ma invece vuole dire che «ciò che ancora non è lo diventa proprio per le parole della preghiera >> (per ipsam orationem fit). In toni trionfalistici Maldonado fa notare che «tutti i luterani e i calvinisti (riferiscono) il pro­ nome hoc al pane>> e per questa ragione avrebbero «interpretato il testo er­ roneamente sin dal principio >> . 6 Spesso si richiama l'attenzione anche su casi analoghi come le nozze di Cana e soprattutto sulle storie dei pani moltipli­ cati dove con le parole di Gesù avviene una trasformazione reale. 7 Ma rife' Cf. ad es. Theodor. Mops. In Mt. fr. ro6 (Reuss, r 3 3 ) (oùx EÌ7tEV -roiYro Èa-rtv aUp.f3oÀov -rou aw�J.a-ro�); Eutimio Zigabeno, 668; Teofilatto, 444; Pascasio Radberto, 890 s. (ai vv. 27 s.: Necdum . . . erat fusus, et tamen ipse porrigetur in calice sanguis, qui fundendus erat. Erat quidem iam in calice). 2. Caietano, 7 1A: : non si parla affatto di sostanza e di accidenti né di altri «grilli metafisi­ ci •• . 4 Le parole della Bibbia sono stabili; guai a chi ne interpreta le parole diversamente da come suonano! 5 Non si può passare sopra all' « è >> e al «questo•• che fissano gli elementi chiaramente.6 «Queste misere povere cin­ que parole >> sono per Lutero parola di Dio; «chi disprezza una sola parola di Dio>> le disprezza tutte.7 Le parole della Scrittura sono « limpide e chiare•• così che cristiani, giudei o gentili le possano capire chiaramente. 8 Più tardi Hollaz formulerà il pensiero di Lutero fedelmente: > del­ la chiesa era per Lutero la negazione del calice ai laici - questione per lui non secondaria perché anche qui è in gioco l'ubbidienza al senso «semplice» della parola di Dio: « 'Per molti ?' Questi non possono essere i sacerdoti » .? c) A differenza di Lutero, Calvino argomenta in termini molto più siste­ matici che esegetici. L'argomentazione esegetica di Calvino è diretta contro altre posizioni, ad esempio contro la transustanziazione: stando al detto sul calice «anche il materiale di cui era fatto il calice si sarebbe dovuto tra­ sformare in sangue di Cristo >> . 8 Egli argomenta in termini esegetici anche contro le messe private basandosi sui comandi «prendete, mangiate>> : è «una invenzione del diavolo se qualcuno si isola dal resto della comunità e celebra la cena per sé solo >> .9 Ma Calvino fonda la propria posizione non in ter­ mini esegetici, bensì sistematici. Questa in che cosa consiste? CristologicaI D. Hollazius, Examen theologicum acroamaticum, 1 707, rist. Darmstadt 197 1 , vol. 2, tomo m, 1 8 5 : «Norma totius doctrinae de sacramento eucharistiae sunt verba institutio­ nis s. coenae» . 2 I riformatori non si stancano d i ripetere che i n quanto parola della promessa i l Canon Missae dev'essere pronunciato ad alta voce, udibile a tutti. 3 Lutero, Grosser Kathechismus (BSLK, 4 1 959), 7 1 0. 4 Flacio Illirico commentando Mt. 26,26 dà la seguente giustificazione filologica della dottrina della consustanziazione: Gesù non ha bisogno di dire espressamente che dà il pane. Dunque la copula est si riferisce a ciò che il pane «è oltre a essere pane», a ciò che non è immediatamente visibile: « Non purus panis est, sed constat re terrena & codesti ». 5 Lutero, De captivitate Babylonica (WA 6), 5 1 1 , cit. secondo l'ediz. di Miinchen n l , 171. 6 Lutero, De captivitate Babylonica (WA 6), p o, cit. secondo l'ediz. di Miinchen n l , 1 69. 7 Lutero, De captivitate Babylonica (WA 6), 504, cit. secondo l'ediz. di Miinchen n 3 , 1 62. 9 Calvino, n, 3 1 6. 3 14. 8 Calvino, n, 3 1 6.

LA CENA DEL SI GNORE

mente Calvino desidera lasciare alle due nature di Cristo, la divina e l'uma­ na, la loro piena integrità. Non desidera diminuire la natura divina della sua gloria «collocando Cristo tra gli elementi corruttibili di questo mondo op­ pure legandolo a creature terrene di questo o quel tipo » . D'altra parte egli non desidera nemmeno attribuire al corpo umano di Cristo niente che non sia , ad esempio l'infinità o l'ubiquità. I In altri passi Calvino è quindi molto attento alle distinzioni: che non sarà sempre nel mondo (M t. 26, 1 1 ) Gesù lo dice riguardo alla sua natura uma­ na; che sarà (Mt. 28,20) Gesù lo dice riguardo alla sua natura divina. Ma in quanto corpo e sangue - quindi non secondo la sua natura divina -, come può Gesù unirsi con gli elementi del pane e del vino ? La sola risposta possibile è evidente: > .:z. « In che cosa consiste l'unio­ ne sacramentale di segno e cosa ? Non consiste forse nel fatto che Dio man­ tenga, con la nascosta potenza del suo Spirito, ciò che promette? >> .3 A Cal­ vino importa soprattutto che la presenza di Cristo nella cena del Signore sia una presenza reale, ma non materiale. Egli ritiene che la sua dottrina della cena sia una soluzione mediana: non vuole, come Zwingli e i suoi, sminui­ re i segni; ma neppure desidera, come Lutero e i cattolici, ingigantirli fuori misura oscurando in questo modo i misteri celesti cui essi rimandano.4 Per questa concezione della presenza nella cena del Signore del Cristo che tro­ neggia in cielo la Confessio Helvetica Posterior formula un'immagine: > .5 Non si può nascondere una certa affinità di Calvino con la dottrina dei segni di Agostino che il riformatore ginevrino cita frequente­ mente come suo garante. 6 Naturalmente anche Calvino interpreta la copu­ la Èa-rlv fìgurate,7 ma a differenza di Zwingli egli non ha bisogno di addur­ re molti altri passi biblici per mostrare che ciò è esegeticamente così, bensì risulta necessariamente dalla cosa stessa. d) Vorrei esporre qui specificamente la posizione non sacramentale di Zwingli e dei suoi epigoni perché penso che Lutero avesse in sostanza ra­ gione a vedervi una posizione inconciliabile con la propria. 8 A mio parere il Consensus Tigurinus ha nascosto a lungo alcuni punti di partenza conI

Calvino, Inst. 4,17,19. Calvino, Inst. 4,17,1 2. 3 Calvino, n, 3 1 7. 4 Calvino, Inst. 4,17,5· 5 H. Bullinger, Das Zweite Helvetische Bekenntnis, tr. R. Zimmermann e W. Hildebrandt, Ziirich 1 9 3 6, 91 (testo latino in BSRK, 2 1 2). 6 Ma per Calvino i «segni» pane e vino non sono semplici segni indicali, bensì «segni» che offrono ciò che mostrano. Musculus, 55 2 parla di «signa exhibitiva ». 7 Calvino, lnst. 4,17,2 1 . 8 Qui s i deve dire esplicitamente che l a polemica d i Lutero, soprattutto nel suo scritto tar­ do del 1 544, Kurzes Bekenntnis vom heiligen Sakrament (WA 54, 1 4 1 - 1 67), supera qualsiasi limite di sopportazione. Per la causticità della polemica lo scritto non è secon­ do a nessuno degli ultimi scritti antigiudaici del riformatore tedesco. :z.

MT.

26,26-29

1 39

cettuali molto originali d i Zwingli. Con grande coerenza i l riformatore zu­ righese parte dal principio che la morte sacrificale di Gesù è l'unico fon­ damento della salvezza. Riguardo al detto sul pane egli osserva: «Se togli le parole 'che è spezzato o offerto per voi' viene a mancare del tutto il lume della comprensione >> , perché il senso di questa parola è dato dal fatto «che questa celebrazione o questo pane è un (segno) significato o una comme­ morazione del corpo di Cristo, il quale corpo è stato offerto per noi » ! La morte di Cristo sulla croce può essere solo commemorata, non ripetuta. Considerando questa premessa fondamentale si capisce perché per Zwingli il termine agostiniano signum, che indica qualcos'altro da sé/' fu tanto importante. Perciò egli si dedica da esegeta a cercare e a raccogliere dili­ gentemente passi biblici nei quali est equivale a significat.3 La cena del Si­ gnore ha quindi natura più di similitudine che di sacramento. 4 Per Zwingli tutto dipende dalla fede - quantomeno non dipende dal mangiare il «segno >> : 7 e niente più di questo. E un pasto della comunione di fratelli e so­ relle in Cristo; lo consumano a loro giudizio coloro che violano > il proprio corpo né versa il proprio sangue. 5 Anche il detto parallelo sul calice, nel quale a dire il vero non il vino ma il calice « è >> il sangue di Cristo, non favorisce un'identificazione immediata dei due elementi. 6 Altro argomento contro l'identificazione immediata, il terzo, è lo strano neutro -r:ou-r:o. Il suo genere grammaticale non è determinato da ap-r:oç, un maschile/ Poiché in Matteo ricorre frequentemente la formulazione r

Wolzogen, 4 10. 2. Wolzogen, 4 1 4. Cf. ad es. Fritzsche, 768; Paulus, m, 5 76; Wettstein, I, p 8 ; Lightfoot, n, 3 50 (analo­ gamente alle parole d'interpretazione della pasqua ebraica); Ewald 1 5 8; Meyer, 434; Keil, 5 3 6 ecc. 4 Jeremias0, 2 1 5 . Per i precedenti di questa tesi nell'esegesi liberale del XIX secolo si veda Patsch0, 48 s. 5 Argomento che fu già avanzato da Calvino, Inst. 4,17,23. 6 Così già Calvino, v. sopra, p. 137 n. 8. 7 In alcune lingue, ad es. il tedesco e l'inglese, nelle quali «pane» e «questo» sono dello stesso genere, il neutro, questa difficoltà del testo greco non è evidente. Che il genere di -roirto dipenda da aw�Joa e al�Joa era stato riconosciuto già da Gerolamo sulla base di una parte dei testimoni veterolatini. Nel detto sul calice la Vulgata traduce: h i c est enim san­ guis meus. L'interpretazione di Maldonado (sopra, p. 1 3 5 n. 6), che vi trova una legitti­ mazione esegetica della transustanziazione, è a dire il vero un tipico esempio di legitti­ mazione esegetica secondaria di un principio dogmatico consolidato mediante il suppor­ to di un'osservazione esegetica, che è sì interessante ma che in nessun modo potrebbe cor­ roborare questa interpretazione posteriore. 3

MT.

26,26-2 9

esplicativa ou-r� Èa-rtv che concorda sempre correttamente col genere del sostantivo cui di volta in volta si riferisce ( 3 , 3 ; I 3 , 1 9 s.22 s.; cf. 1 5 ,20), almeno nel suo vangelo si riferirà il neutro -rou-ro non al pane ma a tut­ ta l'azione di prendere e spezzare il pane, di riceverlo e mangiarlo.' Se ciò è vero, non si può leggere nel testo alcuna allusione a un'identità, di qualsivoglia natura, tra il pane e il corpo di Gesù, perché il testo nella sua formulazione riferisce al corpo di Gesù l'atto di spezzare il pane, di­ stribuirlo e consumarlo. Depone infine contro un'identificazione esplici­ ta di pane e corpo anche il fatto che presumibilmente i lettori del van­ gelo di Matteo muovevano dal presupposto che pure Gesù stesso avesse mangiato il pane e bevuto dal calice. 2. Dopo le parole di 26, 1 8 i lettori si attendono che Gesù, il quale si mette a tavola con i suoi discepoli (26,20), mangi la pasqua. Ai vv. 21 e 26 si dice esplicitamente che l)p.t (v. 3 4); bp.oi wc;, p.cx-81J'tCXt (v. 35 ). Il discorso diretto è matteano (v. 3 1; cf. vol. 1, introduzione, 4. 1 ). 4 V. 3 1 (redazionale); v. 34· 1t s Vv. 3 1 .3 J a . J 3 b (redazionale). Sono redazionali entrambe le volte tv tp.oi ed tv aoL 6 Soprattutto la superflua seconda indicazione temporale crfw.e:pov e l'hapax marciano &xm:p1aahlç al v. 3 5. Per � òic; cf. sotto, p. 1 5 7 n. 6. 7 Cf. il prospetto delle versioni del testo di Zacc. 1 3,7 LXX in Stendahl, School, So. Le versioni del testo dei LXX sono due, rappresentate da un lato da A (e modificato da � 3

..•

1 54

LA DEFEZIONE IMMINENTE DEI DISCEPOLI

tamente adattato alla versione A dei LXX a lui nota la citazione tramanda­ ta in Marco. • 30. Il v. 3 0 funge da raccordo tra la cena di pasqua e la scena del cena­ colo al Monte degli Ulivi. 2 Non è chiaro se con U(J-v�mxne:c; si voglia indi­ care la seconda parte del hallel (Sal. I I S - I I 8 ) 3 oppure un diverso, nuo­ vo inno di ringraziamento. 4 La prima possibilità corrisponde alla lettu­ ra «storica >> del nostro episodio e quindi alla conclusione dell'ultima ce­ lebrazione della pasqua ebraica di Gesù, la seconda alla possibilità per i suoi lettori di comprenderlo come eziologia cultuale della cena del Si­ gnore cristiana. A quale delle due possibilità Matteo pensi, non si può più dire. Gesù e i suoi si alzano, escono e s'incamminano verso il Mon­ te degli Ulivi.5

Q), dall'altro soprattutto da B. Il testo masoretico è più vicino alla prima versione, ma più breve. Il testo di LXX B è affatto diverso da Marco/Matteo. 1 Così Stendahl, School, 8 1 . Naturalmente è anche possibile che LXX A sia una versio­ ne cristiana del testo influenzata da Matteo. Lo sostengono ad es. Rothfuchs, Erfullungs­ zitate, 84 e Senior, Passionh, 93 s. Dal momento tuttavia che tutte le versioni del testo dell'A.T. (anche LXX A) hanno il verbo iniziale all'imperativo (LXX A: 7ta'ttx�ov), e poi­ ché inoltre LXX A e T.M. sono relativamente vicini e 7tOt(J-VlJ è in Matteo hapax legame­ non, la tesi non è verisimile. Che Matteo abbia aggiunto egli stesso qualcosa a un testo biblico sarebbe inoltre del tutto insolito, mentre non lo è affatto un suo adeguamento del­ la citazione biblica ripresa da Marco al testo dei LXX a lui noto. - Meesa (bibl. a 26,20), 423 considera l'ipotesi di un testimonium di Zacc. 1 3 ,7 utilizzato anche in Barn. 5 , I 2 nel frammento del Fayyum (Schneemelcher, s i , 87) e in lust. Dia/. 5 3 · 5 · Questa è un'ipotesi inutile che soltanto postula un'incognita supplementare. 2 La questione se il v. 30 appartenga alla pericope precedente o alla seguente è da lascia­ re in sospeso. E. Bammel, P64'67! and the Last Supper: JThS 24 ( 1 973 ) 1 89 fa notare che 'l)64 presenta una suddivisione in pericopi e attribuisce il v. 30 alla pericope precedente. 3 Bill., IV, 76. Nella letteratura rabbinica si usa spesso il prestito htmnon per indicare il hallel. Che con Ujl.v�atxv'tE> , è troppo debole. In che co­ sa consiste la «caduta >> dei discepoli? Gesù lo dice citando Zacc. 1 3 ,7,3 dove Dio afferma che «colpirà » il pastore. Il 1tcx't'aaaw septuagintistico rende solitamente l'ebraico hikka (nkh hif. ) che non significa semplice­ mente « menar botte >>, ma infliggere un colpo anche mortale. Dio stesso è colui che agisce nei confronti del pastore: i lettori della storia della pas­ sione hanno sempre saputo che sullo sfondo dell'evento della passione c'è Dio - ora Gesù e Dio lo dicono esplicitamente con le parole della Scrittura.4 Per i lettori, che ricordano 9,3 6, il «pastore >> è ovviamente Gesù e (( le pecore del gregge >> sono i discepoli. E non solo loro, ma tut­ to il popolo il cui pastore è Gesù (cf. 10,5 s.). 32. Al v. 32 Gesù continua a parlare, questa volta con parole proprie, ma perfettamente in parallelo con il v. 3 1c.d: ancora una volta parla an­ zitutto di un atto di Dio che lo riguarda (v. 3 2a; cf. v. 3 1c) e poi dei disce­ poli (v. 3 2b; cf. v. 3 1 d). Il v. 3 2 risulta quindi ben connesso al v. 3 1c.d.5

vi, perché Elç può indicare anche la direzione (Bauer, Wb6, s.v. dç, 1.d). Poiché il Getse­ mani si trova sulla via che conduce al Monte degli Ulivi, ciò è verisimile. 1 Così Lohmeyer, 3 57 (che intitola la pericope «Nella notte>> ); Sand, 5 29. Ma non si può interpretare il nostro testo alla luce di Gv. 1 3 ,30. 2. In Mt. 5,29 s.; 1 3 ,2 r ; r 8,6-9 e 24, 10 il verbo è usato in associazione esplicita o impli­ cita col giudizio universale. Cf. anche vol. m, pp. 36 s. 3 Il senso originario e il contesto della citazione non traspaiono; evidentemente Matteo la conosce soltanto nella sua interpretazione cristiana. Ciò corrisponde a quanto si è detto sopra, pp. 93 s. a 26, r 5· 4 Il Gesù che parla e Dio da lui «parlato» continuano quindi a essere strettamente uniti: il «colpo » di Dio non annulla l'azione propria di Gesù nella passione. Cyr. Al. In Mt. fr. 2.92 (Reuss, 257) così si esprime: auvExci·lkto ( « fu d'accordo» ) o r.a't'�p 't'r!> u!ri> 't'Otno r.ot­ &iv ÉÀOrUVctJ. s L'assenza di agganci nel contesto di Mc. 14,28 Mt. 26,3 2 - che spesso è stata fatta va­ lere come argomento letterario per la sua attribuzione alla redazione di Marco - a mio =

1 56

LA

DEFEZIONE IMMINENTE DEI DI SCEPO LI

In base a criteri meramente linguistici non è possibile stabilire se 7tpoayw, supposto «termine pastorizia», voglia significare che Gesù «camminerà alla testa » dei suoi discepoli fino in Galilea, come il pastore cammina da­ vanti al gregge che lo segue, 1 oppure se 7tpoayw significhi che il Gesù ri­ sorto si recherà in Galilea prima dei discepoli e sarà già lì quando que­ sti vi arriveranno. Considerando il corso degli eventi e in base a 28,10 la seconda lettura sembra la più verisimile, così che il v. 32 esula dal­ l'immagine del pastore e del gregge.� « Galilea » risveglia il ricordo degli inizi dell'opera di Gesù fra il suo popolo (4, 1 2-25 ) e ad alcuni lettori for­ se rammenta anche la citazione di compimento di 4, 1 5 dove si parlava di «Galilea dei gentili » ) In poche parole, ai vv . 3 1 s. Gesù formula una dop­ pia profezia, metà della quale terrorizzerà i discepoli e l'altra dovrebbe infondere in loro fiducia. 4 3 3 · Ma le parole di Gesù non raggiungono lo scopo voluto. I discepo­ li, ossia anzitutto il loro portavoce, Pietro, sentono solo la prima metà e reagiscono soltanto a questa. La seconda metà spetterà più tardi all'an­ gelo ripeterla loro per il tramite delle donne ( 28,7. 10). Anche i lettori vengono presi in contropiede dal fallimento dei discepoli, le figure con le

parere non regge quando si legga il testo in senso sincronico. Sconnessi sono unicamente i vv. 3 2 e 3 3 (= Mc. 14,28 e 29), perché Pietro reagisce soltanto al v. 3 1 (= Mc. 1 4,27). Nel quadro della concezione marciana e matteana della comprensione dei discepoli dò ha senso, ma non significa ancora poter dare per certa la possibile natura redazionale di Mc. 14,28. 1 La tesi che il v. 32 prosegua l'immagine del pastore è antica. Gesù è il pastor bonus (Hier. In Mt. 2 5 2; Beda In Mt. 1 14 et al.). Tommaso, Lectura, nr. 2210 lo spiega così: Oves enim sequntur pastorem: unde pastor congregat vocando eas nominatim; ideo di­ cit «praecedam». Fino al primo illuminismo gli esegeti trasmettono questa interpretazio­ ne (ad es. Grozio, n, 3 1 3 ). Bengel, 1 5 6 è il primo a parlare di linguaggio pastorizio ( 1 56: verbum pastorale). R. Pesch, Mc. n, 3 8 1 lo fa diventare addirittura «termine tecnico del linguaggio pastorizio» - richiamandosi a Cv. 10 dove la parola, ahimè, non compare affatto: quella che in origine era interpretazione teologica si è trasformata in spiegazione filologica. A me non risulta alcun esempio di pastore che usi il verbo 7tpociyw. D'altro canto in Palestina i pastori solitamente seguivano e spingevano il gregge; soltanto i pa­ stori metaforici precedono il gregge (ad es. Mosè cammina alla testa del popolo); cf. Dal­ man, Arbeit VI, 2 5 3 -2 5 5 . � Si ispira alla tradizione (cf. Tommaso d'Aquino citato alla nota precedente) anche l'in­ terpretazione di Mufioz Leon•, 224-230, che richiamandosi al Targum frammentario a Es. 1 2,42 interpreta 7tpoayw nel senso della radunata messianica. Ma perché cercare tan­ to lontano il senso che risulta chiaramente dal contesto immediato? 3 Così già Orig. In Mt. ser. 87 ( GCS 1 1, 201 ) . 4 Particolarmente dopo l a Riforma gli esegeti sottolineano che i l v . 3 2 e tutta l a predizione dei vv. 3 1 s. vorrebbe « infondere coraggio» (Calvino, n, 3 23 ) : la dispersione del gregge non è definitiva. Cf. ad es. Bullinger, 2388 ( «consolario• ): Musculus, 5 6 1 .

1 57 quali essi s'identificano; sono loro che ascoltano la predizione della ri­ surrezione di Gesù e che non devono perdersi di coraggio. Pietro agisce da portavoce dei discepoli, I ma nello stesso istante rompe la solidarietà di gruppo: per tutti Gesù può diventare un inciampo, ma per lui mai! Egli sarà la grande eccezione. 34· Gesù gli replica seccamente con un solenne detto con «amen » . Èv 't'GtU't'TJ -ti] vux-tt forma un contrasto di grande efficacia retorica con il re­ boante oÙÒÉ7tO'tE di Pietro. 1 Lo stesso vale per -tpt�: già in questa stessa notte Pietro rinnegherà Gesù non meno di tre volte. La risposta di Gesù mette quindi Pietro in risalto rispetto agli altri discepoli, ma in senso ne­ gativo: Pietro non solo scapperà abbandonando Gesù, ma lo rinnegherà esplicitamente e lo farà addirittura tre volte. Rispetto alla fuga annun­ ciata dei discepoli (v. p ), questa di Pietro rappresenta una doppia inten­ sificazione.3 CÌ.7tctpvei'a-8Gtt si riferisce o a qualcosa di prestabilito che è in vigore oppure a qualcuno dotato di autorità e significa «contestare, ne­ gare, mentire, dire di no, rifiutare, rinnegare» . 4 I lettori ripensano forse a 10, 3 2 s. e sanno allora quali conseguenze abbia nel giudizio universale dire no a Gesù. Per gli antichi il canto del gallo è un modo corrente di in­ dicare l'ora durante la notte; gli orologi ad acqua,5 l'unica alternativa al gallo, erano molto rari. L'ora in cui il gallo canta corrisponderebbe al lasso di tempo che inizia subito dopo la mezzanotte, quindi un'ora an­ cora molto lontana dalle prime luci dell'alba.6 Gli eventi si succederan­ no quindi rapidamente: la cena pasquale termina poco prima di mezza­ notte, al rinnegamento di Pietro mancano solo tre o quattro ore. I

Cf. l'excursus del vol. n, p. 5 8 1 . Ma ovviamente i l contrasto non v a minimizzato nel senso indicato da Patte, 3 66: il rinnegamento non sarebbe eterno, ma varrebbe soltanto per «questa notte». 3 Il crescendo dal v. 31 al v. 34 è fatto osservare da Lapide, 488; Giansenio, 269. 4 Verbi di significato analogo sono ad es. à7toÒoxtl'-al;w, È�ou-8EvÉw, ma non ljiEUòol'-cxt. L'an­ tonimo è O!'-OÀoyÉw (W. Schenk, àpvÉol'-cxt x-rÀ., in EWNT I , 3 69 s.). 5 Si basano sul principio che un contenitore si riempie lentamente di liquido e l'ora viene indicata dal livello raggiunto, in sostanza lo stesso principio degli orologi a sabbia. 6 Cf. Pollux, Onom. 1 ,70 (canto del gallo come indicazione di tempo). Macrobio, Satur­ nalia 1 , 3 , 1 2 (ed. I. Willis, Leipzig 1970) indica le seguenti suddivisioni notturne dopo la mezzanotte: mediae noctis inclinatio, gallicinium, conticuum (il tempo in cui il gallo ta­ ce), diluculum (primo chiarore mattutino); similmente Censorino, De die natali 24 (ed. N. Sallman, BiTeu, 1983). Diversamente stanno le cose in Plin. Nat. Hist. 10,21 (46): i galli chiamano al lavoro (solo) alla quarta vigilia e poi si mettono a dormire al sorgere del sole. Anche ]oma 1,8 e altre fonti rabbiniche sembrano considerare la mattina pre­ sto il tempo del canto del gallo (Bill., I, 993), anche se talvolta parlano di un secondo e di un terzo canto del gallo (cf. Mc. 14,30). Non è più possibile dire se omettendo il òk marciano Matteo volesse solo semplificare oppure comprimere il tempo. 2.

158

LA DEFEZIONE IMMINENTE DEI DI SCEPO LI

Altrettanto solennemente Pietro replica al suo signore: lui non lo rinnegherà mai ! Per i lettori la decisa affermazione «anche dovessi mo­ rire con te » suonerà certo ironica. In I 6,2I -24, passo nel quale com­ paiono ugualmente le radici axcx"ÒcxÀ- e CÌ.7tcxp"tta.Scxt, Pietro aveva volu­ to distogliere Gesù dal pensiero della sofferenza con un inorridito où (.L� Éa-rcxt aot -rou-ro. Gesù aveva replicato immediatamente definendolo uno axa:"òcxÀo" per lui ed esortando lui e gli altri discepoli ad CÌ.7tcxp"tta.Scxt se stessi. Pietro sembra ora avere imparato la lezione: è pronto a morire con Gesù. Ma le prossime poche ore mostreranno che quelle non erano che belle parole e che lui rinnegherà non se stesso ma Gesù. Non è cer­ to l'unico che lo farà: l'osservazione conclusiva (v. 3 5c) fa capire chia­ ramente che Pietro è considerato effettivamente il portavoce dei disce­ poli. Parole grosse tanto egocentriche come le sue non sono sua prero­ gativa: anche gli altri parlano allo stesso modo. 35·

Riepilogo e storia degli effetti. Sotto l'aspetto letterario la nostra pe­ ricope tiene unite la storia della passione e la storia di pasqua, anticipan­ do 26, 5 6.69-75 ; 28,6 s. Io. I 6-2o. Essa riduce anche la tensione nei let­ tori, i quali vengono a sapere in anticipo che cosa accadrà. La storia del­ la passione non vive, come un romanzo o una novella, della suspense di lettori che non sanno immaginare l'esito del conflitto. Gesù sa come fini­ rà la storia e (con Matteo) lo fa sapere anche a loro. Sotto l'aspetto teo­ logico la prescienza di Gesù è l'elemento decisivo: Gesù si avvia in piena consapevolezza al destino che Dio gli farà incontrare. Gesù non è una vittima ignara che viene sacrificata, bensì una vittima consapevole che accetta spontaneamente la sofferenza e vi si sottomette. Per questo nel­ la storia della passione Gesù è quasi costantemente il protagonista del­ l'azione. Dietro a lui c'è l'azione di Dio col quale egli sa di essere in sin­ tonia. Perciò egli cita la Bibbia e con le Scritture lascia che parli il « vero >> interprete, Dio stesso. Da ciò viene ai lettori il conforto di sapere che su tutto ciò che ora accadrà c'è la mano di Dio e che questi condurrà Gesù e i suoi fino alla risurrezione e fino in Galilea. I discepoli stanno in contrasto stridente con Gesù: nelle loro risposte essi si occupano soltanto della passione, non di ciò che avverrà a pasqua. Non è certo un caso che dopo I 6,2I -24; I 8, I -4; 20,20-28 le predizioni di Gesù mettano in risalto proprio il fallimento dei discepoli nella passione. Nel vangelo di Matteo il tono non è affatto distensivo e conciliante: la loro defezione non è un episodio irrilevante che si possa subito dimenti­ care ,' ma è qualcosa di estremaI

Musculus, s 6 I .

MT.

26, 3 0- 3 5

1 59

mente importante che Gesù mette esplicitamente in evidenza. Come la spiega l 'interpretazione ecclesiastica ? L'interpretazione della chiesa si è occupata soprattutto della reazione di Pietro ritenendola tipica dell'intera comunità. Al riguardo si possono rilevare due chiavi interpretative, l'orientale e l'occidentale, entrambe le quali sono state tramandate in Occidente.

a) Per Giovanni Crisostomo Pietro è un tipo negativo, il cui peccato è tripli­ ce: anzitutto ha contraddetto la parola del suo Signore; in secondo luogo si è messo al di sopra degli altri discepoli; in terzo luogo si è vantato della pro­ pria forza . 1 Origene sottolinea soprattutto il primo peccato: Pietro «si è di­ chiarato disponibile a fare del suo Signore un bugiardo>> ,:�. lui solo fra tutti i discepoli. Per i riformatori il peccato decisivo di Pietro è il terzo: «nella sua fiducia in se stesso egli ha superato i limiti della fede» , sentenzia Calvi­ no.3 Simile è il giudizio di Lutero sui discepoli: «ciascuno confida nella pro­ pria passione >> . 4 Al contrario Musculus considera particolarmente grave il secondo peccato di Pietro, l'altezzosità che dimostra per gli altri discepoli.5 Che cosa avrebbe dovuto fare Pietro ? Già Origene gli dà un consiglio che in seguito venne ripetuto costantemente: avrebbe dovuto pregare «che tu sia in me affinché io non mi scandalizzi! >> .6 Calvino ricorda la via di mezzo tra la paura eccessiva e l'eccessiva fiducia in sé indicata in Fil. 2,1 2: > .l b) La tradizione interpretativa occidentale cerca più che può di difende­ re Pietro così che l'apostolo è da un lato un tipo positivo, dall'altro negati­ vo. All'inizio c'è senz'altro Gerolamo, il quale sottolinea proprio la fede di Pietro: > e non tiene conto della propria fra­ gilitas. 1° Cristiano di Stavelot fa osservare che allora Pietro non aveva anI Ch rys. In Mt. 8 2,3 (PG 58, 74 I ). :�. Orig. In Mt. ser. 88 (GCS I I, 20 I ). 3 Calvino, n, 3 2 5 . Lutero, Evangelien-Auslegung v , 8 3 (predica del venerdì santo, I 5 29). 4 5 Musculus, 562: singulariter desipit ita ut et caeteris omnibus sese praeferat, unde ei Christus singulariter praedicit quod ter sit negaturus» . 6 Orig. In Mt. ser. 8 8 (GCS I I , 202). 7 Calvino, n , 3 2 5 . Hier. In Mt. 2 5 3 . Similmente Beda In Mt. 1 1 4; Glossa Ordinaria, I09 e molti altri. La­ 8 pide, 487 testimonia con una lunga serie di passi dei Padri che Pietro non aveva perso la fede. 9 Hil. Pier. In Mt. 30,2 (SC 258, 224). IO Dionigi il Certosino, 29 1 . « • • •

1 60

GES Ù PREGA AL MONTE DEGLI ULIVI

cora ricevuto lo Spirito Santo, mentre Ruperto di Deutz ne ricorda il corag­ gio e la paura nell'episodio della tempesta placata (Mt. I4,28-3 1 ). 1 Juan de Valdés ne sottolinea invece l'umiltà: ciò che egli e noi dobbiamo imparare è «avere un'opinione umile di noi stessi >> e > .� Perlopiù si pensa che Cristo volesse condurre gli apostoli e la sua chiesa all'umiltà.3

Con la loro interpretazione parenetica della protesta di Pietro gli ese­ geti ecclesiastici hanno colto un intento importante del testo: i lettori, che conoscono la storia della passione, devono prendere le distanze dal­ l'apostolo e al tempo stesso chiedersi come si comporterebbero nella si­ tuazione della passione. Poiché con le sue parole Pietro dice qualcosa di affatto giusto (cf. 1 6,24), il suo errore deve trovarsi su un piano diverso da quello delle parole. Sotto questo riguardo tutte le considerazioni che i Padri della chiesa hanno svolto circa il suo comportamento sbagliato rientrano nell'ambito di ciò che il testo intende suscitare nei lettori. Cer­ to è che il testo non ha senz'altro preso sottogamba e scusato ciò che il discepolo Pietro dice ora e più tardi farà. 3 .2.

GES Ù PREGA AL MONTE DEGLI U LIVI

( 26, 3 6-4 6) R.S. Barbour, Gethsemane in the Tradition of the Passion: NT S 1 6 ( 1 969/70) 23 1 25 1 ; M . Bartmuss, Die Entwicklung der Gethsemane-Darstellung bis zum qoo, Halle s.d. (diss. Halle-Wittenberg 1 93 5 ); M. Dibelius, Gethsemane, in Id., Botschaft und Geschichte r, Tiibingen 1 9 5 3 , 1 5 8-27 1 ; R. Feldmeier, Die Krisis des Gottes­ sohnes (WUNT n, 2 1 ) , 19 87; A. Feuillet, L'agonie de Gethsémani, Paris 1977; M. Galizzi, Gesù nel Getsemani (BSRei[B.]LS 4), 1 972; J. Héring, Zwei exegetische Probleme in der Perikope von Jesus in Gethsemane, in Neotestamentica et Patristi­ ca (Fs O. Cullmann, NT.S 6), 1 962, 64-69; J.W. Holleran, The Synoptic Gethsemane (AnGr 1 9 1 ), 1973; W. Kelber, Mark q,3 2-42: Gethsemane: ZNW 63 ( 1 972) 1 661 87; A. Kenny, The Transfìguration and the Agony in the Garden: CBQ 1 9 ( 1 9 5 7) 444-4 5 2; K.G. Kuhn, xe:tpcxatJ.Oç - ci!J-cxp-.lcx - alip� im Neuen Testament und die damit zusammenhiingenden Vorstellungen: ZThK 49 ( 19 5 2 ) 200-222; Id., Jesus in Gethse­ mane: EvTh 12 ( 1 9 5 2/5 3 ) 260-28 5; T. Le scow, Jesus in Gethsemane: EvTh 26 ( 1966) 1 4 1 - 1 59; A. Orbe, Cristologia Gnostica n (BAC 3 8 5 ), 1976, 1 74-224; D.M. Stan­ ley, Jesus in Gethsemane, New York 1 9 80, 1 5 5 - 1 87; J. Thiiner, Olberg, in LCI m, 3 4 1 -349; E. Wild, Histoire de l'exégèse de la pericope de Gethsemani (Mt 26,3 646; Mc 14,3 2-42; Le 22.39-46). Les trois premiers siècles, diss. datt. Strasbourg (Fac. de la Théol. protestante), 1 9 7 5 . Altra bibliografia ( b ) sulla storia della passione e pasqua i n Mt. 26-28 sopra, pp. 17-19. 1 2.

Cristiano di Stavelot, 1478; Ruperto di Deutz, 1 5 54· Valdés, 460 s.; cf. anche Calvino, n , 3 2 5 . 3 Lapide, 488.

161 3 6 Poi Gesù giunge con loro i n una località chiamata Getsemani e dice ai di­ scepoli: « Sedetevi qui finché 1 sia andato laggiù e abbia pregatO >> . 3 7 E pre­ se (con sé) Pietro e i due figli di Zebedeo e iniziò a intristirsi e ad angosciarsi. 38 Allora disse loro: «La mia anima è triste da morire. Restate qui e veglia­ te con me! >> . 3 9 E andò un po' più i n là e si gettò con la faccia a terra, pregò e disse: . :z. 40 E viene dai discepoli e li trova addor­ mentati e dice a Pietro: « Così non siete riusciti a vegliare con me neppure un'ora ? 4 1 Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione! Lo spiri­ to è certamente ben disposto, ma la carne è debole» . 4 2 E di nuovo si allontanò, per l a seconda volta, pregò e disse: « Padre mio, se non è possibile che passi oltre 3 senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà ! » . 43 E venne e li trovò di nuovo addormentati, poiché i loro occhi erano pesanti. 44 E li lasciò e si allontanò di nuovo e pregò per la terza vol­ ta, ripetendo le medesime parole. 45 Poi viene dai discepoli e dice loro: .

1 . Struttura. La storia della preghiera di Gesù nel giardino del Getsemani dà impressione di grande coesione. I vv. 3 6-3 8 contengono la descrizione della situazione con l'ordine impartito ai tre discepoli di vegliare con lui. Singolare è la struttura a > della narrazione: Gesù lascia gli altri di­ scepoli seduti in un posto prendendo con sé soltanto Pietro e i figli di Zebe­ deo, per lasciare poco dopo anche questi e allontanarsi. Nel prosieguo del­ la storia la distinzione fra i due gruppi non assolve più alcuna funzione. Se­ guono poi tre episodi che sono costruiti e formulati in modo molto simile

(vv. 39-4I.42 s.44-45a):

vv .

3 9-4 1

7tpOEÀ�WV fl.tXpov. . . 7tpoae:uxép.Ev� xal ÀÉywv 7tGt�Ep fi.OU t! Òuva�év €a� tv Xtlt

vv 42 s . 7taÀtv ix òe:�Épou à.m:À�wv 7tpoa1Ju�a-ro ÀÉywv 7tGt'tEp fi.OU e:! où òUva-rat .

vv 44-4 5 a xaL . 7taÀtv à.mÀ�wv 7tp001JU�a�o Èx �pi-rou �òv a�òv Àoyov e:l1twv 7taltv .

1 La tradizione testuale oscilla tra il semplice W>> dell'episodio del Getsemani giunge quindi alla fi­ ne. Gli eventi iniziano a precipitare. Con un detto di Gesù, che ha il pie­ no controllo di tutto ciò che accade, il narratore passa alla scena seguen­ te. Non c'è più traccia alcuna di debolezza e di scoraggiamento. Come all'inizio della pericope (v. 3 6), così anche alla fine Gesù è l'unico padro­ ne della scena. Per la terza volta dopo 26,2.24 egli preannuncia la conse­ gna del figlio dell'uomo. La sua ora è giunta. Grazie alla duplice antepo­ sizione di l8où �yytxev questa conclusione appare molto più organica di quella di Marco; ciò che Gesù ora preannuncia sta per accadere. Il pri­ mo annuncio comprende al tempo stesso il secondo. La consegna del fi­ glio dell'uomo nelle mani dei «peccatori >>, giudei prima e romani poi, rappresenta il contenuto di tutta la storia della passione che segue. Nel­ la pericope immediatamente seguente si tratta dell'arrivo del traditore (vv. 47- 5 6) . I vv. 4 5 s. fungono quindi da ponte all'episodio seguente e sottolineano che il Gesù onnisciente resterà anche adesso il padrone della situazione e degli eventi. Perciò egli impartisce ora un ultimo ordi­ ne ai discepoli: «Alzatevi ! >> . Essi, che finora non hanno fatto che dormi­ re, devono farsi svegliare ed essere pronti per ciò che sta per accadere. «Andiamo>> naturalmente non significa un'ultima esortazione alla fuga,4 bensì andare incontro al nemico. Per il narratore si tratta di presentare la maiestas, la providentia e la potestas di Gesù, che non viene preso alla 1 Àotltov significa di per sé «per il futuro•• o «per il resto del tempo•• . Nella koinè l'av­ verbio diventa però sempre più debole e privo di significato; cf. Mayser, Grammatik 1/3 , I45 s. LSJ, s.v. Àomo�, 5 traduce «dunque» . In neogreco ì..o mov è un avverbio pleonasti­ co che si può tradurre «dunque», «del resto>> . z. Su questo punto l'esegesi greca più antica è divisa. Orig. In Mt. ser. 96 (GCS I I , 2 1 5 ) interpreta come imperativo (inteso seriamente); Chrys. In Mt. 8 3 , I (PG 5 8 , 747) ed Eu­ timio Zigabeno, 68 5 come constatazione e rimprovero. 3 A iniziare da Aug. Cons. Ev. 3,4 ( I I 282 s.). A favore di questa lettura depone il si­ gnificato base di Àomov. Per Zahn, 692 n. 65 i discepoli dovrebbero «utilizzare per ripo­ sare quella mezz'ora o quel quarto d'ora che ancora restava » . Ma nel testo anche questo breve lasso di tempo viene scavalcato da !òoù -)1yytx€V l] wprx. 4 Così Meyer, 442. =

sprovvista dagli eventi che seguiranno, bensì si avvia sovrano incontro a essi. • Storia degli effetti. L'episodio di Gesù al Monte degli Ulivi, come viene perlopiù chiamato nella chiesa antica e nella tradizione cattolica, è as­ surto a testo chiave della fede cristiana. Ma è sintomatico che lo sia di­ ventato soltanto dall'alto medioevo e in età moderna: nella storia dell'in­ terpretazione e dell'arte faceva prima la figura della cenerentola. 1 . Era convinzione fondamentale della chiesa antica e dell'ortodossia cristiana fino in età moderna che Gesù non era «ansioso come noi, ma molto forte», 1 oppure che egli era Dio e avrebbe patito come dio incar­ nato. Qui la storia del Getsemani poteva creare più di un problema: Non era importante soltanto per Celso e per Giuliano Imperatore, ma proba­ bilmente anche per gli ariani fungeva da testimonianza biblica a favore della loro convinzione fondamentale che Gesù fu uomo e non Dio. 3 Gli ortodossi dovevano per parte loro trovar modo di conciliare il testo con la divinità di Cristo e con la dottrina delle due nature. Nelle interpreta­ zioni prevalgono quindi le questioni cristologiche (a) e soltanto in secon­ da battuta si sviluppano anche potenzialità di senso parenetiche (b).

a) La pericope del Monte degli Ulivi si può intendere rettamente solo alla

luce della divinità di Gesù. Ilario chiede: «A quale speranza vuoi aspirare se neghi la divinità di Cristo e gli addossi la paura della sofferenza ? » . 4 Già prima di lui Origene aveva sottolineato che la tristezza di Gesù corrispon­ de alla sua natura umana che è sottoposta alle passioni, ma non alla sua natura divina «che è oltre qualsiasi 7ta'!9oç>> .s Cirillo di Alessandria parla del­ la che rende possibile che colui che è IÌ7ta­ '!97Jç sia triste : > .5 In linea di massima ciò vale anche per il pietismo. Zinzendorf interpreta la sofferenza interiore di Gesù al Getsemani in termini di di Gesù, ma questa lotta di espiazione è avvenuta > .6 Per J.J. Rambach > è altrettanto importante della sua sofferenza fisica. In questa passione inte­ riore egli sopporta - e questo è l'insegnamento principale - > . 5 8 . La macchina da presa del narratore si allontana ora da Gesù e pas­ sa a inquadrare Pietro che segue Gesù « da lontano >> . Questa distanza, che qui del tutto inusualmente è associata al verbo cixoÀou.SÉw, più con­ notato in senso ecclesiologico, prepara i lettori ai vv . 69-7 5 . Anche Pie­ tro arriva alla aÙÀ� del sommo sacerdote ed «entra dentro » . Dopo 26,3 la parola aÙÀ� farà pensare i lettori al « palazzo •• , ma al v. 69 essi con­ stateranno che Pietro siede «fuori >> Èv -rij aùÀij, che solitamente viene re­ so con «cortile >> . Pietro ha forse cambiato posto durante l'interrogatorio di Gesù ? Certo che no: chi ha cambiato posto d'osservazione è il narrato­ re che in un primo momento guarda la scena dal Getsemani e dunque ve­ de Pietro che . Secondo Matteo dov'è che Pietro sedeva davvero? Poiché aÙÀ � può denotare sia il cortile sia gli edifici che circondano la corte, presumo che Matteo non abbia fatto at­ tenzione alla contraddizione nel suo racconto. Al v. 5 8 egli vuoi far av­ vicinare Pietro il più possibile a quanto accade nel sinedrio, forse per procurarsi un testimone oculare. 4 Al v. 69, invece, Pietro deve stare per forza all'esterno dove si trattengono la 1tatòicrx7J e l'altra gente e da do­ ve può facilmente allontanarsi inosservato. ten ins heilige Land, Stuttgart 1 979, 5 7 ) . Sul luogo sorsero più tardi diverse chiese di San Pietro; cf. Kopp, Stiitten, 403 s. 1

Cf. Ios. Beli. 2,344; Brown, Ib, 404.

3 Dall'aoristo

2. Cf. sopra, pp. 75 s. n. 8.

a-uv�x-Sr,cr!Xv non si può arguire un'anteriorità, quindi non si può affermare

che il sinedrio fosse già radunato quando arrivarono Gesù e gli sgherri. Sia nell'antica sia nell'odierna esegesi le cose sono sempre presentate a questo modo (a iniziare da Chrys. In Mt. 84,2 [PG 58, 754]; oggi ad es. Senior, Passioé, 1 5 9 ) a sottolineare la premeditazione dei nemici di Gesù che già erano in attesa del prigioniero per poterlo eliminare in fretta. Matteo e più in generale nel cristianesimo delle origini Pietro è il garante tradizio­ nale della tradizione di Gesù, cf. vol. n, pp. 5 8 2. 5 8 5 . Sorprende che anche gli altri due evangelisti più recenti dispongano di un testimone oculare per il processo davanti al si­ nedrio: in Giovanni è il discepolo prediletto (cf. Gv. 1 8, 1 5 ) , in Luca è Pietro che non perde mai di vista Gesù ( Le. 22,61 ).

4 In

MT.

26,5 9-66

207

Storia degli effetti. L'immagine di Pietro che gli interpreti ecclesiastici de­ lineano a questo punto è varia, anche se in sostanza positiva. Se ancora Ori­ gene sottolineava l'ambivalenza di Pietro, 1 Giovanni Crisostomo ne mette in risalto lo zelo ( -8e:p(J.O'tl]c;): egli non fuggì come gli altri. 2. Per Beda Pietro me­ rita ammirazione perché non ha abbandonato il Signore, nonostante la pau­ ra umanamente comprensibile. Pietro, che segue Cristo da lontano, può fun­ gere quindi da immagine allegorica della chiesa che segue Cristo da lontano condividendone in grande timore le sofferenze. 3 4 . 2 . L'INTERROGATORIO DAVANTI AL SOMMO SACERDOTE ( 2 6, 5 9 -66) P. Be noit, Jesus vor dem Synhedrium, in Id., Exegese und Theologie (KBANT), 1965, 1 3 3 - 148; D.L. Bock, Blasphemy and Exaltation in Judaism and the Fina/ Exami­ nation of jesus (WUNT n 106), 1 998; l. Broer, Der Prozess gegen jesus nach Mat­ thiius, in K. Kertelge (ed. ), Der Prozess gegen jesus (QD 1 1 2), 1 1 9 89, 84- 1 10; D. Catchpole, The Answer ofjesus to Caiaphas (Mt. 26,64} : NTS 1 7 ( 1 970/7 1 ), 2 1 3 226; C . Evans, jesus and bis Contemporaries (AGJU 2 5 ), 1 9 9 5 , 407-434; Geist, Menschensohn, 3 3 3 -3 40; A.M. Goldberg, Sitzend zur Rechten der Kraft: BZ n.s. 8 ( 1 964) 284-29 3 ; M. Hengel, «Setze dich zu meiner Rechten!». Die Inthronisation Christi zur Rechten Gottes und Psalm I I O, r , in M. Philonenko (ed. ), Le throne de Dieu (WUNT 69), 1993, 1 08 - 1 94: P. Lamarche, Le «blasphème» de jésus devant le Sanhédrin: RSR 5 0 ( 1 962) 74-8 5 ; D. Liihrmann, Markus q,JJ-6J. Christologie und Zerstorung des Tempels im Markusevangelium: NTS 27 ( r 9 8oj8 1 ) 4 5 7-474; E.P. Sanders, jewish Law {rom jesus to the Mishna, London-Philadelphia 1990, 57-67; G. Schneider, Gab es eine vorsynoptische Szene «]esus vor dem Synedrium» ?: NT 1 2 ( 1 970) 22-39; G. Theissen, Die Tempelweissagung jesu, in Id., Studien zur Soziologie des Urchristentums (WUNT 1 9 ), 1 979, 1 4 2- 1 59; Tilborg, Leaders, 77-8 3 . Altra bibliografia ( b) sulla storia della passione e pasqua in Mt. 26-28 sopra, pp. 1 7- 19. Bibliografia supplementare ( , suona in modo tale da fare capi­ re che Gesù può distruggere il tempio e ricostruirlo in tre giorni (cf. 26,5 3 ) . 3 . Nella sua seconda domanda rivolta a Gesù, il sommo sacerdote scongiu­ ra (È�opxi�w) Gesù - facendo ricordare I 6, 1 6 - > (v. 63c). 4 4· Nella risposta di Gesù (v. 64) l'affermazione marciana Èyw EL[J.t viene so­ stituita con crù e:hta.ç (come in 26,25); il detto sul figlio dell'uomo che segue r Cf. il v. 62 con Mc. 1 5 ,4: . . . cbtoKp[vn oÙÒÉv . . . aou KCl't(l)yopo�mv); Mt. 27, 1 2 s. è sotto ogni aspetto profondamente diverso. Entrambe le volte segue il silenzio di Gesù. Cf. inol­ tre vv. 63d.64a con Mc. r 5,2 = M t. 27, 1 1 : aÌJ d (o [3aa-tÀeÙç 'twv 'IouòC1[wv); aÌJ ÀÉyet�. Sol­ tanto in Mt. 26,64a (e Le. 22,70: cf. sotto, p. 209 nn. 3 s.), ma non in Mc. 1 4 , 6 2 la rispo­ sta di Gesù alla domanda sul messia viene adeguata a Mc. 1 5 ,2 = Mt. 27, 1 1 (aù ÀÉyetç). 2 Similmente Mt. 1 3 ,44 era più strettamente affine a Mc. 1 0, 2 1 che a Mt. 1 9,2 1 . Cf. vol. 11, pp. 445 s. 3 Cf. sotto, pp. 23 2 s., excursus, paragrafo 2.2.

4 Anche

uiòç -:où ·9eoù (in luogo del marciano

...

-:où eÙÀoy1rtou) richiama r 6 , r 6 .

MT.

26, 5 9 -66

209

viene sottolineato con 1tÀ�v ÀÉyw U(J.LV e introdotto da un'avversativa (come in 1 1 ,22.24; cf. anche 26, 3 9 [redazionale] ) . La predizione contenuta nel det­ to viene messa in risalto rispetto al presente mediante un !i1t' ap't"t redazio­ nale. 1 5 · Nella parte conclusiva (vv. 65 s.) si sottolinea mediante ripetizio­ ne il fatto della « bestemmia >> , 6. Soprattutto dove si parla dei testimoni Mat­ teo abbrevia sensibilmente il testo marciano; omette la doppia osservazio­ ne che le testimonianze dei falsi testimoni erano discordanti (Mc. 14,56b. 59), fatto irrilevante ai fini del corso della sua narrazione. - Nei singoli ca­ si le variazioni linguistiche sono quasi sempre redazionali. 2. La pericope pre­ senta al v. 64a l Le. 22,70 un minor agreement alquanto interessante: 3 in Matteo e Luca Gesù dà la medesima risposta alla domanda del sommo sa­ cerdote, ma variata in base al contesto: crù e:l7t�Xç (Matteo) l U(J.e:ic; ÀÉye:'t"e: (Lu­ ca). A mio parere la spiegazione più verisimile è che entrambi gli evangeli­ sti abbiano adeguato il rispettivo testo all'interrogatorio marciano davanti a Pilato, dove la formulazione corrispondente è saldamente ancorata nella tradizione. 4 59-6oa. Ancora una volta l'evangelista nomina i « sommi sacerdoti>• , il gruppo di maggioranza nel consiglio,5 e « tutto il sinedrio » . Il consiglio supremo, che contava probabilmente già allora 7 1 membri,6 è dunque riunito a detta di Matteo in seduta ufficiale. Sin dall'inizio i nemici di Ge­ sù puntano su una falsa testimonianza contro di lui. Agli occhi dei letto­ ri cristiani essi vengono così sminuiti e la loro colpa invece ingigantita. 7 I

Cf. 2.3,39; 2.6,2.9. Sono redazionali (cf. vol. I, introduzione, 4-2.): Bi, On:W ) sia anche continuativo 1 ( , > ) . Le due sfumature possono anche confluire e solo il contesto permette di stabilirne il senso. In pri­ mo luogo segue un ampliamento della risposta alla domanda posta . Gesù vuole aggiungere qualcosa di essenziale sul proprio futuro. A que­ sto scopo ricorre all'espressione > il verbo xa.SYj(.LIXt fa ricordare forse anche 1 9 , 2 8 e 2 5 , 3 1 : qui il figlio dell'uomo «siede >> da giudice universale sul trono divino del­ la gloria. La seconda parte del detto di risposta riprende Dan. 7, 1 3 LXX. Per i lettori questo testo richiama le parole di 24,29-3 1 che trattano della venuta escatologica del figlio dell'uomo per il giudizio universale. Gesù dice dunque cose che i lettori conoscono già da tempo e che fan­ no parte del patrimonio di «conoscenze bibliche >> del primo cristianesi­ mo. Per questo egli si limita ad allusioni che lasciano molto in sospeso (ad es. quale sia il rapporto preciso in cui stanno «sedere >> e « venire >> ) . 4 Per il sommo sacerdote e gli altri membri del sinedrio queste parole so­ no tuttavia una novità . È la prima volta che Gesù parla pubblicamente della propria venuta come figlio dell'uomo. Ne ha parlato spesso ai diprovazione del giuramento. B. Weiss, 469 (Gesù ha accettato il giuramento); Bill., 1, 1006 (Gesù ha ammesso il giuramento richiesto dall'a utorità come istituzione che ha la sua ragion d'essere ). 1 Come in 26, 3 9 e nei detti di giudizio di 1 1 ,22.24. 2

Come in 1 8,7. Catchpole0, 2 2 3 : 7tÀ�v > la prospettiva sarà diversa per tutto il mondo. Anche se il figlio dell'uo­ mo Gesù sarà visibile ancora per breve tempo con la sua persona mal­ trattata, condannata e crocifissa/ pure «d'ora in poi >> è inequivocabil­ mente chiaro chi egli sia in realtà: il giudice universale innalzato alla de1

Cf. vol.

n,

p. 622, e in generale l'excursus sul figlio dell'uomo, spec. pp. 6 2 1 -623 .

l

Anche nelle Parabole di Enoc s'incontrano verdetti analoghi: i potenti del mondo «ve­ dranno» l'eletto figlio dell'uomo sedere sul trono della gloria (Hen. aeth. 5 5 ,4; 62,3 . 5 ; cf. 69,26-29). 3 Hengela, 1 6 3 . 4

Orig. In M t. ser. I I I (GCS I I , 2 3 2 s . ) ; Eutimio Zigabeno, 6 9 8 e larga parte dell'ese­ gesi greca riferiscono « vedere » al presente. Essi « vedranno» quando il Cristo glorificato verrà come Logos all'uomo conducendolo alla conoscenza. Nell'interpretazione occi­ dentale il v. 64b viene solitamente riferito alla parusia di Cristo giudice universale. 5 7

Cf. vol. 111, pp. 53 5 s.

6 Grundmann, 5 4 6 pensa a questa visione.

Anche in 2 3 , 3 9 lir:' ip'tt aveva va lore programmatico e non soltanto empirico: i gero­ soli mitani che «d'ora in poi non vedranno più » Gesù lo avranno in città ancora per un paio di giorni.

216

L'INTERRO GATORIO DAVANTI A L SOMMO SACERDOTE

stra di Dio. «D'ora in poi » significa: per i giudici di Gesù accecati, che non vedono niente della verità, non resta più altra prospettiva che il fu­ turo del giudizio universale. 1 6s-66a. A quest'acme della scena dell'interrogatorio segue la reazione del sommo sacerdote: egli rileva che Gesù « ha bestemmiato » . Poiché tut­ ti i membri del sinedrio sono testimoni, non c'è bisogno d'altro. Essen­ do testimone auricolare diretto di una bestemmia, in ottemperanza del­ la torà 1 il sommo sacerdote si straccia le vesti.3 La questione principa­ le è ora di capire in che cosa sia consistita di fatto la bestemmia di Gesù. Vi sono due possibilità: o non c'è affatto bestemmia, e con la sua esposi­ zione dei fatti l'evangelista vuole dare l'impressione che il sommo sacer­ dote e il sinedrio l'abbiano fabbricata del tutto scientemente e animati da malevolenza, 4 oppure vigeva allora una normativa molto elastica cir­ ca il reato capitale di bestemmia, che spiegherebbe la loro reazione.5 Penso che la seconda soluzione sia quella giusta.

La bestemmia. Secondo il passo biblico fondamentale di Lev. 24, 1 6, ). Analoga è la situazione del greco: nei passi biblici citati si trovano xaxoÀo-yÉw, (È7t)Ovo(J-ci"çw, xa-.apcio(J-at, 7tapo�uvw, ma non �ÀaacplJ(J-Éw. Questo verbo, che in greco denota qualsiasi tipo di «parola offensiva >> verso uomi­ ni o divinità, nei LXX è usato molto di rado sia per Dio sia per uomini.� Anche nel greco giudaico postbiblico il significato della radice verbale resta imprecisato: può indicare un «discorso cattivo>> rivolto sia contro uomini (Philo Migr. 1 1 5 . I I 7; Con(. 1 54; Leg. Gai. 1 69; los. As. 1 3 , 1 3 ; los. Ap. 1 , 59.223 ) sia contro Dio (ad es. Philo Decal. 6 3 ; Vit. Mos. 2,206; Leg. Gai. 368; Test. Iob 1 6,7; Ios. Ant. 4,202 [con rinvio a Lev. 24]; 6,1 83 ) . Se ha un significato religioso può trattarsi di « parole cattive » in generale, dirette contro la torà (2 Macc. 10.34: Ào-ym à:SÉ(J-t'tot; Ios. Ap. 243 ) e non contro Dio in senso stretto. Per dirla con le parole di R. Brown: « Ci si deve proprio sfor­ zare al massimo per trovare anche un solo esempio di parola con radice bla­ sphem- usata precisamente e specificamente per nominare il nome divino» . 3 La situazione nel N.T. non è dissimile: l a radice �ÀaacpTJ(J-- è usata a d esem­ pio per la parola di conforto di Gesù circa la remissione dei peccati (Mt. 9, 3 ), le parole offensive dei passanti nei riguardi di Gesù in croce (Mt. 27,39), la « bestemmia » contro lo Spirito ( Q 12, 1 o), le parole contro Mosè e Dio attribuite a Stefano (Atti 6,I I ), l'opposizione dei giudei alle cose dette da Paolo e Barnaba (Atti 1 3 ,4 5 ), la « bestemmia >> del nome di Dio ( 1 Tim. 6, 1; Apoc. 1 6,9) e di Artemide Efesina (Atti 19,37), l'opposizione ai cristiani (Rom. 3 , 8 ) e alla parola di Dio ( Tit. 2,5 ) . In conclusione ne risulta che quan­ do il sommo sacerdote parla di �ÀaacplJ(J-ta di Gesù, non è affatto chiaro che cosa egli intenda dire. Soltanto il fatto che si stracci le vesti indica che si tratta di una bestemmia contro Dio. Nel giudaismo del tempo si dava quindi una definizione più generale, ri­ spetto a quella della Mishna, della bestemmia contro Dio punibile con la morte? Se si considera che non esiste alcun termine chiaro per definire il miatore è colpevole soltanto se maledice il nome di Dio mediante il nome di un idolo op­ pure se lo maledice (Sanh. 5 6a) oppure se è stato già fustigato per evitare che bestemmi sen­ za accorgersene (jSanh. 7,25a,4 1 ; entrambi i passi in Bill., 1, 1014-101 6). 1 Goldberga, 287 s. fa osservare che la maggior parte delle testimonianze rabbiniche per g'burii come perifrasi di Dio sono stereotipate e parlano di ascoltare o imparare «dalla bocca della �burii». Ma questo non è affatto il caso delle testimonianze più antiche nella Mekilta a Esodo (Goldberg, 2.88 s.). � si riferisce a Dio soprattutto in 2 Re 19,4.6.22. (Dio deriso da Rabsaqe) e Is. p.,5. 3 Brown b, 5 22.

218

L'INTERROGATORIO DAVANTI AL S OMMO SACERD OTE

reato, la risposta risulta difficile. Num. I 5,30 considera qualsiasi trasgres­ sione deliberata della legge una bestemmia contro Dio. Per 2 Macc. 9,28 la morte tra dolori atroci di Antioco IV è la punizione per i suoi massacri e le sue bestemmie. Giuseppe (Ant. I o,242 s.) interpreta nei medesimi termini la morte di Baltasar. Anche la morte di Nicanore viene considerata il giu­ dizio di Dio su un bestemmiatore del tempio e di Dio (2 Macc. I 5 , spec. 3 6.32; Ios. Ant. I 2,406 ). Per Filone è u n reato capitale già nominare i l no­ me di Dio, figurarsi ingiuriarlo ( Vit. Mos. 2,206). Una testimonianza par­ ticolarmente interessante, purtroppo di difficile datazione, è la discussione sul significato dei troni in Dan. 7,9 tramandata in Sanh. 3 8 b. Per chi sono, se non per Dio? A detta di rabbi Aqiba, David si siede a fianco di Dio. Altri rabbi lo rimproverano energicamente per questa sua idea che considerano una profanazione di Dio. Tuttavia egli non viene messo a morte come > . Il Gesù giovanneo puntualizza: voi ritenete una bestemmia che io mi sia definito figlio di Dio inviato nel mondo dal Padre. Rientra per­ fettamente in questo tipo di discorso Cv. 8 , 5 8 s.: i giudei vogliono lapidare Gesù perché ha parlato della propria preesistenza. Che cosa c'è di blasfemo nella risposta di Gesù secondo il parere del narratore Matteo e dei suoi lettori ? Dall'andamento della narrazione ri­ sulta chiaramente che la bestemmia ha a che fare con il detto di Gesù sul figlio dell'uomo al v. 64 e non, ad esempio, con il detto sul tempio del v. 6 1 . È anche chiaro che per Matteo l'accusa di bestemmia non era sem­ plicemente un'imputazione assurda e irreale, una semplice dimostrazio­ ne di quanto malevolmente e intollerabilmente Gesù sia stato trattato dai suoi avversari giudei. Altri passi neotestamentari mostrano invece come dietro a questa accusa ci fossero esperienze concrete: Luca riferisce di « parole blasfeme contro Mosè e Dio >> che vennero rinfacciate a Stefano (Atti 6, I I ) e della sua visione del figlio dell'uomo innalzato alla destra di Dio avuta poco prima di essere lapidato (Atti 7, 5 6 ) . Nel vangelo di Gio­ vanni l'accusa di bestemmia si rafforza: essa consiste nella deificazione dell'uomo Gesù ( C v. I 0,3 3 ) . Secondo la testimonianza del vangelo di

MT.

26, 59 -66

21 9

Matteo anche i discepoli verranno consegnati ai sinedri e condotti da­ vanti ai governatori «a causa mia » ( 1 0, 1 7 s.; cf. 24 s. 3 2 s. ) . Questi pas­ si mostrano che nell'esposizione del processo di Gesù davanti al sinedrio si rispecchiano esperienze reali dei cristiani: la pretesa di Gesù di sedere sul trono alla destra di Dio e di giudicare il mondo in quanto figlio del­ l'uomo fu sentita dai giudei come ingerenza nelle prerogative divine e come messa in questione dell'unicità di Dio. Professando la loro fede in questa pretesa di Gesù i cristiani dovevano cozzare contro il secco no dei giudei. Per i giudei proprio l'autorivelazione di Gesù era un attentato al­ l'unicità di Dio e quindi una bestemmia. Per i seguaci di Gesù la loro confessione di fede in Dio significava professare la loro fede proprio in questo Gesù che Dio ha innalzato alla propria destra. Per loro l'accusa giudaica di bestemmiare Dio era quindi profondamente ironica. Nell'ex­ cursus che seguirà ci si dovrà porre la domanda se tale conflitto potreb­ be essersi svolto storicamente in questo modo. In ogni caso è tuttavia probabile che dopo pasqua i cristiani devono aver vissuto conflitti di questo genere e che ancora ne erano segnati quando si trattò di racconta­ re il processo di Gesù davanti al sinedrio. 66b. I membri del sinedrio concordano col sommo sacerdote. Per loro Gesù deve pagare con la morte. Évoxo�:; -Bcxvci'tou è espressione del linguag­ gio giudiziario. 1 Ma Matteo non parla ancora di condanna formale. � Il sinedrio pronuncerà formalmente la sentenza capitale soltanto alla fine della seduta, la mattina presto ( 2 7, 1 ) .

Storia degli effetti. Nella storia degli effetti i l senso di questo testo, cen­ trale in Matteo, si mostrò molto complesso. Qui si procederà prenden­ do in considerazione prima il processo in generale, poi due versetti in particolare. Per quanto attiene alla storia passata si può osservare un in­ cremento di ragioni per le quali Gesù venne condannato. Anche il pro­ cesso stesso viene abbellito (a). Ma in molti modi il testo si è dimostra­ to anche utile alla comprensione di esperienze del presente (b). a) Abbellimenti della scena del processo. Qual è la ragione per la quale Gesù venne condannato a morte? Nei libri di devozjone e nelle sacre rap­ presentazioni della passione tardomedievali il numero dei falsi testimoni e analogamente delle accuse si trovò a essere moltiplicato. L'autore anonimo di una visione della passione li vede testimoniare che Gesù «è uno che sconvolge il mondo e un bugiardo, uno che sovverte ciò che è buono e un 1 Bauer, Wb6, s.v., 2b. � In Matteo manca xCt-rÉx p tvetv CtÙ-rov (Mc. I4,62). xCt'tetxptvw verrà aggiunto soltanto in

27. � .

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L'INTERROGATORIO DAVANTI AL SOMMO SACERDOTE

impudico . . . uno che travia il popolo e distrugge la legge nella famiglia » . I Nelle rappresentazioni della passione i falsi testimoni aggiunti indicano ad esempio la questione della tassa (Mt. 2 2, 1 5-22), la violazione del sabato � o i miracoli e le magie compiute da Gesù a danno dei giudei (cf. Mt. 1 1 ,5 s.).3 Gesù sarebbe andato in giro di nascosto ad «accalappiare donne ric­ che >> e > . 72 Ed egli lo negò di nuovo giurando: «Quel­ l'uomo non lo conosco! >> . 73 Ma poco dopo quelli che erano là si avvici­ narono e dissero a Pietro: . 74 Allora egli cominciò a maledir(lo) e a giu­ rare: , nel­ la aÙÀ�. Diversamente da 26,3 . 5 8, i lettori penseranno più verisimilmen­ te al «cortile >> . Qui una delle schiave 7 gli si avvicina e si accorge che an­ ch'egli era stato «con » il Galileo. Come la donna faccia a saperlo, non è detto. In Matteo il termine raÀLÀIJ.LO> è una locuzione centrale in tutto il cap. 26, do­ ve si tratta di continuo dell'essere-con-Gesù dei seguaci. Non c'è da at­ tendersi nulla di buono: ogni volta che fin qui si è parlato dell'essere-con­ Gesù dei discepoli si è immancabilmente dovuto dire del loro fallimen­ to (26,2J . J 8.4 o. p ), mentre Gesù è rimasto fedele «con >> i suoi discepoli (26, 1 8 . 20.3 6; cf. 29 ) .

Così a d es. Brown, I b, 6 1 1 . 2 Così Ennulat, Agreements, 3 7 7 s. questi il doppione lòoooa . . . È!L�ÀÉI}aaa, il particolare di Pietro che si scalda al fuo­ co (Mc. v. 67) e '!OÙ'tov ov ÀÉytn. (Mc. v. 7 1 ). 4 Cf. il prospetto nel vol. 1, introduzione, 4·3 per iLPlO!LIXt (Mc. v. 69), O'tt recitativum (Mc. v. 69), 7tapta't1JKW> , L'an­ sia di Pietro continua a crescere; rinnega Gesù una seconda volta con pa­ role ancora più decise: « Non conosco l'uomo >> , 1 Pietro evita addirittura di pronunciare il nome di Gesù e preferisce invece lo sprezzante > ; non h a mai rinnegato i l figlio di Dio (cf. 1 6, 1 6), anzi Gesù dio: «egli ha certamente rinnegato l'uomo che conosceva come dio » . 1 Più tardi questo ge­ nere di difesa di Pietro verrà tuttavia rifiutato del tutto dall'esegesi.3 L'in­ terpretazione allegorica del cortile del sommo sacerdote consente un'asso­ luzione di Pietro in chiave di «storia della salvezza » : Pietro, scrive Origene, si trova «nel cortile della lettera che uccide. Non confessa Cristo perché sta ancora nelle tradizioni giudaiche e nei comandamenti e nelle dottrine degli uomini >> . 4 Gli interpreti posteriori non si stancano di ripetere che «nel cor­ tile di Caiafa >> non sarebbe possibile alcuna vera penitenza.s Il cortile di Caiafa assurge quindi a simbolo del mondo perverso ( « non possiamo fare vera penitenza vivendo tra i malvagi >> ) 6 oppure - interiorizzato - a simbolo della «mente indurita >> .? �) Si è tuttavia cercato anche di discolpare Pietro scaricando (almeno in parte) la colpa su altri. Negli Actus Vercellenses Pietro ammette di avere rin­ negato Gesù tre volte, ma la colpa non sarebbe stata tutta sua perché «quel­ li che mi stavano attorno erano tutti cani malvagi >> .8 Molti interpreti medie­ vali sanno indicare esplicitamente almeno uno, anzi una di questi cani mal­ vagi: la cagna malvagia è la schiava, è lei che avrebbe indotto Pietro a rinne­ gare Gesù. In tal modo anche il sesso femminile avrebbe contribuito col suo peccato alla morte di Gesù e parteciperebbe quindi anche della redenzione mediante la sua passione.9 L'idea ricorre di continuo nei commenti medie­ vali, dove talvolta la schiava è paragonata a Eva: questa ha indotto al pec­ cato Adamo, quella il principe degli apostoli. I o Ma quale fu mai il peccato della schiava ? Essa era - tipico delle donne ( ! ) - curiosa e pettegola. n b) Il pentimento di Pietro. Molto più importanti di tutte le considera­ zioni riguardanti i rinnega menti sono le riflessioni relative al pentimen1

Orig. Ce/s. 2,39; cf. 45 (BKV I/p ., 1 5 3 ; cf. 1 5 8 s.); Cyr. Al. Comm. in Le. (PG 72, 928) 22,57; Prudenzio, Carmina. Cathemerinon 1 , 5 7-60 (PL 79, 78 1 ); Leone Magno b, 9(6o),4 ( 1 29). 2. Ambr. In Le. 1 0,79-84 (CSEL 3 2, 48 5-487): cit. 8 2 (486). Similmente Hil. Pict. In Mt. 3 2,4 (SC 258, 244); cf. 3 1,5 (SC 258, 232). 3 Hier. Epist. 42,2 (ad Marcellam) (CSEL 54, 3 1 6 s.) fa risalire questo tipo di spiegazio­ ne a Novaziano che in tal modo avrebbe neutralizzato questo testo che favoriva la tesi della riammissione dei lapsi. 4 Orig. In Mt. fr. 5 4 1 (GCS 1 2, 220). 5 Hier. In Mt. 262: in atrio Caiphae sedens non poterat agere paenitentiam. 6 Cristiano di Stavelot, 1 484. 7 Teofìlatto, 457· s Act. Petr. 3 (Schneemelcher, 511, 265). 9 Beda In Mt. 1 19; Glossa Ordinaria, 1 72; Ludolfo di Sassonia b, 60, 1 7 (45). b I o Glossa Ordinaria, 1 72; Pinder , 1 1 8; Arezio, 2 1 7. u Cristiano di Stavelot, 1 4 8 3 : Curiosum anima/ est {emina, et ardens novitate . . . Et ista ve/ il/a alia {emina non potuerunt tacere. . . . a Le.

260

IL RINNEGAMENTO DI PIETRO

to e alle lacrime di Pietro. Per gli interpreti il nostro testo non è affatto di significato negativo, ma positivo.

ex) Chiesa antica e medioevo: la disciplina penitenziale. Nei dibattiti con i no­ vaziani e i donatisti il testo svolge un'importante funzione riguardo alla ri­ ammissione dei lapsi: Pietro ha sì rinnegato, ma senza perdere mai la fede e pentendosi poi sinceramente. I Il testo è «esempio di speranza e peniten­ za » 1 e d'incoraggiamento del Signore ai peccatori «affinché ritornino a lui che trascende tutti i peccati» .3 Gli interpreti della chiesa antica e medievale traggono dal nostro testo conseguenze generali per la prassi penitenziale istituzionalizzata della chiesa: Pietro, il futuro capo supremo della chiesa, è caduto egli stesso affinché diventasse chiaro che nessuno può edificare sulla propria forza. 4 Con questa storia «viene data (al pastore della chiesa) una regola per l'indulgenza affinché conoscendo in se stesso la fragilità al­ trui egli possa essere misericordioso verso altri» . 5 Dio ha quindi fatto in­ ciampare Pietro affinché i prelati, che hanno sperimentato essi stessi il perdo­ no, possano essere compassionevoli con le debolezze dei loro sottoposti. 6 �) Chiesa antica e medioevo: Pietro modello di vero pentimento. Il penti­ mento di Pietro è grande: «Subito, appena il gallo ebbe cantato la seconda volta, egli riconobbe la propria colpa e senza indugio, uscendo da mezzo agli ingiusti, egli pianse amarissimamente, con grande pentimento che gli veniva dal cuore, sulla gravissima ingiustizia del suo rinnegamento» .7 n suo pentimento si manifesta quindi nel pianto. Si parla molto delle lacrime di Pietro perché in esse si mostra l'efficacia del battesimo 8 ed esse sono il vino degli angeli.' Le lacrime di Pietro non sono tuttavia un'opera merito­ ria: «Leggo 'le sue lacrime', ma nulla leggo della satisfactio», scrive Ambro­ gio, Io e in seguito viene spesso citato. Il solo pentimento è talmente grande da escludere qualsiasi punizione. 1 1 Il medioevo conosce un ordo poeniten­ tiae Petri al quale appartengono tre cose: I2. la prima è il canto del gallo che fa tornare Pietro in sé. Nell'interpretazione allegorica medievale il gal­ lo significa spesso la predicazione IJ o il predicatore. 1 4 La seconda è qualDocumentazione in Lampe", 3 62.-3 68. Greg. Magn. In Evang. 2.5,10 (FC :z.8/:z., 468). 3 Ephr. Comm. Diat. 2.0,14 (3 53). 4 Leone Magnob, 9(6o),4 ( 1 2.9). s Bruno di Segni, :z.o8; analogamente Heliand, 1 68. esse talis, qui infìrmitatibus 6 Ludolfo di Sassonia, 6o,2.1 (49): Praelatus Ecclesiae debet subditorum compati sciat. 7 Tommaso da Kempis b , r/:z.,8 (73). 8 Leone Magno b, 9(6o),4 ( 1 2.9). 9 Bernardo di Chiaravalle secondo Lapide, p :z.. IO Ambr. In Le. 10,88 (CSEL 3 2., 489). Il seguito recita: sed quod defendi non potest ab­ lui potest. Lavent lacrimae delictum, quod voce pudor est confìteri. b 1 1 Ludolfo di Sassonia , 60, 19 (48): Contritio potest esse tanta, quod tollat omnem poe­ nam. Cf. anche Id., 60,2.1 secundum (49). I 2. Ludolfo di Sassonia, /oc. cit., secondo Gregorio Magno. •3 Teofilatto, 457· In lui il canto del gallo viene associato all'appello a vigilare. I4 Ad es. Tommaso, Lectura, nr. 2.302.. A dire di Anselmo di Laon, 1 479 il gallo signifi­ ca mystice il dottore della chiesa. I

2.

261 cosa che non s i trova nel testo d i Matteo m a solo i n quello d i Luca: > (Le. 22,6 1 ) . Gesù si gira « in mezzo alle ca­ lunnie dei sommi sacerdoti e alle dichiarazioni dei falsi testimoni, in mezzo agli insulti di coloro che lo picchiano e coprono di sputi » e cerca con l'oc­ chio il discepolo vacillante: .6 Perciò è bene prendere Pietro a mo­ dello: egli «esce, abbandona il raduno dei malevoli e cerca un luogo solita­ rio che sia adatto alle lacrime e alla penitenza >> .? y) Nuove priorità nella Riforma. Se si passa ora a considerare le nuove priorità che la Riforma trova in questo testo, sarà immediatamente chiaro che si tratta soltanto di priorità che approfondiscono la concezione invalsa del pentimento e della penitenza, senza tuttavia cambiarla radicalmente. Per Calvino la caduta di Pietro è da una parte « un chiaro specchio della nostra debolezza, dall'altra . . . nella sua penitenza viene mostrato un gran­ de esempio della bontà e misericordia di Dio >> .8 Ci si trova già qui davanti ai due aspetti più importanti della lettura riformata. Il primo riguarda il peccato di Pietro: dal «pio Petro >> dovremmo «riconoscere la nostra debo­ lezza, che non possiamo edificare nulla di certo né su altri né su noi stessi >> . La caduta di Pietro «è orribile e grave, come egli stesso è il primo a sentire più di ogni altro, e per questo egli non può restare oltre tra la gente ma deve andare a nascondersi e piange amaramente» .9 Il peccato di Pietro non viene quindi né minimizzato né scusato, ma sottolineato. Bullinger attacca coloro . 22 Pilato disse loro: «Che cosa farò adesso con Gesù, il cosiddetto messia ? >> . Tutti dissero: > . 23 Ma

1 Preposizione con infinito sostantivato + accusativo con infinito anche in 1 3 ,4·25. Cf. BDR, § 407,2 e n. 4· 1 Questa traduzione è preferibile all'altra (pur sem pre possibile: •non gli rispose a nien­ te neppure una parola») non solo per la disposizione delle parole, ma anche alla luce del contesto: 7tpÒç oùòè: è:v plj!J4 riprende m\aa. 3 Il nome Gesù» è attestato soltanto in testimoni cesariensi: -8, f', sy' e pochi altri. Già Origene sapeva che «molti manoscritti» non lo contengono. Egli dà loro ragione poiché •il peccatore» Barabba non può chiamarsi come Gesù (Orig. In Mt. ser. 1 2 1 [GCS 1 1 , 156]). Così possono aver pensato in molti e - in ottemperanza all'autorità di Origene­ omesso il nome. Nonostante la base documentaria più che esigua, la maggior parte degli specialisti di critica testuale propende oggi per la lezione 'llJao� qui e al v. 17, ritenen­ dola originaria. Cf. Metzger, Commentary, 67 s. In termini di critica del testo il tentati­ vo di soluzione è certo più che «sospetto» (Myllykoski uh, 1 6), ma non ce n'è qualcuno più plausibile. c

308

IL PROCESSO DAVANTI A PILATO

egli disse: «Che ha fatto mai di male ? >> . Ma essi gridavano ancora di più e dicevano: > ,4 oppure se connoteranno la domanda di Pilato secondo la loro propria concezione cristiana della messianicità di Gesù figlio di David.s La prima ipotesi sembra tuttavia abbastanza pro­ babile poiché i lettori potevano ripensare a Mt. 2 dove si narra come il re Erode fosse stato terrorizzato dalla notizia del neonato re dei giudei. Matteo non racconta come faccia il governatore a sapere che cosa chie­ dere a Gesù. I lettori penseranno immediatamente che i sommi sacer­ doti e gli anziani abbiano informato Pilato, senza però far parola del­ l'accusa di bestemmia, imputazione della quale Pilato sembra non saper niente. I lettori si saranno senz'altro accorti di tale omissione e si sa­ ranno detti che in ogni caso questo capo di accusa avrebbe lasciato Pila­ to tiepido, essendo la faccenda tutto sommato abbastanza irrilevante per i romani. Alcuni di loro avranno pensato la stessa cosa che esegeti antichi e moderni, altrettanto non bendisposti verso i sommi sacerdoti: 6 ossia che con tattica studiata i capi giudei hanno formulato in chiave po­ litica o tradotto in termini politici a uso di Pilato l'accusa mossa a Ge­ sù. In ogni caso con la domanda di Pilato s'introduce ,un tema che ca­ ratterizzerà il resto della storia della passione (cf. vv. 29.3 7.42). La riLégasse, I b, I03: «L'interrogatorio di Pilato inizia ex abrupto». � Cf. Mommsen°, 5 3 8 s.; Brown, I b, 7 I 7 s. Le diverse leges de maiestate erano estrema­ mente diffuse ed elastiche. Circa il contenuto della più recente di quel periodo, la /ex Iulia de maiestate, non si hanno notizie certe. Tac. Ann. :z.,5o; 3,38 mostra che proprio sotto Tiberio essa fu applicata largamente. 3 Cf. Mt. :z.,2; 27,29.37; a differenza di 27,42. 4 Giuseppe racconta che i ribelli Giuda ben Ezechia (Ant. I 7,272), Simone (Ant. I7,274) e Atronge (Ant. I 7,278.:z.8o s.; cf. 28 5 ) rivendicavano il titolo di re, anche se al riguardo si può lasciare in sospeso se essi avessero aspirazioni messianiche. Cf. il giudizio pruden­ te di Brown, I b, 679-693 . 5 Cf. l'excursus sul «figlio d i David" (vol. n , pp. 8 5-88). 6 Così ad es. Chrys. In Mt. 86,I (PG 58, 763) (i sommi sacerdoti travisano le cose pur di far condannare a morte Gesù); Blinzler b, 250 (i capi giudei «hanno trasformato in un batter d'occhio il presunto sacrilegio sul quale si basava il loro giudizio in crimen maie­ statis, reato politico che il tribunale romano non poteva ignorare né lasciare impunito»). 1

MT. 27,11-26

sposta di Gesù suona come quella data in 26,64: ••Tu lo dici» . In con­ siderazione di 26, 2 5 . 64 anche la risposta di Gesù a Pilato è da inten­ dersi in senso affermativo. • Anche qui si può tuttavia cogliere una certa ambivalenza o quantomeno una certa reticenza di Gesù: Gesù non vuole discutere con Pilato. Egli stesso, proprio come i lettori cristiani del vange­ lo di Matteo, non formulerebbe mai con queste parole la sua rivendica­ zione di essere figlio di David e messia di Israele. Nel caso abbiano con­ notato politicamente la domanda di Pilato, basandosi sulla loro cono­ scenza di Gesù i lettori avranno colto nel suo aù ÀÉyet> , ma niente di più. A essere benevoli, Pilato resta ambiguo. 25 . A detta dell'evangelista «tutto quanto il popolo>> risponde al rito biblico e alla professione d'innocenza di Pilato. Nel contesto la formula­ zione è alquanto singolare, perché il narratore, che fin qui ha parlato di ox.Àoç, ora inaspettatamente passa a Àa0ç. Sia alla luce dell'uso dei LXX 1 Cf. anche Sal. 26,6; 73,1 3 (traslato: «lavarsi le mani nell'innocenza » ); 1 1 Q 1 9 63,1-9; Epist. Ar. 306; Sota 9,6. 1 Cf. 2 Sam. 3 ,28 (David si dichiara innocente del sangue di Abner); Sus. 46 8. 3 Cf. sopra, p. 275 n. 3 · 5 Così a ragione Cargal0, 1 0 2 s . 1 07; Kvalbein°, so. 4 Così Gundry, 5 6 1 .

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IL PROCES SO DAVANTI A PILATO

sia anche in Matteo, Àcxoç è chiaramente connotato nel senso di «Israele popolo di Dio», mentre oxÀoç significa piuttosto «popolo» nel senso di «folla » e «massa » . Che cosa significa qui la parola ? La risposta è accesa­ mente controversa. Talvolta si sottolinea che nello sviluppo del racconto Àcxoç non indicherebbe nient'altro che quello che fin qui si è chiamato O'X,Àoc;, ossia la folla radunata davanti al palazzo del pretorio che i capi giudei avevano potuto strumentalizzare ai loro fini. I Altri vedono invece tutto Israele popolo di Dio, che - rappresentato qui dagli abitanti di Ge­ rusalemme allora presenti - si schiera definitivamente dalla parte dei suoi capi ostili a Gesù, e anzi in termini di storia della salvezza raffigurereb­ be il vicolo cieco di Israele popolo di Dio. 2 Nel primo modello interpre­ tativo la lettura è guidata dal mondo della narrazione, dal passato rac­ contato, ma allora resta del tutto oscuro che cosa volesse dire il narrato­ re col suo cambio di terminologia. Nel secondo modello interpretativo la lettura è guidata da una costruzione semantica ovvero dalla trasparen­ za della storia per le esperienze presenti delle comunità matteane, e al­ lora la storia narrata risulta estremamente stravagante e conduce «ai li­ miti dell'immaginabile».3 La questione è estremamente importante per poter giudicare la concezione matteana della storia della salvezza. li se­ condo modello interpretativo qui illustrato ha dominato l'interpreta­ zione della chiesa e più tardi ha anche determinato in modi funesti la condotta dei cristiani e della chiesa nei confronti degli ebrei. È chiaro che nell'ambito della narrazione dei vv . I 7-25 1tlic; o Àcxoc; altro non denota anzitutto che la folla presente per caso di fronte alla reggia di Ero­ de, quindi non tutto l'Israele popolo di Dio ma, come Pinchas Lapide nota sdegnato, «al massimo 3 ooo persone» che avevano trovato posto davanti alla sede del tribunale, «quindi notevolmente meno di un millesimo di tutti i giudei di allora».4 Anche il sapore settuagintistico dell'espressione non esiI Così già Paulus, m, 693 s. ( •plebaglia indecisa e oziosa » , non una nazione) e oggi ad es. Kosmala4, 97 s.; Lovsky4, 3 50; Saldarini, Community, 3 2. s.; Davies-AIIison, m, 592.; Frankemolle, Antijudaismus4, 1 oo, il quale si fa tuttavia più prudente in n, 482. (7t� o ì.aéc; non è una folla urlante, bensì «essa cita [sic!] la sacra Scrittura » ) . Nella chiesa cat­ tolica quest'interpretazione è oggi particolarmente diffusa; cf. il card. Augustin Bea, Die Kirche und das judische Volk, Freiburg 1 966, 66: «La folla . . . costituiva una parte relati­ vamente insignificante del popolo intero» . 2 Strecker, Weg, 1 1 5 s.; Trilling, lsrael, 72.; Frankemolle, jahwebund, 2.1 0 ( « 2.7,2.4 s . è un'eziologia della fine di 'Israele' messa in scena da Matteo»; in Id., n, 484 s. l'autore ri­ tratta questa interpretazione); Meier, Vision, 2.00 ( « la condizione di popolo eletto di Dio . . . verrà passata alla chiesa » ); Beare, 5 3 1 ( « la stirpe eletta nella sua totalità» ); Mo­ ra a, 1 5 1 ( «questo popolo . . . rappresenta tutto Israele » ); Luck, 302. ( «il popolo giudaico nella sua totalità . . . si assume . . . la responsabilità >> ); Hare, 3 1 7 s. (Israele «merita di per­ dere l'investitura di popolo particolare di Dio » ) . 3 Broer4, 3 3 5 · 4 P . Lapide, Wer war schuld an ]esu Tod?, Giitersloh 1 9 87, 88.

MT. 27,1 I-26

ge che la s'intenda semplicemente nella sua connotazione di tutto il popolo eletto: nei LXX è il contesto che di volta in volta indica chi appartenga a 1t� o Àa6.;. ' Tuttavia resta sempre da spiegare il fatto singolare che Matteo cambia da oxÀoc; a 1tcic; o Àaoc;. Considerato che l'evangelista è radicato nella tradizione linguistica giudaica, che distingue chiaramente tra Àa6.; ed É.Svoc;, e che, a mio parere, in una serie di passi ( I,2Ij 2,6; 4,23 ; I 3,I 5; I 5,8) oppure quando lo aggiunge come genitivo attributivo a «sommi sacerdoti >>, «seri­ bi», ecc. (2,4; 2I,23; 26,3 .47; 27, I ), quindi in sostanza in tutti i passi in cui esso ricorre, egli usa Àaoc; chiaramente per indicare Israele, nell'espressione biblica 1t� o Àaoc; i lettori percepiranno la connotazione Israele. Ma appun­ to è una connotazione molto naturale 1 che lascia trasparire un sovrappiù di significato che va al di là di quanto nel nostro passo si racconta. Per i let­ tori supporre un simile sovrappiù di significato risulta del tutto ragionevo­ le quando si consideri che al v. 24 il gentile Pilato e al v. 25 il popolo si com­ portano in modo oltremodo singolare. Matteo non intende quindi dire che tutto quanto il popolo di Dio del tempo, ossia ogni singolo israelita, avrebbe condannato Gesù. Certo è tuttavia che servendosi di questo episodio stravagante dai toni tanto drammatici, l'evangelista vuole far notare che in esso si delinea ciò che dopo pasqua si fece sempre più evidente e che ai suoi giorni era diven­ tato una realtà definitiva: il no di «tutto Israele» a Gesù. Neppure qui, ovviamente, Matteo pensa a ogni singolo giudeo: le sue stesse comunità ne sono infatti la controprova vivente. Ma certamente pensa alla grande maggioranza d'Israele ai suoi giorni. La spiegazione di 1tcic; o Àaoc; come l'Israele popolo di Dio non afferma quindi nulla oltre ciò che l'espres­ sione denota ma esprime qualcosa delle connotazioni che il testo vuole suggerire. Basandosi sulla storia fondamentale di Gesù che determina il loro proprio presente, i lettori dovrebbero capire che cosa è accaduto con Israele quella volta a causa della condanna di Gesù e che cosa è acca­ duto anche con loro stessi a causa di quell'evento.3 Al contrario di Pilato il popolo si assume ora la responsabilità dell'uc­ cisione di Gesù e fa anche questo con parole di stampo biblico: «Il suo sangue su di noi e sui nostri figli! » . Sullo sfondo di questa formulazione c'è in generale l'idea biblica della «sfera d'azione gravida di conseguen1 Non si può quindi intendere riduttivamente, con Frankemolle, jahwebund, 207-210, l'espressione n , un modello per tutti gli ipocriti. a I commentatori non si stancano di rinfacciargli la mancanza di virilità: era in suo potere as1

(Ps.-)Cipriano Anonymus Iud. 4,4 s. (CChr 4, 2.69); similmente già Melit. Pasch. 92.. Hil. Pict. In Mt. 3 3 , 1 (SC 2.58, 2.48). Nell'interpretazione allegorica di Ilario Pilato che si lava le mani simboleggia il battesimo dei gentili. 3 Hier. In Mt. 2.67. 4 Ev. Nicod. 9 (Schneemekher, si, 406). 5 Paradosis Pilati xo (Schneemekher, si, 42.3 ). 6 lnteressante è anche l'immagine positiva di Pilato nel Vangelo di Gamaliele (v. sopra, p. 34). 7 Cf. Staats0, 508-5 10. 8 Leone Magno b , 8( 59),2. ( 1 1 8 s.). 9 Arnbr. In Le. xo, x oo (CSEL 3 2., 493): Lavit quidem manus Pilatus, sed {acta non di­ luit. Simile la sentenza di Aug. Serm. 1 5 2.,3 (PL 39, 2.04 1 ): Ipse enim occidit Christum, qui eum tradidit occidendum. I I Calvino, n , 374· u Bullinger, 2.5JA. 10 Cyr. Al. In Mt. fr. 304 (Reuss, 2.62.). 1

=

IL PROCESSO DAVANTI A PILATO

solvere l'innocente ed era suo dovere di giudice farlo. 1 Anche se gli interpreti occidentali tornano di continuo a sottolineare che la colpa di Pilato è stata minore di quella dei giudei, 1 essa resta ciononostante grande. Pilato sareb­ be morto suicida.3 A dire di Lutero «il corpo e l'anima (di Pilato) sono stati gettati . . . nell'inferno tra le fiamme eterne» , dove ebbe l'opportunità d'ap­ prendere come fosse in realtà «innocente» .4 Secondo la Legenda Aurea, da campione d'ipocrisia Pilato ha cercato di sfuggire al giudizio dell'irato im­ peratore Tiberio presentandosi davanti a lui con l'inconsutile veste di Cri­ sto. Tutto invano. Dopo il suicidio Pilato venne gettato nel Tevere e più tar­ di il suo cadavere sarebbe stato gettato nel Rodano presso Vienne. Il Pilato insepolto avrebbe poi continuato a imperversare anche a Losanna e sarebbe stato infine esiliato da uno studente errante in un lago montano sul Monte Pilato nei pressi di Lucerna. Soltanto il venerdì santo egli tornerebbe ogni volta a riemergere e incatenato dal diavolo eleverebbe il suo «seggio di giu­ dice » . s 2.

Il popolo si maledice

A commento del v.

2 5 l'esegeta ebreo liberale C.G. Montefiore esclama amaramente: «versetto terribile, orribile invenzione . . . Questa è una di quelle frasi che sono state responsabili di oceani di sangue umano e di fiumi infiniti di sofferenza e devastazione» .6 Un'occhiata alla storia del­ l'interpretazione in senso stretto dei due versetti fa presagire ancora po­ co di tutto ciò. I versetti vengono perlopiù trattati molto in breve e qua­ si di sfuggita. Ma anche così si constata chiaramente che fino ai giorni dei lettori Israele continua a essere punito per la sua colpa nella morte di Gesù (a). Soltanto i giudeocristiani che sono giunti alla fede in Gesù sono oggetto dell'amore di Dio (b). Lo «spartiacque» è dunque la fede in Cristo (c).

a) Nel suo brevissimo commento Origene rappresenta convinzioni diffuse. Egli sottolinea come il sangue di Gesù cada «anche su tutte le generazioni di giudei che si sono succedute da quegli eventi in poi, fino alla fine del mon­ do », e nella distruzione di Gerusalemme vede poi, alla luce di Mt. 23,3 5 s. 3 8 , una conseguenza della colpa dei giudei.1 Il versetto si dimostrò estreChrys. In Mt. 86,I (PG 58, 765); Leone Magno b 3 ( 54),6 (94). Leone Magno h, 8 ( 59),3 (I I9); Pascasio Radberto, 9 3 9; Nicola di Lira, ad loc., ecc. 3 Eus. Hist. Ecci. 2,7; Oros. Hist. 7,5,8 (PL 3 I, ro7rA). 4 Lutero h, 790. s lacopo da Voragine. Legenda Aurea, ed. R. Benz, Heidelberg 9 1979, 270 s.; M. Lie­ nert, Schweizer Sagen und Heldengeschichten, Stuttgart-Olten s.d., 77-So. 6 Montefiore, Gospels n, 346. 7 Orig. In Mt. ser. 1 24 (GCS n , 260). Nel medioevo Cristiano di Stavelot, 1488 sa che Vespasiano e Tito avrebbero espugnato Gerusalemme proprio lo stesso giorno della pa­ squa ebraica in cui Gesù era stato ucciso. 1

2.

MT. 27,11-26

mamente importante per Gerolamo che spesso torna a parlarne. I Nel suo commento a Matteo egli si limita a notare brevemente che «questa maledi­ zione resta sui giudei fino ai giorni nostri » . :t Altrove egli è ancora più chia­ ro: «Dio non è il loro Signore, il suo nome non viene invocato su di loro»; Israele non è più il popolo di Dio.3 Alcuni commentatori accennano anche ad altre situazioni, oltre la distruzione di Gerusalemme, nelle quali vedono l'effetto di questa « maledizione>> : « Essi vengono perseguitati da tutti a cau­ sa della loro incredulità >> , spiega Teofilatto.4 La loro dispersione su tutta la faccia della terra, la scarsa stima di cui godono e le ingiurie alle quali sono esposti ovunque sono tutte conseguenze della maledizione di Mt. 27, 2.5. 5 Lutero fa osservare la miseria nella quale i giudei vivono ormai da 1 500 anni; a questa miseria seguirà poi la perdizione eterna perché non vogliono essere liberati dai loro peccati dal figlio di Dio. 6 b) Ma ci sono anche altre voci. Leone Magno sottolinea come sulla cro­ ce Cristo abbia pregato Dio di perdonare ai giudei «perché non sanno quel­ lo che fanno>> (Le. 23,34). Per questa ragione è stato così grande il numero di giudei conquistati a Cristo dagli apostoli/ Anche Giovanni Crisostomo mette in evidenza come Dio non consentì che la sentenza dei giudei si rea­ lizzasse, ma fece sovrabbondare i suoi benefici, come nel caso di Paolo, su coloro che si volsero a lui. 8 Nella storia dell'interpretazione non si perse mai la memoria che non tutto Israele è votato alla perdizione, ma c'è un residuo che Dio ha preservato. A ciò Calvino aggiunge un commento teologicamen­ te rilevante: «Affinché il suo patto non venisse annullato dalla fine di tutto il popolo >> .9 c) A entrambe le posizioni continua a essere comune che Cristo è «pietra d'inciampo>> , ragione tanto dell'efficacia della maledizione di Dio quanto dell'efficacia del suo amore che annulla tale maledizione. Perciò l'attenzione amorevole di Dio per Israele continua a essere legata alla condizione della dedizione d'Israele a Cristo. Poiché i cristiani hanno sempre presupposto che i giudei fossero consapevoli della loro colpa nell'assassinio di Cristo, es­ si hanno per così dire di necessità interpretato la loro fedeltà al giudaismo come approvazione consapevole di questo delitto di sangue. I o Se vedo bene, questo nodo gordiano non è stato mai tagliato prima dell'illuminismo. I I 1

Cf. Kamplinga, 1 25-173· Hier. In Mt. 267 - affermazione ripetuta in pressoché ogni commento medievale. 3 Hier. In Is. 17 (CChr 73A, 73 3 ). 4 Teofilatto, 465. s Martin da Leon in H. Schreckenberg, Die christlichen Adversus-judaeos-Texte (z r.­ IJ. ]hwh.) (EHS.T 3 3 5 ), Frankfurt-Bern ecc. 1988, 2 8 1 . 6 Luterob, 79 1 . 7 Leone Magno b , 1 1 (62),3 ( 1 3 8 s.). 8 Chrys. In Mt. 86,2 (PG 58, 766); la pensano più o meno così anche Eurimio Zigabeno, 715; Dionigi bar Salibi, m, 88. Interessante è la formulazione di Erasmo, Paraphrasis, 140 s.: «Sed Christus clementior in illos, quam essent in sese; neminem repulit a venia, modo resipiceret» . 9 Calvino, n , 375 · 10 Kamplinga, 228 s. 11 L'evoluzione• di Lutero lo mostra chiaramente: da amico dei giudei nel suo primo pe�

33 2

IL PROCESSO DAVANTI A PILATO

Nell'illuminismo la spada che troncò il nodo non fu tuttavia fornita dal­ la cristologia ma dalla ragione. Per H.E.G. Paulus non è certo la plebaglia che può determinare la storia della salvezza: Uno «scoppio . . . delle passioni » in una «folla sconsiderata » è per lui , frutto d'interessi cristiani. Oltre alla sua storicità l'episodio perse anche molta della sua importanza teologica. 1

È da constatare che l'interesse dell'esegesi ecclesiastica per il v. 2 5 è stato tutto sommato molto limitato. A questo quadro sono tuttavia da aggiungere quantomeno alcune altre testimonianze che mostrano come l'effetto del nostro versetto vada molto oltre quanto si può leggere nei commenti. Per la difficoltà della situazione delle fonti si deve di necessi­ tà fare qualche cernita. Esse mostrano che nell'applicazione del nostro testo si superarono limiti chiaramente rispettati nell'esegesi.3 Nella storia si è costantemente ripetuto che i cristiani hanno cercato di con­ tribuire in concreto alla giustizia divina nei confronti dei giudei, nei modi in cui sembrava loro che essa agisse nella storia. Kampling menziona una cro­ naca dell'epoca della prima crociata e una cronaca di Limburg del XIV seco­ lo, due esempi di testi che giustificano massacri e roghi di giudei a compi­ mento della maledizione di Mt. 27,25. 4 Di papa Innocenzo m si documenta che indusse un conte a usare la mano pesante contro i giudei richiamando­ si a Mt. 27,25. 5 Nei suoi scritti antigiudaici dell'ultimo periodo Lutero non si richiama, è vero, a Mt. 27,2 5, ma non riesce a celare del tutto la propria soddisfazione per il compiersi di questa maledizione nella storia dolorosa delle sofferenze inflitte ai giudei.6 Nella sua esegesi di Mt. 27,25, astenen­ dosi da qualsiasi commento a favore o contrario, Cornelio a Lapide cita auriodo, quando sperava che essi si sarebbero ora convertiti al puro evangelo depurato da tutte le falsificazioni romane, nel suo periodo finale egli cambiò il proprio atteggiamen­ to, diventando ostile ai giudei vedendo che non si convertivano. Cristo restò la «pietra di scandalo» che determinò il pensiero di Lutero anche nel suo ultimo periodo. Paulus, m, 694. 7 1 6. 2. Strauss, Leben u, 5 5 1 . I 3 La storia dell'esegesi degli interpreti d i lingua latina della chiesa antica è magistralmente esposta da Kamplinga. Per l'ulteriore storia dell'interpretazione nella chiesa occidentale la dissertazione di Gradya getta almeno un primo sguardo ai commenti. Manca invece una storia dell'interpretazione per il periodo posteriore al x secolo e per le chiese orien· tali. Manca soprattutto un'esposizione della stor\a degli effetti che vada al di là dell'ese­ gesi di questo testo, ad es. la sua influenza su formule di giuramento, prediche, sollecita­ zioni alla discriminazione dei giudei, ecc. È una lacuna che richiede d'essere colmata con 4 Kamplinga, :Z.J :Z.. :Z.:Z.J n. :z.:z.. 5 Kamplinga, :Z.J J . urgenza. 6 «Grida ancora d i più: Che il suo sangue venga s u d i noi e sui nostri figli! Dico che è venuto e ti ha trovato» ( Vom Schem Hamphoras [WA 5 3 ], 5 87).

MT. 27,11-26

333

tori che ritengono sia parte del compimento della maledizione che le donne ebree soffrano spesso di metrorragia e che i loro neonati maschi vengano al­ la luce con la mano destra insanguinata.1 Interrompo questo elenco di applicazioni inescusabili di Mt. 27,25. Non vi è dubbio che a modo loro sono tutte condizionate dalle circostan­ ze storiche e sociali del proprio tempo. Ma il testo biblico, le sue inter­ pretazioni ecclesiastiche e applicazioni analoghe sono accomunate da una sorta di coerenza ideale: il no della maggioranza d'Israele riguardo a Gesù Cristo viene ritenuto ovunque una colpa nei confronti di Dio, la quale comporta il giudizio divino già nella storia. 1 Soltanto in un secon­ do momento, ma già nei testi biblici, questa colpa viene intesa anche in termini morali: Israele fa liberare un criminale e manda al patibolo il proprio messia (Marco e Luca); condanna un innocente (Marco, Matteo, Luca, Giovanni); i suoi capi agiscono mossi dall'invidia (Marco e Mat­ teo). Gli interpreti ecclesiastici sono andati oltre i testi biblici estenden­ do la colpa dei giudei anche ad altri aspetti: con il loro costante no al cri­ stianesimo i giudei si sono addossati coscientemente il delitto di sangue dei loro antenati confermando così la maledizione che grava su di loro. Per molti lunghi secoli i giudei sofferenti e oppressi divennero così per i cristiani la conferma vivente della verità della loro fede in Gesù Cristo. C'è allora molto da meravigliarsi se i cristiani hanno tentato costan­ temente nel tempo di imprimere col proprio attivo intervento un impul­ so supplementare all'efficacia della maledizione divina, giungendo a considerare la loro azione un atto dettato dalla fede? La linea di confine tra Mt. 27,24 s., testo che sta nel canone, le sue interpretazioni ecclesia­ stiche che ne derivano con una certa consequenzialità, e le sue applicazio­ ni antigiudaiche che oggi tutti deplorano, non può essere tracciata facil­ mente. Certo, le convinzioni fondamentali cristiane, i pregiudizi legati alle varie epoche, i fattori economici e politici mescolati tutti insieme hanno provocato una sindrome nefasta che il testo non ricopre in tutto. Ma la convinzione fondamentale biblica ed ecclesiastica che il no d'Israe­ le a Gesù Cristo conduce al giudizio divino su Israele ha funto da coeren­ za ideale che ha reso possibile questo miscuglio.3 1

Lapide, 5 23 . È mia opinione che questa coerenza ideale tra Mt. 27,25 e le sue interpretazioni e ap­ plicazioni antigiudaiche posteriori è maggiore di quanto pensi ad esempio Moraa, la cui interpretazione grossomodo collima con quanto qui si dice. Egli tuttavia distingue fon­ damentalmente Matteo, il quale soltanto nella distruzione del tempio avrebbe visto la pu­ nizione limitata di Dio per il no d'Israele a Gesù, e l'interpretazione ecclesiastica poste­ riore: «Da nessuna parte Matteo annuncia . . . la rovina definitiva del giudaismo in quan­ to tale» ( 1 6 5 ) . 3 È quindi a mio parere semplicistico parlare d i «tragico abuso del v. 25 . . . a sostegno del1

334

IL PROCESSO DAVANTI A PILATO

Senso odierno del testo. Come utilizzare oggi questo difficile testo? Al riguardo vorrei fissare quattro punti. I . Il testo non è da eludere. Piaccia o meno, Mt. 27,24 s. sta nel cano­ ne. Esso determina ancora in larga misura la concezione cristiana di Israele. Non è possibile far sì che la sua storia degli effetti, che esso non perseguiva ma alla cui formazione ha certo contribuito insieme ad altri fattori, non sia mai esistita. Volerlo semplicemente togliere dal canone è espressione di un modo di pensare astorico. I Anche coloro che lo con­ siderano - a ragione - una finzione non storica devono fare i conti con la sua efficacia. 1 Il testo non è da tenere nascosto, ma da elaborare critica­ mente e apertamente! 2. « Umanizzare» il testo approfondendolo criticamente. Analisi di un testo di questo genere condotte con i metodi della critica storica e anche delle scienze umane, ad esempio della psicologia sociale, hanno la prero­ gativa di renderlo comprensibile in termini storici e psicologici. Un'ana­ lisi storica dovrà richiamarsi alla separazione definitiva delle comunità matteane, che si consideravano parte d'Israele, dalla corrente principale del giudaismo, e alle sofferenze e crisi d'identità provocate da questo evento traumatico. Un'analisi sociopsicologica dovrà ad esempio met­ tere in evidenza i meccanismi di un conflitto postdecisionale: non essen­ do più possibile l'appartenenza alla totalità d'Israele della comunità di Gesù, il dolore della separazione viene mitigato dipingendo a tinte fosche l'alternativa ormai irrealizzabile: perciò su quella parte d'Israele che non crede in Gesù incombe una «maledizione » ) Cognizioni del genere ren­ dono il testo umanamente più comprensibile e al tempo stesso lo svuo­ tano di un'autorità canonica intesa in senso formale, ricollocandolo nella sua vera situazione contestuale originaria e impedendone l'applicazione frettolosa e acritica a tempi e situazioni diverse. 3 · Critica del testo in sé alla luce del centro cristologico del Nuovo Tel'antisemitismo» (Hagner, 11, 82.8). Troppo semplicistico è anche parlare di mera • ricezio­ ne» di testi in antitesi alla concezione di una «storia degli effetti» dei testi (Frankeméille, Antijudaismus", 82.). Nella maggior parte dei casi i testi non sono innocenti ma sono tra i fattori che guidano la ricezione. In altre parole: hanno effetto. I Anche dove non viene più usato nella predicazione e la Bibbia non è più letta, esso ri­ suona anno dopo anno, ad esempio nella Passione di Matteo di Bach nei concerti della settimana santa. 2. Una forma di «straniamento» del testo dalla Bibbia è avvenuta nell'esegesi improntata all'illuminismo e al liberalismo con la dimostrazione della non storicità dell'episodio. Gli esegeti che hanno cercato di sterilizzare il nostro testo sono molti, da D.F. Strauss (sopra, p. 3 3 2. n. 2) fino a P. Lapide ( Wer war schuld an]esu Tod?, Gtitersloh 1987, 88-90). Ciò è senz'altro giusto: ma non può far sì che il testo biblico non sia mai esistito. 3 Cf. Luz, Antijudaismus, 3 1 7-323, e vol. 111, pp. 496 s.

MT. 27,11-26

335

stamento. Qualsiasi testo biblico dev'essere interpretato alla luce dell'in­ tero N.T. e quando sia il caso criticato dalla prospettiva del suo centro. Nell'interpretazione ecclesiastica più antica al nostro versetto si è spesso contrapposto Le. 23,34: qui Gesù prega che i suoi nemici vengano perdona­ ti perché non sanno ciò che fanno. 1 Oppure si è cercato di interpretare il «sangue» di Gesù alla luce della testimonianza globale del N.T.: il sangue di Gesù non è come il sangue di Abele che grida vendetta, ma è come il san­ gue purificatore del nuovo patto nel senso di Ebr. 1 2,24. 1 Ma la parola «sangue » non ha mai mancato di risvegliare il ricordo del passo del vange­ lo di Matteo in cui è usato un'ultima volta, ossia Mt. 26,28: il sangue di Cristo sparso per molti per la remissione dei peccati} Sul piano dell'esege­ si mi lasciano peraltro scettico i tentativi di vedere in reminiscenze fortuite di Mt. 26,28 un'indicazione di lettura lasciata intenzionalmente dall'auto­ re: nel v. 25 sono fin troppo chiare le reminiscenze di 23,3 5 s., mentre vi­ ceversa non s'incontrano chiari indizi testuali che spingano i lettori di 27, 25 a pensare a 26,28. Rimandare ai versetti menzionati è tuttavia importante per la teologia sistematiCa. Prendendo le mosse da questi, F. Mussner formula in termi­ ni pregnanti quella che è per lui l'affermazione centrale del Nuovo Testa­ mento: «Il sangue di Gesù (verrà) sui figli d'Israele . . . come sangue del re­ dentore» ... Al riguardo si deve però essere chiari: questa affermazione non corrisponde a quello che è il senso di Mt. 2 7,24 s. considerato in sé. Il principio teologico di Mussner, ricavato da altri testi neotestamenta­ ri, richiede d'essere confrontato col testo stesso di Mt. 27,24 s. secondo criteri intrinseci. La critica interna non consiste mai nel reinterpretare un testo senza darlo a vedere, bensì nell'enuclearne il significato proprio e quindi criticarlo apertamente. s 4· Quarto e soltanto quarto punto è infine chiedersi se siano possibi­ li anche nuove attualizzazioni del testo mediante nuove opportunità di 1

Cf. sopra, p. 3 3 I n. 7· 2. Tommaso, Lectura, nr. 2. 3 4 3 . Nel libretto dell'Oratorio della passione di Johann Ernst Bach ( 1 764) Mt. 2.7,2.5 è se­ guito dall'aria nr. 1 3 . «Ecco, per compassione il suo sangue goccia soave per voi �. A. Marti, Heil oder Gericht. Das Blut Christi in zwei Werken von Heinrich Schutz, in F. Brouwer et al. (edd.), Ars et musica in liturgia (Fs C. Honders), Metuchen, N.J. 1 994, 1 4 5-149 pensa a un'interpretazione analoga anche per la Passione di Matteo di Schiitz. Per V.S. Solov'ev (in Pfisterera, 34) «il suo sangue è il sangue della redenzione� . Non mancano anche esegeti odierni che pensano, quantomeno dubitativamente, a Mt. 2.6,2.8: ad es. Schelklea, 1 5 5; Schweizer, 3 3 3 · Interessante è soprattutto l'ipotesi di un doppio­ senso intenzionale: coloro che nella storia pronunciano la parola «sangue» non l'inten­ dono così, ma i lettori del vangelo di Matteo penseranno anche a 2.6,2.8. Cargala, I09I I I parla di double entendre; Smitha, 42.7 s. di irony. 5 Cf. vol. m, pp. 492-4 9 4 . 4 Mussnera, 3 x o. 3

Figura

35·

identificazione che noò riflettano l'orientamento originario del testo. A mio parere esse meritano d'essere prese in considerazione per la figura di Pilato al v. 24.

Già Bullinger aveva presentato Pilato come tipo dell'autogiustifìcazione ipo­ crita. 1 Un efficace tentativo di questo genere è l'immagine di Pilato del pit1

Cf. sopra, p.

3 29 n. 1 2.

337 tore polacco Piotr Naliwajko del 1990 (fig. 3 5 ) . I Cristo sta seduto, la schie­ na nuda rivolta all'osservatore. Per i capelli lunghi ricorda un giovane d'og­ gi poco conformista. La corona di spine che porta in testa passa quasi inos­ servata. Dietro al tavolo su cui sta un catino pieno d'acqua siede Pilato: ca­ micia bianca e cravatta, viso pienotto, occhi che guardano di lato, braccia semisollevate e mani che quasi accennano un gesto di benedizione: Pilato è l'impiegato pubblico, il funzionario, il borghese, il signor «mi spiace, ma non posso farci niente» , e se ne lava le mani. Per i giudei del v. 25 che maledicono se stessi non ho mai incontrato nella letteratura nuove opportunità di identificazione che non andasse­ ro nel verso del testo ... E probabilmente questo è un bene, perché l'at­ tribuzione della colpa ai giudei espressa in Mt. 2 7,2 5 ha lasciato nella storia tracce di sofferenza troppo profonde. Queste richiedono anzitut­ to d'essere elaborate con grande senso a utocritico e non dovrebbero es­ sere coperte frettolosamente con nuove ipotesi di attualizzazione.

5 .2. I SOLDATI MALTRATIANO E DERIDONO GESÙ (27,27- 3 I ) R. Delbrueck, Antiquarisches zu den Verspottungen ]esu: ZNW 4 1 ( 1 942) 1 24-145 · Altra bibliografia ( h ) sulla storia della passione e pasqua in Mt. 26-28 sopra, pp. 17- 1 9 .

27 Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel pretorio e adunarono l'intera coorte per lui. 28 E lo spogliarono 3 e lo avvolsero in un mantello rosso scarlatto, 29 intrecciarono una corona di spine e (la) misero sul suo capo 4 e una canna nella sua destra. E si inginocchiavano davanti a lui, lo schernivano e dicevano: « Salve, re dei giudei ! » . 30 E gli sputavano addos­ so, prendevano la canna e lo colpivano sulla testa. 3 1 E dopo averlo scher­ nito lo spogliarono del mantello e lo rivestirono con i suoi vestiti e lo porta­ rono via per la crocifissione. I Riproduzione in A. Krauss (ed.), Unter die Menschen gefallen. Polnische Christusbil­ der, Miinchen 199 1, 19. 2. Anche se in tal senso potrebbe risultare di qualche interesse quella della convinzione della Riforma che «io, io e i miei peccati» abbiamo provocato la passione di Gesù (cf. P. Gerhardt, EG 84 [ « O mondo, ecco qui la tua vita » ), strofe 3 ) . 3 La lezione ÉvÒUa-811vt in accordo col testo ebraico di Sal. 22,2 ('zbtni). Nessuna di queste varianti rappresenta il testo originario. 1 lmperfetto de conatu. 3 Le due varianti testuali, �Àtrov ed e:l7t�XV si equivalgono: la lezione preferita da Nestle­ Aland16 (�Àqov) è un po' meglio attestato, ma potrebbe anche essere un adeguamento secondario al v. 47· 4 liq>E> . 8 In Brigida di Svezia Maria, la madre di Dio, dice: «Il suo gri­ do fu provocato dalla commozione più per il mio dolore che per il suo>> . 9 Es­ sere abbandonati da Dio è la condizione dei peccatori che qui Gesù pren­ de su di sé. I o b) Il medioevo: soffrire insieme al crocifisso. Nell'alto e nel basso medio­ evo i patimenti dell'uomo Gesù vengono sempre più prepotentemente in pri­ mo piano. La risposta umana a questa sofferenza è la compassio: assunzio­ ne, esperienza, condivisione, imitazione di ciò che Cristo ha patito per noi. Detto questo è già evidente che la compassio non si pone in antitesi all'in­ terpretazione cristologica e ancor meno a quella soteriologica, bensì le pre­ suppone e se ne serve come base. Dionigi il Certosino scrive che col v. 46 Gesù ha voluto esprimere quali dolori, tremendamente acuti, egli abbia sentito in tutte le sue membra. Egli non fu certo abbandonato dalla grazia e dalla gloria divine, ma ciò malgrado dalla parte superiore della sua aniI

Tommaso, Lectura, nr. 2 3 8 3 ; cf. anche Summa m qu. 50 art. 2. Leone Magno b, 1 6(67),7 ( I 7o) (il grido non è lamentazione, ma ammaestramento); Ephr. Comm. Diat. 20,39 ( 3 64) (appello che sconfigge la morte); cf. Ishodad di Merv, I I 3 (la preghiera accorata di Gesù serve unicamente al nostro ammaestramento). 3 Orig. In Mt. ser. I 3 5 (GCS I I, 28o). 4 Greg. Naz. Orat. Theol. 4,5 (PG 3 6, 108 s.). Ulteriori testimonianze in Maldonado, 630 e in jouassard, 1925•, 6 1 3-6 1 7. 5 Leone Magno b, 17(68 ),2 ( 1 72). 6 jouassard, 1924", 3 1 3·3 22. 7 Pascasio Radberto, 9 5 8 . 8 Glossa Ordinaria, 175. 9 Brigida di Svezia, vis. I V (Die Offenbarungen der heiligen Birgitta von Schweden, scelte da . . . S. Stolpe, Frankfurt 1 9 6 1 , 1 24). ro Bruno di Segni, 305 s. 2.

ma non sarebbe fluito più alcun conforto in quella inferiore. «Ogni giorno o ancor meglio più volte nello stesso giorno dobbiamo quindi ripensare con tutto il cuore quanto l'agnello immacolato abbia sopportato per noi la mi­ seria più grande: lui, dio incarnato, creatore, fratello, nostro giudice e difen­ sore, ripensare e lasciare che il suo amore ci accenda >> . ' Anche noi dobbia­ mo stare ai piedi della croce: « Sta' anche accanto alla croce e piangi il Signo­ re che è morto per te>> . Anche il cordoglio del sole che si vela vuole esorta­ re cuori di pietra alla compassio. 1 Modello di tale atteggiamento è il lutto di Maria, la madre di Dio, che in un numero infinito di quadri di ogni epo­ ca sta sotto la croce e in molte sacre rappresentazioni della passione, conso­ lata sempre dal discepolo diletto, geme e piange.3

c) La sofferenza per la pena del Cristo integrale nella teologia della Ri­ forma. Soltanto con i teologi della Riforma si giunge al rifiuto delle distin­ zioni con le quali la cristologia della chiesa antica ha integrato Mt. 27,46 alla dottrina delle due nature. Lutero afferma che «se . . . credo che ha sof­ ferto per me solo la natura umana, allora il Cristo non è un salvatore buo­ no per me, perché ha bisogno egli stesso di un salvatore» .4 Per il Riforma­ tore è importante che Cristo non debba soffrire solo fisicamente, bensì che debba sopportare anche tutta la profondità della sofferenza spirituale fino all'esperienza dell'abbandono di Dio, perché soltanto a questo punto si può sentire e vedere come nella sua disperazione il peccatore stia davanti a Dio. «Quando considero i miei peccati, sto davanti a Dio peggio di Cristo sulla croce. Sono io, io che con i miei peccati ho meritato che Dio mi fosse nemico . . . Se il peccato diventa palese e la coscienza ne viene toccata, allora anch'egli (il peccatore) canterà: Perché mi hai abbandonato? » . Non si trat­ ta quindi di predicare «quanto male gli (a Cristo) ha fatto, . . . bensì guarda nel cuore di Cristo, perché egli lo ha fatto e perché ha emesso queste due grida: a causa mia » . 5 Dalla grandezza della sua passione si può vedere al tempo stesso la profondità della dannazione dalla quale siamo stati salvati mediante Cristo. 6 La passione di Cristo non dev'essere quindi rivissuta co­ me esperienza personale ma dev'essere ascoltata e accettata come sacramen­ tum predicato.? Analoga è la posizione di Calvino, per il quale Gesù si la­ menta «non per finta o da attore d'essere stato abbandonato dal Padre » , ma davvero è l'uomo di dolore di Is. 5 3 , 3 . 5 perché ha sopportato anche nella sua anima le punizioni che ci aspettavano. 8 Per la sua concezione radicale 1 Dionigi il Certosino, 3 I 2. z. Ludolfo di Sassonia b, 63,26 ( I I I ) (citazione); 63,37 ( I I9)- Analogamente Tommaso da Kempis b , 27 ( I 68). 3 Particolarmente toccante è il planctus di Maria nel Frankfurter Passionsspiel del I493 ai vv. 3 887•4097 Uanota b, 3 8 I-395) o in quello di Alsfeld ai vv. 58o8-6 I07 (Froning, u b, 776-786). 4 Lutero, Vom Abendmahl Christi, Bekenntnis (WA 26), 3 I9, 3 7-39. 5 Lutero, Evangelien-Auslegung v, I8 (prediche della passione del I 5 25 ) . 6 Lutero, Evangelien-Auslegung v , I 9 . 7 Heintzé, 24 5 . 8 Calvino, n , 3 9 5 s . (cit. 3 96). Calvino sottolinea però che i l Cristo, abbandonato del rut-

LA MORTE DI GES Ù

del peccato e della grazia l'interpretazione della Riforma mostra quindi di tendere al teopaschismo, tendenza che trova la sua espressione più chiara nella versione originaria del noto inno della passione di Johann Rist, O Traurigkeit ( « O tristezza » ): O grosse Noti Gott selbst ist tot; am Kreuz ist er gestorben ( « O grande pena ! Dio stesso è morto, in croce è spirato» ). I A tutto ciò l'esegesi cattolica reagì semplicemente inorridita. Per Maldo­ nado l'idea che sulla croce Cristo avrebbe perso la fede è «horrendum etiam auditu» , una vera bestemmia, ancor peggiore di quella dei giudei in Mt. 2.7, 39-44 . .. Ma è da dire che qui l'enfasi dei riformatori viene fraintesa, perché non è questione di abbandono della fede, ma di credere in Dio contro Dio stesso, vale a dire in definitiva dell'inestricabilità di Deus absconditus e

Deus revelatus. Un po' dell'atmosfera prevalente nella teologia riformata si può cogliere anche in un commovente disegno della crocifissione di Rembrandt, l'ulti­ mo noto del maestro, che a dire di H.M. Rotermund sarebbe ispirato a Mt. 2.7,46 (fig. 46). 3 La croce occupa il centro del disegno, Gesù ha lo sguardo rivolto verso l'alto, al Padre, non alle persone che gemono e piangono. Ai piedi della croce e di lato a essa le donne alzano i loro lamenti in gesti dram­ matici o in composto dolore. Anche qui restano tracce della spiritualità del­ la compassio. La parte del disegno che più colpisce è quella a sinistra del di­ segno: sopra il profilo appena accennato della città non c'è niente, il puro nulla, interrotto soltanto da una linea sottilissima, forse un raggio che scen­ de dal cielo, un cenno quasi invisibile che nonostante tutto Dio è qui. d) Dallo scompaginamento della cristologia delle due nature alla nuda morte dell'uomo divino nell'illuminismo. Già nel periodo successivo alla Ri­ forma la cristologia delle due nature si fa problematica. L'unitariano Wol­ zogen si appella ai suoi lettori: «Vi scongiuro, ditemi a che serviva che Cri­ sto implorasse con tanta insistenza l'aiuto di Dio se egli stesso era il som­ mo Dio? Perché mai dice: Dio mio ? » .4 David Friedrich Strauss porta poi la dottrina delle due nature ad absurdum: una preghiera così, se pronuncia­ ta seriamente, non è affatto possibile a meno che > .4 Per Hans Blumenberg il grido di Gesù rivela il fallimento di Dio stesso la cui onnipotenza «nel mondo si frantu­ ma» . Col grido di Gesù «Dio viene abbandonato da se stesso » .5 Lo stesso esprimono le raffigurazioni della crocifissione del xx secolo. Valga come esempio un dipinto di Edvard Munch del 19oo circa (fig. 47).6 Il quadro non si segnala per il crocifisso, ma per gli uomini sotto la croce: al­ cuni ridono, le donne mute nel dolore, un anziano studioso commenta col volto girato, sulla destra del quadro uno non s'accorge di nulla. In basso, al centro del quadro, si vede un vecchio con gli occhi sgranati. Il volto spro­ porzionatamente grande è tutto un interrogativo senza risposta. In un cam­ po diverso eppure simile ci conduce una scultura dell'artista brasiliano Gui­ do Rocha del 1975 (fig. 4 8 ) .7 Il crocifisso è un uomo di colore, consunto fi­ no alle ossa, il più povero dei poveri. Ha raccolto le gambe, i piedi puntati sulla croce come a volerne saltar giù. Nel suo dolore pare ribellarsi un'ultima 1

A. Camus, La chute, edition folio, Paris 1993, 1 20. H. Knef, Das Urteil oder der Gegenmensch, cit. in H. Vinçon, Spuren des Wortes 1, Stuttgart 1 9 8 8, 288. 3 H. Kollwitz (ed.), Ieh sah die Welt mit liebevollen Blicken. Kiithe Kollwitz. Ein Leben in Selbstzeugnissen, Hannover 1968, 3 5 5 · 4 A . Koesder, The Call-Girls. A Tragy-Comedy, London 1 972, prologo, citato in Gut0, 94 s. Nella maggior parte delle edizioni del romanzo il prologo manca. 5 H. Blumenberg, Matthiiuspassion, Frankfurt 1988, 1 5 . 6 Riproduzione in J. Pelikan, The Illustrated Jesus through the Centuries, New Haven 1 9 97 . 104. 7 Riproduzione in Weber b , 4 1 . La scultura si trova a Nairobi (Kenia) nell'Ali Africa Con­ ference of Churches Training Center. l

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volta e pare quasi di poterne senti­ re il grido disumano col quale urla agli uomini tutto il suo dolore, tut­ ta la sua ira, tutta la sua protesta. L'idea della pia rassegnazione, del­ la sofferenza voluta da Dio o persi­ no dell'amore di Dio è lontana uni­ versi. Dove sta Dio? Anche qualche interpretazione teologica del xx secolo si è mostra­ ta attenta a queste tracce dell'ab­ bandono assoluto di Dio. Theodor Gut lotta contro una secolare inter­ pretazione teologica di comodo del nostro grido di preghiera, che in de­ finitiva trasforma l'abbandono di­ Figura 48. vino vissuto da Gesù in vittoria se­ greta di Dio. Per l'orrore della croce non c'è correzione, ma soltanto un'uni­ ca risposta di Dio: la risurrezione. Qualsiasi altro tentativo teologico di sal­ vare tuttavia qualche forma della presenza di Dio alla croce finirebbe sol­ tanto in una «perdita di credito di Dio » ancora maggiore. 1 Per Dorothee Solle la croce mostra «che Dio si fa mettere alla porta dal mondo» facen­ dosi gettare nell'impotenza, nella debolezza, nell'elusività. Gesù, il vicario, è il suo «attore» che osa interpretare il ruolo del Dio assente. Dio ha messo in gioco se stesso nel mondo «torturato, arso, gassato >> . Il Dio impotente è la figura odierna del Dio cristiano? L'insegnamento che oggi ci resta è soltanto «che è ormai ora che si faccia noi qualcosa per Dio ? » .1 Per Gerhard Ebeling l'abbandono di Dio nel nostro tempo è un fatto ca­ pitale. Una chiave interpretativa teologica è quella fornita dalle posizioni teopaschite della cristologia della chiesa antica e dalla concezione luterana del Deus absconditus, contrariamente ai quali la fede in Gesù Cristo Dio ri­ velato infonde consolazione e forza. 3 Anche Jiirgen Moltmann vede nel ver­ setto l'assenza di fede sublimata nella fede: « Comprendere Dio nel crocifis­ so abbandonato da Dio richiede una •rivoluzione dell'idea di Dio': nemo contra Deum nisi Deus ipse>> .4 Se la dottrina della Trinità vuole restare cre­ dibile oggigiorno è necessario che l'umanità di Dio venga coinvolta nelle pro­ fondità di Dio, ma al contempo deve cambiarle. Hans Urs von Balthasar scorge qui i limiti del dicibile: «Lo stato di abban­ dono tocca l'intero rapporto (di Gesù) col Padre, le nebbie avvolgono anche la cima del monte>> . Tuttavia Dio, colui che è ormai solo l'ineffabile, che può 1

Guta, 79-8 3: 79· D. Solle, Stellvertretung, Stuttgart 1965, 2.02.. 192.. 2.04. 3 G. Ebeling, Dogmatik der christlichen Glaubens n, Tiibingen 1979, 1 9 1 ., j. Moltmann, Der gekreuzigte Gott, Miinchen 1972., 1 4 5 · 1

s.

2.02.-2.05 .

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ormai essere vissuto soltanto in uno sprofondamento mistico come l'assen­ te, resta il «mio» Dio. 1 46. Dalla certezza pasquale alla perdita di Dio: l'esegesi odierna ha an­ cora scarsa consapevolezza di queste tendenze di fondo che hanno ca­ ratterizzato la ricezione del nostro testo nei due millenni trascorsi. Nor­ malmente essa non interroga il testo né sul piano teologico né su quello cristologico, ma seguendo la tradizione moderna prende le mosse dal li­ vello storico-psicologico della coscienza di Dio che Gesù aveva. E allora l'alternativa è questa: Mt. 27,46 esprime la fiducia di Gesù in Dio o va letto come espressione della sua disperazione? Nel primo caso a monte c'è spesso il postulato esegetico di origine illuministica che la citazione di Sal. 22,2 sottintenda anche il resto del salmo, lode finale a Dio inclu­ sa (vv. 23 -3 2).1 Ma a mio parere questa tesi, almeno così come viene im­ postata, non è sostenibile. Certo i narratori della storia della passione avevano presente il salmo intero o quantomeno sue larghe parti. Ma le altre due citazioni ai vv 3 5 e 4 3 delimitano chiaramente l'intertesto bi­ blico: che vi si debbano sentire i vv 23-3 2 del salmo, nulla nel testo lo fa pensare. Inoltre il v. 46 è l'apice di un filo narrativo chiaramente indivi­ duabile: Gesù viene abbandonato anzitutto dai discepoli ( 26, 5 6), poi an­ che da Pietro (26,69-7 5 ), infine se ne sta tutto solo in mezzo ai suoi ne­ mici e ora sembra abbandonato persino da Dio. Questo crescendo nella narrazione non fa pensare ad alcun doppiosenso subliminale che consen­ ta di trasformare la frase dell'abbandono in dichiarazione di fiducia. Il punto di partenza dev'essere dunque proprio Sal. 22,2 e quello che vi si dice. Si è davanti a una lamentazione (nient'affatto 'invertita') 3 di Gesù che nell'abbandono di Dio invoca il suo Dio con le parole del sal­ mo. Ai vv. 4 5 s. tenebre esterne e tenebre interne si corrispondono.4 Il testo non consente di vedere in questa invocazione accorata alcuna di­ mensione soteriologica nell'ottica, ad esempio, di Mt. 1,21; 20,28 o 26, 28. Qui, nel buio più totale, non si vede più alcuna traccia della sovra.

.

x H.U. von Balthasar, Die Wahrheit ist symphonisch, Einsiedeln 1 972, 34 s. (segnalazio­ ne di Martin Bieler). Vanno in direzione analoga le riflessioni di Tilliette0 e di Rossé0 ( 1 1 1 : il contenuto più profondo dell'abbandono è « la sofferenza per la 'perdita di Dio'»). 2 Lo sostiene soprattutto Gesec, 1 7. Sempre per questa ragione Mt. 27,46 è giudicato espressione di fiducia in Dio anche da E. Fromm, Der 22. Psalm und die Leidensgeschich­ te ]esu, in Id., Gesamtausgabe VI, Miinchen 1 989, 223 -226; Pesch, Mc. n, 494 (Gesù ci­ ta soltanto l'incipit del Sal. 22); Léon-Dufour0, 679; Gerhardsson h, 223 (tutto il salmo è presente); Burchard0, 7 s. (per Gesù la tenebra è segno di salvezza!). Fenske0, 99-101 elenca altri sostenitori di interpretazioni di questo genere, facendo insieme notare che nel giudaismo «citazioni del titolo di un salmo» per indicare l'intera composizione sono rare. Kenneally0, 1 3 2 pensa che Gesù volesse manifestare di avere adempiuto messianicamente il Sal. 22. 3 Contro Wiefel, 480. 4 Luck, 308.

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LA MORTE DI GES Ù

nità di Gesù che conosceva l'ora che lo attendeva e il piano divino degli eventi (cf. 26,2. I 8 .4 5 ). Gesù al contrario grida forte e chiaro la sua sof­ ferenza e il suo stato interiore di abbandono, senza alcun segno né di rassegnazione né di dedizione a Dio. Nel nostro testo la sofferenza non è né dominata interiormente né accettata, ma è semplicemente là: dolorosa e oscura, come le tenebre. Ma Gesù non grida semplicemente in tenebre anonime, bensì grida forte, quasi accusando, al suo Dio. Certo Dio non è visibile, le tenebre in­ goiano ogni cosa. Eppure non c'è alcun altro al quale egli poteva rivol­ gersi nel suo abbandono, se non proprio questo Dio. Nella preghiera Ge­ sù usa la seconda persona, «tu», non la terza, «egli» . Egli non parla in parole proprie ma nel tradizionale linguaggio biblico della preghiera. Dei tentativi d'interpretazione di cui è fitta la storia dell'esegesi del no­ stro versetto, quello che forse è più vicino a questa lettura del v. 46 è la figura virtuale riformata del Deus absconditus e del Deus revelatus, del O�O(l06p11 (cf. spec. 1 7,6), ÀÉywv. Éx> ((J.VYJ(J.e:ict) che si «aprono>> (civolyw). Tuttavia la risurrezione descritta in Ez. 3 7 avviene nella diaspora e non a Gerusalemme. Perciò soprattutto Allison e Aus 8 indicano Zacc. 14,4 s. dove non si parla certo di risurrezione dei mor1 Cf. spec. Allison4, 40-46. Il dato linguistico non favorisce chiaramente l'ipotesi reda­ zionale. Sono lessico redazionale matteano (cf. vol. I, introduzione, 4.2) ai vv. 5 1b s.: yij, adw, (1-VlJJ.I-E'i:ov (cf. 27,60), tivolyw, forse acil(l-a (cf. 27,59), Éydpw - ma non 'ltÉ'tpa, ax.l'l;;w (hapax in Matteo), xo�(l-cio(l-a� e &y�o� (come sostantivo). 1 Così Brown, n b, 1 1 39· Per Riebl0, 5 3 - 5 8 solo il v. 5 3 a sarebbe redazione matteana. 3 Brown, n b, 1 1 29 punta sullo stile che corrisponderebbe piuttosto a quello di Matteo che a quello dei vv. p b s. I dati lessicali del v. 5 3 sono però più che ambivalenti. Secon­ do il vol. I, introduzione, 4.2 sono lessico matteano É�fl'X.O(l-a� (participio), (1-VlJIU'i:ov (cf. v. 5 2), forse ElaÉp'X,O(l-aL, àyla 7tOÀLc; (cf. 4,5 ). Non sono matteani (1-E'tcX + accusativo, �YEf!O"Lctv- fa pensare alle appa­ rizioni di dèi ed eroi. 1 La scena non è a mbientata nel nuovo eone ma in questa epoca; non nella Gerusalemme celeste 3 ma in quella terrena. I let­ tori del vangelo di Matteo sanno che anche in passato Gerusalemme ha sempre ucciso e lapidato i profeti e gli inviati di Dio e perciò la città si aspetta la punizione di Dio (23,37-3 9). Per loro Gerusalemme, la città santa,4 è la città della morte di Gesù nella quale «tutto quanto il popolo>> ha invocato che il sangue di Gesù ricada su di esso e sui suoi figli ( 27,25). Questa memoria è nell'aria quando leggono il passo: la comparsa ades­ so a Gerusalemme dei santi morti e la loro apparizione a molti è un se­ gno del giudizio avvenire di Dio,5 che per gli abitanti di Gerusalemme non promette nulla di buono. r Bill., I V , 1 1 68 b.d; 1 1 69,3; 1 1 70 a; 1 1 82 s. b.c; 1 1 85-1 1 92. Kraus b , 420 pensa a un rap­ porto di tipo storico-tradizionale con le similitudini di Enoc etiopico. Cf. spec. 5 1 ,4 s. (risurrezione dei giusti che andranno in giro per la terra). 1 LSJ, s. v. t!'-cpavtiGt, n. 3 Così Zellera, 456-465, il quale basandosi sulla tradizione esegetica della chiesa (che tut­ tavia al riguardo non è affatto unanime) propende per vedere nella risurrezione la risur­ rezione universale e in Gerusalemme la Gerusalemme celeste. 4 L'espressione liytGt miÀI oppure 3 · una glossa postmatteana."' ad I. Non posso intendere i vv . 5 I b- 5 3 come frammento superstite di tra­ dizione pasquale prematteana. A prescindere dal fatto che il corpo dal qua­ le provengono i vv. 5 1 b- 5 3 non era probabilmente una tradizione pasqua­ le, tutti i sostenitori di questa tesi addebitano a Matteo una dose considere­ vole d'inettitudine: presumono che Matteo abbia « anticipato>> volutamente alla crocifissione un'antica tradizione pasquale e che al tempo stesso abbia anche lasciato lì proprio queste quattro fastidiose parole, o contraddicendo integralmente le proprie intenzioni o dimenticandosele. ad 2. Quanto alla lingua, poco fa propendere per una paternità matteana: nel Nuovo Testamento éye:patç è hapax legomenon. Complementi di tempo con !J-E't'a non sono specificamente matteani. La tesi è alquanto inverisimile già di per se stessa. È. certamente convinzione largamente diffusa nel cristia­ nesimo primitivo che la risurrezione di Gesù sia stata la prima e il fondamen­ to della risurrezione futura dei credenti (Rom. 8,29; I Cor. I 5,20-23; Col. 1 , 1 8; Apoc. I , 5 ; cf. Atti 3 , I 5 ; Ebr. 2, 1 o), e in linea di principio non è quin­ di impensabile che Matteo volesse richiamarvisi. Ma in tal caso lo avrebbe ma): > il testo in senso apocalittico per poi accorgersi a posteriori che l'escatologia matteana non consente più d'essere interpretata con cate­ gorie temporali lineari.3 Ciò che qui viene descritto accade interamente nel quadro del vecchio mondo, anche se può forse far balenare agli occhi dei lettori presagi del nuovo mondo avvenire, ma non più di questo. Così fa pensare anche il fatto che ai vv . 5 2 s. non si parli della discesa di Gesù agli inferi e della sua vittoria definitiva su Satana e sulla morte. Oltre alla dimensione teofanica del nostro testo è importante anche la sua dimensione storico-salvifìca. Nella cortina del tempio che si squarcia in due si annuncia la distruzione del tempio già predetta da Gesù (23,3724,2; cf. 26,61; 27,25 ). Anche altri miracoli, soprattutto il terremoto, ricordano ai lettori conoscitori della Bibbia la rivelazione di Dio al giu­ dizio. Le apparizioni a Gerusalemme dei santi risuscitati si possono con1 Per questa ragione non si dovrebbe parlare di identità di morte e risurrezione di Gesù in Matteo (così fa ad es. Riebl0, 75; cf. Aguirre Monasterio0, 200 s.). 2 Seconda benedizione (Bill., I V , 21 1 ). 3 Critica dell'interpretazione «escatologica» moderna; v. sopra, p. 4 14.

LE DONNE ALLA CROCE

siderare, con Test. Lev. 4,1 e alla luce di 2 3 ,34-39, segni funesti di giu­ dizio contro coloro che hanno ucciso non soltanto profeti e giusti ma an­ che Gesù. Alla luce di 2 2,7; 2 3 , 3 7-24,2. 1 5-22; cf. 27, 2 5 qui si penserà alla distruzione di Gerusalemme. Congruente con questa interpretazio­ ne è la contrapposizione fra i passanti e i capi giudei, da una parte, che deridono il figlio di Dio ( 27,39-4 3 ) e dall'altra i soldati gentili che lo con­ fessano ( 27,54). Essa fa capire quali vie percorrerà Dio dopo pasqua e dove sarà il futuro della fede in Gesù.

6. 5 . LE DONNE ALLA CROCE ( 2 7 , 5 5 s.) E. Cheney, The Mother of the Sons of Zebedee (Mt 2 7,56): JSNT nr. 6 8 ( 1 9 9 8 ) 132 1 ; H. Melzer-Keller, ]esus und die Frauen (Herders Biblische Studien 14), Frei­

burg ecc. 1 997, 1 1 7- 1 19; L. Schottroff, Maria Magdalena und die Frauen am Gra­ be ]esu, in Id., Befreiungserfahrungen. Studien zur Sozialgeschichte des Neuen Testa­ ments (TB 22), 1 990, 1 34-1 59; Wainwright, Reading, 1 3 7- 1 4 3 . 28 8-299. Altra bibliografia ( b ) sulla storia della passione e pasqua in Mt. 26-28 sopra, pp. 17-19 Bibliografia supplementare (") sulla storia della crocifissione in Mt. 27,3 2-61 so­ pra, p. 3 54 · 5 5 Ma c'erano là molte donne che guardavano da lontano, le quali aveva­ no seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 5 6 Tra queste c'era Maria di Magdala e Maria, madre di Giacomo e Giuseppe, e la madre 1 dei figli di Zebedeo.

I . Struttura. Il breve testo sulle donne è una pericope indipendente che non appartiene neppure all'acclamazione del v. 54: le donne, com'è scritto, guar­ dano soltanto «da lontano » e diversamente dal centurione e i suoi soldati non reagiscono agli eventi narrati ai vv. 5 I - 5 3 . 2. La loro menzione fa da pon­ te tra questa scena e la storia seguente della deposizione nel sepolcro, dove esse compaiono ancora una volta marginalmente ( 2 7,61 ), ma soprattutto tra quella e gli episodi di pasqua che vedono le donne protagoniste ( 2 8, I - I O). 2. Fonte. La fonte è Mc. 1 5 ,40 s. Matteo e Luca hanno entrambi cambia­ to il testo di Marco in modo tale da associare immediatamente alla menzio­ ne delle donne la descrizione della loro sequela «dalla Galilea in avanti » (Mt. 27, 5 5 ; Le. 23,49), che in Mc. I 5 ,4 1 è aggiunta a mo' d'appendice.3 Ma poiI K• sa che la madre degli Zebedeidi si chiama anch'essa Maria e ritiene che la madre di Giacomo e quella di Giuseppe siano due donne diverse. Numerosi testimoni testuali si adeguano a Marco e leggono «lose» invece di «Giuseppe» . 2. Contro Senior, Passio,/>, 3 3 3 (la filiazione divina d i Gesù viene confermata d a Dio [vv. p- 5 3 ] e dagli uom ini vv . 54- 5 6) ). 3 Sono matteani txe:i, il pronome relativo a&nve:ç e quindi certamente anche la posposi­ zione di Mc. 1 5,41a dopo il v. 5 5 · Matteo aggiunge anche 1tOÀÀai. Non si tratta dunque

MT. 27, 5 5

S.

ché Luca abbrevia drasticamente il testo di Marco e non menziona le donne per nome, resta oscuro fino a che punto si potrebbe parlare di una conver­ genza che va oltre l'espressione comune cbtò ('t'ijç rcxÀtÀcxtoo;). I Per il resto i due versetti sono un bell'esempio di come Matteo migliori sostanzialmente e renda più chiaro il testo marciano, piuttosto confuso, semplicemente cam­ biando di posto le parole. :z. Quanto al contenuto, tra le variazioni spicca la sostituzione della : così essa è degna del maestro del discepolo Giuseppe di Arimatea, poiché sarebbe stato poco adatto al­ l'unicità di Gesù dover condividere la tomba con altri. 4 r La formulazione ricorda I Sam. 14,3 3 LXX. Per la pietra da rotolare (gwll) che chiude la tomba cf. Kleina, 8 s s. :z. Qui la salma era visibile su una panca o in una conca. 3 Al tempo le tombe a loculi, aperti o chiusi da una lastra, delle dimensioni di so x so x :too cm circa, scavati nella roccia, erano molto diffuse. Cf. anche Dalman, Orte, :t86 s.; Kopp, Stiitten, 4S7 s.; L. Rost, Grab, BHH 1, 6os s. 4 Che il sepolcro di Gesù fosse nuovo forniva forse anche un argomento apologetico: es­ sendo Gesù l'unico a esservi stato sepolto, sarebbe stato impossibile scambiarne la sal­ ma. Cf. sotto, p. 437 n. 3 ·

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43 5

Al racconto preme dunque sottolineare che Gesù ebbe una sepoltura onorevole. Egli non fu seppellito anonimamente nel cimitero giudaico dei criminali né inumato nella nuda terra nel cimitero dei poveri, bensì ebbe una sepoltura dignitosa, anzi nobile. L'assenza di molti particolari - ad esempio lavacri, unzione, lamentazione funebre - non ha niente a che fare con la necessità di sbrigarsi perché tutto fosse fatto prima che fosse sabato. In Matteo non c'è alcun segno di fretta, e inoltre opera­ zioni connesse con la sepoltura erano consentite entro determinati limi­ ti di sabato. 1 Invece lo scrittore Matteo si contenta di pochi, essenziali tratti narrativi e, come spesso, rinuncia a particolari. Resta così l'impres­ sione che a Gesù siano state rese onoranze funebri degne di lui. Questa tendenza è comune in diversi modi ai tre vangeli maggiori e soprav­ vive poi nella storia cristiana dell'interpretazione e degli effetti. 2. Nella de­

scrizione più antica della deposizione nella tomba (Mc. 1 5 ,42-46) questa tendenza non è ancora ben visibile. Qui Giuseppe non è ancora un discepo­ lo ma un sinedrita giudeo benestante che seppellisce Gesù non nella propria tomba ma in una qualunque. La descrizione di Mc. 1 5 ,42-46 non è sol­ tanto comprensibile come testo base per la nuova lettura di Mt. 27,5 7-60 e Le. 23,50-54, ma d'altra parte è conciliabile con il nucleo più antico di Gv. 19,3 1 - 3 7 dove si presuppone che Gesù sia stato sepolto da giudei osservan­ ti della legge, i quali non volevano lasciare un crocifisso appeso al legno in giorno di sabato.3 È quindi chiara la situazione di partenza della problematica, oggi nuova­ mente molto controversa, della storicità del racconto della sepoltura di Ge­ sù. In ogni caso Mt. 27,5 7-60 non è certo e Mc. 1 5 ,42-46 non è necessaria­ mente un racconto relativamente neutrale > . 3 Ovviamente la tomba nuova vanifica anzitutto il sospetto che sia po­ tuto risorgere altri anziché Gesù. 4 Ma la tomba nuova è soprattutto adat­ ta a Gesù: essa corrisponde all'unicità di chi è nato dalla Vergine.5 Più tar1

Heil4 (bibl. a 27,62·28,20), 423 s. 2 Eteria, Itinerarium 3 7,8 (FC 20, 276). Orig. In Mt. ser. 143 (GCS 1 1 , 296). Calvino, n, 407: la tomba nuova corrisponde al fatto che Cristo è la primizia di coloro che si sono addormentati. 4 Chrys. In Mt. 88,2 (PG 5 8, 778); Beda In Mt. 1 26; Rabano, 1 146. 5 Ad es. Beda In Mt. 1 26; Ishodad di Merv, 1 1 5 . 3

LA DEPOSIZIONE DI GESÙ

di diventerà importante che Gesù avesse avuto sepoltura signorile: egli non giace in una fossa comune o in una tomba plebea, bensì lui, il povero, riposa in una tomba ricca «e anzi estremamente magnifica » . 1 Sì, l'onore reso a Ge­ sù alla sua sepoltura è «preludio» della sua esaltazione imminente. 2 b) Interpretazioni mistiche. Giuseppe ha ricevuto il corpo di Cristo. Il te­ sto di Matteo recita, non senza intenzione, Àa�wv 'tÒ crw[.La (cf. 26,26). Natu­ ralmente ciò fa ricordare ai commentatori l'eucaristia, il dono che essi stes­ si hanno ricevuto dal Risorto: anche «noi riceviamo il corpo del Signore con la partecipazione >> e « vogliamo ungerlo» , ad esempio praticando le virtù o con la contemplazione.3 Al seguito di Gerolamo s'interpreta sempre il len­ zuolo «puro>> nel quale Giuseppe aveva avvolto la salma di Gesù nel senso della pura mens, il cuore puro col quale riceviamo Gesù. Quando nell'ulti­ ma aria della Passione secondo Matteo Picander e Bach esortano gli uomi­ ni a concedere riposo a Gesù nei loro cuori, essi si collocano in una lunga tradizione esegetica: Purificati, cuore mio! Io stesso voglio seppellire Gesù. Poiché egli dovrà avere in me ora e per sempre il suo dolce riposo. Mondo, va' via! Lascia entrare Gesù! 4 c) Giuseppe di Arimatea. Il personaggio di Giuseppe ha dato da fare alla leggenda e alla teologia. Il Vangelo di Nicodemo racconta che alcuni dei capi giudei, nemici acerrimi di Gesù, arrestarono Giuseppe, lo chiusero in una torre senza finestre e lo condannarono a morte. Tuttavia egli fu libera­ to in maniera miracolosa e rese testimonianza davanti ai capi giudei. 5 Se­ condo un'altra variante della leggenda Giuseppe rimase rinchiuso fino alla conquista romana di Gerusalemme ma venne nutrito con cibo celeste e fu infine liberato da Tito. 6 Egli avrebbe poi fondato una chiesa a Lidda, nelle vicinanze della sua città d'origine, e avrebbe infine annunciato l'evangelo anche in Francia e Inghilterra.? L'aspetto importante è che egli è entrato nella memoria della chiesa come coraggioso seguace di Gesù che nonostan­ te la crocifissione non perse la speranza nel regno di Dio, ma al contrario trovò incitamento nella croce di Cristo a uscire dalla sua condizione di se­ gretezza ( Gv. 19,3 8) e a confessarsi apertamente discepolo di Gesù.8 L'aspetto più interessante della « storia degli effetti » del racconto della se­ poltura è tuttavia qualcosa di completamente diverso. Sulla base di pieGiansenio, 302; Miiller b, 1 8 6 (citazione). 2 Calvino, 1 1 , 404. 3 Eutimio Zigabeno, 74 1 . 4 Bach b, aria 6 5 (75). 5 Ev. Nicod. 1 2, 1 5 (Schneemelcher, 51, 407. 410 s.). 6 jacobus de Voragine, Die Legenda Aurea, tr. R. Benz, Heidelberg � 1979, 348 s. 7 Von Dobschiitz", 1 -4. 8 Lutero b , 822 s. 1

MT. 27, 5 7-61

439

colissimi spunti nei testi biblici 1 e di qualche preludio nella devozione e nell'arte bizantina, .. nel medioevo videro la luce due nuove scene tra la crocifiss ione e la sepoltura di Gesù: la deposiz ione dalla croce e il lamen­ to su Cristo. Queste due scene ass ursero quasi a dignità « biblica » e han­ no caratterizzato molto p rofondamente la devozione occidentale. I grandi testi devozionali dell'alto medioevo descrivono fin nei minimi det­ tagli come Gesù venne calato dalla croce: raccontano come Giuseppe e Ni­ codemo abbiano appoggiato le loro scale alla croce e abbiano fatto scen­ dere Gesù; descrivono come abbiano estratto i chiodi - chiodo per chiodo. Si dilungano poi soprattutto sul lamento e il pianto delle donne presenti, in particolare di Maria, la madre di Dio, la quale tiene in grembo la testa di Gesù quasi a proteggerla, e poi di Maria Maddalena, che tiene delicatamen­ te i piedi di Gesù.3 Il pio Giuseppe riuscì solo a fatica a convincere le donne a separarsi dal corpo senza vita di Gesù e a tornare in città.4 Maria, la ma­ dre di Dio, è la vera figura centrale di questi testi, che consentiva di entrare col proprio cordoglio e il proprio amore per Gesù nella storia della deposi­ zione dalla croce immedesimandosi nel dolore di Maria. Anche molte sacre rappresentazioni della passione conoscono le lamentazioni di Maria, non solo su Gesù.5 Il lamento è anche la scena che nel contesto della sepoltura di Gesù le arti figurative hanno resa più familiare. A mo' d'esempio ricordo l'antica (anteriore al I J OO) espressiva lamentazione del Maestro della Chie­ sa di San Francesco a Perugia (fig. 5 6). 6 Maria, la madre di Dio, che tiene in grembo Gesù e ne accarezza il capo, Maria Maddalena ai suoi piedi e le altre donne occupano la parte centrale del dipinto. Giuseppe e Nicodemo appaiono solo al margine estremo. Un angelo ricorda il futuro di pasqua . Questo tipo di raffigurazione assurse ben presto a immagine devozionale.

Perché nacquero queste nuove scene? Le storie evangeliche della sepol­ tura che nella chiesa venivano interpretate nella prospettiva di pasqua non offrivano alcuno spazio per esprimere il dolore e il lamento per l a 1 Mc. 1 5 ,46; Le. 23 , 5 3 : xa-/)EÀwv (otù'tov); Gv. 19,3 8: �pEv 'tÒ aCÌI!J.ot aÙ'tou. Ev. Petr. 6,21 dice però che i chiodi vennero estratti dai giudei. 1 Rappresentazioni artistiche della deposizione dalla croce s'incontrano già nel IX seco­ lo, anzitutto in ambito bizantino; del pianto su Cristo col xn secolo. Per le origini cf. M. Boskovits - G. Jaszai, Kreuzabnahme, in LCI n, 1 974, 590 s.; Réau, lconographie n, 513 s.; Schiller, Ikonographie n, 1 77-1 80. 1 8 6 s. e tavv. 543-5 5 6 (le raffigurazioni più antiche della deposizione dalla croce); tavv. 592-596 (raffigurazioni bizantine del com­ pianto su Gesù). 3 (Ps.-)Anselmo b , 1 6 (286-290); Anonimo h, 79- 8 1 ; (Ps.-)Bonaventura, 8 1 -84 (6o8-6 I I ); Tommaso da Kempis h, 3 3 s. ( 201-214) (con riflessioni sulle singole membra di Cristo). 4 (Ps.-)Bonaventura, 83 (6I I ). 5 Nella sacra rappresentazione di Alsfeld s'incontrano ad es. dieci lamenti di Maria tra il verso 5 3 20 e il 6838. Cf. Froninga, ad loc. 6 Riproduzione in Schiller, Ikonographie n, ;68 nr. 597·

Figura 56.

morte di Gesù. Le esperienze umane davanti a una tomba, le esperienze del cordoglio per Gesù e per altre persone care defunte, esperienze della dipartita e del dolore non potevano più essere associate alla storia biblica della sepoltura perché in un certo senso questa era già assimilata dalla pasqua. La pietà medievale si creò quindi nuovi testi e altre figure in cui immedesimarsi. Al centro di queste nuove scene non sta tuttavia Giu­ seppe di Arimatea col suo esemplare atto di fede, bensì Maria, la madre di Dio, che dà sfogo ad alta voce al proprio dolore materno e anche ac­ coglie e racchiude nel suo amore per il figlio tutto il cordoglio umano. Il grande effetto di queste nuove scene mostra quindi che la storia bi-

MT. 27, 5 7- 6 1

44 1

blica della passione non lasciava spazio sufficiente al profondo bisogno umano di dolore, separazione e lamento davanti a una tomba e che per­ ciò essa andava ampliata . Questo effetto mostra altresì l'interazione di testi biblici e devozione. Non sono solo i testi biblici che fanno sorgere e orientano la pietà cristiana; c'è anche il fenomeno inverso: la devozio­ ne si crea i propri testi. E chi potrebbe considerare negativi questi testi secondari solo perché non sono biblici ? I Considerando i lamenti com­ moventi, profondamente umani di Maria nei testi devozionali del basso medioevo e delle sacre rappresentazioni della passione, e davanti alle immagini toccanti del pianto su Gesù morto, ciò mi riuscirebbe diffici­ le. In particolare la concezione classica protestante della Scrittura con la sua convinzione della sufficienza della Bibbia e la sua tendenza a mi­ surare qualsiasi forma di espressione della religiosità umana col metro della Bibbia incontra difficoltà davanti a questi nuovi « testi » secondari prodotti dalla devozione e dovrebbe quindi anche interrogarsi sulla pro­ pria concezione della Bibbia. I La critica della Riforma alla devozione della lamentazione su Cristo non si rivolgeva tuttavia contro la sua natura non biblica, ma aveva ragioni teologiche: «Siediti cuore mio alla tomba del tuo Gesù: piangi i tuoi peccati, non la sua morte . . . (Miiller b, 221). »

7

LA RISURREZIONE DI GESÙ E IL DOPPIO FINALE DEL VANGELO DI MATIEO

( 2?,62-28,20) H. Bloem, Die Ostererzi;ihlung des Matthiius, Zeist 1987 (estratto a stampa della diss. presentata a Roma al Pontificio Istituto Biblico 1 98 5 ); Crossan Cross 6 , 249280; C.H. Giblin, Structural and Thematic Correlations in the Matthean Burial-Re­ surrection Narrative (Mt 27,57-28,20): NTS 2 1 ( 1974/75 ) 406-4 20; Gielen, Kon­ flikt, 393 -404; H. Grass, Ostergeschehen und Osterberichte, Gottingen • 1970, 233 2; J.P. Heil, The Narrative Structure of Mt 27,5J-28,2o: JBL 1 10 ( 199 1 ) 4 19-438; P. Hoffmann, Das Zeichen (Ur Israel. Zu einem vernachliissigten Aspekt der mat­ thiiischen Ostergeschichte, in Id_ (ed. ), Zur neutestamentlichen Oberlieferung von der Auferstehung ]esu (WdF 5 22), 1988, 4 1 6-45 2; Id., Mt I2,39 s. und die mat­ thiiische Ostergeschichte, in K_ Kertelge et aL (edd_ ), Christus bezeugen (Fs W. Trilling), Leipzig 1989, 1 10- 1 2 3 ; A. Kirk, Examining Properties: Another Look at the Gospel of Peter's Relationship to the New Testament Gospels: NTS 49 ( 1 994) 572-595; R_ Kratz, Auferweckung als Befreiung_ Eine Studie zur Passions- und Au­ ferstehungstheologie des Matthiius (SBS 6 5 ), 1 9 7 3 ; P.H. Lai, Production du sens par la foi. Autorités religieuses contestées / fondées. Analyse structurale de Mt 27, 57-28,20: RSR 61 ( 1 973 ) 65-90; G. Liidemann, Die Auferstehung ]esu, Gottingen 1994, 1 54- 1 69; H.K. Reeves, The Resurrection Narrative in Matthew. A Literary­ Critical Examination, diss. Richmond Union Seminary 1988; W. Trilling, Die Auf­ erstehung ]esu, Anfang der neuen Weltzeit (Mt 2 8, I-8), in Id., Christusverkundigung in den synoptischen Evangelien ( BiH 4), 1 969, 2 1 3 -243 ; C. Turiot, Sémiotique et lisibilité du texte évangélique: RSR 73 ( 19 8 5 ) 1 6 1 - 1 75 ; N. Walter, Eine vormat­ thiiische Schilderung der Auferstehung ]esu: NTS 1 9 ( 1972/73 ) 4 1 5 -429.

La sezione si distingue per l'alternanza di pericopi in cui sono personaggi principali i nemici di Gesù ( 27,62-66; 28,I I - 1 5 ) e pericopi che hanno per personaggio in azione il Gesù risorto o Dio (28,1-8.9 s. 1 6-2o). Mt. 28, u - 1 5 è riferito a 27,62-66, 28, 1 6-20 a 28,7. 1 0. In 28,1-8 i due fili narrativi si uniscono: qui sono presenti sia le donne, le figure più im­ portanti nel «teatro>> di Dio, sia le guardie, le figure del «teatro » degli av­ versari giudei di Gesù. Entrambi i fili narrativi si concludono con uno sguardo al presente dell'autore (28 , 1 5 . 20), con il secondo che prevale di gran lunga sul primo perché il suo orizzonte temporale si estende sino al­ la fine del mondo. Le due ultime pericopi sono a un tempo riferite chia­ sticamente al passato, all'inizio della storia della passione. ' La pericope conclusiva (28, 1 6-20) riunisce linee che vi confluiscono dall'intero van­ gelo di Matteo. Il vangelo ha dunque un doppio finale: l'intrigo dei capi giudei termina nell'invischiamento nella menzogna (28,I I-1 5 ) . Al con' Cf. sopra, p. 72 n.

1.

MT. 27,62-28,20

44 3

trario, il Risorto guida i suoi discepoli oltre i confini d'Israele verso tutti i popoli ( 2 8 , 1 6-20). Alla chiarezza complessiva della struttura di questa sezione fa riscon­ tro l'oscurità di singole questioni.

a) Con quale testo inizia la sezione di pasqua ? Al seguito di Giblin ' oggi la

si fa spesso iniziare già con la storia della sepoltura. Gli argomenti a favore sono soprattutto l'inclusione costituita dal verbo (J.CX'!91jnuw ( 27, 5 7 e 2 8 , 1 9 ) e la quintuplice occorrenza di (J.CX'!91j't�c; fra 27,64 e 2 8 , 1 6 . Per questa ragio­ ne Giblin colloca il «racconto matteano della sepoltura e della risurrezio­ ne>> sotto il tema del «contatto rinnovato con i discepoli » � e individua nel­ la parte principale nel suo insieme una composizione chiastica: A 27, 5 7-6 1 ((Jo1X"t9lJ'tEUw) 2 8 , 1 6-20 A'

B 27,62-66 (guardie del sepolcro) 28,1 1-1 5 B' C 2 8 , 1 - 1 0 (centro connesso con tutti gli altri episodi) C. La tesi non va esente da difficoltà: la corrispondenza intrinseca di 27, 5 7-61 e 28, 1 6-20 e il tema complessivo del «rinnovamento del contatto con i di­ scepoli>> danno l'impressione di essere artificiosi. La sequenza delle scene con le donne inizia già in 2 7, 5 5 s. e prosegue in 2 7,6 1 . Già sul Golgota, il ve­ nerdì santo, compaiono i protagonisti della storia della mattina di pasqua. Eppure non si può fare iniziare una sezione principale con 2 7, 5 5 s. e anche in 27, 5 7 non c'è un reale nuovo inizio. Piuttosto la pericope della sepoltura è una pericope di raccordo tipica della storia della passione: con riguardo al­ la geografia essa si svolge già dal v. 5 9 sulla scena della storia di pasqua, ma per la cronologia essa appartiene agli eventi della vigilia; con il v. 6 2 inizia un nuovo giorno. Nel quadro della concezione matteana una chiara attri­ buzione all'una o all'altra parte principale non è né possibile né necessaria. Quando qui si fa iniziare la sezione della pasqua soltanto con 27,62 è perché si dà la precedenza al punto di vista cronologico su quello geografico. b) L'altro problema è l'attribuzione della pericope conclusiva di Mt. 2 8 , 1 6-20. È forse da considerarsi l'ultimo episodio della sezione della pasqua ? O è piuttosto la conclusione dell'intera storia della passione e di pasqua ? Oppure - e questa è la terza possibilità - la si deve considerare a parte in quanto pericope conclusiva di tutto quanto il vangelo? Fa propendere per la prima possibilità il chiaro rapporto fra 2 8 , 1 1 - 1 5 e 2 8 , 1 6-20: le due peri­ copi sono accomunate dallo sguardo rivolto al presente ( 2 8 , 1 5 . 20 ) . Mt. 2 8 , 1 6-20 s'inserisce egregiamente nell'alternanza nella storia di pasqua di «pe' Oltre a Giblina anche altri, ad es. Laia, Turiota, Heila, Brown, ub, 1 301 s., considera­ n, 4 8 1 e Senior (v. bibl. sopra, a 27, 57-61), 1446-1448 ( «sequenza della tomba» ) ritengono 27,57-28,1 5 un'unica sezione principale, separandone la pericope conclusiva 28,1 6-20. Più illuminante è la struttura individuata da Hoffmann, Auferweckunga, 1 1 5 s.; 28,1-8 è il «nodo centrale di due li­ nee narrative antitetiche» del vangelo di Matteo, la fine delle quali è costituita, rispettivamente, da 28,1 1 - 1 5 e 28,1 6-20. � Giblina, 406. no un'unica sezione principale 27,5 7-28,20. Gnilka,

UN CORPO DI GUARDIA AL SEPOLCRO

444

ricopi con gli avversari» e «pericopi con le donne o i discepoli » . A favore del­ la seconda possibilità ci sono le corrispondenze compositive fra l'esposizio­ ne di 26, 1 - 1 6 e la pericope conclusiva di 27,62-28,20. Pericopi nelle quali Gesù o i suoi discepoli sono in primo piano e pericopi in cui predominano i nemici si alternano l'una con l'altra. In particolare 28 , 1 1 - 1 5 e 28,1 6-20 cor­ rispondono in ordine inverso alla pericope iniziale di 26, 1 - 5 : il protagonista, Gesù, ha la prima e l'ultima parola ( 26, 1 s.; 28,1 8-20); nel secondo e nel pe­ nultimo passo si riferisce il complotto dei suoi avversari e il suo definitivo fallimento ( 26,3 - 5 ; 28,1 1 - 1 5 ) . In tal modo si potrebbe considerare 28,n20 un epilogo in due parti di tutta la storia della passione e di pasqua. Ma in questo caso si interromperebbe il rapporto fra 27,62-66 e 28, 1 1 - 1 5 . Per la terza ipotesi fa propendere la separazione in senso sia geografico sia cro­ nologico di 28,1 6-20 da quanto precede, ma soprattutto vi conducono le nu­ merose correlazioni tra la pericope conclusiva di 28,1 6-20 e l'intero vange­ lo di Matteo. 1 Una posizione alternativa alle tre ipotesi non è né possibile né necessaria.

7 . 1 . UN CORPO DI GUARDIA AL SEPOLCRO ( 27,62-66) W.L. Craig, The Guard at the Tomb: NTS 3 0 ( 1 9 84) 2.73-2.8 1 ; Stanton, Gospel, 2.3 7-2.46. Altra bibliografia ( b ) sulla storia della passione e pasqua in Mt. 2.6-2.8 sopra, pp. 1 7-19. Bibliografia supplementare ( della prigione, I la presenza di guardie, 2. la notte 3 o il terremoto miracoloso. 4 Eppure a mio parere non si può considerare la storia matteana della risurrezione sempli­ cemente un > . È sorprendente che in Mt. 28,2-4 il miracolo vero e proprio, la liberazione, non sia descritto affatto. L'angelo scende certamente dal cielo, rotola sì la pietra del sepolcro, ma non, ad esem­ pio, per liberare Gesù dal sepolcro bensì per annunciare ai presenti che egli . Il racconto del Vangelo di Pietro è invece molto più vicino al genere letterario dei . 4· Origine. Non c'è modo di salvare la storicità di Mt. 27,62-66 e 28, I I ­ I 5 · Già Hermann Samuel Reimarus ha detto a l riguardo ciò che conta: sto­ riche sono evidentemente le voci - e per Reimarus anche il fatto - del trafu­ gamento della salma di Gesù da parte dei discepoli. Ma storica non è la leg­ genda delle sentinelle alla tomba, conosciuta, fra tutti gli scrittori neotesta­ mentari, dal solo Matteo.5 David Friedrich Strauss aggiungeva che la cosa più incredibile è che in 28, 1 1 s. i rappresentanti del sinedrio hanno evidente­ mente ritenuto del tutto credibile il rapporto delle guardie. 6 Effettivamente l'improbabilità intrinseca della storia è bizzarra: i sommi sacerdoti e i farisei, notoriamente non certo i migliori amici, si recano insieme - e per di più di sabato - dal governatore romano e gli chiedono un corpo di guardia roma­ no pur avendo essi stessi la possibilità di utilizzare per il servizio di vigilan­ za la polizia del tempio. Fanno addirittura chiudere il sepolcro con sigilli, compiendo quindi ciò di cui i cristiani avevano bisogno per avere un ricono­ scimento ufficiale dell'intervento divino. La prosecuzione della storia in 28, 1 1 -1 5 è di tipo analogo/ Tutto ciò è ben concepito e forse utile a convin­ cere lettori che a priori si attendevano dai capi giudei nient'altro che male. Qui non si è davanti ad alcun resoconto storico ma a una leggenda polemi­ ca in larga parte fittizia raccontata da cristiani per cristiani o, più precisa­ mente, narrata da Matteo a beneficio dei suoi lettori. 8 448.576-607; Philostr. Vit. Ap. 8,30; Nonn. Dion. 45,2.66 ss.; per quella giudaica ad Ar­ rapano, fr. 3,2.3. Per il primo cristianesimo è da ricordare anche Ev. Nicod. 1 5,6 (Schnee­ melcher, si, 4 I I ). I Sicurezza: Atti 5,2.3; 1 6,2.4. Sigillatura: Nonn. Dion. 45,2.67. 2. Atti 1 2.,4.6; 1 6,2.3; Arrapano, 3 ,2.3 (le guardie dormono o muoiono); Nonn. Dion. 1 5 , 183-2.86 (le guardie fuggono); Philostr. Vit. Ap. 8 , 3 0 (le guardie i n quanto testimoni); Cass. Dio Epit. 64,8.2. (le guardie muoiono per la paura ). 3 Atti 5,19; 1 2.,6; 1 6,2.5; Philostr. Vit. Ap. 8,30; cf. Cass. Dio 64,8,2.. Cf. anche Mt. 2.8, 1 3 e a 2.7,64 la lezione secondaria di S, syP, e al. 4 Eur. Ba. 583-5 86. 5 H.S. Reimarus, Apologie oder Schutzschrift fur die vemunftigen Verehrer Gottes, ed. G. Alexander, 2 voli., Frankfurt a.M. 1 972., libro m/2, § § 1-9 = II, 1 88-2.06. 6 Strauss, Leben II, 6 1 5 . 7 Cf. sotto, p. 478. 8 A favore della storicità dell'episodio ancora di recente Craig0• Diverso è il giudizio di Bloemc, 21: una polemica cristiana contemporanea contro il giudaismo «viene messa in scena in Mt. 27,62.-66 e predatata al sabato santo » .

UN CORPO DI GUARDIA AL SEPOLCRO

Il giorno seguente, finita la «preparazione », quindi di sabato/ i sommi sacerdoti e i farisei si recano da Pilato. Sul versante giudaico i sommi sacerdoti sono gli interpreti principali nella storia della passione, mentre i farisei non vi hanno alcun ruolo e ricompaiono qui, per la prima volta dopo 22,4 1, come personaggi attivi. Per Matteo essi fanno parte del compatto fronte giudaico dei nemici di Gesù, fra i quali hanno avuto un ruolo di primo piano, anzi il principale, prima della storia della pas­ sione. l. La presenza dei farisei è qui necessaria perché in 1 2, 1 4 essi sono stati i primi a sostenere la necessità di uccidere Gesù e poco dopo in 12, 3 8 insieme agli scribi hanno preteso da Gesù un segno celeste. Allora tut­ to ciò che ottennero fu di sentire il detto sul segno di Giona con la ma­ laugurante spiegazione matteana: « , 8 Schernendo i nemici di Gesù, Giovanni Crisostomo afferma: 1

Cf. Frankemolle, II, 5 1 5 . 2. Cf. 2 Pt. 2.,20 e Grozio, II, 3 84. Lehnworter II, 5 1 5 · Matteo non suggerisce che il corpo di guardia potrebbe es­ sere identico al centurione e al suo manipolo di 27,54. 4 Contro pressoché tutta la tradizione esegetica occidentale, la quale sulla base della Vul­ gata (habetis) intende la risposta di Pilato come rifiuto: avete già la polizia del tempio, ser­ vitevi di quella! 5 In Mt. 28, 1 2 le sentinelle sono chiamate anche a'!pcx'!tw'!cxt. Anche Ev. Petr. 8,3 1 (qui il centurione che le comanda ha anche un nome, Petronio) ed Ev. Naz. fr. 22 (Schneemel­ cher, sr, 1 3 6) ritengono che il corpo di guardia fosse romano. 6 La formulazione ricorda la sigillatura della fossa dei leoni in Dan. 6,1 7 LXX. 7 Bengel, 1 68. 8 Ishodad di Merv, 1 1 5 . 3 Krauss,

LA TOMBA VUOTA

«Dunque è proprio mediante i vostri provvedimenti che la prova (àm)­ ÒEt�t�) della sua risurrezione è diventata irrefutabile. Dal momento che il sepolcro era stato sigillato, non c'è stato infatti alcun inganno» . I La no­ stra storia è dunque profondamente ironica e allo stesso tempo indica in anticipo quella che sarà una caratteristica peculiare della concezione matteana della risurrezione: mediante la tomba sigillata e mediante l'intervento dell'angelo che viene testimoniato non soltanto dalle donne ma anche dalle guardie infedeli, la risurrezione è molto vicina a essere un dato di fatto chiaro e indubitabile che non può essere contraddetto da nessun incredulo in buona fede, ma solo da un bugiardo in malafede., Storia degli effetti. La scena delle guardie al sepolcro divenne importante nelle sacre rappresentazioni medievali, soprattutto in quelle della pasqua, nelle quali spesso essa funge da inizio. In termini teatrali essa > . 5 · La parola dell'angelo alle donne indica poi questa lacuna. È signifi­ cativo che a questo punto sia un angelo a parlare: infatti per l'autore qui si tratta di un annuncio che gli uomini non possono né inventare né ar­ guire razionalmente. Nel testo la cosa più importante è l'annuncio del­ l'angelo. 1 6 . L'annuncio dell'angelo non è mera comunicazione del «fatto» del­ la risurrezione di Gesù, bensì inizia con una parola d'incoraggiamento (v. sb). Esso rileva la situazione delle donne (v. se) e termina con un inca­ rico affidato loro (v. 7). Le donne vengono dunque «coinvolte», diventa­ no compartecipi. 7· Per questa ragione Matteo racconta la storia di pasqua nella loro cornice (vv. I e 8), dalla prospettiva delle donne. Egli racconta come la loro intenzione iniziale sia stata sì approvata dall'angelo, ma sia passa­ ta del tutto in secondo piano dopo quanto esse hanno appreso da lui. E Matteo racconta come esse abbiano reagito a ciò che avevano udito e provato. La loro reazione non è affatto univoca, ma resta ambivalente: è non soltanto gioia, ma anche timore. Queste riflessioni non sono ancora utili a un senso «odierno>> del te­ sto. Esprimere questo senso risulta difficile a molti in Europa occidenta­ le e settentrionale, specialmente a intellettuali e teologi. Mentre in altre chiese cristiane, in particolare nelle chiese ortodosse orientali, l'annuncio dell'angelo Xpta'tÒç &:vÉa'tl) ! suscita una gioia profonda e naturale, per noi è anzitutto fonte di difficoltà intellettuali e d'imbarazzo. Queste difficoltà hanno a che fare con un'alternativa, apparentemente senza via di uscita, ereditata insieme al modo di pensare dell'illuminismo, ossia l'alternativa tra « fatti» apparentemente obiettivi, ma ambigui e quin­ di in sé privi di significato, da un lato, e le loro > ma soltanto come costruzioni umane, dall'altro. Que­ ste difficoltà non possono non essere prese in considerazione, ma vanno affrontate. Il mio tentativo di delineare con precisione la concezione mat­ teana della realtà della risurrezione di Gesù, che non conosce questa aporia, ha voluto fornire uno spunto per un dialogo alla ricerca di una -

r

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In termini quantitativi l'annuncio occupa più di un terzo di tutto testo.

4 74

L'APPARIZIONE DI GESÙ ALLE DONNE

concezione della realtà che non separi più soggetto e oggetto ma li com­ bini l'un con l'altro in modo partecipativo. Una siffatta concezione della realtà, per la quale oggi non mancano spunti in varie discipline, è più conforme ai testi biblici della risurrezione che non la concezione della realtà di stampo illuministico che ha dominato fin qui la scena del dibat­ tito teologico sulla risurrezione. A mo' di conclusione vorrei esprimere la speranza che il testo matteano della risurrezione, proprio perché si op­ pone ostinatamente a essere inquadrato in questa concezione della real­ tà che ci permea tanto in profondità, possa portare anche noi nuovamen­ te a ciò che esso mira a suscitare, ossia a una «gioia più grande» . Il testo di Matteo racconta di un atto di Dio che scardina non soltanto sepolcri ma forse anche mondi concettuali che si sono trasformati in prigioni. 7· 3 · L'APPARIZIONE DI GESÙ ALLE DONNE ( 2 8 , 9 s.) V. sopra, a Mt. 28,I-8. - Altra bibliografia ( b ) sulla storia della passione e di pasqua in Mt. 26-28 sopra, pp. I 7- I 9 . Bibliografia supplementare ( ') sulla storia di pasqua in Mt. 27,62-28,20 sopra, p . 442. 9 Ed ecco,' Gesù si fece loro incontro e disse: > . Ma esse si av­ vicinarono, gli strinsero i piedi e gli resero omaggio. I o Allora Gesù disse loro: . 3 · Origine. Quando la base del testo non è buona, le ipotesi fioriscono. Si afferma ad esempio che l'apparizione a Maria di Magdala sarebbe stata > nei riguardi del popolo giudaiI Così Frankemolle, II, 5 3 5; Gollingera, 371; cf. K.G. Kuhn, 'Iapa�À K'tÀ., in ThWNT m, 361-3 66. Gollingera rafforza questa interpretazione limitando al passato la malvagità dei sommi sacerdoti e degli anziani: essi sono i capi che Israele ha avuto in passato, pri­ ma della distruzione del tempio, così che alla fine del vangelo di Matteo si constaterebbe •non il rifiuto di Gesù da parte del suo popolo . . . bensì il rifiuto dell'annuncio di pasqua da parte dei rappresentanti d'Israele in tempi passati » (3 72.). 1 BDR, S 262,r .2.; MHT, m, 1 69. 3 Oppure o! oxÀol per riferirsi alle folle. Le eccezioni (2.,2.I ; 1 5,3 1 : 'Iapa�À) sono formu­ late molto attentamente. 4 8, 1o; 10,6.2.3; 1 5,2.4; 19,2.8 (Gesù); 9,3 3 (le folle giudaiche); 2.7,42. (i capi giudei). 5 Mt. 2.,2. (i magi); 2.7,1 1 (Pilato); 2.7,2.9 (i soldati); cf. 2.7,37 (l'iscrizione sulla croce). 6 Ma per parte sua Matteo non pretende ancora né il predicato di popolo di Dio né quel­ lo di Israele in esclusiva per la comunità dei discepoli di Gesù o per l' ÈxKÀlJalll di Gesù (16,1 8). La separazione tra la comunità e i molti altri «giudei» è compiuta e si manifesta nelle parole usate dal v. 1 5 in avanti.

4 84

L'IMBROGLIO CON LE GUARDIE DELLA TOMBA

co. Tutt'al più si può dire che con la sua formulazione non esclusiva «tra giu­ dei>> il narratore lascia implicitamente socchiusa la porta della speranza. Nessuna delle due interpretazioni rende giustizia al testo. La prima va di gran lunga al di là delle sue potenzialità di senso, la seconda ne inver­ te la direttrice. La separazione della comunità dalla maggioranza d'Israe­ le lascia certamente la sua traccia nell'uso di 'lou8ai'ot al v. 1 5 1 così che la direttrice della prima interpretazione mi pare giusta. Ma soltanto la direttrice: Matteo contrappone sì antiteticamente la maggioranza d'Israele, che ai suoi giorni respinge Gesù, ai discepoli di Gesù che sono accompagnati nel loro cammino verso le nazioni dal Signore innalzato e quindi da Dio stesso; ma qui non enuncia alcuna tesi sulla la storia del­ la salvezza, ad esempio che ora la chiesa, il «nuovo Israele>>, abbia preso il posto del popolo di Dio che fin qui si chiamava Israele e ora «giudei». Certamente egli ribadisce che «tra giudei >> la diceria ingannevole della salma trafugata dura «fino a oggi>> e non accenna ad alcuna speranza che la situazione possa ancora cambiare prima della parusia ormai vicina. Ma non dice affatto che nell'ottica della storia della salvezza il tempo della speranza per Israele sarebbe ormai scaduto. Matteo dice meno dei suoi interpreti, e non si dovrebbero leggere tra le righe del suo vangelo concezioni teologiche posteriori. Per Matteo non è ancora tempo per si­ mili idee: l'esperienza del no a Gesù della grande maggioranza d'Israele è ancora fresca; la parusia del giudice universale è prossima (cf. 24,29) e il mandato affidato dal Signore alla sua comunità, di andare ora ad an­ nunciare i suoi comandamenti a tutte le nazioni, è più importante di tut­ to il resto. L'evangelista vuole guidare i suoi lettori all'ubbidienza al Si­ gnore; egli che siano i suoi esegeti a sviluppare teorie storico-sal­ vifiche sull'Israele che non crede in Gesù. -

Storia degli effeui. Nell'interpretazione della chiesa antica e medievale questo testo non è stato utilizzato in prospettiva storico-salvifica come ar­ gomento per sostenere la fine dell'elezione d'Israele o simili. In generale l'interesse che gli si è dimostrato è poca cosa. Nelle esegesi predominano toni parenetici, ammonizioni a guardarsi dall'avidità di denaro, 1 moniti a non servirsi fraudolentemente del denaro offerto alla chiesa.3 Quasi tutti i commentatori si adoperano anche per far notare quanto sarebbe stato stu­ pido se i discepoli avessero davvero cercato di trafugare la salma di Gesù e quanto sia quindi assurda la versione del furto delle spoglie inventata dai sommi sacerdoti con gli anziani.4 Evidentemente per gli esegeti soltanto la 1 Convengo qui con Saldarini, Community, 34-37. Saldarini fa osservare un analogo uso linguistico ambivalente in Giuseppe. 2. Ad es. in Eutimio Zigabeno, 760. 3 Ad es. in Hier. In Mt. 282; Beda In Mt. 1 30. 4 Particolarmente efficace l'esposizione di Chrys. In Mt. 90,1 s. (PG 58, 787-789).

MT. 28, 1 1 - 1 5 risurrezione - creduta - di Gesù ad opera di Dio è compatibile con i fatti che sono seguiti. Conseguenza della mancanza di fede è l'intrico di contraddi­ zioni e menzogne. Si è quindi davanti a qualcosa come un'evidenza a poste­ riori della risurrezione. Un simile presupposto condurrebbe allora a chieder­ si perché i giudei si attengano ancora, fino al presente dell'evangelista, a que­ sta menzogna 1 e non siano stati convinti dalla verità della risurrezione di Gesù. Calvino può immaginarsi una sola spiegazione: Dio ha punito i giu­ dei con la cecità così che ritenessero vera una menzogna tanto impossibi­ le... « Se soltanto si fossero aperti gli occhi non sarebbero state necessarie tante domande» ; ma « quel popolo si meritò proprio che gli annebbiamenti lo privassero della luce perché la menzogna vana e banale venisse ripresa tanto avidamente>> ,3 La mancanza di fede è quindi una colpa alla quale Dio risponde con la punizione dell'induramento. 4

Il senso odierno. Gli ultimi testimoni - fortunatamente rari - della sto­ ria dell'interpretazione mostrano chiaramente un pericolo che si annida nella concezione matteana della risurrezione. Certamente Matteo non ha

raccontato la risurrezione di Gesù stesso come evento in tutto storico, tuttavia ha esposto in modi tanto chiari e univoci l'intervento seguente di Dio che ne rendeva testimonianza agli uomini, da far apparire natu­ rale la conclusione che soltanto dei malevoli non se ne sarebbero lascia­ ti convincere. Matteo, che per tutta quanta la storia della passione non si è stancato di sottolineare la malevolenza dei capi d'Israele, dopo la risurrezione fa scalare loro, per così dire, la vetta della loro malvagità. Più si è convinti che in 27,62-66 e 28,I I-1 5 l'evangelista ha inventato in larga misura egli stesso una storia polemica, tanto meno lo si può as­ solvere dall'accusa di deliberata e abile malevolenza 5 - nel nome della fede nel Risorto! La possibilità di una simile malevolenza gli viene fornita a mio parere da una concezione dell'azione di Dio sull'uomo che è tanto univoca e in­ negabile da non lasciare spazio alla possibilità di reagirvi con l'incredu­ lità. Alla fine la risurrezione di Gesù giunge ad avere non per se stes­ sa ma per i fatti concomitanti, per l'angelo alla tomba vuota visto anche dalle sentinelle, un'evidenza che minaccia di distruggere l'indisponibili­ tà dell'operato di Dio. r Ma il Matteo ebraico di Shem Tob contiene un'interessante parafrasi di 28, 1 5 : «Que­ sta parola (rimase) in segreto tra i giudei fino a questo giorno» (Howard, Gospel, 1 50). 2. Calvino, n , 419 (lat. n , 3 9 5 ) : «Hic vindictae Dei extremus fuit cumulus ad excoecan­ dos ludaeos, quod . . . fuit . . . tam futile mendacium receptum» . 3 Calvino, n, 419 s. 4 Musculus, 6 1 4 parla qui di «iudicium Dei . . . iustissimum» e rimanda a 1 Tess. 2,14 s. 5 Nonostante tutta la comprensione per il particolare dolore della separazione dalla mag­ gioranza d'Israele che egli doveva elaborare.

7. 5 . IL MANDATO MIS SIONARIO DEL SIGNORE DEL MONDO PER TUTTE LE NAZIONI ( 28 , 1 6-20) L. Abramowski, Die Entstehung der dreigliedrigen Taufformel - ein Versuch, in

Id., Formula and Context. Studies in Early Christian Thought, Hampshire 1992, 4 1 7-446; Allison, Moses, 262-266; Bauer, Structure, 1 09- 1 28; K. Barth, Auslegung von Matthiius z 8, r 6-zo (BMS n.s. 1 7), 1945; G. Baumbach, Die Mission im Mat­ thiius-Evangelium: ThLZ 9 :z. ( 1 967) 8 89-893; G. Bornkamm, Der Auferstandene und der Irdische. Mt z8,r 6-zo, in E. Dinkler (ed. ), Zeit und Geschichte (Fs R. Bult­ mann), Tiibingen 1964, 1 7 1 - 1 9 1 ; D. Bosch, The Structure of Mission. An Exposition o{Mt z8, r 6-2o, in W.R. Shenk (ed.), Exploring Church Growth, Grand Rapids 1983, 21 8-248; Id., Transforming Mission. Paradigm Shifts in Theology of Mission, Mary­ knoll 4 1 99:z., passim; I. Broer, Das Verhiiltnis von Judentum und Christentum im Matthiius-Evangelium (FDV 4), 1995; S. Brown, The Twofold Representation of the Mission in Matthew's Gospel: StTh 3 1 ( 1 977) :z. 1 - 3 :z.; E. Cothenet, La formule Trinitaire baptismale de Mt. z8, r9, in A.M. Triacca - A. Pistoia (edd.), Trinité et Li­ turgie, Roma 1984, 59-77; Id., Le bapteme selon S. Matthieu: SUNT.A 9 ( 1 984) 7994; W.D. Davies - D.C. Allison, Mt. z8, r 6-zo: Texts behind the Text: RHPhR 72 ( 1 992) 89-98; Donaldson, jesus, 1 70- 190; I.P. Ellis, «But some Doubted» : NTS 14 ( 1 967/68 ) 574-5 80; D. Flusser, Der Schluss des Matthiiusevangeliums in einer neuen iudenchristlichen Quelle, in Id., Entdeckungen im Neuen Testament I, Neu­ kirchen 1987, 68-77; H. Frankemolle, Zur Theologie der Mission im Matthiiusevan­ gelium, in K. Kertelge (ed.), Mission im Neuen Testament ( QD 9 3 ), 1 9 8 :z., 93-u9; Id., ]ahwebund, 4:z.-7:z.; G. Friedrich, Die Formale Struktur von Mt z 8, r 6-zo: ZThK So ( I 983 ) 1 3 7- I 8 3 ; Geist, Menschensohn, 1 04-1 26; C.H. Giblin, A Note on Doubt and Reassurance in Mt 28, r 6-2o: CBQ 3 7 ( 1 9 7 5 ) 68-7 5 ; H.B. Green, Mt z 8,L9, Eusebius and the lex orandi, in R. Williams (ed.), The Making of Orthodoxy (Fs H. Chadwick), Cambridge 1989, 1 24- 1 4 1 ; F. Hahn, Der Sendungsauftrag des Auf­ erstandenen. Mt z 8, r 6-zo, in Th. Sundermeier (ed. ), Fides pro mundi vita (Fs H.W. Gensichen), Giitersloh I 9 8o, :z.8-4 3 ; D.R.A. Hare - D.J. Harrington, «Make Disciples of ali the Genti/es» (Mt z8, r9): CBQ 3 7 ( I 9 7 5 l 3 59-3 69; A. von Hamack, Die Mis­ sion und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei jahrhunderten, Leipzig 4 I 9 24, 39-48; D.J. Harrington, Light of Ali Nations, Wilmington 1 9 8 2, no- I 23; D. Hill, The Conclusion of Matthew's Gospel. Some Literary�Critical Observa­ tions: IBSt 8 ( I 986) 54-63; P. W. van der Horst, Once More: The Translation of oi &i in Mt z8, r 7: JSNT nr. 27 ( I 986) 27-30; B.J. Hubbard, The Matthean Redaction of a Primitive Apostolic Commissioning. An Exegesis of Mt z 8, r 6-zo (SBL.DS I9), I 974; J.A.B. Jongeneel, Philosophy, Science and Theology of Mission in the L9th and zoth Centuries I (SIGC 92), 1995; K. Kertelge, Der sogenannte Taufbefehl ]e­ su (Mt z8, r 9), in H. Auf der Maur et al. (edd.), Zeichen des Glaubens (Fs B. Fi­ scher), Einsiedeln - Freiburg i.Br. I 97:Z., 29-40; j.D. Kingsbury, The Composition and Christology of Mt z8, r 6-zo: JBL 93 ( I 974) 5 7 3 - 5 84; H. Kosmala, The Conclusion of Matthew: ASTI 4 ( 1 9 6 5 ) I 3 :Z.- I 47; Kiinzel, Studien, 1o:z.- n :z.; H. Kvalbein, Has Matthew abandoned the ]ews?, in J. Adna et al. (edd. ), The Mission of the Early Church to ]ews and Genti/es (WUNT 1 27), 2000, 4 5-62; Kupp, Emmanuel, 20 1219; J. Lange, Das Erscheinen des Auferstandenen im Evangelium nach Matthiius. Eine traditions- und redaktionsgeschichtliche Untersuchung zu Mt 28, r 6-2o (FzB I I ), I973; X. Léon-Dufour, Présence du Seigneur ressuscité (Mt z 8, r 6-zo), in A cause de I'Evangile (Fs J. Dupont, LeDiv 1 2.3 ), 1 9 8 5 , 1 9 5 - 209; E. Lohmeyer, «Mir

MT. 28, 1 6-20 ist gegeben alle Gewalt!» . Eine Exegese von Mt z8, I 6-zo, in W. Schmauch (ed. ), In Memoriam Ernst Lohmeyer, Stuttgart 1 9 5 1 , 22-49; B.J. Malina, The Literary Structure and Form of Mt z 8, I 6-zo: NTS 1 7 ( 1 970/7 I ) 87- 103; P.B. Mather, Chris­ tian Prophecy and Mt z8, I 6-zo: SBL.SP I I ( I 977) 103- I I 5 ; J.P. Meier, Two Dis­ puted Questions in Mt 28, 1 6-zo: JBL 9 6 ( I 977) 407-424; Id., Nations or Genti/es in Mt z8, 1 9?: CBQ 3 9 ( 1 977) 94- 1 02; O. Michel, Der Abschluss des Matthaus­ evangeliums: EvTh I O ( I 9 5o/s r ) I 6-26; Mora, Symbolique, I O I - I I 2; L. Oberlinner, « sie zweifelten aber» (Mt z 8, 1 7). Eine Anmerkung zur matthaischen Ekkle­ siologie, in Oberlinner-Fiedler (edd.), Salz, 375-400; Th. Ohm, Machet zu ]ungern alle Volker, Freiburg i.Br. I 962; P. Perkins, Mt z8, I6-zo: Resurrection, Ecclesio­ logy and Mission: SBL.SP 27 ( I 993 ) 5 74-588; W. Raupp (ed. ), Mission in Quellen­ te:xten, Erlangen - Bad Liebenzell 1 990; K.H. Rengstorf, 0/d and New Testament Traces of a Formula of the ]udaean Royal Ritual: NT 5 ( 1 962) 227-244; J. Scha­ berg, The Father, the Son and the Holy Spirit. The Triadic Phrase in Mt. z8, 19b (SBL.D 6 r ), 1 9 8 2; Scheuermann, Gemeinde, 242-249; H. Schieber, Konzentrik im Matthausschluss: Kairos 29 ( 1 977) 286-307; D. Sim, The Gospel of Matthew and the Genti/es: JSNT nr. 5 7 ( 1 99 5 ) I 9-48; O. Skarsaune, The Mission to the Jews - a Closed Chapter? Some Patristic Reflections concerning «the Great Commission», in J. Adna et al. (edd. ), The Mission . . . , cit., 69-83; R.H. Smith, Mt z 8, I 6-zo. Anti­ clima:x or Key to the Gospel?: SBL.SP 27 ( I 993 ) 5 8 9-603 ; G.M. Soares-Prabhu, Two Mission Commands. An Interpretation of Mt z8, I 6-zo in the Light of a Bud­ dhist Te:xt: Biblica) Interpretation 2 ( I 994) 264-282; Strecker, Weg, 208-214; P. Stuhlmacher, Zur missionsgeschicht/ichen Bedeutung von Mt z8, 1 8-zo: EvTh 59 ( 1 999) 108- 1 3 o; Tisera, Universalism, 285-3 1 6; Trilling, Israel, 2 1 - 5 1 ; A. Vogtle, Das christologische und ekklesiologische Anliegen von Mt z 8, I 8-zo, in Id., Das Evangelium und die Evangelien. Beitrage zur Evangelienforschung (KBANT), 1971, 2.53-72; G. Warneck, Evangelische Missionslehre m/I , Gotha 1 897, 1 67-27 1 ; Wong, Theologie, 9 5 - 1 08; J. Zumstein, Mt z 8, 1 6-zo: RThPh 3 me ser. 22 ( 1 972.) 1 4-3 3 . Altra bibliografia (b) sulla storia della passione e pasqua i n Mt. 26-28 sopra, pp. 17- 1 9 . Bibliografia supplementare (') sulla storia di pasqua in Mt. 27,62-28,20 sopra, p. 442. ..•

Ma gli undici discepoli si recarono in Galilea sul monte dove Gesù ave­ ordinato loro (di andare). 1 7 E quando lo videro gli resero omaggio, ma alcuni dubitavano. I 8 E Gesù si avvicinò loro, parlò loro e disse: «Mi è stato dato ogni potere, in cielo e in terra.' 19 Andate, dunque,"' e rendete tutti i popoli discepoli battezzandoli 3 nel nome del Padre e del Figlio e del­ lo Spirito santo 20 e insegnando loro a osservare ciò che vi ho comandato. Ed ecco: io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. 4 16

va

r L'articolo 'tij> , La promessa (v. 2ob) ri­ corda da un lato la prima citazione di compimento e la sua spiegazione in 1,23 s., dove Gesù è stato presentato come «Emmanuele», cioè (LE-B' iuJ.wv b -Beoc;, e, dall'altro e soprattutto, la promessa di 1 8,20: > composto da Matteo. I

Donaldson, Mountain, 18J-187. 197-202. Stuhlmacher", 1 17. Egli ( 1 1 5 ) vorrebbe interpretare il viaggio dei discepoli in Galilea come «la restaurazione simbolica d'Israele (del grande Israele) dopo la catastrofe del giudizio che si è abbattuta sul pastore e il suo gregge» (Mt. 26,3 1 s.). 3 Gli unici termini comuni che appaiono più volte sono opoc:; ed É�VlJ in Is. 2,2; in 25,6 anche 7tavta. 't'lÌ É�vlJ. 4 Non è casuale che Iust. Apol. I,J9,I-J, che per l'invio degli apostoli si rifà a Is. 2,2, uri· lizzi il modello lucano che fa panire gli apostoli da Gerusalemme. 5 Lohmeyer", 3 3 · 1

49 6 IL MANDATO MISSIONARIO DEL SIGNORE DEL MONDO

I diversi e a mio parere falliti tentativi di definire il genere del detto con­ clusivo di Gesù (vv. r 8b-2o) • rispecchiano il problema fondamentale del testo. È qui questione - come in un > parrebbe troppo dettato da soggettivismo moderno e darebbe l'idea di discepoli sfiorati da incredu­ lità." Ciò è senz'altro ben detto, ma d'altra parte «esitare >> pare una resa troppo sciapa, come mostra proprio I 4,29-3 I : Pietro non ha «esitato » a sal­ tare in acqua, ma ha guardato al vento e non a Gesù, mostrandosi così «di­ lemmatico>> . Dizionari antichi indicano come sinonimi di Òtcr'ta�w: òtxovoÉw (essere preso in un dilemma ), cbtopÉw (essere indeciso), à.!J.iptl3ciÀÀw (essere incerto, oscillare),3 à.!J.iptCT�lJ'tÉw (essere in disaccordo), ivòota�w (essere in imbarazzo), à.(J.ipt"(voÉw (essere in dubbio).4 Qui propenderei per rendere con «dubitare >> per il significato etimologico del verbo (dal lat. dubius che con­ tiene la radice •du- di duo) che lo accomuna alla « dilemmaticità » e al tro­ varsi nel dilemma del «dubbioso» .

L'ambivalenza dei discepoli a l v. I ? rientra nella concezione matteana della , In Matteo la fede dei discepoli non è una certezza che non conosce dilemmi ma vive tra fiducia e scoraggiamento, tra certezza e dubbio. L'uomo dalla prega di continuo il suo Signore.5 La poca fede non viene vinta da Gesù una volta per tutte, ad esempio con un miracolo, ma torna sempre ad affiorare. Qui Matteo rinuncia per­ sino a far superare da Gesù il dubbio ingenerato nei suoi discepoli dalla poca fede, ad esempio con un gesto di benedizione o con l'invito a toc­ carlo, come avviene in molti racconti di apparizione. 6 Gesù passa sopra alla dilemmaticità dei suoi discepoli e si rivolge loro con la sua parola. r8. Gesù si avvicina ora ai discepoli. I lettori ricordano forse la con­ clusione della storia della trasfigurazione in I ?,? 7 quando Gesù ebbe ragione dello sconcerto dei discepoli con la sua presenza e la sua parola di conforto. Qui Gesù dice ai discepoli che gli è stato dato ogni potere in cielo e in terra, ossia su tutto il creato. Ai lettori il Risorto non dice quindi nulla di nuovo, ma fa ricordare loro la fede di pasqua: mediante la sua risurrezione Gesù è stato innalzato e insediato come Signore uni­ versale. Tutto il cristianesimo delle origini sa e confessa che al Gesù in­ nalzato sono sottoposte tutte le potenze (Rom. r,4; Fil. 2,9 - r r; Col. I , 1

LSJ, s.v. BLcrtcit:;w. Bauer, Wb6, s.v. 8La'tcit:;w. Léon-Dufour0, 1 97-199; Ellis0, spec. 576 s.; Giblin° (poca fede); Oberlinner0, 397 s. (poca fede). Già Valdés, 502. contesta l'identificazione di incredulità e dubbio: il dubbio è debolezza, non incredulità: « Mi meraviglio molto più di quelli che non dubitano che di quelli che dubitano» (El Evangelio sepn San Matéo, Terrusa 1 986, 5 3 1 ). 3 Hesych., s.v. BLcrtcit:;w. 4 Polluce 9 , 1 54. s Cf. 8,z.s ; 14,30; spec. vol. 1 , pp. 54 z. s.; vol. n, pp. 49 · p z.. 5 5 6-5 5 8 . 649 s. 6 Le. z.4, 1 6-z.7. J O-J l.. 3 7-4 3 ; Gv. z.o,z.s -z.S; 2. 1 .4-7; cf. Gv. z.o, 1 5 s . z.o. 7 Il solo altro passo oltre z.8, 1 8 in cui Gesù sia soggetto di 'ltpoaÉp"X,O!J.aL è proprio 1 7,7. :
(23,34-39), la predi­ zione del giudizio pronunciato su scribi e farisei. Gerusalemme non lo ve­ drà più sino alla parusia ( 23 , 3 9 ) e subito dopo il discorso Gesù abbandona il tempio insieme ai discepoli ( 24,1 s.). i) Nello stesso senso va la condotta di «tutto il popolo >> che in 27,24 s. ap­ prova la crocifissione di Gesù e si assume le conseguenze della punizione di Dio: certo Matteo pensa nuovamente alla distruzione di Gerusalemme. j) La penultima pericope del vangelo si chiude (28,1 5 ) con uno sguardo al presente dell'autore: «tra i giudei» il rifiuto dell'annuncio della risurrezio­ ne continua «fino a oggi » . I lettori del vangelo interpreteranno (e devono anche farlo) 28, 1 6-20 con la sua rinnovata apertura sul presente e con la missione dei discepoli a 7tav'ta 'tà É-8vTj come «contrappunto >> di 28, I I - 1 5 . Ma che cosa comporta sapere tutto ciò? I dati non sono chiari. 1 . Nel contesto immediato dei vv. 1 8-20 al dominio universale su cielo e terra del Risorto (v. 1 8b) corrisponde una dimensione universalistica del mandato missionario (v. 1 9a). Questa dimensione si rispecchia meglio nel­ la resa «tutti quanti i popoli » . Essa corrisponde anche a 24,9 . 1 4 e 25,3 2 r

Cf. vol. 1, pp. 105-109 e a Mt. 1 , 1 pp. 1 3 1 - 1 3 3 ; per le donne nella genealogia di Mt. 1,2-1 6 cf. pp. 1 5 2-1 54; per la fuga in Egitto da Betlemme, la città di David (Mt. 2, 1315) cf. pp. 2o6-2o8; per altri «segnali» cf. l a nota seguente. z. Mt. 2, 1 - 1 2 (i magi gentili contrapposti a Erode, il re dei giudei e a « tutta Gerusalem­ me• in 2,3); 3 ,9 (i figli che Dio può far sorgere per Abramo « da queste pietre » contrap­ posti ai farisei e sadducei); 4,1 2 . 1 5 {la Galilea [dei gentili] contrapposta a Erode Antipa che ha imprigionato il Battista); 8 , 1 o- 1 2 (i • molti» contrapposti a Israele e ai figli della

[baiÀ&ta).

5 ! 2 I L MANDATO MISSIONARIO DEL SIGNORE DEL MONDO (b; cf. d). Non contraddice ciò l'assenza al v. I 5 dell'articolo determinativo nella formulazione non esclusiva 1tcxpà 'louòcxtol> . Anche quando il Risorto abolisce la posizione particolare del suo po­ polo Israele nella storia della salvezza e ora equipara quello che fino ad al­ lora era il popolo prescelto a uno degli altri é-8vYJ, questa è una novità scon­ volgente.2 3· Quanto agli altri segnali, il prologo (c) e soprattutto i testi dei capp. 2123 (g e h; cf. anche i) lasciano intendere abbastanza chiaramente che per l'evangelista la missione a Israele è stata sostituita dalla missione ai gentili. 4· Fra questi passi e quelli indicati al punto d c'è una certa tensione, e ancor più essi stanno in tensione con ro,23. Ma non è una tensione assolu­ ta: 10,23 si aspetta sicuramente una missione a Israele fino alla parusia, ma gli inviati di Gesù non vi incontreranno altro che persecuzione e rifiuto. Si cercherà qui di comporre un quadro generale dall'insieme non omo­ geneo dei vari dati. Al riguardo vorrei distinguere il significato fonda­ mentale del mandato missionario dalla sua applicazione da parte della comunità matteana. Il mandato missionario del Signore del cielo e della terra, ossia di tutto il mondo, è a mio parere inteso in senso fondamen­ talmente universalistico e vale per tutti quanti i popoli. È vero che il mandato non esclude esplicitamente un'ulteriore missione a Israele, ma chiaramente Matteo non nutre più grandi speranze di un suo successo: lo mostrano 22,8- ro; 23,3 9-24,2 e 28, r 5 . Per l'evangelista e le sue co­ munità la spaccatura d'Israele fra una maggioranza ostile a Gesù e una minoranza di seguaci di Gesù è definitiva. Al più tardi dai giorni della guerra giudaica, Matteo e le sue comunità non vivono più in terra d'Israe­ le ma nella Siria di popolazione gentile. Lì, in quel paese e in quella si­ tuazione, il loro specifìco compito è, sotto il segno del mandato missio­ nario universale del Risorto, la proclamazione dei comandamenti di Cri­ sto ai gentili.3 1

Cf. sopra, pp. 4 8 2-484. Il mandato missionario non recita infatti «oltre che a Israele recatevi anche agli altri po­ poli » . Ciò è sottolineato anche da molti sostenitori dell' «opinione di maggioranza » , ad es. Vogtlea, 266 ( • la limitazione dell'attività missionaria a Israele è oltrepassata e con­ trastata » ); Hagner, u, 887 ( « è sconvolgente trovare ora Israele subordinato e assimilato alle nazioni in generale» ) , 2

3 Rifiuto l e ipotesi d i S . Browna e D . Sima. Per i l primo ( 3 0 s . ) compito della comunità di Matteo resta ancora, come per il passato, la missione a Israele ai sensi di 10,5 s.; per Mat-

MT. 2 8 , 1 6-20

513

Diversamente da come mi sono pronunciato nella prima edizione del vol. 1,1 oggi non potrei più mettere in risalto come questo compito significasse per la comunità di Matteo un nuovo orientamento. Mt. 24,9-14 fa capire chiara­ mente che anche nel suo seno la missione ai gentili era già avviata. Forse era controversa, e allora Matteo rinforza una parte della sua comunità. Forse la comunità era incerta, allora il Risorto legittima la decisione che essa ave­ va già preso. Tutto ciò non lo sappiamo. - Né si sa se il suo abbandono della missione a Israele riguardasse in primo luogo la missione in terra d'Israele oppure se includesse anche la missione al giudaismo della diaspora nell' «esi­ lio» di Siria. Nel primo caso l'abbandono della missione a Israele sarebbe coinciso con l'abbandono della terra d'Israele. Com'è noto ci sono nel vangelo singole affermazioni che non si lasciano inquadrare senza tensioni in questo quadro d'insieme. Sono da annoverare fra queste ad esempio i detti di minaccia di 8 , 1 0- 1 2 e 23 ,29 che danno l'im­ pressione di non lasciare speranze per la collettività d'Israele. Per questi pas­ si come anche per 2,3 e 27,24 s. è da ricordare che nella tradizione biblica una collettività non equivale alla somma dei singoli individui che vi appar­ tengono. Ma è da considerare anche 1 0,23 dove si parla unicamente della missione nelle città d'Israele.

r9b. Il mandato a « rendere discepoli » i popoli comprende anzitutto il mandato a battezzare. Poiché il battesimo è il segno comune a tutti i cri­ stiani, il mandato a battezzare equivale a una confessione di fede nella chiesa in generale: diventare discepoli non significa appartenere a una delle « scuole >> di Gesù, ma diventare parte della chiesa in generale. Non si sa se il giudeo Matteo, a dire del quale Gesù ha ribadito la validità an­ che di tutti gli iota e gli apici della torà ( s , r 8), abbia richiesto ai gentili convertiti di sottoporsi anche alla circoncisione come segno di apparte­ nenza a Israele. È tuttavia significativo che qui non si parli di circoncisio­ ne ma di battesimo. Poiché nel vangelo Matteo non dice nulla del batte­ simo, non è facile dire che cosa per lui vi fosse connesso. Certamente con il loro battesimo i discepoli neoconvertiti seguivano l'esempio di Gesù teo in 2.8, 1 9 si tratta soltanto del suo ampliamento e soprattutto del diritto di principio della missione ai gentili, quindi di un •punto di vista teologico » . Per Sim", 43 s. (cf. an­ che Gospel, 2.43-2.46) Mt. :z.8, 1 9a non mira •alla partecipazione della comunità di Matteo alla missione ai gentili in nessuna fase della sua storia » ; si tratterebbe soltanto della legit­ timità di principio della missione ai gentili nel quadro della chiesa in generale. Per quan­ to mi riguarda desidero capovolgere la tesi di Sim: sebbene Matteo non neghi la legitti­ mità di principio della missione a Israele, il suo scopo è di far partecipare la sua comunità alla missione ai gentili. Per la concezione generale (a mio parere insostenibile) di Sim cf. vol. I, p. 109. 1 Vol. I (versione tedesca, edizioni 1 -4), 66 s. In termini analoghi mi sono espresso an­ che in L'évangeliste Matthieu. Un ]udéo-Chrétien à la croisée des chemins, in La mémoi­ re et le temps (Fs P. Bonnard), Genève 1 9 9 1 , 77-92., spec. 86-88.

5 1 4 IL MANDATO MISSIONARIO D E L SIGNORE D E L MONDO

che si era fatto battezzare ( J , I J - I ? ). Come per mezzo di questo Gesù «compì ogni giustizia '',' così anche loro si fanno guidare da lui sulla via della giustizia. Poiché al battesimo di Gesù la voce del Padre si fa senti­ re dal cielo e lo spirito di Dio discende su Gesù ( 3 , 1 6 s.),"' i lettori posso­ no facilmente erigere un ponte ideale fra il battesimo di Gesù e il batte­ simo nel nome triadico del Padre, del Figlio e dello Spirito santo proba­ bilmente in uso nella chiesa di Siria. Certo è che per Matteo al battesimo è unita anche la promessa della remissione dei peccati. 3 La menzione del triplice nome è probabilmente uno sviluppo della giustap­ posizione di Padre, Figlio e Spirito già documentabile in Paolo e d'uso cor­ rente nella liturgia.4 Essa era presente quando si battezzavano soprattutto convertiti di provenienza gentile che accettavano non solo la fede in Cristo ma anche quella in Dio, e per i quali al battesimo era associata l'esperienza dell'infusione dello Spirito. Derivazioni precristiane del mandato al battesi­ mo triadico da Dan. 7 o da altri testi apocalittici 5 o dalla tripla benedizio­ ne di Aronne (Num. 6,24-26) 6 sono fantasticherie.

Ovviamente il mandato al battesimo triadico non implica ancora il molto posteriore dogma della trinità, anche se com'è noto questo venne spiegato più avanti proprio in tal modo.7 Non si dovrebbe vedere qui il centro cristologico di tutta la pericope.8 L'espressione e:lc; -.ò ovo�J-a non 1

Per l'interpretazione di 3 , 1 3 - 1 7 e per l'esemplarità di Gesù cf. vol. I, pp. 239-24 1 . Già Tommaso, Lectura, nr. 2465 faceva osservare che anche i l battesimo d i Gesù in 3 , 1 3 - 1 7 è di struttura «trinitaria • . 3 E questo indipendentemente dalla questione se ciò avvenisse già nel battesimo d i Gio­ vanni (e quanto più allora nel battesimo cristiano ! ) oppure se il battesimo di Giovanni si distinguesse da quello cristiano proprio perché non implicava la remissione dei peccati. Cf. vol. I, pp. 23 1 s. Anche in tal caso ci si dovrebbe guardare da sovrainterpretazioni: parlando del battesimo Matteo non pensa ancora, come i riformatori, alla «pura grazia • (così Frankemolle, n, 5 4 5 ) e di sicuro non pensa minimamente a un' «esperienza entusia­ stica» (così Schaberga, 3 3 2) che poi sarebbe stata rimessa immediatamente a posto dal v. 2oa. Matteo pensa semplicemente all'appartenenza alla chiesa. 2

Cor. 1 2,4-6; cf. I Cor. 6, 1 1 ; Gal. 4,6; I Pt. 1 ,2. 183-1 87. 286-290. Lohmeyer, 4 1 3 fa notare la triade « Dio - figlio del­ l'uomo - angelo• in Hen. aeth. 39,5-7; 5 1,3 s.; 6 I ,8-Io. 6 Abramowskia, 4 1 7-422. 436-438. 7 Sin dall'antichità s i vide nel v . 19b una allusione alla trinità. Cf. Tertullian. Bapt. 13 (ANF 3, 676); Hil. Pict. Trin. 2., 1 (BKV n/5, 104) e l a formula battesimale romana tri­ membre. Più tardi si sottolineò come il testo non dica in nominibus, bensì in nomine, in­ dizio dell'unità di Dio nella triade delle ipostasi: Vigilio in DS36, nr. 4 1 5; Pelagio, I, DS36 nrr. 44 1 e 445; Teofilatto, 485; Maldonado, 677; Giansenio, 3 1 1 , ecc. 8 Kingsburya, 5 80-584 parte da ui&; (v. 19b) come unico titolo cristologico del testo e ve­ de nella corrispondenza tra il v. 19b e 1 , 1 8-25; 2, 1 5; 3 , 1 7; 4,3 .6 la corrispondenza più 42

Cor. 1 3 , 1 3 ;

I

5 Schaberga, spec.

importante tra inizio e fine del vangelo.

MT. 28, 1 6-20

515

è da interpretarsi anzitutto sullo sfondo delle analogie giudaiche I né su quello delle analogie ellenistiche,� bensì sulla base della tradizione lin­ guistica cristiana prematteana. La formula esprime da un lato l'apparte­ nenza costitutiva della nuova identità del battezzato,3 dall'altro ricorda l'atto stesso del battesimo nel quale questi tre nomi furono «invocati » sul battezzando. 4 Storia degli effetti: il v. I9b. Soprattutto nelle confessioni di fede prote­ stanti Mt. 2 8 , 1 9 b è diventato il testo fondamentale per l'istituzione del bat­ tesimo a opera di Cristo.5 Poiché per la teologia della Riforma l'istituzione di un sacramento a opera del Signore è fondamentale, 6 ci si deve chiedere che cosa significhi in termini teologici che il mandato battesimale di Mt. 28, 1 9 b non risalga a Gesù stesso e che l'istituzione del battesimo come sacra­ mento non possa essere ricondotta - nonostante Gv. 4,1 - a Gesù. Com'è no­ to, il criterio della Riforma dell'istituzione da parte del Signore non è da con­ fondersi semplicemente con la questione storica dell'istituzione da parte di Gesù, ma ciononostante resta qui un problema teologico. È ancora possibi­ le legittimare i sacramenti «autentici» in termini « biblicistici » , ossia con la presenza nella Bibbia di un formale mandato istitutivo se non di Gesù, quan­ tomeno del Risorto ? Oppure è preferibile ricordare che probabilmente il battesimo fu praticato sin dall'inizio ovunque in tutta la chiesa (e viene le­ gittimato in un secondo momento dal Risorto al v. 1 9b) ? In tal modo ci si richiama tuttavia alla chiesa e alla tradizione. Questa importante questione della controversia teologica a mio parere non è stata ancora chiarita real­ mente da parte evangelica. I I passi rabbinici con l•sem esaurientemente discussi per ultimo da L. Hartman, «lnto the Name of]esus»: NTS 20 ( 1 973/74) 43 2-440 non sono affatto idonei, a mio parere, a

spiegare l'espressione, perché la locuzione rabbinica significa genericamente «per», « in rapporto a » , «allo scopo di » e non contiene alcun concreto rapporto con un nome. �

Più vicini al nostro testo delle formule bancarie ellenistiche, spesso citate dai tempi di lm Namen ]esu, Gottingen 1903, 102-105. 109 (E!ç 1:Ò OVO(L> della sua chiesa (23,8). La sua predicazione rende univoca la predi­ cazione della chiesa. b) L' «insegnamento>> non è menzionato prima del battesimo, come ci si sarebbe dovuti aspettare se si trattasse unicamente della catechesi bat­ tesimale della chiesa.3 Invece l' «insegnamento» dei comandamenti di Ge­ sù è fondamentale per la concezione matteana della chiesa. Per Matteo - buon giudeo - la chiesa è la «scuola >> di Gesù. Per Matteo la chiesa è la comunità dei discepoli che anche dopo il battesimo continuano a fre­ quentare costantemente la «scuola » di Gesù e nella sequela di Gesù os­ servano i suoi comandamenti. Per questo nel vangelo di Matteo i cinque discorsi di Gesù hanno un'importanza tanto grande. Essi contengono l' EùayyÉÀtav 'tijç �aatÀdac; di Gesù valido per il presente. c) Il contenuto dell' «insegnamento» è definito «osservanza dei coman­ damenti >> . Si tratta quindi di un ammaestramento orientato alla prassi. Già l'insegnamento di Gesù sul monte (Mt. 5-7) ci era apparso integral­ mente orientato in senso etico. Nel discorso ai discepoli (Mt. 10) si era parlato del compito e dello stile di vita dei discepoli, nel discorso alla coI Bornkamm• è stato il primo a dare risalto al fondamentale «rinvio all'insegnamento del Gesù terreno» ( 1 87) che coincide col Gesù risorto. Frankemolle, n , 5 5 1 , e Sand, 602, ricordano l'interpretazione della risurrezione sostenuta da W. Marxsen: « La causa di Gesù va avanti » , e a ragione, a condizione tuttavia di non dimenticare che nel vange· lo matteano Gesù è sin dall'inizio I'« Emmanuele» , dunque la presenza di Dio. In Matteo non c'è altra «causa » di Gesù che non sia il Dio vivente e presente. 2

Cf. vol.

1,

excursus alle pp. 2 8 1 -284.

3 Come già in

Did. 7, 1 . Cf. sopra, p. 503 .

MT. 2 8 , 1 6-20

5 17

munità del loro comportamento reciproco. I Per Matteo la chiesa è la fa­ miglia di Gesù che compie la volontà del Padre e sta sotto la benedizio­ ne di Gesù ( 1 2,4 6- 50; cf. 7,2 1 -27). Il v. 2oa è formulato sì in linguaggio biblico, ma qui, diversamente dalla Bibbia, non si tratta primariamente di osservanza della torà bensì di tutto ciò che Gesù ha comandato ai discepoli - e in questo tutto è inclusa anche la torà (cf. 5 , 1 7- 1 9 ) . 1tav-ra ricorda che la volontà di Dio non consiste soltanto, come in Giovanni, di un unico comandamento, il nuovo comandamento dell'amore, bensì in molti comandamenti che hanno tuttavia il loro culmine nel comanda­ mento dell'amore.2 L'obiettivo della predicazione missionaria dei disce­ poli non è quindi la conversione ma la prassi dei nuovi discepoli guada­ gnati a Gesù. Per questa ragione anche l' .6 I

Vol. n, pp. 202 s.; vol. III, pp. 1 07 s.

2

Cf. vol. III, pp. 35 5-3 5 8 .

4 Calvino,

Inst. 4,8,4; 4,8,7.

3 Segnalazione di Moisés Mayordomo-Marln. 5 Calvino,

n, 446.

6 Giansenio,

3 I I.

5 I 8 IL MANDATO MISSIONARIO DEL SIGNORE DEL MONDO

La proclamazione di Gesù si conclude con la promessa della sua presenza nella comunità. La promessa rimanda a 1,2.3, dove con una ci­ tazione di compimento Matteo presenta Gesù come l' « Emmanuele », il Dio presente fra il suo popolo. Oltre che a 1 ,23 essa rimanda al Dio bi­ blico che dalle storie dei patriarchi fino ai libri delle Cronache accom­ pagna il suo popolo con la sua costante e attiva presenza. 1 Questo «es­ sere-con-noi» di Dio nell'Emmanuele Gesù ha dimostrato d'essere una nota fondamentale che risuona in tutto il vangelo (9, 1 5 ; 17,17; r 8,2o), e con particolare intensità nella storia della passione (cf. 26, u . r 8 .2o. 23 .29-3 6-3 8 .4o. p . 69.7 1 ) . Una dopo l'altra l'evangelista racconta storie di Gesù che presente fra i suoi discepoli li aiuta (ad es. 8,23-27; J4, 1 3 21.22-23; 1 5 ,29-39; 17,1-8; 26,26-29 ). L a promessa d i Gesù d'essere presente fra i suoi discepoli fino alla fine del mondo si rifà quindi anche qui alla storia del Gesù terreno. Nelle esperienze dei discepoli con il Ge­ sù terreno la comunità riconosce le proprie esperienze con il Risorto. Viceversa, dalle storie che riguardano il «Dio-con-noi » terreno la comu­ nità può venire a sapere che cosa significhi per se stessa questa promes­ sa a conclusione del vangelo. Egli stesso è presente nella sua comunità, ed è qui che si deve vedere la ragione per la quale in quest'ultima peri­ cope del vangelo di Matteo non ci sia alcun titolo cristologico di sovrani­ tà che prevalga, né «figlio dell'uomo » né xupw>, ossia fino alla ve­ nuta del figlio dell ' uo mo , fino a quella parusia che l'evangelista ricorda con la sua ultima parola.' Storia degli effetti: il v. 2ob. A grande unanimità l'interpretazione eccle­ siastica ha sottolineato come questa promessa conclusiva valga non soltan­ to per gli apostoli ma per tutti i credenti: gli apostoli non vissero certo fino alla fine di questo eone! 2 Più varie sono state invece le risposte alla que­ stione di come intendere la presenza del Cristo glorificato nella sua chiesa. Ricordo qui soltanto alcune delle risposte. Ovviamente non si è cessato di pensare allo Spirito santo, che Matteo non nomina. Talvolta si è pensato all'eucaristia. Ma è importante anche la presenza di Gesù nel cuore dei cre­ denti e la sua presenza come signore della storia mediante la provvidenza divina.3 Sorprende che gli esegeti della Riforma non parlino mai della pre­ senza di Gesù nella sua parola. I calvinisti incorrono in qualche difficoltà quando conformemente all'Extra Calvinisticum pensano che il Cristo glori­ ficato sia presente corporalmente soltanto in cielo. Anche Calvino, a com­ mento di questo passo, ricorda l'assenza corporea di Gesù di cui parla 26,r r , r

Cf. 1 3 , 3 9 s.49; 24,3 e vol.

m,

p. 5 1 9· Non si può quindi dire che la promessa del v.

2ob comporti la relativizzazione dell'attesa della parusia (come pensano ad es. Wellhau­ sen, 1 5 2; Montefiore, n, 3 5 9; Bornkamm0, 1 76; cf. Trilling, Israel, 4 5 ). 2. Così ad es. Chrys. In Mt. 90,2 (PG 5 8 , 789); Teofilatto, 4 8 5 ; Eutimio Zigabeno, 764; Hier. In Mt. 2 8 3 ; Maldonado, 679; Bullinger, 266B. 3 Dionigi il Certosino, 3 2 1 -

5 20 IL MANDATO MISSIONARIO DEL SIGNORE DEL MONDO

e sottolinea che qui Cristo si riferirebbe soltanto alla presenza spirituale del­ la sua maestà. I Nell'epoca delle chiese divise, Bengel con spirito ecumenico mette in evidenza che la promessa della presenza di Cristo non vale per una sola parte confessionale della chiesa.� La sesta dichiarazione di Barmen svi­ luppa un'idea di Calvino quando sottolinea che la presenza di Cristo esclu­ de nella chiesa il predominio «dell'autosufficienza umana » e di «desideri, scopi e piani scelti autonomamente».3 Riepilogo. Ci si trova così alla conclusione della summa del vangelo di Matteo che il Risorto ha lasciato in eredità ai suoi discepoli. Il bilancio cristologico del vangelo suona: il Risorto e Glorificato altri non è che il Gesù terreno del quale Matteo ha narrato; mediante lui Dio resta peren­ nemente presente nella sua chiesa. Il bilancio ecclesiologico suona: la chiesa non può mai essere qualcosa di diverso da un discepolato, da una scuola della sequela proprio di questo Gesù. E il bilancio etico suona: la sequela è prassi, ottemperanza di tutti i comandamenti di Gesù, tutti, perché Gesù guida i suoi discepoli sulla via della perfezione che culmina nell'amore. Questo bilancio triadico di un unico testo ha il suo nucleo e fondamento nella cristologia, perché chi rende possibile questo cammi­ no dei discepoli è Cristo, il Signore del mondo nel presente e nel futuro e insieme modello di ubbidienza e compagno e scorta della sua chiesa. Al tempo stesso questi tre bilanci sono una cosa sola e sono indivisibili, perché per Matteo si può rendere testimonianza al Risorto soltanto con la prassi della sequela nella comunità dei discepoli, la chiesa. Significato odierno per la missione. In quanto «mandato missionario» il nostro testo orienta le nostre chiese odierne. La missione è diventata oggi una realtà controversa dopo che ci sono stati aperti gli occhi sul­ l'ambivalenza della missione cristiana moderna. Nell'opera missionaria si è trattato talvolta di dominazione della chiesa e delle potenze colonia­ li cristiane più che di dominio di Cristo signore del mondo. Il «manda­ to missionario>> non è del tutto estraneo alla crisi delle missioni cristiane, perché in Mt. 28,19a esso è formulato come comandamento assoluto che ha il suo fondamento nel potere di Gesù signore del mondo.4 Alla storia ambivalente degli effetti del nostro testo si contrappone però la sua istanza chiara e univoca: a detta di Mt. 28,1 8-20 la missione intesa come predicazione dell'insegnamento di Gesù e appello alla sequela è una caratteristica vitale irrinunciabile della chiesa, quindi molto più del I

Calvino, Inst. 4,1 7,26; 4 , 1 7,30.

2

Bengel, 1 70 ( • pertinet hoc . . . ad totam ecdesiam» ); cf. Calvino, n, 447·

3 BSKORK, 3 3 6 s.

4 Cf. A. Kuyper,

loc. cit. (sopra, p. 506 n. 7).

MT. 28, 1 6-20

521

semplice compimento di uno dei molti comandamenti che Gesù h a la­ sciato ai suoi discepoli. Non penso tuttavia che qui si tratti soltanto di contrapporre a una sto­ ria ambivalente degli effetti un'istanza perenne del testo. A mio parere il testo contiene piuttosto anche potenzialità di significato in grado di im­ pedire abusi della missione come quelli a cui si è a più riprese assistito. Ec­ cone due: 1 . la missione che si basa sul potere di Gesù signore del mondo non possiede altri mezzi di potere che quelli che il signore del mondo ha for­ nito ai suoi discepoli: il potere della parola che risplende tra gli uomini sempre e soltanto mediante la dimostrazione concreta della prassi (cf. 5,1 6); è il potere di colui che è stato non il padrone, ma il servitore di tutti ( 20,28); 2. intesa come predicazione dei comandamenti di Gesù orientata alla prassi, la missione ha anch'essa il suo criterio nell'amore, che a dire di Matteo è il più grande di tutti i comandamenti che Gesù ha affidato alla sua chiesa affinché siano osservati.' r Soares-Prabhu", 274-282 paragona l a concezione cristiana e quella buddista della mis­ sione. La concezione cristiana della missione sarebbe insieme sorretta e gravata dal suo cristocentrismo, mentre la buddista mirerebbe soprattutto al benessere dell'uomo. Nel­ l'ottica dell'amore, che è l'essenza dei comandamenti di Cristo, un simile contrasto non dovrebbe essere insuperabile. Ma al tempo stesso questo criterio rivela chiaramente che nella sua storia e attualmente la missione cristiana è stata spesso ben !ungi dal sottomet­ tersi a questo criterio matteano.

SGUARDO RETROSPETIIVO

I . RIEPILOGO. CAPISALDI DELLA STORIA DI GES Ù NARRATA DA MATTEO 1

1 . Dio. Matteo narra la storia di Gesù come storia dell' «Emmanuele» ( 1, 23 ) : nella figura di Gesù è Dio che permane «con» la sua comunità, sino alla fine del mondo. Per la comunità la storia di Gesù ha quindi anzitut­ to un significato teologico fondamentale. 1 . 1. Mediante Gesù la comunità sperimenta l'aiuto di Dio. Al riguar­ do il mezzo espressivo linguistico più importante sono le storie di mira­ colo: .. Gesù porta gli uomini dalla cecità alla vista (9,27-3 1; 20,29-34, ecc.); li rimette in piedi (ad es. 9,2-8; I 1,5 ); vince i demoni e la morte (ad es. 9,1 8-26; 1 2,22); è a fianco dei suoi discepoli nelle tempeste della vita e stende loro la mano quando sono disperati e affondano ( 8,23 -27; 14, 22-3 3 ). In storie come queste gli ascoltatori apprendono come Dio sia «con» loro nelle loro vite. 1 .2. Per questo quanti cercano aiuto e anche i discepoli si rivolgono con la loro preghiera a Gesù (8,25; I4,3 o; 1 5 ,22; 17, 1 5 ; 20,30-3 3 ). In queste preghiere rivolte al XUptoc; Gesù i lettori da una parte riconosco­ no l'appellativo biblico per Dio, xupwc;, e il linguaggio di preghiera dei Salmi, dall'altro il loro proprio linguaggio di preghiera. Essi avvicinano Gesù a Dio. 1 . 3 . Poiché l'Emmanuele Gesù è per i lettori la figura di Dio con cui questi si fa loro incontro, in Matteo il titolo di figlio di Dio 3 assolve una funzione primaria poiché unisce Gesù a Dio. Gesù viene rivelato da Dio 1 Questo capitolo conclusivo è dedicato primariamente alla storia di Gesù. Per i cinque grandi discorsi che si rivolgono direttamente ai lettori del vangelo di Matteo si vedano anche le ricapitolazioni alla fine di ciascun discorso (vol. 1, pp. 6 1 2-6 1 7; vol. n, pp. 20 1 2.04 e 470 s.; vol. m, pp. 107 -I I O e 667-67 5 ) . 2. Cf. vol. n, pp. 9 1 -96.

3 Cf. Luz, Skizze, 23 1-2.34. Il senso dell'espressione «figlio di Dio» si ricava principalmen­ te dalla storia matteana di Gesù. I lettori vi aggiungono inoltre le loro precognizioni cri­ stiane e forse anche la conoscenza del vangelo di Marco. L'espressione non va dunque connotata primariamente partendo da uno sfondo storico religioso giudaico, ad es. da una messianologia davidica o da una teologia sapienziale. « Figlio di Dio» denota l'affini­ tà di Gesù con Dio.

SGUARDO RETROSPETTIVO

agli uomini come figlio di Dio ( 3 , 1 7; 1 6, 1 7; 17,5; cf. 1 1 ,27) e i discepo­ li e la comunità lo confessano figlio di Dio ( 1 4,3 3 ; 1 6, 1 6; 27,54). 1 .4. Secondo la convinzione protocristiana, in particolare in Matteo, Gesù, il > . L'evangelista avvalora questa impressione con la struttura della sua storia, che con l'alternanza di rac­ conti e discorsi ricorda il Pentateuco, e con elementi linguistici e stilistici che in vari modi ricordano la Bibbia.� 2.2. Le citazioni di compimento, il filo rosso che attraversa tutto il vangelo, imprimono nella mente dei lettori che la storia di Gesù è il com­ pimento e l'adempimento di ciò che Dio ha annunciato e promesso nel­ la Bibbia per mezzo dei profeti. 2. 3 . L'opera del Dio d'Israele raggiunge il suo apice e il suo compi­ mento nella storia di Gesù: lo mostra anche il fatto che alla fine di questa storia l'opera di Dio raggiunge con il mandato missionario un orizzonte universale ( 28,1 8-20), come già da tempo era stato preannunciato dai profeti (4, 1 5 s.; 1 2, 1 8-2 1 ) e da Gesù stesso (ad es. 5, 14; 8, 1 1 s.; 1 3 ,3 8; 22,8-10; 24,9-14). La chiesa ha adottato questa nuova storia fondamentale, insieme agli altri vangeli, come «norma » e l'ha canonizzata. Nella prospettiva del vangelo di Matteo questa posizione è comprensibile e coerente.3 3· Gesù. Quando Matteo narra la storia di Gesù come storia dell'Emma­ nuele egli propugna un giudeocristianesimo con una cristologia partico­ larmente «alta » . Ma parlare di cristologia del vangelo di Matteo forse è del tutto inappropriato. L'evangelista racconta chi è Gesù. La sua storia di Gesù è in tutto il quadro generale concreto entro le cui coordinate egli formula i suoi asserti riguardo a Gesù. Certo egli riprende titoli di so­ vranità cristologici, ma nella maggior parte dei casi lo fa non per spiegaI Cf. vol. I, pp. 5 6. 6 1 e U. Luz, Das Matthiiusevangelium - eine neue oder eine neu re­ digierte Jesusgeschichte?, in S. Chapman et al. (edd.), Biblischer Text und theologische Theoriebildung (8Th 44), 2001 , 68-74. � È quindi fondamentalmente sbagliato apprezzare gli elementi «biblici» di stile e strut­ tura e le citazioni e reminiscenze bibliche del vangelo di Matteo soltanto da punti di vi­ sta formali o culturali. Matteo è stato certo un giudeo, ha avuto un'educazione giudaica e ha scritto «da giudeo» (cf. vol. I, pp. 43-49. 98-103. 112.-12.2.). Tutto ciò è vero. Ma mol­ to più importante è l'istanza teologica e cristologica che il vangelo di Matteo manifesta con la sua •veste biblica» . 3 Cf. vol. 1 , pp. 62.-65 e vol. IV, p . 5 17· A un'opinione simile (per tutti i vangeli) giunge anche G. Theissen, Die Religion der ersten Christen, Giitersloh 2.ooo, 2.33 e passim.

SGUARDO RETROSPETIIVO

re con essi il significato di Gesù, ma al contrario per illustrare con la sua storia di Gesù il contenuto dei titoli cristologici tradizionali. Servendosi di questi titoli egli approfondisce e anche modifica con la sua storia le cognizioni messianiche giudaiche o giudeocristiane dei suoi lettori. 3 . 1 . Matteo racconta la storia del Cristo, il figlio di David I (cf. 2,2I7). Ma il messia Gesù non viene al suo popolo Israele come liberatore politico, anche se guarisce i malati e in particolare i ciechi del suo popo­ lo. Alla fine della storia di Gesù il messia di Israele si dimostra signore del mondo intero (22,4 I-46; cf. 28,I 8). 3 .2. Matteo narra la storia di Gesù messia regale ( 2,2). A differenza del brutale re Erode, Gesù si dimostra un re pacifico e non violento ( 2 1 , I-Io). Egli si mostra interessato non a u n suo proprio regno ma a l regno dei cieli; non fa uso del suo potere celeste (26, 5 3 ; cf. 4,8-Io), ma si lascia schernire e giustiziare come re d'Israele ( 27,27-3 1 · 3 8-44 ). Dopo la risur­ rezione domina su tutto il mondo, non con la forza, ma mediante la pre­ dicazione dei suoi discepoli (28,I 8-2o). 3·3· Matteo narra la storia del Gesù sofferente che percorre ubbidien­ te il suo cammino fino in fondo, fino al grido a Dio che lo abbandona nel­ la morte ( 27,46), del tutto consapevole che la passione è la volontà di Dio per lui. L'evangelista racconta la storia della passione di Gesù in tut­ ta la sua durezza, senza lasciar dubbi circa il potere divino di Gesù.� 3 + Matteo narra la storia di Gesù maestro che istruisce il suo popo­ lo e gli annuncia il «vangelo del regno�� (ad es. 4,23; 9,3 5 ) . Egli è il solo maestro dei suoi discepoli, quello che li prende sempre da parte e li gui­ da alla comprensione (ad es. I 3 , I 6. I 8 . 5 1 ) . Il maestro Gesù è più di un rabbi e di un profeta (cf. 1 2,4 I s.). Nella storia matteana di Gesù egli si distingue ad esempio dai profeti perché non solo compie atti dimostrati­ vi che ne illustrano la predicazione, ma perché tutta la sua vita è l'incar­ nazione del suo insegnamento. La dimostrazione più chiara di ciò si ha nella storia della passione nella quale Gesù fa e patisce precisamente ciò che nel discorso della montagna ha predicato come volontà del Padre (ad es. 26,39·43 · 5 2). Il maestro Gesù assurge così a esempio e modello di vita per i discepoli e i lettori. 3 I

Cf. vol. n, pp. 8 s-88. A differenza del vangelo di Giovanni, nella storia della passione di Matteo non c'è trac­ cia di docetismo latente, anche se ascoltatori credenti della storia matteana di Gesù pos­ sono a ogni passo cogliervi indizi nascosti della futura gloria pasquale di Gesù. Per que­ sta ragione, pur non parlando mai né di preesistenza né di incarnazione, il vangelo di Matteo è più vicino alla dottrina posteriore delle due nature della chiesa nella sua forma calcedonese di quanto lo sia, ad es., il vangelo di Giovanni. 3 Il Gesù matteano espone esplicitamente tutto ciò nel discorso ai discepoli del cap. 10. Cf. spec. vol. n, pp. 203 s. sulla «conformità a Gesù» dei discepoli. :t

RIEPILOGO

5 27

3 - 5 - Matteo narra la storia del figlio di Dio ( 2, 1 5 ; cf. I , 1 8-2 5 ). Il figlio di Dio non è soltanto il re sul trono di David (2 Sam. 7, 1 3 s.) e non è sol­ tanto il rappresentante di Dio da Dio stesso proclamato e rivelato ( 3 , 1 7; 1 7, 1 5 ), ma è al tempo stesso il modello di ubbidienza (4,1 - 1 1 ) che prati­ ca egli stesso la volontà di Dio che predica, così che in lui viene fatta la volontà del Padre ( 26,3 9 .4 2 ) . Poiché ha confidato in Dio, Dio lo ha sal­ vato, ma non già prima della morte bensì soltanto mediante la risurrezio­ ne (cf. 27,4 3 ). Appunto i testi su Gesù figlio di Dio mostrano quindi di variare alquanto fra «sovranità » e «minorità », non senza analogie con la posteriore dottrina cristiana delle due nature. Naturalmente né l'evangelista né i primi recettori hanno inteso l'espressio­ ne u(� -8Eou nel senso della dottrina posteriore della Trinità. Essi non pen­ sano in categorie ontologiche greche ma in quelle storiche bibliche: è nella storia che Dio agisce e si dimostra affidabile e fedele. La novità rispetto al pensiero biblico è che Dio è «con » il suo popolo in un uomo e diventa co­ noscibile in lui in modo unico e definitivo. Matteo non intende questo nel senso in cui più tardi la chiesa parlerà della divinità di Gesù, bensì in senso funzionale: Dio opera mediante Gesù, mediante lui solo e in maniera asso­ lutamente particolare. Nella prospettiva di Matteo, tuttavia, non cadono semplicemente in er­ rore lettori posteriori od odierni che alla luce della propria fede leggano il vangelo di Matteo in senso trinitario. È bene che essi sappiano che questa è la loro lettura e l'interpretazione della chiesa, che non corrisponde al senso originario del testo. Una differenza fonda mentale tra la concezione mat­ teana di Gesù e di Dio e la posteriore dottrina dell a Trinità è anche che la concezione matteana della presenza costante di Dio in Gesù già in linea di principio rende inutile una pneumatologia indipendente. 3 .6. Ai suoi discepoli Gesù spiega che il proprio cammino è il cammi­ no del figlio dell'uomo. Quella che egli percorre è una via che si snoda in mortificazione e sofferenza, al termine della quale verrà esaltato e infine in qualità di giudice universale giudicherà tutti i popoli ( 2 5 . 3 1 -46). Pro­ prio nel momento in cui si trova davanti ai suoi giudici terreni Gesù ri­ vela pubblicamente d'essere il giudice universale celeste ( 26,64 ). L'espres­ sione «figlio dell'uomo» non è primariamente la caratteristica distintiva di un particolare tipo di attesa giudaica e cristiana di un giudice univer­ sale messianico. L'espressione ricorda piuttosto ai lettori del vangelo tut­ to il cammino percorso da Gesù, che era povero e venne schernito ( 8 , 2o; 1 1 , 1 9 ), che da imputato si rivelò davanti al suo giudice, che venne innal­ zato e da giudice universale giudicherà tutti i popoli. 1 Matteo racconta quindi chi è Gesù. In ciò che si è detto di alcuni titor

Per questo aspetto cf. spec. vol. n, pp. 6 1 8-624.

SGUARDO RETROSPETIIVO

li di sovranità «cristologici » si è cercato di rendere perspicuo come que­ sti vengano fatti entrare nella storia matteana di Gesù, come siano in­ quadrati in questa storia e ricevano così un nuovo contenuto. Prima di concludere resta tuttavia da aggiungere che quelli su cui ci si è soffer­ mati sono soltanto alcuni degli aspetti della storia matteana di Gesù. La storia in generale di Gesù è molto più ricca e la sua figura matteana è più varia di quanto rivelino i testi che contengono titoli cristologici. Matteo, insomma, racconta una storia e molti singoli fatti di Gesù. 4· La storia di Gesù come storia «inclusiva» . Secondo il modello del van­ gelo di Marco e analogamente al vangelo di Giovanni, Matteo sviluppa la sua storia di Gesù come «storia inclusiva » , ossia come storia che di Gesù e giudicano i discepoli, e quindi anche se stessi, con i suoi occhi. Il vangelo di Matteo intende quindi essere non «fonte d'informazione» (in inglese source) sulla vita di Gesù, ma piuttosto «fonte di vita » (in inglese resource) . Chiede lettori non distaccati ma partecipi. Vuole non solo informare ma anche rendere partecipi e smuovere i suoi lettori. 5 . La storia del conflitto di Gesù con Israele. L'evangelista racconta la sua storia di Gesù come storia di un conflitto sempre più drammatico con i capi d'Israele. Gesù, il messia inviato a risanare e salvare Israele suo popolo, è combattuto dai capi malvagi, da farisei, scribi e, soprattutto nella storia della passione, dai sommi sacerdoti e dagli anziani, e infine - col voto favorevole di «tutto il popolo» ( 27,23 -25 ) - ucciso. Egli arriva alla resa dei conti con i gruppi a lui ostili e con i loro capi a Gerusalem­ me ( 2 I ,23-23,39) e abbandona poi con i suoi discepoli tempio e città la cui rovina egli ha predetto ( 2 3 , 3 7-39; 24,I s.). La storia di Gesù in Israe­ le è una storia di conflitto. Il conflitto termina con l'apparente vittoria dei capi nemici su Gesù, che viene giustiziato, con i capi d'Israele che do­ po pasqua vengono smascherati come ingannatori ( 27,62-66; 28,n­ I 5 ) e con il mandato di Gesù in Galilea alla missione tra i popoli (28,I62o; cf. 22,8- Io). Al pari di qualsiasi storia di conflitti, anche la storia mat­ teana di Gesù si fa comprendere per come finisce. 5 . I . In questa storia di conflitto Matteo elabora il suo dolore per la se­ parazione dalla «madre» Israele. Si giunge a duri giudizi sommari sui fa­ risei e gli scribi (cap. 23 ), non giustificabili né storicamente né teologi­ camente nell'ottica dell'amore per i nemici insegnato da Gesù, e a fin­ zioni storiche scaltramente malevole (27,24 s.62-66; 28, n-I 5 ) che sono comprensibili soltanto alla luce della particolare situazione storica di al­ lora e della situazione di conflitto seguita alla separazione. Qui si è da­ vanti al lato più oscuro e problematico della storia matteana di Gesù. 1 5 .2. Il conflitto era inevitabile poiché per Matteo e la sua comunità r

Cf.

spec.

vol. I,

pp.

109- 1 14; vol.

111,

spec. pp.

48 3-498, e Luz, Antijudaismus.

530

SGUARDO RETROSPETIIVO

l'autorità di Gesù figlio dell'uomo è tanto superiore e la sua storia in Israele tanto capitale, che solo la figura e l'annuncio di Gesù potevano essere il fondamento d'Israele. Per i suoi avversari, gli scribi e i farisei, che dopo la catastrofe della guerra giudaica e della distruzione di Geru­ salemme cercavano di ricostituire l'identità d'Israele sulla base della to­ rà, la base di questa identità non poteva ovviamente essere Gesù. Nella sua interpretazione di Gesù Matteo resta presumibilmente fedele al­ l'istanza stessa di Gesù: a sé e alle sue parole Gesù ha rivendicato l'autorità più alta (Q 6,47-49 = Mt. 7,24-27; Q r 2,8 s. = Mt. r o, 3 2 s.) e probabilmen­ te pensava d'essere lui il figlio dell'uomo e giudice universale a venire. Co­ me mostrano le introduzioni alle antitesi, alla sua radicalizzazione della to­ rà mosaica Gesù attribuiva un'autorità insuperabile 1 e collegava il suo ope­ rato alla venuta del regno di Dio (Q n,20-22; cf. Le. r o, r 8 ) . La rea�ione negativa di larghe parti d'Israele doveva quindi per così dire di necessità sca­ tenare una violenta controreazione del movimento di Gesù (cf. già Q I O, I 3 I 5 = Mt. u ,20-24). Che l'evangelista abbia sperimentato come catastrofe il no a Gesù della grande maggioranza d'Israele, un no che dopo la guerra giudaica si profilò definitivo, e abbia reagito di conseguenza era per così di­ re già «messo in conto» da Gesù.

5 · 3 · La storia matteana «inclusiva » di Gesù che abbandona il tempio, viene crocifisso e, risorto, conduce i suoi discepoli sulla via della missione alle nazioni, rispecchia anche il cammino postpasquale delle comunità giudeocristiane di Gesù, costrette a lasciare Israele. Considerato in que­ st'ottica di storia delle religioni, il vangelo di Matteo è un testo impor­ tante che documenta come il movimento giudaico di Gesù, senza voler­ lo esso stesso e contro le intenzioni di Gesù (cf. ro,s s.), diventa una re­ ligione a sé sciolta dal giudaismo e parte della chiesa etnicocristiana. 5 ·4· Nella situazione della separazione dalla maggioranza d'Israele il Gesù matteano sottolinea il carattere giudaico del suo «vangelo del re­ gno » (cf. spec. s , r 7-r 9; 9, r 3 ; 1 2,7; 22,40). Con le citazioni di compi­ mento Matteo narratore mette per principio in risalto la continuità tra Gesù e la Bibbia d'Israele, 1 e lo fa polemicamente, contro la maggio­ ranza dell'Israele del tempo, che rifiutò le istanze di Gesù. La storia matteana di Gesù si dimostra quindi intrinsecamente connes­ sa alla situazione e al contesto storico. Senza coscienza della sua conte­ stualità storica di allora e della nostra odierna diversa contestualità, que­ sta storia non può risultare comprensibile per i giorni nostri. Nel loro commento Davies e Allison parlano di natura «ecumenica >> del van­ gelo di Matteo. La storia matteana di Gesù contribuì a unire giudeocristia1

Cf. vol.

I, pp. 3 7 1 - 3 77.

1

Cf. vol.

I, pp. 2 2 1 - 2 2 3 .

SIGNIFICATO ODIERNO

53 1

nesimo ed etnicocristianesimo. 1 Ciò è certamente vero, ma non è che una faccia della medaglia: il vangelo di Matteo contribuì sì a unire il cristiane­ simo di matrice giudaica e quello di provenienza gentile, ma lo fece in un mo­ do che al tempo stesso condusse alla separazione del giudeocristianesimo dall'Israele che non credeva in Gesù. Esso aiutò i suoi primi lettori e ascol­ tatori, in maggioranza giudeocristiani, a trovare il loro posto nella chiesa in maggioranza etnicocristiana, ma in tal modo contribuì anche a far sì che questa in tempi relativamente brevi si estraniasse dalle radici giudaiche: la torà d'Israele che Gesù era venuto a compiere cessò d'essere nella chiesa il libro d'Israele e divenne il cristiano «Antico» Testamento, nella prassi rece­ pito soltanto in parte.

2. SIGNIFICATO ODIERNO DELLA STORIA MATTEANA DI GES Ù 1 Ovviamente qui è possibile fornire soltanto qualche cenno - di necessità incompleto, generale, soggettivo e riferito alla mia propria situazione di svizzero e di europeo occidentale - riguardo a quali aspetti la storia di Gesù scritta da Matteo può per me essere di importante sprone. Le mie osservazioni mirano a stimolare i miei lettori a formulare per se stessi, nell'ottica delle loro proprie esperienze, il significato della storia mattea­ na di Gesù. Anche a questo scopo metto al centro la storia di Gesù 3 e mi attengo ai cinque punti illustrati nel riepilogo.4 1 . Dio. Oggi per molti di noi europei occidentali si è persa l'ovvietà di Dio come termine personale di confronto o anche come componente di una metafisica. Dio, se ci dovesse essere, è diventato inconoscibile, inson­ dabile, imprevedibile e «privo di volto » . 5 Per molti che non sono diven­ tati semplicemente atei o agnostici il suo posto è preso da esperienze di «trascendenza » nebulose e oscure. Per molti che si fanno commuovere dall'ingiustizia e dalla miseria nel mondo, l'onnipotente creatore del mondo e signore dell'universo della Bibbia pensato in termini personali è diventato vittima della questione della teodicea. 6 In questa situazione mi pare fondamentale che Matteo parli di Dio parlando di un uomo. « Gesù è l'Emmanuele » significa: Dio ha un volto. Dio è conoscibile. Dio r

Davies-AIIison,

m,

703; cf. 72.3.

2

Cf. Luz, Jesusgeschichte, 1 70-173·

1, pp. 6 1 7-62.5; n, pp. 2.04· 2.10. 471-476; m, pp. I Io- I I 6. 675-686. Per il significato odierno delle storie matteane di miracolo cf. vol. n, pp. 96- 1 02. e per il discorso delle invettive cf. vol. m, pp. 492.-498. 5 Cf. sopra, pp. 1 8 1- 1 8 3 e 39 1-393. 4 Cf. sopra, pp. 5 2.3-5 3 1 .

3 Per i l significato odierno dei discorsi di Matteo cf. voli.

6 Cito qui un confermando sveglio che parlando della guerra in Vietnam pronunciò una frase che mi ha accompagnato per tutta la vita: •Se al quadro di comando della storia universale davvero siede un Dio, allora è un idiota! » .

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ha una volontà. Dio è concreto. Dio è debole. Dio compare come uomo. Si può raccontare di lui. Facendo di Gesù nella sua storia il «volto» di Dio, Matteo apre un accesso a lui a chi abbia perso la naturalezza o an­ che la mera possibilità di parlare di lui. Se Gesù è davvero l' « Emmanue­ le», è una questione che non può essere risolta con nessuna teoria ma solo con l'esistenza. 1 Ma la storia matteana di Gesù toglie il peso della ricerca di un «Dio in sé» diventato nebuloso, fantomatico e oscuro. 1 2. La nuova storia fondamentale. La maggior parte dei lettori odierni legge il vangelo di Matteo come ciò che esso è diventato per essere stato accolto nel canone: una «storia fondamentale» del cristianesimo, religio­ ne universale autonoma staccatasi dall'ebraismo. Ciò verso cui Matteo e la sua comunità stavano andando senza potersi capacitare di quale aspetto avrebbe avuto il «traguardo», è arrivato: il vangelo di Matteo è diventato il primo libro del Nuovo Testamento di una nuova religione universale.

Su questo «traguardo >> oggi è anche possibile riflettere criticamente. Molto di ciò che Matteo e le sue comunità volevano provocare non è accaduto o è accaduto altrimenti. Il Dio d'Israele non è diventato Dio del mondo, ma soltanto Dio del cristianesimo. Essendo Gesù l' « Emmanuel>> diventato Dio del cristianesimo e la storia matteana di Gesù una parte della Bibbia cri­ stiana, si è creata una nuova frontiera che rende difficile a molti - ebrei, atei, appartenenti a religioni non cristiane - riconoscere in Gesù il «volto» di Dio. Il «traguardo » dello sviluppo che oltre ad altro Matteo ha avviato e rafforzato con la sua nuova «storia fondamentale >> ha fatto nascere nuovi problemi sui quali è da riflettere se oggi li si legge in modo nuovo.

A questo punto mi pare importante che nel suo vangelo Matteo collo­ chi Gesù nel giudaismo come colui che adempie la torà e i profeti e co­ me momento e culmine della storia d'Israele. L'evangelista ha insistito polemicamente su questi aspetti per sottolineare il diritto delle comuni­ tà di Gesù all'eredità d'Israele. Anche noi dovremmo imparare di nuo­ vo a vedere Gesù come giudeo per poter riconsiderare criticamente le no­ stre proprie immagini di Cristo. Dovremmo quindi fare come Matteo, ma senza alcuna mira polemica. Una delle più importanti sfide lanciate alle chiese cristiane, con le quali esse non si sono ancora confrontate in misura almeno sufficiente, è proprio questa: Gesù fondatore di religione e mediatore non era cristiano ma giudeo. Matteo racconta come storia fondamentale per la propria comunità cristiana la storia di un giudeo. E 1

Nel senso di Kierkegaard. Vorrei ricordare D. Solle, Stellvertretung. Ein Kapitel Theologie nach dem «Tode Got­ tes», Stuttgart 1965. :1.

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in considerazione della sua opera ci è preclusa anche la via di fuga di Bultmann, il quale per onestà storica collocava Gesù nel giudaismo e non nel cristianesimo, ma poi appunto per questo ne considerava irrilevante la storia.' No! Nella prospettiva di Matteo la storia di Gesù è la storia fondamentale del cristianesimo proprio in quanto storia di un giudeo. 3 . Policromia di Gesù. Matteo racconta di Gesù. Storie di vari colori. Contengono molte potenzialità di senso e consentono ai loro ascoltato­ ri di accedervi in modi molteplici e determinati dalle proprie esperienze e di rispondervi. Le storie sono il nemico di ogni definizione. Le storie non creano in chi le legge un'unica immagine ma molte. Le storie sono il nemico di qualsiasi ortodossia. Il contenuto cristologico della storia (delle storie) di Matteo può essere espresso soltanto per le sue potenzia­ lità di senso, e queste non sono intrinsecamente definibili in senso uni­ voco. Nelle storie si possono scoprire sempre nuove potenzialità di sen­ so. Il senso delle storie è sempre inconcluso. Nella tradizione cristiana Gesù è capitato in mano ai teologi che han­ no definito chi egli è. Le definizioni sono «concluse» ; esse costringono a distinguere tra vero e falso. La storia dell'interpretazione e degli effetti ha mostrato che teologi di diversa sfumatura hanno sempre dovuto faticare con Matteo. Questi non fornisce alcuna immagine completa e conclusa di Gesù e di rado distingue tra definizioni di Gesù vere e false,.. ma sen­ z'altro fra prassi giusta e sbagliata. Proprio qui sta a mio parere uno dei significati fondamentali della sua storia di Gesù. Questa invita teologi assennati non a voler definire chi sia > significa che anche nelle nostre vite e nelle nostre chiese qualcosa avviene. La storia matteana di Gesù può forse far capi­ re alle nostre chiese, spesso sclerotizzate in rituali e parole, che la salvez­ za ha a che fare con la guarigione e l'esperienza, l'intellezione con la pras­ si, la confessione di fede con la sofferenza, la fede con la fiducia e so­ prattutto con la preghiera, e il sacramento con l'appagamento. La grazia è concreta ! La grazia è più della conoscenza di un Dio di grazia, com­ prendere è più che avere idee su chi Gesù è e che cosa vuole, proprio co­ me l'esperienza della presenza viva di Dio è più che sapere che Gesù è l' . Nella storia matteana di Gesù si tratta di esperienze e non di frasi imparate. Quando l'evangelista racconta di confessioni di fede in Gesù da parte di discepoli o di estranei (ad es. 1 4 , 3 3 ; r 6, r 6; 27, 5 4 ) egli le cataloga fra le esperienze che queste persone hanno fatto con Gesù. E quando nella storia di Gesù Matteo introduce il «vangelo>> etico , al tempo stesso egli introduce l'istanza di Gesù nelle esperienze che gli ascoltatori hanno fatto o possono fare con l'Ernmanue­ le Gesù. La storia > di Gesù richiede un'ermeneutica a tutto­ tondo nella quale confluiscono fede e vita, teologia e prassi. Vorrei tornare ancora una volta sul significato di Gesù come e > (cf. sopra, 3 ·4 e 3 . 5 ). Nella pedagogia odierna i mo­ delli sono in ribasso .. e nella teologia del xx secolo era diventato di moda afx La dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la dottrina della fede del 7 set­ tembre 2000 vuole richiamare « in linguaggio espositivo» - non ad es. mettere in discus­ sione - la dottrina della chiesa cattolica «dell'unicità e universalità salvifìca di Gesù Cri­ sto e della chiesa . . . » (art. 3 ) . La direttrice del documento è contraria a pluralismo e relati­ vismo. La discrepanza fra il linguaggio assertivo e tradizionale di questo documento e il linguaggio narrativo dei vangeli è enorme. :t Cf. H. von Lips, Der Gedanke des Vorbilds im Neuen Testament: EvTh 58 ( 1 998) 297 s.

SIGNIFICATO ODIERNO

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frontare polemicamente - contro l'immagine liberale di Gesù del XIX seco­ lo - che Gesù sarebbe qualcosa di ben diverso da un «mero modello >> . Ma questo mi pare proprio un cortocircuito. «Modelli» non sono soltanto co­ loro di cui imitiamo le azioni, ma anche quelli che ci impressionano, che ci infondono coraggio e forza e ci ispirano. I modelli ci spronano a quella in­ tegrità di vita, a quell'unità di parola e azione che rende gli uomini attendi­ bili e credibili e nella quale a dire di Matteo consiste il segno autentico dell'esistenza cristiana (cf. 7,2 1 - 2 3 ) . Parte della forza della storia matteana di Gesù sta nel fatto che il Gesù di Matteo funge in questo senso da «esem­ pio» e «modello» .

La storia matteana di Gesù dev'essere per noi di sprone a ripensare il nostro rapporto col giudaismo in modo nuovo. La comunità matteana di Gesù era una minoranza giudaica oppressa che fu non soltanto rifiutata da parte della maggioranza d'Israele, ma forse anche perseguitata. 1 Nel­ la difficile situazione del consolidamento d'Israele dopo la catastrofe del 70 essa venne spinta ai margini d'Israele e costretta a lasciare il paese. La nostra situazione odierna è affatto diversa. Noi, ossia la maggio­ ranza preponderante dei lettori cristiani del vangelo di Matteo, non sia­ mo giudei ma cristiani di origine etnica. Oggi sappiamo che il giudeo Ge­ sù non si sentiva affatto inviato ai gentili e che non voleva affatto esse­ re il fondatore di una nuova religione chiamata cristianesimo. Che noi gentili possiamo da cristiani credere nel Dio d'Israele richiamandoci al giudeo Gesù è il risultato di alcune circostanze storiçamente contingenti, ad esempio l'attività dell'apostolo Paolo, il quale in sostanza aprì ai gen­ tili la via a Gesù Cristo, ma rendendo al tempo stesso molto più diffici­ le il sì d'Israele a Gesù. La chiesa dei gentili non è stata mai perseguitata dal giudaismo. Ma è successo il contrario: per molti secoli la chiesa è sta­ ta fra i principali persecutori dei giudei. Nonostante tutte le esperienze traumatiche che il giudaismo ha fatto con la chiesa e che ha dovuto ela­ borare, oggi è diventato di nuovo possibile un dialogo con gli ebrei che è molto importante per la nostra identità cristiana. Per dirla in breve: le nostre esperienze con Israele sono molto diverse da quelle delle comuni­ tà giudeocristiane di Matteo. Alla luce delle nostre proprie esperienze con Israele anche la nostra storia dell'Emmanuele Gesù deve mostrare quindi priorità diverse da quelle del giudeo Matteo. Al pari di Matteo, anche noi dobbiamo rapportare la storia fondamentale di Gesù alle no­ stre esperienze, ma poiché la storia matteana di Gesù è diventata storia canonica e si è svincolata dalla sua contestualità storica, non ci si riusci­ rà senza contraddire esplicitamente la storia matteana di Gesù. z. 1

Cf. vol.

m,

z.

Cf. vol.

m,

pp. 462-464. pp. 492-497; vol. IV, pp. 3 34-3 3 7, spec. 3 3 5 s.

INDICE ANALI TICO

allegorica, interpretazione significato ermeneutico, 1 I 8 8, 4 0 I , 4 84, 5 3 I s.; n 3 1 6 s., 462-465; III 140, 2.2 I -2.2.3 , 62.5; IV 88-9 I 7 I I I , 4 I 3 7 4 70 s. amore, 1 44 I , 4 44, 4 5 7 s., 5 77-5 80, 6 1 4 s.; 11 3 64 s.; 111 3 4 3 -3 5 I , 3 5 3-3 5 6, 3 5 8-3 6 I , 639-64 I , 6 5 7 , 663-666 annuncio di Gesù e Matteo, 1 3 1 2. s., 6 I 8 ; Il I 8 5 , 4 66-470, 5 3 4 ; III 4 6 S., I 04, 599, 603 s., 62. 5 , 663 -666, 669-672. antigiudaismo in Matteo, 1 I 96, 2.68, 4 6 I ; n 3 59-3 6 I , 4 90 s . ; III 2 9 3 s . , 37 I , 440 s . , 4 9049 2.; IV 224-2.26 nella storia degli effetti, 1 I 73 s., I 89, 223, 2 3 3 , 4 8 I s., 4 8 8 s.; n S I , 342, 3 5 8- 3 6 I ; III I 8 8 s., 2.84 S., 2.94, 394 S., 4 3 2-4 39, 479 S., 4 9 I S., 596 s.; IV 55 s., 97 s., 293 s., 3 3 0-3 3 3 · 3 5 3 battesimo, 1 2.45 s.; III I 5 1 - I 5 6; I V 5 I 3515 battisti (anabattisti) e Matteo, 1 298, 3 54, 43 0, 62.3; III 3 2. 5; IV 2.00, 505 S. canone (Matteo come libro protocanoni­ co), l 5 6; IV 5 1 7, capi giudei, IV 7 5 s., 2.0 5 s., 2.09, 27 5, 280, 3 I 6, 3 7 5-377 . 447-44 9 . 4 79-4 8 2. farisei, 11 303, 5 2.4-5 2.6; III 2.9 2. s., 3 2.2. S., 4 4 I -4 5 7; IV 447 S. farisei e sadducei, 1 2 3 3 s.; n 5 5 3- 5 5 5 , 5 5 9 s. farisei e scribi, 11 3 49; III 3 77 s., 4 5 5 , 4 92 scribi, Il 6 I ; III 3 8 6, 44 I-4 5 7 cecità, n 83 -8 5 , 5 3 I; III 220 s., 409 s. cena del Signore, 1 Io2; n 502-505, 5 5 0 s.; IV I 20-I 5 I

chiasmo, 1 47, 277 s., 2.87 s.; 11 23, 57, 3 80, 5 6 3 ; III 409; IV 44 3 chiesa, 1 2 74 s., 3 4 3 , 620- 623; n I40, l.O I204 , 5 8 6- 597; m 84 -86, Io7-1 1 6, 2 I 7, 390 s., 3 9 5-398, 678 s. come antisocietà, 1 4 50, 4 5 2 s., 622-624; III 33 S., 2I 3 -2 I 5 corpus permixtum, 1 4 60, 5 87; 11 434 s., 4 50 s.; III 57, 8 2, 5 24, 5 4 5 , 599, 6 p ., 678; IV 1 2.0, 295 come discepolato, 11 208 s.; IV 5 I 6 s. disciplina della chiesa, III 66-75 orientamento etico, 1 620-623; 11 6I7; IV 5 1 6 S. v. anche discepoli; sequela chiesa antica e Matteo, 1 3 I 7 s.; n 468 s.; III 78 S., 3 66; IV 76 S. compimento, citazioni di, v. 1tÀlJpow comunità matteana, 1 96 s., I02 s., Io6, I09- 1 1 5, I 8 6, 2I 5 7 593; Il I08 S., 422; III 4 90 composizione sociale, 1 62, 2 I 5 ; IV 4 3 2.43 3 scribi, 1 9 6 s., I03 s., 22I; I l 4 5 6-459 continuità/unitarietà nella lettura di Mat­ teo, 1 42-49, 5 5 , I 3 5 , 228; n 20, 287 s., 478; III 227; IV 20-2.3, 7I S. convergenze minori (minor agreements), 1 68 s.; n 24 , 40, 57 s., 70, 76, 29 I s., 3 8 1 , 49 5 s., 644 s.; 111 I 6o, 23 I s., 266 S., 3 4 2-3 44 ; IV 24 S., 209, 2.4 I, 2. 50 S., 3 5 6, 4 30 s., 4 5 5 s. cristianesimo cattolico e Matteo, 1 1 74 s., 297. 3 72, 4 1 3 -4 1 7, 609; Il 62 s., 207 s., 4 8 4 s., 5 8 8-5 9 I , 59 4-6oo; III I 4 8 s., I 90 s., 2 5 1 s.; IV 3 2, 34-40, I 28 s., 1 3 4I 3 6, 1 4 9 S., 1 7 5 - 1 78 cristianesimo ortodosso e Matteo, I 4 I 5 s.; IV 3 2 s., 62 s., I08 s., I25 cristianesimo protestante e Matteo, 1 2.98-

INDICE ANALITICO 301, 372 S., 4 1 5-4 1 7, 429 S., 608 S., 61 8-62 1; II 62, 205-207; III 1 86- 1 89, 252 S., 3 24-3 26, 347 s.; IV 40-42, I 20, I 29, I 3 6-140, 1 50, 178 S., 200, 466 cristologia al centro, I 1 62; III 57, 76; IV 5 20 s. cristologia alta, I 1 7 1 , 3 66, 376 s.; II 244; III 77; IV 525 S., 5JO dimensione cristologica dei testi, I 222 S., 243; II 47, 1 83 , 2 1 1 , 221 S., 3 1 6 S., 467; III 109, 3 6 5 s., 494, 625, 664 s., 679; IV 1 84 S., 422 S. v. anche Gesù; Gesù, esaltazione di discepoli, discepolato, I 3 4 1 , 6I4 s.; II 1 3 9, I 57, 160, 175 S., 202 S., 363-365, 428; III 3 1·34 fallimento dei discepoli, II 607 s.; IV 15 8 figure di identificazione per i lettori, I 6 3 s., 274; II 1 14 s., 1 59 s., s n , 64 1 s.; III 22, 3 69, 377; IV 1 14, l 56 S., 504, 528 s. non idealizzati, I 63 s.; II 5 57 s.; III 48, 210-214; IV 83, 1 67 S., 262 s., 499 S. v. anche sequela donne in Matteo, I 64, 1 5 2-1 54, 405-407; IV 83, 428 s., 436 s., 457. 459•463, 475• 477 nella storia degli effetti, II 49 1-493; III 589; IV 259, 426-429, 477 due fonti, ipotesi delle, I 67-69 due vangeli, ipotesi dei, I 67 s.; IV 250 s. ermeneutica accentuazioni nuove, I 325, 6 1 7; II 4 3 1 433; III 203 S., 4 9 3 S., 626 arte ed ermeneutica, III 598; IV 66-69, 122-1 2.4, 398·402 critica interna o sostanziale, I x 29 s., 4 1 7, 6oo-6o3; II 3 3 9; III 44 1, 467 s., 494 S., 603 s.; IV 28 5 S., 3 34 S. dimensione politica, I 1 9 1 s., 623-625 ermeneutica cristologica, I 224, 246 s.; II 236, 432 S.; IV 3 5 2 S., 397 S., 405406 esperienza e comprensione, III 253 s., 598; IV 32-42, 49, 56 S., 62-69, 5 3 4

[ermeneutica] immediatezza del senso del testo, I 65, 3 1 3 , 40I , 499; IV 422, 533 S. lettura basata sulla Bibbia nel suo com· plesso, I 246, 587 s.; II 423; III 57, 63 I; IV 397 limiti della possibilità di interpretazio­ ne, I 3 87; II 36 s., s o, 73, 1 92-194; III 3 1 8 s.; IV 3 5 2 S., 398 S. musica ed ermeneutica, III 598; IV 49 potenzialità di senso, I 199; II 1 74, 24 5, 432 s., 468 s., 504 s.; III 3 1 9, 598 s., 626; IV 1 23 , 5 3 3 riferimento alla situazione, I 4 5 0 s.; III 497 S. senso orientativo, I 1 30, 4 I 6 s., 61 5, 6 1 8 s.; II 140, 1 74, 204 s., 5 9 1 s.; IV 1 1 9, 3 5 2 S. sufficienza della Bibbia, III 3 1 9; IV 44 I teatro ed ermeneutica, III 598; IV 5 6 s. veridicità in Matteo, II 84 v. anche allegorica, interpretazione; sto­ ria degli effetti escatologia, III 5 3 5 s. apocalittica, III 508 S., 541-545, 670673 , 682-686 attesa imminente, II 1 5 3-1 5 5 • 6 1 5 s.; III 53 5 s., 548-5 p, 673 dimensione escatologica dei testi, I 3 3 2; II 1 1 2, 1 5 2 S., 1 8 2 s., 197 S-, 396, 401 parusia, III 5 1 8-s 2o, 5 3 3-53 5, 5 3 7-539, 543"545. 5 50 s. ritardo della parusia, III 5 8 5-587 v. anche giudizio etica, I I I4 s., 283 s., 622-624; III 4 1 ; I V 1 84 S. dimensione etica dei testi, I 3 28-3 30, 574-579, 5 9 5 , 6 x 6-6 x 8; II 277 s., 395, 471 S., 5 34; III 48, 101 S., 423 S. a due livelli, I 297 s., 302 s., 429, 464, 622; II 1 So s. grazia e richiesta (imperativo), I 1 1 5 s., 283 s., 3 3 1-3 3 3 , 3 4 1 s., 544 s., 5 8 6 s., 597, 603 S., 609, 6 1 3 S.; II 286, 3 64, 3 67 interiorizzazione, I 299, 3 28 s., 5 3 3 in un orizzonte escatologico, I 5 8 5 s., 6 1 6 s.; II 1 67 s., 471 s.; m 541, 599, 625 s., 67-67 5

INDICE ANALITICO [etica] osservanza dei comandamenti di Gesù, 1 S99, 603 s., 609, 6 I 2 s.; II 27 I s., 3 I 6 S., 392, 430 s.; III I 64 S., 29 I , 664, 6 7 5 ; I V 5 1 6 S. falsi profeti (pseudoprofeti), I I I 5, S 9 2 s.; III S 2 5 , 5 3 2-5 3 5 fede, I I 3 I- 3 3 , 50 fede, di poca, I 54I s.; II 49 s., S l 2, 557 s., 649 s.; IV 262 s., 499 S. Galilea, I 267 s.; II 6 s 2 s.; IV I S 6, 496 s. gentili, v . WvYj Gesù dominatore della situazione, n 2S, 3 6, I05, 3 29, 504, 549; III 228, 23 S S., 3 27 S.; IV :Z-2, 77 S., 96 S., I06- I08, I S 8, I ]O s., 203 Emmanuele, I I ]O-I ]2, 6 I 3 ; II 94, 276, 3 1 7, 404, 648; III n , 545, s 8 8, 664 s., 679 S., 686; IV 23, I46 S., I 66, 494. 5 J 8 s., S23 s., 53 I 2., 5 3 4 figlio d i Abramo, I I J 3, I SO s . , I 5 4 s. figlio di David, I I J 3 , I 50 s.; II 8s-88; III 220 s., 239 s., 3 64-366; IV 526 figlio di Dio, I 207, 243 s., 255 s., 259 s.; II 5 1 3 , 623 s., 633 s.; III 3 6 5 s.; IV 2 I 2 S., 230, 3 76-3 78, 42o-423, S 23 s., 5 27 figlio dell'uomo, I 92 s., 23 s; II 42 s., 243 S., 3 5 I, 428 S., S 7 I S., 6I 7-624; III 2 I S s., 650; IV 2 I 4 S., S 27 giudice biblico, v. Òtxa.tcx; maestro, I 3 74 s.; III 269; IV p 6, 5 26 messia, I I so s.; II 548, 573; III 239 s., 3 6 2 S.; IV 230 S., S 26 nuovo Mosè, I 254 s., 303, 6 n ; IV I44; v. anche Mosè, aggadà di l'obbediente, I 243 s., 2 5 3 s., 259-262, 3 6 I ; II 3 1 7 S.; IV 203 re, IV 3 I 2, 340-342, 3 S 2, 3 69 s., 3 77, 525 s. Gesù, discorsi di, I 5 5 s., 287-29 s, 6 1 2-6 1 7, 623-625; II I03-I08, 470 S.; III I9-23, IO]-I IO, 22S S., 499-50I; IV 5 I 6 S. Gesù, esaltazione o glorificazione di, I 24 3 S.; II 63 2-63 6; III 3 64 S.; IV 224-226, 500 s.

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Giovanni Battista, I 228-23 I, 266, 270, S95; II 23 2-234, 488-490; III 270 Giovanni, vangelo di, e Matteo, I 244; II 2S], 5 8 3 S.; III 23 2-23 5; IV 2S-27, IO] S., I 64 S., 203, 2 I 5 , 3 80, 398, 4J I, 448, 462 Giuda Iscariota Storia ed esegesi, IV 93-97, I I S-I I], 19 S198, 2]1-2]6, 287-290 nella storia dell'interpretazione, IV 97IOI, 1 1 7- 1 20, 190- I 9 S , 274 S., 28228S, 290-3os giudizio, I 92-94, 23 2 s., 236, 3 8 1 , 39I, s8x, S98 s., 602 s.; II 249-25 3 , 3 I4 s., 61 3-6 1 S ; III 105 s., I09 S., 466 S., 477480, 501, 65 1-65 3, 663-686 giustizia, v. òtxa.toauvYj identificazione, figure di, I 63-65, 1 89 s.; II 34; III 246, 377, S9I-594, 6so-652; v. anche discepoli illuminismo e Matteo, IV 46 s., I 8o, 297, 299. 469 s. inclusione, I 47, I 3 4, I]I, 225, 243 , 278; Il 249 s.; IV 3 3 8, 37S lsacco, IV 3 64 Israele in Matteo, I 64 s., 232 s., 279 s.; II 397; III 276, 290 s., 466-468, 48348s; IV 3 22-3 2s, 482-484 Jo�anan ben Zakkai, I I I 3 s. legare e sciogliere, II S 79; III 69 s. legge, interpretazione della in Gesù, I 3 84 s.; II 661-663; III 330 s. giudaica, I 3 84 s.; II 5 26-528; III I27I 29, 3 8 2 S. legge e profeti, I 349 s., 3 77, s78; III 3 50 in Matteo, I 94, I02, Io8, 3 3 2 s., 3 6 I 363, 3 77, 406, 4 2 S , 4 4 3 , S 9 8 , 6I4 s.; II 297-299, 304-306, S 2 1 - 5 23, S34, 662-664; III 3 5 9 S., 680 s.; IV I 3 I­ I 3 4• I48, S I 3 S. liturgico, servizio, I 9 s s.; IV I 21 s. logia, fonte dei, Q e Matteo, I 66 s., 91-94, I03 s., 290-294; III 668-670 Luca, vangelo di, e Matteo, I I40, 49I494, 6os; III 298, 301-303, JOS; IV 24 s., 23 2 s. v. anche convergenze minori

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INDICE ANALITICO

macrotesto, I 260, 3 3 1 s., 3 66; II 234, 245, 251, 371 s., 465 s., 484, 621, 634, 653; III 3 23; IV 96, 372 Marco, vangelo di, e Matteo, I 53, 6o, 9094, 104 s., 237 S., 278, 593; IV 23 S. materiale proprio (Sondergut) di Matteo, I 69-7 1 , 29 1 matrimonio, interpretazione, I 401 s.; III 1 3 2- 1 3 7 Matteo (autore), 1 20 s. bilinguismo, i 75 s., xoo; IV 3 8 1 conoscenza della Bibbia, I 21 5 s.; IV 28o28I giudeocristiano, I 98-IOI, 1 1 6, 365; III 3 8 5 , 486 s.; IV I02 minor agreements, v. convergenze minori miracoli, interpretazione dei, II 8 I -8 3, 9 I102, 128 s.; III 260-262 misericordia, II 68 s., 92, 297 s., 500 missione, II 1 24-I 27, 1 3 9 s., 145 s., 1 1 51 57; III 5 26; IV 504-508, 5 20 S. missione ai gentili, I 105- 108, 1 8 8 s.; II J 3 , 5 3 , 3 5 6; IV 508- 5 1 3 predicazione, I 294, 6 1 3 , 6 1 7; IV 5 1 7 monte/montagna, I 293 s., 302 s., 3 77; II 548; III 5 1 7 S.; IV 496 S. Mosè, aggadà di, I 1 6 5 , I 8 3 , 206 v. anche Gesù narrativa, coerenza insufficiente della su­ perficie, II 487 s., 494 s.; III 3 5 s., 210 S., 227, 297, 567; IV 84, 268 S., 4 1 9 obbedienza, I 1 7 2 s., 209; I I 3 64 III 330 S., 622 S.

s.,

5 1 5;

padre, v. 1ta-.ljp parabole, II 376 s., 3 97, 402, 460-476; III 95 S., 305 s., 308 s., 674 spiegazione delle, II 395, 402, 460-476 parallelismo, I 73 s., 1 80, 272 peccati, remissione dei, I 5 1 2; n 59 s.; III 87-90, 102-106; IV 145 S., 149 perfezione, I 463-465; III 90, 1 64-166 perspicuità/trasparenza del vangelo di Matteo, I 54 s., 6o s., 65, 93; II 20 s., 93-95, 394 S., 504 S., 574 S., 648; III 201 S., 223, 462; IV 27, 148, 497, 503 S., 528

Pietro ritratto di Pietro in Matteo, II 1 1 7, 5715 74, 579-587; IV 1 56-1 5 8, 25 1-25 5, 273 nella storia degli effetti, 1 1 1 1 6 s., 5 886oo; IV 1 59 s., 207, 25 5-263 Pietro, vangelo di, e Matteo, IV 27 s., 3 3 8, 44 5-447. 454 Pilato dal punto di vista storico ed esegetico, IV 265-267, 3 1 8-3 2 1 , 3 26-3 28, 448449 dal punto di vista della storia dell'interpretazione, IV 3 28-3 30 popolo, v. Àa� preghiera, 1 48 o-48 3 , 485 s., 5 1 7- 5 1 9, 568 S., 6 1 9; II 1 1 2; III 7 5 S. di Gesù, I 5 1 5-5 I 7; IV 1 66, 393 S. profeti, tradizione dell'uccisione dei, II 489 s.; III 287 S., 308-3 I0, 430 S. radicali itineranti, II 109, 1 3 9 s.; III 659661 regno di Dio, v. �a1ì.Eia ricchezza, rinuncia alla o povertà, I 53 2; II 42 S., 1 3 1 - 1 34, 401 S., 444-446; III I 66-168 nella storia degli effetti, II 4 3, 1 3 3- 1 3 6, 448; III 173-176 riduzioni rispetto a Marco e a Q, I 7 1 , 302, 4 54; II 24, 5 3 s., 3 62, 495 s., 5 20, 5 3 1 s., 644 s.; III 209 S., 2 1 9; IV 24, 3 56, 430 particolari esteriori superflui, II 40, 57, 70; IV 103 S., 3 10, 3 1 5, 498 ripetizioni, I 4 5 s., 71, 222, 289; II 288, 465 s., 477 s.; III 6o6 s.; IV I 6 1 s. segni/segnali (anticipazioni), I 48 s., 64, 1 3 3 . 1 3 7, 195. 208, 2 1 2 s., 239. 24 1, 2 5 6-25 8, 262, 267, 272; II 32 s., 72, 2 5 1 , 305, 3 1 5 s., 3 3 3. 470 s., 484, 490, 528 S., 542, 544, 607, 635, 648; IV 23, 428 s., 437 semitismi, I 73-75, 289, 494 s.; IV 3 8 1 separazione delle vie (fra sinagoghe e co­ munità cristiane), I 1 09- 1 1 3 , 223 s., 279, 3 64 s., 6 1 6; II 90, 5 5 9 s., 5 74 s.; III 474-477, 4 8 1 S., 487-490; IV 2 1 8 S., 3 23, 5 29-5 3 1

INDICE ANALITICO sequela, 1 64, 2.72.-2.7s; n 44-46, so, I 3 8I 40, I 7 S S., I 84-I 86; IJI I6S- I 67; IV 3 59 nella sofferenza, n I 6 I s., I 87-I94, 2.03, 609-6 12.; IV S 2.8 S. v. anche discepoli LXX e Matteo, 1 42., 94 s., 2.I 9-2.2. I silenzio, imperativo del, Il s 8o, 63 5 sogno, 1 I 69, I98; IV 3 1 8 Spirito, n I s o s.; IV 5 1 9

54 I

storia degli effetti ( Wirkungsgeschichte), 1 I 2.3-I 30, 2.94 s., 6I 8-62.2.; n 544 s.; IV 2.9-69, I 2.3 S., 3 99-40I , 439-44 1 storico-salvifìca, dimensione dei testi, 1 2.67 s.; 1J1 2.76, 5 3 8-541; IV 42.3 s. suicidio, IV 2. 76-2.79 violenza, rifiuto della / non violenza, 1 4 3 844 1 , 444 S., 4 S 2. s.; IV 2.03

INDICE DELLE PAROLE GRECHE

àxoÀo!J'8Éw (seguire), v. sequela à7texpvÉO(LGU (rinnegare), 1 1 6Io-61 2; IV I 5 7

s., 2 5 2

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