Vangelo di Matteo. Introduzione. Commento ai capp. 1-7 [Vol. 1] 9788839407306, 8839407308

Il vangelo di Matteo è il vangelo della prassi e della grazia. La vicenda di Gesù è per Matteo la storia fondante della

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Italian Pages 632 [621] Year 2006

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Vangelo di Matteo. Introduzione. Commento ai capp. 1-7 [Vol. 1]
 9788839407306, 8839407308

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VANGELO DI MATTEO Ulrich Luz Edizione italiana a cura di Claudio Gianotto Volume r Introduzione. Commento ai capp. r-7

PAIO EIA EDITRICE

ISBN

88 394 0730 8

Titolo originale dell'opera: Ulrich Luz Das Evangelium nach Matthiius 1 . Teilband Mt I -7 5 , vollig neubearbeitete Auflage 2002 (Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament) Traduzione italiana di Luca Bettarini Revisione di Claudio Gianotto Revisione redazionale di Donatella Zoroddu © Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 52oo2 © Patmos Verlag & Benziger Verlag, Diisseldorf und Ziirich 52oo2 © Paideia Editrice, Brescia 2006 .

Per Salome

PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

Con sollievo e gratitudine pongo fine al primo volume di « Matteo» . Un compassionevole collega di un'altra disciplina sostenne una volta che scrivere un commento complessivo a uno scritto del Nuovo Testamento fosse oggi l'atto di penitenza per eccellenza. Si riferiva alla marea di let­ teratura secondaria che risulta sempre più un freno alla comunicazione scientifica e soprattutto un ostacolo per giungere al testo stesso. Io tut­ tavia non l'ho sentito principalmente come tale. La mia esperienza per­ sonale fondamentalmente è sempre stata quella di un testo che si dimo­ strava tanto trascinante e affascinante da riuscire senza difficoltà a te­ nermi avvinto. Al contrario, il commento è proprio il genere di lettera­ tura da cui immediatamente si evince che noi esegeti dobbiamo ai no­ stri testi tutto ciò che siamo e dobbiamo servirli in tutto ciò che faccia­ mo. Per questo ho motivo di rallegrarmi per aver potuto scrivere proprio un commento. Danno invero anche a me un certo disagio le sue dimensioni, che non sono diretta conseguenza dell'enorme accrescersi della letteratura secon­ daria quanto piuttosto dell'idea che soggiace a questo commento: in pri­ mo luogo credo che un commento che non solo spieghi il testo biblico ma anche serva alla sua comprensione non possa semplicemente fermarsi al passato ma debba tirare le fila sino al presente. E in secondo luogo sono convinto che a ciò possa contribuire molto la storia degli effetti ( Wir­ kungsgeschichte). Oltre che al testo in sé, devo soprattutto essere grato ai Padri della chiesa e all'esegesi protestante e cattolica tra il XVI e il xvm secolo: la loro esegesi è splendidamente aderente non solo alle parole ma anche alla sostanza dei testi. In terzo luogo, alla base di questo commen­ to c'è la convinzione (o la speranza ) che uno stretto confronto col signifi­ cato dei testi sia un lavoro che il pastore e il sacerdote devono svolgere regolarmente alla scrivania se non vogliono in breve tempo predicare nel deserto. So bene che un simile lavoro del parroco sui testi biblici costitui­ sce oggi l'eccezione più che la regola e che ci si è impegnati più nell'at­ tività febbrile del ministero parrocchiale che nello studio in altri ambiti: ma a danno delle nostre chiese, credo. Ho scritto questo commento in primo luogo per i sacerdoti, i pastori e gli insegnanti di religione: li aiu­ terà a mettersi al tavolo per un dialogo serrato con i testi ? o forse con

IO

PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

le sue dimensioni li allontanerà più che mai ? Sapere qualcosa a questo riguardo è per me più importante di ogni recensione. Resta il gradito obbligo dei ringraziamenti: senza aiuto un libro del genere non è concepibile. Nel corso degli anni hanno collaborato alla storia degli effetti gli studenti universitari Peter Lampe, Reinhard Gor­ ski, Andreas Karrer, Ernst Li.ithi, Christian Inabnit, Andreas Dettwiler, ma soprattutto Wolf Dietrich Kohler e Andreas Ennulat. Devo ringra­ ziare il Land della Bassa Sassonia e il cantone di Berna per avere istitui­ to dei posti di assistente, nonché il Fondo Nazionale Svizzero per avere finanziato in parte un posto di assistente a tempo determinato. Nume­ rosi colleghi, soprattutto studiosi di storia della chiesa, nei cui ambiti di­ sciplinari mi sono addentrato da dilettante, mi hanno aiutato volentie­ ri. In rappresentanza di tutti loro ne ricordo uno soltanto, nel cui studio ho potuto imparare molto, il compianto grande maestro Hermann Dor­ ries. Joachim Gnilka, Eduard Schweizer e Hans Weder hanno letto il ma­ noscritto e contribuito con interventi critici. Innumerevoli studenti han­ no dovuto condividere « Matteo» in occasione di lezioni, seminari e lavo­ ri seminariali: che impressione ne hanno tratto ? Una volta su un gior­ nale murale a Gottinga c'era scritto: > ( 1 ,24 s.), alla fine di 28,20. Costituiscono inclusioni in unità di testo di media o pic­ cola estensione ad es. 4,2 3 e 9,3 5 per il discorso della montagna e Mt. 8-9; 24,4 2 e 2 5 , 1 3 per le tre parabole della veglia; il ripetuto versetto sul rico­ noscimento di 7,16.20; la frase risultativa della prima e dell'ultima beatitu­ dine in 5,3 . 10; il termine 7te:ptaaoç in 5 . 20,47; il lavarsi le mani in 1 5,2.20 o il termine yÉe:vva. in 2 3 , 1 5 . 3 3 · Anche qui si tratta di un'abituale tecnica compositiva veterotestamentaria. Le inclusioni in contesti più estesi emer­ gono solo a una lettura complessiva del vangelo. Di nuovo risulta evidente che Matteo auspica che il suo libro venga letto e meditato più di una volta e nella sua interezza. H. Il vangelo di Matteo presenta molte composizioni chiastiche ad

anello.3 Con composizioni chiastiche ad anello intendo una serie di più inclusioni, che circondano un testo in forma di anello, quindi lo schema compositivo AB(C) . . . D . . . (C ' )B'A' . Anche se non è possibile rilevare questo schema compositivo nell'intero vangelo, come ipotizza il « modello centrale», tut­ tavia lo si può senz'altro fare in singole sezioni. Un esempio è dato dal di­ scorso della montagna, il cui centro è il Padrenostro. 4 Sezioni minori di te­ sto a struttura chiastica sono, fra le altre, 8,28-9,1a; 9,1b-8; 1 6, 1 3 -28; 1 8, 10-14 o 27,27-3 1 . Un esempio prematteano è 23 , 1 6-21, con l'impressio­ nante elevazione del v. 22. Anche qui si tratta di una tecnica abituale, dif­ fusa nell'A. T., mentre nella letteratura greca ricorre di frequente solo nel periodo arcaico. s Cf. il materiale in Fentona, 174 s.; Lohra, 408-4 1 0; Lagrange, LXXXI . Di inclusioni si dovrebbe parlare solo dove un'unità testuale chiaramente riconoscibile è messa in rilievo all'inizio e alla fine per mezzo di formule o contenuti simili. Negli altri casi si dovrebbe invece usare cautela in quanto la lingua di Matteo è convenzionale. 3 Poiché tali strutture nel vangelo di Matteo vengono « scoperte» in gran copia, è oppor­ tuno un richiamo alla prudenza: di composizioni chiastiche ad anello (Rigaux, Témoi­ gnage, 3 8: «enveloppement» ) si dovrebbe parlare solo laddove le corrispondenze si tro­ vano all'interno di unità testuali chiaramente riconoscibili. Un ricco quadro di chiasmi probabili, possibili e impossibili offrono Gaechter, Kunst, 26-44 e N.W. Lund, Chias­ mus in the New Testament, Chapel Hill 1 942, 233-3 19· 4 Cf. sotto, intr. a 5-7, nr. 1. 5 W.A. van Otterlo, Untersuchungen uber Begriff, Anwendung und Entstehung der grie­ chischen Ringkomposition, Amsterdam 1944: la composizione ad anello sparisce nel mondo greco già nel v sec. a.C. Nel mondo giudaico è diffusa: per l'A.T. L. Alonso Scho­ kel, Das Alte Testament als literarisches Kunstwerk, Koln 1 971, 3 64-406; N.W. Lund 1

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INTRODUZIONE L Una particolarità dell'arte di Matteo consiste nel lavorare con pro­

fezie e «segni» , che anticipano il futuro, spiegano anticipatamente il sen­ so dell'intero contesto e sensibilizzano i lettori in vista del seguito della narrazione. 1 Questa tecnica narrativa ha un parallelo sicuro, ma soltanto relativo, nelle promesse delle opere storiche veterotestamentarie. Il suo presupposto teo­ logico è che un singolo fatto si colloca all'interno del contesto generale di un piano divino. Da un punto di vista terminologico, bisogna distinguere tra a) profezie di Gesù (ad es. 8,n s.; gli annunci della passione di Gesù o an­ che la citazione di 1 2, 1 8-21 ) e b) «segni » . Per segni intendo singoli tratti che risaltano nel corso delle narrazioni, tratti che spesso abbondano nel con­ testo ma il cui senso non si chiarisce ai lettori nel contesto immediato; pro­ prio per questo ne attirano l'attenzione, rimanendo al momento aperti e dan­ do indicazioni che vanno al di là di se stessi. Presenta tali «segni » anzitutto il prologo. Esempi ne sono di «figlio di Abramo» di 1 , 1 , che non è imme­ diatamente comprensibile; il doppio nome di Gesù in 1 , 2 1 -2 3 ; la sorpren­ dente concordia di Erode con l'intera Gerusalemme, con tutti i sommi sa­ cerdoti e gli scribi del popolo in 2,3 s.; la citazione biblica non identificabi­ le di 2,23 o quella di 4,1 5 con l'espressione «Galilea delle genti» , che spez­ za il contesto immediato. « Segni » di tipo particolare si trovano nelle paro­ le di Gesù, ad esempio nel suo primo pronunciamento di 3 , 1 5,"' nel potere di remissione dei peccati dato «agli » uomini in 9,8, oppure nel mxncx tLOt 1tcxpe:ò6-8ll di I I ,27 che è pienamente comprensibile solo dopo la pasqua ( 28, 1 8 ! ). Dai «segni » che spezzano il loro contesto si devono distinguere c) pas­ si che non hanno certo particolare risalto nel loro contesto immediato, ma ricevono un significato più profondo dalla totalità del racconto matteano, per esempio il rifiuto del dominio del mondo offerto dal diavolo su un'alta in diversi articoli (in Schokel, 3 67-369, con esempi tratti anzitutto dai salmi e dai profe­ ti); E. Galbiati, La struttura letteraria dell'Esodo, Alba 1 9 5 6, 48 ss.; J.R. Lundblom, je­ remiah. A Study in Ancient Hebrew Rhetorics (SBLDS r 8 ), 1975, 2.3- u 2.; M. Weiss, Wege der neuen Dichtungswissenschaft in ihrer Anwendung auf die Psalmenforschung: Bib. 42. ( 1961 ) 2.5 5-302.. r Questa tecnica è stata indicata soprattutto da Lohr11 col termine « foreshadowing». Howell, Inclusive Story, ror-1 ro, ha trattato approfonditamente la «tecnica del segno»: egli, sulle orme di G. Genette, Die Erziihlung, Miinchen • 1 998, 45-54, parla di «proles­ si» . Non mi sentirei di utilizzare questo concetto, perché nel vangelo matteano non si tratta di avvenimenti successivi raccontati o indicati esplicitamente in anticipo. Di pro­ lessi intesa nel senso di fatti presentati anticipatamente, che si verificano però solo in un secondo momento, ce n'è una sola nel vangelo di Matteo, precisamente in 2.7,3-IO; il ca­ rattere prolettico di questo episodio non è sottolineato nel contesto narrativo, ma piut­ tosto offuscato (cf. vol. IV, intr. ad loc., nr_ 1 ) . In questo contesto, 2.8, 1 5 risulta come un'allusione a un futuro (non più narrato). 2. Solo il discorso della montagna, anzi solo l'intero corso della vita di Gesù dimostrerà come egli adempia «ogni giustizia » .

STRUITURA COMPLESSIVA

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montagna in 4,8 (cf. 28, 1 6-1 8), l'annuncio di Giovanni che Dio può far sorgere ad Abramo figli dalle pietre ( 3 ,9) o la passione del precursore Gio­ vanni in 1 4,3 - 1 2. Tutte queste tecniche narrative dimostrano che il vangelo di Matteo vuole essere letto come un complesso unitario, e precisamente come narrazione. C'è in diversi passi una dimensione profonda che si chia­ risce solo a partire dall'opera intera e che presuppone lettori o ascoltatori che conoscono l'intera vicenda di Gesù oppure che leggono o ascoltano quel­ la di Matteo non per la prima volta. Lo sguardo d'insieme porta alle conclusioni seguenti: a) il vangelo di Matteo è anzitutto saldamente costituito da unità più piccole; b) il suo Sitz im Leben è la lettura e soprattutto l'ascolto del testo letto ad alta voce: è stato scritto in vista della lettura di sezioni di testo piuttosto lunghe e per una lettura ripetuta. Poiché doveva essere limitata la capacità di leggere libri, anche tra i giudeo­ cristiani della comunità di Matteo, 1 e poiché nelle comunità cristiane era­ no comunque consueti raduni collettivi, si può supporre che il vangelo di Matteo sia stato soprattutto letto ad alta voce. 2. Leggerlo tutto ad alta vo­ ce richiede circa quattro ore: è dunque poco verisimile che l'intera opera fos­ se letta ad alta voce tutta in una volta. Si può invece ipotizzare che venisse­ ro lette in un'unica soluzione non solo sezioni di testo brevi, ma anche più lunghe (ad es. un discorso, Mt. 8-9 o 2 1-23 ). Si può inoltre supporre una lec­ tio continua e anche una lettura ripetuta, e naturalmente anche che la sto­ ria di Gesù fosse già nota agli ascoltatori grazie alla loro formazione cristia­ na di base; alcuni avevano forse già ascoltato anche il vangelo di Marco. c) Si delinea una prossimità degli strumenti compositivi matteani con quelli della letteratura veterotestamentaria e giudaica. Molti hanno il loro corrispettivo nell'A.T.; alcuni divengono più comprensibili grazie alla pratica scolastica rabbinica. r .3 .

Struttura complessiva

Più difficile è tentare di ordinare il vangelo di Matteo nel suo comples­ so. Diversi indizi indicano che in primo luogo vuole essere un'opera nar­ rativa. Anzitutto Matteo ha preso una decisione in questo senso, nel por­ re il vangelo di Marco alla base del suo disegno. 3 Perciò il terzo model­ lo ricordato nello sguardo d'insieme sulla storia degli studi, il modello strutturale «marciano» , deve essere il punto di partenza di ogni tentati' Presso i giudei, spec. nelle città più grandi, ci si potrà aspettare una possibilità di lettu­ ra superiore alla media per le condizioni antiche. Sulla capacità di lettura nell'antichità cf. W.V. Harris, Ancient Literacy, Cambridge, Mass. 1 9 89. 2. Stanton, People, 73-76. 3 Cf. sotto, 5 . 1 .2..

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INTRODUZIONE

vo di ordinamento, poiché solo questo considera seriamente l'opera co­ me narrazione. Questa segue dal cap. 1 2 la sequenza di Mc. 2,2 3 -4,34; 6, I - 1 6,8. Anche i tre grandi discorsi di questa sezione si trovano nei punti nei quali già il vangelo di Marco li aveva collocati (Mc. 4, 1 ss.; 9 , 33 ss.; 1 3 ). Esamineremo in primo luogo questa sezione del vangelo. Mt. 2 6-28 e 2 1 -25. La storia della passione di Mt. 26-28 e l'attività di Gesù a Gerusalemme (Mt. 2 I - 2 5 ) costituiscono unità chiaramente ri­ conoscibili. In Mt. 2 I - 2 5 la prima grande sezione descrive lo scontro pubblico di Gesù con i capi di Israele a Gerusalemme (Mt. 2 1 -2 3 ). L'ul­ timo discorso di Gesù al Monte degli Ulivi (Mt. 24-25 ), che fa seguito allo scontro suddetto, è rivolto solo ai discepoli; non ha quasi nulla a che fare col grande scontro con Israele e presenta tutt'al più il carattere di un discorso di congedo di Gesù alla sua comunità alla fine della sua attività pubblica. Mt. r 6, 2 I-2 0,J 4· Risulta più difficile ordinare i capp. 1 2-20. Se ci si basa sulla proposta di Kingsbury - che corrisponde alla struttura nar­ rativa del vangelo di Marco -, di far cominciare con 1 6,21 una nuova sezione, allora la sezione di Mt. 1 6,21 -20,34 è caratterizzata dai pro­ blemi della comunità. Il contrasto con Israele viene meno in questa par­ te, che corrisponde all'insegnamento sulla passione in Mc. 8,27- 10,52. A questo contesto ben si adatta il discorso del cap. 1 8, che tratta della comunità dei discepoli. Mt. I2, I- I6,2o narra a più riprese il «ritiro » di Gesù e dei suoi di­ scepoli dallo scontro con Israele: già nel cap. I 2 - quello iniziale - do­ mina lo scontro con i nemici di Gesù ( 1 2,22-4 5 ), mentre il centrale cap. I 3 - quello della parabola - presenta, dopo l'insegnamento pubblico di Gesù, istruzioni precise rivolte ai discepoli (vv. 3 6-5 2); Gesù, che aveva in precedenza parlato dell'ostinazione del popolo ( I 3 ,1 0- 1 7), in 1 3 ,3 6 abbandona il popolo sulla sponda del mare per istruire i suoi discepoli in casa. Nelle due successive sezioni, che cominciano con I 3 , 5 3 e 14,34, la parola &.w:zx.wpÉw ogni volta segnala il punto in cui Gesù e i suoi disce­ poli si ritirano di fronte ai loro nemici ( 1 4, 1 3 ; 1 5 , 2 1 ) . 1 Un'ultima serie di contrasti ( I 6, 1 - I 2 ) porta poi alla sezione dedicata ai discepoli ( 1 6, 1 3 ). In questa parte si potrebbe parlare del «costituirsi della comunità dei di­ scepoli intorno a Israele » . r

Léon-Dufour" suddivide in modo analogo, m a stabilisce l'inizio di questa parte solo in 14, 1 e distingue perciò tre «ritiri » ( 14, 1 3 ; 1 5,21; 1 6,4). Murphy-O'Connor", 3 71-3 84, lo segue. Al contrario A. v. Aarde, in Structure ( 1 982)", 21-34 (sulla scia di Ellis, Mat­ thew, 66 s.) suddivide 1 3 , 5 J - I 7,27 in tre sezioni, che culminano di volta in volta in una pericope di Pietro ( 1 4,28-3 3; 1 6 , 1 3 -20; 1 7,24-27 ).

STRUTIURA COMPLESSIVA Mt. I I. Una ulteriore suddivisione delle due grandi sezioni principali di Kingsbury, che qui propongo, è sostenuta anche da altri in modo simile. ' I più però pongono una cesura non tra il cap. I I e il I 2, ma tra il Io e l' I I . Poiché Matteo concepisce il vangelo non come una serie di sezioni rigoro­ samente e reciprocamente delimitate, ma dotate di transizioni da una sezione all'altra, qui le sue proposte non sono alternative. Il cap. I I è un tipico , un'ansa prima di un nuovo tratto diritto del cor­ so del fiume, cui abbiamo paragonato il vangelo di Matteo: soprattutto nel­ la parte iniziale il capitolo getta uno sguardo indietro ( I I , s ), mentre volge lo sguardo in avanti nella sua polemica contro «questa generazione >> ( I I, r6) e nella sua distinzione tra le ostili città di Israele e la comunità dei di­ scepoli ( I I ,20-24.25-30). 2 Mt. I- II. Nei capp. I - I I Matteo interviene molto più energicamen­ te, ma anche qui si orienta sulle sue fonti. La successione di Mc. I ,22,22 risulta in linea di massima mantenuta. Ma non solo la sequenza di Marco, bensì anche quella di Q è interamente mantenuta in Mt. 3 -9 e così pure in Mt. 3 - I I , se si prescinde dallo spostamento - facilmente spie­ ga bile da un punto di vista redazionale - dei due blocchi del discorso del Battista e della missione} Matteo ha inoltre « sincronizzato >> entrambe le sue fonti principali. La sua personale creazione consiste soprattutto nell'aver inserito, al posto della prima predica di Gesù nella sinagoga (Mc. I , 2 I s.), non raccontata nei particolari in Marco, il discorso pro­ grammatico di Gesù ampliato a discorso della montagna, mutuato da Q 6,20-49, e inoltre nell'aver introdotto, nei capp. 8-9, nelle storie di miracoli tratte da Mc. I ,29-2,22, materiale aggiuntivo preso da succes­ sive sezioni di Marco (Mc. 4,3 5 - 5 ,4 3 ) e da Q, costruendo così il grande ciclo di miracoli di Mt. 8-9. Ciononostante i lettori hanno l'impressione di una articolazione completamente nuova della prima parte della vita di Gesù. In considerazione della venerazione - anche qui evidente - che l'evangelista dimostra nei confronti delle sue fonti, si tratta di una pre­ stazione letteraria brillante. Come si devono ordinare i capp. I - I I ? Decisiva è l'osservazione che 4,23 e 9,3 5 si dispongono ad anello intorno al discorso della montagna e ai due capitoli di miracoli 8-9. A questa inclusione corrisponde una composizione ad anello all'interno. 4 Nella presentazione del messia della parola (Mt. 5-7) e dell'azione (Mt. 8 -9 ) c'è quindi un'unità. Vi ap1 Ad esempio da Edwards, Story, 9 s.; Carter, Matthew, 2.43-2.56; Matera4, :z.46-:z.5 :z.; Smith4, 549· 2 Cf. vol. n, intr. a 1 I,:Z.-JO. 3 Q J,:z.-9. 1 6-:z.:z.; 4, 1 - 1 3 ; 6,:z.o-7, I0 Mt. J , I - 8, 1 3 (con interruzioni). Q 7, 1 8-34 è stato spostato da Matteo e inserito tra Le. 9.5?- I O, I :Z. e IO, I J . 4 Cf. sotto, intr. a 4,2.3 -2.5, nr. 1 , e a 5-7, nr. 1 . =

INTRODUZIONE partiene anche il discorso della missione di Mt. I O, dove i discepoli ri­ cevono la capacità di guarigione e l'incarico della predicazione propri di Gesù. ' Il discorso della missione al cap. IO inaugura quindi, al tem­ po stesso, la prosecuzione ecclesiologica dell'opera di Gesù e non è, co­ me i due discorsi successivi, il centro di una specifica sezione.

Mt. 4, I 2 -22. Dove va posta la cesura tra il prologo e il primo blocco della storia vera e propria di Gesù? Ancora una volta, di «cesura >> non si può parlare: 4,I 2-22 è piuttosto una sezione di passaggio. 4,I 2- I 6 volge lo sguardo indietro al prologo con le sue numerose citazioni di compimento, spesso organizzate secondo un criterio geografico, e si riallaccia a 2,22 s.; il passo tratta al tempo stesso della Galilea, teatro dell'operato di Gesù nei successivi capitoli. 4,I7 - l'annuncio del regno dei cieli da parte di Gesù ­ non solo guarda all'indietro, ma al tempo stesso riprende alla lettera l'an­ nuncio di Giovanni in 3 ,2. La sezione 4,I 8-22 introduce i discepoli, che da allora accompagnano sempre Gesù. Ma solo in 4,2 3 viene tratteggiato il contenuto della parte narrativa che segue.

Mt. I, 2-4, 22. Pongo il prologo da I , I a 4,22. È un preludio cristolo­ gico e di storia della salvezza, inizio e al tempo stesso anticipazione del­ l'intero cammino di Gesù da Betlemme, città di David, alla « Galilea del­ le genti ».1 La chiamata dei discepoli di 4,1 8-22 esprime, analogamente al cap. 1 0, la dimensione ecclesiologica della storia del figlio di Dio. Mt. 4,2J - I I,J O. Il primo blocco della storia di Gesù matteana (Mt. 4, 23 -I I , 3 0 ) narra, quindi, degli insegnamenti e delle guarigioni del mes­ sia Gesù tra il suo popolo, Israele, e dell'invio dei suoi discepoli in mez­ zo ad esso. A mio giudizio è sbagliato parlare dell'esaurirsi della forza creativa del­ l'evangelista nella seconda parte del suo vangelo. Piuttosto il prologo for­ nisce ai lettori i più importanti punti di vista secondo i quali l'evangelista porrebbe aver letto il vangelo di Marco ( I ,2-4,22). Il primo blocco narra­ tivo (4,23 -I I,3o), fortemente riorganizzato da Matteo, narra diffusamente di come Gesù si dedicò sia con le parole sia con i fatti al popolo d'Israele. Solo a partire da questo sfondo può essere narrato quanto segue, cioè il conflitto all'interno di Israele, il costituirsi in Israele della comunità dei di­ scepoli, la decisiva resa dei conti e infine la passione del messia. In altre parole: solo sulla base dei capp. I-I I è possibile leggere «in senso mattea­ no>> il vangelo di Marco raccontato in modo nuovo.

Il plot del vangelo di Matteo. Solo ora possiamo formulare un'ipo­ tesi sul senso dell'intero racconto di Gesù proprio di Matteo. La più re­ cente ricerca narratologica, in particolare quella anglosassone, indaga 1 10,1

si richiama a 4,23; 9,3 5; 10,7 a 4, 1 7.

2.

Cf. sotto, intr. a 1,2-4,22, nr. 3 ·

STRUTIURA COMPLES SIVA

53

principalmente sul senso del plot matteano. La parola plot, quasi intra­ ducibile,' elevata al rango di termine tecnico, corrisponde alla parola greca !J.u-8oç nella rappresentazione degli elementi fondamentali di una tragedia nella Poetica di Aristotele. Il !J.u-8oç è la auv-8ecnç 'twv 1tpa.y(J.a.­ -çwv, ,_ la maniera in cui i fatti sono « messi insieme», cioè ordinati nel te­ sto. Qual è dunque il senso del plot matteano ? Ecco la mia prima ipote­ si di lavoro per il commento. I . Il vangelo di Matteo narra la storia dell'attività di Gesù in Israele. Egli, il messia del suo popolo, che insegna e guarisce (4, 23-9.3J}, in­ contra l'opposizione dei capi di Israele, di cui i più importanti sono i farisei. Si viene a un conflitto; Gesù si ritira con i suoi discepoli (I2, I­ I 6,2o), nasce la comunità dei discepoli in Israele (I 6,2 I-2 0-34). A Ge­ rusalemme Gesù fa i conti con i capi ostili d'Israele e preannuncia il giudizio a loro e al popolo, che alla fine si schiererà completamente dal­ la loro parte (2 I,I-24,2). Gesù viene giustiziato a Gerusalemme e alla fine appare ai suoi discepoli in Galilea, da dove essi annunciano i suoi comandamenti a « tutti i popoli» .

Il vangelo di Matteo racconta quindi la storia di un conflitto. Le due parti in conflitto - non sullo stesso piano - sono Gesù, il figlio di Dio da un lato, e i capi giudaici, cioè farisei, scribi e sommi sacerdoti dall'al­ tro. Alla fine di questo conflitto si determina una rottura; legata a que­ sto conflitto - e in esso per così dire « inserita » - viene narrata la storia del rapporto di Gesù con i suoi discepoli. Questa non è la storia di un conflitto, ma la storia di un insegnamento e di un apprendimento, di un fraintendimento e di una comprensione, di un rinnegamento e di un nuovo inizio. Entrambi questi due poli di tensione sono già presenti nel vangelo di Marco. Ma mi sembra che la loro importanza sia ben diver­ sa nei due vangeli: quello di Marco è anzitutto una storia di Gesù con i suoi discepoli, che lo fraintendono e lo rinnegano di fronte alla passio­ ne; il conflitto di Gesù con Israele e il suo cammino verso i gentili sono pure presenti, ma caratterizzano il vangelo di Marco solo secondaria­ mente.3 Nel vangelo di Matteo, invece, il conflitto con i capi d'Israele diventa lo scontro principale, quello che dà forma alla storia di Gesù, mentre il conflitto con i discepoli viene alquanto ridimensionato: da uo­ mini che non capiscono e che rinnegano diventano uomini che impara­ no, anche se di poca fede. 4 1

In tedesco: «Pian, lntrige», anche «Verschworung»; in italiano: > . Poet. 6 ( 1 4 50a). 3 Cf. Z. Kato, Die Volkermission im Markusevangelium (EHS XXIII,2.52.), 1986. 4 L'interpretazione della storia di Gesù come storia del conflitto con Israele viene condi­ visa da molti; cf. ad es. Kingsbury, Story, 5 7-94; Edwards, Story, 68-95; Materad, 2.53 s. ,_

54

INTRODUZIONE

A questa prima ipotesi di lavoro ne aggiungo una seconda: 2. Nella storia matteana di Gesù si rispecchiano le esperienze della

comunità di Matteo: si tratta di una comunità giudeocristiana che ha dolorosamente sperimentato il fallimento della propria missione a Israe­ le e la separazione dalla maggioranza d'Israele e che deve ora orientarsi in modo nuovo. Essa legge dunque la storia matteana di Gesù non solo come storia passata, ma come una «storia inclusiva», 1 che comprende le proprie esperienze. Si tratta, come per la storia di Gesù scritta da Giovanni, di un «two-level-drama», 1 in cui la storia passata di Gesù rappresenta al tempo stesso la storia e la situazione presente della co­ munità e le rende comprensibili. A differenza del vangelo di Luca, quel­ lo matteano non racconta quindi un inizio che si colloca cronologica­ mente nel passato e che avrebbe poi bisogno di una continuazione in un secondo volume, per arrivare fino al presente, ma risulta essere una «storia di base» che supera la distanza cronologica. Qui non motivo ancora questa seconda ipotesi di lavoro, che sarà approfondita da ulteriori ricerche, per esempio sulla situazione storica della comunità matteana,3 sul suo rapporto col giudaismo,4 sulla cri­ stologia matteana,5 sulla concezione matteana dei discepoli 6 e sulle sto­ rie dei miracoli.? Vorrei ancora accennare a un problema aperto. Con i rappresentanti del lit­ erary criticism presuppongo che la storia matteana di Gesù nel suo com­ plesso sia la chiave decisiva per la sua comprensione anche nei singoli pun­ ti. Contro tale prospettiva, tuttavia, depongono, da una parte, le antiche possibilità di lettura e, dall'altra, la storia della ricezione. Secondo quello che possiamo ipotizzare sulle capacità di lettura dei componenti delle co­ munità matteane, è certo che un numero minimo di lettori ha ascoltato o PoweiJa, 19 8-2.04, considera come plot principale «il piano di Dio e la sfida di Satana» e vede nel conflitto di Gesù con i capi d'Israele e nel suo rapporto con i discepoli semplici subplot. Con questa ipotesi egli si orienta verso una dimensione profonda dello scontro di Gesù con i suoi avversari, espressa non da ultimo da 4,1-1 1 , ma certo non verso ciò che narra Matteo. 1 Sull'idea cf. U. Luz, Art, Geschichte, Geschichtsschreibung, Geschichtsphilosophie IV, in TRE xu, 1984, 597-599: Matteo così come Marco e Giovanni sono tutte «storie in­ clusive » (al contrario della concezione di G. Strecker, Weg); Luca narra una storia ini­ ziale con delle conseguenze. Howell, Inclusive, ha fatto dell'idea il titolo del suo libro; cf. spec. 14 s. :t j.L. Martyn, History and Theology in the Fourth Gospel, Abingdon 1968, 1 2.9-1 5 1 . 3 Cf. sotto, 6.2.. 4 Cf. sotto, 6.3; vol. 111, riepilogo su 2 3 , 1-2.4,2., nr. 7· 5 Cf. sotto, a 1,2.3; vol. xv 4 5 6, e Luz, Skizze. 6 Cf. sotto, :z. . :z., e pp. 273 ss.; vol. n, intr. a 9,3 6- u , 1 , nr. 4, ed excursus «Pietro nel vangelo di Matteo» , §§ 1 - 5 . 7 Cf. vol. n, riepilogo su Mt. 8-9.

STRUTTURA COMPLESSIVA

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letto questa storia in una sola tirata. • Verisimilmente hanno letto o ascol­ tato singoli passi o blocchi di testo e portano con sé, come sapere tradizio­ nale, un'idea sommaria dell'intera storia di Gesù. Questa idea ha permesso loro, già a una prima lettura, di comprendere - fino a un certo livello - una singola sezione sulla base della storia intera di Gesù. Che però non fosse realmente questo il punto di vista principale nelle successive letture, lo di­ mostra la storia della ricezione, che è essenzialmente storia di singole vi­ cende di Gesù e di singole parole guida. 2. Del particolare > ci sono pochi criteri validi e molta incertezza. 6 I D.E. Aune, The New Testament in its Literary Environment (LEC), 1 9 87, 67: «crie sviluppate» . >. Che Matteo sia un lezionario, è stato sostenuto innanzitutto d a Kilpatrick, Origins, 59r oo, e Goulder, Midrash, 227-4 5 1 ; cf. Id., Sections". A questo scopo Goulder ricostrui­ sce un piano di letture per l'anno giudaico. Molto meno speculativo è Kilpatrick; le sue osservazioni sono viziate peraltro da grande confusione su ciò che è la lingua liturgica. 3 Così Schille". Più prudentemente, ma anche misconoscendo il carattere di Matteo co­ me storia, Stendahl, School, 20-29, parla di un « manuale » . Non voglio escludere che Matteo fosse utilizzato nell'insegnamento cristiano. L'importante è che il libro narrarivo di Matteo, conformemente alla sua volontà, sia stato continuamente letto e meditato an­ che nell'insegnamento. 4 Così ad es. Aune (sopra, n. r ), 1 7-76; Burridge", passim; Stanton, Gospel, 62-64; Id., Matthew", I I 96- 1 201; Keener, 1 6-24. 5 A ciò si richiama anzitutto Dihle", 3 84 s. 390. 3 96: come genere la biografia diviene determinabile all'interno della cerchia di Plutarco, poiché è sua specifica intenzione di­ stinguerla dalla storiografia. Le biografie contengono essenzialmente esempi morali e ri­ velano un modello di uomo specifico, caratterizzato in senso aristotelico. 6 Shuler", 34-87, ipotizza un genere di «biografia encomiastica » sulla base dell'Elena, del Busiride e dell' Evagora di Isocrate, dell'Agesilao di Senofonte, della Vita di Mosè di Filone, dell'Agricola di Tacito e della Vita di Demonatte di Luciano. Mi sembra pro-

IL GENERE

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e ) Infine, s i è tentato d i definire i l vangelo d i Matteo come un' opera sto­

rica kerygmatica di tipo veterotestamentario, come nuovo abbozzo di una

storia sacra fondamentale che si riconnette letterariamente al Deuterono­ mio e all'opera del Cronista. 1 Tale definizione del genere prende da un la­ to in seria considerazione la pretesa del vangelo di Matteo, che va larga­ mente oltre quella di una biografia, e dall'altro il richiamarsi di Matteo a modelli biblici e non ellenistici: tuttavia essa, sul piano della storia delle forme, non è precisa e presuppone anche determinate tesi letterarie e teolo­ giche, che non sono prive di problemi. 1

Matteo come vangelo. A quale genere appartiene il vangelo di Mat­ teo? Da un punto di vista metodologico si deve propriamente distin­ guere, nel caso dei vangeli nati a un punto d'intersezione di due culture, tra il modello formale che l'autore aveva in testa nella composizione di uno scritto e i modelli formali che hanno guidato i successivi lettori. Se si considerano questi ultimi, allora sicuramente il vangelo di Matteo ha ricordato ad alcuni 3 dei suoi lettori giudaici ed ellenistici un �(oc; elleni­ stico, specie se si considera che la narrazione della vita di un uomo dalla nascita alla morte era qualcosa di inusitato nell'ambito della let­ teratura giudaica. Ma se si considera il modello dell'autore, allora a mio giudizio il pensiero si allontana molto da una « biografia» . Matteo si è richiamato alla Bibbia e alla letteratura giudaica: in questo ambito culturale le bio­ grafie sono pressoché sconosciute 4 e anche Matteo, probabilmente, non ha conosciuto nessuna biografia antica. Egli ha dato alla sua storia blematico poter ricostruire, sulla base di testi così sparsi e così diversi, un genere che sa­ rebbe dovuto esistere nella coscienza degli antichi e non solo in quella degli autori mo­ derni. Ancora più problematica è l'applicazione di questo modello a Matteo: già il pro­ logo e la storia della passione, laddove Shuler vede le maggiori analogie, dimostrano a mio parere che gli specifici accenti matteani non possono essere colti in questo modo. Cf. anche lo scetticismo di R. Guelich, The Gospel Genre, in P. Stuhlmacher (ed.), Das Evangelium und die Evangelien (WUNT 28), 1983, 190-192. 1 Frankemolle, jahwebund, 3 3 1 -400. 2 Secondo Frankemolle, jahwebund, lo scrittore e teologo Matteo si richiamerebbe delibe­ ratamente ai modelli letterari e a singoli passi del Pentateuco e dell'opera del Cronista. 3 Ad alcuni, certo non a tutti, come mostrano Giustino o Clemente (sopra, p. 57 n. 3 ) . 4 I Aoyot 1tEpÌ -roii �iou MwOOÉwc; d i Filone non s i rivolgono solo a lettori giudaici. Eccet­ tuato Filone, ci sono solo accenni a qualcosa di simile a � biografie» : le > , ma «parla >> . ' Le vicende e le parole di Gesù sono quindi fondamentali per i lettori, poiché forniscono loro il decisivo: con gli occhi di Gesù essi guardano e giudicano i discepoli e gli avversari giudaici; con gli occhi di Gesù guardano anche se stessi. 3· I discepoli 1 sono, eccettuato Gesù, le figure più importanti per i let­ tori, che con essi si identificano, poiché si ritengono essi stessi «discepoli>> di Gesù e lo «seguono>> . Nelle sembianze dei discepoli sono presenti loro stessi nella storia di Gesù. I discepoli sono il più importante strumento narrativo con l'aiuto del quale la storia matteana di Gesù diviene storia «inclusiva » . Nel vangelo di Matteo i discepoli sono caratterizzati non - co­ me in quello di Marco - come uomini incapaci di capire, ma come uomini desiderosi di imparare e che, grazie al maestro Gesù, arrivano a capire ( I 3 , 1 3-23 . 5 1 ; 1 6, 1 2; I 7, 1 3 ). Pongono domande cui Gesù risponde (ad es. 1 8, 1 s.; 24,3 s . ) . Con questo espediente viene descritto nel vangelo d i Matteo anche il ruolo dei lettori. Naturalmente, rispetto ai discepoli, essi hanno una «preconoscenza >> , ad esempio perché conoscono anche il prologo del vangelo, in cui di certo i discepoli ancora non c'erano. Proprio nella diffe­ renza tra il loro sapere e quello dei discepoli, però, riconosceranno che come discepoli di Gesù non si è mai finito d'imparare, e che si deve conti­ nuamente «andare a scuola>> dal maestro Gesù. Lo stesso vale per il comportamento dei discepoli: nel vangelo di Matteo sono tratteggiati > , così come sono, come uomini «di poca fede>> (ad es. 8,26; J4,3 I ; 1 6,8) o - come nel caso di Pietro - come uomini che oscillano tra coraggio e scoramento, tra confessione e incapacità di sof­ frire, tra rinnegamento e pentimento: Matteo non ritrae discepoli , ma «reali» . Ciò però non significa affatto che per questo nel vangelo di Matr

Cf. sotto, 4 . 1 . Cf. per l a concezione matteana dei discepoli, oltre Luz, funger, soprattutto sotto, pp. 273 ss.; vol. n, intr. a 9,3 6-1 1,1, nr. 4, e riepilogo sulla pericope; vol. IV, a 28, 19a ((.l.a-81)­ 'tEUw e 1tav-ra -rèt WvlJ), e sull'apostolo tipo vol. n, excursus «Pietro nel vangelo di Mat­ teo » , e riepilogo su 1 6, 1 7-19. 2

INTRODUZIONE teo essi passino in secondo piano in quanto configurazione del lettore im­ plicito. 1 Lo sono invece in un modo del tutto particolare: i lettori riconosco­ no nel comportamento dei discepoli atteggiamenti propri - reali e possibili - e i propri difetti. Al tempo stesso condividono il «punto di vista » di Gesù e per questo sanno anche che cosa pensare di sé, a chi affidarsi e in che modo cambiare. L'esperienza della differenza tra il «punto di vista » di Gesù e la realtà del comportamento dei discepoli li porta, in riferimento a se stessi, a riconoscere che «il discepolato va considerato come un obiettivo che non è mai raggiunto » .>. Nel quadro dell'intera storia di Gesù, i lettori accompagneranno il loro maestro nel suo scontro con i capi di Israele, da cui prenderanno le distan­ ze, e infine abbandoneranno insieme a Gesù il tempio e saranno sul Monte degli Ulivi (24, 1-3 ). 4· Altre figure di identificazione per i leuori. Si deve qui richiamare l'at­ tenzione anzitutto su uomini e donne bisognosi d'aiuto, che si rivolgono a Gesù chiamandolo «signore » - nella lingua della comunità - e cercano in lui la salvezza (per es. 8,2; 1 5 ,22; 1 7, 1 5; 20,29-3 4). Ciò è particolarmente evidente nel caso delle guarigioni dei ciechi, poiché la «cecità >> va intesa anche metaforicamente e ogni fedele è divenuto, da «cieco>> , «vedente» per mezzo di Gesù,3 mentre al contrario i farisei sono «guide cieche di ciechi» ( 1 5,14). Possibilità di identificazioni positive offrono anche le donne nella storia della passione ( 26,6- 1 3 ; 27,5 5-28,10). Figure di identificazione indi­ rette sono i magi (2,I I ) così come il centurione e i suoi uomini ( 27,54), quindi dei gentili. I capi giudaici sono figure da cui i lettori si allontanano non solo per la loro ostilità nei confronti di Gesù, a volte descritta con una certa perfidia (ad es. 1 2,14; 27,3-8), ma anche perché non osservano né i comandamenti di Gesù né i loro (cap. 23; 26,63 ). In questo contesto risulta difficile un giudizio sull'immagine matteana del popolo. Matteo parla spesso della «sequela » del popolo (per es. 4,25; 8 , 1 ; 1 2, 1 5; 1 4, 1 3 ; 1 9,2; 20,29 ) e in questo modo ne ammette la connota­ zione come «chiesa potenziale» .4 In altri passi il popolo si trova, sul piano narrativo, in contrasto con i capi giudaici e accentua così la loro malvagità e la loro mancanza di fede (ad es. 9,3 3 s.; 1 2,23 s.; 14,5; 2 I ,8-I r .26). Nel complesso emerge una differenziazione tra le parole di Gesù e i brani nar­ rativi: mentre Gesù esprime spesso - e talora in modo davvero inaspettato per i lettori - giudizi negativi su Israele nel suo complesso (per esempio le parole su «questa generazione>> a I I , I 6; 1 2,39-4 5 ; 1 7 , I 7; 23,3 6 o anche 8,I I s.; 1 3 , 1 0-I 5; 23,37-39), nei passi narrativi egli si rivolge continua­ mente al popolo, il cui atteggiamento verso Gesù rimane (distaccatamente) amichevole fino a che non si rovescia alla fine nella storia della passione (27,24 s.). Le numerose parole dure di Gesù nei confronti del popolo si ri­ velano essere, nel complesso della narrazione matteana, «segni» di ciò che 1 Così Howell, Inclusive Story, :z.J4-:Z.J6. 3 Cf. vol. n, a 9,:z.7; vol. m, a :z.3 , 1 6.

4

2. Edwardsa, 5 2.. Gundry, 65, e passim.

IL LETTORE accadrà alla fine. Nell'insieme, bisognerà sottolineare con più forza il ruo­ lo del popolo nel contesto del conflitto di Gesù all'interno di Israele, così come è narrato da Matteo, che non le scarne possibilità di identificazione per i lettori che in esso si manifestano. • Si vede chiaramente che il narratore Matteo coinvolge i suoi lettori nella sua storia di Gesù: essi, infatti, concepiscono quella storia di Ge­ sù, già loro familiare nel contenuto, come la loro storia con Gesù. È la storia del loro signore e maestro, la storia del Gesù Emmanuele, nella quale sperimentano la continua presenza di Dio in mezzo a loro (28, 20 ) : non la ascoltano dal d i fuori. L a storia > .� M.E. Boismard 3 vede la composizione dei sinottici in modo ancora più complicato: il nostro attuale vangelo di Matteo sarebbe indipen­ dente dall'attuale vangelo di Marco e si baserebbe su una precedente ver­ sione di Matteo e di Marco; questa versione più antica e intermedia di Matteo dipenderebbe dal canto suo da Q e da un testo base ancora più an­ tico. Questa ipotesi è certamente la più elaborata tra tutte quelle alternati­ ve alla teoria delle due fonti: presenta il vantaggio e al tempo stesso lo svan­ taggio di poter spiegare di fatto tutti i fenomeni, poiché è così complicata da integrare in sé più o meno tutte le altre teorie. La teoria delle due fonti è, a mio giudizio, l'ipotesi di fondo sulla cui base la questione sinottica può essere spiegata nel modo più semplice. Naturalmente non chiarisce tutti i problemi, soprattutto quelli del van­ gelo di Luca. Per il vangelo di Matteo si deve invece ricordare solo un problema, che ricorre nell'intero ambito della triplice tradizione e che porta a una modifica molto lieve della teoria delle due fonti. Si tratta dei minor agreements 4 tra Marco e Luca. Sono davvero numerosi e in diversi passi niente affatto insignificanti. A mio giudizio però i minor agreements non costringono a una revisione radicale della teoria delle due fonti. Poiché non rivelano un profilo linguistico e/o teologico comune, non è necessario limitarsi a una singola ipotesi per la loro spiegazione. Spesso si può avere a che fare con correzioni del testo di Marco da parte di Mat­ teo e Luca, correzioni apportate indipendentemente l'uno dall'altro.s SoI A. Farrer, On Dispensing with Q, in Studies in the Gospels (Fs R.H. Lightfoot), ed. D. Nineham, Oxford 1 9 5 5 , 5 5-86; Goulder, Midrash, spec. 1 3 7- 1 5 2. � M. Lowe - D. Flusser, A Modifìed Proto-Mattbean Synoptic Theory: NTS 29 ( 1 983) 2.5 s. Abel• offre un'altra scappatoia dalla difficoltà di un Matteo che sembra essere al tempo stesso pro- e antigiudaico: non c'è un Matteo, ma ce ne sono due, uno giudeocri­ stiano e uno etnicocristiano che rielabora il primo. Con questa teoria Abel• distrugge l'unità linguistica e compositiva del vangelo. 3 Benoit-Boismard, Synopse, 11. Commentaire (di M.E. Boismard), passim. 4 Bibliografia selezionata: Schmid, Matthiius und Lukas, 3 1 -8 1; S. McLoughlin, Les ac­ cords mineurs Mt.-Lc. contre Mc et le problème synoptique: EThL 43 ( 1967) 1 7-40; Neirynck, Minor Agreements; A. Fuchs, Die Behandlung der Mt./Lk. Obereinstimmun­ gen gegen Mk. durch S. McLoughlin: SNTU A 3 ( 1978) 2.4-57 (con bibl. alle nn. 2. e 3); Strecker, Agreements; Ennulat, Agreements. Un valido sguardo d'insieme sullo stato del testo offre F. Neirynck, The Minor Agreements in a Horizontal-Line Synopsis, Leuven 199 1 . 5 È questa l a «soluzione normale• d i Schmid, 1 79, e l a soluzione d i Neirynck, Agree-

LE FONTI prattutto però si dovrebbe prendere in seria considerazione la possibilità che anche di Marco siano esistite redazioni leggermente diverse. Perché non dovrebbe essere accettabile per il vangelo di Marco 1 ciò che è ovvio per altri documenti semiletterari testimoni di una cultura religiosa marginale, quali i discorsi di ammonizione del Libro di Enoc, i Testamenti dei Dodici Patriarchi, la Vita di Adamo, il Testamento di Giobbe, la fonte dei logia, l' Epistula Apostolorum, la Didascalia, l'Apocrifo di Giovanni, gli Atti de­ gli Apostoli ;z. ecc.? A mio parere Matteo e Luca hanno utilizzato una recen­ sione di Marco che in diversi punti è secondaria rispetto al nostro Marco.3 Il materiale proprio (Sondergut) non ha, a mio giudizio, una forma letteraria unitaria. Consta in parte di completamenti della tradizione di Marco - completamenti che la presuppongono (ad es. Mt. 4,1 3 - 1 6; 8,17; 1 2.,5-7; 2.7, 3 -9 . 1 9. 24 s. 62-66; 28,n - 1 5 ) -, in parte di blocchi estesi di materiale autonomo (ad es. Mt. 1 , 1 8-2,23; 5 , 2 1 s. 27 s. [3 3-3 5]; 6,26. 1 6- 1 8 ), ma per la parte più consistente consta di singole tradizioni. Tra queste spicca una serie di parabole perlopiù piuttosto lunghe ( 1 3 ,2430.44-5 0; 1 8,23-3 5 ; 20, 1 - 1 5 ; 2 1 ,28-3 2; 22, 1 - 1 3 ; 2 5 , 1 -30). La parte più consistente del materiale proprio è caratterizzato - in misura stra­ ordinariamente elevata - da particolarità linguistiche di tipo redaziona­ le. Ciò indica che questo materiale fu tramandato solo oralmente e fu messo per iscritto per la prima volta dall'evangelista. In molti casi la prova linguistica del fatto che un passo è stato messo per iscritto per la prima volta dall'evangelista (proprio in virtù del gran numero di parti­ colarità linguistiche matteane) viene confermata dalla prova compositi­ va costituita dall'inserimento di una vicenda nella trama di Marco:• So­ ments. Senza voler spiegare in questo modo tutti i minor agreements, vorrei segnalare un'esperienza intervenuta nel corso della stesura di questo commento: la prima redazio­ ne del vol. 1 è stata completamente riletta da tre collaboratori per eventuali riduzioni, proposte di miglioramento ecc. Il numero di passi in cui due di loro hanno corretto nello stesso punto il testo da me proposto è stato notevole, mediamente 2-4 volte a pagina. E inoltre il numero dei passi in cui indipendentemente l'uno dall'altro hanno corretto il te­ sto allo stesso modo è risultato ancora sempre considerevole, in media una volta a pagi­ na. Un'esperienza, questa, che dimostra come questa ipotesi sia tutto sommato possibile, ma non sufficiente come unica spiegazione dei minor agreements, in considerazione del loro numero elevato. 1 L'ipotesi (a mio parere molto improbabile) che Matteo sia stato utilizzato da Luca co­ me fonte parallela, così da poter spiegare una serie di minor agreements (per es. R. Mor­ genthaler, Statistische Synopse, Ziirich 1 9 7 1 , 279), è senza dirette conseguenze per l'interpretazione di Matteo. :z. Testo «occidentale,. ! 3 Questa è la teoria di Ennulat, Agreements, che tuttavia mi pare assegnarle troppo spesso la priorità. 4 Tra le tradizioni a sé stanti cf. ad es. Mt. 1 3,24-30; 1 7,24-27; 20, 1 - 1 6; 2 1 ,28-3 2; 22,114; 27,3 -1 0.62-66; 28, 1 1 - 1 5 ·

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INTRODUZIONE

lo in due casi prendo in considerazione una tradizione scritta del mate­ riale proprio: per le antitesi primarie del discorso della montagna e per il passo sull'elemosina, sulla preghiera e sul digiuno (Mt. 5 , 2 1 -24.27 s. 3 3 -3 7; 6,2-6. 1 6- 1 8 ) Matteo ha certo utilizzato fonti scritte, poiché le ha integrate con materiali Q pure scritti. ' Per le grandi parabole del ma­ teriale proprio sparse nel vangelo non mi sembra invece dimostrabile una raccolta scritta. 1 Queste osservazioni implicano, in negativo, che io rimanga scettico di fron­ te alle tesi, correnti nella ricerca, relative al materiale proprio: I . Negli studi più antichi si presupponeva spesso l'esistenza di una fonte speciale M, che comprendeva il materiale proprio matteano. Questa ipotesi di Streeter 3 ha avuto molti sostenitori specie nell'ambito della ricerca an­ glosassone.4 Il dato testuale, soprattutto il gran numero delle peculiarità linguistiche di tipo redazionale nella maggior parte del materiale proprio, depone chiaramente a sfavore di questa tesi. 2. Il materiale proprio si può assegnare a un determinato ambiente co­ munitario soltanto in misura molto limitata: la parte più cospicua di esso po­ trebbe certamente derivare da tradenti giudeocristiani, ma all'interno di que­ sta generica determinazione si registra una varietà molto grande: parte del materiale, ad esempio le citazioni di compimento preredazionali, richiama un ambiente di scribi; altro materiale lascia invece pensare a un ambiente giudeocristiano popolare, vicino al 'am ha'are� (ad es. 23,4 s. 1 6-22); altro ancora è connotato in senso antifarisaico (ad es. 6,2-6. 1 6- 1 8; 23,2- 5 ); al­ tro ancora è diretto contro la casta dei capi di Gerusalemme (ad es. 27,6266; 28,I I - 1 5 ); alcuni passi polemizzano con le halakot dominanti (ad es. 23 , 1 6-22); altri ancora sono, in senso lato, fedeli alla torà ( 1 7,24-27). Mol­ tissimi passi, soprattutto la maggior parte delle parabole e le antitesi pri­ marie, sono semplicemente gesuani. Se si attribuiscono Mt. 5 , 1 8 s. e 10,5 s. a Q o a QM', allora ne risulta che nel vangelo di Matteo le affermazioni di pun­ ta rispettose della legge e particolaristiche derivano dalla tradizione Q. Nel complesso non mi riesce di attribuire globalmente le tradizioni del materia­ le proprio a un singolo livello di tradizione di un «particolare tipo» che sia in qualche modo unitario e descrivibile da un punto di vista qualitativo. Non vorrei davvero parlare della J"I] 4,1,2 dc; 2. 1 8 , 1 68,226 EÌc; -.6 con inf. 3 , 1 , 1 Elc; 66,44.4 5 �tlc; posposto 9,1,1 dc; -roU..w>J 8 , 1 , 1 �tlc; come pron. indef. e!aÉPXO!.LtZI 3 6,30,50

èxei J I , I 2, I 6 Èxe:i-8e'J l 2,6,4 Èxe:i>Joç 5 6,27,37 È>J Èx�ti>J!j) -rrjl Xt�lprjl 3 ,o, o èxe:i>J"I] + Wptl ? , I ,O > in prospettiva escatologica.3 Anche elc; atpEOW a(L�Xp't'twv, nella parola sul calice, rimanda al suo uso litur­ gico. Che per la comunità matteana la remissione dei peccati giocasse un ruolo importante è confermato anche da Mt. 9,8. In Mt. 1 8 l'intera secon­ da parte del discorso comunitario è incentrata sul tema del perdono e l'an­ tico ordinamento della comunità di I 8,1 5-17 viene « incastonato » nella stes­ sa prospettiva.4 Qui dunque un'esperienza che la comunità matteana fa nel­ la liturgia eucaristica determina la teologia dell'evangelista. Si potrebbe sviluppare ulteriormente questa tesi, anche se in questo mo­ do si rasenta la speculazione: da Mt. 28,19 apprendiamo che il battesimo si amministrava nel nome del Padre, del figlio e dello Spirito santo (cf. Did. 7,1 s.). Ciò si addice non solo alla concezione di Dio come Padre, ma an­ che all'uso del titolo di figlio di Dio nel vangelo di Matteo, e corrisponde non solo all'uso linguistico di Marco ( 1 5,39), ma anche a quello della co­ munità, se « figlio di Dio» diventa in Matteo il titolo più importante delle professioni di fede ( 14,3 3 ; 1 6, 1 6; 27,54). All'esperienza liturgica potrebbe anche risalire la caratteristica che - nel vangelo di Matteo - appare ripetu­ tamente visibile l'influsso dei LXX. Alla lingua dei Salmi appartengono xU1

Riflessioni in questo senso ci sono in diversi autori. Già per Schlatter (Kirche, passim) el vangelo di Matteo si rivela il modo di pensare di una comunità. Importantissimi so­ no Kilpatrick e Stendahl: Kilpatrick, Origins indaga a fondo il radicamento liturgico del­ l'uso linguistico matteano (92 per i doppioni, 94 s. per le citazioni veterotestamentarie, 59-71 in generale). Stendahl, School, concepisce Matteo come «manuale prodotto da una scuola » (2o), cosa che non esclude affatto per lui la ricerca di un autore specifico (30). 2 Cf. sotto, intr. a 6,9- 1 3 , nr. 2. 3 L'officiante indica il calice (,;oU--to u) ? Cf. vol. IV, intr. a 26,26-29, nr. 2. 4 Cf. vol. m , riepilogo su Mt. 1 8 , nr. 4·

n

INTRODUZIONE ptE awaov (2 volte) e xuptE ÈÀÉlJriOV ( 3 -4 volte) I E del resto dalla penna del­ l'evangelista escono ripetutamente espressioni dei LXX: Matteo vive al­ l'interno della sua Bibbia greca, poiché la liturgia riveste per lui un ruolo de­ CISIVO.

5 . 2. 2 . Matteo e gli scribi della sua comunità Matteo parla di scribi cristiani ( 1 3 , 5 2; 23,34) e, per Israele, di « loro sina­ goghe» (quattro volte) e di «loro scribi » (7,29), ma non di «loro farisei » . S i può ipotizzare che ciò avvenga perché c'erano, distinti dai > sinagoghe. L'attivi­ tà di questi scribi risulta evidente sullo sfondo del vangelo matteano. An­ ticipo qui l'excursus sulle citazioni di compimento :. e illustro alcuni risul­ tati: la «scuola>>, che risulta chiaramente visibile dietro le citazioni di com­ pimento, non si identifica, a mio parere, con l'evangelista. Del loro voca­ bolario non è di per sé completamente responsabile Matteo, in quanto in­ fluenzato dai LXX. Poiché molte citazioni di compimento appartengono a quelle tradizioni all'interno delle quali si trovano oggi e poiché Matteo non è il loro autore, bisogna supporre che nella sua comunità molte tradizioni, specie quelle del materiale proprio, siano state oggetto di riflessione - alla luce della Bibbia - da parte degli scribi. Dietro Matteo si vede, quindi, il lavoro degli scribi, lavoro che egli fa suo: non è inaspettato che program­ maticamente egli si richiami all'A.T. Il lavoro di questi scribi è forse rintracciabile ancora in altri passi: l'ag­ giunta prematteana di Mt. 1 2,5 s. alla storia della raccolta delle spighe o il tradizionale argomento dell'ultima esclamazione di Gesù sulla croce (Mt. 27,46 s.); 3 alla tradizione « halakica>> degli scribi potrebbero ricon­ dursi le aggiunte in QM' come ad esempio 7,6; 1 8, 1 5-20; 2 3 , 1 6-22. Infine, Matteo ci tramanda in 1 3 , 5 2 la celebre parabola dello scriba cristiano che dal suo tesoro tira fuori il nuovo e il vecchio. Molti esegeti ipotizzano che qui Matteo tramandi un piccolo autoritratto.4 Anche se rimango dubbioso riguardo a questa ipotesi, in ogni caso 1 3 , 5 2 dimostra che gli scribi, che reinterpretavano in modo nuovo soprattutto gli «antichi>> testi biblici, go­ devano, nella comunità matteana, di grande stima. Dietro il vangelo di Matteo sono dunque visibili gli scribi cristiani che si occupavano di Q, del vangelo di Marco, di altre tradizioni su Gesù e I

Cf. ad es. Sal. LXX 1 1,2; I05,•P; 1 1 7,25; 6, 2 s.; 30, 1 0; 40, 5 . 1 1 ; 85,3; 1 22,3 . Cf. sotto, excursus « Le citazioni di compimento» , § 3 · 3 Cf. vol. Iv, intr. a 27-4 5-50, nr. 3 · 4 Cf., oltre a i lavori citati sotto, vol. n , a 1 3 , 5 2, nonché Onon, Scribe, 1 6 5 - 1 74; Gnilka, 1, 5 u; Davies-Allison, n, 445 s. 2

COLLOCAZIONE STORICA DEL VANGELO DI MATTEO

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della Bibbia. Matteo, riproponendo in modo nuovo la storia di Gesù di Marco, prende sul serio il loro lavoro: non solo la sua particolare lin­ gua - che mostra di continuo contatti col giudaismo rabbinico a lui con­ temporaneo -, non solo il suo atteggiamento conservatore nei confronti della legge - che si manifesta in 5 , 1 7- 1 9 e in molti altri passi -, non so­ lo molte tradizioni - che egli fa sue (specie le citazioni di compimento) -, ma anche passi come 2 3 , 3 4 o l'ammonimento di 23,8- 1 0 - che è ri­ volto soprattutto a loro - dimostrano quanto gli scribi fossero impor­ tanti per lui.

Conclusioni. Matteo è influenzato dalla sua comunità da un punto di vista linguistico e teologico. Non è un autore che si muove in uno spa­ zio vuoto: si basa sull'eredità dei suoi padri e sulle tradizioni della li­ turgia e degli scribi della sua comunità. Per lui la sua creatività e il suo orientamento teologico si legano alla tradizione formando un tutto ar­ momco.

6. COLLOCAZIONE STORICA DEL VANGELO DI MATTEO Bacon, Studies, 3-49; S. Brown, The Matthean Community and the Gentile Mis­ sion: NT 2.2. ( I9 8o) I93-2.2.I; K.W. Clark, Die heidenchristliche Tendenz im Mat­ thiiusevangelium, in Lange, Matthiius-Evangelium, I03-I I I (in inglese: JBL 66 [1947] I 65-I 72.); E. Cuvillier, Particularisme et universalisme chez Matthieu. Quelques hypothèses à l'épreuve du texte: Bib. 78 ( I 997) 48 I-502.; Davies, Setting, 208-3 1 5; Dobschiitz, Matthiius, 3 3 8-348; Kilpatrick, Origins, 101-1 39; D. Hagner, The Sitz im Leben of the Gospel of Matthew, in Bauer-Powell, Treasures, 2.7-68; Hummel, Auseinandersetzung, 2.6-3 3 . 1 59- 1 6 1 ; J.C. Ingelaere, Universalisme et particularisme dans l'évangile de Matthieu. Matthieu et le ]udaisme: RHPhR 75 ( 1 995) 45-59; J. Kiirzinger, Das Papiaszeugnis und die Erstgestalt des Matthiius­ evangeliums: BZ n.s. 4 ( 1960) 19-38, cit. secondo Id., Papias von Hierapolis und die Evangelien des Neuen Testaments (Eichstiitter Materialien 4), Regensburg I983, 9-3 2.; Id., lreniius und sein Zeugnis zur Sprache des Matthiiusevangeliums: NT S Io ( 1963- I 9 64) I08-I I 5 , cit. secondo Id., Papias, 3 3 -42.; Luomanen, Entering, 2.62.277; Meier, Law, 9-2.1 ; Id., Vision, I 5-2.5; Nepper-Christensen, Matthiiusevange­ lium, q - 1 00. 1 80-2.07; Menninger, lsrael, 2.3-62.; Overman, Matthew's Gospel; Repschinski, Controversy Stories, 1 3- 6 1 . 343-3 50; A.J. Saldarini, The Gospel of Matthew and ]ewish-Christian Conflict, in Balch, Social History, 3 8-6 1 ; Segai, A.F., Matthew's ]ewish Voice, in Balch, Social History, 3-37; Schweizer, Kirche, 138- 1 70; Sim, Gospel; Stanton, Gospel, 8 5 - 1 9 1 ; Strecker, Weg, 1 5-3 5; K. Tagawa, People and Community in the Gospel of Matthew: NTSt 16 ( 1 969- 1 970) 1 49-1 62.; W.G. Thompson, A Historical Perspective in the Gospel of Matthew: JBL 93 (1974) 2.43-2.62; W.G. Thompson - E.A. Laverdière, New Testament Communities in Transition. A Study of Matthew and Luke: TS 37 ( 1976) 567-597; L.M. White, Crisis Management and Boundary Maintenance. The Social Location of Matthew's Gospel, in Balch, Social History, 2 1 1 -247; Wong, Theologie, spec. 1 8 5- 1 9 5 .

6. I . Il vangelo di Matteo, un vangelo giudeocristiano Nel periodo di fioritura degli studi sulla storia della redazione è stata spes­ so avanzata l'ipotesi che il vangelo di Matteo tragga origine, nella sua re­ dazione finale, da una comunità etnicocristiana e da un autore etnicocri­ stiano. 1 Gli elementi giudeocristiani apparterrebbero quindi alla tradizione e sarebbero da considerare superati. I presupposti di questa teoria sono: 1 . Matteo accoglie la missione ai gentili ed è orientato in senso universalistico; 2. condanna duramente Israele; 3 . evita parole aramaiche; 2. 4· diversi passi del suo vangelo tradiscono una scarsa conoscenza del giudaismo. Gli argomenti non sono cogenti: è proprio da un giudeocristiano che bi­ sogna aspettarsi, a mio parere, una polemica particolarmente violenta con­ tro la sinagoga rimasta lontana da Gesù e la formulazione di giudizi parti­ colarmente severi su Israele.3 Il dato linguistico non dice nulla: la sensibili­ tà stilistica greca impone a giudei e gentili di ridurre le parole straniere. Inol­ tre in Siria giudei e gentili parlavano aramaico. Pertanto risulta decisivo solo il quarto presupposto, e cioè che Matteo scriva cose che possano provare un'ignoranza del giudaismo impensabile per un giudeocristiano. Ma a una analisi più approfondita i passi si riducono in modo considerevole.4 Il vangelo di Matteo nasce a mio giudizio da una comunità giudeo­ cristiana e da un autore giudeocristiano. A favore di questa tesi depon­ gono le considerazioni che seguono. r . Struttura e composizione del vangelo dimostrano che l'evangelista è influenzato dalla letteratura giudaica. 1 Clarka; Nepper-Christensen, Matthausevangelium, 202-208; Strecker, Weg, 1 5-3 5; Trilling, Israel, 21 5; Walker, Heilsgeschichte, passim; Tilborg, Leaders, 171 s.; Franke­ molle, ]ahwebund, 200; Gaston, Messiah, 3 3-39; Meier, Law, 14-21 (bibl.); Id., Vision, 1 7-25. 2 Cf. sopra, p. 90 n. 2. Si confrontino testi giudeocristiani come l'Apocalisse (2,9; 3,9) o il vangelo di Giovan­ 3 ni (8,44) oppure il giudeocristiano Paolo (1 Tess. 2, 16; il testo di Rom. 9-1 1, successivo, indica una svolta di Paolo). Un simile, deciso antigiudaismo rivela l'esegesi protestataria dell'A.T. nella gnosi «giudaica» . 4 Assurdo è i l rinvio a 1 6, 1 2 (Matteo presupporrebbe una comune dottrina dei farisei e dei sadducei) e a 22,23 (dalla mancanza di anicolo si dovrebbe dedurre che secondo Mat­ teo solo alcuni sadducei negavano la risurrezione); contro Meier, Vision, 20 s. Il caval­ care due animali diversi in 21,5-7 forse non è un fraintendimento del parallelismus mem­ brorum: anche un emicocristiano avrebbe potuto capire che non è possibile cavalcare contemporaneamente due animali; ci si deve vedere piuttosto una finalità; cf. vol. m, intr. a 2 1 , 1- 1 7, nr. 2. Il passo di 1 2, 1 1 rivela senz'altro non una credenza rabbinica, ma piuttosto una convinzione popolare, secondo la quale un animale che cada di sabato in una fossa deve essere tratto in salvo. Difficilissimo è il caso della parola cpuÀGlx..-ljp1ov di 23,5: cf. vol. m, ad loc.

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La testimonianza di Papia. Nella prima metà del n sec. d.C., nella sua cele­ bre «testimonianza », Papia di Ierapoli scrive: Ma:t'l9aioc; (.LÈV oòv 'E[jpatòt ÒtaÀÉx't'cp 't'à Myta auvE't'tX�IX't'O. Le nostre osservazioni sulla composizione e la struttura del vangelo di Matteo inducono a intendere questa frase se­ condo l'interpretazione di Kiirzinger, a mio avviso filologicamente ben fon­ data: «Matteo ordinò ' le tradizioni 2 secondo un modo di presentazione 3 giudaico» . La frase sarebbe quindi stata fraintesa nella chiesa antica, poi­ ché 'E�patç ÒttXÀEx't'oç fu compreso nel senso di «lingua ebraica» .4 Questo errore potrebbe essere nato quando si ebbe notizia di un vangelo di «Mat­ teo» (il Vangelo dei Nazarei) in ebraico, ad esempio nella biblioteca di Pan­ filio a Cesarea.5 Naturalmente questa interpretazione del frammento di Pa­ pia non è dimostrabile e l'ipotesi che quasi tutti i Padri della chiesa più tar­ di abbiano frainteso Papia è di per sé difficile da sostenere. Se si vuole con­ siderare seriamente la testimonianza di Papia, allora resta solo l'alternativa d'intenderla come una tradizione recepita e di pensare che, originariamen­ te, si riferisse a una precedente raccolta di «logia » di Gesù, forse alla fonte dei logia, cioè a Q.6 Altrimenti Papia deve essere considerato come lo con1 Secondo Kiirzinger, Papiaszeugnis", 1 3 . 2.0, si dovrebbe intendere (come nel passo pre­ cedente su Marco) la disposizione letteraria del materiale, il che deporrebbe a favore del­ la traduzione di 8�r.iÀe:x-roç nel senso di «modo di rappresentazione» . Secondo Kiirzinger, Papia contrappone il disordinato modo di presentazione di Marco al modo di presenta­ zione «ebraico» di Matteo e conclude: «Ciascuno (se. Matteo e Marco) le (se. le tradizio­ ni) riprodusse (fjp!J-Éve:uae:v) così come ne era capace» . L'ipotesi di Kiirzinger, che nell'ope­ ra di Papia la notizia su Marco precedesse immediatamente quella su Matteo, non è na­ turalmente dimostrabile, ma neppure necessariamente indispensabile per la sua interpre­ tazione della testimonianza di Papia. 2. Nella sezione su Marco, che viene prima nell'opera di Papia, Àoy ta è forma riassuntiva di -rà intò -roù xupiou Àe:x.9Év-ra lj 7tpax.9Év-ra. Cf. anche il titolo della sua opera principale: Àoyiwv xuptaxwv È��'YlJCTt dei farisei ( I 5, I -3 ) - una torà orale viva sembra darsi soltanto nei pre­ cetti di Gesù. È inoltre evidente l'idea che farisei e scribi (23 ,4) agli uomini - gli altri giudei certo non avvertivano la torà come . A questo si aggiungono indizi esterni, come la constatazione che per la comunità matteana il giorno comincia chiaramente al mattino ( 2 8, 1 ) 3 e che le fondamentali prescrizioni cultuali giudaiche si rivelano utili a mala pena come dispensatrici di metafore.4 3 · La comunità matteana ha celebrato la cena del Signore secondo un ri­ to che era sostanzialmente simile ( 26,26-29) a quello della comunità etni­ cocristiana di Marco. Nulla induce a pensare che l'avrebbe celebrata solo una volta l'anno come pasqua; non sappiamo se - lontano dal tempio ­ abbia celebrato una solennità sostitutiva della pasqua. Secondo l'esempio di Gesù ( 3 , I 5 ) ha battezzato i nuovi membri nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito (28,19). Colpisce che proprio qui non si parli di circoncisio­ ne. Questa comunità quindi, rispetto ai suoi riti fondamentali, non si diffe­ renzia dalla maggior parte delle altre comunità di Gesù, anche se esistono riti giudaici ad essi concorrenziali. Il quadro complessivo è intricato. Diversi indizi invitano a ritenere che la comunità matteana derivi da un giudaismo legato al «popolo della terra » , un giudaismo che fin dal principio è distante dal giudaiPer le difficoltà esegetiche cf. vol. m, ad loc. :t Potevano realmente essere usati in questo modo; cf. sotto, vol. m, ad loc. 3 Cf. vol. IV, ad loc. 4 Cf. sotto, intr. a 7,6. I

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smo di farisei e scribi. Se ciò è vero, allora il vangelo di Matteo è una delle poche testimonianze della religiosità del 'am ha'are�. La comunità si orienta ora esclusivamente su Gesù, il quale a mio parere va pure ascritto al giudaismo delle campagne, lontano da scribi e farisei. Egli è diventato il suo « unico maestro» ( 23 ,8 ) . La comunità osserva l'intera torà ma - per essere precisi - non in quanto essa si sente parte di Israe­ le, ma perché lo ordina Gesù ( 5 , I 7 s.). Che la sua comprensione della torà sia determinata esclusivamente da Gesù lo dimostra anche il fatto che riti particolari legittimati da Gesù sono divenuti riti fondamentali. Con questo quadro concorda inoltre la circostanza che il vangelo di Matteo è certo giudeocristiano, ma menziona solo di sfuggita il fratello del Signore Giacomo (vicino ai farisei ?), che si colloca a Gerusalemme. Matteo è piuttosto in relazione con quelle parti della chiesa che vedono in Pietro la figura centrale.

6.2. Il vangelo di Matteo nella storia del giudeocristianesimo Matteo e Q. Il vangelo di Matteo è sorto dall'inserimento della tradi­ zione Q nella trama di Marco. Questo processo letterario deve essere ricondotto, a mio parere, alla storia della comunità matteana: la con­ giunzione di queste due fonti rispecchia un pezzo della storia della co­ munità matteana. Molte cose, ai miei occhi, fanno pensare che gli ante­ cedenti di questa comunità sia connessi in modo particolare alla fonte dei logia. Tra Q e il vangelo di Matteo c'è una continuità non solo lin­ guistica e teologica, ma anche storica e sociologica. Questo ci permette di gettare uno sguardo sui ministeri della comunità. 1 Nella comunità matteana ci sono dei profeti. In 23,34 l'Innalzato dice di mandare in Israele profeti, saggi e scribi. 2. In 10,4 1 si parla dell'accoglien­ za di profeti itineranti nella comunità. Anche in 23,37 (cf. 5,1 2) si parla di profeti cristiani. Certamente tutti questi logia derivano da Q. Ma il modo in cui sono stati utilizzati dall'evangelista rende evidente che anche la sua comunità conosce dei profeti, e precisamente profeti itineranti, così come li conosciamo dalla fonte dei logia e come poi li incontriamo nella Didachè ( 1 1 - 1 3 ) accanto ai profeti della comunità ( I o,7; cf. 1 3 , 1 -4; r s, I s.). Anche il monito contro i falsi profeti (?,I 5-23; 24, I o- 1 2) presuppone che nella comunità matteana ci fossero dei profeti. Qualcosa di simile può dirsi per gli scribi. A differenza dei profeti sono citati redazionalmente dall'evanger Al riguardo cf. spec. Frankemolle, Amtskritik; Sand, Propheten; Schweizer, Kirche, 140-163; Trilling, Amt. 2 Matteo si esprime al presente (à.'ltocr-.ÉÀÀw) e riferisce perciò l'invio al suo presente.

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INTRODUZIONE

lista ( 1 3 ,5 2; cf. 8,19; 23,34). La fonte dei logia parlava di aoq�ot inviati in Israele accanto ai profeti ( 23,34 = Q 1 1 ,49).1 L'obiettivo di Matteo non è di sottolineare in modo particolare la posizione degli scribi nella comunità. Al contrario! Poiché «uno è il vostro maestro» ( 2 3 , 8 ) e «tutti» - anche gli scribi - sono «fratelli », e poiché l'intera comunità ha il potere di legare e sciogliere ( 1 8,1 8), la tendenza di Matteo è piuttosto quella di classificare gli scribi come membri della comunità. Così pure non gli interessa porre in risalto la particolare dignità dei radicali itineranti, cioè dei profeti e dei giusti ( 1 0,4 1 ), ma piuttosto gli preme dar forza ai «piccoli >> - nel vero sen­ so della parola - in quanto discepoli di Gesù ( 1 0,4 2!). L'evangelista pre­ suppone quindi, a mio parere, i profeti e i saggi itineranti di Q. Rispetto a Q, però, la prospettiva si è spostata: Matteo scrive dal punto di vista di una comunità stanziate; solo che questa riceve ancora la visita di carismatici iti­ neranti. Anche il Gesù di Matteo ha una residenza fissa a Cafarnao (4, 1 3 ).

Sostengo perciò la tesi che il vangelo di Matteo derivi da una comu­ nità che è stata fondata da messaggeri e profeti itineranti del figlio del­ l'uomo della fonte dei logia palestinese e che continua a stare a stretto contatto con loro. Le tradizioni Q rispecchiano quindi per la comunità esperienze tratte dalla sua personale vicenda storica: sono tradizioni « sue proprie » . Nel presente le comunità matteane vivono in Siria; 1 vi sono state forse spinte dalla guerra giudaica.

Matteo e Marco. Molto più difficile è determinare la posizione del vangelo di Marco nella storia della comunità matteana. O.H. Steck ci ha offerto un aiuto prezioso formulando l'ipotesi che i giudeocristiani, spostatisi dalla Palestina in Siria dopo la guerra giudaica, avrebbero «inglobato le locali co­ munità ellenistiche cristiane» .3 Sviluppo storico e dato critico-letterario si richiamano reciprocamente in questa ipotesi: il vangelo di Marco potrebbe quindi rappresentare essenzialmente la tradizione delle comunità ellenisti­ che del luogo; quello di Matteo sarebbe di per sé un vangelo ecumenico. Questa ricostruzione è così utile e preziosa che rende necessarie nello speci­ fico - a mio giudizio - alcune osservazioni critiche. A suo sfavore depone l'ipotesi, oggi nuovamente caldeggiata, che il van­ gelo di Marco abbia avuto origine a Roma: in Siria sarebbe dunque stato ­ già solo da un punto di vista geografico - un libro straniero, venuto da fuo­ ri. Contro Steck milita anche la nostra osservazione critico-letteraria che il vangelo di Marco, prima di essere utilizzato da Matteo, è stato tramanda­ to all'interno di un ambiente di scribi giudeocristiani, cioè in un ambiente ad esso estraneo. Sono inoltre a sfavore di Steck l'arringa di Matteo per una fedeltà radicale alla legge ( 5 , 1 7- 1 9 ) e il fatto che Matteo, a differenza 1 Schweizer, Kirche, 148: a partire dal Siracide il saggio è rappresentabile solo come scriba. 2. Cf. sotto, 6 . 5 . 3 Steck, Israel, 3 10 s.

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di Marco, non àncora la missione ai gentili nella vita del Gesù terreno. Tutto ciò quindi depone - da un lato - a sfavore dell'idea che il vangelo di Marco fosse quello proprio del gruppo con il quale la comunità matteana si fuse in seguito in Siria, e - dall'altro - a favore della possibilità che esso sia arrivato da fuori in una comunità giudeocristiana le cui tradizioni spe­ cifiche erano rappresentate essenzialmente della fonte dei logia. Lì sarebbe diventato poi in breve tempo importante.

La mia seconda tesi è che il vangelo di Matteo tragga origine da una situazione in cui questa comunità giudeocristiana si trovava a un punto di svolta.1 Già la fonte dei logia, con il suo cupo annuncio del giudizio per Israe­ le, testimonia che la predicazione di Gesù in Israele era giunta a un pun­ to critico. La comunità viveva la distruzione di Gerusalemme nella guer­ ra giudaica come giudizio di Dio su Israele (22,2-7; 23,3 7-3 9). In que­ sta situazione era necessario un nuovo orientamento. In Siria la comu­ nità visse in ambiente gentile: altre comunità in ambito siriaco svolge­ vano opera di proselitismo tra i gentili ed è verisimile che nella comuni­ tà matteana la missione ai gentili fosse già anche cominciata, forse sot­ to la spinta del vangelo di Marco. 2 Questa decisione deve essere stata presa non senza contrasti e ciò mi porta alla terza tesi.

Missione ai gentili: tesi. Una delle principali preoccupazioni di Mat­ teo è quella di sostenere la decisione a favore della missione ai gentili nella sua comunità. Che questa missione non fosse per la comunità matteana un fatto del tutto naturale, ma rappresentasse piuttosto un consapevole punto di par­ tenza per nuovi lidi, è dimostrato dalla circostanza che su questo punto - e solo su questo - il vangelo matteano presenta una frattura: l'ordine di missione del Gesù risorto si contrappone antiteticamente al comanda­ mento del Gesù terreno ( 2 8 , 1 9 s.; 10,5 s.).3 L'intero corso della storia di Gesù motiva questo sovvertimento: Matteo narra il conflitto di Gesù, messia di Israele, con i capi del popolo: esso culmina nella storia della 1 Cf. più diffusamente U. Luz, L'évangéliste Matthieu. Un judéo-chrétien à la croisée des chemins. Réflexions sur le pian na"atif du premier Evangile, in D. Marguerat et al. (edd.), La mémoire et le temps (Fs P. Bonnard) (MoBi 23 ), Genève 199 1 , 77-9 2. Posi­ zioni simili sostengono Humphrey, Relationship, 247-252 (Matteo si decide per una •cristianità giudaica universale » ), Brown°, 2 1 7-221 e Thompson-Laverdière0, 571-5 8 2. Meier, Vision, 28, vede il « punto di svolta » nella circostanza che una comunità in pre­ cedenza giudeocristiana è ora, nella sua composizione, perlopiù etnicocristiana. 2 Cf. 24,9-14. A questo riguardo ho cambiato opinione rispetto alla prima edizione di questo commento ( 1 9 8 5 ) . 3 Cf. vol. IV, a 28,19a (7tav-.a -.èt €-8vtJ).

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INTRODUZIONE

passione, in cui il popolo si schiera dalla parte dei suoi capi che lo fuor­ viano ( 27,24 s.). Il vangelo di Matteo narra quindi come si giunse al rifiuto finale di Gesù da parte della maggior parte di Israele (cf. 28,n1 5 ) . La risposta a questo è l'ordine del Risorto ai discepoli di fare di «tutti i popoli » dei discepoli ( 2 8 , r 6-2o). Questo sovvertimento nella sto­ ria di Gesù si è compiuto anche nella storia della comunità, che ha fal­ lito nella sua missione in Israele, ha sperimentato il giudizio divino del­ la distruzione di Gerusalemme e ora, in Siria, viene chiamata dall'evan­ gelista a un nuovo compito. ' La comunità matteana si trovava quindi davanti a una decisione fon­ damentale simile a quella di molte a ltre comunità giudeocristiane nella diaspora dopo la separazione dalle sinagoghe: doveva decidersi tra un percorso particolare, che alla fine avrebbe portato all'esistenza del giu­ deocristianesimo come fenomeno a utonomo e marginale a metà strada tra l'Israele non cristiano e la grande chiesa (come di fatto divenne in parte il giudeocristianesimo in Siria in età tardoantica), e la possibilità di aprirsi alla missione ai gentili e di fare così un passo decisivo in una direzione che alla fine avrebbe portato all'integrazione nella grande chiesa. Matteo si trova all'inizio di questa seconda strada. 2 Dove essa potesse portare, dipendeva in modo determinante da come la comunità concepiva la sua osservanza della torà e da come metteva in pratica la sua missione ai gentili.

Missione ai gentili e circoncisione. Non è assurdo pensare che una comuni­ tà giudeocristiana si sia decisa alla missione ai gentili solo dopo la distru­ zione di Gerusalemme; qualcosa di simile è accaduto probabilmente anche in quelle comunità che stanno dietro le Pseudoclementine. 3 Se, da un lato, Matteo, col suo intervento a favore della missione ai gentili, si colloca es­ senzialmente dalla parte di Paolo, dall'altro, per la sua accettazione della validità incondizionata della legge, sembra essere non paolina o prepaoli­ no. Come si è immaginato la missione ai gentili ? Con la circoncisione e l'os­ servanza essenziale della legge anche per i gentili che credevano in Gesù Crir

La mia ipotesi coincide in parecchi punti con quella di Robinson, Trajectory, spec. 145· 149· Cf. sopra, p. 42 n. 2. 2 Non vedo quindi principalmente Matteo come anello di collegamento sulla strada che va «da Gesù al movimento monastico della chiesa cattolica » (così Schweizer, Kirche, 1 63, sulla scia di G. Kretschmar, Ein Beitrag zur Frage nach dem Ursprung frUhchristli­ cher Askese: ZThK 61 [ 1 964] 27-67). Diversamente dal radicalismo itinerante del primo cristianesimo, dagli asceti itineranti delle Epistulae ad virgines pseudoclementine e dai perfecti del Liber Graduum, Matteo è un perfezionista per l'intera comunità (così anche Schweizer, 168 s.). Un'etica a due livelli resta in lui solo marginale ( 1 9, 1 2 ). 3 Ps.-Ciem. Recogn. 1 ,64: il tempo dei sacrifici finirà, l'orrore della distruzione si mani­ festerà nel luogo santo, et tunc gentibus evangelium praedicabitur; cf. 1 ,4 1 s.

MATIEO NEL GIUDEOCRISTIANES IMO

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sto ? Poiché il Gesù matteano conferma incondizionatamente la torà ( 5 , 1 7 s.), se n e dovrebbe dedurre sostanzialmente questo. Non è impossibile: un giudeocristianesimo fedele alla legge che mette in atto la missione ai gentili è attestato anche altrove. Si pensi per esempio agli oppositori di Paolo in Galazia, ai giudeocristiani ricordati da Giustino (Dia/. 47,2 s.) che vogliono indurre gli altri cristiani alla circoncisione e al­ la celebrazione del sabato, e forse a quei giudeocristiani di cui tratta la Di­ dascalia siriaca. • Probabilmente bisogna ricordare qui anche gli gnostici giudeocristiani delle lettere pastorali (cf. I Tim. 1 ,7). Nel cristianesimo post­ matteano si ha in Cerinto un esempio di cristiano matteano che forse pre­ tendeva la circoncisione. 2. Presso altri giudeocristiani che pure richiedevano la circoncisione va presupposto almeno un influsso indiretto di Matteo.3 Oltre a queste però ci sono testimonianze anche di un giudeocristiane­ simo almeno in parte fedele alla legge che probabilmente rifiutava la cir­ concisione. Mi riferisco a tutti quei giudeocristiani, ad esempio gli elcasai­ ti, che pretendevano, da parte dei gentili, un'osservanza della legge non to­ tale ma limitata (ad esempio attraverso la tesi delle pericopi «falsificate >> ). Nelle Pseudoclementine, che mostrano un influsso matteano altrettanto for­ te, la circoncisione è sostituita dal battesimo, ma sopravvivono molte nor­ me di purità. I giudaizzanti delle lettere di Ignazio si richiamano all'A.T. (Phld. 8,2), osservano il sabato e altre «cose antiche» (Magn. 9,1 ) e non si attengono al vescovo.4 Questi giudeocristiani non pretendevano la circon­ cisione. 5 Un legame tra missione a i gentili e osservanza della legge è quindi atte­ stato molto diffusamente. Ci si deve solo liberare dell'idea che questa que­ stione sia stata decisa per l'intera chiesa per mezzo del concilio apostolico. , Cf. spec. Didascalia, 26. La situazione non è però chiara. Si tratta di un gruppo giu­ deocristiano al di fuori della comunità della Didascalia (così Strecker [sopra, p. 101 n. 6), 258) oppure l'autore, con la sua tesi della «ripresa » della legge, si volge contro un gruppo fedele alla legge all'interno della comunità ? 2 Secondo Epifanio, Haer. 28,5, Cerinto ha utilizzato il vangelo matteano, ma al tempo stesso sarebbe rimasto fedele alla circoncisione e avrebbe rifiutato Paolo. 3 Ireneo, Haer. 1 ,26,2, dice degli ebioniti: accettano la creazione, la circoncisione, il tempio e tutte le altre prescrizioni della legge; rifiutano Paolo e considerano valido solo Matteo; cf. anche Haer. 3 , I I ,7. Verisimilmente però gli ebioniti usavano il Vangelo degli Ebioniti che circolava sotto il nome di Matteo (cf. sopra, p. 101 n. 2) e che Ireneo identifica con il vangelo di Matteo canonico. 4 Se dovessero essere stati influenzati da Matteo, ciò sarebbe ben comprensibile: già l'or­ ganizzazione in senso fraterno della comunità matteana non lasciava nessuno spazio per un episcopato inteso nel modo di Ignazio. 5 Phld. 6,1 (7tctpà &.xpo�Ua-rou 'IouòcttatJ-ov) consente a mio giudizio questa conclusione, in quanto Ignazio nelle lettere Ad Magnesios e Ad Philadelphios parla della stessa gente. Ritengo difficilmente sostenibile la tesi di Sim, Gospel, 278 s., secondo la quale lgn. Phld. 6,1 parlerebbe non di gentili timorati di Dio, ma di (ex!) gentili passati al giudaismo o a un giudeocristianesimo fedele alla legge.

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INTRODUZIONE

Già solo la discussione - piuttosto aspra - su Paolo all'interno della chiesa dimostra che la realtà era molto diversa. 1 Vi sono dunque nel giudeocristianesimo diverse soluzioni possibili per la questione del valore della legge per i gentili da evangelizzare. Non sap­ piamo direttamente come si comportarono al riguardo le comunità mat­ teane. Poiché però, presto o tardi, la maggior parte di esse si è aggre­ gata alla grande chiesa, devono aver adeguato in qualche modo il loro atteggiamento di fedeltà alla legge.� In questo senso depone anche la ra­ pida diffusione e l'alta considerazione che il vangelo di Matteo conob­ be nell'intera chiesa. Per tale adeguamento la concezione matteana del­ la legge mette a disposizione una scala dei gradi di importanza: la torà non è una grandezza autonoma accanto a Gesù, ma Gesù è stato - an­ che rispetto a essa - il solo maestro e la chiave per la sua interpretazio­ ne. Proprio quelle parti della torà che distinguevano Israele dagli altri popoli - la circoncisione, le norme di purità, le prescrizioni rituali - so­ no passate in secondo piano in Gesù e anche in Matteo rispetto ai co­ mandamenti che invece accomunano Israele agli altri popoli, soprattut­ to il comandamento dell'amore} La distinzione tra i f3apu'te:pcz 'toù VO(J.OU, e cioè il comandamento dell'amore, il decalogo e la legge morale (Mt. 2 3 , 2 3 ) , e le prescrizioni rituali - piuttosto marginali - del cerimoniale, tra cui rientravano le norme di purità, il sabato e la circoncisione, ren­ de a mio avviso comprensibile perché per i successori di Matteo sia sta­ to possibile rinunciarvi in riferimento ai gentili. Questo tentativo di collocare il vangelo matteano nella storia del giu­ deocristianesimo è naturalmente ipotetico. Si basa sul presupposto che dietro la composizione del vangelo di Matteo vi sia non semplicemente una operazione critico-letteraria, ma che un autore, dedito alla sua co­ munità, ne abbia rielaborato le specifiche tradizioni normative e le ab­ bia riconsiderate alla luce del vangelo di Marco. Questa ipotesi presup­ pone dunque che da un unico procedimento critico-letterario condotto su testi legati a una comunità come i nostri si possano in certa misura trarre conclusioni sulla storia della chiesa, così come, nella storia delle forme, dalle caratteristiche generali di una microformazione letteraria Cf. G. Liidemann, Paulus der Heidenapostel (FRLANT 1 30) n, 1 9 8 3 , 1 67-263 . Dal silenzio d i Matteo sulla circoncisione non s i può dunque concludere che essa era importante di per sé (contro Sim, Gospel, 2 5 3 s.). 3 È questo il rimprovero che j. Klausner, Jesus von Nazareth, jerusalem 1 9 5 2, p 6-523, muove già a Gesù, cioè quello di essere solo un etico e di trascurare le prescrizioni ritua­ li e quindi, in questo modo, anche la specificità di Israele rispetto agli altri popoli. 1



LA COMUNITÀ MATTEANA NEL GIUDAISMO

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si possono trarre conclusioni sociologiche relative al suo Sitz im Leben. Ne deriva, su un piano metodologico, la possibilità di un inquadramen­ to del vangelo di Matteo nella storia della chiesa.

6. 3 . La comunità matteana nel giudaismo Matteo nel giudaismo: stato della ricerca. Come dobbiamo imma g inar­ ci la posizione della comunità matteana di fronte al giudaismo ? È evi­ dente che nel vangelo di Matteo coesistono, da un lato, affermazioni che limitano la salvezza a Israele e giudizi negativi sui gentili (come per es. Mt. 5,46 s.; 1 0, 5 s.; 1 5 ,24; cf. 5 , 1 8 s.; 23,3 ), e, dall'altro, affermazioni universali con giudizi positivi sui gentili (ad es. 2, 1 - 1 2; 5,14; 1 3 ,3 8; 22, 9 ; 28, 1 8 s. ) . Quali rapporti ci sono tra le une e le altre? Cinque diverse ipotesi storiche tentano di chiarire questo dato testuale. 1. Una prima posizione, al tempo stesso fondamentale ed estrema, prospet­ tiva considera il vangelo di Matteo espressione della tradizione petrina del­ la comunità di Antiochia. 1 Secondo questa posizione, Matteo ha un atteg­ giamento negativo nei confronti dei gentili ( 5 ,46 s.; 6,7 s.; 10,5 s.; 1 5 ,2128); la sua comunità esclusivamente giudeocristiana ritiene la missione a Israele proprio compito fino alla parusia ( I o,23 ).2 L'imperativo missiona­ rio alla fine del vangelo non riguarderebbe il compito specifico della comu­ nità matteana, ma terrebbe conto della presenza in altre parti della chiesa di una missione ai gentili. Questa posizione non è chiarificatrice. Non si basa soprattutto sul testo del vangelo di Matteo, ma piuttosto su un quadro storico generale del cri­ stianesimo delle origini, nel quale vengono costrette le testimonianze scrit­ te, non solo quelle matteane. In particolar modo poi trascura la dinamica della narrazione matteana, in cui tutto tende verso l'imperativo di una mis­ sione universale. Sim, il principale sostenitore di questa posizione, interpre­ ta la narrazione matteana a partire dall'inizio invece che dalla fine. 2. Una seconda posizione fondamentale considera la comunità matteana radicata 3 in una doppia identità religiosa e culturale o come una comunità ecumenica aperta all' «interculturalità » , composta, da un punto di vista socio logico, di giudei e gentili. 4 Essa combina insieme le tradizioni partico1 Sim, Gospel, spec. 1 4 2-1 64; 2 1 6-256. 289-302; Id., The Gospel of Matthew and the Genti/es: JSNT 57 ( 19 9 5 ) 1 8-4 8; Id., Christianity and Ethnicity in the Gospel of Mat­ thew, in M.G. Brett (ed.), Ethnicity and the Bible (BI.S 19), 1 996, 1 7 1 · 1 9 5 , spec. 195: per la comunità matteana > ); come Matteo, anche Jo):lanan era aperto ai gen­ tili. I Entrambi non accettano prescrizioni rituali, sebbene non occupino una posizione centrale. z. Entrambi cercano il comandamento supremo, la regola delle regole.3 Entrambi, durante la guerra giudaica, aderivano al partito della pace. Per entrambi è centrale il giudizio che verrà.4 Anche una parabola è in entrambi molto simile.5 Come Matteo, anche Jo):lanan interpreta la fede in senso etico, come comandamento da mettere in pratica tutti i giorni. A mio avviso le corrispondenze non sono dovute a rapporti diretti tra i due.6 Naturalmente, non si può stabilire con certezza quanto di queste tra­ dizioni risalga effettivamente a Jo):lanan: è incerto anche se Jo):lanan fosse un fariseo.? Resta tuttavia sorprendente che Matteo e il principale fautore del consolidamento giudaico dopo il 70 siano stati prossimi l'uno all'altro su tanti punti, cosa che non accadrà mai più, per secoli, nei rapporti tra cristiani e giudei. Ma il solco tra la comunità e la sinagoga era già troppo profondo perché potesse scaturirne ancora una possibilità di dialogo.

6-4- La situazione all'interno della comunità Il vangelo di Matteo è stato influenzato non soltanto dalla separazione da Israele. Anche una serie di altri problemi della comunità sono in es­ so visibili e sono simili a quelli che conosciamo da altri scritti neote­ stamentari, sono cioè i tipici problemi della seconda e terza generazione cristiana. 1. Il dato più rilevante è che Matteo debba continuamente esortare la sua comunità all'azione. L'espressione «poca fede» , per lui così imè la carità (in esplicita opposizione alla prevalente interpretazione di Prov. 14,34); A.R.N. 4 (Bill., I, 500): le opere di carità come mezzo di espiazione per Israele dopo la distru­ zione del tempio, con citazione da Os. 6,6. I Cf. sopra, B.B. 10b e Ber. 1 7a (Bill., I, 1 9 8 ) Uo�anan anzitutto salutava tutti, anche i gentili - cf. Mt. 5,47); Deut. r. 7,7 con Deut. 28, 1 2 (giudei e gentili si rallegrano della pioggia come dono di Dio; cf. Mt. 5,45 e Flusser, ]udaism, 490). z. Num. r. 19,8; Pesiq. 40b (Bill., I, 719): non è la morte a contaminare o l'acqua a puri­ ficare, ma la santità lo ha voluto. Cf. anche 'Ed. 8,7 (Bill., IV, 793 ) : Elia non avrà alcu­ na funzione sacerdotale; tPara 3,8 (632) (Bill., IV, 347): conflitto con i sommi sacerdoti. 3 Cf. Ab. 2,9 (Bill., n, 1 5 ). 4 Cf. il colloquio sul letto di morte, Ber. 28b (Bill., I, 5 8 1 ). 5 Shabb. 1 5 3a (Bill., I, 878): banchetto del re. Altra corrispondenza: Gen. r. 42 (25c) (Bill., m, 2 5 5 ) : evidente chiamata alla vocazione di Eliezer. 6 Si dovrà piuttosto considerare la realtà della Galilea, importante per Jo�anan e per il primo cristianesimo (distanza dal tempio, corrispondenze di Jo�anan ben Zakkai con l:lanina ben Dosa); cf. Ber. 34b (Bill., n, 44 1 e n. 265 ) . 7 Cf. J. Neusner, The Formation of Rabbinic ]udaism, i n ANRW 1 9/2, 1 979, 3 2.

LUOGO D 'ORIGINE

portante, illustra la situazione della comunità, che deve essere incitata alla resistenza, alla fiducia, alla prassi e a una fede coraggiosa. Si tratta del problema fondamentale di come i cristiani o una comunità possano rimanere ciò che sono, senza venir meno. 1 In questa situazione assume una accresciuta importanza la parenesi e la prospettiva del giudizio. L' «evangelo del regno» di Gesù, sviluppato da Matteo nei suoi discorsi, è un vangelo etico. Ma Matteo, narrando in modo nuovo alla sua co­ munità la storia di Gesù come storia dell'essere con noi di Dio e anco­ rando in essa il volere di Dio, ha dato anche una nuova dimensione al­ l'annuncio della grazia. 2. 2. Solo in seconda battuta è importante che la comunità di Matteo si sia dovuta confrontare con false profezie (7,1 5-23; 24,10- 1 2). Questi maestri di errore non sono precisamente identificabili dal punto di vista dei contenuti del loro insegnamento} Sappiamo solo che erano (7,22) pneumatici (profeti, taumaturghi) . Dipende forse da questi maestri di errore che Matteo concepisca così coerentemente il proprio annuncio come il comandamento del Gesù terreno (e:ùayyÉÀtav -tljc; �aatÀe:tac;!) e al Gesù terreno leghi la sua comunità. Lo Spirito riveste per lui un ruolo sorprendentemente secondario: non sarà lo Spirito, ma Gesù stes­ so a stare con la sua comunità tutti i giorni fino alla fine del mondo (28,20). Profezie e miracoli vengono valutati a partire da Gesù e dalle sue richieste.

6. 5 . Luogo d'origine C. Kraeling, The Jewish Community at Antioch: JBL 5 1 ( 1 9 3 2.) 1 3 0- r 6o; J. Meier, Antioch, in R. Brown - J. Meier (edd.), Antioch and Rome, New York 1 983, I I 86; R. Osborne, The Provenance of St. Matthew's Gospel: S R 3 ( 1973 ) 2.2.0-2.3 5; Sim, Gospel, 40-62.; H. Slingerland, The Transjordanian Origin of St. Matthew's Gospel, JSNT 3 ( 1 979) 1 8-2.8; R. Stark, Antioch and the Social Situation for Matthew's Gospel, in Balch, Social History, 1 89-2. 10; Theissen, Lokalkolorit, 2.61 264; B. Viviano, Where was the Gospel according to St. Matthew written?: CBQ 4 1 ( 1 979) 5 3 3-546; J. Zumstein, Antioche sur I'Oronte et I'Évangile selon Mat­ thieu: SNTU A 5 ( 198o) 1 2.2.- 1 3 8.

Alla domanda riguardante il luogo di composizione non si può rispon­ dere in modo definitivo; le informazioni a questo riguardo sono troppo 1 Kingsbury, Parables, 1 3 5 , parla di «materialismo . . . indolenza . . . astio tra i cristiani . . . mancanza d'amore . . . d i generosità . . . riluttanza a perdonare i l fratello . . . casi d i apostasia . . . sregolatezza . . . disobbedienza di ogni genere» . 2. S i confronta con una situazione simile a quella d i Ma neo anche l a lettera agli Ebrei, che pure rafforza l'annuncio della grazia e la parenesi. 3 Cf. sotto, intr. a 7,1 5-2.3 .

II6

INTRODUZIONE

scarne. Le numerose ipotesi hanno tutte una caratteristica in comune: si basano su argomenti molto deboli. Un largo consenso si è formato su un punto: Matteo ha avuto origine in ambiente siriaco; 1 un'indicazio­ ne più precisa si presta a discussione. Analizziamo anzitutto gli indizi esterni al testo.

Indizi esterni al testo. La particolare storia degli effetti del vangelo di Mat­ teo nel giudeocristianesimo siriaco e forse nella prima lettera di Pietro de­ pone a favore della Siria come luogo di origine. 1 Tra le diverse città siriache Antiochia 3 ha, da sempre, il maggior nume­ ro di sostenitori. Eccone le motivazioni. 4 I . Il vangelo di Matteo deve essere stato composto in una grande città lungo buone vie di comunicazione, altrimenti non avrebbe potuto essere co­ nosciuto così rapidamente. - Queste caratteristiche però si addicono a mol­ te città siriache. 2. Ad Antiochia c'erano molti giudei.5 - Sì, ma pure in altre città. Sono attestati scribi in diverse città siriache all'epoca della Mishna e del Talmud. 6 3 · Le tradizioni su Pietro in Mt. I 6, I ]-I9 potrebbero rinviare ad Antio­ chia. - Le tradizioni sul nome di Pietro e sul suo primato sono note anche nel vangelo di Giovanni, che forse ebbe anch'esso origine in Siria. Questo argomento ha un certo peso, poiché ci sono corrispondenze tra Matteo e il cristianesimo ((petrino>>/ ma non è cogente. 4· Il vangelo di Matteo fu usato ben presto specialmente ad Antiochia (Ignazio). - Poiché però i vangeli si diffusero tutti molto rapidamente nella chiesa, non è sorprendente trovare Matteo anche relativamente presto ad Antiochia, città capoluogo della provincia. r

Solo Tilborg, Leaders, 172, sposta Matteo ad Alessandria, ma senza motivo. Cf. sopra, 6. 1 . Il Vangelo dei Nazarei, del nord della Siria, è in questo senso più impor­ tante del Vangelo degli Ebioniti, del sud della Siria, poiché è molto più vicino a Matteo. 3 Ad es. Meier"; Zumsteina; Davies-Allison, I, 143-147; Hagner, I, LXX IV; Sim, Gospel, 4D-62. 4 Una ragione precisa è stata indicata da Streeter, Gospel, 504: solo ad Antiochia e Da­ masco lo statere ufficiale corrispondeva precisamente a due didracme (cf. Mt. 17,24-27). No! a-.a-.�p poteva essere usato come denominazione di una moneta d'argento per diverse valute e corrispondeva sempre a 4 dracme, ad esempio nella valuta attica o tolemaica. 5 Secondo Kraelinga, I J 6, tra i 45 ooo e i 65 ooo giudei su una popolazione complessiva di ca. 300 ooo abitanti. Per l'intera Siria Kraeling calcola ca. 7 milioni di abitanti, di cui I milione giudei. Se questa supposizione è giusta, non è più necessario il ricorso a Ios. Beli. 2,4 79, secondo cui per i massacri dell'inizio della guerra giudaica sarebbero so­ pravvissuti dei giudei solo ad Antiochia, Apamea e Sidone. 6 Secondo A. Neubauer, La géographie du Talmud, Paris I 868, 294 s. 297-3 00. 306. 3 1 2, sono attestati rabbi a Tiro, Sidone, Damasco, Atribolis (l'odierna Trablus), Arkath Lebanah, Hamas (l'odierna Homs) e Antiochia. 7 Cf. sopra, p. ICI con n. I 1 , e vol. n, excursus «Pietro nel vangelo di Matteo », § 7: se­ condo le Pseudoclementine la « Cattedra » di Pietro si trovava ad Anti ochi a 1

.

LUOGO D'ORIGINE

I I?

Altrettanto poco convincenti sono però i motivi addotti contro Antio­ chia: I . Matteo non conosce alcun episcopato. - Ciò non significa praticamen­ te niente: Matteo scrive circa trent'anni prima di Ignazio. E poi: in ogni grande comunità cittadina di Siria avrebbe dovuto esserci, ai tempi di Igna­ zio, un vescovo. Peraltro nessun vangelo menziona mai un vescovo perché essi, in fondo, trattano della storia di Gesù. 2. La comunità antiochena fu fin dall'inizio ellenistica e aperta alla mis­ sione ai gentili (Atti I I , 1 9-26). Matteo dovrebbe inoltre aver avuto notizie di Paolo ad Antiochia. - Questo argomento ha più peso. Si deve però an­ che ricordare la conclusione del conflitto antiocheno (Gal. 2, I I - 1 4 ) e non dimenticare che Antiochia era una grande città in cui c'erano più quartieri giudaici. I Quasi sicuramente c'erano diverse chiese domestiche cristiane. 2 Inoltre, dopo il 70, per l'immigrazione di profughi palestinesi, la composi­ zione di molte comunità cambiò. Quali altre possibilità ci sono ? Un'altra proposta indica la Galilea, forse una città ellenizzata come Sepphoris o Tiberiade, perché qui - dopo il 70 ben si adatterebbe una polemica con farisei e scribi, le figure guida del for­ mative ]udaism.3 Sono state inoltre proposte: la Fenicia,4 Cesarea Maritti­ ma/ Cesarea di Filippo, 6 Damasco/ la regione a est del Giordano 8 o la Siria orientale (Edessa).9 Le argomentazioni sono così vaghe che non vale la pena di illustrare nei particolari ogni singola proposta. In via generale si può dire che quanto più piccola e isolata è la comunità di Matteo, tanto più difficile diventa spiegare la rapida diffusione del vangelo matteano.

Indizi interni al testo. Ci sono indicazioni contenute nel vangelo stes­ so? Ce ne sono alcune, ma piuttosto scarse. Na4wpai'oc; ( 2,23 ) è la de­ nominazione siriaca dei cristiani; a 4,24 viene ricordata la Siria. La si­ rofenicia di Mc. 7,26 è divenuta una Xavavaia - così si chiamavano i fenici nel loro idioma semitico. I o Tutti questi indizi spingono decisa­ mente verso la Siria. È plausibile che il vangelo provenga da una città. I I I Kraelinga, I40- 1 4 5 ; similmente anche Theissen, Lokalkolorit, 262-264, con motiva­ zioni - mi pare - poco convincenti, tra l'altro perché Matteo, che (come Marco) parla del Lago di Gennezaret come -8aÀCLaaCL, non ha nessuna prospettiva mediterranea. 2. Diversamente che ad Alessandria, non c'era neppure una sinagoga centrale. G. Theis­ sen però mi fa notare che i giudei antiocheni avevano un ,ipxwv (los. Beli. 7,46 s.) simile all'emarca di Alessandria e forse (cf. però O. Miche) - O. Bauernfeind [edd.], Flavius ]o­ sephus. De bello ]udaico n/2, Darmstadt 1 9 69, 229 n. 29) diversamente che a Roma. Un corrispettivo giudaico al vescovo cristiano Ignazio? 3 Overman, Gospel, 1 59. Ma era possibile anche altrove. 4 Kilpatrick, Origins, I 3 1 -I 34· 5 Vivianoa. 6 Ktinzel, Studien, 2 5 I, come possibilità. 7 Gnilka, n, 5 1 5 . 8 Slingerlanda. 9 Bacon, Studies, I 8-23 ; Osbornea. ro Cf. vol. u , a 1 5,2 1 . I I Kilpatrick, Origins, 1 24, sulla base dell'uso matteano d i 1toÀLc;. Ciò però non significa

II8

INTRODUZIONE

Meno evidente è che la comunità matteana debba essere stata ricca, co­ me talvolta si è concluso da una certa preferenza dell'evangelista per somme di denaro consistenti. 1 Anche «gente modesta » può leggere di grandi somme. In breve: il vangelo di Matteo non indica il suo luogo di composizio­ ne. Sicuramente doveva trattarsi di una città siriaca piuttosto grande, la cui lingua franca era il greco. Antiochia non è a mio parere l'ipotesi peg­ giore; quindi il vangelo di Matteo deriva forse da una ( ! ) comunità an­ tiochena. Ma questa non è che un'ipotesi.

6.6. Il tempo di composizione Il terminus post quem è costituito dalla composizione del vangelo di Marco e dalla distruzione di Gerusalemme ( 22,7). Più difficile da stabi­ lire è il terminus ad quem, che dipende da come si risponde alla doman­ da su dove e da parte di chi sia stato utilizzato il vangelo di Matteo. Molti sono i punti controversi. Mi limito a illustrare in breve la mia posi­ zione, che nel complesso è più vicina a Massaux che a Koster. 2. La stesura di Matteo è senza dubbio presupposta dalla Didachè. Passi come il cap. 8 o - meno sicuramente - 10,5 o ancora il cap. 1 6 consentono di formulare un'ipotesi pressoché sicura, cioè che la Didachè si sia formata in una co­ munità influenzata da Matteo. Purtroppo però la Didachè non è databile con precisione. Ignazio non è influenzato in particolare da Matteo, però lo ha conosciu­ to, poiché ci sono passi che presuppongono la redazione matteana (Sm. 1, 1 = Mt. 3 , 1 5 ; cf. Ph ld. 3 , 1 = Mt. 1 5 , 1 3 ).3 Policarpo mostra di conoscere nulla, poiché fu recepito l'uso linguistico dei LXX (cf. vol. n, a 8,28-9, 1 ) . Decisivo è so­ lo il richiamo alla rapida diffusione del vangelo matteano, che potrebbe perciò derivare solo da una città con buone vie di comunicazione. r Kilpatrick, loc. cit., parla di una «chiesa cittadina agiata » e rimanda alla presenza di a-rcx-r�p, -raÀcxv-rov, 'XPoo6.;, sui concreti lettori di allora nella comunità di Matteo. Prenderò in considerazione la storia di Gesù nel suo complesso, ma non conside­ rerò la narrazione come mondo testuale a sé stante, bensì mi domande­ rò che cosa questa narrazione abbia potuto significare per i primi desti­ natari nella situazione storica di allora. Vorrei mettere in pratica la cri­ tica letteraria e la storia della redazione, ma non perché mi immagini l'evangelista come un intellettuale di allora, che a tavolino si diverte a mettere insieme un nuovo testo a partire da due fonti o che, in seguito a un'intuizione teologica, butta giù una nuova stesura della storia. Piut­ tosto vorrei vedere, dietro il collegamento di due fonti, anche un evento di storia della chiesa, carico di significato per gli uomini della comunità di Matteo. Cerco quindi di collegare tra loro procedimenti metodologi­ ci diversi sul piano della storia. L'attenzione si concentrerà naturalmente sull'evangelista Matteo, sulla sua situazione e sulla sua o le sue comunità. Non mi sono soffermato a tracciar H.M. Schenke, Das Matthiiusevangelium im mitteliigyptischen Dialekt des Koptischen (Codex Schf> il materiale, al fine di illustrare alcune possibilità interpretative fondamentali. I criteri che hanno guidato la selezione sono stati questi: 1 . ho dato la preferenza alle interpretazioni che ancor oggi determinano la nostra precomprensione dei testi personale, ecclesiastica e culturale; 2. ho preferito in modo particolare le interpretazioni che hanno caratte­ rizzato le chiese cattolica e protestante come confessioni, nel quadro di un «commento cattolico-protestante» ; I

3

H .G . Gadamer, Wahrheit und Methode, Tiibingen 1 960, 3 24. 2. Op. cit., 342. Cf. K. Beyschlag, Zur Geschichte der Bergpredigt in der alten Kirche: ZThK 74 ( 1 977)

2 99·

LA STORIA DEGLI EFFETTI

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3 . tra le diverse possibili attestazioni sono state preferite da una parte le più antiche, dall'altra quelle più gravide di effetti; 4· le attestazioni si concentrano sulla nostra storia europea. Molto ra­ ramente ho gettato lo sguardo oltre questi confini, in altri continenti. Ciò, da un lato, costituisce un'evidente carenza - al riguardo so semplicemente troppo poco. D'altro lato, però, questa impostazione è stata anche voluta: noi europei viviamo nella nostra specifica realtà storica, sociale, ecclesiasti­ ca e culturale. Di questa realtà si deve anzitutto fare conoscenza, con le sue pagine luminose e buie; per questa realtà dobbiamo render grazie e al tem­ po stesso cercare di rinnovarla facendo autocritica. Ad essa dobbiamo sfor­ zarci di dar forma attraverso il nostro attuale rapporto con la Bibbia; I 5· infine, ho preferito le interpretazioni che penso possano avere per noi una funzione correttiva, specialmente quando queste si avvicinavano, pur in una situazione diversa, al senso originario del testo. Soprattutto il quinto criterio dimostra che la scelta e la disposizione del materiale relativo alla storia degli effetti non potevano semplicemente se­ guire criteri cosiddetti obiettivi. Esse sono sempre state determinate anche dalle potenzialità di significato o dagli orientamenti dei testi biblici che po­ tevano rapportarsi alla nostra situazione. Ma sono state determinate pure dalla mia personale visione della situazione ecclesiastica e sociale attuale. Non posso esporla qui, ma devo dichiararla. Proprio perché, da un punto di vista ermeneutico, considero l'attenzione alla storia degli effetti una di­ mensione importante per la nostra odierna comprensione dei testi, la sua presentazione doveva mirare a questa comprensione. Oggi la comprensio­ ne dei testi biblici è però sempre anche un rischio personale. Significato ermeneutico. Al di là di qualsiasi criterio, resta irrimedia­ bilmente dilettantesca l'impresa di un commento che ponga l'accento sul­ la storia degli effetti. Questo dilettantismo mi è sembrato tuttavia ne­ cessario. Se non sbaglio, oggi un problema fondamentale dell'esegesi sto­ rico-critica consiste nell'isolare un testo nel suo specifico tempo e nella sua specifica situazione d'origine impedendogli così di dire qualcosa sul presente." Non mi paiono però percorri bili soluzioni che scavalchino la dimensione storica, come un ripiegamento dalla storia al mondo narra­ to o strutturato del testo oppure una fondamentalistica eliminazione del­ la storia per mezzo di una ipostatizzazione del testo inteso come parola metastorica di Dio; mi sembrano piuttosto segnali di allarme. L'inter­ I Ciò che ho tentato con la storia degli effetti è dunque di fornire un aiuto per una con­ testualizzazione europea e non di riaffermare una convinzione eurocentrica secondo cui la nostra storia europea cristiana sarebbe ugualmente impottante ovunque nel mondo. I cristiani di altre culture e altri continenti vivono nelle loro realtà storiche e culturali e devono scrivere i loro commenti in riferimento ai loro specifici contesti. 2 Gadamer (sopra, p. 1 24 n. r ) pensa che il testo inteso in senso storico venga «formal­ mente escluso dalla possibilità di dire qualcosa di vero» (op. cit., 287).

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INTRODUZIONE

pretazione storico-critica deve avere una duplice funzione: da un lato, deve distanziare ed estraniare i testi dall'interprete riconducendoli al tempo loro proprio; dall'altro, deve rendere consapevoli gli interpreti della loro precomprensione nei confronti di testi divenuti estranei e in­ segnar loro qualcosa su loro stessi. L'esercizio delle due funzioni insie­ me deve impedire che l'interpretazione storico-critica distanzi un testo solo dal presente. Per varie ragioni l'interpretazione storico-critica fino­ ra ha soddisfatto solo in modo inadeguato il secondo aspetto del suo duplice compito, almeno a mio parere. A questo punto vorrei affronta­ re in modo più diretto il problema della storia degli effetti e chiarire al­ l'interprete 1 . chi egli sia in rapporto ai testi e 2. chi potrebbe essere in rapporto a loro. Tutto ciò va ora spiegato. 1 . La storia dell'interpretazione e degli effetti mostra ciò che noi siamo divenuti a partire dai testi. Al riguardo interessano soprattutto le tradi­ zioni interpretative della propria chiesa e del proprio ambiente culturale. I . I . La storia dell'interpretazione e degli effetti insegna a compren­ dere ciò che gli interpreti debbano ai loro testi. Non li incontrano mai in uno spazio astratto, che consentirebbe loro di farne senz'altro una realtà oggettiva da studiare scientificamente. Gli interpreti sono piutto­ sto simili a uomini che devono analizzare l'acqua di un fiume e per far questo si trovano su una piccola imbarcazione che è condotta e spinta proprio da questo fiume. • Noi teologi siamo per così dire portati dai no­ stri testi. Prenderne le distanze da un punto di vista storico-critico è, in questa prospettiva, la parziale dissoluzione di una realtà di vita. La sto­ ria degli effetti intende rimandare a quella forza dei testi che precede la nostra interpretazione; essa deve indurci a essere riconoscenti. 1 . 2. La storia dell'interpretazione e degli effetti deve aiutare a capire come l'interprete di volta in volta sia influenzato dai suoi testi: essa il­ lustra gli antecedenti della loro precomprensione. Mostra loro in modo esemplare, fra l'altro, che cosa siano il cattolicesimo e il protestantesi­ mo, che continuamente si sono definiti in rapporto ai testi biblici. Ma qui non si tratta in primo luogo dei « fraintendimenti » cattolici o prote­ stanti: si tratta piuttosto, più essenzialmente, dell'individuazione di quel­ lo specifico che noi, ad esempio come cattolici o protestanti, abbiamo acquisito attraverso i testi. Lo specifico che potremmo acquisire, invece, ci obbliga al tempo stesso a prestare un'attenzione - particolare e rappor­ tata alla situazione - al significato originario del testo. Proprio a questo dovrebbe servire la storia dell'interpretazione e degli effetti. 1 Chi si contenta - in questa situazione - di raccogliere l'acqua del fiume in una provetta e di studiarne la composizione, ha capito ben poco dell'acqua e del fiume.

LA STORIA DEGLI EFFETTI

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1 . 3 . La storia dell'interpretazione e degli effetti ha anche una funzio­ ne negativa: mira a impedire di rendere, con un salto attraverso i secoli, il testo ingenuamente contemporaneo. Richiamando infatti l'attenzione sulla particolarità di ogni situazione storica, anche della propria, libera il presente da precipitose imposizioni bibliche, il cui risvolto è stato, di volta in volta, la neutralizzazione del testo per mezzo di reinterpreta­ zioni, interiorizzazioni, ecc. Al tempo stesso la storia dell'interpretazio­ ne e degli effetti richiama l'attenzione sulla forza propria dei testi di di­ ventare nuovamente vivi in ogni nuova situazione. Fa notare la partico­ larità di ogni situazione storica raccontando come si sia giunti - tra l'al­ tro grazie ai testi - a questa particolarità. Invita per usare una metafo­ ra, non a scavalcare il « fosso brutto e ampio » , ' ma a saltarci dentro e a risalire dall'altra parte. 2. La storia dell'interpretazione e degli effetti fornisce però anche cor­ rettivi e dimostra in modo esemplare che cosa noi potremmo diventare grazie ai testi. Gli interpreti si interesseranno alla ricerca di correzioni esemplari soprattutto per modelli di storia degli effetti provenienti da altri ambiti ecclesiastici (o culturali) . In tal senso la storia degli effetti è utile anche al dialogo ecumenico: risultato non secondario. La storia de­ gli effetti offre correttivi sia a) in una prospettiva di tipo fondamental­ mente ermeneutico ( 2, 1 - 3 ), sia b) per il rapporto con singoli testi ( 2,4 s.). 2. 1 . Le interpretazioni della chiesa antica, del medioevo e dell'età mo­ derna anteriore all'illuminismo continuano a essere importanti perché collegano sempre un singolo testo biblico alla totalità e al centro della fede, sia che si tratti della dottrina delle due nature, della regula fìdei, dell'illuminazione gnostica, del dogma ecclesiastico o della giustifica­ zione per fede tipica della Riforma. Al contrario, l'interpretazione stori­ co-critica distanzia il testo da interpretare non solo dagli interpreti, dalle loro convinzioni di fede e dalla fede della loro chiesa, ma tenden­ zialmente anche dal complesso della testimonianza biblica, poiché met­ te in luce la sua particolarità. L'interpretazione classica della chiesa può mettere sempre a confronto gli interpreti di oggi con ciò che, mutatis mu­ tandis, è anche il loro compito specifico, cioè interpretare per il presen­ te il senso di un singolo testo a partire dalla totalità della fede. 1 Non intendo qui il fosso brutto e ampio che Lessing vedeva tra le verità storiche dei fatti e le eterne verità della ragione: per superare questo fosso l'esegesi della chiesa anti­ ca forniva una diretta alternativa con la sua offerta di verità rivelate ed eterne. Si tratta piuttosto del fosso brutto e ampio tra le verità storiche di un determinato tempo e la ve­ rità storica di oggi, nonché della difficoltà - dovuta allo storicismo - di ottenere qualco­ sa di valido per il presente dalle singole verità passate.

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INTRODUZIONE

Da un punto di vista ermeneutico e teologico ritengo molto importante l'er­ meneutica della chiesa antica, soprattutto le sue interpretazioni cristologi­ che, nonché l'interpretazione, tipica della Riforma, a partire dal centro del­ la Scrittura. ' Con questo non voglio dire che l'interpretazione cristologica e dogmatica della chiesa antica possa oggi fungere da modello diretto: è pe­ rò affascinante, poiché non disperde la testimonianza biblica in una infinita serie di singole affermazioni tra cui l'interprete deve poi scegliere in qual­ che modo; non conosce né un fossato tra passato e presente né una separa­ zione tra «spiegazione» tendenzialmente oggettiva e «applicazione >> ten­ denzialmente soggettiva, ma si interroga sul significato e sulla verità di un testo nel e per il presente. :t Essa ricorda agli interpreti che cosa propriamen­ te significhi interpretare un testo biblico, e cioè il dire in modo nuovo, con responsabilità e impegno, ciò che ha mosso l'autore di un testo.3 La com­ prensione di un testo biblico può aver luogo solo nel presente e solo per il presente può valere la sua interpretazione, poiché solo nel presente la posta in gioco di un testo può divenire la posta in gioco degli interpreti. L'erme­ neutica della chiesa antica e quella della Riforma rammentano che i testi bi­ blici vogliono essere interpretati in tal modo; rammentano quindi agli in­ terpreti che il loro lavoro con l'esegesi storico-critica non è ancora finito, poiché non si comprende ancora che cosa significhi oggi la posta in gioco di un testo se non si comprende che cosa abbia significato un tempo. 2.2. Soprattutto la storia degli effetti, che va al di là della storia del­ l'interpretazione, richiama l'attenzione sul fatto che la comprensione di un testo biblico non si raggiunge solo attraverso la determinazione del­ le sue affermazioni, ma anche per mezzo dell'agire e del patire, per mez­ zo del cantare, del dipingere e del poetare, per mezzo del pregare e del­ lo sperare: rammenta quindi che la comprensione dei testi biblici è com­ pito di tutto quanto l'uomo. 1 In proposito cf. spec. U. Luz, Die Bedeutung der Kirchenviiter fur die Auslegung der Bibel. Eine westlich protestantische Sicht, in J.D.G. Dunn et al. (edd.), Auslegung der Bibel in orthodoxer und westlicher Perspektive (WUNT 1 30), 2.000, 2.9- 52.. :t Una costatazione che ha di continuo accompagnato il mio lavoro è sempre stata che � i Padri della chiesa ... si sono permessi esegesi, per le quali ad ogni filologo si rizzerebbero i capelli. E tuttavia: chi potrebbe contestare che essi conoscevano meglio di noi ciò di cui si parla? » (G. Picht, Theologie in der Krise der Wissenschaft: EK 3 [ 1970] 2.02.). 3 Cf. la fondamentale distinzione di K. Barth tra !'«enigma dei documenti» e l'�enigrna della posta in gioco» (Der Romerbrief, pref. alla 2.8 ed., rist. Zollikon 1 947, xn). Batth descrive la comprensione della posta in gioco di un testo come la situazione « in cui ho quasi dimenticato di non essere l'autore, in cui l'ho compreso così bene quasi da lasciar­ lo parlare in mio nome e da poter parlare io stesso in mio nome » . Proprio questo è ac­ caduto di continuo nell'esegesi ecclesiastica classica, cioè che l'espressione del testo si fonde con quella degli interpreti o della loro comunità ecclesiastica. In questo processo di fusione la spiegazione della critica storica - che distanzia il testo - può rappresentare un utile momento di controllo, ma non quando di fatto impedisce questa fusione.

LA STORIA DEGLI EFFETTI

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2. 3 . La storia dell'interpretazione e degli effetti richiama l'attenzione sulla pienezza del potenziale di senso dei testi biblici e sulla peculiarità dei testi biblici di non avere un significato fisso e immutabile, ma di ab­ bondare di ogni possibilità. Importante è mettere l'una accanto all'altra le diverse interpretazioni del­ l'esegesi della chiesa antica, medievale e moderna fino al xvii secolo. Que­ sto non è semplicemente il risultato di un tradizionalismo che tramanda tut­ to indistintamente, ma è piuttosto espressione della convinzione fondamen­ tale che i testi abbondino di possibilità di applicazione che non si escludo­ no a vicenda. E parimenti, a mio parere, anche la compresenza di diversi si­ gnificati della Scrittura nel medioevo ha una importanza decisiva. Tutto ciò ben si addice ai richiami alla libertà presenti nei testi biblici. La storia degli effetti di un testo si presenta inoltre come un albero che mette continuamen­ te nuovi germogli o come un terreno che lascia crescere sempre nuovi fiori. Di ciò si spaventeranno invece i dogmatici e anche gli esegeti che sono sem­ pre alla ricerca dell'esegesi «giusta » , poiché intendono con questa legitti­ mare la posizione della loro chiesa o quella loro personale. Personalmente, ho imparato invece a stupirmi della ricchezza molteplice della vita che è scaturita dai testi biblici. Essa corrisponde alla ricchezza di possibili letture che un'esegesi reader oriented già presuppone per i primi lettori. In questa prospettiva, esegesi reader oriented e storia della ricezione sono sorelle. 2.4. La storia degli effetti dei testi biblici allarga il nostro orizzonte mettendoci a disposizione un grande tesoro di esperienze che altri uo­ mini hanno compiuto con essi. Ci rivela come i testi biblici stessi siano in larga misura aperti e rendano possibili una molteplicità di interpre­ tazioni e applicazioni. A questo riguardo risultano particolarmente im­ portanti come correttivi proprio le esperienze dei cristiani che appar­ tengono ad altre confessioni o che vivono in altre realtà. 2. 5 . La storia degli effetti, infine, aiuta anche a imparare dalle appli­ cazioni - riuscite e fallite - dei testi biblici. Essa indica in quali casi le esperienze storiche richiamino l'attenzione su questioni aperte e su pro­ blemi irrisolti; si interroga sulle conseguenze dei testi biblici e delle loro interpretazioni: la storia degli effetti si interroga sui frutti dei testi bibli­ ci (cf. Mt. 7, 1 5 - 2 3 ), aiutando così non solo a riconoscere ed evitare - fa­ cendo autocritica - , ma ponendo eventualmente anche do­ mande ai testi stessi a partire dai frutti. I La storia degli effetti ha in sé anche un potenziale critico e non garantisce solo un ingresso riconoscente nello spazio della storia che i testi biblici hanI Altrove, a partire da Matteo, ho proposto di concepire l'amore come un ( ! ) criterio di verità per le interpretazioni dei testi biblici (U. Luz, Erwiigungen zur sachgemiissen In­ terpretation neutestamentlicher Texte: EvTh 42 [ 1 982) 5 1 2- 5 1 4); Id., Matthew in His­ tory, 91-97.

INTRODUZIONE

no improntato; essa richiama l'attenzione su come non si dia verità senza conseguenze storiche e come ogni verità teologica e ogni interpretazione biblica debba confrontarsi con le sue conseguenze. Le conseguenze dei pas­ si matteani e della loro ricezione si sono presentate talora molto difficili penso ad esempio alla storia degli effetti di Mt. 1 3 , 3 6-43 o di Mt. r 6, r 8 . In alcuni casi furono davvero negative - penso ad esempio alla moderna ri­ cezione di Mt. 2 3 . Le ricezioni ecclesiastiche hanno talvolta condotto il senso dei testi a un ammutolimento quasi completo, come può dimostrare uno sguardo a certe tipologie interpretative del discorso della montagna e del di­ scorso ai discepoli (Mt. ro). Queste riflessioni vogliono mettere in chiaro che la storia dell'interpre­ tazione e degli effetti non intende aggiungere ulteriore materiale storico accanto a quello esegetico, ma vuole piuttosto contribuire a colmare un deficit dell'interpretazione storico-critica e a portare nel presente i testi biblici. Perciò nel commento, laddove possibile, la storia dell'interpreta­ zione e degli effetti intende essere non un'appendice, bensì parte inte­ grante dell'interpretazione e mira ad aiutare a chiarire il contesto parti­ colare della comprensione e in questo modo a contribuire a una com­ prensione particolare e attuale proprio in tale contesto. Una compren­ sione di tal genere è sempre contestuale e sempre un po' più nuova e di­ versa, anche se - o meglio: proprio perché - si tratta della comprensio­ ne dei testi biblici antichi a noi continuamente riproposti. È dunque una caratteristica di questo commento il collocare - di quan­ do in quando e forse ancora troppo di rado - i testi biblici « di allora » nel presente e per questo contiene anche giudizi sul presente. Penso di poter rendere giustizia alle pretese dei testi solo in questo modo. Non lo faccio però in forma assertiva o prescrittiva, ma provo a parlare della prospettiva di senso dei testi per oggi, al fine di delineare - da una par­ te - lo spazio e la direzione in cui i testi oggi ci potrebbero guidare, ma anche - dall'altra - di lasciare a coloro che utilizzano il commento il /o­ ro spazio, del quale hanno bisogno per cercare, con i testi, un loro pro­ prio cammino di comprensione. In questo senso, cerco di non mettere da parte il mio personale coinvolgimento e, talvolta, anche di dire con forza « io » . Il commento contiene perciò non solo un momento del mio personale impegno, ma anche un momento di limitazione soggettiva. Con la mia personale comprensione voglio aiutare gli altri nella loro personale comprensione. Tali tentativi sono al tempo stesso resi possi­ bili e indotti dalla storia degli effetti: non sono qualcosa che si aggiun­ ge alla comprensione del testo solo successivamente, ma fanno parte del­ la comprensione stessa.

IL TITOLO (1,1)

D. Dormeyer, Mt I , I als Oberschrift zur Gattung und Christologie des Matthiius­ Evangeliums, in Segbroeck, Fs Neirynck, 1 3 6 1 - 1 3 8 3 ; O. Eissfeldt, Biblos Gene­ seos, in Id., Kleine Schriften m, Tiibingen 1966, 458-470; M. Mayordomo-Marfn,

Den Anfang horen. Leserorientierte Evangelienexegese am Beispiel von Matthiius r-2 (FRLANT 1 8o), GOttingen 1998; J. Nolland, What Kind of Genesis do we bave in Mt I, I?: NTS 42. ( 1 996) 463-471; G. Stanton, Matthew: �(�ì..oç, tÙa"f'YÉÀtov or

�loc;?, in Segbroeck, Fs Neirynck, I I 87- 1 20 1 . Altra bibliografia ( b ) nella sezione s u Mt. 1,2-2,23 (sotto, pp. 1 3 8 s.). r

Libro della «genesi>> di Gesù Cristo, figlio di David, figlio di Abramo.

Il v. 1 è un titolo, riconoscibile per la mancanza del verbo. Le opere antiche

non necessariamente hanno un titolo; 1 spesso i titoli sono stati aggiunti solo successivamente. :t La presenza di un titolo in Mc. r , r potrebbe aver ispirato a Matteo il suo titolo completamente diverso. Esso comprende un'indicazione - al nominativo - del tipo di libro ( «indicazione del gene­ re» ) e un'indicazione del contenuto - al genitivo. La prima espressione ri­ manda ai libri storici della Bibbia come sfondo, soprattutto a Gen. 2,4; 5,1 {au't"lj l] �t�Àoç yevÉaewç . . . ), ma anche al titolo - già allora in uso - del pri­ mo libro della Bibbia greca: réveatç. In primo luogo è incerto se questo titolo si riferisca all'intero vangelo di Matteo,3 solo alla genealogia " o al prologo . s Nelle occorrenze grer

Mayordomo-Marina, 206 s. Ciò vale per i titoli dei vangeli e:ùayyÉÀtov xa-.ci ... , che, ispirati a Mc. 1,1, sono stati ag­ giunti in un secondo momento per distinguere le diverse «biografie� di Gesù; cf. M. Hengel, Die Evangelieniiberschriften (SHAW.PH 3 ), 19 84 . 3 Dopo Gerolamo molti interpreti latini riferiscono il titolo all'intero vangelo. Tra gli esegeti più recenti va anzitutto ricordato Zahn, 40, che traduce yÉve:atc; con storia. Lo hanno seguito, tra gli altri, pur con diverse sfumature, per es. Klostermann; Bonnard; Gaechter; Grundmann; Frankemolle, I, 1 28 s.; cf. Id., ]ahwebund, 3 60-3 65, e Dormey­ erD, 1 3 6 1 - 1 3 63 . Nuovi tentativi a conferma di questa interpretazione in Davies-Allison, 1 , 1 4 9-1 5 5 , e Mayordomo-Marina, 208-214. Gnilka, I, 7 s. , e Hagner, I, 5· 9, mediano tra questo e il successivo tipo di interpretazione. 4 Lo riferiscono solo alla genealogia ad es. Calvino, I, 63; Giansenio il Giovane, r («ca­ talogus genealogiae» ), e Grozio, I, 12 ( «descriptio originis» ); tra gli esegeti più recenti ad es. Lagrange, 3; Lohmeyer, 4; Tatum h, 525 s.; Sand, 40; Wiefel, 27. s Brown h, 58 s.; Vogtleh, 73; Luz (r• ediz. di questo commento, 1985), 88; Stantona, n88- r r 9o; Nollanda, 471 (tutto 1 ,2-2 5 ); Allen, r s. (capp. r-2). Riferiscono il titolo 2

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IL TITOLO

che e giudaiche ���Ào c; di norma significa « libro» . Quasi impossibile è all'inizio di un libro il significato di « scritto, documento, testimonian­ za » • pur plausibile in testi a sfondo ebraico. 2. ���Ào c; come prima pa­ rola del libro indica quindi molto chiaramente che il titolo che segue si riferisce all'intero libro. Diverso il caso della seconda parola, yÉvea�c;. Compare solo qui e in 1 , 1 8 : il suo spettro semantico è molto a mpio e va da « origine, nascita, inizi, tipo di nascita, formazione» a « esistenza, ciò che è divenuto, creazione>> fino a « specie, famiglia >> . In 1 , 1 8 il signi­ ficato è chiaro: lì si tratta dell' > di Gesù, della storia dei suoi « ini­ zi >> e della sua « origine >> . Per quanto riguarda ���Ào c; si deve pensare quindi innanzitutto all'intero libro, per quanto riguarda yÉveatc; invece solo alla genealogia o alle storie della nascita. Interpreti e lettori si tro­ vano quindi davanti a un dilemma. -

A favore di una interpretazione come titolo solo della genealogia o di una genealogia allargata a 1 , 1 8-25 depone l'elenco dei successivi titoli cristo­ logici: figlio di David, figlio di Abramo. Il loro significato viene chiarito anzitutto attraverso la genealogia. I due rimandi intertestuali a Gen. 2,4 e 5,1 non aiutano molto di più: lì �t�Àoc; viene inteso in senso stretto e si rife­ risce solo a una determinata sezione di testo; yÉveatc; invece indica non solo la genealogia, ma in senso lato anche una storia degli inizi. Ma in questi passi non siamo di fronte a un titolo, bensì con CIU'tlJ T] �t�Àoc; yevÉaewc; vie­ ne introdotta o conclusa una concreta sezione di testo. Ciononostante co­ me prima parola di un libro �t�Àoc; costituisce a mio giudizio un'indicazio­ ne che spinge i lettori a intendere il titolo riferito all'intero libro.3 Una possibile via d'uscita dal dilemma sta forse nel segnalare che réve­ cnc;, il titolo del primo libro della Bibbia greca, era allora già fissato e gene­ ralmente in uso: 4 esso ben si adatta a �t�Àoc;. Matteo si sarebbe quindi ri­ chiamato a Gen. 2,4 e 5 , 1 soltanto nella formulazione, ma di fatto avreb­ be inteso l'intero libro della Genesi. Un'altra via d'uscita la offre la consi­ derazione che i titoli dei libri nell'antichità non dovevano necessariamente all'intero prologo dei capp. 1-4 ad es. Krentz (v. sotto, bibl. a 1 ,2.-4,2.2.), 4 1 1 -4 1 4; Kings­ bury, Structure, 9- 1 1 . r Così l a parola è forse intesa nei due fondamentali passi veterotestamentari di Gen. 2.,4 e 5,1; cf. Eissfeldt�; inoltre Deut. 2.4, 1 . 3 (lettera di ripudio); 2 Sam. 1 1 , 1 4 s. LXX; 1 Re 20,8 s. LXX; 2 Re 5,5-7 LXX e passim (lettera); 2 Esd. 1 7,5 LXX (ossia Neem. 7,5) (censimento delle famiglie); Ger. 39,10-1 6.44 LXX (accordo di compravendita). Esempi greci in Mayordomo-Marin�, 2.08 n. 34· 2. Ad inizio di libro Naum 1 , 1 ; Tob. 1 , 1 ; Bar. 1 , 1 . 3 ; Sir. prol. 3 0; Test. Iob 1,1; lub. ti­ tolo; 4 Esd. 1 , 1 , Apoc. Abr. titolo; ebr. 1 QS 1 , 1 ; 1 QM 1 , 1 ; ulteriori occorrenze in Da­ vies-Allison, 1, 1 5 1 s. 3 Lo sottolineano Mayordomo-Marin�, 2 1 0, e Frankemolle, ]ahwebund, 3 6 3 . 4 Philo Aet. 19; Post. 1 2.7; Abr. 1 . Le occorrenze più vicine cronologicamente sono cri­ stiane: Iust. Dia/. 2.0, 1; Melitone di Sardi secondo Eus. Hist. Ecc/. 4,26, 14.

MT. 1 , 1

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esprimere il contenuto dell'intero libro.' In considerazione di ciò i lettori avrebbero potuto intendere yÉvemç 'llJaou Xpta'tou X'tÀ. come pars pro toto e nondimeno l'incipit di 1 , 1 - che si riferirebbe contenutisticamente anzi­ tutto alla genealogia - come titolo dell'intero libro. Decidere per una o l'altra delle due possibilità non era necessario per i primi lettori, ma lo è per me nella traduzione tedesca: scelgo la prima opzione poiché penso che i lettori abbiano comunque pensato al libro biblico della « Genesi » . L'autore definisce quindi il suo libro, che all'ini­ zio tratta dell' « origine» di Gesù Cristo, come > con un nuovo contenuto di senso. 1 Mayordomo-Marin4, 2 I I s., sulla base di Philo Abr. 1-2. Non so se questa osservazio­ ne possa essere generalizzata al di là di Filone. ::. Così Davies-AIIison, r, 1 5 3 : «libro della Nuova Genesi compiuta da Gesù Cristo Ma la parola greca yÉ'IIE t7tc; non h a alcuna sfumatura transitiva. Secondo Mt. 1 , 1 Gesù non è affatto un «creatore», ma una creatura, contenuto del libro matteano della Genesi. 3 L'A.T. è nel vangelo di Matteo il più importante testo che sta sullo sfondo, quello che rende comprensibile la storia di Gesù. Ma il quadro di riferimento primario è la storia di Gesù Cristo, di cui Matteo narra nel suo nuovo libro della Genesi. Cf. in proposito le argomentazioni in U. Luz, Das Matthiiusevangelium - eine neue oder eine neu redigierte jesusgeschichte?, in S. Chapman et al. (edd.), Biblischer Text und theologische Theorie­ bildung (BThSt 44), 2001 , 7 1 -74. . . . » .

I PRELUDIO ( 1 , 2- 4 , 22)

R.A. Burridge, What are the Gospels? ( MSNTS 70), 1 992, u 2- 1 9 5 ; G . Hafner, «]ene Tage» (Mt 3 , 1) und der Umfang des matthiiischen «Prologs» : BZ n.s. 37 ( 1 993 ) 43-59; E. Krentz, The Extent of Matthew's Prologue: JBL 8 3 ( 1 964) 4094 1 4; B.B. Scott, The Birth of the Reader ( Seme i a 5 2), 1 990, 8 3 - 1 02.

1. Estensione e struttura. Mentre nella fase più antica della ricerca ve­ niva considerato di regola come prologo Mt. 1 -2, si è oggi imposta - in seguito a Krentz ' e ad altri - l'idea che il prologo giunga fino al cap. 4· Il più grande ostacolo per questa recente tesi è che, in tal caso, il prolo­ go verrebbe ad essere composto di due parti completamente diverse, cioè le storie della nascita (capp. 1-2) e l'inizio dell'attività di Gesù col bat­ tesimo e la tentazione (capp. 3 -4). L'evangelista stesso attenua questa difficoltà, in quanto con l'espressione Èv . . . 'ta.i'c; lJ[.LÉpa.tc; ÈxEtva.tc; di 3 , 1 colma elegantemente u n intervallo d i tempo, che esiste de facto, forse di circa trent'anni - secondo l'ipotesi tradizionale - e lega così tra loro le due parti incorniciando l'attività del Battista per mezzo di una inclu­ sione costituita da 2,22- 3 , 2 e 4 , 1 2 - 1 7.2. Si deve però ammettere che per i lettori, che non si orientano sulla base di richiami formali ma sul con­ tenuto, c'è una «lacuna » . Ciononostante c i sono molte ragioni per ampliare i l prologo. L'inclu­ sione di 4,23 e 9,3 5 all'interno del vangelo di Matteo, che inquadra le due grandi sezioni del discorso della montagna (capp. 5-7) e delle gesta del Cristo in Israele (capp. 8-9 ), indica inequivocabilmente che l'evan­ gelista, con 4,23, voleva realmente iniziare una sezione principale. Da un punto di vista della storia degli studi possono considerarsi falliti i ten­ tativi di articolare il vangelo matteano in cinque discorsi, preceduti cia­ scuno da una corrispondente parte narrativa,3 tentativi che avrebbero richiesto una cesura tra il prologo e la prima sezione narrativa. Da un punto di vista contenutistico elementi fondamentali del prologo ricor­ rono lungo tutti e quattro i capitoli: si tratta, in primo luogo, delle cita­ zioni di compimento con riferimenti geografici ( 2,6. 1 5 . 1 8. 2 3 ; 4, 1 5 s.), r Krentz0, 409-4 1 1 , fa terminare il prologo - richiamandosi a Lohmeyer - in 4,16; il maggior numero di interpreti invece già in 2,23. A ragione Krentz richiama l'attenzione su come 3 , 1 segua senza ostacoli e non indichi alcuna cesura (41 2.); inoltre tra 2., 1 e 3,1 ci sono corrispondenze di termini chiave. 2. HafnerD, 5 2-59. 3 Cf. sopra, r . r .

13 5 le quali raggiungono con 4, 1 5 s. un obiettivo esterno e interno: la Gali­ lea, regione della principale attività di Gesù, e la « Galilea delle genti», dove Gesù giunge ora, dopo la sua nascita a « Betlemme, terra di Giu­ da » ( 2, 6 ) . 2, 5 - I I . I J - 1 5 . 1 9- 2 3 ; 3 , 1 3 ; 4 , 1 . 1 2- 1 6 forniscono una sequen­ za chiusa di stazioni del percorso di Gesù prima della sua attività pub­ blica, sequenza che è di fondamentale importanza. A esse si aggiunge, in secondo luogo, una serie di affermazioni cristologiche, che pure si tro­ vano soprattutto nelle citazioni di compimento ( 1 ,2 3 ; 2,6. 1 5 ; cf. 1 , 1 ; 3 , 1 1 s. 1 7; 4,3 . 6 ) . Queste affermazioni funzionano anzitutto come annun­ ci vuoti, che i lettori dovranno « riempire>> , da una parte, a partire dalla loro conoscenza del patrimonio di fede, dall'altra a partire dalla loro continua lettura del vangelo. I primi capitoli giocano in questo proces­ so di lettura un ruolo particolarmente importante, poiché preparano i lettori a ciò che verrà in seguito. Mentre «figlio di David» ( 1 , 1 ) viene ulteriormente approfondito da 1 ,2-25 e indirettamente anche da 2, 1 1 2, «figlio d i Dio» ( 2, 1 5 ) rimane una conchiglia verbale vuota, che viene riempita di contenuto solo con 3 , I 3 -4 , 1 1 . Così il prologo, che abbrac­ cia i primi quattro capitoli, si rivela - non a livello della superficie narra­ tiva, ma a un livello più profondo - come un insieme unitario, compren­ sibile soltanto nel contesto. Una delimitazione del prologo all'indietro non risulta chiara. 4 , 1 8-22, cioè il racconto della chiamata dei primi discepoli lungo il lago, non è realmen­ te ancorato alla struttura del prologo. Ancor meno questo breve passo fa parte della sezione principale seguente, che è incorniciata da 4,2 3 e 9,3 5 . Rispetto a l prologo è una sorta d i aggiunta, che prolunga i l fondamento del­ l'attività di Gesù fin dentro - per così dire - la chiesa, con una funzione del tutto analoga a quella del cap. Io rispetto ai ca pp. 5 -7 e 8-9 . ' Non è abitu­ dine di Matteo delimitare in modo netto l'una dall'altra le sue sezioni prin­ cipali; preferisce, piuttosto, collegarle tramite sezioni di passaggio. 2 4, 1 822 è una prima, tipica sezione di passaggio, che costituisce il fondamento del racconto dei capp. 8-9 e soprattutto di I O, I -4 ed è al tempo stesso stretta­ mente legata a 4, 1 3 (napa.Salacrcrtav). La precedente predicazione di Gesù (4, 1 7 ) trova una corrispondenza quasi letterale nella predicazione di Gio­ vanni ( 3 ,2) e in quella dei discepoli ( I O,?) e rappresenta un collegamento tra di esse. Per i lettori è decisamente importante che in 4 , 1 8-22 compaiano i di­ scepoli, che rappresentano per loro le più importanti figure di iden­ tificazione. È a partire da ora, cioè dall'inizio della storia di Gesù vera e 1

Cf. vol. n, intr. a 9,3 6- u , I , nr. 1 . sono ad es. 4,23-25; 9,36-38; I 6, I 3 - I ?, I ; 20,29-34; i l cap. I I nel suo complesso.

2 Tali

PRELUDIO

r, j

l oro i lettori, sono «lÌ » , non prima. Si sot­ propria, che i discepoli, e tolinea così una sostanzi e differenza tra il prologo e la storia di Gesù , vera e propna. 2. Genere. Nell'antichità si è riflettuto sui proemi soprattutto all'in­ terno della retorica. Secondo Aristotele il proemio ( 7tpoÀoyoc;, 7tpoot(LLOV) di un discorso deve offrire agli ascoltatori un « rinvio>> (ò&iy(La) al discor­ so stesso, grazie a cui essi non rimangano all'oscuro e la loro mente non vagoli nel buio. Chi « mette loro in mano l'inizio fa sì che si possa se­ guire il discorso >> . Lo scopo di un proemio in un discorso come pure in un'opera teatrale dovrebbe essere q uello di dare informazioni « sul fine (-rÉÀoc;) per cui si tiene il discorso>> . 1 Sembra, invece, che non esistessero regole formali generali sulla strutturazione dei proemi. Per un confronto con Matteo risultano interessanti soprattutto i libri stori­ ci della Bibbia e del primo giudaismo. Il Pentateuco offre in Gen. I - I I la sto­ ria delle origini, anteposta alla storia di Israele, mentre l'opera storica del Cronista in I Cron. I -9 presenta le genealogie e le liste di nomi, che prece­ dono la storia vera e propria. Questi testi però non costituiscono un mo­ dello diretto per il proemio matteano, perché nel vangelo di Matteo si trat­ ta della storia fondamentale di uno specifico uomo, cioè Gesù Cristo, il cui inizio è al tempo stesso il prologo. È pertanto preferibile dare uno sguardo alle biografie antiche, che però molto raramente presentano, dopo il titolo del libro, una vera premessa in cui l'autore espone il suo obiettivo spiegan­ dolo in prima persona. 2 Di norma cominciano subito con la presentazione della famiglia, della nascita, della giovinezza e dell'educazione. Ma queste sono tutte parti della biografia stessa 3 e non vengono sviluppate come in Matteo alla stregua di un proemio. Il proemio di Matteo pertanto, all'interno del quadro generale dei proemi, va considerato come una composizione davvero unica per la quale non ci sono a mio avviso dirette analogie. 3 · Carattere e scopo del proemio. Naturalmente il proemio narra in primo luogo l'inizio della storia di Gesù. Narra, formalmente in modo non dissimile dagli inizi delle biografie, gli inizi di Gesù: la sua genea­ logia, gli episodi importanti della storia della sua nascita e due tappe fondamentali nel suo processo di formazione, ossia l'incontro con Gio­ vanni Battista e quello col diavolo. Ciò avrà richiamato alla memoria dei lettori antichi le biografie, nel caso avessero familiarità con il genel Aristot. Rhet. 3 , 1 4,5 s. ( 1 4 1 5a). Della citazione sono debitore a Mayordomo-Marin (v. sopra, bibl. a 1 , 1 ). 3 Burridgea, 1 3 5- 1 3 8 . 1 62-1 67. 2. Ad es. Philo Vit. Mos. 1 , 1 -4; Tac. Agr. 1 - 3 .

1 37 re, ma a l tempo stesso - in tutte le singole tappe di questo •• inizio bio­ grafico » di Gesù - essi vengono introdotti in un mondo del tutto diver­ so rispetto a quello della biografia antica, e cioè nel mondo loro fami­ liare della Bibbia e della aggadà di Israele . ' Se conoscevano le biografie antiche, avranno certamente notato che mancano momenti importanti: non si parla della nascita vera e propria di Gesù, né di storie dell'in­ fanzia per lui caratteristiche; manca infine un racconto della formazio­ ne di Gesù, a meno di non intendere come tale l'incontro con Giovanni Battista e poi con il diavolo. Queste lacune pongono la questione del significato della scelta del materiale. Per mezzo delle evidenti citazioni di compimento viene richiamata l'at­ tenzione dei lettori su un secondo livello del prologo matteano. La fina­ lità del prologo antico è di indicare lo scopo {axo1toç) dell'intera narrazio­ ne; le citazioni di compimento richiamano invece l'attenzione del letto­ re su chi è Gesù: egli è « Emmanuele » e « figlio di Dio » . L'evangelista nar­ ra perciò la storia di un uomo che è con i suoi lettori e li accompagna nel loro presente. Nel suo prologo Matteo narra un percorso molto si­ gnificativo del Gesù bambino che lo conduce da Betlemme, città di Da­ vid, fino alla •• Galilea delle genti » . A conclusione della loro lettura del­ l'intero vangelo i lettori si accorgeranno che l'intera storia di Gesù di Matteo termina proprio lì dove terminava il prologo, nella . Essa può ad esempio consistere nella particolarità del rapporto delle donne con i loro uomini: ma il matrimonio di Rut, l'adul­ terio di Betsabea e addirittura i·l fidanzamento di Maria sono forse con­ frontabili tra loro? Si è anche cercato di intendere tutte queste donne come strumento dello Spirito santo, ma le testimonianze giudaiche sono in parte tarde, in parte assenti. 1 Contro questo tipo di interpretazione milita quindi la varietà delle irregolarità supposte o la generalità e l'astrattezza del deno­ minatore comune. Rimane solo il fatto che Dio trionfa sugli ostacoli umani in un modo che sorprende, 1 o «l'inaspettata novità » dell'operato di Dio in tutte e cinque le donne.3 Il vantaggio che offre questa interpretazione è quello di permettere l'istituzione di una relazione 4 tra le quattro donne e la quinta, Maria. 5 Ma ciò è veramente necessario ? Il v. 1 6 è formulato in modo completamente diverso dai vv. 3 · 5 s., poiché viene meno il monoto­ no, attivo È:yÉ:.vvTjaEv, sostituito col passivo ÈyEvv�8Tj. «Da Maria » al v. 1 6 viene naturalmente inteso dai lettori in riferimento alla nascita verginale: perciò Maria non vale comunque come parallelo con le altre quattro donne. 3 . Una terza proposta suona così: tutte e quattro le donne sono non ebree. 6 Tamar è in genere considerata un proselito, ma certo non nell'inte­ portante per gli uomini » ); Frankemolle, 1, 1 4 5 (interruzione di una successione fondata); Gnilka, 1, 9 (donne quali «vasi scelti», come in seguito Maria); Hagner, 1, xo ( «notevole presenza di sorpresa e scandalo» ); Wainwright, Reading, 68 s. (Dio utilizza aspetti del •potere delle donne» al di fuori della successione dinastica patriarcale); Weren", 301305 (tutte e cinque le donne [inclusa Maria] hanno perduto la loro posizione all'interno della loro famiglia e ottenuto alla fine una nuova posizione in una comunità nuova). 1 Cf. Brownb, 73 s. Testimonianze ci sono per Tamar: Gen. r. 8 5,9 su Gen. 3 8, 1 5 (r. Hu­ na, circa 3 50; Bill., 1, 20); Makk. 23b (r. Eleazar, circa 270; Bill., loc. cit. ); Gen. r. 85, 1 2 su Gen. 3 8,26 (r. Samuel b . Isaac, circa 300): «Era l o Spirito santo che proclamava: per opera mia sono accadute queste cose » . Per Rahab: Midr. Rut 2,1 ( 1 26a) (Bill., 1, 2 1 ). Questi passi si riferiscono però tutti a episodi particolari, ad esempio la voce roboante che interviene nel processo di Tamar, oppure la profezia di Rahab in Gios. :z., x6. Passi relativi a Rut o Betsabea non mi sono noti. 2 Brown", 7 3 s. 3 Luzarraga", 29 5. 3 1 o. 4 Cf. il titolo di Weren". 5 Talora l'inserimento delle quattro donne è stato visto anche come mezzo per difendere indirettamente Maria dalle accuse giudaiche di immoralità e illegittimità di suo figlio: le quattro donne, che avrebbero avuto tutte «qualcosa di insolito nella relazione con i loro mariti », sarebbero divenute innocenti o persino virtuose all'interno della tradizione giu­ daica (Freed", Zitat, 4). Qualunque opinione si abbia sull'efficacia retorica di tali difese indirette, Betsabea si adattava comunque assai male a essere pensata come scudo protet­ tivo per Maria. 6 Stegemann", 26o-:z.66; Zakowitch"; Schnider-Stenger", 1 9 5 ; Nolanb, 6:z. s.; Schweizer, 9· L'esegesi antica ha accolto spesso questa interpretazione per alcune delle donne, ma non per tutte (così Lutero, Genesisvorlesung [WA 44], 3 27).

I 54

LA GENEALOGIA

ra tradizione giudaica. I Rut è moabita, Rahab abitante della Gerico cana­ nea. Su Betsabea non ci sono notizie: per questo non viene citata per nome ma come moglie di Uria, il quale era notoriamente ittita (2 Sam. 1 1 ,3 ) ? È possibile, ma questa non è affatto la più ovvia associazione che viene in mente ai lettori col nome di Uria. Questa ricostruzione quindi è molto evi­ dente per Rut e Rahab, buona per Tamar e forse possibile per Betsabea: per Maria però non si può istituire alcuna corrispondenza. l. Nonostante qualche incertezza, ritengo questa terza spiegazione sulle quattro antenate la migliore e la preferisco all'alternativa di una spiega­ zione diversa per ogni donna) Un'interpretazione unitaria è del resto suggerita della scelta «provocatoria » delle quattro donne: poiché non vengono menzionate le più note antenate di Israele ma donne del tutto diverse, i lettori intuiscono che queste donne hanno un significato dav­ vero particolare. Anche l'espressione èyÉvv l)cre:v . . . Èx -ti)c; . - ripetuta identica quattro volte - depone a favore di un'interpretazione unitaria. In tal modo le quattro donne conferiscono alla genealogia una nota universalistica: si indica velatamente che il figlio di David, il messia di Israele, porta la salvezza ai gentili. Ne consegue anche un ulteriore ri­ mando interpretativo per l'espressione di 1 , 1 «figlio di Abramo» - in ap­ parenza così ovvia ma anche così sorprendente -, che diviene forse più chiaro per i lettori dopo la lettura della genealogia: non si deve pensare ad Abramo solo come padre di Israele, ma anche alla diffusa tradizione giudaica, che vede Abramo come padre dei proseliti.4 L'offerta della sal­ vezza di Israele ai gentili, tema dominante del vangelo di Matteo, è già affermata nel suo primo testo. .

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I In Iub. 4 1 , 1 s. e Test. Iud. 1 0, 1 è considerata forse membro della famiglia di Abramo (Bauckhama, 3 14-3 1 8 ). Secondo Philo Virt. 221 è un proselito (una palestinese di Siria); così pure nella tradizione rabbinica, dove diventa figlia di Melchisedec (cf. Bill., I, 1 6). 2. R. Seeberg, Die Herkunft der Mutter ]esu, in Theologische Fs G.N. Bonwetsch, Leip­ zig 1 9 1 8, 1 3 -24, ha concluso da questa spiegazione che Maria fosse una gentile. Ciò ha avuto una sua importanza per la storia della chiesa: Hirsch, Frnhgeschichte n, 3 24, ve­ de, al tempo del Terzo Reich, «completata, per parte di madre, nel modo più radicale pos­ sibile » la tesi dell'origine gentile della famiglia di Gesù (che avrebbe fatto parte della po­ polazione galilea giudaizzata a forza, op. cit., 1 9 3 ), tesi da lui già proposta riguardo al nonno di Gesù; similmente W. Grundmann, ]esus der Galilaer und das Judentum, Leip­ zig 1 940, 196. 3 È favorevole a una spiegazione non unitaria HeiJa: sarebbero menzionate alcune pec­ catrici (Tamar, Betsabea), e alcune donne meritevoli di lode (Rahab, Rut, Maria). Pen­ sano a una «struttura mista » anche Davies-AIIison, I, 1 7 1 s. (le donne sono importanti in quanto sono delle gentili e per il carattere particolare delle loro « unioni maritali » ), Gnil­ ka, I, 8 s. e Mayordomo-Marfnb, 243-250 (Betsabea è in primo luogo peccatrice, Rahab e Rut sono invece proseliti esemplari, Tamar forse comprende tutti e due gli aspetti). 4 Bill., m, 2 1 1 , cf. 1 9 5 .

MT. 1 ,2- 1 7

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r6. L'ultimo membro della genealogia è più lungo di tutti gli altri: di­ venta così adeguato per « il Cristo » , • in cui la genealogia giunge a con­ clusione e culmina: è solo per lui che l'evangelista ha ricapitolato nella genealogia la storia di Israele. Il passivo Èyevv�-81J e la menzione di Ma­ ria richiamano ai lettori la nascita verginale, a loro nota. Il problema di come il figlio di Maria rientri nell'albero genealogico di Giuseppe resta ancora aperto. Di ciò si occuperà la successiva sezione 1 , 1 8- 2 5 . 1 7 . L a notazione finale del narratore aggiunge ancora una chiave in­ terpretativa per i lettori: la genealogia è composta di tre serie di quat­ tordici generazioni. Questa notazione aggiuntiva è necessaria, poiché i lettori con ogni probabilità non avrebbero contato da sé le generazioni. :t A questo numero essi collegano l'idea di un piano divino che sovrasta la storia di Israele, la quale conduce a Gesù.

Non è raro che il numero delle generazioni nelle genealogie costituisca una cifra tonda oppure venga stabilito con precisione/ ma dal materiale a dispo­ sizione non si ricava uno schema interpretativo sicuro. Anche sull'importan­ za del numero quattordici si possono fare solo supposizioni incerte: quat­ tordici è il numero gematriaco del nome ebraico David; ma i lettori greco­ foni di Matteo lo sapevano ? Un parallelo rabbinico fa supporre che Mat­ teo possa essere stato ispirato dalla metà del mese lunare e abbia forse col­ legato le quattordici generazioni da Abramo a David col tempo della luna crescente, le successive quattordici da David fino all'esilio col tempo della luna calante e le ultime quattordici fino a Gesù di nuovo con la luna cre­ scente." Tutto ciò è però molto incerto. Nelle tre serie di quattordici gene­ razioni i Padri della chiesa vedono un richiamo alla Trinità o alle sei età del mondo. 5 Risultano pertinenti solo in senso molto generico per la com­ prensione del nostro testo i paralleli apocalittici sull'articolazione della sto1

'IljaOÙ . 24 Quando Giuseppe si alzò dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva ordinato e prese con sé sua moglie. 25 Ed egli non la conobbe finché non partorì un figlio e gli diede nome GesÙ.1 1. Struttura e forma. Questa storia viene narrata nel modo più scarno e so­ brio possibile: balza agli occhi la differenza di stile rispetto alla graziosa leg­ genda di Le. 2, 1 - 20. Dopo la frase che funge da titolo del v. 1 8a - che si ricollega a 1 , 1 - il v. 1 8b menziona il presupposto, la gravidanza miracolo­ sa di Maria: lo stile basato sull'uso dei participi indica che qui Matteo non narra ancora, ma accenna solo delle premesse. Il v. 1 9 introduce al nomi­ nativo la figura centrale della storia, Giuseppe, il Giusto. Solo ora comin­ cia la storia. Al v. 20 compare come figura decisiva ( lòou) l'angelo che an­ nuncia la nascita di Gesù e ne spiega il nome. L'annuncio dell'angelo, piut­ tosto lungo rispetto alla stringatezza mantenuta fino a questo punto, con­ duce alla citazione di compimento: questa è formalmente un commento del narratore che sorprende perché, per la seconda volta, si parla della gravi­ danza, della nascita del figlio e del suo nome, che è però diverso. Solo col v. 24 la narrazione riprende e giunge a conclusione con un paio di brevi frasi stereotipate: si illustra l'ubbidienza di Giuseppe, per cui egli fa tutto ciò che l'angelo gli ha ordinato. Le formulazioni dei vv. 20 s. e 24 s. coinci­ dono quasi alla lettera. Il v. 1 8a, scavalcando 1 ,2-1 7, collega all'incipit 1 , 1 la nostra narrazione; per quanto riguarda la genealogia che precede, il collegamento è con il v. 1 6. Stretti sono i legami con 2, 1 3 -23 sia per il motivo del sogno e il corri­ spondente lessico (ayye:Àoç xuplou, tpalvo�J-at, xa't"' ovap, Èye:p.!Jdç) sia per la comune figura centrale di Giuseppe o ancora per la parola guida 7tClpctÀCl!J-­ �ci.vw (2 + 3 volte) o le citazioni di compimento, mentre è relativamente più allentato il legame con la sezione dei magi immediatamente seguente.3 La storia non è affatto una descrizione della nascita, sebbene parli della nascita verginale, e non è neanche una leggenda: " quanto proceda senza ten1 Matteo sceglie più spesso di Marco e Luca la forma semitizzante del nome M(lptci!J- ( 1 3 , 5 5 ; 27,61 ; 28,1 ). Ciò mostra bene l a vicinanza d i Matteo (bilingue?) all'idioma semitico. 2 Per la critica del testo cf. sopra, p. 149 n. 7· 3 Parole comuni: X(l't' ovap, y&vvciw, 'tLX'tW, Àa0ç, Mapia. 4 Bultmann, Tradition, 3 1 6.

L'EMMANUELE

sione lo si vede da come la vera e propria pointe, la parola dell'angelo, sia anticipata già al v. r 8 . La storia si concentra completamente sulla persona di Giuseppe, come 2, 1 3-23, ma in modo diverso rispetto a 2, r - r 2. Per tre volte, per mezzo delle espressioni ·tix-.w-u[ov e xaÀÉw-ovo(La, si segnala che al centro dell'attenzione stanno l'annuncio della nascita di Gesù, l'attribuzio­ ne del nome e la sua spiegazione. La parola dell'angelo e la citazione della Scrittura portano a un eccesso di insegnamento cristologico. Il nostro testo pone quindi determinati accenti didascalici in rapporto a un argomento che è solo accennato e presupposto come noto ai lettori. In questo senso colgono in parte nel segno tutti gli interpreti che definiscono il nostro testo come «midrash cristologico» . 1 Ma la nostra storia non è certo un midrash nel senso del genere « midrash » . 2. 2. Redazione. Negli studi di oggi c'è una crescente tendenza a ritenere redazionale l'intera pericope: Matteo avrebbe quindi utilizzato solo motivi tradizionali.3 La tesi opposta sostiene che Matteo avrebbe rielaborato in modo più o meno robusto una storia tradizionale: decidere tra le due non è facile. 2. 1 . Il lessico fa pensare a una rielaborazione continua ma non totale del­ la pericope da parte di Matteo.4 Come in Mt. 2, così anche qui il numero 1

Pesch ( 1967)4, 87; cf. Trilling4, 27: «testo didascalico di tipo midrashico» . 2. midràs indica non solo u n determinato genere letterario, m a anzitutto e soprattutto l'at­ tività di studio della Scrittura. Per questo Muiioz-lglesiash, 3 3 8-344, sulla scia di R. Le Déaut, A propos d'une définition du midrash: Bib. 50 ( 1 969) 395-4 1 3 , intende midrash non solo come indicazione di un genere, ma anche come definizione di un metodo erme­ neutico. Se si intende midrash come indicazione di un genere, allora elemento costituti· vo è il partire da un passo della Scrittura, sulla base del quale viene sviluppata una in· terpretazione o una narrazione. In questo senso secondo Wrighra, 1 3 7, il midrash è «una letteratura intorno a una letteratura» . Da questo punto di vista, le storie di Mt. 1 , 1 8-2,23 non sono affatto midrashim, poiché le citazioni di compimento non sono al centro e co­ stituiscono non l'explicandum, ma l'explicans. Cf. Wrighra, 4 5 5 , similmente Perettoh, spec. 24 5; Brownb, 5 5 7-5 6 3 . 3 A d es. Dibelius, Formgeschichte, 1 25; Pesch ( 1967)4, 8 8 ; Vogtle, Kindheitsgeschichté, 1 5 5 s.; Broero, 2 5 5 ; Frankemolle, ]ahwebund, J I O. 4 Matteani sono (cf. sopra, introduzione, 4.2) nel v. z8: yéveatc; (rinvio al v. 1 ), ou'!wc; + dvat; v. 1 9 : òixcuoc;, -8é"A.w, Àa-Bpa. (2,7!); v. 2 0 : ìòou, liyyeÀoc; xupiou, cpa.ivo(J-a.t, xa.'!' ovrzp, Àéywv, u!òc; .iauiò posposto come apposizione; cf. ancora 1 5,22; 20,30 s.; cpo[3Éw, 7totpa­ Àa.(J-�vw, yevvtiw ( 1 ,2-1 6; 2, 1 .4!). Per una introduzione alla citazione di compimento cf. sotto, excursus « Le citazioni di compimento», §§ 1-3; v. 24: èyeipw (collegato con 7totpa­ Àa.(J-�vw cf. 2, 1 3 s.20 s.); per la formula di compimento cf. 21,6 e sotto, 2.4; v. 25: Éwç oò. A ciò si aggiungono le reminiscenze della citazione (redazionale?); cf. sotto, 2.5. Di Matteo (cf. sopra, introduzione, 4. 1 ) è anche il genitivo assoluto errato del v. 1 8 (il sog· getto Maria viene introdotto come soggetto del genitivo assoluto). Hapax legomena so­ no auvÉP'X.O(J-ott, Òety(J-ot'tit;w, (J-t-8tp(J-1JVE:Uw. Non sono invece matteani �ouÀo(J-a.t e il passivo semitizzante eupÉ-81J (cf. nim�à'). Il lessico del v. 21 proviene quasi interamente dai LXX; cf. sotto, 2.7.

MT. 1 , 1 8-2 5 di matteismi espliciti è molto più cospicuo rispetto alla media del vangelo. 2.2. Il v. I 8a, che contiene un richiamo a I , I e si riallaccia per contenu­ to a I , I 6, potrebbe quindi essere redazionale. 2.3. La citazione di compimento da ls. 7,I4 - un versetto altrimenti non più citato nel N.T. 1 corrisponde, a differenza della maggior parte delle restanti citazioni di compimento in Matteo, ai LXX quasi alla lettera. X(X­ Àeaouatv (anziché X(XÀÉaEtc;) potrebbe essere dovuto al contesto: lo «si chia­ merà » - cioè la comunità lo chiamerà - Gesù Emmanuele. Dobbiamo quin­ di prendere in considerazione che non solo l'espressione introduttiva del v. 22, ma anche la citazione stessa possa risalire a Matteo, il quale di norma cita l'A.T. secondo il testo dei LXX, quando non è vincolato dalle fonti. 2.4. Soprattutto Pesch :�. richiama gli stretti parallelismi tra il nostro te­ sto e 2 1 , I -7. Entrambi i passi sono caratterizzati dalla cosiddetta « formula di compimento» ,3 una locuzione matteana che esprime, in una lingua influ­ enzata dall'A. T., l'esatto compimento di un ordine divino (vv. 24 s.; cf. 2I, 6 s. e 26, I 9 ; 28, I 5 ). 2. 5 . La citazione di compimento dei vv. 22 s. si lascia estrapolare facil­ mente dal contesto: rimane quindi una pericope in sé conchiusa con solo un'attribuzione del nome. Ci sono però numerose corrispondenze tra la ci­ tazione e il testo del resto della pericope ( Èv y(Xa'tpt É'X,Etv vv I 8. 2 3 ; 't'E�E't'(Xt ULOV vv 2 1 . 2 3 , cf. 2 5 ; X(XÀELV 't'Ò OVO(J-(1 vv 2 1 . 23 . 2 5 ) . 2.6. Le corrispondenze d i lingua e contenuto con le vicende del sogno di Mt. 2, I 2-I 5 . I 9-2 3 sono notevoli e indicano una redazione matteana. 2. 7. La formulazione del testo dei vv. 20 s. segue, dal punto di vista lin­ guistico, uno schema testuale dell' « annuncio della nascita >> influenzato dall'A.T.4 I più importanti testi di confronto sono gli annunci ad Hagar in Gen. I 6,7-I 2, ad Abramo in Gen. I 7 , I 9 , alla madre di Sansone in Giud. 13,3-5, ad Acaz in ls. 7, 14. 5 Le corrispondenze dimostrano che l'attuale for­ ma del testo è influenzata dai LXX: ciò si accorda bene con Matteo, ma non consente alcuna convincente conclusione sull'autore. Conclusioni. Matteo ha presentato la pericope in modo sostanzialmente -

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r Le. 1,3 1 non è certo una citazione da ls. 7,14, ma è influenzato dagli «annunci della nascita • veterotestamentari; cf. sotto, 2.7 (con Brownh, 1 5 3 ; Fitzmyer, Le. I, 3 3 6; diversamente Bovon, Le. I, 66). :1. Pesch ( 1967 )a, 79 s. 3 Costitutivi sono 7tOtÉw + (wc; e sim.) + 7tpocrÉ'ttl�Ev e sim. Pesch ( 1966)a, 225, indica circa trenta passi veterotestamentari. 4 Concordanze letterali: tX"f"fEÀoc; xuptou Gen. 16,7 s. n; Giud. 1 3 ,3; !8ou Gen. 1 6,1 1; Giud. 13,3.5; ls. 7, 14; iv "(tlcr'tpÌ tiEtv Gen. 1 6, u ; Giud. 1 3 ,5; ls. 7,14; xaÀEiv 'tÒ ovo(J4 aÙ'tou Gen. 1 6, 1 1; 17,19; ls. 7,14; cf. Giud. 1 3 ,6; 'ttxntv ulov Gen. 1 6,1 1; 17,19; Giud. I 3 , 5 ; ls. 7,14. Tutte le corrispondenze tra la citazione di ls. 7,14 e i restanti versetti del­ la pericope (cf. sopra, 2. 5 ) sono tali anche con la tipologia dell'«annuncio della nasci­ ta • . Bibliografia: Mufioz-Iglesias, El Evangelio de la lnfancia en San Lueas y las infan­ eias de los héroes bfblieos: EstB 1 6 ( 1 9 57) 3 29-3 82; Léon-Dufoura, 76-78; Perettoh, 183-1 86; Brownb, 1 5 5 - 1 59; Zellera. 5 Anche Luca conosce questo schema (Le. I , I J . J O s.).

L'EMMANUELE

nuovo e forse l'ha messa per iscritto per la prima volta. Sono opera sua la citazione di compimento dei vv. 22 s. e l'aggancio con la genealogia al v. 1 8a. Soprattutto il duplice scopo della duplice attribuzione del nome (so­ pra, 2. 5 ), ma anche le corrispondenze di contenuto con Mt. 2 (sopra, 2.6) e le isolate formulazioni non matteane (sopra, p. 162 n. 4) inducono a pen­ sare che Matteo avesse a disposizione non solo singoli motivi, ma già una storia dell'attribuzione del nome a Gesù bambino; è verisimile che questa storia appartenesse a un insieme narrativo prematteano in cui Giuseppe giocava un ruolo centrale. 3 . Sviluppo della tradizione. Non si possono fare affermazioni sicure. L'interpretazione del nome di Gesù, che richiama la formulazione di Sal. 1 29,8 LXX, non è precisa; ;ehosuii ' significa: Jahvé è aiuto. 1 Forse in un am­ biente di lingua greca si sapeva che il nome di Gesù aveva qualcosa a che fare con l'aiuto di Dio." Inoltre, si trovano a volte espressioni simili negli an­ nunci delle nascite di figure importanti della storia di Israele. 3 Nella forma attuale del testo la nascita verginale non è lo scopo, ma il presupposto del­ la storia, peraltro nemmeno troppo sottolineato. È dunque poco probabile che il motivo della nascita verginale si sia aggiunto solo in uno stadio più tardo della tradizione a una storia più antica, che in origine avrebbe rac­ contato solo l'annuncio della nascita del messia a suo padre Giuseppe: 4 in tal caso la nascita verginale sarebbe posta in molto maggior rilievo. È im­ probabile che la storia fosse in origine formulata in aramaico.5

4· I motivi rinviano in diverse direzioni. Il legame tra la figliolanza divina e lo Spirito (v. 1 8 ! ) è un'antica idea cristiana (Rom. 1 ,4; Mc. 1 ,9 - I I ) . Ma quello che c'è di particolare in questo testo è il rapporto con la nascita ver­ ginale. La nascita senza l'intervento di un padre umano si trova spesso nei racconti ellenistici e soprattutto egiziani, che parlano della generazione di­ vina di re, eroi, filosofi ecc. 6 Da un punto di vista della storia delle reliBill., I, 64. Cf. Filone (che difficilmente conosceva l'ebraico), Mut. 1 2. 1 : aw"lJPtll xuptou. 3 Giud. 1 3,5 ( «annuncio della nascita » ): 1X1hÒc; ap�"llt "ou awallt "Òv 'laplllJÀ; nella aggadà di Mosè Ps.-Philo L.A.B. 9,10; Mek. Es. a 1 5,20; Meg. 14a; altri passi in Blochh, I I I s. 4 Bultmann, Tradition, 3 1 6. 5 Kramera; M. Herranz-Marco, Substrato arameo en el relato de la Anunciaci6n a ]osé: EstB 3 8 ( 1979-80) 3 5- 5 5 . 23 7-2.68. Con un Urtext in aramaico si appianano tutte le dif­ ficoltà dogmatiche che pongono soprattutto i vv. 2.0 e 25. In questi tentativi non ci si può interrogare solo sugli obiettivi del Matteo attuale, quindi di colui che ha tradotto in greco. 6 Passa rapidamente in rassegna le testimonianze più importanti l'excursus in Gnilka, I, 22-3 3; ulteriore materiale offre Mayordomo-Marfnb, 2.5 3-2.5 5 · Più importanti dell'idea egiziana della procreazione divina del re e più importanti anche dei diversi miti sulla generazione degli eroi risultano le leggende su Alessandro Magno e Platone. Per l'origi­ ne egiziana dell'idea della nascita verginale cf. recentemente E. Blumenthal, Die bibli­ sche Weihnachtsgeschichte und das alte A.gypten (SBAW.PH 1 999/1 ), 1 999· 1

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MT. 1 , 1 8-2 5 gioni, è difficile dire quanto tali rappresentazioni fossero penetrate anche nel giudaismo. Filone, nella sua interpretazione della storia delle mogli dei patriarchi, parla di una procreazione verginale attraverso Dio, interpre­ tando certamente le mogli dei patriarchi in senso allegorico come le virtù, mentre Dio, in quanto sposo, si unisce all'idea di verginità, non a una ver­ gine reale ( Cher. 40-5 2). L'idea di una procreazione sessuale da parte di Dio gli è quindi lontana, come a quasi tutti gli ebrei. 1 Una leggenda giu­ daica davvero molto vicina a Mt. r , I 8-2o è quella della nascita verginale di Melchisedec in Hen. slav. 7 1 ,I -23 : 2. il marito di sua madre Sopanima, Nir, fratello di Noè, gioca lo stesso ruolo di Giuseppe e vuole ripudiare la sua donna, ritenuta infedele. Corrispondenze ci sono anche con le leggende giudaiche sulla nascita di Mosè: Jochebed, madre di Mosè, ha centoventi anni quando le viene di nuovo donata la giovinezza e rimane incinta di Mo­ sè (B.B. I 2oa ) : non si parla però di una nascita verginale da Jochebed.3 Al­ tri paralleli giudaici sono più lontani da M t. I . 4 L'intera pericope si apparenta materialmente soprattutto con le notizie sulla nascita di Mosè: Amram, il Giusto per eccellenza,5 viene informato ­ così come Giuseppe - da Dio in sogno del futuro di Mosè. 6 Secondo un'al­ tra tradizione egli ripudia sua moglie, ma viene poi indotto da un rimpro­ vero di Miriam a prenderla di nuovo con sé; 7 in questo contesto si dice di Mosè che salverà Israele. 8 Questi paralleli sono tanto più importanti in quanto anche Mt. 2 presenta una stretta affinità con la aggadà di Mosè e, al di là di questi fattori comuni, è influenzato dallo specifico motivo biblico dell' «annuncio della nascita » ., Ne sono topoi l'apparizione dell'angelo, il messaggio e l'assegnazione del nome (con profezia o spiegazione).

Conclusioni. La nostra storia si alimenta di tradizioni differenti, tra cui risultano importantissime, oltre all' «annuncio della nascita » tipico delr Gen. 6, 1-4 sembra proibirlo. La sola espressione che può essere presa in considerazio­ ne - «Dio genera Uolid) il messia" ( 1 Q Sa 2, I I ) - dev'essere intesa a partire da Sal. 2, 7. 2. Secondo C. Bottrich, Das slavische Henochbuch USHRZ v/7), I995, 8 I J , l'Apocalisse slava di Enoc risale al i sec. d.C. Il passo di ? I , I ss. deve essere giudaico, poiché solo in ? I,J 2-3 7 si riscontra una interpolazione cristiana. Per l'origine giudaica della leggenda cf. anche Schubertb, 230-234. 3 Ulteriori esempi in Allison, Moses, I46-I 50, che vede qui lo sfondo principale di Mt. r,r8-25. 4 Vit. Proph. 2,8 parla di una «vergine nel puerperio» che gli egiziani venerano e - forse in una interpolazione cristiana - di un infante in una mangiatoia. Apoc. Ad. NHC v 78, 1 8-20 è probabilmente influenzato da Apoc. 12. e cristiano. 5 Testi in Blochb, 1 1 2- 1 14. 6 Ios. Ant. 2,2Io-2 16. 7 La tradizione aggadica sul ripudio di Amram è attestata spesso: Es. r. I,IJ a Es. 1,15; ulteriori passi in Blochb, I I4 n. 40, e in Allison, Moses, I48. I 5 I . I 6o. 8 Cf. sopra, p. I 64 n. 3 · 9 Cf. sopra, 2.7. Non ci sono paralleli al d i fuori dell'ambito biblico (Mussiesd, 90 s.).

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L'EMMANUELE

l'A.T. e alla leggenda della nascita di Melchisedec, le diverse varianti della aggadà di Mosè. Tutte queste tradizioni però possono solo in parte essere armonizzate col nostro testo; non è possibile ipotizzare una diretta appli­ cazione a Gesù di una leggenda della nascita di Mosè. L'associazione con l'idea (non testimoniata nel giudaismo palestinese) della nascita verginale suggerisce come ambiente della tradizione tutt'al più una comunità giu­ deocristiana ellenistica. In particolare rimane però oscuro dove e fino a che punto l'idea di una nascita verginale sia stata accolta nel giudaismo di lin­ gua greca. 5 . In considerazione dei numerosi paralleli la questione della storicità è senza speranze: per questa storia, che segue così da vicino schemi tradizio­ nali, non occorre alcuna informazione da parte della famiglia di Gesù. An­ che per la storicità della nascita verginale - testimoniata solo da Matteo e Luca nel N.T. - non ci sono indizi validi. 1 Essa è senz'altro legata alle nu­ merose concordanze della nostra pericope con le storie della nascita di Lu­ ca,'" ma nell'intero N. T. è testimoniata molto raramente. Verisimilmente fa parte del tentativo di comunità giudeocristiane di manifestare la fede in Gesù, costituito figlio secondo lo Spirito per opera di Dio (Rom. 1 ,4), sotto forma di una storia dell'infanzia, analogamente ad altre antiche narrazio­ ni. La nascita verginale quindi va considerata uno strumento di testimo­ nianza della fede e non ha alcuno sfondo storico diretto. 1 8. L'espressione del v. r 8a impiegata come titolo si ricollega al v. 1 e spiega il v. r 6. Per questo l'evangelista raccorda la nostra pericope a r , 2- 1 7, come fosse un' « ampia postilla al punto cruciale nella genealo­ gia » : 3 ma la pericope non è solo una postilla, bensì una narrazione au­ tonoma e fondamentale. Il v. r 8 b fornisce invece l'indicazione di una situazione. Matteo tramanda solo le notizie più importanti. Il cenno an­ ticipato al concepimento per opera dello Spirito, oltre ad annullare la tensione, presuppone delle conoscenze nei lettori: essi sanno già ciò che Giuseppe verrà a sapere solo al v. 20. Questo cenno anticipato non è però un raffazzonamento letterario, ma un espediente davvero abile: i 1 Chi sarebbe disposto a ritenere storica la notizia della procreazione sovrannaturale di Platone per opera di Apollo, sebbene essa si richiami tra l'altro a informazioni prove­ nienti dalla famiglia del filosofo (Diog. Laert. 3,2: Speusippo, nipote e successore di Pla­ tone, nell'encomio, un discorso tenuto nell'anno successivo alla morte di Platone)? La situazione delle fonti è in questo caso migliore che per Gesù. 2. 1 . Giuseppe e Maria sono fidanzati, non sposati; 2. Giuseppe è un davidide (Le. I, 27); 3 . l'annunciazione dell'angelo (Le. I,J0-3 5 ); 4. la verginità di Maria (Le. I,34); 5· il con­ cepimento a opera dello Spirito (Le. I,3 5 ); 6. l'ordine per l'attribuzione del nome (Le. I, 3 I ); 7· Gesù come salvatore (Le. 2, 1 1 ); 8. figliolanza divina di Gesù (Le. I,3 2.3 5 ) . Que­ ste concordanze risalgono alla tradizione comune. Per una valutazione storica sarebbero eventualmente da discutere i punti I e 2. 3 StendahJb, 102.

MT. 1 , 1 8-2 5 lettori già informati sanno ciò che è importante in questa storia e si aspettano che anche Giuseppe alla fine lo venga a sapere. Giuseppe e Maria sono fidanzati, 1 cioè - da un punto di vista giuri­ dico - impegnati reciprocamente. Un fidanzamento può essere sciolto soltanto con una lettera di ripudio. La fidanzata abita nella casa dei ge­ nitori e non ha ancora alcun contatto sessuale col promesso sposo. 2 Al più auvtÀ-Btt'll intende il trasferimento, successivo alle nozze, nella casa del fidanzato.J 19. Col v. 1 9 Giuseppe viene a collocarsi al centro della vicenda. Per­ ché ha voluto congedare Maria ? L'interpretazione è molto discussa. Una domanda che ci si è sempre posti è se Giuseppe sapesse della gravidan­ za di Maria per opera dello Spirito prima ancora dell'annuncio dell'an­ gelo. Se non lo sapeva, è molto probabile che abbia sospettato la sua fidanzata di adulterio e abbia voluto per questo allontanarla.4 Se egli però sapeva già del carattere straordinario della gravidanza di Maria, si deve allora ipotizzare che non abbia voluto prenderla con sé per paura di toccare una donna santificata per opera di Dio.5 Nelle riflessioni ese­ getiche al riguardo rivestono spesso un ruolo decisivo i sentimenti reli­ giosi. 6 I fronti corrono anche oggi - con significative eccezioni 7 - l un­ l La storia dell'interpretazione distingue coerentemente, in via generale, tra la situazione del fidanzamento e quella del successivo matrimonio e indica i motivi per cui Maria era fidanzata: per non essere lapidata dai giudei, per avere un conforto nella fuga in Egitto ecc. Lutero, Evangelien-Auslegung I, 1 7, mette sullo stesso piano fidanzamento e matri­ monio « Grande onore a questa circostanza, che Cristo non abbia voluto nascere all'in­ fuori del matrimonio. Altrimenti, quante sette ne sarebbero derivate! " . 2 Bill., n , 393-398. Secondo S . Safrai, Home and Family (CRINT I/2), 1976, 756 s., questa regolamentazione era molto rigorosa in Galilea, mentre veniva applicata con più elasticità in Giudea. Per quanto riguarda la situazione giuridica, non risulta chiaro se Giuseppe venga indicato come àvljp di Maria e questa come yuvlj di Giuseppe ( 1 , 1 6.20 s.). Una testimonianza giudaica in cui fidanzata equivale espressamente a «moglie» la offre Bill., n, 3 94: tKet. 8,1 ( 270). 3 Per diversi Padri della chiesa, soprattutto orientali, o-uvépxe:o--8at indica il rapporto ses­ suale, cosicché si immagina che Maria abitasse già presso Giuseppe (ad es. Chrys. In Mt. 4,2 [PG 57, 42]; Opus Imperfectum 1 [PL 5 6, 63 1 ]; Dionigi bar Salibi, I, 5 3 : «Per le fidanzate infatti era costume abitare insieme ai loro uomini per tre anni e solo in seguito avere un rapporto sessuale [convenire], per dimostrare che non si univano spinte dal desiderio ma per generare figli» ). 4 Secondo Deut. 22,23 s. è previsto l'obbligo della lapidazione per la fidanzata adultera, anche se a quei tempi non era più praticata.; cf. Bill., I, 5 1 s. 5 Così a partire da Orig. In Mt. fr. 18 (GCS 1 2, 23). Oggi ad es. Léon-Dufoura, 79-8 1 . 6 Della cosiddetta «ipotesi della paura» Kriime�, 42, dice che «poggia sul sentimento religioso più che sulla grammatica » . Maldonado, 3 3 : " · · · anche se non si addice al pas­ so, . . . è tuttavia assai congeniale al sentimento religioso degli interpreti » .

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L'EMMANUELE

go i confini confessionali, mentre l'interpretazione della chiesa antica è divisa. 1 La seconda ipotesi, quella > e non a una > . ' In effetti, li dovrebbe pagare. La sinagoga ha riferito Is. 7,14 a Eze­ chia, 1 interpretazione discussa oggi come in passato ma che si muove co­ munque, sostanzialmente, nella giusta direzione di una figura contempora­ nea. L'interpretazione cristiana tradizionale che si richiama al messia Gesù non è però sostenibile come esegesi storica di Is. 7,14. Mt. 1 ,22 s. pone, in modo paradigmatico, la chiesa davanti al problema dell'ermeneutica del­ l'Antico Testamento. Per il nostro passo, quindi, non si può più parlare di un compimento di profezie veterotestamentarie per opera di Dio, ma solo della fede del cristianesimo delle origini in questo compimento. Al posto dell'azione di Dio su Gesù nella storia subentra - a dirlo con un po' di esagerazio­ ne - la fede; al posto delle parole della Bibbia, trionfalmente contrap­ poste dalla chiesa al giudaismo, subentra l'imbarazzo. L'interpretazio­ ne ecclesiastica tradizionale di Mt. I ,22 s. diviene un altro tassello nella documentazione del peccato cristiano e proprio per questo risulta mol­ to rilevante. La fedeltà di Dio a se stesso, cui in ultima analisi Mt. 1 ,22 s. ha voluto rinviare, rimane per noi un mistero, che non si riesce evi­ dentemente a risolvere con isolate conferme profetiche. 2. Un secondo punto nella storia dell'interpretazione riguarda so­ prattutto l'esegesi cattolica: Mt. 1 , 2 5 ha importanza ancora oggi nella discussione sulla verginità perpetua di Maria anche dopo la nascita di Gesù. Il v. 25 presuppone che Giuseppe non abbia più avuto rapporti sessuali con Maria dopo la nascita di Gesù ? La discussione al riguardo è stata già con­ dotta molto appassionatamente 3 nella chiesa antica, all'interno della quale la verginità perpetua di Maria fu respinta dagli ariani Eunomio e Eudos­ sio 4 e soprattutto da Elvidio, contro cui combatté Gerolamo in un brillan­ te scritto polemico. Dietro la sua polemica non c'è solo un interesse mario­ logico, ma anche quello del monaco nei confronti della verginità (cf. spec. vv. 1 8-22). L'argomento più importante per la possibilità di una verginità 1 M. Lutero, Vom Schem Hamphoras (Miinchener Lutherausgabe Erg.-Bd. 3 ), Miinchen • 1 9 3 6, 290 s. 2 Bill., I, 75; Davies-AIIison, I, 2 1 3 . 3 Panoramica sulla storia dell'interpretazione i n Campenhausen° e Germanoa, 1 8 6-218. Nel senso di verginità post partum interpretano ad esempio anche Zwingli, 205 s.; Brenz, 65, e l'ortodossia protestante (ad es. Chemnitz, Harmonia vn, 86), mentre secon­ do Bucero, 37; Calvino, I, 73, o Grozio, I, 40 s., il testo non consente di dir nulla sulla condizione di Maria post partum. 4 Philostorg. Hist. Ecci. 6,2 (GCS 2 1 , 7 1 ).

MT.

1 , 1 8-2 5

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post partum è filologico: ewç non implica necessariamente che qualcosa cambi dopo il momento indicato: ciò è indiscutibile e dimostrabile anche in base al vangelo di Matteo. 1 Gli altri due argomenti sono, invece, diffi­ cilmente sostenibili: ytvwaxetv non si riferirebbe al rapporto sessuale, ma alla conoscenza del segreto di Maria; � l'imperfetto Èytvwaxev implichereb­ be la verginità perpetua di Maria.3 Come nella questione dei 81Jc;; con i vv. I 6- I 8 tramite (Lilyot, B1J-8ÀÉt(L, 1,Pbvor,, axpt�ow; con i vv I 9-2 3 tramite XIXT' OVIlp, 1tllt8tov, (LljTlJP llÙ'tou, yi], 'XPlJ(LilTtt;w, avlllWPÉW. l. Cf. sopra, p. I 6 1 n. 3 · 3 Sui particolari nelle corrispondenze cf. Raimbault", 2 3 3 -23 5 . 4 Laurentinb, 405, cf. 4 I 0 (opposizione d i entrambi i luoghi, Betlemme o Nazaret e Ge· rusalemme). 5 Sulle rimanenti corrispondenze alla fine del vangelo cf. vol. IV, intr. a 26, 1 -28,20, nr. 1 . 1 ; a 28,1 -8, nr. x; comm. a 28,Io. 6 Nollanda, 284 s. , trova superflua la stella per il viaggio verso Betlemme e si meravi­ glia che Erode si sia rivolto ai magi per l'informazione, quando avrebbe potuto avere molti altri informatori. Queste non sono incongruenze ma tratti leggendari. .

.

r8r

MT. 2, 1 - 1 2

2. Redazione. Anche la nostra pericope risente fortemente della mano di Matteo: 1 solo raramente si trova materiale linguistico non attribuibile a lui.2 Se non si ritiene che Matteo possa avere completamente inventato la pericope,3 allora si deve ipotizzare che egli abbia messo per iscritto per la prima volta un passo della tradizione tramandato oralmente. La citazione di compimento ai vv. 5b s. può essere, in teoria, estrapolata dalla pericope; ma non è verisimile, sulla base del suo vocabolario, che sia stata scoperta da Matteo: solo la locuzione introduttiva è matteana 4 e non contiene il verbo 1tÀTJp6w tipico delle citazioni di compimento. Chiaramen­ te Matteo non volle mettere la formula di compimento in bocca ai sommi sacerdoti e agli scribi perché ostili. Il testo della citazione differisce da tutte le forme note del testo di Mich. 5 , 1 : si tratta di una citazione mista la cui frase di chiusura deriva alla lettera da 2 Sam. 5,2 (forse inserita in virtù del­ la somiglianza a Mich. 5,3 ). Potrebbe risalire a Matteo per la sua prossimi­ tà ai LXX e poiché contiene il concetto di popolo di Dio così importante per Matteo. Risale forse a Matteo anche yi] 'Iot.òa., che corrisponde allo stile matteano (ma anche biblico)) Tutte le restanti particolarità della citazio­ ne 6 non risalgono all'evangelista, poiché non sono in relazione con la sto­ ria dei magi: forse la citazione è stata tramandata in modo indipendente/ r Di Matteo sono (cf. sopra, introduzione, 4 . 1 e 4.2.) nel v. I: gen. assoluto + !Bou, Év fnJ.Épctt� -roo 'Hpc!Jòou (locuzione dei LXX), yap, ìòoo, 7tctpctytvO!J.ctl (rimanda a 3 , 1 . 1 3 ); v. 2: Àiywv, yap, 11:poaxuvÉw; v. 3: à.xoooac; òÉ, eventualmente 11:aaa 'le:poaoÀup.ct (femminile forse ancora in 3.5; cf. inoltre 8,34; 2. 1 , 1 0; 2.7,25); v. 4= auvayw (dei capi giudaici 6 voi· te), àpx.te:pei:c; xaì ypap.(Lctni:c;, -rou Àaou dopo nemici di Gesù ancora in 21,23; 26,3 .47; 27,1; V. J: o[ ÒÉ, f:l7tOV COl dat.; OU'twc; yap cf. inoltre SOttO, n. 4; V. 7: 'tO'rE, Àa-8pct (richia­ mo a 1 , 1 9), xctÀÉw, qJcttvw; il v. 7 ha strette corrispondenze col v. 1 6; v. 8: 1tÉ!J.4ctc;, 71:opw­ -8dc;, 71:cttòiov (9 volte nel cap. 2) O'll:wc;, xàyw, ÈÀ-8wv con verbo immediatamente seguente, r.poaxuvÉw; v. 9= o! ÒÉ, àxoUw; v. I O : xapà IJ.E'YclÀlJ (cf. 28,8; 'X,cttpO!J.Cll xapav LXX), a�pa; v. II ÈÀ-8wv, 7tcttòtov, !L�"lJP ( 5 volte nel cap. 2), 1tt11:-rw con 7tpoaxuvÉw; v. 12: 'X.PlJ­ f1!1'tta-8Évnc; xa-r'ovap (cf. 2,22; inoltre 1,20; 2, 1 3 , 1 9 ), àvax.wpÉw (cf. 2, 1 3 s.22). 1. Sono hapax =Wìavo!J.ctt al v. 4, è11:av al v. 8, àvaxa!J.71:'tw al v. 1 2. 3 Frankemolle, ]ahwebund, 3 I o, considera redazionale la pericope con l'intero prologo. 4 Cf. 3,3; 24, 1 5 . òtà -rou 7tpoqJ�-rou senza indicazione del nome in 1,22; 2., 1 5; 1 3 ,35; 21,4; cf. 2,23 . La mancata citazione del nome è dovuta forse alla circostanza che Michea in Matteo è meno conosciuto di Isaia o Geremia. Oppure Matteo non sapeva da dove ve­ nisse la citazione (come in 2,23; 27,9 s.)? Cf. sotto, excursus «Le citazioni di compimento», S 3 · s Cf. sopra, introduzione, 4.2., tavola, s.v. yij. 6 1. L' oÙÒCI(Lwc; premesso con funzione enfatica (hapax nel N.T.) volge al contrario Mich. 5,1. l.. ljye:�J.oaw invece di 'X,tÀtaatv dei LXX risale probabilmente a una diversa puntazio­ ne del testo ebraico: 'alfe ( « migliaia» ), 'allufe ( «capi, guide»). 3 · Éx aou è un errore uditi­ vo per È!; o� (LXX) oppure è una corrispondenza al testo ebraico (mimmeka). 4· !J.Ot man­ ca prima di é!;e:Àe:oonat. Diversamente ad es. Gundry, Use, 172, che considera il testo re­ dazionale ( «Matteo fu il targumista di se stesso" ); similmente Rothfuchs, Erfiillungszita­ te, 6o s.; Francea, 2.4 1-2.4 3 · 7 L'interpretazione d i Mich. 5 , 1 i n riferimento alla nascita del Messia a Betlemme - una .•.

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I GENTILI DAVANTI AL RE DEI GIUDEI

3· Storia della tradizione. Se una tradizione è stata messa per iscritto per la prima volta dall'evangelista, sono fin dall'inizio scarse le possibilità di dire ancora qualcosa di relativamente sicuro sulla storia della tradizione. Questo vale anche per la nostra pericope: è poco realistico cercare di rico­ struire una forma più originaria della tradizione, che non presenta fratture, ma è narrata di getto e non presenta nemmeno motivi di tensione rispetto alla storia precedente e successiva. 1 Non è a mio giudizio neanche possibi­ le risalire a un racconto dei magi in origine autonomo, che non sia già sta­ to narrato nel contesto della persecuzione e del salvataggio di Gesù bambi­ no (2, I J -2 J ) . Questa posizione contraddice tuttavia l e tesi più diffuse nella ricerca. Si suppone in genere o che il motivo di Erode sia stato aggiunto a un'origi­ naria narrazione sui magi, 1 inserzione che avrebbe portato alla superflua sosta dei magi a Gerusalemme, o che una storia di Erode, originariamente alla base del cap. 2, sia stata riformulata in un secondo momento attraver­ so il motivo dei magi.3 Oppure due narrazioni in origine autonome furono unite insieme prima di Matteo o da lui ? 4 Tali teorie hanno a mio avviso poca forza di persuasione: una vicenda di Erode senza i magi sarebbe cam­ pata in aria; non si sarebbe saputo da dove Erode avesse ricavato le sue in­ formazioni sul re bambino. Viceversa, la storia dei magi è stata accostata all'episodio di Erode: i magi sono dei gentili, cosa che implica una qualche forma di opposizione a Israele. Inoltre, in numerosi casi paralleli di perico­ lo corso da un re bambino, maghi e astrologi svolgono un ruolo importan­ te, sicché la loro presenza non è affatto un corpo estraneo. I tentativi di scomposizione sul piano della critica letteraria e della storia della tradizio­ ne «risolvono >> a mio parere problemi che nell'attuale narrazione, comple­ ta e compatta, non esistono affatto.s aspettativa diffusa tra i giudei m a niente affatto ovvia - corrisponde a Tg. Mich. 5,1 (te· sto in Bill., I, 8 3 ). 1 A prescindere dal fatto che qui non compare Giuseppe. Ma in 1 , 1 8-25; 2, 1 3-23 è il protagonista della vicenda, mentre qui non c'è bisogno di lui come protagonista. :t Hahn, Hoheitstitel, 277. 3 Così Davies-Allison, I, 194 s. (la storia «davidica » dei magi (vv. 1 s.9b- u ] fu aggiunta secondariamente alla storia di Erode, antitipica all'aggadà di Mosè). 4 Brownh, 109. 192; similmente Nolland0, 29 1 . 29 3 . Davisb, 420, e Zinnikerb, 24-29, ipo­ tizzano che la storia dei magi di 2, 1 - 1 2 sia stata inserita secondariamente in un « blocco su Giuseppe». Soares-Prabhu, Formula Quotations, 269-298, distingue una fonte sui ma­ gi 2,( 1 s.)9b-u da una fonte su Erode 2,( 1 s.)3-9a . 1 6- 1 8, mentre attribuisce a una fonte della storia del sogno 2, I 3 - 1 5 . 1 9·21 come continuazione di 1 , 1 8-25. 5 Un esempio: se si separano i magi dalla storia di Erode, costui non ha più alcuna in­ formazione né alcun informatore. Brownh, 1 09, deve perciò escogitare un sogno di Ero­ de che lo informi del nuovo re, e Nollanda, 294, gli fa inviare proprie spie a Betlemme per avere informazioni. La mia conclusione è che la storia di Matteo è molto meglio di quelle di Brown e Nolland.

MT. 2, 1 - 1 2

4 · Motivi e analogie storico-religiose. Tra le analoghe storie di un re bam­ bino la più prossima alla nostra e a 2, 1 3 -23 è la aggadà di Mosè: astrolo­ gi (Tg. ]. a Es. 1 , 1 5; So r. 1 2; Es. r. 1 , 1 8 a Es. 1 ,22) 1 o scribi (los. Ant. 2, 20 5 ) profetizzano la nascita di Mosè al faraone che si spaventa (los. Ant. 2,206) e concepisce il piano dell'uccisione del bambino. Le tradizioni su Mosè hanno probabilmente influenzato la nostra storia, che però, al tempo stesso, si dimostra rispetto a esse così peculiare - soprattutto perché in Mt. 2 i magi stanno dalla parte di Dio - che non può essere considerata in al­ cun modo una semplice imitazione della aggadà di Mosè. Resta da spiegare il motivo della stella. Nelle fonti ellenistiche si narra di una cometa in occasione della nascita di Mitridate e nell'episodio di Ne­ rone in Svetonio... Si narra di comete o di altre manifestazioni luminose anche per la nascita di divinità.3 Sulle monete di Alessandro, dei diadochi, di Cesare, di Augusto, ma anche di Alessandro Ianneo e di Erode si trova una stella come simbolo del re:� Inoltre è diffusa l'idea che ogni uomo ab­ bia la sua stella, quelli importanti e ricchi una luminosa, gli altri una poco appariscente, che sorge nel momento della nascita e si spegne al momento della morte.5 Su questa concezione si basa l'astrologia popolare di quei tempi. Nella tradizione giudaica troviamo una stella nella storia di Abra­ mo bambino, che viene perseguitato da Nimrod. 6 Le testimonianze sono però tarde: un «grande segno in cielo>> è menzionato in Apoc. 1 2, 1 . Più spinosa è invece l a questione se s i debba pensare alla profezia di Balaam sulla stella discendente da Giacobbe (Num. 24,17). L'interpreta­ zione messianica di questo passo era diffusa. 7 Anche nella storia di Balaam un profeta gentile sventa i piani di un re malvagio annunciando che Dio è con Israele (Num. 23,2 1 ) e che in Israele sorge un sovrano. Nelle tradizioni più recenti Balaam viene considerato un mago. 8 Che i lettori cristiani pen­ sassero a Balaam lo dimostra la storia della interpretazione.9 D'altra parte la stella non viene identificata col messia, come nell'interpretazione di Num. r Paralleli più tardi in Blochh, 109, e sotto, p. 1 8 5 n. 1 . dust. Epit. 1,37,2 (ed. O . Seel, 1 9 3 5 ); Suet. Nero 3 6 . Una cometa è, secondo Tac. Ann. 14,22, presagio di una mutatio regis. 3 Paus. 2,26,5 (Asclepio); apparizioni luminose per la nascita di Mitra nella grotta (M.j. Vermaseren, Mithras, Stuttgart 1965, 59 s.). 4 Kiichlera. 5 Plat. Tim. 4 1 e (ci sono tante stelle quanti uomini); Horat. Epist. 2,2, 187 (il genio gui­ da la stella natale di ogni uomo); Plin. Nat. Hist. 2,28 (dove combatte questa concezio­ ne astrologica popolare che existimat vulgus); ulteriori esempi in H. Usener, Das Weih­ nachtsfest, Bonn 3 1 969, 79 s. n. 26. Un esempio giudaico è Midr. Sal. 148, § x (tt. A. Wiinsche, n, 248). 6 Testi in Bill., I, 77 s. 7 Esempi in Bill., I, 76 s., inoltre CD 7, 1 8-21; 4QTest 1 1 - 1 3 ; x QM 1 1 ,6 s.; Test. Lev. 18,3 (cristiano?); Test. lud. 24, 1 (cristiano? ); Apoc. 22,1 6; ulteriori occorrenze in StrobeJa, 1069 s. 8 Philo Vit. Mos. 1 ,276. 9 Secondo Iust. Dial. 1 06,4 e Orig. Cels. 1 ,6o i magi conoscevano le profezie di Balaam (da allora la notazione ricorre spesso; cf. Riedinge�, 1 3 9- 1 42).

I GENTILI DAVANTI AL RE DEI GIUDEI

24, 1 7. Reminiscenze letterali della storia di Balaam di Num. 22-24 sono relativamente esigue in 2, 1 - 1 2. I Tra i magi che compaiono nella aggadà di Mosè e Balaam vengono certo stabilite corrispondenze nella tradizione giu­ daica, ma gli esempi sono molto tardi. 1 Conclusione: il testo rende relati­ vamente facile per i suoi lettori il richiamo della storia di Balaam come in­ tertesto: se poi questo corrisponda a un indirizzo di lettura voluto dall'au­ tore, rimane incerto.J Soprattutto nella letteratura più antica si è fatto ripetutamente riferi­ mento all'episodio del re armeno Tiridate, che - egli stesso mago - insieme ai magi, con un seguito e in pompa magna, si recò a Roma per rendere omag­ gio a Nerone. 4 Non è possibile dimostrare che questa astuta mossa politi­ ca, cui diedero vita come attività di pubbliche relazioni Tiridate e Nerone per reciproco vantaggio nell'anno 66 d.C., abbia fornito l'impulso alla crea­ zione della nostra pericope. Probabilmente questo viaggio fu intrapreso an­ che in seguito a una vistosa apparizione celeste: 5 il viaggio dei magi a Be­ tlemme, fatto per rendere omaggio non a un sovrano in carica, ma a un bam­ bino, sarebbe una controstoria eversiva del viaggio di Tiridate. Che però questo episodio fosse presente alla memoria di molti dei primi lettori, è ve­ risimile: proprio questo era stato lo scopo del viaggio - pagato da Nerone - di Tiridate e del suo seguito, che comprendeva diverse migliaia di perso­ ne, dalla terra d'Armenia a Napoli. 5 . Storicità. La nostra storia è una leggenda raccontata in modo conciso e scarno, che non si cura dei criteri di verisimiglianza storica. Lo dimostra­ no le domande senza speranza degli interpreti: perché Erode non ha asse­ gnato almeno una spia ai magi ? 6 Come poterono l'intero popolo di Geru­ salemme e gli scribi insieme all'odiato re Erode spaventarsi per l'avvento del messia ? Anche la stella non è descritta realisticamente, cioè in modo plausibile dal punto di vista astronomico. Nella ricca bibliografia astronomica riguardante il nostro testo 7 sono soprattutto tre le possibilità di spiegazione: I . una supernova, che però non è documentabile per quel tempo; 2. una cometa: quella maggiormente citata, La più appariscente è la ricorrenza di �UIJ-OW e È!J.7tGti�w in Mt. 2, 1 6 e Num. 22,27.29. I Va inoltre segnalato ib' avGt'tOÀwv in Mt. 2, I e Num. 23 ,7· :1. Iannes e Iambres, entrambi sommi sacerdoti del faraone, sono considerati figli di Ba· laam in una fonte più tarda Ualkut Shimoni a Es. 2, 1 5 ). Secondo Sefer ha-]ashar 239, Balaam stesso spiegò al faraone il sogno (secondo Bourkeh, 1 62 n. 1 5 ). Cf. anche Ginzberg, Legends n, 254-256. 3 Similmente Mayordomo-Marinb, 286 s. 4 Dio Cass. 63,1-7; Plin. Nat. Hist. 30, 1 6; Suet. Nero 1 3 ; Tac. Ann. 1 5 ,24; Ios. Ant. 20, 74: vi si richiama soprattutto Dieterich0, 9-14; la ricerca più recente è scettica; dà un giu­ dizio positivo Frenschkowskib, 23 s. 5 Strobeta, 1086, accenna a una quasi congiunzione di Giove e Matte nell'estate del 66. 6 Montefiore, Gospels n, 457: «l'azione di Erode è incantevolmente ingenua » . 7 Ferrari d'Ochieppo ( 1 977)0, 1 2.4- 1 3 0 (bibl.); Hughesa, 9 3 - 1 94.

MT. 2, 1 - 1 2 la cosiddetta cometa di Halley, dell'anno 1 2/I I a.C.; giunse però troppo presto per la nascita di Gesù. È da prendere più seriamente in considera­ zione una cometa (o una nova ? ) 1 documentata per l'anno 5/4 a.C. da astro­ nomi cinesi; 3 · la congiunzione di Giove e Saturno, che nell'anno 7/6 a.C. si verificò tre volte: fu ben visibile ed era stata predetta da astronomi babi­ lonesi} Essa ben si adattava alle circostanze, dato che Giove è l'astro del re e Saturno, in quanto astro del sabato, era talora ritenuto l'astro dei giudei.4 Di tutti questi tentativi si può dire che a nulla servono per la spiegazione della nostra storia. Matteo ha voluto raccontare di una stella prodigiosa che sorse in Oriente, precedette i magi sulla strada da Gerusalemme a Be­ tlemme (dunque da nord a sud) e si fermò sulla casa dove si trovava il bam­ bino. Da un punto di vista filologico àa-r�p indica un singolo astro, non una costellazione (aa-rpov).5 Nelle congiunzioni di Giove e Saturno degli anni 7/6 a.C. i due pianeti non furono mai così vicini da apparire come un'uni­ ca stella. 6 Ciononostante, non si può naturalmente escludere la possibilità che nella memoria delle comunità sia sopravvissuto il ricordo di qualche particolare fenomeno astronomico al tempo della nascita di Gesù.? In conclusione, a sfavore dell'esistenza di un nucleo storico depone l'ele­ mento che Luca non conosce niente di simile; peraltro l'episodio dei magi non potrebbe assolutamente trovare posto nella storia della nascita così co­ me è narrata in Luca. 8 Anche i genitori di Gesù sembrano non saper nulla 1

Lagrange, 2.3, racconta come egli stesso abbia osservato questa cometa in Palestina nel 1910. z. Montefiorea, 1 4 3 ; Hughesa, 148- 1 5 2.. 3 Così soprattutto Ferrari d'Ochieppo ( 1 99 1 )a, 47-70: la luce zodiacale rilevabile sopra Betlemme avrebbe ulteriormente rafforzato l'effetto (67 s.). Riguardo al cosiddetto ca­ lendario astrale di Sippar e sulla tavola dei pianeti berlinese d. Stauffer, }esus, 3 5 e Fer­ rari d'Ochieppo ( 1977)a, 5 5-58. 4 A d ò potrebbero rinviare Tib. 1,3,1 8; Tac. Hist. 5,4; Frontin. Strat. 2., 1 , 1 7 (ed. G. Gun­ dermann, 1 8 8 8 ) e Dio Cass. 3 7 , 1 7 s. 5 Cf. Boll0• 6 Comunicazione del mio collega di Gottinga H.H. Voigt. 7 Ad un singolare neorazionalismo si piega quasi tutta la ricerca conservatrice, che vuo­ le salvare la storicità della vicenda. Per esempio P. Gaechter, che tra l'altro afferma: «l magi sapevano dove si trovava Betlemme . . . conoscevano direzione e condizioni del per­ corso . . . prima verso sud, lungo la strada per Hebron, poi una deviazione a sinistra» . Quando durante i l viaggio videro l a stella, « restava poco da guidare, una tale guida era superflua . . . che la stella li precedesse era una constatazione in un certo senso di caratte­ re generale» (GaechterD, 2.90). Chi tenta di salvare la vicenda dal punto di vista storico riducendo il suo carattere prodigioso ne demolisce il significato. 8 L'anno di nascita di Gesù in Matteo non è conciliabile con Le. 2.,1 s. così come non lo sono la presenza, in Luca, di Gesù a Gerusalemme quaranta giorni dopo la sua nascita (Le. 2,2.2.) e il suo ritorno in Galilea (Le. 2,39) con la visita, in Matteo, dei magi a Be­ tlemme e la fuga in Egitto. L'o!xlcx di Matteo (v. 1 1 ) non si accorda con la stalla presup­ posta da Luca così come non si accorda con la grotta dei Padri della chiesa (a partire da Iust. Dia/. 78,5 e Orig. Ce/s. 1,5 1 ). A risolvere le contraddizioni è di poco aiuto l'osser­ vazione, frequentemente ripetuta a partire da Eus. Quest. Steph. 1 6,3 (PG 22, 936), che

r86

I GENTILI DAVANTI A L RE DEI GIUDEI

di eccezionali avvenimenti in occasione alla sua nascita (Mc. 3,3 1-3 5 ) . In breve, non è più possibile cogliere un nucleo storico; al contrario, le nume­ rose tradizioni parallele nell'ambito della storia delle religioni rendono com­ prensibile l'elaborazione della storia. Risultato: non c'è - io credo - un nu­ cleo storico in questa storia. I Certamente, tuttavia, la narrazione fornisce informazioni sulla comunità cristiana in cui fu concepita. È una comunità che ha familiarità con le tra­ dizioni giudaiche come pure con alcune tradizioni ellenistiche; è relativa­ mente aperta, come la maggior parte degli uomini del tempo e come anche molti giudei, verso l'astrologia. 2 Questa comunità, nella sua situazione, può considerare ormai solo come ostile il giudaismo; diversamente che in Luca, presenta il re bambino Gesù ornato già nella culla con oro e spezie. Nel suo orizzonte trovano posto i magi gentili ed essa dispone, come in particolare dimostra 2,22, di una certa formazione storica. Si tratta forse di una comunità cittadina in una regione non completamente giudaica? Anche qui l'interprete si trova di fronte al problema di come trattare una storia la cui storicità è inverisimile. E poiché uno dei primi intenti di questa storia è l'annuncio della guida rassicurante di Dio, il proble­ ma si aggrava ulteriormente: una guida che è solo raccontata è molto simile a un'illusione. Dove sta l'azione concreta di Dio, di cui la storia vuole parlare ? Qui non si deve cercare una risposta facile. Per la comu­ nità il presupposto di questa storia era il volgersi di Dio ai gentili, l'espe­ rienza della (propria ? ) protezione dagli attacchi dei nemici (giudei ?), la consapevolezza della vittoria di Gesù sul potere secolare e quindi la fe­ de nella potenza del Signore Gesù risorto. L'interpretazione deve dun­ que prestare attenzione a ciò che questa story vuole testimoniare: il pre­ dicatore che ne fa uso viene interrogato riguardo alle sue esperienze per­ sonali corrispondenti a questa testimonianza.

Storia degli effetti. La storia dell'interpretazione mostra che è possibi­ le identificare cinque fondamentali dimensioni di significato che hanno sviluppato la testimonianza del testo, e cioè a) interpretazioni cristologi­ che e soteriologiche di vario tipo; b) una interpretazione storico-salvifi­ ca in riferimento alla futura chiesa formata da gentili; c) interpretazioni relative alla religiosità del singolo o della comunità, all'interno delle qua­ li i lettori si identificano con i magi; d) interpretazioni politiche; e) riferì­ alla fine del censimento le condizioni abitative a Betlemme erano migliorate. Certamente però la stalla si addice ai pastori così come la casa ai magi. I Nonostante le posizioni contrarie di studiosi recenti come Yamauchia; Hagner, 1, 25; Keener, 98. 2. Cf. spec. StrobeJa, 1029- 1087. 1 1 1 2-1 1 22; per il giudaismo cf. specialmente i frammen­ ti d'oroscopo a Qumran; ulteriori occorrenze, anche rabbiniche, art. cit., 1 078- I o8 I .

MT.

2, I - I 2

mento alla guida d i Dio, che non lascia perire il bambino Gesù. Queste diverse dimensioni di significato si sono, di norma, completate recipro­ camente. Riporto qui alcuni esempi, in successione non cronologica ma sistematica.

a) L'interpretazione cristologica. Un'interpretazione molto antica concepi­ sce la venuta di Cristo come la fine di ogni magia. 1 I magi, così intende Giu­ stino, Dia/. 78,9, si sono liberati dal demone malvagio della magia e con­ vertiti a Cristo. Per Clemente Alessandrino è sorta con Cristo una > su ciò che accadrà nella storia del­ la passione. Il v. 4 lo conferma: Erode raduna 3 gli appartenenti alla ca­ sta dei sommi sacerdoti 4 e gli scribi, che sono indicati esplicitamente co­ me scribi del popolo (di Dio).5 Questa serena armonia di Erode con tut­ ti gli scribi risulta di nuovo sorprendente per i lettori, che non hanno ancora un'immagine del tutto negativa degli scribi quale si rivelerà alla fine del vangelo: essa tuttavia fornisce indicazioni tanto più chiare sulla prospettiva del narratore. Erode interroga gli scribi circa il luogo di na­ scita del Xpta-r6ç. Il titolo 6 lascia intendere che Erode teme, più che un semplice rivale, il messia di Israele.

1 Cf.

sopra, p. 1 8 3 nn. 4 e 5 · Mayordomo-Marfnb, 290-292, mostra che i l verbo 'tapclcrcrofLat esprime una sensazione negativa in considerazione di un fano spiacevole. 3 cruwiyw è la forma redazionale preferita e viene spesso utilizzata per i capi giudaici (23,34·4 1 ; 26,3. 57; 27,62; 28, 1 2). L'ipotesi di Browna, 1 8 3 n. q, secondo cui con que­ sto verbo potrebbe essere suggerita un'associazione con cruvaywy�, non è infondata. 4 > anziché «figli (maschi) » (riga 3 ) . La citazione potreb­ be essere sfruttata in quasi tutte le forme testuali per il suo scopo attuale: la forma che il testo presenta oggi non va dunque spiegata come adattamen­ to al contesto attuale. ' La più grande difficoltà è rappresentata dall'indica­ zione locale «in Rama » , poiché questo luogo si trova a nord di Gerusalem­ me. Tale difficoltà sarebbe potuta essere rimossa, se Matteo avesse seguito anche nella prima frase LXX A, dove l'indicazione ebraica del luogo è tra­ dotta Èv ,;ij ulj!e:Àij.2 Conclusione: forse l'evangelista aveva a disposizione la citazione già in questa formulazione, che si adatta solo parzialmente. Il v. 23 è del tutto misterioso. L'esegesi 3 dimostrerà che anche questa citazione è tradizionale. Dal punto di vista contenutistico tutte e tre le citazioni sono davvero particolari: propriamente potrebbero essere usate quasi solo in relazione a una delle consimili vicende giovanili di Gesù raccontate da Matteo. A mio parere mostrano che la storia della nascita era nota nella comunità mattea­ na ed era già stata oggetto di riflessione da parte degli scribi in una fase nar­ rativa orale. 4 Matteo non ha plasmato liberamente il suo materiale. 4· Motivi. Anche il nostro testo presenta numerosi paralleli con le nar­ razioni antiche della persecuzione e del salvataggio del re bambino. 5 Ai narratori giudeocristiani della nostra storia era particolarmente familiare la Pamm. 5 7,7 ( BKV n/1 8, 276) questo passo è un esempio della necessità del ritorno alla Hebraica veritas. 1 La forma «figli (maschi) » attestata dall'ebraico e dai LXX sarebbe stata molto più adat­ ta, poiché vengono uccisi solo bambini. 2 Questa traduzione, pur non accolta, ha un ruolo fondamentale nel medioevo nell'am­ bito dell'interpretazione allegorica: Hier. In Mt., ad loc.: vox in excelso audita est; Glossa Ordinaria, ad loc.: la voce della chiesa piangente sale in alto al trono del sommo giudice. 3 Cf. sotto, ad loc. 4 Cf. sotto, ai vv. 1 3 -23. 5 Cf. sopra, tavola alle pp. 1 4 1 ss. Per la fuga di un bambino minacciato si pensi in par­ ticolare a Ciro (Giustino), Mitridate (Giustino), Gilgamesh, Abramo, Leto, Iside; per il motivo della morte di altri bambini cf. Mosè, Ciro, Abramo, Augusto, Nerone e Romolo.

LE CITAZIONI DI COMPIMENTO

20 5

tradizione del salvataggio di Mosè bambino in Egitto e dell'uccisione dei fanciulli di Israele a opera del faraone. 1 Anche Matteo, quando racconta il ritorno di Giuseppe dall'Egitto ai vv. 1 9 s. con le parole veterotestamentarie che narrano il ritorno di Mosè con la sua famiglia da Madian in ( ! ) Egitto (Es. 4 , 1 9 s.), è consapevole delle corrispondenze tra le sue tradizioni e la storia di Mosè. :r. Ma non è che la storia di Mosè sia stata direttamente ap­ plicata a Gesù. Nella storia della nascita di Mosè non c'è una fuga dei ge­ nitori col bambino; per Mosè l'Egitto non è il rifugio, ma la terra della mi­ naccia. Secondo Es. 4, 1 9 s. Mosè adulto fugge dall'Egitto e vi torna con la sua famiglia dopo la morte dei suoi nemici.3 Mt. 2, 1 3 -21 è una storia nuo­ va rispetto alla aggadà di Mosè, da cui risulta ispirata e cui corrisponde in più punti, ma che anche contraddice su alcuni singoli punti. Ci si può per­ ciò chiedere se il richiamo alla migrazione di Giacobbe in Egitto ( Gen. 46, 2-7) abbia potuto offrire un ulteriore punto di aggancio. Anche Giacobbe si reca in Egitto in seguito a un ordine divino ricevuto in una visione nottur­ na.4 Particolarmente interessante sarebbe un midrash su Deut. 26,5-8 - an­ tico, ma di datazione incerta -, che interpreta il viaggio di Giacobbe in Egit­ to come fuga da Labano.5 Non vi è tuttavia alcuna corrispondenza lingui­ stica tra Mt. 2,1 3 s. e Gen. 46. Anche nel contenuto vi sono una serie di im­ portanti differenze,6 cosicché non risulta dimostrabile una corrispondenza. 5. Storicità. Né la ben nota crudeltà di Erode 7 né la circostanza che l'Egit­ to sia stato da sempre il luogo di rifugio per i perseguitati in Israele 8 aiuta­ no molto: ogni saga o leggenda si ricollega a situazioni storiche generali e 1

Materiale in Blochh, 1 1 7- 1 20, e in Allison, Moses, 142- 144. 1 5 2. L'allusione diviene evidente grazie al plurale n..9v�xa.ow presente in Matteo e altrimen­ ti non spiegabile. 3 Sulle differenze tra Mt. 2, 1 3 -23 e la aggadà di Mosè cf. Crossanh, 1 3 0 s.; Nolan, Son, 88 s. Quindi in Mt. 2, 1 3 -23 l'ultimo liberatore non è esattamente uguale al primo, come sostiene il passo tardo di Pesiq. 49b Midr. Rut a 2, 14 (5,6) (Bill., 1, 86 s.). Se è stata mantenuta una corrispondenza, è quella tra Erode e il faraone. 4 Gnuseh, 101, e soprattutto Soares-Prabhua, 234-236, vedono nell' opa.(J-CJ. di Gen. 46,24 un'analogia particolarmente stretta e un modello letterario per gli ordini dati in sogno di Mt. 1-2. 5 Discusso da L. Finkelstein, The Oldest Midrash: Prerabbinic ldeals and Teachings in the Passover Haggadah: HTR 3 1 ( 1 9 3 8 ) 29 1-3 1 7, tenuto presente soprattutto da Daube, New Testament, 1 89- 1 9 2; Bourkeh, 1 67-1 72; Caveh, 387 s. Daube rimanda in special modo al carattere «semistraniero» di Erode e Labano, all'ordine divino di fuga in Egitto comunicato in sogno e a Rachele, moglie di Giacobbe. 6 Cf. la critica articolata della tesi di Daube in Vogtle, Gottessohnh, 43-53; mancano corrispondenze testuali con Gen. 46; Labano non è un sovrano; nel midrash di Labano e Giacobbe manca il bambino a causa del quale avviene la persecuzione. 7 Per questo A. Schalit, Konig Herodes, Berlin 1969, 648 s. n. I I , e Francea considerano attendibile la strage dei bambini. Ass. Mos. 6,4 (cf. 2) parla di un •re insolente» : «ucciderà i vecchi e i giovani » . 8 Cf. sotto, p. 206 n. 3 · :r.

=

206

EXCURSUS

narra avvenimenti che avrebbero potuto accadere. I I numerosi legami con la aggadà di Mosè inducono a pensare anche la nostra storia come una narrazione aggadica ispirata da quella di Mosè. Singoli aspetti rimangono incomprensibili sul piano storico, per esempio perché quell'astuta volpe che era Erode abbia atteso così a lungo fino a che non gli restò più altra scelta che il ricorso a una strage dalle conseguenze politiche pericolose. La nostra storia inoltre si allaccia alla tradizione, forse non storica, della na­ scita di Gesù a Betlemme. In questo coincide con Luca, ma solo in questo, perché per il resto non c'è alcuna analogia con l'altro evangelista. Solo un punto va preso in seria considerazione: ci si deve chiedere se non ci sia un nucleo di verità dietro la tradizione di un soggiorno di Gesù in Egit­ to. Anche fonti giudaiche conoscono questa tradizione e certo in una reda­ zione che nella sua forma più antica esclude a mio parere una dipendenza da Matteo. z. Se la pericope è nelle parti essenziali priva di storicità, acqui­ sta però notevole importanza il suo profilo teologico e anche - come sfondo storico - la situazione della comunità matteana separatasi dal giudaismo. Anche questa sezione anticipa - come parte del prologo matteano - al­ cuni punti fondamentali dell'intero vangelo. Ma ciò è rilevato solo dai lettori cristiani che meditano ancora una volta sul prologo dopo avere letto o ascoltato l'intero vangelo. I J - I S . Il primo episodio ai vv. I 3 - I 5 tratta della fuga in Egitto. L'Egitto è una terra di gentili, ma i lettori giudeocristiani penseranno anzitutto a come nella storia di Israele l'Egitto sia sempre stato il luogo di rifugio per i perseguitati.3 L'estrema stringatezza evidenzia che cosa I Come argomento principale per la storicità di questa vicenda vale sempre l'osservazio­ ne che «queste erano cose che . . . sarebbero senz'altro potute accadere in quel tempo e in quel luogo>> (Franceh, 259). 2. Che Gesù sia stato in Egitto e vi abbia appreso la magia ci è testimoniato da diverse fonti rabbiniche. Tipologie fondamentali sono: la tradizione di Joshua ben Perahja in Sanh. 107b e parr.; la tradizione di ben Stada in Shab. 104b e parr. (testi in Bill., I, 84 s.). Il carattere secondario di questi testi rispetto al N.T. è sostenuto da J. Maier, Jesus von Nazaret in der talmudischen Oberlieferung, Darmstadt 1 978, 1 27- 1 29. 203-210. 255 s. Rimane però la notizia tramandata da Celso (Orig. Ce/s. 1,28 . 3 8 ), secondo cui Gesù adulto avrebbe lavorato come lavoratore a giornata in Egitto. Che Gesù sia fuggi­ to in Egitto da bambino, è noto anche a Celso (Orig. Ce/s. 1,66): questo raddoppiarsi del soggiorno egiziano di Gesù in Celso potrebbe dipendere dall'idea che solo un adulto può apprendere la magia. Ma da dove deriva la notizia che Gesù abbia lavorato come lavoratore a giornata? Si ha qui un'informazione che non è comprensibile né come svi­ luppo delle tradizioni di Mt. 2 né come polemica anticristiana. 3 I Re 1 1 , 1 7 (Hadad); I Re 1 1 ,40 (Geroboamo); 2 Re 25,26 (il popolo); Ger. 26,21 (Uria); 4 1 , 1 7 (il popolo); 43,4-7 (il popolo); Ios. Ant. 1 2,387 s. (Onia Iv); 14,2 1 (i giu­ dei nobili al tempo di lrcano I); 14,374 (Erode); 1 5,42-49 (Alessandra al tempo di Ero­ de); Ios. Bel/. 7,4 1 0 (i sicari).

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interessa al narratore: sulla vicenda di Gesù si stende il disegno e la ma­ no di Dio. È solo la guida di Dio che salva il bambino. Al centro stanno il bambino e sua madre; Giuseppe è presente come protagonista diretto da Dio, non come padre: egli, come indicato dalla ripetizione dell'ordi­ ne dell'angelo ai vv. 1 4 s. (e 2 1 ), appare come colui che ubbidisce.1 La fuga avviene di notte, cioè subito, in gran fretta. La formula introdutti­ va alla citazione di compimento esprime col verbo 1tÀ1Jp6w l'idea del pia­ no di Dio. Come in 1 ,22, è Dio stesso che pronuncia la sua parola. E più ancora che in 1 ,22 appare qui evidente che ciò avviene in funzione del titolo uloç: Dio stesso parla di suo figlio.� Questo titolo è per Mat­ teo straordinariamente importante: è il solo titolo cristologico dell'inte­ ro capitolo.3 È un titolo che in questo passo i lettori possono compren­ dere solo in base alle loro conoscenze tradizionali giudaiche: o si richia­ mano al fatto che nella Bibbia Israele è il figlio di Dio (Es. 4,22 ecc.), che Dio ha richiamato dall'Egitto ( Os. 1 1 , 1 ), e in tal caso collegano al titolo di figlio un momento della tipologia di Israele: 4 in Gesù si ripete e si completa l'esodo dall'Egitto; oppure possono richiamarsi al fatto che il figlio di David, il messia, sarà figlio di Dio in quanto siederà sul trono di David come re. 5 L'espressione > è per Matteo la parola «Egitto >> , 6 che deve richia­ mare alla memoria dei lettori l'esodo del popolo di Israele e far sì che essi colgano questo: ciò che per Israele è ben noto da tempo ed è fonda­ mentale si compie qui in modo nuovo, al tempo stesso noto e non noto. I lettori che hanno dimestichezza con la Bibbia percepiscono che l'azio­ ne di Dio nel suo figlio ha un carattere fondamentale, si riallaccia al tem­ po stesso alle esperienze fondamentali di Israele e le porta a compimen­ to in modo nuovo. 1 Cf. sopra, a 1,19.24 s. In 2, 1 - 1 2, dove Giuseppe non ha alcun ruolo, coloro che ubbi­ discono sono i magi. 2 Pesch ( 1967)h, 4 1 1 -4 1 3 . Cf. sopra, pp. 170 s. n. 6. 3 Kingsbury, Structure, 46. 4 Naturalmente Matteo intende la citazione di Osea come profezia: Matteo non ha la con­ sapevolezza, comune a panire da Zwingli, 208, a 2, 1 8 ( « detorquet haec verba ad Chri­ stum » ), e Calvino, 1, 201 , che la sua interpretazione non corrisponde al senso originario. i 2 Sam. 7, 14; Sal. 2,7; 89,27 s.; 4QFior J, I O- I J ; 4Q246 2, 1-9 ( ?); Hen. aeth. 105,2 (so­ lo nella versione etiopica); 4 Esd. 7,28 s.; I J ,J 2·37·52· 6 StendahJh, 97, e Strecker, Weg, 58, sottolineano che l'inserimento della citazione è avve­ nuto sulla base del lemma •Egitto» . Ma non si tratta del semplice interesse biografico di documentare, a partire dall'A.T., le singole stazioni della vita Iesu (così Strecker), bensì di un'affermazione cristologica alla quale si fa allusione con indicazioni geografiche.

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È incerto se nell'intenzione dell'evangelista sia collegata a «Egitto» anche l'idea di una terra di gentili. 1 Sebbene tale pensiero fosse senz'altro possi­ bile, nulla nel testo vi fa riferimento: si tratta presumibilmente di un ele­ mento secondario, non ulteriormente sviluppato nella storia.

16- 18. Il breve episodio della strage dei bambini a Betlemme crea un contrasto di grande effetto: narra della pericolosa ira di Erode e indica, pertanto, la gravità del pericolo cui il bambino è scampato. Che l'azio­ ne di Erode abbracci l'intera regione di Betlemme e comprenda tutti i bambini sotto i due anni dimostra la malvagità del tiranno. L'introdu­ zione alla citazione di compimento è di nuovo volutamente variata: la strage dei bambini non avviene perché si compia la Scrittura. Di una diretta responsabilità di Dio nella morte dei bambini non si dice nulla. La citazione da Ger. 3 1 , I 5 porta, ancora una volta, davanti agli occhi dei lettori l'idea del disegno di Dio: anche questo fatto spaventoso era stato predetto dai profeti. Al tempo stesso si getta nuova luce sulla strage e su Erode: la strage dei bambini non è un'azione indolore se la capostipite Rachele a Rama 2 piange per i suoi figli. Erode non può es­ sere il vero re dei giudei se uccide i figli di Israele a causa di Gesù. Il re dei giudei che perseguita il messia bambino Gesù distrugge, così facen­ do, i figli di Israele. Analogamente Matteo dimostrerà in seguito che il no di Israele a Gesù porta una maledizione sui suoi figli ( 27,25 ).3 Il pianto della capostipite riceve così nel contesto del vangelo matteano una dimensione di fondo di tipo prolettico. 1 Fozio di Costantinopoli (in Reuss, 272) e Teofilatto, 1 68, collegano 2, 1 - 1 2 e 2, 1 3 -23: Gesù ha santificato Babilonia ed Egitto. La leggenda ha ulteriormente sviluppato questo aspetto; cf. sotto la storia degli effetti. In Chrys. In Mt. 8,2 (PG 5 7, 84) babilonesi ed egiziani sono considerati soprattutto dei senza Dio; in Melantone, 144, la santificazione dell'Egitto - terra considerata particolarmente peccaminosa - diviene rappresentazione della giustificazione «sola gratia » . 2. Molte difficoltà presenta l'indicazione locale è v 'P11[J.Ii. A partire d a Gen. 3 5, 1 9 e 48,7 c'è una tradizione che colloca a Betlemme la tomba di Rachele, a differenza di 1 Sam. 1 0,2. Per la tradizione sulla localizzazione a Betlemme cf. Iub. 3 2,34; Iust. Dial. 78,8; tSo�. u , n ; Hier. In Mt., a 2, 1 8; Chrys. In Mt. 9,3 (PG 57, 179) (nell'« ippodromo» vi­ cino a Betlemme); J. Jeremias, Heiligengriiber in Jesu Umwelt, Gottingen 1 9 5 8 , 7 5 n. 2. Anche nel mosaico di Madaba Rama viene collocata a Betlemme (con citazione da Mt. 2, 1 8 ). Forse Matteo non era a conoscenza che Rama, nel territorio di Beniamino, si tro­ va a nord di Gerusalemme. 3 In 27,25 e nella forma matteana del testo di Ger. 3 1 , 1 5 compare -tÉxv11 e molti inter­ preti pensano che Matteo in grazia di questa corrispondenza abbia mutato u!oUc; nel te­ sto di Ger. 3 1, 1 5 (ad es. Gnilka, I, 5 3 ; Knowles, jeremiah, 37): non lo si può escludere, ma tanto meno lo si può dimostrare.

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I lettori moderni restano colpiti da come per Matteo non si ponga un pro­ blema di teodicea in relazione alla sofferenza dei bambini innocenti. Per l'evangelista si tratta della battaglia tra Dio ed Erode, il nemico di Dio. I bambini innocenti compaiono per così dire soltanto sullo sfondo di questa battaglia. Matteo non si cura del fatto che Dio salvi suo figlio a spese di in­ nocenti. Anche la storia dell'interpretazione se ne occupa solo con una cer­ ta esitazione. Erode aveva sicuramente trovato nella sua terribile morte la sua meritata punizione, come si sapeva da Giuseppe (Beli. r , 6 s 6-6 5 8 ) . Gio­ vanni Crisostomo, che si è occupato segnatamente dei bambini innocenti, sa che da loro non sarebbe comunque derivato nulla di buono, poiché non può esserci alcuna sofferenza umana innocente. 1 La maggior parte degli in­ terpreti non lo ha però seguito su questo punto: per loro i bambini erano innocenti. È stato loro permesso di morire per Cristo, perché questo era me­ glio che vivere nel peccato. 1 Su questa base non era difficile passare all'idea che la sofferenza dei bambini innocenti potesse essere intesa come martirio e additare questi bambini nella parenesi come modello di tutti i martiri.3 Sotto questo segno si è poi posta anche la festa dei bambini innocenti cele­ brata il 28 dicembre; non sorprende che sulla base di queste premesse si sia poi potuto tranquillamente accrescere il numero dei bambini morti.4 1 9-2 I . Il ritorno dall'Egitto avviene in due tappe e di nuovo è in pri­ mo piano l'idea della guida di Dio e dell'obbedienza di Giuseppe. Mat­ teo rievoca il ricordo del periodo egiziano d'Israele (Es. 4, 1 9 s . ) . La for­ mulazione « nella terra d'Israele» , che corrisponde a una tipologia espres­ siva biblica e rabbinica,5 è scelta consapevolmente: Gesù, figlio di Da­ vid e di Abramo, torna nella terra del popolo cui è destinato il suo invio. 22. In particolare tensione con quanto detto sopra si colloca la preci­ sazione inserita da Matteo al v. 22: la famiglia di Giuseppe, in virtù di un ordine divino, torna non in Giudea, ma a Nazaret in Galilea.

Matteo si dimostra ben informato storicamente: il figlio di Erode, Arche­ lao, che dopo la morte del padre nel 4 a.C. assunse il potere in Giudea e Samaria, aveva una reputazione peggiore dei suoi fratelli e incontrò perciò difficoltà fin dall'inizio del suo governo (los. Beli. 2, 1 - 1 3 ) : già dieci anni 1

Chrys. In Mt. 9,2 (PG 57, 1 77 s.). Magn. Serm. 37,4 (BKV I/54, 1 3 4): i bambini innocenti condividono la sofferenza di Cristo; Legenda Aurea (ed. R. Benz, Heidelberg 9 1979), 73: liberazione dal peccato ori­ ginale per mezzo del battesimo di sangue. Lutero, Hausposti/le, 1 544 (WA 5 2), 603 : pri­ ma o poi sarebbero dovuti morire; molto meglio farlo per Cristo e in stato di beatitudine. 3 Cypr. Epist. 5 8,6 (BKV I/6o, 2 1 0); Rabano Mauro, 765: Haec mors innocentium praefi­ gurat passionem omnium martyrum; la piccolezza dei bambini indica l'umiltà dei martiri. 4 I bambini sono quattordicimila nella tradizione bizantina, sessantaquattromila in quella siriaca (Hagner, I, 37). 5 Bill., I, 90 s . 2 Leo

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dopo fu sostituito da Augusto per cattiva amministrazione. Popolare e im­ precisa è l'espressione �atÀEUst, poiché Archelao era emarca e non ricevet­ te mai il titolo di re (cf. Mc. 6,14). Non sembra del tutto sicura neanche la designazione di Nazaret come m)Àtc;, trattandosi di un villaggio evidente­ mente poco importante e mai citato nelle fonti giudaiche. 1 Ma nel greco biblico di Matteo 7tOÀtc; indica semplicemente un «insediamento umano de­ limitato »/ corrispondente all'ebraico 'ir. Si è tentato anzitutto di intendere i due versetti 22 s. come semplice passaggio geografico: poiché Gesù nel vangelo di Marco proviene da Nazaret fin dall'inizio (Mc. 1 ,9 ) , deve in qualche modo farvi ritorno. La citazione di compimento al v. 23 dimostra tuttavia che Nazaret per Matteo ha un'importanza più profonda: questa citazione è una crux in­ terpretum,3 poiché non è possibile rintracciarla nell'A.T. e perché il si­ gnificato di Ncx�wpcxioc; non è chiaro. Bisogna distinguere tra le seguenti domande: 1. Come ha inteso Matteo la parola Ncx'çwpcxioc;? La risposta è evidente: Ncx"çwpcxioc; è un sinonimo - ripre­ so da Matteo - di Ncx'çcxplJvoc;, usato solo da Marco.4 2. Quale significato aveva in origine Ncx"çwpai:oc;? L'accezione matteana è legittima ? Na"çwpctioc; è un nomen gentilicium che corrisponde a un aramai­ co ne�oraj o na�raj? Permangono queste tre difficoltà: a) la vocalizzazione a-w non si spiega né a partire dall'ebraico na�rat 5 testimoniato soltanto nel IX secolo né a partire dal siriaco na�rat; 6 b) la trascrizione di � con "ç e non con a è rara; c) la desinenza femminile -at sarebbe eliminata in questo nomen gentilicium. Ma per gli ultimi due punti si possono trovare analogie e la difficoltà del primo può forse essere superata ipotizzando una metatesi di /a/ in /o/.7 Un nomen gentilicium Na"çwpctioc; non è quindi comune, ma all'occorrenza possibile. Questa spiegazione è migliore di quella che lo vorI Neii'A.T. manca Nazaret, che in ambito giudaico è testimoniata solo in due lamenta­ zioni del Ix sec. d.C. come sede di un distretto sacerdotale (testi in Dalman, Orte, 52 s.). Secondo la traduzione dell'Onomasticon di Eusebio approntata da Gerolamo, Nazaret è un viculus (GCS 1 1/1, J 4 I , I s.), secondo Epiph. Haer. 29,6 (PG 4 1 , 401 ), si tratta di un villaggio. :z. H. Strathmann, 7tOÀtç x'tÀ., in ThWNT VI, 5 29,23 s. 3 Bibliografia in Zuckschwerdt", 69 n. 19. 4 In 26,7 1 NCL't;wpciioç è redazionale; le quattro occorrenze marciane di NCL'1;1Xp1Jv6ç non hanno alcuna corrispondenza in Matteo. s Il nomen gentilicium no�ri è testimoniato in Shemoneh 'e�reh, ree. palest. 1 2; A.Z. 17a e spesso nel Talmud come denominazione di Gesù. no�i potrebbe anche derivare da un ebraico no�eret non attestato. 6 Dalman, Orte, 52 s. Il nomen gentilicium nasra;ah è la denominazione più comune dei cristiani in siriaco. Cf. sotto, p. 2 1 2 n. 3 · 7 Cf. Moore0; Albright" e SchaedecO, 882 s . La corrispondente forma del toponimo na­ sorat è attestata nell'aramaico cristiano palestinese (F. Schulthess, Lexicon Syropalaesti­ num, Berlin 1903, 1 2 1 b).

LE CITAZIONI D I COMPIMENTO

2II

rebbe derivare dal nome della setta giudaica - osservante della legge - dei Naaapai'ot, I menzionati da Epifanio, nome che si sarebbe mantenuto anche nella autodesignazione mandaica n '�wr'jj'.2. 3 · A quali passi veterotestamentari ha pensato Matteo ? La risposta di­ pende dalle due possibilità seguenti: a) che Matteo abbia individuato lui stesso la citazione, oppure b) che l'abbia trovata già formulata. a) Nel primo caso, egli deve aver avuto in mente un passo scritturistico preciso. In senso stretto, può essere preso in considerazione soltanto Giud. I J , 5 ·7; I 6, I 7, dove i LXX A traducono nazir con Nal:tpai'oç.3 Il mutamen­ to di vocale in Nal:wpai'oç potrebbe essere stato compiuto da Matteo stesso attraverso un procedimento esegetico che corrisponde all'interpretazione rabbinica 'Al-Tiqrij.4 Tutti gli altri passi proposti 5 devono essere accanto­ nati nel caso di Matteo, poiché non si basano sui LXX, ma sul testo ebrai­ co. Anche se si ammette che Matteo conoscesse l'ebraico, resta molto diffi­ cile pensare che i suoi lettori grecofoni non abbiano potuto comprendere personalmente questa nuova argomentazione scritturistica. b) Se Matteo aveva già a disposizione la citazione, 6 si può pensare a molti passi, poiché in questo caso la fonte della citazione potrebbe essere stato il testo ebraico originario. In primo piano c'è quindi il passo di Is. I I , I - interpretato i n senso messianico anche nel giudaismo - sul germoglio dal tronco di Jesse.? Gli esegeti hanno inoltre fatto ancora altre proposte, che però aiutano poco, perché qui forse già Matteo si trovava in imbarazzo. 8 Matteo infatti usa il plurale ÒtCÌ 'twv 7tpocpYj'twv molto probabilmente perché I Epiph. Haer. 2.9,6, 1 (PG 4 1 , 400). Epifanio distingue questi nasarei giudaici dai nazi­ rei veterotestamentari e dai nazorei cristiani. Le sue notizie sono molto dubbie. 2 Sostengono questa derivazione M. Lidzbarski, Mandaische Liturgien, 192.0, XVI-xix; Black, Muttersprache, 197-2.02.; K. Rudolph, Die Mandaer (FRLANT 74) I, 1960, I I 2.­ n8. La derivazione dell'autodesignazione mandaica dalla denominazione siriaca dei cristiani nasraja a mio avviso resta tuttavia probabile esattamente come quella dal nome della setta di Epifanio, che resta molto incerta. 3 L'interpretazione di Mt. 2.,2.3 sulla base dei nazirei veterotestamentari (soprattutto Giud. 1 3 ) è molto antica e viene sostenuta tra gli altri da Tertullian. Mare. 4,8; Eus. Dem. Ev. 7·2. ( s ) (PG 2.2., s so); Hier. In ls. 1 1 , 1 (PL 2.4, 144) (su cui Lyonnet"); Lutero, Evangelien-Auslegung I, 4 1 Tischreden, nr. 464 e nr. 2.975; Bucero (secondo Calvino, I, 107 s.); Grozio, I, s6; Schweizer"; Zuckschwerdt" (la Vor/age ebraica di Matteo legge nzir secondo il qere qiidos). 4 Lieve variazione nella vocalizzazione del testo da parte degli esegeti; cf. Bill., I, 93 s.; Bonsirven, Exégèse rabbinique et exégèse paulinienne, Paris 1939, 1 2.0-1 2.8. 5 Esempi: ls. 3 1,6 (Zolli0); ls. 40,3 (Rembry0); ls. 49,6 (Lindars0). 6 Che già prima di Matteo sia stata cercata una prova scritturistica per Nazaret non è assurdo, in considerazione dello scetticismo giudaico - tràdito da Gv. 1,46; cf. 7,4 1 s. ­ di fronte a tale origine del messia. 7 Questa interpretazione si trova ad esempio nel primo Gerolamo (Epist. ad Pamm. 57, 7 [BKV n/1 8, 2.76 s.]) ed è oggi sostenuta, tra gli altri, da Gartner", 1 0-1 8, Medebielle0 e Hengel-Merkel (v. sopra, bibl. a 2., 1 - 1 2.), 1 63 s. 8 Davies-Allison, I, 2.76-2.8 1 , citano ls. 4.3; 42.,6; 49,6; Ger. 3 1 ,6 s.; Gen. 49,2.6. =

212

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non riusciva a identificare la citazione tramandatagli e preferì pertanto una espressione indeterminata; o'tt potrebbe introdurre, come in 2.6,54, una ci­ tazione indiretta. 1 Che Gesù sarebbe stato chiamato Nazoreo era predetto nella Scrittu­ ra. Che cosa questo significhi l'evangelista lo spiega solo in seguito: Na­ zaret per lui si trova nella > (Rom. 1 0,5 = Lev. 1 8,5 ). Per Matteo e altri autori cristiani che scrivono dopo la rottura tra la comunità e Israele, questa affermazione non era più possibile: essi do­ vevano rivendicare programmaticamente l'intero A.T. Frankemolle ha espresso questo concetto con grande acutezza: « Il rapporto con Israele si è interrotto; si combatte per l'eredità >> } Nella situazione in cui Israe­ le e la comunità si fronteggiano ostilmente come due fratelli separati, ambedue dovettero rivendicare per sé l'intera eredità dei padri per prin­ cipio e in modo definitivo. Il nostro excursus richiede due notazioni finali, che intendono porre i lettori di questo commento di fronte a un dilemma: 1 . C'è una storia degli effetti indiretta di questa programmatica ri­ vendicazione dell'A. T. da parte di Matteo e del cristianesimo primitivo, che si è rilevata funesta: la storia della polemica antigiudaica nella teo­ logia cristiana dimostra che parole dell'A.T., specie quelle dei profeti, sono divenute, nella lotta della chiesa contro i giudei, armi intellettuali 1

Unica eccezione: Giac. 2,23 . Luca usa per questo in 2 1 ,22 7ttfL7tÀl]fLt. 2 Anche Luca in verità conosce 7tÀ7Jpow in questo senso (4 volte), ma egli evidenzia il ca­ rattere fondamentale della sua rivendicazione della Scrittura con 1t> . 3 Questi è precisamente colui di cui fu detto dal profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la strada al Signore! Raddrizzate i suoi sentieri! >> . 4 Ma egli, Giovanni, aveva il suo vestito di peli di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi; il suo nutrimento consisteva in locuste e miele selvatico. 5 Allora Gerusalemme si recava da lui e l'intera Giudea e tutti i dintorni del Giordano 6 e si lasciavano battezzare da lui nel fiume Giorda­ no confessando i loro peccati. 7 Ma quando egli vide che molti farisei e sadducei venivano al suo bat­ tesimo, disse loro: « Razza di vipere, chi vi ha avvertito di fuggire dall'ira che verrà ? 8 Portate allora un frutto che corrisponda al pentimento. 9 E non pensate di poter dire tra voi: 'Noi abbiamo come padre Abramo' perché io vi dico, che Dio può far nascere figli ad Abramo da queste pietre.

MT. 3 , 1 - 1 2

22 7

Ma ora la scure è posta alla radice degli alberi; pertanto ogni albero che non porta un utile frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco. I I Vi battezzo con l'acqua per il ravvedimento; chi viene dopo di me è più forte di me; non sono in grado di portargli i calzari; egli vi battezzerà con lo Spirito santo e il fuoco. I2 Nella sua mano c'è il ventilabro, e ripulirà il grano trebbiato; e raccoglierà il grano nel suo granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile >> .

ro

r.

Struttura. Dopo la notizia sulla comparsa del Battista (v. I ) segue quel che

è più importante per Matteo, cioè l'annuncio del regno di Dio (v. 2) e la ci­

tazione dalla Scrittura (v. 3 ) . Solo dopo vengono narrate le precise circo­ stanze della sua venuta (v. 4) e la reazione della popolazione giudaica (vv. 5 s.). A tutto ciò ben si collega l'invito al pentimento rivolto a farisei e sad­ ducei. Tutta la seconda parte del testo, vv. 7b- 1 2, è una continua predica del Battista. Poiché Matteo ha già cominciato con la predicazione del Battista (v. 2), è evidente che è questo il punto centrale. La parola guida di questa predica è 7tup, il fuoco della giustizia (vv. IO. I I . 1 2). È inoltre in rilievo la ra­ dice (J-E:'t'ocvo- (v. 2, la prima parola del Battista; v. I I ). La predica comincia con una sequenza di rimprovero (vv. 7b-9b). La sequenza di minaccia che se­ gue poi (vv. 9c-1 2) riprende nuovamente (J-� òOçlJ't'E: ÀÉye:w Èv Éocu't'otç (v. 9a) in netto contrasto con ÀÉyw yà.p U(J-tV (v. 9c) e culmina in una serie di brevi espressioni sul giudizio esercitato da colui che è più forte (vv. I I -1 2). Poi­ ché Matteo - come Q ma diversamente da Marco - antepone > . 1 0 Allora Gesù gli dice: «Vattene, Satana! In­ fatti sta scritto: 'Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai' >> . 1 1 Allora il diavolo lo abbandona ed ecco si presentarono angeli e lo servirono. 1 . Struttura. All'interno di una cornice narrativa (vv. 1 - 2. 1 1 ) abbiamo una esposizione tripartita. 7tveutJ.�X (v. I ) e u{oç ('toù -8eoù) (vv. 3 .6) forniscono il collegamento con la pericope precedente. Le tre tentazioni si presentano con un minimo di requisiti narrativi, perciò l'attenzione si concentra sulle citazioni scritturistiche centrali. Fra le tre tentazioni ci sono ampie corri­ spondenze: l'iniziativa parte sempre dal diavolo che per due volte « porta >> (m:tp�XÀ�X(J.�civet) con sé Gesù. Per tre volte Gesù gli risponde con una cita­ zione (tre volte yÉyp�X7t't�Xt) dal Deuteronomio. Le tentazioni del diavolo crescono progressivamente: dal deserto Gesù viene condotto al tempio; sul­ la cima della montagna, alla fine, è in gioco il dominio sul mondo intero. ' Per due volte i l diavolo fa riferimento alla figliolanza divina d i Gesù (el u{Òç e:l' 'toù -8eoù); si tratta quindi della conferma della proclamazione di Gesù quale figlio di Dio in 3 , I 7. La terza tentazione pretende infine, del tutto esplicitamente, l'adorazione del diavolo, ma si conclude al v. I I con il suo definitivo allontanamento e con l'arrivo degli angeli. Formalmente la storia rimanda alle tentazioni a opera del diavolo così come sono raccontate da pii giudei. :t Un parallelismo particolarmente stret­ to presentano le narrazioni rabbiniche che parlano, sulla scia di Gen. 2 2, della tentazione di Abramo a opera del diavolo: anche qui Abramo e il dia­ volo argomentano con citazioni bibliche.3 La richiesta del diavolo a Gesù di compiere miracoli non ha alcun parallelo nei testi giudaici, ma richiama la tentazione di Buddha a opera di Mara.4 Le storie delle tentazioni di Ge­ sù sono quindi una variazione molto particolare di una forma letteraria non ancora ben fissata. 1

7tliafZç 'tàç �fZaLÀELfZç 'tou xéap.ou si oppone alla 13tza1M:IfZ 'twv oùpavwv annunciata da Ge­ e da Giovanni (4, 1 7; 3 ,�). 2 lub. 17,16-x 8; 1 8,9. 1 � (Abramo); Test. Iob 6-8; Mart. Is. s; Gen. T . s6 ( 3 5c) (Bill., I, 140); Apoc. Abr. 13; Sanh. 89b (Abramo). 3 Sanh. 89b (testo in Davies-Allison, I, 3 5� s.); cf. anche Gen. T. s 6,4 (H. Freedman - M. Simon [edd.], Midrash rabbah 1, 1 1 9 8 3 , 463 s.). 4 Cf. sotto, pp. �so s. n. 8. Non c'è però qui alcun influsso indiano sulla tradizione di Ge­ sù; piuttosto, la tentazione di compiere miracoli satanici affonda le sue radici nella stessa tradizione di Gesù (richiesta di un segno). sù

LA TENTAZIONE 2. Fonti. Matteo ha accolto questa pericope da Q sostanzialmente senza alterazioni, e anche la successione delle tentazioni. A questo riguardo pare molto più verisimile supporre che Luca abbia voluto far terminare a Geru­ salemme la serie di tentazioni piuttosto che il contrario, cioè che Matteo abbia voluto collocare la scena della montagna alla fine. I Per l'introduzio­ ne (vv. I s.) e la conclusione (v. I I ) Matteo ha utilizzato anche la redazio­ ne marciana di Mc. I , I 2 s., ben più antica da un punto di vista di storia della tradizione. Il dettato di Q è del resto sostanzialmente certo grazie a concordanze letterali molto estese. :r. Le poche aggiunte redazionali chiari­ scono la struttura del testo: l'introduzione ai vv. I-Jacx corrisponde alla conclusione del v. I I (due volte 'ron; 7tpoaeÀ'I9wv o 7tEtpc1�wv l èiyyeÀot 7tpoa­ ijì.'l9ov), mentre vengono accentuate le corrispondenze tra le tentazioni ( 7tcxpcxÀcxtJ.�cXvEt l 7tcXÀtv 7tcxpcxÀcxtJ.�cXvEt 3 [ vv . 5 .8]). Matteo introduce inoltre dei «segnali>> che nelle successive pericopi evocano nei lettori richiami al no­ stro passo: si tratta di U7tt:X"(E �CX'rt:X'\Ia (v. IO; cf. I 6,2J ) e opoç ù4lJÀÒv Àtt:X'\1 (v. 8; cf. 5 . I ; I ? , I ; 28, I 6).4 Tra le altre aggiunte redazionali 5 la più impor­ tante è l'integrazione della citazione di Deut. 8,3 al v. 4, riproposta alla lettera secondo LXX A. 6 3 . Origine.7 Nella fonte dei logia la pericope fa parte delle creazioni più recenti: a mio parere si è costituita in un'epoca relativamente tarda senza una diretta dipendenza dalla storia della tentazione marciana, quindi si tratta di una creazione della comunità. Lo stesso Gesù ha parlato, in un contesto del tutto diverso, della sua vittoria su Satana (Le. Io, I 8; I I ,2I s.). Il nostro testo non è una rappresentazione immaginifica di particolari espe­ rienze di Gesù, e neanche il resoconto di una visione, ma vuole essere una rappresentazione di eventi reali in un linguaggio mitico. Il presupposto del suo costituirsi va cercato, da una parte, nel diffuso topos della tentazione di importanti figure religiose (ad es. Buddha, Zarathustra, Eracle), 8 dall'alI

Così Donaldson, ]esus, 88-90. Ciononostante la documentazione della discussione in Heila occupa 4 79 pagine. 3 Cf. sopra, introduzione, 4.2, a proposito di Ton, 7tpoa-Ép'X,O!.I.c:tt, 7tc:tpc:tÀc:t(J-(Xivw. 4 Matteo, che pure preferisce òtli�Àoc;, lascia crcx'!cxvlic; in bocca a Gesù. Anche Mt. 4,8 a mio parere corrisponde essenzialmente al testo Q, mentre in 5,1; 28, 1 6 la montagna è dovuta al lavoro redazionale. 5 Da un punto di vista linguistico si segnalano come matteane le forme: oonpov (v. 3 ); ò ÒÉ (v. 4); ay (cx 7tOÀL> . 1 7 Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: « Cambiate vita, poiché il regno dei cieli è giunto vicino>> , 1 . Struttura. Una delimitazione chiara è difficile. Il v. 1 7 viene inteso da mol­ ti autori come nuovo punto di partenza, precisamente come inizio della pri­ ma sezione principale del vangelo. Ma à:1tÒ -.on intende stabilire proprio un legame coi vv. 1 2- 1 6 . .. A ciò, da un punto di vista critico-letterario, corri­ sponde il fatto che la nostra sezione amplia il sommario marciano di 1 , 1 4 s.: Mc. 1 , 1 4 ha l a sua corrispondenza i n Mt. 4, 1 2, mentre Mc. 1 , 1 5 ce l'ha in Mt. 4,17. Nel mezzo Matteo ha inserito il v. 1 3 , il trasferimento di Gesù da Nazaret a Cafarnao, e i vv. 14 s., la corrispettiva citazione di compi­ mento. Solo dopo il trasferimento di Gesù a Cafarnao, con cui si compie la profezia di Isaia, può aver luogo la predicazione galileana di Gesù. Il testo quindi è tripartito: a) L'inizio dei vv. 1 2 s. costituisce il passaggio geografico dal cap. 3 op­ pure da 2,22 s. e prepara quanto segue. I vv . 1 2 s. corrispondono nella for­ mulazione a 2,22 s. (citazione di compimento inclusiva). Ciò che accade ai 1

Il testo originario (controverso per la critica del testo) suona Nal:apti (con B•, Z, N ' ecc.). Contro Krentz, Kingsbury (cf. sopra, p. 41 n. 2), con Neirynck, 'A1tÒ 't'an (v. sopra, bibl. dell'introduzione, 1 ); cf. sopra, p. 43 n. I. Anche in 1 6,21 l'espressione IÌ1tÒ 't'O't'E �p�a't'o ha funzione di collegamento. 2.

GESÙ NELLA GALI LEA DELLE GENTI

vv. r 2 s. si ripeterà in J4, r 3 : anche lì Gesù viene a sapere della sorte di Gio­ vanni e si ritira. b) I vv. I 4- I 6 offrono un commento del narratore sul trasferimento di Gesù nella forma di una puntuale citazione di compimento. c) Il v. I ? contiene l'asserzione principale - l'inizio della predicazione di Gesù con la sua prima parola di predicazione - sottolineata per mezzo di due verbi: XlJpucrcre:tv Xll.t ÀÉye:tv. Esso è formulato come la predica di Gio­ vanni in 3,2 e in modo molto simile alla predica ai discepoli in I 0,7.

2. Redazione. Nei versetti di cornice I 2 e I ? l'evangelista è responsabile delle variazioni dal testo di Marco. 1 Il NIX�!Xpci in evidenza al v. I 3 potreb­ be essere una reminiscenza di una frase andata perduta nella fonte dei lo­ gia, frase la cui traccia si trova ancora pure in Le. 4, I 6. � Il resto del v. I 3 è redazionale e in esso Matteo collega una notizia antica sul trasferimento di Gesù a Cafarnao (cf. sotto) con le parole di Is. 8,23 s. (ZIX�ouÀwv, Ne:­ tp-81XÀtf1-, 7t1Xp1X-81XÀcicrcrtoc;). La formulazione è forse già influenzata anche da Mc. I , I 6 (7tll.pà 't�v -8aÀil.crcrll.v). Il v. I 3 è dunque redazionale, ma cionono­ stante profondamente influenzato dalla tradizione.3 3 · Il dettato della citazione di compimento 4 non corrisponde né al testo ebraico, né ai LXX né al targum, mentre è molto vicino al testo masoreti­ co.5 Nella sua prima parte la citazione è abbreviata rispetto a tutte le for­ me testuali veterotestamentarie note, tra l'altro attraverso l'eliminazione di tutte le forme verbali. Pertanto l'importanza ricade sulla seconda parte del­ la citazione tratta da Is. 9 , I ; Is. 8,23 fornisce solo una serie di soggetti de­ terminati da espressioni avverbiali per l'aoristo dòe:v. Colpisce, poi, il se­ condo verbo civÉ'te:tÀe:v, poiché questa traduzione dell'ebraico nagah (Àcif1-7te:tv) non si impone e non è neanche attestata altrove. Ci si può chiedere se qui non traspaia un richiamo a Num. 24, I 7.6 Inoltre il dettato della cita­ zione presuppone presumibilmente un'interpretazione messianica di Is. 8, 1 Cf. sopra, introduzione, 4.2. Matteani sono al v. 12 &:xoooaç BÉ, &:vaxwpÉw, raÀtÀala, al v. 1 7 (CÌ7tÒ) 'ton, �atÀda 'twv oùpavwv. 2. J.M. Robinson et al. (edd.), The Criticai Edition of Q, Leuven 2ooo, 42. 3 Cf. sopra, introduzione, 4.1 (participio) e 4.2: matteani sono xa'taÀe:l7tw, ÈÀ-/)wv, xa'tm­ xÉw, 3pta. Del tutto matteana è l'introduzione alla citazione di compimento al v. 14; cf. sopra, excursus «Le citazioni di compimento», S § 1 - 3 . 4 Cf. spec. Stendahl, School, 104-1 06, e Soares-Prabhu, Formula Quotations, 84-105. 5 Solo a l T M corrispondono i l doppio -yij collegato d a xal, gli aoristi e:l8e:v e cìvÉntÀe:v, xa-B�(Le:voc;. Solo ai LXX corrispondono la forma Ne:q>-/)aÀt(L e axt!Ì -/)ava'tou; ai LXX si ci­ collega la totale soppressione dei verbi al v. 1 5 ; a LXX A corrispondono inoltre o8ov -/)a­ Àaaa-lJc;, b xa.{)�(Le:voc;. Mov -/)aÀaa-CII]c; corrisponde anche ad Aquila e a Teodozione. C'è inoltre da domandarsi se non abbiano esercitato la loro influenza Sal. LXX 1o6,1o (xa-/)lJ(LÉVouc; Èv O"XO'te:L xaì a-xt� -/)ava'tou) e Is. 5 8 , 1 0 (cìva'te:Àe:i Èv 't� O"XO"tEI 'tÒ q>Wc; aou). 6 Cf. Soares-Prabhu, Formula Quotations, 100.

MT. 4 , 1 2- 1 7 23 s., vale a dire un'interpretazione cristiana, poiché nel giudaismo il passo non è stato interpretato in senso messianico. 1 Anche gli aoristi depongono a favore di questa prospettiva messianica. Dobbiamo dunque pensare a una traduzione cristiana ad hoc del passo ? Ma questa traduzione non può risalire a Matteo, :z. poiché l'evangelista viene a trovarsi in notevoli difficol­ tà con questa formulazione della citazione. La meno rilevante è che 1tÉpav 't'ou 'Iopòlivou sia del tutto superfluo, perché ciò che conta è esclusivamente > . Perché quindi Matteo non ha proceduto anche qui a un'eliminazione, visto che era già stata soppressa una gran parte di Is. 8, 23 ? La difficoltà maggiore invece risiede nella totale inadeguatezza di ylj Za�ouÀwv al contesto matteano. Gesù si trasferisce precisamente da Naza­ ret, che è nel territorio di Zabulon, a Cafarnao, nel territorio di Neftali: che cosa significa allora la predicazione della salvezza nella terra di Zabu­ lon, che Gesù ha appena abbandonato? È evidente che qui viene a determi­ narsi una tensione e che Matteo ha accolto la citazione solo in virtù di > in riferimento al suo contesto immediato, quello del v. 1 3 . 4 · Origine. Prescindendo da Mc. 1 , 1 4 s., Matteo utilizza chiaramente una tradizione che afferma che Gesù ha avuto una residenza fissa a Cafarnao.3 Una tradizione del genere può essere derivata solo indirettamente dal van­ gelo di Marco 4 e da altre fonti.5 Solo in Matteo presenta tratti più eviden­ ti: secondo Mt. 1 3 , 5 5 s. solo le sorelle (sposate ?) di Gesù abitano tutte a Nazaret, non però i suoi fratelli né Maria, che vive con i figli. Anche 17,24 s. vi fa riferimento: la tassa del tempio viene pagata da Gesù a Cafarnao (nel suo luogo di residenza ?). Rimane incerto di chi sia la casa menzionata in 17,25, come pure in 9,10.28. 6 Questa tradizione ha condotto certamen­ te alla formulazione del v. 1 3 , ma un ulteriore impulso potrebbe essere sta­ to fornito dal versetto marciano 1 , 2 1 tralasciato da Matteo. La situazio­ ne è interessante da un doppio punto di vista: in primo luogo, essa mostra r ls. 9,1 è stato inteso nel giudaismo in rapporto all'illuminazione prodotta dalla torà orale; cf. Bill., I, 1 62; IV, 9 6 1 . La «luce» è pur sempre il nome del messia; cf. Le. 1, 7 9 e Bill., I, 67. 1 5 1 (Pesiq. Rab. Kah. 3 6, 1 6 1 ) e 1 6 1 s. 1 Contro Stendahl, School, 106; Rothfuchs, Erfullungszitate, 6 7 - 7 0; McConnell, Law, u 9 ; Soares-Prabhu, Formula Quotations, 103 (la traduzione dall'ebraico «fatta in fun­ zione del ruolo della citazione nel vangelo di Matteo» ). 3 Cf. Strecker, Weg, 9 5 s. 4 Cf. Mc. 2, 1 ; 9,3 3 . 5 Cf. Gv. 2, 1 2: qui si parla di un viaggio d i tutta la famiglia d i Gesù a Cafarnao, con un'aggiunta (dell'evangelista ?): «non molti giorni » . 6 Con l'idea matteana d i Cafarnao quale luogo d i residenza d i Gesù diventa davvero in­ verisimile la tesi di Schweizer, secondo cui per Matteo Gesù sarebbe stato il prototipo degli asceti itineranti ( I I ; cf. 3 7 ) .

266

GESÙ NELLA GALILEA DELLE GENTI

quanto Matteo sia stato fedele alle informazioni provenienti dalla tradizio­ ne anche là dove lavora in senso redazionale e persino dove si trova in dif­ ficoltà per questa scelta (come qui per le espressioni geografiche della cita­ zione); in secondo luogo, essa dimostra probabilmente che Matteo effettua una valutazione previa del suo vangelo di Marco e lo rielabora secondo un piano, cioè sa già che tralascerà Mc. I ,2 I -28 e perciò può utilizzare il v. 2 1 . I 2 s . Dopo l'arresto del Battista Gesù s i ritira i n Galilea. Viene qui uti­ lizzato il verbo 7tcxpcxÒtÒW!J.t noto agli ascoltatori dalla storia della pas­ sione - proprio per render chiaro il parallelismo tra Gesù e Giovanni nel­ la predicazione e nel destino finale. Sui motivi soggettivi di Gesù per il ritorno, Matteo non dà alcuna informazione. 1 Gesù va dunque in Gali­ lea solo perché corrisponde al piano divino che egli operi nella « Galilea delle genti>> . E questo stesso piano vale anche per il trasferimento a Ca­ farnao. Matteo sottolinea, attraverso i rimandi alla citazione successi­ va, che tale trasferimento corrisponde al piano divino. Non dice tutta­ via perché (da un punto di vista biografico) Gesù abbia lasciato Naza­ ret e scelto Cafarnao come residenza. 1 -

I4-I6. La citazione comincia con cinque indicazioni geografiche. In­ certa rimane l'interpretazione e la correlazione delle due espressioni pre­ posizionali 3 del v. I 5 b. Si tratta di due aggiunte chiarificatrici sui due territori delle tribù di Zabulon e Neftali in I s a ? In questo caso, sarebbe presupposta una prospettiva «transgiordana >> : visto da oriente il terri­ torio delle due tribù si trova « al di là del Giordano» .4 Oppure il v. I 5 b 1 A partire dalla chiesa antica il ritorno in Galilea viene interpretato come fuga dai ne­ mici del Battista, ad es. in Chrys. In Mt. 14,1 (PG 57, 2 1 7) (Ge�ù fugge dall'odio dei giudei presso i gentili) e in Lohmeyer, 63 ( «segretezza di una fuga umana» ). Da un pun­ to di vista linguistico à:vctxwpÉw può essere inteso in questo modo. Si va però incontro alla difficoltà che Matteo non avrebbe saputo che Erode, il tetrarca della Galilea che aveva fatto giustiziare Giovanni, regnava anche su Nazaret e Cafarnao. Matteo tuttavia mette in parallelo 4, 1 2 s. con 2,22 s., dove si parla di fuga. Matteo sapeva che Erode Antipa aveva fatto giustiziare Giovanni fuori della Galilea? 1 Ciò che > rimane un territorio di Israele. 3 Perciò il v. I7 appartiene al nostro testo per il suo contenuto, e non solo in base alla fonte Marco. Matteo sottolinea chiaramente il legame con i vv. I 3 - I 6 per mezzo di tÌ:7tÒ 'tO'tE e pone qui una base teologica per l'intera attività di Gesù in Galilea, descritta in 4,

2 J - I 9, I .

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GESÙ NELLA GALI LEA DELLE GENTI

fetica. Essi giungono alla salvezza perché la �aatÀe:ta viene sottratta ai ca pi di Israele ( 2 1 ,4 3 ) . La nostra citazione diviene così espressione di una rivendicazione fondamentalmente polemica che Matteo avanza nei con­ fronti della Bibbia di Israele all'indomani della separazione tra la comu­ nità e la sinagoga e dopo la distruzione di Gerusalemme.

Storia degli effetti. Nell'esegesi ecclesiastica la fondamentale funzione polemica della nostra citazione non è stata, di norma, colta: di conseguen­ za solo raramente la citazione ha operato in senso antigiudaico. La ragione di ciò risiede nell'interpretazione di « Galilea >> in uso a partire da Eusebio: 1 la Galilea è formata dalla •• Galilea dei giudei >> e dalla «Galilea delle genti» . Conseguentemente, i l nostro testo intende l'invio d i Gesù a i giudei, i l po­ polo che giace nell'oscurità, e ai gentili, coloro che vivono nel paese e nel­ l'ombra della morte.:z. È interessante notare come sia stata soprattutto l'in­ terpretazione allegorica ad avvicinarsi alla finalità di Matteo: «Gesù si tra­ sferisce dalla Giudea presso i gentili . . . la 'grande luce' è Cristo e lo splen­ dore del vangelo, non più la legge ».3 1 5 s. È molto difficile valutare come Matteo abbia interpretato le al­

tre espressioni della citazione a prescindere da « Galilea delle genti» . Il . Ma Calvino sottolinea che quanto nella profezia di Isaia si rivendica non è stato ancora ottenuto perché > davanti a Gerusalemme. Il profeta ha e predice . Il ritorno del popolo dall'esilio era forse l'inizio della luce, «in tutto il suo splendore si manifesto soltanto quando sorse il sole della giustizia, Cristo».5 Questa spiegazione di Calvino è interessante proprio perché non sot­ trae semplicemente a Israele la parola di Isaia per applicarla a un nuo­ vo popolo, la chiesa; piuttosto, il destino di Israele è come uno òc; aÙ't"ou.

MT. 4 , 1 8-22

2 73

sti ricevono un primo incarico di «pescare>> uomini ( 1 0, 5 - 1 6); con la pa­ rabola della rete da pesca l'espressione viene chiaramente precisata a partire dall'attività di missione (cf. 1 3 ,47); l'ordine di missione in 28, 19 s. chiarirà definitivamente che cosa intendesse Gesù. I due fratelli lasciano subito le loro reti e seguono Gesù. La parola àxoÀou-Biw, così importante per Matteo, appare qui per la prima volta. Per i lettori è una parola familiare, poiché anch'essi si considerano se­ guaci di Gesù. La parola e:ù-Béwç e l'abbandono delle reti, che non ven­ gono nemmeno più tirate a riva, dimostrano la totale obbedienza dei due. Altro non è detto: si lascia ai lettori il compito di «riempire >> que­ ste storie di vocazioni. Potranno pensare, ad esempio, al futuro della chiesa, che viene indicato con la parola > è stata vo­ lutamente spostata da Matteo, per sottolineare, come al v. 20, che i due chiamati da Gesù gli obbediscono completamente. Le parole conclusive dei due episodi ai vv. 20 e 22 sono esattamente parallele (o! òè: e:ù-Biwc; àcpévnç . . . -ljxoÀou-BlJcra.v a.ù-rcj)) e indicano che cosa stia a cuore all'evan­ gelista, cioè l'obbedienza dei chiamati, che per i lettori, che si considera­ no seguaci di Gesù., sono figure di identificazione.

(llX'I9lJ-r�ç. Matteo narra in questo passo l'inizio della storia di Gesù: fin dal principio, non appena Gesù ha cominciato la sua predicazione del regno dei cieli, i discepoli sono con lui; fin dal principio sono testimoni della sua opera, ascoltano la sua predicazione, sono i primi tra i futuri apostoli ( 10,2). Già all'inizio della sua storia Gesù indica il loro desti2. Battona, 1 3 0.

2 74

LA CHIAMATA DEI DISCEPOLI

no: saranno pescatori di uomini. Saranno gli apostoli che il Gesù risu­ scitato invierà a tutti i popoli ( 28 , 1 9 s.). In tal modo l'inizio della storia di Gesù, così come narrato qui da Matteo, è al tempo stesso l'inizio della storia della sua comunità. Ciò vale soprattutto per Pietro, il primo chiamato: egli ha una particolare importanza nel territorio della Siria, dove vive la comunità matteana. I Ma al tempo stesso il vangelo di Matteo dimostrerò di essere qualcosa di più che un racconto storico de­ gli inizi.:z. Matteo parlerà dei chiamati come « discepoli », non come « apo­ stoli» (solo in 10,2): !J-a-8lJ't�ç, a differenza di à.7t6a-.oÀoç, è un termine che consente ai lettori un'identificazione: anch'essi sono discepoli.3 !J-a-8 l]­ 't�ç è, nel vangelo di Matteo, come già in Marco, termine ecclesiologi­ co. Lo stesso dicasi per à.xoÀou-8Éw: non solo i discepoli di allora, ma anche i lettori del vangelo seguono Gesù. A ciò corrisponde il fatto che Gesù nel vangelo matteano è sempre, contemporaneamente, il Gesù ter­ reno e l'Innalzato, che rimane con la sua comunità fino alla fine del mon­ do. Così questa storia dell'origine della comunità ha un significato non solo storico, ma - al tempo stesso - anche tipologico. 4 Laddove viene annunciato il vangelo di Gesù sul regno dei cieli (4, 1 7), gli uomini sono chiamati a una totale obbedienza. Così si è formata e così si forma la Cf. sopra, introduzione, 2.2, e vol. n, excursus « Pietro nel vangelo di Matteo» , § 7· Il racconto matteano è notevolmente «difettoso» sul piano storico: in 9,9- 1 3 sarà nar­ rata ancora la chiamata di Matteo. Al v. 10,2 poi compaiono all'improvviso tutti i «dodici apostoli>> senza che si sappia come siano giunti a Gesù. 3 Cf. Luz, ]unger, 1 4 1 - r 6o, spec. 1 57. 4 Pattea, 64 ss., distingue quattro tipi fondamentali di interpretazione del testo: a) un'in­ terpretazione «storica », per la quale a determinare il senso del testo è il susseguirsi degli eventi (G. Strecker); b) un'interpretazione > ) . La composizione I Matteani sono (cf. sopra, introduzione, 4-2): v. 2J : e:ùayyÉÀtov 't"lJ> di Gesù sulla montagna - i suoi comandamenti - è al tempo stesso il contenuto della predicazione missionaria dei suoi discepoli ( 28,2o): per questo non è diretto solo ai discepoli, ma anche al popolo (7,28; cf. 5, 1 ). Il discorso etico di Gesù sulla montagna non presuppone il vangelo del regno, ma lo è. Ne consegue che annuncio e insegnamento si pre­ sentano in Matteo non come promessa di salvezza e imperativo, poiché anche l' « annuncio >> mira all'imperativo, 1 e anche l' «insegnamento>> ri­ manda al regno. Le connotazioni delle due espressioni sono diverse, in ragione dell'uso linguistico della tradizione, ma la sostanza in Matteo è la stessa. r Cf. Strecker, Weg, 1 27: l'annuncio è > , cioè co­ me progetto teologico di una minoranza che è tale sia rispetto a Israele sia rispetto alla società gentile. 1 Questo gruppo si è lasciato guidare da Gesù a una peculiare, sua regola di vita dell'obbedienza e dell'amore. La teologia matteana è fondamentalmente perfezionistica: concepisce la grazia soprattutto come aiuto nella prassi. In «sette » come la comunità matteana entrò spesso in azione la religiosità del discorso della monta­ gna. Gli esempi di storia dell'interpretazione presentati per i singoli pas­ si dimostreranno che vi sono stati sempre piccoli gruppi di questo tipo, per i quali il discorso della montagna era centrale e che si sono avvici­ nati davvero molto al suo significato. Esempi ne sono la chiesa antica dell'età precostantiniana, il monachesimo primitivo e i Padri della chie­ sa a esso vicini come Giovanni Crisostomo, gruppi medievali marginali come i valdesi, i francescani o anche i catari, i gruppi marginali dell'età della Riforma, soprattutto i battisti e anche i primi metodisti.3 Tutti co­ storo rappresentano un tipo di interpretazione perfezionistica; per tutti costoro il comandamento di Dio era un momento fondamentale e inso1

Troeltsch0, 967 s. Le prospettive aperte da Troeltsch per la storia dell'interpretazione del discorso della montagna sono state confermate anche dall'odierna valutazione della situazione storica della comunità matteana. Sulla situazione della comunità come minoranza separata e soccombente nella lotta per Israele cf. spec. sopra, introduzione, 6.3; sulla pretesa mis· sionaria di una minoranza cf. Mt. 10 (vol. u, conclusioni su 9,3 6- u , I ), sulla sua strut­ tura interna cf. Mt. 1 8 (vol. m, sul significato attuale del discorso sulla comunità) e sul­ la sua distinzione rispetto al «corpo parentale" cf. Mt. 23 (vol. m, riepilogo su 23,1-24, 2, nrr. 7-1 1 ). 3 Sull'identificazione compiuta da Wesley di vangelo e legge cf. Meistada, 144 s. 2.

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stituibile della loro religiosità e della loro vita. Sorprende la quantità di analogie rispetto al disegno matteano che si possono rilevare in questi gruppi. 1 Invece nella grande chiesa s i nota una maggiore presa di distanza nei confronti del discorso della montagna. Nella tradizione interpretativa cattolica il modello ermeneutico dominante non è l'etica a due livelli messa in evidenza dalla polemica riformata; piuttosto il discorso della montagna, a partire da Agostino e con ripetuti richiami a lui, viene in­ teso in senso perfezionistico: « il discorso . . . perfetto . . . dà forma » trami­ te i suoi comandamenti « alla vita cristiana ».1 Nel discorso della mon­ tagna «è contenuta la totale perfezione della nostra vita » . 3 L'etica a due livelli affiora invece solo nell'interpretazione di singoli passi e pe­ raltro solo relativamente tardi. Certo, assai presto singole prescrizioni del discorso della montagna sono state messe in relazione in modo par­ ticolare a singoli gruppi, ad esempio i chierici; ma solo Ruperto di Deutz (noo ca. ) introdusse il concetto di consilium nell'esegesi del discorso della montagna. 4 Entrarono allora nell'interpretazione del discorso del­ la montagna modelli monastici, precedentemente collegati piuttosto a Mt. 1 9 (e Mt. 10). Tommaso d'Aquino, la cui interpretazione rivela un importante tentativo di sistematizzazione dei comandamenti del discor­ so della montagna in rapporto a praecepta e consilia, dimostra che esso vale sempre per ogni cristiano e che solo marginalmente rappresenta la base per speciali consilia.5 La polemica dei riformatori si rivolge contro un'interpretazione che non ha caratterizzato la lettura del discorso del­ la montagna nel suo complesso neppure nella chiesa tardomedievale. Da un punto di vista sociologico si può dire, semplificando un po', che la chiesa popolare del medioevo ha nel complesso conservato, pur atte­ nuandola, la tipologia di interpretazione del periodo in cui era ancora chiesa minoritaria.6 Ha quindi mantenuto - per dirla con Troeltsch - il 1 Barbour" offre una buona introduzione alla storia dell'interpretazione che va dai mo­ vimenti pauperistici medievali ai battisti, fino ai quaccheri e ai pietisti. Vi dominò sem­ pre una « nuova etica della legge» (p. 9 1 , su Wyclif). Mt. 5 è posto in risalto dai primi anabattisti dell'età della Riforma (pp. 97 s.: Michael Sattler, Peter Riedemann). Colpisce la scarsa importanza del discorso della montagna tra i primi quaccheri. 2. Aug. Serm. Dom.0 1 ( 1 ). 3 Tommaso, Lectura, nr. 403 (in isto sermone Domini tota perfectio vitae nostrae continetur). 4 Stoll0, 50 s. 5 Tommaso d'Aquino, Summa r/n qu. 108 art. 4, parla dei tre consilia di povertà (Mt. 19,2. 1 ! ), castità (Mt. 1 9, 1 2.) e obbedienza. È interessante che Tommaso giustifichi la loro integrazione nella /ex nova con la libertà, che è tipica della nuova legge, ma mancava nei concetti latini di lex e praeceptum. 6 Erasmo, ad esempio, considera il discorso della montagna attuabile da tutti, benché

IL DISCORSO DELLA MONTAGNA tipo di interpretazione proprio del suo «passato di setta >> . La distinzio­ ne tra praecepta e consilia, sopraggiunta in seguito, è stato un tentativo aggiuntivo di integrare tradizioni interpretative rigoristiche e monasti­ che, nella lettura del discorso della montagna propria della chiesa, let­ tura che, nonostante la sua comprensione in senso perfezionistico, si al­ lontanò sempre più dal significato fondamentale del discorso della mon­ tagna. Mai però c'è stata l'idea che il discorso della montagna non va­ lesse più per i comuni cristiani; al contrario esso avrebbe dovuto guida­ re come sempre tutti i cristiani sulla strada della perfezione cristiana. In tal modo esso ha contribuito a conservare - per così dire - un granello di sale della chiesa minoritaria nella chiesa popolare. Sull'interpretazione riformata vorrei volutamente esprimere solo un paio di impressioni probabilmente molto soggettive: l'interpretazione del discorso della montagna operata da Lutero come pure da Calvino è influenzata in modo decisivo dallo scontro con i battisti. Pur come in­ terprete proveniente dalla Riforma, rimango davvero impressionato dai battisti, che non solo hanno inteso il discorso della montagna in modo esemplare, ma lo hanno anche messo in pratica. A loro si richiamerà continuamente l'interpretazione di singoli passaggi. Nei verbali di in­ terrogatori e dispute con battisti, perlopiù incolti e privi di formazione teologica, si scoprono ripetutamente momenti fondamentali di teologia matteana: la priorità della prassi sulla dottrina, la volontà di obbedien­ za, la serietà con cui viene considerato il singolo comandamento - che non si risolve semplicemente nel comandamento dell'amore -, la volon­ tà di creare una comunità basata sulla fratellanza. Nei riformatori im­ pressiona invece la possibilità per i cristiani di impegnarsi nel mondo e il tentativo di pensare l'agire in entrambi i regni sotto la linea guida dell'amore. I La loro principale preoccupazione è quella di intendere la condotta del cristiano, a partire dalla giustificazione, come condotta di una persona amata da Dio, le cui azioni sono libere proprio perché non sono opere. A partire da Matteo, che si interroga così tanto sui frutti del cristia­ no (?, 1 5-23 ), si devono però considerare le conseguenze dell'imposta­ zione dell'interpretazione riformata. Qui mi si presentano grandi inter­ rogativi: a) Tra i riformatori predominano per la prima volta i toni che sottolineano la inattuabilità del discorso della montagna." Nella storia dell'interpretainterpreti singoli comandamenti come iperboli (per es. 5,39-4 1 ; 6,28), mentre cerca di spiegarne altri razionalmente (cf. Kriiger", 1 9 1 - 1 9 8 . 198-20 1 ) . I Althausa, 2 s . I I s.; Duchrowa, 542- 5 5 2. 2 Lutero, Von Conciliis und Kirchen (WA 50), 5 62; De Servo Arbitrio (WA 1 8 ), 686 s.;

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zione precedente la tendenza di fondo era stata diversa. 1 Forse questa svolta era dovuta alla più profonda concezione del peccato da parte dei ri­ formatori e al loro modo di pensare, fondamentalmente paolino. La con­ seguenza è stata che, nella teologia di tradizione riformata il discorso della montagna, al quale da allora nessuno più poteva attenersi del tutto, è di­ venuto sempre più legge in senso paolino, cioè capo d'accusa di fronte al tribunale di Dio, dove l'assoluzione consegue soltanto in virtù della morte espiatoria di Cristo. :z. È comprensibile come questa interpretazione alla lun­ ga non abbia condotto a insistere sull'applicazione concreta del discorso della montagna, ma a una sua interiorizzazione. b) Quando può un cristiano agire indipendentemente dalle sue relazioni mondane? Lutero distingue tra un cristiano e il suo agire «in relatione» , va­ le a dire come marito, moglie, bambino, vicino o persona incaricata di un ministero.3 Ma già tra i riformatori risulta talvolta difficile stabilire dove i cristiani possano ancora comportarsi come tali. Da un punto di vista teori­ co l'impostazione di Lutero è chiara: laddove sono in gioco gli interessi del prossimo, il comportamento dei cristiani deve essere diverso da quando so­ no in gioco soltanto i loro propri interessi. Ma quando gli interessi del pros­ simo non sono in gioco? La rinuncia al possesso, per esempio, riguarda non solo il possessore, ma anche la sua famiglia. Non c'è pertanto da meraviZwingli, Von gottlicher und menschlicher Gerechtigkeit, in Hauptschriften vn, Ziirich 1942., 5 3 -64; Calvino, lnst. :z.,7, 5 . 1 L'inattuabilità d i fondo del discorso della montagna viene constatata solo dal giudeo Trifone in Iust. Dia/. 10,2.. Per la chiesa antica, invece, tale questione «di fatto non esi­ ste» (Beyschlag, Geschichte", 2.97; cf. 2.98 s. per i singoli rimandi). Per quanto riguarda i singoli comandamenti, specie la seconda, la quarta e la quinta antitesi, la questione del­ l'attuabilità viene senz'altro discussa, ma ad esempio il concetto del percorso graduale delle beatitudini presuppone l'attuabilità di fondo del discorso della montagna. Comun­ que, il giudizio di Beyschlag va un po' ridimensionato: la tesi della possibilità della per­ fezione cristiana è anzitutto una tesi pelagiana (E. Miihlenberg, in Andresen, Handbuch r, 448), dove Pelagio di fatto rappresenta gran parte della chiesa di allora (orientata in senso ascetico) . Cristo porta, al cristiano che si impegna, « la grazia, che vince, con la dottrina e l'esempio» (art. cit., 450). Gerolamo, avversario di Pelagio, si ribella: è im­ possibile che l'uomo possa rimanere senza peccato (Pelag. 1,6-9 ). Dio ha certamente da­ to comandamenti che possono essere adempiuti, altrimenti sarebbe responsabile del pec· cato (Pelag. 1, 10). Ma nessun uomo ha portato a pieno compimento il possibile che Dio gli ha assegnato, poiché nessun uomo possiede nello stesso tempo tutte le virtù (Pelag. r,:z.3 [BKV 1/1 5 , 3 4 5 -349. 3 7 5 ] ) . La concezione matteana della grazia e dell'agire uma­ no ha chiaramente una certa affinità con la concezione pelagiana della sola ( ! ) gratia. � Konkordienformel, Epitome 5,7 s., in BSLK, 4 1 9 59, 791 s. Particolarmente impressio­ nante è la conclusione dell'interpretazione del discorso della montagna di J. Brenz: «Chi - dirai allora - sarà salvo ( in misura di gran lunga maggiore dell'etica a due livelli cattolica, cioè un tentativo riuscito di addomesticamento di un testo che creava dif­ ficoltà in una chiesa popolare. L'interpretazione riformata del discorso della montagna è dunque concretamente un tentativo da parte di una chiesa popolare di fare i conti, teologicamente con un testo che nella sua essenza più profonda la contraddiceva? Dico questo consapevolmen­ te in forma interrogativa e non penso che ciò sia tutto quello si può di­ re sull'interpretazione riformata del discorso della montagna. Ma anche questo va detto. Il fascino che il discorso della montagna esercita da tempo e sempre più proprio sulle chiese riformate è tanto più comprensibile. Tra gli in­ terpreti del xx secolo si segnalano in assoluto per importanza D. Bon­ hoeffer e L. Ragaz: entrambi chiedono, senza che si possa fingere di non sentirli, una messa in pratica totale del discorso della montagna e met­ tono in guardia da una grazia interiorizzata. Tra gli interpreti del XIX secolo tutti parlano del radicale Lev Tolstoj, mentre il ricordo delle in­ terpretazioni - a loro modo grandiose - di W. Herrmann o di A. v. Har­ nack 1 si è del tutto affievolito al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Ma più di tutto quello che affascina è il testo stesso del discorso della montagna: tutto ciò indica che il suo addomesticamento è sostan­ zialmente fallito. 1 W. Herrmann, loc. cit. (sopra, p. 3 00 n. 2); A. Harnack, Das Wesen des Christentums, quarta lezione (verso la fine) - settima lezione.

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INTRODUZIONE ( 5 , 1 - 1 6)

I . I . GESÙ SULLA MONTAGNA ( 5 , 1 s . ) A ll ison, Moses, 1 72- 1 80; D on a ldson , ]esus 105- 1 2 1 . Altra bibliografia ( b ) nella se­ zione introduttiva sul discorso della montagna, M t. 5-7 (sopra, pp. 28 5-287). ,

1 Ma quando vide le folle, salì sulla montagna, e quando si sedette, i suoi discepoli gli si avvicinarono. 2 Egli aprì la bocca, li ammaestrò e disse:

Il testo si aggancia direttamente a 4,2 5 senza che sia riconoscibile un nuo­ vo attacco. Il materiale usato dall'evangelista deriva da Mc. 1 , 2 1 ; Matteo inoltre riprende da Mc. 3 , 1 3 la salita sulla montagna.1 Nonostante questa ripresa della fonte Marco, in questo passo l'evangelista si esprime in modo relativamente libero. 2 E fa emergere in questa collocazione del discorso della montagna la sua personale intenzione. Nella sua fonte Marco, Mat­ teo si trova ancora nell'introduzione alla guarigione dell'indemoniato a Cafarnao: la tralascia, sostituendola, per così dire, col discorso della mon­ tagna. Non ci sono motivi cogenti per l'omissione di Mc. 1 ,23-28.3 Dal modo in cui il testo è formulato non risulta chiaro se Gesù sia fuggito dalla folla o l'abbia istruita. Che la seconda sia l'opzione giusta sarà chiarito solo dalla conclusione del discorso della montagna (7,28 s.). Il discorso della montagna ha dunque, per così dire, due cerchie con­ centriche di uditori: i discepoli e il popolo. Dopo 4, 2 3 - 2 5 con «popolo» s'intende naturalmente quello d'Israele: Gesù non è solo il messia che lo salva, ma anche quello che lo istruisce. I primi lettori però si saranno ricordati anche del popolo a cui dovevano annunciare il vangelo di Ge­ sù. L'accostamento di discepoli e popolo esclude determinate interpre­ tazioni del discorso della montagna: non può trattarsi di un'etica per i discepoli in senso più streuo e quindi non di un'etica solo per i «per1 Mt. 4,25 già aveva rimandato a 3,7 s.; anche qui Matteo utilizza di nuovo, «in modo sinottico», più di un testo di Marco. 2. Matteani sono (cf. sopra, introduzione, 4-2): ÌÒÒJv ÒÉ (con oxÀoç cf. 8 , I 8; 9,36); oxÀot plur.; rtpocrÉpXO(.LilL + dat.; ÀÉywv. 3 Non è vero che Matteo nei capp. 8-9 «presenta solo un esempio di ogni tipo» di gua· rigione (Schweizer, 4 1 ), così da poter dire che Mc. 1 ,23-28 sarebbe superfluo accanto a 8,23-34: cf. 9,3 2 e 8,6 accanto a 9,2. Una guarigione in sinagoga si sarebbe adattata mol· to bene per Matteo alla sua concezione della storia della salvezza.

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fetti » . Esclusa è anche un'etica a due livelli. Il discorso della montagna è un'etica per i discepoli che vale però anche per il popolo che ascolta. Tutt'al più si potrebbe intendere il discorso della montagna come il di­ scorso che deve annunciare il vangelo del regno al popolo che è già proletticamente - nella sequela. ' La montagna è in Matteo il luogo del­ la preghiera ( 14,23 ), delle guarigioni ( 1 5,29 ), della rivelazione ( 1 7, 1 ; 28, 1 6 ) e dell'insegnamento ( 24,3 ): non h a perciò u n significato fisso. È probabile che all'espressione cXVCl�CltVW €te; 'T:Ò opoç Si ricolleghinO aS­ SOCiazioni all'ascesa di Mosè sul Sinai (Es. 19,3 · 1 2; 24, 1 5 . 1 8; 3 4 , 1 s.4). Anche la conclusione del discorso della montagna - 7,28 s. - si richia­ ma a questi passi. 1 Questo però non significa ancora che l'evangelista veda programmaticamente Gesù come secondo Mosè: a sfavore di que­ sto assunto depone già che qui il popolo, diversamente da Israele nel deserto, sia con Gesù sulla montagna. Rimane dunque una semplice as­ sociazione: la tipologia mosaica non è affatto la cornice di fondo al cui interno va spiegato il discorso della montagna.3 Chiaro è solo il riferi­ mento alla storia di Israele: ora Dio - tramite Gesù - parlerà di nuovo, in modo decisivo, a Israele, come allora sul monte Sinai. In quali rap­ porti stia il vangelo del regno di Gesù con la legge mosaica sarà indica­ to solo dallo stesso discorso della montagna. Gesù si siede, postura abi­ tuale anche per i maestri durante il servizio sinagogale.4 Per mezzo del­ l'espressione biblica àvoiyew 'T:Ò a'T:O(J-Cl athou 5 non si sottolinea solo la solennità, ma si rafforza anche il richiamo al carattere biblico della sce­ na. Il figlio di Dio annuncerà ora per la prima volta a Israele, dopo le sue affermazioni concise in 3 , 1 5 e 4, 1 7, il suo ) . Queste due frasi risultative sono peraltro le più lunghe. Lunghezza e composizione a cornice dimostrano che il tema «regno dei cieli» resta importante nel discorso della montagna; così Matteo riprende la parola centrale della predicazione di Gesù presentata in 4 , 1 7 . 2 3 e ora svilupperà il significato di «vangelo del regno dei cieli>> dal punto di vista del contenuto. 2 Le prime otto beatitudini, grazie alla parola Òtxawauv'"fl posta alla fine nella quarta e nell'ottava, si presentano come due 3 di lunghezza quasi uguale.4 Nelle prime quattro beatitudini inol1.

e

t Il v. 4 e il v. 5 sono scambiati nei manoscritti occidentali, forse per il parallelismo che ne risulta nella frase risultati va (3/s : oùpctvot yi]; 4/6: fine in -,9�aov"tat). Per McEieney4, 3 · 1 2 s., il v. 5 è la glossa recente di un redattore postmatteano. 2. Cf. excursus a 4,23-25· 3 Il rigore della forma si rivela negli inizi di versetto uguali ((JoGtxaptot o! o O"tt GtÙ"tot o aù-

LE BEATITUDINI tre i nomi dei proclamati beati iniziano con 7t-. 1 L'ultima beatitudine, la nona, è più lunga delle altre e contiene un'esortazione diretta alla seconda persona plurale. La sua sottolineata intenzione di interpellare la comunità continua nella successiva pericope di s , r 3-r6. In una seconda frase essa ri­ prende di nuovo il termine [.LCZXaptoL tramite 'X,CZtpne: xczl. ciyczÀÀttia,9e:, 2 pri­ ma che abbia inizio la promessa nuovamente introdotta da O'tL e giustifica­ ta poi con un confronto. Questa beatitudine è collegata alla precedente tra­ mite la parola Òtwxw, che è chiaramente importante per Matteo poiché vie­ ne nuovamente ripresa al v. 44 con la promessa di una futura figliolanza divina (vv. 9·4 5 ) . 2. Fonte. Alla base della prima, della seconda e della quarta beatitudine c'è un testo Q (Q 6,2ob-2 r ). Il testo Q potrebbe corrispondere al testo di Luca, forse senza il vuv aggiunto due volte in Q 6,2 r . All'evangelista potreb­ bero risalire invece per ragioni linguistiche 'twv oùpczvwv ( vv . J. r o) e 'tÌJv Òt­ xcztoauVYJV (v. 6). In tutte le altre aggiunte matteane alle originarie tre beati­ tudini di Q non si può dimostrare, da un punto di vista linguistico, se risal­ gano all'evangelista oppure no. Una dimostrazione non è possibile in parti­ colare per quanto riguarda l'aggiunta di 'tql 7tVEU[.LCZ'tL al v. IJ, generalmente considerata redazionale. Molto difficile è rispondere alla domanda se le beatitudini fossero in ori­ gine formulate alla seconda o alla terza persona plurale. Al genere del ma­ carismo si addice piuttosto la terza persona; perciò la seconda persona, inu­ suale rispetto al genere, ha maggiori probabilità di essere quella originaria. Se è così, allora le beatitudini sono state in primo luogo un discorso rivolto in modo diretto ai bisognosi. In seguito, presumibilmente prima di Matteo,3 sono state quindi adattate alla terza persona, la forma abituale nei macari­ smi. Oppure è stato Luca ad adeguare macarismi formulati in terza perso­ na ai «guai >> e all'ultimo, secondario macarismo dei vv. 22 s.? Anche se Lu­ ca predilige le allocuzioni dirette,4 la prima possibilità mi sembra più veri­ simile: le beatitudini lucane sono una peculiare forma mista di terza perso­ na (nella premessa) e seconda persona (nella frase risultativa ). Un adatta­ mento ai vv. 22 s. avrebbe dovuto assumere una forma diversa. 5 Il testo lu-.wv, anche nel v. 9) e nella uguale conclusione della frase risultativa con un futuro me­ dio-passivo in terza persona plurale. Le due «strofe» non sono ritmiche. 4 Due serie di trentasei parole nonostante alcune incertezze critico-testuali; i vv. 1 1 s. contano trentacinque parole. 1 Michaelis•. Betz, Sermonb, I 5 I, considera il v. I 2 come una decima beatitudine, lettura non op­ 2 portuna perché a) si distingue col suo imperativo dai!J.Otxaptot usato finora, b) la nona beatitudine al v. I I non avrebbe poi una frase risultativa. Per una confutazione di Betz• cf. Hellholm•. 3 Broer", 3 8 . 4 Occorrenze i n H.J. Cadbury, The Style and Literary Method of Luke, Cambridge 1920, 1 24-1 26. 5 La forma del testo di Luca è particolare anche per il greco. Beatitudini in seconda per-

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cano non corrisponde nemmeno alle beatitudini attestate in aramaico e in ebraico in seconda persona. 1 Forse alla forma testuale « anomala » greca corrispondeva una altrettanto « anomala » forma testuale aramaica. Anche Ev. Thom. 54 depone a favore dell'ipotesi che la seconda persona fosse originaria. In Matteo però lo slittamento di contenuto verso la parenesi e la scelta della terza persona vanno di pari passo. Le beatitudini che Matteo presenta in aggiunta a quelle di Q (vv. 5·7ro) sono redazionali? Gli studiosi presentano opinioni contrastanti.:z. Da un punto di vista linguistico si può dimostrare come redazionale solo il v. ro.3 È quindi più probabile assegnare i versetti 5. 7-9 a una recensione pre­ redazionale del testo. In queste beatitudini aggiuntive è presente una lingua fortemente influenzata dall'A. T., la quale di per sé può rinviare tanto a Matteo quanto alla comunità. 4 La riformulazione della seconda beatitudi­ ne a partire a Is. 6 1 , 2 è chiaramente prematteana.5 La riformulazione alla sona plurale non sono attestate nella grecità profana secondo Dupont, Béatitudes I, 2.77. Beatitudini al singolare sono relativamente rare e non seguono un modello preciso. Più volte attestati sono: (l�XXIiptot + frase relativa in 2.• sg. (Pind. Pyth. 5,46-49; Eur. fr. 446 [TGF]); fl�XXIiptot + nome in vocativo (Horn. Il. 3 , I 82.; Aristoph. Av. I72.5; Vesp. 12.75 · 1 5 1 2.; Nu. I 2.o6; Pax 7 I 5 ) . Altre occorrenze in Dupont, Béatitudes I, 2.77 n. I, e Strecker", 2.57 n. 1. r I rari macarismi aramaici ed ebraici in seconda persona plurale sono sempre formulati con suffisso (ad es. Is. 3 2.,2.0). Tradotto alla lettera si avrebbe l'espressione l'rxxliptot Ù(l.Etç, così ad es. Herm. Vis. 2.,2., 7; Sim. 9,2.9,3 . 2 Ad esempio Frankemolle", spec. 73-75; W alter", 2.48. 2.56 s.; Catchpole, Quest, 83-86; Brooks, Community, 8 8-90, HengeJh, 348-3 5 1 , sostengono una creazione da parte di Matteo; invece Hoffmannh, n, n8 s.; Dupont, Béatitudes I, 2.60. 2.96 s., ipotizzano una aggiunta redazionale a partire dal materiale proprio; infine Strecker", 2.59; Guelichb, I I 3II5, presuppongono l'esistenza di una fonte Q ampliata già prima di Matteo. 3 Parole matteane (cf. sopra, introduzione, 4.2.): 8twxw, 8txrxtocruvlJ. Decisive sono le cor­ rispondenze con i vv. 3 . 1 1 . 4 V. s: Sal. 3 6, 1 I LXX; v . 8 : Sal. 2.3,4 LXX; cf. Sal. 73,1 (testo ebraico). Espressioni ve­ terotestamentarie frequenti sono: xÀlJpOVO(J.Éw. .. yijv (LXX ca. 37 volte, senza contare i passi con il complemento oggetto pronominale); «vedere Dio» (soprattutto nell'uso lin­ guistico cultuale e in quello da questo derivato; ÈÀuw come discorso rivolto da Dio o con Dio come soggetto. Che le corrispondenze con l'A.T. mostrino un grado di letterali­ tà molto diverso non è argomento cogente per assegnarle solo in parte alla tradizione (contro Broer", 6o s.). 5 Tra Mt. 5,4 e i «guai» di Luca vi sono parole in comune (m:v.Stiv; cf. Le. 6,2.5b; 'ltrx­ p!IXÀ- cf. Le. 6,2.4). Credo che i «guai» di Le. 6,2.4.2.5b presuppongano già il v. 4 nella redazione matteana, poiché non è possibile supporre che Matteo avrebbe al tempo stes­ so collegato le formulazioni di due diversi > si­ gnifica, secondo l'uso linguistico semitico, non solo coloro che non hanno denaro, ma - in senso più lato - gli oppressi, i miseri, gli emarginati, gli af­ flitti, ma in nessun modo solo un determinato tipo di religiosità e/o solo una povertà interiore, sciolta da rapporti esterni. Questo è quanto emerge, I Lutero, Evangelien-Auslegung II, 56. Per l'esegesi luterana delle beatitudini in senso imperativo ma non legalistico cf. Heintzeh, 154-1 56. 2. Burchardb, 4 1 8 . 4 1 7. Una tesi simile è sostenuta da Eichhoizb, 44, e Trillinga, 8 1 . 4 Osservazione d i Migaku Sato.

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in modo relativamente chiaro, dal dato filologico 1 e inoltre dalle beatitudi­ ni parallele di quelli che piangono e degli affamati, le quali non si possono separare dai rapporti esterni. Un'ultima conferma viene dalla traduzione con il termine greco 7t-twxoç, la parola più forte a disposizione per indicare la povertà sociale. Come regola generale vale che il 7tÉV7J> non solo utilizza un vocabolo «religioso >> che oggi non è più in uso, ma suscita anche, fin troppo unilateralmente, associazioni con l'aldilà: i « beati >> , nell'uso comune della lingua tedesca, sono i morti. Le nostre beatitudini non vo­ gliono però consolare in vista dell'aldilà, ma sono un potente atto lin­ guistico che rende beati gli uomini qui e ora. 2 Conclusione: una tradu­ zione ideale in tedesco non c'è. I «poveri di spirito>> sono stati intesi variamente: 3

Bisogna chiedersi: qui TC-r:wxoc; ha 1 . il significato di una povertà reale, eco­ nomica ? Oppure significa 2. «umile>> in senso metaforico o genericamente «che non ha>> , «bisognoso » ? Il dativo può essere inteso a) come dativo strumentale o b) come dativo di relazione. TCve:u!J-a infine può indicare a) lo Spirito santo e b) lo spirito umano. Da ciò derivano diverse possibilità di interpretazione: La parola greca 7t-rwxoc; al di fuori della Bibbia non viene usata meta­ foricamente, impiego che suggerisce anche qui un significato in primo luogo letterale ( 1 ). Quindi il dativo è da intendere anzitutto come strumentale ( 1A). Se poi si intende 7CVEU!J-t:X come spirito umano (b), ne deriva il significato «povero per via del proprio spirito>> , cioè « povero per scelta >> ( 1Ab). Così si è spesso inteso, ma la formulazione presente­ rebbe qualche difficoltà." Se invece si intende 7CVEU!J-t:X come spirito divi­ no, allora l'espressione vorrebbe dire: «povero per (effetto dello) spirito divino» ( 1Aa ); 5 ma contro questa possibilità depongono il contesto e l'uso linguistico matteano. 6 Così si intenderà il dativo piuttosto come 1

F. Hauck, (.Laxtipwç x'tÀ., in ThWNT IV, J65,I?-J88,s. Hanson° propone di tradurre con «onorevole» in ragione dell'antica «cultura della vergogna e dell'onore» . Questa traduzione si adatta molto poco alle beatitudini, che so­ no caratterizzate in senso escatologico e apocalittico. 3 Bisogna interpretare il testo greco, non un Urtext aramaico o ebraico ricostruito. Lo stato costrutto, presupposto in quelle lingue, consente naturalmente ancora possibilità interpretative assai diverse, ad esempio quella prospettata da Flusser0, 107: i poveri, che hanno conservato lo spirito divino. La traduzione greca col dativo (non, ad es., col gen. di qualità) esclude però interpretazioni di tal tipo. 4 Schlatter, 133; Lohmeyer, 83 (volontaria accettazione del destino di povertà). L'idea di una povertà volontaria sarebbe stata espressa diversamente tanto in semitico quanto in greco, precisamente con ndb o r�wn in ebraico e aramaico, in greco con txwv. 5 Così ad es. Jorns0, 66 ( «coloro che lo spirito aiuta a essere poveri » ) . 6 Non induce a pensare allo spirito divino i l v . 8 (xa..9apoi 't ll xapaiq.). Nello stesso senso 2

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dativo di relazione (B), il che orienta a intendere il termine TC'T:WX.OC. in senso metaforico ( 2B). In questo caso, l'interpretazione in riferimento allo spirito divino risulta difficile, ma è stata proposta: «povero di spiri­ to divino>> ( 2Ba ). Ciò non è però possibile, poiché in greco l'idea avreb­ be dovuto essere espressa diversamente. 1 Rimane quindi l'interpreta­ zione in riferimento allo spirito umano ( 2Bb). A seconda di come si in­ tendono «povero>> e (( spirito >> vi sono diverse sfumature. Si può genera­ lizzare il significato letterale di ((povero >> e allora si intende: povero, ma non - o non solo - in senso economico, bensì riguardo all'indole, cioè ad esempio ((scoraggiato>> , ((disperato>> ... Oppure si può intendere TCve:U­ !J.tX anzitutto come vita interiore, e allora i ((poveri di spirito » sono ((co­ loro che, riguardo alla vita interiore . . . per la percezione della loro inca­ pacità di aiutarsi da sé, si presentano davanti a Dio come mendican­ ti>>.3 In tal senso si è spesso pensato al (( popolo della terra >> galileo, che non godeva di alcuna considerazione dal punto di vista religioso. Se al contrario si parte dalla sfumatura di significato che indica (( basso>> , la quale si richiama al semitico 'anaw piuttosto che al greco TC'T:wx.oc,, allora si intende (( basso in rapporto allo spirito >> non come una condizione, ma come un atteggiamento: beati sono i bassi nello spirito, cioè gli umili.4 La decisione è difficile, poiché le sfumature possono sovrapporsi. 5 Vi sono espressioni semitiche affini o magari un equivalente semitico per 7t-rwx.oì 'tql TCve:u[J.a'tt? L'A. T. conosce espressioni simili, che sono però for­ mulate con altre radici. 6 I soli paralleli diretti si trovano negli scritti di orienta anche l'uso linguistico matteano di 1tve:Up.a: Matteo caratterizza sempre lo spirito divino tramite un attributo, tranne dove il senso è del tutto chiaro grazie al contesto. 1 Ad es. con tvòe:�c; + gen. o con !J.� f.xwv + ace. Matteo avrebbe inoltre di certo completato 1tve:U(J.11 con l'attributo .Se:ou; cf. 3 , 1 6; 1 :z., :z. 8. 2 Best", 2.56 s. 3 Zahn, 1 8 3; cf. Bill., 1, 190; J. Weiss, 2. 5 9 s.; Soironh, 146 s.; Klostermann, 34; Bauer, Wb6, s.v. 1tVEU(J.11, 3 b ( e «integritas >> .8 Con ancora maggiore intensità l'interpretazione è stata stimolata dalla promessa di vedere Dio. «L'affermazione che la vita eterna consisterà nel vedere Dio» 9 ha avuto una forza particolare in quasi tutti i tempi. Una ra1 Cf. ad es. 4 Esd. 7,9 1 .98; Iub. 1 ,28; Bill., 1, 207-2 1 5 ; I Cor. 1 3 , 1 2; I Gv. 3 ,2; Apoc. 22,4; altre occorrenze giudaiche in W. Michaelis, opaw x-.À., in ThWNT v, 3 3 9 , 1 2 ss. 2. Beyschlag, Geschichteb, 302. 3 Fr. 2, in Clem. AL Strom. 2,20. 4 K. Holl, Die schriftstellerische Form des griechischen Heiligenlebens, in Gesammelte Aufsiitze zur Kirchengeschichte 1 1 , Der Osten, rist. Darmstadt 1964, 2 5 6 s. 5 Greg. Nyss. Beat.a 6,3 (BKV 1/5 6, 2 1 3-21 5 ). 6 Holl (v. sopra, n. 4), 250 s. 7 Lutero, Evangelien-Auslegung n, 55 (predica del 1 5 19); Luterob, 3 24-3 3 0: 3 2 5 . 8 Bucero, 43B. Cf. 1 Tim. 1 , 5 ; z Tim. 2,22. 9 F. Schleiermacher, Der christl. Glaube, ed. M. Redeker, Berlin 71960, 11, 43 5 , S 1 63,2.

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dice di questa forza si trova nella filosofia platonica e aristotelica, per le qua­ li il senso proprio dell'esistenza si attua nella visione di Dio. 1 Potrebbe ri­ siedere qui una delle radici per il superamento della distinzione tra presen­ te ed eschaton, quando sarà concessa la visione di Dio: la visione di Dio si compie già qui, nello splendore della somiglianza divina dei cristiani per­ fetti ... L'anima purificata vede «Dio in se stessa come in uno specchio».3 La visione di Dio viene concessa all'occhio dello spirito, al cuore purificato da pensieri e azioni malvagi non solo attraverso l'intenzione e la volontà, ma grazie all'aiuto di Dio.4 Accanto alla riflessione sulla possibilità di ve­ dere indirettamente Dio già in questo tempo, nondimeno, in tutta la tradi­ zione interpretativa si afferma sempre la speranza nella visione definitiva da parte di coloro che «tramite il vedere sono divenuti immortali e si im­ mergono in Dio>>.s Questa beatitudine schiude un'enorme ricchezza di autocomprensione cristiana e di speranza cristiana. Sarebbe errato liquidare semplicemen­ te come illegittimo tutto ciò che, davanti al foro del testo biblico, si ri­ vela esegeticamente infondato. È invece tipico della peculiare ( ! ) forza dei passi biblici centrali schiudersi a nuove dimensioni in uomini nuovi. Queste nuove dimensioni e nuove speranze devono però essere dispo­ nibili a un dialogo continuo con l'antica affermazione testuale. A parti­ re dal significato originario del testo, si terrà sempre presente che pu­ rezza di cuore e visione di Dio non conducono alla estraniazione dal mondo (Entweltlichung) e alla santità privata di chi è religiosamente qualificato, 6 ma si manifestano come obbedienza a Dio nel mondo e come speranza di una futura visione di Dio, che è più di un approfon­ dimento privato del singolo. La sesta beatitudine si trova in un conte­ sto che parla dei rapporti interpersonali e non intende svincolare gli uo­ mini da tali rapporti e portarli all'autosufficienza religiosa. A mio giu­ dizio l'interpretazione riformata si è qui avvicinata moltissimo al senso matteano. 9· Anche la settima beatitudine dei promotori di pace ha un colorito giudaico. 1 Fondamentali sono passi come Plat. Resp. 7,s:z.7de.5 3 3d (occhio dell'anima); Symp. 21 rde; Aristot. Eth. Eud. 7, 1 5 ( 1 2.49b, 1 6 ss.). 2. Greg. Nyss. Beat.a 6,3 (cit. sopra). 3 Athanas. Gent. 2. (BKV 1/3 1 , 14). 4 Orig. Cels. 7,3 3 (BKV 1/5 3, 250). 5 Citazione dall'efficace passo di Iren. Haer. 4,2.0,6 ( BKV 1/4, 3 87). 6 Cf. la graziosa storia ricordata in Beyschlag, Geschichteb, 301 n. 2.1 , e tratta dalle Vi­ tae Patrum 10, 1 94 (PL 74, 2.23 ): un asceta, vissuto per più di trent'anni nel deserto, in­ contra in città in una locanda un fratello più giovane e lo rimprovera di abbandonarsi alla tentazione. Questi risponde: Deus non quaerit nisi cor mundum.

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LE BEATITUDINI

L'esortazione a promuovere la pace occupa un posto centrale nella pare­ nesi sapienziale e rabbinica. 1 Si intendono di volta in volta passi concreti nei rapporti interpersonali. È spesso attestato anche il collegamento tra la promozione della pace e una promessa escatologica. 2 Ma mai l'esortazio­ ne a promuovere la pace si trova insieme alla promessa escatologica della figliolanza divina. Vi sono invece espressioni che presentano la figliolanza divina di Israele come speranza futura.3 e:lplJV01totoc; significa qualcosa di attivo, non la semplice natura pacifi­ ca. La nostra beatitudine, insieme alla successiva, rimanda all'imperati­ vo dell'amore per il nemico di 5,44-4 8, dove pure viene promessa la fi­ gliolanza divina ( 5 ,4 5 ); anche lì, come nei vv. IO-I2, si tratta di nemici e persecutori. Matteo, quindi, pensa probabilmente non solo a una pa­ cifica convivenza tra membri della comunità, ma al di là dei confini del­ la comunità stessa. 4 Manca un riferimento cristologico diretto; solo nel corso della lettura dell'intero vangelo diviene chiaro ai lettori quanto il figlio di Dio sperimenti anticipatamente su di sé ciò che richiede. La promessa della figliolanza divina non ha alcuna corrispondenza diretta con la promozione della pace.5 I lettori del vangelo di Matteo non in­ tenderanno questa corrispondenza innanzitutto nello sfondo delle ana­ logie giudaiche, 6 ma a partire da J , I J -4, 1 1 : come il figlio di Dio Gesù si mantiene nell'obbedienza al Padre, così l'obbedienza alla sua volontà conduce anche i discepoli a potersi chiamare, nell'eschaton, figli di Dio.? Storia degli effetti. Questa beatitudine è divenuta particolarmente impor1 Ab. 1 , 1 2. 1 8 (Bill., I, 2 1 7 s.); P. Lapide, Zukunftserwartung und Frieden im ]udentum, in Eschatologie und Frieden (TM. FEST A7) n, ed. G. Liedke et al., 1978, 1 27- 1 78. Cf. spec. il «trattato» rabbinico sulla pace Sifre Num. 6,26, § 42 ( 1 3 1 - 1 3 7, tr. K.G. Kuhn). 2 Hen. slav. 5 2, 1 1 - 1 3 come macarismo; Peah 1 , 1 ; Ta'an. 22a (Bill., 1, 2 1 8 ); Mek. Es. 20,25 ( 8 1a) (Bill., I, 2 1 5 ). 3 Iub . 1,24 s.; Test. lud. 24,3 ; Ps. Sal. 1 7,27 (futuro); cf. Sap. 5 , 5 . Sulla figliolanza divi­ na escatologica cf. E. Schweizer, u!o� x't'À., in ThWNT vm, 393 s. 4 Schnackenburgd, 173 s. Il problema della guerra è fuori dell'orizzonte direttamente riflesso dalla nostra beatitudine; cf. N.H. See, Christliche Ethik, Miinchen ' 1 9 5 7, 3 5 3 · 5 Windisch0, 254-257, vede due possibili ponti tra l a beatitudine e l a promessa: 1 . uno di tipo messianico, attraverso il figlio di Dio e uomo di pace Salomone ( r Cron. 22,9 s.) e 2. un altro attraverso il culto del sovrano, dove l'imperatore, figlio di Dio, porta il no­ me di «promotore di pace» (solo però a partire da Commodo). 6 Cf. Betz, Sermonb, 140 s. nn. 3 84. 3 86. 7 Matteo si esprime al maschile ( « figli >> di Dio) e non in modo inclusivo ( > ; le beatitudini diven­ tano una sorta di «specchio>> per una vita cristiana. Una seconda tenden­ za che si può rintracciare è quella all' « interiorizzazione» . Si sottolineaI Cf. Dupont, Béatitudes m, 3 3 1 : la formulazione matteana si può usare per situazioni molto diverse. 1. Cf. 24,9-14. L. Goppelt, Der erste Petrusbrief (KEK 1 2/1 ), 1978, 60-64: a partire dalla persecuzione neroniana tali azioni sono in linea di principio possibili in tutto l'impero. 3 Come Bar. syr. 5 2,5-7 e I Pt. 4, 1 3 s. (un'eco forse della nostra beatitudine; cf. sopra, introduzione, 6.6). 4 Strecker, Weg, 1 62. 5 Per l'eccezione costituita dalla tradizione deuteronomica dell'assassinio dei profeti in Matteo cf. vol. m, a 2 1 ,34-3 9; 22,3-5; 23,34·3 7·

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no in modo sempre più netto atteggiamenti religiosi fondamentali quali l'umiltà, il rifiuto del mondo e del peccato, la fedeltà alla propria fede ecc. Questa storia interpretativa comincia già con la rielaborazione del­ le beatitudini nel livello interpretativo prematteano, continua in Mat­ teo e poi soprattutto nella successiva interpretazione ecclesiastica. Essa non è affatto unilaterale e unitaria: probabilmente nella seconda beatitu­ dine non c'è ancora la tendenza etica, nell'ottava può essere colta solo indirettamente. Le diverse sfumature di significato non si escludono af­ fatto fra loro e possono essere intese in modo diverso da lettori diversi: così nella prima beatitudine si rimanda a una necessità interiore e a un atteggiamento religioso, nella terza a un atteggiamento religioso e a una determinata prassi, nella sesta a un atteggiamento religioso fondamenta­ le, che si concretizza nel comportamento. L'interpretazione riformata ha relegato in secondo piano l'eticizzazione e si avvicinata maggiormente al senso originario (non però a quello mat­ teano). Non ha però relegato in secondo piano l'interiorizzazione delle bea­ titudini, che è ulteriormente proseguita in età moderna, in quanto anche la concretezza della promessa di salvezza è stata sempre più spiritualizzata. 1 è così

Sono soprattutto gli esegeti protestanti che hanno qualche difficoltà con questa interpretazione delle beatitudini matteane. Essi si doman­ dano se non vi sia in Matteo « un'interpretazione legalistica che rende i doni della signoria di Dio dipendenti dalla capacità morale dell'uomo» ." Matteo non aveva, evidentemente, questa preoccupazione. Egli fa pro­ clamare da Gesù beati gli uomini che - nel loro atteggiamento interiore e nella loro prassi esterna - corrispondono al regno dei cieli che Gesù promette loro e lega la promessa di salvezza a una vita cristiana vissuta nella sua pienezza.3 Matteo non riesce a vedere il pericolo che la pro1 La interiorizza in modo esemplare J.G. Herder, Christliche Reden, 2.2., in Werke, 3 6, Karlsruhe 1 8 2.6, 1 1 : «Sono beati quelli che possono sopportare le privazioni . . . , poiché il cielo è nella loro anima» . Per F.C. Baur il compimento della promessa risiede nella pura idealità della coscienza cristiana che si esprime nelle beatitudini, nel «sentimento della necessità della redenzione che, in quanto tale, ha già in sé ogni realtà di redenzione» (Das Christentum und die christliche Kirche der ersten drei ]ahrhunderte, Werke m, rist. Bad Canstatt 1 9 66, 2.7). I «poveri di spirito» sono, secondo Bultmann (Marburger Pre­ digten, Tiibingen 1 9 5 6, 1 8 2. s.), coloro che attendono il futuro di Dio - completamente estraneo al mondo - «e che, in questa attesa, si sono interiormente liberati da ciò che li lega al qui e ora» . 2. Wederb, 8 3 . 3 Il problema del tipo d i interpretazione protestante diviene chiaro i n modo esemplare in Zinzendorf, 1, 1 8 2., che si volge proprio contro il senso matteano della prima beatitudi­ ne: «La beatitudine dei poveri è una cosa davvero straordinaria. Non si deve affatto pensare a qualcosa di virtuoso o di propriamente umile, a ciò che comunemente si chia­ ma virtù o umiltà, che si rende presente nei figli di Dio . . . . "

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LE BEATITUDINI

messa di salvezza possa così diventare - sottobanco - una condizione di salvezza. La promessa divina della salvezza e l'agire umano sono in lui inscindibilmente legati. È una ingenuità ? L'annuncio di grazia da parte di Gesù è stato tradito dalla nuova interpretazione matteana ? Al messag­ gio della grazia è stata improvvisamente cambiata funzione ed è stato tramutato in un pezzo di etica cristiana ? L'evangelista Matteo prende davvero sul serio la grazia ? Per chiarire questa fondamentale questione, consideriamo ancora una volta la storia degli effetti. È sorprendente notare quanto spesso, nelle diverse interpretazioni, sia stata aggiunta la grazia. Essa sembra mancare nel testo matteano, e proprio per questo è stata aggiunta nell'interpretazione della chiesa antica e medieva­ le. r Davvero notevole e importante risulta qui il parallelismo istituito tra le sette beatitudini, la settiforme azione dello Spirito santo secondo Is. 1 1 ,2 s. e le sette richieste del Padrenostro a partire da Agostino. 2 Questo colle­ gamento ha influenzato tutta l'esegesi medievale,3 che è tutt'altro che uno scherzo. Alla base vi è, come esigenza di fondo, il collegamento tra grazia e virtù o - se si considerano anche le sette richieste del Padrenostro pure chia­ mate in causa - tra richiesta, grazia e virtù. Questa successione non è mo­ dificabile per la teologia medievale: «Egli ha trasmesso la disciplina della vita non in forma di comandamenti, ma realmente anche (in forma di) do­ ni e preghiere» . 4 Così il collegamento tra i doni dello Spirito e le richieste delle beatitudini dimostra che in esse si tratta di « dona virtutum ».S «La successione di preghiere (preces), doni (dona) e beatitudini (beatitudines, virtutes) è immodificabile e assicura la priorità dell'azione della grazia di­ vina rispetto a ogni attività umana ».6 La stessa esigenza è alla base dei molti tentativi di intendere le beatitudi­ ni in senso cristologico. Origene è il primo a rimanere nell'ambito del mo­ dello di pensiero matteano quando sottolinea che Gesù nel suo operato ha dato un esempio del compimento delle beatitudini, nella sua benevolenza, nel suo piangere su Gerusalemme, nel suo amore conciliante. 7 Gregorio di r Poiché l'interpretazione della chiesa antica spiega sempre un singolo passo a partire dal­ la totalità della fede, in tali «aggiunte" si rivela non una debolezza, ma una forza reale. 2. Cita il passo U. Duchrow, Der Aufbau von Augustins Schriften Confessiones und De trinitate: ZThK 62 ( 1 965) 344 s. Agostino concepisce uno schema dei doni della grazia che inizia col timore di Dio e termina con la sapienza, schema che ha probabilmente ca­ ratterizzato tanto la concezione delle Confessiones quanto quella del De Trinitate (art. cit., 348-3 67). 3 Cf. Stol!b, 1 3 8- qo. 1 5 8 s. 1 8 5 s. (Pascasio). 4 Non modo mandatorum tradidit discip/inam, verum etiam donorum et preeum (Pascasio Radberto, 344 [PL 1 20, 3 00)); cf. Id., 3 4 1 (PL 1 20, 29 8): Habemus . . . in prin­ cibus eadem (se. le beatitudini) ut impetremus dona, in donis vero, ut operemur Spiritus sancti mandata. 5 Stollb, 1 3 9 . 6 Stollb, 202. 7 Hom. in Le. 38 (PG 1 3 , 1 5 2). Altri testi da Origene fino ad Agostino sono raccolti da P. Rollero, La Expositio Evangelii secundum Lucam di Ambrogio come fonte dell'ese­ gesi Agostiniana, Torino 1 9 5 8 , 3 9 s.

33 1 Nissa vede l'aiuto di Gesù sulla strada verso la montagna in primo luogo nel suo promettere la beatitudine e indicare la strada,' ma poiché ciò risul­ ta inadeguato, alla fine deve spingersi più oltre in senso cristologico: «Egli è il largitore dell'eredità, è la bella eredità, è la parte buona; lui, che ci ar­ ricchisce, lui, la ricchezza, lui, che ti mostra il tesoro e vuole essere il tuo tesoro, lui, che suscita in te il desiderio della perla preziosa e al tempo stes­ so la speranza che tu possa ottenerla » . 1 E in un altro passo sostiene che «il Signore, quando parla di virtù e giustizia, presenta se stesso ai suoi disce­ poli come oggetto della richiesta >> .3 Ma tutto ciò Matteo non lo dice.

Simili tentativi dimostrano come gli interpreti della chiesa antica e del medioevo abbiano parlato davvero abbondantemente della grazia, pur non negando affatto - come faranno i successivi interpreti protestanti la dimensione etica delle beatitudini matteane. Si pone la questione se essi abbiano così colto, a modo loro, un'esigenza che era anche di Mat­ teo, oppure se abbiano colmato una lacuna. Vorrei accogliere la prima possibilità e non accusare Matteo di una implicita giustizia delle opere. Vorrei perciò tentare di dimostrare, con alcune riflessioni, che l'im­ pronta etica delle beatitudini nel vangelo di Matteo non implica affatto un'eliminazione della grazia. 4 I . Dobbiamo considerare la situazione della comunità matteana, che ha dietro di sé una storia di predicazione cristiana della grazia forse cin­ quantennale. L'annuncio della grazia ripetuto sensa sosta può divenire una «grazia a buon mercato >> .5 Eticizzando le beatitudini, Matteo o la comunità prima di lui hanno tenuto conto della loro mutata situazione. Il testo dimostra perciò come l'annuncio cristiano debba essere deter­ minato dalla situazione in cui si concretizza. Se, per esempio, oggi i pre­ dicatori si risolvono a favore della concezione originaria delle beatitu­ dini, quella risalente a Gesù, oppure di quella matteana, questo dipende - mi pare - meno dalla «giustezza >> delle rispettive impostazioni teolo­ giche che dalla situazione della comunità. Per la comunità matteana era chiaramente un problema fondamentale stabilire come potesse rimane­ re fedele alla fede donatale. E proprio a tal fine Matteo voleva aiutarla con la sua interpretazione etica. 2. L'iniziale annuncio della grazia è presupposto non solo nel corso della storia della comunità matteana, ma anche nel vangelo di Matteo. Il discorso della montagna, si colloca nella storia dell'agire di Dio con Gesù. La cornice narrativa di tutto il vangelo è per Matteo 1 Greg. Nyss. Beat.a 6,6 (BKV 1/56, 2.1 8 ) . 3 Greg. Nyss. Beat.a 4,7 (BKV 1/56, 194). 1 Greg. Nyss. Beat.a 8 , 6 (BKV 1/5 6, 240). 4 L ' «aggiunta » della grazia a opera dell'esegesi della chiesa antica ha quindi giustamente un fondamento concreto, non esegetico. 5 Cf. Bonhoefferb, 1 3 -27.

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espressione della priorità della grazia, che fa delle sue beatitudini etiche dei « dona virtutum » . Le richieste di Gesù sono richieste dell' «Emrnanue­ le» , che accompagna e aiuta la sua comunità. 3 · Una parte dell'attribuzione della grazia si trova anche nelle frasi ri­ sultative delle beatitudini. Esse vanno intese tutte in senso escatologico e non sono anticipate dalla grazia della presenza di Dio già sperimenta­ ta nel presente. Matteo ha inteso molto concretamente immagini come «regno dei cieli» , «eredità della terra » , «visione di Dio » . L'interpreta­ zione ecclesiastica aveva la tendenza a veder adempiute già nel presente una parte delle promesse delle beatitudini. 1 Ma il prezzo da pagare per questo consisteva nel rischio che le promesse perdessero la loro concre­ tezza e il loro carattere universalistico e regredissero al livello di bene salvifico del singolo." Questa non era però l'intenzione di Matteo. Nel­ la tradizione interpretativa protestante c'è ancora un'altra difficoltà a cogliere il carattere di grazia delle promesse matteane: esse valgono per gli uomini pii e attivi, in un certo senso per gli uomini che « si adopera­ no con grande impegno »; ciononostante esse sono per Matteo una vera e propria attribuzione di grazia. A questo riguardo si manifestano, da parte protestante, difficoltà di comprensione analoghe a quelle relative alla dottrina della grazia cattolica. Il cristiano che si sforza attivamen­ te, che è guidato da Dio, al quale Matteo promette horribile dictu «una ricompensa» ( 5 , 1 2), non è affatto colui che vuoi essere giusto in ragione delle proprie azioni. 4· In conclusione, per Matteo la volontà stessa di Dio, che pure avan­ za richieste, è parte della grazia. Per lui è « vangelo » il fatto che il figlio di Dio annunci la volontà di Dio. « Matteo non distingue tra indicativo e imperativo, . . . ma trasferisce all'uomo la sua richiesta come dono».3 La sua concezione del vangelo corrisponde a quella veterotestamentaria e giudaica della torà come aiuto a rimanere nel patto creato da Dio per il suo popolo. 4 In questo senso anche i comandamenti di Gesù sono par­ te del vangelo. « Come (il vangelo) diffonde altrove il suo bene, come cioè -

-

1 Cf. sopra, p. 3 2 5 nn. 2-5 . Ciò viene sistematizzato nella scolastica: Tommaso d'Aqui­ no, Summa 1/11 qu. 69 art. 2, parla di beatitudo inchoata e di beatitudo perfecta. Per Mat· teo invece le promesse si collocano nel futuro, la gioia per esse nel presente. Nel presen· te si colloca anche l'esperienza della soccorritrice presenza di Dio, di cui sono probabil­ mente espressione le storie dei miracoli. :< Esempi sopra, p. 3 25 nn. 2 s. Notevole anche Schleiermacher sopra, p. 3 24 n. 9, che può immaginarsi la visione di Dio solo come « la più completa pienezza della più viva coscienza di Dio» e a malapena distingue ciò che ancora non c'è da ciò che è presente. 3 Strecker", 2 74; cf. Id. b, 3 5. 4 Formulazione che si ricollega alla concezione della fede giudaica di M. Buber (Zwei Glaubensweisen, spec. cap. 17).

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Gesù ha reso vedenti i ciechi, risuscitato i morti, guarito i paralitici, così anche qui esso ( ! ) ci presenta il bene spiegandoci la legge» . Il co­ mandamento non è qualcosa di estraneo al vangelo, piuttosto è «il van­ gelo •• che contiene wc; ( 1 4a, 1 6a) e .iv.Spw7tot ( I JC, 1 6a). La conclusione di 1 6bc con lo «sguardo » verso il Pa­ dre in cielo si presenta, dal punto di vista strutturale, come «eccedenza >> , che assume per questo un'importanza particolare. La struttura della seconda sequenza ai vv. 1 4- 1 6 è complessa. Alla frase introduttiva del v. 1 4a seguono due immagini. La prima, quella della città sul monte, non sembra adattarsi bene; la seconda, quella della lampada sul candeliere, è una parabola la cui utilizzazione al v. 1 6, è introdotta, su un piano stilistico, da olhwc; e riprende solo la conclusione della stessa al v. 1 5d

(À!i (Jo7tEL 7taO"LV).

2. Redazione e fonti. Frequente è la seguente tesi: i vv. 1 3a, 1 4a e 16 1 sono redazionali. I logia del sale (v. I J bc) e della lampada (v. 1 5 ) derivano da Q,3 per cui Matteo abbandona qui il discorso del piano, inserendo fino al v. 39 altro materiale Q e proprio. Matteo omette le varianti marciane (Mc. 9,50; 4,2 1 ) relative a questi logia e conserva il testo Q - almeno per il lo­ gion della lampada - più fedelmente di Luca. 4 Quest'ultimo lo propone due volte (Le. 8 , 1 6; I I ,J J ) e lo rielabora maggiormente dal punto di vista re­ dazionale; Matteo armonizza tra loro i due testi e dà loro una forma nuova secondo il modello di una casa cittadina con cantina e salone d'ingresso. Il logion della città ( 1 4b) deriva dal materiale proprio. I

Zahn, 206: «idea centrale di tutto il discorso successivo»; Burchardb, 420. Al v . I 6 sono matteani oirrwc;, À�1tw?, Ép.1tpoa�Ev, èi�pw1toL?, o1twc;, Épyov, 1tiX't'ÌJp 'ÌJI'wv Èv 'tOLc; oùpavoic;. Cf. sopra, introduzione, 4.2. 3 Rauscher", I01-123, ipotizza come fonte non Q, ma una versione rielaborata di Mc. 4,21 (deutero-Marco). Ma perché allora la duplice tradizione del logion della lampada in Luca - nel caso di I I , 3 3 , poi, ancora in un blocco di Q? 4 Matteani sono oùOÉ, 1tàc; e forse Àa!'1tW (cf. sopra, introduzione, 4.2). Secondo Rau­ scher", 50- 5 3 . 57-62, sono però redazionali anche il plurale impersonale dei verbi (cf. 9, 17) e il v . 1 5d. 2.

MT. 5 , 1 3 - 1 6

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Questa tesi ha bisogno solo di alcune precisazioni: l'immagine della città al v. 14b non è stata inserita da Matteo, poiché non si adatta né all'intro­ duzione del v. 14a (la luce) né all'uso che se ne fa al v. 1 6, dove si parla di un comportamento, non di una condizione. Probabilmente Q è stato inte­ grato già prima di Matteo (QM'?). 1 È difficile stabilire quante altre varianti preredazionali dei logia di Q ci siano state. Che si debba ancora una volta ri­ correre a QM• comporta, naturalmente, una difficoltà per l'ipotesi Q: non si può escludere con certezza né che i vv. 1 3 e 14- 1 6 fossero collegati già pri­ ma di Matteo né che, già prima di Matteo, siano stati aggiunti alle beatitu­ dini. Gli stretti parallelismi tra I Pt. 2, 1 2 e il v. 1 6 non risalgono a mio pa­ rere alla comune concezione giudaica,:z. ma al fatto che la prima lettera di Pietro presuppone il vangelo di Matteo.J 3 · Origine. Sull'origine dei logia del sale e della luce non sono natural­ mente possibili affermazioni sicure. A mio giudizio non c'è nulla che impe­ disca di farli risalire entrambi a Gesù. La decisione dipende in ultima ana­ lisi dalla loro interpretazione, perché noi possiamo fare solo ipotesi. Non si può più stabilire con certezza il significato originario di questi logia sapienziali. Il logion del sale va inteso, nella versione di Q, che è nel com­ plesso più antica, come minaccia, mentre Mc. 9,5ob lo interpreta - in secon­ da istanza - in senso parenetico. Anche Le. 14,34 s. lo riferisce ai discepo­ li. Forse era una parola di minaccia di Gesù, diretta in origine contro Israe­ le. Nulla si può stabilire con certezza nemmeno sull'origine e sul significato originario del logion della città . 4 Ugualmente spinoso è il logion della luce. Tra Matteo e Mc. 4,21 non è possibile stabilire quale sia la versione sicu­ ramente più antica. 5 Incerto è anche il significato: Jeremias interpreta xtxtw come « accendere» e il porre sotto il moggio come «spegnere >> , così che il det­ to suonerebbe: «Non si accende una lampada, per poi spegnerla subito do1 Oppure al v. 1 sa oùòÉ, una delle parole preferite di Matteo, induce a credere che il collegamento delle due immagini della città e del candeliere risalga all'evangelista? :z. Test. Neph. 8,4 ( « Dio sarà glorificato tra i popoli per mezzo di voi » ); Mek. Es. 44b a 1 5, 2 ( « Se gli Israeliti fanno la volontà di Dio, il suo nome viene reso grande nel mon­ do»); Midr. Sal. 67,6 (i popoli lodano Dio a motivo della giustizia degli israeliti). Im­ portanti sono inoltre certe asserzioni sul qiddush hashem (cf. Bill., I, 4 1 4-4 17). 3 Cf. la disamina approfondita in R. Metzner, Die Rezeption des Matthausevangeliums im 1. Petrusbrief (WUNT n/74), 1995, 49-68. I Pt. 3,14 è un parallelo altrettanto stret­ to di Mt. 5 , 1 0, mentre I Pt. 4,I 3 s. lo è di Mt. 5 , 1 1 s. Cf. sopra, introduzione, 6.6. 4 jeremias, Gleichnisse, 2 I 5 , intende il logion come parola di conforto per i discepoli, i •cittadini . . . della città escatologica di Dio . . . , la cui luce brilla nella notte, senza aver bi­ sogno dello spirito degli uomini » . 5 Schneider", I 9 I ; Hahn4, I I I s . I semitismi (tutti insicuri) non portano a nessun risulta­ to: la forma interrogativa marciana corrisponde allo stile sapienziale (Bulttnann, Tradi­ tion, 82), ma esclude il plurale impersonale xalouatv, un aramaismo (cf. Black, Mutter­ sprache, I 26 s.) e la proposizione finale para tattica xaì ÀaiJ-m:t.

336

«VOI SIETE IL SALE DELLA TERRA

• • •

»

po». 1 Ma con tutta la buona volontà non si può affermare che un moggio sia uno strumento adatto e comune per spegnere una lampada a olio. 2. E pe­ rò altrettanto privo di senso nascondere una luce sotto un moggio. Per qua­ le motivo non la si spegne, se non serve più ? In breve: l'immagine indica una azione senza senso, senza che sia possibile ricollegarla a una pratica gior­ naliera. Queste le proposte: Gesù 3 parla del suo operato, che non può ri­ manere nascosto; 4 pensa al regno di Dio, che giunge con lui; 5 combatte i capi giudaici che sottraggono agli uomini il regno di Dio (cf. Mt. 23 ,I3 ).6 Queste considerazioni mostrano dove stia la difficoltà dell'interpre­ tazione: le immagini sono generali. Sale, città e luce possono essere usa­ te per quasi tutto e la storia dell'interpretazione dimostra che ciò è ef­ fettivamente accaduto. 1 3 . Nella sua introduzione redazionale Matteo premette e quindi evi­ denzia U!J.€tc;.7 Destinataria di quanto detto è - come ai vv. I I s. - la co­ munità nel suo insieme, non, per esempio, solo gli apostoli o i predi­ catori.8 Questo «voi » , posto in così forte risalto, riprende i vv. 1 1 s.: proprio voi, voi che siete perseguitati e oltraggiati, siete il sale della ter­ ra.9 I vv . I 3 - I 6 richiamano l'attenzione della comunità perseguitata sul suo compito missionario. «Sale della terra » è una metafora straniante: non è immediatamente chiaro che cosa voglia dire e proprio per questo incuriosisce. 10 Il lettore che si arrovella sul significato riferirà yij al -

x jeremiasa, I02. Al significato di «accendere» pensa Luca (a1t-rw). xalw può qualche volta significare «accendere» (LSJ, s. v. xalw, I.II), ma solo qualche volta. 2. Le occorrenze di Shabb. I 6,7 (Bill., I, 23 8 s.) e ]om !oh o Be�. 22a addotte da jeremias•, I02, dicono solo che in casi di necessità, al sabato, si può «soffocare» la luce con un va­ so se non è consentito spegnerla. Non c'è una sola testimonianza che spegnere una lam­ pada per mezzo di un moggio fosse «qualcosa di quotidiano» ( I02): è inverisimile per ragioni pratiche (un moggio fuligginoso). 3 Hahn•, I I 2 s. , la riferisce a Gesù, ma anche solo perché non si può dimostrare il con· trario. 4 jeremias•, I 02; Schneidera, 1 9 2 s. 5 Souceka, I72 (in ragione di Mc. 4,2 I : epxe-raL). 6 Dodd, Parables, Io8. 7 Posizione iniziale di Ù(I-Et� in I O,JO; I J , I I . I 6 . I 8 ; I j,j. I 6; I 6, x s ; 23,8 s.; cf. 5,20; 20, 26, perlopiù con chiara sottolineatura. Cf. sopra, introduzione, 4.2. 8 Cf. sotto, pp. 342 nn. s-6. 343 nn. 1 -4, e Schnackenburga, 194. 9 Questo riferimento viene chiaramente individuato a partire da Aug. Serm. Dom.b I,6 ( 1 6). Spesso perciò anche i vv. 1 1- 1 6 vengono riuniti insieme come un'unica pericope. xo Gundry, 75, ha richiamato l'attenzione sull'impiego del sale in piccole quantità come concime. La forza della metafora sta tuttavia a mio parere proprio nell'accostare, in sale e terra, due cose che non hanno nulla a che fare tra loro, almeno tanto poco quanto una luce che illumina l'intero mondo. Inoltre il sale non è il concime normale e necessario, ma tutt'al più un'aggiunta occasionate.

MT. 5 , 1 3 - 1 6

337

più tardi dopo il parallelo xoa�J.oc; al v. q , ma verisimilmente già in vir­ tù di 5 , 5 - al mondo e non al terreno. Il logion va inteso, così come il v. 14, nel senso dell'universalismo matteano. • È incerto come l'evangeli­ sta abbia inteso a) la metafora « sale» e b) la parabola del «diventare sciocco » del sale. a) In base soprattutto all'uso metaforico giudaico del sale sono state pro­ poste in età antica e moderna molteplici allegorie: a partire dalla funzione si è richiamata l'attenzione sulle proprietà del sale di condire, purificare e conservare. 2 Secondo le circostanze il sale si riferisce alla saggezza dei di­ scepoli,3 alla loro predicazione;� alla loro disponibilità al sacrificio s e al loro cambiamento di vita. Jiilicher ha voluto farla finita, in modo radicale, con le spiegazioni allegoriche: il tertium comparationis sarebbe solo l'op­ posizione tra la bontà e l'inservibilità del sale.6 Jiilicher si spinge, però, ad absurdum quando afferma che la metafora del «sale» potrebbe essere so­ stituita da un'altra qualsiasi. Non si può davvero dire, come invece egli pro­ pone, «Voi siete il carbon fossile della terra» né si può sostituire - come giustamente rifiuta Ragaz - sale con zucchero. 7 Risultato: la scelta della me­ tafora non è generica, ma deve essere interpretata. Ma come? Il riferimento più vicino è l'uso quotidiano del sale come condimento. Questo significato è assicurato da à:p-ruw per Mc. 9 ,49 e Le. 1 4, 3 4 ; per Matteo non è dimo1 Beutler" vorrebbe riferire yij alla terra di Israele (così come in 5,5). Ma il parallelismo con xoa!J.a . 3 Forse il v. 1 8 risale a Q, o forse a una particolare tradizione giudeocristiana. Non è peraltro meno incerto quale delle due frasi con €wc; ilv - in contrasto tra loro - sia redazionale: la statistica dei vocaboli non dà alcun risultato. 4 K. Berger ha scoperto nel N.T. uno schema formale di fra­ si che sono costruite secondo il modello CÌ(J.�v ÀÉyw Ù(J.LV - où IL� + futuro profetico + frase temporale con ewc; o !J.É'X,Ptc;.5 Se Matteo avesse utilizzato ta­ le schema, la prima frase con ewç &v dovrebbe essere un'aggiunta mattea­ na. 6 Ma un logion autonomo con la frase temporale ewç civ JttXV'tCl yÉvl)'t'Clt sarebbe incomprensibile/ mentre un logion tradizionale che contenesse la prima frase con ewç &v di 1 8 b sarebbe di per sé comprensibile.8 E sarebbe per di più molto difficile interpretare il v. 1 8b come redazione matteana. qa;;em (piel: «confermare, rinforzare» ) . Ciò non è «indubbio» ( 5 3 ), poiché i LXX con ltÀlJpOW traducono in genere malè': anche le versioni siriache traducono Mt. 5 , 1 7 con questa radice. La più probabile (ma non sicura) conseguenza di ciò e dell'osservazione di Lapideb, 24, secondo cui malè' riferito alla legge non sarebbe semitico, è che non c'era­ no originali semitici di Mt. 5 , 1 7 . r Così i più. L'argomento più valido a favore è che il versetto successivo d i Luca (Le. 1 6, r8) è ripreso da Mt. 5,3 2. Ma questo era comunque evidente dopo la seconda antitesi. :r. L'introduzione lucana con EÌixo11:wnpov non è redazionale, quella matteana con tÌ!J-�V y� ì.éyw Up.'tv forse. 3 Schiirmann°, 1 30- 1 3 2, pensa che Matteo abbia letto Le. I 6,14- 1 8 in Q e trova remini­ scenze (a me non chiare) del versetto (redazionale?) di Le. 1 6, 1 5 in Mt. 5,20 nonché di Le. 16, 1 6 in Mt. 5 , 1 7. Si devono forse ipotizzare in Q 1 6, 1 6- I S tre detti sulla legge ·dispersi » , ma molto diversi nel contenuto, che poi Luca avrebbe però collocato in un contesto non determinato da testi di Q? È difficile; cf. Luz, Matthiius und Q, 203-207. 4 Redazionale è EWTJ't'tuw. Il verbo di senso opposto xa't'aÀuw inoltre rende difficile una corrispondente spiegazione di 7tÀTJp6w in riferimento alle profezie. Nel nostro verso quindi si tratta di Gesù che «compie » gli insegnamenti della legge e dei profeti. Ma che cosa significano i due verbi xa't'aÀuw e 7tÀTJpow? Li si può riferire o all'insegnamento di Gesù o alla sua vita. In entram­ bi i casi risultano comunque ambigui e ammettono diverse sfumature interpretative.3 Se xa't'aÀuw e 7tÀTJp6w si riferiscono r . all'insegnamento di Gesù, allora ci si può chiedere ulteriormente se esso cambi qualcosa nella legge oppure no. Se Gesù non cambia nul­ la nella legge, allora 7tÀTJp6w potrebbe significare: a) , «portare a completa espres­ sione» .4 Se invece il compimento di Gesù muta la legge stessa, allora si potrebbe intendere 7tÀTJpow o quantitativamente, nel senso di x Ad es. Clem. Al. Strom. 3,6 (46,2) (BKV n/17, 284); Meier, Law, 73-82; Schweizer, Anmerkungen", 400; C.F.D. Moule, Fulfìlment- Words in the New Testament. Use and Abuse: NTS 14 ( 1967-68 ) 3 1 7-3 19; Guelichb, 1 4 1 s. 1 62-1 64 (sulla base della tesi che Matteo avrebbe inserito in un logion tradizionale solo � -roÙç 7tpoq>�-r�X> al v. 1 7 debba essere interpretato innanzitutto a partire dai vv . 1 8 s. Si intende quindi la fedeltà, dal punto di vista del contenuto, a ogni singolo comandamento della torà. Questa interpreta­ zione non è in opposizione all'accento cristologico dei vv. 17 s. ( «Amen, vi dico » ) : l'invio di Gesù consiste proprio nel suo osservare, con la pro­ pria obbedienza, la torà, fino all'ultimo e più piccolo comandamento. Gesù non è servitore, ma signore della torà, però esercita la sua signo­ ria in modo da lasciare illimitata la validità della torà. Ciò non è conciliabile con un'interpretazione che veda nei vv. 1 8 s. solo del materiale tradizionale giudeocristiano insignificante. 2. Ma an­ che la tesi, divenuta classica con l'insegnamento e la prassi cristiani nei secoli, e cioè che Matteo affermerebbe la legge morale, ma non terreb­ be conto di quella rituale,3 non si confà a questa prospettiva. Esiste in Matteo un sufficiente numero di passi che dimostrano come per lui val­ gano anche i comandamenti rituali della torà, ad es. 23,23 .26 o 24,20. Questi passi chiariscono anche in che cosa consista la differenza tra la comunità matteana e il giudaismo: per Matteo - a partire da Gesù - è r

Gal. 3,10 Deut. 27,26 (n:liatv LXX). Tipico della setta di Qumran è che l'uomo debfare tutto ciò che è richiesto nella legge. 2. Cf. sotto, p. 3 64 n. 5 · 3 Strecker, Weg, 30-3 3; Schulz, Stunde, 1 74-1 90; Hoppea, 1 23 . Per quanto riguarda la posizione nei confronti della legge rituale non riesco ad armonizzare Matteo e la lettera di Giacomo (contro Hoppea, 1 23 - 1 29). ba

=

PROLOGO. COMPIMENTO DELLA LEGGE

in linea di principio chiaro che «giustizia, misericordia e fedeltà » , quin­ di in concreto il comandamento dell'amore, rappresentano il comanda­ mento principale, mentre comandamenti quali quello della decima ( 23, 2 3) o della purità della parte esterna della coppa ( 2 3 ,26) sono iota e apici. Il comandamento dell'amore sta al centro; le leggi rituali stanno in secondo piano. Ma sono pur sempre parti della legge, che Gesù adem­ pie nella sua totalità. I vv. 1 7- 1 9 sono un « programma giudeocristia­ no>> I di grande compattezza. 20. Il v. 20 è il titolo di Matteo per le antitesi, ma la sua interpreta­ zione non è divenuta più semplice dopo quanto detto per i vv. 1 7- 1 9 . La prosecuzione per mezzo di ytip chiarisce che il v. 20 intende continua­ re il pensiero precedente: non è possibile pensare alla legge al di fuori del­ la maggiore giustizia di cui ora si parla. Ma che cosa si intende, conte­ nutisticamente, con « maggiore giustizia >> ? Nel nostro versetto non ha ancora luogo alcun riempimento di contenuto - esso funziona invece co­ me «spazio vuoto>> , che i lettori riempiranno poi nella loro successiva lettura, cioè nelle antitesi.2. Il v. 20, tuttavia, indica già sicure direzioni in cui essi si possono muovere per colmare il vuoto. ÒtxawauvlJ è - co­ me al v. 3 , 1 5 - la giustizia praticata dall'uomo.3 Sorprende il compara­ tivo 7tEptaaEuEtv 7tÀEtov; 4 più abituale sarebbe !J-IiÀÀov. 7tÀEtov suggeri­ sce un'interpretazione quantitativa: se la vostra giustizia non è più con­ sistente, in quantità sensibilmente maggiore, di quella di scribi e fari­ sei,5 non entrerete nel regno dei cieli. Matteo si limita qui ai capi della maggioranza d'Israele ostile a Gesù 6 e valuta in modo tendenzialmente negativo la loro «giustizia >> . 7 Un elemento quantitativo nel confronto tra • • •

I

Luza, 4 2 1 . 2. È sorprendente constatare quanti commentatori a questo punto completino i l vuoto anziché rinviare alle antitesi. Spesso poi affermano che la giustizia dei discepoli è «quali­ tativamente diversa » (Streckerh, 64) e che consiste nell'amore (Wederh, 97). L'ultima ri­ sposta, considerata a partire dalle sei antitesi che ora seguono, non è sbagliata. Bisogne­ rebbe però stare attenti a parlare di una nuova qualità, perché non corrisponde al tratto «quantitativo>> che Matteo inserisce al v. 20. 3 Cf. la spiegazione di 3 , 1 5 e 5,6. 4 In greco è senz'altro possibile un comparativo formulato pleonasticamente; cf. Kiih­ ner-Blass-Gerth, n/I, 26; BDR, § 246 n. 2. Comune è però il rafforzamento con [J.�ÀÀov. 7tÀe:tov corrisponde al latino plus, non a magis. 5 Per la tipica disposizione a coppie degli oppositori giudaici cf. a 3 ,7. 6 Appare qui chiaramente come il discorso della montagna - come tutti i grandi discorsi - si rivolga direttamente ai destinatari nel presente e interrompa !'«allora » della narra­ zione. Matteo non ha finora narrato niente di negativo su farisei e scribi. 7 R. Feldmeier, Verpflichtende Gnade. Die Bergpredigt im Kontext des ersten liums, in Id., Salz, 101, sottolinea già qui che «la richiesta di una giustizia superiore . ha

Evange· J .

.

MT. 5 , 1 7 -20 la giustizia dei discepoli e quella di farisei e scribi è quindi in ogni caso

presente nel testo e corrisponde all'insistenza sul compimento anche dei singoli comandamenti della legge nei vv. 1 7- I 9 . La migliore giustizia dei discepoli significa quindi, letta a partire dai vv. I ?- I 9 , almeno anche un di più quantitativo nell'adempimento della torà. Ma in che cosa que­ sto consista il testo non lo dice ancora. Lo esplicitano invece le antitesi, che esaminiamo ora brevemente. In esse non si tratta soltanto di accentuare in modo radicale singoli co­ mandamenti veterotestamentari; per Matteo è altrettanto importante che il comandamento dell'amore divenga il centro di questi singoli, co­ mandamenti radicalizzati: esso, con la prima e l'ultima antitesi, costitui­ sce, per così dire, la cornice di tutte le antitesi. A partire dalle antitesi la giustizi a dei discepoli, quantitativamente maggiore, significa, al tempo stesso, un rafforzamento qualitativo - orientato dall'amore - della loro vita di fronte a Dio. Il v. 20 sta, per così dire, a metà tra questi due pen­ sieri, oscillante a seconda che lo si legga «da davanti» o «da dietro>> . Non solo su un piano letterario, bensì anche contenutistico, il versetto svolge una funzione di transizione, « di cerniera >> / Riepilogo e storia degli effetti. Torniamo alle due questioni interpre­ tative poste all'inizio e ancora aperte. I . Qual è il significato dei logia giudeocristiani dei vv. I 8 e I 9 per l'insieme del nostro testo? Essi hanno creato spesso difficoltà all'interpretazione dell'età moderna. Nel­ la teologia liberale del XIX secolo era abituale intendere il v. 17 e le antitesi nel senso che Gesù perfeziona la legge «in quanto la approfondisce richia­ mandosi ai sentimenti, in ultima analisi all'amore e alla sincerità interio­ re >>.2 A questa interpretazione mal si adattano i vv. 1 8 s. Mentre questi ci­ specchia no l' «ortodossia rabbinica >> , le antitesi paiono quasi marcionite.3 I vv. 1 8 s. hanno avuto un > da Gesù nel suo discorso della montagna. Essi non possono essere aggi­ rati da alcun principio di moralità altrettanto « perfetto » e da nessun al­ lontanamento dal mondo, comunque concepito. Concludo con un cenno sommario a un grande interprete del nostro passo: tra tutti i riformatori, Calvino è stato quello che ha riconosciuto, nel modo più chiaro, alla legge una posizione centrale positiva nel suo pensiero. In ter­ mini molto perspicui ha parlato della similarità, anzi dell'unità tra antico e nuovo patto. Tra la teologia di Matteo e quella di Calvino c'è un'analoga struttura di fondo, che ha portato entrambi a una religiosità pratica, che prende sul serio l'esistenza della comunità nel mondo. I modi di questa esi­ stenza sono però diversi nei due: per Calvino si tratta dell'organizzazione di questo mondo, per Matteo si tratta .,.... come per i battisti nell'età della Riforma - dell'organizzazione della vita della comunità e del suo porsi di fronte al mondo in prospettiva missionaria. Conseguenza di questa dif­ ferenza è che > . L'evangelista si è trovato di fronte tut­ te e sei le antitesi già in questa forma.3 Il più importante punto di aggancio per questa ipotesi è il rapporto teolo­ gico delle antitesi con 5 , 1 7 : se la preoccupazione di Matteo era quella di 1

Bultmann, Tradition, I43 s.; Albertz, Streitgesprache, q6-I p; Eichholzh, 69 s.; Gue­ Not", I I 7- 2 1 s; Strecker", 47· 1 Nella bibliografia anglosassone si sostiene spesso che solo la terza antitesi sarebbe stata costruita redazionalmente, ad es. Bacon, Studies, I 8 I ; Branscomb, Jesus, 2.3 5 s.; Streeter, Gospels, 2. 5 2. s. (perlopiù sulla base di una fonte panicolare M); cf. similmente Kilpat­ rick, Origins, I 8-2.0. 2.4; Davies, Setting, 3 87 s. 3 ]eremias, Theol., 2.40 s.; Wregé, s6 s.; Sand, Gesetz, 48; Liihrmann, Redaktion, 1 1 8 . lich,

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LE ANTITESI

mostrare che Gesù ha compiuto la legge, allora non può essere stato lui a creare le antitesi, che indicano che Gesù si pone al di sopra della legge. Questa posizione è stata accentuata dall'assunto (probabilmente sbagliato, ma diffuso) di molti sostenitori dell' «ipotesi normale » , secondo il quale proprio le antitesi secondarie, matteane, invaliderebbero la torà. L' «ipotesi della tradizione » comporta conseguenze dal punto di vista critico-letterario e qui sta la sua debolezza: essa deve o postulare che non sia esistita la fon­ te dei logia (Jeremias, Wrege) o accettare una profonda rielaborazione di Q prima di Matteo, alla quale sarebbero da attribuire tutte le antitesi. 1 Bi­ sogna considerare seriamente la questione se anche nei vv. 3 8 s. non ci sia già un'antitesi prematteana.

c) L' «ipotesi della redazione» è quella più frequentemente condivisa oggi: tutte e sei le antitesi derivano dall'evangelista Matteo. 2 Solo Broera ha tentato di fornire un'effettiva motivazione. Tra i suoi argo­ menti, non sono da prendere sul serio né il riferimento ad altre formula­ zioni antitetiche in Matteo,3 né quello a 1 9,9 4 e neanche quello a Èyw così frequentemente in risalto nella redazione matteana,S ma piuttosto quello al parallelismo tra 5 , 2 1 -3 2 e l'elenco dei vizi in 1 5 , 1 9 (cpovot, (J-Ot'X,ttat, 7top­ vtt1Xt). Ma 1 5 , 1 9 dimostra solo che Matteo ha ripreso la successione delle prime tre antitesi, che già risaliva a lui. Quanto al resto, questa ipotesi si trova di fronte una doppia difficoltà: deve dimostrare, per tutte le antitesi, che il collegamento di tesi e antitesi è secondario, e deve spiegare 5 , 1 7-20 in modo che tutte le antitesi vi si adattino. 6 Conclusione: questa ipotesi è la più improbabile, nonostante il crescente numero dei suoi sostenitori. Alla mia personale posizione si può qui soltanto accennare: come nell' « ipotesi normale » , anch'io ritengo redazionali la terza, la quinta e la sesta antitesi. A differenza però dell' « ipotesi normale» , mi pare pro­ babile che anche la quarta sia secondaria, anche se lì la formulazione antitetica risale alla fonte ripresa dall'evangelista. x Sand, Gesetz, 48. Contro questa ipotesi milita però il fatto che l'introduzione di mate­ riale Q nelle antitesi prematteane tradisce preoccupazioni teologiche matteane (vv. 25 s.: amore del nemico; vv. 29 s.: minaccia del giudizio). 2 Stauffer, Botschaft, 39; Hasler, Amen, 79 s.; Suggs, Wisdom, 109- I I 4; Suggsa; Broer, Antithesena, 5 6-63. Originale è Bergera, 1 7 5 - 1 82: l'origine delle antitesi matteane va cercata nel confronto tra Mosè e Gesù in Mc. 10,2-1 0, quindi nella terza antitesi. 3 Antitesi senza dubbio di tutt'altro tipo. Broer, Antithesena, 57, rinvia a 1 0,34; I 5,11. 1 7 s.2o; 1 9,8 s. e persino a 5,17. 4 Art. cit., 6 1 . Ma Gesù argomenta in quel caso fondandosi sull'A.T. 5 1o, r 6; 23,34; 28,20. Ma Matteo non collega mai altrove l'espressione ÀÉyw Up.iv, che usa frequentemente, con Éyw. 6 Suggs, Wisdom, 1 1 4, non vede qui alcun problema, poiché Gesù è «sapienza e torà•. Ma perché allora egli si volge antiteticamente contro la torà mosaica, pure identificata con la sapienza ?

371 4· Redazione. A prescindere dalle singole formulazioni redazionali e dalla costruzione ex novo delle antitesi nei vv. 3 I s. 3 8 s.4 3 s., la parte più importante del lavoro dell'evangelista risiede nella composizione: attraverso la costruzione della sesta antitesi e il nuovo raggruppamento del materiale Q proveniente da Le. 6,27-3 6, egli fa sì che la serie delle antitesi venga incorniciata dal comandamento dell'amore, o meglio dal comandamento dell'amore per il nemico (vv. 25 ! e 44). L'ultima anti­ tesi, che culmina nella parola chiave 'tÉÀELo�, si rivela perciò come la «punta » . Per il resto Matteo ha rispettato non solo nella formulazione, ma anche nella composizione il suo «conservatorismo » : ' il blocco Q di Le. 6,27- 3 6, come pure il blocco di materiale proprio dei vv. 2 1 - 3 7 re­ stano uniti, nonostante singoli spostamenti. Nella riformulazione delle antitesi Matteo ha ripreso la forma di antitesi che gli veniva dalla tra­ dizione del materiale proprio.

5. La formulazione per antitesi nell'ambito delle forme linguistiche giudaiche. Per la formulazione per antitesi vi sono paralleli giudaici:

a) I rabbi possono contrapporre due possibili spiegazioni di un testo biblico, spesso una letterale e una libera, tramite la formula somea ' 'ani. . . 'iimartii ( « io ho potuto intendere . . . tu però devi dire » ).2 b) I rabbi possono contrapporre la loro personale spiegazione a quella di altri rabbi tramite un enfatico wa 'ani 'omer. 3 La spiegazione rigettata non viene però introdotta da un'espressione fissa. Questi paralleli sono mol­ to vicini a Matteo per l'uso della prima persona. c) «lo però vi dico >> senza opposizione antitetica ha paralleli negli scritti giudaici sapienziali 4 e apocalittici.5 Nella lettera halakica 4QMMT l'au­ tore, che parla a nome della sua comunità, introduce le sue halakot di vol­ ta in volta con un enfatico 'nl;mw 'wmrjm, senza menzionare le halakot dei suoi oppositori che egli rifiuta. Conclusioni. La formula introduttiva alle antitesi è comunque, ri­ spetto ai paralleli giudaici, una neoformazione a sé stante, anche se si registra una certa vicinanza con la terminologia esegetica giudaica. 1 Strecker", 46. 1 Mek. Es. 20,22 Uitro 9). Il passo è un caso isolato; di norma l'introduzione dell'inter· pretazione giusta è: talmud lomar (Bacher, Terminologie 1, 1 89). A questa analogia in· dina Daube, New Testament, 5 5-62. 3 Sifre Num. 1 1,21 s., S 9 5; Sifre Deut. 6,4 s., § 3 x; altri esempi in Smith, Para/lels, 29 s.; Lohsea, 1 9 3 - 1 96; Dalman, ]esus, 68. 4 Test. Rub. 1 ,7; cf. 4,5; 6,5; Test. Lev. 1 6,4; Test. Ben. 9, 1 ; cf. Berger, Amen-Worte, 5 Hen. aeth. 94, 1 . 3 . 1 0; 99, 1 3 ; 1 02,9; cf. Sato, Q, 273 -279. 91-93 .

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LE ANTITESI

6. Significato della formulazione per antitesi. La questione principale è se l'antitesi si ricolleghi all'esegesi farisaica giudaica dell'A. T., e quin­ di alla halaka, 1 oppure all'A. T. 1 Su questo punto l 'interpretazione diver­ ge, e non da oggi: almeno a partire dalla Riforma esiste un'alternativa. L'interpretazione in questo caso ha seguito prevalentemente le linee di confine confessionali. Dopo il rifiuto totale della legge veterotestamentaria da parte dei marcio­ niti e dopo quello differenziato da parte degli gnostici,3 nella chiesa antica e medievale si è imposta un'esegesi che intende le antitesi come contrappo­ sizione tra legge antica e legge nuova. In questa prospettiva si mette in lu­ ce, in modo sfumato, il reciproco rapporto positivo delle due leggi; i con­ cetti decisivi sono quelli del perfezionamento 4 e dell'ampliamento.5 Che singoli comandamenti siano stati superati da Gesù viene detto con una cer­ ta esitazione. 6 Questa concezione delle antitesi si mantiene perlopiù nel­ l'esegesi cattolica posteriore alla Riforma 7 e viene inasprita dagli interpreti delle libere chiese: la legge dell'A. T., che consente ad esempio l'uso della forza e il giuramento, non vale più per i cristiani, mentre la legge del N.T. vale illimitatamente. 8 Nell'esegesi riformata mutano i toni.9 Qui è sempre sottolineata - in 1 Ad es. Zahn, 221; Barth, Gesetzesverstii ndnis, 88 (con limitazioni); Burchardb, 423; Dietzfelbinger ( 1979)", 3 (solo per l'evangelista). 1 Ad es. Schlatter, 165 s.; W. Kiimmel, ]esus und der ;udische Traditionsgedanke, in Id., Heilsgeschehen 1, 3 2 ( •recidere la radice della fede giudaica nella legge» ); Lohse", 198; Merklein, Gottesherrschaft, 2 5 6. Secondo Hummel, Auseinandersetzung, 74, la parola di Gesù pronunciata «su un'altra montagna» si oppone alla torà del Sinai e fonda una particolare halaka cristiana. 3 Secondo Tolemeo, Epistula ad Floram, in Epiph. Haer. 3 3 ,6, 1 , il divieto di uccidere, di commettere adulterio e di spergiurare è parte della « pura» legge di Dio, il principio del taglione invece è parte di quella legge di Dio collegata all'ingiustizia e per questo abolita proprio da Gesù. 4 Tommaso d'Aquino, Summa 1/11 qu. 107 art. 2: Nova lex comparatur ad veterem si­ cut perfectum ad imperfectum. 5 Cf. sopra, p. 3 5 2 n. 2. Lex nova adimplet veterem legem, inquantum supplet illud quod veteri legi deerat (Tommaso d'Aquino, loc. cit. ). 6 Iren. Haer. 4, 1 3 ,2 distingue tra le prescrizioni «corporali » per i servi e i «comanda­ menti di libertà » del discorso della montagna. Chrys. In Mt. 1 6,7 (PG 57, 247): Dio ha «adattato la differenza delle due leggi alla diversità dei tempi» . 7 Ad es. Maldonado, 1 1 0- 1 1 3 , con una dura polemica anche nei confronti dei molti cat­ tolici non citati per nome che si fanno ingannare dalla dottrina degli eretici; Lapide, 135 (in parte contro la 8EU'tÉp> ); Olshau­ sen, 219 (solo l'interpretazione interiore della legge coglie il suo pieno significato). 1 Cf. Lutero, Grosser Katechismus, in BSLK, 41 9 5 9, 6o6; Calvino, Inst. 2,8,39. 3 Calov, 197. 4 «Come se qui fosse stato rattoppato da Cristo un punto debole della legge ! » (Calvino, I, 185). s Calvino, 1, 1 84: «Enorme accumulo dei loro errori ... con empio diletto e corrispon­ dente presunzione diffondono tra il popolo le loro menzogne al posto della Scrittura » . 6 Bill., I , 2 5 3 ; Bacher, Terminologie l , 1 9 2; II, 219. 222. s'mu'iih è termine tecnico per la tradizione halakica. A impedire di intendere àxotX.! come «spiegare, interpretare » (cf. Bacher, op. cit. 1, r 89 ) c'è l'aoristo 'Ìjxoooa.n.

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LE ANTITESI

Per questo a mio parere non è possibile che le antitesi si rivolgessero solo contro una determinata prassi interpretativa giudaica della Bibbia.' ijxouaa'tE non ha affatto un significato tecnico: « Voi avete sentito» , ad esempio in sinagoga o a casa, che nella Bibbia fu detto quanto segue. • Èpp�-BlJ invece - sulla base sia dell'uso linguistico esegetico rabbinico,3 sia di quello matteano - va inteso tutt'al più come passivum divinum in riferimento a Dio che parla nella Scrittura. Ciò è pressoché sicuro in Matteo per via della formula di compimento, verisimile invece per i li­ velli di tradizione precedenti, sia sulla base dell'uso linguistico rabbini­ co sia per il contenuto delle tesi. Gli « antichi » sono poi probabilmente da intendere, nel senso del rabbinico risonim, come la generazione del Sinai. 4 Le formule di antitesi oppongono quindi la parola di Gesù alla Bibbia stessa. Esse non depongono a favore della tesi secondo cui Gesù avrebbe voluto discutere criticamente solo l'interpretazione giudaica o addirittura solo suoi determinati indirizzi, ad esempio quello dei saddu­ cei.5 Nel modo di intendere la formulazione per antitesi l'interpretazio­ ne cattolica della chiesa antica e quella delle libere chiese hanno fonda­ mentalmente ragione rispetto a quella classica protestante. D'altra parte l'introduzione matteana di 5 , 1 7 sottolinea che Gesù «compie» la torà e i profeti. Qui si pone un problema interpretativo de­ cisivo: come si rapportano le antitesi di Gesù con la loro interpretazio­ ne matteana ? Ci troviamo qui di fronte a una contraddizione, sicché il giudeocristiano Matteo avrebbe forse tentato di ricollegare l'unico mae­ stro Gesù alla torà, probabilmente contro la sua stessa intenzione? Non penso che siamo sulla pista giusta con tale ipotesi: essa presuppone che si fosse già tracciata, in linea generale, una distinzione tra torà scritta e orale o tra torà e sua interpretazione. 6 La volontà di Dio tramandato come torà era allora una realtà vivente. La torà poteva non solo essere inasprita/ ma anche riformulata in modo diverso. Dal messia ci si aspet­ tava un'interpretazione, una conferma definitiva e anche un adattamen1

Così ad es. Kuhna, 2 I J · 2 I 5 . D i norma l a Bibbia non veniva «letta» , m a l a s i «ascoltava » d a qualcuno che leggeva a voce alta. 3 Bacher, Terminologie 1, 6: ne'bnar > .3 Già Sir. 3 4 , 2 1 s. LXX iden­ tificava come assassino colui che toglie al povero il sostentamento. Anche Hen. slav. 44,3 presenta una sequenza paragonabile a Mt. 5 ,22: « Chi ma­ nifesta ira contro qualsiasi uomo senza essere stato offeso, la grande ira del Signore lo falcerà; chi sputa in faccia a un uomo, l'infamia lo falcerà al grande giudizio del Signore >> . I paralleli mostrano che la richiesta di Gesù non rappresenta niente di nuovo nell'ambito della parenesi giudaica contemporanea e ci richia­ mano alla memoria che nel giudaismo farisaico la torà non era solo il fondamento di un sistema giuridico, né solo un « ordinamento cittadi­ no>> o un «dovere esteriore >> . 4 Essa non solo abbracciava l'ambito dei comandamenti misurabili (mi�wòt), ma era una direttiva di Dio per tutta l'umanità. Non era affatto una novità nel giudaismo farisaico che la torà dovesse essere letta « all'interno della linea del diritto >> ,5 cioè a partire dalla richiesta di misericordia e dal comandamento dell'amore, e che essa era « affidata al cuore » . 6 torà come richiesta giuridica e torà come volontà di Dio che impegna l'uomo nella sua interezza nel giudai­ smo non si escludono, ma si implicano a vicenda. Da un punto di vista cristiano non si deve cedere alla tentazione di costruirsi un'immagine del giudaismo che banalizza - in quanto non vincolante a norma di leg­ ge - l'intero ambito della parenesi di stampo sapienziale e lo mette ai s.) (chi svergogna pubblicamente il suo prossimo è come uno che sparge sangue); Kallah 1 8a (Bill., loc. cit. ). I Pes. 66b (Bill., 1, 277). 2. Bill., I, 280. Rispeno a Mt. 5 , 22 le offese sono più grandi e le pene adanate alla colpa. 3 Derek 'ere� 10 (Bill., I, 282). 4 Calvino, I, 1 8 5 . 5 Montefiore, Gospel II, 499, rinvia a ragione a l principio rabbinico t�fiinim misura t haddin. L'espressione proviene senz'altro da Eleazar di Modaim (Mek. Es. 1 8,20 Uitro 2)), intorno al 100, e si riferisce di norma alle opere d'amore non «esigibili » . Che col «rimanere all'interno della linea del diritto» non si tratti semplicemente di una possibili· tà lasciata a discrezione, lo dimostra l'importante affermazione di r. JoJ:tanan in B.M. 3ob (Bill., 1 , 3 4 5 ) : Gerusalemme è stata distrutta poiché si regolavano secondo il diritto della torà e non rimanevano all'interno della linea del diritto. 6 Sifra Lev. 19,I4 (Qedoshim 2); B.M. 5 8b: dei diversi comportamenti non «esigibili» si dice: «delle cose che sono affidate al cuore si dice: 'Devi temere il tuo Dio' » , Su tutto questo cf. Urbach, Sages I, 3 30-3 3 2.

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margini solo per poter salvare l'originalità di Gesù. 1 Quanto al conte­ nuto, quindi, la prima antitesi non è affatto originale. Gesù si esprime solo in modo più duro ed esigente della parenesi giudaica, in quanto presenta il suo ammonimento in forma di norma giuridica; 2 così egli ne sottolinea il carattere assolutamente vincolante. Ma ciò non ne fa anco­ ra una vera antitesi rispetto al giudaismo e all'A.T. La novità dell'ammonimento di Gesù sta dunque soltanto nella sua veste antitetica? Ma allora che cosa significa questa antitesi, se Gesù, in contrapposizione alla torà, in forza del suo particolare potere quale mes­ saggero del regno di Dio, annuncia qualcosa che in fondo ognuno già sapeva ? Tra il pathos della formula di antitesi e l'ovvietà del suo conte­ nuto c'è quindi una frattura. Mi pare che si debba partire dall 'affinità tra esigenza legale e parene­ si nel giudaismo. Contrapponendo antiteticamente la parenesi - sotto la forma vincolante delle > .4 25 s. L'ultimo blocco tradizionale sulla riconciliazione con il proprio avversario nel processo in tribunale rende all'improvviso ambiguo un ammonimento che inizia in modo usuale e lascia intravedere, dietro la situazione processuale, il giudizio universale: questo testo è evidentemen­ te pragmatico e trova i suoi paralleli nei consimili consigli pratici della tradizione sapienziale.5 Per un debitore che sta per subire un processo per debiti è un buon consiglio quello di trovare un accordo col suo cre­ ditore prima di essere arrestato; e anche il creditore può avere il suo in­ teresse, perché non sa se la famiglia o gli amici del debitore arrestato pa­ gheranno effettivamente per lui.6 L'arresto per debiti era ignoto al dirit­ to giudaico; 7 si tratta perciò del terrore di un processo di gentili, in cui

Ad es. Didascalia I I (Achelis-Fiemming, 69); Glossa Ordinaria, al v. 2 3 . A d es. Chrys. In Mt. I 6,9 (PG 5 7 , 248). I due pensieri risalgono a Did. q, I s . : chi non si è riconciliato col suo prossimo non può partecipare alla confessione dei peccati e all'eucaristia della comunità. Un primo effetto del nostro testo, che forse rispecchia già la prassi della comunità matteana. 3 Lutero, Wochenpredigten', 3 66. 4 Aug. Serm. Dom.' I , I o (27). 5 Cf. Prov. 6, x-s; 25,7 s.; Sir. I 8, I 9 s. (con la stessa trasparenza del consiglio abituale sui rapporti con Dio come Mt. 5,25 s.). 6 Cf. Tilborg', 56. 7 Sul problema dell'arresto per debiti cf. vol. 111, a 1 8,2.3-25. r

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il povero debitore è imprigionato fino all'ultimo centesimo. Alla comu­ nità di Matteo, stanziata in Siria, gli agenti del tribunale (come tortura­ tori? ) 1 e gli arresti per debiti erano realtà familiari così come il termine di comodo greco eùv6w. Decisiva è però la dimensione profonda del te­ sto, dimensione che mira da un lato alla riconciliazione con l'avversa­ rio: i lettori devono intendere ta.a.t eùvowv a partire da ÒtaÀÀayYJ.a.t (v. 24b); l'avversario (àntòtxo�) deve diventare un fratello ... Appare qui già qualcosa di quell'amore per il nemico che sarà successivamente svilup­ pato nella sesta antitesi. L'antitesi del v. 22, formulata in termini nega­ tivi, riceve quindi una continuazione positiva dai vv. 23 -26: al posto dell'ira e delle parole malvagie subentrano riconciliazione e amore. La 7 -, ma pensa al giudizio finale di Dio. 1 los. Ant. 4,214; 16,23 2 (per le torture); in ambito greco Diod. Sic. 14.5,1 s.; 17,30,4; Appian. Bel/. Civ. 1,3 I ( 1 3 8 ). 2. Quattro volte nei vv. 22-24. 3 Strecker, Bergpredigt> del v. 28, inteso come strumento di seduzione. La rico­ struzione del dettato di Q è molto difficile: Luca ha omesso il logion, verso il cui radicalismo provava forse una certa avversione. Delle particolarità della versione di Q rispetto a Marco fanno parte di certo gli imperativi É�e:­ Àe: e �tiÀe: CÌ.1tÒ aou, l'introduzione con e:! e la costruzione con cru!J.rpÉpe:t crot tvcx xiXÌ. !J-�.4 Aggiunte redazionali si possono tutt'al più ipotizzare.5 A fa­ vore dell'attribuzione del logion a Gesù depone lo sfondo linguistico semi­ tico, la duplice tradizione e la constatazione che Gesù si è spesso espresso in modo analogamente esagerato. . • •

. • •

Storia degli effetti. La storia dell'interpretazione dimostra una parti­ colare ambivalenza tra una tendenza ad ampliare e a inasprire il testo nella prospettiva di una avversione dualistica nei confronti della sessua­ lità, e un'altra tendenza ad attenuare anche questa antitesi per poterei convivere. a) Inasprimento e ampliamento possono svilupparsi su punti diversi: 1 . Il termine yuv� è stato inteso non nel senso di moglie, ma semplicemente di donna. La Vulgata traduce con mulier e non con uxor. Di conseguenza, 2. Cf. vol. m, intr. a 1 8,6-9, nr. 1. Cf. Berger, Gesetzesauslegung I, 3 27. 346. Perlopiù si pensa a una tradizione particolare; Strecker, Bergpredigt>. l. Il risalto dato al matrimonio si è mantenuto nell'esegesi postriformata ed è oggi riscontra bile anche in autorevoli posizioni cattoliche_ 3 La storia dell'interpretazione fa capire come - e quanto profonda­ mente - siamo influenzati a questo riguardo dalla nostra tradizione, nonché talora anche dal tentativo di emanciparcene. Essa esplicita gli interrogativi esegetici: che cosa significa yuv�? Come va inteso 7tpoç con l'infinito ? Essa pone i lettori di oggi davanti alla questione se si possa effettivamente giustificare, sulla base di Mt. 5 ,27-30, la morale sessuale tradizionale della chiesa avversa al corpo e al piacere. E soprattutto: che cosa stava veramente a cuore a chi pronunciò questa antitesi ? 2 7 s. yuv� significa certamente moglie e non semplicemente donna in generale. Ciò si evince dall'ambito di validità del sesto (settimo) co­ mandamento e dal significato di (J-OL'X,EUw, che vale «commettere adulte­ rio» e non semplicemente « comportarsi in modo lascivo » . In ambito giudaico (J-OL'X,EUELV si dice esclusivamente dell'uomo; per le donne il ver­ bo dovrebbe essere formulato al passivo (cf. v. 3 2a). Questa, come pure la successiva antitesi, si rivolge solo agli uomini. 4 7tpoç con l'infinito indica, secondo l'uso linguistico matteano (6, 1 ; 2 3 , 5 ; 26, 1 2 redaziona­ li; 1 3 , 3 0 tradizionale), l'intenzione e non la conseguenza. Per questo sono giustificate le riserve nei confronti di tutte le interpretazioni che inaspriscono e ampliano il senso. Si tratta di uno sguardo intenzionale, con lo scopo di infrangere un matrimonio altrui.5

1tpòc; -rò t7tt.Su!L lj aa t aÙ't�v è oggettivamente difficile, poiché il desiderio pro­ priamente è solo conseguenza di uno sguardo (indagatore), non può esser­ ne il proposito. Per questo Haackera propone un'altra traduzione: . Io però vi dico: non giurate affatto, nemmeno sul cielo, poiché è «il trono di Dio>> , e nemmeno sulla terra, poiché è « lo sgabello dei suoi piedi >> , e nemmeno verso Gerusalemme, I poiché è la «città del gran re >> ; e non devi giurare nemmeno sulla tua testa, poiché non puoi rendere bianco o nero neanche un singolo capello. La vostra parola deve essere: « Sì, sÌ » , «No, no» ; i l d i più viene dal maligno.

1 . Struttura. La tesi (v. 3 3 ) richiama il v. 21 poiché, come nel v. 2 1 , ci sono una formula introduttiva completa e una formulazione a due membri: essa introduce la seconda metà della serie di antitesi matteane e non contiene al­ cuna citazione diretta di passi biblici, a differenza delle altre antitesi pri · marie (vv. 2 1 . 27), ma analogamente al v. 3 1 . Per la prima volta l'antitesi è formulata come divieto (come al v. 3 9 ) . Questo divieto non presenta alcun rapporto linguistico diretto con il v. 3 3 .1 Il divieto generalizzato (olwc;) si sviluppa in quattro brevi frasi introdotte da !J.�'t'E:, tre delle quali sono for­ mulate in modo perfettamente parallelo: cielo, terra e Gerusalemme si cor· rispondono; ciascuna delle frasi esplicative introdotte da o-n contiene un'alI In mezzo alla serie di èv sorprende el�: si è forse pensato a un giuramento solenne con la direzione della preghiera verso Gerusalemme? In ambito giudaico non è attestata una formula di giuramento col nome di Gerusalemme; cf. Bill., 1, 3 3 3 · :z. Particolarmente sorprendente è che a l v . 3 4 si presenti al posto della radice òpx- la nuova radice Òf.L·(VIJ!'-t) .

lusione veterotestamentaria e termina con un riferimento a Dio, particolar­ mente sentito nell'ultima. La quarta frase introdotta da IJ.�'te: al v. 3 6 esce dallo schema sia contenutisticamente, a causa di una giustificazione di al­ tro tipo, non teologica, sia sul piano formale, per la ripresa di ÒIJ.OO"TJç, per l'allocuzione in seconda persona singolare e per la mancanza di una cita­ zione biblica. Il v. 3 7 è una nuova frase principale con allocuzione in secon­ da plurale come il v. 3 4 · 2 . Fonte. Matteo sembra aver accolto l'intero blocco tradizionale dei vv 33 -3 7a da un'unica fonte, verisimilmente dalla sua fonte scritta delle anti­ tesi. ' Solo la frase di chiusura del v. 3 7b potrebbe risalire a Matteo stesso per ragioni linguistiche. 2 .

3 · Storia della tradizione. L'antitesi non è un blocco unitario. I vv. 3 4 s. Giac. 5 , 1 2, che non è formulato come antitesi.3 3 . 1 . Il pezzo tradizionale originario deve essere ricostruito con l'aiuto di Giac. 5 , 1 2 .4 Questo versetto contiene una parte essenziale delle specifica­ zioni dei vv. 3 4 s., ma senza le allusioni alla Scrittura e senza il v. 3 6. La sua seconda parte corrisponde ali' esortazione positiva di M t. 5,3 7. Non parla però di un doppio sì o no, ma una formulazione predicativa: « il vo­ stro sì sia un sì, il vostro no un no» . La conclusione è del tutto diversa da Mt. 5,3 7b. In buona sostanza, si possono considerare due possibilità di ri­ costruzione: a) i vv 3 3 -3 4ab. 3 7 sono il nucleo dell'antitesi originaria; i vv. 34c-3 6 sono ampliamenti secondari di carattere etico. La forma non anti­ tetica di Giac. 5 , 1 2 è secondaria e corrisponde allo stile sapienziale della lettera di Giacomo.5 b) l'antitesi non è originaria. L'esortazione a due mem3 7 hanno una variante in

.

I

Cf. sopra, a 5,2.1-48, nr. 2.. 2 Essa è formulata in modo del tutto diverso in Giac. 5 , 1 2.. Per 7tov1JP> . Si può veramente pen­ sare che un divieto di giuramento - non gesuano ma nemmeno (cf. sotto) giudaico - po­ tesse essere il contributo proprio di una comunità giudeocristiana alla discussione giu­ daica sul giuramento? Questo è a mio giudizio un caso classico per il criterio di dissimi­ glianza. 7 Ci sono stati continui tentativi di aggirare oÀwc;. Esempi: Calvino, I, 193; Beza, 23 (si tratta solo di giuramenti «per rem creatam, ut apparet ex proxime sequentibus . . . formu­ lis». Comodo ma improbabile è sostituire oÀw.; con u!'-lic; con l'aiuto di sy•in (cf. Merx, Evangelien n/x, 1 0 1 s.). 8 Esempi: Soph. Oed. Col. 650 (Teseo è degno di fede, non ha bisogno di alcun giura­ mento); Cherilo Epico, in Stob. Ecl. 3,27, 1 ; Menand. Sent. 592 (ed. S. jaekel, Leipzig

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QUARTA ANTITESI

ramento e religione: di incerta interpretazione è il divieto di giuramento dei Praecepta Delphica. 1 Socrate ha utilizzato il cosiddetto giuramento di Ra­ damante e ha giurato « sul cane » ; Apollonia di Tiana considera questo un atto pio, suggerito dalla volontà di evitare il nome di Dio. l. In altro modo si manifesta il carattere religioso della critica al giuramento nella stoa recen­ te: il vero sapiente non ha bisogno del giuramento, poiché porta in sé Dio.3 Un testo molto tardo interpreta il giuramento come un abbassare Dio al li­ vello delle occupazioni umane.4 - La critica al giuramento può però rice­ vere anche una nota illuministica e antireligiosa: il richiamo agli dei è su­ perfluo, poiché solo la credibilità dell'uomo è decisiva.5 Il sostegno dato dal­ la religione alla verità è divenuto fatiscente. 6 Molti di questi motivi ellenistici si ritrovano in Filone. Solo che Filone, in quanto giudeo, considera la questione del giuramento da un punto di vi­ sta teologico, a partire dalla santità del nome di Dio, cioè a partire dal se­ condo (terzo) comandamento del decalogo. « La semplice parola di un uo­ mo dabbene - si dice - deve valere come un giuramento>> (Spec. Leg. 2,2). Giurare significa sporcare e profanare il nome divino (Spec. Leg. 4 ,4o; De­ ca/. 9 3 ) . Anche giurare il vero è solo una possibilità di ripiego (Decal. 84); non giurare invece è propriamente il comportamento sensato (Decal. 84), poiché «per l'uomo assennato giurare molto è . . . dimostrazione di inaffida­ bilità » (Spec. Leg. 2,8). Come possibili soluzioni alternative Filone racco­ manda il giuramento greco cosiddetto «ellittico>> 7 o l'invocazione di qual­ cosa di diverso dalla causa prima, ad esempio la terra, il sole, il cielo ecc. (Spec. Leg. 2,4 s.). Gli esseni, secondo la testimonianza di Flavio Giuseppe (Beli. 2,1 3 5 ) e Filone (Prob. 84) rifiutavano il giuramento e furono esentati da Erode dal giuramento di fedeltà dei sottoposti (los. Ant. 1 5 , 3 7 1 ) . Ma in realtà essi 1964, 67); Plut. Aet. Rom. Gr. 275c (�ciacxvo>, da rigettare del tutto il giuramento.5 Gesù, come i rabbi e Filone, si volge contro l'abuso del giura­ mento, come vuota espressione di autenticazione nella vita di tutti i gior­ ni.6 A ciò rimanda la forma dell'ammonizione e il divieto di espressioni sostitutive nei vv. 3 4 s. Sappiamo che allora si giurava per le occasioni più banali, molto più spesso di oggi.? Gesù quindi si trova perfettamen­ te in sintonia con la tendenza della parenesi giudaica, ma la supera at­ traverso il divieto categorico ( oÀwç) di giurare. 8 Rafforzano il divieto 34·37·

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Altro materiale in Kollmann°, 1 87 s. Shebu. 3 ,7 (pena del flagello per violazioni del giuramento); Shebu. 3 8a (Bill., 1, 323 s.). 3 Bill., 1, 3 2.8-3 30. Notevole anche Ber. na (Bill., 1, 3 2.6): già chi pronuncia un elogio non necessario trasgredisce il secondo comandamento; Shebu. 6,3 7a, 54 (Bill., I, 3 2.9): il proverbio «Innocente o colpevole, non impelagarti in un giuramento» . Altri esempi in Montefiore, Literature, 48-50. 4 Bill., 1, 3 2.6 s. 5 Tanf1Uma 1 2.6: «Non credete che sia consentito giurare sul mio nome. Non è concesso nemmeno per confermare la verità; anche per questo non si addice all'uomo giurare, perché non impari a giocare con i voti e a ingannare il suo prossimo con i giuramenti» (tr. secondo Bischoff> . :z. Con que­ sto i riformatori sono giunti al punto in cui lo stesso Matteo, per mezzo della sua successione delle antitesi, ha posto il centro dei singoli comanda­ menti di Cristo (ma non la ragione della loro eliminazione). Purtroppo Mat­ teo riflette molto poco sul rapporto dei singoli comandamenti con quello dell'amore, come del resto si è già visto a proposito del rapporto dello iota e dell'apice veterotestamentario con lo stesso comandamento dell'amore. In lui essi sono verisimilmente sottoposti, di caso in caso, al comandamen­ to dell'amore, mentre nelle grandi chiese c'è la tendenza a rimuoverli con­ cretamente. Significato attuale. La questione di una esegesi ((vera » dei testi biblici oggi è al tempo stesso la questione della nostra attuale situazione. La ve­ rità è sempre anche verità situazionale. Mi sia perciò concessa una bre­ ve nota sulla nostra situazione attuale. Mi sembra che essa sia fondamen­ talmente diversa dal passato - nelle nostre terre nordeuropee ampiamen­ te secolarizzate, postcristiane e pluralistiche - per quanto riguarda il di­ vieto di giuramento di Gesù. Il nome di Dio è oggi sostanzialmente scomparso dalla vita pubblica: secondo il convincimento di molti uomi­ ni Dio non è adatto né come spiegazione di fatti storici né come legitti­ mazione delle proprie decisioni e azioni né come garante o fondamento del diritto o delle costituzioni. È improbabile che gli uomini d'oggi ri­ corrano al nome di Dio, per la consapevolezza che con lui è chiamato in causa un pilastro della vita personale, che non deve assolutamente es­ sere discusso pubblicamente, o anche perché così si chiama in causa una realtà alla quale per molti uomini non è più collegata alcuna esperien­ za. In modo del tutto diverso che per la società del tempo di Gesù, oggi sperimentiamo non l'uso inflazionistico del nome di Dio, ma la sua scom­ parsa dalla società. Di conseguenza, ha perso importanza anche il giura­ mento pubblico come strumento di prova e come propria obbligazione; 3 l'uomo di oggi è diventato adulto e sa di avere un obbligo etico nei con­ fronti della verità, senza che questa abbia bisogno di un rinforzo o di una sanzione religiosi. 4 A ogni modo nella maggior parte dei paesi d'Euro­ pa è oggi facile rifiutare il giuramento; anzi, chi lo fa incontra conside­ revole comprensione e consenso. L'obbedienza alla quarta antitesi è og­ gi infinitamente più facile che per tutte le altre. I

Lutero, Predigten uber das 2. Buch Mose, I 5 24- I 5 27 (WA r 6), 475· Calvino, Inst. 2,8,27. 3 J. Schwarz, Eid, in EKL 1 , J r 986, 990. 4 Verisimilmente più nel senso di Kant (sopra, p. 424 n. 5) che in quello di Gesù. :z.

43 3

Che cosa significa l'intenzione che sottostà alla quarta antitesi nella situazione attuale? Che Dio obblighi gli uomini a una veridicità assolu­ ta è oggi importante è fondamentale come sempre. Che però sia Dio a obbligare e ad autorizzare i cristiani a questa veridicità, deve essere det­ to esplicitamente nel nostro mondo divenuto secolare e senza Dio. 2.2. 5 . Quinta antitesi: della non violenza ( 5,3 8-42) Su 5.3 8-48. j. Blank, Gewaltlosigkeit-Krieg-Militiirdienst: Orien. 46 ( 19 8 2) 1 5 7163. 21 3 - 2 1 6. 220-223; Catchpole, Quest, IOI-I I 6; A. Dihle, Die goldene Regel (SAW 7), 1962; P. Fiebig, ]esu Worte uber die Feindesliebe: ThStKr 9 1 ( 1 9 1 8) 3064; D. Kosch, Die eschatologische Tora des Menschensohns. Untersuchungen zur Rezeption der Stellung Jesu zur Tora in Q (NTOA 1 2), 1989, 2 1 3 -426; W. Liene­ mann, Gewalt und Gewaltlosigkeit. Studien zur abendliindischen Vorgeschichte der gegenwiirtigen Wahrnehmung von Gewalt (FBESG 3 6), 1982; D. Liihrmann, Liebet eure Feinde (Lk. 6,27-3 6; Mt. 5,3 9-48) : ZThK 69 ( 1972) 4 1 2-43 8; F. Neu­ gebauer, Die dargebotene Wange und fesu Gebot der Feindesliebe. Erwiigungen zu Lk. 6,27-3 6 / Mt. 5.3 8-48: ThLZ 1 1 0 ( 19 8 5 ) 865-876; J. Piper, Love your Enemies (MSSNTS 3 8), 1 979; j. Sauer, Traditionsgeschichtliche Erwiigungen zu den synop­ tischen und pau/inischen Aussagen uber Feindesliebe und Wiedervergeltungsver­ zicht: ZNW 76 ( 1 9 8 5 ) 1-28; L. Schottroff, Gewaltverzicht und Feindesliebe in der urchristlichen Jesustradition (Mt. 5.3 8-48; Lk. 6,27-3 6), in G. Strecker (ed. ), fesus Christus in Historie und Theologie (Fs H. Conzelmann), Tubingen 1975, 1 97-22 1 ; G . Strecker, Compliance-Lave of one's Enemy - The Golden Rule: ABR 2 9 ( 19 8 1 ) 38-46; G . Theissen, Gewaltverzicht und Feindesliebe (Mt. 5,3 8-48; Lk. 6,27-3 8) und deren sozialgeschicht/icher Hintergrund, in Id., Studien, 1 60- 1 97; L.E. Vaage, Galilean Upstarts, Valley Forge 1 994, 40- 54. Su 5,3 8-42. l. Broer, Friede durch Gewaltverzicht? (KRB 25), 1 9 84; H . Clavier, Matthieu 5,3 9 et la non-résistance: RHPhR 3 7 ( 1957) 44-57; S. Currie, Matthew 5.39{ - Resistance or Protest?: HfhR 57 ( 1 964) 140- 1 4 5 ; Daube, New Testament, 254-265 ; P. Fiebig, CÌ"'f"Y!XpEUw: ZNW 1 8 ( 19 1 7- 1 9 1 8 ) 64-72; j. Lambrecht, The Sayings of ]esus on Nonviolence: LouvSt 1 2 ( 1 987) 29 1-305; H. Sahlin, Traditions­ kritische Bemerkungen zu zwei Evangelienperikopen: StTh 3 3 ( 1 979) 69-84; Schulz, Q, 1 20- 1 27; R. Tannehill, The «Foca/ Instance» as a Form of New Testa­ ment Speech. A Study of Matthew 5·39b-42: JR 50 ( 1970) 3 72-3 85; A. Vogtle, Ein unabliissiger «Stachel» (Mt. 5.39b-42 par. Lk. 6,29-3 0), in H. Merklein (ed.), Neues Testament und Ethik (Fs R. Schnackenburg), Freiburg-Basel-Wien 1 989, 5 3 70; D.J. Weaver, Transforming Nonresistance. From Lex Talionis to «Do not re­ sist the Evi/ One», in W.M. Swartley (ed.), The Love of Enemy and Nonretaliation in the New Testament, Louisville 1 992, 3 2-7 1; W. Wink, Neither Passivity nor Violence: Jesus' Third Way (Mt. 5,3 8-42 par.), in Swartley, Love of Enemy, 10212.5; W. Wink, Engaging the Powers, Minneapolis 1992; W. Wolbert, Bergpredigt und Gewaltlosigkeit: ThPh 5 7 ( 1 982) 498-5 25; Zeller, Mahnsprnche, 5 5-60. Altra bibliografia (h ) nella sezione su Mt. 5,21-48 (sopra, p. 3 68), e (') in quella introduttiva sul discorso della montagna, Mt. 5-7 (sopra, pp. 275-287).

38 Avete sentito che fu detto:

«occhio per occhio e dente per dente» .

434

QUINTA ANTITESI

Io però vi dico: non opponete alcuna resistenza al male, ma chi ti colpisce sulla guancia destra, offrigli anche l'altra, 40 E a chi vuole trascinarti in giudizio e prenderti la tunica, lascia anche il mantello. 41 E chi ti costringe a percorrere un miglio, va' con lui per due. 42 A colui che ti chiede, dà. E a chi vuole un prestito da te, non voltare le spalle. 39

1 . Struttura. La formula introduttiva è nuovamente abbreviata, esattamen· te uguale a 5,4 3 . Il divieto di Gesù è espresso con [.L� + infinito, come in 5, 34· Così la quinta antitesi è legata a quanto precede e a quanto segue. Al­ l'antitesi vera e propria dei vv. 3 8-39a segue, come nella prima e nella se­ conda antitesi, un passaggio alla seconda persona singolare con quattro am­ monizioni intese come esemplificazioni concrete, espresse alternativamente con oa·nç e col participio. Sul piano formale l'intero testo è quindi molto compatto; soltanto il v. 42. fuoriesce dalla simmetria delle esemplificazioni: contiene un doppio imperativo in posizione finale. Per questo riceve una sottolineatura particolare. :z.. Redazione e fonti. Se si prescinde dai vv. 3 8-3 9a, alla base c'è Q. Matteo ha estrapolato dal complesso della composizione Q sull'amore per i nemici (Le. 6,:z. 7-3 6) i logia di Le. 6,2.9 s. e ne ha fatto la spiegazione del­ la quinta antitesi. La ricostruzione del dettato di Q è difficile. Le numerose varianti nei Padri apostolici e negli apologeti sono di scarso aiuto. 1 :z.. 1 . L'antitesi dei vv. 3 8-3 9a risale probabilmente all'evangelista.:�. Mo­ tivi: le citazioni da Es. 2.1 ,2.4; Lev. 2.4,2.0 e Deut. 19,2.1 corrispondono al testo dei LXX. Al v. 39 [.L� + infinito riprende sul piano formale il v. 34· Il verbo à:v.S(a'tl}[.Lt è certo singolare in Matteo, ma era necessario poiché in quasi tutte le antitesi c'è una corrispondenza verbale tra tesi e antitesi (à:v·d - IÌ:v'tta'tljvcxt). Matteano è 7tOVlJpoç.3 :z. . :z. . Vv. 39b-4 I : nei vv. 39b-4I Matteo varia la costruzione participiale: ama oa-.tç e conosce anche la ripresa semitizzante del pronome relativo tramite un non congruente cxù-.oç in caso obliquo ([.Ln' cxù-.ou). 4 Nel v. 3 9b 1 Did. 1,3-5; lgn. Poi. 2,1; 2 Clem. 1 3 ,4; Polyc. Phil. 1 2,3; Iust. Apol. 1 , 1 5,9- 1 3 ; 1 6,1 s.; Dial. 96, 3 . In tutti questi casi bisogna ammettere almeno anche un influsso diretto o indiretto del testo matteano. Ciò vale a mio parere anche per Did. 1,3-5 (contro Kohler, Rez;eption, 43-47, e con Davies-Allison, 1, 5 3 9 s.). 2 jeremias, Theologie, 240, e Wrege> , per la fondamentale prossimi­ tà ad altre espressioni giudaiche; questo giudizio potrebbe valere anche per il v. 4 1 nonostante una più esigua base tradizionale. Il v. 42 è un'ammoni­ zione originariamente indipendente, sulla cui origine non si può dire nulla di sicuro già sulla base degli incerti rapporti della tradizione. Le questioni più importanti sono: I . qual è il significato delle formu­ lazioni iperboliche? in quale misura questi comandamenti sono da in­ tendersi alla lettera ? oppure: in quale misura mirano soltanto a fornire un indirizzo di comportamento o un modo di pensare? 2. Qual è il loro ambito di validità ? è in gioco soltanto l'ambito della convivenza perso­ nale o anche la trasformazione di strutture, ad esempio del diritto o del­ la condotta politica ? Le tre parole di Gesù ai vv. 3 9 b-4 1 vanno anzitutto interpretate in sé e per sé. Uno schiaffo (v. 3 9b) era considerato espressione di odio e offesa: in primo piano c'è l'oltraggio, non il dolore. 1 Non si conside­ ra una situazione particolare: non si tratta né di un padrone che puni­ sce il suo schiavo o di un oppressore che colpisce un oppresso, né della rinuncia a una punizione legale per le offese 1 né infine degli schiaffi che i discepoli ricevono in occasione della missione ( «come eretici » ),3 ma piuttosto di ogni possibile scontro violento nella vita di tutti i giorni. Molti lettori si ricordano forse anche di passi biblici, per esempio del servo di Dio picchiato di Is. 50,6.4 La precisazione Òt:�tciv (risalente forse all'evangelista) - il colpo sulla guan­ cia destra non è abituale: per eseguirlo o si deve essere mancini o si deve 3 9b.

r Cf. Is. 50,6; Lam. 3 ,30. Wettstein, 1, 309, offre esempi di uso proverbiale di os prae· bere contumeliis. 2. Guelich è forse da intendersi come neutro, come al v. 37 e in genere in Matteo, nel senso di , e non, come potrebbe semmai suggerire oa'ttc;, al maschile nel senso di . 2. Chi vive in uno stato retto secondo principi cristiani si trova nella stessa situazione di un padre che deve punire suo figlio: qualche volta è necessario compiere atti benigna quadam asperitate, per cui «si deve procedere più secondo un cri­ terio di utilità che non secondo la volontà » di Dio. Tra questi atti figura anche la guerra da condurre > debbano «pretendere l'aiu­ to dell'autorità a difesa dei loro beni» .6 Questo tipo di interpretazione di­ viene poi molto frequente nelle chiese riformate.7 Che cosa resta, allora, come luogo per una prassi del comandamento della non violenza? Hans Weder nella sua interpretazione del discorso della montagna del 1 9 8 5 dice: «Frasi di tal genere risultano scritte sempre soltanto nel cuore dell'uomo. È impossibile volerle trasformare in condizioni strutturali, magari nelle strut­ ture di una chiesa. Nelle strutture, quand'anche siano quelle della chiesa, si deve procedere secondo il diritto. . . Ma nel cuore di coloro che operano attivamente in queste strutture è conservata la parola di Gesù, orientata alla signoria di Dio. Ed essa si fa sentire quando la giustizia diventa ov­ via >>. 8 Ciò significa che queste frasi, come quelle di Mt. 5 , 3 9-4 1 , non pos­ sono essere tradotte nella pratica in nessun luogo, né nella chiesa né - men che mai - nello stato. Esse rimangono un punto esclamativo ai margini del 1 Lutero, Wochenpredigten', 390.

2.

M. Lutero, Von weltlicher Obrigkeit (v. sopra, p. 447 n. 8), 17. Cf. LienemannQ, 154. Lutero, Wochenpredigten', 3 9 1 . 4 M. Lutero, O b Kriegsleute auch in seligem Stande sein konnen (WA 19), 623-662 (Miin· chener Ausgabe, v, 1 7 1-205). s Anche nella rinuncia a quanto si possiede sono coinvolti ad esempio i congiunti e in ogni caso l'ordinamento giuridico. 6 Calvino, Inst. 4,20,20. 7 Cf. ad es. la tipica argomentazione pragmatica in F. Schleiermacher, Die christliche Sitte, Berlin 1 843, 259-263: una generale disponibilità a sopportare l'ingiustizia significa la fine della società civile, fintantoché in essa ci sono ancora dei malfattori. Che siano que­ sti a imporsi non può assolutamente corrispondere al senso di Cristo. L' «antenato» di questa argomentazione è Celso (v. sotto, p. 450 n. 2). 8 Weder', 1 3 5 . 3

449

mondo. Questo punto esclamativo, nel cuore di coloro in cui è custodita la parola di Dio, potrebbe generare un rammarico profondo in quanto il mondo - anche la chiesa - purtroppo non è ancora il regno di Dio. La con­ clusione del discorso della montagna non potrebbe essere trascritta più chiaramente nelle nostre chiese. Il v. 42, che è orientato alla prassi, ha infine dato adito a ridimensiona­ menti di vario tipo carichi di conseguenze. Regalare doni spirituali fa me­ no male, come testimonia involontariamente Gerolamo in modo onesto: «Denaro . . . , che non manca quando lo si dà, e cioè . . . la sapienza» . 1 Il do­ no più grande è la compassione. 2 Si deve sempre fare attenzione a non dan­ neggiare col proprio dono né se stessi ( ! ) né un altro,3 o forse più in gene­ rale: dignità e giustizia 4 devono fare da guida nella prassi di questo co­ mandamento. Una linea d'indirizzo che si presenta di frequente è anche un ordo caritatis che comincia con le persone più vicine. s In breve: è rimasta valida col passare dei secoli la beffarda obiezione di Giuliano l'Apostata, che si domandava che cosa sarebbe successo se i cristiani avessero preso sul serio questo comandamento. 6 Significato attuale. È facile prendere le distanze, almeno sul piano teo­ rico, dal ridimensionamento - apertamente ecumenico - di questo te­ sto. Non era tuttavia questo lo scopo di tali considerazioni. Piuttosto la storia degli effetti deve richiamare la nostra attenzione su alcuni pro­ blemi di fondo che sono importanti per l'applicazione del testo nella si­ tuazione attuale. 1. Da nessuna parte, forse nemmeno in Matteo, le sollecitazioni di Gesù sono state tollerate in tutta la loro severità. Nella situazione del regno di Dio che irrompe, esse miravano nientemeno che a viverne e a patirne la verità, con un atteggiamento di sfida e di provocazione, nel mondo e di fronte al mondo. Il regno di Dio non è giunto nel modo in 1

Citato secondo Tommaso, Lectura, nr. 549· 2 Plus est compati ex corde quam dare (Gregorio Magno, citato secondo Tommaso, Lec­ tura, nr. 548). Cf. Glossa Ordinaria, 97: si deest facultas, da affectum. 3 Aug. Serm. Dom.' 1 ,2.0 (67). 4 Cyr. Al. In Mt. fr. 66 (Reuss, 173) (chi prega deve essere ii�toc;, la preghiera deve essere Òtxaia); Glossa Ordinaria, 97 (quae honeste et iuste possunt dari). Già Tertullian. Fug. 1 3 (PL 2., 1 1 8 ) esorta alla ragionevolezza nel dare: non si dà del vino a chi ha la febbre né una spada a chi minaccia il suicidio. s Ad es. Maldonado, 1 2.6. Parenti e amici vengono prima di estranei e sconosciuti. 6 1n Greg. Naz. Orat. 4,97 (BKV 1/59, 1 3 6). Giuliano interpreta le richieste di Gesù alla lettera e ne deduce, non del tutto a torto, che richiederebbero «di vivere in un altro mondo» . Questa interpretazione viene contestata in Orat. 4,99 (BKV 1/59, 1 3 7 s.) con l'argomento che «alcune prescrizioni della nostra legge hanno forza vincolante . . . , men­ tre altre lasciano libera scelta» . Un primo stadio dell'etica a due livelli!

QUINTA ANTITESI

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cui Gesù aveva pensato. Questo fondamentale cambiamento rende in ogni caso necessaria una valutazione nuova delle richieste di Gesù. Tale operazione è agevolata dal fatto che esse non erano intese come leggi, ma come esempi e che quindi volevano lasciare spazio, fin dall'inizio, alla fantasia creativa. Un semplice ritorno a G esù non è quindi possibi­ le per fondamentali ragioni teologiche; peraltro, in ragione del caratte­ re esemplare del testo, è possibile un riferimento alla situazione perso­ nale. La storia degli effetti testimonia questa necessità di cambiamento e la libertà offerta dal testo stesso. 2. La storia degli effetti ha dimostrato che con la svolta costantinia­ na si è prodotto un cambiamento fondamentale, che ha dovuto produr re i suoi effetti sull'interpretazione del nostro testo, se lo si vuole scopri­ re sempre in modo nuovo, nelle diverse situazioni. Fino ad allora, per i cristiani si poneva solo la questione di come dovessero vivere e orienta­ re la loro testimonianza nel mondo del diritto e della politica, un mon­ do per il quale essi nulla potevano. « Le guerre erano la marca distinti­ va di quel mondo >>, 1 dal quale i cristiani sapevano di essere separati e di cui non dovevano nemmeno essere responsabili. A partire dalla svol­ ta costantiniana fu possibile un coinvolgimento diretto dei cristiani nel­ la costruzione della politica, tutelare la quale poteva essere in linea di principio compito dell'amore. Solo a partire da questa età ci fu tensione tra il compito cristiano di portare la testimonianza del vangelo di fron­ te al mondo e di vivere come una sorta di antisocietà, e l'altro compito cristiano di contribuire alla costruzione della politica e soprattutto del mondo, del quale la chiesa diventava sempre più parte, per il bene degli uomini. Questa tensione perdura ancora oggi. ­

E non può essere evitata. I battisti, in parte costretti da circostanze esterne, hanno decisamente dato la preferenza alla predicazione e all'attuazione del vangelo nella comunità piuttosto che alla cooperazione a organizzare il mondo. Tale atteggiamento era stato già criticato da Celso, poiché , i quali non ri­ spettavano né il culto di Dio né la vera sapienza tra gli uomini. 2. Ha davve­ ro una tradizione la critica secondo cui il pacifismo cristiano vivrebbe in quanto altri si occupano degli affari sporchi della politica. Ma chi in fondo oserebbe dubitare che la decisione dei non conformisti di dovere in primo luogo al mondo il vangelo non sia anche una decisione dettata dall'amore e dalla responsabilità nei confronti del mondo? Al contrario, le decisioni delle grandi chiese rivelano quanto grande sia stato il pericolo di oscurare, attraverso una partecipazione responsabile al potere secolare, l'annuncio della signoria di Dio e di esautorare pratica1

Lienemanna, 87.

2.

Orig. Ce/s. 8,68 (BKV 1/5 3, 8 1 6).

45 1

mente queste richieste di Gesù che a tale annuncio appartengono. I Nessu­ na interpretazione del discorso della montagna ha mai completamente resi­ stito al desiderio di giustificare ciò che concretamente avveniva nella chiesa dei suoi tempi. Non nella sua intenzione, ma certo nei suoi effetti, l'inter­ pretazione riformata del discorso della montagna ha condotto, ad esempio, molto lontano da quel che voleva il suo autore. Ma chi oserebbe affermare che tutto ciò sia stato solo una forma di adattamento e di opportunismo e che la decisione dei riformatori di partecipare al governo del mondo non sia stata anzitutto un tentativo di amore evangelico per il prossimo ? 3 · La nostra situazione in molti paesi dell'Occidente, tuttavia, è oggi cambiata. In molti luoghi le chiese e i cristiani sono divenuti minoran­ za, come in età precostantiniana. Le chiese, finché sono state vere e pro­ prie chiese nazionali, non hanno potuto incarnare nella loro forma il vangelo della rinuncia ai diritti e alla violenza nonché l'ethos della non violenza corrispondente al regno di Dio imminente. 1 Oggi la maggior parte delle chiese nazionali sono di fatto divenute di nuovo chiese di mi­ noranza, che si sentono in obbligo di imporre il vangelo a un mondo for­ se ancora nominalmente cristiano. Il confronto missionario col mondo, che fa anche della prassi della chiesa un elemento della predicazione (cf. Mt. 5 , I 6), è oggi lo stesso dell'età precostantiniana. Ma le possibilità per molte chiese e per i loro membri - che sono al tempo stesso cittadi­ ni responsabili - di partecipare all'organizzazione politica del mondo, sono spesso ancora quelle dell'età postcostantiniana. Noi viviamo oggi in rapporto alla chiesa in un particolare periodo di transizione. In que­ sta situazione - io credo - non basta più allinearsi sulle tradizioni inter­ pretative del discorso della montagna sviluppatesi nelle grandi chiese, ma si tratta di sviluppare una nuova interpretazione, corrispondente al­ la nostra attuale situazione, confrontandosi con le tradizioni interpreta­ rive rigoristiche delle chiese minoritarie, del monachesimo e soprattutto con i testi biblici. I Accetto consapevolmente il rimprovero di non illustrare adeguatamente l'intenzione della dottrina riformata dei due regni, poiché qui mi interessa anzitutto non la sua in­ tenzione ma il suo effetto. Questi effetti li ritroviamo oggi in due argomenti tipici: 1. le •osservazioni del discorso della montagna non (hanno) affatto il carattere di norma giuridica » e si rivolgono perciò solo ai singoli; 2. esse «presuppongono un altro uomo . . . rispetto a quello con cui oggi abbiamo a che fare» (peccato!). «La perfezione» però (Mt. 5,48) non si può raggiungere sulla terra » (J. Fulda, Pazifìsmus und Bergpredigt: Allge­ meine Schweizerische Militiirzeitschrift 6 ( 1 9 8 2]). :z. La chiesa cattolica differisce alquanto da quelle protestanti, poiché ha mantenuto la capacità di integrare i suoi non conformisti (il monachesimo). Espressione di questa in­ tegrazione è l'etica dei due livelli.

452

QUINTA ANTITESI

Su questa strada mi paiono particolarmente importanti le seguenti sol­ lecitazioni del testo: 1 . La rinuncia alla violenza è un segno contrastivo del regno di Dio o parte della nuova via di giustizia aperta da Gesù. Su questa base, ogni attuazione concreta del nostro testo dovrà mostrare chiaramente che «l'uso della violenza . . . » è « un segno distintivo del mondo non salvato», il quale > , ha scelto una formulazione straordinariamente dura di questa particolare tradizione interpretativa di Lev. 1 9 , 1 8 , formulazione che non le rende affatto ragione. Perché ? Gli in­ teressava soltanto la contrapposizione retorica con l'antitesi ? Oppure si esprime sulla base delle sue esperienze della persecuzione subita dalla co­ munità in Israele ( 1 0,22 s.; cf. 5 , 1 1 s.; 23,34-3 6 ) ? 5 Ma con la sua antitesi il Gesù matteano rafforza e acuisce un'altra tradizione interpretativa di Lev. 19,18, quella universalistica, che trova piuttosto le sue corrispondenze nel­ le affermazioni giudeo-ellenistiche sulla qltÀcxv.Spw1ttcx e in alcune più tarde interpretazioni rabbiniche di Lev. 1 9, 1 8 . 6 Inoltre il v. 4 3 riprende il princi­ pio ellenistico (non solo) dell'etica popolare, che invita a ripagare con la stes­ sa moneta, cioè amore con amore e odio con odio. 7 1 Sal. 1 19,1 1 3 - I I 5; 1 39,2 1 s.; Deut. 23 ,6; 2 5 , 1 9 ecc. Testi giudaici in Bill., 1, 365 s. Si colloca qui anche il testo di A. R. N. 1 6,4 discusso da Hofiusa, 106 s. («Amali tutti, ma odia gli epicurei, i corruttori e gli istiga tori come pure i delatori » ) . Ma nel giudaismo sono di gran lunga più numerosi i moniti contro l'odio; cf. solo Testamentum Gad. 2 Ad es. Stauffer, Botschaft, 1 28- 1 3 2; Davies, Setting, 245-248; Seitza, 49- 5 1 . 3 Cf. a d es. 1 QS 1 , 1 0 (odio pe r i figli delle tenebre, ciascuno secondo l a sua colpa) con 10,17 s. (perseguire ciascuno con il bene - poiché il giudizio spetta a Dio). Il compendio pratico è indicato da 9,21 s.: odio senza fine contro gli uomini della fossa in uno spirito di occultamento. 4 Ceno, nell'interpretazione giudaica l'amore per il prossimo fu esteso con l'aggiunta di quello per gli « stranieri» (Lev. 19,34); quest'ultimo, tuttavia, di norma fu riferito ai proseliti; cf. vol. 111, a 2.2,39. Le esonazioni alla > è una formulazione oppositiva di tipo retorico, suggerita da Lev. 19,1 8,' che vuole colpire l'ascoltatore: significa effettivamente odio del nemico se si intende il comandamento dell'amore in modo particolari­ stico o secondo l'etica comune. 46 s. I due logia seguenti chiariscono che l'amore per il nemico non esclude quello per gli amici ((.Lovov, v. 47: ovviamente si devono salutare gli amici), ma vuole significare: il vostro amore deve essere così grande da comprendere anche i nemici.2 L'amore per il nemico è il 7te:ptaaov, che appartiene alla giustizia migliore (cf. 5,20).3 La ricompensa consiste nella promessa che coloro la cui giustizia supera quella di farisei e seri­ bi potranno entrare nel regno dei cieli. La controparte negativa sono i pubblicani e i gentili: Matteo li riprende dalla tradizione e il fatto che li mantenga (Luca li sostituisce con la generica espressione «peccatori>> ) ri­ vela che la sua comunità vive ancora nell'orizzonte del pensiero giudai­ co. Essa si distingue dalle « altre>> grazie all'amore per il nemico e con ciò anticipa già l'interpretazione della chiesa antica, in cui l'amore cri­ stiano è divenuto un topos dell'apologetica.4 L'idea dell'effetto missio­ nario della prassi ( 5 , 1 6) e il pericolo di un'affermazione di sé tramite il proprio 7tE:ptaaov si trovano in stretta relazione proprio in una realtà di persecuziOne. 48. Dopo che la parola 7te:ptaaoc; (47) ha già chiaramente rimandato al v. 20, il v. 48 conclude l'intera serie delle antitesi.

Il detto di Q 6,3 6 serve come base. Si tratta di una delle più antiche espres­ sioni in territorio palestinese 5 del principio giudaico della imitatio Dei, 6 �Àart-tro); Archiloco, POxy 22,23 10 fr. 1a col. 1,14 s. (ed. M. Treu, Miinchen 19 59, 10) (-tÒv lj)tÀouv-ta ... lj)tÀEiv, -tÒv èx�pòv Èl.�ottpttv). Numerosi altri esempi, anche per la pratica del principio del contraccambio, suggerita dall'etica popolare, in Dihlea, 30-40; H. Bol­ kestein, Wohltiitigkeit und Armenpflege im vorchristlichen Altertum, Utrecht 1 939, 1 58160; von Unnika, 294-3 00; Betz, Sermone, 305 nn. 8 3 5 s. 1 Anche se nelle lingue semitiche molto spesso nelle coppie oppositive la pane negativa è solo la negazione di quella positiva, il testo greco ( ! ) di Mt. 5 ,43 b non può essere tradot­ to con > , senza distinzioni, al contrario, le distinzioni sono introdotte 1 Tertullian. Pat. 6 (BKV 1/7, 44). 1 Theodor. Her. In Mt. fr. 40 (Reuss, 68): « Cristo non dà leggi che non siano attuabili ». 3 Bibliografia: Bauera per l'età antica; Waldmanna, 1 50- 1 78; Randlinge�, 1 2.2. - 1 6 3 . 4 Orig. Horn. in Cant. 2 , 8 (PG 1 3 , 5 3 s.). 5 Hier. Pelag. 1,30 (BKV I/ I 5. 38 5 ) . 6 Ambr. Off. I,I I (3?) (BKV I/3 2, 28). 7 Liber Graduum 19,3 2 (ed. M. Kmosko [PS 1/3 ], 1926, 508 s.). 8 Aug. Ench. 1 9 (73) (BKV 1/49, 460). La gran massa dei cristiani, poiché non raggiunge il sommo bene dell'amore per il nemico, prega con il Padrenostro di Mt. 6, 1 2.

SESTA ANTITESI con l'aiuto della tradizione stoica: i nemici non possono certo essere esclusi dal generale amore per gli uomini e dalla generale intercessione. A ciascu­ no va richiesta anche la preparazione spirituale per essere pronto all'amore per il nemico, si necessitas ocurreret>> . Ma amare un nemico absque articu­ /o necessitatis . . . pertinet ad perfectionem caritatis, la quale non è necessa­ ria per la salvezza. 1 L'amore per il nemico, così, non è più il centro della prassi cristiana, ma un suo caso limite. c) Gode di un favore ecumenico la limitazione del nostro comandamen­ to alla sfera personale. Viene escluso espressamente il nemico in guerra,1 e l'amore per il nemico si sviluppa invece la sua applicazione nell'orizzonte dell'etica individuale. Si tratta di un superamento dei sentimenti di odio ver­ so «il vicino ostile, il concorrente sul lavoro >> , verso «colui che il semplice contadino o l'artigiano odiano nel profondo del cuore » , e non, come pen­ sava fra gli altri Tolstoj , di un superamento dell'odio nazionale.3 «L'odio contro il nemico nazionale è>> senz'altro «meno intenso e si sviluppa più difficilmente >> .4 Il problema della guerra può così essere escluso dall'ambi­ to dell'amore per il nemico; contro il nemico nazionale non si nutrono sen­ timenti ostili a livello personale. 5 Particolarmente importante è poi la trasformazione della richiesta di Ge­ sù in un atteggiamento interiore: Nell' > . ' Per F . Nietzsche l'amore per i l nemico è debolezza e disonestà: «Il non-potersi-vendicare è detto non-volersi-vendicare . . . Si parla anche del­ l"amore verso i propri nemici' - e intanto si suda >> . 2 Per S. Freud questo co­ mandamento è un tentativo, efficace, ma contrario alla ricerca della felici­ tà, del su per-io culturale di trasformare in senso di colpa l'urgenza di aggres­ sione e così di combatterla.3 Valutato con il metro della natura umana, il comandamento dell'amore dei nemici rientra nella categoria del credo quia absurdum e la sua problematica si manifesta in modo percepibile nella sto­ ria cristiana: l'amore per il prossimo, di cui quello per il nemico è il caso estremo, si è potuto applicare sempre solo in comunità ristrette e a prezzo di un'accresciuta aggressività verso l'esterno. «Dopo che l'apostolo Paolo aveva fatto del generale amore per gli uomini il fondamento della sua co­ munità cristiana, l'intolleranza esterna del cristianesimo verso coloro che ne erano rimasti fuori fu una conseguenza inevitabile >> . 4 A ciò si aggiunga una riflessione tratta dalla storia dell'interpretazione: nella chiesa antica è sempre evidente che il nemico da amare di M t. 5 ,44 è il gentile, mentre Mt. 7, 1 - 5 tratta delle relazioni tra i membri della comuni­ tà.5 Il nemico da amare è quindi, da un punto di vista missionario, un po­ tenziale fratello.6 In questo modo il « nemico » non viene più amato in quan­ to tale, ma perché possa essere acquisito a Cristo. Ma che succede se la per­ sona amata in questo modo non vuole lasciarsi acquisire a Cristo ? Se per­ siste nella sua ostilità ? La storia della chiesa tramanda molti esempi di co­ me l' > si trasformi poi in aggressività; due di questi so­ no proprio l'atteggiamento di Matteo e quello di Lutero verso gli ebrei.

A partire da Matteo, i veri e i falsi profeti (7, 1 5-23 ) vanno distinti in base ai loro frutti. I frutti possono essere valutati in modo molto diver­ so. Un critico non troppo benintenzionato, Gottfried Keller/ afferma: > diviene qui una semplice, astratta ingiuria.

D'altra parte, se il nostro testo fosse un prodotto della comunità, sa­ rebbe sorprendente che esso non contrapponga la preghiera cristiana a quella giudaica. Poiché nel passo l'interesse è rivolto a chi prega e non alla preghiera, esso non si indirizza contro nessuna preghiera comunita­ ria, cristiana o giudaica che sia. E invece è centrale la questione di come di per sé si debba pregare e, mutatis mutandis, di come si debba farlo an­ che nelle riunioni comunitarie. Nella prospettiva del nostro testo, esem­ plare e concreto al tempo stesso, si può dire che la preghiera non deve mirare ad altro che a parlare con Dio. Per la liturgia comunitaria que­ sto potrebbe significare, ad esempio, che « la preghiera come dimostra­ zione di fede, come predica travestita >> , come preparazione didattica al­ la predica per chi ascolta o anche come ricapitolazione riassuntiva del contenuto stesso della predica, «la preghiera come strumento di edificaI

Maldonado, 1 3 3 . 2. Calvino, I, 2.04. 3 Cf. Hil. Pict. In Mt. 5 , 1 (SC 2.54, 1 50). Lapide, 1 5 7 si scaglia contro questa « ridicula haeresis» . 5 Per es. Anselmo (in Tommaso, Lectura, nr. 563); Goffredo Babione, 1 3 04; Pietro di Laodicea, 57; Glossa Ordinaria, 98 s.; Eutimio Zigabeno, 2.2.9 ("t'tvÉ> e ((peccato » . Inoltre la preghiera giudaica del Qaddish, cui il Padrenostro si rifà nella sua prima parte, è pure formulata in aramaico. Per quanto riguarda la retroversione della preghiera in aramaico, c'è un ampio consenso per circa metà del testo.1 È altamente probabile che il Pa­ drenostro aramaico fosse formulato ritmicamente. Come nelle successive preghiere giudaiche ci sono tracce di una rima finale, che di regola è costi­ tuita dal suffisso di seconda singolare o di prima plurale.1 Ma una forma completamente in rima del Padrenostro non è più ricostruibile, poiché nel­ la retroversione della richiesta del pane brancoliamo completamente nel buio: l'equivalente aramaico del greco Èmooowç è oscuro come questa stes­ sa parola. Eppure questo oscuro Èmouatoç fornisce ancora una importante infor­ mazione: poiché questa parola molto rara si trova in tutte le varianti gre­ che della preghiera del Signore, non si può supporre che siano circolate di­ verse traduzioni dall'aramaico. Più verisimile è l'ipotesi di un'unica tradu­ zione greca, a partire dalla quale si possano spiegare le varianti. È molto incerto se siano mai esistite già in aramaico le richieste proprie del solo Matteo. wç . . . xal (v. 1 2 ) è un'espressione comune nella koinè; 3 è discusso se la si possa tradurre alla lettera in aramaico. 4 5· Origine. Il Padrenostro risale a Gesù. Questa ipotesi è condivisa dalla maggior parte degli studiosi. s

Storia degli effetti. 6 Tertulliano vede nel Padrenostro una summa del­ l'intera dottrina della fede e della morale, un ((condensato di tutto il vangelo » .? Per lui al nuovo patto corrisponde una nuova forma di pre­ ghiera; è il nuovo otre in cui è custodito il nuovo vino. Si capisce così r

Cf. le retroversioni in Jeremias, Theologie, I 91 e in Grelot, Arrière-plana, 5 5 5 . Kuhna, spec. 30-40. La rima conclusiva nella prosa antica non è altrimenti diffusa e forse si è inserita nei testi cristiani a partire da preghiere giudaiche. 3 Occorrenze in Lohmeye�, 77· 4 Dalmana, 3 1 5 s.: in aramaico l'espressione non suonava wc;. . . xal ma k'mii' . . . ken. Di­ versamente Grelot, Arrière-plana, 545: « un eccellente kedi o 'ajk di, seguito da un waw apodoseos» . Inoltre oùp11V , testimonia come gli fosse vicino e prossimo, ma non si tratta assolutamente di una concezione di Dio non .

1 Cypr. Dom. Orat.a 9· Non sono però affatto in accordo con l'intenzione di Gesù le af­ fermazioni seguenti di Cipriano ( 1 0), dove si dice che la parola «nostro» implicherebbe un rifiuto dei giudei. 2. Lutero, Kleiner Katechismus, in BSLK, 4 1959, 5 1 2.

5 02

IL PADRENOSTRO

giudaica. Si può - anzi si deve - parlare di una particolare concezione di Dio da pane di Gesù, ma non la si deve confondere con una concezione non giudaica di Dio. 1 Così pensa anche la comunità matteana, che chiama il Padre di Gesù > : ciò di­ mostra che è possibile (non necessario) che ci si rivolga a destinatari con­ creti in una situazione concreta. Proprio questo è presupposto anche nel v. 3 3 , che può essere rivolto solo ad ascoltatori che abbiano già ascoltato la predicazione del regno di Dio da parte di Gesù. Costoro potrebbero essere, per esempio, radicali itineranti nel periodo successivo alla morte di Gesù, ma anche seguaci di Gesù durante la sua vita pubblica. Non ci sono a mio parere motivi decisivi per non considerare di Gesù il testo base dei vv. 2 5 bc. 26.28-} 1 . 3 2b-3 3 .

Pochi passi del vangelo hanno suscitato una critica così dura. Gesù sarebbe contraddetto da ogni «passero affamato )) , 2 e ancor più da ogni carestia e guerra. Il testo pare esternamente semplice: parlerebbe come se non ci fossero problemi economici ma solo etici,3 e sarebbe un buon esempio di quella ingenuità economica,4 che ha contraddistinto il cri­ stianesimo nel corso della sua storia. Questo passo sarebbe utilizzabile solo nella situazione particolare di Gesù che viveva - senza essere sposa­ to - nell'assolata Galilea insieme ai suoi amici.5 Anche da un punto di v ista etico sarebbe problematico: parlerebbe «nel modo più sprezzan­ te)) 6 del lavoro e parrebbe preferire l'indolenza.? L'esortazione a non preoccuparsi del domani non sembra ingenua solo in un'età di minac­ cia atomica globale e di generale disoccupazione, al contrario - secon­ do l' opinione di molti interpreti - già la preoccupazione di Gius eppe per i sette anni di magra in Egitto dimostra come sul tema della (( preoccupa­ zione )) vi siano nella Bibbia anche affermazioni più ponderate di quelle I Zeller, Mahnspriiche, 142; sul nostro passo: «Questo modo così diretto è tipico piutto­ sto del rimprovero profetico•• . 2 ). Weiss, 293 . 3 Montefiore, Literature, 1 4 1 . 4 Cf. E . Bloch, Atheismus im Christentum (Suhrkamp TB 144), 1 9 7 3 , 149. 5 Cf. j. Weiss, 294 s. 6 K. Kautsky, Der Ursprung des Christentums, rist. Hannover 1968, 3 64. 7 Schleiermacher, Predigten 1, 1 5 3 .

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di Mt. 6,25-34. Di conseguenza, la storia dell'interpretazione può esse­ re letta per lunghi tratti come tentativo di difendere il testo dalle critiche. Ma che cosa va difeso? Il primo interrogativo di fondo dell'interpre­ tazione è che cosa si intenda propriamente con il monito contro la «pre­ occupazione>> . Si tratta di un monito contro la paura, contro la mancan­ za di libertà interiore, contro l'essere prigionieri della preoccupazione? Si tratta di un monito contro l'avidità e la cupidigia ? Oppure si tratta non solo di un atteggiamento interiore, ma anche di un comportamento concreto, ad esempio della richiesta di rinunciare al possesso o della ri­ nuncia al lavoro ? L'altra questione di fondo riguarda le persone cui il passo è diretto. Sono i discepoli che devono annunciare il regno di Dio? Oppure gli elementi sapienziali indicano che esso si rivolge agli uomini devoti in generale, non soltanto agli apostoli? 1 Oppure ancora il con­ forto offerto da questo testo si rivolge solo ai «più poveri tra i poveri » ed è una indiretta espressione della «preoccupazione>> materiale «della povera gente>> ? 2 I secoli passati erano quasi concordi sul dovere cristia­ no del lavoro e leggevano il nostro testo a partire dal presupposto del comandamento divino ( Gen. 3 , 17-19) e apostolico del lavoro (2 Tess. 3, ro-1 2).J Perciò spesso si è affermato che l'obiettivo del nostro testo sa­ rebbe quello di invitare a preoccuparsi dell'anima e non del cibo.4 Oggi regna una diffusa incertezza. 25a-c. L'espressione introduttiva «perciò io vi dico>> collega i vv. 25 h

col v. 24. Non è profetica 5 né un semplice rafforzamento dell'auto­ rità di un portavoce sapienziale, 6 ma un frammento consapevole della «lingua di GesÙ>> : dietro alle parole che seguono c'è l'autorità del Si­ gnore Gesù. ljJux.� non è l' « anima>>, poiché mangia e beve, ma (semitica­ mente) la « vita >>.7 Ma che cosa significa fLEpt[Lvliw? ss.

1

Klostermann, 6 3 . 2 Beare, 1 8 5; Schottroff-Stegemanna, 5 5 . 59. Cf. sotto, p. 548 n. 3, e le osservazioni sulla storia degli effetti di W. Trilling, Der zwei­ te Brief an die Thessalonicher (EKK 14), 1980, 148 s. 4 Sul v. 3 4 si esprime in termini classici Bengel, 54: > .9 Nel 1

Cf. sopra, introduzione, 4.2. Secondo Steinhauser", 72, Luca vuole evitare che compaia per una seconda volta una richiesta del pane (cf. I I, 5 ) e intende ispirarsi a 10,19 per la nuova immagine. Ma per­ ché? Una nuova richiesta del pane avrebbe fatto trasparire la relazione delle due sezioni 1 1,5-8 e 9,1 3 . 3 In modo davvero complicato Goldsmith" ricostruisce un a storia della tradizione che prende le mosse dai vv. 7a+8a come logion originario di Gesù. Tanto il duplice esempio come pure gli ampliamenti dei vv. 7bc e Sbc sarebbero aggiunte secondarie. Goldsmith postula l'originarietà dei vv. 7a+8a sulla base dei numerosi passi del primo cristianesi­ mo nei quali si presenta la coppia cxlniv e Àcxl'-�vttv (òiooa&!t). Ma non è necessario che «derivino» dal nostro logion. 4 Cf. anche l'eco in Gv. 14, 1 3 s.; 1 5 ,7· 1 6; 1 6,23 s.26. 5 Contro Betz, Sermonb, 507 ( > ) . Ma la regola d'oro in retorica e in filosofia può funzionare in modo anche molto diverso: in alcuni testi antichi essa re­ gola il rapporto del superiore col sottoposto in base all'uguaglianza e alla reciprocità, ad esempio il rapporto di un re con i sudditi o di un pa­ drone coi suoi schiavi. s Anche la recente discussione etica ha mostrato chiaramente che la regola d'oro può funzionare in modo molto diverso. G. Hunold distingue tre possibilità di interpretazione: a) l'interpretazio­ ne autoreferenziale, al fine di strumentalizzare il prossimo per il pro­ prio scopo; b) l'interpretazione che concede al prossimo gli stessi diritti, con l'obiettivo di trovare un accordo con lui; c) la «profonda richiesta >> dell'amore, determinata da un « SÌ>> fondamentale. 6 H. Reiner distingue tra regola d'oro come «regola di immedesimazione» negli altri uomini, come « regola di autonomia >> e come regola di reciprocità o di ((riflessi­ vità » .7 In breve, la molteplicità delle possibilità di utilizzazione dimoI

Op. cit. , 48. Bultmann, Tradition, 107. Questo concetto è bene espresso da A. Schopenhauer nella sua critica a Kant: «Da questo punto di vista, il mio egoismo si risolve in favore della giu­ stizia e dell'amore per l'uomo, ma non perché abbia piacere a praticar/i, bensì perché ne ha a ricever/i» (A. Schopenhauer, Preisschrift uber die Grundlage der Mora/, in Siimtli­ che Werke VI, ed. Reclam, 279, § 7, inizio). 3 Dihle, Rege[a, 1 3 -40. Aristotele la cita in Rhet. 1 3 84b come un «si dice» (ÀÉyE-rat). 4 In Wettstein, 1, 3 4 1 . 5 Isocr. Nicocl. 6 1 s.; Sen. Epist. 47, 1 1 : Sic cum inferiore vivas, quemadmodum tecum superiorem velis vivere. 6 G. Hunold, Identitiitstheorie. Die sittliche Struktur des Individuellen im Sozialen, in Handbuch der christlichen Ethik 1, Basel-Wien-Giitersloh 1978, 194 s. 7 Reinera, 348-3 79. �

5 74

LA REGOLA D'ORO

stra che la regola d'oro non può essere mai un principio normativo eti­ co. Essa ha certo la capacità di esprimere «che il nostro essere uomini si attua sempre nella comunicazione, cioè sempre come rapporto di scam­ bio, come interrelazione con gli altri >>,' ma non ha in sé alcun carattere normativo. Kant esprimeva questo concetto con queste parole: il princi­ pio della regola d'oro « non contiene il fondamento dei doveri verso se stessi, né dei doveri di benevolenza verso gli altri ( infatti alcuni consen­ tirebbero volentieri che altri non dovessero beneficarli, se solo fossero di­ spensati dal mostrar loro benevolenza), né, infine, dei doveri obbligato­ ri verso altri; infatti il criminale, in base a quel principio, potrebbe ar­ gomentare contro il giudice che lo punisce >> . l. La domanda decisiva per l'interpretazione è quindi: quale significato dà il discorso della monta­ gna matteano alla regola d'oro ? Storia degli effetti. Nella storia della ricezione 3 si fronteggiano tre ti­ pi di risposte a questa domanda. a) Per la prima di queste tipologie interpretative la regola d'oro è la chiave ermeneutica per l'interpretazione del discorso della montagna. Il discorso della montagna è da leggere in funzione della regola d'oro, op­ pure con l'aiuto della regola d'oro va adattato alle circostanze terrene del­ l'agire.

In questa direzione pare tendere quella corrente interpretativa cristiana che mette insieme la regola d'oro col diritto di natura. Si può osservare questo accostamento già nella chiesa antica: « Fare il bene e riceverlo è legge di na­ tura; se la si adempie, si adempie anche la legge di Mosè, poiché questa consisteva in quella >> .4 Come parte del diritto di natura la regola d'oro di­ viene fondamento del diritto ecclesiastico.s Soprattutto se si ragiona 6 a par­ tire dall'ardo charitatis agostiniano e si concepisce anche l'amore di sé co­ me una fase dell'amore, la regola d'oro e il comandamento dell'amore pos­ sono facilmente legarsi tra loro. Tommaso d'Aquino pone la regola d'oro nel contesto dell'antica etica dell'amicizia.7 Melantone la annovera tra gli otto comandamenti centrali del diritto di natura comuni a tutti gli uomini, r

Reuter, Orientierungb, 99· Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, trad. e intr. di Filippo Gonnelli, Roma­ Bari 1997, 93 n. (sezione seconda). 3 La parte più importante in H.H. Schrey". Un breve schizzo presenta Van Oyen", 96106. Raunio, Summe", 60-123, offre una presentazione dell'esegesi medievale a partire da Agostino. 4 Orig. In Mt. fr. 142 (GCS 1 2, 72); per l'interpretazione greca davvero impressionante è Phot. /n Mt. fr. 29 (Reuss, 283 s.). s Decretum Gratiani dist. 1 , 1 (PL 1 87, 30). 6 Cf. Raunio, Summe", 64-74. 7 Tommaso, Summa 1/n qu. 99 art. 1 ad 3 · >. l.

MT. 7 , 1 2

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accanto, per esempio, a l comandamento d i rendere culto a Dio, a quello della procreazione e della regola di giustizia del suum cuique. 1 Anche Lu­ tero non è estraneo a questa idea, anche se, in generale, interpreta la regola d'oro a partire dall'amore.2 Questa tradizione interpretativa diviene poi particolarmente importante nella filosofia inglese, francese e tedesca dell'il­ luminismo.3 «Tanto Hobbes quanto Locke e persino Leibniz descrivono >> la regola d'oro «come fonte naturale di tutte le virtÙ >> .4 Contro questa ten­ denza si schierò Kant, mettendo la regola d'oro sotto l'etichetta, per quan­ to riguarda il contenuto, dell'imperativo categorico. Al tempo stesso però egli in questo modo faceva di un principio di reciprocità un principio di etica individuale dell'uomo moralmente autonomo. 5 Dopo Kant la discus­ sione teologica della regola d'oro, diversamente da quella filosofica, si è so­ stanzialmente bloccata. Per il liberalismo la regola d'oro illustra come Ge­ sù abbia conciliato humanitas e christianitas: Gesù non ha voluto «qui dire niente di nuovo, ma qualcosa di molto antico, niente di originale, ma di va­ lido per tutti, niente di sorprendente, ma di chiaro, incontestabile e inevita­ bile. Gesù è solo il messaggero di una verità eterna, che in buona sostanza è riconosciuta da tutti, sempre e ovunque, semper et ubique et ab omni­ bus». 6 La regola d'oro dimostra, quindi, la non particolarità o, per dirla in termini positivi, l'universalità della fede cristiana. Essa esprime la convin­ zione che l'agire, anche del cristiano, «si compie sempre >> in modo comuni­ cativo, «come rapporto di scambio nell'interrelazione con gli altri » / Una certa affinità essa presenta con l'etica della situazione: ad esempio, per H. van Oyen è importante proprio perché è legata alla situazione e rimette le decisioni «all'uomo che realizza se stesso nell'incontro con il prossimo >> . 8 In questo è affine anche a l principio moderno dell'autonomia dell'uomo che secondo moralmente.

b) Per la seconda tipologia interpretativa è esattamente il contrario: la regola d'oro va letta esclusivamente a partire dal centro del discorso della montagna, nel quale si presenta come un « imperativo escatologi­ co» e, sul piano del contenuto, indica la portata universale dell'amore incondizionato che deriva dal regno di Dio, vive della preghiera al Pa­ dre ( 6,9- 1 3 ) e si volge verso il giudizio universale (7,21 -23 ). L'uomo, Melantone, 1 64 s. 2 Raunio, Rulea, 1 23 - 1 27. H.H. Schrey4 rimanda a Th. Hobbes, Leviatano, cap. 1 5, Berkeley, Shaftesbury, J.St. Mill, Thomasius, Voltaire e Leibniz. 4 Rudolph4, 8 1 . 5 Cf. sopra, p. 5 74 n. 2. 6 Stauffer, Botschaft, 57, cf. 59· L'imporsi della formulazione in negativo nella tradizio­ ne successiva al N.T. è per lui un elemento di rigiudaizzazione del messaggio di Gesù. 7 Reuter, Orientierungb, 99· s Van Oyen4, 1 3 6, sulla scia di sostenitori dell'etica della situazione come P. Lehmann e J. Fletcher. r

3

LA REGOLA D'ORO

nel suo agire, deve rispondere non di fronte al tribunale della ragione dell'uomo autonomo, bensì di fronte a quello del giudice universale Gesù. Questa tipologia interpretativa è rara; nella discussione attuale l'ho trovata quasi solo nel filosofo ( ! ) Enno Rudolph I che, praticamen­ te da solo, richiama la teologia al radicalismo dell'oggetto suo proprio. Una certa - molto relativa - affinità con lui presentano sul piano esegetico quegli approcci, che insistono sulla specificità di Gesù e sottolineano la for­ mulazione in positivo della regola d'oro da parte di Gesù rispetto a quella in negativo da parte di Hillel e in altri testi giudaici. 1 Ma la differenza tra formulazione in positivo e in negativo della regola d'oro non è poi così grande. Nell'antichità, entrambe potevano senz'altro stare l'una accanto all'altra} Istruttivo è pure che nei testi giudaici e cri­ stiani il comandamento dell'amore sia associato proprio alla formulazione in negativo della regola d'oro. 4 Il significato della regola d'oro piuttosto è determinato, di volta in volta, quasi esclusivamente dal suo contesto e non dalla formulazione in positivo o in negativo. In virtù del contesto mattea­ no, quindi, anche la formulazione in positivo della regola ha una certa im­ portanza. 5 Ma di per sé né la formulazione in positivo è qualcosa di cri­ stiano né quella in negativo qualcosa di precristiano. 6 La storia della rice­ zione nella chiesa antica rivela innanzitutto che si potevano accogliere a piacimento entrambe le formulazioni.? La chiesa antica non ha visto nulla di speciale nella formulazione in positivo. c) La terza tipologia interpretativa cerca di mediare tra i due estremi, mettendo in relazione dialettica il comandamento « sopra-etico» del­ l'amore del nemico e la regola d'oro, soggetta alla «logica della corri­ spondenza » . Il comandamento dell'amore «reinterpreta » la regola d'oro «nel senso della magnanimità » e la preserva dalla perversione utilitari­ stica del do ut des. 8 Nell'interazione impervia dell'amore, che «è una I

Rudolpha. Ad es. J. Jeremias, cit. sopra, p. 572 n. J . 3 Ad es. in Sext. Sent. 89 e 90. 4 Tg. ]. I Lev. 1 9, 1 8 (cf. sopra, p. 5 7 1 n. 5 ); Did. 1 ,2; Epist. Apost. 18 (Schneemelcher, si, 2 1 5 ) . 5 Cf. sotto, comm., nr. 4· 6 È questo un caso tipico in cui i pregiudizi antigiudaici hanno compromesso lo sguardo sulla realtà a molti esegeti soprattutto del XIX e xx secolo. Esempi: per Zahn, 309, la formulazione in negativo di Hillel indica «che cosa l'israelita . . . si possa permettere sen­ za cadere in contraddizione con la legge», mentre Gesù interpreta la volontà del Dio dell'A.T. Secondo Bischoffb, 93, la differenza tra Hillel e Gesù è grande quanto quella tra neminem laede e omnes iuva. «Il comandamento» di Hillel « lo adempie al meglio il mor­ to nella tomba. Quello di Gesù può adempierlo solo chi è pervaso da una viva energia morale e religiosa >> . Sull'inevitabile polemica giudaica contraria riferisce Mathysa, 572. 7 Il materiale è raccolto da Dihle, Rege[a, 1 07. Già Did. 1,2 e Atti 1 5,20.29 codex Bezae si esprimono nuovamente in negativo. 8 Ricoeur, Liebea, 47· 5 5 · 59; Id., Ru[ea, 396 s. 1

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sorta di sospensione dell'etica » , I e la giustizia riequilibratrice, la regola d'oro getta un ponte che rende possibile la traduzione del comandamen­ to dell'amore in un etica che può essere generalizzata. Questa interpretazione di Ricoeur corrisponde anche a un indirizzo centra­ le della storia dell'interpretazione di Mt. 7, 1 2. Il comandamento dell'amo­ re per il prossimo è sempre stato collocato, come premessa, prima della re­ gola d'oro, per la prima volta in Did. I , 2 : «In primo luogo, devi amare Dio, che ti ha creato; in secondo luogo il prossimo tuo come te stesso; poi, quel che vorresti non ti accadesse, non farlo neanche tu agli altri >> . :z. Agostino racconta che molti traduttori avrebbero inserito nella regola d'oro la paro­ la bona, cosicché il testo suonerebbe: «tutto il bene che vorreste la gente vi facesse » , e questo per evitare che divenisse oggetto dell'agire reciproco qualcosa di disonorevole, come ad esempio i banchetti lussuriosi.3 Nella sua interpretazione Lutero sottolinea la plausibilità della regola d'oro: nel­ la vita accade quel che accade al mercato: tutti comprano volentieri merce buona e a buon mercato; a questo principio bisogna attenersi anche nel vendere. Per lui nella regola d'oro sono in gioco la legge e le opere, non il vangelo; al tempo stesso però sottolinea: non si tratta della reciprocità, bensì delle buone azioni, con le quali devi «cominciare » e nelle quali devi «essere il primo» . Il modello di queste opere buone cui pensa Lutero è Cri­ sto stesso.4 Secondo Raunio tutti i riformatori - e nel modo più chiaro M. Bucero - intendono la regola d'oro a partire dall'amore.5 Zwingli si espri­ me con una immagine potente: « Cristo (ha) zuccherato con l'amore il co­ mandamento della natura» .6

Il testo matteano è conciso e ostico. È più che dubbio se le tre alter­ native nell'interpretazione, divenute chiare solo in seguito nel corso del­ la storia della ricezione, fossero presenti a Matteo in quanto tali. Egli conclude con la regola d'oro - accolta dalla fonte dei logia come parola di Gesù - la sezione principale del discorso della montagna, senza aver notato alcuna tensione tra la regola e il comandamento dell'amore per il nemico. Le nostre osservazioni esegetiche non potranno quindi, anaI

Ricoeur, Liebea, 6 5 . Altri esempi del collegamento tra i l comandamento dell'amore e l a regola d'oro: lust. Dia/. 93,2 s.; Clem. Al. Paed. 3 , 1 2 ( 8 8, 1 ) (BKV n/8, 2 1 1 ); Epist. Apost. 1 8 (Schneemel­ cher, sr, 2 1 5 ) . 3 Civ. D . 14,8 (BKV r/1 6, 7 5 5 s.). Hoche0, 3 62 s., l o illustra con l'esempio del convitato ubriaco, cui l'ospite deve negare la guida della sua auto, sebbene anch'egli, in questa si­ tuazione, vorrebbe utilizzare l'auto. 4 Lutero, Evangelien-Auslegung n, 220-224, cit. a p. 224. 5 Raunio, Ru[ea, 1 3 1 : Bucero collega la regola d'oro all'originario ordinamento della creazione frutto dell'amore disinteressato, che solo l'uomo ha rinnegato. 6 Von gottlicher und menschlicher Gerechtigkeit, 10 (in Hauptschriften vn, 1942, 62). 1

LA REGOLA D'ORO

cronisticamente, aiutare a decidere tra alternative interpretative divenu­ te chiare solo in seguito, ma si limiteranno a offrire alcune indicazioni sull'orientamento del testo. 1 . L'aggiunta di «poiché questa è la legge e i profeti >> offre un primo rimando contenutistico a ciò che potrebbe essere inteso con la regola d'oro: « legge e profeti >> sono usati qui nello stesso senso di 5 , 1 7. 1 Si tratta della volontà di Dio, che viene proclamata in entrambi e adem­ piuta con l'obbedienza. Tuttavia Matteo, per l'adempimento della leg­ ge, pensa in primo luogo all'amore, poiché dal doppio comandamento dell'amore la legge e i profeti (22,40). Non si tratta dun­ que di reciprocità, ma di amore. 2. oòv è un collegamento debole, :z. che presenta la regola d'oro come collante riassuntivo di quanto precede. Esso precisa che il v. 1 2 non de­ ve essere letto isolatamente, di per sé. In questo senso oòv non può ri­ collegarsi al testo immediatamente precedente dei vv . ?-I I , dove si trattava del rapporto degli uomini con Dio. Il v. 1 2 collega, invece, so­ prattutto quei testi che si occupano del rapporto degli uomini tra loro, quindi le antitesi, incorniciate dal comandamento dell'amore, e 7,1-5. Come già nella fonte dei logia, in Matteo il comandamento dell'amore potrebbe essere la più importante « premessa >> alla regola d'oro.3 3 . 1tav't'cx che, in quanto premesso, risulta sottolineato, fa della regola d'oro una regola di base: tutto quello che - nulla escluso - richiedono l'amore e i comandamenti di Gesù, lo si deve fare agli altri uomini. 1tav­ 't'tx acquista il suo significato nel contesto del perfezionismo matteano. Si tratta della giustizia migliore e del comandamento della perfezione ( 5 ,20.48 ) promossi da colui che insegna ai suoi discepoli a fare «tutto ciò che io vi ho ordinato >> ( 28,20). 4· In ragione della matteana, diviene importante anche la formulazione in positivo della regola d'oro,4 che stabilisce che la prassi cristiana debba essere un agire improntato all'iniziativa, non alla reazio1

Già Bucero, 760, nota il rimando di 7, 1 2 a 5,17. Un debole oùv di collegamento anche in 10,3 2; 1 2, 1 2; 1 8,29. 3 Cf. sopra, pp. 572 s. Anche in Hillel, che da un lato espone la regola d'oro al gentile, dal­ l'altro ha però lasciato in eredità la massima > entrerà nel regno dei cieli. Questo principio non vale solo per i falsi pro­ feti. Nel v. 2 1 si amplia dunque la prospettiva.:�. Adesso però il discorso verte direttamente sul giudizio finale. Qui Gesù parla come giudice del mondo. xuptE ripetUtO due volte è un'espressione particolarmente forte e indica un atteggiamento di supplica.3 « Signore» è in Matteo l'appel­ lativo con cui si rivolgono a Gesù i discepoli, non gli estranei; soprat­ tutto però è un'allocuzione al figlio dell'uomo, giudice del mondo.4 Matteo pensa dunque alla comunità: non tutti i suoi membri entreran­ no nel regno dei cieli. L'allocuzione al giudice del mondo quale « signo­ re» è certo corretta da un punto di vista teologico; ma non si decide nulla solo in base alla corretta allocuzione. Matteo, naturalmente, non contesta che i discepoli si rivolgano a Gesù chiamandolo «signore>> , ma polemizza duramente contro l'idea che l'ingresso nel regno di Dio sia «semplicemente un fatto di fede>> e non, oltre a questo, anche un fatto «dell'agire» . Si scaglia quindi contro ogni forma di «pura » fede senza le opere.5 Il v. 2 1 come logion tradizionale sull' « ingresso nel regno dei cieli » si richiama a 5 , 20, dove la comunità si confrontava con la richie­ sta di una miglior giustizia. A questo pensa Matteo quando parla di «fa­ re la volontà di mio Padre» come condizione per la salvezza. Questa è giustizia per mezzo delle opere ? La domanda si pone in modo 1

Cf. sopra, a 3,2; a 4,I 7; vol. n, a I J ,J O, e vol. m, a 2 J ,J 3 · Così già Calvino, I , 24 1 . Contra sopra, p. 5 9 2 nn. I (Strecker) e 3 (Hill). 3 Il raddoppiamento è diffuso in greco e nelle lingue semitiche (come geminatio retori­ ca); cf. Schwyzer, n, 6o; Lausberg, Handbuch I, §§ 6 1 6-6 18; Betz", 6 n. 24, e sopra, p. 426 n. 7· 4 Delle ottanta occorrenze matteane di xuptoc; diciotto stanno in 24,42-25,46, e di esse sette sono allocuzioni ( 2 5 , I I con duplicazione). Il giudice del mondo, cui ci si rivolge con l'appellativo di xllptoc;, è il figlio dell'uomo, della cui parusia parla 24,29-2 5 ,46. 5 Citazioni da Wederb, 24 1 . Weder prosegue: «L'allocuzione 'Signore, Signore' è il lega­ me personale con questo Signore Gesù. E questo legame precede tutto ciò che si deve fa­ re come ortoprassi » . Da un punto di vista teologico, soprattutto alla luce della Riforma, ciò potrebbe essere legittimo, ma è sbagliato come interpretazione della prospettiva di Matteo. 2

MT. 7 , 1 5 -2 3

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ancora più stringente che in 5,20, poiché qui si specifica che per la co­ munità non c'è alcuna certezza di salvezza. Anche se per Matteo il di­ scorso della montagna nel suo complesso vale come un imperativo e non come un annuncio di salvezza, egli conosce la grazia. Nel nostro ver­ setto a essa si rimanda con la parola 7ta't�p: il Padre del giudice del mon­ do è quello cui la comunità può dire «Padre nostro » (6,9). Fare la sua volontà non è solo qualcosa per cui essa deve sforzarsi, ma anche qual­ cosa per cui essa può pregare ( 6,Io). Il v. 2I rinvia anch'esso al Padre­ nostro. La conoscenza della volontà del Padre significa per Matteo spro­ ne e aiuto nell'agire, ma non sicurezza di entrare nel regno dei cieli. 22 s. I falsi profeti, che vengono bruciati al momento del giudizio

come alberi sterili, sono - come in seguito i farisei e gli scribi, in cui pu­ re il rapporto tra interno ed esterno non funzione in modo dovuto • - un esempio negativo terrificante che deve scuotere la comunità. Su di loro tornano i vv. 22 s. A uno sguardo retrospettivo, diviene importante che Matteo nei vv. I 5 -2o non abbia parlato di una scomunica degli pseu­ doprofeti (cf. 7, I ). Ciò corrisponde alla sua concezione della comunità, che non deve anticipare il giudizio divino e neppure è tenuta essa stessa a discernere tra erba cattiva e grano ( I 3 , 3 6-4 3 ; cf. 22, I I-q). Per que­ sto Matteo si limita a offrire alla sua comunità una regola per il loro ri­ conoscimento e l'ammonimento a mantenersi sulla via della giustizia. Sarà il giudice del mondo in persona 2 a giudicare i falsi profeti. E pro­ prio questo illustrano ora i vv. 22 s. In quel grandioso giorno del giudi­ zio molti - la parola richiama la via larga di 7 , I 3 - si appelleranno al fat­ to si aver profetato nel nome di Gesù.3 Molti hanno compiuto portenti nel nome di Gesù. Il collegamento di profezia e portenti non ci è noto so­ lo dalla tradizione giudaica; 4 soprattutto nel primo cristianesimo, i mi­ racoli sono al servizio della predicazione e sono segno della venuta del regno di Dio. Matteo, che intende i discepoli a partire dai profeti vete­ rotestamentari ( 5 , 1 2; 23,34) e per il quale i miracoli fanno parte della I

r s ! Cf. Mt. 23,25 S.27 s. Secondo Betz, Sermonb, 5 53 s. 5 5 6, Gesù intercede per i suoi discepoli in quanto pa­ raclito, rifiutandosi di farlo per chi si trova fuori della torà. Betz vorrebbe a) vedere nei falsi profeti dei cristiani vicini a Paolo e non osservanti della legge ( 5 2 8 s. ) e b) distin­ guere la cristologia del discorso della montagna prematteano dalla cristologia del figlio dell'uomo di Matteo ( 5 5 5 ) . Poiché però in 7,2 1 -23 non c'è alcun altro giudice tranne Gesù, la sua tesi è difficilmente sostenibile. 3 Bengel, ad loc., aggiunge a ÈnpocplJnwcxfLE'Y un'appendice per gli esegeti: «Adde: Com­ mentarios et observationes exegeticas ad libros et !oca V. et N.T. scripsimus» . 4 M . Hengel, Nachfolge und Charisma (BZNW 34), 1968, 23-27 fornisce materiale sui profeti zeloti. Da confrontare è anche Ieb. 1 1 2b (Bill., 11, 627) (l:lanina ben Dosa). 2.

v.

GLI PSEUDOPROFETI

predicazione ( 10, 1 . 7 s.; n,20-24; 1 7, 1 9 s.), non si volge contro profe­ zia e miracoli; 1 il giudice del mondo rimprovera ai carismatici solo di non soddisfare il criterio delle opere. Con le solenni parole di Sal. 6,9 egli comunica loro - O!J.OÀoyÉw è espressione della lingua forense e sot­ tolinea l'inconfutabilità della testimonianza - che essi non gli apparten­ gono. Dietro oùòÉJto't'e: eyvwv non si nasconde una formula rabbinica di scomunica; z. piuttosto, il giudice del mondo sconfessa la comunione con questi carismatici l e contesta di averli mai scelti. 4 Nel giudizio finale verrà salvato solo colui con il quale allora il figlio dell'uomo vorrà esse­ re in comunione ( 1 0,3 2 s.; 2 5 , n ), e questo sulla base delle sue opere (cf. 25,J I -46). Matteo indica con civo�J.ta. il criterio che risulterà decisivo nel giudizio. Poiché, per convincimento giudaico e cristiano, alla fine dei tempi cre­ scerà l'illegalità,5 e poiché gli pseudoprofeti appartengono alla fine dei tempi ( 24, 10- 1 2), i lettori di Matteo potranno aver pensato di vivere al­ la fine dei tempi. 6 civo!J.ta. è una parola centrale nella Bibbia, corrispon­ dente spesso all'ebraico 'àwon, e di fatto coincide con ciòtxta.. Da un pun­ to di vista contenutistico, l'illegalità si deve intendere a partire dalla con­ cezione della legge propria di Matteo: « Legge» è la volontà di Dio così come si presenta nell'A. T., la volontà cui Gesù ha dato nuova forza con parola e azione, quindi la legge veterotestamentaria sempre valida e che culmina nel comandamento dell'amore. Per questo Matteo in 24, 1 2 interpreta la pienezza dell'illegalità come raffreddamento del­ l'amore. Al tempo stesso specifica che la volontà di Dio è la volontà di Dio così come si presenta nell'A.T.: per questo il giudice del mondo si esprime con le parole di Sal. 6,9, proprio come nel passo parallelo di 1 3 ,4 1 faceva con le parole di Sof. 1 , 3 . Contemporaneamente, la parola della Bibbia, conferisce al detto del giudice del mondo l'autorità finale: è un giudizio di morte quello che si abbatterà qui sui falsi profeti, come monito per la comunità, che è chiamata alla prassi della torà insegnata da Gesù.? Così il breve excursus sui falsi profeti è tornato al tema prinCf. spec. Schweizer, Gesetz, 5 3 -60. 65-69; Betz, Sermonh, 5 50. Contro O. Michel, Ò(.LoÀoyÉw x'tÀ., in ThWNT v, 208,21 s.; la sola occorrenza in Bill., 1, 469 (del m secolo) non prova l'esistenza di tale formula. 3 Grozio, 1, 265: > alla comunità, che non deve riguardare quelli che ne stanno fuori; esso è, piuttosto, contenuto primario della predicazione missionaria, che la comunità deve «a tutti i popoli >> (Mt. 28 , 1 9 ) . 4· I singoli comandamenti del discorso della montagna non concernono solo le «questioni interne » della comunità cristiana, ma mirano - in modo particolarmente chiaro dalla quarta alla sesta antitesi e in Mt. 6, 19-34 - a un rapporto della comunità col mondo vissuto attivamente. 5. La predicazione della missione si compie in questo modo: la comuni­ tà pratica l'etica del discorso della montagna in modo che gli uomini ven­ gano convinti dalle sue opere e per questo lodino il Padre celeste (cf. 5 , 1 6 ). La storia degli effetti del discorso della montagna nelle chiese della Riforma e degli anabattisti ha indicato due modelli molto diversi di come potesse essere vissuto il rapporto della comunità col mondo. En­ trambi avevano i loro punti deboli: le chiese battiste tendevano, per sal­ vaguardare la purezza del vangelo, a limitare il discorso della monta­ gna allo spazio interno cristiano e a lasciare agli altri le responsabilità mondane. La distinzione tracciata dalla Riforma tra cristiani e uomini nel mondo ha condotto facilmente i cristiani nel mondo a interiorizzare soltanto i comandamenti di contrasto del discorso della montagna e a sottoporre il loro agire politico ad altri metri di valutazione. Ma, a par­ tire dal discorso della montagna, le comunità e le chiese sono chiamate a testimoniare obbedienza alla volontà di Dio in tutti gli ambiti terreni, cosa che le chiese nazionali d'Europa, a differenza delle chiese battiste del XVI e xvn secolo, hanno oggi, in numerosi paesi, la possibilità di fare. Se oggi la chiesa intendesse rinunciare a mettere in pratica la volontà del Padre in determinati ambiti mondani, ad esempio nella politica, e ad attuare le condizioni di accesso nel regno di Dio, che valgono per tutto il mondo, tradirebbe il suo mandato di predicazione. Non sarebbe più chiesa. Rimane aperta la questione di come possa fare questo nell'am­ bito politico. Di questo suo mandato non è la sola responsabile, ma con­ divide la responsabilità, nella comunicazione razionale, con i non cristia­ ni. L'azione della comunità cristiana nell'obbedienza ai comandamenti per l'ingresso nel regno di Dio, da una parte, e, dall'altra, una politica di pace e di giustizia, di cui siano razionalmente responsabili insieme cristiani e non cristiani, hanno un carattere diverso. Chiese, comunità,

CONCLUSIONE

gruppi e ordini hanno il compito di essere un segno di speranza per il re­ gno di Dio che viene. Ma non lo può essere in modo diretto una politi­ ca di cui siano insieme responsabili cristiani e non cristiani. Sono neces­ sarie entrambe le cose, poiché il regno di Dio riguarda il mondo intero. Un'azione politica di cui si è corresponsabili insieme ad altri sarà più razionale e potrà corrispondere solo più indirettamente alla volontà del Padre rispetto all'obbedienza diretta che la chiesa può osservare e am­ mettere sul suo proprio corpo. I Senza volerlo, Matteo ha fornito un'importante indicazione per una possibile traduzione del discorso della montagna in azione razional­ mente comunicabile, vale a dire la regola d'oro (7, 1 2). Egli la intende, a partire dall'amore, come avvicinamento cristiano, iniziale e attivo, al prossimo. La regola d'oro ha in sé una premessa, e cioè che il prossimo non è un monstrum, ma anzi uno che può rispondere all'amore. In que­ sto senso, anche la regola d'oro non è giustificabile su un piano pura­ mente razionale, ma si basa su presupposti che corrispondono alla fede. Ciononostante, la sua diffusione dimostra che in essa è contenuta una notevole dose di razionalità e un grande potenziale di consenso. In tal modo, essa potrebbe essere una linea guida per l'azione politica dei cri­ stiani in comunicazione con i non cristiani. Negli anni ottanta del trascorso xx secolo, il discorso della montagna è stato un testo di grande attualità. In Europa si conviveva con un minaccio­ so «equilibrio del terrore>> tra missili Cruise e razzi SS-5. Chiese e stati era­ no ugualmente sfidati dal movimento pacifista, che superava ampiamente i confini delle chiese, e il discorso della montagna era uno dei suoi testi fon­ damentali. Per un vasto pubblico il discorso della montagna era un testo di speranza.2. Ad esso si collegava la speranza in una politica diversa, più uma­ na e rivolta alla pace. Non senza una certa tristezza volgo lo sguardo in­ dietro a quella «stagione del discorso della montagna ». Oggi i razzi SS-5 sono stati distrutti, ma anche il movimento pacifista è scomparso e con esso un importante segno di speranza. Anche il discorso della montagna come testo di speranza è scomparso dalla prospettiva del pubblico. La pax Americana, sotto cui noi tutti viviamo, stabilisce che cosa debba essere la pace. La maggior parte delle chiese sono poco impegnate po­ liticamente, e quando lo sono combattono spesso per i loro propri interessi. I Penso quindi che ci debbano essere due diversi tipi di segni del regno di Dio, e cioè da una parte il segno diretto della pace, della giustizia e della non violenza, che le chiese e i cristiani non possono ottenere dagli altri, ma compiere da sé; dall'altra la comune azio­ ne politica di cristiani e non cristiani, in cui a mio parere essi devono contribuire a fare politica in modo mediato, attraverso l'argomentazione razionale, ma ponendo consape­ volmente alla base di tutto le premesse e le linee guida del discorso della montagna. 2. Cf. ad es. F. Alt, Frieden ist moglich. Die Politik der Bergpredigt, Miinchen 14 1987.

IL D I S C O R S O DELLA MONTAGNA O G G I

Dove sta oggi l'importanza del discorso della montagna per l'agire poli­ tico ? Rimane compito delle chiese, delle comunità e dei gruppi essere segno del regno di Dio per il mondo. E rimane anche loro compito, in virtù del co­ mandamento gesuano dell'amore per il nemico, collaborare razionalmente e prendendo l'iniziativa, secondo la maniera indicata dalla regola d'oro, al­ la pace e alla giustizia nel mondo. Che la minaccia fisica immediata del­ l'umanità attraverso l'equilibrio militare del terrore sia un po' passata in secondo piano ci offre la possibilità di ricordare che la pace è a più dimen­ sioni, ' che non c'è pace senza giustizia (Mt. 5 ,6) e che non si può servire allo stesso tempo Dio e a mammona (Mt. 6,24 ). In un tempo in cui l'uomo è subordinato al mercato e la vita dei più poveri alla globalizzazione, è irri­ nunciabile il richiamo a che, in ogni politica ispirata al discorso della mon­ tagna, l'uomo, per il quale vige il dovere dell'amore per il nemico, stia al cen­ tro. Da ciò deriva l'esigenza del primato di una politica rivolta alla giusti­ zia e al benessere di tutti gli uomini rispetto all'economia e a ogni globaliz­ zazione di mercato che strumentalizzi l'uomo. La promessa del regno di Dio è rivolta solo a chi «ha fame e sete di giustizia >> (Mt. 5 ,6) e agisce di conse­ guenza. 1 Il progetto di ricerca sulla pace dell'istituto di ricerca della comunità evangelica di Hei­ delberg ha inteso tridimensionalmente la pace come «riduzione al minimo della violen­ za, della schiavitù e della costrizione»; cf. G. Liedke, Eschatologie und Frieden (TM. FEST A8) m, 1 978, 3 84.

INDICE DELLE FIGURE NEL TESTO

188

Fig. 1 . Adorazione dei magi. Mosaico dell'arco di trionfo della chiesa di

Santa Maria Maggiore a Roma . Da H. Karpp,

Die frnhchristlichen und mittel­ alterlichen Mosaiken in Santa Maria Maggiore zu Rom, Baden-Baden 1 9 66.

1 90 Fig. 2. Adorazione dei magi. Mosaico in Sant'Apollinare Nuovo a Ra­ venna. Da F. W. Deichmann, Frnhchristliche Bauten und Mosaiken von Raven­

na, Baden-Baden 1 9 5 8 , fig. 1 0 3 . 191

Fig. 3 · Rogier van der Weyden, Altare d i Colomba, Colonia: Adorazio­

ne dei re. Da G. Schiller, tav. nr. 297.

Ikonographie der christlichen Kunst 1, Giitersloh 3 1 9 8 1 ,