Vangelo di Matteo. Commento ai capp. 18-25 [Vol. 3] 9788839408549, 8839408541

Il terzo volume del commento di Ulrich Luz al vangelo di Matteo ha un chiaro baricentro teologico – il conflitto con Isr

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Italian Pages 688 [680] Year 2013

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Vangelo di Matteo. Commento ai capp. 18-25 [Vol. 3]
 9788839408549, 8839408541

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VANGELO DI MATTEO Ulrich Luz Edizione italiana a cura di Claudio Gianotto Volume

3

Commento ai capp. 1 8-2 5

PAIDEIA EDITRICE

ISBN

978 88 394 08 54 9

Titolo originale dell'opera: Ulrich Luz Das Evangelium nach Matthiius 3 · Teilband Mt 1 8-2.5 (Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament) Traduzione italiana di Franco Ronchi Revisione di Claudio Gianotto Revisione redazionale di Donatella Zoroddu © Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1997 © Patmos Verlag & Benziger Verlag, Diisseldorf und Ziirich 1997 © Paideia Editrice, Brescia 2.01 3

Alla ex Kirchliche Hochschule di Leipzig e alla Facoltà di Teologia dell'Università Karoly Gaspar di Budapest, che hanno espresso il loro apprezzamento per il mio lavoro sul vangelo di Matteo conferendomi, ancor prima che esso fosse terminato, il titolo di dottore honoris causa

PREMESSA

C'è voluto un po' più tempo del previsto; è diventato un po' più grosso di quanto avrei voluto; ma tant'è: adesso è finito, questo terzo volume! I let­ tori si accorgeranno che arriva solo fino al cap. 2 5 . Ci sarà quindi anche un quarto volume. Ma va bene così, perché adesso il terzo volume ha un chiaro baricentro teologico: il conflitto con Israele e la comprensione del giudizio. Il quarto volume che seguirà non solo sarà molto più snel­ lo del presente, ma avrà anch'esso il suo baricentro chiaro: il tentativo di gettare un ponte fra l'esegesi e la storia dell'arte che costituisce certamen­ te la parte più importante della storia degli effetti della passione di Gesù. Scrivendo ho dovuto fare i conti con la difficoltà che ho incontrato spesso nell'identificarmi con i «miei» testi che commentavo. Quando si è trattato del discorso della montagna, il testo e il commentatore sono ri­ usciti facilmente a essere un cuore solo e un'anima sola. Ma giunto alle invettive del cap. 23 , come interprete mi sento spaventato di fronte al te­ sto, e vorrei talvolta che questo capitolo non si trovasse nella Bibbia. Da­ vanti ai molti testi che trattano del giudizio secondo le opere, oscillo tra un senso d'orrore e una profonda avversione a mettere in rapporto pian­ to e stridore di denti con il Dio nel quale credo, e il dubbio che questa presentazione dolorosa e terrificante del giudizio potrebbe essere neces­ saria per farci capire che non siamo noi uomini i padroni del mondo. Per questi testi la storia degli effetti si è dimostrata particolarmente impor­ tante, perché mi ha aiutato a non rifugiarmi nella filologia o nella sto­ ria, ma ad affrontare la questione di cui questi testi trattano. Ripetuta­ mente ho intuito anche il pericolo di rendere più scorrevoli o più maneg­ gevoli i testi « brutti», ricorrendo a comode soluzioni esegetiche, e ho provato il segreto desiderio di cercare, proprio in essi, il mordente nella brevità e in tal modo aggirare l'ostacolo. È ciò che succede piuttosto spesso nel culto e nell'insegnamento. La storia degli effetti mostra tut­ tavia che questi testi ci accompagnano e segnano anche se li passiamo sotto silenzio, li aggiriamo o li giustifichiamo. Noi dobbiamo affrontar­ li e non ci è consentito evitarli. Ho cercato di farlo. Alla fine non sono mai state prese né scorciatoie né soluzioni di comodo. Qualsiasi cosa, miei lettori, direte delle mie proposte esegetiche ed ermeneutiche, vi ac­ corgerete - spero - che la mia e vostra fatica a questo scopo è necessaria.

IO

PREMESSA

Chi lavorerà con questo terzo volume noterà che il termine > ) pronunciata sul mondo (v. 7a) è probabilmente una creazione di Matteo.3 Al v. 7c Matteo ha ampliato con 't'cj} liv'l9pfi>1t

>, perché, secondo le convin­ zioni apocalittiche, alla fine dei tempi, prima della venuta del figlio del­ l'uomo, il male sarebbe cresciuto a dismisura. Purtroppo non è possibi­ le sapere niente di più circa la situazione concreta cui il nostro testo si riferiva.3 La conclusione del versetto rende l'avvertimento ancor più serio: il «guai» del giudizio incombe sui seduttori.

Storia degli effetti e riepilogo. Tommaso d'Aquino ha scritto una bel­ la quaestio «de scandalo» ,4 che mette bene in evidenza la particolarità del nostro testo. Tommaso distingue accuratamente, da un lato, le sedu­ zioni che portano a un peccato mortale da quelle che portano a un pec­ cato veniale e, dall'altro, le seduzioni che uno compie consapevolmente ricorderanno di aver letto nel disçorso della montagna che basta un insulto rivolto al fra­ tello per finire tra le fiamme dell'inferno (5,21 s.). Può succedere façjlmente di indurre fra­ telli cristiani a compiere quel passo falso. Perçjò lettori cristiani sensibili e attenti posso­ no senz'altro leggere nel testo un avvertimento. Parlando di axcivÒGtÀGt, però, Matteo non pensa a questi lettori, ma agli pseudoproferi, ai quali egli non si rivolge mai direttamente. Cf. qui sotto, n. 2. 1 Cf. vol. n, pp. 4 3 0, a 1 3,4 1 , e 6o8, a 1 6,23. :. A favore di questa lettura depone il fatto che i vv. 6 s. siano formulari alla 3" persona: anche i seduttori, alla pari dei falsi profeti in 7,1 5-20 e 24, n, non vengono mai apo­ strofati direttamente. Thompson b, uo, presuppone che ai tempi di Matteo « lo sçandalo fosse un problema reale» . Schweizerb, no, ritiene che nella comunità di Matteo ci fos­ sero •gruppi progressisti e gruppi piuttosto conservatori» : l'autore proietta nel nostro testo la situazione di Rom. 14 s. e 1 Cor. 8-10. Pesch, Matthausb, 3 2, pensa ai poveri in una comunità urbana che, ad esempio, sono svantaggiari in occasione della cena del Si­ gnore, come si legge in 1 Cor. 1 1 , 1 7 ss. Gundry, 3 62, sostiene che la comunità di Matteo avrebbe avuto capi antinomisti. Purtroppo, in realtà, sappiamo soltanto che per Matteo le «trappole» non rappresentavano alcuna posizione cristiana possibile che permettesse all'evangelista di discutere con loro, come Paolo con i « fotti» . Essi facevano piuttosto pane delle forze del male, che appartengono al tempo della fine. 3 Per gli pseudoprofeti cf. vol. 1, pp. 592. s., e sotto, a 2.4,I o- 1 2. 4 Tommaso, Summa n/;z. qu. 43·

MT. 1 8,6- 9

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e intenzionalmente da quelle che nascono in una persona, senza che que­ sta ne abbia colpa. Non è certo un caso che per l'Aquinate il nostro te­ sto di Matteo non svolga quasi alcuna funzione. Colpisce, allo stesso tempo, quanto le riflessioni degli interpreti successivi sulla necessità de­ gli axliv8aÀa siano lontane da Matteo. Costoro argomentano, ad esem­ pio, in termini antropologici, riconoscendo che le forze maligne rientra­ no semplicemente nella natura umana ' oppure discettano sull'inevitabi­ lità almeno dei peccati veniali anche per i giusti. Qui l'argomento prin­ cipe cui si appellano è la libertà umana " oppure la pedagogia divina) Essi si domandano anche come sia possibile evitare gli scandali quando se ne afferma la necessità. 4 Matteo non sembra conoscere riflessioni di questo genere: non fa dif­ ferenze tra axlivòaÀa e seduzioni meno peccaminose; il suo unico inte­ resse è mettere in guardia i discepoli dall'indurre al male. Come in altri testi, anche qui Matteo non conosce sfumature intermedie. Davanti al valore assoluto della volontà del Padre non esistono, per lui, peccati veniali e seduzioni scusabili. Una grande serietà etica attraversa tutto il suo libro: essa corrisponde alla sua comprensione radicale dell'incondi­ zionata volontà di Dio; è la stessa serietà che viene espressa, ad esem­ pio, nelle antitesi del discorso della montagna e dipende, in sostanza, dal­ la prospettiva del giudizio imminente del figlio dell'uomo, dove ci sarà soltanto un sì o un no, l'ammissione al banchetto nuziale celeste del fi­ glio del re o il buio dei lamenti e dello stridore di denti (cf. 22,1 1 - 1 3 ). Il duplice «guai» che Gesù pronuncia al v. 7 non è, allora, neppure del fi­ lantropo celeste che è afflitto per il suo mondo,S bensì il «guai» anticipa­ to del giudice universale celeste. Matteo vuole quindi scuotere i cristiani con una severità assoluta: le sottili distinzioni antropologiche e pedagogiche degli interpreti delle epo­ che successive non sono forse più umane della sua prospettiva senza mezze misure? Evidentemente per Matteo nel mondo c'è un male asso­ luto. Ma questo male si lascia definire e circoscrivere così chiaramente come Matteo richiede qui? 8 s. All'avvertimento di guardarsi dai seduttori Matteo aggiunge, se­ guendo la sua fonte marciana, un monito diretto ai membri della comu­ nità, le potenziali vittime della seduzione. L'evangelista ripete i logia del taglio della mano e dello strappo dell'occhio che aveva già usato a conI

I J ,23 (GCS ro, 242 s.). 2. Lapide, 3 47· 3 •Con gli scandali si diventa più vigili, prudenti, accorti,. (Chrys. In Mt. 59,1 [PG 58, 574]). 4 Chrys. In Mt. 59,1 (PG 5 8, 574). s Cf. Teofìlatto, 3 3 7· Orig. In Mt.

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ATTENTI A LLE «TRAPPOLE»

elusione della seconda antitesi in 5,29 s. L'uso dei medesimi logia nei due passi non è però identico. Mentre in 5,29 s. Matteo mette in guardia, sulla scia della seconda antitesi, dalla seduzione sessuale, qui si penserà piuttosto a una richiesta rivolta ai piccoli, perché si separino con coe­ renza dalle persone che vogliono distruggere la loro fede. 1 All'uso dei detti in Mt. 5,29 s. si avvicinano paralleli rabbinici che mettono mano e occhio in relazione con peccati di natura sessuale; 1 a quello nel nostro passo, invece, sono più vicini paralleli ellenistici che paragonano la se­ parazione netta dai cattivi amici o anche dal male in generale a un me­ dico che talvolta è costretto ad amputare arti o parti di un corpo.3 Aven­ do le iperboli dell'amputazione di un arto evidenti rapporti con una re­ altà empirica ben nota - da un lato sentenze effettivamente emesse ed eseguite in casi di adulterio o di crimini violenti,"' dall'altro una prassi chirurgica - la notevole forza dell'immagine moltiplica la forza di per­ suasione dell'avvertimento. Non è affatto facile collocare la nostra pericope nel complesso del cap. 1 8 . Che rapporto può avere con }'«abbassamento» dei vv. 3 s. che, per così dire, apre programmaticamente il cap. 1 8 ? Come la si può unire con quella seguente? L'amputazione delle membra si adatta, tutt'al più, alla scomunica dei fratelli impenitenti di 1 8, 1 7, anche se la nostra iper­ bole ha una formulazione decisamente più radicale della regola comuni­ taria dei vv. 1 5- 1 7. Mal si adatta, invece, alla ricerca della pecora smar­ rita dei vv. 1 2-14 e ancora peggio al perdonare settantasette volte (vv. 21 s.). Si ha l'impressione che nel nostro capitolo ci siano due melodie diverse non armonizzabili tra di loro. Sarà giocoforza ritornare ancora sul loro rapporto reciproco. 1 In molti casi perdura l'influenza dell'esegesi di Orig. In Mt. 1: 3,2.4 (GCS ro, 2.45 s.) che unisce il nostro passo con la concezione paolina del corpo di Cristo (I Cor. 12.). In que­ sto caso, però, si deve pensare alla scomunica di membri della comunità (ad es. Kloster­ mann, ad loc.; Pesch, Matthiius b, 3 2.; Sand, 3 68 s. 2. Bill., I, 302. s. Ulteriore materiale in J.D. Derrett, Law in the New Testament: Si scan­ dalizaverit te manus tua abscinde illam (Mk 9,42) and Comparative Lega/ History, in Id., Studies in the New Testament I, Leiden 1 977, 4-3 r . 3 H. Koester, Mark 9,43-47 and Quintilian 8,3,75: HThR 7 1 ( 1978) I 5 1-1 S J , fa riferi­ mento al ricorso frequente di Quintiliano al paragone del medico che deve amputare ar­ ti malati del corpo. Quintiliano usa questa similitudine in rapporto con gli amici cattivi e i parenti perfidi. Nella tradizione socratica l'amputazione di una parte del corpo fatta dal medico viene paragonata alla separazione dall'icragionevolezza: Xenoph. Mem. 1 ,2., 5 5 ; Plat. Symp. 2.05e; Arist. Eth. Eud. 12. 3 5 a ; cf. Sext. Sent. 1 3 ,2.73 (ed. H. Chadwick, 1959). Per altri esempi paralleli a questa immagine cf. vol. I, p. 400 n. 6. 4 Cf. vol. I, p. 400 n. 2..

1 . 3 . ALLA RICERCA DEGLI SMARRITI ( r 8 , I O- I 4 ) S. Arai, Das Gleichnis vom verlorenen Schaf - eine traditionsgeschicht/iche Unter­ suchung: AJBI 2 ( 1 976) I I 1 - 1 3 7; E.F.F. Bishop, The Parable of the Lost or Wan­ dering Sheep. Mt. r 8, w- q; Luke IJ,J -7: AThR 44 ( I 962) 44-57; D. Catchpole, Ein Schaf, eine Drachme und ein Israelit. Die Botschaft ]esu in Q, in J. Degenhardt (ed.), Die Freude an Gott - unsere Kraft (Fs O.B. Knoch), Stuttgart I 9 9 1, 89-Ioi; W. Cramer, Mt. r 8, t ob in frnhsyrischer Deutung: OrChr 59 ( 1 975) I JO-J46; J.D.M. Derrett, Fresh Light on the Lost Sheep and the Lost Coin: NTS 26 ( I 979/I98o) 36-6o; J. Dupont, La parabole de la brébis perdue (Mt. r 8, r 2- 14; Le I5,4-7), in Id., Études n, 624-646; Id., Les implications christologiques de la parabole de la brébis perdue, in op. cit., 647-666; R.C. Gregg, Early Christian Variations on the Parable of the Lost Sheep: DDSR 4 1 ( 1 976) 8 5 - 1 04; J. Héring, Un texte oublié. Matthieu r 8, w, in Aux Sources de la tradition chrétienne (Fs M. Goguel), Neucha­ tel-Paris 1960, 9 5 - 102; Merklein, Gottesherrschaft, 1 86- 192; A. Orbe, PaTt:ibolas Evangélicas en San Ireneo (BAC) 11, 1972, I I 7- 1 8 1 ; W. Petersen, The Parable of the Lost Sheep in the Gospel of Thomas and the Synoptics: NT 23 ( 1 9 8 1 ) 1 28-147; F. Schnider, Das Gleichnis vom verlorenen Schaf und seine Redaktoren: Kairos 29 ( I 977) 146- 1 54; M. Simonetti, Due note sull'angelologia origeniana, I . Mt. z8,IO nell'interpretazione di Origene: RCCM 4 ( 1 962) 1 6 5-1 79. Altra bibliografia ( b ) nella sezione su Mt. 1 8, 1 -3 5 (sopra, p. 19). I o State attenti: non disprezzate neppure uno solo di questi piccoli! Poiché vi dico: i loro angeli nei cieli vedono continuamente il volto di mio Padre nei cieli.' I2 Che ne pensate? Se un tale possiede cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà allora le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? 1 3 E quando accade che la trova: amen, vi dico: si rallegra per questa più che per le riovantanove che non si sono smarrite. 14 Così non è volontà al cospetto del Padre vostro 1 nei cieli che uno di questi piccoli perisca. I. Struttura. I vv. 10 e 14, che parlano entrambi di «uno di questi piccoli» e del «Padre nei cieli», inquadrano la breve parabola della pecora smarrita. Mediante queste parole la nostra pericope è al contempo saldamente ag­ ganciata al contesto (cf. vv . 6.19.3 5 ). Diversamente dal parallelo in Le. 1 5 , 4-7, la parabola i n s é non è una storia narrata, bensì una costruzione argo­ mentativa formata da due proposizioni condizionali introdotte da èav. Alla

' Il v.

I I tramandato nella tradizione testuale occidentale e bizantina ( « il figlio dell'uomo venuto a salvare ciò che era perduto» ) corrisponde in qualche misura a Le. 19,10, si adatta egregiamente, per il contenuto, alla parabola tradizionale della pecora smarrita, ma per quanto attiene al testo è decisamente secondario. Il v. I I si trova anche nel Mat­ teo ebraico (Howard, Gospel, 89) - chiaro indizio di quanto bassa debba essere la data­ zione di questo vangelo. :r. Al v. 14 si deve leggere (J.OU o U(J.wv? Sebbene la lezione JLOU abbia il forte sostegno, ad es., di B ·e 8, i versetti paralleli 10 e 3 5 (entrambi con JLOU) suggeriscono che un U(J.wv origi­ nario sia stato adattato in un secondo tempo. è

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ALLA RICERCA DEGLI SMARRITI

prima segue (v. 12.) una domanda retorica cui i lettori stessi devono dare una risposta; alla seconda segue (v. I J ) una tesi presentata nella forma solenne di un logion aperto da «amen » . All'inizio della parabola c'è una domanda rivolta ai lettori: « Che ne pensate ? » La «parabola » è quindi, in realtà, un dialogo dell'autore con un uditorio implicito la cui approvazione egli cerca di ottenere. ' La parola guida della parabola è il verbo .1tÀavaa.Sat ripetuto tre volte. Dopo il solenne logion introdotto dall'amen (v. I J ) sorprende l'ap­ plicazione (v. I4): non si fa più parola della gioia del pastore; il v. 14 sem­ bra richiamare l'attenzione più sul comportamento del pastore descritto al v. I 2 che sulla sua gioia. 2. Fonti. La sentenza conclusiva al v. I4 è chiaramente redazionale.1 Ciò spiega la difficile transizione dal v. IJ al v. I4: nel v. I J sta in primo piano la gioia del pastore per la pecora ritrovata; il conclusivo v. 14 non è inte­ ressato tanto alla gioia quanto alla fatica del pastore. Ancora meno chiaro è il v. I o : sebbene molti esegeti vedano anche qui la mano del redattore mat­ teano,3 non tutto è matteano.4 Pertanto ritengo, come i più, che Matteo ab­ bia unito il logion tradizionale del v. I ob alla pericope sui «piccoli » median­ te l'aggiunta redazionale del v. roa. La parabola della pecora smarrita dei vv. I 2 s. è stata tramandata anche in Le. I 5,4-7 ed Ev. Thom. log. I07. Era contenuta anche in Q? Comune a Matteo e Luca è la sostanza dell'esposizione (Mt. I 8, I 2; Le. I 5,4) e la men­ zione della gioia per la pecora ritrovata, gioia più grande che per le altre novantanove (v. I J ; in Luca nell'applicazione al v. 7). La peculiarità più im­ portante di Luca è la minuziosa narrazione di come il pastore trovi la pe­ cora, se la metta sulle spalle, torni a casa, inviti amici e vicini a partecipare alla sua gioia (Le. I 5 , 5 s.). L'applicazione in Le. I 5 ,7 è formulata in termi­ ni molto diversi da Mt. I 8, I 4, ma è anch'essa opera redazionale. Per Luca quel motivo della gioia, che in Matteo (v. I J ) è appena accennato, costitui­ sce il punto saliente della storia che, formulato in chiaro stile lucano, è la gioia che si prova in cielo anche per un solo peccatore ravveduto.s Le pe­ culiarità di Matteo non sono tutte facilmente individuabili. Prescindendo dalla conclusione (v. 14), è sicuramente redazionale l'introduzione 'tt Up.iv I Trilling,

lsrael, 1 1 2, chiama la parabola «Un breve mashal» formalmente affine a 5 , 14h­ I6; 1 2, 1 1 . 3 3 s.; 1 5, 1 3 s. 1 Cf. vol. I, introduzione, 4. 2, s.vv. o&toç, .�D.lll'a, [p.1tpoa�ev, 7ta't'Ìjp o Èv oùpavoiç, I'LxpoL CÌ7tOÀlj'tCU è tradizionale, almeno a giudicare da Le. 1 5,4.6. 3 Così Gundry, 364. Sono redazionali opàn 11-Tj (9,30; 24,6; per l'uso nei papiri d. Moul­ ton-Milligan, 4 5 5 ; BDR, S 461,1 e n. 2), iv oùpavoiç (d. 5,45; u,so; 1 8 ,14; 19,21), yGip, ì.Éyw u11-iv, ;tpoaw7tov, 7ta'tljp. Cf. vol. I, introduzione, 4.2. 4 Unica presenza in Matteo del nesso dei LXX ò&i% 7tav't6 che un membro della comunità ha compiuto contro un altro membro, non è una faccen­ da puramente privata, che non riguarda minimamente la comunità. È una convinzione biblica, giudaica e protocristiana che ogni peccato ri­ guardi la comunità intera. Il colloquio a quattr'occhi dovrebbe, presumi­ bilmente, tutelare il fratello: senza testimoni non è necessario che si ver­ gogni. Qui il verbo È:.ÀÉyxw significa, in primo luogo, «costringere qual­ cuno a dare una spiegazione »; in seconda battuta si profila sullo sfondo Lev. 19, 1 7 con il hifil di jk!J ( «rimproverare» [in contrapposizione al­ l' «ira >> ] ); il significato fondamentale «convincere di una colpa >> è però molto vicino, come indica la menzione di «testimoni» . Lev. 19,1 7 - che viene immediatamente prima del comandamento di amare il prossimo (Lev. 19, 1 8 ) - ha nel giudaismo una lunga tradizione esegetica, il cui nocciolo è che il richiamo franco del fratello israelita è un'espressione dell'amore del prossimo e della solidarietà all'interno del popolo di Dio.' Un simile ammonimento fraterno può avere un esito positivo e allora «tu hai guadagnato tuo fratello» . Il verbo xepòaivw in senso traslato con una persona per oggetto è totalmente inusitato sia in greco sia nel linguag­ gio biblico." Al contrario ne è documentato l'uso (in due casi: I Cor. 9, 19-22; I Pt. 3 , 1 ) come termine del vocabolario missionario paleocristiar Per la ricezione di Lev. 19,17 nel giudaismo d. Kugela. Per la ricezione sapienziale è importante Sir. 19, 1 3-17; ma ancor di più Test. Gad 6,3-7: •Se qualcuno pecca contro di te, diglielo tranquillamente . . . Se egli fa penitenza e lo riconosce, perdonalo . . . Se egli invece lo nega, lascia perdere e non costringerlo ad ammetterlo (forse fa penitenza nel­ l'intimo) Ma se si fa insolente e persevera nella malvagità, allora perdorialo lo stesso anche cosÌ». Un testo stupendo. Per Qumran d. spec. CD 7,2 s.; 9,2 s.; 1 3 , 1 8 . Bill., 1, 787-790, cita interessanti testi rabbinici relativi alla storia successiva di Lev. 19,17, che in parte sono veri paralleli a Le. 1 7,3 s. l passi più importanti del N.T. che presentano (senza riferimento a Lev. 19,17) il rimprovero come segno di genuina fratellanza, sono Gal. 6,1; 1 Tess. 5,14; 2 Tim. 2,25; d. Did. 1 5,3 s. 1 Daubea, 3 5 5-361, presuppone la presenza sullo sfondo dell'ebraico skr o dell'aramaico 'gr dove si può documentare (carissimamente) un uso traslato. In mancanza di meglio, dobbiamo accontentarci di quest'unica proposta, fin qui la migliore. • . .

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L'AMMONIZIONE FRATERNA E LA PREGHIERA

no. Matteo pensa sicuramente al recupero e alla riammissione del pecca­ tore nel popolo di Dio e nella comunità.

16. Soltanto se il chiarimento a quattr'occhi non ha un esito positivo si passa alla fase successiva, un colloquio davanti a testimoni. A quale scopo si dovrebbero convocare questi testimoni ? Essi, infatti, non sono testimoni oculari del peccato commesso dal fratello accusato, ma solo testimoni della discussione. Perciò la loro funzione non può essere nean­ che quella di testimoniare, più tardi, davanti all'assemblea della comu­ nità, in merito a quanto il fratello accusato ha commesso. Deut. 1 9, 1 5 non viene quindi citato conformemente a l senso del testo biblico. Non solo nel N.T., però, • bensì anche nel giudaismo i due testimoni vengo­ no impiegati anche per altre funzioni. I testi rabbinici documentano un compito particolare e importante dei testimoni: mettere in guardia chi ha compiuto un'azione biasimevole dal ripeterla/ e così rendere più dif­ ficile la sua condanna perché soltanto chi è stato ammonito da più te­ stimoni può essere condannato in giudizio. 3 Il testo non aiuta a capire se la funzione dei testimoni nella nostra pericope sia analoga oppure, come alcuni sostengono, se la loro presenza serva solo a dare maggior forza al richiamo del fratello; in questo caso il termine pi}!J.a avrebbe allora il senso letterale di «parola» del rimprovero e non quello di «causa » .4 1 7. La regola della comunità non menziona più un possibile esito po­ sitivo di questo colloquio. Se anche il secondo tentativo va a vuoto e il peccatore non ascolta,s la questione deve essere rimessa all'assemblea della comunità. È questa l'ultima istanza. Che qualcuno venga parago­ nato a un gentile e a un pubblicano non significa una condanna inappel­ labile ma soltanto che, nell'ottica dei giudeocristiani fedeli alla legge, r

Cf. Mt. 26,6o; 2 Cor. 1 3,1; cf. Cv. 8,17 s. Sanh. 5,1; 8,4; 10,4; Makk. 1,8 s.; So{. 1 , 1 s. (tutti in Bill., 1, 790 : Mek. Ex. a 21,12. Altre citazioni in Vliet", 54 s. 3 Subito dopo l'esortazione a procedere al rimprovero individuale secondo Lev. 19,17, 1 QS 6,1 continua: «E inoltre nessuno porti una parola contro il suo vicino di fronte ai molti [cioè davanti all'assemblea della comunità] a meno che non ci sia stato un prece· dente rimprovero davanti a testimoni» , una prassi che corrisponde ai testi rabbinici ci· tati alla nota precedente. 4 Thompson b, 183; Gnilka, n, 13 7. Bello se si guarda alla pastorale, ma estraneo al te· sto è il giudizio di Schweizer, 242: essi devono « tutelare il peccatore: forse chi rimprove­ ra non è dalla parte della ragione, forse anche a un altro è stata data la parola giusta». s In testi greci recenti e in passi dei LXX il verbo 1t�Zp«XOUw (non sentire, non sentire per· fettamente, ascoltare per sbaglio) acquista il significato di «non ascoltare, essere disub­ bidiente» . Cf. Bauer, Wb', s.v. 2

MT.

1 8, 1 5 -20

con quel tale non si dovranno più intrattenere rapporti. Di fatto ciò si­ gnifica l'esclusione dalla comunità, non solo la rottura dei rapporti per­ sonali tra due individui. 1 Il testo non menziona la possibilità, a mio pa­ rere comunque probabile, 1 di una successiva riammissione o di una sal­ vezza del peccatore nel giorno del giudizio universale, come la trovia­ mo in Paolo ( I Cor. 5 , 5 ; 2 Cor. 2,7- 10). Non si fa parola nemmeno di come, in concreto, si deliberi l'esclusione. Dall'assenza di qualsiasi men­ zione di responsabili della comunità non si può, naturalmente, arguire che la comunità matteana non ne avesse affatto. Resta comunque sin­ golare che il nostro testo si rivolga direttamente al fratello offeso. An­ che nel discorso sviluppato nei vv . 1 - 1 4, rivolto totalmente alla comu­ nità, non si fa cenno ai responsabili. Esclusione dalla comunità. Le esclusioni esistono nei gruppi religiosi e nel­ le sette, ma non nei popoli o nelle chiese che abbracciano tutta la popola­ zione. Perciò non ci sono paralleli ai nostri versetti in testi che trattano del popolo d'Israele: per chi nasce giudeo non può esserci un'esclusione dal po­ polo d'Israele. Neanche l'istituzione del bando sinagogale, documentata per l'epoca talmudica, rappresenta un reale parallelo) Il bando sinagogale è si­ mile alla scomunica nella chiesa cattolica in quanto è anch'esso un'istitu­ zione pedagogica dalla duplice funzione di aiutare il peccatore a ravvedersi e affermare l'autorità della sinagoga. Perciò tale esclusione è, per principio, reversibile. A partire dal m secolo è invalsa nel giudaismo la prassi del du­ plice bando: una