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Italian Pages 96 [95] Year 2015
FILIPPO BELLI, sacerdote dell'arcidiocesi di Fi renze, ha conseguito il dottorato in scienze bibli che nel 2007 al Pontificio Istituto Biblico. Dal 200 l insegna alla FacoltàTeologica dell'Italia Cen trale a Firenze. Attualmente è incaricato dei corsi di Introduzione alla Sacra Scrittura, Scritti Paolini e Greco Ili.
È
autore della monografia Argumen
tation and Use ofScripture in Romans 9-11 (Roma 20 l 0), del volume in collaborazione con altri L'Antico nel Nuovo.// ricorso alle Scritture nel Nuovo Testamento (Bologna 2008), traduzione dallo spa gnolo dell'omologo volume
(Madrid 2006).
Scrive anche articoli e recensioni di argomento biblico per diverse riviste.
Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari
NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI
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Presentazione \ l 0\.\ \ l·: llt'>IO'-.L DEl ,L \ Bill BI\ D.\ l ·n:STI \ \TIU Il
a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore amargine dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali) , il cui primo volume fu pubblicato nel 196 7. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contemporanee. l volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un lato rendere conto dell'andamento del testo e, dall'altro, soddisfare le esigenze del lettore contemporaneo. L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, necessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente ad esse. Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo livello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti nei diversi manoscritti antichi, l 'uso e il significato dei termini, i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secondo livello, dedicato al commento esegeticoteologico, presenta le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno, il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto dialogico. Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri, dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera
PRESENTAZIONE
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nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine, la storia della sua trasmissione. Un approfondimento, posto in appendice, affronta la presenza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo nella sua collocazione "originaria", ma anche nella dinamica interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebrazione liturgica costituisce l'ambito privilegiato. I direttori della Serie Massimo Grilli Giacomo Perego Filippo Serafini
Annotazioni di carattere tecnico \ l OV\ \
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Il testo in lingua antica Il testo greco stampato in questo volume è quello della ventottesima edizione del Novum Testamentum Graece curata da B. Aland- K. Aland- J. Karavidopoulos - C.M. MartiniB.M. Metzger (2012) sulla base del lavoro di E. Nestle (la cui prima edizione è del1898). Le parentesi quadre indicano l'incertezza sulla presenza o meno della/e parola/e nel testo. La traduzione italiana Quando l'autore ha ritenuto di doversi discostare in modo significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i seguenti accorgimenti: - i segni • ' indicano che si adotta una lezione differente da quella riportata in greco, ma presente in altri manoscritti o versioni, o comunque ritenuta probabile; - le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che appaiono necessari in italiano per esplicitare il senso della frase greca. Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si allontanasse troppo dall'originale ebraico o greco, tenendo però conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi diffuso e abbastanza affermato. I testi paralleli Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo commentato con il simbolo l l; i passi che invece hanno vìcinanza di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo •!•. La traslitterazione La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferimento alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.
ANNOTAZIONI
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L'approfondimento liturgico Redatto da Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli, rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani, quindi nella versione CEI del2008.
LETTERA AI COLOSSESI Introduzione, traduzione e commento
a cura di
Filippo Belli
~
SAN PAOLO
Nesde-Aland, Novum Testamentum Graece, 28th Revised Edition., edited by Barbara and Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger in cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, Miinster/Westphalia, © 2012 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission
© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www. edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-215-9350-5
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TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE Il titolo di «lettera ai Colossesi» è attestato nella totalità dei manoscritti che unanimemente leggono «a Colossi» al v. 2 del primo capitolo, con la sola variante di grafia «Colassi» in alcuni di essi. Probabilmente le due forme del nome erano abituali per indicare la città. È una lettera quindi indirizzata a una precisa comunità della provincia dell'Asia, ma che Paolo non ha conosciuto se non indirettamente come si evince dalla lettera stessa. La sua posizione nel canone attuale la colloca tra le lettere paoline in settima posizione, ma in un sottogruppo delle lettere indirizzate a comunità, quello detto «della prigionia» (Efesini, Filippesi e Colossesi), e in ultima posizione essendo delle tre la più corta. Precede quindi le due lettere ai Tessalonicesi e tutte le lettere indirizzate a una persona. Nei numerosi manoscritti antichi la collocazione canonica cambia, come del resto per le altre lettere, ma sostanzialmente questa è la sua posizione più frequente e abituale. La sua affinità in diversi punti con Efesini e per alcuni dati storici con Filemone non è mai stata determinante ai fini della sua collocazione nel canone; hanno piuttosto prevalso i criteri di genere (lettera a comunità e lettere della prigionia) e di lunghezza.
ASPETTILETTERAJU Stile La lettera ai Colossesi, cosi come quella agli Efesini, colpisce il lettore per uno stile che si discosta dalle altre grandi lettere paoline.
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La ridondanza, i lunghi periodi con frasi relative e proposizioni participiali a cascata, l'abbondanza di complementi a catena con il genitivo, il vocabolario per certi versi ampolloso, l 'utilizzo di materiale di origine liturgica o catechetica, differiscono in effetti dallo stile nervoso, ellittico, paradossale e conciso che caratterizza spesso le altre missive di Paolo. Per di più Colossesi non usa esplicitamente le Scritture di Israele. Per contro, i caratteri che contraddistinguono sovente il genere epistolario paolino sono presenti anche in Colossesi: l'indirizzo iniziale, l'azione di grazie per la vita della comunità, il corpo principale della lettera di tenore dottrinale, le esortazioni etiche, le notizie personali e dei suoi collaboratori e i saluti conclusivi. Quindi se lo schema epistolare corrisponde fondamentalmente a quello che conosciamo dalle altre lettere di Paolo, lo stile invece se ne discosta. Questa rilevazione ha nella storia dell'esegesi messo in dubbio la paternità paolina della lettera. Occorre però notare che il carattere stesso dello scritto offre il motivo di uno stile particolare. L'esigenza di mettere in luce il mistero di Cristo nella sua sovrabbondanza ed efficacia esige uno stile come quello che riscontriamo in Colossesi che è appunto sovrabbondante, ridondante, con frasi ampie e vocabolario che imprime l'idea di pienezza e totalità. Articolazione della lettera Si può mettere in luce l'articolazione letteraria di Colossesi tenendo conto dei dati epistolari ma anche delle tecniche di composizione retorica tipiche della letteratura paolina. L'arte retorica si occupa di formulare in modo appropriato e persuasivo i contenuti da comunicare in un discorso. La formazione ellenistica di Paolo, assieme a quella giudaica, ha reso efficace la sua scrittura in questo senso. Paolo, però, più che seguire uno schema retorico prefissato, adatta spesso le tecniche retoriche al tipo di contenuto che vuole proporre. Per la lettera ai Colossesi, che ha un carattere fondamentalmente esortativo, l'Apostolo utilizza un procedimento tipico delle sue lettere: ovvero abbinare i due registri argomentativi della presentazione dottrinale e dell'esortaZione, di modo che quest'ultima sia fondata su buone motivazioni teologiche. Inquadrata dai
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tipici elementi epistolari all'inizio (prescritto 1,1-2) e alla fine (notizie e saluti 4,7-18), il discorso in Colossesi si sviluppa secondo una chiara argomentazione alla quale Paolo, tuttavia, premette una ragionata introduzione. Essa (1,3-23) ha diversi scopi: quello di stabilire un rapporto di fiducia coi destinatari (ringraziamento e preghiera), quello di offrire un orizzonte e un fondamento alla sua riflessione (inno) e quello di presentare brevemente gli argomenti che svilupperà (vv. 21-23). In seguito, con diversi elementi discorsivi, offre la sua riflessione in tre grossi momenti (l ,24--2,5; 2,6-23 e 3,1-4,1). Segue la conclusione esortativa (4,2-6). Prescritto (l, 1-2) La tela di fondo (1,3-23) (1,3-8) ringraziamento per la vita della comunità (1,9-14) preghiera per la piena conoscenza e per la santità di vita in Cristo (1,15-20) inno cristologico (1,21-23) annuncio dei tre temi del corpus della lettera: (l ,21-22) riconciliati in Cristo per una vita santa (1,23ab) la fedeltà al Vangelo (1,23c) annunciato come mistero da Paolo Il Corpo della Lettera (secondo l'annuncio dei temi in ordine inverso) (l ,24--2,5) Il ministero di Paolo (gioia e combattimento) per far conoscere il mistero (2,6-23) Rimanete saldi (attenzione agli inganni!) in ciò che avete ricevuto (3,1-4,1) La vita nuova in Cristo Conclusione esortativa (4,2-6) Notizie e saluti (4,7-18) Un ultimo accenno è al genere retorico di Colossesi. L'esortazione domina gran parte della lettera con l 'intenzione di mantenere i destinatari saldi in ciò che hanno ricevuto sia come conoscenza, sia come conseguente prassi ecclesiale e personale. I numerosi imperativi vanno nel senso di stimolare una decisione a riguardo. Per
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questo, generalmente parlando, si può parlare di Colossesi come di una epistola dal genere retorico deliberativo.
Lettera ai Colossesi e lettera agli Efesini Una questione particolare riguarda il rapporto con la lettera agli Efesini. È evidente infatti che sia a livello letterario, ma anche contenutistico, le due epistole condividono numerosi passaggi, espressioni, vocabolario proprio. Due fenomeni in particolare sono da rilevare: la tendenza di Efesini a riunire assieme temi che in Colossesi sono invece separati, e la propensione che Efesini rivela a sviluppare contenuti che in Colossesi sono appena accennati. Questo porterebbe pensare a una dipendenza di Efesini da Colossesi (per alcuni anche l'inverso), oppure a una fonte comune alla quale le due lettere si sarebbero ispirate, o ancora alla contemporaneità dei due scritti che si differenziano a seconda della situazione a cui sono destinati. Ora, i due criteri adottati per far dipendere Efesini da Colossesi dalla maggioranza degli studiosi sono quelli della brevità (Colossesi più breve di Efesini) e lo sviluppo teologico (Efesini più sviluppata di Colossesi). Da una parte, però, la brevità non comporta necessariamente l'anteriorità e dall'altra è difficile stabilire una evoluzione tra due lettere. A seconda delle prospettive, infatti, si presentano entrambe teologicamente sviluppate, anche se in modalità diverse. Colossesi mostra a livello cristologico una superiorità teologica su Efesini, la quale, invece, sviluppa maggiormente l'aspetto ecclesiale del «mistero». È più ragionevole, tenendo conto anche dei dati sull'autore che vedremo in seguito, ritenere che una medesima mano abbia composto o redatto le due epistole volendo approfondire nei due casi alcuni temi comuni secondo però esigenze e intendimenti diversi.
LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI
La lettera è ricca di spunti teologici fondamentali riguardo i vari aspetti del mistero di Cristo, della vita cristiana, del destino ultimo, della compagine ecclesiale.
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La ricchezza del mistero di Cristo La particolarità del contenuto di Colossesi risiede in una massiccia e pervasiva riconduzione cristologica di tutti i temi che ritroviamo spesso nell'epistolario paolino (teologia, soteriologia, ecclesiologia, escatologia, etica cristiana), tanto che si può dire che la persona di Cristo - il suo essere e la sua azione ed efficacia per la vita del mondo, della Chiesa, di ogni singolo credente - è sicuramente il contenuto principale se non esclusivo dell'epistola. Non c'è scritto nel Nuovo Testamento in cui la riflessione cristologica sia così determinante (assieme a Ebrei). Questa concentrazione cristologica sembra mettere da parte ·aspetti ricorrenti nelle altre lettere di san Paolo quali la giustificazione, la Legge, l'uso delle Scritture, la variegata descrizione della realtà ecclesiale, l' escatologia imminente o a venire, la filiazione divina ecc. Ora, se da una parte la cristologia di Colossesi non pretende di essere esaustiva, dali' altra però la sua invadenza fa percepire anche letterariamente la sua assoluta primazia e sovrabbondanza per il cristiano. È certamente questo l'apporto principale della lettera, quello di sottolineare, a dispetto di tutte le altre possibili, l'unica e indispensabile mediazione universale di Cristo in ordine alla creazione, salvezza e perfezionamento di tutta la realtà e quindi di ogni credente, da qualsiasi provenienza, anzi al di là di ogni provenienza. In particolare l'inno iniziale di 1,15-20 è come il diapason che dà la nota principale a tutta la sinfonia di riflessioni in seguito sviluppate, o come la tela di fondo sulla quale tutti gli altri elementi successivi sono collocati. Ora, dall'inno di 1,15-20 si staglia, attraverso i vari titoli che gli sono attribuiti, la figura eminente di Cristo: Egli è «immagine del Dio, l'invisibile», «generato prima di qualsiasi creatura», «capo del corpo che è la Chiesa», «principio, è il primo dei risorti dai morti». A queste titolazioni corrispondono i motivi per i quali si può attribuirle a Lui: Egli è, infatti, in funzione di eccellenza, preminenza, unicità, autorità ed efficace mediazione sia in ordine alla creazione, sia in ordine alla salvezza e alla riconciliazione universale. Il quadro cristologico dell'inno offre, dunque, i fondamenti della argomentazione successiva, illuminando cristologicamente tutti gli aspetti affrontati.
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Il Vangelo come mistero L'annuncio del Vangelo si precisa allora in Colossesi come proclamazione del «mistero». Il suo contenuto è Cristo stesso «nel quale sono riposti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (2,3). La categoria di «mistero» che si sovrappone in qualche modo a quella di Vangelo, ha il vantaggio di allargare lo sguardo e la conoscenza all'insondabile e sorprendente disegno di Dio in Cristo. Se il Vangelo si concentra sull'azione pasquale di Cristo, il «mistero» permette di cogliere la pienezza di questo annuncio nel far intravedere la signoria di Cristo come originaria nella creazione stessa, nella riconciliazione cosmica e nella universalità della sua destinazione. Questo «mistero» in Colossesi è già perfettamente compiuto e in Cristo è già presente tutta la pienezza di Dio per i credenti. La sua proclamazione e conoscenza è funzionale acciocché tutti possano «ottenere l'abbondanza di una piena intelligenza in vista della conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo» (2,2). Cristo come capo del corpo della Chiesa Sul versante ecclesiologico, la riconduzione cristologica di Colossesi, riprendendo la categoria di Chiesa come corpo di Cristo che Paolo aveva già utilizzato in altre lettere, aggiunge un elemento decisivo che è l'attribuzione a Cristo del titolo di «capo» del corpo che è la Chiesa (1,18 e 2,19). L'insistenza quindi non è tanto sui rapporti nella compagine ecclesiale, sull' organicità e funzionalità delle membra, quanto sulla essenziale e imprescindibile signoria di Cristo sulla Chiesa, come autorità, ma anche come unica fonte vitale. Questo relativizza ogni altra mediazione, essendo Lui l'unica fonte e autorità di vita della Chiesa. Il rapporto con l 'unico «capo» è determinante la bontà della vita ecclesiale. La risurrezione in Cristo L'escatologia è anch'essa determinata dalla intensa cristologizzazione della lettera. Se la tensione tra il «già» e il «non ancora>> è mantenuta, Colossesi, tuttavia, insistendo sullo statuto glorioso di
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Cristo e la sua incidenza sui battezzati già da ora, approfondisce e chiarisce il rapporto tra la vita presente e quella futura gloriosa. Il cristiano vive già da ora la pienezza della risurrezione di Cristo in forza del battesimo e della vita in Lui e con Lui (2,12). Questo status illumina e determina nella vita presente lo sguardo e la prassi del credente, in attesa della piena glorificazione. L'unione a Cristo realizza già da ora, senza bisogno di altre mediazioni, l'essere nuovo risorto, e garantisce la pienezza della glorificazione nel futuro. La riconciliazione in Cristo L'impianto soteriologico della lettera ai Colossesi non differisce sostanzialmente da quello delle altre lettere paoline. Tuttavia, ancora una volta, la cristologia della lettera allarga lo sguardo all'ampiezza della salvezza operata in Cristo. L'estensione della riconciliazione nel sangue di Cristo è universale e cosmica, riguarda tutti e tutto, ed è espressa in termini totalizzanti (2,13): la vittoria ottenuta sulle potenze è definitiva e gloriosa (2, 15). L'uomo nuovo in Cristo Anche l'eticacristiana in Colossesi (cfr. 3,1-4,1) è ricompresa in termini decisamente cristologici. Il fondamento dell'etica e quindi anche del suo svolgimento è la signoria di Cristo e l 'unione con Lui che determinano la prassi e i comportamenti a livello ecclesiale, personale e familiare. La formula dell'etica cristiana in Colossesi, quella cioè dell'«uomo nuovo» (3,10) è fondamentalmente vivere «nel Signore» (cfr. 3,20).
Un'ultima annotazione. La riconduzione cristologica che attraversa tutti gli argomenti della lettera non deve far pensare a Colossesi come a un trattato esaustivo e sistematico di cristologia. Molte cose non sono né dette né sviluppate. Lo scopo e le preoccupazioni della lettera - che sono contingenti, anche se non chiarissime hanno permesso al suo autore di presentare il mistero di Cristo in termini nuovi e di apportare un approfondimento alla cristologia generale di tutto il Nuovo Testamento.
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AUTORE, DESTINATARI E DATAZIONE
Nell'affrontare i dati storici essenziali riguardo alla lettera occorre innanzitutto dire che gli elementi che abbiamo a disposizione non ci permettono di rappresentare un quadro esatto ed esaustivo. Le incertezze, se ci si addentra anche un poco, si assommano e si intrecciano, rendendo arduo il tentativo di figurarsi la situazione reale. Due in particolare: la cronologia paolina è discussa e quindi l'esatta collocazione delle prigionie di Paolo è di conseguenza difficile da delineare; in secondo luogo la notizia di un terremoto nella zona di Colossi proprio in quegli anni (60-62), ma senza poter conoscere esattamente gli effetti sulla città (distrutta completamente? ricostruita subito?), non aiuta a comprendere i dati della lettera (scritta prima o dopo? da chi? per chi?).
Autore Partiamo dal dato più discusso ma anche più facile da risolvere, quello della autenticità paolina della lettera. I dati che lo scritto ci offre sono chiari: Paolo, insieme a Timoteo che si trova con lui, scrive ai cristiani di Colossi (1,1-2). Egli fa più volte esplicito accenno a sé e al fatto di trovarsi in detenzione (1,24-25.29; 2,1.5; 4,3-4.7-8.18). Ha ricevuto da Epafra notizie della comunità (1,89) e invia Tichico (4, 7), insieme a Onesimo (4,9), a Colossi con il suo scritto. Offre notizie di persone a lui vicine e saluta quelle che si trovano a Colossi (4, l 0-17). Infine conclude: il saluto è di mio proprio pugno (4, 18). Tutti questi dettagli sono difficilmente eludibili per accertare la paternità paolina della lettera, per scrivere la quale Paolo sembra essersi avvalso di un segretario o amanuense (4, 18). Questi dati inoltre sono confermati dalla lettera a Filemone - unanimemente ritenuta autentica- che riferisce di una medesima situazione quanto alle persone che sono con Paolo e quelle che sono a Colossi (Fm 1-2.13.23). Le differenze a questo riguardo tra i due scritti ci sono, e invero sono minime, quasi irrilevanti; ma proprio questo fa ritenere che se un autore in pseudoepigrafia avesse voluto prendere a prestito da Filemone i dati per confortare l'autenticità paolina sarebbe stato più accurato.
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L'antichità non ha conosciuto dubbi di sorta a riguardo. Solo l'esegesi critica letteraria, a partire da F. C. Baur ( 187 5), ha messo in questione che lo scritto fosse di Paolo. Con due grandi argomenti: quello letterario (lo stile e il vocabolario sono diversi dalle lettere considerate autentiche) e la concezione teologica (temi diversi, omissione di temi importanti delle grandi lettere, o prospettive diverse dei temi comuni). Non è possibile una disamina esaustiva dei due aspetti, ma, come confermano ormai in tanti (cfr. M. Barth- H. Blanke, D.J. Moo, E. Lohse; J.P. Heil, M.M. Thompson), questi argomenti non sono affatto dirimenti. In effetti la riconduzione cristologica che la lettera opera, ricompone, come abbiamo visto, tutti i temi teologici paolini come se dovesse risalire a monte di essi per precisare il ruolo di Cristo come unico mediatore universale della pienezza della salvezza. Questa riconduzione totale e unica è lo scopo teologico della lettera. Di conseguenza anche lo stile letterario, il vocabolario stesso, l'insistenza su alcuni termini piuttosto che altri sono conformati a questo scopo. Quanto poi Paolo, in misura più o meno ampia, si sia avvalso di materiale precedente (vedi l'inno di 1,15-20) o di collaboratori per la stesura dello scritto, non è possibile accertarlo nei dettagli, ma possiamo supporlo facilmente. Rimane che lo scritto ha la sua paternità. È la soluzione più plausibile e meno ipotetica. Destinatari In questo modo, se lo scritto è autentico di Paolo, è anche più semplice ammettere che la lettera è stata scritta proprio per la comunità di Colossi. Infatti, la citta di Colossi ha conosciuto un devastante terremoto intorno al 60-62 d.C., secondo le informazioni di Tacito negli Annali (14.27) ed Eusebio nelle sue Cronache (210.4), che la distrusse irrimediabilmente. Ritenerla posteriore a Paolo (morto tra il60 e il64) implicherebbe, dunque, risolvere un ulteriore enigma (c'era ancora una comunità a Colossi dopo il terremoto?). Del resto la lettera, senza poterei offrire dettagli, ci fa percepire una comunità ben disposta, che vive la fede, ma che subisce alcune incertezze dottrinali (l' «eresia>> o «filosofia>> a cui fa riferimento al capitolo 2,6-23) che occorre ricomporre per il buon cammino della
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comunità stessa. Il fatto che Paolo suggerisca che la lettera sia letta anche a Laodicea (2,2; 4,16)- così come l'inverso per la «lettera ai Laodicesi» di cui l'Apostolo accenna, ma mai ritrovata (4,16)segnala però che il problema era più generalizzato, frutto del clima culturale e religioso che si respirava nell'ambiente circostante. A questo riguardo occorre dire qualcosa di ciò che è chiamata dagli studiosi l'«eresia di Colossi». Il testo da cui si può ricavare qualcosa per identificarla è Col 2,6-23. È un testo difficile, molti termini si prestano a varie interpretazione quando si tratta di delineare il loro contesto culturale e religioso. In tal modo ancora oggi non c'è accordo tra gli studiosi sul contenuto e sulle origini della «filosofia» e delle pratiche ascetiche e cultuali che il testo sembra supporre. Derivazioni dalla gnosi (cfr. i riferimenti a una conoscenza filosofica, alla precettistica morale, culto degli esseri celesti), dai culti misterici (conoscenza misterica, gli elementi del mondo, ascetismo, autorità celesti ecc.) e da tradizioni giudaiche mistiche o apocalittiche (angelologia, festività, pratiche ascetiche ecc.), con le varie possibili connessioni tra loro in forme sincretiste, sono state proposte. In effetti le varie ipotesi poggiano tutte su termini e concetti presenti nel testo, ma è molto difficile farsi un'idea coerente e certa di detta «filosofia», anche perché le sfumature possibili sono tante, le varie correnti individuate non sono impermeabili (il culto degli esseri celesti è comune a tutte le ipotesi di attribuzione). Due elementi sono da considerare. lnnanzitutto è abbastanza evidente dal tono della lettera in generale e in particolare dalla sezione di 2,6-23 che non si tratta propriamente di un'eresia presente nella comunità, cioè di un pericolo dottrinale e ascetico che nasce (pur da influenze esterne) e che è in atto nella compagine ecclesiale di Colossi. Si tratta piuttosto di influenze, pressioni, ammiccamenti e tentativi di gruppi o persone esterne alla comunità, ma che appaiono seducenti e promettenti e da cui Paolo mette chiaramente in guardia. Più che di una correzione, si tratta di un avvertimento che l'apostolo sente il dovere di dare. Il secondo elemento è la varietà di caratteristiche di suddetta «filosofia» tale da poter ricoprire varie influenze. L'impressione è che Paolo individui a grandi linee diversi filoni convergenti a mettere in pericolo, coi loro inganni, la retta
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comprensione e di riflesso la buona vita personale e comunitaria a partire dall'annuncio evangelico così come i Colossesi lo hanno ricevuto. Vero è che la focalizzazione sulla signoria di Cristo e la sua unica mediazione mettono in luce l'errore di potersi affidare ad altre istanze cultuali o ascetiche per accedere ai misteri e alla grazia divini. Dalla lettera ai Colossesi emergono alcune figure note come Onesimo e Epafra (detti «dei vostri» 4,9 .12) e probabilmente anche Filemone (Fm 1-2). Paolo, da parte sua, sembra non aver conosciuto i Colossesi di persona (2, l) e quindi non ha evangelizzato Colossi direttamente. Epafra invece, venuto alla fede probabilmente durante il soggiorno efesino di Paolo (At 19,10), sembra essere all'origine dell'annuncio della fede a Colossi (1,7 e 4,13), cosi come a Laodicea e Gerapoli (4,13), le due città vicine e anche più famose. È lui che porta a Paolo notizie della comunità (l ,8-9) che lo spingono alla scrittura della lettera. Per la consegna invece di questa, l'incarico è affidato a Tichico assieme a Onesimo (4,7-9), i quali probabilmente consegnano anche la lettera a Filemone (cfr. Fm 12). I dati che la lettera ci offre riguardo alla provenienza dei membri della comunità fanno ritenere che fosse formata prevalentemente da pagano-cristiani (l ,21.27), anche se doveva - visto il richiamo ad alcune pratiche giudaiche (2, 16-17)- avere pure alcuni membri provenienti dal giudaismo. Due ultimi aspetti sono da considerare brevemente e rigliardano l'inno di 1,15-20: la sua provenienza e i suoi riferimenti o dipendenze da altre tradizioni. Che l'inno sia una ripresa di una composizione già circolante negli ambienti paolini non si può escludere, ma nemmeno avverare in modo sicuro. L'importante- qualora questo prestito sia effettivo - è sottolineare la sua funzionalità rispetto all'argomentazione, e di certo Paolo se ha utilizzato materiale precedente, l'ha adattato allo scopo del suo scritto, facendolo diventare la tela di fondo su cui tratteggiare tutte le sue riflessioni. Più complesso è delineare i possibili riferimenti o dipendenze dirette dell'inno da tradizioni esistenti. Gli autori hanno ipotizzato, per esempio (a causa di alcuni titoli significativi come «immagine», «primogenito», «pienezza» e il riferimento alle potenze angeliche),
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una dipendenza da qualche forma di gnosi, ovvero movimenti filosofici e religiosi che pretendono l'accesso alle realtà divine attraverso conoscenze mistiche e pratiche ascetiche distinguendo così vari gradi di adepti. Questo sembrerebbe avvalorato dalla requisitoria contro la «filosofia» del secondo capitolo che sembra avere agganci con le teorie gnostiche. Ma a questo stadio della riflessione cristiana è difficile pensare a un tale emergere netto di posizioni gnostiche e antignostiche che invece scoppieranno dal II secolo. Casomai qui abbiamo i prodromi di una tentazione sempre ricorrente. Molto più delineato invece è il riferimento alla tradizione giudaica (sia biblica che extrabiblica), soprattutto sapienziale. I contatti possibili con testi come Pr 8,22-31; Sir 24,3-22 e Sap 7,22-8, l nonché con Gen 1,26-28 sono stati vagliati e in qualche modo confermati dai commentatori. Ma anche qui occorre dire che siamo in presenza di evocazioni e non di espliciti riferimenti, di contatti di immagini e concezioni generali che non fanno specie se si pensa ali' ambiente culturale di Paolo. Certamente nella composizione dell'inno queste influenze sapienziali sono determinanti (una sapienza divina, personificata, eterna, collaboratrice nella creazione e redenzione, principio unificatore, reggitrice del cosmo e delle umane vicende nella storia della salvezza ecc.) ma sono rilette e ripensate da Paolo in modo eminentemente cristologico, cioè avendo presente l'evento centrale e chiarificatore di tutto in Cristo. Datazione Sulla data dello scritto l'incertezza è sovrana, giacché dipendente dalla cronologia paolina ampiamente discussa. Ma, se la paternità paolina della lettera è assicurata, occorre collocarla in una delle prigionie conosciute dall'apostolo. Ora, di queste, ce ne sono due abbastanza sicure e durevoli secondo la testimonianza di Atti, ovvero quelle subite a Cesarea e a Roma. La prima pone alcuni problemi, sia per la sua durata (incerta), sia per la meno probabile possibilità di ricevere persone e di mantenere contatti, mentre la seconda, quella romana, essendo fondamentalmente una custodia domiciliare, permetteva questo tipo di attività. Così a Roma è più plausibile figurarsi Epafra che riporta notizie di Colossi e l'invio
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di Tichico con la lettera assieme a Onesimo, cosi come le brevi notizie riguardo a persone vicine a Paolo e ai suoi collaboratori nel ministero. L'annotazione riportata dal prologo marcionita alla lettera ai Colossesi (Ergo apostolus iam ligatus scribit eis ab Epheso, «dunque l'apostolo ora imprigionato scrive a loro da Efeso») non ha una seria attendibilità, anche perché una prigioma a Efeso non è attestata in modo chiaro da Atti né da altri documenti. Così, tenendo conto dei dati acquisiti sia dagli Atti che dalle lettere, secondo i quali Paolo sarebbe arrivato a Roma verso il 58 (se non prima), si può offrire una datazione approssimata che abbia come terminus ad quem il terremoto del 60-62, e quindi attorno agli anni 58-60.
TESTO E SUA TRASMISSIONE
Già dal suo titolo (per alcuni importanti manoscritti è pròs Colassaefs) la lettera pone i suoi problemi testuali, anche se alla fine sono minimi e facilmente risolvibili. In effetti, lungo tutta la lettera sono disseminati diversi casi in cui è chiara la divaricazione tra due grandi correnti testuali (e concettuali). La prima presenta nei singoli casi un testo più breve, con termini più originali, ed è la linea testuale che pone più perplessità e questioni. La seconda corrente, invece, in ogni occorrenza cerca di chiarire, spiegare, aggiungendo, assimilandosi al vocabolario di altri testi. È un fenomeno comune a tutto l'epistolario paolino e che mostra la difficoltà della Chiesa dei primi secoli a comprendere e interpretare il testo a volte difficile. Naturalmente la prima corrente testuale è quella da preferire. Valgano per tutti il caso di Col 2,2 che riguarda il mistero di Dio, Cristo. È vero anche che la maggior parte dei casi - alcuni più importanti sono discussi nelle note al testo - è di semplice soluzione e che questi non compromettono mai in modo apprezzabile il se~o dei testi.
Manoscritti citati nel commento Papiro Chester Beatty II (çp46). Conservato in gran parte nella Chester Beatty Library a Dublino, esso contiene parti delle lettere
INTRODUZIONE
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paoline, tra cui ampi stralci della lettera ai Colossesi. È datato al 200 circa. Pur avendo affinità con il Codice Vaticano, è una recensione abbastanza libera. Papiro Colt 5 (sp61 ). Conservato alla Pierpont Morgan Library di NewYork e datato intorno al700. Codice Sinaitico (~),manoscritto onciale del IV secolo conservato alla British Library di Londra. Contiene tutto il Nuovo Testamento e parte dell'Antico Testamento e alcuni primi testi patristici. Scoperto sul monte Sinai al monastero di Santa Caterina nell844. È uno dei testimoni più importanti della tradizione manoscritta alessandrina. Codice Alessandrino (A) del V secolo, conservato alla British Library di Londra. Testimone anch'esso della tradizione alessandrina. Codice Vaticano (B), onciale del IV secolo, è conservato- da cui il nome - nella Biblioteca Vaticana. Uno dei più importanti e preziosi testimoni del testo biblico, appartenente al tipo testuale alessandrino. Codice di Efrem riscritto (C), del V secolo, è chiamato in questo modo perché nel XII vi furono soprascritti, dopo lavatura, alcune opere di Efrem il Siro. Conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi, contiene gran parte dell'Antico e del Nuovo Testamento. Più volte corretto appartiene a un tipo testuale composito. Codice Claromontano (D), manoscritto bilingue in greco e latino del VI secolo. Conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi, contiene le lettere paoline e la lettera agli Ebrei. Codice di Augia (F), del IX secolo, prende nome dalla località in cui fu copiato, il monastero dell'isola di Reichenau sul lago di Costanza, chiamataAugia in latino; ma attualmente è conservato al Trinity College di Cambridge. Contiene le lettere paoline in greco e in latino, ma ha una lacuna a Col 2, 1-8; Codice di Bomer (G), risalente al IX secolo, è conservato alla Sachsiche Landesbibliothek di Dresda. Si tratta di un codice bilingue, in cui il testo latino interlineare è posto sopra il greco. Contiene le lettere di Paolo, ma non la lettera agli Ebrei. Codice di Washington (1), del V-VI secolo, conservato alla Freer Gallery ofArt di Washington. Appartiene al tipo testuale alessandrino.
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INTRODUZIONE
Codice di Mosca (K), del IX secolo; proveniente dal monte Athos e attualmente conservato al Museo Storico di Mosca. Codice Regio (L), del VIII secolo, conservato a Parigi nella Bibliothèque Nationale. Segue il tipo testuale occidentale. Codice della Laura del monte Athos ('P), risale al lX-X secolo, conservato al monte Athos. Codice greco l 00 di Atene (075), maiuscolo del X secolo conservato alla Biblioteca Nazionale di Atene. In parte segue il tipo Alessandrino, in parte quello bizantino. Codice B' 64 della Laura del monte Athos (1739), in grafia minuscola, è conservato al monte Athos, datato al X secolo. Copiato probabilmente da un antico manoscritto del IV secolo, di tipo alessandrino. La dizione «testo bizantino» indica quello riportato dalla maggioranza dei manoscritti greci esistenti; essa viene usata perché si tratta del testo adottato dalla Chiesa di Bisanzio a partire dal IV secolo.
BIBLIOGRAFIA
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AI COLOSSESI 1,18
17Egli
stesso, quindi, precede tutte le cose, e ogni cosa in Lui ha consistenza, 18ed è Lui il capo del corpo che è la Chiesa. Egli che è il principio, è il primo dei risorti dai morti, affinché sia Colui che primeggia fra tutti nell'idea della Chiesa come corpo nelle protopaoline, cioè quelle sicuramente attribuite a Paolo (cfr. Rm 12,4-5 e 1Cor 12,12-20). Del corpo che è la Chiesa (roii m.S~-ta.roç fiìç ÈKKÀTJOLa.ç) -D genitivo rijç ÈKKÀilOLa.ç va
inteso come episegetico, cioè esplicativo rispetto al termine precedente. Il primo dei risorti dai morti (TTpwtértoKoç ÈK rwv vEKpwv) -Alla lettera: «il primogenito dai morti».
1,17-18a Cristo consistenza di tutto e capo della Chiesa
Questo breve passaggio - che abbiamo denominato intermezzo - è il centro dell'inno dove troviamo in effetti l'affermazione che racchiude e riassume il già detto e ciò che verrà in seguito: «ogni cosa in Lui ha consistenza». In questo modo è possibile collegare la signoria sulla creazione e quella sulla redenzione. Infatti, se fino a ora l'elogio a Cristo poteva essere inteso come riguardante un fatto passato, qui è sottolineata attraverso i verbi al presente la contemporaneità della creazione in e per Cristo. Non solo la creazione è posta in essere, ma continuamente accade nel sussistere in Lui. In questo modo è espressa la totale primazia di Cristo sull'essere delle cose e delle persone. Ed è questa primazia che permette l'unità e la coesione universale. L'affermazione «egli stesso ... precede tutte le cose» racchiude quindi la dinamica fondamentale dell'opera creatrice, ponendo Cristo come anteriore (implicando cosi la sua preesistenza ed eternità) e per questo motivo perenne mediatore di essa e Signore. Sorprende, invece, perché appare non preparata l'affermazione di Cristo come «capo del corpo che è la Chiesa». Ora, nella economia dell'inno il termine «capo» ha valore in quanto Cristo è il membro più importante, determinante la vita del corpo, ne è il capo in quanto la costituisce e la mantiene in essere. Ma ancor più che la vitalità qui è indicata la dipendenza della Chiesa da Lui, il suo essere unico ed esclusivo punto di riferimento e di autorità. Riguardo al «corpo che è la Chiesa» l'insistenza non è sulla sua conformazione e organicità rispetto al capo, come nelle grandi lettere paoline (cfr. Rm 12,4-5 e lCor 12,12-27; cfr. anche Ef 1,23; 4,4.12.16; 5,30), quanto la sua appartenenza a Cristo e la sua unica sottomissione a Lui. Come nella creazione, cosi anche nella ri-creazione che dà corpo alla Chiesa c'è un unico Signore e mediatore a cui tutto è sottomesso. Cosi riprendendo con il termine «capo» le idee fondamentali della prima parte dell'inno, è introdotta anche la seconda parte. 1,18b-20 Cristo mediatore della redenzione Parallelamente alla prima, anche la seconda strofa deli' inno ha un suo sviluppo a partire da due grandi affermazioni su Cristo (vv. 18bcd), e le motivazioni per
AI
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19
on tv CXÒt: e «primo dei risorti dai morti». Le motivazioni riguardano la pienezza (divina) che abita in Cristo e il suo ruolo di riconciliatore e pacificatore universale. Abbiamo, quindi, uno schema simile a quello della prima strofa, segnalato dalle preposizioni che riguardano il Figlio amato. La pienezza divina dimora «in» Lui (en aut8i), mentre il rapporto tra la pienezza e ogni creatura è mediato, come riconciliazione e pacificazione, «grazie a» Lui (di'autou) e «in vista di» Lui (eis auton). Quindi anche qui si tratta del rapporto stabilito (da Dio) in Cristo con tutte le cose- specificando quelle sulla terra e quelle nei cieli - ma sotto il nuovo aspetto della riconciliazione. Cosa indica la riconciliazione? I riferimenti alla croce e alla risurrezione non lasciano dubbi di che cosa si tratti, è cioè la redenzione della Pasqua di Cristo. I termini utilizzati («riconciliare», «pacificato»), però, allargano l'orizzonte a tutti gli esseri (la redenzione propriamente riguarda solo gli uomini), avendo ancora di mira soprattutto le potenze angeliche, anch'esse sottomesse a questa opera redentrice .. Spicca quindi il ruolo unico e indispensabile di Cristo anche per la ri-creazione. Se a prima vista questa, e giustamente, sembrava riguardare solo la Chiesa, cioè coloro che tra gli umani sono redenti, l'ampliamento ardito dell'inno permette di stabilire il nuovo ordine e la nuova signoria di Cristo nella sua Pasqua. Non solo, ma ancora una volta l'opera divina è chiaramente finalizzata a Cristo. La sua mediazione e signoria redentrice e pacificatrice è orientata proprio verso di Lui, cioè trova il suo compimento nel manifestare l'orientamento cristologico di tutto.
43 19giacché
AI COLOSSESI 1,21
tutta la pienezza (diVina), si è deliziata nel dimorare in Lw,
così da riconciliare per mezzo di Lw tutte le cose in vista di Lw, avendo Egli pacificato attraverso il sangue della sua croce, [cioè per mezzo di Lui] sia le cose che sono sulla terra, sia quelle che sono nei cieli.
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21 Pure
voi, che Wl tempo eravate estranei e nemici per il modo di pensare, intenti alle opere malvagie
portanti manoscritti omettono questa ultima espressione del versetto (codici Vaticano [B], Claromontano [D], diAugia [F), di B6mer [G], di Washington PJ, Regio [L], codice greco l 00 di Atene [075]). Tuttavia il peso dei manoscritti che invece presentano l'espressione è notevo-
le (cfr. solo i più importanti: papiro Chester Beatty ll [1})46], codici Sinaitico [N],Alessandri·
no [A], di Efrem riscritto [C], della Laura del monte Athos ['P] e una correzione nel codice Claromontano [D]). Inoltre è facile che l' omis· sione siaperomoteleuto o per facilitare la lettura.
Per questi motivi Egli è il «principio». Come specifica il titolo appena successivo («il primo dei risorti dai morti))) è indicato in Lui e nella sua Pasqua un nuovo inizio, un nuovo ordine, una nuova generazione (il greco ha prototokos, come al v. 15b); possiamo dire con altri testi paolini: una nuova creazione (2Cor 5,17; Gal6,15; Ef2,15 e 4,24). Ma sarebbe riduttivo pensarlo in termini soltanto del primo di una serie. Egli è «principio)) in quanto partecipa della pienezza divina, dell'essere divino da cui tutto scaturisce, la creazione e la redenzione. In questo modo il titolo è anche onorifico, di eccellenza e dignità incomparabili rispetto a ogni altra creatura. Infatti la sottolineatura «affinché sia Colui che primeggia fra tutti», insiste sull'unicità della signoria e mediazione di Cristo su ogni essere (e possiamo tranquillamente aggiungere: terrestre o celeste).
1,21-23 L'annuncio dei temi della lettera L'esordio si conclude, dopo aver approntato la tela di fondo, con l'evocazione dei temi che saranno trattati nello scritto ai Colossesi. Infatti nel brevissimo brano sono delineati tre aspetti correlati: il primo riguarda la riconciliazione avvenuta in Cristo, la quale implica una vita santa (vv. 21-22); il secondo ne pone la condizione fondamentale, ovvero rimanere fermi nella fede e nella speranza del Vangelo (v. 23ab); il terzo concerne il ministero di Paolo a proposito di tale Vangelo (v. 23c). Il brano al contempo, però, conclude bene l'esordio perché ne riprende gli aspetti principali: il tema della conoscenza («eravate estranei e nemici per il modo di pensare)), v. 2.1, cfr. 1,9-14); la riconciliazione («siete
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vuvì OÈ àrroK>. La ripresa del termine ((immagine>> e «creato>> non è casuale. Nell'inno iniziale di 1,15-20, ((immagine» è la prima attribuzione di Cristo proprio in ordine alla creazione. L'immagine di Colui che lo ha creato è, quindi, Cristo stesso. Nel
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AI COLOSSESI 3,11
Per queste cose la collera di Dio incombe [su coloro che gli disobbediscono]. Vn tempo anche voi eravate a vostro agio in queste cose, quando vivevate immersi in esse. 80ra, invece, deponete tutte queste cose anche voi: ira, escandescenza, cattiveria, maldicenza, linguaggio osceno che esce dalla vostra bocca. 9Nonmentitevi a vicenda, giacché avete già spogliato l 'uomo vecchio con i suoi modi di fare, 10mentre avete indossato il nuovo, quello che si rinnova continuamente per una piena conoscenza, conforme all'immagine che gli ha dato Colui che lo ha creato. 11 Così non c'è greco e giudeo, circoncisione e incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo, che è tutto e in tutti. 6
3,7 Eravate a vostro agio (1TEpLE1Ta.tipa:tE)-Per l'uso metaforico del verbo 1TEpma.tÉw cfr. 1,10. 3,8 Deponete (&1T6eEa9E)- L'idea è quella di riporre, come un vestito che si lascia da parte, immagine ripresa nei vv. 9-10. Fuori di metafora significa ). Se
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12 'Ev~uoao9E
o?iv, wç É:KÀEKt'OÌ t'OU 9e:ou aytot K 6Eq> ltO:TpÌ òt' O:ÒTOU. 15
o
3,15 Infatti siete stati chiamati a ottenerla in un solo corpo (eiç lìv Kal ~K1r\911tE év Èvl mJtJ.a'tl) - Alla lettera: «verso la quale poi siete stati chiamati in un solo corpo». 3,16 La parola di Cristo (ò loyoç tou Xpwrou)- Espressione inusuale nel NT. Per questo diversi manoscritti sostituiscono
Xp~otou con 9Eou, «di Dio» (p. es:, codice Alessandrino [A] e di Efrem riscritto [C]) o Kup(ou, «del Signore» (p. es., codice Sinaitico [N]). Ma la lezione «di Cristo» è supportata dal papiro Chester Beatty ll (!p 46), dai codici Vaticano (B), Claromontano (D), di Augia (F), di Bmer (G), della Laura del monte Athos ('l') e dal testo bizantino.
L'immagine del rivestimento è cosi completata («sopra tutte queste cose»). Non che questa possa fare a meno delle altre virtù, ma le conduce tutte alla «perfezione». Il ragionamento, cosi come anche in parte il vocabolario, è simile a quello di l Cor 13: senza la carità tutte le altre possibili virtù perdono il loro valore. Si può intendere questo richiamo anche come il necessario dinamismo che porta al perfezionamento del corpo ecclesiale. Come grande conseguenza di tutto ciò Paolo indica, a modo di augurio (come altrove: cfr., p. es., 2Cor 13,11; Gal6,16; Fil4,7.9; lTs 5,23; 2Ts 3,16), la pace di Cristo (v. 15). Nella tradizione biblica il dono della pace è il dono per eccellenza, il dono dell'era messianica. Essa, come viene accennato, è all'origine e al contempo è lo scopo della vita cristiana stessa («siete stati chiamati a ottenerla»). In questo modo, attraverso di essa, Cristo domina la vita del credente dall'interno («nei vostri cuori») e stabilisce il suo dominio sulla realtà ecclesiale («in un solo corpo»). La pace, proprio perché dono di Cristo si ottiene solo nel suo Corpo, nell'unione di tutti a Lui. Il secondo breve sviluppo riguarda la parola (v. 16). I cristiani sono invitati a far spazio a una sola parola, quella di Cristo, che è il Vangelo. Il verbo «dimori» (enoikeito) è utilizzato altrove da Paolo per l'inabitazione dello Spirito o di Dio stesso nei credenti (Rm 8,11; 2Cor 6,16; 2Tm 1,14).
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AI COLOSSESI 3,17
15Regni
cosi la pace di Cristo nei vostri cuori: infatti siete stati chiamati a ottenerla in un solo corpo. E siate grati. 16La parola di Cristo dimori stabilmente tra voi nella sua ricchezza, sia istruendovi e correggendovi a vicenda con la massima saggezza, sia cantando di cuore a Dio nella gratitudine con salmi, inni e cantici ispirati. 17E tutto ciò che fate, in parole e opere, fatelo tutto nel nome del Signore Gesù, esprimendo cosi a Dio Padre, attraverso di Lui, la vostra gratitudine.
3,17 A Dio Padre {tu} 9eu} 1Ta.tpl) L'espressione è inusuale nel NT. Essa, invece, è più comunemente formulata nei termini di t~ 9e~ ~ea.l '!Ta.tp(, «Dio e Padre». Cosi alcuni manoscritti (p. es. i codici Claromontano [D], di Augia [F), di BOmer [G) e della Laura del monte Athos ['P]) hanno corretto secondo il modo usua-
le che si ritrova nelle lettere paoline (cfr. p. es. Efl,3 e 5,20). Ma la lezione n~ 9e~ 1Ta.tp( è attestata molto bene (cfr., p. es., il papiro Chester Beatty II [\P 46) e i codici Sinaitico [N], Alessandrino [A] e Vaticano [B)) ed è difficile pensare che sia originata dalla più comune formula t~ 9e~ Ka.l 1Ta.tpL
In Colossesi il ruolo dello Spirito non è messo in evidenza proprio per sottolineare, a scapito di altre alternative proposte, l'eccedenza di ricchezza e dominio di Cristo. Cosi la sua parola, dopo i sentimenti, è destinata a occupare lo spazio totale dell'espressività umana. I modi propri che maturano e approfondiscono la presenza di Cristo attraverso la sua parola (cfr. «nella sua ricchezza» e «con la massima saggezza»), sono l'istruzione, la correzione (cfr. 1,28) e la lode. Sono gli aspetti essenziali legati alla parola della vita cristiana: ogni forma di catechesi, ogni tipo di ammonizione e correzione, e la preghiera espressa nelle parole e nel canto. Quest'ultimo aspetto (cfr. anche Ef 5,19) riprende l'invito alla gratitudine, questa volta eminentemente espressa nella lode diretta a Dio. L'ultimo versetto del brano (v. 17) riassume neli' espressione «tutto ciò che fate in parole e opere)) le esortazioni precedenti mettendole anoora sotto l'egida della gratitudine. Essa, in effetti, compendia tutti gli atteggiamenti proposti nella coscienza attiva di essere continuamente oggetti di preferenza e di grazia. La gratitudine è il motivo basilare di chi ha accolto il Vangelo e lo porta a maturazione (cfr. 1,6.10). Ma il versetto offre anche il criterio fondamentale dell'azione cristiana che verrà sfruttato ampiamente nel brano seguente sulla morale domestica: «fate tutto nel nome del Signore)).
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