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Italian, Hebrew Pages 160/163 [163] Year 2012
LAILA LUCCI, biblista, è docente di Lingua ebraica e Libri Sapienziali presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose "A Marvelli" di Rimini.
Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari
NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI
Presentazione Nl'OVA VEBSIONI.O: DELLA BIBBIA DAI TESTI AI"TICHI
L
a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore a margine dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel 1967. La nuova Se_rie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contemporanee. I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un lato rendere conto dell'andamento del testo; dall'altro, soddisfare le esigenze del lettore contemporaneo. L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, necessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente ad esse. Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo livello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei termini, i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secondo livello, dedicato al commento esegetico-teologico, presenta le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno, il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto dialogico. Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri, dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine, la storia della sua trasmissione. Un approfondimento, posto
PRESENTAZIONE
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in appendice, affronta la presenza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo nella sua collocazione "'originaria", ma anche nella dinamica interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebrazione liturgica costituisce l'ambito privilegiato.
I direttori della Serie Massimo Grilli Giacomo Perego Filippo Serafini
Annotazioni di carattere tecnico NfiOVA VEBSJO'-'E DELLA BJBBL\ DU TESTI ANTICHI
Il testo in lingua antica Il testo ebraico stampato in questo volume è quello della Biblia Hebraica Stt~ttgartensia (BHS), quinta edizione. Le correzioni alla lettura di alcuni termini, indicate dai masoreti (qerè l ketib ), sono segnalate da parentesi quadre, con il seguente ordine: nel testo compare la forma "mista" che si trova nel manoscritto, nelle parentesi si ha prima la forma presupposta dalle consonanti scritte ( ketìb) e poi quella suggerita per la lettura dai masoreti (qerè).
La traduzione italiana Quando l'autore ha ritenuto di doversi scostare in modo significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i seguenti accorgimenti: i segni • • indicano che si adotta una lezione differente da quella riportata in ebraico, ma presente in altri manoscritti o versioni, o comunque ritenuta probabile; le parentesi tonde indicano raggiunta di vocaboli che appaiono necessari in italiano per esplicitare il senso della frase ebraica. Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si allontanasse troppo dall'originale ebraico, tenendo però conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi diffuso e abbastanza affermato.
I testi paralleli Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo commentato con il simbolo l l; i passi che invece hanno affinità di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli, sono indicati come testi affini, còn il siml •olo •).
La traslitterazione La traslitterazione dei termini ebraici è stata fatta con criteri adottati in ambito accademico e quindi con riferimento non alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale tra caratteri ebraici e caratteri latini.
ANNOTAZIONI
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L'approfondimento liturgico Posto in appendice, costituisce un corpo autonomo ed è redatto per l'intera Serie da Gaetano Comiati: rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani, quindi alla versione CEI del 2008.
AMOS Introduzione, traduzione e commento
a cura di Laila Lucci
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SAN PAOLO
Biblia Hebraica Stuttgartensia, edited by Karl Elliger and Wilhelm Rudolph, Fifth Revised Edition, edited by Adrian Schenker, © 1977 and 1997 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission. Revisione scientifica di Mario Cucca
Per introduzione, traduzione, note e commento: © EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2012 Piazza Soncino, 5-20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2- 10153 Torino
ISBN 978-88-215-7337-8
INTRODUZIONE
TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE
Che la predicazione di Amos sia stata da sempre considerata manifestazione e orientamento della fede d'Israele è testimoniato dall'antichità del testo scritto. Gli oracoli di questo profeta non si sono dissolti all'interno del «tesoro anonimo della tradizione» ma sono stati «conservati» dai suoi contemporanei «in un libro a parte e tramandati a noi>> 1, in quanto espressioni del nuovo modo di esprimersi della rivelazione divina, rispetto alla profezia precedente. Gli scritti di Amos hanno goduto di una popolarità ininterrotta, tanto che sono naturalmente confluiti nel canone ebraico per la consapevolezza dei rabbini di Israele che il messaggio ivi contenuto superava il periodo storico nel quale era stato concepito ed era destinato a far luce ai secoli successivi. La presenza del libro di Amos nel canone della Bibbia ebraica si è perpetuata in quello delle versioni successive fino ai tempi attuali. La tradizione ebraica colloca lo scritto di Amos in terza posizione dopo quelli di Osea e Gioele, dando l'impressione che i tre libri siano stati scritti in successione cronologica, nell'VIII secolo a.C. In realtà, anche una semplice lettura dei titoli apposti ai libri mostra come la contemporaneità esista con certezza solo tra Osea («Parola di YHWH rivolta a Osea, figlio di Beeri, al tempo di Uzziyya, di Yotam, di Al)az, di I:Iizqiyya, re di Giuda, e al tempo di Yorob'am, figlio di Yoash, re di Israele», Os l, l) e Amos («Parole di Amos ... il quale ebbe visioni su Israele, al tempo di Uzziyya, re di Giuda e al tempo di Yorob'am, figlio di Yoash, re di Israele, due anni 1
P.G. R!NALDI, l Profeti minori, Fascicolo I, Torino-Roma 1960, p. 123.
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prima del terremoto», Am 1,1). La soprascritta allibro di Gioele non offre, infatti, indicazioni temporali ed è, pertanto, impossibile da collocare storicamente. Mancando i dati cronologici riguardanti Gioele, la versione della Settanta ha invertito l'ordine dei libri profetici, raggruppando i tre profeti dell'VIII secolo (Osea, Amos e Michea), secondo le indicazioni offerte dalle rispettive epigrafi, mentre il libro di Gioele segue in quarta posizione, accompagnato da Abdia e Giona, che pure non presentano riferimenti cronologici. In questo modo la Settanta sembra voler separare gli autori del periodo preesilico (Osea, Amos e Michea) da quelli del postesilio (Gioele, Abdia e Giona). Resta comunque l'interrogativo sul criterio adottato dai maestri di Israele nel dare forma al canone profetico, forse già completato all'inizio del II secolo a.C. Secondo Wolff 2 l'unico criterio che avrebbe guidato questa sistemazione sarebbe costituito dalle corrispondenze di tipo contenutistico (Gl4,16a Il Am 1,2; Gl4,18 Il Am 9,13b; Gl4 Il Am 1,3-2,16), come se Amos avesse sviluppato motivi già presenti in Gioele. In realtà, considerando l'insieme dei Profeti Minori, ci si accorge che i Dodici non possono essere valutati Individualmente, ma come un unico libro. Questa raccolta segue una sua logica interna che si richiama attraverso elementi comuni, sia lessicali che tematici. Essa si presenta quasi come un unico lungo discorso da affrontare mediante una lettura d'insieme, da alcuni definita «canonica»3 • Non a caso certe tematiche percorrono trasversalmente tutti i Dodici. Emblematico in questo senso è il tema del «giorno di YHwm> che, partendo dalla fine della profezia di Osea, passa attraverso Gioele, offre lo spunto ad Am 5,18-20 e Sof 1,14-18, per giungere poi a Ml 3,23 e Abd 15. Alcuni dei Profeti Minori condividono anche l'impianto teologico, prospettando il passaggio dalla minaccia da parte di YHWH verso il popolo eletto, alla promessa di restaurazione finale (quest'ultima presente, in realtà, solo nell'aggiunta conclusiva al nostro libro, 9,11-15). 2 Cfr. H. W. WoLFF, Joel and Amos: a Commentary on the Books ofthe Prophets Joel and Amos, Fortress Press, Philadelphia (PA) 1977, p. 3. 3 Cfr. H. SIMIAN-YoFRE, Amos. Nuova versione, introduzione e commento, Paoline, Milano 2002, pp. 23-27.
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In questo modo si potrebbe applicare all'intero libro dei Dodici quello che Wolff4 riferisce al rapporto Gioele-Amos: la presenza di uno sviluppo letterario comune, per il quale a del materiale antico sarebbero state apposte aggiunte più recenti al fine di orientame l 'interpretazione.
ASPETTI LETTERARI Articolazione del libro Il testo di Amos, come si presenta oggi, è formato per larga parte da collezioni di oracoli costituiti, per lo più, da pochi versetti, come nel caso di quella contro i popoli (1,3-35) che, tuttavia, qualche commentatore ritiene un unico lungo discorso diviso in brevi stanze; similmente brevi sono le profezie che minacciano sventura (3,9-12.13-15; 4,1-3; 5,1-3; 5,16-17.18-20 ecc.). Fa eccezione l'oracolo contro Israele che occupa lo spazio di undici versetti (2,616). I brani in prosa sono relativamente pochi; tra questi spiccano il racconto dell'alterco di Amos con il profeta Amazya (7, l 0-17), i racconti delle prime tre visioni (7,1-9) e qualche versetto sparso. La struttura del libro di Amos è stata considerata in vario modo nel corso del tempo. Tra il XIX e l 'inizio del XX secolo una serie di autori (Ewwald, Baur, Briggs, Miiller, Elhorst, Lohr, Riedel ecc.) ha individuato nello scritto profetico un'organizzazione dei materiali per coppie di «strofe>> con le rispettive «antistrofe», bilanciate da una «strofa intermedia» 5 • Questo metodo oggi è desueto, anche se resta vero che le unità testuali sono generalmente brevi o presentano, comunque, una struttura strofica che le frammenta. L'uso di dividere il testo in piccole unità è stato adottato nella seconda metà del '900 dai seguaci della «storia delle forme», come Mays al quale, con qualche distinguo, si potrebbe accostare anche Wolff. Dagli autori più recenti il testo viene talora diviso in sole due parti (Lippl-Theis, Weiser, Rinaldi): cc. 1--6 (il libro degli oracoli) e cc. 7-9 (il libro delle visioni); in tre parti (Cripps, Gordis, Horst, 4
5
Cfr. H. W. WOLFF, Joel and Amos, cit., p. 4. Cfr. P. BovATI- R. MEYNET, Il libro de/profeta Amos, Dehoniane, Roma 1995, p. 14.
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Amsler, Rudolph ecc.): cc. 1-2 (oracoli contro le nazioni), cc. 3--6 (oracoli contro Israele) e cc. 7-9 (visioni); o in quattro parti (Osty, Monloubou,Alonso Schokel, Simian-Yofre): cc. 1-2; 3--6; 7,1-9,10, come in precedenza, con l'aggiunta di 9,11-15 considerato un oracolo di salvezza indipendente. Negli autori contemporanei è presente anche una tendenza a determinare, all'interno del libro, strutture di tipo concentrico, dovute a corrispondenze nei contenuti. Abrego individua nello scritto una doppia inclusione, che darebbe forma a una struttura di tipo chiastico: a 1,1-2,16 {Israele tra le nazioni) corrisponderebbe 9,9-10; a 3,1-2 (l'elezione non è un privilegio) corrisponderebbe 9, 7-8; al centro starebbe il resto del libro (3,3-9 ,6), mentre l'oracolo di salvezza di 9,11-15 ne costituirebbe l'appendice6. Una struttura del genere profilerebbe una rinnovata teologia «dell'elezione» di Israele, che verrebbe posta «sullo stesso piano delle altre nazioni». Jeremias sostiene che, fin dai primi stadi della formazione del libro, i redattori avrebbero concepito il c. 5, parte della sezione degli oracoli contro Israele (cc. 3--6), come il centro dell'intero scritto e, visto che introduce il tema del diritto presente solo in questo capitolo, ne consegue che questa tematica sarebbe il nucleo céntrale del pensiero di Amos7 • Secondo questo schema, tra l'imputazione della grave colpa del popolo e la conseguenza della morte, si insinuerebbe, per ben due volte (5,4.6), l'offerta della vita. In questo modo, da un punto di vista teologico, verrebbe spezzato il rapporto consequenziale tra colpa e castigo. Le analisi di tipo sincronico sugli esempi appena esposti si potrebbero moltiplicare, offrendo svariate ipotesi di struttura; tuttavia in questo procedimento c'è il rischio di perdere lo sguardo teologico-spirituale dell'insieme. Nel presente studio si preferisce adottare un'organizzazione di tipo «lineare» in quattro parti, che aiuti a cogliere il messaggio della predicazione amosiana nella sua evoluzione e nella sua globalità: dalle accuse di Dio sul peccato di Israele alla decisione della sua distruzione finale. La prima parte (1,3-2,16) comprende gli oracoli contro le nazioni, cui anche Giuda e Israele, peccatrici, vengono assi6 J.M. ABREGO DE LACY, I libri profetici, Paideia, Brescia 1996, pp. 49-50. 7 J. JEREMIAS, Amos. Traduzione e commento, Paideia, Brescia 2000, pp. 17-18.
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milate; la seconda (3,1-6,14) sviluppa le accuse e le minacce di castighi contro Samaria, insieme a esortazioni alla conversione: due soprascritte (in 3,1 e 5,1) la dividono in due sezioni; la terza (7,1-9,10) espone le visioni avute dal profeta riguardo alla fine di Israele e il venire meno di ogni possibilità di salvezza per il popolo di Dio; il libro si conclude con un epilogo, chiara aggiunta redazionale (9,11-15), che introduce una prospettiva di restaurazione. Le sezioni sono state individuate sia in base ai contenuti, sia in base alle indicazioni lessicali e stilìstiche, come sarà rilevato nel corso del commento. Lo schema di divisione risulta così articolato: 1,1 Titolo l ,2 Introduzione ORAcoLI CONlRO LE NAZIONI, GIUDA E ISRAELE (1,3-2,16)
1,3-5 l ,6-8 l ,9-1 O 1,11-12 l, 13-15 2,1-3 2,4-5 2,6-16
Contro Damasco Contro i Filistei Contro Tiro Contro Edom Contro Ammon Contro Moab Contro Giuda Contro Israele IL CASTIGO DI ISRAELE (3,1-6,14) Prima sezione. Accuse e minacce (3,1-4,13) 3,1-2 Elezione di Israele e minaccia di castigo 3,3-8 Legittimazione della vocazione profetica 3,9-15 Il duro messaggio contro Samaria 4,1-3 Le donne di Samaria 4,4-13 Israele rifiuta di tornare a Dio Seconda sezione. Il libro dei guai (5,1-6,14) 5,1-17 Lamento su Israele, esortazioni e minacce 5,18-27 Il giorno di YHWH e il rifiuto del culto 6,1-14 La sicurezza dei capi sarà abbattuta LE VISIONI: LA FINE DELLA CASA DI ISRAELE (7,1-9,10) 7, 1-3 Prima visione: minaccia delle cavallette
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7,4-6 7,7-9 7,10-17 8,1-3 8,4-14 9,1-4 9,5-10
Seconda visione: minaccia della siccità Terza visione: minaccia delle armi Lo scontro con Amazya Quarta visione: è maturata la fine per Israele Nuovi oracoli sulla fine di Israele Quinta visione: il tempio crollerà Conclusione del libro delle visioni EPILOGO. RESTAURAZIONE DELLE SORTI DI ISRAELE (9,11-15) 9,11-12 Dio risolleva 9,13-15 Prosperità e ritorno di Israele I generi letterari I generi letterari, tutti caratteristici della predicazione profetica, sono molteplici e legati indissolubilmente alla struttura. Gli studiosi recenti per lo più individuano nel libro un'organizzazione letteraria stratificata, frutto della elaborazione di redattori successivi, che spiegherebbe anche la varietà dei generi. Tra questi predominano nettamente gli «oracoli di giudizio» rivolti prima contro i popoli (cc. 1-2), poi contro Israele (cc. 3-6; 8,4-14; 9,1-4) ma, a conclusione del libro, si trova anche un annuncio di salvezza (9,11-15). Tra gli oracoli si potrebbe distinguere ciò che viene espressamente proposto come parola di Dio, introdotto o concluso dalla formula «dice (il Signore) YHwm> ('amar ['adonay] YHwH) (5,3.4-5.1617.21-27; 8,2-3 ecc.), da ciò che non è presentato rigorosamente come tale (6,1-7; 7,14-15; 8,4-6.13; 9,5-6), in quanto s'identifica con un commento o una riflessione del profeta. La distinzione, tuttavia, non sempre è facile. Talora gli interventi profetici presentano anche le caratteristiche dei discorsi sapienziali, per la forma del paragone (3,3-8), della metafora (5,19), per la menzione delle caratteristiche del saggio (5,13). In 7, l la profezia passa dalla comunicazione auditiva a quella prevalentemente visiva: nei cc. 7-9 vengono, infatti, presentate cinque visioni, tre delle quali scritte in prosa (7,1-3; 7,4-6; 7,7-9) e due in poesia (8, 1-3; 9, 1-4), che qualificano l'attività per la quale il profeta Amos è riconosciuto come «veggente» (cfr. 7, 12). Esse costituiscono una cospicua quantità del materiale che compone
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il libro e presentano caratteristiche peculiari: non sono legate a un racconto di vocazione del profeta (cfr. Is 6), né sono destinate alla divulgazione presso il popolo; semplicemente sono una comunicazione personale di Dio a mo' di rivelazione (cfr. Ger l, 11 ). Da un punto di vista formale mancano gli elementi fantastici e le proiezioni di avvenimenti in tempi escatologici, cari alla letteratura apocalittica e presenti anche in alcuni i libri biblici (Zc 5; 12-14; Is 24-27; Dn 7-8)8 • Alcune di esse sembrano, piuttosto, la percezione visiva di realtà della vita quotidiana (la frutta matura, 8, 1-2; un campo verde, 7,1-2; la campagna bruciata dalla siccità, 7,4-6), contenente in sé una dimensione simbolica la cui interpretazione viene direttamente da Dio. Inseriti tra le visioni sono la narrazione dell'alterco del profeta Amos con il sacerdote Amazya (7,10-17) e tre dossologie, che si identificano con frammenti innici (4,13; 5,8-9; 9,5-6) considerati da vari studiosi come parti di un unico inno originario9 • Stile e caratteristiche del linguaggio Amos è stato definito un «pastore-agricoltore» che «ha l'occhio e l'orecchio del poeta» e il cui «linguaggio rispecchia il mondo in cui vive» 10 • Di questo mondo usa le immagini, come quelle del carro che affonda nel terreno (2,13), delle mandrie al pascolo (4,1), l'imponenza degli alberi, la forza delle acque tumultuose ( 5,24), il disastro naturale dell'invasione di cavallette (7, l), il lusso delle persone facoltose (3, 15; 4, l; 6,4-6) e il lamento di chi soffre (5,1.16; 8,10). Il profeta usa efficacemente queste e molte altre immagini per trasmettere il messaggio, al di là dell'essenzialità del suo linguaggio. San Girolamo ha definito lo stile amosiano come imperitus sermo («discorso inesperto») e tale doveva sembrare agli antichi un linguaggio che predilige la brachilogia, a differenza delle elaborate composizioni classiche. Le unità che formano il testo si estendono al massimo per qualche versetto, composto da 8 Per la discussione sulla classificazione delle visioni profetiche, cfr. J.L. SrcRE, Profetismo in Israele, Boria, Roma 1995, pp. 97-106. 9 Cfr. J.M. ABREGO DE LACY, I libri profetici, cit., p. 59. 10 J. LIMBURG, I dodici profeti, Claudiana, Torino 2005, p. 122.
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un vocabolario poco variegato, un po' ripetitivo, le cui forme e il cui stile restano scarsamente sviluppati, tanto che alcuni versetti, presi individualmente, risulterebbero piuttosto oscuri (4,11; 6, l O; 8,3). In realtà i vocaboli e le forme che tornano più volte servono a dare maggiore forza alle idee lanciate da questa personalità forte, un po' rude, che ama dire verità scomode anche attraverso immagini non sempre raffinate (4,1) ma appartenenti a un mondo reale e sperimentato (7,1-2.7). Bisogna convenire con molti studiosi sulla difficoltà di leggere scorrevolmente i nove brevi capitoli del libro, sia per la presenza di hapax nel lessico (parole che ricorrono solo una volta in tutta la Bibbia ebraica), sia per il disordine con il quale si presentano alcuni brani. Un esempio di confusione è talora considerata la narrazione dello scontro tra il profeta Amos e il sacerdote Amazya (7, l 0-13 ), che non dovrebbe essere·posizionato tra la terza (7,7-9) e la quarta visione (8,1-3) ma dopo 9,7 o 9,10 11 • In realtà si può concordare con Loss 12 sul fatto che, pur essendo i materiali raccolti in modo antologico, è tuttavia possibile identificare «blocchi» di elementi omogenei individuando le scelte stilistiche che li legano, le cesure presenti nel testo, le differenze formali e di contenuto. Le singole unità che compongono il libro sono compattate da uno stile che, mediante l 'uso di artifizi linguistici, usa strutturare contenuti affini, come le serie di oracoli (1,3-2,16; 4,1-12) o le visioni (7,1-8,3). Spiccano alcune espressioni e parole-gancio ripetute. Quando il profeta parla a nome Y HWH, spesso introduce il suo discorso con la formula di annuncio «questo dice YHWH •.. » (koh 'amar YHwH, Am 1,3.6.9.11.13; 2,1.4.6; 3,12), talora nella versione più completa «questo dice il Signore YHwH ... » (koh 'amar 'adoniiy YHWH, 3,11) o «questo dice YHWH, Dio degli eserciti» (koh 'amar YHWH 'elohé $eba'6t, 5,16). Formule introduttive di proclamazione come: «Ascoltate questa parola ... » (sim 'u 'et-haddabar hazzeh, 3, l; 4,1; 5,1) riecheggiano !'«ascolta Israele» (sema' yisra'el) di Dt 6,4; esse hanno la funzione di attirare l'attenzione dei destinatari sul messaggio di YHWH che sta per giungere e, in ogni caso, sono 11 12
Cfr. P. BovAn- R. MEYNET, l/libro del profeta Amos, cit., p. 12. Cfr. N.M. Loss, Amos, Edizioni Paoline, Roma 1979, p. 81.
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sempre un preliminare al processo intentato da Dio al suo popolo, come spesso accade nella predicazione profetica (cfr. Is 1,2; 6,9; Ger 5,21; Ez 18,25; Os 4,1; Mi 6,1 ecc.). Talora l'esortazione è sostituita da un giuramento, «il Signore YHWH ha giurato» (nisba' 'iidonay YHwH, 4,2; 6,8; 8,7), che annuncia un castigo da parte di Dio. I discorsi vengono frequentemente conclusi dalla formula «oracolo di YHWH» (ne'um YHWH, 2,16; 3,15; 4,3.5; 9,7). L'interiezione «guai ... )) (h6y, 5,18; 6,1) è una caratteristica degli oracoli di sventura o delle lamentazioni dove il profeta annuncia in terza persona l'imminenza di sciagure. Alcuni racconti di visioni sono sviluppati a mo' di dialogo tra Dio e il profeta, in colloqui che ricordano le figure di grandi intercessori come Abramo (Gen 19,17-32) e Mosè (Es 32,11-14). Le formule che le introducono non utilizzano più il linguaggio dell'ascolto, ma sono semplici affermazioni di una realtà contemplata: «Questo mi mostrò il Signore YHWH ... )) (koh hir 'anf 'iidonay YHWH, 7,1.4.7; 8,1) o semplicemente «vidi)) (ra'ftf, 9,1). Tra gli altri elementi stilistici di Amos spiccano i detti numerici («Per tre ... e per quattrm), 1,3.6.13; 2,1.6) cari alla letteratura sapienziale di Israele (cfr. Pr 30,15-33); le antitesi («Cercate me ... non cercate Bet-el.. .)); 5,4-5 ecc.); i giochi di parole e le allitterazioni (6,1.6.7 ecc.), nonché l'uso di citazioni (numerose nel racconto di 7,10-17 e presenti anche in 6,13; 9,10 ecc.). Al di là dello stile essenziale, Amos dimostra una capacità oratoria che gli permette di padroneggiare le figure retoriche utilizzate e una grande abilità nel condurre il discorso verso il suo punto culminante (1,3-2,16; 4,6-12).
LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI Il giudizio di Yuwu La linea ideale che guida la dottrina del libro sembra essere il giudizio di YHWH nei confronti del suo popolo; è il tema dominante per cui si dimostra pienamente giustificata la fama di profeta di sventura che talora è stata attribuita ad Amos.
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«YHWH ruggirà da Siom> (1,2): Dio sta per chiamare in giudizio i popoli della terra perché tutti hanno prevaricato. Con questa possente immagine si apre il libro del profeta Amos. Per far sentire la sua voce Dio si serve, come spesso nell'Antico Testamento, di un suo profeta, un personaggio ignoto, semplice, chiamato da un angolo remoto della Giudea, ma schietto e appassionato, capace di ascoltare il «ruggito di Dio» (3,7-8) e di farlo riecheggiare fino agli atri dei templi e della reggia di Samaria alla quale è stato inviato. La finalità del libro di Amos e lo schema della sua dottrina traggono la loro origine dalla missione esortativa di profeta che egli vive nella piena coscienza di essere stato chiamato e inviato (7, 14-15) da Dio. D'altra parte l'orientamento religioso di Amos è anche debitore di un deposito di fede già esistente e precedente alla chiamata, individuabile nella religione tradizionale di Israele, che riconosce Dio come il Signore che parla («questo dice YHWH», 1,3.6.9.11.13 ecc.), che giudica e minaccia («manderò fuoco ... spezzerò ... eliminerò ... », 1,4-5.7-8.10.14-15; 2,2-3 ecc.) e soprattutto come colui che va innalzato, perché ha creato l'universo di cui è sovrano ed è potente sui potenti (cfr. le tre dossologie che costellano i libro, 4, 13; 5,8-9; 9,5-6). La sua predicazione originaria non contiene citazioni dirette degli altri testi profetici a noi pervenuti, ma trae la sua forza e i suoi assunti dal diretto contatto con Dio; egli è debitore verso il suo carisma profetico, fonte di rivelazione, e verso il suo inscindibile rapporto con la parola di YHWH, che gli permette di identificare il suo pensiero con quello di Dio e uniformare la propria voce al Suo «ruggito» (3,8). L'ambiente nel quale Amos si trova a operare è quello della Samaria nel periodo di Yorob'am II, momento storico di pace e sicurezza economica; proprio in questo clima di confidente benessere egli è chiamato a valutare la situazione spirituale degli abitanti del regno del nord e a «destabilizzare» la loro tranquillità tramite l'accusa del loro peccato e l'annuncio del castigo divino. Il Dio di Israele si rende presente mediante il potente richiamo del suo messaggero: «ascoltate questa parola» (sim 'u 'et-haddabar hazzeh), l'invito all'ascolto che nella predicazione profetica precede l'annuncio del processo intentato da Dio al suo popolo (cfr. Is
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1,2; 6,9; Ger 5,21; Ez 12,2 ecc.). Non è tuttavia l'intero Israele che viene preso di mira, ma la sua benestante classe dirigente, avida e arrogante, comprese la casa reale e le figure sacerdotali (7 ,9-17). Le gravi mancanze dei capi vengono prima enunciate in 2,6-16 e poi dettagliatamente evidenziate nel resto del libro. Il rilevante numero degli oracoli di giudizio che costellano lo scritto e la loro struttura bipartita (accusa - minaccia di castigo) rivela la preoccupazione fondamentale del profeta: stigmatizzare i comportamenti criminosi e prospettare la vendetta divina.
Le colpe di Israele Di quali colpe sono accusati i notabili di Israele? Di tutte le perversioni della giustizia sociale, a partire dallo sfruttamento dei poveri (cfr., p. es., 2,6-7; 4, l; 5,11 ), dall'immoralità nell'esercizio del commercio (8,5) e dalla sovversione del diritto nei tribunali (5, l O.12) per soddisfare la loro avidità di ricchezza e di piacere. I peccati abbracciano anche la sfera sessuale (2,7; cfr. Lv 18,15) e quella religiosa (2,8; cfr. Es 22,25; Am 2,12). C'è un benessere di pochi fondato sulla negazione dei diritti altrui, soprattutto dei più deboli. La cosa peggiore è che le gravi colpe vengono ammantate di un'apparenza di moralità che si copre di un velo religioso attraverso la prassi di un culto ipocrita (5,21-24), avente luogo presso i santuari dal culto scismatico Bet-ele Ghilgal (4,4; 5,4-5.21). Per questo «la fine di Israele» si consuma definitivamente proprio con la distruzione del tempio, la casa di Dio (in ebraico, bét- 'el), per mano dello stesso YHWH (5,5; 9,1-4). Il pensiero del profeta circa l'essenza della religiosità è molto chiaro: la vera pietà consiste nel cercare il bene, cioè la giustizia e il diritto, e non il male, che è negarli (cfr. 5, 14.15). La morale gradita a Dio è fondata proprio sulla pratica di quell'equità che è la via della vita (5,4.6) e il modo per incontrare la misericordia divina (5,14.15). Essere dalla parte di YHWH significa rispettare le esigenze dei suoi precetti. Gli Israeliti tuttavia offrono sacrifici e doni come un mezzo per tranquillizzare la coscienza: essi non sono più un mezzo per incontrare Dio, anzi diventano peccato (4,4) e conducono alla morte (3,14; 4,12; 5,5).
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L'elezione come fondamento dell'etica Si intravede nel libro il fondamento della relazione tra Dio e il suo popolo, che è un rapporto di predilezione denunciato anche dalle designazioni di cui è fatto segno il popolo eletto («[casa di] Giacobbe», 3,13; 6,8; 7,2.5; 8,7; 9,8; «[figli l casa di l il mio popolo] Israele», 2,6.11; 3,1.12.14; 4,5 ecc.; «[casa l resto di] Giuseppe», 5,6.15; 6,6). È un rapporto di elezione («solo voi ho conosciuto tra tutte le famiglie della terra», 3,2), al quale fanno riferimento i ricordi degli interventi salvifici negli accenni all'esodo (2, l O; cfr. 3, l), alla conquista della terra promessa (2,9), all'invio di carismi profetici e di consacrazione (2, 11 ). Proprio sul concetto di elezione poggia l'impianto accusatorio di Dio verso il suo popolo: YHwH ha titolo per minacciare gli Israeliti in quanto, pur avendo essi ricevuto il dono della Legge e avendo sperimentato i prodigi della liberazione, si sono lasciati andare a ogni tipo di prevaricazione (2,6-8; 4,1-10; 5,10-15 ecc.). A nulla sono servite le minacce e la serie di castighi da lui inviati nel vano tentativo di suscitame il pentimento (2,9-16). I richiami divini (5,11.13; 5, 14-15) non sortiscono alcun effetto su gaudenti che pensano di guadagnarsi il favore di YHWH offrendo doni provenienti dall'oppressione dei miseri e dalla disonestà. Sarà proprio l'impenitenza di Israele a decidere della sua punizione. L'urgenza non è, pertanto, quella di ridonare l'anima a un culto vuoto, ma quella di una conversione totale della vita; se questa non ha luogo, non resta che l'annientamento. Il Dio dell'esodo e degli altri interventi salvifici di cui Israele ha goduto nell'arco della sua storia (cfr. 2,9-11) si trasforma in nemico (cfr. 4,6-12) secondo la logica deuteronomistica dell'alleanza che non tollera trasgressioni (Lv 26 e Dt 28, 15-68). Dio è diventato ostile al suo popolo, perché la sua giustizia non può avere nulla in comune con il peccato degli uomini. La salvezza di un resto Alcune sequenze visive rendono in modo efficace la fine di Israele che è stata decretata: l'immagine del leone ruggente, che sferra un attacco mortale al popolo di cui resteranno solo pochi rimasugli (3, 12), e quella di una vergine stesa al suolo, che «non potrà rialzar-
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si» (5,2) e sulla quale non resta che fare lamento. Ci sarà un «giorno di YHWH», finalizzato all'annientamento (5,18-20), che pare aver luogo definitivamente nel giorno del crollo del santuario (9, 1-4). Il libro di Amos è «il più duro di tutti i profeti biblici annuncianti il giudizio di Dio ... in lui è difficilissimo ... rintracciare un annuncio di salvezza» 13 • In YHWH non c'è il sovrabbondante amore geloso che non può prescindere dalla fedeltà all'elezione di Israele; questa scelta nel libro di Amos resta molto sullo sfondo. Il tentativo di far rientrare il popolo peccatore nella logica della salvezza non avviene tramite legami di amore, ma si limita alle minacce e al ricordo dei benefici elargiti. L'unica speranza di salvezza sarebbe per gli Israeliti la capacità di rigettare il male e di scegliere il bene, ma il tono e i contenuti del messaggio mostrano l'indurimento di Israele, che appare agli occhi di YHWH come un popolo pagano per di più oppressore dei giusti: per questo viene decretata la sua fine («non gli perdonerò più», 7,8; 8,2). Per tre volte, nel libro del profeta Amos, Dio giura (4,2; 6,8; 8, 7) riguardo a questa fine: l'effetto che ne deriva è il senso dell'ineluttabilità del castigo. Nei primi racconti di visione viene anche menzionato un «pentimento» di YHWH a seguito dell'intercessione del profeta (7,3; 7,6; cfr. Es 32,14; Ger 18,8; Gl2,13 ecc.), ma il «non avverrà» indica solo la provvisoria e vana attesa della conversione che non arriva. Nel messaggio di Amos al massimo solo un piccolo «resto>> può essere fatto oggetto di privilegio (3,12; 5,15; 9,9). Il tema del «resto» è un tratto comune alla predicazione dei profeti (cfr. Is 4,3; 37,31; Mi 4, 7; Zc 8,11 ecc.), ma nel pensiero di Amos acquista una nota di radicalità, come nell'immagine del leone che sbrana un animale di cui restano pochi brandelli (3,12). Inaspettatamente, però, un oracolo finale getta sullo scenario di morte un fascio di luce: se il libro si fosse chiuso con 9, l O avrebbe lasciato l'idea di un Dio preoccupato solo di remunerare il peccato con la sciagura. La fine, invece, non è l'ultima parola che YHWH pronuncia. In 9, 11-15 la menzione della salvezza per il «resto» viene ripresa nella prospettiva gloriosa di un futuro escatologico che 13
J. JEREMIAS,
Amos, cit., p. 15.
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vedrà restaurate sicurezza, benessere e stabilità 14 • Nella profezia di Israele Dio non rinuncia alla sua misericordia; egli stesso mette mano all'opera di ricostruzione che, al di là di ogni bene materiale, significa il ripristino della piena comunione con lui.
DESTINATARI, AUTORE E DATAZIONE
L'autore e il suo tempo Il tempo di Amos Per comprendere la personalità e l'opera del profeta non si può prescindere dal tempo nel quale egli ha esercitato il suo ministero. La situazione storica è quella dei regni divisi, quando sono rispettivamente re di Israele Yorob'am II (783-743 ca.) e re di Giuda Uzziyya (781-740), come si desume dalla soprascritta del libro (1, 1). Quest'ultima non permette di conoscere l'anno della nascita di Amos ma solo il periodo storico nel quale ha operato, «al tempo di Uzziyya, re di Giuda e al tempo di Yorob'am, figlio di Yoash, re di Israele, due anni prima del terremoto». Il fatto che Amos ricordi le riuscite imprese militari di Yorob'am fa supporre che il governo del monarca fosse già in fase avanzata (cfr. 6,13-14), mentre il terremoto, menzionato anche daZc 14,5, è situato dagli archeologi intorno al 760 a.C.: pertanto l'attività di Amos dovette svolgersi nel periodo immediatamente successivo o, comunque, prima della caduta di Samaria avvenuta nel 722 a.C. Dopo le lotte contro gli Aramei da parte di Yoal)az (814-798) e Yoash (798-783) il regno del nord vede con Yorob'am II un periodo di relativa calma politica e di benessere economico (5, 11-12; 6,4-6; 8,4-6). La fioritura del commercio con i paesi vicini (Arabia, Fenicia, paesi sul Mar Rosso) e lo sviluppo dell'industria tessile e della tintoria sono diventati fonti di prosperità economica assai superiore 14 L'oracolo è verosimilmente un'aggiunta, opera di coloro che, nel periodo esilico o postesilico (cfr. paragrafo successivo), hanno tramandato gli oracoli con la preoccupazione di uniformare il messaggio teologico di Amos a quello di salvezza degli altri profeti. Del resto nella Bibbia la morte non è mai la parola definitiva e il messaggio che doveva giungere ai posteri era che, da qualunque situazione si parta, è sempre possibile recuperare la piena comunione con Dio.
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a quella prodotta dall'agricoltura (che pure migliora la sua qualità) e dalla pastorizia. Lo sviluppo della popolazione va di pari passo con quello dell'edilizia, che vede anche la costruzione di edifici sontuosi. Tuttavia il benessere economico porta con sé l'abituale carico di disuguaglianze sociali a causa degli abusi (2,6-7) di un'oligarchia non esente da accaparramenti (3,9-10; 4,1-2), dall'oppressione dei poveri, dalle ingiustizie nei tribunali (5, 7 .12.15). Vengono disattese le prescrizioni etiche riguardanti l 'uguaglianza di un popolo, concepito dalla legge ebraica come un 'unica grande famiglia dove i membri godono di uguali prerogative, e la giustizia, che non ammette l'oppressione dei deboli i cui diritti sono invece conculcati al fine di arricchire pochi 15 • La fragilità morale ha la sua inevitabile e immediata ricaduta sul versante religioso. Da una parte essa apre alla contaminazione con i culti locali, dali' altra la stessa religiosità yahwista si trasforma, nei santuari del Dio di Israele, in una serie di atti di culto esteriori, più finalizzati a tacitare le coscienze dei trasgressori dei precetti della Legge che a onorare il Dio dei padri (5,21-26; 7,9). La coscienza di essere stati fatti oggetto di elezione da parte di Dio, destinatari dei prodigi dell'esodo e partner dell'alleanza di Mosè, non solo non responsabilizza il popolo all'osservanza dei comandamenti, ma crea un «senso di sicurezza e il complesso di superiorità» 16 • Il divario tra religiosità e morale non impedisce, dunque, la certezza del favore di Dio (5,14) e c'è perfino chi è in attesa del «giorno di YHWH» come di un momento di gloriosa manifestazione del Signore a favore del suo popolo (5,18). In questo quadro di disfacimento morale e religioso, e contro di esso, si trova a operare il profeta Amos. La figura di Amos Le prime notizie riguardanti il profeta vengono fomite dalla soprascritta del libro (l, l) che ne riporta innanzitutto il nome, 'amos. Esso deriva dalla radice ebraica 'ms, che significa «Caricare» o «portare un fardello» e che si presta a suggerire una relazione con 15 16
Cfr. J.L. SICRE, Profetismo in Israele, cit., p. 277. L. ALONSO ScHOKEL - J .L. SrcRE, I Profeti, Boria, Roma 1984, p. l 080.
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il messaggio scomodo della sua predicazione, operazione che già alcuni secoli fa aveva fatto Lutero. Da l, l Amos è anche proiettato sullo sfondo del mondo agricolo e pastorale di Teqoa, piccolo paese a sud di Gerusalemme, e collocato tra i noqedfm, termine normalmente tradotto con «allevatori di pecore». Dall'episodio dell'alterco tra il profeta e il sacerdoteAmazya (7,14) abbiamo la conferma della sua attività legata ali' allevamento di bestiame; Amos stesso si definisce «mandriano» (boqer), ma sia noqed che boqer lasciano un certo margine alle congetture interpretative in quanto non specificano se egli fosse anche proprietario del bestiame che allevava: in questo caso si sarebbe trattato di una persona facoltosa. È parere di Rinaldi 17 che Amos abbia imparato a guadagnarsi di che vivere con il lavoro delle sue mani, il che spiegherebbe l'ironia con la quale tratta i «figli dei profeti», che facevano del loro profetizzare una fonte di guadagno (7,14). Tuttavia molti studiosi (Sicre, Limburg, Abrego ecc.) annotano come il termine noqed sia usato solo in Am 1,1 e in 2Re 3,4 in riferimento al re Mesha di Moab (Transgiordania), del quale si dice che «era un allevatore di pecore» e che «inviava come tributo al re di Israele centomila agnelli e la lana di centomila arieti». Questo ha spinto vari ricercatori (Neher, Kapelrud, Monloubou, Wolff, Soggin ecc.) a concludere che la posizione socioeconomica di Amos fosse quantomeno quella di piccolo possidente, con un'autonoma fonte di sostentamento, che gli avrebbe permesso di svincolare l'attività profetica da qualunque profitto. La questione non è senza importanza perché «se Amos fosse stato un ricco proprietario terriero, allora non si potrebbe accusarlo di difendere i suoi interessi personali, quando condanna le ingiustizie» 18 • Questo genere di considerazioni contribuisce a estrapolare il nostro personaggio da un ambiente socialmente modesto, tanto più che talora i pastori del tempo erano persone rozze, non sempre moralmente ineccepibili (cfr. Zc 11 ,4-17), cosa che mal si attaglierebbe al messaggio della predicazione amosiana. Da 7, 14 apprendiamo che parte della professione del profeta consisteva nella coltivazione di sicomori. Il Testo Masoretico lo 17 18
Cfr. P.G. RINALDI, I Profeti minori, cit., p. 126. J.L. SrcRE, Profetismo in Israele, cit., p. 278.
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definisce itb6les siqmim, alla lettera «pungitore» o «scortecciatore>> di sicomori. Questa occupazione è ritenuta da alcuni umile, esercitata da povera gente (Loss, Osty, Steinmann, van Hoonacker, Rinaldi ecc.); in realtà essa avrebbe fornito ad Amos la possibilità di viaggiare incrementando le sue conoscenze. Nell'insignificante Teqoa, infatti, non si svolgeva il commercio di animali e neppure si praticava la piantagione dei sicomori, che erano coltivati solo in prossimità del Mar Morto e nella Shefela. Per esercitare la sua attività Amos sarebbe stato dunque costretto a continui spostamenti: questo spiegherebbe come il profeta si dimostri conoscitore degli «avvenimenti dei paesi vicini» e della loro «situazione sociale, politica e religiosa» (1,3-2,8; 9,7)1 9 • Le notizie ricavabili dal libro sembrano dunque smentire l'ipotesi di origini umili del profeta; anzi, le precise nozioni di storia sacra e profana, le conoscenze geografiche e di usi e costumi stranieri, presenti nel testo, rivelerebbero una persona colta, ben lontana dal mondo semplice della pastorizia. In proposito ci sarebbe anche da chiedersi come sia avvenuta la formazione «letteraria» di Amos. A questo riguardo bisogna comunque ricordare che la sua figura non si identifica con quella dell'autore dell'intero libro, che invece ha visto il contributo di varie mani redazionali alle quali si devono la veste letteraria e l'adattamento della sua predicazione alle esigenze dei tempi successivi. Identità del profeta In l, l Amos è qualificato come «veggente» o meglio «visionario» («il quale ebbe visioni [tzazd] su Israele»), una delle tre denominazioni che l'Antico Testamento usa per qualificare l'attività profetica. Così il sacerdote Amazya si rivolge ad Amos: «Va', visionario (/:zi5zeh), vattene subito al paese di Giuda; là ti guadagnerai da vivere e là profetizzerai» (7,12). Queste parole denotano un certo disprezzo per una categoria spesso accusata di vendere rivelazioni al miglior offerente. La risposta risentita del profeta contiene il racconto apologetico della sua vocazione, che non pare essere avvenuta nel clima solenne di un tempio o tramite qualche fenomeno 19
Ibidem, p. 278.
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eclatante, ma forse solo nel silenzio della sua coscienza. Il racconto è essenziale: «lo non sono profeta, né discepolo di profeta ... YHWH mi prese da dietro il gregge e mi disse: "Va', profetizza al mio popolo Israele"» (7, 14-15)20 • Con poche essenziali frasi Amos prende le distanze da un certo tipo di profetismo prezzo lato e rivendica alla sua vocazione la caratteristica di chiamata dallo stato di persona comune a quello di portavoce di Dio. Non si ravvisa in Amos alcuno dei tratti del profetismo estatico, come quello dei «discepoli dei profeti» (cfr. l Sam 10,5-6.1 0-13; 19, 18-24) con i quali rifiuta espressamente di identificarsi. Egli condivide invece con i grandi profeti alcune modalità di ricezione della parola divina, come le visioni (cc. 7-9) e la certezza che YHWH comunica i propri piani al suo inviato (3,3-8). La chiamata deve essere stata forte e decisa tanto che, all'interno del breve terzo capitolo, ben sei versetti (3,38) sono impiegati per descriverne l'irresistibilità. N on sappiamo per quale motivo Amos andò a predicare nel regno del nord, né quanto durò la sua missione in Samaria. La posizione degli studiosi varia in proposito: c'è chi gli attribuisce un ministero di quattordici anni e chi lo limita a un discorso di pochi minuti, ma viene anche ventilata la probabilità di una predicazione svolta in poche settimane tra Bet-el, Samaria, Ghilgal, fino all'espulsione da parte dei capi. Il testo non fornisce, comunque, dati precisi in proposito. È invece più opportuno chiedersi che cosa «poteva spingere una persona così intelligente e sensibile a dire le cose che disse ... in modo da farsi ricordare come un fardello, un tipo irritante, con cui è difficile andare d' accordo» 21 • Certo è che il profeta stesso pone il fondamento della sua chiamata in uno specifico piano di Dio. La risposta è sintetizzata in Am 3,7-8, versetti chiave per la comprensione della sua vocazione: «Certo, il Signore YHWH non fa nulla senza avere rivelato il suo progetto ai suoi servi, i profeti. Il leone ruggisce: chi non temerà? Il Signore YHWH ha parlato: chi non profetizzerà?». Nonostante che nel lungo periodo precedente della storia di Israele avessero brillato importanti figure di profeti come Samuele,
°Cfr. nota a 7,14.
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J.
LIMBURG,
/dodici profeti, ci t., p. 123.
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Elia, Eliseo ecc., è lecito pensare che i connazionali di Amos abbiano captato in lui una novità. Secondo autorevoli studiosi (Alonso Schokel; Clements) l'innovazione del pecoraio di Teqoa consisterebbe nel differente modo di rapportarsi al sistema socio-politico. Anche profeti come Samuele o Elia avrebbero riconosciuto gli errori delle classi dirigenti, ma avrebbero in qualche modo mantenuto la fiducia che potessero essere corretti ali' interno delle strutture vigenti; Amos, al contrario, ne avrebbe previsto (8, 1-3) e auspicato la fine. Dovette impressionare, nel suo messaggio, il «rifiuto del riformismo, per aprire la strada alla rottura totale con il sistema vigente» 22 • Agli occhi dei suoi contemporanei egli appariva forse anche il banditore di uno yahwismo ripulito da ogni compromesso con le strutture sociali esistenti, lontano da un culto ipocrita e contaminato. Nessuna meraviglia, dunque, se la sua predicazione ha inciso su altri profeti come il grande Isaia, di poco più giovane di lui, !asciandogli in eredità tematiche come quella del «diritto e giustizia» (ls l ,21; 3; 5), della critica al culto bugiardo (ls l, l 0-17), del «giorno di Y HWH» (ls 2, l 0-17) 23 , che sarebbero state utilizzate anche dai profeti successivi.
Unità, composizione e datazione del testo Se, da una parte, non è difficile constatare l'unità del piano dottrinale che compatta l'intero libro, dall'altra la natura composita del testo di Amos è un dato incontestabile: formato da una base certa della predicazione originaria, stesa già dai discepoli del profeta non molto dopo la caduta di Samaria, ampliata nel corso del tempo, ha acquisito la sua forma letteraria attuale in epoca postesilica, anche tardiva. Vari esegeti sostengono una composizione stratificata dell' opera (Wolff, Alonso Schokel, Loss, Rinaldi, Jeremias ecc.); il libro infatti rispecchierebbe non tanto una predicazione letterale, ma il frutto dell'impatto che essa ebbe nei periodi storici successivi. Il recupero delle parole pronunciate dal profeta (le ipsissima verba di Amos) richiederebbe una separazione del suo messaggio ori22 23
L. ALONSO ScHOKEL- J.L. SICRE, I Profeti, cit., p. 1079. Cfr. J. JEREMIAS, Amos, cit., p. 14.
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ginale dai successivi interventi, niente affatto agevole, mediante un'opera di ricostruzione del testo che, peraltro, resterebbe per larga parte ipotetica. Non mancano, comunque, autori che attribuiscono la paternità del libro totalmente (o quasi) alla persona del profeta medesimo (Stuart, Hayes, Paul). Tra gli altri spiccano Andersen e Freedman i quali, nel loro monumentale commento all'opera, ritengono il profeta responsabile della quasi totalità dei contenuti del testo, pur non negando qualche intervento redazionale. Una larga rappresentanza di studiosi ha, invece, dell'opera amosiana una visione composita. Secondo Alonso SchokeF4 la predicazione originale del profeta avrebbe generato il primo testo costituito dagli oracoli contro Giuda e Israele (cc. 3-6), dalle cinque visioni (cc. 7-9) e dagli oracoli contro le nazioni (cc. 1-2). L'episodio del conflitto con Amazya (7,10-17) sarebbe stato aggiunto successivamente da un discepolo del profeta, al quale probabilmente si dovrebbe la struttura attuale del libro. La redazione definitiva, avvenuta in Giuda, avrebbe aggiunto all'opera solo alcuni ritocchi. Un discorso a parte presenterebbero i tre frammenti innici molto studiati (4,13; 5,8-9; 9,5-6), ma con risultati assai divergenti tra gli accademici; molto dibattuta è la questione dell'unità dei brani (ci troviamo davanti a tre differenti composizioni, o a tre o anche due o addirittura quattro strofe di un'unica composizione?); dell'unicità dell'autore (esistono aggiunte redazionali nel testo o esso è frutto di un'unica mano?); del rapporto con le forme della tradizione innica di Israele. Wolff2 5 attribuisce Am 3-6 e le visioni (cc. 7-9) al profeta stesso; a una «scuola amosiana» cinque oracoli contro i popoli e alcuni testi, compresi riei cc. 7-9, che sarebbero ispirati alla predicazione del profeta. Redattori successivi avrebbero aggiunto le dossologie inniche; in epoca esilica l'opera avrebbe subito una revisione secondo la teologia deuteronomistica, strato al quale apparterrebbero gli oracoli contro la Fenicia (l ,9-10), gli Edomiti (l, 11-12) e la Giudea (2,4-5). All'epoca postesilica apparterrebbe l'oracolo finale di salvezza (9,11-15). 24 25
L. ALONSO ScHOKEL- J.L. SICRE, I Profeti, cit., p. 1087. H. W. WoLFF, Joel andAmos, cit., p. 107.
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Questa posizione moderata ha fatto scuola per molto tempo ed è stata ripresa in tempi più recenti da Jeremias 26 . Secondo l'autore la forma attuale del libro sarebbe frutto del tardo periodo esilico o del primo postesilio e avrebbe visto varie fasi successive. La forma più antica del testo, stesa dopo la caduta di Samaria, avrebbe compreso gli oracoli contro le nazioni (cc. 1-2) e i racconti delle visioni (cc. 7-9). Alla luce di queste ultime andrebbero letti i cc. 3-6 (contro Israele), inseriti tra i due blocchi dai discepoli del profeta. La teologia del testo avrebbe subìto, così, un'evoluzione, secondo la quale il popolo eletto sarebbe trattato alla stregua degli stranieri. Nel VII secolo i testi più antichi di Amos avrebbero subìto una revisione sulla scia della teologia deuteronomistica, in particolare secondo la dottrina della retribuzione basata sul binomio colpa-pena: Israele, che non ascolta più la parola del suo Dio attraverso il profeta, andrà incontro alla rovina. Nel postesilio, l'aggiunta di 9,7-10 avrebbe riconfermato il messaggio di distruzione mentre, in tempi ancora più recenti, oltre ad aggiungere il messaggio di salvezza in 9,11-15, il libro, considerato oramai parte dell'unica opera dei dodici Profeti Minori, sarebbe stato posto in relazione ai contenuti simili in Gioele e Abdia. È evidente la stratificazione nella formazione del libro, in particolare la revisione deuteronomistica e l'aggiunta finale di restaurazione, ma pensiamo che sia difficile dire quando siano cominciati e terminati gli interventi redazionali; il termine ultimo può essere considerato il II secolo a.C., epoca in cui pare abbia assunto forma definitiva il libro dei Dodici. Le poche rappresentative sintesi appena esposte danno l'idea di quanto sia incerta la possibilità di ricostruire la genesi del libro e la sua datazione. Tra gli studiosi non manca l'opinione di chi attribuisce al profeta Amos solo alcune brevi frasi, ma in questo caso ci si potrebbe chiedere con SimianYofre27 come sarebbe stato possibile per il profeta aver dato origine a una scuola di pensiero.
26 J. JEREMIAS, Amos, cit., pp. 16-21. 27 Cfr. H. SIMIAN-YOFRE, Amos, cit., p.
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TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO
Le difficoltà che il testo ebraico propone al traduttore, in veste di hapax (parole che ricorrono una volta soltanto e che quindi possono essere di significato incerto) e cruces interpretum («croci degli interpreti», cioè passi di interpretazione così dubbia che è difficile arrivare a un risultato sicuro e condiviso), sono varie, come unanimemente riconosciuto dagli esperti, e la traduzione letterale deve essere talora sacrificata a favore di una ricostruzione ipotetica ma logica. I punti controversi sono dovuti alle glosse dei redattori successivi (cfr. 3,12; 5,9; 9,1), a influssi di altre lingue e culture (5,11 rivela uno sfondo preso a prestito dall'accadico) e anche alla presenza di espressioni idiomatiche (cfr. 4,6.10; 5,8.16; 6,5.10 ecc.) o tecniche (cfr. 6,12; 7,1.4.14 ecc.). Le diversità di traduzione del libro sono talora dovute alla discordante interpretazione dei tempi verbali (cfr. 4,1.5; 5,3.7.8 ecc.) e al diverso valore assegnato alle preposizioni ebraiche (cfr. 2, 7). Il testo della traduzione greca della Settanta presenta parecchie varianti rispetto al testo ebraico, dovute spesso alla destinazione sinagogale della versione; a volte si tratta di glosse o di lettura da un testo consonantico ebraico diverso dal Testo Masoretico. Qualche volta il testo greco risulta essere più chiaro di quello ebraico, in quanto rappresenta il tentativo di dame la spiegazione. Anche la Vulgata presenta problemi simili, pur esprimendo un numero inferiore di divergenze dal testo ebraico rispetto alla Settanta. Il libro di Amos è stato accolto nel canone della Bibbia ebraica senza problemi, è presente nei rotoli di Qumran, nel Targum ed è stato letto e interpretato dai rabbini secondo il metodo del midrash. È stato tradotto nei secoli, senza soluzione di continuità, oltre che nella lingua greca e latina anche in quella siriaca, in tutte le lingue successive anche in quelle moderne, a conferma che la predicazione di questo profeta è stata da sempre considerata conforme alla fede di Israele e destinata a illuminare e sostenere la fede nei secoli a vemre.
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1,1 Amos (oio~)- Molti studiosi ritengono il nome di Amos un sostantivo derivante dal verbo ebraico 00.!1, che significa «caricare» o «portare un fardello»; questa etimologia si presterebbe a un'intrigante relazione simbolica con il messaggio scomodo della sua predicazione: il nome sarebbe, cioè, descrittivo della sua chiamata. Altri studiosi, in base a ricorrenze della radice in varie lingue orientali (amorrita, ammonita, fenicio, ugaritico), ritengono che «Amos» sia la forma abbreviata di un nome esprimente ringraziamento, la cui forma piena è «Amazya», «YHWH ha portato», cioè YHwH ha preservato il bimbo dalla sventura (cfr. 2Cr l 7, 16). Anche questa versione non è esente dalla tentazione di un 'interpretazione simbolica: nonostante il suo annuncio di profezie di sventura, Amos sarebbe stato, comunque, protetto da Dio. Allevatori - Nell' AT il termine 1f'J («allevatore») è usato solo in questa ricorrenza
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e in 2Re 3,4, in riferimento al facoltoso re e allevatore di Moab, Mesha, mentre fuori del testo sacro trova corrispondenze lessicali nelle liste di funzionari regali a Ugarit. Tutto ciò contribuirebbe alla comprensione del termine come una funzione svolta da persone benestanti; in relazione al profeta, ne contraddirebbe l'origine modesta. Di Teqoa (~ipno) - Il luogo di provenienza di questo allevatore di bestiame è menzionato non a caso. Teqoa, piccolo paese a sud di Gerusalemme, pare fosse noto per «il buonsenso dei suoi rustici abitanti, una sorta di saggezza popolare» (Limburg, 122), espressa altrove nella Bibbia, come nell'episodio della donna saggia menzionata in 2Sam 14. Pare che al tempo di Amos la città godesse ancora di una relativa importanza conservando le fortificazioni di cui Roboamo l'aveva dotata insieme ad altre città della Giudea.
1,1 TITOLO Parole del profeta. Il libro esordisce con un'epigrafe, «parole di Amos» (dibré 'amos, l, l), che sintetizza l'argomento dell'intera opera. Essa presenta tratti comuni con l'inizio di altri libri profetici con i quali divide la menzione dell'autore e/o il periodo storico della predicazione, il luogo di provenienza, i destinatari e le modalità di ricezione della profezia (Is l, l; Ger l ,2; Os l, l; Mi 1,1; Sof 1,1). C'è tuttavia una differenza: mentre Os 1,1; Gl 1,1; Mi 1,1; Gio l, l; Sof l, l; Zc l, l; MI l, l qualificano il loro messaggio come «parola (al singolare) di YHWH» (d'bar YHwH), non lasciando equivoci sul fatto che si tratti di un messaggio del Signore, il titolo del libro di Amos mette invece in relazione il termine «parole» (al plurale) con il nome del profeta. In base alla polisemia del termine diibiir, che può significare sia «parola» sia «fatto» o «avvenimento», e della catena costrutta «parole di Amos», che può significare «parole che Amos ha pronunciato» o «parole/fatti che riguardano Amos», si può dedurre che il libro riguarderebbe anche gli avvenimenti che hanno segnato la sua storia. Lo scopo dell'epigrafe sarebbe, dunque, l'introduzione della stessa
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'Parole di Amos, che era tra gli allevatori di Teqoa, il quale ebbe visioni su Israele, al tempo di Uzziyya, re di Giuda e al tempo di Yorob'am, figlio di Yoash, re di Israele, due anni prima del terremoto. Il quale ebbe visioni - Alla lettera: «che vide» (i1!r;t itp~). Secondo vari studiosi la frase relativa con l'indicazione della professione («che era tra gli allevatori») sarebbe un'aggiunta redazionale tardivamente inserita ali 'interno di l, l. In questo caso la frase i1!r;t ilf.i~ non sarebbe riferita all'allevatore di pecore, ma sarebbero le «parole» l' oggetto del verbo «vedere», per cui inizialmente l'introduzione doveva suonare: «Parole di Amos, che (egli) vide». Il verbo i1!r;t nelle traduzioni moderne viene normalmente reso con «avere visioni», in quanto nell' AT può essere considerato un termine tecnico avente implicito l'oggetto, cioè le visioni (cfr. Mi 1,1). Tuttavia ls 2, l; Mi l ,l; Ab l, l parlano della «contemplazione» di parole ricevute da YHWH, secondo l'assunto anticotestamentario che la rivelazione divina avveniva anche per immagini e non solo tramite la parola. La Settanta, su questa linea, traduce: «parole di
Amos ... che egli vide» (ì..6yoL Af!Wç ... ouç
EloEv). In sostanza l, la sarebbe il risultato della confluenza di due frasi introduttive: «parole di Amos di Teqoa», finalizzata a introdurre gli oracoli dei cc. 3-6, e «che Amos contemplò riguardo a Israele», volta a introdurre i racconti delle visioni (cc. 7-9). Qui si preferisce lasciare al verbo i1!r;t il senso di «avere visioni», data l'estrema difficoltà a rendere nella lingua italiana la seconda frase introdotta da iW~ come oggetto del verbo «vedere». Su Israele (':>~"19:-':>~)- La preposizione':>~ può indicare l'argomento («riguardo a»), o il luogo («su», «sopra»), ma non esclude un'inflessione di ostilità («contro»), che sarebbe confermata dagli oracoli che seguono (cfr. Is 1,1; Mi 1,1).
•!• 1,1 Testi affini: ls 2,1; Ger 1,1; Os 1,1; Gli,!; Mi 1,1; Gio 1,1; Sof 1,1; Zc 1,1; MI 1,1; Qo 1,1
persona del profeta, compresa la sua profezia, di cui il versetto indica nelle visioni la modalità di ricezione. Il periodo storico. Alle coordinate storiche del ministero amosiano («al tempo di Uzziyya, re di Giuda e al tempo di Yorob'arn, figlio di Yoash, re di Israele», l, l b) viene aggiunta un 'insolita coordinata temporale: «Due anni prima del terremoto», frase di sapore popolare, riferentesi ali 'uso orientale di partire da fenomeni naturali, spesso calamitosi, per datare gli eventi storici. L'indicazione, di per sé imprecisa, vista la frequenza dei movimenti tellurici in Palestina, sembra fare riferimento a un evento sismico piuttosto grave, di cui anche Zc 14,5 dà notizia. Essa non è priva di importanza se si pensa che è stata forse riportata per collocare storicamente le parole del profeta a sostegno della loro veridicità: il terremoto si sarebbe effettivamente realizzato, per alcuni studiosi, nel 760 a.C. in Samaria e I:Iazor e sarebbe stato interpretato come compimento delle minacce di castigo del profeta. Il dato storico, tuttavia, non deve essere preso come un assoluto, in quanto nel libro lo scuotimento della terra (cfr. 9,5-6) si colora anche di una dimensione simbolica della punizione che coglierà Israele.
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1,2 Ruggirà ... emetterà ... faranno lutto ... sarà arida (w~:1 ... ~':;ll~1 ... 1M.' .. Jt;t~') - Gli studiosi differiscono nell'interpretazione degli yiqtol contenuti in l ,2a: per alcuni vanno tradotti con il futuro (YHWH «ruggirà)), cioè «emetterà [11'1:] la sua voce)), cfr. versione CEI del 2008, Loss,
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Carbone, Andersen); in particolare ciò vale se si paragona il ruggito del leone a quello descritto in Gl4,16 («YHWH ruggirà Pt;tf.!i~] da Siom>); il testo di Gioele, infatti, andrebbe letto in prospettiva apocalittica, che obbliga un'interpretazione al futuro. Il v. 2 costituirebbe di per sé una breve strofa
1,2 INTRODUZIONE Questo versetto, che dà il tono all'intero libro, è una breve strofa di sapore innico e presenta analogie con altri passi dossologici sparsi nel libro (4,13; 5,89; 9,5-6); è forse un'aggiunta del periodo seguente la caduta di Gerusalemme. È interpretato in diversi modi dagli autori: come un oracolo a sé stante, nel qual caso fungerebbe da introduzione all'intero libro, o come parte integrante della sezione oracolare che segue (1,3-2,16). A favore della prima tesi c'è da notare che tra 1,2 e 1,3, manca un qualunque segno di connessione; inoltre, negli oracoli contro i popoli, YHwH è colui che parla, mentre in 1,2 egli è l'oggetto del discorso del profeta. Un solenne wayyiqtol («disse», wayyo 'mar), in posizione insolita nei libri profetici, collega invece 1,2 alla precedente epigrafe in prosa, di cui inizia a esplicitare le «parole». Questo versetto è costituito da due stichi, in parallelismo sintetico, che presentano l'inaridimento e la fine di ogni forma di vita nei territori più fertili del paese come diretta conseguenza della potente voce di YHWH che si leva. Una teofania? La voce del profeta è quella dell'araldo che annuncia la prossima manifestazione del suo Signore: egli è un giudice, che sta per emettere una terribile sentenza. YHwH è descritto secondo i canoni delle teofanie anticotestamentarie, nelle quali dava prova della sua potenza dominando i fenomeni naturali e distruggendo i nemici (Es 19, 16; Gdc 5,4; Sal68,8-9 ecc.). I fenomeni visivi e uditivi (Dio che tuona dal cielo, Es 9,23.28; Sal46,7; Gb 28,26 ecc.; che è presente nel fragore dell'uragano, IRe 19, 11-12; Sal29,5; che fa sentire il suo ruggito come leone pronto a balzare sulla preda, Os 5, 14; l l, l O; Gl 4, 16; Am 5,19; Ger 25,30) diventano, nelle mani del profeta, metafore per esprimere ciò che egli stesso ha sperimentato del rapporto con Dio, un Signore la cui parola, come forza travolgente, afferra il suo inviato e lo spinge a proclamarla senza riserve («Ruggisce il leone: chi non tremerà? Il Signore YHWH ha parlato: chi non profetizzerà?», Am 3,8). Il Dio presentato da Amos nell'intero libro non appare misericordioso, conciliante, pronto al perdono; al contrario, la sua voce
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Disse:
ruggirà da Sion e da Gerusalemme emetterà la sua voce; faranno lutto i pascoli dei pastori e sarà arida la cima del Carmelo».
«YHWH
composta da due stichi di cui il primo, con i verbi all'yiqtol, annuncerebbe l'azione di Dio e il secondo ne descriverebbe gli effetti. Per altri studiosi gli yiqtol vanno tradotti al presente («ruggisce ... emette la sua voce»; cfr. Wolff, Jeremias, Bovati, Rinaldi). La Settanta rende gli yiqtol
con indicativi aoristi, ritenendo come già avvenuti i disastri descritti. Qui si preferisce considerare gli yiqtol con il valore di futuro proprio della profezia non ancora realizzata. •!• 1,2 Testi affini: Js 33,9; Ger 25,30; Os 11,10; 014,16; Na 1,4
di tuono, anziché portare benefica pioggia, è soffio che inaridisce e il suo ruggito semina terrore di morte. Non è, tuttavia, una morte alla quale non sia possibile sfuggire: le esortazioni a cercare YHWH nel culto puro (5,4-6) e il bene, non il male, nella rettitudine morale (5,14-15) sono richiami finalizzati alla salvezza. Dio non gioisce per la morte dei peccatori, ma nel convincimento del profeta sembra prevalere il pessimismo: Israele è duro a convertirsi e proprio per questo andrà incontro alla morte. Il ruggito da Sion. Il luogo dal quale si leva la voce di YHWH è la città santa, Gerusalemme, con il suo tempio. Se si accoglie il versetto come risalente al profeta stesso, si deve riconoscere la sua importanza: Amos professerebbe in un periodo predeuteronomico e in «regime scismatico la prerogativa di ... Gerusalemme ... come unica e vera sede di Dio» (Rinaldi). Tuttavia nell'opera del profeta mai compare Sion come sede della divinità o luogo dal quale egli fa sentire la sua voce. Nel caso più probabile che l'affermazione sia opera di persone vissute in epoche successive che ci hanno tramandato l'opera, si deve ritenere che essi abbiano inteso presentare le prerogative di quel Dio di cui Amos ha sperimentato la forza irresistibile e del quale è diventato il testimone. Un giudizio di condanna. Il ruggito di Dio, che sarà presto udito negli oracoli successivi (l ,3-2,3 ), è foriero di morte, ma non solo e non tanto per i nemici d'Israele, quanto per lo stesso popolo eletto. Am 1,2 anticipa in questo modo il contenuto dell'intero libro: il giudizio di YHWH su Israele. I peccatori del popolo periranno e non ci sarà luogo capace di prestare loro rifugio, né gli inferi, né la cima del Carmelo, né alcun paese lontano (cfr. 9,2-4). Il tono d:venta subito quello del lamento funebre, espresso dal verbo 'bi («far lutto))) la cui presenza percorre trasversalmente il libro (5,16; 8,8.10; 9,5). In uno scambio simpatetico con la sofferenza umana, i pascoli sono chiamati a esprimere il gemito di morte che si leverà dai pastori: le praterie, fonti di sostentamento per la vita animale c umana, inaridiranno come la cima del Carmelo, altrimenti famoso per la sua vegetazione lussureggiante.
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1,3 Questo dice
Oppure: «così dice ilZl ). Questo artifizio retorico, spesso chiamato «la formula del messaggero)), negli scritti biblici apparirebbe per la prima volta proprio nel profeta Amos. La sua origine andrebbe ricercata neli 'usanza assai diffusa di inviare ambasciatori, di cui si hanno vari esempi nell'AT (Gen 32,4-6; Gdc Il, 14-15), e rifletterebbe lo stile dello scambio diplomatico internazionale. L'associazione del racconto di ambasceria con la formula «questo dice YHWH)) s'incontra spesso in Geremia (8,4; 10,1-2 ecc.) ed Ezechiele (2,4; 3,11.27 ecc.). La Settanta omette «questm) e traduce ali' aoristo il qatal, continuando l'interpretazione già data al v. 2 (KaÌ. ElTIEv KUpLDç, «e disse il Signore))). Per tre ... eperquattro(i1?f~'?l_11 ... i1rf'+t'?p) YHWH -
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- L'espressione ricorda i proverbi numerici contenuti nella letteratura sapienziale (Pr 30,15.18.21.29; Sir25,7; 26,5.28) dove, però, le formule numeriche non vengono usate per introdurre il giudizio per le colpe. Nel nostro contesto l'espressione di Amos ha, come nei testi sapienziali, il valore retorico della formula aperta, che va oltre i numeri indicati e serve a suggerire un elenco imprecisato di crimini. Misfatti (l:l'~~t;l) - Spesso nella Bibbia la radice lllliEl è usata per indicare le violazioni dei trattati da parte dei vassalli nei confronti dei loro sovrani (2Re 1,1; 3,5.7; 8,20 ecc.); in Am l ,3 fa riferimento a crudeltà operate in contesto bellico. Non posso revocare la mia sentenza- Alla lettera: «non lo posso far tornare)) (,l::l't!i~ 16).
ORACOLI CONTRO LE NAZIONI, GIUDA E ISRAELE (1,3-2,16) Con l ,3 inizia l'insieme di composizioni considerate l'esempio più antico di oracoli contro i popoli contenuti nei libri profetici (cfr. Is 13-23; Ger 25,14-38; 46-51; Ez 25-32). Gli studiosi generalmente dividono le composizioni in due gruppi: gli oracoli contro gli Aramei (1,3-5), i Filistei (1,6-8), gliAnunoniti (1,13-15) e i Moabiti (2,1-3) sarebbero le composizioni più antiche, mentre gli oracoli contro la Fenicia (1,9-10), Edom (1,11-12) e Giuda (2,4-5) sarebbero più recenti. Un discorso a parte merita l'oracolo contro Israele (2,6-16), sul cui modello sarebbero costruiti quelli precedenti. La posizione iniziale di questi discorsi è un caso unico nei libri biblici. Isaia, Geremia (nella versione dalla Settanta, che ha una disposizione del materiale diversa dal Testo Masoretico ), Ezechiele e So fonia pongono i loro oracoli contro le nazioni significativamente in posizione centrale, tra quelli di giudizio e quelli di salvezza per Israele, assegnando loro la funzione di mostrare l'intervento salvifico di Dio nei confronti del suo popolo. Il criterio seguito dal redattore amosiano è evidentemente un altro: si potrebbe definire «comparativo», avendo come finalità la descrizione e la condanna dei misfatti dei popoli intorno a Israele, per giungere alla conclusione che il popolo di Dio è assai più colpevole dei suoi avversari, in quanto depositario di un'elezione e di un'alleanza che tuttavia disattende. Dal punto di vista formale gli oracoli sono costruiti secondo uno stereotipo che divide ciascuna strofa in due parti, di cui la prima reca l'accusa e la descrizione dei misfatti compiuti e la seconda contiene la minaccia e la descrizione del castigo. L'or-
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Questo dice YHwH: «Per tre misfatti di Damasco e per quattro non posso revocare la mia sentenza, perché hanno trebbiato Ghil'ad con trebbie di ferro.
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L'espressione pone qualche difficoltà interpretativa. Ci troviamo, verosimilmente, davanti a una formula stereotipata che proclama l'irreversibilità del giudizio divino. Generalmente gli studiosi traducono con «non revocherò la mia sentenza»; infatti, il verbo :::11~ («ritornare») è qui alla coniugazione hifil che ha significato fattivo, per cui si deve intendere: «far ritornare» e, in senso traslato, «disdire», «annullare», «ritrattare». La forma verbale, tuttavia, si presenta priva di un vero oggetto. Questo è genericamente rappresentato dal semplice suffisso pronominale 1l- («lo/esso») che non chiarisce il significato. Il pronome potrebbe riferirsi al popolo appena menzionato, al quale verrebbe negata la possibilità di conversione, al castigo decretato o
alla parola che Dio ha pronunciato. Solo in quest'ultimo senso il libro di Amos offrirebbe analogie (7,2-3.5-6.8b; 8,2b). Una differente traduzione risulta se si intende ~6 come asseverativo («certamente») e, soprattutto, se si pensa alla forma verbale come derivata da ::l~l («soffiare»), leggendo 1l::l'W~; in questo caso la traduzione potrebbe essere «certamente soffierò ... (sul fuoco della mia ira)» (Simian-Yofre ). Questo significato non vanta, però, ricorrenze in brani analoghi. In base al contesto qui sembra preferibile conservare il carattere di negazione alla particella ~6, conferire allo yiqtol del verbo un'inflessione modale («non posso revocare») e intendere il suffisso pronominale 1l- come riferito alla decisione di condanna presa da YHWH.
dine in cui vengono menzionate le sette nazioni oggetto di condanna è sembrato ad alcuni studiosi intenzionalmente geografico: gli Aramei rappresentati da Damasco, i Filistei rappresentati da Gaza, la Fenicia rappresentata da Tiro, Edom a sud-est, Ammon e Moab a est sono i popoli che circondano totalmente la Palestina e potrebbero simbolicamente personificare la totalità dei nemici d'Israele. Comunque sia, dall'intera composizione emerge un dato teologico certo: YHWH è signore e giudice di tutta la Terra; non c'è prevaricazione che gli sia sconosciuta o delitto che egli non possa punire. Ogni nazione deve sottostare al suo giudizio, perché ogni atrocità commessa rappresenta una violazione della Legge, valida per ogni uomo, del Dio unico.
1,3-5 Contro Damasco 1,3 Le colpe degli Aramei Il primo posto riservato ad Aram nella lista dei popoli colpevoli non è casuale. La storia li ha annoverati tra i nemici tradizionali del regno d'Israele. L'accusa di aver lacerato «con trebbie di ferro» il paese di Ghil'ad è un riferimento alle guerre ararnee. Anticamente questa regione, a nord-est del Giordano, aveva visto l'insediamento delle tribù di Ruben, Gad e parte di Manasse (Dt 3,12-13; Gs 22,9-15). Nella seconda metà del IX secolo a.C. gli AnuÙ.ei avevano poi occupato quel territorio (2Re l 0,32-33) contendendolo a Israele. Ebbe, così, inizio una serie di guerre, che durarono quasi un secolo e che videro il regno del nord più spesso perdente che vincente. Durante questo doloroso periodo, agli abitanti del Ghil'ad era stato riservato un trattamento ritenuto eccessiva-
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1,4/fazael ... Ben-Hadad (1"FTH ... ':l~!J:)) - Sono nomi di re aramei. Nei libri dei Re (IRe 19,15-17; 2Re 8,7-15) si racconta che l;lazael aveva usurpato il trono uccidendo il legittimo re Ben-Hadad Il. Poiché questi eventi andrebbero collocati circa mezzo secolo prima di Amos, è incerto se qui si riferisca a quei sovrani o a dei loro discendenti, contemporanei del profeta,
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che portavano gli stessi nomi dinastici. I palazzi (nilf?~)- La Settanta legge: 9Ej.1ÉÀ.ux («le fondamenta») con un termine spesso usato per tradurre l'ebraico nilf?~; sottende così l'idea di una distruzione completa, che giunge alle fondamenta degli edifici. 1,5 Chi siede (sul trono) (:ltpi')- Spesso le versioni, sia antiche sia moderne, leggono :ltpi' come singolare collettivo riferito alla popolazio-
mente crudele perfino in tempi di guerra, tanto da aver suggerito al profeta l'immagine della trebbia, che esegue la battitura con acuminate punte metalliche (cfr. 2Re 13,7; Is 25, l 0). Al tempo della predicazione di Amos, Yorob'am II aveva posto fine alle guerre contro Damasco, ma il ricordo ancora vivo delle crudeltà subite diventa per il profeta occasione per minacciare la forza del giudizio divino contro questo genere di peccato. 1,4-5 Il castigo decretato In rappresentanza del popolo arameo, come destinatario del castigo, vengono menzionati i suoi sovrani (cfr. nota); la punizione per le aggressioni contro Israele sarà il fuoco. Il termine, di per sé piuttosto generico, oltre che metafora dell'ira divina (Gen 19; Dt 4,24) è annuncio di invasione, sconfitta e deportazione, che si sarebbero effettivamente verificate con l'occupazione assira appena qualche decennio più tardi. Tuttavia nel nostro oracolo non appare alcun conquistatore umano: il vero trionfatore è lo stesso YHWH. Egli si erge «contro la reggia di I;lazael» (1,4) e davanti a lui non c'è fortificazione che resista. La sbarra o chiavistello di Damasco (l ,5) rappresenta la solidità delle difese e la sicurezza che ne deriva; infrangere le sbarre delle porte significava la conquista della città, che aveva due conseguenze immediate: l'abbattimento del sovrano («chi siede», l ,5) e della sua famiglia, nonché la deportazione del popolo. Nel gioco di parole tra le parole ebraiche 'iiwen (che può significare >).
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14 i1:ll1 noin~ _ J - : WN •• 'r-12:li11 "> non si intende qui genericamente un'entità socio-politica, riassunta nella figura dei suoi capi: il suo significato è quello di «popolo di Dio>). È agli Israeliti (2,11 b) che YHWH ricorda le gesta salvifiche compiute in loro favore (2,9-12), a quello stesso Israele che in 7,8.15; 8,2; 9, 10 viene chiamato «mio popolm>. Verso nessun'altra nazione egli si è mostrato così benevolo, anzi geloso, ed è il rifiuto di questa predilezione che origina il grido sdegnato: «Non è stato forse così, Israeliti?)) (2, 11 b). L'accusa, pertanto, si sposta su un piano assai diverso; tra Dio e il suo popolo c'è un legame parentale, il cui fondamento dovrebbe poggiare sulla solidità di un mpporto di amore che trascende la mera osservanza di comandamenti. Le trasgressioni d'lsmele si consumano, invece, proprio all'interno della vita comunitaria, in aperto sfregio di quell'ordine armonioso che YHWH stesso aveva inteso stabilire per mezzo dei suoi comandi, in seno ai suoi «familiari)). Il povero venduto per denaro. L'elenco dei delitti prende il via al v. 6c e si estende per cinque stichi (2,6-8). I misfatti commessi nei confronti dei propri con-
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2, 7 Essi che calpestano sulla polvere della terra la testa dei miseri- L'emistichio (c•i;.l_ ~~"'!~ f!.~-,;;1~-',~ C'!;l~WiJ) presenta non poche difficoltà interpretative. Innanzi tutto è costituito da cinque termini (a differenza di 2,6c che precede e di 2,7b che segue) che spezzano il ritmo della composizione. Questo ha indotto alcuni studiosi a considerare n~-,;;1~-',~ («Sulla polvere della terra») una glossa. Anche il participio C'!;l~WiJ («che calpestano») crea problema, perché di solito il ~~~ («ansimare», «sbuffare» oppure «schiacciare», «calpestare») ha il complemento in accusativo, non con una preposizione (come è invece qui, con~~"'!~). Considerando l'esistenza in ebraico del verbo~,~
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dal significato «ammaccare pestando» (cfr. Gen 3,15 e Gb 9,17), alcuni studiosi hanno pensato che la forma C'Ei~l!li1 potrebbe derivare da tale verbo (in tal caso la vocalizzazione dovrebbe essere C'!;l~~ iJ; l'errore nel Testo Masoretico sarebbe stato creato dai copisti che pensavano al più frequente verbo ~~~). Anche con tale lettura, però, davanti a ~~., ci si aspetterebbe il segno dell'oggetto diretto n~, ma in questo caso la presenza di :l si potrebbe spiegare come un transitivo accompagnato da preposizione (Jouon), oppure il :l potrebbe avere assunto dal verbo la connotazione di «contro» (IRe 2,44; Nm 22,6; 2Sam 18,28). La Settanta risolve utilizzando due verbi: «mentre calpestavano sulla polvere
nazionali compongono il quadro di una società profondamente ingiusta e corrotta. La colpa più rilevante, che apre il ventaglio di imputazioni, consiste nell'abuso di ricchi potenti nei confronti di poveri indifesi. Non è facile l'interpretazione della prima accusa: il verbo ebraico tradotto con «vendere» (miikar), di per sé usato nell'Antico Testamento per designare transazioni riguardanti oggetti, animali (Gen 47,20; Es 21,35; Lv 25,16) o, tutt'al più, schiavi (Gen 45,4; Es 21,8; Dt 21,14), qui è abbinato a due sostantivi posti in parallelismo: «giusto» ($addfq) e «povero» ('ebyon). Considerando il primo termine come l'equivalente di «innocente», molti critici pensano che il peccato d'Israele consista nella corruzione dei suoi giudici, disposti ad accettare un compenso per condannare persone prive di colpa. Occorre, tuttavia, pensare che il nostro versetto non presenta una causa giudiziale contro una vittima, ma la sua vendita per denaro. Il riferimento sembra, piuttosto, all'istituto della servitù per debiti, codificata in Es 21,2-4.7-11; Lv 25,39-43; Dt 15,12-15. Evidentemente la denuncia non è nei confronti della Legge, di per sé concepita per garantire al povero debitore un futuro di libertà, ma agli abusi che se ne fanno: i creditori non solo costringono i debitori a saldare i grossi debiti vendendosi per denaro, ma anche se il loro debito è di piccola entità, del valore di un paio di sandali, li costringono a subire la medesima sorte. L 'oppressione dei poveri. In 2,7 con hasso 'èipfm («che calpestano») prende il via una serie di participi disseminati nel libro (3, l O; 4,2; 6,1.3.4.5.6) e finalizzati
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AMOS2,7
essi che calpestano sulla polvere della terra la testa dei miseri e trasgrediscono il diritto a danno dei poveri.
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della terra e colpivano la testa dei poveri» (t& Tiatoùvta ÈTIL tÒV xoDv t~ç y~ç KaL ÈKOVOUÀL( OV ELç KE), ma la costruzione inso-
i'!?
lita i'~-!' i!~~t?iJ (alla lettera: «pieno per sé. di covoni>>), insieme alla rara forma verbale P' l?~ (cfr. nota precedente) e ali 'uso del pronome enfatico '~l~, conferisce solennità al discorso. •:• 2,6-16 Testi affini: Dt 24,10-21; 27,1126; Is 3,8-15; 30,8-17; Ger Il, 18-23; Am 7,10-17
forte», «il prode») e addestrate alla guerra («i 'arciere», «i 'agile di piedi», «il cavaliere»). A nulla gioveranno le loro abilità nel giorno del castigo che non potrà essere eluso; i guerrieri valorosi fuggiranno come un esercito sbandato dopo una pesante disfatta. Israele è destinato alla sconfitta, perché nessuno può resistere sotto la mano di Dio né salvarsi. L'inesorabilità della distruzione è sottolineata dalla triplice ripetizione di «non (si) salverà» (lo' y"mallet, 2,14-15): ormai YHWH ha trovato Israele mancante e lo ha computato insieme ai popoli pagani. È assente in questo oracolo la descrizione delle modalità della distruzione: non c'è fuoco per Israele, non si parla di mura abbattute, né di esilio o morte dei capi; la punizione prospettata è descritta con altre metafore (il carro affondato, il corridore, il guerriero, l'arciere) che, tuttavia, anticipano con chiarezza gli eventi. Israele, sicuro nella sua ricchezza e potere, resterà proprio «nudo» di ciò che ritiene essere la sua forza ed è lecito pensare che anche quel paese, che Dio aveva sottratto agli Amorriti per darlo in eredità a lui, gli sarà sottratto diventando terra di conquista altrui. Da ora in poi l'atmosfera cupa del disastro inesorabile non lascerà il libro di Amos e ricorrerà come un ritornello fino alla fine (5,1-3.16-20; 6,1.7.8-14; 7,8-9; 8,2-3; 9,1-4 ecc.).
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AMOS3,1
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3
:1'fN~ o:')~Q l'l~~ 'D'7.~v 1'f.?~ i1Q~o/~iJ-~f 3,1 Ascoltate... dalla terra d'Egitto (C'""J:;;~ ntt~ Jllf?~)- L'annuncio di 3,la si apre con il verbo chiave «ascoltate», apparentemente pronunciato dal profeta in quanto seguito da una proposizione relativa con il soggetto in terza persona (« YHWH ha detto»). Crea, però, un certo imbarazzo il passaggio, nel secondo emistichio, alla prima persona singolare (•n·~;m, «che ho fatto salire»): è il profeta che invita all'ascolto o è Dio stesso che parla di sé alla terza persona? Alcuni studiosi ritengono sia da eliminare, come secon-
..
daria, la proposizione i1~i1~ i~'1 i~ («che ha detto»), ma ciò sembra in contrasto con 4, l e 5, l dove l'imperativo «ascoltate» è pure seguito da una frase relativa. Sembra che
YHwH
c:""J:;;~ ntt~ ·n·~pry ;w~ i1':1~~rp;:t-Sfi '~ («su tutta la famiglia che ho fatto salire dalla terra d'Egitto») sia piuttosto un'aggiunta redazionale di stampo deuteronomista, in quanto ricorda Am 2, l Oa, già presentato come materiale secondario (cfr. commento). Il v. l dovrebbe così risultare: «Ascoltate questa parola, che Y HWH ha detto riguardo a voi, figli
IL CASTIGO DI ISRAELE (3,1-6,14) In 3,1 ha inizio la parte centrale del libro costituita prevalentemente da oracoli contro Israele. Il carattere dell'insieme non è unitario: si tratta di una raccolta di profezie pronunciate in tempi differenti, alle quali è stato dato un ordine redazionale in base alle affinità di contenuto e a un piano teologico definito. Una prima divisione è indicata dalle due soprascritte in 3,1 («Ascoltate questa parola, che YHWH ha detto contro di voi Israeliti») e 5,1 («Ascoltate questa parola: un lamento che io intono contro di voi, casa di Israele!») che dividono l'intera parte in due sezioni (3,1--4,13 e 5,1-6,14). Il piano teologico che guida l'intera parte si può così sintetizzare: se l'elezione d'Israele è titolo di privilegio, la sua corruzione e impenitenza saranno la causa della sua rovina. Motivi lessicali cari alla teologia deuteronomistica e presenti anche nella predicazione profeti ca percorrono trasver- · salmente i capitoli, fungendo da elementi unifìcatori. Un motivo fondamentale è costituito dal verbo siima ', pilastro portante della spiritualità ebraica (cfr. Dt 6,4-6), contenuto nelle esortazioni ali 'imperativo qal «ascoltate» (si m 'u, 3, l; 4, l; 5, l) e alla coniugazione fattiva (hijil): «annunciatelO» (hasmi'u, 3,9). Compaiono anche gli appellativi «lsraeliti» (h' né yisrii 'el, 3, 1.12; 4,5) e «casa d'Israele» (bét yisrii'et, 5,1.3.4.25; 6,14), uniti al concetto di elezione (cfr. Dt 7,6; 4,20 ecc.) e alla liberazione dall'Egitto (cfr. Dt 2,7). 3,1--4,13 PRIMA SEZIONE. ACCUSE E MINACCE La prima sezione è introdotta, oltre che dalla formula esortativa, anche dall'oracolo che predice i castighi per Israele (3,2) accompagnandoli dalla motivazione («Solo voi ho conosciuto tra tutte le famiglie della terra»). Que-
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Ascoltate questa parola, che YHWH ha detto contro di voi Israeliti, contro tutta la famiglia che ho fatto salire dalla terra d'Egitto: 1
di Israele)), frase che sarebbe pronunciata dal profeta, seguita dal discorso diretto del v. 2 pronunciato da YHWH. Qui si preferisce non operare tagli al Testo Masoretico anche perché la composizione attuale non pregiudica il senso del brano. Israeliti ('?~l~' '~f) - La Settanta traduce «casa di Israele)) (olKoç Iapal]À) al posto di > (Is 1,8; l 0,32) o la «vergine figlia» (Lam 2, 13), piangente su Gerusalemme e descritta con i nobili tratti delle divinità protettrici delle città mesopotamiche in atteggiamento di cordoglio sulle loro città distrutte (cfr., p. es., Lam 1,15-17; 2,1; Ger 4,31 ). Qui ci troviamo, però, davanti a una strana inversione: deposto il suo splendore, la stessa vergine di Israele è rovinata irrimediabilmente al suolo («non potrà rialzarsi», v. 2a) e il profeta fa il lamento su di lei. L'espressione «un lamento che io intono su di voi» dice che la morte non è più solo una minaccia per Israele, ma è una realtà decretata, perciò immutabile e irreversibile (cfr. anche Ger 7,29; 9,9; Ez 19,1; 26, 17). Am 5,1-3 non contiene elementi di accusa nei confronti del popolo, ma una realtà molto più radicale e dolorosa: la rappresentazione della sua fine. Questa avverrà per la distruzione da parte di un nemico.
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AMOS5,3
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alla casa d'Israele: ... >>), sia per recuperare il parallelo del v. 4a, sia perché nell'attuale posizione l'espressione non sembra avere molto senso, oltre a interrompere la scansione metrica del versetto. Visto che lo spostamento non è determinante per la comprensione dell'oracolo, qui si preferisce lasciare il Testo Masoretico come ci è giunto. •!• 5,1-3 Testi affini: Is 24, 1-6; Ger 18,1317; GII,2-12; Lam l 5,6 Non invada come un fuoco la casa di Giuseppe ('lt;li' n' ;l ~~f n~~:-1~)- Una costruzione simile, che aiuta a comprendere il senso del nostro versetto, si trova in Ger 4,4 e 21, 12 («perché non esca come fuoco la mia ira e bruci ... », ill~?~ '1:11?0 ~~~ tt~('q~). Tuttavia, il costrutto di 5,6, così come si pre-
Una disfatta dolorosa. Il v. 3, un breve «oracolo di sventura)), prevede una disfatta militare per il paese. L'immagine bellica è mutuata da un'espressione verosimilmente proverbiale (cfr. nota); la «città)) rappresenta, forse, tutte le città d'Israele; queste subiranno una pesante disfatta militare e della loro potenza resterà solo un insignificante resto (cfr. 3,12). Il ki esplicativo («poiché))) di 5,3a introduce la ragione di tale annientamento: il fatto che YHWH l'ha decretato. Dio ha deciso di abbandonare la vergine di Israele, ormai priva di vita, su quel suolo che le aveva dato in eredità. La radicalità della disposizione non sembra nascere dalla sola volontà punitiva: la contemplazione di quella giovane stesa al suolo tradisce, infatti, il sentimento di un cuore animato ancora da grande affetto. I vv. 4-6 che seguono, con la loro estrema offerta di vita, sarebbero invero un estre-
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AMOS5,6
Poiché questo dice il Signore YHwH: «La città che faceva uscire mille (uomini) resterà con cento; quella che ne faceva uscire cento resterà con dieci per la casa di Israele». 4Poiché questo dice YHWH alla casa di Israele: «Cercate me e vivrete, 5non cercate Bet-el, non andate a Ghilgal, non passate a Beer-sheba, perché Ghilgal andrà sicuramente in esilio e Bet-el sarà annientata». 6Cercate Y HWH e vivrete, perché non invada come un fuoco la casa di Giuseppe, la divori e non ci sia chi (lo) spenga per Bet-el. 3
senta, è dubbio; per questo è stato emendato in vari modi dagli studiosi: «dia alte fiamme» (~~f n~~~; cfr. Gdc 1,8; 20,48; 2Re 8,12; Sal 74,7) o «irrompa con il fuoco contro la casa di Giuseppe» (~i:ji' M';l~ ~~f n~~~; cfr. Gdc 14,6.19: «e irruppe su di lui lo spirito di YHWH», l"ljl"l~ 11~i ,,7~ n~~!'11), O «irrompa una fiamma di fuoco contro la casa di Giuseppe» (~l:ji' M';l::l ~~ :m~ n~~,). La Settanta traduce rendendo «la casa di Giuseppe» soggetto delta frase: «così che la casa di Giuseppe non divampi come fuoco, ma la divorerà» (f!~ &vaÀiffJ.tji!J wç 11up o otKoç IwoTJ4> ml Ka"I:aljltiyEtaL aù1:6v).Anche se nessuna delle versioni proposte è pienamente soddisfacente, tutte rendono l'idea delta divinità che assale ostilmente la casa
di Giuseppe. Si ritiene, pertanto, opportuno non proporre emendamenti e mantenere il verbo n~~~ nel significato di «invadere» con soggetto YHWH. Ciò è conforme alta logica del contesto immediato che presenta un Dio che minaccia sventura (5,3) e, in generale, alla teologia del testo amosiano. Per Bet-e!- C'è chi propone di leggere «per la casa di Israele» >); tuttavia, ciò potrebbe non essere necessario se si pensa che Amos non è pedissequarnente legato alle regole della poesia ebraica
5,8-9 Seconda dossologia Dopo il lamento su Israele (5,1-3) e l'esortazione a cercare Dio (5,4-6), il lettore s'imbatte in una dossologia che, per vocabolario e contenuto, è simile alla precedente (4,13), di cui riprende gli attributi divini. Secondo alcuni essa avrebbe forse una migliore collocazione dopo 5,17, visto il brusco stacco che si crea in un contesto di accusa e minaccia. In realtà l'effetto sembra voluto: dopo aver censurato il comportamento d'Israele, il profeta vuole ulteriormente evidenziarne la bassezza, mettendola a confronto con la grandezza di YHWH. L'inno è composto da una prima strofa (v. 8), che costituisce la dossologia vera e propria, come testimoniato dall'esclamazione «YHWH è il suo nome», seguita da un versetto (ridondante rispetto all'inno precedente) giuntoci corrotto (v. 9), difficile da interpretare e che, per il contenuto assai diverso, potrebbe essere un'aggiunta tardiva, tanto più che il brano, così composto, è privo di una conclusione. L'argomento di 5,8 è di sapore sapienziale: come in 4,13, attraverso una serie di participi («che fa», 'ose; «che cambia», hopek; «che convoca», haqqore'), YHwH viene presentato come il Dio creatore e padrone di cielo, terra e mare. Di lui è sottolineata innanzi tutto l'attività creatrice, in particolare del cielo, rappresentato dalle costellazioni di Orione e delle Pleiadi (in 4,13 dei monti e dei venti), poi la signoria sugli elementi creati, la luce e le tenebre (cfr. 4, 13b), nonché le acque (in 4,13b le alture) da lui convocate per essere rovesciate sulla superficie terrestre. Numerosi sono i contesti anticotestamentari nei quali vengono messe a confronto la grandezza di Dio e la potenza distruttrice della sua ira, con la piccolezza e impotenza dell'uomo (in Gb 9,2-13 la creazione delle Pleiadi e di Orione è parte
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che cambia le tenebre in mattino e oscura il giorno in notte, che convoca le acque del mare e le riversa sulla terra, YHWH è il suo nome! 9Lui che rovescia rovina sul potente e la rovina raggiunge la roccaforte. 10ln tribunale detestano chi accusa e aborriscono chi parla rettamente. •!• 5,8-9Testi affini:Am 9,5-6; 4,13; Gb 9,11O; 38,1-41 5,10 In tribunale- L'ebraico ,.!1~ significa «porta»: Amos identifica il luogo in cui si svolgevano le cause con la porta della città (cfr., p. es., Dt 21,19; Is 29,21; Zc 8,16), l'apposito spazio contiguo ali' ingresso delle mura, dove si tenevano le pubbliche riunioni (cfr. !Sam 15,2; 2Re 7,1; Pr 31,23). Chi parla rettamente (C'~t;l ,:;1..!])- Il termine ebraico C'~t;l può avere valenza sostanti-
vale («integrità», cfr. Sir 7,6) o aggettivale («integro», «irreprensibiie»; cfr., p. es., Gen 17, l; Sal 18,2; Pr 2,11 ); in entrambi i casi la locuzione si può rendere con «parla rettamente» o «dice tutta la verità». Secondo qualche studioso potrebbe significare «ii portavoce dell'innocente». La Settanta traduce: «la parola santa» (Myov oowv), presupponendo una vocalizzazione diversa da quella del Testo Masoretico; la traduzione greca intende identificare la rettitudine con la Torà.
della forza divina che, nella sua collera, può sconvolgere il creato; in Is 13,10, nel contesto della punizione di Babilonia e dell'imminente giorno di YHWH, egli cambia la luce degli astri in tenebre ecc.). Inoltre nell'Antico Testamento è presente un nesso simbolico tra elementi naturali e punizione (cfr. le acque del diluvio in Gen 6), così in Am 5,9 l'acqua assume la sua accezione negativa di elemento distruttore. Attraverso un'immagine bellica Dio è descritto come un nemico che rovescia rovina sugli uomini potenti e sulle loro roccaforti, in un'azione punitiva volta a ristabilire la giustizia violata. YHWH è ancora una volta presentato come il signore del cosmo, della storia e dei popoli: la solenne proclamazione «YHWH è il suo nome» (5,8d) è il sigillo su questa immagine. 5,10-13 Secondo annuncio dei peccati Il brano, ritenuto da qualche studioso composto da pensieri originariamente slegati tra loro, è stato redazionalmente ordinato in due stanze (vv. 10-11 e 12-13) di due strofe ciascuna. Le strofe sono disposte in modo concentrico: 5, l Oreca l'accusa in terza persona (A); 5,11 reca l'accusa in seconda persona (B); 5,12a riprende la seconda persona (B'); 5, 12b-13 riprende la terza persona (A). L'unità procede secondo lo schema accusatorio nei confronti di Israele. Le denunce del profeta non sono nuove: recuperano, infatti, le imputazioni contro la classe dirigente o benestante; esse riguardano la perversione della giustizia (5, l O.l2b), lo sfruttamento dei poveri (5,lla), cui seguono minacce di castighi (5,11 bc.l3). Giustizia e diritto. Con un lessico di tipo forense, vengono ribaditi i concetti fondamentali del libro di Amos: giustizia, rettitudine e trasgressione. Sono menzionati il >, Is 13,6 ecc.). La descrizione del «giorno di YHWH» mostra spesso i caratteri delle descrizioni teofaniche: esso è accompagnato da oscurità (GI2,2; Am 5,18-20), dal ruggito del Signore (GI4,16), insieme a elementi che saranno sviluppati dalla tradizione apocalittica, come distruzione e angoscia (Sof l, 7.14). M13, l introduce il ritorno di Elia prima del «giorno grande e terribile del Signore», mentre Sof 2,2.3 estende alla terra intera l'ira del «giorno». In base alle connotazioni che accompagnano il «giorno di YHWH», gli studiosi hanno cercato di individuare l'origine della sua concezione nel culto (come la festa dell'intronizzazione di YHWH), nelle descrizioni bibliche delle teofanie o nelle tradizioni di guerra santa contro le nazioni. Già in Am 5,18 si noterebbe il passaggio
da giorno di ira contro le nazioni, a giudizio contro il popolo eletto: Is 10,3 prospetta un giudizio sui ricchi oppressori dei poveri; Ger 12,3 contro gli empi che prosperano. Si è molto discusso, a proposito della connotazione escatologica del «giorno di YHWH»: vari studiosi concordano nel ritenerla già parte di una concezione presente, ai tempi di Amos, nella fede popolare e il profeta avrebbe semplicemente sintetizzato quel concetto nell' espressione ben nota; altri ritengono che al brano di 5,18-20 manchi il carattere universalistico o, quantomeno, cosmico proprio dell'apocalittica. La minaccia di un giorno di castigo pare in effetti legata alla particolare situazione di Israele in un certo momento storico; essa è finalizzata a rovesciare la confidenza degli Israeliti in un «giorno» di grazia per il popolo e a polarizzare l'attenzione degli uditori sulla presenza di Dio che è al centro della storia.
tra vita e morte del brano precedente ( 5, 16-17) in termini di contrapposizione di luce e tenebre. Il passo di 5,18-20 si compone di tre brevi strofe (vv. 18.19.20) di cui la prima e l 'ultima dovevano originariamente costituire un'unità a sé stante, vista laripetizione di dati lessicali e tematici: in entrambe sono menzionati il contrasto tra luce e tenebre e il giorno di YHWH; 5,19 è, invece, un'inserzione di sapore sapienziale. L 'attesa del giorno. Amos è il primo tra i profeti a menzionare espressamente un giorno del Signore che deve arrivare, come tempo di castigo. Anche se l'origine dell'espressione non è chiara, essa era sicuramente preesistente ad Amos; nell' immaginario collettivo non era caratterizzata come tempo di sofferenza, bensì come il momento in cui Dio avrebbe punito i nemici d'Israele. Probabilmente l'attesa veniva anche fatta oggetto di culto nei grandi santuari (p. es., a Bet-el), come sembra indicare il v. 18 («guai a coloro che bramano [hammit'awwim] il giorno di YHWH!»). Quella degli Israeliti non è una semplice attesa: nei libri anticotestamentari il verbo 'awa (qui nella sua forma participiale all' hitpad) esprime la brama del cibo (Nm 11,34) o dell'acqua (2Sam 23,15), o comunqm' l'ingordigia (Pr 23,3.6); essa è, pertanto, un'attesa accompagnata da desiderio e sicurezza insieme. All'eccessiva confidenza degli Israeliti in questo giorno di vittoria, fa eco l'amara ironia della triplice ripetizione di «giorno di YHWH» associato al grido di morte «guai!». Con una sola esclamazione il profeta sovverte in modo traumatizzante le attese del popolo: al bramato giorno di YHWH non è associata alcuna espressione di lode o celebrazione, ma solo un tonante, tremendo «guai!».
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AMOS5,19
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•:• 5,18-20 Testi affini: Is 13, 1-13; Gl2, 1-2; Sof 1,14-18; Ml3,1-5 5,21 Le vostre feste (c;:,·~.O)- Con il termine JO l' AT designa feste importanti come quella degli Azzimi e della Pasqua (cfr., p. es., Es 10,9; 12,14; 23,14-16) o delle Capanne (cfr., p. es., IRe 8,65; 2Cr 7,8; Ez 45,23). Il contesto di Am 5,21 non specifica di che feste si tratti, però c'è motivo
:
di pensare che si tratti di solennità durante le quali le offerte erano quantitativamente superiori (cfr. la menzione degli olocausti e delle vittime ingrassate nel v. 22). Da notare che il termine ebraico può anche indicare il sacrificio stesso offerto durante la festa. Non mi compiaccio- L'ebraico J'1'i~ significa letteralmente «non annuso».
l't."
Le metafore del giorno. L' ineluttabilità della rovina per chi si macchia di colpe imperdonabili è resa mediante un insegnamento di colore sapienziale (cfr., p. es., Qo l 0,8; Sir 27,26-27), finalizzato a scalzare la falsa sicurezza del popolo e a farle subentrare insicurezza e terrore. Vengono utilizzate due efficaci metafore rappresentanti il «giorno». Nella prima (v. 19), composta da immagini mutuate dali' esperienza di vita agreste del profeta, Israele è assimilato a un uomo perseguitato da una serie di sventure: l'incontro còn un leone, un orso e un serpente. Il ritmo incalzante con cui si susseguono gli avvenimenti è reso da una sequenza di cinque verbi ravvicinati: «fugge», «incappa», «entra», «appoggia», «morde». Come l'uomo riesce a scampare a tutte le sciagure e~ tuttavia, ce ne sarà un 'ultima che lo farà soccombere, così l'impenitente Israele, finora scampata agli interventi correttivi di Dio (cfr. 4,6-11 ), dovrà affrontare, in un giorno stabilito, l'incontro decisivo con il suo Signore (cfr. 4, 12). Il disastro incombe sul colpevole come un nemico nascosto, dal cui agguato nessuno può ritenersi al sicuro. Dio è diventato nemico del suo popolo, perché non ci può essere nulla in comune tra giustizia divina e peccato degli uomini: la prima deve necessariamente distruggere il secondo, insieme alla confidenza ostentata da chi pensa a una divinità quasi obbligata ad assistere sempre e comunque il suo popolo. Questa assurda fiducia è vista dal profeta come una perversione della vera religiosità, per cui occorre ristabilire il giusto rapporto tra giustizia e sovranità di Dio, da un parte, peccato e falsa confidenza del popolo dali' altra. La seconda metafora (vv. 18.20) è espressa dall'antitesi luce-tenebre, un vocabolario che diventerà caro alla letteratura apocalittica. Essa risponde a una domanda retorica («che cosa sarà per voi il giorno di YHwH?», 5,18b), ripresa e rielaborata al v. 20. La risposta suona come una beffa del profeta che, in veste di saggio, sembra ammonire una schiera di persone insipienti dicendo: «Perché aspettate con desiderio quel giorno? Non ne avete motivo».
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AMOS 5,21
Come quando uno fugge da un leone e incappa in un orso, poi entra in casa, appoggia la mano alla parete e lo morde un serpente. 2011 giorno di YHWH non sarà forse tenebra e non luce, oscurità e non chiarore? 21 Detesto, rifiuto le vostre feste, non mi compiaccio delle vostre assemblee; 19
L'immagine antropomorfica della divinità che gradisce come essenza preziosa il fumo dei sacrifici, ricorda i miti del Vicino Oriente antico (cfr. anche Gen 8,2021 ). Le norme liturgiche del Pentateuco offrono i criteri per i quali l'offerta risulta gradita a YHWH (cfr. Lv 1,9.13; 26,31; Es 29,18.25 ecc.); il fatto che ora egli non apprezzi l'odore dei sacrifici è segno che
l'offerente è mancante in qualche modo nel suo dono. Le vostre assemblee (C=?'O"'i~~)- Il termine nl.~-!1 o i1~~-!1 designa un'importante assemblea che si teneva durante la festa delle Capanne (cfr., p. es., Lv 23,36; Dt 16,8; 2Re 10,20), o anche in altre feste e occasioni che richiedevano preghiera, come i periodi di sciagure.
La ripresa dell'argomento in 5,20 produce, nel tono dell'invettiva, l'effetto di un crescendo, intensificato dai paralleli lessicali e stilistici (il binomio tenebre-luce si ripete in 5,18b e 5,20; la menzione del «giorno di YHWH» in 5,18 e 5,20) che lasciano trapelare lo sdegno crescente del profeta. Egli cerca di scuotere l'ottimismo di un popolo che attende l'epifania gloriosa e benefica di YHWH. L'intervento benevolo e la potenza di Dio nel linguaggio biblico sono sempre associati alla luce (cfr., p. es., Is 10,17; 60,1.19; Mi 7,8); questa a sua volta è associata alla vita(cfr. Sal36,10, «perché in te è la fonte della vita, nella tua luce noi vedremo la luce»), mentre la tenebra, al contrario, è associata alla morte o a situazioni dolorose (cfr., p. es., Is 9,1; Gl 2,2; Gb 23, 17). Per Amos la luce è presente solo quando le esigenze morali e la giustizia si affermano sul peccato; purtroppo in Israele trionfano le tenebre dell'ingiustizia e deli' egoismo che oscurano la presenza divina, per cui al posto della vita non rimane che una sentenza di morte: l'atteso giorno di gioia si tramuta in giorno di lutto. 5,21-27 Il rifiuto del culto Con il v. 21 inizia il brano forse più conosciuto del libro di Amos, che tratteggia la più pungente critica al culto presente nella sua predicazione (cfr. 4,4-5; 5,4-5). È, probabilmente, anche la più antica polemica contro la pratica esteriore della religiosità contenuta nei libri biblici. La sezione è generalmente ritenuta composita: la prima parte (5,21-24) è un'unità poetica, con struttura simmetrica, che depreca la prassi di celebrazioni vuote, respinte da Dio; essa è collegata a 5,18-20 in quanto costituisce la motivazione dei castighi in essi prospettati; i vv. 25 e 26, cui si dovrebbe sommare il v. 22a, sarebbero aggiunte posteriori, volte a chiarificare i vv. 21-24; il v. 27 è un annuncio di punizione. Detesto le vostre feste (5,21-25). Il brano si apre con un intervento di YHWH che, in prima persona, rimprovera aspramente il popolo. Che sia parola di Dio e non del
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AMOS5,22
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5,22 Anche se mi offrite olocausti Alcuni studiosi ritengono che l'emistichio (n i';, l) •';,-~';,~~;nl~ •:;,) interrompa il gioco del parallelismo di 5,21-24 e ipotizzano la caduta di un secondo emistichio. Il passaggio dalla prima persona singolare alla seconda plurale e la mancanza del suffisso pronominale a ni';,l) («olocausti») diversamente dal successivo I:I~'D"l~.g~ ... l:l~'~l:t («vostre feste ... vostre assemblee», v. 21) e 1:1~'~'!1? ... I:I~'Dh~~ («vostre offerte ... vostri animali ingrassati», v. 22b) farebbero, piuttosto, pensare alla frase come a una glossa redazionale. Non gradisco(:'!~")~ ~6)- Il verbo :'Il>, (come il verbo n1, hifil del v. 21) è un termine
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tecnico del culto; nelle prescrizioni del Levitico (cfr., p. es., Lv 1,3; 7,18-21; 22,23), indica l'accettazione da parte del sacerdote di una vittima in possesso dei requisiti richiesti. Il sacrificio (c'?W)- Il vocabolo c'?W («sacrificio [pacifico]») di solito ricorre al plurale (cfr., p. es., Lv 3,1.6; Nm 6,7; Dt 27,7; Gs 8,31) e solo questo versetto di Amos ha il singolare; per questo le traduzioni trattano il sostantivo come plurale ed è stato proposto di emendare nella forma di plurale costrutto·~'?~· 5,23 Toglimi... tuoi canti... tue mpe- Risulta strano l 'imperativo ,'?:;t alla seconda persona singolare («togli») dopo i riferimenti alla seconda persona plurale di 5,21-22. Per questo
profeta s'evince con certezza solo alla fine del v. 27, dove s'incontra la formula oracolare «dice YHWH)). C'è un effetto di profondo contrasto creato appositamente tra il lessico del culto, i cui vocaboli sono rigorosamente accompagnati dal suffisso di seconda persona («le vostre feste)), «le vostre assemblee)), «le vostre offerte)), «i vostri animali ingrassati)), «i tuoi canti)), «le tue arpe))), e i verbi utilizzati per descrivere il rifiuto da parte di Dio alla prima persona singolare («detestm), «rifiutm), «non mi compiaccim), «non gradiscm), «non guardm), «non voglio sentire))). In 5,2ll'oggetto del disprezzo divino sono feste importanti per Israele (cfr. Am 8,10; Os 2,13; 9,5) con le loro assemblee solenni (cfr. Lv 23,36; Nm 29,35; Is 1,13; Gl 1,14), celebrate con abbondanza di olocausti, offerte, sacrifici pacifici (cfr. 2Sam 24,25; IRe 9,25; 1Cr 16,1). L'espressione «non gradiscm) mostra Dio stesso che, al posto del sacerdote, rifiuta sacrifici indegni di essere presentati a lui. Per questo le feste degli Israeliti diventano odiose; il verbo «detestare)) (ebraico, sana') è il medesimo che nell'Antico Testamento descrive l'avversione da parte di YHWH nei confronti di coloro che compiono il male (Sal5,6; 11,5) o gli idolatri (Sal31,7). In quest'ottica anche il canto e la musica assembleari (v. 23), di per
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anche se mi offrite olocausti, non gradisco le vostre offerte, non guardo il sacrificio dei vostri animali ingrassati. 23 Toglimi d'intorno il frastuono dei tuoi canti, non voglio sentire la musica delle tue arpe. 24 Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un ruscello perenne. 25 Mi avete forse presentato sacrifici e offerte nel deserto per quarant'anni, casa di Israele?
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molti propongono di emendare in ~1'0i;J («togliete»), mentre alcuni ritengono che il verbo fosse in origine un infinito assoluto. Analogamente i suffissi pronominali singolari nei sostantivi 1'~ («canto») e "?~ («arpa») contrastano con i suffissi di seconda plurale applicati ai sostantivi dei due versi precedenti e si propone di correggerli con il plurale (cfr. la versione CEI: «Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentir! o!»). Tuttavia non occorre adeguare il testo ai suffissi precedenti in quanto l'alternanza singolare-plurale non è insolita negli scritti profeti ci (e più in generale ne li' ebraico biblico). Così intendono anche la Settan-
ta e la Vulgata, che traducono al singolare. 5,24 Come un rosee/lo perenne (1J;1'~ "r:rp) - La perennità attribuita a un corso d'acqua stagionale come il torrente lascia un po' perplessi, tuttavia il significato che l'autore sembra annettere ali' espressione è che la giustizia deve essere una realtà continua e abbondante. 5,25-26 Alcuni studiosi ritengono che i w. 2526 siano una glossa sia perché presentano uno stile in prosa, diverso da quello del contesto immediato (5,21-24; 5,27), sia perché passano a trattare questioni cultuali sullo sfondo della storia di Israele. Si deve anche notare il cambio di soggetto (che non è più YHWH, ma Israele) dei due versetti rispetto a 5,21-24 e 5,27.
sé dilettevoli, diventano per Dio rumore assordante. È il rifiuto totale del culto. La ragione per cui la pratica religiosa d'Israele è intollerabile risiede ancora una volta nella mancanza di integrità del popolo che compone le assemblee liturgiche: ciò che manca è la coerenza di vita degli offerenti. Anche se il luogo di culto ferve di attività, i poveri continuano a subire ingiustizie; questo attesta che la religiosità è falsa. Il v. 24 riprende, come un leitmotiv, il tema del diritto e della giustizia violati per mezzo di un'immagine: ciò che Dio gradisce è lo «scorrere» della legalità (indicata dalla combinazione dei termini «diritto» e «giustizia}>, mispiit u~·daqa) come le acque abbondanti di un corso d'acqua perenne. Il v. 25 è verosimilmente una glossa (cfr. nota) aggiunta per rafforzare l'argomento precedente: in forma di domanda retorica YHwH ricorda al suo popolo che egli preferisce giustizia, onestà e misericordia ai sacrifici, i quali, di per sé non sono sufficienti a mantenere il giusto rapporto con Dio. I quarant'anni dell'esodo rimandano alla logica dell'alleanza: nel deserto non c'era possibilità di fare sacrifici e offerte, ma non per questo l'assistenza di YHWH veniva meno; neppure ora sarebbero necessari se alloro posto si praticassero giustizia e diritto.
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AMOS5,26
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5,26 Voi innalzerete (l:l~N~~~)- Alcuni autori intendono il verbo come un passato («avete innalzato», cfr. versione CEI), verosimilmente sulla scia della Settanta (K'lÌ. àvEMj3HE), altri invece preferiscono la forma verbale futura («voi innalzerete»). Nel primo caso gli lsraeliti avrebbero praticato il culto di una religiosità contaminata con riti pagani, ma questo non pare sia collocabile nel passato evocato dal v. 25, dato che il tempo del deserto era un tempo in cui non era possibile offrire sacrifici. Bisognerebbe allora pensare a un passato più vicino al profeta e a gesti che sarebbero tra le cause del futuro esilio di Israele (v. 27a). Nel caso si traduca invece al futuro, si intende il v. 26 coordinato al v. 27, cosicché l'innalzamento delle divinità astrali non è la causa, ma diventa il castigo che gli Israeliti subiranno in terra straniera. Questa interpretazione è da preferire per il fatto che nella predicazione di Amos il peccato degli Israeliti non sembra
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mai essere l'idolatria, bensì l'incoerenza tra vita e religiosità; l'idolatria diventa, piuttosto, una punizione: quella di non servire più YHWH unico vero Dio. Sikkut vostro re (l:l:::J=?S~ m:lt;)) - Supponendo che n~:lt;l sia il nome di una divinità, mutuato dall'accadico, dovrebbe allora essere vocalizzato n~:l!;l. Secondo Wolff, il Testo Masoretico «intende probabilmente ricordare al lettore il termine r~P~ j~ :l~J!I? :n~6m ì'V 'r-tìlOi11 IT
6,6 Vìno in crateri (1;; 'i'l\Of) - Anche se i termini Pl\0 e 1:; si trovano varie volte separatamente neli' AT, la loro combinazione si ha soltanto qui. Pl\0 si incontra nella descrizione di riti sacri come largo recipiente per contenere il sangue di animali o le offerte di farina e olio. Qui ciò che viene messo in evidenza non è la sacralità dei vasi (nel qual caso si dovrebbe supporre un atteggiamento blasfemo da parte dei commensali), ma la loro capienza, per sottolineare la quantità di vino conswnata. 6,7 Deportati (C'~j) - È participio qal di i1"l («andare in esilio»), hapax che ricorre soltanto in questo versetto; è stato usato verosimilmente per omologarlo ai sette participi presenti in 6,1-7. •!• 6,1-7 Testi affini: Is 47; Ger 17,10-11; Am 3,13-15; Sof 1,14-18
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6,8 Per la sua vita - Le traduzioni spesso rendono il!iE?~f con «per se stesso» (così la versione CEI), probabilmente seguendo la versione dei Settanta (Koc9' Eocutoù), ma l'interpretazione in senso riflessivo di l!i!:il toglie al giuramento la sfumatura volitiva, che l'espressione reca in questo contesto. Il fasto di Giacobbe (:lp P,; li~~) - Nella Bibbia ebraica il sostantivo li~~ ha due possibili significati: quello positivo di «altezza», «maestosità» (Gb 40, IO; Is 13, 19) o «ciò di cui gloriarsi/vantarsi»; quello negativo di «superbia», «arroganza», «orgoglio», che accompagna nomi di città (Ger 13,9), di paesi (Is 16,6) e nazioni (Os 5,5; 7,10). Esso è anche utilizzato in riferimento a YHWH per indicarne l'aspetto maestoso o la potenza (Es 15,7; Is 2,10; Mi 5,3). Il sintagma
La motivazione della punizione è sintetizzata in un lapidario emistichio: «ma non soffrono per la rovina di Giuseppe)) (6,6b); solo a questo punto giunge l'oracolo di sventura riguardante l'esilio. Il fatto che 6,6b sia una probabile glossa è una conferma del piano teologico del redattore: esso suona come l'interpretazione dell'intero brano. 6,8-14 Il castigo di Israele La profezia che annuncia il castigo appare solennemente incorniciata dalla formula «oracolo di YHWH, Dio degli eserciti)) (6,8.14; cfr. anche 3,13), che ha la funzione di unificare l'intero brano. Questo in realtà non appare omogeneo: 6,8, in cui Dio in prima persona annuncia il castigo, si propone come una unità completa in sé, con i tratti dell'oracolo; i vv. 9-10, che mal si collegano al v. 8, sono scritti in prosa, al di fuori del parallelismo dei membri, uno stile non consono al profeta Amos. Dio non parla più in prima persona, anzi si parla di lui alla terza persona. Questa breve unità è una specie di enigmatico racconto sulla misera sorte che toccherà all'intera nazione, qui
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AMOS6,8
che bevono vino in crateri e si ungono con unguenti raffinati, ma non soffrono per la rovina di Giuseppe. 7 Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà la baldoria degli sdraiati. 811 Signore YHWH ha giurato per la sua vita- oracolo di YHWH, Dio degli eserciti -: «lo ·aborrisco, il fasto di Giacobbe e detesto i suoi palazzi. Consegnerò la città e ciò che contiene». 6
:lp~~ ]iN~ («i' orgoglio di Giacobbe») definisce, talora, la terra di Israele, amata da Dio (Sal47,5), di cui egli si prende cura (N a 2,3). Tuttavia in Am 6,8, esso è inserito in un contesto (vv. 8-14) che annuncia un castigo da parte di YHWH incombente sulla città ornata di splendidi palazzi; quello che costituisce il vanto di Giacobbe è, dunque, identificato con una realtà negativa, meritevole di punizione. Qui si è preferito rendere ]iN~ con «fasto» che è comprensivo anche della vita condotta nel lusso dai notabili del paese. lo aborrisco' (':l~ :l~)- Di per sé il verbo :::lNn significa «desiderare», ma forse proprio in ragione del contesto le versioni preferiscono tradurre sostituendolo con quello assai simile :::ll1n («aborrire}}), già presente in Am 5, l O(la Settanta traduce p&J..oooOfl!U, «provo c
disgustm} e la Vulgata similmente detestar). Il verbo :::lNn potrebbe essere stato usato dal copista come eufemismo al posto di :::ll1n, in quanto :lp~~ ]iN~ (cfr. nota precedente), qui oggetto del disgusto, è espressione utilizzata altrove (8,7), per definire lo stesso YHWH. Aborrisco' ... detesto ('I:'IN~~ ... '=;lil;t :::ll!:tr;'l~) - La medesima combinazione dei verbi :::llln (cfr. nota precedente) e NJ~ ricorre in 5,10 per esprimere l'avversione che i malvagi provano verso i testimoni veritieri in tribunale. Il linguaggio è sapienziale e si trova ripetutamente nel libro dei Proverbi: p. es., in Pr 6, 16 esprime l'avversione di Dio verso gli uomini che si macchiano di alcuni odiosi peccati (alterigia, menzogna, omicidio di innocenti). Consegnerò ('M"H9i11)- Il verbo 1JO è usac
rappresentata da una famiglia decimata, forse, dalla pestilenza. 6, 11 è il frammento di un oracolo di sventura che vari studiosi attribuiscono alla predicazione originaria di Amos. 6, 12 è una breve profezia composta da domande retoriche di stile sapienziale che introducono l'accusa contro il comportamento d'Israele. 6,13 è un probabile frammento di un altro breve oracolo che sottolinea la vanità dell'appoggiarsi su ciò che è effimero: ricchezza, piacere, potere. 6,14 riprende l'annuncio del castigo del v. 8, di cui ripete la formula «oracolo di YHWH, Dio degli eserciti>>, e contiene la descrizione, espressa in prima persona dal Signore, di quanto accadrà alla «casa di Israele». Il Signore ha giurato (6,8). Per tre volte nel libro del profeta Amos si menziona un giuramento di YHWH («per la sua santità», 4,2; «per la sua vita», 6,8; «per l'orgoglio di Giacobbe», 8,7). La cosa non è insolita: spesso Dio giura per ciò che egli è. Questa dichiarazione da parte della divinità mostra la pregnanza del suo valore se si tiene conto che in Israele quando Dio giura significa che egli impegna tutta la
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AMOS6,9
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to in Am 1,6.9 per indicare il crimine di deportazione commesso dai Filistei e dai Fenici, ma è anche usato in Dt 32,30 per indicare l'abbandono del suo popolo da parte di Dio, in modo che sia sopraffatto dai nemici. 6,10 Lo prenderanno il suo parente e il crematore per portare fuori di casa le ossa (C'O~~ l('lliil';' i!:ll9t?~ iiii Ìl(9~~) - Il versetto appare molto corrotto e non sembra avere un legame logico con quello che precede né con quello che segue. Non si comprende bene quale sia il soggetto del verbo l(tliJ (potrebbe essere un parente che svolge contemporaneamente la funzione di
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crematore o potrebbero essere due persone), né a chi si riferisca il pronome oggetto (in ebraico suffisso al verbo) che, peraltro, è espresso al singolare. Qui si è cercato di fornire una traduzione che non si allontani troppo dall'originale. La situazione potrebbe essere quella di una epidemia che renderebbe necessaria la cremazione dei cadaveri. L'emistichio è reso dalla Settanta: «quelli della loro casa prenderanno e faranno pressione» (Ko:L À~i.J.lJlovtm oL OLKELOL o:ùtwv K(xL 1TO:papLwvto:L ). Questa lettura presuppone il verbo ~1(~~1 al posto di Ìl(~m, evitando la difficoltà presentata dal suffisso di terza persona singolare, che non ha alcun
sua persona per garantire la fedeltà alle promesse (Gn 26,3), all'alleanza (Dt 4,31) o per convalidare la sua parola (Ez 20,3). InAm 4,2; 6,8; 8,7 Dio giura per convalidare il suo giudizio sul peccato del popolo e preannunciame il castigo irrevocabile chiamando a garante la sua stessa vita. Siccome egli è incommensurabilmente più grande dell'uomo e non può mentire, l'effetto che deriva dal suo giuramento è il senso dell'ineluttabilità del castigo, con il grande sgomento che esso comporta. Due verbi molto forti, posti in parallelo, esprimono i sentimenti che muovono il proposito divino di distruzione: «aborrire» (cfr. nota) e «detestare», «odiare». Nel nostro versetto l'oggetto del disgusto di Dio è «il fasto di Giacobbe», espressione che, in questo contesto, sintetizza arroganza, superbia, avidità, presenti nella ricca classe dirigente, la cui manifestazione più concreta è visibile nel lusso e nella grandezza dei suoi palazzi. Il segno che YHWH abbatterà il peccato che in essi si perpetra sarà proprio la loro devastazione da parte di un nemico da lui inviato. Immagine di morte (6,9-11 ). A questo punto il profeta indugia nella descrizione della devastazione totale, che coglierà Israele; l'immagine è quella di una città
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AMOS 6,12
Se sopravvivranno dieci uomini in una casa, moriranno; 10lo prenderanno il suo parente e il crematore per portare fuori di casa le ossa; dirà a chi è negli angoli remoti della casa: «Ce ne sono altri con te?». (L'altro) risponderà: «Nessuno». Ed egli dirà: «Zitto!, perché non si deve menzionare il nome di YHWH». 11 Poiché, ecco, YHWH comanda: ridurrà la casa grande in macerie, la casa piccola in calcinacci. 12Forse i cavalli corrono sulla roccia o si ara 'il mare con i buoi,? 9
sostantivo precedente con cui concordare. iEl"')91? (dal significato, peraltro, incerto) viene letto presupponendo l'ebraico ~iJ:Ifil1 («e faranno pressione»), che intende evitare l'idea della cremazione, non certo comune né conveniente in Israele. Dirà a chi è negli angoli remoti ... (L 'altro) risponderà ... ( .. .i~~1 ... 'l}=f'"')~:l i W~~ i~~1) -Non è chiaro quali siano i personaggi protagonisti del dialogo, per questo si è cercato di tradurre il più letteralmente possibile, aggiungendo solo un soggetto al secondo i~~1 per dare l'idea della conversazione. Perché non si deve menzionare il nome di YHWH (:"!~:"!~ OW~ i':l\07 N~ '~)-Non si
comprende se la frase sia pronunciata da uno dei dialoganti o se sia una nota del!' editore. Sembra opportuno metterla sulle labbra di uno dei due personaggi che dialogano. 6,12 O si ara 'il mare con i buoi'? -Il plurale O'i i?"? pone qualche difficoltà interpretativa perché il sostantivo il? f, di per sé, non dovrebbe assumere la desinenza plurale essendo un nome collettivo. Accogliamo, con la maggior parte dei traduttori, la proposta di emendare in ii?f~ («con la mandria il mare»), in modo che l'emistichio risulti in parallelismo antinomico con quello precedente. Alcuni mantengono, invece, il plura-
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desolata forse per una pestilenza: il peccato di una parte della società ha attirato la sventura sull'intera città. L'Antico Testamento è ricco di esemplificazioni di ciò; si pensi al peccato del re David che, nella pretesa di censire il popolo (2Sam 24), attira il castigo di YHWH sull'intera nazione, la quale ne esce decimata. La lugubre immagine di una casa pressoché disabitata, visitata dai necrofori, che prelevano cadaveri insieme a un unico familiare superstite, rende con forza il motivo del «piccolo resto». Il tema non è estraneo alla predicazione dei profeti (cfr., p. es., Is 4,3; 37,31; Mi 4,7; Zc 8,11), ma sulla bocca di Amos acquista una nota di radicalità (cfr. Am 2,13-16; 9,1-4): anche se di una famiglia restassero solo dieci persone, neppure quelle avrebbero un futuro: tutti sono destinati alla morte, perché Y HWH ha decretato la distruzione totale (6, 11 ). Dio è diventato un nemico, di cui non si può neppure pronunciare il nome (6, l 0), perché risponderà solo con sciagura e rovina. Nel messaggio di Amos neppure i popoli stranieri avranno un «resto» (l ,8) e, anche se qualcuno d'Israele resterà in vita, non avrà un futuro di pace ma l'esilio (4,3). Rinnovate accuse e minacce (6,12-14). I vv. 12-14 contengono rinnovate
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AMOS 6,13
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le C',i?~~ per armonizzare con t:l'!;I~O («cavalli») dell'emistichio precedente; tuttavia il plurale di ,i?~ nelle sue, pur rarissime, attestazioni significa «mandrie» (Ne 10,37), termine che, nel nostro contesto, sarebbe quantomeno forzato. Qui si ritiene, inoltre, che il parallelismo antinomico sia tra «roccia» e «mare» e non tra le due specie animali. Seguendo il Testo Masoretico si dovrebbe tradurre: «o si ara con le mandrie»?
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6,13 Per Lodebar (,?l N"~) - È, forse, il nome di una città di Ghil'ad in Transgiordania, menzionata con diverse grafie nei libri storici dell'AT (cfr. Gs 13,26 [,:n"J; 2Sam 9,4.5 [,?l i"]; 17,27 [,?"'116]). L~ Settanta traduce: «nel nulla» (Én' oò&v(), rendendo alla lettera il gioco di parole del Testo Mapuò significare soretico, per il quale ,?l «nulla». Così anche la Vulgata (in nihili). L'interpretazione delle due versioni antiche sottolinea la mal riposta fiducia degli Israe-
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accuse contro gli Israeliti ( 6,12-13) e un 'ulteriore predizione di castigo. Un'interrogativa retorica introduce un paragone di sapore sapienziale: come i cavalli che corrono sulla roccia subiscono danno, perché compiono una cosa contraria alle leggi naturali, e come è inutile, anzi assurdo, pretendere di arare il mare, così i capi di Samaria hanno compiuto la follia di pervertire il diritto. La corruzione del diritto riprende l'espressione di 5,7 con più forza: «ma voi avete mutato il diritto in veleno e il frutto della giustizia in assenzio»; giustizia e diritto non sono solo disprezzati o fonti di amarezza, essi sono diventati «veleno» che uccide. A essere distrutti sono i fondamenti della società civile: legge, ordine, uguaglianza e con essi il rapporto di amicizia con Dio. Il v. 13 si presenta un po' enigmatico, sia perché è un probabile frammento di un ulteriore breve oracolo che doveva iniziare con un altro «guai» (cfr. 5,18; 6,1), sia per l'ambiguità del termine Lodebar. Il sostantivo potrebbe essere un gioco di parole architettato ad arte per esprimere «il nulla», dato che è scritto come l'espressione lo' dii bar (che significa «non parola» o «non cosa»). Tuttavia a questo toponimo la storia d'Israele non lega alcun vanto particolare, p. es., per le vittorie sul nemico. Da parte sua l'ebraico qarniiyim può indicare, oltre che una
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Ma voi avete mutato il diritto in veleno e il frutto della giustizia . . m assenziO. 13 Voi vi rallegrate per Lodebar e dite: «Non è per la nostra forza che ci siamo presi Qarnayim?». 14Ma ora io suscito contro di voi, casa di Israele - un popolo oracolo di YHWH, Dio degli esercitiche vi schiaccerà dall'ingresso di ijamat al torrente dell'Araba.
liti in ciò che non conta (ricchezze, piacere, potere ecc.). È per la nostra forza che ci siamo presi Qarnayim (c:ni? 1J7 1Jt}R.7 1JpTt;t~) Anche in questo caso le versioni antiche giocano sul significato etimologico del nome proprio di località Qarnayim («corna»). La Settanta traduce: «forse che con la nostra forza non abbiamo corna?» (oÙK Èv t'(ì toxuL ~f!WV EOXOf!EV Kfpam); la Vulgata similmente: «forse che con la
nostra forza non ci siamo presi delle corna?» (numquid non in fortitudine nostra adsumpsimus nobis cornua). È bene ricordare che, presso le civiltà del Vicino Oriente antico, alle corna era attribuito il significato simbolico di «forza», «potenza», «dignità». Anche le versioni greca e latina intendono polemizzare con l'eccessiva confidenza che gli lsraeliti pongono nella loro forza, allontanandosi dalla fiducia in YHWH.
località, le due coma di animali, nell'Antico Testamento simbolo di forza, potenza, maestà, riferite alla divinità (2Sam 22,3 Il Sal 18,3; Ab 3,4) o agli uomini (1Sam 2,10; Sal 148,14; Ger 48,25 ecc.). La sottolineatura del versetto pare, dunque, andare sulla mal riposta fiducia degli Israeliti in ciò che non conta: le ricchezze di cui si circondano, il piacere del quale si dilettano, il potere che esercitano in particolare nei confronti dei più deboli. Nell'espressione che introduce il v. 14 (ki hineni, «ma ora io») sembra concentrarsi tutto lo sdegno di YHWH, che passa al contrattacco nei confronti di Samaria. Al vanto degli Israeliti espresso nel v. 13, Dio risponde con l'autorità del sovrano che può mandare in campo un esercito così potente da sopraffare e distruggere l'intera nazione. Non c'è unanimità tra gli studiosi nell'identificare le località di ijamat e del torrente dell'Araba che designerebbero, comunque, le estremità del regno d'Israele (cfr. 2Re 14,25). La profezia non sta descrivendo i termini reali di un 'invasione forse già subita da Samaria al momento della sua redazione; del resto non è neppure specificata l 'identità del popolo invasore. Il versetto semplicemente riprende e specifica la minaccia di 6, 7 .8c, evidenziandone il carattere disastroso che si concretizzerà con l'esilio.
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AMOS7,1
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7
:1?'#D ';!). il)~ Wi??-il~~1 Wi?~D ni?P. 7,1 Stava formando (i~i' ill.i:11) -Alla lettera: «ed ecco un formante». Il participio i~i', di per sé atemporale, non aiuta a comprendere quale sia il soggetto del «formare»; per attribuire chiaramente a Dio l'azione, la frase ebraica dovrebbe avere m;,• dopo :"TJ.:"T1, oppure ,ill_;"T1 («ecco lui») invece del semplice :-tm1. Sulla scia della Settanta (che ha ETTL yovf]), è stato proposto di emendare il participio in i~'- («specie»; la frase sarebbe: «ed ecco una specie di cavallette ... »); altri suggeriscono la lettura llt~i· («uscivano»). Qui
si ritiene che non ci siano elementi sufficienti per giungere in qualche modo a congetturare un testo differente da quello pervenutoci; si preferisce, pertanto, mantenere la traduzione più logicamente vicina al senso probabile della visione. Uno sciame di cavallette- L'ebraico •;~ è un termine raro che ricorre solo due volte nell' AT (qui e in N a 3, 17), probabilmente indica voraci cavallette di piccole dimensioni; in Am 4,9 il vocabolo impiegato per indicare le cavallette è CH; cfr. Gl l ,4.
LE VISIONI: LA FINE DELLA CASA DI ISRAELE (7,1-9,10) La terza parte del libro di Amos è da molti chiamata «il libro delle visioni», in quanto è interamente dominata da cinque visioni che il profeta ebbe riguardo la fine d 'Israele e da lui narrate in prima persona. Come per altri profeti (cfr. Ger l, 1116; Is 6,1-13; Ez 1,4-28; 37,1-14; Zc 1,8-6,8 ecc.) esse sono uno strumento scelto da Dio (cfr. quanto già esposto neli' introduzione) per comunicare i propri piani al suo inviato, mediatore tra lui e il popolo (cfr. Am 3,7). Gli studiosi generalmente concordano sul fatto che le visioni di Amos cronologicamente abbiano preceduto la missione attiva del profeta, anzi siano state la molla della sua predicazione. Le prime tre visioni sono scritte in prosa (7,1-3; 7,4-6; 7,7-9), la quarta in poesia (8, 1-3). Analogie di struttura, contenuti e vocabolario fanno sì che procedano appaiate (prima e seconda; terza e quarta visione). Tra la terza e la quarta visione coloro che hanno composto e tramandato il libro hanno inserito l'alterco del profeta Amos con il sacerdote Amazya (7,10-18), scritto in prosa e raccontato in terza persona. La quinta visione (9, 1-4) mostra la distruzione del tempio e dell'altare e si presenta a sé stante, sia perché differisce dalle altre per forma, lunghezza e contenuto, sia perché ne è separata da una collezione di oracoli (8,4-14). Questo ha fatto nascere in molti studiosi il dubbio che le cinque visioni non fossero inizialmente concepite come una composizione unitaria. Il tema unificatore, costituito dalla prospettiva del giudizio finale su Israele, viene introdotto gradualmente, in un crescendo che parte dali 'intercessione del profeta, lasciando ancora aperta la porta alla misericordia divina, per giungere alla decisione di YHWH di negare definitivamente il perdono. Il culmine è rappresentato dalla quinta visione che annuncia la rottura completa del rapporto di Dio con il popolo, rappresentato dal crollo del santuario.
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AMOS 7,1
7
Questo mi mostrò il Signore YHWH: stava formando uno sciame di cavallette, quando cominciava a germogliare l'ultima semina -l'ultima semina viene dopo le mietiture del re. 1
L 'ultima semina viene dopo le mietiture del re (lS.T?iJ -~~ iJ:tl5 tllpS.-i1m1) -Per alcuni commentatori la frase è un'aggiunta tardiva conservata, oltretutto, in un modo che ne rende difficile la lettura. L 'ultima semina - È il senso probabile del termine t!ip'?. che ricorre solo in questo versetto; il verbo simile llip'? significa «racimolare uva)) in Gb 24,6. Mietiture - Il sostantivo q può indicare la «tosatura)) delle pecore (Dt 18,4; Gb 31 ,20), come il verbo m a cui è etimologicamente
collegato (cfr., p. es., Gn 38,12.13; lSam 25,2.4.7); nel Sal 72,6 il contesto sembra richiedere per il sostantivo il significato di «erba (falciata))) e questo sembra confermarne l'interpretazione come «falciatura)), «mietitura)) in Amos. Siccome l' AT non dà notizia di falciature d'erba in favore del sovrano, alcuni studiosi ritengono il senso del versetto ironico, identificando la «tosatura)) per il re con le imposte da pagare: l'insieme di tasse e l'invasione di cavallette porterebbero a uno stato di devastazione completa.
Il numero delle visioni richiama significativamente i cinque castighi descritti al c. 4 e, come quel capitolo, anche il c. 9 si chiude con una dossologia: 9,5-6, cui segue un'aggiunta sulla fine dei peccatori (9, 7-l 0). 7,1-3 Prima visione: minaccia delle cavallette La formula iniziale («questo mi mostrò il Signore YHWH») fa pensare che fosse parte della predicazione originaria del profeta. Essa si ripete in 7,4, in 8,1 e, in modo leggermente modificato, anche in 7,7, fungendo da legame tra le prime quattro visioni. Le due visioni della prima coppia (7, 1-3 e 7,4-6) contengono una minaccia di punizione rappresentata rispettivamente dalle cavallette e dal fuoco; in entrambe segue l'intercessione del profeta in favore d'Israele, quindi il pentimento di Dio riguardo al male minacciato. 7,1-2a L 'invasione di cavallette La prima visione mostra un'invasione di locuste, un fenomeno conosciuto nei paesi del Vicino Oriente antico. Il racconto dell'invasione delle cavallette ricorda per molti aspetti la narrazione della piaga con la quale fu colpito l'Egitto (Es l O, 12-15): in entrambi i racconti è presente la volontà divina di inviare gli insetti; entrambi contengono una richiesta di perdono (in Es l O, 16-17 da parte del faraone e inAm 7,2 da parte del profeta), infine in entrambi Dio recede dal suo proposito di sterminio. Partendo dali' osservazione dei risultati devastanti del loro passaggio, i popoli orientali consideravano le cavallette un castigo divino. Da questo assunto non si discosta Amos, che mostra Dio impegnato nell'atto di creare appositamente uno sciame ordinato a devastare la vegetazione del paese (il verbo utilizzato,ytl5ar, compare in Gen 2,7.8 per descrivere la creazione deli 'uomo). La catastrofe che ne risulta è tanto più grave in quanto sarà distrutto il secondo e ultimo raccolto dell'anno (dopo quello destinato al re), unica fonte di sostentamento
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AMOS 7,2
l'l*i! ::~.w;rn~ '~i:J~~ l-17:;3-o~ i1:i!12 :N1i;ll\?i7 'f. :J.~P,~ 01i?; '9 N~-n?ç h1i1~ '}."T~ 10Nl :i11i1' 1T.JN i1'i1n ~6 nNt-~l' i11i1' onJ 3 IT
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7,2 Suona un po' strano il i1~;:r1 iniziale (da non tradurre in italiano) che di per sé introdurrebbe una narrazione al futuro; per questo alcuni traduttori considerano la forma verbale come se fosse una cattiva lettura di 'i1:1, la forma che introduce abitualmente una narrazione al passato. La Settanta, però, con K>) conferma il Testo Masoretico.
Quando (lo sciame) terminò di divorare ('?i::ll;t~ i17:n::lt:t)- Alcuni studiosi propongono di emendare il testo in '?i::ll;t~ il~~'? ~i1 interpretando il participio in senso durativo («egli stava terminando di divorare»), che tuttavia contraddice il significato del verbo i!'?::l («completare»). Dato che nel versetto
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precedente la visione è introdotta come un avvenimento passato, è forse meglio attenersi al significato letterale del verbo al qatal (i17~ ): «quando terminò». All'obiezione di coloro che considerano un'incongruenza porre l'in~ tercessione del profeta dopo che la vegetazione del paese ha subito una distruzione totale, si può rispondere che la visione non è una realtà in atto, ma è semplicemente una minaccia, che può essere stornata dali' intercessione. •!• 7,1-3 Testi affini: Dt28,38-39; 011,4-7; 2,3-9 7,4 Chiamava a contesa mediante il jùoco (llil9 ~1.\')- Nell'AT l'espressione -:.1'{ ~l~ è insolita, in quanto nella Bibbia ebraica Dio non chiama a contesa il suo popolo o
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per il nutrimento del popolo. Al v. 2l'atmosfera diventa più cupa: le cavallette hanno quasi portato a termine la loro opera distruttiva. Il vocabolo qui usato per indicare la vegetazione è 'eseb, che indica ogni germoglio verde e comprende, pertanto, anche il foraggio per il bestiame. Non solo le persone saranno colpite, ma anche gli animali. 7,2b L 'intercessione del profeta A questo punto inizia l'intercessione del profeta, con una richiesta di perdono, che è confessione del peccato del popolo. Il gesto accomuna Amos agli inviati «speciali» di Dio, come Mosè (Nm 14,19-20; cfr. Dt29,19) o come i salmisti che fanno appello all'amore divino (Sal 25,11; 86,5) per ottenere misericordia. La motivazione della richiesta è presentata attraverso un'accorata domanda retorica, «come potrà sussistere Giacobbe, così piccolo?», quasi un grido, mosso dali 'inquietudine di chi vede giungere un tragico destino. Non è chiaro perché il profeta usi per Israele il nome «Giacobbe»: forse è un ultimo tentativo da parte di Amos di ricordare a Dio che, tutto sommato, quel popolo infedele è stato oggetto della sua elezione; non è neppure chiaro che significhi la sua «piccolezza»: essa può semplicemente mettere in evidenza, per contrasto, la grandezza di YHWH, oppure, nella distruzione prospettata, il profeta vede annunciata la fine di tanti inermi e poveri innocenti che egli cerca istintivamente di stornare. 7,3 Il pentimento di Dio La conclusione è il «pentimento di Dio». Non è insolito attribuire alla divinità la possibilità di recedere dal proposito di un male minacciato (cfr., p. es., Es 32,14;
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AMOS7,4
Quando (lo sciame) terminò di divorare l'erba della regione, io dissi: «Signore mio YHWH, perdona! Come potrà sussistere Giacobbe, così piccolo?». 3YHWH si pentì di ciò: «Non avverrà», disse YHWH.
2
4Questo
mi mostrò il Signore YHwH: il Signore YHWH chiamava a contesa mediante il fuoco,
altri; piuttosto la contesa è in atto (i11;-r:~ :l") ':l, «perché YHWH ha una contesa>>, Ger 25,31; Os 4, l; Mi 6,2). Un problema è suscitato dal :l che accompagna l!il( («con il fuoco»), in quanto nel linguaggio forense il :l introduce la parte accusata (cfr., p. es., Gen 31 ,36; Os 2,4) e non uno strumento. Alcuni traduttori suggeriscono di emendare l!il(~ :l")~ in l!il( n?~ («una fiamma di fuoco»); l'idea sarebbe che Dio chiama contro il suo popolo il fuoco. Un'altra correzione simile propone la lettura l!il( :::l':;.ì':! (-m) - n termine niì•tli è un hapax sulla Bibbia. Da molti viene tradotto «canti» (cfr. versione C El) come se fosse il plurale del sostantivo femminile iiJ'tD («canzone», Es 15,1; 2Sam 22,1; Dt31,19); tuttavia questo
8,1-3 Quarta visione: è maturata la fine per Israele La struttura della quarta visione è simile a quella della terza: è introdotta dalla formula: «Questo mi mostrò il Signore Y HWH» (cfr. 7, l; 7,4 ), cui segue l'oggetto della visione, oggetto di dialogo tra Dio e il profeta (vv. 1-2); infine è sviluppato il tema della punizione, cui segue un invito al silenzio (v. 3). 8,1-2 Il canestro di frutta matura Il centro della visione non è, come nelle precedenti, un'azione in divenire, ma è un oggetto che viene mostrato: un canestro di frutta matura. C'è un gioco di parole tra qiryi$ («estate» o «frutta d'estate») e qè$ («fine»), che somigliano sia nella grafia sia nel suono, pur derivando da radici diverse. L'estate in Israele era un tempo di gioia: la raccolta dei frutti estivi aveva dato origine alla lieta festa del ringraziamento, la festa delle Settimane, che si esprimeva nel canto e nella danza. Un canestro di frutta matura evocava, dunque, nell'immediato, un senso di gioia, in quanto simbolo di abbondanza e benedizione. In 8,2c giunge, invece, a sorpresa l'interpretazione da parte di YHwH: il popolo d'Israele è assimilato alla frutta che viene raccolta e riposta in un canestro. L'immagine della raccolta di frutti o della messe è presente altrove nella Bibbia per indicare il giudizio di Y HWH (cfr., p. es., Is 17 ,5; Os 6, Il; Gl4, 13): Israele è assimilato a quella frutta giunta a maturazione, che viene staccata dal ramo perché ha terminato il suo ciclo naturale ed è destinata a essere consumata, oppure a marcire in breve tempo. Il senso dell'interpretazione è chiaro: il tempo
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AMOS 8,3
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'Questo mi mostrò il Signore YHwH: un canestro di frutta matura. 2Disse: «Che cosa vedi, Amos?>>. Io dissi: «Un canestro di frutta matura». YHWH mi disse: «È maturata la fine del mio popolo Israele; non gli perdonerò più». 3Faranno lamento rle cantanti' del palazzo in quel giorno. Oracolo del Signore YHWH. Sono molti i cadaveri, r gettati' dappertutto. Silenzio! termine non si incontra altrove al plurale nell' AT e neppure in Am 5,23 e 8, IO, che utilizzano il plurale di 1'tD («canto») maschile. Per questo motivo molti studiosi propongono di emendare ni1'lli in ni1tp, che indica le cantanti di palazzo, alle quali spettava anche il compito di intonare lamenti. Il termine ni1tp compare insieme al maschile C'"')tp in 2Sam 19,36; Qo 2,8 nel senso di «cantanti» in generale e in 2Cr 35,25, dove insieme ai colleghi uomini, intonano canti funebri sul re di Giuda. Entrambe le categorie erano forse parte del personale di corte. Data anche l'improbabilità che il termine «canti» possa essere il soggetto del verbo 1'?' ?-iT) («faranno
lamento»), qui si opta per accogliere la correzione in ni1tp, con il senso di «donne cantanti». I cadaveri- Il termine 1~;:1 è di per sé singolare, ma appare evidente che si debba interpretare come un collettivo, secondo un uso attestato anche altrovenell'AT(cfr.!Sam 17,46;Na3,3). •Gettatf -Il verbo T'?lli0 di per sé è un qatal hifil, mancante sia di un soggetto sia di un oggetto. Vari traduttori propongono di emendare la forma in un imperativo («gettate [i cadaveri]») o nella forma passiva hofai, il cui soggetto collettivo (cfr. lSam 17,46; Na 3,3) sarebbero i cadaveri («molti cadaveri sono gettati dappertutto»). C'è anche chi ipotizza
per la conversione di Israele è scaduto e il tempo della misericordia di Dio è finito («non gli perdonerò più»; cfr. 7,8b); non c'e più spazio per il perdono, non c'è più spazio nemmeno per l'intercessione del profeta, che ormai tace. 8,3a Il castigo Non si dice come e quando avverrà il castigo, viene solo offerta una breve sequenza di immagini vivide e incisive che ne mostrano le conseguenze: lamento al posto dei canti di gioia e cadaveri sparsi dappertutto al posto dell'abbondanza. Il termine ebraico hekiil può indicare sia il tempio sia il palazzo: entrambi i significati paiono adeguati nel nostro contesto. Se si tiene conto della minaccia di Dio ai santuari (7 ,9; 7, 17) e del ripudio del culto d 'Israele (5,21-23 ), i canti che si tramutano in lamento sono quelli di gioia del tempio; se invece si tiene conto delle minacce alla casa regnante (7 ,9b.11 ), i canti sono quelli che allietavano le feste di palazzo. È probabile che l'ambiguità sia voluta. Amos sta, dunque, presentando la decimazione del popolo e il lutto che ne consegue. È fissato il momento in cui tutto accadrà: «in quel giorno». Nella letteratura profetica l'espressione indica spesso il «giorno di YHWH» (cfr., p. es., Is 13,6; Ger 4,8-9; Gl1, 15), giorno di castigo e vendetta, giorno di sofferenza e pianto; in Amos compare anche in 2, 16, dove annuncia il carattere definitivo della punizione che sta per giungere. 8,3b Il silenzio L'oracolo si conclude con un'interiezione: «Silenzio!» (hiis). Non si sa da chi sia pronunciata la parola, non si sa neppure se sia un'intimazione a tacere o una
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AMOS 8,4
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la caduta di qualche parola, o per lo meno di un pronome, proponendo di emendare in C?'"tfii1 («li ha gettati») o in C:;J'"9l:.t («li getterò [fuori]»). Ritenendo, comunque, impossibile una traduzione letterale o l'apporto di emendamenti adeguati, qui si preferisce conferire al verbo un'inflessione passiva, cosicché lo stico viene tradotto con: «sono molti i cadaveri, ·gettati' dappertutto». La Settanta sposta il verbo facendolo reggente di un oggetto della frase che segue: «Sono molti i caduti dappertutto. Farò cadere il silenzio» ( TTOÀ.Ùç ò TT€1T't'WKWç Èv mwù -r6mp Èmpp [tjlw
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o~w11~v ). La versione greca ha il pregio di
rendere più scorrevole il senso della frase. •:• 8,1-3 Testi affini: ls 63, 1-6; Gl 4, 13; Am 7,7-9; Ap 14,15-18 8,4 E annientate (n'~tq~1) - L'infinito costrutto del verbo n:n!i pre~eduto da ', viene considerato da alcuni traduttori come avente valore finale e tradotto «per annientare» (come avviene di frequente per tale costruzione); in realtà esso si presenta qui coordinato al participio che lo precede e va considerato a esso parallelo. Anche la Settanta dimostra di rispettare il parallelismo dei due emistichi del
semplice constatazione della situazione di disfacimento nella quale versa il paese. Una cosa è certa: davanti alla dissoluzione della vita e alla distruzione delle cose, non resta che il dolore muto. Non ci sono più parole nemmeno per il profeta, che sembra contemplare lo spettacolo della fine.
8,4-14 Nuovi oracoli sulla fine di Israele Alla quarta visione segue una serie di brevi oracoli (vv. 4-8; 9-10; 11-12; 13-14) che molti studiosi ritengono di epoca abbastanza tardiva (l'arco di tempo che va da Geremia al post-esilio). Essi costituiscono un'inserzione redaziona1e, posta intenzionalmente tra la quarta e la quinta visione (come l'episodio di Amazya è stato inserito tra la terza e la quarta visione), a spiegazione del quadro di morte offerto in 8,2b-3 e in preparazione del disastro finale che apparirà in 9, 1-4. Vengono ribadite ancora una volta le colpe degli Israeliti, ma solo il primo oracolo contiene un'ampia accusa (8,4-6), seguita dali' annuncio di castigo (8, 7-8); gli altri contengono la descrizione di come avverrà la fine. 8,4-8 Contro i commercianti disonesti Invito all'ascolto (8,4). Il primo oracolo si apre con la nota formula di invito ali' ascolto («ascoltate questo», sim 'iì.-zo ì) che si differenzia dali' abituale formula amosiana «ascoltate questa parola!» (3,1; 4,1; 5,1) e riprende un argomento presente nel libro fin dalla prima profezia contro Israele: lo sfruttamento dei poveri (2,6-7), una delle principali ragioni del giudizio di Dio contro il suo popolo (cfr. anche 4,1; 5, 11). L'invito all'ascolto contiene già un giudizio morale sui suoi destinatari: «voi che calpestate il povero e annientate i miseri della terra». Il verbo da noi tradotto «annientare;> (siibat hifil), alla lettera «porre fine a qualcosa;;, è
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AMOS 8,5
Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e annientate i miseri della terra, 5voi che dite: «Quando passerà la luna nuova per poter vendere il grano? E il sabato per aprire il sacco, per rimpicciolire l'efa e ingrandire il siclo, per falsificare le bilance,
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versetto traducendo n·:~~~ con il participio KataliuvaaTEUoVTEç («che annientate»); così la
Vulgata: «fate venir meno» (deficerefacitis).
8,5 Per poter vendere
il grano?
- Lo stico (,~W ;"t"')':;l~m contiene, verosimilmente, un gioco di parole legato alla radice ,:!Ili. In ebraico, infatti, esiste un verbo ,:!Ili («rompere», «distruggere») e il corrispondente sostantivo ,~W («frattura», «distruzione»); ma anche un altro verbo ,:!Ili, denominativo derivato di ,~W («grano»), con il significato di «vendere», «comperare grano». Tenuto conto che l'espressione ,:ri1T;1I;l~l1 («aprire il sac-
co») è tecnica e significa «vendere i cereali» e considerando il parallelismo, è lecito attribuire a ,~W ;,T:;l~~, il significato di «per poter vendere il grano». Considerando, tuttavia, che il contesto immediato (8,4-8) menziona azioni fraudolente a danno dei poveri (la maggiorazione dei prezzi e la falsificazione delle bilance), affamandoli e conducendoli alla distruzione, è lecito pensare che l' espressione contenente la radice ,:!Ili sia stata usata intenzionalmente per suggerire un legame tra l'idea della vendita del grano e quello della rovina/distruzione dei miseri.
lo stesso verbo usato da Os 1,4 per esprimere la distruzione della casa regnante ~'Israele: ci sono dunque persone arroganti e potenti che con il loro agire annientano classi sociali inferiori. La .frode nel commercio (8,5-6). L'oppressione dei miseri si colora di nuove specifiche accuse: è preso di mira il commercio disonesto. I comportamenti incriminati sono introdotti al v. 5 mediante un artifizio retorico di grande effetto: il profeta pone sulla bocca dei colpevoli la citazione delle loro stesse parole in modo che queste diventino la testimonianza del loro inganno. Il tema è quello della frode nelle transazioni commerciali; in Israele queste si svolgevano, secondo gli usi del Vicino Oriente antico, ponendo il prezzo da pagare in pezzi d'argento su una bilancia. Una delle frodi più diffuse consisteva proprio nel manipolare sia i pesi sia le misure. Tra queste sono menzionati l'efa, che serviva a misurare il grano (corrispondeva a circa 36litri) e il siclo (corrispondente a circa 12 grammi), che serviva a pesare l'argento: ridurre l'efa significava rubare sul peso della merce e aumentare il siclo significava richiedere più denaro del dovuto. Il retto utilizzo delle bilance è raccomandato in più punti dell'Antico Testamento (cfr., p. es., Lv 19,36; Ez 45,10), che ne condanna l 'uso ingannevole (cfr., p. es., Mi 6, Il; Pr 11, l). In questo versetto, tuttavia, il crimine della disonestà nel commercio viene abilmente coniugato con l'ipocrisia religiosa. Vengono citati la «luna nuova» (cfr., p. es., N m 10,10; Is 66,23; Ez 46, l) e il «sabato», giorni in cui il lavoro e il commercio si fermano: i commercianti sleali sono disponibili a rispettare formalmente i giorni di riposo, per poi riprendere il loro mercato illecito subito dopo. Ancora una volta è preso di mira un culto vuoto, fatto a malincuore, perché sottrae tempo prezioso agli affari disonesti.
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AMOS 8,6
:O~:)'iP.P,~-t,f n~J..7 Mf-t_p~-o~
H~ :lW.i'-t,f t,~~1
:li?P,~ li~~:;l i1~,; V;:!o/~ 7
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8,6 Venderemo anche lo scarto del grano (1'::1~~ 1~ t,;ii~~)- Alcuni studiosi propongono di anticipare la frase collocandola dopo l'emistichio 8,5a che parla di vendita di frumento. Qui non si vedono motivi sufficienti per giustificare lo spostamento. 8,7 YHWH ha giurato per l'orgoglio di Giacobbe (:!p~~ lil't~::;l i1p~ l1~~~) - La Settanta traduce: « ... contro l'orgoglio di Giacobbe», intendendo lil't~::;l in senso negativo come in 6,8; così anche la Vulgata che ha: «contro la superbia di Giacobbe» (in superbia Iacob). L'espressione «orgoglio di Giacobbe» (:!p~~ lìl't~) sembra invece essere qui uno dei titoli esprimenti la signoria di YHWH. Come già parzialmente
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~ .,iK':l ... La forma del Testo Masoretico («come luce») è un'evidente lettura errata di .,;K~::t («come il fiume») . .,;K~ può essere inteso nel duplice senso di nome comune, «fiume», o nome proprio, «Nilm>. La Settanta traduce «fiume» (1TOTClf!oç) in entrambe le ricorrenze nel versetto, similmente la Vulgata traduce con i due sinonimi per «fiume»,Jluvius e rivus. Il fatto che nella seconda ricorrenza il vocabolo si trovi davanti al nome proprio «Egitto»,
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.,N:r) -
rende chiaro che è da intendersi come nome comune. Si calmerà - Alla lettera: «sarà abbeverato» (i1i?~ll); è un'evidente lettura errata del copista: il verbo «bere» (i1pfli) non ha senso in questo contesto, per questo si segue il suggerimento del qerè, leggendo una forma del verbo llpfli reso con «si calmerà», in opposizione al verbo che precede i1~l~~ («si agiterà»). Il verbo i1pfli ricorre anche in 9,5b, dove si preferisce tradurre con «si abbassa», in opposizione a «sale» che precede (i1çJ~~l). In entrambi i versetti l'idea è quella dell'esondazione del fiume le cui acque, dopo la piena, si abbassano e rientrano negli argini.
tuttavia, il significato è esattamente l'opposto e stigmatizza l'arroganza e la superbia d'Israele. Il giuramento di Dio ha come contenuto il ricordo perenne delle opere malvagie d'Israele e prepara il fosco scenario di castigo presentato al v. 8. Il linguaggio che descrive il quadro del giudizio è teofanico: davanti a Dio che viene, la terra trema (cfr., p. es., 2Sam 22,8; Sal 18,8; 77, 19) e il pensiero va immediatamente al terremoto avvenuto al termine della predicazione di Amos, di cui il libro dà notizia nel titolo (l, l). La domanda retorica che apre il v. 8 («non tremerà per questo tutta la terra?») potrebbe essere così parafrasata: «la terra non si scuoterà forse di dosso i suoi abitanti peccatori?». Il suo movimento seminerà morte e quindi provocherà lutto e lamento. Con una magistrale pennellata artistica, il movimento sussultorio della terra è poi paragonato ali' esondazione annuale del fiume Nilo, quando il livello delle acque si alza, poi si abbassa, lasciando sulla terra fango e detriti.
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; cfr. IRe 21,27; 2Re 6,30) e gli ornamenti del capo dalla rasatura (cfr. Is 3,24; Ger 48,37; Ez 7,18). Il lamento,
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AMOS 8,11
ln quel giorno, oracolo del Signore YHWH, farò tramontare il sole a mezzogiorno e farò oscurare la terra in p1eno gwrno; 10trasformerò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento; farò cingere tutti di sacco e lascerò rasata ogni testa; ne farò come il lutto per un figlio unico e la sua fine come un gwrno amaro. 11 Vengono giorni, oracolo del Signore YHWH, nei quali invierò fame sulla terra, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare le parole di YHWH. 9
però, non sarà quello di una semplice liturgia penitenziale, sarà quello straziante che accompagna il funerale di un figlio unico, con il quale si è spenta l'unica possibilità di avere una discendenza. Il profeta sembra sottolineare la fine di ogni speranza di sopravvivenza per Israele e questo sarà un giorno di amarezza. 8,11-12 Ricerca della parola di Dio Con la formula «vengono giorni» (hinne yiimfm bii 'fm) inizia un nuovo oracolo di minaccia. È un linguaggio insolito in Amos e fa pensare a una composizione tardiva; nel libro la formula ricorre solo in 4,2 e in 9,13 (quest'ultima è un'aggiunta posteriore allo scritto), mentre si incontra nel profeta Geremia (Ger 7,32; 9,24 ecc.). L'oracolo, pronunciato in prima persona da Dio, si estende per due versetti (8, 1112). Il suo tema è sempre il tempo della fine per Israele, ma non più da un punto di vista materiale (morte, lutto, esilio); questa volta il profeta si occupa del risvolto spirituale dell'abbandono di Dio: egli farà scomparire dal paese la sua parola, toglierà di mezzo al popolo il dono della profezia. Dt 8,3 aiuta a comprendere il senso dell'oracolo; nel ricordare le prove dell'esodo Mosè dice agli Israeliti: «Ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna ... per farti riconoscere che non soltanto di pane vive l'uomo, ma che l'uomo vive di tutto ciò che esce dalla bocca di Y HWH». Il contesto del versetto di Deuteronomio è quello del rifiuto da parte del popolo di ascoltare i comandi divini; anche in Am 8,11 c'è una simile condizione di ribellione: gli Israeliti non solo non rispettano i comandi della Legge, ma impediscono ai profeti di parlare (cfr. 2,12 e 7, 10-17). A questo popolo ribelle Dio invierà la fame, il cui oggetto, però, non sarà il pane materiale (cfr. 4,6-8), perché ciò che mancherà sarà la sua parola. Dio non sarà più presente in mezzo al suo popolo per guidarlo. La parola di Dio come nutrimento è una metafora cara al filone sapienziale: in Pr 9,1-5la sapienza invita chi è «inesperto» e «privo di senno» a partecipare al suo banchetto dove troverà pane e vino da lei preparati, mentre in Is 55,1-5 il profeta invita gli assetati a bere all'acqua e a mangiare cibi succulenti. L'invito a mangiare e bere è metafora dell'ascolto, che porta alla vita («0 voi tutti che avete sete, venite alle acque ... Ascoltatemi e mangerete cose buone, gusterete cibi succulenti ... Tendete l'orecchio ... ascoltate e vivrete», Is 55,1-3).
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AMOS 8,12
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Ti'lT?~ n9~~~ O'P~~~tl 14 v~w-,~~ 11J 't:n r1 ,,~z,~ 'D 1i7?~1 :iW 10:ti?;-NZ,1:t7~~1 8,14 La colpa di Samaria (liiT?ili n~~tt~) - Molti studiosi, partendo dal presupposto che l'autore abbia di mira un tipo di culto inquinato dall'idolatria, propongono di emendare 1ii'?ili n~~ («la colpa di Samaria») in 1ii'?ili n~·~ ( «Ashima di Samaria»), divinità venerata in diverse parti del Vicino Oriente antico e importata a Samaria. Non ci sono, comunque, testimonianze di questo culto in Samaria.
Altri propongono di emendare in 1iif?ili nl~ ( «Ashera di Samaria»), lettura più probabile, in quanto l Re 16,33 e 2Re 17,16 danno notizia di immagini di Ashera nel regno del nord. La strada di Beer-sheba (ll~fi~~ T11) - La frase ha creato imbarazzo tra gli studiosi, che in molti casi propongono di emendare TT'l. («strada») in 1T1 («il tuo zio>>, «il tuo caro»), termine che, per estensione, sarebbe passato a
La conseguenza della «fame» sarà uno stato di smarrimento totale, che indurrà a vagare senza una meta precisa; le espressioni «da mare a mare e da settentrione a oriente» indicano da una parte lo stato di confusione in cui verseranno gli Israeliti e dall'altra l'estensione delle terre visitate. I verbi utilizzati esprimono, invece, l' affannarsi senza meta e il percorrere vaste zone nella speranza di trovare appagamento. La conclusione di questo breve oracolo è il silenzio di Dio: ormai il dialogo tra Dio e il suo popolo è interrotto. 8,13-14 Punizione per il culto contaminato La formula «in quel giorno» (bayyom hahu ', cfr. 8,9) segna l'inizio di un nuovo oracolo, che conclude il capitolo, ritenuto un tentativo redazionale di interpretare la fine annunciata in 8,2. È stato inserito qui forse perché richiama il tema della sete trattato nell'oracolo precedente (8, 11 ), anzi il v. 13 sembra descrivere gli effetti di quella sete della parola Esso contiene anche un'allusione alla morte (8, 14) che lo connette bene al contesto di 8,9-14, del quale costituisce il climax: dopo il terremoto, le tenebre, il mutamento delle feste in lutto, e la scomparsa della profezia, ora viene prospettato il venir meno dei giovani. I giovani verranno meno. La frase:« ... verranno meno per la sete le belle ragazze e i giovani>> (v. 13) descrive una realtà particolarmente grave: i giovani rappresentano il futuro di un popolo e la loro fine segna anche il venire meno del popolo stesso. Di per sé il verbo qui usato ( 'iilap) non significa «morire», ma indica lo stato di indebolimento delle forze e di stordimento; è lo stesso verbo che descrive lo stato in cui si trovava il profeta Giona a causa del calore, dopo il disseccarsi del ricino (Gio 4,8). Se, tuttavia, si considera il v. 14 («cadranno e non si alzeranno più») in connessione tematica con il v. 13, è possibile giungere alla conclusione che 8,13 parli di fine completa e inevitabile. L'espressione di 8,14b richiama anche 5,2 dove per la prima volta nel libro appare l'immagine di una «vergine» (si usa l'ebraico b e «Viva la strada di Beer-sheba!» cadranno e non si alzeranno più. 12
indicare «il dio protettore». Questa correzione è, forse, influenzata dalla traduzione della Settanta: «il tuo Dio, Bersabea» (ò 9 potrebbe identificarsi con il vitello fatto costruire dal re medesimo. Ciò che viene sottolineato è il giuramento per questo oggetto di peccato. La formula è classica: «Viva il tuo Dio», cioè: «Come è vero che Dio vive»; essa suona come un'invocazione della potenza divina su di sé. Giurare, nella spiritualità dell'antico Israele, significava chiamare la divinità a garante della propria veridicità, riconoscendo a Dio autorità e potere; giurare «per la colpa di Samaria>> significava riconoscere come unico Signore quello che veniva considerato proprio il segno dell'apostasia. Dane Beer-sheba non sono da considerare santuari del «peccato» più di altri; la loro menzione costituisce piuttosto un'espressione polare (cfr., p. es., lSam 3,20; 2Sam 17,11; IRe 5,5; 2Cr 30,5) indicante il territorio compreso tra esse. L'espressione singolare «la strada di Beer-sheba>> (cfr. Am 5,5) è metafora per i pellegrinaggi diretti in quel santuario, anche da parte degli Israeliti; benedire questi viaggi equivaleva ad approvarne la pratica del culto.
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9,1 Sul! 'altare - Molti traduttori rendono I"J::J.T~iT'?l! con: «accanto all'altare}), ma se
è v~ro che la preposizione '?l! può significare «accanto}), è altrettanto vero che la divinità in questa posizione vedrebbe la sua immagine ridotta a quella di un liturgo in atteggiamento di officiare, mentre il contesto immediato mette in risalto la signoria di YHWH nella sua veste di giudice (cfr. 7,7). Che diceva: «Colpisci il capitello ... » (,in>;l~;:t 10 ,T?K'J) - Vari interpreti attribuiscono l'azione del «colpire il capitello}) a Dio stesso, in quanto scuotere gli stipiti del tempio sarebbe un 'azione al di sopra delle forze del profeta. Questo presupporrebbe una forma verbale TJ («ed egli colpì})) al posto dell'imperativo «colpisci}) (10), inoltre richiederebbe lo spostamento del verbo «e disse}) (,T?N":l) alla fine di 9,la, dopo C'!:IO;:t («architravi})). La traduzione risulterebbe: «Vidi YHwH sull'altare. Egli colpì il capitello ... Poi disse: .. ,}), Alcuni com-
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mentatori, restii a emendare il testo, ritengono che ci troviamo davanti a un'azione simbolica comandata da Dio al profeta a somiglianza di altre azioni profetiche presenti neli' AT (cfr. Ger 13,1-14; 19; 27; Ez 3,22-27; 21,1-12 ecc.); qui tuttavia ci sarebbero delle differenze sostanziali: innanzitutto non si dà alcuna interpretazione dell'agire simbolico, inoltre non è affatto certo che l'autore designato dell'azione sia proprio il profeta. Per alcuni interpreti l'ordine di colpire potrebbe anche «essere ... dato dal giudice ... a un giustiziere, non chiaramente identificato; a quest'ultimo viene autoritativamente ingiunto di applicare la sentenza irrogando la pena» (Bovati). Infine un certo numero di studiosi considera che neli' AT la parola di Dio abbia in sé una sua sussistenza ed efficacia, tanto che spesso YHWH invia la sua parola a operare in sua vece (cfr., p. es., Gen l; Is 55, l O-Il; Sal 33,9). È difficile propendere per l'una o per l'altra interpretazione: forse l'emistichio è lasciato volutamente
Il breve oracolo è animato dallo zelo per il cuore della spiritualità dell'antico Israele: l'unicità e l'esclusività di YHWH; qualunque deviazione nel culto significa misconoscere la sua signoria, per questo il castigo diventa ineluttabile.
9,1-4 Quinta visione: il tempio crollerà Dopo quattro visioni (7,1-3; 7,4-6; 7,7-9; 8,1-3) precedute da una serie di oracoli di sventura, compare la quinta visione; essa costituisce il coronamento del «libro delle visioni}), non solo per la sua posizione finale, ma perché ne costituisce il climax: non contiene un annuncio di distruzione, bensì la descrizione della sua esecuzione. La quinta visione si presenta assai diversa dalle precedenti: Y HWH non è più colui che mostra qualcosa al profeta (cfr. 7,1.4.7; 8,1), ma è l'oggetto stesso della visione; non c'è più alcun oggetto da contemplare e da interpretare, perché la visione in sé si esaurisce tutta in un emistichio: «Vidi il Signore in piedi sull'altare e disse}) e ciò che segue sono le parole pronunciate da YHWH, che costituiscono un oracolo sei volte più lungo del racconto di visione; non c'è più alcun dialogo tra Dio e il profeta perché non c'è più nulla da spiegare, semplicemente YHWH comanda l'esecuzione di un'azione simbolica (9,la).
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Vidi il Signore in piedi sull'altare che diceva: «Colpisci il capitello cosicché tremino gli architravi; fendili sulla testa, tutti loro, e i superstiti li ucciderò con la spada; non sfuggirà chi di loro fugge e non scamperà chi di loro è scampato; 1
oscuro, perché ciò che all'autore interessa mettere in luce non è chi compie l'azione, ma che abbia luogo l'esecuzione della condanna per il peccato; per questo motivo qui ci si attiene alla lettera del Testo Masoretico. Fendili sulla testa, tutti loro (c7~ WN""I~ C~?~) - Questo emistichio presenta non pochi problemi intepretativi, sia per la gamma di significati annessi al verbo lll:>:l, sia per la sua forma per la quale sono state supposte diverse varianti (Cl'~? o cpp ovvero lli.91( ). Nella forma in cui compare nel Testo Masoretico potrebbe essere un imperativo singolare qal con il suffisso di terza persona plurale o la terza persona singolare di un qatal consecutivo qal con il medesimo suffisso. L'unica cosa certa è che il suffisso pronominale è riferito agli Israeliti, forse i frequentatori del tempio. Che significato dare al verbo? Sembra appartenere al campo della tessitura: «tagliare il filo»; per estensione sarebbe passato a significare
«recidere il filo della vita», «uccidere»; di questo significato ci sarebbero esempi in Is 38,12b; Gb 6,9; 27,8a. In questo caso, però, non ha molto senso «alla testa» (W]~( ""i~), per questo alcuni studiosi emendano WN""I!l in WlJJ~ («con un terremoto»): Dio, cioè, ucciderebbe tutti per mezzo di un terremoto. La Settanta traduce ÙLUKOljJOv ELç KEaÀà> (&v&~aaLv aòwu); al plurale designa, invece, i gradini di una scala, per esempio quella d eli' altare (Es 20,26), quella che conduce al trono (l Re 10,19; 2Re 9,13) o le scale di case e città (Ne 3,15; 12,37). Molti autori emendano
9,5-10 Conclusione del libro delle visioni Come la serie dei brevi oracoli a seguito della quarta visione (8,4-8; 8,9-1 O; 8, 11-12; 8,13-14) costituiva una spiegazione della prospettiva di morte presente in 8,2b-3, così la quinta visione è seguita dalla terza dossologia del libro (9,5-6) e da un'inserzione di tipo redazionale, postesilica, costituita da un ultimo oracolo di castigo (9,7-10). In base al periodo di composizione e al tipo di linguaggio, alcuni commentatori uniscono l'oracolo di castigo all'ultima profezia di restaurazione (9,11-15): ci sono alcune ripetizioni della formula «oracolo di YHWH>>, presente in 9,7.8.12, e di hinneh (vv. 8.9.13, che non sempre si traduce in italiano, al v. 13 l'abbiamo reso con «ecco») il quale introduce, in ciascuno dei tre versetti, un nuovo pensiero. Resta comunque vero che i due brani si distinguono nettamente per i temi trattati e per la funzione all'interno del capitolo; in particolare 9,7-10 cercherebbe di risolvere alcuni interrogativi suscitati dalla quinta visione circa lo sguardo di Dio sui peccatori (9,3b.4b), sui suoi ordini (9,3b.4b.9a), sulla spada che ucciderà (9,1c.l Oa), mentre la visione di abbondanza prospettata nell'oracolo di salvezza a chiusura del libro si pone sulla scia della conclusione di altri libri profetici postesilici (Os 14,29; Gl4,18-21; Abd 19-21; Mi 7,8-20; Sof 3,11-20; Ag 2,15-23) che prevedono la salvezza finale per il popolo peccatore, minacciato di castigo. 9,5-6 Terza dossologia A conclusione del «libro delle visioni» appare la terza e ultima dossologia (cfr. 4,13; 5,8-9), che interrompe l'oracolo iniziato da Dio in prima persona in 9,1 e che riprenderà in 9, 7. Alcuni commentatori ritengono l'inno quasi superfluo, anche perché è composto da stichi presi a prestito dagli inni precedenti: 9,5ab corrisponde quasi letteralmente a 8,8; 9,6bc è l'esatto parallelo di 5,8cd. Tuttavia esso ha una sua ragione d'essere: è chiamato «dossologia di giudizio» (Wolff) ed è strettamente legata alla visione del crollo del santuario nei confronti della quale svolge una funzione intepretativa. Di essa riprende alcuni concetti e, talora, il medesimo lessico: in 9,1 venivano
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AMOS9,6
11 Signore è YHWH degli eserciti: egli tocca la terra ed essa vacilla e tutti i suoi abitanti fanno lamento, sale tutta come il fiume e si abbassa come il fiume di Egitto, 6costruisce nei cieli il suo alto trono e fissa la sua volta sulla terra, convoca le acque del mare e le riversa sulla superficie della terra. YHwH è il suo nome! 5
il termine in in~"~ («le sue stanze superiori»; cfr. Ne 3,31 ), ritenendo la~ iniziale una dittografia. Qui, tenuto conto del!' assunto anticotestamentario che attribuiva antropomorficamente alla divinità la vita e le azioni di un sovrano terreno, sembra
preferibile adottare il senso di «scala di accesso (al trono)» e quindi, per metonimia, il trono stesso. Nel contesto della dossologia di Am 9,5-6 il significato di «trono;> è assai pertinente in quanto pone l 'accento sulla signoria di YHwH.
colpiti i capitelli, qui viene colpita la terra che, come il tempio, vacilla (9,5b); in 9,lbc e 9,4a era prospettata l'uccisione dei superstiti tramite la spada, qui si parla di lutto degli abitanti (9,5b); infine, come nella quinta visione, YHWH appare signore e padrone assoluto del cosmo (cieli, terra e mare, 9,6). Lo scopo della dossologia è quello di innalzare la signoria di Dio sull'universo intero e approvarne l'insindacabile operato come re di giustizia; essa appare così come il sigillo finale sulla visione. L'inno si apre all'insegna del nome di Dio, appellato solennemente «Signore, YHWH degli eserciti»; è un 'immagine di forza: di Dio viene messo in luce l'aspetto del guerriero (nei due inni precedenti prevaleva l'aspetto creativo) che tiene saldamente in mano i suoi nemici e a cui compete la retribuzione delle opere umane. Se, come pare, le prime parole di 9,5 sono di natura redazionale, può darsi che i redattori avessero in mente la distruzione di Samaria con i suoi santuari, già avvenuta a opera dell'Assiria, e questo fosse per loro un motivo di lode a YHWH. Il linguaggio utilizzato è teofanico (cfr., p. es., Es 19; Sal l 04,32): basta il tocco della mano di Dio per far vacillare la terra, cui corrisponde l'angoscia e il lamento degli uomini (cfr. 8,8). L'immagine dello sconvolgimento tellurico (cfr. l, l) è messa in parallelo, come in 8,8, con quella dell'esondazione annuale del Nilo, quando il livello delle acque si alza e poi si abbassa dopo avere sommerso la terra. Al v. 6 la scena si sposta dalla terra al cielo dove YHWH, similmente alle divinità creatrici del Vicino Oriente antico, ha stabilito il suo trono cui si accede salendo i gradini e dall'alto del quale egli giudica il mondo. Il concetto della creazione dell'universo, rappresentata da cielo e terra, è ampiamente ricordato anche nei testi biblici (cfr., p. es., Is 48,13; Sal 79,69; 89,12), tuttavia qui c'è un sapiente contrasto tra l'immagine del soglio celeste, stabile, fissato da Dio, eterno, e quella della terra che può essere scossa come una semplice zolla del suolo. Dove Dio abita c'è solidità e sicurezza; così potrebbe essere la terra se gli uomini ne rivendicassero a Dio il possesso. È il credo che Amos ribadisce agli uomini infedeli. La formula «YHWH è il suo nome!» termina la dossologia che contiene, nell'inclusione del nome di Dio (N1 ni.b ~Wl31 1','':
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AMOS 9,14
affinché ereditino il resto di Edom e tutti i popoli sui quali è invocato il mio nome. Oracolo di YHWH che fa questo. 12
Ecco, vengono giorni- oracolo di YHWHin cui chi ara si avvicinerà a chi miete, chi pigia l 'uva a chi semina. E le montagne stilleranno mosto e tutte le colline si scioglieranno. 14Cambierò la sorte del mio popolo Israele, ricostruiranno le città desolate e le abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno orti e ne mangeranno il frutto; 13
perché la raccolta sarà continua. Il fenomeno ricorda da vicino la visione di Ez 47, 12, dove la fecondità è fornita dall'acqua che sgorga dalla sorgente del tempio, o la prospettiva dell'era paradisiaca d'Israele in Gl4, 18. L'immagine di abbondanza racchiude, dunque, un significato molto più profondo di quello immediato: è la realizzazione delle promesse di benedizione ai fedeli osservanti i precetti della Legge (cfr., p. es., Lv 26,3-5; Dt 28, 1-14) che significa uno stato di piena comunione con Dio. L'esuberanza diventa straripante in 9, 13c. Per comprendere occorre tenere presente che in Palestina la pigiatura dell'uva avveniva nei luoghi di vendemmia e i torchi erano scavati in punti elevati, in modo che il succo colasse in basso per essere raccolto: il mosto è immaginato così copioso da dare l'impressione che fluisca a ruscelli lungo i pendii e che le colline si sciolgano. La profezia sembra in aperto contrasto con quella contenuta in 5,11, dove uomini ricchi e avidi hanno piantato vigne deliziose, di cui sono condannati a non bere il vino, ma anche in questo caso ci troviamo davanti a un linguaggio iperbolico che si presta a tratteggiare una condizione futura di definitivo benessere. Il ritorno d'Israele. Con il v. 14 YHWH ricomincia a parlare in prima persona, pronunciando una triplice promessa: la prima è resa con l'espressione wsabti 'et-s•bftt (tradotta: «Cambierò la sorte») che può significare sia la restaurazione a un anteriore stato di benessere, sia il far tornare dali' esilio (espressioni simili si trovano, p. es., in Dt 30,3; Ger 32,44; Ez 16,53; 29,14). L'ambiguità è forse voluta, ma le due realtà vengono sintetizzate per trasfigurarsi nella prospettiva di un'era di duratura stabilità. L'oggetto della "svolta" operata da Dio è ciò che Egli chiama «il mio popolo», un'espressione che indica possesso e familiarità e che Y HWH non ha mai abbandonato neppure negli oracoli minaccianti la peggiore sventura (cfr. 7,8.15; 8,2; 9,10). La seconda promessa riguarda la ricostruzione delle città devastate; anche quelle case di «pietre squadrate» delle quali YHWH aveva detto: «Non le abiterete» (5,11), e i palazzi con le loro fortificazioni diventano una dimora tranquilla e duratura. La terza promessa è quella di piantare vigne, di cui si potrà bere il vino, e frutteti, dei cui alberi si potranno mangiare i frutti. Nella predicazione profetica poter mangiare i frutti della propria campagna presuppone un periodo di pace e di stabilità, caratteristica dei contesti escatologici (cfr., p. es., Is 65,21; Ger 29,5; Ez 28,26).
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Uno stato definitivo (9, 15). Il verbo «piantare» (niita) apre un versetto che offre una scena singolare: non sono più alberi a essere piantati, ma gli uomini stessi. L'immagine è presente in Es 15,17, che descrive il popolo al momento del ritorno nella terra promessa come un albero piantato nel luogo preparato da Dio, e in Ger 24,6 per il quale il popolo è come un albero di fichi buoni che YHWH pianta definitivamente. «Mettere radici» è un'immagine di solidità che si accompagna a
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pianterò nella loro terra e non saranno più sradicati dalla terra che ho dato loro. Dice YHWH, tuo Dio.
quella del possesso del suolo. È una stabilità promessa per sempre: «Non saranno più sradicati» significa che non ci sarà mai più esilio. Il dono della terra era il segno dell'alleanza di Dio con i Patriarchi; ora YHwH ripete unilateralmente la sua offerta, senza chiedere il contraccambio; è un regno in cui non ci sarà più punizione: il destino d'Israele è mutato per sempre. Questo si realizzerà perché porta il sigillo della parola del Signore: «Dice YHWH tuo Dio».
IL LIBRO DI AMOS NELL'ODIERNA LITURGIA
Amos è profeta dalla parola dura e ispida, dal temperamento concreto e deciso, messaggero di quel Dio che ruggisce di sdegno davanti ai peccati che il popolo di Israele si ostina a compiere, nascondendosi dietro a compiaciuti riti e presunti privilegi. Fin dalle prime righe ci accorgiamo che il genere letterario del componimento non si presta a divenire fonte di ispirazione eucologica, ed effettivamente, cercando con il lanternino tra i Sacramentari antichi o nell'edizione tipica del Messale odierno, non se ne scova nessuna esplicita testimonianza. Eppure Amos, l'allevatore di pecore di Tekòa, il profeta osteggiato e cacciato proprio lui! -è l 'unico autore dell'Antico e Nuovo Testamento a essere citato nella Costituzione apostolica Mis sale Romanum, con la quale Paolo VI, nel 1969, promulgò l'edizione del libro liturgico rinnovata secondo i decreti del Concilio Vaticano II. Il Papa, spiegando le linee guida della riforma riguardante l'intera liturgia Verbi, commenta: «Tutto ciò è ordinato in modo da far aumentare sempre più nei fedeli "quella fame ... d'ascoltare la parola del Signore" che, sotto la guida dello Spirito Santo, spinga il popolo della nuova alleanza alla perfetta unità della Chiesa». Tra i grandi beneficiati di questa abbondanza scritturistica c'è proprio il libro di Amos. Basti un dato statistico: con il nuovo Ordo Lectionum Missae del 1981 si passa dalla proclamazione di un solo brano di tre versetti alla proclamazione di almeno dieci brani che toccano nell'insieme oltre cinquanta versetti, più di un terzo dell'opera! Nei Lezionari del VII e VIII secolo, fino al Messale plenario di Pio V compreso, l 'unica pericope a essere considerata durante la Liturgia della Parola era quella di 9,1315, collocata in prossimità della stagione tardo estiva (dopo la memoria di san Lorenzo) o nella celebrazione autunnale delle
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Quattro tempora, il mercoledì. Mai durante una domenica, una festa, un sacramento. I libri liturgici oggi in uso non mancano invece di generosità.
Amos nella liturgia domenicale Nel ciclo domenicale è l'Anno B, con la sua XV domenica, a renderei edotti dell'aspra controversia che si accende tra Amos chiamato a profetizzare contro il santuario di Betel a causa del culto idolatrico ivi praticato - e Amasia, gran sacerdote stipendiato dal re, intollerante verso una parola che mette in discussione la convenienza dell'equilibrio politico-religioso (7, 12-15). La vicenda prepara e illumina il brano evangelico di Mc 6, 7-13 nel quale Gesù invia i Dodici in una missione che non mette al riparo da incomprensioni e difficoltà; l'orazione chiede alla Chiesa «di non avere nulla di più caro del Figlio( ... ) e la vera dignità dell'uomm>, per annunziare Cristo ai fratelli con le parole e con le opere (Colletta del Messale italiano). L'Anno C prorompe con lo sdegno di Dio per l'avidità rapace di quanti calpestano il povero facendone oggetto di mercato, ritenendo di poter servire - contrariamente ali' avvertimento di Gesù in Le 16,1-13 - Dio e la ricchezza. La Colletta composta ad hoc prega: «0 Padre, che ci chiami ad amarti e servirti come unico Signore( ... ), salvaci dalla cupidigia delle ricchezze e fa' che, alzando al cielo mani libere e pure, ti rendiamo gloria con tutta la nostra vita>>. La XXVI domenica, Anno C, continuando la lettura di Le 16, narra la parabola del ricco e di Lazzaro. Amos è indubbiamente alleato infuocato e indomabile nel condannare in nome di Dio l'orrore generato dali' opulenza e dal cinismo, in perfetta sintonia con l'insegnamento di Gesù. La pericope di Am 6, l a.4-7 - letta unitamente a Le 16,19-31 - viene a comporre una delle orazioni più dure e taglienti che troviamo nel Messale italiano: «0 Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone; stabilisci con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all'orgia degli spensierati, e fa' che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che il tuo Figlio è risorto dai morti e ci accoglierà nel tuo regno».
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Amos, compagno di viaggio della ferialità A partire dal lunedì della XIII settimana, Anno II, fino al sabato della stessa è proposta la lettura semicontinua del libro. È Am 2,6-10.13-16 a esordire e Am 9,11-15 a chiudere. Le sei pericopi inserite, piuttosto complesse, formano attraverso i versetti scelti dall'Orda come titoli, una potente e coerente sequenza che abbraccia i temi fondamentali che caratterizzano il profeta: «Calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri»; «Il Signore Dio ha parlato: chi può non profetare?)); «Lontano da me il frastuono dei vostri canti; piuttosto scorra la giustizia come un torrente perenne)); «Va', profetizza al mio popolm); «Manderò la fame nel paese; non fame di pane ma di ascoltare le parole del Signore)); «Farò tornare gli esuli del mio popolo, li pianterò nella loro terra)). Sfogliando poi la Liturgia delle Ore, dalla domenica XVIII del Tempo Ordinario, fino al mercoledì compreso, come prima lettura dell'Ufficio sono proposti quattro corposi brani di Amos. Vi sono abbinati altrettanti stralci tratti dalla Lettera di Barnaba, un antichissimo scritto dell'epoca subapostolica che godette di enorme considerazione in alcune Chiese orientali. L'autore di questa opera pseudoepigrafica si ispira fortemente a Isaia ed Ezechiele, ai libri della Genesi e dei Salmi, ma offre ugualmente, nell'antologia proposta durante il sacrificium laudis, un efficace commento agli oracoli e alle visioni di Amos. Per esempio, la domenica, quando in Am l, 1-2,3 si enumerano le atroci violenze perpetrate dalle tribù di Israele, lo pseudo Barnaba ammonisce: «l tempi sono cattivi e spadroneggia il Maligno con la sua attività diabolica. Badiamo dunque a noi stessi e ricerchiamo i voleri del Signore)). Il martedì, mentre in Am 2,4-15 si legge come il povero e il misero siano stati venduti e calpestati e che nessun malvagio fuggirà la giustizia di Dio, la seconda lettura afferma: «Dio mostra chiaramente qual è la sua volontà dicendo: "Ecco il digiuno che io desidero: sciogli ogni catena di ingiustizia! ( ... ) Ciascuno riceverà secondo quello che ha fatto")). Stupendo il testo del mercoledì: mentre Amos racconta come, pur non essendo figlio di profeta ma semplice raccoglitore di sicomori, Dio l 'ha costituito profeta (7, 1-17), Barnaba ricorda ai suoi che il Signore «per mezzo della remissione dei peccati, ci
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fece creature nuove e innocenti come bambini. Ci diede una dignità singolare quando disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza"». Nel quarto giorno, concludendo la lettura del libro di Amos e della Lettera di Barnaba, la visione del profeta si unisce alla consapevolezza del pastore. Il primo annuncia il ritorno degli esuli di Israele, il secondo ne descrive dettagliatamente la strada che è Cristo: «C'è una via che è quella della luce. Se qualcuno desidera percorrerla e arrivare fino alla meta lo faccia, operando attivamente».
Amos, profeta della giustizia Per completare il quadro osservo come dal quinto capitolo di Amos la liturgia trae due pericopi molto simili ma di diversa lunghezza, da utilizzarsi o per la celebrazione della Messa per la riconciliazione (Lezionario delle Messe per varie necessità) o nell'ambito della benedizione in occasione di ricorrenze civili (Lezionario del Benedizionale). Nel secondo caso, la monizione introduttiva scandisce parole di grande attualità e passione: «Il cammino della ripresa e della ricostruzione non è mai terminato, perché libertà, pace e giustizia sociale sono beni da difendere e promuovere giorno per giorno. Con questa consapevolezza, mentre rendiamo grazie per il recupero di questi valori inestimabili, rinnoviamo il nostro impegno per l'affermazione dei diritti dell'uomo e di ogni uomo, e invochiamo il Cristo salvatore, perché ci doni una coscienza vigile nell'adempimento del nostro dovere di cittadini e di cristiani». Facendovi seguire la lettura di Am 5,4-5.14-15b si riceve una pagina che vorremmo ogni giorno stampata davanti agli occhi: «Così dice il Signore alla casa di Israele: "Cercate me e vivrete! Non rivolgetevi a Betel, non andate a Gàlgala, non passate a Bersabea, perché Gàlgala andrà tutta in esilio e Betel sarà ridotta a nulla. Cercate il bene e non il male, se volete vivere, e così il Signore, Dio degli eserciti, sia con voi, come voi dite. Odiate il male e amate il bene e ristabilite nei tribunali il diritto; forse il Signore, Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe"».
INDICE
PRESENTAZIONE
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ANNOTAZIONI DI CARATTERE TECNICO
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INTRODUZIONE Titolo e posizione nel canone Aspetti letterari Linee teologiche fondamentali Destinatari, autore e datazione Testo e trasmissione del testo Bibliografia
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AMOS TITOLO (l, l) INTRODUZIONE (l ,2) ORACOLI CONTRO LE NAZIONI, GIUDA E ISRAELE (1,3-2,16) 1,3-5 Contro Damasco 1,6-8 Contro i Filistei 1,9-10 Contro Tiro 1,11-12 Contro Edom 1,13-15 Contro Ammon 2,1-3 Contro Moab 2,4-5 Contro Giuda 2,6-16 Contro Israele IL CASTIGO DI ISRAELE (3,1--6,14) Prima sezione. Accuse e minacce (3,1-4,13) 3,1-2 Elezione di Israele e minaccia di castigo 3,3-8 Legittimazione della vocazione profetica
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3,9-15 Il duro messaggio contro Samaria pag. 4,1-3 Le donne di Samaria » 4,4-13 Israele rifiuta di tornare a Dio » Seconda sezione. Il libro dei guai (5,1-6,14) » 5,1-17 Lamento su Israele, esortazioni e minacce » Il giorno di YHWH e il rifiuto del culto 5,18-27 » 6,1-14 La sicurezza dei capi sarà abbattuta » LE VISIONI: LA FINE DELLA CASA DI ISRAELE (7,1-9,10) » 7,1-3 Prima visione: minaccia delle cavallette » 7,4-6 Seconda visione: minaccia della siccità » 7,7-9 » Terza visione: minaccia delle armi 7,10-17 Lo scontro con Amazya » 8,1-3 Quarta visione: è maturata la fine per Israele » 8,4-14 Nuovi oracoli sulla fine di Israele » 9,1-4 Quinta visione: il tempio crollerà » )) 9,5-10 Conclusione del libro delle visioni )) EPILOGO. RESTAURAZIONE DELLE SORTI DI ISRAELE (9, 11-15) )) 9,11-12 Dio risolleva )) 9,13-15 Prosperità e ritorno di Israele
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Stampa- Società San Paolo, Alba (Cuneo)
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