Cantico dei Cantici. Introduzione, traduzione e commento

Il Cantico si presenta come un poema d’amore sponsale davvero molto bello, a buon diritto appunto il “Cantico dei Cantic

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Italian, Hebrew Pages 126/128 [128] Year 2011

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Cantico dei Cantici. Introduzione, traduzione e commento

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LUCA MAZZINGHI, sacerdote della diocesi di Firenze, insegna alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale e al Pontificio Istituto Biblico; è presidente dell'Associazione Biblica ltaliana.Tra le sue pubblicazioni segnaliamo: «Ho cercato e ho esplorato»: Studi sul Qohelet (Bologna 200 l); Il libro dei Proverbi (Roma 2003); Tobia: Il cammino della coppia (Bose 2004); Storia d'Israele dalle origini alperiodo romano (Bologna 2007).

Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari

NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI

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Presentazione f\l OV,\ \l liSIO'\!-, DI· LI.\ Il !IlHl\

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a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore a margine __j dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contemporanee. I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un lato rendere conto dell'andamento del testo; dall'altro., soddisfare le esigenze del lettore contemporaneo. L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi., è la scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per una conoseenza approfondita delle Scritture che comporta, necessariamente., anche la possibilità di accostarsi più direttamente ad esse. Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo livello, dedicato alle note filologico-testuali -lessicografiche, offre informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei tennini, i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secondo livello, dedicato al commento esegetieo-teologico, presenta le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno, il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto dialogico. Particolare eura è dedicata all'introduzione dei singoli libri, dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine, la storia della sua trasmissione.

PRESENTAZIONE

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Un approfondimento, posto in appendice, affronta la presenza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo nella sua collocazione "originaria", ma anche nella dinamica interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale,, di cui la celebrazione liturgica costituisce l'ambito privilegiato.

I direttori della Serie Massimo Grilli Giacomo Perego Filippo Serafini

Annotazioni di carattere tecnico '\l 0\ l \i" IN(J'\1" I)FJ.I. \ lllllBI \ D \l lt:Sll 1'\TIC:III

Il testo in lingua antica Il testo ebraico stampato in questo volume è quello della Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS) quinta edizione. Le correzioni alla lettura di alcuni termini, indicate dai masoreti (qeré l ketib), sono segnalate da parentesi quadre, con il seguente ordine: nel testo compare la fonna "mista" che si trova nel manoscritto, nelle parentesi si ha prima la fonna presupposta dalle consonanti scritte (ketib) e poi quella suggerita per la lettura dai masoreti ( qeré).

La traduzione italiana Quando l'autore ha ritenuto di doversi scostare in modo significativo dal testo stampato a fronte., sono stati adottati i seguenti accorgimenti: i segni • • indicano che si adotta una lezione differente da quella riportata in ebraico, ma presente in altri manoscritti o versioni, o comunque ritenuta probabile; le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che appaiono necessari in italiano per esplicitare il senso della frase ebraica o greca. Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si allontanasse troppo dall'originale ebraico o greco, tenendo però conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi diffuso e abbastanza affermato.

I testi paralleli Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo conunentato con il simbolo Il; i passi che invece hanno affinità di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli, sono indicati come testi affini., con il simbolo •).

La traslitterazione La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con criteri adottati in ambito accademico e quindi con riferimento non alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.

ANNOTAZIONI

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L'approfondimento liturgico Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati), rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani, quindi alla versione CEI del 2008.

Per ulteriori approfondimenti legati al presente volume e all'intera Serie si veda il sito www.nuovaversionedellabibbia.it

CANTICO DEI CANTICI Introduzione, traduzione e commento

a cura di Luca Mazzinghi

SAN PAOLO

Biblia Hebraica Stuttgartensia, edited by Karl Elliger and Wilhelm Rudolph, Fifth Revised Edition, edited by Adrian Schenker, © 1977 and 1997 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 20ll Piazza Soncino, 5-20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2- 10153 Torino ISBN 978-88-215-7157-2

INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE «Il mondo intero non vale il giorno in cui è stato dato a Israele il Cantico dei Cantici( ... ). Tutte le Scritture sono sante, ma il Cantico dei Cantici è il Santo dei Santi» Rabbi Aqiba in Mishnà, Yadayim 111, 5 «Beato chi penetra nel Santo, ma più beato chi penetra nel Santo dei santi ( ... ); beato chi comprende e canta i cantici [della Scrittura] ( ... ),ma molto più beato chi canta il Cantico dei Cantici» Ori gene, Omelie sul Cantico dei Cantici 1, 1 «Il Cantico dei Cantici si trova certamente sulla scia di quel sacramento in cui, attraverso il linguaggio del corpo, è costituito il segno visibile della partecipazione dell'uomo e della donna all'alleanza della grazia e dell'amore, offerta da Dio all'uomo. Il Cantico dei Cantici dimostra la ricchezza di questo linguaggio, la cui prima espressione è già in Genesi 2,23-25» Giovanni Paolo II, Catechesi del 23 maggio 1984

Queste tre citazioni antiche e moderne, ebraiche e cristiane, sono sufficienti per introdurci in un testo dawero singolare che la tradizione ebraica ha chiamato sfr haSsirim, il «Cantico dei Cantici», owero il Cantico più bello. In ebraico sono appena 1250 parole (lo 0,42% dell'intera Bibbia ebraica) e di queste, ben 49 non si ritrovano nel resto della Bibbia. Ma l'ammirazione per il Cantico, attestata dalla tradizione giudaica così come da quella patristica, va di pari passo con la ricerca di un senso del libro stesso: senso letterale oppure allegorico, come a lungo si è ritenuto?

INTRODUZIONE

IO

Un dato certamente singolare è rappresentato dal fatto che nel Cantico non si parla mai direttamente di Dio, a parte il testo di 8,6 dove il nome «YHWH» è celato come suffisso di «fiamma» (cfr. il commento a 8,5-7). Non si parla mai direttamente di matrimonio come istituzione, benché i protagonisti del Cantico siano indubbiamente due sposi, e meno ancora si parla apertamente di figli, benché, come vedremo, il tema della fecondità non sia assente. D'altra parte, i nomi dei due protagonisti, lei, lasiìlammit, in ebraico la «pacificata», lui, selomoh, Salomone, l'uomo di pace (salom), rimandano già a un simbolismo nascosto: la coppia come luogo di pace. Il Cantico si presenta come un poema d'amore sponsale davvero molto bello, a buon diritto appunto il «Cantico dei Cantici», un poema nel quale due giovani amanti cantano il loro reciproco desiderio e il loro amore; la carica erotica del Cantico è molto forte. Eppure il Cantico non si esaurisce qui e, come del resto avviene per ogni poesia, è un testo polisemico, aperto a più significati. Si confermano così le celebri parole di Agostino: «il Cantico è un libro denso di misteri» (Discorso 46, 35). All'interno del canone biblico, sia la tradizione ebraica sia quella cristiana collocano il Cantico tra quelli che oggi chiamiamo libri sapienziali; nel Talmud il Cantico è posto subito dopo i Salmi, i Proverbi e il Qohelet; nel Testo Masoretico si trova invece tra Rut (considerato anticamente opera di Samuele) e il Qohelet (considerato opera del re Salomone ormai anziano); assieme anche a Lamentazioni ed Ester (ebraico) il Cantico appartiene a quel gruppo di cinque libretti chiamati in ebraico meghill6t, i «rotoli». Nel testo greco della Settanta il Cantico è generalmente posto subito dopo Proverbi e Qohelet.

ASPETTI LETTERARI Unità letteraria del Cantico Nel passato è spesso prevalsa, a proposito del Cantico, una lettura frammentaria; il Cantico sarebbe pertanto da considerarsi come

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una collezione di poemetti indipendenti; se già nel 1898 Budde ne contava 23, nell964 Krinetzki ne ha contati ben 52 1• Secondo Eissfeldt, che conta da parte sua 25 poemetti, il Cantico sarebbe stato composto con uno stile antologico; ci troveremmo di fronte a una raccolta di canti erotici messi insieme da un anonimo redattori?. È invece possibile dimostrare che nel Cantico esiste un'unità di autore per una lunga serie di motivi tra i quali ne ricordiamo alcuni tra i più importantP: - prima di tutto la presenza di ritornelli che percorrono tutto il Cantico: l'invito a non svegliare l'amore (2,7; 3,5; 8,4); il ritornello dell'unione (2, 16; 6,3; 7,11 ); quello della «salita>> (3,6; 6, 10; 8,5) ecc. 4 ; -la presenza di motivi simbolici costanti: il giardino (4, 12-16; 5, l; 6,2); la vigna (l ,6; 8, 11-12); i fiori di papavero (2, 1.2.16; 4,5; 5,13; 6,2-3; 7,3), il melograno (4,3.13; 6,7.11; 7,13; 8,3); - la ripetizione di una serie di parole-chiave: «figlie di Gerusalemme» (6 volte), «amore» (ben 18 volte), «amica» (9 volte) ... ; -il dialogo tra lei, lui e il coro, l'elemento stilistico più caratteristico che percorre tutto il Cantico e che abbiamo sempre segnalato all'interno della presente traduzione, seguendo un uso già attestato nei codici Alessandrino (A) e Sinaitico (K); -l'amore per la terra d'Israele: Gerusalemme (1,5; 2,7; 3,5.10; 5,8.16; 6,4; 8,4), il monte Sion (3, 11), l'oasi di 'En-Ghedi (l, 14), la pianura di Sharon (2, l), la città di Ghil 'ad (4, l; 6,5), la montagna di Tirza (6,4), il monte Carmelo (7,6), i monti, il profumo e gli alberi del Libano (3,9; 4,8.11.15; 5,15; 7,5). Queste ragioni ci impediscono di dare del Cantico una lettura frammentata, anche se il postulare un'unità di autore non conduce automaticamente ad ammettere l'esistenza di una struttura letteraria precisa. 1 Cfr. l'interessante prospetto offerto da G. Ravasi, Il Cantico dei Cantici, Dehoniane, Bologna 1992, pp. 90-91. 2 Cfr. O. Eissfeldt, Introduzione al! 'Antico Testamento, Paideia, Brescia 1982, pp. 311-323. 3 Cfr. C. Camiti, «L'unità letteraria del Cantico dei Cantici», Bibbia e Oriente 13 (1971) 97-106 e R. E. Murphy, «Cantico dei Cantici», in: R.E. Brown-J.A. Fitzmyer- R.E. Murphy (ed.), Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973, pp. 602-607. 4 Cfr. G. Barbiera, Il Cantico dei Cantici, Paoline, Milano 2004, pp. 35-36, che dà a questi ritornelli un valore strutturante.

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Struttura letteraria Se l 'unità di autore del Cantico sembra oggi generalmente ammessa, non così è per la struttura letteraria, sulla quale non pare esserci un reale consenso da parte dei commentatori. In un suo celebre studio A. Chouraqui ha proposto di leggere il Cantico secondo una struttura di carattere «sinfonico», un'intuizione sviluppata in Italia dalla bella introduzione di V. Mannucci: alla luce di questa proposta, il Cantico si presenta dunque come una sinfonia modulata su tre grandi movimenti 5 • Il primo movimento è rappresentato dalla nascita dell'amore ( Ct 1-2; 3,6-5, l). Tutto nasce dal desiderio di lei (l ,2-7) e, insieme, da quello di lui (2, l 0-14). La nascita dell'amore ha il suo culmine nella «malattia d'amore» (2,4-6 per lei; 4,9 per lui): c'è una tensione tra i due che dev'essere superata; la donna sente tuttavia il richiamo dell'amore che la costringe a camminare verso il suo diletto. Il secondo movimento è rappresentato dall'esilio dell'amore (3, 1-5; 5,2--6,3). In questi due «notturni», lui è fuggito mentre lei dorme e, quando si sveglia, lo cerca senza trovarlo. Il sonno diviene immagine di un amore ancora imperfetto. Occorre perciò svegliarsi, superare le difficoltà (rappresentate simbolicamente dalle guardie) e andare in cerca dell'amato. L'amore attraversa momenti di fragilità, di difficoltà legate al proprio egoismo. Si giunge così al terzo movimento del poema, il ritrovamento dell'amore (6,4-8,7): a partire da 6,4, lui celebra la bellezza di lei (6,4-7,9) e lei canta la bellezza di lui (7,10-8,3), sino ad avviarsi al sigillo definitivo (8,5-7), a un amore che sfida la morte. Alla luce di questa lettura appare evidente, come scrive Chouraqui, che «il semplice enunciato dei tre temi fondamentali che compongono il Cantico basta a dare la giusta collocazione di quest'opera in seno alla Bibbia intera, che, a sua volta, è attraversata da un capo all'altro dai tre temi della creazione, della caduta o esilio e della redenzione» 6 • 5 Cfr. A. Chouraqui, Il Cantico dei Cantici e introduzione ai Salmi, Città Nuova, Roma 1980, pp. 42-47; V. Mannucci, Sinfonia del! 'amore sponsale, Elledici, Leumann (To) 1982, pp. 29-58. 6 A. Chouraqui, Il Cantico dei Cantici, cit., p. 44.

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Più recentemente G. Barbiero7 ha proposto una struttura letteraria più circostanziata, accolta con alcune piccole modifiche in questo commento, che non rinnega la dimensione «sinfonica» appena messa in rilievo. Il Cantico si presenta dunque con una struttura letteraria che è allo stesso tempo di carattere speculare e concentrico: Titolo (1,1) A. PROLOGO. IL RECIPROCO DESIDERIO (1,2-2,7) l ,2-4 Il bacio (prima strofa) l ,5-6 A guardia delle vigne (seconda strofa) 1,7-8 Segui le tracce del gregge! (terza strofa) 1,9-14 Duetto e notturno (quarta strofa) l, 15-17 La casa dell'amore (quinta strofa) 2,1-3 Tra fiori e alberi (sesta strofa) La casa del vino (settima strofa) 2,4-7 B. DUE CANTI DELL'AMATA (2,8-3,5) 2,8-17 Primo canto: l'arrivo della primavera 3,1-5 Secondo canto: notte di ricerca e di ritrovamento INTERMEZZO. IL CORTEO NUZIALE DEL RE SALOMONE (3,6-11) C. IL PRIMO CANTO DEL CORPO DI LEI (4,1-5,1) 4,1-7 Quanto sei bella! 4,8-15 O sorella mia, sposa! 4,16-5,1 Sono venuto nel mio giardino ... D. J CANTI DELLA SEPARAZIONE E DEL RITROVAMENTO (5,2-6,3) 5,2-8 La separazione 5, 9-16 Il canto del corpo di lui 6, 1-3 Il ritrovamento C'.NUOVI CANTI DEL CORPO DI LEI (6,4-7,11) 6,4-12 Celebrazione dell'amata 7,1-11 Il desiderio di lei B'. ULTIMI CANTI DELL'AMATA (7, 12-8,4) 7, 12-14 L'amore vissuto nella natura 8,1-4 L'amore in casa della madre A'. VITTORIA DELL'AMORE ED EPILOGO DEL POEMA (8,5-14) 8,5-7 Come sigillo sul tuo cuore ... 8,8-14 Epilogo · 7

Cfr. G. Barbiero, Il Cantico dei Cantici, cit., pp. 32-38.

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Analizzeremo questa struttura più in dettaglio nel corso del commento; qui basti osservare come al prologo del Cantico, centrato sul tema di un amore che nasce dal desiderio (lettera A) corrisponda un amore divino forte come la morte (A'; cfr. 8,5-7). Ai due canti iniziali dell'amata (B) corrispondono i due ultimi canti, ancora dell'amata (8'). I canti del corpo di lei, infine (C e C'), incorniciano la parte centrale del Cantico (D), il tema della separazione e del ritrovamento (assieme al canto del corpo di lui), una dialettica che percorre in realtà buona parte del Cantico e che costituisce di fatto uno dei linguaggi più intriganti dell'amore.

Il linguaggio poetico del Cantico Comunque si interpreti il Cantico (cfr. pp. 16-32), è la ricchezza del suo splendido linguaggio poetico la prima realtà che si impone a chiunque lo ascolti. Il ritmo, l'uso attento degli strumenti stilistici a disposizione del poeta ebreo, prima di tutto quello del parallelismo, rendono il Cantico un «bel testo» e, insieme, una sfida impossibile per qualunque traduttore. Il poeta si serve di giochi di parole, di allitterazioni e di assonanze che per lo più possono essere colte soltanto nel testo ebraico. Il tema centrale e realmente unificante del poema, l'amore, si espande in una miriade di simboli8, relativi al corpo e alla sua bellezza, al creato e al suo fascino: universo, piante, animali, colori, odori e sapori. Entrare nella bellezza della poesia del Cantico è senza alcun dubbio l'unico modo per comprenderlo appieno. Il poeta non intende narrare dei fatti, ma comunicare stati d'animo, emozioni; attraverso l'uso dei simboli il poeta può cantare l'amore umano senza mai scadere nella volgarità e nella pornografia. Si può parlare, a buon diritto, del Cantico come di una «lirica» 9 • 8 Cfr. l'immagine del «giardino dei simboli» ben descritta da G. Ravasi, Il Cantico dei Cantici, cit., pp. 103-113. 9 Notiamo ancora come molte immagini utilizzate nel Cantico provengano dal! 'ambiente egiziano e non di rado dimostrino di avere uno sfondo di carattere mitologico. Il lavoro fondamentale al riguardo è quello di O. Keel, Deine Blicke sind Tauben. Zur Metaphorik des Hohen Liedes, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1984. Keel ci aiuta a capire che le metafore, nel Vicino Oriente antico, hanno un valore funzionale e non visivo, rinviano cioè al ruolo, alla funzione de li' oggetto descritto.

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Genere letterario del Cantico Per un certo tempo si è pensato al Cantico come a una rilettura israelitica di culti cananei della fertilità, per esempio le nozze tra Ishtar e Tammuz, che in primavera venivano celebrate in forma di dramma. Il Cantico non nomina mai esplicitamente YHWH, il Dio di Israele (cfr. però la menzione di «Yah» in 8,6) ma, se fosse stato solo la ripresa di un testo cananaico, avrebbe potuto facilmente prestarsi a equivoci ed essere letto come un canto scritto sulla falsariga dei culti della fertilità. L'analisi comparativa del Cantico si è rivelata in effetti importante, ma non decisiva; il Cantico ha, infatti, dimostrato di avere contatti con molte altre letterature, ma solo perché affronta i temi universali dell'amore oppure perché appartiene a un medesimo ambiente culturale. C'è chi ha visto poi nel Cantico una sorta di celebrazione teatrale degli amori del giovane Salomone, oppure un vero e proprio triangolo tra un giovane pastore, la sua amata e un re potente che li contrasta, finché l'amore non vince 10 • Il Cantico si presenta, letterariamente, come un epitalamio, cioè come un poema d'amore da cantarsi in ambito nuziale. Da questo punto di vista, il Cantico presenta numerosi paralleli con canti d'amore dell'antico Egitto, ma anche con lo wasfarabo. Con il termine wasf si indica un canto composto per esaltare la bellezza del corpo femminile, un genere letterario ben noto sin dali' antico Egitto (cfr. Ct 4, 1-7; 5, 10-16; 6,4-7; 7 ,2-9). In Ct 2,8-17; 5,2-8 appare invece il genere letterario del lamento dell'amante presso la porta chiusa dell'amata (in greco, paraklausithyron), tipico della lirica erotica ellenistica. Una novità del Cantico è l 'uso della forma dialogica (lei - lui - il coro) che conferisce al poema un effetto drammatico. Tuttavia, come vedremo, il Cantico non celebra tanto il matrimonio, quanto piuttosto l'amore: «Lui e Lei, senza un vero nome, sono tutte le coppie che, nella storia, ripetono il miracolo dell'amore»". 1°Cfr. A. Rolla, «Il Cantico dei Cantici» in: P. Bonatti- C.M. Martini (ed.), Il Messaggio della Salvezza, Il/2, Elledici, Leumann (To) 1966, pp. 515-518. Una bella rilettura drammatica, in questa chiave, è il brevissimo testo di A. Kacyzne, ebreo lituano nato ne11885 e ucciso dai nazisti nel1945: Le perle malate, Qiqajon, Magnano (Bi) 1995. 11 L. Alonso Sch> 25 • Potremmo affermare che il Cantico descrive l'amore della coppia in una situazione di ritrovato paradiso, un vero e proprio eros redento, ovvero l'amore umano vissuto secondo il progetto di Dio. Da questo punto di vista, il Cantico riprende anche la metafora sponsale più volte utilizzata dai profeti; nel caso del Cantico, tuttavia, al centro dell'attenzione del poeta c'è la realtà dell'amore umano, prima ancora di quello divino: «Alcuni lettori del Cantico dei Cantici si sono lanciati a leggere immediatamente nelle sue parole un amore disincarnato. Hanno dimenticato gli amanti o li hanno pietrificati in finzioni, in chiave intellettuale, [... ] hanno moltiplicato le minute corrispondenze allegoriche in ogni frase, parola o immagine [... ]Non è questa la strada giusta. Chi non crede nell'amore umano degli sposi, chi deve chiedere 24 Con il termine midrash (in ebraico «ricerca») si intende una fonna tipicamente ebraica di commento biblico, fondato sulla convinzione del! 'unità del!' intera Scrittura e, insieme, sul valore perenne della Parola di Dio che dev'essere perciò resa attuale per chiunque l'ascolta. In questo modo, un testo biblico è Ietto alla luce di un altro e il tutto viene contestualizzato in una mutata situazione storica. Ci sono giunti diversi midrashim (pl. di midrash), per lo più dei primi secoli della nostra era. 25 Giovanni Paolo Il, Catechesi del 23 maggio 1984. Sulla lettura del Cantico come sviluppo poetico di Gen 2,18-15 si veda, per esempio, D. Lys, Le plus beau chant de la création. Commentaire du Cantique des Cantiques, Cerf, Paris 1968, p. 52, e, più in dettaglio, l'intero commento di G. Barbiero che dà molta importanza a questa linea interpretativa.

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perdono del corpo, non ha il diritto di elevarsi [... ]. Con l'affermazione dell'amore umano, invece, è possibile scoprire in esso la rivelazione di Dio» 26 • È altresì significativo il fatto che il Cantico sia stato inserito all'interno dei libri sapienziali, proprio attraverso l'attribuzione salomonica (cfr. p. 32); il suo tema, l'amore di coppia, è infatti legato all'esperienza concreta della vita umana. Considerato come un testo a sfondo sapienziale, il Cantico può essere visto anche come un'espansione dell'intuizione sull'amore umano contenuta in Pr 30,18-19 e dunque come un messaggio diretto allo stesso pubblico al quale erano diretti i Proverbi, ovvero i giovani israeliti: «Probabilmente, dunque, l 'autore (o gli autori) del Cantico fu uno scriba, un colto e raffinato sapiente israelita. Egli avrebbe curato questa squisita antologia di poesie di amore per uso scolastico, come una specie di componimento poetico per insegnare la sublimità e la bellezza dell'amore. Ai suoi giovani discepoli, ragazzi e ragazze, il maestro di sapienza porge una profonda, ma simpatica e attraente riflessione sull'amore tra uomo e donna» 27 • Esiste inoltre senza dubbio un certo rapporto tra il Cantico e il testo di Pr 1-9; ma, a parte Pr 5,15-19, è noto come l'atteggiamento degli autori di Pr 1-9 nei confronti dell'amore di coppia sia molto più guardingo e non di rado persino critico rispetto alla libertà e alla gioia che si respira nel Cantico; si veda come buon esempio l'intero testo di Pr 7 con i suoi ripetuti ammonimenti relativi alla donna straniera. Si potrebbe piuttosto affermare che il libro dei Proverbi traspone nei confronti della sapienza, personificata in Pr 1-9 come una donna, ciò che nel Cantico si dice dell'amata. Se questo è vero, potrebbe essere la letteratura sapienziale ad aver ripreso proprio dal contesto di coppia tipico del Cantico quel linguaggio erotico che 26 L. Alonso Sch di Ct 3,1-4 e 5,2-8. Il corpo possiede dunque un vero e proprio linguaggio, che è il linguaggio stesso della creazione, e l'uomo è invitato a scoprirlo e a usarlo. Nelle parole di G. Ravasi: «Il Cantico -nella linea dell'antropologia unitaria psicofisica della Bibbia- vede invece il corpo come una realtà simbolica, carica di significati spirituali, inscindibile e indistinguibile dalla stessa interiorità e spiritualità. Il corpo è, dunque, un pianeta da esplorare, è il punto di partenza e di arrivo di un reticolo vivissimo di relazioni interpersonali e di sensazioni, ha un linguaggio specifico che il Cantico contribuisce a decifrare» 41 • Una parola, in particolare, va detta in relazione a quell'aspetto peculiare del linguaggio del corpo nel Cantico dei Cantici che è la nudità (cfr. la descrizione dell'amata in 7,2-9), un tema che ci ricorda da vicino ancora la situazione descritta in Gen 2,18-25: «erano nudi, ma non ne provavano vergogna» (2,25). La nudità, così presente nel Cantico e mai pornograficamente ostentata, acquista nel poema un valore utopico; la coppia del Cantico vive il proprio rapporto come in una dimensione paradisiaca: «La nudità ha, nel Cantico, la stessa funzione che in Gen 41

G. Ravasi, Il Cantico dei Cantici, cit., p. 107.

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2,25: esprime l'utopia di un incontro senza veli e senza maschere, nell'immediatezza e nella vulnerabilità di un rapporto autenticamente umano» 42 • Questa osservazione di G. Barbiere è del tutto vera, ma va completata; non dobbiamo dimenticare infatti come la nudità degli amanti del Cantico sia anche una nudità assolutamente reale- specialmente la nudità del corpo di lei -che doveva a molti apparire persino scandalosa già nel tempo in cui il Cantico è stato scritto; essa è certamente una delle espressioni privilegiate dell'amore dei due amanti, che possono guardarsi l'un l'altro «senza vergogna», come la coppia originaria nell'Eden, perché dal loro amore è assente la cupa ombra dell'egoismo e del possesso. Non si parla affatto dei vestiti, come nel racconto genesiaco, perché il rapporto d'amore non ha bisogno di questo strumento di difesa, come avverrà dopo aver mangiato del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male (cfr. Gen 3,7). La nudità degli amanti del Cantico ha anche un valore esemplare per ogni coppia che vive un vero rapporto d'amore. Accogliere la nudità deli' altro nel reciproco amore significa per lui e per lei ritornare alla situazione deli 'umanità delle origini, così com'era stata pensata da Dio, a un eros redento da ogni colpa. La coppia, nel contemplarsi nella reciproca nudità, celebra la bellezza della creazione. Il linguaggio del corpo diviene così veramente il linguaggio dell'amore: la corporeità, nella sua dimensione creazionale e dunque profondamente teologica, diviene per l'altro uno strumento di rivelazione. L'amore è gioia e festa, il sesso è appagante e non peccaminoso. «Non svegliate l'amore!»: l'amore è legge a se stesso e sa quando svegliarsi (2,7; 3,5; 8,4). Il Cantico proclama la libertà dell'amore, non il libero amore. Nelle parole coraggiose di Giovanni Paolo II il linguaggio del corpo è accostato, sorprendentemente, al linguaggio stesso della liturgia; liturgia dei corpi, celebrazione dell'amore sponsale: «Perfino un'analisi sommaria del testo del Cantico dei Cantici permette di sentire esprimersi in quel fascino reciproco il "linguaggio del corpo". Tanto il punto di partenza quanto il punto di arrivo di questo fascino- reciproco 42

G. Barbiero, Il Cantico dei Cantici, cit., p. 439.

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INTRODUZIONE

stupore e ammirazione - sono infatti la femminilità della sposa e la mascolinità dello sposo nell'esperienza diretta della loro visibilità [... ]. L'amore inoltre sprigiona una particolare esperienza del bello che si accentra su ciò che è visibile, ma coinvolge contemporaneamente la persona intera. L'esperienza del bello genera il compiacimento, che è reciproco» 43 • «Gli sposi del Cantico dei Cantici dichiarano vicendevolmente, con parole ardenti, il loro amore umano [... ]. Si può dire che attraverso l'uno e l'altro il "linguaggio del corpo", riletto sia nella dimensione soggettiva della verità dei cuori umani, sia nella dimensione oggettiva della verità del vivere nella comunione, diviene la lingua della liturgia>> 44 • L 'amore nel quadro della terra promessa. Al lettore moderno i paragoni posti tra la bellezza del corpo e molti elementi della terra d'Israele continuamente presenti nel Cantico possono senz'altro sfuggire e persino risultare pesanti o addirittura ermetici; eppure si tratta di elementi importanti per comprendere meglio quale bellezza il Cantico ci stia descrivendo. La terra d'Israele emerge continuamente nel Cantico con una serie di riferimenti geografici, molto spesso in relazione alla figura dell'amato o dell'amata. Una prima funzione di questi riferimenti alla geografia d'Israele- in modo particolare al mondo della città (cfr., p. es., 3,1-5; 8,1-4)va vista in relazione alle allusioni alla natura (cfr., p. es., 2,8-17; 7, 12-14). La natura mette in risalto la dimensione libera, spontanea, affascinante dell'amore; i riferimenti alla città, invece, mettono in rilievo le difficoltà che l'amore incontra nel momento in cui si cerca d'istituzionalizzarlo. E d'altra parte l'amore deve anche imparare a vivere nella società. Uno studio attento del Cantico è in grado di aprirci a un'ulteriore dimensione simbolica rappresentata dai riferimenti alla terra d'Israele: l'amore umano, apparentemente soltanto terreno e carnale dei due amanti, e la forte carica erotica che attraversa il testo richiamano alla mente non solo la bellezza della creazione, ma anche la geografia e, quindi, la storia della terra d'Israele. 43 44

Giovanni Paolo Il, Catechesi del 23 maggio 1984. Giovanni Paolo Il, Catechesi del 27 giugno 1984.

INTRODUZIONE

30

Non è necessario ritornare a una lettura allegorica o al tentativo di voler cercare in ogni particolare del poema qualche allusione nascosta. L'amore umano, inserito sullo sfondo della terra promessa, che non è un quadro artificiale né un puro e semplice ricorso poetico, diviene il segno del compimento delle promesse divine per Israele (cfr. le intuizioni di A. Chouraqui sulla struttura «sinfonica» di fondo del Cantico). Una terra che è oggetto di desiderio e di ricerca, sempre perduta e ritrovata, costituisce l'ulteriore sfondo simbolico del Cantico; l'amore dei due protagonisti del Cantico, e quindi quello di ogni coppia d'innamorati, richiama così a Israele l'amore di Dio per il suo popolo. «lo sono per il mio diletto ed il mio diletto è per me». È l'amore, come più volte si è detto, e non il matrimonio in quanto tale il tema di fondo del Cantico. Attraverso i ritornelli dell'appartenenza, l'amore emerge nel Cantico prima di tutto come dono reciproco: «il mio diletto è per me, ed io sono per lui» (cfr. 2, 16; 6,3; 7,11 ). Non a caso, tutto il Cantico si gioca sull'uso del dialogo tra lui e lei. L'amore crea non una fusione d'identità, quanto piuttosto un incontro, nel quale la parola ha dunque una grande importanza; il Cantico crea un dialogo d'amore al quale anche gli amici e le amiche, in funzione di coro, possono intervenire (cfr. 1,8; 5,9, 6,1.10; 7, la; 8,5.8-9.11). Così l'amore, aprendosi all'incontro con l'altro, è necessariamente aperto alla trascendenza e il dialogo tra i due amanti diviene come un'eco del dialogo degli esseri umani con Dio stesso. A questo proposito, Giovanni Paolo II, riflettendo su due appellativi usati da lui per chiamare lei, «amica» e «sorella», che manifestano come l'amore riveli l'uno all'altro, affermava: «Il termine "amica" indica ciò che è sempre essenziale per l'amore, che pone il secondo "io" accanto al proprio "io"[ ... ]. L'espressione "sorella" parla dell'unione nell'umanità e insieme della diversità e originalità femminile della medesima nei riguardi non solo del sesso, ma del modo stesso di "essere persona", che vuoi dire sia "essere soggetto" sia "essere in rapporto"» 45 • 45

Giovanni Paolo Il, Catechesi del30 maggio 1984.

31

INTRODUZIONE

Le metafore utilizzate per parlare di lei, «giardino chiuso», «sorgente sigillata» (Ct 4, 12), rimandano a questo riguardo al mistero d eU' alterità d eli 'io femminile; nessuno è padrone dell'altro e la scoperta dell'amore, già sul piano del corpo, va di pari passo con la scoperta dell'inviolabilità della persona. L'amore diventa così affidamento, dono reciproco, appartenenza vicendevole. Oltre il Cantico: verso un più grande amore. Esiste nel Cantico una dimensione d'inquietudine46 : da un lato l'amore è dono reciproco, è incontro di due persone; lui proclama la bellezza di lei; lei proclama la bellezza di lui. D'altra parte, l'amore è anche una continua e inappagata ricerca (cfr. i già ricordati notturni in Ct 3, 15; 5,2-8); è una combinazione di prossimità e di distanza: l'amata è così «sposa», intimamente unita al suo uomo (. L'immagine del bacio governa l'intero poema e ci fa subito entrare in un 'atmosfera di grande sensualità, nella quale il corpo ha un ruolo privilegiato; le prime tre parole del v. 2, se lette in ebraico, creano anche un gioco sonoro dawero molto suggestivo: yissiiqéni mimfsiqot pilm («che egli mi baci con i baci della sua bocca»). Il bacio non solo ha un fortissimo valore erotico, ma simboleggia quasi uno scambio di respiro, di vita che i due amanti si comunicano (val la pena di ricordare che per pronunciare il termine ebraico pihU [«la sua bocca»] bisogna porre la bocca nel gesto del bacio). Al bacio si aggiungono le «tenerezze», subito paragonate al vino, la cui forza inebriante richiama immediatamente quella dell'amore; dal senso del tatto (il bacio, le tenerezze) si passa quasi naturalmente a quello del gusto. Baciare l'altro è come bere un buon vino- ma l'amore è più grande del vino! Il v. 3 mette sulla scena il senso dell'olfatto (due volte il termine «profumo»), attraverso il paragone del profumo intenso dell'olio versato; il bacio permette infatti di percepire il buon profumo dell'amato. Il paragone è molto bello: l'amato (il suo «nome») è il profumo stesso dell'amata. Il gioco erotico tra i due partner è descritto senza alcuna connotazione negativa; anzi, l'uso del vocabolo tob («buono», oppure «bello», cfr. il "ritornello" di Gen l: «Dio vide che era buono») ci offre la possibilità di un giudizio positivo sul rapporto d'amore. La conclusione del v. 3, ripresa nel v. 4, è a prima vista sconcertante: sembra che la donna ammetta delle rivali accanto al suo uomo; in realtà è come se l'amata stesse dicendo: "non è possibile non innamorarsi di te"! Le altre ragazze rappresentano così la proiezione della femminilità stessa dell'amata.

40

CANTICO DEI CANTICI 1,5

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A ragione (C'!~'~)- Le versioni antiche interpretano allegoricamente: > nell' AT può indicare una donna non ancora sposata, ma anche una prostituta (cfr. Tamar in

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Gen 38,14-15); la versione siriaca e la Vulgata hanno «vagabonda», una donna che si troverebbe cosi alla mercé di chiunque. Ma si può

del popolo d'Israele. Ciò non significa che il poeta avesse qui un'intenzione allegorica; egli sta semplicemente utilizzando simboli che alle orecchie dei suoi ascoltatori israeliti suonano certamente evocativi e richiamano realtà ben note, come appunto l'identificazione della «vigna» con «Israele».

1,7-8 Segui le tracce del gregge! (terza strofa) La donna inizia con un'invocazione, prosegue con due domande e conclude con una spiegazione; allo stesso modo il coro dei pastori (v. 8) si apre con un'invocazione («o bellissima tra le donne») e prosegue con due risposte («esci. .. porta al pascolo») e termina con una breve conclusione («le tende dei pastori»). Questa terza strofa ci pone così di fronte a una nuova scena: cambia ancora l'atmosfera e diviene più esplicitamente pastorale; a metà del giorno, nel caldo che soffoca, la donna chiede al suo amore (alla lettera: «colui che il mio animo ama») in quale luogo egli stia facendo pascolare e riposare il proprio gregge, così da poterlo trovare e rimanere sola con lui; l 'allusione al gregge e al pascolo ha chiari risvolti sessuali. La donna vuoi incontrare il suo amato, vuole «svelarsi» di fronte a lui (cfr. nota al v. l, 7). Il coro dei pastori che rispondono alla donna non è privo di garbata ironia. Alla donna è chiesto di «uscire» (il verbo tipico de li 'Esodo, ma anche il verbo usato per Abramo in Gen 12,1), di mettersi sulle tracce del suo amato. L'amore è visto cosi

43

CANTICO DEI CANTICI 1,9

Dimmi, o amor della mia vita:

7

dove fai pascolare il gregge? dove lo fai riposare a metà del giorno? Perché io non sia come una donna velata, dietro le greggi dei tuoi compagni. [Coro]

8

Se proprio non lo sai,

o bellissima tra le donne, esci sulle tracce del gregge e porta al pascolo le tue caprette presso le tende dei pastori. [Lui]

Alla mia puledra tra i cocchi del faraone tu sei simile per me, amica mia.

9

ricordare come la promessa sposa si copriva con tm velo in segno di pudore (Gen 24,65), togliendosi il velo solo di fronte allo sposo; l'amatanon

vuole apparire velata davanti a lui, ma aperta ali' amore (è l'interpretazione già di Ori gene). •:• 1,7-8 Testi affini: Gen 29,10-11; 37,16

come una sorta di esodo verso una destinazione sconosciuta. Il coro invita tuttavia l'amata a far pascolare le sue «caprette» su una strada che ella già conosce. Così le caprette acquistano un significato simbolico, e in esse va probabilmente vista la personificazione delle forze dell'amore; la donna deve allora seguire la voce dell'amore, ritrovandosi 'in tal modo «presso le tende dei pastori», cioè di nuovo nell'ambiente a lei più familiare, dove potrà incontrare il suo amato e unirsi a lui. Osserviamo che questo è lo stesso movimento descritto in Gen 2,24, dove l'uomo è invitato a lasciare il padre e la madre per unirsi alla sua donna, un movimento trasferito adesso alla donna; è lei che ora è invitata a «uscire». Ma in tutto il Cantico, come vedremo, le allusioni al racconto genesiaco della creazione sono molto frequenti e di grande peso teologico; l 'amore riporta l'uomo nella situazione paradisiaca precedente al peccato. 1,9-14 Duetto e notturno (quarta strofa)

Inizia qui un duetto che si protrae sino a 2,3. Parla per primo il diletto (vv. 9-11 ). La strofa successiva (vv. 12-14), che contiene la risposta di lei, è strettamente legata a questa; entrambe le strofe contengono infatti un appellativo amoroso («amica mia>>, «mio diletto»), unito a un paragone («puledra>>, «re») e a tre elementi preziosi o profumati (cocchi, orecchini, fili di perle: vv. 9-1 O; nardo, mirra, fiori di cipro: vv. 12-14). Dal movimento di ricerca che ha animato i primi versetti si passa adesso a

44

CANTICO DEI CANTICI I,IO

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1,12 Sul suo triclinio (i:ilt;l~~) -Il termine ebraico ~-o~ è di difficile interpretazione; può indicare il letto o il divano (cosi, p. es., la versione CEI del 2008), oppure, più probabilmente, il triclinio, il giaciglio tipico delle mense di lusso ben noto soprattutto in ambito greco-romano, ma anche medioorientale. L'immagine del re, sdraiato sul triclinio a mangiare e bere in compagnia femminile, è diffusa nell'iconografia del Vicino Oriente antico.



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Il nardo ('"!'ll) - Questo profumo di lusso di origine indiana (nardostachys jatamansi), considerato un potente afrodisiaco, richiama alla mente, ai lettori del NT, la scena narrata in Mc 14,3-5 e Gv 12,3, l'unzione di Betania. L'allusione al Cantico, specialmente nel testo evangelico di Giovanni, non dev'essere esclusa a priori. Diffonde- Il verbo 11')~ è, alla lettera, «dona» (cfr. il commento). 1,13 Un sacchetto di mirra (1bi} 1i1~)- La

una sosta: i due amanti si incontrano in un'atmosfera che è insieme di sorpresa e d'entusiasmo, di reciproco abbandono sullo sfondo della bellezza della creazione. In 1,9-11 si ode per la prima volta la voce dell'uomo rivolta alla sua «amica», un termine che compare nel Cantico nove volte e che intende porre in rilievo la dimensione non istituzionale dell'amore, il fatto che l'amata è posta sullo stesso piano dell'amato, come sua amica, appunto. Il simbolismo della puledra rimanda poi a immagini di forza, di bellezza, ben note al Vicino Oriente antico e non prive di uno sfondo magico e qui anche fortemente erotico (si tratta infatti della «mia» puledra). L'immagine della puledra aggiogata ai cocchi del faraone rinvia, invece, a una potenza splendida ed esotica, all'amata che acquista tratti guerreschi e insieme regali, che non mancheranno nel resto del Cantico, come già si vede nella strofa che segue (v. 12). Viso e collo della donna sono poi coperti da monili pregiati, tipicamente femminili (v. 10), quei monili che il diletto intende donare all'amata (v. Il). Il plurale del v. Il («faremo») introduce forse accanto ali' amato i suoi amici, esaltando così la dimensione sociale dell'amore; i due amanti non vivono infatti in un mondo a parte, ma sono inseriti nella società che li circonda, che ora li accoglie, ora li ostacola. La risposta di lei è come un delicato notturno caratterizzato da simboli odorosi

45

CANTICO DEI CANTICI 1,14

Belle le tue guance tra gli orecchini,

10

il tuo collo tra fili di perle. 11 Faremo per te ornamenti d'oro con intarsi d'argento. [Lei]

12Mentre

il re se ne sta sul suo triclinio,

il mio nardo diffonde il suo profumo. 13 Un sacchetto di mirra è il mio diletto per me; egli passa la notte tra i miei seni. 14Una

pannocchia di fiori di cipro è il mio diletto per me,

nelle vigne di 'En-Ghedi. mirra, unguento prezioso e molto profumato, viene portata dalla donna in un sacchetto tra i seni, per essere ancor più attraente. 1,14 Fiori di cipro (i~!:l;:t)- Il «cipro» è anche noto come alcanna o henné (lawsonia spinosa/alba), una pianta dai fiori bianchi disposti a grappolo, usati sia come profumo sia come cosmetico, qui probabile immagine del sesso maschile. 'En-Ghedi ('"P 1'~1)- Questo nome significa «fonte del capretto»; si tratta di una

località molto suggestiva, ricca d'acqua, che si trova in mezzo alle rocce desertiche che si affacciano sulla sponda occidentale del mar Morto (cfr. Sir 24,14, per le palme di 'En-Ghedi). Ma l'allusione al «capretto» può avere un significato erotico come già in 1,8 e rinviare alla personificazione delle forze dell'amore, secondo un'idea frequente nei miti del Vicino Oriente antico. •:•1,9-14 Testi affini: Is 61,10;Ap 19,7; 21,2

e da una intensa sensualità tutta femminile. L'amato-re è immaginato sdraiato sul suo triclinio (cfr. nota al v. 1,12), dove viene raggiunto dal prezioso profumo del nardo, segno del «dono» che la donna fa all'amato della propria femminilità; il nardo è dunque l'amata stessa, la bellezza e il profumo che ella sa donare al suo amato. I vv. 13-14 alludono, poeticamente, al rapporto sessuale che i due desiderano, un rapporto immaginato in un'atmosfera sospesa tra sogno e realtà, in un quadro fatto di tenerezza e di abbandono reciproco. L'amato è il profumo stesso della donna; è lui quel sacchetto che passa la notte tra i suoi seni, è lui quel grappolo di cipro (un'altra possibile allusione erotica; cfr. note filologiche) nelle vigne del capretto. Il termine «diletto» o «amato» (dOd) compare qui per la prima di ben ventisei volte nel Cantico; esso non sottolinea soltanto l'aspetto amicale dell'amore: infatti, è scritto in ebraico con le stesse lettere (dwd) del nome del re «David» (cfr. anche il nome con cui è chiamato Salomone in 2Sam 12,25: ydidya, «il prediletto»). La località di 'En-Ghedi, sul mar Morto, ricorda poi l'episodio narrato in 1Sam 24 e relativo a Davide Saul. Queste allusioni davidiche servono al poeta a storicizzare l'amore dei due, a riportarlo neli 'alveo della grande storia d'Israele, che è al contempo storia della salvezza. L'amore dei due protagonisti del Cantico acquista in questo modo un aspetto quasi messianico.

46

CANTICO DEI CANTICI 1,15

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:C'i?.'tP.Q n~w,~ c'~iniJ 1'# h~wi~:p 2 :ni~~D 1,15 I tuoi occhi (T~'l)) - L'arte egiziana sottolinea volentieri la dimensione estetica degli occhi femminili. Colombe (C'lÌ') - La colomba, nei testi e ne li 'iconografia del mondo antico, è talora presentata come l'animale che simboleggia la dea deli' amore e, in tal senso, ha anche il ruolo di messaggero d'amore; è facile perciò vedere anche nel Cantico la colomba come «messaggera

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dell'amore». Nella letteratura antica il corteggiamento delle colombe è un luogo comune per descrivere l'amore di una coppia; cfr., p. es., Plinio che sottolinea il bacio che le colombe si scambierebbero prima di unirsi: «Le colombe secondo un loro rito si baciano prima di accoppiarsi» (Storia naturale IO, 158). 1,16 Letto (Wi.~)- Con «letto» traduciamo un termine raro (cfr. Am 6,4-6; Pr 7,16) che

1,15-17 La casa dell'amore (quinta strofa)

Una nuova piccola strofa e un nuovo duetto, caratterizzato dali' ammirazione estatica per la bellezza de li' altro (undici volte nel Cantico la donna è chiamata «bella»): in questo consiste l'amore, nel far comprendere ali' amato quanto lui è bello per me; e tale bellezza non finisce mai. L'amata è di nuovo chiamata «amica>> (cfr. commento a 1,9). L'amato coglie la bellezza della donna prima di tutto nei suoi occhi, metaforicamente chiamati «colombe», forse per il loro candore disarmante, per l'emozione che essi suscitano, ma più probabilmente pensando alla colomba come messaggem d'amore. L'amata sottolinea piuttosto la «dolceZZa>>, l'amabilità del diletto e l'invita a unirsi a lei; il pmto tenero e verdeggiante su cui i due giacciono è il miglior letto che essi possano desidemre. La loro «casa dell'amore» è immaginata come costruita con gli alberi più alti e più maestosi, i cedri del Libano, e con il ginepro, l'albero dal legno duraturo che con il cedro incrocia i suoi rami, sino a formare un soffitto tutto vegetale; la simbolica vegetale costituisce una velata allusione alla fecondità. Un'allusione discreta al tempio salomonico, anch'esso tutto costruito in legno di cedro (cfr. IRe 6--7) non sem bm qui del tutto impossibile; se così fosse, l'amore dei due verrrebbe in qualche modo storicizzato e insieme sacmlizzato sullo sfondo del tempio.

47

CANTICO DEI CANTICI 2,2

[Lui]

15 Quanto

sei bella, amica mia, quanto sei bella!

[Lei]

I tuoi occhi sono colombe. 16 Quanto sei bello, mio diletto, come sei dolce! Davvero il nostro letto è un prato verdeggiante, 17

le travi della nostra casa sono cedri

e nostro soffitto i ginepri.

2 [Lui]

Io sono una margherita della pianura di Sharon,

1

un papavero delle valli.

Come un papavero tra i rovi,

2

così la mia amica tra le ragazze. indica probabilmente un letto di lusso, il che pensato alla rosa o al narciso. Il secondo quale tuttavia, attraverso l'uso della figura fiore, forse il comunissimo ma poetico paretorica dell 'ossimoro, è detto qui «tenero», . pavero, ha dato origine al nome «Susanna>>; oppure «verdeggiante»; il letto di lusso dei per altri autori è piuttosto il «giglio» (cfr. la due amanti è in realtà lo stesso prato su cui versione CEI del 2008), oppure il loto, più noto ali 'Egitto che a Israele e tipico delle essi si stanno abbracciando. 2,1 Margherita ... papavero (n~~;f:;r:) ... zone ricche d'acqua. il~~iW) - L'identificazione precisa dei due La pianura di Sharon (1i,~;:t)- Si estende fiori non è affatto sicura; per il primo si è an- nella zona costiera meridionale di Israele.

2,1-3 Tra fiori e alberi (sesta strofa) Continua il duetto apertosi in 1,9, qui caratterizzato ancora dal simbolismo vegetale. Al v. l parla lei, poi lui (v. 2) e quindi ancora lei (v. 3). Il «papavero» lega il v. l al v. 2; la ripetizione di «come ... cosi» collega il v. 2 alla prima parte del v. 3; il tema del «melo» collega invece tra loro le due parti del v. 3. L'amata paragona se stessa a due fiori, immagini di bellezza, freschezza, attrazione; se identifichiamo il secondo con il «loto», che spunta in Egitto dalle paludi (cfr. note al testo), il poeta richiama una pianta che proprio in Egitto è simbolo dell'amore. Se invece le due piante sono la margherita e il papavero, la donna è confrontata con due fiori molto comuni, semplici, ma belli, che fioriscono in primavera creando nei campi un bel contrasto cromatico di bianco/ giallo e rosso. Cosi è la donna: bellezza semplice, ma affascinante, sullo sfondo di un contesto maschile («la pianura di Sharon» e «le valli», termini maschili in ebraico). L'amato risponde all'amata (v. 2): nessuna ragazza è bella come te; di fronte alla tua bellezza, le altre sarebbero come le spine di un rovo. Come avverrà in 8,5, l'immagine del melo acquista un valore erotico molto intenso. In confronto a

48

CANTICO DEI CANTICI 2,3

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2,3 Melo (I!~Ell:'l)- Il melo è, nell'immaginario mitico del Vicino Oriente al quale il poeta certamente attinge, l'albero dell'amore; lo è anche nella lirica greca (cfr. Saffo, Frammento 116); ritornerà ancora in questa prospettiva in Ct 2,5; 7,9; 8,5. L'identificazione

dell'ebraico mEll:'l con il melo non è tuttavia del tutto certa; c'è infatti chi ha pensato piuttosto al melograno o all'arancio. 2,4 Casa del vino (1'~iJ M'~)- La «casa del vino)) può indicare una sala appositamente preparata per i banchetti (cfr. Qo 7,2; Est

quel «melo» che è il mio diletto, risponde lei, tutti gli altri ragazzi mettono paura, come gli alberi di una selva oscura. L'amore appare poi, con un tocco ancora molto femminile, come un sedersi all'ombra dell'amato, in una situazione di pace e tranquillità che la donna «brama». Il tema dell'ombra ha connotazioni simboliche molto forti, tipicamente religiose: si vedano Sal17,8; 36,8; 57,2; 91,1; 121,5 e soprattutto Os 14,8, tutti testi nei quali l'ombra, realtà ardentemente desiderata dall'orientale che lavora e viaggia sotto il sole cocente, serve a descrivere plasticamente la relazione tra Dio e l 'uomo, tra Dio e il suo popolo. Seduta ai piedi del melo, l'amata ne vuole gustare i frutti: il poeta allude cosi di nuovo al bacio che ha aperto il poema (Ct 1,2). Notiamo infine come il verbo ebraico fu;imad, «bramare», è qui spogliato della connotazione negativa che esso assume nel contesto di Gen 3,6 e in quello del decalogo (cfr. Es 20,17: «Non desiderare ... »). Il desiderio- qui il desiderio sessuale- non è considerato come sorgente di peccato, ma quale fonte di gioia, come lo erano per la coppia delle origini gli alberi del giardino dell'Eden prima della colpa (cfr. la stessa radice verbale utilizzata in Gen 2,9). Attraverso questi ulteriori richiami del testo genesiaco, il Cantico proclama la bontà dell'amore letto sullo sfondo della creazione; in questo modo, il Cantico acquista all'interno dell'Antico Testamento un vero e proprio valore sovversivo; l'amore che nasce in una coppia ha in sé la forza per ritrovare quella autenticità che fa parte del progetto creaturale di Dio.

49

[Lei]

CANTICO DEI CANTICI 2,5

Come un melo tra gli alberi della selva, così il mio diletto tra i giovani. Bramo tanto sedermi alla sua ombra perché il suo frutto è dolce al mio palato.

3

4Mi

ha introdotto nella casa del vino e il suo vessillo su di me è Amore. 5Sostenetemi con focacce di uva passa, ristoratemi con mele, perché io son malata d'amore!

7,8; Dn 5,18), in questo caso un luogo che richiamerebbe il triclinio citato in l, 12; altri pensano piuttosto a una capanna preparata per la vendemmia, oppure alla camera nuziale. Ma l'uso che ne fa il poeta è altamente simbolico: qualunque cosa realmente sia, la

«casa del vino» sta qui a indicare il luogo dove i due si amano. 2,5 Focacce di uva passa (ni~'~) - Si veda la menzione di queste focacce in Os 3, l in un contesto erotico e idolatrico assieme; si tratta in quel caso di un cibo offerto alla dea dell'amore.

2,4-7 La casa del vino (settima strofa)

Qui, con l'immagine di un'unione che si compie, si chiude il duetto iniziato in 1,9. Quest'ultima strofa della prima sezione del poema si divide in due parti che si corrispondono, poste entrambe in bocca alla donna: nei vv. 4-5 abbiamo la descrizione dell'unione dei due amanti (v. 4) e una richiesta rivolta al coro (v. 5). Nei vv. 6-7 una nuova descrizione dell'unione (v. 6) seguita da un'ulteriore richiesta rivolta alle «figlie di Gerusalemme» (v. 7). La prima parte del Cantico si chiude così com'era iniziata, con le parole di lei (l ,2-4) che ci cantano qualcosa del!' Amore personificato. Un'analisi più approfondita mostrerebbe come in questi quattro versetti siriprendano temi e immagini già visti come il melo, l'uva, la menzione di alcuni animali. L'immagine del v. 4, che ha suscitato molte discussioni esegetiche, è in realtà più semplice di quanto si creda: la «casa del vino» è qui metafora del luogo dove i due si incontrano e si amano («mi ha introdotto» ha qui una sfumatura erotica). Il vino richiama quanto già visto in l ,2: la gioia, la dolcezza, l'ebbrezza, ma soprattutto l'intimità di un buon vino bevuto assieme. Il termine «vessillo» rimanda invece all'idea dell'amore visto come una battaglia da vincere; l'innamorato ha «conquistato» la sua amata, innalzando su di lei la bandiera de II 'amore, che qui è introdotto come se fosse una vera e propria persona; a questo Amore la donna dichiara di arrendersi. L'amore, poi, crea una vera e propria malattia (v. 5). La «malattia d'amore», esperienza psicologica frequente, è un tema che ricorre in moltissime letterature; nella Bibbia si veda il triste caso di Amnon, figlio di David, che si innamora della sorel-

50

CANTICO DEI CANTICI 2,6

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> più prezioso con il quale la lettiga viene ornata. Le «figlie di Gerusalemme» sottolineano qui di nuovo la dimensione «sociale» dell'amore (come i prodi appena menzionati), vista però nella sua dimensione più squisitamente femminile, inserendo cosi l'amata ancor più profondamente all'interno della realtà del popolo d'Israele. 3,11 Salomone sposo Le «figlie di Siom> sono le stesse «figlie di Gerusalemme» appena ricordate; come i guerrieri scortano la sposa, cosi esse scortano Io sposo; la loro funzione è ancora positiva, quella di partecipare alla gioia delle nozze. L'amore giunge dal deserto alla città, dalla libertà all'istituzione, che ha dunque il compito non di soffocare l'amore, ma di accoglierlo e di celebrarlo, come fanno appunto le figlie di Sion, della città santa. Non si tratta di dettar legge ali' amore, ma di accoglierne con simpatia il mistero (Barbiero): uscire e ammirare l'amore, come qui sono invitate a fare appunto le donne. Alla visione della lettiga che conduce la sposa si sostituisce adesso quella dello

65

CANTICO DEI CANTICI 4,1

10Le

sue colonne son fatte d'argento e la sua spalliera d'oro. Il suo sedile è coperto di porpora e l'interno è ricamato dall'amore delle figlie di Gerusalemme. ammirate, o figlie di Sion, il re Salomone con la sua corona, la corona che gli pose sua madre nel giorno delle nozze, giorno di gioia per il suo cuore. 11 Uscite,

[Lui]

4

Quanto sei bella, amica mia, quanto sei bella! I tuoi occhi sono colombe, dietro al tuo velo. 1

forte che esso ha nel Cantico: «ricamato l adornato dall'amore». 3,11 Corona (:'l'V,P.P,) -Nell'antico Israele non è solo un'insegna regale, ma anche un elemento di carattere nuziale (cfr. Is 61,10;

62,3-4 ), come avviene ancor oggi in Oriente, nel rito bizantino delle nozze. 4,1 Al tuo velo (llj~~7)- Il termine ebraico :'1~~ si trova solo nel Cantico (qui, e ancora in 4,3 e 6,7) oltre che in Is 47,2 e significa

sposo-re che viene incontro al corteo nuziale, ornato della sua corona; la corona potrebbe essere anche metafora della sposa stessa (Lys ). La menzione della madre ci collega poi al testo di 3,4, dove si menzionava la madre dello sposo; qui ella rappresenta la famiglia d'origine che da vita alla nuova famiglia dei due amanti. La madre ha perciò un ruolo attivo nella celebrazione delle nozze, giorno di gioia per eccellenza. IL PRIMO CANTO DEL CORPO DI LEI (4,1-5,1) Ai canti dell'amatache ci hanno accompagnato da2,8 sino a3,5, dopo l'intermezzo «nuziale» di 3,6-11 che è servito a presentarci l'incontro tra i due sposi, il poeta affianca adesso i canti dell'amato; il testo va da 4,1 a 5,1, con un solo intermezzo da parte di lei (4,16). In 5,2, la voce di lei introduce un nuovo notturno e un nuovo momento di separazione. Il movimento del canto di lui consta di due parti: la contemplazione del corpo della donna (4,1-7) e il desiderio dell'unione (4,8-15), con un duetto finale (4,16-5,1). Il verbo «venire» lega tutte queste parti: in 4,6lui esprime il desiderio di andare da lei; in 4,8 la invita a venire; in 4, 16lei invita lui nel suo giardino e in 5,1 egli afferma di essere venuto; abbiamo cosi un bel passaggio dal desiderio e dalla contemplazione all'unione dei due. Il primo canto dell'amato si trova proprio al cuore del poema, non solo a livello letterario, ma anche di contenuto (cfr. p. 13). 4,1-7 Quanto sei bella! L'esclamazione di lui, «quanto sei bella!», ripetuta due volte, ai vv. l e 7, serve

66

CANTICO DEI CANTICI 4,2

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senz'altro «velo»; le versioni antiche (Set- Che balzano giù (,W~~W) - Il verbo è tanta e Vetus Latina) hanno frainteso questo hapax nell'AI (ricorre cioè solo qui). Sulla vocabolo traducendolo con «silenzio», con- base dell 'ugaritico si può pensare a un signinettendolo con il verbo ebraico l'IO~ («far ficato legato al «ribollire» del mare; i capelli tacere»). Secondo alcuni autori (Luzarraga) della donna sono una massa che ondeggia e la menzione del velo per una donna israelita fluttua come le onde del mare. di fronte al suo sposo è strana, come è strano Ghil 'ad (1-?~n- È una regione che si trova menzionare subito dopo i capelli che in re- al di là del Giordano, nell'attuale Giordania, altà il velo coprirebbe; s'ipotizza cosi per il tra i monti e il deserto (cfr. Ger 22,6; 50,19). termine ebraico il significato di «trucco», che 4,2 Tutte madri di gemelli, nessuna priva di comunemente era usato dalle donne orientali. figli (C t)~ 1'~ i17~W1 !'liO'~~ c7~W) - Gli

a delimitare questo primo canto del corpo del! 'amata. Tra queste due esclamazioni sono racchiusi sette paragoni relativi appunto al corpo di lei, visto dall'alto verso il basso, accostati tranne in un caso (v. 4) a elementi della natura; «attraverso l'esperienza dell'amore, l'uomo entra in contatto con le forze della vita, con l "'anima" del mondo» (Barbi ero). Il poeta fa così risaltare la bellezza del corpo femminile, una bellezza non artificiale, ma che nasce dali 'amore che lui ha per lei. Ci troviamo qui di fronte a un genere letterario che, per analogia con la letteratura araba, chiamiamo wasf, ovvero la descrizione del corpo della donna (ma anche dell'uomo) cantata all'interno di una celebrazione nuziale, un genere a noi noto anche dalla letteratura egiziana (cfr. l 'Introduzione, p. 15). La descrizione del corpo di lei si apre ripetendo alla lettera 1,15; c'è però una novità: gli occhi appaiono adesso «dietro il velo» e, paragonati a colombe, sono visti come mobili e seducenti, veri e propri messaggeri d'amore. Nel mondo orientale il velo serve da un lato a proteggere la donna da sguardi estranei, dall'altro a esaltarne la bellezza, velando e svelando insieme (cfr. commento a l, 7). Così il velo è proprio della prostituta, ma anche della sposa, specialmente al momento delle nozze (cfr. Gen 24,65): questo è il nostro caso. Il «velo» è l'unico elemento

67

CANTICO DEI CANTICI 4,3

Le tue chiome come un gregge di capre che balzano giù dai monti di Ghil 'ad. 21 tuoi

denti come un gregge di pecore tosate

che risalgono dal bagno: tutte madri di gemelli, nessuna priva di figli. 3

Le tue labbra come nastro scarlatto

e il tuo parlare, affascinante. Le tue guance come melagrana aperta, dietro il tuo velo. ultimi due stichi del v. 2 possono essere interpretati in due modi: la radice ebraica CNn indica i «gemelli», il termine ebraico c7~~ indica di per sé la privazione di figli (cfr. Ger 18,21). Cosi molti commentatori pensano ancora ai denti perfetti della donna: «sono tutte gemelle e nessuna di esse è isolata>> (Ravasi). Con Barbiero, preferiamo intendere il testo in relazione alle pecore «madri di gemelli», segno di enorme fecondità, «nessuna senza figli». 4,3 Scarlatto ('~~;:t) - Lo scarlatto, un co-

Iorante rosso vivo (Is 1,18) che richiama il fuoco, è il colore dell'amore; è il colore del nastro che la prostituta Ral)ab tiene appeso alla porta (Gs 2,18); in Es 25,4; 28,5-6.8 è anche il colore delle vesti sacerdotali e degli arredi del santuario. Associato alle labbra è facile pensare ali 'uso di cosmetici (cfr. il nostro rossetto) ben noti anche al mondo antico. Melagrana aperta (1i~!;:t n~~)- La radice ebraica n';>El indica Io scavare solchi, il separare. Qui si può pensare a una melagrana

dei vestiti di lei che viene ricordato; per il resto ciò che appare è il corpo stesso della donna; il poeta non è interessato alla coerenza delle immagini, ma a disegnare il corpo di lei, senza pensare all'abito che essa può portare o più probabilmente non porta, dato che qui sembra di fatto essere nuda (cfr. la menzione dei seni al v. 5). Il v. l si chiude contemplando i capelli di lei, che qui appaiono sciolti e disordinati, selvaggi e indomabili, come le onde del mare, o meglio come un gregge di capre (spesso di colore nero) che balza giù, senz' ordine, dai monti. L'accostamento dei capelli alle capre, ai monti, a una regione selvaggia rafforza l'idea che l'amore è qualcosa di vitale, di misterioso, come le forze della natura. Il v. 2 passa alla contemplazione dei denti; al nero delle capre che scendono giù disordinatamente da luoghi selvaggi, si contrappone il bianco delle pecore che salgono invece ben ordinate dal loro bagno. Il riferimento all'ambiente più familiare della tosatura e al lavaggio ben si adatta allo splendore di denti bianchi e puliti. Ma la metafora si sviluppa in 2b nel senso della vita e della fecondità che la bocca dell'amata richiama al poeta. Dopo il bianco e il nero, ecco il rosso/rosa delle labbra e delle guance (v. 3); le labbra, con le quali si bacia, sono però associate anche al parlare di lei, che è

68

CANTICO DEI CANTICI 4,4

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4,13/ tuoi germogli- L'interpretazione di "1'J:!7~ è controversa: il senso di «gennogli» è plausibile, e in questo caso l' allusione è al corpo della donna paragonato ai dieci frutti in seguito elencati. Altri pensano piuttosto a «i tuoi canali» (allusione alla vagina) o, sulla base di alcuni paralleli medio-orientali, al pube della donna, segno di fecondità. Giardino - Il tennine O"!.,,F.!I è d'origine persiana (nell' AT è presente solo in Qo 2,5 e Ne 2,8) e indica il giardino del re; pur

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traducendo in entrambi i versetti con lo stesso tennine italiano dobbiamo ricordare che qui si tratta di un giardino più grande e bello di quello ricordato in 12a. Nella versione greca, il traduttore crea in questo testo un'esplicita allusione con il giardino dell'Eden di Gen 2-3 (dove il greco 11apaonooç è usato per tradurre l'ebraico H· «giardino»), allusione che tuttavia manca in ebraico. L'allusione all'Eden, nella versione greca, lancia un messaggio positivo: l'amore, descritto nel Cantico, è in una

donna come giardino chiuso, fontana, sorgente, è un tema comune alla letteratura d'amore mesopotamica ed egiziana (per l' AT, cfr. Pr 5, 15-20). L'amata è un giardino, ma è anche l'acqua che lo irriga, la fontana che in esso si trova (v. 12). Giardino, fontana e sorgente sono tutte metafore piuttosto esplicite della sessualità femminile, presentata come una realtà meravigliosa e dissetante. Questi luoghi sono descritti come realtà chiuse; l'allusione è in questo caso alla castità della donna, considerata fondamentale nella cultura ebraica del tempo (cfr. Dt 22,13-21); ma la chiave di tali luoghi si trova all'interno, dalla parte della donna dunque. L'unione è perciò possibile solo se la donna stessa si apre: nell'amore non ci può essere alcuna forzatura o violenza. L'incontro si realizza solo se la donna t'invita a entrare in lei: ci troviamo di fronte a una metafora dell' «io femminile e del suo mistero» (Giovanni Paolo II). Il sigillo (cfr. Dt 32,34), che si pone alla sorgente per impedirne l'accesso, rappresenta anch'esso la castità femminile, un sigillo che si può rompere evidentemente una sola volta: l'amata appartiene in tal modo in modo esclusivo al suo amato. Val la pena ricordare come nella lettura allegorica ebraica il giardino indica ora il

75

CANTICO DEI CANTICI 4,14

13 1 tuoi

germogli, un giardino di melograni,

con i frutti più squisiti: cipro con nardi, 14

nardo e zafferano,

càlamo e cannella, con ogni specie di alberi d'incenso, mirra e aloe, con tutti gli aromi migliori. situazione «paradisiaca», dove non ci sono ombre o peccato. Melograni (11~"'))- Cfr. 4,3 e relativa nota. Squisiti - È interessante notare che il termine ebraico .,~.~ ritorna in Dt 33,13-16 per descrivere la bontà dei frutti della terra promessa. Cipro (.,~!l)- Cfr. nota a l, 14. 4,14 Nardo ("l'l~)- Cfr. nota a 1,12. Zafferano (C~'"!~)- Ricercatissimo e costoso, era usato già allora per tingere e per cucinare.

Càlamo (l'l~.~) - Pianta rara e costosa utilizzata come profumo (cfr. Ger 6,20). Cannella (11o~p)- È una pianta de li' Oriente da cui si ottiene un olio aromatico (il cinnamomo). Incenso (l'1~1::l~) - Cfr. 3,6 e relativa nota; vedi anche 4,6. Mirra (,~)-Cfr. nota a 1,13. Aloe (n1';!:;t~)- Da questa pianta si estrae un fragrante profumo; la pianta era nota anche per le sue qualità leniti ve. •:• 4,13-14 Testi affini Sir 24,12-21

paradiso, ora Gerusalemme; in quella cristiana simboleggia spesso il giardino chiuso della vergine Maria. Al v. 13 il corpo (o forse il pube) della donna è paragonato ai germogli che si trovano in un «giardino» particolarmente bello. La donna stessa è il giardino regale (e paradisiaco, nella traduzione greca; cfr. nota al testo) in cui si possono cogliere ben dieci diverse specie di frutti. Questi rappresentano i vari aspetti della donna, la sintesi di un vero e proprio decalogo d'amore (Ravasi). Qui odorato e gusto si mescolano in una serie di gradevoli sensazioni, dal sapore particolarmente esotico e misterioso. Anche se l'elenco comprende solo dieci specie, i nomi usati dal poeta per descrivere i frutti sono dodici come le dodici tribù d'Israele (alla lista di dieci frutti si aggiunge infatti la menzione dei «frutti più squisiti» e degli «aromi migliori»). La gioia della sessualità è così collocata su uno sfondo allusivamente teologico; cfr. i testi di Sal 45,9, dove si descrivono i profumi della regina sposa del Re Messia, e di Es 30,23-24, i profumi usati per il culto divino. La donna è per il diletto la somma di tutti i migliori profumi.

76

CANTICO DEI CANTICI 4,15

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5,10 Un vessillo (t,~l,)- Il termine ebraico t,~l1, che ricorre solt~to qui in tutto l' AT,

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può essere considerato un participio del verbo

t,l1, connesso con t,t1 «vessillo», «stendar-

scambiandola probabilmente per una prostituta; le sentinelle incarnano così quella violenza tipicamente maschile che ostacola il vero amore. Nel v. 8, come conclusione del canto, la donna si rivolge al coro delle figlie di Gerusalemme (cfr. 2, 7; 3,5) per sottolineare, con una ripresa del testo di 2,5, il suo stato: sono malata d'amore, per questa ragione faccio cose che risultano apparentemente folli; si tratta di un tema già visto.

5,9-16 Il canto del corpo di lui Le figlie di Gerusalemme rispondono all'invito dell'amata con una controdomanda: che cosa ha mai il tuo diletto di così diverso dagli altri (v. 9)? Come in 1,8 l'amata è interpellata come la più bella tra le donne, il che vale in senso iperbolico, ma anche in senso reale; la più bella, perché è resa bella dall'amore. Tale domanda delle figlie di Gerusalemme non manca di uno sfondo ironico: che cosa sarà mai di così straordinario questo tuo diletto? La domanda è tuttavia l'occasione giusta perché la donna possa descrivere il suo amato; nei vv. 10-16

83

CANTICO DEI CANTICI 5, Il

7

Mi hanno trovata le sentinelle che fanno la ronda in città,

mi hanno percossa, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le sentinelle delle mura. 8

Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,

se trovate il mio diletto, che cosa gli racconterete? Che sono malata d'amore, io! [Coro]

9

Che ha mai il tuo diletto di diverso da un altro diletto,

o più bella fra le donne? Che ha mai il tuo diletto di diverso da un altro diletto, perché tu ci debba pregare così? [Lei]

10Il

mio diletto è bianco e vermiglio,

un vessillo fra dieci migliaia. 11 Il

suo capo, oro purissimo,

do» (cfr. 2,4; 6,4.1 O); il diletto è qui poeticamente descritto come una bandiera spiegata,

come un vessillo al vento, qualcuno facilmente riconoscibile anche tra mille altri uomini.

troviamo così un nuovo canto del corpo (cfr. 4, 1-7), proposto in terza persona («lui») e non in seconda persona, come quando lui descrive lei («tu»). La donna descrive qui dieci parti del corpo dell'amato visto in modo discendente; questo canto si ispira molto a modelli egiziani; è raro, tuttavia, trovare nella poesia d'amore orientale una descrizione del corpo dell'uomo simile a questa. Sotto molti aspetti la donna riprende simboli (come le colombe, la mirra) e appellativi (amico mio; v. 16) che lui aveva già applicato a lei; lui e lei appaiono così interscambiabili, veri e propri «corpi fratelli» (Lys ). L'amato è «bianco e vermiglio», segno di salute e di perfetta bellezza, ma anche un'allusione ai prìncipi d'Israele descritti in Lam 4,7; «Ciò che le Lamentazioni piangono come perduto, il Cantico celebra come presente» (Lacocque ). Il capo d'oro (v. 11) richiama modelli di divinità egiziane, ma anche alcuni testi biblici come Dn 2,31-33 e 10,5-6; l'amato diviene in questo canto un riflesso della divinità - cioè di Dio stesso -, di cui ogni essere umano è appunto immagine; nel suo diletto la donna è come se incontrasse il proprio creatore.

84

CANTICO DEI CANTICI 5,12

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5,11 Fiori di palma - Il termine ebraico C'~l:l7l:l è un hapax (ricorre cioè soltanto qui in tutto l' AT ebraico) dal significato molto controverso; alcuni pensano a «colline ondulate». Seguendo la Settanta: ÉÀataL («germogli [di palma]»), e la Vulgata: sicut elatae palmarum («come germogli di palma»), si può qui pensare alle inflorescenze dei datteri. 5,12 Lavati ne/latte (:::l7çt:;l1. n1lllr:)"1)- L'inserzione, fatta da alcuni commentatori (cfr. versione CEI del 2008), del termine «i suoi

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denti» prima di quest'espressione non ha alcun appoggio testuale. Posati su una vasca ricolma (nN~-l;l~ n1:::l~) - Seguiamo qui il testo masoretico nella spiegazione offerta da Barbiero: gli occhi di lui sono posati su di lei, che è allo stesso tempo immaginata come ruscello e piscina; altri preferiscono seguire la lettura dei due celebri commentatori ebraici medievali Rashi e lbn Ezra e traducono «ben incastonati alloro posto», in riferimento alla perfezione degli occhi.

Se l'immagine dei riccioli neri (segno di gioventù) rimanda alla forza dell'amore, quella degli occhi (cfr. 4,1 a proposito degli occhi di lei) rinvia invece alla bellezza del volto. La descrizione del volto dell'amato si chiude con sensazioni adesso olfattive (le guance profumate di aromi); anche il gusto è coinvolto neli' esperienza dell'amore, attraverso l'evocazione delle labbra e quindi del bacio (cfr. 1,2-3, i baci di lui; 4,11-12 e 6,2-3, i baci di lei). Nel v. 13 compaiono i fiori di papavero e la mirra, elementi molto frequenti nella simbologia amorosa del Cantico. Dal v. 14 al v. 15 si passa dal volto al corpo (o forse all'addome) dell'amato, paragonato a qualcosa di molto prezioso, come le favolose gemme di Tarsis

85

CANTICO DEI CANTIC!5,15

i suoi riccioli fiori di palma,

.

.

nen come corvi. 12

1 suoi occhi come colombe sopra ruscelli d'acqua,

lavati nel latte, posati su una vasca ricolma. 13

Le sue guance come aiuole d'aromi,

torri di profumi. Le sue labbra fiori di papavero che stillano mirra liquida. 14Le

sue mani oro tornito,

bordato di gemme di Tarsis. Il suo corpo un blocco d'avorio, tempestato di lapislazzuli. 15 Le

sue gambe colonne d'alabastro, posate su basi d'oro puro. 5,13 Come aiuole (n~~,~~)- Il termine ebraico ;,~~,~. «aiuola», appare al plurale in Ez 17,7 .l O a proposito della descrizione della terra d'Israele; alla luce di questo testo, l'amato e l'amata divengono l'unoperl'altro come la terra promessa. Torri (n1'"!~~)- Il termine ebraico '1~~ (qui usato al plurale) significa di per sé «torre» e potrebbe pertanto alludere a quel cono di profumi che in ambito egiziano veniva posto sul capo della persona oppure, visto

che questa usanza non sembra attestata in Israele, si può semplicemente pensare a «mucchi» di profumi; molti correggono in una forma verbale (n1'"!~~), un participio pie! da intendersi come «che producono», «che spandono». 5,14 Blocco d'avorio (1ti! M'#-\!)- Alcuni pensano che con questa espressione non si descriva il corpo dell'amato nella sua totalità, ma si alluda piuttosto ali' organo sessuale maschile.

(poste sul pettorale del sommo sacerdote secondo Es 28,20), il raro e costosissimo lapislazzuli, l'oro e l'avorio. Illapislazzuli (o zaffiro) era la pietra con la quale secondo alcune tradizioni egiziane era formato il corpo degli dèi, pietra talora accostata nella Bibbia ebraica alle manifestazioni del Dio d'Israele (cfr. Es 24,10; Ez 1,26). Nel vedere l'amato, l'amata è come se in qualche modo contemplasse Dio stesso (cfr. sopra); o se vogliamo, l'amore rende veramente l'essere umano un'autentica immagine di Dio. Riappare nuovamente il Libano, paese qui associato alla maestosità del cedro, albero di altezza e magnificenza eccezionali.

86

CANTICO DEI CANTICI 5,16

iil:t1:;;~ ~il~lQ :C'T1N~ 1~M~ l" T ""t T \ T

C'Wt'l'?~ bT} 16 C'':'J'OMO i;:l1 n• - -a " ···.; 'lÌ1 ill1 ,,,, i1T,)- Si tratta di uno dei testi più difficili di tutto il Cantico, che alcuni interpreti si rifiutano addirittura di tradurre, considerandolo un problema insolubile. Gli autori si dividono anche sull'attribuzione del versetto al diletto o ali' amata; ma i vv. 11-12 costituiscono una piccola unità letteraria che fa pensare al v. 12 come

la donna si mostra come l'aurora (Lys). L'accostamento luna l sole ripete ancora una volta il motivo già visto di un amore bello e terribile insieme; la ripresa del testo di 6,4 costituisce qui un'allusione all'esercito celeste, ovvero agli astri ai quali anche la donna è paragonata. Notiamo come in tutto questo versetto siano presenti richiami evidenti a temi miti ci; la dea dell'amore mesopotamica Inanna-Ishtar (ma per molti aspetti anche la dea cananaica Ashera, fino alla più nota dea Venere) è descritta frequentemente con simbologie legate all'aurora personificata e insieme alla luna, talora raffigurata proprio come affacciata alla finestra; essa è insieme la dea deli' amore e della guerra, affascinante e terribile allo stesso tempo. È probabile che il poeta riprenda qui, demitizzandole, tali suggestioni provenienti dai miti del tempo, come forse fa ancora il celebre passo di Ap 12,1 nel momento in cui sembra voler rileggere il testo del Cantico in chiave ecclesiologico-mariologica. 6,11-121/ giardino e i carri da guerra I vv. 11-12 costituiscono la conclusione del canto del corpo iniziato in 6,4 e sono posti in bocca a lui; se il v. 11 ci riporta nel mondo della natura, il v. 12, con la menzione dei carri da guerra, ci conduce di nuovo nel mondo della città, secondo

93

CANTICO DEI CANTICI 6,12

fulgida come il (sole) bruciante, terribile come un esercito schierato? [Lui]

11 Sono

sceso nel giardino dei noci,

per ammirare le valli in fiore, per vedere se la vite metteva germogli, se fiorivano i melograni. 12Non

so come, ma il mio desiderio mi ha posto

sui carri del mio nobile popolo. pronunciato dal diletto. La nostra traduzione segue il più possibile l'ebraico, tenendo conto anche degli accenti masoretici; una resa ancor più letterale può essere questa: «non so come ('1'1~1; N~): il mio desiderio ('t4~~) mi ha posto sui carri da guerra del mio popolo nobile (::l'"!r'~~)». Le versioni antiche (Settanta, Vulgata, Vetus Latina) leggono quest'ultimo termine come «i carri di Amminadab», pensando cioè a un

nome proprio; un tale nome è del resto noto ali'AT (cfr. Es 6,23; Rut 4,19-20 ecc.), ma qui appare totalmente fuori contesto. È anche possibile tuttavia dar ragione in parte alle versioni che intendevano il termine Ammi-Nadib come un nome proprio, che tuttavia rimanderebbe in questo contesto non a un personaggio reale, ma a un significato simbolico: «il mio nobile popolo», come appunto abbiamo tradotto.

quel!' alternanza che abbiamo già più volte scoperto nel Cantico (cfr. Introduzione). Il diletto riprende e conferma quanto' detto dall'amata in 6,2; il giardino è ancora metafora del corpo di lei, con sottili e delicate allusioni al pube (le valli in fiore), ai seni (i germogli di vite; cfr. più avanti in 8,9) e alla fecondità (la melagrana, già più volte incontrata); l'amato evoca un corpo che, in una ragazza così giovane e bella, sta adesso sbocciando alla vita. Il senso del difficilissimo v. 12 (cfr. nota) sembra essere questo: senza che io Io sapessi, il mio desiderio - cioè il mio amore per lei - mi ha come fatto salire sui carri da guerra del mio nobile popolo (cioè i carri da guerra d 'Israele). In altre parole: non soltanto io sono stato vinto dall'amore che provo per lei, ma adesso all'amore mi arrendo, anzi mi schiero io stesso con quell'«esercito schierato» che mi sta attaccando -ovvero mi unisco, mi alleo all'amore di lei per me; si riprendono così le immagini militari già viste in 6,4 e 10. L'espressione «non so come», ovvero «senza che io lo sapessi», rinvia molto probabilmente a una dimensione più teologica (cfr. Is 47, Il; Sal35,8; Gb 9,5.11; tutti testi che alludono a una azione straordinaria e terribile compiuta dal Signore): l'uomo si sente vinto da una forza, quella dell'amore, che è ben più grande di lui, perché, senza che il poeta lo dica esplicitamente, è una forza divina.

94

CANTICO DEI CANTICI 7,1

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7,1 Shulammita (M·~~~W;:t)- Il nome della donna non è in realtà un nome proprio (ha infatti l'articolo), ma si presenta piuttosto come aggettivo; può essere la forma femminile di i'Tb':l~, «Salomone», o anche alludere,

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alla luce di 8, l O, allo oi':l~, alla pace: «la pacificata». Secondo altri, allude invece a un'abitante di Shunem, come, p. es., la bella Abishag legata alla storia di Davi d (cfr. l Re l,l-4; 2,17.21-22), oppure a un'abitante di

7,1-11 Il desiderio di lei L'ultimo canto del corpo di lei è introdotto dal coro (7,1) ed è chiuso dalla voce della donna (7, l Ob-11 ); ci troviamo ancora di fronte al genere letterario dello wasj di cui già abbiamo parlato (cfr. Introduzione, p. 15). Il poema si apre con un quadruplice invito rivolto dal coro (uomini o donne, non sappiamo) alla danzatrice, perché lei si volti e tutti la possano ammirare da ogni lato mentre danza. La donna, per la prima volta nel testo del Cantico, riceve un nome simbolico, la sùlammit, nome che se da un lato allude a Salomone (S"lomoh), dall'altro evoca lo siilom, la pace, il dono principale che il Dio d'Israele fa al suo popolo. In 7,1b interviene l'amato, rispondendo al coro e chiedendo, retoricamente, chi è oggetto di tanta ammirazione; la menzione della misteriosa «danza delle due schiere» va vista forse in riferimento a un uso reale delle donne del tempo; il contesto militare («le schiere») accostato al riferimento alla «pace» presente nel nome della donna ci riporta di nuovo al paradosso dell'amore, dolce e terribile assieme. La donna è presentata nel cuore della danza senza vergogna con il corpo nudo, come all'inizio della creazione (Gen 2,24), con uno sguardo che coglie il movimento stesso della danza; dal muoversi rapido dei piedi della danzatrice (v. 2) l'amato risale, lungo tutto il corpo della donna, sino alla testa. Sono dieci le parti del corpo ricordate dal poeta: piedi, fianchi, ombelico, ventre, seni, collo,

95

[Coro]

[Lui]

CANTICO DEI CANTICI 7,3

7

1Voltati,

voltati Shulammita;

voltati, voltati, che ti vogliamo ammirare!

Che cosa ammirate nella Shulammita nella danza delle due schiere? Quanto sono belli i tuoi piedi nei sandali, figlia di un nobile!

2

Le curve dei tuoi fianchi come monili, opera di mani d'artista. 3

11 tuo ombelico è una coppa rotonda,

mai priva di vino aromatico. Gerusalemme, città chiamata, in altri passi, Shalem (Gen 14, 18; Sal 76,3); altri pensano ancora alla demitizzazione di un appellativo proprio della dea lshtar, protettrice di coloro che danzano in battaglia. Secondo Barbiero,

l'appellativo è piuttosto polisemico e tutti questi significati sono in realtà possibili. 7,3 Vino aromatico (l!.f~) - Il termine potrebbe alludere al vino offerto nel banchetto della donna Sapienza, in Pr 9,2.5.

occhi, naso, capo, capelli; si alternano così parti rotonde, tipicamente femminili e accoglienti, a parti slanciate del corpo (collo e naso, soprattutto) che accentuano piuttosto la distanza della donna. La donna è presentata vestita solo di un paio di sandali- come le aristocratiche del tempo- e definita appunto «figlia di nobile» (cfr. 6,12); l'amore rende davvero nobili gli amanti! Non c'è bisogno di rileggere questo canto in chiave allegorica, come, p. es., fa il Targum che pensa ai piedi di lei come a quelli dei pellegrini che si recano a Gerusalemme per le feste. Le morbide e armoniose rotondità del corpo femminile (fianchi, cosce, ventre; cfr. i vv. 2-3) strappano all'amato un grido di ammirazione: «lavoro di mani d'artista!» (forse un accenno di lode al Creatore?). Risalendo ancora con lo sguardo lungo il corpo di lei l'amato ne contempla l'ombelico (v. 3a), qui accostato a una coppa rotonda piena di vino aromatico; l'ombelico sembra dunque simboleggiare in modo poetico i genitali femminili, fonte di gioia per i due amanti e insieme sorgente di fecondità. L'allusione alla fecondità di lei (pur mancando un riferimento esplicito ai figli, assenti anche dal resto del Cantico) è completata dai simboli del vino e del grano, quest'ultimo significativamente associato al ventre della donna; chiaro richiamo della zona genitale. Vino e grano ripropongono la metafora del cibo, utilizzata più volte per descrivere il corpo (cfr. Ct 5,1; 7,10). Il corpo dell'amata è come il cibo di cui si nutre l'amato, qualcosa che lo inebria (il vino)

96

CANTICO DEI CANTICI 7,4

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e lo sazia (il grano) allo stesso tempo. Mentre il grano e il vino del v. 3 sono legati al gusto, l'ennesima menzione dei papaveri evoca gli altri sensi: la vista e ancor di più l'olfatto. Insieme alludono al gioco dell'amore (2,16; 5,5; 5,13): tutti i sensi dell'uomo sono cosi coinvolti nell'esaltante esperienza della bellezza. Il v. 4, risalendo ancora con lo sguardo lungo il corpo della donna, ne contempla la vivacità dei seni (cfr. 4,5) che avranno una parte importante nella conclusione di questo canto. Con un finissimo intuito poetico l'autore del Cantico li vede muoversi, dolci e teneri, al ritmo della danza e li immagina come due piccoli caprioli che saltano. La carica erotica del testo è molto forte, ma ancora una volta prevalgono la poesia e la delicatezza senza alcun accenno esplicito o volgare. Con i vv. 5 e 6 il poeta cambia registro; si passa alla contemplazione del collo, del volto e della testa con i suoi capelli fluenti e seducenti; i paragoni vengono ora fatti con elementi geografici ancora tratti dalla terra d'Israele: una sconosciuta torre d'avorio, gli altrettanto ipotetici !aghetti della lontana e remota città di I;Ieshbon, la ancor più misteriosa porta di Bat-Rabbim, la torre del montuoso

97

CANTICO DEI CANTICI 7,9

Il tuo ventre è un covone di grano, circondato da papaveri. 41 tuoi

seni come due cuccioli,

gemelli di gazzella. 511

tuo collo come una torre d'avorio;

i tuoi occhi come le piscine di I:Jeshbon, presso la porta di Bat-Rabbim. Il tuo naso come la torre del Libano che spia verso Damasco. 611

tuo capo, su di te, come il Carmelo

e i tuoi riccioli fluenti sono come la porpora; tra le loro trecce è rimasto incatenato un re. 7Quanto

sei bella e come sei graziosa,

o amore pieno di delizie! 8Questo

tuo portamento è simile a una palma

e i tuoi seni ai grappoli. 9Mi

sono detto: Voglio salire sulla palma,

stringerò forte i grappoli dei datteri. Libano, e infine Damasco, al di là dei confini d'Israele, oltre al più celebre monte Carmelo. Notiamo un solo dettaglio: gli occhi della donna sono come piscine, mentre gli occhi di lui, in 5,12, erano stati descritti come colombe, che ora in queste piscine si specchiano: negli occhi dell'amata l'uomo posto di fronte a lei (cfr. Gen 2, 18) trova se stesso, vede cioè come riflessa la propria immagine (Barbiero ). Nei vv. 7-9 il poeta, conclusa la contemplazione del corpo, dai piedi alla testa, riprende la visione dell'amata nel suo insieme, ripetendo, al v. 7, il suo grido di ammirazione e dando così compimento al suo desiderio («voglio salire ... »; cfr. 6, lla: «sono sceso»). L'amata è bella perché è «amore pieno di delizie»; aspetto fisico e spirituale si fondono qui insieme. Nei due versetti conclusivi (8-9) il ritorno alla contemplazione dei seni di lei (rotondità) combinati con il suo portamento simile a una palma (altezza), permette al poeta di sottolineare ancora l'importanza dei sensi coinvolti nell'esperienza dell'amore: s'intrecciano così la vista (l'amata è slanciata come una palma), il tatto (il poeta «sale» con le mani lungo il corpo della donna e ne stringe forte i

98

CANTICO DEI CANTICI 7,10

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7,13 Le mie tenerezze ('1"1)- Cfr. nota 1,2. Questi versetti sono ricchi di assonanze e di

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giochi di parole che rendono di particolare impatto emotivo l'ascolto del testo.

(Barbiero). L'incontro d'amore avviene nei campi, sullo sfondo della creazione, come all'inizio del Cantico; un luogo d'intimità e di pace nel quale gli amanti si isolano prima d'immergersi nella città. Vale la pena ricordare, a proposito di questo versetto, la lettura di Ambrogio di Milano che, nel suo trattato Sulla verginità, pur vedendo tale realtà nel Cantico, afferma anche il valore del matrimonio: «Chi ha scelto il matrimonio non biasimi l'integrità, né chi segue l'integrità condanni il matrimonio». La doppia allusione al pernottare e alle piante di cipro è un richiamo al testo di l, 13; l'itinerario d'amore si sta appunto realizzando. Notiamo di passaggio come l'inizio del v. 12, l'led dodf, «vieni o mio diletto», apre l'inno del sabato composto dal poeta ebreo spagnolo Shlomo Ha-Levi Alqabes nel XVI secolo e tuttora cantato nelle sinagoghe; il sabato è cosi allegoricamente visto come la sposa di Dio. Il v. 13 descrive il risveglio della natura, nelle vigne (cfr. 1, 14), viste come metafora del risveglio di lei, adesso sveglia e pronta ali 'amore; la donna riprende qui quanto lui aveva detto in 6, 11 : la vite ha messo germogli, sono fioriti i melograni; «là ti donerò le mie tenerezze». La tenerezza, l'amore, non si possono pretendere, si possono solo donare. A livello stilistico, notiamo come il termine «tenerezze» (in ebraico dodfm; èfr. l ,4; 4, l O) crei un gioco di parole con dodf, «il mio diletto», e con saday, «i miei seni», ma anche con le mandragore (duda 'fm) citate nel versetto seguente. Ai fiori seguono i frutti (v. 14); al senso della vista e del tatto evocato nel v. 13

101

CANTICO DEI CANTICI 8,1

13

Andiamo all'alba nelle vigne,

vediamo se la vite ha messo i germogli, se i boccioli si schiudono, se fioriscono i melograni: là ti donerò le mie tenerezze. Le mandragore diffondono profumo

14

e alle nostre porte c'è ogni specie di frutti squisiti, quelli nuovi e quelli vecchi, che ho serbato per te, o mio diletto.

8

0h, se tu fossi mio fratello,

1

allattato al seno di mia madre!

Se t'incontrassi per strada potrei baciarti e nessuno potrebbe disprezzarmi. 7,14 Le mandragore (C'~j1"Tì;!)- Nel mondo antico, e specialmente nei canti d'amore egi-

ziani, le mandragore sono considerate come un potente afrodisiaco (cfr. Gen 30, 12-24).

si aggiungono l'odorato e il gusto. L'allusione alle > da custodire (l ,6 e 8, 11-12); quello del «melo» (2,3 e 8,5); la

104

CANTICO DEI CANTICI 8,6

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8,6 Come sigillo (C~iM:;?)- Il sigillo è un oggetto che indica l 'identità della persona che lo porta e che sottolinea un'appartenenza inalienabile (cfr. Sir 49,11 ); lo si tiene usualmente al collo (cfr. Gen 38,18.25: il sigillo viene infilato in una cordicella, verosimilmente appesa al collo) oppure al dito (Ger 22,24); l'immagine può essere stata ispirata, anche

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in questo caso, dai canti d'amore egiziani. I suoi dardi- L'ebraico ~t#} allude probabilmente a una divinità cananea dell'oltretomba che lanciava dardi infuocati e pestilenze sulla terra; qui l'immagine è tuttavia demitizzata. Una fiamma del Signore- Alla lettera: «una fiamma di Yah» (n;Ni]~W); il; («Yah») è

figura dei «compagni» (1,7 e 8,13) e, soprattutto, la triplice menzione dell'amore (2,4.5.7 e 8,6-7; cfr. anche il verbo «amare» in 1,3.4.7). Ci troviamo così di fronte a una vera e propria conclusione di tutto il Cantico. In una prima unità letteraria (8,5-7) prende ancora la parola l'amata, sottolineando il rapporto d'amore reciproco. Intervengono poi i fratelli di lei (8,8-9) ai quali la donna polemicamente risponde (8, l O); interviene poi ancora il coro degli amici (v. 11), al quale di nuovo risponde l'amata (8,12). Un duetto finale («lui-lei») chiude definitivamente il Cantico (vv. 13-14). 8,5-7 Come sigillo sul tuo cuore...

Queste celebri parole dell'amata sono strettamente connesse con il testo precedente (8, 1-4): cfr. in particolare il tema del «disprezzo» (8, l. 7), della «madre» (8, 1.5) e della «casa)) (8,2. 7). Ma si notano riprese anche di altri testi del Cantico: 8,5a è lo stesso inizio di 3,6; 8,5b richiama 2,7; 3,5; 5,2; abbiamo già notato la triplice ripetizione del termine ebraico 'ahabd («amore))). Allo stesso tempo, questa sezione contiene una serie di vocaboli che non si trovano in precedenza nel Cantico: «morte)), «inferi)), «dardh), «acque dell'abissm), «fiumh) ... Ci troviamo perciò di fronte a un brano particolarmente solenne che costituisce la lezione finale del poeta, il suo messaggio conclusivo sull'amore, ancora una volta non espresso in forma di concetti, ma in modo simbolico e dunque altamente poetico. In 5a interviene ancora il coro degli amici (o forse delle amiche); come già in 3,6 i due vengono descritti mentre salgono insieme dal deserto verso la città, che, pur non nominata esplicitamente, sembra essere Gerusalemme. Il deserto può essere prima di tutto simbolo della morte, dalla quale ci salva la forza dell'amore (cfr. più avanti, in 8,6); nel Targum il «salire dal desertm) diviene significativamente l'immagine della risurrezione futura dei redenti, che salgono appunto dal deserto, attraverso la valle di Yoshafat nel mezzo del monte degli Ulivi. Il «salire dal deser-

105

CANTICO DEI CANTICI 8,6

6Mettimi

come sigillo sul tuo cuore,

come sigillo sul tuo braccio. Perché forte come Morte è Amore, inesorabile come Inferi è Passione, i suoi dardi sono dardi di fuoco, una fiamma del Signore! forma abbreviata del Nome di Dio l"l1il'; com'è noto, il Nome sacro veniva pronunziato già in epoche antiche come 'iidoniiy, «il Signore». Per molti autori, in realtà, questa espressione sarebbe semplicemente una forma di superlativo, da tradursi dunque come «una fiamma fortissima». Sembra tuttavia più opportuno prendere qui il suffisso il:

nel suo senso più ovvio, ovvero come lo ha inteso la tradizione masoretica (la tradizione testuale di Ben Neftali lo legge in senso proprio, separando i due vocaboli: il; n~ry7w) e cioè come la forma abbreviata del Tetragramma, l'unico riferimento esplicito nel poema a quel Signore che si rivela a Mosè sul Sinai (cfr. Es 3,13-15).

to» va probabilmente visto anche come il provenire dei due amanti da una natura selvaggia, che costituisce lo sfondo dell'amore in gran parte del Cantico; essa viene adesso come «addomesticata» dalla città. Ci si avvia così al compimento dell'amore cui già si alludeva in 3,6-11. L'espressione del coro rimanda infine allo stupore degli ascoltatori del poema di fronte al mistero di un amore che ha vinto ormai ogni difficoltà: i due sono abbracciati, appoggiati l'un l'altro, camminano assieme. In 5b ritorna il tema del sonno; se in 8,4 l'Amore non doveva essere disturbato, qui è l'amata che prende l'iniziativa, cosa del tutto fuori luogo per una donna del tempo; forse il testo allude al misterioso passo di Ger 31 ,22, dove la donna che abbraccia l'uomo è vista come un segno dei tempi messianici. L'uso del passato («ti ho svegliato») rinvia a uno sguardo retrospettivo su ciò che è effettivamente avvenuto tra i due (cfr. 7,2-8,4): si sono finalmente uniti, l'amore è nato. Tale amore avviene prima di tutto «sotto il melo» (cfr. 2,3), l'albero dell'amore. L'allusione al melo può rinviare al contesto di Gen 3,1-7, al frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, anche se l'identificazione di tale albero con il melo è in realtà del tutto post-biblica. Come in 4, 16, lo stare sotto il melo è una probabile allusione al mangiare i frutti dell'amore; come in 7, Il, il desiderio e l'amore sono letti come un atto che redime l'essere umano dali' aver mangiato il frutto proibito e lo riporta alla situazione precedente al peccato (cfr. commento a 4, 16). Allo stesso tempo, l'amore è vissuto simbolicamente nella casa della madre di lui. Come in 3,4 e 8,21' amore consiste pertanto nel ritrovare le proprie radici e insieme è presentato come una sorta di nuova rinascita; «l'amato è ritrovato dalla donna proprio alle sue sorgenti» (Ravasi). La menzione del concepimento e del parto sottolineano la dimensione di fecondità propria dell'amore. Nel v. 6 l'amata invita l'amato a porla come sigillo sul suo cuore: la donna desidera identificarsi con l'amato, essere una sola cosa con lui, sua proprietà; in lei il diletto trova la propria identità più vera (Barbiero ). Il sigillo può anche avere

106

CANTICO DEI CANTICI 8,7

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8, 7 Le acque del/ 'abisso -Alla lettera, «le grandi acque» (c•:n c•~). un'espressione

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che nella Bibbia ebraica indica le acque dell'abisso primordiale contro le quali Dio

un significato di protezione, come avviene nel caso del «sigillo-scarabeo» che gli egiziani usavano porre sul cuore dei morti quale segno d'immortalità, un'usanza attestata anche in Israele; in questo caso l 'amata promette all'amato un amore eterno. Ma il sigillo non si porta normalmente sul cuore o sul braccio, bensì al collo o al dito; l'immagine è dunque piuttosto inusuale. Ora il cuore, nella Scrittura, è sede della ragione, della volontà, della coscienza: l'amore tra i due non è pertanto solo un puro sentimento. Inoltre, parlando di «cuore» e di «braccio», il testo sembra intenzionalmente alludere allo Shemà: «questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore[ ... ] te li legherai alla mano [...]» (cfr. Dt 6,6-8): il linguaggio dell'amore è così volutamente accostato al linguaggio utilizzato per la parola di Dio; nell'amore umano si rivela l'amore divino. L'Amore è di nuovo presentato (8,6b) come una persona, ancora una volta come una realtà forte e terribile (cfr. Ct 2,4; 6,4-5.10) che è in grado di confrontarsi con l'altra realtà forte e terribile propria della vita umana: la morte. Si può trovare qui qualche contatto con il mito del dio cananeo Ba'al che lotta contro la morte; non si può inoltre del tutto escludere un contatto con il Simposio di Platone, dove l'amore è una forza divina che sfida la morte. Ma il testo resta profondamente biblico e, al termine del Cantico, completa le molte allusioni già fatte all'amore come fonte di vita; così, quando un uomo e una donna si amano, la vita trionfa, contrariamente a quanto è accaduto in Gen 3, dove il mangiare il frutto proibito porta l'umanità a sperimentare un rapporto negativo con la morte (cfr. Gen 3, 19); usando il linguaggio genesiaco, possiamo dire che l'amore conduce a gustare di quell'albero della vita che sembrerebbe ormai precluso all'umanità. Morire, cosi come amare, significa annullare se stessi; ma nel caso dell'amore si sacrifica la vita per chi si ama; per questo l'amore permette di confrontarsi con la morte: qui il Cantico trova il suo vertice. Il rapporto tra morte e amore (cfr. 8,6) si sviluppa nel Nuovo Testamento nel senso che amare è dare la vita per chi si ama (cfr. Gv 15, 13); si tratta però di un amore da cui nessuno può separarci, perché è un amore che nasce dalla morte e risurrezione del Cristo (cfr. Rm 8,35-39). Il Nuovo Testamento proseguirà poi anche l'intuizione del Cantico sull'origine divina dell'amore giungendo non soltanto a confermare che l'amore è da Dio (lGv 4,7), che è la realtà più grande (lCor 13,13), ma che Dio stesso è amore (lGv 4,8).

107

CANTICO DEI CANTICI 8,7

7Le

acque dell'abisso non possono spegnere l'amore

né i fiumi sommergerlo. Se un uomo desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che disprezzo. lotta vittoriosamente (cfr. Gen l, 1-2; Ab 3,10; Sal 29,3), oppure le acque del mar

Rosso (cfr. Ger 51,55; Sal77,20; 144,7) nel contesto dell'esodo dall'Egitto.

Tornando al nostro passo, notiamo che all'amore s'affianca la passione, ovvero la gelosia, anch'essa personificata; essa è in realtà una qualità divina (cfr. Es 34,14) che esprime l'amore unico di Dio per la sua sposa, Israele: l'amore è caratterizzato così da una gelosia inesorabile, che non tollera rivali (cfr. Es 20,5 in relazione al Dio d'Israele che esclude il culto di altri dèi). Alla fme del Cantico comprendiamo finalmente che cos'è davvero l'amore: esso è un «dardo di fuoco», una «fiamma di Yah» (cfr. note al testo). Il tennine «dardo» serve a ricordarci il carattere guerriero dell'amore; esso è davvero in grado di vincere la morte e lo può fare perché è «di Yah», ovvero «del Signore», qualcosa che viene dal Dio d'Israele, come avviene per il fuoco che arde nel roveto visto da Mosè (cfr. Es 3,2). Il Signore, nella tradizione deuteronomica, è connesso con il fuoco (cfr. Dt 4,24.36) ma anche con l'amore che egli dimostra (cfr. Dt 7,8). L'amore non è perciò una realtà demoniaca, ma divina; l'amore non è un dio, come per il mondo greco, né semplicemente un attributo di Dio; l'amore umano esiste ed è realizzabile, perché proviene da Lui. Non è dunque strano che un poema che non parla mai esplicitamente di Dio lo menzioni proprio alla fine, seppure discretamente e quasi di nascosto e solo in fonna di suffisso (cfr. note al testo), ma lo menzioni proprio come fonte di quell'amore che l'intero poema ha celebrato. In chiara antitesi con l'immagine del fuoco, appare al v. 7 quella delle «acque dell'abisso», dalle quali solo Dio può salvare; esse divengono cosi in questo contesto immagine di caos e di morte (cfr. 2Sam 22,5-6.17; Is 17, 12-13; Sal69,2.15). La metafora del v. 7 ci ricorda come neppure le potenze ostili alla creazione possono distruggere la forza dell'amore (quello tra uomo e donna!), che anzi esce vittorioso dal conflitto per opera di Dio. In questo contesto va collocata anche l'analoga immagine dei fiumi (cfr., p. es., Sal93,3-4; Ab 3,8-9 e soprattutto Is 43,2). Il v. 7 si chiude con una sorta di anticlimax richiamando, con l'antitesi amore l ricchezza, l'antitesi ricchezza l sapienza ben nota alla tradizione sapienziale (cfr., p. es., Pr 3,14-15; 8,11; Gb 28,15-19). Come la sapienza, anche l'amore è una realtà che non si può comprare, pena il disprezzo che dovrà subire chi intendesse farlo. Dietro a questo testo è anche presente una contestazione diretta contro l'uso ebraico del mohar, ovvero della dote con la quale la sposa veniva comprata dalla famiglia d'origine (cfr., in diversi contesti, Gen 34, 12; Es 22, 15-16; l Sam 18,25). Con un tono apparentemente minore il Cantico affenna qui, a conclusione del poema, la gratuità dell'amore.

108

CANTICO DEI CANTICI 8,8

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8,11 Ba 'al-Hamon (JiOi;!7~~)- Questa località è come tale sconosciuta; se il nome ha un

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valore simbolico, esso significa alla lettera «padrone di moltitudini» e potrebbe alludere

8,8-14 Epilogo 8,9-10 Abbiamo una sorella ancora piccola ... Nei vv. 8-9 intervengono i fratelli di lei, con un ruolo chiaramente negativo. Essi vedono nella loro sorella ancora una bambina (v. 8), sono preoccupati soltanto di chiuderla in casa, come si addice a una ragazza non sposata, di costruirle attorno una gabbia dorata per difenderne la verginità e poter poi vendere la sorella a un pretendente che la paghi bene. Ritorna qui il tema dell'opposizione all'amore da parte della società e della famiglia (cfr. già l ,6) e viene ripresa, in negativo, l'affermazione di lei sulla gratuità dell'amore (8,7). Ma la donna risponde (v. lO) dichiarando che la sua verginità non è proprietà dei fratelli quanto di lei stessa («io sono un muro»), affermando poi la sua ormai evidente maturità («i miei seni sono come torri») e, soprattutto, descrivendo se stessa come «colei che ha trovato pace» nel suo amato. Riappare qui il tema del

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[Coro]

CANTICO DEI CANTICI 8,11

8Abbiamo

una sorella piccola

che ancora non ha i seni. Che faremo per nostra sorella, nel giorno in cui s'inizierà a parlare di lei? 9

Se fosse un muro,

le costruiremmo sopra un bastione d'argento; se fosse una porta, la ricopriremmo con tavole di cedro. [Lei]

lo sono un muro

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e i miei seni sono come torri! Così sono diventata ai suoi occhi come colei che ha trovato pace! [Coro] nsalomone aveva una vigna in Ba'al-Hamon, egli affidò la vigna ai custodi; e dai suoi frutti si dovevano ricavare mille pezzi d'argento. ironicamente allo stesso re Salomone; c'è chi pensa invece a un'allusione al tempio del

dio Ba'al-Hamon conosciuto a Ugarit, ove si praticava la prostituzione sacra.

«trovare» (cfr. Ct 3,1-4; 5,6-8); ma qui l'unione è ormai realizzata e i due sono in pace; il termine ebraico siil6m, «pace», allude al nome di entrambi, Salomone e la Shulammita.

8,11-12 Le donne di Salomone Nel v. 11 interviene probabilmente il coro, evocando la figura del re Salomone, che qui non personifica più l'amato, quanto piuttosto la società cittadina che viene ulteriormente criticata; la metafora della vigna allude quasi naturalmente al noto testo di Is 5,1-7 (il canto della vigna, simbolo d'Israele), ma alla luce di Ct 1,6 la vigna è qui allo stesso tempo metafora del corpo di lei. Il testo si riferisce poi allo harem di Salomone (cfr. l Re 11,3 ), che costituisce per il re una proprietà di grande valore (mille si cli è una somma enorme); i custodi sono qui gli eunuchi ai quali era affidata la sorveglianza delle donne del re.

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CANTICO DEI CANTICI 8,12

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8,14 Fuggi (M1~)- Alcuni autori trovano strano l'invito a «fuggire» e danno piuttosto al verbo il senso di «penetrare>>

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(cfr. Luzarraga; Garbini), alludendo così alla consumazione dell'atto sessuale che chiuderebbe in questo modo il Cantico. Si

La risposta della donna (v. 12) è pungente e orgogliosa assieme ed esprime quel disprezzo ricordato al v. 7; la vigna- cioè la donna stessa- non è proprietà di alcuno né l'amore si può comprare con il denaro, proprio perché è gratuito; la vigna è a disposizione dell'amato solo perché la donna decide di donare a lui se stessa.

8,13-14 Fuggi mio diletto ... Il Cantico si chiude con un delicato duetto che non è estraneo al poema come spesso si afferma; ritornano qui il motivo del giardino (4,12-5, l) e quello dei compagni dello sposo (1,7; 5,1); ritorna poi l'appello già udito in 2,14. I «compagni» rappresentano qui la società che finalmente «è attenta» alla voce di lei; notiamo come il verbo ebraico qui utilizzato (qiisab) è spesso riferito all'ascolto della parola di Dio (cfr. Is 32,3; Os 5,1; Mi 1,2 ecc.); ancora una volta l'amore è accostato a Dio. Il giardino, nel quale la donna abita, è in realtà la donna stessa, ora invitata a pronunciare ancora una parola, alla fine del poema, una parola che lei accetta

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[Lei]

CANTICO DEI CANTICI 8,14

12 La

vigna, la mia, mi sta davanti:

a te i mille pezzi d'argento, Salomone, e duecento ai custodi dei suoi frutti! [Lui]

13

Tu che abiti nei giardini

- i compagni sono attenti alla tua voce famme(la) sentire! [Lei]

14Fuggi,

mio diletto,

sii come una gazzella o un giovane cerbiatto, sui monti degli aromi.

tratta di una lettura possibile, ma il senso più normale di «fuggire» si spiega meglio come conclusione del poema (cfr. il com-

mento), pur se un doppio senso del verbo non è del tutto inverosimile, nel contesto del Cantico.

di cantare, come già aveva fatto in modo analogo in 2,17. L'ultima parola di lui, come già era avvenuto all'inizio del poema, è un'espressione del desiderio che anima l'amore e che spinge sempre a ricominciare. La donna, da parte sua, invita il diletto a ripercorrere ancora l'avventura dell'amore (v. 14), a rispettare la distanza che l'amore impone agli amanti («fuggi») e allo stesso tempo a cercare l 'unione; cfr. «i monti degli aromi» che alla luce di 2,17 e 4,6 sono metafora del corpo di lei (Barbi ero). Amare significa così ricominciare ogni giorno un cammino di reciproca ricerca e di nuova scoperta dell'altro. L'amore vive sempre di nuovi inizi, non conosce mai la parola «fine», è una realtà sempre nuova. Mentre il Targum rilegge i vv. 13- I 4 come profezia di un Israele che «fugge» nella Gerusalemme celeste, il racconto giovanneo di Maria di Magdala al sepolcro (cfr. Gv 20,17: «non mi trattenere ... ») sembra voler trasporre in un contesto pasquale il tema di una nuova ricerca dello sposo che in Giovanni è Cristo, il Messia-Amore (cfr. Introduzione, p. 17 e commento a 3, l, p. 59).

IL CANTICO DEI CANTICI NELL'ODIERNA LITURGIA

Il bacio della Sposa Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, migliore del vino è il tuo amore. Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza, aroma che si spande è il tuo nome: per questo le ragazze di te si innamorano. Trascinami con te, corriamo! M'introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo di te, ricorderemo il tuo amore più del vino. A ragione di te ci si innamora! Cantico dei Cantici l ,2-4

Iniziamo da qui, dai baci. E dal corrersi incontro. Questo libro biblico è una straordinaria chiave di lettura che dischiude il tesoro della Messa e della liturgia tutta, mistero di incontro amoroso. L'apertura verbale del poema attribuito al sapiente figlio di Davide è del tutto simile all'apertura rituale del poema che ha come protagonista Colui che è «ben più di Salomone», Cristo sposo. L'Ordinamento Generale del Messale Romano dice infatti: «Giunti in presbiterio, il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l'altare con un profondo inchino. Quindi, in segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote, secondo l'opportunità, incensa la croce e l'altare» (n. 49). Il posarsi delle labbra dei ministri sulla mensa, unitamente al saluto rivolto all'assemblea convocata, rivela il senso della processione verso l'altare al seguito della croce

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astile e dell'evangeliario: quanto verrà compiuto e detto è per la venerazione e l'accoglienza del Cristo, pronto per la sua sposa, la Chiesa. Venerare, baciare, salutare, sono i segni dell'unica via possibile per lasciarsi raggiungere dal mistero, la via del cuore, degli affetti, della carità teologale. Questo gesto tanto intimo e intenso, la liturgia lo riserva all'altare e all'evangeliario, luoghi dai quali il Signore si offre come cibo da consumare (ogni incontro d'amore lo si vive donec consummetur), parola che si consuma nell'ascolto e pane che si consuma nel pasto. Nell'eucologia del Messale attuale di baci non v'è traccia. Ma i Praenotanda ne sono ricchi. Per ben dodici volte si fa uso del sostantivo osculum («bacio»), del verbo osculor («baciare») si hanno circa cinque forme diversamente coniugate. Eppure, al di là della rilevanza numerica, ciò che emerge con più forza è la grande inclusione celebrativa della Messa, per cui ciò che è iniziato unificandosi nel bacio (allo sposo nel Cantico, all'altare durante la sinassi) ora si conclude dipanandosi da un bacio (allo sposo come all'altare). Come vorrei che tu fossi mio fratello, allattato al seno di mia madre! Incontrandoti per strada ti potrei baciare senza che altri mi disprezzi. Ti condurrei, ti introdurrei nella casa di mia madre; tu mi inizieresti all'arte dell'amore. Ti farei bere vino aromatico e succo del mio melograno. Cantico dei Cantici 8,1-2

La chiusura del Cantico sembra essere ripresa dali' Ordinamento Generale del Messale Romano che, al n. 90, attesta: I riti di conclusione comprendono: a) brevi avvisi, se necessari; b) il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l'orazione sul popolo o con un'altra formula più solenne; c) il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue opere di

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bene lodando e benedicendo Dio; d) il bacio dell'altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l'inchino profondo all'altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri. Si ha, in altre parole, un percorso iniziale (introito) e un percorso conclusivo (congedo) che nel bacio hanno una meta (dal sagrato all'altare) e il punto di partenza (dall'altare al sagrato). La tradizione mistagogica da sempre si avvale del Cantico dei Cantici come di un testo dalle potenzialità straordinarie. Stupisce ancor oggi, per profondità esegetica e bellezza mistica, il commento che Origene ne ha fatto, unendo erudizione e poesia, slancio spirituale e ampiezza teologica. Le sue parole bene si accordano a quanto detto finora: La sposa sia la Chiesa, che desidera unirsi con Cristo: e per Chiesa si intende l'insieme di tutti i santi. Perciò questa Chiesa sia come un personaggio che rappresenti tutti e che parli così: «Tutto posseggo, sono piena di regali che a titolo di doni nuziali e di dote ho preso prima delle nozze. Infatti, i suoi angeli santi mi hanno prestato ossequio e servizio, recandomi come dono nuziale la Legge. Anche i profeti per infiammarmi d'amore e di desiderio per lui mi hanno annunziato il suo arrivo, descritto la sua bellezza, il suo aspetto, la sua bontà. Ma poiché oramai i tempi sono quasi alla fine ed egli non mi concede ancora la sua presenza, a te, Padre del mio Sposo, rivolgo la preghiera: ti scongiuro perché tu finalmente lo mandi a me, sicché egli non mi parli più attraverso i suoi servi, angeli e profeti, ma venga proprio lui e mi baci con i baci della sua bocca, cioè infonda nella mia bocca le parole della sua bocca e io lo ascolti parlare e io lo veda insegnare». Questi sono infatti i baci che Cristo ha dato alla sua Chiesa, allorché al suo arrivo egli, presente nella carne, le ha indirizzato parole di fede amore e pace.

Amo perché amo, amo per amare Sfogliando le pagine della Liturgia delle Ore è possibile raccogliere una vera e propria antologia di omelie e meditazioni che dagli

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antichi Padri latini e orientali fino ai Dottori della Chiesa hanno come perno il Cantico dei Cantici. La densità misterica e mistica di questo testo viene esaltata dalla profondità dei più diversi autori, santi e sante, dei quali l'Ufficio delle letture custodisce preziose testimonianze per il nutrimento e la crescita spirituale dei fedeli. Il Tempo di Avvento, con la memoria di santa Lucia vergine e martire, sceglie la seconda lettura dal trattato Sulla verginità di sant'Ambrogio, vescovo. Nei passaggi offerti, il riferimento al Cantico dei Cantici è chiaro ed esplicito: la preghiera di coloro che si consacrano a Dio è simile alla ricerca della sposa, che chiama l'amato pur senza averne immediata risposta (Ct 5,6); ella non si stanca di aprire la porta per attenderlo e accoglierlo e si mette alla sua ricerca quando le sembra che questi se ne sia andato. Scrive Ambrogio: È dalla santa Chiesa che devi imparare a trattenere Cristo. Anzi, te l'ha già insegnato se ben comprendi ciò che leggi: «Avevo appena oltrepassato le guardie quando trovai l'amato del mio cuore. L'ho stretto forte e non lo lascerò» (cfr. Ct 3,4). Quali dunque i mezzi per trattenere Cristo? Non la violenza delle catene, non le strette delle funi, ma i vincoli della carità, i legami dello Spirito. Lo trattiene !'.amore dell'anima. Colei che così cerca Cristo, che ha trovato Cristo, può dire: «L'ho stretto forte e non lo lascerò finché non lo abbia condotto alla casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice» (cfr. Ct 3,4). Che cos'è la casa, la stanza di tua madre se non il santuario più intimo del tuo essere?

Il magistero del vescovo di Milano viene riproposto anche in altri momenti. Il giovedì della VI settimana del Tempo Ordinario è offerta una pagina nella quale Ambrogio, commentando il versetto di un salmo («La legge del nostro Dio sia nel nostro cuore», Sal 37[36],31 ), conclude proprio citando il Cantico: Quando ti alzi, parlagli per eseguire ciò che ti è comandato. Senti come Cristo ti sveglia. La tua anima dice: «Un rumore! È il mio diletto che bussa» (Ct 5,2), e Cristo dice: «Aprimi, sorella mia, mia amica»

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(ivi). Senti come tu devi svegliare Cristo. L'anima dice: «lo vi scongiuro figlie di Gerusalemme, non svegliate, non ridestate l'amore» (Ct 3,5). L'amore è Cristo.

Di Ambrogio incontriamo altre letture che fanno riferimento al Cantico, sparse tra la XV e la XVI settimana del Tempo Ordinario, grazie alle quali impariamo a conoscere opere come il trattato Sui misteri. In quest'ultimo, a commento di Ct 1,3-5, si dice che l'olio profumato ricevuto dopo il battesimo è il nome stesso di Cristo, che attrae con il buon odore della risurrezione e, mediante illavacro di rigenerazione, permette alla Chiesa - che pure si riconosce nigra («scura») a causa della propria fragilità- di dirsi formosa («bella») per la grazia ricevuta e per il sacramento della fede (giovedì della XV settimana). In riferimento alla presenza del vero corpo di Cristo nel banchetto eucaristico, afferma che «la Chiesa vedendo una grazia così grande, esorta i suoi figli, esorta i suoi intimi ad accorrere ai sacramenti dicendo: "Mangiate, amici, bevete; inebriatevi o cari" (Ct 5,1)». Pregando la Liturgia delle Ore nella VII domenica di Pasqua troviamo un'omelia sul Cantico dei Cantici di san Gregorio di Nissa, che riconosce nel dono dell'unità ecclesiale e nella comunione di intenti la manifestazione più alta delle benedizione del Cristo risorto. Ecco cosa afferma il Nisseno: Se davvero l'amore riesce a eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l'unità. La salvezza sta infatti nel sentirsi tutti fusi nell'amore all'unico e vero bene mediante quella perfezione che si trova nella colomba di cui parla il Cantico dei Cantici: «Unica è la mia colomba, la mia perfetta, l'unica di sua madre, la preferita della sua genitrice» (Ct 6,9).

È ancora Gregorio di Nissa, nel giovedì della XXXIII settimana, a presentarci il Cristo come lo sposo-pastore che prende su di sé la sposa-pecorella e la attrae con una prova d'amore inconfutabile: la morte in croce, fonte zampillante di salvezza, di ristoro, di pace e felicità senza fine. Tutto l 'uomo e tutta l 'umanità è presa sulle

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spalle da Cristo e così condotta ai pascoli amorosi dell'eternità. Di Agostino e di Basilio il Grande, citiamo due passaggi molto belli: il primo attinge ai Trattati su Giovanni ed è proposto il giovedì della IV settimana del Tempo di Pasqua: L'amore che rigenera non è quello puramente umano. È quello che il Signore contraddistingue e qualifica con le parole: «Come io vi ho amati (Gv 13,34)». Questo amore ora forma un popolo nuovo, corpo della nuova sposa dell'Unigenito Figlio di Dio, della quale si parla nel Cantico dei Cantici: «Chi è colei che si alza splendente di candore?» (Ct 8,5). Certo, splendente di candore perché è rinnovata. Da chi se non dal nuovo comandamento?

Il secondo, nell'opera Regole più ampie, è proposto il martedì della I settimana del Tempo Ordinario: Ora che cosa c'è di più ammirabile della divina bellezza? Quale pensiero è più gratuito e più soave della magnificenza di Dio? Quale desiderio dell'animo è tanto veemente e forte quanto quello infuso da Dio in un'anima purificata da ogni peccato e che dice con sincero affetto: «lo sono ferita dall'amore?» (cfr. Ct 2,5). Ineffabili e inenarrabili sono dunque gli splendori della divina bellezza.

Delle tre omelie di san Gregorio Magno, ospitate nell'Ufficio delle letture e che citano esplicitamente il Cantico, ricordiamo la severa monizione rivolta a quei ministri ordinati che, non curando se stessi né la comunità, fanno dire alla Chiesa: «Mi hanno messo a guardiana delle vigne; la mia vigna, la mia, non l 'ho custodita (Ct l ,6)» (sabato della XXVII settimana del Tempo Ordinario). A questa abbondante schiera di autori sacri potremmo aggiungere i nomi di Baldovino di Canterbury (il giovedì della XVIII settimana commenta in modo esemplare l'espressione di Ct 8,6: «Forte come la morte è l'amore», cogliendovi un riferimento all'amore di Cristo che ha vinto la morte), di san Colombano e, ancor prima, di san Girolamo. Ma tra le voci più belle che possiamo ascoltare a commento del nostro poema, abbiamo quella di Bernardo di Chia-

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ravalle, sotto il nome del quale è conservata un'intera raccolta di Discorsi sul Cantico dei Cantici. Il mercoledì della III settimana del Tempo Ordinario il grande abate, commentando Ct 2,13-14, vede in Cristo la roccia di sostegno e il rifugio che protegge la Chiesa, la fenditura rocciosa dalla quale esce la sposa. Lui, il Signore, è fonte di perdono e rivela le proprie «viscere di misericordia» attraverso le ferite di un corpo disposto al patimento e alla morte. Dai medesimi sermoni è tratta la lettura che il 20 agosto, memoria liturgica del santo, viene titolata: «Amo perché amo, amo per amare». È una perla di assoluta bellezza, di intensità mistica e sapienza umana, che ci permette di leggere righe come queste: Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l'ameranno si beeranno di questo stesso amore. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposoamore cerca soltanto il ricambio dell'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all'amata, di riamare.

Chiudiamo scorrendo l'epistolario di santa Chiara d'Assisi che, in una lettera indirizzata alla beata Agnese di Praga, riflette sulla povertà, sull'umiltà e sulla carità di Cristo. Verso la fine del testo, l' 11 agosto, memoria liturgica di santa Chiara, leggiamo: Contempla le ineffabili delizie del Re celeste, le ricchezze e gli eterni onori, sospira con ardente desiderio e amore del cuore, ed esclama: «Attirami dietro a te, corriamo al profumo dei tuoi aromi» (Ct 1,3 Vulgata), o Sposo celeste. Correrò, né verrò meno fino a che non mi abbia introdotto nella tua dimora, fino a che la tua sinistra non stia sotto il mio capo e la tua destra mi cinga teneramente con amore (cfr. Ct 2,4.6).

Tutta bella sei, Maria La tradizione liturgica e la pietà popolare da sempre si rivolgono alla Madre di Dio come alla «tutta bella», colei che, al pari

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della sposa del Cantico, è prediletta dal suo Signore. L'amorosa delicatezza con la quale i capitoli 4 e 7 descrivono l'amata, la dovizia descrittiva che plasticamente manifesta la meraviglia e il desiderio dell'amato, hanno contribuito a formare, assieme ad altri testi scritturistici, quel ricco bacino di immagini che abitualmente scandiscono la preghiera alla Vergine. Citando esplicitamente C t 4, l un'antifona di introito nel Comune della Beata Vergine Maria canta: O quam pulchra es,

virgo Christi, quae coronam Domini dignafuisti accipere, coronam perpetua e virginitatis. La bellezza di Maria, nell' orizzonte di una vera e propria via pulchritudinis, è celebrata in quel meraviglioso canto a Maria che la pietà francescana ha composto e musicato nell'altissima forma musicale gregoriana, a partire da C t 4, 7: il Tota pulchra. Il brano, pur non essendo in alcun libro liturgico, appartiene al patrimonio comune delle celebrazioni mariane, in modo particolare alla Solennità dell'Immacolata (8 dicembre) che ai Secondi Vespri intona l'antifona: «Tutta bella sei, o Maria: la colpa originale non ti ha sfiorato». Se volessimo ancora sottolineare l 'influsso del Cantico nella devozione e nella pietà, potremmo citare le Litanie lauretane (presenti anche nel Benedizionale), nelle quali espressioni come Turris davi dica («Torre di Davide») e Turris eburnea («Torre d'avorio») hanno in Ct 4,4 e 7,5 una delle più importanti fonti di ispirazione. Il 7 ottobre, nella memoria della Beata Vergine Maria del Rosario, il testo di Ct 4, 12; 6,9 fa da sfondo al versetto alleluiatico: «Giardino chiuso tu sei, Maria, giardino chiuso, fontana sigillata; le generazioni ti proclameranno beata, tutto il popolo intesse le tue lodi». Oltre all'uso eucologico, le immagini del giardino chiuso e della fontana sigillata hanno ispirato un'enorme varietà di opere artistiche, pittoriche e scultoree, collocate negli altari votivi e nelle chiese secondo un preciso programma iconografico che rendeva questi manufatti parte integrante dell'azione liturgica. Anche in questi casi, il Cantico si attesta come riserva simbolica del patrimonio culturale cristiano.

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Amica mia bella, vieni presto! La presenza del Cantico dei Cantici nei Lezionari è piuttosto limitata. Nel ciclo festivo e feriale, viene proclamato un solo brano. Ma in un contesto straordinario: siamo nel Tempo di Avvento, il 21 dicembre. La liturgia ci pone innanzi a un esempio altissimo di ermeneutica liturgica, dove calendario, testi biblici ed eucologici si richiamano vicendevolmente per attualizzarsi e inverarsi nell'azione rituale. La lettura è tratta da Ct 2,8-14 e si apre con l'esclamazione: «Una voce! L'amato mio!» per poi proseguire dicendo: «Ora l'amato mio prende a dirmi: "Alzati, amica mia, mia bella, e vieni presto!"». La gioia della sposa per l'arrivo dello sposo è interpretata come il gaudio che pervade l'umanità intera redenta dall'incarnazione di Cristo che in Giovanni Battista sussulta per l'adempiersi della promessa di Dio (cfr. il vangelo del giorno, Le 1,39-45). La Chiesa sente l 'appello dello Sposo che la chiama a seguirlo in attesa di celebrare le nozze mistiche, nel compimento escatologico della storia. «Vienib> è il verbo della reciprocità amorosa, dello spazio e del tempo salvato, che scandisce tanto il desiderio di Dio quanto il desiderio dell'assemblea. Il Cantico viene così letto alla luce del Prefazio di Avvento II che, pur non citandolo esplicitamente, si costruisce nella dinamica tra il primo avvento nella carne, annunciato da tutti i profeti, e il secondo avvento, glorioso, atteso dalla Chiesa nella preghiera vigilante e nella lode. A un passo dal Natale del Signore, la logica misterica era già stata introdotta da un'antichissima Colletta: «Ascolta, o Padre, le preghiere del tuo popolo in attesa del tuo Figlio che viene nell'umiltà della condizione umana: la nostra gioia si compia alla fine dei tempi quando egli verrà nella gloria». Nelle celebrazioni dei santi, il Cantico offre le proprie pagine per celebrare la gloria di Dio che si è manifestata in santa Scolastica (10 febbraio) e in santa Maria Maddalena (22luglio). Nella memoria della sorella di san Benedetto, le parole: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore» (Ct 8,6) sono immagini eloquenti di quella scelta di consacrazione a Cristo sposo che coinvolge la totalità degli intenti e degli affetti ed è disposta a lasciare ogni cosa pur di abbracciare il Vangelo. Lo stesso brano può essere proclamato

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anche nel Comune delle Vergini, nella Messa rituale "Per la Consacrazione delle Vergini e la Professione religiosa" e nella Messa votiva "Per i religiosi". Brilla per intensità lirica e drammatica la composizione di testi offerta nella memoria liturgica della prima annunciatrice della risurrezione, Maria di Magdala. La lettura raccoglie i primi quattro versetti del capitolo 3: difficile non vibrare alle parole della sposa: Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l'amore de li' anima mia; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze, voglio cercare l'amore deli' anima mia.

Cantico dei Cantici 3,1-2

Il testo permette all'assemblea di immedesimarsi nei sentimenti provati da Maria quando si reca di buon mattino al sepolcro di Cristo, mentre tutto era buio. Il dialogo con gli angeli e con il Risorto rivela una profonda corrispondenza con il Cantico, poiché la Maddalena motiva le proprie lacrime dicendo: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto» (Gv 20,13) e: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo» (Gv 20, 15). La sequenza narrativa è tutta modulata sulla ricerca tra lo sposo e la sposa, nell'ambito di un giardino, tema paradisiaco affine al Cantico dei Cantici. Le celebrazioni dei santi, come avevamo già accennato, inseriscono nell'Ufficio delle letture un'omelia di san Gregorio Magno, grazie al quale impariamo a riconoscere in Maria di Magdala la figura della Chiesa tutta. Leggiamo: Maria cercava colui che non aveva trovato, piangeva in questa ricerca e, accesa di vivo amore per lui, ardeva di desiderio, pensando che fosse stato trafugato. Ha provato questo ardente amore chiunque è riuscito a giungere alla verità. Così Davide dice: «L'anima mia ha sete, ha sete del Dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?»

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IL CANTICO DEI CANTICI NELL'ODIERNA LITURGIA

(Sal 41 ,3 ). E la Chiesa dice ancora nel Cantico dei Cantici: «Io sono ferita d'amore» (cfr. Ct 4,9). E di nuovo dice: «L'anima mia è venuta meno» (cfr. Ct 5,6).

Secondo Gregorio il dolore della Maddalena è il luogo nel quale il desiderio d'amore può crescere e infiammarsi, per poter poi gridare, una volta chiamata per nome, «Rabbunì, Maestro» (Gv 20,16): la commozione si unisce ora all'ardore di chi ama. Come non citare, infine, l'uso del Cantico nel Rito del matrimonio? L'ambito coniugale si accorda naturalmente a questo poema amoroso, offerto nella Liturgia della Parola con una pericope composita, formata da alcuni versetti del capitolo 2 e dai versetti che praticamente concludono l'opera (Ct 2,8-10.14.16a; 8,6-7a). Il canto che si innalza dalla Scrittura celebra sia la bellezza dello sposo e della sposa, descritti con la vivacità e la delicatezza di un cerbiatto e di una colomba, sia la forza invincibile dell'amore. L'unione di questi versetti rivela la qualità salvifica della bellezza umana e la potenza dei legami amorosi, liberandoci da quel malcelato disprezzo verso la fisicità e la sensualità che tanto ha pesato sulla visione cristiana di Dio e dell'uomo. Dal punto di vista rituale potremmo vedere una sorta di continuità tra i segni posti durante la celebrazione del sacramento e i segni che contraddistinguono il rapporto degli amanti nel Cantico. Alle parole: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio» (Ct 8,6) fa eco la benedizione pronunciata sugli anelli il giorno delle nozze: «Signore, benedici e santifica l'amore di questi sposi: l'anello che porteranno come simbolo di fedeltà li richiami continuamente al vicendevole amore. Per Cristo nostro Signore». A mo' di sintesi e con un pizzico di provocazione si potrebbe quasi dire che il Cantico dei Cantici ha aiutato a custodire nella liturgia, nella spiritualità e nella riflessione cristiana, quel mondo di parole e immagini che evocano e manifestano la bellezza e la grandezza dell'amore umano, con tutta la sua delicatezza, sensualità, passione. Senza questo poema, baluardo (talvolta imbarazzante) del cuore umano, che sarebbe rimasto della corporeità nell'esperienza cristiana? Forse poco, molto poco. A partire dai baci.

INDICE

PRESENTAZIONE

pag.

3

ANNOTAZIONI DI CARATTERE TECNICO

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CANTICO DEI CANTICI

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INTRODUZIONE Titolo e posizione nel canone Aspetti letterari Linee teologiche fondamentali Destinatari, autore e datazione Testo e trasmissione del testo Bibliografia CANTICO DEI CANTICI Titolo (l, l) Prologo. Il reciproco desiderio ( 1,2-2, 7) Due canti dell'amata (2,8-3,5) Intermezzo. Il corteo nuziale del re Salomone (3,6-11) Il primo canto del corpo di lei (4, 1-5, l) I canti della separazione e del ritrovamento (5,2-6,3) Nuovi canti del corpo di lei (6,4-7,11) Ultimi canti dell'amata (7, 12-8,4) Vittoria dell'amore ed epilogo del poema (8,5-14) IL CANTICO DEI CANTICI NELL'ODIERNA LITURGIA Il bacio della Sposa Amo perché amo, amo per amare Tutta bella sei, Maria Amica mia bella, vieni presto!

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