Lettera ai Galati. Introduzione, versione, commento [2 ed.] 9788810206164

Senza ignorare gli altri approcci esegetici, quanto al metodo, l'ampio commentario di Pit­ta preferisce l'anal

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Italian Pages 459 [452] [452] Year 2009

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Lettera ai Galati. Introduzione, versione, commento [2 ed.]
 9788810206164

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LETTERA AI GALATI

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N el corso del XX secolo la Lettera ai Galati ha visto, in proporzione, la pubblicazio­ ne di un commentario all'anno: il dato prova più di ogni discorso l'interesse suscitato da questo manifesto della libertà cristiana. Senza ignorare gli altri approcci esegetici, quanto al metodo, l'ampio commentario di Pit­ ta preferisce l'analisi retorico-letteraria, con un continuo e approfondito riferimento al te­ sto esaminato. Quanto ai contenuti, l'autore conferisce ampio spazio non solo alla sezio­ ne nota come dottrinale (Gal 3,1-5;12), ma anche a quella autobiografica (Gal 1,112,21) e a quella esortativa (Gal 5,13-6,1 0). La scelta va sottolineata perché di solito l'ul­ tima sezione è messa in ombra, mentre si rivela ricca di implicazioni kerygmatiche ed etiche. Il punto focale della lettera non è rappresentato dalla giustificazione per la fede, senza le opere, né dalla partecipazione dei credenti all'essere in Cristo, bensì dal vangelo di Paolo, ripresentato alle comunità della Galazia che, ammaliate da alcuni agitatori di ori­ gine giudaico-cristiana, stanno per sottomettersi alla circoncisione e alla legge mosaica, illudendosi, in tal modo, di progredire nella loro adesione a Cristo. La tesi principale an­ nunciata in Gal 1,11-12 è illustrata in progressione dall'esempio di Paolo che, per ade­ rire al vangelo, ha abbandonato la sua condotta nel giudaismo farisaico, dalla figliolan­ za abramitica che i galati hanno ricevuto per la fede in Cristo, dall'aut-aut tra l'essere figli della schiavitù o della libertà e dall'esortazione a proseguire guidati dall'azione vivifi­ cante dello Spirito e non dalle opere della carne. La Lettera ai Galati è il primo tentativo di rievangelizzazione o di ripresentazione del suo vangelo . •••••

ANTONIO PITTA

(1959) è presbitero della diocesi di Lucera (FG), dottorato in esegesi biblica presso

il Pontificio Istituto Biblico con la tesi su Disposizione e messaggio della Lettera ai Galati (AnBib 131), Roma 1992, e diploma in scienze patristiche presso I'Augustinianum; è stato preside della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (Napoli) ed è ordinario di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Lateranense e membro della New Testament Society. Fra le sue pubblicazioni segnaliamo: Sinossi paolina, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994; Il paradosso della croce. Saggi di teologia paolina, Piemme, Casale Monferrato 1998; Lettera ai Romani. Nuova versione, introduzione e commento, Edizioni Paoline, Milano 22001; Paolo, la Scrittura e la Legge. Antiche e nuove prospettive, EDB, Bologna 2009. Collabora con diver­ se riviste, fra cui Rivista Biblica e Biblica. •••••

LETTERA AI GALATI

Introduzione, versione e commento di ANTONIO PITIA

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Prima edizione: gennaio 1997 Ristampa: gennaio 2000 Seconda edizione: febbraio 2009

Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze

©

1996 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6-40123 Bologna EDB®

ISBN

978-88-10-20616-4

Stampa: Sograte, Città di Castello (PG) 2009

Alla memoria di Angelo Criscito « Lucerinus Episcopus » con grato e perenne ricordo e a quanti per la verità del vangelo cercano di piacere più a Dio che agli uomini

Sigle e abbreviazioni1

l. COLLANE,

PERIODICI E ALTRE O PERE DI CONSULTAZIONE

AnBib An Gr ANRW ASE Asp AssSeign AThNT AusBR

Analecta biblica Analecta gregoriana A ufstieg und Niedergang der romischen Welt Annali di storia dell'esegesi Asprenas Assemblée du Seigneur Abhandlungen zur Theologie des Alten und Neuen Testament A ustralian Biblica/ Review

BeO BETL Bib Bijdr. BJRL BK BLE BN BS BZ BZNW

Bibbia e Oriente Bibliotheca ephemeridum theologicarum Lovaniensium Biblica Bijdragen. Tijdschrift voor filosofie en theologie Bulletin of the fohn Rylands University Library of Manchester Bibel und Kirche Bulletin de littérature ecclésiastique Biblische Notizen Bibliotheca sacra Biblische Zeitschrift Beihefte zur Zeithschrift ftir die Neutestamentliche Wissen­ schaft

CBQ CEI

Catholic Biblica/ Quarterly Traduzione italiana della Bibbia a cura della Conferenza epi­ scopale italiana Corpus inscriptionum graecarum Corpus inscriptionum latinarum Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum

C/G CIL CSEL

1 Per i libri biblici valgono le sigle e le abbreviazioni della Bibbia di Gerusalemme.

8

Sigle e abbreviazioni

CTJ

Calvin Theological Journal

DBS

Dictionnaire de la Bible, Supplément

EvQ Esp Vie EstBfb ET E TL E TR Eunt Doc EvQ EvTh

Evangelica/ Quarterly Esprit et Vie Estudios Bfblicos Expository Times Ephemerides theologicae Lovanienses É tudes théologiques et religieuses Euntes Docete Evangelica/ Quarterly Evangelische Theologie

FgNt FRLANT FV

Filologia neotestamentaria Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testament Fai et Vie

GLN T GNT4

Grande lessico del Nuovo Testamento The Greek New Testament (43 ed. critica del NT)

HR H TR H U CA

History of Religions Harward Theological Review Hebrew Union College Annua!

In t

Interpretation

JBL JE TS JJS JQR JSN T JSNT SS JTS

Journal of Biblica/ Literature Journal of the Evangelica/ Theological Society Journal of Jewish Studies Jewish Quarterly Review Journal far the Study of the New Testament Journal for the Study of the New Testament Supplement Series Journal of Theological Studies

KuD

Kerigma und Dogma

LCL Lum Vie

Loeb Classical Library Lumière et Vie

MSB M ThZ

Serie Monografica di Benedectina Milnchener Theologische Zeitschrift

Sigle e abbreviazioni

NA27 Neo t NRT NT NTOA NTS NTS NVB

NESTLE - ALANO, Novum Testamentum Graece, 27a ed. Neotestamentica Nouvelle revue théologique Novum Testamentum Novum Testamentum et Orbis antiquus New Testament Studies Novum Testamentum Supplements Nuovissima versione della Bibbia

PG PL PSV

Patrologia greca (Migne) Patrologia latina (Migne) Parola Spirito e Vita

RB RdT RevistB RExp RHPhR RQ RSR RStB RivBib

Revue biblique Rassegna di teologia Revista biblica Review and Expositor Revue d'histoire et de philosophie religieuses Revue de Qumran Recherches de science religieuse Ricerche storico-bibliche Rivista biblica

SAQ SB SBFLA SB L DS SLB MS SBL SP SB S ScC SEA SJT SN TS MS SR StTh SubBib

South Atlantic Quarterly Studi biblici Studi biblici francescani Liber annuus Society of Biblical Literature Dissertation Series Society of Biblical Literature Monograph Series Society of Biblica! Literature Seminar Papers Stuttgarter Bibelstudien La Scuola cattolica Svensk Exegetisk A rsbok Scottish Journal of Theology Studiorum Novi Testamenti Societas Monograph Series Studies in Religion l Sciences religieuses Studia theologica Subsidia biblica

TBei ThQ ThZ TLZ Th Viat TRE

Theologische Beitriige Theologische Quartalschrift Theologische Zeitschrift Theologische Literaturzeitung Theologia viatorum Theologische Realencyclopaedie

9

10

Sigle e abbreviazioni

TrinJ TZB

Trinity Journal Theologische Zeitschrift Base!

VetChr VT

Vetera Christianorum Vetus Testamentum

WTJ WA WUNT

Westminster Theological Journal M ARTIN LuTERO, Kritische Gesamtausgabe « Weimarer A usga­ be» Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament

ZKT ZNW ZTK

Zeitschrift fUr katholische Theologie Zeitschrift fUr die Neutestamentliche Wissenschaft Zeitschrift fUr Theologie und Kirche

2.

G I U DAISTICA

Ap Abr Ap Bar Ap Esd Ap sir Bar Aristea Asc Mos Bar syr 2Bar En et 1-3En En sl 4Esd Giub 3-4Mac Or sib Sal Salom Test Ben Test Dan Test Giud Test Lev Test Neft

Apocalisse di Abramo Apocalisse di Baruc Apocalisse di Esdra Apocalisse siriaca di Baruc Lettera di Aristea a Filocrate Ascensione di Mosè Baruc siriaco 2 Baruc Enoc etiopico 1 -3 Enoc Enoc slavo 4 Esdra Giubilei 3-4 Maccabei Oracoli sibillini Salmi di Salomone Testamento di Beniamino Testamento di Dan Testamento di Giuda Testamento di Levi Testamento di Neftali

CD l Q, 2Q ecc . . . l QH

Documento della Genizah del Cairo Grotte numerate di Qumran Inni

Sigle e abbreviazioni

lQpHab lQM lQS 4QFlor

Pesher ad Abacuc proveniente dalla l Q Rotolo della Guerra Regola della comunità Florilegio proveniente dalla 40

Tg. Onq. Frg. Tg. Tg. /sa. Tg. Neof Tg. Ps. -J.

Targum di Onqelos Targum frammentario Targum di Isaia Targum Neofiti I Targum Pseudo-Jonathan

Dt. Rab. Es. Rab. Gen. Rab. Lev. Rab. Num. Rab. Mek. Es. Mek. R. Ishm. Midr. Qo. Pesiq. Rab. Tanh.

Deuteronomio Rabbah Esodo Rabbah Genesi Rabbah Levitico Rabbah Numeri Rabbah Mekhilta all'Esodo Mekhilta di R. Ishmaele Midrash al Qoelet Pesiqta Rabbati Tanhuma

3.

AuTORI CLASSICI

APULEIO

Met.

Metamorfosi

ARISTOTELE

Metaf Nic. Poi. Rh et.

Metaphisica Etica nicomachea Politica Rhetorica

ps- ARISTOTELE Ad Alex.

Rhetorica ad A lexandrum

CICERONE

Att. Fam. De inv. De orat. Ora t.

A d Atticum Ad familiares De inventione De oratore Orator

11

Sigle e abbreviazioni

12 Part. or. Top. Tusc.

Panitiones oratoriae Topica Tusculanae disputationes

CLEARCO

Fram.

Frammenti

CoRNIFICio

Heren.

Rhetorica ad Herennium

DEMETRIUS

Eloc.

De elocutione

EPITTETO

Diss.

Dissertationes

ERODOTO

Hist.

Historia

EscHILO

Agam.

Agamennone

EURIPIDE

/fig. Taur. Med.

Ifigenia in Tauride Medea

FILONE ALESSANDRINO

Abr. A et. A gr. Cher. Conf Cong. Cont. Deeal. Det. Deus E br. Fug. Her. Jos. L. A. Mig. Mos.

De Abrahamo De aeternitate mundi De agricultura De cherubim De confusione linguarum De congressu eruditionis gratia De vita contemplativa De decalogo Quod Deterius Potiori insidiari soleat Quod Deus sit immutabilis De ebrietate De fuga et inventione Quis rerum divinarum heres sit Delosepho Legum allegoriarum De migratione Abrahami De vita Mosis

Sigle e abbreviazioni

Mut. Op. Pian t. Post. Praem. Pro b. Sa c. So b. So m. Spec. Virt.

13

De mutatione nominum De opificio mundi De plantatione De posteritate Caini De praemiis et poenis Quod omnis probus liber De sacrificiis A belis et Caini De sobrietate De somniis De specialibus legibus De virtutibus

FLAVIO GIUSEPPE

An t. Ap. Guer. Vita

Antiquitates iudaicae Contra Apionem Bellum iudaicum A utobiografia

IsocRATE

Filip. Paneg.

Ad Philippum Panegyricus

LuciANO

Demon. Dia l.

Demonax Dialogi mortuorum

OviDIO

Ama t.

A rs amatoria

PAPIRI

B. G.U. Fay. P. Lips. P. Lond. P. Mich. P. Oxy. P. Ryl. P. Wash. Uni. P.

À gyptische Urkunden aus den Staatlichen Museen zu Berlin, Griechische U rkunden Villaggi del Fayum e relativi papiri Papiri di Lipsia Papiri greci del British Museum Papiri dell'Università del Michigan Papiri di Ossirinco Catalogo dei papiri greci della Biblioteca di J. Rylands Papiri dell'Università di Washington

PETRONIO

Sa tir.

Satyricon

14

Sigle e abbreviazioni

PLATONE

Apoi. Eu t. Fedr. Gorg. Leg. Lys. Poi. Rep. Simp. Tim.

Apologia Eutydemus Phaedrus Gorgia Leges Lysis Politicus Respublica Symposium Timaeus

PLAUTO

Cas. Mercat.

Casina Mercator

PLINIO IL GIOVANE

Ep.

Epistulae

PLINIO IL VECCHIO

Nat. hist.

Naturalis historia

PLUTARCO

Alcib. Arat. Cat. ma. Cat. min. Cic. Cup. divit. De curios. Demetr. Ex. Frat. am. Gen. Socr. fs. et Osir. Lib. educ. Lyc. Mor. Num. Pyt. Quaest. gr. Quaest. rom. Ser. num. Superst. Tranq. an.

Alcibiades Aratus Cato major Cato minor Cicero De cupiditate divitiarum De curiositate Demetrius De exilio De fraterno amore De genio Socratis De Iside et Osiride De liberis educandis Lycurgus Moralia Numa Pompilius De Pythiae oraculis Quaestiones graecae Quaestiones romanae De sera numinis vindicta De superstitione De tranquillitate animi

Sigle e abbreviazioni

Pous1o

Hist.

Historia

QUINTILIANO Inst. or.

Institutio oratoria

SENECA Ep.

Epistulae morales ad Lucilium

SENOFONTE Anab. Cyr. Mem.

Anabasis Cyropaedia Memorabilia

STRABONE Geog.

Geographia

TEOFRASTO Cara t.

Characteres

4. PATROLOGIA GRECA E LATINA Bam.

Lettera di Barnaba

CLEMENTE 1-2Clem Ps-Clem

1 -2Clemente Pseudo-Clementine

CLEMENTE ALESSANDRINO Pedagogo Ped. Strom. Stromata Di d Diogn Erma

Didachè Lettera a Diogneto Il pastore di Erma

GIUSTINO Apol. Dia[.

Apologia Dialogo con Trifone

15

16

Sigle e abbreviazioni

I GNAZIO Ef Magn. Fila d. Polic. Rom. Smirn. Trai.

Lettera agli Efesini Lettera ai Magnesii Lettera ai Filadelfiesi A Policarpo Lettera ai Romani Lettera agli Smirnesi Lettera ai Tralliani

I RENEO

Adv. haer.

Adversus haereses

P oLICARPO Fil.

Lettera ai Filippesi

TERTULLIANO Adv. Mare.

A dversus Marcionem

5.

S IGLE

AT cf. diss. ed./edd. FS. LXX NT TM x/xx

E ABBREV IAZ IONI REDAZIONALI Antico Testamento confronta dissertazione (tesi non pubblicata) curatore/i Festschrift (studio in onore) Versione greca della Settanta Nuovo Testamento Testo masoretico volta/e

Prefazione

Consegno con gioia ai lettori questo commento alla Lettera ai Galati nella speranza che possa aiutare a cogliere il messaggio di uno tra i testi più affasci­ nanti della storia del cristianesimo. Dalla pubblicazione della mia tesi di dotto­ rato, Disposizione e messaggio della Lettera ai Galati. Analisi retorico-letteraria (AnBib 1 3 1 , Roma 1 992) , sono trascorsi alcuni anni, utili per la sedimentazione del materiale e per gli approfondimenti o per la revisione di :1lcuni aspetti. Da questo punto di vista sono particolarmente grato a quanti si sono impegnati nella valutazione del precedente contributo, 1 anche se devo riconoscere che in alcune recensioni è rilevabile una certa superficialità di analisi, dovuta alla situazione che induce alcuni studiosi a produrre delle recensioni di pubblicazioni in segui­ to alla semplice lettura dell'indice, senza soffermarsi sulle analisi e sulle fasi degli stessi contributi. A parte questi casi, in verità sporadici per il mio contributo, ho cercato di far tesoro delle annotazioni che potevano aiutare a migliorare l'analisi in vista del presente contributo esegetico. Uno dei luoghi più fruttuosi di approfondimento per la produzione di que­ sto commentario è stata l'abbazia di San Paolo fuori le Mura, dove ho potuto partecipare direttamente ai convegni ecumenici internazionali sulla Lettera ai Galati, del «Colloquium Paulinum» (settembre 1992; 1 995). Il dialogo con ese­ geti cattolici, luterani, anglicani e ortodossi mi ha permesso di estendere gli oriz­ zonti della ricerca non solo rispetto a Galati ma anche alla teologia paolina. Sulla natura del testo in esame forse è necessario offrire delle coordinate di analisi per i diversi tipi di lettori. Di fatto, è ben noto che non si legge un com­ mentario esegetico a un testo biblico come un romanzo: sono pochi coloro che perseverano nella lettura completa di un commentario biblico. Piuttosto, ognuno

1 Cf. le recensioni di J.J. BARTOLO ME, in Salesianum 56( 1 994), 574-575; M. BuscEMI, in SBFLA 42( 1992 ), 41 8-42 2; R.F. CoLLI NS, in ETL 70( 1994), 477-478; E. FARAHIAN, in Greg 76( 1 995) , 1 54- 1 55; V. Fusco, in RdT 34( 1 993) , 227-228; P GAR trr i , in RB 1 01 ( 1 994), 42 1 -425; J.P. HEIL, in JBL 1 14(1995), 1 64- 1 66; J.G. LooGE in CBQ 56( 1 994), 805-806; C. MAR CHESE LLI-CASALE, in RivScRe/ 7( 1 993), 527-529; F. PASTOR RAMOS, in EstBib 53( 1 995), 279-280; R. PENNA, in RivBib 4 1 ( 1 993), 364-368; V. S nPPA, in Asp 40( 1 993), 12 0-1 22; G. SEGALLA, in Asprenas 40( 1 993) , 107-1 12 ; B. STANDAERT, in Bib 75( 1 994), 2 80-2 83; R.S. VALDIVIESO, in Cartha­ ginensia 10( 1 994), 1 83-184. ,

18

Prefazione

preferisce estrarre da un commentario ciò che gli è necessario e utile per l'ap­ profondimento di un aspetto o di una pericope del testo biblico. Tale attitudine se, da una parte, è inevitabile, data la natura di un commentario, dall'altra rischia di snaturare, a causa delle continue estrapolazioni, gli stessi contenuti esegetici. Esorto questi lettori a soffermarsi, con pazienza, sulle parti introduttive e con­ clusive del commentario, nelle quali vengono delineate le indicazioni principali per l'interpretazione delle singole micro-unità e delle diverse espressioni. Un discorso a parte meritano gli excursus riportati alla fine di ogni pericope: non riguardano soltanto la Lettera ai Galati ma cercano di approfondire aspetti glo­ bali della teologia paolina. Dal punto di vista metodologico, senza ignorare gli altri approcci esegetici, in questo commentario viene prediletta l'analisi retorico-letteraria che, a prescin­ dere dalla terminologia, sembra un metodo nuovo ma tale non è del tutto, se non nella sua evoluzione metodologica. Si potrà constatare che la preminenza, pur tenendo presenti i risultati della critica testuale, dell'analisi delle forme, di quel­ la semantica e strutturale, viene conferita alla funzione persuasiva di Galati, quale veicolo di comunicazione e di persuasione tra Paolo e i destinatari della lettera, ovvero tra autore e lettore. Nell'economia del commentario si potrà osservare uno spazio abbastanza ampio conferito non solo alla sezione nota come dottrinale (Gal 3,1-4,3 1 ) , ma anche a quella autobiografica (Gal 1 ,6-2,21 ) e a quella esortativa (Gal 5,1-6,18): bisogna riconoscere che in altri commentari classici e moderni, soprattutto la sezione esortativa di Gal 5-6 è stata posta in ombra, anche se non solo occupa uno spazio considerevole in Galati, ma è ben composta oltre che ricca di impli­ cazioni kerygmatiche e morali. Sono grato ai curatori della collana «Scritti delle origini cristiane>>, i proff. G. Barbaglio e R. Penna, che insieme al prof. J.-N. Aletti hanno avuto la pazienza di leggere e valutare attentamente questo mio contributo. Mi sia lecito ricordare con sincera gratitudine il prof. A. Vanhoye del quale ho avuto la fortuna di segui­ re alcuni anni fa un seminario e un corso di esegesi sulla Lettera ai Galati, al Pon­ tificio istituto biblico. Un'ultima annotazione, anche se forse la più importante: durante la forma­ zione di questo commentario mi sono soffermato spesso a considerare la mia fedeltà alla Lettera ai Galati, ormai segnata da un decennio; non era che una pre­ sunzione ! All'approdo di questo contributo devo constatare l'inverso: la fedeltà della Parola del vangelo, presente in Galati, per la mia esistenza e per quella di ogni cristiano. Coloro che conoscono la fatica nella realizzazione di un commen­ tario esegetico sono consapevoli che la gratitudine al Signore non è mai suffi­ ciente. Auguro a ogni lettore, studioso o semplice cultore della Scrittura, di poter trovare in questo commentario quanto può essergli utile, almeno in parte, per porsi in sintonia con il vangelo paolino, nella consapevolezza che su Galati, come su ogni testo biblico, non potremmo mai esaurire del tutto i significati né fissare le interpretazioni definitive, non solo per il nostro limite ma soprattutto

Prefazione

19

per il dialogo che ogni testo biblico intende instaurare liberamente con ogni interlocutore, affinché la Scrittura diventi parola di Dio e perché ogni lettore si senta non tanto informato ma coinvolto in questa trasformazione personale ed ecclesiale. Antonio Pitta 29 giugno 1 996, solennità dei ss. Pietro e Paolo

INTRODUZIONE

Uno dei testi più commentati, non solo del Nuovo Testamento ma dell'inte­ ra Bibbia, è certamente la Lettera ai Galati: il XX secolo annovera un centinaio di commentari, corrispondenti, in proporzione, a uno per anno. 1 Se le grandi ore della storia del cristianesimo hanno significato l'affermazione dell'epistolario paolino e, in particolare, della Lettera ai Romani, non si può non attribuire la stessa importanza alla Lettera ai Galati. Si pensi alle correnti gnostiche del I-II secolo d.C., alle controversie sulla soteriologia tra Agostino e Pelagio (IV sec.), alle «riforme» luterano-cattoliche (XVI sec.). Lutero era così legato a questa let­ tera da paragonarla alla sua fidanzata, Katia von Bor.2 Da altri Galati è stata definita come la «magna carta» della libertà cristiana3 o come la «Verità dell'e­ vangelo».4 Anche le metodologie esegetiche contemporanee spesso scelgono la Lettera ai Galati come uno dei primi e privilegiati testi per le loro esemplificazioni e veri­ fiche, determinando un pullulare di contributi:5 la semiotica strutturale,6 la lin­ guistica,7 il mirror reading o analisi speculare dei testi,8 il rhetorical criticism, o

1 Per una valutazione generale delle composizioni di Galati , secondo i diversi commentari, cf. A. PIITA, Disposizione e messaggio della Lettera ai Galati. Analisi retorico-letterarw (AnBib 1 3 1 ) , Roma 1 992, 13-4 1 . 2 Così c i viene tramandato u n suo detto a tavola: «Epistola a d Galatas ist mein Epistelcha, der lch mir vertrawt. 1st mein Keth von Bon>. Cf. WA TR I, 69, 1 46. 3 Cf. M. ZERWICK, Der Brief an die Galater, Dtisseldorf 1964 , 1 2 . Sull'importanza della libertà in Gala­ ti cf. F. PASTOR R AMos, La libertad en la carta a los Galatas. Estudio exegético-teol6gico, Madrid 1 977. 4 Cf. G. E BEUNG, La verità dell'evangelo. Commento alla lettera ai Galati, Genova 1 989, 4-5. 5 Per una globale e pertinente valutazione delle metodologie esegetiche contemporanee cf. il docu­ mento della PoNTIFICIA coMMISSIONE BIBLICA, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Città del Vaticano 1993; cf. anche J.A. FITZMYER, The Biblica/ Commission s Document The lnterpretation of the Bible in the Church». Text and Commentary (SubBib 18), Roma 1 995. 6 Cf. L. PANIER, > (galatés: Gal 3,1, «hapax legomenon» neotestamentario), della «Galazia» (Galazia: l Cor 1 6, 1 ; Gal 1 ,2; 2Tm 4,19; 1 Pt 1 , 1 ) o della regione «galatica» (galatikos: At 1 6,6; 18,23). La scarsa frequenza di queste citazioni è collegata alla loro indeterminatezza: si rife­ riscono alla regione della Galazia propriamente detta, ossia quella settentriona­ le dell'Asia Minore, oppure a quella meridionale, corrispondente alla denomina­ zione ufficiale della provincia romana del I secolo d.C.? Nel primo caso, Paolo indirizza la sua lettera alle comunità cristiane sorte intorno alle città di Pessinunte, Tavium e Ancyra (odierna Ankara); nel secondo sono le comunità di Antiochia di Pisidia, !conio, Listra e Derbe a essere destina­ tarie della lettera. Inoltre, se nella prima ipotesi Galati viene scritta intorno alla metà degli anni 50 d.C., nella seconda si può considerare persino come la lettera più antica dell'epistolario paolino, facendola retrodatare alla fine degli anni 40. 1 1 Le stesse citazioni neotestamentarie, a eccezione di l Pt 1 , 1 , per la quale si pensa generalmente alla provincia romana della Galazia, 12 sono state tratte a sostegno sia dell'ipotesi settentrionale sia di quella meridionale.

9 Cf. H.D. BETz, 15 o «celti>>,1 6 provenienti dall'Europa in Asia Minore, viene datato nel 278-277 a.C., quando 20.000 galli attraversarono l'Ellesponto, su invito di Nicomede I, per la sua con­ quista definitiva della Bitinia. Sin dagli inizi i galati erano noti come guerrieri valorosi che venivano spes­ so assoldati come mercenari.17 Lo storico Tito Livio li descrive come alti, rossic­ ci e, soprattutto, ben armati (cf. Hist. 38,18,3-9). Nel III libro degli Oracoli sibil­ lini così viene evocata l'invasione orientale dei galati: «Guai a te, Trace, come sarai sottomesso al giogo della schiavitù! Quando i galati mischiati ai dardaniti devasteranno la Grecia con un'invasione, allora il male ti sovrasterà>> (Or sib 3,508-5 1 0). Generalmente, nella concezione sociale greco-romana, i galati non godeva­ no di una buona reputazione: venivano considerati come «senza leggi>> e «bar­ bari>>.18

13 Cf. J.B. LIGHTFOOT, St. Paul's Epistle to the Galatians, London-Cambridge 1 869, 1 8-56. Così anche G. BARBAGLIO. , in Le lettere di Paolo, Roma 1 980, Il, 18: lo., Paolo di Tarso e le origini cristiane, Assisi 1 985, 1 99; J. BARCLAY, Obeying the Truth. A Study of Paul's Ethics in Galatians, Edinburgh 1 988, 8; H D. BETz, Galatians, Philadelphia 1 979, 5; P. BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ au.x Gala­ tes, Neuchatel 21 972, 1 0; B. CoRSANI, Lettera ai Galati, Genova 1 990, 18; J.D.G. DuNN, Galatians, London 1993, 6; H. HOBNER, > l'azione dello Spirito nelle loro comunità: «Siete così insensati che dopo aver cominciato con lo Spirito volete finire con la carne?» (v. 3); «Colui che vi offre lo Spirito e che opera portenti tra voi . . . » (v. 5).

25

Così invece FuNG, The Epistle to the Galatians, 2 ; LoNGENECKER, Ga/atians, lxix. Questa è la fondamentale tesi di Scott che assimila i galati ai figli di Gomer e quindi alla stirpe di Japhet. Cf. Scorr, Pau/ and the Nations, 215. 27 Cf. invece la prospettiva di una visita in 1Ts 2,17; 1 Cor 4,18-2 1 ; 2Cor 10, 1 - 1 1 ; 12,14-13,10; Rm 15,22-32; Fil 2,1 9-30; Fm 22. Per la sezione epistolare e la topologia della «apusia-parusia» paolina cf. PrrrA , Sinossi paolina, Cinisello Balsamo 1 994, 291 -303. 26

Introduzione

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Un ulteriore dato riguarda il riferimento all'origine delle comunità cristiane, in Gal 4,8-l l : «Ma una volta non conoscendo Dio servivate quelli che per natu­ ra non sono dèi» (v. 8). Questa formulazione evoca il linguaggio tipico della pro­ paganda giudaica nei confronti dei gentili, definiti come idolatri, per natura. Quindi, a differenza della comunità mista di Roma,28 quelle della Galazia sono composte esclusivamente di gentili.29 Tuttavia alcuni «agitatori», provenienti dal­ l'esterno, li hanno già convinti a «osservare giorni, mesi, stagioni e anni» (cf. Gal 4,10). Si può sostenere che, nel momento in cui Paolo scrive la lettera, i gentili della Galazia si trovano in una condizione di «proselitismo» giudaico: la circon­ cisione permetterebbe loro una totale «giudaizzazione» (cf. Gal 2,14). A prescindere dallo stato religioso rispetto al giudaismo, per ora è importante rilevare l'origine di queste comunità cristiane della Galazia: anticipando un primo confronto con gli Atti, queste non sono neppure paragonabili alle comunità miste di Antiochia di Pisidia e di Iconio, appartenenti alla provincia romana della Gala­ zia, nelle quali, all'arrivo di Paolo, già si trovavano delle sinagoghe (cf. At 13,14; 14,1 ) . 30 Questo elemento lascia decisamente propendere per la Galazia del nord e non per quella del sud.31 Naturalmente non bisogna ignorare le testimonianze archeologiche sulla presenza dei giudei nella regione della Galazia:32 gli stessi agi­ tatori delle comunità paoline ne danno conferma. Non si dovrebbe comunque dubitare dell'origine etnica dei galati ai quali Paolo indirizza la sua lettera. Un ultimo ma non meno importante indizio, sull'identificazione delle comu­ nità galate, riguarda l'appellativo con il quale Paolo stesso li apostrofa in Gal 3,1 : «O insensati galati, chi vi ha ammaliati . . . ?». Il linguaggio di questo rimprovero, ripetuto in Gal 3,3, non è ufficiale o protocollare ma personale, anche se negati­ vo. Si è rilevato che, nel periodo romano, l'estensione del nome «Galazia» è riscontrabile soprattutto nelle iscrizioni onorifiche e ufficiali, molto meno in quelle popolari. Di fatto, difficilmente gli abitanti delle regioni meridionali del­ l'Asia Minore, ossia quelli della Licaonia, della Pisidia e della Panfilia, si sareb­ bero offesi per un tale insulto.33 Sarebbe come dare dello «Stupido inglese» a un irlandese del nord o a uno scozzese e viceversa, anche se appartengono tutti, per ora, al «Regno Unito>>. Quest'ultima motivazione che orienta, ancora una volta, per la Galazia del nord è stata recentemente posta in discussione, in quanto già da una settantina 28 Cf. R. PENNA, , in S. CIPRIANI (ed.), La Lettera ai Romani ieri e oggi, Bologna 1 995, 67-85. 29 Cf. anche J. LAMBRECHT, , in Pauli­ ne Studies (B ETL 1 1 5), Leuven 1 994, 299. Già Girolamo precisava l'origine pagana dei cristiani della Gala­ zia. Cf. GIROLAMO, Ad Galatas 334. 30 Senza prendere in considerazione le asserzioni di Gal 4,8-1 1 , Lategan ritiene invece che anche i destinatari di Galati appartenevano a delle comunità miste. Cf. B.C. LATEGAN, , in Neot 26( 1 992), 259. 31 Così anche MussNER, La Lettera ai Galati, 49-50. 32 Cf. M rrcHE LL, Ana to lia : Land, Men, and Gods in Asia Minor, 31 -37. 33 Cf. anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 18; HUBNER, >, in C.D. STANLEY E. PoRTER - D.E. 0RTON (edd.), Crossing the Boundaries, FS. M.D. Gulder, Leiden 1 994, 268. 4 1 Cf. J. KNox, Chapters in a Life of Pau/, Nashville 1950; G. LODEMANN, Das frilhe Christentum nach den Traditionen der Aposte/geschichte. Ein Kommentar, Gèittingen 1 987. 42 Per una rivalutazione degli Atti cf. M. HENGEL, La storiografia protocristiana (SB 73), Brescia 1985; C.-J. THORNTON, Der Zeuge des Zeugen, Lukas als Historiker der Paulusreisen, Tiibingen 1991 . 43 Così invece LoNGENECKER, Galatians, lxxi. 44 Cf. ancora LoNGENECKER, Galatians. lxxi. -

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narrazione più vicina rimane quella di At 15,1-29. Di fatto in At 1 1 non emerge ancora il problema della circoncisione ma soltanto quello dell'indigenza dei poveri, cosa che in Gal 2,10 è già considerata come acquisita. Anche l'assimila­ zione tra At 18,22 e Gal 2,1-10 crea più difficoltà di quante ne risolva: in tal caso l'incidente di Antiochia, raccontato in Gal 2,1-10, dovrebbe precedere e non seguire (assemblea di Gerusalemme.45 Dunque l'identificazione tra Gal 2,1-10 e At 1 5 , 1 -29 offre buoni indizi per non considerare i galati del sud come i destinatari della lettera: probabilmente la lettera fu scritta dopo e non prima dell'assemblea di Gerusalemme. Tenendo ancora conto della narrazione di Atti, sembra che in At 1 6,6, in occasione del secondo viaggio missionario, si accenni a una visita di Paolo nella regione della Galazia: «Attraversarono quindi la Frigia e la regione galatica». Secondo un ordine inverso la stessa annotazione si trova in At 1 8,23: «Trascorso là un po' di tempo partì di nuovo percorrendo di seguito la regione galatica e la Frigia». Alcuni accostano queste due visite di At 16,6; 1 8,23 al proteron di Gal 4,13: quando Paolo scrive la sua lettera ha già visitato due volte la regione della Galazia. Non è necessario un accostamento così marcato tra Gal 4 e A t 16; 18 per riconoscere che At 16,6 si riferisce alla Galazia del nord e non a quella del sud. Per inverso alcuni considerano queste tappe di viaggio troppo scarne per lasciar pensare a una permanenza di Paolo nella regione della Galazia. In realtà, tale obiezione deriva dalla presunzione che Luca avrebbe dovuto raccontare ogni dettaglio dei viaggi di Paolo, mettendo da parte il proprio disegno teologi­ co: asserzione del tutto infondata ! Ancora una volta Luca e Paolo seguono delle proprie finalità narrative, attraverso le quali si propongono di comunicare con i relativi destinatari degli Atti e delle lettere. Dunque, anche senza una descrizione minuziosa, la conferma derivata dagli Atti per una presenza di Paolo nella regione della Galazia offre sufficienti ragio­ ni per un'evangelizzazione paolina durante il suo secondo viaggio missionario.46 1 . 5.

I destinatari, la data e i/ luogo di composizione di Galati

L'insieme dei dati acquisiti sino a ora ci porta, pur nella complessità delle relative problematiche, a considerare le «chiese della regione della Galazia» come destinatarie della relativa lettera, anche se, praticamente, l'unica fonte sul­ l'evangelizzazione della Galazia settentrionale rimane la stessa Lettera ai Gala­ ti (cf. Gal 4,12-20). All'identificazione dei destinatari della lettera è collegata quella della sua data di composizione e della relativa località, anche se, in quanto tali, queste pro­ blematiche non sono necessariamente collegate. Poiché sembra che Paolo abbia

Per i dettagli della discussione vedi sotto l'excursus finale a Gal 2,1- 10. Così anche R. RIESNER, Die Friihzeit des Apostels Paulus. Studien zur Chronologie, Missionstrate­ gie und Theologie (WUNT 7 1 ) , Ttibingen 1 994, 250-25 1 . 45

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evangelizzato la regione della Galazia durante il secondo viaggio missionario, la composizione della Lettera ai Galati viene collocata generalmente durante il terzo viaggio. Le località più indiziate sono Efeso,47 la Macedonia48 o Corinto:49 non è facile né importante stabilire da dove Paolo dettò la sua lettera. A riguar­ do l'unico dato che bisogna tener presente è la contemporanea impossibilità, rilevabile da Gal 4,20, nella quale si trova Paolo per raggiungere le comunità della Galazia. Per questo è più facile pensare alla Macedonia o a Corinto che a Efeso, anche se per tutte queste localizzazioni la regione della Galazia rimane abbastanza distante. Se la scelta cade sulla Macedonia o su Corinto, la datazione di Galati ruota intorno agli anni 55-56 d.C., certamente prima della Lettera ai Romani.5° Con questa scelta ci poniamo in continuità con la cronologia tradizio­ nale della vita di Paolo, secondo la quale il primo viaggio si svolse tra il 45 e il 49, il secondo tra il 50 e il 53 e il terzo tra il 53 e il 58 d.C.51 Questa cronologia paolina considera come punto fermo un'iscrizione in frammenti, rinvenuta a Delfi nel 1 905, nella quale Claudio, XXVI «imperator», nomina il suo «amico Gallione proconsole» dell'Acaia.52 La connessione di que­ sta iscrizione con un'altra latina (CIL 1 526) e con la notizia offerta da Dione Cassio ( 60. 1 7.3 ), secondo il quale la carica del proconsolato durava un anno, induce a stabilire, come periodo della carica di Gallione, gli anni 5 1 -52 d.C.53 Secondo At 18,12-17, durante l'evangelizzazione di Corinto Paolo fu condotto davanti a Gallione. La convergenza di questi dati permette, dunque, di collocare il secondo viaggio missionario di Paolo tra il 50 e il 53 d.C. La cronologia paolina, proposta da Liidemann, fondata soprattutto sulle visi­ te di Paolo a Gerusalemme, citate in Gal 1 , 1 8; 2,1-10, tende a retrodatare agli inizi degli anni 40 i viaggi di Paolo e la relativa composizione delle sue lettere.54 Purtroppo la proposta di Liidemann si fonda sul debole assunto che la sezione di Gal l-2 descriva tutte le visite di Paolo a Gerusalemme, quando invece Paolo ne racconta soltanto quelle relazionate al suo apostolato e alla questione della cir­ concisione.

47 Cf. BARBAGLIO, >, in ANRW 25.2( 1 984), 1 730- 1 756. 6 1 Cf. A. DEISSMANN, Licht vom Osten. Ttibingen 41923, 1 94- 195. 62 Sulla funzione dell'amanuense nell'epistolografia classica e in quella paolina cf. soprattutto R.E. RICHARDS, The Secretary in the Letters of Pau/ ( WUNT 2.42), Ttibingen 1 991. 63 C f. invece l'esplicito saluto di Terzo, i l segretario della Lettera a i Romani in R m 16,22. -

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ne epistolare, come sosteneva bene Demetrius nel suo De elocutione (I sec. a.C.­ I sec. d.C.), è soprattutto di natura stilistica e non organizzativa: Poiché occasionalmente scriviamo alle città o personaggi imperiali, queste lettere siano leggermente più elevate di tono. Infatti è giusto avere riguardo della persona alla quale ·

la lettera viene indirizzata

(De eloc. 234).

Lo stesso Demetrius, a proposito della naturalezza stilistica di una lettera, afferma: Quindi anche lo stile epistolare deve essere semplice: di esso tratteremo. Artemon, l'e­ ditore di Aristotele, afferma che bisogna scrivere le lettere nello stesso modo del dialo­ go; infatti la lettera è come l 'altra parte del dialogo. C'è qualcosa di vero ma non del tutto. Infatti bisogna organizzare più la lettera del dialogo; poiché mentre questo è improvvisato quella viene commissionata e inviata in certo senso come dono

(De eloc.

223-224).

Dunque la distinzione proposta da Deissmann e seguita ancora da molti paolinisti si rivela di tipo romantico, poco reale rispetto alle lettere paoline che, per la loro immediatezza, si distinguerebbero dalle epistole di Cicerone o di Se­ neca.64 Al di là di questa discordanza tra la concezione classica e quella contempo­ ranea dell'epistolografia, lo stesso epistolario paolino, nel confronto tra una let­ tera e l'altra, si rivela tutt'altro che estemporaneo, anche se occasionate, ossia dettato da situazioni concrete che riguardano le diverse comunità paoline. Di fatto tutte le lettere paoline, compresa Galati, contengono le seguenti parti epi­ stolari basilari: l ) praescriptum (cf. Gal 1 , 1 -5); 2) corpus (cf. Gal 1 ,6-6, 10); 3) postscriptum (cf. Gal 6,1 1 -18). A questi elementi standardizzati, riscontrabili in ogni produzione epistolografica classica, è necessario aggiungere due parti tipiche dell'epistolario paolino: 4) «ringraziamenti» e/o «esordio>> (cf. Gal 1 ,6-10); 5) «sezione paracletica» (o esortativa) conclusiva (cf. Gal 5,13--6,10). Rispetto al restante epistolario paolino, quello di Gal 1 ,6-10 rappresenta l'unico esordio senza ringraziamenti: è un'apostrofe di rimproveri rivolta alle co­ munità della Galazia. Anche la sezione epistolare dell'esortazione conclusiva è un elemento gene­ rale dell'epistolario paolino: la sua funzione propriamente epistolografica, consi­ stente nel contenere le raccomandazioni finali che in ogni lettera vengono rivol­ te ai destinatari, diventa sempre più importante rispetto al corpus della lettera.

64 Per la critica alla concezione di Deissmann cf. anche D.E. AuNE, New Testament in lts Literary Environement, Philadelphia 1 987, 160; G. W. HANSEN, Abraham in Galatians. Epistolary and Rhetorical Con­ text (JSNT SS 29), Sheffield 1 989, 21 -23; LoNGENECKER, Galatians, ci-cii.

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A loro volta, queste 5 sezioni epistolari presentano, nell'epistolario paolino, delle continue variazioni determinate dalla funzione retorica o persuasiva che svolgono: sarà nostro compito porre in risalto non solo la natura persuasiva del corpus di Galati (cf. Gal 1 ,6-6,10) ma anche delle sezioni propriamente epistolari. Prima di delineare la disposizione di Galati è bene rilevare, da una parte, la relazione tra retorica ed epistolografia classica e, dall'altra, le modalità di comu­ nicazione delle lettere paoline. Anche se, in quanto tali, una lettera rimane scritta e una comunicazione reto­ rica afferisce soprattutto alla verbalizzazione, nel mondo greco-romano vi era una stretta dipendenza tra epistolografia e retorica. Già i primi discorsi di Iso­ crate venivano indirizzati in forma epistolare; a sua volta, l'epistola VII di Plato­ ne rappresenta un'apologia retorica. Seneca scrive «a Lucilio» utilizzando lo stile retorico della «diatriba» e Plutarco incornicia il trattato morale del De tranquil­ litate animi in una struttura epistolare. In questa relazione non vanno dimentica­ ti i progymnasmata o «esercizi preliminari» retorici: nell'apprendere l'arte reto­ rica gli studenti erano spesso invitati a contestualizzare un discorso retorico in una lettera. Tuttavia, contro ogni forma di assolutizzazione, è necessario precisare che non tutta la produzione epistolare classica era soggetta a «retorizzazione»: non tutte le lettere vengono scritte per convincere dei destinatari; tutt'altro.65 Comunque non v'è dubbio che, nel mondo greco-romano, l'epistolografia e la retorica erano più collegate di quanto si pensi nell'ermeneutica contemporanea. Circa le modalità comunicative dell'epistolario paolino è necessario tener presente la finalità orale e assembleare che lo caratterizza. Le lettere di Paolo non venivano lette in silenzio e trasmesse da una persona all'altra della comunità di destinazione, ma in contesto assembleare, ossia in un contesto per il quale vi era da una parte colui che leggeva e commentava le lettere e dall'altra la comu­ nità disposta in atteggiamento di ascolto. Questo orientamento verbalizzante della Lettera ai Galati è riconoscibile dalle stesse formule di «verba dicendi» che introducono diverse sue fasi significative: «Fratelli parlo alla maniera umana . . . » (Gal 3,15); «questo dico . . . » (Gal 3,17); «dico però . . . » (Gal 4,1 ; 5,16); «ditemi voi . . . » (Gal 4,2 1 ) ; «Ecco io Paolo vi dico . . . » (Gal 5 ,2). Dunque, attraverso que­ sta lettera s'instaura un dibattito tra Paolo e i galati che orienta la stessa comu­ nicazione epistolare a una significativa verbalizzazione.66 A sua volta la prospettiva assembleare dell'epistolario paolino è riconoscibi­ le sia mediante l'innologia che la dossologia paolina. Così l'inno di Fil 2,5- 1 1 , in quanto testo prepaolino, rappresenta l'elemento che accomuna la fede della comunità di partenza e di quella di arrivo della lettera. In Galati, l'originale dos-

65 Così anche SmwERS, Letter Wriring, 5 1 . 66 Anche se con alcune esagerazioni c f. i n questa prospettiva i l contributo d i V. JEGHER-BucHER, Der Galaterbrief auf dern Hinrergrund anriker Epistolographie und Rherorik: ein anderes Pau/usbild, Ziirich 1 99 1 .

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sologia di Gal 1 ,5 («Al quale sia la gloria per i secoli dei secoli, amen») che chiu­ de il prescritto e il frammento prepaolino di Gal 1 ,4 («Che ha dato se stesso per i peccati nostri, per liberarci da questo presente secolo malvagio, secondo la volontà di Dio e padre nostro») orientano decisamente la stessa missiva in con­ testo assembleare.67 D'altro canto non sarà un caso che anche il «postscritto» di Galati si chiuda con un «amen» beneaugurante: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli, amen» (Gal 6,18). Forse non è errato sostenere che proprio per l'epistolario paolino e, nel suo interno, soprattutto per Galati e Romani, l'epistolografia viene adattata, con par­ ticolare duttilità e capacità di Paolo, all'orientamento persuasivo e retorico, a condizione che non si pensi che per realizzare un tale progetto a Paolo sia basta­ to seguire un modello retorico precostituito piuttosto che un altro. 2.3.

Disposizione di Galati

Non è questo il luogo per valutare le diverse proposte compositive della Let­ tera ai Galati: piuttosto è importante delineare la disposizione emersa dall'ana­ lisi epistolografico-retorica della stessa lettera, alla quale si faranno specifici rife­ rimenti nel corso del commentario. In termini schematici questa è la nostra pro­ posta di disposizione «retorico-letteraria» di Galati:68

l. Praescriptum ( 1 , 1 -5); 2. Exordium ( 1 ,6-10); 3. Tesi generale ( 1 , 1 1 -12); 4. Prima dimostrazione ( 1 ,13-2,21): 4. 1 . Protressi narrativa ( 1 , 1 3-2,14); 4.2. Perorazione (2,15-21 ); 5. Seconda dimostrazione (3,1-4,7): 5 . 1 . Apostrofe (3,1-5); 5.2. Protressi (3,6-29) ; 5.2. 1 . Tesi specifica (3,6-7); 5.3. Perorazione ( 4,1 -7); 6. Terza dimostrazione ( 4,8-5,12): 6. 1 . Apostrofe (4,8-1 1 );

67 Sulla funzione assembleare dell'innologia e della dossologia paolina cf. PrrrA , Sinossi paolina, 144-

145. 68 Per una trattazione dettagliata della disposizione di Galati c( PITIA, Disposizione, 8 1 - 1 5 1 .

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6.2. Protressi (4,1 2-5 , 1 ) ; 6.2. 1 . Digressione narrativa (4,1 2-20); 6.2.2. Midrash sui figli di Abramo (4,21-5 , 1 ) ; 6.3. Perorazione (5,2-12); 7. Quarta dimostrazione (5,13--6,10): 7 . 1 . Apostrofe (5 ,13-15); 7.2. Protressi (5,16--6 , 10); 7.2. 1 . Tesi specifica (5,16); 8. Postscriptum (6,1 1-18). Il prospetto di Galati pone in risalto quattro dimostrazioni fondamentali (Gal 1 ,13-2,21 ; 3,1-4,7; 4,8-5,12; 5,13--6,10), nelle quali vengono utilizzati diversi registri argomentativi. La prima dimostrazione è di natura prevalentemente narrativa e, in partico­ lare, autobiografica (cf. Gal 1 , 1 3-2,14). Nella seconda dimostrazione si alternano argomentazioni «midrashiche», fondate sulla figura di Abramo (cf. Gal 3,6-14.1718), ad argomentazioni giuridiche (cf. Gal 3,15-16; 4,1-2), diatribiche (cf. Gal 13,19-22), fondate sulla storia della salvezza (cf. Gal 3,23-25) e sull'inserimento battesimale in Cristo (Gal 3,26-29). Con la terza dimostrazione (Gal 4,8-5,12) Paolo adduce nuovamente delle prove narrative, incentrate soprattutto sulla sua passata relazione con i galati (Gal 4,12-20), e midrashiche, nelle quali continua­ no i riferimenti alla famiglia di Abramo (cf. Gal 4,21-5,1 ). La quarta dimostra­ zione procede per confronto argomentativo tra la carne e lo Spirito, tra i vizi e le virtù (cf. Gal 5 , 16-26), con la soluzione applicativa della vita secondo lo Spirito (Gal 6,1-10). L'elenco delle principali argomentazioni presenti nelle quattro dimostrazio­ ni di Galati evidenzia la considerevole duttilità, da parte di Paolo, nel passare da un tipo di prova all'altro. Nello stesso tempo, però, questa varietà comporta le difficoltà che ogni lettore, esegeta e non, incontra, nel tenere il passo all'incalza­ re delle dimostrazioni paoline. A loro volta, queste dimostrazioni vengono svolte da tre momenti basilari: un'apostrofe (cf. Gal 1 ,6-10; 3,1-5; 4,8- 1 1 ; 5,13-15) che scuote, con violenza, le chiese della Galazia, una protressi, ossia uno sviluppo in avanti della dimostra­ zione, attraverso i diversi modelli argomentativi elencati (cf. Gal 1 ,13-2,14; 3,629; 4,12-5,1; 5,16--6,10), e una perorazione, vale a dire una sintesi finale dei risul­ tati ai quali si è pervenuti in ogni dimostrazione (cf. Gal 2,15-2 1 ; 4,1 -7; 5,2-12; 6,1 1-18). Rispetto a queste tre fasi dimostrative è bene rilevare la duplice fun­ zione che svolgono la prima apostrofe (Gal 1 ,6-10) e l'ultima perorazione (Gal 6,1 1 -18). La pericope di Gal 1 ,6-10 non introduce soltanto la prima dimostrazio­ ne di Gal 1 , 1 3-2,21 ma tutta la lettera, in quanto rappresenta un «esordio» apo­ strofico. In modo analogo, ma inverso, la perorazione di Gal 6,1 1-18 non sinte­ tizza soltanto l'ultima dimostrazione di Gal 5,13--6,10 bensì, in quanto «post-

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scritto» epistolare, tutto ciò che Paolo ha cercato di dimostrare nel corso della lettera stessa. In questo intreccio dimostrativo di Galati svolgono un ruolo fondamentale le tesi, o propositiones paoline, identificabili per la loro autonomia argomentativa rispetto ai relativi contesti: Gal l , l l-12; 3,6-7; 5,16. Subito dopo l'esordio (Gal 1 ,610) Paolo presenta la tesi generale della lettera: il vangelo definito per la sua ori­ gine divina e per il suo contenuto cristologico (Gal l , l l - 1 2). Attraverso la secon­ da tesi (Gal 3,6-7) il vangelo paolino viene spiegato a partire dalla sua principale implicazione, ossia la figliolanza abramitica. Infine la terza tesi (Gal 5,16) presen­ ta la vita secondo lo Spirito, come ulteriore contenuto del vangelo paolino. Dal prospetto di Galati si possono rilevare diverse irregolarità logiche: tre tesi per quattro dimostrazioni, un'apostrofe che funge anche da esordio (Gal 1 ,610), un postscritto che svolge anche il ruolo di perorazione (Gal 6,1 1 -18), un'im­ provvisa digressione narrativa (Gal 4,12-20) e un'argomentazione midrashica (Gal 4,21-5 , 1 ) che, di primo acchito, sembra essere balenata in un secondo momento nel pensiero di Paolo. Queste irregolarità dimostrano anzitutto che non tutte le composizioni let­ terarie e le disposizioni retoriche di un testo, come di ogni comunicazione, per essere tali devono essere equilibrate e logiche:69 tutt'altro, sono tali pur nelle loro irregolarità e nei relativi squilibri. Purtroppo, un errore diffuso nelle analisi strut­ turali dei testi biblici consiste soprattutto nel reperire composizioni perfetta­ mente equilibrate e logiche: questo vale soprattutto per i modelli chiastici, per i quali si è disposti a compiere dei tagli testuali, considerando queste parti come glosse, pur di salvare le proprie composizioni. Inoltre, rispetto alla manualistica retorica classica, è inutile cercare questo modello di Galati: queste irregolarità evidenziate dimostrano la notevole capa­ cità di Paolo nell'organizzare le prove argomentative secondo un proprio movi­ mento di pensiero e non secondo quello di Aristotele o di Cicerone. Infine, anche nei confronti del restante �pistolario paolino, è bene rilevare che l'intreccio argomentativo di Galati non può essere imposto a Romani oppu­ re a Filippesi: si è notato che gli elementi standardizzati dell'epistolario paolino sono il prescritto, il postscritto, l'esordio e la sezione esortativa finale. Oltre que­ sti dati vi sono degli elementi che variano da una lettera all'altra per cui il cor­ pus di Galati non si conforma a quello di Filippesi o di l Tessalonicesi. Non solo, ma le stesse sezioni esortative finali svolgono ruoli diversi in ogni lettera, in dipendenza delle relazioni con quanto le precede. Da queste variazioni struttu­ rali e argomentative vedremo che dipendono anche delle fondamentali variazio­ ni contenutistiche o tematiche, di cui è necessario tener conto per non cadere in omologazioni restrittive e fuorvianti dell'epistolario paolino.

69 Cf. per Galati la struttura chiastica di BuaH, Galati; cf. anche la composizione retorica proposta per il Vangelo di Luca da R. MEYNET, Il Vangelo secondo Luca. Analisi retorica, Roma 1 994.

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2. 4.

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Il genere retorico di Galati

Dalla manualistica della retorica greco-romana vengono proposti tre generi retorici basilari: il forense o giudiziario, il deliberativo o politico e l'epidittico o dimostrativo.70 Rispetto alla loro dimensione spaziale, il genere forense viene idealmente collocato nel tribunale, quello epidittico nel teatro, quello deliberati­ vo nell'agorà o nel senato. Dal punto di vista cronologico, il genere forense si mostra attento soprattutto al passato, in quanto deve giudicare su ciò che si è già compiuto, quello epidittico si rivolge al presente perché si propone di inculcare dei valori e di rimuovere dei disvalori dagli uditori, quello deliberativo guarda al futuro, in quanto si cerca di convincere gli interlocutori a fare o meno una scel­ ta. A loro volta ogni genere retorico si suddivide in due specie: l'accusa o la cate­ goria e la difesa o l'apologia, per il genere giudiziario, la suasione o l'utile e la dissuasione o il dannoso per quello deliberativo, il biasimo o il rimprovero e l'e­ logio o l'encomio per quello epidittico. Naturalmente queste proprietà sono prevalenti, ma non esclusive in un gene­ re rispetto a un altro: per questo la stessa manualistica classica prevede il gene­ re misto, nel quale vengono coniugate più specie dei tre generi, e quello artifi­ ciale, per il quale ad esempio si elogia se stessi o il proprio interlocutore insce­ nando un'apologia che di fatto non si è mai verificata. Il caso emblematico di un genere artificiale è quello delle «apologie di Socrate» scritte da Platone e da Senofonte: sono in realtà degli encomi per lo stesso Socrate. In base a queste definizioni, i testi del NT vengono spesso attribuiti a un genere o all'altro. Di fatto all'inizio del rhetorical criticism Galati venne subito catalogata come «lettera apologetica».71 La critica soprattutto all'impostazione di Betz non si è fatta attendere ed è stata violenta: di fatto la narrazione di Gal 1 , 1 3-2,14 non viene dibattuta nella sezione probatoria di Gal 3,1-4,3 1 , come invece sarebbe naturale in contesto giudiziario; e lo stesso Betz non sa che cosa farsene della sezione esortativa di Gal 5,1--6, 10, in quanto non prevista in un paradigma giudiziario. Forse, anche se pionieristico, dal punto di vista metodolo­ gico, il contributo di Betz non apporta nulla di nuovo al modello ermeneutico «luterano» sulla Lettera ai Galati: la difesa di Paolo rispetto al giudaismo del suo tempo offre i criteri fondamentali per la difesa dell'evangelo contro la Chiesa cattolica. In seguito alle critiche verso la prospettiva apologetica, seguendo però lo stesso approccio del rhetorical criticism, si è passati a considerare Galati come genere deliberativo.72 L'ipotesi deliberativa emerge soprattutto dalla situazione

70 Sulle proprietà e le prospettive di ogni genere retorico classico cf. PrrrA, Disposizione, 43-54. 71 Cf. BETz, «Composition>>, 354; lo., Galatians, 1 4-15. Cf. anche J. BECKER, Paulus: der Apostel der Volker, Ti.ibingen 1 989, 294 (tr. it. Brescia 1 996); B.H. BRINSMEAD, Galatians. Dialogica[ Response to Oppo­ nents, Chico 1 982, 47-49. 72 Cf. G.A. KENNEDY, New Testament lnterpretation Through Rhetorical Criticism, London 1984, 1461 47: R. G. HALL, , in JBL 106( 1 987) , 279; HDBNER,

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delle comunità galate: giacché desiderano farsi circoncidere, Paolo invia la let­ tera per convincerle a non sottomettersi alla circoncisione. In tal caso viene conferita priorità soprattutto a Gal 5-6 più che a Gal 1-4: di fatto in Gal 5 ,2 Paolo dice espressamente che se i galati «SÌ fanno circoncidere Cristo non ser­ virà a nulla>>. Tuttavia, è bene rilevare che, anche se la situazione problematica della Gala­ zia deriva dalla questione della circoncisione, Paolo non affronta mai diretta­ mente questa tematica. Lo stesso invito a non farsi circoncidere non solo si trova verso la conclusione della lettera ma accanto a formulazioni per le quali «non conta la circoncisione né l 'incirconcisione» bensì la «fede che opera mediante l'amore» (cf. Gal 5 ,6) e la «nuova creazione» (cf. Gal 6,15). Dunque, come spesso nel suo modo di argomentare, soprattutto per le que­ stioni morali di l Corinzi, Paolo parte da una situazione concreta per trattare, in via di principio, le relazioni tra le sue comunità e il suo vangelo. Per questo è quanto mai riduttivo considerare la Lettera ai Galati a partire soltanto dalla deliberazione per la circoncisione o meno: per Paolo non è tanto in gioco la cir­ concisione degli etnico-cristiani ma la loro relazione con il vangelo o con Cri­ sto. Non mancano tentativi che cercano di coniugare le due ipotesi precedenti: Galati sarebbe una lettera «apologetico-deliberativa», nella quale la parte apo­ logetica rimarrebbe quella di Gal 1 ,6--4,1 1 e quella deliberativa corrispondereb­ be a Gal 4,12-6,10.73 Alle critiche mosse verso le ipotesi precedenti bisogna aggiungere che non tutta la prima parte di Gal 1 ,6--4,1 1 è composta di «rimproveri», come invece ritiene Hansen: si pensi alla natura dimostrativa del «midrash» di Gal 3,6-14; e non è assodato che l'autobiografia di Gal 1 ,1 3-2,14 sia apologetica. Anche la sezione di richiesta (Gal 4,1 2-6,10) presenta un «midrash» (Gal 4,21-5 , 1 ) di natura «haggadica» o narrativa e non «halakica» o esortativa. Più che ipotizzare un genere retorico prestabilito, da applicare a Galati, forse è opportuno partire dalla disposizione stessa della lettera: dai suoi dati caratte­ rizzanti è possibile forse risalire al genere retorico principale. Si è rilevato che ogni sezione di Galati viene introdotta da un'apostrofe con la quale Paolo rimprovera o biasima i destinatari della lettera (cf. Gal l ,6-10; 3,15; 4,8- 1 1 ; 5,13-15). L'importanza di queste apostrofi è tale che Paolo omette per­ sino i ringraziamenti iniziali per introdursi con un esordio apostrofico in Gal 1 ,610. Tuttavia questi biasimi non sono fini a se stessi ma, da una parte, vengono

>, in A. VANHOYE (ed.), La foi agissant par l'amour (Ga/ates 4,12--6, 16), Rome 1 996, p. v. Così anche J.N. VoRsTER, (II sec. d.C.), prodotte in contesto di «antipaolinismo>> manifesto.94 Di certo si deve riconoscere che gli «agitatori» della Galazia non rappresen­ tano una sorta di «artificio» retorico, creato da Paolo per esaltare se stesso di fronte ai destinatari della lettera.95 Tale osservazione potrà valere per l'isolata domanda retorica di Gal 3,1 (« . . . chi vi ha ammaliati . . . ») ma non per i riferimenti contenuti in Gal 1 ,5-10; 4,17; 5,212 e 6,1 1-13. Queste citazioni sono troppo esplicite e contestualizzate per essere volatilizzate in una prospettiva errata della retorica che, in ultima analisi, viene ridotta a semplice finzione. In base alla disposizione proposta di Galati, questi ci sembrano gli accenni espliciti agli agitatori della Galazia:

l) 2) 3) 4)

Gal 1 ,7.9 nell'esordio di Gal 1 ,6-10; Gal 4,17 nell'elogio di Gal 4,12-20; Gal 5,7.8.9. 10. 1 2 nella perorazione di Gal 5,2-12; Gal 6,12. 13 nel postscriptum-perorazione di Gal 6,1 1 - 1 8.

Dalle frequenze del prospetto si può rilevare, prima di tutto, che si tratta di pericopi ricche di «pathos» argomentativo, ossia di momenti nei quali l'animo di Paolo si rivela particolarmente esacerbato verso di loro. Dunque, neppure la Let­ tera ai Galati ci offre un quadro sereno degli «agitatori»: piuttosto in essa ci viene presentato un panorama polemico e di parte, rispondente a quanto Paolo pensa di loro e non a ciò che loro realmente ritenevano del rapporto tra la fede in Cristo e la Legge. Tra queste pericopi merita particolare attenzione quella di Gal 6,1 1 - 1 8, in quanto postscriptum della «mano» stessa di Paolo: è bene partire da questa per non confondere il ruolo degli «agitatori». In Gal 6,13 gli «agitatori» vengono definiti per la loro maggiore esigenza propagandistica: «quelli della circoncisio­ ne» (hai peritemnomenoi). Infatti essi desiderano che i galati si facciano circon-

93 Cf. lTs 2.13-16; 2Ts 1 ,3-2,4; l Cor 9,1-6; 2Cor 10,1-1 1 , 15; Fil 1 , 1 2-20.27-30; 3,1 b-4a . 1 7- 1 9. Sugli «oppositori» nell'epistolario paolina cf. PITIA, Sinossi paolina, 48-67. 94 Soprattutto nel commentario a Galati di Betz si riscontrano continui riferimenti alle « Pseudo­ Clementine>> . Cf. in particolare BETZ, Galatians, 5-6 e 331 -333. 95 Così invece LvoNs, Pauline Autobiography, 75-1 2 1 .

Introduzione

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cidere affinché «possano far bella figura nella carne» (v. 12). Per questa propa­ ganda della circoncisione Paolo li aveva già ridicolizzati in Gal 5,12: «Magari si facciano anche castrare coloro che vi sobillano». A questo dato sulla propaganda degli agitatori è necessario aggiungere quel­ lo sul loro timore: essi si dedicano, in modo così zelante, alla predicazione della circoncisione per non essere perseguitati a causa della «croce di Cristo» (Gal 6,12) . Quindi anch'essi credono in Cristo ma temono che la fede nella sua morte e risurrezione determini una persecuzione analoga a quella che lo stesso Paolo aveva attuato durante il suo passato «farisaico» (cf. Gal 1 , 13.23) e che adesso anch'egli subisce per la predicazione del vangelo e non più per quella della cir­ concisione (cf. Gal 5 , 1 1 ) . A causa d i questa ricostruzione della crisi i n Galazia, l'asserzione di Gal 4,29 non può essere considerata come riferita agli agitatori: «Ma come allora colui che era generato secondo la carne perseguitava quello secondo lo Spirito, così anche adesso». Il quadro attanziale di Galati è più complesso di quanto sembri: non ci sono soltanto Paolo, i galati e gli agitatori; bisogna tener presenti anche coloro che osteggiano alcuni di questi interlocutori e che rimangono in una posi­ zione ancora più sfocata nella lettera.96 Risalendo dalla conclusione di Galati agli altri riferimenti sugli agitatori, emerge soprattutto una ritrosia, da parte di Paolo, a parlare di loro in modo esplicito: li lascia sempre nell'anonimato e li descrive per le loro azioni, non per la loro identità. Essi vengono definiti come «agitatori» (cf. Gal 1 ,7; 5,10) o come «sobillatori» (cf. Gal 5,12) e non in quanto «oppositori» o «maestri». Tale inde­ terminatezza può indurre, in base al generico «chiunque esso sia» di Gal 5,10, a ritenere che addirittura Paolo non li conoscesse direttamente ma che ne avesse sentito parlare in occasione della crisi in Galazia. Questa conclusione è possibi­ le dal quadro di riferimento in Galati, anche se comunque destinata a rimanere un'ipotesi. La scelta per «agitatori» o per «sobillatori» si rivela importante per non esal­ tare la relazione tra loro e Paolo, a detrimento del rapporto che maggiormente sta a cuore a Paolo stesso, ossia quello tra loro e i destinatari della lettera. Sol­ tanto in Gal 4,17 si accenna a un loro tentativo di intromissione tra i galati e Paolo: «Vi corteggiano non per il bene ma vogliono separarvi perché li corteg­ giate». Per questo, nel presente commentario preferiamo definirli come «agita­ tori» e non come «Oppositori» di Paolo. La connessione tra gli elementi di Gal 6,1 1 - 1 8 e quelli di Gal 5 ,2-1 2 induce a considerare questi agitatori come esterni rispetto alle comunità paoline, sopravvenuti per interferire sulla loro adesione alla «Verità» del vangelo (cf.

96 Per questo non basta definire gli agitatori della Galazia come giudei: più specificamente essi cre­ dono in Cristo, come Paolo e le comunità della Galazia. Così invece E. BAASLAND, . in StTh 38( 1 984), 1 35-1 50; B. CoRSANI, «Gli avversari di Paolo nella Lettera ai Galati>>, in RStB 1 ( 1 989)2, 1 1 8.

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Gal 5,7) .97 La loro strategia è analoga a quella che lo stesso Paolo e la comu­ nità di Antiochia hanno sperimentato in occasione dell'assemblea di Gerusa­ lemme (cf. Gal 2,4) e dell'incidente con Pietro (cf. Gal 2,12). In questo accostamento narrativo tra le diverse situazioni è interessante rico­ noscere l'orientamento persuasivo di Paolo: come in precedenza egli non ha cedu­ to «neppure per un attimo» alle lusinghe dei «falsi fratelli» (cf. Gal 2,4) e di quelli del «partito di Giacomo» (cf. Gal 2,12), così ora i galati vengono invitati a non lasciarsi persuadere dal vangelo degli «agitatori», perché in realtà non si può nean­ che considerare come tale (cf. Gal l, 7). Purtroppo gli etnico-cristiani della Galazia stanno già osservando, presumibilmente sotto loro pressione, il calendario giudai­ co; per questo la situazione è diventata quanto mai critica. Dunque l'insieme di questi dati induce a ritenere gli agitatori come «giudeo-cristiani»98 infiltrati, come i falsi fratelli ai quali Paolo si era opposto in precedenza (cf. Gal 2,4 ) . Non si può ulteriormente specificare se questi fossero giudei relazionati con il giudaismo essenico e, in particolare, con la comunità di Qumran,99 o con quel­ lo farisaico, 100 in quanto provenienti direttamente da Gerusalemme. 101 Tra le diverse interpretazioni sembrano ormai tramontate sia l'ipotesi gnostica102 che quella dei due fronti di oppositori, dei quali uno giudeo-cristiano oppure etnico­ cristiano e l'altro gnostico. 103 In base a Galati non emerge un duplice fronte di opposizione ma uno soltanto, appunto quello degli «agitatori»; e di una loro con­ cezione gnostica non vi è il minimo accenno. Il tenore esacerbato e la scarsità di riferimenti impediscono di ricostruire la «predicazione» degli agitatori in Galazia: non sappiamo se anche loro si fondas­ sero sulla storia di Abramo e della sua discendenza per propagandare la circonci­ sione tra gli etnico-cristiani.104 L'unico dato sicuro riguarda la loro predicazione

97 Invece Bartolomé li considera come provenienti dalle stesse comunità della Galazia. Cf. J.J. BAR· TOLOMÉ, El evangelio y su verdad, la justificacion por la fe y su vivencia en comun. Un estudio exegético de Ga/ 2,5. 14, Roma 1988, 45. 98 Cf. anche BETz, Galatians, 7; BRINSMEAD, Galatians, 86-87; J. EcKERT, Die urchristliche Verkilndigung im Streit zwischen Paulus und seinen Gegnem nach dem Galaterbrief, Regensburg 1 97 1 , 76.102.235; FuNG, Galatians, 7-9; R. JEWETT, «The Agitators and the Galatians Congregation>>, in NTS 17(1970-197 1 ) , 1 98-212; J L . MARTYN. ••A Law-Observant Mission to Gentiles: the Background of Galatians», in SJT 38( 1985), 307324; J.B. TvsoN. «Paul's Opponents in Galatia», in NT 10( 1 968), 241 -254; N. W ALTER, «Paulus und die Gegner des Christusevangeliums in Galatien», in A. VANHOYE (ed.), L 'apotre Pau/, Leuven 1 986, 353-354. 99 Cf. B RINSMEAD , Galatians, 1 95. 1 00 Cosl D. H. KrNG, «Pau! and the Tannaim: A Study in Galatians», in WTJ 45( 1 983) , 346; K. W EGE ­ NAST, Das Verstiindnis der Tradition bei Paulus und in den Deuteropaulinien, Neukirchen 1 962, 38-39. 101 Così BETz, Galatians, 7-9; EcKERT, Die urchristliche Verkilndigung, 233-234; LoNGENECKER, Gala­ tians, xcv; G. LODEMANN, Paulus der Heidenapostel: Antipaulinismus im friihen Christentum, Gottingen 1 983, 1 64; MATERA. Galatians. 5. 102 Cf. invece W. ScHMITHALS, B A loro volta gli gnostici del 11-III secolo, in particolare i valentiniani, ai quali sembrano riferirsi i testi di Nag Hammadi, ritenendo Paolo come il «maestro» e «l'iniziato» alla verità, pongono particolare attenzione alla sezione di Gal 1-2, attraverso la quale hanno la possibilità di opporre, in modo netto, la rivelazione alla tradizione. Tuttavia, è interessante rilevare che mentre per Marcione e per Tertulliano il cristianesimo si oppone al giudaismo, per gli gnostici vi è una fon­ damentale continuità di sviluppo tra le due religioni, analoga a quella che vi è tra l'uomo «psichico» e quello «spirituale>>.

105

C f. anche SùDING, >. Così MuRPHY·O'CoNNOR, Pau/ et l'an épistolaire. Contexte et structure littéraires, 56. 2° Cf. 1 Cor 1 ,2; 2Cor 1 , 1 ; Rm 1 ,7; Fil 1 ,2. 21 La formalità di tale adscriptio non era sfuggita a Giovanni Crisostomo. che così commentava: >, 73, che ne 26 Cf. P46, B, D, F, G, H .

attribuisce la paternità a Paolo stesso, contro BETZ, Ga/atians, 40.

1 7 Cf. S , A, P, ljl, 33. 8 1 , 326. 28 Così anche M ATERA, Galatians, 39; B. M. M ETZGER, A Textua/ Commentary on the Greek New Testa­ ment, London-New York 2 1 994, 589. 29 Cf. BETz, Ga/atians, 42; F. B ovoN , > in Rm 1 , 1 ; Fil 1 , 1 ; Tt 2 , 1 . Il termine «prigioniero>> svol­ ge un'analoga funzione in Filemone: si trova all'inizio del prescritto (Fm l ) e alla fine dei ringraziamenti (Fm 9). 54 Cf. la presenza del campo semantico dell'annuncio, mediante il sostantivo «vangelo» ( vv. 6.7) e il verbo «evangelizzare>> (vv. 8(bis) .9). 55 Cf. ARISTOTELE, Rhet. 3,14,1415b; CicERONE, Pan. or. 8,28; De inv. 1 . 1 5 ,20; Orat. 2,19,80; Top. 26,97; OuiNTILIANO, /nst. or. 4, 1 ,5. 56 Da questo punto di vista l'esordio di Gal 1 ,6- 10 rappresenta l'esatto contrario di quello indiriz­ zato alla comunità di Filippi (cf. Fil 1 ,3-1 1 ), ricco di elogi per la sua piena adesione al vangelo paolino. 57 Così invece BETZ. Galatians. 44-45: BRINSMEAD. Galatians. 49.

Gal 1 ,6- 1 0

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non accenni minimamente, almeno per ora, al problema della circoncisione: lo farà in seguito, dopo aver ripresentato il vangelo che i galati stanno per abban­ donare. Per questo, anche se suggestiva, soprattutto per il tenore apostrofico, la relazione tra l'esordio di Gal 1 ,6 e la 1° Catilinaria di Cicerone,58 le coordinate e il contesto sono del tutto diversi. Ridurre la Lettera ai Galati al problema della circoncisione e, di conseguenza, a quello della Legge vuoi dire non tener conto della natura ben più ampia di questo esordio. Queste problematiche non sono negate ma rimangono funzionali rispetto a quella fondamentale del vangelo. Lo stesso tenore verbale della pericope orienta verso un esordio epidittico: quasi tutti i verbi sono al presente,59 più che al passato e al futuro, come invece dovrebbe verificarsi per un esordio giudiziario o per uno deliberativo. In que­ stione non è ciò che i galati hanno compiuto o determineranno rispetto alla loro vita cristiana, bensì ciò che adesso stanno per fare: la loro apostasia non è defi­ nitiva ma in fase di svolgimento. 6

Mi meraviglio che passiate così in fretta da colui che vi ha chiamato nella grazia a un altro vangelo che 7 non è altro che alcuni vi agitano e vogliono sconvolgere il vangelo di Cri­ sto. 8 Ma anche se noi o un angelo dal cielo annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema. 9 Come ho detto e ora ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevu­ to, sia anàtema. 10 Ora infatti cerco di persuadere gli uomini oppure Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini non sarei schiavo di Cristo. v. 6: Il contrasto con gli altri esordi dell'epistolario paolino è evidente per l'i­ niziale sostituzione del verbo eucharisto ( = ringrazio) con thaumazo ( = mi mera­ viglio), che non ha valore epistolare bensì retorico o argomentativo: Paolo non si meraviglia per una lettera alla quale i destinatari non hanno corrisposto quan­ to per il vangelo che i destinatari stanno per abbandonare.60 Lo spessore argo-

Cf. G.A. KENNEDY, New Testament lnterpretation Through Rhetorica/ Criticism. London 1 984, 46. 59 Cf. «mi meraviglio>>, «passiate» (v. 6), >, 334. 62 Cf. P5 1 , S, A. B. 63 Cf. P46, F. G. H. 64 Così anche BETz, Galatians, 48: CoRSAN!, Lettera ai Galati, 65; E BEU NG , La verità dell'evangelo, 5961: LvoNs, Pauline Autobiography, 1 25-126; MussNER, La Lettera ai Galati, 1 1 5; SCH U ER , Lettera ai Galati, 40. Nel suo commento Giovanni Crisostomo preferisce esplicitare il soggetto divino della grazia: «Non ha detto: (Mi meraviglio che) passiate dall'evangelo, ma da Dio che vi ha chiamati>> (cf. GrovANNI CRISOSTOMO, Ad Galatas 62 1). 65 Cf. Gal 1 , 1 5 ; 1Ts 2,12; 4,7: 5,24: 2Ts 2,14: 1 Cor 1 ,9; Rm 8,30. 66 Così anche BETz, Galatians, 47; MATERA, Galatians, 45; MussNER, La Lettera ai Galati, 1 15. Cf. il ter­ mine metathemenon (= apostasia) per l'invito che Antioco rivolge al più giovane dei sette fratelli in 2Mac 7,24. 67 In tal caso en avrebbe la stessa funzione di un dativo strumentale. Così MATERA, Galatians, 46. 68 In tal senso rende la Vulgata: «Qui vos vocavit in gratiam Christi>>. Cf. anche P. MEAGHER, «Faith Active Through Agape (Gal 5,6)». A Study of the Formation of a Christian Community of Agape According to the Letter to the Galatians (Diss. PIB), Roma 1 984, 68, evocando come paralleli Gal 5 ,4; 1Ts 4,10; 1 Cor 7,15; Rm 5,2. 69 Cf. MussNER, La Lettera ai Galati, 1 15-1 16. 70 Sulla rilevanza «elettiva>> del verbo kalein cf. DuNN, Galatians. 4 1 .

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v. 7: Con una vivace «epanortosi», ossia con un'immediata correzione, Paolo rettifica l'espressione «altro vangelo» del verso precedente: «Non è altro . . . » (cf. anche 2Cor 1 1 ,4).71 Anche se il vangelo è orientato a diversi tipi di destinatari (cf. Gal 2,7), rima­ ne unico nel suo contenuto kerygmatico della morte e risurrezione di Cristo. Per quanto riguarda la relazione tra eteros e allo, di per sé il primo aggettivo prono­ minale equivale ad «altro>> in senso quantitativo, mentre il secondo corrisponde ad «altro» in senso qualitativo. A ben vedere, in Gal 1 ,7, come generalmente nel greco ellenistico, allo ha invaso il significato di eteros; per di più sembra essere introdotto in funzione della particella successiva ei me.72 Dopo questa autocorrezione, Paolo pronuncia il primo attacco nei con­ fronti degli «oppositori», introducendosi con un ei me che ha valore avversati­ vo più che eccettivo: «Ma ci sono alcuni . . . ».73 Forse è bene evidenziare che al centro dell'esordio non si trova la relazione tra Paolo e gli «agitatori», bensì quella con gli stessi cristiani della Galazia. Gli oppositori rimangono nell'om­ bra: Paolo li introduce con un generico «alcuni»; e nell'anonimato resteranno per tutta la lettera. Il v. 7 si chiude con l'espressione «il vangelo di Cristo»: sembra un genitivo oggettivo più che soggettivo o epesegetico.74 Infatti, Paolo non pone l'accento su Cristo come soggetto del vangelo, né sull'identità tra lui e il vangelo, quanto su Cristo come colui del quale il vangelo parla e a causa del quale gli stessi agitato­ ri predicano un vangelo meno scandaloso (cf. Gal 6,12).75 v. 8: La vivacità dell'esordio prosegue con l'adinato del v. 8, ossia con un'i­ perbole dell'impossibilità: di fatto è inconcepibile che Paolo stesso o un angelo predichino un vangelo contrario a quello che i galati hanno ricevuto durante la prima evangelizzazione paolina. Tuttavia, Paolo non esita a pronunciare un'au­ toimprecazione nel caso di una predicazione diversa. Il tenore solenne di questo verso viene attestato dal kai intensivo76 e dal passaggio alla prima persona plu­ rale, che sembra più una variazione stilistica rispetto all'io paolino che riferito al «noi» comprensivo dei committenti accennati in Gal 1 ,2.77

71

Così anche Du ToiT, , 285. Cf. F. BLASS - A. DEBRUNNER - F. REH KOPF , Grammatica del greco del Nuovo Testamento, Brescia 1 982, 306.2, 306.4 n. 8. 73 Per l'assimilazione di ei me con alla, cf. anche 1 Cor 7,17; Rm 14,14; Mt 12,4; Mc 9,8; Le 4,26.27; Ap 21 ,27. Così anche BLASS - DEBRUNNER - REH KO PF , Grammatica, 376 n. l ; 448 n. 9; CoRSANI, Lettera ai Galati, 69; MATERA, Galatians, 46; MussNER, La Lettera ai Galati, 1 1 9. 74 Cf. anche DuNN, Galatians, 43; MATERA, Galatians, 47. 75 Sulla relazione tra Cristo e il vangelo paolino cf. N.T. WRIGHT, «Gospel and Theology in Gala­ tians», in L.A. JERVIS - P. RICHARDSON (edd.), Gospel in Pau/. Studies on Corinthians, Galatians and Romans, FS. R.N. Longenecker (JSNT SS 108), Sheffield 1 994, 222-239. 76 Cf. anche B u RmN, A Criticai and Exegetical Commentary, 26; MussNER, La Lettera ai Galati, 1 2 1 . n Per analoghe variazioni stilistiche cf. 2Cor 1 , 13.14.23; 5,1 1 . 1 2; 1 1 ,2 1 ; Fil 3,17. Così MussNER, L a Let­ tera ai Galati, 1 2 1 ; RoHDE, Galater, 45 . I nvece DuNN, Galatians, 44 propende per un reale «noi>>, compren­ dente anche gli altri evangelizzatori. 72

Commento

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Alcuni codici specificano l'orientamento di euaggelizetai mediante un hymin.78 A parte la maggiore e più autorevole attestazione per la lezione senza il «VOi>>/9 anche per la critica testuale interna è da preferire questa lezione: Paolo si riferisce non soltanto all'evangelizzazione delle comunità della Galazia, ma a ogni tipo di evangelizzazione.80 Infine, la particella para ha valore di variazione e non di opposizione: egli non si riferisce soltanto a una predicazione contraria alla propria, ma anche minimamente diversa.81 Un'attenzione particolare merita la formula di maledizione «sia anàtema» che chiude il v. 8 e il v. 9: è una tipica formula imprecatoria analoga a quella che i giudei pronunceranno in At 23,14 contro lo stesso Paolo: «Ci siamo obbligati con giuramento di anàtema di non mangiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo>>. Per questo il termine anathema rende l'ebraico }Jerem, utilizzato soprat­ tutto in contesti religiosi. Infatti, originariamente gli anathemata erano i doni votivi per il tempio, destinati alla distruzione (cf. Lv 27,28-29; Dt 7,26): questo significato basilare è riscontrabile, per il NT, soltanto in Le 2 1 ,5 . In seguito, que­ sto termine acquista soprattutto valore negativo, di separazione o di maledizio­ ne rispetto al sacro.82 Tuttavia, forse è bene precisare, contro retroproiezioni indebite, che la sentenza di anàtema non viene pronunciata da Paolo secondo una prospettiva ecclesiologica bensì cristologica: questa non ha tanto valore morale quanto di fede rispetto a Cristo stesso. v. 9: Questo verso rappresenta una commoratio o insistenza argomentativa rispetto a quanto è stato detto al v. 8, con la differenza che ora si tratta di un'i­ potetica della realtà introdotta da e i (= se) e dal presente euaggelizetai ( = si evan­ gelizza). A causa della funzione reiterativa del v. 9, la particella arti (= di nuovo) ha valore argomentativo, di collegamento con il v. 8 più che cronologico:83 forse Paolo non si riferisce a una precedente evangelizzazione.84 Infatti, se arti avesse valore cronologico, perderebbero di incidenza sia il suo meravigliarsi che la loro rapida crisi (v. 6). Forse è bene rilevare che i vv. 8-9 sono costruiti in forma parallela, per cui entrambi contengono tre elementi fondamentali: condizione, accusa e punizione. Questa composizione ha indotto alcuni a relazionare Gal 1 ,6-9 agli oracoli pro-

78 Cf. K, P, 365, 614, 1 88 1 . Cf. ljt, F, G , D*, L , 6. 80 Cf. anche METZGER, A Textual Commentary, 590. 81 Cf. anche B LAss DEBRUNNER - REHKOPF, Grammatica, 235 n. 3; ScHLIER, Lettera ai Galati, 43. Inve­ ce BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 27 propende per il valore oppositivo di para, come in Rm 1 ,26; 4,18; .1 1 ,24. 82 Nel NT questa formula imprecatoria si trova soprattutto in Paolo: cf. l Cor 1 2 3; 16,22; Rm 9,3; cf. anche At 23,14; 1QS 2,15-16; En si 52,10. Cf. anche, per lo spessore retorico della maledizione, DEMOSTENE, Cor. 18,324. 83 Così invece BoNNARD, L'Épitre de saint Pau/ aux Galates, 25; BuRroN, A Criticai and Exegetical Commentary, 29; EBELING, La verità dell'evangelo, 74; MATERA, Galatians, 47; MussNER, La Lettera ai Galati, 124. 84 Cf. anche BRucE, The Epistle of Pau l to the Galatians, 84; ScHLIER, Lettera ai Galati, 43. 79

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Gal 1 ,6- 1 0

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fetici dell'AT, soprattutto a Dt 13,1-19. In tal caso il vangelo di Paolo sostituisce l'istanza profetica a non prestare culto ad altre divinità.85 Merita un'attenzione particolare il verbo paralambanein ( = ricevere): insieme a paradidonai ( = con­ segnare) è un verbo specifico, utilizzato per la trasmissione della tradizione. Infatti, i galati hanno «ricevuto» il vangelo che Paolo ha loro «trasmesso» (cf. anche l Cor 1 1 ,23; 1 5 , 1 .3; Fil 4,9). v. 10: L'esordio della lettera si chiude con uno dei versetti più complessi del­ l'epistolario paolino: cosa vuoi dire «persuadere Dio»? A chi e a che cosa si rife­ risce l'espressione «piacere agli uomini» ?86 Nell'interpretazione di questo verso forse è necessario anzitutto tener conto del suo ruolo globale: si è chiarito che esso costituisce il rifiuto di captatio bene­ volentiae, da parte di Paolo. Questo significa che i verbi peithein e areskein, da una parte, vanno considerati come propri dell'arte retorica e, dall'altra, non vanno semplicemente assimilati. D'altro canto la stessa retorica viene definita come arte del «persuadere gli uomini», anche se spesso con accezione negativa.87 Per quanto riguarda il v. lOa, la particella e, posta tra «UOmini» e «Dio», ha valore disgiuntivo e non copulativo: Paolo non cerca di persuadere gli uomini e Dio, bensì Dio e non gli uomini. Tale interpretazione deriva soprattutto dall'oppo­ sizione che Paolo stabilisce, sin dagli inizi della lettera, tra gli uomini e Dio (v. 1).88 A prima vista sembra incomprensibile e irriverente il tentativo di persuade­ re Dio, da parte di Paolo, a meno che non si ricorra a un riferimento religioso o sacrale dell'espressione.89 In realtà, il v. lOa è formulato in base alla figura reto­ rica dello «zeugma», per la quale un verbo, anche se si riferisce a due oggetti o soggetti, di fatto può essere applicato soltanto a uno di essi. 90 Ad esempio in lCor 3,2 Paolo afferma: «Vi ho dato da bere latte e non solido nutrimento». In tal caso il verbo «bere» può essere riferito soltanto al latte e non al nutrimento solido. Così in Gal 1 , 1 0 Paolo non intende minimamente sostenere che cerca di convincere Dio con la propria arte persuasiva, ma desidera sottolineare che non si preoccupa di persuadere alcuna persona umana.91 Quanto poi questo risulti vero rimane da verificare ! Infatti, in 2Cor 5,1 1 la stessa espressione assume valo-

85 Cf. U.B. MOLLER, Prophetie und Predigt im Neuen Testament. Formgeschichtliche Untersuchung zur urchristliche Prophetie, Giitersloh 1 975, 1 97-200. Per le connessioni tra Dt 13 e Gal 1 ,6-9 cf. soprattutto K.O. SANDNES, Pau/, One ofthe Prophets? A Contribution to the Apostle 's Self- Understanding (WUNT 2.43), Tiibingen 1 991 . 7 1-72. 86 Per i tentativi di soluzione del v. 10 cf. A. FEUILLET, « Chercher à persuader Dieu (Ga I , l Oa)>>, in NT 12(1970), 350-360; F. SARACINO, «Come si persuade Dio. Su Gal 1 , 1 0a>>, in Bib 63( 1 982), 84-89. 87 Cf. PLATONE, Gorg. 452E; 458E; 462C. 88 Cf. anche GRABE, «Paul's Assertion of Obedience>>, 353; LvoNs, Pauline Autobìography, 1 39; MATE­ RA, Galatìans, 48. 89 Per la persuasione degli dèi cf. PlNDARo, Olimp. 2,144; PLATONE, Leg. 909ab; Rep. 364C; E u R IPIDE , Med. 964; FLAVIO GIU SE PPE , Ant. 4,123; 8,256; OviDIO, Amat. 3,653-654. 90 Per la figura retorica dello zeugma cf. BLAss - DEBRUNNER - REHKOPF, Grammatica, 479.2. 91 Per questo è forzato far dipendere la persuasione di Dio dall'anàtema del v. 9: Paolo cerchereb­ be di persuadere Dio affinché si realizzi l'anàtema comminato da Paolo. Così invece SARACINo, , 94-95. 98 Cf. Dt 34,5; Gs 1 , 1 . 1 3. 1 5 ; 8,3 1 ; 1 1 , 12; Gdc 2,8; Sal 18,1; 36, 1; 2Cr 1 ,3; 24,6. 93

Gal 1 , 1 1 - 1 2

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tal modo, questo titolo sembra anticipare il paradigma profetico che Paolo uti­ lizzerà in Gal 1 ,15-16 per evocare la propria vocazione. Si è già rilevato l'uso di questo titolo nei prescritti dell'epistolario paolino:99 non mancheranno applica­ zioni del vocabolario sulla schiavitù alla relazione tra i credenti e Cristo. 100 L'esordio della Lettera ai Galati si presenta come originale nella forma e nel contenuto: Paolo non esita a introdursi con un'apostrofe di biasimo verso quan­ ti stanno per abbandonare «Così in fretta» il suo «Vangelo». Naturalmente, la let­ tera non viene scritta soltanto per rimproverare i galati che, a differenza dei filip­ pesi (cf. Fil 3,2-14), non hanno resistito alle lusinghe di alcuni sobillatori. Come la loro apostasia non è ancora definitiva, così il suo esordio non rappresenta che l'inizio della lettera: è necessario ripresentare loro il vangelo che «gratuitamen­ te�� hanno ricevuto dalla predicazione paolina. Per questo il centro tematico del­ l'esordio non è tanto rappresentato dalla relazione tra Paolo e i suoi oppositori bensì da quella tra il vangelo di Cristo e le comunità della Galazia.

1 .3.

LA TESI

GENERALE

( 1 , 1 1 -12)

L'esordio di Gal 1 ,6-10, così denso di rimproveri, non impedisce a Paolo di introdursi nella nuova pericope riconoscendo la fratellanza nella fede che lo accomuna ai galati (Gal 1 , 1 1 ) . Anzi, questo cambiamento di tenore relazionale, rispetto a quanto precede, insieme alla formula propriamente introduttiva per­ mette di riconoscere nel v. 1 1 l'inizio di una nuova microunità letteraria. Anche la conclusione della pericope non è difficile da stabilire: al v. 13 si trova una nuova formula introduttiva: «Avete sentito infatti . . . ». La coesione di questi versi è determinata soprattutto dal concatenamento di negazioni che la caratterizza­ no: «non . . . (v. 1 1 ) né . . . né . . . ma (v. 1 2)». D 'altro canto, mentre in Gal 1 , 1 1-12 predomina il genere argomentativo, al v. 1 3 subentra quello propriamente narra­ tivo. Piuttosto, sarà difficile identificare le relazioni tra queste sezioni iniziali della lettera. 1 1 Vi rendo noto infatti, fratelli, che il vangelo annunciato da me non è secondo uomo, 12 né infatti io l'ho ricevuto da uomo, né mi è stato insegnato, ma mediante rivelazione di Gesù Cristo. Già Lutero aveva riconosciuto l'importanza di Gal 1 , 1 1 - 1 2 nell'economia della sezione narrativa, definendo questi versi come propositio, ossia come tesi

Cf. anche Gc 1 . 1 ; Gd l . Cf. 1 Cor 7,22; R m 12,1 1 ; 14,18; Col 4,12; E f 6,6. Per l'uso d i questa metafora nell'epistolario pao­ lino cf. D. B. MARTIN, Slavery as Salvation: The Metaphor ofSlavery in Pauline Christianity, New Haven 1990. 99

1 00

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Commento

dell 'apologia paolina (Gal 1 , 1 3-2,2 1 ) . 101 La stessa manualistica della retorica classica poneva generalmente la «tesi>> dopo l'esordio generale, in quanto la sua principale funzione consiste nell'introdurre, con chiarezza, ciò che s'intende dimostrare.102 Da parte sua, Cicerone raccomandava per la propositio, nota anche come partitio, le caratteristiche della «brevità, completezza e concisione» (De inv. 1 ,22,32). Dunque, Gal 1 , 1 1 -12 sembra avere tutti i connotati di una «tesi»: è breve nel suo svolgimento, completa nel suo contenuto e concisa nella sua formulazione, al punto che in Gal 1 ,1 2b è riconoscibile un'ellissi ossia una mancanza del verbo. Tuttavia, a ben vedere, la stessa formula introduttiva di Gal 1 , 1 1 sembra far estendere gli orizzonti di questa tesi non soltanto alla narrazione di 1 , 1 3-2,2 1 , come pensava Lutero, bensì all'intera lettera. Tale estensione era stata intuita da Jeremias, che considerava il resto della lettera rapportato, in modo chiastico, a Gal 1 , 1 1 -12:103 così se in Gal 1 ,1 3-2,21 Paolo intenderebbe dimostrare che il suo vangelo non dipende da nessun uomo (cf. Gal 1 ,12), in Gal 3,1-6,10 si propor­ rebbe di spiegarne l'origine divina, appunto «non secondo uomo ma secondo la Scrittura». In realtà, poiché la proposta di Jeremias si fonda esclusivamente su criteri tematici e non stilistici, come invece richiederebbe il riconoscimento di una composizione chiastica, non ha riscontrato molto consenso. Comunque ci sembra che sia positiva l'intuizione secondo la quale Ga1 1 , 1 1 - 1 2 non si riferisce soltanto alla narrazione di Gal 1-2 ma a tutto lo svolgimento della lettera. Dunque questi versi contengono la tesi generale della lettera: il vangelo pao­ lino. 104 Tuttavia, questa è una tesi generale: non sappiamo cosa del vangelo si trova al centro di questa lettera. Sembra quasi che Paolo scelga di proposito una prospettiva generale per la tesi di Galati, per cui sarebbe una tesi «incoativa» più che una partitio nella quale verrebbero elencate, quasi in forma di indice, le parti successive della comunicazione. Per questo, è pregiudiziale pensare subito al vangelo della giustificazione mediante la fede e non con le opere. 105 Di per sé, Paolo ancora non accenna alle modalità della giustificazione né alle problemati­ che relative alla circoncisione. Senza negare l'importanza delle questioni legate alla circoncisione, queste non vengono affrontate direttamente in Gal 1 , 1 1 -12. Piuttosto sembra che non gli stia direttamente a cuore la problematica della circoncisione, anche se que­ sta ha preteso un suo intervento così irruento nei confronti dei galati. Forse egli

101 Cf. WA 40/ 1 . 1 26: >, in NTS 34( 1 988) , 4 1 1 -430. 2 Sulla narratologia biblica, in particolare dal punto di vista metodologico, cf. J.-N. ALETTI, L'art de raconter Jesus Christ. L'écriture narrative de l'É vangile du Luc, Paris 1 989 (tr. it. Brescia 1 99 1 ) ; R. ALTER, The Art of Biblica/ Narrative, New York 1 98 1 ; S. BAR-EFRAT, Narrative A rt in the Bible, Sheffield 1 989 (tr. it. Brescia 1 990); J.-L. SKA, «Our Fathers Have Told Us». lntroduction to the Analysis of Hebrew Narratives (SubBib 13), Roma 1 990; Io., «Esegesi narrativa di Gen 18,1-5», in Asp 40( 1 993), 5-22.

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Da questa precisazione ne deriva un'altra non meno importante: non perché si è posti di fronte a materiale autobiografico, questo risulta, a una verifica dei dati, più imparziale di quello biografico. In altri termini, non perché Paolo parla della propria storia questa è più attendibile di quella narrata da Luca negli Atti degli apostoli:3 queste valutazioni sono indebite se verificate a partire da una concezio­ ne classica dell'autobiografia e della biografia; e tradiscono una visione moderna della storia che si prefigge di salvaguardare prima di tutto la veridicità dei dati. 4 Secondo la stessa concezione classica della storia l'intenzione fondamentale non consisteva nel dire il vero, sia per qualità che per quantità, quanto nell'o­ rientarlo alla funzione persuasiva o pedagogica dei destinatari. Non a caso, la sto­ ria classica era relazionata più alla poetica che alla cronaca.5 In questo caso, non ci si propone di svalutare il senso degli eventi raccontati in Gal 1 ,1 3-2,2 1 , come nelle altre sezioni storiche dell'epistolario paolino e del NT ma, al contrario, di identificarne le singole finalità persuasive rispetto ai destinatari immediati e a quelli futuri.6 Per questo, la netta distinzione, sempre più sostenuta nella storiografia con­ temporanea, tra autobiografia e biografia non è riconoscibile per la produzione classica, nella quale i canoni dell'autobiografia erano uguali a quelli della bio­ grafia.7 Tornando alla sezione autobiografia di Gal 1 , 1 3-2,21 , anzitutto bisogna rile­ vare la brevità della narrazione: questo vale soprattutto per il periodo precri­ stiano della vita di Paolo. In pochi versi egli ricorda la propria condotta nel giu­ daismo ( 1 ,13-15). Inoltre, l'intera narrazione si presenta chiara nel suo sviluppo o intreccio: non vi sono proposizioni lunghe, articolate se non in Gal 2,15-2 1 , che tuttavia merita, come si vedrà, un discorso a parte. Infine, ciò che da Paolo viene raccontato non può essere tacciato di «non-verosimiglianza»: non vi sono motivi per dubitare della veridicità di questa autobiografia. Naturalmente questo non significa che si tratti di una narrazione obiettiva, pienamente rispondente agli eventi; questo vale soprattutto per l'incidente di Antiochia (Gal 2,1 1 -14), pre­ sentato con lettura di parte: Paolo non ha minimamente presente la preoccupa­ zione di Pietro per la fazione giudeo-cristiana della Chiesa primitiva.8 Anche nel-

3 Cf. !"introduzione a questo commentario su . Cf. anche M. HENGEL, Il Paolo precristiano, Brescia 1992, 1 5 - 1 9. 5 Sulla relazione tra poesia e storia e sulla dimensione retorica della storiografia classica cf. l'ottimo contributo di R. NicOLA!, La storiografia nell'educazione antica, Pisa 1 992. 6 La stessa esigenza viene espressa da R.G. HALL, «Historical lnference and Rhetorical Effect: Another Look at Galatians l and 2>>, in D.F. WATSON (ed.), Persuasive Artistry, FS. G.A. Kennedy, Sheffield 4

199 1 , 309. 7 Per la relazione tra biografia e autobiografia nella storiografia classica cf. soprattutto A. MoMI­ G U AN o , Lo sviluppo della biografia greca, Torino 1 974, 13-15. Cf. anche F. L E o, Die griechisch-riimische Bio­ graphie nach ihrere literarischen Form, Hildesheim 1 %5; J. 0.LNEY, «Autos-Bios-Graphein: The Study of Autobiographical Literature», in SA Q 77( 1 978), 1 1 3- 1 23. 8 I canoni della «Verosimiglianza, chiarezza e brevità>> rispetto alla narratio vengono consigliati dalla stessa manualistica della retorica classica. Cf. CicERONE, De in v. l ,20,28-21 ,30; Part. or. 9,3 1 ; De orat. 2,80,326; QUINTILIANO, fnst. or. 42,3 1 .

Gal 1 , 1 3-2,21

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l'autobiografia di Gal 1-2, come in ogni autobiografia e biografia, si riscontrano dei tratti di narrazione «ideale» più che reale, come ad esempio il parallelo tra la vocazione paolina e il modello profetico dell'AT, in Gal 1 , 1 5-16.9 Un altro aspetto da chiarire sin da principio per Gal 1 , 1 3-2,21 riguarda la sua dimensione temporale. Poiché nella «narrazione» la manualistica raccomandava di seguire l'ordine evolutivo degli eventi, non vi sono motivazioni serie per rite­ nere le fasi narrative di Gal 1 ,1 3-2,21 come disordinate. 10 Quindi non è necessa­ rio considerare l'incidente di Antiochia (2,1 1 - 14) come antecedente all'assem­ blea di Gerusalemme (2, 1 -10): sarà semmai opportuno determinare se Gal 2,11 0 si riferisce al cosiddetto «concilio di Gerusalemme»; ma questo sarà un altro problema, relazionato soprattutto ad At 15. Prima di delineare l'evoluzione degli eventi, è necessario precisare che il prin­ cipio della «verosimiglianza» storica non include quello della completezza del racconto. Paolo non si propone di raccontare tutta la propria vita in Gal 1 , 1 3-2,21, bensì gli avvenimenti che sono, in qualche modo, rapportati al suo vangelo ( 1 , 1 1 12). Per questo, l'argomentazione e silentio per riconoscere l'identità di un quadro narrativo in Gal 1-2 non soltanto è debole ma fuorviante. Ad esempio, non perché Paolo non riferisce le clausole del «concilio di Gerusalemme», riportate da Luca in At 15,29, ne deriva che Gal 2,1-10 riguardi un altro episodio. In modo analogo, egli non racconta in Gal 1 ,1 7 la persecuzio­ ne subita a Damasco, narrata invece, con linguaggio umoristico, in 2Cor 1 1 ,32. Piuttosto, poiché in Gal 1 , 1 3-2,21 Paolo sceglie, ad usum del fine, gli episodi della propria esistenza, è necessario tener sempre presenti le relazioni tra rac­ conto e intenzione del racconto, per non smarrire il filo conduttore della stessa narrazione. La retorica classica distingue tre tipi fondamentali di narrazione, in dipen­ denza dei tre generi retorici basilari: quello forense, in base al quale si racconta per difendere oppure per accusare, quello deliberativo, con il quale ci si propo­ ne di persuadere i propri destinatari a compiere oppure a evitare una determi­ nata opzione, e quello epidittico, mediante il quale si elogia o si biasima qualcu­ no per educare i destinatari ad amare la virtù e a evitare i vizi. A una verifica retorica della narrazione di Gal 1 ,1 3-2,21 sembra chiaro che non si tratta di un'autobiografia forense, nonostante la maggior parte degli ese­ geti continui a sostenerlo. 1 1 Infatti, una narrazione di accusa o di difesa si assu-

9 Sulle connessioni tra autobiografia reale e ideale in Gal 1-2 cf. soprattutto W. STENGER, >, in P.G. MùLLER - W. STENGER (edd.) , Kontinuitiit und Einheit, FS. F. Mussner. Freiburg-Basel-Wien 1991, 293-309. 1 0 Così anche H.D. BETZ, Galatians, Philadelphia 1 979, 60. 11 La concezione apologetica di Gal 1-2 è anche quella più antica, attestata già nel commentario a Galati di GioVANNI CRisosToMo, Ad Galatas 613-614. Cf. anche BETZ, Galatians, 58; P. BoNNARD, L' Épftre de saint Pau/ aux Galates, Neuchiìtel 2 1972, 26; F. F. BRucE, «Further Thoughts on Paul's Autobiography, Gala­ ti ans 1 : 1 1-2:14>>, in E.E. ELLis - E. GRASSER (edd.), Jesus und Paulus, FS. W. Kummel. Gottingen 1 975, 2 1 ; E. Dusuis, «Pau! et la narration de soi en Galates l et 2>>, in P. BùHLER - J.F. HABERMACHER (edd.), La narration. Quand le récit devient communication, Genève 1988, 163-173; J.D. HESTER, «The Rhetorical Structure of

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Commento

me il ruolo di presentare gli eventi che saranno poi confermati nella probatio, ossia nell'attestazione delle prove. Ora, da questo punto di vista, Gal 1 ,13-2,21 non ha nulla a che vedere con Gal 3,1--6,10: non vengono descritti degli eventi che saranno confermati in seguito per la loro attendibilità. 1 2 D'altro canto, sol­ tanto un'analisi che procede per argomenti tratti dal «non detto» chiama in campo i cosiddetti oppositori di Paolo, quando di fatto essi non ricevono alcuna attenzione nella narrazione di Gal 1 , 1 3-2,21 . L'inconsistenza del modello forense ha indotto alcuni a considerare Gal 1 , 13-2,21 come narrazione deliberativa: Paolo parla di sé per convincere i galati a non farsi circoncidere.13 Senza ignorare il problema della circoncisione in Gala­ ti, per cui l'esempio di Tito, presentato in Gal 2,3, diventa pertinente rispetto alla situazione della Galazia, è riduttivo analizzare Gal 1 ,1 3-2,21 a partire dalla que­ stione della circoncisione; ne è prova che in Gal 1 , 13-24 non si accenna minima­ mente a problematiche di questo tipo. Piuttosto, a causa della relazione tra la tesi generale della lettera, che si pre­ senta come epidittica, o dimostrativa, e la narrazione seguente, è bene ricono­ scere in Gal 1 , 1 3-2,21 un elogio di sé con finalità dimostrative.14 Di fatto, i ter­ mini della tesi, ripresi nell'autobiografia, sono euaggelion (v. l l ) e apokalypsis (v. 12). Rispetto al vangelo, Paolo evidenzia anzitutto i destinatari, appunto i genti­ li ( 1 , 16; 2,2), presentati anche come «incirconcisi» (cf. 2,7) .15 Inoltre, a livello qua­ litativo, egli sottolinea la «Verità del vangelo», sia nei confronti dei galati (cf. 2,5) sia di fronte a Pietro (cf. 2,14). 1 6 Per quanto riguarda il termine apokalypsis o «rivelazione», fermo restando che il senso presente in Gal 1 , 1 1 determina una connotazione apocalittica e quin­ di originale rispetto alle restanti frequenze di Gal 1 , 1 3-2,21 , esso caratterizza sia la «rivelazione del figlio di Dio» (cf. 1 ,16) che la seconda salita a Gerusalemme (cf. 2,2). Tuttavia si è ben dimostrato, a proposito della tesi di Gal 1 , 1 1 -12, che in Galati Paolo si propone di dimostrare la dimensione apocalittica del proprio vangelo. Per questo, sia la rivelazione del Figlio di Dio che la salita a Gerusa-

Galatians 1 , 1 1 -2,14», in JBL 103( 1 984). 223·233; E. KwsTERMANN, «Zur Apologie des Paulus. Galater 1 , 1 0-2,21», in A. LEHMANN (ed.), Gottes ist der Orient, FS. O. Eissfeldt, Berlin 1 959, 84-87; P. voN DER OsTEN­ SACKEN, Die Heiligkeit der Tora: Studien zum Gesetz bei Paulus, Miinchen 1 989, 1 28. Restando nella pro­ spettiva del modello forense, Schiitz considera anche questa sezione come polemica, o di accusa nei con­ fronti degli oppositori. più che di difesa. Cf. J.H. Srnurr, Pau/ an d the Anatomy of Apostolic Authority, Cam­ bridge 197 5, 133-158. 1 2 Così anche B. R. GAVENTA, , 3 1 9; G.A. KENNEDY, New Testament lnterpretation Through Rhetorical Criticism, London 1984, 1 44- 1 45. 14 La prospettiva epidittica di Gal 1-2 è stata anche intuita da Hester nella revisione della propria precedente concezione apologetica, anche se non viene ben dimostrata. Cf. J.D. HESTER, «Placing the Blame: The Presence of Epideictic in Galatians l and 2», in WATSON (ed.), Persuasive Artistry. 281 -307. 15 La relazione tra vangelo e missione presso i gentili in Gal 1 -2 è stata posta bene in evidenza da Verseput, anche se forse ne ha enfatizzata la dimensione. Cf. D.J. VERSEPUT, «Paul's Gentile Mission and the Jewish Christian Community. A Study of the Narrative in Galatians l and 2», in NTS 39( 1 993), 36-58. 16 Per la centralità del «vangelo» in Gal l-2 cf. anche K. KERTELGE. «The Assertion of Revealed Truth as Compelling Argument in Galatians 1 : 1 0-2,21 » , in Neot 26( 1 992), 342.

Gal 1 , 1 3-2,21

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lemme fanno parte del vangelo paolino. Dunque, Gesù Cristo rappresenta il con­ tenuto del vangelo paolino, in quanto rivelazione e, nello stesso tempo, Paolo stesso sale a Gerusalemme ancora in base a una rivelazione, per esporre il van­ gelo che annuncia tra i gentili. L'altra topologia che attraversa questa sezione autobiografica è quella della charis o «grazia». Lo stesso esordio (Gal 1 ,5-10) si è aperto con il riferimento alla «grazia» che connota l'elezione dei galati ma che essi stanno per abbandonare (cf. Gal 1 ,6). Nell'autobiografia, l'elezione di Paolo viene riconosciuta come base di partenza della sua evangelizzazione presso i gentili (cf. Gal 2,9)_17 Per questo, di fronte ai galati che, abbandonando la grazia divina, si allontanano anche dal vangelo paolino (cf. anche 5 ,4), Paolo si presenta come modello di adesione alla grazia elettiva (cf. Gal 1 ,15; 2 ,21). Questa dunque ci sembra la motivazione principale per cui Paolo delinea la propria autobiografia in Gal 1 ,13-2,21 : egli non intende tanto difendersi dalle accuse che gli provengono dagli oppositori bensì presentarsi come modello di adesione alla grazia elettiva di Dio, contenuta nel suo vangelo.18 Ancora una volta, egli non sembra preoccuparsi primariamente delle questioni inerenti alla circoncisone o all'incirconcisione, alla Legge o non Legge, quanto delle impli­ cazioni fondamentali di un vangelo non ancora pienamente accolto, nella sua origine «gratuita» e nella sua dimensione apocalittica. Soltanto in tale prospet­ tiva l'autobiografia di Gal 1 ,13-2,21 non rappresenta una parentesi rispetto al contenuto del vangelo che Paolo ha annunciato come tesi in Gal 1 , 1 1-12 e che svilupperà in Gal 3,1--6,10, bensì un'esemplificazione concreta di adesione allo stesso vangelo. La funzione esemplare permette di riconoscere questa autobiografia come «periautologia», ossia come «vanto di sé»: Paolo vanta la propria adesione e coe­ renza rispetto al vangelo non per motivazioni estetiche bensì per presentarsi come modello visibile rispetto alle sue comunità.19 Questa periautologia si snoda in sei parti fondamentali, ordinate in modo evolutivo, secondo la sequenza «die­ gesi» o narrazione ( 1 ,13-2,14) e «mimesi» o rappresentazione (2,15-21) .20 Di fatto, l'ultima parte della narrazione contiene il discorso di Paolo che spiega, attraverso l'argomentazione, ciò che ha dimostrato con il racconto.

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Per le relazioni tra vocazione e ministero paolino in Gal l cf. W. BAIRO, «Vision, Revelation, and Ministry: Reflection on 2Cor 12,1-2 and Gal l , l l - 1 7», in JBL 1 04( 1 985), 65 1 -662. 18 La finalità imitativa di Gal 1-2 è stata posta ben in luce da GAvENTA, «Galatians l and 2>>, 320: HALL, «Historical Inferente», 3 1 8. 19 Per il genere della «periautologia» nella letteratura classica rimane fondamentale il breve tratta­ to di PuJTARco, De se ipsum citra invidiam laudando (Mor. 538A-547F), in P.H. LACY - B. EINARSON (tr.), Plu­ tarch 's Moralia, Cambridge-London 1 968, VII, 1 1 0- 1 67. Cf. anche l'excursus su >, in FV 5 ( 1 985), 8: W. STRACK, Kultische Terminologie in ekklesiologischen Kontexten in den Brie­ fen des Paulus, Weinheim 1 994, 1 1 0- 1 1 1 . 45 Per questo alcuni propendono per i l paradigrna del Deutero-lsaia più che per quello geremiano. Così C. DIETZFELBINGER, Die Berufung des Paulus a/s Ursprung seiner Theo/ogie, Neukirchen-Vluyn 1 985, 6 1 : P. !oviNo, «Paolo esperienza e teoria della missione>>, in «La missione nel mondo antico e nella Bibbia», in RStB 2 ( 1 990) 1 , 78; K.O. SANDNES, Pau/, One of the Prophets? A Contribution to the Apost/e 's Self- Under­ standing ( WUNT 2.43), Ttibingen 1 99 1 , 61 . 46 Questo collegamento viene evidenziato da SANDNES, Pau/, 6 1 . 47 Cf. MussNER, L a Lettera a i Galati. 153; SANDNES, Pau/, 65 .

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se si tiene conto che il riferimento all'elezione sin dal «seno materno» si riscon­ tra anche in altri contesti di elezione.48 Quindi Paolo sceglie il modello profeti­ co della vocazione per descrivere la svolta della propria esistenza sulla via di Damasco. Alla continuità del modello profetico corrisponde la discontinuità della ter­ minologia propriamente paolina che pur si riscontra in Gal 1 ,15-16. Anzitutto l'e­ lezione paolina, come quella dei galati (cf. Gal 1 ,6), è avvenuta per mezzo della grazia49 che, a sua volta, fa parte della «benevolenza» divina, espressa mediante il verbo eudokésen. Sia per la «grazia» che per la «benevolenza» il soggetto implicito è Dio più che Cristo. La caratterizzazione teologica di eudokésen non ha bisogno di essere esplicitata, come invece fanno alcuni testimoni.50 Inoltre, Paolo è «messo da parte», «separato», come dirà neii'incipit di Rm 1 , 1 : «Paolo . . . separato per il vangelo di Dio». L'orientamento positivo di questa separazione è costituito dall'evangelizzazione per i gentili (cf. v. 16; cf. anche l'u­ tilizzazione dello stesso verbo per l'inizio della missione in At 13,2).51 v. 16: I dati precedenti, che oltrepassano i paradigmi profetici dell' AT, sem­ brano quasi introdurre la fondamentale novità espressa al v. 16: la «rivelazione del suo Figlio». Se nella vocazione profetica dell'AT veniva incluso il messaggio fondamentale della missione (cf. Is 6,9-13; Ger 1 ,9-10), in Gal 1 ,16 il contenuto stesso della rivelazione è il Figlio di Dio che Paolo è chiamato a evangelizzare tra i gentili.52 La scelta di «Figlio suo», invece di «Gesù Cristo» o semplicemente di «Cristo» non è casuale: nella Lettera ai Galati la figliolanza rappresenta uno dei registri fondamentali, soprattutto in Gal 3,1-4,7.53 La dipendenza tra la figliolanza di Cri­ sto e quella del cristiano perviene alla sua più chiara formulazione in Gal 4,4-5. Invece è problematico il senso di en emoi quale referente della rivelazione: ha senso di dativo semplice,54 come spesso nel NT, oppure ha un valore pre-

-lll Cf. Gdc 16,17; Gb 1 ,2 1 ; Sal 22, 1 1 . Cf. anche 1QH 9,29-30 a proposito del Maestro di giustizia, e per il tardo giudaismo cf. Mek. R. Ishm. 16,89-92; Gen. Rab. 63,6; Num. Rab. 10,5. Per il NT cf. Le 1 , 1 5 a propo­ sito di Giovanni Battista. Così anche SANDNES, Pau/, 65. 49 La proprietà paolina di «per mezzo della sua grazia>> viene riconosciuta anche da BETZ, Galatians, 69. 50 Cf. l'aggiunta di ho theos in a, A, D, K, P; questa manca invece in P46, B, F, G, 629. Propendono per la lezione più breve anche BuRTON, A Criticai an d Exegetical Commentary, 52; B. M. METZGER, A Textual Commentary on the Greek New Testament, London-New York 2 1 994, 590. 5 1 Difficile è riconoscere in aphorisas un riferimento implicito all'ebraico piirus, ossia al partito dei farisei; sembra più una coincidenza linguistica che contenutistica. Cf. anche Es 13,12; 19,12.23; Lv 1 3,4.5; Ez 45.1 .4; 1QS 8,1 1 . 1 3; 9,6.20. Così anche FuNG, The Epist/e to the Galatians, 70. 5 2 Cf. SANDNES, Pau/, 60. 53 Cf. anche DuNN, Ga/atians, 65. Per la rilevanza del titolo messianico «Figlio di Dio» in Gal 1 , 1 5 cf. M. HENGEL, «Erwagung zum Sprachgebrauch von Christos bei Paulus und in der vorpaulinischen O berlie­ ferung>>, in M.D. HooKER - S.G. WILSON (edd.), Pau/ and Paulinism, FS. C.K. Barrett, London 1 982, 1 42. 54 Così BETZ , Ga/atians, 7 1 ; F. B LAss - A. DEBRUNNER - F. REHKOPF, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, Brescia 1 982, 220. 1 ; J. BuGH, La Lettera ai Galati, Roma 1 972, 238; RoHDE , Der Brief des Paulus an die Ga/ater, 6 1 . Questo non sarebbe l'unico caso in cui en corrisponderebbe al dativo semplice nel NT: cf. anche 2Cor 4,3; 8.1 ; Rm 1 . 19; Le 2.14.

Commento

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gnante, che lascia intendere la dimensione interiore più che quella esteriore della rivelazione divina ?55 Qualora si assuma come criterio di confronto la triplice narrazione di At 9,119; 22,3-2 1 ; 26,2-18 si propende per un valore dativale della formulazione: «a me». In tal caso questo sarebbe il maggiore indizio per cui Paolo in Gal 1 ,15-16 si riferisce all'episodio di Damasco, narrato da Luca. Se invece si rimane nel contesto di Galati, e in particolare dell'autobiografia ( 1 , 1 3-2,21 ), en emoi non può non anticipare il «vive in me Cristo» di Gal 2,20. A una rivelazione interiore corrisponde una permanenza altrettanto interiore di Cristo. Ma questa interiorizzazione della rivelazione divina non deve far pensa­ re a un'intimistica esperienza di Cristo, analoga a quella che ogni cristiano può avvertire nella propria vita ascetica. L'evento ricordato in Gal 1 ,15-16 assume le caratteristiche di unicità storica sia nella vita di Paolo, per cui passa da persecu­ tore della Chiesa di Dio a evangelizzatore di Cristo, che per la vita di ogni cri­ stiano. Per questo, lo stesso interrogativo che spesso ci si pone sulla consistenza interiore o esteriore della rivelazione è fuorviante.56 Forse da Paolo non era nep­ pure avvertita la problematica dell'interiorità che si oppone all'esteriorità: si è posti di fronte a una rivelazione interiore che si configura anche come esteriore. Da questo punto di vista, per evitare fraintendimenti, è bene definirla come rive­ lazione «personale» che rimane tale anche nell'ipotesi minimale di chi considera en emoi come sostitutivo del dativo semplice.57 La rivelazione divina non è fine a se stessa: invece ha, come orientamento, l'evangelizzazione dei gentili, ossia di coloro che sono altro dal «giudaismo» (v. 16; cf. v. 13). Questa diretta dipendenza tra contenuto della rivelazione e missio­ ne tra i gentili contrasta, in un certo senso, con la strategia missionaria di Paolo, nelle narrazioni di Atti, secondo le quali la missione ai gentili si colloca dopo quella presso i giudei (cf. At 13,13-14). Da un confronto delle prospettive è diffi­ cile stabilire l'evoluzione degli avvenimenti: si è tentati di addebitare un tipo di strategia all'irenismo lucano e l'altro agli elementi ideali dell'autobiografia pao­ lina, in base ai quali nessuno, prima di lui, ha evangelizzato i gentili. In tal caso, pur dovendo ridimensionare le attribuzioni della missione ai gentili, forse non è errato considerare più attendibile la prospettiva paolina.58 Forse questa connessione tra rivelazione ed evangelizzazione dei gentili non è stata sufficientemente posta in risalto: l'attenzione esegetica è stata rivolta soprattutto al contenuto cristologico della rivelazione paolina. In realtà l'evan-

55 Già Giovanni Crisostomo così interpretava questa formula: «Perché non ha detto: rivelare suo Figlio a me ma in me? Per indicare che non aveva soltanto ascoltato per mezzo delle parole il messaggio di fede ma fu anche copiosamente ripieno di Spirito». Cf. GIOVANNI CRISOSTOMO, Ad Galatas 628. Così anche BRucE. The Epistle of Pau/ to the Galatians, 93; DuNN, Galatians, 62; ScHLIER, Lettera ai Galati, 58. Questi autori sostengono il valore interiore dell'espressione a causa della generale assenza di en dopo il verbo apokalyptein (cf. anche 1 Cor 2,10; Ef 3,5; 1 Pt 1 , 12). 56 Cf. anche MATE RA Galatians, 60. 57 Cf. anche MussNER. La Lettera ai Galati. 159. 58 Per la funzione «ideale>> di Gal l ,16 cf. STENGER, «Biographisches und Idealbiographisches», 308. .

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gelizzazione dei gentili non rappresenta un corollario rispetto alla rivelazione teofanica o cristologica ma la sua stessa finalità.59 Invece, a proposito di questa rivelazione, si perviene generalmente all'assunto che rappresenti l'evento per il quale Paolo comprende l'abrogazione della Legge e la consequenziale evange­ lizzazione dei gentili.60 In realtà, in questi versi non si parla affatto della Legge: la sequenza non è dall'abrogazione della Legge a Cristo e ai gentili bensì da Cri­ sto ai gentili e semmai alla Legge.61 L'originalità della rivelazione è attestata dalla rapidità (eutheos = «subito», con valore narrativo) con cui Paolo non «con­ sulta carne e sangue». Il verbo prosanatithemai è esclusivo di Galati: si trova soltanto qui e in Gal 2,6 per l'intero NT, anche se in quest'ultimo caso ha valore di «richiedere qual­ cosa a qualcuno)); non compare neppure nella LXX. Nella letteratura extrabibli­ ca questo verbo assume uno spessore quasi tecnico, riferendosi alle consultazio­ ni oracolari , per ricevere chiarificazioni rispetto alle scelte da compiere.62 Invece tipicamente semitica è l'endiadi «carne e sangue)) per indicare la per­ sona in quanto tale, nella sua proprietà naturale: corrisponde all'ebraico basar waddam. 63 In questo caso, «carne)) non ha valore negativo, di riferimento al pec­ cato, come spesso nell'epistolario paolino, ma neutro, a causa dell'endiadi che forma con «sangue.64 Per l'interpretazione globale del v. 16 si è spesso stabilito un significativo parallelismo tra la rivelazione paolina e quella petrina di M t 16,16-17. In entram­ bi gli avvenimenti viene descritta un'apokalypsis (cf. Gal 1 , 1 5 ; Mt 16,17) che ha come contenuto il riconoscimento di Gesù come «Figlio di Dio» (cf. Gal 1 ,16; Mt 16,16) e che non dipende da «carne e sangue)) (cf. Gal 1 ,16; Mt 16,17). Tuttavia è difficile determinare delle dipendenze tra i due testi; piuttosto è opportuno sot­ tolineare che in entrambi i casi vengono utilizzati i paradigmi della vocazione profetica, per cui non si può andare oltre una corrispondenza letteraria tra la vocazione di Pietro e quella di Paolo.65 La prima unità narrativa si chiude con delle annotazioni geografiche (v. 17), poste per sintetizzare la condotta di Paolo subito dopo la rivelazione: egli v. 17:

59 Così anche H. RAisANEN, «Paul's Conversion and the Development of his View of the Law>>, in 33( 1 987), 404-4 19; J.D.G. DvNN, lesus, Pau/ and the Law, Louisville 1 990, 90. 60 Cf. DIETZFELBINGER, Die Berufung des Paulus, 1 05; S. KIM, The Origin of Paul's Gospel, Tiibingen 1981 , 94; U. WILCKENs, «Die Bekehrung des Paulus als religionsgeschichtliches Problem>>, in Rechtfenigung als Freiheit: Paulusstudien, Neukirchen 1 974, 1 1 -32. 61 Cf. A. PllTA, «Paolo, i gentili e la Legge: percorso genetico a partire dalla Lettera ai Galati», in RStB 8(1996)1 -2, 251 -276. 62 Cf. C LEA RCO, Fram. 76b; DioDORo Sicuw, 17,1 1 6,4. Così anche DuNN, Galatians, 67. 63 Cf. la stessa endiadi in Sir 14,18; Mt 16,17; l Cor 15,50; Ef 6,2; Eb 2,14. 64 Cf. anche FVNG , The Epistle to the Galatians, 70. 65 Così anche MussNE R , La Lettera ai Galati, 164. Propendono invece per una più profonda recipro­ cità tra i due testi J. BuG H, Galatians. A Discussion ofSt. Paul's Epistle, London 1 970, 240; A.M. DENIS, , in CBQ 55( 1 993), 733. 7° Cf. 2Mac 5,8; FLAVIO GIUSEPPE, Ant. 1 ,221 . Così anche BuRTON, A Criticai and Exegetical Commen­ tary, 57; MATERA, Galatians, 6 1 . 7 1 La tradizione d i una prima evangelizzazione i n Arabia viene riportata già dall' AMsROSIASTER, A d Galatas 81 .3,5. Così anche MuRPHY-O'CoNNOR, «Pau! i n Arabia>>, 733; ScHUER, Lettera a i Galati, 58. 72 Cf. N. TAYLOR, Pau/, Antioch and Jerusalem: a Study in Relationship and Authority in Earliest Chri­ stianity ( JSNT SS 66). Sheffield 1989, 67-68.

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Il primo pannello dell'autobiografia (Gal 1 ,13-17) non è relazionato alla tesi generale della lettera (Gal 1 , 1 1 -12) per la spiegazione del contenuto del vangelo ma per il rapporto tra Paolo e il suo vangelo. L'origine divina del vangelo paoli­ na si esplicita nella rivelazione del Figlio di Dio (Gal 1 ,15-16) e viene conferma­ ta dall'assenza di qualsiasi mediazione umana (Gal 1 ,17). I destinatari del van­ gelo non sono i giudei ma i gentili, ai quali Paolo è inviato da Dio stesso. In que­ sta pericope è espresso anche un contrasto tra la condotta di Paolo nel giudai­ smo (vv. 13-14) e la rivelazione del Figlio di Dio (vv. 15-17). Tale contrasto è determinato dall'elezione «per grazia» di Paolo, come apostolo dei gentili: ma questo cambiamento può essere letto secondo il paradigma della conversione? EXCURSUS: VOCAZIONE O CONVERSIONE PAOLINA?

L'evento descritto da Paolo in Gal 1 , 15-16 è difficile da definire con un ter­ mine soltanto: «conversione», «vocazione», «illuminazione», «missione» o «rive­ lazione>>? Le difficoltà derivano anzitutto dall'unicità dell'evento che, nella sua descrizione, assume un'ampia prospettiva, poco catalogabile, anche in base a un semplice confronto con altre esperienze religiose. La denominazione più utiliz­ zata, anche se con diverse riserve, è quella della «conversione>>,73 fondata sulla constatazione che, comunque, Paolo è passato dall'essere persecutore della Chie­ sa di Dio a evangelizzatore di Cristo. Tuttavia, sorprende anzitutto che Paolo stesso non adotti il linguaggio della conversione, espresso mediante la famiglia lessicale dei termini metanoia (cf. Rm 2,4; 2Cor 7,9-10), metanoein (cf. 2Cor 12,2 1 ) , strephein ed epistrephein, che pur conosce e che, ad esempio, utilizza per definire il passaggio al cristianesimo da parte dei gentili di Tessalonica (cf. 1Ts 1 ,9). A tal proposito non si può certamente parlare di conversione «etica>>: Paolo non esita a vantarsi del proprio zelo rispetto alla condotta passata nel giudaismo (cf. Gal 1 , 1 3-14; cf. anche Fil 3,6). Come osserva bene Raisanen, Paolo non è «Lutero prima di Lutero».74 Questo non significa che egli fosse impeccabile: se però, da questo punto di vista, ogni uomo è chiamato a convertirsi, in cosa sareb­ be rilevabile l'unicità della rivelazione paolina narrata in Gal 1 , 15-16? Tanto meno è possibile parlare di conversione «religiosa»: Paolo non è pas­ sato dal giudaismo al cristianesimo, in quanto nel I secolo d.C. queste non pos­ sono definirsi come religioni autonome. Al contrario, la corrente che fa capo a Gesù Cristo è ancora ben radicata nello stesso giudaismo. Alcuni, volendo a tutti i costi conservare la categoria della «conversione», ritengono che per Paolo si sia verificato un passaggio da una forma di giudaismo, quello farisaico, a un'altra,

73

Cf. J.G. GAGER, «Some Notes on Paul's Conversion>>, in NTS 27( 1 98 1 ) , 697-704; R.G. HAMERTON­ KELLY, «Sacred Violence and "works of the Law". "ls Christ Then an Agent of Sin?"», in CBQ 52( 1 990), 59; S. SABUGAL, La conversione di s. Paolo, Roma 1 992, 1 79-186. 74 Cf. H. RAISANEN, Pau{ and the Law, Ttibingen 2 1 987, 231 .

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quello di tipo apocalittico-cristiano.75 L'ipotesi non manca di fascino e di fonda­ mento storico, in quanto realmente nel I secolo si assiste a un pullulare di espres­ sioni interne allo stesso giudaismo, ma contrasta con Gal 1 , 13-14 in cui Paolo non si riferisce a più forme bensì a un solo tipo di giudaismo, quello farisaico. Forse in questo caso non è possibile neppure parlare di «conversione» assio­ logica, ossia relazionata a dei valori: in tal caso Paolo avrebbe abbandonato la Legge giudaica a causa della sua precarietà e della sua deficienza, per aderire a Cristo. Invece proprio in Gal 2,19 egli sosterrà che la Legge stessa ha rappresen­ tato la via per la quale egli «è morto a una sua relazione con essa». D'altro canto nelle diverse dimostrazioni del suo epistolario continuerà a fondarsi sulla Legge stessa, ossia sull' AT. Si vedranno le prospettive di ricomprensione rispetto alla Legge, ma comunque egli non giunge mai a proclamare l'abrogazione della Legge; al contrario in Rm 3,3 1 sostiene la «conferma» della Legge anche nel tempo del vangelo. Non rimane, per rispettare il più possibile le fonti paoline, che abbandonare definitivamente il linguaggio della «conversione» e fare proprio quello della «vocazione», scelto dallo stesso Paolo in Gal 1 ,15.76 Questa scelta include non soltanto il vantaggio di una maggiore adesione testuale ma anche di lasciare la rivelazione divina nella sua unicità, per cui nel momento in cui Paolo viene chia­ mato è anche «eletto» e «inviato». Da un'attenta analisi di Gal 1 , 15-16 si com­ prende che la sua rivelazione coincide con la sua chiamata, la sua elezione e la sua missione presso i gentili. A sostegno di questa prospettiva viene in aiuto lo stesso paradigma profeti­ co scelto da Paolo per raccontare la propria «rivelazione» in Gal 1 ,15-16. Non sono stati mai definiti come brani di «Conversione» gli oracoli di Is 6,1 -13; Ger 1 ,5-10; Is 49,1 -7 che, comunque, costituiscono la griglia interpretativa di Gal 1 ,1516. Per questo, almeno per Galati, non si può definire quella di Paolo come «Conversione)), ma come «vocazione)), tenendo conto della sua complessità, in quanto inclusiva sia dell'elezione che della missione presso i gentili.

75 Cf. soprattutto HENGEL, Il Paolo precristiano, 1 1 1 - 1 36. Cf. anche D.J. HARRINGTON, Pau/ on the Mystery of /srael, Collegeville 1 992, 14; MATERA, Galatians, 62; A.F. SEGAL, Pau/ the Convert: the Apostolate and Apostasy of Saul the Pharisee, New Haven-London 1 990, 33. 76 Si deve soprattutto a K. Stendhal il recupero della categoria di , in NT 17 ( 1 975 ) , 200-202.

an

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Per cercare di dipanare la matassa di quest'oscuro quadro paolino è neces­ sario escludere la prospettiva apologetica dalla narrazione:80 Paolo non si sta difendendo da nessuno; al contrario egli si propone di delineare la propria con­ dotta esemplare dopo la rivelazione di Damasco. Questa prospettiva spiegata, in modo più esteso, nell'introduzione alla sezione, permetterà di valutare con mag­ giore aderenza le singole affermazioni di Gal 1 ,1 8-20. La sequenza si apre con un'annotazione temporale specifica, quanto al proprio contenuto, tre anni, ma non altrettanto rispetto alla data precedente di riferimento: secondo la maggior parte degli studiosi Paolo si riferisce a tre anni dopo la rivelazione del «Figlio di Dio». 81 A ben vedere, la rivelazione di Gal 1 , 15-16 non viene precisata con delle annotazioni temporali; invece queste compaiono con gli avverbi «subito» del v. 1 6b e con «di nuovo)) del v. 1 7 . Per questo è preferibile calcolare i tre anni a partire dalla permanenza di Paolo a Damasco.82 Circa i tre anni, poiché nella cronologia semitica un anno, come un giorno, viene calcolato per intero, anche se ci si trova soltanto all'inizio,83 risulta diffici­ le stabilire con precisione il tempo intercorso tra la permanenza damascena e la prima visita di Paolo a Gerusalemme. A prescindere da questa precisazione cro­ nologica, è importante evidenziarne la finalità retorica: Paolo sembra sottoli­ neare la maggiore durata di tempo possibile prima della sua visita a Gerusa­ lemme. Per questo nell'intreccio della narrazione vi è un contrasto tra questi tre anni e i quindici giorni della sua permanenza presso Pietro (v. 1 8b).84 La motivazione della salita a Gerusalemme suscita molte discussioni a causa del verbo historesai, che non compare più nel NT, se non come lezione varian­ te, in At 17,23: historon (D*). Lo stesso verbo è raro anche nel greco della LXX: compare soltanto 3xx in 1 Esd 1 ,33.33.42, nel senso diverso di «riferire)), «rela­ zionare)). Invece, al di fuori del greco biblico, questo verbo è ben attestato, carat­ terizzando un orientamento di ricerca, sia rispetto alle cose che alle persone.85 La lezione variante di A t 17,23 permette di cogliere il significato proprio del verbo: Paolo attraversa e «visita)) i monumenti ateniesi. Dunque è un verbo che esprime inchiesta, ricerca, approfondimento;86 e in questo si differenzia dal semv.

18:

80 L'ambiguità terminologica di questo momento narrativo viene posta in risalto anche da DuNN, Galatians, 77. 8 1 Così FuNG, The Epistle to the Galatians. 73; RmoERBos, The Epistle of Pau/. 67; ScHLIER. Lettera ai Galati, 62. 82 Così anche Co R SANI Lettera ai Galati, 1 08; DtJNN , Galatians, 7 1 . 83 Cf. a proposito dei tre giorni della risurrezione i n M t 1 7,23; 27,63-64. Così anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 1 07; MussNER, La Lettera ai Galati, 1 68. 84 Così anche BuRTON, A Criticai and Exegetical Cornrnentary, 60. 85 Cf. Pous1o, Hist. 3,48,12; EPIITETO, Diss. 2,1 4,28; FLAVIO G I US EPPE , Guer. 6,8 1 ; Ant. 1 ,203; PLtrrA RCO, Cic. 2; Pornp. 40,2; Luc. 2,9; Tes. 30.3; De curios. 516C. 86 Cf. anche J. D.G. DUNN, «Once More: Gal 1 , 1 8 historesai Kephan in Reply to Otfried Hofius>>, in ZNW 76( 1 985), 1 38-139; lo Galatians, 73; G. D. KILPATRICK, «Galatians 1 : 1 8 historesai Kephan>>, in A.J.B. H1GGINS (ed.). New Testarnent Essays, FS. T.W. Manson, Manchester 1 959, 144- 149; MATERA, Galatians, 66. ,

..

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plice «vedere»,87 espresso mediante eidon proprio per l'incontro di Paolo con Giacomo in Gal 1 , 1 9. Potremmo affermare che Paolo visita, con referenza e disponibilità, il capo della Chiesa di Gerusalemme.88 Tuttavia queste implicazioni non devono far pensare al riconoscimento del primato petrino rispetto alla Chiesa «universa­ le».89 Tali aspetti, riconoscibili nello stesso verbo, si limitano alla Chiesa geroso­ limitana; e ricavare ulteriori dati da questo semplice verbo significa andare oltre la sua funzione. Per questo, i tentativi esegetici che cercano di colmare questo gap narrativo sono destinati a rimanere tali: non sappiamo se dietro questa visi­ ta ci fosse un 'indagine storica, da parte di Paolo, sulla vita terrena di Gesù, dalla quale ci sarebbero pervenute le tradizioni di 1 Cor 1 1 ,23-26 e di 1 Cor 15,3-8. D'al­ tro canto, sembra strana questa lunga attesa per ricevere notizie su colui che Paolo stesso «evangelizza» presso i gentili; lo avrebbe fatto prima!90 Pertanto il contenuto e le motivazioni che indussero Paolo a «Visitare» Pietro rimangono ignoti; e in Gal 1 ,1 3-2,21 sono tali in quanto non fondamentali nell'economia dell'intreccio narrativo che non si gioca tanto sulla difesa di sé quanto sulla pro­ pria esemplarità verso i galati. La specificità del verbo historesai è confermata dalla modalità con la quale Paolo cita il primo degli apostoli: Kephan. Per la critica testuale esterna, alcuni codici, soprattutto occidentali, riportano in Gal 1 , 1 8 Petron,91 mentre la maggior parte dei codici orientali attestano la denominazione semitica Kephan. 92 Anzi­ tutto è necessario precisare che il nome di origine aramaica è quello preferito da Paolo, che ne rappresenta anche il principale testimone neotestamentario.93 Alla maggiore attestazione di Kephan nell'epistolario paolino è da collegare il tenta­ tivo di miglioramento da parte dei codici occidentali: è più facile comprendere Petros che Kephan. 94 Forse non è errato pensare a una prospettiva di ufficialità nella sostituzione di Kephan, termine che esprime piuttosto una familiarità con Pietro. Con il tempo, la notorietà di Pietro ha indotto a preferire il nome occidentale a quello orientale. 95

87 Propendono, invece, per un'assimilazione al verbo BETz, Galatians, 76; O. HoFIUS, , in ZNW 75(1 984), 73-85; TAYLOR, Pau/, Antioch and Jerusalem, 80; K.F. UtRICHS, «Grave verbum, ut de re magna. Nochmals Gal 1 , 1 8: historesai Kephan>>, in ZNW 8 1 ( 1 990), 262-269. 88 Sull'autorità di Pietro nella Chiesa gerosolimitana cf. TAYLOR, Pau[, Antioch and Jerusalem , 78. 89 Così invece MussNER, La Lettera ai Galati, 169. 90 Così invece KILPATRICK, , 148. Cf. anche B RucE, The Epistle of Paul to the Galatians, 98. 91 Cf. S 2 , D, F, G, Siriaca. 92 Cf. P46, P5 1 , S*, A, B, 33. 93 Cf. 1 Cor 1,12; 3,22; 9,5; 1 5,5 ; Gal 2,9. 1 1 . 1 4. Questo nome, al di fuori dell'epistolario paolina, si trova soltanto l x in Gv 1 ,42. Invece Petron compare soltanto in Gal 2,7.8, per l'epistolario paolina, mentre è il termine più attestato nel resto del NT (cf. Mt 4,18; 8,14; 10,2; Mc 9,2; 1 0,28; 1 1 ,2 1 ; Le 5,8; 6,14; 8,45; Gv 1 .44; 6,8.68; A t 1 , 13; 3,1 : 4,8). 94 Sul retroterra aramaico del nome di Pietro in Gal 1-2 cf. G. ScHWARZ, .98 Certamente il Giacomo a cui si riferisce Paolo in questo verso non è uno dei «dodici», altrimenti Paolo lo avrebbe collocato direttamente accanto a Pietro, nel verso precedente, come d'altro canto farà nel presentare le «colonne» della Chiesa di Gerusalemme (Gal 2,9).99 Questo però non significa che Paolo non lo ritenesse «apostolo» ! Al contrario, poiché si è considerato il termine apostolos del v. 17 come generale si è indotti a ritenere della stessa portata l'apostolicità di Giacomo. Questa interpretazione è confermata dal ruolo autoritativo che Gia­ como occupa nella Chiesa di Gerusalemme, attestato anche in 1 Cor 15,7.100 Se dunque Giacomo è considerato apostolo, anche se distinto dai «dodici», significa che la particella ei me ha valore eccettivo, 101 corrispondente a «se non», più che «avversativo», esprimibile con un «ma» (cf. M t 1 2,4; Mc 13,32; cf. anche sopra per Gal 1 ,7),102 anche se, da un punto di vista grammaticale, entrambe le traduzioni sono possibili.103 v. 19:

v. 20: Un solenne giuramento, di stile semitico, chiude questa sequenza: non è l'unico caso in cui Paolo, contravvenendo al consiglio evangelico (cf. Mt 5,3337), formula un giuramento in cui chiama Dio stesso a testimone della veridicità rispetto a quanto sta raccontando. 104

C f. DuNN, Galatians, 74. Per il valore colloquiale di pros nel greco ellenistico cf. anche Gv l .l . Così anche BRucE, The Epi­ stle of Pau/ to the Galatians, 98; CoRSANI, Lettera ai Galati, 1 10. 98 Cf. M t 13 ,55: Mc 6,3; A t 12,17; 15,13; 2 1 , 1 8; 1 Cor 1 5 ,7; Gal 2,9. 12; Gc I. I . Cf. anche FLAVIO GIUsEPPE. Ant. 20,200. 99 Cf. anche MATERA, Galatians, 66; MussNER, La Lettera ai Galati, 1 72. 1 00 Cf. anche BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 101; FuNG, The Epistle to the Galatians, 78. 101 Cf. anche BuRToN, A Criticai and Exegetical Commentary, 60; FuNG, The Epistle to the Galatians, 78; RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 64. 102 Cf. BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, 33; CoRSANJ, Lettera ai Galati, 1 10; RmoERBOS, Galatia, 68; ScHUER, Lettera ai Galati, 64. 103 A causa dell'ambiguità grammaticale di ei me non si deve partire dal suo significato per risolve­ re la questione di Giacomo ma l'inverso. 1 04 Cf. le analoghe formule di giuramento in lTs 2.5 . 1 0; 1 Cor 15,3 1 ; 2Cor 1 ,23; 1 1 ,3 1 ; Rm 1 ,9; 9,1 ; Fil 1 .8; 1 Tm 5.2 1 : 2Tm 2.14: 4. 1 . 96

97

Gal 1 , 1 8-20

105

La stessa manualistica della retorica classica consigliava di non formulare dei giuramenti lungo la propria esposizione, in quanto rivelatori di prove deboli, se non poco fondate.105 Tuttavia, la manualistica si riferisce soprattutto ai discorsi forensi, di difesa o di accusa, più che a quelli epidittici, quale ci sembra sia il caso di Gal 1-2. Piuttosto questo conferma la natura periautologica della sezione: dif­ ficilmente Paolo avrebbe formulato tale giuramento dovendosi difendere dai suoi accusatori. Comunque, lo stesso giuramento conferma il timore di Paolo nell'essere frainteso dai destinatari a proposito dell'incontro con Pietro e con Giacomo. Da ciò deriva che questo giuramento non si riferisce all 'intera sezione autobiografi­ ca di Gal 1 , 1 3-2,14106 né tanto meno a quanto ha esposto sino a ora in Gal 1 ,1319,107 bensì soltanto alla pericope di 1 , 1 8-19.108 Questo rimane un lato debole dell'autobiografia paolina: la sua salita a Gerusalemme, nonostante si sia verifi­ cata dopo tre anni, può lasciare spazio a interpretazioni negative rispetto alla sua autorità apostolica e alla consistenza del suo vangelo. 109 Dal punto di vista retorico questo giuramento si presenta come «ellittico», per la mancanza del «verbo» di giuramento che dovrebbe reggere l'intera proposizio­ ne: si dovrebbe sottintendere omnuein (cf. Mt 23,20-22; Gc 5,12) oppure un sem­ plice legein; e nella stessa particella idou ( = ecco) si può pensare al corrisponden­ te semitico hinneh con il quale viene richiamata l'attenzione dei destinatari.110 Nell'intreccio narrativo sino a ora delineato, questa formula assume un ruolo metalettico, ossia chiama direttamente in causa non i personaggi della narrazio­ ne, bensì i suoi destinatari, i galati stessi. Di fatto, nell'evoluzione del racconto, il v. 20 non aggiunge nulla, ma ne rappresenta una pausa, altrimenti nota, nel lin­ guaggio retorico, come «aposiopesi», con la funzione di richiamare l'attenzione dei destinatari. La prima salita a Gerusalemme, dopo la permanenza triennale a Damasco, tradisce una certa trepidazione da parte del narratore: egli ha incontrato sia Pie­ tro che Giacomo ma si è trattato di incontri informati e privati, senza negare la loro autorità nella Chiesa di Gerusalemme. In questa pericope è significativa la mancanza di riferimenti al vangelo paolino, che pur rappresenta la tematica cen­ trale della sezione autobiografica. Forse, Paolo evita volutamente di relazionare questa visita al suo vangelo che già da tre anni annuncia tra i gentili: «per non aver corso invano», come dirà a proposito della seconda visita in Gal 2,2.

105 Cf. Ad Alex. 17; Quii'ITILIANO, /nst. or. 9,2,98. Sulla relazione tra Gal 1 ,20 e i giuramenti in conte­ sti forensi classici cf. J.P. SAMPLEY, «"Before God, I Do Not Lie" (Gal 1 ,20): Paul's Self-Defence in the Light of Roman Legai Praxis>>, in NTS 23( 1 976- 1 977), 477-482. 106 Così invece B u GH, La Lettera ai Galati, 259, che colloca questo giuramento al centro della composizione chiastica in Gal 1 ,6--2 ,10; FuNG, The Epistle to the Galatians, 79. 107 Così BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 61 . l !ll Ct. anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 1 1 1 ; ScHLIER, Lettera ai Galati, 65. 1 09 Così anche TAYLOR, Pau/, Antioch and Jerusalem, 162. 1 10 Cf. anche BLASS - DEBRUNNER - REHKOPF, Grammatica. 1 28.7; DuNN, Galatians, 77. Sul retroterra ebraico di questa formula di giuramento cf. RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 69.

106 2.3.

Commento LA PERMANENZA IN SIRIA E IN CiLICIA

( 1 ,21 -24)

L'autobiografia paolina perviene a una nuova fase con Gal 1 ,21-24, ossia con la permanenza in Siria e in Cilicia di circa quattordici anni (cf. Gal 2,1 ). Ormai l 'avverbio anaforico epeita ( = in seguito) introduce il nuovo quadro del raccon­ to, come in Gal 1 , 1 8 e in Gal 2,1 : questa sua funzione introduttiva delle singole sequenze narrative permette di riconoscere nei vv. 21 -24 una chiara microunità letteraria. 1 1 1 2 1 I n seguito andai nelle regioni della Siria e della Cilicia; 22 e rimanevo sconosciuto, di persona, alle chiese della Giudea che sono in Cristo. 23 Soltanto sentivano, però: «Colui che ci perseguitava una volta, ora evan­ gelizza la fede che una volta cercava di distruggere». 24 E lodavano Dio a causa mia. Da un punto di vista narrativo, la nuova pericope risulta rapida, rispetto al tempo reale degli avvenimenti, ed eccessivamente breve riguardo al contenuto. Paolo si attarda di più nel descrivere i quindici giorni della prima visita a Geru­ salemme (vv. 1 8-19) che su questi quattordici anni della sua permanenza in Siria e in Cilicia, la cui narrazione si limita, di fatto, al v. 2 1 . Evidentemente tale per­ manenza, anche se prolungata, apporta ben poco alle finalità dell'autobiografia, orientata soprattutto a dimostrare l'esemplarità della condotta di Paolo rispetto al vangelo e al proprio apostolato. Anche per il contenuto, questa nuova microunità aggiunge ben poco: Paolo è rimasto in queste regioni prima di salire nuovamente a Gerusalemme, senza specificare le motivazioni né gli avvenimenti intercorsi. Volendo conferire atten­ zione alla biografia lucana, anche in At 9,30, dopo la permanenza a Gerusalem­ me, Paolo «fece ritorno a Tarso>>. Tuttavia, le due narrazioni, se poste a confron­ to, non corrispondono: se in At 9,26-30 la relazione tra Paolo e la Chiesa di Geru­ salemme sembra abbastanza approfondita, al punto che egli può liberamente evangelizzare, in Gal 1 ,22 le «chiese della Giudea» non lo conoscono neppure. 1 12 Generalmente si cerca di superare tale diversificazione supponendo che le «chie­ se della Giudea» non includevano quella di Gerusalemme: 1 13 questa ipotesi, come vedremo, è poco fondata. Piuttosto è bene riconoscere, ancora una volta, le diverse prospettive narra­ tive di Luca e di Paolo: se a uno preme evidenziare il pacifico inserimento di Paolo nella Chiesa della Giudea (cf. At 9,3 1 ) , all'altro preoccupa l'autonomia del proprio vangelo e del proprio apostolato (cf. Gal 2,2). Per questo, è aprioristico

111

Così anche BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 1 02; BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 62; CoRSANI, Lettera ai Galati, 1 12; DuNN, Galatians, 78; RIDDERBOS, The Epistle of Pau/, 70. 112 Cf. anche BETZ, Galatians, 80. 1 13 Cf. RmoERBos, The Epistle of Pau/, 72.

Gal 1 ,2 1 -24

107

considerare come storica l'autobiografia paolina e come «inventata» la biografia lucana: entrambe le narrazioni sono «storiche», pur se da prospettive e finalità diverse. Comunque, Luca e Paolo concordano sulla permanenza extragiudaica, in Siria e in Cilicia, in seguito alla prima salita a Gerusalemme. v. 21: La pericope, introdotta dall'avverbio «in seguito», non include precisa­ zioni cronologiche, come invece nel caso di Gal 1 ,18; 2, 1 . Forse tale carenza è dovuta alla precedente specificazione temporale per i quindici giorni del sog­ giorno a Gerusalemme (v. 18). Così, dopo questo breve tempo, Paolo si reca nelle regioni della Siria e della Cilicia, citate in quanto territori e non come province romane, come attesta il generico klima ( = regione ) . 1 14 Non sono chiare le motivazioni per cui Paolo cita prima la Siria e poi la Ciii­ eia. Dal punto di vista storico, la Siria del I secolo era più importante della Citi­ eia; era diventata provincia romana nel 67 a.C., mentre la Cilicia lo diventò nel 64 a.C. Nel 25 a.C. queste regioni furono unite per formare un'unica provincia romana, con capoluogo Antiochia di Siria che diventò una delle principali città dell'impero romano. Nel 72 d.C. le due regioni furono nuovamente divise: la «Cilicia Pedias», con capoluogo Tarso, venne unita alla «Cilicia Tracheia», vale a dire a quella occidentale. Rispetto alla stessa biografia paolina, la Siria potrebbe godere di una certa preminenza per la maggiore attività missionaria svolta da Paolo, soprattutto ad Antiochia, in cui si trovava la sua comunità cristiana di appartenenza (cf. A t 13,1-3). 1 15 Alcuni adducono, come motivazione di questa precedenza, la mag­ giore vicinanza della Siria a Gerusalemme, rispetto alla Cilicia. 1 16 Tali ragioni sono plausibili, come può non esserlo nessuna di esse, nel qual caso si tratte­ rebbe di una semplice precedenza narrativa. 1 1 7 D'altro canto nulla vieta d i considerare l a sequenza narrativa come «pro­ gressiva» rispetto all'importanza delle regioni per la vita di Paolo: in tal caso la Cilicia è posta dopo a causa dell'importanza che Tarso, suo capoluogo, assume per i natali dati a Paolo, anche se egli non cita mai questa come sua città d'origi­ ne. Comunque è significativo che anche in At 1 5 ,41 , in occasione del secondo viaggio missionario, si abbia la sequenza «Siria e Cilicia)). Un problema minore riguarda la presenza dell'articolo prima di Kilikias, quando generalmente l'articolo che regge il nome precedente vale anche per il seguente. 1 18 Per questo alcuni manoscritti escludono il secondo tés prima di «Cili-

1 14

Lo stesso valore viene attestato in 2Cor 1 1 , 1 0; Rm 15,23 che, insieme a Gal 1 ,2 1 , rappresentano le uniche frequenze neotestamentarie del sostantivo klima. Così anche BETZ, Galatians, 80; BoNNARD, L' Épi· tre de saint Pau/ aux Galates, 34; BRucE, The Epistle of Pau/ co che Galatians, 103; FuNG, The Epistle to the Galatians, 80. 115 Cf. BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, 1 4 1 ; FuNG , The Epistle to the Galatians, 80. 1 1 6 Cf. FuNG, The Epistle to the Galatians, 80; ScHLIER, Lettera ai Galati, 65 . 117 Così MussNER, La Lettera ai Galati, 1 74. 1 18 Cf. At 1 ,6; 8. 1 ; 9,35; 15,23.41 . Così B ETZ, Gaiatians, 80; BuRTON, A Criticai and Exegeticai Com­ mentary, 62.

108

Commento

cia»:1 19 questo rappresenta un tentativo di miglioramento stilistico che conferma la presenza originaria dell'articolo al v. 2 1 . La narrazione paolina si ferma improvvisamente, per lasciare spazio a una sorta di résumé autobiografico, prima di passare alla fase successiva.120 Rispetto a quanto raccontato sino alla permanenza in Siria e in Cilicia, i vv. 2224 si configurano come «analettici>>, ossia come retrospettivi, soprattutto rispet­ to al v. 1 3 : tornano i verbi diokein (= perseguitare) e porthein (= distruggere).121 La stessa «chiesa di Dio» (v. 13), oggetto della persecuzione paolina, ora viene specificata e identificata con «le chiese della Giudea». Inoltre, la sequenza nar­ rativa, consistente nel contrasto tra «Una volta-ora» (v. 23), richiama il contrasto tra «Una volta» riferito al periodo precristiano di Paolo e l' «ora» della sua vicen­ da cristiana (vv. 13-14. 1 5-17). Tale contrasto si pone in continuità con quello tra «l'uomo e Dio» che ha caratterizzato questo primo scorcio dell'autobiografia paolina (cf. vv. 16-17).122 Non a caso in questi versi sintetici torna anche il verbo «evangelizzare» (v. 23) che rappresenta uno dei termini centrali della narrazio­ ne (cf. vv. 1 1 . 1 6). Dunque, la novità fondamentale dei vv. 22-24 non è tanto di tipo contenutistico, per cui la narrazione avanza nella sua esposizione, quanto di tipo prospettico: ora la stessa vicenda di Paolo, nei suoi contrasti tra l'uomo e Dio, tra il passato e il presente, viene presentata dalla prospettiva delle Chiese perseguitate. Il v. 22 si apre con una perifrastica dell'imperfetto, costruita per indicare la permanenza di quanto si sta affermando: «Rimanevo sconosciuto . . . ». Il dativo t6 prosopò è di «relazione», da rendere con un «di persona».123 Paolo non avev a ancora i ncontrato le Chiese della Giudea, che non sembrano includere soltanto le comunità della Giudea, in senso stretto, ma anche quelle della Samaria e della Galilea.124 Non vi sono ragioni valide per escludere la Chiesa di Gerusalemme da questa valutazione globale, 1 25 se non per una certa discordanza rispetto alla narrazione di At 9,26-30, che invece attesta dei contatti tra Paolo e la comunità gerosolimitana. Si è però dimostrato che la diversificazione narrativa dipende dalle differenti prospettive e dalle relative finalità redazionali. v.

22:

119

Cf. S* 33 . 1 88 1 .2495. Per questa funzione di Gal l ,22-23 cf. anche NJEBUHR, Heidenapostel aus lsrael, 39. 121 Sulle connessioni di Gal 1 .23 con Gal 1 . 1 3 e con l Cor 1 5 ,9; Fi1 3,6 cf. DIETZFELBINGER, Die Beru­ fung des Paulus, 6. 1 22 Cf. anche LYONS, Pauline Autobiography, 1 50; J. ScHOON-JANSSEN, Umstrittene «Apologien» in den Paulusbriefen, Gottingen 1 99 1 , 1 03; STENGER, «Biographisches und Idealbiographisches», 1 25- 1 29. 1 23 Per la stessa espressione cf. l Ts 2,17; 3,10; Col 2J. Così anche BETZ, Galatians. 80; RIDDERBos, The Epistle of Pau/, 7 1 . 1 24 Il valore più ampio del termine «Giudea» non significa identificazione con la provincia romana che, in tal caso, rimane la Siria, bensì esprime l'importanza maggiore della Giudea rispetto alle altre due regioni, ossia la Samaria e la Galilea che Paolo non cita mai. Per la portata estesa del termine cf. anche BETZ Galatians, 80; BRu CE , The Epistle of Pau/ to the Galatians, 103; RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 7 1 . 1 25 C f. anche SCHLIER, Lettera a i Galati, 66 ; TAYLOR, Pau/, Antioch and Jerusalem, 82. Invece, per la distinzione tra Gerusalemme e la Giudea, cf. Mt 3,5; Gv 3,22; A t 1 ,8. 1 20

,

109

Gal 1 ,2 1 -24

Le comunità della Giudea vengono strettamente relazionate a Cristo me­ diante l'en Christo : questa è una delle formule caratteristiche della teologia pao­ lina. Rispetto a G a l 1 ,13 si può notare una concentrazione cristologica dell'ec­ clesiologia paolina: la Chiesa può essere definita «di Dio» in quanto è «in Cri­ sto».126 Per questo la particella en esprime appartenenza più che spazialità: in tal modo anticipa il termine christianos che Paolo non conosce. 127 v. 23: Anche questo verso si apre con una perifrastica dell'imperfetto con la quale Paolo sottolinea una certa durata rispetto a ciò che le Chiese «andavano sentendo» riguardo a lui. Interessante è la costruzione ad sensum della perifra­ stica: un participio maschile, akouontes, invece di un femminile, come ci si aspet­ terebbe a causa del precedente ekklesiai ( = chiese). La seconda parte di questo verso è preziosa perché rappresenta la più anti­ ca testimonianza neotestamentaria sulle comunità giudeo-cristiane; questa viene introdotta da un hoti recitativo, che corrisponde ai due punti.128 Del tutto origi­ nale è l 'utilizzazione del termine pistis ( = fede) che compare per la prima volta in Galati, senza esser preparato. Poiché esso è oggetto di persecuzione e si diffe­ renzia dal «vangelo», espresso nel verbo «evangelizzare», non si riferisce al con­ tenuto della fede né tanto meno ha valore soggettivo, in base al quale si possa pensare alla fedeltà di qualcuno. Forse questa rappresenta una modalità brachi­ logica per intendere la «fede in Cristo>>129 che, d'altro canto, assumerà rilevanza soprattutto in Gal 2,16; 3,22.26. In tal caso Paolo avrebbe voluto evitare la ripe­ tizione del precedente en Christo (v. 23) : egli dunque annuncia la «fede in Cri­ sto» che in passato cercava di dis t ruggere. 1 30 v. 24: La testimonianza delle Chiese della Giudea si conclude con una dos­ sologia «raccontata»:131 esse glorificano il Signore «a causa» di Paolo,132 ossia per il suo cambiamento di relazione con quanti «sono in Cristo» per la «fede in lui». Forse risulta esagerato vedere, in questa testimonianza, dei riferimenti a un martirologio giudaico, in cui vengono citati coloro che si sono convertiti, dopo aver osteggiato la fede monoteistica, 133 soprattutto per il ruolo diverso che Paolo

1 26

Per la portata ecdesiologica di questa formula cf. anche Gal 2,10; 3,26.28; lTs 2,14; 1 Cor 1 ,30; 4,10; Rm 3,24. 1 27 Cf. invece At 1 1 ,36; 26,28; 1 Pt 4,16. Così anche B RuCE The Epistle of Pau/ to the Galatians, 104; MussNER, La Lettera ai Galati, 1 76. 1 2M Così anche BETZ, Galatians, 8 1 ; BRuC E, The Epistle of Pau[ to the Galatians, 1 05; B u RTON , A Criti­ ca[ and Exegetical Commentary, 64; DIETZFELBINGER, Die Berufung des Paulus, 7; RI D D E RBOS, The Epistle of Pau[, 66; ScHLIER, Lettera ai Galati, 66. 1 29 Cf. anche B u RTON , A Critica[ and Exegetical Commentary, 64; CoRSANI, Lettera ai Galati, 1 1 5; DuNN, Galatians, 84; ScHUER, Lettera ai Galati, 66. 1 30 Per il valore «Conativo>> di «distruggere» cf. il commento a Gal 1 , 13. 131 Un'analoga funzione della dossologia è riscontrabile in 1 Cor 6,20; 2Cor 9,13; Rm 1 ,2 1 ; 1 5,6.9. 1 32 L'en emoi del v. 24 ha valore causale più che strumentale. Così anche BoNNARD, L' Épitre de saint Pau[ aux Galates, 34 ; MATERA, Galatians, 68; SCHLIER, Lettera ai Galati, 66. 1 33 Cf. E. BAMMEL, >. Cf. TAYLOR, Pau/, Antioch and Jerusa/em, 106; cf. anche F. WATSoN, Pau/, Judaism and the Genti/es: A Sociologica/ Approach, Cambridge 1 986, 55. 1 39 Così anche MATERA, Galatians, 72. Invece la dipendenza di questa rivelazione da quella di Gal 1 ,12.16- 1 7 viene sostenuta da BuRTON, A Critica/ and Exegetical Commentary, 69; J.D. HESTER, «The Use and lnfluence of Rhetoric in Gal 2,1-14>>, in TZB 42( 1 986), 397; G. HowARD, Paul: Crisis in Galatia (SNTS MS 35), Cambridge 2 1 990, 38-39. =

Gal 2 , 1 - 1 0

1 13

lo Spirito suscita nelle comunità, accanto ad altri carismi (cf. 1Cor 14,6.26).140 Questa caratterizzazione viene confermata dal ruolo decisivo che la rivelazione svolge rispetto all'assemblea di Gerusalemme.141 Utilizzando le categorie stori­ che di Luca, tale rivelazione doveva essere simile alla visione del fantasma che nella notte chiese a Paolo di passare in Macedonia (cf. At 16,9-10). Paolo stesso tiene a precisare che lo scopo di questa salita consiste nell'e­ sposizione della sua strategia missionaria presso i gentili. Naturalmente, l'esposi­ zione della strategia missionaria è strettamente collegata al contenuto del van­ gelo, ma forse è errato pensare che Paolo ponga sul tavolo dell'assemblea il pro­ prio vangelo per ricevere l'approvazione dei notabili. 142 Anzitutto, se questa era la sua preoccupazione, doveva essere dissipata in precedenza, almeno in occa­ sione della prima salita, e non dopo diverso tempo dall'originaria rivelazione di Gal 1 , 16-17.143 La stessa dimensione rivelativa del vangelo paolino impedisce di discuterne i contenuti: di fatto la «Verità del vangelo» (cf. Gal 2,5. 14) prescinde dal ricono­ scimento dei notabili. Per questo, ancora una volta, la prospettiva apologetica di Gal 2,1-10, come dell'intera autobiografia, non rende sufficiente ragione della finalità esemplare per la quale Paolo racconta l'assemblea di Gerusalemme.144 Dunque, l'apprensione per i destinatari del suo vangelo e non per il suo conte­ nuto, di cui a ben vedere ancora non si parla in Galati, costringe Paolo a espor­ re il suo vangelo ai notabili e in forma privata. In questo orientamento si spiega la scelta di anatithesthai (= esporre), verbo raro nel NT: 145 implica una riverenza analoga a quella di Festo nell'esporre al re Agrippa il caso di Paolo (At 25,14). Stranamente Paolo passa, in modo improvviso, dai verbi al passato della nar­ razione al presente kerysso ( = predico) , inserendo, in tal modo, una prima e fon­ damentale metalessi narrativa, a dimostrazione dell'attenzione che lo stesso nar­ ratore rivolge ai lettori della Galazia. Così, non soltanto il narratore è diretta­ mente coinvolto nel racconto ma gli stessi ascoltatori sono chiamati a prendervi parte, soprattutto a causa della finalità esemplare dell'autobiografia paolina. Il v. 2, che rappresenta una sorta di indugio narrativo, 146 si conclude con una nuova precisazione orientata a introdurre, nell'intreccio del racconto, le persone «ragguardevoli» di Gerusalemme. Paolo non espone il proprio vangelo a tutta la comunità ma soltanto ai suoi maggiori responsabili di cui preferisce, per il momen­ to, non citare i nomi, anche se la scelta del participio dokousin (= notabili) dimo-

1 40

Così anche LOHRMANN, Galatians, 38. Cf. l'analogo ruolo della rivelazione in SEN OFO NTE , Anab. 3 , 1 ,5; FILONE, Mos. 1 ,268; PwTARco, Gen. Socr. 579E. Così anche BETz, Galatians, 86. 1 42 Così invece S cH LI E R , Lettera ai Galati, 69. 1 43 Così anche CoRSANJ, Lettera ai Galati, 1 20; BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, 37. 1 44 Cf. anche LvoNs, Pauline Autobiography, 83. 145 Questo verbo si trova soltanto 2xx nel NT: Gal 2,2 e At 25,14. Cf. 2Mac 3,9. Cf. anche Pous1o, Hist. 24,5,9; Pr.mARco, Mor. 772D; ALcJFRONE, 3.23.2. 1 46 Sull'indugio come fenomeno narrativo cf. U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano 1994. 61-90. 141

1 14

Commento

stra che dovevano essere noti agli stessi cristiani della Galazia. Mediante dokou­ sin e la formula kat'idian ( = in privato), Paolo introduce il linguaggio politico che svolgerà un ruolo significativo nel proseguimento della narrazione di Gal 2,3-10.147 Una proposizione finale introduce la metafora agonistica della corsa,148 con la quale Paolo stabilisce un nuovo contatto tra tempo del racconto (cf. l'aoristo edramon) e tempo attuale della situazione conflittuale in Galazia (cf. il presente trecho). Il suo timore, espresso con il sintagma me pos ( = affinché non), non riguarda tanto la sua salita a Gerusalemme quanto la situazione attuale della crisi nelle comunità della Galazia. 149 v. 3: La prima parte di questo quadro narrativo, su cui Paolo continua a indu­ giare, si chiude con l'annotazione sulla scelta compiuta, da parte della comunità di Gerusalemme, nei confronti di Tito. Ora si spiegano le motivazioni per cui Paolo ha volutamente fatto riferimento alla presenza di Tito, durante questa seconda salita a Gerusalemme.150 La sua presenza si rivela esemplare per i gala­ ti: se durante l'assemblea il greco Tito non fu costretto a farsi circoncidere, que­ sto criterio vale per tutti gli etnico-cristiani.151 A prima vista, per la strategia mis-

1 47 Per la rilevanza politica di kat'idian cf: 2Mac 14.2 1 ; FLAVIO GIUSEPPE. Guer. 2,199; PurrARCO, Romu. 20,4. Per dokousin cf. PLATONE, Apol. 2 1 B.21C.41 E; Gorg. 472A; SENOFONTE, Cyr. 7,1,4 1 ; EuRIPIDE, Hec. 295; PurrA RCO, Superst. 1 66B; Quaest. rom. 282A; Quaest. gr. 296F; /s. et Osir. 363D; Frat. am. 488D; DEMOSTENE, Or. 2 1 ,2 1 3; FILONE. Mos. 2,24 1 . 1 48 Per il ricorrente uso della metafora agonistica i n Paolo cf. Gal 5,7; lTs 2, 1 -2.1 9-20; 1 Cor 9,24-27; 15,31 -32; Rm 9,16; 13,12; Fil 1 ,27-30; 2,14- 1 6; 3,12- 14; 4, 1 -3; Col 1 ,28-29; 2,18-19; 1 Tm 4,6- 1 1 . La stessa metafora è diffusa nella filosofia cinico-stoica, come in DioNE CRisosTOMo (cf. Disc. 8,4-5; 9,1 6) e in SENECA (cf. Ep. 78, 16), negli scritti morali di PLUTARCO (cf. Cupid. divit. 523C.1 ), in fiLONE (cf. Mut. 106; Spec. 2,9 1 ; L.A. 3,72; Praem. 52) e i n FLAVIO GIUSEPPE (cf. Ap. 2,2 1 7-21 8; Ant. 8,208; 1 3,327; 1 7,259). Cf. anche presso la comunità di Qumran (cf. l QS 4.6-8) e in 4Mac 3,18; 6,9-10; 8,1; 9,8; 1 8,23. Per il periodo sub-apostolico cf. Mart. Poi. 1 7 , 1 ; l Clem 5,5; 2Clem 7,1-5; IGNAZIO, Polic. 1 ,2-3; 2,1 -3; ERMA 1 2,3. Per il motivo agonistico nel­ l'epistolario paolina cf. V.C. PFrrzN ER, Pau/ and the Agon Motif" Traditional Athletic lmagery in the Pauline Literature, Leiden 1 967; H. CoNZELMANN, Der erste Brief an die Korinther, Gottingen 1 969, 1 9 1 - 1 93; PITIA, Sinossi paolina, 156- 163; C. SPICO, «Gymnastique et morale d'après l Tim 4,7-8», in RB 54( 1 947), 229-242. Stranamente Derrett individua un frammento midrashico in Gal 2,2: in tal caso non sarebbe in gioco la metafora sportiva bensì quella di Ab 2,2, vale a dire la corsa per la predicazione. Cf. J.D. M. DERRETI, «Run­ ning in Paul: the Midrashic Potential of Hab 2,2», in Bib 66(1 985), 560-567. A prescindere dalla carenza di ulteriori riferimenti ad Ab 2,2 in Gal 2,2, la metafora agonistica è così diffusa in Paolo da non poterla esclu­ dere per Gal 2,2. Per la presenza della metafora sportiva in Gal 2,2 cf. anche BETz, Galatians, 87; B RuCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 1 1 1 . Naturalmente l'appartenenza alla metaforologia agonistica non impe­ disce di riscontrare significativi paralleli non soltanto con Ab 2,2 ma anche con il Sal 1 18,32 ( LXX) e con l'inutile fatica del servo sofferente (cf. ls 50,1 - 1 1 ). 1 49 Per lo spessore del timore presente in mè pos cf. anche BuRTON, A Critica/ and Exegetica/ Com­ mentary, 73; CoRSANI, Lettera ai Galati, 1 23; FuNG, The Epistle to the Galatians, 90; MussNER, La Lettera ai Galati, 87; ScHLIER, Lettera ai Galati, 70. 150 A causa della connessione narrativa tra il v. l e il v. 3 i l primo momento di questa unità narrati­ va si chiude con il v. 3 e non con il v. 2 come ritengono alcuni. Così invece TEODORETO DI CIRo, Ad Galatas 469; AGosTINo, Ad Galatas 2 1 1 1 ; GIROLAMo, Ad Ga/atas 359. Cf. anche BRucE, The Epistle of Pau/ to the Gala­ tians, 1 1 1 ; FuNG, The Epistle to the Galatians, 9 1 ; WATSON, Pau/, Judaism and the Genti/es, 50-5 1 . Di fatto, come si vedrà, da una prospettiva narrativa tra il v. 3 e il v. 4 non vi è alcuna connessione. 151 Forse è bene evidenziare che qui hellèn sta per ethnos, a dimostrazione della funzione esempla­ re di Tito per tutti gli etnico-cristiani. Le stesse proporzioni del termine verranno assunte in Rm 1 ,16; 2,9.20. Così anche BuRToN, A Critica/ and Exegetica/ Commentary, 76. Sulla funzione esemplare di Tito in Gal 2,3 cf. ScHtrrz , Pau/ and the Anatomy, 138.

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sionaria paolina, il caso di Tito sembra contrastare con quello di Timoteo, che secondo At 1 6,3 Paolo fece circoncidere. In realtà, si tratta di due situazioni diverse: Timoteo, a differenza di Tito, era di madre giudea, per cui si poteva opta­ re per la circoncisione. 152 Nell'economia della lettera è interessante l'utilizzazione del verbo anagka­ zein ( = costringere) con il quale si esprime un'azione violenta verso altri:153 mentre Tito non fu costretto a farsi circoncidere, in seguito Pietro viene rimpro­ verato da Paolo per costringere i gentili a vivere da giudei (Gal 2,14). In modo analogo si comportano coloro che vogliono costringere gli stessi galati alla cir­ concisione (Gal 6,12). Da quest'ultimo parallelo si comprende che tale costrizio­ ne non figura soltanto come obbligatorietà morale bensì come violenza soterio­ logica, in quanto relazionata alle condizioni per la salvezza. La prima parte di questa sezione autobiografica si chiude con l'introduzione del vocabolario sulla circoncisione, assente sino a ora in Galati: peritmethénai ( = farsi circoncidere). Anche se la pratica della circoncisione era riscontra bile in altre popolazioni, 154 in epoca imperiale rappresentava il segno distintivo del giu­ daismo. 155 Di fatto «costringere alla circoncisione» implica una giudaizzazione, come conferma il parallelo di Gal 2,14. La seconda parte di Gal 2,1-10 presenta diverse difficoltà di natura testuale, oltre che sintattiche e argomentative. Dopo aver sottolineato la funzio­ ne esemplare di Tito, rispetto ai destinatari della lettera, Paolo introduce dei nuovi interlocutori, i «falsi fratelli», di cui si parla soltanto nei vv. 4-5 . A prima vista sembra che questi avversari di Paolo avessero fatto pressione su Tito per costringerlo alla circoncisione; in tal caso la reazione di Paolo fu di intransigenza. Ma, a ben vedere, il linguaggio e la situazione che i vv. 4-5 rifletto­ no non hanno nulla a che vedere con la situazione di Tito, né con l'assemblea di Gerusalemme. 156 Anzitutto questi interlocutori, anche se vengono presentati da una prospet­ tiva negativa, rimangono «fratelli», ossia cristiani alla stessa maniera di Paolo e dei galati.157 Inoltre, con la scelta di un linguaggio politico, Paolo precisa la loro v. 4:

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Così anche BETz, Galatians, 89. 1 53 Questo verbo compare nel NT soltanto 9xx di cui 3xx in Gal (Ga1 2,3. 14; 6, 12); cf. anche Mt 1 4,32; Mc 6,45; Le 1 4,23; A t 26, 1 1 ; 28, 1 9; 2Cor 1 2,1 1 . Nella LXX lo stesso verbo viene spesso utilizzato in 1 -4Mac, a causa delle persecuzioni in corso (cf. 1 Mac 2,25; 2Mac 6, 1 .7 . 1 8; 7, 1 ; 8,24; 4Mac 4,26; 5,2; 8,1 .9). Cf. anche FLAVIO GIUSEPPE, Vita 23; Ant. 13,9, 1 ; 1 3 , 1 1 ,3. 154 Cf. ERODOTO, Hist. 2,104,2-3; STRABONE, Georg. 17,2,5; FILONE, Spec. 1 ,2. 155 Cf. TAcrro , Hist. 5,5,2; FLAVIO G1usEPPE, Ant. 1 , 1 92; PETRONIO, Satir. 1 02,14; GIOVENALE, Sat. 14,99. 156 Un tentativo di collegamento tra l 'esempio di Tito e la condotta di Paolo verso i «falsi fratelli>> è riconoscibile nella variante testuale del v. 5 per cui alcuni testimoni omettono la negazione hois oude, facen­ do intendere che per un attimo Paolo cedette nel far circoncidere Tito. Così D*, Ireneo (lat.), Tertulliano, Mario Vittorino e I'Ambrosiaster. Oltre alla maggiore attestazione dei codici che riportano la lezione con hois oude, questo sembra un tentativo per sia risolvere l'anacoluto che per superare l'apparente contrasto tra il caso di Tito e quello di Timoteo, descritto in A t 16,3. Così anche BETz, Galatians, 9 1 ; METZGER, A Tex­ tual Commentary, 591 -592; MussNER, La Lettera ai Galati, 1 92; PASTOR RAMOS, La libertad, 55. 1 57 Così anche ScHLJER, Lettera ai Galati, 74.

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azione di infiltrazione nei confronti della comunità cristiana presso la quale egli stesso si trova: essi si sono «introdotti» per «spiare» la libertà di questa comu­ nità.158 Questa situazione non può essersi verificata a Gerusalemme, durante l'assemblea, in quanto l'esigenza degli oppositori per la circoncisione degli etni­ co-cristiani non doveva sembrare del tutto estranea, trovando diversi aderenti tra i primi giudeo-cristiani. In un 'ipotetica assemblea senatoriale, questi trove­ rebbero una buona collocazione accanto al «partito di Giacomo», di cui si par­ lerà in Gal 2,12. In realtà i vv. 4-5 figurano, nell'intreccio della narrazione, come analettici, ossia come momento retrospettivo della narrazione: Paolo ha dimenticato, se non volutamente omesso, questa motivazione per la quale sale con la spedizione di Antiochia a Gerusalemme. A causa di questi falsi fratelli è stato necessario raggiungere Gerusalemme per ricevere le garanzie necessarie in vista dell'evan­ gelizzazione dei gentili. Dunque i vv. 4-5 non sembrano riguardare l'assemblea di Gerusalemme né il successivo incidente di Antiochia, bensì la situazione prece­ dente, forse la stessa che introduce la narrazione di At 1 5 , 1 -2. A conferma della natura analettica di Gal 2,4-5 si può saltare dal v. 3 al v. 6 senza accorgersi di vuoti narrativi tra le due fasi dell'assemblea.159 I passaggi improvvisi, dall'aoristo narrativo al tempo presente della situazione in Galazia e dal , in CBQ 54( 1 992), 503-5 10: WATSON, Pau/, Judaism and the Genti/es, 5 1 . 1 60 Nel tentativo di colmare le ellissi dei vv. 3-4 Orchard giunge a identificare i >, come a Pietro quello «della circoncisione>>. Non vi sono dubbi sull'utilizzazione, soprattutto in questo verso, di un linguaggio raro nell'epistolario paolino.178 Le espressioni «vangelo dell'acirconcisione» e «vangelo della circoncisione» sono uniche per Paolo; e dal punto di vista contenutistico sembrano contrastare con Gal l ,6-7 in cui egli aveva solennemente sostenuto l'esistenza di un solo vangelo. Pietro stesso viene stra­ namente citato nei vv. 7-8 con la denominazione greco-romana Petros, quando nella precedente citazione si trova il corrispondente semitico Kepha (Gal 1 , 1 8; cf. anche Gal 2,9. 1 1 ) . Tuttavia, questo non autorizza a sostenere l a presenza d i una sintesi proto­ collare dell'assemblea di Gerusalemme.179 Infatti il verbo pisteuein è ben atte-

J. L. 1AOUETIE, , in CBQ 56( 1 994), 68-80; LoNGENECKER, Galatians, 68. 1 75 Per il principio dell'imparzialità divina nell'AT ei Lv 1 9, 1 5 ; Dt 1 . 17; 16,19; Pr 18,5; Gb 13,10; Mal 2,9. Cf. anche At 1 0,24; 1Pt 1 ,1 7; Bam. 1 9,4; Did 4,3; 1 Clem 1 ,3; PouCARPO. Fil. 6.1 . Circa la rilevanza di que­ sto principio nella teologia paolina e in particolare in Romani cf. J.M. BAssLER, Divine Jmpartiality. Pau/ and a Theological Axiom, Chico 1 982. 176 Rm 2,1 1 ; Col 3,25; Ef 6,9; cf. Gc 2,1 . Cf. anche aprosopolemptos in 1Pt 1 ,1 7 . All'origine di questa fomula proverbiale è riconoscibile il semitico niiSii' piinfm (= guardare in faccia), utilizzato per indicare un atteggiamento di favore (cf. Gen 19,2 1 ; Dt 2,1 1 ). 177 Cf. lo stesso senso del verbo in SENOFONTE, Mem. 2,1,8. 1 78 Così BETZ, Galatians, 96; Co RSA NI Lettera ai Galati, 1 36. 1 79 Così invece G. KLEIN, Rekonstruktion und lnterpretation ihres Verhiiltnisse im Galaterbrief, Miin­ chen 1 969, 99- 1 1 1 ; cf. anche E. DINKLER, Signum Crucis. Aufsiitze zum Neuen Testament und zur Christlichen ,

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stato nel vocabolario paolino. In questo caso si tratta di un passivo divino e di un perfetto durativo: è Dio stesso che gli ha affidato per sempre il vangelo da annunciare ai gentili (cf. 1 Cor 9,17; 1Tm 1 , 1 1 ) . 180 Ma l'ipotesi per un testo non paolino si scontra soprattutto con l' emoi ( = a me) del v. 8, caratteristico dello stile e del linguaggio paolino. La contraddizione di Gal 2,7 rispetto a Gal 1 ,6-7 è apparente più che reale: Paolo non distingue due tipi di vangelo, riferendosi al suo contenuto «kerygma­ tico», bensì due orientamenti diversi nella missione di evangelizzazione. 181 In questione, ancora una volta, non si trova il vangelo in quanto tale ma le sue diverse distinzioni. Questo è confermato dai vv. 8-9, in cui entrano in gioco l'a­ postolato verso la circoncisione e quello verso i gentili. Poiché queste formula­ zioni sono metonimiche, in quanto sostituiscono l'astratto per il concreto, si pos­ sono rendere con «vangelo per i giudei>> e «vangelo per i gentili>>.182 Comunque rimane la problematica consistenza di questa divisione di campi nell'apostolato, sostenuta da Paolo stesso con la garanzia divina in Gal 2,7-8. Piuttosto, poiché implicitamente si riconosce in Gal 2,1 1 -14 una relazione tra Pietro e gli incir­ concisi, forse non è errato pensare, anche in tal caso, a una «idealizzazione>> auto­ biografica, con la quale Paolo si propone di stabilire una maggiore relazione tra il proprio apostolato e le comunità gentili della Galazia. v. 8: Questo verso non fa che ribadire, esplicitando alcuni aspetti, il contenu­ to del verso precedente: l'indugio narrativo sull'apostolato paolino e sulla sua origine divina dimostra l'importanza che nell'autobiografia assumono questi due elementi. Anche se non viene espresso il soggetto di colui che opera sia «a favo­ re» di Pietro che di Paolo, ci si riferisce a Dio stesso, come per il v. 7.183 Nell'in­ treccio del racconto, anche questo verso si presenta come parentetico (cf. le parentesi dei vv. 4-5.6bc) : lo dimostra la ripresa, anche se con una certa progres­ sione retorica, di «avendo visto» (idontes, v. 7) in «avendo riconosciuto» (kai gnontes, v. 9).184 Tuttavia si deve rilevare ancora la presenza di un termine raro nell'epistolario paolino, come nel NT: apostolé.185

Archiiologie, Ttibingen 1967, 270-282. Contro questa ipotesi cf. BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 1 2 1 ; CoRSANI, Lettera ai Galati, 137; B.H . McLEAN, «Galatians 2.7-9 and the Recognition of Paul's Apostolic Status at the Jerusalem Conference: A Critique of G. Ltidemann's Solution», in NTS 37( 1 99 1 ) , 70; ScHùTZ, Pau/ and the Anatomy, 147. 1 80 Così anche EBELING, La verità dell'evangelo, 1 23; MussNER, La Lettera ai Galati, 200. 181 Per questo «Vangelo dell'incirconcisione>> e «Vangelo della circoncisione» sono genitivi di scopo o «di destinazione» più che oggettivi, da rendere con «per l'incirconcisione» e «per la circoncisione>>. Così anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 138; EBELING, La verità dell'evangelo, 1 23; MATERA, Galatians, 76; ScHLIER, Lettera ai Galati, 19. 182 Per la stessa sostituzione cf. 1 Cor 7,18. 1 9; Rm 3,30; 4,9. 1 1 ; 15,8; Col 3, 1 1 ; 4,1 1 ; Ef 2,1 1 ; Tt 1 ,10. Cf. anche RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 87. 1 83 Cf. Gal 3,5; 1 Ts 2,13; 1 Cor 12,6. 1 1 ; Fil 2,13: Col 1 ,29; Ef 1 , 1 1 .20; cf. anche Mc 6,14. Per quanto riguarda i dativi Petni ed emoi sono «di favore>>. Cf. ScHLIER, Lettera ai Galati, 8 1 . 184 Così anche1 BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ au.x Galates, 42; BuRToN, A Critica/ and Exegetica/ Commentary, 93. 1 85 Cf. l Cor 9,2; Rm 1 ,5: At 1 ,25. Così anche BETZ, Galatians, 97; MATERA, Galatians, 76. ·

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v. 9: Il riconoscimento dei notabili viene ratificato attraverso il rituale della «mano destra» che essi offrono a Paolo e Barnaba. Nell'intreccio della narrazio­ ne questo verso è fondamentale per la citazione di Giacomo, Cefa e Giovanni, quali interlocutori di Paolo e di Barnaba, anche se le modalità di riferimento creano diverse difficoltà. Anzitutto, perché Paolo cita Giacomo prima di Cefa? E perché mentre nei vv. 7-8 ha detto Petros ora preferisce Képhas? Per quanto riguarda la precedenza di Giacomo rispetto a Pietro e a Giovan­ ni, forse è dovuta all'importanza crescente che questi assunse nella comunità di Gerusalemme (cf. At 12,17), 186 ma anche, in prospettiva prolettica, al ruolo che il suo partito svolgerà durante l'incidente di Antiochia (cf. Gal 2,1 1 ).187 Questo non sminuisce minimamente il ruolo di Pietro nella Chiesa del I secolo; piuttosto, come confermerà l'incidente di Antiochia, la sua autorevolezza aveva una por­ tata più generale, mentre quella di Giacomo era limitata alla comunità di Geru­ salemme. Alcuni relazionano l'autorevolezza di Giacomo, Pietro e Giovanni all'esperienza comune della trasfigurazione (cf. Mc 9,2).188 Tale connessione ri­ spetto a Giacomo è tutt'altro che naturale, in quanto non sembra evidente la sua identificazione con il Giacomo fratello di Giovanni. Di più difficile comprensione è la motivazione per cui al v. 9 subentra Képhas invece di Petros. Forse la via di soluzione si trova nell'utilizzazione della metafo­ ra dell'edificio: degli styloi, ossia delle colonne della Chiesa primitiva, Pietro ne rappresenta anche la «pietra>>, come fa intendere maggiormente la denomina­ zione semitica rispetto a quella di origine greco-romana. Per le altre due «colon­ ne>>, Giacomo è lo stesso incontrato durante la prima salita a Gerusalemme e definito come «il fratello del Signore>> (Gal 1 , 1 9); questo appellativo lo distingue sia da Giacomo, il figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni (cf. Mt 4,2 1 ; Mc 1 , 1 9; Le 5,10; At 1 2,2), che da Giacomo di Alfeo (cf. M t 10,3; Mc 3,18; Le 6,15). Forse non è errato accostare questo Giacomo allo stesso citato in Mc 6,3, in cui Gesù viene denominato come «suo fratello>>. Comunque, lo stesso Luca gli riconoscerà un ruolo di primo piano durante l'assemblea di Gerusalemme (cf. At 1 5,13) e in 1 Cor 15,7 Paolo lo citerà come uno dei primi destinatari delle appa­ rizioni postpasquali. Invece, di Giovanni, come di Tito, non si fa alcuna menzio­ ne in At 15; e questa è l'unica citazione dell'epistolario paolina. Questi tre nota­ bili vengono considerati da Paolo come le «colonne>>, determinando, in tal modo, una distinzione rispetto ai «notabili» citati nei vv. 2.6.6: essi fanno parte sempre dei notabili ma assumono un ruolo particolare durante la stessa assemblea di Gerusalemme.

186 Cf. DuNN. Galatians, 1 09: M . HENGEL, > che si tro­ vano disseminati, con intenti di esemplarità, nella narrazione di Gal 1 ,13-2,21 .201 Questo significa che durante l'assemblea di Gerusalemme si è convenuti più sulla comunione nell'evangelizzazione che sulla divisione dei campi della missione.202 v. 10: La narrazione sull'assemblea di Gerusalemme si chiude con un riferi­ mento alla colletta per i «poveri» che raccomandarono le «tre colonne». Non deve sorprendere più di tanto l'assenza di questa raccomandazione nella narra­ zione lucana di At 15: essa più che una clausola dettata dai notabili rappresenta un invito concreto alla comunione di cui Paolo ha parlato al v. 9. Per questo il monon (= soltanto) che introduce il v. 10 si riferisce più a quanto segue che a ciò che Paolo ha detto in precedenza:203 rimane valido che a Gerusalemme i notabi­ li non gli imposero nulla rispetto all'evangelizzazione dei gentili, anche se gli rac­ comandarono la colletta per i «poveri».

1 97 Così anche HowARD, Pau/: Crisis in Galatia. 29. Sulla relazione tra la «comunione» e il vangelo paolino in Gal 2.1-10 cf. E. FRANCO, Comunione e partecipazione. La koinonia nell'epistolario paolino, Bre­ scia 1986, 1 52-162. 1 98 Così BLASS - DEBRUNNER - REHKOPF, Grammatica, 391 n. 12. 1 99 Cf. MussNER, La Lettera ai Galati, 208. 200 Per l'interpretazione etnica di Gal 2,9 cf. K1M, The Origin of Paul's Gospel, 272; G. LùoEMANN, Paulus, der Heidenapostel. Antipaulinismus im fruhen Christentum, Gottingen 1 983, II, 62. Per il valore geo­ grafico cf. MATERA, Galatians, 77. 201 Forse non a torto Watson considera Gal 2,7-9 rispetto a Gal 2,1 1-14 come tendenzioso. Cf. WAT­ soN. Pau/, Judaism and the Genti/es, 55. 202 Così anche TAYLOR, Pau/, Antioch and Jerusalem, 1 1 5. Forse non a torto Holmberg preferisce con­ siderare questa distinzione come «teologica>> più che pratica. Cf. B. HoLMBERG, Pau/ and Power: The Struc­ ture of A uthority in the Primitive Church as Reflected in the Pauline Epistles, Lund 1 978, 30-3 1 . 203 Lo stesso valore assume monon i n 2Ts 2,7; Fil 1 ,27. Cf. anche IGNAZIO, Rom. 5,3. Così anche BoN­ NARD. L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, 43.

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Nelle grandi lettere, soprattutto quando si perviene alla conclusione, spesso Paolo affronta il problema della colletta per la Chiesa di Gerusalemme.204 Da un punto di vista storico sembra che proprio le comunità della Galazia furono le prime a organizzare una colletta per la Chiesa di Gerusalemme (cf. 1 Cor 16,1 ); seguirono le collette da parte delle Chiese macedoni, vale a dire quella di Filip­ pi e di Tessalonica (cf. 2Cor 8,1 ). Infine ci sono pervenute alcune attestazioni sulla colletta nella comunità di Corinto (cf. 2Cor 9,2). Soltanto per le comunità di Colossi e di Efeso non ci sono giunti dei riferimenti alla colletta; nulla vieta che anche queste vi presero parte, giacché si trattava di una costante preoccupa­ zione da parte di Paolo. Risulta invece complessa la definizione dei «poveri», come destinatari della colletta, in Gal 2,9: rappresentano una parte della comunità gerosolimitana oppure è l'intera comunità a essere considerata come povera? Nei testi paralleli in cui viene affrontata l'esortazione alla colletta, Paolo generalmente cita i «santi» (cf. 1Cor 16, 1 ; 2Cor 8,4; 9,12). Soltanto in Gal 2,9 si parla di «poveri», mentre in Rm 15,26 si riscontra l'espressione «poveri dei santi». La stretta con­ nessione, in questi contesti, tra «poveri» e «Santi» ci induce a pensare che i «poveri» in questione non costituivano una parte, bensì l'intera comunità di Gerusalemme che versava in una situazione di indigenza.205 In tal caso rimane difficile stabilire le motivazioni per cui la comunità madre per sopravvivere, dal punto di vista economico, avesse bisogno delle collette provenienti dalle comu­ nità paoline. Forse i suoi componenti erano di umili origini, come una parte della comunità di Corinto (cf. 1Cor 1 ,26-3 1 ) , oppure le persecuzioni provenienti dal giudaismo ortodosso l'avevano prostrata sino a una situazione di indigenza. Non è escluso che questa condizione rappresenti il perdurare della carestia che sotto Claudio, tra il 46 e il 48 d.C., colpì la Giudea.206 Per il significato che Paolo attribuisce alla colletta per i «poveri», sembra fuori luogo un riferimento alla spiritualità degli 'anawìm:207 questa rilevanza acquisterebbe un maggiore significato nella teologia lucana che in quella paoli­ na. Forse altrettanto forzata è l'analogia tra la tassa per il tempio di Gerusalem­ me e le collette per la comunità di Gerusalemme.208 Piuttosto queste collette rimanevano libere e, a quanto sembra, devolute soltanto dalle comunità di origi204 Cf. 1Cor 16,1-4; 2Cor 8,1-9,16; Rm 15,25-32; cf. anche Hl 4, 1 0-20 in cui si attesta una colletta della chiesa di Filippi per Paolo stesso. Sulla colletta nell'epistolario paolino cf. J. ECK E RT, Die Kollekte des Paulus fii r Jerusalem, in F. MussNER - P.. G. MuLLER - W. STENG E R (edd.), Kontinuitiit und Einheit, Freiburg 1 98 1 , 65-80: D. GEo RGI, Die Geschichte der Kollekte des Pau/us fii r Jerusalem, Hamburg-Bergstedt 1 965; L.W. HuRTADO. «The Jerusalem Collection an d the Book of Galatians>>, in JSNT 5(1979). 46-62; PrrrA , Sinossi paolina, 277-289. 205 Per l'utilizzazione di 'ani e di 'ebyon riferiti ai membri della comunità di Qumran cf. l Q H 2,32; 5.2 1 ; 18.1 4.22. In questi paralleli comunque è necessario riconoscere una dominante connotazione religiosa più che economica. 2 06 Cf. At 1 1 .28; cf. anche FLAvio GIUSEPPE, Ant. 20,5,2. Su questa carestia cf. E. ScHORER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, Brescia 1985, I, 557. 207 Così invece L. KEcK, , 495 ; l o ., riferito ai gentili, diffuso nel giudaismo contemporaneo, cf. Sal Salom 1 , 1 ; 2.1-2; Sap 19,13; Giub 23,23-24; 1 Mac 1 ,34; 4Esd 3,30; Tb 6,13; Aristea 153-1 54; Le 6,32-33 . Cf. anche H.L. STRAcK P. B ILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, Miinchen 1926, III, 537. Così anche BYRNE, «Sons of God», 144. 298 Per l'utilizzazione del termine «peccatore•• in contesti di polemiche intragiudaiche cf. 1 Mac 1 ,34; 1 En 5,4-7; 1QH 2,8-12; l QpHab 5,4-8; Sal Salom 4,8; 1 3,6- 12. 2 99 Così A. SuHL, «Der Galaterbrie( Situation und Argumentation>>, in ANRW Il.25.4( 1 987), 3103. 300 Così VANHOYE, La Lettera ai Galati, 12-13. 30 1 Sul chiasmo di Gal 2,16 cf. VANHOYE, La Lettera ai Galati, 1 6; WINGER, By What Law?, 130- 1 3 1 . 302 Così L . GAsro N, Pau/ and the Torah, Vancouver 1 987, 69; H . RAISANEN. >, in LAMBRECHT (ed.), The Troth of the Gospel, 187-219; H. HOBNER, , in NTS 22( 1 974- 1 975), 462-488 ; Io., « Rechtfertigung und Stihne bei Paulus. Eine Hermeneutische und Theologische Besinnung», in NTS 39( 1 993), 80-93; E. KAsEMANN, Pro­ spettive paoline, Brescia 1 972, 93- 1 18; K. KERTELGE, «Zur Deutung des Rechtfertigungsbegriffs im Galater­ brief>>, in HZ 1 2 ( 1 968), 2 1 1 -222; Io . « Giustificazione» in Paolo. Studi sulla struttura e sul significato del con­ cetto paolino di giustificazione, Brescia 1 99 1 ; M.A. SEIFRm, Justification by Faith. The Origin and Develop­ ment of a Centrai Pauline Theme, Leiden 1 992; P. SruHLMACHER, Gerechtigkeit Gottes bei Paulus (FRLANT 87), Gottingen 1 965; J.A. ZIESLER, The Meaning of Righteousness in Pau/. A Linguistic and Theologica/ Enquiry (SNTS MS 20), London-New York 1972. 309 Per il compito della giustizia riservata al giudice che condanna o assolve cf. Es 23,7; Dt 25, 1 ; 2Sam 15 ,4; Sal 5 1 ,4; Is 5.23; 43,26; Mi 6,1 1 . .

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2 , 1 5-21

143

positivamente: «>, J.D.G. DuNN, >, in JSNT 46( 1 992), 99-1 17. 322 Cf. BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 1 2 1 ; DuNN, > (cf. Gc 2,26).

33 1 Sulla presenza e la funzione delle paraclesi paoline si veda il commento a Ga1 5 . 1 3- 1 5 .

Gal

2 , 1 5-21

147

Il confronto tra la concezione della giustificazione in Paolo e in Giacomo deve dunque tener conto, ancora un volta, dei livelli argomentativi o retorici diversi, in base ai quali la «sola fede» non significa che questa rimane inoperosa e incapace di opere. Dunque, Giacomo non sembra contestare la concezione paolina della giustificazione, bensì un superficiale paolinismo che si andava diffondendo nelle prime comunità cristiane e che lo stesso Paolo aveva già rifiu­ tato: «Perché non dovremmo fare il male affinché venga il bene, come alcuni ci calunniano, la cui condanna è ben giusta, dicendo che noi affermiamo?» (Rm 3,8). Anche la l Corinzi attesta questo paolinismo deleterio fondato sul «tutto mi è lecito», perché giustificati mediante la fede in Cristo (cf. l Cor 6,12; 10,23). Piut­ tosto, proprio a causa della giustificazione in Cristo, non è concepibile un liberti­ nismo che diventa attestazione dell'uomo vecchio e non della «nuova creazione» che, invece, nell'etica dell'agape riscontra il suo ambito fondamentale di realiz­ zazione e di verifica, nel superamento di soggettivismi morali estranei al pensie­ ro paolino. v. 17: Un'ipotetica irreale332 introduce la seconda parte della pericope (vv. 1720) nella quale subentra lo stile della diatriba, riconoscibile attraverso la doman­ da retorica alla quale segue un immediato rifiuto. Allo stile diatribico appartie­ ne anche il passaggio improvviso dalla prima persona plurale (v. 17) alla prima singolare (v. 18). La presenza di questo stile, utilizzato per la prima volta in Gala­ ti (ci in seguito Gal 3,19-22), conferma la prospettiva più estesa della mimesi paolina: non è pensabile un tipo di questione diatribica come questa durante l'in­ cidente di Antiochia, anche se può emergere da una rilettura successiva di quel­ l'evento; invece è del tutto pertinente alla situazione attuale della Galazia che ora Paolo affronta direttamente.333 Dal punto di vista semantico, questo verso riprende dalla fondamentale sen­ tenza dei vv. 15-16 il kai autoi, che sostituisce il precedente kai hemeis, e l'im­ portante hamartoloi, con la novità che ora come «peccatori» non vengono più considerati i gentili ma i giudei che hanno creduto in Cristo. Da una premessa irreale, in quanto di fatto Paolo e i giudeo-cristiani non sono stati trovati come «peccatori», sullo stesso livello dei gentili senza Cristo, deriva una conseguenza

332 In tal modo era interpretata già da GioVANNI CRISOSTOMO, Ad Ga/atas 65 1 -653; AMBROSIASTER, Ad Galatas 35 1 . Cf. anche BuLTMANN, «Zur Auslegung von Gal 2 , 1 5- 1 8», 395; KIEFFER, Foi et justification, 55; MussNER, La Lettera ai Galati, 285. Invece LAMBRECHT, > generale analogo a quello di Rm 7. Per un «iO>> superindividuale propendono anche BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ au.x Galates, 55; B RUCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 1 42; J.M. DIAZ RooELAS, Pab/o y la Ley. La novedad de Rom 7, 7-8 en el Conjunto de la Reflexi6n Paulina sobre la Ley, EsteUa 1 994, 37; FuNG, The Epistle to the Galatians, 1 20; Mus­ sNER, La Lettera ai Galati, 287; RmoERBos, The Epistle of Pau/, 102; ScHUER, Lettera ai Galati, 99. 340 Così MussNER, La Lettera ai Galati, 288. 34 1 Per l' AT il binomio verbale del «demolire-costruire>> è tipico di Geremia: cf. Ger 12, 16-17; 24,6; 31 ,4.28; 33,7. Cf. anche ls 5,2.5. Generalmente il verbo oikodomein nell 'epistolario paolina ha valore posi­ tivo e non negativo: cf. 1Ts 5,1 1 ; 1 Cor 8, 1 . 10; 1 0,23: 14,4. 17; Rm 15,20. Qui il verbo assume valenza negativa in quanto relazionato al passato precristiano di Paolo e non all'attuale edificazione ecclesiale, come invece pensa GAsTON, Pau/ and the Torah, 7 1 . 342 Cf. M c 1 4.58; 15,29; Mt 5,17; E f 2,14; c f. anche Aristea 139.

Commento

150

questo nei vv. 1 9-20 si trova la risposta fondamentale che nega, in modo definiti­ vo, la consistenza dell'ipotesi diatribica. Il verbo synistan6 svolge un ruolo polisemico nel NT: può significare «pro­ vare; dimostrare» (cf. 2Cor 7,1 1 ; Rm 3,5; 5,8) ,343 «raccomandare» (cf. 2Cor 3,1; 4,2; 5,12; Rm 16,1). Nel nostro caso sembra più pertinente il significato di «costi­ tuire», a causa dei riferimenti contestuali alla situazione nuova dei giudei che hanno creduto in Cristo.344 Prima di passare alla risposta successiva forse è bene precisare, contro quan­ ti pensano alla Legge come oggetto di demolizione, che di per sé Paolo proprio al v. 18 non cita la Legge. Come si vedrà, la Legge, in quanto non osservata, viene considerata negativamente ma non può essere abrogata da Paolo né da alcun altro. Per questo, ciò che viene demolito in Gal 2,18 non è la Legge bensì una giu­ stificazione fondata sulla Legge, un sistema religioso basato sulle «opere della Legge». Anche per Gal 2,18 vale il principio che Paolo formulerà, in modo espli­ cito, in Rm 3,3 1 : «Dunque abroghiamo la Legge mediante la fede? Non sia mai! Invece confermiamo la Legge».345 In ultima analisi, per quanto si possa conside­ rare negativamente la Legge, questa non si scontra mai con le promesse di Dio (cf. Gal 3,21). Nei vv 19-20 l'argomentazione si fa più densa e serrata: lo dimostra un nuovo gar causale (v. 19) che introduce la seconda risposta all'obiezione diatri­ bica del v. 17. Ora viene posto maggiormente in enfasi l'io di Paolo e il suo iti­ nerario di morte e di vita.346 Dal punto di vista semantico, nei vv 1 9-20 subentra il linguaggio biologico-esistenziale del «vivere-morire» che prende il posto di quello prevalentemente giuridico dei vv. 15-18; a sua volta, il v. 2 1 ripresenterà il vocabolario giuridico per chiudere l'intera argomentazione.347 La prima parte del v. 19 rappresenta una delle asserzioni più complesse del­ l'epistolario paolino: è un vero «puzzle» che mette a dura prova qualsiasi esege­ ta. Nel tentativo di affrontarne le difficoltà, forse è bene partire dalla dimensio­ ne retorica della proposizione paolina: «mediante la Legge sono morto alla Legge» si presenta come ossimoro, vale a dire come formula paradossale. Anziv.

19:

.

.

343 Questo valore debole viene preferito da BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 1 3 1 ; LAMBRECIIT, «Transgressor by Nullifying God's Grace». 223; MussNER, L a Lettera a i Galati, 287. 344 Cf. anche KIEFFER, Foi et justification, 66. Per il valore forte di synistanein cf. Nm 27,23; 2Mac 14,15; 3Mac 1 , 19; 2,26. 345 Così anche EBELING, La verità dell'evangelo, 1 53-1 54. 346 Anche se posta in maggiore enfasi la prima persona singolare del v. 19, mediante l'anticipazio­ ne di ego, ci sembra naturale pensare allo stesso Paolo come soggetto, senza dimenticare l'intenzione esem­ plare rispetto ai destinatari che questo «io» svolge; è bene ricordare che ci troviamo ancora nell'autobio­ grafia paolina (Gal 1 , 1 3-2,2 1 ) . Così anche BARBAGLio, «Alle comunità di Galazia>>, 85; VANHOYE, La Lette­ ra ai Galati, 33: H. WEDER, Das Kreuz bei Paulus: Ein Versuch ilber den Geschichtsbezug des christlichen nachzudenken. Gottingen 198 1 , 1 75 ; WINGER, By What Law?,150. Invece propendono per un genera­ le BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, 55; KIEFFER, Foi et justification, 62; MussNER, La Lettera ai Galati, 290. 347 Invece Farahian attribuisce il vocabolario biologico esistenziale anche al v. 2 1 . Cf. E. FARAHIAN, Le «le» paulinien. Étude pour mieux comprendre Ga/ 2, 19-21 (AnGr 253), Roma 1 988, 241 .

Gal

2 , 1 5-21

151

tutto, come fa una persona a parlare e dire di essere morta? Ma soprattutto, come può la Legge essere strumento di morte per chi muore nei suoi stessi con­ fronti? In pratica, la Legge andrebbe contro se stessa! Altrettanto illogica è la sequenza che va dalla morte alla vita, mentre normalmente si procede dalla vita alla mort� Lo statuto paradossale del v. 1 9a determina almeno il punto fermo che per nomos Paolo intende sempre la stessa realtà, altrimenti il paradosso perde di incidenza e non rimane più tale. Dunque Paolo non muore alla Legge come legislazione, mediante la Legge come rivelazione, né alla Legge dell' AT mediante quella dello Spirito,348 o «di Cristo» (cf. Gal 6,2).349 Piuttosto in Gal 2,19 è sempre la stessa Legge che rappresenta lo strumento della sua stessa nega­ zione. Tuttavia Paolo non dice che in quanto egli è morto alla Legge, questa è stata abrogata: su di lui non avrà più autorità, per cui non lo si potrà accusare di peccato né di trasgressione, ma questo non significa che in quanto tale la Legge è abrogata. Inoltre egli non asserisce che la Legge rappresenta la causa della sua morte: ne è lo strumento, come ben dimostra il dia nomou, non la causa.350 La ragione della sua morte sarà un'altra, come dimostrerà il v. 20. Per questo non si può seguire, nel processo di detronizzazione della Legge secondo Paolo, neppu­ re la strada del nomismo: poiché la Legge condanna Cristo e il cristiano, deve essere abolita.35 1 Tale concezione non è mai presente negli orizzonti di Galati, sia nei confronti del Cristo che del cristiano. In certo senso il paradosso del v. 19a viene attutito dalla finale successiva: «affinché vivessi per Dio»; la morte di Paolo non è assoluta, altrimenti non potrebbe neppure parlare, ma relazionata alla Legge, come la sua vita è rappor­ tata a Dio.352 Con il v. 19b comincia una nlJova composizione chiastica, che prosegue sino alla conclusione del v. 20:

348 In questa direzione si muove l'interpretazione di Lyonnet, che rapporta il «mediante la Legge>> alla Legge del cuore annunciata dall'oracolo di Ger 3 1 ,3 1 -34. Cf. S. LYONNET, «Mi ha amato e ha dato se stes­ so per me (Gal 2,20)>>, in PSV 10(1984), 1 65-166. Contro questa soluzione è bene evidenziare che Paolo non parla di due tipi di Legge, con ulteriori specificazioni: Gal 2,19 non si può spiegare alla luce di Rm 8,2 in cui realmente Paolo oppone la «Legge dello Spirito>> alla «Legge del peccato>>. Nulla fa pensare qui a due tipi di Legge contrapposti. La stessa citazione di Ger 3 1 ,3 1 -34 non trova alcun riscontro testuale in Gal 2,19. 349 Così commentava MARIO Vrrro RJNo, Ad Galatas 1 165: «Per legem Christi mortuus sum legi Judaeorum ante datae». 350 Non vi sono ragioni valide per interpretare il dia come «circostanziale>>, per cui Paolo morì men­ tre viveva sotto la Legge. Così invece CoRs AN J, Lettera ai Galati, 1 77. Questo non rappresenta che un modo diverso per attutire ancora una volta il paradosso paolino e per aggirare le difficoltà della formulazione. Invece per il normale valore strumentale di dia cf. BYRNE, «Sons of God», 1 46; FuNG, The Epistle to the Gala­ tians, 1 23; S. ZEDDA, , in Riva 37( 1 989), 83. 35 1 Contro R.G. HAMERTON-KELLY, , in CBQ 52( 1 990), 63; HOBNER, , 80-93; KJEFFER, Foi et justification, 69; B.L. MAR­ TIN, Christ and the Law in Pau/ (SNT 62), Leiden 1 989, 1 14; SCHLJER, Lettera ai Galati, 104. 352 Nei dativi nomo e theo , in quanto paralleli, è riconoscibile una valenza di relazione più che di favore o di sfavore; infatti, a nche se Paolo muore in rapporto alla Legge, questo non intacca minimamente il valore della Legge, come il proprio vivere in rapporto a Dio non rappresenta un nei suoi con­ fronti. Per l'interpretazione dei dativi e >, in H.W. WoLFF (ed.), Pro­ bleme biblischer Theologie, FS. G. von Rad zum 70. Geburtstag, Mtinchen 1 97 1 , 97-100. 91 Cf. Rm 4,3.9.22.23; cf. anche Gc 2,23; 1 Clem 10,1 .6; Bam 6,8; 9,7-8; 1 3,7; I G NAZIO, Fil. 9,1 ; G 1 u snNo, Dia/. 23,4; 92,3; 1 1 9,6. 92 Cf. FILONE, Mut. 177 e 1 86; Mig. 44; Ab r. 262-274; Deus 4; Virt. 216-218; Praem. 27-30. Cf. anche Sir 44,19-2 1 ; l Mac 2,52; Giub 2 1 ,2; 23,10; CD 3,2. 93 Cf. anche l Mac 2,52; Giub 17,18; 1 9,8. 94 Cf. soprattutto Giub 12; Apoc A br 1 -8; FILONE, Ab r. 60-88; FLAVIO GiusEPPE, Ant. l ,155. 95 Cf. DuNN, Galatians, 1 6 1 . 96 Così V ANHOYE. L a Lettera a i Galati. 72. =

178

Commento

«giustizia». Infatti, dal contesto di Gal 2,16-3,5 si comprende che la fede a cui Paolo si riferisce non è tanto la fedeltà di Abramo, quanto la «fede in Cristo» (cf. Gal 2,1 6.20) che in Abramo riscontra un suo primo modello. Non a caso il verbo episteusen funge da «parola gancio» fra il v. 5, che si era concluso con pisteos, e il v. 6: Paolo si riferisce a quell'ascolto qualificato dalla fede in Cristo che ha per­ messo ai galati di ricevere lo Spirito (cf. Gal 3,2.5). Anche il verbo elogisthe (= gli fu accreditato) non indica tanto un'operazio­ ne di credito, come fa intendere il linguaggio commerciale greco, quanto un'at­ tribuzione che Dio stesso conferisce ad Abramo, come dimostra, in modo più esteso, il parallelo di Rm 4,4-5: per questo il suo senso è più vicino all'ebraico /:lii.Sa b del TM.97 Dunque non è Abramo che si accredita da sé una sorta di conto bancario determinato dai propri meriti, ma Dio stesso gli apre tale conto, solo per grazia: e questo vale per tutti coloro che aderiscono a Cristo mediante la fede. La stessa giustizia ora non viene più presentata per ciò che non è, come in Gal 2,16, ma in modo positivo, per la sua natura salvifica, determinata dalla fede in Cristo: nell'orizzonte si trova la giustificazione operata da Cristo che Paolo presenterà in modo paradossale nei vv. 13-14.98 'y.. v. 7: La seconda parte di questa sub-propositio di Galati è presentata subito come conclusione applicativa rispetto a quanto precede, come dimostra la parti­ cella conclusiva ara ( = quindi) . Paolo non si sofferma a commentare il modello di Abramo e ne trae subito le conseguenze utili per la propria argomentazione. Rispetto al v. 6, questa conclusione assume il ruolo fondamentale di chiarire l'accentuazione della dimostrazione paolina: non tanto la giustizia né l'opposi­ zione fra la fede e la Legge che non viene neppure menzionata nella tesi, bensì la connessione fra la fede e la figliolanza di Abramo.99 Paolo intende proprio dimostrare, in questa sezione, che la fede rende figli di Abramo. A prima vista questa relazione non sembra così evidente: nel contesto del «midrash» (Gal 3,6-14) si trova soltanto la questione della fede e non quella della figliolanza. Tuttavia, se si estende la funzione argomentativa dei vv. 6-7 all'intera dimostrazione di 3,1-4,7, si comprende come, nelle pericopi successive, Paolo passerà a dimostrare l'origine e la natura di questa figliolanza_HJO Naturalmente,

97 Schlier esplicita maggiormente il valore teologico di questo verbo aggiungendovi un «Secondo la grazia». Cf. ScHLIER, Lettera ai Galati. 133. 9� Per la connotazione relazionale con l'alleanza e per la dimensione apocalittica e soteriologica della giustizia in Galati si veda il commento a Gal 2,16. 99 Anche Drane sottolinea la centralità della relazione tra fede e figliolanza in Gal 3,6-4,7, pur se in base a osservazioni !ematiche e non argomentative. Cf. J.W. DRANE, Pau/, Libertine or Legalist? A Study in the Theology of the Major Pauline Epistles. London 1 975, 24. 1 00 Invece EsELING, La verità dell'evangelo, 1 9 1 , pur intuendone la funzione, considera il v. 7 come tesi soltanto dei vv. 6- 14. In realtà nei vv. 6- 14 non si afferma nulla della relazione tra fede e figliolanza, se non in modo implicito nel v. 14: questa viene invece dimostrata in Gal 3,15--4,7. Per l'importanza di Gal 3,6-7 nell'economia di Gal 3--4 cf. P.C. BùrrGER, «Paulus und Petrus in Antiochien», in NTS 37( 1 99 1 ) , 99:

Gal 3,6- 1 4

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poiché la figliolanza abramitica è determinata dalla fede, è necessario prima spiegare il valore di questa, in quanto senza di essa non si ha alcuna figliolanza: ecco perché nel «midrash» il tema della figliolanza viene soltanto accennato per essere ripreso in seguito.101 Il commento alla citazione di Gen 15,6 si apre con un gin6skete ( = ricono­ scete) che, da una parte, richiama il gn6riz6 gar hymin ( = vi rendo noto) di Gal 1 , 1 1 , ossia la tesi generale della lettera (Gal 1 , 1 1 -12), spiegando il primo aspetto contenutistico del vangelo paolino consistente nella figliolanza che deriva dalla fede e, dall'altra, l'orientamento conoscitivo della tesi e dunque della seconda dimostrazione. Si tratta di un'applicazione logica e non affettiva o volitiva. 102 I galati prima di optare o meno per la circoncisione sono invitati a «conoscere», meglio a «riconoscere», il valore della loro figliolanza realizzata mediante la fede e non con la Legge. Ancora una volta balza agli occhi la natura dimostrativa o epidittica di queste argomentazioni. La natura «logica» dell'applicazione non deve, tuttavia, far pensare a una tesi poco concreta e carente di implicazioni esistenziali; tutt'altro, il verbo gin6skete ha valore imperativale e non indicativo, 103 per cui implicitamente i destinatari sono invitati a trarre le conseguenze da tale ripresentazione del vangelo paolino. Interessante è anche la relazione fra questo verbo e mathein ( = imparare) del v. 2: nell'apostrofe Paolo era disposto a imparare dai destinatari;104 questa non voleva che essere un'incisiva provocazione. Sono essi che devono imparare anco­ ra il valore e le conseguenze della sua evangelizzazione. Un houtoi, nello stesso tempo con valore enfatico e restrittivo, annuncia la relazione fra «coloro che provengono dalla fede» e i «figli di Abramo»: non tutti sono figli di Abramo, ma coloro che provengono dalla fede, intendendo que­ st'ultima ancora come la «fede in Cristo». Il valore restrittivo o esclusivo di hou­ toi è confermato dalla successiva opposizione fra «coloro che provengono dalla fede» (v. 9) e «coloro che provengono dalle opere della Legge» (v. 10). Per que-

IN-Gvu HoNG, , in NT 36( 1 994) , 165- 1 66. 101 Da un nostro modo di argomentare avremmo forse preferito un'articolazione più logica, in cui fede e figliolanza venissero subito spiegate, giacché vengono annunciate al v. 7. Tuttavia è necessario ricor­ dare che Paolo non segue un nostro modello argomentativo: procede piuttosto per sviluppi successivi. E questo non può indurre a considerare la sua argomentazione illogica, come invece sostiene VANHOYE, «Pen­ sée théologique>>, 104-105; non sarà ordinata ma pur sempre capace di dimostrare, mediante diversi tipi di argomentazione, la sua tesi principale. Il compito dell'esegeta non sarà quello di trovare salti argomentati­ vi che lasciano, a prima vista, interdetti, bensì quello di identificare il bandolo della matassa che, pur non essendo lineare rimane persuasivo. 102 Cf. anche JoHNsoN, >, che corrisponderebbe alle esi­ genze degli oppositori e degli stessi galati: essi hanno ricevuto la «promessa dello Spirito»; per diventare perfetti sarebbe necessaria la circoncisione, proprio come per Abramo. Invece Paolo fonda questo «midrash» su Gen 15,6, ossia prima di ogni azione meritoria di Abramo; per questo la citazione di Gen 18,18 demolirebbe la sua dimostrazione. Questo ci induce a non considerare la citazione in Gal 3,8 come conflata bensì come «contestuale», ossia determinata dal contesto di Gen 12,23. 1 1 1 La citazione fondamentale rimane quella di Gen 12,3; Paolo sostituisce «tutte le tribù della terra» con «tutte le genti»: il termine ethnè non fa che sostituire il sinonimo phylai ( = tribù) di Gen 12,3. A prima vista tale violazione sembra arbi­ traria e strumentale. In realtà, i termini «tribù» e «genti» sono sinonimi;1 12 questo è confermato sia dalla presenza di ethnos al v. 2 che di «tribù» e «genti» nel signi­ ficativo parallelo del Sal 72,17 (LXX).1 13 Dunque è più opportuno attribuire a Paolo stesso questo adattamento funzionale: senza violare eccessivamente la cita­ zione di Gen 12,3, la sostituzione di «genti» invece di «tribù>> gli serve per inclu­ dere in quelle «genti» non solo i giudei ma anche i gentili di cui ha parlato in Gal 3,8a. D'altro canto nessun giudeo del tempo avrebbe pensato che «tutte le tribù della terra» si riferiva soltanto ai giudei: la benedizione di Abramo, annunciata prima della legiferazione della circoncisione, riguardava tutte le nazioni della terra, a prescindere dal loro stato di circoncisi o di incirconcisi. In questa citazione contestuale di Gen 12,2-3, oltre a «genti», assumono par­ ticolare significato il passivo «saranno benedette» e «in te>>. Se nella citazione del TM Gen 12,3 il verbo nibreku può avere anche valore riflessivo, per cui le genti benediranno se stesse, nella versione della LXX e soprattutto in Gal 3,6 il corri­ spondente eneuloghèthèsontai assume valore di passivo divino: Dio stesso bene­ dirà quanti saranno relazionati alla fede di Abramo. 1 14 Invece più complesso è il

1 10

Per altre citazioni conflate dell'AT nell'epistolario paolina cf. 2Cor 6,1 6-18; Rm 9,33; 1 1 ,8.26-27. Così anche D.-A. KocH, Die Schrift als Zeuge des Evangeliums. Untersuchungen zur Verwendung zum Verstiindnis der Schrift bei Paulus, Tiibingen 1 986, 1 62-1 63. 1 12 Anche Luca, citando Gen 22,18, in At 3,25, sostituirà il panta ta ethne tes ges con pasai ai patriai tes ges, ossia con «tutte le famiglie della terra». Per l'attribuzione di tali variazioni agli stessi autori del NT cf. STANLEY, Pau/ and the Language of Scripture, 237. 1 13 Anche se il Sal 72, 1 7 è molto vicino a Gen 12,3, forse è esagerato considerare la citazione di Gal 3,8 come gezerah shawah, in cui entrambi i testi verrebbero citati da Paolo. Così invece J.M. Scorr, «"For as Many are of Works of the Law are Under a Curse" (Galatians 3.10)>>, in C.A. EvANS - J.A. SANDERS (edd.), Pau/ and the Scripture of lsraels (JSNT SS 83), Sheffield 1993, 220. Non è necessario ricorrere a questo salmo regale per motivare la presenza di «genti>> in Gal 3,8. 1 14 Cf. anche V ANHOYE, La Lettera ai Galati, 74. 111

Commento

182

significato di en soi ( = in te): ha valore causale, 1 15 strumentale,U6 oppure lettera­ le al punto da riferirsi a una personalità corporativa?1 17 Anche se l'ultima ipotesi è suggestiva risulta poco rispondente alla teologia paolina, che vede solo in Cristo una sorta di «personalità corporativa» (cf. Gal 3,28) . Forse la chiave di soluzione del valore che Paolo conferisce a «in te» si trova nel suo orientamento della fede: si tratta sempre della fede in Cristo, per cui la connotazione cristologica della fede impedisce di considerare «in te» come causale o come strumentale. La fede di Abramo non è per Paolo la causa né lo strumento per la benedizione dei gentili; ne è piuttosto il modello, come si è evi­ denziato per Gal 3,6. Per questo ci sembra preferibile interpretare en soi alla luce del successivo syn ( = con): insieme e come Abramo i gentili sono benedetti per la loro fede in Cristo. 1 1 8 v. 9: Anche l a seconda parte del «midrash», come l a prima, s i conclude con una conseguenza, introdotta con hoste ( = cosicché) . Paolo trae subito un esito dalla citazione di Gen 12,2-3: coloro che derivano dalla fede sono benedetti insieme ad Abramo definito, questa volta, attraverso l'eponimo pistos, che andrebbe reso con l'attivo «credente» e non con il passivo «fedele».119 Come in diverse fonti giudaiche parallele, Abramo è elogiato per la sua fede,120 anche se questa rimane l'unica volta in cui Paolo utilizza per lui il termine pistos. 121 v. 10: La terza parte del «midrash» comincia con una proposizione che si pone in netto contrasto con quanto è stato affermato al v. 9: si può pensare a un argumentum e contrario, ossia allo spostamento dell'argomentazione dalla situa­ zione della fede a quella della Legge.122 A coloro che si rifacevano alla fede si oppongono quanti si relazionano «alle opere della Legge», e la benedizione viene contrastata dalla maledizione. Questa mutazione di prospettiva è dovuta allo spostamento della questione: dalla fede si passa alle opere qualificate dalla Legge. 1 23 Per questo il gar che col­ lega questa fase della dimostrazione a quanto procede assume valore oppositivo, corrispondente piuttosto a un de. Dalla disposizione del «midrash» si è verificata l'importanza di Dt 27,26 nel v. 10: funge da riferimento fondamentale per la seconda colonna negativa del

115

Così ScHLIER, Lettera ai Galati. 1 36. Così FuNG, The Epistle to the Galatians, 1 39. 1 17 Cf. MussNER, La Lettera ai Galati, 348-349; WILLIAMS, «Justification>>, 86. 1 18 Così anche BETZ, Galatians, 143; Du NN , Galatians, 1 65 . 1 19 Cf. anche BRuCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 157; BuRTON, A Criticai and Exegetical Com­ mentary, 162. 1 20 Cf. Sir 44,20; 1 Mac 2,52; 2Mac 1 ,2; FILONE, Post. 1 73; 1 Clem 1 0,6. 121 In altri contesti Paolo richiama la fedeltà di Dio (cf. lTs 5,24; 1 Cor 1 ,9; 10,13; 2Cor 1 , 18) o di altri cristiani (cf. 1 Cor 4,2.17; 2Cor 6,15; Ef 6,2 1 ; Col 1 ,2.7; 4,7.9; 1Tm 3,1 1 ; 4,3). 122 Cf. BuRTON. A Criticai and Exegetical Commentary, 1 63; RmoERBOS, The Epistle of Pau/ to the Churches of Galatia, 1 22. 1 22 Per il valore qualificativo di cf. il commento a Gal 2,16. 1 16

Gal 3,6- 1 4

183

«midrash» antitetico. L'importanza di questa citazione è riconoscibile anche per la sua estensione: è la citazione più lunga dell'AT riportata, sino a ora, in Galati; e nell'economia della lettera la precede, per estensione, solo quella di Is 54,1 in Gal 4,27. Una formula tipica introduce la citazione diretta di Dt 27,26: gegraptai gar hoti ( = sta scritto che ).1 24 Si è generalmente concordi nel ritenere che Paolo stia citando dalla LXX Dt 27,26, che si trova all'epilogo del «dodecalogo sichemita» (cf. Dt 27,15-26) .125 Questa citazione presenta anzitutto una difficoltà testuale: alcuni codici dopo emmenei riportano, come molti dei testimoni della LXX, un en, 126 mentre la maggior parte dei codici paolini non ne attesta la presenza.127 Tenuto conto che la «lezione più breve è da preferire», ma soprattutto che la presenza di en rappresenterebbe una maggiore rispondenza a Dt 27,26, siamo indotti a consi­ derare la lezione senza la particella en come la più probabile. Dunque rispetto a D t 27,26 della LXX, che in larga parte corrisponde alla versione del TM, anche nella citazione paolina di Gal 3,10 si verificano delle dif­ ferenze abbastanza rilevanti. La citazione paolina non riporta anthropos dopo pas, come invece il testo di Dt 27,26. Da questo punto di vista solo l'aggettivo «maledetto» si avvicina all'assoluto 'iirur del TM Dt 27,26. Tuttavia la principale differenza riguarda la seconda parte della citazione, in cui pasin tois logois tou nomou toutou ( = tutte le parole di questa Legge) della LXX viene sostituita da pasin tois gegrammenois en to biblio tou nomou ( = tutte le cose scritte nel libro della Legge). In tal modo si o t tiene una decontestualizzazione della citazione di Dt 27,26: la maledizione non vale più soltanto per il dodecalogo sichemita ma per tutta la Legge, senza alcuna distinzione.128 Basta questa variazione, dovuta forse a Paolo stesso, perché ci si trovi di fronte a un'affermazione che dice proprio il contrario di quanto esige Dt 27: se il testo dell'AT fa incombere la maledizione su quanti non osservano le leggi prescritte in D t 27, Paolo pone tutti sotto la maledizione, per il fatto stesso di essere «sotto la Legge». Più avanti egli dirà che la «Scrittura ha rinchiuso tutte le cose sotto il peccato» (Gal 3,22). Inoltre tale variazione esige che si tenga conto del contesto di Dt 27 e della sua lettura lungo la storia dell'interpretazio­ ne giudaica, ma nello stesso tempo richiede che si vada al di là di esso, in quan­ to la stessa maledizione non è più causata dall'inosservanza umana bensì dal

124 Per la stessa formula introduttiva cf. Gal 4,22; Mt 4,6; Le 4,10; A t 23,5; senza l'hoti recitativo cf. Gal 4,27; 1 Cor 1 , 19; 3,19; Rm 12,19; 14,1 1 . 125 Secondo Stanley quella di Gal 3,10 è una citazione conflata, proveniente per l a prima parte da Dt 27,26 e per la seconda, ossia gegrammenois en to biblio tou nomou. da Dt 28,58. Cf. STANLEY, Pau/ and ' the Language of Scripture, 240. Una tale conflazione è possibile, anche se ciò che segue continua a riferirsi a Dt 27 ,26. Per questo siamo più propensi ad attribuire a Paolo stesso questa variazione piuttosto che a un abbinamento di citazioni. 1 26 Cf. S2 , A, C, D, F. G. 1 27 Cf. P46, S*, B, 0278, 6, 33. 8 1 , 104, 365, 1 1 75. 1 28 Cf. anche HoNG, «Does Paul Mispresent>>, 1 75.

Commento

184

semplice richiamarsi alle opere della Legge, come ha introdotto lo stesso Paolo al v. lOa. A questo punto le difficoltà interpretative di Gal 3,10 diventano molteplici: perché coloro che si richiamano alla Legge si trovano sotto la maledizione? Giacché Paolo ha omesso di spiegare le motivazioni per tale situazione che può riguardare sia i giudei che i gentili, indistintamente, la storia interpretativa di Gal 3,10 ha visto diverse soluzioni. l. L'interpretazione più diffusa e più naturale cerca di risolvere la questione esplicitando ciò che Paolo non afferma perché di dominio pubblico nel giudai­ smo: tutti si trovano sotto la maledizione della Legge in quanto nessuno è capa­ ce di osservarla pienamente nei suoi 613 comandamenti.129 Questa premessa ine­ spressa, anche se diffusa, non trova fondamento nell'epistolario paolino, a parti­ re dall'esperienza personale di Paolo, né per la sua antropologia: egli stesso si è presentato in Gal 1 ,13-14 come perfetto osservante della Legge (cf. anche Fil 3,68). D'altro canto lo stesso giudaismo del tempo non considerava la trasgressione della Legge come irreparabile consequenziale maledizione. Dunque, più che di una premessa inespressa, quella dell'imperfetta obbedienza alla Legge come causa della maledizione sembra una premessa indebita. 2. Una seconda ipotesi focalizza l'attenzione su un'errata relazione con la Legge: Paolo considera sotto la maledizione della Legge soltanto coloro che sono caduti nella trappola del legalismo. 13° Contro tale concezione basta osser­ vare che volutamente Paolo sottolinea il termine pas ( = tutto) in Gal 3,10b: tutti, senza distinzioni, si trovano sotto la maledizione della Legge. 3. Una terza soluzione cerca di partire dall'economia stessa della Legge: poi­ ché questa è fondata sul «fare» delle opere richieste, non può essere causa di benedizione in quanto soltanto l'ascolto della fede offre la benedizione. 131 Que­ sta prospettiva coglie uno degli aspetti fondamentali della concezione paolina sulla Legge, al punto che lo statuto della sua economia verrà ripreso in Gal 3,2 1 . Tuttavia è bene rilevare che in quanto tale i l sistema della Legge non è negativo ma positivo, anche se limitato nella sua funzione salvifica.

1 29 Cf. BYRNE. «Sons of God», 1 5 1 : Fu NG, The Epistle to the Galatians, 1 42: R.H. GUNDRY, «Grace. Works, and Staying Saved in Pau!>>, in Bib 66 ( 1 985 ), 27; F. HAHN , «Das Gesetzesverstiindnis im Romer- und Galaterbrief>>, in ZNW 67( 1 976), 54; K. KERTELGE, «Gesetz und Freiheit im Galaterbrief>>, in NTS 30( 1984), 386: R. LIEBERS, Das Gesetz als Evangelium. Ontersuchungen zur Gesetzeskritik des Paulus, Ztirich 1 989, 52· 54: J.D. Moo, « Law "Works of the Law" and Legalism in Paul>>, in WTJ 45( 1 983), 97-98; MussNER, La Let· tera ai Galati, 356: T.R. ScHREINER, «ls Perfect Obedience to the Law Possible? A Re-examination of Gal 3:10>>, in JETS 27(1 984), 1 5 1 - 1 70. 1 30 Cf. BuRmN, A Criticai and Exegetical Commentary, 164-165: C. CosGROVE, «The Mosaic Law Prea­ ches Faith: A Study in Galatians 3>> , in WTJ 4 1 ( 1 979). 1 47; D. FuLLER, Gospel and Law: Contrast or Conti­ nuum ?, Grand Rapids 1 980, 88- 105: J. LAMBREcHT, «Curse and Blessing. A Study of Galatians 3,10- 1 4», in Pauline Studies, Leuven 1994, 271 -298. Non manca chi, come Pobee, considera entrambe queste due inter­ pretazioni come valide: Paolo parte dall'assunto dell'incapacità umana di adempiere la Legge per conte­ stare il legalismo giudaico. Cf. J. A. PosEE, Persecution and Martyrdom in the Theology of Pau/ (JSNT SS6), Sheffield 1 985, 56. 1 31 Cf. J.M. DIAZ RoDELAS, Pab/o y la Ley. La novedad de Rom 7, 7-8 en el Conjunto de la Reflexi6n Paulina sobre la Ley, Estella 1 994, 46: ScHUER, Lettera ai Galati. 140. "

".

Gal 3,6- 1 4

185

4. Da parte sua, Sanders cerca di abbandonare le precedenti prospettive seguendo la via lessicale: Paolo cita Dt 27,26 solo per la connessione fra la male­ dizione e la Legge, senza alcun'altra ragione P32 Anche se la scelta di questo testo può essere dovuta a tale relazione, forse è bene precisare che la maledizione pro­ spettata da Paolo non è semplicemente formale o lessicale ma reale, al punto da esigere la crocifissione di Cristo (cf. Gal 3,13-14). 133 5 . Un'interpretazione di tipo storico viene offerta da Wright: questa maledi­ zione riguarda Israele, che di fatto non ha osservato la Legge, per cui tutti colo­ ro che desiderano sottomettersi alla Legge incorrono nella maledizione di Israe­ le. 134 Anche se tale soluzione trova delle rispondenze nella letteratura giudaica che interpreta la situazione dell'esilio come concretizzazione della maledizione su Israele, nell'attesa di una liberazione messianica, la debolezza di questa ipo­ tesi risiede nella constatazione che in Gal 3,10 non si parla minimamenté di Israele. 135 Al contrario, le affermazione paoline sembrano più dogmatiche che storiche: procedono dalla soluzione alla distretta e non l'inverso. 6. Una più solida prospettiva sociologica è intrapresa da Dunn: in Gal 3,10 Paolo si riferisce ai giudei che considerano se stessi come perfetti osservanti della Legge, mediante l'osservanza delle «opere della Legge». La questione fondamentale consisterebbe nella valutazione delle opere della Legge come condizioni necessarie affinché i gentili possano aderire al «nomismo dell'al­ leanza». 136 7. Partendo da una concezione speculare dei testi, alcuni ritengono che Dt 27,26 rappresenti uno «slogan» propagandistico degli oppositori di Paolo: i cri­ stiani delle comunità paoline si trovano sotto la maledizione della Legge perché non osservano la Legge. Con la lettura «midrashica» di Gal 3,10-14, Paolo capo­ volge le situazioni, accusando proprio gli oppositori di trovarsi in una condizio­ ne maledetta. 137 Per quanto sembri possibile, questa interpretazione non è verifica bile e forse è poco attendibile: non solo in Gal 3,6-14, ma in tutta la sezione di Gal 3,1-4,7 non si trova alcun riferimento agli oppositori di Paolo. Non è la prima volta che una difficoltà delle asserzioni paoline viene risolta facendo ricorso ai suoi oppo­ sitori, anche se non vi sono fonti che attribuiscono a loro un 'interpretazione «anticristiana» di Dt 27 ,26.

132

Cf. SANDERS, Paolo, la Legge e il popolo giudaico, 47. Così anche STANLEY, «" Under a Curse">>, 485. 1 34 Cf. N.T. WRJGHT, The Climax of the Covenant. Christ and the Law in Pauline Theology, Edinbur­ gh 199 1 , 145- 1 48. 1 35 Contro Scott che in base alle continue attualizzazioni di Dt 27 attraverso Dn 9; Bar 1 , 1 5-3,8; 2Mac 7; I En 85-90 propone anche per Gal 3,10 il paradigma «esilio = maledizione>>, «esodo = liberazione messianica>>. Cf. Scorr, .«For as Many are of Works of the Law>>, 1 83-22 1 . l .ll> C f. J.D.G. DuNN, «Works o f the Law and the Curse o f the Law (Galatians 3,10-14)>>, i n NTS 3 1 ( 1 985), 523-542. 137 Cf. C.K. BARRETT, Freedom and Obligation. A Study of the Epistle to the Galatians, Philadelphia 1985 . 23-26. 133

186

Commento

8. In continuità con la precedente ipotesi, ma spostandosi sulla vicenda sto­ rica, Hengel cerca una soluzione nel passato precristiano di Paolo: prima dell'in­ contro con Cristo, egli intendeva dimostrare che, poiché i giudeo-cristiani non osservavano la Legge, si trovavano sotto la maledizione, come afferma Dt 27,26.138 Anche per questa interpretazione vale l'obiezione mossa alla preceden­ te: nulla induce a supporre che prima dell'incontro con Cristo il testo di Dt 27,26 costituisse la base di accusa da parte di Paolo contro i giudei-cristiani. 9. Un'ultima soluzione è data da coloro che considerano Gal 3,10 come minaccia verso quanti desiderano sottomettersi alla Legge, e non come asserzio­ ne di giudizio nei confronti dei giudei che continuano a osservare la Legge.139 Ancora una volta, questa interpretazione rischia di porre in discussione la stessa cristologia paolina: la morte di Cristo è relazionata a tutti e non soltanto a quan­ ti si sottomettono alla Legge (cf. 2Cor 5,15). Da un bilancio delle metodologie sottostanti alle diverse interpretazioni di Gal 3,10 merita attenzione quella sociologica: la questione che sta a cuore a Paolo non riguarda come io o l'uomo in generale possiamo non incorrere nella maledizione della Legge, bensì come i gentili possano essere ritenuti, a pieno diritto, figli di Abramo. 140 Forse per gli oppositori ma per i galati stessi si poteva benissimo far riferimento alla fede e alla Legge, senza soluzione di continuità. Invece in Gal 3,9-10 Paolo considera tale connubio come incompatibile per gli etnico-cristiani. Tuttavia la consistenza della prospettiva sociologica trova ragion d'essere a partire da quella cristologica: tutti coloro che si rifanno alla Legge si trovano sotto la maledizione, in quanto la benedizione deriva da Cristo. Questa interpre­ tazione pone, ancora una volta, in risalto l'importanza dei vv. 13-14 rispetto all'in­ tero «midrash»: questi non sono semplicemente dei versi applicativi141 bensì la chiave di comprensione per cui tutti coloro che si richiamano alle opere della Legge si trovano sotto la maledizione. Dunque, come Paolo spiegherà in Gal 3,13-14, l'origine cristologica della benedizione implica l'impossibilità di altre vie, come la sottomissione alle opere della Legge. Forse il torto di Paolo nelle difficili formulazioni di Gal 3,10-14 si trova nel non aver presentato subito la soluzione della distretta umana: così sarebbe stata più chiara la sua argomentazione. Piuttosto, egli preferisce prepa-

IJS Cf. M. HENGEL, Il Paolo precristiano, Brescia 1 992, 1 88-1 89. Per un'interpretazione analoga cf. H. HùBNER, «Gal. 3,10 und die Erkunft des Paulus>>, in KuD 19( 1 973), 222-226; A.F. SEGAL, Pau/ the Convert: the Apostatate and Apostasy of Sau/ the Pharisee, New Haven-London 1 990, 1 1 9. 1 39 Cf. STANLEY, >.

189

Gal 3,6- 1 4

2Cor 5,21 21 Colui che non conobbe peccato

2Cor 8, 9 9 Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo

Ga/ 3, 13-14 13 Cristo ci riscattò dalla maledizione della Legge

Ga/ 4,4-5 4 Quando però giunse la pienezza del tempo mandò Dio il Figlio suo,

Rm 8,3-4 3 Ciò che era impossibile alla Legge in quanto la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile avendo mandato il proprio Figlio

per noi lo fece peccato

essendo ricco si fece povero per vm

essendo diventato per noi maledizione poiché sta scritto «Maledetto chiunque è appeso al legno»

nato da donna,

in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato condannò il peccato nella carne,

14 affinché ai gentili la benedizione di Abramo giungesse in Cristo Gesù,

5 affinché coloro che erano sotto la Legge riscattasse

affinché la promessa dello Spirito ricevessimo mediante la fede.

affinché la figliolanza . ncevesstmo.

affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui.

affinché voi per mezzo della sua povertà diventaste ricchi.

nato sotto la Legge

.

4 affinché la giustificazione della Legge si adempisse in noi che non cammtmamo secondo la carne ma secondo lo Spirito.

1 90

Commento

Il presente grafico rende ragione delle notevoli vicinanze fra questi splendi­ di testi paradossali dell'epistolario paolino. 151 Dalla composizione di 2Cor 5,21, che forse rappresenta anche la più antica, è possibile ricavare il fondamentale schema che si ripete anche nelle formulazioni: a) Azione di Cristo o di Dio mediante lui; b) sentenza centrale introdotta soprattutto da hyper ( = per) ; al ) finale conclusiva introdotta da hina ( = affinché).152 A livello attanziale si procede dalla situazione di Cristo (a), alla sua relazio­ ne con i destinatari (b), alla nuova situazione dei destinatari (al ), in un vero movimento di interscambio di doni:153 la sua natura di Figlio (Gal 4,4 ) , la sua benedizione (Gal 3,14), la sua ricchezza (2Cor 8,9) e la sua giustizia (Rm 8,4) diventano le nostre, mentre la nostra condizione di schiavi (Gal 4,5), la nostra maledizione (Gal 3,13), la nostra povertà (2Cor 8,9) e il nostro peccato (2Cor 5,21) diventano suoi, affinché noi stessi potessimo diventare figli di Dio (Gal 4,5), ricevere la benedizione (Gal 3,14), la sua ricchezza (2Cor 8,9) e la sua giu­ stizia, al punto che la stessa Legge si adempie in noi (Rm 8,4 ) . Tutto questo interscambio è paradossale, in quanto non si è visto mai un uomo maledetto dalla Legge che diventa causa di benedizione: chi è condanna­ to dalla Legge, come Cristo, dovrebbe rimanere tale in quanto la condanna a morte, pronunziata su di lui, è definitiva. Invece con la sua vicenda avviene uno sbalorditivo cambiamento: egli, pur essendo maledetto, non solo risorge ma diventa datore di vita. In questo scandaloso progetto di Dio si trova la ragione per cui con Cristo si ha una limitazione sostanziale della Legge, al punto che coloro che si rifanno a essa e alle sue opere si trovano sotto la maledizione: ormai la benedizione viene dalla fede in Cristo e non dalle opere della Legge. Questo paradosso cristologico, caro a Paolo, viene in un certo senso risolto in base al centro della composizione circolare, ossia soprattutto dove queste affermazioni vengono introdotte da hyper: Cristo non diventa «maledizione» o «peccato)) a causa di una sua colpevolezza bensì «per noi)), «a nostro favore».154 Per questo la sua condizione di maledizione non poteva essere definitiva ma transitoria; anzi da questa situazione sarebbe sorta la nostra benedizione. Tale interscambio determina il paradosso relazionale fra Paolo e Cristo, espresso in Gal 2,20: « . . . Mi ha amato e ha dato se stesso per me)), Prima di passare all'analisi dettagliata di Gal 3,13-14 è bene evidenziare la finalità del paradosso o dell'ossimoro retorico: mediante un cortocircuito logico colui che formula il paradosso intende porre gli interlocutori in uno stato di stu1 5 1 Sul paradosso paolino cf. soprattutto VANHOYE, «Pensée théologique», 1 1 0- 1 14; A.T. HANSON, The Paradox of the Cross in the Thought of St Pau/ (JSNT SS 17), Sheffield 1987. 1 5 2 Per un'analoga schematizzazione del paradosso cf. T.L. DoNALDSON, «The "Curse of the Law" and the lnclusion of the Gentiles: Galatians 3,1 3-14», in NTS 32( 1 986), 95-97. 1 5 3 La dinamica di interscambio, prospettata in questa pericope, è stata posta bene in luce da M. HooKER. >, in SBFLA 26( 1976 ), 3 1 - 1 20; J.D.G. DuNN, The Partings of the Ways. Between Christianity an d Their Significance for the Character of Christianity, Philadelphia 1 99 1 , 1 20; C.M. TucKETT, «Deuteronomy 2 1 .23 and Paul's Conver­ sion>>, in A. VANHOYE (ed.), L'apòtre Pau/, Leuven 1 986, 346-347. 1 69 Cf. MARTIN, Christ and the Law in Pau[, 1 1 3. 1 7° Cf. D. SANGER, «"Verflucht ist jeder, der am Ho1ze hangt" (Gal 3,13b ) . Zur Rezeption einer frtihen antichristlichen Polemik>>, in ZNW 85( 1 994), 281 ; M. WILcox, >, in Bib 59( 1 969), 395-413; 1. NEusNER, What is Midrash?, Phi­ ladelphia 1987; G.G. PoRTON, , in J. NEUSNER (ed.), The Study of Ancient Judaism, New York 1 98 1 , l, 55-92; H.L. STRACK - G. STEMBERGER, Einleitung in Talmud und Midrash, Miinchen 1 982. 181 Così LE DÉAUT, , «procedere»; naturalmente non si tratta di una condotta fisica bensì morale, interiore. Circa il background, il «midrash» trova il suo contesto ideale nella scuola rabbinica o bet-hammidriiS e nella liturgia sinagogale. Sembra, infatti, che dalla scuola rabbinica il «midrash» abbia mutuato soprattutto le sette regole interpre­ tative o middot che si fanno risalire sino a Hillel, rabbino del I secolo d.C. Con Rabbi Ismael nel II secolo d.C. queste regole sono state perfezionate sino a rag­ giungere il numero di tredici. La prima regola, nota come qal wa}Jomer, consiste nell'argomentazione a fortiori: infatti si procede dal minore al maggiore, e viceversa. L'implicito o espli­ cito segnale per questo tipo di argomentazione si trova nella formula «quanto più» oppure «molto più>>. Sembra che Paolo ricorra spesso a questo tipo di argo­ mentazione: « . . . quanto più il ministero della giustizia rispetto a quello della con­ danna» (2Cor 3,9 nel «midrash» a Es 32-34 di 2Cor 3,1-18); « . . . quanto più la grazia di Cristo rispetto alla caduta di Adamo» (Rm 5,15 nel «rnidrash» a Gen 3 di Rm 5,12-20) . 182 La seconda regola, nota come gezerah sawah, è fondata sul principio del con­ fronto fra due testi, temi o personaggi che s'illuminano reciprocamente. Così nella gezerah sawah di tipo testuale, due brani dell' AT si spiegano a vicenda attraverso delle connessioni semantiche o terminologiche. Nella stessa pericope di Gal 3,6-14 sono rapportati, per gezerah sawah, Gen 15,6 e Ab 2,4, da una parte, Dt 27,26 e Dt 21 ,23, dall'altra. Come per il qal wa}Jomer, anche la gezerah sawah trova un corrispondente nella retorica greco-romana, vale a dire nella sygkrisis o confronto fra termini, valori o persone. 183 La terza e la quarta regola, dette del binyan ab imi-katub e del binyan ab misene ketubim, consistono nell'applicazione di principi ricavabili da uno o due testi a tutta la Scrittura. In base a questa regola gli stessi testi di Gen 1 5 ,6 e Ab 2,4 non valgono soltanto per i rispettivi libri ma per l'intera Scrittura. La quinta regola, del ke-yofje ' bemaqom aher, concentra la sua attenzione su una crux interpretum, ossia su testi biblici di difficile interpretazione: in tal caso un testo poco chiaro viene spiegato da un suo parallelo più accessibile. La sesta regola, del kelal uferat uferat ukelal, procede dal generale al parti­ colare e viceversa: nel versante retorico questa regola corrisponde alla figura della sineddoche. In Gal 5,14 e in Rm 13,9 Paolo, volendo cercare il kelal della Legge, lo trova nel comandamento dell'amore per il prossimo.

1 R2

Cf. il pollai mallon ( = molto di più) di 2Cor 3,9- 1 1 ; Rm 5.9. 10. 1 5 . 1 7 ;1 1 . 1 2.24. Cf. anche il p6s mal­ ton (= quanto più) di 2Cor 3,8. Sull'argomentazione a fortiori di Rm 5,12-21 cf. A. PmA, «Quale fondamento biblico per il peccato originale? Un bilancio ermeneutico: il Nuovo Testamento», in l. SANNA (ed.). Questio­ ni sul peccato originale, Padova 1 996, 1 4 1 - 1 68. 1113 Sulla relazione tra sygkrisis retorica e gezerah fawah cf. S. LIEBERMANN, >. Tuttavia è opportuno riconoscere che questi due ambiti non sono così separabili, come a prima vista può sembrare. Ad esempio, il pesher midrashico consistente nella spiegazione, parola per parola, di una pericope anticotestamentaria, trova una sua giusta collocazione sia nella scuola rabbinica che nella liturgia sinagogale. 188 In Gal 3,16 forse Paolo stesso interpreta in forma di pesher il testo di Gen 13,15. 1 84 Sulle convergenze argomentative tra «midrash» e retorica ellenistica c ( D. DAUBE, «Rabbinic Methods of lnterpretation and Hellenistic Rhetoric>>, in HUCA 22( 1 949), 239-264; LIEBERMANN, «Rabbinic Interpretation», 289-324. 1 85 Cf. A. GowBERG, «From Analysis of Midrashic Literature as a Method of Description», in JJS 36( 1 985 ), 159-204. 1 86 Per il «midrash omiletico» cf. GowsERG, «From Analysis of Midrashic Literature», 159-174. Sulla composizione «midrashica omiletica>> di alcune sezioni dell'epistolario paolina c( P. BoRGEN, Bread From Heaven, Leiden 1 965, 48-5 1 ; E. Carn EN ET, «A l'arrière-plan de l'allégorie d'Agar et de Sara (Gal 4,2 1 -31 )», in De la Torah au Messia. FS. H. Cazelles, Paris 198 1 , L 457-465; R. ScROGGs, , in L'apostolo Paolo, 436-469. 1 9 1 Cf. le citazioni dirette di 1 Cor 3 . 1 9; 15.54; Rm 10.5: 1 1 .4; 1 2. 1 9.

Gal 3 , 1 5 - 1 8

199

a quella definitiva della LXX e del TM, che, soprattutto, a dei veri e propri adat­ tamenti realizzati dall'apostolo. Le principali sezioni dell' AT, utilizzate da Paolo per la sua esegesi midrashi­ ca, sono anzitutto la storia di Abramo (cf. Gal 3,6-25 ; Rm 4,1 -25; 9,1-1 1 , 15), la figura di Adamo (cf. 1 Cor 15,20-28.44-59; Rm 5,1 2-20) e le vicende esodali di Israele nel deserto (cf. 1 Cor 10,1-13; 2Cor 3,1-18). Per quanto riguarda le moti­ vazioni che hanno indotto Paolo a prediligere la LXX al TM, non va tenuto in conto soltanto il fatto che altrimenti i destinatari di lingua greca difficilmente avrebbero compreso una versione diretta dall'ebraico, ma soprattutto che Paolo stesso, come la maggior parte degli autori giudei di lingua greca, preferiva fare riferimento alla LXX più che al TM. 192 Per una mentalità storico-critica come l a nostra, l e manipolazioni che Paolo compie nei confronti dell'AT risultano quanto mai arbitrarie e indebite. In realtà, tutti gli autori del giudaismo contemporaneo attuavano degli adattamen­ ti delle fonti a disposizione per finalità argomentative proprie, rispetto ai loro diversi destinatari: si pensi a Filone e a Flavio Giuseppe. Ancora una volta, la dimensione retorica dei testi permette di motivare un fenomeno poco accettabi­ le per il nostro modo di fare esegesi, ma altrettanto significativo per l'esegesi giu­ daico-ellenistica del I secolo d.C.

3.3.

LA

DEFINITIVITÀ DELLE PROMESSE

(3,15-18)

La seconda dimostrazione di Gal 3,1-4,7 perviene a un nuovo livello di per­ suasione con Gal 3,1 5ss: adesso Paolo pone in secondo piano l'argomentazione midrashica, anche se permangono alcuni riferimenti all'AT, per passare a un altro tipo di prove, consistente in un esempio tratto dalla normale prassi degli uomini. In tal modo egli introduce un nuovo genere di argomentazione: quello «dia­ tribico», nel quale sono diffusi gli esempi ricavati dalla vita comune, a causa dell'indirizzo popolare tipico della diatriba. 193 Si può dunque notare come l'ar­ gomentazione paolina risulti complessa e difficile da seguire : si passa facilmen­ te dal «midrash» (Gal 3,6-14) alla «diatriba» (3,1 5-22) . Tale duttilità da parte di Paolo, nell'utilizzare i diversi registri persuasivi a disposizione, esige una corri­ spondente capacità nel trattare degli stessi registri, altrimenti le corrisponden­ ti analisi restano superficiali e incapaci di cogliere la funzione persuasiva dei testi.

1 92 Così anche STANLEY, Pau/ and the Language of Scripture. 67-68. 193 Per lo stile e le caratteristiche della diatriba classica e paolina cf. PITTA , Disposizione e messaggio. 69-77; S.K. STOWERs, The Diatribe and Paul's Letter to the Romans (SBL DS 57), Michigan 1 981. Sullo stile diatribico di Gal 3,15-18 cf. J. ScHooN-JANSSEN, Umstrittene «Apologien» in den Paulusbriefen , Gottingen 1991 . 83.

Commento

200

Lo stile diatribico introdotto dall'esempio «umano» procede sino al v. 22: per questo alcuni preferiscono delimitare la pericope ai vv. 15-22. 194 Invece, pur restando nella stessa sezione argomentativa di Gal 3,1-4,7, forse è bene separare i vv. 15-18 dai vv. 19-22, in cui invece subentrano alcune domande fondamentali sul valore della Legge, attese già dall'argomentazione midrashica di Gal 3,6-14. 195 L'unità letteraria di Gal 3,15-18 è retta sulla compiutezza dell'esempio umano (v. 15) e sulla sua relativa applicazione (vv. 17-18): è un esempio che svol­ ge la sua funzione in un raggio abbastanza ristretto dell'argomentazione; non verrà ripreso in seguito. La formula introduttiva dell'esempio comune, kata anthropon lego (v. 15), rivela anche il valore di questa prova nell'economia della sezione: non è molto consistente proprio perché retta su un principio di dominio pubblico e quindi facilmente confutabile. 196 Di fatto, la non reversibilità di un testamento entrato in vigore può essere benissimo impugnata dagli oppositori e dai galati per dimostrare che la Legge non intende invalidare le promesse fatte ad Abramo, ma confermarle. Per questo, Paolo cerca di puntellare questa prova con delle precisazioni filologiche (v. 16) e cronologiche sulla relazione fra le pro­ messe e la Legge (v. 17). Dunque bisogna riconoscere che l'incidenza persuasiva dei vv. 15-18 è mino­ re rispetto a quella dei versi precedenti: non sono così convincenti come vorreb­ be far pensare lo stesso Paolo.

15 Fratelli, parlo secondo l'uomo: come un testamento di un uomo entrato in vigore nessuno abroga o rettifica. 16 Ad Abramo furono dette le promesse e al suo seme. Non dice «e ai semi», come di molti, ma come di uno, «e al tuo seme», il quale è Cristo. 17 Questo ora dico: una disposizione già messa in vigore da parte di Dio la Legge, giunta 430 anni dopo, non la invalida così da rendere inoperosa la promessa. 18 Se infatti dalla Legge (deriva) l'eredità, non (lo) è più dalla promessa; ad Abramo però Dio ha gratuitamente dato (l'eredità).

Pau l Mispresent», 42; RmoERBos, The Epistle of Pau/ to the Churches of Galatia, 1 29. Per runità letteraria di Gal 3,15-18 cf. BETZ, Galatians, 1 54; BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 177; A.M. BuscEMI, > ma «contratto», «accordo»204 oppure «dono».205 Anche se tali scelte terminologiche sono possibi­ li, va ricordato il linguaggio propriamente giuridico di questa pericope: «entrare in vigore» ( = kyroun, prokyroun, vv. 15.17), «abrogare» ( = athetein, v. 15), «retti­ ficare» ( = epidiatassesthai, v. 15), «annullare» ( = akyroun, v. 17), «rendere inope­ roso» ( = katargein, v. 17), «eredità» ( = kleronomia, v. 17). La stessa parentesi sui destinatari delle promesse (v. 16) è causata dal problema testamentario e non da un excursus esegetico. Dunque, se diatheke può significare anche «donazione» oppure «alleanza», in Gal 3,15-18 ha valore di «testamento».206 Questo significa che la scelta del significato per diatheke nel NT deve essere determinata volta per volta, in base al relativo contesto e all'intreccio argomentativo: non si può sempre tradurre, in modo univoco, con «alleanza».207 Infine, l'attenzione interpretativa si è spostata su oudeis (= nessuno): giacché di fatto le leggi testamentarie potevano subire diverse variazioni,208 il «nessuno»

20:! Così osserva giustamente R. PENNA, « La promessa ad Abramo come Testamento irrevocabile secondo Gal 3,15ss», in M.M. MoRflNO (ed.), Theo/ogica, FS. S. Zedda, Casale Monferrato 1 994, 204. 203 Cf. E. BAMMEL, , in NTS 6(19591 960), 3 1 3-319. Così anche BYRNE, «Sons of God», 1 58; BARBAGLIO, «Alle comunità di Galazia>>, 1 09- 1 1 0; Mus ­ SNER. La Lettera ai Galati, 37 1 . 204 Cf. W. SELs, «Diathéké im Neuen Testament>>, in JJS 25 ( 1 974), 1 83-196. 205 Cf. S.R. LLEWELYN. New Documents lllustrating Early Christianity, Minneapolis 1 99 1 , VI, 41 -47. 206 Cf. anche J.L. MARTYN, «Covenant, Christ and Church in Galatians», in A.J. MALHERBE - W.A. MEEKS (edd.), The Future of Christo/ogy, FS. LE. Keck, Minneapolis 1 993, 141; A. VANHOYE, «Salut univer­ sel par le Christ et validité de l 'ancienne alliance>>, in NRT 1 1 6( 1 994), 820. Per il vocabolario giuridico di Gal 3,15-18, in verità non molto diffuso nel NT, cf. BuscEMI, «Il rapporto Legge-promessa», 1 4 1 ; ScHLIER, Let­ tera ai Galati, 1 48- 150. 201 Così invece BuRTON. A Critica/ an d Exegetical Commentary, 119; DUNN, Galatians, 1 85; J.J. HuGHES, «Hebrews IX 15ff. and Galatians III 15ff. A Study in Covenant Practice and Procedure>>, in NT 2 1 ( 1 979), 28.67. 20H C f. le attestazioni di FLAVIo GiusEPPE, Guer. 1 .646; P. Oxy. l, 106; P. Wash. Uni. 13.

Gal 3 , 1 5 - 1 8

203

di Gal 3,15 si riferisce a tutti tranne che al testatore.209 Questa soluzione è possi­ bile: ha però il difetto di rendere praticamente nullo il participio perfetto kekyro­ menén ( = entrata in vigore), sul quale invece cade l'accento dell'intera argo­ mentazione paolina, sia per l'esempio che per la relativa applicazione al v. 17. Paolo non prende in considerazione una legge testamentaria da applicare ma una già applicata, anzi in base alla quale gli ipotetici benefattori hanno già «divi­ so le sostanze». Per questo ci sembra che la chiave di soluzione si trovi in kekyro­ menén, ossia in un testamento «entrato già in vigore».210 L'unica difficoltà che incontra questa interpretazione riguarda la sua applicazione: non si può applica­ re a Dio un testamento che entra in vigore con la sua morte. A ben vedere, que­ sta difficoltà non riguarda l'interpretazione di Gal 3,15-18 bensì l'esempio stesso addotto da Paolo: esso non si adegua perfettamente alla relazione fra la pro­ messa divina e i suoi destinatari. Per questo è bene considerare questo esempio come similitudine nella quale non si riscontra una perfetta corrispondenza fra i termini e le situazioni poste a confronto.2l l A Paolo interessa, per adesso, la rela­ zione fra il testamento entrato in vigore e i destinatari, non la differenza fra l'uo­ mo e Dio in quanto testatori; al v. 17 egli farà leva su quest'altra differenza per sottolineare che se l'irrevocabilità è vera per un testamento umano entrato in vigore, tanto più lo è per le promesse di Dio che rimangono definitive.212 Soltan­ to in questa prospettiva l'esempio testamentario addotto da Paolo appartiene alla condizione comune degli uomini, com'egli stesso precisa al v. 15a. v. 16: Prima di applicare l'esempio testamentario alla storia della salvezza, Paolo preferisce precisare i destinatari dello stesso «testamento>>. Per questo il v. 16 compare come parentesi esplicativa: di fatto si potrebbe passare direttamente dal v. 15 al v. 17. In questa parentesi subentra l'importante criterio cronologico per il quale ciò che viene prima è più importante: si passa in tal modo da una valuta­ zione sincronica del rapporto fra la fede e la Legge che ha caratterizzato Gal 3,114 a una diacronica, corrispondente al percorso della storia della salvezza.213 Dunque i destinatari delle promesse sono Abramo e il suo «seme»: è Dio stesso il soggetto sottinteso del passivo «furono dette». Interessante è il verbo errethésan (= furono dette) : è più preciso del nostro modo di esprimerci. Noi diremmo «furono fatte», quando invece le promesse si «dicono», a causa della loro natura verbale. A prima vista sorprende l'utilizzazione di «promesse» inve-

209 210

Così PENNA, « La promessa ad Abramo>>, 2 1 2. Questa situazione è espressa più chiaramente in Eb 9.16-17. Cf. anche VANHOYE, La Lettera ai

Galati, 93. 211 Così anche D. voN ALLEN, La famille de Dieu. La symbolique familiare dans le paulinisme. Got­ tingen 1 981 . 82-84. Il genere della similitudine che caratterizza Gal 3.15-18 determina per homos il signifi­ cato di «come>> più che o >, in JSNT 5 ( 1 979), 2-20. 22 1 Cf. Gen 4,25; 17,2 1 ; 2 1 , 1 2. 1 3 ; 22, 16-17; cf. anche 2Sam 7,12-14. 222 Cf. Gen 3,15; 9,9; 1 2,7; 13,15; 1 7,7; 2 1 , 1 2; cf. anche Es 28,39; Lv 22.3. 22J Alcuni intendono l'interpretazione cristologica di Gal 3,16 come collettiva, ossia come riferi­ mento a quanti sono in Cristo. Cf. W RIGHT, The Climax of the Covenant, 165-1 66. L'errore di questa esegesi risiede nell'anticipare le affermazioni di Gal 3,26-29. Per Paolo sembra fondamentale prima stabilire la rela­ zione tra Abramo e Cristo, quindi tra quelli che sono in Cristo e Abramo. 224 Sulla relazione tra !sacco e Cristo in Gal 3,15-18 cf. S WETNA M Jesus, 1 1 0-1 1 1 . 225 Cf. Gen 26,3-5 a !sacco; Gen 35,1 1 - 1 2 a Giacobbe; cf. soprattutto 2Sam 7,12-14 per i l messia davidico. ,

206

Commento

v. 17: Dopo il parentetico v. 16, finalmente Paolo applica, mediante un'argomentazione a fortiori, l'esempio giuridico del v. 1 5 : se l'irrevocabilità vale per un testamento umano, tanto più lo si deve sostenere per una disposi­ zione divina.226 L'applicazione dell 'esempio è introdotta in modo solenne per captare l'at­ tenzione dei destinatari: «questo però dico».227 Alcuni testimoni riportano, dopo hypo tou theou, un eis Christos che sembra un tentativo di ulteriore cristologiz­ zazione della «disposizione>>.228 Per questo è da preferire la lectio brevior, ripor­ tata anche dai codici più autorevoli dell'epistolario paolino.229 In questo verso viene espressa l'opposizione cronologica fra la diatheke e la Legge: sono separate da 430 anni.230 A proposito di diatheke, poiché il soggetto è Dio è bene tradurla con un generico «disposizione>> e non con «testamento», come invece si è fatto per il v. 15: Dio non può fare testamento, in quanto ciò include una sua ipotetica ma inconcepibile morte. Inoltre, poiché Paolo si riferi­ sce a Gen 15, ossia a una diatheke compiuta esclusivamente da Dio nei confron­ ti di Abramo, non si può parlare di «patto» ma di «disposizione»: è Dio stesso che si compromette con Abramo.231 Circa la datazione, si è generalmente concordi nel riferimento a Es 12,40 (LXX) e non a Gen 1 5 , 1 3 in cui vengono annunciati 400 anni di permanenza in terra straniera.232 La discordanza fra i 430 anni di Es 12,40 e i 400 anni di Gen 1 5 , 1 3 viene risolta dall'esegesi rabbinica con i diversi riferimenti di datazione: 400 calcolando dalla nascita di !sacco, 430 dalla promessa fatta ad Abramo alla liberazione dall'Egitto.233 Paolo sembra riferirsi proprio alla datazione più estesa, ossia all'originaria promessa di Gen 12 e alla liberazione dall'Egitto, per sottolineare maggiormente la distanza fra la promessa e la promulgazione della Legge: ancora una volta il testo di riferimento sembra Gen 12 e non Gen 17; e l'annotazione cronologica paolina sembra più precisa di quanto si creda.234

226 Cf. anche BuscEMI. «Il rapporto Legge-promessa>>, 144; CoRSANI, Lettera ai Galati, 213; V ANHOYE, La Lettera ai Galati, 93. Sull 'assimilazione dell'argomentazione a fortiori con la regola rabbinica del qal wa/;lomer cf. sopra p. 196. 22 7 Così solo qui e in l Cor 7,6. Cf. la solenne formula cristologica: «Per questo vi dico» di Mt 6,25; 12.3 1 ; 2 1 ,43; Mc 1 1 ,24; Le 1 2,22. 228 Cf. D, F, G, I, 01 76, 0278; Ambrosiaster. 229 Cf. P46, S, A, B, C, P, ljl, 6, 33, 8 1 , 1 1 75. 230 Sul contrasto tra la promessa e la Legge in Gal 3,17 cf. BuscEMI, «>, 1 40. 231 Cf. anche VANHOYE, «Salut universeh>, 82 1 . 232 La datazione d i Gen 15,13 viene ripresa d a Luca in A t 7,6. 233 Cf. Tg. Pal. a Es 12,20; Seder 'Oiam 3; Mek. Es. 12,40; Gen. Rab. 44,18. Cf. anche H.L. STRACK - P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, Mtinchen 1 926, Il, 688 . Così R. LE DÉAUT, La nuit pasca/e. Essai sur la signification de la Paque juive à partir du Targum d'Exode XII 42 (AnBib 22), Rome 1 963, 101 e 149; KING, «Paul and the Tannaim>>, 366; SWETNAM, Jesus, l 1 1 - 1 12. Sulla rela­ zione tra i targumim e Gal 3,17 cf. F. PEREIRA, «The Galatians Controversy in the Light of the Targums>>, in The lndian Journal of Theology 20( 1 97 1 ) , 28. 234 Cf. invece BETZ, Galatians, 158, che considera sommaria la cronologia paolina.

Gal 3 , 1 5 - 1 8

207

Quindi la Legge non può invalidare, al punto da rendere inoperosa, una disposizione entrata già in vigore.235 Tale incompatibilità fra la disposizione genesiaca e la Legge esodale fa emergere la problematica stessa sulla natura della Legge: riprendendo l'esempio giuridico, poiché il testatore è Dio che non può morire e che può invece, in qualsiasi momento, rettificare il proprio «testa­ mento», questo vuoi dire che l'esempio addotto da Paolo non regge oppure che la Legge non è di natura divina. Diversi esegeti si rifanno alla seconda possibi­ lità, soprattutto in base a quanto verrà sostenuto sulla Legge in Gal 3,19-22. In realtà vi è una terza possibilità, che ci sembra più pertinente alla conce­ zione della Legge in Galati e nella teologia paolina: la Legge è di natura diversa dalle promesse fatte ad Abramo, anche se rimane divina e santa (cf. Rm 7,12. 14.22). Da una prospettiva positiva questo significa che la Legge può aiuta­ re a realizzare le promesse, ma non sarà l'elemento costitutivo della loro attua­ zione, in quanto queste sono rette sulla gratuità di Dio e non sull'adempimento legale da parte dell'uomo. D 'altro canto, la Legge in quanto tale non ha avuto mai la pretesa di invalidare le promesse; in tal caso essa contrasterebbe con il disegno di Dio fondato sulla gratuità. Dunque, la natura diversa della Legge rispetto alle promesse non implica, come ritengono erroneamente alcuni, che la Legge non sia per Paolo di origine divina o che addirittura sia di origine demoniaca. 236 Piuttosto è necessario, soprattutto rispetto alla Legge in Galati e nella teologia paolina, non trarre delle conclusioni indebite che rischiano di rendere il pensiero di Paolo schizofrenico e contraddittorio. L'argomentazione diatribica si chiude con l'antitesi fra la Legge e le promesse, come vie alternative per la partecipazione all'eredità. La prima parte del verso è costruita in forma circolare: v.

18:

a) se dalla Legge b) l'eredità a l ) non più dalle promesse. In tal modo Paolo introduce un'altra tematica che gli sta a cuore in Gal 3,1-4,7: quella dell'eredità, che assumerà rilievo soprattutto in Gal 3,29; 4,1-7. La composizione circolare permette di risolvere anche la difficoltà di critica testua­ le, per la quale uno dei codici più importanti di Galati, il P46, riporta dia nomou invece di ek nomou: la rispondenza con ex epaggelias orienta verso la preferen­ za per «dalla Legge» e non per «mediante la Legge», che sembra invece influen­ zata dal parallelo di Gal 2,21 .237 235 Si noti I hap ax legomenon NT prokekyromenén scelto da Paolo per sottolineare il valore attuale della disposizione promulgata prima della Legge. 236 Così HOBNER, La Legge in Paolo, 25-37. m Non è necessario ricorrere a Rm 4.13, come invece ritiene BETZ, Galatians. 159, per reperire il testo che ha influenzato la lezione del P46. '

Commento

208

Di fatto, la presente pericope si conclude come la «mimesi» di Gal 2,1 5-21 , ossia con un 'ipotetica irreale che pone in contrasto la Legge rispetto a Cristo (cf. Gal 2,2 1 ) e alle promesse (Gal 3,18) .238 Questo contrasto fra la Legge e le pro­ messe sembra più di natura logica che cronologica, in base al valore argomenta­ tivo di ouketi (= non più).239 Per questo il v. 18 assume una portata generale e non soltanto temporale: Legge e promessa sono incompatibili per la donazione del­ l'eredità, in quanto non si possono fare delle promesse gratuite per poi chiedere delle condizioni ai destinatari: sarebbe come fare un dono a un amico oppure a una fidanzata, per poi esigere il pagamento del suo valore. Il parallelo di Gal 2,21 risulta illuminante anche per il v. 18b, in cui si verifi­ ca l'ellissi del soggetto: chiaramente Paolo sottintende l'eredità come donazione gratuita, da parte di Dio.240 Dunque, Paolo non annulla la «grazia di Dio» (Gal 2,21) in quanto l'eredità è stata offerta gratuitamente ad Abramo (Gal 3,18) e a quanti si riconoscono come suoi figli in base alla fede in Cristo. A proposito del perfetto kecharistai ( = ha dato gratuitamente) è bene sotto­ linearne sia il suo valore di passivo divino che quello di permanenza sino al pre­ sente: Dio stesso ha già fatto entrare in vigore la sua disposizione per la parteci­ pazione all'eredità promessa. Ancora una volta l'eredità abramitica non può essere ricevuta in base alla Legge, non perché questa o l'uomo risultino deficita­ ri o incapaci bensì per l'origine gratuita della promessa di eredità. Il percorso argomentativo di Gal 3,15-18 perviene a una conclusione analo­ ga a quello delineato in Gal 2,15-2 1 , ma con delle nuove prove che rendono la tesi paolina più consistente. In verità si è visto come la prova di Gal 3,15-18 risul­ ti più debole di quella del «midrash» di Gal 3,6-14: l'inalterabilità di un testa­ mento umano può rivelarsi revocabilità nella situazione di Dio. Paolo invece, mediante un'argomentazione a fortiori, relaziona l'irrevocabilità di un testamen­ to umano entrato in vigore rispetto a quella della disposizione divina. Con quest'argomentazione l'incompatibilità fra promesse e Legge non è sol­ tanto logica ma diventa cronologica: la Legge, pur restando di origine divina, non apporta nulla alle promesse abramitiche. Da tali conclusioni derivano, come naturali, le questioni sulla Legge: perché e a che cosa serve? Non si possono più dilazionare questioni così urgenti, che Paolo avverte nella composizione della lettera stessa prima che gli stessi galati le facciano emergere da una visione così negativa della Legge: spetta alla pericope successiva rispondere a questi impel­ lenti interrogativi.

ZJS

Per il valore irreale di questa ipotetica cf. MussNER, La Lettera ai Galati, 378. 239 Cf anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 216. 240 Cf. BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 1 86. .

Gal 3 , 1 9-22

3.4.

LE

MOTIVAZIONI DELLA LEGGE

209

(3,19-22)

Le considerazioni così negative nei confronti della Legge, come quelle deli­ neate in Gal 3,10-18, non potevano non far sorgere delle questioni sulla sua iden­ tità; e prima che le obiezioni gli venissero dagli oppositori o dai destinatari della lettera, Paolo stesso si pone delle domande alle quali risponde, con lo stile dia­ tribico, in Gal 3,19ss. L'argomentazione diatribica è già cominciata con l'esempio quotidiano for­ mulato in Gal 3,15: ora la si riscontra in modo più incisivo, mediante l'intercala­ re di domande e risposte immediate. La brachilogicità delle formulazioni che cominciano con il v. 19, disposte anche in modo antitetico (cf. v. 20), vivacizza la nuova pericope; e poiché questo stile continua nei versi successivi, è difficile sta­ bilirne l'unità letteraria.241 Infatti alcuni considerano come terminus ad quem il v. 25,242 altri il v. 24,243 altri infine il v. 22.244 Senza misconoscere le relazioni con i vv. 24.25, ci sembra che la questione fondamentale sulle motivazioni della Legge, espressa con la domanda diatribica del v. 19, pervenga alla sua conclusione con il v. 22. Di fatto non si possono separare i vv. 23.25 a causa della composizione parallela che li caratterizza; e il gar del v. 26 collega direttamente i vv. 26ss a quanto precede. L'unità letteraria dei vv. 1 9-22 è confermata dalla conclusione sulla relazione fra la promessa e la fede: è una conclusione analoga a quella riscontrata al v. 14 che delimitava Gal 3,6-14. 1 9 Perché dunque la Legge? In vista delle trasgressioni fu aggiunta, finché non giungesse il seme al quale è stata fatta la promessa, disposta mediante angeli per mano di un mediatore. 20 Il mediatore però non lo è di uno, Dio invece è uno. 2 1 La Legge dunque è contro l e promesse? Non sia mai. Se infatti fosse stata data una Legge capace di vivificare, allora dalla Legge sarebbe giunta la giustizia; 22 invece la Scrittura rinchiuse tutte le cose sotto il peccato, affinché la pro­ messa fosse data ai credenti dalla fede in Gesù Cristo.

241 Questo induce alcuni a estendere l'unità della pericope sino a Gal 3,29 oppure a Gal 4,7. Così MussNER, La Lettera ai Galati, 382; RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 153; ScHLIER, Lettera ai Gala­ ti, 1 56. 242 Cf BETz, Galatians, 161; A.M. BusCEMI, >, 1 1 9; BYRNE, «Sons of God», 1 6 1 ; DuNN, Galatians, 188; EBEL!NG, La verità dell'evangelo, 214; FuNG, The Epistle to the Galatians, 1 59; MATERA, Galatians, 1 28; Mus­ SNER, La Lettera ai Galati, 382; VANHOYE, La Lettera ai Galati, 100; D. B. WALLACE, «Galatians 3,19-20: A Crux Interpretum for Paul's View of the Law>>, in WTJ 52( 1 990). 232.

Gal 3 , 1 9-22

21 1

ellittica introduce già il lettore nello stile sintetico che caratterizza l'intera peri­ cope: Paolo intende affrontare di transenna la problematica della Legge, senza soffermarsi troppo, in quanto è più interessato alle problematiche della promes­ sa e dell'eredità. Seguono tre risposte incisive, collocate in modo asindetico, che delineano la funzione della Legge nella storia della salvezza. Anzitutto la Legge è relaziona­ ta alle trasgressioni: Paolo utilizza un avverbio poco chiaro, charin, che può espri­ mere sia causa sia finalità. Nel primo caso sembra che la Legge succeda alle tra­ sgressioni: «a motivo» della loro esistenza fu aggiunta la Legge;252 nel secondo le precede, in quanto la Legge fu aggiunta in vista delle trasgressioni.253 Anche se è necessario analizzare Galati con Galati e non con Romani, in Rm 4,15 viene espresso un principio decontestualizzabile rispetto alla relazione fra la Legge e le trasgressioni: «Dove non c'è Legge non c'è neppure trasgressione». Questo significa che è necessario distinguere fra il peccato, la Legge e le trasgressioni: il peccato si trova prima della Legge: questa non soltanto lo fa conoscere ma lo rende trasgressione. Dunque, il valore finale di charin è da preferire rispetto a quello causale.254 Questa interpretazione corrisponde anche all'argomentazione successiva (cf. Gal 3,22-23; 4,2-3), secondo la quale non è necessario ricorrere a Rm 5,20; 7,7 per evidenziare la funzione negativa della Legge in Galati.255 Il vocabolario giuridico, introdotto dal termine «trasgressioni», prosegue nella scelta del verbo prostithemi che compare all'aoristo passivo:256 la Legge «fu aggiunta» in un momento determinato della storia della salvezza, non si trovava all'origine né prima delle promesse fatte ad Abramo in Gen 12,1-7; 15,1-2 1 . A prima vista questo verbo sembra contraddire le asserzioni di Gal 3,15-17: la disposizione divina ha ricevuto un correttivo, mediante la Legge, di cui è neces­ sario tener conto. In realtà, poiché in base al v. 21 Paolo sembra considerare la Legge come del tutto diversa dalle promesse, essa non va ritenuta come corret­ tivo o aggiunta rispetto alle promesse, bensì rispetto a Israele e alla storia della salvezza. Questo non implica che la Legge non provenga da Dio: il verbo prose­ tethé è un passivo divino che non si riferisce assolutamente al mediatore angeli­ co (v. 1 9b) di cui, a ben vedere, ancora non si parla.257 Dunque la prima defini-

252 Su charin causale cf. 1 Gv 3,12; Le 7,47. Così C.H. GIBLIN, «Three Monotheistic Texts in Paul>>, in CBQ 37( 1 975), 540; MARTI N , Christ and the Law in Pau/, 38; RAISANEN, Pau/ and the Law, 145; E.J. ScHNABEL , Law and Wisdom, from Enquiry into the Relation of Law, Wisdom, and Ethics (WUNT 2.16), Ttibingen 1 985, 273; TH IE LMAN N, From Plight to Solution, 74. 253 Per charin finale cf. l Tm 5,14; Tt l , 1 1 ; Gd 6. 254 Così anche BETz, Galatians, 1 65; BuRTON, A Critica/ and Exegetica/ Commemary, 1 88; BYRNE, «Sons of God» , 1 6 1 ; CoRSANI, Lettera ai Galati, 2 1 9; FuNG, The Epistle to the Galatians, 1 59; IN-GYu HoNG, Law in Galatians (JSNT SS 8 1 ) , Sheffield 1 993, 44; H O BNER La Legge in Paolo, 55-56; MATE RA , Galatians, 1 29; MussNER, La Lettera ai Galati, 383; V ANHOYE, La Lettera ai Galati, 1 0 1 . 255 Contro DuNN, Galatians, 1 89, che contestando l'interpretazione d i Gal 3,19 a partire d a R m 3,20; 5,20 giunge a conferire a tale funzione un valore positivo. 256 Sulla connotazione giuridica di prostithemi cf. Aristea 26; Pous1o, Hist. 2 1 ,42,27. 257 Cf. anche BETZ, Galatians, 1 67; HoNG , Law in Galatians, 153; WALLACE, «Galatians 3,19-20», 235. Sull'attribuzione divina di questo verbo cf. A t 2,41 .47; 5,14; 1 1 ,24. ,

212

Commento

zione sulla funzione della Legge sottolinea la sua relazione con le trasgressioni e non con le promesse e la sua comparsa a partire da un momento preciso della storia della salvezza: soprattutto quest'ultimo dato la rende inferiore rispetto alle precedenti promesse. Questa prima concezione contrasta con buona parte del giudaismo che professa l'esistenza della Legge ab aeterno, conosciuta sia da Adamo che da Abramo. 258 Questo sembra uno dei connotati caratteristici del giudaismo apocalittico di origine cristiana di cui Paolo entra a far parte e di cui egli stesso è uno dei principali testimoni: dalla funzione di Cristo nella storia della salvezza deriva una sorta di declassamento della Legge, senza che questo, tuttavia, significhi una sua abolizione. La seconda funzione della Legge è altrettanto limitata quanto la sua origine: con l'avvento della discendenza, a cui appartiene la promessa abramitica, essa perde la sua funzione o, in termini positivi, giunge a compimento (cf. Gal 5,14). Anche in questa seconda formulazione si trova il passivo epeggeltai che, come perfetto, indica il valore di una promessa fatta nel passato ma ancora valida per il presente; e il soggetto del passivo rimane Dio. Per quanto riguarda sperma, in base all'esegesi letterale del termine che Paolo ha espresso in Gal 3,16, assume una chiara identificazione cristologica: egli è il seme che porta a compimento la promessa e che determina, di conseguenza, la conclusione rispetto alla funzione della Legge. Prima di passare alla successiva affermazione, è bene sottolineare che Paolo si riferisce ancora alle funzioni e non alla Legge in quanto tale: di fatto l'origine e la funzione limitata della Legge, nella storia della salvezza, non significano, di conseguenza, come ritengono alcuni, la sua abrogazione.259 Per quanto siano negative le affermazioni sulla Legge in Galati, Paolo non giunge mai ad affer­ marne l'abrogazione: soltanto in questa prospettiva sono comprensibili delle sentenze positive sulla Legge, riscontrabili in Gal 5,14 e in Gal 6,2. Dunque, con­ tro ogni apparenza, anche per Galati vale il principio di Rm 3,3 1 : «Dunque abro­ ghiamo la Legge mediante la fede? Non sia mai ! Al contrario consolidiamo la Legge». Anche l'ultima funzione viene introdotta da un passivo diatageis, mutuato dal linguaggio legale,260 corrispondente a «disposta», che andrebbe reso ancora con un passivo divino. La presenza di questi passivi, nelle tre sentenze sulla fun­ zione della Legge, denota un certo imbarazzo da parte di Paolo nel collegare la Legge a Dio stesso: ne risulta una distanza maggiore fra Dio e la Legge, che tut­ tavia non implica un'origine diversa della Legge stessa. Soprattutto per Galati, non bisogna mai dimenticare il tenore polemico della lettera rispetto alla Legge, per cui non si riscontrano le definizioni positive presenti in Romani: «La Legge è spirituale e buona» (cf. Rm 7,14. 16).

2-' H C f. Frm Tg. Gen 2 , 1 5 ; 3,24; Tg. Isa 9,5: A p Bar 7 7 . 1 5 ; A p Esd 9,37. Cf. anche i paralleli addotti da STRACK - BILLERBECK, Kommentar, 1 1 1 e 204-206. 259 Così WALLACE. «Galatians 3,19-20» , 240; WEsTERHOLM, lsraels Law, 1 95- 1 97. 260 Cf. 1 Cor 7,17; 9,14; 1 1 ,34; 16.l ; Tt 1 ,5; At 7,44.

Gal 3 , 1 9-22

213

Se il verbo che regge la terza affermazione è un passivo divino, vuoi dire che il successivo dia riferito agli angeli è strumentale, «per mezzo»,261 e non di auto­ re, «da parte degli angeli».262 Sulla presenza degli angeli, durante la promulga­ zione della Legge, Paolo si rivela debitore delle tradizioni giudaiche. A ben vede­ re, in Es 19-20; Dt 4 e in 2Esd 3 non si riscontra alcun accenno alla presenza di angeli: la Legge viene donata direttamente da Dio al popolo giudaico. La suc­ cessiva sensibilità giudaica nei confronti della trascendenza divina motiva la pre­ senza degli angeli durante la promulgazione della Legge, al punto da conferire loro non soltanto una presenza passiva ma attiva.263 Dunque, il riferimento agli angeli durante il dono della Legge non risulta originale, mentre lo è la prospet­ tiva negativa dalla quale Paolo interpreta la loro funzione di mediazione. Di fatto non è necessario pensare a un'angelologia negativa, di tipo gnostico, in Gal 3,19: rispetto alla concezione paolina non vale neppure come parallelo la Lette­ ra di Barnaba 9,4 per la quale la stessa circoncisione viene attribuita a un ange­ lo cattivo. Per il nostro testo, la sfumatura negativa non si fonda sulla natura degli angeli bensì sulla mediazione necessaria per la promulgazione della Legge: inve­ ce tale mediazione non è stata necessaria per le promesse divine. In questa mediazione angelica Paolo non si ferma però a porre fra Dio e il suo popolo gli angeli: tale mediazione viene ulteriormente sottolineata per il riferimento a un mediatore, visto come ultimo strumento con il quale è stata donata la Legge. Non potendo ripetere la particella dia, egli ricorre a un semiti­ smo, en cheiri mesitou ( = per mano di un mediatore), che rappresenta una sem­ plice variazione stilistica e non un riferimento alla presenza di Mosè. Al contra­ rio, buona parte degli studiosi interpreta questo semitismo come riferito a Mosè: questi sarebbe il mediatore fra Dio e gli uomini durante il dono della Legge.264 Senza negare la pertinenza del parallelo con en cheiri che corrisponde all'ebrai­ co beyad (cf. Es 34,29), né l'importanza di alcune tradizioni giudaiche che vedo­ no in Mosè una persona di natura superiore, quasi angelica,265 è più naturale con­ siderare il «mediatore», citato al v. 19, come uno degli angeli stessi.266 Natural­ mente Mosè sarebbe il rappresentante di Israele di fronte a quello angelico; tut-

261

Cf. anche CoRsANt, Lettera ai Galati, 221 ; W ALLACE, «Galatians 3,1 9-20>>, 241 . Così HOBNER, La Legge in Paolo, 148. 26� Cf. Dt 33,2; FtLONE, Som. 1 , 141- 143; Test D an 1 2 , 1 ; Giub l ,29-2,2 1 ; FLAVIO GtusEPPE, Ant ., 15,136. Per il NT cf. At 7,38.53; Eb 2,2. Cf. anche ERMA, Sim. 8.3.3. 264 Cf. BETz, Galatians, 1 70; BoNNARD. L' Épitre de saint Pau/ aux Galates. 73; BRtNSMEAD. Galatians, 1 1 7; BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 1 89; CoRSANI, Lettera ai Galati, 222; DuNN, Galatians, 190; FuNG, The Epistle to the Galatians, 1 6 1 ; G mu N, «Three Monotheistic Texts>>, 540; MussNER, La Lettera ai Galati, 387; RtDDERBOS, The Epistle of Pau/ to the Churches of Galatia, 1 39; RoHD E Der Brief des Paulus an die Galater, 157; WALLACE, , 243; WRtGHT, The Climax of the Covenant, 170. 265 Sulla funzione di mediazione svolta da Mosè nella promulgazione della Legge cf. FtLONE, Mos. 2. 166; Asc Mos 1 , 1 4; 3,12; Es. Rab. 3,5; 6,3; 33, 1 ; 43,1 ; Dt. Rab. 3,12. Per la trascendenza di Mosè cf. FtLONE, Spec. l , 1 1 6. Così ScH UE R , Lettera ai Galati, 164. Per il retroterra giudaico di Gal 3,19 cf. T. CALLAN, «Pauline Midrash: The Exegetical Background of Gal 3,1 9b>>, in JBL 90( 1 980). 549-567. 266 Cf. soprattutto l'ottimo contributo di A. VANHOYE, «Un médiateur des anges en Ga 3,1 9-20>>, in Bib 59( 1978), 403-41 1 . Così anche BARBAGLIO, «Alle comunità di Galazia>>, 1 1 2; BRucE, The Epistle of Paul to the Galatians. 179. 262

,

214

Commento

tavia è bene notare che Paolo non accenna affatto alla funzione del rappresen­ tante umano: ci tiene a sottolineare il processo della mediazione in atto durante la promulgazione della Legge e non il quadro completo della rappresentanza. La validità dell'interpretazione angelica sul mediatore sembra porre fine all'annosa crux di Gal 3,19b: non si tratta di Mosè, né di Cristo ma di uno degli angeli come ultimo referente della Legge. v. 20: Alla luce della mediazione angelica diventa comprensibile la comples­ sa parentesi del v. 20, nella quale Paolo si sofferma sulla funzione del mediatore. L'espressione è costruita in forma antitetica: da una parte il mediatore, per sua natura, si propone di fare da trait d 'union fra più persone, dall'altra Dio, essendo uno, non ha bisogno di mediazioni per comunicare con gli uomini. In quanto parentesi è bene considerare questa valutazione del mediatore come generale più che riferita al precedente angelo della mediazione.267 Naturalmente questa sentenza generale gioca un ruolo importante nel confronto fra le promesse e la Legge: le prime provengono direttamente da Dio, la seconda, pur essendo di ori­ gine divina, è stata data attraverso un mediatore angelico. Il riferimento a Dio, nella seconda parte del v. 20, rappresenta un'implicita professione di fede sulla sua unicità, che si pone accanto alla tipologia dell'unicità presente, in modo diffuso, in Galati: unico è il vangelo (Gal 1 ,7), il discendente di Abramo (Gal 3,16), Dio (Gal 3,20), gli stessi credenti in Cristo (Gal 3,28), l'erede della promessa (Gal 4,30) e il frutto secondo lo Spirito (Gal 5,22). Non è fuori luogo pensare allo sema ' (Dt 6,4-9) come background di questa affermazione sul­ l'unicità di Dio.268 Dal punto di vista retorico, forse questa sintetica formulazione svolge il ruolo di un entimema, ossia di un sillogismo che lascia inespressa e quin­ di implicita la conclusione, in quanto evidente e condivisa da Paolo e dai destina­ tari della lettera: il mediatore della Legge non è di uno solo, Dio invece da solo ha fatto promessa ad Abramo; «ergo» la Legge è inferiore alle promesse.269 v. 21: La seconda parte della pericope è segnata da una nuova domanda dia­ tribica sulla relazione fra la Legge e le promesse. Questa domanda presenta anzi­ tutto una difficoltà di natura testuale: molti testimoni riportano l'aggiunta tou theou che specifica l'appartenenza delle promesse;270 invece il codice 1 04 aggiun­ ge tou Christou e pochi testimoni non presentano alcuna specificazione.27 1 Per la

267 Contro GIBuN, , 541 , che considera il primo articolo del v. 20 come anaforico. 268 Cf. anche GIBLIN, «Three Monotheistic Texts>>, 527-547; V. STOLLE, «Die Eins in Gal 3,15-29», in W.

DIETRICH - P. FREIMARK - H. ScHRECKENBERG ( edd. ) , Theokratia. Jarbuch des lnstitutum Delitzchianus, FS. K.H. Rengstorff. Leiden 1 973, II, 212; WALLACE, «Galatians 3,1 9-20», 244. Per la tematica dell'unicità di Dio cf. FILONE, Op. 1 70-1 72; FLAVIo GiuSEPPE, Ant. 3,9 1 ; 4,200. Cf. anche Mc 1 2,29; Mt 23,9; 1 Cor 8,4.6; Rm 3,30; ITm 2.5; Ef 4.6; IGNAZIO, Magn. 8,2; ERMA, Mand. 1 , 1 ; Diogn 3,2; CLEMEmr: ALESSANDRINO, Ped. 1 ,8,10. 269 Cf. anche MussNER, La Lettera ai Galati, 388. 2 7° Cf. S, A, C, D, t(/, F. G, 0278, 33, 1 739, 1 88 1 . 271 Cf. P46 , B, Ambrosiaster.

Gal 3 , 1 9-22

215

critica esterna la preferenza dovrebbe essere data alla lezione lunga, in quanto più attestata, anche se fra i codici senza specificazione figura l'importante P46. Invece per la critica interna forse è da preferire la lezione più breve, che è anche la più difficile, in quanto non è necessario precisare l'origine teologica delle pro­ messe: per tale ragione preferiamo questa lezione. Dall 'andamento argomentativo delle precedenti asserzioni questa seconda questione diatribica è naturale: se la Legge è successiva alle promesse e non apporta nulla alla loro realizzazione, forse si oppone a esse? In base a quanto Paolo ha sostenuto sino a ora sulla Legge in Galati, saremmo facilmente indotti a formulare una risposta positiva: Paolo invece, cosciente della comune origine divina che accomuna sia le promesse che la Legge, rifiuta subito tale conclusio­ ne.272 La Legge e la promessa non si oppongono, in quanto sono di natura diver­ sa nella stessa economia della storia della salvezza. Dopo l'immediato rifiuto per una conclusione che oppone Legge e promesse, Paolo ne spiega la motivazione mediante un'ipotetica irreale: poiché la Legge è incapace di vivificare, la giustizia non dipende da essa né dalla sua osservanza, bensì da qualcun altro. In questa risposta merita attenzione anzitutto il passivo edothe che, come i precedenti passivi presenti nella prima questione diatribica ( vv. 19-20), è da considerare come divino: è Dio stesso che ha dato la Legge senza che questa avesse la possibilità di «vivificare». La scelta del verbo «Vivificare» non è casuale: ha una particolare connotazione apocalittica, come in altre frequenze neotestamentarie:27 3 Dio è capace di «Vivificare» (cf. 1 Cor 15,22; Rm 4,17; 8,1 1 ; Gv 5,21a) il Cristo (cf. 1 Pt 3,18) e dona la possibilità sia a lui (cf. Gv 5,21b) che allo Spirito (cf. 2Cor 3,6; Gv 6,63) di «vivificare» ogni uomo (cf. 1 Cor 15,45). In ultima analisi, in questa capacità di vivificare, attribuita dal Padre a Cristo e allo Spirito, si trova la ragione della visione negativa della Legge in Galati e nell'epistolario paolino: essa è considerata in questo modo quando le viene chie­ sta la vita che non gli appartiene e che non può conferire. La dimensione esca­ tologica di questo verbo illumina anche il senso della «giustizia», intesa come condizione definitiva di chi è stato vivificato mediante lo Spirito, come i galati. v. 22: Se al v. 21 Paolo ha spiegato ciò che non può fare la Legge, nella con­ clusione della pericope illustra soprattutto, in forma positiva, l'origine della vita escatologica. Non a caso il verbo didomi al passivo, ancora con valenza divina,274 accomuna le due affermazioni: «Se infatti fosse data . . . » (v. 21); « . . . affinché fosse data . . . )) (v. 22). Il v. 22 si caratterizza anzitutto per la figura retorica della prosopopea: la Scrittura è presentata come un carceriere che ha rinchiuso tutte le cose sotto il peccato. A prima vista sorprende il riferimento alla Scrittura: ci saremmo aspet-

2 72 2 73

Per la risposta tipica della diatriba classica, me genoito, si veda il commento a Gal 2,1 7. I I verbo zoopoiein è tipicamente paolino: nelle sue lettere compare 7xx (Rm 4,17; 8,1 1 ; l Cor 1 5 ,22.36.45; 2Cor 3,6; Gal 3,2 1 ) su un totale di 1 1 xx nel NT (cf. anche Gv 5,2 1 . 2 1 ; 6,63; 1 Pt 3,18). 2 74 Cf. CoRSANI. Lettera ai Galati. 229.

216

Commento

tati la Legge come agente della carcerazione universale, come di fatto spiegherà nei vv. 23-24. Per questo alcuni ritengono che la Scrittura e la Legge si equival­ gano.275 Invece ci sembra che Paolo preferisca, per ora, parlare della Scrittura in quanto non solo i giudei, che conoscono la Legge, si trovano sotto la sua maledi­ zione (cf. Gal 3,13), ma anche i gentili subiscono un imprigionamento.276 Tutti, senza distinzione, si trovano in una condizione di disobbedienza, come Paolo spiegherà nella citazione parallela di Rm 1 1 ,32a: «Rinchiuse infatti Dio tutti nella disobbedienza . . . ». Per questo qui la Scrittura sta per Dio stesso che rin­ chiude tutte le cose sotto il peccato:277 in tale sostituzione anomala, in quanto dopo «la Scrittura» ci si aspetterebbe una citazione diretta dall'AT,278 è rilevabi­ le ancora la ritrosia, da parte di Paolo, nell'accostare in Galati Dio alla Legge. Anche questa è una delle tematiche proprie dell'apocalittica giudaica, che rico­ nosce in Cristo colui che «vivifica».279 Il verbo sygklein ( = rinchiudere) è tipico di Galati e di Romani (cf. Gal 3,22.23; Rm 1 1 ,32); per il NT lo s'incontra di nuovo solo in Le 5,6, che però rende bene l'idea espressa da Paolo: si è come impigliati in una rete di pescatori, senza alcuna possibilità di uscita. Con il referente dell'imprigionamento comincia in Galati una delle tipologie principali e caratteristiche: «sotto il peccato». Più innanzi Paolo dirà soprattutto «sotto la Legge» (3,23; 4,4.5.21 ; 5,18) e «sotto gli elementi del mondo» (Gal 4,3). Tuttavia è bene precisare che il trovarsi «sotto il peccato» non equivale alla condizione di chi è «sotto la Legge», anche se tutte queste situazioni assumono una colorazione negativa. La parte conclusiva della pericope, introdotta da un hina finale, ricalca quel­ la del «midrash» di Gal 3,6-14, in cui veniva esplicitato il senso della stessa pro­ messa che vale anche per il v. 22: è la promessa dello Spirito che viene donata da Dio a coloro che credono in Gesù Cristo.280 Questo disegno viene realizzato, riprendendo la finale di Rm 1 1 ,32b, «affinché (Dio) avesse misericordia verso tutti». A causa delle pretese che i destinatari della lettera avanzano nei confronti della Legge, Paolo è costretto a presentarne una visione negativa: la sua origine non è eterna, è stata posta dopo le promesse fatte ad Abramo e non viene diret­ tamente da Dio. Al contrario, sono state necessarie più mediazioni perché la Legge fosse donata a Israele. Infine, la sua funzione è limitata nel tempo: con Cri­ sto essa diventa «indifferente» e non costituisce più il limite di separazione fra giudei e gentili, nel piano della salvezza, attraverso il quale si possano accampa­ re dei privilegi. 275 Cf. SANDERs, Paolo, la Legge e il popolo giudaico, 1 14; THIELMANN, From Plight to Solution, 75. 2 76 Per la distinzione in Gal 3,22 tra Scrittura e Legge cf. L.L. BELLEVILLE, «"Under Law": Structural Analysis and the Pauline Concept of Law in Galatians 3,21-4, 1 1 >>, in JSNT 26( 1 986), 56; MussNER, La Let­ tera ai Galati. 394; VANHOYE, La Lettera ai Galati, 1 16. 2n Così anche BELLEVILLE, «" Under Law">>, 56. 278 Cf. Gal 3,8; 4,30; Rm 4,3; 9,17; 10,1 1 ; 1 1 ,2. Così anche HoNG, Law in Galatians, 155. 279 Cf. Rm 3,9- 1 9; Ap Esd 3,21 -22; 7,46.48; 8,17. 280 Per il valore oggettivo e non soggettivo di pistis Ièsou Christou cf. l'excursus finale a Gal 2,15-2 1 .

Gal

217

3 ,23-29

Tuttavia, per quanto figurino negative queste considerazioni sulla Legge, in Galati Paolo sembra salvaguardare, con discrezione, due principi inalterabili: la Legge è di origine divina, come le promesse, anche se di natura diversa, e la sua limitata funzione nella storia della salvezza non significa, nello stesso tempo, la sua definitiva abrogazione. Queste valutazioni sulla Legge in Galati non dipendono dall'incapacità umana di adempierla né dalla sua strutturale deficienza, bensì dal fatto che la «vita» è donata dal Cristo e dallo Spirito e non dalla Legge.28 1

LA FIGLIOLANZA

3.5.

ABRAMITICA MEDIANTE LA FEDE

(3,23-29)

Il ruolo della Legge nella storia della salvezza è ulteriormente spiegato, nella nuova microunità letteraria, da una prospettiva più ampia rispetto alle pericopi precedenti, vale a dire nel quadro della successione cronologica fra l'epoca della Legge e quella della fede. Non è facile stabilire l'unità letteraria della nuova pericope: l'argomenta­ zione storico-salvifica si chiude con il v. 25 oppure con il v. 29? Il criterio attan­ ziale indurrebbe a considerare separatamente i vv. 23-25 dai vv. 26-29: se nei primi versi si trova la prima persona plurale, nei secondi subentra la seconda plu­ rale.282 Tuttavia, si è già constatato che il passaggio da una persona all'altra, soprattutto per Galati, non costituisce un criterio solido di delimitazione (cf. Gal 2,15-2 1 ) . Piuttosto, poiché il modello argomentativo di Gal 3,23ss è simile a quel­ lo di Gal 4, 1-7, forse è meglio considerare Gal 3,23-29 come unità letteraria: a) esemplificazione giuridica (Gal 3,23; 4,1 -2); b) applicazione dell'esempio al «noi» (Gal 3,24-25; 4,3-5); c ) applicazione dell'esempio al «voi» (Gal 3,26-29; 4,6-7).283 Dunque, pur riconoscendo un certa distinzione, all'interno di Gal 3,23-29 fra i vv 23-25 e vv 26-29, è preferibile analizzarla unitariamente.284 Comunque non vanno dimenticate le connessioni rispetto alla pericope precedente riscontrabili nella ripresa, in forma di «parola gancio», del verbo sygkleiein ( = «rinchiudere», vv 22.23) e del termine pistis (= fede, vv. 22-23). Invece un maggiore distacco è .

.

.

21H In base a queste conclusioni risultano del tutto errate le asserzioni di Htibner, per il quale la Legge è di origine angelica e non divina; la stessa Legge verrebbe abrogata con la venuta di Cristo. Cf. Hos­ NER, La Legge in Paolo, 65-69. 282 Così B ETZ, Galatians, 1 8 1 ; BYRNE, «Sons of God», 1 65; BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 181 e 1 83; CoRSANI, Lettera ai Galati, 233; DuNN, Galatians, 1 96; EBELING, La verità dell'evangelo, 234; MATE­ RA, Galatians, 1 34 e 1 4 1 ; F. PASTOR RAMOS, La libertad en la carta a los Galatas. Estudio exegético-teologico, Madrid 1 977, 78. 283 Per la presenza dello stesso pattern in Gal 3,23-29 e Gal 4,1 -7 cf. CosGROVE, The Cross and the Spirit. 69. 284 Così anche BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 1 97-198; FuNG, The Epistle to the Galatians. 1 67; HoNG, Law in Galatians, 45; HANSEN, Abraham , 1 36; LOHRMANN, Galatians, 74; RmoERBos, The Epistle of Pau[ to the Churches of Galatia, 143; VANHOYE, La Lettera ai Galati, 1 16.

218

Commento

riconoscibile rispetto alla pericope successiva (Gal 4,1 -7), introdotta dalla for­ mula lego de ( = dico però, v. l ) . I l tenore diatribico della pericope precedente ( vv. 1 9-22) permane anche in Gal 3,23-29, in particolare mediante la personificazione della fede e della Legge ( vv. 23-24). Tuttavia, questa pericope si dimostra originale, soprattutto per il rife­ rimento alla situazione battesimale nella quale si trovano i credenti. Quindi, senza ignorare il codice cronologico dei vv. 23-24, in cui al periodo della sotto­ missione alla Legge subentra quello della figliolanza divina,285 Paolo sembra ora far leva soprattutto sulla condizione attuale nella quale si trovano i credenti e, in particolare, i destinatari della lettera. Si può notare che si passa, così, a un nuovo registro argomentativo, da porre accanto a quello «midrashico», «diatribico» e «storico-sal vi fico». 23 Ma prima che giungesse la fede, eravamo sorvegliati sotto la Legge, rin­ chiusi sino a che non fosse rivelata la fede che doveva venire, 24 cosicché la Legge è diventata pedagogo per noi sino a Cristo, affin­ ché fossimo giustificati dalla fede; 25 giunta però la fede non siamo più sotto pedagogo. 26 Tutti, infatti, siete figli di Dio, mediante la fede, in Cristo Gesù; 27 quanti infatti in Cristo siete stati battezzati di Cristo vi siete rivestiti. 28 Non c'è giudeo né greco non c'è schiavo né libero, non c'è maschio né femmina; tutti, infatti, voi uno siete in Cristo Gesù. 29 Poiché voi siete di Cristo, dunque siete seme di Abramo, eredi secondo la promessa. Questa nuova unità si compone di tre parti fondamentali: a ) successione cro­ nologica fra la Legge e la fede (vv. 23-25) ; b) applicazione dell'epoca della fede ai galati (vv. 26-28); c) conclusione generale della seconda dimostrazione (v. 29). Il criterio che conferma queste suddivisioni interne della pericope è quello delle inclusioni riscontrabili fra il v. 23 e il v. 25 («Ma prima che giungesse la fede . . . giunta però la fede»), fra il v. 26 e il v. 28 («Tutti, infatti, figli di Dio in Cristo Gesù . . . tutti, infatti, voi uno siete in Cristo Gesù»). Lo stesso v. 29 funge da inclu­ sione rispetto alla tesi della seconda dimostrazione ( Gal 3,6-7), rivelando che con questa pericope si perviene a uno dei punti conclusivi della stessa argomenta-

285 Per la centralità tematica della figliolanza in Gal 3,23-4,7 cf. O.S. BRooKs, «A Contextual lnter­ pretation of Galatians 3:27», in Studia biblica ( 1 978)3, 50.

Gal 3,23-29

219

zione paolina: «Riconoscete dunque che coloro che vengono dalla fede questi sono figli di Abramo . . . E se voi siete di Cristo, dunque siete seme di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3,7.29). La vivacità stilistica della nuova pericope è subito riconoscibile per la figura della «prosopopea» con la quale Paolo descrive i ruoli della fede e della Legge: la fede è simile a una persona che deve arrivare e la Legge è paragonabi­ le a un custode che sorveglia, tenendo prigionieri coloro che gli sono sottomessi. Per quanto riguarda la fede che, nella prima parte dell'argomentazione ( vv 2325), compare per ben 4xx ( vv 23 [bis] .24.25), sembra che Paolo non si riferisca sol­ tanto alla sua dimensione personale del credere in Cristo. La stretta connessione con il verbo «rivelarsi» (v. 23) dimostra che si ha di mira soprattutto la dimensio­ ne storico-salvifica della fede, riconoscibile nel vangelo che in Cristo trova il suo evento centrale.286 In tal caso, come in Gal 1 ,23, la fede sta per il vangelo, ossia per l'evento storico della salvezza realizzata in Cristo, senza dimenticare l'orizzonte della giustificazione che si realizza mediante la fede personale in lui.287 Invece la Legge è ancora presentata, come in tutta la seconda dimostrazione della lettera (Gal 3,1-4,7), con tinte fosche. Anzitutto, prima che venisse rivelata la fede, si era «sotto la Legge», ricordando che in Galati il sintagma hypo + accu­ sativo si riferisce sempre a una condizione negativa dell'uomo: «sotto il peccato» (Gal 3,22) , «sotto tutori e amministratori» (Gal 4,2), «Sotto gli elementi del mondo» (Gal 4,3) e «Sotto la Legge» (Gal 3,23; 4,4.5 .21 ; 5,18). Il parallelo di Gal 3,10 permette di specificare ulteriormente il senso della sottomissione alla Legge: significa, in definitiva, essere collocati sotto la sua maledizione.288 Tutta­ via, per quanto possa essere descritta negativamente la condizione dell'uomo sotto la Legge, questa non corrisponde al peccato. In Rm 7,7 Paolo stesso negherà ogni assimilazione fra la Legge e il peccato, anche se la stessa Legge fa riconoscere il peccato, anzi lo muta in trasgressione passibile di condanna per l'uomo (cf. Rm 5,13).289 Non è semplice stabilire il soggetto di quanti si trovano sotto la Legge: tutti gli uomini oppure soltanto i giudei che hanno conosciuto la Legge? Il contesto precedente di Gal 3,22 e il parallelo di Rm 2,12-16 indurrebbero a considerare tutti gli uomini in una condizione di sottomissione alla Legge, senza alcuna distinzione.290 Tuttavia, ci sembra che, come in Gal 3,13-14 e in Gal 4,1-7, Paolo v.

23:

.

.

286 Non a caso in Galati il verbo «rivelare>> e il sostantivo «rivelazione>> sono relazionati soprattutto alla persona di Gesù Cristo, Figlio di Dio ( cf. Gal l ,12.16) . Per l'identificazione di pistis in Gal 3,23-25 come fondamento della fede cf. D.M. HAY, , in JBL 1 08( 1 989), 47 1 . 287 Per l'incidenza sia personale che storico-salvifica della fede i n Gal 3,23-26 cf. BETz, Galatians, 1 75: B RucE. The Epistle of Pau/ to the Galatians, 1 8 1 . 288 C f. THIELMANN, From Plight to Solution, 78. 289 Per la negazione dell'assimilazione tra la Legge e il peccato cf. anche HoNG, Law in Galatians, 164. 2 90 Così BoNNARD, L' Épitre de saint Paul aux Galates, 75; B RuCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 183: FuNG, The Epistle to rh e Galatians, 167; RIDDERBos, The Epistle of Pau/ to the Churches of Galatia, 145.

220

Commento

distingua i soggetti della condanna: anche se tutti prima e senza di Cristo si tro­ vano «sotto il peccato», soltanto i giudei sono «sotto la Legge».291 Questa speci­ ficazione motiva anche il passaggio dalla prima persona plurale nei vv. 23-25 alla seconda plurale dei vv. 26-29, ovvero dal «noi>> dei giudei al «VOi» dei gentili. La condizione di sottomissione alla Legge è spiegata mediante due verbi prevalentemente paolini: phrourein ( = sorvegliare) e sygkleiein ( = rinchiudere). Di per sé il primo verbo, «sorvegliare», può assumere anche valore positivo: ad esempio, la pace di Dio custodisce il cuore dei filippesi (cf. Fil 4,7) e i destinata­ ri della lPietro sono, a loro volta, custoditi mediante la fede (cf. l Pt 1 ,5). Questo verbo appartiene al linguaggio civile dell'ordine pubblico, come dimostra il parallelo di 2Cor 1 1 ,32, ma in Galati, soprattutto per la connessione con «rin­ chiudere», assume valore negativo: «sorvegliare» chi è rinchiuso affinché non fugga.292 Il secondo verbo, sygkleiein, può essere illuminato dal parallelo lucano della pesca miracolosa: «Catturarono un gran numero di pesci» (Le 5,6). Coloro che si trovano sotto la Legge sono come impigliati nelle nasse dei pescatori, senza alcu­ na via d'uscita. Questa condizione di schiavitù viene maggiormente sottolineata attraverso la relazione che Paolo stabilisce fra l'essere rinchiusi sotto la Legge e sotto il peccato, in Gal 3,22-23: in definitiva, anche se non vi è identità fra i domi­ natori, la condizione di quanti si trovano sottomessi non è molto diversa. v. 24: I due verbi della proposizione precedente figurano come prolettici rispetto al quadro della metafora del pedagogo che si va sviluppando: Paolo si propone di spiegare prima la funzione della Legge e quindi la sua identità.293 Essa è un «pedagogo» che ha condotto i giudei a Cristo. Una lettura deconte­ stualizzata della metafora conduce facilmente a considerarla in modo positivo: come un buon educatore, la Legge aprirebbe a Cristo. In realtà, da una parte la letteratura classica attesta una valutazione meno positiva del pedagogo rispetto alla nostra,294 e dall'altra sia i verbi del v. 23 che il contesto generale di Gal 3, 1-4,7 inducono a considerare questa metafora in modo negativo.295 Anche nel-

29 1 Così anche HoNG, Law in Galatians, 46; RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 202; V ANHOYE, La Lettera ai Galati. 1 1 7. 29 2 Sulla connotazione negativa di questi verbi in Galati cf. CoRSANI, Lettera ai Galati, 230; HoNG, Law in Galatians, 1 58. 293 La valutazione positiva della metafora viene sostenuta da DuNN, Galatians, 1 97: T. D. GoRDON, , 1 1 4; BETZ, Galatians, 1 77: BvRNE, «Sons of God», 164; EoELING, La verità dell'evangelo, 22 1 ; HANSEN, Abraham , 135: HoNG, Law in Galatians, 160: N. H. YouNG, , in Biblica/ A rchaeologist 53( 1 990), 1 7 1 ; R. KIEFFER, Foi et justification à Antioche. lnterprétation d 'un conflit (Ga 2, 14-21), Paris 1982, 47: SANDERS, Paolo, la Legge e il popolo giudaico, 1 1 5 ; D.F. ToLMIE, , in Neot 26( 1 992). 413; WESTERHOLM, Jsraels Law, 1 96.

221

Gal 3,23-29

l'unico parallelo neotestamentario, 1 Cor 4,14-15, Paolo oppone la relazione nega­ tiva dei fanciulli con i pedagoghi rispetto a quella con il padre. Da questa imma­ gine Paolo coglie soprattutto l'aspetto della costrizione e della transitorietà.296 Come un pedagogo, impegnato nella sorveglianza del fanciullo affidatogli dal­ l'infanzia sino alla pubertà, la Legge ha tenuto i giudei sotto vigilanza; e se per la Legge questa metafora esprime la funzione negativa della sorveglianza, per i desti­ natari manifesta la condizione altrettanto negativa di chi ancora non è pervenuto a una condizione matura, per cui possa fare a meno della Legge stessa. 297 Inoltre, come un pedagogo è impiegato per un periodo limitato nella vita di un bambino, così la Legge con il sopraggiungere della maggiore età conclude la sua funzione, ha esaurito il suo compito. Per questo il «fino a Cristo» non ha valore qualitativo o finale bensì cronologico, corrispondente a «sino alla venuta di Cristo».298 Rispetto a queste esplicitazioni della metafora utilizzata al v. 24 è bene però precisare sia la necessità che la non abrogazione di questo pedagogo che è la Legge.299 Per quanto Paolo ricalchi la funzione negativa della Legge, questa è stata necessaria per la tutela del fanciullo: altrimenti questi sarebbe incorso facil­ mente in qualche avventura fuorviante o pericolosa per la sua formazione. Inol­ tre la periodizzazione della funzione del pedagogo, che è la Legge, non significa che, esaurito il suo compito, egli viene tolto di mezzo. Volendo proseguire con questa metafora, in contesto domestico, quale doveva essere quello del pedago­ go, egli restava schiavo, assumendo altre mansioni ma senza venire mai messo a morte né reso libero, con la conclusione della sua funzione nei confronti del fan­ ciullo, diventato ormai adulto. In modo analogo, la Legge è un pedagogo neces­ sario anche se negativo e non viene abrogata con l'esaurimento della sua fun­ zione nei confronti di Israele: questi due argini vanno sempre rispettati nella valutazione della Legge in Galati, come in tutta la teologia paolina.300 Circa il suo background, la figura del pedagogo è diffusa sia nel giudaismo, soprattutto in quello ellenistico,301 che nella letteratura propriamente greco­ romana, soprattutto in quella cinico-stoica.302 Perciò è difficile stabilire il retro-

Così anche YouNG, , 1 7 1 ; ToLMIE, > con senso metafo­ rico, anche se soprattutto nell'epistolario paolino e in contesti esortativi.314 Così, i destinatari di Romani sono invitati a rivestirsi delle armi della luce (cf. Rm 13,12), i colossesi di «viscere di misericordia» (cf. Col 3,12) e gli efesini della corazza della giustizia (cf. Ef 6,14). Invece in Gal 3,27, come in Rm 13,14, la metafora assume più un 'incidenza kerygmatica che esortativa: i destinatari si sono già rivestiti di Cristo, per il loro inserimento in lui. Per una sensibilità contemporanea, l'immagine non sembra molto efficace, in quanto attesterebbe un rivestimento esterno, non profondo. Invece la relazione con la prima parte del parallelismo, in cui essere battezzati in Cristo esprime una profonda relazione con lui, chiarifica che si tratta di un'espressione visibile rispetto a un mutamento interiore e radicale. Per questo l'immagine non viene bene illuminata dal contesto teatrale nel quale «rivestirsi» di qualcuno equivale a indossarne la maschera.315 Le successive coppie di opposti esplicitano, in modo ancora più concreto, il cambiamento profondo che si realizza con l'unione a Cri­ sto attraverso il battesimo. Circa l'origine della metafora, è suggestivo il rappor­ to sia con le religioni misteriche316 che con lo gnosticismo attestato soprattutto a Nag Hammadi,317 nei quali non ci si riveste tanto di sentimenti positivi o negati­ vi, quanto di una persona, di Cristo, come in Gal 3,27 e in Rm 13,14. Comunque è preferibile collegare la metafora alla relazione con Cristo, secondo il modello della cristologia adamica, riscontrabile nell'immediato v. 28, anche per la data­ zione tardiva di molte fonti misteriche e gnostiche.3 18 v. 28: La novità dell'essere figli di Dio in Cristo, mediante il battesimo, viene formulata, con incisività, attraverso la negazione di alcune coppie oppo­ sitive. Non è il primo caso in cui Paolo procede, nelle proprie argomentazioni, per antinomie: analoghe opposizioni sono verifica bili soprattutto in l Cor 12,12-13 e in Col 3,9b- 1 1 .319 Per questo un'analisi sinottica delle espressioni

3 13

Così HANSEN, Abraham. 137. Cf. lTs 5,8; Rm 1 3. 1 2; Col 3,10.12; Ef 6, 1 1 . 1 4. Cf. anche l Cor 1 5 ,53-54 per il rivestimento nella risurrezione. m Cf. DIONIGI DI ALICARNASSO, 1 1 ,5,2. 3 16 Cf. PLUTARCO, /s. et Osir. 352B; APULEIO, Met. 1 1 ,24. 31 7 Cf. NHC. IL 57,1 9-24; Odi di Sal. 7,4; 25,8; 33, 1 2; 39,8. 3 18 Sulla cristologia adamica soggiacente a Gal 3.27-28 cf. HoNG, Law in Galatians, 46. 3 19 Cf. anche l Cor 3.22; 10.3 1 ; Rm 8.38-39; Ef 6.8. 3 14

225

Gal 3 ,23-29

aiuterà a cogliere, con maggiore evidenza, il contenuto e la portata delle stesse opposizioni:320 1 Cor 12, 12-13

Ga/ 3,26-28

Col 3, 9b-11

12 Come infatti il corpo pur essendo uno ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte sono un solo corpo, così anche Cristo.

26 Tutti, infatti, figli di Dio siete, mediante la fede, in Cristo Gesù;

9b Vi siete svestiti del­ l'uomo vecchio con le sue azioni

13 E infatti tutti noi in un solo Spirito siamo stati battezzati per for­ mare un solo corpo,

27 quanti infatti in Cri­ sto siete stati battezzati di Cristo vi siete rivestiti.

sia giudei che greci,

28 Non c 'è giudeo né greco,

sia schiavi che liberi,

non c'è schiavo né libero, non c'è maschio né femmina;

e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.

tutti, infatti, voi uno siete in Cristo Gesù.

10 e vi siete rivestiti del nuovo che si rinnova per una ptena conoscenza, a immagine del suo crea­ tore. 1 1 Qui non c'è greco né giudeo, circonclSlone, incirconcisione, barbaro, scita, schiavo, libero

ma tutto in tutti, Cristo.

I tre testi, collocati in tabella sinottica, rivelano diverse contiguità nelle parti introduttive, nella presentazione delle coppie oppositive e nelle conclusioni. Infatti, pur nelle varietà contestuali e funzionali, 1 Cor 12,13; Gal 3,27 e Col 3,10 si riferiscono alla novità di vita a cui si perviene mediante il battesimo, anche se in Col 3,10 manca l'esplicito riferimento al battesimo, sostituito dal rivestirsi del-

320 Per un confronto sinottico tra 1 Cor 12,12-13; Gal 3,26-28; Col 3,9- 1 1 cf. M. BoUTII E R, «Complexio oppositorum sur !es formules de 1 Cor 12,13; Gal 3,26-28; Col 3,10- 1 1 » , in NTS 23 ( 1 976-1 977 ) , 1 - 1 9; CoRsA­ N!, Lettera ai Galati, 242.

226

Commento

l'uomo nuovo che di fatto, in base all'interpretazione offerta di Gal 3, 27, indica la stessa realtà. Le tre microunità condividono le stesse coppie etniche ( = giudeo-greco) e civili ( = schiavo-libero), pur se in costruzioni sin tattiche diverse. La presenza minima di coppie è attestata in l Cor 12,13 (due coppie), mentre la maggiore si riscontra in Col 3,1 1 (quattro coppie); in Gal 3,28 ne vengono elencate tre. Inol­ tre, mentre in Galati e in Colossesi le coppie sono poste per essere negate, in l Corinzi lo sono per essere affermate. Le conclusioni delle tre pericopi, infine, sono polarizzate dalla relazione fra «tutti» e «uno»: in Galati e in Colossesi que­ sta polarizzazione è risolta a livello cristologico, mentre in l Corinzi lo è a livello pneumatologico. Questa differenza è dovuta alla prospettiva pneumatologica, attraverso la quale Paolo affronta il problema dei carismi in l Cor 12. Da uno sguardo globale delle pericopi si può considerare come originaria quella di l Cor 12,12-13, sulla quale Paolo sviluppa quella di Gal 3,26-28, mentre in Col 3 ,9b-l l sembra verificarsi una ripresa, quasi decontestualizzata, rispetto alla stessa lettera, di Gal 3,26-28.321 Tale decontestualizzazione ha indotto diver­ si studiosi a considerare queste pericopi come prepaoline: troverebbero il loro contesto in ambito battesimale, di origine ellenistica.322 Invece vi sono buone ragioni per ritenere queste polarità come paoline: di fatto anche in altri contesti Paolo stabilisce delle polarizzazioni di gruppi, come fra «sapienti e stolti>> (cf. Rm 1 ,14), «greci e barbari>> (cf. Rm 1 ,14), «circoncisio­ ne e incirconcisione>> (cf. Gal 5,6; 6,15), «Legge e non Legge» (cf. 1 Cor 9,202 1 ).323 Si può ben sostenere che questo modo di argomentare è tipico del pen­ siero paolina, che predilige le antitesi per suscitare un senso da una parte di uni­ versalità e dall'altra di meraviglia nei destinatari.324 Prima di passare all'analisi delle singole antinomie è bene rilevare l'ambito di riferimento nel quale esse si affermano ( l Cor 12,12-13) e si negano (Gal 3,2628; Col 3,9b- 1 1 ) : quello fondamentale dell'essere in Cristo. In lui tutte le diffe­ renze sono negate, in quanto tutti trovano possibilità di inserzione. Tuttavia men­ tre in Gal 3,26-28 e in Col 3,9b- l l le coppie oppositive vengono negate, in l Cor 12,12-13 sono affermate. La ragione di questa apparente contraddizione risiede nei diversi contesti che caratterizzano le singole lettere. Infatti se in Gal 3,26-28 si tratta dell'essere in Cristo mediante il battesimo, in l Cor 12,12-13 subentra la

321 Così anche J.-N. ALEITI , Lettera ai Colossesi, Bologna 1 994, 1 97; BourrrER, , 1 1 ; H .W. HousE, «Neither . . . Male nor Female . . . in Christ Jesus>>, in BS 145 ( 1 988), 47-56; D.R. McDo­ NA LD , There is No Male and Female: The Fate of a Dominica/ Saying in Pau/ and Gnosticism, Philadelphia 1 987. m Così BETz. Galatians; Bou:rrr ER. «Complexio oppositorum>>, 8; HANSEN, Abraham, 137; R.G. HAMERTON-KELLY, . in CBQ 52( 1 990), 65. '�-' Così anche F. SARAnNo, «Forma e funzione di una formula paolina: Gal 3,28», in RivBib 28( 1 980), 385-406. m Sulla figura dell'antitesi, caratteristica della retorica paolina, cf. N. ScHNEIDER, Die rhetorische Eigenart der paulinischen Antithese. Tiibingen 1 970.

Gal 3,23-29

227

relazione fra diversità carismatiche e unità cristologica. In altri termini, in Gala­ ti Paolo si sofferma sul livello fondamentale della fede in Cristo, mentre in l Corinzi sulle relazioni ecclesiali, costruite in base alla formazione di un solo corpo in Cristo. Quindi Paolo non nega in assoluto, a tutti i livelli della vita cristiana, le diffe­ renze civili, etniche e sessuali ma rispetto all'essere in Cristo, ossia alle condizio­ ni per entrare e rimanere nell'alleanza o, più semplicemente, a livello della fede. Per questo le traduzioni correnti di Gal 3,28 risultano errate e fuorvianti: Paolo non dice che «non c'è più»,325 ma che «non c'è giudeo né greco, non c'è schiavo né libero, non c'è maschio né femmina». L'aggiunta di un «più» da una parte lascia intendere che c'è stato un tempo in cui queste differenze in Cristo erano presen­ ti, quando non ci sono mai state, e, dall'altra che esse valgono anche per gli altri livelli della vita cristiana. Invece, proprio in l Cor 12,12-27, Paolo partirà dall'unità in Cristo per spiegare le diversità carismatiche e ministeriali della Chiesa. Pertanto, queste antinomie hanno consistenza assoluta riguardo all'essere in Cristo, secondo la relazione che si rende visibile nell'adesione a lui, ma anche relativa, in quanto nei rapporti ecclesiali queste stesse opposizioni risultano utili per la varietà delle funzioni nella Chiesa. In tal senso è necessario salvaguarda­ re sia i diversi contesti sia le differenti funzioni argomentative delle affermazio­ ni paoline, altrimenti le tensioni presenti nello stesso epistolario, che vanno rico­ nosciute come tali, possono essere considerate come delle incolmabili contrad­ dizioni. Ora, soffermandoci più direttamente sulle antinomie di Gal 3,28, è bene notare anzitutto la progressiva estensione di orizzonti con cui Paolo le formula: si va dalle differenze etniche per antonomasia, a partire da una prospettiva giu­ daica a una più estesa, riguardante il livello civile, per giungere alla differenza che riguarda tutti gli uomini, fondata sulle distinzioni sessuali. Paolo sembra sostenere che se in Cristo non vi è differenza fra giudeo e greco, tanto più non vi è distinzione fra schiavo e libero e, ancor più, fra maschio e femmina. L'analisi delle singole antinomie spiegherà la relativa funzione persuasiva rispetto ai destinatari della lettera. Alcuni sottolineano le connessioni fra queste antinomie e la preghiera giu­ daica, di origine rabbinica, nella quale si ringrazia il Signore per non essere paga­ no, schiavo e donna.326 A prima vista, il parallelo è suggestivo, anche se non trova fondamento nell'epistolario paolino e nel resto del NT, in tanto sembra di data­ zione successiva.327 Inoltre tale accostamento è troppo vago e, in definitiva, fuor­ viante, perché di per sé Paolo, in relazione alla fede, non nega soltanto l'essere schiavo, greco e donna ma anche la polarità contraria, ossia l'essere libero, giu­ deo e maschio.

325 Cf.

le traduzioni CEI e NVB. Cf. m. Ber. 3,3; 7,2. Cf. STRACK - BILLERBECK, Kommentar, III, 559-562. Così anche BRucE, The Epi· st/e of Pau/ to the Galatians, 1 87- 1 88. 327 Così anche DuNN, Galatians, 206. 326

228

Commento

La prima antinomia si riferisce alle distinzioni etniche fra giudeo e greco: non a caso, Paolo cita prima il giudeo, come in 1 Cor 12,13 e nei restanti paralleli.328 Egli si colloca dalla prospettiva giudaica per considerare le relazioni etniche: per questo la coppia «giudeo-gentile» (cf. Gal 2,15; Rm 9,24) ne rappresenta una variante. In Col 3,1 1 , per ragioni di maggiore attenzione ai destinatari della lette­ ra, si troverà prima il greco e poi il giudeo. Tuttavia la coppia più nota è quella che distingue, dal punto di vista etnico, gli uomini in «greco» e «barbaro».329 È interessante notare che se in Gal 2,1-14 Paolo aveva sottolineato le diffe­ renze di strategie evangeliche, in base alle quali egli è inviato ai gentili mentre Pietro ai giudei (cf. Gal 2,7-9), ora non viene stabilita alcuna distinzione. Ancora una volta, è necessario stabilire una fondamentale distinzione fra adesione al vangelo, in base alla quale non vi è nessuna differenza etnica, e la modalità di evangelizzazione per la quale le diversità di incarnazione risultano non solo legittime ma necessarie, nel rispetto dei singoli destinatari del vangelo. Sia questa sia la successiva antinomia sono negate con il sintagma ouk eni ( = non c'è): la particella eni, formula allungata di en e sostitutiva del verbo «esse­ re», si trova quasi esclusivamente nell'epistolario paolino, per il NT, e sempre in relazione a ouk.330 Si è già osservato che la traduzione più pertinente di questa formula non è «non c'è più» ma un semplice «non c'è», in quanto negazione per­ manente di distinzioni e non abolizione di quanto c'era prima in Cristo; per que­ sto la Vulgata traduce bene con non est. La seconda antinomia, meno diffusa della prima, estende gli orizzonti alle differenze civili fra schiavo e libero:331 in questo caso è bene precisare che ven­ gono negate le differenze civili più che quelle sociali, per le quali invece avrem­ mo l'antinomia doulos-kyrios che di fatto non compare mai nell'epistolario pao­ lino. Per la negazione di questa coppia è necessario rilevare l'importanza del­ l'asse civile «schiavo-libero» nel contesto classico: non si tratta di una relazione opzionale, ma strutturale, per cui la sua abolizione avrebbe rappresentato il crollo della civiltà greco-romana. Per questo Paolo stesso invita, dal punto di vista civile, gli schiavi a restare nella loro condizione; e nelle lettere deutero­ paoline non mancheranno esortazioni verso gli schiavi cristiani a rispettare i loro padroni, anche se non ne condividono la fede.332 Non a caso, il problema del biglietto a Filemone non è rappresentato dalla liberazione di Onesimo, per la quale Paolo poteva anche avere delle buone ragioni di perorazione a causa

328 Cf. 1 Cor 1 ,24; Rm 1 , 16; 2.9. 10; 3,9; 10,12. Questa coppia sarà maggiormente attestata in Romani a causa dell'universalismo della salvezza che si trova al centro tematico della lettera. 329 Cf. Rm 1 , 14. Cf. anche FILONE , Ebr. 1 93-205; Mos. 2,12,20; Spec. 2,44-45; Op. 1 28; Deca/. 153: L.A. 145; 162; 292. 330 Cf. 1 Cor 6,5: Gal 3,28.28; Col 3,1 1 . Cf. anche Gc 1 , 1 3 . Cf. F. B LASS - A. DEBRUNNER - F. REHKOPF, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, Brescia 1 982, 98.4. 33 1 Cf. lCor 12,13; Co1 3, 1 1 ; Ef 6,8 . .m Cf. Col 3,22-25; Ef 6,5-8; l Tm 6,1 -2; Tt 2,9- 10. Sui codici domestici paolini, di cui fanno parte le raccomandazioni per gli schiavi, cf. PITTA , Sinossi paolina, 207-2 17.

Gal 3 ,23-29

229

del suo essere cristiano, come lo stesso Filemone, bensì la riaccoglienza di que­ sto schiavo «fuggitivo».333 Dunque è necessario tener presente il contesto sociale in cui si collocano le asserzioni paoline: sono diverse da quelle provenienti dalle sètte giudaiche dei terapeuti e degli esseni, nelle quali tali differenze venivano abrogate.334 Questo non significa che il cristianesimo delle origini, come quello di tutti i tempi, man­ chi di incidenza civile o sociale, ma soltanto che il contesto giuridico classico impediva a Paolo di sostenere una relazione civile nella quale venissero a man­ care schiavi e liberi. Comunque egli annuncia una negazione assoluta rispetto all'essere in Cristo: a questo livello anche una relazione così fondamentale per la società classica non ha ragione di sussistenza. Spetta al cristianesimo di ogni tempo rendere incarnata e visibile, per quanto possibile, questa novità apocalit­ tica dell'essere in Cristo. Al vertice delle negazioni relazionali, determinate dall'essere in Cristo, si trova la coppia polare di tipo sessuale, maschio e femmina: questa rappresenta anche la negazione più audace che tocca, più profondamente, ogni uomo. Paolo doveva essere cosciente della portata di tale negazione, soprattutto se si pensa al contesto sociale che alla donna non attribuiva nessuna importanza giuridica o religiosa;335 per questo non la si riscontrerà più, con lo stesso linguaggio, in nes­ sun'altra sua lettera.336 Dal punto di vista sintattico, questa antinomia è costruita in modo legger­ mente diverso dalle precedenti: invece della seconda negazione oude che rac­ cordava le altre coppie, si trova un semplice kai che collega il maschio alla fem­ mina. Alcuni attribuiscono questa variazione alla presenza della citazione impli­ cita di Gen 1 ,27 (LXX), riportata anche in Mc 1 0,6: «Maschio e femmina li creò».337 In continuità con questo ipotetico accenno a Genesi, poiché in Gal 3,28b le antinomie vengono risolte dall'«uno in Cristo», altri ritengono presente in queste asserzioni il mito gnostico dell'androgino primordiale.338 Il riferimento a Gen 1 ,27 è possibile, soprattutto se si pensa alla relazione fra unità (uomo-Cristo) e diversità (maschio-femmina) presente in entrambi i testi: in tal caso non si tratterebbe di semplice variazione stilistica rispetto alle coppie

333 A tal proposito cf. A. PnTA, «Come si persuade un uomo? Analisi retorico-letteraria della Lette­ ra a Filemone>>, in C. MARCHESELLI-CASALE (ed.), Oltre il racconto. Esegesi ed ermeneutica: alla ricerca del senso, Napoli 1 994, 93-107. 334 Cf. fiLONE, Cont. 9,70; Prob. 79; FLAVIO GiuSEPPE, Ant. 18,2 1 . 33 5 Sulla concezione della donna rilevabile d a Gal 3,28 cf. B . WJTHERINGTON, « Rite and Rights for Women - Galatians 3,28>>, in NTS 27( 1 980-1981), 593-604. 336 Cf. invece Vang Tom 6�; Vang egiz 2; 2Clem 12; CLEMENTE ALESSANDRINO, Strom. 3,92,2. 337 Cf. BouTTIER, , 7; BRUCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 189; CoR­ SANI , Lettera ai Galati, 243; MATERA, Galatians, 1 42-1 43; VANHOYE, La Lettera ai Galati, 128. A sua volta, Jegher-Bucher preferisce collegare questa coppia più all'alleanza noachica di Gen 6, 1 9; 7,2 che alla crea­ zione dei primogenitori . Cf. JEGHER-BucHER, Der Galaterbrief, 201 . 338 Cf. BETz, Galatians, 1 97; W.A. MEEKS, «The lmage of Androgyne; Some Uses i n Earliest Christia­ nity>>, in HR 1 3 ( 1 974), 164-208; lo., The First Urban Christians. The Socia/ World of the Apost/e Pau/, New Haven-London 1 983, 155 (tr. it. Bologna 1 994).

Commento

230

precedenti.339 Invece, il richiamo al mito dell'androgino originario sembra poco illuminante, in quanto Paolo non delinea un'abrogazione delle differenze ses­ suali bensì una negazione relativa all'essere in Cristo.340 Spostando ora l'attenzione dalle antinomie al contesto prossimo della lette­ ra, diversi studiosi ritengono che, a parte la prima coppia, giudeo-greco, le altre due non trovano molta corrispondenza; questo confermerebbe l'origine prepao­ lina delle antinomie.341 Invece, anche se il binomio schiavitù-libertà non viene ripreso in forma letterale, è presente in Gal 4,1-7 e soprattutto nel «midrash» di Gal 4,21-5,1 . In modo analogo, abbiamo già osservato che la coppia «maschio-femmina» non si troverà più, così espressa, non solo in Galati, ma in nessun'altra lettera paolina. Tuttavia, proprio in Gal 5,6; 6,15 si trova la coppia «circoncisione-incir­ concisione>>, riconducibile ancora all 'ambito sessuale, oltre che a quello religio­ so. Dunque Paolo sembra sostenere che in Cristo si ha persino la negazione delle differenze sessuali, tanto più quelle fondate sui segni esterni della circoncisione e dell'incirconcisione. Tale argomentazione è quanto mai pertinente per la situa­ zione della lettera, in quanto i galati stanno proprio per farsi circoncidere, così da pervenire a un livello superiore di perfezione religiosa. Questa rispondenza con­ testuale conferma l'origine paolina delle antinomie: sono caratteristiche del suo stile argomentativo.342 Le connessioni delle coppie oppositive rispetto a Gal 5,6 e a Gal 6,1 5 espli­ citano anche la prospettiva dalla quale Paolo si colloca nel sostenere queste negazioni: quella apocalittica dell'appartenenza alla inaugu­ rata con Cristo, attraverso l'evento scandaloso della morte di croce (cf. Gal 5, 24; 1Cor 1 ,1 8).343 Se al v. 26a l'accento della relazione con Cristo viene posto sull'in­ corporazione a lui, con l'affermazione inclusiva del v. 28b l'attenzione si sposta sull'unità in lui: «Tutti siete uno in Cristo GesÙ>>. A prima vista, l'espressione doveva sembrare strana ad alcuni testimoni se al posto del maschile eis («UnO>>) preferiscono il neutro en («Una cosa» ) . 344 La maggiore attestazione con il maschi­ le e la preferenza per la lezione più difficile345 fanno propendere chiaramente per )a presenza di eis. Questa formula è originale in quanto, da una parte, parla dei molti che sono in Cristo come di un solo uomo e, dall'altra, che per quanto essi possano essere uniti a Cristo non si identificano con lui.346 Nel parallelo di 1 Cor 12,12-13 viene -139

Così invece SARACINo, «Forma e funzione», 402. Così anche BRucE. The Epistle of Pau/ to the Galatians, 1 89; DuNN, Galatians, 206-207. 341 Cf. BETZ, Galatians, 1 82; CoRSANI, Lettera ai Galati, 243; EBELING, La verità dell'evangelo, 237. 342 Cf. anche ToMsoN, Pau/ and the Jewish Law, 88. 343 Cf. BmnTIER, ). Infine la stessa Legge, con le sue opere, opposta all'ascolto della fede, presentata in Gal 3,2.5, ora non viene più descritta secondo il paradigma sincronico bensì in base alla successione della storia della salvezza: il tempo della Legge lascia lo spazio a quello dello Spirito (Gal 4,4-6). Dunque la perorazione di Gal 4,1-7, rispetto a Gal 3,1-29, svolge un ruolo analogo a quello di Gal 2,15-21 nei confronti della prima dimostrazione della lettera (Gal 1 ,13-2,14): non rappresenta un semplice corollario della pre­ cedente sezione, bensì il suo culmine.358

l

E dico: per tutto in tempo il cui l'erede è fanciullo, non si differenzia dallo schiavo, pur essendo signore di tutte le cose, ma è sotto tutori e amministratori sino al tempo stabilito dal padre.

2 3

Così anche noi, quando eravamo fanciulli, sotto gli elementi del mondo eravamo schiavi; quando però giunse la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, affinché coloro che erano sotto la Legge riscattasse, affinché la figliolanza ricevessimo. E che voi siete figli (è chiaro perché) Dio mandò lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori che grida: «Abba, padre>>.

4

5 6

357 358

C f. BETz, Galatums, 202. Contro DuNN. Galatians. 209.

234

Commento

7

Quindi non sei più schiavo ma figlio, se però figlio anche erede da parte di Dio.

La pericope di Gal 4,1 -7 si compone di due parti fondamentali: a) l'esempio giuridico ( vv 1 -2); b) l'applicazione dell'esempio ( vv 3-7).359 Queste due parti principali della pericope ricalcano la stessa composizione argomentativa di Gal 3,15-18.23-29: esempio giuridico (vv. 15.23-24) e relativa applicazione (vv. 16-1 8.25-29). Il modello argomentativo, riscontrato a più ripre­ se nella seconda dimostrazione della lettera, s'impone sia su quello chiastico che su quello tipologico. In Gal 4, 1 -7 non si riscontra una composizione chiastica, del tipo «a.b.c.d.e.dl .cl .bl .al », nella quale il centro sarebbe occupato dal v. 4.360 A pro­ posito del chiasmo, è bene precisare che non lo si riconosce in base a termini scel­ ti in modo arbitrario e fatti collegare reciprocamente: questa è una figura stili­ stica che va identificata in base alle relazioni terminologiche poste in continuità e non a sprazzi. Di fatto, come vedremo, in Gal 4,4-5 si trova un ottimo esempio di chiasmo, ma questo non significa che l'intera composizione argomentativa della pericope o della lettera sia chiastica. Dunque è sempre necessario cercare di non imporre a un testo delle composizioni alla moda, soprattutto quando si ipotizzano delle disposizioni chiastiche tematiche che, di fatto, forzano il testo stesso, senza }asciarlo respirare nella propria libertà comunicativa. Lo stesso vale per il modello tipologico, proposto da Scott:361 che in Gal 4,1 7 siano riconoscibili dei motivi esodali della liberazione dall'Egitto è bene porlo in evidenza;362 ma questo non significa che i vv. 1 -2 rappresentino il «tipo» dell'antitipo, identificato nei vv. 3-7. Forse è bene rilevare che Gal 4 , 1 -7 non è Rm 5,12-21 , in cui viene presentata una chiara tipologia. Ancora una volta si rischia di identificare la composizione argomentativa di un testo per cernite tematiche e non per elementi formali, oggettivi, presenti nella sua stes­ sa economia. In tal caso si produrrebbe una bella composizione letteraria che, però, non appartiene al testo preso in esame; piuttosto questa si rivela come una propria ricostruzione ! Pertanto, come per Gal 3,15-18.23-29, anche ora si è posti di fronte a un esempio giuridico da cui Paolo trae le applicazioni utili per le proprie finalità argomentative, senza preoccuparsi troppo delle rispondenze fra l'esempio e l'ap­ plicazione. .

.

359 Cf. BARBAGLio, «Alle comunità di Galazia>>, 1 19; BETz, Galatians, 202; HARTMAN, «Gal 3,15-4, 1 1 145; A. SERRA, «Gal 4.4: una mariologia in germe>>, in Theotokos 1 ( 1 993), 8; VANHOYE, La Lettera ai Galati, 133. 360 Così invece B ua H, La Lettera ai Galati. 581-582; BuscEMI, « Libertà e huiothesia>>, 95. 36 1 Cf. Scorr, Adoption as Sons of God, 1 2 1 - 1 86. 362 Cf. W. HAUBECK, Loskauf durch Christus. Herkunft, Gestaltung und Bedeutung des paulinischen Loskaufmotivs. Giessen-Basel 1 985. »,

Gal 4 , 1 -7

235

vv. 1-2: Forse la normativa del diritto testamentario doveva essere abbastan­ za nota e utile a Paolo per chiarire le relazioni con la Legge, se vi si riferisce non solo in Gal 3.15 ma anche nel nuovo esempio addotto in Gal 4, 1 -2 (cf. anche Rm 7,1-2). Come in Gal 3.15, egli si riferisce, in particolare, a una situazione in cui il testatore muore: più specificamente prende in considerazione la tutela impube­ ris, ossia il caso in cui l'erede, pur essendo tale, non può ancora godere del patri­ monio, in quanto minorenne.363 Per questo egli viene affidato a un «tutore» o procuratore e a un economo deputati, in particolare, a garantire il suo sostenta­ mento e a salvaguardare i suoi beni.364 Tuttavia, come per Gal 3.15, l'esempio giuridico viene utilizzato ad usum del fine: se nell'esempio è posto il caso in cui l'erede rimane orfano, nell'applicazio­ ne ( vv. 4-6) il padre, in quanto riferito a Dio, assume il ruolo principale dell'invio del Figlio e dello Spirito. Inoltre non è chiaro se la possibilità futura di usufruire dei beni da parte dell'erede è determinata dalla sua maggiore età oppure dal ter­ mine stabilito dalla paterna potestas. Queste distonie sono forse dovute soprattutto al modello esodale retrostan­ te a Gal 4,1-7: non a caso Paolo sceglie il termine familiare nepios che, altrove, si riferisce anche all'immaturità rispetto al proprio cammino di fede (cf. 1 Cor 3,1; Rm 2,20). Lo stesso linguaggio è presente soprattutto in Os 1 1 ,1 : «Quando Israe­ le era fanciullo . . . ». La prospettiva dell'eredità promessa, tipica del linguaggio apocalittico, illustra anche l'appropriazione di «tutte le cose», sostenuta per il «fanciullo»: in base al modello «esodale» si tratta più di un titolo che di un reale possesso, riconosciuto per quanti condividono la promessa abramitica.365 La complessità dell'esempio giuridico diventa maggiore per lo stile enfatico utilizzato da Paolo: di fatto la situazione dell'erede, anche se minorenne, è diver­ sa da quella di uno schiavo. Egli, pur non potendo godere immediatamente dei suoi averi, ne rimane possessore; e la sua condizione civile è ben diversa da quel­ la di uno schiavo, per quanto si possano cercare delle analogie.366 Il linguaggio iperbolico è riconoscibile anche per quanti sono deputati alla cura dell'erede: tutori e amministratori (v. 2). Per un solo «fanciullo» sono all'o­ pera diverse persone, come se non bastasse un solo tutore e un solo amministra­ tore.367 Tale enfasi è dovuta soprattutto all'accentuazione che Paolo intende con­ ferire alla situazione di sottomissione nella quale, con l'applicazione, si trovano gli stessi uomini, prima dell'invio del Figlio di Dio. Il diritto testamentario chiarifica anche le funzioni del tutore e dell'ammini­ stratore: nel diritto romano il primo era responsabile dell'erede sino ai 14 anni,

363

Cf. BELLEVILLE, >. Inoltre è bene sottoli­ neare, in base all'immediato v. 9, che anche i gentili si trovavano sotto gli «ele­ menti», prima della conoscenza di Dio. Dunque sembra che al v. 3 Paolo si rife­ risca a tutti gli uomini posti in situazione di schiavitù, sotto gli elementi del mondo.377 Dopo la situazione di schiavitù che condividono il fanciullo dell'esempio testamentario e quelli dell'applicazione, Paolo si discosta dall'esempio soffer­ mandosi sull'azione di Dio; nell'esempio il padre stabilisce soltanto il tempo in cui l'erede può usufruire dei propri beni. Questa novità dell'applicazione è posta in risalto per lo stile enfatico della formula che introduce l'azione di Dio: «Quando venne la pienezza del tempo». Generalmente il calcolo del tempo, nel NT, viene espresso mediante la metafora della venuta, essendo presentato come una perso­ na che giunge da lontano,378 oppure mediante quella spaziale del riempimento, essendo materialmente calcolato attraverso il riempimento di anfore specifi­ che.379 Invece ora, per conferire solennità ed enfasi all'evento che sta per descri­ vere, Paolo utilizza entrambe le formulazioni: il tempo sembra giungere riem­ piendosi e si riempie giungendo! Tale solennità della formulazione cronologica è dovuta alla funzione apocalittica che svolge, nella teologia paolina, l'azione di Cri­ sto.380 Così commenterà Lutero questa solenne formula paolina: «Non enim tem­ pus fecit filium mitti, sed e contra missio filii fecit tempus plenitudinis».381 Al culmine della pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio: questa è l'uni­ ca volta in cui Paolo si sofferma sull'invio del Cristo.382 Forse è esagerato deli­ neare, in base al v. 4, la problematica della preesistenza di Gesù Cristo, anche se Paolo stesso ne parla soprattutto negli inni (cf. Fil 2,5-6; Col 1 , 15; Ef 1 ,3-4): nel presente testo egli non si sofferma tanto sulla preesistenza quanto proprio sulv.

4:

4.1-10», in E vANs SANDERS (edd.), Pau/ and the Scripture, 223; DUNN , Galatians, 2 1 2; LoNGENECKER, Galatians, 165; MATERA, Galatians, 149; VANHOYE, La Lettera ai Galati, 1 38. 377 Così BARBAGLio, «Alle comunità di Galazia>>, 1 20; BETZ, Galatians, 204; BoNNARD, L'Épitre de saint Pau/ aux Galates, 84; B RucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 1 93; BYRNE, «Sons of God», 1 77; FUN G, The Epistle to the Galatians, 1 8 1 ; MussNER, La Lettera ai Galati, 415; RmoERBos, The Epistle of Pau[ to the Chur­ ches of Galatia, 1 52; RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 1 68; SCH LI ER Lettera ai Galati, 205; Scarr, Adoption as Sons of God, 157. 378 Cf. Ger 3 1 ,3 1 ; Mt 9,15; 27,57; At 7,17. 379 Cf. Tb 1 4,5; Est 4,12; Mc 1 , 15; Le 1 ,57; 2,6; At 7,23. Cf. anche 1 QpHab 7.1-2; 1 QS 4,18-19; 1 0M 1 4, 1 4; 4Esd 4,1 2.35; Test Gd 9,2; FLAVI O GrusEPPE, Ant. 6,49; Bar syr 30, 1 . 380 Ci B ETz , Ga/atians, 207; MATERA, Galatians, 1 50. Cf. anche s. B a r 29,8 i n cui la pienezza del tempo coincide con la comparsa del messia. 38 1 Cf. M. LVTERO, Vorlesung iiber den Ga/aterbrief 1516-151 7, 18. 382 Il verbo exaposte/16 compare solo 2xx nell'epistolario: qui e al v. 6 a proposito dell'invio dello Spi­ rito del Figlio. Altrove si riferisce all'invio di messaggeri o di collaboratori apostolici: cf. Le 1 ,53; 20, 10. 1 1 ; A t 7,12; 9,30; 1 1 ,22; 12,1 1 ; 13,26; 17,14; 22,2 1 . Anche i l semplice aposte/16, nelle 132 frequenze neotestamen­ tarie, di cui soltanto 4 appartengono all'epistolario paolina (Rm 10,15; 1 Cor 1,17; 2Cor 2,17; 2Tm 4,12), non viene mai riferito all'invio di Gesù Cristo né a quello dello Spirito; invece assumerà connotazione cristolo­ gica nella teologia giovannea: cf. Gv 1 ,6; 3,17; 5,36; 6,57; 1 Gv 4,9. 10.14. Neli'AT questo verbo viene utilizza­ to soprattutto per la missione profetica (ci Es 3,12; Sal 104,26; Mi 6,4). Sulla formula dell'invio neli'AT, nel giudaismo e nel NT cf. E. SCHWE!ZER, «Was meinen wir eigentlich, wenn wir sagen: "Gott sandte seinen Sohn . . . ?"», in NTS 37( 1 991), 204-224. -

,

238

Commento

l'invio del Figlio.383 Nelle categorie sapienziali l'invio del Figlio corrisponde a quello della sapienza che si trovava, sin da principio, presso Dio (cf. Sa p 9,10. 1 8) .384 La seconda parte di questa Sendungforme/,385 o «formula di invio» (vv. 4b-5), è costruita secondo la seguente composizione chiastica:386 a) nato da donna, b) nato sotto la Legge, bl) affinché coloro che erano sotto La Legge riscattasse, a l ) affinché la figliolanza ricevessimo. Al centro del chiasmo (b.bl ) si trovano i riferimenti alla condizione di sud­ ditanza nei confronti della Legge, sia per Cristo che per gli uomini; le parti limi­ trofe (a.al ) si riferiscono all'interscambio fra la figliolanza umana di Cristo e quella divina dell'uomo. Dunque, la sottomissione alla Legge rappresenta la con­ dizione per la quale per l'uomo è possibile pervenire alla liberazione stessa dalla Legge e alla relativa figliolanza divina. A loro volta, le quattro parti del chiasmo sono rapportate reciprocamente per coppie di parallelismo: nella prima parte (a.b) l'accento è posto su «nato» ripetuto due volte; nella seconda (bl .al ) sono formulate due finali introdotte da «affinché». Si può notare, inoltre, che nella prima parte si verifica un percorso discendente: dall'essere nato da donna sino alla sottomissione alla Legge. Invece nella seconda parte il percorso è ascendente: dalla liberazione dalla Legge al dono positivo della figliolanza. Il primo stico del chiasmo ha ricevuto notevole attenzione nella storia dell'interpretazione: questa è l'unica volta in cui Paolo si riferisce alla madre di Gesù, anche se non ne cita neppure il nome.387 A tale proposito è bene anzitutto notare che, come spesso nel greco elleni­ stico, genomenon, participio di ginomai, sostituisce il verbo proprio della nascita, gennao:388 per questo alcuni codici riportano, per un tentativo di miglioramento testuale, gennomenon.389 Circa il significato, questa formula esprime soprattutto la fragilità della condizione umana e non un particolare tipo di nascita: nascere da donna vuoi dire semplicemente essere mortale, limitato, come tutti gli altri

anche BYRNE, «Sons of God», 1 80. Cf. R. LIEBERs. Das Gesetz als Evangelium. Untersuchungen zur Gesetzeskritik des Paulus, Ziirich 1989, 184; ScHNABEL, Law and Wisdom, 241 -242. 385 Cf. CoRSANI, Lettera ai Galati, 260. 3!16 Cf. V ANHOYE, La Lettera ai Galati, 242. 3�7 Cf. J.-N. ALETII, «Une lecture de Ga 4,4-6: Marie et la plénitude du temps>>, in Marianum 50( 1988), 408-42 1 ; SERRA, «Gal 4,4: una mariologia in germe», 7-25; A. V ANHOYE, «La Mère du Fils de Dieu selon Ga 4,4>>, in Marianum 40( 1 978), 237-247. 3ss Cf. anche Tb 8,6; Sap 7,3; Sir 44,9; l Esd 4.16; Rm 1 ,3; Gv 8,58. 389 Cf. 91 7s.88ss.919s.323.823; 2005. Questa lezione variante è riportata dall'edizione critica di A. MERK, Novum Testamentum Graece, Roma 10 1 984, 627; non viene più riportata dalle successive edizioni cri­ tiche del NT. Cf. anche HoNG , La w in Galatians. 167; V ANHOYE, «La Mère du Fils», 238. 383 Cf. 384

Gal 4,1 -7

239

uomini.390 Quindi, prima che di un'espressione di portata mariologica, si tratta di una formula antropologica e cristologica: il Figlio di Dio è diventato pienamen­ te uomo, come noi.391 In questa prospettiva cristologica, che determina l'apoca­ littica «pienezza del tempo>>, trova collocazione l'implicita portata mariologica di Gal 4,4. Da questo punto di vista, più che un riferimento alla verginità di Maria o alla nascita prodigiosa di Gesù, l'espressione «nato da donna» implica che anche la madre di Gesù entra a far parte della «nuova creazione» inaugurata con l'invio del Figlio di Dio. Infine, pur tenendo conto dell'implicita rilevanza mariologica, è bene rico­ noscere il contesto negativo di Gal 4,4: nascere «sotto la Legge» non ha valore positivo, in quanto pone l'uomo in una condizione di schiavitù dalla quale sol­ tanto Cristo ci libera. Di fatto, la composizione parallela fra i primi due stichi pone in evidenza proprio la corrispondenza fra «nato da donna» e «nato sotto la Legge»: questo implica che se essere «Sotto la Legge» assume una sfumatura negativa, lo stesso vale per il «nascere da donna» per il Figlio di Dio. Natural­ mente la negatività della formulazione non riguarda la madre di Gesù bensì il fatto che il Figlio di Dio diventi Figlio dell'uomo, sino alla sottomissione alla Legge e alla sua maledizione. Il secondo stico del chiasmo approfondisce dunque l'itinerario discendente dell'incarnazione del Figlio di Dio: «nato sotto la Legge» corrisponde alla condi­ zione dell'erede fanciullo che si trovava «sotto tutori e amministratori» e a quel­ la degli uomini posti «sotto gli elementi del mondo». Il Figlio di Dio condivide pienamente la situazione di schiavitù nella quale si trova ogni uomo, prima e a prescindere dal suo disegno di liberazione. In base al parallelo di Gal 3,13-14 si può persino ipotizzare che l'essere «nato sotto la Legge» corrisponda a trovarsi, in definitiva, sotto la «maledizione della Legge».392 Secondo il linguaggio dell'inno cristologico di Fil 2,6-1 1 questo corri­ sponderà al «sino alla morte, e alla morte di croce» (Fil 2,8). In termini sociolo­ gici nascere sotto la Legge significa praticamente essere «giudeo» ,393 appartene­ re al popolo che riconosce nella Legge il principale privilegio dell'elezione (cf. Rm 9,4). La seconda parte del chiasmo comincia con uno stico paradossale: « . . . affin­ ché coloro che erano sotto la Legge riscattasse». Generalmente chi nasce sotto la Legge rimane in questa condizione per tutta la vita, e non può minimamente immaginare di liberare se stesso e gli altri dalla Legge e dalla sua maledizione. Invece il Figlio di Dio riscatta, con la sua morte di croce, coloro che si trovavano sotto la maledizione della Legge: è lo stesso paradosso riscontrato in Gal 3, 13-14.394

Cf. Gb 1 1 ,2.12; 14, 1 ; 15,14; 25,4; Mt 1 1 , 1 1 ; Le 7,28; 1QS 1 1 .20-2 1 ; 1 QH 13,14- 1 5 ; 18,12-13; 4Esd 7,46; 8,35; FLAVIO GiuSEPPE, Ant. 2,102; 7,2 1 . 39 1 C f. BETz, Galatians, 208; DuNN, Ga/atians, 215. 3 92 Cf. HoNG, Law in Ga/atians, 1 58-159 e 1 67. 393 Così B ARBAGLIO, «Alle comunità di Galazia>>, 1 22; MussNER, La Lettera ai Galati, 418. 394 Cf. V AN H OYE, .408 Pertanto la dichiarazione della propria figliolanza passa attraverso l'invio dello Spirito: l'originalità principale di questa nuova formula di invio si trova nel fatto che Dio manda «nei nostri cuori>> una persona che appartiene, in modo per­ manente, al Figlio. A prima vista sembra un percorso tortuoso: uno dona qualco­ sa che appartiene a un altro. In realtà questo percorso, che non va letto alla luce della dialettica successiva del Filioque, in quanto esterna alla teologia paolina, è posto per evidenziare anzitutto la sovranità di Dio nell'economia della salvezza: sempre e soltanto lui invia il Figlio e lo Spirito del Figlio. Inoltre, ci sembra che il riferimento cristologico sia dovuto soprattutto ad «abba>> che lo Spirito grida in noi: è lo stesso grido del Figlio che attesta una rela­ zione personale e intima fra Gesù Cristo e il Padre. Pertanto Dio invia lo Spiri­ to del Figlio perché con quello stesso Spirito egli e noi possiamo gridare: «Abba>>. Questa è l'unica volta in cui Paolo parla dello Spirito del Figlio; altrove preferisce l'espressione «Spirito di Cristo» (Rm 8,9) o di «Gesù Cristo» (Fil 1 ,19), oltre alla formula più usuale «Spirito di Dio».409 Questa novità è dovuta, ancora una volta, alla centralità della figliolanza nella seconda dimostrazione di Gal 3,1-4,7 e nell'economia di tutta la Lettera ai Galati. La relazione fra lo Spirito e il «cuore» è tipica dell'antropologia paolina:410 lo Spirito, in quanto soffio, dimora nel cuore, rendendolo vitale. A tale proposito è bene precisare che per l'antropologia biblica il cuore non rappresenta la sede degli affetti bensì della ragione, del discernimento interiore: per questo Paolo parla di «circoncisione del cuore nello Spirito» (Rm 2,29). Da questo punto di vista l'espressione più vicina a Gal 4,6 è quella di 2Cor 1 ,22: «Dio . . . ci ha impres­ so il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori». Questa relazione fondamentale per la vita cristiana fra lo Spirito del Figlio e il cuore dell'uomo illumina anche il contesto nel quale i credenti gridano: «Abba,

407 Così anche BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 198; MussNER, La Lettera ai Galati, 424. 408 Cf. GIROLAMO, Ad Galatas 400 . 409 Cf. 1 Cor 2,1 1 . 14; 3,16; 6,1 1 . 410 Cf. 2Cor 1 ,22; 3,3; Rm 2,29; 8,27. Cf. anche Ez 1 1 , 1 9-20; 36,26-27; 1 Pt 3,4. Così anche PENNA, Lo Spirito di Cristo, 2 1 8.

244

Commento

padre»: non si tratta tanto di invocazioni carismatiche e situazionali delle comu­ nità cristiane,41 1 quanto della permanente invocazione, causata dall'inabitazione dello Spirito nel cuore dei credenti. Per questo, in base al parallelo di Rm 8,15, non solo lo Spirito grida nei nostri cuori ma noi stessi gridiamo in lui. Significativa, in questo contesto, è la scelta del verbo krazein ( = gridare): generalmente lo si riscontra in contesti di forte richiesta, rivolta a Gesù, da colo­ ro che subiscono una situazione di malattia o di pericolo.412 Rispetto alle 56xx che questo verbo compare nel NT, si trova soltanto 3xx nell'epistolario paolino: qui, nel parallelo di Rm 8,15 e a proposito dell'oracolo di Isaia, in Rm 9,27. La sua scelta per Gal 4,6 orienta decisamente per l'azione «profetica» dello Spirito nella vita cristiana. Un brusco passaggio dalla seconda persona plurale alla seconda singo­ lare, tipico dello stile diatribico, determina la conclusione della pericope: così Paolo ottiene una maggiore personalizzazione e interpellanza nei confronti dei destinatari della lettera. Il tenore enfatico di questa conclusione, analoga a quella di Gal 3,29, risalta maggiormente per la figura retorica del climax, noto anche come gradatio: «schiavo-figlio; figlio-erede». L'ultimo termine della prima parte, figlio, diventa il primo della seconda. Nell'articolazione di questo climax, l'accento è posto anco­ ra sul termine medio, ossia su «figlio»: attraverso il passaggio dalla schiavitù alla figliolanza si perviene alla consequenziale partecipazione dell'eredità di cui godono, a pieno titolo, soltanto i figli e non gli schiavi. La conclusione della perorazione presenta una difficoltà di natura testuale a causa della preposizione dia, che generalmente ha valore strumentale, posta prima di theou: a prima vista sembra che Dio sia lo strumento e non la causa del­ l'eredità. Per questo il testo presenta diverse lezioni varianti che cercano di sosti­ tuire il genitivo con l'accusativo theon41 3 o con la mediazione cristologica «per mezzo di Cristo».414 Oltre alla più autorevole attestazione esterna per dia theou,415 questa non è l'unica volta in cui Paolo esprime l'origine o la causa con dia e il genitivo: per la stessa Lettera ai Galati lo aveva già fatto in Gal 1 , 1 , a pro­ posito dell'origine divina del suo apostolato: dia. . . theou ( = da parte di Dio ).416 Pertanto anche con la formula dia e il genitivo Paolo ricorda ai destinatari l'ori­ gine divina dell'eredità realizzata in Cristo.417 Le principali tematiche della seconda dimostrazione (Gal 3,1-4,7) vengono riprese e poste in risalto dalla perorazione conclusiva di Gal 4,1 -7: la figliolanza v.

7:

Così BETz, Galatians, 2 1 0; MussNER, La Lettera ai Galati, 426. 4 1 2 Cf. Mt 9,27: 1 5 ,22; 20,30-3 1 ; Mc 9.24; Le 1 8,39. 41 3 Cf. i testimoni Gg•, 1 88 1 . 4 1 4 Cf. con ulteriori variazioni se, C2, D, K , P, 88 , 1 04, 614*. 41 5 Cf. P46, S*, A, B, C*, 33, 1739. 41�> Cf. anche 1 Cor 1 ,9; Eb 2,10. 41 7 Così anche BoNNARD, L' Épftre de saint Paul aux Galates, 88; METZGER, A Textual Commentary, 595-596; ScHUER. Lettera ai Galati. 206; V ANHOYE. La Lettera ai Galati. 152. m

Gal 4 , 1 -7

245

divina dell'uomo passa attraverso il paradossale invio del Figlio di Dio, sino alla sottomissione alla Legge. Nella vita cristiana l'universale figliolanza realizzata, una volta per sempre, con la redenzione di Cristo si attua mediante l'invio dello stesso Spirito del Figlio. Questo evento centrale della storia della salvezza viene attribuito all'azione di grazia di Dio, che manda sia il Figlio sia lo Spirito del Figlio. I credenti non soltanto vengono liberati dalla schiavitù della Legge, come da ogni tipo di schiavitù, ma sono chiamati a diventare, a pieno titolo, figli di Dio: per questo, in connessione con l'affermazione parallela di Rm 8,17, essi parteci­ pano della stessa eredità di Cristo.

ExcuRsus: A BBA , PADRE

La pneumatologia p à olina di Gal 4,1-7 è espressa soprattutto mediante il grido dello Spirito nel cuore dei credenti: «Abba, padre» .418 Poiché uno degli ele­ menti che vede concordi gli esegeti è la natura propriamente gesuana dell'invo­ cazione (cf. Mc 14,36) , è bene precisarne, anzitutto, l'importanza: questo rappre­ senta uno dei rari ipsissima verba Jesu riportati nell'epistolario paolino.4 1 9 Di fatto il termine «abba» si riscontra 3xx nel NT: Mc 14,36; Rm 8,15 e Gal 4,6; e sempre questa traslitterazione semitica viene accompagnata dalla tradu­ zione greca, preceduta dall'articolo nominativo. Sulla provenienza semantica del termine: senza negarne l'origine aramaica, al tempo di Gesù era utilizzato anche in ebraico.420 Inoltre è bene precisare, contro esegetici luoghi comuni, che questa invocazione non veniva utilizzata soltanto dai bambini ma anche dagli adulti, nei confronti del proprio padre.42 1 Per quanto riguarda la relazione con Dio, pur riconoscendo l'utilizzazione dell'invocazione in Sir 23, 1 .4 e nel detto rabbinico di Hanin Hammehà in cui si chiede la pioggia (cf. Ta'an b. 23b), di fatto sia l'AT che il giudaismo si dimostra­ no reticenti nell'invocare Dio in tal modo. Dunque, contro ogni forma di ridu418

Su , in J TS 39( 1 988), 28-47; lo., «"Abba, Father" and the Familiarity of Jesus' Speech», in Theology 91 ( 1 988), 1 73- 1 79; J. FnzMYER, «Abba and Jesus' Relation to God>>, in R. GANTOY (ed.), A cause de l'évangile. Études sur /es Synoptiques et /es Actes, FS. J. Dupont, Paris 1 985 , 1 6-38; J. JEREMIAS, Teologia del Nuovo Testamento. La predicazione di Gesù, Brescia 2 1 976, l, 7684; MARCHEL, Abba, Père. 419 Cf. tra gli altri soprattutto il «detto>> della cena eucaristica (Le 22,1 9-20) riferito in 1 Cor 1 1 ,23-26; quello sul «lievito>> dei farisei (Mc 8,14-3 1 ) reso proverbiale in l Cor 5 ,6; Gal 5,9; quello sul giorno del Signo­ re che giunge come un ladro (M t 24,43) citato in l Ts 5,2. Sui detti di Gesù nell'epistolario paolino cf. D.C. ALusoN, «The Pauline Epistles and the Synoptic Gospels: the Patterns of Parallels>>, in NTS 28( 1 982), 1 -32; V.P. FuRNISH, Jesus According to Pau/, Cambridge 1 993, 40-65; F. NEIRYNCK, Pau/ and the Saying of Jesus, in V... NHOYE (ed.), L'apotre Pau/, 265-321; R. PENNA, «Problemi di morale paolina. Status quaestionis», in L'a­ postolo Paolo, 553-554; PITTA, Sinossi paolina, 1 26[bis] - 1 3 1 ; P. SruHLMACHER, «Jesustradition im Romerbrief? Eine Skizze », in TBei 1 4( 1 983), 240-250; N. WALTER, «Pau! and the Early Christian Jesus-Tradition», in A.J.M. WEDDERBURN (ed.), Pau/ and Jesus (JS NT SS 37), Sheffield 1 989, 5 1 -80. 42° Così anche BARR, « 'Abbà isn't " Daddy">>, 30. 42 1 Cf. Tg. /sa. 8,4; Tg. Onq. e Tg. Neof a Gen 20, 12; 22,7; 27,7.3 1 ; 3 1 ,5; 3 1 ,42. Così anche BARR, «'Abbà isn't "Daddy"», 38; JEREMIAS, Teologia del Nuovo Testamento, 83.

246

Commento

zionismo, l'invocazione «abba» sulla bocca di Gesù rimane rivelatrice della rela­ zione particolare che lo lega a Dio.422 D'altro canto, quasi tutte le invocazioni di Gesù verso Dio sono introdotte dal vocativo «padre», unito a «mio» (cf. M t 26,39.42), a «nostro» (cf. Mt 6,9) oppure a «Signore» (cf. Mt 1 1 ,25). A causa del­ l'influsso del relativo «abba», l'invocazione «padre» si trova sia nella forma pro­ pria di pater al vocativo423 che in quella impropria di patér al nominativo,424 con valore di vocativo: forse non è errato, soprattutto quando l'invocazione «padre» compare da sola, pensare al retrostante «abba», semitismo allo stato enfatico. La presenza di «abba» soltanto in Mc 14,35 e in Gal 4,6; Rm 8,15 forse non è casua­ le: doveva essere un'invocazione diffusa nelle comunità di origine ellenistica. Questo spiega anche l'aggiunta dell'immediata traduzione greca.425 La portata cristologica dell'invocazione, sottolineata anche nelle diverse cri­ stologie, tuttavia, sembra aver posto in ombra sia la rilevanza pneumatologica che ecclesiologica di «abba»; invece è bene sottolineare che delle tre frequenze neotestamentarie, 2xx, in Rm 8,15 e in Gal 4,6, «abba>> ha connotazione eccle­ siologica e pneumatologica, nello stesso tempo. I credenti, a causa dell'unione con Cristo, possono a pieno titolo invocare Dio chiamandolo «padre»; è lo stes­ so Spirito che li abilita a una relazione così personale con Dio.426 È significativo che in Galati e in Romani la stessa invocazione sia posta al culmine delle relati­ ve sezioni dedicate, rispettivamente, alla figliolanza in Cristo (Gal 3,1-4,7) e alla giustificazione in Cristo (Rm 5,1-8,39). In particolare, la presenza di «abba», allo stato enfatico, con la relativa tra­ duzione greca al nominativo che assume valore vocativo, in Gal 4,1 -7, esprime anche la novità relazionale trinitaria sottostante: a causa dell'incorporazione a Cristo, il suo Spirito «grida» in noi la fondamentale relazione di adozione filiale, o di huiothesia, che ci permette di riconoscere soltanto Dio come «padre» (cf. M t 23,9). Pertanto ci sembra che non sia possibile andare oltre queste implicazioni di «abba» nell'epistolario paolino; e si rischia di strumentalizzare questo «detto» soprattutto quando se ne deducono delle conseguenze specificamente trinitarie, come per le «processioni» delle relazioni, o cristologiche, come per la coscienza divina di Gesù Cristo.

422 Non così BARR, «'Abbà isn't "Daddy"», 47. 423 Cf. Le 1 1 ,2; 23,46; Gv 1 1 ,4 1 ; 12,27.28; 1 7 , 1 .5. 1 1 .2 1 .24.25. Cf. anche la polemica farisaica sulla pater­ nità di Dio in Gv 5,18. 424 Cf. Mt 1 1 ,26; Le 10,2 1 . 425 Così anche PENNA, L o Spirito di Cristo, 226. Invece Agostino ritiene che l'utilizzazione della for­ mula semitica e greca sia dovuta alla composizione giudaico-greca delle prime comunità: (cf. AoosnNo, Ad Galatas 2q7). 426 Cf. MARCHEL. Abba. Père. 207-226.

IV

La terza dimostrazione: la figliolanza secondo !sacco ( 4,8-5 ,12) I n seguito al climax o al vertice della seconda dimostrazione (Gal 3,1-4,7), formulata con una personalizzante seconda persona singolare («Quindi non sei più schiavo ma figlio . . . », Gal 4,7), sembra che l'argomentazione paolina di Gala­ ti ricominci con le affermazioni di biasimo contenute in Gal 4,8-1 1 . Di fatto, anche se non sono molti a riconoscere la nuova dimostrazione di Gal 4,8-5,12, in quanto viene generalmente inglobata nella sezione precedente, ci sembra che, come per Gal 1 ,6-10 e Gal 3 , 1 -5, con la nuova apostrofe di Gal 4,8- 1 1 si passi a una nuova fase dimostrativa.1 Il terminus ad quem di questa nuova dimostrazio­ ne è determinato dalla sezione esortativa di Gal 5,13-6,10, che, come si vedrà, è propriamente epistolografica, per cui non può essere integrata nella terza dimo­ strazione di Gal 4,8-5,1 2.2 Questa dimostrazione segue un percorso analogo a quello delle precedenti: apostrofe (Gal 4,8- 1 1 ) ; protressi (Gal 4,12-5,1); a) digressione (Gal 4,12-20); b) «midrash» (Gal 4,2l-5,1); perorazione (Gal 5,2-12). Rispetto alle prove argomentative, anche per questa sezione si possono rile­ vare diversi registri, che confermano !a considerevole versatilità di Paolo nell'u­ tilizzare tutti i mezzi a disposizione per convincere i galati a non abbandonare il suo vangelo. A un'apostrofe che evoca il passato pagano dei galati (Gal 4,8-1 1 ) succede una digressione nella quale Paolo finalmente intesse l'elogio per l a loro 1 Per l'unità argomentativa di Gal 4,8-5 , 1 2 cf. A. PrrrA , Disposizione e messaggio della Lettera ai Galati. Analisi retorico-letteraria ( AnBib 1 3 1 ) , Roma 1 992, 1 22-136. 2 Seguendo un modello «epistolografico-retorico>> già Hansen identifica la nuova sezione in Gal 4,12-6,10, che definisce come : cf. G.W. HANSEN. Abraham in Galatians. Epistolary and Rhe­ torical Context (JSNT SS 29), Sheffield 1 989, 53-54. Così anche R.N. LoNGENECKER, Galatians. Dallas 1 990, cix; W.B. RussELL, > in Gal 4,8-5,12. Cf. eleutheria (Gal 5,1), e/eutheros ( Gal 4,22.23.26.30.31 ) , eleute­ roun (Gal 5,1), douleuein (Gal 4,8.9.25 ) e douleia (Gal 4,24; 5 , 1 ) . A differenza di Gal 3,1 -4,7, in Gal 4,8-5,12 scompare del tutto l'opposizione tra fede e opere; anzi in Gal 5,6 Paolo non esiterà a parlare della «fede che si rende operosa mediante l'amore» (per pistis cf. anche Gal 5,5). Lo stesso processo della giustificazione e della giustizia viene citato soltanto in Gal 5,4-5.

Gal 4,8-5 , 1 2

249

«verità» (cf. Gal 4,16; 5,7) del vangelo. Quindi risulta riduttivo orientare questa parte, se non l'intera Lettera ai Galati, al tentativo di Paolo nel convincere i destinatari a non farsi circoncidere.6 Non v'è dubbio che egli cerchi di convince­ re i galati a non farsi circoncidere; tuttavia la sua finalità persuasiva non riguar­ da la circoncisione o l'incirconcisione ma ciò che un tale gesto implica rispetto a Cristo: « . . . Cristo non vi servirà a nulla» (Gal 5,2); «Infatti in Cristo Gesù né la circoncisione né l 'incirconcisione valgono ma la fede che si rende operosa mediante l'amore» (Gal 5,6). Ancora una volta, il centro dimostrativo verte sul vangelo paolina che, nella figliolanza abramitica realizzata in Cristo, trova il suo contenuto fondamentale. Il percorso figurativo dei personaggi presenti conferma l'autonomia retori­ co-letteraria di Gal 4,8-5,12. Anzitutto l'asse relazionale fondamentale rimane quello fra Paolo e i destinatari della lettera; e da questo punto di vista è interes­ sante l'evoluzione dei suoi sentimenti verso i galati. La dimostrazione comincia con la «paura» ( = phoboumai) di Paolo che le proprie fatiche apostoliche per loro siano valse a ben poco (cf. Gal 4,1 1 ); la narrazione sul loro rapporto positi­ vo in passato si chiude con la sua «incertezza» ( = aporoumai) per il futuro (cf. Gal 4,20). Finalmente, alla fine dell'intera dimostrazione, Paolo si mostra «fidu­ cioso)) ( = pepoitha) che «essi non penseranno diversamente)) (cf. Gal 5,10) rispet­ to al suo vangelo. Questa progressiva schiarita nella mente di Paolo è determi­ nata proprio dall'incidenza che egli spera di causare, mediante questa dimostra­ zione, nei destinatari della lettera. Dal versante dei destinatari, la terza dimostrazione è caratterizzata dalle mutazioni del loro «cammino)) o della loro condotta. L'attuale «voltarsi indietro» (cf. Gal 4,9) risulta incomprensibile alla luce del loro comportamento passato: «Correvate così bene b) (Gal 5,7). Naturalmente se nell'apostofe Paolo rimpro­ vera i galati, nella perorazione accusa gli «agitatori)): in tal modo egli spera di ria­ vere le comunità dalla sua parte. Per inverso, se i galati hanno già cominciato a osservare le diverse feste e il calendario giudaico (cf. Gal 4,10), è necessario ricordare loro che, mediante la circoncisione, non possono scegliere un'osser­ vanza piuttosto che un'altra ma sono tenuti a mettere in pratica «tutta la Legge)) (cf. Gal 5,3). Comunque, in questa dimostrazione l'asse relazionale è triplice, in quanto non riguarda soltanto Paolo e i destinatari della lettera ma anche gli «agitatori)) delle sue comunità. Sia la digressione narrativa di Gal 4,12-20 che la perorazio­ ne di Gal 5,2-1 2 includono delle invettive verso «agitatori)): essi non li «corteg-

6 Così invece G.A. KENNEDY, New Testament lnterpretation Through Rhetorical Criticism , London 1 984, 146-147; D.E. AuN E, The New Testament in lts Literary Environment, Philadelphia 1987, 206; R.G. HALL, «The Rhetorical Outline for Galatians, a Reconsideration», in J BL 106( 1 987), 279; HANSEN, Abraham, 21 -93; H . HOBNER, «Galaterbrief>>, in TRE 1 2 ( 1 984), 5-14; V. JEGHER-BucHER, Der Galaterbrief auf dem Hin­ tergrund antiker Epistolographie un d Rhetorik: ein anderes Paulusbild, Ziirich 1 99 1 , 34; LoNGENECKER, Gala­ tians. c-cxix; RussELL, « Rhetorical Analysis», 357-358; S.K. STOWERS, «Letter Writing in Greco-Roman Anti­ quity>>, Philadelphia 1 986, 1 66; F. VouGA, «Zur rhetorischen Gattung des Galaterbriefes», in ZNW 79( 1988), 291 -292.

250

Commento

giano)) con buone intenzioni ma per separarli da lui (cf. Gal 4,17). Contro di loro però Paolo non esita a pronunciare la condanna, senza badare troppo alla loro identità (cf. Gal 5,10). Le accuse di Paolo si chiudono con la loro derisione: non solo siano diffusori della circoncisione ma si facciano loro stessi evirare (cf. Gal 5,12), giacché sono così legati al segno esterno della circoncisione. Questi riferimenti agli «agitatori)) costituiscono alcuni elementi significativi di novità di questa sezione rispetto alla precedente; per reperirne altri bisogna risalire alla generica accusa di ammaliamento in Gal 3,1 e soprattutto alla prima apostrofe di Gal 1 ,6-10. Dunque in questa parte della lettera le accuse verso gli agitatori si fanno più esplicite e sferzanti.

4. 1 .

LA TERZA APOSTROFE ( 4,8-1 1 )

La terza dimostrazione (Gal 4,8-5,12) della lettera s i apre ancora con un'a­ postrofe di biasimo, indirizzata nuovamente ai galati. Come nella precedente apostrofe di Gal 3,1-5, anche in questo caso Paolo esprime il proprio rimprove­ ro attraverso una domanda retorica (v. 9) carica di incidenza sui destinatari della letteraJ L'unità letteraria della pericope incontra un generale consenso: comin­ cia con un enfatico alla ( = ma, v. 8) e si chiude con il timore di Paolo che la pro­ pria fatica apostolica risulti vana (v. 1 1 ) .8 Con il v. 12 subentrerà la pericope incentrata sulle relazioni passate fra Paolo e i galati. La stessa diversità di gene­ re argomentativo - apostrofico in Gal 4,8- 1 1 e narrativo in Gal 4,12-20 - impe­ disce di considerare Gal 4,8-20 come unità letteraria.9 L'intreccio della pericope è retto sul contrasto fra il «passato)) (tote = una volta, v. 8) e il «presente)) (nyn = ora, v. 9) della vita religiosa dei galati:10 per Paolo la sottomissione alla Legge, da parte degli etnico-cristiani, non significa un miglioramento del loro stato religioso ma un ritorno alla situazione idolatrica nella quale si trovavano prima della conoscenza di Cristo.1 1

7 Cf. l e precedenti domande retoriche d i Gal 1 ,10; 2,1 4.27; 3,1 .2.3(bis).4.5. 1 9.2 1 . Sulla funzione d i tali domande retoriche cf. J.V.W. CRONJÉ, «The Stratagem of Rhetorical Question in Galatians 4,9-10 as a Means Towards Persuasion>>, in Neot 26( 1992), 41 7-424. Cf. anche D.F. W ATSON, «Corinthians 1 0:23-1 1 : l in the Light of Greco-Roman Rhetoric: The Role of Rhetorical Questions», in JBL 1 08( 1989), 301-318. 8 Cf. anche H.D. BETZ, Galatians, Philadelphia 1979, 213; F.F. BRuCE, The Epistle of Pau/ to the Gala­ twns: A Commentary on the Epistle to the Ga/atians, Edinburgh 1980, 201 ; E.D.W. BURTON, A Critica/ and Exe­ getical Commentary on the Epistle to the Ga/atians, Edinburgh 1980, 228; B. CoRSANI, Lettera ai Galati, Geno­ va 1990, 270; J.D.G. DuNN, Galatwns, London 1993, 223; R.Y.K. FuNG, The Epistle to the Galatians, Grand Rapids 1988, 188; H.N. RmDERsos, The Epistle of Pau/ to the Churches of Galatw, Grand Rapids 1 953. 160; H. ScHUER, Lettera ai Galati, Brescia 1965, 208; A. VANHOYE, La Lettera ai Galati (dispense PIB), Roma 1985, 158. 9 Così invece 1EGHER-BucHER, Der Galaterbrief, 203; D. LOHRMANN, Galatians, Minneapolis 1 992, 83; F. MussNER, La Lettera ai Galati, Brescia 1 987, 446. 1 0 Così anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 270; MussNER, La Lettera ai Galati, 447; P. TACHAU, « Einst» und «letz» im NT. Beobachtungen und zu einem urchristlichen Predigtschema in der neutestamentliche Brie­ fliteratur und zu seiner Vorgeschichte, Gottingen 1972, 128. 11 Sull'importanza di quest'apostrofe per l'identificazione dell'accusa principale in Galati cf. T. MAR­ TIN, , in JBL 1 14( 1995), 443.

Gal 4,8- l l

25 1

8

Ma una volta non conoscendo Dio servivate quelli che per natura non sono dèi; 9 ora invece avendo conosciuto Dio, o meglio essendo stati conosciuti da Dio, come tornate di nuovo verso i deboli e poveri elementi che di nuovo volete servire? 1 0 Osservate giorni, mesi, stagioni e anni! 1 1 Temo a vostro riguardo che mi sia affaticato invano per voi. Il rimprovero di Paolo comincia in forma assertiva; egli invita i destina­ tari a ripercorrere il proprio cammino di conversione: dall'idolatria all'adorazio­ ne dell'unico Dio. Il vertice teologico a cui l'apostolo è pervenuto con Gal 4,1-7, ossia con il riconoscimento della figliolanza mediante l'invio del Figlio di Dio e del suo Spirito, non poteva non suscitare la sua collera per l'incipiente apostasia che si sta realizzando fra le comunità della Galazia. Per questo nella stessa nuova apostrofe sono riconoscibili alcuni termini propri della precedente pericope, come il vocabolario della «schiavitù» (vv. 8.9; cf. vv. 1 .7) e il riferimento agli «ele­ menti del mondo» che ora vengono ulteriormente precisati per la loro natura (vv. 3.9). In tal senso la radice verbale di douleuein (= servire) funge da «parola gancio» fra il v. 7 (doulos) e il v. 8 (edouleusate). Per la prima volta in Galati, Paolo applica ai destinatari il passaggio dal «prima» all'«ora» della salvezza: in Gal 3,23-25 e in Gal 4,1-4 questo paradigma argomentativo era stato utilizzato in generale. 12 Tuttavia, pur riconoscendo que­ ste connessioni fra Gal 4,8- 1 1 e quanto precede, lo sviluppo argomentativo della pericope ne ha rivelato soprattutto la natura prospettica, rispetto a quanto segue. Le prime battute dell'apostrofe sono importanti per il retroterra della lette­ ra stessa: questo rappresenta l'unico riferimento al passato idolatrico e, quindi, all'origine etnica dei galati. 13 Interessante è la prospettiva giudaica dalla quale Paolo rilegge il loro passato: 14 la conoscenza di Dio costituisce il privilegio fon­ damentale di Israele;15 invece i gentili sono definiti a partire dalla «non cono­ scenza di Dio>>.16 Tuttavia, a proposito della conoscenza di Dio, è bene precisare che poiché passa, secondo Paolo, per l'accoglienza della salvezza realizzata in Cristo, non mancano asserzioni per le quali tutti indistintamente, giudei e genti­ li, si trovano in una condizione di ignoranza. 17 Non è estranea all'espressione «non avendo conosciuto Dio» una sfumatura causale: per l'ignoranza di Dio i gentili sono indotti a «servire» delle divinità che v.

8:

1 2 Così anche V ANHOYE, La Lettera ai Galati, 158. 13 Per gli altri riferimenti al passato idolatrico delle comunità paoline cf. l Ts 1 ,9; l Cor 1 2,2. 14 Così anche DuNN, Galatians. 224. 1 5 Cf. Dt 4.39; l Sam 3,7; Sal 9.10; 46. 1 0; Is 43,10; Os 8,2; Mi 6,5; Sap 2,13. 16 Cf. Sal 79,6; Ger 1 0.25; Gdt 9,7; 2Mac 1 , 17; Sap 1 3 , 1 ; l Ts 4,5; l Cor 15,34; Ef 4,18. 1 7 Cf. l Cor 1 ,2 1 ; Rm 1 , 1 8-23; 1 0,4. Per questa situazione generale dell'umanità che non conosce Dio cf. A. PmA, «Soltanto i pagani oggetto dell'ira di Dio?», in PSV 26( 1 992). 1 75-188.

Commento

252

in realtà non sono tali. 18 In questa affermazione, sulla natura degli dèi, alcuni si rifanno alla corrente filosofica dell 'evemerismo, che risale sino al sofista Crizia (cf. Framm. 25), secondo la quale le divinità si dividono in due categorie fonda­ mentali: le deificazioni della natura, come gli astri e gli stessi elementi del mondo, e quelle di grandi uomini del passato.19 Il giudaismo contemporaneo utilizzerà questa concezione in contesti di polemica nei confronti dei gentili;20 e la stessa valutazione sarà riproposta da Plutarco soprattutto nel De superstitione e nel De /side et Osiride. Difficile è determinare la presenza delle tracce di evemerismo in Gal 4,8; comunque, soprattutto in base ai paralleli di l Cor 8,4-6; 10,1 9-20 sembra che Paolo non negasse l'esistenza di esseri superiori, come i demoni, ma che que­ sti fossero realmente di natura divina.21 v. 9: Paolo non si sofferma molto sul passato idolatrico dei galati: gli preme, piuttosto, rimproverarli per l'inconcepibile ritorno al passato. Per questo al cen­ tro dell'apostrofe si trova una domanda retorica densa di elementi contrastanti. Dal punto di vista argomentativo è bene rilevare anzitutto il tipo di doman­ da formulata: non è dubitativa né comunicativa ma rappresenta un erotema, o interrogatio, vale a dire una domanda finalizzata a creare un'incidenza maggiore sui destinatari.22 Dietro questa domanda si trova la questione implicita: «Com'è possibile?». La vivacità stilistica di questo versetto, prodotta già con la domanda retori­ ca, si accresce per la figura retorica della correctio o epanortosi. Paolo ha appe­ na detto che i galati hanno conosciuto Dio per correggersi: sono stati piuttosto conosciuti da lui.23 Questa correzione rispetto a quanto precede ha anche la fun­ zione di chiarire il senso della conoscenza di Dio da parte dei galati. Per questo, metodologicamente, è bene partire dall'epanortosi e non da quanto viene detto pnma. L'affermazione per la quale Dio ha conosciuto i galati di per sé è illogica, in quanto suppone un tempo in cui non li abbia conosciuti.24 Per questo la portata di questa conoscenza non è di natura intellettiva ma elettiva: Dio ha eletto i gala­ ti, come tutti i gentili, a prendere parte alla relazione di alleanza realizzata in Cri-

IR Cf. MussNER. La Lettera ai Galati, 447. La negazione costruita con ouk e il participio è esatta, anche se rara nel greco neotestamentario. 1 9 Cf. BETz, Galatians, 214-215; DuNN. Galatians. 2° Cf. Or sib 3,1 10-155.545-560.721 -723; Aristea 135-137; Giuseppe e Aseneth 13,1 1 . 2 1 Così anche B ETZ , Galatians. 215; MussNER, La Lettera ai Galati, 447-448; ScH UE R, Lettera ai Galati, 208. 22 Sui diversi tipi di domanda retorica cf. OutNTlLIANO, lnst. or. 9.2,7. Cf. anche CRONJÉ, «The Strata­ gem of Rhetorical Question>>, 422. 23 Cf. anche le correzioni di Gal 1 ,6-7; 1 Cor 7, 10; 2Cor 2,5; 7,3; 9,4; 12,1 1 ; Rm 3,5; 8,34; Fm 19. Così anche B ETZ Galatians, 216; F. BLAss - A. DEBRUNNER - F. REHKOPF, Grammatica del greco del Nuovo Testa­ mento, Brescia 1 982, 4%. 12; 8RucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 202; CoRSANl, Lettera ai Galati, 273. 24 Così anche VANHOYE, La Lettera ai Galati, 1 59. Sul vocabolario della conoscenza nell'epistolario paolino cf. M. SILVA, >, in D A HAGNER - M.J. HARRIS (edd.). Pauline Studies, FS. F.F. Bruce, Grand Rapids 1 980, 1 84-207. ,

.

.

Gal 4,8- 1 1

253

sto.25 In questa conoscenza di Dio verso gli uomini si trova il fondamentale dono della figliolanza che, una volta per tutte, si è compiuto con l'invio del Figlio e che viene continuamente reso presente attraverso l'invio dello Spirito del Figlio (cf. Gal 4,4-6). La conseguenza della conoscenza elettiva da parte di Dio è rappresentata dalla conoscenza, altrettanto personale ed esistenziale, da parte dei galati. A proposito del verbo gnontes è bene rilevarne anzitutto la natura ingressiva:26 essi non hanno conosciuto Dio in un periodo del loro cammino di fede ma hanno cominciato a conoscerlo, senza soluzione di continuità.27 Questa cono­ scenza di Dio si concretizza nella partecipazione personale alla morte e risur­ rezione di Cristo (cf. Fil 3,10- 1 1 ) .28 Rispetto al vocabolario della conoscenza che pervade i vv. 8-9, anche se Paolo utilizza al v. 8 il verbo oida e al v. 9 ginoskein, è errato pensare al primo come conoscenza esterna e al secondo come cono­ scenza interiore: i due verbi sono interscambiabili;29 e va notato che la scelta di ginoskein nella forma passiva è dovuta forse alla carenza di utilizzazione per oida al passivo.30 Il rimprovero di Paolo è condensato nel «tornare di nuovo» a una sottomis­ sione nei confronti degli elementi «deboli e poveri».31 Il verbo epistrephein ( = tornare) è tipico per esprimere il linguaggio della conversione, corrispondente all'ebraico sub: Paolo lo ha già utilizzato sia per indicare il ritorno al Signore32 mediante l'accoglienza di Cristo (cf. 2Cor 3,6) che per riferire la conversione dei gentili di Tessalonica dall'idolatria all'unico Dio (cf. lTs 1 ,9).33 Nell'AT lo stesso verbo è utilizzato anche per indicare l'apostasia, l'abbandono dell'alleanza con il Signore.34 In tal senso va interpretata l'affermazione del v. 9: è analoga al rim­ provero rivolto a Pietro in Gal 2,14 e, soprattutto, ai biasimi indirizzati agli stes­ si galati in Gal 1 ,6; 3,3.35 Per Paolo tornare sotto gli elementi del mondo vuoi dire abbandonare la grazia elettiva di Dio e rivivere secondo la carne, dopo aver cominciato con lo Spirito. Anche se questo versetto non è collegato al biasimo precedente, offre un'esemplificazione della sottomissione agli elementi del mondo mediante l'osv.

10:

25 Per l'elezione divina espressa con il linguaggio della conoscenza cf. Sal 1 ,6; 37,18; 44,2 1 ;139, 1 ; Os 13,5 ; Am 3,2; N a 1 ,7; M t 7,23; A t 1 ,24; Rm 8,30; 1 Cor 8,2-3; 13,12; 2Cor 4.6; Fil 3,10. I n Os 2,19 il vocabola­ rio della conoscenza si coniuga con quello del fidanzamento. Così anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 273. 26 Cf. CoRSANI, Lettera ai Galati, 272; BRUCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 202. 27 Sulla conoscenza di Dio da parte dell'uomo cf. 1 Cor 1 ,2 1 ; 2,6-16; Rm 1 ,2 1 . 28 Cf. A. PITIA, >, «segmento» di una serie; l'analogo stoi­ chos sta per fila, linea o serie e il verbo stoichein vuoi dire «essere allineato», «camminare in fila». Data la generalità di senso, il sostantivo stoicheion può esse­ re applicato a molteplici contesti: un segmento dell'ombra di una meridiana, per indicare il tempo, una lettera dell'alfabeto o una parte di un discorso (cf. Eb 5,12). Circa l'espressione «elementi del mondo», pur nel rispetto delle diverse ipo­ tesi, si possono delineare quattro fondamentali percorsi interpretativi. Anzitut­ to, in base all'interpretazione gnoseologica, legata maggiormente all 'origine eti­ mologica di stoicheion, per elementi del mondo si intendono i principi fonda­ mentali oppure le idee portanti di uno studio specifico. Per questa ipotesi, segui­ ta soprattutto dall'esegesi patristica, va notato che in Gal 4,1 - 1 1 il vocabolario gnoseologico, anche se presente al v. 9, non ha tanto valore gnostico quanto rela­ zionale.52

5 1 Per i principali contributi sugli «elementi del mondo» in Galati cf. C.E. ARNOLD, «Retuming to the Domai n of the Powers: Stoicheia as Evi! Spiri t in Galatians 4:3-9>>, in NT 38( 1 996), 55-76; A.J. BANDSTRA, The Law and the Elements of the World: An Exegetical Study in Aspects of Paul's Teaching, Kampen 1 964; J. BuNZLER, «Lexicalisches zu dem Terminus ta stoicheia tou kosmou bei Paulus», in C. D'AMATO (ed.), Stu­ diorum Paulinorum Congressus internationalis catholicus (AnBib 17-18), Roma 1 963, II, 429-443; P.T. O'BRIEN, «Principalities and Powers: Opponents of the Church>>, in D.A. CARSON (ed.), Biblica/ lnterpreta­ tion and the Church: Text and Context, Exeter 1 984, 1 10-159; H. HOBNER, «Paulusforschung seit 1 945. Ein Kritischer Literaturbericht>>, in ANR W I I.25.4( 1 987), 2691 -2694; B. REICKE, ) di Gal 4,16: è la «verità del vangelo)) difesa da Paolo in Gal 2,5.14 e sarà la stessa «Verità)) che i galati hanno smesso di cercare a causa degli agitatori esterni (cf. Gal 5,7). Dunque sembra che Gal 4,1 2-20 condivida lo stesso genere elogiativo di Gal 1 ,13-2,2 1 , con la differenza che ora non si tratta più di un autoelogio paolina ma dell'elogio dei galati, per la loro originaria relazione con Paolo: dopo tanti rim­ proveri era necessario riconoscere almeno qualcosa di buono nelle comunità della Galazia. Anche i legami con la dimostrazione di appartenenza (Gal 4,8-5,12) sono significativi: Paolo chiude in modo analogo sia l'apostrofe (Gal 4,8- 1 1 ) sia l'elogio dei galati (Gal 4,1 2-20) : «Temo a vostro riguardo che invano mi sia affaticato per voi>) (v. 1 1 ); «Sono nell'incertezza per voi» (v. 20). La dimi­ nuzione del contrasto fra il phoboumai ( ::::; aver paura) e l'aporumai (::::; essere incerto) è causata proprio dall'elogio dei galati: con Gal 5,10 l'orizzonte relazio73 Sulla collocazione dell'apusia-parusia epistolare nelle lettere paoline cf. A. PnTA, Sinossi paolina. Cinisello Balsamo 1 994. 291 -293 . 74 Così anche C.H. CosGROVE, The Cross and the Spirit. A Study in the Argument and Theology of Galatians. Macon 1 988. 78: DtrNN. Galatians. 231 .

Gal 4 , 1 2-20

261

naie fra Paolo e i destinatari della lettera si muterà in convinzione che non «pen­ seranno qualcosa di diverso» da quanto hanno ricevuto nell'evangelizzazione paolina. Infine l'asse relazionale «io-voi», annunciato in Gal 4,1 1 , pervade l'intera pericope elogiativa: sono abbondanti i pronomi personali «io» e «voi)), al punto da rappresentare il motivo dominante dello stesso elogio.75 Soltanto al v. 17 com­ pare un generico «loro)) riferito agli agitatori ! Per questo, pur riconoscendo que­ sto accenno a dei «terzh), in Gal 4,12-20 non si riscontra una relazione triangola­ re: Paolo, i galati e gli agitatori . Piuttosto il vago riferimento a questi ultimi con­ ferma la centralità della relazione fra Paolo e i galati. 12 Siate come me, perché anch'io (sono) come voi, fratelli, vi prego: non mi avete offeso in nulla. 13 Invece sapete che a causa di una debolezza della carne vi evangelizzai all'inizio, 14 e non disprezzaste né sputaste ciò che nella mia carne era tentazione per voi, ma come un angelo di Dio mi accoglieste, come Cristo Gesù. 1 5 Dove dunque l a vostra felicitazione? Infatti vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati i vostri occhi per darmeli. 16 Così sono diventato vostro nemico dicendovi la verità? 17 Vi corteggiano non per il bene ma vogliono separarvi perché li corteg­ giate. 18 Bello è essere corteggiati, nel bene, sempre e·non solo nel mio essere pre­ sente fra voi. 19 Figlioli miei, per i quali di nuovo soffro le doglie del parto finché non sia formato Cristo in voi; 20 ma vorrei essere presente fra voi e cambiare la mia voce, perché sono nell'incertezza per voi. Non è facile delineare la composizione interna di questa argomentazione del cuore nella quale l'ethos paolino e il pathos dei destinatari sono vitalmente coin­ volti. Quindi, senza voler imporre una struttura forzata, in Gal 4,12-20 sono rico­ noscibili quattro parti fondamentali: a) v. 12: interpellanza alla reciprocità; b) vv. 13-14: il ricordo dell'originaria evangelizzazione; c) vv. 15-17: due domande reto­ riche; d) vv. 1 8-20: l'apusia-parusia epistolare.76 Anzitutto il v. 12 si distingue

75 Cf. la presenza del pronome ego variamente coniugato (vv. 12(ter] . l4(bis] . l 5 . 1 8 . 1 9.20: 9xx) e soprattutto di hymeis (vv. 1 2(bis] . 1 3 . 1 4 . 1 5 (ter] . 1 6(bis] .17(bis] . l 8 . 1 9.20(bis] : 15xx). 76 Così anche BuscEMI, «Gal 4,1 2-20: un argomento di amicizia>>, 88, anche se l'autore colloca erro­ neamente tutta la pericope sotto la categoria riduttiva dell'amicizia.

Commento

262

rispetto alle parti successive sia per la sua natura apostrofica sia per il verbo oidate ( = sapete) che introduce la narrazione del v. 13. I vv. 13-14 costituiscono la parte centrale dell'elogio: Paolo ricorda l'accoglienza ricevuta dai galati, in occa­ sione della prima evangelizzazione. Seguono due domande retoriche (vv. 15a. 1 6) consequenziali alle quali Paolo stesso risponde (vv. 15b. 17). La parte conclusiva della pericope (vv. 18-20) viene introdotta dal detto proverbiale, di natura gene­ rale: «Bello è essere corteggiati, nel bene, sempre . . . » (v. 18). In tal modo Paolo passa alla tipologia propriamente epistolare dell 'apusia-parusia, ossia dell'assen­ za-presenza che si stabilisce in ogni comunicazione a distanza. La terza e la quar­ ta parte dell'elogio sono collegate dal verbo zelousthai ( = corteggiare, vv. 1 7 . 1 8) che funge da mot-crochet o da parola gancio. L'elogio dei galati si apre con alcuni vaghi riferimenti sulla loro rela­ zione con Paolo. Dal punto di vista attanziale, la prima parte di questo verso si presenta come chiastica («voi-io-io-voi»), anche se manca esplicitamente il pro­ nome personale hymeis all'inizio della proposizione. L'impeto della formulazione viene maggiormente evidenziato per la sua natura brachilogica o sintetica; nella seconda parte del chiasmo manca il verbo, per cui si ha un essenziale «io come voi». A causa della composizione chiastica è bene, per questa seconda parte, esplicitare il verbo «diventare», mutuato dalla prima parte del verso. Lo stesso verbo ginesthe, che introduce la pericope, non sembra avere tanto valore di «diventare» quanto di «essere»: «Siate come me perché anch'io sono come voi». Di fatto il significato di «diventare» corrisponde bene alla prima parte della relazione (diventate come me), non altrettanto si può affermare per la seconda parte (perché anch 'io divento come voi), a meno che non si preferi­ sca intendere il verbo al passato (sono diventato). Invece sembra più naturale pensare al verbo genesthai ( = diventare) come corrispondente al verbo einai ( = essere), sostituzione abbastanza diffusa nel greco ellenistico.77 Più complesso è il significato della proposizione: qual è il senso di questa reciprocità relazionale fra Paolo e i galati? Buona parte degli studiosi si richia­ ma all'imitatio Pauli;18 come le altre comunità di fondazione paolina, anche i galati sono invitati a imitarlo.79 A ben vedere, questa interpretazione si regge sulla maggiore attenzione conferita alla prima parte del versetto, ponendo in ombra la seconda parte. L'imitazione dei galati verso Paolo significherebbe, nello stesso tempo, imitazione di Paolo verso i galati. Questa ipotesi è poco sostenibi­ le proprio alla luce delle vicende che hanno determinato la crisi in Galazia della relazione con Paolo: a causa del suo non condividere il loro modo di pensare nei confronti delle lusinghe nomistiche, Paolo non «è come loro». D'altro canto in v.

U:

77 Cf. Mt 10,16. Così anche EsELING, La verità dell'evangelo, 255. Cf. EBELING. La verità dell'evangelo. 253: LvoNs, Pauline Autobiography. 1 65; D.M. STANLEY, «"Become Imitators of Me": The Pauline Conception of Apostolic Tradition>> , in Bib 40( 1 959), 854-877. 7� Cf. I Ts 1 .3-8: 2.1 1 - 1 5a: 2Ts 3.6-9: l Cor 1 0.31-1 1 . 1 : Fil 3.15-17. 7ij

Gal 4 , 1 2-20

263

Gal 4,12-20 non si trova neppure il vocabolario della «mimesi�� o dell'«imita­ zione» paolina. Volgendo maggiore attenzione all'unità della proposizione, altri studiosi pensano a una reciprocità relazionale riguardante i sentimenti che legano Paolo ai galati.80 Naturalmente il sentimento maggiormente in gioco, in Gal 4,1 2-20, è quello dell'amicizia. In tal caso, l'argomento comincerebbe con la parità relazio­ nale che caratterizza ogni espressione di vera amicizia.81 Non c'è motivo di dubitare del notevole tenore affettivo di amicizia, presen­ te in Gal 4,12-20, come in 2Cor 6,1 1 -13; 7,2: il problema riguarda la sua capacità di inglobare l'intera sezione. Partendo dalla relazione con la Legge, e in partico­ lare alla luce di l Cor 9,2 1 , Paolo intenderebbe affermare che come egli è diven­ tato senza Legge per coloro che non hanno la Legge, così ora questi non posso­ no sottomettersi alla Legge.82 Questa interpretazione presenta il vantaggio di non fermarsi al livello della relazione affettiva fra Paolo e i galati: cerca di iden­ tificare un elemento più profondo che accomuna questi interlocutori. Tuttavia, è bene riconoscere che in Gal 4,1 2-20 non si parla assolutamente della Legge; e risulta errato, dal punto di vista metodologico, interpretare Galati alla luce di ! Corinzi, senza prima aver cercato possibili soluzioni all'interno della lettera stessa. Inoltre questa interpretazione ha lo svantaggio di presentare in forma negativa ciò che positivamente Paolo afferma in Gal 4,1 2.83 Per questo, soprattutto alla luce di Gal 3,28-29; 4,1 - 1 1 Paolo e i galati sono accomunati dalla fede in Cristo e dalla figliolanza che ne deriva, come in passa­ to erano accomunati dalla sottomissione agli «elementi del mondo�� (cf. Gal 4,3.9). In altri termini, Paolo sembra affermare in Gal 4,12 qualcosa di più dell'i­ mitazione che i galati devono nutrire nei suoi confronti, come della reciprocità affettiva determinata dall'amicizia: in gioco si trova il tertium genus, che si pre­ senta come «nuova creatura» (cf. Gal 6,15), per il quale in Cristo «non c'è giudeo né greco» (Gal 3,28) . In questa reciprocità per la fede in Cristo si spiegano gli stessi legami affet­ tivi che uniscono Paolo e i galati.84 Per questo, l'invito a questa reciprocità profonda è sostenuto dall'interpellante «fratelli��: siamo ben lontani ormai dallo sprezzante «insensati» di Gal 3,1 , anche se non ci saremmo aspettati un inizio così affettuoso, dopo i rimproveri di incoerenza non lesinati nell'apostrofe di Gal 4,8-1 1 .

80 Questa era già l'interpretazione di Lutero: « lsta verba non de ben t intellegi de doctrina, sed amni­ bus modis de affectibus intelligenda sunt>> ( WA 40/1,629). Cf. anche BRucE, The Epistle of Pau/ to the Gala­ tians, 208; VANHOYE, La Lettera ai Galati, 163. 81 Cf. BETz, Ga/atians, 222; BusCEMI, , 95. 82 Cf. BARBAGLIO, >, in Christian History and lnterpretation, FS. J. Knox, Cambridge 1 967, 249-268; T. Y. MuLLINS, «Visi t Talk in New Testament Letters», in CBQ 35( 1 973), 350-359; PmA, Sinossi paolina, 291 -303; J.L. WHITE, «New Testament Epistolary Literature in the Framework of Ancient Epistolography>>, in ANRW 11.25.2(1 984). 1 745- 1 746. 136 Per le altre sezioni dell'apusia-parusia epistolare cf. 1Ts 2,17-3, 1 7; 1 Cor 4,14-17; 16,10-18; 2Cor 10, 1-1 1 ; 12,14-13,10; Rm 1 5,22-33; Fil 2,1 9-30; Col 2,5; l Tm 3,14-16; 4,13-16; 2Tm 4,9-18.

Commento

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suoi «figli» come lo sono i tessalonicesi e i corinzi.137 Dal resto della proposizio­ ne si evidenzia il tipo di relazione instaurato con i galati: Paolo è come una madre che soffre «le doglie del parto» per i suoi figli. 138 Circa l'origine dell'immagine della paternità e della maternità apostolica, sono riconoscibili diversi contatti con le correnti filosofiche e religiose contem­ poranee. Sono significativi soprattutto i rapporti con la comunità di Qumran, in cui il «Maestro di giustizia» viene presentato, nello stesso tempo, come padre e madre dei «figli della benevolenza».139 Non a caso la rilevante tensione escato­ logica che pervade la relazione fra Paolo e le sue comunità, in base alla quale si ha la consapevolezza di appartenere a una «nuova creatura» (Gal 6,15), trova diverse corrispondenze presso la stessa comunità di Qumran. Comunque, in tale relazione non va dimenticata la matrice anticotestamentaria del linguaggio gene­ rativo, in particolare a proposito della relazione fra Dio e Israele. 140 Lo stesso lin­ guaggio generativo verrà sviluppato nella teologia giovannea per la «generazio­ ne dall'alto», durante il dialogo fra Gesù e Nicodemo (cf. Gv 3,3). Sul versante giudaistico questo modello perdurerà nella relazione fra i rabbini e i loro disce­ poli. l41 Comunque, rispetto alla maternità-paternità paolina, non sono da escludere alcuni contatti con la filosofia cinico-stoica: in tale contesto questo modello viene utilizzato soprattutto per esprimere la gratuità della propria predicazione itine­ rante. 142 La matrice filosofica di questa analogia affonda le sue radici nella stes­ sa concezione socratica della generazione alla verità. In uno dei passi più significativi del Simposio di Platone, così si esprime Socrate: «Coloro che sono fecondi nel corpo si orientano alle donne, e in tal modo, perseguono l'amore, perché pensano di procurarsi, per tutto il tempo futu­ ro, l'immortalità, il ricordo e la felicità mediante la procreazione dei figli. Ma coloro che sono fecondi nell'anima [ . . . ] poiché ci sono quelli che sono gravidi nello spirito, più che nel corpo, di quelle cose che è proprio dell'anima concepi­ re e partorire. Quali cose? Il pensiero e ogni altra virtù» (Simp. 208e-209a). 143

1 37

Cf. 1 Ts 2,7 . 1 1 ; l Cor 4,14; 2Cor 6,13; 12,14.14. Paolo non esita neppure a considerare. in tal modo, singoli componenti delle comunità fondate da lui, come Timoteo (cf. l Cor 4.17: Fil 2,22; l Tm 1 ,2 . 1 8; 2Tm l ,2; 2,1 ), Tito (cf. Tt l ,4) e Onesimo (cf. Fm 10). 1 38 Cf. B.R. GAVENTA, «The Maternity of Paul: An Exegetical Study of Galatians 4,1 9», in R. T. FoRT· NA - B. R. GAVENTA (edd.). Studies in Pau! and fohn, FS. J. L. Martyn. Nashville 1 990, 1 89-201 ; L. GIANANTONI, La paternità apostolica di Paolo, Bologna 1 993; J. GRtBOMONT, «Facti sumus parvuli: la charge apostolique ( l Th 2 , 1 - 1 2)», in L. DE LoRENZI (ed.), Paule de Tarse. apotre de notre temps, Roma 1979, 3 1 1 -338; P. GuTIER­ REZ. La paternité spirituelle selon saint Pau!, Paris 1 968; PtTTA, Sinossi paolina, 1 86-1 89. m Cf. l Q 7,20-22: «Tu mi hai posto come un padre per i figli della benevolenza, come un pedagogo per gli uomini del presagio. Hanno aperto la bocca come un lattante verso le mammelle della madre e come un bambino sul seno di coloro che lo nutrono». Cf. anche l Q H 4,33; 1 1 ,9; l QM 1 , 1 . Così anche CoRsANI, Let­ tera ai Galati, 289. 1 40 Cf. N m 1 1 ,12; Is 64,7; 66,10-13; Ger 3,4. 1 9; Os 1 1 , 1 . 1 4 1 C f. Berak. 2,56-65; Sanhed. 1 9b. 142 Cf. SENECA, Ep. 4,34. Sulla relazione tra DtoNE CRisosToMo. Or. 4,73-75 e 2Ts 2 . 1 - 1 2 cf. A.J. MALHERBE, >, in M. CARREZ - J. DoRÉ - P. GRELOT (edd.), D e la Torah, a u Messie, FS. H . Cazelles, Paris 1 981, l, 457465 ; DuNN, Galatians, 242; EBELJNG, La verità dell'evangelo, 258; HA N S EN , Abraham, 141 ; J.M. LAGRANGE, Saint Pau/. Épitre aux Galates, Paris 31 926, 1 1 8; LoNGENECKER, Galatians, 1 99; LOHRMANN, Galatians, 85; MATERA, Galatians, 1 67; MussNER, La Lettera ai Galati, 483; RmoERBos, The Epistle of Pau/ to the Churches of Gala­ tia, 172; RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 1 92; ScHLJER, Lettera ai Galati, 223; P.A. S1sn, , in BeO 1 1 ( 1 969), 25-32; A. VANHOYE, , in AssSeign 32( 1 967), 1 6-30; G. WAGNER, «Les enfants d' Abraham ou les chemins de la promesse et de la liberté. Exégè­ se de Galates 4,21 à 3 1 » , in RHPhR 7 ( 1 991 ) . 285-295. 1 60 Cf. S. CIPRIANI, «"llla quae sursum est Jerusalem . . . ". Esegesi e teologia di un testo paolino (Gal 4,25-27)>>, in Gerusalemme, Atti della XXVI Settimana biblica in onore di C.M. Martini, Brescia 1 982, 219. 1 59

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Infatti, se il v. 31 rappresenta la conclusione immediata rispetto ai versetti pre­ cedenti, Gal 5,1 sembra chiudere, in forma più generale, l 'intera pericope. A ben vedere il vocabolario della «libertà» unifica la pericope di Gal 4,3 1-5 , 1 : non è rilevabile nessun elemento che permetta di separare questi versi. Invece, la par­ ticella oun ( = dunque) di Gal 5,1 sembra svolgere il ruolo conclusivo generale rispetto a quanto precede. Spostandosi sul versante della pericope successiva, sarebbe sgrammaticato cominciare con un «dunque» iniziale (v. 3 1 ) e con una dichiarazione di autorevolezza in seconda battuta: la formula «ecco io Paolo vi dico . . . » ha chiaramente funzione introduttiva. Pertanto, pur riconoscendo in Gal 4,31 una prima conclusione immediata, rispetto ai vv. 28-30, sembra che in Gal 5 , 1 , vale a dire con la motivazione cristologica della libertà, si chiuda real­ mente la pericope.161 Altrettanto complesso è il collegamento fra Gal 4,21-5,1 e il contesto prece­ dente: alcuni ritengono che questo nuovo riferimento alle vicende familiari di Abramo sia venuto in mente a Paolo in un secondo momento, forse dopo una pausa nella dettatura della lettera. A prima vista sembra che non vi siano dei col­ legamenti sostanziali rispetto alla pericope precedente.162 Da questa osservazio­ ne a pensare che Gal 4,21-5 , 1 non apporti nulla di nuovo alla causa di Galati, il tratto è breve: questa argomentazione rappresenterebbe un livello secondario del pensiero paolino espresso in Galati.163 Per questo non manca chi considera questa pericope come fuori posto rispetto al suo contesto. 164 Contro tale valutazione si scontra anzitutto la stessa utilizzazione della Scrit­ tura, presente in Gal 4,21-5 , 1 : generalmente quando Paolo fa riferimento all'AT ci si trova di fronte a un livello primario e fondamentale della sua comunicazio­ ne epistolare.165 Inoltre, rispetto alla testimonianza di Gal 3, 1-4,7, è bene ricor­ dare che sinora Paolo ha dimostrato che i galati sono figli di Dio a causa della loro adesione a Cristo, vero figlio di Abramo (Gal 3,16). I suoi interlocutori avrebbero potuto benissimo obiettare che la loro figliolanza abramitica di per sé non impedisce la sottomissione alla Legge e in particolare alla circoncisione. Anzi, questa sottomissione avrebbe potuto significare un perfezionamento nel

161 Così anche BRliCE. The Epistle of Pau[ to the Galatians. 214; B. BYRNE, «Sons of God» - «Seed of Abraham» (AnBib 83), Roma 1 979, 1 86; FuNG, The Epistle to the Galatians, 204; F.S. MALAN, > nell'epistolario paolino si veda sopra il commento a

Gal 3,6- 14. 1 68 Così CoTHENET, «A I'arrière-plan de l'allegorie>>, 459. Sulla natura omiletica di Gal 4,2 1-5,1 cf. anche A. DEL AGuA PEREZ, El método midrtisico y la exégesis del Nuevo Testamento, Valencia 1 985, 347; E. E. ELLls, Prophecy and Hermeneutic in Ear/y Christianity, Ttibingen 1 978. 155-156. Sulla composizione dell'o­ melia sinagogale giudaica cf. W. R. STENGER, ••The Ancient Jewish Synagogue Homily>>, in D.E. AuNE (ed.), Greco-Roman Literature and the New Testament, Atlanta 1988, 5 1 -69. 1 69 Neusner preferisce definire questo midrash come «parabolico»: cf. J. NEusNER, What is Midrash ?, Philadelphia 1987, 1 -2. Questa scelta rischia però di travisare lo stesso significato di allegoroumena identi­ ficando sic et simpliciter l'allegoria paolina con la parabola. 1 7° Così anche COTHENET, «A I'arrière-plan de l'allegorie», 459; PERRIMAN, , 27-29.

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Commento

Rispetto alla funzione retorica della pericope, non bisogna dimenticare la sua funzione ad hominem, 1 7 1 espressa da Paolo stesso al v. 21 : la Legge, alla quale desiderano sottomettersi i galati, dimostrerà l'infondatezza per tale passaggio. Per questo, ancora una volta, la riuscita di un'argomentazione condotta con le stesse armi degli interlocutori conferirà maggiore consistenza alla causa del van­ gelo paolino posto in discussione presso le comunità della Galazia. 2 1 Ditemi voi che volete essere sotto l a Legge, non ascoltate l a Legge? 22 Sta scritto infatti: Abramo ebbe due figli, uno dalla libera. uno dalla schiava e 23 Ma mentre quello dalla schiava è stato generato secondo la carne, quello dalla libera secondo la promessa. 24 Questo è stato detto per allegoria. Esse infatti significano due disposizioni, l'una dal monte Sinai che genera per la schiavitù, la quale è Agar 25 ma il monte Sinai si trova in Arabia - corrisponde però alla Gerusalem­ me attuale; infatti è schiava c on i suoi figli. 26 Invece la Gerusalemme di lassù è libera, la quale è nostra madre. 27 Sta scritto infatti: «Rallegrati, sterile che non partorisci, gioisci e grida, tu che non hai le doglie; perché molti sono i figli dell'abbandonata più di quella sposata». 28 Voi però, fratelli, siete figli della promessa, secondo !sacco. 29 Ma come allora

colui che era generato secondo la carne perseguitava quello secondo lo Spirito,

così anche adesso. 30 Ma cosa dice la Scrittura? «Caccia la schiava e suo figlio; infatti non prenderà parte dell'eredità il figlio della schiava con il figlio della libe­ ra». 31 5,1

Perciò, fratelli, non siamo figli della schiava ma della libera. Per la libertà Cristo ci ha liberati; restate dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.

A parte l'introduzione (v. 2 1 ) e la conclusione (4,3 1-5 , 1 ) , la presente perico­ pe si compone di tre parti fondamentali: a) vv. 22-23: la narrazione di Genesi (con la citazione sintetica di Gen 1 6-2 1 ) ; b) vv. 24-28: l'interpretazione allegorica (con la citazione diretta di Is 54, 1 ) ; c) vv. 29-30: un'applicazione della vicenda gene­ siaca (con la citazione diretta di Gen 21 ,10). 1 71

Cf. LAGRANGE, Saint Pau/. Épitre aux Galates, 1 22; LoNGENECKER, Galatians, 200.

Gal 4,2 1 -5 , 1

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In adesione all'argomentazione midrashica il ruolo principale viene svolto dalla citazione sintetica di Gen 1 6-2 1 , dunque dalla prima parte della pericope (vv. 22-23). La seconda parte (vv. 24-28) ha la funzione di spiegare e sostenere la prima, soprattutto con la citazione di Is 54, 1 . A sua volta, la terza parte svolge un ruolo parentetico: si potrebbe benissimo saltare dal v. 28 alla conclusione di Gal 5,1. Invece, prima di concludere l'argomentazione midrashica, Paolo preferisce evidenziarne un elemento applicativo che illustra la situazione attuale delle rela­ zioni fra i figli secondo la carne e quelli secondo lo Spirito: la dimostrazione si chiude con la citazione di Gen 2 1 ,10. Il principale elemento stilistico che attraversa l 'intero «midrash allegorico» è quello dell'antitesi, schematizzabile nel seguente prospetto: uno dalla schiava secondo la carne monte Sinai schiavitù Agar (v. 24) il monte Sinai si trova in Arabia Gerusalemme attuale schiava con i suoi figli (v. 25)

secondo la carne figli della schiava schiavitù

uno dalla libera (v. 22) secondo la promessa (v. 23)

Gerusalemme di lassù libera nostra madre (v. 26) secondo Isacco figli della promessa (v. 28) secondo lo Spirito (v. 29) della libera (v. 3 1 ) libertà (5, 1 )

La disposizione antitetica della pericope pone in risalto due colonne: una negativa e l'altra positiva. Tuttavia queste corrispondenze non sono perfetta­ mente bilanciate se non nella prima parte della pericope ( vv. 22-23). Nella secon­ da ( vv. 24-28) viene citata Agar e non Sara (v. 24), il monte Sinai e non il suo cor­ rispondente (v. 24 ), la generazione per la schiavitù della prima madre e non quel­ la per la libertà della seconda (v. 24). Bisognerà attendere il v. 26 per riscontrare gli elementi positivi dell'antitesi; e in questa fase della seconda parte l'accento si sposta sulla «Gerusalemme di lassù» (v. 26). Tuttavia, anche in tal caso, le antite­ si non sono perfette: Paolo cita Isacco, senza aver parlato di sua madre (v. 28), mentre non cita Ismaele, pur avendo parlato di Agar. Tuttavia, pur tenendo conto di tali sproporzioni, in Gal 4,21-5,1 è riconosci­ bile una basilare antinomia fra «schiavitù e libertà»1 72 (4,22.31 e 5,1), «carne e promessa)) (v. 22), «carne e Spirito)) (v. 29), «Gerusalemme attuale e Gerusalem1 72 Sulla centralità dell 'opposizione «schiavitù-libertà>> in Gal 4,2 1 -31 e nell'intera lettera cf. J.A. LoussER, , in Neot 28( 1 994), 1 63- 176.

Commento

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me di lassù» ( vv. 25-26). Sarà importante considerare le funzioni di queste anti­ tesi che attraversano il midrash allegorico. v. 21: L'argomentazione paolina comincia con un'interpellante interrogativa, elemento stilistico ormai caratteristico di Galati.173 La natura diatribica di que­ sta domanda vivacizza l'uditorio e ne concentra l'attenzione, soprattutto se le si riconosce un buono spessore di ironia:174 i galati desiderano sottomettersi alla Legge? Dunque le pongano attenzioneY5 La complessità della pericope è sorretta anche dalle complessità testuali; e il v. 21 presenta già una variante. Alcuni codici riportano l'imperativo anaginoske­ te (= riconoscete) invece di akouete ( = ascoltate).1 76 Per la critica esterna l'atte­ stazione con «ascoltate» è quella più diffusa, in quanto riportata dai restanti codici. Inoltre, la lezione con «riconoscete» è meno dinamica di «ascoltate», che riscontra una maggiore contestualizzazione nella dimensione di «ascolto>> pre­ sente nella rilettura dell'AT. 1 77 Per questo è preferibile, anche per la critica inter­ na, la lezione più attestata: i galati sono invitati da Paolo ad ascoltare la Legge, con tutto ciò che implica la radice giudaica del verbo siima ' : un ascolto non sol­ tanto intellettivo ma orientato alla prassi, che si produce in una consequenziale obbedienza (cf. Dt 6,4 ).178 La presenza del verbo «volere>> chiarifica ulteriormente il contesto nel quale si colloca la lettera: le comunità paoline ancora non sono passate alla piena sot­ tomissione alla Legge, mediante la circoncisione; stanno per farlo ! 179 Per questo, tale «midrash>> è delineato da Paolo ancora per frenare questo passaggio da un'adesione a Cristo alla loro piena sottomissione alla Legge, in termini di pro­ selitismo vero e proprio. In questo verso introduttivo, Paolo utilizza due volte il termine nomos: «Sotto Legge>>, «la Legge»; la prima volta senza l'articolo, la seconda con l'arti­ colo. Tale differenza potrebbe indurre a pensare a due tipi di Legge, quella retta sul legalismo e quella riferita alla Scrittura che verrà citata nel corso del «midra­ sh». In realtà, con hypo e l'accusativo non è necessario l'articolo, pur specifican­ do l'oggetto della sottomissione. Di fatto in Galati non s'incontra mai il sintag­ ma hypo ton nomon ma sempre hypo nomon, anche se Paolo si riferisce sempre alla stessa Legge. 180 Pertanto al v. 21 Paolo si riferisce sempre alla Legge giudai-

173 Cf. Gal 1 .10: 3 , 1 -5 . 1 9.2 1 ; 4,16; 5,7. 174 Cf. anche LAGRANGE, Saint Pau!. Épitre aux Galates, 122; MALAN, «The Strategy of Two Opposing Covenants>>, 428. 175 Per lo stile diatribico di Gal 4,21 cf. BETz, Galatians, 241 ; MALAN, «The Strategy of Two Opposing Covenants», 428. 176 Cf. D, F, G. 104, 1 1 75. m Così anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 295. 1 78 Così anche MussNER, La Lettera ai Galati, 486. 179 Si veda lo stesso verbo thelein ( volere) in Gal 4,9; cf. anche, con lo stesso retroterra, Gal 5.3. Così anche MATERA, Galatians, 168. 1 80 Cf. Gal 3,23; 4,4.5; 5 . 1 8; cf. anche 1 Cor 9,20(quater): Rm 6,14.15. Con l'articolo cf. invece «Sotto il peccato>> in Rm 7,14, «Sotto i piedi» in Rm 1 6,20. «sotto gli elementi del mondo>> in Gal 4,3. =

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Gal 4,2 1 -5 , 1

ca, colta però nei due orientamenti fondamentali, di Scrittura e di legalismo da assumere. 181 Questo significa che la Legge stessa, in quanto Scrittura, impedisce di sottomettersi alla Legge in quanto legalismo; anzi, in termini positivi, è la Legge stessa che annuncia il proprio superamento e compimento in Cristo, così da diventare, come vedremo, la «Legge di Cristo» (Gal 6,2). Forse è bene rilevare che tale distinzione non autorizza a dire che la Legge «in quanto rivelazione annuncia la propria abrogazione in quanto legislazio­ ne», 182 in modo che una parte della Legge si salva mentre l'altra è abrogata. Paolo non afferma mai l'abrogazione della Legge; anzi per ogni interpretazione della Legge in Paolo è necessario sempre tener presente la conclusione di Rm 3,3 1 : «Forse abroghiamo la Legge mediante la fede? Non sia mai! Al contrario confermiamo la Legge». In quanto tale la Legge annuncia l'economia della fede, e dunque non può essere abrogata. Quanto Paolo rifiuta dunque non è un aspetto o una parte della Legge per salvarne una a nostro piacimento nell'esegesi successiva; egli rigetta il legalismo, espresso mediante la formula «Sotto la Legge», che non fa parte, di per sé, dello stesso statuto della Legge e che significherebbe cercare la fonte della vita nella Legge che non ha mai avuto questa pretesa (cf. Gal 3,2 1 ) , come invece riteneva­ no i giudaizzanti. Dunque Gal 4,21 è da porre accanto a Gal 2,19 e non alla Lettera agli Ebrei, in cui il cambiamento del sacerdozio significa anche il cambiamento della Legge (cf. Eb 7 , 12-28). 183 Ancora una volta Galati non è Ebrei e non le si possono appli­ care le categorie di un testo non paolino. Forse questo dato, soprattutto nei con­ fronti della «teologia del NT», crea più problemi di quanti ne risolva, in quanto impedisce di delineare una teologia monolitica che segue un paradigma omoge­ neo; ma è necessario rispettare anzitutto le diverse «teologie del NT>> per giun­ gere a una sintesi che non significa omologazioni forzate bensì rispetto delle diversità. v. 22: Il riferimento alla Legge, in quanto Scrittura, comincia con una formu­ la tipica di Paolo per introdurre le citazioni dirette dell'AT: «Sta scritto infat­ ti».184 Per questo il successivo hoti ha valore recitativo, corrispondente ai due punti. Tuttavia, nonostante la formula per le citazioni dirette, Paolo presenta una sintesi delle vicende narrate in Gen 1 6-2 1 , riferendosi in particolare alla nascita di Ismaele (cf. Gen 16,15) e a quella di !sacco (cf. Gen 2 1 ,2). Questo è l'unico caso in cui egli, pur utilizzando questa formula di citazione, non riporta un testo diretto ma allude soltanto ai due testi dell'AT.

181

Cf. anche DuNN,

Galatians, 245. Così invece V ANHOYE, «Gal 4,22-3 1 : Joie et liberté>>, 18. I l!.l Cf. invece V ANHOYE, La Lettera ai Galati. 1 67. 1 84 Cf. Gal 3,10; Mt 4,6; Le 4 . 10; At 23.5. Cf. anche la formula senza «infatti>> in l Cor 14.21 ; Rm 3,10; 4.17; 8,36; M t l 1 . 1 7; Le 4,4; Gv 8,17. Sulle citazioni dirette dell' AT in Paolo cf. PmA Sinossi paolina. 68-7 1 . 1 81

,

Commento

282

Questa eccezione può essere attribuita a due motivazioni fondamentali. Anzitutto non è necessario riportare l'intera narrazione genesiaca sulla nascita dei figli di Abramo, in quanto già nota agli stessi interlocutori della lettera. Infat­ ti Paolo non avverte il bisogno di specificare l'identità delle madri e dei relativi figli. Da questo punto di vista anche l'argomentazione retorica di Gal 4,21-5,1 si presenta come entimematica: vengono taciute le premesse argomentative in quanto appartenenti agli ambiti di convergenza condivisi sia da Paolo sia dai galati. 185 Nessuno avrebbe qualcosa da obiettare su quanto è richiamato in Gal 4,22-23. Più difficile è stabilire se la stessa narrazione su Agar e Sara fosse stata uti­ lizzata dagli agitatori per costringere i galati a farsi circoncidere, quale condizio­ ne per appartenere alla discendenza giudaica, secondo Isacco. 1 86 Anche se una tale ipotesi è verosimile, confermata dalla notorietà della vicenda di Agar e Sara nel giudaismo contemporaneo, è destinata a rimanere tale, in quanto non ci sono pervenuti dei riferimenti, neppure paolini, sulla predicazione degli agitatori in Galazia. La seconda ragione per questa originale modalità di citare l'AT si trova nel­ l'introduzione del codice linguistico fondamentale per la dimostrazione succes­ siva: «schiavitù e libertà». Mentre il termine paidiske ( = schiava) lo si trova spes­ so a proposito di Agar, nella narrazione di Genesi, 1 87 il corrispondente eleuthera (= libera) non lo si incontra mai per Sara. Di per sé tale variazione, formulata da Paolo stesso, non viola troppo la narrazione di Genesi, in quanto Sara, essendo kyria ( = padrona; cf. Gen 1 6,4.8-9), doveva essere, di conseguenza, anche «libe­ ra». Questa leggera variazione permette a Paolo di introdurre la fondamentale tematica della libertà, che assumerà particolare rilievo sia nel «midrash» che nel­ le successive argomentazioni. 188 In vista di quest'antinomia Paolo omette i riferimenti ai figli di Abramo nati da Chetura, dopo la morte di Sara (cf. Gen 25 , 1 -5; 1 Cr 1 ,32-33). Questa omissio­ ne è dovuta al fatto che le «disposizioni>> divine furono date ad Abramo soltan­ to per Isacco e per Ismaele, non per gli altri suoi figli. v. 23: L'equilibrio fra le antitesi permane anche nella seconda parte delle allusioni anticotestamentarie, spostando l'accento sulle diverse modalità di nascita dei figli della schiava e della libera: « . . . secondo la carne . . . secondo la promessa». Anche in questo caso è necessario rilevare l'introduzione, nella sto-

1 8'

Cf. anche MALAN, «The Strategy of Two Opposing Covenants>>, 429. Cf. BARRETT. , 10: LoNGENECKER, Galatians, 1 99; MALAN, « The Strategy of Two Opposing Covenants>>. 430. 1 87 Cf. Gen 16,1 .8; 2 1 , 1 0 citato anche in Gal 4,30. Il termine paidiske, diminutivo di pais, può signifi­ care sia che : il contesto di Gen 16 fa propendere per il secondo significato. Così anche DuNN. Galatians, 245 . 1 88 Cf. Gal 4,23.26.30.3 1 ; 5.1 (bis ) . 1 3(bis ). Cf. in precedenza Gal 2,4; 3,28. Sull'importanza della libertà in Galati cf. PAsTOR RA M OS , La libertad en la carta a los Gtilatas; Z.l. HERMAN, Liberi in Cristo. Saggi esegeti­ ci sulla libertà dalla Legge nella Lettera ai Galati, Roma 1 986. 1 86

Gal 4,2 1 -5 , 1

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ria delle nascite, di un codice linguistico paolina: «carne» e «promessa» non ven­ gono mai riferite alle nascite di Ismaele e di Isacco. 1 89 Naturalmente, in quanto tali, queste precisazioni non violano la narrazione di Gen 1 6-2 1 : realmente Ismaele è nato «secondo la carne», ossia in modo natu­ rale, senza alcuna eccezione. In questo contesto «carne» non assume valore morale negativo: anche Gesù Cristo è «nato secondo la carne» (cf. Rm 1 ,3; 9,5). 190 Come parallelo di «secondo la carne» ci saremmo aspettati «Secondo lo Spirito», antinomia tipicamente paolina, riscontrabile al v. 29 (cf. anche Gal 3,3; 5,16). 1 91 Invece proprio nel rispetto delle relative vicende, Paolo non asserisce che la nascita di Isacco sia avvenuta secondo lo Spirito ma secondo la promessa della discendenza, fatta ad Abramo (cf. Gen 1 8,10) . Paolo non può affermare che Isac­ co sia nato «secondo lo Spirito», in quanto anche questi è stato generato per via naturale, nonostante Abramo fosse anziano e Sara sterile. In Rm 4,18-21 Paolo affronterà direttamente le circostanze prodigiose della nascita di Isacco. 192 Nonostante lo squilibrio dell'antitesi, anche il termine epaggelia evoca la temati­ ca paolina della «promessa», trattata da Paolo in Gal 3,6-29; verrà ripresa al v. 28. Invece è strana la presenza del verbo gennan ( = generare), per la nascita dei due figli: trattandosi di donne ci saremmo aspettati tiktein ( = partorire), che Paolo stesso citerà a proposito della «sterile» in Is 54,1 (v. 27). Alcuni hanno fon­ dato su tale variazione un riferimento alla missione di Paolo presso le sue comu­ nità (cf. 1 Cor 4,15; Fm 10), al punto che la nascita delle Chiese rappresentereb­ be la tematica centrale di Gal 4,21-5,1 . 193 In realtà, nel greco del NT, spesso il verbo gennan viene utilizzato per indicare non solo la generazione maschile ma anche quella femminile (cf. Le 1 ,1 3 ; 23,29; Gv 3,4). D 'altro canto, a parte la cita­ zione di Is 54,1 in Gal 4,27, Paolo non utilizza mai il verbo tiktein: ormai i verbi gennan e ginomai hanno invaso altri campi linguistici nel greco della koinè. Piut­ tosto è significativo l'uso del perfetto gegennetai: le nascite di Isacco e di Ismae­ le, come dimostrerà il seguito della narrazione, assumono rilevanza sino al pre­ sente, nella vita stessa dei cristiani della Galazia. Pertanto, in Gal 4,22-23 Paolo cita sommariamente le nascite di Ismaele e di Isacco in Gen 1 6-21 e introduce le fondamentali antinomie del «midrash allego­ rico>>: «schiava-libera», «secondo la carne-secondo la promessa». 194

1 89 Il termine sarx nel ciclo di Abramo viene spesso utilizzato per riferirsi alla circoncisione di ogni maschio (cf. Gen 17,1 1 . 1 3. 14.24.25 ). 1 90 Cf. anche BoNNARD, L'Épitre de saint Pau/ aux Ga/ates, 96; BRuCE, The Epistle of Pau/ to the Ga/a­ tians, 217; CoRSAN1, Lettera ai Galati. 296. 191 Lo stesso binomio «carne-promessa>> si trova in Rm 9,8 sempre a proposito dei figli di Abramo. 1 92 Cf. anche Rm 9,7-9; Eb 1 1 , 1 1 . Sullo sviluppo di questa tipologia nel giudaismo contemporaneo cf. anche H.L. STRACK - P. B1LLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, Miin­ chen 1 926, III, 2 1 6-217. 193 Cf. MARTYN, , 1 77. 1 94 Non è il caso di dubitare dell'origine di questi binomi. anche se Betz li attribuisce alla tradizione prepaolina: cf. BETZ, Ga/atians, 239. La presenza del modello antinomico in Gal 4,24-5,1 e soprattutto della polarità «schiavitù-libertà>> e «carne-Spirito» in Gal 4,24-6,1 0 non lascia dubbi sulla paternità paolina di queste antitesi in Gal 4,22-23. Così anche PERRIMAN, >, in ASE 8( 199 1 ) , 385-404; H. FREITAG, «"Quae sunt per allegoriam dieta". Das Theologi­ sche Verstiindnis der Allegorie in der frtihchristlichen und mittelalterlichen Exegese von Gal 4,2 1 -3 1 » , in H. FRoMM - W. HARMS - U. RuBERG (edd.), Verbum et signum, FS. F. Ohly. Mtinchen 1 975, I , 23-43; M. MARIN, «Agostino e l'interpretazione antica di Gal 4,24. Note sulla fortuna di allegoria in ambito latino>>, in VetChr 24( 1987), 5-2 1 . 1 96 Questa correzione era già diffusa nell'esegesi patristica d i Gal 4,24. C f. GIOVANNI CRisosTOMo, Ad Galatas 662; TEoDORETO DI C.Ro, Ad Galatas 489; TEoDoRo DI MoPSUESTIA, Ad Galatas 73-74. Nell'esegesi con­ temporanea lo stesso orientamento è conservato da BoNNARD, L'Épitre de saint Pau[ au.x Galates, 97; B RuCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 217; ID., «"Abraham Had Two. Sons": A Study in Pauline Herrneneu­ tics>>, in H.L. DRUMWRIGHT - C. VAUGHAN (edd.), New Testament Studies, Waco 1 975, 83; HANSEN, Galatians, 2 1 5 ; A. T. HANSON, Studies in Paul's Technique and Theology. London 1 974. 1 56; LAGRANGE, Saint Pau/. Épi­ tre au.x Galates, 123; PASTOR RAMOs, La libertad en la carta a las Galatas, 104-105 . 197 C f. anche Aristea 1 50-1 70. Sull'allegoria alessandrina cf. I. CHRISTIANSEN, Die Technik der allego­ rischen Auslegungswissenschaft bei Philo von Alexandrien, Ttibingen 1 969. 198 Cf. fiLONE. A b r. 68; Fug. 1 28,209-2 1 O: Mut. 255: Cong. 1 1 . La relazione tra Agar e Sara sta anche alla base del trattato filoniano del De congressu eruditionis gratia. Cf. anche gli altri riferimenti in Cher. 310; Post. 1 30- 1 3 1 ; Mut. 26 1 ; Som. 1 ,240; Fug. 209-21 3 ; Sac. 43-44. Sulla relazione tra l'esegesi filoniana e quel­ la paolina di Gen 1 6-21 cf. P. BoRGEN, «Some Hebrew and Pagan Features in Philo's and Paul's Interpreta-

Gal 4,2 1 -5 , 1

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niana pone bene in risalto lo svuotamento della narrazione genesiaca: questa, come i miti greci, assume un significato del tutto diverso dal suo primo livello storico. Invece Paolo si mostra rispettoso della narrazione di Gen 16--2 1 , pur appor­ tando delle variazioni semantiche che, come abbiamo notato, non svuotano la stessa storia biblica. Dunque, Gal 4,21-5,1 non segue il modello della tipologia, nella sua globalità, né quello dell'allegoria di matrice greco-alessandrina. La relazione fra Gen 1 6--2 1 e Is 54,1 forse ci aiuta a cogliere il senso dell'allegoria paolina.199 Di fatto lo stesso Deutero-Isaia, mediante il libro delle Consolazioni, rilegge la vicenda di Agar e Sara, per conferirle un significato più alto: il ritorno dall'esilio sarebbe stato simile alla generazione di lsacco e la nuova «Città madre», Gerusalemme, avrebbe generato un'innumerevole prole (cf. il richiamo esplicito a Sara in Is 5 1 ,2). Gli eventi postesilici hanno però smentito sia Gen 1 6-21 che Is 54; per questo, in seguito, l'oracolo di Is 54 è stato riletto in chiave apocalittica. Per Paolo, l'evento apocalittico dell'ingresso dei gentili nel popolo della promessa ha significato il vero adempimento della vicenda di Genesi e del­ l'oracolo di Isaia. Dunque la rilettura in sovrapposizione allegorica che arricchisce di nuovi sensi lo stesso evento originario sta alla base dell'interpretazione paolina della narrazione biblica. Questo significa che allegoroumena in Gal 4,24 non significa tanto «interpretare in modo allegorico» il testo di Gen 15-2 1 , bensì che lo stesso testo si presta e, in definitiva, esige una rilettura allegorica.200 Tuttavia, la presenza dell'orientamento tipologico riscontrato in Gal 4,29 non deve far cadere in retroproiezioni indebite: Paolo non conosce l'opposizio­ ne fra la tipologia antiochena e l'allegoria alessandrina, ammesso che, anche in tal caso, non si tratti di semplificazioni pericolose nei confronti dell'esegesi patri­ stica.201 Per lui la tipologia non si oppone all'allegoria;202 tanto meno egli cono­ sce la sistematizzazione dell'allegoria attraverso i «quattro sensi» della Scrittura, dell'esegesi medievale. 203 La tipologia e l'allegoria paolina fanno parte di quel processo interpretativo dell' AT che, radicato nel giudaismo palestinese,204 cerca anzitutto di riconoscere

tion of Hagar and lshmael». in P. BoRGEN - S. GEYERSEN (edd.), The New Testament and He/lenistic Judaism. Aarhus 1 995, 1 5 1 -1 64. 199 Per l'allegoria paolina in generale cf. J. BoNSJRYEN. Exégèse rabbinique et exégèse paulinienne, Paris 1 939, 309-31 1 . 200 Così anche BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, 96-97. 201 Sulla storia dell'allegoria nell'epoca patristica cf. l'ottimo contributo di M. SIMONETII, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma 1985. 202 Per questo alcuni preferiscono considerare Gal 4,2 1 ss come allegoria-tipologia o come tipologia allegorica. Cf. C.H. CosGROYE, «The Law Has Given Sarah no Children (Ga1 4 2 1-30 ) >> . in NT 29( 1987), 221 . Pur senza utilizzare questa terminologia cf. anche BETz, Galatians. 239; CoRSANI, Lettera ai Galati, 297; Mus­ sNER, La Lettera ai Galati, 489. 203 Cf. l'anonimo detto: «Lettera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia». Sulle prospettive ermeneutiche dell'allegoria patristico-medievale cf. L. AwNso ScHùKEL, /1 dina­ mismo della tradizione, Brescia 1 970, 23-28. 204 Si veda anche l'esegesi dell'AT presso la comunità di Qumran (cf. l QpHab 12,3-4; l QpMic 8-10; çD 6,2-1 1 ; 7 .9-20). Così anche BETZ, Galatians. 243; CoTHENET, «A l'arrière-plan de l'allegorie>>, 459; LoNGE-

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la validità della narrazione biblica, per conferirle sensi più alti che rimandano altrove, nel corso della rilettura del testo al tempo della propria comunità.205 Dunque è proprio della rilettura anticotestamentaria del giudaismo palestinese cogliere il senso profondo di un testo senza svuotarne la storia, quasi fosse ridot­ ta a mitologia. In questo Paolo si rivela profondamente ancorato alla sua forma­ zione farisaica. Circa la prospettiva retorica dell'allegoria, la manualistica della retorica clas­ sica la considera poco persuasiva a causa della sua ambiguità (cf. Heren. 4,34,46): di fatto gli eventi narrati in Gal 4,21-5,1 possono essere sottoposti a diversi tipi di lettura, soprattutto sull'identità dei veri figli di Agar e di Sara. Ma oltre alla concezione di Quintiliano e della manualistica latina, è necessario tener presen­ te anche quella dello Pseudo-Demetrius, che nel suo De elocutione presenta una valutazione positiva dell'allegoria (cf. De eloc. 2,99-101 . 1 5 1 .222.243) . La funzio­ ne retorica di Gal 4,21-5,1 permetterà di evincere la sua importanza decisiva nel­ l'economia della lettera: forse è tutt'altro che una prova debole di cui si può fare anche a meno per cogliere il messaggio stesso di Galati. Con la seconda parte del v. 24, senza offrire altre spiegazioni sulla lettura di Gal 4,22-23, Paolo interpreta subito, in modo allegorico, il senso delle due donne: «Esse infatti significano due disposizioni». Notiamo anzitutto una prima varia­ zione rispetto agli eventi narrati: ci saremmo aspettati che Paolo cominciasse a parlare dei due figli e invece si sofferma sulle relative madri (vv. 24b-27);206 biso­ gnerà attendere i vv. 28-29 perché egli affronti direttamente le relazioni fra i due figli. Quindi egli considera le due madri come due diathekai, termine complesso per la sua polisemia, che Paolo ha già utilizzato in Gal 3,15-18, con il duplice significato di «testamento» umano (v. 15) e di «disposizione>> divina (v. 17). A prima vista l'argomentazione di Gal 4,21-5,1 sembra contrastare con quella di Gal 3,15-18, in cui Paolo ha parlato soltanto di una diathéké che la Legge, soprag­ giunta 430 anni dopo, non può modificare o abrogare; ora preferisce parlare di due diathékai contrapposte. Non è questa la prima volta che Paolo si riferisce alle diathékai: fanno parte dei privilegi di Israele (cf. Rm 9,4) e, in Ef 2,12, diventano le «disposizioni della promessa» dalle quali erano esclusi i gentili prima dell'a­ desione a Cristo. La storia del popolo giudaico n eli' AT ha visto la ratificazione di diverse diathékai: quella con Abramo (cf. Gen 15,18), quella della circoncisione (cf. Gen

NECKER, Galatians, 210; MALAN. , 43 1; PERRIMAN, «The Rhetorical Strategy of Galatians 4:2 1-5 : 1 », 27-29. Sull'allegoria nel giudaismo rabbinico cf. D. DAUBE, «Alexandrian Methods of Interpretation and the Rabbis», FS. H. Lewald, Base1 1 953. 27-44. 205 Anche se conserva la validità di , contro i quali Saul entra in guerra (cf. 1 Cr 5,10. 1 9-2 1 ) , e quella fra gli stessi «agareni>> e gli ismaeliti (cf. Sal 83,7). In particolare nella tradizione targumica Agar verrà posta in relazione con l'area di Petra, associata spesso, a sua volta, çon il Sinai.208 In tale contesto è interessante soprattutto la relazione fra Agar e la località di Shur, che i targumim di Onkelos e dello Pseudo-Jonathan rendono in aramai­ co con Hagra; così traducono Gen 1 6,7: «La trovò l'angelo del Signore presso una sorgente d'acqua nel deserto, la sorgente sulla strada per Hagra».209 Nella stessa tradizione giudaica gli ismaeliti verranno considerati anche come naba­ tei.210 Questa relazione fra la vasta regione di Petra e il Sinai, nota nel giudaismo contemporaneo, permette a Paolo di collegare Agar con il Sinai stesso e dunque con la Legge.2 1 1 D'altro canto non deve soprendere più di tanto i l fatto che la

207

Cf. V AN HOYE, >. 224; LAGRANOE, Saint Pau/. Épitre aux Galates, 1 24; VANHOYE, La Lettera ai Galati, 168. 213

Gal 4,2 1 -5 , 1

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avremmo un mostruoso: Hagar to gar Hagar. La preferenza per gar rispetto a de è confermata dalla stessa critica «interna»: comunque il v. 25 ha la funzione di confermare la connessione fra Agar e il Sinai, espressa al v. 24a, e non di opporvtsi. Se la nostra analisi risulta convincente, la lezione con Hagar al v. 25 è dovu­ ta a un errore di dittografia rispetto ai precedenti Hagar (v. 24) to gar. . . In segui­ to, questa lezione variante avrebbe trovato adesione per lo sviluppo dell'inter­ pretazione allegorica, soprattutto in epoca patristica. Coloro che preferiscono conservare la lezione con «Agar» al v. 25 sono comunque costretti a riconoscere che, per quanto la tradizione giudaica confermi la corrispondenza onomastica fra Agar e il Sinai, i destinatari della lettera difficilmente ne avrebbero colto il signi­ ficato.215 Per il senso della lezione «infatti il monte Sinai si trova in Arabia», non si tratta di un'inutile parentetica, come pensano alcuni, ma funzionale all'argo­ mentazione in quanto specifica la connessione fra la penisola araba e il monte Sinai e, quindi, fra il Sinai e Agar. La corrispondenza fra Agar e l'alleanza sinai­ tica viene ulteriormente sviluppata da Paolo, nella seconda parte del v. 25, mediante un altro elemento da porre in continuità con quelli negativi dell'anti­ tesi: la «Gerusalemme presente». In funzione di questo incolonnamento si spie­ ga la scelta di systoikein ( = corrispondere), hapax legomenon neotestamentario: questo verbo veniva utilizzato soprattutto dai pitagorici per indicare gli elemen­ ti opposti dei diversi princìpi.2I6 Dal punto di vista sintattico questo verbo può riferirsi al «monte Sinai» del v. 25, ad Agar del v. 24217 oppure al mia ( = una) della prima «disposizione»:218 la scelta non è decisiva in quanto, nell'argomentazione paolina, Agar, la sua «dispo­ sizione» e il monte Sinai si corrispondono. Il quarto fondamentale elemento di incolonnamento è quello della «Geru­ salemme attuale» che, in modo audace, Paolo pone accanto ad Agar, la sua dispo­ sizione e il Sinai. In questo caso è significativa la scelta della nomenclatura sacra per Gerusalemme: Ierousalem e non lerosolyma, come invece in Gal l ,l7. 18; 2,1 . Forse questa opzione è dovuta a l valore religioso che gli agitatori conferivano a Gerusalemme, oppure è in funzione della «Gerusalemme di lassù» che Paolo introdurrà al v. 26. Nelle precedenti frequenze, Ierosolyma si riferiva semplice­ mente a una collocazione geografica, nel contesto dei viaggi paolini narrati in Gal 1 ,13-2, 10.219 Per Paolo questa Gerusalemme, per quanto possa rappresentare il centro della propria religiosità, rimane «attuale», ossia con una dimensione fondamen21 5

Cf. McNAMARA, « To de (Hagar) Sina>>, 36. Cf. ARISTOTELE, Nic. 1 ,6; Metaf 1 ,5; PoLIBIO, Hist. 10,2 1 ,7. Così anche LAGRANGE, Saint Pau/. Épitre au.x Galates, 1 27. 2 1 7 Cf. LAGRANGE, Saint Pau/. Épltre au.x Galates, 127. 21 8 Cf. V ANHOYE, La Lettera ai Galati, 168. 219 Cf. J. JEREMIAS, «lerousalem l Ierosolyma», in ZNW 65 ( 1 974), 273-276. Così anche BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 220. 216

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tale di precarietà, ed è schiava con i suoi figli. Se l'alleanza sinaitica, citata al v. 24, non è schiava in quanto tale ma generata per la schiavitù, la Gerusalemme presente si trova in una condizione di vera schiavitù. Naturalmente egli non pensa a una schiavitù politica ma religiosa: si riferisce alla schiavitù causata dalla sottomissione alla Legge (cf. «Sotto la Legge» di Gal 4,21 ), dalla quale dipende la maledizione comminata da essa contro coloro che non osservano tutti i suoi comandamenti (cf. Gal 3,10- 1 2). v. 26: In antitesi con la « Gerusalemme attuale» Paolo pone la «Gerusalem­ me di lassù», riconosciuta per la sua fondamentale condizione di libertà e di maternità rispetto al «noi» di quanti le appartengono. Questo contrasto fra le due Gerusalemme è stato spesso letto da una prospettiva di opposizione fra il giudaismo e il cristianesimo: per questa problematica rimandiamo all'excursus conclusivo di Gal 4,21-5,1. Di certo, anche in tal caso, è necessario tener presen­ te il background del giudaismo apocalittico, senza il quale non è possibile coglie­ re la consistenza delle affermazioni paoline. La visione di una Gerusalemme celeste trova le sue origini già nei testi apocalittici dell' AT, anche se non in modo definito;220 secondo questa prima concezione è la stessa Gerusalemme attuale a essere proiettata in un futuro di speranza. Questa concezione è condivisa da diversi testi apocalittici del secondo tempio. 221 Una concezione altrettanto diffusa nel giudaismo è quella che stabilisce un'opposizione fra la Gerusalemme presente e quella futura: la prima verrà sostituita dalla seconda. Questo è il percorso ideologico che caratterizza non solo parte del giudaismo apocalittico,222 ma spesso anche quello rabbinico successi­ vo.223 In questa prospettiva si può collocare pure la visione della Gerusalemme celeste descritta in Ap 2 1 ,2.10 (cf. anche Ap 3,12). Invece Paolo sembra seguire un diverso paradigma, in quanto non oppone la Gerusalemme presente a quella futura ma a quella celeste che «attualmente» è libera ed è nostra madre: a uno schema temporale (nyn = adesso) se ne oppone uno spaziale (anò = lassù). Per Paolo la Gerusalemme di lassù è una realtà presente, iniziata con l'e­ vento apocalittico fondamentale della morte e risurrezione di Cristo. In Gal 4,26 l'accento dell'antitesi cade proprio sull'avverbio «lassù», che richiama sia l'even­ to centrale della risurrezione di Cristo che la vita cristiana consequenziale. L'im­ plicazione morale della risurrezione di Cristo verrà sviluppata soprattutto in Col 3,1 -2: «Se dunque siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù . . . ».224 Un ana­ logo paradigma, anche se con prospettive diverse, soprattutto dal punto di vista

no

Cf. Sal 87.3; Is 54; 60-66 ; Ez 40-48; cf. anche Sir 36, 12-17; Th 13; Zc 12-14. 221 Cf. Giub 4.26; 2Ap Bar 4,2,7; 32,2-3; Or sib 5,420. 222

Cf. 4Esd 7,26; 1 0,40; l E n 90,28-30. Così anche MussNER, La Lettera ai Galati, 499. Cf. b. Ta 'an 5a; b. Hag 12b; Baba Bathr 75b; Gen. Rab. 55,7; 69,7; Num. Rab. 4,13; Midr. Sal. 30, 1 ; 122,4; Cant. Rab. 3.10; 4.4; Pesiq. Rab. 40,6. 224 Cf. anche la rinascita dall'alto ( = anothen ), tipica della teologia giovannea (Gv 3,3-36). 22 3

Gal 4,2 1 -5 , 1

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relazionale, verrà sviluppato dall'autore di Ebrei: «Ma vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste . . . » (Eb 12,22; cf. anche Eb 1 1 ,10).225 Tuttavia per Paolo la Gerusalemme celeste non rappresenta una realtà trascendente; al contrario è «nostra madre>>, profondamente rapportata all'attuale vita cristiana. La novità fondamentale dell'apocalittica paolina, rispetto agli altri testi giu­ daici, si trova in questa presenza della «Gerusalemme di lassÙ>>, come quella «attuale»; ma tale cambiamento autorizza a identificare la Gerusalemme pre­ sente con il giudaismo e quella superiore con la Chiesa? Questo aspetto verrà analizzato nell'excursus successivo, ma per il momento è fondamentale ricono­ scere che il cambiamento di modello non è di natura ecclesiologica bensì cristo­ logica: la Gerusalemme di lassù non è presente perché ormai c'è la chiesa che prende il posto della sinagoga, ma perché, per Paolo, Cristo ha dato inizio a una nuova creazione della quale fanno parte i gentili e i giudei. Per questo egli considera la «Gerusalemme di lassù» come nostra madre, evocando il Sal 87,5: «Si dirà di Sion: "L'uno e l'altro è nato in essa . . . "»; anche questa tematica è cara al giudaismo apocalittico del secondo tempio.226 v. 27: A conferma della maternità prodigiosa della Gerusalemme di lassù Paolo cita, in forma diretta, l'oracolo di Is 54, 1 , che rappresenta la più lunga cita­ zione dell'AT in Galati. Questa volta il gegraptai gar introduce una vera citazio­ ne diretta e non una sintesi sommaria di testi come in Gal 4,22-23. Per alcuni il testo di Is 54,1 è rapportato a Gen 1 6-21 attraverso una gezerah shawah, ossia per connessioni fra la sterilità di Sara e quella di Gerusalemme.227 Non v'è dubbio che questa rappresenti la relazione fra le due «madri» ,228 ma in Gal 4,22-23 non viene citata assolutamente la sterilità di Sara, anzi si afferma esplicitamente la sua generazione del «figlio secondo la promessa» . Non ci tro­ viamo nello stesso caso di Gal 3,6-14 in cui delle relazioni terminologiche pon­ gono sulla stessa linea Gen 15,6 e Ab 2,4. Piuttosto, la relazione allegorica fra Sara e Gerusalemme, riconosciuta nell'analisi del v. 24, permette al Deutero­ Isaia di attualizzare il contrasto fra Agar e Sara, presentato mediante l'opposi­ zione fra «la sterile» e la «donna sposata». Dal punto di vista testuale, questa volta il v. 27 corrisponde perfettamente alla versione della LXX Is 54,1 che non si differenzia, a sua volta, dal TM. Ormai spesso la citazione dell'AT nell'episto­ lario paolino incontra variazioni argomentative dovute più a Paolo stesso che a una diversa Vorlage della LXX e del TM.

Così H.W. ArrRIDGE, The Epistle to the Ebrews. Philadelphia 1989, 324. CL Bar 4,8; ls 49, 14-21 ; 50, 1 ; 5 1 ,18; 54, 1 ; Ger 50.2; 2Esd 1 0,7. 17; 4Esd 10; A p sir Bar 3 , 1 ; Tg. Cant 8,5. Cf. anche STRACK - BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament, III. 574. 227 Così BARREIT, , 12. 228 Cf. Pesiq. Rab. 141 a,3: . CL anche STRAcK - BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament, III, 575. Nel Tg. /sa. 54.1 viene introdotto esplicitamente il nome di Gerusalemme. 225 226

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Anche l'oracolo di Isaia è noto al giudaismo apocalittico, che lo utilizza per riferirlo direttamente alla Gerusalemme escatologica e alla speranza futura per la restaurazione di Israele.229 La seconda parte della pericope si chiude con l'applicazione immedia­ ta dell'oracolo di Isaia e di quanto precede alla situazione della Galazia. Il pas­ saggio improvviso dalla prima persona plurale del v. 26, in cui Paolo aveva affer­ mato che la «Gerusalemme di lassù è nostra madre», alla seconda plurale - «voi però, fratelli, secondo Isacco siete figli della promessa» - doveva aver trovato impreparati gli stessi copisti di Galati, se una buona parte di loro riporta il v. 28 in prima plurale: «Noi, però, fratelli . . . ».230 A parte la maggiore attestazione testuale per la seconda plurale,231 non è la prima volta che Paolo passa improv­ visamente da una persona all'altra (cf. Gal 3,13-14; 4,7; 5,1b). Questa modalità argomentativa, tipica dello stile diatribico, rende più vivace e interpellante il messaggio: gli interlocutori della lettera non sono dei semplici ascoltatori ma destinatari coinvolti direttamente nelle sue diverse istanze. Naturalmente queste improvvise personalizzazioni non assumono valore esclusivo bensì assertivo: Paolo non intende dire che solo gli etnico-cristiani della Galazia sono figli «Se­ condo Isacco»; lo sono anche i giudeo-cristiani della «Gerusalemme» territorial­ mente posta in Giudea. Questo passaggio improvviso da una persona all'altra, unito all'interpellante adelphoi, conferma anche la conclusione di un momento dell'argomentazione midrashica in Gal 4,21-5,1 : con il v. 29 comincia un'appendice orientata ancora ad attualizzare il messaggio del midrash. L'accento principale di questa prima conclusione applicativa cade sul «figli della promessa secondo Isacco». Sino a ora Paolo non ha mai nominato Isacco né Sara, sua madre; ha soltanto citato Agar. D'altro canto, a causa del motivo materno sviluppato nei vv. 26-27, ci saremmo aspettati una personalizzazione della figliolanza dei galati nei confronti di Sara o della Gerusalemme celeste; invece ora il suo sguardo si sposta su Isacco, il figlio della promessa. Forse questo spostamento è dovuto al motivo soteriologico della 'iiqediih ( = legamento) di Isacco, che da Paolo viene letto in chiave cristologica.232 Ripren­ dendo la conclusione generale del «midrash» (Gal 5 , 1 ) , i galati sono figli «secon­ do Isacco>>, in quanto il vero Isacco, Cristo (cf. Gal 3,16), li ha liberati mediante v.

28:

229 Cf. 4Qisd; Bar 4,12; 4Esd 1 0,45-46; 2Bar 10,14; 4Bar 5,35. Per la tradizione sub-apostolica c f. Ep Apost 33; 2Clem 2,1-3; G IU STINO , Apol. 53; Vg Fil 35. Così anche BETz, Galatians, 248; CosGROVE, «The Law Has Given Sarah no Children», 230-321 ; DuNN, Galatians, 255; LoNGENECKER, Galatians, 215. Per la relazio­ ne tra 4Esd 9-1 0 e Gal 4,21-31 cf. L. SrnoTIROPF, «"Freue dich, du Unfruchtbare" - Zion als Mutter in 4 Esdra 9-1 0 und Gal 4,21-31», in T. ScHNEIDER - H. SrnONGEL-STRAuMANN (edd.), Theologie zwischen Zieten und Kontinenten. FS. E. Gossmann. Freiburg im B. 1993, 3 1 -43. 230 Cf. S, A, C, D2, ljr, 062. 23 1 Cf. P46, B, D*, F, G, 026 1 , 0278, 6, 33, 365, 1 1 75, 1 739, 188 1 , Arnbrosiaster. 232 Per la relazione tra la iiqe diih di lsacco e Gal 4,28-5,1 cf. S w ETNAM , les us , 1 24 e 1 26. Sulla 'iiqedah di lsacco nell'epistolario paolino cf. anche A. PENNA, > di Gal 4,21-5,1 affinché i galati possano comprendere che la partecipazione all'eredità compete soltanto ai «figli della libera>>, a quelli che «secondo !sacco» vivono «secondo lo Spirito». Dunque, Paolo non cita Gen 2 1 ,10 a causa dell'ingiunzione a «cacciare la schia­ va e suo figlio», per cui come Abramo ha espulso Agar e Ismaele, così i galati sono invitati a espellere gli agitatori.237 Si è dimostrato che il v. 29 si riferiva all'a­ zione di persecuzione del giudaismo dominante nei confronti del giudaismo apo­ calittico cristiano; ora, non possono essere cacciati coloro che compiono un'azio­ ne violenta di persecuzione nei confronti di altri ! Al massimo contro di loro ci si può difendere. Questo significa che, da una parte, i vv. 29-30 non si riferiscono ai cristiani della Galazia, in quanto appartenenti esclusivamente a una comunità etnico-cristiana, e, dall'altra, che non riguardano gli agitatori della Galazia, per il fatto che essi stessi subiscono la persecuzione (cf. Gal 6,12). Pertanto ci sono valide motivazioni per sostenere che Paolo non cita Gen 2 1 , 1 0 per invitare i galati a espellere gli agitatori, ma per dimostrare l'incom­ patibilità fra quelli che vivono «secondo la carne» e quelli «secondo lo Spirito»; soltanto questi ultimi saranno i depositari dell'eredità. Non a caso il vertice del­ l'elenco dei vizi è analogo a Gal 4,30: « . . . come ho già detto: coloro che compio­ no queste azioni non erediteranno il regno di Dio» (Gal 5,21 ).238 Non rimane che porsi nuovamente la domanda se sia pertinente interpreta­ re anche questo v. 30 in chiave antigiudaica, quando invece Paolo utilizza delle categorie relazionali ben più estese che non possono essere ridotte al rapporto fra i giudei e i gentili o a quello fra gli agitatori e i cristiani della Galazia. Una triplice conclusione sintetizza gli elementi fondamentali della complessa argomentazione midrashica esposta nei vv. 22-30. La prima conclusio­ ne è quella più circoscritta, in quanto riguarda i vv. 29-30: «Perciò, fratelli, non siamo figli della schiava ma della libera». Tutti coloro che aderiscono a Cristo, in quanto unico figlio di Abramo (cf. Gal 3,16), sono figli della libera e non della v.

31:

237 Non manca chi pensi addirittura che il v. 30 con !"esortazione a espellere Agar e suo figlio rap­ presenti il nucleo centrale e originario di Gal 4,21-5 , 1 , a partire dal quale Paolo avrebbe sviluppato l'inte­ ro midrash. Cf. PERRJMAN, >, in quanto i galati ancora non si sono sottomessi del tutto alla Legge per diventarne schiavi (cf. Gal 4,21). In realtà questo avverbio si riferisce alla condizione di schiavitù nella quale i gala­ ti si trovavano prima dell'evangelizzazione paolina e nella quale possono rica­ dere mediante la sottomissione alla Legge.252 Dunque, anche se la Legge in quanto tale non appartiene agli «elementi del mondo>> riferiti in Gal 4,3.9, la sottomissione nei suoi confronti non cambia la condizione dei galati; anzi, li fa tornare nella stessa situazione idolatrica in cui si trovavano prima dell'adesio­ ne a Cristo. Per descrivere questa sottomissione Paolo utilizza la metafora del «giogo>>, che nella letteratura giudaica si trova spesso per indicare il «giogo della Leg­ ge».253 Questa metafora è mutuata dal contesto rurale dell'aggiogamento a cui venivano sottoposti gli animali da soma.254 Al collo degli stessi schiavi veniva

24!l Sulla prospettiva generale della libertà in Gal 5,1 cf. PAsTOR RAMos. La libertad en la carta a los Galaras, 142. 249 Non la si trova soltanto in Dg'* e in 2495. 250 Nel NT il verbo stekein compare 1 1 xx di cui 7xx nell'epistolario paolina (l Ts 3.8; 2Ts 2,15; lCor 16,13: Gal 5 , 1 : Rm 14,4; Fil 1 .27: 4,1 : cf. anche Mc 3,3 1 : 1 1 ,25: Gv 8,44: A p 1 2,4), in cui compare prevalente­ mente nella forma imperativale della seconda persona plurale, tranne in Rm 14,4. 25 1 Sulla relazione tra motivazione cristologica e istanza morale in Gal 5,1 cf. H. CRuz, Christologi­ cal Motives and Motivated Actions in Pauline Paraenesis, Frankfurt am M. 1 990, 107-1 14. 252 Lo stesso avverbio palin (= di nuovo) si trova in Gal 4,9. 253 Cf. Tg. Neof /, Gen 27 ,40b; A bot 3,5: J. Qidd. 1 .2: m. Ber 2.2: Tanh. 32a: Sifr. Shemini 12,4. Così anche CoRsANI, Lettera ai Galati, 31 1 . 2-'4 Cf. Nm 1 9.2: D t 2 1 .3: G b 39. 10.

298

Commento

posto un giogo, per indicare la loro condizione di sottomissione rispetto alle per­ sone libere, che potevano camminare in modo eretto.255 Dio stesso aveva spezzato il giogo della schiavitù che gravava sulle spalle del suo popolo (cf. Lv 26,3); e Geremia era stato invitato a mettersi un giogo al collo per simbolizzare la sottomissione dei popoli a Nabucodonosor (cf. Ger 27, 1 - 1 1 ) . A sua volta Cristo ci ha liberati d a ogni tipo d i schiavitù e i n particolare dal giogo della Legge, ponendoci sulle spalle il giogo leggero (cf. Mt 1 1 ,29-30) della sua sequela.256 Da questo punto di vista l'esortazione di Paolo è analoga a quella di Pietro durante l'assemblea di Gerusalemme che, riferendosi allo stesso giogo della Legge e, in particolare, della circoncisione per i gentili, interroga l'uditorio: «Ora dunque perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?» (At 15,10). Contrariamente all'esegesi generale di Galati, il «midrash» di Gal 4,21-5,1 non rappresenta un pensiero secondario né una semplice sintesi contenutistica della precedente sezione (Gal 3,1-4,7). Piuttosto soltanto mediante questo midrash allegorico Paolo pone i destinatari della lettera di fronte all'aut aut delle proprie scelte: la figliolanza secondo Agar o quella secondo Isacco, la «disposi­ zione» della schiavitù o quella della libertà, la Gerusalemme attuale o quella di lassù, secondo la carne o secondo lo Spirito? I cristiani della Galazia pensavano che la sottomissione alla Legge avesse rappresentato un avanzamento nella pro­ pria perfezione religiosa: non riconoscevano in questa sottomissione una condi­ zione di schiavitù che li poteva far retrocedere invece di avanzare. Questo originale «midrash», che Paolo non riprenderà più nel suo epistola­ rio, se non per alcuni aspetti (cf. Rm 4,19-2 1 ; 9,7-9), stabilisce delle forti opposi­ zioni che veicolano chiaramente il messaggio dell'incompatibilità.257 La lunga trattazione di questo midrash ha lasciato aperto un problema fondamentale, soprattutto per l'esegesi contemporanea di Galati: in queste opposizioni rientra­ no anche quelle che la storia dell'interpretazione ha pensato di identificare, ossia fra il giudaismo e il cristianesimo, fra la sinagoga e la chiesa? Nel tirare le somme di questo denso midrash non possiamo non affrontare tale questione ! ExcURSUS: GAL

4,21-5,1

E

IL GIUDAISMO

La storia dell'interpretazione del «midrash» su Agar e Sara si è caratterizza­ ta spesso come opposizione etnico-religiosa fra giudei o giudaismo da una parte e cristiani o cristianesimo dall'altra.258 Questa opposizione perverrebbe al suo 255 Cf. l Tm 6.1; cf. anche Gen 27,40; 2Cr 10,4. 10; Sal 2,3; Sir 28,1 9-20; Is 9,3; l Mac 13,4 1 . Cf. anche Somcu, Aia. 944; ERooom, 7,8,3; PLATONE. Leg. 6,777E; DEMOSTENE, 1 8.289. 256 Cf. anche l Clem 27,8; Did 6,2; Barn 8,6. Per il giogo della sapienza cf. Sir 5 1 ,26. 257 Per la centralità di Gal 4,2 1 -31 nell'economia di Galati cf. BoRGEN, «Some Hebrew and Pagan Features», 1 64 . 258 Tra i commenti patristici che in base a Gal 4.21ss oppongono la sinagoga alla chiesa cf. TERTUL­ UA:-> non è tanto escatologico, per cui Cristo non servirà a nulla nel giudizio finale,275 quanto immediato, ossia riferito alla prima conseguenza della stessa circoncisione.276 Forse sia i galati sia gli agitatori rite­ nevano che la circoncisione aggiungesse qualcosa alla loro adesione a Cristo, avvenuta già mediante la fede e con il dono dello Spirito: in modo sorprendente Paolo oppone nettamente Cristo alla circoncisione. In Rm 2,25 egli, utilizzando lo stesso verbo ophelein, riconoscerà che «la circoncisione è utile se si osserva la Legge>>, ma in contesto totalmente diverso da questo, ossia tenendo conto della situazione di colui che è già circonciso in quanto giudeo.217 Rispetto al contesto della lettera, il v. 2 conferma quanto già sostenuto in base a Gal 4,9-1 1 : i galati stanno per passare definitivamente al giudaismo come «proseliti>> e non più sem­ plicemente come «timorati>>. Per questo è necessario correre ai ripari prima che sia troppo tardi ! v. 3: La seconda condizione viene presentata quasi sotto giuramento solen­ ne: Paolo attesta di nuovo nei confronti di chiunque si fa circoncidere l'obbliga­ torietà a osservare tutta la Legge.278 Questo verso si apre con l'avverbio palin (= di nuovo) che sembra assumere più una funzione logica, riferendosi al v. 2279 oppure a Gal 3,10,280 che cronologi­ ca in quanto rapportato alla predicazione originaria dell'evangelizzazione in Galazia o a una visita precedente, di cui non ci sono comunque pervenute atte­ stazioni.281 Per questo la particella de che introduce il verso è esplicativa e non avversativa. 282 Generalmente il v. 3 è considerato come un luogo classico per sostenere che, secondo Paolo, l'incapacità umana di osservare la Legge rappresenta la causa per la sua stessa abrogazione e la consequenziale apertura, da parte dell'uomo, a Cri­ sto. Tale concezione viene sostenuta soprattutto in base alla relazione fra Gal 3,10- 1 1 e Gal 5,3.283 In realtà quanto già abbiamo sostenuto per Gal 3,10-1 1 vale anche per questo verso: Paolo non fonda sull'incapacità umana di osservare la Legge la ragione per la sua abrogazione; piuttosto egli sembra condividere anzi-

275 Così BETz, Galatians, 258; BoNNARD, L'Épitre de saint Pau/ aux Galates, 103; MussNER, La Lettera ai Galati, 526. 276 Cf. LoNGENECKER, Galatians, 226. 277 Cf. anche MATERA, Galatians, 1 8 1 . 278 Cf. l'analoga funzione di martyromai in Ef 4,17 e di martys in 2Cor 1 ,23; Rm 1 ,9; Fil 1 ,8 in cui il testimone è Dio stesso. 279 Cf. BRUCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 229; DuNN, Galatians, 265; LoNGENECKER, Galatians, 226; MATERA, Galatians, 1 8 1 ; RoHDE, Der Brief des Paulus an die Galater, 215. 280 Così BARCLAY Obeying the Truth, 64. 28 1 Così invece BETz, Galatians, 259; BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 275; MussNER, La Lettera ai Galati, 527. 282 Così LoNGENECKER, Galatwns, 226; MussNER, La Lettera ai Galati, 526-527. 283 Cf. H. HOBNER, La Legge in Paolo. Contributo allo sviluppo della teologia paolina, Brescia 1 995, 48 e 80; B.L. MARTIN, Christ and the Law in Pau/, Leiden 1 989, 88-89. ,

Gal 5 ,2- 1 2

305

tutto un principio diffuso nel giudaismo del secondo tempio, per il quale l'osser­ vanza della Legge non può essere parziale o limitata ad alcuni comandamenti, come la circoncisione, ma totale. 284 Questo però non significa che per Paolo, come per il giudaismo del I secolo, non esistesse possibilità di riconciliazione o di per­ dono, qualora si incorresse nelle trasgressioni. La differenza fra giudeo- cristiane­ simo e altre forme di giudaismo nel I secolo d.C. non consiste tanto nell'afferma­ zione o meno della riconciliazione rispetto alle trasgressioni della Legge, quanto nella via per la quale tale riconciliazione si realizza, a prescindere dall'osservanza totale o meno della Legge stessa. Per Paolo la via della «giustificazione» si trova soltanto in Cristo e nello «Scandalo della sua croce» (cf. Gal 5,1 1 ; 3,13-14). Dunque è ancora una volta errato fondarsi su Galati per sostenere l'abroga­ zione della Legge a causa dell'impossibilità umana di osservarla:285 tale premes­ sa, mai formulata da Paolo né sottesa, contrasta non solo con la concezione della Legge che egli completerà in Gal 5,13-14 ma è contro la sua stessa esistenza di osservante zelante nel suo passato farisaico (cf. Gal 1 , 13- 14; Fil 3,4-6). Rispetto ai destinatari della lettera, poiché ci troviamo in una perorazione argomentativa, l'affermazione del v. 3 sembra più una minaccia che la convinzione secondo la quale i galati non potranno comunque osservare la Legge.286 Tale finalità emer­ ge soprattutto dalla relazione con l 'apostrofe che ha aperto la terza dimostrazio­ ne (Gal 4,8- 1 1 ): i galati stanno già osservando un calendario giudaico (Gal 4,10); ricordino che, con la circoncisione, sono tenuti a osservare non soltanto una parte ma tutta la Legge. D 'altro canto la circoncisione rappresenta il segno distintivo per la totale adesione al giudaismo.287 Questa valutazione del v. 3, nel contesto e nella funzione retorica di Gal 5,2- 12, dimostra che non ci si può nep­ pure fondare su di esso per considerare Paolo un rigorista o uno shammaita, nel giudaismo del suo tempo.288 L'osservanza della Legge nella sua totalità rappre­ senta un assunto generale del giudaismo: variegati invece sono gli atteggiamenti rispetto alle trasgressioni in atto, per le quali le diverse scuole farisaiche espri­ mevano una propria concezione di perdono. Di tale atteggiamento da parte di Paolo, Gal 5 ,3 non sembra lasciar trasparire nulla. v. 4: L'ultima condizione che Paolo pone ai destinatari riguarda nuovamente il cambiamento della loro relazione con Cristo che, in ultima analisi, costituisce la conseguenza più negativa rispetto a una loro circoncisione. Per questo, a dif­ ferenza delle precedenti formulazioni, ora presenta prima la conseguenza e poi la condizione: sono separati da Cristo coloro che pensano di essere giustificati

284 Cf. Gc 2,10; Sir 7,8; 4Mac 5 ,20-21: 1 QS 1.14; t. Shebu 3,6. Così anche SANDERS, Paolo, la Legge e il popolo giudaico, 63. 285

Così anche M. CRANFORD, "The Possibility of Perfect Obedience: Pau l an d Implied Premise in Gal

3:10 and 5:3>>, in NT 36(1994), 254-255. 286

Alla stessa conclusione perviene Sanders, anche se per intuizione e non partendo dallo sviluppo argomentativo di Gal4,8-5,12: cf. SANDERS, Paolo, la Legge e il popolo giudaico, 63. w Cf. Gdt 14,10; FLAVIO GiusEPPE, Ant. 13,257; 20,44-58. 288 Così invece HOBNER, La Legge in Paolo, 48.

Commento

306

mediante la Legge. Gli aoristi katergethete ( = foste separati) ed exepesate ( = cadeste) hanno funzione prolettica più che reale: vanno intesi tenendo presente la situazione futura della circoncisione. Il primo verbo, «essere separato», appar­ tiene al linguaggio paolino più proprio, essendo presente quasi esclusivamente nelle sue lettere, rispetto al resto del NT.289 Spesso Paolo utilizza questo verbo per descrivere la relazione con la Legge: si è «separati» dalla Legge (cf. Rm 7,6) anche se la stessa Legge non è «abrogata» (cf. Rm 3,3 1 ) neppure con l'avvento della fede. Con il significato di «abrogare» lo stesso verbo è stato utilizzato in Gal 3,17: la Legge non abroga la disposizione divina promulgata 430 anni prima. Nel presente caso questo verbo significa piuttosto «essere separato» da qualcosa o da qualcuno: il contrario della separazione da Cristo consiste nell'essere «in lui» (cf. Gal 3,28) . Alla luce di questa relazione partecipazionistica posta in crisi in Galazia, Paolo si rivolge direttamente a coloro che desiderano essere giustificati «nella Legge>> e non «in Cristo».290 L'antitesi fra la formula «in Cristo» e «nella Legge» permette di considerare l'en nomò non soltanto come strumentale, corrispon­ dente a «mediante la Legge» , ma anche come «locale», ossia «nell'ambito della Legge».291 Il vocabolario del v. 4 richiama quello di Gal 2,16 e di Gal 3,1 1 : forse non è errato pensare alla giustificazione mediante le «opere della Legge», delle quali fa parte la stessa circoncisione, citata nei versetti precedenti.292 L'ultima parte del v. 4 descrive già la situazione di quanti vogliono essere giu­ stificati in base alle opere della Legge: essi sono decaduti dalla stessa grazia divi­ na. Non è la prima volta che, in Galati, Paolo si richiama alla grazia, sottolinean­ do in particolare la sua relazione con la propria vocazione (cf. Gal 1 ,15; 2,9) e con quella degli stessi destinatari (cf. Gal 1 ,6). La circoncisione dei gentili implica, come conseguenza definitiva, proprio la caduta dall'elezione divina, in quanto la via della giustificazione non è più Cristo ma la Legge. precedenti condizioni e conclusioni lasciano il posto nei vv. 5-6 alle ragioni per le quali la sottomissione alla circoncisione e alla Legge significa per­ sino la separazione da Cristo e il decadimento dalla grazia elettiva. Di fatto il v. 5 motiva i vv. 2b-4; a sua volta, il v. 6 spiega le ragioni dello stesso v. 5 .293 Queste fondamentali motivazioni cominciano con un passaggio improvviso dalla seconda persona plurale alla prima, posto in evidenza da un «noi» che non compariva dalla conclusione della pericope precedente (cf. Gal 4,31-S,la}. Ad v. 5: Le

2H'l Cf. Gal 3,17: I Cor 1 ,28: 2,6; 6,13: 13,8(bis ) . IO. l l ; 1 5,24.26; 2Cor 3,7. 1 1 . 1 3 . 1 4; Rm 3,3.3 1 ; 4,14; 6,6; 7,2.6; Ef 2,15; 2Ts 2,8; 2Tm 1 ,1 0; cf. anche Eb 2,14; Le 13,7. 290 Il verbo dikaiousthe è chiaramente un presente de conatu, da esplicitare con un verbo di deside­ rio. Così anche 8LASS - DEBRUNNER- REHKOPF, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, 31 9.2; BoNNARD, L'Ép itre de saint Pau/ aux Galates, 1 03; BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 231 ; BuRTON, A Critica i and Exegetical Commentary, 276; DuNN, Galatians, 268; l...oNGENECKER, Galatians, 228. 29 1 Cf. anche LoNGENECKER, Galatians, 228. 292 Così anche BuRTON, A Critica/ and Exegetical Commentary, 276; DuNN, Galatians, 268. 2 93 Cf. anche ScHUER. Lettera ai Galati, 240.

Gal

5 ,2-1 2

307

eccezione del v. 5 , non lo si troverà più in questa perorazione; e, in base al v. 6, questo «noi» si riferisce a quanti sono «in Cristo Gesù», ossia a tutti coloro che, giudei o gentili, hanno creduto in lui per essere giustificati. Dal punto di vista argomentativo, il v. 5 contrasta con il v. 4, rispetto alla tematica della giustizia: da una parte si trovano coloro che in base alla Legge vogliono perseguire la propria giustificazione, dall'altra quanti sono in Cristo e percorrono la via dello Spirito e quella della fede. Si può ben notare il valore modale di pneumati e di ek pisteòs: 294 ci si trova di fronte a un'economia della sal­ vezza del tutto diversa rispetto a quella della Legge, biasimata al v. 4. In base alla seconda dimostrazione (Gal 3,1-4,7), è necessario rilevare che la via dello Spiri­ to e quella della fede non rappresentano due percorsi paralleli per giungere alla giustizia, ma costituiscono lo stesso itinerario, senza il quale non è possibile esse­ re giustificati. Per Paolo lo Spirito rimane quello del Figlio (cf. Gal 4,6-7) e l'og­ getto della fede è ancora Cristo (cf. Gal 3,26) . La stretta relazione fra lo Spirito e la fede è stata formulata, ancora all'interno di un'antitesi rispetto alle opere della Legge, in Gal 3,2: i galati non hanno ricevuto lo Spirito mediante le opere della Legge ma attraverso la fede in Cristo. L'elemento più sorprendente del v. 5 riguarda la prospettiva futura nella quale Paolo colloca la «speranza della giustizia»: generalmente egli considera la giustificazione e la giustizia come una realtà già posseduta da quanti credono in Cristo.295 Per questo sorprende, a prima vista, che in Gal 5,5 la giustizia venga presentata come bene futuro. La comprensione di questa originale formulazione deve partire dal verbo apekdechomai ( = attendere) che, per il NT, su una frequenza globale di 8xx, si trova quasi esclusivamente nell'epistolario paolino.296 Nelle altre citazioni paoli­ ne, questo verbo esprime l'attesa definitiva della salvezza, in contesto escatolo­ gico: la creazione attende la rivelazione dei figli di Dio (cf. Rm 8,19) e gli stessi credenti attendono nella città celeste il salvatore Gesù Cristo (cf. Fil 3,20). Dun­ que il contesto della giustizia in Gal 5,5 non è semplicemente quello del futuro bensì quello definitivo, appunto escatologico, della piena rivelazione.297 Il contesto apocalittico pennette di spiegare anche il valore del genitivo «speranza della giustizia»: non è tanto oggettivo, in base al quale la giustizia costituisce il contenuto della speranza cristiana,298 né soggettivo, per cui la spe­ ranza fa parte della giustizia,299 ma epesegetico, in quanto è la stessa giustizia che, in prospettiva escatologica, si configura come speranza.300

294 Cf. anche MussNER. La Lettera ai Galati, 53 1 . 295 Cf. 1 Cor 6,1 1 ; Rm 5,1 .9; 8,30. 296 Cf. 1 Cor 1 ,7; Rm 8,1 9.23.25; Ga1 5,5; Fil 3,20. Cf. anche Eb 9,28; 1 Pt 3,20. 297 a. BETZ, Ga/atians. 262; BoNNARD, L'Épitre de saint Pau [ au.x Galates, 1 04; MATERA, Galatians, 1 82. 298 Cf. MusSNER, La Lettera ai Galati, 532. 299 Così BuRTON, A Critica i and Exegetical Commentary, 279; MATERA, Ga/atians, 1 52. 300 Cf. l'analoga elpida sotherias (=la salvezza sperata) d i 1 Ts 5,8. Così anche CoRSANI, Lettera ai

Galati, 3 1 8; MEAGHER, «Faith Active th rough Aga pe (Ga/5,6)», 214; K. KERTELGE, >, in ZNW 60( 1 969), 83-104; H.N. RmoE RB os. The Epistle of Pau/ to the Chu rches of Galatia, Grand Rapids 1 953, 1 99; H. SrnuER, Lettera ai Galati, Brescia 1965. 249-250; J. SMrr, >, ossia fondata sull'inserimento nella morte e nella risurrezione di Cristo. La connotazione partecipazionistica della paraclesi paolina ha indotto alcuni a considerare il battesimo come la ragione fondamen­ tale dell'etica paolina, soprattutto in forza della relazione fra indicativo keryg­ matico e imperativo etico in Rm 6,1-23.38

37 Cf. anche raccento sulla risurrezione (Col 3 . 1 ) quale fondamento della paraclesi paolina in Col 3,2-4,6. Così anche J.-N. ALETII. «L'apòtre Pau! et la parousie de Jésus Christ. L'eschatologie Paulinienne et ses enjeux», in RSR 84( 1 996 ) 23 . .lH Cf. G. BoRNKAMM, «Taufe und neues Leben bei Paulus>>, in Das Ende des Gesetzes: Paulusstudien. Gesammelte Aufsiitze. Miinchen 2 1 958, I, 34-50; HALTER, Taufe und Ethos, 215. ,

Gal 5 , 1 3--6 , 1 0

331

In realtà, è bene rilevare che Paolo non cita quasi mai il battesimo nelle sezioni paracletiche del suo epistolario (cf. soltanto Ef 4,5); e in verità non ne parla molto neppure in quelle kerygmatiche.39 Questa scarsa rilevanza del batte­ simo nella paraclesi paolina è dovuta soprattutto al fatto che per Paolo questo non rappresenta semplicemente un rito di sostituzione rispetto alla circoncisio­ ne, ma l'espressione di una relazione di partecipazione originaria con Cristo, attraverso la «fede in lui».40 Tale precisazione è necessaria per non cadere in una concezione magica del battesimo e dell'etica paolina. Altrettanto diffusa è la concezione per la quale, pur tenendo presente la cen­ tralità della motivazione cristologica nella paraclesi paolina, questa viene mag­ giormente ancorata alla sua escatologia.41 Non ci sono motivi per porre in discus­ sione l'importanza dell'escatologia paolina, a condizione che venga ben precisa­ ta la sua relazione con Cristo. Gesù Cristo non rappresenta per Paolo uno dei momenti della sua escatolo­ gia, anche se centrale, bensì il suo «cominciarsi>>: con la morte e la risurrezione di Cristo inizia la fase storico-salvifica della , determinando così una morale utopistica.42 Così un abbassamento della tensione escatologica determina anche una diminuzione delle ragioni fondamentali dell'etica cristiana. Invece, per Paolo le proporzioni sono del tutto opposte: è la relazione partecipazionistica con Cristo che causa sia la tensione escatologica che quella morale. d.2.

Paraclesi pneumatologica

Si è già rilevata, a proposito della scelta terrninologica per «paraclesi» e non per «parenesi», l'importanza dello Spirito nell'esortazione paolina.43 Al di là 39 Il sostantivo baptisma compare soltanto in Rm 6,4 e in Ef 4.5; il corrispondente baptismos si trova solo in Col 2.12. Il verbo baptizein viene più utilizzato da Paolo. anche se concentrato soprattutto in Rm 6 e in 1 Cor 1 (cf. Rm 6.3[bis); 1 Cor 1 ,1 3 . 1 4 . 1 5 . 1 6[bis]. 1 7): cf. anche 1 Cor 1 0,2: 1 2.13; 15,29.29: Gal 3,27. 40 Così anche R. PENNA, «Battesimo e partecipazione alla morte di Cristo in Rm 6,1-1 1 », in L'apo­ stolo Pao/o, 1 50-1 70. 4 1 Cf. GRABNER-HAIDER, Parak/ese und Eschato/ogie bei Paulus; H.-D. WENDLAND, Vita e condotta dei cristiani. Riflessioni su Rm 6. Brescia 1 976. 42 Cf. E.J. SrnNABEL, Law and Wisdom from Ben Sira to Pau/. A Tradition Historica/ Enquiry into the Relation of Law, Wisdom and Ethics, Ttibingen 1 985, 307. 43 Per la motivazione pneumatologica della morale paolina cf. J.C. BEKER. Pau/ the Apost/e. The Triumph of God in Life and Thought, Edinburgh 1 980. 278-302; DEIDUN, New Covenant Mora/ity in Pau/,

Commento

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della presenza lessicale, è necessario identificare le ragioni per cui la morale pao­ lina si configura anche come pneumatologica. Anzitutto è bene precisare che la ragione pneumatologica della morale paolina è strettamente collegata a quella cristologica, in quanto, per Paolo, lo Spirito rimane quello «del Figlio», come ha sostenuto in Gal 4,5; e il «Signore è lo Spirito>>, secondo la polivalente e densa espressione di 2Cor 3,1 7.44 Rispetto alla vita cristiana, lo Spirito svolge un duplice ruolo fondamentale: rappresenta la condizione per entrare nel «popolo dell'alleanza» o, secondo le categorie di Galati, per «diventare figli di Abramo» e «di Dio», e delinea l'o­ rientamento per vivere come tali. Da questo punto di vista è fondamentale l'e­ sortazione di Gal 5,25: «Se viviamo secondo lo Spirito, secondo lo Spirito anche procediamo». Lo stesso vocabolario del «camminare» o del «procedere», tipico della halakah giudaica, per connotare la vita morale, nell'epistolario paolina diventa un «camminare secondo lo Spirito».45 Le ragioni pneumatologiche della paraclesi paolina sono rilevabili anche per le connessioni con l'agapé, presentata come il «primo frutto» dello Spirito in Gal 5,22, e per quelle con i carismi, citati in 1 Cor 12,1 come «doni spirituali». Di fatto, a prescindere da 1 Cor 12,1-14,40, Paolo affronta le principali questioni dei cari­ smi soltanto in contesti propriamente paracletici.46 Naturalmente la motivazione pneumatologica non induce Paolo a delineare una morale retta sull'entusiasmo carismatico, ma a considerare questa come espressione e come incarnazione della fondamentale relazione partecipazionisti­ ca con Cristo. d.3.

Paraclesi dell'agapé

Una delle radici principali dell'esortazione paolina, posta recentemente in risalto, è quella dell'agapé.47 Anche una semplice attenzione alle frequenze lessi­ cali permette di caratterizzare la paraclesi paolina come «agapica».48 Lo stesso

242-243; HALTER, Taufe und Ethos, 409-427; F. W. HoRN, «Wandel im Geist. Zur pneumatologischen Begrtin­ dung der Ethik bei Paulus>>, in KuD 38(1 992), 149-1 70; E.P. SANDERS, Paolo e il giudaismo palestinese. Stu­ dio comparativo su modelli di religione, Brescia 1 986, 628; ScHNABEL, Law and Wisdom , 328. 44 Sull'originale relazione tra Cristo e lo Spirito nel pensiero di Paolo cf. in particolare R. PENNA, Lo Spirito di Cristo. Cristologia e pneumatologia secondo un 'originale formula paolina, Brescia 1 976. 45 La diffusa presenza del verbo peripatein nelle sezioni paracletiche paoline dimostra la fonda­ mentale continuità rispetto alla halakah giudaica. Cf. l Ts 4,1 . 1 .12; 2Ts 3,6. 1 1 ; Gal 5,16; Rm 13,13; 14,15; Col 3,7; 4.5; Ef 4, 1 . 1 7(bis); 5,2.8. 15. Sulla relazione tra halakah giudaica e morale paolina cf. P.J. ToMsoN, Pau/ and the lewish Law: Halakha in the Letters of the Apostle to the Genti/es, Minneapolis 1990. Per la rilevan­ za morale di peripatein nell'epistolario paolino cf. J.O. HoLLOWAY, Peripateo as a Thematic Marker for Pau­ Une Ethics, San Francisco 1 992. 46 Cf. lTs 5,19-20; Rm 12,2-8; Ef 4,4- 16. 47 Cf. in particolare T. SODING, Das Liebesgebot bei Paulus. Die Mahnung zur Agape im Rahmen der paulinischen Ethik, Miinster 1995. 4S Cf. la presenza del sostantivo agape nei contesti paracletici di Gal 5,13.22; 2Ts 3,5; Rm 1 2,9; 13,10(bis); 14,15; Col 3,14; Ef 4, 1 . 15 . 1 6; 5,2; 1Tm 6,1 1 .

Gal 5 , 1 3-6 , 1 0

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verbo agapan viene utilizzato nell'epistolario paolino soprattutto nelle sezioni paracletiche.49 In questa prospettiva si spiega, ancora nelle sezioni esortative, la particolare presenza del pronome reciproco alle/On:50 la morale paolina si rivol­ ge soprattutto alla «reciprocità» delle relazioni umane ed ecclesiali. Tuttavia, anche in tal caso, le motivazioni «agapiche» della morale paolina non possono indurre alla costituzione di un'etica retta sullo spontaneismo rela­ zionale. Al contrario, per Paolo la stessa regola d'oro dell'amore vicendevole, formulata sempre in contesti paracletici (cf. Gal 5,13-14; Rm 13,8-10), rappre­ senta l'adempimento della Legge mosaica che, a sua volta, in essa incontra il suo vertice e non la sua abrogazione. La centralità della dimensione relazionale, espressa attraverso la ragione dell'agape, conduce naturalmente a considerare la prospettiva ecclesiale delle paraclesi paoline: queste non vengono indirizzate tanto a dei singoli cristiani, posti semplicemente di fronte alle loro coscienze, quanto a delle comunità ben definite con reali conflitti e problematiche morali. Circa questo orizzonte ecclesiale è significativo che spesso Paolo utilizzi le stesse esortazioni morali riscontrabili nell' AT e nel giudaismo contemporaneo, rispetto a Israele.51 Di fatto l'alleanza di Dio con il suo popolo costituisce uno dei principi unificanti della paraclesi paolina, soprattutto in quella di l Ts 4,1-5,22: la comunità viene invitata a non voltarsi indietro verso il proprio passato idolatri­ co (cf. anche l Cor 12,1-2; Gal 4,8-9) . Tuttavia, per quanto questo modello comu­ nitario anticotestamentario sia presente nelle Chiese paoline è bene precisare che Paolo non attribuisce a nessuna delle sue comunità gentili la categoria né il titolo di Israele. Nella sua concezione la Chiesa dei gentili non sostituisce mai l' «> e «già e non ancora» non sono così lineari, come potrebbe sembrare a prima vista: al «già» apparter­ rebbe l'indicativo mentre al «non ancora» l'imperativo. Invece lo stesso impera­ tivo sembra far parte della dimensione kerygmatica del vangelo paolino, in quan­ to fondato più sulla relazione partecipazionistica con Cristo che sull'attesa di un «non ancora» da venire. Dunque sembra che neppure la distinzione fra «già e non ancora» aiuti a chiarire la relazione fra indicativo e imperativo nel pensiero di Paolo. La critica a questi modelli ha determinato, negli ultimi anni, l'esigenza del superamento della tensione fra indicativo e imperativo nella teologia paolina. Secondo questa nuova prospettiva l'imperativo non rappresenta più la conseTestament. Base! 1 984. 168- 1 89: G. STRECKER, «Indicative and Imperative According to Paul>>, in AusBR 35( 1987). 60-72: D. ZELLER. «Wie lmperativ ist der lndikatiV>>, in KERTELGE ( ed.), Ethik im Neuen Testament, 1 90-1 96. '' Cf. M. DroEuus. Die Formgeschichte des Evangeliums. Tiibingen 6 1 97 1 , 234-265. Così anche M.S. ENsLIN. The Ethics of Pau/, New York-London 1 930. che della «fenomenologia». Forse una relazione ancora diversa fra indicativo e imperativo vale per le altre lettere paoline. Dunque non si possono universalizzare i paradigmi di Galati e di Romani, imponendoli all'intero epistolario paolina. Piuttosto è bene considerare che le diversità di formulazioni kerygmatiche non implicano delle omogeneità morali ma delle diversità di espressioni e di esigenze esortative. Se ogni lettera paolina presenta, con prospettive diverse, il suo vangelo, tale varietà s'impone anche per le sezioni paracletiche. In definitiva è importante non scindere il kerygma dalla paraclesi paolina, in quanto l'eccessiva accentuazione dell'uno a discapito del­ l'altra determina non soltanto la svalorizzazione dell'etica ma anche quella dello stesso vangelo.60 5.1.

LA QUARTA APOSTROFE

(5,13-15)

Anche la quarta dimostrazione della lettera segue un percorso argomentati­ vo analogo a quello delle precedenti dimostrazioni: un'apostrofe iniziale ( vv. 13ss), indirizzata ai destinatari della lettera, introduce la sezione più propria­ mente esortativa. Oltre al problematico inizio della sezione esortativa di Galati, già identificato in Gal 5,13, si è generalmente concordi nel riconoscere Gal 5,1315 come microunità letteraria;61 alcuni però preferiscono estendere la pericope sino al v. 24 oppure al v. 26. 62 58 Cf. FuRNISH, Theology and Ethics in Pau/, 225; GRABNER-HAIDER, Parak/ese und Eschatologie bei Pau/us, 262-270; W. SCHRAGE, Die konkreten Einze/gebote in der paulinischen Pariinese. Ein Beitrage zur neu­ testamenrlicher Ethik, Giitersloh 196 1 , 1 70- 175. A tale proposito così scrive Soding: «Umgekehrt ist die Paraklese aber nicht nur eine Konsequenz, sondem e in integraler Bestandteil des Evangeliums>> (cf. SODING, Das Liebesgebot bei Paulus, 276). 59 Così anche PENNA, «Problemi di morale paolina», 559. 60 Cf. anche W. MARXSEN, New Testament Foundations for Christian Ethics, Bologna 1 993, 213. 61 Così P. BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, Neuchatel 2 1972, 1 08; J.D.G. DuNN, Galatians, London 1 993, 284; F.J. MATERA, Galatians, Collegeville 1 992, 1 92: MussNER, La Lerrera ai Galati, 554: F. PAsTOR RAMos, La libertad en la carta a las Gtilatas. Estudio exegético-teo/Ogico, Madrid 1 977, 145; ScHLJER, Lettera ai Galati, 249. 62 Cf. BETz, Galatians, 271 ; BuRTON, A Critica/ and Exegetical Commentary, 290-291 : BRucE, The Epi­ stle of Pau/ ro the Galatians, 239; J. RoHDE, Der Brief des Paul1tS an die Galater, Berlin 1 989, 225.

Commento

336

L'inizio della pericope non è difficile da identificare: un gar prosecutivo,63 più che causale rispetto a quanto precede, e un interpellante «fratelli», con il quale i galati vengono nuovamente chiamati in causa, introducono la quarta apostrofe della lettera.64 Anche la conclusione della pericope non dovrebbe creare difficoltà: una chiara formula di apertura, consistente nel lego de ( = dico però), segna il passag­ gio alla successiva microunità letteraria.65 Tale delimitazione è confermata dal climax dei verbi che concludono la stessa apostrofe: «Se vi mordete e vi divora­ te . . . cercate di non distruggervi . . . ».66 Dal punto di vista retorico, i vv. 13-15 rappresentano la nuova apostrofe della lettera, da porre accanto alle precedenti di Gal 1 ,6-10; 3,1-5; 4,8-1 1 . Tuttavia, senza ignorare la natura apostrofica della pericope, il suo tenore è meno violen­ to e meno esacerbato delle precedenti apostrofi: ne è prova l'utilizzazione del­ l'interpellante «fratelli)), del tutto assente nelle altre apostrofi. Lo stesso rimpro­ vero del v. 15 è meno incisivo dei precedenti biasimi di Gal l ,6; 3 , 1 -4; 4,9-1 1 : sem­ bra più un'esortazione generale che un rimprovero per una situazione realmen­ te riscontrabile presso le comunità della Galazia. Per questo il livello di contra­ sto fra Paolo e i galati sembra abbassarsi in quest'ultima parte della lettera, per cedere il posto a un positivo tenore esortativo che permetta ai destinatari di pro­ seguire nella vita guidata dallo Spirito. 13 Voi infatti per la libertà siete stati chiamati, fratelli; solo questa libertà non diventi pretesto per la carne ma mediante l'amore servite vicendevolmente. 14 Infatti tutta la Legge in una parola è adempiuta, nell '«amerai il prossimo tuo come te stesso)). 15 Se però vicendevolmente vi mordete e vi divorate, guardate di non distruggervi vicendevolmente. La composizione di questa apostrofe è abbastanza lineare: il v. 14, con la cita­ zione diretta di Lv 1 9,18, da una parte fonda il v. 13 e dall'altra contrasta con il v. 15. I termini principali che attraversano l'apostrofe e che la caratterizzano, sotto l'aspetto semantico, sono il pronome reciproco allelois (vv. 13.15) e il termine agape (vv. 14.15). Di fatto la tematica della pericope è quella dell'amore vicen­ devole, sia in quanto adempimento della Legge sia in quanto condizione per il vivere ecclesiale.

BETz, Galatians. 272; IN-GYu HoNG. La w in Galatians (JSNT SS 81 ), Sheffield 1993. 60. 64 La stessa funzione introduttiva è stata svolta da adelphoi in Gal 1 , 1 1 ; 3,15; 4,12; 6J . 65 Per la stessa funzione di questa formula introduttiva cf. Gal 4,1 ; cf. le espressioni analoghe in Gal 4,2 1 ; Rm 1 1 , 1 . 66 Anche i n Ga1 4,7 l a figura retorica del climax chiude l a pericope d i Ga1 4,1 -7. 63 Così

Gal 5 , 1 3 - 1 5

337

v. 13: L'inizio della pericope riprende la conclusione del midrash sulla figlio­ lanza abramitica: «Per la libertà Cristo ci ha liberati» (Gal 5,1a).67 Ora però l'ap­ pello alla libertà diventa più personale, essendo indirizzato direttamente ai gala­ ti: «Voi siete stati chiamati per la libertà». La libertà cristiana realizzata da Cri­ sto assume, nello stesso tempo, una dimensione generale, in quanto valida per tutti gli uomini, e una personale, ossia particolarmente significativa per quanti, come i galati, non ne sanno riconoscere la portata rivoluzionaria. Inoltre, se in Gal 5,1 la libertà è stata relazionata all'azione di Cristo che, sulla croce, ha realizzato questo evento di liberazione, per cui ci ha «riscattati da questo mondo malvagio» (cf. Gal 1 ,4), adesso la stessa libertà viene riconosciuta come scopo della chiamata elettiva di Dio:68 «siete stati chiamati» è un passivo divino nel quale si riconosce Dio stesso come origine della libertà realizzata in Cristo.69 Più innanzi Paolo non esiterà a evidenziare anche la relazione fra la libertà dalla Legge e lo Spirito (cf. Gal 5,18): «Se siete guidati dallo Spirito non siete sotto la Legge». La seconda parte del v. 13 è vivacizzata dal linguaggio popolare per il quale Paolo introduce la condizionale con un ellittico monon me ( = a condizione che . . . ). L'espressione è antitetica: da una parte si trova la «carne>>, dall'altra l'a­ more vicendevole.70 La libertà può dunque diventare occasione per vivere secondo la carne e non secondo lo Spirito. Interessante è l'utilizzazione dell'articolo prima di «libertà»: assume una funzione dimostrativa, per cui possiamo rendere il sintagma con «questa libertà>>. Infatti Paolo si riferisce ancora alla libertà realizzata in Cristo e alla quale gli stessi galati sono stati chiamati. Tipicamente paolino è il termine aphorme: non lo si trova nel resto del NV1 e dal punto di vista semantico appartiene al vocabolario militare, indicando il punto di partenza per una strategia di guerra.72 In seguito, come attestano le restanti frequenze paoline, lo stesso termine svolge un ruolo più generale indi­ cando sia uno stimolo o una sollecitazione che l'occasione o il pretesto per un determinato comportamento.73 Circa la sua prospettiva, Paolo utilizza questo

67 Cf. anche BARBAGLIO, «Alle comunità di Galazia», 1 54; MATER A , Galatians, 1 96; G.F. WESSELS, «The Cali to Responsible Freedom in Paul's Persuasive Strategy. Galatians 5,13-6,10», in Neot 26( 1 992), 465. 68 L'espressione composta da epi e il dativo eleutheria ha valore finale o di scopo, come lo stesso dativo semplice, te eleutheria , di Gal 5 , 1 : . Per lo stesso dativo con altre finalità cf. 1Ts 4,7; Fil 4,10; Ef 2,10. Così anche F. BLA ss - A. DEBRUNNER - F. REHKOPF, Grammatica del greco del Nuovo Testa­ mento, Brescia 1 982, 235.6; BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 240; CoRSA NJ, Lettera ai Galati, 338; MATERA, Galatians, 192; CoRsAN J, Lettera ai Galati, 239. 69 Cf. anche C oRS ANJ, Lettera ai Galati, 238; MussNER, La Lettera ai Galati, 55. 70 Alcuni codici per evidenziare maggiormente l'antitesi specificano l'agape con tou pneumatos, anticipando la stessa relazione tra l'amore e lo Spirito che Paolo svilupperà nei vv. 1 8-26. Cf. D, F, G, 104, Ambrosiaster. Naturalmente la lezione senza specificazione è da preferire in quanto sia brevior che diffici­ lior. oltre che la più attestata. 7 1 Cf. 2Cor 5,12; 1 1 . 1 2(bis); Rm 7,8. 1 1 ; 1 Tm 5,14. 7 2 Cf. TucJDJDE, 1 ,90; Pou s1o, Hist. 1 ,1 4 1 ,6. Così anche Co R SANJ , Lettera ai Galati, 339; LoNGENECKER, Galatians, 239; ScHLJ E R, Lettera ai Galati, 250. 73 Per il significato di cf. LJSJA, 24(bis); SENOFONTE, Mem. 3,12,4; DEMOSTENE 18,233. Per cf. 3Mac 3,2; Pr 9,9. Cf. anche IsocRATE, 4,6 1 ; Pous1o, Hist. 28,6,7.

Commento

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termine soprattutto in senso peggiorativo: il peccato trova nel comandamento l'occasione per ogni passione (cf. Rm 7,8. 1 1 ) . Anche i n Gal 5,13 l a prospettiva per questa occasione non è positiva bensì negativa: la libertà realizzata da Cristo può diventare occasione per favorire la carne e non lo Spirito.74 Il termine «carne» in Galati assume una valenza polise­ mica: può, con valore neutro, riferirsi semplicemente alla persona (cf. Gal 1 ,16; 2,1 6.20; 4, 13.14) ma anche a una vita negativamente vissuta secondo la carne. Questa connotazione etica negativa per sarx è stata già introdotta in Gal 3,3: pro­ segue in Gal 4,23.29 per diventare dominante nelle pericopi successive della sezione esortativa.75 A una relazione fondata sulla carne Paolo ne oppone una basata sull'agape, già introdotta al v. 6, a proposito della fede che «opera mediante l'amore». Se in precedenza è stata sottolineata l'origine cristologica dell'amore (cf. Gal 2,20), ora subentra la sua dimensione relazionale: Paolo non richiama più tanto la sua genesi che rimane nel retroterra ma la sua incarnazione; l'amore di Cristo per noi diventa ragione dell'amore vicendevole ! Tuttavia, la modalità con la quale viene espresso l'amore vicendevole si pre­ senta in forma paradossale: Paolo utilizza il verbo douleuein ( = essere schiavo) che, sino a ora, ha assunto sempre valore negativo, in quanto ha caratterizzato la schiavitù «sotto gli elementi del mondo>> (cf. Gal 4,8-9) e quella della Gerusa­ lemme presente (cf. Gal 4,25 ). Invece in Gal 5,13 la libertà cristiana si produce nella schiavitù in nome dell'amore vicendevole. Questa paradossale relazione fra la libertà e la schiavitù riscontra le sue origi­ ni nell'antropologia anticotestamentaria per la quale l'uomo è schiavo: il problema riguarda il soggetto o la realtà di cui si è schiavi, se di Dio o del peccato. Lo stesso Paolo evocherà questo principio in Rm 6,16: si è schiavi «del peccato o dell'obbe­ dienza per la giustizia>>.76 Per questo, egli non esiterà a definirsi come «schiavo di Cristo» (cf. Gal 1 ,10; Rm 1 , 1 ; Fil 1 , 1 ). Tale connessione fra schiavitù e libertà dove­ va suscitare particolare stupore, tenendo presente la struttura civile del I secolo d.C., in cui non vi erano delle possibilità di comunicazione fra liberi e schiavi. In tale contesto Paolo sostiene qualcosa di diverso rispetto alla contempora­ nea filosofia cinico-stoica: il cristiano non è soltanto libero interiormente anche se schiavo civilmente, ma in base a Gal 5,13 egli stesso, in quanto libero, compie la scelta di servire il prossimo. Questa novità è stata posta ben in luce da Lutero, nel 1520, con il suo manifesto della libertà: «Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa, e non sottoposto a nessuno. Un cristiano è un servo volentero­ so in ogni cosa, e sottoposto a ognuno».77

74 II dativo té sarki ( per la carne ) è di vantaggio o di favore. Cf. anche BuRTON, A Criticai and Exe­ ' getical Commentary, 293; LoNGENECKER, Galatians, 239. 75 Cf. Gal 5,16.17. 19; 6,8(bis). 76 Cf. anche l'aut aut del discepolato gesuano: non si può essere schiavi di Dio e di mammona (Le 16.13). 7 7 Cf. M. LuTERO, Libertà del cristiano. Lettera a Leone X. Torino 1 982, 25. =

Gal 5 , 1 3 - 1 5

339

Il v. 13 si chiude con il pronome reciproco allelois, che assume rilevanza non soltanto rispetto a Gal 5,13-15, in quanto ripreso sia mediante il comandamento dell'amore (v. 14) che in forma negativa al v. 15, nei confronti dell'intera sezione esortativa di Gal 5,13-6,10.78 Con la sua rilevanza nelle paraclesi conclusive Paolo sembra sottolineare la dimensione comunitaria di ogni esortazione. Egli non si rivolge tanto a un singolo componente delle sue comunità quanto a un «vicende­ vole» ecclesiale, chiamato a incarnare, nell'amore, la vita secondo lo Spirito. v. 14: Questa volta un gar causale e non prosecutivo, come invece al v. 13, introduce la ragione per la quale si è invitati a un paradossale servizio vicende­ vole, pur godendo della più profonda libertà. Poiché la stessa citazione di Lv 19,18 viene ripresa in Rm 13,8-10, è opportuno analizzare i due testi in forma sinottica.79

Ga/ 5, 14 14 Infatti tutta la Legge in una paro­ la è adempiuta,

nell' «amerai il prossimo tuo come te stesso».

Rm 13, 8b-9 8b Infatti chi ama l'altro la Legge ha adempiuto. Infatti il «non commettere adulte­ 9 rio, non uccidere, non rubare, non desiderare», e qualsiasi altro comandamento, in questa parola si ricapitola: «Amerai il prossimo tuo come te stesso».

La citazione di Lv 19,18 in Gal 5,14 e in Rm 1 3,9 è la stessa: corrisponde alla LXX che a sua volta non si differenzia dal TM,80 anche se in Rm 13,9a Paolo aggiunge la citazione di Es 20,13-17. Sia in Gal 5,14 che in Rm 13,8b Paolo iden­ tifica nel comandamento dell'amore vicendevole l'adempimento della Legge; in Rm 13,9 però vi aggiunge la prospettiva del ricapitolamento: nel comandamento dell'amore la Legge non trova soltanto la sua pienezza ma anche la sua sintesi. La formula per introdurre la citazione diretta di Lv 1 9,18 è più riconoscibile in Rm 13,9 che in Gal 5,13: un semplice ma inusuale en tò (= nel), riferito al prece­ dente «in una parola è adempiuta», introduce la citazion e diretta in Gal 5,13. Inve­ ce in Rm 13,9 si trova la formula più completa: « . . . in questa parola si ricapitola)), Soffermandoci più attentamente su Gal 5,14 si può notare la maggiore inci­ denza che Paolo conferisce alla Legge nella sua totalità: «tutta la Legge)) e non · soltanto «la Legge)), come in Rm 13,8b, è adempiuta. Questa funzione attributi-

78 79

Cf. la presenza di allelon in Gal 5 . l 5 . 1 7.26(bis ); 6.2. Cf. anche PrrrA, Sin ossi paolina, 78-79; O. WisCHMEYER, «Das Gebot der Nachstenliebe bei Paulus». in BZ 30( 1 986), 1 6 1 - 1 87. 80 Così anche C.D. STANLEY, Pau/ and the Language of Scripture: Citation Technique in the Pauline Epistles and Contemporary Literature ( SNTS MS 74). Cambridge 1 992, 25 1 .

Commento

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va di pas, collocato fra l'articolo e nomos, pone in evidenza proprio la prospetti­ va globale dalla quale Paolo affronta la Legge: nella sua totalità e non nella sua specificità dei comandamenti. 8 1 Naturalmente, sia in Gal 5,14 che in Rm 13,8, per nomos s'intende sempre la Torah, ovvero la Legge mosaica che nel comandamento dell'amore incontra il suo adempimento. Interessante è il senso di logos che introduce la citazione di Lv 19,18 sia in Gal 5 , 1 4 che in Rm 13,9: anche se il suo significato più letterale corrisponde a «parola», qui assume la sfumatura di «comandamento» o di «norma». 82 La scelta del verbo pleroun ( = adempiersi, giungere a compimento) non è casuale se lo si ritrova sia nel parallelo di Rm 13,8b che, in forma composta, in Gal 6,2: per questa lettera, Gal 5,14 e Gal 6,2 rappresentano le uniche frequenze in cui Paolo parla positivamente della Legge. Questa scelta è determinata anzi­ tutto dall'esigenza presente nel giudaismo del secondo tempio di identificare il kelal, o l'adempimento della Legge. 83 Paolo, come il resto del NT, identifica il kelal della Legge nel comandamento dell'amore per il prossimo. Tuttavia, anche se la citazione del v. 14 corrisponde pienamente a Lv 1 9,18, è bene rilevare la diversità di significato che il termine «prossimo» acquista nel contesto di Galati e nel NT. Di fatto per Lv 19,18 il «prossimo>> è colui che appartiene ai «figli del proprio popolo», come dimostra la composizione parallela della citazione com­ pleta. Comunque qualcosa di analogo verrà detto in Lv 1 9,33 per il «forestiero>>. La stessa concezione restrittiva di Lv 19,18 si può riconoscere presso la comunità di Qumran (cf. CD 9,2-8). Invece nel NT il comandamento dell'amore vicende­ vole sembra assumere una prospettiva universalistica, riferendosi non soltanto ai propri connazionali ma a qualsiasi persona. Comunque lo stesso Paolo, pur con­ servando questa prospettiva universalistica dell'amore per il prossimo (cf. 1Ts 3,12),84 non esiterà a conferire in Gal 6,10 la preminenza a coloro che «Condivi­ dono la stessa fede domestica». 85 Circa l'importanza di Lv 1 9,18, nelle fonti giudaiche non occupa un ruolo pri­ vilegiato come invece nel NT; 86 le stesse fonti risalgono a una redazione tardiva, per cui rimane difficile stabilire l'origine della tradizione che identifica in Lv 19,18 il kelal della Legge.87 A ben vedere questa difficoltà si pone anche per il 81

Così anche BLASS - DEBRUNNER - REHKOPF, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, 275 .3. Cf. anche Es 34,28: Dt 1 0,4 in cui la LXX rende diibiir con /ogos. Così anche BRu cc , The Epistle of Pau/ to the Galatians, 242; FuNG, The Epistle to the Galatians, 246; MATERA, Galatians, 1 93. 83 Cf. anche BETz, Galatians, 274-275; S. WEsTERHOLM, , in SEA 5 1 52(1 987). 243. 114 Così BARBAGLIO, , 155. R > Cf. R. ScHNACKENBLIRG, Il messaggio morale del Nuovo Testamento. l primi predicatori cristiani, Brescia 1 990, I I . 59. K6 Cf. Mt 5.43: 1 9, 1 9: Mc 12,3 1 ; Mt 22.39: Le 10,27; Gc 2,8. Cf. anche Did 1 .2: Barn 1 9,5; GIUSTINo, Dia/. 93.2. 87 Cf. Tb 4,15: Test lss 5,2; Test Dan 5,3; FILONE, Spec. 2,63; cf. anche il comandamento dell'amore vicendevole attribuito a Hillel in b. Shab 3 1 a e a R. Aqiba in Gen. Rab. 24,7. Sul comandamento dell'amo­ re nel giudaismo cf. SooiNG, Das Liebesgebot bei Pau/us, 43-66. Cf. anche A. NISSEN, Gott und der Niichste im antiken Judentum: Untersuchungen zum Doppelgebot der Liebe, Tiibingen 1 974. 1!2

Gal 5 , 1 3 - 1 5

341

NT: Paolo sta citando il detto gesuano di Mc 12,31 oppure segue una propria tra­ dizione farisaica che alcuni identificano con la scuola di Hillel? Sembra che la diffusione di Lv 19,18, come regola d'oro, risalga a un livello arcaico della predi­ cazione gesuana: a questo livello forse si riferirà Paolo stesso quando conierà l'o­ riginale formula «Legge di Cristo» in Gal 6,2. Naturalmente questo collegamen­ to con un detto di Gesù non deve far pensare a una derivazione diretta di Paolo dai vangeli sin ottici. 88 Rispetto a questo collegamento con la regola d'oro evangelica rimane pro­ blematica l'assenza di riferimenti sia in Gal 5,14 che in Rm 13,9 al comanda­ mento dell'amore per Dio, collegato, nella tradizione sinottica, all'amore vicen­ devole. La ragione per tale omissione non è dovuta al misconoscimento dell'a­ more per Dio ma alla preoccupazione che presso le comunità paoline suscita il livello di amore vicendevole: ciò che fa problema è più il modo di vivere eccle­ siale, nelle relazioni vicendevoli, che la propria relazione con Dio. D 'altro canto, quando sottolinea l'amore di Dio o di Cristo Paolo si sofferma sul suo percorso discendente e non su quello ascendente: al centro del suo pensiero rimane l'a­ more che Dio ha dimostrato per noi con la morte del suo Figlio e non tanto il nostro amore per lui (cf. Gal 2,20; Rm 8,3 1 -37). Prima di proseguire nell'analisi delle affermazioni successive è necessario rilevare l'importanza che Gal 5,14 ha assunto nel dibattito contemporaneo sulla Legge nel pensiero di Paolo. Tale rilevanza deriva sia dalla relazione con Gal 5,3 sia dalla prospettiva positiva con la quale improvvisamente Paolo presenta la Legge in Galati. A prima vista suscita meraviglia il contrasto fra Gal 5,3 e Gal 5,14: nel primo caso Paolo ricorda ai Galati che se si fanno circoncidere sono obbligati a osser­ vare tutta la Legge ( = holon ton nomon ); nel secondo egli stesso sostiene che tutta la Legge (= ho . . . pas nomos) viene adempiuta nel comandamento dell'a­ more vicendevole. La tensione fra queste due affermazioni è stata posta partico­ larmente in risalto da Raisanen che, per questo, ha sostenuto una concezione «autocontraddittoria)) di Paolo sulla Legge non solo nel confronto fra una lette­ ra e l'altra ma nella stessa lettera. 89 Anzitutto è bene precisare che non vi sono ragioni valide per pensare che Paolo in Gal 5,3 si riferisca alla Legge mosaica mentre in Gal 5,14 a una legge diversa che, nell'amore per il prossimo, riscontra il suo nuovo statuto.90 Tale distin­ zione non può essere fondata sulla differenza fra holon di Gal 5,3 e pas di Gal 5,14. Piuttosto, in entrambi i casi, Paolo considera la stessa Legge mosaica, anche se con diverse accentuazioni: è innegabile che in Gal 5,3 viene valutata la Legge mosaica dal versante della precettistica mentre in Gal 5,14 lo è da quello della sua globalità; ma tale distinzione non può indurre a pensare che si tratti di due leggi diverse.

!!8

Cf. anche BETz, Galatians, 276. Cf. H. RAisANEN, Pau/ and the Law, Tiibingen 2 1 987, 63. 90 Così invece H. HOBNER, La Legge in Paolo. Contributo allo sviluppo della teologia paolina, Bre­ scia 1 995. 79. 89

342

Commento

Dunque il primo aspetto da tenere presente, per la soluzione della tensione fra Gal 5,3 e Gal 5,14, è la diversa accentuazione sulla Legge in quanto somma di precetti e come totalità, fermo restando che sia valutata sempre la stessa Legge mosaica.91 Altre specificazioni, derivanti da questa distinzione, non sem­ brano trovare un fondamento reale: non è pertinente l'opposizione fra la Legge come legalismo e la Legge in quanto principio divino.92 Anche la distinzione fra la Legge come condizione per la giustificazione (Gal 5,3) o come orientamento per la vita etica (Gal 5,14) non è sostenibile, in quanto Paolo stesso sosterrà in Gal 5,18 che se «si è condotti dallo Spirito non si è sotto la Legge».93 Piuttosto ciò che differenzia le due affermazioni non è quanto Paolo sostiene sul nomos in quanto tale, bensì su ciò che l'uomo deve compiere nei suoi con­ fronti. Per questo è bene rilevare che, mentre in Gal 5,3 l'accento cade sul verbo poiein (= fare), in Gal 5,14 l'attenzione è posta sul verbo pleroun ( = adempiere):94 se da una parte coloro che si fanno circoncidere sono costretti a osservare tutta la Legge, dall'altra la stessa Legge è adempiuta nel comandamento dell'amore. Nel primo caso la circoncisione rappresenta la condizione fondamentale per entrare nell'economia del «fare», nel secondo non è necessaria la circoncisione né qua­ lunque altro comandamento per adempiere la Legge: basta l'amore vicendevole. Non è casuale che quando Paolo collega il verbo «fare» alla Legge pone in evi­ denza la portata negativa (cf. Gal 3,10.12; 5,3) mentre quando utilizza il verbo «adempiere» (cf. Gal 5,14; cf. anche Gal 6,2) emerge una valutazione positiva. Da tale differenza dipende la stessa valutazione positiva o negativa della Legge. Già nelle paradossali affermazioni di Gal 2,19; 4,21 erano presenti delle indicazioni sulla valutazione positiva della Legge: questa comunque rappresenta la via per la quale Paolo, come ogni giudeo, muore nei suoi confronti per vivere rispetto a Dio (cf. Gal 2,19). In definitiva è pur sempre necessario ascoltare e obbedire alla Legge per identificare il disegno salvifico di Dio (cf. Gal 4,21 ). Per questo le valutazioni negative sulla Legge, soprattutto in Gal 3,1-5,12, non deri­ vavano da astratte considerazioni ma da quanto le veniva richiesto in ordine alla salvezza che comunque la stessa Legge non ha potuto né voluto mai conferire. In base a Gal 5,14 si deve riconoscere che la Legge, in quanto tale, si adem­ pie nel comandamento dell'amore vicendevole: al cristiano è sufficiente osserva­ re questo comandamento per adempiere oltremodo la Legge stessa. Paolo tor­ nerà su questa conseguenza fondamentale in Gal 6,2. Dunque è bene evidenziare i due principi emergenti dalla concezione paoli­ na della Legge in Galati. Questa viene «negativizzata» quando la si considera come condizione per qualsiasi percorso soteriologico: per Paolo l'unica via della 91 Così anche BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians. 24 1 ; CoRSANI. Lettera ai Galati, 344; I N - GY u , in Neot 26( 1 992), 1 1 4-1 1 5 ; E.P. SANDERs, Paolo, la Legge e il popolo giudaico, Brescia 1 989, 1 62- 1 63. 92 Così invece BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary. 294. 93 Cf. invece B. L . MARTIN, Christ and the Law in Pau/, Leiden 1 989, 1 50. 94 Cf. anche BARCLAY. Obeying the Truth, 1 39; BETZ, Galatians, 274-275: S. WEsTERHOLM, «On Fulfil­ ling the Whole Law>>, 233-235: In .. lsrael 's La w and the Church s Faith , Grand Rapids 1 988, 201 -204.

HoNG,

Gal 5 , 1 3- 1 5

343

salvezza rimane Cristo, con l'evento scandaloso della sua morte e risurrezione. Nel contempo, però, tale negativizzazione non significa una consequenziale abrogazione della Legge stessa; tutt'altro, questa, pur restando esclusa dalle con­ dizioni per la salvezza, si adempie nel comandamento dell'amore vicendevole. Senza questi due assiomi fondamentali la concezione paolina della Legge può essere definita come contraddittoria e inconcludente. v. 15: Il comandamento dell'amore, per quanto esaltato e preteso da tutte le comunità cristiane, rimane difficile da incarnare. Per questo il fatto che la Legge si adempie nel comandamento dell'amore non significa un'immediata osservan­ za da parte dei cristiani. Consapevole di questo scarto, Paolo si ferma a valutare la vita concreta delle sue comunità. Rispetto al contesto è difficile stabilire se le esortazioni contenute in queste battute finali dell'apostrofe si riferiscano soltan­ to alle comunità della Galazia, oppure se assumano una portata generale, valida per ogni comunità paolina.95 Nel primo caso, questo verso offrirebbe una visio­ ne sul background delle comunità galate, colte in situazioni conflittuali interne e non soltanto scosse dagli agitatori esterni.96 Di per sé la condizionale del v. 15 è «semplice)) più che reale, per cui rimane difficile riconoscere la dimensione pragmatica delle esortazioni paoline.97 Un indizio in tal senso può essere offerto dali 'utilizzazione dei verbi al presente: «mordete . . . divorate . . . guardate . . , )). Questi potrebbero essere considerati come presenti «conativi)) o di desiderio,98 più che contestuali, anche se è bene rilevare che l'ultimo verbo analothete (= distruggetevi) è all 'aoristo. Tuttavia, senza ignorare la mancanza di indizi sulle divisioni nelle comunità della Galazia, nelle sezioni precedenti della lettera, elemento del tutto diverso ad esempio dalla situazione conflittuale della comunità di Corinto, evidenziata subito da Paolo in 1 Cor 1 ,10-16, e pur riconoscendo la presenza dello stile diatribico nella metafora «teriomorfa)) sottostante al v. 15, non sembra del tutto infondata la con­ testualizzazione di questa esortazione finale dell'apostrofe, in particolare se viene considerata alla luce delle asserzioni successive. Di fatto, sia la lista dei vizi, incen­ trata sugli abusi di natura relazionale (cf. vv. 20-21a), sia quella delle virtù, focaliz­ zata sulle positive relazioni con il prossimo (cf. vv. 22-23a), lasciano intuire una situazione di conflitto che si stava determinando nelle comunità della Galazia, a causa della propaganda che gli agitatori sostenevano a favore della circoncisione. Circa la metafora teriomorfa, non molto presente nell'epistolario paolino,99 sono interessanti sia la scelta dei verbi che la loro sequenza. Anzitutto questi

�' Così BARBAGLio. , 1 56; DuNN, Galatians, 293. w, Così BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, 1 09; BRuCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians. 242; LoNGENECKER, Galatians, 244. 97 Cf. anche BETZ, Galatians, 277. 98 Cf. BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 297. 99 Cf. Fil 3,2 con il riferimento ai . Cf. anche Mt 7,15; Le 13,32; 2Pt 2,22; IGNAZio, Rom . 5,2. La simbologia teriomorfa verrà utilizzata in particolare nell'Apocalisse (cf. A p 5,1-14; 12,13-18; 17,8-18), anche se di matrice apocalittica e non diatribica.

Commento

344

verbi sono rari nel linguaggio paolino: daknein (= mordersi) è hapax legomenon neotestamentario; katasthiein (= divorarsi) si trova solo qui e in 2Cor 1 1 ,20. Il verbo analiskein (= distruggersi) compare di nuovo solo in Le 9,54. Dunque Paolo sembra riferirsi a un topos della diatriba che utilizza il linguaggio degli ani­ mali per descrivere le analoghe situazioni di contrasto fra gli uomini. A una scel­ ta accurata dei verbi corrisponde una sequenza altrettanto espressiva; si procede dal verbo meno incisivo a quello più violento, secondo un climax o ascensione retorica: «mordersi, divorarsi, distruggersi».100 La tensione fra Paolo e le comunità della Galazia sembra attenuarsi in que­ sta quarta apostrofe della lettera: i destinatari, per quanto possano essere apo­ strofati come «insensati» o accusati di incoerenza oltre che di incostanza, riman­ gono suoi fratelli, a causa della condivisione della stessa fede. Con il ristabili­ mento positivo fra mittente e destinatari si riconosce anche una positiva valuta­ zione della Legge, che invece nelle precedenti dimostrazioni era stata considera­ ta in modo del tutto negativo. Tuttavia, anche quest'apostrofe non rappresenta il messaggio definitivo di Paolo alle sue comunità: essa segna il passaggio per una nuova dimostrazione della lettera (Gal 5,16-6,10), incentrata sulle rilevanze eti­ che del vangelo paolino.

5.2.

L' ARETALOGI A

PAOLINA

(5,1 6-26)

Dopo l'apostrofe che si è chiusa con l'invito a non «distruggersi vicendevol­ mente>> (Gal 5,15), comincia il percorso argomentativo di questa quarta dimo­ strazione della lettera (Gal 5,13--6,10). Un nuovo interpellante lego de (= dico però) segna l'inizio della nuova pericope, come già per Gal 4,1-7 (cf. anche le analoghe introduzioni con lo stesso verbo in Gal 3,15; 5,2). Tuttavia, se l'inizio della pericope trova abbastanza concordi gli studiosi, non si può affermare lo stesso per la sua conclusione : questa si chiude con il v. 24, con il v. 25 oppure con il v. 26?101 La sua conclusione è tutt'altro che semplice, in quanto vi sono ragioni valide per sostenere ognuna delle tre ipotesi prospettate. Di fatto, con il v. 24 si chiude l 'opposizione fra «carne e Spirito»; ma è altret­ tanto vero che il v. 25 richiama l'inizio della pericope con il riferimento al «pro­ cedere» secondo lo Spirito. D 'altro canto non vi è alcun elemento formale che permetta di separare i vv. 24-25; e lo stesso v. 26 riprende il catalogo dei vizi, for-

10°

Cf. anche BETz, Ga/atians, 277. Propendono per Gal 5,24 BETz, Ga/atians, 27 1 ; CoRSANt, Lettera ai Galati, 377; E.D. CavoLO, «Il kerygma come critica alla prassi nella parenesi di Gal 5,16-24>>, in Riva 29( 1 981 ), 379-391 ; DuNN, Galatians, 294; HoNG, Law in Galatians, 59; ScHUER, Lettera ai Galati, 254. Invece preferiscono limitare la pericope al v. 25: BARBAGLIO, «Alle comunità di Galazia», 1 56; BoNNARD, L'Épitre de saint Pau/ aux Ga/ates, 1 1 2; Mus­ SNER, La Lettera ai Galati, 565. Tra coloro che considerano come conclusivo il v. 26 cf. BRUCE, The Epistle of Pau/ to the Ga/atians, 1 56; BuRTON, A Critica/ and Exegetical Commentary, 291 ; M. MARTINEZ PEouE, «Uni­ dad de Forma y Contenido en Gal 5.16-26», in EstBib 45( 1 987). 1 08-109; MATERA, Galatians, 198. 101

Gal 5 , 1 6-26

345

mulato nei vv. 19b-21a. Invece, l'interpellante «fratelli» di Gal 6,1 offre una più valida indicazione perché con esso cominci una nuova microunità letteraria. 102 Tale inizio viene confermato dall'esemplificazione nello stesso Gal 6, 1 : il caso di una caduta verificatasi nella stessa comunità, mentre sino a ora Paolo non ha preso in considerazione nessuna situazione specifica. Dunque vi sono buone ragioni per considerare unitari i vv. 15-26, anche se vanno comunque riconosciuti i legami con la pericope successiva, determinati soprattutto dalla permanenza del pronome reciproco «vicendevole» (cf. Gal 5,26[bis ]; 6,2) e dall'antitesi fra la carne e lo Spirito (cf. Gal 5,16-17 .24-25; 6,8). Ci troviamo, pur sempre, nella quarta dimostrazione della lettera (Gal 5,13-6,10). Per quanto riguarda il genere retorico, è bene riconoscere anzitutto la funzione dimostrativa della pericope e non semplicemente esortativa: a prima vista Paolo si propone di dimostrare l'incompatibilità fra le «opere della carne» e il «frutto dello Spirito». Dunque la sua esortazione non è soltanto finalizzata all'applica­ zione del kerygma espresso nella parte precedente della lettera (cf. Gal 3,1-5,12). Invece la stessa esortazione è di natura dimostrativa, anche se cambia il tipo di argomentazione: quella aretalogica, incentrata sulle virtù, e non più quelle autobiografiche, midrashiche o diatribiche, utilizzate nelle precedenti dimostrazioni. Pertanto in Gal 5,16-26 è riconoscibile un nuovo registro argomentativo, incentrato sull'antitesi fra la carne e lo Spirito, che si esemplifica nei vizi e nelle virtù. In termini più specifici l'antitesi fra la carne e lo Spirito procede secondo il modello di una sygkrisis retorica, ossia per opposizione fra negativo e positivo, in vista dell'accentuazione di quanto è positivo. 103 Di fatto l'apparente opposi­ zione paritaria fra carne e Spirito, espressa soprattutto nei vv. 16-17, viene risol­ ta nei vv. 24-26 con l'esortazione a procedere secondo lo Spirito. 104 Infine è bene rilevare la prospettiva apocalittica dalla quale Paolo delinea l'antitesi fra «carne-Spirito» e «vizi-virtù»: coloro che «praticano queste cose non erediteranno il regno di Dio» (v. 21) e «coloro che sono di Cristo hanno crocifis­ so la carne con le passioni e i desideri» (v. 24) . A causa della loro apostasia in atto, nei confronti del vangelo paolino, i galati vengono di nuovo invitati a prendere in seria considerazione la loro adesione a Cristo. Per questo sono posti di nuovo di fronte all'aut aut della loro adesione al vangelo: ne va di mezzo il valore stesso della morte e risurrezione di Cristo e l'esistenza di quanti con lui sono stati croci­ fissi e hanno, a loro volta, crocifisso la carne o, secondo il linguaggio di Rm 6,6, «l'uomo vecchio». Pertanto, in Gal 5,16-26 l'antitesi fra carne e Spirito non si pone a livello ecclesiologico o esistenziale del cristiano bensì a livello previo, ossia di decisione da compiere di nuovo rispetto alla dimensione escatologica del vangelo.

102

Cf. anche MARTINEZ PEOUE, «Unidad de Forma y Contenido», 109. Lo stesso modello retorico si è riscontrato in Gal 2.1 1 - 1 4 per la sygkrisis personale tra Pietro e Paolo: ora non vengono posti più a confronto dei personaggi ma dei vizi e delle virtù. 1 04 La stessa analisi semantica della pericope conferisce preminenza al pneuma. citato 7xx ( vv. 16. 1 7[bis]. l 8.22.25[bis] ), rispetto alla sarx, presente 5xx (vv. 16. 1 7 [bisj . 1 9.24). 1 03

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16 Dico però: camminate secondo lo Spirito e non soddisferete il desiderio della carne. 17 La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito, ma lo Spirito contrari alla carne. Queste cose infatti si oppongono a vicenda, cosicché le cose che non vorreste queste fate. 18 S e però siete guidati dallo Spirito non siete sotto la Legge. 19 Sono note però le opere della carne; queste sono: fornicazione, impudicizia, dissolutezza, idolatria, magia, 20 inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, sedizioni, fazioni, invidie, 21 ubriachezze, orge, e cose simili a queste. Circa queste cose vi ripeto, come ho già detto: quelli che le praticano non erediteranno il regno di Dio. 22 Il frutto dello Spirito invece è: amore, pace, gioia, longanimità, benevolenza, bontà, 23 fedeltà, mitezza, dominio di sé. La Legge non è contro queste cose. 24 Coloro che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le passioni e i desideri. 25 Se viviamo secondo lo Spirito, secondo lo Spirito anche procediamo. 26 Non siate vanagloriosi, provocandoci a vicenda, invidiandoci a vicenda. La paraclesi paolina di Gal 5,1 6-26 si compone di tre parti fondamentali: a) l'antitesi fra carne e Spirito (vv. 16-18); b) le «Opere della carne» e «il frutto dello Spirito» (vv. 1 9-23); al ) la vita secondo lo Spirito (vv. 24-26). 105 La prima e la terza parte della pericope presentano diversi collegamenti: l'opposizione fra la carne e lo Spirito (vv. 16.17.24-25) , il pronome reciproco 105

Cf. anche MARTfNEZ PEouE. «Unidad de Forma y Contenido>>, 1 1 0-1 1 1 .

Gal 5 , 1 6-26

347

allelOn ( vv. 17 .26[bis ] ) , il o i desideri della carne ( vv. 1 6.24) e, soprattutto, la metafora del «cammino», applicata allo Spirito; «camminare» (v. 1 6) , «essere guidati» (v. 1 8) , «procedere » (v. 25 ). Per tali connessioni si può ben parlare di composizione circolare, del tipo «a.b. a l » . Al centro di questa composizione circolare si trovano i cataloghi dei vizi e delle virtù (vv. 1 9-23). Dal punto di vista argomentativo, la sezione b) ha la funzione di preparare, mediante il con­ fronto fra i vizi e le virtù, la soluzione dell'antitesi presentata in a) e formula­ ta in a 1 ) . Alcuni identificano in questi versi una composizione chiastica d i tipo con­ centrico, secondo il modello «a.b.c.d.cl.bl.a1».106 La varietà di suddivisione fra le diverse ipotesi che seguono il modello chiastico-concentrico dimostra la poca fondatezza per tale composizione in Gal 5,1 6-26: questi sembrano più dei model­ li chiastici costruiti su delle arbitrarie scelte tematiche che su indizi letterari for­ mali, ossia riconoscibili a un 'analisi stilistica del testo. D'altro canto lo stesso Paolo in Gal 5 ,25 comporrà un chiasmo ben riconoscibile per la sua forma sim­ metrica; sembra però difficile riconoscere un chiasmo più esteso, valido per l'in­ tera pericope di Gal 5,1 6-26. Dunque è necessario non cadere nell'eccesso oppo­ sto di chi considera, in modo aprioristico, le sezioni esortative paoline come un insieme di massime senza reciproci collegamenti. Una certa composizione circo­ lare in Gal 5,16-26 è riconoscibile: una composizione chiastica più equilibrata e simmetrica sembra poco sostenibile.

La tesi della sezione presenta subito la finalità per la quale Paolo si accinge a dimostrare le dimensioni etiche del suo vangelo: «Camminate secon­ do lo Spirito . . . ». Questa è anzitutto l'intenzione positiva della vita cristiana; ed è in dipendenza di questa che la seconda parte della tesi va interpretata, quasi si trattasse di una consecutiva: « . . . e il desiderio della carne non soddisferete>>. Questa titolazione fuori campo dalla lotta che vedrà impegnata la carne e lo Spirito, i vizi e le virtù, chiarifica subito l'orientamento paolino: non sarà un'opposizione paritaria ma sempre impari, in quanto il camminare secondo lo Spirito rappresenta la via migliore per non vivere secondo la carne. Per questo il presente peripateite ( = camminate) ha valore durativo, corrispondente a un «continuate a camminare>> . 107 La stessa scelta del verbo «Camminare>> non è casuale: appartiene al linguaggio metaforico anticotestamentario per esprime­ re la condotta morale, anche se la LXX preferisce rendere l'ebraico htilak con poreuesthai 108 più che con peripatein. 109 Questo valore etico del verbo «cammiv. 16:

1 06 Cf. J. BuG H, La Lettera ai Galati, Roma 1 972, 446-447; Covow. «Il kerygma come critica alla pras­ si», 381 ; DuNN, Galatians, 295; MARTiNEZ PEOUE, >, in ETL 7 1 ( 1 995), 107-120. Tale interpretazione non solo contrasta con il dato che, sino a ora, in Galati pneuma si riferisce sempre allo Spirito divino, ma con lo stesso modello argomentativo di Gal 5,13--6,10 in cui le opere della carne non si oppongono al frutto dello spirito umano ma a quello dello Spirito di Dio. 11� Cf. anche BETz. Galatians. 278. 1 19 Un'analoga contesa si svolge secondo Filone tra la ragione e la passione: cf. FILONE, L.A. 3,1 16. Cf. anche Diogn 6,5-6. 1 2° Cf. D uNN , Galatians, 299; M ussNER , La Lettera ai Galati, 570; RmoERBos, The Epistle of Pau/ to the Churches of Galatia, 203. 121 Cf. anche BARBAGLIO, «Alle comunità di Galazia», 156; BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Gala­ tes, 1 1 3; BR ur E , The Epistle of Pau[ to the Galatians, 244; HoNG, Law in Galatians, 186; MATERA, Galatians, 1 99; ScHLIER, Lettera ai Galati. 257.

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Commento

In entrambe le formulazioni si trova la sequenza «non volere . . . fare>> che in Rm 7 sarà ripresa anche nelle proposizioni successive (cf. Rm 7,19.20) .122 Tutta­ via se in Gal 5,17 questa aporia viene espressa alla seconda persona plurale, rife­ rendosi agli stessi galati, in Rm 7,16 viene presentata alla prima singolare, con valore generale e non autobiografico, secondo lo stile tipico della diatriba che pervade Rm 7,7-25. 123 Tuttavia, a prescindere dal parallelismo fra Gal 5,17 e Rm 7 ,16, la maggior parte degli autori pone in evidenza la diversità di contesto: se in Rm 7,16 si parla di chi ancora non è guidato dalla legge dello Spirito (cf. Rm 8,1-2), in Gal 5,17 Paolo si rivolge a quanti già sono in Cristo. 124 Non intendiamo negare tale osservazione, ma porre in evidenza che in defi­ nitiva la situazione nella quale si trovano i galati quando Paolo scrive la sua let­ tera non è molto diversa dall'io senza lo Spirito di Rm 7,7-25. Essi stanno deca­ dendo dalla grazia divina a causa della pretesa giustificazione nella Legge (cf. Gal 5 ,4); e lo stesso Cristo non servirà a nulla (cf. Gal 5,2). Per questo la circon­ cisione non rappresenta per loro un progresso nella fede ma un ritorno in una situazione di schiavitù idolatrica (cf. Gal 4,9) . Dunque, anche se loro hanno già ricevuto lo Spirito (cf. Gal 3,3.5) e sono, a pieno titolo, figli di Abramo (cf. Gal 3,29), a causa della loro apostasia dal van­ gelo è necessario che di nuovo sia formato in loro Cristo (cf. Gal 4,19). Per que­ sto non sorprenderà l'apparente tensione fra il v. 16 e il v. 17: Paolo non si rife­ risce all'opposizione paritaria fra la carne e lo Spirito nella vita dei credenti,125 né intende negare un sotteso libertinismo, in base al quale ci si illuderebbe del­ l'impotenza della carne, a causa della potenza operante dello Spirito. 126 Piutto­ sto i galati sono posti di nuovo di fronte alla potenza escatologica dello Spirito: devono nuovamente scegliere, anche se sanno che il camminare secondo lo Spi­ rito rappresenta la garanzia per ogni attacco della carne. Pertanto, anche se Gal 5,17b e Rm 7,16 non corrispondono alla stessa situazione, condividono lo stes­ so modello argomentativo: la condizione di chi non possiede ancora lo Spirito non è in definitiva molto diversa da chi lo sta abbandonando per sottomettersi alla Legge. v. 18: La prima parte della pericope si conclude con la ripresa del v. 16; ora cambia però il verbo riferito allo Spirito: «essere guidati>> ( = agesthe) e non più

1 22 Sulle relazioni tra Gal 5.17 e Rm 7,14-15 cf. P. A LrnAus , e «sotto la Legge» non è molto diverso, anche se va subito negata l'assimilazione fra la carne e la Legge. Di fatto, per quanto Paolo tenda a negativizzare la Legge non può identifi­ carla con la carne. Rimane comunque che, dalla prospettiva dell'uomo, la situazio­ ne non cambia: «sotto la Legge» non significa essere «sotto lo Spirito» ma «sotto la carne» o, con il vocabolario di Gal 3,13, sotto la «maledizione della Legge». Inoltre, questo collegamento fra la Legge e la carne al v. 1 8 dimostra che Paolo ha ancora presente la concezione negativa della Legge, espressa in Gal 2,15-5,12, per cui è errato pensare che con l'esortazione morale di Gal 5,13-6,10 cambi la concezione paolina della Legge, diventando positiva. Ancora una volta è bene rilevare che Paolo non affronta il problema della Legge in quanto tale ma a partire dalle esigenze nomistiche dei galati e dalla prospettiva cristologica. Per questo non sorprenderà se la Legge si adempie nel comandamento dell'amore (cf. Gal 5,14) e se, per inverso, coloro che sono guidati dallo Spirito non si trova­ no sotto la Legge. v. 19: La seconda parte della pericope comincia con la lista delle «opere della carne»: come spesso nelle sue sezioni esortative, Paolo presenta degli elenchi di vizi e di virtù attraverso i quali illustra la vita secondo la carne e quella secondo lo Spirito. 128 In Gal 5,19-21 la lista dei vizi viene posta sotto la titolazione di «opere della carne» che, nel contesto della lettera stessa, evoca l'analoga formu­ lazione di «opere della Legge» (cf. Gal 2,16; 3,2.5. 10),129 anche se va sempre ricordato che per quanto in Galati la Legge e la carne siano poste in contiguità, Paolo non identifica mai la prima con la seconda. Comunque rimane il dato che quando in Galati si parla di «opere» della Legge o della carne viene data sempre un'accezione negativa a queste formulazioni:130 si tratta sempre di realtà oppo­ ste alla fede o allo Spirito.

1 27

Cf. anche Co RSA N I , Lettera ai Galati. 355. Sui cataloghi dei vizi e delle virtù si veda il prossimo excursus. 1 "� Cf. BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 304; DuNN, Galatians, 301 ; LoNGENECKER, Gala­ tians, 252. 1 3° Cf. anche Co RSA N I , Lettera ai Galati. 359. I 2S

Commento

352

Questa è l'unica volta che Paolo parla di «opere della carne»: altrove prefe­ rirà parlare della «debolezza» (cf. Rm 6,19) o del «desiderio della carne» (Gal 5,16; cf. anche Ef 2,3). Non sarà un caso che a Qumran siano attestate sia le «opere della Legge» che quelle della «carne» (cf. 1 QS 2,5; 4,23). Circa questo catalogo dei vizi (vv. 1 9b-21a) è bene subito riconoscere che, per quanto si tenti di identificarne una struttura, di fatto vengono elencati quindici abusi senza un vero ordinamento interno: 131 si procede, senza soluzione di conti­ nuità e in forma asindetica, dai peccati sessuali a quelli religiosi, a quelli relazio­ nali, per concludere con la coppia mista di «orge e ubriachezze» presentata, in ordine inverso, anche in Rm 13,13. Forse è voluto tale disordine del catalogo di Gal 5,19b-21a, in quanto corri­ spondente al disordine che gli stessi vizi creano nella vita dell'uomo. Comunque la lista dei vizi comincia e si chiude con peccati di natura sessuale, determinando una certa inclusione: fornicazione e orge. 132 Questi sono i principali peccati che, in una propaganda giudaica, venivano posti in risalto di fronte ai gentili, come conferma 1 Cor 5 , 1 : «Si sente da per tutto parlare di immoralità fra voi e di un'im­ moralità tale che non si riscontra neppure fra i gentili . . . ».133 Non sarà altrettanto casuale che la maggior parte dei vizi riguardi la vita relazionale con il prossimo, più che quella personale o quella religiosa: dalle inimicizie alle invidie, otto vizi su quindici della lista. Paolo si era già riferito a questa dimensione relazionale, all'inizio della dimostrazione, invitando i desti­ natari della lettera a non «distruggersi vicendevolmente>> (Gal 5 , 1 5 ) . Si vedrà che, in termini positivi, anche le principali virtù, elencate nei vv. 22-23, riguar­ dano le relazioni interpersonali e che, in termini negativi, la stessa pericope si concluderà con l'invito a non «invidiarsi vicendevolmente>> (v. 26) . Dunque, sembra che Paolo abbia presente la situazione di faziosità che si era o si stava creando presso le comunità della Galazia, a causa della propaganda giudaisti­ ca per la circoncisione e per la totale sottomissione alla Legge. 134 Infine è bene rilevare che, per quanto le liste dei vizi e delle virtù siano collocate in un con­ testo esortativo, vengono presentate secondo una prospettiva descrittiva, a conferma della stretta relazione fra indicativo kerygmatico e imperativo etico. 135 Nei vv. 1 9-23 non si trova alcun imperativo; i verbi sono tutti all'indi­ cativo: «Sono evidenti . . . coloro che praticano . . . il frutto dello Spirito è . . . la Legge non è contro queste cose».

m

C f. anche MussNER, L a Lettera a i Galati, 575. Cf. anche MussNER, La Lettera ai Galati, 575: SrnuER. Lettera ai Galati, 259. 1 33 Così anche SANDERS, Paolo, la Legge e il popolo giudaico, 158- 1 59. 1 34 Queste relazioni tra i vizi relazionali e la situazione della Galazia implicano una relativa conte­ stualizzazione spesso ignorata: anche se gli stessi peccati si troveranno in altre liste dell'epistolario paolino e in altre fonti assumono particolare rilevanza per i destinatari di questa lettera, contro chi, come MussNER, La Lettera ai Galati, 566, considera questa lista applicabile a qualsiasi comunità cristiana. Cf. anche Dt.:NN, Galatians, 302. 1 35 Così anche E. KAMLAH, Die Form der katalogischen Pariinese im Neuen Testament, Tiibingen 1 964. 16: Mt'SSNER. La Lettera ai Galati, 572-573. 1 32

Gal 5 , 1 6-26

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Il primo vizio che apre la lista è quello della porneia o «fornicazione>>, in verità non molto citata né biasimata nella contemporanea letteratura greca;136 lo sarà invece nella LXX e nel NT. 137 Originariamente la porneia doveva riferirsi, in modo particolare, alla prostituzione (cf. Os 1 ,2); quindi assunse valore metafo­ rico per indicare, nell'AT, l'idolatria di Israele138 e la sua infedeltà al Signore (cf. Nm 1 4,33). Nello stesso epistolario paolino il termine è destinato ad assumere valenza generale, riferendosi non solo alla prostituzione, come in Ap 9,21, ma a ogni genere di fornicazione (cf. 1 Cor 5,1 ; 7 , 1 ; cf. anche At 15,20.29). Nelle altre liste neotestamentarie dei vizi viene spesso citata la porneia;139 e in Col 3,5 ed Ef 5,3 questo è il peccato che apre la serie dei relativi cataloghi. La virtù opposta alla «fornicazione», che introduce la lista delle virtù, è quel­ la dell'agape, quale positiva modalità di relazione con il prossimo. Infine è bene rilevare che non necessariamente il termine porneia si riferisce alla prostituzio­ ne sacra, anche se in Galazia soprattutto il culto di Cibele ne favoriva la pratica: non vi sono altri indizi che permettano di orientare in questo senso la sua inter­ pretazione. 140 Il secondo vizio è quello dell'akatharsia che, di per sé, ha valore generale, rife­ rendosi anzitutto a ogni tipo di impurità materiale (Lv 5,3; Ez 24, 1 1 ) e fisica, com'era considerata, ad esempio, quella della donna durante il periodo mestruale (cf. Lv 18,19; Ez 22,10). Più specificamente, questa impurità viene applicata sia alla sfera cultuale e alimentare, soprattutto nella LXX, 141 che a quella sessuale, rife­ rendosi a ogni tipo di licenziosità sessuale (cf. Os 2,10). Per il NT questo termine viene utilizzato quasi esclusivamente da Paolo: 9xx su 10xx (cf. anche M t 23,27). Anche se nelle lettere paoline è attestato il valore generale di akatharsia, riferen­ dosi a ogni tipo di impurità morale (cf. 1Ts 2,3; 4,7; cf. anche Rm 6,19), per la sua stretta connessione con la porneia (cf. 2Cor 12,21; Col 3,5; Ef 5,3) e con i peccati sessuali (cf. Rm 1 ,24), sembra assumere il valore specifico dell'impurità sessuale;142 oltre che in Gal 5,19 lo si ritrova nei cataloghi di 2Cor 12,21 ; Col 3,5; Ef 4,19; 5,3. Il terzo vizio che P� olo colloca sotto le «opere della carne» è quello dell'a­ selgeia, che non viene utilizzato dalla LXX se non nei testi deuterocanonici di Sap 1 4,26 e di 3Mac 2,26, con chiaro riferimento sessuale. Anche nel NT, per la contiguità con i peccati sessuali, soprattutto nelle liste di Rm 13,13; 1 Pt 4,3, l'a­ selgeia sembra appartenere all'ambito sessuale: si riferisce alla dissolutezza di cui secondo 2Pt 2,2-7 si ha un'esemplificazione negli abitanti di Sodoma e di Gomor1 36 Così anche B RuCE, The Epistle of Pau/ to the Ga/atians, 247; BuRTON, A Critica/ and Exegetica/ Commentary, 305; LoNGENECKER, Galatians, 254. 1 37 Nel NT il termine porneia si trova 25xx di cui lOxx nell'epistolario paolino ( l Ts 4,3; l Cor 5,1 [bis]; 6,13.18; 7.2; 2Cor 12,2 1 ; Gal 5,19; Col 3,5; Ef 5,3); il verbo relativo porneuein lo si riscontra 8xx (cf. 1Cor 6,18; 10,8[bis ]). 1 38 Cf. Ger 3,2.9; 13,27; Ez 16,15; 23.27; 43,7.9; Os 5,4; 6,10. Cf. anche con questo significato Ap 2.2 1 ; 9,2 1 . 1 39 Cf. M c 7,2 1 ; Mt 1 5 . 1 9; Ap 9,2 1 ; cf. anche l Q S 4,10. 1 40 Così invece DuNN, Galatians, 303; MussNER, La Lettera ai Galati, 576. 14 1 Cf. Lv 7,20; 22,3; Nm 19,13; Ez 4,14. 142 Cf. anche l En 10, 1 1 ; FILONE, L.A. 3,139; Test Giud 14-15; FLAVIO GIUSEPPE, Guer. 4.562.

Commento

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ra. 143 Dunque questo terzo vizio presenta una configurazione più chiara del pre­ cedente: Paolo prende di mira la dissolutezza sessuale e non ogni tipo di srego­ latezza morale. Forse è bene rilevare che, pur se in ordine diverso, i primi tre vizi di questo catalogo si trovano ancora nella lista di 2Cor 12,2 1 : la fornicazione, l'impurità e la dissolutezza pongono in risalto i peccati di natura sessuale quale primo livello di disordine morale. v. 20: Alla dissolutezza sessuale viene direttamente collegata l'eidololatria che, dal punto di vista terminologico, non si trova nel greco classico né in quello della LXX ma è proprio del NT e in particolare del vocabolario paolino. 144 Anche se questo vizio viene rapportato all'avarizia in Col 3,5, va riconosciuta una sua maggiore relazione con i vizi sessuali, espressa ancora dalla propaganda giudaica nei confronti dei gentili. 145 Di fatto, secondo Rm l , 1 8-32, la sostituzione della «creatura al posto del creatore)) (v. 25) determina ogni tipo di perversione sessuale; e in l Cor 6,9 l'idolatria compare insieme alla dissolutezza, come nel nostro caso. 146 Questa relazione fra idolatria e vizi sessuali costituisce forse uno dei pochi elementi logici per cui in Gal 5,1 9-20 i primi quattro vizi seguono l'attuale ordi­ ne, anche se ci saremmo aspettati, proprio a causa della preminenza conferita nel giudaismo all'idolatria, un ordine inverso. Circa la specificità di questo peccato, il termine eidolon può applicarsi sia all'immagine di Dio (cf. At 7,4 1 ; Ap 9,20) che alla divinità rappresentata nella stessa immagine (cf. l Cor 8,4.7; 10,19). Questo duplice significato, non necessariamente scindibile, può essere riconosciuto in questo peccato di idolatria: può riguardare sia l'adorazione dell'immagine sia la divinità in essa rappresentata.147 In questo catalogo, al quinto posto si trova la pharmakeia, termine raro nel NT, in quanto presente solo qui e in Ap 18,23; lo si riscontra invece, con maggior frequenza, nella LXX. 148 La maggior parte degli esegeti, rendendo il sostantivo pharmakeia con «magia)) lo collega ai peccati di natura religiosa. 149 Tuttavia è ' bene precisare anzitutto che di per sé la pharmakeia non è negativa ma può indi­ care l 'infusione di una semplice pozione medicinale, anche se va riconosciuta subito l'accezione negativa che il greco della LXX e quello neotestamentario le

143 1 44

Cf. anche FtLONE, Mos. 1 ,305. Il termine si trova 4xx nel NT: l Cor 10,14; Gal 5,20: Col 3,5;

l Pt

4,3. Cf. anche Test Giud 1 9, 1 ;

Did 3,4. 1 45 Cf. ls 44,9-20; Sal 96,7; 1 1 5,4-8; Or sib 3,8-45. Così anche DuNN, Galatians, 304; MussNER, La Lettera ai Galati, 576. 1 46 Per l'idolatria in un catalogo di vizi cf. anche Barn 20,1 ; Did 5 , 1 . 1 47 Così anche BuRTON , A Criticai and Exegetical Commentary, 306. t .m Cf. Es 7,1 1 .22; Is 47,9. 12; Sap 1 2,4. Cf. anche 1 En 7,1; Or sib 5,165; FILONE, Spec. 3,94; Migr. 83.85; Pou sto, Hist. 40,3 ,7; PsEUoo-FocruoE, 149. 1 49 Cf. BuRTON. A Criticai an d Exegetical Commelltary, 304; CoRSANI, Lettera ai Galati, 360; FuNG, The Epistle to the Galatians. 254; MATERA, Galatians, 209.

Gal 5 , 1 6-26

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conferiscono. 150 Inoltre i corrispondenti pharmakos e pharmaken che si trovano rispettivamente nelle liste di A p 21 ,8; 22, 15 e di Ap 9,21 , sono posti accanto alla fornicazione e all'idolatria. 151 Questo implica che la pharmakeia, anche se in Gal 5 ,20 è contigua all'idolatria, è possibile renderla anche con stregoneria, in quan­ to arte dei fattucchieri, ed esprimere non soltanto un'aberrazione nei confronti di Dio ma anche nei riguardi del prossimo. In tal caso la stregoneria potrebbe appartenere sia al secondo che al terzo gruppo dei peccati elencati in questi versi , a conferma della disorganicità nell'elencazione paolina. Sembra che nel mondo greco-romano la stregoneria venisse più perseguitata della fornicazio­ ne, 152 anche se è bene aver presente la maggiore sensibilizzazione giudaica per il secondo vizio più che per il primo. Con il sesto vizio si passa, dal punto di vista stilistico, dal singolare dei vizi pre­ cedenti al plurale; e questo potrebbe essere considerato un indizio per una com­ posizione bipartita del catalogo. In realtà, con i vizi successivi, si torna al singolare per passare nuovamente al plurale. Come astratto, invece del concreto echthros ( = nemico), incontrato per esprimere la crisi relazionale fra Paolo e i galati in Gal 4,16, echthra è tipicamente paolino: su 6 occorrenze neotestamentarie si trova 4xx nel suo epistolario.153 Anche questo vizio viene generalmente collegato alle pro­ prie relazioni con il prossimo, indicando le avversioni che si determinano soprat­ tutto nelle comunità; nulla vieta però di pensare anche alle inimicizie nei confron­ ti di Dio e della stessa croce di Cristo, come dimostrano i paralleli paolini in cui si trova il concreto echthros invece dell'astratto echthra (cf. Rm 5,10; Fil 3,18). Se il vizio precedente non lo si incontra più nelle liste paoline e in quelle neo­ testamentarie, quello deli' eris ( = discordia) è tipico dei cataloghi paolini e proprio del suo linguaggio.154 Anche la discordia, come l'inimicizia, rappresenta un abuso relazionale, orientando tuttavia le situazioni di conflittualità ai rapporti interper­ sonali (cf. 1 Cor 1 , 1 1 ; 3,3) e non a quelli con il Signore o con il vangelo paolino. L'ottavo vizio, quello dello ze/os, presenta delle difficoltà di natura testuale: un buon numero di codici riporta la lezione variante del plurale, zeloi, 155 invece del singolare, come anche in Rm 13,13; 2Cor 12,20. Forse tale variazione è dovu­ ta, per Gal 5,20, sia al plurale dei vizi successivi che al riferimento più diretto di zeloi alle divisioni presenti nelle comunità. Rispetto alle 16 occorrenze di zelos nel NT, 9 appartengono all'epistolario paolino: 156 una particolare attenzione gli viene rivolta in 2Corinzi.157 I SO

Con tale concezione cf. anche FLAVIO GIUSEPPE, Guer. 1 ,227.452.638; Ant. 15,47. Cf. anche nelle liste di Did 5 . 1 ; Barn 20, 1 . I S2 Cf. anche BRUCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 248. Sulla magia nel contesto greco-roma­ no cf. P.F. EsLER, The First Christians in Their Social Worlds, London-New York 1 994, 137-146. I53 Gal 5,20; Rm 8,7; Ef 2,14.16; cf. anche Le 23, 12; Gc 4,4. I S4 Soltanto Paolo parla di eris tra gli autori del NT: 9xx, di cui 5xx in cataloghi di vizi (Rm l ,29; 13,13; 2Cor 1 2 ,20; 1 Tm 6,4; Tt 3,9). La stessa LXX attesta una scarsa frequenza del termine: 4xx (Sal 1 38,20; Sir 28. 1 1 ; 40,5.9 ) . Cf. anche l Clem 35,5; 46.5; FLAVIO GiusEPPE, Guer. 1 .227.452.638: Ant. 15,47. I55 Cf. S, C. D l, ljl, 0122, 0278, Ireneo (lat.). I S6 Cf. anche Rm 1 0.2; 1 3,13; 1 Cor 3.3; Fil 3,6. Cf. anche Gv 2.1 7; A t 5.17; 1 3,45; Eh 10,27; Gc 3,14. 1 6. I 57 Cf. 2Cor 7.7. 1 1 : 9.2: 1 1 .2: 1 2.20. I5I

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Commento

Anche nel NT, come per la LXX e per il greco extrabiblico, la «gelosia» assu­ me una valenza diversificata, in dipendenza dei contesti di appartenenza. Di fatto esiste una gelosia positiva, quando esprime lo zelo o il legame affettivo per Dio o per il prossimo. Lo stesso Gesù è pieno di zelo per la casa di Dio (cf. Gv 2,17); e Paolo elogia sia lo zelo di Israele (cf. Rm 10,2) che quello proprio duran­ te il passato farisaico (cf. Fil 3,6; cf. anche il zelotes di Gal 1 ,14).158 Per questo, dovendo parlare della gelosia come vizio, Giacomo avverte il bisogno di specifi­ care con «amara gelosia>>. Questa fluttuazione di significato spiega anche la pre­ senza di zelos non soltanto in cataloghi di vizi, come nel caso presente (cf. anche Rm 13,13; 2Cor 12,20) ma anche in quelli di virtù, come in 2Cor 7,1 1 . Comunque nell'epistolario paolino è prevalente l'accezione negativa del termine:159 la gelo­ sia elencata in questa lista è vicina alle «invidie>> che Paolo citerà in seguito (v. 21 ), quale abuso relazionale nelle comunità cristiane. Poiché la gelosia, negativa­ mente intesa, crea delle divisioni nella comunità, questo non è il primo caso in cui è abbinata alla «discordia>>.160 L'enumerazione al plurale dei vizi in Gal 5,19-21 riprende con i thymoi, le manifestazioni di collera o di ira, più che di dissenso, come a volte vengono resi nelle traduzioni. Questo vizio, citato anche altrove nel NT161 e diffuso nella LXX, 162 viene elencato da Paolo soltanto nei cataloghi dei vizi, 163 a conferma della sua particolare diffusione nelle relazioni interpersonali. Il vizio delle eritheiai, ossia delle «contese>> relazionali, è raro nel greco clas­ sico (cf. Aristotele, Poi. 5,3,4; 5,3,14), del tutto assente in quello della LXX (cf. Simmaco Ez 23, 1 1 ) e poco citato nel NT.164 Dal punto di vista etimologico, alcu­ ni relazionano l'eritheia all'eris, ossia alla «discordia>> citata al v. 20, nella stessa lista; tale derivazione non è sicura anche se, dal punto di vista fenomenico, per­ mane una certa relazione fra la discordia e la contesa. Dunque, anche le contese sono diffuse nelle relazioni negative delle comunità; e Paolo non esita a citarle anche nei cataloghi di Rm 2,8 e di 2Cor 12,20. Del tutto contraria rispetto al vizio precedente è la frequenza delle dicho­ stasiai nella letteratura greca: se ne parla spesso nei contesti politici e raramente in quelli ecclesiali del NT. 165 A causa dell'origine politica del termine, forse è bene renderlo con «sedizioni>> più che con il semplice «dissensi».

158 Per la gelosia in senso positivo cf. 2Cor 7,7; 9.2; 1 1 .2. Per la LXX cf. Nm 25, 1 1 ; I Re 1 9. 1 0. 14; Sal 69, 10; l Mac 2,24-26. Cf. anche ARISTOTELE, Rhet. 2,1 1 , 1 . 1 59 Cf. anche per l a LXX i l valore negativo d i zelos i n Sir 30,24; 40,4. Così anche i n PwTARco, Tes. 6,9; Lic. 4,3. 160 Cf. I Cor 3,3; Rm 13,13; 1 Clem 6,4. 161 Cf. Le 4,48; A t 1 9,28; Eb 1 1 ,27; Ap 12,12; 14,10; 15,1; 16.1 ; 1 8,3. 1 62 Cf. Gen 27,44; 49,6; Es I l ,8; Dt 13,17; 29,28; Sir 30,24. 1 63 Cf. 2Cor 1 2 ,20; Rm 2,8; Col 3,8; Ef 4,3 1 . Cf. anche 1QS 4,10. 1 64 Anche l'eritheia è termine tipicamente paolino (2Cor 1 2,20; Rm 2,8; Fil 1 , 1 7; 2,3; cf. anche Gc 3,14. 16). 1 65 Il termine è hapax legomenon nella LXX ( 1 Mac 3,29) e per il NT si trova solo qui e in Rm 16,17. Cf. invece BACCHJLIDE, 1 1 ,67; ERoDoTO, 5,76; DIONIGI DI AucARNASSO, 8,72 , 1 ; PLUTARCO, Mor. 479A; PsEuoo­ FonuDE. 1 5 1 .

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Il v. 20 si chiude con un altro vizio sociale, quello delle haireseis ovvero delle fazioni o delle sètte che si creano nella stessa comunità. Di per sé il termine hai­ resis non ha significato negativo ma neutro, in quanto può riferirsi sia alle diver­ se opinioni o concezioni (cf. 1 Mac 8,30; 2Pt 2,1 ) che, di conseguenza. alle adesio­ ni partitiche che ne derivano. Così sarà soprattutto Luca a utilizzare questo ter­ mine per definire la scuola o la setta dei sadducei (cf. At 5,17), quella dei farisei (cf. At 15,5; 26,5) e quella dei «nazorei» (cf. At 24,5 ); quest'ultima è nota anche come quella della «via» (cf. At 24, 14), ossia dei cristiani (cf. At 28,22). Invece il termine si incontra raramente nell'epistolario paolino e con accezione negativa; verrà utilizzato di nuovo solo in 1 Cor 1 1 ,19, a proposito delle fazioni createsi nella comunità di Corinto. v. 21: Una delle conseguenze delle «contese, sedizioni e fazioni» non può non essere l 'invidia; per questo non potevano mancare gli phthonoi nella lista di Gal 5,19-21a. La LXX non utilizza mai questo termine quando è in corrispondenza con il TM; invece lo si riscontra nei suoi testi deuterocanonici.166 Per il NT si incontra phthonos soprattutto nei cataloghi paolini dei vizi, come nel presente caso; 167 per il resto 2xx viene utilizzato per caratterizzare l'invidia degli avversari di Gesù (Mt 27 ,18; Mc 15,10). Diversi testimoni, dopo phthonoi, riportano phonoi ( = omici­ di):168 tale aggiunta sembra più un tentativo di omologazione rispetto al catalogo di Rm 1 ,29, in cui i due vizi vengono collegati, che la lezione originale del v. 21. D'altro canto la lezione più breve, maggiormente attestata, 169 è da preferire. l7° Il catalogo di Gal 5,1 9-21 si conclude con due vizi che si differenziano, in un certo senso, dai precedenti: methai ( = ubriachezze) e komoi ( = orge) collegano i vizi di gola a quelli sessuali. Il penultimo vizio, methai, non si riferisce soltanto ali 'ubriachezza ma a ogni tipo di dissipazione; nella LXX assume valore specifi­ co perché riferito generalmente all'ubriachezza. 171 Anche nel NT questo vizio viene raramente preso in considerazione e gli abbinamenti con le «crapule» (cf. Le 21 ,34) e con le «orge», sia qui che in Rm 13,13, confermano l'accezione spe­ cifica di «Ubriachezze» .172 L'ultimo vizio, k6moi, sembra essere più specifico del primo, per cui ne deter­ mina anche il valore: Paolo si riferisce alle orge che sono più o meno collegate alle ubriachezze. Il classico episodio di Noè e di Cam (cf. Gen 9,18-23) illustra bene quanto, da una prospettiva giudaica, fossero collegati questi due vizi: è faci­ le cadere in peccati sessuali quando si è poco lucidi ! Tuttavia, a differenza delle

166

Sap 2.24; 6.23; l Mac 8,16; 3Mac 6,7. Cf. Rm 1 ,29; l Tm 6,4; Tt 3,3; cf. anche il catalogo l Pt 2, l e al di fuori delle liste in Fil 1 . 15; Gc 4.5. Cf. anche FILONE, Mos. 1 ,2; FLAVIO GIUSEPPE:, Vita 80; 122; I Ciem 3.2; 4,7. 13; 5,2. 1 68 Cf. A. C, D. F. G. ljl. 0122. 0278, 1 738. 1 69 Cf. P46. S. B. 33, 8 1 , 323. 945, Ambrosiaster, Ireneo (lat.), Clemente Alessandrino. 1 7° Cf. anche B. M. METZGER, A Textual Commentary on the Greek New Testament, London-New York 2 1994, 597-598. 171 Cf. Tb 4.15; Pr 20, 1 ; Is 28.7; Ez 23,33. 1 72 Cf. anche FLAVIO GIUSEPPE. An t. 1 .301 ; 1 . 1 77; 6,30 1 ; Guer. 5,21 .23; DioDoRo SICULO, 16,1 9,2. 167

Commento

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ubriachezze, di orge non se ne parla nella LXX, tranne che in Sap 14,23; 2Mac 6,4 forse con riferimenti alla prostituzione sacra. Anche il NT include soltanto tre occorrenze: qui, in Rm 13,13 e in l Pt 4,3 . 173 Non sembra che Paolo accennasse, mediante komoi, alla prostituzione sacra, anche se tale pratica era abbastanza diffusa in Galazia, soprattutto per il culto di Cibele. Questo collegamento con il culto delle divinità permette di riconoscere una prospettiva più negativa nel NT rispetto alla cultura greco-romana, per la quale le orge venivano spesso associa­ te al culto dionisiaco. 174 Il catalogo dei vizi si chiude con una formula convenzionale: « . . . e cose di questo genere». In tal modo il catalogo dei vizi viene lasciato aperto per inclu­ dere qualsiasi altra «opera della carne». Dunque questa enumerazione non solo non è ordinata ma neppure completa: manca ad esempio la pleonexia ( = avidità) citata in altri cataloghi paolini (cf. Rm 1 ,29; Ef 4,19).175 Nel catalogo dei vizi di l Tm 1 ,9-10 si riscontra una formula conclusiva analoga: « . . . e qualsiasi altro vizio che si opponga alla sana dottrina» (v. 10). Prima di passare al catalogo delle virtù, Paolo inveisce contro coloro che pra­ ticano i vizi elencati: «Circa queste cose vi ripeto, come ho già detto: quelli che le praticano non erediteranno il regno di Dio». Anzitutto, nella ripetizione del verbo prolegein ( = predire) è riconoscibile una continuità fra la predicazione originaria di Paolo in Galazia e quella presente, mediante questa lettera. Dunque, quanto egli sta per dire risulta parte integrante della sua evangelizzazione. Inoltre, il riferi­ mento alla prima predicazione in Galazia determina, ancora una volta, un'im­ portante continuità fra il kerygma e la morale. A ben vedere, non è fondato il mo­ dello per il quale l'etica paolina si pone a un livello secondario e successivo della sua predicazione; invece la si riscontra già nella sua primitiva evangelizzazione. Il contenuto della minaccia viene introdotto da un hoti recitativo, quasi si trattasse, come dimostrano le singole affermazioni, di una citazione diretta della primitiva predicazione della Chiesa antica e non solo di Paolo. Di fatto ora il lin­ guaggio del v. 2lb si differenzia dal restante vocabolario della lettera. Anzitutto ci saremmo aspettati il verbo poiein ( = fare) invece di prassein ( = praticare), giacché sino a ora Paolo ha preferito il primo al secondo verbo (cf. Gal 3,10.12; 5,3. 17). Tuttavia è necessario anche riconoscere che il verbo poiein non è stato mai applicato in Galati alle «Opere della carne» ma soltanto alle «opere della Legge» e che, per inverso, il verbo prassein lo si ritrova nella conclusione della lista dei vizi in Rm l ,32. Dunque non è del tutto estraneo a Paolo l'uso del verbo «praticare» invece del più generale «fare». Piuttosto sorprendono le nuove prospettive con le quali si parla del «regno di Dio» e della sua eredità. Il sintagma basi/eia theou è raro nell'epistolario paolino, a differenza dei vangeli sinottici, in cui compare generalmente con l'articolo. 1 76 IB

Cf. anche FLAVIO GIUSEPPE, Guer. 1 ,570: 2,29: Ant. 1 1 ,66; 1 7,65. 1 74 Così anche BRu>, in L. DE LoRENZI (ed.), Paul de Tarse: apotre du notre temps, Rome 1 979, 201 -232. 203 Cf. Rm 2,4; 1 1 ,22; Ef 2,7; cf. anche riferita a Cristo in Tt 3,4. 204 Cf. anche 2Cor 6,6; Col 3,12. Per la letteratura sub-apostolica cf. 1 Ciem 9,1 ; 2Ciem 1 5,5; 19.1; Diogn 9,1 ,2; loNAZIO, Magn. 10,1 ; Smirn. 7,1 . 205 Nella LXX la bontà viene descritta sia come attributo di Dio (cf. Ne 9,35; Sa1 5 1 ,3) che dell'uo­ mo (cf. 2Cr 24,16).

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Uno dei termini più polisemici del NT è pistis: i suoi significati comprendo­ no la fede, la fiducia, la convinzione, la persuasione e la fedeltà.206 Sino a ora, in Galati, Paolo ha inteso sempre la pistis come «fede in Cristo» (cf. Gal 2,16; 3,2). Tuttavia questo significato non si adatta a Gal 5,22, dove sembra più confacente il riferimento alla virtù della fedeltà che al dono della fede, nella sua dimensio­ ne relazionale con il Signore. In questa accezione Paolo non esita a parlare della pistis di Dio ossia della sua fedeltà (cf. Rm 3,3), in quanto egli si rivela sempre fedele alle sue promesse.207 Invece nel suo sistema di pensiero mancano sia i rife­ rimenti alla credibilità di Cristo, elemento invece presente nella Lettera agli Ebrei (cf. Eb 2,17; 3,2), sia quelli alla sua fedeltà, espressa soprattutto in Apoca­ lisse, in cui il Cristo è definito come il «testimone fedele» (cf. A p 1 ,5). Dunque, la fedeltà di cui Paolo parla in questo catalogo delle virtù è analo­ ga a quella che lo Spirito dona ai cristiani, insieme ad altri carismi: « . . . a un altro la fedeltà mediante lo stesso Spirito» ( 1 Cor 1 2,9). La virtù della pistis, come fedeltà, sarà richiesta soprattutto ai membri della comunità, nelle lettere pasto­ rali (cf. Tt 2,2; 2Tm 2,22; 3,10). Naturalmente gli orizzonti della fedeltà, così inte­ sa, sono più ampi delle ultime tre virtù: questa può riguardare se stessi, il proprio rapporto con il Signore, ma naturalmente, dato il contesto delle virtù relaziona­ li, soprattutto i rapporti con il prossimo. v. 23: Nell'intessere l'elogio di Mosè, l'autore del Siracide sottolinea due virtù che il Signore gli elargisce: la fedeltà e la mitezza (cf. Sir 45,4 ); le stesse virtù del nostro catalogo. A ben vedere, già nel breve catalogo del Sal 44,4 si parla della mitezza quale virtù del re, insieme alla verità e alla giustizia. Nel NT si elo­ giano sia i miti, a proposito delle beatitudini (cf. M t 5,5), che Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 1 1 ,29). Lo stesso Paolo si propone di imitare la prautes di Cristo, quando esorta i cristiani di Corinto (cf. 2Cor 10, 1 ) . Tuttavia, la mitezza, intesa sia come qualità personale che come modalità posi­ tiva o generosa di relazione con il prossimo, rappresenta uno dei principali requi­ siti che Paolo esige dalle proprie comunità. Di fatto, questa virtù verrà richiesta, in modo particolare, nelle situazioni complesse della vita ecclesiale (cf. Gal 6,1 ; cf. anche 1Cor 4,21). Quindi una virtù relazionale che, in quanto mitezza d'animo, si produce nella gentilezza verso il proprio fratello di fede. L'importanza di questo frutto nella comunità spiega la sua presenza anche nelle liste deuteropaoline.208 Il catalogo delle virtù si chiude con l'egkrateia (= dominio di sé), che rappre­ senta uno degli ideali fondamentali della contemporanea filosofia popolare;209 anche le correnti dell'essenismo si propongono come ideale di vita l'autocon-

206 Sul valore polesemico di pistis nel NT e nella letteratura contemporanea cf. J.L. KJNNEAVY. Greek Rhetorical Origins of Christian Faith, New York-Oxford 1 987. 207 Cf. 1Ts 5,24; 2Ts 3,3; 1 Cor 1 ,9; 10,13; 2Cor 1 , 1 8. lOii Cf. Col 3,12; Ef 4,2; 2Tm 2,25. Cf. anche Bam 20,2; Did 5,2; ERMA, Mand. 1 2,3,1 . 209 Già Aristotele aveva dedicato all'egkrateia i l libro VII della sua Etica nicomachea; e Senofonte attribuisce le origini di questo ideale morale a Socrate. Cf. SENOFONTE, Mem. 1 ,5,4; cf. anche EPnTETO, Diss. 2.20.3.

Gal 5 , 1 6-26

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trollo, come attesta Flavio Giuseppe: «Essi respingono i piaceri come un male, mentre considerano virtù la temperanza e il non cedere alle passioni».210 Lo stes­ so ideale è già proposto in Sap 18,15 (come lezione variante) .30: l'egkrateia viene riferita a qualsiasi tipo di passione e non solo a quelle di natura sessuale. Il NT utilizza poco la famiglia lessicale dell'egkrateia: di fatto è ancora Paolo a presentare la «continenza» come ideale di vita per i celibi e per le vedove (cf. 1 Cor 7,9; 9,25 ) . Tuttavia è bene non limitare il senso di egkrateia alla continenza o alla temperanza: come dimostra l'esempio dell'atleta in 1 Cor 9,25, l'egkrateia riguarda il dominio generale del proprio corpo. Per la presen­ te lista forse la rispondenza con le orge, quale ultimo vizio, lascia restringere il campo di riferimento alla continenza sessuale.2 1 1 Tuttavia è bene conservare l'accezione più ampia del termine senza ignorarne la particolare rilevanza per la propria vita sessuale.212 Nel II secolo d.C. sorgerà la corrente degli encratiti, che si propone non solo l 'astensione coniugale ma anche quella alimentare, dal vino e dalle carni;213 e gli stessi padri apostolici insisteranno sull'ideale del dominiq di sé.214 Il catalogo delle virtù, come quello dei vizi, non è completo; per questo alcu­ ni testimoni aggiungono la virtù dell'agneia, ossia della «purezza», citata nel cata­ logo di 1 Tim 4,12.215 In verità non è necessario estendere la lista delle virtù in quanto esemplificativa e non esaustiva. Come il catalogo dei vizi, anche quello delle virtù si conclude con una valu­ tazione generale che però risulta difficile da cogliere nel suo significato e da tra­ durre. Di fatto ci sono due fondamentali possibilità di traduzione: «Contro que­ ste cose non c'è legge»; oppure: «La Legge non è contro queste cose». Nel primo caso il termine nomos assume una prospettiva generale, non riferendosi soltanto alla Legge mosaica ma a qualsiasi legislazione;216 la conclusione paolina non sarebbe tanto diversa da quella di Aristotele: «Contro costoro non c'è legge» (Pol. 3,13-14,1284a). Tuttavia, a prescindere dalla relazione fra Paolo e Aristotele, tutt'altro che evidente, questo sarebbe il primo caso di Galati in cui nomos avrebbe valore generale e non specifico: sino a ora la Legge è sempre quella mosaica e non qual­ siasi legge. Paolo non sembra tanto preoccuparsi che queste virtù, sopravanzan­ do qualsiasi legge, si pongano a un livello superiore ma che la stessa Legge mosaica alla quale i destinatari della lettera desiderano sottomettersi, mediante la circoncisione, non si ponga in contrasto con esse. Dunque il parametro per intendere bene nomos in Gal 5,23 rimane quello di Gal 5,14, in cui la Legge si

210

Cf.

FLAVIO Gi uSEPPE,

Guer. 2,8, 1 3-14; 2,8,90; 4,6,65; Ant. 6,63; 8,235; 1 5 ,237; 1 6,218; cf. anche Ari-

stea 278.

211

212 2 13 214 215 216

Cf. i cataloghi d i Tt 1 .8; 2Pt 1 ,6(bis); c f. anche 1 Ciem 35,2: 62,2. Così anche SCHLIER, Lettera ai Galati, 269. Cf. I RENEo, Haer. 1 ,28, 1 ; EusEBio, Hist. ecci. 4,28-29. Cf. Bam 2,2; 2Ciem 1 5 , 1 ; PoucARPO, Fil. 4,2; ERMA, Vis. 2,3,2; 3,8,4; Mand. 6,9,1 ; Sim. 9,15,2. Cf. D*, F, G. lreneo (lat.), Cipriano, Ambrosiaster. Così LoNGENECKER, Galatians, 264.

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adempie nella virtù dell'agape, e non quello esterno alla lettera, corrispondente a una relazione generale fra le leggi e le virtù umane. D'altro canto, nonostante la sorprendente somiglianza fra la concezione di Aristotele e quella di Paolo, è necessario rilevare che il pronome toiouton, a cau­ sa della corrispondenza con «cose simili a queste» riferito ai vizi, sembra avere valore neutro e non maschile, come invece nella sentenza aristotelica.21 7 Per que­ sto non si può considerare questa conclusione di Paolo, sulla relazione fra la Legge e le virtù, come citazione implicita della Politica di Aristotele, anche se è possibile una diffusione proverbiale del detto aristotelico, non confermata però altrove nel NT.218 Dunque ci sembra preferibile rendere l'espressione paolina con «la Legge non è contro queste cose», ponendo in enfasi, per via negativa, quanto positivamente Paolo ha già espresso al v. 14. Questa conclu­ sione prepara, in modo decisivo, la sorprendente formula di Gal 6,2: «la Legge di Cristo�� . v. 24: Nell'ultima parte della pericope ( vv. 24-26), Paolo riprende l'antitesi generale fra la carne e lo Spirito, facendo però, questa volta, cadere chiaramen­ te il peso della bilancia sullo Spirito. La conclusione della pericope comincia con un'affermazione di carattere kerygmatico e non parenetico,219 nonostante ci si trovi in una pericope esortativa, a conferma della stretta relazione fra kerygma e morale nel pensiero di Paolo. Anzitutto questa conclusione riguarda coloro che sono di Cristo, ossia quanti gli appartengono a causa «dell'essere in lui» (cf. Gal 3,28) . Un'espressione analoga si trova in 1 Cor 15,23: coloro che sono di Cristo parteciperanno della sua risurrezione. In questo verso però è del tutto originale il senso del verbo stauroun ( = cro­ cifiggere): non si riferisce soltanto a coloro che sono di Cristo ma rappresenta soprattutto una loro azione che ha come oggetto la carne. Se da una parte lo stes­ so Paolo, quale modello per i galati, è stato «Con-crocifisso» con Cristo (cf. Gal 2,19), e come lui «l 'uomo vecchio» di ogni battezzato (cf. Rm 6,6), dall'altra, durante l'evento della morte di Cristo e dell'uomo vecchio, gli stessi credenti in lui hanno partecipato attivamente, crocifiggendo la carne «con le passioni e i desideri».220 Per questo l'evento della croce determina il passaggio escatologico fondamentale dalla carne allo Spirito, dall'uomo vecchio a quello nuovo e dal «presente tempo malvagio» (cf. Gal 1 ,4) alla nuova creazione (cf. Gal 6,15). La

217 Il valore maschile di toiouton è sostenuto da Covow, , 392. Invece la maggioranza degli esegeti propende per il valore neutro. Cf. BARCLAY, Obeying the Truth, 1 22-123; BETZ. Ga/atians, 288; HoNG, , 1 23-1 24; LoNGENECKER, Ga/atians, 264; MussNER, La Lettera ai Galati, 587; S cHLI E R , Lettera ai Galati, 270. 21x Così anche BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 256; HOBNER, L a Legge in Paolo, 86. Lo stesso testo di lTm 1 ,9 per il quale la si riferisce ancora alla Legge mosaica e non a qualsiasi legge. m Così anche BETz, Galatians, 289-290. 220 Sulla relazione tra Gal 2,1 9-20 e Gal 5,24 cf. H. WEDER, Das Kreuz bei Paulus: Ein Versuch iiber den Geschichtsbezug des christlichen nachzudenken, Gottingen 1 981.

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stessa scelta dell'aoristo estaurosan, invece del presente, si spiega con questa pre­ cisa partecipazione alla morte di Cristo. Alcuni ritengono che qui, come in Gal 3,26-29, Paolo si riferisca all'evento del battesimo;221 tale connessione è possibile, anche se è necessario riconoscere l'importanza previa e fondante della relazione fra coloro che credono in Cristo e la sua morte e risurrezione. Dunque, sulla croce, la lotta «a pari» fra carne e Spirito si è risolta con la vittoria di quest'ultimo; per questo con la carne vengo­ no crocifisse anche «le passioni e i desideri». In quanto tali, sia pathemasin che epithymiais non hanno significato negativo: assumono tale valenza quando sono rapportate alla carne, come si è già osservato per epithymia al v. 16. Questa è l'u­ nica frequenza di pathema in Galati; e soltanto qui e in Rm 7,5 ha valore di «pas­ sione», mentre altrove deve essere reso con «sofferenza».222 v. 25: La seconda conclusione della pericope sposta l'attenzione dalla rela­ zione con la morte di Cristo a quella con lo Spirito. Dal punto di vista stilistico, il v. 25 è costruito secondo una composizione chiastica, del tipo «a.b.bl.al»: «Se viviamo (a) secondo lo Spirito (b), secondo lo Spirito (bl ) anche procediamo (a1)».223 In (a) e in (al ) si trovano i due verbi alla prima persona plurale, in (b) e (bl) viene ripetuto lo stesso sostantivo al dativo, pneumati. Naturalmente, come spesso nelle composizioni chiastiche dell'epistolario paolino, l'accento cade sulle parti centrali del chiasmo,224 in questo caso sullo Spirito dal quale dipende sia il vivere che il camminare cristiano. La composizione chiastica del v. 25 viene formulata secondo una condizio­ nale semplice, con valore reale: i galati vivono già secondo lo Spirito, in quanto per mezzo dello Spirito sono diventati figli di Dio (cf. Gal 4,6), partecipano della promessa e della discendenza abramitica (cf. Gal 3,14); ora è necessario prose­ guire secondo lo Spirito ! Nella relazione fra i verbi collegati allo Spirito in Gal 5,16-26 si può eviden­ ziare uno sviluppo di intensità relazionale. I destinatari non solo camminano in quanto guidati dallo Spirito ( vv. 16.18) , ma sono chiamati a proseguire in questa relazione vitale con lo Spirito. Per questo il verbo stoichein, appartenente al lin­ guaggio militare classico,225 è più incisivo del semplice camminare: indica un pro­ seguire dettato dall'adesione obbediente allo Spirito.226 La natura esortativa di questo proseguimento dettato dallo Spirito risalta maggiormente se viene posta in relazione con l'interruzione momentanea del

221 Cf. B.H. BRINSMEAD, Galatians. Dialogica/ Response to Opponents, Chico 1 982, 166; ScHLIER, Let­ tera ai Galati, 271 : SO D I N G , Das Liebesgebot bei Paulus, 2 1 6. 222 Cf. 2Cor 1 ,5.6; Rm 8,18; Fil 3,10; Col 1 ,24; 2Tim 3,10; cf. anche l Pt l , l l ; 4,13; 5 , 1 .9. Così anche in PLVTARCO, Afor. 1 128E. 223 Cf. anche BETZ, Galatians, 293; LoNGENECKER, Galatians, 265 . 224 Si veda il commento a Gal 4.4-5. 225 Cf. BETz, Galatians, 294. 226 Questo verbo non è molto frequente nel NT: si trova Sxx di cui 4xx nell'epistolario Paolina (Rm 4,12; Gal 5,25; 6,16; Fil 3,6; cf. anche At 2 1 ,24).

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cammino di fede nella quale si trovano i galati. In altri termini, Paolo invita i destinatari a superare l'ostacolo causato dagli agitatori che hanno interrotto il loro cammino verso la verità (cf. Gal 5,7). Questa triplice conclusione della pericope non poteva non evocare la lista dei vizi che, d'altro canto, ha ricevuto uno spazio maggiore rispetto a quella delle virtù: è sempre vero che si ricorda più il male del bene ! Inoltre, poiché l'am­ bito dei vizi più trattato è stato quello relazionale, non potevano mancare dei riferimenti ad abusi comunitari, a conferma che, da questo punto di vista, i gala­ ti risultavano manchevoli. L'accento è posto su una sbagliata reciprocità, dalla quale dipende la «vana­ gloria» dei galati; sulla stessa reciprocità Paolo aveva richiamato l'attenzione soprattutto alla conclusione della quarta apostrofe (cf. Gal 5,15). Anzitutto i destinatari della lettera sono invitati a non essere «vanagloriosi». L'aggettivo kenodoxos è hapax legomenon neotestamentario, come anche il sostantivo keno­ doxia che si trova soltanto in Fil 2,3.227 Il suo significato sembra abbastanza chia­ ro: esprime la boriosità e la vacuità del proprio porsi davanti agli altri nella pro­ pria comunità. Quindi Paolo precisa le due vie principali attraverso le quali si diventa vana­ gloriosi: la provocazione e l'invidia. Il primo verbo, «provocare» ( = prokaleisthai) è hapax neotestamentario, come anche nella LXX (cf. 2Mac 8,1 1 ) : non indica la semplice provocazione ma quella finalizzata alla guerra, all'agone.228 Anche il verbo «invidiare» (phthonein) è hapax nel NT, mentre risulta più diffuso, come si è visto per Gal 5 ,21 , il corrispondente phthonos (= invidioso).229 L'invidia rende vanagloriosi da una prospettiva negativa, in quanto colloca se stessi al di sopra degli altri senza valutare le giuste proporzioni relazionali. Il confronto fra la carne e lo Spirito in Gal 5,16-26 si chiude con la vittoria dello Spirito, in quanto i galati, come ogni cristiano, hanno già ricevuto lo Spiri­ to del Figlio (cf. Gal 4,6) che ha permesso loro di entrare in un nuovo tipo di esi­ stenza, in una nuova fase della storia. Tuttavia l'iniziale sottomissione alla Legge, da parte dei galati, significa un'interruzione nel proprio cammino secondo lo Spirito; per questo Paolo avver­ te il bisogno di porli nuovamente di fronte all'aut aut delle proprie scelte. In tal modo al dilemma della propria figliolanza abramitica, secondo !sacco o secondo Agar, succede quello etico, del secondo la carne o secondo lo Spirito. L'aut aut di Gal 5,16-26 perviene alla sua piena manifestazione nei cataloghi dei vizi e delle virtù che, in quanto presenti anche nel restante epistolario paolino e nel NT, meritano maggiore attenzione. v. 26:

227

Anche nella LXX questa ternùnologia è rara: cf. kenodoxia in Sap 14,14; 4Mac 2,15; 8,19; keno­ doxein in 4Mac 5,9; 8,24. Per il greco extrabiblico cf. kenodoxos in PoLI B IO , Hist. 27,7, 12; 38,7,1; EPITTETO , Diss. 3,24,43; Aristea 8; FILONE, Som. 2,105; Did 3,5; kenodoxia in Pousio, Hist. 3,81 ,9; LuciANO, Dial. 20,4; FILONE, Jos. 36; IGNAZIO, Filad. 1 , 1 . Il sostantivo si trova anche nei cataloghi di 1 Clem 35,5 e di ERMA, Mand. 8,5. 228 Così in DioDORO SicuLO, 4,1 7,4; LuciAN o, Con v. 20; FLAVIo G iuSEPPE, A n t 7,315; 1 8,369. 229 Cf. FILONE, Agr. 1 1 2: FLAVIO GIUSEPPE, A n t 4,235; Ap. 2,268. .

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EXCURSUS: I CATALOGHI DEI VIZI E DELLE VIRTÙ

Un tratto caratteristico, anche se non esclusivo, dell'epistolario paolino è costituito dalle liste di vizi e di virtù: Paolo ricorre spesso a questi cataloghi per creare delle nette antitesi fra la carne e lo Spirito, fra la luce e le tenebre (cf. Rm 13,12) .230 Circa l'origine, è difficile stabilire le principali attribuzioni e le derivazioni di questi cataloghi: nella graecitas classica già Aristotele e Platone avevano deli­ neato delle liste di vizi e di virtù,231 anche se va riconosciuta la loro particolare divulgazione nella filosofia cinico-stoica. Di fatto queste liste sono riscontrabili in Seneca, Epitteto, Cicerone, Plutarco,232 come nello stesso AT,233 nel giudaismo palestinese,234 in quello ellenistico,235 nei testi gnostici di Nag Hammadi236 e nei padri apostolici.237 Forse fra le origini di questi cataloghi è da annoverare la reto­ rica epidittica che si esprime nelle due specie fondamentali della lode e del bia­ simo, della virtù e del vizio.238 Anche nel NT sono attestate diverse liste di vizi e di virtù: basti ricordare la lista dei vizi che escono dal cuore umano, elencata in Mc 7,21 -22.239 Per quanto riguarda l'epistolario paolino, va subito riconosciuta la maggiore presenza di questi cataloghi nelle sezioni propriamente epistolari delle «paracle­ si conclusive», come per Gal 5,16-26 nella sezione di Gal 5,13-6,10.240 La mag­ giore concentrazione in queste sezioni è dovuta principalmente alla funzione esplicativa che i vizi e le virtù svolgono rispetto alla carne e allo Spirito, alla luce e alle tenebre. Comunque è necessario rilevare, nello stesso tempo, l'utilizzazione di queste liste in sezioni esortative diverse da quelle conclusive, come in 1 Cor 5,9-1 1 ; 6,910, ma soprattutto in sezioni propriamente kerygmatiche, come in Rm 1 ,28-31 e in 1 Tm 1 ,8-1 1 . Queste diverse contestualizzazioni dimostrano le molteplici uti230 Sulle liste dei vizi e delle virtù nel NT e in Paolo cf. K. BERGER, «Hellenistische Gattungen im Neuen Testament», in ANRW I I.25.2, 1 03 1 - 1 432; J. BERGMANN, «Zum Zwei-Wege-Motiv. Religionsgeschich­ tliche und exegetische Bemerkungen>>, in SEA 41-42( 1 976- 1 977), 27-56; J.J. FAucoNNET, «Confrontation des vices et des vertus dans les épitres du Nouveau Testament>>, in BLE 89(1 988), 83-96; N.J. McELENY, , in CBQ 36( 1 974), 203-219; E. ScHWEITZER, «Gottesgerechtigkeit und Lasterkataloge bei Paulus», in Rechtfertigung, FS. E. Kiisemann, Ttibingen 1 976, 461 -477; J. TH oMAS, , in ThZ 24( 1 968), 15-28. 231 Cf. ARISTOTELE, Rhet. 1 ,6,1 362; 1 ,9,1366: PLATONE, Gorg. 525A; Leg. 1 2,923C; Rep. 4,427E; 7.536A. 232 Ci SENECA, Brev. vit. 10,2-4; 22, 1 ; Ep. 95,65-67; EPITTE To, Diss. 2 ,8,23; 3,2;3; 4,3,7; CicERONE, Tus. 4,7,16-8,22. PLUTARCO, Lib. educ. 1 28; Tranq. an. 465D ; 4688; Sera num. 5568. 233 Cf. Os 4,2; Ger 7,9; Is 33,14-16; Sal 1 5 , 1 : 24,3-4. 234 Cf. 1 QS 1 ,5; 2,24: 4,2-14; 5,4; 8,2; 1 0,25-26. Cf. anche Test Giud 16, 1 ; Test Gad 5,1 ; Test Rub 3,2; Ap Bar 4,16; 8,5; Asc Mos 7. 235 Cf. FILONE, Op. 73; Virt. 1 8 1 - 1 82; Sac. 22,32; Spec. 4,84,87. Cf. anche Sap 14,21 -29; 8,7. 236 Cf. CH 1 3,7. 237 Cf. ERMA, Mand. 5,2,4; 8,3-5; Did 2,1-5,2; Bam 18,1-21 .9; PoucARPO, Fil. 2,2; 4,3; 1 Clem 35,5. 238 Cf. ARISTOTELE, Rhet. 1 ,3 . 1 358b-9,1368a. 239 Cf. anche Mt 15,29; 1 Pt 2,1 -2; 2Pt 1 ,5-7; Gc 3,13-18; Ap 2 1 ,8; 22,1 5 . 2 40 Cf. R m 1 3 , 1 2-14 i n Rm 12,1-15.13; Fi1 4,8 i n Fil 4,2-9; Co1 3,5-8. 12-13a in Col 3,1-4,6; E f 4,13.3132 ed Ef 5.1 - 1 1 in Ef 4.1-6,20; 1Tm 6,3-5.1 1 in 1 Tm 6,2b- 1 9; Tt 3,3 in Tt 3,1-1 1 .

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lizzazioni di questi cataloghi: non sono finalizzati soltanto a esortare i destinata­ ri delle lettere a scegliere fra il bene e il male, ma anche a distinguere due cate­ gorie escatologiche di persone, vale a dire coloro che appartengono alla carne e coloro che sono guidati dallo Spirito. In tal senso, a prima vista, sembra molto stretta la relazione fra i cataloghi paolini e quelli della comunità di Qumran, soprattutto rispetto a 1 QS 4,2-14; tale accostamento è stato posto in risalto soprattutto da Mussner con il suo com­ mentario a Galati. 241 Tuttavia, nonostante le somiglianze, è necessario riconoscere che Paolo non presenta una concezione deterministica né fatalistica verso coloro che apparten­ gono alla carne e allo Spirito, come invece a Qumran. Per questo, se presso la comunità essenica le categorie sono immutabili, per Paolo basta l'adesione alla Legge, quale via di salvezza, perché gli stessi «spirituali» della Galazia tornino a una condizione di vita secondo la carne. D'altro canto, nonostante le antinomie, fra i vizi e le virtù, Paolo non oppo­ ne lo spirito della verità a quello della menzogna né segue il modello delle due vie, come a Qumran. Soltanto lo Spirito del Figlio permette, a coloro che sono in Cristo, di passare dali 'uomo vecchio a quello nuovo; per questo un dualismo antropologico è tutt'altro che acquisito nel pensiero paolino.242 Lo stesso vale per l'influenza filoniana: le sue liste sembrano influenzate soprattutto dal duali­ smo platonico e da quello stoico.243 Dunque i mattoni sembrano gli stessi ma gli edifici che ne risultano sono visi­ bilmente diversi; e per quanto si facciano derivare queste liste paoline dal giu­ daismo palestinese o da quello della diaspora, rimane l'originalità del modello escatologico e della funzione ecclesiologica che le stesse liste svolgono nell'epi­ stolario paolino. Rispetto ai destinatari delle singole lettere, anche se i cataloghi dei vizi e delle virtù sono tradizionali, è necessario non dimenticare gli orizzonti conte­ stuali. Si è visto che questo vale in particolare per Galati, in cui la prevalenza di vizi relazionali (Gal 5,10b-21a) sembra rispondere alla situazione di fazioni che si vanno creando presso le comunità della Galazia, a causa della propaganda giu­ daizzante per la circoncisione e per la totale sottomissione alla Legge. Qualcosa di analogo si verifica per il catalogo dei vizi di 2Cor 12,20-21 : nella loro valuta­ zione non si può ignorare l'orizzonte problematico della comunità di Corinto. Al contrario, le liste delle virtù di Fil 2,1-4; 4,8 pongono in evidenza il tipo di rela­ zione positiva fra Paolo e la comunità di Filippi, al punto che Paolo non avverte la necessità di bilanciare questi cataloghi con quelli dei vizi. Da una prospettiva sinottica è interessante il confronto fra le liste dei vizi e quelle delle virtù, nell'epistolario paolino.244 Si può subito rilevare che i vizi sono 241

C f. MussNER. La Lettera ai Galati. 590-596. Cf. LoNG ENECKER. Galatians. 252. 243 Cf. BARCLAY. Obeying the Truth, 1 85-186. 244 C f. A. Pn-rA. ( vv. 6.10) rientra fra le tematiche più caratteristiche dell'aretalogia con­ temporanea. Nello stesso tempo continua l'antitesi fra la carne e lo Spirito, conte­ stualizzata nella dinamica della seminagione e della raccolta (v. 8; cf. Gal 5,17-25). Infine, non va dimenticata la prospettiva escatologica sulla raccolta e sul giudizio finale ( vv. 5-10; cf. Gal 5,21 ). Dunque, con Gal 6,1-10 non si perviene a un excursus conclusivo, bensì alla concretizzazione del «frutto dello Spirito» (Gal 5,22) che per­ mette agli «spirituali» di vivere come tali le proprie relazioni comunitarie. La continuità tematica fra Gal 5,16-26 dipende, in definitiva, da quella argo­ mentativa, per cui è necessario riconoscere le connessioni fra la «tesi» o propo­ sitio della sezione (Gal 5,16) e Gal 6, 1-10; senza tale relazione è difficile reperi­ re il filo conduttore di questa rapsodica microunità. Ad esempio, se per Mussner la tematica unitaria della pericope è quella della «vanagloria», per Martin l'ac­ cento è posto sull 'esperienza del peccato nella vita cristiana e per Schlier l'idea unificatrice è reperibile nello spirito di mitezza.255 In realtà, pur riconoscendo l'importanza di queste tematiche, la relazione con la tesi di Gal 5,16 pone in evidenza soprattutto la tematica della vita secon25 2 Cf. MussNER, La Lettera ai Galati, 596. 253 Cf. BARBAGLio, «Alle comunità di Galazia>>, 1 59: A. H. SNYMAN, , in Neot 26( 1 992), 477-478. 254 Cf. anche B ETZ , Galatians, 291 ; BR ucE , The Epistle of Pau/ to the Galatians, 259; Fu N G , The Epistle to the Galatians, 284; MATERA, Galatians, 2 1 2-213; RoHDE, Der Brief des Pau/us an die Galater, 257. 255 Cf. MussNER. La Lettera ai Galati. 596; B. L. MARTIN, Christ an d Law in Pau/, Leiden 1 989, 1 53; SCH­ LIER. Lettera ai Galati. 278-279.

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do lo Spirito: «camminare secondo lo Spirito» significa, in concreto, che gli «spi­ rituali» cerchino di recuperare chi nella comunità (Gal 6,1 ) è caduto e s 'impe­ gnino a seminare secondo lo Spirito e non secondo la carne (Gal 6,8). Natural­ mente va riconosciuta la continua mancanza di connessioni fra le diverse sen­ tenze della pericope, dovuta soprattutto all'origine epistolografica delle sezioni esortative. Questa frammentarietà però non impedisce di identificare nella con­ dotta degli spirituali l'elemento unificante di Gal 6,1- 10. Fratelli, anche se un uomo fosse sorpreso in qualche trasgressione, voi gli spirituali correggetelo con spirito di mitezza, stando attento a te stesso affinché anche tu non sia tentato. Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la Legge di Cristo. Se infatti qualcuno ritiene di essere qualcuno mentre non è nessuno, inganna se stesso. Invece, ciascuno valuti il proprio operato e allora troverà in se stesso soltanto il vanto e non nell'altro; ciascuno, infatti, porterà il proprio fardello.

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2 3 4 5 6

Colui che viene istruito nella parola condivida con chi lo istruisce tutti i suoi beni; 7 non illudetevi, Dio non si lascia ingannare. Infatti ciò che l'uomo avrà seminato questo anche raccoglierà. per la propria carne, 8 Poiché chi semina dalla carne raccoglierà rovina, per lo Spirito, invece chi semina dallo Spirito raccoglierà vita eterna. 9 E non stanchiamoci di fare il bene; infatti se non ci scoraggiamo a suo tempo raccoglieremo. 10 Allora dunque, come abbiamo occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto però verso quelli della famiglia di fede. In questa pericope sono riconoscibili due parti fondamentali: a) vv. 1 -5: gli «spirituali» e la vita comunitaria; b) vv. 6-10: il fondamento escatologico della vita comunitaria.256 La prima parte della pericope è caratterizzata dal «portare i pesi gli uni degli altri» e dal «portare il proprio fardello>>: questo duplice oriz­ zonte è rilevabile per la ripetizione del verbo bastazein nei vv. 2.5. Nella seconda parte del brano subentra la metafora agricola della «seminagione e della raccol­ ta», letta in prospettiva escatologica (vv. 7-9); questo motivo fonda l'esortazione

256

Così anche FuNG, The Epistle to the Galatians, 284.

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paolina alla condivisione con coloro che insegnano nella comunità (v. 6) e quel­ la a operare il bene verso tutti, in particolare verso coloro che condividono la propria fede (v. lO). La tematica del «bene» (= agathos) da condividere e da ope­ rare fa risaltare un'inclusione fra il v. 6 e il v. 10. v. 1 : L'interpellante «fratelli>> introduce la nuova fase dell'esortazione paoli­ na di Gal 5,13-6,10: aveva già aperto altre microunità letterarie di Galati (cf. Gal 1 ,1 1 ; 3,15; 4,12). Il caso che Paolo pone all'attenzione dei suoi destinatari viene introdotto da ean + congiuntivo: sta a indicare più una possibilità per il futuro che riferirsi a una situazione di cui egli stesso è a conoscenza.257 Questo è confermato dal kai che ha valore concessivo, da rendere con «anche>>, così da avere l'espressione: «Se anche . . . ». Il verbo prolambanein, che descrive la situazione ipotizzata, è raro sia nel NT che nella LXX:258 può significare sia «anticipare» che «sorprendere». Nella forma passiva, che s'incontra solo qui per il NT, può essere reso con «essere cir­ cuito» o con «essere sorpreso»; a causa del riferimento alla «trasgressione» è pre­ feribile la seconda ipotesi. Paolo non sembra tanto prendere in considerazione il caso in cui uno viene tentato a commettere una colpa,259 quanto quello di chi è colto in situazione di manchevolezza.260 A prima vista sorprende il caso che Paolo prospetta ai suoi lettori: un com­ ponente della comunità può essere colto in una situazione di peccato. Dunque, coloro che «condividono la stessa fede» in Cristo se da una parte sono guidati dallo Spirito per produrre il suo frutto, dall'altra possono, di fatto, produrre le «Opere della carne»? Tale in congruenza può indurre a considerare in modo meno marcato le opposizioni fra la carne e lo Spirito in Gal 5,16-26. In realtà ci sembra fondamentale distinguere fra «peccato» e «trasgressione» nel pensiero paolina. Il peccato, o hamarthia, è la potenza del vecchio eone, dal quale Cristo stesso ci ha liberati (cf. Gal 1 ,4): una forza che, in definitiva, sovra­ stava e teneva schiavo l'uomo. Invece il paraptoma è l'azione di trasgressione dell'uomo rispetto a un disegno di alleanza con Dio stesso. Questo significa che se in Cristo l'uomo non è più sotto il peccato, si può verificare il caso in cui egli trasgredisca il proprio codice di relazioni con il Signore e con la sua comunità. Con questo non s'intende separare nettamente il peccato dalla trasgressione ma evidenziare che per Paolo, nella vita cristiana, è concepibile una condizione di trasgressione e non di peccato, in quanto quest'ultimo renderebbe vana la stessa morte di Cristo (cf. Gal 2,17).

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Cf. LoNGENECKER. Galatians. 272. Per il NT questo verbo si trova solo in 1 Cor 1 1 ,2 1 ; Mc 1 4,8; per la LXX c f. Sap 1 7 , 1 1 . 1 7. :!.19 Così invece CoRSANI, Lettera ai Galati, 381 . 260 Cf. prolambanein con questa accezione in FLAVIO GIUSEPPE, Guer. 5,79; P. Oxy. 928,8. Così anche BETz. Galatians. 296: DuNN. Galatians. 3 1 9: ScHLIER. Lettera ai Galati. 278. 258

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Per questo nella comunità cristiana, per quanto si sia guidati dallo Spirito, non vanno dimenticate le situazioni di trasgressione o di manchevolezza che sembrano persino porre in discussione l'appartenenza allo Spirito. Tuttavia, in questo caso, Paolo non si preoccupa tanto della situazione nega­ tiva in cui un «uomo» è stato sorpreso, quanto del comportamento che «gli spi­ rituali» devono assumere nei suoi confronti. Per questo egli non specifica nep­ pure la «trasgressione» presa in considerazione, anche se alcuni, in base al con­ testo dei vv. 1 .4, preferiscono riferirsi al peccato di presunzione.26 1 Anche se l'attributo «spirituale» si trova 26xx nel NT, di cui 24xx nell'epi­ stolario paolino, raramente viene riferito a delle persone (cf. l Cor 2,15; 3,1 ; 14,37). Sembra che, scrivendo alla comunità di Corinto, Paolo distingua anzitut­ to i fanciulli dagli «spirituali» nella fede (cf. l Cor 2,15; 3,1 ). Inoltre, nella stessa comunità, vengono distinti i «profeti» dagli «spirituali» (cf. l Cor 14,37). Pertan­ to, l'appellativo «spirituale», anche se non è ironico o sarcastico verso i destina­ tari di Galati, in quanto causato dal «camminare secondo lo Spirito>> (cf. Gal 5,16), non sembra riferirsi a tutti i componenti della comunità ma a coloro che sono pervenuti a un certo livello di maturità cristiana, senza comunque ignorare che gli stessi «fanciulli» della fede sono guidati dallo Spirito per diventare adul­ ti. Dunque Paolo non sembra relazionare gli spirituali ai carnali delle comunità galatiche, come se opponesse lo Spirito alla carne, ma stabilire una relazione fra coloro che continuano a trasgredire e quanti si trovano a un livello superiore del loro cammino di fede. In forza dello Spirito che li definisce come «spirituali», i galati sono invitati a «Correggere chi è caduto con spirito di mitezza». Il verbo katartizein di per sé appartiene al linguaggio medico, avendo come significato basilare quello di «mettere a posto» ad esempio un arto.262 Nel NT questo verbo viene utilizzato in contesti e con significati diversi ! Si trova a proposito dei discepoli che «rassetta­ vano» le reti (cf. Mc 1 ,19; Mt 4,21 ); nell'epistolario paolino katartizein può indi­ care il perfezionamento della propria fede.263 In contesti esortativi, come il nostro, il verbo esprime ciò che in linguaggio morale può significare il rimettere a posto un osso fratturato o il rassettare le reti per il mare: significa porre in discussione il fratello affinché possa camminare correttamente (cf. l Cor 1 , 10). Forse è bene precisare che nella filosofia ellenistica questa funzione veniva spes­ so attribuita allo psicoterapeuta oppure all'educatore.264 Tuttavia, la correzione del fratello non deve essere dettata dalla vanagloria, citata alla conclusione della pericope precedente (Gal 5 ,26) , ma dallo spirito di mitezza. Alcuni considerano l'espressione «spirito di mitezza» come genitivo di

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Così D.B. GARUNGTON, «Burden Bearing and the Recovery of Offending Christians (Galatians 6: 1 -5)», in Trinl 1 2 ( 1 99 1 ) , 1 59. 262 Cf. MussNER, La Lettera ai Galati, 599. 263 Cf. 1Ts 3,10; 2Cor 13,1 1 ; cf. anche Eb 13,2 1 . 264 Cf. PurrA RCO, Cato min. 65,5; EPtiTETO, Diss. 3,20,10; 4.9, 16; LuciANO, Demon. 7 . Così anche BETz, Galatians, 297.

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causa o di origine, riferendo pneuma allo Spirito di Dio: lo stesso Spirito pro­ durrebbe la mitezza necessaria per correggere, in modo efficace, chi trasgredi­ sce.265 Invece sembra più lineare considerare, in questo caso, pneuma riferito allo spirito dell'uomo, al suo animo caratterizzato per la sua mitezza e gentilez­ za e non per la sua superbia (cf. anche 1 Cor 4,2 1 ).266 Quanto viene richiesto ai membri delle comunità paoline non è molto diverso da quanto Gesù stesso invi­ terà ad attuare nei confronti dei «peccatori» della comunità matteana in Mt 18,15-1 8.267 Con un improvviso passaggio dalla seconda persona plurale alla seconda sin­ golare, tipico dello stile diatribico, Paolo personalizza la sua esortazione invitan­ do ogni destinatario a «sorvegliare su se stesso per non essere tentato». In fondo, dalla consapevolezza della propria debolezza, per cui tutti nella comunità posso­ no «essere sorpresi in qualche trasgressione», scaturisce quello «spirito di mitez­ za» che impedisce di trovare motivi di vanto di fronte ai propri fratelli (cf. v. 4 ). L'esortazione paolina a «Stare attenti a se stessi» raccomanda, con linguag­ gio diverso, la massima socratica del «conoscere se stessi», diffusa nella filosofia ellenistica.268 Il verbo skopein è propriamente paolino e lo si riscontra soltanto in contesti esortativi, come nel caso presente.269 Forse è necessario rilevare che in Fil 2,4 lo stesso Paolo sembra esortare a fare proprio il contrario di Gal 6,1b: « . . . senza stare attenti al proprio interesse ma a quello degli altri)). Questa appa­ rente contraddizione non è dovuta all'opposizione fra due principi relazionali, uno incentrato su se stessi e l'altro sul prossimo, ma alla contestualizzazione diversa delle esortazioni paoline; evidentemente, dai relativi modi diversi di per­ severare nel vangelo paolino, gli «spirituali)) della Galazia non erano così forti come quelli della comunità di Filippi. Alla generalità della trasgressione corrisponde quella della tentazione: il verbo peirazein si riferisce a qualsiasi tipo di «trappola)) nella quale si può cade­ re. In base ai paralleli paolini e neotestametari si può riconoscere satana come il soggetto sottinteso della tentazione:270 è lui che tenta, anche se Dio stesso «non ci lascia tentare al di là delle nostre forze)) (cf. 1 Cor 10,13). v. 2 : Collegata in forma asindetica alla precedente esortazione è quella incen­ trata sul «portare i pesi gli uni degli altri)); in tal modo gli «spirituali)) adempi­ ranno, oltre misura, la «Legge di Cristo». Questo verso presenta una difficoltà di

!65

Così CoRSAN I, Lettera ai Galati, 382. Cf. anche BuRTON. A Critica/ and Exegetical Commentary, 328; LoNGENECKER, Galatians, 273; MATERA, Galatians, 213. 267 Cf. anche le analoghe regole comunitarie di Gc 5,1 9-20; l QS 5,24-6, 1 . 268 C f. PLATONE, Fed. 230A; 232D. Cf. anche E PITTETO, Diss. 1 , 1 1 ,20; 1 , 1 8, 1 3 ; 2,5,25; 2 , 1 0,2; 3,5,2; 3.22,75; FI LO NE , Post. 1 74; Her. 22; Som. 1 , 1 9 1 . Sull'importanza di questa massima nell'ellenismo e nel cri­ stianesimo primitivo cf. H.D. B ETz, Hellenismus und Urchristentum, Tiibingen 1 990, I, 92- 1 1 1 , 1 20-1 34, 1 56- 1 72. 269 Cf. 2Cor 4,18; Rm 16,17; Fil 3,17; al di fuori delle lettere paoline compare solo in Le 1 1 ,25. 2 7° Cf. l Ts 3.5; l Cor 7.5; cf. anche Mt 4.1 .3; Mc 1 .1 3 ; Le 4.2. 266

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carattere testuale: diversi codici attestano l'imperativo aoristo anaplérosate271 invece del futuro anaplérosete. 272 Poiché sarebbe stato più semplice omologare questo imperativo ai precedenti, ci sembra che la lezione con il futuro sia quella da preferire, in quanto difficilior. 273 In questo verso di difficile soluzione è l'espressione «la Legge di Cristo»: a quale Legge si riferisce? Com'è possibile una connessione fra la Legge e Cristo se fino a ora, in Galati, Paolo ha opposto la Legge mosaica, con le sue opere, alla fede in Cristo (cf. Gal 2,16; 3,2. 1 3-14)? Per la storia dell'interpretazione di que­ sta espressione paradossale si possono identificare cinque ipotesi fondamentali. a) Buona parte degli studiosi considera la «legge di Cristo» come riferita ai detti di Gesù che fonderebbero lo statuto fondamentale per la legge nuova che si oppone a quella dell' AT.274 Anche se in Gal 6,1 sono riconoscibili degli ele­ menti di connessione con le modalità di correzione citate in Mt 1 8,15-18, queste non sono così rilevanti per Paolo al punto da far pensare ai detti di Gesù come fondativi per la nuova legge. Piuttosto è bene ricordare che Paolo continua a fon­ dare la comunicazione del proprio vangelo sul nomos dell'AT. b) In continuità con l'interpretazione precedente, altri considerano la «legge di Cristo» come consistente nell'esempio di Cristo che, nella sua «Consegna» per noi, ha realizzato la nostra salvezza: l'esplicitazione di tale modello è verificabi­ le soprattutto nell'inno cristologico di Fil 2,5- 1 1 e in Rm 15,2-3. In tal caso lo stes­ so genitivo «legge di Cristo» sarebbe epesegetico, in quanto Cristo stesso rap­ presenterebbe la nuova legge.275 Naturalmente non manca chi unifica queste due prime interpretazioni pensando alle parole e alle azioni di Gesù come fonda­ mento per la nuova legge.2 76 Anche questa interpretazione non trova fondamento nel contesto immedia­ to di Gal 6,2, né a partire dal messaggio di Galati in cui non vi è il minimo accen­ no all'imitazione di Cristo e della sua azione soteriologica. Per questo è necessa­ rio fare ricorso ad altre sue lettere per fondare e sostenere l'ipotesi. Di fatto dif­ ficilmente i galati avrebbero potuto cogliere questa accezione del tutto nuova per il termine nomos riferito, sino a ora, soltanto alla Legge mosaica.

271 2 72 2 73

Cf. S. A. C. D, ljl, 0122, 33, 1 739, 1 88 1 . Cf. B, F, G, 323. A sua volta il P46 riporta il verbo apoplerosete. comunque al futuro. Così anche HoNG, Law in Galatians, 63: LoNGENECKER, Galatians, 275: METZGER, A Textual Com­ mentary on the Greek New Testament, 598; MussNER, La Lettera ai Galati. 601 . 274 Così C.H. D o no , > in Gal 6,1 5 si apre alla . Anche nei confronti della sezione immediata di Gal 5,13-6,10, la pericope di Gal 6,1 1 -18 svolge un ruolo di sintesi. Si è riconosciuta in Gal 5,16 la tesi princi­ pale della sezione, consistente nel «camminare secondo lo Spirito>>: con Gal 6,16 il camminare diventa un «procedere>> ( = stoichein; cf. anche Gal 5 ,25), secondo la regola dell'appartenenza alla «nuova creazione>>. Lo stesso motivo della «carne» ( = sarx ), che ha dominato la paraclesi paoli­ na di Gal 5,13-6,10, viene ripreso in Gal 6, 1 1 -12 con un significativo slittamento da un'accezione negativa della carne, quale motivo di autoesaltazione (v. 1 1 ), a una neutra in cui la stessa carne, ovvero la circoncisione dei galati, diventa per gli agitatori motivo di vanto (v. 12). Nell'identificazione di Gal 6,1 1 -1 8 come perorazione generale della lettera non vanno dimenticate le sue connessioni con le altre sezioni propriamente epi­ stolografiche, come il praescriptum (Gal 1 , 1 -5) e l'esordio apostrofico di Gal 1 ,610: ciò che generalmente viene introdotto in queste sezioni è ricapitolato nel postscriptum di una lettera. Una prima relazione fra queste sezioni è rappresentata dalla prospettiva apocalittica che collega Gal 1 ,4 a Gal 6, 15: alla categoria temporale del «presen­ te secolo malvagio>> (Gal 1 ,4) corrisponde quella spaziale della «crocifissione nei confronti del mondo>> (Gal 6,15). Ancora una volta l'evento che determina il pas­ saggio da un tempo e da un mondo all'altro è quello della croce: su di essa Cri­ sto «ha dato se stesso per i nostri peccati>> (Gal 1 ,4). Questa inclusione epistolografica fra Gal 1 , 1 -5 e Gal 6,1 1 - 1 8 conferma l'im­ portanza che in questa lettera riveste la prospettiva apocalittica paolina: in defi­ nitiva la per autentificare e per richiamare gli elementi principali della stessa lettera.12 Quest'autentificazione dimostra anzitutto che Galati è stata scritta da un segretario o amanuense, di cui non sappiamo nulla: non è il caso di Rm 16,22 in cui Terzio, segretario della lettera, invia i propri saluti alla comunità di Roma. Nell'epistolografia classica il ruolo del segretario era diversificato: andava dallo scrivere una lettera parola per parola, ossia sotto dettatura, all'adattamento di una bozza previa procuratagli dal mittente, alla composizione libera di una lettera della quale gli venivano indicati soltanto l'argomento e i destinatari. A quale di queste modalità si rifacesse la Lettera ai Galati è difficile stabilirlo; comunque, a causa della stretta relazione evidenziata fra il postscriptum e il resto della lettera sembra più confacente una produzione avvenuta sotto dettatura, parola per parola. Dunque Paolo stesso prende in mano lo stilo e si accinge finalmente a scri­ vere di propria mano. Se questa è la genesi epistolografica di Galati vuoi dire che quanto si trova nel postscriptum assume particolare rilevanza per la compren­ sione dell'intera lettera. La pericope si apre con un interpellante idete ( = vedete), con il quale Paolo si propone di captare immediatamente l'attenzione dei destinatari:13 il loro sguardo deve essere concentrato soprattutto sui «grossi caratteri» con i quali egli sottoscrive la lettera. A causa della funzione epistolografica di questa sottoscri­ zione, il verbo egrapsa è «aoristo epistolare», da tradurre con un semplice «scri­ vo»: 14 la sua utilizzazione è dovuta al rapporto fra il momento nel quale i desti­ natari leggono una lettera e quello passato della sua composizione. Segue l'originale espressione «grandi caratteri», 15 riferita alle lettere alfabe­ tiche e non alla lettera nella sua globalità: in tal caso Paolo avrebbe utilizzato il termine epistolè (cf. 1Cor 5,9; 2Cor 3,1-2) e non gramma che, per il NT, soltanto in At 28,21 si riferisce a una missiva.16 L'aggettivo pèlikois (= grandi) non è ripor­ tato da tutti i testimoni: alcuni presentano il sinonimo èlikois 17 oppure il nume­ rale poikilois ( = molte ) 1 8 riferendolo forse all'intera lettera. Anche se pèlikois è raro nel NT, in quanto si trova solo qui e in Eb 7,4, la maggiore attestazione dei

12 Si veda anche la formula protocollare >, in SBFLA 33( 1983), 1 77.

398

Commento

La prima accusa rivolta agli agitatori consiste nel conferire priorità al fare «bella figura nella carne» (v. 12). In tal caso l'espressione en sarki (= nella carne) assume un significato ambivalente: si riferisce sia alla vita secondo la carne, descritta in Gal 5,16-21 ; 6,8, che alla circoncisione per la quale gli agitatori desi­ derano fare bella figura.21 Questa seconda accezione diventa chiara al v. 1 3b. In tal modo, anche se la circoncisione non si identifica con la carne, soprattutto rispetto alla vita morale condotta «Secondo la carne>>, viene, in modo implicito, posta sul suo stesso piano: Paolo sembra dire che farsi circoncidere non significa più vivere secondo lo Spirito ma secondo la carne. Il verbo di questa accusa è ben scelto, anche se è hapax nel NT: euprosopein ( = far bella figura).22 Secondo Paolo agli agitatori non interessa il vangelo né la fede dei galati, ma il poter fare bella figura davanti agli altri. Forse è bene rilevare che, ancora una volta, Paolo lascia nell'ombra sia l'i­ dentità degli agitatori che coloro davanti ai quali intendono far bella figura: si preoccupa più di ciò che vanno propagandando nelle sue comunità che delle loro persone. A causa della bella figura, gli agitatori vogliono costringere i galati a farsi cir­ concidere: il verbo anagkazousin ( = costringono) ha valore de conatu ,D ossia di desiderio, in quanto questa rimane la loro intenzione di fronte alla quale i galati sono invitati a confrontarsi con la propria libertà e responsabilità.24 La seconda accusa rivolta agli agitatori si riferisce al loro rapporto con il cen­ tro del vangelo paolino: la croce di Cristo; essi non vogliono essere perseguitati a causa della croce di Cristo.25 Questa è la vera ragione per la quale essi esorta­ no i galati a farsi circoncidere; un'opzione per la circoncisione o meno dei genti­ li significherebbe, ipso facto, la loro persecuzione. Questo dato risulta prezioso per una certa chiarificazione sull'identità degli agitatori in Galazia: sono giudei che hanno aderito a Cristo, ma non sino al punto da essere disposti a subire persecuzioni a causa della sua croce. Questo elemen­ to conferma l'appartenenza del cristianesimo primitivo al giudaismo del I seco­ lo d.C.: anzi, esso rappresenta una forma dei giudaismi, per la quale Cristo deter­ mina l'evento apocalittico fondamentale che costituisce una «nuova creazione>> (v. 15). In pratica, se la «predicazione della circoncisione» non provoca alcuna

21

C f. anche S cHU ER , Lettera ai Galati, 289; H. WEDER, Das Kreuz bei Pau/us: Ein Versuch iiber den Geschichtsbezug des christlichen nachzudenken, Géittingen 1 981 , 202. 22 C f. l'altra attestazione in P. Teb. 19,12. Nel greco biblico il corrispondente aggettivo euprosopos si trova solo in Gen 12,1 1 , a proposito del bell'aspetto di Sara. 23 Cf. BLAss - DEBRUNNER - REHKOPF, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, 319.2: B u RTON, A Critica/ and Exegetical Commentary, 35 1 ; CoRSANl, Lettera ai Ga/ati, 403; LoNGENECKER, Galatians, 291 ; MATE­ RA, Galatians, 225; MussNER, La Lettera ai Galati, 619; S cHU ER, Lettera ai Galati, 289. 24 In Galati il verbo anagkazein viene utilizzato soltanto per la circoncisione per la «giudaizzazio­ ne» dei gentili: cf. Gal 2,3. 14. 25 Il dativo to stauro è di causa e non di mezzo: la croce di Cristo non rappresenta lo strumento ma la ragione per la quale 'gli stess i agitatori vengono perseguitati. a. anche BETZ, Galatians, 315; F.F. 8RuCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians: A Commentary on the Epistle to the GaiatÌilns, Edinburgh 1980, 269; BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 350; CoRSANI, Lettera ai Galati, 404; MussNER, La Lettera ai Galati, 619.

Gal 6 , 1 1 - 1 8

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persecuzione (cf. Gal 5,1 1 ) , soprattutto nelle correnti zelote del giudaismo,26 quella della «croce di Cristo» determina una persecuzione analoga a quella che Paolo stesso stava realizzando, prima dell'adesione a Cristo, verso la «chiesa di Dio» (cf. Gal l , 13.23; Fil 3,6). La terza querela verso gli agitatori si riferisce alla loro relazione con la Legge. Questo verso presenta una difficoltà di natura testuale: diversi testimoni, anche autorevoli, riportano il perfetto peritetmèmeno P1 invece del presente peri­ temnomenoi. 28 Il perfetto specifica ulteriormente l'identità dei circoncisi: si trat­ terebbe dei giudei in quanto tali, non necessariamente relazionati agli agitatori della Galazia. Poiché Paolo sta elencando le ragioni del biasimo verso gli agita­ tori, è preferibile la lezione con il participio presente, da rendere con «quelli della circoncisione» o con «i circoncisi».29 In tal modo egli definisce gli agitatori a partire dal contenuto centrale della loro predicazione, appunto la circoncisio­ ne, e non dalla croce di Cristo. 30 Circa il contenuto dell'affermazione, alcuni ne estendono la portata sino a pensare che Paolo fondi sull'impossibilità umana di osservare la Legge la stessa abrogazione di quest'ultima. In tal modo Gal 6,13 viene posto accanto a Gal 2,16; 3,10- 1 1 , Rm 2,17; 7,7.31 In realtà, quanto si è già notato a proposito di Gal 2,16 e di Gal 3,10- 1 1 vale per Gal 6,13: Paolo non fonda mai sull'incapacità umana di osservare la Legge la ragione della sua abrogazione. La questione principale in questi testi, per restare a Galati, non consiste nel rapporto fra l'angoscia dell'uomo che si rico­ nosce come trasgressore e la Legge, ma in quello fra Cristo e la Legge, come vie o condizioni per la salvezza. Ancora una volta Paolo non ha bisogno di porre l'uomo con le spalle al muro per esaltare Dio: la Legge può essere utile per colo­ ro che sono in Cristo, a condizione che non costituisca la condizione per entra­ re e rimanere nell'alleanza. Tale concezione non è confermata solo dall'analisi dettagliata di Gal 2,16; 3,10- 1 1 ma dalla stessa funzione di questa accusa verso gli agitatori: non riguar­ da tutti i giudei ma gli agitatori che sulla Legge e non su Cristo fondano le ragio­ ni della propria salvezza. v. 13:

26 Sulle pressioni del movimento degli zeloti in Palestina negli anni 50 d.C. cf. R. JEwErr, , in NTS 1 7 ( 1 970- 1 97 1 ) , 1 98-2 12. 27 Cf. P46, B , L, IJI, 6, 365, 614, Ambrosiaster. 28 Cf. S. A, C, D, K, P, 0278, 33, 8 1 , 104. 29 Cf. anche BETZ, Galatians, 3 1 6; P. BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, Neuchatel 2 1972, 1 29: BuRTON, A Criticai and Exegetical Commentary, 353; CoRSANI, Lettera ai Galati, 405; R Y. K . FuNG, The Epistle to the Galatians, Grand Rapids 1 988, 304; LoNGENECKER, Galatians, 292; B.M. METZGER, A Textual Commentary on the Greek New Testament, London-New York 2 1 994, 598; MussNER, La Lettera ai Galati, 620; ScHLIER, Lettera ai Galati, 290. 30 Cf. anche A . B . Dv Torr, > (cf. Gal 6,1 ), ma alla carne della loro circoncisione. In contrasto con le accuse rivolte agli agitatori, Paolo delinea una breve periautologia, o vanto di sé: è necessario comprendere questa sintesi autobio­ grafica alla luce della periautologia più estesa di Gal 1 ,13-2,2 1 . L'autoelogio comincia i n modo enfatico; lo dimostra l'emoi iniziale: «Per me invece . . . ». Delle precedenti accuse Paolo riprende, per opposizione, la seconda e la quarta: egli non si vanta della circoncisione di coloro che evangelizza, né ha timore delle persecuzioni che possono derivargli dalla croce di Cristo. Al contra­ rio, in modo paradossale, sostiene che per lui non ci sia altro vanto «Se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo». Il rifiuto di ogni altro tipo di vanto viene espresso con la formula me genoito che, nelle altre frequenze paoline, rappre­ senta sempre una risposta immediata a una domanda retorica, secondo lo stile diatribico.33 Il vanto paolina si regge sulla croce del «Signore nostro Gesù Cristo», ossia sull'evento paradossale della crocifissione di Cristo che rappresenta, per coloro che credono in lui, il luogo fondamentale della loro professione di fede. Di fatto, l'espressione «Signore nostro Gesù Cristo»,34 con la variante meno personaliz­ zata «Signore Gesù Cristo»,35 rappresenta, presso le comunità cristiane delle ori­ gini, la principale e forse la più antica professione di fede.36 v.

14:

32 Così anche J.D.G. DuNN. , in La fine del tempo, Brescia 1 974, 285-306. 47 Così A. GJGuou, L'uomo o il creato? Ktisis in s. Paolo. Bologna 1994. Per la storia dell'interpreta­ zione della in Paolo cf. U. MELL, Neue Schopfung. Eine traditionsgeschicht/iche und exegeti­ sche Studie zu einem soteriologischen Grundsatz pau/inischer Theologie ( BZN1W 56), Berlin-New York 1989. 48 Per l'identificazione tra la creazione e l'umanità in Paolo cf. BRu cE , The Epistle of Pau/ to the Galatians, 273; B.D. CHJLTON, «Galatians 6,15: A Cali to Freedom Before God>>, in ET 89( 1 977-1 978), 31 1 313; GrGuou, L'uomo o il creato?, 47.

Gal 6, 1 1 - 1 8

403

tra lascia cadere nel riduzionismo lo stesso concetto di che causa una in Paolo cf. CoRSAN I , Lettera ai Galati, 408; VANNI, «La creazione in Paolo», 322-323. 50 Sull'importanza apocalittica della croce in Galati cf. G. W. HANSEN, «A Paradigm of the Apocaly­ pse: The Gospel in the Light of Epistolary Analysis», in LA. JERVIS - P. RICHARDSON (edd.), Gospel in Pau/. Studies on Corinthians, Galatians and Romans, FS. R.N. Longenecker (JSNT SS 108), Sheffield 1 994, 204. 5 1 Cf. MussNER, La Lettera ai Galati, 623. 52 Nel NT il termine kanon si trova di nuovo solo in 2Cor 10,13.15.16, anche se con significato diver­ so rispetto a quello di Gal 6,16. Per il senso di «regola» o di «norma» cf. Fil 3,16 come lectio varians forse influenzata proprio da Gal 6,16. Cf. anche DEMOSTENE, 18,296; Aristea 2; FLAVIo GiusEPPE, Ant. 10,49; Ap. 2,1 74.

Commento

404

secondo lo Spirito.53 A causa del vocabolario giuridico presente nel v. 16, questo verbo diventa sinonimo di phylassein ( = osservare) del v. 13: all'osservanza della Legge Paolo oppone quella della «nuova creazione», ossia della vita condotta secondo lo Spirito e non secondo la carne. La seconda parte del v. 1 6 contiene una delle espressioni più enigmatiche dell'epistolario paolina: improvvisamente Paolo parla dell'Israele di Dio, senza che questa categoria sia stata introdotta nel corso della lettera. Chi sono coloro che fanno parte dell'Israele di Dio e su chi è indirizzata la benedizione paolina? Anzitutto è bene rilevare l'originalità della sequenza «pace e . . . misericor­ dia>>, quando altrove la misericordia viene citata prima della pace, giacché, da un punto di vista logico, la precede:54 di fatto, non può esserci pace senza misericor­ dia ! Inoltre non solo per l'intromissione del «SU di loro», ma anche per l'assenza di tale coppia nelle grandi lettere paoline è difficile considerare «pace e miseri­ cordia» come un'endiadi, attraverso la quale si esprime un solo concetto. Piuttosto Paolo sembra esprimere una certa gradazione, o climax, retorica: su quanti seguono il canone, appena espresso, augura la pace e soprattutto la mise­ ricordia sull'Israele di Dio. Questa interpretazione permette di motivare la sequenza «pace e misericordia» e non l'inverso: si procede dall'effetto alla causa e non l'inverso. Dunque il secondo kai del v. 16 sembra essere disgiuntivo e non copulativo.55 Di conseguenza Paolo sembra distinguere coloro che seguiranno la sua regola da quanti fanno parte dell'Israele di Dio, ossia fra i giudei e i gentili che condividono l'appartenenza alla «nuova creazione» e Israele. Fermando l'attenzione su «Israele di Dio», l'espressione non solo è unica nel NT ma, in un certo senso, pleonastica: di fatto non esiste Israele che non sia di Dio, che sia minimamente comprensibile al di fuori dell'elezione divina. Lo stes­ so termine Israel non è molto frequente nell'epistolario paolina: su 68xx nel NT, lo si trova 17xx nelle sue lettere, di cui però l l xx nella sezione di Rm 9,1-1 1 ,36, dedicata proprio alla questione di Israele.56 Anche se in 1 Cor 10,18 Paolo distin­ gue un «Israele secondo la carne», non categorizza mai un «Israele secondo lo Spirito», in base al quale si possa pensare alla Chiesa di cui, per la fede in Cristo, entrerebbero a far parte i gentiliY In modo analogo, per quanto in Rm 9,1-1 1 ,36 Paolo cerchi di dimostrare che «non tutti coloro che sono da Israele, questi sono Israele» (Rm 9,6) , non conclu­ de che l'Israele rigettato sia tutto il popolo giudaico, mentre quello eletto sia la Chiesa. Ancora una volta è deleterio proiettare nel I secolo d.C. la netta distin­ zione fra Israele e la Chiesa, al punto che la Chiesa diventerebbe per Paolo il «vero Israele». 58 53

Cf. anche Rm 4,12; Fil 3.16; A t 21 ,24. Cf. lTm 1 .2; 2Tm 1 ,2; 2Gv 3; Gd 2; cf. anche Ger 1 6,5; 1 QS 2,4. 55 Cf. anche CoRSANI, Lettera ai Galati, 410. 5 6 Rm 9.6(bis).27(bis).3 1 ; 10,1 9.2 1 ; 1 1 ,2.7.25; cf. anche 1 Cor 10,18; 2Cor 3.7.13; Ef 2,12; Fil 3,5. 57 Sull'applicazione dell'Israele di Dio ai gentili cf. G. EBELING, La verità dell'evangelo. Commento alla lettera ai Galati, Genova 1 989, 295 . 58 Questo processo di trasferimento avverrà nel II secolo d.C. e non prima. Cf. GiusTINo, Dia/. 1 1 ,5. 54

Gal 6 , 1 1 - 1 8

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In base alle dimostrazioni di Galati, si sarebbe naturalmente indotti a pen­ sare che, poiché i gentili della Galazia, come tutti i gentili che hanno aderito a Cristo, sono «discendenza di Abramo)) (cf. Gal 13,29) e «secondo !sacco)> (cf. Gal 4,28) , a questi si applica il titolo di «Israele di Dio», ora ricompreso alla luce di Cristo «figlio di Abramo» (cf. Gal 3,16).59 In realtà, per quanto i gentili siano «eredi secondo la promessa)) (Gal 3,29), non prendono mai il posto dell'Israele di Dio; semmai su di esso sono «innesta­ ti)), come l'olivastro sulla radice dell'olivo (cf. Rm 1 1 ,16-24). Pertanto sembra che in Gal 6,16 Paolo introduca, senza far emergere ancora delle implicazioni sote­ riologiche, le grandi questioni su Israele che tratterà, in modo più esteso, in Rm 9-1 1 .60 Se questa interpretazione risponde alla teologia di Galati, il terzo kai di Gal 6,16 è copulativo61 e non epesegetico.62 Circa l'origine di questa benedizione, forse non è errato pensare alla XIX benedizione delle Shemoneh esreh: «Vi sia pace, salvezza e benedizione su noi e su tutto Israele, tuo popolo)),63 Il «tutto Israele» di questa benedizione corri­ sponde al «tutto Israele che sarà salvato)) (cf. Rm 1 1 ,26) e all'Israele di Dio della benedizione paolina, non a quanti, pur restando giudei, hanno aderito a Cristo:64 su questi non è necessario invocare questa misericordia, che conclude la Lettera ai Galati come la misericordia che chiude la drammatica dimostrazione di Rm 9-1 1 (cf. 1 1 ,3 1 ) . v. 17: L'epilogo d i Gal 6,12-17 s i chiude quasi i n modo sprezzante: Paolo domanda che nessuno più gli procuri fastidio a causa della sua relazione con Cri­ sto. In questa frase conclusiva è difficile comprendere il significato di tou loipou: è logico, da esprimere con un «per il resto)),65 oppure cronologico,66 nel senso di «d'ora innanzi))? In quanto tale tou loipou per il NT si trova solo qui e in Ef 6,10, dove ha un chiaro valore argomentativo. L'accezione logica sembra essere con-

59 Per l'identificazione dei giudeo-cristiani e degli etnico-cristiani come «Israele di Dio>> cf. G. BAR­ «Alle comunità di Galazia>>, in Le lettere di Paolo, Roma 1 980, Il, 166; J.M.G. BARCLAY, Obeying the Truth. A Study of Pau/ ' Ethics in Galatians, Edinburgh 1 988, 98; BETz, Galatians, 323: N. A. DAHL, , in Judaica 6(1 950), 161 - 1 70; DuNN, Galatians, 346; FuNG, The Epistle to the Galatians, 3 1 1 ; LoNGENECKER, Galatians, 299; MATERA, Galatians, 232; ScHLIER, Lettera ai Galati, 292; F. THIELMAN, «The Law of Moses and the Law of Christ in Galatians», in Pau/ and the Law: A Contextual Approach, Downers Grove 1 994, 138. 60 Così anche MussNER, La Lettera ai Galati, 627; R. PENNA, «Evoluzione dell'atteggiamento di Paolo verso gli ebrei>>, in Io., L'apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, Cinisello Balsamo 1 99 1 , 350-352. 61 Cf. anche ScHLIER, Lettera ai Galati, 293. 62 Così invece E.P. SANDERS, Paolo, la Legge e il popolo giudaico, Brescia 1 989, 281 . 63 Cf. anche BETZ, Galatians, 3 2 1 ; LoNGENECKER, Galatians, 298; MussNER, La Lettera ai Galati, 626. b4 Così invece BuRmN, A Criticai and Exegetical Commentary, 358; G. ScHRENK, «Was bedeutet " lsrael Gottes''», in Judaica 5 ( 1 949), 8 1 -94. 65 Così anche BuscEMI, «Lo sviluppo strutturale e contenutistico», 1 77; LoNGENECKER, Galatians, 299. 66 Cf. anche 1 C or 7,29; 2Tm 4,8; Mt 26,25; Mc 14,4 1 . Così anche BoNNARD, L' Épitre de saint Pau/ aux Galates, 1 3 1 ; B RUCE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 275; B u RTON, A Criticai and Exegetical Com­ mentary, 360; BRucE, The Epistle of Pau/ to the Galatians, 3 1 2; MATERA, Galatians, 227; ScHLIER, Lettera ai Galati. 293 .

BAGLio,

Commento

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fermata dalla presenza di (to) loipon nelle sezioni conclusive dell'epistolario paolino. 67 Tuttavia è bene tener conto di quanto segue per cogliere il significato di que­ sta formula: Paolo sembra chiedere soprattutto di non essere più importunato dai galati né dagli agitatori, poiché la sua esistenza è segnata dalla presenza di Cristo. Per questo ci sembra preferibile l'interpretazione cronologica del v. 17a. Dunque, d'ora innanzi nessuno più gli procuri fastidi: è interessante l'utiliz­ zazione del termine kopos, che può avere sia il significato di «difficoltà», «soffe­ renza», «fastidio>> 68 che di «lavoro», «fatica».69 Di per sé, nelle restanti frequenze dell'epistolario paolino, il kopos corrisponde alla fatica derivante dall'apostola­ to:70 lo stesso Paolo in Gal 4, 1 1 ha espresso la preoccupazione per il proprio lavo­ ro missionario con il verbo kekopiaka ( = mi sono affaticato). Giacché si tratta di qualcosa che gli altri gli procurano, è preferibile il senso di «fastidio» o di «noia». Naturalmente, anche in questo caso, i fastidi sono comunque relazionati all'apostolato paolino che incontra non solo la fatica del­ l'evangelizzazione ma anche gli ostacoli dei destinatari e degli altri evangelizza­ tori. Un gar, con valore causale, introduce la ragione per cui Paolo non desidera essere più importunato: «Porto i segni di Gesù nel mio corpo». Il significato di stigmata è di difficile interpretazione: Paolo si riferisce ai chiodi della croce, impressi sul suo corpo, per la sua crocifissione con Cristo? Oppure il termine assume una portata più ampia, non limitata all'applicazione del vocabolario della crocifissione? Inoltre si tratta di segni reali oppure metaforici per il fatto che, comunque, Paolo non è stato fisicamente crocifisso? Anche se Paolo attribuisce a se stesso, in senso metaforico, la crocifissione di Cristo (cf. Gal 2,19), per cui le stigmata potrebbero essere lette in continuità con tale applicazione, è bene rilevare che «i segni dei chiodi» non vengono mai nel NT indicati come stigmata ma come typon (cf. Gv 20,25).71 Lo stesso termine stig­ ma è hapax legomenon nel NT, come nel greco della LXX, dove compare sol­ tanto in Ct 1 , 1 1 , con il significato di «monile». Tuttavia, a prescindere dal valore più generale del termine, lo stesso riferi­ mento al «corpo» di Paolo impedisce di considerare stigmata come corrispon­ dente dei segni dei chiodi nella crocifissione. Le stigmata di cui parla sembrano qualcosa di reale e di riconoscibile nel «Suo corpo», non la semplice applicazio­ ne di una metafora; per cui, a meno che non si pensi a un fenomeno di vera stig­ matizzazione, come quella di Francesco d'Assisi o di s. Pio da Pietrelcina, non sembra che Paolo sia stato mai stigmatizzato. La stessa storia della pietà popola­ re e l'iconografia non raffigurano mai Paolo con delle stimmate.

67

Cf. l Ts 4, 1 ; 2Ts 3 , 1 ; 2Cor 13,1 1 ; Ef 6, 10; Fil 4,8. Cf. Mt 26,10; Mc 14,6; Le 1 1 ,7; 18.5. 69 Cf. Gv 4,38; Ap 2,2; 1 , 1 3. 7° Cf. lTs 1 ,3; 2,9; 3.5; 2Ts 3,8; l Cor 3,8; 15,38; 2Cor 6,5; 10,15; 1 1 ,23. 7 1 Così anche A.T. HANSON, The Paradox of the Cross in the Thought of St Pau/ (JSNT SS 17), Shef­ field 1 987. 84. 68

Gal 6 , 1 1 - 1 8

407

Dunque, le stigmata di cui parla al v. 1 7 sono dei segni reali, riconoscibili sul suo corpo, e non i segni dei chiodi per una crocifissione mistica. Questa analisi obbliga a considerare le stigmata nel contesto socio-religioso antico: queste erano i segni di appartenenza degli schiavi ai propri padroni e, in particolare, di quanti erano segnati presso i santuari, per formalizzare la propria appartenenza alle divinità e il relativo diritto di inviolabilità.72 Applicando questo linguaggio a se stesso, Paolo si presenta, come all'inizio della lettera, «schiavo di Cristo» (cf. Gal 1 ,10). I segni di questa appartenenza sono le stesse persecuzioni che egli subisce durante le sue fatiche per l'apostola­ to.73 Circa le vessazioni paoline dovute alla predicazione del vangelo, sia gli Atti (cf. le sassate di At 14,19) sia i cataloghi delle avversità, noti anche come «peri­ statici», elencati nell'epistolario paolino/4 offrono delle valide ragioni per pen­ sare che abbiano lasciato dei segni reali sul corpo di Paolo.75 In questa prospet­ tiva, le stimmate di Gesù possono essere relazionate alla «necrosi di Gesù» impressa sul corpo di Paolo (cf. 2Cor 4,10).76 v. 18: Come tutti i postscritti paolini, anche quello di Gal 6,1 1 - 1 8 si conclude con la benedizione indirizzata direttamente ai destinatari della lettera: «La gra­ zia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli; amen». 77 Se posta a confronto con le altre benedizioni protocollari, questa di Galati è molto simile a quella di Fil 4,23 e di Fm 25: solo in queste benedizioni invece del semplice «con voi» compare il «con il vostro spirito». Anche se raro nell'episto­ lario paolino, in questi casi il termine pneuma assume un'accezione antropologi­ ca e non teologica (cf. anche Gal 6,1 ). Invece del tutto originali sono il vocativo «fratelli» e l'amen conclusivo: non si riscontrano in nessun'altra benedizione conclusiva. L'appellativo «fratelli», già utilizzato spesso in Galati, 78 suona come contrasto rispetto alle apostrofi disseminate nelle singole dimostrazioni. Per la comune fede in Cristo essi rimangono «fratelli», nonostante le difficoltà che incontrano rispetto alla fedeltà al vangelo paolino. Per quanto riguarda l'amen conclusivo, pur se attestato in tutti i codici della lettera, alcuni lo considerano

72 Cf. ERoDoTo, 2,1 13; PsE Uoo FocJLIDE 225. Cf. anche il marchio che Tolomeo IV Filopatore faceva imprimere sui giudei, di cui in 3Mac 2,29. Così anche IN-Gvu HoNG, Law in Galatians (JSNT SS 81), Shef­ field 1 993, 67; LoNGENECKER, Galatians, 300. 73 Così anche B ETZ, Galatians, 324; J.A. Po BE E , Persecution and Martyrdom in the Theology of Pau/ (JSNT SS6), Sheffield 1 985, 95-96. 74 Cf. 1 Cor 4,10-13; 2Cor 4,8-12; 6,3-1 0; 1 1 ,23-27; Rm 8,35-39; Fi1 4,1 1 -14. Su questi cataloghi nell'e­ pistolario paolina cf. PllTA, Sinossi paolina, 273-276. 75 Cf. anche 2Cor 1 ,8-9 con la tribolazione subita in Asia, a cui Paolo fa riferimento come esplicita­ zione delle stigmata. Cf. U. BoRsE, , in BZ 1 4( 1 970), 1 1 1 . 76 Cf. anche MATE R A, Galatians, 227; ScHLIER, Lettera ai Galati, 294. 77 Cf. 1Ts 5,28; 2Ts 3,17; 1 Cor 16,23; 2Cor 13,13; Rm 16,20b; Fil 4,23; Fm 25; Col 4,18; Ef 6,24: lTm 6.2 1 : Tt 3,15; 2Tm 4,22; cf. anche le benedizioni conclusive di Eb 13,25; 1 Pt 5,14. Sulle variazioni delle sin­ gole benedizioni nei postscritti paolini cf. P1rrA, Sinossi paolina, 305-315. 78 Cf. Gal 1 . 1 1 : 3.15: 4.1 2.28.3 1 ; 5.1 1 . 13: 6,1.

Commento

408

successivo, inserito ben presto nella stessa lettera a causa dell'utilizzazione litur­ gica presso le comunità cristiane successive. 79 Questa ipotesi non trova alcun riscontro nei dati dell'epistolario paolino, in quanto si dovrebbe verificare anche per altre lettere; invece questo «amen» si trova soltanto in Gal 6,18. Piuttosto è bene evidenziare la dimensione assem­ bleare della Lettera ai Galati, come di ogni lettera paolina, quale prospettiva presente non nella «storia degli effetti» della lettera ma nella sua stessa compo­ sizione. Tutte le comunità della Galazia vengono interpellate da questa audace e incisiva missiva paolina. La presenza dell'amen alla fine dello stesso praescrip­ tum della lettera (cf. Gal 1 ,5) conferma la sua origine paolina e non postpaolina anche per Gal 6,18. Dal punto di vista contenutistico, la benedizione finale è cristologica: la sua grazia sia presente nei destinatari della lettera. Questo rimane un elemento comune a quasi tutte le benedizioni finali di Paolo:80 soltanto la benedizione di 2Cor 13,13 si estende in una prospettiva trinitaria mentre, per inverso, quelle di Col 4,18; 1Tm 6,21 ; Tt 3,15 e 2Tm 4,22 non presentano alcun referente trinitario. Nella Lettera ai Galati l'attribuzione della grazia a Cristo assume particolare rilevanza: è, nello stesso tempo, il dono di Dio, del quale Cristo rimane il conte­ nuto per la salvezza dell'uomo {cf. Gal 1 ,6.15; 2,2 1 ) , e il dono che Cristo ha tra­ smesso mediante il suo amore «per noi» (cf. Gal 2,20). Nell'evento scandaloso della croce la grazia di Dio e quella di Cristo raggiungono tutti gli uomini affin­ ché possano entrare a far parte della «nuova creazione». Pur conservando la natura propria di un postscritto epistolare, Gal 6,1 1-18 rappresenta la sintesi finale della Lettera ai Galati, scritta di propria mano da Paolo stesso. In questo epilogo si assiste da una parte all'ultima invettiva, quella più violenta, nei confronti degli agitatori, e dall'altra all'esemplarità di Paolo che non trova altro motivo di vanto se non «nella croce del Signore nostro Gesù Cri­ sto» (v. 14). Il vangelo paolino di Galati viene sintetizzato, in questa perorazione, mediante la sentenza finale della «nuova creazione» (v. 15) che si pone a un livel­ lo superiore dell'opposizione fra circoncisione e incirconcisione. I destinatari della lettera sono invitati a riprendere il loro percorso di fede interrotto, per breve tempo, dalla propaganda degli agitatori. Con l'originale sintagma «Israele di Dio)) (v. 16) la Lettera ai Galati si chiu­ de come una lettera incompiuta in quanto annuncia, senza spiegare, il «mistero di Israele)) di cui Paolo tratterà, in modo diffuso, in Rm 9,1-1 1 ,36. In tal senso, anche se Galati presenta uno dei contenuti fondamentali del vangelo paolina, ossia la figliolanza in Cristo, rimanda alle altre dimensioni del vangelo che Paolo cerca di dimostrare nel suo restante epistolario, senza la pretesa della comple­ tezza e dell'organicità ma con la franchezza della verità.

79 Rn

Così BETz. Galatians, 325. Cf. anche l Ts 5.28: 2Ts 3.17: l Cor 16.23: Rm 16.20b: Fil 4.23: Fm 25:

Ef

6.24.

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