Lettera agli Ebrei. Nuova versione, introduzione e commento 883152741X, 9788831527415

Non sono pochi gli interrogativi intorno a questo libro biblico che si presenta più come un trattato che non come una le

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Lettera agli Ebrei. Nuova versione, introduzione e commento
 883152741X, 9788831527415

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LETTERA AGLI EBREI nuova versione, introduzione e commento di CESARE MARCHESELLI-CASALE

Per quanto riguarda il Primo Testamento, la Collana segue l'ordine del canone ebraico. I deuterocanonici sono posti alla fine. L'espressione «Primo Testamento» sottolinea la continuità, pur nella diver­ sità, tra i due Testamenti (cfr. Eh 8,7. 1 3): essa accoglie l'esito del dialogo ebraico-cristiano, che ha portato a leggere con sensibilità diversa il rapporto tra antica e nuova alleanza e quello tra i due Testamenti.

PAOLINE Editoriale Libri

© FIGLIE DI SAN PAOLO, 2005 Via Francesco Albani, 21-20149 Milano http://www.paoline.it e-mail: [email protected] Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - l O153 Torino

A monsignor Luigi Belloli, hegoumenos oculato pedagogo e stratega, pellegrino nella fede nel/ '«oggi » umano di Dio.

PREFAZIONE

Dagli studi su Ebrei apparsi in epoca postconciliare, con selezionati riferi­ menti a qualificate opere precedenti, e dalla mia ricerca, emerge la possibilità reale che Ebrei sia un « trattato ai cristiani di origine ebraica ». Ma la parte etni­ cocristiana vi resterebbe non considerata. Da qui la tendenza, motivata, al sotto­ titolo: Trattato ai cristiani di origine ebraica ed etnica ora ellenizzati. È la mia posizione che presento nella Sezione introduttiva. In questo commentario userò con eguale valore le espressioni « Primo Testamento » e « Antico Testamento ». Potranno ricorrere talora le formule « pri­ mo patto » e « prima alleanza ». Esse trovano la loro motivazione primaria in Eb 8,7 e 8,13, in cui l 'autore pone a confronto la « prima alleanza » con la « nuova alleanza ». E ne torna a parlare1 in 9,15 e in 9, 1 7- 1 8. È in tale senso ampio e di­ namico che me ne avvarrò. Il commentario è condotto con il metodo storico-critico nel suo momento più vistoso: la storia della redazione che, in Ebrei, è compatta, organica, articolata e consequenziale. Proprio questa redazione ha richiesto l 'analisi strutturale del do­ cumento, con riferimento alla quale ho svolto la mia indagine. La storia della tra­ dizione occupa un ruolo molto elevato in Ebrei: l ' AT riletto con criteri propri, tra­ dizioni giudaiche, retrofondo alessandrino, eco dal mondo della romanità antica, risonanze dal fascinoso mondo di Qumran e da quello intricato della gnosi, fino al­ l ' ampia attenzione per la Chiesa antica; tutto materiale da indagare in quanto co­ stituisce l 'ambiente in cui Ebrei ha preso corpo. E ciò che più s' impone è il com­ portamento autonomo dell 'autore nei confronti delle fonti, eppure sempre tanto rispettoso della loro storia. Ho conferito particolare spazio alla dimensione esteti­ ca di Ebrei, rilevandola opportunamente, nonché alla sua eccellente retorica2, per

1 Di recente tuttavia, con il suo documento (Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana, LEV, Roma 200 1 , nota 33), la Pontificia Commissione Biblica ritiene non adegua­ ta la dizione Primo Testamento, il cui scopo sarebbe evitare la connotazione negativa che si potreb­ be attribuire ad « Antico Testamento ». In verità, non è questo lo scopo, né si è mai attribuito valore negativo alcuno ad « Antico Testamento >> che è e resta « espressione biblica e tradizionale che non ha in sé alcuna connotazione negativa »; ciò che è antico è ancora più prezioso. Se essa mai ci fosse, andrebbe vista nella formula « Vecchio Testamento ». Che « la Chiesa riconosca pienamente il valo­ re del l ' Antico Testamento », resta del tutto acquisito. 2 Il vocabolario retorico, indicato via via in corsivo (ad esempio: ossimoro, percursio, ellissi, climax, eccetera) è illustrato in ordine alfabetico nel glossario.

8

Prefazione

lo più via via notata ed espressamente considerata nella terza parte: Eb 7, l - l O, I 8. Mi pare di poter dire che Ebrei è retorica dall ' inizio alla fine, momento qualifica­ to di una dinamica struttura letteraria3• Mi è parso anche di aver potuto mostrare come i diversi momenti di analisi producano un risultato armonico; essi non sono « metodi >> a sé stanti e, credo, neppure « approcci »\ ma momenti integranti dell 'unico metodo storico-critico in crescita. È l 'esame analitico e critico della redazione a condurre sui tracciati indicati e su altri. La traduzione riportata in apertura delle varie unità letterarie si fa notare per le particelle del discorso che ne cadenzano la disposizione strutturale. Il loro ruo­ lo narrativo è messo in rilievo da Linda L. Neeley5, in base a un'analisi dettaglia­ ta del discorso letterario di Ebrei. Credo sia un lavoro unico nel suo genere, per ampiezza e completezza: un'analisi di struttura e critica linguistica interne, rigo­ rosamente condotta. Vi si deve accostare G.H. Guthrie6, e non solo. Vi rimando al commento il quale, tuttavia, si muove su parametri metodologici più ampi. Esprimo viva gratitudine a monsignor Armando Rolla, professore ordinario emerito di Antico Testamento, e a don Antonio Pitta, professore ordinario di Nuovo Testamento, attenti lettori e critici osservatori di questo mio lavoro. Un caloroso ringraziamento ai collaboratori tedeschi del decanato di lbbenbiiren, nella Westfalia Renania, a Jiirgen Loska, bibliotecario presso la Theologische FakuWit in Miinster nella Westfalia. Al vescovo di Miinster i.Wf., Reinhard Lettmann, un cordiale Dankeschon. Devo a lui, e in particolare al suo stretto col­ laboratore, Theodor Buckstegen, la possibilità concreta di aver potuto confronta­ re la mia ricerca con componenti la comunità cristiana cattolica e non, presenti sul territorio dove io stesso ho potuto pastoralmente operare. Anche per me un'e­ sperienza dal notevole peso « ecumenico >>. È mia persuasione che un qualificato momento per l 'esegesi del futuro e per il profilo cattolico della Chiesa-popolo di Dio peregrinante nella fede, popolo sacerdotale in peregrinazione sacerdotale, si trovi proprio nel viaggio ecumenico. Ebrei è un documento del NT che ha dovuto e saputo attendere che scoccas­ se la propria ora. Da cenerentola, è oggi al centro di un crescente interesse. Questo mio lavoro ne potrebbe essere un segno. Dopo nove anni di lavoro, l 'af­ fido volentieri alla sensibilità critica del lettore, augurandogli di goderne. CESARE MARCHESELLI-CASALE

3 Chiara posizione in questa direzione in D.F. Watson, Rhetorica/ Criticism ofHebrews and the Catho/ic Epist/es Since 1979, in CRBS 5 ( 1 997) 1 76- 1 77. 4 Qui, in Ebrei e il canone della Scrittura, pp. 727-730, do spiegazione di questa mia posizione. 5 LL. Neeley, A Discourse Ana/ysis of Hebrews, in JOIT 3-4 ( 1 987) 1 - 1 46. 6 G.H. Guthrie, The Structure ofHebrews. A Text-Linguistic Analysis (SNT 73), Leiden - New York 1 994.

ABBREVIAZIONI E SIGLE

l. Letteratura giudaica antica ellenistica e palestinese. Altro 1.1. Qumran

CD lQGnAp lQH lQM lQpHab lQS lQSO 4QDeut 4QFlor 4QMMT 4QSI 4QShirShabb 5Ql 5 J JQT= J J Q19 llQMelch

Documento di Damasco l QApocrifo della Genesi (prima grotta di Qumran) l QHodajot (Inni, prima grotta di Qumran) l QMilhama (Regola della guerra, prima grotta di Qumran) l Qpesher Habacuc (Commento ad Abacuc, prima grotta di Qumran) l QSereq (Regola della comunità, prima grotta di Qumran) l QSerel(' (Regola de/l 'assemblea, prima grotta di Qumran) 4QDeuteronomio (quarta grotta di Qumran) 4QFlorilegium (Florilegio, quarta grotta di Qumran) 4QLettera halakica (quarta grotta di Qumran) 4QStrugnell (Liturgia angelica a Qumran) 4QCanti de/l 'olocausto del sabato (quarta grotta di Qumran) 5Ql 5 (La nuova Gerusalemme, quinta grotta di Qumran) J J QRotolo del tempio (Rotolo del tempio, undicesima grotta di Qumran) l JQumran Melchisedek (undicesima grotta di Qumran)

1.2. Giudaismo palestinese

Mishna 'A bot Berakot Chagiga Sanhedrin Ta 'anit Tamid Joma '

Mishna: insegnamenti (detti) dei padri spirituali di Israele (dal­ l 'ultimo dei profeti al secolo II d. C.). Mishna: Le benedizioni Mishna: L'offerta festiva Mishna: Il sinedrio Mishna: Giorni del digiuno Offerta quotidiana. Esprime il servizio cultuale ininterrotto di Israele a Dio. Mishna: Giorno de/l 'espiazione

Talmud babilonese, palestinese o gerosolimitano e Tosefta b. 'Abot Rabbi Natan

Talmud babilonese: trattato minore (Seder Nezikin)

lO

Abbreviazioni e sigle

b.Baba Batra b.Baba Qamma b.Niddah b.Sukkah b.Yebamot b.Sanhedrin p.Sanhedrin p.Ro 's hassana t.Sanhedrin

Talmud babilonese: L'ultima porta Talmud babilonese: La prima porta Talmud babilonese: La mestruata Talmud babilonese: La festa dei Tabernacoli Talmud babilonese: Le suocere Talmud babilonese: Il sinedrio Talmud palestinese: Il sinedrio Talmud palestinese: Festa del nuovo anno Tosefta: il sinedrio

Midrashim Pesiqtti Rabbati Ampia raccolta di midrash orni/etici festivi e sabbatici Tanchuma Midrash esegetico sul Pentateuco Targum Targum Targum Gb Targum Gdc Targum Pr Targum Sal

Traduzione aramaica della Bibbia (Onkelos = Aquila ?) Traduzione aramaica de/ libro di Giobbe Traduzione aramaica de/ libro dei Giudici Traduzione aramaica de/ libro dei Proverbi Traduzione aramaica de/ libro dei Salmi

1.3. Giudaismo ellenistico

l En Aristea Giub LAB Martis ParJer TDan Test XII Patr TJud TLev VitaProph

Enoch Etiopico (= l Enoch) Lettera di Aristea Libro dei giubilei Libro delle antichità giudaiche (Pseudo-Filone) Martirio di Isaia Paralipomena Jeremiou (Ciò che manca alle parole del profeta Geremia) Testamento di Dan Testamenti dei XIIpatriarchi Testamento di Giuda Testamento di Levi Vita Prophetarum

1.4. Gnosi

CH

Corpus hermeticum (scritti mistici ellenistico-egiziani, secolo I d.C., di Ermete Trismegisto ) Nag Hammadi Codices Nag Hammadi Papiro X .

NHC NH.X Vangelo di Filippo Vangelo della verità

Nag Hammadi (Vangelo gnostico) Nag Hammadi (Vangelo gnostico)

A bbreviazioni e sigle

11

2. Papiri e iscrizioni

CIJ P.OXY P.Hib P.Petr p46

p13

Corpus Inscriptionum Judaicarum Papiro di Ossirinco (= P13) The Hibeh Papyri The Flinders Petri Papyri Papiro Cheaster Beatty (secoli II-III) Papiro di Ossirinco, secoli III-IV, Londra (= P.Oxy 657).

Codici maiuscoli e minuscoli e papiri che riportano l ' intera Bibbia, con omissio­ ni, ed Ebrei a (0 1 ) 148 fogli Sinaitico prima mano, secolo IV. Monastero S. Caterina, SinaiLondra. Contiene anche Lettera di Barnaba e il Pastore di Erma. a2 (O l ) 48 fogli Sinaitico primo correttore, secolo VII. S (0 1 ) 148 fogli Codice Sinaitico, secolo IV. Londra, secondo la sigla in A. Merk. A (02) 1 44 fogli Codice Alessandrino, secolo V. Londra. Contiene tutta la Bibbia e l-2Clemente. B (03) 142 fogli Codice Vaticano. Roma, secolo IV. Attesta Ebrei fino a 9, 1 3 . C (04) 145 fogli Codice di S. Efrem i l Siro riscritto, secolo V, Parigi. D (05) 4 1 5 fogli Codice di Beza Cantabrigense, secolo V. Cambridge. D* (06) 533 fogli Codice Claromontano prima mano, secolo VI. Parigi. D2 533 fogli Codice Claromontano primo correttore. Molto posteriore al secolo VI. H* (0 15) 41 fogli Originale, secolo VI. K (0 1 8) 288 fogli Secolo IX. Mosca. P (025) 327 fogli Codice Porfiriano, secolo IX. Leningrado. Y (044) 26 1 fogli Athos, secolo IX. 1 739 Codice minuscolo, secolo X. Athos. P13 Papiro, secoli III-IV. Londra (= Papiro di Ossirinco 657)1. P46 Papiro Chester Beatty, secoli II-III. Londra.

3. Letteratura classica e cristiana antica

CIL CPS CSEL GCS LCL

Corpus Inscriptionum Latinarum Corona Patrum Salesiana. Serie greca. Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Die Griechischen Christlichen Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte The Loeb Classical Library (Filone di Alessandria, Giuseppe Flavio, classici cristiani e non)

7 È il papiro di Ossirinco 657 (= P1 3), secolo IV. Contiene Eb 2, 1 4-5,5 ; I 0,8 - 1 1 . 1 3; 1 1 ,28 1 2, 1 7. Assieme al codice B, è forse il più importante manoscritto per Ebrei.

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Abbreviazioni e sigle

PTS PG PL SC

Patristische Texte und Studien Migne J.P., Patrologiae graecae cursus completus, Paris 1 857- 1 886. Migne J.P., Patrologiae Latinae cursus completus, Paris 1 844- 1 864. Sources Chrétiènnes, Cerf, Paris.

4. Collane, collezioni, opere

AB ACNT ALBO AnBib ANRW BTN BZNW CADIR CBQ.MS cc

CEB CNT DBS EB EF EKK.NT FRLANT GLAT GLNT HNT JSHRZ JSNT.SS JSOT. SS KEK.NT KNTTM.SB LCL MThSt NIBC NICNT NIGTC NTAbh.NF OTKzNT PFTIM

The Anchor Bible Augsburg Commentary on the New Testament Analecta Lovaniensia Biblica et Orientalia Analecta Biblica Aufstieg und Niedergang der Romischen Welt Biblioteca Teologica Napoletana Beihefte zur Zeitschrift fi.ir die neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde der alteren Kirche. Centre pour l' Analyse du Discours Religieux ( Sémiotique et Bible) Caholic Biblica) Quarterly. Monograph Series The Communicator' s Commentary Commentaire Évangelique de la Bible Commentaire du Nouveau Testament Dictionnaire Biblique Supplement Enchiridion Biblicum, Documenti della Chiesa sulla Sacra Scrittura, edizione bilingue, EDB, Bologna. Ertrage der Forschung Evangelisch- Katholischer Kommentar zum Neuen Testament Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Tetamentes Grande Lessico dell 'Antico Testamento, Paideia, Brescia Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia Handbuch zum Neuen Testament Jiidische Schriften aus hellenistisch-romischer Zeit Joumal for the Study of the New Testament. Supplement Series Joumal for the Study of the O Id Testament. Supplement Seri es Kritisch- Exegetischer Kommentar iiber das Neue Testament H.L. Strack - P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, 6 voli ., Miinchen 1 969. Loeb Classica} Library, Harward University Press, Cambridge­ London (Filone di Alessandria e altri classici). Marburger Theologische Studien, Marburg New Intemational Biblica) Commentary New lntemational Commentary on the New Testament New Intemational Greek Testament Commentary Neutestamentliche Abhandlungen. Neue Forschung Okumenischer Taschenbuch-Kommentar zum Neuen Testament Pontificia Facoltà Teologica dell ' Italia Meridionale =

A bbreviazioni e sigle

SBFAn SBL SBLS.PS se

SNT SNTS SNTS.MS soc

THKNT TNTC TRE TWAT UTB V Sal WBC WBCo WMANT WUNT ZB

13

Studi Biblici Francescani Analecta, Jerusalem Studies in Biblica) Literature Society of Biblica) Literature Seminar. Paper Seri es Sources Chrétiennes, Cerf, Paris Supplements to Novum Testamentum Studiorum Novi Testamenti Societas Society for the New Testament Studies. Monograph Series Scritti delle Origini Cristiane. Bologna. Theologischer Handkommentar zum Neuen Testament Tyndale New Testament Commentaries Theologische Realenzyklopadie, W. De Gruyter, Berlin - New York 1 977. Theologisches Worterbuch zum Alten Testament. Brescia UNI Taschenbuch Verbum Salutis Word Biblica) Commentary Westminster Bible Companion Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament Ziircher Bibelkommentare.

5. Altro

ABU AT BJ

CEI FS KJV

N.-AY NASB NEB NIV NRSV PCB RSV PT TIC TOB

Alleanza Biblica Universale. Il NT: traduzione interconfessio­ nale in lingua corrente, LDC, Torino 1 976. Antico Testamento (o anche PT) Bibbia di Gerusalemme Traduzione Conferenza Episcopale Italiana Ferstschrift, studi in onore di King James Version E. Nestle - K. Aland, Novum Testamentum Graece, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 1 99727• New American Standard Bible New English Bible New Intemational Version New Revised Standard Version Pontificia Commissione Biblica Revised Standard Version Primo Testamento (o anche AT) Traduzione Interconfessionale in lingua Corrente Traduzione Ecumenica della Bibbia

6. Riviste

ActaPatrByz

Acta Patristica et Byzantina

14

Abbreviazioni e sigle

Rivista italiana di egittologia e papirologia Aegyptus Affirmation& Critique A&C AEJTM Anglican Evangelica/ Journalfor Theology and Mission American Journal of Theology AJT A nalecta Cracoviensia: studia philosophico-theologica AnCracov Annua/ of the Japanese Biblica/ AJB Andrews University Seminary Studies AndrUnSS A nnua/ of the Japanese Biblica/ Institute AnJapB AnnalesThCan Anna/es Theologico-cananicae Rocznik Teologiczno-Kanoniczne A nnali di storia del/ 'esegesi ASE Asia Journal of Theology AsiaJT Asia Adventist Seminary Studies AASS Asbury Theological Journal ATJ Bibbia e Oriente BO BibRev Biblica/ Review Bible Bhashyam Bible Bhashyam Biblica/ Theology BibTh BK Bibel und Kirche BLit Bibel und Liturgie BN Biblische Notizen Bobolanum Studia Bobolanum BS Bibliotheca Sacra BT The Bible Translator The Bible Today BToday Bulletin for Biblica/ Research Bul/BibRes BulllnstRejBibSt Bulletin of the Institute for Reformation Biblica/Studies BZ Biblische Zeitschrift CADIR Centre pour l 'analyse du Discourse Religieux (= Sémiotique et Bible) Catholic Biblica/ Quarterly CBQ CGST Journal China Graduate School of Theology Journal Cole T Collectanea Theologica Communio. Commentarli Intemationales de Ecclesia et Theologia. ComSev Sevillia. Communio /IntKathZeit Internationale Katholische Zeitschrift Communio 1/ntCathRev International Catholic Review ConcordJ Concordia Journal ConcordTheolQ Concordia Theological Quarterly Currents in Research Biblica/ Studies CRBS Calvin Theological Journal CTJ Currents in Theology and Mission CurrTM Delt VM Deltion Vivlila5n (Biblila5n) Meleton =

A bbreviazioni e sigle

DetroitBap SemJourn DT DTT EAJTh EcumRev ED EfMex EJ EphThZagabr Ephrem 's ThJ EQ ERT EsprVie EstBib EstFran ETJ ETL ETR ExpTim F&M FgNt Foi et temps Fo/Or Forum Urbis GeistL GOThR GraceTJ HBT HekRev HTR HTS Interpretation IrBSt ITQ JBL JEvTS JLH JN WSL JournHighCrit JOTT JRadRef JRS JSNT

15

Detroit Baptist Seminary Journal Divus Thomas Dansk Teologisk Tidsskrift East Asia Journal of Theology Ecumenica/ Review Euntes Docete Efemerides Mexicanas Evangelica/ Journal Ephemerides Theologicae Zagabrienses Ephrem 's Theological Journal The Evangelica/ Quarterly Evangelica/ Review of Theology Esprit et Vie Estudios Bìblicos Estudios Franciscanos Ephem 's Theological Journal Ephemerides Theologicae Lovanienses Études Théologiques et Religieuses Expository Times Faith and Mission Filologia Neotestamentica Lafoi et le temps, Nouvelle Serie Folia Orientalia Forum Urbis. Roma (Itinerari nascosti di Roma antica) Geist und Leben Greek Orthodox Theological Review Grace Theological Journal Horizons in Biblica/ Theology Heldma Review Harvard Theo/ogical Review Hervormde Teologiese Studies Interpretation. A Journal of Bible and Theology lrish Biblica/ Studies Irish Theological Quarterly Journal ofBiblica/ Literature Journal of the Evangelica/ Theological Society Jahrbuch fiir Liturgik und Hymnologie Journal ofNorthwest Semitic Languages Journal ofHigher Criticism Journal of Translation and Textlinguistics (già OPTAT) A Journal from the Radica/ Reformation. A Testimony of Biblica/ Unitarism Journal ofRoman Studies Journalfor the Study of the New Testament

16

A bbreviazioni e sigle

Journalfor the Study of the O/d Testament Journal of translation and textlinguistics. Nuova sigla per ex JOTT già OPTAT JTS Journal of Theological Studies Kerygma und Dogma KD LTR Lutheran Theological Review Lumière et Vie Lum Vie Luth TJ Lutheran Theological Journal MastSemJourn The Master 's Seminary Journal Mil/St Milltown Studies Modern Churchman ModChm MThZ Miinchener Theologische Zeitschrift NBlackfr New Blackfriars NedTTs Nederlands Theologisch Tijdschrift Nederduits Gereformeerde Teologiese Tydskrif NGTT Notes on Translation NoTr NRT Nouvelle Revue Théologique NTS New Testament Studies cfr. JTrTL OPTA T OTE Old Testament Essays PacificJourn Th Pacific Journal of Theology PRS Perspectives in Religious Studies Presenza Pastorale pp Questiones Liturgiques QLit Quarterly Review for Ministry QRMin Revue Biblique RB Rivista Biblica Italiana RBI Revista Catalana de Teologia RCatT Revue de Qumran RdQ Reformed Theological Review RejTR Revista Biblica (Nueva Epoca) RevBib (NE) Revista de Cultura Biblica RevCuBib Revue de l 'Histoire des Religions RHR Revue de 1 '/nstitute Catholique de Paris RICP RLatA m T Revista Latinoamericana de Teologia Rocznik Teologiczno-Kanoniczne Annles Theologico-canonicae RoczTK La Revue Réformée RRéf RRel Review ofReligions RSB Ricerche storico-bibliche Revue des Sciences Religieuses RScR Rassegna di Teologia RT RThom Revue Thomiste RTL Revue Théologique de Louvain SacDoc Sacra Doctrina Studi Biblici Francescani Liber Annus, Jerusalem SBFLAn JSOT JTrTL

=

A bbreviazioni e sigle

SBET Scottish Bulletin ofEvangelica/ Theo/ogy SeEs Science et Esprit Scripta Hierosol Scripta Hierosolimitana Sacris Erudiri SE SewTR Sewanee Theological Review SJOT Scandinavian Journal ofthe Oid Testament SJTh Scottish Journal of Theology SkrifK.erk Skrif en Kerk SNTU Studien zum Neuen Testament und seiner Umwelt StudPhilonAnn The Studia Philonica Annua/: Studies in Hel/enistic Judaism StudRel Studies in Religion Studia Theologica StTh StudTheo/Vars Studia Theologica Varsaviensia (= STWsz) StulosTheoUourn Stulos Theological Journal STWsz Studia Theologica Varsaviensia SWJT Southwestern Journal of Theology Tantur Yahrbuch TanturYb TDig Theology Digest TEdr The Theological Educator TEvca Theologia Evangelica T&K Texte&Kontexte TG/ Theologie und Glaube ThR Theologische Rundschau TLatAmT Revista Latinoamericana de Teologia TLZ Theologische Literatur Zeitung TorJT Toron to Journal of Theology TPQ Theologisch- Praktische Quartalschrift TQ Theologische Quartalschrift TrierTZ Trier Theologische Zeitschrift TTod Theology Today TyndB Tjmdale Bulletin TZ Theologische Zeitschrift Vox Scripturae Revista teologica brasileira VT Vetus Testamentum VoxScript WLQ Wisconsin Lutheran Quarterly WTJ Westminster Theological Journal W& W Word & World ZA W Zeitschrift jùr die alttestamentliche Wissenschaft ZNW Zeitschriftjùr die neutestamentliche Wissenschaft ZTK Zeitschrift jùr Theologie un d Kirche

l7

Parte prima

SEZIONE INTRODUTTIVA

PROFILO STORICO E LETTERARIO

l. Agli Ebrei: una rivisitazione storica

Isostasi. Ebrei : uno scritto con caratteristiche del tutto particolari nel conte­ nuto, nel linguaggio, nella forma espositiva. L'autore è unico per i molteplici ha­ pax legomena, per l 'attenzione che dà al Gesù storico nonché per il suo sacerdo­ zio unico ed eterno, per la conoscenza della lingua greca ed ebraica, per il molteplice mondo culturale retrostante del quale mostra precise conoscenze, per l 'attenzione che rivolge al lettore giudeo-etnicocristiano, esortandolo a fare sin­ tesi tra annunzio e vita cristiana. Tale scritto è unico, perché presenta elementi unici che lo diversificano anche dal NT. L' impossibile riammissione nella comu­ nità cristiana per chi fosse incorso neli ' apostasia (Eb 6,4-6; l 0,26-3 1 ; 1 2, 1 6- 1 7)? Eppure il sacrificio unico di Gesù il Cristo redime da ogni peccato e una volta per tutte, con un'azione sacerdotale unica proprio perché, paradossalmente, non sa­ cerdotale, « non aronide, né !evitica » (8,4). Ebrei è il solo scritto del NT che si avvale al dettaglio della liturgia giudaica della riconciliazione (Jom KippDr) per presentare la novità unica del sommo sacerdozio di Cristo, egli stesso sacerdote e vittima, ora nel tempio celeste di cui il terrestre è solo umbratile anticipazione; uno scritto che non si lascia incapsulare in un solo genere letterario né inglobare neli ' epistolario paolino. Questi e altri fattori motivano un interesse crescente ver­ so Ebrei in tutta la sua estensione, e non solo nel ben più accessibile Eb I l spes­ so citato, ma non in armonia con l ' intero documento1 • Eppure, e per lungo tempo, un documento così « unico » non ha riscosso la dovuta attenzione: una vera cenerentola nel NT. A motivo dell 'ancor sempre sco­ nosciuta identità del suo autore, della non facile precisa identificazione dei suoi destinatari, Ebrei ha avuto problemi di accettazione fin dalle origini dell 'èra cri­ stiana. Inoltre, in base a l , l 4, 1 3, Ebrei può aver dato l ' impressione di un docu­ mento arido, colmo di ammonizioni, monotono e severo; un maestro che arringa la propria scolaresca in forma predicatoria, si espone a un fallimento sicuro. Ma non è così ! Quello stile ammonitore è improntato ali ' esortazione accorata, di es­ sa l 'autore si avvale onde trasmettere le proprie persuasioni nella fede cristiana che egli stesso, ebreo esperto nella teologia dei padri, ha abbracciato in tutta con­ sapevolezza. A tal fine, egli argomenta di frequente con maestria retorica, vuole persuadere e persuadersi ulteriormente. Da pastore saggio e oculato, egli non po-

1 Cfr. M. E. Isaacs, Why Bother with Hebrews?, in Heithrop Journa/ 43 (2002) 60-72.

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Parte prima. Sezione introduttiva

ne condizioni di obbedienza supina ali 'autorità e di disciplina come valore a sé stante, ma spinge verso l 'autodisciplina nella fede e la piena persuasione in essa, da lui proposta in tutta autorevolezza2• Lo spostamento dal normativo (non deprezzato) al qualitativo (non esaltato) influisce n eli ' esegesi moderna e rende attuale lo scritto anche nella pastorale contemporanea. Ebrei intende incoraggiare cristiani dubbiosi. L'autore infatti scopre una debolezza mortale nella loro fede alle soglie del secolo II. La sua ar­ gomentazione è più decisa e dura di altri autori3 e opera una diagnosi della ma­ lattia in corso: entusiasmo morto. Rinvigorire quell ' entusiasmo della prima ora, ecco quanto lo scrittore pastore si ripropone4• Ebrei è una isostasi nel NT, anche a motivo del messaggio: individuare ciò sempre meglio significa mettere a fuoco la novità e l 'attualità del documento. Essa è emersa soprattutto negli anni Settanta del secolo XX, quando nelle diverse Chiese cristiane ha preso il via la di­ scussione sul sacerdozio e sulle sue funzioni. Il ruolo di Ebrei resta fondamenta­ le se si vuole evitare il rischio di rivestire il sacerdozio cristiano con il modello aronide, basato sulla separazione dagli esseri umani, articolato prevalentemente in funzioni cultuali e (quasi) senza relazione con la Parola. Una ricomprensione ermeneutica del sacerdozio primotestamentario ha permesso ali 'autore di attri­ buire a Gesù il titolo di « sommo sacerdote », solidale con i suoi fratelli e soste­ nuto dalla promessa giurata di Dio, il Padre. Senza Ebrei non avremmo avuto at­ tribuzione sacerdotale alcuna alla persona di Gesù il Cristo5• Eppure, l ' isostasi « Ebrei )) non è stata del tutto tale presso la cristianità dei pri­ mi quattro secoli. Essa si è nutrita dei testi apostolici prima ancora che fossero rite­ nuti « ispirati », dichiarati Scrittura sacra e canonici. Clemente I di Roma (secolo I, terzo papa dal 92 al 1 00), Clemente di Alessandria (ca. 1 50-2 1 1 /2 1 5), Q . S . Tertulliano ( 1 60-222/223), Origene ( 1 85/1 86-254/255), Eusebio d i Cesarea (265340), Atanasio di Alessandria (295-373), Girolamo (ca. 342-4 1 9), mostrano cono­ scenza e considerazione di Ebrei. Dopo una « lunga durata )) di controversie, anche il « trattato )) agli Ebrei è stato accolto. È la sua attribuzione a Paolo ad averne favorito il riconoscimento come scritto ispirato e canonico, a partire dal secolo IV, in Oriente prima, in Occidente poi. Ma, sulla paternità paolina in senso stretto la convergenza è sem­ pre più in declino6• Se ne discute ancora. 2 Si veda C.P. Miirz, Ein AujJenseiter im Neuen Testament. Zur Aktualitiit des Hebriierbriefes, in BK 48 ( 1 993) 1 73- 1 79. 3 È il caso, ad esempio, di Ap 2, 1 - 3,22. 4 Così opportunamente C.P. Miirz, Zur Aktualitiit des Hebriierbriefes, in TQ 1 40 ( 1 992) 1 60- 1 68. 5 In alcun altro documento del NT è infatti applicato a Gesù il titolo di « sommo sacerdote ». Un'operazione coraggiosa, quella di Ebrei, se si considera che Gesù appartiene alla tribù di Giuda e non a quella di Levi; il sacerdozio levitico è trasmesso per generazione; Gesù il Cristo invece ne è investito per elezione del Padre. Egli non si attribuisce il titolo e neppure le funzioni sacerdotali. Inoltre, tra Gesù e la classe sacerdotale giudaica le polemiche sono continue; Gesù non entra mai nel tempio di Gerusalemme per compiervi un sacrificio sacerdotale, al contrario (cfr. Le 1 9,45-46), egli demitizza il tempio (cfr. Gv 2, 1 3-22). Suggerimenti in J.M. Vemet, Cristo, el que abre el camino, in Salesianum 4 7 ( 1 985) 4 1 9-43 1 . 6 Lo sforzo degli studiosi di rilevare affinità di Ebrei con l ' epistolario paolino è sempre in at­ to. Convergenze nel vocabolario e nel pensiero, nella struttura d' insieme e nel modo di esporre (ad

Profilo storico e letterario

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Sul/ 'autore. Chi è? Dov 'è? Ebrei, infatti, non è né può essere un « trattato » autografo. Anche se dai codici più antichi7 esso è inserito neli ' epistolario paoli­ no, di fatto non può essere attribuito a Paolo. Prima che Atanasio di Alessandria compilasse la lista dei ventiquattro libri ca­ nonici del NT, correvano già opinioni differenti circa l 'autore di Ebrei. Del resto, in Eb 2,3b l 'autore stesso non si ritiene apostolo, come accade invece per Paolo. Prima della fine del secolo I, Clemente I di Roma attinge ampiamente a Eb l nel­ la sua Prima lettera ai Corinzi (= l Clemente) 36 (anni 96-98)8, ma non ne cita mai l 'autore, come invece fa per le lettere di Paolo. Ciò permette di ritenere che egli stesso non ne fosse a conoscenza. Che poi lo stesso Clemente possa essere stato l 'autore di Ebrei è opinione già contestata da Origene, debolmente fondata sull 'utilizzo stesso di Eb l in l Clemente 36. Il suggerimento resta peregrino. Quell 'utilizzo può tutt'al più provare che nell 'ultimo quarto del secolo I Ebrei fosse uno scritto noto a Roma e che l Clemente si sia avvalso di un documento già esistente. Canonico o no, esso è ben conosciuto nel secolo 119, è molto autorevo­ le, accolto e apprezzato come scritto edificante. L'attribuzione di Ebrei a Paolo risale per lo meno alla fine del secolo II, nel­ la Chiesa di Alessandria. Secondo Eusebio, lo scritto fu accettato come paolino da Clemente di Alessandria, il quale era convinto che l 'Apostolo lo avesse redat­ to in ebraico per gli ebrei e che l ' assenza del praescriptum e del suo nome fosse intenzionale, onde non alimentare i pregiudizi che gli ebrei nutrivano verso di lui 10, e che Luca lo avesse tradotto in greco1 1 • Da qui la diversità di stile tra Ebrei e Paolo. Il che pone un problema: il traduttore Luca deve essere stato anche un in­ terprete dal peso rilevante se l 'opera in greco che ne risulta è così diversa dali ' e­ pistolario paolino da non essere più attribuibile a Paolo, pur essendone stato que­ sti l 'autore in originale ebraico ! Pista da abbandonare ! esempio, con Colossesi, Filippesi ed Efesini, riferimenti non casuali a Galati e Romani), non sono tuttavia sufficienti a dare fondazione critica a tale paternità. Ne tratto più avanti (pp. 67-69). Cfr. R.E. Glaze Jr., lntroduction to Hebrews, in TEdr 3 1 ( 1 985) 20-37. 7 È il caso di p46 ( Chester Beatty, fine secolo I I - inizio III d.C.) e codici onciali B (Vaticano, secolo IV), S (Sinaitico, secoli IV-V) e A (Alessandrino, secolo V). JH6, dopo Romani, attesta Ebrei che annovera così fra le lettere di Paolo. Ma il codice Muratoriano (ca. 200) ignora Ebrei del tutto. Cfr. qui, inoltre, Ebrei e il canone della Scrittura, pp. 727-730. 8 Si leggano i passi della l Clemente: 36,2 (Eb 1 ,4); 36,3 (Eb 1 ,7); 36,4 (Eb 1 ,5); 36,5 (Eb 1 , 1 3). Analisi letteraria comparata dettagliata e precisa tra l Clemente ed Eb l già in J. Moffatt, A Critica/ and Exegetical Commentary on the Epistle to the Hebrews, T. & T. Clark, Edinburgh 1 952, pp. XIII-XV. 9 Espressamente menzionato in p46 ( Chester Beatty); cfr. Giustino, Dialogus cum Tryphone Judaeo 3 , 1 ; 1 1 ,4, in PG 6,47 1 . Il Pastore di Erma ha molte allusioni; Tertulliano (De poenitentia 2,9, 1 ) mostra di conoscere Eb 6,4-6. 10 Ne informa Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 6, 1 4,2: « La lettera agli Ebrei è di Paolo, sarebbe stata scritta in ebraico per gli ebrei, Luca l 'avrebbe tradotta in greco. Per questo si os­ serva lo stesso stile degli Atti. Nel titolo sarebbe stato omesso "Paolo apostolo" per prudenza verso gli ebrei, sospettosi nei suoi confronti, e inoltre anche per rispetto verso il Signore, e anche perché egli, annunciatore per i greci, ora scriveva in sovrappiù » (la traduzione italiana è mia). Cfr. G. Bardy (ed.), Histoire ecclésiastique 5-7 (SC 4 1 ), Cerf, Paris 1 955, pp. 1 06- 1 07. 11 Riprendendo il suggerimento di Clemente I di Roma, G. Calvino ( Commentarius in episto­ lam ad Hebraeos [T.H.L. Parker, ed.] , Droz, Genève 1 996, p. 1 2) ipotizza proprio Luca autore di Ebrei, a motivo del forbito stile greco. =

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Lo stesso Eusebio pone tutto l 'epistolario paolino dopo « il quadrinomio dei Vangeli e gli Atti degli apostoli »12, includendovi Ebrei. Immediatamente di segui­ to, infatti, lo storico informa sugli scritti « oggetto di contestazione », cioè « non ac­ cettati con consenso comune »13• Fra essi non figura Ebrei. Atanasio di Alessandria attribuisce espressamente a Paolo almeno Eh 1 ,2; 1 , 1 0- 1 2 Sal 1 0 1 ,26-28; Eh 1 3,814 ed Eh 9, 8; 9, 1 3- 1 4 e 1 0,2915• Invece, san Girolamo e Tertulliano avvertono il problema letterario e negano quell 'attribuzione. Il secondo va oltre e attribuisce il documento a Barnaba. Si ha così la posizione occidentale più antica che si conosca sulla paternità esplicita di Ebrei. Tertulliano l ' ascrisse a Barnaba, sia perché la sua lettera (Pseudo-Barnaba) è tanto antigiudaica quanto Ebrei ( ! ) 16, sia perché, più probabilmente, in 1 3 ,22 Ebrei è « parola di esortazione » e At 4,36 informa sulla particolare abilità esortatoria di Barnaba17• Origene accetta la paternità paolina di Ebrei solo nel senso ampio del termi­ ne; egli rileva che a « chiunque sia in grado di notare le differenze di stile » non può sfuggire la diversità degli scrittori: Paolo ha un linguaggio rude (cfr. 2Cor 1 1 ,6), quello di Ebrei è raffinato 18• Origene era convinto che i pensieri di Ebrei fossero di Paolo, mentre « lo stile e la composizione sono di qualcuno che si ri­ chiamava ali ' insegnamento di Paolo ». Chi è questo « qualcuno »? Mentre infor­ ma che alcuni attr ibuiscono Ebrei a Clemente I di Roma, Origene sentenzia: « Solo Dio lo sa » (to men alethes theos ofden)'9• Ed è stato profeta: il problema da lui sollevato permane infatti a tutt'oggi, perché vocabolario, stile, contenuto, si oppongono ali 'attribuzione paolina. L'autore di Ebrei lo si può solo descrivere. Uomo di vasta cultura giudaico-elle­ nistica e profondo conoscitore dell ' AT, egli se ne avvale ampiamente e quasi esclu­ sivamente nella versione dei LXX, con sensibile originalità e disinvolta destrezza20• =

1 2 Cfr. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 3,25,2. Cfr. lbid. 3,25,3. 14 Cfr. Atanasio di Alessandria, Seconda lettera a Serapione 3, 6 , in PG 26,6 1 1 -6 1 4; cfr. anche J. Lebon (ed.), Lettres a Sérapion (SC 1 5), Cerf, Paris 1 947, p. 1 5 1 . 15 Cfr. Atanasio di Alessandria, Prima lettera a Serapione 6, 1 0, in PG 26,547. Cfr. J. Lebon (ed.), Lettres a Sérapion, p. 92. Segnalo la traduzione di E. Cattaneo, Lettere a Serapione (CTP 55), Città Nuova, Roma 1 986. 1 6 Cfr. Tertulliano, De modestia (pudicitia) 20. Un parere, questo, oggi ridimensionato dal me­ todo storico-critico e dai successivi sviluppi. 1 7 D. Daniels (How does the Church re/ate to the New Covenant? Or, Whose New Covenant is /t, anyway?, in F&M 1 6 [ 1 999] 65) precisa lo status quaestionis su Barnaba autore di Ebrei in sette motivi, prelevandoli da W.J. Conybeare - J.S. Howson, The Life and Epistles of Saint Pau/ (Connecticut 1 869), Longman, London 1 869, p. 853. In sé attendibili, quei sette motivi sono di fat­ to discutibili, perché non del tutto controllabili, e ristretto è il loro apporto. 1 8 « Lo stile della lettera manca dell 'asprezza propria del discorso tipica di Paolo (di cui in 2Cor I l ,6), è invece composta in un greco elegante ( . . . ). I pensieri sono del l ' Apostolo, lo stile e la composizione sono di un altro che voleva richiamame alla mente l ' insegnamento. Ma se qualche Chiesa ritiene quest'insegnamento di Paolo, sia raccomandata. Chi abbia scritto la lettera non si sa. C'è chi l 'attribuisce a Clemente vescovo di Roma, chi a Luca >>. Così Origene, in Eusebio, Historia ecclesiastica 6,25, l l . l 3 . 19 Cfr. Origene, i n Eusebio d i Cesarea, Historia ecclesiastica 6,25, 1 4 . 2° Cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes als Schriftausleger, Pustet, Regensburg 1 968, il cui lavoro fino a oggi rimane quello più approfondito e completo; poi R. Fabris, La Lettera u

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Tutto fa pensare che egli conosca bene il suo destinatario, al quale vuole offrire un documento « epidittico », persuasivo e innovatore, eppure ancorato alla più antica tradizione storico-religiosa, fonte della sua fede: la prima alleanza (he prote diatheke, Eb 8, 7 . 1 3b), il primo J6m KippDr. Prendendo da qui le mosse, egli elabora la soteriologia di Dio. Al centro domina la figura del « Figlio » Gesù il Cristo, sacer­ dote perfetto della nuova alleanza. Il suo profilo è tracciato con l 'ausilio della litur­ gia sacrificale dell ' AT (Jom Kippur) e della misteriosa profetica figura di Melchisedek, il re sacerdote del Dio altissimo (Gn 14, 1 7-20). Nuovo sommo sacer­ dote, Gesù compie l 'attesa purificazione-propiziazione, celebrando la liturgia della croce. Questa non ha nulla di sacro per l 'ottica giudaica, essendo la morte di un ma­ ledetto (Gal 3, 1 3- 1 4; anche Gv 1 9,28-37), eppure è il passaggio dali 'antico al nuovo Jom KippDr. Un' operazione ermeneutica coraggiosa: così esposta, essa è solo in Ebrei; è ignota a Paolo e a tutto il NT. Questo autore senza nome, eppure maestro autorevole, teologo e pastore so­ lerte, proveniente dal giudaismo ellenistico e dalla filosofia platonico-alessandri­ na (pur senza dipendeme ), divenuto egli stesso cristiano dotto e convinto21 , ritiene che le comunità destinatarie difettino di adeguata conoscenza in materia di fede: hanno bisogno ancora di latte, non sostengono infatti il cibo solido ( 5 , 1 1 ). Attraverso l 'ascolto della Parola, devono tornare al contatto con Gesù il Figlio, il re, il sacerdote sommo, il mediatore unico. Conoscerlo è già molto, ma la cono­ scenza deve produrre opere di fede e di amore cristiano: dali ' insegnamento alle opere e da esse alla verifica dell ' insegnamento, in un flusso circolare senza sosta. Ai suoi destinatari disorientati l 'autore senza nome consegna un capolavoro lett erario, redatto nel greco forse più elegante dell ' intero NT, e muovendosi tra « anamnesi storica e creatività teologica »22• Non si tratta di una grandiosa ome­ lia, chiusa da un b iglietto finale ( 1 3 ,22-24)23, ma di uno scritto dal genere lettera­ rio polimorfo, i cui aspetti sono finalizzati allo scopo prefisso. Due i punti foca­ li: Cristo, Dio e uomo, superiore agli angeli e solidale con l 'essere umano, perché sommo sacerdote fedele e misericordioso; e l ' impegno del cristiano nella fede, elogiata in Eb 1 1 attraverso una vera e propria galleria di personaggi biblici, pro­ posti come forze trainanti alla comunità destinataria smarrita. agli Ebrei e l 'Antico Testamento, in RB/ 32 ( 1 984) 237-252; infine, R. Kieffer, Une relecture de l 'Ancien Testament, in Lum Vie 43 ( 1 994) 87-98. 21 J. Moffatt (A Critica/ and Exegetical Commentary, p. XXI) riporta, condividendolo, il pare­ re di E. Ménégoz: « Si l 'on pu comparer Saint Paul a Luther, nous comparerions volontiers l'auteur de l ' Épitre aux Hébreux à Mélanchton ». Considerando il mezzo secolo trascorso dal 1 952 a oggi e nel pieno rispetto di ogni fase che il percorso ecumenico richiede, nonché de li ' indubbio potenziale scientifico che J. Moffatt offre nel suo commentario, mi sembra di poter (( oggi » ritenere questi due paralleli del tutto inopportuni e inadeguati. 22 Elabora questo aspetto A. Vanhoye, Anamnèse historique et créativité théologique dans l 'épitre aux Hébreux, in D. Maguerat - J. Zumstein (edd.), Le mémoire et le temps: mélanges offerts à Pierre Benoit, Labor et Fides, Genève 1 99 1 , pp. 2 1 9-23 1 . 23 Così P. Garuti, Alle origini de/l 'orni/etica cristiana. La Lettera agli Ebrei. Note di analisi reto­ rica (SBFAn 38), Franciscan Printing Press, Jerusalem 1 995. La posizione è sostenuta ancora da H. W. Attridge, New Covenant Christology in an Early Christian Homi/y, in QRMin 8 ( 1 988) 89- 1 08; M. Cahiii,A Homefor the Homily: An Approach to Hebrews, in ITQ 60 ( 1 994) 1 4 1 - 1 48; e da J. Swetnam, Christology an d the Eucharist in the Epistle to the Hebrews, in Biblica 70 ( 1 989) 74-95.

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In base agli elementi esposti, non potrebbe essere possibile dare un nome a tanto autore? Certo non Timoteo. Chi lo vedrebbe autore di Ebrei si riporta a 1 3,23 , ove questi è dato per noto ai destinatari. Troppo poco per riconoscergli la paternità di tanto scritto, che invece, per stile e contenuto, sembra proprio non ri­ conducibile al Timoteo delle lettere pastorali, di tutt'altra provenienza culturale. « Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture » (At 1 8,24) ha migliori carte. Ammaestrato da Aquila e Priscilla sulla « via del Signore » (At 1 8,26), « confutava vigorosamente i giudei, dimostrando pubblicamente attr aver­ so le Scritture che Gesù è il Cristo » (At 1 8,28). Ora, il contenuto di Ebrei rispec­ chia non poco la cultura alessandrina. Ne sarebbe valida riprova, fra l 'altro, l 'uso costante del confronto dualista tra le realtà celesti e quelle terrestri, quest'ultime viste come semplice ombra delle prime: un pensiero presente in Platone e Filone di Alessandria. Ebrei conosce e si serve di questo strumento, ma elabora in pro­ prio. Il suo forte interesse storico per l 'opera redentrice di Gesù il Cristo e la sua fedele aderenza ali 'escatologia giudeo-cristiana segnano una netta differenza tra il suo modo di interpretare il compiersi dell ' AT da un lato, e l 'allegorismo filo­ sofico di Filone di Alessandria dali 'altro24• Che questo giudeocristiano ellenista, padrone forbito dei vari artifizi della retorica greco-latina, della speculazione pla­ tonico-filoniana e del metodo esegetico allegorico alessandrino25, e ottimo cono­ scitore dell ' AT sia da identificare con Apollo è opinione di Lutero prima e di al­ tri dopo di lui26• Riconsiderata di recente, la candidatura di Apollo è stata reimmessa nel di­ battito: quanto At 1 8,24 riferisce di lui è troppo poco per riconoscergli la pater­ nità di Ebrei27• Eppure, è proprio l ' autore di Ebrei a mostrare quella competenza: un amico di Paolo, da lui introdotto al lavoro pastorale28, su segnalazione di Aquila e Priscilla, ebreo, conoscitore delle tradizioni giudaiche e, al tempo stes­ so, della novità cristiana, dotato di lucida conflittualità. Di scuola alessandrina,

24 Cfr. R.W. Thurston (Philo and the Epistle to the Hebrews, in EQ 58 [ 1 986] 1 33 - 1 43), che tenta di ridimensionare la posizione di C. Spicq (L'épitre aux Hébreux. 1: lntroduction, Gabalda, Paris 1 952, pp. 39-9 1 ) su Ebrei e Filone di Alessandria: anche se il vocabolario è quello filoniano sul logos (Eb l, 1 -4) , Ebrei ne discute e rinnova il contenuto. Resta, inoltre, difficile provare che l 'auto­ re abbia letto le opere di Filone di Alessandria. Cfr. R. W. Thurston (lbid. 1 36). Più possibilista G.E. Sterling (Ontology versus Eschatology: Tensions between Author and Community in Hebrews, in StudPhilonAnn 13 [200 l ] 209-2 1 1 ) , il quale tuttavia ribadisce la libertà di Ebrei dal filonismo ales­ sandrino. 2 5 Cfr. J. Dillon, Philo and the Greek Tradition ofAllegorica/ Exegesis (SBLS.PS 33), Scholars Press, Atlanta, pp. 69-80: come per Ebrei nei riguardi di Filone di Alessandria, anche per quest' ulti­ mo va detto che si avvale di Platone, ma non ne dipende, anzi, ne sono forti le riserve (cfr. lbid. 79). 26 Ad esempio, H. Montefiore (A Commentary on the Epistle to the Hebrews, Black, London New York 1 964) riserva ampio spazio alla questione (c fr. lbid. pp. 9-28). È più difficile seguirlo quan­ do ipotizza Corinto come Chiesa destinataria ed Efeso come luogo di composizione, tra gli anni 52-54. Ne riesamina la posizione L. D. Hurst (Apollos, Hebrews and Corinth: Bishop Montefiore 's Theory Examined, in SJTh 38 [ 1 985] 505-5 1 3), con apprezzamenti e riserve. 2 7 È la posizione di D.A. Black ( Who Wrote Hebrews? The Internai and External Evidence Reexamined, in F&M 1 8 [200 1 ] 3-26), il quale si pronunzia decisamente per Paolo. 28 Lo attestano i frequenti richiami dell 'Apostolo alla sua persona e le menzioni della sua atti­ vità: At 1 8,24-28; 1 9, 1 -2; I Cor 1 , 1 2; 3,4-6.22; 4,6; 1 6, 1 2; Tt 3 , 1 3 .

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mostra bene di esserne stato discente attento, avendone ereditato lo stile lingui­ stico e la metodologia espositiva delle antitesi, ma nella continuità. Né vi è altro autore nel NT che presenti approfondita competenza giudaica. In tanta nebulosità è forse proprio At 1 8,24 la migliore indicazione. Quel poco che di Apollo vi si di­ ce, trova buon accordo con Ebrei. Da ultimo, il fatto che Apollo si muova nel cir­ colo paolino, fino a essere presentato in attività come discepolo di Paolo (cfr. Tt 3, 1 3), giustificherebbe bene le affinità tra Ebrei e Galati-Romani. Il fatto che di Apollo non ci sia pervenuta attività letteraria alcuna spiega so­ lo un anonimato a favore del maestro ben più autorevole di lui; in quanto disce­ polo di Paolo, la paternità del « trattato », nell 'opinione comune, « è passata dal discepolo al maestro »29• L' ipotesi « Apollo » resta la più attendibile. Nulla in Ebrei la esclude, molto ne potrebbe deporre a favore, ma nulla in modo decisivo30• Ma la questione riesplode: autore di Ebrei è Paolo ! Argomenti : una serie di paralleli linguistici in Ebrei dali ' intero epistolario paolino, comprese le lettere pastorali, sarebbero la prova interna più consistente3 1 • In verità, quei « paralleli » mostrano di essere solo delle equivalenze dovute al normale uso della lingua gre­ ca del secolo I da parte di Paolo e di Ebrei, e sono il risultato di una procedura sta­ tistica, utile, ma neutrale. Esse lasciano insoluto il problema di fondo, circa l 'e­ norme diversità di stile e contenuto. Che Paolo, da autore di Ebrei, vi possa aver trattato con tanta profondità il tema del sommo sacerdozio per il solo fatto di ave­ re avuto sempre interesse al mondo ebraico, anche dopo la grande decisione di specializzarsi nell 'annunzio del vangelo alla gentilità, non sembra argomento sufficiente a giustificare che quel tema e il relativo profilo sacerdotale del Cristo non abbiano trovato la benché minima attenzione nell ' intero epistolario paolino. Del resto, la stessa dichiarazione di Origene, secondo la quale pensieri di Paolo avrebbero incontrato la forbita penna di uno scrittore esperto, « ma Dio solo sa quale », attesta bene che quei pensieri, non presenti nell ' epistolario paolino, ab­ biano avuto non solo una mano diversa, ma anche motivazioni pastorali e un Sitz im Leben differenti; un autore pensatore, dunque, e non solo uno scrittore-ama­ nuense. Il caso analogo di Clemente I di Roma, che cita Ebrei, non è la prova che egli ne sia l ' autore, proprio per l ' enorme differenza di stile tra il suo scritto ed Ebrei. L'autore del « trattato » ai cristiani di origine ebraica ed etnica ora elleniz­ zati è un pensatore « amico di Paolo )), attento a una situazione storica ben d iver­ sa da quella vissuta da Paolo. Il suggerimento di considerare Ebrei come la quinta lettera di Paolo scritta dal­ la prigionia32 (accanto a Efesini, Colossesi, Filippesi e Filemone) è suggestivo, ma

29 Lo rileva bene S. Zedda, Lettera agli Ebrei (NVB 43 ) , San Paolo, Milano 1 989, p. 1 6. Cfr. già C. Spicq, L'Épitre aux Hébreux, Gabalda, Paris 1 977, pp. 25-28: ampio sostegno ad Apollo autore. 30 Si veda G.H. Guthrie, The Casefor Apollos as the Author ofHebrews, in F&M 1 8 (200 1 ) 41 -56. 3 1 È la convinzione di D.A. Black, Who Wrote Hebrews? The Interna/ and External Evidence Reexamined, in F&M 1 8 (200 1 ) 3-26. 3 2 Così C.S. Voulgaris, Hebrews: Pau/ 's Fifth Epistle From Prison (besides Ephesians, Co/ossians, Philippians and Philemon), in GOThR 44 ( 1 999) 1 99-206.

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tutto da provare. L'argomento principale addotto, con lodevole sforzo, tende a por­ re in posizione parallela Eb 1 3 ,23 (Timoteo) con Fil 2, 1 9-24; Fm 22; Ef 6, 1 9-22; Col 4,3-4.7-9. Individuare nella menzione di Timoteo in questi cinque scritti la pro­ va della loro provenienza dallo stesso come autore, oltrepassa di molto le reali pos­ sibilità della medesima, la quale torna a sostegno anche dell 'argomentazione con­ traria: il richiamo di Timoteo nel poscritto di Eb 1 3 ,22-25 ha infatti il solo scopo di dare a Ebrei veste apostolica. Attribuzione a Paolo, sì, ma pseudepigrafa. La proposta che possa trattarsi di Luca non è nuova: la « Lettera agli Ebrei » sarebbe un « sommario » dell 'opera lucana33, la continuazione al discorso di Stefano in At 7, 1 -54, interrotto con violenza dalla morte alla presenza di Saulo34• Temi comuni ad At 6 e a Ebrei (angeli, cieli aperti, il Messia coronato di gloria, ottima conoscenza della tora, il comune riferimento a Es 25,40) potrebbero atte­ stare un'attenzione di Ebrei alla « tradizione di Stefano ». Ma vi sono anche ele­ menti che dissuadono: la considerazione elevata che Stefano mostra di avere per la legge e il tempio, e ancora per la terra come luogo del riposo di/in Dio e poi la scena del Sinai in tutto il suo peso « decisivo », nonché il ruolo altrettanto deter­ minante di Mosè. Sono elementi che Ebrei ridimensiona. Tutt' al più si può parla­ re di punti di contatto. Ma l ' invito di Ebrei a « guardare verso Gesù » ( 1 2,2) rio­ rienta tutto questo materiale. Contatti da esaminare con cautela35• Anche altri argomenti vengono addotti a favore di Luca autore: mentre è pro­ babile che l 'autore di Ebrei sia un ebreo, non è più tanto certo che Luca sia un gentile; Luca poi è amico di Timoteo, citato in Eb 1 3 ,22, e lo è indipendentemen­ te dal circolo paolino, in quanto Ebrei non vi rientra. Inoltre, Luca amanuense di Paolo? Uno scrittore che non ha mai conosciuto direttamente la Palestina, il tem­ pio, le sue usanze? Risultato davvero enorme P6• Luca è greco e non ebreo, con buona pace di chi propone la tesi contraria, ancora tutta da provare37• E poi, come giustificare lo stile? Solo in base a Le l , 1 -4? O ad allusioni, in verità molto relati­ ve, più equivalenze che altro? Corrispondenze linguistiche al dettaglio non rimuo­ vono la radicale diversità di stile e di tematica in Ebrei rispetto a Luca e Atti degli apostoli, il che prova quanto la rilevazione statistica sia uno strumento per il fine, non il fine stesso. Il fatto è che in Ebrei i termini teleiOsis, aphesis, peirazo . . . hanno un Sitz im Leben tutto proprio, sconosciuto sia ali 'opera lucana38• Paolo, 33 Così pensa T. Jelonek, Summarium operum s. Lucae in Epistola ad Hebraeos, in AnCracov 1 3 ( 1 98 1 ) 1 50- 1 5 1 . Ma l 'attendibilità è davvero minima. 34 Così T. Jelonek, Christologia Epistolae ad Hebraeos, in AnCracov 1 7 ( 1 985) 256-257, e Id., De auctore epistolae ad Hebraeos quaestiunculae selectae, in AnCracov 1 8 ( 1 986) 24 1 -243 . 3 5 Prospetta bene lo status quaestionis L.D. Hurst ( The Epistle to the Hebrews. lts Background of Thought [SNTS.MS 65], Cambridge University Press, Cambridge - New York 1 990, pp. 89- 1 06). Questi rileva poi che, dopo il lavoro di W. Manson ( The Epistle to the Hebrews. An Historical and Theological Reconstruction, Hodder & Stoughton, London 1 95 1 ), la ricerca sulla questione attende di essere ripresa. 36 Vi perviene D.L. Allen ( The Lucan Authorship of Hebrews: A Proposal, in JOTT 8 [ 1 996] 1 -22), che riprende e conferma la sua posizione in The Authorship ofHebrews: The Lucan Proposal, in F&M 1 8 (200 1 ) 27-40. 37 Cfr. D.L. Allen, The Lucan Authorship ofHebrews: A Proposal, in JOTT 8 ( 1 996) 37. 3 8 Per telioo rimando qui al commento specifico su Eb 2, l O (pp. 1 62- 1 64) e su Eb 1 2,2 (pp. 547-549); quanto ad aphesis, linguaggio e contenuto sono cari a Luca in ben altri contesti.

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comunque, avrebbe condiviso che quello stile lucano fosse impiegato per redige­ re Ebrei quale « suo » scritto39• Il risultato « Luca autore di Ebrei » mi sembra re­ sti più desiderato che ottenuto40. Nell ' interessante e rispettoso dibattito sulla questione da tempo addormenta­ ta circa l 'autore di Ebrei, accanto a una certa propensione da parte mia a favore di Apollo, resta, come la più sicura, la posizione antica e nuova: l 'autore di Ebrei non è identificabile per nome, lo conosciamo per profilo41 • Come spiegare allora la pa­ ternità paolina? Tutto lascia supporre che, per inserire Ebrei nel canone, si sia at­ tribuito lo scritto a Paolo. Un'operazione pseudonimica e pseudepigrafica, di in­ dole funzionale, che conferma l ' ipotesi origeniana: « Dio solo lo sa »42• Sui destinatari. Chi sono? Dove sono? Un appello alla nazione ebraica? Del tutto inattendibile. Il titolo « agli Ebrei » è infatti più opera degli interpreti che del­ l 'autore. Inoltre, ebrei non cristiani e giudei non sono mai menzionati nello scritto. In due punti, dove avrebbe potuto espressamente farlo, l 'autore omette di chiamar­ li in causa: Gesù ha in comune « la carne e il sangue » con « i figli (di Abramo) » (2, 14) e « si prende cura della stirpe di Abramo » (2, 1 6); egli, « il Signore nostro, è germogliato dalla tribù di Giuda » (7, 1 4). Anche in 1 3 , 1 0 Ebrei evita la menzione esplicita, quando presenta ebrei e giudei non cristiani come « coloro che sono al servizio del tabemacolo »43• La maggiore difficoltà è in Eb 1 3 , 1 9. Chiedendo di pregare per lui (v. 1 8), l 'autore si riferisce a un'assemblea ben precisa: che questa preghi per ottenere che egli le sia restituito al più presto. In Eh 1 3 ,23 vi è un riferi­ mento preciso a Timoteo: è stato rimesso in libertà. L'autore nutre una speranza: « Se arriva presto, vedrò voi insieme con lui ». Chi sono questi « voi »? E « dove » sono? Eb 1 3 ,23 implica un' assemblea e una località. Appello a ebreo-cristiani di una sinagoga in Roma? Si tratta di un gruppo ce­ devole al compromesso. Diventato maggioranza nella sinagoga, proclamava so­ lo le realtà essenziali della fede cristiana, omettendo gli elementi che mettevano in risalto le differenze con ebrei e gentili. Scopo: convivere senza tensioni . Ma ta­ le compromesso era contrario al vangelo. Ne derivava, infatti, uno stato di tiepi­ dezza e di scarso coraggio nella fede. Quel gruppo giustificava la propria posi­ zione con l ' idea di restare nella sinagoga, onde vincerla. Un simile progetto non ottiene pentimento né perdono. Da qui l 'appello ai lettori di Ebrei a distaccarsi da questo gruppo, in tutta coerenza solo con il nuovo. L' ipotesi è poco attendibile. L'autore non lavora per « superare » la sinagoga, bensì per mostrame la continuità e l ' evoluzione nella domus ecclesia. Che poi i componenti di quel gruppo si opponessero anche alla posizione paolina a favore 3 9 Cosa che D.A. Black ( Who Wrote Hebrews ? The Internai and External Evidence Reexamined, in F&M 1 8 [200 1 ] 22) ritiene non improbabile! 40 Questo, nonostante l 'analisi dettagliata condotta da D.L. Allen, la quale ha di certo la sua utilità. 4 1 Così anche di S.J. Kistemaker, The Authorship ofHebrews, in F&M 1 8 (200 1 ) 57-69, qui 67. 42 Cfr., sopra, nota 1 8. Altri suggerimenti intravedono l 'autore di Ebrei in Pietro, Silvano, Filippo, Giuda, Aquila e Priscilla. Per gli ultimi due, già A. Hamack, Probabilia iiber die Adresse und des Verfassers des Hebriierbriefes, in ZNW l ( 1 900) 1 6-4 1 , ridimensionato da W. Wrede, Das literarische Riitsel des Hebriierbriefes (FRLANT 8), Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 906, p. 82. 4 3 Cfr. A. Vanhoye, Les Juifs selon /es Actes des Apotres et /es Épitres du Nouveau Testament, in Biblica 72 ( l 99 1 ) 87-88.

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di gentili è da escludere; in Ebrei non si rilevano elementi di opposizione ai non ebrei né tanto meno a Paolo. Anzi, Ebrei pensa diversamente da Paolo, ma non mancano contatti con il suo pensiero44• Dopo tutto, nell ' ipotesi la più attendibile, scriverebbe loro Apollo (At 1 8,24-28; l Cor 1 , 1 2; 3 ,4-6, eccetera), qualificato ebreo di Alessandria e pastore solerte, dopo l ' incontro con Paolo. Appello a etnicocristiani? A prosèliti in calo di entusiasmo verso la scelta di Cristo?45• Per entrambi i casi, deporrebbero a favore i passi di Eb 3 , 1 2; 6, 1 ; 9, 14. Il richiamo a non allontanarsi dal « Dio vivente >> per fare ritorno al paganesimo con « cuore perverso e senza fede » (3, 1 2); l 'esortazione a non ignorare l ' inse­ gnamento iniziale sulla fede cristiana, piuttosto a riporre in Dio il fondamento della medesima e non nelle opere morte ( 6, l ) e l 'esplicito riferimento ali ' adora­ zione del « Dio vivente » (9, 1 4 ), informerebbero su lettori giunti a Gesù il Cristo dalla gentilità46• Ma, in verità, l ' idea che Ebrei ha del Dio vivente è di Uno che si è manifestato ali 'uomo in « detti e fatti » ali 'epoca del patto antico e attraverso i profeti ( l , l ), ora e definitivamente « nel Figlio >> ( l ,2; 2,3-4 ). Anche se un ritorno a prassi pagane non può essere escluso47, è il riassorbimento in quelle giudaiche a essere temuto come apostasia dal Dio vivente. Inoltre, l ' intento dell 'autore di dimostrare che il culto sacrificai e dell ' AT è ormai obsoleto (8, l 3b) si spiega me­ glio con l ' ipotesi che lo scritto fosse destinato, almeno primariamente, a giudeo­ cristiani. Infine, Ebrei non ha indicazione alcuna su destinatari dalla gentilità i quali, affascinati dalle istituzioni dell ' AT, abbracciata poi la fede nel « Figlio », abbiano risubìto quel fascino, ritrattando la scelta cristiana. Prosèliti in ripensamento? Eppure, Eb 6, 1 -2 offre sei elementi che relativiz­ za e rettifica, perché contrastanti con « l ' insegnamento iniziale su/di Cristo », pre­ cisa l ' autore collegandosi a 2,3-4. È « la grande salvezza >> annunziata dal « Signore (Gesù) » a essere rimessa in discussione. Eb 6,2 ritiene di non doverci tornare sopra; antidoto migliore è ampliare quell ' insegnamento sull ' iniziazione cristiana, perfezionandolo e completandolo. Gli avvisati a non incorrere nella ete­ roprassi giudaizzante sarebbero, a questo punto, proprio i prosèliti. A essi l 'auto­ re ricorda il passo compiuto verso il Cristo. Tornare allo spirito giudaico è torna­ re a una fede in Dio (epi theon), ma senza Gesù il Cristo, senza lo Spirito. Vista così, la questione ha la sua utilità, in quanto quasi senza volerlo, Ebrei offrirebbe in 6, l -2 una sorta di catechismo prosèlita in sei punti, raggruppati in tre binomi (cfr. qui il commento su Eb 6, 1 -2). L' ipotesi si reggerebbe sul fatto che quei sei in­ segnamenti per prosèliti sono di fatto altrettanto validi per i cristiani. Ma a una condizione: vedere il punto dirimente, capirlo e sceglierlo senza compromessi; la 44 Si veda, più avanti, Ebrei e NT, pp. 66-7 1 . Cfr. poi T. Lohmann, Zur Heilsgeschichte des Hebriierbriefes, in Orienta lische Literaturzeitung 79 ( 1 984) 1 1 7- 1 24. 45 Ipotesi già di E.F. Scott ( The Epistle to the Hebrews: Its Doctrine and Significance, T&T Clarck, Edimburgh 1 922- 1 923 ), puntualmente contestata da J. Moffatt (A Criticai and Exegetical Commentary, p. 77). L' interrogativo continua a porsi e trova una soluzione attendibile in un desti­ natario giudeo-etnocristiano. 46 Forse in allusione alla formula paolina: « Vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagl ' ido­ li, per servire al Dio vivo e vero » ( l Ts l ,9). 47 Cfr. G.L. Borchert, A Superior Book: Hebrews, in Review and Expositor 82/3 ( 1 985) 327.

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persona di Gesù il Cristo. Ebrei cioè propone loro un passo in avanti nella fede in Dio, nel Cristo. Se questo passo manca, quegl ' insegnamenti giudaizzanti restano insufficienti e imperfetti, anzi devianti. Allo scopo, enfatizza di proposito il ruo­ lo di Gesù il Cristo, vero scopo di tutto il suo « trattato »48• Se a Eb 3 , 1 ; 6, 1 -2 e 9, 1 4 si dovesse dare credito nel senso su indicato, si po­ trebbe al più ritenere la comunità destinataria primariamente giudeocristiana con componenti dalla gentilità, e con prosèliti divenuti cristiani, ora esposti al rias­ sorbimento nell ' ebraismo. Del resto, supposto che il destinatario di Ebrei sia a Roma e dintorni, è di non poco peso il fatto che in quella città la percentuale dei gentili fosse ben più elevata di quella ebrea. Dunque: comunità giudeo­ (etnico)cristiana. Appello a un gruppo di giudeocristiani ortodossi, forse sacerdoti aronidi di­ venuti cristiani, ora in diaspora? Questi sarebbero nel rischio di tornare ali 'ebrai­ smo e alla sontuosa liturgia del tempio49• Avvertono infatti la mancanza della fede mosaica, dei suoi molti sacrifici cruenti, della solennità del servizio sacer­ dotale, della sontuosità dei paludamenti liturgici. Hanno bisogno di vedere il san­ gue degli animali per avere la certezza della purificazione. L'autore argomenta: nel sacrificio di Cristo l 'espiazione desiderata è donata per sempre. Ma la consa­ pevolezza dell ' infedeltà ali ' alleanza è così radicata, e la purificazione è talmen­ te collegata ali 'offerta dei tanti sacrifici che quell 'unica oblazione incruenta di Cristo sembra non bastare. In esilio, lontani da Gerusalemme, questi ortodossi avvertono la nostalgia del tempio (ormai distrutto) e tentano di attuare in diaspo­ ra ciò che avrebbero potuto fare in esso: celebrare l 'antico culto sacrificate per la riconciliazione con il Dio dell 'alleanza. L'autore vi si riferirebbe in Eb 1 3 , 1 0: « Noi abbiamo un altare al quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che sono al servizio del tabernacolo »50• Quei sacerdoti aronidi-cristiani non rinunzia­ no alla celebrazione del nuovo patto « nel sangue di Cristo », ma tentano di con­ vivere con esso celebrando anche il sacrificio antico. Ma ciò non va, perché il sa­ crificio antico ha ormai espletato tutte le sue carte. Il suggerimento è suggestivo, ma probabilmente debole. Ebrei non lascia mai intendere che sacerdoti dell 'antica legge siano acceduti ali 'altare di Cristo. I destinatari sono dunque una comunità giudeo-etnicocristiana, o anche più di una. È il dato più realistico. Appello a giudeo-(etnico)cristiani (non solo prosèliti) sul punto di smentire la loro chiamata alla fede in Cristo? È la mia posizione. Essi non erano in perico­ lo di vita, ma correvano il rischio di velare la loro fede cristiana con un ritorno al 48 Cfr. J.P. Del Ville, L'épitre aux Hébreux à la lumière du prosélytisme juif, in RCatT I O ( 1 985) 368. 49 Così C. Gianotto, Melchisedech e la sua tipologia. Tradizioni giudaiche cristiane e gnostiche (Il sec. a. C. lil d. C.), Paideia, Brescia 1 984. Riferimento base: Eb 1 3, 1 0 e ivi la voce verbale la­ treuontes. In verità, latreuo indica non solo il servizio sacerdotale, ma anche il più generico culto dei fe­ deli e del loro comune sacerdozio. Così Eb 9, 1 4 e 1 0,2. Ne tratto nel Messaggio teologico, pp. 7 1 2-7 16. 5° Cioè nel tempio? Ciò permetterebbe di datare Ebrei a prima della distruzione del medesimo. Ma il riferimento può essere anche alle riunioni sinagogali festive, per sottolineare il collegamento con il tempio di Gerusalemme, già distrutto. -

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giudaismo, perdendo di vista l 'orizzonte escatologico; stavano per arretrare dagli impegni della loro chiamata. Liberati dal vincolo di una legge incapace di redi­ mere, essi sono incerti sul loro destino in Dio e vivono un cristianesimo elemen­ tare (5, I l - 6,3). Questi devono rivisitare la loro chiamata e riscegliere la scelta già fatta5 1 • Questo punto di vista riscuote un certo interesse: riconosce la realtà del popolo ebraico, in cammino verso Canaan (Eb 3-4); ciò ha però senso se i de­ stinatari si muoveranno in avanti, entusiasti del futuro che li attende, e non no­ stalgici di un passato invecchiato. Si possono ritenere le due motivazioni di fondo egualmente presenti: l ) pressati e vessati da un clima politico loro non favorevole, da Claudio a Domiziano (dal 4 1 al 96), e da quest'ultimo particolarmente avversati, i giudeo­ etnicocristiani, destinatari del « trattato », demordono da una fede che li espone tanto, senza proteggerli; 2) la liturgia ebraica della riconciliazione al tempio (Jom KippDr), poi, sembra loro più operativa, se non altro perché visibile nel sangue sacrificate che scorre e nella solennità della liturgia, presieduta dal sommo sacer­ dote. La nuova celebrazione della pasqua cristiana (« Noi abbiamo un altare . . . », Eb 1 3 , 1 0, con allusione vaga al pane e al vino) è ben poca cosa, se raffrontata a tanta sfarzosità! Tutto sommato, non si tardi a rientrare nel lido ben più sicuro della realtà giudaica, ormai, dopo la morte violenta di Claudio (anno 54), legal­ mente riconosciuta. Ebbene, questi giudeo-etnicocristiani, tentennanti, avevano bisogno di un incoraggiamento scritto, onde ricuperare il gusto della loro scelta. Questa posizione tiene conto dei diversi impulsi dello scritto e, mi sembra, renda loro ragione. Approfondiamone in breve la situazione. Quella comunità è « ora » desolata. Vicende esterne, per lo più politiche, ma anche interne (Eb 1 3 ,9), culturali e religiose, la stanno esponendo al collasso nel­ la fede. Essa sta rinunziando al nuovo e sta indietreggiando ( l 0,39a) dal Cristo. Tornare alle opere di carità nella fede è rinascita ( 1 2,4- 1 3) e, ancora prima, lo è approfondire la fede attraverso la partecipazione frequente alla celebrazione pa­ squale (Eb l 0,25a). Più che cedere alla pressione esterna, la comunità colga, per­ ciò, la « propizia » occasione per coordinarsi e cementarsi. E non dimentichi ( 1 0,32) quel suo passato cristiano già così fecondo ( 1 3 , 1 -9) né quella sua opzio­ ne fondamentale tanto entusiasta. Con le difficoltà ci si confronti, nella solida­ rietà in lui, solidale ( 4, 1 4- 1 5), si migliori la propria autoconsapevolezza speri­ mentando la fede con l 'ausilio di una guida. E l 'autore lo è e di livello52• Non meno deleterie potrebbero rivelarsi le pressioni esterne. Il peso estremo che il mondo visibile esercita sulla comunità ne sminuisce di fatto l 'attenzione ai valori del mondo invisibile e ne riduce l 'efficacia. Pregare per una vita tranquil­ la, priva di contrasti, gradita a Dio? (Cfr. l Tm 2,2). Eppure, proprio quella tran­ quillità sarebbe diventata sinonimo di benessere inquinante, una malattia morta5 1 Cfr. W. Nei!, The Epistle to the Hebrews, SCM Press, London 1 955, p. 2 1 . Ma la filologia non basta. 5 2 Attento a questo aspetto del profilo del l 'autore di Ebrei è L Havener (A Concerned Pastor, in BToday 24 [ 1 986] 223 ss.). Nella sua essenzialità non scientifica, il breve studio centra un punto di valore.

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l e per tutti gli aspetti della vita cristiana, fino a colpirne i l cuore: la verità storica di Gesù il « Figlio ». Comunque siano andate le cose, va ricordato che da Claudio a Domiziano la situazione politica non è stata tranquilla53 e l Tm 2,2 dovrebbe appunto riflettere la medesima. Dunque, un appello a giudeo-etnicocristiani ora ellenizzati, a una di quelle nu­ merose ecclesiae domus a cui l 'autore era agganciato. Allontanatosene per motivi non noti, desideroso di tomarvi al più presto, avverte il bisogno di inviare loro un suo scritto (Eb 1 3,23-24). Di questa comunità l 'autore fa parte, assieme ai suoi de­ stinatari non neofiti: erano infatti già stati evangelizzati, e con essi l 'autore stesso, da alcuni dei discepoli del « Signore Gesù » (Eb 2,3-4). Le esortazioni a guardarsi dal rischio di abbandonare la fede cristiana e le molteplici dimostrazioni che il pat­ to antico ha il suo naturale sviluppo nel nuovo, ne sono motivi validi54. Dove sono? Dov ' è questo gruppo sparuto di giudeo-(etnico)cristiani, no­ stalgici dell 'ebraismo? Il collegamento con Roma in Eb 1 3,24b, in cui « Italia » sta per « Roma »55, fa propendere per una comunità romana. Il fatto che questa città non sia espressa­ mente menzionata in Ebrei non dovrebbe costituire una difficoltà, proprio in for­ za dell 'equivalenza Italia = Roma. Aquila e Priscilla, giunti a Corinto dali ' Italia (= Roma) nel 49, a seguito dell 'editto di Claudio, e di nuovo a Roma dopo il 54, morto Claudio e decadutone l 'editto, fanno pensare a un loro gruppo in quella città, « la comunità che si riunisce nella loro casa » (Rm 1 6,3a.5a}56, forse anche al­ la stessa sinagoga di Roma. Ma quale, dal momento che ve ne erano almeno undi­ ci57? E poi a Roma sono numerosi anche i gentili, e più degli ebrei58. Dunque, de­ stinatari ebreo-etnicocristiani ben preparati in materia di fede e storia biblica? 53 Sulla situazione storico-religiosa della cristianità del secolo I a Roma, cfr. W. L. Lane, Social Perspectives on Roman Christianity during the Formative Years from Nero to Nerva: Romans, Hebrews, 1 Clement, in K.P. Donfried - P. Richardson (edd.), Judaism and Christianity in First­ Century Rome, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) - Cambridge (UK) 1 998, pp. 2 1 4-224. 54 Nel suo insieme, il lavoro di W.L. Lane, Hebrews. A Cali to Commitment, Hendrickson, Peabody (Massachuset) 1 988, è un' ampia introduzione ai suoi stessi due volumi su Eb 1 -8 e 9- 1 3 . W.L. Lane vi vede un appello a destinatari che stanno per cedere. Questo aspetto, che è un po' il cli­ ma di tutto il « trattato », non ne è il tema principale. 55 In base ad At 1 8,2: « . . . Aquila, appena giunto dali 'Italia, e Priscilla sua moglie, a seguito dell 'editto di Claudio agli ebrei, di abbandonare Roma . . . ». Vedi qui commento a Eb 1 3 ,24b. 56 In proposito, vedi C. Marcheselli-Casale, Uno spaccato originale nella Chiesa delle origini (Rm 16, 1-2. 3-1 6), in V. Scippa (ed.), La Lettera ai Romani. Esegesi e Teologia (BTN 24), PFTIM, Napoli 2003, pp. 1 1 1 - 1 36, qui pp. 1 34- 1 3 5. 57 Si dovrebbe trattare delle proseuchai, di cui scrive Filone di Alessandria, De legatione ad Gaium 23, 1 52. 1 55- 1 56 (in Opera omnia [F. H. Colson, ed.], [LCL ], Harward University Press, Cambridge-London 1969). Egli informa su una folta presenza di ebrei a Roma; molti di essi d'origine romana, emancipati; al­ tri, portati a Roma come schiavi; gli uni e gli altri rispettosi delle proprie leggi religiose e di quelle di Cesare. Abitavano « sull 'altra sponda del Tevere », lì avevano le loro proseuchai (= meeting houses) (lbid. 23, 1 52). Un epitaffio presso la porta Septimiana di un dis archon farebbe pensare a una delle sinagoghe nominate da Filone di Alessandria, una proseucha nel Transtiberim, presso l ' agger. Sulle comunità ebraiche a Roma, tra il secolo II a C. e il I d.C., cfr. G. De Spirito, Synagogae, in E.M. Steinby (ed.), Lexicon Topographicum Urbis Romae, vol. IV, Quasar, Roma 1 999. Si veda ancora il recente contributo di G. Arciprete, Storia di una comunità antichissima. Le orme degli Ebrei a Roma, in Forum Urbis 8 (2003) 14-22. 5 8 Sulla possibilità che le ecc/esiae domus di Rm 1 6 rispecchino una situazione socioreligiosa etnogiudeo-cristiana, vedi C. Marcheselli-Casale, Uno spaccato originale nella Chiesa delle origi-

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Se poi si dovesse considerare la diaspora ebraica nell 'area del Mediterraneo, i destinatari non sarebbero a Roma. Lo confermerebbero l 'espulsione degli ebrei da Roma (anno 49) e l 'opposizione ai cristiani nel 62-64 da parte di Nerone, a motivo dell ' incendio della città, e in particolare di Domiziano (94-96). Eppure, morto Claudio, il suo editto, per sé già molto blando59, decade del tutto; Nerone non sembra essere il persecutore della fede cristiana, ma solo il giudice di quei cristiani ispirati al movimento apocalittico (Ap 1 4,9- 1 O e 1 5 ,2) di purificazione del mondo « nel fuoco », i quali potrebbero avere incendiato Roma60• Le allusioni al periodo di Claudio, Nerone e Domiziano (anni 4 1 -96) lasce­ rebbero, invece, optare per ebrei e gentili ellenizzati, che hanno accolto il cristia­ nesimo e vivono a Roma e/o circondario. Essi non avvertono di essere esposti a un minaccioso rischio di apostasia, ma se ne rendono conto le guide della/e co­ munità e in particolare l 'autore di Ebrei. Dunque, quella/e comunità prendano at­ to che il culto antico è ormai « obsoleto » (8, 1 3b) e che il nuovo è subentrato. Nella « nostra assemblea » ( l 0,25a) si ricomponga il dissidio tra gruppi di diver­ so pensiero: giudeo-etnicocristiani che tentano di coordinare l 'antico e il nuovo, da un lato; dali 'altro, quanti, da cristiani rigoristi, accettano solo il nuovo patto, il nuovo e unico sommo sacerdote. Salvo questo punto fermo, si faccia poi vale­ re la tesi del compromesso fecondo, nella continuità tra i due patti. Del resto, non si nutre la comunità cristiana ancora oggi di AT? È dunque a Roma città e/o din­ torni che va situata la presenza dei destinatari. Certo non a Gerusalemme. La città è, infatti, chiamata in causa da Ebrei per dire che Melchisedek è re di Salem; lo è attraverso l ' immagine della tenda nel de­ serto per la forte allusione allo Jom KippCJr che accompagna lo scritto e per pro­ spettare la città futura, la celeste Gerusalemme. Come luogo « residenziale », Gerusalemme non è mai menzionata in Ebrei. Tuttavia, se Eb l 0,25b (« Voi in­ fatti ben vedete come il giorno si avvicina ») dovesse essere il riflesso di elemen­ ti premonitori del grande disastro nazionale del 69-70, sotto Tito e Vespasiano, dovremmo ritenere due cose: la « Lettera agli Ebrei » è indirizzata ali ' etnia giu­ daica ed è redatta prima di quel disastro61 • Forse in Alessandria? Lo farebbero pensare l Clemente 36, i l dualismo filo­ sofico in più di un punto di Ebrei e l ' eventuale provenienza dell ' autore dallo stesso circolo in cui è stato redatto il libro della Sapienza. Riprendo la questione più avanti. Se poi Apollo di Alessandria fosse l 'autore di Ebrei, tale suggerimen­ to potrebbe diventare più attendibile.

ni (Rm 16, 1-2.3-16), in V. Scippa (ed.), La Lettera ai Romani. Esegesi e Teologia, p. 1 1 6 e nota 2 1 ; p. 1 35. 5 9 Pur prevedendo l 'espulsione, richiese di fatto quasi esclusivamente il divieto di assemblea. Cfr. Dione Cassio, Storia romana 60,6 (G. Norcio [ed.], Dione Cassio, Storia romana, voli. I-IV, BUR, Rizzoli, Milano 1 995). 6° Cfr. la posizione critica assunta da M . Ranieri Panetta, Nerone. Il principe rosso, Mondadori, Milano 1 999, pp. 58-68. Per un parere critico alternativo, cfr. G. Jossa, l cristiani e l 'im­ pero romano, D' Auria, Napoli 1 99 1 , pp. 58-60. 6 1 È quanto, credo, si debba dedurre dalla posizione di A. Vanhoye, La lettre aux Hébreux. Jésus-Christ, médiateur d 'une nouvelle alliance, Desclée, Paris 2002, pp. 1 86- 1 87.

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Ma l 'opzione Roma e/o dintorni sembra avere maggiori probabilità: in Eb 13,24b, da fuori Italia (= Roma) l 'autore invia alla comunità giudeo-etnicocristia­ na (domus ecc/esia) in o nelle vicinanze dell ' Italia-Roma il suo scritto con i saluti di quei « fratelli di/da (apo) Italia » che sono in quel momento con lui, forse ad Alessandria. Venuti a lui dali 'Italia-Roma o già da essa lontani a motivo dell 'edit­ to di Claudio, essi lo hanno informato di quanto in Italia-Roma sta accadendo: ri­ lassamento, timori, disorientamento, nostalgie. Potrebbe essere questo il modo più semplice di leggere Eb 1 3,24b e per diversi motivi: le allusioni di 6, l O- I l alla ge­ nerosità cristiana della comunità sono in buona sintonia con la situazione non fa­ vorevole della cristianità in Roma, come a noi nota da Ignazio di Antiochia (Ai Romani) e da Dionisio di Corinto62; Eb l 0,32-34 riferisce di sofferenze subite dai destinatari: esse si situano bene nell 'epoca di Claudio e del suo editto di espulsio­ ne degli ebrei. Affronti vari (vv. 32-33) e in particolare l 'esproprio dei beni privati (v. 34) erano cose normali in occasione di un simile provvedimento. Ma Eb 1 0,32-34 può riferirsi anche a quei giudeo-etnicocristiani che navigano in acque non tranquille sotto Nerone (54-68) e ancor più sotto Domiziano (85-96); Eb 1 3,7. 1 7 .24 parla di hegoumenoi (guide). Questo termine torna in forma plenio­ re (prohegoumenoi) in J C/emente 1 ,23; 2 1 ,6; 37,2; in Pastore di Erma. Visioni 2,2,6; 3,9,7, cioè in Chiese associate a quella di Roma. In l Clemente 36, 1 -6 ha un diretto collegamento con Ebrei: prova abbastanza sicura della circolazione di Ebrei nelle Chiese di Roma, forse tra Pozzuoli e Roma63 e/o dintorni64; Ebrei attesta an­ che una situazione nuova: un'altra crisi pone i destinatari dello scritto di fronte a una più intensa e cruciale sofferenza, rispetto a quelle subite sotto Claudio e Nerone (in 5,2: « Coloro che sono nell ' ignoranza e nello smarrimento », con i quali Gesù è solidale, coloro cioè che traballano nella fede, devono essere sotto pressione politi­ ca). Lo confermano alcuni dettagli in 2, 1 5 ; 1 1 ,35b-36; 1 2,3-4. È ragionevole pen­ sare agli anni neroniani tra l ' incendio di Roma e il suicidio dell ' imperatore (64-68), ma ancor più agli ultimi anni di Domiziano (94-96), esasperato verso i cristiani che gli negavano il culto imperiale (despotes kai theos). Quest'ultimo è anche l 'attendi­ bile periodo della redazione di Ebrei. Tutto lascia intendere che il destinatario di Ebrei si trovi a Roma e/o dintorni (tra Pozzuoli e Roma, via Ostia65). In prevalenza 62 Citato in Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 4,23 , 1 0. 63 G . Flavio, Guerra giudaica 2, 1 04 (G. Vitucci [ed. ], La guerra giudaica, voli . 1-11, Mondadori, Milano 1 989") e Filone di Alessandria, De legatione ad Gaium 1 55, informano rispetti­ vamente su comunità giudaiche presenti a Pozzuoli e a Roma. Con un suggestivo suggerimento, C.R. Koester (Hebrews. A New Translation with lntroduction and Commentary [The Anchor Bible 36], Doubleday, New York - London 200 1 , pp. 49-50) situa in quelle comunità giudaiche le prime presenze cristiane. 64 Si consideri P. Ellingworth, Hebrews and l Clement. Literary Dependence or Common Tradition?, in BZ 23 ( 1 979) 262-269. 65 Suggerisce questa località il felice ritrovamento « di un monumento praticamente unico nell 'Italia antica, la cui importanza è accresciuta dalla sua antichità: benché infatti l 'aspetto attuale sia il risultato di rifacimenti e aggiunte (secolo IV), è certo che una prima fase edilizia risale alla metà del secolo I d.C. allorché, con la costruzione del porto di Claudio, la vita economica di Ostia venne potenziata ». Così C. Pavolini, La vita quotidiana a Ostia, Laterza, Roma-Bari 1 99 1 , p. 1 63, il quale, a proposito della sinagoga ebraica i vi rinvenuta, prova (( che un 'altra grande religione orien­ tale aveva stabilito una solida base a Ostia, forse ancor prima di tutte le altre » (ivi attestate).

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giudeocristiana, buona conoscitrice del testamento antico, con presenza etnicocri­ stiana (non esplicita, ma non escludibile)66, la comunità cui l 'autore di Ebrei ap­ partiene ( 1 3, 1 9) e dalla quale si è allontanato temporaneamente, è destinataria del­ lo scritto. Scopo: giudeocristiani, etnicocristiani e cristiani comunque, riprendano il cammino nella fedeltà alla nuova alleanza67• Inviato a Roma, nel senso indicato, lo scritto non è redatto in Roma68• I fra­ telli giunti « dali ' Italia » (= Roma) presso l 'autore, inviano i loro saluti ai fratelli in Roma. Anche Timoteo è conosciuto in Roma. Dunque, l 'autore è fuori Roma. Con lui, liberato (Fm 2), egli vuole raggiungere quanto prima la comunità a Roma e/o dintorni ( 1 3,23). Dov'è dunque l 'autore quando redige Ebrei? Lo si è già rilevato, Ebrei risente di pensieri platonico-filoniani. Egli è forse membro di quel gruppo « alessandrino » che ha messo a punto il libro della Sapienza69• Che non si trovi egli ad Alessandria? Non lo si può affermare né escludere. Del resto, un suo ritorno, forse anche periodico, ai luoghi della sua formazione culturale, si spiegherebbe da sé. Sulla data di redazione. I cedimenti nostalgici dei destinatari giudeocristia­ ni al culto mosaico suggerirebbero, per la redazione di Ebrei, una data anteriore alla distruzione del tempio: non oltre il 69 ! Quel tempio, infatti, è esistente, stan­ do a Eb 8, 1 3 e 1 0,25 : il patto antico è prossimo a sparire (8, 1 3 , eggys), e se ne ve­ de già ravvicinato (eggizousa) il giorno fatale. Collegate dali 'uso in comune del verbo eggizo, quelle due dichiarazioni in Ebrei rivelano il presentimento di una catastrofe imminente: quella dell ' anno 70 d.C., con la presa di Gerusalemme e la distruzione del tempio. Dunque, quest'ultimo esiste ancora. Riconoscere che Eb 8, 1 3 e l 0,25b esprimano solo attesa della parusia significa ignorarne il valore di constatazione storica 70• Tuttavia, Ebrei non si riferisce mai al tempio materiale, bensì a ciò che esso significa. Anche quando parla di sacrifici, l 'autore non menziona mai la loro cele­ brazione nel tempio. La stessa esortazione ai destinatari affinché non ripensino la loro scelta cristiana, essendo il sistema tradizionale del sacrificio ormai obsoleto, non comporta che il tempio fosse ancora in piena attività. La discussione sul si­ stema « obsoleto » è di merito, e prescinde in tutto da fattori storico-cronologicF1 • 66 Sembra non favorire la presenza di etnocristiani fra i destinari di Ebrei, D . Daniels (How does the Church re/ate to the New Covenant? Or, Whose New Covenant is /t, anyway?, in F&M 1 6 [ 1 999] 65-66). È invece a favore M.E. Isaacs ( Why Bother with Hebrews?, in Heithrop Journal 43 [2002] 60-72): Ebrei supera le tensioni tra ebrei e cristiani, etnici e non, nel secolo l, attraverso l ' i­ dea dell 'unico popolo di Dio. 67 Cfr. G.L. Borchert, A Superior Book: Hebrews, in Review and Expositor 8213 ( 1 985) 328. 68 Lo esclude del tutto, ma senza motivare, J. Moffatt (A Critica/ and Exegetica/ Commentary, p. XXI). Per E. Griisser (An die Hebriier, 3 voli. [EKKNT 1 7/ 1 .2.3], Benzinger Verlag, Zurich; Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn, 1 990- 1 997, vol . l, p. 23), Roma non è il luogo di redazio­ ne di Ebrei né quello di destinazione. I dati storici sarebbero infatti non realistici, ma fittizi. Posizione, mi sembra, piuttosto incerta a motivo di un'argomentazione altrettanto tale. 69 Ne darebbe un' indicazione Eb 2, 1 4b, rapportandosi a Sap 2,24. 7° Così A. Vanhoye, La lettre aux Hébreux. Jésus-Christ, médiateur, pp. 1 86- 1 87. 7 1 Vedere nella parola « obsoleto )) di Eb 8, 1 3 un attestato che il tempio sia già distrutto, è ec­ cessivo. Il silenzio dell 'autore al riguardo è più eloquente.

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L' impiego comune di eggizo non sembra sufficiente a tenere in collegamento Eb 8, 1 3 e l 0,25b: l 'alleanza mosaica non sta invecchiando solo a motivo dei fatti del 70! « Il giorno che si va avvicinando » può di certo essere quel giorno dell 'anno 70, ma perché escludere i giorni turbolenti sotto Nerone o Domiziano? Né la loro allusione alla novità dell ' alleanza pasquale e al giorno della parusia è eludibile. Inoltre, i riferimenti in Eb 1 0,32-34 e 1 2,3-4 alle opposizioni subite dai destinata­ ri sono troppo vaghi per poter attestare una persecuzione in un preciso periodo. Nella descrizione del culto dell ' AT, l 'autore si avvale del racconto sul taberna­ colo di Mosè e sulla relativa liturgia, senza riferimento alcuno al tempio di Gerusalemme. Era esso già stato distrutto? O il tempo verbale al presente usato per descrivere quel culto sacerdotale in Eb 8,4b-5a (prospheronton-latreuousin) potrebbe attestare che esso era in vigore nel momento in cui l 'autore redigeva lo scritto, dunque prima della distruzione del tempio nell 'anno 70? Indizi vaghi. Si propende sempre più per una data posteriore al 70, anche perché la di­ struzione del tempio, se già avvenuta, doveva costituire una validissima confer­ ma ali ' insegnamento dell 'autore, secondo cui il patto antico e il relativo culto erano ormai rimpiazzati. Come mai allora l 'autore non menziona espressamente quella distruzione? Si può ritenere che essa fosse ben nota e comunque sullo sfon­ do delle sue riflessioni, ma anche che non gli interessasse; l 'attenzione di Ebrei non va infatti al tempio erodiano, piuttosto al tempio-tenda nel deserto, come de­ scritto in 9, 1 -5. È dunque del tutto secondario avvalersi dell 'argomento « distru­ zione del tempio )) per decidere la data bassa o alta di Ebrei. Il principale intento dell 'autore è trame le conseguenze: anche quella distruzione è segno visibile di tradizioni giudaiche che hanno esaurito il loro peso72• Un serio fattore sembra opporsi alla data alta: Ebrei presenterebbe una teo­ logia per la seconda e la terza generazione cristiana, inferiore a quella attestata nelle lettere pastorali (fine secolo 1). Anzi, la cristologia di Ebrei non andrebbe oltre Col l , 1 5-20. Questa impostazione teologica tornerebbe a conferma di una datazione non posteriore al 65-7073• Riprenderemo la questione. Intanto resta possibile che il tempio non ci sia più, nel qual caso Ebrei non è posteriore al 96 (terminus ad quem), in base a l Clemente 36 che conosce e cita ampiamente Eb l , e neppure di molto precedente (non prima del 70). Nel tentativo di voler abbrac­ ciare le due ipotesi, si propone il trentennio tra il 60 e il 9074 o il solo decennio tra gli anni 80-9075 • Potremmo pensare agli ultimi anni di Domiziano (94-96). 72 Il richiamo storico è di rilievo. Cfr. E.B. Aitken, Portraying the Tempie in Stone and Text: The Arch of Titus and the Epistle to the Hebrews, in SewTR 45 (2002) 1 35 . 73 Così B. Lindars, L a teologia della lettera agli Ebrei, Paideia, Brescia 1 993, p . 3 8 (or. ingl ., Cambridge 1 99 1 ), ma ritengo impropriamente, in base agli elementi su offerti. 74 Fra gli altri, cfr. C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, pp. 53-54. 75 Così, ad esempio, C.P. Marz, Hebriierbrief Die Neue Echter Bibel (NT 1 6), Echter-Verlag, Wiirzburg 1 989, p. 20; già F. Weiss (Der Brief an die Hebriier [KEK.NT 1 3], Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 99 1 1 5, pp. 72, 77): cristiani della seconda-terza generazione postapostolica, tra 1'80 e il 90. Ancora E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 1-6 (EKK.NT 1 7. 1 ), vol. I, p. 24. Decisivo è Eb 1 0,32-34, in cui l 'autore ricorda i primi tempi d'entusiasmo nella fede della prima generazione cristina. Di recente, K. Schenck, Understanding the Book ofHebrews: The Story behing the Sermon, Westrninster J. Knox, Louisville 2003. Cfr. recensione di W. Brouwer, in CTJ 39/ 1 (2004) 1 76- 1 78.

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Ma c'è un ultimo fatto da considerare. Mentre la distruzione del tempio ero­ diano sembra non interessare Ebrei, l 'arco del trionfo dei Flavi Tito e Vespasiano a Roma, eretto dopo la vittoria di Roma contro la prima rivolta giudaica (Judaea capta o Judaea devicta), permette di situare Ebrei in epoca posteriore al 70: esso infatti viene eretto con il consenso del senato romano nel 7 1 , gesto che riconosce nella Judaea capta un enorme successo della politica imperiale. Le celebrazioni di tale trionfo erano annuali e sontuose76• Nell 'anno 75 Vespasiano fa costruire il tempio della Pace, presso il foro romano, e vi raccoglie il bottino asportato dal tempio di Gerusalemme77; morto Tito nell ' 8 1 o poco dopo, viene eretto l 'arco di Tito (quello odierno), nel punto più elevato della via Sacra; questo fa seguito a un altro arco di Tito costruito nell ' 80, al Circo Massimo, vivente l ' imperatore, con esplicita iscrizione sulla conquista della Giudea e di Gerusalemme da parte di Tito: « In ossequio ai precetti di suo padre »78• Se così stanno le cose, si può dire che gli eventi degli anni 69-70 danno il via a una politica imperiale dei Flavi che si protrae fino oltre l ' 80. Ebbene, nel riproporre al dettaglio gli elementi del culto giudaico, dopo tan­ to degradante sconfitta, Ebrei non può prescindere da questo contesto celebrati­ vo, non poco umiliante per la comunità ebraica ed ebraico-cristiana. L'autore si ripropone di sollevarla, indicandole il vero trionfatore: non tanto l ' imperatore, quanto il Figlio, Gesù il Cristo. La sofferenza della comunità è interpretata come valore: c'è Uno infatti che l 'ha già vissuta in prima persona, da « precursore del­ la fede )), solidale con i fratelli. Non resta che seguire lui, il vero trionfatore, da trionfatori79• Dovremmo pertanto collocarci nell 'ultimo ventennio del secolo I.

2.

Il problema letterario

Le questioni introduttorie su Ebrei conservano ancora tutta la loro comples­ sità e le soluzioni suggerite resterebbero ipotetiche80• In verità, qualche passo in avanti è possibile: titolo, genere letterario, stile, estetica, unità e integrità del do­ cumento, e altri aspetti, sono in via di approfondimento. Criterio base è l ' assolu­ ta priorità del documento scritto e la fedeltà a esso. Là dove l ' ipotesi è d'obbligo, non resta che muoversi tra pareri di maggioranza e minoranza, soppesando le ri­ spettive argomentazioni. Anche questa procedura è rispettosa del testo e apre strade, talora inattese, a una comprensione migliore. Sul titolo. Ebrei è indiscutibilmente un documento storico-religioso di rile­ vante arte letteraria, scritto in un greco forse il più elevato del NT. Due fattori hanno contribuito a che fosse annoverato nel genere letterario epistolografico: la 76 Cfr. G. Flavio, Guerra giudaica 7, 1 23- 1 72. 77 Vedi Jbid. 7, 1 5 8- 1 6 1 . 78 Cfr. Corpus Inscriptionum Latinarum ( CIL) 6,944. 79 Si veda utilmente E.B. Aitken, Portraying the Tempie in Stone and Text: The Arch of Titus and the Epistle to the Hebrews, in SewTR 45 (2002) 1 40- 1 50. 80 Così P. Kasilowski, L'Épitre aux Hébreux. Questions préliminaires, in Bobolanum l O ( 1 999) 68. =

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presenza nella inscriptio della formula pros Hebraious (« agli Ebrei >>), e l' epilo­ go in 1 3 , 1 8-25. Eppure, con buona pace di questi due elementi, tanto tipici in tut­ te le lettere di Paolo, Ebrei risponde al minimo ai criteri dell 'epistolografia gre­ ca8 1 ; quei due elementi sono infatti discutibili. Il titolo Lettera agli Ebrei circolava già prima del 90 a.C., stando a Clemente I di Roma riportato in Eusebio82, e già prima del 70, in base a Teodoreto di Cir(r)o (+ 458)83 . Si può tuttavia ritenere che quel titolo sia apparso verso la metà del se­ colo Il, per la prima volta presumibilmente in Ireneo di Lione (ca. 1 40-202)84. Anche Origene ( 1 85/1 86-254/255)85 lo conosce. Due secoli dopo, Giovanni Crisostomo (344-407) attribuisce la Lettera agli Ebrei a Paolo, supponendo che l 'Apostolo volesse rivolgersi ai cristiani provenienti dal giudaismo86. Già nei se­ coli II-III infatti gli ebrei divenuti cristiani erano chiamati « ebrei » che avevano conosciuto Cristo o ebreo-cristiani. In verità, il nome di Paolo servì per dare au­ torità a quel testo: non esisteva ancora il canone. Il titolo iniziale è andato perduto. Molti sono gli anni che intercorrono tra la redazione dello scritto e le copie più antiche a noi pervenute87. L' ipotesi è che lo scritto agli Ebrei, destinato a una persona, sia stato divulgato anche ad altre me­ diante copie88• In questo caso, nel mondo greco-romano, sulle copie si ometteva il protocollo iniziale perché già presente nell ' originale89 e per distinguerle dal mede­ simo. Le copie di lettere da trasmettere a terzi perdevano così il titolo originario. Si deve ritenere che un copista, prima dell ' inserimento di Ebrei nel canone, abbia so­ stituito il titolo completo, a noi non pervenuto, con « agli ebrei », volendo indicare così un'entità linguistica (ebrei in diaspora greco-romana) e non etnica (giudei). Casi di questo genere non sono rari90, tanto più che il copista ha libertà di formula­ re il titolo deducendolo dal contenuto dell 'opera. La lettura di una « lettera » in as­ semblea doveva essere motivo d'orgoglio per una comunità ecclesiale, se lo scritto 81 Interlocutorio a riguardo E.J. Bickerrnann, Le titre de / 'épitre aux Hébreux. En marge de / 'é­ criture, in RB 88 ( 1 98 1 ) 28-30. 82 « Clemente Romano nella sua lettera ai Corinzi, inserisce molte affermazioni tratte dalla let­ tera agli Ebrei. Questo fatto indica che la lettera suddetta non è affatto recente. Poi Clemente parla de il 'autore, indicando l 'evangelista Luca » (cfr. Eusebio di Cesarea, Ristoria ecclesiastica 3,38, l ). 8 3 Questi, basandosi su 1 3, l O, retrodata Ebrei a prima del 70, poiché l 'autore doveva conosce­ re il culto del tempio. 84 Fra gli scritti del NT menzionati da Ireneo e registrati in Eusebio di Cesarea (Historia ecclesiastica 5,26) vi è anche (letteralmente) la Lettera agli Ebrei. 85 Cfr. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 6,25, I l . 86 Cfr. Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebreos. Argumentum, in PG 63,9- 1 2 . 8 7 Cfr. p46 ( Chester Beatty); i codici 8 (Vaticano) e S (Sinaitico). 88 Un caso equivalente si ha nella lettera dei vescovi di Palestina sulla data di Pasqua: « Fare pervenire copie di questa lettera a tutte le diocesi >> (cfr. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 5,25). 89 Numerosi gli esempi nel mondo greco-romano. Ne dà ampio prospetto E.J. Bikerrnann, Le titre de l 'épitre aux Hébreux. En marge de I 'Écriture, in RB 88 ( 1 98 1 ) 1 9-4 1 , qui nota 1 1 . Si veda l 'omissione del titolo da parte di un traduttore in una lettera di Costantino ad Anulio. Ne riferisce Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 1 0,5, 1 5. 90 In Giustino, Dia/ogus cum Tryphone Judaeo 1 4 1 ,5, si legge che l 'autore scrive il suo libro per Marco Pompeo; alcuni codici invece portano come titolo di quest'opera: Dialogo contro i giu­ dei e i pagani. Si nota bene la mano dei copisti. =

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era indirizzato alla medesima91 • Con buona probabilità fu questa la ragione per cui il titolo « Agli Ebrei >> si affermò rapidamente fino a essere immesso nel canone. Il sintagma agli Ebrei è raro in tutto il NT e lo stesso Paolo si definisce ebreo solo 2 volte, quando rivendica la propria appartenenza al popolo eletto (2Cor 1 1 ,22 e Fil 3,5). In genere, però, in tutto il NT sembra indicare non un'apparte­ nenza etnica, per la quale si preferisce il termine « giudei »92, ma linguistica: ebrei in diaspora greco-romana93• Il termine « giudeo » apparirà negli autori cristiani solo dopo Giustino ( 1 00/ 1 1 0- 1 63 / 1 67)94• Di eguale opinione sembra essere Giovanni Crisostomo95• Da qui, e non solo, il sottotitolo proposto: Trattato ai cri­ stiani di origine ebraica ed etnica, ora ellenizzati. Sul genere letterario. Ebrei: una lettera? Un sermone omiletico? Un sermone polemico? Un sermone sociopolitico? Una liturgia? Un discorso (oratio-disserta­ tio) epidittico? Uno scritto di consolazione? Un trattato midrashico? Un appello? Un « paradigma di predicazione »? Una collezione di oracoli? Un libro-libretto da diffondere? Un ammonimento? Semplicemente un trattato? Un mistero letterario96• Una lettera? È vero, manca la normale salutatio con presentazione dell 'autore e del destinatario, ma vi sono altri elementi: l 'autore scrive da lontano (Eb 1 3 , 1 9), forse da un carcere ( 1 3,22b-23a) - ma contraddice proprio 1 3,22ab -, a una comunità cri­ stiana; desidera tornare al più presto; il binomio retorico epistolografico apusia-parusia è garantito; termina con una benedizione e con saluti scritti personalmente. Il suo scrit­ to è « parola di consolazione » ( 1 3,22). Chiede che si preghi per lui. Dunque, lettera?97• Un sermone omiletico? Un sermone liturgico, un' antica omelia cristiana98, a finalità pastorale99, un'omelia liturgica (eucaristica) sempre attuale 1 00 , anzi, la 9 1 La JC/emente era letta nell 'assemblea liturgica di molte chiese (cfr. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 3, 1 6). 92 Paolo arringa i giudei di Gerusalemme in lingua ebraica. Cfr. At 2 1 ,39; 22,3 . 93 Cfr. At 22,2-3. Nel secolo II i greci usavano « giudei » per indicare un 'entità etnica, « ebrei » inve­ ce per una linguistica. Per i cristiani, gli ebrei sono la posterità di Abramo, i giudei sono gli israeliti della dispersione. La distinzione è nota a Giustino (cfr. la nota seguente), e alle iscrizioni nelle necropoli ebrai­ che di Roma. Cfr. J.B. Frey, Corpus lnscriptionum Judaicarum (Il/ a. C. - Vl/ d. C.), voli. 1-11, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Roma 1 936- 1 952, vol. 1: nr. 29 1 ; 3 1 7; 5 1 0 e 535 (ebrei); 287; 530; 532 e 643 (giudei). Non è invece nota ai rabbini; la necropoli di Beth She'arim non ha testimonianze. 94 Trifone, rivolto a Giustino e ai greci di Efeso, si definisce fieramente « ebreo >>, profugo di guerra. Cfr. Giustino, Dialogus cum Tryphone Judaeo l ,3. 95 Si veda Giovanni Crisostomo, Ad Hebraeos. Homilia 1 4, in PG 63, 1 1 3 , e Homi/ia 2 1 , in PG 63, 1 5 1 : ludaeus e Hebraeus. 96 È la felice formulazione di W. Wrede (Das literarische Riitsel des Hebriierbriefes) . 97 Ebrei (( is neither an epistle nor an homily, pure and simple >>. Così già J. Moffatt, A Criticai and Exegetical Commentary, p. XXVIII. Per K.M. Woschitz (Christus [gestern, heute} und der se/be in alle Ewigkeit, in Renovatio 56 [2000] 79), Ebrei è Hirtenbrief((dettera pastorale >>); per B. Lindars (La teologia, p. 2 1 ), Ebrei è lettera. 98 Cfr. A. Vanhoye, Homilie fiir haltbediirftige Christen, Pustet, Regensburg 1 98 1 , p. I l ; C.P. Marz, Zur Aktualitiit des Hebriierbriefes, in TQ 1 40 ( 1 992) 1 60- 1 68 ; R. Brown, Pilgrimage in Faith: The Christian Life in Hebrews, in SWJT 28 ( 1 985) 28-35 (più sermone che lettera); P. Garuti, Alle origini dell 'orni/etica cristiana. Meno (( sicuro » W. L. Lane, Hebrews: A Sermon in Search of a Setting, in SWJT 28 ( 1 985) 1 3- 1 5 . Eppure, Ebrei non è un sermone omiletico né una lettera. 99 Così S. Stanley, Hebrews 9,6-10: The « Parable » ofthe Tabernacle, in Novum Testamentum 37 ( 1 995) 247-25 1 . 1 00 È il parere di F. F. Bruce ( The Structure and Argument ofHebrews, in SWJT 28 [ 1 985] 6- 1 2), il quale ne ravvede il punto culminante in 1 0, 1 9-25 (lbid. 6). H. W. Attridge (New Covenant

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prima e l 'unica a noi giunta così ben conservata 101, quindi un « paradigma di pre­ dicazione >>102• O, addirittura, un insieme di argomenti, quale contenuto tematico di altrettante omelie? 103• Forse un'omelia sacerdotale imperniata sul Sal 1 09104, profonda e impegnativa105, ma comunque leggibile in un'ora?106• Scopo del ser­ mone liturgico è quello di mettere a fuoco l 'eccellente qualità di Gesù e del suo messaggio, l ' esortazione a decidersi per lui, l ' appello alla fedeltà nella scelta. L'omelia « agli ebrei » si muove così tra gesuologia (Gesù storico) e cristologia (Cristo della fede). L'autore non presenta una teologia sistematica, ma solo omi­ letico-esistenziale. Anche i riferimenti al « parlare » (cfr. 2,5; 5 , 1 1 ; 6,9; 9,5) po­ trebbero deporre per un sermone omiletico-esistenziale, destinato originariamen­ te a un'esposizione orale, messo poi per iscritto e affidato alla comunità perché ne faccia tesoro107• Preoccupazioni mistagogiche non sarebbero assenti 108• Questa preoccupazione pastorale spinge l 'autore a utilizzare tutti gli strumenti della me­ diazione-comunicazione a sua disposizione. Con procedura epidittica, egli si av­ vale dell ' AT onde delimitare il medesimo agli occhi dei suoi destinatari giudeo-

Christology in an Early Christian Homily, in QRMin 8 [ 1 988] 89- l 08) percorre tutti i migliori temi del « libro agli Ebrei » e, da questo punto di vista, trova riscontro nel mio lavoro. Ad esempio, che proprio il titolo di « sommo sacerdote » esprima l 'umanità di Gesù è un dato da me sostenuto e pro­ vato. Ma che Ebrei sia un'omelia liturgica, pur affermandolo più volte, W. Attridge non lo prova. Né l ' insieme dei temi rilevati può costituire una prova globale del genere letterario omiletico-liturgico. Anche M. Cahill (A Homefor the Homily: An Approach to Hebrews, in ITQ 60 [ 1 994] 1 4 1 - 1 48) non è in grado di provare l 'assunto. Il suo argomento è di convenienza: per Ebrei « la casa » migliore non può che essere il momento de li ' omelia nella celebrazione eucaristica. La cosa è talmente ovvia, da essere sostenuta proprio dali 'argomento e silentio. J. Swetnam (Christology and the Eucharist in the Epistle to the Hebrews, in Biblica 70 [ 1 989] 74-95) è dello stesso parere. Egli motiva la mancanza di riferimenti omiletico-eucaristici espliciti con la « disciplina del segreto », un argomento il cui scopo è quello di suggerire la grandezza di un mistero ricorrendo a velate asserzioni. L'autore sa­ rebbe così discreto nel parlare de li ' eucaristia da non lasciare intravedere le proprie intenzioni? Diversamente P. Grelot (Epistola agli Ebrei, in Omelie sulla Sacra Scrittura. Introduzione al NT, vol. VIII, Boria, Roma 1 989, pp. 1 60- 1 9 1 ) , che riscontra in Ebrei tratti omiletici, anche schemi di omelie (sul Sal 94,7- l l ; su Melchisedek: 7, 1 -28; su Ger 3 1 ,3 1 -34), ma non riconduce l ' intero scrit­ to a un'omelia. 101 Così A. Vanhoye, Homilie, p. I l ; F.J. Schierse, Verhei]Jung und Heilsvollendung. Zur theo­ logischen Grundfragen des Hebriierbriefes, Zink, Miinchen 1 955, p. 207, il quale tuttavia sembra avere una certa riserva, quando aggiunge: « Wenn man es so nennen will ». 102 È il suggerimento di V. C. Pfitzner ( The Rhetoric of Hebrews: Paradigm for Preaching, in Luth TJ 27 [ 1 993] 3- 1 2). 103 Ancora V. C. Pfitzner, The Rhetoric of Hebrews: Paradigm for Preaching, in Luth TJ 27 ( 1 993) 3- 1 2 . Un po' troppo ! Da parte sua N. Clark, Reading the Book. 2. The Letter to the Hebrews, in Exp Tim 1 08 ( 1 996) 3 7-40, rileva in Ebrei quattro motivi omiletici, a struttura dell' intero scritto. 104 Ricorrendo qui per la prima volta la citazione di un salmo, faccio presente che i salmi ri­ portati in Ebrei lo sono secondo la versione dei LXX, privilegiata appunto dal l ' autore. 105 Così H. Cousin, « Accrédité comme Fils sur sa maison » : Révélation et filiation dans la Prédication sur le sacerdoce du Christ, in Lum Vie 43 ( 1 994) 57-58; S. Stanley, The Structure of Hebrewsfrom Three Perspectives, in 1jmdale Bulletin 45 ( 1 994) 25 1 -254. 106 Il che tuttavia non depone a favore di Ebrei « omelia liturgica », come sembra sostenere H.D. Galley, Der Hebriierbrief und der christliche Gottesdienst, in JLH 3 1 ( 1 987- 1 988) 72-83 . 107 Così C.P. Marz, Zur Aktualitiit des Hebriierbriefes, in TQ 1 40 ( 1 992) 1 60- 1 68. 108 Cfr. J.R. Kleiner, Briefan die Hebriier. Judenchrist/iche liturgische Mystagogie, in Heiliger Dienst 46 ( 1 992) 263-268: mistagogia liturgica giudeocristiana? Attendibile. Ma non solo.

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cristiani, facendo emergere la qualità superiore del NT: nella storia è accaduto una decisiva svolta, ma in continuità con la precedente; l 'autore rilegge il tutto a seguito dell ' evento « il Figlio Gesù il Cristo » e in vista di lui. A tal fine, egli dis­ semina il suo « appello » fatto di esortazioni, dimostrazioni, ammonimenti e mi­ nacce. Ma proprio in considerazione di ciò, Ebrei, pur presentando tratti omileti­ ci, non è un ' omelia né una liturgia 109: i tratti non omiletici sono infatti più abbondanti. Un sermone omiletico con allegato epistolare? 1 10• Dunque, un genere lette­ rario doppio? Questa soluzione tende a salvare Eh 1 3 , 1 -24 e in particolare 1 3 ,2224, punti non riconducibili al genere letterario omiletico. Soluzione per giustap­ posizione, essa è la meno attendibile; né a un allegato-poscritto, chiaramente redazionale e intenzionale, e dalle dimensioni ristrette, può essere riconosciuto un valore così determinante1 1 1 • Un sermone polemico? Decisivo dovrebbe essere Eh 3 ,9- 1 4, in cui i cristia­ ni sarebbero come obbligati a recidere ogni rapporto con il giudaismo; non pos­ sono infatti continuare a mangiare all 'altare dell ' antica alleanza, e chi ne mangia non può mangiare all ' altare del nuovo patto { 1 3 , 1 0). Ma il parere di Ebrei va in altra direzione: si tratta di alimentare nei cristiani, provenienti dall 'ebraismo e dalla gentilità, la capacità critica di vagliare l 'antico nei suoi valori e di coordi­ narlo con il nuovo, secondo la trilogia esegetico-ermeneutica: « confronto, diver­ sità, superamento » 1 12 o secondo il binomio tipo e antitipo. Più che recidere ogni rapporto con la religiosità giudaica da cui provengono, i giudeocristiani e ancora gli etnicocristiani estraggano il meglio dalla situazione di confronto in cui si tro­ vano. Una conflittualità produttiva: dalla provvisorietà dell ' antico, per altro sto­ rica e necessaria, alla definitività del nuovo. Del resto, secondo un tracciato reto­ rico che pervade tutto il « trattato )) : lo vi ho parlato (dice l 'autore: ethos), voi mi avete ascoltato (pathos), ora conoscete le cose (logos), soppesatele e prendete la decisione più matura 1 13; nel senso di l Ts 5,2 1 : « Ornn ia probate, quod bonum est tenete )). Che Ebrei sia un sermone polemico1 14 è da escludere. Un sermone sociopolitico? Non lo è certo nel suo insieme, ma non ne man­ cano degli aspetti, in particolare là dove la retorica dell 'esposizione è epidittico­ paracletica e mira a rafforzare la resistenza fino al sangue contro ogni minaccia verso la fede in Dio, l 'unico che può dare solido fondamento alla speranza urna1 09 Eb 1 3 , 1 -24 e in particolare la finale in 1 3,22-24 non depongono per tale globalizzante ipo­ tesi, a meno che non se ne debba prescindere. Ma in base a quale motivo? 1 1 0 È il suggerimento di P. Kasi1owski, L'Épitre aux Hébreux. Questions préliminaires, in Bobolanum IO ( 1 999) 68. 1 1 1 Così già W. Wrede, Das literarische Riitsel des Hebriierbriefes, pp. 84-86: ancora questo voiumetto è di estremo interesse per le molteplici intuizioni scientifiche, ormai acquisite dali 'anali­ si esegetica. 1 1 2 Entsprechung, Andersartigkeit, Oberbietung: cfr. E.J. Schierse, VerheijJung und Heilsvo/lendung, pp. 40-4 1 . 1 1 3 Cfr. Aristotele, Rhetorica 3 , 1 9,6 (Rhetorica [J.H. Frese, ed.], [LCL], Harward University Press, Cambridge-London 1 998); Cicerone, De partitione oratoria 1 5,53. 1 1 4 È il parere di N.H. Young, « Bearing His Reproach » (Heb 13, 9-14), in NTS 48 (2002) 25 8-259.

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na. Questo delicato aspetto nei rapporti tra fede e storia interpella la sensibilità dell 'autore pastore; attento alle molteplici differenze culturali e sociali dei suoi destinatari, egli scopre nella predicazione lo strumento più efficace allo scopo1 15• Un midrash? Certo, il ruolo decisivo del Sal 1 09, 1 -4 sembra richiederlo a motivo della sua massiva valenza epidittica in quel « punto capitale >> (8, l ), attor­ no al quale ruota la expositio nel suo insieme: l 'unico e nuovo sommo sacerdozio del « Figlio », « alla maniera di Melchisedek >> 1 16• Né mancano altri tratti midrashi­ ci. Ma Ebrei non è un midrash . Una collezione di oracoli? E non su Gesù, ma sul « maestro di giustizia » di cui a Qumran? Davvero un' impresa inerpicarsi per questo sentiero1 17• Una dissertatio epidittica? L'esposizione-narrazione di Ebrei presenta mo­ menti epidittici e di diatriba, affidati ad approfondimenti articolati. Potremmo pensare a un genere letterario epidittico con inserti diversi: omologie, catechesi anticotestamentaria, omiletica, tratti liturgici, parenesi accorate, dimostrazioni stringenti, elaborazioni midrashiche, strategie retoriche 1 1 8• L'autore intende per­ seguire scopi esistenziali: ridare fiducia, rivitalizzare la comunità, consolarla, persuaderla con nuovi argomenti gesuologico-cristologici ad approdare ad unum, al Figlio Gesù il Cristo sommo eterno sacerdote. Da qui l 'appello alla fedeltà nel­ la scelta ( 1 0,39). Il genere letterario di Ebrei mostra un volto molteplice1 19• Esso è anche un appello. Un « appello »? Considerando che l 'autore stesso definisce il suo scritto una « parola di esortazione-consolazione » (logos tes parakleseos; sermo exhortatio­ nis, cfr. Eb 1 3 ,22), ci si avvicina alla natura del medesimo inquadrandolo come appello: si tratta cioè di un messaggio orale inviato per iscritto, il che non esige la scelta previa di un preciso genere letterario. Questo suggerimento è attendibi­ le. Siamo dunque in presenza di un genere letterario molteplice, riassumibile, for­ se, nella parola « appello » 1 20• 1 1 5 Affronta questo singolare aspetto D.L. Jones, The Sermon as « A rt » of Resistance: A Comparative Analysis of the Rhetorics of the African-American Slave Preacher and the Preacher to the Hebrews, in Semeia 79 ( 1 997) 1 1 -26. 1 1 6 Così già G. W. Buchanan, Epistle to the Hebrews, Doubleday, Garden City (New York) 1 972, p. I O. 1 1 7 Ci prova J.C. O'Neill in due studi: Jesus in Hebrews, in JournHighCrit 6 ( 1 999) 64-82 e The Death of the Teacher of Righteousness in Hebrews 13: 12-13, in JournHighCrit 7 (2000) 286288. O'Neill lavora su dati di critica testuale e di storia delle tradizioni. 1 18 Così, ad esempio, in Eb I l l 'autore fa appello agli strumenti retorici dei paradeigmata e de­ gli encomia, onde persuadere, con valide dimostrazioni tratte dali ' esistenza, a non desistere dalla scelta di fede già compiuta ( 1 0,22-23). La comunità guardi a quelle forze trainanti, a quelle situa­ zioni di vita: esse hanno il peso di una liturgia « in accadimento » e sono esse stesse un'omelia. Un appello polimorfo. 1 1 9 « Haec magnifica ad Hebraeos missa dissertatio, oratio potius dicenda est quam epistola », annota già Valkenaer riportato da J. Moffat, A Criticai and Exegetical Commentary, p. XXVIII. E se oratio-dissertatio, perciò con argumentationes, dunque epidittica. 120 Ancora E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. l, p. 1 5. Meno attendibile è pensare a un genere letterario misterico. Sollecitato dai culti misterici, l 'autore terrebbe il suo discorso allo sco­ po di approdare ali 'unico vero culto: quello celeste, che costituirebbe il punto culminante dello scrit­ to. Sta però di fatto che il punto capitale di Ebrei (8, l ) non è il culto celeste, e l 'ampio settore del culto è, per l 'autore, funzionale a ben altro scopo: Gesù sommo sacerdote. Oltre tutto, il culto al tem­ pio di Gerusalemme non è certo misterico!

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Un ammonimento finalizzato a ottenere adesione nella fede a Gesù il Cristo in base ai suoi segni redentivi?12 1 • Genere letterario polimorfo? I l genere letterario « omelia-lettera » o « ome­ lia-libro » o « sermone omiletico » non è dunque soddisfacente. Quello di Ebrei è polimorfo. Con esso l 'autore si pone al di fuori del NT. Definire Ebrei una « ome­ lia inviata come lettera » non aiuta a chiarire la ben più ampia varietà letteraria del documento. Ritenere poi Ebrei « l 'unico esempio di un'omelia del NT a noi completamente pervenuta »122 è suggestivo, ma non ancora una risposta all ' inter­ rogativo. Ebrei è molto più di un'omelia. Nessun tipo di genere letterario indivi­ duato nella Bibbia e a noi noto può esaurire il volto letterario di Ebrei. La polimorfia letteraria del « trattato » è insita nel logos parakleseos (cfr. 1 3 ,22): proprio quel logos è appello polimorfo, quasi un raccoglitore di moltepli­ ci sub-generi letterari 123 che possono ben essere ritenuti protreptici : raccolta di « motti », momenti liturgici, omiletici, parenetico-esortatori, catechetici, dottri­ nali, con argomentazioni alla mano dall ' AT, con valore ora epidittico, ora mi­ drashico, ora metaforico, accessibile anche a bambini, espressione di una prassi educativa ellenistica ( 1 2,4- 1 2) forse cara all 'autore ( 6, 1 3- 1 4 ). Un « appello poli­ morro » al popolo dell 'alleanza, perché resti fedele alla scelta di Dio, nel Figlio. Un libro da diffondere?124• A motivo della sua accurata e intricata composi­ zione e del suo tema « capitale » (8, l ) sul sacerdozio di Cristo, la Lettera agli Ebrei è considerata sempre meno una lettera, sempre più un trattato teologico; anzi, un « libro »125• Ne sarebbero riprova i cinque trattati ben riconoscibili126 che lo com­ pongono. Ognuno di essi presenta una expositio condotta con abbondanza di argo­ mentazioni ed esortazioni 127• Il retrofondo anticotestamentario è presente nelle cin-

12 1 Sembra proporlo M.L. Gubler, Der Hebriierbrief, eine Mahnrede, in Diakonia 34 (2003) 1 86- 1 90. Salva la bontà degli argomenti che Gubler rende oggetto dell 'ammonimento, resta la non attendibilità di un tale genere letterario; troppo restrittivo. 122 Così A. Vanhoye, Homilie, p. I l . 123 Lo ritiene possibile lo stesso H. W. Attridge (Paraenesis in a Homily {Jogos parakleseos]: The possible Location of, and Socialization in, the « Epistle to the Hebrews » , in Semeia 49 [ 1 990] 2 1 1 -225}, compiendo un passo in avanti rispetto al suo precedente contributo (New Covenant Christology in an Early Christian Homi/y, in QRMin 8 [ 1 988] 89- 1 08). 124 Quasi una Flugschrift? Così E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 25. Suggestiva intuizione, ma Ebrei non è un « volantino », né un libretto. 125 Lo suggerisce D.A. Black (Hebrews 1, 1-4: A Study in Discourse Analysis, in WTJ 49 [ 1 987] 1 93) con formulazione esplicita. Indicazioni già in J. McRay (Atonement and Apocalyptic in the Book of Hebrews, in Restoration Quarterly 32 [ 1 980] 1 -9}, che non esita a usare la formula « libro degli ebrei ». Sembrano sostenerlo S.D. Toussaint ( The Eschatology ofthe Warning Passages in the Book ofHebrews, in GraceTJ 3 [ 1 982] 67-80) e M. McGehee (Hebrews: The Letter Which 1s Not a Letter, in BToday 24 [ 1 986] 2 1 3-2 1 6). 126 C. R. Koester (Hebrews. A New Translation, pp. 84-85), ne rileva tre; A. Vanhoye ( Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, Institut Biblique Pontificai, Rome 1 9762} ne focalizza cinque. Me ne occupo più avanti. 12 7 Cfr. la dispositio rhetorica proposta da K. Backhaus, Der neue Bund und die werdende Kirche. Die Diathekè-Deutung des Hebriierbriefes im Rahmen der friih christlichen Theologie­ geschichte (NTAbh.NF 29), Aschendorff, Miinster 1 996, pp. 57-64. L'autore tende a provare che la di­ spositio rhetorica o struttura retorica è un'esigenza della struttura letteraria. Ben inteso, con profilo proprio.

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que parti, la paràclesi è accorata e insistente, esposta in momenti liturgici e omile­ tici ben distribuiti e armonizzati con il tutto dello scritto. Ebrei: un « libro » dal ric­ co messaggio giudeocristiano; suo punto capitale è il nuovo ed eterno sommo sa­ cerdote, Gesù Cristo il « Figlio di Dio », il nuovo patto, la nuova pasqua, la nuova paràclesi, la nuova vita cristiana. Un « nuovo » richiesto dalla « tragicità » dell 'an­ tico, privo di forza per redimere. Perché tutto questo sia accolto, l 'autore non met­ te a punto una pura esposizione dottrinale; il suo intento è immediato: esortare i suoi a non ricadere in quella « tragicità ». Allo scopo, consegna loro una « parola di consolazione-esortazione » ( 1 3,22), designazione data anche a un sermone sinago­ gale in At 1 3 , 1 5 . Visto così, questo « libro »128 presenta toni molteplici: epidittico­ dottrinali, retorico-paracletici, omiletico-catechetici, strategie e metafore cui l ' au­ tore aggiunge una finale di tipo epistolare ( 1 3,22-25). Dunque, « Libro ai cristiani di origine ebraica ed etnica ora ellenizzati »? 129• Libro nel senso di Ap l , I l ; 22, 1 8 .20 e anche 22, 1 9? Nel senso di Diodoro Siculo, autore di una storia univer­ sale in quaranta libri (biblos), dal titolo Bibliotheca historica? In verità, Ebrei non presenta la varietà tematico-compositiva di un libro e neppure la sua ampiezza. Semplicemente un trattato? Unitarietà e organicità attorno alla tesi unica del sommo sacerdozio di Cristo e al tema equamente principale del pellegrinaggio sacerdotale, di lui e dell 'assemblea cristiana, la compattezza della composizione letteraria di Ebrei, l 'articolazione della disposizione narrativa e la consequenzia­ lità epidittica, il tutto condito con la molteplicità degli elementi appena eviden­ ziati nell ' ipotesi « libro », sembrano spingere in questa direzione. E si tratta di elementi non sempre riscontrabili nella epistolografia neotestamentaria né facil­ mente coordinabili con la varietà di un libro. Per l 'esattezza, un tractatus-tractatio, in epoca di retorica classica, prevede i seguenti elementi: inventio rerum, da cui derivano un exordium-proemium; una dispositio con propositio, argumentatio, corredata di argumentationes, probatio­ nes, refutationes, amplificationes; una conclusio-peroratio che armonizza con la propositio ed esorta a prendere atto del tractatus e dei risultati ottenuti 130• La con­ statazione di questi elementi mi ha persuaso che, più che una lettera e più che un libro, Ebrei è un trattato, non di retorica né retorico, ma in stile retorico: la stra­ tegia retorica è basata sulla synkrisis, un permanente sostrato di comparazione tra antico e nuovo1 3 1 • Pur mantenendo il titolo di Lettera agli Ebrei a noi giunto dal­ la tradizione, mi è parso bene accostargli il sottotitolo « Trattato ai cristiani di ori­ gine ebraica ed etnica ora ellenizzati ». Che Ebrei non sia una lettera è tesi anco­ ra aperta e discussa, ma sempre più tenuta. 1 28 Lo definisce il (( libro >> più greco nella Bibbia giudeocristiana, L. Bums, Hermeneutica/ /ssues and Principles in Hebrews as Exemplifìed in the Second Chapter, in JEvTS 39 ( 1 996) 587. 1 29 Analoga annotazione in D.A. Black (Hebrews l, I -4: A Study in Discourse Analysis, in WTJ 49 [ 1 987) 1 93), che omette il riferimento alla gentilità: (( Libro ai cristiani di origine giudaico-elle­ nistica ». 1 3° Cfr. H. Lausberg, Elemente der literarischen Rhetorik, Hueber, Miinchen 1 967, pp. 24-26. 1 3 1 Cfr. D.E. Aune, The New Testament in its Literary Environment, Westminster John Knox, Philadelphia 1 987, p. 2 1 3; ancora D.F. Watson, Rhetorical Criticism of Hebrews and the Catholic Epist/es Since 1979, in CRBS 5 ( 1 997) 1 75-207.

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Sullo stile. Onde ottenere lo scopo voluto, l 'autore dà di piglio allo stile lette­ rario per abbellire la sua esposizione e come vero e proprio strumento di lavoro. Il linguaggio: la parola selezionata, la fraseologia curata, le frequenti indica­ zioni di tipo retorico (ad esempio, 2,5; 6,9), la sottolineatura della grandezza del­ l ' argomento e della difficoltà a comprenderlo ( 5, I l ), la centratura del « punto ca­ pitale » del « trattato » (8, l ), il preannunzio di temi che saranno ripresi in seguito ( 6, 1 -2; 9 ,5) nonché il riconoscimento di non poter entrare in determinati dettagli, pur volendolo, per mancanza di tempo ( 1 1 ,32). Ottimo conoscitore della retorica, scrittore forbito 132, stratega severo e distanziato, eppure pastore appassionato; raffinato ermeneuta dell ' AT133, tutto questo profila l 'autore come l 'uomo della parola (aner logios, At 1 8,24)134, e persuasivo argomentatore: retore oculato, di­ datta epidittico: i suoi destinatari, esposti al rischio dell 'apostasia, possono resta­ re ben saldi nella fede e peregrinare nella speranza verso il riposo di lui; colui che offre la sua vita, infatti, è fedele, è « causa di salvezza eterna » (Eb 5,9)135• Anche se l ' apporto di Ebrei in termini nuovi rispetto al greco precristiano è solo dell ' l ,6%136, non vi è dubbio che l 'autore di Ebrei sia il migliore stilista fra gli scrittori del NT137. L'eventualità, ventilata nella Chiesa antica, che Ebrei possa essere la traduzione in greco dali 'ebraico o dali 'aramaico138 è a questo punto de­ stituita di fondamento. Del resto, le citazioni dali ' AT sono quasi tutte dalla ver­ sione greca dei LXX. Nuova indicazione per la lingua greca come quella origi­ nale di Ebrei e non versione dali 'ebraico. La lingua. Quello di Ebrei è il greco migliore in tutto il NT. Fra gli scritti del­ le origini cristiane è il più elegante e sofisticato, ricco di ornamenti retorici, senza detrimento alcuno per il ricco contenuto. Lo stile linguistico si evidenzia nel ritmo, nei chiasmi (5, 1 - 1 0; 1 2, 1 5a), nelle inclusioni (2, 1 0. 1 8, sofferenza); nella marcata assonanza consonantica ( 1 3,4, cfr. infra, estetica); in paronomasia (2, 1 4b)139; l 'a­ nafora poi ( I l , l ss.) ottiene un effetto cumulativo in climax crescente; tutti ele­ menti a servizio di un'esposizione che voglia ottenere adesione.

1 3 2 L'annotazione è già di Origene, in Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 6,25, 1 1 . È tut­ tavia troppo ritenere che con Ebrei abbia inizio la letteratura cristiana mondiale. Per quanto splendi­ do possa essere ; il greco di Ebrei non regge all 'eleganza stilistica della letteratura de l i ' epoca. Così K. Aland - B. Aland, Der Text des Neuen Testaments. Einjùhrung in die wissenschaftlichen Ausgaben sowie in Theorie und Praxis der modemen Textkritik, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 1 982, p. 6 1 . Eppure, quel parere di Origene ha il suo fondamento. 1 33 Così T.G. Smothers, A superior Mode/: Hebrews 1, 1-4, 13, in Review and Expositor 82 ( 1 985) 333, 340-34 1 . Secondo H. Langkammer ( « Den er zum Erben von allem eingesetzt hat » [Hebr 1,2}, in BZ IO [ 1 966] 273-280), a proposito di Eb 1 ,2 e Gn 1 7,5, il metodo dell 'autore è usa­ re l ' AT con l 'ausilio del NT. 1 34 Cfr. dati già in C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. 1: lntroduction, pp. 358-370. 1 35 Salvezza, cioè soteriologia (Erlosungstheologie). Meno bene parlare di cristologia dell 'e­ spiazione (Siihnetheologie) . La formulazione è restrittiva. 1 3 6 In Luca è dell ' l , 7%. Così R. Morgenthaler, Statistik des neutestamentlichen Wortschatzes, Gotthelf, Ziirich 1 958, p. 45. 1 37 La cosa è già notata da Clemente di Alessandria, in Eusebio di Cesarea, Historia ecclesia­ stica 6, 1 4,2; 3,38,2. Diversamente C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. l: 1ntroduction, pp. 3 70-378. 1 3 8 Così Origene, in Euseb io di Cesarea, Historia ecclesiastica 6, 1 4,2. 1 39 Osservazioni già in C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. 1: Introduction, p. 362.

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Estetica. Ne avviano il profilo ritmo e assonanze; ricorrono per lo più insieme, ove il secondo caratterizza il primo. Il ritmo di Ebrei regge bene al confronto con le regole della metrica classica140 e della ritmica classica in poesia e prosa141 • È il caso di Eb l , 1 -4. Questo testo si apre con un peone142 (polymeros kai polytropos) che punta su verbi finiti in posizione enfatica (etheken . . . epoiesen . . . ekathisen), prose­ gue con frasi ritmicamente identiche (lalesas tois patrasin en tois prophetais l ela­ lesen hemin en hyii)) e si chiude con un anapesto e uno spondeo143• Un apprezzabi­ le esempio di prosa ritmica. Eppure, Ebrei non affida il proprio pensiero teologico a questa prosa elaborata. Inesattezze ritmiche attestano bene quanto egli sia un libero giocatore, attento più al contenuto che al contenente. Un chiaro esempio lo si ha in Eb l ,2b neli ' omissione dell 'articolo ti) di fronte a hyii). Quel disturbo ritmico è in­ tenzionale: l 'autore intende passare progressivamente da « un figlio » a « il Figlio ». Un altro esempio è in Eb l ,4, dove invece di genomenos ton aggelon il movimento ritmico preferirebbe ton agge/on genomenos. La ritmica letteraria del tempo è dun­ que ben familiare all 'autore, ma egli non dipende dal rigore ritmico degli stychoi144• Contributo al profilo estetico è ancora l 'assonanza o eufonia. La si vede e ascolta in Eb l ,2b.3d tra etheken ( l ,2b) ed ekathisen ( l ,3d). Essa relaziona i ver­ bi l 'uno all 'altro con i rispettivi contenuti. Un felice dettaglio estetico: l ' inver­ sione tra le due consonanti th e le due k. Né è infrequente che le consonanti di una parola in prima colonna siano invertite per costituire una nuova parola in secon­ da colonna. È il caso di emathen-epathen in 5,8. Altra assonanza in 3, 1 2c: in si­ tuazione (en t(j apostenai) di incredulità (apistia) . E ancora in 1 3 ,4: timios­ amiantos. Né sfugga quella classica in l , l : polymeros kai polytropos. Ne rileveremo altre lungo il commento. Molto frequente è l 'eufonia ottenuta con l 'u­ so marcato della consonante « t »: 2, 1 4 ; 5, 14; 7 ,5; 1 0, l , comportamento stilisti co già noto nella letteratura greca. Per questa ampia constatazione stilistico-estetica, rimando al commento su Eb 2, 1 4 e alle relative note. Strutture o compositiones contribuiscono ali ' estetica di Ebrei. In genere ric­ che di chiasmi e particelle di coordinamento logico e sintattico14S, esse sono mo­ menti propri di un'analisi letteraria e linguistica redatta per essere ricordata e per­ suasiva. In Eb 9, 1 5-22 si ha una chiara struttura proprio attraverso particelle di congiungimento. Ne è punto chiave il v. 1 5a: « E anche per questo Cristo è me1 40 Cfr. Aristotele, Rhetorica 3 ,8,6-7: peoni, anapesti, giambi e spondei. 1 4 1 Già Isocrate (rètore attico dei secoli V-IV a.C.) stabilisce che il testo descrittivo può essere abbellito con ogni sorta di ritmi. Ne nasce una prosa ritmica. Cfr. G. Norlin (ed.), Genera/ lntroduction, LCL, London 1 996, vol. I, pp. XIV-XV. 1 42 Peone: metro del l ' antica poesia greca, ripartito in una sillaba lunga e tre brevi. 1 43 Anapesto: piede composto di due brevi e una lunga. Spondeo: piede composto di due lun­ ghe, cioè di quattro tempi brevi. 1 44 Peoni, anapesti, giambi e spondei sembrano alternarsi lungo tutto il « trattato » agli Ebrei, dando luogo a momenti letterari ritmico-estetici che possono ben competere con la prosa ritmica del tempo. Se ne occupa già J. Moffatt (A Critica/ and Exegetical Commentary, pp. LVI-LIX) con do­ vizia di riferimenti. Un contributo decisivo al ridimensionamento del parere di K. Aland - B. Aland (Der Text des Neuen Testaments, p. 6 1 ). 1 45 Prezioso al riguardo il lavoro di L.L. Neeley, A Discourse Analysis ofHebrews, in JOTT 34 ( 1 987) 1 - 1 46.

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diatore di una nuova alleanza », in cui « e anche per questo » si aggancia a 9, 1 1 1 4 e si proietta su 9, 1 5b-22. Al motivo dell 'alleanza nuova, centrale in 9, 1 5-22, contribuisce un ulteriore aspetto di struttura ai vv. 1 8-22 del tipo a-b-c-d-c' -b '­ a' 146: un comportamento artistico in un « trattato » artistico. Dizione, ovvero l 'oculata scelta di parole, immagini e metafore è un altro fattore artistico. Ebrei possiede un vocabolario più ampio rispetto a quello di ogni altra lettera del NT di uguale o maggiore lunghezza147 e mostra peculiare sensibi­ lità nella scelta di esso; propone parole che esprimano quanto egli sente e pensa e che siano, al tempo stesso, in grado di muovere i suoi destinatari ad adeguate ri­ sposte; una intenzionale procedura denotativa, emotivo-contestuale e connotati­ va. Così la parola prototokos {primogenito), che indica il maggiore in una fami­ glia, connota in Eh l ,6 la posizione primaziale di Gesù Cristo a motivo della sua dignità di Figlio e, nel contesto, spinge a un'adesione emotiva e razionale. Anche immagini e metafore contribuiscono a un modello di comunicazione capace di far riflettere: « Non andare alla deriva » (pararuomen, 2, l ); « rivestito di debolezza » (astheneian, 5 ,2); « via aperta e vivente » (hodos zosa, cfr. l 0,20); « resi spetta­ colo pubblico » (theatrizomenoi, 1 0,33); fissare negli occhi (aphorontes, 1 2,2); immagini atletiche (agon, athlesis, gymnazo, trecho); agricole (akanthai, rhiza pikrias, tribolai); architettoniche (themelios, technites); metafore religiose (thro­ nos, sabbatismos, SiOn, Sinai) ; immagini prelevate dalla vita della natura (eikon, nephos, skia, photizo) . E non è tutto. Sintassi e fraseologia sono anch'esse un altro strumento a servizio della co­ municazione e ulteriore contributo al profilo artistico di Ebrei. In Eh 2,9; 3, l ; 7,4 e 1 3 ,8, ad esempio, è chiara l ' intenzione dell 'autore di ottenere l 'attenzione del let­ tore sulla parola da lui voluta e posta al termine della frase: Gesù in 2,9 e 3, l ; Abramo il patriarca in 7 ,4; e per sempre in 1 3,8. Altro accorgimento artistico nel­ la fraseologia sintattica è l ' impiego del genitivo assoluto, dal notevole potenziale di richiamo sul proprio contenuto: 4, l (essendo ancora valida, sussistente la promes­ sa, kataleipomenes epagghelias) e 9, 1 5 (essendo intervenuta la [sua] morte, thana­ tou genomenou ). E neppure è tutto. Si può ben dire che Ebrei è un « trattato » in cui la forma stilistico-artistica e il contenuto sono inseparabilmente connessi 148• La rilevazione di un sistema di paralleli e inclusioni arricchisce il profilo ar­ tistico di Ebrei. Lo si vede bene nella parte centrale: Eh 7, l - l 0,28, rispettiva­ mente in 7, 1 -28 (incontro tra Melchisedek e Abramo, 7, 1 . 1 O; e ali ' interno: Melchisedek sacerdote, 7, 1 .3 ; la decima, 7,4.9; poi la legge, 7, 1 1 -28; il giura­ mento, 7,20.28; il sommo sacerdote, 7,26.28); in 8, 1 - 9,28 (magna inclusio su offrire, 8,3 e 9,28; doni e sacrifici, 8,3 e 9,9; ministro e ministero, 8,2.6; il primo 1 46 Vedi commento a Eb 9, 1 5-22. Cfr. il breve e denso contributo di D.A. Black, Literary Artistry in the Epistle to the Hebrews, in FgNt 7 ( 1 994) 43-5 1 . 1 47 Solo Romani e I Corinzi sono più lunghe di Ebrei, mentre 2Corinzi è di eguale lunghezza. Ebbene, il vocabolario di Ebrei ammonta a 990 parole; quello di Romani a 950; quello di l Corinzi a 920; 2Corinzi, infine, a 740. Ebrei contiene all ' incirca 1 60 hapax legomena, I O dei quali del tutto unici; Romani ne ha 1 1 3 ; l Corinzi, I l O; 2Corinzi, 99. 1 48 Sulla questione, cfr. D.A. Black, Literary Artistry in the Epistle to the Hebrews, in FgNt 7 ( 1 994) 43-5 1 .

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Profilo storico e letterario

patto, 8,7. 1 3 ; prescrizioni cultuali, 9, 1 . 1 0; Cristo, 9, 1 1 .28 e ancora 9, 1 1 . 1 4 e 9,24.28; patto-testamento ed eredità, 9, 1 5 . 1 7; sangue del patto, 9, 1 8.20.22); in l O, 1 - 1 8 (essi offrono, ora più nessuna offerta, l O, 1 . 1 8; le offerte e l 'offerta, l O, 1 . 1 O; sacrifici per i peccati, più nessun sacrificio per i peccati, l O, 1 1 . 1 8; ogni anno, l O, 1 .3 ; mi hai dato un corpo, oblazione del corpo, 1 0,5. 1 0; molte offerte e l 'unica offerta, l O, 1 1 . 1 4; offerta per i peccati; più nessuna offerta per i peccati, 1 0, 1 7. 1 8)149• Ed è consistente il contributo alla precisazione del messaggio, per delineare il quale l 'autore non esita a proporre apparenti ripetizioni l50• Da ultimo, ma l 'argomento non è certo esaurito, altri due fattori arricchiscono il peso artistico di Ebrei: coesione del « trattato » attraverso parole gancio1 5 1 : in 1 ,4 e 1 ,5 (angeli); 2, 1 3 e 2, 1 4 (i figli); 2, 1 7 e 3,2 (fedele); 2, 1 7 e 3 , 1 (sommo sacerdo­ te); 3, 1 9 e 4, 1 (entrare); 4,5 e 4,6 (entrare); 4, 1 4 e 4, 1 5 (abbiamo-non abbiamo); 6, 12 e 6, 1 3 (promesse); 8, 1 3 e 9, 1 (prima alleanza); 9,23 e 9,24 (le cose celesti e il cielo); 1 0,39 e l l , l (fede); 1 1 ,7 e 1 1 ,8 (erede); 1 1 ,39 e 1 2 , 1 (testimonianza e testi­ moni); I l ,40 e 1 2, l (per noi - noi); 1 2,24 e 1 2,25 (parlare); ma anche attraverso ce­ sure a incastro: punti in cui l 'autore abbandona momentaneamente il tema in esa­ me, per poi riprenderlo. Intanto ne introduce un altro che anche interrompe, per poi riprenderlo. E così via. Una procedura fluttuante. Solo un esempio: Eb l ,4 precisa che il Figlio è superiore agli angeli, esattamente perché Figlio. Eb l ,5- 14 offre un'accurata procedura epidittica sull 'argomento; interrotto quest'ultimo, l 'autore ne introduce uno nuovo in 2, l : « È necessario che ci applichiamo con maggiore im­ pegno alle cose udite, per non andare alla deriva ». In 2,2 torna il tema degli ange­ li, mentre in 2,3-4 riappare l 'argomento accennato in 2, l : le cose udite sono « la grande salvezza ». In 2,5 siamo di nuovo agli angeli; il tema del Figlio di cui già in 1 ,4 è ripreso in 2,6-8 ove evolve in « Figlio-uomo ». Gia angeli riappaiono al v. 9 seguiti da un nuovo tema: l ' inferiorità-superiorità del Figlio rispetto a essi. Un in­ castro continuo152• La procedura prolettico-analettica è ben riconoscibile. E lo è an­ che lo stile estetico e artistico. .

1 49 Cfr. A. Vanhoye, Literarische Struktur und theologische Botschaft des Hebriierbriefes (1), in SNTU 4 ( 1 979) 1 39- 1 4 1 . 150 Lo mostra molto bene A. Vanhoye, Literarische Struktur und theologische Botschaft des Hebriierbriefes (Il), in SNTU 5 ( 1 980) 1 8-49 : un tracciato teologico di Ebrei dedotto dali 'analisi strutturale esposta nel suo studio, di cui alla nota precedente. Almeno intenzionalmente, si pone sul­ la stessa linea M.R. Miller, Seven Theological Themes in Hebrews, in GraceTJ 8 ( 1 987) 1 3 1 - 1 40. Questi rileva sette temi teologici prodotti dali 'analisi formale di tipo semantico di altrettanti termini chiave: fede (pist-), perfezione (te/-), promessa (epaggel-), perseveranza, resistenza (men-), supe­ riorità (kreitton), testimonianza (martyr-), eredità (klero-) . Di tutt'altro profilo sono i sette temi pro­ posti da F. F. Bruce, The Structure and Argument ofHebrews, in SWJT 28 ( 1 985) 6- 1 2 . Lo studio of­ fre meno anal isi e più temi. Sette temi strutturanti ( ! ). La tendenza a fornire più strutture tematico-letterarie e meno letterario-tematiche permane. 15 1 È L. Vaganay (Le pian de l 'épitre aux Hébreux, in Mémorial Lagrange. Cinquantenaire de l 'école biblique et archéologique française de Jerusalem, Gabalda, Paris 1 940, pp. 269-277) a in­ tuire questo modo di procedere da parte di Ebrei. Elabora, approfondisce e perfeziona A. Vanhoye (A Structured Translation ofthe Epistle to the Hebrews, Pontificai Biblica! Institute, Rome 1 964, pp. 3-7). Ormai acquisito dali 'analisi esegetica, questo dato è riproposto da DJ. MacLeod, The Literary Structure ofthe Book ofHebrews, in BS 1 46 ( 1 989) 1 85- 1 97. 152 Ne rileva una serie di 22 casi, di alta qualità, e di altri 33 di medio livello, G.H. Guthrie, The Structure ofHebrews, pp. 6 1 -75 (« high level cohesion shifts »).

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Parte prima. Sezione introduttiva

Retorica e metodo storico-critico compatto. Frequenti figure retoriche disse­ minate in Ebrei confermano l ' attenzione dell 'autore allo stile. La dispositio rhe­ torica del suo « trattato », un dato abbastanza accertato 153, ne attesta la competen­ za critica. L'analisi retorica ha il suo ruolo in Ebrei grazie ali 'articolata trilogia classica che vi ricorre: autorevolezza dello scrittore-oratore (ethos); argomenta­ zione del discorso (logos); emozioni suscitate (pathos). Essa non esaurisce tutta­ via l 'esegesi del testo. La retorica appare così un momento specifico del più am­ pio e globale metodo storico-critico 154• L'autore deve essersene impossessato presso le scuole di retorica in Roma e nel mondo greco-romano 155; ciò che egli mostra di conoscere, tuttavia, è il livello più elevato della retorica ellenistica ap­ presa nella scuola di Alessandria156: annotazioni di passaggio (2,5; 5, 1 1 ; 6, 1 -2; 6,9; 8, 1 ; 9,5; 1 1 ,32); lo schema antico dell 'encomio (5,5- 1 0; 1 1 , 1 -40); ammoni­ menti-esortazioni di tipo retorico generico (5, 1 1 - 6, 1 2; 1 0,25 .32-34; 1 2,4) sono buona riprova di un comportamento redazionale che oculatamente dissemina quel materiale nella dispositio del tractatus. Né ignora i progymnasmata, ele­ menti preliminari, quasi esercizi introduttori allo stile retorico157• Anche momenti epidittico-argomentativi saturi di competenza scritturistica come 3,7 - 4, 1 1 , la sezione di 5, 1 1 - 6,20 che prepara la tesi di Eb in 7, 1 - 1 0, 1 8 con punto culminante in 8 , l , l 'utilizzo esemplificativo dell 'ampia lista di colos1 53 Si vedano i lavori di: P. Garuti (A lle origini dell 'omiletica cristiana), con qualche riserva da parte di J.N. Aletti, Bulletin Paulinienne, in RSR 85 ( 1 997) 1 1 0- 1 1 2 ; C.R Koester, Hebrews. A New Translation with lntroduction and Commentary (Anchor Bible 36), Doubleday, New York - London 200 1 . B. Lindars ( The Rhetorical Structure ofHebrews, in NTS 35 [ 1 989] 392, nota l ) suppone che l ' impeto retorico di Ebrei sia suggerito dall 'uso del Sal l 09. Analoga la posizione di L.D. Hurst, The Epistle ofHebrews, p. 1 33. Il numero degli studiosi attenti alla retorica di Ebrei va crescendo. 1 54 Cfr. D.F. Watson, Rhetorical Criticism of Hebrews and the Catholic Epist/es Since l 979, in CRBS 5 ( 1 997) 1 76. Interpreto così l ' apporto della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pp. 37-39: l 'approccio retorico è un « arricchimento allo studio critico dei testi >> fino all ' individuazione di prospettive originali (p. 38); un momento specifico del metodo sto­ rico-critico. Su questa linea si pone C . F. Evans ( The Theology of Rhetoric: The Epistle to the Hebrews, Dr. Williams's Trust, London 1 988): uso di synkrisis-comparison, retroterra della lettera; uso delle molte citazioni dal l ' AT, tracciato cristologico, pensiero in categorie giudaiche e giudeo-cri­ stiane; il tutto elaborato anche con l 'ausilio della retorica greco-romana. Anzi, più di ogni altro libro del NT ( ! ), Ebrei ne è positivamente influenzato. Ma, nella sua relazione ( The Use and Abuse ofthe Enthymeme in NT Scholarship. Studiorum Novi Testamenti Societas 5 7th Annua/ Meeting, Durham 61 O August 2002 [riferisco in base al mio personale ascolto]), D.E. Aune ha allargato il campo del suo intervento invitando i neotestamentaristi a non abusare dell ' entimema e della retorica in genere. Si è trattato di una presentazione del tutto classica, con accelerate esemplificazioni dal NT; in essa il rela­ tore non ha mai menzionato la « nuova retorica )), di cui invece prende ben atto il documento della Pontificia Commissione Biblica. Ne è derivato un acceso dibattito, che ha contribuito a rilevare l ' in­ terconnessione dei diversi momenti metodologici nell 'esegesi neotestamentaria. Rispettati nel loro specifico apporto, essi convergono in un metodo critico-storico ampio e articolato, che mi è p�o ab­ bia ottenuto il dovuto riconoscimento. Il richiamo di D.E. Aune mi è parso di troppo. 1 55 Per C.F. Evans, The Theology of Rhetoric, p. 3 si tratterebbe di scuole giudeocristiane. 1 56 Posizione precisa di D.E. Aune, The New Testament in its Literary Environment, p. 2 1 2. Indicazione utile già in R. Bultmann, pis teuo, in GLNT ( 1 975) 1 0,427-428. Si veda H.G. Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon with a Revised Supplement, Clarendon Press, Oxford 1 996 (pistos, p. 1408). Cfr. poi R. W. Thurston, Philo and the Epistle to the Hebrews, in EQ 58 ( 1 986) 1 33- 1 43 . 1 57 Così B . L . Mack, Rhetoric and the New Testament, Fortress Press, Minneapolis 1 990, pp. 77-78; P. Garuti, A lle origini dell 'omi/etica cristiana.

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si nella fede in 1 1 , 1 -40 con l 'ausilio dell 'anafora, depongono per lo stile lettera­ rio artistico del documento e ancora prima per tradizioni letterarie preesistenti. Al riguardo, Eb 1 1 è la prima testimonianza nella letteratura protocristiana della ri­ cezione di tale schema, già presente in 4Maccabei 1 6, 1 6-23 ; Sap 1 0; Filone di Alessandria, De virtutibus 1 98 ss.; De praemiis et poenis 7, 1 4 ; l Clemente 4-39. Ebrei lavora nel solco di tradizioni esistenti, eppure senza dipenderne. Se ne do­ vrà prendere atto più di una volta. Aspetti di retorica e logica, come l 'utilizzo di parabole (Eb 9,8-9; 1 1 , 1 7 - 1 9) e di hypodeigma (4, 1 1 ; 8,5; 9 ,23-24; cfr. 1 0, l ) lo sfondo logico-filosofico di 4,8; 1 1 , 1 3- 1 6a; 7, 1 1 e 8,7-8, il contesto dell 'espressione kata ten homoioteta (4, 1 5; 7, 1 5) in riferimento alla filosofia greco-romana e la rilevazione del ritratto di Gesù il Cristo come sommo sacerdote (elementi comuni e differenze, 5, 1 -4.58.9- 1 0): ecco altro materiale a riprova di una narratio redazionale che si avvale di elementi formali ben selezionati 158• La stessa professione di fede (homologia) della comunità in Gesù « un fi­ glio » ( 1 ,2b), « il Figlio di Dio » (Eb 3 , 1 .6; 4, 1 4; 1 0, 1 9-25 : un apporto di storia delle forme)159 e sommo sacerdote ( 1 ,3 ; 5,7a. 8-9 [?] ; 7,3 : tre apporti di storia del­ le forme piuttosto sicuri, dato il loro genere letterario inni co) e la liturgia della comunità presieduta dal sommo sacerdote (7, l - l O, 1 8, allusione allo Jom KippDr; cfr. l Clemente 36, l ; 6 1 ,3 ; 64; Ignazio di Antiochia, A i Filippesi 9, l ) sono prele­ vate dali 'autore da forme e tradizioni già esistenti. Questi poi se ne avvale se­ condo la « tecnica del montaggio »160. Tre logia Jesu in Ebrei? Nel primo, Gesù annunzia di voler proclamare il no­ me (di Dio) n eli 'assemblea dei fratelli (Eb 2, 1 2 Sal 2 1 ,23); nel secondo, egli di­ ce di voler porre la propria fiducia in Dio (Eb 2, 1 3 ls 8, 17 - 1 8); nel terzo, affer­ ma che Dio non vuole sacrifici, ma l 'obbedienza al suo volere, per compiere il quale egli è venuto (Eb 1 0,5b-7 Sal 39,7 -9). Gesù è dunque colui che intende compiere il volere (thelema) di Dio, esplicitamente menzionato o meno. Allo scopo, si avvale (attraverso la penna di Ebrei) di questi tre pensieri ripresi dali ' AT. Tutti e tre hanno in comune quel tema, punto nevralgico nella liturgia protocristiana, in essa memorizzati, perché provenienti direttamente da lui quale motivo ricorrente della sua peregrinante predicazione. Tre nuovi logia al di fuori delle liste a noi note: « Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo ali ' as­ semblea canterò le tue lodi » (Eb 2, 1 2); « lo porrò la mia fiducia in lui » (2, 1 3a); « Ecco, sono venuto - (poiché) sta scritto di me in cima al libro - per fare, o Dio, la tua volontà » ( l O, 7). Probante per tutti è la formula: « (Poiché) di me sta scrit­ to nel rotolo del libro (in cima al libro) » (dal Sal 39,9 in Eb l O, 7), a fondamento del comportamento ermeneutico del Gesù terreno (altra prova dell 'attenzione del=

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1 5 8 Rilevazioni al dettaglio in P. Garuti, Alcune strutture argomentative nella lettera agli Ebrei, in DT 98 ( 1 995) 1 97-224. 1 59 La formula è nota nel linguaggio corrente ed è come estraniata in Ebrei, che la rifinalizza: quel « Figlio di Dio » è ora Gesù il Cristo. 1 60 Si ha cioè una storia delle tradizioni del tipo Gesammelte Tradition e una storia della reda­ zione del tipo Montage-Technik. Credo sia meglio dire tecnica della redazione.

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Parte prima. Sezione introduttiva

l 'autore di Ebrei al Gesù storico, un consistente contributo di storia delle forme). La proposta è suggestiva, ma non solo161• Da ultimo si può notare che le tre mi­ crounità di 1 ,3 ; 5,7a. 8-9 e 7, 1 -3 sono preletterarie, apporto della storia delle for­ me, preesistenti alla redazione finale. Retorica in situazione? Nell 'uso degli strumenti tecnici della retorica classi­ ca, Ebrei si mostra influenzato dalla situazione umana e cristiana del destinatario. Allo scopo di riottenere adesione incondizionata al patto nuovo, l 'autore ricorre ad accorgimenti stilistico-retorici a effetto: dice ali ' inizio ciò che poi riprende (ellissi); ha uno stile linguistico curato e ampio; gli strumenti retorici non sono al solo servizio della bellezza linguistica, ma ben più del persuadere. Un bel testo, infatti, sprigiona un maggiore potere di convincimento. L'autore si avvale così dell ' ironia-iperbole retorica in Eb 6,4-6: per l 'apostata non è possibile una se­ conda conversione ! Ma quell 'argomentazione ha uno scopo preciso: è un deter­ rente. Ebrei ingaggia ancora l ' ironia retorica quando rileva che il sommo sacer­ dote doveva essere perfetto al massimo per poter entrare nel « santo dei santi » il giorno dell 'espiazione; allo scopo doveva curare la massima distanza dalle cose profane, comuni, non sacre, specialmente dai cadaveri. Paradosso: proprio il « cadavere >> di Gesù ha il potere di abbattere la morte; nella massima impurità della morte, scandalo della croce, Gesù opera il massimo della purificazione espiatrice; Dio creatore continua a essere creativo attraverso la morte e la soffe­ renza del Figlio. Quanto a « noi >>, uscire con lui portando il suo obbrobrio, è en­ trare nel mondo operandone la trasformazione; altra ironia162• Ebrei si avvale di frequente del climax ascendens (gradatio) : in 7, 1 -28 (l 'antica alleanza imperfet­ ta) punta su 8, 1 - 1 3 (l 'alleanza nuova e migliore); attraverso l 'argomentazione centrale in 1 1 , 1 - 1 2, 1 3 preme verso un finale che sfrutta ampiamente la storia di una fede in situazione: quei colossi, incrollabili nella speranza e nella fedeltà ( I l , 1 -40), hanno percorso un sentiero di fede aperto « come in anticipo » dal « precursore e perfezionatore » di essa: Gesù ( 1 2,2). Anche la captatio benevo­ lentiae è piuttosto frequente: essi sono ben in grado di conservare la fede ( 1 2,313 ). L'autore si adatta di continuo alla « situazione » del lettore, il quale ha la sen­ sazione di essere condotto con mano vigorosa, ma rispettosa, e gli affida uno scritto che poteva essere letto nel corso di un'ora, tempo sufficiente per una buo­ na meditazione. Altro indiscusso accorgimento retorico. L'autore impegna tutto se stesso onde ricuperare una comunità a lui cara, un tempo forte nella fede ed entusiasta, ora debole e tentennante. Egli sa che il suo è un momento di passaggio tra due epoche: dali 'ebraismo al cristianesimo; dal pat­ to antico al nuovo, in una non soluzione di continuità: da Mosè servo a Gesù fi­ glio, morto e risorto ( 1 3,20). L'espiazione richiede il ministero del sommo sacer­ dote? Ebbene, Gesù è il sommo sacerdote. La riconciliazione richiede la morte della vittima per dissanguamento? Gesù è morto effondendo il suo sangue (vita). L'espiazione prescrive l ' ingresso del sommo sacerdote nel « santo dei santi » at1 6 1 Cfr. G.J. Steyn, Jesus Sayings in Hebrews, in ETL 11 (200 1 ) 433-440. 1 62 Sull 'argomento, cfr. T. Radcliffe, Christ in Hebrews: Cultic Irony, in New Blackfriars 68 ( 1 987) 494-504.

Profilo storico e letterario

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traverso il velo? Il Figlio ha attraversato il velo della sua carne-umanità per rag­ giungere il santuario del cielo. Una così stringente argomentazione per « diconti­ nuità-continuità-novità )) deve avere ottenuto la persuasione sperata: quella mor­ te adempie tutte le attese e le esigenze di espiazione previste dalla legge giudaica. La Chiesa ebreo-cristiana di Roma e/o dintorni, o un gruppo di essa, chiuda quel suo acceso conflitto. Un 'ultima questione. Il testo attuale di Ebrei sarebbe un'« operazione reda­ zionale )) di un autore che unifica in un solo percorso materiale di diversa prove­ nienza: un Urtext « forse, l , 1 4; certamente, 2,5- 1 8; 5, 1 - 1 0; 7, 1 -28; 1 0, 1 - 1 8 )); que­ sti poi ricalca « su 2, 7- 1 8 il pilastro 4, 1 4- 1 5 e su 5, l O ricalca 6, 1 9-20. Riassume, infine, il tutto in 1 0, 1 9-25 e in 1 3 , 1 0- 1 5. Questa recente proposta va qui menzio­ nata, ed è in corso di verifica 163• Troppi i « ma e i se )), troppe le ipotesi, troppi i con­ dizionali. E poi, troppe le domande aperte. Due cristologie in Ebrei? O una sola cristologia in crescita? E, in questo caso, due autori? O un unico autore che, ri­ pensando le questioni, ne coordina le fasi in crescita? Una storia delle tradizioni condotta con metodo storico-critico deve condurre a risultati sicuri. Sul/ 'unità letteraria. Il problema letterario di Ebrei nasce a motivo dell 'as­ senza totale della salutatio nel proemio e a causa della presenza di dati personali solo nell 'epilogo. Perché la corposa unità letteraria di Eb l , 1 -4, con parte ionica al v. 3, non è preceduta dalla salutatio, come lo è l ' eulogia di Ef l ,3- 1 4? O come in Lettera di Barnaba (salutatio) e in ! Clemente (salutatio), che presentano anche una breve innografia? 164• Smarrimento accidentale? Non raro nella letteratura antica, il fe­ nomeno è più attendibile dell ' ipotesi che suggerisce la caduta della salutatio in quanto l 'autore (non Paolo) non avrebbe avuto sufficiente autorità apostolica, il che avrebbe reso ancora più difficoltosa l ' immissione di Ebrei nel canone. In ve­ rità, sia prima sia dopo tale immissione, Ebrei ha sempre goduto di molto ap­ prezzamento. Se una salutatio c'è stata ed è caduta, ciò deve essere avvenuto già alle origini e non deliberatamente, ma accidentalmente. Personalia. Perché in Ebrei compare impropriamente il cap. 1 3? Va detto che il destinatario di Ebrei non è una realtà ideale (fittizia) 165, cioè irreale. Non è un trattato scritto per cristiani in genere. Punti come 5, 1 1 - 1 2; 1 0,32-33; 1 2,4-5 ; 1 3 , 1 -9 non possono essere liquidati con la valutazione di « astrazioni retoriche )). Ebrei è opera di un maestro pastore, preoccupato per la sua comunità indebolita, cui invia una « parola di consolazione-esortazione )), una didascalia immessa nel­ la sua oratio-dissertatio (in base a 3 ,7). L'autore tratta questioni concrete, e non scrive per mostrare il proprio talento. Punti poi come 1 3, 1 9.22-24 nonché 1 3, 1 7. 1 6- 1 9.22-23, più che contraddire i l genere letterario epidittico dell ' oratio-dis1 63 Così lascia intendere lo stesso P. Garuti, Due cristologie nella Lettera agli Ebrei?, in SBFLAn 49 ( 1 999) 237-258. 1 64 Si adduce anche il caso della Seconda lettera di Clemente ai Corinzi (= 2Clemente), che of­ fre una breve innografia, ma non la salutatio propriamente detta. 1 65 Sembra il parere di E. Griisser (A n die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 23) in riferimento a tut­ te le questioni introduttorie storiche. Un po' troppo!

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Parte prima. Sezione introduttiva

sertatio, dicono appunto la preoccupazione concreta di un pastore che, conclusa la dimostrazione de « il punto capitale >> (8, l ), entra al termine del suo « trattato >> nel vivo della vita immediata dei suoi destinatari. Allontanandosi dallo stile di Eb 1 - 1 2 , il cap. 1 3 si avvicina molto, per con­ tenuto, ali 'epistolografia paolina. Da qui l ' interrogativo: Eb 1 3 appartiene al­ l 'autore di Ebrei o gli è preesistente? In particolare i vv. 22-25 mostrano un con­ creto contatto con la scuola di Paolo166• Benché le ipotesi avanzate sulla perdita del saluto originale e sull 'aggiunta posteriore di Eb 1 3 siano ancora aperte, l ' in­ tegrità di Ebrei è generalmente tenuta. Alcuni studiosi continuano a sostenere che 1 3,22-25 sia un post-scriptum aggiunto, allo scopo di dare all 'opera un tocco paolino. Più attendibile è invece ritenere che esso sia segno di comunità già in grado di vivere senza Paolo, pur senza prescindeme. Dal momento che Ebrei presenta un po ' ovunque nel suo scritto elementi e metodi propri di un pastore, e non solo in Eb 1 3, si deve ritenere, quest'ultimo, parte integrante del « trattato )), e non una finzione letteraria intesa a dargli soste­ gno. Non va eliminato, né ritenuto di mano posteriore. Del resto, anche le tre unità preletterarie di Eb 1 ,3; 5,7a.8-9 e 7, 1 -3 sono preesistenti alla redazione finale; tut­ te e tre non ne disturbano, bensì ne confermano l ' integrità. Così anche 1 3,22-25. Ma si veda la proposta critica di A.J.M. Wedderbum, The Letter to the Hebrews and Its Thirteenth, in NTS 50 (2004) 390-405 (il cap. 1 3 non è stilato dallo stesso autore dei capp. 1 - 1 2, bensì da un redattore che quei capitoli ben conosce).

3. Il problema storico:

tra culture e autonomia dell 'opzione

Dipende Ebrei dalla scuola di Alessandria? O dal pensiero di Qumran? O dalla scuola gnostica? La ricchezza stilistica in Ebrei si potrebbe spiegare bene con il retroterra ales­ sandrino: molti ebrei erano esperti nella cultura greca, anche a seguito della loro diaspora in Alessandria; Eb l ,3 è fortemente ispirato a Sap 7 ,25-26; Eb 1 3 ,2 1 « gra­ dito )) (euarestos) ha riscontro in Sap 4, l O e in 9, l O; « Colui che ha costruito (kata­ skeuasas) )) di Eb 3,3 si legge in Sap 1 3 ,4; « reso perfetto )) (teleiotheis) di Eb 5,9 trova riscontro in Sap 4, 1 3 ; « precipitare )) (parapipto) di Eb 6,6 ha un'equivalenza in Sap 6,9; « mondo )) (oikoumene) di Eb 1 ,6 e 2,5 ha eco in Sap 3, 1 0; anapausis, katapausis e katapaui5 in Eb 4,9 e altrove trova riscontro in Sap 4, 7; « spazio per il pentimento )) (metanoias topos) di Eb 1 2, 1 7 e di 6, 1 .6 ha risonanza in Sap 1 2, 1 0; « potenza >> (dynamis) di Eb 7, 1 6 si legge in Sap 1 ,3; l 'autore stesso è probabile membro del circolo sapienziale da cui proviene il libro della Sapienza167• Indubbi riscontri. Ma anche dipendenza di Ebrei da Sapienza, o solo equivalenze? 1 66 Se ne occupa, a dir poco in modo acribico, K. Backhaus, Der Hebriierbrief und die Paulus­ Schule, in BZ 3 7 ( 1 993) 1 83-208. 1 67 Lo farebbe pensare, fra l ' altro, la menzione di Sap 2,24 in Eb 2, l 4b. Ne abbiamo già ac­ cennato sopra. Ireneo di Lione, nel suo Libellus variarum disputationum (menzionato in Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica 5,26), redatto in tono alessandrino, avverte una connessione tra Ebrei e Sapienza.

Profilo storico e letterario

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Non poca risonanza sembra avere in Ebrei anche Filone di Alessandria con la sua sintesi tra religiosità giudaica e filosofia greca168. Filone conosce Platone: ciò che è vero non si vede; ciò che si vede è solo una pallida copia di ciò che è vero. Ebrei sa, ma va per la sua strada: usa skia (ombra) non in senso platonico, ma di ti­ po dell ' antitypos ( antitipo, 9,24 ), di umbratile prefigurazione di una realtà che de­ ve venire (hypodeigma, 8,5), senso apocalittico favorito dall 'endiadi hypodeigma­ skia ( « prefigurazione-ombra )), l O, l ), come tale, realtà « prossima a scomparire )) (8, 1 3). Ebrei ha a che fare con elementi non allegorici, ma reali: il tempio, il sacri­ ficio, il sacerdozio, tutte anticipazioni umbratili di realtà vere ed eterne, elaborate con esegesi tipologica basata sul principio platonico-filoniano dell 'archetipo-anti­ tipo superiore ali ' immagine-tipo: antitypos ( l O, l ), eik6n ( l O, l ), skia (8,5; 1 0, 1 ), ty­ pos (8,5). Si pensi al motivo del tempio terrestre che Mosè deve costruire secondo l 'archetipo celeste e alle risonanze di questo argomento in Filone169. Lo storico Eusebio coglie questo rapporto platonico-filoniano quando cita Es 25,9.40, per di­ re che Esodo e Platone concordano sull ' idea archetipa del celeste superiore al ter­ restre170, « pallida realizzazione del divino )) 1 7 1 • E vi è di più: lo Pseudo-Giustino172, autore cristiano, ritiene che lo stesso Platone abbia preso l ' idea archetipa del tem­ pio proprio da Es 25,9.40 e 26,30. Ma un dato di fatto è innegabile: Ebrei ha un lin­ guaggio platonico-filoniano a mo' di termini tecnici, che tuttavia legge in modo non platonico-filoniano; egli cioè è autonomo nell 'esporre ciò che intende; immer­ so in quella cultura, se ne avvale, ponendola al servizio della tradizione di Esodo173• Anche sul « sommo sacerdote )) può esserci dell 'allegoria: Filone attribuisce la di­ gnità di sommo sacerdote al logos divino, suggestione che non elabora; conosce inoltre la figura di Melchisedek. Eppure Ebrei non ne segue le indicazioni, ma op­ ta per una elaborazione diretta dell 'argomento sul Sal l 09,4 in connessione con Gn 14, 1 8-20 e mette a punto una figura di sommo sacerdote che esercita un ministero d' intercessione, di remissione dei peccati, di riconciliazione e santificazione. Ebrei sceglie la via delle tradizioni anticotestamentarie: dali 'AT al NT. Un esempio di as­ soluta autonomia dall ' influsso alessandrino174. Per la questione escatologica, la si168 Ne è assertore autorevole C. Spicq, Alexandrinismes dans l 'épitre aux Hébreux, in RB 58 ( 1 95 1 ) 48 1 -502, e ancora in Id., L'épitre aux Hébreux. 1: Introduction, con un'ampia trattazione al­ le pp. 39-9 1 . 169 Cfr. Es 25,8 in Filone di Alessandria, Quaestiones in Exodum 2,52; Es 25,40 in Quaestiones in Exodum 2,82; Es 26,30 in Quaestiones in Exodum 2,90. 1 7° Cfr. Platone, Repubblica 500D-50 l C. 1 7 1 « Tq theiq paradeigmati » , in Platone, Repubblica 50 l E. Cfr. Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica 1 2, 1 9, 1 -9 (E. des Places e altri [edd.), [SC 307], Cerf, Paris 1 974- 1 987). 1 72 Cfr. M. Marcovich (ed.), Pseudo-Iustinus, Cohortatio ad Graecos, de monarchia, oratio ad graecos (Patristische Texte und Studien 32) 29, 1 -2, W. De Gruyter, Berlin - New York 1 990. 1 73 Approfondisce la questione delle interdipendenze tra Esodo-Platone-Filone-Ebrei, G.E. Sterling, Ontology versus Eschatology: Tensions between Author and Community in Hebrews, in StudPhilonAnn 1 3 (200 1 ) 208-2 1 1 . Tensioni tra autore e destinatari? La posta in gioco è notevole e le tensioni sono attendibili, tanto più che l 'autore può ben conoscere il gioco intricato delle tradi­ zioni, ma non lo possono di certo i destinatari. 1 74 Si veda utilmente J.R. Sharp, Philonism and the Eschatology ofHebrews: Another Look, in EAJTh 2 ( 1 984) 289-298 e, in particolare, Id., Typology and the Message ofHebrews, in EAJTh 4 ( 1 986) 95- 1 03, qui 96-99.

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Parte prima. Sezione introduttiva

tuazione è meno problematica: il passaggio dal tempo ali ' escatologia è solo un ap­ porto cristiano del tutto legato alla persona di Gesù Cristo, che cambia radicalmen­ te la concezione antologica del tempo e della storia. Ebrei non è uno scritto platonico-filoniano. Di scuola alessandrina175, l 'au­ tore ne sfrutta i prodotti migliori, ma in tutta libertà176: i termini appena menzio­ nati e, inoltre, eikon e pragma ( 1 0, 1 ); alethinos (8,2; 9,24) e ancora adynaton (« è impossibile », 6,4. 1 8; l 0,4; 1 1 ,6); eprepen gar (« è opportuno, giusto, convenien­ te che », 2, l O; 7 26); ex anagkes kai (« necessariamente », 7, 1 2), ne sono eloquen­ te indicazione. Anche pistis (fede), intesa in Ebrei diversamente da Paolo, pre­ senta affinità con il filosofo ebreo che tenta l 'avvicinamento tra filosofia greca e religione giudaica; un saggio tentativo di inculturazione. Un altro indizio di competenza alessandrina di Ebrei è l 'uso del metodo fi­ loniano delle antitesi, ad esempio tra giudaismo e cristianesimo, ove il secondo è migliore (kreittonos) del primo (inferiore, elattonos); tra terrestre e celeste, tra Mosè e Gesù; tra l 'alleanza antica e quella nuova. Anche qui Ebrei mostra auto­ nomia. Tale procedura legittima in Ebrei la finalità che egli vuole perseguire: mantenere viva nei destinatari la certezza del mondo futuro. La novità sta nel fat­ to che Ebrei pensa in termini di continuità tra le due parti, di evoluzione dell 'u­ nico piano salvifico di Dio. Questa visuale salva anche il patrimonio socioreli­ gioso della comunità, risparmiando le rischi. Dunque, social legitimation secondo Ebrei a procedere come di fatto opera 177: si muove tra dimensione orizzontale (quella umbratile) e verticale (quella vera), la prima presente « ora », nel tempo, la seconda nel futuro. Nella storia della salvezza vi sono realtà, non allegorie178• Un apporto di vocabolario ci sposta da Alessandria a Qumran. Con teleiosis (perfezione) si ha un termine chiave in Ebrei, frutto di elaborazione razionale di provenienza alessandrina. Esso è noto anche a Qumran (tam), ma vi è del tutto ignota l 'elaborazione concettuale. La comunità del deserto di Giuda, del resto, ,

1 75 Avvalendosi di rilevazioni statistiche, L.D. Hurst, Philo, Alexandria and Platonism, in Id., The Epistle ofHebrews, pp. 7-2 1 e 22-42, ritiene di poter ridurre i toni platonico-filoniani di un omo­ nimo linguaggio che si riscontra in Ebrei. Egli mostra come proprio i termini hypodeigma (Platone, paradeigma), skia, antitypos, alethinos ed eikOn, sono ripensati dali 'autore e dotati di un contenuto prelevato daii'AT (lbid., p. 42). È un risultato da me più volte segnalato ad /oca. Cfr. anche J.M. Caballero Cuesta, Para mejor comprender la Carta a los Hebreos, in Burgense 29 ( 1 988) 3 80. Mentre va apprezzato lo studio di Caballero Cuesta, va anche fatto presente che i riferimenti tra Ebrei e Sapienza (lbid., p. 3 80) sono spesso inesatti; uno di essi, poi, Eh 3, 1 2 e Sap 3, 1 0 (oikoume­ ne) non esiste affatto. 1 76 Cfr. K.L Schenck, Philo and the Epistle to the Hebrews: Ronald Williamson 's Study after Thirty Years, in StudPhilonAnn 1 4 (2002) 1 1 2- 1 35, in particolare 1 35- 1 35. 1 77 Rilevazioni in L. Salevao, Legitimation in the Letter to the Hebrews. The Construction and Maintenance of a symbolic Universe (JSNT.SS 2 1 9), Continuum, London 2002, pp. 339-4 1 2 . 1 78 Per un prospetto delle risonanze filoniane in Ebrei, do qui un riquadro unanimemente accolto: 1 ,3 . 1 4; 2 , 1 .6; 4, 1 2- 1 3 . 1 4; 5,8-9; 5 , 1 1 ; 6, 1 3 . 1 6. 1 9; 7, 1 .2.3; 7,9. 1 6.22 .24.25; 8,2-5 ; 9,2 ss.; 9, 1 1 . 1 3. 1 9.23; 1 0, 1 .26.3 1 ; 1 1 ,3 ss.; 1 3 . 1 6.2 1 .25.27.34; 1 2, 1 .6. 1 6. 1 8- 1 9; 1 3 , 1 4- 1 5. Breve rassegna in C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. Il: Commentaire, Gabalda, Paris 1 953, p. 333. Ma il ridimensionamento è in corso. Cfr. G.E. Sterling, Ontology versus Eschatology: Tensions between Author and Community in Hebrews, in StudPhilonAnn 1 3 (200 1 ) 1 90-2 1 1 e K.L. Schenck, Philo and the Epistle to the Hebrews: Ronald Williamson 's Study after Thirty Years, in StudPhilonAnn 1 4 (2002) 1 1 2- 1 35.

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ignora un mediatore reso perfetto dal dono del proprio sangue (= vita) e che, a sua volta, rende perfetti per l 'efficacia espiatoria e riconciliativa. Se per gli esseni la comunità è il luogo dove si raggiunge la perfezione, per Ebrei essa è esercitata in assemblea pasquale ( l 0,25) e avrà il suo coronamento soltanto nella « città futu­ ra ». Eh 1 3 , 1 4 è una reinterpretazione della città escatologica giudaica nei termi­ ni della speculazione alessandrina; ciò porta a pensare l 'escatologia come meta­ storia, come realtà celeste permanente ed eterna. Gli esseni invece la collocano nell 'orizzonte cronologico: essa coincide con il rinnovamento della legge e la pu­ rificazione del tempio. Che Ebrei dipenda da Qumran? Già il binomio teleiOsis-tam rende legittima la domanda. Inchieste autorevoli hanno richiamato l 'attenzione su « paralleli » tra Ebrei e Qurnran, sia nelle esortazioni dello scritto sia nei momenti dottrinali 1 79• Nella diffusa paràclesi in Ebrei e a Qumran è un dato di fatto che il Sal 94(95) ricorra abbondantemente e con specifica attenzione ai quarant'anni del soggiorno israelitico nel deserto. Ma se a Qurnran la vita nel deserto è un ideale a sé, in Ebrei esilio, migrazione e peregrinazione desertica sono ispirati alla fede cristiana, in un aldilà verso il quale il popolo cristiano è in marcia e dove troverà la sua vera casa, un soggiorno definitivo ed eterno, nel riposo (katapausis) di/in Dio. Gli angeli svolgono a Qumran un ruolo notevole: accompagnano la comunità nelle sue vicende ( J QM 7,6; 1 2, 1 ); sono alla presenza di 'Adtmiiy (JQH 1 1 , 1 3), dell '« Altissimo » (Codice di Damasco 20,8; Dn 4, l 0), sono santi e perfetti (4QSI 39, frammento A), celebrano la « liturgia angelica, olocausto del sabato » a lode di Dio (4QSIJ I80• Nulla di tutto questo in Eh l , 1 4, in cui essi sono « inviati a servire coloro che devono ereditare la salvezza »; in 2, 7 sono solo « per poco tempo » su­ periori al « Figlio dell 'uomo », al quale dovranno rendere adorazione ( l ,6b ); per quanto grandi possano essere, sono creature di Dio e a suo servizio1 8 1 • Le somiglianze più strette con Qumran cadono nella parenesi, i n cui Ebrei deplora l ' infedeltà all 'alleanza con un vocabolario che trova eco adeguata a Qumran. Infatti, Ebrei e Qumran dipendono, al riguardo, entrambi da tradizioni anticotestamentarie e giudaiche. Analogie si rilevano nel campo delle virtù - la preoccupazione dell ' ortodos­ sia, la venerazione di chi presiede la comunità, guide carismatiche (hegoumenoi), il rispetto del matrimonio, l ' indifferenza verso i beni di questo mondo, il di­ sprezzo dell 'avarizia, la stima della vita comune, l 'amore fraterno, l ' importanza accordata ali ' istruzione catecheti ca, tutti dati specifici in Eh 1 3 , in modo diver­ so, sono presenti anche a Qumran. Convergenze? Sì, ma divergenti. E le seguen-

1 79 Cfr. J. Coppens, Les affinités qumraniennes de l 'épitre aux Hébreux, in NRT 84 ( 1 962) 1 241 4 1 e 257-282. La ripartizione di Ebrei in sezione dottrinale ( l , l I O, 1 8) e sezione parenetica ( l O, 1 9 1 3 ,25) non può tuttavia essere ancora sostenuta. S u Ebrei e Qumran, cfr. C . Gianotto, Qumran e la lettera agli Ebrei, in RSB 2 ( 1 997) 2 1 1 -230. 180 4QSI, sigla di J. Strugnell ( The angelic Liturgy at Qumran. International Organizationfor the Study of the 0/d Testament, Brill, Leiden 1 960: Supplement to Vetus Testamentum, vol. l O, pp. 3 1 7-345), lo studioso qumranista che ne ha approntato l 'edizione critica. 1 8 1 Annotazioni testuali in F. Brug, Psalm 1 04. 4 - Winds or Angels? (Heb 1, 7), in WLQ 97 (2000) 209-2 1 O. -

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ti divergenze tra Ebrei e Qumran sono di certo più chiare: secondo Eb 1 3 , 1 5 , l ' of­ ferta di lode deve farsi con e per Cristo; i monaci del deserto di Giuda non cono­ scono alcun intermediario, neppure angelico; a Qumran la comunità è costituita in santuario terrestre spirituale, sostitutivo del tempio di Gerusalemme, dal qua­ le essi si sono distaccati. Ebrei non insiste su questo profilo. Mostra invece il ca­ rattere transitorio del tempio giudaico, del resto non più esistente anche material­ mente dal 70 d.C., contrapponendogli la superiorità di un tabernacolo celeste, in cui Gesù è il sommo sacerdote sempre officiante. Semmai, come episynagoge ( 1 0,25a), la comunità è il luogo ove i cristiani rendono culto al Dio vivente. Ma la divergenza è notevole. Nei molteplici insegnamenti, almeno tre i contatti più significativi nel co­ mune intento di perseguire la liberazione da peccato e colpa: in Ebrei la espia­ zione-purificazione dei peccati è opera del « Figlio ». Essa non è un rito solo este­ riore, ma avviene nella coscienza risanandola in radice; Ebrei parla di nuova alleanza (cfr. 8,8; 9, 1 5) conclusa da Cristo « una volta per sempre »; a Qumran es­ sa è rinnovabile ogni anno durante un periodo di tre mesi in occasione della festa di pentecoste, ed è opera dei membri della comunità; infine, Qumran ed Ebrei so­ no in attesa di un sommo sacerdote escatologico, ne esaltano il ruolo nel giorno di Jom KippCJr; ma, a differenza del sacerdozio sadocita a Qumran, Ebrei celebra quello non levitico e celeste di Cristo, dunque nuovo ed eterno. Come si vede, anche quando il vocabolario di Ebrei si incontra con quello di Qumran, si tratta per lo più di mere equivalenze o affinità. Ebrei invece presenta un buon numero di vocaboli di matrice ellenistico-alessandrina che rivelano l 'ambiente culturale dell 'autore e anche i probabili destinatari: ebrei della dia­ spora, giudeo-etnicocristiani, molto meno giudeocristiani che intendono conser­ vare il culto sacrificate levitico accanto a quello cristiano. Forse essenocristiani? Questo suggerimento legge Eb 1 3 , 1 0 alla luce di J QSa 2, 1 6-22 : vi si descrive il raduno a mensa della comunità (almeno dieci uomini, l ,22) per consumare la pri­ mizia del pane e del vino dolce benedetti dal sacerdote. Traducendo thysiasterion (Eb 1 3 , l O) con « tavola del Signore )), si avrebbe un riferimento alla mensa degli esseni, che per Ebrei è però quella eucaristica. Risultato: i destinatari di Ebrei non sono né ebrei né gentili, ma esseni divenuti cristiani, ancora sempre legati a quel­ la loro celebrazione di un tempo. Da qui l 'accentuazione del tema « Gesù sommo sacerdote )) da parte di Ebrei; in essa vi sarebbe un intento polemico nei confron­ ti dei pasti sacrificali di Qumran che differivano dal rito eucaristico, eppure era­ no nostalgicamente celebrati. In verità, thysiasterion (altare) esprime la connes­ sione stretta con il sacerdote, l 'offerta sacrificai e e i partecipanti. Una polemica diretta con essenocristiani, perché partecipanti a pasti sacrificati difformi dal­ l 'eucaristia, non ha in Ebrei base consistente182• 1 82 La questione torna a farsi notare, ripartendo dallo studio di Y. Yadin ( The Dead Sea Scrolls and the Epistle to the Hebrews, in Scripta Hierosolimitana 4 [ 1 958] 3 8), il primo ad avere proposto per Ebrei il destinatario essenocristiano. Il suo studio « continues to enjoy the most longevity », an­ nota L.D. Hurst ( The Epistle to the Hebrews, pp. 43-44), a cui rimando anche per la questione su Ebrei e Qurnran (Ibid., pp. 43-66).

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I n forza dei dati riferiti e dell 'assenza i n Ebrei di temi ricorrenti a Qumran, come « figli della luce >> e « figli delle tenebre », la duplice predestinazione alla salvezza e alla dannazione eterna, il binomio Cristo-Belial, si deve ritenere che gli apporti del giudaismo ellenistico-alessandrino alla redazione di Ebrei sono più sicuri e significativi di quelli di Qumran e che i destinatari sono da identifi­ care nel medesimo quadro politico-culturale. Gnosi. Più difficoltoso è invece riconoscere a Ebrei un retroterra gnostico, capace di motivarne lo stile elevato e i contenuti « elitari ». Il confronto tra cele­ ste e terrestre è riprova di retroterra alessandrino e ha valore argomentativo; quel dualismo in antitesi sintetica non vuole affermare l 'esclusiva bontà del mondo celeste e la totale non bontà di quello terrestre. Questo pensiero gnostico non è presente in Ebrei. Anche l ' idea della peregrinazione del popolo eletto nel deserto, immagine della peregrinazione dell 'anima eletta verso il mondo celeste183, nel sopore del ri­ poso sabbatico di Dio (Eb 3-4), non trova riscontro alcuno nel bagaglio di Eb 1 1 12184. Non è l ' anima, e tanto meno quella di pochi eletti, a peregrinare verso il ri­ poso di Dio, ma un popolo intero, eletto e mai rifiutato, in esodo verso quel « riposo di/in Dio », del quale esso, nel suo insieme e in ogni suo componente, è ancora « oggi » destinatario privilegiato ( 4, 1 - 1 1 , qui v. 7) 185• L'autore può anche mostrare contatti con lo gnosticismo, ad esempio in Eb 2, 1 1 186, un testo considerato tipico per la derivazione di Ebrei dalla visione gno­ stica circa la parentela (syngeneia) tra Cristo e i credenti, risultato di una esaltata ricerca di parentela con Dio da parte dell 'essere umano, attestata anche in Filone di Alessandria187, ma possibile a pochi1 88• In entrambi i casi si è fuori contesto di redenzione. I due momenti, gnostico e filoniano, possono avere fornito impulsi a Ebrei (e a Giovanni) circa l 'origine divina dei credenti, essendo essi venuti a con­ tatto con una comunità influenzata da quelle espressioni culturali. Ma l 'elabora­ zione del tema, in Ebrei (e in Giovanni), è autonoma e personale. Anche il motivo de « il nome », del tutto proprio in Eb l ,2-3 .4 e nello svi­ luppo successivo, trova eco a Nag Hammadi nel Vangelo della verità (ca. 1 50 d.C.) 1 ,3, in cui si legge: « Il Figlio è il nome di lui. Egli ha detto un nome che è 183 Cfr. E. Kiisemann, Die Himmelreise in der Gnosis, in Id., Das wandernde Gottesvolk. Eine Untersuchung zum Hebriierbrief, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 957, pp. 52-58. 1 84 È invece il pensiero di E. Griisser (Das wandernde Gottevolk. Zum Basismotiv des Hebriierbriefes, in ZNW 77 [ 1 986] 1 60- 1 79), che riprende E. Kiisemann (Das wandernde Gottesvolk, pp. 52-58). Ridimensiona questa posizione L.D. Hurst ( The Epistle to the Hebrews, pp. 68, 70-7 1 ). 185 Apporto già in A. Feuillet, Le dialogue avec le monde non-chrétien dans /es épitres pastora­ /es et / 'épitre aux Hébreux. Deuxième partie: / 'épitre aux Hébreux, in EsprVie 98 ( 1 988) 1 52- 1 59. 186 E ancora in Eb 3,7 - 4, 1 0; in 5 , 1 4 e 1 0,20, secondo H. Feld, Der Hebriierbrief(EF 228), Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1 985: « Gnostische Tradition ist hier wirksam ». Questioni introduttorie e ampia sintesi teologica: Gnostische Hintergrung). 1 8 7 Ampia documentazione in C.J.A. Hickling, John and Hebrews: the Background of Hebrews 2, 10-18, in NTS 29 ( 1 983) 1 1 2- 1 1 6. 188 La paternità di questa lettura va riconosciuta a E. Kiisemann, Der Bruder und die Kinder, in Id., Das wandernde Gottesvolk. Eine Untersuchung zum Hebriierbrief, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 957, pp. 90-95.

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Parte prima. Sezione introduttiva

quello del Padre, così il nome del Padre è quello del Figlio » (linee 35-40, qui 40). Nel Vangelo di Filippo (secolo III?), logion 1 2, si dice: « Un solo nome non vie­ ne proferito nel mondo, il nome che il Padre ha dato al Figlio. Esso è più eccelso di qualsiasi altro, è il nome del Padre. Padre e Figlio hanno lo stesso nome (natu­ ra), cioè sono consustanziali. Noi non possiamo comprendere il nome divino, ma qualcosa sì >> 189• Su questa risonanza tematica, Ebrei elabora in direzione gesuo­ logico-cristologica. In particolare, temi come sofferenza e morte di Gesù, solida­ rietà e compassionevolezza, la crisi nella fede della comunità sono così legati al­ l 'esperienza storica, da non poter essere coordinati con una gnosi sganciata da tutto ciò che è materiale. Momenti comuni sono solo equivalenze, non di più. Ebrei ripensa in proprio. Nel Vangelo della verità 22,20 si legge di un « rivelatore che comunica la gnosi che salva >>; Eb 2, l O parla dell '« autore della salvezza che conduce molti fi­ gli alla gloria >>, verso la quale egli apre il cammino. Tutt'altra posizione. Allude a Ebrei il celebre Canto della perla? 190• Il personaggio principale è un redentore (preesistente) inviato nel mondo per conquistarsi il regno celeste simboleggiato da una perla (cfr. M t 1 3,45-46), in possesso di un « terribile ser­ pente sibilante >> (lbid. 1 1 1 ,58). Se tutto andrà bene, egli sarà l 'erede del trono del padre (lbid. 1 08, 1 - 1 5 ; cfr. Eb 1 ,2.8), re e re dei re (lbid. 1 09,3 3 ; 1 1 1 ,56; 1 1 2,86), padre degli spiriti (Eb 1 2,9), padre di Gesù Cristo (Eb 1 ,5 ; 3 ,3-6). Quale fratello maggiore, egli dovrà avere cura del/i fratello/i minore/i, quelli che credono in lui, il Cristo (cfr. Eb 2, l 0- 1 5). Una lettera dalla casa reale dei suoi genitori (!bid. 1 1 0,40) gli viene recapitata da un'aquila, immagine dello Spirito di Dio, « Spirito di santità » (Eb 2,4 e 6,4, secondo la versione Siriaca pes itta), « Spirito della gra­ zia » (Eb 1 0,29), « Spirito eterno » (Eh 9,24). Essa è la sacra scrittura cristiana: ri­ corda al Figlio di esserne il depositario e l 'annunciatore (Eh 2,3-4) del patto nuo­ vo (Eb 1 0, 1 6); con essa il Figlio incanta il serpente, gli sottrae la perla, e inizia il viaggio di ritorno verso la casa patema (Canto della perla 1 1 1 ,53-7 1 ). È il viag­ gio del redentore (fratello maggiore) e dei redenti (i fratelli): il primo ha compiuto il sacrificio unico e perfetto ed è diventato « perfezionatore della fede » (Eb 1 2,2); i secondi hanno aderito a quel sacrificio con fede perfetta ( 1 0,22). Per entrambi, perfettamente credenti, quella fede è la perla che li ammette alla divina presenza. Una ben riuscita allegoria sugli insegnamenti contenuti negli scritti cristiani 191 il Canto della perla risente di toni gnostici - riflette tuttavia molto più l ' insegna­ mento degli apostoli stilato sulla parabola del padre e dei due figli (Le 1 5, 1 1 -32)

1 89 Testi in M. Erbetta, Apocrifi del NT, Marietti, Torino 1 982, vol. l, rispettivamente pp. 222223 e pp. 53 1 -532. Far conoscere il nome del Padre, tema in Eb 2, 1 2 e in Gv 1 7 ,6; 1 7 ,26, trova ri­ sonanza nei due vangeli del Corpus gnosticum di Nag Hammadi. Cfr. J.M. Robinson (ed.), The Nag Hammadi Library in English, Brill, Leiden 1 977, rispettivamente 1 ,3,38.6-20 e 2,3,54.5- 1 0. 1 90 Noto ancora come Inno della perla o Canto della redenzione. Inizio secolo III, all 'epoca deli ' impero dei parti, prima dell 'anno 226; in siriaco e in greco. Testo in Atti di Tommaso 1 08- 1 1 3 , 1 1 05 . I l canto è fra i più bei documenti (gnostici) a noi pervenuti, un poema completo, i n stile d i leg­ genda, ispirato al mito del redentore e della redenzione, senza inquinamenti di tipo cosmologico. 1 9 1 Approfondisce la questione B.E. Colless ( The Letter to the Hebrews and the Song of the Pearl, in Abr-Nahrain 25 [ 1 987] 40-55), con dovizia di riscontri.

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e della perla (Mt 1 3,45-46). Il Canto della perla è attestato di indubbio interesse per Ebrei tra la fine del secolo II e l ' inizio del III. Che Ebrei possa essere una meditazione teologica su temi diversi, esposta nel­ lo stile gnostico, è difficile a stabilirsi; è difficoltoso poter individuare simile stile espositivo in Ebrei, e così ben articolato, già alla fine del secolo l, quando la docu­ mentazione gnostica è appena alle origini192• Forse tradizioni gnostiche orali che precedono la redazione scritta? Sia pure risentendone, Ebrei ne resta libero193•

4. I l problema esegetico:

Ebrei,

I'AT

e il

NT

Nel suo lavoro redazionale molto personalizzato, mentre mostra di conosce­ re i riquadri culturali del suo tempo, Ebrei si avvale in particolare di tradizioni dali ' AT e dal NT. Ebrei e l 'AT. Nessun libro del NT cita così abbondantemente l ' AT (LXX) come Ebrei194• Ne do in nota una lista selezionata195• E vi è di più: nessuna cita­ zione è riferita con fedeltà letterale. L'autore introduce variazioni minime e non, per motivi stilistici, onde evitare rigide costruzioni, in particolare per sostenere 1 92 H. Feld (Der Hebriierbrief, pp. 49-5 1 ) rawede in Eb 3,7 - 4, 1 0; 5, 14; 1 0,20, un innegabile re­ troterra gnostico. In verità solo tracce o risonanze. Lo stesso H. Feld, Der Hebriierbrief, in Au.fstieg und Niedergang der Romischen We/t, vol. II (ANRW), W. De Gruyter, Berlin 1 987, pp. 3558-3560, mostra più cautela. Per la complessità del problema, si veda la sintesi proposta da A. Vanhoye, Hebriierbrief, in TRE ( 1 985) 1 4,502. Decisa posizione di N. Casalini, Per un commento a Ebrei (/): Ebr 1-6, in SBFLAn 4 1 ( 1 99 1 ) 1 30- 1 34. Di equilibrio scientifico mi è parso L.D. Hurst, The Epistle o.fHebrews, pp. 68-75. 1 93 J. Punt (Hebrews, Thoughts-patterns and Context: Aspects o.fthe Background ofHebrews, in Neotestamentica 3 1 [ 1 997] 1 1 9- 1 58) nota che Ebrei è un documento complesso, a motivo delle molte tradizioni che vi si riflettono. Documento ellenistico o ebraico? Alessandrino-platonico? Verosimile. Un attacco alla gnosi? Qumran? Apocalittica giudaica? Misticismo giudaico? Figlio di un tempo ricco di culture, Ebrei si decide per l ' AT. Ma anche nei suoi confronti, si tiene rispettoso e libero. 1 94 Vedi l 'analisi storico-critica approfondita di molte delle ricorrenze dell ' AT in Ebrei in F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes. Se ne occupa ancora G. Hughes (Hebrews and Hermeneutics. The Epistle to the Hebrews as a New Testament example of biblica/ interpretation (SNTS.MS 36), Cambridge University Press, Cambridge 1 979, pp. 47-66), rilevando la forza argo­ mentativa ed ermeneutica di tale procedura; J.C. McCullough ( The 0/d Testament Quotations in Hebrews, in NTS 26 [ 1 980] 363-379) ne fornisce una lista selezionata (cfr. nota seguente); R. Fabris (La Lettera agli Ebrei e l 'Antico Testamento, in RB/ 32 [ 1 984] 237-252) rileva l ' intenzionalità del comportamento di Ebrei e perviene al principio ermeneutico secondo il quale tutta la rivelazione bi­ blica, molteplice e frammentaria, è ora concentrata e unificata in Gesù il Cristo, il Figlio, il media­ tore unico della salvezza. Questo principio ermeneutico permette ali ' AT di evolvere, di « crescere », cosa che l 'autore favorisce operando con la tipologia: tipo e antitipo si rincorrono e si spiegano. Il tutto a servizio delle linee gesuologica, cristologica, ecclesiologica ed escatologica. Risultato molto attendibile. Approfondito il tentativo di R.E. Clements, The Vse of the 0/d Testament in Hebrews, in SWJT 28 ( 1 985) 36-45 . Infine, essenziali rilevazioni in R. Kieffer, Une relecture de / 'Ancien Testament, in Lum Vie 43 ( 1 994) 87-98. 1 95 Ad esempio: a) dai profeti maggiori : Ger 38,3 1 -34 in Eb 8, 7- 1 3 (la citazione più ampia); Is 8, 1 7- 1 8 in Eb 2, 1 3; b) dai Salmi: 2 1 ,23 in Eb 2, 1 2; 39,7-9 in Eb 1 0,5-7; 44,7-8 in Eb 7,8-9; 94,7- 1 1 in Eb 3,7- 1 1 ; 1 0 1 ,26-28 in Eb 1 , 1 0- 1 2; c) dal pentateuco: Gn 22, 1 7 in Eb 7, 1 4; Gn 22, 1 7b in Eb I l , 12; Gn 47,3 1 in Eb I l ,2 1 ; Es 24,8 in Eb 9,20; d) dai libri storici: 2Sam 7, 14 in Eb l ,5; e) dai pro­ feti minori : Abc 2,3-4 in Eb 1 0,37-38; Ag 2,6 in Eb 1 2,26; t) dai libri sapienziali: Pr 3, 1 1 - 1 3 in Eb 12,5-6. Cfr. J.C. McCullough, The 0/d Testament Quotations in Hebrews, in NTS 26 ( 1 980) 363-379.

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insegnamenti ed esortazioni. Come spiegare tanto uso dell 'AT e con simile com­ portamento? Ai suoi destinatari Ebrei vuole dire che l 'autorivelazione di Dio, già viva nell ' AT, evolve nel NT; il Primo Testamento è dunque sempre valido per il cristiano, esso prepara il NT; quest'ultimo non può fare a meno del primo. Ebrei è il documento neotestamentario che esprime al meglio l ' unità e la reciproca in­ tegrazione dei due testamenti. Il fatto che l 'autorivelazione di Dio raggiunga il suo punto culminante nel Figlio, riconosce la fase precedente avvenuta attraverso i profeti, anzi la esige (Eb l , 1 -2); la superiorità del Figlio sugli angeli, argomento scottante per i desti­ natari, è provato con l 'ausilio di Salmi: in Eb 1 ,7 il Sal 1 03,4; in Eb 1 ,8 il Sal 44,6-7; in Eb l , 1 3 il Sal 2. Eb 2,6-8 si avvale del Sal 8,4-6 per dire che « l 'uomo )) e « il Figlio del l ' uomo )) sono entrambi « per poco (LXX) inferiore( i) agli ange­ li )). Per Ebrei quel « Figlio dell 'uomo )) è Gesù il Figlio; l ' « uomo )) è invece l 'u­ manità intera. L'autore mostra così quanto elevata sia la stima per l ' essere uma­ no nell 'AT: il Figlio di Dio si fa Figlio dell 'uomo e, assieme all ' umanità, dà corso al progetto di Dio. Tutto ciò, dice Ebrei, è già dichiarato nell ' AT. Il « Figlio dell 'uomo )) è Gesù il Figlio come dimostra Eb l ,4; 2,9 e 4, 1 4 : tre punti che pas­ sano attraverso 1 ,5 - 1 4 e l ' ampia documentazione dell 'AT ivi utilizzata 196• Ebrei vuole dire che l ' AT porta in sé impulsi per la gesuologia e la cristologia (e non solo), quali egli va proponendo nel suo scritto. Eb 8,7- 1 3 si avvale in modo am­ pio di Ger 3 8,3 1 -34 (LXX) per provare che la nuova alleanza ha ora raggiunto il suo destinatario, quel popolo di Dio disposto a scoprire che essa è ora scolpita nel suo cuore. La connessione tra AT e NT è già avviata in Eb 3,7 - 4, 1 3 con l ' ausi­ lio del Sal 94,7 - l l (LXX) : ascoltare « oggi )) il nuovo per poteri o accogliere. E non « mormorare )), con riferimento a Nm 1 4,36; 1 6, 1 1 , onde non incorrere nella reazione di Dio: « Non entreranno nel luogo del mio riposo )) (Sal 94, 1 1 in Eb 3, I l ; 4,3). L'ascolto garantisce la continuità tra l 'antico e il nuovo; e se il popolo dell 'antica alleanza è pellegrinante, lo è anche il nuovo: la episynagoge ( l 0,25a). Con l 'ausilio del Sal l 09,4 e di Gn 1 4, 1 7-20 l 'argomento conosce il suo svilup­ po: il nuovo sacerdozio (Eb 8, 1 -3), il nuovo santuario (secondo Es 25,9.40 in Eb 8,5), il nuovo sacrificio (Eb 8,3-6), il nuovo culto, la nuova alleanza nel nuovo mediatore, tutti aspetti elaborati sulla base della grande riconciliazione: dunque il nuovo Jom KippDr. La fede dei grandi (Eb 1 1 , 1 -40) e la fede di Gesù, il credente­ fedele (pistos) al Dio fedele, garantiscono la continuità tra l 'antico e il nuovo. Senza l 'AT, dice Ebrei, non avremmo potuto avere il nuovo 197• L'autore coordina AT e NT con stile eccellente e in genere letterario poli­ morfo; egli vede nella Scrittura del Primo Testamento una fonte d'esortazione e argomentazione così ben nota ai destinatari da non esitare a proporre loro varian­ ti al testo originale e al senso originario. Quasi a voler dire: il testo cresce e voi siete in grado di coglierne il potenziale argomentativo e profetico. Una forma di captatio benevolentiae? La cosa si nota bene là dove Eb l 0,38a cita Ab 2,3-4; la 1 96 Sal 2,7 e 2Sam 7, 1 4 in Eb 1 ,5; Dt 32,43 e Sal 96,7 in Eb 1 ,6; Sal l 04,4 in Eb 1 ,7; Sal 44,78 in Eb 1 ,8-9; Sal l 0 1 ,26 ss. in Eb 1 , 1 0- 1 2 ; Sal 1 09, 1 in Eb 1 , 1 3. 1 97 Si veda R.E. Clements, The Use ofthe 0/d Testament in Hebrews, in SWJT 28 ( 1 985) 36-45.

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si vede ancora nella misteriosità di Melchisedek (7, 1 -3), prefigurazione di quel sommo sacerdote che solo in Gesù il Cristo si manifesta. Il Sal l 09, 1 .4 diventa chiaro solo in lui; diversamente, esso resta nel mistero. L' AT è l ' inizio dell 'auto­ rivelazione di Dio ali 'essere umano, resa visibile e completa nel Gesù terreno (5,7-8), nella sua croce, nel suo ritorno dai morti ( 1 3 ,20). Che l ' AT sia stato li­ quidato dal NT (8, 1 3b), con disappunto ebraico, lo mostra la polemica delle ori­ gini fino alla persecuzione cristiana da parte giudaica (secolo I). Per Ebrei, tutta­ via, quella polemica si ridimensiona là dove egli vede nel NT l 'adempiersi dell ' AT. Quest'ultimo non è liquidato, ma adempiuto. Esso è pieno di umbratili anticipazioni simboliche (skia, hypodeigma), è prefigurazione di cose future; lo stesso tempio giudaico con i suoi riti sacrificali, imperfetto e provvisorio, antici­ pa quello perfetto e definitivo 198: il corpo di Cristo, il tempio futuro. Ebrei cono­ sce quei metodi e orientamenti culturali, ma seleziona e personalizza. Accanto a tatto pedagogico, gusto stilistico, scelta opportuna di tempi e modi, e ad altro, l 'autore aggiunge competenza nell ' AT. Il tutto si traduce in coraggio d'azione e d' intervento: un autore autorevole. Né è tutto qui quanto Ebrei si permette 199• Licenza poetica? Artistica? Da scrittore? O abuso inaccettabile? Di fronte a tanta « libertà », diventa necessaria una rilevazione. Fino a che punto si può accettare il comportamento di tanto autore, il quale, avvalendosi dell ' AT, ne modifica i testi secondo le proprie finalità? Seguiamo da vicino due casi eclatanti. Piuttosto vistose, infatti, le « manomissioni » introdotte nel passo di Ger 3 8,3 1 -3 3 (LXX) riportato in Eb 8,7- 1 3 e quelle immesse in quello di Ab 2,3-4 (LXX) citato in Eb 1 0,3 7-3 8. In verità, testi dell 'AT così ampiamente mo­ dificati da Ebrei non contraddicono il postulato della fedeltà ali 'originale? Questo è infatti punto fermo nel metodo storico-critico, secondo il quale la spie­ gazione di un testo è vera solo se risponde al pensiero del suo autore, lo rispetta, e si riporta al tempo di composizione e al Sitz im Leben storico. In caso contrario, l 'ispirazione del testo sacro non risulta minata da illecite contraffazioni? O è atten­ dibile ritenere che Ebrei rispetti in pieno Ger 38,3 1 -34 (LXX), Ab 2,3-4 (LXX), no­ nostante le modifiche che introduce, o proprio in forza di esse?200• In questo secon­ do caso, avremmo una « crescita » del testo profeti co. Va da sé che gli oracoli profeti ci di Ger 3 8,3 1 -34 e di Ab 2,3-4 sono del tutto disattesi da Eb 8, 7- 1 3 e 1 98 Cfr. M. Wilcox, « According to the Pattern (TBNYT) ». Ex 25, 40 in the New Testament and Early Jewish Thought, in Revue de Qumran 1 3 ( 1 988) 647-656. Vedi inoltre il commento su Eb 8,2. 1 99 Ebrei non esita a espandere i passi che preleva dali ' AT, vi introduce conflazioni, correzio­ ni, ne muta sintassi e forma grammaticale, aggiunge parole nuove e ne omette altre già presenti, o le sostituisce, talora corregge il contenuto, come in Eb 9,2 circa la posizione del l 'altare degli incensi, notoriamente nel « santo », per Ebrei nel « santo dei santi ». Il tutto, con marcata tendenza cristianiz­ zante. Questo comportamento è chiaro attraverso il confronto del testo critico accertato con le va­ rianti attestate in altri manoscritti, avendo come punto di riferimento la versione dei LXX. Se ne oc­ cupa, con studio originale, A.H. Cadwallader ( The Correction of the Text of Hebrews towards the LXX, in NT 34 [ 1 992] 257-292, qui 280-287), condotto con abbondanza di dati raccolti nelle tavole I (lbid. 26 1 -274) e II (lbid. 287). 200 Avverte il problema D. Biichner, lnspiration and the Texts of the Bible, in HTS 53/ 1 -2 ( 1997) 393-406. Ebrei è un efficace esempio di come l 'autore selezioni le interpretazioni della LXX, le elabori in tutto rispetto, né introduca correzioni sulla base del TM. Un autore guidato dallo Spirito.

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1 0,37-3 8 : modificati in funzione del senso voluto. Un testo anticotestamentario così manipolato perde in forza probante. L'autore non è leale nei confronti del profeta o è possibile ritenere che egli lo sia egualmente, in quanto competente in quel tipo di interpretazione che va oltre il testo, lasciandosi guidare come da una « selezione-rivisitazione prospettica )) del medesimo? Del resto, ciò sarebbe in sintonia con la lettura rabbinica della tora condotta con ampia libertà di movi­ mento. Ma, in questo modo, non si rischia di voler trovare a ogni costo in un te­ sto ciò che serve ai propri scopi, ritenendo addirittura di poterlo fondare con l 'au­ torità di quel testo « manipolato ))? Il comportamento degli agiografi del NT, dunque anche quello dell 'autore di Ebrei, nei confronti dell ' AT, va preso in seria considerazione. Essi non sono sel­ vaggi manipolatori di dati, ma operano in una tradizione che fin dalle origini dà vi­ ta a quei testi. Cioè, Geremia e Abacuc, citati con varianti in Ebrei, non sono veri solo se rispettati nel loro significato primigenio, ma anche e forse ancora di più se è rispettata la storia della loro ricezione201 • Essa, infatti, riflette bene la condivisio­ ne che quel testo ha riscosso nelle comunità (Wirkungsgeschichte): una trasposi­ zione, ma nella continuità202• In Ab 2,3-4, ad esempio, già i traduttori della versio­ ne greca dei LXX vi vedono un testo direttamente messianico203• Con le modifiche introdotte su di esso da Eb l 0,37-3 8, l 'autore riduce le eccessive speranze che l 'at­ tesa giudaica della fine dei tempi stesse per compiersi, tanto più che molti sono i segni di un ritardo di quel compimento204• Ebrei indica nella pistis ( « fede-fedeltà )), ma non alla sola legge, come in l QpHab 8, l ) quell 'atteggiamento che è in grado di tenere testa a ogni proposta di altre verità incapaci di dare salvezza, nonché a ogni tipo di opposizione, proprio nel senso di Eb 1 1 , 1 -2. Quanto a l QpHab 7,5 - 8,2, il senso muove nella stessa direzione, ma il campo è ristretto ai soli membri della co­ munità di Qumran. Se la storia della ricezione è accolta come elemento permanen­ te nel metodo storico-critico, e se si accetta che un testo può acquisire nuovi signi­ ficati che non intacchino il suo senso originario, ma che lo facciano crescere, si può allora ritenere che Eb 1 0,3 7-3 8 non fa violenza ad Ab 2,3-4, del quale invece met­ te in luce la valenza messianica205• E che dire del libero ma competente accesso er­ meneutico ai molteplici salmi che Ebrei riporta?206•

LXX,

20 1 Sulla questione, cfr. A.H. Cadwallader, The Correction ofthe Text ofHebrews towards the in Novum Testamentum 34 ( 1 992) 257-292. 202 Cfr. in merito T. Jelonek, Regulae revelationis biblicae: continuitas et transpositio in

Epistola ad Hebraeos, in AnCracov 20 ( 1 988) 1 76. Una sola riserva: la continuità del patto nuovo è con il patto in Abramo. Quello sinaitico-mosaico è stata una cesura necessaria, ormai « obsoleta ». Cfr. anche Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana, p. l O l . 203 Cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, p. 1 87. 204 Cfr. C. Rose, Die Wolke der Zeugen. Eine exegetisch-traditionsgeschichtliche Unter­ suchung zu Hebriier /0,35-/ 2, 3 (WUNT 11/60), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 994, pp. 63-66. 205 Cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 1 86- 1 87, 277-282. 206 Cfr. P. Grelot, Il mistero del Cristo nei Salmi, EDB, Bologna 2000, con attenzione, fra gli altri , ai Sal 8, 2 1 , 39, 44, 1 09. Esaminandoli secondo il TM, egli introduce il lettore al meto­ do per una lettura cristiana del salterio. C fr. la puntuale Recensione di T. Lorenzin, in RBJ 5 1 (2003 ) 9 1 -94.

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Si profila così un efficace principio ermeneutico: accanto al momento stori­ co-critico si posiziona quello storico-esistenziale e spirituale. Essi si combinano e non si escludono. Possiamo anzi dire che l ' AT e il NT recano i germi dell ' ela­ borazione teologica, forse per ogni problema, ma non ne presentano la trattazio­ ne. È qui che l 'esegeta ha il suo spazio di movimento207; e di esso si sono avval­ si Ebrei e l QpHab 7,5 - 8,2. La diversità arricchente della storia della ricezione e degli effetti di Ab 2,34 è attestata non solo in Eb 1 0,37-38, ma anche in Gal 3, 1 1 e in Rm 1 , 1 7208; nel pensiero qumraniano (JQpHab 7,5 - 8,3)209, in quello apocalittico (forse 4Esdra 4,39; più chiaro 2Baruch 54, 1 5- 1 6), nei targumim (« I giusti per la loro rettitudi­ ne-fede saranno preservati », così Targum Abacuc 2,2-4); giusti e retti hanno ac­ colto la profezia e la legge, in definitiva la parola di Dio. E « i giusti che credono in queste cose (nella profezia e nella legge) non saranno scossi, quando viene la difficoltà », poiché « ecco: io pongo in Sion un re forte », propone il Targum d 'Isaia 28, 1 6, modificando considerevolmente Is 28, 1 6 (TM: « Ecco : io pongo in Sion una pietra scelta . . . Chi crede, non vacillerà », un parallelo con Ab 2,4 ), e nel rabbinismo talmudico, in cui Ab 2,4b rappresenta l ' apice di un progressivo e se­ lettivo insegnamento. Essere giusto di fronte a Dio comporta l 'osservanza delle 6 1 3 mitswot (365 proibizioni e 248 prescrizioni positive) date a Mosè. Davide le riduce a undici; Isaia a sei; Michea a tre; di nuovo Isaia a due; Amos a una sola: « Cercate me e vivrete » (Am 5 ,4); anche Abacuc le riduce a una sola: « Il giusto per la sua fede vivrà » (Ab 2,4b)2 10• Apice della giustizia di fronte a Dio è dunque la fede21 1 ; anche il protocristianesimo mostra interesse ad Ab 2,2-42 12• Nessuna sorpresa per tanta ricchezza di senso: « La mia parola non è forse come il fuoco 207 A sostegno di quanto sopra, cfr. R. Gheorghita, The Role ofthe Septuaginta in Hebrew. An Investigation ofits Injl.uence with special Consideration to the Use of Hab 2, 3-4 in Heb / 0,37-38, J.C.B. Mohr, Tiibingen 2003 . 208 Ne offre più di un elemento il recente lavoro di A. Pitta, Lettera ai Romani (LB.NT 6), Paoline, Milano 2002 2 , pp. 70-72 (su Rm 1 , 1 7) e ancora A. Pitta, Lettera ai Galati, EDB, Bologna 1996, pp. 1 861 87 (su Gal 3, l l ) . 209 Ecco l ' interpretazione di Ab 2,4b in I QpHab 7, 1 7 - 8,3 : «"E il giusto nella sua fede vivrà". La sua interpretazione si riferisce a tutti coloro che compiono la legge nella casa di Giuda: Dio libererà i suoi fedeli dalla casa del giudizio (dalla punizione) a motivo della loro afflizione e della loro fede nel maestro di giustizia ». Come tali, i fedeli di Dio saranno giusti di fronte a lui: non solo cioè per avere compiuto le opere della legge (cfr. anche 4QMMD, ma per avere professato la loro fede nel maestro di giustizia. La pura osservanza della tOra. a Qumran (IQS 1 1 , 1 4- 1 5 ; IQH 4,25-37; 1 1 ,30-3 1 ) non basta. Un'equivalenza di pensiero con Eb 1 0,38a: pur nell 'afflizione, la comunità resti saldamente ancorata alla scelta di fede nel Cristo messia: per quella fede in lui, essa vivrà. È la posizione di Paolo in Gal 3, 1 1 e in Rm 1 , 1 7. Non sfugga l 'analogia tra Qumran e il NT. Su IQpHab 7, 1 7 - 8,3 si legga R. Penna, Il giusto e la fede. Abacuc 2, 4b e le sue antiche riletture giudaiche e cristiane, in R. Fabris (ed.), « La Parola di Dio cresceva » (A t I 2, 24). FS C.M Martini, EDB, Bologna 1 998, pp. 365-368; di recente, ancora R. Penna, Vangelo e inculturazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 200 1 , pp. 484-5 1 1 . 2 10 Sull ' interesse che il NT mostra per Ab 2,4b, cfr. D.A. Koch, Der Text von Hab 2, 4b in der Septuaginta und im Neuen Testament, in ZNW 76 ( 1 985) 68-85. 2 1 1 Così Rabbi Simlai (secolo III d.C.) in b.Makkoth 24a. Se ne veda una trattazione in R. Penna, Il giusto e lafede. Abacuc 2, 4b e le sue antiche riletture giudaiche e cristiane, in R. Fabris (ed.), « La Parola di Dio cresceva » (A t I 2,24). FS C.M. Martini, pp. 377-380. Cfr. ancora b.Sanedrin 97b; p.Ta 'anit 63d; Yalkut Hab 562. Testi in KNT-TM.SB, vol. III, pp. 542-544; vol. IV, p. 1 0 1 5 . 2 1 2 Se ne occupano Ippolito d i Roma (Commentarium in Danie/ 4, 1 0, 1 4) ed Eusebio di Cesarea (Praeparatio evangelica 6, 1 4, 1 5).

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che scintilla, come martello che spacca la roccia? » (Ger 23,29). Il martellìo del­ la roccia e lo scintillìo del fuoco non sprigionano schegge e scintille molteplici? Ebbene, così è la parola di Dio: creativa e plurima nel suo potenziale ermeneuti­ co, essa si esprime in letture diverse, ma sempre convergenti. Sorprendente ric­ chezza di un organismo vivente2 13•

Ebrei e NT: un gioco di allusioni e somiglianze. Ebrei non fa uso dell 'epi­ stolario paolino. Lo prova bene l ' esame della lingua. Tuttavia le comunità, di Ebrei e paoline, conoscono un materiale comune. Ne do qui un selezionato raf­ fronto. Ebrei e Galati-Romani. Corrispondenz� di vocabolario e di pensiero: nei pro­ feti, Dio preannunzia la venuta (nella carne) del Figlio preesistente (Eb l , l -2 e Rm l ,2b-3a); e se per Gal 4,4 « nella pienezza del tempo » (to pleroma tou chronou) è il momento in cui Dio « mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge », in Eb 9,26 « nella pienezza dei tempi >> (epi synteleia ton aionon) esprime il momento in cui egli « si è manifestato . . . per eliminare il peccato mediante il sacrificio di se stesso ». Con vocabolario diverso, un punto a vantaggio di Ebrei e del suo profilo letterario, la convergenza contenutistica è totale; con vocabolario proprio i due au­ tori esprimono la medesima idea; ed è l ' « obbedienza » di Cristo ad avere operato quell 'eliminazione del peccato in Eb 5,8 e in Rm 5, 1 9b, in cui Ebrei (« obbedienza dalle cose che patì ») chiarisce Romani; eliminazione-espiazione dei peccati (Eb 1 ,3d e Gal 1 ,4a); morte di Gesù « una volta per tutte » (ephapa:x, Eb 9,26.27.28 e Rm 6,9- 1 0: « Morì al peccato una volta per tutte »), ecco altrettanti momenti di cri­ stologia giudeocristiana centrati sull 'unicità qualitativa, materiale e cronologica di quella morte, unica e irrepetibile; ma è anche risorto, scrive Rm 8,34 e aggiunge che egli « sta alla destra di Dio e intercede per noi »: due precisazioni che Eb l ,3d; 1 2,2 e 7 ,25b ben conosce. Mentre in Rm 7, 1 1 Paolo grida: « Il peccato mi ha se­ dotto . . . e mi ha dato la morte » (contesto: comandamento e legge, causa di quel gri­ do), in Eb 3, 1 3b l 'autore, pastore solerte, esorta a « non lasciarsi sedurre dal pecca­ to », allontanandosi dal Dio vivente ( 1 3 , 1 2b; contesto: minaccia di apostasia). Quel peccato seduttore è opera di una legge che « non ha portato nulla alla perfezione », scrive Eb 7, 1 9a, espressiva di un ordinamento debole e inutile (Eb 7, 1 8); era ne­ cessaria « l ' introduzione di una speranza migliore », precisa Eb 7, 1 9b. Si ascolta qui Rm 8,3 : ciò che era impossibile alla legge, è diventato possibile nel « Figlio » nella cui « carne (umanità) » Dio ha condannato il peccato. L'alleanza mosaica e le trasgressioni in Eb 2,2a e la legge mosaica aggiunta al patto in Abramo, anche « a motivo delle vostre trasgressioni », fino alla venuta della discendenza ( del di­ scendente) in Gal 3, 1 9, è un innegabile reciproco contatto; e lo è anche il patto mo­ saico, il Sinai e Gerusalemme (cfr. Ga1 4,26 ed Eb 1 2,22); Eb 1 0,38a e Rm 1 , 1 7; 9,5 sono accomunati da Ab 2,4: « Il giusto vivrà mediante la fede » (Rm l , 1 7) e « Il mio =

21 3 Sulla questione nel suo insieme, cfr. E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13,25, vol. III, 43 1 -439, e ancora E. Griisser, Das Schriftargument in Hebr 1 0, 3 7s, in R. Kampling - Th. Soding (edd.), Ekkiesiologie des Neuen Testamentes. FS K. Kerte/ge, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1 996, pp. 43 1 -439.

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giusto intanto vivrà di (per) fede » (Eb l 0,3 8a, che personalizza); Eb I l ,3 ricorda che la parola di Dio ha formato (kathartizo) le realtà visibili (tipo) che hanno preso profilo in base alle realtà non visibili (antitipo), pensiero che Paolo esprime in Rm 1 ,20: nelle opere (visibili) compiute da Dio possono essere contemplate le sue ope­ re invisibili. La coppia Abramo-Sara, completamente ripensata in Eb I l , 1 1 - 1 2, tro­ va in Rm 4,20 un felice riscontro; in entrambi è di ruolo la fede. La « speranza che ci è posta davanti . . . , àncora della nostra vita, sicura e salda >> di Eb 6, 1 8b- 1 9a, è « la speranza che non delude » di Rm 5,5a. Molto ravvicinato è l 'accostamento tra Eb 1 1 , l (le realtà che si sperano, non si vedono) e Rm 8,24 (« Ciò che si spera, se vi­ sto, non è più speranza »). Fa riflettere il raffronto di Eb 3 , 1 4 con Rm 1 1 ,22: quelli che sono caduti dalla fede (dali ' olivo), Dio li giudica con severità; ma i fedeli a lui sono giudicati con bontà. Ne potrebbe usufruire anche Eb 6,4-6. La comune con­ sultazione di Dt 32,35 (la giustizia appartiene a Dio, non ali 'uomo) accomuna Eb 1 0,30 e Rm 1 2, 1 9. Anche l 'esortazione di Rm 1 2, 1 3 a essere premurosi nell 'ospi­ talità si legge in Eb 1 3,2. Altri contatti di vocabolario sostengono di fatto il rapporto tra Ebrei e Galati : pelikos, pronome correlativo in Gal 6, I l (Idete pelikois, « Guardate con che gros­ si caratteri vi scrivo ») e in Eb 7,4 (theoreite de pelikos, « Considerate pertanto quanto sia grande »); poi athetesis, abrogazione della legge mosaica (Gal 3 , 1 5 ; Eb 7, 1 8); trecho, metafora della corsa (Gal 2,2; Eb 1 2, 1 ); porneia, questione del­ l 'onorabilità (Gal 5, 1 9; 6,8; Eb 1 3 ,4); diatheke, testamento e non patto214 (Gal 3, 1 5- 1 7 ; Eb 9, 1 5- 1 7); stoicheia (Gal 4,3 : « Gli elementi del mondo »; Eb 5, 1 2 : « I primi elementi delle parole di Dio » )2 15• In base a questo materiale e ancora ad ar­ gomenti in comune a Galati e a Ebrei - come il rapporto tra i due patti (Abramo e Cristo, il seme), l 'eredità della promessa, la legge obsoleta, la fedeltà di Gesù (fedele e credente) al Padre, nonché in forza di alcune tecniche di struttura an­ ch' esse comuni a Galati ed Ebrei su un modello quadruplo: insegnamenti e am­ monizioni-esortazioni, saluti finali e messaggi, benedizione finale -, viene spon­ taneo domandarsi: Dunque, Ebrei si muove in circolo paolino? Il fatto che Ebrei non abbia avuto un posto ben preciso fra le lettere paoline, ne potrebbe essere una prova216• Un dato è comunque documentato: Ebrei conosce Paolo e la « scuola >> che ne deriva2 17• Tuttavia, con un personale sistema di lettura, continua a mostra­ re un proprio stile di ricezione. Ebrei, Efesini-Colossesi-Filippesi, la tradizione paolinica a"elle lettere pa­ storali e la l Pietro. Una serie di contatti sono rilevabili tra Eb l , 1 -4. 1 3 da un la2 1 4 Sulla questione, vedi qui il commento su Eb 9, 1 5- 1 7 e ivi lo studio approfondito di J.J. Hughes, Hebrews 9, 15ff and Galatians 3, 1 5ff A Study in Covenant Practice and Procedure, in Novum Testamentum 2 1 ( 1 979) 27-96. 2 1 5 Sul rapporto tra Ebrei e Galati, cfr. B. Witherington III, The Injluence of Galatians on Hebrews, in NTS 37 ( 1 99 1 ) 1 46- 1 52. 2 16 Versione copta Sahidica (Romani, l -2Corinzi, Ebrei); la versione Sahidica di Atanasio di Alessandria: Galati, Ebrei, Efesini; la versione copta Bohairica: le lettere ecclesiali, Ebrei, le lettere pastorali ( l -2Timoteo e Tito); il codice B (Vaticano): Galati, Ebrei, Efesini; Teodoro di Mopsuestia: Romani, l -2Corinzi, Ebrei, Galati. 2 1 7 Si veda K. Backhaus, Der Hebriierbriefund die Paulus-Schu/e, in BZ 37 ( 1 993) 1 83-208.

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to ed Ef 1 ,20-22, Fil 2,6- 1 0 e Col 1 , 1 5- 1 8 dall ' altro. Si tratta di equivalenze di contesto e fraseologiche. Ne do solo il prospetto numerico: Eb Eb Eb Eb Eb Eb

1 ,2 1 ,3 1 3 (espiazione) 1 ,4 1 ,4 1,13

Col 1 , 1 5 e Fi1 2,6 Fil 2, 7 Ef 1 ,7; Col 1 , 1 8 e Fil 2,8 (abbassamento) Ef 1 ,2 1 e Col 1 , 1 6 Ef 1 ,2 1 e Fil 2,9 Ef 1 ,22 Col l , 1 7 e Fil 2, l O non hanno equivalenze2 18•

Quanto alle lettere pastorali ( 1 -2Timoteo e Tito) e a l Pietro, si tratta di scrit­ ti tardivi del NT che mirano a comunità da regolare con l 'ausilio di norme ed esortazioni. In Ebrei ciò accade in forma più matura rispetto alle lettere pastora­ li. Ebrei tenta infatti di dare alla fede una base storico-teologica, onde spingere la medesima a tradursi in molteplici applicazioni (Eb 1 3 , 1 -7.9), in particolare in una definitiva opzione di fede cristiana ( 1 3,8). Le lettere pastorali si muovono in una fase meno matura, ma anch 'essa aperta alla fondazione teologica della vita ec­ clesiale219. Si ha in entrambi un coordinamento tra teologia e paràclesi pastorale. In questo progetto è presente un vero futuro per le comunità. Eppure, un serio fattore potrebbe inquinare quel rapporto: Ebrei non presente­ rebbe una teologia per la seconda generazione, come attestata nelle lettere pastora­ li (fine secolo I). Queste ultime offrono, infatti, una cristologia progredita: Gesù è Dio (in verità Eb l ,2 conosce Gesù il « Figlio », e 4, 1 4 « Gesù il Figlio di Dio »); l 'attesa della parusia è viva, ma non è sentita come imminente (Ma non sembra già l Ts 5, l aver ridimensionato quell 'attesa? Inoltre, non è ciò un segno a favore della datazione tardiva di Ebrei?); fede come dottrina (Ed Eb 2,3-4 non dà « insegnamenti fondamentali » e per una fede vissuta?); crescente enfasi degli aspetti istituzionali della Chiesa (che Eb 1 3,7 ben menziona, quando pone in luce il ruolo delle « guide carismatiche >> nella fede. In Eb 1 3 ,7. 1 7 esse annunziano la Parola, non sono solo maestri di « sana dottrina ». Anzi, già in l Tm 4, 1 3 si avverte la spinta ad andare ol­ tre il solo bisogno di preservare la « sana dottrina »). Quanto alla terminologia di « episcopi », come nelle lettere pastorali e nei padri apostolici in Ebrei è assente (tut­ tavia Ebrei chiede che si obbedisca alle guide, affinché assolvano al loro ministero « con gioia e non gemendo », in cui il riferimento a I Pt 5,2-3 [fine secolo I] è chia­ ro. E poi, nel pensiero di Ebrei, hegoumenoi potrebbe avere un peso maggiore di episkopoi); ammonizione contro le eresie (eterodidascalia; cosa in verità non igno­ ta a Eb 1 3,9); quanto al battesimo e all 'assemblea (pasquale, Eb 1 0,25a), Eb 1 3 , 1 01 6 ha paralleli con l Cor I l , 1 7 ss. Dunque, la cristologia di Ebrei non andrebbe oltre Col l , l 5-20? L' interrogativo è stato già posto. In verità, Ebrei è un trattato gesuologico-cristologico avanzato, e 2 1 8 Se ne occupa già C. Spicq (L'épitre aux Hébreux. 1: Introduction, pp. 1 62- 1 66). 2 1 9 Secondo C . P. Miirz (Ein A uftenseiter im Neuen Testament. Zur A ktualitiit des Hebriierbriefes, in BK 48 [ 1 993] 1 73 - 1 79), Ebrei presenta nient 'altro che una migliore teologia rispetto alle lettere pastorali. Troppo per Ebrei, troppo poco per le lettere pastorali. Vedi C. Marcheselli-Casale, Le Lettere Pastorali, EDB, Bologna 1 995, pp. 4-65 e 65-7 1 .

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non di poco, che si pone ben oltre Col 1 , 1 5-20, e con prospettiva propria e originale. Altri aspetti possono apparire carenti e non evoluti, ma non se ne può responsabiliz­ zare un autore che persegue un tutt'altro progetto rispetto alle lettere paoline (epi­ scopi, fede = dottrina) o a l Cor 1 1 ,27 (cena del Signore) = Eb 6,6; 1 0,29 (alleanza tradita). Per l Cor 1 1 ,29 mangiare « il corpo del Signore >> senza « riconoscerlo >> è of­ fesa alla carità; per Ebrei l 'apostasia è calpestare il sangue dell 'alleanza. Ebrei presenta affinità anche con l Pietro: andare avanti nella fede nonostan­ te le avversità, poiché la sofferenza dei cristiani è un privilegio e la vita cristiana è un pellegrinare, un esodo, sostenuto dalla parola di Dio che è cibo. Cristo è il pastore che salva la sua barca e Dio è Padre che giudica benevolmente. E poi, il tema del « sacerdozio comune del popolo di Dio >> come partecipazione al sacer­ dozio del Cristo non è un consistente passo in avanti rispetto al NT? Ponendosi al riguardo, in parallelo con l Pt 2,5, Ebrei ne è anche contemporaneo. Questi dati depongono a favore della data alta: fine secolo I . Con l 'esplicita menzione delle « opere buone » (kala erga) , considerate espressione concreta della « carità » (agape) e della reciproca esortazione (Eb 1 0,24), nonché del -profilo sacerdotale della comunità, popolo di Dio, Ebrei entra nel dibattito « legge e opere », che ve­ de protagonisti Giacomo e Paolo220, e con apporto qualificato. Che l 'autore di Ebrei resti imbrigliato nella gesuologia-cristologia di Col l , 1 5-20 è davvero po­ co attendibile. Ebrei e Giovanni. Anche tra Ebrei e Giovanni corrono innegabili equivalen­ ze, per lo più anch' esse di contesto e fraseologiche22 1 • Ne dò un prospetto in det­ taglio, soffermandomi su Eb 2 .

Eb 2, l 0: « Era infatti ben giusto che (Dio) . . . rendesse perfetto mediante la sofferenza (il Figlio) l 'autore della loro salvezza (= vita eterna) che conduce molti figli alla gloria ».

Gv l , 12: « A quanti però lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio »; 3,14: « Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così il Figlio dell 'uomo deve essere innalzato (= offrire la vita), affinché quelli che credono in lui abbiano la vita eterna »; Gv l O, 14: « Io sono il buon pastore . . . Per questo il Padre mi ama, perché io offro la mia vita ».

220 Affronta brevemente la questione, rilevando caratteristiche e differenze, B. Lindars, The Theology ofthe Letter to the Hebrews, University Press, Cambridge 1 99 1 , p. 23. Formalizza il tema F.T. Gench (Hebrews and James, Westminster Bible Companion, Louisville 1 996), il quale vede specialmente in Eb 2, 1 4-26 una chiamata alla maturità nella fede, che deve esprimersi nelle opere della fede. Eco nel NT in I Ts 1 ,3; I Cor 2,6; 3, 1 - 1 3 ; Fil i , I O- I l ; Col 3 , 1 0- l l ; l Pt 2,2. 22 1 Già C. Spicq (L'épitre aux Hébreux. 1: lntroduction, pp. I l 0- 1 3 1 ) ne rileva una notevole quantità che espone in ben sedici punti. Mi sembra opportuno risottolinearlo: si tratta di equivalenze fra­ seologiche e di contesto. Affronta la questione C.J.A. Hickling (John and Hebrews: The Background of Hebrews 2, 1 0-/8, in NTS 29 [ 1 983] 1 1 2- 1 1 6): anch'egli non va oltre quelle equivalenze.

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Figli di Dio, redenti nel Figlio che offre la vita e genera vita proprio quando è innalzato nella morte. « L' autore della loro salvezza » sembra essere il somma­ rio in Ebrei di ciò che Giovanni intende per « Figlio del l ' uomo >> .

Eb Gv 1 7, 19: « Per loro io santifico me stesso 2, 1 1 : « Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati affinché siano anch'essi santificati nella verità ». provengono tutti da una stessa origine >>. Uso comune del verbo hagiazo in entrambe le tradizioni : autosantificazione di Cristo per la santificazione dei discepoli. Esprime in linguaggio sacrificate-sa­ cerdotale la tradizione soteriologica centrata sulla morte espiatrice e riconciliatri­ ce del « Figlio ». Eb 2, Il : « Provengono tutti da una stessa origine ».

Gv 1 , 1 3- 1 4: « . . . l quali non da carne . . . , ma da Dio222 sono stati generati . . . , come di unigenito del Padre ».

Cristo è il logos unigenito del Padre, e quelli che credono in lui sono stati ge­ nerati da Dio. Dunque, figli nel Figlio. Questi poi lo è in senso eminente e unico. Provenire da una stessa origine, esprime parentela tra Cristo e i credenti.

Eb 2, 1 2 : «Annunzierò il tuo nome ai miei .fratelli, in mezzo ali 'assemblea canterò le tue lodi (Sal 2 1 ,23) ».

Gv 1 7,6: « Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo ». Anche Gv 1 7,26.

Gli uomini, assemblea di Dio, sono i fratelli del Figlio. Il Figlio lavora in quell 'assemblea e le rivela il nome di Dio; annunziandolo, lo fa conoscere.

Eb 2, 1 3b: « Eccoci: io e i figli che Dio mi ha dato (ls 8, 1 8) ».

Gv 6,37 e 1 0,29: « Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me; il Padre che me lo ha dato è più grande di tutti ».

È Dio che ha dato al suo Cristo quelli che hanno creduto in lui. Eb 2, 1 3b mo­ stra una relazione triangolare tra Dio, Cristo e i credenti. Gv Eb 1 2,3 1 : « Ora il principe di questo mondo 2, 14b: « . . . Per ridurre ali ' impotenza mediante la (propria) morte, colui che sarà gettato fuori ». della morte detiene il potere, cioè il diavolo ». La morte di Cristo è un vittorioso confronto con l 'agente del male, il miste­ ro d' iniquità, il gestore della morte. Eb Gv 8,32: « Conoscerete la verità e la verità 2, 1 5 : « . . . E liberare così quelli che per paura della morte per tutta la vita vi farà liberi ». erano soggetti a schiavitù ». 1 1 ,26: « Chiunque vive e crede in me non morrà in eterno ». 222 Sulla formula « da una stessa origine », cfr. qui il commento su Eb 2, 1 1 .

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Ciò da cui i cristiani sono riscattati è uno stato di schiavitù; entrambi i testi alludono ali 'esenzione dalla morte: in Giovanni tutti i credenti in Cristo, in Ebrei quanti hanno tratto beneficio dal suo lavoro di salvezza223 • Tra Eb 2 e il quarto evangelista corrono dunque somiglianze contestuali e fra­ seologiche loro proprie e non di altri nel NT. Esse non dipendono da un diretto con­ tatto dei due autori fra loro, ma da un comune retroterra224• Entrambi attingono a una tradizione cristiana erudita, in stretto contatto con un giudaismo colto di lingua gre­ ca. Entrambi conoscono lo gnosticismo, il pensiero apocalittico, ma restano avvinti e influenzati solo dal Cristo. Ed è proprio quest'ultimo ad avere influsso decisivo su Ebrei, il suo kerygma (2,3-4); eventuali risonanze, anche gnostiche, non sono allon­ tanamenti dali ' essenziale, ma solo mezzi per meglio descriverlo, e mai intendono privilegiare una élite, ma il destinatario è sempre « chiunque », incerto nella fede, da rivitalizzare. Il mondo di Ebrei è scritturistico, biblico. La strada argomentativa, per­ corsa dali 'autore, è rispettosa dell 'AT e attenta al NT, procede per citazioni, allusio­ ni e suggerimenti incisivi225, eppure è autonoma. Proprio questa marcata tendenza di Ebrei a personalizzare il lavoro, pone il problema metodologico di cui qui di seguito.

5.

Il problema metodologico

Con l 'ausilio dell 'AT e del NT, Ebrei elabora uno scritto al quale affida in­ segnamenti ed esortazioni. Il materiale di cui dispone e la professionalità cultu­ rale che si ritrova, tutto egli articola nella sua esposizione, in quattro momenti: ermeneutico, narrativo, paracletico e argomentativo226•

Momento ermeneutico. Ebrei si appoggia di continuo al Primo Testamento: 29 citazioni esplicite227 e non meno di 60 implicite. Quelle dai Salmi sono indi­ scutibilmente le più decisive; fra esse, il Sal l 09, 1 -4 in tema di sacerdozio. Ger 38,3 1 -34 (LXX) in Eb 8,8- 1 2, in tema di patto, è la più centrale e più ampia. Ebrei interpreta e attualizza quelle citazioni in quattro momenti. Il materiale dell 'AT in Ebrei non è casuale, ma rientra nel progetto dell 'au­ tore e prende il via dalla storia biblica. Ha luogo così una dinamica intertestuale, 223 Allo stesso risultato sembra pervenire G. Reim, Vom Hebriierbriefzum Johannesevangelium, anhand der Psalmzitate, in BZ 44 (2000) 92-99. Questi rileva la presenza diretta e indiretta dei Sal 40(39), 45 e 95 in Ebrei e in Giovanni, nonché la loro conoscenza di tradizioni giudaiche su quei sal­ mi. I contesti d'uso tuttavia sono differenti, il che prova l 'autonomia redazionale dei due autori. Che l 'uso comune di questi salmi possa, infine, deporre per un'automatica contemporaneità di redazione dei due documenti (terza generazione cristiana), resta da appurare (Ibid., p. 98). 224 C.J.A. Hickling (John and Hebrews: the Background ofHebrews 2, 1 0-I 8, in NTS 29 [ 1 983] 1 1 2- 1 1 6) vede in Giovanni il retroterra di Ebrei. 22 5 Ripropone di recente un quadro del problema L.T. Johnson, The Scriptural World of Hebrews, in Interpretation 53 (2003) 23 7-250. 226 Sulla questione, cfr. A.J. Levoratti, « Tu no has querido sacrificio ni oblacion ». Salmo 40, 7; Hebreos 1 0, 5, in Revista Biblica 48/24 ( 1 986) 1 99-237; ancora E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, pp. 1 5- 1 6. 22 7 Una dai libri storici; una dal libro dei Proverbi; 4 dai libri dei profeti; 1 2 dal pentateuco e I l dal libro dei Salmi .

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dovuta al fatto che i cristiani della prima ora vivevano fra gli ebrei, per i quali la Bibbia (= AT) è Scrittura sacra. Letta assiduamente nelle sinagoghe, studiata con passione dai maestri della legge e interpretata, si può dire febbrilmente, in circo­ li specifici ed esoterici, come a Qumran e a Nag Hammadi, la Scrittura sacra era per Israele parola del Dio vivente. Se per greci e romani la vita dell 'uomo era le­ gata alla dea Fortuna228, per Israele Dio è colui che parla e agisce con il suo po­ polo: anamnesi e profezia sono un binomio comune sia all ' AT sia a Ebrei. Il lavoro di Ebrei evolve in direzione cristiana, in quanto pone Gesù il Cristo al centro e introduce così un nuovo criterio di lettura della Scrittura sacra: quello gesuologico-cristologico. Quel « Figlio » è il kerygma del Padre. In lui la Bibbia di­ schiude il suo senso; in lui cade il velo dal volto di Mosè, che è l 'antica alleanza (2Cor 3, 1 4- 1 6; Eb 8,8- 1 2), in lui « avviene >> il nuovo patto, in lui AT e NT si fon­ dono in un'unica Scrittura sacra, in una sola esperienza, in un solo evento, in un vi­ vace rapporto di « continuità nella discontinuità e nel compimento », o di « con­ fronto, diversità, superiorità ». Ricco di personaggi, eventi, istituzioni e riti, il Primo Testamento è tipo, prefigurazione, parabola, allegoria di una realtà superio­ re e definitiva ( l Cor l O, 1 - 1 1 ; Gal 4,2 1 -3 1 ). Si tratta di una relazione ermeneutica del NT con l ' AT: capire e trasmettere la nuova opera di Cristo. Se per la legge il po­ polo di Dio è santo e sacerdotale229, il NT non pretende altro che annunziare il com­ piersi effettivo di questo disegno di Dio. Senza l 'appoggio delle Scritture, Ebrei non avrebbe potuto mettere a punto la gesuologia-cristologia sacerdotale. Ebrei è un discorso in cerca di un altro discorso: l ' autore si avvale di un va­ lore per metteme in luce uno migliore230• La cristologia sacerdotale di Ebrei è ot­ tenuta con interpretazione tipologica del sacerdozio antico. Una procedura meto­ dologica, a rigore di metodo storico-critico, del tutto arbitraria: l 'autore « fa crescere » il testo nella direzione voluta e gli fa dire altro da ciò che esso contie­ ne, ma che egli « vede » e di cui è ben certo; in esso c'è la rivelazione delle pro­ messe di Dio ( 1 , 1 ) le quali vanno realizzandosi (8,6- 1 3) « ora ». È dunque nel Figlio Gesù il Cristo che si può comprendere il « senso » della storia d'Israele. Questa è preparazione ombratile della realtà vera che doveva venire ( l O, l ), il vol­ to giudeo(-etnico) cristiano del popolo di Dio. Quello di Gesù il Cristo nel tempo è l ' ingresso dell ' eschaton che aggancia il tempo, per portarlo con sé nel tempo di Dio, aggancia il « prima » per portarlo nel « dopo » che è anche il « non ancora », il mondo presente per immetterlo in quello futuro (oikoumene mellousa, cfr. Eb 2,5 ; la patria celeste, 1 1 , 1 6). La storia umana evolve in eventi continui e successivi: essi si spiegano a vicenda, ponen­ dosi a complemento l 'uno dell 'altro. Questo fatto ricorre anche nella storia della salvezza: se è vero che il kairos cristiano, « la pienezza del tempo >> (Gal 4,4a) si

22 8 Il motivo della dèa Thyche è constatazione frequente nell'archeologia antica greco-romana. 229 Cfr. Es 1 9,6; Is 66,20-2 1 ; l Pt 2,5; Ap l ,5-6. 2 3° Comportamento rilevante presso i libri della Bibbia, specialmente nel genere letterario esca­ tologico-apocalittico. Rilevazione di J.W. Taeger, Offenbarung 1, 1 -3. A utorisierung einer Aujkliirungsschrift. Studiorum Novi Testamenti Societas (SNTS) 5 7th Annua/ Meeting. August 6- 1 0 2002, University of Durham. L'annotazione è da ascolto personale della relazione. ,

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situa nel tempo e nello spazio terreno, è anche vero che esso spinge oltre quei li­ miti, quando addita il compimento nella pienezza del tempo (cfr. Eb 9,26), nel tempio celeste, presso Dio. Le due pienezze sono in continuità, ma la prima do­ vrà « compiersi » nella seconda. Potremmo forse puntualizzare così i principi esegetico-ermeneutici presenti nel testo: epidittico-paracletico il primo, formulato per lo più in prima persona plu­ rale, esso esprime urgenza pastorale di ascolto e di attuazione; gesuologico il se­ condo, a seguito di non rare focalizzazioni dell ' autore sulla vicenda storica del Gesù terreno; cristologico il terzo, che non può prescindere dal secondo, il quale a sua volta punta sul terzo; i due ultimi momenti, separati, espresso al massimo il lo­ ro prodotto, si congiungono da sé nell 'unica persona del Figlio entrato nel tempo, vissuto con i suoi fratelli fino alla morte, entrato nei cieli; contestuale l 'ultimo, di notevole portata, consente di interpretare Ebrei con l 'aiuto di Ebrei. Se sussiste la frustrazione di non poter dire nulla di definitivo su autore, destinatario, tempo di re­ dazione e altro, può consolare, e non poco, l ' identificazione dei molteplici valori che con sicurezza possono essere estratti dali ' esame analitico di tanto « trattato >>23 1 •

Momento narrativo. Nessun altro documento del NT, dopo i vangeli, contiene tanti riferimenti concreti alla vita terrena di Gesù come Ebrei: una vera e articolata gesuologia. Solo alcuni dati : accomunato ai suoi fratelli nella carne e nel sangue (2, 1 4), Gesù porta loro l 'annunzio della « grande salvezza » (2,3-4); si sottopone al­ le stesse prove degli uomini suoi fratelli (2, 1 8); solidale con essi, li può ben com­ prendere quale sacerdote misericordioso e compassionevole (2, 1 7; 4, 1 5); nei gior­ ni terreni della sua carne, « ha offerto preghiere e suppliche con clamore e lacrime » (5,7) e ha appreso l 'obbedienza-collaborazione; di fronte alla morte, grida al Padre la sua orante richiesta di liberazione (5,8); fatto segno di opposizione da parte dei peccatori ( 1 2,3), è crocifisso fuori dalla porta della città ( 1 3 , 1 2), nell 'obbrobrio. L'autore si ripropone di offrire questo e altro materiale in una catechesi superiore (6, 1 .3). Punto capitale: Gesù sommo sacerdote (8, 1 -3). Nato dalla tribù di Giuda, Gesù non avrebbe mai potuto operare da sacerdote. Quelli provenivano dalla sola tribù di Levi (Aronne: 8,4; 7, 1 4). In Ebrei Gesù è Kyrios perché opera una media­ zione sacerdotale, rivestito di dignità sacerdotale alla maniera di Melchisedek (Sal 2, 7 in l ,5); sacerdote non solo nella storia, ma ancora oltre, perché « pastore gran­ de delle pecore » tornato dai morti (cfr. 1 3 ,20). Alla destra del Padre, egli esercita il suo eterno sacerdozio, « sempre vivo a intercedere in (nostro) favore » (7,25). Non così i leviti, legati al tempo e al tempio « fatto da mano d'uomo ». Tutto questo è detto con brachilogia ben riuscita, in cinque parole: « Nato dalla tribù di Giuda ». Altro momento narrativo è il percorso cronologico in 1 1 ,4-32. L'autore vi propone un tracciato storico pieno di fede e prova, al tempo stesso, la propria attenzione a situazioni storiche molteplici narrate nella Bibbia. Valore tipologico di avvenimen­ ti storici, un criterio interpretativo ben sperimentato in Ebrei232• 23 1 Si veda L. Bums, Hermeneutical Issues and Principles in Hebrews as Exemp/ifìed in the Second Chapter, in JEvTS 39 ( 1 996) 587-607. 2 32 Rilevazione di dati e analisi appropriata in A.J. Levoratti, « TU no has querido sacrificio ni oblacion ». Salmo 40, 7; Hebreos l O, 5, in Revista Biblica 48/24 ( 1 986) 208, 2 1 4.

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Parte prima. Sezione introduttiva

Momento parac/etico-pastorale. In Ebrei gli insegnamenti kerigmatici e ca­ techetici si alternano con l 'esigenza di trasporti nell ' ortoprassi cristiana. Ne ri­ sultano esortazioni parenetico-pastorali distribuite oculatamente in tutto il « trat­ tato ». Una cosa è unanimemente condivisa: il frequente ricorso alla paràclesi è dovuto al fatto che il cristianesimo non è una teoria o una gnosi, ma una profes­ sione di fede nel Dio creatore, nel Figlio redentore, nello Spirito accompagnato­ re, e nell 'uomo redento chiamato a un appropriato stile di vita che dà luogo a uno stile di vita. Ne segue che la paràclesi è inscindibile dal kerygma. Una paràclesi efficace ha dei presupposti. In primo luogo, la prassi cristia­ na. Essa è campo specifico della semiotica, che esamina i segni e i loro effetti nel processo di comunicazione. Così l 'esercizio dell ' amore fraterno e dell 'ospi­ talità in Eb 1 3 , l -6 o la diserzione dell ' assemblea e i relativi rischi in 1 0,25a so­ no due rilevazioni pragmatiche, rispettivamente in ortoprassi e in eteroprassi . Scopo della paràclesi è dissuadere dalla seconda e persuadere per la prima: otte­ nere l ' adesione spontanea, non forzata (Eb 1 3 ,7; l Pt 5 ,2). A tal fine, Ebrei pro­ pone il celebre compendio storico di 1 1 , 1 -40 e l ' esortazione di 1 3 , 1 2- 1 3 . Mettere in luce la fede (pistis) di quei colossi è sprigionare una forza trainante che produca costanza e fortezza (hypomone) per affrontare ogni opposizione, fi­ no al martirio ( 1 2 , l ). Ma già la loro fede è stata offerta gradita a Dio ( 1 3 ,6). Il gradimento a Dio è un criterio assiologico. Formule come quelle di Eb 3 , l fan­ no da inciso intenzionale. L'autore spezza l ' argomento centrale con formulazio­ ni che tendono ad accentuare la funzione dialogica del suo discorso, carico di appello. Il contenuto della paràclesi è sempre denso e tende a espandersi : essere ciò che si deve diventare, diventare ciò che si deve essere. Come nei testi di Paolo, anche in Ebrei ogni esortazione mira a ottenere una risposta etico-esisten­ ziale in ortoprassi cristiana. Ebrei mostra anche scelta oculata del vocabolario, pena l 'insuccesso della paràclesi: insegnare (Eb 2,3), confermare (2,3), testimo­ niare, attestare (3 ,4a) e supplicare, invitare, consolare, chiedere; a quest'ultimo, parakalein, si oppone epitassein (« ordinare », Fm vv. 8-9) che Ebrei però ignora. Tutto il « trattato » è « parola di esortazione » (logos tes parakleseos, cfr. 1 3 ,22). Lo si nota bene dali ' inizio alla fine : essa non va dimenticata ( 1 2,5); chiede la correzione ( 1 2,6; Pr 3 , 1 2), sospinge a professare la fede (Eb 3, l ; 4, 1 4) e a per­ severare nel pellegrinaggio verso la città celeste ( 1 1 , 1 3 - 1 6). Sul tracciato di Cristo, il Figlio di Dio (5,8), in tutto come noi, eccetto nell ' infedeltà (4, 1 5), la fede è sostegno in ogni opposizione ( 1 2,3), da sopportare come lui, che è ora al­ la destra del Padre ( 1 ,3 ; 1 2 ,2). La paràclesi punta su valori (logos) che siano au­ toobbliganti (pathos) perché autorevoli (ethos) . L' esortazione di Ebrei è autore­ vole perché proviene da una coscienza limpida: egli infatti ha compiuto tutto in piena correttezza ( 1 3 , 1 8), guidato dai valori dell ' alleanza escatologica (Ger 3 8,3 1 -34 ). Introdotti dalla forma verbale « abbiamo », sono indicativi alcuni mo­ menti gesuologici e cristologici in cui si vede bene l ' incastro tra insegnamento e paràclesi (4, 1 4 ; 8, 1 ; 1 0, 1 9.2 1 ; 1 3 , 1 0; 1 3 , 1 4). Allo scopo, Ebrei usa di frequen­ te l ' imperativo esortativo, in prima persona plurale e si inserisce fra i destinata­ ri della sua stessa esortazione e riduce così la distanza verso di essi. Una indub­ bia forma di captatio benevolentiae.

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Momento argomentativo. La dispositio narrativa di Ebrei è cadenzata da momenti argomentativi costanti233 : premesse argomentative (6, 1 6; 7,7; 7, 1 2 ; 7, 1 9; 9, 1 6- 1 7; 1 0, 1 ); argomentazione sottile (4, 1 - 1 1 , con l 'ausilio di Gn 2,2 e del Sal 94,7- 1 1 ; qal wii/;lomer (a minori ad maius, 2,2-3 ; 9, 1 3 - 1 4); leitmotiv: « Posto che . . . segue che . . . » (5 ,2-3 ; 6, 1 0; 6, 1 7. 1 8 ; 7, 1 4 e 8,4; 7,8; 7,23 ; 1 0,2; 1 0,3). Tra metodo, interpretazione ed ermeneutica, Ebrei si muove disseminando, un po' ovunque, un incastro di insegnamenti ed esortazioni. Il che poi dà al « trattato agli Ebrei » non poco colore estetico. Un 'ultima rilevazione sul metodo va sul binomio classico e patristico tipo­ antitipo che sottende l ' intero documento : una tipologia sempre e solo a servizio del messaggio234• Ebbene, esso va evolvendo nella riflessione critica in una trilo­ gia esplicativa, forse più efficace: « confronto, diversità, superamento »235; « di­ scontinuità, continuità, superamento »236; « promessa, realizzazione nel tempo, compimento finale oltre il tempo »237• Suggerisce questa rilevazione di metodo in Ebrei, fra l ' altro, il parallelo tra 1 Pt 3 ,20-2 1 .22 ed Eh 1 1 ,7 sul tema comune « Noè >> . Due i modelli. Platonizzante il primo: antitipo (diluvio) - tipo (battesi­ mo). Con riferimento alle categorie spaziali, ciò che è sensibilmente percepibile è meno perfetto: è l 'antitipo (acqua del diluvio); il battesimo, non sensibilmente percepibile nel suo valore salvifico, è il tipo (l ' ideale). Di questo tipo che dove­ va venire, e che è venuto nel Gesù morto e risorto, quell ' acqua è anticipazione simbolica. Modello tipologico il secondo: nel passato il tipo (acqua del diluvio); nel presente l 'antitipo (battesimo in Gesù Cristo). L' antitipo del NT (battesimo) adempie il tipo dell ' AT (diluvio). Così anche in Rm 5,4 Adamo (il passato) è ti­ po e Cristo (il presente) è l ' antitipo238• Eh 1 1 ,7 non chiama in causa il motivo bat­ tesimale come antitipo-compimento « di cose che ancora non si vedevano » ri­ spetto al diluvio-tipo, visibile e sperimentato. Ciò che rende Noè salvo ed erede della giustizia agli occhi di Dio è la fede nel costruire l ' arca secondo le indica­ zioni di mwH. Anche in 9,24 Ebrei resta agganciato alla tradizione di Es 25,40 (kata ton typon), ma inverte i termini: il santuario che Mosè realizza nel tempo, 2 33 Proposta globale in C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, pp. 84-85. Al dettaglio, da­ ti e analisi in A.J. Levoratti, « Tu no has querido sacrificio ni oblaciim ». Salmo 40, 7; Hebreos 10, 5, in Revista Biblica 48/24 ( 1 986) 228-23 7. 2 34 Persuasivo lo studio di J.R. Sharp, Typology and the Message of Hebrews, in EAJTh 4 ( 1 986) 95- 1 03 . 2 35 Entsprechung, Andersartigkeit, Oberbietung: trilogia enneneutico-paracletica. Cfr. E . Griisser (A ujbruch und Verheissung. Gesammelte Aufsiitze [ M . Evang and - O . Merk, edd.], W De Gruyter, Berlin - New York 1 992, pp. 3 1 5-3 1 6), il quale riprende F.J. Schierse ( VerheifJung und Heilsvollendung, pp. 40-4 1 ). 23 6 Così J.P. Michaud, « Parabolih> dans l 'épitre aux Hébreux et typologie, in Sémiotique et Bible 46 ( 1 987) 1 9-34, e ancora J.P. Michaud, Le passage de l 'ancien au nouveau, selon l 'épitre aux Hébreux (8, 1-13), in Science et Esprit 35 ( 1 983) 33-52. 2 37 Così F. Schroger, il cui magistrale lavoro (Der Verfasser des Hebriierbriefes) depone in tut­ to il suo insieme per quella trilogia; A.J. Levoratti ( « TU no has querido sacrificio n i oblaciim ». Salmo 40, 7; Hebreos 1 0,5, in Revista Biblica 48 [ 1 986]) usa il termine metatesi intendendo dire, for­ se, che in Ebrei lo storico e il metastorico si interscambiano di continuo. 23 8 Annota M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, PIB, Romae 1 966, numero 54 1 : « Antitypus, correspondens alicui typo VT, id est praesignificatus ».

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Parte prima. Sezione introduttiva

« fatto da mano (d 'uomo) » è l ' antitipo del santuario vero, quello celeste, adom­ brato in Es 25,40 (typos) e adempiuto nel momento in cui Cristo vi entra. Modello platonizzante o modello tipologico (Es 25 ,40)? I modelli si inter­ scambiano. Segno che a Ebrei non sta a cuore questo o quel modello. L'autore vuole piuttosto comunicare un messaggio: Noè e Mosè, in situazioni diverse, ma convergenti nella « fede )), concorrono al compiersi del progetto di Dio, comun­ que di qualità superiore a ogni umbratile e simbolica anticipazione terrestre.

6.

Sul testo

Per completezza di documentazione devo informare sui dati seguenti ine­ renti alla trasmissione del testo. Papiri. La più antica testimonianza su Ebrei è il ?t6 (Chester Beatty, ca. 200 d.C.), il quale riporta al tempo stesso l 'epistolario paolino da Rm 5, 1 7 a l Ts 5,28. Ebrei è collocato subito dopo Romani. Così: Romani, Ebrei, 1 -2Corinzi, Efesini, Galati, Filippesi, Colossesi, l Tessalonicesi. p46 ha visto in Ebrei una lettera di Paolo, cosa per sé normale nella tradizione orientale. Anche altri papiri ( 1 2. 1 3 . 1 7. 1 9) atte­ stano Ebrei per partes. Su Ebrei e il canone della Scrittura, si veda più avanti (pp. 727-730). Oncia/i. Presentano la lettera per intero il manoscritto Sinaitico (à = 0 1 , secolo IV d.C.) e il manoscritto Alessandrino (A = 02, secolo V d.C.); quest'ultimo con una rilevante omissione in Eb 1 0,29 (en h(J hegiasthe), che crea non pochi problemi. Il manoscritto Vaticano (B 03 , secolo IV d.C.) riporta Ebrei fino a 9, 14a. Oncia/i. Per intero o con qualche interruzione riportano Ebrei i seguenti oncia­ li: C (04); D (06); H (0 1 5); I (0 1 6); Y (044) ; 048; 0 1 2 l b; 0 1 22; 0227; 0228 e 0252. Versioni. Accanto ai manoscritti greci, attestano Ebrei numerose versioni: Copta, Latina, Siriaca, Armena. Padri della Chiesa. Sono testimoni non secondari per Ebrei, e la loro testi­ monianza non solleva problemi critici di rilievo. A essi dedicherò opportuni rife­ rimenti nel commentario. Varianti. Ne rilevo solo alcune : - 2,9: chariti (p46) l choris (Origene, Arnbrosiaste, Girolamo, da me tenuta). - 9, 1 1 : genomenon (E. Nestle - K. Aland); mellonton (A. Merk - G. Barbaglio). - l O, l : ouk auten l kai. Un chiasmo antitetico decide per ouk auten . - 1 1 , 1 1 : Sarra steira l Sarra. - 1 1 ,37: epristhesan (torturati) l epeirasthesan (segati). L' edizione critica di A. Merk - G. Barbaglio li accoglie nel testo entrambi. Queste varianti, e altre an­ cora, sono segnalate ad !oca ed esaminate. Congetture. Per alcuni punti difficoltosi del testo di Ebrei sono suggerite delle congetture: 2,9239; 4,2; 5,7; 1 0,20; 1 1 ,4; 1 2, 1 5 . La congettura su 5,7 è la più =

2 39 Eb 2,9: choris o chariti Theou? Leggono chOris Theou Origene, Eusebio di Cesarea, Ambrosiaste, Girolamo, Ecumenio. Lezione critica riproposta da A. Hamack, che la fa ricadere pe­ santemente su 5,7. È segnalata in E. Nestle - K. Aland, Novum Testamentum graece et latine, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 1 997 27 .

Profilo storico e letterario

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nota, ma anche la più discutibile. A. Hamack ritiene che nell ' espressione: « E fu esaudito per la sua pietà » sia caduta una negazione ( « E non fu esaudito per la sua pietà »). I motivi addotti, di solo ordine teologico, indeboliscono la congettura stessa di fronte alla più solida tradizione testuale240.

7. Sul Sitz im Leben storico del secolo 1: da Claudio a Domiziano

(41-96)

Pigrizia nella fede? Persecuzioni e paura fino all 'apostasia? Questo centrale in­ terrogativo richiede uno sguardo al momento storico al quale Ebrei mostra riferirsi. Su Claudio (4 1 -54). Nell 'anno 49, quando l ' imperatore Claudio si ritiene co­ stretto a dover « scacciare da Roma i giudei che si agitano per istigazione di un certo Cresto »24 1 , la comunità cristiana di Roma doveva essere già abbastanza pro­ gredita e nota, se gli ebrei ivi residenti con il diritto di convenire in associazione vi riscontravano tanta minaccia. Tuttavia è possibile ritenere che i « giudei » in questione, « che si agitano per istigazione di un certo Cresta », siano quei giudei divenuti cristiani, entusiasti della loro scelta. Essi, « guidati da Cristo, erano causa di continue agitazioni », una vera spina in seno alla comunità giudaica. Questa let­ tura è letterariamente possibile. L'espulsione totale degli ebrei da Roma difficil­ mente poté essere eseguita, e dovette ridursi a un mero divieto di riunione dei giu­ deocristiani242. Tuttavia si ebbero di certo degli espulsi. Ne danno testimonianza At 1 8,2 (Paolo incontra a Corinto Aquila e Priscilla, che rientrano da Roma « in seguito all 'editto di Claudio, che allontanava da Roma tutti i giudei »), e l Cor 1 6, 1 9 (Paolo invia saluti ad Aquila e Priscilla e alla comunità che si raduna nella loro casa a Corinto). Ma quel provvedimento, già ridimensionato e blando all 'e­ poca di Claudio, decade dopo la sua morte violenta nell 'anno 54. E gli ebrei o, me­ glio, gli ebreocristiani, rientrano a Roma. La cosa è attestata da At 28, 1 7 (Paolo, a Roma, riceve liberamente gli ebrei) e Rm 1 6,3.5 (Paolo saluta Aquila e Priscilla e la comunità che si raccoglie nella loro casa a Roma). Negli anni 4 1 -54 si registra in ogni caso un rapporto teso tra ebrei e comunità ebreo-( etnico }243-cristiana. Che Claudio sia stato un persecutore, per di più sanguinario, degli uni e/o degli altri, a motivo della loro fede, non è un dato storicamente attestato244. 240 Dati in A. Vanhoye, Hebriierbrief, in TRE ( 1 985) 1 4,494. 24 1 Così Svetonio: « Judaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit » ( Caesar Claudius 25). Il Chrestus di Svetonio è la dizione popolare (volgare) di Christus. Conferma Tacito (Anna/es 1 5,44 [Annali, L. Pieghetti, ed., Mondadori, Milano 1 994]): nel linguaggio volgare roma­ no i christiani si chiamavano chrestiani. 242 Così permette di argomentare Dione Cassio, Storia romana 60,6. 243 Di un destinatario di Ebrei non solo giudecristiano, si è già detto sopra. Ma esso è anche et­ nicocristiano. Sulla questione, cfr. già A. Feuillet, Le dialogue avec le monde non-chrétien dans /es épitres pastorales et l 'épitre aux Hébreux. Deuxième partie: / 'épitre aux Hébreux, in EsprVie 98 ( 1 988) 1 52-1 59. 244 Svetonio, Divus Claudius 34 (Svetonio, Vite dei Cesari, vol. II [F. Dessì, ed.], BUR, Milano 1994), è attento a descrivere la « natura crudele e sanguinaria » (p. 543) di Claudio, ma non ne esten­ de le manifestazioni ali 'àmbito religioso ebraico e cristiano. L'espulsione dei giudei da Roma (Divus C/audius 25), perché >273• Ma nel NT il tema è forte. Eb l 0,32-34 parla di una persecuzione che la comunità cri­ stiana di Roma aveva già subìto, forse sotto Nerone, cui rimanderebbe anche Eb 1 2,4. In altre fonti bibliche i cristiani sono invogliati a non opporsi all ' impero, ma a far sì che la loro testimonianza di fede cammini parallelamente al normale corso politico degli eventi (Rm 1 3 , 1 ; 1 Tm 2,2). Del resto, perché perseguitare semplici cittadini che professano un credo differente?274• La ragione fondamenta­ le che, forse, indusse Domiziano a perseguitare i cristiani fu il loro rifiuto di ve­ nerarlo e giurargli fedeltà come signore e dio (« dominus et deus »; despotes kai theos). Essi, invece, professavano la loro fede verso un nuovo re chiamato Gesù (cfr. l Tm 2,5). Tale comportamento era « ateo »: chi non prestava giuramento al­ l ' imperatore abbandonava la religione di Stato. In questa situazione, i cristiani furono vulnerabili, non erano infatti un gruppo nazionale giuridicamente ricono­ sciuto come gli ebrei. Per i cristiani di origine ebraica ed etnica viventi a Roma, e per i cristiani in genere, quello domizianeo fu tra i più intensi periodi di crisi. Ebrei vi rientra qua­ le « trattato » scritto in clima di persecuzione. Alcune esortazioni potrebbero so­ stenerlo: in Eb 1 3,4 si ha un riferimento alla fedeltà coniugale che può alludere al comportamento di Domiziano piuttosto libero in materia. Anche l ' ammonizione di 1 3 ,5 può essere stata motivata dalla ben nota avidità dell ' imperatore . Un'autorevole conferma al fatto che il « trattato » fu scritto durante il regno di Domiziano, ci viene da l Clemente 36. Scritti contemporaneamente nell 'ultimo decennio del secolo I (anni 94-96), J C/emente ed Ebrei alludono a capovolgi­ menti vari che ebbero luogo sotto Domiziano e alle varie traversie che la fede cri­ stiana vi dovette subire. Il martirio di Flavio Clemente, cugino dell ' imperatore, e l 'esilio di sua moglie Flavia Domitilla attestano come la fede cristiana avesse

272 Così già F. W. Beare (Persecution, in Interpreter 's dictionary ofthe Bible, vol. II, Abingdon Press, Nashville 1 95 1 , p. 73 7), il quale riassume in tal modo il pensiero di molti tenuto lungo tutto il secolo XX . Breve bibliografia anche in H.M. Parker, Domitian and the Epistle to the Hebrews, in IliffReview 36 ( 1 979) 33, nota l O. 27 3 Così già G. Krodel, Persecution and Toleration of Christianity unti/ Hadrian, the Catacombs and the Colosseum: the Roman Empire ad the Setting of the Primitive Christianity, Judson Press, Valley Forge (Pennsylvania) 1 97 1 , p. 260. 274 Eppure, l ' insurrezione descritta in At 1 9,2 1 -4 1 e il tumulto a Gerusalemme riferito in At 2 1 ,27-40 dimostrano come non solo a Roma si stesse avvertendo il disagio di professare liberamen­ te il proprio credo cristiano, ma anche nelle altre città del! ' impero.

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raggiunto le sfere nobili dell ' impero. L'anno 95 per i cristiani è di fondamentale importanza: « A partire dal 95 d.C. la relazione tra Chiesa e Stato è stata di reci­ proca tolleranza. Gli ufficiali imperiali consideravano i cristiani come una setta inoffensiva e li proteggevano contro la violenza della folla tumultuosa alla quale essi erano costantemente esposti. I cristiani a loro volta vedevano l ' impero come uno strumento eletto nel mondo per volontà divina, onde sopprimere il crimine e limitare l ' anticristo »275• Al tramonto del secolo I e sul finire dell ' impero di Domiziano, l ' autore di Ebrei tira come le somme: da Claudio a Nerone, a Domiziano, la giovane Chiesa giudeo-( etnico)cristiana in Roma vive in condi­ zioni precarie. Ebbene, non demorda dali ' impegno cristiano; non si opponga al­ l ' impero, ma ne prenda atto e, ali ' interno di esso, operi l 'evangelizzazione. Non distingua tra ricchi e schiavi. L'approdo alla fede cristiana degli uni e degli altri attesta la buona riuscita della missione evangelizzatrice di molti « martiri ». Guardando a essi, i destinatari di Ebrei ritrovino forza e coraggio nella fede. Che « il giorno imminente del Signore », di cui in Eb l 0,25b, possa avere come re­ trofondo tutte queste vicende, è attendibile in base a Eb 1 0,32-34, che favorisce, anzi richiede il flash-back appena esposto. Che il momento storico di riferimen­ to possa riguardare per Ebrei gli ultimi anni di Domiziano (95-96) è anche atten­ dibile a motivo del grande influsso che quel regno ebbe sugli avvenimenti del­ l ' epoca276• O Eb l 0,25b allude ai fatti dell 'anno 70 ormai imminenti?277• Nerone e Domiziano: persecutori della fede cristiana? Meno Nerone, più Domiziano. In ogni caso, così formulato, l ' interrogativo va provocando una qua­ lificata verifica storica278• E una cosa è chiara per Ebrei: dal 4 1 al 96 d.C., in for­ ma ora più o meno intensa, i cristiani delle prime tre generazioni non vivono cer­ to una situazione rosea. A questo « insieme » pensa Ebrei279•

8. Tra struttura letteraria e tematica

Le strutture: una selezione (da/ 1940 a oggi). La comprensione della dispo­ si/io-redazione di Ebrei dipende molto dalla rilevazione del suo movimento let­ terario (inclusioni, simmetrie concentriche o parallele, chiasmi antitetici e sinte­ tici, incastri a ellissi, serie di termini chiave), dal Sitz im Leben del documento in 275 Così già Mcfayden, The Occasion ofthe Domitianic Persecution, in AJT 24 ( 1 920) 64. 2 76 Attendibile suggerimento già in H. M. Parker Jr. (Domitian and the Epistle to the Hebrews, in 1/iff Review 36 [ 1 979] 3 1 -43), valido ancora per Apocalisse, I Pietro e /Clemente (Jbid. p. 43). 277 È il parere di A. Vanhoye, La lettre aux Hébreux. Jésus-Christ médiateur, pp. 1 86- 1 87. 278 Segnalo, ancora una volta, M. Fini; M.A. Levi e M. Ranieri Panetta e le loro relative bi­ bliografie, tre volumi contemporanei di lettura impegnata e di seria analisi critica della documenta­ zione storico-letteraria: Tacito, contemporaneo di Domiziano; Svetonio, in epoca adrianea, molto di­ verso da Tacito; Dione Cassio, ali 'epoca dei Severi, ben lontano dai fatti del secolo I, ricopia Tacito e va consultato con cautela. Questi tre, ne li ' insieme, sono ostili a Nerone, eppure vanno seriamente riconsiderati. Così M.A. Levi (Nerone e i suoi tempi, pp. 1 2- 1 3 . 1 7), che tenta un riesame delle Fonti storiografiche, alle pp. 240-28 1 . 2 79 Parere non molto condiviso. Ma si veda G.L. Borchert, A Superior Book: Hebrews, in Review and Expositor 82/3 ( 1 985) 326-327.

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Parte prima. Sezione introduttiva

genere e delle sue singole parti: ambiente storico-culturale, circostanze varie, in­ tenzione dell 'autore, sempre esistenzialmente orientate e trasmesse attraverso uno stile raffinato, non raramente impregnato di estetica e gusto artistico. Anche il profilo dei destinatari è determinante. Dopo Origene, i commentatori hanno esaltato la straordinaria abilità letteraria di Ebrei, ma hanno anche avvertito un certo disagio nell ' individuarne la struttura letteraria. Motivo di fondo: il genere letterario polimorfo. La rilevazione di una struttura si muove su due binari: quel­ lo letterario e quello tematico, entrambi presenti nel testo, « organismo vivente ». L'attenzione maggiore (o esclusiva) al secondo più che al primo è motivo suffi­ ciente per dubitare della bontà critica. Una struttura solo o prevalentemente te­ matica espone al rischio dell 'arbitrarietà. Seleziono in successione cronologica alcune strutture che hanno firmato lo sviluppo critico della questione. L. Vaganay ( 1 940)280 stabilisce un principio critico nuovo: con Ebrei (e con la Bibbia intera) bisogna rinunziare a valutare una struttura con i criteri moderni della redazione di un documento composto in base alle norme della logica. Ebrei mostra di procedere per inclusioni e concatenazioni, attraverso parole gancio, una rilevazione « scientifica » ormai acquisita. Il metodo è noto del resto già pres­ so i profeti; il NT ne è pieno. L. Vaganay rintraccia così cinque temi: Introduzio­ ne ( l , 1 -4 ); I. Gesù superiore agli angeli ( l ,5 - 2, 1 8); Il. Gesù sacerdote compas­ sionevole e fedele (3, l - 5, l O); III. Gesù autore di salvezza eterna, sacerdote perfetto, sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek (5, 1 1 - 1 0,39); IV. La per­ severanza nella fede ( I l , l - 1 2, 1 3 ); V. Il grande dovere della santità nella pace ( 1 2, 1 4 - 1 3 ,2 1 ); Conclusione ( 1 3 ,22-25). Ma i momenti tematici sono còlti in ba­ se a inclusioni e concatenazioni e parole gancio o prendono il sopravvento su di esse? In ogni caso, sono essi a definire la struttura letteraria di Ebrei. Ripreso da A. Vanhoye, il lavoro di L. Vaganay è indiscussa pietra miliare. C. Spicq ( 1 9 5 2)2H 1 rileva quattro parti contrassegnate dal motivo « fede », in crescita in tutta la « lettera »: L l -4; 4, 1 4- 1 6; 8, 1 -2; 1 0, 1 9-22. Ne derivano quat­ tro temi: Prologo ( l , 1 -4); I. Il Figlio di Dio incarnato è re dell 'universo ( l ,5 2,8); II. Gesù sommo sacerdote fedele e compassionevole (3, l - 5, l O); III. Il sa­ cerdozio autentico di Cristo (7, l - 1 0, 1 8); IV. La fede perseverante ( l O, 1 9 1 2,29); Appendice ( 1 3 , 1 - 1 9); Epilogo ( 1 3 ,20-25). Sia L. Vaganay sia, e ancora di più, C. Spicq, le cui opere sono classiche, stabilito e intenzionalmente rispettato quel principio letterario, sembrano lasciarsi guidare più dai momenti tematici. Ne risulta una struttura più tematica e meno letteraria. E.J. Schierse ( 1 955), nel suo bel lavoro282, offre una struttura globale, del tutto centrata sul tema delle promesse, in tre parti : I. La comunità destinataria delle promesse ( l , l - 4, 1 3 ) ; II. La comunità destinataria del patto promesso (4, 1 4 - l 0,3 1 ); III. La comunità in viaggio verso i l traguardo promesso ( l 0,32 - 1 3 ,25). L'aspetto tematico è prevalente. 2 8° Cfr. L Vaganay, Le pian de l 'épitre aux Hébreux, in Mémorial Lagrange, pp. 270-277. 2 8 1 Cfr. C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. l: lntroduction, pp. 33-37. Ripropone la stessa struttu­ ra in L'Épitre aux Hébreux, Gabalda, Paris 1 977. 282 E.J. Schierse, VerheifJung und Heilsvollendung, pp. 207-209.

Profilo storico e letterario

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A. Vanhoye (dal 1 962- 1 983 e oltre) riprende il tracciato di L. Vaganay e ne con­ duce un'elaborazione critico-letteraria rigorosa. Lo scavo archeologico del testo, « or­ ganismo vivente », conduce alla scoperta di preannunzi del soggetto, alla frequenza di termini caratteristici, ali 'alternanza di generi letterari, parole chiave, inclusioni, chia­ smi. Questa rilevazione fenomenologica di dati linguistici fedelmente rispettati met­ te in luce cinque parti d' ineguale lunghezza, aperte da un'introduzione: 1 , 1 -4. Poi l. 1 ,5 - 2, 1 8; II. 3 , 1 - 4, 1 4: III. 5, 1 1 - 1 0,39; IV. 1 1 , 1 - 1 2, 1 3 ; V. 1 2 , 1 4 - 1 3 , 1 8. Segue un epilogo: 1 3 ,20-2 1 con poscritto e invio ( 1 3 , 1 9.22-25). L'approfondita elaborazione letteraria favorisce una motivata « scoperta » dell ' incastro del documento, in movi­ mento permanente in ogni suo elemento, e offre sostegno continuo a ogni deduzione tematica. Risultato: una struttura letteraria e tematica credibile283• Secondo G .E. Rice ( 1 985)284, A. Vanhoye incorre inavvertitamente neli ' erro­ re di strutturare Ebrei in modo da ottenere un chiasmo: a) 1 , 1 -4, introduzione; b) 1 ,5 - 2, 1 8, escatologia; c) 3 , 1 - 5 , 1 0, ecclesiologia; d) 5, 1 1 - 1 0,39, sacrificio; c') 1 1 , 1 - 1 2, 1 3 , ecclesiologia; b') 1 2, 1 4 - 1 3 , 1 8, escatologia; a') 1 3,20-2 1 , conclu­ sione. Cioè, il chiasmo desiderato guiderebbe ali ' individuazione della struttura letteraria. Ma una simile inconscia Vorverstiindnis in A. Vanhoye non è davvero rintracciabile e la esclude in toto il meticoloso lavoro letterario condotto sul testo. Piuttosto, mi sembra che sia lo stesso G.E. Rice a incorrere in quel paventato er­ rore. Ritenendo il motivo dell 'apostasia portante e strutturante, egli individua una struttura articolata in cinque parti, e ognuna in tre momenti: I. 1 ,5-24 (esposizione teologica, l ,5- 14; ammonimento, 2, l ; giudizio, 2,2-4 ); Il. 2,5 - 4, 1 3 (esposizione teologica, 2,5 - 3 ,6; ammonimento, 3 ,7- 1 9; giudizio, 4, 1 - 1 3); III. 4, 1 4 - 6,8 (espo­ sizione teologica, 4, 1 4 - 5, 1 0; ammonimento, 5 , 1 1 - 6,6; giudizio, 6,7-8); IV. 6,9 1 0,39 (esposizione teologica, 6,9 - 1 0,25 ; ammonimento, 1 0,26-27; giudizio, 1 0,28-3 1 e ulteriore ammonimento con giudizio, l 0,32-39); V. 1 1 , l - 1 2,29 (espo­ sizione teologica, 1 1 , 1 -40; ammonimento, 1 2, 1 -24; giudizio, 1 2,25-29). G.E. Rice non considera Eb 1 3 . Resta difficile dover attribuire un ruolo così determinante al motivo dell 'apostasia, e la proposta strutturale che ne risulta è minata alla radice. Linda L. Neeley ( 1 987)285 propone una struttura tripartita: I. l , l - 4, 1 3 ; II. 4, 14 - 1 0, 1 8; III. 1 0, 1 9 - 1 3 ,2 1 , in base a fattori linguistici tipici del discorso, in particolare alle particelle di concatenazione: gar (in quantità sovrabbondante), oun, dio, men, men . . . de, oun de, othen, dia touto. Esse puntualizzano lo svilup­ po semantico e cadenzano le rilevazioni tematiche. H.W. Attridge ( 1 989 1 ) ravvede nella struttura messa a punto da A. Vanhoye il migliore prodotto scientifico; la preleva quasi in toto, e la ripercorre nelle sue

283 Questa sua proposta, A. Vanhoye la fissa in Épitre aux Hébreux. Texte grec strocturé; la espone in Literarische Stroktur und theologische Botschaft des Hebriierbriefes (1), in SNTU 4 ( 1 979) 1 1 9- 1 4 7, e in Literarische Stroktur und theologische Botschaft des Hebriierbriefes (Il), in SNTU 5 ( 1 980) 1 8-49. Sintesi in Id., Strottura e teologia nella epistola agli Ebrei, PIB, Roma 1 983, pp. 62-72, e in lbid. , pp. 1 35- 1 49 (pro manuscripto). 284 Cfr. G.E. Rice, Apostasy as a Moti/and lts Effect on the Strocture ofHebrews, in AndrUnSS 23 ( 1 985) 29-35 . 285 Cfr. L.L. Neeley, A Discourse Analysis ofHebrews, in JOTT 3-4 ( 1 987) l - 1 46.

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Parte prima. Sezione introduttiva

cinque parti, con qualche ritocco e un'ampia riformulazione tematica286, né igno­ ra gli apporti di Linda L. Neeley. G.H. Guthrie ( 1 994) percorre il tracciato aperto da Neeley, ampliando di molto l 'elaborazione « esegetica >>. Intuisce gli high leve/ cohesion shifts, una sor­ ta di struttura a spirale concentrico-progressiva, articolata sulla ripresa di ele­ menti già introdotti, poi sospesi, quindi ripresi, in rapporto inclusivo di maggio­ re o minore grandezza287• Un rilevante comportamento stilistico di cui abbiamo già detto sopra. Tripartita è anche la struttura proposta da S . Stanley ( 1 995)288• Tre ne sono le chiavi: il genere letterario, la procedura retorica e il contenuto. Tutte e tre con­ vergono l 'una nell 'altra, nessuna di esse va presa isolatamente. La chiave più im­ portante, tuttavia, è il « contenuto del libro ». Esso è: Gesù, superiore agli angeli ( 1 ,5 - 2, 1 8), sacerdote fedele (3 , 1 - 4, 1 3), sacerdote misericordioso (4, 1 4 - 5, 1 0): grande tema per il quale i destinatari sono impreparati (5 , 1 1 - 6,20); Gesù e Melchisedek (7, 1 -28); Gesù causa di salvezza eterna (8, l - l 0,39); Gesù obbe­ diente ( 1 1 , 1 - 1 3, 1 9). Al di là dell 'opportuna sottolineatura gesuologica, e accolta la bontà dei temi in sé considerati, queste sette sezioni sono poco credibili come strutturali; la struttura tematica che ne risulta, in tre parti: superiorità di Cristo (capp. 1 -7); superiorità del ministero di Cristo ( capp. 8- 1 O) e le risultanti re­ sponsabilità per il popolo di Dio (capp. 1 1 - 1 3), è altrettanto poco attendibile. Globale e limitata, essa denunzia l ' incertezza della procedura tematica. Per quan­ to più attento alla compositio del testo di Ebrei, anche J. Swetnam ( 1 992- 1 996) finisce col privilegiare rilevazioni tematiche289 che fa ruotare attorno a tre perni strutturali: l ,2; 3, 1 4; 1 1 , l . Nel retro fondo gioca il proprio ruolo la struttura tradi­ zionale, che vede in Ebrei (ma anche in altri libri della Bibbia) una parte dottri­ nale e una pratico-etica. L. Dussaut ( 1 994)290 vuoi fare evolvere il principio letterario stabilito da L. Vaganay e abbondantemente sviluppato da A. Vanhoye, mostrandone il se­ guente risultato: I. l , 1 -5 , 1 1 , prima funzione storica: profetismo, in quattro se­ zioni; Il. 5, 1 1 - 1 0,39, seconda funzione storica: sacerdotale, in sei sezioni; III. 1 1 , 1 - 1 3 ,2 1 -25, terza funzione storica: regale, in quattro sezioni . Dussaut inse­ gue la storia della salvezza, ponendo a fuoco il ruolo dei personaggi : Abramo e Melchisedek, Mosè (Sinai e deserto); Gesù: vita (nascita, passione e morte, ri2 86 Cfr. H.W. Attridge, Lettera agli Ebrei, LEV, Roma 1 999, pp. 57 e 62-64. 28 7 Cfr. G.H. Guthrie, The Strocture of Hebrews, pp. 6 1 -75. Vi si cimenta G.K. Barr ( The Strocture ofHebrews and of Jst and 2 Peter, in lrBSt 1 9 [ 1 997) 1 7-3 1 ), che alle pagine 26-30 ne ten­ ta la rappresentazione grafica. Un apporto originale. 2 88 Cfr. S. Stanley, Hebrews 9, 6- 1 0: The « Parable » ofthe Tabernacle, in Novum Testamentum 37 ( 1 995) 3 85-399. 2 89 Cfr. J. Swetnam, The Strocture ofHebrews 1, 1-3, 6, in Melita Theologica 43 ( 1 992) 58-66 e Id., A Possible Strocture of Hebrews 3, 7-1 0, 39, in Melita Theo/ogica 45 ( 1 994) 1 27- 1 4 1 ; Id., Hebrews Il, I-l 3,24: A Suggested Strocture, in Melita Theologica 47 ( 1 996) 27-40. In quest'ultimo studio egli sostiene expressis verbis che « the priority of content as a criterion of structure » (lbid. , p. 28) e individua in Eb 1 ,2; 3 , 1 4 e 1 1 , 1 i tre punti nodali, fondamento della struttura tripartita (lbid. , p. 39). « A suggested Structure » che resta tale. 290 Cfr. L. Dussaut, Histoire et strocture de / 'épitre aux Hébreux, in Lum Vie 43 ( 1 994) 5- 1 3 .

Profilo storico e letterario

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surrezione e insediamento alla destra della Maestà). Il risultato, tuttavia, è più quello di una struttura tematica che letteraria. C. Rose ( 1 994 )291 propone una struttura letteraria tripartita: I. l , l - 4, 1 3 ; II. 4, 1 4 - 1 0,3 1 ; III. 1 0,32 - 1 2,29; chiusa epistolare: 1 3 , 1 -25. E. Gdisser ( 1 997)292 offre una tripartita disposizione tematica sul motivo della « via » (hodos) : I. l , l - 6,20: la via del Redentore, come parte fondante; II. 7, 1 - 1 0- 1 8 : la via del sommo sacerdozio del Figlio, come sviluppo della parte prima; III. 1 0, 1 9 - 1 3 ,2 1 : la via della fede, conseguenze che impegnano. C.R. Koester (200 l )293 individua una struttura letteraria retorica in quattro parti: exordium : 1 , 1 - 2,4; propositio: 2,5 - 8; demonstratio in tre serie di argu­ mentationes (2, 1 0 - 1 2,27 : prima serie, 2, 1 0 - 5, 1 0; 5, 1 1 - 6,20; seconda serie, 7, 1 - 1 0,25; 1 0,6-39; terza serie, 1 1 , 1 - 1 2,24; 1 2,25-27); peroratio: 1 2,28 - 1 3 ,2 1 . Poscritto epistolare: 1 3 ,22-25. In verità, Koester si muove con molta libertà in tutto il metodo storico-critico. Sua attendibile intenzione è trasmettere l ' idea che di fatto esso è comprensivo anche dell 'approccio retorico, al quale dà la dovuta e approfondita attenzione294• La mia proposta (2004). La struttura letteraria di Ebrei, ampiamente soste­ nuta e appurata anche in questo mio lavoro, evolve in cinque parti: 1 , 1 -4 (prolo­ go) ; I. 1 ,5 - 2, 1 8; Il. 3 , 1 - 5, 1 0; III. 5, 1 1 - 1 0,39; IV. 1 1 , 1 - 1 2, 1 3 ; V: 1 2, 14 - 1 3 , 1 9; e 1 3 ,20-25 (epilogo). Quella che segue, ne considera anche gli argomenti emer­ genti, una struttura letteraria e tematica: Il Figlio I. « Figlio »: un nome più insigne di quello degli angeli

Re e signore, il Figlio è più degli angeli Una salvezza più grande II. Un sommo sacerdote misericordioso fedele, solidale con l 'umanità

La fedeltà di Gesù « Figlio » a) La parola di Dio giudica b) La fede introduce nel riposo di Dio b') La promessa del riposo vero è ancora in vigore a') La parola di Dio è viva. Elogio c) Un preannunzio d) Il profilo del sommo sacerdote Aronne d') Unzione di Cristo a sommo sacerdote non aronide (I stadio) c') Verso « il punto capitale » III. Promessa giurata di Dio ad Abramo: un sommo sacerdote nuovo

(( Siete diventati pigri nel/ 'ascolto " (paràclesi) a) Urge approfondire la vita cristiana b) Austero rimprovero, senza speranza?

1,1-4 1,5 - 2,18 1 ,5-14 2, 1 - 1 8 3,1 - 5,10 3 , 1 -6 3,7- 1 1 3,12- 1 9 4, 1 - 1 1 4, 12- 1 3 4, 14- 1 6 5,1-4 5,5-8 5,9- 1 0 5,1 1 - 10,39 5,11 - 6,12 5, 1 1 - 6,3 6,4-6

29 1 Cfr. C. Rose, Die Wolke der Zeugen, pp. 3 1 -34. 292 Cfr. E. Griisser, An die Hebriier. Hebr l -6, vol. I, pp. 28-30. 293 C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, pp. 84-85. 294 Lo si vede bene in C. R. Koester, Hebrews, Rhetoric, and the Future of Humanity, in CBQ 64 (2002) 1 03- 1 23 .

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Parte prima. Sezione introduttiva

b') Un sostegno argomentativo dalla vita della natura a') Motivi di speranza Promessa giurata di Dio ad Abramo: un sommo sacerdote nuovo

« Alla maniera di Melchisedek >> (II stadio) Il sacerdozio levitico (I stadio) Gesù sacerdote per sempre (III stadio) Sacerdozio nuovo e oh/azione: un patto migliore Dali 'antico al nuovo nella continuità

a) L' imperfetto reclama perfezione b) L' oblazione che redime c) Nuova alleanza e sangue di espiazione b') Anche il patto antico ha avuto bisogno di sangue espiatorio c') « Una volta per sempre >> a') Quel sacrificio perfetto ottiene salvezza eterna Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi)

a) La via nuova e vivente b) Apostasia? Senza perdono ! b') « Ricordate . . . non abbandonate >>. Garanzia di perseveranza a') « Avete bisogno di costanza )) c) Avanti nella fede IV. II popolo della fede

Cos'è la fede? Fede e protostoria Fede e storia: « Come se vedessero l 'invisibile )) Fede e metastoria: una promessa migliore Conservare la fede. Pedagogia divina Motivi di conforto: Dio vi tratta da figli V. « Cercate pace e santificazione >>. Il frutto pacifico della giustizia

Esortazione: ascoltare, non rifiutare Vita cristiana e sue dinamiche Augurio, preghiera e proscritto

6,7-8 6,9- 1 2 6, 13 - 7,28

6, 1 3 - 7,3 7,4- 1 9 7,20-28 8, 1-13 9,1 - 10,18

9, 1 - 1 0 9, 1 1 - 1 4 9, 1 5- 1 7 9, 1 8-23 9,24-28 1 0, 1 - 1 8 10,19-39

1 0, 1 9-25 1 0,26-3 1 1 0,32-35 10,36-38 10,39 1 1,1 - 12,13 1 1 , 1 -3 1 1 ,4-7 1 1 ,8-38 1 1 ,39-40 1 2, 1 - 1 3 12,4- 1 3 12,14 - 13,19 1 2, 1 4-29 13,1-19 13,20-25

Rilievi essenziali. Per la disposizione strutturale e, di conseguenza, tematica appena riportata non ho messo a punto un capitolo apposito. Essa ha preso corpo dalle analisi proposte nel commentario e ha tenuto conto della ricerca strutturale che si è sviluppata attorno alla struttura proposta da L. Vaganay e A. Vanhoye, di cui precedentemente ho detto. Anche a motivo di ciò si può dire che Ebrei non è tanto una lettera, quanto un « trattato » dal genere letterario polimorfo. In esso è contenuta una struttura non necessariamente intenzionale, ma di certo un ogget­ tivo riflesso dello stile letterario del tempo, opera di un autore capace e forbito. Questa constatazione permette di superare l 'accusa di staticità che le è rivolta; un genere letterario polimorfo, in cui epidittica, parenetica, nonché retorica del di­ scorso-sermone, e ancora catechesi e liturgia, analessi e pro lessi, incastri ed equi­ valenze attestano bene la dinamicità del testo. Quegli elementi non sono solo « connessi », bensì « interconnessi », a mo ' di ellissi concentrico-progressiva. Pertanto, la struttura individuata da A. Vanhoye resta ancora oggi la più compie-

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ta e credibile, la più persuasiva perché la più aderente al testo, in grado di pro­ durre una corrispettiva « teologia biblica », comunque punto di partenza per ogni ulteriore studio di analisi strutturale295• Tentativi di ordine linguistico e retorico sono utili, in quanto si innestano in un' analisi strutturale più ampia, nella quale trovano la loro adeguata interconnessione296• Con i ritocchi del caso, e guidato dal « testo », mi sono ritrovato a ripercor­ rere la struttura letteraria già proposta da A. Vanhoye. Risultato migliore: una struttura letterario-tematica dove lo strumento letterario trasmette bene il conte­ nuto voluto dali 'autore, in un riuscito rapporto tra insegnamenti e paràclesi, sui tracciati retorico, epidittico, nonché liturgico-catechetico e omiletico-parenetico, e con retorica del sermone, onde persuadere e dissuadere, con argomento biblico­ teologico fondato nell ' AT, il tutto in un genere letterario polimorfo ispirato al­ l 'appello. E non sfugga il valore strutturale delle microunità letterarie297• Esse ap­ profondiscono e confermano la struttura letteraria generale di Ebrei, la ricerca sulla quale tuttavia continuerà a impegnare gli addetti ai lavori, quanto a struttu­ ra in sé e alle implicanze argomentative298• Apparentemente sterile, una calibrata struttura letteraria di Ebrei spinge i destinatari, e noi oggi ancora, a scoprire nel­ l 'ebraismo le radici del loro e nostro sviluppo cristiano; si sia consapevoli di que­ sta « nuova » identità e non la si svenda. « Di e Sache Jesu geht weiter », la vicen­ da di Gesù continua, perché avvenuta una volta per sempre. Inarrestabile299•

295 Chiara posizione di D.A. Black, The Problem of the Literary Structure of Hebrews: An Evaluation and Proposal, in GraceTJ 1 ( 1 986) 1 63 - 1 77. 296 Credo sia questo l 'appunto critico mosso da J.N. Aletti, Bulletin Paulinienne, in RSR 85 ( 1 997) 1 1 0- 1 1 2 , a P. Garuti (A lle origini del/ 'omi/etica cristiana), il quale vede in Eb 7, 1 - 1 0, 1 8 la grande (e unica?) argomentazione retorica di Ebrei, puntata sul sommo sacerdozio. Garuti si preclu­ de ulteriori risultati. Stimolante, ma non completo. 297 Ad esempio, J. Swetnam (Hebrews 1 , 5-14: A New Look, in Me/ita Theo/ogica 5 1 [2000] 5 1 68) richiama opportunamente l ' importanza delle microstrutture (nel caso, I . Eb l ,5-6: due citazioni dai i ' AT sul Figlio e una sugli angeli; Il. Eb 1 ,7 e 1 ,8- 1 2 : una citazione sugli angeli e due sul Figlio; III. 1 , 1 3- 1 4: una citazione sul Figlio e, pur parlandone, nessuna sugli angeli al v. 1 4). Esse sono a servizio delle macrostrutture e migliorano la comprensione della intentio auctoris. 298 È quanto fanno notare, rispettivamente, D.A. Black ( The Problem ofthe Literary Structure ofHebrews: An Evaluation and Proposal, in GraceTJ 1 [ 1 986] 1 63 - 1 77), la cui proposta è tuttavia molto vicina a quella di A.Vanhoye, e F.F. Bruce (The Structure and Argument ofHebrews, in SWJT 28 [ 1 985] 6- 1 2) e altri. 299 Proprio in base ai dati offerti in questa Sezione introduttiva e al termine di essa devo riba­ dire la mia difficoltà ad accogliere l 'insistente tentativo in corso di attribuire al testo di Ebrei una pa­ ternità paolina. Ultimo, il > e dei « diversi modi >> menzionati in l ,5- 1 3 e proprio mentre l 'autore introduce la superiorità del Figlio nel quale Dio parla (7 ,23-24; 9 ,25-26; l O, 1 1 - 1 2). Il cristianesimo antico conosce la formula « (nostri) padri >> con e senza pro­ nome possessivo1 1 , come il tardogiudaismo rabbinico12• Il riferimento non è ai so­ li patriarchi, ma a tutti i pii israeliti del Primo Testamento, conforme ali 'uso lin­ guistico giudaico generale. Anche se più volte caduti nella disobbedienza (3, 1 9; 4,2.6.8; 1 2,25), « . . . i (nostri) padri >> sono e restano esemplari punti di riferimen­ to, maestri nella fede, padri nella fede (cfr. 1 1 ,2). È da escludere che si tratti del genere umano nella sua universalità. L'autore parla a un comunità ove la compo­ nente giudaica è notevole per numero, e ancora più per apporto di fede; inoltre è egli stesso un ebreo profondo conoscitore della propria storia e della propria fe­ de. Con la formula « ai (nostri) padri », l 'autore pensa già a quanti menzionerà in Eb I l , ad Abramo, a Mosè e alle loro generazioni (Eh 3,9 Sal 94,9; Eb 8, 9 Ger 38,32) e a tutti coloro che i profeti hanno raggiunto con la propria parola. Le due formule « nei tempi antichi » e « in questi ultimi giorni » (v. 2a) sono in parallelismo antitetico. Esse implicano quel rapporto dialettico tra antico e nuovo che andrà caratterizzando l ' intero scritto. Così, come le cose create cre­ scono e invecchiano ( l , I l ), anche l 'antico patto mosaico, ormai « invecchiato », lascia campo al nuovo che pure ha preparato (8, 1 3). Forse l 'autore pensa alla pro­ fezia stessa come a una realtà ormai invecchiata, dal momento che tale carisma ali ' epoca di Ebrei era già cessato da almeno quattro secoli 13• =

=

7 Così sembra pensare Clemente d i Alessandria, Stromata 1,4,27, l : « A buon diritto l 'Apostolo ha definito la sapienza "molto varia" (Ef 3, l O); essa rivela per il nostro bene la sua potenza "in mol­ ti modi e a più riprese" (Eb l, l) >>. E se Dio oggi parla nel Figlio, ciò è perché sua destinataria è una umanità caduta, sì, ma rimastagli amica. 8 Si vedano rispettivamente Sap 7,22 e Filone di Alessandria, De vita Mosis l, 1 1 7. 9 Così Omero, Odissea 1 , 1 -4; G. Flavio, A ntichità giudaiche 1 ,8 ; 1 5 , 1 79; Filone di Alessandria, De Josepho 32. 10 Cfr. G. Flavio, Antichità giudaiche 1 0, 1 42. 1 1 Cfr. At 7, 1 9; I Cor 1 0, 1 ; Rm 9,5; Gc 2,2 1 ; JC/emente 60,4; 62,2. 12 Per l 'uso di « padri » con il pronome possessivo « nostri »: si veda KNITM.SB, vol. l, pp. 1 1 6 e 1 1 8; vol. II, p. 280; senza il pronome possessivo: si legga Sir 44; Mekhilta Exodus su Es 1 2, l (2a), in KNITM.SB, vol. Il, p. 280. Altri dati in H. Braun, An die Hebriier (HNT 1 4), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 984, p. 20. 1 3 Cfr. G. Flavio, Contra Apionem 1 ,4 1 ; 'Abot 1 , 1 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

Chi sono i profeti del v. l ? Ebrei si riporta a oracoli profetici ascritti a Mosè (8,5)14, Isaia (2, 1 3), Geremia (8,8- 1 2; 1 0, 1 6- 1 7), Abacuc ( 1 0,37-38). Anche per i Salmi, Ebrei menziona Davide come autore, investito di ruolo profetico (Eb 4,7; 2Sam 23,2; cfr. anche At 2,30). Tre personaggi della storia della salvezza ricor­ rono in Ebrei con profilo profetico: Abramo (Gn 20,7), Aronne (Es 7, 1 ), Giosuè (Sir 46, l ). In 1 1 ,32 Ebrei menziona profeti vissuti dopo Davide (Ger 7 ,25). Il va­ lore strumentale di en (« in, attraverso >>, l , l -2a) trova riscontro nei messaggi di Dio dati al Sinai « attraverso gli angeli >> e, negli ultimi tempi, « attraverso il Signore » (2,2-3). « Per mezzo di uomini e alla maniera umana Dio parla a noi, scrive Agostino di Ippona (3 54-430)15, perché, parlando così, egli ci cerca ». A tutt' oggi valida e persuasiva, la parola dei profeti riceve un autorevole complemento in quella « del Figlio». In continuità con essi, quel « Figlio » introduce una forte discontinuità: il progetto di Dio sulla storia e sull 'essere umano è per Israele e per tutte le genti (Sal 66, 1 ) . [v. 2a] Con ep 'eschatou ton hemeron (« di recente, ultimamente, i n questi (nostri) giorni », v. 2a' .d') è introdotta la discontinuità. Questa accade « per mez­ zo del Figlio » (en hyiij, v. 2). Questi riprende e sviluppa l 'annunzio didascalico dei profeti su Dio, che ora è il Padre, un annunzio precisato in l ,5b con appoggio sul Sal 2,7 16• Egli continua, ma nella discontinuità innovatrice; la sua ricerca prende corpo visibile nel « Figlio ». Chi è costui? Il riferimento è alla vita pubbli­ ca di Gesù di Nazareth; una considerevole annotazione gesuologica da parte del­ l 'autore. Più avanti, in 5, 7, ascolteremo questi toni : « Nei giorni della sua carne », cioè della sua vita terrena17• La fase finale della manifestazione storica di Dio ha preso avvio « ultima­ mente, in questi (nostri) giorni » (v. 2a' d') con l 'apparizione storica di Gesù, l 'ul­ timo e il più autorevole dei profeti, il cui nome è però superiore al loro per dignità e qualità. Egli parla a nome del Padre, e con la manifestazione dello Spirito san­ to, « negli ultimi giorni . . . » (At 2, 1 7 G l 3, l ). La formula ha il senso di « in que­ sti giorni, che sono gli ultimi » (ep 'eschatou ton hemeron tout{m, genitivo epese­ getico) a precedere la venuta del Figlio-messia; ha anche il significato storico-temporale di « ultimamente, cioè in questi (nostri) giorni » 1 8 • I due sensi vanno integrati: l 'autore descrive l ' intervento di Dio nel presente storico del­ l 'uomo, in cammino verso il compimento. Esso investe anche i nostri giorni e =

1 4 Per Mosè profeta, cfr. Dt 1 8, 1 5 . 1 8 . Vi si riporta Filone di Alessandria, De vita Mosis 2, 1 87� 1 9 1 ; De decalogo 33; De ebrietate 33. Cfr., infine, Eb 1 0,28 e 1 2,2 1 . 1 5 Cfr. Agostino di Ippona, De civitate Dei 1 7,6,2 (La città di Dio [D. Gentili, ed.] , voli. I-III, in Opera omnia di S. Agostino, edizione bilingue V/ 1 , Città Nuova, Roma 1 978- 1 99 1 ). 1 6 Cfr. già 2Sam 7, 1 4; Is 63 , 1 6; 64,7. Per Is 66, 1 3 Dio è anche madre. 17 Intanto va notato che la traduzione « in un figlio » è dovuta ali 'assenza del! 'articolo. Solo in Eb 2,9 è dato per la prima volta il nome « Gesù » e in 3,6 anche per la prima volta il nome « Cristo ». Questi poi, per la prima volta, in 4, 1 4b è detto « il Figlio di Dio ». La procedura sembra intenziona­ le e ha scopo retorico: da « un figlio » a « il figlio ». Il che non implica che questo « un figlio >> sia uno fra molti. 1 8 Conoscono la formula in modo pressoché identico ! Pt 1 ,20; 2Pt 3,3; Gd 1 8.

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noi, comunità cristiane, che in essi viviamo, guidati dallo Spirito alla piena co­ noscenza della verità (Gv 1 6, 1 3), la quale è il Figlio. Impulso esortativo ai cre­ denti perché attualizzino « detti e fatti » del Maestro, in seno alla comunità che entra nella gioia festosa della celebrazione liturgica, nel « riposo » di Dio (Eb 4, I l ), nella contemplazione della sua Parola e delle sue opere, e della pasqua nuova ( l 0,25a). Gesù, il profeta « figlio », appare fin da l ,2a il mediatore unico nei confronti dei molti mediatori cui Dio si è voluto condizionare nel Primo Testamento. Così è voluto dal parallelismo : « Mediante i profeti l mediante (un) il Figlio ». Il momento « gesuologico » evocato da « mediante il Figlio )) coinci­ derà con il suo ministero di annunciatore della grande salvezza (2,3-4) e di me­ diatore unico della medesima: egli, il « Signore )). Una sorta di escatologia antici­ pata, già progettualmente presente nel prologo, è fattore prospettico che attende di essere svolto. [ 1 ,2b-3d] A partire da l ,2b fino a l ,3 si snoda il settenario menzionato so­ pra. Il profilo del Figlio (v. 2a) Gesù (cfr. 2,9a) il Cristo (3,6), il messia morto (v. 3c), asceso al Padre, assiso alla sua destra (v. 3d}19, è esposto in sette punti stret­ tamente connessi20: una simmetria non solo numerica, ma carica di senso. Le pri­ me due designazioni sono centrate su Dio, le altre cinque sul Figlio e hanno lo scopo di metterne a fuoco l ' unicità e la superiorità. Procedendo in modo circola­ re, per « analessi-prolessi-analessi . . . )) (regressione-progressione-regressione), danno luogo a una struttura con connotazioni estetiche e retoriche, in connessio­ ne simmetrico-teologica con Eb l ,5- 1 4 . Ecco un prospetto delle sette designazio­ ni simmetriche in l ,2b-3 e un loro breve esame: v. 2b v. 2c v. 3a' v . 3a" v. 3b v. 3c V . 3d

Dio costituisce erede il Figlio. Dio, mediante il Figlio, crea i mondi. Il Figlio è irradiazione della gloria (= presenza) del Padre. Il Figlio è impronta della sostanza del Padre. Il Figlio sta sostenendo tutte le cose con la sua parola. Il Figlio compie la purificazione dei peccati. Il Figlio siede alla destra della Maestà nei cieli.

[v. 2b] « Erede di tutte le cose )) (kleronomon ton panton), di tutto, di ogni realtà21 • La prima designazione teologica cade in 1 ,2b con l 'ausilio del Sal 2,7, in cui Dio si rivolge al re intronizzato (Salomone, 2Sam 7, 1 4) come al proprio fi1 9 Sulla questione, vedi la posizione interlocutoria piuttosto critica di G. Verrnes, Jesus der Jude, Neukirchener Verlag, Neukirchen 1 993, pp. 1 95- 1 96 e 274-275. 20 Vi provvedono tre pronomi relativi (hon, di 'oli, hos) e due participi presenti in posizione strutturale polare (pheron-poiesamenos: azione in corso del Figlio): gli uni e gli altri dipendenti dal­ l 'aoristo lalesas (è Dio che parla nel Figlio) e convergenti sull'aoristo ekathisen (è il Figlio che si asside alla destra di Dio = della sua maestosa grandezza). 21 In Eb 6, 1 7 i cristiani sono eredi (kleronomoi) nel tempo delle promesse e, oltre il tempo, del loro compimento; in 1 1 ,7 Noè è erede (kleronomos) della giustizia secondo la fede; qui, in Eb 1 ,2b il « Figlio » è erede di tutto, cioè dei mondi « terrestre e celeste » ed è in attesa che tutto sia sottopo­ sto alla sua signoria (Eb 2,8). Su k/eronomia-k/eronomos, cfr. W. Foerster (in GLNT [ 1 969] 5,660664) , il quale, tuttavia, non prende in esame Eb l ,2. Il « Figlio » è erede in quanto tale, così annota semplicemente alla col. 649.

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Parte seconda. Traduzione e commento

glio22• In Sal 2,8, non citato in Ebrei, Dio promette di dare al re-figlio intronizza­ to « le nazioni come tua eredità (kleronomian), le estremità della terra in pro­ prietà ». Il Sal 2,8 avrebbe spiegato bene l ' inciso di Eb 1 ,2b: « Erede di tutte le cose »; ma Ebrei non se ne avvale. Anche Eb 2,5-9 si muove sullo stesso piano. Ispirandosi al Sal 8 (« Tu hai po­ sto tutto [panta} sotto i suoi piedi »), l 'autore descrive il Figlio « di poco (brachy) inferiore agli angeli » nella sua vita terrena, ora però, in forza della sua esaltazio­ ne, è « coronato di gloria e di onore » e possiede tutte le cose; avendole ricreate, con l 'espiazione sulla croce (v. 3c ), ne è signore incontrastato23• Egli è superiore agli angeli. Anzi, « lo adorino tutti gli angeli di Dio » ( l ,6; Dt 32,4; Sal 96, 7). Tale superiorità è ben espressa dal nome « Figlio » ( vv. 2f' e 4) che egli ha ereditato: erede in senso teologico, come emerge dal binomio « padre-figlio » al v. 5, diventa eredità teologica per tutti i credenti. Quel « Figlio » infatti è anche l 'ultimo e il più autorevole dei profeti: egli parla a tutti in nome del Padre. Unicità di Ebrei. Eb l ,2b allude a Gn 1 7,5: « Non ti chiamerai più Abram, ma Abraham, per­ ché ti renderò padre di una moltitudine di popoli ». Una intronizzazione solenne per l 'eredità, al tempo stesso formula di rivelazione, fa di Abramo il padre di una discendenza universale, e di Gesù il Figlio erede24• La promessa di Dio è per Abramo patto sacro: da realizzare con impegno personale. A tal fine, riceve quel nome nuovo che gli descrive la promessa-progetto di Dio-JHWH, l 'Onnipotente. In Abramo vi è il nucleo della storia della salvezza come eredità inadempiuta. Solo nel « Figlio » si compie lo sviluppo del seme di Abramo; in lui si adempio­ no le promesse di salvezza. Di esse egli è erede e, avendole adempiute, è Signore (v. 1 0): dali 'eredità alla signoria universale. Compiuto il progetto del Padre, egli riceve il nome di « Figlio erede »: eredità escatologica, eppure già tanto presente nel tempo, proprio in lui. Per Gesù di Nazareth, Dio è il Padre. Un salto qualita­ tivo: un figlio messia erede nell ' AT non è previsto. Quel Dio padre « ha costituito [il Figlio, hon] erede di tutte le cose » (l ,2b; cfr. 1 ,5; Sal 2,7) da sempre, ancora prima che apparisse nella storia (protologia}, ha ritenuto « appropriata » (eprepen gar, 2, 1 0a) la sua espiazione sulla croce (ge­ suologia, v. 3c) e lo ha esaltato, intronizzato alla sua destra (v. 3d, cristologia), lo ha confermato nella universale eredità (signoria, v. 4). Il sostantivo « erede » (kleronomon) del v. 2b, infatti, torna nella forma verbale « ha ereditato una volta per sempre »25 alla fine del v. 4, e il contesto mostra che l 'eredità del nome è con­ nessa con l 'esaltazione « alla destra della Maestà » ( 1 ,3d). Quest'ultima fa segui­ to alla redenzione espiatrice, l ' ultimo atto. Si osservi la trilogia che ne risulta: vi­ ta-morte-esaltazione del Figlio. Questo il tracciato portante di Ebrei; esso spiega 22 Cfr. T. Lorenzin, I Salmi (LB.PT 1 4), Paoline, Milano 2002 2 , p. 46. 2 3 Ora, in modo ancora parziale. Dunque, solo al compiersi dei tempi la sua signoria sarà tota­ le? La discussione resta aperta. 24 H. Langkarnmer (« Den er zum Erben von allem eingesetzt hat » [Hebr 1,2], in BZ I O [ 1 966] 274) rileva ancora una struttura grammaticale parallela tra Eb 1 ,2 e Gn 1 7,5, sia nel TM sia nella ver­ sione greca dei LXX. L'argomentazione è dettagliata e persuasiva. 2 5 Cioè definitivamente. È il senso del perfetto kekleronomeken.

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l 'evento cruento di lui e il suo ingresso trionfale nel santuario celeste. Un trac­ ciato in più fasi. [v. 2c] Seconda designazione teologica: in vista di lui e in forza dell 'azione di lui (di 'hou), Dio ha fatto-creato (epoiesen) i mondi (aiOnas) (v. 2c: prima crea­ zione); per mezzo di lui lo ricrea (v. 3c: ri-creazione redentiva attraverso la cro­ ce )26 • Il « lui >> a cui Ebrei pensa è in entrambi i casi il Gesù terreno nella sua realtà teandrica. In quanto tale, egli è strumento già della prima creazione (da intender­ si in senso teologico), uscita « bella e buona » in tutti i suoi elementi (Gn l ,3) dal­ le mani-parola di Dio. L'eternità della tora, della sapienza nel giudaismo e la pa­ rentela tra Eb l , 1 -3 e Col l , 1 3-20 depongono in questa direzione. Quanto alla seconda designazione (ri-creazione redentiva), essa risuona in l , 1 0; si avvale del Sal l O l ,26-28 e trova eco in Col l , 1 6c e in Gv l ,3a. Essa sottolinea la dignità e la signoria del Figlio ( 1 ,2a; Col 1 , 1 2) su tutte le cose, nonché la sua preminente posizione sulle medesime, messe a punto con la piena collaborazione nel tempo, di lui, che è prima del tempo. Per questo ne è anche >; e anche nella parabola (Mc 1 2,7a); 4) nella parabola, il figlio designa29 Il riferimento sarebbe all 'epoca di Domiziano (anni 85-96 d.C.). Cfr. qui la Sezione intro­ duttiva, pp. 8 1 -83.

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to come erede ha un marcato senso gesuologico: si riferisce, infatti, a Gesù di Nazareth (Mc 1 2, 1 2). Anche in Eb 1 , 1 -2 il figlio è il Gesù terreno che opera > ( 1 ,3a), l 'autore dà voce a due metafore del pensiero alessandrino sulla sapienza e su1 lo­ gos33 « Irradiazione » è il riflesso della gloria del Padre, la quale risplende in tut­ te le opere da lui compiute34; « impronta » (cfr. Col l , 1 5- 1 6) della sua sostanza ( persona), è come la copia esatta di un sigillo (cfr. Gv 1 4,9)35• Sia apaugasma (irradiazione) sia charakter (impronta, v. 3a) sono predicati dell ' unico participio an. Se doxes richiama un autou, va da sé che esso si trovi al­ la fine della frase, con riferimento sia a doxes sia a hypostaseos, chiudendo così l ' intera dichiarazione cristologica. Di essa non sfugga il tono gesuologico: l ' irra­ diazione e l ' impronta del Padre ( l ,5) è infatti il Gesù terreno (cfr. 2,9)36; egli ir­ radia la presenza di Dio nel tempo umano ed è segno visibile della sua persona37• .

=

30 Esamina la questione R. Dormandy, Hebrews 1, 1 -2 and the Parable of the Wicked Husbandmen, in ExpTim 1 00 ( 1 988- 1 989) 3 7 1 -375. Questi, poi, ritiene che il testo di Ebrei possa es­ sere stato scritto da Roma. Posizione da escludere. 3 1 Un senso attestato in Ez 1 0, 1 8-22: la gloria di Dio esce dal tempio; poi vi ritorna. È Dio stes­ so in movimento. Più diffusa e acquisita è la traduzione: « . . . Irradiazione della sua gloria, impronta della sua sostanza ». 32 Così Filone di Alessandria (De plantatione 50) sul parallelo tra apaugasma ed eikém. 33 Ebrei conosce la tradizione di Sap 7,25-26: « Essa (la sapienza) è un effluvio della potenza di Dio, una irradiazione pura della gloria del l 'Onnipotente . . . un riflesso della luce eterna, uno spec­ chio senza difetto dell 'attività di Dio e un' immagine della sua bontà >> (TOB); ed è al corrente della ricezione di quella tradizione in Filone di Alessandria, De plantatione 50. 34 La metafora riporta al raggio che deriva dalla sorgente luminosa, dalla quale non si stacca pur distinguendosene. Così è di Cristo, riflesso vivo della persona del Padre. 35 Questa metafora risente dell 'uso di imprimere i sigilli su cera o altro materiale trattabile. L'impronta (charaktèr} sulla cera riproduce a perfezione ciò che vi è impresso. Cristo è il segno vi­ sibile e perfetto (meno bene: calco) del Padre, con lui si identifica e da lui si distingue nello stesso tempo. 36 Ulteriore conferma: apaugasma e charaktèr sono due termini alternativi della speculazione su « saggezza-legge-immagine », già presente in Pr 8,22-36; Sir 24, 1 -23; Sap 7 ,25-26; Ba 3,9 4,4. La speculazione sulla saggezza è utilizzata da vari autori del NT per descrivere il Cristo da sempre esistente e creatore: 2Cor 4,4; Fil 2,6- 1 1 ; Col l , 1 5-20; Gv l , 1 - 1 8. Essi sono pensati dali ' autore co­ me binomio unitario. 37 Si riosservi il movimento retrogressivo: da Omega (escatologia) ad Alfa (protologia) attra­ verso Beta (gesuologia). c

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Il participio presente cm (v. 3a) è un tocco magistrale dell 'autore in arte reto­ rica. Contornato da forme verbali ali ' aoristo e al perfetto, esso introduce le fasi del dramma storico della salvezza: l ) ali ' inizio (lalesas, elalesen, etheken) è Dio che opera; 2) nel tempo con proiezione oltre il tempo (epoiesen, pheron, poiesamenos) è il Figlio che opera38; 3) nella pienezza escatologico-protologica: « Si è assiso, è divenuto, ha ereditato » (ekathisen, genomenos, kekleronomeken) è il Figlio esal­ tato, per sempre. L'autore passa dali '« esaltazione » (ekathisen) del Figlio alla creazione dei mondi (epoiesen), alla sua esistenza senza tempo (cm)39, prima del tempo (protologia), nel tempo (gesuologia), oltre il tempo (escatologia) . « Gloria » (kab6d-doxa) è splendore, magnificenza di Dio. Essa ritrae la persona stessa di Dio che illumina il suo popolo in fuga verso la liberazione: egli è la colon­ na luminosa che guida e protegge. È il pensiero biblico-giudaico (Es 14,2 1 -22; 24, 1 6- 1 7), ellenistico e palestinese: Dio è la sua stessa splendente sekina, è il Dio pre­ sente ovunque40• Risultato: il Figlio è « irradiazione della sua presenza, segno visibi­ le della sua persona »41, è la rivelazione storica e personale pienamente adeguata del­ la realtà trascendente e personale (enfatico !) di Dio, della sua gloria-sekina-presenza. Diverso il suggerimento della tradizione patristica, ancorato alla cultura ellenistica: Cristo è irradiazione della gloria divina come il raggio solare è irradiazione del sole e la luce è irradiazione della luce42• Dunque: luce da luce, gloria da gloria. Le due letture possono convergere, grazie alla mediazione di una tradizione sapienziale: Sap 7,26 permette di vedere nella irradiazione-riverbero della luce la sapienza di Dio che entra nella situazione umana, agganciando lo spirito dell 'uo­ mo e il mondo stesso a Dio, origine della sapienza. Così, Gesù il Figlio è la sa­ pienza di Dio resa visibile nella sua persona e nella sua storia terrena, nel tempo (altra indicazione gesuologica di non poco rilievo). Che questo sia il pensiero di Ebrei resta tuttavia un interrogativo. La linea sapienziale per Ebrei non sembra infatti né privilegiata né costante. E neppure quella profetica. Ebrei non ha allusioni alla doxa in Ezechiele. Tuttavia, sul motivo della doxa (gloria), vi è eco tra i due autori. In Ez 1 -3 la g/o38 Quella sua opera, che è anche di sostegno, è iniziata nel tempo a favore del mondo presen­ te, ed è continua, a favore del mondo celeste, garantito così nella sua permanenza. 39 6n è in direzione storico-salvifica o metafisica? L'autore conosce bene entrambi i campi: l ) la speculazione sulla sapienza già presente nell ' AT (Pr 8), sviluppata in Palestina nel secolo I I a.C. dalla teologia protofarisaica (Sir 24); 2) maggiormente precisata, quanto a espressioni filosofiche, nel giudaismo alessandrino (LXX), di cui il testo di Sap 7,26 (« La sapienza è riflesso [apaugasma] della luce perenne ») è ben rappresentativo. L'orientamento più marcato di Ebrei, tuttavia, è quello storico-salvifico e le note di metafisica alessandrina ne sono al servizio. 40 Così b.Baba Batra 25a. Dio è presente ovunque ci si raccoglie per il culto al suo nome, ovun­ que si studia la sua Parola (b.Berakot 6a). « Dio è presente qui. Che se non lo fosse, che cosa sarebbe presente qui? », è il celebre detto di Hillel in b.Sukkah 53a. Dati nei già autorevoli studi di G. von Rad, doxa, in GLNT ( 1 966) 2, 1 358- 1 3 70, e G. Kittel, in GLNT ( 1 966) 2, 1 370- 1 395. Più di recente P. Bimbaum, Encyc/opedia ofJewish Concepts, Hebrew Publishing Company, New York 1 988, p. 599. 4 1 Copia ontologica? Da più parti suggerito. Resta un interrogativo se l 'autore abbia pensato, o potuto pensare, in questa categoria. 4 2 Così già Filone di Alessandria, De specialibus legibus 4, 1 23 , De opificio mundi 1 46, Gregorio di Nissa (+ 394), Adversus Apollinarem 2,41 ss. e Giovanni Crisostomo, Homilia in Hebraeos 2,2, in PG 63,22. È di quest'ultimo la formula entrata nel Credo: « Luce da luce ». Secondo Atti di Tommaso 6,35, apaugasma ha il senso di riflesso.

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ria ha profilo ipostatico; in Eb l ,3 il Cristo-uomo è S> invia la sentinella sulla casa d'Israele (Ez 3, 1 6). Suo progetto è: « lo abiterò in mezzo a loro per sempre >>. Eco in Ebrei: Gesù è Figlio sulla sua casa (Eb 3 ,6); « casa di Dio >> (Eb 3 ,3) è espres­ sione ignota all 'AT. Forse ne accenna Nm 1 2,7, in cui « casa >> non è il tempio, ma il popolo di Dio; eco in Eb 3,6: « La sua casa siamo noi >>. Il Figlio aggiunge: « Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo ali 'assemblea canterò le tue lo­ di >> (Eb 2, 1 2). La presenza dei cherubini accentua il carattere ipostatico della « gloria ». Essa non è più nel tempio. Così dice Ezechiele, sacerdote autorevole. Ebrei proclama l 'abrogazione-compimento dell ' AT, dei suoi sacrifici imperfetti e della legge che li regola ( l O, 1 -3) attraverso il Cristo, « gloria di Dio » che « entra » nel tempio celeste, con il suo unico sacrificio. Gesù Cristo è l ' archegos che apre il cammino (Eb 2, l 0), come « la gloria del Signore » che apre la strada verso il tempio entrando in esso « attraverso la porta che guarda a Oriente » (Ez 43,4). Per gli ebrei in esodo verso la terra promessa, la « gloria » è alla guida del carro di Dio; in Ebrei, Gesù, il « pioniere della fede », è alla guida di un nuovo esodo, verso una speranza certa. Ne è garanzia il « guardare » a lui. E mentre la comunità della dia­ spora torna alla Gerusalemme del tempio terrestre, la comunità giudeo-etnicocri­ stiana attraversa da pellegrina la Gerusalemme terrena, in marcia verso quella fu­ tura, celeste. La gloria in Ezechiele (LXX) è occultata dali ' esilio, ma ne resta viva la promessa escatologica; in Ebrei essa è visibile proprio nella dialettica « passio­ ne-esaltazione » (2,7.9. 1 0). Essendo Eb 9,5 1 'unico testo del NT ove si ha il termi­ ne cherubini, esso proviene sicuramente dali ' AT. Il contesto della citazione è po­ lemico: contro i sacerdoti antichi, il santuario antico, i sacrifici antichi (Eb 7 - l O); solo l 'arca mantiene una dignità, perché presenza di Dio (cfr. Es 25, 1 7-22). Così l ' AT perde il suo valore istituzionale perché obsoleto, ma conserva quello profeti­ co-tipologico. Tra i due aspetti, Ebrei si muove magistralmente. Dunque, solo affinità43, eco, allusioni. Ebrei non cita Ezechiele; questi dà troppo valore al santuario terrestre che dev'essere ripristinato, perché la gloria di Dio vi possa rientrare, e non abolito perché obsoleto, come invece pensa Eb 8, 1 3 . Infine s i noti: i l retrofondo sociopolitico spinge Ebrei a porre l a comunità di fron­ te alla scelta: Gesù, l 'unico salvatore ( 1 2,2), il precursore (6,20). La parole « irradiazione » (apaugasma) e « impronta » (charakter) si trova­ no solo al v. 3 ; anche hypostasis ricorre solo qui con il senso di « persona ». Questo vocabolario specifico, di risonanza sapienziale filoniana, fa pensare a un autore diverso da quello di Ebrei. Apaugasma appartiene al greco tardivo e ap­ pare per la prima volta in Sap 7,26, in cui è usato per descrivere la sapienza per­ sonificata, « immagine della luce eterna »44• Il termine si legge 3 volte in Filone 43 Cfr. F. Raurell, Certes afinitats entre Ez-LXX i la carta als Hebreus en el rol de la « doxa )) i dels Querubins, in RCatT I I l l ( 1 986) 1 -25 (or. ingl., in Estudios Franciscanos 86 [ 1 985] 209-232). 44 Cfr. G. Kittel, apaugasma, in GLNT ( 1 965) 1 , 1 350.

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Parte seconda. Traduzione e commento

di Alessandria45, quando questi riferisce il pensiero di filosofi alessandrini sugli archetipi e sui loro riverberi nella creazione. Nelle formulazioni cristiane si ha l 'accezione eiki5n (Col l , 1 5; 2Cor 4,4) per esprimere la stessa idea di apaugas­ ma, che risulta così termine proprio di Ebrei. Bisogna però tenere presente che le parole charakter (impronta) e hyposta­ sis (persona), presenti in Eb 1 ,3 e anche in Filone, non appaiono nel libro della Sapienza. Il termine charakter è usato secondo lo schema « archetipo-copia (emanazione) », tipico di Filone46. Il fatto che delle quattro parole presenti in Eb 1 ,3 tre ricorrono anche in Filone e una sola (apaugasma) nel libro della Sapienza è un dato di grande importanza. Risultato attendibile: Eb l ,3 è sotto l ' influsso del pensiero sapienziale e alessandrino. Sappiamo del resto che l 'autore di Ebrei è un alessandrino o, quan­ to meno, qualcuno che ha avuto a che fare con quel pensiero47. Questi, tuttavia, lavora in proprio. [v. 3b] « Egli (il Figlio) sta sostenendo (pheron) l ' universo (ta panta) con la potenza della sua parola » ( l ,3b )48: quinta designazione del settenario, sul ruolo cosmico del Figlio. Con essa inizia un' inversione di tendenza: dal Figlio che esi­ ste da sempre (protologia, cm) al Figlio sostenitore di tutto (pheron), del mondo creato e redento e del mondo celeste. Il Figlio sostiene i mondi « nella parola del­ la sua potenza », cioè con la potenza della sua parola49, senza soluzione di conti­ nuità50. È il senso di pheron: approvare e sostenere la creazione (i mondi) per sempre. Che non ci si trovi dinanzi a una constatazione storico-salvifica in senso metafisico?5 1 . Di certo a una interpretazione gesuologico-cristologica dell 'uni­ verso, nel suo essere e nel suo sussistere. La forma verbale sostenendo ha molti paralleli sia nell ' AT sia nella lettera­ tura rabbinica e nella scuola di Alessandria, né manca qualche attestato extragiu-

45 Filone di Alessandria, De opificio mundi 1 46; De specialibus legibus 1 23; De plantatione 50. 46 Id., De plantatione l , 1 1 8. 47 Cfr. qui la Sezione introduttiva, pp. 24-25 . 48 S i h a qui u n genitivo ebraico. L e due formulazioni tous aionas (v. 2c) e panta-ta panta (vv. 2b.3b) descrivono la creazione intera, in base al Sal l ,7. Cfr. anche Col l , 1 7b. 49 Al greco tij rhemati tes dynameos autou (« Nella parola della sua potenza ») retrostà la for­ ma semitica del genitivo costrutto. Dunque: « Nella potenza della sua parola ». 50 Dietro ali 'idea di « sostenere, confermare, conservare », pheron potrebbe esprimere l 'azione del Figlio che accompagna la creazione al raggiungimento del fine assegnatole. Ma anche la sua azio­ ne di conservazione continua. Tuttavia, il più attendibile significato di pheron è nel parallelo con Col l , 1 7 (kai ta panta en autij synesteken, « Tutte le cose sussistono in lui >>). Ci si potrebbe, inoltre, chie­ dere se pheron in Eb l ,3 includa non soltanto synesteken di Col l , 1 7 ma anche eis auton ektistai (« In vista di lui sono state create ») di Col l , 1 6. In ogni caso, pheron è più che una semplice ripetizione di Eb 1 ,2c. Cfr. J.P. Meier, Structure and Theology in Heb 1. 1-14, in Biblica 66 ( 1 985) 1 82. 5 1 Il conflitto è ideologico e deriva da due differenti correnti cristologiche, confluite in un uni­ co canale: la cristologia della preesistente sapienza (Fil 2,6; Gv 1 , 1 ) e la cristologia di Gesù intro­ nizzato come Figlio e Signore nel momento della risurrezione-ascensione (At 2,34-36; 1 3,33; Rm 1 ,4; Fil 2,9- 1 1 ) . Seguendo Fil 2,6, l 'autore non è il solo nell ' ipotizzare un inno preesistente conflui­ to in Eb 1 ,2-4. Tuttavia, in forza delle affermazioni quasi-metafisiche di 1 ,3a, il contrasto tra cristo­ logia ontologica e funzionale in Eb l ,2b-3 è ancora stridente. È corretto pensare che Ebrei abbia vo­ luto esprimere una graduale realizzazione della condizione di Figlio in Gesù Cristo.

Il Figlio Eb 1, 1-4

l 05

daico52. Usualmente è tradotto con « sostenere ». Quando nel NT vi è riferimento al ruolo cosmico del Figlio, mediatore dell ' opera della creazione, sono usate espressioni come « attraverso di lui » o « in lui », che contribuiscono a rendere sensibile la convergenza tra Col l , 1 4-20 ed Eb l ,2b-453. [v. 3c] « (Il Figlio) ha compiuto la purificazione-remissione dei peccati » ( l ,3c ). Questa sesta designazione guida al cuore de li ' evento espiatorio-salvifico e presenta la missione terrena del Figlio. Anche qui sono riscontrabili paralleli nel NP4• Il v. 3c, come già il v. 3ab, è proprio dell 'autore e ne esprime il pensie­ ro portante55. Ebrei, che non ha riferimenti ali ' incarnazione della Parola, giunge per via diretta al nucleo della vita terrena del Figlio: il sacrificio espiatore e re­ dentore. È l 'unico passaggio de li ' esordio che accenna al motivo portante del « trattato »: l 'opera redentrice di Cristo, sommo sacerdote, che dona se stesso per compiere la purificazione di tutte le infedeltà ali 'alleanza. Forte l 'allusione alla liturgia dello Jom KippCir, su cui torneremo. La purificazione avviene « una volta e per sempre »; più avanti l 'autore farà uso eplicito di ephapax (cfr. Eb 7,27; 9, 1 2; l O, l O); qui intanto vi allude con la forma verbale dal riferimento puntuale nel passato: « Avendo compiuto (poiesamenos) la purificazione ». Per Ebrei il sacri­ ficio del Figlio è consistito non solo nella morte in croce, ma anche nell ' ingresso nel santuario celeste. Questo spiega come mai, solo in questo caso, l 'autore abbia spostato poiesamenos alla fine della proposizione, contrapponendolo al verbo fi­ nito ekathisen. L'effetto è retorico e teologico a un tempo. [v. 3d] La settima e ultima designazione espone l 'esaltazione del Figlio: « (Hos, Il Figlio) si è assiso (ekathisen) alla destra della Maestà nelle altezze » ( l ,3d). Molto cara alla riflessione rabbinica56, l ' immagine è ripresa dal Sal l 09, l , che costituisce l a più frequente citazione dell ' AT nel NT sia i n forma diretta sia in parafrasi57. Eb 1 ,3d ne opera un adattamento, come pure Eb 8, 1 : al posto di « alla destra del trono della Maestà nei cieli » (Sal 1 09, 1 ) vi si legge « alla destra della Maestà nei cieli » (Eb l ,3d), che diventa « alla destra del trono di Dio » in l O, 1 2. Si può dire che il cristianesimo delle origini ha conosciuto il Sal l 09 e lo ha citato fe­ delmente58. I primi scrittori cristiani tuttavia se ne avvalgono in maniera più libera. 52 Cfr. Pr 8,30; Sap 7,27; 8, 1 . Inoltre, Filone di Alessandria, De mutatione nominum 256; Plutarco, Vite parallele. Lucullo 6. 53 Cfr. l Cor 8,6; Col l , 1 6; Eb l ,2. Tuttavia in Col l, 17 si dice che il Figlio « esiste prima di ogni cosa e tutto sussiste in lui », il che può far pensare a un parallelismo tematico con Eb l ,2b sep­ pure con differenza di espressioni. L'autore pensa a un parallelismo tra Col l , 1 6- 1 7 ed Eb l ,2b-4 e ipotizza che possano derivare da una comune tradizione o che vi sia l 'influsso del l ' uno sull 'altro (di Colossesi su Ebrei). Vedi più avanti in Eb 1 ,2b-3abcd: frammento innico-liturgico? 54 Cfr. 1 Cor 6,20; Ef 5,25-37; Tt 2, 1 4; l Pt 1 , 1 8; I Gv 1 ,7. 55 Suggerimento già in E. Griisser, Hebriier 1, 1 -4. Ein exegetischer Versuch (EKK.NT. Vorarbeiten 3 [ 1 97 1 ], pp. 55-9 1 , qui p. 66). Ancora in E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, pp. 60-66. Cfr. qui il commento a Eb 1 ,2b-3 . 56 Abbondanza di dati e approfondita elaborazione in KNTTM.SB, vol. IV, p. l , Exkurs 1 8: Der 1 1 0. Psalm in der altrabbinischen Literatur, pp. 452-465. 57 Lo stesso tema ricorre in Ef 1 , 1 9-22; 3 , 1 0; Fil 2,9- 1 1 ; 1 Tm 3, 1 6; 1 Pt 3,22. 58 Cfr. Mc 1 2,36; At 2,34; Rm 8,34; Eb l , l 3 ; I Pt 3,22. Fra gli studi recenti sul Sal l 09, 1 nel NT, segnalo M. Saucy, Exaltation Christology in Hebrews: What kind of Reign ?, in Trinity Journal 1 4 ( 1 993) 4 1 -6 1 .

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Ne sono eloquente attestato i tre riferimenti al Sal 1 09 da parte di Ebrei. L'autore non conosceva alcuna formula precisa utile a spiegare il tema dell 'esaltazione del Figlio; ravvede nel Sal l 09 la formulazione più vicina ai suoi intenti e se ne avva­ le, ma con differenti espressioni; dimostra così ancora una volta di lavorare in mo­ do autonomo e originale, esprimendo la superiorità del nome « Figlio )) con il com­ parativo « il più grande, il migliore )) (kreitton), tipico del suo stile59• Termina qui la catena dei verbi non finiti, al participio, e si giunge al verbo finito « si è assiso )) (ekathisen) della proposizione relativa introdotta da hos. Il ri­ ferimento è ali 'esaltazione del Figlio dopo la morte: il Cristo. Esplicitamente ci­ tato in Eb 1 , 1 3 , già qui il Sal l 09, 1 fa da retrofondo. L' idea dell 'esaltazione do­ mina l ' intero scritto molto più di quanto le citazioni o allusioni al Sal 1 09, 1 .4 lascino pensare60• L' argomento principale, il « punto capitale )) di Ebrei (8, l ) ruo­ ta attorno ali ' idea che il Figlio diventa il perfetto sommo sacerdote in forza della sua morte ed esaltazione. Va dunque da sé che il verbo principale nella proposi­ zione relativa lo ritragga « assiso alla destra della Maestà )), nella sua intronizza­ zione celeste, ormai in possesso definitivo dell 'eredità che gli spetta (v. 2b) e del­ la quale si appropria con diritto; ha operato con l ' impegno personale della vita, ha introdotto un patto (diatheke) sigillato non con il sangue degli animali, ma nel proprio sangue-croce. Il « Figlio )) ha pagato l ' eredità con la vita; ora è introniz­ zato alla destra della gloria. Nel settenario (Eb l ,2b-3 ), visto nel suo insieme, il Figlio è l 'erede annun­ ziato nel Sal 2,8 (promessa messianica adempiuta in Cristo )61 al quale alludono bene i vv. 2b e 3d62• La loro assonanza su etheken ( l ,2b) ed ekathisen ( l ,3d) li po­ ne in relazione con i rispettivi contenuti. Ne risulta che il Figlio è in rapporto con il Padre e con l ' universo di cui è erede; è il supremo mediatore tra Dio e l ' uni­ verso e l 'ultimo rivelatore di Dio; è il profeta del quale Dio si serve per dire alle sue creature la sua definitiva parola; è il sacerdote che ha purificato il popolo dai suoi peccati (v. 3c), una volta per sempre, aspergendolo con il suo sangue; è il re intronizzato al fianco « della Maestà )) di Dio, nei cieli. Termina qui il settenario di 1 ,2b-3 , riconosciuto al tempo stesso come frammento innico63 • Che Eb l ,3 sia parte superstite di un inno protocristiano lo proverebbe la stretta parentela tra Col l , 1 3-20 ed Eb 1 , 1 -3 come da prospetto seguente: Co/ 1, 13-20

Eb 1, 1-3

1,13 l, 1 5b

l ,2a Nel Figlio 1 ,2b.6a erede di tutte le cose

Del Figlio prediletto primogenito di ogni creatura

59 Oltre a Eb l ,3, è il caso anche di l Cor 4, l 0- 1 3 ; 2Cor 4,8- 1 2; 6,8- 1 0. 60 Cfr. Eb 5,6. 1 0; 6,20; 7, 1 7.2 1 ; 8, 1 ; 1 0, 1 2 ; 1 2,2. 6 1 Cfr. F. Schroger, Der Veifasser des Hebriierbriefes, p. 38; T. Lorentin, I Salmi, p. 48. 62 La citazione del Sal 2,8 è per allusione, come riconosciuto. Il suo valore nel NT è messiani­ co-escatologico, ma riguarda anche il Gesù terreno e la sua preesistenza. Non è certo un salmo on­ nicomprensivo, tuttavia rappresenta bene il collegamento tra AT e NT. Si veda J.W. Watts, Psa/m 2 in the Context ofBiblica/ Theo/ogy, in HBT 1 2 ( 1 990) 84. 63 Il genere letterario innico di Eb l ,2b-3 è il motivo per cui il v. 4 non può essere considerato parte del settenario.

Il Figlio Eb l, 1-4

1 , 1 6c

1 , 1 5a 1 , 1 7b 1 , 1 6b 1 , 14

da lui e per lui tutte le cose sono state create (Gv 1 ,3a) immagine del Dio invisibile tutte le cose sussistono in lui con la potenza della sua parola i troni, le signorie, i principati, le potenze la redenzione, il perdono dei peccati64•

1 ,2c

1 07

per mezzo di lui ha fatto i mondi

l ,3a' -a" irradiazione . . . impronta . . . sta sostenendo tutto 1 ,3b 1 ,4

gli angeli

1 ,3c

purificazione dei peccati.

Le espressioni appena raffrontate si possono ritenere equivalenti. La con­ vergenza di contenuto non è casuale; il vocabolario utilizzato è oculatamente scelto65, a cadenza metrica66• Lo stile è quello degli stralci ionico-liturgici: una tradizione che va raccogliendo inni su Cristo e che è ben nota agli autori di Colossesi ed Ebrei67, stando al prospetto appena mostrato. Il v. 3 mostra dunque di essere un frammento innico. La tesi è ben sostenuta68• Ed eccone i motivi: l ) il cambiamento di soggetto: da Dio a « un figlio », nella transizione dal v. 2 al v. 3, è opera esclusiva dell ' autore, che intende introdurre co­ sì il personaggio centrale della sua argomentazione; 2) la presentazione de « il Figlio » a fine v. 2a con formulazione relativa pronominale introdotta da hos (v. 3a) è fattore tipico nel genere letterario innico. Il fenomeno torna in Fil 2,6 e in l Tm 3, 1 6. Qui esso dà a Eb l ,3 il profilo di microunità letteraria autonoma dal contesto in cui è collocata. In ognuno di questi casi si ha l ' intervento redazionale diretto dell 'autore. Al v. 3 il vero soggetto è « il Figlio »; 3) i due hapax neotestamentari del v. 3a (apaugasma e charakter), in attendibile allusione a Sap 7,25-26, e hypo­ stasis (qui, in 3 , 1 4 e in 1 1 , l ma con sensi diversi)69, attestano la singolarità del v. 3a e della sua attendibile preesistenza letteraria in uso liturgico, onde celebrare i ti64 Per la traduzione di Col l , 1 3-20, cfr. J-N. Aletti (Lettera ai Colossesi, EDB, Bologna 1 994, pp. 78 e 83), il quale però non rileva la corrispondenza con Eb l , l -3. 65 Apaugasma e charakter, ad esempio, sono due termini ignoti al resto di Ebrei, di provenienza ellenistico-sapienziale, a buona riprova della loro scelta intenzionale da parte dell 'autore. 66 Già J. Moffatt, A Critica/ and Exegetical Commentary, pp. LVI-LIX. 67 Vi appartengono Gv l , l - 1 4; Fil 2,6- l l ; l Tm 3,6; 2Tm 2, 1 1 - 1 3 . 68 Così G.W. Buchanan, The Present State of Scholarship on Hebrews, in Neusner J. (ed.), Judaism, Christianity and Other Greco-Roman Sects. FSM. Smith, 2 voli., Brill, Leiden 1 975, qui vol. I, p. l O; R. Fabris, Le lettere di Paolo, 3 voli., Boria, Roma 1 980, qui vol. III, pp. 549-555; J.W. Thompson, The Beginnings o/ Christian Philosophy: The Epistle to the Hebrews (CBQ.MS 1 3), The Catholic Biblical Association of America, Washington 1 982, p. 1 29; D.F. Wells, The Person ofChrist: A Biblica/ and Historical Analysis ofthe Incarnation, Crossway Books, Westchester (IL) 1 984, p. 53; P. Ellingworth, Reading through Hebrews 1 - 7. Listening especially for the Theme of Jesus as High Priest, in Epworth Review 1 2 ( 1 98 5 ) 80-88; M . Rissi, Die Theologie des Hebriierbriefs. Ihre Verankerung in der Situation des Veifassers und seiner Leser (WUNT 4 1 ), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1987, pp. 46-48; L. R. Helyer, Arius Revisited: The Firstborn Over Ali Creation (Col l, 15), in JEvTS 3 1 ( 1 988) 59-67, qui 65-66; S. Cipriani, Le lettere di Paolo, Cittadella, Assisi 1 99 J 1, pp. 744-746; D.J. Ebert, The Chiastic Structure ofthe Prologue to Hebrews, in Trinity Journa/ 1 3 ( 1 992) 1 75- 1 76. 69 E ancoro in 2Cor 9,4 e in l l, 1 7, dunque hapax legomenon nella epistolografia del NT. Vi ri­ corre 5 volte, di cui 3 in Ebrei.

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toli di quel « Figlio »; 4) il v. 3c suona come asindeto rispetto ali ' articolazione sintattica ben cadenzata dal kai e dal te dei vv 3a-3b. La struttura del v. 3 è dunque peculiare per il contesto immediato in cui è po­ sta dali ' autore (Eb l , 1 -2.4) e dal quale si differenzia, e per specificità di vocabo­ lario. Quattro le parti identificabili, per simmetria, ove le prime tre sentenze sono in funzione dell 'ultima: a) egli, essendo irradiazione della sua presenza (gloria) e segno visibile della sua persona, b) e sostenendo ogni cosa con la potenza della sua parola, c) dopo aver compiuto la purificazione dei peccati7°, d) si è assiso al­ la destra della Maestà nei cieli. Si tratta di una rappresentazione completa de « la strada del Figlio »7 1 : da sempre presso Dio (protologia, v. 3a'), egli è ora segno visibile della sua presen­ za fra gli uomini (v. 3a"), pienamente coinvolto nel sostegno della storia cosmi­ ca (v. 3b ); il v. 3c racconta che cosa « il Figlio » ha fatto per noi. Il v. 3d è centra­ le72: riporta una confessione di fede nel Figlio di Dio, da parte delle comunità protocristiane. Non se ne ha la formula, ma gli elementi decisivi: quel Figlio, nel quale Dio oggi continua a parlare (v. 2a), è ora assiso alla destra di Dio. Eb 1 ,3 ha dunque, e per buoni motivi, la forma di un inno preesistente73• Ebrei se ne avvale per la propria articolata redazione ai vv 1 -4 : ecco il probabi­ le74 frammento innico protocristiano che se ne ricava: .

.

Il Figlio è irradiazione della sua presenza-sapienza, e segno visibile della sua persona, 70 O « il rito di assoluzione » (Lv 1 6, 1 6.20.30), o « di purificazione », cioè il rito per « cancel­ lare i peccati ». Alla ricerca della traduzione migliore di hilaskomai (2, 1 7) e lwtharizo ( l ,3), l ' ese­ gesi riconosce oggi ai due termini tecnici il contenuto di « espiazione-propiziazione ». Si tratta di espiare il peccato e soddisfare l 'offesa. Entrambe le cose sono presenti nella croce del Figlio. Sarà il risultato di un'articolata procedura epidittica in tutto il « trattato »; qui, in 1 ,3 ha una valore proietti­ co. Annotazioni sul problema in F. Dunkel, Expiation et Jour des expiations dans l 'épitre aux Hébreux, in RRéf33 ( 1 982) 63-64. 7 1 « The Way of the Son », così J. Frankowski, Early Christian Hymns Recorded in the New Testament. A reconsideration of the Question in the Light of Hebrews 1,2, in BZ 27( 1 983) 1 83- 1 94; J. Frankowski riprende il parere già espresso in Les hymnes chrétiens primitifcités dans le Nouveau Testament. Essai de révision du problème à la lumière de He 1,3, in STWsz 20 ( 1 982) 95-96. 72 Ricorre ancora in Eb 8, l ; l O, 12 e 1 2,2. Analoghe formulazioni in Rm 8, 1 4; Ef l ,20; Col 3 , l e l Pt 3,22. 73 Non è il parere di J. Frankowski, Early Christian Hymns Recorded in the New Testament, in BZ 27 ( 1 983) 1 83- 1 94: l 'autore si sofferma molto sul problema aperto da Eb l ,3 e, attraverso lo stu­ dio di fonti ellenistiche parallele, giunge a ritenere che, sebbene la tematica di Eb l ,3 trovi la sua ori­ gine in quella tradizione, la natura inni ca del v. 3 è opera della creatività de li ' autore; sì, quanto a re­ dazione, no, quanto a tradizioni, mi sembra di dover precisare. 74 Vi è infatti qualche parere contrario. J. Lach (Jesus Christus als Mittler des Neuen Bundes [Hebr 1, 1-4], in STWsz 26 [ 1 988) 2 1 9-220) ritiene Eb 1 , 1 -4 unità letteraria nata come tale dalla mente del l ' autore. Eppure il v. 3 (e forse non solo) mostra di avere una propria storia. J. Lach, che peraltro esamina oculatamente l 'unità letteraria, difetta qui di analisi della tradizione. Ancora più scettico mi è parso D.A. Black (Hebrews 1 , 1 -4: A Study in Discourse Analysis, in WTJ 49 [ 1 987] 1 75- 1 94), il quale, sebbene non si soffermi molto sulla possibilità dell 'esistenza di un inno preesi­ stente in Eb 1 ,3, non sembra condividere il pensiero di quanti, attraverso criteri sintattici e stil istici, sostengono questa opinione.

Il Figlio Eb 1, 1-4

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e colui che tutto sostiene con la potenza della sua parola; e, compiuta la purificazione dei peccati, si è assiso alla destra della Maestà, nelle altezze. Ed Eb l ,4 e l ,2b? Generalmente non sono considerati parte costitutiva di un frammento innico che muoverebbe dal v. 2b e terminerebbe al v. 4. Tentativi in questa direzione riconoscono la relazione tra la superiorità del Figlio su tutte le creature e l 'e­ saltazione (8,6; 9,23; 1 0,34) come buona ragione di contesto per congiungerli al v. 3. Il sostegno al genere letterario innico dei vv. 2b-4 verrebbe poi dal risultato: quasi un sommario degli attributi del Figlio in forma innica, nonché l 'orizzonte più ampio che se ne otterrebbe: un inno teologico (v. 2b), gesuologico-cristologico (vv. 3-4)15• In questo caso, però, avremmo in Eb l ,2b-4 la giustapposizione di tre fram­ menti innici aventi in comune il v. 3 ; ai vv. 2b-3 il primo (tracciato teologico-pro­ tologico); il secondo al v. 3 (tracciato gesuologico-cristologico ristretto); ai vv. 3-4 il terzo (tracciato gesuologico-cristologico ampliato). Una opzione critica resta dif­ ficoltosa76. Quanto al terzo frammento poi, si osserva che il v. 4 non rientra nel set­ tenario in sé già completo; viene dunque a mancargli il supporto critico per l 'abbi­ namento al v. 3 ; inoltre, come stico innico, il v. 4 è eccessivamente ampio rispetto agli altri stichi, asimmetrico e ancora prima ametrico; infine, il motivo « angeli )) al v. 4 è un chiaro preannunzio del tema per Eb 2 ed è opera dell 'autore. Resterebbero in piedi le altre due proposte: vv. 2b-3 o solo v. 3? Sul genere letterario innico del v. 3 vi è chiara convergenza. Resta in discussione il v. 2b. Dato il movimento del pro­ logo, di tipo teologico (vv. l -2a) e gesuologico-cristologico (vv. 3-4), si può vede­ re nel v. 2b l ' intenzione redazionale dell 'autore a coordinare quei due poli e nel ri­ sultato letterario (vv. 2b-3) l ' inno teologico-gesuologico-cristologico, preesistente e accolto nella redazione del prologo dali 'autore. Quest'ultimo suggerimento po­ trebbe essere attendibile, a motivo del relativo hon che rientra nella stile innico già più volte constatato, in posizione di soggetto. Avremmo così il possibile seguente inno protocristiano, preesistente alla re­ dazione di Ebrei: v. 1 b V. 2b'

« Dio ha costituito il Figlio erede di tutte le cose e per mezzo di lui (di 'ou) ha fatto anche i mondi )).

Ma non è la mia posizione. La questione non è infatti di storia della redazio­ ne (Eb 1 , 1 -4), ma della tradizione ( 1 ,3). I due momenti sono diversi, nella proce­ dura metodo logica e nei risultati77• 75 Così G. Bornkamm, Das Bekenntnis im Hebriierbrief, in Studien zur Antike und Christentum, Kaiser Verlag, Miinchen 1 959; F. Hahn, Christologische Hoheitstite/, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 966; D. Deichgriiber, Gotteshymnus und Christushymnus in der friihen Christenheit, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 967; J. Frankowski, Early Christian Hymns Recorded in the New Testament. A reconsideration ofthe question in the Light ofHebrews 1,2, in BZ 27 ( 1 983) 1 83- 1 94. 76 Lo rileva ancora di recente D.J. Ebert, The Chiastic Structure ofthe Prologue to Hebrews, in Trinity Journal 13 ( 1 992) 1 63- 1 79. 77 Diversamente da J .P. Meier, Symmetry and Theology in the O/d Testament Citations ofHeb 1.5-14, in Biblica 66 ( 1 985) 528. Questi spiega che la singolarità di Eb l ,3 è dovuta alla forte atti-

1 1O

Parte seconda. Traduzione e commento

Eb l ,3 è alla base della cristologia del sommo sacerdote: con allusione alla speculazione filoniana sul « /ogos-sapienza », dove il primo aggancia alla protolo­ gia-preesistenza e la seconda alla soteriologia-proesistenza, l 'autore espone la vi­ cenda storica del sommo sacerdote il cui potenziale espiatorio è investito dal ruo­ lo di quella « parola-logos >> che sta sostenendo tutto con la sua potenza; quel potenziale, indubbiamente espiatorio, lo è perché creativo e ricreativo, redentivo e riconciliativo. Come già detto altrove, si ha qui la fine della teologia dell 'espia­ zione (Siihnetheologie) basata sulla logica secondo cui qualcuno deve pagare per tutti (capro espiatorio), la fine di tutti i sacrifici cultuali così capiti ( l O, 1 8), e l ' im­ missione nella storia della teologia della redenzione (Erlosungstheologie), la qua­ le è cosmica, nel senso magistralmente descritto da Paolo78• [v. 4] Giungiamo così al risultato del settenario. I vv. 1 -3 fanno redazional­ mente da base al v. 4: preparano il nome (onoma) di « Figlio >> di alta dignità: quel nome dà corpo alla Parola che viene nel tempo dall ' aldilà del tempo (escatologia anticipata), dà corpo a Dio nella storia. Il nome, la dignità, la qualità, il ministe­ ro di « Figlio >> sono tutti elementi ripresi con enfasi ed elaborati da Eb l ,5 - 2, 1 8 . Essi continuano a descrivere la sua superiorità sugli angeli, cioè la sua unicità e alterità rispetto a essi, pur tanto cari a Dio ( l , 1 4). Ma il Figlio è innalzato al di so­ pra degli angeli, perché ha ereditato da Dio quel titolo ( l ,2) ben superiore a quel­ lo di profeti ( l , l b) e di angeli ( 1 ,4.5- 1 4). In Eb l ,4 si ha una prassi retorica più sottile rispetto a Fil 2,6- 1 1 , in cui il « nome sopra ogni altro nome >> non è Gesù, ma il titolo datogli in occasione del­ la sua esaltazione, ossia Kyrios. Anche qui quel nome non è Gesù, ma « Figlio »79• Per i destinatari del « libro » e per i cristiani di tutti i tempi è ora chiaro che il no­ me di « Figlio >> appartiene a lui in esclusiva, per sempre. Quel nome, già suo nel­ la preesistenza, lo è ora di fronte a tutti, a uomini e angeli, nella sua esistenza ter­ rena e alla destra del trono del Padre: lo ha ereditato per sempre80• Kreitton dice la qualità superiore del nome e dello status di « Figlio », del nuovo patto fondato su migliori promesse, della espiazione redentrice, dunque la qualità migliore della speranza cristiana. Diaphoroteron (Eb l ,4; 8,6; 9, l O) controbilancia kreitton: « Tanto migliore quanto più eccellente >>. Il nome più eccellente, individuato ora in « Signore » (Eb vità redazionale dell 'autore al punto che elementi eventualmente preesistenti non sono più facil­ mente ricuperabili. Ma non è così per il v. 3. Resta invece assodato che la varietà degli inni gesuo­ logico-cristologici è dovuta allo Spirito che conduce gli autori e le comunità coautrici nelle loro li­ bere composizioni inniche (pneumatico-carismatiche). 7 8 Cfr. Rm 8,22-25: « Sapppiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, ge­ miamo interiormente aspettando l ' adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella spe­ ranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza >>. Annotazione finale in sintonia con Eb 1 1 , l . Persuasiva lettura di B. Heininger, Siindenreinigung. Christologische Anmerkungen zum Exordium des Hebriierbriefes, in HZ 4 1 ( 1 997) 66-68. 79 Cfr. P. Ellingworth, Reading through Hebrews 1-7. Listening especially for the Theme of Jesus as High Priest, in Epworth Review 1 2 ( 1 985) 80-88. 80 È il senso del perfetto kekleronomeken.

Il Figlio Eb 1, 1-4

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l ,8- 1 O; Fil 2,9- l l ; Ap 1 9, 1 2) ora in « sommo sacerdote » (Eb 2, 1 7; 3 , l ), è più at­ tendibilmente il nome di « Figlio », il quale include signoria e sacerdozio. Quel nome « più eccellente » inoltre è segno di reputazione, onore e riconoscimento. Chi porta poi il nome di « Figlio di Dio » (4, 1 4) è degno in modo del tutto singo­ lare della gloria di Dio ( 1 ,3)8 1 • I l Figlio è « divenuto »: leggendo i l v. 4 dopo i l v. 3d, i l divenire del Figlio è simultaneo o immediatamente successivo all 'esaltazione. In quel momento egli è divenuto erede di un nome (onoma) superiore a quello degli angeli (v. 4). In base ai contesti precedente (Eb l ,2a) e successivo ( l ,5), il nome ereditato è « Figli o » (hyiosj82; in l ,2a l 'autore lo presenta « erede » (kleronomon) ; l ' inclusione con « ha ereditato per sempre » (kekleronomeken) al v. 4 indica che quella eredità consiste appunto nel « nome » (onoma) di « Figlio » (hyios); in l ,5 si legge: « A quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio . . . Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio »? Per ben due volte e con due forti riferimenti al Primo Testamento83 torna il titolo « Figlio ». Molti altri titoli sono attribuiti a Gesù in l ,5- 14, in Eb 2 e nel resto del « trattato », come « Signore >> (Kyrios) in l , l O; 2,3 e 1 3,2084, ma il te­ nore di l , l -4 lascia supporre che « Figlio » sia il nome unico e nuovo, e che quel nome abbracci e comprenda tutti gli altri85. Eb l ,4 si muove sulla tradizione giudaica dell ' « angelo di JHWH ». Un motivo attendibile è che in epoca biblica gli angeli non hanno nome. Un esempio per tutti è il Sal l 04,4: « Fai dei venti i tuoi messaggeri (angeli) . . », ripreso in Eb 1 ,7. Il tar­ do giudaismo ricorda che furono i rimpatriati da Babilonia a portare con sé i nomi degli angeli86. Solo negli scritti più tardivi dell 'AT incontriamo i primi nomi di an.

8 1 La prassi imperiale romana prevede che Ottaviano, imperatore a vita dal 29 a.C., sia Augusto con decorso dali ' anno 27 a.C. Successore di Giulio Cesare, ne assume il nome: Ottaviano Cesare Augusto. 82 In Fil 2,6 quel nome è « Signore » (Kyrios) . Che lo possa essere anche in Eb l ,4 sembra so­ stener lo J.H. Ulrichsen, « Diaphoroteron onoma » in Hebr 1 , 4. Christus als Triiger des Gottesnamens, in Studia Theologica 3 8 ( 1 984) 65-75. Ma la procedura argomentativa mi è parsa po­ co persuasiva. 83 Si tratta del Sal 2,7 e di 2Sam 7, 1 4- 1 5 . Sul comportamento ermeneutico dell'autore al ri­ guardo, si veda il commento su Eb 1 ,5. 84 Si veda utilmente J.H. Ulrichsen, « Diaphoroteron onoma » in Hebr 1,4. Christus als Triiger des Gottesnamens, in Studia Theologica 3 8 ( 1 984) 65-75. Si potrebbe trattare dello stesso nome di Dio: il Figlio cioè riceve da Dio il nome « di Dio », è Figlio « di Dio ». A sostegno di ciò, J.H. Ulrichsen si appoggia a Gv 1 7, l i b : « Padre santo, custodiscili nel tuo nome, (quel nome) che (hij, dativo) hai dato a me ». La lezione hij è un dativo attractio relativi su onomati: è ben attestata dal co­ dice Sinaitico, e ancora da p46 e J>60. Quel dativo sta per ho, accusativo neutro attestato in D* (= D2 ), variante che aggira la attractio relativi. L'accusativo hous (riferito ad autous) non va considerato, perché è correzione del! 'amanuense, in base a 1 7 ,6.9. Dunque: « Padre santo, conservali nel tuo no­ me, che hai dato a me ». In verità, questo suggerimento di J.H. Ulrichsen, buono in sé per Gv 1 7, I l b, Io è meno o affatto per Eb l ,4. Dopo tutto, è assente in Gv 1 1 , 1 7b un benché minimo collegamento letterario sul tema del « figlio », proprio di Eb l ,4. 85 Kyrios ricorre in Ebrei 1 6 volte, di cui 12 attribuite a Dio-JHWH e 4 a Gesù Cristo: 1 , 1 0; 2,3; 7, 14 e 1 3,20. Le 4 frequenze hanno tutte un loro specifico contesto, ove l ' enfasi non poggia su Kyrios. Non sembra essere dunque intenzione di Ebrei attribuire al « Figlio » il nome di « Signore )) (Kyrios). 86 Si legga, ad esempio, p.Rosh Hashana 1 ,2.

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Parte seconda. Traduzione e commento

geli come Gabriele (Dn 8, 1 6; 9,2 1 ) e Michele (Dn l O, 1 3 .2 1 ; 1 2, l )87• E mentre Filone ritiene di identificare nel logos l 'angelo di JHWH, Clemente di Alessandria vede nell 'angelo di mwH Gesù Cristo stesso, forse un tentativo fra i primi di spie­ gare la cristologia con l 'ausilio dell ' angelologia88• Ma non è la posizione di Ebrei, che non avrebbe potuto scrivere al v. 4 che il « Figlio » è diventato « tanto superio­ re agli angeli quanto più distinto del loro è il nome che ha ereditato ». Più attendibile l ' influsso su Eb l ,4 da parte di speculazioni tardogiudaiche che pensano a « un secondo JHWH ». È il caso di 3Enoch 1 2,5, in cui Enoch è det­ to « il piccolo JHWH » con riferimento a Es 23,2 1 : « Ho riposto su (LXX) in (TM) lui il mio nome ». Identica la tradizione attestata in b.Sanhedrin 3 8b. Anche Apocalisse di Abramo 1 0,9 (secolo I d.C.) fa eco a Es 23,3 1 . Per i samaritani, in una storia delle tradizioni che si protrae fino ai secoli III-IV, Mosè, « salvatore d'Israele », ha ricevuto sull 'Oreb il nome di Dio: « Ho rivestito Mosè dello spiri­ to profetico e del mio nome . . . Ho dato a lui il mio nome . . . Il Signore ha rivesti­ to Mosè con il suo nome . . . Il Signore mi ha rivestito con il suo nome . . . »89• Come l 'angelo porta il nome di Dio (angelo di JHWH), così Gesù il nome di « Signore >>, che è il nome di Dio. Cioè, Gesù è Dio90• Tuttavia, come osservato, Eb 1 , 1 -4 non è interessato al nome di « Signore », se non più tardi, bensì di « Figlio ». Ai punti estremi di Eb 1 , 1 -4 (vv. l e 4) sono protagoniste le due figure prin­ cipali nella rivelazione premessianica: i profeti e gli angeli. Dio ha parlato per mezzo dei profeti ( l , l ), ma il suo messaggio, presente nella tora, è stato mediato dagli angeli (2,2). Questa associazione tra predicazione profetica e mediazione angelica torna in At 7,38 (discorso di Stefano: Mosè fu mediatore tra l 'angelo che gli parlava sul Sinai e i nostri padri) e in Gal 3 , 1 9 (la legge fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore, Mosè ). Ebrei conosce e rispetta questo genere di diffusa cultura e sensibilità religiosa e se ne avvale per annunziare una novità: il « Figlio » è mediatore di gran lunga superiore al sistema profetico-an­ gelico del patto antico. Ripresa in Eb l ,5 - 2,4 (il Figlio di Dio è superiore agli angeli) e in 2,5- 1 8 (Gesù come Figlio dell 'uomo è superiore agli angeli perfino nella sua umanità), questa esaltazione potrebbe denunziare una insidiosa concezione su Gesù Cristo 8 7 Analoga la spiegazione per satana. Questi, altri non è che un angelo investito del compito di accusatore pubblico (una sorta di pubblico ministero) presso il tribunale di Dio. Da qui il suo nome: hassatan. Bisognerà attendere l Cr 2 1 , l per trovare la parola « satana » usata come nome proprio. 88 Breve discussione in J.H. Ulrichsen, « Diaphoroteron onoma » in Hebr 1,4. Christus als Triiger des Gottesnamens, in Studia Theo/ogica 38 ( 1 984) 7 1 . 89 Così Memar Marqah (L'insegnamento di Marqah), vol. 11,4, 1 4, 32, 80, 1 58, 1 94. Probabile sommo sacerdote samaritano, comunque scrittore autorevole cui si fa risalire il terzo più importante libro della tradizione samaritana, dopo il pentateuco e il Targum. È una raccolta di antiche tradizio­ ni, inni, professioni di fede, detti, epiteti ed espressioni liturgiche. Cfr. J. MacDonald, Memar Marqah (The Teaching ofMarqah), voli. 1-11, Topelmann, Berlin 1 963, qui vol. l, pp. XVIII-XX; cfr. J.H. Ulrichsen, « Diaphoroteron onoma » in Hebr 1,4. Christus a/s Triiger des Gottesnamens, in Studia Theologica 38 ( 1 984) 74-75. 90 Suggerimento critico e dati in J.H. Ulrichsen, (( Diaphor6teron onoma » in Hebr 1 , 4. Christus als Triiger des Gottesnamens, in Studia Theologica 38 ( 1 984) 65-75.

Il Figlio Eb l, 1-4

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in seno a destinatari giudeocristiani, di tendenza ebionita: il Cristo è una potenza angelica che ha preso abitazione nel Gesù uomo, dal suo battesimo alla sua pas­ sione, per poi abbandonarlo al suo destino di morte come uomo e tornare, come Cristo, in seno alle potenze angeliche91 • Ma Ebrei insiste: Gesù è il Cristo, nello stesso tempo, pienamente divino e veramente umano; è l 'erede di tutto, in parti­ colare del nome che ha ereditato, una volta per sempre92• Quel nome è « Figlio ». Si è ora in grado di mettere in luce un movimento dialettico in Eh l , 1 -4, ora analettico ora prolettico: v. 2a

ana/essi (regressione)

« In un Figlio » Dio

ha parlato in questi giorni

(dalla protologia alla gesuologia). Quel Figlio è erede dell 'universo; pro/essi (progressione) v. 2c analessi (regressione) è mediatore nella creazione; v. 3 a pro/essi (progressione) è da sempre, in relazione eterna con Dio; v. 3b ana/essi-pro/essi (posizione speculare) sta sostenendo (atemporale) i mondi; compie la purificazione redentiva; v. 3c analessi (regressione) si è ora assiso alla destra della Maestà nelle altezze93• v. 3d pro/essi (progressione)

v. 2b

Risultato di tale dinamica: la superiorità di « un figlio », il suo nome unico e nuovo, la sua superiorità sui profeti (Eh l , l ), sugli angeli e sul loro nome (v. 4 ). « Figlio » è la novità in assoluto nel discorso avviato da Dio con e per l 'uomo (vv. 1 -2); la sua relazione con Dio è unica e irrepetibile e lo è anche il vocabolario che la descrive : egli è l 'agente della creazione e ne è il sostenitore, ed è anche il re­ dentore-ricreatore della ri-creazione, avendo compiuto la purificazione dei pec­ cati, non nel sangue degli animali, ma nel proprio sangue-vita: erede di tutto an­ cora prima che questo « tutto >> esistesse, egli è il Figlio esaltato alla destra di Dio (erede messi ani co - re messianico) ; un confronto qualitativo mette in chiaro che il Figlio è la « parola » superiore a quella dei profeti, e che il suo « nome » è su­ periore a quello degli angeli. Il Figlio è il profeta, egli stesso ultima e decisiva parola di Dio per le sue creature; ultimo e supremo agente della rivelazione, egli rivela la via della sal­ vezza (Eh 2, 1 -3 , Cristo ha parlato . . . noi dobbiamo ascoltare); egli è il sacerdote che ha compiuto in modo pienamente gradito a Dio la purificazione del suo po­ polo dalle infedeltà ali 'alleanza e lo ha risituato nel pieno rapporto amicale con Dio: la nuova alleanza (creazione-redenzione). La sua azione sacerdotale ridà fi­ ducia a chi aveva perso la forza di accostarsi al trono della misericordia giusta e amicale di Dio a motivo dell 'abbandono della fede, di indifferenza a essa94• Egli 9 1 Sulla questione, cfr. M. Goulder (Hebrews and the Ebionites, in NTS 49 [2003] 393-406), che lavora attorno a Ireneo di Lione, Adversus haereses l ,26,2. 92 La rivelazione di Dio nell' AT è descritta con riferimento a messaggeri umani, i profeti, e a messaggeri celesti, gli angeli. Il fatto che il Figlio e il suo nome siano superiori agli uni e agli altri, fa di lui il mediatore unico per eccellenza. Tema centrale di questo prologo e della lettera, osserva W.L. Lane, Hebrews 1-8, vol. I, p. 6. Opportunamente, ma impropriamente. 93 Se l 'analessi o regressio-reditus (in greco, epanodos) è il ritorno là da dove si è partiti, dopo aver raggiunto però la mèta, la prolessi o progressio è nuova partenza dalla mèta raggiunta verso una nuova mèta. Pro lessi e analessi sono in posizione speculare. Proprio la disposizione di Eb l , 1-4. 94 Così B. Lindars, The Rhetorical Structure ofHebrews, in NTS 35 ( 1 989) 394.

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Parte seconda. Traduzione e commento

è il re da sempre atteso, erede di « tutto », ora intronizzato al posto che gli com­ pete: alla destra della Maestà95; il Sal l 09, 1 conferma96: re sacerdote. La qualità artistica di Eb l , 1 -4 emerge dai momenti sintattico-strutturali, eufo­ nici e fraseologici e retorici che porta in sé. In primo luogo, una possibile disposi­ zione a colonna in punti successivi strettamente connessi, risultato di un'« analisi del discorso >> linguistica e sintattico-strutturale97. Ne dà conferma il pronome rela­ tivo, che richiama il termine « figlio » per 3 volte. Il primo richiamo: « Che ha co­ stituito » (hon etheken) con il verbo ali ' aoristo, pone l 'accento sulle conseguenze naturali della figliolanza: « L'eredità di tutte le cose »; dal momento che quel Figlio è l 'erede, egli è anche il proprietario legittimo di quanto ha creato (di 'hou epoiesen) e redento, assidendosi poi alla destra della Maestà (hos . . . ekathisen). L'enfasi ricade ancora su quel « Figlio », sul quale sono fomite ulteriori informazioni, affidate a un ben riuscito parallelismo tra cm (essendo) e i participi pheron (sostenendo), poiesamenos (avendo realizzato), genomenos (essendo di­ venuto), da un lato, e tosouto (così tanto) hoso (quanto), dali ' altro. Quattro proposizioni definiscono l ' insediamento del Figlio alla destra di Dio. I verbi eimi (essere) e phero (sostenere) al participio presente ne illustrano qualità e operazioni e gli altri due verbi al participio aoristo (poiesamenos e ge­ nomenos) ne indicano le azioni storiche ben circoscritte nel tempo. L' indubbia qualità retorico-artistica di Eb 1 , 1 -4 sorpassa di gran lunga ogni altro brano del NT analogamente composto98; è forse la costruzione retorica del NT più simmetrica e compatta: una prosa artistica attenta ali 'armonia della pro­ posizione nei suoi elementi compositivi: preposizioni, verbi, sostantivi. Il suo pe­ riodare99 ha lo scopo di spingere al massimo l ' efficacia1 00 della funzione comuni-

95 Cfr. T.G. Smothers, A superior Mode/: Hebrews 1, 1 -4, 13, in Review and Expositor 82 ( 1 985) 333-335. 96 Il Sal l 09 è il più citato in Ebrei e ne costituisce il centro argomentativo. Ciò spinge a rite­ nere che Ebrei sia un midrash appunto del Sal 1 09. Il suggerimento è di G.W. Buchanan, The Present State of Scholarship on Hebrews, in J. Neusner (ed.), Judaism, Christianity and Other Greco-Roman Sects. FS M. Smith, vol. Il, p. XIX. D.F. Wells ( The Person ofChrist: A Biblica[ and Historical Analysis ofthe lncarnation, Crossway Books, Westchester [IL] 1 984, p. 1 87, nota 5 1 ) ri­ leva altri punti midrashici: Eb 2,5-9 e Sal 8,4-6; Eb 3, 7 - 4, 1 1 e Sal 95,7- 1 1 ; Eb 8,8- 1 3 e l O, 1 5- 1 8 con Ger 3 1 ,3 1 -34; Eb 1 0,5- 1 0 e Sal 40,6-8; Eb 1 0,37-38 e Ab 2,3-4; Eb 1 2,5- 1 1 e Pr 3 , 1 1 - 1 2 1 . Sul Sal 1 1 0, 1 , cfr. H.W. Bateman, Psalm 1 1 0, 1 and the New Testament, in BS 1 49 ( 1 992) 452-453 . Inoltre, E.J. Elliott, Hermeneutical Principles and the lnterpretation of the Psalm 1 1 0, i n BS 1 49 ( 1 992) 428-437. 97 È la proposta combinata negli studi di L . L. Neeley (A Discourse Analysis of Hebrews, in JOTT 3-4 [ 1 987] 76-77) e di D .A. Black (Eb l, 1 -4: Study, in JOTT 3-4 [ 1 987] 1 75- 1 94). I risultati ottenuti con l 'analisi offerta da A. Vanhoye, L. L. Neeley e D.A. Black mi sembrano molto vicini, a riprova della bontà delle diverse procedure analitiche e della ricchezza del testo che non si lascia in­ capsulare in un solo tipo di sondaggio. 98 Così W.H. Attridge, La Lettera agli Ebrei, p. 90. Sulla raffinata arte retorica di questo esor­ dio, cfr. già A. Vanhoye, Situation du Christ. Hébr l et 2, Cerf, Paris 1 969, pp. 1 1 - 1 4; di recente E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. l, pp. 59-60. 99 Oltre a Eb 1 , 1 -4, si vedano Eb 2 , 1 4- 1 5 ; 4, 1 2- 1 3 ; 5,7- 1 0; 6, 1 6-20; 9,24-26. 1 00 Un'argomentazione è efficace se ottiene l 'adesione a quanto propone e muove gli ascolta­ tori-lettori all 'azione voluta. Cfr. C. Perelman - L. Olbrechts Tyteca, Trattato del/ 'argomentazione, Einaudi, Torino 1 989, p. 48.

Il Figlio Eb 1, 1-4

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cativa. Da qui un linguaggio familiare, per una identificazione tematica facile e rapida, pQi un linguaggio descrittivo che incida sulla capacità ricettiva dei desti­ natari, infine un linguaggio poetico che avvinca il destinatario. Periodare ed effi­ cacia sono a servizio della compattezza-compressione tematica di Eb l , 1 -4, mi­ crounità letteraria. Sorprende come l 'autore sia riuscito a condensare le tante e così importanti tematiche già emerse nel settenario di cui appena sopra, e le ab­ bia inserite in un movimento retrogressivo-progressivo che, per la sua dinamica circolare, è inarrestabile. Quasi sorpreso egli stesso per tanta compattezza-com­ pressione tematica, l 'autore ne avvia la decodificazione avvalendosi del confron­ to antitetico 101, uno degli strumenti propri dell ' antica retorica: angeli, profeti e patriarchi sono raffrontati con il Figlio, indiscusso protagonista di 1 , 1 -4102• Il con­ fronto-antitesi si ripresenta nel parallelismo che descrive il tempo in cui la rive­ lazione accade (« nei tempi antichi - ultimamente ») e i suoi destinatari ( « ai padri - a noi ») e coloro che l 'hanno mediata (« i profeti - il Figlio »). Ma, pensa l 'auto­ re, i confronti antitetici non devono produrre effetti indesiderati. Da qui il ricor­ so alla coesione speculare103 della sua microunità letteraria: così le due formula­ zioni: palai (« nei tempi antichi ») ed ep 'eschatou (« alla fine »), coordinano la cronologia della rivelazione di Dio nella continuità, mentre pronomi relativi di persona (hon, di 'ou, hos) orientano circa le relazioni fra i vari elementi del di­ scorso, onde coglierne appunto la coesione. Anche le ripetizioni contribuiscono allo scopo: l 'uso del verbo /aiein (parlare), usato per la rivelazione di Dio sia at­ traverso i profeti sia « nel Figlio », dice che è sempre Dio che comunica. Permane, tuttavia, il fatto che egli ha chiuso la rivelazione « nel Figlio ». Il letto­ re ha a disposizione un altro strumento che gli consente di cogliere la coesione della piccola unità letteraria, cioè la struttura poetica della medesima. Il paralle­ lismo (antitetico o sintetico) ne è la più evidente caratteristica, quasi una rima, da cui tuttavia differisce perché la corrispondenza fra le proposizioni è data dalle idee più che dalle assonanze ritmiche. Inoltre, la poetica di Eb l , 1 -4 conosce un linguaggio inusuale (come polymeros kai polytropos, apaugasma, charakter e anche hypostasis), che crea maggiore impatto ed enfatizza il contenuto; l 'equili­ brata lunghezza del parallelismo, la simmetria e il ritmo rendono il testo poetico esteticamente più espressivo; l ' andatura poetica permette in l , 1 -4 il raggruppa­ mento del pensiero anche in modo non logico, ad esempio secondo lo schema cir­ colare della prolessi-analessi, quasi un'ellissi, senza che la comprensione ne ri­ sulti sminuita. Anzi ! Il linguaggio poetico si pone come veicolo al potenziale 101 Il contrasto antitetico è un paragone che può avere luogo con l 'uso del comparativo e del superlativo, a favore di un soggetto superiore a tutti e perciò unico nel suo genere, o anche attraver­ so la formula « tanto più . . . quanto più » come in Eb l ,4 (tosouto kreitton . . . hoso diaphoroteron). L'uso del superlativo rende un giudizio meno bisognoso di prove. Cfr. ancora C. Perelman - L. Olbrechts Tyteca, Trattato dell 'argomentazione, pp. 255 e 259. 102 La statistica è a riguardo eloquente: Dio è ali 'opera 4 volte (e/a/esen. /a/esas. etheken, epoiesen), il Figlio lo è 1 3 volte: in tre forme nominali, in quattro forme pronominali e sei come sog­ getto. 103 Per la procedura speculare comparativa e coesiva (synkrisis) in Ebrei, cfr. C.F. Evans (The Theology of Rhetoric), su Eb 1 , 1 -4. Ebrei dimostra l ' intento di coesione ancora in 5,7- 10; 7, 1 -3; l 0. 1 9-25 e 1 2. 1 8-24.

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religioso e soprannaturale del testo, conivolge la persona nel proprio patrimonio emozionale e facilita la memorizzazione-trasmissione del messaggio. In questo suo ricercato profilo artistico, Eb l , 1 -4 propone omissioni intenzio­ nali; esse vanno spiegate in base a motivi culturali e religiosi. È il caso di ricorda­ re che ebrei e cristiani della prima ora omettevano di pronunziare il nome di Dio­ JHWH. Rispondono a questa loro tradizione le espressioni « Maestà nei cieli » (v. 3d) e « gloria >> (v. 3a): la prima, una perifrasi del nome divino, un indiretto riferi­ mento a Dio la seconda. Entrambe sono pensate per il destinatario giudeocristiano e ne rispettano le tradizioni culturali e religiose. Il fatto poi che Ebrei ometta il sa­ luto e l 'autopresentazione da parte dell 'autore 104 esprime bene il suo intento di porre Colui che rivela la parola ultima di Dio agli uomini a perno della microunità. Quel « Figlio » infatti, rivelatore della rivelazione di Dio, ne è al tempo stesso il contenuto. Lo strumento retorico delle omissioni ottiene così il suo scopo, e lo ot­ tengono anche gli strumenti figurativi della metafora e della metonimia. Così i ter­ mini « tempi antichi, padri, profeti » ( l , l ) fungono da metonimie in quanto raffi­ gurano la parte per il tutto, svolgono una funzione di sostituzione dell ' intero AT che in realtà vogliono esprimere. Parole come « figlio, erede, irradiazione, im­ pronta », sono metafore non convenzionali. Riferendo le al « Figlio », l 'autore ne infrange l 'uso corrente, convenzionale appunto, e ottiene l 'effetto desiderato: condensare l ' attenzione del suo destinatario su Gesù il Cristo. Deciso a produrre la maggiore forza di persuasione possibile, egli si avvale anche di ripetizioni105, che contribuiscono ad accrescere il fascino del testo, spingendo a cogliere le raffi­ nate distinzioni di senso in esse nascoste e da lui volute. Solo in Eb l , l ricorrono ben cinque parole che iniziano con il suono p, due prefissi avverbiali in poly e due finali in -os. Né l 'autore trascura il ritmo, mostrando di ben conoscere quanto es­ so favorisca la memorizzazione. A un destinatario giudeocristiano torna utile pro­ porre dei semitismi e degli idiomi ebraici provenienti dali ' AT e dalla versione dei LXX. Ali 'uso della preposizione en in en tois prophetais e alla sua controparte en hyiQ, al posto del dativo strumentale fa da retrofondo il corrispondente ebraico be di valore strumentale. Un semitismo retrostà a ti) rhemati tes dynameos autoiì, un chiaro genitivo costrutto ebraico106• Ancora, ep ' eschatou ton hemeron corrispon­ de a due note formulazioni con cui la LXX designa comunemente il tempo esca­ tologico del Messia107• Con l 'aggiunta di touton, Ebrei vuole dire che il tempo messianico è già arrivato. In Eb l ,4 non è da escludere un adattamento del Sal 8,57 onde migliorare la disponibilità ali 'ascolto. Dunque, semitismi e allusioni a ser­ vizio della comunicazione. E poi i preannunzi di tematiche che saranno svolte nel 104 Un caso analogo è costituito dali 'esordio della l Giovanni, in cui l 'autore fa il suo annunzio di fede omettendo autopresentazione e saluti. 105 Cfr., al riguardo, C. Perelman - L. Olbrechts Tyteca, Trattato del/ 'argomentazione, pp. 1 84- 1 85. 106 La traduzione letterale: « Nella parola della potenza di lui >> va resa: >. Ecco il contesto: il re Davide arde dal desiderio di costruire un tempio in onore del Signore-JHWH. Il profeta Natan, già consenziente, su ispirazione di Dio cambia parere, cerca di dis­ suadere il re e lo informa che è progetto di Dio costruire per la sua discendenza una casa regale e un trono regale. Poi aggiunge da parte di JHWH: « Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio >>. Aspetti dell 'oracolo di Natan, come la discendenza, il regno e il trono eter­ ni, richiamano l 'attenzione di Ebrei: egli e la Chiesa delle origini (Le 1 ,32) si ren­ dono ben conto che tali attese, secondo lo schema « promessa-compimento )), non sono ancora adempiute. Le eventuali infedeltà di questo figlio (2Sam 7, 1 4b ), il re Davide, non trattengono l 'autore dalla citazione del testo. È lo stile rabbinico mi1 5 Sul Sal 2, cfr. F.L. Hossfeld - E. Zenger, Die Psalmen, vol. 1: Psa/m 1-50, Echter-Verlag, Wiirzburg 1 993, pp. 5 1 e 53-54. 1 6 Cfr. KNTTM.SB, vol. III, pp. 675-677. 1 7 Così Mc 1 , 1 1 ; 9,7; At 1 3,33. 1 8 Il dibattito esegetico sembra prendere un nuovo e diverso orientamento: il Sal 2 non è messia­ nico, né ha a che vedere con l ' intronizzazione del re di Giuda. È invece solo un grido di Dio che sfida gli oppositori del suo unto. Dati in T.J. Willis, A Cry of Defiance. Psalm 2, in JSOT 41 ( 1 990) 33-50. Credo che la sfida consista proprio nella presentazione al mondo del re messia. Cfr. anche Eb 5,5-6. 1 9 Così il Sal 2, 1 -2, ampiamente citato in At 4,25-26. Suggerimento in F. F. Bruce, The Epistle to the Hebrews. New 1nternational Commentary on the New Testament, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) 1 990, p. 1 3 . 20 Su Eb ! ,Sa = Sal 2,7, cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 36-40. Si veda ancora P.D. Miller, The Beginning ofthe Psalter: Psalms 1-2, in J. Clinton McCann (ed.), The Shape and Shaping of the Psalter (JSOT.SS 1 59), JSOT Press, Sheffield 1 993, pp. 83-92. 21 Anche in Eb 1 ,5b l ' autore segue fedelmente la versione dei LXX, secondo i codici Alessandrino e Vaticano, fedeli a loro volta al TM.

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drashico: non ogni parte della citazione dall ' AT deve essere calzante. Da qui la selezione della medesima22• [v. 6] Aperto da otan de palin ( « e di nuovo »), il secondo confronto argo­ mentativo annunzia « l ' introduzione del primogenito nel mondo ». Non vi sono dubbi sul fatto che questa operazione, scandita dalle voci verbali eisagagé-legei (introduce-dice) abbia come soggetto « Dio »23• La voce verbale legei (« egli di­ ce ») è un presente storico e grafico: « dice » ora e una volta per sempre. Quella immissione-dono del Figlio primogenito nel mondo è un messaggio continuo, so­ stenuto da due riferimenti all ' AT, che fanno ancora discutere (Dt 32,43 e Sal 96, 7)24, e forse anche da un terzo, anch 'esso discutibile, riscontrabile in una rac­ colta di Odi posta in appendice ai Salmi nella versione dei LXX, ma attestata so­ lo a partire dai secoli IV-V nei codici Sinaitico e Vaticano della versione dei LXX, eppure probabilmente esistenti in tradizioni proprie già ali ' epoca di Ebrei25• Tutte e tre le possibili fonti della citazione al v. 6b sono a riprova del ruo­ lo subordinato degli angeli. Consideriamole da vicino. In quell 'occasione, quando ha introdotto il primogenito nel mondo, Dio ha detto, e dice ancora (/egei) : « E lo (aut(!) adorino tutti gli angeli di Dio ». Per svol­ gere questo ulteriore momento epidittico, l 'autore sceglie Dt 32,43 (LXX): « Cieli, esultate con lui e tutti i figli di Dio si prostrino davanti a lui (kai prosky­ nesatosan auto pantes hyioi theou). Nazioni, esultate con il suo popolo e tutti gli angeli di Dio proclamino la sua forza (kai enischysatosan aut(! pantes aggeloi theou) », ma potrebbe avere scelto il Sal 96,7 al quale anche si avvicina (pro­ schynésate aut(! pantes hoi aggeloi autou), con varianti dovute ali 'andamento lo­ gico e sintattico del periodo26• Ed ecco il testo: kai proskynesatosan aut(! pantes ho i aggeloi autou. Si tratta della Ode 2,43 (LXX), esattamente come in Eb l ,6b. Le tre ipotesi restano aperte: Eb 1 ,6b può avere in mente Dt 32,43 (LXX)27, in cui cieli, figli di Dio, angeli di Dio e nazioni sono chiamati a lodare Dio e a cele­ brare la sua forza. Affascinato da questa scena, Ebrei se ne avvale per dire che gli angeli rendono culto al « primogenito ». In questo caso, egli opera un midriis-peser riconoscibile proprio attraverso la sostituzione di « Dio » con « il primogenito » (ton prototokon), il Figlio. Qualora l 'autore consideri il Sal 96,7, si ha una spiegazione più contenuta, precisa e immediata. L' inclusione chiastica del v. 6b con il v. 5a sul termine « angeli » conferma che « il primogenito » del v. 6a altri non è che il Figlio dei vv. 5bc. Ebrei cioè vede in aut(! il Figlio primogenito28• Per la terza ipotesi, che 22 Analisi dettagliata in F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 40-46. 23 Cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 46-47, con documentazione. 24 Se ne occupa approfonditamente già A. Vanhoye, Situation du Christ, pp. 1 60- 1 69. 25 Cfr. ancora F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, p. 49. Per la Ode 2,43 (LXX) si veda G.L. Cockerill, Hebrews 1,6: Source and Signi.ficance, in Bul/BibRes 9 ( 1 999) 5 1 -64, qui 58. 26 Analisi dettagliata in F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 46-56. 2 7 Così F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, p. 49. G.L. Cockerill (Hebrews 1, 6: Source and Signi.ficance, in Bul/BibRes 9 [ 1 999] 5 1 -64), pur accogliendo la lettura di Dt 32,43b (LXX) in Eb l ,6, ipotizza che l 'autore abbia potuto leggere un testo greco, versione da un testo ebraico attestato in 4QDeut 32,43 . 28 Non è il primo caso in cui il NT attribuisce a Gesù brani in origine celebrativi di Dio. Si ve­ da Rm 1 0, 1 1 . 1 3 ; Fil 2, 1 0- l l .

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risolverebbe la questione in radice (Odi in appendice ai Salmi [LXX]), resta la con­ troindicazione cronologica. Al momento, l 'opzione migliore sembra essere per il Sal 96,7 sostenuta anche dalla BJ. E veniamo ai non pochi interrogativi posti dal v. 6. Un loro esame può con­ durci ad attendibili soluzioni. Il primo interrogativo è già nella formula de palin (« di nuovo », v. 6a). Si ri­ ferisce ali ' ingresso trionfale del Figlio in cielo dopo la sua risurrezione (Gesù e Cristo), cioè ali ' esaltazione alla destra della Maestà ( l ,3d)?29• In verità, quell ' in­ gresso trionfale chiude la vicenda terrena di Gesù, durante la quale Dio ha parla­ to in lui, avendolo introdotto come Figlio nell ' universo. Ebrei mostra attenzione notevole allo stadio gesuano. Si riferisce al ritorno di Cristo nella parusia? Ma nella parusia, il Cristo si muove dal mondo teleste alla terra, e non viceversa. Si riferisce ali ' evento creatore del Figlio preesistente di cui in l ,2d, come in proto­ tokos pases ktiseos di Col l , 1 5? Ma l 'argomento è troppo impegnativo per soste­ nere una comunità tanto disorientata. Si riferisce ali ' entrata del Figlio nella sto­ ria in virtù dell ' incarnazione? Un aiuto viene da Filone di Alessandria. De palin vi ricorre 1 4 volte in propo­ sizioni del tipo men . . . de, con il senso di « mentre . . . al contrario », e sempre con densa enfasi3°. Ebrei, che conosce la stessa combinazione, la ignora al v. 5b, in cui kai palin (« e di nuovo >>) non è in una proposizione del tipo men. . . de. Rispetto a Filone cioè, Ebrei usa la formula in modo non consueto. Il contributo al senso è tut­ tavia identico: Ebrei intende dire che, mentre (men, mancante al v. 5b) Dio intro­ duce il Figlio con parole che mai vennero dette agli angeli, al v. 6a « al contrario » (de) lo introduce di fatto nel mondo quale figlio, lo produce, lo fa nascere (eufemi­ smo). La seguente lettura sembra dunque da preferirsi: si tratta dell ' incarnazione, il cui vocabolario, presente in modo esplicito al v. 5, lo è anche in modo equivalente al v. 6, che resta sotto l ' influsso contestuale del v. 5a. Il secondo interrogativo (vv. 6-7) conferma. Quale il senso di « quando in­ troduce il primogenito (hotan . . . eisagé)»? (v. 6a). Ebrei vuole dire l ' incarnazio­ ne-nascita del Figlio primogenito (prototokos). Per san Giovanni Crisostomo es­ sa è presa di possesso del mondo, ha dunque una connotazione intronizzatoria3 1 • Ma perché Eh l , 6 s i serve dell ' inusitato verbo eisago (entrare) per dire l ' « intro­ duzione-nascita » del primogenito nel mondo32, al quale è dovuta l 'adorazione 29 L'ingresso del Cristo nel santuario dei cieli e della sua intronizzazione è al centro di Ebrei. Quasi tutte le occorrenze di eiserchomai si riportano all ' ingresso nel santuario celeste o nel riposo, o nei suoi « tipi » terreni (la tenda terrena, la terra promessa). La sola eccezione è in Eb l 0,5, che si riferisce all ' incarnazione. Così J.P. Meier, Symmetry and Theology in the Old Testament Citations of Heb 1, 5- 14, in Biblica 6614 ( 1 985) 508, nota 1 3 . 3° Cfr. Filone di Alessandria, Defoga l O; Quod deterius 56; Legum allegoriae l ,6 1 ; 3,253; Quis re­ rum divinarum heres sit 282; De specialibus legibus l ,295; De agricultura 120; 1 40; De Abrahamo 1 6. 3 1 Cfr. Giovanni Crisostomo, Ad Hebraeos. Homilia 3, in PG 63,27. 32 Il NT conosce infatti gennao e tikto. Paolo e Giovanni utilizzano ginomai (Rm l ,3; Gal 4,4; Fil 2, 7, Gv 1 , 14; 1 8,37); i racconti dell ' infanzia, tikto e gennao (cfr. M t 1 ,20-2 1 ; Le 2,7). Singolare spiegazione in A. V. Cernuda, La introduccion del Primogénito se,gUn Hebr l, 6, in EstBib 39 ( 1 98 1 ) l 07- 1 53 : tikto (ton prototokon) è stato preferito da Ebrei perché verbo materno, idoneo allo stesso tempo per dichiarare il concepimento verginale. Gennao, al contrario, è stato evitato per la sua pe-

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degli angeli?33• Con la trilogia « introduzione-primogenito-adorazione » l 'autore induce a pensare a una intronizzazione del Figlio in occasione del suo ingresso­ nascita nel mondo, e non della sua seconda venuta. Inoltre, pur conoscendo la maniera paolina di trasmettere questo delicato discorso, « nato da donna, nato sotto la legge » (Gal 4,4b), egli non se ne avvale, e decide invece di combinare eis­ ago con ho prototokos, guidando così la nostra lettura ali ' incarnazione del Figlio, il primogenito34• Infine, Eb 1 ,6 unisce eisago con prototokos come si lega l 'azio­ ne causante con l 'effetto conseguito, cioè, il padre con il figlio. I primi due interrogativi sembrano avere ora una risposta: il primogenito è introdotto nel mondo in occasione della sua incarnazione con connotazione di in­ tronizzazione. L' intuizione di san Giovanni Crisostomo si rivela valida. Introdotto nel mondo. Ma cosa è questo « mondo »? Terzo interrogativo. Perché Eb 1 ,6a ha scelto il termine oikoumené per desi­ gnare il dove dell ' « introduzione » del Figlio? Se esso designa il nostro mondo, il cosmo, è conferma per la tesi dell ' incarnazione, secondo anche l 0,5 : « Cristo, entrando nel mondo, dice . . . ». Eb 1 ,6 però non propone kosmos, bensì oikoume­ né in chiara affinità con 2,5: « Non agli angeli infatti egli ha assoggettato il mon­ do a venire . . . (tén oikoumenen)». Dunque, oikoumené designa al tempo stesso il mondo umano e quello futuro, ponendosi come strumento linguistico di coinci­ denza tra 2,5 e il cambio terminologico in 1 0,5. L'aporia cade, in quanto oikou­ mené di l ,6 è il kosmos di l 0,5 ed è anche l ' oikoumené hé mellousa (cfr. 2,5). Ma indaghiamo se è davvero così. In Eb l 0,5 kosmos è il luogo dove abitano gli uomini, scenario della loro sto­ ria. Il punto focale non è al v. 5a ( « entrando nel mondo » ), ma piuttosto al v. 5c (« mi hai preparato un corpo »), cioè l ' incarnazione del Figlio. In Eb l 0,5 kosmos è dunque lo scenario umano dell ' incarnazione e descrive la nuova relazione del Figlio con Dio, non fondata su « sacrifici e offerte » (v. 5b). In Eb l ,6 l ' incarnazione è descritta nel suo peculiare modo generativo; si di­ ce, eufemisticamente, come nasce un uomo fra gli uomini: « Quando introduce il primogenito nel mondo », umano, naturalmente35• E colui che è introdotto nel monculiare carica seminate; quando è usato, è a motivo de li ' ignoranza della fede materno-verginale, co­ me in Mt 2,4 a proposito dell 'indagine di Erode sul neonato. Ma un tale suggerimento mi sembra in­ dotto, non dedotto, comunque troppo oltre i testi del NT. 33 Se il NT si serve di eisagij per descrivere avvenimenti cristologici, Eb l ,6 (hapax /egome­ non) se ne avvale per un avvenimento gesuologico, base della stessa cristologia. 34 Filone usa protogonos, detto del logos , ma anche dei neonati. Ebrei non ne dipende. Se aves­ se voluto riferirsi al logos preesistente, attenendosi alla terminologia del maestro alessandrino, avrebbe dovuto usare protogonos e non prototokos. Inoltre, se il prototokos preesiste alla sua intro­ duzione nel mondo (oikoumene), come sembra richiesto dali 'abbinamento con eisagij, avremmo un argomento a favore deli ' intronizzazione celeste, a motivo anche de li ' adorazione degli angeli. Inoltre, l 'uso di eisagij in occasione del l ' ingresso di Gesù in quanto primogenito nel tempio di Gerusalemme (Le 2,23.27) potrebbe fare da parallelo a Eb l ,6a e favorire l ' ingresso del Figlio nel « tempio celeste ». Ma questa lettura, già ipotizzata sopra, ha poco seguito. 35 Che l ' eufemismo autorizzi a interpretare: « Quando introduce nel mondo » con « Attraverso il parto per eccellenza », cioè « . . . Quando introduce nel mondo colui che nasce verginalmente », cre­ do non faccia parte del pensiero de li 'autore, è però quello di A. V. Cemuda, La introduccion del Primogénito seglln Hebr 1 , 6, in EstBib 39 ( 1 98 1 ).

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do, per nascita, è il preesistente che entra nella storia, uomo fra gli uomini. È quan­ to esprimono i termini oikoumene in l ,6a e kosmos in 1 0,5 : un senso parallelo che in ambedue i casi segnala la stessa umanità, quella redenta che abita nel mondo in l ,6a e quella futura e il suo nuovo modo di essere nell 'abitazione vera in 2,5. Ecco ora la traduzione più attendibile di l ,6a: « Quando, al contrario, intro­ duce il primogenito nel mondo » (nell ' incarnazione più intronizzazione), cioè fra gli uomini, nell 'umanità: figlio e re. La forma verbale /egei (dice) pone il quarto interrogativo: Come intendere il presente /egei usato per un fatto avvenuto nel passato? Invece la citazione dal Sal 96,7 pone il quinto interrogativo: Quale il senso di un'adorazione angelica al nasci turo primogenito, dato il crudo contrasto con Eb 2,9, in cui « vediamo Gesù, che fu per poco tempo (LXX) (di poco [TM]) inferiore agli angeli, ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto »? Una comparazione tra Eb l ,6 e 2,9 dice che tra i due non vi è incompatibilità in tema d' incarnazione, in quanto obbediscono a prospettive differenti. Eh 1 ,6 enuncia lo svolgimento della nascita avvalendosi di un eufemismo già più volte notato. A lui gli angeli devono adorazione; benché nasca uomo, egli è « Figlio di Dio )) ed è creditore di un tale omaggio. Eh 2,9 riferisce in cambio l 'aspetto uma­ no di quel primogenito, chiamato al v. 9a per la prima volta per nome: Gesù. Questi, nella sua condizione umana, subisce i patimenti e l ' ignominia della morte che lo incoronano, paradossalmente, di gloria e di onore, ma lo rendono anche in­ feriore agli angeli, « abbassandolo )) rispetto a essi, sia pure « per breve tempo )). L' incarnazione del Figlio narrata in Eh 1 ,6 è invece ben diversa: essa è un avvenimento dove la condizione divina del nascituro non subisce alterazione al­ cuna. Per questo, in l ,6 l 'autore ha ben inserito l 'adorazione angelica; in 2,9 in­ vece inquadra molto bene l ' inferiorità (temporanea) di lui rispetto agli angeli, perché essi non possono soccombere a una morte come la sua. Non si può non ammirare il raffinato contrasto tra l ,6 e 2,9: esso dimostra che l 'autore ha riflet­ tuto a fondo sulla duplice prospettiva dell ' incarnazione: quella divina del preesi­ stente che fa il suo ingresso nell 'umanità (Eh l ,6) e quella umana di un Gesù pa­ ziente fino alla morte (Eh 2,9), ma anche la duplice valenza-paradosso di quella morte: lo rende per poco tempo (brachy) inferiore agli angeli, lo esalta e incoro­ na redentore e re universale al di sopra degli angeli, di tutto. La prostrazione adorante degli angeli esprime a questo punto il dovuto omaggio a colui che essi devono riconoscere superiore ( l ,6b) e avvertono che la loro superiorità su di lui è solo temporanea. E si tratta sempre dello stesso « lui )). Infine è bene osservare che quanto a storia delle tradizioni, la fonte cui Ebrei ha fatto ricorso si può riscontrare nel cantico di Mosè (Dt 32,43); è tuttavia più pro­ babile che il sostrato di fondo sia il Sal 96,7. Risolto il quinto interrogativo, un'occhiata al quarto, stilistico e retorico. Avendo usato l 'aoristo eipen in Eh 1 ,5a, l 'autore opta ora per il presente /egei in l ,6a. Evita così una ripetizione non bella dal lato stilistico e accresce il peso reto­ rico della sua argomentazione. Ponendo infatti l 'aoristo "del v. 5 di fronte al pre­ sente del v. 6, il vivace contrasto tra quei due versi, introdotto da de pa/in, resta ac­ centuato e si estende da /egei a eisagage, cioè all ' ingresso del prototokos fra gli

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uomini. L' incarnazione al v. 6a risulta così in aperto dialogo con il v. 5, in cui si ha una allusione alla generazione eterna di Gesù il Figlio. Generazione umana e ge­ nerazione eterna in dialogo. La cosa risalta ancora grazie alla perfetta antitesi grammaticale che fronteggia il perfetto gegenneka ( « Oggi ti ho generato » del v. 5b) e l ' aoristo eisagagé (« introduce » del v. 6a). Entrambi dipendono da « Dio », soggetto innominato. Questi ha introdotto nel mondo (aoristo) uno, il Figlio, che è da sempre generato e lo resta per sempre (perfetto). Ponendo in posizione specu­ lare (synkrisis) l 'aoristo e il perfetto, l 'autore ottiene il raccordo tra la generazio­ ne umana del Figlio (v. 6) e la sua permanente generazione eterna (v. 5). In forza del contrasto voluto da de palin al v. 5, Dio non si rivolge agli an­ geli, al v. 6 sì. L'aoristo eipen evoca infatti un momento del passato, la decisione di Dio di non attribuire a nessuno degli angeli il nome di « Figlio primogenito », mentre il presente /egei al v. 6 dà prospettiva ali ' evento prossimo dell ' incarna­ zione. A chi, tranne che al Figlio-uomo, Dio ha mai detto che lo ha generato, che lo genera oggi (cfr. Sal 2, 7), che sarà suo figlio senza interruzione (cfr. 2Sam 7, 14 ), e tutto in virtù di una generazione eterna, « oggi » visibile nel tempo? È ora evidente la superiorità del Figlio-uomo sugli angeli; nella sua umanità si nascon­ de la sua filiazione divina. Per l ,6a, quando arriva il momento della nascita sto­ rica del primogenito, gli angeli ricevono l 'ordine perentorio di prostrarsi davanti a lui, perché colui che nasce, è uomo, è Dio. Al v. 5 si ha l ' inizio articolato della prova della filiazione divina del primo­ genito, unica e singolare, già enunciata nell ' enfatico en hyiij del v. 2, ampliata poi al v. 3a con espressioni come « irradiazione della sua presenza (gloria) e segno vi­ sibile (impronta) della sua persona (sostanza) ». Il percorso dimostrativo della su­ periorità del Figlio sugli angeli raggiunge il suo punto finale al v. 1 3 con il pri­ mogenito assiso alla destra della Maestà, « nelle altezze » (v. 3b ), cioè del Padre. Questo risultato, di ordine quasi biografico, precisa una volta ancora il messag­ gio dei vv. 5 e 6, rispettivamente di generazione eterna (v. 5) e di generazione-in­ troduzione nel tempo (v. 6a). E le due citazioni dali ' AT: « Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio » (2Sam 7, 1 4 in Eb l ,5b ), con il senso di padre di giorno in giorno, figlio di giorno in giorno (eis patera, eis hyion), dunque storicamente, perché « io oggi ti ho generato » o « ti genero » (Sal 2,7 in Eb 2,5a), eternamente, fanno da supporto e si spiegano a vicenda. Se un interrogativo resta, esso è il seguente: Ebrei era a conoscenza che l 'uo­ mo Gesù è figlio proprio e singolare di Dio? Il ricorso al Sal 2,7 depone per una risposta positiva. Esso infatti è al tempo stesso in grado di dichiarare l ' ingresso del primogenito nel mondo e la sua intronizzazione celeste. La preziosa formula de palin resta comunque con tutto il suo peso decisionale: la generazione umana del v. 6 suggerisce di intendere il v. 5 in ordine alla generazione divina o eterna; diventa realtà storica nel tempo, nel Figlio-uomo « ora » esaltato alla destra della Maestà (v. 3d), una ben chiara superiorità sugli angeli (v. 4). È qui opportuna una comparazione tra Eb l ,5-6 e Gal 4,4b. Si tratta di pro­ spettive tra loro diverse, eppure convergenti. L' ingresso del Figlio nel mondo in Ebrei sembra seguire lo schema paolino in tre punti. Per dire l ' incarnazione, Paolo fa ricorso a un verbo estraneo al vocabolario

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della generazione (ginomai); Ebrei impiega eisago, un verbo altrettanto estraneo. Per dichiarare la concezione del Figlio, Paolo utilizza espressioni convenzionali (« Nato da donna, nato sotto la legge », Gal 4,4b ); Ebrei conferisce a prototokos il senso pe­ culiare del primogenito per antonomasia. In tema d' incarnazione, Paolo evita sempre il termine anthropos, onde non relativizzare la divinità del Figlio; Ebrei ne afferma solennemente l ' incolumità divina per mezzo dell 'adorazione angelica. Dinanzi a Gal 4,4b, formulazione di tipo discendente, Ebrei preferisce proce­ dere in modo ascendente e scopre, in colui che gli angeli devono adorare, l 'eterno primogenito Figlio di Dio introdotto nel mondo. Ebrei non spende parola alcuna per dire come questo nuovo uomo abbia cominciato a essere (Eh l ,4) il Figlio eter­ no di Dio, ma si limita ad affermarlo al v. 5 come dato storico-biografico: origine eterna (v. 5), ingresso nel mondo (v. 6a), adorazione degli angeli (v. 6b). La differente presentazione dell ' incarnazione da parte di Paolo, di Giovanni e di Ebrei è anche stilistica e letteraria. Mentre le formule paoline vanno diretta­ mente alla questione di fondo, Ebrei è più elegante, il linguaggio è scelto con più cura. Il gino mai di Gv l , 1 4 sostituito con eisago e la scelta di prototokos per esprimere la concezione unica e speciale del primogenito attestano già un vivo interesse estetico. Ma è soprattutto il ricorso ali ' omaggio angelico per proclama­ re l ' incolumità divina del Figlio-uomo a rivelare un talento letterario di primo or­ dine. Eh l ,5-6 presenta il promogenito come di fatto lo conosceva: in maniera concisa, sì, ma oltremodo magistrale36• [vv. 7-9] Articolato sull 'antitesi pros men - pros de (« mentre-invece) », il terzo confronto argomentativo si avvale del Sal 1 03 , a riprova del ruolo subordi­ nato degli angeli: « Mentre degli angeli dice . . . , del figlio invece afferma )). Nel suo insieme, il salmo descrive le forze naturali al servizio di Dio. Il v. 4 vede nei venti i messaggeri di Dio e nelle fiamme guizzanti i suoi ministri. La versione dei LXX e i rabbini37 interpretano il v. 4 nel senso degli angeli, come anche Ebrei, con lieve variante. Questi poi dice che, per quanto gli angeli servano Dio con la velocità del vento e la forza del fuoco, la loro posizione resta comunque inferio­ re al « Figlio )); l ' interpretazione è letterale. Nel Sal 1 03,4, prelevato con esattezza dalla LXX, Eh 1 ,7 vede Dio creatore al di sopra della sua creazione, ma anche presente in essa proprio attraverso i suoi « an­ geli )). La loro menzione è invece del tutto assente nel Sal 1 04,4 (TM), il quale pre­ senta due possibili versioni: « Fai i tuoi messaggeri pari ai venti e i tuoi ministri co­ me fiamma guizzante )) e « Fai dei venti i tuoi messaggeri e dellefiamme guizzanti i tuoi ministri )). In questa seconda lettura, venti e fiamme guizzanti costituirebbero un forte punto di riferimento per l 'azione di Dio, che sembra quasi dipenderne. Questa linea non è seguita dal TM né dalla versione dei LXX né da Eh 1 ,7: il cosmo e i suoi elementi visibili non sono un assoluto; TM e LXX lodano Dio, creatore e 36 Su Eb 1 ,6, cfr. l ' ampio studio di A. V. Cemuda, La introducciim del Primogénito seglln Hebr 1,6, in EstBib 39 ( 1 98 1 ) 1 07- 1 53 . 37 Cfr. Targum Sa/ 1 04,4. Si veda Esodo Rabba 25 (86•); Genesi Rabba 2 1 ( 1 4> mostra quanto nei vv. 8-9 vengano scoperte l ' apo­ teosi del Figlio e la più radicale inferiorità degli angeli, suoi concorrenti nella fe­ de della comunità. L'attribuzione del titolo « Dio » da parte del Padre al Figlio (unzione) e il conferimento del potere regale eterno (trono e scettro, vv. 8-9) non lasciano infatti dubbio alcuno sulla superiorità del « Figlio » rispetto a qualsivo­ glia creatura angelica. Quel trono che permane, anche se i re si succedono (Sal 44, 7), è promessa contenuta nel grande oracolo dinastico di 2Sam 7, 1 3 ; si ripete in I Re 9,5; il Sal 89(88),5 lo dice del trono divino. Fra tutti i legittimi pretendenti, uno solo succe­ de al re e si asside sul trono, per sempre. Il re è consacrato mediante l 'unzione, per la quale s' impiega un profumo o unguento prezioso, « di festa ». Per questo il re è chiamato l 'Unto47• Dal momento che il Messia (Christos) è l 'Unto per ec­ cellenza, il Sal 44,7-8 entra facilmente nell 'àlveo di un' interpretazione messiani­ co-cristologica tradizionale48• È il pensiero dei giudeo-etnicocristiani della prima ora, proprio grazie alla citazione di Sal 44,7-8 in Eb 1 ,8-9; né va taciuta l ' inter­ pretazione messianica del Sal 45 da parte della tradizione giudaica: Targum Sal 45,3 ss.49• Solleticano l 'attenzione alcuni richiami nel Sal 44, quale carme dedi­ cato a un re nel giorno delle sue nozze e, come tale, forse, citato in Ebrei, nonché nella testimonianza del Targum: la bellezza del re-messia lo rende un privilegia­ to di Dio di fronte a tutti i figli dell 'uomo (Targum Sa/ 45,3) fino a essere pre­ scelto per l 'unzione fra tutti i suoi compagni (Eb 1 ,9b); la grande maggioranza del materiale esposto è nella formula « io-tu » (Eb l ,8); la menzione esplicita del­ la gioia-esultanza (agalliasis, v. 9b) va al cuore di un rapporto interpersonale, tra un Dio che è padre e ama il proprio figlio, lo sceglie, fra tanti, re e messia, lo un­ ge. Il suggerimento è avvincente; e non solo50• Per Eb l ,8-9 Gesù non è semplicemente superiore agli angeli, ma con il Padre condivide la « situazione » divina (ho theos sou, v. 9), concreatore con lui del cosmo e cogestore del suo progetto di redenzione; unità essenziale in una pro­ gettualità funzionale5 1 • 4 7 Cfr. Sal 2,2; I 8,4 I e 89,39. 48 Esamina di recente, sull 'apporto cristologico del Sal 45(44),6-7 in Eb I ,8-9, H.W. Bateman, Psalm 45, 6- 7 and its Christological Contributions to Hebrews, in Trinity Journa/ 22 (200 I ) 3-2 I . Le tre espressioni scelte da Ebrei (« Il tuo trono è per sempre »; « Il tuo scettro di giustizia è scettro del tuo regno » e « Dio ti ha unto al di sopra di tutti i tuoi compagni ») esprimerebbero bene questa in­ tenzione dell 'autore. 49 Per l 'ampio testo del Targum Sa/ 45,3 ss. cfr. KNTTM.SB, vol. V, pp. 679-680. Vedi anco­ ra L. Alonso SchOkel, Salmi, Cristiandad, Madrid I 992, vol. I, pp. 732-748. 50 Questo comportamento amorevolmente privilegiato di Dio Padre nei confronti del « Figlio )) nel Sal 45(44), 7-8 è studiato da G.L. Carr, The 0/d Testament Love Songs and Their Use in the New Testament, in JevTS 24 ( 1 98 1 ) 97- I 05. Questi interpella l ' AT e vi scopre tre « canti d'amore )) così valutati pressoché unanimemente: il Cantico dei cantici; Is 5, 1 -2 e il Sal 44,6-7. Quest'ultimo è ci­ tato in Eb 1 ,8-9. La convergenza è sulla terminologia e sulle immagini. L'indagine storico-critica è approfondita. 5 1 Secondo J.H. Murray, The Translation and Significance of « ho theos » in Hebrews 1, 8-9, in Tyndale Bulletin 36 ( 1 985) I 29- 1 62, vi sarebbe « unità essenziale e subordinazione funzionale ». Posizione discutibile, e non solo per vocabolario improprio. Ilario di Poitiers osserva che il Padre unge la sua stessa Parola per immetterla nel tempo, il Cristo cioè che assume la nostra umanità.

« Figlio »: un nome più insigne di quello degli angeli Eb 1,5 - 2, 18

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[vv. 10-12] « Ancora » (kai) : così si apre al v. l Oa il quarto confronto argo­ mentativo. Articolato sul Sal l 0 1 ,26 al v. I O; sul 1 0 1 ,27a al v. I l e sul 1 0 1 ,27b.28 al v. 1 2 , esso si collega al momento argomentativo precedente rendendolo più in­ tenso, a riprova dell 'esaltazione del « Figlio >> da parte di Dio-JHWH, padre di quel Figlio re. Ebbene, l 'orante ha un cruccio che si produce in un lamento soffuso di protesta. Si impone una lettura antropologica del salmo. Anche se non esplicita­ mente, è innanzi tutto il salmista a vedere in JHWH la causa della sua sofferenza (Sal l O l ,27): I tuoi giorni sono eterni, non così i miei. La mia vita è come ombra (v. 1 2); tu invece sei per sempre (v. 1 3). Tutto passa, tu, al contrario, resti per sem­ pre (v. 28). È il tema del tempo-vita: essa passa come fumo (v. 4), priva di consi­ stenza e di durata; si secca come vegetazione (v. 1 2b), muta e invecchia come un vestito e un mantello: Tu solo resti per sempre. Ed ecco la coraggiosa operazione ermeneutica di Ebrei, che cambia il soggetto del salmo: questi, che è Dio52, è ora Gesù il Signore. Ebbene, è costui ora l 'eterno. Cieli e terra, opera delle sue mani, invecchieranno e periranno. Ma lui, il Figlio, resta, sempre lo stesso, senza fine (Eb 1 , 1 0- 1 2). Il Sal l O l ,26-28 viene usato per provare la parentela divina del Figlio. Il sal­ mi sta si rivolge a Dio che, a differenza delle cose create, resta in eterno. Seguendo la LXX, che presenta un kyrie al vocativo al v. 26 (assente nel TM), e riferito a Dio, Eb l , l O attribuisce kyrie al Figlio che è già stato esaltato in l ,2c quale cooperatore della creazione, ora Signore della medesima, un esempio di peser, con variante di peso rispetto al testo di partenza: il soggetto « Signore JHWH >> diventa il « Signore Figlio >>. « Signore >> infatti (v. 1 0) è il nome ereditato dal Figlio, una volta per sempre, accanto al nome del tutto nuovo di « Figlio >>, di cui al v. 4. Quel Signore è Figlio di Dio (in modo del tutto speciale)53• Ma è an­ che messia e re; quel titolo di Figlio infatti, dal lato socioreligioso, è imparentato con i titoli di re e messia54• Il Padre conferisce al Figlio il titolo di « Signore » e gli annunzia l 'eternità ( l , I l ). Quel titolo è in relazione alla creazione, opera anche del Figlio; la sua si­ gnoria è allora nelle possibilità creative che questi aveva sin dall ' inizio, cioè da sempre. La differenza tra il Figlio e le altre creature è rimarcata anche dal conQuesti il senso e la funzione dell ' unzione, operativa nella storia umana. Cfr. J. Doignon, L 'lncarnation: le vraie visée du Ps 45(44),8 sur l 'onction du Christ chez Hilarie de Poitiers, in RTL 23 ( 1 993) 1 27- 1 77. 52 Lo identifica come tale e ne pone in evidenza il ruolo con un acuto studio sulle frasi nomi­ nali F. Sedlmeier, Zusammengesetzte Nominalsiitze und ihre Leistungfiir Psalm CII, in VT 45 ( 1 995) 239-250. Quelle frasi permettono d'identificare il soggetto del l ' azione verbale: JHWH. È il suo com­ portamento a essere sottoposto alla lente d ' ingrandimento. Segnalo ancora R.C. Culley, Psalm 102(101): A Complaint with a Difference, in Semeia 62 ( 1 993) 1 9-35. 53 Si legga a riguardo H. Langkammer, « Den er zum Erben von allem eingesetzt hat >> (Hebr 1,2), in BZ I O ( 1 966) 273-280: oltre al nome di Figlio, questi eredita anche il nome di Signore. Ancora F. Schri:iger, Der Verfasser des Hebriierbriejès, pp. 68-69. 54 Così N. Clark, Reading the Book. 2. The Letter to the Hebrews, in ExpTim 1 08 ( 1 996) 37. Sul valore messianico del Sal 1 0 1 ,26-28 riferito in Eb 1 , 1 0, cfr. S. Motyer, The Psalm quotations of Hebrews 1 : A hermeneutic-free zone? in Tyndale Bulletin 50 ( 1 999) 3-22: il valore messianico del Sal I O ! e degli altri passi dall ' AT è dovuto all 'abilità ermeneutica dell'autore: solidamente aggan­ ciato alla fonte della sua fede, egli ne mostra il consistente potenziale evolutivo.

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fronto sul tempo: le creature periranno, mentre il creatore continuerà a essere quello di sempre. L' immagine dell 'abito (hos himation) inserita tra le due dichia­ razioni di stabilità del Figlio, illustrano bene la transitori età del creato e l 'eternità di lui creatore: « Tu rimani lo stesso e gli anni tuoi non avranno fine » (v. 1 2b), ove è già possibile ascoltare un'eco anticipata di 1 3,8. È il momento di considerare due conflittualità: in Eb l ,5 il Figlio è Cristo in occasione della sua esaltazione ( l ,5) e in 5 ,7-8 il Figlio è Gesù, il quale « duran­ te i giorni della sua carne imparò l 'adesione obbedienziale da quel che patì ». In Eb l , l 0- 1 2 il Figlio è il Signore che ha fondato cieli e terra; in 2, l O Dio stesso è colui « per il quale e dal quale sono tutte le cose ». Una cristologia in conflitto con se stessa? O non è forse meglio prendere atto che gesuologia e cristologia espri­ mono caratteristiche diverse, sia pure destinate a convergere? Se si considera l 'e­ temo progetto di Dio messo in opera nel Figlio, diventa meno difficile vedere in quel Figlio il Cristo preesistente, « divenuto » erede di tutto. Vi è continuità tra la sapienza creatrice di Dio (cui allude Eb 1 ,3) e il Figlio che le si coordina con ob­ bedienza operativa, dando contenuto visibile a quella sapienza creatrice55• Ed è anche il momento di recepire l ' impulso che proviene da sy de ho autos ei: « Tu, Signore, in principio hai fondato la terra . . . Tu rimani lo stesso, e gli an­ ni tuoi non avranno fine » (Eb l , I O. l l a. l 2b; Sal l 0 1 ,26-27a). Dunque, il Figlio è preesistente? Ebrei non tratta l 'argomento espressamente, offre tuttavia delle in­ dicazioni: per mezzo del « Figlio » Dio ha fatto « i mondi » (tous aii5nas, l , 1 -2), quello terrestre cioè e quello celeste; dunque quel Figlio è loro preesistente; egli poi è « irradiazione-splendore. (apaugasma) della sua (di Dio) gloria = presenza e impronta-riflesso (charakter) della sua sostanza = persona » ( 1 ,3): non è una co­ pia de li ' originale, ma come l 'originale è da sempre così anch'egli è da sempre. Tra il riflesso de li ' originale e l 'originale stesso, per Ebrei non si dà diversità; Dio sostiene tutto con la parola della sua potenza (ti) rhemati tes dynameos autou, l ,3), cioè con la sua potente Parola, come vuole la retrostante formulazione se­ mitica. Quella Parola è il Figlio, da sempre Parola del Padre. Egli non è soltanto mediatore nella creazione ( l ,2 ), ma ne è anche sostenitore; anzi, in lui e per mez­ zo di lui, tutte le cose « divengono », cioè evolvono. In lui si ha il centro (teologi­ co) propulsore d'ogni evoluzione. Ciò in base alle parole del Sal l 0 1 ,26-27a che Eb l , l 0- 1 1 a riferisce come pronunziate da Dio ( l ,5a) per il Figlio: questi (Signore-Kyrios) è prima dei cieli, e continuerà a essere anche dopo la loro con­ sumazione. Dunque, preesistente ed eterno. A proposito del salmo, il testo ebraico e quello greco si esprimono così : 'Eli (« mio Dio », Sal l 02,25a [TM]) e: Kyrie ( « Signore », Sal l O l ,26a [LXX]), e si tratta di Dio, Signore e creatore. Ebrei invece riferisce al « Figlio » il titolo « Signore-Kyrios » e quanto nel Sal l O l ,25-26 (LXX) ne descrive il profilo, e n­ finalizza così le espressioni originariamente teologiche in cristologiche (un 'altra delle frequenti e coraggiose operazioni ermeneutiche dell 'autore): sembrerebbe ss Il problema della cristologia conflittuale lo pone K. Schenck, Keeping his Appointment: Creation and Enthronement in Hebrews, in JSNT 66 ( 1 997) 9 1 - 1 1 7, il quale ravvede la soluzione in Eb 4, 1 2- 1 3 : il logos di cui ivi si parla è Gesù il Figlio. Ma non è così (cfr. ad locum).

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che non sia Dio il creatore, ma il Figlio. Eppure non mancano altri momenti in cui Ebrei riconosce a Dio l 'opera della creazione: in 3,4 e ancor prima in 2, l O Dio è il creatore che ha fatto tutte le cose. Queste istanze teologiche, tuttavia, non pon­ gono in forse la posizione cristologica dello scrittore, che fa invece evolvere la tradizione, protocristiana verso un quadro più maturo e completo rispetto al NT. In esso infatti sono rintracciabili due tradizioni protocristiane ben distinte l 'una dali ' altra: l ) la prima, sulla preesistenza del Kyrios Iesous Christos in l C or 2, 7; l 0,4; 2Cor 4,4; 8,9; Fil 2,6; Gv l , 1 3 ; 2) la seconda, sulla sua mediazione nella creazione in l Cor 8,6b; Col l ,5 ss. ; Gv 1 ,3 . Entrambe precedono Ebrei e sono re­ cepite da Ebrei, che le unisce in una nuova tradizione che gli è del tutto propria: il « Figlio » non è soltanto colui attraverso il quale la creazione è fatta, ma è egli stesso creatore. Egli sostiene la creazione ( l ,3a) ed è mediatore e garante di un ta­ le sostegno: egli è e resta lo stesso, i suoi anni non cesseranno mai (Eb l , 1 1 a. l 2b dal Sal l O l ,28). Quel « Figlio » poi siede alla destra di Dio ( l ,3d) e attende che tutti i nemici di lui (l ' infedeltà e la morte) siano posti sotto i suoi piedi ( 1 , 1 3). Quando questo accadrà, sarà il compimento. Al momento, infatti, « non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa » (2,8b ). Eppure, una cosa è certa: « Gesù Cristo (è) ieri e oggi lo stesso e per sempre » (Eh 1 3 ,8). [v. 13] Quinto confronto argomentativo. Con una domanda retorica, l 'auto­ re riassume magistralmente tutto il confronto tra il Figlio e gli angeli: « A quale degli angeli »? L' interrogativo (pros tina) è in inclusione con il v. 5 (tini), a ri­ prova de li 'unico blocco letterario di l ,5- 1 4 in cinque confronti argomentativi. Quest'ultimo si avvale del Sal 1 09, l ab, che ricorre anche in Eh 1 0, 1 2- 1 3 . L' interpretazione escatologica del v. l a (« . . . Siedi alla mia destra ») non è so­ stenuta dalla formula in sé e per sé. Più efficace il ricorso ali 'eloquenza di un mo­ numento millenario: il tempio di Abu Simbel. lvi Ramses II è seduto alla destra di tre divinità: Re, Amun e Ptah. Ciò può spiegare l 'espressione del Sal l 09, l : « . . . Siedi alla mia destra ». La versione dei LXX rifletterebbe così la cerimonia d' intronizzazione, mitologizzazione e divinizzazione del re, usuale presso gli egizi in epoca ellenistica56• Le attese escatologiche e apocalittiche sarebbero un ulteriore sviluppo interpretativo57• Ultima citazione del Sal l 09, l b. Vi si descrive il ruolo di un re-figlio che JHWH stesso ha generato e reso vincitore sui suoi oppositori, stando al valore simbolico molto espressivo del porre sotto i piedi. Si tratta forse di un re di Gerusalemme, in occasione della sua intronizzazione. E siccome al v. 4 quel re è anche sacerdote sommo, i più pensano si tratti di Davide succeduto al suo predecessore gebuseo nelle due cariche, ora signore e sommo sacerdote in Sion58• In epoca precristiana si vede in esso l ' intronizzazione del re messia; così i rabbini59• In epoca protocristia­ na, stando a Mc 1 2,35-37, quel re messia è Gesù il Cristo. 56 Il condizionale resta d' obbligo. Il richiamo è di J. Swetnam, Hebrews 1,5-14: A New Look, in Melita Theo/ogica 5 1 (2000) 55. 57 Apporto di M. Gorg, (( Thronen zur Rechten Gottes ». Zur altiigyptischen Wurzel einer Bekenntnisformel, in BN 8 1 ( 1 996) 72-8 1 . 5 8 Cfr. 2Sam 6, 1 3 . 1 7- 1 8; 24,25; l Re 3 , 1 5 . 59 Testi in KNTTM.SB, vol. IV, pp. 452-453 .

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Le formule: « Alla mia destra )) (utilizzata già in l ,3d per dire l 'esaltazione del Figlio e il suo grande onore, cfr. ancora l O, 1 2- 1 3) e: « Porrò i tuoi nemici sot­ to i tuoi piedi )) esprimono simbolismo regale e sottomissione, e descrivono una dignità nuova. Non gli angeli sono stati esaltati alla destra di Dio60, ma quel « mio Figlio )) ( l ,5), ora rivestito dell 'onore di re messia, poi della dignità di sommo sa­ cerdote (Sal l 09,4). Con la settima citazione dali ' AT: « Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi )) (Sal l 09, l ), Eb l , 1 3 dà contenuto al quin­ to momento argomentativo. Esso pone un interrogativo retorico su quanto gli an­ geli non sono (v. 1 3) e conferma il loro stato di sudditanza (v. 1 4). Essi non sie­ deranno mai alla destra del Padre, né mai sarà posto nemico alcuno sotto i loro piedi. Il salmo è infatti messianico e punta su ben altro personaggio, su uno che esercita il potere divino e la cui prossimità con Dio lo identifica bene: è il Figlio, il Signore, Gesù il Cristo. Dal messaggio dei cinque momenti argomentativi, quasi cinque scene, si ri­ cava che informazioni sugli angeli si possono avere solo per via negativa (apofa­ tica), attraverso il confronto con il Figlio: appartiene ai primi ciò che non è del se­ condo. L' intronizzazione ha dato al Figlio un privilegio, per cui gli angeli devono adorarlo. Da lui offuscata, la loro dignità è di semplici servitori, quasi elementi coreografici della manifestazione divina. Se egli soltanto ha potuto accedere alle realtà divine, vietate alle mediazioni angeliche, è logico che la sua parola sia più accreditata rispetto a quella degli spiriti celesti codificata in legge. La comunità aderisca con più impegno alla parola ricevuta « negli ultimi tempi )), anch'essa superiore alla legge antica. Mediata dagli angeli, quest'ultima resta valida (Eb l , 14; Dt 32,34; At 7 ,38), ma inferiore alla parola nuova, la quale conferma la leg­ ge (Rm 3,3 1 ). In Eh l , l -4 e in l ,5- 1 4 sono presenti simmetrie numerico-teologiche, messe in luce dall ' impiego dell ' AT in Eh l , 1 - 1 4, una vera catena di citazioni per commen­ to. La parola gancio « nel Figlio (en hyi(!) )) al v. 2a è il punto fermo da cui parte l ' i­ dentificazione di ben sette attribuzioni a quel Figlio in l ,2a-3d così articolate: Nel figlio (en hyi(!, v. 2a): l ) che (hon, v. 2b) 2) per mezzo del quale (di 'hoù, v. 2c) 3) il quale (hos), essendo (on, v. 3a) 4) e (essendo, v. 3a') 5) (e - asindeto) sostenendo (pheron te, v. 3b) 6) (e - asindeto) avendo compiuto (poiesamenos, v. 3c) 7) si è assiso (ekathisen, v. 3d) essendo diventato così (genomenos, v. 4a) ha ereditato per sempre (kekleronomeken, v. 4b).

60 Si veda utilmente T. Booij, Psalm CX: (( Rule in the midst ofyour foes », in VT 41 ( 1 99 1 ) 396-407, e più di recente T. Lorenzin, I Salmi, pp. 428-429.

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La complessa affermazione introdotta da « essendo diventato (v. 4a) - ha ere­ ditato per sempre (v. 4b) », non compresa nel settenario, dà comunque un appor­ to decisivo al profilo del Figlio: la superiorità sugli angeli e l 'eccellenza del no­ me ereditato sono sue qualità in forza della synkrisis, strumento retorico caro ali ' autore, che pensa così in forma comparativa e unitaria. Il settenario individuato in Eb l ,2b-3 è ben fondato. E lo è anche quello in Eb l ,5- 1 4, sostenuto da sette riferimenti ali ' AT attualizzati nel NP1 • Eccone il prospetto, con successiva attenzione al contenuto: 1 ,5a 1 ,5b 1 ,6 1 ,7

Sal 2,7 2Sam 7, 14 Dt 32,43 + Sal 96,7 Sal l 03,4

1 ,8-9

Sal 44,7-8

1 , 1 0- 1 1

Sal 1 0 1 ,26-28

1,13

Sal l 09, 1

Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Lo adorino tutti gli angeli di Dio. Egli fa i suoi angeli pari a venti e i suoi ministri come fiamma di fuoco. Il tuo trono, Dio, sta in eterno, scettro giusto è lo scettro del tuo regno; hai amato la giustizia e odiato l ' iniquità, perciò ti unse Dio, il tuo Dio, con olio di esultanza più dei tuoi compagni. Tu, Signore, da principio hai fondato la terra e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito. Come un mantello li avvolgerai, come un abito e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e gli anni tuoi non avranno fine. Siedi alla mia destra, fmché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi62•

Le prime due citazioni sono legate al v. 4 da gar: Dio parlerebbe al Figlio immediatamente dopo l ' esaltazione63• In verità, « oggi » è molto più il giorno del­ la presentazione-intronizzazione del Figlio nell ' incarnazione ( l ,6). Il Sal 2, 7 è inteso in termini di esaltazione; così anche 2Sam 7, 1 4 in Eb 1 ,7b e ancora in 5,56, dove Dio si rivolge al Figlio con le parole del Sal 2,7 (Eb 1 ,5) e a lui, sommo sacerdote, con l 'ausilio del Sal l 09,4 (Eb l ,6), in entrambi i momenti ali ' atto del­ la sua morte-esaltazione (Eb l , 7). La synkrisis è densa: dali ' intronizzazione re6 1 Siamo alla storia degli effetti del testo (Wirkungsgeschichte). Cfr. Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pp. 49-50: dali ' AT al NT, alla crescita del te­ sto, fenomeno ermeneutico frequente in Ebrei. 62 Cfr. J.P. Meier, Symmetry and Theology in the 0/d Testament Citations of Heb 1,5-14, in Biblica 6614 ( 1 985) 503-533. Sulla catena come tale, già R. Koops, Chains ofContrasts in Hebrews l, in BT 32 ( 1 982) 220-225. Ma più che di contrasti, si tratta di raffronti. 63 Parere non sostenuto da chi vede l ' intronizzazione del Figlio al v. 3d: « Si è assiso alla de­ stra della Maestà n eli ' alto )). Ma cfr. supra Eh l ,6.

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gale e messianica del Figlio nell ' incarnazione ali ' esaltazione regale e messiani­ ca di lui, sommo sacerdote, nell 'espiazione redentiva. In questo movimento, il v. 4, pur non appartenendo al settenario, trova la sua giusta collocazione nella in­ tentio auctoris. Nella terza citazione (Eb 1 ,6 e Dt 32,43 [LXX] + Sal 96,7) Dio comanda a tutti gli angeli di adorare lui. Tale comando va eseguito in occasione dell ' intro­ duzione del primogenito nel mondo. L'autore si muove dalla preesistenza alla na­ tività, ali ' esaltazione e alla parusia. Al fine di ben orientarsi nel suo pensiero, un aiuto gli viene dal termine oikoumene (mondo). Più che solo il mondo empirico, visibile, abitato, esso indica il mondo « vero », quello ove vive la santa assemblea ( 1 2,22-24 ); essa è l ' oikoumene presente nella storia, ma pellegrinante verso la pienezza, il cui compiersi deve ancora venire. Per contrasto, quando parla del mondo creato, Ebrei usa kosmos e non oikoumene ( 1 0,5). Se quindi oikoumene indica « la nostra assemblea » (Eb l 0,25a) in cammino verso l 'assemblea celeste ( 1 2,22-24), a che cosa pensa Ebrei quando scrive: « E di nuovo, quando introduce il promogenito nell 'universo, dice . . . »? Alla parusia? Ali ' evento creatore del Figlio preesistente, di cui in l ,2d? Ali ' esaltazione alla de­ stra della Maestà ( l ,3d)? Alla natività? La questione, già risolta sopra (cfr. l ,6), diventa più comprensibile se ci si riferisce allo schema « discesa-ascesa >> : il Figlio preesistente lascia il mo ndo celeste (oikoumene) per un certo periodo; en­ tra nel mondo visibile (kosmos, 1 0,5) con la sua incarnazione; è per breve tempo « abbassato » rispetto agli angeli (2,9) e, mediante la sua morte ed esaltazione, rientra nel mondo celeste64• Prototokos continuerebbe così il motivo dell ' intro­ nizzazione davidica delle prime due citazioni con allusione al Sal 88,28: « E io farò di lui il primogenito (prototokon), il più alto rispetto ai re della terra », raffor­ zando anche l 'allusione al Sal 2,8 in Eh l ,2b, e al Sal 96,7. Il messaggio di Eb l ,6 è più trasparente: quando Dio introduce il Figlio in­ carnato, ora crocifisso ed esaltato, nella sala del trono nel regno dei cieli e lo fa sedere alla sua destra, ordina a tutti i suoi angeli di adorarlo. Anzi, « agli angeli tutti (pantes) », perché il Figlio è « superiore agli angeli (kreitton aggelon) » ( 1 ,4a), senza eccezione alcuna. È quanto chiede la posizione enfatica di pantes. Essi poi (i suoi angeli), quarta citazione, sono « come spiriti-venti e i suoi ministri [gli angeli] come fiamme di fuoco » (Eb 1 ,7; Sal l 03 ,4). Le due immagi­ ni descrivono bene la struttura rarefatta-spirituale degli angeli e la loro rapidità nel portare a termine le commissioni loro affidate. Si osservi la speculazione giu­ daica sull 'attività divina nei confronti degli angeli: Dio crea ogni spirito (o ven64 Diversamente dal già citato A.V. Cemuda (La introducciém del Primogénito segim Hebr 1 , 6, in EstBib 39 [ 1 98 1 ]), il quale lega de. . . palin di Eb I ,6 ali ' ingresso del « Figlio » nel mondo in oc­ casione de li ' incarnazione, J.P. Meier (Symmetry and Theology in the Old Testament Citations of Heb 1,5-14, in Biblica 6614 [ 1 985]) pensa che la funzione di palin sia quella di congiungere le varie citazioni della catena allo stesso modo di de: (palin al v. 5, men . . . de ai vv. 7-8, kai al v. I O e de al v. 1 3). In tal modo, si rafforzerebbe l ' ipotesi che anche Eb l ,6a sia da riferire ali 'esaltazione. Tuttavia, in base ali 'analisi di de. . . palin offerta in l ,6, su retrofondo filoniano, è più attendibile ritenere che la formuletta presieda l ' intero movimento dello schema (( discesa-ascesa » sopra riferito nella sua ar­ ticolazione.

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to, rU0f)), tutti gli spiriti (n1f)6t) per la sua gloria, « prima che essi diventino ange­ li (di santità) e spiriti (n1f)6t) di eternità » (l QH l ,9- 1 1 , inno di ringraziamento); in contesto di preghiera a Dio creatore, si legge che, al comando di Dio, gli an­ geli « sono cambiati in vento e fuoco >> (2Esdra 8,22); « Ogni giorno angeli mi­ nistranti sono creati dalla corrente fiammeggiante [del trono di Dio] . . . >> (b. Chagiga 1 4a) e « Dio ci cambia [gli angeli] attimo per attimo . . . qualche volta egli ci rende fuoco, e qualche volta vento . . . » ( Yalkut Shim 'on i 2, 1 1 ,3 )65• Eb l , 7 riafferma la subordinazione degli angeli al loro Creatore e la loro mu­ tabilità. Anzi, non solo Dio il Padre, ma anche il « Figlio » « crea » gli angeli co­ me fuoco e come vento66• Coraggiosa operazione ermeneutica: 1 ,5- 1 4 attribuisce al Figlio quanto in AT è detto di Dio-JHWH. La quarta citazione va dunque al di là delle prime tre: afferma la superiorità del Figlio intronizzato al di sopra degli an­ geli oranti; quel Figlio non soggetto a mutamento, anzi è egli stesso il creatore continuo (ho poion) degli angeli, soggetti a cambiamento. La preposizione pros che introduce la quinta citazione in Eb l ,8-9 è intesa nel senso « di/del, riguardo a », dunque: « Del Figlio dice . . . ». Il Sal 44,6-7 pone una que­ stione di lettura della prima linea della citazione in Eb l ,8: « Il tuo trono, o Dio67, (è/resta) per sempre (in eterno) », dal momento che il Figlio è considerato « Dio ». Un uso di theos per il Figlio non sorprende dopo le dichiarazioni circa la preesistenza eterna, la creazione, la conservazione della creazione in 1 ,2b-3b. Se si accetta ho theos come vocativo indirizzato al Figlio, il riferimento al trono eterno simboleggia non soltanto l 'esaltazione dopo la morte di Gesù il Figlio, il Cristo, ma anche e so­ prattutto il ruolo eterno che il Figlio preesistente ha esercitato da tutta l 'eternità68• Ed eccoci, una volta ancora, dinanzi al problema dell ' interpretazione gesuo­ logico-cristologica dell ' AT. È l ' « olio di esultanza » un riferimento specifico al­ l 'unzione del Cristo (echrisen) come re e sacerdote, avvenuta nel momento della sua esaltazione? O si tratta di un riferimento generale ali 'unzione che avviene neli ' eternità, simbolo della felicità eterna (« Unto con olio di esultanza più dei tuoi compagni »)? Il dubbio sorge perché Ebrei non descrive l ' esaltazione-intro­ nizzazione in termini di unzione e omette così un elemento de li '« ordinazione » sacerdotale. Probabilmente l 'assenza del vocabolario dell 'unzione indica che echrisen, in questa citazione, non ha un ruolo preciso nella mente di Ebrei. Oppure sì, e in ordine al suo « ingresso-incarnazione » nel mondo ( l ,6)69, quale 65 Il testo di Ebrei mostra di conoscere queste tradizioni antiche, che danno quasi corpo agli an­ geli avvalendosi di elementi naturali, come il vento e il fuoco. 66 Eb l ,2c utilizza il verbo poiea per indicare la mediazione del Figlio nella creazione; Eb l , 7b usa lo stesso verbo (ho poiOn); aiOnas comprende quindi anche gli angeli. 67 Ma ci si attenderebbe il vocativo thee. Esso però nel NT è presente solo in Mt 27,46 ed è ra­ ro presso la LXX; Mc 1 5,34 è il parallelo di Mt 27,46 e propone ho theos mou invece di thee. Altrove nel NT ho theos è usato anche come vocativo. Dovrebbe essere il caso di Eb 1 ,8 con la lettura sou (tuo) attestata dalla maggioranza dei codici, e non autou (suo), autorevolmente proposto dai codici IW', Sinaitico e Vaticano. 68 A. Vanhoye (Situation du Christ, pp. 1 86- 1 88) vede negli aoristi egapésas ed emisésas (Eb 1 ,9a) un riferimento alla vita del Figlio sulla terra e ai suoi combattimenti. Annotazione gesuologica di rilievo. 69 A favore dell 'unzione al momento dell 'esaltazione sono C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. Il: Commentaire; B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, Macmillan, London 200 1 (riproduzione

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Cristo-messia? Lo suggerisce il peso messianico del Sal 44 già in epoca rabbini­ co-targumica (secolo I d.C.)1°. Un riferimento preciso è invece rintracciabile in para tous metochous ( « a preferenza dei tuoi compagni », Eb 1 ,9c). Siccome il contesto enfatizza la supe­ riorità del Figlio sugli angeli, è di essi che qui si tratta, mentre tutti gli altri usi di metochos sono riferiti ai credenti. È quindi il contesto che determina il senso: me­ tochous è riferito agli angeli che circondano il loro re. Ne consegue che « più dei tuoi compagni » propone un senso esclusivo, non comparativo: il Figlio è unto, gli angeli non lo sono. Ciò che era implicito in proskynesatosan (« lo adorino >>, v. 6) diviene chiaro in ho theos (v. 8): gli angeli adorano il Figlio loro creatore, perché egli è eterno Dio7 1 • La sesta citazione (Sal I O l ,26-28 i n E b l , l 0- 1 1 ) amplia l o status divino del Figlio (cfr. 1 ,2-3) e contrappone alla mutabilità e finitudine delle creature l ' im­ mutabilità di Dio e l ' infinita sua grandezza. Questo pensiero, già implicito in l , 7, è ora proclamato. Ogni esplicito riferimento agli angeli è evitato, ma essi sono implicitamente presenti nel pantes del v. 1 1 72• Ebrei applica le parole del Sal l O l ,26-28 al Figlio, e lo considera Kyrie (Signore). Attivo fin da principio (kat 'archas)73, tutte le creature derivano da lui, il preesistente. Anche se Ebrei procede seguendo le parole del salmo, non si rilevano in l , 1 0- 1 1 riferimenti all 'atto creativo di Dio Padre attraverso il Figlio, come in l ,2c. Il Figlio è l 'operatore capo della creazione, e ne è anche il conservatore ( l ,3b ). La distanza qualitativamente infinita tra Creatore e creatura è esposta in Eb l , I l a: « Essi periranno, ma tu rimani » 74; la creazione è soggetta a cambiamenti e a dissoluzioni, « ma tu rimani lo stesso » 75• La linea finale della citazione ( l , 1 2d) è un richiamo a l , l Oa: dali ' inizio della creazione sino alla fine di essa, dalla protologia all 'escatologia, il Figlio creatore è presente, attivo e sempre lo stesso. meccanica Macmillan, New York 1 903); P.E. Hughes, A Commentary on the Epistle to the Hebrews, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) 1 987. A. Vanhoye (Situation du Christ, Hébr l et 2) considera l 'unzione in correlazione alla perfezione del Cristo; lo scettro in Eh l ,8 sarebbe un riferimento alla croce. J. Bonsirven (Saint Pau/: Épitre aux Hébreux [VSal 1 2], Beauchesne, Paris 1 943) scopre in­ vece nell 'unzione il segno della generazione eterna del Figlio, divenuta visibile nel suo « ingresso-in­ carnazione » nel mondo. È anche il mio parere. Cfr. qui il commento a Eh l ,6. 7° Cfr. Targum Neofiti I su Gn 49, 1 0- 1 1 ; Testamento di Giuda 24, 1 -3 ; b. Sabbat 63a. Cfr. R. Rubinkiewicz, Mc 15,34 et Hbr 1,8-9 à la lumière de la tradition targumique, in AnnalesThCan 25 ( 1 978) 59-67. 7 1 Così già H. Montefiore, A Commentary on the Epist/e to the Hebrews, p. 47: « Qui il verset­ to [del Salmo] è usato per mostrare che la superiorità del Figlio sugli angeli è dovuta alla sua natura divina », resa chiara dali 'unzione regale da parte di Dio. La traduzione è mia. 72 Il kai che apre Eh 1 , 1 0 indica infatti continuazione del confronto già rilevato ai vv. 7a e 8a. 73 Reminiscenza di Gv l , l : en arche, forse anche di Gn l , l . 74 Come è noto, i manoscritti greci non riportano accento alcuno. Si può dunque considerare diameneis sia al presente (diaméneis) sia al futuro (diamenéis). Il presente è contestualmente da pre­ ferire. Si configura così un interessante movimento dal passato (preesistenza e creazione; kat 'ar­ chas . . . ethemeliruas) al presente (diaméneis . . . ho autos ei) e al futuro eterno (ta ete sou ouk eklei­ psousin) . 75 Si osservi il confronto possibile tra Eh 1 , 1 2c e 1 3 ,8: in entrambi vi è ho autos, ma in 1 3,8 è riferito espressamente a Cristo, « ieri e oggi lo stesso e per sempre ». Anche qui attraverso un'ope­ razione ermeneutica (né questa è l 'unica) operata dali 'autore.

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I l ciclo della storia della creazione, sulla quale il Figlio presiede in un eter­ no presente (ho autos ei), è espresso nel movimento che va dali 'aoristo etheme­ liosas (« hai fondato ») al presente eisin, ai futuri apolountai (« periranno », v. I l ) e allagesontai (« muteranno », v. 1 2b). Questo è il più attendibile senso dei vv. l 0- 1 2, e molto meno un riferimento agli eventi apocalittici degli ultimi giorni . La settima citazione, in Eb l , 1 3bc, chiude il settenario: avviato con la nomi­ na ufficiale di Gesù {2,9a) a Figlio nel momento della sua incarnazione-introniz­ zazione (Sal 2, 7 in l ,5b ), esso si chiude con l ' intronizzazione-esaltazione del Figlio (Sal 1 09, 1 in l , l 3bc)76• Entrambe le citazioni, fra l ' altro, sono introdotte dalla formula retorica: « A quale degli angeli Dio ha mai detto . . . ? >>. Il Sal l 09, l è il punto di partenza di tutta la riflessione teologica di Ebrei. Connettendone i vv. l e 4, si ottiene il « punto capitale » {8, l ) dell 'autore: il Figlio esaltato (Sal l 09, l ) è sommo sacerdote eterno, secondo l 'ordinamento di Melchisedek (Sal 1 09,4). « . . . Finché non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi » (Eb 1 , 1 3b; Sal 1 09, l ). Ma chi sono questi « nemici »? Non potendo essere gli angeli, lo sguardo critico si è posato sul diavolo e sul suo potere sugli uomini per mezzo della mor­ te (cfr. 2, 1 4- 1 5), sugli apostati cristiani (cfr. 6,4-6; l 0,26-3 1 ), sui persecutori del­ la fede ( 1 0,32-39; 1 1 ,3 5-3 8; 1 2, 1 - 1 2). Va preferita una lettura globale. Citato in Eb 1 0, 1 3 (e già in 1 , 1 3), il Sal 1 09, 1 è un oracolo profetico tipologico pronun­ ziato da Davide per il suo « signore » Salomone, in occasione dell 'ascesa di que­ st'ultimo al trono nel 97 1 a.C. Ebrei e il NT lo applicano al Figlio, messia re da­ vidico e « Signore »77; ultimo, eppure unico78• [v. 14] L'autore conclude la sua expositio catechetico-epidittica e risponde alla domanda retorica posta al v. 1 3 sul vero ministero degli angeli. Le sette cita­ zioni dali ' AT in Eb l ,5- 1 3 hanno tutte lo scopo di provare il diritto di Gesù di go­ vernare il percorso (della storia) verso la « salvezza » (soteria, v. 1 4b) cosmica. Il procedimento è enfatico e pleonastico: per una volta ancora, ma è l 'ultima, il v. 1 4a torna a dire che il Figlio, re celeste intronizzato, è superiore agli angeli. Da questa intronizzazione deriva che tutti gli angeli, come ministri (leitourgika, ri­ chiamo a leitourgous del v. 7 c), sono inviati per servire i credenti cristiani, « co­ loro che devono ereditare la salvezza » (v. 1 4b)19• Qui è la loro dignità. Nessun 76 La settima citazione è l 'unica a non avere un titolo menzionato nella formula introduttiva o nel testo dell ' AT. Sia l ' inclusione con Eb l ,5 (che si rivolge al titolo « Figlio ») sia le parole iniziali del noto Sal l 09, 1 esprimono con chiarezza che il soggetto è il « Figlio e signore » di cui si è parla­ to nelle precedenti citazioni. 77 Cfr. H. W. Bateman, Psalm 1 1 0, 1 and the New Testament, in BS 149 ( 1 992) 438-453; T. Booij, Psalm CX « Rule in the midst ofyourfoes », in VT 41 ( 1 99 1 ) 396-407. 78 Analisi letteraria e analogia della fede sono due produttivi momenti ermeneutici. Assiso al­ la destra del maiestatico trono di Dio, il Messia non ha ancora assunto il trono di Davide; il suo mi­ nistero di sommo sacerdote celeste continua; e continua anche sulla terra attraverso il sacerdozio ec­ clesiale (ministeriale e dei cristiani), sotto la guida dello Spirito; essi contribuiscono a che il Messia si appropri sempre più del trono che gli compete, combattendone i nemici: perseguono la giustizia, la pace, la liberazione dal male e, se del caso, anche la trasformazione della realtà politica: « oggi >>, verso il « non ancora ». Cfr. E.J. Elliott, Hermeneutica/ Principies and Psalm 1 1 0 (109), in BS 1 49 ( 1992) 428-437. 79 Si noti l ' impasto tematico-redazionale di kleronomein (ereditare), che riçhiama kleronomon (l 'erede) di 1 ,2b, il quale « ha ereditato una volta per sempre » (kekleronomeken) al v. 4 e ha reso i suoi « coeredi ».

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accenno alle modalità del loro servizio. Forse accompagnamento e protezione? È quanto la tradizione cristiana ha saputo al meglio sviluppare. Se consideriamo l 'aggettivo leitourgikos più da vicino, esso ha una valore esclusivamente cultuale nella versione dei LXX: Es 39, 1 3 ; Nm 4, 1 2.26; 7,5. Ciò rassicura che con leitourgoi (servi) Ebrei potrebbe alludere agli angeli, ministri del culto celeste. Quale sia il contenuto del loro culto, l 'autore non lo dice. Grazie a l Clemente 34,5-6 (cfr. Dn 7, l O, secondo la versione di Teodozione ), essi can­ tano innanzi tutto il trisagio: « Santo, santo, santo >> (Is 6,3)80• Gli angeli non godono di un'autorità indipendente, né sono operatori di sal­ vezza. Mai nessuno di essi è stato rivestito di tanto ministero (vv. 5 . 1 3) ; il « Figlio », sì8 1 • Compresa alla luce dell ' AT, salvezza è liberazione dai nemici di JHWH. I destinatari si sappiano compagni del re che verrà, vittoriosi con lui, lato­ re della fase finale della salvezza, dono del Padre nel Figlio-re. Da qui l 'unita­ rietà tra Eb 1 , 1 -4 e 1 ,5- 1 4. Trascurare questo dono escatologico porterebbe a ri­ cadere in quella disciplina punitiva già sperimentata sotto l 'antica alleanza82• Il v. 14b riassume bene il percorso di Ebrei: ciò che il Figlio già è, grazie alla sua incarnazione-esaltazione (escatologia realizzata), i credenti lo dovranno dive­ nire al compiersi del loro pellegrinaggio terreno (ecclesiologia) verso la patria eter­ na (escatologia futura), nel « suo » riposo, nel compimento escatologico. L'anello chiude là dove si era aperto. Una ben riuscita dialettica tra prolessi-analessi-proles­ si mette in luce una simmetria quasi perfetta tra il movimento delle sette designa­ zioni cristologiche in Eb 1 ,2b-3 e quello delle sette citazioni dall 'AT in Eb 1 ,5- 1 3 : dali 'intronizzazione-incarnazione del Figlio ( l ,2b; l ,5-6) ali ' indietro verso la crea­ zione ( l ,2c; l , 7), ancora più indietro, verso la preesistenza e il dominio eterno del Figlio ( l ,3a; l ,8bc ); poi di nuovo verso la creazione, nella quale il Figlio ha fun­ zioni di governo e guida del creato ( 1 ,3b; 1 , 1 0- 1 2); di nuovo ali ' indietro verso l 'e­ saltazione-intronizzazione messianico-regale (l ,3d; l , 1 3), fino al momento finale in cui lo status del Cristo esaltato appare in tutta la sua superiorità rispetto a quello degli angeli, di qualità del tutto inferiore ( l ,4; l , 1 4). I due « cicli di sette » assurgo­ no a strumento ermeneutico e fondono insieme AT e NT, struttura letteraria e pen­ siero gesuologico-cristologico. Ma perché mai l 'autore forma un settenario per dimostrare che il Figlio è superio­ re agli angeli? Vuole forse ridimensionare un'esagerata venerazione angelica, di cui è traccia in Col 2, 1 8- 1 9? O come sostenuta nella speculazione teologica del mar Morto?83 • 8° Cfr. M. Carrer, Der Briefan die Hebriier. Kapitel 1, 1-5, 1 O, Giitersloher Verlag - Haus Mohn, Giitersloh-Wiirzburg 2002, p. 1 37. 8 1 Per la superiorità del Figlio sugli angeli, rimando anche a Eb 2, 1 6. 82 Il tono escatologico di Eb 1 ,5- 1 4 (con risoluzione nella parenesi di 2, 1 -4) è richiamato con articolata elaborazione da T.K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews: The Eschatological Salvation of Hebrews 1, 5-2, 5, in BS 145 ( 1 988) 83-97, e, con riferimento alle altre quattro sezioni parenetiche di Ebrei (3,7 - 4, 1 3; 6,4- 1 2 ; l 0,26-39; 1 2,25-29), da S.O. Toussaint, The Eschatology of the Warning Passages in the Book ofHebrews, in GraceTJ 3 ( 1 982) 67-80. 83 È il caso di Il QMelch. I giudeocristiani, ai quali l 'autore scrive, erano stati forse influenza­ ti da insegnamenti simili a quelli della « setta del mar Morto », secondo i quali entrambi i messia sa­ rebbero stati subordinati ali ' arcangelo Michele. Da qui la necessità avvertita da Ebrei di « dimostra­ re la supremazia del Cristo al di sopra degli spiriti angelici )).

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O nel giudaismo ellenistico?84• O intende polemizzare contro l ' idea di più media­ tori con funzioni interscambiabili, rintracciabile nel medioplatonismo e in Filone?85• O potrebbe Ebrei avere innanzi agli occhi quasi una scena d' intronizza­ zione regale, con la corte degli angeli e rintracciare così nella catena di Eb l ,5- 1 4 i tre stadi della iniziazione rituale a l trono nella corte egizia?86• Quest'ultima ipotesi è di certo eccessiva. Anche se le altre non possono esse­ re categoricamente negate (ad esempio, la polemica contro le idee sincretistiche o gnostiche circa gli angeli e le loro funzioni sacerdotali)87, l ' ipotesi più probabile va cercata nella logica interna degli argomenti del « trattato )). La superiorità del Figlio evolve infatti nella prima esortazione, in Eb 2, 1 -4: argomentando a fortiori (qal wii/:lomer), l 'autore riflette sul fatto che se la rivelazione mosaica, mediata da­ gli angeli (Dt 32,43 [LXX]), ha per i suoi trasgressori una terribile sanzione, quan­ to più terribile sarà la punizione per coloro che negano la rivelazione definitiva e la salvezza nel Figlio. Se scopo di Eb 1 , 1 - 1 4 è affermare che il Figlio è il supremo rivelatore, migliore degli angeli88, a partire da 2, 1 -4 egli è anche il contenuto stes­ so della rivelazione. Siamo alla prima paràclesi epidittica. [2,1 ] Breve esordio paracletico. Dia touto (« proprio per questo ))) è formula di aggancio; indica che Eb l ,5- 1 4 fa da base ali ' esortazione argomentativa di 2, 1 4, dove 2 , l è paràclesi e 2,2-4 è serrata argomentazione. Se il « Figlio )) è supe­ riore agli angeli, la parola di salvezza da lui annunziata è superiore alla legge da essi portata. E se ogni trasgressione a quest'ultima era punita giustamente e non arbitrariamente, quanto più dovranno i credenti orientare il loro ascolto (di fede) all 'annunzio della « grande salvezza )) (v. 3b). Da qui la necessità logica (dei) di conoscere le cose udite, di approfondirle avendole già apprese, stabilendo con es­ se un permanente rapporto di crescita89• « Applicarsi con sempre maggiore impe­ gnO )) (v. l a) è in antitesi con « per non andare fuori strada )) (v. l b). L'autore si lascia guidare dalla metafora nautica della nave, il cui timone va tenuto fermo e governato fino ali ' approdo. Proposta alla comunità, questa immagine è un invi­ to ali ' ascolto attento di un annunciatore (cfr. A t 8,6. 1 0), alla disponibilità totale 84 Si leggano: Testamento di Levi 3,5; Testamento di Dan 6, 2; JEnoch 9,3; 1 5,2; 39,5; 40,6; 47,2; 89,76. 85 Dati in J.P. Meier, Symmetry and Theology in the 0/d Testament Citations of Heb 1,5-14, in Biblica 6614 ( 1 985) 52 1 , nota 52. 86 I tre atti erano: l 'elevazione del re alla vita divina, la presentazione del nuovo dio al circolo degli spiriti celesti, l ' intronizzazione. 87 Una riserva circa la presenza in Eb l di una polemica concernente le funzioni liturgiche de­ gli angeli sta nel fatto che l 'autore utilizza leitourgous (v. 7) e leitourgika (v. 1 4) riferendoli proprio agli angeli e nel capitolo in cui più che altrove egli parla della superiorità del Figlio rispetto a essi. 88 J. Swetnarn (Hebrews 1 , 5-14: A New Look, in Melita Theologica 5 1 [2000] 5 1 -68) perviene alla stessa conclusione muovendosi ali ' interno di tre proposte strutturali di Eb l ,5- 14. Tutte e tre fo­ calizzano la centralità del nome « Figlio >>, imprescindibile per comprendere la relazione di Gesù verso Dio il Padre. Perché « figlio », egli è erede; perché « figlio )), egli è alla destra del Padre. Per K.L. Schenck (A Celebration of the Enthroned Son: the Catena of Hebrews l, in JBL 1 20 [200 l ] 469-485) invece Eb 1 ,5 - 1 4 ha un nucleo: l ' intronizzazione regale di Gesù il Figlio, il Cristo. Ebrei attesta qui culto e venerazione per il Figlio, il Cristo esaltato, alla destra di Dio-JHWH. 89 È il senso pregnante di perissoterO.s prosechein introdotto da dei.

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- pensiero, volontà e azione - perché la propria vita sia ispirata « alle cose udite >> e da esse governata, onde evitare di « andare fuori strada » (mepote pararuomen). L'uso di parareo descrive la fuoriuscita delle acque di un fiume dal loro letto90 e si combina bene con la metafora e ne conferma il contenuto. Si ascolta l 'esorta­ zione di Pr 3,2 1 (LXX): « Figlio, non ti perdere per strada, ma tienti sempre sal­ do al mio consiglio ». Tutto questo è necessario (dei) che avvenga, sul piano co­ noscitivo, e sia persuasione, sul piano operativo, e sia segno di vita cristiana stilata su quella parola (Dt 32,46 [LXX] : « Ponete nella vostra mente le mie pa­ role e raccontate le ai vostri figli perché le trasformino in vita »). Necessità non obbligante, ma vista e condivisa: « Divenire strumento di notificazione del vole­ re-progetto di Dio »91 • Quali « le cose udite »? [ vv. 2-3] Una salvezza più grande la esprimono, nell ' insieme, « le cose udi­ te ». L'autore ne parla al v. 2 e ai vv. 3-4. Con ei gar (« se, infatti », v. 2), Ebrei av­ via la prima argomentazione (vv. 2b-4), onde dare fondamento ali 'esordio para­ cletico (v. l ). Le cose udite sono in primo luogo « la parola trasmessa per mezzo degli angeli », poi la nota tradizione iri base alla quale gli angeli hanno fatto da in­ termediari (laletheis) tra Dio e Mosè al Sinai : « Il Signore è venuto dal Sinai . . . e i suoi angeli con lui » (Dt 33,2, LXX). E se Paolo in Gal 3 , 1 9 attesta la tradizio­ ne secondo cui la legge è inferiore alla promessa, non mancano testimonianze a riprova dell 'alta considerazione in cui erano tenute la legge e la relativa media­ zione angelica92• Ora, se la mediazione angelica conferisce alla legge tanto valo­ re, di quanto maggiore peso dovrà essere il messaggio del « Figlio », essendo quest'ultimo superiore agli angeli? Per esprimere la « validità » della « legge trasmessa per mezzo degli angeli », Ebrei si avvale di un vocabolario legale, dell 'aggettivo bebaios (saldo) e del verbo bebaioun (confermare), forse per dire che quella legge ha in sé un potenziale che garantisce la bontà di quel bene, perfino nelle transazioni economiche, ed è scudo efficace contro ogni contestazione. La legge mosaica, cioè, è fondamento solido per emettere un « valido » giudizio su qualunque questione93• Questo contesto giu­ ridico-culturale sembra essere familiare a Eb 2,2: gli angeli sono i garanti della leg­ ge mosaica e della sua validità, al punto che ogni inadempienza è punita. Parabasis (2,2; 9,5) è inadempienza per trasgressione. Trasgredire è andare oltre i limiti stabiliti dalla legge94; parakoé è invece il rifiuto di dare attenzione a un altro, un « non ascolto » di lui. Con il senso di « disobbedienza » appare solo nella tarda grecità cristiana95• E lo è già qui in parallelo con parabasis e in drasti­ ca ipotiposi (descrizione vivace intesa a impressionare l ' immaginazione dell 'a-

90 Cfr. Erodoto, Storie 2, 1 50; 6,20 (Le storie [D. Asheri, ed.], Valla-Mondadori, Milano 1 99 1 3 ) ; Strabone, Geografia 9,2,3 1 . 9 1 È il senso di dei, corrente nel linguaggio greco-ellenistico: è necessario. Così già W. Grundmann, dei, in GLNT ( 1 966) 2,793 e 795-796. 92 Cfr. At 7,38.53; Libro dei giubilei l ,27.29; 2, l ; G. Flavio, Antichità giudaiche 1 5 , 1 36. 93 Si veda, ad esempio, Filone di Alessandria, De vita Mosis 2, 1 4. 94 Così Rm 2,23; Filone, De somniis 2, 1 23 . 9 5 S i tratta di due papiri bizantini del secolo VIII d.C. Cfr. F. Preisigke, Worterbuch der griechischen Papyrusurkunden, vol. li, Preisigke Selbstverlag, Ber1in 1 927, p. 247 (parakoé, 1 345,36 e 1 393,5 1 ).

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scoltatore) nei confronti di laletheis logos, « la legge trasmessa dagli angeli ». Pur sembrando piuttosto simili, i due termini esprimono diversi comportamenti che ri­ chiedono due valutazioni altrettanto diverse. Entrambi descrivono al negativo « un rifiuto deliberato della volontà divina »96, espressamente formulata nella legge e nella « grande salvezza », e soggiacciono a una misthapodosia (punizione), parola ordinariamente usata nel senso positivo di ricompensa ( 1 0,35; 1 1 ,26). Coniato probabilmente ex novo91, con un malcelato tono di ironia, l 'autore intende dire che quella legge, la quale avrebbe dovuto dare solo e sempre ricompensa, espone di fatto alla punizione. Non ascoltata e trasgredita, essa accusa; non è infatti in grado di redimere da quella trasgressione. Dunque, non può che punire. Ora,_ se così è per quella legge, data per la mediazione angelica, che cosa ac­ cadrà a chi dovesse trascurare la « così grande salvezza » promulgata dal Signore, il Figlio, confermata da quanti l 'hanno udita e testimoniata da Dio stesso? (v. 3). Come si potrà evitare il pesante giudizio punitivo di Dio? La drammaticità della do­ manda, posta in stile retorico, porta in sé già una risposta aperta alla speranza: la forma verbale amelesantes, infatti, è un participio al condizionale e va reso con: « Nel caso dovessimo ignorare tanta salvezza >>98• L'autore cioè, mentre manifesta la propria preoccupazione, esprime la speranza che « quel caso » non si verifichi e che quella grande salvezza non sia mai ignorata. Trascurarla è comunque apistia (apo­ stasia): è disconoscere l 'attendibilità della testimonianza stessa di Dio nei suoi se­ gni, e specialmente in Gesù il Figlio; è estromettersi dal flusso della salvezza; è por­ si nella morte. Siamo a quello che l Gv 5, 1 5- 1 7 definisce il peccato che dà la morte ali 'anima. L' interrogativo, pastoralmente accorato, lascia tuttavia aperta la possibi­ lità del ritorno. Ma in caso di persistenza, non resta che la « giusta punizione »: lon­ tano da Dio. « Una salvezza così grande » (telikautes, v. 3b) è quella che sarà data in oc­ casione del ritorno di Cristo ( l , 1 4; 9 ,28), quella che libera dalle minacce contro la propria vita (5,7; 1 1 ,7), quella che è « tanto grande » perché è la salvezza eter­ na (5,9; 7,25), di cui godrà il popolo di Dio quando il suo giudizio favorevole (6, 1 0) lo immetterà nella sua gloria (2, 1 0)99; ma ancora prima quella apparsa nel­ la concreta persona del Figlio, nella sua vicenda storica, trasmessa in « detti e fat­ ti » (2,3-4). La salvezza nella predicazione di Gesù, presenta diversi momenti ai quali Ebrei sembra guardare : l ) salvezza dal giudizio severo e negativo di Dio (« Convertitevi e credete al vangelo, perché il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino », Mc 1 , 1 5). Chi si apre al regno di Dio è salvo (Mt 1 1 ,2 1 -22; Le 1 ,77; 96 Forte annotazione di E. Riggenbach, Der Brief an die Hebriier, Brockhaus, Wuppertal 1 987, p. 269, nota 28. È anche questo il senso di parabaseis in Eb 9, 1 5 : « Azioni compiute con­ sciamente e deliberatamente in disubbidienza alla legge divina », da parte di un popolo d'Israele, amato e infedele. 97 Ebrei unifica misthon apodidonai nel sostantivo misthapodosia: 2,2; l 0,3 5 ; I l ,26 (hapax le­ gomenon). Non si hanno altre frequenze nel NT. 98 Cfr. M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, PIB, Roma 1 996, p. 656. 99 Cfr. C.R. Koester, Hebrews. A New Trans/ation, p. 2 1 1 . Ma vi è di più.

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1 9,9- 1 0). Ciò suppone che il popolo di Dio possa incorrere nell ' infedeltà. Gesù chiama quel popolo ali 'ascolto del lieto annunzio, capace di salvare dali ' ira di Dio. 2) Salvezza dal potere del male, il che suppone che l 'essere umano sia per­ seguitato e oppresso dal male e bisognoso di liberazione. L'azione di Gesù con­ tro l 'agente del male ricorre con frequenza nei sinottici. La sua azione vittoriosa sul maligno (esorcismo) ne manifesta la debolezza, ed è segno che la sconfitta to­ tale del male è segnata (Mt 1 2,25-29; Le 1 0, 1 8 ; 1 3 , 1 6). 3) Salvezza vicina, immi­ nente, nella persona di Gesù; essa sarà piena poi, quando lo sarà anche la benedi­ zione di Dio (Le 1 3,23-30), nel compimento. Ed ecco come Ebrei mostra di percorrere il tracciato neotestamentario di cui sopra, elaborandolo in proprio: l ) La salvezza dal severo giudizio di Dio implica la penitenza, la conversione, la fede in Dio, l a speranza nella risurrezione dei morti, il giudizio finale (Eb 6, l -2; 9,27; 1 0,27). Speranza di salvezza è speranza di essere liberati dal giudizio di condanna (6,8-9). Gesù il Figlio libera quanti so­ no oppressi dal potere del male (Eb 2, 1 4- 1 5); ciò che libera e salva è la sua mor­ te, compimento paradossalmente glorioso della sua predicazione e dei suoi segni portentosi (« segni di salvezza >>). Anche se solo in 2,3b, questa loro unica men­ zione è già sufficiente per non escluderne il peso catechetico. 2) Entrare nel re­ gno di Dio è ereditare la salvezza ( l , 1 4b) associata alla gloria di Dio e alla vita eterna (2, 1 0; 5,9). Salvezza è ancora accedere a Dio attraverso Cristo (7,25) nel tempo, ascoltare in lui « oggi >> la voce del Padre, in attesa del pieno godimento, nel compimento ( l , 1 4; 9,28). La « salvezza >> è dunque presente in ogni parola, in ogni azione di Dio, del Figlio, dello Spirito (v. 4) 100• « Promulgata » (laleisthai), « confermata » (ebebaiothé, v. 3c) è la predicazio­ ne del Gesù terreno, esposta in « detti e fatti ». Lo suggerisce la posizione specula­ re in cui il v. 3c si trova rispetto al v. 2a ( « Parola trasmessa per mezzo degli ange­ li »; è Dio che parla al Sinai, Dt 33,2) e ancora di più a motivo del v. 4, in cui la testimonianza di Dio in « segni e prodigi e miracoli di ogni genere » si pone in pa­ rallelo con Mc 1 6,20 (cfr. anche At 2,22; 14,3 e l Cor 2,4) e ancora in forza del pa­ rallelo tra la « giusta punizione » per la disobbedienza alla legge del Sinai (v. 2b) e quella a « una salvezza così grande » (v. 3a), promulgata dal Signore (il Gesù terre­ no), confermata da chi l 'ha ascoltata e testimoniata da Dio secondo il suo stile101• Per Ebrei è la comunità delle origini che, ricevuta quella predicazione, per via di 1 00 Così, e bene, F. Laub, Verkiindigung und Gemeindeamt. Die Autoritiit der hegoumenoi in Hebr 13, 7. 1 7.24, in SNTU 617 ( 1 98 1 - 1 982) 1 75. 101 La questione critica è tuttavia ancora aperta; molti vedono nel « Signore >> che promulga la salvezza al v. 3c la stessa persona che trasmette la parola per mezzo degli angeli al Sinai (Dt 33,2), non il Gesù terreno cioè, ma Dio stesso. Fra i più recenti, M. Baclunann, « . . Gesprochen durch den Herrn » (Hebr 2,3). Erwiigungen zum Reden Gottes und Jesu im Hebriierbrief, in Biblica 7 1 ( 1 990) 365-394. Ampia e dettagliata discussione in E. Griisser, Das Heil als Wort. Exegetische Erwiigungen zu Hebr 2, /-4, in H. Baltensweiler - B. Reicke (edd.), Neues Testament und Geschichte. FS O. Cullmann, Theologischer Verlag (u.a.), Ziirich 1 972, pp. 263-265 . Quest'ultimo si pronunzia per il contesto anticotestamentario dei vv. 2-4. Eppure, nella sua propositio-probatio Ebrei si muove dal paradigma anticotestamentario (« Dio parla ») a quello neotestamentario (« Il Signore Gesù parla »). M. Baclunann sembra allontanarsi dal contesto immediato di Eb 2,2-4, che per i tre paralleli sopra rilevati (e non solo) preme per la soluzione neotestamentaria: se il soggetto del v. 2 è il Dio del Sinai, .

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ascolto (hypo ton akousanton), da Gesù il Signore e dagli apostoli, se la ritrova messa a punto dagli evangelisti, e la conferma trasmettendo la con la vita e nella fe­ de. Quelli che « confermano ciò che hanno udito » non sono né l 'autore né i suoi de­ stinatari. Essi sono infatti destinatari del messaggio del Signore Gesù ricevuto da altri, i quali già prima di loro hanno aderito e creduto; sono recettori nel flusso del­ la tradizione protocristiana. Si configura così nella mente di Ebrei il meccanismo della trasmissione in tre fasi: il Figlio Signore parla; ascoltato dai suoi, quel mes­ saggio viene predicato dagli evangelisti 102 ; « oggi » i destinatari di Ebrei sappiano di avere ricevuto quel messaggio direttamente da lui, sia pure attraverso la media­ zione della tradizione protocristiana, che risale fino ai testimoni auricolari. L'autore, pastore solerte, non fa che ricordarlo loro (2,3-4). Allo scopo si avvale del paradigrna anticotestamentario: « il parlare di Dio; Dio ha parlato », e del paradig­ ma neotestamentario: « il Signore (Gesù) terreno parla, ha parlato », entrambi di an­ tica tradizione e garanzia di superamento di ogni contrarietà 103• A riprova di quanto gli stia a cuore, l 'autore mette a fuoco la « grande sal­ vezza », imbrigliandola ai vv. 2a-3c in una struttura speculare di valore artistico, con ricaduta sulla solidità della medesima. Quest'ultima risulta intenzionalmen­ te centrale, perché in posizione isolata, non speculare: v. 3c' v. l a v. 3c v. l a v. 3c v. 2b v. 3b v. 2a v. 3b v. 2a v. 3a v. 2a' f) v. 2b f) v. 3a g) v. 2c g') v. 3a v. 3a'

a) a') b) b') c) c') d) d') e) e')

ebebaiothe (« è stata confermata >>) hemas (« bisogna che noi ») eis hemas ( « in mezzo a noi, per noi ») tois akoustheisin (« a quelle cose che abbiamo udito ») ton akuosanton (« da coloro che l 'avevano udita ») di 'agge/on (« per mezzo degli angeli ») dia tou Kyriou (« per mezzo del Signore ») /aletheis (trasmessa) laleisthai (« è stata promulgata ») logos (la parola) soterias (salvezza) bebaios (salda) parabasis (trasgressione) amelesantes (trascuranti) misthapodosian (punizione) ekpheuxometha (scampare) pos hemeis (« come noi »).

come vuole la tradizione « trasmessa per mezzo degli angeli » prelevata da Dt 33,2, quello dei vv. 34 è il Gesù terreno. Il contesto immediato resta sempre la via da privilegiare per la comprensione della intentio auctoris di uno scritto. 102 Ma un'esatta distinzione tra ascoltatori della prima ora, divenuti trasmettitori del messag­ gio ricevuto, ed evangelisti redattori di quel messaggio non è qui affatto chiara. Il che del resto non appartiene agli interessi di Ebrei. 103 Se il « Signore » del v. 3b non è il Dio del Sinai, questi non potrà essere che il Gesù terreno nella relativa tradizione protocristiana. Così M. Bachmann ( « . . . Gesprochen durch den Herrn » [Hebr 2, 3]. Erwiigungen zum Reden Gottes und Jesu im Hebriierbrief, in Biblica 7 1 [ 1 990] 374 e 394 ), che opta però per il Dio del Sinai, la cui testimonianza è nei profeti (Eb l , l ).

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Parte seconda. Traduzione e commento

Ciò che è stato confermato ed è solido è la parola: salvezza trasmessa, pro­ mulgata per mezzo degli angeli e per mezzo del Signore. Trascurarla fino a tra­ sgredirla espone a una punizione cui è difficile sottrarsi. Decisione ottimale è in­ vece disporsi ad accogliere le cose udite fra noi e confermate per noi da testimoni auricolari (v. 3c), cioè la parola che è salvezza. E quale salvezza (telikautes, v. 3a, hapax legomenon in Ebrei) ! 104• In caso contrario, di trascuratezza e trasgressione, non ci rispecchieremmo in tale e tanta salvezza (v. 2a'.) . Trovati infedeli a tanto dono, come potremmo noi (v. 3 a ' ) sottrarci alla delusione del donatore? L' interrelazione tra i vv. 3c', 2a' e 3a' è circolare. Prendendo il via da uno qual­ siasi dei tre momenti, si ottiene il medesimo risultato: la salvezza nel Figlio è so­ lida; le si resti fedeli. Che i due paradigmi dell ' AT e del NT siano in continuità ne sono riprova i due momenti centrali della struttura speculare, in rapporto di propositio-proba­ tio: e se la prima propositio (« Applichiamoci con impegno alle cose udite >>) tro­ va un riscontro ancora debole nella prima probatio (« È stata confermata in mez­ zo a noi da quelli che l 'avevano udita »), in quanto quelle « cose udite » sono ancora in attesa della risposta del destinatario, la seconda propositio (« parola­ salvezza », logos-sotéria), promulgata e annunziata « attraverso gli angeli, attra­ verso il Signore », porta in sé una maggiore forza argomentativa: si tratta della parola che salva, annunziata dagli angeli, cioè da Dio, e dal Signore, cioè dal Figlio, il Gesù terreno. I due abbinamenti sono in continuità: dall ' AT al NT. Promulgazione, ascolto, conferma: tre momenti in cui Ebrei fissa il primo blocco del dinamismo della tradizione in epoca protocristiana. Il secondo segue nel v. 4. [v. 4] Con forte allusione a Mc 1 6,20b e a 1 Cor 1 2,4. 1 1 sono descritti i suc­ cessivi momenti di annunzio della « salvezza »: Dio attesta, garantisce e confer­ ma la propria autorivelazione con « segni, prodigi e miracoli » (v. 4a) già nel pri­ mo patto, « ora » nel Figlio Signore e nei « doni dello Spirito santo »: la grande salvezza di Dio è promulgata dal Figlio stesso, non da intermediari (v. 3b); gode della testimonianza degli apostoli, « quelli che l 'avevano udita » (v. 3c); è soste­ nuta e garantita dalla cotestimonianza (synepimartyrountos tou theou) di Dio at­ traverso i segni (semeiois), i prodigi (terasin) e i più svariati miracoli (poikilais dynamesin) (v. 4a) operati dal « Figlio » e attraverso i doni dello Spirito santo (v. 4b) elargiti a piene mani. Analoga struttura in At 2, 1 -4 1 . Da notare anche l ' allu­ sione a Mc 1 6,20b. « Segni e prodigi e miracoli di ogni genere » (v. 4a) rendono percepibile in concreto il potere di Dio-JHWH 105 e danno fondamento alla sua cotestimonianza. Per la stessa tradizione giudaica, nonché per la religiosità greco-romana, il miracolo è prova inconfutabile della signoria di Dio106• In epoca cristiana quelle guarigioni1 04 Termine tanto raro nel NT (2Cor l , l O; Gc 3,4; Ap 1 6, 1 8) quanto frequente nella classicità. Cfr. H.G. Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon, p. 1 787. 105 Si leggano: Es 4, 1 -9; 7,3; Dt 34, 1 1 - 1 2; I Re 1 7,8-24; 1 8,36-40; 2Re 4, 1 - 8,6. 1 06 Tracce di questa posizione in l Cor l ,22; Gv 2, 1 8. La tradizione giudaica posteriore rileva figure come Hanina ben Dosa, rabbino molto stimato per le guarigioni da lui compiute. Se ne riferi-

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miracoli vanno ben oltre il puro fatto in sé. Ogni prodigio è infatti « segno » e tra­ smette in permanenza un messaggio: il perdono dei peccati (Mc 2, 1 - 1 2); la risurre­ zione di Gesù (At 3 , 1 -26). Segni di riabilitazione fisica e spirituale così eclatanti, mentre attestano il potere di Dio in Gesù il Figlio, garantiscono anche la salvezza dalla sua ira nel giorno del giudizio. Eppure la comunità è incerta: se questi mira­ coli attestano tanto potere di Dio, come mai i credenti devono sottostare a tanta per­ secuzione e a tante prove (Eb 1 0,32-34; 1 3, 1 3- 14), fino a rischiare il declino? ( l 0,25). Proprio in tanta prova, la comunità può sperimentare la potenza di Dio nel Figlio e nello Spirito, quale nuovo grande miracolo. Deve solo non trascurare quel­ la salvezza: sarebbe un rischioso allontanarsi da Dio; resti in essa, invece, nella fe­ de, e ne sperimenterà la presenza già oggi e nel compimento. « Doni dello Spirito, distribuiti secondo la sua volontà progettuale » (v. 4b) sono quelli elargiti in occasione della « rinunzia alle opere morte » e dell ' adesio­ ne alle opere della fede, con il battesimo e l ' imposizione delle mani (cfr. 6, 1 -2). Ai destinatari sballottati da difficoltà varie di ordine sociopolitico con pesanti ri­ sonanze nella fede, l 'autore ricorda i doni dello Spirito, che hanno fatto vivere momenti di estasi spirituale, finalizzata alla comprensione del messaggio insito nei segni e nei miracoli. Mentre non è affatto necessario che questi ultimi si ripe­ tano, e neppure le esperienze estatiche, diventa invece urgente che i credenti sia­ no consapevoli dei doni dello Spirito, che portano in sé un potenziale che li gui­ di alla lettura del messaggio che fu confermato con quei segni e quei miracoli: dali 'entusiasmo nello Spirito al più realistico e concreto ascolto « situato », fino a una rinnovata e solida adesione alla fede. Questa sintesi è magistrale, di tono trinitario empirico asistematico, con ri­ caduta ecclesiologica: da Dio tessitore della salvezza (v. 4a) al Signore (v. 3b) il « Figlio )) operatore, allo Spirito (v. 4b) animatore, alla comunità ecclesiale desti­ nataria di quella salvezza e di quei doni e trasmettitrice di tanto potenziale. Seconda argomentazione (2,5-9): il Figlio esaltato e coronato nella morte, ovvero il paradosso di una morte che produce vita e dignità regale. L'autore ot­ tiene lo scopo facendo giocare un ruolo centrale ed enfatico al verbo hypotasso (« assoggettare, sottomettere ))) che vi ricorre ben cinque volte: una volta al v. 5 e ben quattro al v. 8107• Quella forma verbale è come il cuore di quanto egli va pro­ ponendo e dimostrando (vv. 5-9): anche se non lo vediamo ancora, al Figlio tutto è « già » stato sottomesso (v. 8). [vv. 5-6] Nel suo lavoro ermeneutico, l 'autore punta ora sul Sal 8,5-7. Introducendosi con ou gar (« non infatti », cfr. 4, 1 2; 7, l ; I O, l ), egli intende rag­ giungere due scopi: dimostrare che il mondo futuro è assoggettato al « Figlio )) e non agli angeli, e questo in forza della sua morte espiatrice e redentrice. In base a

sce in Ta 'ani t 3,8; b.Berakot 34b; b. Yebamot l 2 l b; b. Ta 'ani t 25a. In epoca greco-romana l ' interes­ se a questo potere automanifestativo di Dio è forte. Storie di guarigione attribuite al dio Asclepio so­ no, ad esempio, attestate in Svetonio, Vespasiano 7; Filostrato, Vita Apollonii 3,39; Tacito, Hitoriae 4,8 1 (Storie [L. Lenaz - F. Dessì, edd.], voli. I-II, BUR, Milano 1 992). 107 Rileva la cosa W.-Y. Ng, Hebrews 2, 6-8a. A Case in the New Testament Use of the 0/d Testament, in CGSTJourna/ 24 (Hong Kong 1 998) 2 1 4-2 1 5 .

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Dt 32,8 (LXX) aveva guadagnato terreno la convinzione che Dio « ha stabilito i confini delle nazioni secondo il numero degli angeli di Dio »108• Inoltre, gli angeli sono associati a potenze e principati (Dn 1 2, l ; Rm 8,3 8) con il compito di tenere il mondo e le sue realtà sotto osservazione. Eb 2,5 mostra di allontanarsi da questa tradizione, spostando l 'attenzione dei suoi destinatari dal mondo terreno a quello futuro: di certo quest'ultimo non è stato sottoposto agli angeli, ma al « Figlio ». « Il mondo futuro », quello in cui il Figlio è entrato, presenta entrambe le conno­ tazioni, spaziale e temporale; si tratta cioè dell 'universo (« i mondi ») di cui in Eb l ,2. Esso è in l ,6 la dimora degli angeli; in 2,5 è una realtà futura che sfugge loro. La con­ notazione spaziale dice che quel mondo è « futuro » in quanto luogo ove Dio svolge il suo ruolo fra gli uomini e nel loro tempo; esso poi sarà realtà futura solo nel com­ pimento (« la città futura », 1 3 , 1 4). Quel regno non avrà mai fme. È l ' idea che più di un salmo lascia intravedere109• Ebrei ha una sua posizione: Dio scuoterà l 'ordine pre­ sente ( 1 2,26), ma i suoi prenderanno parte al suo regno nel mondo futuro ( 1 2,28). « Qualcuno ha testimoniato » (v. 6a): l 'autore procede. Non cita con esattezza la Scrittura sacra, come invece fa di consueto altrove, forse perché gli manca il ri­ ferimento preciso, o più attendibilmente perché sa che sta per attingere ampiamen­ te a un testo dell ' AT che egli ritiene parola di Dio, perché originata dal suo Spirito. Il verbo diamartyrein (testimoniare) contribuisce al carattere pubblico della testi­ monianza: come in At 20,2 1 ; 23, 1 1 ; 28,23 e ancora in l Tm 5,2 1 e 2Tm 4, l . Non dovrebbe sfuggire la risultanza legale già chiamata in causa in 2,2.3 .4 sulla « vali­ dità » e solidità della testimonianza, degli angeli prima (Sinai), del Signore poi. La testimonianza è presa dal Sal 8, 1 -7 ed è riferita in Eb 2,6b-8a. Il Sal 8 è un « inno alla dignità dell 'uomo » e del creato1 10• La composizione è originale ed evolve in cinque strofe: 2a; 2b-4a; 4b-6; 7 -9; l 01 1 1 • I punti del Sal 8 che mostra­ no di richiamare l 'attenzione di Ebrei sono presi dai vv. 5-6 della quarta strofa e dai vv. 7-9 della quinta: il Figlio del/ 'uomo (Sal 8,5b); gli angeli (v. 6a); l 'opzio­ ne per il termine brachy proposto dalla LXX, con il senso: « Per un breve tempo lo hai reso inferiore agli angeli », invece dell 'ebraico me 'at con il senso: « Di po­ co lo hai reso inferiore agli angeli » (v. 6a ); l 'opzione per « angeli » secondo la versione dei LXX, che traduce così il TM 'Elohim, cioè Dio 1 12, o di un dio 1 13, e non per il TM; la menzione unica in tutto lo scritto del « Figlio dell 'uomo . . . co­ ronato di gloria e di onore » ( vv. 6b.9b); la sottomissione di ogni cosa a lui, ge­ store dell 'opera delle mani di Dio (Sal 8, 7b )1 14• 108 II TM legge: « . . . degli israeliti ». 1 09 Cfr., ad esempio, Sal 92, l e 95, l O. 1 10 Così T. Lorenzin, I Salmi, p. 7 1 . 1 1 1 Così Eep Tal stra, Singers and Syntax: On the Ba/ance of Grammar and Poetry in Psa/m 8, in J. Dyk (ed.), Give Ear to my Word. Psalms and other Poetry in and around the Hebrew Bible. FS N.A. van Uchelen, Societas Hebraica Amstelodamensi, Kampen-Amsterdam 1 996, pp. 1 1 -22. 1 12 Il TM propone: « . . . a Dio » ('Elohim), che può essere inteso anche nel senso di « realtà ce­ lesti ». Le versioni della LXX e della Vulgata leggono « angeli », interpretando 'Elohim in direzione delle realtà celesti. 1 1 3 Cfr. la traduzione della BJ, al Sal 8,6b. 1 1 4 Pone ulteriormente in luce tale sottomissione, la versione della Vulgata: « . . . Et constituisti eum super opera manuum tuarum . . . » (« . . . E lo hai posto al di sopra de li 'opera delle tue mani »).

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Il fatto che il Sal 8 sia un inno di lode a Dio creatore, il quale pone l 'uomo al­ l ' apice della sua creazione, prende piede neli ' esegesi cristiana solo a partire dal 1 87 1 . Fino a quell 'epoca era prevalsa la lettura cristologica: il Sal 8 è profezia sul Cristo sofferente, la sua morte e risurrezione, la sua regalità1 15. Pur avvalendosene in quest'ultima direzione, Eb 2,6b-8a non prescinde dal senso primigenio del sal­ mo1 16 e procede magistralmente a incastro di sensi: dali 'uomo al Figlio dell 'uomo. La grande dignità dell 'uomo sta nel fatto che Dio si ricorda di lui e se ne prende cura, lo corona di « gloria (kab6d, TM) e onore (hadiir, TM; time, LXX) ». Quella grandezza egli la realizza non nel dominare le cose (v. 8a), ma nell 'acqui­ sire il profilo progettato per lui da Dio 1 17: « Lo hai fatto di poco inferiore a Dio ['Elohim} » (TM) o « agli angeli » (LXX e Vulgata), di certo perché sua « imma­ gine e somiglianza » (Gn l ,26a). È a partire da qui che va capita la sottomissione di « ogni cosa sotto i suoi piedi » (Sal 8, 7b in Eb 2,8a). Eppure, nonostante il riferimento del Sal 8,6 a Gn l ,26-27, l ' interpretazione più diffusa è di carattere antropologico-funzionale: la dignità dell'uomo è di qua­ lità superiore a quella di ogni altra creatura nell 'ordine creato. Questa lettura è ti­ pica della tradizione esegetica giudaica1 18, la quale tuttavia conosce anche la ten­ denza opposta che vede nella persona umana una creatura di poco valore 1 19. In epoca medievale corre addirittura il parere rabbinico secondo cui la creatura uma­ na non è di poco inferiore agli angeli, ma è a essi superiore120. Molto prima, il tar­ do giudaismo rabbinico offre già qualche elemento a favore di una lettura mes­ sianico-regale del Sal 8,6: con riferimento al TM, i rabbini tengono ferma l 'interpretazione che vede nell 'uomo una creatura resa di poco inferiore a Dio121. Questi trasferirà su di lui la propria maestà regale e la propria gloria122. La cri­ stianità della prima ora combina il Sal 8,7 con il l 09, 1 : in entrambi i testi si dice che Dio porrà sotto i piedi di qualcuno (del suo unto) le cose tutte (Sal 8, 7) e i ne­ mici di lui (Sal 1 09, 1 ). Così in l Cor 1 5,25-27; Fil 3 ,2 1 ; Ef 1 ,22; Eb 1 , 1 3 . Invece, lo splendore e la maestà di Dio costituiscono la vera gloria dell 'uo­ mo. Saremmo ali ' essenza ontologica della persona umana 123, che l ' interpetazio­ ne antropologico-esistenziale non consentirebbe di cogliere. Ma è più vero il con1 1 5 Status quaestionis in B. Ejmaes, Fragments ofPsalm 8 Interpretations-History, in DIT 56 ( 1 993) 1 1 0- 1 30. 1 1 6 Cfr. M. McNamara, Psalm 8 in the Bible, in Earlier and lrish Tradition, in Milltown Studies 32 ( 1 993) 24-4 1 . Forse non così A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, Paideia, Brescia 1 997, p. 45 . 1 1 7 Si veda utilmente Castillo Raul Duarte, La grandeza humana, raz(m de la gloria divina: Salmo 8, in Efemerides Mexicanas 7 ( 1 989) 49-65. 1 1 8 Valutazione, credo, piuttosto ristretta in A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 45: la posizio­ ne dell'uomo di fronte a Dio è letta dagli esponenti della sinagoga con scetticismo e dispregio. 1 1 9 Si leggano 2Enoch 5, 1 0; Pesiqta Rabbati 34a. 120 Interessante e ardita posizione esegetica di un rabbino medievale. Se ne veda l 'argomenta­ zione inversi va rispetto al Sal 8 in S. Stroumsa, What is Man? Psalm 8. 4-5 in Jewish, Christian and Muslim Exegesis in Arabic, in Henoch 1 4 ( 1 992) 283-29 1 . 121 Non così la versione dei LXX e il Targum Sal 8, che rendono 'Elohim del TM con angeli. 122 Il commento rabbinico non va direttamente sul Sal 8,6, lo chiama tuttavia in causa nel Midrash sul Sal l 04, 1 .5 (22 1 •) in Pesiqta Rabbati 3 7 ( 1 63•) sul Sal 2 1 ,4.6. Cfr. KNTTM.SB, vol. III, pp. 68 1 -682. 12 3 Così F. Raurell, The « doxa )) ofMan in Psalm 8, 6, in Laurentianum 35 ( 1 994) 73-90.

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trario: la dignità data da Dio ali 'essere umano (Sal 8,5-7 in Eb 2,6b-8a), secondo la tradizione giudaica di tipo antropologico (« Dio si ricorda e si prende cura di lui »), è la base di quella ontologica. A entrambe sembra pensare il Sal 26,4: « La gloria di Dio è l 'uomo vivente >>. Vi si riporta sant' Ireneo: « Gloria Dei vivens ho­ mo; vita autem hominis visio Dei >> 124• Comunque sia, per Eb 2,6b-8a quel « Figlio dell 'uomo >> riceve una lettura gesuologico-cristologica ed escatologica (« Lo corona di gloria e di onore », Eb 2, 7b )125, nella morte (v. 9b ) : quel « Figlio de li 'uomo >> è il Gesù del v. 9a, per po­ co tempo (brachy) inferiore agli angeli, ora per sempre a essi superiore, e coro­ nato di gloria e onore nella sua morte che, paradosso di Ebrei, è già la sua esalta­ zione (v. 9). Quel « Gesù . . . ora coronato di gloria e di onore >> (v. 9ab) raggiunge la som­ ma dignità umana nella solidarietà con tutti (v. 9c): nella morte. È indubbio che Eb 2,6b-8a legga il Sal 8,5-7 in linea antropologica e messianico-gesuologico­ cristologica, il magistrale incastro di cui si è detto sopra. In anthropos (uomo, v. 6b), Ebrei vede innanzi tutto la realtà collettiva del­ l 'umanità nel suo insieme, ma anche quell 'uomo singolare che è Gesù nel quale si compie il progetto di Dio per l 'umanità intera. A quell 'uomo-umanità Dio è tanto interessato da ricordarsi di lui (hoti mimnçskf autou). Quel suo « ricordar­ si >> non sembra motivato dai trascorsi di un popolo che non si è ricordato della salvezza (Eb 2, 1 -4; Sal 25, 7; 79, 8), piuttosto dalle sue buone opere (Gn 8, l ; 30, 22; Es 2, 24). Così anche in Eb 1 3 ,3 . Dio guarda al bene, dimentica il male (8, 1 2). « Figlio deli 'uomo » (hyios anthropou) è formula standard e si riferisce alla umana natura e al Figlio. L' immagine è nota ali ' AT e alla tradizione giudaica126• E se in l Enoch è una figura messianica, non lo è altrettanto nell ' AT dove si rife­ risce sempre alla creatura umana. Particolare è il caso di Dn 7, 1 3, in cui « uno, si­ mile a Figlio di uomo » viene sulle nubi per guidare il regno di Dio per sempre. Per Dn 7,27 il « Figlio de li 'uomo » raffigura i santi che ricevono forza e dominio, una figura cosmica molto più che simbolica. Nella tradizione protocristiana, i si­ nottici conoscono la formula usata da Gesù come sinonimo di « Io » (Mt 8,20). Altri punti fanno eco a Dn 7, 1 3 (Mt 26,64; Mc 1 3,26; Le 2 1 ,27) e sembrano in­ dicare la venuta di Dio in Gesù. Gv 1 2,34 è più chiaro nell ' indicare nel « Figlio dell 'uomo » l ' identità messianica di Gesù e il suo status divino ( 1 ,5 1 ; 3 , 1 4). Per Eb 2,6b il « Figlio de li 'uomo » è innanzi tutto la creatura umana, a motivo del pa­ rallelo con « uomo » al v. 6a. L'espressione è applicata al Figlio in Ebrei solo in 2,6b e sorprende che l 'autore non se ne avvalga più ampiamente come titolo ge­ suologico-cristologico. Di fatto, egli non vede in quel titolo una formula tecnica per descrivere il Figlio Signore come Gesù il Cristo (v. 9; 3 ,6), ma vi riscontra, in

124 Cfr. lreneo di Lione, Adversus haereses 4,20,7. 1 2 5 Così H. Klein, Zur Wirkungsgeschichte von Psalm 8, in B . Riidiger e altri (edd.), Konsequente Traditionsgeschichte. FS Klaus Baltzer, Universitiit Verlag, Freiburg im Breisgau Gottingen 1 993, pp. 1 83- 1 98. 126 Si leggano rispettivamente Ez 32, 1 ; 3,6; Sal 1 43,3 e JEnoch 46,3 ; 48,2; 69,27-29; 70, 1 ; 7 1 , 14. 1 7.

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primo luogo, la creatura umana e poi quel Gesù nel quale Dio ha deposto il suo progetto per l 'espiazione redentiva dell 'uomo, il Messia re, che ha la forza di at­ tirare a sé e di domare le avversità; molto meno il giudice escatologico atteso al­ la fine dei tempi, ma ancora prima al tempo di Ebrei, appesantito da contrasti e oppOSIZIOni. Di questo « Figlio dell 'uomo » Dio « si prende cura », gli fa cioè visita127, forse al fine di non doverlo cancellare dal libro dei suoi, perché infedele verso di lui (Es 32,34), ma ancora più perché egli è un Dio che salva, per questo vigila su di lui onde non cada nella trasgressione che lo allontanerebbe da lui (Ger 1 5, 1 5). Tanto gli sta a cuore 128• [ vv. 7-9] Solo «per poco tempo »129 (v. 7) quell 'uomo a Dio tanto caro è sta­ to inferiore agli angeli, forse nel periodo in cui, pur essendo loro superiore, per­ ché immagine e somiglianza di Dio, si è esposto ali ' infedeltà, allontanandosene. Allusione alla colpa originale? Comunque sia, a quell 'uomo Dio offre lo scettro del comando, lo innalza su un trono regale, lo incorona « di gloria e di onore » (v. 7b ): due qualifiche che sembrano sinonime rendono l 'uomo simile a Dio (Gn l ,26b ), ma a lui inferiore 130, superiore però a tutte le cose terrene a lui sottomes­ se (Gn 1 ,26b). Attento a questo livello di lettura, Ebrei pensa già al Gesù terreno: nel tem­ po della sua vita « nella carne » e in particolare nel momento della sua passione e morte 1 3 1 , anch'egli è stato inferiore agli angeli, ma per poco tempo (brachy) ; la sua posizione è inferiore alla loro, fino al raggiungimento di quella che gli com­ pete. Ciò accade con la celebrazione della sua morte, la quale lo esalta al di sopra degli angeli, perché lo incorona « di gloria e di onore »; anzi, tutto (ta panta, v. 8b; cfr. Fil 2,8-9) gli è sottomesso, nulla esiste che non gli sia sottomesso (v. 8a), anche il mondo futuro (v. 5): dunque signoria perfetta, eredità piena; un indubbio tono escatologico132• « Tu hai sottomesso ogni cosa ai suoi piedi » (v. 8). Si tratta dell 'uomo (Sal 8, 7b ), alla cui gestione Dio ha affidato l 'opera delle sue mani. Sta ora a lui espri­ mere la sua dignità coordinando la propria vita con quella delle creature a lui affi­ date, quale segretario-vice di Dio: pastore e giardiniere della creazione, non do­ minatore e sfruttatore della medesima (v. 8)133• Ebrei si prepara anche qui a un salto qualitativo: egli pensa già a Gesù, il « Figlio dell 'uomo », al quale sono state assoggettate tutte le cose, non perché le domini, piuttosto le coordini verso la loro redenzione. Esse poi si sostengono in lui, proprio perché a lui sottomesse, da lui 1 2 7 È il senso migliore di hoti episkept?, episkepsis (cfr. Eb 2,6). 1 2 8 Coglie questo aspetto T. Mende, « Wen der Herr lieb hat, den ziichtigt er » (Hebr 12, 6). Der a/ttestamentliche Hintergrund von Hebr 12, 1- 1 1 ; 1, 1-4; 2, 6- 1 0, in Trier7Z 1 00 ( 1 99 1 ) 1 46- 1 52. 1 2 9 Così il brachy della LXX, cui Ebrei si riporta, di senso temporale, differentemente da m• 'at del TM che descrive un valore quantitativo ristretto e inferiore. 1 3 0 Sul Sal 8 (TM), si veda T. Lorenzin, I Salmi, p. 72. 1 3 1 Così suggerisce anche I 'aoristo elattosas: esprime una situazione precisa nel passato. 1 3 2 Cfr. R.L. Brawley, Discoursive Structure and the Unseen in Hebrews 2, 8 and 1 1 , 1 . A Neglected Aspect of the Context, in CBQ 55 ( 1 993) 8 1 -98. 1 33 Così, e molto bene, F. Raurell, Doxa, element constitutif de l 'homme en SI 8, 6 (Doxa: Constitutive Element of Man in Ps 8, 6), in F. Raurell e altri (edd.), Tradicio i Traduccio de la

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gestite. Un indubbio tono cristologico. Con riferimento a Eb 1 2 ,28a va notato che al popolo dei credenti, che siamo noi, è stato affidato « un regno incorruttibile »: le cose e le creature. Riecheggia il Sal 8, 7b, ma in un totale ripensamento. Ebrei rispetta il senso generale del salmo: in Eb 2,8b il « Figlio de li 'uomo » non ha ancora conseguito la sua signoria; al v. 9 è forte il contrasto con il para­ dosso di un Gesù che ha ricevuto gloria e potere nella morte. L'autore racconta ai suoi destinatari che l 'essere umano non potrà mai raggiungere il suo stato di esal­ tazione presso Dio se non in Gesù Cristo, il Figlio dell 'uomo che, uomo fra uo­ mini, ha portato a compimento il progetto di Dio, il suo dominio universale (ta panta, v. 8a e poi v. l 0), « provando la morte a vantaggio di tutti » (v. 9). Metodo dell 'autore è il peser come a Qumran. Lo indicano tre elementi: il principio di so­ stituzione, in quanto Gesù sostituisce l 'umanità di cui nel salmo è, infatti, il « Figlio de li 'uomo » (Sal 8,5b in Eb 2,6b ); l 'applicazione del Sal 8 ali ' èra esca­ tologica (2,5b ); il terzo è il già notato uso del verbo « assoggettare » (hypotasso), nel quale l 'autore scopre uno strumento di comunicazione adatto al suo scopo e se ne avvale in modo enfatico e ripetitivo 134• Appaiono alcuni elementi del genere midrashico seguito dali 'autore, parole e frasi di rilievo che sono ripetute in forma di commentario corrente (vv. 8-9): nel solo v. 8b si ha la triplice frequenza del verbo « assoggettare »; il ritorno sulla espressione: « Per poco inferiore agli angeli » (vv. 7a; 9a) e a: « Coronato di glo­ ria e di onore >> (vv. 7b; 9b); il valore salvi fico della sua morte rimarcato per 2 vol­ te nello stesso v. 9bc. Con la frase: « Avendogli (Dio, v. 4) di fatto sottomesso tutte le cose » (v. 8b) l 'autore avvia la parafrasi del Sal 8,7b riportato in 2,8a: si può di conseguenza ri­ tenere il pronome autij (a lui), anche se l 'autorevole J>46 non lo attesta. Quel « a lui », che in 2,6a è « l 'uomo » e in 2,6b è « il Figlio dell 'uomo >>, in 2,8b è di cer­ to quel Gesù (2,9a) che al momento non vediamo ancora (oupo horomen) sovra­ no di tutte le cose. Eppure (Dio) « nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso » (v. 8c), perché non c'è nulla che non (gli) sia assoggettabile. È il senso di anypo­ taktos135; attestato in epoca ellenistica, descrive la non volontà di sottomissione a un altro o anche il non riconoscere l 'autorità di un re o comunque di una guida136• In Ebrei questo senso negativo volge al positivo. Ben riuscito il parallelo antite­ tico tra le due forme verbali all ' aoristo, hypetaxas - ouden apheken ( « Ha sotto­ messo - non ha lasciato nulla che », v. 8ab ). Quell 'antitesi tende a dare compi­ mento al Sal 8. «A lui » (v. 8d): Chi è questo « lui »? La creatura umana o Gesù il Cristo? Difficile pensare alle creature umane; i destinatari ne hanno un'esperienza dura Paraula. FS G. Camps (Scripta et Documenta 47), Asociacion Biblica de Catalonya, Montserrat 1 993, pp. 8 1 -96. 1 34 Cfr. W.-Y. Ng, Hebrews 2, 6-Ba. A Case in the New Testament Use ofthe 0/d Testament, in CGSTJourna/ 24 (Hong Kong 1 998) 2 1 4-2 1 5 : l 'uso enfatico e ripetitivo di un termine è stile mne­ motecnico tipico del peser. 1 35 Così A. Vanhoye, Situation du Christ, p. 277. 1 36 Si leggano: G. Flavio, Antichità giudaiche 1 1 ,2 1 7; Filone di Alessandria, Quis rerum divi­ narum heres sit 4; Epitteto, Manuale di disciplina 2, l O, l .

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( 1 0,32-34; 1 3 , 1 3- 1 4) che ben dimostra quanto esse siano ancora lontane dal pro­ getto del Sal 8. Dunque quel « lui » è il Cristo che già in Eb 1 , 1 3 (Sal 1 09, 1 ) è re in­ vitato a sedere alla destra di Dio, il quale ha in mente di sottomettergli ogni cosa. Al presente, noi non siamo in grado di constatare (oupo horomen) che tutto gli è stato sottomesso. Non si tratta del « tutto » di l ,3, cioè della creazione nel suo in­ sieme, ma, in parallelo con ouden del v. 8c, di quel qualcosa che ancora manca per­ ché la sua regale sovranità sia completa: la vittoria definitiva sul potere del mistero d' iniquità, fase della sottomissione che sarà piena solo nella città futura. Quella completa sottomissione non ammette eccezioni, dal momento che anche il Sal 8,7b non prevede eccezioni. Permane la tensione dualistica tra terrestre e celeste, tipica in Ebrei137• La magistrale expositio argomentativa per incastro continua. « Però vediamo Gesù » (v. 9a). Questo nome, proprio di colui il cui nome è Figlio ( l ,4 ), ricorre qui per la prima volta in Ebrei e risponde bene a un' intenzio­ ne strategico-retorica dell 'autore: creato l ' interesse in l ,4 a conoscere chi fosse il portatore del nome « Figlio », ne rivela ora l ' identità138• Blepomen (vedere) ha un valore metaforico: è riferito al vedere nella fede il « Gesù coronato di gloria e di onore » nella morte (v. 9). Questo tipo d ' incoronamento è invisibile agli occhi del corpo, la sua esaltazione non può che essere « vista » con gli occhi della fede, essendo difficoltoso rintracciarla in tanta umiliazione. Disporsi a vedere nella fe­ de ciò che ancora non si vede è motivo ritornante in Ebrei, tematizzato in Eb I l , l : ciò che noi non vediamo ancora è la realtà vera, la sottomissione universa­ le delle cose a lui; speriamo tuttavia che le realtà tutte si lascino coordinare da lui verso il potenziale della redenzione (Eb 2,8e ). A questo risultato conduce la rile­ vazione di una struttura discorsiva, che porta ad abbinare a distanza 2,8 a 1 1 , l , contribuendo a evitare una lettura per lo più astratta e metafisica della fede in I l , 1 139• In 1 2,2a poi i destinatari sono esortati a guardare a quello stesso Gesù che è « autore e perfezionatore della fede ».

1 37 Allude a E b 2 , 8 Ippolito nel suo commento a l celebre passo d i Daniele 7,9- 1 0. 1 3- 1 4: quel vegliardo è Dio Padre e quel Figlio dell 'uomo è Gesù il Figlio. Ogni realtà lo serve (douleusi5sin), fino al completo assoggettamento. Cfr. Ippolito di Roma, Commentaire sur Daniel (G. Bardy, ed.), (SC 1 4), Cerf, Paris 1 947, pp. 282-285. 1 3 8 Così osserva J.C. O'Neill, Jesus in Hebrews, in JournHighCrit 6 ( 1 999) 64-82. Questi, tut­ tavia, ritiene che il nome « Gesù » originariamente fosse del tutto assente in Ebrei. Vi sarebbe ricor­ so per la prima e unica volta in Eb 4,8, in cui faceva da protagonista (e lo è ancora) Giosuè e non Gesù (lbid. 69). In verità, pensa O'Neill, protagonista di Ebrei (documento originario) sarebbe stata una figura anonima, forse il « maestro di giustizia » di Qurnran, cui farebbe pensare la sapienza di detti ricorrenti nel nostro testo. Quegli esseni, divenuti cristiani e conservato il libro che noi cono­ sciamo come Ebrei, hanno aderito a Gesù il Messia. Non appena Ebrei poté entrare nella letteratura cristiana, la Chiesa delle origini vi avrebbe immesso il nome di « Gesù ��. Da qui la maggiore fre­ quenza del suo nome (lbid. 80-8 1 ). Salva l 'attenzione dovuta a uno studio comunque condotto con dovizia di riferimenti, resta piena la sorpresa per tanto coraggio scientifico! 1 39 Se ne occupa R. L. Brawley, Discoursive Structure and the Unseen in Hebrews 2, 8 and 11,1. A Neglected Aspect ofthe Context, in CBQ 55 ( 1 993) 98. Brawley ritiene di doversi distaccare dalla strut­ tura simmetrico-concentrica proposta da A. Vanhoye, La structure littéraire de l 'Épitre aux Hébreux, Cerf, Paris 1 976, pp. 228-235. Tale struttura, ponendo in risalto il rapporto di Eb I l , l -40 con 3, l - 4, 14 impedirebbe di cogliere il raccordo di 2,8 con l l , l. In verità, la struttura simmetrico-concentrica non è poi così rigida. Una macrostruttura, infatti, consente comunque altre rilevazioni strutturali.

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« Che fu per poco tempo inferiore agli angeli )) (v. 9b ), non solo, ma anche il più abietto fra gli umani, se consideriamo l ' allusione a Is 52, 1 3 - 53, 1 2. L'autore pone questo punto del Sal 8 riferito in Eb 2,7a in relazione con la passione di Gesù il Cristo, con la vergogna della crocifissione ( 1 2,2), con la sua morte fuori dal campo ( 1 3 , 1 2) e, ancora prima, con i giorni della sua vita terrena, con le gri­ da e le lacrime (5,7) perché gli fosse risparmiata una via tanto dura, nella certez­ za che il Signore-JHWH se ne sarebbe preso comunque cura (Is 54,7-8)140• A « ora coronato (per sempre) di gloria e di onore )) (v. 9c) retrostà la figura del re terreno o, più attendibilmente, dell ' incoronazione-intronizzazione di Aronne al sommo sacerdozio. Un re terreno è incoronato nel momento in cui prende possesso del trono. Inoltre, egli riceve « sopra il turbante una corona d'o­ ro )), come informa Sir 45, 1 2 a proposito dell ' incoronazione sacerdotale di Aronne. Qui, in Eb 2,9c, il ruolo della corona è determinante: colui al quale è ascritta quella corona è uno al quale sono state assoggettate tutte le realtà create, avendole redente. Questo Gesù, già rivestito dell 'onore del sommo sacerdozio (Eb 5,4-5) e vittorioso nella corsa della fede ( 1 2, 1 -2), giunge alla glorificazione introdotto dali ' obbrobrio della croce141 • Quell 'umiliazione diventa per tutti pre­ sentazione visibile del nuovo sommo sacerdote: incoronato per sempre tale 142• « A causa della morte che ha sofferto )) (v. 9d), perché egli ha sperimentato­ gustato la morte. È il senso di geusetai thanatou, un semitismo che descrive i mo­ menti del morire143• Pensa il testo di Ebrei ai tre giorni del sepolcro, dunque alla sua morte fisica subìta con violenza? Forse allo scopo di sostenere coloro che so­ no nella malattia a non cedere ali 'amarezza della medesima? Sostenuta dai padri della Chiesa144, questa proposta (paracletica) è lontana dalla mente dell 'autore; Gesù infatti fissa la morte negli occhi e l 'affronta (Eb 1 1 ,5). Ebrei poi gioca in­ tenzionalmente su un forte contrasto: mentre per un re terreno la vita termina or­ dinariamente con la morte, il regno di Gesù ha inizio proprio con la sua esaltazio­ ne nella morte. Si configura il seguente binomio: la sofferenza fino alla morte non nega la glorificazione di lui, ma ne è la via maestra. Dando compimento alla sua incamazione-intronizzazione ( 1 ,6), la formula: « Attraverso il dolore della mor­ te )), cioè attraverso la morte (genitivo epesegetico ), descrive il momento finale dell ' intronizzazione-esaltazione: sommo sacerdote. Tra croce e incoronazione (sacerdotale) non vi è dunque distanza alcuna che possa motivare nei destinatari di 140 E, del resto, è stato sempre così. Gesù ha infatti « gustato la morte )), « quia non persevera­ verit in morte, sed statim resurrexit )). Così già Tommaso d'Aquino, Super epistolas Saneti Pauli lec­ tura, ad Hebraeos (R. Cai, ed.), voli . I-II (editio VIII, vol. II: ad Hebraeos), Marietti, Torino 1 953 8 , vol. II, p. 364 e, significativamente, M. Lutero, Commentariolus in Epistolam divi Pauli Apostoli ad Hebraeos, in Luthers Werke. Vor/esungen iiber Galaterbrief, Romerbrief und Hebriierbrief Kritische Gesamtausgabe, vol . 57, Bohlau (u.a.), Weimar 1 939, pp. 1 2 1 - 1 23 . 1 4 1 Non così per Gv 1 2,23 e 1 3,30-3 1 , in cui Gesù è glorificato proprio nella crocifissione. 1 42 È il senso del participio perfetto passivo estephanomenon (stephanoo). 1 43 A motivo ancora della forma mediopassiva di geusetai (geuo). 1 44 Fra di essi Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 4, in PG 63 ,40; Tommaso d'Aquino, Super epistolas sancti Pauli lectura, ad Hebraeos (R. Cai, ed.), p. 364. Poi anche M. Lutero, Commentariolus in Epistolam divi Pauli Apostoli ad Hebraeos, in Luthers Werke. Vorlesungen iiber Galaterbrief, Romerbriefund Hebriierbrief, pp. 1 2 1 - 1 23 .

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Ebrei incertezza nella salvezza e conseguente sbandamento nella fede in lui. Quella croce non è solo un mero ricordo della fine del Gesù terreno; al contrario, gesuologia-cristologia-soteriologia-escatologia sono in essa un tutt'uno continuo. « Separato (choris) da Dio » (v. 9e ): siamo al cuore del paradosso. In verità, « per grazia (chariti) di Dio >> è la lezione più seguita. Ma anche « senza (choris) Dio », separato14S, abbandonato da lui, forse con allusione a Mc 1 5,34 (Sal 2 1 ,2), eppure da lui tenuto d'occhio 146, è una traduzione che richiede attenzione, in for­ za del manoscritto 1 739 d' inizio secolo III o forse già di fine secolo II. Una tra­ dizione dunque già esistente. Di maggiore peso, anche se di poco più tardiva, è la testimonianza di Origene (+ ca. 254/255). Questi informa che la lezione choris theou era riportata nei manoscritti a lui disponibili 147• La lezione « senza Dio » è tenuta dali ' Ambrosiaste (ca. 360) e da san Girolamo (+ 420)148, da Teodoro di Mopsuestia (+ 428)149, e da Teodoreto di Cir(r)o (+ 458) 1 50• Essa sarebbe in sin­ tonia stilistica con Ebrei ove la parola choris ricorre di frequente ( 1 3 volte su 4 1 nel NT), seguita, come qui, sempre da u n sostantivo privo d i articolo. Questa le­ zione, va detto, è la più difficile (lectio difficilior) e andrebbe preferita ali 'altra, più facile (lectio facilior), perché resa tale. È infatti verosimile pensare che un amanuense non abbia accolto la dura dichiarazione « senza Dio » e l 'abbia sosti­ tuita con « per grazia di Dio » 1 5 1 , cioè sempre sotto il suo sguardo benevolente e da lui sostenuto. Un supporto gli sarebbe venuto da 1 Cor 5, 1 0; 2Cor 1 , 1 2: in si­ tuazioni difficoltose, Paolo racconta con fermezza di esserne uscito vincitore « per mezzo della grazia di Dio » (en chariti theoiì). Questa lezione porta a due letture teologiche: Gesù ha patito ed è morto « non come Dio », dunque nella sua sola umanità; Gesù è morto per l 'umanità, ma non per Dio; per lui non doveva certo morire, essendo Dio non bisognoso di 1 45 Nel senso di Rm 8,3 5 : « Chi ci separerà (chOrisei) dali 'amore di Cristo? ». La grecità clas­ sica conosce chOrizein per dire la separazione matrimoniale: Polibio, Storie 3 1 ,26,6 (Storie [D. Musti, ed.], BUR, Milano 200 1 ); Euripide, Frammento 1 063, 1 3 . Cfr. H.G. Liddell - R. Scott, Greek­ English Lexicon, Clarendon Press, Oxford 1 996, p. 20 1 6. 146 Conforme, del resto, alla preghiera del pio israelita il quale, quando si avvale di un salmo, lo prega al completo. E se il Sal 2 1 esprime ai vv. 1 - 1 9 il grido de li' orante che si vede abbandonato da Dio nell 'angoscia, i vv. 20-32 attestano la sua ferma fiducia che egli, per la forza di Dio, vivrà. Questa deve essere stata la preghiera di Gesù. 1 47 L'autorevole scrittore ecclesiastico Origene, pressoché contemporaneo del P46, scrive: «"Christus gratia Dei", sive ut in quibusdam exemplaribus legitur, "absque Deo, pro omnibus mor­ tuus est"», « A rather difficult verse », osserva R.A. Greer, The Captain ofour Salvation, l. C. B. Mohr, Tiibingen 1 973, pp. 49-50, nel quale Origene vede una certa prova della subordinazione del Figlio al Padre: questi è il vero inunortale; Gesù doveva giungere al possesso dell ' inunortalità del Padre « gu­ stando la morte per tutti )). Cfr. Origene, Commentarius in Johannis Evange/ium 2, 1 8, 1 23 (C. Blanc, ed.), Commentaire sur Saint Jean (SC 1 20), Cerf, Paris 1 966, p. 289. Ma non è il pensiero di Ebrei. 1 4 8 Per entrambi , cfr. E. Nestle K. Aland, Novum Testamentum Graece, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 1 997 27 • 1 49 Cfr. Teodoro di Mopsuestia, Epistolam Pauli ad Hebraeos 2, 9, in PG 66,956D-957A. Per Teodoro, « senza Dio » vuoi dire che Gesù ha gustato la morte come uomo e non come Verbo. In ve­ rità, ali ' epoca di Ebrei, questo problema cristologico non è ancora sorto. Cfr. ancora R.A. Greer, The Captain of our Sa/vation, p. 50. 1 5° Cfr. Teodoreto di Cir(r)o, Interpretatio episto/ae ad Hebraeos, in PG 82,69 1 -692. 1 5 1 Giocando sull 'assonanza charis-choris. -

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redenzione. Questa seconda interpretazione avrebbe un riscontro in l Cor 1 5,27 : se tutto è stato sottomesso ai suoi piedi, è chiaro che va eccettuato Colui che tut­ to gli ha sottomesso152• Resta comunque che la maggior parte dei manoscritti, e dei più autorevoli (ad esempio, J>46, Alessandrino, Vaticano, palinsesto di Efrem il Siro, codice di Beza), leggono chariti (« per la grazia »). Il Padre avrebbe ac­ cettato che il Figlio fosse dato a morte perché rientrassero nel favore di Dio quan­ ti ne erano fuori. Anche charis è qui in sintonia con lo stile di Ebrei (4, 1 6; 1 2,28; 1 3 ,9) e indica, in forza ancora del contesto immediato in 2, 1 0, che Dio è tutt' al­ tro che assente, in quanto « ha reso perfetto mediante la sofferenza il capo », co­ lui che avrebbe dovuto portare i suoi alla « gloria », cioè alla salvezza. Eb 2, 1 0 sembra essere il tentativo di confermare da un lato che Gesù è morto per tutti, per ognuno, ma non per Dio 153; dali 'altro, dire che Dio non fu assente né indifferen­ te, quasi avesse consegnato il Figlio ali 'abbandono. Tenuto conto di tutto ciò, la lezione « senza Dio » mi pare la migliore, anche se, o proprio perché più diffici­ le. Al momento la privilegio154. « A favore di tutti » (v. 9f), cioè per ognuno. Hyper pantos: un maschile, dunque « per ognuno », o un neutro, dunque « per ogni cosa »? N el secondo caso, che includerebbe il primo, la redenzione sarebbe universale, nel senso di Rm 8,2 1 e di alcuni padri della Chiesa155• Del resto, colui che porta « molti figli e figlie al­ la gloria » (2, l Ob) è anche colui « per mezzo del quale e in vista del quale tutte le cose esistono » (2, l Oa); colui poi che ha compiuto la purificazione per i peccati degli uomini ( l ,3 ), cioè « per tutti coloro che devono ereditare la salvezza » ( l , 1 4) è anche colui che « sostiene tutte le cose con la potenza della sua parola » ( 1 ,3). Si ha qui un caso in cui è legittimo ampliare la traduzione, che ne risulta ar­ ricchita: « Per tutti e per ognuno » 1 56• [2,10-16] Nel Figlio la solidarietà che redime: siamo al terzo . momento ar­ gomentativo. Collegandosi a 2,5-9, il v. l O accoglie e conferma il fatto che la cro­ ce è un momento transitorio per il Gesù terreno, la cui morte invece continua a sprigionare vita in direzione soteriologica. La sua redentiva solidarietà con i fra­ telli trova sviluppo in 2, l 0- 1 6. Solidale con essi, egli è comunque da essi diverso (vv l 0- 1 3 ); avendo con essi in comune la « carne e il sangue », egli libera i suoi fratelli dalla schiavitù della morte (vv 1 4- 1 6) : sommo sacerdote e fratello dei suoi fratelli 157• La pericope evolve in due momenti: vv 1 0- 1 3 e vv 1 4- 1 6 e si chiude con i vv 1 7- 1 8. .

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1 52 Forse questa seconda lettura, di per sé più attendibile, è caduta in sfavore in quanto riflette­ rebbe il pensiero gnostico, secondo cui la parte divina di Gesù avrebbe lasciato la sua persona uma­ na prima della sua passione e morte. Un tema nestoriano, ma non di Ebrei! 1 53 La versione Siriaca P·�itta, di Eb 2,9 recita: « . . . Perché, per sua grazia (benevolenza), Dio co­ nobbe la morte a favore di ognuno ». Decisivo, per tale versione, il ruolo di Efrem il Siro. Esame det­ tagliato in S.P. Brock, Hebrews 2,9b in syriac Tradition, in Novum Testamentum 21 ( 1 985) 236-244. 1 54 Su charis-chOris, ampia discussione in E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, pp. 1 241 26. Le risonanze liturgico-omiletiche sono di notevole peso. 1 55 Cfr., ad esempio, Teodoreto di Cir(r)o, lnterpretatio epistolae ad Hebraeos 2,9, in PG 82,69 1 -694. 1 56 Così già M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 494. 1 57 Un molto ricco aspetto gesuologico in Eb 2, l 0- 1 8; da esso si dipartono valori collaterali, con esso associati e sparsi nell' intero trattato: egli tende ad acquistarsi l 'affetto dei suoi, eredi con lui

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[v. 10] Contiene almeno cinque elementi stilistici: ta panta - kai ta panta ­ agagonta - autfm - pathematfm. Di andatura melodica assonante, questo aspetto letterario estetico mostra che l 'autore lavora con stile e finalità retoriche, ma an­ che mnemoniche: l 'assonanza consente al lettore-ascoltatore di fissare nella pro­ pria mente dati di valore. Il Gesù del v. 9a è colui in vista del quale, a motivo del quale (in senso fina­ le) e grazie all 'azione del quale (in senso causale principale), tutte le cose ( ta panta, Col l , 1 6b), e cioè quelle nei cieli e quelle sulla terra (Col 1 6b.20b), sono e sussistono (Col 1 , 1 6b) 158• Questo progetto di Dio sul Figlio prevede ora un pas­ so ulteriore introdotto da una formula insolita: « Era appropriato (eprepen gar) per lui (Dio) che . . . )) (v. l Oa). In Eb 2, l Oa l 'uso di prepein è infatti influenzato dal peso argomentativo retorico dell 'opportunità (o convenienza). Mentre si può es­ sere d'accordo sul fat,to che l 'agire di Dio in Gesù il Figlio sia stato appropriato, perché era giusto da parte di Dio che così fosse, si nutrono non poche riserve sul fatto che un' idea tanto ardita possa essere attribuita a Ebrei. Nella teologia giu­ daica, infatti, non è pensabile associare Dio al mondo attraverso la sofferenza, quasi che ciò fosse « appropriato-opportuno )). Si potrebbe pensare che Ebrei ri­ senta del pensiero medioplatonico e/o della teologia ellenistico-filoniana, secon­ do cui tale opportunità non è né può essere una necessità avvertita da Dio, ma so­ lo un bisogno della creatura umana159• Eppure, questa attraente ed equilibrata interpretazione non dà conto di altre chiare affermazioni sulla « passione )) di Dio in Ebrei: 3 , 1 1 ; 4,3 ; 1 0,30-3 1 ; 1 2,29. Va dunque accolto come pensiero di Eb 2, 1 0 il fatto che eprepen gar dica l 'opportunità della partecipazione di Dio nella pas­ sione e morte del Figlio. Riesce Eb 2, l O a parlare con autorevolezza persuasiva e con potenziale emotivo che coinvolga (cioè con ethos e pathos), onde ottenere adesione alla fondatezza del suo discorso sull '« appropriatezza )) della partecipa­ zione del Padre nella morte del Figlio?160• Riesce a convincere i suoi lettori che quella partecipazione è « appropriata », perché si attaglia al Padre in quel conte­ sto preciso? Certo, per Ebrei l ' « appropriatezza-opportunità » vuole persuadere molto più della semplice logica. Osserviamo più da vicino Eb 2, l Oa: eprepen gar, una forma finita usata di solito in modo impersonale, talora con una proposizione infinitiva come sogget­ to e con un oggetto indiretto. L'oggetto è la persona o cosa a cui l ' « appropria-

nella figliolanza, fedeli nella sua fedeltà, partecipe compassionevole della vicenda umana, credibile perché vero e retto in tutto, in crescente consapevolezza, custode dei suoi fino al suo ritorno. Osserva P. Gray (Brotherly Love and High Priest Christology ofHebrews, in JBL 1 22 [2003] 335-35 1 ): que­ sti aspetti per lo più sfuggono, in quanto il metodo storico critico abbonda in sondaggi giudaico-el­ lenistici del testo. Eppure: « Illa oportet facere et ista non omittere. In medio stat virtus! >>. 1 58 Sull 'uso di dia con l 'accusativo e il genitivo, cfr. F. Blass - A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento (GLNT. S 3), Paideia, Brescia 1 982, pp. 294-296. 1 59 Cfr. H.W. Attridge, La lettera agli Ebrei, pp. 79-80. 160 Si ascolta qui Aristotele, Rhetorica 3 ,7, 1 -5 ( 1 408a); 3 , 1 6,8 ( 1 4 1 7a), e ancora Quintiliano, lnstitutio oratoria 1 1 , 1 ,7; 1 1 , 1 ,30 (0. Frilli, [ed.], Zanichelli, Bologna 1 989). E anche Cicerone, Orationes 2 1 ,70-22.74; 35, 1 23 , e Id., De oratore 2,20,84-87; 2,43, 1 83 ; 3, 1 5,53; 3,55,2 1 0-2 1 2 (Dell 'oratore, voli. I-III [A. Pacitti, ed.], Zanichelli, Bologna 1 982- 1 984).

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tezza » è attribuita e il soggetto testimonia l 'azione descritta come appropriata. Qui il soggetto di « era infatti appropriato che >> è « guidare attraverso la soffe­ renza il capo della salvezza » e l 'oggetto indiretto è lui. Una frase subordinata (« per il quale e del quale sono tutte le cose ») qualifica l 'oggetto. L'altra propo­ sizione qualificante: « Volendo portare molti figli alla gloria » è circostanziale piuttosto che finale. Ora, perché era appropriato per Dio rendere perfetto Gesù at­ traverso la sofferenza? Dal momento che l 'appropriatezza e la persuasione nella retorica sono collegate, quando Ebrei usa eprepen, non si riferisce solo a ciò che è appropriato, ma anche a ciò che è più efficace e persuasivo. Ebrei cioè pensa così : Dio vide che la perfezione di Gesù il Cristo, quale sommo sacerdote mi­ gliore, sarebbe stata più persuasiva se il Padre avesse partecipato alla sua morte. Una delle caratteristiche nella morte di Gesù è dunque l ' appropriatezza del ruo­ lo di Dio161, un fatto inesistente in ambiente giudaico-ellenistico, una qualità del tutto nuova di quel sacrificio. JHWH poi, vuoi dire Ebrei, il Dio del nuovo patto in Gesù il Figlio, è più persuasivo del Dio del patto antico, in Mosè il servo. Quella partecipazione, infatti, appropriata al sacrificio del Figlio rivela il suo ethos divi­ no e solleva il pathos nel destinatario. Il ponte che lega l 'ethos e il pathos è Gesù il « Figlio », fratello tra fratelli, reso perfetto nella sofferenza e nella morte. Ne ri­ sulta che il messaggio divino espresso nel Figlio è più persuasivo, perché di­ schiude l 'ethos di chi parla e provoca il pathos nel destinatario che ascolta e os­ serva. Il successo di Dio nel Figlio è il migliore risultato di eprepen gar in 2, l Oa. Anche Gesù il Figlio diventa più persuasivo nella sua mediazione. Questa è totalmente nuova: è solidale con gli uomini suoi fratelli perché egli stesso uomo; condivide con essi una comune origine (cfr. Eh 2, 1 1 - 1 3); sperimenta la morte su di sé, ne abbatte il dominio e libera la creatura umana (cfr. 2, 1 4- 1 6) dal suo pun­ giglione ( l Cor 1 5 , 55); si qualifica sommo sacerdote compassionevole e fedele, che conosce bene le sofferenze di coloro dei quali ha espiato peccati e colpe (cfr. 2, 1 7 - 1 8). È Figlio, e questo rende migliore la sua mediazione. Anzi, portato alla perfezione, quel Figlio diventa « fonte di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono » (5,9). È in questo contesto che si colloca la plastica e impressio­ nante descrizione del dolore di Gesù in 5 ,7-8 ritenuta appropriata perché quel Dio, in essa coinvolto, gliela ascrive a perfezione. Non casuale, quella sofferenza è essenziale al suo sacerdozio, il quale poi è partecipazione alla condizione uma­ na: solidale e compassionevole. Il peso retorico dell '« opportunità-appropriatez­ za » (prepein) esprime il costante tentativo di Dio di comunicare efficacemente con l 'uomo. Punto culminante: sofferenza e morte del Figlio162• Questi è « colui per il quale e attraverso il quale sono tutte le cose » (v. l Oh). « Per il quale, in vista del quale » è la traduzione di di 'hon (cioè della preposizione dia con l 'accusativo, 1 , 1 4; 6,7); « attraverso il quale » è invece la traduzione di di 'o-u (cioè di dia con il genitivo) ed esprime azione. Quest'ultima combinazione è già in Eh l ,2, in cui il 1 6 1 Espresso con eprepen gar in Eb 2, l , lo è con paredoken auton in Rm 8,32: « Dio non ha ri­ sparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi ». 1 62 Sulla questione, si veda A. C. Mitchell, The Use of prepein and Rhetorical Propriety in Hebrews 2, 10, in CBQ 54 ( 1 992) 68 1 -70 1 .

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Figlio è colui attraverso il quale sono stati fatti « i mondi » (tous aionas). In 2, lOb l 'operatore « attraverso il quale sono tutte le cose » è invece Dio stesso. Questo linguaggio è ricorrente nell 'antichità: gli stoici se ne avvalgono per dire che la vi­ ta viene da Dio (di 'ou) e torna a lui perché è puntata su di lui (di 'hon) che ne è la fonte 163• Di eguale parere Filone164• L'Alessandrino è ancora del parere che tutte le cose trovano la loro causa-ragione in Dio o, meglio, nella sua parola, che è la cau­ sa operativa della creazione165• I cristiani della prima ora mettono a punto espres­ sioni similari in Rm 1 1 ,36 (di 'autou); in l C or 8,6 (di 'ou - di 'autou) e in Col l , 1 6 (di 'autou). S e gli stoici imboccano una strada panteistica, per cui Dio è un tutt'u­ no con « tutte le cose )) (ta panta), Ebrei distingue bene le creature dal Creatore: egli è colui che ha il potere di assoggettare a sé e al Figlio « tutte le cose )) (2,8). La storia delle tradizioni del v. l Ob trova dunque il proprio punto di partenza nel pan­ teismo stoico. Purificato attraverso il giudaismo ellenistico, che conosce simile formulazione nella fede biblico-giudaica espressa nei racconti di creazione, rag­ giunge la comunità protocristiana che ne elabora una celebrazione dossologica di Gesù Figlio (« per il quale e attraverso il quale sono tutte le cose »)166• Dio accompagna progressivamente verso la perfezione Gesù il Figlio e lo rende pioniere della fede (v. l Oc, in base ad agagonta ton archegon, due accusati­ vi che sarebbero connessi con « Dio )) come soggetto unico), oppure « Dio )) vuole portare molti alla perfezione, essendo egli il soggetto de li ' infinito « portare alla perfezione )) (teleiosai)? Quest'ultima proposta è più attendibile: in vista del voler portare molti figli e figlie alla gloria, Dio ha reso perfetto il Figlio. L' infinito te­ leiOsai è un aoristo ingressivo e suggerisce un'azione continua, dunque in corso. Già usato per Gesù il « Figlio », il plurale « figli (e figlie) )) indica i molti se­ guaci del « Figlio )), figli nel Figlio. Che l 'autore usi « molti )) e non « tutti », po­ trebbe sembrare una limitazione, in quanto la « gloria )) non sarebbe per tutti, ma so­ lo per molti. E si avrebbe una sintonia con Eb 4, 1 .6; 6,4-8; 1 0,26-3 1 .39. In realtà, l 'autore pensa in una dinamica di continua espansione: Dio vuole portare alla glo­ ria molti, in crescendo, dunque virtualmente tutti, e non solo pochi. Hyioi può es­ sere reso con « figli e figlie )), onde enfatizzare l 'universalità della salvezza. La co­ munanza del termine « Figlio-figli )) per Gesù e per i suoi, non annulla il fatto che egli sia il santificatore e quelli solo i santificati (2, 1 1 ) Tuttavia, è decisivo quanto l 'uno e gli altri hanno in comune: entrambi sono da Dio, ma il Figlio è agente del­ la creazione ( l ,2), i figli e le figlie sono invece solo creature; il Figlio è tale da sem­ pre, i figli e le figlie divengono tali; il Figlio è da sempre erede, i figlie e le figlie di­ ventano eredi della salvezza ( 1 , 1 4) attraverso la fede (2,3-4); il Figlio ha appreso a collaborare con Dio nella sofferenza (2, l O; 5,8), i figlie e le figlie devono seguire la sua stessa strada, onde ricevere da Dio santità e salvezza ( 1 2,5- 1 1 )167. .

1 63 Così, ad esempio, Marco Aurelio, Meditazioni 4,23; Diogene Laerzio, Vite l ,3 (Li ves of eminent philosophers [R.D. Hicks, ed.], voli. 1-11 [LCL], W. Heinemann Ltd. London 1 965). 1 64 Cfr. Filone di Alessandria, De specialibus legibus l ,208. 1 65 Cfr. Id., De cherubim 1 25- 1 28 . 1 66 Questa storia delle tradizioni d i E b 2, l O b è ampiamente ritenuta. 1 67 Si veda A. Vanhoye, Situation du Christ, p. 3 1 3 . Già F. Weiss, Der Brief an die Hebriier (KEKNT 1 3), Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 99 1 14, pp. 2 1 2-2 1 3 .

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Con riferimento a Eb l , 1 4 e a 2,3 eis doxan (la « gloria )), v. l Od) è il com­ piersi della salvezza promessa. Del resto, il Gesù di 2,9a possiede già quella glo­ ria che Dio ha progettato per il suo popolo. Qui, in Ebrei, la gloria è pensata per tutti i figli e le figlie di Dio. Essa si può, e forse si deve ulteriormente spiegare in termini di « onore )) a motivo dell 'abbinamento « gloria e onore )) (doxa kai timé) proposto in 2,7.9; 3,3; 5 ,4-5 : valutazione positiva che il popolo eletto riceve da­ gli altri. Ma è comunque ben diversa la gloria-onore proveniente dalla gente da quella che viene da Dio. Questa distinzione è nota già presso scrittori antichi 168• Per ebrei e cristiani, l 'onore è quel dono dato da Dio, sorgente della gloria, ai pubblicamente disonorati o anche uccisi a motivo della loro testimonianza di fe­ de (Sap 5,4-5 ; 4Maccabei 1 7,20)169• « L'autore della salvezza )) (v. l Oe) è probabile allusione letteraria a Mie l , 1 3 (LXX), in cui la città-stato di Lachish è definita « l ' inizio del peccato (archégos hamartias) per la figlia di Sion )). Le due formule sono in antitesi: a inizio-inizia­ tore del peccato (opzione di allontanamento da Dio) si contrappone l ' « inizio-ini­ ziatore-autore )) della salvezza. Gesù (v. 9b) è autore della salvezza; è fondatore della fede ( 1 2,2) 1 70; inoltre, egli è il capo-forza trainante che traccia il cammino e stimola alla sequela. Che Gesù sia il « capo della salvezza )) solleva la questione della sotéria in Ebrei e di come essa si rapporti con archegos. Sotéria ricorre 6 volte in Ebrei ( 1 , 14; 2,3; 5,9; 6,9; 9,28; 1 1 ,7). Se in 1 1 ,7 significa « liberare dal pericolO )) e in 9,28 esprime la realizzazione finale dell 'opera redentrice di Dio, in ciascuna del­ le prime 4 ricorrenze si riferisce al tempo della salvezza disponibile a partire dal­ l 'opera storica di Cristo. Siamo appunto alla nuova età171 : il mondo futuro (2,5) esprime il risvolto di questa salvezza, della quale l 'autore sta parlando (2,3) e che descriverà poi come « il tempo futuro )) (6,5) e la « città futura )) ( 1 3, 1 4). Se que­ sto è vero, chiamare Gesù « capo della salvezza )) equivale a chiamarlo « il capo della nuova età ))1 72• Si ha una storia della salvezza, in un « oggi )) di Dio, in tre fa­ si: dall '« oggi )) di ieri, nel servo Mosè, all '« oggi )) terreno, nel Figlio, ali '« og­ gi )) eterno, nel suo riposo 173• Come « autore della salvezza )) (2, 1 0; 1 2,2), Gesù è reso perfetto nella soffe­ renza. A partire da Eb l ,4 la sua posizione è messa a confronto con quella degli angeli : sebbene loro superiore, egli « fu fatto per poco tempo inferiore a essi )) 1 68 Così Lucio Anneo Seneca, Epistulae ad Lucilium 1 1 3 .32 (Lettere a Luci/io [C. Barone, ed.], Garzanti, Milano 1 989). 1 69 Cfr. D.A. de Silva, Despising Shame: A Cultural-Anthropological lnvestigation of the Epistle to the Hebrews, in JBL 1 1 3 ( 1 994) 80- 1 44. 1 70 Se ne occupa J.M. Vemet, Cristo, el que abre el camino, in Salesianum 47 ( 1 985) 4 1 9-43 1 (su Eh 2,9- 1 0 e 1 2,2, per il cui pensiero rimando a 1 2,2). 1 7 1 Così autorevolmente già H. W. Montefiore, A Commentary on the Epistle to the Hebrews, pp. 59-6 1 . Più di recente C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 206. Si veda anche A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 40; E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 1 28. 1 72 Cfr. J.J. Scott, Archégos in the Salvation History ofthe Epistle to the Hebrews, in JEvTS 29 ( 1 986) 47-54. Su archégos, cfr. qui il commento su Eh 1 2,2. 1 73 Mi è parsa la sintesi del! 'ampio contributo di F. Manzi, La «fine dei secoli » e la salvezza mediata « una volta per tutte » nel/ 'epistola agli Ebrei, in Scuola Cattolica 1 2 8 (2000) 5 1 - 1 1 5.

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(2,9a), quando sofferenza e morte lo hanno « coronato di gloria e di onore >> (2,9b ). Sofferenza e gloria, un binomio ripreso in 2, l 0- 1 8 in uno scenario di re­ denzione cosmica: « Autore (archegos) della salvezza >>, egli conduce « molti fi­ gli alla gloria >>, perché « reso perfetto mediante la sofferenza >>. Il quadro è dina­ mico: Dio conduce il Figlio e, in lui, molti figli alla perfezione; il Figlio poi, reso perfetto, conduce molti figli alla gloria. Condurre nella gloria di Dio è far entra­ re nella sfera della sua presenza (sekfrza) : nella Gerusalemme restaurata, emblema del regno di Dio 1 74; è infine far parte della vita eterna alla presenza di Dio175; è far entrare nel riposo di/in Dio (4, l 0), nel suo celeste santuario ( l O, 1 9); è « giungere al monte Siom> ( 1 2,22a), « alla città del Dio vivente >> ( 1 2,22b ). Il verbo teleioo-teleiosai (« rendere perfetti, adempiere, compiere >>, v. l Of) torna di frequente in Ebrei, ove caratterizza l 'azione del Padre e la collabora­ zione obbedienziale del « Figlio >> e stigmatizza l ' imperfezione della legge. L'appropriata partecipazione del Padre (v. l Oa) alla passione e morte dà loro peso specifico e immette il Figlio in un flusso che « lo rende perfetto » (teleiosai). Una conferma a riguardo giunge da 5,9, in cui Dio rende il Figlio redentore perfetto at­ traverso la sua sofferenza (sacerdotale), e da 7,28, in cui il giuramento di Dio (per se stesso) rende il Figlio perfetto ed eterno sommo sacerdote. Eb 2, 1 0; 5,9 e 7,28 sono una triade in cui il soggetto non è il Figlio, ma Dio. Esprimendosi al passivo, l 'autore non pensa a una perfezione etica acquisita dal Figlio 176, ma operativa, su opportuna iniziativa di Dio; aderendole con la propria consapevole collaborazio­ ne, il Figlio se ne appropria 177• Vista così, la « situazione di Gesù » esprime bene il proprio processo di maturazione verso la piena disponibilità al progetto del Padre e raggiunge l 'apice nella sua oblazione sacerdotale; attraverso essa, egli porta a perfezione il progetto del Padre e rende perfetti i « suoi », li santifica in perma­ nenza con quella sua unica oblazione sacerdotale ( 1 0, 1 4), a differenza del sacer­ dozio levitico, incapace di dare perfezione (7, 1 1 ). E vi è di più: santificati e resi perfetti per sempre, i suoi, sono sacerdoti. Egli li ha consacrati con l 'offerta del proprio corpo e li ha resi capaci di entrare, come e per mezzo di lui, nel santuario, alla presenza della Presenza, per « offrire » il sacrificio a Dio gradito178• « Perfezionare, perfezione, perfezionatore » descrivono l ' influsso dell 'obla­ zione sacerdotale del Figlio a favore della persona umana ( 1 0, 1 4) e lo sviluppo delle potenzialità di relazione nei confronti di Dio: resi da lui perfetti e santifica­ ti, i suoi possono ora accostarsi al trono della salvezza (4, 1 6). Gesù uomo, poi, è esempio di fede nel Dio dei Padri; la sua morte di croce dà compimento a questa

1 74 Si leggano: Is 60, 1 9; Tb 1 3, 1 4- 1 7. 1 75 Si vedano: 1 Cor 1 5,42-43; Rm 2,5; 5,2; Ef 1 , 1 8; l Pt 1 ,2 1 ; 5, 1 0. 1 76 Ebrei non mostra interesse a questo aspetto; l 'uso di teleiao in Eb I l ,40 e di teleiotes in 1 2,2 ne sono buona riprova. 1 77 Non così J . M . Scholer, Proleptic Priests. Priesthood in the Epistle of the Hebrews (JSNT.SS 49), Cambridge University Press, Cambridge 1 99 1 , p. 1 88. 1 78 Che la teleiasis sacerdotale del « Figlio >> possa esprimere tanto è pensiero condividi bile di N. Casalini, 11 tempio nella letteratura giudaica, in RB 48 ( 1 995) 1 8 1 -2 1 0, qui 205-206. Che la te­ leiasis di Eb 2, l O sia la consacrazione (perfezionamento) sacerdotale conferita da Dio al Cristo nel mo­ mento della sua morte espiatoria, e questo in forza del Sal 1 09,4, mi sembra meno condivisibile.

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Parte seconda. Traduzione e commento

fede nell 'amore assoluto di Dio; la sua croce rende l 'amore di Dio operante nel­ la storia degli uomini, della cui fede egli è « perfezionatore » ( 1 2,2). Quella storia diventa così luogo di guarigione e di salvezza. [v. 1 1 ] Premesso che tutto ciò che è santo (hagios) è ben distinto da ciò che è comune e profano (koinos, hapax legomenon in Eb l 0,29), nell 'AT va da sé che per santificare qualcosa o qualcuno è necessario che lo si metta a parte, lo si ri­ servi per una finalità sacra. Così Dio santifica il suo popolo179• Ma anche altri santificano in nome di Dio, come Mosè 180• Qui, « colui che santifica » (v. l l a) è Gesù il Cristo. Il suo sangue effuso ( l 0,29) e la sua morte consumano quel sacri­ ficio che santifica e purifica coloro che se ne lasciano santificare ( l O, l 0). Separandoli dali ' infedeltà, egli pone i santificati nel nuovo patto con Dio. I san­ tificati sono ora quanti hanno ricevuto nella fede la ferma speranza della gloria celeste (2, l 0- 1 1 ), dal momento che senza santità nessuno può vedere Dio ( 12, 14 ). Coloro la cui coscienza è stata purificata da Cristo possono ora recarsi nel santuario, porsi di fronte a Dio e rivolgergli la loro preghiera (4, 1 4- 1 6), as­ sieme ad altri santificati e credenti (3, l ; 6, l 0), sicuri che nel futuro di Dio saran­ no pienamente partecipi, in lui, della sua santità ( 1 2 , l 0). Il popolo di Dio, giudeo ed etnicocristiano, non santifica se stesso, ma è santificato (2, 1 1 ); sostenuto dal­ la potente azione dello Spirito ( l 0,29b ), esso è in grado di respingere, combatte­ re e vincere ciò che egli ha respinto, combattuto e vinto: l ' infedeltà al patto, la trasgressione, il disordine religioso e sociale, il « peccato ». Ma quale peccato? « Fornicatore e profanatore, come Esaù » (Eb 1 2, 1 6), ad esempio; trascuratore di « una così grande salvezza » (2,3); non ascoltatore della sua voce « oggi >> (3, 7 . 1 5), come già la generazione del deserto; se questi e altri peccati prendessero radice, ne risentirebbe non solo il malcapitato, ma la comu­ nità intera ( 1 2, 1 5); Gesù il Cristo verrebbe calpestato, il sangue dell 'alleanza pro­ fanato, lo Spirito di Dio disprezzato ( l 0,29). La santificazione (hagiazein) com­ porta invece la separazione dal male, l 'opzione fondamentale per il bene, l 'essere purificati e messi da parte per esso. Il santificatore e i santificati « provengono da una stessa origine (ex henos) » (v. l l b). La formula è ambigua e dà adito a più interpretazioni: l ) si può riferire a Dio. Egli retrostà alla salvezza operata da Gesù il Cristo a favore della creatura umana. Henos è in questo caso maschile 1 8 1 • Già in Eb 2, 1 0a si legge che « tutto » viene da Dio ed è in vista di Dio. Si può così ritenere che anche il santificatore e i santificati abbiano la loro comune origine in Dio: Gesù il Cristo è « Figlio di Dio » ( l ,2.5), i santificati da lui sono anche figli di Dio, in senso ampio (2, l 0. 1 3). Gesù il Figlio li può ben chiamare suoi fratelli (2, 1 1 b). Tra le due parti intercorre una comune parentela. 2) Potrebbe trattarsi di Adamo, il capostipite unico del­ l 'umanità. Anche in questo caso henos sarebbe un maschile. Il suggerimento è però poco attendibile, dal momento che il testo di Ebrei non conosce il tema « Adamo ». 3) Più attendibile è invece che l ' autore pensi ad Abramo: in Eb 2, 1 6 1 79 Si vedano: Es 3 1 , 1 3 ; Lv 20,8; 2 1 , 1 5 ; 22,9. 1 6; Ez 20, 1 2 ; 37,38; 2Mac 1 ,24-26. 1 80 Si vedano: Es 1 9, 1 4; 29, 1 ; Lv 8, 1 1 - 1 2. 1 8 1 Uso analogo in Dt 6,4; Rm 3,30; ! Cor 8,6; Gal 3,20; ! Tm 3,5.

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si parla dei suoi discendenti e in 1 1 , 1 2 di coloro che sono nati da « uno », cioè da Abramo, il progenitore unico di Israele1 82. Anche qui henos è un maschile. 4) Che Eb 2, 1 4a pensi alla comune radice di « carne e sangue », da cui Gesù e i suoi fra­ telli provengono quale unica famiglia, può anche essere attendibile: Gesù condi­ vide con i suoi la natura umana. In questo caso, henos è al neutro. Dal momento che Eb 2, l 0. 1 3 menziona espressamente i « figli di Dio » e so­ lo in 2, 1 6 si menziona Abramo, è preferibile optare per la prima lettura: Dio è la comune origine per lui e per loro; per condurre i suoi fratelli nella gloria di Dio, soffre passione e morte (v. l Ob). Proprio « per questo non si vergogna di chia­ marli suoi fratelli » (v. I l e). L'espressione richiede attenzione: l) « Per questo >> (di 'han aitian) esprime il passaggio immediato dalla santificazione alla fratellanza; poiché li ha santificati, egli, Gesù, li chiama fratelli. La fratellanza dipende dalla santificazione. Tale fra­ tellanza è avvenuta attraverso l ' intera vicenda storica di Gesù il Cristo ed è dunque dovuta al fatto che Dio ha dato il suo popolo al Figlio183. 2) « Non si vergogna » (ouk ep 'aischynetai). Ottenere onore e non doversi vergognare è un fatto desidera­ to da singoli e famiglie184. Onore (o vergogna) è dato a una persona da Dio o dalla società, in forza della pubblica opinione. Da qui l 'esortazione sia di filosofi sia di pensatori ebreo-ellenisti a non tenere conto della pubblica opinione, ma piuttosto a perseguire la giustizia, prescindendone185. Per Ebrei, Gesù non si vergogna di rico­ noscere come suoi fratelli: i maltrattati dalla società (Eb 1 0,32-34; 1 3 , 1 3- 1 4), i di­ sonorati186, come del resto Dio stesso non aveva avuto vergogna alcuna a identifi­ care la propria storia con quella di Abramo. 3) « Di chiamarli fratelli ». Adelphous (fratelli) è termine familiare, ma indica anche gli appartenenti al popolo d'Israele nel loro reciproco fraterno rapporto187, e va considerato accanto al termine « ami­ ci »188 anche presso scrittori satirici 189. Essere fratello e amico comporta disponibi­ lità ad aiutare e molta generosità190. Se le persone che si relazionano da fratelli e amici si trovano in posizioni sociali differenti, quelle diversità si attutiscono fino a perdersi nella fratellanza e nell 'amicizia. I cristiani della prima ora si trattavano da « fratelli »191 e mostravano « attenzione per i fratelli » (Eb 1 3, l ). 1 82 Nel senso di Is 5 1 ,2 e di Ez 33,24. 1 8 3 Che Ebrei costruisca tale fratellanza sulla preesistenza dei fratelli nel Preesistente, come suggerito da E. Griisser (A ufbruch und Verheissung, pp. 1 84- 1 85) è davvero inattendibile. 1 84 Si legga Sir 3, 1 0- 1 1 ; 4 1 ,6-7; 47,20. 18 5 Così Sir 4,2 1 ; 4 1 , 1 6; 42, 1 -8; 5 1 ,29-30. Anche Seneca, Lettere a Luci/io 1 1 3,32 (già in Lettera l 02, 1 7). 1 86 È il senso della voce verbale epischynomai nella forma mediopassiva in piena rispondenza alla forma attiva che esprime il senso di « svergognare, ridurre alla vergogna », anche « infamare, di­ sonorare ». Un senso solido che attraversa la letteratura biblica dal TM alla LXX al NT. Il sostanti­ vo aischyne conserva il significato del verbo in Didachè 4, I l e in Lettera di Barnaba 1 9, 7. Si veda lo studio di R. Bultmann, epaischyno, in GLNT ( 1 965) 1 ,507-5 1 1 . 1 87 Si vedano: Es 2, 1 1 ; Dt 1 8, 1 5 ; l Mac 5,32. 1 88 Così in 2Sam l ,26 e Sal 3 5(34), 1 4. 189 Giovenale, Satire 5, 1 35. 1 90 Si vedano: Pr 1 7, 1 7; Sir 29, I O; 40,24. 1 9 1 Abbondante attestazione in Eb 3 , l . l 2 ; 1 0, 1 9; 1 3,22; ancora in l Cor 8, 1 1 . 1 3 ; Fm 1 6; l Pt 5 , 1 2; IGv 2,9.

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[v. 1 2] Riportando il Sal 2 1 ,23 (« Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo ali ' assemblea le tue lodi racconterò [canterò] » ), la prima di tre citazioni dali ' AT, Ebrei introduce la sola variante apagghelo (annunzio) rispetto alla ver­ sione dei LXX, che propone diegesomai (racconterò). Ponendo i verbi alle estre­ mità della citazione (annunzierò-racconterò), esalta la posizione centrale dei de­ stinatari di fronte ali 'annunzio del Figlio. L'autore va dunque oltre il racconto (diegesis), di per sé già molto carico di senso e si sposta sulla categoria dell 'an­ nunzio, che deve avere il suo corso (Wirkungsgeschichte). Lo attestano bene gli interpreti della prima ora cristiana; citato a motivo della parola « fratelli », la Chiesa antica pone il Sal 2 1 ,23 sulle labbra di Gesù e non esita a vedere in quel­ l 'orante, che « annunzia e racconta », Gesù il Messia192 che, coronato di gloria e di onore nella morte, gode della presenza di Dio perché assiso « ora », Cristo­ messia, alla sua destra193, lui che ha sperato contro ogni speranza194• Ma da parte dell 'esegesi giudaica nessun tono messianico, almeno apparentemente. Con ekklesia (assemblea, v. 1 2b) l 'autore immette nel suo scritto un termine del Sal 2 1 ,23 usato per descrivere il raduno degli israeliti (Dt 3 1 ,30). Anche il convenire insieme dei cittadini nelle città greco-romane è indicato con lo stesso termine (At 1 9,39). Per il cristianesimo delle origini, esso indica il raduno dei credenti (Rm 1 6,5; l Cor 1 6, 1 9) e la Chiesa nel suo insieme (Mt 1 6, 1 8; At 9,3 1 ). Non è però il linguaggio di Ebrei che descrive l 'assemblea cristiana con episyna­ goge ( l 0,25). N eli 'uno e nell 'altro caso si tratta dell 'assemblea liturgica: quel convenire assieme « ai miei fratelli >> è per la lode del Signore JHWH, è il ringra­ ziamento dell 'orante per i concreti interventi di Dio a suo favore. Dio infatti risponde. « È finito il tempo in cui Dio non risponde » (Sal 2 1 ,2)195• Siamo al tourning point, secondo il TM: 'i!mitani (« Tu mi hai rispo­ sto . . . », v. 22b). L'orante sofferente consegna lamenti e appelli a Dio e dichiara la propria fiducia nella sua sicura risposta. Ai vv. 23-32 esplode l ' inno di ringrazia­ mento. L'orante « racconta » ai suoi fratelli, riuniti in assemblea, tutto ciò che Dio gli ha fatto e dato. Per questo egli può ora sperare contro ogni speranza. Si­ tuazioni disperate non faranno che consolidare la fiducia del salmista sofferente. Il suo racconto è lamento, preghiera, lode e professione della regalità universale di JHWH. Il NT legge il Sal 2 1 secondo la LXX e in direzione cristiana: rivelazio­ ne del mistero pasquale di Cristo, sono la passione, morte e risurrezione di Gesù a dare al Sal 2 1 il suo compimento. Quel salmista sofferente è Davide; egli prefi­ gura Gesù, re e messia sofferente196• 192 Cfr. Sal 2 1 , 1 = Mt 27,46; Mc 1 5,35; Sal 2 1 , 1 8 = Gv 1 9,24. Ancora Mt 27,35; Mc 1 5,24; Le 23,34. Così F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 90-9 1 . 193 T. Lorenzin (/ Salmi, p. 1 1 7) non sembra focalizzare il tono messianico del Sal 2 1 . Esso è messo in luce da J. Du Prez, Psalm 22: through the Pain ofSuffering to the Testimony ofJubilation, in NGTT 37 ( 1 996) 1 9-26; A. Tronina, Christological Reading of Psalm 22, in AnnalesThCan 40 ( 1 993) 6 1 -68. 194 Così G.T.M. Prinsloo, Hope Against Hope. A Theo/ogical Reflection on Psalm 22, in OTE 8 ( 1 995) 6 1 -85. 195 T. Lorenzin, l Salmi, p. 1 1 7. 196 Nonostante le sue debolezze, Davide è incoraggiato da Dio che non gli sottrae la sua fe­ deltà. Le forti sofferenze causategli dai nemici non incrinano la sua preghiera a Dio, che ascolta il

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Per Eh 2, 1 2 Gesù « racconta » ai suoi fratelli in assemblea la sua sofferenza e morte (stadio gesuologico prepasquale), la sua risurrezione (stadio cristologico pasquale, 1 3 ,20) e la sua signoria regale, assiso alla destra della Maestà (stadio escatologico-protologico) 197. Il salmista, orante, sale al santuario assieme a quan­ ti gioiscono con lui. Si è infatti adempiuta la sua condizione, messa in luce dalla connessione del Sal 2 1 ,23 con 2 1 ,22: « Se tu mi salvi dai miei oppositori (condi­ zionalità, v. 22), io annunzierò il tuo nome (v. 23a) >>. Per Ebrei, Gesù fu liberato dai suoi oppositori, dalla sofferenza e dalla morte, per la sua religiosa fedeltà (eu­ sebeia, 5,8). Ancora sempre per Eb 1 0,25 quel convenire insieme è per celebrare quel plurimo evento: la Parola, la riconciliazione, la preghiera, la pasqua. Che nella mente di Ebrei abbia qui luogo una connessione con la pasqua, lo suggerisce l 'allusione al Sal 2 1 ,2, il grido che il NT ( Mt 27,46-47 e par.) pone sulle labbra di Gesù morente in croce: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abban­ donato? », lamento che è richiesta di aiuto, ma anche accettazione consapevole della sofferenza, ed è sicura fiducia che quell 'abbandono, apparente e momenta­ neo, avrebbe consolidato il rapporto di sempre, mai venuto meno. Da qui la per­ fezione198. Ecco perché quell 'assemblea non va mai disertata ( 1 0,25a). [v. 13] Con « Io porrò la mia fiducia in lui », Ebrei chiama in causa Is 8, 1 7, seconda citazione dali ' AT. In essa il riferimento è a situazioni storiche immedia­ te, ma anche al giorno della liberazione come in Is 1 2,2 e nel canto di liberazio­ ne di Davide in 2Sam 22,3 (LXX). Ebrei conosce la varietà d' impiego del testo profetico: in Eh 2, 1 3a, Is 8, 1 7b è utile al discorso su « Dio » che nasconde il suo volto, in buona connessione con il Sal 2 1 ,25b: « Dio non allontana il suo sguardo dal misero ». Ebrei non ha difficoltà a vedervi l 'annunzio del ministero di soffe­ renza di Gesù: questi pone, indiscussa, la sua fiducia « in lui (Dio) », il quale « non allontana il suo sguardo » dai suoi « fratelli ». « Eccoci: io e i figli che Dio mi ha dato »: siamo alla terza citazione dali ' AT, da Is 8, 1 8. Il profeta riferisce di sé e dei suoi figli: « Noi siamo segni e prodigi per Israele da parte del Signore degli eserciti ». La simbolica dei nomi dei figli di Isaia (7,3 ; 8, 1 ) lascia supporre che anche Ebrei voglia a sua volta estendere il senso del­ la citazione: Gesù « Figlio », nella sofferenza e nella morte, ha santificato i figli e si presenta con essi a Dio: lui il santificatore ed essi i santificati. Nell 'avvalersi dell ' AT, l 'autore prescinde piuttosto liberamente dal criterio base del contesto originale, e punta molto più sul senso del testo, ponendolo a servizio della novità =

suo grido di aiuto (v. 2; Eh 5,7). Il messaggio è chiaro: Dio risponde alla preghiera di chi è fedele al suo progetto. Davide è tipo de li ' anti tipo Gesù, entrambi « pionieri » nella fede. Ma la risposta di Dio al Figlio è fuori dali ' ordinario: se Davide è liberato dalla morte violenta, Gesù non le è sottratto, ma ne è reso vincitore nella risurrezione. Come per Gesù, la risposta di Dio sarà pienamente compresa da coloro che, come lui, avranno raggiunto il compimento, oltre la morte; essi gioiranno alla sua pre­ senza. Cfr. M.K. Heinemann, An Exposition ofPsalm 22 (21), in BS 1 47 ( 1 990) 286-308. 1 97 Si deve ritenere che Eh 2, 1 2 citando il Sal 2 1 ,23 veda nel v. 23 l ' inizio della seconda parte del salmo che dà per conosciuta ai suoi lettori. Sul Sal 2 1 ,23 attestato in Eh 2, 1 2 quasi a mo' di lo­ gian Jesu, cfr. G.J. Steyn, Jesus Sayings in Hebrews, in ETL 77 (200 1 ) 433-440. Cfr. qui la Sezione introduttiva, pp. 5 1 -52. 1 98 Si legga utilmente E.F. Davis, Exploding the Limits: Form and Function in Psalm 22, in JSOT 53 ( 1 992) 93- 1 05 , specialmente 99- 1 00.

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introdotta da Dio nella storia umana, nel Figlio: riportando Is 8, 1 8, cambia « fra­ telli )) in « figli )). Se il riferimento è ai figli di Isaia, dal momento che il loro no­ me esprime testimonianza alla predicazione del profeta, Ebrei intenderebbe enfa­ tizzare la testimonianza dei « fratelli )), figli nel Figlio, come continuazione del ministero del loro Signore nel mondo. Una coraggiosa operazione ermeneutica, in Wirkungsgeschichte199, messa a punto con altra variante: se in Is 8, 1 7- 1 8 è il profeta a dichiarare la propria fiducia in Dio, in Ebrei è il Messia. [v. 14] « Sangue e carne )) è un ebraismo che indica la totalità della persona umana in situazione storica, fragile e mortale200 . « Carne )) dice limite: così la vi­ ta di Gesù fra gli uomini è circoscritta ai « giorni della sua vita terrena )) (Eb 5, 7); le prescrizioni umane in materia di cibi e di usanze legali sono legate alla transi­ torietà della « carne )) (9, l 0. 1 3 ); addirittura l 'opera educativa dei padri nei con­ fronti dei figli secondo la carne è limitata al momento in cui avviene, mentre l 'o­ pera del « Padre degli spiriti )) va oltre il tempo ed è eterna ( 1 2,9). Oltre alla « carne )), Gesù il Figlio condivide con i suoi « il sangue )), il che esprime opposi­ zione e morte ( 1 2,4 ). Il suo sangue però, diversamente da quello dei suoi fratelli, assicura riconciliazione eterna (9, 1 2; 1 0, 1 9; 1 3 , 1 2) nello Spirito (9, 1 4), in quan­ to abbatte definitivamente il potere della morte: passando attraverso di essa, ot­ tiene risurrezione ed esaltazione e apre per i suoi la stessa strada. Vivace è la descrizione del potere del male: satana; questi ha sovranità sulla morte che gestisce in opposizione al regno della vita: Cristo. La sua morte ha in sé un così potente germe di vita da distruggere il regno della morte e il suo stes­ so gestore. Non sfugga il marcato parallelo con Sap 2,23-24. L'uso del verbo ka­ targein descrive la privazione di un potere o anche la distruzione del medesi­ mo201. Eppure quella « morte-risurrezione-esaltazione )) ha sì distrutto la morte e il male, ma ha posto al tempo stesso il credente di fronte al bene e al male, alla vi­ ta e alla morte con la consegna: sappi decidere. Quella distruzione, da parte del progetto di Dio, è completa da quando il conflitto ha raggiunto il punto più qua­ lificato nella morte di lui e nella sua risurrezione202, ma non lo è ancora da parte del recettore, la creatura umana, la quale, nei giorni della propria vita terrena, è chiamata di continuo a decidersi. Il dilemma di Ebrei è chiaro (3, 1 2; 9,27): quel­ la lotta, a fondo, al male e alla morte da parte del Figlio è già stata portata a ter­ mine, ma da parte nostra è solo iniziata203. « Colui che della morte detiene il potere )) è il diavolo. Il termine diabolos (dia + ballo) indica mettere il bastone fra le ruote, separare, distogliere, rivolger­ si contro qualcuno, accusare, ingannare, tentare, ed è la versione greca dei LXX dell 'ebraico sa{an (cfr. Sal 1 09,6, TM): accusatore, calunniatore, avversario, 1 99 Su ls 8, 1 7- 1 8 riferito in Eb 2, 1 3 a mo' di logion Jesu, cfr. G.J. Steyn, Jesus Sayings in Hebrews, in ETL 77 (200 l ) 433-440. 200 Così M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 495. 201 Se ne ha indicazione rispettivamente in Rm 3,3 1 ; Ef2, 1 5 e in l Cor 6, 1 3 . 202 Questa posizione è tenuta da Ebrei forse sulla falsariga di Gv 1 2,3 1 -32; 1 4,30-3 1 ; l Gv 3,8. 203 È opportuno notare che la distruzione definitiva del male e della morte è prevista solo alla fine dei tempi per Ap 1 2,7-8; 20, 1 -3 ; 1 0, 1 ; I Cor 1 5,24-26; 2Tm 1 , 1 0; Testamento di Mosè 1 0, 1 ; Testamento di Levi 1 8, 1 2 . Ma non è il pensiero di Ebrei o solo parzialmente (cioè da parte dell 'uomo).

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mentitore204. In verità, nell ' AT non ricorre con frequenza la personificazione del male; questa operazione ha luogo nel periodo tardogiudaico (secoli I a.C. - I d.C.). Prova ne sia il fatto che il serpente, che tenta Adamo ed Eva e li istiga a mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male, è identificato con « sata­ na » solo in Sap 2,23-24; Gv 8,44; 1 3 ,2.27; Ap 2, 1 9. Ebrei salta questo interroga­ tivo e prende piuttosto atto che la conoscenza del bene e del male è entrata quel giorno nella vita della comunità umana e opera ancora in una quotidiana conflit­ tualità sperimentata da ogni singola persona umana che finisce spesso preda del timore. Quel satana è infatti l 'agente del male e della morte, è quel mistero d' ini­ quità che rende attrattiva lusinghiera una serie di situazioni e cose, è il tentato­ re205. Ma nella croce di lui quel potere è già distrutto. Eb 2, 1 4 si lascia ammirare per alcuni fattori estetico-stilistici. Un'assonanza consonantica in 2, 1 4 provvede a trasmettere questa lieta notizia: per 14 volte ri­ corre la consonante « T» (tau), in forma di staccato ripetitivo, quasi melodico, in ben riuscita eufonia, in un punto in cui intenso è il riferimento alla morte di Cristo in croce: uno dei temi centrali di Ebrei e del NT. L'autore giudeocristiano del se­ colo I vede nella « T» un segno della croce di Cristo e ne vuole sottolineare la for­ za salvifica. L'accorgimento letterario è intenzionale, non occasionale206, né è del tutto nuovo207• Il che non sminuisce il talento dell 'autore di Ebrei : comporre un testo letterario con scelta di parole, in cui, ora ali ' interno ora ali 'inizio di esse, con intenzionale alternanza, ricorre una concentrazione di « T» (allitterazione o paronomasia), che non disturba l 'eufonia dell ' insieme208. Un altro aspetto esteti­ co-stilistico è la scelta di termini inusitati: in 2, 1 4a ricorrono due verbi che sono sinonimi: kekoinoneken-meteschen, con il senso di « partecipare, avere in comu­ ne ». L'autore varia il suo vocabolario e propone una costruzione rara: meteschen ton auton. Il verbo metecho non presenta costruzioni pronominali, né nel NT né nella LXX. Qui è possibile ritenere che nella mente dell 'autore risuoni la parola pathématon, attestata del resto nel codice D* e già presente in 2, l O; l ' espressio­ ne: « Ridurre ali ' impotenza )) (katargheuo) ricorre solo qui in tutto lo scritto. Eppure Ebrei conosce altre voci verbali con lo stesso senso, ad esempio apollymi ( 1 0,9.39); kratos (potenza di Dio) è un altro hap ax legomenon in Ebrei, relativa-

204 Cfr. G. von Rad, in GLNT ( 1 966) 2,92 1 -925 : diaba/10-diabolos; 925-926: sa{an. Anche G. Flavio, Antichità giudaiche l 0,25 1 ; 1 4, 1 69. 205 Si muove su analoga posizione C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 23 1 , con ab­ bondanza di dati. Ancora E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 1 47. 206 Il fenomeno stilistico si ripete in Eb 5, 1 4 (8 « t » in 24 sillabe); 7,5 ( 1 5 « t » in 43 sillabe); l O, l ( l O T in 26 sillabe): rapporto di l a 3. In Eb 2, 1 4b il rapporto è di l a 2 o ancora minore se con­ sideriamo le due « th >> di thanatos, la cui pronunzia nel secolo I era quella di una « t » forte. Altrove, ne l NT: l Cor 1 0,3 1 ; 1 2,2; Rrn 1 3 ,7; 2Tm 4,7. 207 Si tratta di uno stile frequente nella letteratura greca: Sofocle, Edipo Tiranno 37; Eraclito, Frammenti 62; Plutarco, Apoftegma/a regum et imperatorum 39A. 208 Cfr. T. Schmidt, The Letter Tau as the Cross: Ornament and Content in Hebrews 2, 14, in Biblica 76 ( 1 995) 80-82 : Eb 2, 1 4b contiene una ripetizione armoniosa. Dopo hina dia, le successi­ ve venti parole cominciano o contengono la lettera « T». Il passo di Ebrei offre un'attenta riflessio­ ne sulla morte di Gesù. È noto che la « T» per alcuni cristiani, sin dai primi secoli, denota la croce. Ebrei se ne serve deliberatamente come simbolo per Cristo in 2, 1 4b.

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Parte seconda. Traduzione e commento

mente raro nel NT: solo 1 2 volte rispetto alle 1 1 9 di dynamis (potenza di Dio) e alle l 02 di exousia (potenza del male). Dal momento che il « trattato agli Ebrei >> è redatto verso la fine del secolo l, exousia è la parola che ci saremmo attesi in 2, 1 4b. La scelta di kratos è motivata dalla « T» assonante (non presente in exou­ sia). Testimonianze archeologiche, come ossuari giudaici dei primi due secoli d.C. presentano spesso la croce greca « T» con « o » a sinistra e « x » a destra: ho Christos. Il che è riconducibile a Ez 9,4-6. Ma è anche possibile che simili os­ suari giudaici risentano della tradizione cristiana ormai affermata. Riprova in Ap 7,3 ; 9,4; 1 4, 1 ; 22,4: la salvezza è data a coloro che portano sulla fronte il segno dell 'agnello. Prove attendibili, ma non certe, dal secolo I dell 'èra cristiana: l 'a­ crostico latino « sa Tor » di Pompei, dove la « T» ricorre per 4 volte, a Nord, Sud, Est e Ovest, posizione significativa in sé; la croce di Ercolano è ancora sub judi­ cel-09. Meno ambigua una croce latina dipinta su una parete pompeiana con la scritta viva (t) crux2 10; testimonianze letterarie confermano: a R. Akiba (+ 1 35) si fa risalire una speculazione cabalistica sulle lettere dell 'alfabeto reperibile nella redazione tardiva (secoli III-VI d.C.) di Sefer Yitzerah, il cui nocciolo è in b.Menahot 29b e ancora in Genesi Rabba 1 , 1 0- 1 1 ; b. Sabbat 1 04a; b.Sanhedrin l 04a.b, a riprova dell 'ambiente giudeocristiano in cui il protocristianesimo si è trovato a operare. Più forti le testimonianze di Giustino2 1 1 e della Lettera di Barnaba2 12• Eb 2 , 1 4 fa da ponte tra l ,5 - 2, 1 3 (serie di testi biblici usati come prove ge­ suologico-cristologiche) e l 'ampia discussione sul sacerdozio di Cristo: capp. 31 O. Riferimenti alla sofferenza del Figlio (2,9 . l 0. 1 8) e alla sua morte (2,9) con­ fermano. L'aggancio alla croce in 2, 1 4- 1 5 è permanente, pur senza menzione esplicita; anzi, quest'ultima sembra volutamente evitata. L'annunzio della croce, « scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani » ( l Cor l ,23b ), appartiene al cuore del vangelo di Paolo e della tradizione paolina, cui anche Ebrei è da ricondurre. 209 Si veda A. Varone, Presenze giudaiche e cristiane a Pompei, D' Auria, Napoli 1 979, pp. 537 1 : il quadrato magico; L. Falanga, La croce di Ercolano. Cronistoria di una scoperta, D'Auria, Napoli 1 98 1 . Riprendono di recente la discussa questione sul l ' acrostico C. Giordano - I. Kahn, Testimonianze ebraiche a Pompei Ercolano Stabia e nelle città della Campania Felix, Bardi, Roma 200 l pp. 78-84. ' 210 Se ne occupa E. Dinkler, À"iteste christliche Denkmiiler, in Id., Signum Crucis. Aufsiitze zum NT und zur Christlichen Archiiologie, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 967, pp . 1 44- 1 45. 2 1 1 Giustino, Apologia 1 ,55,2 (Apologies [A. Wartelle, ed.] , Etudes Augustiniennes, Paris 1 987). « Nessuna cosa al mondo può esistere o raggiungere la sua piena forma espressiva senza que­ sto segno della croce )). Ad esempio: albero maestro delle navi, un trofeo di vittoria, la figura uma­ na con le braccia allargate. Dati in T. Schmidt, The Letter Tau as the Cross: Ornament and Content in Hebrews 2, 14, in Biblica 76 ( 1 995) 78. 2 1 2 Lettera di Barnaba 9 , 8 : « Dice l a Scrittura: E Abramo circoncise trecentodiciotto uomini della sua casa. Gn 1 4, 14; anche 1 7,23-27. Quale il significato arcano a lui rivelato? Osservate che prima dice "diciotto", quindi, dopo una separazione, aggiunge ''trecento". Il numero diciotto si scri­ ve con uno iota (I) che vale dieci e una eta che vale otto: IH, cioè il nome di Gesù. E siccome la let­ tera tau (T) raffigura la croce, donde sarebbe venuta la salvezza (charis), aggiunge dopo: trecento. Nelle due lettere riunite (IH) ci indica Gesù, e nella terza (T) la croce )). Le tre lettere IHT formano il numero 3 1 8. La Lettera di Barnaba le intende allegoricamente. Il testo di Gn 1 4, 1 4 (LXX) non presenta la separazione di cui parl a Barnaba, il quale muta liberamente l 'ordine del testo della ver­ sione dei LXX per adattarlo alla sua applicazione allegorica.

« Figlio »: un nome più insigne di quello degli angeli Eb 1 , 5 - 2, 18

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Non averla qui menzionata espressamente si spiega con il rispetto dell 'autore per la sensibilità giudaica nei confronti di uno strumento così carico di vergogna ( 1 2,2), ma ancora di più a causa di una penosa persecuzione in corso e con la saggezza di non fomentarla. In ogni caso, per i giudeo-etnicocristiani, il riferimento alla croce attraverso l 'allitterazione della « T» (tau) è evidente. Né deve sfuggire il forte rap­ porto morte-morte al v. 1 4b che evoca Fil 2,8 (« morte - morte di croce »); compor­ tamento artistico con ben riuscito gioco di allusioni. Diverso è Ef 2, 14- 1 6: eguale tonalità con esplicita menzione della croce e della sua incisiva azione. [vv. 1 5-16] Con la sua vita terrena (passione, morte, risurrezione ed esalta­ zione) Gesù il Figlio ha messo a punto due risultati: ha distrutto il potere del ma­ le e della morte, ha liberato la creatura umana dal timore di quello stesso potere. Ora l 'uomo è o può essere libero e fedele in lui. È il senso di apo-allasso: la vo­ ce verbale indica il raggiungimento combattuto della liberazione213• È dunque ben appropriata. Con quale combattimento infatti il « Figlio )) ha liberato l 'uma­ nità dalla schiavitù della morte ! Che la morte sia una forma di schiavitù, è pen­ siero corrente nella cultura greco-latina, una schiavitù benvenuta214• Solo essa può infatti liberare dalla sofferenza. Perché temerla? Piuttosto la si cerchi. Eppure, proprio perché essa è la sola a poter liberare dalla sofferenza, finisce con lo schiavizzare chi con la sofferenza non riesce a « dialogare )). Per Ebrei non è così; la morte è e resta uno strumento del mistero d' iniquità, una manifestazione del male, essa stessa causa di schiavitù, mai strumento di liberazione; va dunque annullata, non cercata. Quell 'annullamento è avvenuto nella passione e morte del « Figlio )). Da quel momento, ogni creatura umana e il creato intero giubilano per la libertà riconquistata, e definitivamente. Egli infatti, Gesù, « si prende cura )) o « opera a vantaggio di ))? (v. 1 6). Il verbo epilambanein sembra avere qui il secondo senso ( « operare a vantaggio di ))). Gesù non opera a vantaggio degli angeli. Ma di chi? I più vicini sono i la­ tori della legge al Sinai di cui in Eh 1 , 14; At 7,53; Gal 3, 1 9. Dunque, Gesù non opererebbe a loro favore : non ritenendoli responsabili delle lentezze con cui quella legge è stata applicata, non hanno bisogno di redenzione. Egli opera inve­ ce a vantaggio degli uomini215• Sono essi a ritardare il compiersi della tora. Quella sua azione a loro vantaggio, poi, è di sicura riuscita. Egli, il Figlio, è più vicino a Dio di quanto possano esserlo gli angeli ( l ,5- 1 4) e a noi, che non disdegna di chiamare suoi fratelli (2, 1 - 1 6). Per entrambe queste sue qualità, egli è una volta ancora superiore agli angeli216• 21 3 Lo si legge in questo senso in G. Flavio, Antichità giudaiche 1 3,363. 2 1 4 Pensieri in questa direzione si leggono in Euripide, Oreste 1 522; Cicerone, Lettere ad Attico 9,2a: il timore della morte va superato riconoscendo che essa è una liberazione dalla soffe­ renza e dal dolore, una persuasione frequente anche in molti cristiani « moderni »; ma non è il pen­ siero di Ebrei. 21 5 Per questa opzione sul senso di epilambanein sembra essere decisivo, in epoca ellenistica, Polibio, Storie 2,49, 7f (« essere favorevole, operare a vantaggio di »). Per questo e altri dati lessico­ grafici classico-ellenistici, cfr. K.-G.E. Dolfe, Hebrews 2, 1 6 under the magnifYing Glass, in ZNW 84 ( 1 993) 289-294. 21 6 Presenta dettagliatamente questi due aspetti G. Marconi, Gli angeli nella lettera agli Ebrei (Eb 1.5-14; 2, 5-1 6), in ED 5 1 ( 1 998) 67-89.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Ma è proprio « Gesù » il soggetto al v. 1 6? L'uso antistrofico (polare) di epi­ lambanetai (« non si prende cura . . . ») « ma si prende cura >> (epilambanetai) per­ mette l ' identificazione di un altro senso, in forza della formula di apertura ou gar depou; nusquam (« giammai infatti >>). Questa formulazione, attestata anche nel­ la grecità classica2 17, non permette l ' immediata identificazione del soggetto in 2, 1 6. Al contrario, essa dà un chiaro profilo brachilogico e intenzionale al v. 1 6. L'autore stesso spinge a cercare il soggetto in ciò che immediatamente precede: « la paura della morte >> (phobo thanatou). Sarebbe la soluzione logica più vicina al verbo: « La paura della morte non attanaglia (non si prende cura, non afferra [epilambanetai}) gli angeli, ma attanaglia (si prende cura, afferra [epilambane­ tai}) il seme di Abramo >>. È dunque quella paura a rendere schiavo quel seme, cioè la discendenza umana. Decodificando la brachilogia (sermo brevis), insita nella posizione polare di epilambanetai, il v. 1 6 andrebbe reso così: « La paura della morte non afferra [epilambanetai] gli angeli, ma i figli di Abramo (essa) af­ ferra [epilambanetai]». A questo punto, si impone il contesto di Eh 2, 1 4- 1 6: lui, uomo come i suoi fratelli, ha ridotto ali ' impotenza la paura della morte e chi ne era il libero gesto­ re: il diavolo. Il vittorioso è lui, Gesù: con la sua morte ha abbattuto la morte e la paura della morte. Da qui la traduzione corrente: « Egli (Gesù) infatti non opera a vantaggio degli angeli, ma "a vantaggio della stirpe di Abramo opera"»2 18• Se la traduzione precedente è quella più corretta, la seconda, corrente, ne riflette il senso. Ed è quella qui proposta. [v. 17] Il preannunzio di un nuovo sommo sacerdote. Questi è misericordio­ so, fedele e solidale con i fratelli2 19• Si ha qui un nuovo argomento a riprova del­ la necessità dell ' incarnazione del Figlio: poter « diventare » sommo sacerdote co­ sì qualificato da espiare in radice a nostro favore di fronte a Dio. Un'eco di Fil 2,6- 1 1 è attendibile; anche in quell ' inno la consapevole gestione della morte da parte di Gesù è condizione non tanto per la sua elevazione a sommo sacerdote, quanto per la sua esaltazione a Kyrios. Vi è però una differenza di qualità: se per Filippesi la morte di Gesù è il punto di arrivo della sua umiliazione (kenosis), in Ebrei quella morte è portatrice di potenziale salvifico, in quanto in essa egli stes­ so è oblazione redentiva ed espiatrice. Si ha così la prima intonazione del tema capitale (8, l ) di Ebrei: il sommo sacerdozio del Figlio. Non si tratta di dire alla comunità che lo deve professare come tale nella sua homologia di fede (accenni in 3, l ; 4, 1 4; l 0,23), piuttosto gustare come tale nella sua misericordia e fedeltà.

2 1 7 Esempi in M.E. Gudorf, Through a Classica/ Lens: Hebrews 2, 16, in JBL 1 1 9 (2000) 1 06- 1 07. 1 1 8 Sulla questione, cfr. M.E. Gudorf, Through a Classica/ Lens: Hebrews 2, 16, in JBL 1 1 9

(2000) 1 05- 1 08. 2 1 9 Tentativo di reinterpretazione della persona e dell 'opera del sommo sacerdote Gesù, con terminologia rischiosa e innovatrice, a motivo del tono eccessivamente antropologico, messa a pun­ to per una comunità che non riceve più stimolo da una fede tradizionalmente articolata. Ma non è proprio la fede a non voleme né a poteme prescindere? E il rischio evolve: quel sommo sacerdote è anche iniziatore-pioniere della fede, egli stesso primo credente, e perfezionatore della medesima (Eb 1 2,2). Problema ermeneutico di notevole attualità. Cfr. A. Mulloor, The Pioneer ofSalvation and the Merciful and Faithful High Priest, in Jeevadhara 21 ( 1 997) 1 23- 1 32.

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La comunità ha infatti bisogno di conforto. L'autore glielo propone con una ter­ minologia che gli è nota dalla religiosità anticotestamentaria: a eleemon retrostà infatti l)esed e a pistos, 'emet220• Othen di 'hen aitian (« per questo, a motivo di ciò », v. 1 1 ) ricorre di fre­ quente in Ebrei come congiunzione logica (3, 1 ; 7,25; 8,3 ; 9, 1 8; 1 1 , 1 9) con conse­ guenza logica: dal momento che i suoi « fratelli » sono nella situazione umana (car­ ne e sangue) come descritta al v. 1 2, a lui (il Figlio preesistente) non resta che abbracciare il percorso verso il basso (kenosis), in direzione dei suoi fratelli. Se othen riprende il v. 1 2, opheilen (doveva) si riporta a eprepen (« era necessario, ap­ propriato ») del v. l 0: il Figlio si sente come obbligato a diventare in tutto simile ai « fratelli ». Si noti il tono gesuologico, a fondamento di una cristologia kenotica. Osservando da vicino la formula: « Rendersi in tutto simile » (homoiothenaij221, si profilano eguaglianze e differenze: Gesù condivide la sorte dei suoi fratelli (Eb 5, 7 -8; già 2, 9, eguaglianza), senza tuttavia cadere nella trasgressione (4, 1 5, differen­ za). Nella sua passione prende corpo e profilo la sua figliolanza e si consolida la sua incarnazione a tutto sostegno del disorientamento pieno di scoraggiamento dei suoi, appesantiti dalla paura della morte (v. 1 4b), bisognosi di redenzione liberante. L'esistenza dei suoi fratelli, schiavizzata dalla morte, non è combattuta dal Figlio, bensì egli se ne riveste, perché solo così poteva annullarne il nocivo influsso e ope­ rare a vantaggio dei suoi. Base di tale risultato: una incondizionata eguaglianza di sorte tra il Redentore e i redenti. Se quella incondizionata eguaglianza nella morte da parte del Figlio con i suoi fratelli è la condizione (v. 1 4, hina) per liberarli proprio dal potere della mor­ te e del suo gestore, il diavolo-ingannatore, ora egli si deve fare in tutto simile ai suoi fratelli « per (hina) diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele )) (v. 1 7b). È la solidarietà con essi a qualificarlo quale sommo sacerdote terrestre e celeste. È proprio dalla situazione terrestre di Gesù il Figlio che prende corpo ed evolve la sua situazione celeste: dovrà percorrere la strada da un polo ali 'altro nella compassionevolezza e nella solidarietà (eleemon) verso i suoi fratelli e nel­ la fedeltà (pistos) verso Dio, in lui fermamente credente: non c'è altra strada, se non quella della passione e della morte (Eb 4, 1 5 ; 5,7-8; 1 2,2). Ecco la qualifica­ zione per la sua candidatura a redentore e liberatore: nella passione e morte ha sperimentato il dolore umano e il suo stato di abbandono; è tuttavia rimasto fe­ dele al Padre, « alle cose che riguardano Dio )) (v. 1 7b)222, al suo progetto di sal­ vezza universale, agli interessi di Dio (5, l ), senza mai dubitare del sostegno del­ la sua presenza, sempre e in particolare nel momento della prova più decisiva223• Ecco perché a lui va data fiducia incondizionata; non può infatti deludere quanti =

22 0 Persuasivo il sondaggio argomentativo proposto da J. Swetnam, Mercifull and Trustworthy High Priest: lnterpreting Hebrews 2. 1 7, in Pacific Journal of Theo/ogy 2 1 ( 1 999) 6-25. 22 1 Ricorre solo qui come verbo, e in Eb 4, 1 5 come sostantivo (homoiotes) . 222 Ta pros ton theon : la formula è usata in Es 4, 1 6 (LXX) per Mosè, anch'egli « fedele nella casa di Dio come servitore )) (Eb 3,6). 22 3 Come già Abramo, la cui fede in Dio non conosce titubanza (Eb 1 1 ,8- 1 2), particolarmente nel momento più duro della sua vita ( I l , 1 7 - 1 9).

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a lui si rivolgono; credibile, perché credente224• Al contrario, sappia ognuno di poter trovare da lui accoglienza, sostegno e grazia (4, 1 6). Gesù il Figlio diventa dunque sommo sacerdote. Il risultato non sorprende, perché ben preparato da una terminologia sacerdotale in progressione: egli ha compiuto la purificazione (katharismos, Eb l ,3); è colui che santifica i santifica­ ti (hagiazo, 2, 1 1 ); si prende cura (2, 1 6), portando due poli, al momento opposti, Dio e l 'uomo, alla rappacificazione: fedele (pistos) a Dio, espia per il popolo di Dio. Tale linguaggio esprime azioni ministeri ali sacerdotali. Con hilaskomaP25, il v. 1 7c riprende contatto con 1 ,3 : il Figlio è sommo sacerdote « per espiare i pec­ cati del popolo » (eis to hilaskesthai tas hamartias tou laou), in cui eis descrive bene la continuità dell 'azione espiatrice. Da quali peccati i « fratelli » di questo sommo sacerdote siano purificati lo si può così intuire: le opere morte (Eb 6, 1 ; 9, 1 4), le infedeltà volontarie del popolo di Dio prima della venuta del Figlio sommo sacerdote ( 1 0,26), le colpe involontarie perpetrate in epoca cristiana ( l 0,26.29). Per quelle volontarie, contro la fede, Ebrei sembra avere riserve: 6,4-6: 1 0,26-27 (cfr. ad /oca). Il popolo in questione (laos) è qui quello cristiano226, e non quello giudaico227• Come popolo sacerdotale, questi celebri la propria redenzione in assemblea pasquale. Disertarla è come perdere il merito della espiazione-redenzione-liberazione ( 1 0,25a), tanto più che lui non si può mettere una seconda volta in croce (cfr. 6,6). Sarebbe una beffa. [v. 18] In questo così ricco contesto, Gesù è pienamente affidabile (pistos), come Mosè « fedele in tutta la sua casa come servitore >> (Eb 3 ,5a), più di Mosè, perché « costituito sopra la sua stessa casa » (3,6a) che siamo noi, ma solo se re­ stiamo nella libertà, da lui per noi acquistata con una espiazione-redenzione (3,6b) avvenuta una volta per sempre. Ed è anche compassionevole (eleemon) o, meglio, lo continua a divenire, perché quella sua celebrazione redentiva, ormai celeste, continua a essere presentata al Padre228• L'evento redentivo della croce, celebrato in piena fedeltà e fede in Dio, continua nel senso del v. 1 8 : egli soccor­ re quanti sono provati nella fede e rischiano l ' infedeltà. Egli è infatti quel « cre­ dente » in Dio che ha portato a termine il suo percorso di fede, le ha dato « com­ pimento >> . Affidabile, credente e compassionevole, egli è qualificato per intercedere per i suoi « fratelli » in permanenza (v. l 8b; cfr. ancora 7,25; 9,24b). E che possa di fatto aiutare i suoi, lo dice il fatto che egli stesso, pur esposto alla 224 È la decodificazione del pensiero di Eb 2, 1 7 presente nel tono passivo di pistos (trustworthy) . Forse così J. Swetnam, Mercifoll and Trustworthy High Priest: Interpreting Hebrews 2, 1 7, in Pacific Journal of Theology 2 1 ( 1 999) 6-25. Perché crede in lui, Gesù ha fiducia piena nel Padre. Più chiara la posizione di V. Rhee, Christo/ogy and the Concept of Faith in Hebrews 5, 1 1-6,20, in JEvTS 43 (2000) 83-96: per Ebrei Gesù è al tempo stesso colui nel quale si crede (aspetto cristologico) e colui che è forza trainante nella fede, egli stesso credente (aspetto gesuologico): « Object of faith and mo­ del of faith for believers » (lbid. 95-96). Così anche in Eb 5, 1 2 e 6, 1 .4-8. 225 Hilaskomai ricorre solo qui in Ebrei e una volta ancora in Le 1 8, 1 3 . L'etimo ebraico kapar è polisemico e si muove tra purificare, liberare, cancellare. 226 Come lo è ancora in Eb 4,9; 8, I O; l 0,30 e 1 3 , 1 2 . 22 7 Come in E b 5 , 3 ; 7,5 . 1 1 ; 9,7. 1 9. 22 8 Pistos kai e/eemon : una combinazione frequente nei Salmi (cfr. 25, 1 0). Che Gesù il Figlio sia anche credente, è apporto coraggioso di Eb 2, 1 7.

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possibilità di tentennare nella fede, a motivo di tanta prova non ha neppure mini­ mamente ceduto, si è piuttosto imposto nella fiducia e nella fede. Il posse pecca­ re non ha avuto su di lui chance alcuna (4, 1 5). Questo senso pregnante è espres­ so dalla voce verbale al perfetto, « ha sofferto di persona » (peponthen, da pascho), ha pagato di persona, e gli effetti di quel pagamento sono ancora in cor­ so (v. 1 8a; cfr. ancora 2,9. 1 4; 5 ,7-8; 1 2,2; 1 3 , 1 2). Per questo egli « può » (dyna­ tai), è ben in grado di soccorrere chi non sarebbe mai stato in grado di aiutarsi da solo: la creatura umana errante e lontana da Dio. La sua passione lo ha reso soli­ dale nella tentazione con i tentati (peirastheis con i peirazomenoi) . Un eccellen­ te risultato: la cristologia della redenzione si riporta alla gesuologia del Golgota e del « fuori accampamento », la situazione concreta della comunità ne viene coinvolta in un ben riuscito intreccio tra antropologia e soteriologia229: chi ha sof­ ferto di persona può efficacemente venire incontro al popolo di Dio, pellegrinan­ te e sofferente, ma non smarrito. Paràclesi, sottomissione, compassionevolezza e solidarietà230, abbattimento della morte: quattro piste percorse da Eb l ,5 - 2, 1 8. Relativizzata la funzione me­ diatrice delle figure celesti ( l ,4.5- 1 4), Ebrei dimostra in densa paràclesi (Eb 2, 1 4 ) la necessità di non cambiare bandiera: la superiorità di Gesù rispetto agli ange­ li è troppo chiara! Posta a confronto con la parola di Dio portata dagli angeli al Sinai, la parola di Dio incorporata nel Figlio ha maggiore consistenza della prima, ma non ne prescinde. Anzi, la seconda fluisce nella prima23 1 • E questo, a motivo della sottomissione di tutto a lui (vv. 5-9) e per l ' appropriatezza (vv. l 0- 1 6) della strada segnata dal soffrire e da lui liberamente percorsa. Quanto alla sottomissio­ ne (Eb 2,5-9), ne è oggetto anche il mondo futuro: mai sottomesso agli angeli (Sal 8,5-7), esso lo è ali 'uomo, al Figlio dell 'uomo. Il valore che nel Sal 8 la creatura umana assume agli occhi di Dio, Ebrei lo applica al Figlio (il Cristo) « per poco tempo inferiore agli angeli >>, durante la sua vicenda terrena, fino alla morte. Eppure, proprio quest'ultima è un paradosso di « gloria e di onore » (v. 9). Lo dice il risultato: aver portato molti alla sua stessa gloria. Per questo era appropriato che

229 Lo mette in risalto M. Ciccarelli, La solidarietà e la misericordia di Cristo sommo sacer­ dote in Eb 2, 1 0-18, in G. Manca (ed.), La redenzione nella morte di Gesù, San Paolo, Milano 200 1 , pp. 1 1 7- 1 40. Avvalendosi di u n vocabolario sacrificate di storia delle tradizioni primotestamentarie, a fondamento di un clima cultuale in cui si muove la mediazione sacerdotale dell'antica alleanza, Ebrei rifonda il tutto, fino a ritrarre l 'unicità e l ' irripetibilità del sacrificio di Gesù, il Figlio, il Cristo: « . . . Offerta volontaria della sua vita . . . punta estrema della sua assimilazione agli uomini » (lbid., p. 1 1 7) suoi fratelli. 2 30 G.W. Grogan ( The Old Testament Concept ofSolidarity in Hebrews, in Tyndale Bulletin 49 [ 1 998] 1 59- 1 73) rileva l 'humus anticotestamentario della solidarietà, fra uomini, tra Dio ed essi, suo popolo, in termini di patto. In Gesù il Figlio si comincia a sperimentare la solidarietà escatologica: egli è un tutt'uno con la famiglia umana; sommo sacerdote per il suo popolo, è solidale con esso fi­ no alla celebrazione della croce, quando si lega ai suoi in un patto inscindibile. Chiede ai suoi di so­ lidarizzare. 231 Cfr. E. Griisser, Der A lte Bund im Neuen. Exegetische Studien zur lsraelfrage im Neuen Testament, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 985, p. 29 1 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

Dio rendesse perfetto il Figli o mediante sofferenza e morte (Eb 2, l 0- 1 3 ). Con Dio solidale, prima ancora che con gli uomini, egli introduce gli uomini alla solidarietà con Dio. Essa poi si esprime attraverso la consapevolezza della fratellanza. Ecco perché il primogenito non si vergogna di chiamarli suoi fratelli (v. 1 2; Sal 2 1 ,23). Con un'allusione a Os 1 3 , 1 4, Eb 2, 1 4- 1 5 presenta in forma paradossale la vittoria di Cristo sul « diavolo » attraverso quella stessa morte di cui diventa Signore: ren­ de impotente la morte e inoperante colui che ha il potere su di essa, svuota en­ trambi del loro potere ricattatorio, libera quelli che per tutta la vita ne sono schia­ vi per paura. Se la sua croce ha prodotto tanta solidarietà, essa non può che essere una benedizione: ha infatti insediato il Figlio nel ruolo di soccorritore della debo­ lezza umana. Echeggia il pensiero dell 'Apostolo delle genti: « Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dove il tuo pungiglione? » ( l Cor 1 5,55). Eb 2, 1 8 ricorda ai destina­ tari, i quali stanno appunto sperimentando contrarietà per Cristo, che essi non so­ no soli di fronte a opposizione e morte, ma hanno lui, primogenito della nuova creazione, guida della famiglia umana redenta232• Eb 3 , 1 - 7,28 esporrà il ministero di Gesù sommo sacerdote, avvalendosi an­ cora di testimonianze dal Primo Testamento: Gn 1 4 e Sal l 09 in particolare. Punto culminante: rispetto alla tradizione giudaica, quel sommo sacerdote è nuo­ vo e unico; è infatti tale « alla maniera di Melchisedek », il quale non è un ebreo. L'autore affida il momento centrale della sua fatica alla seconda parte del suo scritto e poi a una terza, molto articolata. Qui intanto termina la prima.

2 32 Annotazione di J.N. Musvosvi, Jesus as the Modelfor the New Humanity in Heb 2, in AASS 4 (200 1 } 49-55.

UN SOMMO SACERDOTE MISERICORDIOSO, FEDELE E SOLIDALE CON L'UMANITÀ Eb 3 , 1 - 5 , 1 0

La fedeltà di Gesù « Figlio ))

3 1 Perciò, fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste,

considerate attentamente l ' apostolo e sommo sacerdote della nostra professione (di fede), Gesù, 2essendo egli fedele 1 a colui che l 'ha insediato2, come lo fu anche Mosè in [tuttap la sua (di Dio) casa. 3 In confronto a Mosè, infatti, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto superiore quanto maggiore è l ' onore del costruttore rispetto alla casa stessa. 40gni casa, infatti, è costruita da qualcuno; ma il costruttore di tutto è Dio. 50ra Mosè, da una parte, fu fedele in tutta la casa sua (di Dio) come servitore, per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato; 6Cristo, dall ' altra, è sopra la sua propria casa come figlio. La sua casa siamo noi, se teniamo sempre salde4 la libertà e la fierezza della speranza.

1 Come già in Eb 2, 1 7, anche in Eb 3,2 pistos richiama il frequente uso del binomio « miseri­ cordioso e fedele » detto di Dio-JHWH nei Salmi, ad esempio Sal 25 , l O. Da qui l 'opzione per la tra­ duzione « fedele )) e non « degno di fede )). L'autore di Ebrei trasferisce non raramente le qualità di Dio su Gesù. 2 « Insediato )) è traduzione da preferire; essa esprime l 'aspetto operativo e include del resto il più ristretto senso giuridico di « costituito », la quale cosa è nella intentio auctoris. 3 Attestato in Nm 1 3 ,7 [tutta, ho/o] non lo è negli autorevoli e antichi P 1 3 e p46 e neppure nel codice 8 (Vaticano). Qui viene tenuta la versione greca. 4 « Come è già stato fino ad ora » è il senso di eanper. . . kata-schomen ( aoristo2 del congiunti­ vo), dunque anche in futuro.

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Parte seconda. Traduzione e commento La parola di Dio giudica

7Perciò, come dice lo Spirito santo : « Oggi, se udite la sua voce, 8non indurite i vostri cuori come nel momento delhi ribellione, nel giorno della tentazione nel deserto, 9dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova, eppure avevano visto per quarant' anni le mie opere. 10Perciò mi sono irritato contro quella generazione e ho detto : vanno sempre errando con il cuore; essi non hanno conosciuto le mie vie, 1 1 allora ho giurato nella mia ira: "Non entreranno nel mio riposo"». La fede introduce nel riposo di Dio

1 2Badate, fratelli, che non si trovi in alcuno di voi un cuore perverso, senza fede, che si allontani dal Dio vivente. 13Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura que­ st' oggi, perché nessuno di voi si indurisca per l ' inganno del peccato. 14Siamo diventati infatti partecipi di Cristo, a condizione di tenere saldo sino alla fine l ' inizio della realtà (della fede). 1 5Quando pertanto si dice: « Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel momento della ribellione », 16chi sono quelli che, dopo aver ascoltato, si sono ribellati? Non sono stati forse tutti quelli che erano usciti dali ' Egitto grazie a Mosè? 1 7E chi furono coloro di cui si è irritato per quarant ' anni? Non furono forse quelli che avevano peccato, i cui cadaveri sono caduti nel deserto? 1 8E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non avevano creduto?5• 1 9ln realtà vediamo che non vi poterono entrare a causa del­ la loro incredulità. 5 Seguendo la lezione apistesasin. Lezione alternativa è apeithesasin : « Coloro che non aveva­ no obbedito ». Il v. 1 9 fa optare per la prima lezione.

Un sommo sacerdote misericordioso, fedele e solidale con l 'umanità Eb 3, l 5, 10 -

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La promessa del riposo vero è ancora in vigore

4 1 Temiamo dunque che,

mentre rimane valida la promessa di entrare nel suo riposo, nessuno di voi risulti rimanere indietro. 2Poiché anche noi, come loro, siamo stati oggetto della buona notizia: però a essi la parola udita non giovò in nulla, poiché non aderirono nella fede a ciò che avevano ascoltato. 3Infatti, a entrare nel riposo siamo noi che abbiamo creduto, secondo ciò che egli ha detto : « Sicché ho giurato nella mia collera: Non entreranno nel mio riposo » ! Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. 4Si dice infatti in qualche luogo a proposito del settimo giorno: « E Dio si riposò nel settimo giorno da tutte le opere sue ». 5E ancora in questo passo : « Non entreranno nel mio riposo » ! 6Poiché dunque è riservato ad alcuni di entrare i n esso e quelli che per primi (ne) ricevettero il lieto annunzio non entrarono a causa della loro disobbedienza, 7(Dio) fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo attraverso Davide dopo tanto tempo, secondo quanto sopra detto : « Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori »! 8Se Giosuè infatti avesse dato loro un riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno. 9Dunque rimane ancora un riposo sabbatico per il popolo di Dio. 1 0Chi è entrato infatti nel suo riposo, si è riposato anch 'egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie. 1 1 Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza. La parola di Dio è viva. Elogio

1 21nfatti, la parola di Dio è viva, efficace

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Parte seconda. Traduzione e commento

e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino a dividere anima e spirito6, giunture e midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. 1 3E non v'è creatura che possa nascondersi al suo (di Dio) sguardo, ma tutte le realtà sono nude e scoperte agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto. Un preannunzio

14Poiché dunque abbiamo un sommo sacerdote grande, che ha attraversato i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, rafforziamo la professione (della fede). 1 5Infatti, non abbiamo un sommo sacerdote che non possa compatire le nostre debolezze, ma uno che, come noi, è stato provato in tutto, senza peccare (di infedeltà) . 16 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, perché riceviamo misericordia e troviamo grazia per un aiuto opportuno. Il profilo del sommo sacerdote Aronne

5 1 0gni sommo sacerdote, infatti, preso fra gli uomini, è co­

stituito a favore degli uomini per le cose che riguardano Dio, al fine di offrire doni e sacrifici per i peccati ; 2egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell ' ignoranza e nello smarrimento, essendo anch'egli av­ volto di debolezza; 3proprio a causa di questa, egli deve offrire sacrifici per i peccati come per il popolo, anche per sé. 4E nessuno si attribuisce da sé questo onore, se non chiama­ to da Dio, come (lo fu) anche Aronne. Unzione di Cristo a sommo sacerdote non aronide (/ stadio)

5 Allo stesso modo il Cristo non attribuì a se stesso la gloria di diventare sommo sacerdote, 6 Achri merismoii esprime l 'atto del dividere fino al punto più esteso e profondo possibile.

Un sommo sacerdote misericordioso, fedele e solidale con l 'umanità Eb 3, 1 - 5, 10

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ma Colui che gli disse: « Mio Figlio sei tu, io oggi ti ho generato ». 6Come in un altro passo dice : « Tu sei sacerdote per l 'eternità alla maniera di Melchisedek ». 7Egli (Gesù), durante i giorni della sua vita terrena7, offrì preghiere e suppliche con un forte grido e con lacrime a Colui che poteva salvarlo da morte e fu esaudito per la sua religiosa fedeltà8, 8pur essendo Figlio, imparò l ' obbedienza dalle cose che patì, 9e, reso perfetto, è diventato, per tutti coloro che gli obbediscono, causa di salvezza eterna, 1 0essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek. Uno sguardo introduttorio su Eb 3 , 1 - 5, 1 0 favorisce già alcune rilevazioni. Eb 3 , 1 -6 si situa tra l , l - 2, 1 8 e 3, 7 - 4, 1 6 e fa da cerniera (tourning point). Due esortazioni danno movimento a 3 , 1 -6. La prima ( vv. 1 -4) è rivolta ai « fratelli san­ ti »: meditino bene l 'apostolo e il sommo sacerdote Gesù (v. l ), ne estraggano il profilo da un sereno confronto con Mosè, entrambi co-costruttori della casa che Dio stesso ha ideato e della quale è il costruttore unico (v. 4b); la seconda (vv. 5-6) spinge i fratelli a tenere alta la libertà di pensiero e di azione nella fede (parrhesia) e a non perdere mai la speranza fondata in quel figlio Gesù Cristo9 (v. 6a) che lo stesso Mosè, servo, ha preannunziato (v. 5). In entrambe le comparazioni risalta il corretto comportamento dell 'autore: non esaspera le sue argomentazioni e non tende a provare la superiorità di Gesù de­ prezzando gli angeli o declassando Mosè; Ebrei sa bene quanto quest'ultimo sia ce­ lebrato presso il giudaismo biblico e rabbinico perché datore della legge; a lui va pienamente riconosciuto tutto ciò che la Scrittura sacra gli attribuisce. Entrambi, Mosè e il Figlio, pur svolgendo un ministero diverso nei riguardi della « casa di Dio », sono accomunati dalla fedeltà con cui espletano il loro servizio10• Da tanta fedeltà i destinatari di Ebrei apprendano la fedeltà, conservino la libertà acquisita in Gesù Cristo il Figlio, vero motivo del loro vanto, perseverino nella scel­ ta di lui, perché quel loro giusto orgoglio non si trasformi in umiliazione (3,6c). Allo

7 Letteralmente, « della sua carne ». 8 Oppure anche « per la sua venerazione (di Dio) ». Cfr. qui commento a Eb 5,7f. 9 È opportuno ricordare che Eb l , l - 2,8 presenta il > e in 3,6, anche per la prima volta, il nome « Cristo ». Questi poi, per la pri­ ma volta, in 4, 1 4b è detto « Figlio di Dio ». Cfr. qui Eb l ,2a. 10 Cfr. T. Jelonek, Regu/ae reve/ationis bib/icae: continuitas et transpositio in Epistola ad Hebraeos, in AnCracov 20 ( 1 988) 1 76.

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Parte seconda. Traduzione e commento

scopo, l 'autore torna ad avvalersi dell 'esodo, storia di deserto e peregrinazione, di fe­ deltà debole e infedeltà molteplici, di sbandamenti al limite dello smarrimento, e n­ dipinge agli occhi della loro mente le pesanti conseguenze di quella vicenda. La sua paràclesi incalza in 3,7 - 4, 1 3 sostenuta da una struttura del tipo a-b-b'-a' : a)

3,7- 1 1 b)

3, 12- 1 9

b') 4, 1 -5.6-1 1 a')

4, 12- 1 3

Con citazione dalla parola di Dio (Sal 94, 7b- 1 1 ) cresce l 'argomentazione esortativa; esposizione epidittica (argomentativa) sulla fede che introduce nel riposo di Dio; l 'esortazione cresce ancora, la promessa del riposo vero è ancora in vigore (4, 1-5), il riposo sabbatico di/in Dio (4,6-1 1 ); ricco elogio del logos e passaggio chiave in 3,7 - 4, 1 3 .

La conclusione i n E b 4, 1 4- 1 6 preannunzia i l grande sommo sacerdote e d è in inclusione con 5 , 1 - 1 0 1 1 : il sacerdozio di Aronne e quello di Melchisedek. Per ebrei e greci, ancora in pieno secolo l, il sacerdozio è concepito a servizio dell 'uomo almeno in due direzioni. In primo luogo, esso permette l 'accesso alla di­ vinità. Ciò accadeva, per gli ebrei, attraverso il ministero del sommo sacerdote nel giorno dell 'espiazione (Jom KippCir) e grazie ai molteplici sacrifici offerti dai sa­ cerdoti in relazione alle molteplici situazioni della vita delle persone; i sacerdoti prendono contatto con la divinità per ottenere favori e gustare la purificazione del­ la coscienza. In secondo luogo, il sacerdozio garantiva sicurezza e buona fortuna attraverso il quotidiano adempimento dei riti. Sia per gli ebrei nel loro tempio sia per i greco-romani nei loro templi, l 'esercizio del sacerdozio era visto come ba­ luardo contro calamità naturali e sfortunate vicende personali. In questo clima, avere un sacerdozio migliore voleva dire garantirsi una mag­ giore sicurezza di favore da parte della divinità e una migliore qualità di vita per il futuro della propria esistenza comunitaria e personale. Prende così corpo la propo­ sta di Ebrei. Nel momento in cui l 'autore compara il sacerdozio di Aronne, il pri­ mo sommo sacerdote giudaico12, con il sacerdozio di Gesù, « alla maniera di

1 1 Attraverso (oun . . . gar) : Eb 4, 1 6a; 5, l a. Il suggerimento strutturale è di A. Vanhoye, Épftre aux Hébreux. Texte grec structuré; si veda anche C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, pp. 263-267; pp. 277-280; pp. 292-296; pp. 296-299. J. Swetnam (A Possible Structure of Hebrews 3, 7-1 0, 39, in Melita Theologica 45 [ 1 994] 1 27- 1 4 1 ) propone una « possibile » struttura che riassume (cfr. Ibid. p. 1 4 1 ). Qui mi riferisco solo a Eb 3,7 - 4, 1 3 : 3,7 - 4, 1 1 Esposizione parenetica sul tema « terra promessa ». 4, 1 2 Gesù-(Parola?) è i l garante de li ' ingresso nella « terra celeste » del « riposo di Dio ». 4, 1 3 Gesù-( Parola?) è il garante della generazione spirituale (di persone spirituali gene­ rate dalla sua morte sacrificate e dalla connessa risurrezione-esaltazione). La precedenza data da J. Swetnam ai valori tematici espone al rischio di non cogliere obiettiva­ mente i supporti strutturali. Così il tema di Eb 4, 1 3 non sembm ben centmto; il valore conclusivo-in­ clusivo-prolusivo di 4, 14- 1 6 (microunità fusa in 4, 14 - 6,20) non è affatto còlto; resta discutibile l 'e­ quivalenza « Gesù Parola di Dio » in 4, 1 2; anche la messa a fuoco della tmdizione sul sacerdozio antico (5, 1-4) e su Gesù il sommo sacerdote sofferente (5,7-8) sembm non còlta. Strutture più temati­ che e meno lettemrie sono deboli. 12 Ne riferisce Es 28, l ; 29, 1 . 7. In Es 29,7 si leggono le parole di JHWH a Mosè per Aronne: « Prendemi l 'olio dell 'unzione, lo versemi sul suo capo, lo ungerai >>. Descrizione più dettagliata del rito di unzione-consacrazione di Aronne e figli, in Lv 8, l ss. =

Un sommo sacerdote misericordioso, fedele e solidale con l 'umanità Eh 3, 1 - 5, 1 O

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Melchisedek », si comprende perché gli abbia attribuito il titolo di « grande sommo sacerdote » (4, 1 4). Il parallelo corre, abilmente costruito, tra le caratteristiche del sacerdozio aronide riassunte ai vv. 1 -4 e le qualità del sacerdozio di Gesù presenta­ te e discusse ai vv. 5 - l O. Siamo sulla linea del tipo-antitipo, di confronto, diversità, superamento. Ma entriamo nei dettagli. Ben strutturato in 3 , 1 -6, l 'autore propone il suo secondo tentativo inteso a provare la superiorità del nuovo patto rispetto a quello in Mosè, cesura sinaitica in via di estinzione. L' argomentazione diventa serrata ai vv. 5-6. Ma il primo pat­ to, in Abramo, resta. Il lavoro dell 'autore si produce in una limpida simmetria chiastica (vv. 1 -3.5-6): a) b) b') c) a')

v. l b-2a v. 2b v. Sa

d) v. 5b v. 6a c')

Gesù, fedele (su tutta la sua casa). Mosè, fedele in tutta la sua casa (Nm 1 2,7). Mosè, fedele in tutta la sua casa come servitore. Mosè, testimone di ciò che doveva venire: Gesù Cristo stesso. Cristo, fedele sulla sua casa, come Figlio.

Belle ed efficaci le simmetrie concentriche inverse sui termini « fedele » e « casa » (a-a'-b-b'): Gesù è fedele e lo è anche Mosè; ma, mentre il gran condot­ tiero è servitore fedele nella casa di Dio, Gesù lo è sulla (epi) « sua »13 casa come Figlio (c-c '). La simmetria concentrica si avverte anche nella successione dei nomi: Gesù­ Mosè (a-b); Mosè-Cristo (b'-a'). La corrispondenza Gesù-Cristo (a-a') va da sé: si tratta di nome composto, unico di persona unica14• L'autore pensa al Gesù terreno, apostolo e sommo sacerdote, e al Cristo, il Risorto della nostra professione di fede (v. 1 )15• Risultato di questa costruzione simmetrica: se « Gesù » va compreso in ri­ ferimento a Mosè (vv. l b-2), questi gli è inferiore in gloria e onore (v. 3); anzi, l 'o­ nore proprio di Mosè è quello di essere servitore e testimone (v. 5) dell 'avveni­ mento « Gesù il Cristo », il Figlio « fatto, costituito >> Maestro e Signore16 sulla sua casa (v. 6a)l7• Questo dato è strutturalmente sicuro a motivo della posizione centra­ le che esso occupa nella simmetria concentrica indicata da « d » (v. 5b). Entrambi, Mosè e Cristo, sono rivestiti di autorità: Mosè come servo e testi­ mone; Cristo come Figlio. Il valore dell 'autorità di Mosè sta nel testimoniare tutto 1 3 « In tutta la sua (autou; illius) casa » (v. 2b e v. 6a). Nel caso di Mosè (v. 2b) si tratta della « casa di Dio »; nel caso di Gesù Cristo (v. 6a) può trattarsi ancora della casa di Dio, ma più attendi­ bilmente è la sua stessa casa, stando anche alla precisazione del v. 6b: « La sua casa siamo noi ». 1 4 Mi è invece difficile constatare il movimento chiastico nella proposta di V. Rhee, The Christological Aspects ofFaith in Hebrews 3:1-4: 1 6, in Filologia Neotestamentaria l 3 (2000) 75-88. I buoni impulsi tematici non ne risultano sostenuti. Per un'analoga annotazione, e qualche altra anco­ ra, cfr. V. Rhee, Chiasm and the Concept of Faith in Hebrews 12, 1-29, in WTJ 63 (200 1 ) 269-284. ls In Ebrei, « Gesù Cristo » si legge in 1 0, 1 0; 1 3,8 e 1 3 ,2 1 ; più di frequente nel resto del NT, in particolare nel l ' epistolario paolino. 16 È il senso di tQ poiesanti auton. 1 7 Così P. Auffret, Essai sur la Structure littéraire et / 'interprétation d 'Hébreux 3, 1-6, in NTS 26 ( 1 980) 388.

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Parte seconda. Traduzione e commento

ciò che doveva essere annunziato più tardi (v. 5b ); il peso dell 'autorità di Cristo sta nell 'essere costituito sopra la sua casa, che siamo noi (v. 6c ). Colui che costituisce entrambi nei loro ruoli è il costruttore della casa. Mosè non è il costruttore d'Israele, casa-popolo di Dio, ma appartiene a quella casa, è in quella casa, a servi­ zio della medesima. Gesù invece è il costruttore della sua stessa casa, acquistata con il dono della sua persona; nella sua qualità di Figlio, egli partecipa al progetto di Dio e lo porta a compimento, per cui il suo onore (time) e la sua gloria (doxa) so­ no di molto superiori a quelli di Mosè (v. 3). L'onore e la gloria di entrambi deriva­ no loro da Dio stesso: egli è il progettatore e il costruttore di tutto (v. 4). La superiorità non è sostituzione. Mosè cioè è inferiore a Gesù; il pregio del­ la sua inferiorità sta nel preparare la venuta di colui che gli sarebbe stato supe­ riore. Entrambi in continuità, dunque, dal meno al più. Ma per capire il più è ne­ cessario accogliere e capire il meno: dalla « parola trasmessa per mezzo degli angeli » (v. 2a) alla « grande salvezza » promulgata dal Signore Gesù il Figlio e attestata da Dio stesso con segni e prodigi (v. 4)18• [3,1-2a] Con un othen (perciò) parte la seconda grande dimostrazione; l 'au­ tore l 'aggancia alla prima perché la ritiene un' implicazione della medesima. Quel « ·perciò », infatti, non apre una nuova sezione, ma, sullo stile di 2, 1 7, cade nel bel mezzo dell 'argomentazione in corso19• Con un forte impulso, l 'autore ri­ corda ai suoi destinatari ciò che essi sono, « fratelli santi » (adelphoi hagioi) . Il ri­ ferimento è ai membri della comunità cristiana (Eb 3, 1 2; 1 0, 1 9; 1 3,22), uomini e donne ( l C or 1 6, 1 9-20; l Tm 4,2 1 ). La formula risente della forza speciale acqui­ sita in Eb 2, l l b, in cui è Gesù stesso a chiamare i suoi « fratelli », nonché del so­ stegno che le proviene dalla metafora della casa, dal ruolo centrale in 3 , 1 -6. Questi, ora « fratelli » anche dell 'autore, sono chiamati « santi » perché santifica­ ti da Cristo. Se ne è già discusso in 2, 1 1 . Qui si ha un nuovo aspetto della santità dei fratelli nella fede: essi sono depositari di una chiamata celeste, sono entrati a far parte dei chiamati (metochoi) da Dio, come già il suo servo (ls 4 1 ,9; 42,6). Quella chiamata, già menzionata in Eb 1 ,9 e spiegata con l 'ausilio del Sal 44,8b, visto da Ebrei come promessa messianica adempiuta in Cristo, consacrato in via preferenziale fra tutti i suoi compagni con unzione d'olio profumato20, è irrevo­ cabile (Rm 1 1 ,29): quel popolo peregrinante, quei santificati21 , destinatari dello scritto, sono ora visti dali 'autore come comunità di santificati perché rigenerati ; attendibile allusione al battesimo. Quei « fratelli santi » sono chiamati a entrare alla presenza di Dio, nel suo riposo celeste. Non essendovi ancora entrati, è ri­ chiesta loro tenace perseveranza (Eb 3,7 - 4, 1 3). La posta in gioco è infatti molto 1 8 Si veda P. Auffret, Essai sur la Structure littéraire et l 'interprétation d 'Hébreux 3, 1-6, in NTS 26 ( 1 980) 387. Cfr. più di recente B. R. Scott, Jesus ' Superiority over Moses in Hebrews 3: l -6, in BS 1 55 ( 1 998) 20 1 -2 1 0. 1 9 Si tratta di un othen discorsivo e non incoativo. Altri esempi dello stesso tipo in Eb 7,25; 8,3; 9, 1 8; 1 1 , 1 9. 2° Cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 60-66, qui p. 66. Anche T. Lorenzin, l Salmi, p. 200. 21 Cfr. ancora Eb 6, 1 0; 1 3 ,24; poi At 9, 1 3 ; 32,4 1 ; Rm 1 ,7; 1 6, 1 5 ; I Cor 1 ,2; Fil 1 , 1 .

Un sommo sacerdote misericordioso, fedele e solidale con l 'umanità Eb 3, 1 - 5, 1 O

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alta: devono guadagnare la destinazione «celeste >> (epouranios, terza fase della chiamata), l ' ingresso nel santuario celeste (8,5; 9,23; 1 0, 1 9), nella città celeste, quella eterna ( 1 1 , 1 6a; 1 2,22-23 ; poi 1 3 , 1 4); devono impossessarsi dei doni cele­ sti, quale propellente per il cammino verso la destinazione celeste: lo Spirito, la parola di Dio, il potenziale del mondo futuro (secondo livello della chiamata); tutto questo « oggi >>, nel riposo di Dio già ora sperimentabile nella comunità riu­ nita come episynagoge liturgica ( l 0,25a, I stadio della chiamata). Una comunità di chiamati, dunque una ekklesia, depositaria di un progetto « celeste >>. Ma che fare nel « frattempo >>? « Considerate attentamente >>, cioè fissate bene lo sguardo (katanoesate, v. 1 b) e la vostra mente su di lui. Questo imperativo fortemente esortativo, di un verbo che appartiene alla sfera del « vedere >>, ha conseguenze in quella dell 'agire, sul­ lo stile di Eb l 0,24. Si prenda atto che Gesù è affidabile, ma ancora di più un cre­ dente (pistos) sicuro, perché « fedele in ciò che riguarda Dio >> (2, 1 7), fedele alla sua fede nel Padre, « a colui che lo ha insediato » (v. 2a) apostolo e sommo sacer­ dote fedele (pistos), perché a lui fedele senza esitazione. Entrambi i sensi, qui e in Eb 2, 1 7, vanno ben considerati su spinta del contesto: Gesù è infatti il conte­ nuto della fede ed è al tempo stesso forza trainante in essa, egli stesso credente22• Come tale, è lui il fondamento della fiducia cristiana (3, 1 .6). Radicata in lui, la comunità acquista solidità nella fede. Abbia dunque pensieri e sentimenti con­ centrati « sull 'apostolo e sommo sacerdote della nostra professione di fede, Gesù ». Questi è apostolo, perché ambasciatore inviato da Dio, suo rappresentan­ te presso gli lMilmini e annunziatore della « grande salvezza » (2,3a). Bel paralel­ lo con Mosè: « La tora che il Santo ha donato a Israele, fu accordata per la me­ diazione di Mosè, come ben esprimono le parole: "Tra lui e i figli d'Israele". Mosè ha meritato d'essere apostolo (sa/ia/:1) tra i figli d'Israele e il luogo (= Dio) » (Sifre Lv 26,46). Eppure, nel parallelo, vi è una qualitativa diversità: Gesù è apo­ stolo come Figlio, Mosè lo è solo come servo23• Nell 'assolvere a questo compito, Gesù è fedele a colui che lo ha inviato e in­ vestito di una precisa missione: apostolo e sommo sacerdote. In lui ha creduto, fi­ no ali 'epilogo della croce; ma anche ai suoi « fratelli >> nella solidarietà, ai quali non è mai venuto meno. Questa sua fedeltà è il fondamento della « speranza del­ la comunità » e il motivo del suo « guardare a lui » (Eb 3 ,6). I « fratelli santi » (quel popolo giudeocristiano che gode del ministero di Mosè e di Gesù) prendano atto di essere « casa di Dio », che va « oggi » evolven­ do in « casa di Cristo ». È lui che devono confessare (homo/ogia) nella vita, neli '« assemblea » (Eb l 0,25a), il Gesù « apostolo e sommo sacerdote », e rico­ noscerne in Mosè il precursore testimone (v. 5b). Più che dare a questa homolo­ gia un contenuto di formule di fede, è preferibile vedervi i credenti nel momento 22 Si noti il duplice valore semantico di pistos: l ) credibile, affidabile; 2) fedele nella fede, dun­ que credente. Indicazioni al riguardo in R. Bultmann, pistos, in GLNT ( 1 975) 1 0,4 1 9, con riferi­ mento ad Ap 2, 1 0. Forse anche C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 242. 23 Cfr. H. Cousin, « Accrédité comme Fils sur sa maison )): Révélation et fi/iation dans la pré­ dication sur le sacerdoce du Christ, in Lum Vie 43 ( 1 994) 57.

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concreto in cui professano la loro fede in lui, una professione dal contenuto ben preciso, come voluto dalla formulazione determinativa « della nostra professione (di fede) » (tes homologias hemon, 'Iesoun), dunque la persona stessa di « Gesù, apostolo e sommo sacerdote ». Ma nella memoria Jesu dell 'autore in 3 ,2a è an­ cora sempre presente il Cristo sommo sacerdote compassionevole di 2, 1 7. Anche a questo aspetto va estesa la homologia. Gesù è dunque un credibile credente (piston onta) : nel momento in cui espleta il suo ministero d' intercessione sacerdotale (2, 1 7)24, o in quanto stabil­ mente fedele (Eb 2, 1 8; 5,8) e quindi in grado di attestare l ' instabilità nella fedeltà da parte della generazione mosaica (3,7- 1 2)25• Questa seconda lettura è più atten­ dibile in forza dell 'eco anticotestamentaria da N m 1 2,7 (LXX); l Cr 1 7,4 e l Sam 2,35 su Mosè servo fedele, erede del trono davidico e sacerdote. [v. 2b] Mosè è « l 'uomo di fiducia in tutta la mia casa ». Con riferimento a Nm 1 2, 7b (LXX), Ebrei descrive vivacemente la posizione unica di Mosè: nella costruzione del tempio egli è fedele nel rispettare le norme ricevute da Dio sul monte Sinai (Es 25,9; Eb 8,5), un tempio ombratile, anticipazione del tempio ve­ ro, quello celeste. Da qui la fecondità del confronto tra Gesù e Mosè: entrambi in­ viati da Dio, riconosciuti fedeli e impegnati in una missione per la casa di Dio. Tuttavia, la posizione di Gesù è superiore a quella di Mosè: se quest'ultimo è mi­ nistro in alta responsabilità (strategico apporto di therapon, 3,5)26 e non servo, Gesù è Figlio. Mosè poi è ministro fedele nella (en) casa di Dio, cioè nella co­ struzione del tempio terrestre e nella guida del popolo pellegrinante; Gesù è Figlio fedele sulla (epi) casa di Dio, che « ora » è « la sua propria27 casa », cioè noi, il volto giudeo-etnicocristiano del popolo di Dio. Mentre Mosè svolge un mi­ nistero in vista di una futura realizzazione (v. 5b), il ministero di Gesù esprime « già )) la propria efficacia su di noi che siamo la « sua )) casa; forze trainanti di quella efficacia sono il coraggio di una libertà consapevole e una speranza che sospinge; suo dono per noi, sono entrambe il vanto della nostra identità. Vivace paràclesi: libertà guidata dalla speranza (parrhesia ed elpis, 3 ,6c). Per l 'autore, il ruolo di Mosè è argomentativo, finalizzato alla superiorità qualitativa di Gesù. Suo strumento è la comparazione simbolica che gli permette di dare corpo alla propria idea sull 'economia della salvezza, o l 'autore intende la­ vorare attorno a un contrasto in atto tra ebrei e cristiani? In questo secondo caso, egli opera una riduzione della fede giudaico-mosaica a favore di Gesù Cristo e della sua proposta, o pensa che un qualunque contrasto si risolva di fatto nella fu­ sione tra le due parti in una unica nuova realtà? E, in questo caso, le due fisiono­ mie perdono le rispettive caratteristiche in un nuovo profilo o diventano piuttosto il propellente che dà vita a sempre nuovi volti storici del popolo di Dio, in mar­ cia verso la propria piena identità, nel riposo (katapausis) di Dio? Se nel tempo il 24 È il senso del participio presente onta, per modum actus. 2 5 È il senso di onta come participio presente continuo. 26 Così M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 495. Cfr., più avanti, Eb 3,5. 2 7 Potrebbe essere il valore di autou, riferito a Christos . . . hyios. Con illius, la Vulgata riferisce autou a Dio.

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popolo di Dio ha avuto volti storici diversi, e oggi è giudeo-etnicocristiano, nel riposo di Dio esso è popolo sacerdotale28• Non c'è dunque contrapposizione tra Mosè e Gesù, tra giudaismo e cristia­ nesimo. Mosè e Gesù sono fedeli al progetto di Dio per la sua casa, e in modo qualitativamente diverso: è la metafora della « casa » a orientare l ' interpretazione in questa direzione. La casa di Dio è unica, non duplice: un solo tempio, quello celeste, di cui quello terrestre costruito da Mosè è solo anticipazione ombratile, simbolica; un solo popolo, dai molteplici volti storici, in cammino verso la piena liberazione, nel suo riposo. Che la casa-popolo di Dio sia una sola è dovuto a co­ lui che « è la nostra pace, che ha fatto dei due un popolo solo » (Ef 2, 1 4 ). Ma quel­ la unità non è ancora realtà; ci unisce infatti la fede di Cristo (in Abramo), ma non ancora la fede in Cristo, discendenza di Abramo (Gal 3, 1 6). Eppure, Mosè ha pre­ parato la strada, da ministro e precursore. Ebrei fa di Mosè un contemporaneo di Cristo. Sul Sinai, Mosè vede la gloria di Dio, cioè Cristo sommo sacerdote. Unisce i due una base comune: la fedeltà al progetto redentivo di Dio (v. 2ab) e quel comune destinatario incluso nella metafora della « casa »: il popolo di Dio dal volto ebreo e dal volto cristiano, entrambi peregrinanti rispettivamente verso il primo incontro e verso quello definitivo con il Messia redentore. Ebrei, dunque, conduce un confronto tra Gesù e Mosè nel pieno rispetto dei servizi adempiuti con fedeltà (v. 2ab) a Colui che ha costituito nel servizio alle ri­ spettive case sia Mosè sia Gesù. Mosè è chiamato in causa a motivo della sua po­ sizione centrale nella storia dell 'esodo: mediatore, guida e « servo » della gene­ razione del deserto, affidabile, fedele. Ma la fedeltà del Figlio è più elevata di quella del servo: paga di persona per la sua casa. Da qui il maggiore peso quali­ tativo di Gesù rispetto a Mosè. In cammino verso il riposo di Dio, vissuto nel tempo con molteplici volti storici, il popolo dell 'elezione raggiungerà il suo volto unico, nell 'unica vera ca­ sa di Dio, il tempio celeste: popolo sacerdotale. Intanto, i credenti siano fedeli co­ me Mosè e Gesù, « fedeli nella fede » in Dio-JHWH, solidi nella parrhesia e nella elpis, liberi in Cristo e pieni di speranza (cfr. Eh 1 0,23). Fedeltà e continuità nel­ la vita cristiana: la migliore testimonianza di una reale adesione alla fede29• 28 E. Griisser (Mose und Jesus. Zur A uslegung von Hebr 3, 1-6, in ZNW 75 [ 1 984] 2-23) vede in Eb 3, 1 -6 la spinta a che ebrei e cristiani si capiscano come popolo unico di Dio. E a ragione. Ma solo se nel rispetto delle reciproche fasi storiche: come ebrei divenuti cristiani, come ebrei non di­ venuti tali, gli uni e gli altri, con la guida di Gesù i primi e ancora di Mosè i secondi, in marcia ver­ so « il riposo di Dio » nel compimento. Resta tuttavia aperta l 'annotazione di Eb 8, 1 3 : quel patto mosaico è obsoleto, prossimo a sparire. Segnalo C. Marcheselli-Casale, Gesù di Nazareth, messia di Israele? Verso un dialogo sempre più costruttivo tra cristiani ed ebrei, in R. Fabris (ed.), >, ma che, ieri come oggi, non hanno ancora a lui pie­ namente aderito. 29 Si veda T.G. Smothers, A superior Mode/: Hebrews 1 , 1 -4, 13, in Review and Expositor 82 ( 1 985) 340-34 1 .

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[vv. 3-4] Non si tratta dunque di due grandezze autonome e indipendenti, ma ben correlate: Mosè è giudicato degno di « guardare l ' immagine-gloria (doxa) del Signore >> (N m 1 2, 7b, LXX); Gesù è giudicato degno di maggiore gloria (doxa, v. 3a): è infatti il Figlio di quel Signore; Mosè costruisce la casa-popolo di Dio e ne riceve onore (timen, v. 3b); Gesù continua a costruire la casa-popolo di Dio, ma in qualità di apostolo e sommo sacerdote (v. l b), il che gli ottiene mag­ giore gloria. Egli è un costruttore migliore di Mosè. Costui e Gesù, poi, sono en­ trambi apostoli, inviati di Dio presso il popolo, e sacerdoti, cioè rappresentanti di Dio presso il popolo30; Mosè però consegna il patto sinaitico alla casa nella qua­ le egli stesso si trova e lo fa da servo, eseguendo un mandato limitato; Gesù ri­ prende quel patto, ormai prossimo a sparire (Eb 8, 1 3 ), lo riporta ad Abramo e av­ via il tutto a compimento nel proprio nome, per la casa sulla quale egli opera da Figlio (v. 6a). Mosè ha la dignità del sommo sacerdote, svolge il suo servizio al cospetto di Dio (nella tenda del convegno), coordinando il rapporto del popolo verso di lui; acquisisce in tal modo un profilo di perfetta fedeltà. Gesù, a motivo della pleiona timen (« maggiore gloria », v. 3a) che gli compete, perché ha paga­ to di persona, è al di sopra di Mosè. Entrambi costruiscono, ma il progettatore di tutto è uno solo, Dio (v. 4)3 1 . I n forza d i un detto proverbiale riportato al v. 3 b (« L'onore del costruttore della casa è maggiore rispetto alla casa stessa » )32, il costruttore di una casa rice­ ve l 'onore dovuto per la buona riuscita del suo prodotto (v. 3b), ma ancor più per averlo ideato. L' ideazione è per lui motivo di vanto. Ed è così nel caso di Mosè, ed è così nel caso di Gesù, entrambi migliori delle loro case, le quali tuttavia non sono due: oikos theou (Mosè il servo) e oikos Christou (Gesù il Figlio) sono un'u­ nica casa, quella avviata da Dio in Abramo, prelevata da Mosè, perfezionata da Gesù. E il costruttore è uno: Dio (v. 4b). Questi ha parlato un tempo alla sua casa attraverso i profeti nei modi più svariati (Eb l , l ); « oggi », nel Figlio ( l ,2). Come

3° Così La Bibbia (a cura de La Civiltà Cattolica), Àncora, Roma 1 973, p. 1 956. 3 1 Si veda H. Lohr, Umriss und Schatten. Bemerkungen zur Zitierung von Ex 25, 40 in Hebr 8, 5, in ZNW 84 ( 1 993) 226-229. Il frammento del papiro Vindobonensis G 424 1 7 (secoli VI-VII d.C.), di recente rinvenimento, favorirebbe lo scambio delle parole panta e theos, una varia lectio di Eb 3,4b: ho de theos kataskeuasas panta, comunemente ritenuta. Ne risulterebbe un forte ridimensionamento della persona di Mosè; già relativizzata perché « servo >> di fronte a Gesù « Figlio >>, lo sarebbe anco­ ra di più perché abbassato al livello delle cose create. Se ne occupa S. Schreiber (Eine neue varia lec­ tio zu Hebr 3,4b?, in BZ 44 [2000] 252-253), poco incline in verità ad accogliere simile restitutio textus. Quel sigma oncia/e (C) vagante, che motiverebbe lo spostamento di theos prima di kataskeuasas, può essere infatti una rudimentale alpha di panta o una distrazione del l ' amanuense. Si veda in Internet, Biblioteca Nazionale Austriaca: http:/www.onb.ac.atlsammlgn/palnews l .htm. 32 Fatto risalire a Menandro e riportato da Giustino, Apologia l ,20, il detto è: « Il lavoratore è più grande del suo lavoro >>. Anche Filone di Alessandria (De p/anta tione 68 e De migra tione Abrahami 1 93) conosce un analogo detto: « Colui che è possessore di qualcosa è migliore di ciò che possiede e colui che ha fatto qualcosa è migliore di ciò che ha fatto ». Si tratta, in verità, di un prin­ cipio estratto dalla vita vissuta, persuasivo in sé: gli va dato tacito consenso. Ne riferisce lo Pseudo­ Cicerone, La retorica a Gaio Erennio 4, 1 7,25 (M. T. Pseudo-Cicerone, La retorica a Gaio Erennio [F. Cancelli, ed. ), Mondadori, Milano 1 992 1 ); Aristotele, Rhetorica 2 ,2 1 , 1 1 ( l 395a); 2,2 1 , 1 5 ( l 395b).

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tale, quella casa è una figura, anticipazione simbolica, della casa-famiglia cele­ ste. Quella « casa unica >> risponda e collabori : nella libertà e nella speranza (v. 6c ), agganciata alla legge sinaitica e ali ' economia m osai ca, si riporti ad Abramo, e, proiettata in avanti, fissi bene lo sguardo su Gesù (v. l ), che avvalora la stessa economia mosaica, per quanto obsoleta (8, 1 3). E questo, ora nel tempo (volto giudeocristiano della casa), in cammino verso l 'aldilà del tempo (volto sacerdo­ tale): dalla katapausis terrestre ( l 0,25) a quella celeste. Se un costruttore riscuote comunque maggiore onore rispetto alla casa co­ struita, a Dio (v. 4b) va reso il massimo onore, essendo egli l 'ideatore e il co­ struttore di tutto (panta, v. 4b ). Il massimo onore per lui è che la sua casa sia abi­ tata e che l 'abitante sia il suo popolo. I due elementi, casa e costruttore, sono combinati in una relazione analogico-gerarchica: mentre Dio è il vero progetta­ tore e costruttore, Mosè è soltanto un copista che mette a punto un'adombrata realtà provvisoria, « anticipazione simbolica di ciò che sarebbe venuto »33• Che « ogni casa, infatti, è costruita da qualcuno » (v. 4a), su disegno di un co­ struttore, è un dato di fatto34• Che dall 'osservazione obiettiva del cosmo si possa dedurre l 'azione del Creatore35, è anche una constatazione di fatto. Qui tuttavia, Ebrei non intende provare l 'esistenza del Creatore né le caratteristiche della sua azione creatrice, ma, esprimendo fede in Dio creatore di tutte le cose visibili, esorta alla fede in ciò che ancora non si vede ( 1 1 ,3 ) . Del resto, Dio creatore è più degno di onore di tutto l 'universo, opera delle sue mani. Un suggerimento medi­ tativo per destinatari dubbiosi. Il verbo kataskeuazein (costruire, v. 4b) ha in Ebrei due sensi: costruire qual­ cosa e approntarla per l 'uso. Così Noè costruisce l 'arca con l 'intento di porre in salvo la sua famiglia (Eb 1 1 , 7), mentre il tabernacolo è approntato per il servizio sa­ cerdotale (9,2.6). In 3 ,4b Dio « è colui che ha costruito tutto », è il creatore di tutte le cose (senso primario, Is 40,28; 45,7; Sap 9,2; 1 3 , 1 4), ma è anche colui che ha preparato le cose per l 'uso con allusione al riposo di Dio, alla città futura che egli ha preparato per il suo popolo (senso secondario, Eb 2, 1 0; 4,4. 1 0; 1 1 , 1 6). L' idea di Dio technites e demiourgos è presente in Eb 1 1 , 1 0, dove l 'autore tratta della cele­ ste Gerusalemme. In 3 ,4b ve ne è il pensiero, espresso però con altro vocabolario. Merita rapida menzione la Lettera a Diogneto 7,2: Gesù di Nazareth è presentato come « architetto e costruttore del cosmo » (technites kai demiourgos ton holon). [v. 5] In parallelo simmetrico con il v. 2b torna il motivo della casa di Dio nella quale Mosè esercitò con fedeltà il suo ministero: nella tenda del convegno­ alleanza, nel santuario ove hanno luogo gli adempimenti sacerdotali, molto più nel popolo convocato per l ' incontro con Dio, nel culto. E in tutto questo Mosè è testimone « di ciò che doveva essere annunziato » più tardi. In presenza di tanta armonia tra Mosè e Gesù, si ripropone la totale assenza di polemica antiisraelitica in Eb 3 , 1 -6. Non si spiegherebbe al v. Sa il richiamo al33 Si veda H. Lohr, Umriss und Schatten. Bemerkungen zur Zitierung von Ex 25, 40 in Hebr 8, 5, in ZNW 84 ( 1 993) 226-229. 34 Si veda Epitteto, Manuale di disciplina 1 ,6,7. 35 Così Filone di Alessandria, De migratione Abrahami 1 93; De cherubim 1 26- 127. Cfr. Sap 1 3 , 1 -9.

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la testimonianza di Dio sulla fedeltà di Mosè con allusione a Nm 1 2,7b. Se co­ munque l 'autore avesse voluto indicare in Mosè il rappresentante di una deficita­ ria storia della salvezza e mettere in guardia da lui, gli sarebbe tornato più utile riportarsi alla fede carente di lui e del fratello Aronne (Nm 20, 1 2, ouk episteusa­ te) che li ha esclusi dali ' ingresso nella terra promessa, situazione che invece Ebrei ignora. L'autore non vuole discreditare la fede mosaica, piuttosto intende contribuire a che quella fede cresca e aumenti nei credenti : giudei e cristiani, gli uni innestati negli altri, un solo popolo (cfr. Ef 2, 1 4- 1 6). Allo scopo, egli lavora tipologicamente: se Mosè (tipo) fu per la generazione del deserto guida verso la liberazione, Gesù (antitipo) è la nuova guida, quella ultima e definitiva e perma­ nente, dell 'attuale volto del popolo di Dio, quello di oggi, pellegrinante verso la perfezione (teleiosis), verso il suo riposo. Il confronto Mosè-Gesù non è lo scopo di Eb 3, 1 -6, lo è piuttosto l 'esortazione a ispirarsi alla loro fedeltà. Con Mosè e grazie a lui, l 'autore disegna un profilo di Cristo e della sua no­ vità. Non l 'uno contro l 'altro, ma l 'uno e l 'altro36• Nessun discredito del ruolo mo­ saico, piuttosto l 'autore vede se stesso e il popolo giudeocristiano in collegamento con la generazione del deserto. Dunque, Mosè è ineliminabile, è therapan ('ebed JHWH)37• Ebrei propone tuttavia ai credenti di fede mosaica un consistente passo in avanti: Gesù è « oggi » la guida del popolo in pellegrinaggio verso « il riposo di Dio ». Mosè e Aronne, servi in Israele, dovevano condurre il popolo eletto, in Abramo, verso la pace della terra promessa; Gesù invece, nuovo Giosuè (Eb 4,8) e Figlio, verso la pace celeste. L'autore ha un ben preciso schema di lavoro: corrispondenza tra Mosè e Gesù come punto di partenza; ma Gesù offre molto più di Mosè; dunque Gesù è superiore nella sua diversità38• A questo procedimento ermeneutico di Eb 3 , 1 -6 fa da sfondo il noto dualismo del tipo superiore-inferiore: Gesù, il Figlio preesi­ stente, è superiore « in sé e per sé » agli angeli, a Melchisedek, cioè alle realtà so­ vrumane, a Mosè, Giosué e Aronne (realtà umane), come del resto il culto cele­ ste è del tutto superiore a quello terrestre, che ne è solo pallida raffigurazione, incapace di portare al compimento (Eb 7)39• 36 E. Griisser (Mose und Jesus. Zur Auslegung von Hebr 3, 1-6, in ZNW 75 [ 1 984) 23) scrive: « Man muss sie iibereinander legen, nicht als selbststiindige Siitze gegeniiberstellen ». Propone poi la trilogia: Entsprechung, Oberbietung, Andersartigkeit (confronto, diversità, superiorità), riprenden­ dola da E.J. Schierse, Verheiftung und Heilsvollendung, pp. 40-4 1 e oltre. Quella trilogia illustra ef­ ficacemente il binomio « tipo-antitipo » e ne controlla la riduttività. 37 Per i commentatori in genere, Eb 3,5 riprende la definizione primotestamentaria di Mosè quale 'ebed JHWH. Con tale strategico apporto, Eb 3,5 (therapan, famulus: hapax legomenon) pone in risalto il ministero di Gesù il Figlio, apostolo e sommo sacerdote, comparandolo con il ministero di Mosè: superiore a lui anche come therap6n. Cfr. F. Beyer, therap6n, in GLNT ( 1 968) 4,498. 38 Ma si può dire anche così: se Gesù è (( altro » rispetto a Mosè, dunque Mosè continua a es­ sere leader del suo popolo, quello ancora bisognoso della cesura sinaitica, mentre Gesù lo è (( della sua casa », quella cristiana (giudeo-etnicocristiana), ma non ancora di quella casa ebrea che non ve­ de in lui la propria guida. La trilogia di cui sopra, certo da precisare, potrebbe subentrare al binomio « tipo-antitipo » da sempre un po' problematico. 39 La questione della piena perfezione è già nota al giudaismo el lenistico (Filone di Alessandria), a Qumran, ai Testamenti dei dodici patriarchi. A realtà come /ogos, sophia, angeli, uo­ mo celeste, Mosè, Melchisedek, Aronne, Levi, appartiene lo stato di piena perfezione, in quanto es-

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Compito di Mosè e suo vanto: « Attestare ciò doveva essere annunziato più tardi >> (v. 5b)40• Mosè ha cioè preannunziato la rivelazione futura, divenuta realtà definitiva e non più superabile nel « Figlio » ( l ,2). Si ha qui un fecondo paralle­ lo con Rm l ,2: Paolo parla del vangelo di Dio preannunziato dai profeti nella Scrittura sacra41 • Mosè ha preannunziato il Cristo e ne ha già portato l 'obbrobrio (Eb 1 1 ,26) quando decide di soffrire a servizio del suo popolo, rifiutando libertà e benessere in casa del faraone egiziano. Al di là di questo riferimento, Ebrei pen­ sa a tutta la Scrittura, alla legge di Mosè vista nel suo insieme come testimonian­ za cristiana. Questo atteggiamento in Ebrei è permanente. [v. 6] La comunità cristiana è « casa di Gesù Cristo ». Come tale, appartiene a quel mondo futuro (Eb 2,5) del quale Cristo, come primogenito ( l ,6), è già en­ trato in possesso. A motivo della loro « chiamata celeste » (3 , l ), i credenti sono la « comunità del primogenito » ( 1 2,23): appartengono a lui e sono già, con lui, nel mondo futuro (escatologia anticipata). Celebrando la sua immolazione nella mor­ te e la sua risurrezione, essi concelebrano con lui che celebra in permanenza quel sacrificio celeste, esercitando il sacerdozio celeste ( 1 2,22-24). Ebrei mostra qui una ecclesiologia vista già nel compimento: l ' assemblea celeste, per ora ecclesia invisibilis. In 1 3 , 1 -5 tuttavia l ' autore propone anche la sua concezione socioreli­ giosa, con un articolato riferimento al propellente etico dell 'amore fraterno, ca­ rità verso jl prossimo e corrispettive scelte personali e comunitarie. Nella casa di Dio (v. 5), sulla casa di Dio (v. 6a): più che di un contrasto tra Mosè e Gesù, si è sempre più del parere che la prima formula sia preparatoria del­ la seconda; un confronto dunque in un rapporto di continuità. Da notare inoltre che la formula « sulla casa di Dio » ricorre solo qui nel NT. « La sua casa siamo noi » (v. 6b ). I destinatari di Ebrei sono visti come co­ munità cultuale, sacerdoti e credenti. Se restano saldi e fedeli in Cristo (v. 6c), es­ si partecipano individualmente della sua fedeltà sacerdotale, nel culto. Quale « Figlio » (v. 6a), egli è sopra la casa di Dio; quale sommo sacerdote ( l 0,2 1 ), egli presiede « la casa di Dio che siamo noi » (v. 6b ), popolo sacerdotale, « la sua pro­ pria casa »42• Ci si trova sulla linea di Es 1 9, 1 6; l Pt 2,5.943• La formulazione « se (ean) manteniamo la libertà e la fierezza della speran­ za » (v. 6c) è al condizionale ed esprime certezza, come a dire: essere « sua casa », sua comunità sacerdotale, dipende solo o almeno in gran parte da noi. L'autore è ben certo che i suoi già lo siano. L'uso stesso del condizionale va riferito al pro­ filo sacerdotale della comunità. Al contrario, qualora essa dovesse decadere dalse hanno diretto rapporto con Dio. Gesù non appartiene a queste realtà, eppure è più di esse vicino a Dio: egli è semplicemente unico. Cfr. E. Griisser, Mose und Jesus. Zur Auslegung von Hebr 3, 1-6, in ZNW 75 ( 1 984) 22. 40 È il senso della formulazione al participio futuro passivo eis martyrion ton la/ethesomenon. 4 1 Su Rm 1 ,2, cfr. A. Pitta, Lettera ai Romani, pp. 46-47. Alla peculiarità della forma verbale paolina proepeggheileto risponde la peculiarità del tempo verbale in Eb 3,5b: il participio futuro passivo ton /alethesomenon, unico in Ebrei. 42 Cfr. L.C. Scott, Christ over His House (Hebrews 3, 6) and Hebrew ' shr ' 1-hbyt, in NTS 37 ( 1 99 1 ) 474. 43 Così T.K. Oberholtzer, The Waming Passages in Hebrews. Part 2 (of5 parts): The Kingdom Rest in Hebrews 3, l -4, l 3, in BS 1 45 ( 1 988) 1 86.

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la fedeltà, non potrebbe più partecipare al culto sacerdotale, presieduto dal som­ mo sacerdote Gesù. Abbandonando la fedeltà sacerdotale, i suoi rischiano di get­ tare via la loro fede cristiana, di decadere dal loro vanto. Questo pensiero fa da retro fondo a Eb 3 , 7 - 4, 1 3 . Essere « la sua propria casa », comunità di Cristo, esi­ ge invece una consapevole libera adesione44 e una solida speranza in ciò che de­ ve compiersi (v. 6c)45• « Casa di Dio »: essi sono oggi « casa di Cristo », in forza dell 'adesione a Dio che parla nel Figlio ( l ,2). E non si tratta di due case. La se­ conda è infatti specificazione della prima; né si tratta di due popoli. Dove Dio parla ed è ascoltato, là è la « sua casa », il suo popolo. Una « casa » nel tempo, in cammino oltre il tempo. Esprime bene questo tono escatologico in 3,6 e ancora in 4, 1 4 e 1 9, 1 0.35 l 'uso di parrhesia, termine oculatamente scelto. Non sfugga il noto stile dualistico del pensare di Ebrei: terrestre e celeste. Gesù e Mosè: due grandezze gerarchiche così collegate da illuminarsi a vi­ cenda. Questa lettura è possibile in base a vocabolario e figure logiche in Ebrei (cfr. ancora l ,4; 7 ,20-22; 8,6), che è metodo analogico-gerarchico suggerito dalla logica filoniana?46• Forse, ma solo come strumento di lavoro a servizio di un valo­ re che attesta un altro valore: di Mosè che « testimonia ciò che doveva essere an­ nunziato più tardi » (v. 5b)47• Uno che è amplioris gloriae dignus quam Moses48• La metafora « casa e suo costruttore » investe tutta la pericope di Eb 3 , 1 -649 e ha un parallelo chiarificatore in Eb 8, 1 -6 (di cui ad locum ). Il fatto che, ai vv. 34, l 'uso di oikos (casa), abbinato al verbo kataskeuazo (costruire), richieda di non essere preso in senso letterale, ma in riferimento metaforico alla casa d'Israele prima e alla comunità cristiana poi, rivela in questa procedura un complesso mi­ drash haggadico-esplicativo. L'autore si avvale dell ' AT in citazione diretta o in allusione e spiega a suo mezzo il presente storico-religioso ai suoi destinatari, scoprendone la prefigurazione nel passato narrato proprio in quelle citazioni: « Mosè: egli è l 'uomo di fiducia in tutta la mia casa (bekol-beti) » è N m 1 2,7 in Eb 3,2.5; « lo lo farò stare saldo nella mia casa �beti) » è la profezia di Natan in l Cr 1 7, 1 4, cui si potrebbe parzialmente riferire Eb 3,2.5. Come si ricorderà, quel44 Parrhesia: libertas in loquendo et agendo in ordine alla testimonianza nella fede. Così M. Zerwick, Analysis phi/o/ogica Novi Testamenti, p. 496. 45 È il senso di to kauchema tes elpidos mechri telous bebaian: fides firma usque in finem, salus aeterna cum fiducia sperata. Cfr. M. Zerwick, Analysis phi/ologica Novi Testamenti, p. 496. 46 Ci si potrebbe sostenere con Filone di Alessandria (De specialibus legibus 1 ,275 e De so­ brietate 5): « Tanto più potente è l 'anima rispetto al corpo, tanto migliore è lo spirito rispetto agli oc­ chi ». Si tratta solo di un'analogia. 47 Quanto Ebrei sia attento a Filone di Alessandria è quaestio sempre più aperta e disputata. Cfr. J.R. Sharp, Philonism and the Eschatology of Hebrews: Another Look, in EAJTh 2 ( 1 984) 289298; G.E. Sterling, Ontology versus Eschatology: Tensions between A uthor and Community in Hebrews, in StudPhilonAnn 1 3 (200 l ) 1 90-2 1 1 . 48 Così Erasmo da Rotterdam, Paraphrasis ad Hebraeos per Erasmum Roterdamum, in Erasmus Roterdamus, In Acta Apostolorum Paraphrasis Erasmi Roterdami, Frobenius, Base! 1 524, p. 422. 49 Che l ' immagine « casa di Dio » possa derivare dalla riflessione giudaico-qumraniana è, an­ cora al momento, un fatto dal debole fondamento. Così anche KNTTM. SB, vol. III, pp. 683-684. Che a motivo di Eb 3, l e 1 2,22-24 anche 3,6 pensi alla casa celeste, su influsso della visuale gnosti­ ca, è anche inattendibile. Discute questi due aspetti E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. l, p. 1 69, note 86 e 87. =

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la profezia ha per destinatario il re Davide: una profezia-patto cui allude Eh 3,2.5 per dire che Gesù, il Messia davidico, è superiore a Mosè, semplice mediatore di un patto antico50. La formula « sulla (mia) casa >> ('al bajit) nel TM è frequente, probabile fonte per Eh 3,5 (« in tutta la sua casa ») e 3,6 (« sopra la sua casa »). Almeno due volte nella storia di Giuseppe (Gn 37-50): 39,4 ('al bétò) e 39,5 (bebétò), che la LXX rende senza distinguere (epi tou oikou autou), e 4 1 ,40: « Tu sarai sulla mia casa ('al béti) », che la LXX rende con epi tQ oikQ mou. Più volte in l -2Re ('aser 'al ha-bajitY ' , in cui 'aser è reso dalla LXX con oikonomos quan­ do indica un maggiordomo o amministratore di corte. Risultato. Gesù è qualitativamente oltre Mosè, anche come amministratore sulla e nella casa rispetto ai servi; amministratore della casa (di Dio e sua), egli ha autorità su tutti i componenti della medesima, Mosè incluso52• Nel passato, in­ fatti, Dio ha parlato a mezzo di profeti, dei quali Mosè è come il prototipo (Dt 1 8, 1 5), essendo il donatore della legge su incarico di Dio; oggi in via definitiva ha parlato a mezzo del Figlio (Eh 1 , 1 -2). Bisogna disporsi ad ascoltarlo: è quan­ to l 'autore auspica per sé e per i suoi (2, 1 -4 ). Gesù amministratore: una nuova immagine, non esplicita ma fondata. Inoltre, in 3,6b quella « sua » casa siamo noi : egli è dunque nostro amministratore, ma anche la comunità cristiana è am­ ministratrice di quella casa, cioè di se stessa, se resta libera e fedele nella speran­ za in lui (v. 6c). Questa lettura è legata a oikos di 3 ,6 (non oikia) ed è sostenuta dal Targum Numeri 1 2,7, in cui béti (« la mia casa ») indica il popolo d'Israele. In 3,6 quel popolo « siamo noi », i destinatari dello scritto e l 'autore stesso, non in sostituzione dell 'Israele di ieri, ma in continuazione con esso. Scopo di Eb 3 , 1 -6 non è solo teologico né tanto meno polemico, piuttosto di esortazione a essere consapevoli della superiorità di Gesù su Mosè. Parola chia­ ve: « fedele, credente », detta al v. 2a di Gesù (e implicitamente di Mosè al v. 2b) e al v. 5 di Mosè (e implicitamente di Gesù al v. 6a). Con un bel effetto estetico: la figura letteraria del chiasmo su quella parola enfatica unisce Mosè e Gesù in una non soluzione di continuità. In modo specifico Eh 3 , 1 -6 ripensa e riformula lo schema gesuologico-cri­ stologico di « abbassamento-esaltazione » e vede nel « Figlio » il mediatore nella creazione, l 'attuatore della casa unica di Dio nella sua oblazione pasquale di morte e risurrezione. Da qui la maggiore affidabilità di Gesù rispetto a Mosè. Con sguardo retrospettivo, otteniamo la simmetria seguente: a) 1 , 1 -4 b) 1 ,5- 1 4 c ) 2, 1 -2 d) 3 , 1 -6 e) 3,2a e') 3 ,2b

Il Figlio sua superiorità sugli angeli parola trasmessa per mezzo degli angeli Israele, la casa di Mosè Gesù fedele Mosè fedele

5° Cfr. M.A. Beavis, The New Covenant and Judaism, in BToday 22 ( 1 984) 24-30, qui 27. 5 1 Cfr. I Re 4,6. 1 6; 1 6,9; 1 8,3; 2Re 1 0,5; 1 5,5; 1 8, 1 8.37 (= Is 36,3.22; 37,2) nonché Is 22, 1 5 . 52 Così L.C. Scott, Christ over His House (Hebrews 3, 6) and Hebrew 'shr '1-hbyt, in NTS 37 ( 1 99 1 ) 476-477.

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d') 3 , 1 -6 c') 2,3-4 b ' ) 3, 1 -6 a') 2,5- 1 8

« noi » la casa del Figlio grande salvezza promulgata dal Figlio sua superiorità su Mosè Gesù.

Anche se al Sinai Mosè ha ricevuto la tOra. dalla bocca stessa di Dio53, Gesù il Cristo gli è superiore perché Figlio, appartiene alla casa di Dio, rivela la parola del Padre. È più di Mosè e degli angeli, essendo questi soltanto servi. Nessun messag­ gero gli può essere superiore. La paràclesi argomentativa evolve in 3, 7 - 4, 1 6. [3,7-1 1 ] La parola di Dio giudica. L'autore avvia una prova biblica nella forma di un midrash elaborato sul Sal 94. Ne propongo un approfondimento al termine di 3, 7- 1 1 . Intanto, mi addentro nella prova dalla Scrittura sacra, di gene­ re letterario epidittico e non omiletico54, seguendo al dettaglio l 'autore nelle sue scelte di metodo e nel messaggio da lui inteso. [v. 7] Con un dio (perciò) questo verso resta collegato a 3 , 1 -6, eppure se ne distacca, interrompe la sua riflessione sul tema della « casa » (metafora che non sarà più ripresa) e raccoglie nuove prove a sostegno della sua argomentazione mi­ drashica sulla fedeltà55, avvalendosi del Sal 94,7- 1 1 . Aperta da kathos (come)56, la citazione del salmo non è una parentesi che si chiude al v. 1 2, ma una prova dettagliata e decisiva. Essa proviene dalla generazione israelita del deserto: am­ monimento esortatorio per la generazione d'Israele a lui contemporanea, nonché ali 'Israele odierno, a entrare nel riposo di Dio. Garanzia di tanto ammonimento è lo « Spirito santo » (to pneuma to hagion), colui che pronunzia e spiega la parola di Dio, qui e in Eb l O, 1 5 , lo Spirito di Dio che ispira. Anche la teologia rabbinica conosce ampiamente l 'azione dello Spirito di Dio che pronunzia le Scritture di ieri 57 e le interpreta, per l ' « oggi »58• Ne risente qui Eb 3,7 e più avanti 3, l O, in cui soggetto dell 'espressione: « Mi so­ no irritato e ho detto » è Dio. Il Sal 94 è usato ancora oggi nella liturgia sinago­ gale e cristiana. « Oggi, se udite la sua voce )) (v. 7b) porta in sé il tono accorato seguente: « Se voi oggi (semeron) voleste udire (ean . . . akousete) la sua voce ! )), carico di speranza e possibilità. La generazione del deserto ha infatti fallito. Pur entrata in Canaan, la terra del riposo, essa, in occasione di quel suo « oggi )) di allora, non

53 Così insegna la tradizione rabbini ca; cfr. Mishna 'A bot l , l ; b.Erubin 54b. Diversamente E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 1 73 : Predigttext (testo omiletico). 55 È lo strumento estetico-letterario e retorico dell ' aposiopesi, l 'arte di tenere sospeso l 'animo di chi ascolta. Cfr. F. Blass - A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento 482. 56 Kathos introduce riferimenti al Primo Testamento visti come parola di Dio, voce del suo Spirito (cfr. Eb 4,3.7; 5,6; 8,5, dove è introdotto il Sal 94,8- l l ). 57 « Lo Spirito santo si posò su Salomone e questi dettò tre libri : i Proverbi, Qohelet e il Cantico dei cantici ». Così in Midrash Qohelet 1 , 1 (4a). Cfr. KNTTM.SB, vol. II, p. 1 35 . 58 Così Mekhilta Exodus (ca. 1 50 d.C.) 1 5, 1 (40b). I rabbini collegano l ' intervento dello Spirito santo alle più svariate situazioni della vita; lo accompagnano con testi dalla Scrittura sacra (prevalen­ temente dai Salmi) e lo introducono con la formula: « Lo Spirito santo dice . . . chiama . . . annunzia . . . ispira . . . » (dati in KNTTM.SB, vol. III, p. 684, con rimando al vol. II, pp. 1 34- 1 38). Utile ancora l 'ex­ cursus: Die Inspiration der Heiligen Schriji, in KNTTM.SB, vol. IV / l , pp. 435-45 1 . 54

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ha di fatto ascoltato la sua voce. Ora, quell ' « oggi » di ieri si ripropone, non es­ sendo avvenuto allora l ' ingresso nel vero riposo. L'« oggi » di Dio continua fino al compiersi del suo contenuto. Ed evolve così già il pensiero dei rabbini59• « Oggi >> è importante per Ebrei, che ne riferisce ben 3 volte: 3, 1 3 . 1 5; 4,7. Ogni giorno è l ' « oggi » nel quale è necessario porre ascolto alla voce di Dio nel Figlio. « Oggi » non è ancora l ' ingresso nel riposo, ma ne è solo l ' inizio: ha valore di esortazione. Allo scopo, è decisivo akoui5 (ascoltare), verbo dal ruolo centrale in Ebrei, già a partire da 2, l . Dunque non tanto « obbedire », quanto e piuttosto utilizzare l 'opportunità dell 'ascolto, nell 'auspicio che esso non sia soffocato in un cuore indurito. Ne risentirebbe la libertà di decisione aperta al dono di Dio, oggetto del­ la speranza (3,6). Anche se non risalta in modo esplicito, c'è da ritenere che Ebrei utilizzi il Sal 94,7- 1 1 , rispettando il destinatario cui originariamente sono stati in­ viati i regali Sal 92-99, perché ne ascoltasse e celebrasse nella liturgia il denso messaggio; alla sua comunità egli lo ripropone nell ' insieme (midrash), puntando sul tema del riposo (v. 1 1 ). Ci si disponga dunque ad ascoltare la « sua voce » (phi5ne), quella di Dio, in Eb 3,7. 1 2. 1 5; 4,7 e in 1 2, 1 9.26, al Sinai. Ma, con riferimento al v. 6 (« Noi siamo la sua casa », cioè di Gesù il Figlio), « sua voce >> dovrebbe essere quella di Cristo, del Messia, essendo il Sal 94,7- 1 1 citato globalmente, con riferimento specifico al motivo del riposo6o. [v. 8] Il Sal 94,8 presenta alcuni interventi redazionali rispetto al Sal 95,8 (TM): « cuori » al plurale, invece del singolare; Meriba (da rib, contendere) e Massa (da nasah, mettere alla prova) del TM sono riferiti nel loro senso, e non come nomi di località: « ribellione » (Meriba) e « tentazione » (Massa); la formu­ la: « Non indurite i vostri cuori » è nota ali 'autore dali 'Esodo. Ricorre anche in JClemente 5 1 ,3 . 5 : « È meglio riconoscere le proprie colpe piuttosto che indurire il proprio cuore (v. 3) . . . Il faraone e il suo esercito . . . furono sommersi nel mar Rosso . . . perché i loro cuori insensati . . . si erano induriti » (v. 5). E anche Eb 3 ,8a rispetta la LXX e il retrostante ambiente di Es 7,3; 8, 1 9; 9, 1 2.35. L'autore infatti non interviene con correzioni proprie dello stile linguistico del NT6 1 • Quel conte­ sto resta dunque di riferimento obbligato per la generazione del deserto, per quel­ la a lui contemporanea, per ogni comunità giudeo-etnicocristiana. « Indurire » (skleryneinj62 ha 6 frequenze nel NT, di cui ben 4 in Ebrei (3,8. 1 3 . 1 5 e 4, 7). Termine medico per sua natura (molto usato dai noti medici lppocrate e Galeno), skleryni5 ha lo stesso senso del più tardivo skleroi5 e del parai59 Si veda b.Sanhedrin 98a (R. Giosuè ben Levi, anno 250 d.C.), in KNTTM .SB, vol . II, p. 286e; R. Acha (ca. il 320 d.C.), in p.Taanit 1 , 1 -64a, in KNTTM.SB, vol. I, p. 1 64. 60 È il mio parere; una trasposizione ermeneutica da Dio al Figlio è procedura non rara in Ebrei. Ma vedi sopra in Eb 3,6b. C.R. Koester (Hebrews. A New Translation) legge « sua casa » (v. 6b) co­ me « di Dio ». 61 Ad esempio, in base a Mc 1 0,5; 1 6, 1 4; Mt 1 9,8 in cui la radice skler- è in contatto diretto con kardia nella forma « sclerocardia », o a Rm 2,5 e At 7,5 1 in cui il suo contatto con kardia è molto ravvicinato. 62 Vedi K.L. Schmidt e M.A. Schmidt, skleryno, in GLNT ( 1 974) 9, 1 348- 1 349.

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lelo poreuo: irrigidire, indurire, essere poroso, un po' come la spugna che alla pri­ ma pressione lascia uscire tutto ciò che contiene; non lo può infatti trattenere a mo­ tivo dei suoi molti pori. Qui, in Eb 3,8, indica l 'uomo che indurisce il proprio cuo­ re o, come in 3, 1 3, la sua stessa persona. Ma anche un indurimento da parte di Dio. È la caratteristica di skleryno: l 'indurimento di Dio e dell 'uomo si fondono assie­ me. L'esortazione di Ebrei è a non « indurire » Dio con il proprio indurimento. Gli ascoltatori-destinatari del « trattato » devono porre ascolto alla voce di Dio non co­ me la generazione del deserto, che rispose con netto rifiuto (valutazione negativa di quella generazione del popolo di Dio; non così in Eb 1 1 ), ma non ponendo a tace­ re il proprio cuore e le sue possibilità di risposta (3,6b) e di decisione-adesione al progetto di Dio. Come luogo in cui ha sede la vita spirituale, il cuore è appunto chiamato ad ascoltare, soppesare, decidere in tutta libertà. « Non indurite i vostri cuori » è dunque un caldo invito anche alla responsabilità personale. Quell ' indurimento del cuore accadde « nel momento della ribellione » (en ti} parapikrasmi}, hapax legomenon), nel tempo-giorno (en temporale) della prova, nei giorni vissuti da Israele nel deserto. La formula ha un valore temporale col­ lettivo e si aggancia a un preciso evento storico. Raro è l 'uso di « giorno » da par­ te di Ebrei nel solo senso temporale, non storico63• Per lo più vi è un riferimento a un evento primotestamentario (cfr. Eb 3,8; 4,4; 7,3; 8,9; 1 1 ,30), a uno neotesta­ mentario (cfr. Eb 5, 7; l 0,32) e a uno escatologico (cfr. Eb l ,2; l 0,25). Ribellione contro chi? Contro il Signore, secondo Es 1 7,7; contro Mosè e Aronne, secondo Nm 20,2-5 . In Nm 20, 1 3a si descrive Meriba come il luogo « dove gli israeliti contesero con il Signore >>. La creatura umana tenta Dio e vuo­ le metterlo alla prova, e non viceversa. Mettendone in dubbio la presenza nella loro storia, dissero: « Il Signore è in mezzo a noi, sì o no? » (Es 1 7,7b; ancora Dt 6, 1 6; 9,22). Così del resto il Sal 94,8-9. Per il Sal 80,8b, invece, chi ha « messo alla prova alle acque di Meriba » il suo popolo è Dio. Ma non è la linea di Ebrei. Quell 'indurimento accadde « nel giorno della tentazione » (tou peirasmou, hapax legomenon ), cioè kata ten hemeran con il senso di « nel giorno » in paral­ lelo (implicito) con « nel momento-giorno della ribellione ». Come sostantivo, il termine « tentazione » ricorre solo qui in Ebrei, prelevato dal Sal 94,8a. L'uso verbale lo si ha ancora in Eb 2, 1 8. E accadde « nel deserto » (en t� eremi}), quello sinaitico, come in l Cor l O, 1 1 3 e in At 7,36-44. Luogo della disobbedienza e della punizione nel NT, l o è pu­ re in Eb 3,8. 1 7 ove ricorre solo come citazione dal Sal 94,8. L'autore cioè non elabora il tema, pur contestualizzandolo in una situazione nuova (v. 1 7). Ali ' Israele di Dio, vivente nel tempo, alla ricerca del « riposo celeste », Eb 3,8 non propone la generazione del deserto, pellegrinante, sbandata e senza terra. Anzi, il motivo della peregrinazione è qui del tutto assente. La generazione infe­ dele è invece presentata in raccordo con il tema dell 'acqua, di cui in Es 1 7, 1 -7 so­ lo indirettamente evocato, in Nm 20, 1 - 1 3 e nel Sal 8 1 ,8b (TM)64• Di fatto però Eb

63 Si veda Eb 3 , 1 3 ; 7,27; I O, Il ; 1 2, 1 0. 64 Alle acque di Massa e Meriba Ebrei allude da lontano. Il tema dell 'acqua gli resta nella penna.

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2,8 segue il Sal 80,8b, in cui di nuovo il nome proprio di località « Meri ba >> è so­ stituito dal significato di « contestazione ». Il pensiero dell 'autore nell 'uso della versione dei LXX va al preciso momento che precede l ' ingresso in Canaan: l ' in­ gresso nel riposo promesso da Dio. La lunga peregrinazione come tale non rien­ tra nei suoi interessi; non è attento alle tappe geografiche, per altro incerte, pro­ poste dal pentateuco, è invece più occupato a esortare i suoi, alla fedeltà e alla saldezza, alla continuità e alla stabilità nella fede (Eb 3 , 1 4. 1 6; 1 0,36; 1 1 , 1 ; 1 2, 1 ). I vv. 7b-8a evocano un retrofondo midrashico sul Sal 94,7- l l , una paràclesi haggadica. « Oggi », nella Scrittura, ha sette nomi: « il mio giorno », come è scrit­ to: « Abramo ha gioito nel vedere il mio giorno » (Gv 8,56); « quel giorno », co­ me è scritto: « In quel giorno . . . sarà un unico giorno, non vi sarà né giorno né notte; verso sera risplenderà la luce » (Zc 1 4,6-7); « in principio », come è scritto: « In principio Dio ha creato i cieli e la terra » (Gn l , l ), in quel giorno unico e uno, perché in esso non si danno mutamenti (Gn l ,5; Zc 1 4, 7); « visita » come è scrit­ to: « Cosa farete voi nel giorno della visita? » (Is 1 0,3), l 'anno della sua visita (Ger 48,44), il tempo della loro visita (Ger 50,27); « luce », come è scritto: « Non sarà più il sole a darti luce durante il giorno, né ti darà luce il chiarore della luna; l ' Eterno sarà la tua luce » (ls 60, 1 9); « ultimo giorno », come è scritto : « Chiunque vede il Figlio e crede in lui, ha la vita eterna, e io lo risusciterò nel­ l 'ultimo giorno » (Gv 6,40); « Dacci oggi il nostro pane quotidiano ». È il settimo nome di « oggi » : l 'oggi del pane necessario. « Se udite » con gli orecchi è da essi che le parole ascoltate scendono nel cuore, perché è il cuore che conosce, come è scritto: « Riconoscete con tutto il cuore . . . » (Gs 23, 1 4). È il cuore che cerca Dio, come è scritto: « Tu troverai Dio, se lo cerchi con tutto il tuo cuore » (Dt 4,29). E ancora: « Le parole che io oggi ti do, saranno sul tuo cuore » (Dt 6,6). È scritto « sul tuo cuore » e non « nel tuo cuo­ re », in quanto quelle parole non si trovano « nel cuore » naturalmente. Devono restare a lungo « sul cuore » onde penetrare « nel cuore ». Sono gli orecchi ad ascoltare, come è scritto: « Gli orecchi dei saggi ricercano la conoscenza » (Pr 1 8, 1 5). E del discepolo è scritto: « Fa' attento il mio orecchio, perché io ascolti come i discepoli » (Is 50,4 ). Dunque è il cuore che ascolta, il cuore di colui le cui orecchie sono quelle del discepolo. « La sua voce », quella che alle origini chiede ad Adamo: « Dove sei? » (Gn 3,9), e dice a Mosè: « Il luogo sul quale tu stai, è una terra santa » (Es 3,5), terra del­ la Presenza, e non una terra comune, dove quella voce potrebbe non essere ascolta­ ta. « La sua voce >> parla oggi e non cessa mai di parlare. Né Mosè sul monte, lui, il più grande dei profeti (Dt 34, 1 0), né i saggi hanno compreso in pienezza la voce che parlava loro. Gli uomini del futuro, viventi in un mondo che cambia, dovranno rispondere a questioni nuove in tempi nuovi, ponendo ascolto a quella voce che nel loro « oggi » li interpella. Essi hanno cambiato il mondo e questo pone loro quesiti nuovi. E vi dovranno rispondere « oggi », ascoltando « oggi » quella voce che Mosè e i profeti non hanno potuto capire se non parzialmente. E anche i loro destinatari non compresero la parola di Mosè e dei profeti . È scritto infatti: « Questo popolo mi onora a parole e con le labbra, il loro cuore è lontano da me, il loro culto è un insieme pasticciato di usi umani » (ls 29, 1 3 ). La

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religione dei profeti era diventata un comandamento umano: una serie di cono­ scenze senza conoscenza, di detti senza saggezza, di parole senza la Parola, un nutrimento privo di sostanza nutritiva. Per questo è detto: « Dio ha parlato a noi, oggi, nel Figlio » (Eb l ,2), ma non con parole che ci presentano il Figlio, bensì nel Figlio che si comunica a noi con « fatti e parole ». « Non indurite i vostri cuori ». Come è possibile indurire il cuore? Sta scrit­ to: « Chi indurisce il cuore, cadrà nel male >> (Pr 28, 1 4b ). E ancora: « Toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne » (Ez 1 1 , 1 9b ). Al con­ trario della pietra, la carne è sensibile: ecco perché il cuore deve essere di carne e non di pietra. E come si può sapere che esso è sensibile? Se ascolta, come è scrit­ to: « Dammi un cuore che ascolti » ( l Re 3 ,9). Un cuore indurito è un cuore che non ascolta la Parola che parla ancora, oggi. « Eppure avevano visto per quarant'anni le mie opere » (Eb 3,8-9), avevano visto, ma non avevano compreso. Per comprendere, infatti, bisogna ascoltare e non solamente vedere. Ecco perché è scritto: « Siete diventati lenti a capire » (Eb 5, 1 1 ). È anche scritto: « Voi avete visto, dice Mosè al popolo, quanto il Signore ha fatto sotto i vostri occhi >> (Dt 29, l ). Eppure voi non avete compreso: « Ma fi­ no a oggi l 'Eterno non vi ha dato un cuore per comprendere, né occhi per vede­ re, né orecchi per udire >> (Dt 29,3). Avete visto senza comprendere, perché siete privi degli occhi del cuore, fino al giorno in cui finalmente vedrete. Come sta scritto: « Abramo ha esultato al pensiero di vedere il mio giorno; lo ha visto e se ne è rallegrato » (Gv 8,56). E se lo ha visto, che cosa gli manca ancora? Nulla. Allo stesso modo nulla manca a colui che non indurisce il cuore, oggi. I destina­ tari di Ebrei pongano attenzione a Dio che parla, non gli induriscano il cuore, ne ascoltino invece la voce, oggi65• [vv. 9-1 1 ] La prova biblica di tipo midrashico continua sul Sal 94,9- 1 1 , qui citato quasi letteralmente. « Dove (ou) », hapax /egomenon in Eb 3,9a, è un avverbio di luogo (come in Le 4, 1 6), che torna a indicare nel deserto (di Paran secondo N m 1 2, 1 6) il luogo del­ la contesa e dell 'esasperazione. « I vostri padri », non solo i patriarchi, ma almeno tutti i pii di Israele di cui si fa esplicita menzione in Eb 1 1 , « mi tentarono », ognu­ no a loro modo, « mi provocarono » (epeirasan), « mi misero alla prova >> (en doki­ masi(l)66, « mi esasperarono », avendo messo in forse proprio ciò che mi caratteriz­ za: la fedeltà (Nm 14, 1 1 .22). Eppure, proprio in relazione ai giganti (Nm 1 3 ,33) e alla loro resistenza ali ' ingresso d'Israele in Canaan, Dio-JHWH avrebbe dato prova della sua presenza efficace e fedele. Tanta sfiducia esaspera il cuore di Dio, in base ali 'allusione esplicita a Es 1 7,7: « Il Signore è in mezzo a noi, sì o no? >>67• 6 5 Per la 'aggada su Eb 3, 7b-8a, cfr. J. Chopineau, Midrache sur « aujourd 'hui », in Foi et Vie 89 ( 1 990) 85-89. 66 « Mi tentarono . . . mettendomi alla prova )): l 'accusativo pronominale è dovuto alla lettura del TM da parte di alcuni manoscritti della versione dei LXX e di Ebrei. Cfr. H. Braun, An die Hebriier (HNT 1 4), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 984, p. 88. Lezione critica in genere non accolta. Lo è invece la lezione b'f)anm1ni: « Mi misero alla prova )). 61 Chi pone simile domanda, osserva Filone di Alessandria (De vita Mosis l ,38,2 1 2), non co­ nosce e non ha mai tentato di conoscere Dio. Vedi anche la nota seguente.

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« Eppure avevano visto per quaranta anni le mie opere » (v. 9b): non si tratta della creazione68 come in Eb l , l O e 4,3-4, né tanto meno delle manifestazioni di collera da parte di Dio; né di opere escatologiche, come in 2,8bc; 9,28 e 1 2 , 1 4, ma di vere e proprie azioni di Dio avvenute nel tempo, viste con gli occhi del cor­ po, segni di salvezza-liberazione da lui compiuti per il suo popolo in Egitto e nel­ la peregrinazione quarantennale nel deserto (Nm 1 4, 1 1 .22)69: opere entrate nella storia quotidiana d'Israele, ma che tuttavia non hanno condotto alla fede (come invece accade alla folla ebrea contemporanea di Gesù in Le 1 9,3 7 e in Gv I l ,45); ma anche opere non prive di tensione escatologica70. Forse l 'elenco seguente potrebbe rispondere alla mente di Ebrei, che ai suoi destinatari propone un insieme di opere dall 'AT al NT: il diluvio (cfr. Gn 7,6; Eb 1 1 ,7); le piaghe d'Egitto (cfr. Es 7, 1 - 1 0,29; 1 2,29-34); esodo e vicenda mosai­ ca7 1 ; il passaggio del mare dei Giunchi (cfr. Es 1 4, 1 5-3 1 ; Eb I l ,29); la celebra­ zione della prima pasqua (cfr. Es 4, 1 5-3 1 ; Eb I l ,28); il miracolo delle acque amare divenute dolci (cfr. Es 1 5,22-26; 1 7, 1 -7; Nm 20,2- 1 3); la manna (cfr. Es 1 6, 1 3-36; Nm 1 1 ,7-9; Eb 9,4); le quaglie (cfr. Es 1 6, 1 3 ; Nm 1 1 ,3 1 -33); l ' idola­ tria d'Israele (cfr. At 7,42) e la punizione nel deserto (cfr. Nm 1 4,34; 32, 1 3 ; Eb 3, 1 7); il severo giudizio su quanti si sono ribellati (cfr. Nm 1 6, 1 -50; Dt I l , 1 -7; Eb 10,29). Una lunga lista di segni che nel corso di quarant'anni ha proposto il dono di un Dio presente e la sua misericordia, ma anche la sua punizione esercitata con disgusto (v. I O) e ira (v. I l ), eppure sempre benefica. I due aspetti non si esclu­ dono ( 1 2,7- 1 1 ), anzi avvengono « nello stesso tempo » 72• « Per quarant'anni » (v. 9c), formula di tradizione anticotestamentaria, è il tempo della ininterrotta provvidenza di Dio per Israele73, ma è anche il periodo da lui stabilito per umiliare il suo popolo con la peregrinazione nel deserto. Immettendo nel Sal 94,9b- 1 0a la forma consecutiva-causale « perciò » (dio), Eb 3,9- 1 O si riporta a quanto precede (e non a quanto segue), cioè ai quarant'anni du­ rante i quali Dio ha manifestato nelle sue opere la sua presenza; in 3, 1 7 a, al con­ trario, Dio è in dissenso con il suo popolo perché insensibile per quarant'anni al messaggio delle sue opere. « Perciò >> (dio, v. 1 0a) giustifica la reazione punitiva di Dio, motivata da un disgusto quasi stomachevole, accumulatosi per quarant'anni, una forma di tedio che Dio provoca a una reazione non priva d' ira nei confronti di un destinatario 68 Con riferimento a Es 1 7, 1 -7, Filone di Alessandria (De vita Mosis 1 ,38,2 1 0-2 1 3) elabora una dettagliata argomentazione di tipo sapienziale in risposta alla domanda: « Il Signore è in mezzo a noi, sì o no? ». Basta guardarsi attorno e osseJVare quanto ci circonda. Tutto e ogni singola cosa par­ la di lui. Se questa è la linea di Eb 1 , 1 0 e 4,3-4, non lo è di 3 ,9b- 1 0a. 69 A. Vanhoye (La structure littéraire, p. 93) esclude la fase egiziana e restringe Eb 3,9b ai so­ li quarant'anni del deserto. Non così C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 255, ed E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 1 78. Del resto, l 'allusione a Nm 1 4, testo dal peso spe­ cifico in tale questione, suggerisce una lettura che vada oltre i quaranta anni. 70 Il confronto sull 'argomento riscuote attenzione nel tardo giudaismo rabbinico (R. Abbahu [ca. 300], Pesiqtii Rabbati 1 3,55a. Cfr. KNTTM.SB, vol. III, p. 685). 7 1 Cfr. Es 34,28; Eb 1 1 ,24-3 1 ; At 7,23.30.36; I Clemente 53,2; Lettera di Barnaba 4,7; 1 4,2. 72 Così annota Filone di Alessandria (Quaestiones in Exodum 2,49). 73 Così Dt 2,7; 8,4; 29,5; Ne 9,2 1 ; Am 2, 1 0.

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ben preciso74, eppure ancora sempre rispettosa del patto: la generazione del de­ serto (he genea aute) non entrerà nel luogo del riposo di Dio (v. 1 7), il quale per­ ciò stesso resta aperto a quanti vi vorranno entrare. Motivo: « Vanno sempre er­ rando con il cuore », un cuore sempre sviato, lontano dalle mie vie, che ha abbandonato la via retta e si aggira per vie incerte. Anzi, a motivo del dativo di relazione (tç kardi(l), il salmista denunzia la situazione di chi si è lasciato sedur­ re e indurre neli ' errore 75, una forma di tradimento, non di apostasia, che provoca il disgusto del tradito, di Dio che, secondo Eh 3,9, si vede non tanto respinto, quanto non accolto dai suoi che pure a lui dovrebbero guardare nella fedeltà e nella fede. E questo ripetutamente e sempre (aei). Una constatazione di rilievo: la voce verbale « disgustarsi » (prosochthizo) è la stessa usata per significare la nau­ sea del popolo che, nel deserto, si ribella al monotono cibo della manna (Nm 2 1 ,5). In Eh 3, l O questo verbo contribuisce a fotografare il movimento di Dio che dal disgusto passa alla reazione, poi ali ' ira, da ultimo al giuramento (3, 1 1 ): non entreranno nel mio riposo. Per quanto sempre esposto allo sviamento del cuore (v. l Oh), Israele era e re­ sta chiamato al riconoscimento delle sue opere. Come già in 3,8, kardia va qui in­ teso nel senso antropopsicologico primotestamentario (profeti co) e giudaico-rab­ binico, non escatologico, quasi si trattasse di un cuore traviato per sempre, caduto in una situazione irricuperabilmente perduta e perciò stesso tragica. È vero, gli israeliti, ingannati (nel cuore), confondono la casa vera di Dio con il tempio ma­ teriale (Lettera di Barnaba 1 6, 1 ) e il sacrificio del cuore contrito a lui gradito con i sacrifici cruenti non graditi (Lettera di Barnaba 2,9- 1 0). Ma proprio qui si col­ loca la forza epidittico-retorica di Ebrei : motivare i suoi, onde restino saldi nella scelta fatta. « Essi infatti (de in realtà) non hanno conosciuto le mie vie (tas hodous mou) » (v. l Oc) è una formuletta che, al plurale, ricorre in Ebrei solo in 3, 1 0c; la rileggiamo in Rm 1 1 ,33 dove quelle vie (hai hodoi) di Dio sono « imperscrutabi­ li ». Ali 'autore è ben nota la tradizione anticotestamentaria sulle « vie di Dio »: quelle che egli prescrive al suo popolo, perché vuole che Israele le percorra (Sal 24,4; 80, 14; 1 1 8,3; Is 2,3); quelle connesse alle istruzioni date al Sinai, le vie del patto-alleanza, e chi se ne allontana, abbandona Dio e incappa nel peccato d' in­ fedeltà (Eh 3 , 1 0; Is 1 ,3 ; Ger 9,2-3); quelle « vie » che Dio stesso apre al suo po­ polo, onde sostenerlo e disciplinarlo, perché « egli è giusto in tutte le sue vie >> (Sal 1 44, 1 7; 1 3 7,5 ; Is 5 5,8). Non avere riconosciuto di fatto76 quelle sue vie, ha esposto la generazione mosaica alla perdita del suo favore (per altro sempre mo­ strato e mai ritirato, ma solo trasformato in disgusto); perduto il contatto con es­ se, ecco la caduta nella ribellione verso di lui. Eppure quelle vie, lungo le quali egli si è accompagnato loro, sono ancora sempre proposte a quanti se ne sono al­ lontanati, perché gli si riavvicinino e ne seguano le orme, cambino rotta, rientri=

74 È il senso puntuale de li 'aoristo prosochthisa (prosochthizo). 75 È il senso già classico di planai5 in Erodoto, Eschilo. Dati in H.G. Liddell R. Scott, A Greek-English Lexikon, p. 1 4 1 1 . Cfr. anche H. Braun , plani5 in GLNT ( 1 975) 1 0,543 . 76 È il senso del semitismo ouk egni5san. -

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no dalle vie traverse sulla via retta. Si tratta del senso tipico e ampiamente docu­ mentato nella prima alleanza77• Hodos ricorre per la prima volta in Eb 3 , 1 0, nella citazione dal Sal 94, 1 0: « Non hanno conosciuto le mie vie ». Si rileva il cruccio di Dio-JHWH per l 'osti­ nazione del suo popolo a non battere il cammino indicato. Gesù il « Cristo » (Eb 3, 1 .6) invece ha percorso la strada tracciata da Dio. Ci si ponga dunque sulle sue orme. Il ricorso al Sal 94 ha lo scopo di animare l 'assemblea destinataria a non arrestarsi nella sequela di « Gesù », del quale noi siamo la casa (3,6), il nuovo vol­ to storico del popolo eletto. Egli è forza trainante verso il « riposo di/in Dio ». Che se la generazione del deserto non vi poté entrare, perché incredula (3 , 1 9; 4,6) e smarrita, sappiano i credenti in Cristo che per essi è sempre aperto l ' ingresso in quel riposo, escatologico sì (4,9), eppure già fin d'ora: esso è « la nostra assem­ blea » (episynagoge, 1 0,25a), terrestre « oggi », celeste nel compimento78• Accanto a Eb 3 , 1 0 abbiamo altre due menzioni di hodos. In Eb 9,8 leggia­ mo: « Lo Spirito santo intendeva così mostrare che non era ancora aperta la via (ten hodon) verso il santuario, mentre ancora sussiste la prima tenda ». Eppure una volta l 'anno il sommo sacerdote entrava in quella « prima tenda ». Ebbene, egli non percorreva la vera strada di accesso a Dio, ma solo un'anticipazione um­ bratile. Da qui l ' invito che 1 0, 1 9-20 rivolge ai suoi destinatari: si lascino aggan­ ciare dalle orme di Cristo, seguano lui, che è già entrato nel santuario celeste, ove li e ci attende. Con la nuova alleanza sono caduti tutti gli ostacoli che impediva­ no l ' ingresso in quel santuario. Il sommo sacerdote del NT è entrato una volta per sempre nel « santo dei santi » in forza del suo sangue; in esso « si compie » la provvisorietà del Primo Testamento e delle sue attese (9, 1 1 -28). Aiuta alla comprensione l 'utilizzo di pephanerotai in Eb 9,26, dove il « cammino » è legato alla stessa persona di Cristo, al messia sofferente che eli­ mina il peccato nel suo sacrificio. Ebrei non dice espressamente che Cristo è il cammino, ma lo associa a lui e alla sua passione. Cristo e « il cammino >> sono connessi, ma non identificati. Se in Gv 1 4,6 Gesù è la via che sbocca al cielo, in Eb 9,26 egli è più esattamente il pioniere79 che « apre >> il cammino nella fede. L'accesso al santuario eterno del cielo avviene lungo un cammino « nuovo >> (prosphaton), prima perché inesistente e poi non invecchia, essendo stato « aperto >> una volta per sempre, e « vivente » (kai zosan, 1 0,20, hapax legomenon nel NT) per­ ché associato alla persona di Cristo che è vivo alla destra della Maestà ( l ,3d).

77 Così Mt 22, 1 6 e par. (ten hodon theoù); At 1 3 , 1 0. Cfr. anche ! Clemente 1 8, 1 3 . Un eventua­ le contatto con il pensiero dualistico qumraniano da parte di Ebrei è qui del tutto da escludere. Così già H. Braun, An die Hebriier, p. 89. 78 Il riposo in Eb 3,7 - 4, 1 1 non deve essere capito in esclusivo senso escatologico, oggetto di una speranza il cui compimento avverrà solo in occasione della parousia e dopo la morte, nel mon­ do celeste. Quel riposo è già godibile oggi, nel mondo terrestre. Lo richiede il dualismo terrestre-ce­ leste, strumento di lavoro permanente in Ebrei. Tale godimento accompagna il pellegrinaggio terre­ no. Così S. Bénétreau (Le repos du pèlerin [Hébreux 3, 7-4, 1 1], in Études Théologiques et Re/igieuses 78 [2003] 203-223), il quale tuttavia non individua nella episynagoge il luogo terreno del riposo. 79 Così C. Spicq, L'épitre aux Hébreux, su Eb 9,26.

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Risultato: la nuova comunità dei credenti possiede ora il diritto oggettivo (parrhesia) e per sempre, mai prima avuto né esercitato (9,8), di accedere al santuario, cioè a Dio stesso (9,24b )80• Egli poi « iniziò, inaugurò » (enekainisen). Se per la versione dei LXX questo verbo inaugura (dedica) l 'altare, il tempio, il regno ( l Sam 1 1 , 14 ), per Ebrei inaugura il camm ino nella fede. È lui ad aprirlo quando, con la sua morte-vita, attraversa il velo che ci separava dal santuario eterno spalancandocene le porte. « Colui che apre il cammino » è il sommo sacerdote, mediatore, redentore Gesù. Non sfuggano queste convergenze tra gesuologia e cristologia, una sorta di aspetti che si inanellano. Si tratta ancora sempre del Cristo messia nella sua fase terrena, cui Eb 9,26b si riporta, ponendo enfasi su nyni de: « Ora invece nella pie­ nezza dei tempi . . . con il sacrificio di se stesso » tutto cambia. Il cammino è aper­ to, l 'accesso a Dio è possibile, sempre. Non resta che camminare, avanzare, guar­ dare a lui, al culto nuovo ( 1 2,28; 1 3 , 1 5- 1 6), alla strada da lui tracciata ( 1 3 , 1 3 . 1 6), e seguire lui, prodromos e archegos8 1 • Hos (come, v. I l a) ha valore logico consecutivo: « a seguito di ciò, allora ». Il non avere posto attenzione alle strade di Dio, ne provoca la comminazione del­ la punizione. Essa poi è sicura tanto quanto la promessa: entrambe infatti, pro­ messa (Eb 6, 1 3 ; 7,2 1 ) e punizione (3 , 1 1 . 1 8 ; 4,3), sono rafforzate dal giuramento di Dio. E se il giuramento nelle vertenze umane è decisivo (cfr. 6, 1 6), molto più quello di Dio, il quale non può giurare che per se stesso. È il pensiero di Ebrei, che così recepisce « ho giurato » (amosa) del Sal 94, 1 1 (cfr. anche N m 1 4,2 1 -22) reso dalla retrostante forma verbale ebraica nisba 'ti be (« giurare per, giurare in » )82• Ebrei capisce e accetta così il giuramento di Dio. Anche per il lettore de­ stinatario non vi sono dubbi. Per Filone di Alessandria, giurare è un fatto del tut­ to improprio per Dio, appropriato invece per l 'uomo; per il NT è improprio an­ che per quest'ultimo (Mt 5,33-37). Non è invece la posizione di Paolo, il quale giura spesso (Gal 1 ,20, i.5mnyein). Anche gli esseni respingono il giuramento83• Ebrei ignora Matteo, soprassiede su Filone, prescinde da Qurnran. « Nella mia ira » (en t� org� mou, v. 1 1 ) dice che il giuramento di Dio è cari­ co di sdegno, ne è anzi causato. Espresso in forma determinativa (en t�), quell ' i­ ra è tutta propria di Dio ed è legata del tutto a quell ' infausta serie di circostanze, per lo più sempre riassunte nella denunzia di quell ' « infedeltà » che è tanto sgra­ dita al Dio dei padris4• In Eb 3 , 1 1 e 4,3 l ' ira di Dio è citazione dal Sal 94, 1 1 e da Nm 1 4,2 1 -22: quell ' ira si riversa sulla generazione del deserto ed è avvertimento di Ebrei per i suoi destinatari. 80 Dati in C. Maurer, prosphatos, in GLNT ( 1 977) 1 1 ,40 1 -403 . 8 1 Esposizione dettagliata in M.J. Vemet, Cristo, el que abre el camino, in Salesanium 47 ( 1 985) 4 1 9-43 1 . 82 Il giuramento di Dio è noto nel Primo Testamento e presso la versione dei LXX (Sal 94, I l ); in Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3,303 ss.; De sacrificiis Abelis et Caini 9 1 ; De Abrahamo 273, ma con la riserva di cui sopra. Nel NT si ha il giuramento di Dio in Le 1 ,73 (fatto ad Abramo: Gn 22, 1 6- 1 7 e 26,3); in Mt 26,74 e Mc 14,7 1 (giuramento di Pietro); in At 2,30 ( Sal 88,4-5 e 2Sam 7, 1 2- 1 3); in Eh 7,2 1 e Sal l 09,4; in Eh 3, 1 1 e Sal 94, 1 1 ; in Eh 3, 1 8 e Nm 1 4,2 1 -22; Cfr. ancora Lettera di Barnaba 6,8; 14, 1 . 83 Cfr. H . Braun, Qumran und das Neue Testament, vol. II, p . 289. 84 Si leggano Nm 1 4, 1 1 .34 e 32, 1 3; Dt 1 ,34-36. =

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L' ira di Dio nell ' AT è strumento correttivo verso Israele in primis, poi verso le nazioni. Trattandosi però di una passione umana irrazionale e incontrollabile, essa non si addirebbe a Dio85. Ma l 'Apostolo delle genti la registra di frequente. In l Ts 2, 1 6 essa ricade sull 'Israele del NT. In Rm l , 1 8 l ' ira di Dio si abbatte su quanti, giudei e gentili, « soffocano la verità nell ' ingiustizia >> e non sono in gra­ do di risalire la china verso il Dio unico. « Se così è, non entreranno mai »: è il va­ lore di ei eiseleusontai cui retrostà la particella condizionale ebraica 'im, detta del presente e del futuro, non del passato, per un' ipotesi reale, non irreale86. Non en­ treranno cioè nella salvezza: per il Primo Testamento, nella terra promessa; per i sinottici, nella basi/eia, nella vita (zoe), nella gioia (chara), nella gloria (doxa); per l 'Apocalisse, nella polis, la celeste Gerusalemme. Il verbo eiserchomai è co­ munque frequente in Ebrei: in 6, 1 9 è la nostra speranza a penetrare nel santuario; in 6,20; 9, 1 2.24 Gesù è già entrato nel santuario celeste; in 1 0,5 Gesù entra nel mondo; in 9,25 si ha l ' ingresso del sommo sacerdote nel « santo dei santi ». Qui si tratta di entrare nel riposo di Dio, che l 'Israele della generazione desertica non ha raggiunto (Eb 3 , 1 1 . 1 8 . 1 9; 4,3 .5 .6. Cfr. ancora Nm 1 4,26 ss. e Dt 1 ,34 ss.). I destinatari giudeo-etnicocristiani del « trattato » sono avvisati che stanno rischiando di non entrare in quel riposo, come già avvenuto a quanti sono caduti nel deserto, perché non avevano creduto (v. 1 8); al tempo stesso essi sono inco­ raggiati a entrarvi Eb 4, 1 .3 .6. 1 0. 1 1 ). « Nel mio riposo » (katapausis, v. l l e), cioè in Canaan, la terra promessa, una terra comunque nuova rispetto a quella della schiavitù e della peregrinazione. Questo il luogo del riposo nell 'attesa giudaico-apocalittica (4Esdra 7,26-44). Ne potrebbero risentire Eb 3 , 1 8- 1 9 e 4,8 da leggere tuttavia assieme a 1 2,22-24, dove la promessa del riposo nella terra di Canaan trova il suo vero compimento nel re­ gno celeste. Si noti invece il passaggio morbido (intenzionale o meno, qui non conta), operato di fatto dali 'autore, dalla visuale terrestre di Canaan a quella cele­ ste87. In quella terra promessa, sul monte Sion, portatavi dagli israeliti che l 'han­ no trasportata con sé dal deserto nella Gerusalemme terrestre, una tradizione fissa l 'arrivo dell 'arca dell 'alleanza. Su quel monte, re Salomone costruisce il tempio nel quale quell 'arca trova il proprio riposo (Sal l 32,8. 1 3- 1 4). E anche i suoi sud­ diti, quando vorranno avere pace e riposo ( l Re 8,56), sapranno bene dove recarsi. La connessione tra santuario e riposo in questa tradizione anticotestamentaria sug­ gerisce di vedere in quel binomio una stessa realtà. Si ha qui la figura della endia­ di. Muovendosi su questo sfondo, Ebrei traccia per i suoi destinatari lo scopo ulti­ mo della loro vita cristiana: per essi il riposo di/in Dio (cfr. anche 4,9- 1 O) è nel 85 Così in epoca giudaico-ellenistica Pr 1 5, 1 8; 29, 1 1 ; Sir 1 ,22; 27,30. Anche per Filone di Alessandria (De somniis 2, 1 77- 1 79) l ' ira di Dio si potrebbe giustificare come reazione al peccato. Essa, tuttavia, è caratteristica dell 'umana debolezza e, come tale, difficilmente attribuibile a Dio (Deus immutabilis 52; De somniis l ,235-236). Va osservato che il pensiero ellenistico evolve in for­ ma razionale; non così il pensiero biblico, per lo più di tipo funzionale. 86 Sul semitismo, cfr. M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 659. 8 7 « Non in Palestina, sed in coelesti patria, duce Jesu Christo )), annota già Erasmo da Rotterdam, Paraphrasis ad Hebraeos, in In Acta Apostolorum Paraphrasis Erasmi Roterdami, p. 424.

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santuario celeste ( l O, 1 9); entrare in esso è entrare nel riposo di Dio. Dunque una mèta escatologica. Fa da elemento ispiratore il riposo sabbatico, un punto fermo già al patto del Sinai (Es 35,2). Quel riposo, che è terreno, è connesso con la crea­ zione (Gn 2,2; Es 20, 1 1 ), con la liberazione dalla schiavitù (Dt 5 , 1 2- 1 5), con la pu­ rificazione-riconciliazione (Lv 1 6,3 1 ). Eb 2, l 0- 1 8 ha già fuso tutti questi dati con l 'azione di Cristo; quel riposo sabbatico è per essi quello di Cristo che già ne go­ de ora nel tempio celeste. Vi tendono anch'essi, nella speranza di una certezza che ancora non vedono ( 1 1 , l ). Ma il cielo è il luogo della definitiva vittoria sulla ne­ gatività della terra. Questa linea di pensiero è gnostica: la terra è il luogo del ne­ gativo, della schiavitù; il cielo, del positivo, della ricompensa per gli eletti88• Fa eco Eb 1 1 , 1 6: la patria cui « essi » aspirano è la terra promessa, però non terrestre (Canaan), bensì una patria migliore, la città futura, quella celeste. Ma questa linea non è gnostica. Il cielo poi è ancora il luogo del riposo: nella risurrezione come svestimento dalla carne, come vittoria sulla pesantezza del corpo e sui limiti che esso impone allo spirito89• Altra pennellata gnostica che richiama la parenesi di Eb 1 3,3 . 1 3, la quale però non è gnostica. Quella gnostica non è la linea di Ebrei. L'autore infatti argomenta in termini dualistici, sì, ma non antitetici, bensì di tipo e antitipo o, meglio, di confronto, di­ versità, superiorità. Il Canaan e il tempio di Gerusalemme non sono che la palli­ da anticipazione simbolica del tempio celeste nella Gerusalemme celeste. È a quest'ultima che Ebrei invita a guardare giudei divenuti cristiani e non: il riposo in quella città, in quel tempio, quel riposo di Dio nessuno deve correre il rischio di perderlo giungendovi da ritardatario, né di venirne escluso come fu per la ge­ nerazione del deserto. Ma lo fu davvero? Se ne dovrà riparlare più avanti. Se il Sal 94 celebra la creazione, la rilettura di Eb 3 , 7- 1 1 pensa alla nuova creazione. Di valore paradigmatico per la generazione del deserto, essa è ricom­ pensa-riposo per quanti sono rimasti fedeli nella loro peregrinazione90, verso il compimento. Ma intanto se ne gusti l 'anticipo nel riposo sabbaticd, nella epi­ synagoge: da non disertare ( l 0,25). In quell 'assemblea pasquale vi è già il pre­ gustamento del riposo escatologico. Tre dunque i sensi di katapausis: storico, la terra di Canaan e il monte Sion, ove è il tempio terrestre; escatologico, la città fu­ tura e il tempio celeste; sabbatico, il riposo di Dio già « ora » (nella celebrazione del patto pasquale?)91 ed eterno nel compimento. Devo tornare al midrash di Eb 3,7- 1 1 sul Sal 94, 1 - 1 1 . Rilevatone già sopra il retrofondo haggadico, esso va ora considerato nel suo peso epidittico. Il Sal 94

88 Si legga Giuseppe e Asenet 8,9: « Egli vada nel tuo riposo, che tu hai preparato per i tuoi elet­ ti »; 1 5,7: « Lei otterrà un luogo di riposo nel cielo »; 22, 1 3 : « Il loro luogo di riposo è nei cieli )). 89 Il Vangelo di Filippo (Nag Hammadi 2,3,63) esorta gli eletti a « . . . guadagnare la risurrezio­ ne, onde, svestiti della carne, possano ritrovarsi nel luogo del riposo (anapausis) e non nel mezzo (cioè nella morte) ». Linea gnostica. Il luogo celeste del riposo (paradiso, pienezza, eone, luogo di luce . . . ) è molto attestato nella gnosi : oltre ai testi qui riferiti e alla nota precedente, cfr. H. Braun, An die Hebriier, pp. 92-93 . 9° Così anche P. E . Enns, Creation and Re-Creation: Psalm 95 and its lnterpretation in Hebrews 3, 1-4, 13, in WTJ 55 ( 1 993) 255-280. 9 1 Ma vedi infra in Eb 4, l a.

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presenta una struttura in due strofe: vv. 1 -5 + vv. 6-7a (l strofa), inno processio­ nale, forse recitato nella festa delle Capanne (Dt 3 1 , 1 1 ), per celebrare la regalità di JHWH; vv. 7b- l l (Il strofa): ammonizione-esortazione accorata con dettagliata attenzione ai fatti dell 'esodo. Di epoca esilica-postesilica, è strettamente unito ai Sal 93 e 95 ed è ben inserito nel blocco dei Sal 92-99 che celebrano l 'intronizza­ zione regale di JHWH92• Questi salmi regali enfatizzano due aspetti : l 'uno liturgi­ co, in corso di svolgimento attuale nel tempio; l 'altro escatologico, ma anticipa­ to, un regno di Dio che deve farsi visibile nel regno terrestre d'Israele93• Segno di tale compimento è la gioia universale per il grande evento: il regno di Dio è qui. Questo motivo è condotto dai salmi regali in pariglia: Sal 92-93; 94-95; 96-97; 98-99. Il primo salmo di ogni coppia (92; 94; 96; 98) annunzia il regno di Dio e la regalità di JHWH; il secondo (93 ; 95; 97; 99) attesta l 'esplosione gioiosa della lode a Dio per la realizzazione del regno. Ciò avviene con un nuovo canto (95; 97). La procedura è in climax ascendens94• Tre le stanze armoniche e compatte già nel Sal 95 (TM): 1 -5 ; 6-7b; 7c- 1 1 . Il contrasto è veemente: alla fedeltà di Dio si contrappone il deplorevole comporta­ mento del suo popolo. Causa del contrasto: il patto è fallito, ne è necessario uno nuovo. Il punto strutturale centrale del salmo cade al v. 7b: « Ah! Solo se voleste oggi ascoltare la sua voce ! »95• Il popolo eletto prenda atto che la sua elezione da parte di Dio e la sua associazione a lui non sono garanzia scontata di riuscita nel­ l 'alleanza. Questa è invece legata ali 'ascolto di lui, della sua voce96• Eb 3,7- 1 1 applica il Sal 94,7- 1 1 alla situazione del proprio tempo e parago­ na i suoi ascoltatori alla generazione del deserto (3,8- 1 O); enfatizza parole chiave (« oggi », « riposo )), « cuore indurito )), « strade sbagliate )), « entrare ))) come equivalenze semantico-lessicali: un fatto estetico di notevole rilievo, onde prova­ re l 'analogia tra la situazione di ieri e quella di oggi, momento tipico del genere midrashico; ricorre a Nm 1 3 , 1 - 1 4,45 ; 20, 1 - 1 3 e a Es 1 7, 1 - 1 7 per ricordare al dettaglio la storia di ieri, quella di un Dio fedele che insegue il suo popolo infe­ dele; ricorre a Gn 2,2 per motivare il riposo della comunità con quello di Dio; po­ ne domande e risponde loro con altre domande (3, 1 6- 1 8), tipico comportamento midrashico97, tendente ad ampliare e differenziare l ' interpretazione e la relativa esortazione; l 'avverbio temporale semeron (oggi) del Sal 94,8 fornisce ali ' auto­ re (oggi, 3,7. 1 5) le basi per l 'esegesi di Eb 4,7-8 e lo autorizza a proporre il sal92 Cfr. F. Hossfeld, Psalm 95: Gattungsgeschichte, kompositionskritische und bibeltheologi­ sche Anfragen, in K. Seybold E . Zenger (edd.), Neue Wege der Psalmenforschung, Herder, Freiburg im Breisgau 1 994, pp. 29-44. 93 Si veda T. K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews. Part 2 (of 5 parts): The Kingdom Rest in Hebrews 3, 1-4, 1 3, in BS 1 45 ( 1 988) 1 85- 1 96. 94 Cfr. ancora T.K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews. Part 2 (of 5 parts): The Kingdom Rest in Hebrews 3, 1-4, 1 3, in BS 1 45 ( 1 988) 1 87 e nota 5 . 9 5 Perviene a questo risultato W. S . Prinsloo, Psalm 95: >) rispetto a 3, 1 5 , che non lascia cadere « come nel momento della ribellione ». Tale comportamento non è casuale. Un'ultima annotazione è suggerita dal Sal 80 cui il v. 1 5 allude. Esso pre­ senta un prologo (vv. 2-6b) che prepara il corpo del salmo ai vv. 6c- 1 7. Risultato: urgente appello di Dio al docile ascolto (momento centrale nel Sal 80,9. 1 2. 1 4 per la festa delle Capanne). L'aggancio del Sal 80 al Sal 94,7- 1 1 sul motivo dell 'a­ scolto ne conferma la centralità 133 anche in Eb 3 , 1 5- 1 6. [vv. 1 6-19] Con i vv. 1 6- 1 9 siamo allo stile diatribico, che prende corpo in tre precise domande immediatamente seguite da risposta retorica. Prima domanda-risposta: « Chi sono quelli che, dopo aver ascoltato la sua voce, si sono ribellati? » (parepikranan; v. 1 6a). Contro di lui? Con parole chia­ ve selezionate dal Sal 94,7-8, i verbi « ascoltare » e « ribellarsi » (hapax legame­ non nel NT), l 'autore incalza nella sua paràclesi con argomentazione diatribica, allo scopo di ottenere il massimo dell 'attenzione sulla sua esortazione a non la­ sciarsi sedurre dali ' incredulità (apistia) e dali ' infedeltà (apeitheia). Che JHWH, il Dio della storia, si risenta di simili comportamenti, è attestato dal seguente fatto storico: tutto il popolo (pantes) liberato da Mosè ha ascoltato Dio; eppure il suo cammino verso la liberazione dalla schiavitù è disseminato di cadaveri (v. 1 7; Nm 1 4,29). Quella generazione, a eccezione di Giosuè e Caleb, non ha fatto in­ gresso nella terra promessa. Perché mai? « Non furono forse tutti quelli che era­ no usciti dali 'Egitto grazie a Mosè? » (v. 1 6b) Risposta retorica: Sì, fu proprio la generazione del deserto. Essa ha ceduto alla ribellione contro Mosè e Aronne, se­ condo N m 20,2-5, contro il Signore stesso, secondo Es 1 7, 7b: « Il Signore è in mezzo a noi, sì o no? ». Importante è per l 'autore spiegare il seguente punto: si trat­ ta di ascoltatori della parola di Dio, ai quali egli ha affidato il suo progetto di libe­ razione. Ebbene: hanno fallito per incoerenza. Ammonimento alla comunità giu.

1 32 Dibattito sulla questione in E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 1 92 . 1 33 Cfr. P. Auffret, « Ecoute, mon peup/e! ». Étude structure//e du Psaume 81, in SJOT 1 ( 1 993) 285-302.

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deo-etnocristiana: anch'essa è ascoltatrice di Dio che parla (cfr. 2, 1 -4), è deposi­ taria della promessa di salvezza e liberazione, né Dio fa promesse vuote, come at­ testa la concreta uscita d'Israele dalla schivitù d'Egitto. Ma è terribile incorrere nel dissenso di Dio ! Per evitarlo: coerenza nell 'ascolto, fedeltà nella fede. Seconda domanda-risposta. « E chi furono coloro di cui si è irritato per qua­ rant'anni? >> (v. l 7a). L'autore si riporta a Nm l 4, l l .23 .34b; 1 4,33-34; 32,33. Il disgusto di Dio per quarant'anni, il peccato del popolo e l 'umiliante abbandono dei cadaveri insepolti nel deserto (per gli apostati, Lv 26,30; Is 66,24), una situa­ zione nauseabonda e macabra (come suggerisce la parola greca ta kO/a, che espri­ me materialmente membra e ossa umane), sono tutti motivi che provengono da Nm 1 4 con riferimento alla tradizione su Kades (Nm 1 3 ,26). « Non furono forse quelli che avevano peccato (hamartesantes), i cui cadaveri "sono caduti nel de­ serto"? » (v. 1 7b). Seconda risposta retorica: Sì, furono proprio quelli. Il riferi­ mento è rispettivamente a Nm 1 4,34b.40 e a Nm 1 4,32. I quarant'anni di cui par­ la il Sal 94,9 sono anni durante i quali il popolo eletto peregrinante nel deserto vede le opere del suo Dio; non traendone le conseguenze di fedeltà e fede, esso costringe il suo Dio a trasformare quei quaranta in anni di ira e disgusto. Da qui l 'esortazione alla comunità giudeocristiana: quella generazione non era denutri­ ta, abbandonata, sì da doversi ribellare per sopravvivere. Essa era la generazione benedetta, favorita, seguita personalmente da Dio, testimone delle sue meravi­ glie, « con segni, prodigi e miracoli » (2,4). Ebbene, quella generazione benedet­ ta ha sottratto a Dio fiducia e fede. Terza domanda-risposta: « E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo ri­ poso » (v. 1 8a) « se non a quelli che non avevano obbedito (o creduto)? » (v. 1 8b). Il richiamo è a Nm 1 4,22-23. Chi sono costoro? I peccatori (hamartesantes) del v. 1 7 diventano qui i disobbedienti (apeithesantes) o, secondo altra lettura, « quel­ li che non avevano creduto » (apistesasin) alle meraviglie di Dio e al dono della li­ berazione. Per essi non c'è stato ingresso nel luogo del suo riposo, cioè nella terra promessa. Vi sarebbero di certo entrati se avessero aderito, con piena fiducia, al progetto di Dio che li guidava e avessero collaborato. Che l 'autore pensi qui al­ l 'esclusione dal riposo eterno, quello escatologico, e lo prospetti come deterrente per i suoi destinatari, resta molto discutibile, fosse anche come strategia esortato­ ria. Il suo stretto aggancio agli eventi della storia d'Israele ha invece lo scopo di dire alla sua comunità che Dio continua le sue meraviglie, che egli invita di conti­ nuo a entrare nel suo risposo. Essa sia dunque attenta ai segni di Dio nella sua sto­ ria, in special modo al segno dei segni: Gesù il sommo sacerdote. Sia in Eb 3,7 sia in 3 , 1 8 l 'autore lavora nella direzione di Nm 1 4, il cui tema centrale è il rifiuto da parte della generazione del deserto a entrare nella terra promessa a motivo della sua infedeltà. Una sorta di provvedimento disciplinare da parte di Dio, legato a quella situazione e a quella generazione134• In 3, 1 9 Ebrei mette a punto la sua sintesi: la non adesione al progetto di Dio lungo i quarant'anni di disobbedienza nel deserto proviene dali 'avere abbando1 34 Discutibile qui la posizione di E. Griisser (An die Hebriier. Hebr l -6, vol. l, p. 1 95), che pensa alla dannazione eterna.

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nato la fede in lui. Includendo se stesso fra i destinatari della propria esortazione, l 'autore rende i suoi lettori più disponibili ad accogliere la medesima. Non ci re­ sta che osservare, in base a quanto detto (vv. 1 5. 1 6- 1 8), come vera e reale sia la parola della Scrittura, quanto cioè stia sotto gli occhi di tutti noi, comunità di Dio in Cristo, il concreto comportamento di Dio nei confronti del popolo eletto: di­ sobbedienza (apeithesasin , v. 1 8)135 e incredulità (di 'apistian, v. 1 9)136 sono le ve­ re cause della sclerosi del cuore; esse espongono al rischio di essere esclusi dalla salvezza. Leggere nella Scrittura i segni di Dio deposti in una storia di « ieri » che continua « oggi e domani »: ecco il compito della comunità. Essa non si arrenda dunque, ma guardi avanti. In essa, nuovo volto del popolo di Dio, vi è il popolo eletto di tutti i tempi in marcia verso il riposo di Dio. [4,1 ] La promessa del riposo (4, 1 - 1 1 ) vero è ancora in vigore; con logica ser­ rata, l 'autore giunge al nucleo dell 'esortazione: « Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo . . . >> (4, 1 1 a). « Temiamo dunque che », cioè: « Dunque (oun) . . . preoccu­ piamoci, diamoci da fare », senso di phobethomen, voce verbale al congiuntivo esortativo. Con un oun (dunque) introduttivo, Eb 4, 1 a resta collegato a 3, 1 6- 1 8 e ne sintetizza le due domande retoriche con la risposta in 3, 1 9 : quanti hanno disgusta­ to Dio per quarant'anni non sono entrati nel suo riposo a motivo della loro incre­ dulità. L'autore torna a includersi, come fa strategicamente di frequente, fra coloro ai quali scrive la sua esortazione mista a non poca apprensione: anche noi dobbia­ mo temere di perdere l 'occasione di entrare nel riposo di Dio, dunque diamoci da fare per conquistare quel riposo. Nessuno se ne ritenga escluso, tanto più che la pro­ messa di entrarvi non è stata ritirata (4, 1 .6.9. 1 1 }, è ancora in vigore e in attesa di compimento: « lo camminerò con voi e vi darò riposo » (Es 33, 14) e non cesserò di marciare con voi, fintantoché non avrete raggiunto il mio riposo. Un timore saluta­ re, dunque, che non genera paura né degenera in terrore137• Si può ben tradurre: « Perciò stiamo attenti . . . Stiamo dunque ali 'erta . . . Adoperiamoci . . . >>. La promessa di entrare nella pace-riposo di Dio è stata lasciata in vigore (v. l b). È il tema di Eb 4, 1 - l l . Perciò gli attuali eredi della promessa e i destinatari di Ebrei ne sono parte integrante, sono avvertiti del pericolo di una repentina caduta e incoraggiati a sforzarsi di entrare in quel riposo. Si tocca qui una delle questioni più controverse in Ebrei: l 'escatologia. Un punto chiave del dibattito è proprio il v. l , se­ condo il quale « rimane valida la promessa (di Dio) di entrare nel suo riposo ». Questa promessa è ancora in vigore e lo è anche per i destinatari dello scritto138• Tre 1 35 Apeitheo descrive il comportamento ribelle del popolo disobbediente a Dio, fino a diventa­ re come pagano (Eb I l ,3 1 ), da popolo di Dio a popolo senza Dio. Così già R. Bultmann, apeitheo, in GLNT ( 1 974) 9, 1 379- 1 3 8 1 . Eb 3 , 1 8 riprende esattamente questo senso. 1 36 Apistia esprime infedeltà, inattendibilità, sfiducia, dubbio. Così nella classicità. Dati in R. Bultmann, apistia, in GLNT ( 1 975) 1 0,349. In Eb 3, 1 2 ha il senso di infedeltà e, assieme ad apeitheia, disobbedienza in forza dell ' incredulità. È il caso di Eb 3, 1 9. Cfr. R. Bultmann, apistia, GLNT ( 1 975) 1 0,42 1 . 1 37 Cfr. H. Balz, phobeo , in GLNT ( 1 988) 1 5 , 1 23 . 1 3 8 Lo suggerisce il valore causale esplicativo (meno temporale) del genitivo assoluto katalei­ pomenes epagge/ias. Cfr. H. W. Attridge, « Let us strive to enter that Rest ». The Logic of Hebrews 4, 1-1 l , in HTR 13 ( 1 980) 279.

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le interpretazioni sul riposo escatologico « di/in >> Dio: Eb 4, 1 registra una tradizio­ ne gnostico-filoniana139; risente di aspettative apocalittico-giudaiche140; fa eco alla Lettera di Barnaba 1 5 , 1 -9, in cui si descrive il riposo di Dio creatore, il settimo giorno. In quel giorno, che è l 'unico sabato a lui gradito, egli « darà inizio ali ' otta­ vo giorno, e questo sarà l ' inizio di un altro mondo. Per questo noi trascorriamo l 'ot­ tavo giorno nella gioia141, perché in questo giorno Gesù è risorto dai morti e . . . salì ai cieli » (Lettera di Barnaba 1 5,8-9). Il riferimento esplicito a Gn 2,2 in Eb 4, l O e l 'esortazione pressante in l 0,25 a non disertare l 'assemblea domenicale spingono a vedere in Eb 4, l un'attenzione primaria per la Lettera di Barnaba 1 5 : il luogo del riposo è l 'assemblea domenicale che celebra la parola di Dio e la pasqua del Figlio Signore (nel regno messianico ancora in corso) con lo sguardo rivolto al riposo in seno a Dio (nel regno che viene: fase finale del regno messianico, 1 , 14; 6, 1 2. 1 7; 9, 1 5). Una convergenza tra la tradizione apocalittico-escatologica e quella che si ri­ porta alla Lettera di Barnaba può fare da retrofondo a Eb 4, l . È invece difficolto­ so accogliere la tradizione d'ispirazione gnostico-filoniana. L'espressione « . . . nel suo riposo . . . » (katapausis, v. l e) è crux interpretum in questa seconda paràclesi. Tre i termini usati in Ebrei per esprimere il « riposo di Dio »: katapausis (3, 1 1 . 1 8 ; 4, 1 .3 . 5 . 1 0- 1 1 ), katapauo (4,4. 8. 1 O) e sabbatismos (4,9). L'autore è attento ai diversi aspetti del riposo: quello del settimo giorno, 1 39 Le testimonianze di Filone di Alessandria sono le seguenti: Deus immutabilis 1 2,59: Dio, creatore di tutto e dell 'uomo, è libero e indipendente da tutto ciò che ha creato, ricco solo della sua assoluta unicità e semplicità (lbid. 1 1 ,56). In caso contrario, egli avrebbe bisogno di tutto ciò di cui l 'uomo ha bisogno, dovrebbe anche « riposare un poco e, dopo aver riposato, tornare al lavoro per poi avere di nuovo bisogno di riposare (apopauetai, pausamenos de deitai palin) » (lbid. 1 2,59). In Quaestiones in Exodum 2,46 su Es 24, 1 6 si legge: « La gloria del Signore venne a dimorare sul mon­ te Sion e la nube coprì il monte per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiama Mosè dalla nu­ be » sul monte Sinai, « inaccessibile e inaccostabile » (lbid. 2,45 su Es 24, 1 6a), e gli manifesta il bi­ sogno di « riposare >> nel settimo giorno, dopo gl ' intensi sei giorni in cui ha creato il mondo e ha eletto per sé la nazione santa (cfr. lbid. 2,46 su Es 24, 1 6b). In quel giorno di riposo Dio chiama a sé Mosè e dà inizio a un corso nuovo, fondato sul dono della tora (cfr. Ibid. 2,45) . Per il frammento gre­ co, cfr. R. Marcus, Philo, Supplement. II. Questions and A nswers on Exodus, LCL, London 1 987, p. 9 1 . Per poter dire che Eb 4, l sia debitore a una tradizione filoniana di tono gnostico sul « riposo di Dio », avremmo dovuto disporre di attestati più espliciti quanto a terminologia e a intentio aucto­ ris; ma proprio quest 'ultima, nelle testimonianze addotte e generalmente ritenute (cfr. già G. Theissen, Untersuchungen zum Hebriierbrief, Mohn, Giitersloh 1 969, pp. 1 24- 1 29), si muove in di­ rezioni tutt'altro che gnostiche. Molto più attendibile la Lettera di Barnaba 1 5,8-9, identificata co­ me plausibile punto di riferimento di Eb 4, l già da E. Kiisemann (Das wandernde Gottesvolk. Eine Untersuchung zum Hebriierbriej). Ne ridiscute la questione E. Griisser, Das wandernde Gottesvolk. Zum Basismotiv des Hebriierbriefes, in ZNW 77 ( 1 986) 1 60- 1 79. 1 40 Cfr. 4Esdra 7,36: « Quindi appare la fossa della pena e di fronte il luogo del riposo, la for­ nace infernale e di fronte il paradiso della gioia ». Quel luogo di riposo è per i giusti, mentre gli ope­ ratori di empietà non troveranno riposo (v. 35b). Toni apocalittico-escatologici, in occasione della grande rivelazione finale del giudizio di Dio su giusti ed empi, a motivo di Colui che non è stato ac­ colto e la cui parola è stata disprezzata (il Messia). Poi 4Esdra 8,52: « Per voi (giusti) il paradiso è aperto, l ' albero della vita è piantato, il mondo futuro è preparato . . . , la città (Gerusalemme celeste) è costruita, il riposo (il luogo del riposo) è attrezzato [ . . . ], la sapienza è ormai compiuta ». Si veda ancora 4Esdra 7,92-98 . 1 1 3- 1 1 4; 8,62; 1 4,9; e ancora 6,26 e 7,77. Autorevolmente O. Hofius, Katapausis: die Vorstellung vom endzeitlichen Ruheort im Hebriierbrief, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 970, pp. 59-74. 1 4 1 Ottavo giorno, la domenica: « Diem solis laetitiae indulgemus >>. Così Tertulliano, Apologia 1 6.

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dopo la creazione ( 4,4. 1 O); quello assicurato a Israele nella terra promessa (3, 1 1 . 1 8- 1 9)142, dopo l 'estenuante peregrinazione desertica; il riposo in sé e per sé, promessa di Dio (Eb 3-4), quello escatologico. La voce ebraica retrostante, niìaf), aiuta a estrarre il contenuto di « riposo»: quello fisico (Gn 8,4); il riposo nella morte (Gb 3 , 1 3); quello psicologico-spirituale (Pr 29, 1 7); il riposo fisico del popolo di Dio fondato sulla promessa che i nemici saranno sconfitti (Dt 1 2, 1 0; Gs 2 1 ,44); il riposo sabbatico (Gn 2,2-3). Gli ultimi due significati sono presenti ne Il ' argomentazione di Ebrei. In particolare, il senso escatologico è ga­ rantito dall 'uso del Sal 94,7- 1 1 : esso descrive, nella mente dell 'autore, la secon­ da e definitiva venuta del regno messianico (« Oggi, se vorrete ascoltare la sua voce ») presente nella persona dell ' inviato del Dio dei padri e dei profeti, l ' apo­ stolo (Eb 3 , l ) Figlio. Non porre ascolto a questo oggi di Dio è rifiutare l 'adesio­ ne a lui nella fede, è perdere l 'occasione del riposo storico (terra promessa) ed escatologico (popolo sacerdotale nel tempio celeste del Dio vivente) 143• Il riposo escatologico poi è legato al termine sabbat: Dio riposa il settimo giorno (Gn 2,2-3), il sabato appunto, in cui l ' invito è a meditare l 'agire di Dio li­ beratore del suo popolo dalla schiavitù di Egitto (Dt 1 5,5); a tal fine vi sarà ripo­ so dal lavoro (Es 23 , 1 3); il riposo sabbatico è così segno del patto sinaitico (Es 3 1 , 13 ). Il dono del riposo sabbatico ha subìto ritardi e disorientamenti all ' indo­ mani del caso « Adamo ed Eva ». Ricuperare il terreno perduto è opera del regno messtamco. Quattro dunque i sensi anticotestamentari di katapausis recepiti in Ebrei: lo storico ingresso nella terra di Canaan (Dt 1 2 , l O; Gs 2 1 ,44); il riposo escatologi­ co al quale la generazione del deserto, che non entra nel Canaan, è invitata a guar­ dare in forza del Sal 94 (Eb 3, 1 7 - 1 8); il riposo sabbatico perduto nella caduta ori­ ginale, da ricuperare nel regno messianico già in atto nell 'assemblea del patto pasquale (Eb l 0,25); il riposo sabbatico nella fase finale del regno, quella esca­ tologica (Eb 4, 1 1 ). Il senso di « riposo eterno » caro ai cristiani per descrivere la vita nuova presso Dio, dopo la morte, va del tutto riconsiderato; la formulazione è poco felice. Dopo tutto, l ' incontro con Dio non è un riposo eterno, piuttosto una enorme comunicazione di vita che immerge nella beatitudine di Dio. Incontrare Dio liberatore nel suo riposo è incontrarlo nella piena vigoria dell 'alleanza, non più nella fede e nella speranza, ma nell 'agape, che ne è il compimento ( l Cor 1 3 , 1 3) in una perenne liturgia celeste. Intanto, « rimane valida la promessa » (v. l d), perché mai ritirata. L'enfasi dal genitivo assoluto atemporale (kataleipomenes eppaggelias) va in due dire­ zioni: per la generazione dell 'esodo è la terra della promessa; per la generazione giudeocristiana è il riposo escatologico, basato comunque su quello della terra promessa, ma pieno e definitivo nel regno di Dio, la cui fase finale è già stata inaugurata da Gesù l 'apostolo. Entrambi hanno ricevuto il lieto annunzio (4,2) dell ' ingresso nel riposo di Dio: la generazione mosaica e i destinatari di Ebrei. A 1 42 Con riferimenti a Dt 3,20; 1 2,9; 25, 1 9; Gs 1 1 ,23; 2 1 ,44; 22,4; 23, 1 . 1 43 Cfr. T.K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews. Part 2 (of5 parts): The Kingdom Rest in Hebrews 3, 1-4, 13, in BS 1 45 ( 1 988) 1 9 1 .

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questi ultimi l 'autore dice che quel lieto annunzio è stato dato da parte di Dio « una volta per sempre », dunque mai ritirato: ci si adoperi allora ad accoglierlo, perché « nessuno di voi risulti rimanere indietro » (v. l e), sia cioè un ritardata­ rio. L' infinito perfetto di hysterekenai suggerisce il senso di « giungere in ritar­ do >> subendone le implicanze; nessuno venga a trovarsi in uno stato tale da ri­ nunziare allo sforzo di entrare nel riposo di Dio 144• Da qui non bene la traduzione: « Perché qualcuno di voi non ne sia giudicato escluso », ancora me­ no: « Pensi di esserne escluso ». La chiamata di Dio dalla peregrinazione nel de­ serto alla terra da lui promessa è infatti continua. Eb 1 2, 1 5 fa uso di hystereke­ nai con il senso di « vigilare » perché nessuno aderisca in ritardo al dono di Dio né si allontani da esso (me tis hysteron, v. 1 5) e diventi così pianta velenosa per la comunità (cfr. Dt 29, 1 8b [LXX]); la continuità degli effetti negativi di simile ritardo è inquinante. [vv. 2-3] Dali ' argomentazione al messaggio. La lezione della storia sia ap­ presa, sì da evitare ricadute; non ci si abitui al cuore indurito. Gl ' israeliti della generazione del deserto hanno ricevuto la buona notizia in modo a dir poco insi­ stente (Nm 1 3 ,30b) 14S, ma essa non ha potuto (alla ouk ophelesen) recare loro giovamento alcuno 146; la loro obbedienza non era collegata a un ascolto operati­ vo nella fede, non si è trasformata in adesione consapevole, si è invece tramutata in sgradita disobbedienza dalle pesanti conseguenze: Nm 1 4,29-30.3 1 -35 147• Ascoltare solo « per entrare nel luogo del riposo di Dio » e godere così il dono della salvezza non è sufficiente; è necessario trasporre nella vita quanto ascolta­ to e accolto nella fede. Un'obbedienza operativa esprime una fede operativa. E se questa è genuina, fornirà la riprova della continuità e della stabilità. Questo mes­ saggio è attuale, scrive l 'autore. Anche a noi (kakeinoi) infatti è annunziata la lie­ ta notizia di poter oggi (Eb 3,7. 1 5) entrare nel riposo di Dio ed è richiesta l 'ade­ sione in una fede operosa. Destinatari di una notizia così lieta, non se ne perda l 'occasione, come già fu per buona parte della generazione biblica, peregrinante nel deserto e sbandata: non credette né aderi alla promessa. Eppure, fra di essi vi fu chi « ascoltò » la buona notizia. Sarebbe stato suffi­ ciente restare a essi uniti senza interruzione, nella fede. Quella lieta notizia, in­ fatti, reca il proprio beneficio se ricevuta nella fede; dissociata da essa, è sterile (Eb 3, 1 8- 1 9; 4,6. 1 1 ). La voce verbale « aderire, restare uniti » esprime fusione in-

1 44 È il senso classico di hysterekenai già attestato da Erodoto, Storie l , 70: mettere qualcuno in uno stato tale da cessare di fare qualcosa. Anche Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 1 5,47 (Bibliotheca historica, libri 1-20 [C.L. Sherman, ed.], [LCL], W. Heinemann Ltd., London 1 980). 1 45 È il senso del participio perfetto passivo esmen euegghelismenoi. 1 46 Alla ouk ophei/esen: aiuta a comprendere il pensiero del! 'autore il confronto con Gal 5,2 e ! Ts 2, 1 3 . Con l 'uso dello stesso verbo ophelein, Paolo avverte autorevolmente i galati: « Ecco: io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla » (Gal 5,2). Al contrario, ringra­ zia Dio perché « la parola divina della predicazione » è stata accolta dai tessalonicesi > (v. 7), perché quella sua promessa vada al suo compimento; il riposo sto­ rico procurato da Giosuè è solo parziale ed è tipo del riposo vero. Dio vuole un riposo (v. 1 0) che sia come il suo stesso riposo ( l Cor 1 5,28). Oggi (Eb 3,7. 1 5) quelli che sono di Cristo (3 , 1 4) sono chiamati ad approntarsi per quel riposo. Quando esso sarà realizzato, allora JHWH sarà presente fra i suoi per sempre. È la visione di Dio in Is 66, l (LXX): « Il luogo del mio riposo è il luogo della mia pre­ senza »163. L' autore procede al v. 9 secondo il principio di equivalenza (gezarah shawah) : in Eb 4,3 il termine katapausis del Sal 94, 1 1 è associato in Eb 4,4 al verbo katapausen di Gn 2,2. Ciò suggerisce che quello promesso nel salmo è, per Ebrei, lo stesso riposo che Dio creatore si concede il settimo giorno. Questo sug­ gerimento è esplicito al v. 9: « Rimane dunque ancora un riposo sabbatico per il popolo di Dio ». Il procedimento epidittico (argomentativo) dell 'autore si imper­ nia sull 'equazione katapausis e sabbatismos, dove il primo termine è compreso grazie al secondo: una ridefinizione. Un primo aspetto della ridefinizione di katapausis sta nel fatto che sabbatismos (Eh 4,9, hapax legomenon) associa il riposo con la fine della settimana lavorativa, con gli anni sabbatici e con il giubileo. Il suo utilizzo in 4,9 fornisce le basi per com­ prendere il riposo nazionale in termini sabbatici 164. Una interpretazione piuttosto du1 62 Dopo quattro o due secoli dalla morte di Davide? Secondo l Re 6, l , Salomone, figlio di Davide, diede inizio alla costruzione del tempio quattrocentottanta anni dopo l 'esodo dali 'Egitto. Dunque Davide è vissuto quattro secoli dopo Giosuè (ca. 1 200 a.C.). Non pochi storici ritengono però che tra Davide (ca. 1010-970 a.C.) e Giosuè (ca. 1 200 a.C.) siano intercorsi poco più di due secoli. L'argomento di Ebrei non è interessato alla questione cronologica, quanto ali ' esortazione del salmista per le generazioni succedute­ si a quella del deserto ad ascoltare Dio che, in Davide, parla ancora. Ebrei recepisce ed esorta i suoi stes­ si contemporanei a porsi in ascolto di Dio che, « dopo lungo tempo, parla ancora ». 1 63 Anche senza topos, katapausis ha il senso di « luogo del riposo ». O. Bauemfeind, kata­ pausis, in GLNT ( 1 970) 5,248-249. 1 64 Cfr. G.W. Buchanan, Epistle to the Hebrews, p. 7 1 .

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ra per quanti vedono nel riposo una valenza escatologica. Un secondo aspetto della ridefinizione vede nel riposo un luogo: la patria celeste ( 1 1 , 1 4 ), la celeste Gerusalemme ( I l , 1 0. 1 6; 1 2,22; 1 3 ,4), il tempio celeste ( l O, l ). Sabbatismos descri­ ve che cosa il popolo di Dio deve aspettarsi nel riposo escatologico, alla fine dei tempi: la celebrazione della festività sabbatica, ora nel tempo, poi « nel cielo »165• In verità, la ridefinizione di katapausis fatta da Ebrei in base al Sal 94, 1 1 dis­ socia il termine dalle sue potenziali connotazioni politiche o apocalittiche: « Per entrare nel riposo di Dio, non si deve prendere possesso della terra d'Israele, né bisogna entrare in un concreto tempio escatologico. Piuttosto si deve avere parte all 'eterno riposo sabbatico di Dio »166, un « riposo simile a quello del settimo giorno » (cfr. 4,9) 167, non legato al possesso della terra né al sabato della legge an­ ticotestamentaria e giudaica, ma un bene celeste, al quale il popolo di Dio va in­ contro nel possesso di lui 168• E questo oggi è già ora e qui. Altrimenti, perché in­ vitare il credente ad affrettarsi a entrare in quel riposo? Oggi è dunque il nome della storia umana presente, aperta però al futuro, in movimento verso il riposo sabbatico di Dio: tutto da conquistare169• La comunità cristiana risponde alla generazione dell 'esodo come l 'antitipo al tipo. In questa analogia, l ' antitipo è posteriore al tipo. Ma vi è ancora un' ana­ logia, nella quale il riposo nella terra di Canaan è tipo transitorio di un antitipo che lo precede : il riposo in Dio al termine della settimana della creazione. Quest'ultimo, nella mente di Ebrei, dovrà segnare il compimento della storia. Una conferma sull 'analogia tipo-antitipo giunge da l Cor l O, 1 - 1 3 . Paolo ri­ corre alla generazione del deserto per avvertire la comunità di Corinto di non fa­ re troppo affidamento sull 'efficacia quasi meccanica delle proprie esperienze. Correrebbero il rischio di fare del pugilato, ma battendo l 'aria ( l Cor 9 ,26); di correre nello stadio, ma per premi corruttibili, non per corone incorruttibili ( l Cor 9,24-25). Quella generazione, infatti, ha avuto il battesimo « in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare » ( l C or l 0,2a); si è nutrita del « cibo spirituale » che tut­ ti mangiarono ( 1 0,2b); si è dissetata a un'acqua che tutti bevvero, scaturita dalla roccia spirituale che li accompagnava ( l 0,2c ): Cristo ( l 0,2d). Ebbene tutto que­ sto non fu accolto nel suo potenziale di « segno )), ma solo come soluzione im­ mediata a problemi immediati. Di questo « Dio non si compiacque e perciò furo­ no abbattuti nel deserto )) ( l 0,5): divennero infatti idolatri (Eb 4, 7; Es 32,6); misero alla prova il Signore e furono aggrediti dai serpenti (v. 9; N m 2 1 ,5-6); « mormorarono, e caddero vittime dello sterminatore )) (v. I O; Nm 1 4,2.36). Il raffronto tra Eb 4 e l Cor l O, 1 - 1 3 è formulato con l 'ausilio dell 'analogia (confronto, diversità, superiorità) e presenta un punto in comune, il paragone tra 1 65 Così O. Hofius, Katapausis: die Vorstellung vom endzeitlichen Ruheort im Hebriierbrief, 53-54; M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 66 1 . 1 66 Cfr. H. W. Attridge, The Epistle to the Hebrews, p. 28 1 . 1 67 Così il testo della Traduzione interconfessiona/e in lingua corrente. 1 68 Cfr. E. Lohse, sabbatismos, in GLNT ( 1 97 1 ) 7, 1 1 04- 1 1 05. 1 69 Cfr. O. Kuss, Lettera agli Ebrei, Paideia, Brescia 1 966, pp. 6 1 -70. Già G. Bonsirven, San Paolo, epistola agli ebrei, Roma 1 96 1 (Saint Pau/: Épitre aux Hébreux [VSal 1 2], Beauchesne, Paris 1 943 ), pp. 20 1 -207 . pp.

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gli israeliti e i cristiani: « Queste cose accaddero come esempio per noi ( cristia­ ni), perché non desiderassimo cose cattive, come essi (israeliti del deserto) desi­ derarono » ( l Cor l 0,6). Questi ultimi cioè sono il tipo dell 'antitipo cristiano. Come a dire: i segni di Dio salvano solo se accolti nella fede170• Forze trainanti, del resto, non mancano (Eb l l ). Un altro contributo di l Cor 1 0, 1 - 1 3 è il senso escatologico degli eventi dell 'esodo, legati a una realtà che li supera. È il caso dell 'oscuro commento sulla roccia che accompagnava gli israeliti nel deserto: es­ sa è Cristo ( l Cor l 0,4 ). Paolo attribuisce un significato maggiore agli eventi del deserto di quanto non faccia Ebrei. Per quest'ultimo il riposo cercato dalla gene­ razione dell 'esodo non è altro che lo stabilirsi nella terra promessa. Quel riposo materiale, però, indicava un'altra realtà, che costituiva il contenuto della promes­ sa di Dio. Per Paolo, invece, la generazione dell 'esodo accedeva di fatto a quella roccia, cioè a Cristo. In entrambi i casi la corrispondenza tra il tipo storico e l 'an­ titipo è resa possibile dalla loro relazione a una realtà che li supera. Eh 4, 1 - l l non è un passo facile da capire; combina varie tradizioni giudai­ che ed ellenistiche in modo sottile e intricato. Questo è vero soprattutto quando l 'autore tratta materiale escatologico e lo affida al linguaggio dei simboli. [vv. l 0-1 1 ] Con un'applicazione e una nuova esortazione, i vv. l 0- 1 1 chiudo­ no la discussione sul riposo. Entrare in quello di Dio comporta il completamento delle proprie opere, come Dio stesso è entrato nel riposo del sabato eterno dopo aver portato a compimento l 'opera della creazione (v. l 0). L'argomentazione è per analogia. Le opere di Dio (al plurale in Eh 4,4), quelle della creazione, erano bel­ le e buone; anche le opere di chi ha scelto Gesù il Cristo devono essere belle e buo­ ne: fedeltà, sull 'esempio di Mosè e Gesù (3,2); saldi e perseveranti (3, 1 4); obbe­ dienza operativa, piena di consapevole adesione (3, 1 8); essere uniti nella fede (4,2), saldi nella speranza (3,6c; 1 0,23). È vero, la giustificazione di fronte a Dio è solo dono gratuito e lo si ottiene attraverso la fede (Ef 2,8-9; Tt 3,8b), ma la san­ tificazione comporta le buone opere (Ef 2, I O; Tt 3,8c ) I credenti in Cristo sono salvati e giustificati per servire Dio, non se stessi. Sono proprio queste opere buo­ ne a fare di essi i contemporanei di Cristo (il re messia), partecipi (metochoi) di lui. E questo a motivo del loro peso escatologico: esse non hanno valore salvifico; né entrare nel riposo di Dio si identifica con la giustificazione; esse hanno invece va­ lore santificante ed escatologico: l 'avere adempiuto quelle opere buone santifica di fronte a Dio e dichiara compiuto il tempo per l ' ingresso nel suo riposo 171• Fede e opere sono inscindibili, per poter riposare nel riposo di/in Dio. Da qui una nuova esortazione: « Affrettiamoci dunque a entrare in quel ripo­ so, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza » (Eb 4, l l ). Dunque, ci si impegni per entrare nel riposo sabbatico. E il richiamo alla generazione dell ' eso.

1 70 Su I Cor 1 0, 1 - 1 3, cfr. G. Barbaglio, Prima Lettera ai Corinti, EDB, Bologna 1 995, pp. 469-480. 1 7 1 Sulla questione, si veda la Dichiarazione congiunta (tra cattolici e luterani) sulla dottrina della giustificazione (del 3 1 ottobre 1 999), in L'Osservatore Romano. Supplementi 260, 1 2 novem­ bre 1 999, pp. 1 - 1 1 : la fede salva, le opere buone santificano. Cfr. ancora T.K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews. Part 2 (of 5 parts) : The Kingdom Rest in Hebrews 3, l -4, l 3, in BS 1 45 ( 1 988) 1 9 1 .

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do non è il primo. Quell 'obbedienza al progetto del Dio dell 'esodo deve avere un valore esemplare, di segno significante (hypodeigma) per i lettori 172: non abbiano a incorrere nel rifiuto di Dio, come accaduto alla generazione del deserto (Eb 3 , 1 7). Essa ha subito una punizione legata al tempo: non è entrata in Canaan. Anche la ge­ nerazione giudeocristiana può incorrere in un provvedimento disciplinare nel tem­ po presente ( 1 2,3- 1 3), e inoltre perdere la ricompensa escatologica. Ma la promes­ sa di Dio è ancora in vigore. Allora i credenti, « noi » (e l 'autore torna a includersi fra i suoi), dobbiamo affrettarci (spoudasomen, congiuntivo esortativo) a }asciarci come assorbire da quel riposo del settimo giorno, non atipico e umbratile, ma vero, onde evitare di essere assorbiti dalla stessa indocilità e infedeltà (apeitheia) di que­ gli israeliti che sono venuti meno (3, 1 7b) proprio alle soglie della terra promessa173• Il riposo sabbatico di Dio è una realtà nella quale i suoi non sono ancora entrati, ma alla quale hanno il libero coraggioso diritto di aspirare: a partire da Gn 2,2 esso è sempre disponibile174• Abbandonare Dio e il suo riposo e subire il suo severo giu­ dizio sono due momenti connessi (6,6). Eb 4, 1 1 ricapitola bene 3,7- 1 9. Eb 3,7 - 4, 1 1 ha scoperto il senso teologico originale del Sal 94 nel binomio entrare-non entrare, spiegato già dal salmista con un tourning point che è l 'ade­ sione obbedienziale a Dio (vv. 7b-8a); essa è condizione per entrare nel suo ripo­ so ed evitare il triste destino di una generazione che ha fallito il segno 175• [4,12-13] La parola di Dio è viva: un passaggio chiave in Eb 3,7 - 4, 1 6, un denso elogio in cui si ascolta la lode del Dio sapiente (Sap 7 ,22-30). Meno pro­ babile l 'allusione a Sap 1 8, 1 4- 1 6. La personificazione della « parola » ha guidato già i padri della Chiesa a cogliervi come una magna inclusio con Eb l , l -2, dan­ do così a 4, 1 2- 1 3 un contenuto gesuologico-cristologico 1 76• Ma Eb 4, 1 2- 1 3 ade­ risce molto più alla linea di Is 55, 1 0- 1 1 . [v. 1 2] Con un gar (infatti, v. l 2a) di ordine logico l ' autore introduce il tema della parola (logos) che menziona per ben due volte nella breve estensione di due versetti : apre il v. 1 2 e chiude il v. 1 3 . Due le interpretazioni principali nella sto­ ria dell 'esegesi: il logos del v. 1 2 è Gesù stesso 177; il logos del v. 1 2 è la voce di 1 72 Hypodeigma può avere un senso negativo, come in l Pt 2,6 a proposito di Sodoma e Gomorra, ma anche positivo, come in Sir 44, 1 6; 2Mac 6,28; 4Maccabei 1 7,23 a proposito di esem­ pi di fede. Qui, in Eb 4, 1 1 , ricorre nello stesso senso negativo di l Cor l 0, 1 1 : « Tutte queste cose ac­ caddero loro come esempio e sono state scritte per ammonimento nostro ». 1 73 Vedi H.W. Attridge, « Let us strive to enter that Resi ». The Logic of Hebrews 4, 1 - 1 1 , in HTR 73 ( 1 980) 279-288. Ancora K.K. Yeo, The Meaning and Usage ofthe Theology of« Rest » (ka­ tapausis-sabbatismos) in Eb 3, 7-4, 13, in Asia.JT l ( 1 99 1 ) 1 -33. 1 74 Cfr. H.F. Weiss, « Sabbatismos » in the Epistle to the Hebrews, in CBQ 58 ( 1 996) 674-689 (su Eb 3 , 1 -4, 1 1 ), qui 686-687. 1 75 Si legga utilmente A. Velia, To enter or not to eDter. A Literary Theological Study ofPsalm 95, in Melita Theologica 42 ( 1 99 1 ) 77-94. 1 76 Così Atanasio di Alessandria, Orationes tres adversus A rianos 2,2 1 , 72; Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 7,2, in PG 63 ,62-63; per Ilario di Poitiers, il Sal 44,8 (« Dio ti ha unto . . . ») significa generazione della parola di Dio nel tempo, nella linea dell ' incarnazione: Gesù il Cristo che assume la nostra umanità. Questo il senso e la funzione dell 'unzione. Cfr. J. Doignon, L'fncarnation: le vraie visée du Ps 45 (44),8 sur / 'onction du Christ chez Hi/arie de Poitiers, in RTL 23 ( 1 993) 1 27- 1 77. 1 77 Così nell 'antichità e nel Medioevo, ma è anche una tendenza contemporanea: J. Swetnam (Jesus as Logos in Hebrews 4, 12-13, in Biblica 62 [ 1 98 1 ] 2 1 4-224) ripropone questa lettura.

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Dio, la sua rivelazione. Questa seconda è più attendibile 178 e include la rivelazio­ ne del Figlio ( l , l ), le cose udite (2, l ), inerenti alla salvezza (2,2.3) e alla pro­ messa del riposo ( 4, 1 -2). Decisiva al riguardo è la congiunzione esplicativa « in­ fatti »: essa collega bene il v. 1 2 al v. 1 1 e a 3 , 7 - 4, 1 O. Vi si legge l ' insegnamento di Dio che promette al suo popolo l ' ingresso nel suo riposo e poi, con sdegnato disappunto, lo esclude da esso, avendolo trovato immeritevole e infedele. È la voce dello Spirito di Dio (3,7) fissata nel Sal 94,7- l l . Alla parola di Dio, cioè al suo insegnamento, sono riferite cinque qualità (v. 1 2b). Le prime quattro sono abbinate a due a due: viva ed efficace, tagliente e penetrante. La quinta, scrutatrice e giudicante, rimane isolata e ha un valore di transizione sul v. 1 3 , in cui si rileva il profilo della creatura umana posta di fro�­ te alla parola di Dio che soppesa e valuta. La valenza giudiziale di Eb 4, 1 2 si ri­ ferisce alla paràclesi precedente (4, 1 1 ), che invita a considerare con grande se­ rietà quella decisione collerica di Dio che aveva escluso dal riposo gl ' israeliti increduli e infedeli di fronte alla promessa (3, 7 - 4, l 0)1 79. Queste cinque proprietà della « parola di Dio » contribuiscono a interpretare la medesima al v. 1 2 come in­ segnamento di lui, cioè come lui che insegna, e non come la persona di Gesù180• La valenza giudiziale della parola di Dio è visualizzata dall ' immagine della « spada affilata e tagliente ». Che l 'autore pensi alla spada del carnefice, dunque a una parola di Dio che porta la morte a chiunque si allontana dalla fede, fonte di vita, è poco attendibile. Lo è invece l 'azione a fondo dell ' insegnamento di Dio che proviene dalla sua bocca e torna indietro solo dopo avere ottenuto l 'effetto voluto (ls 55, 1 0- 1 1 ). Tale parola è « efficace » solo se realizza il progetto pro­ grammato, che è sempre un progetto di vita. Una vivace antropologia descrive la profondità di tale sondaggio giudizia­ le articolato in tre binomi: la parola-insegnamento di Dio è il punto di sutura tra « anima e spirito » (psyches kai pneumatos) l 8 1 ; è il punto di sutura tra « giunture (harmon) e midolla (muelon) » 1 82; raggiunge « i sentimenti e i pensieri del cuo1 78 Cfr., ad esempio, T.K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews. Part 2 (of 5 parts): The Kingdom Rest in Hebrews 3, l -4, l 3, in BS 1 45 ( 1 988) 1 95. 1 79 Cfr. R. Fabris, Lettera agli Ebrei, in Id., Le lettere di Paolo, p. 600. 1 80 Per molti aspetti ricchi di suggerimenti collaterali, gli studi di J. Swetnam (Structure ofHebrews 3, 7-10,39, in Melita Theologica 45 [ 1 994] 34-37, e ld., Jesus as Logos in Hebrews 4, 12-13, in Biblica 62 [ 1 98 1 ] 2 1 4-224), tendono a individuare in Eb 4, 1 2- 1 3 la persona di Gesù; ma l 'argomentazione non per­ suade. Quelle cinque qualità infatti, mentre si attagliano bene alla « parola di Dio », sono non poco esa­ gerate se applicate alla persona storica di Gesù. Come sostenere infatti che Gesù possa essere la personi­ ficazione della « parola di Dio » che scruta e giudica, senza rapportarsi a Gv 12,48 probabile unica possibilità al riguardo, che J. Swetnam (Jesus as Logos in Hebrews 4, 12-13, in Biblica 62 [ 1 98 1 ] 2 1 5; 222 e nota 46) però esclude, e opportunamente? In Ebrei Gesù è intercessore per noi (4, 1 5- 1 6; 7,25), e non giudice. Va invece da sé riconoscere alla « parola di Dio >> il potere di scrutare, discernere, giudicare. Poggiare sul v. 14 per dire che in 4, 1 2- 1 3 essa è il sommo sacerdote « Gesù, il Figlio di Dio » di 4, 14 è andare oltre la intentio auctoris, che vede nei cieli attraversati dal sommo sacerdote Gesù (4, 14) la kata­ pausis di 4, 1 l : il riposo sabbatico di Dio creatore. È comunque lodevole il tentativo di J. Swetnam che argomenta in base alla testimonianza dei padri della Chiesa, il cui approccio è spirituale e omiletico. 181 Psyches kai pneumatos è la restitutio textus più accreditata. I testimoni 1 505 e 2464 e pochi altri di essi leggono psyches kai somatos (« de li 'anima e del corpo »). Ma si tratta di una lectiofacilior. 1 82 Mentre « anima e spirito » sono componenti proprie della persona umana, con « giunture e midolla », elementi anch 'essi presenti nella struttura corporale della medesima, l 'autore allude al

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re >>. Questi tre binomi sono raccolti attorno a due termini chiave che danno pro­ filo alla parola di Dio: essa « penetra >> e « scruta », soppesa e discerne: è critica (kritikos). Il termine kardia (cuore) è di peso in Ebrei 183 e in particolare in 3,7 e 4, 1 2b, in cui per la prima volta ha una connotazione negativa, perché usata in relazione al Sal 94, l O che ammonisce contro la durezza del cuore. Il v. 1 2 motiva un ragguaglio di alcune equivalenze bibliche sulla « parola di Dio ». Essa è: viva-vivente (zon gar ho logos tou Theou). Mosè « ricevette sul monte Sinai parole di vita (logia zonta) da trasmettere a voi » (At 7 ,38b); « Siete stati rigenerati dalla parola viva di Dio ed eterna »; « Per verbum Dei vivum et permanens » (Vulgata, l Pt 1 ,23b). Per « efficace» (kai energes, v. 1 2) non si riscontrano paralleli precisi nel NT 184• Alla luce della rivelazione biblica, logos . . . energes va intesa come l ' ope­ rante parola di Dio, senso già presente nella Lettera di Barnaba l , 7 in riferimen­ to al compimento di promesse e vaticini dei profeti e di JHWH. Parola di Dio, dun­ que, tanto energica ed efficace quanto Dio. Tagliente (affilata): come spada a doppio taglio (hosei machairan distomon) . In verità, l 'uso di « più tagliente » (tomoteros, Eb 4, 1 2) sembra non avere diretti ri­ scontri nella tradizione biblica; abbondanti ne sono tuttavia le varianti. Diretto è invece il riscontro sull ' immagine della spada appuntita a doppio taglio: « Ha reso la mia bocca come spada affilata . . . , freccia appuntita . . . » (Is 49,2); « Prendete an­ che . . . la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio » (Ef 6, 1 7); « C'era uno simile a Figlio di uomo (Ap 1 , 1 3), dalla bocca gli usciva una spada affilata (rhomphaia oxefa) a doppio taglio » (Ap 1 , 1 6); « All 'angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Così parla colui che ha la spada affilata a doppio taglio » (Ap 2, 1 2); « Dalla boc­ ca (del Verace-Fedele, Ap 2, 1 1 ) esce una spada affilata » (Ap 1 9, 1 5). L'immagine è metaforica e iperbolica: bocca sta per parola; la spada affilata è dunque la paro­ la del Verace-Fedele. Ap 1 , 1 6; 2, 1 2 e 1 9, 1 5 sono passi spesso citati a sostegno di Eb 4, 1 2 185• In essi la spada proviene dalla bocca di Cristo ed è vita, è come un sim­ bolo della sua forza di giudizio, mentre in Ebrei è riferita a Dio. La loro consulta­ zione è tuttavia utile a motivo della equivalenza terminologica. E si noti il proce­ dimento dell 'autore, che, mentre altrove traspone su Gesù il Cristo poprietà di Dio-JHWH, qui opera esattamente al contrario. Ermeneutica molto coraggiosa, co­ me già più volte notato. Un buon contatto con la tradizione sapienziale si legge in Sap 1 8, 1 5 : « . . . La tua parola dal cielo . . . come spada affilata (xiphos oxy), dove xiphos equivale a machaira 1 86, e dove « parola » è in diretto parallelo con « spada affilata ». momento sacrificale degli animali: squartati fino alle midolla e alle giunture, essi venivano come scrutinati, quasi un ultimo esame che ne appurasse l 'appropriatezza per il sacrificio. Cfr. M. Zerwick ­ M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, pp. 66 1 -662. 1 8 3 Frequenze in Eb 3,7.8. 1 0. 1 2 . 1 5 ; 4, 1 2 ; 8, 1 0; 1 0, 1 6.22; 1 3 ,9. 1 84 l Cor 1 6,9 e Fm 6 sono gli altri due punti del NT che conoscono l ' uso di energes, ma non in rapporto alla « parola ». 1 8 5 Cfr. E. Nestle - K. Aland, Novum Testamentum Graece (Stuttgart 1 9972 7 ). 1 86 Così annota H.G. Liddell R. Scott, A Greek-Eng/ish Lexicon, p. 1 1 9 1 . -

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È spada penetrante (diiknoumenos), trafora l 'anima, lo spirito 187• A proposi­ to, si richiama spesso l 'attenzione su Sap 7,22-30, dove si legge un elogio della sapienza. Essa « è una emanazione della potenza di Dio >> (v. 25), è « penetrante >> (v. 22); « penetra in tutti gli spiriti >> (v. 24); « penetra in ogni cosa >> (chdrei dia panton, v. 24 ). Manca del tutto il termine « spada >>, che sarebbe tuttavia contenu­ to in allusione nella qualifica di « penetrante »; la terminologia non presenta equi­ valenze tra sapienza e parola, tutt'al più solo allusioni tematiche, anche se perti­ nenti. In ogni caso, la pericope è elogio della sapienza di Dio, non del logos. Scruta (scrutante, giudicante): kai kritikos, da krites, giudice. Già attestato nella classicità greca1 88, contrassegna quanti sono dotati di capacità critica, in grado di formulare un giudizio. L'allusione al giudice è del tutto secondaria e ne relativizza gli interventi giudiziali punitivi. Per Eb 4, 1 2 si tratta molto più di un potenziale « critico » della parola, capace di attivare ali 'ascolto e ali 'azione per­ suasa. Il riscontro in Eb 1 2,23 (cfr. Gc 4, 1 2) conferma: il krites è colui che cura la casa1 89• Kritikos è qui hapax /egomenon nel NT. Che la parola di Dio possa es­ sere equiparata alla spada nelle mani di chi esegue la pena comminata dal giudi­ ce, non trova qui fondamento alcuno. Avremmo, infatti, un cambiamento di sce­ na per nulla motivato: la parola di Dio non sarebbe più scrutatrice dei pensieri e dei sentimenti del cuore umano, ma severa esecutrice di condanne emesse a suo canco. Mentre l ' AT non sembra fornire retrofondi di sorta, si ha un appoggio in Gv 1 2,48 : « Chi . . . non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna (ton krinonta) : la parola che ho annunziato lo condannerà (ho logos . . . krinei) nell 'ultimo giorno » (direzione escatologica). È Gesù di Nazareth che parla, mentre in Eb 4, 1 2 la pa­ rola che giudica è quella di Dio. L'elaborazione autonoma di kritikos da parte del­ l ' autore sembra dunque imporsi. [v. 13] Anche il v. 13 parla di Dio e non di Cristo. La combinazione kai ouk (« e non . . . ») qui e in Eb 5,4 ha funzione consecutivo-avversativa190: « e (= a se­ guito di ciò) »; questa è appropriata perché il riferimento cambia da parola a Dio (« Non v'è creatura che possa nascondersi al suo sguardo, ma tutte le realtà sono nude e scoperte agli occhi di colui, al quale . . . »), e perché si passa da un'enfasi positiva in 4, 1 2 a una negativa in 4, 1 3 (climax e anticlimax). In 4, 1 2 l 'efficacia della parola di Dio è vista come energetico che motiva i cristiani a entrare nel suo riposo; in 4, 1 3 invece è ricordato che essi possono tornare ad allontanarsi da lui (peccare), nonostante la loro iniziazione in Cristo. Così, mentre il logos di 4, 1 2

18 7 Senso della voce verbale dii'kneomai già attestato nella classicità. Dati in H.G. Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon, p. 428. 188 Cfr. Aristotele, Analytica posteriora 99b,35; Platone, Politicus 260c. Si veda ancora H.G. Liddell R. Scott, A Greek-English Lexicon, p. 997. 189 Così Diodoro Siculo, Bibliotheca historica l ,92,4. Già in P. Oxy (= P 1 3) 97,5. 1 90 Enopion autoù di Eb 4, 1 3 si riferisce a ho logos toù theoù del v. 12: « parola di Dio ». Nella lingua italiana andrebbe dunque tradotto « di fronte a essa». Si può tuttavia intendere logos toù theoù come semitismo e rendere a norma del genitivo costrutto ebraico retrostante d'bar JHWH: « la parola di Dio », cioè Dio che parla, e tradurre con « di fronte a lui », cioè a Dio. -

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esprime in climax ascendens il proprio potenziale generatore di cambiamento del cuore umano, il /ogos di 4, 1 3 si situa in un anticlimax ammonitore: bisogna ren­ dere conto a Dio delle proprie scelte, operate in piena consapevolezza. Così Crisostomo191• Né si vogliono definire tempi e luoghi e modi di un tale rendi­ mento di conto; si vuole solo dire che esso è certo e inevitabile. Scopo di tale azione giudiziale non è stabilire la salvezza o meno, quanto la conquista o la per­ dita dei beni escatologici promessi (Rm 1 4, 1 0-22; 2Cor 5, 1 0). 11 /ogos di Eb 4, 1 2- 1 3 non è dunque la persona di Gesù, ma Dio che parla e agisce. Chi vede nel /ogos la persona di Gesù il Cristo, parola per noi (hemin ho logos) presso Dio (pros hon), vede in lui l ' intercessore per noi, e non il giudice (4, 1 5- 1 6; 7 ,25). Ma questa lettura è inattendibile. Il risultato dell 'azione giudi­ ziale è esortativo: di fronte all 'onnisciente parola di Dio, cioè a Dio stesso, ogni persona è chiamata a « dare conto » delle proprie scelte. Si ascolti l 'eco di JEnoch : « Tu hai fatto tutte le cose e hai il potere su tutte le cose; tutto è nudo e scoperto ai tuoi occhi (di fronte a te); tu vedi tutto e non c'è creatura che possa nasconder­ si davanti a te »192• Sottrarsi ali 'azione « penetrante e scrutatrice » di Dio è dun­ que impensabile193• Il senso di /ogos al v. 13 è diverso da quello del v. 1 2 e trova un 'equivalenza in Le 1 6,2b: « . . . Rendi conto della tua amministrazione )) (apodos ton /ogon). Dal momento che kritikos (v. 1 2) esprime discernimento, tutto il v. 1 2 non descrive le fasi di un'azione giudiziale di Dio implicante condanna con esecuzione della me­ desima, ma esorta a discernere le proprie scelte, lasciandosi guidare dal poten­ ziale di discernimento della parola di Dio1 94• Il letargo dei credenti e la loro clau­ dicante fede conducono a pessime scelte ed espongono al giudizio di Dio, nel tempo futuro, quello escatologico. Il fatto che tutto ai suoi occhi è sempre sco­ perto, come strizzato195, non può che incoraggiare a essere diligenti e affrettarsi a entrare nel riposo di Dio. Un ultimo interrogativo. Eb 4, 1 2- 1 3 è un inno alla parola di Dio? Quanto que­ sto argomento sia centrale per Ebrei è già emerso in 1 , 1 -3 . L'autore lo riprende in 4, 1 2- 1 3 per abbandonarlo poi fino a 1 2, 1 8 ss. Qui, a chiusura di 3 , 7 - 4, 1 1 , egli po-

1 9 1 Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 7, in PG 63,59-62. Vedi anche M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 662. 1 92 l Enoch 9,5 è di tardo periodo premaccabaico. 1 93 Questo fatto appartiene ali 'esperienza quotidiana di ogni comunità cristiana, una sorta di ri­ levazione socioreligiosa: sperimentare la parola scritta e predicata è raggiungere la verità, su se stes­ si e sul proprio contesto di vita. Cfr. C.M. Wood, On Being Known, in TTod 44 ( 1 987) 1 97-206. 1 94 Così già C. Spicq, L'épitre aux Hébreux, pp. 89-90, e contro E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 240 (in Eb 4, 1 2- 1 3 : « Liegt ein Droh- und kein Garantierwort vor »; e tale mi­ nacciosa parola, così come è stata creatrice, è anche distruttrice: « Das . . . vemichtende Richterwort » ). Posizione non attendibile. Forse critico, al riguardo, anche A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 72. Del resto lo stesso E. Grasser (An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. l, p. 226) si esprime in toni più equilibrati: la severità della parola di Dio in Eb 4, 1 2- 1 3 ha scopi retorici, intesi a ottene­ re che ci si decida per essa. 1 95 Suggerimento in M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, pp. 66 1 -662, a proposito di tetrache/ismena (participio perfetto passivo) : tois ophthal­ mois autou.

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ne il motivo della parola vivente di Dio. Su di essa, ieri (3,7-9) come oggi, il popo­ lo di Dio deve misurarsi e decidersi (4, 1 - 1 1 ). La struttura artisticamente compatta di 4, 1 2- 1 3 lascia ben supporre che la microunità letteraria fosse già a disposizione della redazione di Ebrei, quasi un preesistente inno alla parola di Dio o, più proba­ bilmente, un testo in prosa curata. Eppure, non ogni testo tematicamente compatto, esposto in densa sintesi e in prosa armonica, va ritenuto un inno196• Che si tratti co­ munque di prosa inni ca, messa a punto dali ' autore o da lui elaborata su materiale preesistente di provenienza ellenistica197, si può riconoscere ali 'autore di Ebrei l 'u­ na o l 'altra capacità. Si può inoltre dire che, anche se non è annoverato fra gl ' inni « preesistenti » sparsi nel NT, Eb 4, 1 2- 1 3 è un esposto sulla parola di Dio « di tipo ionico >>, è il tentativo di porre in contatto Dio che parla alla comunità, e quest'ulti­ ma tenta una risposta a lui in un dialogo fecondo. Quella parola non ha dunque va­ lenza giuridica, ma esistenziale, noetica e parenetica198• Uno sguardo alla ricezione di Eb 4, 1 2- 1 3 presso la Chiesa antica trova qui appropriata collocazione. L' interpretazione che vede nel logos di 4, 1 2- 1 3 Gesù stesso ha infatti antece­ denti nell 'antichità. Sono Origene (+ 254 ca.) e Ilario di Poitiers (+ 367 ca.) a rica­ varla da un confronto con Gs 4, 1 -9, qui v. 8 con riferimento contestuale a Gs 5,2-9: sul punto di introdurre gl ' israeliti nella terra promessa, Giosuè circoncide di nuovo il popolo con dodici pietre prelevate dal fiume Giordano (Gs 4,8), con coltelli di selce ben appuntita (Gs 5,2), a rinnovo dell 'alleanza. Quelle pietre sono ancora là, nel fiume Giordano (Gs 5,9), memoriale perenne del prodigio di un Dio alleato: le acque che si divisero allora al mare dei Giunchi (Es 1 2,26; Dt 6,20) tornano ora a dividersi al Giordano onde consentire l ' ingresso nella terra promessa (Gs 4,7). Ciò che accadde allora sotto la guida di Mosè, riaccade alla guida di Giosuè. In en­ trambi è prefigurato Gesù che annunzia al popolo dell 'alleanza il dono del battesi­ mo purificatore e riconciliatore. Quel popolo ha ora la possibilità di diventare nuo­ vo, di rinnovarsi cioè secondo la legge scritta nel cuore e nella mente (Eb 8,7- 1 3; Ger 38,3 1 -34 [LXX]). Gesù stesso è il logos di Dio più potente delle pietre usate da Giosuè per il rito della circoncisione199; esse non hanno condotto il popolo nel ri­ poso di Dio. Canaan, terra promessa, si rivela infatti solo un « alloggio » provviso­ rio, più illusorio che reale. La sua parola, invece, è un affilato coltello di pietra. 1 96 Logos-hymnus? Qualche indizio: il non cambiamento del soggetto ho logos tou theou da Eh 4, 1 2 al v. 1 3, e il fatto che al v. 1 3 quel soggetto sia menzionato due volte nella forma pronominale auto fa di quel soggetto al v. 1 2 lo stesso del v. 1 3 . Dunque, continuità tematica. La formula finale « a essa (parola di Dio) noi dobbiamo rendere conto » (pros hon hemin ho logos) al v. 1 3 b in inclu­ sione con il v. 1 2a (ho logos tou theou) rafforza la compattezza letteraria di 4, 1 2- 1 3 e la relativa chiu­ sura quasi ex abrupto. Il problema resta comunque sub judice. Per lo stato della questione, cfr. E. Griisser, An die Hebriier. Hebr l -6, vol. l, p. 1 73 , nota l e anche pp. 226-228. 1 97 Dati in H. Braun, An die Hebriier, p. 1 22. 1 9 8 Resta così ancora valido il parere già formulato da E. Norden, Agnostos Theos. Untersuchungen zur Formengeschichte religioser Rede, B.G. Teubner, Darmstadt 1 9564 , p. 1 3 1 . Ma E.M. Becker (Gottes Wort und Unser Wort. Background zu Hebr 4, 12-13, in BZ 44 [2000] 254-262) riprende la questione: esclude il valore innico e il peso parenetico, privilegiandone il giudiziale. 1 99 Così Origene, In librum /esu Nave Homilia 26,2 (E. Klostermann, ed.), (GCS 7), vol. VII, Hinrichs Verlag, Leipzig 1 92 1 , pp. 458-460.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Questa, per Origene e Ilario di Poitiers, la traduzione più appropriata di machairan in Eb 4, 1 2 in base a Gs 5,2. Per lo scrittore ecclesiastico greco Origene la circonci­ sione della carne è stata sostituita dal battesimo; la « parola di Dio » di Eb 4, 1 2 evo­ ca la circoncisione, la quale prefigura il battesimo; Eb 4, 1 2 dà dunque sostegno a 4, 1 1 , ove si legge che i cristiani entrano nel riposo di Dio mentre gl ' israeliti di quella generazione non vi entrarono, pur essendo di fatto entrati nel luogo promes­ so da Dio, dotato di tranquillità (Gs 22,4). Fu infatti un ingresso illusorio200 • Un se­ colo più tardi, il padre della Chiesa latina Ilario di Poitiers descrive Giosuè a capo della « sinagoga >> che egli guida verso la terra desiderata. Rispettoso della legge di Mosè, circoncide il popolo dell 'alleanza con pietre levigate. Gesù, capo della sua casa-Chiesa, la guida verso la terra della promessa, nel riposo di Dio; rispettoso del­ la legge antica, egli avvia la medesima a compimento introducendo la legge nuova, quella della circoncisione spirituale del cuore operata dali 'ascolto della parola che è egli stesso e dal battesimo in lui201• Ambrogio di Milano e Atanasio di Alessandria vedono nella spada di Eb 4, 1 2 la persona di Gesù202; anche Girolamo conosce questa posizione203• A que­ sta autorevole tradizione antica non dovrebbe essere riconosciuto il peso che le spetta, fino ad avere la precedenza sulla interpretazione oggi più sostenuta? Dunque, il logos di Eb 4, 1 2 non è la parola di Dio, ma Gesù stesso204• Quarant'anni dopo Ilario di Poitiers, Giovanni Crisostomo propone la lettu­ ra oggi più seguita: il /ogos di Eb 4, 1 2 significa « parola >> di Dio, dunque non va letto in senso personale205; il logos di 4, 1 3 ha il senso di « resa dei conti >>206• Nudi e scoperti di fronte a lui, non avremo altro da dargli che le nostre responsabili azioni. Logos nel senso di dabar: non solo parole, ma anche fatti. La posizione di Giovanni Crisostomo è in sintonia con l 'esegesi storico-critica. La sezione parenetica di Eb 3,7 - 4, 1 1 (la seconda delle cinque in Ebrei) comin­ cia con la microunità epidittica di 3, 1 -6: vi si dimostra che Gesù è qualitativamente migliore di Mosè. Quello che segue, da 3 , 7 a 4, 1 1 , è una paràclesi che sviluppa le implicazioni della frase condizionale in 3,6: « E la sua casa siamo noi, se conservia­ mo la libertà e la fierezza della speranza >>, la quale è nostro vanto. Questa paràclesi si avvale del Sal 94,7- 1 1 citato in 3,7- 1 1 e ripreso in modo mirato in 3 , 1 5 . 1 8; 4,3.7. Ebrei guarda ali ' AT e al suo compiersi nel tempo presente: Mosè preannunzia Cristo e gli rende testimoni anza (3,5); entrambi sono ministri per il popolo di Dio: 200 Cfr. Origene, In Genesin homilia 3,6, in M. Simonetti - M.l. Danieli (edd.), Omelie sulla Genesi, Città Nuova, Roma 2002. 201 Cfr. Ilario di Poitiers, Tractatus mysteriorum 2,6 (J.P. Brisson, ed.), (SC 1 9), Cerf, Paris 1 947, pp. 1 50- 1 53. 202 Ambrogio di Milano, De Spiritu sancto 2, I l , in PL 1 6, 770; Atanasio di Alessandria, Secunda oratio de incarnatione Verbi 3 1 ,3 (C. Kannengiesser, ed.), Sur l 'incarnation du Verb (SC 1 1 9), Cerf, Paris 1 973, pp. 376-379. 203 Girolamo, Commentarius in Isaiam Prophetam, Liber VIII, su Is 27, 1 , in PL 24,306-307. 204 È il suggerimento di J. Swetnam, The Structure of Hebrews: A Fresh Look. On the Occasion of a Recent Commentary, in Melita Theologica 43 ( 1 990) 34-3 7, su H.W. Attridge, The Epistle to the Hebrews, e Id., Jesus as logos in Hebrews 4, I 2-I 3, in Biblica 62 ( 1 98 1 ) 2 1 4-224. 205 Cfr. Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 7, in PG 63,6 1 -62 . 206 Cfr. Ibid. , in PG 63,6 1 . .

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Mosè servo, Cristo Figlio. Quel popolo di Dio ha oggi il volto di Cristo. I destinata­ ri di Ebrei, « partecipi di una vocazione celeste >> (3, l ), sono « partecipi » di lui se ri­ mangono saldi nella loro speranza (3,6); si esortino, si confortino e si persuadano a vicenda (3, 1 3), in marcia (conformemente al Sal 94,7- 1 1 ) verso il riposo sabbatico, quello celeste ed eterno, di e in Dio207, verso il « regno incrollabile » ( 1 2,28). Intanto, siano consapevoli di ciò che essi di fatto sono: liberati e redenti allo stesso modo come lo fu l 'Israele dell 'esodo. Evitino dunque l 'errore che fu di Mosè e Aronne e della loro generazione desertica: quello di non vedere la pre­ senza sostenitrice di Dio nelle loro contrarietà (Massa e Meriba). Non furono am­ messi nel luogo del suo riposo. Ma se gli resteranno fedeli, entreranno di certo nel suo riposo ( 4, 1 .3 . l 0- 1 1 ), sabbatico ed eterno, al quale hanno ora libero accesso (4, 1 6) in Gesù il Cristo sacerdote sommo208. [4,14-16] Un preannunzio solenne: il grande sommo sacerdote. Una picco­ la unità letteraria che va riscuotendo attenzione sempre più ampia. Si tratta di una parenesi retrospettica (chiude 3 , 1 - 4, 1 3) e prospettica (apre su 5, 1 - 1 0) messa in luce dali 'analisi linguistica, momento metodologico specifico della « nuova reto­ rica »209, sull 'ampio sfondo dell 'analitica strutturale. I vv. 1 4- 1 6 sono non tanto un testo in sé completo e autonomo, quanto il segmento di un testo più ampio e articolato2 10. Il suo denso contenuto esortatorio non è presente solo in ciò che i vv. 14- 1 6 esprimono, ma va cercato in connessioni lontane con Eb 2, 1 7b - 3 , l : « Il grande sommo sacerdote » . E ancora prima in Eb 1 , 1 - 4, 1 3 : in 1 ,2 . 3 . 5 . 8 , « Figlio »; i n 2, 1 7a. l 8, « In tutto simile a noi »; i n 2,9- 1 O , « Fino alla morte »; in 2, 1 7c, « Espia i peccati del popolo »; in 4, 1 5b, lui, « il senza peccato ». Nonché nelle connessioni immediate: Eb 4, 1 4ab.d è in inclusione con 3, 1 . Nella mente dell 'autore, questa serie di preinformazioni è necessaria ai destinatari del suo scritto, perché colgano al completo quanto egli dice in 4, 1 4- 1 6. Lo strumento lin­ guistico utilizzato è semplice e magistrale: la particella consecutiva oun (dunque, v. 1 4a). Essa rimanda appunto alle connessioni menzionate e messe in luce dal­ l 'analisi linguistica, la quale inoltre indica in 4, 1 4 la conclusione su 3, 1 - 4, 1 3 e in 4, 1 5- 1 6 l ' introduzione parenetica a 5, 1 - 1 02 1 1 con inclusione sul motivo del sommo sacerdote (archiereus, 4, 1 3- 1 4 e 5, 1 ).

207 Sul tono escatologico di Eh 3, 7 - 4, I l , trasmesso dali 'autore con strategia socioretorica, si legga utilmente D.A. de Silva, Entering God 's Rest: Eschatology and the Socio-Rhetorica/ Strategy of Hebrews, in Trinity Journa/ 2 1 (2000) 25-43 . 208 Ampia e motivata trattazione di questa parenesi pastorale-spirituale in R.C. Gleason, The 0/d Testament Background of Rest in Hebrews 3, 7-4, I l , in BS 1 57 (2000) 28 1 -303. 209 Sul l ' argomento, segnalo il documento della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, p. 3 8 . 2 10 Approfondito lo studio d i W. Schenk, Hebriierbrief 4, 1 4- 1 6. Textlinguistik als Kommentierungsprinzip, in NTS 26 ( 1 980) 242-252. 21 1 Per L. L. Neeley (A Discourse Analysis ofHebrews, in JOIT 3-4 [ 1 987] 93- 1 1 2) ha inizio qui la sezione 4, 1 4 - l O, 1 8, la cui macrostruttura è strutturalmente cadenzata dalle particelle ozin, gar, de, in discreta abbondanza; nyn de, dio-dia, othen in minore quantità. Indicazioni tematiche ivi incorporate sono: teleiOsis, elpis, thysiai, chOris haimatos, Melkisedeq-Christos. Una struttura im­ bastita sulla stilistica linguistica ha di certo fondamento e pregio, tanto più che riesce a ottenere ri­ sultati in sintonia con la più ampia procedura analitica.

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Ne risulta il seguente messaggio pragmatico: in Eb 4, 1 4- 1 6 il sommo sacer­ dozio di Cristo spinge alla fedeltà nella professione della fede, cioè nell 'adesio­ ne a lui, e alla fiducia nella preghiera2 12• Eb 4, 1 4- 1 6 non intende presentare l ' as­ senza di peccato-debolezza in Gesù come un dogma cristologico2 13, bensì come sostegno per l 'appello iniziale: mantenere ferma la propria fede e la sequela di lui, e rivolgersi nel linguaggio della preghiera al « trono della grazia (charis) », cioè a Dio che dà con magnanimità i suoi doni onde ricevere, trovare, ottenere aiuto al momento opportuno (cfr. 4, 1 6), quello della prova nella fede. Il denso an­ nunzio di questi tre versetti è peculiare e tali sono anche i percorsi metodologici che lo mettono in evidenza2 14• Eb 4, 1 4- 1 6 presenta connessioni interne (tra il v. 1 5 e il v. 1 6): quelli che vi­ vono neli ' infermità (v. 1 5) e sperimentano la debolezza nella fede in termini di infedeltà devono accostarsi al trono di Dio con piena fiducia (v. 1 6); là trove­ ranno l 'aiuto della misericordia di un Dio magnanimo nell 'elargire i suoi doni (v. 1 6), sempre disposto ad aiutare nel momento della prova (v. 1 6). Eb 4, 1 4- 1 6 è in connessione con 2, 1 7- 1 8 a mezzo di un tourning point: il sympathein di Cristo. La condizione per « ricevere aiuto » è la fiducia da parte di chi si accosta a quel trono (v. 1 6); in 2, 1 8, il fatto che « Gesù (v. 9) è stato messo al­ la prova e ha sofferto personalmente » è garanzia per ricevere aiuto. Il rapporto tra sympathein (compatire) ed eukairon boetheia (« momento opportuno ») (vv. 1 5 . 1 6) e quello tra eleem6n (misericordioso) e boethesai (« venire in aiuto ») in 2, 1 7- 1 8 mostrano che il « compatire » di Cristo è non solo compassione e misericordia, quasi un mero sentimento psicologico e filantropico, ma soprattutto un aiuto con­ creto: un contributo attivo a costruire il proprio rapporto religioso con Dio, nella fede e nella fedeltà, nella stabilità (4, 1 4d)215• 2 1 2 D i quale fede s i tratta? Non mancano suggerimenti per una interpretazione più dettagliata: fede battesimale (W. Schenk, Hebriierbrief 4, 14- 1 6. Textlinguistik als Kommentierungsprinzip, in NTS 26 [ 1 980] 252), fede nel condono delle colpe, fede professata nel corso di una liturgia pasqua­ le. L'autore non si pronunzia al dettaglio, ma lascia ampio spazio alla professione della homologia. I tre suggerimenti indicati possono essere ritenuti presenti, ma nessuno di essi è pensato in parti­ colare. Cfr. E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. l, p. 25 1 ; A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, pp. 74-78. 2 1 3 L'assenza di peccato in Gesù non è pensata dal i ' autore come assenza di tentazione ali ' infe­ deltà, ma vittoria su di essa. La constatazione dell 'autore è dinamico-esistenziale. 2 1 4 Non è questo il luogo per entrare nel dettaglio di simili percorsi. Segnalo due contributi: W. Schenk, Hebriierbrief4, 14- 1 6. Textlinguistik als Kommentierungsprinzip, in NTS 26 ( 1 980) 242252, e L. Panier, A propos d 'un commentaire de / 'Épitre aux Hébreux, in Sémiotique et Bible 1 7 ( 1 980) 6-3 7. Quest'ultimo elabora il commento di C . Spicq (L 'épitre aux Hébreux. li: Commentaire, pp. 9 1 -95, su Eb 4, 1 4- 1 6) e ne pone in chiaro i criteri metodologici, dalla ripartizione del testo al re­ gistro esperienziale, attraverso quello retorico, filologico, esegetico, storico, teologico. Risultato: una organizzazione funzionale del discorso in diversi livelli: cognitivo (rilevazione di dati), oggetti­ vo (veri o falsi), referenziale (autorizza a proporre i dati), perché diventino esperienziali. Il tutto for­ nisce l 'enunciato di fondo e la struttura. Secondo L. Panier, questa operazione è di carattere semi o­ ti co ed è estraibile dal commentario di C. Spicq su Eb 4, 1 4- 1 6. Una riprova sulla bontà del metodo esegetico in evoluzione (cfr. Pontificia Commissione Biblica, L 'interpretazione della Bibbia nella Chiesa) e sul senso pieno della Scrittura. 2 1 5 Così R. Pindel, Christus, der mitfiihlende Hohepriester und die Schwachheiten des Volkes (Hebr 4, 4- 16), in AnCracov 25 ( 1 993) 390.

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Eh 4, 1 5 e 7,28 hanno in comune l 'uso di astheneia (« infermità, debolez­ za »); in 4, 1 5 ha un peso specifico proprio: si riferisce alle debolezze umane com­ patite da Cristo, cioè da lui condivise e annullate una volta per sempre (esposto agli attacchi della debolezza, egli è il forte che non ha mai ceduto, v. 1 5). Non co­ sì il sommo sacerdote della legge. Anche per lui è usato lo stesso termine in 7,28: proprio perché « soggetto a umana debolezza (astheneia) », deve presentare l' of­ ferta espiatrice per i propri peccati e per quelli del popolo, ogni anno. Eh 4, 1 5 e 5,2 hanno in comune l 'uso di astheneia (debolezza), riferita a ogni sommo sacerdote, una interrelazione linguistica con alcune differenze: in 5,2 ac­ canto ad astheneia (debolezza) si legge metriopathein (« sentire giusta compas­ sione »), che esprime un moderato sentimento di condivisione, una gentile atten­ zione ai sentimenti altrui. La partecipazione però, per quanto cortese, è distaccata. In 4, l 5b si ha sympathesai (« compatire, partecipare a . . . , calarsi nella situazione altrui »), non certo per attenuare e scusare, ma per comprendere e condividere2 16• Il senso è più forte e caratterizza il sommo sacerdote celeste (4, 14. 1 6), il Signore glorificato, un tutt'uno con il Signore crocifisso (5, 1 ss.; 7,27; 8, 1 ss.). In Eh 4, 1 5 le « debolezze » (astheneiai) sono nostre, mentre i n 5,2 è centrale i l fatto che ogni sommo sacerdote è debole. Questa rilevazione fa da fondamento a 5 ,2 : ogni som­ mo sacerdote, proprio perché debole, può avere « compassione » (metriopathein) per le debolezze altrui. La propria debolezza e il proprio peccato lo rendono mo­ derato nella indignazione e nell ' ira a motivo dei peccati del suo popolo. Egli tut­ tavia ben sa di non poter fare nulla per impedire quelle trasgressioni né tanto me­ no è in grado di annullarle. In 4, 1 5 tutti sono esposti alla prova, noi e Gesù sommo sacerdote. Cedere a essa divide Cristo (il forte senza peccato) dal popolo debole e peccatore; in 5,2-3 la debolezza e il peccato sono elementi comuni al popolo e a ogni sommo sacerdote. Questi compie per sé e per il popolo un'offerta d'espia­ zione carente e imperfetta. Eh 4, 1 5c e 2, 1 8 : peirazein (« mettere alla prova, tentare >>) si legge sia in 2, 1 8 sia in 4, 1 5 e in entrambi i casi riferito a Cristo. La sofferenza di Cristo, tentato nella fedeltà al Padre, appartiene al passato, i frutti di essa sono presenti ancora oggi217, ed è efficace proprio nel quadro della sua « somiglianza » (kath 'ho­ moiothetaj218 con i fratelli. La solidarietà con essi è efficace perché egli, « messo alla prova », non le ha ceduto mai (« senza peccato » choris hamartias, v. 1 5c ). L'assenza di debolezza in Cristo sommo sacerdote non ne indebolisce la ca­ pacità di compassione (sympathein) : al contrario, la rende perfetta. Si osservino le due informazioni dal Primo Testamento: le debolezze del (sommo) sacerdote ricadono sul popolo (Lv 4,3-4); egli deve « offrire al Signore un sacrificio di espiazione per il peccato da lui commesso . . . » (v. 3), « davanti all ' ingresso della tenda del convegno » (v. 4). In questa situazione, egli non può certo essere com2 1 6 Cfr. M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 662 . Ancora W. Michaelis, metriopatheo, in GLNT ( 1 974) 9, 1 087- 1 088, che ritiene però sostan­ zialmente molto vicini metriopathein e sympathein. In Eb 5,2 metriopathein ricorre per l 'unica vol­ ta in tutto il NT. 2 1 7 È il senso del verbo al perfetto pepeirasmenon. 218 A completamento, cfr. W. Michaelis, pathema, in GLNT ( 1 974) 9, 1 080.

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Parte seconda. Traduzione e commento

passionevole, né lo può essere quando presenta l 'offerta per i peccati del popolo. Egli stesso infatti è e resta imperfetto, come Aronne: in Es 32,26 è lo stesso po­ polo ad accusarlo di peccato. Il caso di Gesù sommo sacerdote è invece nuovo e unico: egli « compatisce » la debolezza umana, ma non conosce cedimento alcuno. La sua compassione per le debolezze del popolo è dunque perfetta. [ vv. 14-1 5] « Sommo sacerdote grande » (archierea megan, v. 14a) è un' esage­ razione solo apparente, forse intenzionalmente enfatizzata219• Di megan si avvale anche Filone di Alessandria220• Ebrei però non intende illustrare la funzione di som­ mo sacerdote di un logos celeste, ma fornisce la dimostrazione che proprio il Gesù terreno, quello della passione e della croce, è sia sommo sacerdote sia Figlio di Dio. Per questo è « grande >>, e lo è anche perché egli « è passato attraverso i cieli » ed è entrato una volta per sempre nel santuario celeste, al cospetto di Dio. Il riferimento è al sommo sacerdote della legge (v. 1 4b). Questi entra prima nel santo e poi nel san­ to dei santi del tempio gerosolimitano nel giorno della grande espiazione. Per entra­ re nel santo dei santi egli doveva attraversare due tende. Esse, per l 'autore, rappre­ sentano « i cieli » attraversati da Gesù, sommo sacerdote della nuova alleanza. La peculiare forma verbale dielelythota (« ha attraversato » )221 descrive, co­ me visivamente, l ' ingresso del sommo sacerdote Gesù una volta per sempre nel santo dei santi celeste. Anche qui egli è « grande » ed è « Figlio di Dio » (v. 1 4c ), pienamente sintonizzato con lui, suo collaboratore e operatore attivo nel campo dell 'annunzio. Si ha qui attendibilmente il nucleo sintetico della homologia: quel « Figlio di Dio » è l 'esaltato alla destra della Maestà, è il Gesù terreno solidale con i suoi fratelli, è quel « Cristo ieri e oggi lo stesso e per sempre » ( 1 3 ,8). È « in­ fatti » (gar) da tutto questo che proviene la sua speciale posizione di grandezza. Con il congiuntivo presente esortativo ( coortativo) proserchometha, in in­ clusione con 3, l , l 'autore descrive il risultato che gli sta a cuore di ottenere: « Rafforziamo (kratomen) la professione (della fede) » (v. 1 4d). La comunità giu­ deocristiana si lasci persuadere dalla sua testimonianza a consolidare222 la pro­ fessione della propria fede battesimale: Gesù è sommo sacerdote (3, l ), è « il Figlio di Dio » (4, 14). Cfr. infra 4, 1 6. Dunque, noi abbiamo un grande sommo sacerdote. Legittimo l ' interrogati­ vo: Da quando? È Gesù sommo sacerdote da sempre, dunque già dalla sua venu­ ta nella storia umana (incarnazione)? O lo è solo a partire dali ' evento croce? O lo diventa nel momento in cui entra nel tempio celeste? Si profila qui un'ambiva21 9 L'autore si sforza di ridurre lo scandalo che gli ebrei divenuti cristiani subiscono di fronte ali ' insegnamento, del tutto nuovo, su Gesù Cristo sommo sacerdote. Quel suo sforzo continua in Eb 5, 1 -4 e 5,5- 1 0. Cfr. J. Swetnam, The Structure of Hebrews: A fresh Look. On the Occasion of a Recent Commentary, in Melita Theo/ogica 43 1 ( 1 990) 25-46, su H. W. Attridge, The Epistle to the Hebrews. Attendibile nuance di uno stile enfatico. 22° Cfr. Filone di Alessandria, De somniis 1 ,2 1 5-2 1 9; 2, 1 83. 22 1 Un participio perfetto II di erchomai. 222 Da kratein, rafforzare, consolidare. Ma vi è di più del semplice rafforzamento di una osser­ vanza o tradizione, come invece suggerisce W. Michaelis, kratei5, in GLNT ( 1 969) 5,995. Si ha qui infatti una homologia. Per la valenza battesimale, cfr. W. Schenk, Hebriierbrief 4, 1 4- 1 6. Textlinguistik als Kommentierungsprinzip, in NTS 26 ( 1 980) 252.

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lenza che deve restare tale: Gesù è sacerdote già nella sua vita terrena; Gesù di­ venta sacerdote al momento della sua esaltazione. I dati testuali favoriscono, in­ fatti, entrambe le direzioni: Gesù era ed è sacerdote già nella sua vita terrena l ,3 ; 6,6; l 0,29 Egli si offre è e resta sacerdote secondo l 'ordine di Melchisedek 7,3 9, 1 1 - 1 2 è venuto nel mondo come sommo sacerdote 9,25-28 presuppone che Gesù sia già sacerdote. Gesù diventa sacerdote 5,6. 1 O; 7,28 In forza della parola creatrice di Dio 7, 1 3-14; 8,4.6 sulla terra egli non è sacerdote (di Aronne) 4, 14; 8, 1 ; 10, 1 2 diventa sacerdote dopo la passione, nell 'intronizzazione 7,26-28 costituito Figlio, Gesù è sacerdote perfetto 2, 1 7; 5,5; 7, 16 la voce verbale ginesthai attesta che Gesù diventa sacerdote. I due blocchi di documentazione non sono messi a punto da Ebrei allo scopo di affrontare una questione cristologica. Egli persegue molto più un'ermeneutica immediata, che gli permette di percorrere due linee non opposte ma complementa­ ri (lo stesso si dica per l ' immagine del trono di Dio: nessuna discussione teologica, ma solo una realtà empirica ed ermeneutica). Si può dire forse così: Gesù è sacer­ dote ai confini tra cielo e terra, nel passaggio dalla morte ali ' esaltazione. Gesù è entrato pienamente nella situazione umana e ha sperimentato rifiuto, delusione, incomprensione, tutte cose che hanno messo a dura prova la sua lealtà verso Dio. Prove molto serie, le sue, se l 'autore ritiene di dovere attestare che egli è rimasto fedele, senza cedimento alcuno (chOris hamartias, v. 1 5bc ). L'annotazione indica bene la lotta di Gesù contro la potenza del male; altri cedono prima ancora che l ' intensità della prova raggiunga il massimo della potenza. Il peccato cui Gesù si oppose è il rifiuto di Dio223• Egli, il Figlio, conosce bene il progetto del « Padre degli spiriti » (Eb 1 2,9), vi aderisce con libera e consapevole scelta (obbedisce) in una situazione estrema e radicale, ha fiducia nel Padre, crede in lui. Il pericolo per Gesù non è un peccato specifico, ma diventare infedele a Dio. A fondamento della fede cristiana c'è quindi una scelta storica: essere senza peccato è essere liberi da una mentalità di male, è aderire seme/ pro semper a Dio nella fede che giustifica (opzione fondamentale irrinunciabile). Il trono di Dio (Eb 4, 1 6) non è fondato sul giudizio, ma sulla gratuità del suo dono salvifico e giustificante: il dono di se stes­ so, la sua grazia appunto. Chi giunge a quel trono trova misericordia e grazia (4, 1 6b), accoglienza, e Dio stesso. Accostarsi a quel trono individualmente e sem­ pre, in ogni momento e situazione della vita, e con incondizionata fiducia, è il ri­ sultato enorme dell 'operato di Gesù, sommo sacerdote e Figlio di Dio224, è il mes­ saggio dell 'autore per la o le comunità destinatarie del suo appello. 22 3 Un'allusione implicita al racconto sinottico delle tentazioni di Gesù nel deserto è qui atten­ dibile (Mt 4, 1 - 1 1 ; Mc 1 , 1 2- 1 3 ; Le 4, 1 - 1 3). 224 È il senso di proserchi5metha, congiuntivo esortativo al presente continuo: esortazione qua­ si coortatoria (nella forma di un giuramento manipolatorio) a essere sempre disposti a rivolgersi a Dio, elargitore di doni; ciò è ormai sempre possibile.

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Parte seconda. Traduzione e commento

[v. 16] Gesù Figlio di Dio, sommo sacerdote esaltato, entrato per sempre nel santuario celeste, misericordioso e compassionevole, è motivo di fondo per esorta­ re la comunità ad accostarsi al trono di Dio, della Maestà (Eb 8, l ; già l ,3b ), con fi­ ducia e confidenza, con parrhesia (termine che descrive il coraggio di chi sa di ave­ re un diritto). Fondamento di tutto: ciò che Gesù è! Al suo diaerchesthai risponde il nostro proserchesthai, con due tonalità: « ora », nell 'assemblea del patto nuovo, pasquale; poi, là dove egli già è, nell ' eschaton225, « alla destra della Maestà ». Due i vantaggi per i cristiani: l) ottenere il perdono delle debolezze e infe­ deltà (peccati). In questo senso, il trono della grazia corrisponde al « luogo del­ l 'espiazione >> di Eb 9,5; 2) riscuotere l 'attenzione di Dio nei propri confronti. Essa è come quella di un re che manifesta ai suoi sudditi il suo favore, ne deside­ ra l ' incontro e lo favorisce. Ricevere misericordia e trovare grazia (labomen eleos . . . charin euromen) : un parallelo chiastico secondo lo stile di Ebrei, ben at­ testato in 7,3; 1 0,9. 1 6.33-34; 1 2, 1 9.26; 1 3 ,4226• « Per un aiuto al momento opportuno » esprime la certezza di quell 'aiuto, il che dovrebbe contribuire ad annullare il ritardo del!a risposta ali ' oggi di Dio di cui in Eb 4, 1 . Quel ritardo favorirebbe lo sviluppo della debolezza (astheneia) in fede zoppicante, fino ali 'abbandono (apistia, 3 ,9). L' intervento giusto di Dio al momento giusto (eukairon), invece, aiuta nel tempo della difficoltà. I cristiani ri­ cevono la misericordia-perdono per i propri peccati come dono gratuito; devono invece combattere personalmente contro le vicende avverse per cercare e trovare il dono dell 'aiuto nel « momento opportuno », quello della prova, del vacilla­ mento della fede battesimale. Quell 'aiuto (boetheia) Io si trova presso il trono della grazia (thronos tes charitos), da non identificare con il trono del giudizio (thronos kriseos). Con eventuale lontana allusione ad At 27, 1 7227, in cui boetheia (aiuto) è termine tecnico nautico, il « trono della grazia » è come il sospirato mo­ lo di attracco per una nave sferzata dai venti e in balìa della onde. Eb 4, 14- 1 6: homologia del Gesù esaltato, « Figlio di Dio » e sommo sacer­ dote, fonte di consolazione e coraggio, nel momento opportuno in cui ci si acco­ sta al « trono della misericordia »228• [5,1] Ha ora inizio un meditato profilo del sommo sacerdote Aronne. Con un gar (infatti) dichiarativo-esplicativo l 'autore si tiene collegato a 4, 1 4- 1 6229 e av22 5 Si veda F. Laub, Das « proserchesthai » der Gemeinde als pariinetische Konsequenz aus dem « eiserchesthai » des Hohenpriesters Jesus, in Id., Bekenntnis und Auslegung. Der pariinetische Funktion der Christologie im Hebriierbrief, Pustet, Regensburg 1 980, pp. 265-272. 226 Cfr. F. Blass - L. F. Debrunner - A. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento 477. 22 7 In tutto il NT, boetheia ricorre qui e in At 27, 1 7 in uso tecnico nel settore nautico. Anche Filone di Alessandria, De /osepho 3 3 . Per l 'espressione nel suo insieme (« Trovare aiuto nel tempo opportuno »), cfr. W. Dittenberger (Sylloge Inscriptionum Graecarum 762,4, S. Hirzelium, Hildesheim 1 960, vol. Il, p. 504): boetheito kata to eukairon. 22 8 Cfr. H. W. Attridge, New Covenant Christology in an Early Christian Homily, in QRMin 8 ( 1 988) 1 00- 1 07. 229 11 gar (infatti) si riferisce ai vv. 1 4- 1 6 e non solo al v. 14 o al v. 1 5 : I 'esortazione « Accostia­ moci, dunque (oiìn) » di Eb 4, 1 6 ha infatti il suo senso solo se collegata a sympathenai (compatire) di 4. 1 5 .

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via l 'approfondimento del tema sul sommo sacerdote, ivi preannunziato: vuole fare luce su ciò che qualifica il sommo sacerdote nel suo servizio. La descrizione del sacerdozio giudaico (vv. 1 -4), caratterizzata da forme verbali al presente dal valore appunto descrittivo230, mette a fuoco due qualità del sommo sacerdote: l ) scelto fra gli uomini, quasi prelevato (lambanomenos), egli è insediato (kathista­ tai)23 1 per operare a loro favore in relazione a Dio (v. l ); 2) è chiamato a tale mi­ nistero da Dio (kaloumenos, v. 4)232• Ogni sommo sacerdote al modo di Aronne agisce a favore (hyper; peri) degli uomini, offrendo « doni (dora) e sacrifici (thy­ sias) per i loro peccati » (v. l ) e per i propri (v. 3). Si ha già un'allusione allo Jom Kippùr, grande giorno dell 'espiazione (Lv 1 6). Un comportamento redazionale di alto stile aiuta a comprendere la prospetti­ va che al momento si muove nella mente dell 'autore. In Eb 4, 1 4 con l ' espressio­ ne: « Che ha attraversato i cieli >>, egli aveva posto l 'accento sull 'esaltazione del Figlio sommo sacerdote. Per rincontrare l ' innalzato-esaltato, dobbiamo attendere il cap. 7. Poco più avanti, invece, in 5,9, con teleiotheis (« reso perfetto >>) l 'autore richiama l 'attenzione su 5,7-8, dove descrive pesantemente il dolore del sommo sacerdote solidale con la sofferenza umana. Questa vicenda del Gesù terreno im­ pegna l 'autore e lo spinge ad avviare in 5,5- 1 0 il confronto serrato tra il sacerdo­ zio di Aronne e quello di Gesù. Allo scopo, egli continua a prepararsi i dati. Da qui la formulazione: « Scelto fra gli uomini (lambanomenos), è costituito-insediato (kathistastai) a loro favore, avendo dato prova di poter (dynamenos) compatire (sympathenai, 4, 1 5) >>, di « sentire giusta compassione >> (metriopatheinj233 ( 5,2), di solidarizzare con essi, esposti alla debolezza. Solo uno in tutto eguale a Dio e agli uomini avrebbe potuto soccorrere i suoi fratelli davanti a Dio; preso da essi, insediato per essi, in ciò che riguarda Dio: ex, hyper, pros. Ma vi è di più: « Gesù, il Figlio di Dio >> (Eb 4, 1 4) è « sacerdote dell 'umanità »234, perché si è posto dalla parte dei peccatori in quel tipo di tentazione che investe tutti i « figli » e che ha in­ vestito anche lui, il Figlio. Si tratta de « il peccato che ci assedia » ( 1 2, 1 ; cfr. 5,2.7 8) ed espone al rischio di allontanarsi da Dio, di rinunziare alla sua alleanza235• È il combattimento della fede, per la fede. È stato anche il suo combattimento, con­ dotto vittoriosamente nella fedeltà. -

2 30 A partire dal v. 5 si ha l 'uso dell 'aoristo, dal valore informativo. Che l 'uso del presente in 5, 1 -4 attesti un culto in atto in un tempio di Gerusalemme non ancora distrutto, con risvolto decisi­ vo sulla datazione di Ebrei prima del 70, è tesi autorevolmente sostenuta (A. Vanhoye, Hebriierbrief, in TRE ( 1 985) 1 4,497), ma poco condivisa. 2 3 1 A. Oepke, kathistemi, in GLNT ( 1 968) 4, 1 335, rileva che, accanto a delegare, designare e costituire, anche insediare è già attestato nella classicità. Quest'ultimo senso va qui preferito. 2 3 2 Il binomio lambanomenos (v. l ) - kaloumenos (v. 4) e la loro forma al participio mediopas­ sivo suggeriscono il senso di « preso, assunto » (in ebraico, laqal)) , non certo materialmente, bensì metaforicamente, cioè scelto e chiamato a un ministero, avendo aderito a quella chiamata. Cfr. G. Delling, /ambano, in GLNT ( 1 970) 6,22, a proposito della forma verbale qua talis. 2 33 Filone di Alessandria (De Abrahamo 257) conosce l 'uso di metriopathein con il senso di « sentire una cum aliis », di condo/ere (Vulgata), frutto del lavoro della ragione moderatrice dei sen­ timenti. 2 34 Così felicemente C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. 1/: Commentaire, p. 1 05. 2 3 5 L'alleanza era regolata da due codici, l 'uno di alleanza (Es 1 9, l - 20,2 1 + 21 ,22-23 .33), ap­ punto, e l 'altro di santità (Lv 1 7-26).

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Parte seconda. Traduzione e commento

Sotto l 'aspetto redazionale, la formula « preso fra gli uommt » (ex anthropon), cioè chiamato, è intenzionale; il passivo « costituito a vantaggio de­ gli uomini » (hyper anthropon) preannunzia che la scelta sacerdotale non appar­ tiene all ' interessato (v. 4); visti insieme, i due momenti spiegano in primis che quella sua solidarietà con Dio e con i suoi fratelli continua a qualificare la sua un­ zione-investitura sacerdotale (Es 29,7). Essa non è fittizia, ma operativa e per­ manente, parte integrante del suo ministero. « Essere costituito » (kathistatai) de­ pone anche per l ' insediamento nel ministero sacerdotale236, come più oltre tornerà a essere precisato (7,28; 8,3). Quasi a dire, essere solidale, compatire, espiare, è esigenza del profilo ministeriale del nuovo sommo sacerdote, come già di quello aronide. Con pros ton theon l 'autore si ricollega a Eb 2, 1 7 : il sommo sacerdote è oc­ cupato in ciò che riguarda Dio. Di ordine cultuale e sacerdotale (cfr. Es 4, 1 6; 1 8, 1 9; Dt 3 1 ,27), la formula contribuisce a precisare il ministero del sacerdote in­ teso a curare la situazione umana, da presentare a Dio secondo il desiderio-pro­ getto di quest'ultimo. Il latino pontifex (Vulgata) ritrae l 'opera del sacerdote qua­ le coordinatore e costruttore di ponti, tra l 'umanità e Dio, si intende. Hina (« per, affinché ») ha valore finale e introduce la più specifica azione cultuale del sommo sacerdote, quella che gli è del tutto propria e da sempre: « Offrire doni e sacrifici per i peccati », lui, l ' archiereus, il primo del tempio e nel tempio, stando all ' etimo237• Lo stesso verbo prospherein è usato da Ebrei con quel senso offertoriale-sacrificale che gli è proprio. Le frequenze poi sono così numerose che, in proporzione con il resto del NT, sorprendono non poco: in un insieme di 47 ricorrenze (nei sinottici e in Atti degli apostoli, e non nel resto del NT ! ), ben 20 sono in Ebrei. E ci si deve collegare con 9,28, dove l 'autore pre­ senta il Cristo come colui che « si è offerto una volta per tutte, allo scopo di to­ gliere i peccati di molti », per tornare a usare la voce verbale in questione: « Dopo essersi offerto una volta per sempre » (hapax prosenechtheis) . Quali doni e quali sacrifici? I primi (dora) sono l e offerte incruente, che esprimono ringraziamento, una venerazione cultuale, espressione di dipendenza desiderata e voluta. È l 'offerta (minl)ti) cultuale di cui in Gn 4,3-5; Lv 2, 1 ; 6, 1 6; Nm 28,26, e si tratta per lo più di beni di consumo, quelli ad esempio offerti per il giorno dell 'ordinazione dei leviti, come previsto in Lv 6, 1 2- 1 6. Quanto ai sa­ crifici (thysiai), invece, essi sono offerte cruente immolate sul fuoco (in ebraico, zebal)) : capre, pecore, vitelli, allo scopo anche di creare comunità238• Questi sa­ crifici cruenti erano offerti quotidianamente dai sacerdoti all ' ingresso della ten23 6 Nel ministero-ufficio di hegoumenos tou laou ( l Mac 3,55) o di presbyteros (Tt l ,5). Su kathistemi, cfr. ancora A. Oepke, GLNT ( 1 968) 4, 1 335-34 1 ; J. Conrad, manah, in TWAT 4,979. Giustino (Dialogus cum Tryphone Judaeo 52,3) usa lo stesso verbo per dire l ' insediamento dei re (basileis) . 23 7 L'offerta di doni e sacrifici come azione propria del sacerdote è attestata nella letteratura giudaico-ellenistica (Aristea, Filone di Alessandria, G. Flavio e il Testamento dei dodici patriarchi; cfr. dati in H. Braun, An die Hebriier, pp. 1 3 1 - 1 32). 2 3 8 La singolare e condivisibile sottolineatura è di E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. l, pp. 272-273 .

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da, di fronte al Signore (Es 29,3 8-42; Nm 28,3-6), quale sacrificio perenne. Dal momento che la versione dei LXX traduce con doron sia il sacrificio incruento (minl)a, almeno 30 volte) sia il cruento (zebal), ca. 1 30 volte), cade la possibilità di capire quale sia qui . l 'orientamento di Ebrei, se cioè l 'autore stia pensando esattamente a questi due tipi di sacrifici. Un dato è però certo: con la sua duplice formulazione, egli non distingue sacrifici cruenti (animali immolati) da sacrifici incruenti (cibi e bevande), ma si riporta ali 'economia sacrificale in generale, e punta sul fine della medesima che gli sta davvero a cuore: hyper hamartion, l 'e­ spiazione-cancellazione dei peccati (cfr. ancora Eb 7,27; 1 0, 1 2; l Cor 1 5,3) o pe­ ri hamartiOn (come detto poco più avanti in 5,3; e ancora in 1 0, 1 8 e 1 3 , 1 1 ). Si tratta sempre della cancellazione delle infedeltà al Dio dell 'alleanza, di quella purificazione, di cui programmaticamente Eb l ,3 aveva dato il preannunzio, pen­ sando già allo Jom KippDr cristiano, al venerdì santo, al giorno in cui lui ratifica da sommo sacerdote unico ed eterno, una volta per sempre, la riconciliazione uni­ versale e singola di ogni creatura umana: di tutto, di tutti, di ognuno ( 1 0, 1 4). Qui 5, l c non ne parla ancora; in 5,9 vi si avvicina. Nell ' insieme, non va escluso che l 'autore vi alluda quasi preascoltando se stesso in quel kath 'hemeran di 7,27, in cui porrà a confronto la gravosa necessità del sacrificio quotidiano della prima al­ leanza con quello unico e definitivo della nuova alleanza. Il ridimensionamento del sacerdozio levitico a qualità solo terrestre, che è la sua specificità (diversità), comincia già qui e attende adeguato sviluppo, attraverso la dinamica del con­ fronto al quale l 'autore è al momento interessato, verso la superiorità qualitativa, unica e irripetibile. [ vv. 2-3] Idealmente, il sommo sacerdote deve offrire sacrifici per quelli che sono nell ' ignoranza e nell 'errore (v. 2); motivazione del tutto nuova, non soste­ nuta da riferimenti anticotestamentari. Si può trattare di coloro che commettono colpe involontarie, a motivo della loro ignoranza (agnooùsin) e di coloro le cui trasgressioni sono dovute al loro smarrimento (planomenois). A motivo della en­ diadi, tuttavia, si può trattare anche dello stesso gruppo di persone. Il sommo sa­ cerdote dovrà avvertire sulla propria pelle « una giusta compassione », cioè ra­ gionevole e misurata (metriopathein dynamenosj239, per gli erranti. Allo scopo è infatti egli stesso « ben ferrato », essendo anch'egli « avvolto di debolezza » (epei kai, v. 2) ed esposto al rischio della trasgressione (v. 3). Offre dunque sacrifici di riconciliazione per il popolo, ma anche per sé (Lv 1 6,6). L' istituzione !evitica del Primo Testamento, però, non conosce un'azione sacerdotale ispirata alla com­ passione. Il v. 2 si muove così in una direzione nuova. L'argomentazione autore­ vole ha lo scopo di persuadere. Egli stesso ebreo, ma cristiano, racconta la pro­ pria esperienza del Dio di Israele. Questi, oggi, si fa attento alla realtà umana in Gesù il Figlio, in lui che si fa carico delle nostre prove, fino a subire la tentazio­ ne di respingere il progetto di Dio. Ma non cede; in lui, il Padre prende atto del239 È un suggerimento di Filone di Alessandria, De A brahamo 44,457. L'Alessandrino elogia la ragione, vera partner di ogni persona. Essa è in grado di calibrare il gioco dei sentimenti, sì che non eccedano in tristezza né siano smodati nella gioia, ma ognuno sia in grado di sentire con gli altri di es­ sere come « uno » con essi (« patire con, compatire »). Analoga posizione in De Abrahamo 257.

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la paura, dell 'angoscia, delle grida e lacrime (5, 7)240, di lui (il Figlio), di noi (suo popolo pellegrinante). Più che un' immediata azione concreta, sympathein indica una disposizione permanente di spirito, capace, certo, anche di azioni concrete. Ma è necessario in primis saper comprendere le « infermità » (astheneiai). Egli, uomo, le ha conosciute in tutta la loro estensione, anche come risultato della no­ stra colpa, ma personalmente ne è restato del tutto scevro (chOris hamartias) . Quella sua comprensione, poi, non è permissiva, non attenua né scusa tutto, ma tutto comprende e di tutto si fa carico, anche delle colpe che ci sfuggono; cono­ sce infatti e a perfezione la gravità della situazione in cui i suoi si dibattono241 • Già in base ai soli vv. 1 -2 sul sacerdozio alla maniera di Aronne, i l confronto con il sacerdozio alla maniera di Melchisedek (5,6) si annunzia serrato. Ancora dipendente dalla preposizione epei rafforzata da kai del v. 2b, con il sen­ so causale « dal momento che )) il v. 3 è aperto da un kai dia (« proprio a causa di )) ) e torna a sottolineare l 'azione sacerdotale nella sua qualità di habitus: proprio a causa della sua personale debolezza, « ogni sommo sacerdote )) (v. l ) avverte quella sua funzione come necessità morale ineliminabile (cfr. Eb 2, 1 7; 5, 1 2) - è il senso di opheilei - di « offrire doni e sacrifici )) per i peccati del popolo, ma ancora per i pro­ pri. La correlazione: « come per il popolo (kathos peri tou laou) . . . così anche per se stesso . . . (houtos kai peri heautou) )) (e in essa il rafforzamento ottenuto con « anche per (kai peri) )) ) è carica di enfasi e permette di individuare quale sia al momento la priorità nella mente dell 'autore: la debolezza del sommo sacerdote aronide. È questa l 'affermazione centrale al v. 3. E se nel vocabolario cultuale « deve . . . offrire per i peccati )) (opheilei. . . prospherein peri hamartion) si ascolta l 'eco della norma }eviti­ ca che chiede ai sacerdoti di offrire sacrifici di riconciliazione per i propri peccati (Lv 4,3- 12; cfr. 9,7; 1 6,6. 1 5), si intravede anche come l 'autore cominci a distinguere be­ ne tra i sacerdoti ordinari, esposti alla tentazione e soggetti alla trasgressione (è il sen­ so di astheneia), e Gesù, il quale ha conosciuto la tentazione, ma senza cederle (4, 1 5). Con questa prospettiva, resta del tutto escluso che Ebrei possa aver pensato al sommo sacerdote aronide in termini di mediazione redentiva. Volerlo anche solo supporre, significa comprendere in modo del tutto errato la teologia della riconcilia­ zione nel sacerdozio aronide come presentata da Ebrei. Decisiva, nella questione, è proprio la formula enfatica: « Così anche per se stesso )) (outos kai peri heautou), nel­ la quale poi il pronome personale heautou è ulteriormente decisivo. [v. 4] La seconda caratteristica del sacerdozio aronide è la chiamata di Dio (ka/oumenos). Questo fatto enfatizzato in Es 28, 1 - 29, 1 .7.30 e in Lv 8, 1 9 si adat­ ta, in verità, con non poca difficoltà ai sommi sacerdoti giudaici dal secolo II a.C. fino al I d.C., periodo in cui la loro funzione è massimamente politicizzata e per­ ciò stesso contestata242• Tuttavia, Ebrei resta sul terreno dell ' ideale e indirizza le sue riflessioni epidittico-esortatorie al ministero sacerdotale visto nella sua idea­ lità, rivestito di onore e dignità. 240 Segnalo il buon lavoro di J. Tetley, The Priesthood of Christ in Hebrews, in AEJTM 5 ( 1 988) 1 95-206, su Eb 5, 1 - 1 0. 24 1 Cfr. W. Michaelis, sympatheo, in GLNT ( 1 974) 9, 1 080. 242 Cfr. A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 80.

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« Onore » (time) esprime, già nella classicità, la dignità propria di chi è in po­ sizione elevata243; di chi ha potere (time e archai)244; di chi ha autorità: le divi­ nità245, i re246, per restare solo ad alcune testimonianze247. Che l 'onore (time), con tutte le dignità possibili che gli si potrebbero accompagnare, appartenga solo a Dio-JHWH, è secondo la tradizione biblica così scontato che essa non ne registra attestato alcuno. Egli, Dio, è poi il solo che può dare onore e dignità (time) anche all 'uomo. Su questo retrofondo si muove il v. 4: all 'onore del sommo sacerdozio può accedere solo chi è chiamato da Dio, perché egli è il solo che può dare quel­ l ' onore-dignità. Comparando il sommo sacerdozio di Gesù con quello di Aronne, Ebrei mette a fuoco l ' unzione a sommo sacerdote (vv. 5-6) con l 'ausilio dei Sal 2,7b e l 09,4 per poi descriverne l 'opera specifica ai vv. 7 - l O. Quella sua unzione è ele­ vazione alla dignità sacerdotale, è incoronazione con « gloria e onore » (doxa kai time, cfr. Eb 2,7; Sal 8,6), è insediamento-investitura del sommo sacerdote cele­ ste nel tempio celeste. Questo « condizionamento » di tipo cristologico non im­ pedisce di vedere un riferimento concreto alla storia del sommo sacerdote terre­ no giudaico, con il quale l ' autore pone a confronto Gesù, sommo sacerdote innanzi tutto terreno, fino alla sua celebrazione (del tutto nuova, unica, impeti­ bile), offerta una volta per sempre, sulla croce. Il raccordo di Eb 5,4 (Dio chia­ ma al sacerdozio aronide) con 5,5-6 a motivo del Sal 2,7 (Dio chiama il Figlio, cioè lo genera come tale) e del Sal 1 09,4 (Dio chiama il Figlio al sommo sacer­ dozio secondo Melchisedek), e la risposta del Figlio in 5,7-9a (nella perfezione della croce) costituiscono il solido fondamento gesuologico (vicenda storica del Gesù terreno) al « condizionamento cristologico >> summenzionato. Ne è ulterio­ re riprova la sottomissione di Gesù alla normativa canonica stilata su Es 28, l ; 29, l . 7, ma legata anche a una vicenda storica, alla rivolta di Core, il quale pre­ tendeva di arrogarsi i diritti sacerdotali (Nm 1 6). Ebbene, in casi come questo, entra in opera il giudizio di Dio. Questi « farà avvicinare a sé solo colui che egli avrà scelto >> (Nm 1 6,5). Anche Gesù, per quanto Figlio, è sommo sacerdote so­ lo perché chiamato a tanta dignità da Dio. L'antitesi ou . . . alla (« non . . . ma >>) non fa che accompagnare con enfasi la disponibilità del Figlio alla chiamata di Dio (hypo tou theou) . Come a dire: alla regolarità della chiamata di Dio al sa­ cerdozio aronide si pone a confronto la regolarità della nuova chiamata di Dio a favore del Figlio a un sommo sacerdozio non aronide, del tutto nuovo, al modo di Melchisedek. Solo chi è chiamato da Dio (e la chiamata [klesis] è un atto del­ la sua sovranità, l Cor l ,26-27; 2Pt l , l 0), al modo di Aronne ieri, oggi alla ma­ niera di Melchisedek, può accedere in tutta « canonicità >> alla dignità del sommo sacerdozio. Si noti una volta ancora la trilogia già altrove indicata: confronto, di243 Così Senofonte, Cyropaedia 8,3,9 (Ciropedia, [F. Ferrari, ed.], Rizzoli, Milano 1 995). 244 Cfr. Platone, Repubblica 8,549c ([P. Shorey, ed. ], [LCL], Harvard University Press, Cambridge-London 1 963). 245 Si veda Omero, Odissea 5,335; Iliade 9,498; 1 5 , 1 89. 246 Si legga Omero, Iliade 1 ,278; 2, 1 97; 6, 1 93 . 247 Per altri dati e per il senso d i time, cfr. H . G . Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon, pp. 1 793- 1 794.

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versità, superiorità qualitativa, quale tentativo di chiarire meglio la interrelazione tra tipo e antitipo. E si noti lo stile dell 'autore che già in 5, 1 -4 offre anticipi su quanto sta per dire in 5,5-8. [ vv. 5-6] Unzione di Cristo a sommo sacerdote non aronide (I stadio). L'argomentazione comincia al v. 5 : « Cristo non attribuì a se stesso la gloria di di­ ventare sommo sacerdote ». Ben riuscito il velato riferimento critico a carico del comportamento interessato dei sommi sacerdoti del tempo che giungevano, per ambizione, fino a comprare tale alto ufficio248. Citando il Sal 2, 7 l 'autore dice che è Dio stesso a conferire la dignità sacerdotale a Gesù (il Sal 2, 7b ricorre già in Eh l ,5 a riprova che Gesù è (il) Figlio di Dio, come ancora in Mc l , 1 1 e in At 1 3 ,33). Il sommo sacerdozio fa parte del ruolo ministeriale di Gesù « Figlio >>. Ma si noti che, ispirandosi al Sal 2,7, l 'autore esorta ad ascoltare la voce del­ l 'unto di JHWH: Gesù, Figlio di Dio, sommo sacerdote (Eh 5,5-6), re. Dal giorno della sua generazione a Figlio (5,5b) e della sua intronizzazione a re (Sal 2,6) e sommo sacerdote (5,6b; Sal 1 09,4), Gesù possiede la sapienza del Signore: la tora custodita dai sacerdoti (Dt 1 7,28). Egli è ora sommo sacerdote, depositario e an­ nunciatore della legge-sapienza di Dio. Anche il Sal l ,2 esorta a meditare giorno e notte la legge del Signore. Ognuno che di essa si nutre (Sal l ,2) diventa egli stesso figlio di Dio. Grazie a Dt 1 7, 1 8, i Sal 1 -2 sono ben connessi tra loro e fan­ no da sfondo a Eh 5,5-6249. Si osservi un orientamento del dibattito esegetico sul Sal 2 : più che messia­ nico e regale, esso è un vero grido di provocazione da parte di Dio nei confronti dei nemici del suo unto. Sostenendolo quale re sovrano (Sal 2,6) e « Figlio oggi generato » (Sal 2, 7b ), Dio-JHWH ne sfida gli oppositori. Dunque genere letterario della sfida e della provocazione250, perciò non messianico25 1 né regale252. Ma le tradizioni giudaica e cristiana considerano il Sal 2 messianico e regale, come pu­ re il Sal 1 09, da cui il primo potrebbe dipendere. Allo stesso modo la pensa Ebrei253. Il grido di provocazione del Sal 2 sta proprio nel profilo del re (di Giuda, Sal 2,6), messia (Sal 2,8-9, sottomissione universale): il Figlio oggi generato da Dio (Sal 2, 7) e da lui sostenuto. Per Ebrei, quel re messia e Figlio è « Cristo som248 Così infonna G. Flavio (Antichità giudaiche 1 5 ,2,4; 20,9,2). In Antichità giudaiche 20, l O e in Guerra giudaica 4, 1 53 - 1 54 lo storico Giuseppe Flavio parla di mercanteggio e sorteggio del som­ mo sacerdozio, una fonna di appropriazione indebita. Ne potrebbe risentire Eb 5,4: « Nessuno può attribuire a se stesso questo onore (lambenein autQ ten timen) ». Lo esclude tuttavia E. Griisser (An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. l, p. 228, nota 1 2 1 ) quando richiama l 'attenzione sulla dignità sacerdo­ tale (timen) , alla quale Eb 4, 1 5 prevede si possa accedere solo in tutta umiltà e fedeltà. Questa sa­ rebbe la vera intentio principalis de li 'autore. In verità, si tratta di due aspetti diversi della questione. 249 Mi è parso l 'orientamento anche di P.D. Miller, The Beginning of the Psa/ter: Psa/ms 1-2, in J. Clinton McCann (ed.), The Shape and Shaping ofthe Psalter, pp. 83-92. 25° Così T.J. Willis, A Cry of Defiance. Psalm 2, in JSOT ( 1 990) 44-45. 2 5 1 Cfr. lbid. 36-37. 2 5 2 Cfr. lbid. 33.36. 2 53 Sia il Sal 2,7 sia il Sal 1 09,4 sono citati da Ebrei in fonna diretta e secondo la versione gre­ ca dei LXX. Essi descrivono la figura di Gesù sacerdote, nel modo in cui lo era Melchisedek, re e sa­ cerdote. L'autore ravvede nei due salmi, come già in Eb l , 1 3 , in cui riporta il Sal l 09, l , l 'adempier­ si di una promessa messianica nella persona di Cristo, sulla linea del tipo-antitipo. Così F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 1 1 6- 1 1 7. Forse, meglio: confronto, diversità, superiorità.

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mo sacerdote » (Eb 5,5-6). In conclusione, il Sal 2 è messianico e regale, redatto nello stile della sfida e della provocazione. Il Sal 2 presenta un ruolo analogo nell ' AT e nel NT, attraverso la mediazio­ ne dell 'Antico Vicino Oriente. Retrofondo storico: non realizzato nel tempo del­ la monarchia terrestre (dal re Saul, negli anni l 030- 1 O l O a.C., al re Ciro, anno 54 1 a.C.), il regno politico esprime l 'urgenza del regno messianico futuro, esca­ tologico, finale nella parusia. Se nell 'Antico Vicino Oriente il re è di origine di­ vina, in Israele egli è semplice uomo, anche se rivestito di sacralità in forza della sacra unzione regale; quale figlio adottivo di Dio, in lui è atteso il messia. Nel NT Gesù Cristo è di origine divina: egli è il re messia. Il tracciato parabolico dali ' AT al NT è quello di un valore escatologico che si rende visibile nella storia. Così, mentre l ' AT descrive l 'attesa del re messia, il NT la sua venuta e la sua presen­ za. Per il Primo Testamento, il re è figlio adottivo di Dio; per Ebrei, Cristo va in­ teso come Figlio vero di Dio. In lui le attese messianiche si sono adempiute (non ancora compiute); in lui il logos di Dio è rivelato, in lui che è profeta, re, servo sofferente, sacerdote; in lui, Mosè, Davide, Elia. Una evoluzione nella continuità: dali ' AT al NT. Il Sal 2 è l 'unico in grado di offrire questa combinazione: Gesù non sostituisce il Davide terreno nel regno terreno né realizza il regno terreno; Davide stesso postula un qualcosa oltre il terreno. Regno di Dio e regno terrestre sono chiamati a convergere, fino a identificarsi. Quando? Interrogativo aperto. O, meglio, in occasione della parusia, quando il re messia Figlio di Dio realizzerà il compimento in una vittoria finale che gli permetterà di riconsegnare al Padre il regno attuato in forza del suo progetto. Nel riferirsi al Sal 2, Ebrei unisce felice­ mente il re messia, Figlio di Dio adottivo, con Gesù, il re messia, Figlio vero e unico di Dio: paradosso di Dio254• Le promesse contenute nel Sal 2, di epoca preesilica, non si sono realizzate. Nasce e si sviluppa così una rilettura storico-escatologica già nel NP55, in cui per Ebrei la lettura del Sal 2 è messianico-cristologica256• Con l 'ausilio del Sal l 09 ,4, Ebrei presenta Gesù ordinato sacerdote da Dio, ma non nella linea aronide (Eb 5,6). L'autore si prepara per la grande esposizio­ ne al cap. 7, ma intanto si accosta al tema e in forma assertiva: « Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek », superiore ed eterno. Ma Gesù è della stir­ pe di Giuda, non sacerdotale. Se il Sal l 09,4b è riferito a Gesù da parte della tra­ dizione protocristiana, che vi scorge il salmo guida in direzione messianica ge­ suologico-cristologica, lo è da parte anche dell 'autore257, per il quale è scontato 2 54 Si veda, utilmente, W.J. Watts, Psalm 2 in the Context of Biblica/ Theology, in HBT 1 2 ( 1 990) 84-86. S i esprime bene sui salmi regali, ivi compresi i Sal 2 e 1 1 O , i l documento della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pp. 72-73 . 2 55 Che Eb 5,5 avvalendosi del Sal 2, 7 pensi al battesimo di Gesù come al momento della sua unzione sacerdotale nella sua qualità di Figlio, è parere, sembra, del tutto abbandonato. Cfr. già H. Braun, Qumran und das Neue Testament, vol. l, p. 253. 2 56 Dati in E. Bons, Psaume 2: Bi/an de recherche et essai de réinterpretation, in RSR 69 ( 1 995) 1 47- 1 7 1 . Cfr. ancora W.J. Watts, Psalm 2 in the Context of Biblical Theology, in HB T 1 2 ( 1 990) 73-9 1 . 2 57 Appurata la intentio auctoris del redattore preesilico del Sal 2, va appurata anche quella di Ebrei che se ne avvale in senso messianico, regale e sacerdotale. Le due intentiones potrebbero di-

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vedere in Gesù il Cristo il sommo sacerdote in una maniera diversa, quella di Melchisedek. Anche quest'ultimo non è di discendenza levitica. Il silenzio di Go 1 4 su di lui non aiuta a capirne di più. Una cosa diventa però chiara: Dio stesso rompe le proprie regole storiche; entrambi, Melchisedek e Gesù, non rientrano nella legittima genealogia sacerdotale aronitica. Dio manifesta così il progetto di cambiare il volto del sacerdozio: non più nella tradizione levitica, ma nella rive­ lazione di e in Gesù. In lui, sommo sacerdote, è presente la nuova alleanza. Essa non ha bisogno di sacrifici animali. Infatti, altra novità in assoluto, egli stesso è vittima, consistente ridefinizione del sacrificio, oltre che del sacerdozio, in base alla liturgia dello Jom Kippùr 2ss . Cinque indicazioni provenienti dal Sal 1 09,3b-4 meritano ora attenzione. Esse si muovono secondo lo schema: « progressione-regressione-progressione », già rilevato in Eb l , 1 -4 e l ,5- 1 4 : l ) progressione: Dio-JHWH i n persona interviene per elevare i l re alla sua de­ stra, fase definitiva della sua intronizzazione (Eb 1 ,3 . 1 3 ; 8, 1 ; 1 0, 1 2; buona rice­ zione NT); 2) regressione: quell ' intronizzazione ha avuto già inizio nel tempo, quando quel re è stato generato come Figlio e introdotto nel mondo (intronizzazione-in­ camazione; Sal l 09,3b: « Dal seno dell 'aurora, come rugiada, io ti ho generato » Sal 2, 7; ricezione in Eb l ,5a.6; nessun'altra ricezione nel NT)259; 3) progressione: quel re intronizzato è ora unto sommo sacerdote, secondo un ordinamento del tutto nuovo, quello di Melchisedek (Eb 5 , 6 . 1 O; 6,20; 7,3 . 1 1 . 1 5 . 1 7 .2 1 ; ricezione in NT solo in Rm 1 1 ,29 come allusione al Sal l 09,4 ); 4) regressione: tale unzione diventerà visibile in occasione dell ' intronizza­ zione sulla croce, fuori dalla porta della città (Eb 1 3 , 1 2); 5) progressione: in forza della sua azione sacerdotale regale, Dio-JHWH gli sottomette i nemici e lo rende giudice del mondo (Eb 1 , 1 3 ; 1 0, 1 3 ; At 2,3 5 ; l Cor 1 5,25). La formula « sedere alla destra » mostra l 'attenzione di Ebrei a un protocri­ stianesimo collegato con il giudaismo antico, al quale fa compiere un salto in =

vergere, ma non per questo si escludono. Entrambe sono vere nelle rispettive selezioni prospetti che. È dunque da ridimensionare « l 'esegesi storico-critica (che) ha avuto troppo spesso la tendenza a li­ mitare il senso dei testi, collegandolo a precise circostanze storiche. Essa deve piuttosto cercare di precisare la direzione di pensiero espressa nel testo, direzione che, invece di invitare l ' esegeta a li­ mitare il senso, gli suggerisce, al contrario, di percepime i prolungamenti più o meno prevedi bili » (Pontificia Commissione Biblica, L'Interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pp. 72-73). È una questione di ermeneutica. Devo tuttavia rilevare che, se per il Sal l 09 i termini del problema sem­ brano assodati da parte dell 'esegesi, non lo sono altrettanto per i salmi regali nel loro insieme, il cui valore messianico-escatologico, dato da sempre quasi per scontato, è ancora oggetto di discussione. Si vedano Th. Booij , Psalm CX: (( Rule in the midst ofyour foes » , in VT 4 1 ( 1 99 1 ) 396-407 e M. Gorg, (( Thronen zur Rechten Gottes )). Zur altiigyptischen Wurzel einer Bekenntnisformel, in BN 8 1 ( 1 996) 72-8 1 . 258 Si veda, utilmente, J. Tetley, The Priesthood ofChrist in Hebrews, in AEITM 5 ( 1 988) 1 95-206. 2 59 Il richiamo a Eb 1 ,5-6 (= Sal 2,7) e la posizione ivi da me assunta sulla introduzione del pri­ mogenito nel mondo nel senso della incarnazione rendono difficile poter scorgere qui la promessa al­ l ' intronizzato di una nascita celeste (eine himmlische Geburt), come suggerito da E. Grlisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, p. 289. Non si tratta dell ' ingresso del sommo sacerdote nel tempio celeste.

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avanti. Essa, infatti, è detta ben volentieri del giusto e pio orante, il cui cuore è ri­ volto a destra (Sir l 0,2), in direzione della tòra, la quale è alla destra di Dio (Dt 33,2); è detta di Abramo accolto da Dio e collocato alla sua destra (b.Sanhedrin l 08b ); di Davide, assiso alla destra della sekfna, secondo il Sal I l O( l 09), l (in Seder Elijjahu rabba 1 8 [90]). È detta anche del re-messia, in forza del suo aspet­ to topografico che ci riporta al suo senso originario regale e messianico: il trono del re, infatti, nella sala del trono, si collegava al tempio nella parte meridionale, sì che il re sedeva in trono alla destra di JHWH260• In epoca protocristiana, però, l ' interpretazione messianica venne esclusa, onde impedire ai cristiani di appellar­ si alla Scrittura, a favore di Gesù Cristo messia. Solo intorno al 250 (R. Chama) si torna a rileggerla in Midrash dei Salmi 1 8,29 (79a): « In futuro Dio farà sedere il re, il Messia, alla sua destra », con esplicito riferimento al Sal 1 1 0( 1 09), 1 261• Nonostante le precauzioni del giudaismo antico, « sedere alla destra di Dio )) resta per il NT il modo migliore di definire il profilo di Gesù, re messia (Mt 26,64 e par. ; At 5 ,3 1 ; 7 ,55; Rm 8,34; Ef l ,20; l Pt 3,22). Questa lettura risente della nar­ razione originaria del salmo che riferi sce l ' intronizzazione del re di Ge­ rusalemme a « sacerdote per sempre », in cui il senso cronologico cede il passo alla qualità della posizione regale-sacerdotale: solidità, definitività, immutabilità. È il senso di eis ton aii5na cui retrostà l 'ebraico te '6lam262• E che il re sia al tem­ po stesso sacerdote, è chiaro nell ' AT quando descrive l 'operato sacerdotale di Davide (2Sam 6, 1 3 . 1 8 ; I Re 8, 1 4.55). Anche la menzione di Melchisedek risente di una ridotta tradizione anticotestamentaria (Sal I l O [ l 09],4 e Gn 1 4, 1 8-24), che risale a ricordi storici legati alla conquista del regno gebuseo in Gerusalemme da parte dei cananei263• Ne sarebbe buona riprova il nome cananeo di malki-sedeq. Gesù il Cristo, re, messia e giudice, trova riscontro in quella misteriosa figura messianico-regale, paragonata ali 'arcangelo Michele, messia in funzione giudi­ ziale, di cui appunto si legge in l JQMelch . [5,7] Unto da Dio a sacerdote per sempre (vv. 5-6), il Figlio lo diventa per tutti nella vicenda della croce (Eb 5 , 7-8). Il passo evoca Le 24, 1 9-2 1 . Quest'ultimo, però, essendo un racconto, è condotto con distacco ed è intonato alla disperazione e ad altri momenti di insicurezza. In 5, 7 invece abbiamo la pre­ ghiera di Gesù e la sua meditazione su quanto gli si va profilando innanzi: il vol­ to della passione. Ordinato da Dio stesso sommo sacerdote (Eb 5,5b-6; Sal 1 09,4), Gesù è compassionevole (eleemi5n, Eb 2, 1 7) e opera la nostra salvezza, disponendosi a celebrare il sacrificio a Dio gradito. Qui l 'autore si pone in sinto­ nia con la tradizione evangelica. Egli non narra un singolo episodio della passio­ ne ma, attraverso questi richiami, la ripropone nell ' insieme. L'unica esperienza terrena di Gesù che adeguatamente risponde alla dram­ matica descrizione del v. 7 è descritta da Mc 1 4,33 al Getsemani: « . . . Cominciò 260 Così G. von Rad, riportato in W. Grundmann, dexios, in GLNT ( 1 966) 2,838, nota 9. 26 1 Si veda KNTTM.SB, vol. I, p. 836; cfr. W. Grundmann, dexios, in GLNT ( 1 966) 2,840-842. 262 Risultato raggiunto già da E. Jenni, Das Wort 'òlam im AT, in ZAW 64 ( 1 952) 237. 263 Va qui precisato che i re israelitici non sono sacerdoti in senso pieno, come i re dell'Antico Vicino Oriente, ma espletano solo qualche funzione sacerdotale e solo nell 'epoca più antica accen­ nata sopra (cfr. Logos, vol. l, LCD, Torino-Leumann 1 994, pp. 2 1 2-2 1 3).

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ad avere paura e angoscia ». Eb 5,7 aggiunge: « . . . con forti grida e lacrime », di cui non si ha parola nei vangeli; annotazioni che contribuiscono a descrivere le reazioni umane del Gesù di Nazareth. Preziose indicazioni gesuologiche264: « Egli pianse come uomo, per poterti liberare dalle tue lacrime; ebbe angoscia e permise che la sua carne soffrisse, perché noi divenissimo coraggiosi; . . . fu de­ bole nella sua natura umana, perché fossimo liberati dalla nostra debolezza; offrì preghiere e suppliche al Padre, per renderlo attento nell 'ascolto delle tue richie­ ste >>265• In breve, dal primo momento del suo ingresso nel mondo, quando assun­ se la situazione di servo (Fil 2,7), e da sommo sacerdote in carne mortale egli co­ minciò a pagare il prezzo della liberazione per la nostra redenzione266• Il riferimento a « preghiere e suppliche » ha un riscontro in Mc 1 4, 3 6 : « Padre, allontana da m e questo calice ». Liberazione dalla morte i n croce, ormai sempre più chiara e imminente? In questo caso, Gesù si sarebbe sottratto al com­ pimento del progetto del Padre. La sua preghiera va molto più nella direzione del compimento di quel progetto: « Tuttavia si compia non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi », annota Mc 1 4,36b. Dunque, egli resta fedele (obbediente) a quel progetto, e la sua preghiera è ascoltata, proprio per la sua fedeltà (pistos, 2, 1 7). Una preghiera ascoltata è quella in cui Dio risponde positivamente (cfr. Le 1 , 1 3): Gesù è liberato dalla paura della morte, che affronta decisamente, e anche dalla morte stessa, annullata nella sua esaltazione-risurrezione. Ma osserviamo il v. 7 più al dettaglio, in comparazione con i racconti sinottici della passione267• [v. 7a] La traduzione letterale: « della sua carne » ha come primo riferimento la vita terrena di Gesù di Nazareth nel suo insieme, dunque gli anni di vita pubbli­ ca. Alcune possibili circostanze di riferimento: la delusione a motivo di Pietro e del suo rinnegamento (« Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte », Mc 1 4,30); Gesù grida e piange nel Getsemani e in croce, quando rende la vita (Mc 1 5,34.37); prima ancora, alla tomba di Lazzaro, si commuove nel profondo ( 1 1 ,33), è turbato (v. 34), scoppia in pianto (v. 35), freme nello spirito e grida a gran voce (Gv 1 1 ,35a); di fronte a usi impropri del tempio, grida e si adira (Gv 2, 1 5 - 1 6); contrasti con gli esponenti della legge (Mt 5,2 1 -48); delusione a motivo dei suoi (« Volete andarvene anche voi? », Gv 6,67; « Non potevate almeno un'ora vegliare con me? », Mt 26,40). Tutto questo, « nei giorni della sua carne »: l 'espressione può es­ sere intesa come un plurale di categoria ( « In uno dei giorni della sua vita terrena »), con riferimento al giorno o ai giorni specifici del Getsemani. Fa da supporto a que­ sta possibile lettura la menzione esplicita della sarx (carne), che rinforza da un lato l 'attenzione al Gesù terreno e alla sua umanità (sangue e carne, sarx, 2, 1 4) e dal­ l 'altro focalizza il momento della sua passione (sangue e carne, l O, 1 9-20). « Carne » esprime debolezza (la carne è debole, Mc 14,38), fragilità, bisogno di aiu264 Ne fa argomento basilare per il ricupero della historic humanity ofJesus, non certo come brutumfactum, ma come fondamento alla riflessione cristologica, D.L. Mealand, The Christology of the Epistle to the Hebrews, in Modern Churchman 22 ( 1 979) 1 80- 1 87, qui 1 8 1 . 265 Così Cirillo di Alessandria, Apologeticus contra Theodoretum, in PG 76,44 1 . 266 Cfr. D.F. Kelly, Prayer and Union with Christ, in SBET 8 ( 1 990) 1 1 4- 1 1 5 . 267 Al v. 7 comincerebbe e si svilupperebbe fino al v. l O un tracciato innico. Ne presentiamo la questione al termine di Eb 5,5- 1 0.

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to, il sentirsi esposto a un'angoscia estrema che si esprime in grida e lamenti a mo­ tivo della morte incombente, non desiderata, non evitabile, pur tuttavia volontaria­ mente accettata: segno di solidarietà con la morte umana, presupposto necessario per riconoscere in tutta la sua veridicità quanto sta per seguire. [v. 7b] Non corrente nell ' AT (Gb 40,22 [LXX] ), il binomio deeseis­ hiketerias (« preghiere-suppliche >>) lo è invece nella classicità268 e nel giudaismo ellenistico269• Già in Eb 5 , 1 ogni sommo sacerdote è costituito per offrire doni e sacrifici (5, 1 ; 8,3), per entrare nel santo dei santi (9,7. 1 2.24), compiervi l ' inter­ cessione (espiatoria) e ottenere la riconciliazione (7,25). Adesso l 'autore restrin­ ge l 'offerta del sommo sacerdote Gesù a « preghiere e suppliche », qualificato strumento di intercessione (7,25): accreditato presso Dio, egli ottiene misericor­ dia (2, 1 7) a nostro favore. Il tema si chiude in 8,3 a mo' di chiasmo su 5, l : preso fra gli uomini, ogni sommo sacerdote è per gli uomini e per Dio (5, 1 ); così anche Gesù il Figlio (8,3): sale a Dio, è presso Dio, ottiene il favore di Dio per noi. Tutto dipende dalla capacità del sommo sacerdote di ascendere a Dio. Alla formula « preghiere e suppliche » fa eco la preghiera di Gesù in Mt 26,36 e in Mc 1 4,32. Contenuto della preghiera di Gesù al Padre è la supplica: es­ sa esprime il massimo del rapporto attivo con Dio; si accede a lui, ci si apre a lui, si accetta il suo intervento nella vita personale. La passione è vista come pre­ ghiera e offerta. Affrontata nella preghiera, la sua drammaticità diviene offerta li­ bera e consapevole. La forma verbale participiale prosenegkas (« avendo offerto ») circoscrive l 'azione offertoriale di Gesù al momento preciso del Getsemani. Si ha un rappor­ to di tipo-antitipo tra l ' oblazione espiati va dei sacerdoti del Primo Testamento e la passione espiatrice di Cristo. Prospherein è detto due volte del sommo sacer­ dote, il quale « offre doni e sacrifici » (Eb 5 , 1 .3), e una volta di Cristo (5,7), il quale offre « preghiere e suppliche ». I sacerdoti dell 'antica alleanza offrivano doni e sacrifici, ma anche domande e suppliche270• Come ogni sacerdote e som­ mo sacerdote della prima alleanza, anche Gesù offre: quelli però « doni e sacrifi­ ci » (5, 1 .3), Gesù invece « preghiere e suppliche » (v. 7). Impressionante la solidarietà del sommo sacerdote Gesù con gli uomini; per Es 32,26-29 il sommo sacerdote ne è invece separato, e non è solidale con i pec­ catori. Ebrei non segue la linea rituale di Es 32, bensì di Os 6, 1 -4, che gli per­ mette di presentare in Gesù un sacerdote solidale con l ' uomo disorientato e sof­ ferente. In Os 6,4 Dio si lamenta dell ' infedeltà d'Israele: essa è come la rugiada del mattino che si dissolve al primo raggio di sole. Il sacrificio rituale a lui offer­ to è transitorio e non rinnova la vita; egli vuole l ' ingaggio personale, il dono del­ la misericordia, la disponibilità alla riconciliazione (Os 6, 1 ; Mc 1 2,33). Questa è l 'offerta sacerdotale del Figlio. 2 68 Isocrate, Peri eirenes 1 3 8 (lsocrate [LCL 2], Harvard University Press, London 1 996, pp. 92-93 ); Polibio, Storie 2,6, l . 269 Lo si legge in Filone di Alessandria, De cherubim 47 e in Legatio ad Gaium 276. 2 7° Così informa G. Flavio, Guerra giudaica 3,353. Si leggano poi Testamento di Levi 3 e Testamento di Gad 7,2.

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[v. 7c] Legata alla richiesta di liberazione, la formula « con forti grida e la­ crime >> (meta krauges ischyras kai dakry6n) è ben attestata in epoca ellenisti­ ca27 1 . Il gridare a Dio manifesta coraggio e ardire, un' audacia piena di speranza che l 'oggetto del gridare sarà ascoltato ed esaudito272• Quanto alle lacrime, non attestano automaticamente la sincerità del pianto (Sir 1 2, 1 6). Dubbie sono le la­ crime di Esaù a seguito della perdita del diritto di primogenitura (Eb 1 2, 1 7); fra quanti sono alla tomba di Lazzaro, non pochi dubitano della sincerità delle lacri­ me di Gesù (Gv 1 1 ,35-3 7). Ebrei sembra compiere un passo qualitativo in avan­ ti anche in tema di lacrime: esse devono corrispondere a un sentimento interiore di orientamento verso Dio. È il caso di Gesù il quale, tuttavia, non è esaudito a motivo della sue lacrime, ma della sua fedeltà (v. 7c). La formula è impressionante dal lato psicoantropologico: evoca l 'essere in preda a spavento e angoscia come si legge in Mt 26,38 (« L'anima mia è triste fi­ no alla morte ») e in Mc 1 4,33 .34 (« Cominciò a spaventarsi e a sentire ango­ scia »); fino a Mt 27,46-47 (il grido di Gesù in croce: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? »). Forte l 'allusione al Sal 2 1 ,2 : lamento-grido; richiesta di aiuto; accettazione della sofferenza; preghiera di un innocente perseguitato273, si­ mile al poema del Servo sofferente (Is 52, 1 3 - 53, 1 2)274• Per la comunità del NT, questo grido del pio orante nel Sal 2 1 ,2 è il preannunzio del grido di Gesù. Anche il Sal 2 1 ,23 ben presente in Eb 2, 1 2 può essere qui pensato dall 'autore: « Se tu mi salvi dai miei oppositori, io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli ». Come a dire: Se mi liberi dalla morte, attraverso la via della vita, io annunzierò ai fratelli il sen­ so delle mie grida, della mia morte, il tuo progetto di redenzione universale, il tuo nome. Ebrei risimboleggia il simbolo: dà alla scena del Sal 2 1 un nuovo protago­ nista, Gesù di Nazareth27S, messia276, « causa di salvezza eterna » (Eb 5,9). 2 7 1 La si legge in 2Mac 1 1 ,6; 3Maccabei 1 , 1 6; 5,7.26. Poi in Filone di Alessandria, Quod de­ terius 92-93 . 2 72 In questo senso, cfr. Filone di Alessandria, Quis rerum divinarum heres sit 1 9 (parrhesia) e 22 (eulabeia), con senso molto vicino a Eb 5,7d.f. 2 73 Che si rivolge a Dio. Ma a quale Dio? Di Abramo, Isacco e Giacobbe? Di Mosè? Di Davide e Salomone? Ma come può il lamento di un singolo salmista trasformarsi in una celebrazione uni­ versale? Il NT vede in quel grido al v. 2 Gesù situato nella sua passione e se ne awale per celebrar­ ne il valore universale pasquale. Nella linea di Fil 2,6- 1 1 : egli si abbassa di molto per ottenere una vittoria maggiore. Cfr. A.M. Hibbard, Psalm 22 and the Paschal Mystery, in BToday 36 ( 1 998) 1 1 1 1 1 6. Segnalo M. Poorthuis (ed.), « My God, My God, Why Have You A bandoned Me ? ». An Interdisciplinary Collection Concerning Psalm 22, Baam, Ten Have 1 997: nove studi sul Sal 2 2 . 2 74 Cfr. T. Lorenzin, I Salmi, pp. 1 1 4- 1 1 5 . Già F.L. Hossfeld - E. Zenger, Die Psalmen, Echter­ Verlag, Wiirzburg 1 988, vol. l, pp. 1 44- 1 46. 2 75 Così visto, il Sal 2 1 ,2.23 è messianico almeno in senso tipico. Esamina la prospettiva E. F. Davis, Exploding the Limits: Form and Function in Psalm 22, in JSOT 53 ( 1 992) 93- 1 05 , special­ mente 99- 1 00 e 1 03- 1 05. Cfr. La traduzione della BJ, p. 1 1 38 . E.F. Davis si sofferma sulla ricezione del Sal 22,2 nel NT: il grido di Gesù in croce (Mt 27,46-47) come un lamento-grido, una richiesta di aiuto, una dichiarazione di accettazione della sofferenza; risimboleggiare il simbolo (Exploding the Limits: Form and Function in Psalm 22, in JSOT 53 [ 1 992] 1 03- 1 05), onde « percepire i prolunga­ menti di senso più o meno prevedi bili » (cfr. Pontificia Commissione Biblica, L 'interpretazione del­ la Bibbia nella Chiesa, p. 73). 2 76 Buona la conferma da parte della riflessione rabbinica molto attenta al Sal 22: l' orante esprime la sua piena fiducia nella potenza salvifica del Dio dell 'esodo. Questo possibile retrofondo

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Il contenuto di « preghiere e suppliche con un forte grido e con lacrime » non è menzionato. Grazie tuttavia ai sinottici, esso si identifica con il calice del Getsemani (Mt 26,39a; Mc 1 4,36a e Le 22,4 1 -42a). Gesù chiede aiuto a motivo della sua situazione terrestre, divenuta insostenibile. Risposta: la sua esaltazione celeste, ma attraverso il velo della sua carne, la morte. Quella situazione insoste­ nibile va vissuta fino al compimento. Nel senso anche di Fil 2,8b-9a: « . . . Fino al­ la morte, e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato . . . ». Indotto dal cristianesimo277, il motivo torna nella parenesi rabbinica: « Tre i ti­ pi di preghiera, ognuno più potente del precedente: preghiera, grida, lacrime. La pre­ ghiera è in silenzio; le grida sono a voce alta; le lacrime sono il meglio di tutto »278• Espressione del dolore intenso del Gesù terreno, le sue lacrime richiamano un tema dal genere letterario amplissimo, anche extrabiblico. Potrebbe sorpren­ dere, eppure è opportuno un richiamo ali ' Eneide: Enea, portando sulle spalle il padre Anchise e portando con sé l ' immagine dei penati, giunto in vista di Troia divorata dal fuoco, si abbandona a un pianto disperato279• Un possibile riferimento inespresso per Eb 5,7 è il pianto di Gesù su Ge­ rusalemme (Le 1 9,4 1 -44; Mt 24, 1 b-2). Efficace il richiamo equivalente a Rm 8,22: la creazione, già redenta, geme e soffre (fino alle lacrime?) in attesa di re­ denzione piena. Si configurano elementi per una gesuologia soteriologica: Gesù è solidale con le lacrime umane; in Gesù che piange e geme c'è l 'umanità soffe­ rente e piangente, c'è il cosmo che geme per « le doglie del parto », ci siamo noi che « gemiamo interiormente » (Rm 8,22-23 ), c'è lo Spirito che « geme gemiti inesprimibili >> (Rm 8,26). Ebrei pone una domanda retorica alle comunità destinatarie: A che pro la scelta cristiana? La risposta si decide « guardando » Cristo e sperimentando su di sé quanto egli ha vissuto, anche il grido, l 'afflizione, le lacrime280• « Nei giorni della sua vita terrena » (Eb 5, 7), uomo fra uomini, solidale, misericordioso e compassionevole (2, 1 7), Gesù il Figlio dà spiegazione alle lacrime dell 'uomo281 • nella intentio auctoris di Ebrei indica neli ' esodo il sostrato ali ' opera redentrice del Cristo messia. Cfr. il bel riferimento a Mosè morente, in esodo nel deserto: si raccoglie nel suo mantello, si co­ sparge di cenere e, « con preghiere e lacrime », grida a Dio e commuove cielo e terra. Così Deuteronomio Rabba l l (207c). Molto carica l 'allusione al grido di Isacco tra pianto e lacrime, le­ gato sull 'altare, in procinto di essere immolato. Così Yalquth Schimeon su Gn 22,9 ( l , l O l ). Cfr. R. Rubinkiewicz, Mc 15,34 et Hbr 1,8-9 à la lumière de la tradition targumique, in AnnalesThCan 25 ( 1 978) 59-67. Cfr. KNTTM.SB, vol. III, p. 688. 2 77 Così A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 84. 2 78 Così Synopsis Zohar 2, 1 9b-20a. La Synopsis Zohar è opera esegetica altomedievale della Cabala. 2 79 « Natanti Iumina », annota Virgilio (Eneide l ,462 ss. ). Più ampi dati in K.M. Woschitz, Erlosende Triinen. Gedanken zu Hebr 5, 7, in Bibel und Liturgie 56 ( 1 983) 1 96-20 1 . L'autore tratta il problema avvalendosi della letteratura antica, mitologia greca inclusa. 280 Sintomatico il racconto classico sulla donna che piange per aver perduto un monile. La ve­ ra causa del suo pianto non è quella perdita in sé. Disattenzione, superficialità e simili sono la causa di quel suo disappunto bagnato di lacrime. Echeggia Le 1 5,8-9. 281 Risposta attendibile al quesito su come Gesù abbia potuto tenere la propria compassionevole solidarietà, fustigato com'era dalle forze della violenza. L' interrogativo è legittimo, a motivo dell'al­ lusione strutturale in Eb 5, 7 al Sal 22(2 1 ): per Ebrei, quanto vi è descritto, accade nella vita di Gesù; lo stile espositivo nella forma « Io » permette di seguire il confronto tra i conflitti interni ed esterni del

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[v. 7d] « Preghiere, suppliche, con un forte grido e con lacrime » vanno al­ l ' indirizzo di « colui che poteva salvarlo da morte » e del quale egli ben conosce­ va il progetto redentore; l 'efficace circonlocuzione sta per « Dio »282• A quel suo progetto il Figlio aderisce in pienezza: condividere e fare la volontà del Padre, di cui in Mt 26,39b; in Mc 1 4,36 e in Le 22,42b. E la sua preghiera è insistente: « Per la seconda volta pregò dicendo: "Padre mio . . . , sia fatta la tua volontà"» (Mt 26,42; Mc 14,39). Il « Figlio » chiede che la sua adesione al Padre sia senza con­ dizioni. E in questo egli è esaudito: la morte, angosciante e temuta, è da lui ac­ colta dalle mani del Padre e situata nella sua volontà progettuale, redentiva e li­ beratoria283. Si può tuttavia pensare che Gesù sia salvato dali 'angoscia della morte già nella preghiera, che in Le 22,43 ha la seguente risposta: « Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo >>284. Ma che Ebrei vi si riferisca, è inattendibile. Si deve invece pensare che in Eb 5,7 Gesù non è salvato dalla morte, alla quale sta andando consapevolmente incontro, ma è sottratto al suo terrore e al suo potere: « Si sottopose alla croce, disprezzando( ne) l ' ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio » (Eb 1 2,2), con la sua risurrezione-esaltazione ( 1 3 ,20). Disceso dalla destra di Dio, ne risale alla destra, a mezzo della croce. In base a questo ultimo dato, si deve ridimensionare la cruda durezza della morte di Gesù quale spaventoso evento, espressione di abbandono da parte del Padre celeste; con il Figlio c'è solo il proprio grido addolorato, indicativo di solitudine totale sulla croce285. Sottolineatura opportuna, ma non esaustiva. [v. 7e] La preghiera di Gesù è un ' agonia interiore: egli lavora perché la vo­ lontà del Padre e la sua non divergano. Vista così, la sua preghiera, presente in eis­ akoustheis, è esaudita (v. 7e): il Figlio ha accolto la morte (in sé fatto storico e po­ litico ormai inevitabile286) come espressione del progetto redentore del Padre. Il Gesù che prega per essere esaudito è il Nazareno, più volte ritiratosi in preghiera, « tutto solo » ( Gv 6, 1 5b ), con il Padre. Questo dato fa da base storico­ teologica al fatto che Gesù è scelto sommo sacerdote perché sa compatire le de­ bolezze dei fratelli, e ha egli stesso bisogno di rifornirsi presso il Padre. Così è certo che la sua preghiera potrà muoversi sempre nella direzione di quel compa­ timento.

Figlio, il quale gestisce in prima persona la propria vicenda: solidale con Dio e con i fratelli. Diversa, sembra, la reazione del Maestro in Matteo (26,39-46). Cfr. S. van Tilborg, Language. Meaning, Sense and Reference: Matthew 's passion narrative and Psalm 22, in HTS 44 ( 1 988) 883-908. 2 82 Altri esempi in l Sam 2,6; Os 1 3 , 1 4; Gc 4, 1 2 (>). 2 8 3 Segno della sua adesione alla progettualità del Padre è il rimprovero mosso da Gesù a Pietro, che aveva cercato di deviare il corso degli eventi colpendo un servo con la spada (cfr. Gv 1 8 , 1 0- 1 1 ). Su Eb 5,7 suggerimenti in P. G. Rinaldi, L'Uomo del Getsemani (Eb 5, 7-1 0), in BO 24 ( 1 982) 1 5- 1 7. 2 84 Così già J. Jeremias - H. Strathmann, Lettera a Timoteo e a Tito. La lettera agli Ebrei, Paideia, Brescia 1 973, pp. 1 84- 1 85. 2 8 5 Così E. Biser, Die ii/teste Passionsgeschichte, in Geist un d Leben 56 ( 1 983) l l l - 1 1 8 . Il bre­ ve studio è ricco di impulsi. 2 86 Si legga A. Vanhoye, L'oblation sacerdotale du Christ dans / 'épitre aux Hébreux, in Didaskalia 14 ( 1 984) 1 2- 1 9.

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[v. 7t] Il termine eulabeias ricorre qui e in 1 2,28 (nella forma verbale eula­ betheis in Eb 1 1 , 7). La rilevazione del senso non è immediata. La difficoltà sta nella diversa possibile lettura di apo (« da, dopo, a motivo di ») e di eulabeia (« ti­ more, riverenza, ansietà, paura, contegno obbediente »). Gesù il Figlio « fu esau­ dito a motivo del rispetto-considerazione che Dio ha avuto verso di lui » o « a mo­ tivo della sua pietà-fedeltà verso Dio »? Il quesito è di natura lessicale e fa di Eb 5,7 ancora sempre una crux interpretum. Almeno tre le ambiguità nella frase: l ) La preposizione apo può significare per o da, con riferimento a una causa ester­ na ben visibile, oppure a causa di una ragione interna, non visibile perché gioca il suo ruolo nell ' intimo della persona. 2) Il sostantivo eulabeia può significare paura-timore ed esprimerebbe l 'emozione ansiosa provata da Gesù dinanzi alla morte. In questo /caso, la preposizione apo è « in ragione di una causa esterna »: esaudito da Dio perché sottratto alla paura della morte. Con il senso di « rispetto­ riverenza », invece, eulabeia poggerebbe su apo con il significato di « esaudito a motivo di una causa interna » che solo Dio conosce (il legame religioso del Figlio con lui287, la sua « confidenza cauta ma coraggiosa », il suo « timore religio­ so >>288). Dali ' insieme, « . . . E fu esaudito per la sua fedeltà religiosa » risponde meglio, probabilmente, a testo e contesto. 3) L'ultima ambiguità riguarda la pre­ ghiera stessa di Gesù: è stato egli davvero « esaudito >> (eisakoustheis)? Dal mo­ mento che Gesù di fatto non è stato liberato dalla morte, si deve pensare che sia caduto (per errore dell 'amanuense?) un ouk (non) dinanzi ad apo289• Quel « non » va dunque semplicemente reinserito: « e non fu esaudito », perché di fatto non li­ berato dalla morte. Soluzione semplificatrice, in verità. La versione Siriaca pes itta' propone: « A colui che poteva liberarlo da morte (v. 7d). Ed (kai) esaudi­ to (v. 7e) a motivo della sua pietà (v. 7 f) , e per quanto (kaiper) Figlio (v. 8a), im­ parò l 'obbedienza da quel che dovette patire (v. 8b) ». La versione peg ilta' cioè, avvertita la crux, la risolve staccando la frase ambigua dal v. 7d per unirla a quan­ to segue290• Ma la procedura è armonizzatrice. Dunque, la preghiera di Gesù (di essere salvato dalla morte) non fu esaudita. Eppure, in Eb 5,8-9 si legge che « a motivo delle cose che patì, (egli) è diventato, per tutti coloro che gli obbediscono, causa di salvezza eterna ». Cioè, Gesù è sta­ to salvato dalla morte: « in virtù del sangue di un'alleanza eterna » è il « pastore grande delle pecore » che « Dio ha fatto tornare dai morti » ( 1 3,20) e che si è assi2 87 Annotazione di M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 663, con riferimento a Gv 2 1 ,6. 288 Così Filone di Alessandria, Quis rerum divinarum heres sit 22 e 29. 289 Questa soluzione, tenuta per primo da A. Harnack (N.-A. 27 ), è ripresa da R. Bultmann, eula­ beia, in GLNT ( 1 967) 3 , 1 1 48- 1 1 49: eliminazione di �� non » per motivi religiosi. L'autore di Eb 5, 7 avrebbe scritto, infatti, « non fu esaudito ». Un copista, scandalizzato da tale Padre che non esaudisce il Figlio, ha tolto il « non ». In verità non si dispone di alcun fondamento in critica testuale a sostegno di simile ipotesi. Né l 'autore scrive che Gesù abbia chiesto di non morire, ma che egli si è rivolto a « colui che aveva il potere di liberare . . . ». Meglio rispettare l ' imprecisione del testo, che resta aperto a più di una possibilità di lettura, permettendo anche una trasformazione della domanda nel corso del­ la preghiera. Si manifesta così un vivo dinamismo di Gesù orante, sofferente, solidale con noi. 290 Sulle tre ambiguità e sulla versione Siriaca P"sitta', cfr. H. W. Attridge, « Heard Because of His Reverence » (Heb 5, 7), in JBL 98 ( 1 979) 89-93.

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Parte seconda. Traduzione e commento

so alla destra di Dio (Eb l ,3 ; in cui si ascolta il Sal l 09, l ). Si profila un senso che va al di là del testo: Gesù è stato salvato non perché non ha subìto la morte, ma perché la morte ha perso il potere su di lui. Un aiuto ci viene dal binomio parrhesia-eulabeia in Filone di Alessandria. Commentando la preghiera di Abramo e di Mosè, l 'Alessandrino evidenzia l 'au­ dacia (parrhesia) con cui essi si rivolgono a Dio: Abramo « apre liberamente la sua bocca » rivolgendosi a lui con coscienza leale, gioioso di servirlo nella fe­ deltà291 ; Mosè si rivolge a lui nel silenzio, nella fede, nella sapienza della legge, con gentilezza, ma anche con un grande grido, ad alta voce (kraughes meizo­ n os)292. L'uomo vero parla con coraggio (parrhesia), ma anche con grida, atteg­ giamento forse esteriormente scorretto, ma riflette la sua interiore convinzione (ex alethous pisteos) ed esprime le sue reali emozioni293. Queste caratteristiche, di cui in Filone, le ritroviamo in Eb 3,6 e in 4, 1 6 e sono le stesse che appaiono in 5,7: Gesù il Figlio, come Abramo e Mosè, è ascoltato a causa del suo legame re­ ligioso (eulabeia) con il Padre, che lo può salvare dal potere della morte. Quella sua richiesta è carica di parrhesia ed è presentata con grida e lacrime. Quel suo grido, tuttavia, è attenuato dalla sovranità divina del destinatario. Questi accoglie la religiosa riverenza e fedeltà di Abramo, di Mosè e di Gesù, e ne ascolta la pre­ ghiera. Come Abramo, Gesù prega con un forte grido, e come Mosè, manifesta genuine emozioni (pathous) . Queste rilevazioni immettono nella vita emoziona­ le e psichica di Gesù. Ebrei mostra attenzione alla di lui umanità: aspetti gesuo­ logici di notevole rilievo294. In base ai dati ottenuti, apo indica la causa per cui si compie un'azione, la eu­ labeia appunto, che esprime timore interiore e psicologico, timore religioso, lega­ me consapevole con Dio. Ne segue: « Cristo fu esaudito a motivo del suo timor di Dio », della sua pietà religiosa, della sua fedele sintonia con il Padre295, per la sua « reverentia ac pietas in Deum » (Pr 28, 1 4 ), quindi « liberato dal "timor, metus, hae­ sitatio ex timore orta"))296. « Supposita ellipsi apte explicatur: exauditus a timo­ re ))297. Se « fu esaudito ( fu liberato) dal terrore della morte )) non si può esclude­ re298, « fu esaudito a motivo della (sua) venerazione di Dio )) è da preferire; Dio è =

29 1 Filone di Alessandria, Quis rerum divinarum heres sit 7 su Gn 1 5,2-3 . 292 Jbid. 14 su Es 1 4, 1 4- 1 5 . 293 Così ancora Jbid. 1 9-20 su Es 32,32. 294 Cfr. H. W. Attridge, « Heard Because of His Reverence >> (Heb 5, 7), in JBL 98 ( 1 979) 93. 295 Fra le possibili versioni di apo eulabeias, è questa la più attendibile. Così già F. Blass - A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, p. 283; cfr. W. Allen, The Translation of apo tes eulabeias at Hebrews 5, 7, in Bu/1/nstRejBibSt l ( 1 989) 9- 1 O. 296 L' espressione è nota a Plutarco (50- 1 20 d.C.), a Diodoro Siculo (storico al tempo di Augusto) e a Erodiano (storico sotto Settimio Severo). Cfr. poi G. Flavio, Antichità giudaiche I l ,239 (timore riverenziale); Filone di Alessandria tramanda il duplice senso di eulabeia (De che­ rubim 29 e Quis rerum divinarum heres sit 22,29: timore di Dio; Legum al/egoriae 3 , 1 1 3 e De vir­ tutibus 24: paura). Dati in R. Bultrnann, eulabeia, in GLNT ( 1 967) 3 , 1 1 43- 1 1 50. 2 97 Così M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 499. 2 98 Ma neppure assolutizzare. Il parere di R. Bultrnann (eulabeia, in GLNT [ 1 968) 3 , 1 1 481 1 49), che vede in Fil 2, 1 2 e in Eb 1 2,28 il senso chiaro di « paura e angoscia », è da riesaminare. Egli si appoggia al Sal 1 1 5 , 1 5 : « La propria angoscia è preziosa agli occhi di Dio )). Ma per Eb 5, 7 Gesù è esaudito non per la sua angoscia, piuttosto per la sua relazione di Figlio, per la sua fedeltà

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infatti soggetto d i venerazione i n 1 1 ,7 e i n 1 2,28299. Porsi d i fronte a lui è espres­ sione di coraggio e audacia, che generano sicurezza (Eh 4, 1 6)300. L'esaudimento (eisakouein) di Dio e l 'adesione (hypakouein) di Gesù il Cristo si corrispondono ed esprimono la particolare relazione filiale di Gesù con il Padre301 . Ancora: Gesù chiedeva il dono della perfetta coesione della propria volontà con quella del Padre, e fu esaudito. È il senso basilare di eulabeia: deverbale da /ambano, esprime accettazione, accoglienza302. Eu-/ambano poi ha il senso di es­ sere benevolmente disposto ad accogliere. La traduzione: « E fu esaudito a moti­ vo della sua pietà » può essere migliorata così : « E fu esaudito a motivo della sua disponibilità ad accogliere » il piano (storico-salvifico) del Padre. Non si ha qui a che fare con un padre che manda a morte il proprio figlio, esigendone l ' indi­ scussa accettazione, ma con uno che, accettando il decorso storico e politico de­ gli eventi, coglie l 'occasione della condanna a morte del proprio figlio, onde fi­ nalizzarla (salvifica, liberatoria e redentiva). Eh 5,7 getta dunque luce sulla divergenza che si rileva nei vangeli tra la vi­ ta terrena di Gesù e la sua morte, e armonizza bene queste due componenti che di fatto si appartengono. Mentre i vangeli con la morte di lui introducono il tema della « disperazione » (Le 24,2 1 , « noi speravamo che ») e altri momenti d' insi­ curezza, Eh 5,7 ritrae una comunità cristiana che medita gli eventi (« grida e la­ crime » del Gesù in croce ottengono subito un risultato: il Padre ascolta il Figlio e lo sottrae al dolore della morte). Appellandosi alla sua esaltazione-intronizza­ zione presso il Padre, 5,7 presenta Gesù morente già libero dal potere della morte. At 2,24 conferma e sostiene: Dio ha liberato il Crocifisso dal dolore e dagli spasimi della morte. E mentre i vangeli danno luogo a un sentimento di ripulsa per il fatto che un padre lasci morire in croce il proprio figlio, At 2,24 ed Eb 5, 7 prov­ vedono a dissipare questo sentimento: il Padre ha esaltato il Figlio, lo ha ascoltato, lo ha liberato. Dove i vangeli interrompono la narrazione con la violenza della mor­ te, Ebrei subentra per dire che Dio è egli stesso l 'aiuto che libera Gesù. Quanto si legge sulla crocifissione nei vangeli, lo si comprende meglio se si considera Eb 5,7, dove Dio il Padre ascolta il Figlio che urla e gli viene incontro. A partire dal Gesù al quale non furono risparmiate debolezza e angoscia mor­ tale303, l 'umanità tutta è attraversata da un angoscioso tracciato di morte, fino alla nella fede nel Padre. Si tratta semmai di timore salutare e riverenziale o, come lo stesso Bultrnann poco più avanti scrive (Ibid. 3, 1 1 50), di >: Hebr 5, 7. Vom Sinn des Leidens Jesu, in BK 48 [ 1 993] 1 88- 1 96), che si ferma però all ' interpreta­ zione della parte prima del Sal 2 1 .

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Il Sitz im Leben in Eb 5,7-8 è la croce, deducibile anche dal Sal 2 1 , se letto interamente; esso narra le dure prove del servo fe�ele, ma anche la sua ferma fi­ ducia nel Dio fedele: questi non lo abbandonerà. E infatti attendibile che, se Eb 5,7 ne cita il v. 25, ritiene che Gesù abbia totalmente condiviso il Sal 2 1 per la sua preghiera e vi si sia riconosciuto. Al suo grido di aiuto egli è esaudito, rafforzato cioè nella sua disponibilità al Padre, la sintonia con il quale sempre di più gli comporta la morte. Se questo è il Sitz im Leben, con il Sal 2 1 ,2 1 pregato in croce Gesù si riporterebbe alla cena pasquale (t6da) celebrata con i suoi discepoli: già lì egli comincerebbe ad apprendere quell 'obbedienza che da lì a poco gli avreb­ be fatto sperimentare tutto il peso della collaborazione obbedienziale con il Padre. E il Sal 2 1 ,2 1 (usato da Matteo e Marco) farebbe da ponte tra la cena pa­ squale e la croce. Dunque, Eb 5, 7-8 esprime un contesto « eucaristico » ?307• [vv. 9-1 0] Verso « il punto capitale ». Acquisendo agli atti la perfezione di Gesù Cristo, Eb 5,9 chiude la seconda parte (3, l - 5, l O); con il preannunzio del « sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek », 5, l O apre su 5 , 1 1 - 1 0, 1 8. « E reso perfetto » (teleiotheis, cfr. Eb 2, 1 0b ), divenuto perfetto: perfezione etica? Non attendibile per Gesù, privo di ogni in fedeltà (4, l 5b)3°8• Perfetto ne ll a collaborazione al progetto del Padre? Più attendibile: Gesù ha raggiunto in pie­ nezza lo scopo preciso dell ' investimento della sua vita (sacerdote e vittima che libera, redime e salva, v. l 0). Un richiamo allo Jom KippDr fa capire meglio il valore di teleiotheis. Per Eb 5,7 (e ancora 5, 1 0 e 9, 1 1 ) la morte del Crocifisso non è maledizione di Dio, ma ingresso alla presenza della Maestà ( 1 ,3). Secondo 9,3 . 1 2 e 1 0,20, nel giorno del­ l ' espiazione il sommo sacerdote entra nel « santo dei santi » attraverso il velo; Gesù entra per noi tutti al cospetto di Dio attraverso il velo della sua carne, in­ chiodata sulla croce. Il sommo sacerdote vi entra una volta l 'anno e cosparge con il sangue degli animali gli oggetti che significano la Presenza; Gesù accede al tro­ no della Maestà ( l ,3d) una volta per sempre e, presentando il suo sangue ( la sua vita) al Padre, continua a intercedere per tutti (7,25). Il giorno dell 'espiazione e della riconciliazione, al tempo di Ebrei, non ve­ niva più celebrato al tempio, essendo questo già stato distrutto. Eppure Ebrei si riferisce di continuo alla liturgia del tempio, come a voler dire che il tempio c'è: la persona stessa del Figlio. È il massimo della perfezione che Gesù poteva rag­ giungere: tempio, sommo sacerdote e offerta a Dio gradita. La misercordia di Dio è ora realtà nel Figlio. Essa esige disponibilità alla conversione permanente, cer­ to non ne dispensa (Eb 6,4-6; l 0,26-3 1 ). Perfetto nella morte, Gesù «è divenuto causa di salvezza eterna » (v. 9b), cioè fonte di permanente riconciliazione in quella celebrazione sacerdotale sulla =

3 07 Così pensa J. Swetnam, The Crux at Hebrews 5, 7-8, in Biblica 8 1 (2000) 347-36 1 . Lodevole lo sforzo di J. Swetnam, che, a più riprese e in più punti, tenta di provare tale contesto. Né è il solo. R. Keresztky ( The Eucharist in the Letter to the Hebrews, in Communio/lntCathRev 26 [ 1 999] 1 54- 1 6 7) sembra dello stesso parere: « Hebrews has an important, even ifmostly implicit, eu­ charistic doctrine ». Dunque, una esplicita intentio auctoris non è provabile, neppure per Keresztky. Al di là di allusioni non ci si può spingere. La crux resta. 308 Allude Eb 4, 1 5b alle tentazioni messianiche di Gesù secondo Mt 4 e Le 4?

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Parte seconda. Traduzione e commento

croce, con la quale egli ha dato compimento alla promessa del Padre, compiendo la purificazione dei peccati ( 1 ,3). Che Eh 5,9 vi alluda, si impone da sé. Meno scontato, ma attendibile, il riferimento a quell 'esaltazione che porta il Figlio ad assidersi alla destra della Maestà ( l ,3d), investito di quel potere di salvezza che continua a esercitare. Questa sua esaltazione è l 'ultimo momento della sua perfe­ zione309. L'espressione « fonte di salvezza » è nota a Filone di Alessandria, che ne fa uso per descrivere il serpente di bronzo innalzato nel deserto (Nm 2 1 ,4-9; Gv 3 , 1 4)3 10, datore di vita. Era anche impiegata in riferimento a persone o cose capa­ ci di liberare o proteggere dal male. La connotazione « eterna » funge da climax ed è appropriata alla natura soteriologica dell 'opera di Gesù. « Per tutti coloro che gli obbediscono », che lo ascoltano attentamente e si pon­ gono sulle orme della sua consapevole e motivata collaborazione obbedienziale al progetto del Padre: è il senso pregnante di hypakouousin (v. 9c ). Obbedire nella sof­ ferenza non è un prerequisito per giungere alla fede, è però la caratteristica di quan­ ti stanno percorrendo il pellegrinaggio della fede. Egli dà la soteria a quanti, in det­ to viaggio, sono disposti a favorire la corsa di quel progetto, fino al compimento, e lo fa neutralizzando opposizioni e ostilità e spianando la strada a quanti tendono al futuro di Dio, da lui promesso (Eh 2, 1 0; 1 2, 1 -3). Il dono della fede va comunque conquistato ponendosi sul sentiero del « pioniere >> nella fede. Da notare al riguar­ do la corrispondenza terminologica tra l 'obbedienza (hypakoen) appresa da Gesù in 5,8 e quella di quanti si sono resi a lui obbedienti (hypakouousin) in 5,9. L'utilizzo della medesima radice semantica accomuna il Figlio e i suoi fratelli in un unico atteggiamento religioso verso Dio, di fedeltà a lui e al suo progetto3 1 1 . Così anche Eh 1 1 ,8 (su questo senso, si veda più avanti in Eh 1 3,7 . 1 7). L'autore preannunzia il « punto capitale » (Eh 8, l ) di tutta la sezione centra­ le del suo scritto: il Figlio è stato scelto (5, 1 ) e chiamato (5 ,4) al servizio sacer­ dotale, anzi da Dio proclamato-ordinato3 12 sommo sacerdote « secondo l 'ordine di Melchisedek »313 (v. l 0). Se da Aronne in poi Dio ha scelto e chiamato alla di­ gnità del servizio sacerdotale (5, 1 .4), ora egli sceglie e chiama il Figlio, ma in forma nuova, sia per il discorso diretto che gli rivolge (data l 'allusione al Sal l 09 ,4, « Tu sei sacerdote per sempre »), chiamandolo però « sommo sacerdote », sia per il tipo di sacerdozio non più aronide. E il Sal 1 09,4 è l 'argomento pro­ bante del quale l 'autore intende avvalersi. Eh 5, 1 0 è così un sommario prospetti­ co: apre su Eh 7, in cui tale « punto capitale » sta per essere esposto. 30'1 Così C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, pp. 290, ancor prima pp. 1 22- 1 25 . 3 1 ° Filone di Alessandria, De agricultura 22,96: aitios soterias genomenos. 3 1 1 Questo è il senso dato dalla LXX quando rende Stima ' (ascoltare) con hypakouo. Dobbiamo ritenere che questo sia anche il senso voluto da Eb 5,8-9 che a quella versione si riporta di continuo. Cfr. G. Kittel, hypakouo. hypakoe, in GLNT ( 1 965) 1 ,604. 3 1 2 È il senso della voce verbale prosagoreuein (ali 'aoristo participio passivo prosago­ reutheis): proclamare, dare il titolo di . . . , rivolgersi a qualcuno in base al suo titolo. Cfr. M. Zerwick ­ M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 663 . Nella classicità è atte­ stato nella forma prosagorazein, con lo stesso senso. Cfr. H. G. Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon, p. 1 499. 3 1 3 Su Melchisedek, vedi più avanti in Eb 7, 1 -2 8 . Se ne occupa ampiamente Fi lone di Alessandria (De Abrahamo 235).

Un sommo sacerdote misericordioso, fedele e solidale con l 'umanità Eh 3, 1 - 5, 1 O

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Ma si intravedono già alcuni tracciati che l 'autore si appresta a percorrere: la passione e la morte visualizzano il sommo sacerdozio di Gesù, consacrato da Dio per gli uomini (5, 1 ), ormai in grado di condividere per sempre il peso delle vicen­ de umane (v. 2); il sommo sacerdozio, cuore della vita del Figlio, libera tutto e tut­ ti nel perdono che purifica; tutti noi siamo portati nel sacrificio sacerdotale di Cristo alla presenza di Dio, un'offerta redentiva sempre in atto, seme/ pro semper, fino al compiersi della « città futura »; intanto egli continua a rigenerare ogni creatura umana (cfr. Eb 7,25), la apre a Dio e alla condivisione del suo progetto; il sacerdo­ zio anticotestamentario, buono in sé, è ormai non più in grado di esprimere il nuo­ vo che pure ha preparato; tutto il passato di Dio con Israele può continuare ad ave­ re il suo peso, ma va ridefinito attraverso il presente di Dio in Cristo3 14• Devo segnalare due interrogativi. Il primo è aperto dall 'analisi condotta su Eb 5,7- 1 0: Potrebbe contenere un frammento innico liturgico preredazionale? Il v. 7 apre l ' insieme dei vv. 7 - l O, una pericope inni ca per la celebrazione liturgica di Gesù Cristo nella sua capacità di consoffrire con gli uomini suoi fratelli, e nella sua obbe­ dienza, raggiunta a prezzo di una morte alla quale ha aderito in piena consapevolez­ za e libera decisione (v. 8), presupposto necessario per la redenzione. Il tono liturgi­ co sta nel fatto che Eb 5,7- 1 0 si muove sul linguaggio dei Salmi: « Egli non ha disdegnato l ' ajjlizione del misero ( . . . ), ma, al suo grido di aiuto, lo ha esaudito », si ascolta nel Sal 2 1 ,25. Il riferimento non è esplicito, ma l 'allusione è attendibile. Il linguaggio e lo stile ebraizzanti dei vv. 7 - l O sospingono a valutare l ' ipo­ tesi del frammento innico preesistente. Ne è primo indizio l ' introduzione attra­ verso il pronome relativo hos, tipica di ogni frammento innico redazionalmente immesso in una macrounità letteraria e con essa coordinato a suo mezzo (cfr. Fil 2,6- 1 1 ; l T m 3 , 1 6). I due verbi finiti, emathen ed egeneto, rispettivamente al v. 8 e al v. 9, dipendono direttamente dali ' introduzione al relativo hos (« il quale ») ed esprimono i due aspetti centrali della confessione gesuologico-cristologica: soffrendo, Gesù il Cristo, il Figlio, si è reso edotto (emathen) nell 'obbedienza ed è diventato (egeneto) « causa di salvezza eterna », senza fine. L'ampia tratta­ zione del primo aspetto mostra bene quanto essa stia a cuore ali 'autore; il se­ condo gli serve per tornare al Sal l 09 ,4, quale preludio di un'adeguata analisi in Eb 7, 1 - 1 0, 1 8 . Il fatto che al v. 8 (« Sebbene fosse Figlio >>, kaiper han hyios) si abbia una formulazione di per sé decisiva, eppure difficilmente inquadrabile dal lato sintat­ tico (è da collegare a ciò che segue o a ciò che precede?), lascia intuire le diffi­ coltà incontrate dall 'autore-redattore di 5,7- 1 0 quando ha voluto armonizzare materiale preesistente con materiale nuovo, dando al tutto un contenuto organico e motivato3 15• Potremmo avere così questo possibile protoinno (nelle due propo­ sizioni principali : sottolineate), al quale l 'autore-redattore aggiunge dati espressi in forma participiale (cinque proposizioni dipendenti, non sottolineate):

3 1 4 Cfr. J. Tetley, The Priesthood ofChrist in Hebrews, in AEJTM 5 ( 1 988) 1 95-206. 3 1 5 L'annotazione di M. Bachmann (Hohepriesterliches Leiden. Beobachtungen zu Hebr 5, 11 O, in ZNW 78 [ 1 987] 244-266) è ottenuta attraverso la lettura sincronica di Eb 5, 7- 1 0.

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- « Egli (Gesù, hos) durante i giorni della sua vita terrena (5,7a) imparò (emathen) l 'obbedienza dalle cose che patì (epathen, 5,8) - pur essendo Figlio (motivo centrale di Ebrei) - è . . . diventato (egeneto) causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (5 ,9), - essendo stato reso perfetto (teleiotheis), (motivo proprio di Ebrei) - avendo offerto (prosenegkas) preghiere e suppliche con un forte grido e con lacrime a colui che poteva salvarlo da morte (Ebrei ripensa i sinottici) - essendo stato esaudito (eisakoustheis) per la sua pietà-fedeltà (motivo so­ lo di Ebrei) - essendo stato proclamato (prosagoreutheis) da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek » (motivo di Ebrei). Questi indizi letterari sono buoni, ma non ancora esaustivi per dire che Eb 5,7a.8-9 sia un inno, una homologia preesistente, accolta e ampliata. La questio­ ne è ancora sub judice. Certo, la marcata attenzione sul Gesù terreno nelle due proposizioni principali depone a favore3 16• Il secondo interrogativo riguarda la struttura sincronico-concentrica di Eb 5, 1 - 1 0. Considerati come unità letteraria, compatta e omogenea, i vv. 1 - 1 0 mo­ strano infatti di trovarsi in posizione speculare, prezioso fattore letterario che ri­ vela un intenzionale lavoro della redazione: a) a') b) b') c) c') c") d) d') e) e') e")

vv. 2-3 vv. 7-8 v. l vv. 2-3 v. 4 v. 6 v. IO vv. 7-8 vv. 9- 1 0 v. 4 vv. 5-6 vv. 9- 10

Avvolto da debolezza e paura (ogni sommo sacerdote) avvolto da debolezza e paura (il Figlio) ogni sommo sacerdote offre doni e sacrifici per i peccati offre doni e sacrifici per i peccati. Presentazione di Aronne e di Melchisedek e ancora di Melchisedek. Avvolto da paura e debolezza, il Figlio impara a essere sommo sacerdote. Solo Dio sceglie sia Aronne sia Melchisedek e opta per Melchisedek.

La specularità (a-a' -b-b ' ; d-d') e la circolarità speculare (c-c' -c" ; e-e ' -e " ) si impongono da sé. Qui rilevo soltanto l 'apporto di questa dispositio al chiarimento di tre que­ stioni notoriamente problematiche: l ) La formula: « Pur essendo Figlio » è posta di norma ali ' inizio del v. 8. Tuttavia non è chiaro se essa si riferisca a quanto precede o a quanto segue. Se spostata ali ' inizio del v. 7, contestualizzerebbe meglio il contenuto dei vv. 7-8, che verrebbero a trovarsi in posizione speculare diacronica con il v. 2 (a-a'). 3 1 6 Si vedano A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, 1 0, 1 9-13,25, vol. III, pp. 296.

pp.

82-83; e E. Grasser, An die Hebriier. Hebr

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26 1

2) « . . . A colui che poteva salvarlo da morte »: richiesta di salvezza subito do­ po la morte imminente o ancora prima di essa, dunque richiesta di non morire? La specularità a-a' manifesterebbe l ' intenzione di Ebrei a sottolineare non tanto il fat­ to che fu esaudito per la sua religiosità-fedeltà, quanto la profondità della paura mi­ nacciosa della morte e della schiavitù per tutta la vita (2, 1 5). Da tutte queste cose che patì, egli imparò a collaborare con il Padre, da sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek (v. 8), divenendo causa di salvezza per tutti gli uomini (v. 9). 3) Egli non fu dunque esaudito perché liberato dalla paura della morte, ma per­ ché, fedele alla prova (a-a'), è stato in grado di obbedire al progetto sacerdotale di Dio su di lui (b' -d'). La circolarità tra a-a' -b' -d' è ulteriormente estendibile. Rispetto a quanto proposto nel commento sui singoli versetti e in particolare ai vv. 7-8, que­ sta lettura sincronico-concentrica apporta integrazioni da non sottovalutare3 17• Si gusti una volta ancora il movimento retrospettivo e prospettico messo a punto dali 'autore nell 'unità letteraria di Eb 3 , l 5, l 0: un vero strumento di lavoro. In Eb 2, 1 7 Gesù è menzionato per la prima volta: « Sommo sacerdote mise­ ricordioso e fedele ». Quel suo sacerdozio è pietra angolare per la fedeltà e l ' otti­ mismo cristiano. In 3 , 1 - 4, 1 3 si discute in qual modo Gesù è fedele e quali le implicazioni di questa sua fedeltà per i cristiani. In 3, 1 8 si racconta delle conseguenze mortali per la generazione del deserto a motivo della sua infedeltà. Proprio questa situazione oscura è presa in prestito dali ' autore per mettere a punto l 'esortazione di 4, 1 4- 1 6 puntata sul Gesù miseri­ cordioso e fedele. Messi ripetutamente alla prova nel deserto, molti israeliti sono morti nella infedeltà, pur avendo avuto Mosè, Aronne e gli angeli (2, 1 4)3 18• Anche i destina­ tari di Ebrei sono esposti a molteplici prove, ma non devono perdere il loro col­ legamento con il Figlio: quel suo nome è più grande di quello degli angeli ( l ,42,9), la sua fedeltà è maggiore di quella di Mosè (3, 1 -6), il suo sacerdozio è superiore a quello di Aronne (5, 1 - 1 0; 7, 1 -28). In Eb 5, 1 - 1 0 e in 7, 1 -28 l 'autore elabora al dettaglio la grandezza del sacer­ dozio di Gesù. In 4, 1 4- 1 6 annunzia tale grandezza attraverso due strade. La pri­ ma: mentre la fomula « grande sommo sacerdote )) è inusitata per il Primo Testamento, che conosce il « grande sacerdote )) (Eb l 0,2 1 ), in piena sintonia con la LXX319, la formula « sommo sacerdote )) invece è usuale nel greco del secolo I e nel NT. Per Ebrei, attribuire a Gesù l 'uno e l 'altro termine è il modo più effica­ ce per dimostrare a destinatari giudeocristiani la superiorità del suo sacerdozio su quello di Aronne (7, l - I O, 1 8); è il sacerdozio del Figlio riconosciuto e insediato -

3 1 7 Interlocutore sulla questione è M. Bachmann, Hohepriesterliches Leiden Beobachtungen zu Hebr 5, 1 - 1 0, in ZNW 78 ( 1 987) 244-266. 3 1 8 L'autore associa Mosè, Aronne e gli angeli ali 'esperienza del deserto. 3 1 9 Nota a Filone di Alessandria, che la usa per celebrare il logos, e a I Mac 1 3,42, che se ne avvale per esaltare il sommo sacerdote Simone, la formula « grande sommo sacerdote » è ritenuta « copiata » . Ebrei ha comunque un motivo unico per applicarla a Gesù: la sua esaltazione. Cfr. G. Schrenk, archiereus, in GLNT ( 1 968) 4,878-883 (su Filone di Alessandria); 4,883-906 (su Ebrei).

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come tale {2, 1 0; 5,9; 7,28) e perciò stesso superiore a Mosè {3, 1 -6). Essi cono­ scono bene le tradizioni giudaiche e la sensibilità religiosa ellenistica. La formu­ la: « Gesù ha attraversato i cieli » è la seconda strada. Il messaggio è chiaro: i sa­ cerdoti della legge passano attraverso il velo ed entrano nel santo dei santi; Gesù attraversa i cieli ed entra alla presenza di Dio, al cospetto della sua persona: som­ mo sacerdote perfetto, unico, eterno, esaltato. L' ingresso di Gesù nei cieli come sommo sacerdote è la riprova che egli è esaltato-risorto-asceso. Un tale sommo sacerdote è esaltato nei cieli (v. 14) alla destra del Padre (l ,3 ), ma è anche solidale con la debolezza umana (v. 1 5), a motivo delle molteplici espe­ rienze che lo immettono in una stretta parentela con i suoi fratelli (v. 1 5; cfr. già Eb 2, 1 7 - 1 8). È lui a sospingere la comunità dei credenti a restare salda nella homologia (v. 14), a disporsi a incontrarlo nella sua qualità di grande sommo sacerdote (5, 1 - 1 0). Intanto essa ne prenda atto e se ne persuada, anche per il fatto che il Figlio Cristo­ messia sofferente di Eb 5,5- 1 O è estraneo alle attese giudajche del secolo I, anche se non lo dovrebbe essere stato del tutto320• La fiducia totale nel Padre gli fa superare ti­ mori e solitudine: nel momento più intenso della prova, di fronte alla morte, egli mo­ stra indiscussa disponibilità ad attuare il progetto di Dio capito e condiviso321 ; nel momento dell 'angoscia, egli si fa « uno )) e solidale con l 'umanità intera, causa di sal­ vezza eterna e forza trainante; impara, sperimenta e realizza le esigenze del progetto di Dio, patendo. Chiamato al ministero per elezione divina (Sal 1 09,4), già dal gior­ no in cui gli è stato detto, di fatto sono la passione e la morte a renderlo visibilmente sommo sacerdote fra e per gli uomini322• In assemblea pasquale (Eb l 0,25), quella del patto nuovo {8, 1 - 1 3), la comunità sappia attingere a tanto potenziale323• Su questi tracciati, e non solo su di essi, si apre il grosso blocco centrale: Eb 5, I l - 1 0, 1 8 articolato in 5, I l - 7 ,28; 8, 1 - 1 3 e 9, l l O, 1 8. Chiude il tutto una ana­ lessi-prolessi in l O, 1 9-39. -

3 20 La marcata sottolineatura neotestamentaria del Messia, che ne li 'angoscia grida e piange, prende piede nella omiletica rabbini ca solo come tradizione tardiva indotta dal cristianesimo. Se ne veda un attestato in Midrash Pesiqta Rabba 36, 1 62a: intorno al secolo III. Cfr. A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 84. Tuttavia, di una tradizione è da dire che vede il Messia « bere al torrente delle pro­ ve » (Sal l 09,7; 1 7,5-6; 3 1 ,6; 65, 1 2), ma anche >) l 'autore rinfac­ cia ai destinatari di essere divenuti stanchi, ottusi, non disponibili ali 'ascolto, un dato di fatto inequivocabile, stando al categorico uso del presente: « Siete diven­ tati pigri >>. Apostrofati in tal modo, essi si rendono personalmente attenti su un argomento tanto decisivo per la loro fede. Eppure, in Eb 6, 1 2 si legge il contra­ rio: egli auspica che i suoi non divengano pigri (me nothroi genesthe) , anzi non lo potranno mai diventare dal momento che le loro opere sono ispirate al bene (ergon-agape, 6, 1 0), quasi in un ascolto di fatto di Sir 4,29: « Figlio, non essere pigro e trascurato nelle tue opere ». Si profila così una feconda tensione: se in 5, I l essi sono già « pigri », in 6, l 0. 1 2 essi non lo sono ancora né lo potranno mai diventare. Il tentativo di rendere « siete diventati pigri » di 5 , 1 1 con « perché po­ treste diventare lenti nel capire », su influsso di 6, 1 0. 1 2, operando un indebito in­ tervento sul testo greco6, va escluso. È invece più vicino allo stile di Ebrei risol­ vere l 'aporia sul piano retorico: l 'autore affronta di petto i suoi destinatari in 5, I l , per poi ricondurre la sua « aggressione » a più pacati toni in 6, l 0. 1 2 . Vuole ottenere il suo scopo: che essi lo ascoltino su quel punto capitale (8, l ), frenino l ' incombente minaccia di ottusità, che però, in realtà, non è ancora tale. Si tratta di non compromettere quel tanto di captatio benevolentiae che, tra un tono e un altro, deve comunque raggiungere lo scopo. Siamo alla figura retorica della cor­ rectio, magistralmente condotta tra aversio e captatio. Non poca captatio è già presente in nothroP. Parola nota agli scritti dell 'e­ poca, essa porta in sé come una spinta innata al positivo: se ha il senso di negli­ gente, timido e pauroso8, se ne conosce anche l 'uso per stigmatizzare i negligen­ ti nell 'autodisciplina, capaci comunque di riequilibrare comportamenti e scelte. Sarà compito anche della ragione, strumento operativo e decisionale, patrimonio di tutti e di ognuno9• Qui, è possibile che l 'autore stia procedendo per retorica; egli non vuole segnalare una situazione già esistente, ma impedire che essa si ve­ rifichi. Saremmo di fronte a un delicato intervento pastorale10• 6 È il caso di P. Ellingworth ( The Epistle to the Hebrews. A Commentary on the Greek Text. New lnternational Greek Testament Commentary, Eerdmans, Grand Rapids; Paternoster Press, Carlisle (Michigan) 1 993, pp. 300-30 1 ), condiviso da R.C. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 300. 7 Su nothroi, hapax legomenon nel NT, cfr. C.H. Preisker, in GLNT ( 1 97 1 ) 7, 1 5 1 3- 1 5 1 4. La formula: « Pigri nell'ascolto » si legge in Eli odoro (Aethiopica 5, 1 ). 8 Così Polibio, Storie 3,63,7; 4,8,5; 4,60,2 . 9 Il riequilibrio di tanta disarmonia è infatti nelle possibilità di ognuno, annota Epitteto (Manuale di disciplina l ,7,30) con riflessione etico-filosofica. Ed è la ragione, in tutti e in ognuno, l 'organo capace di far lievitare la maturità della persona. E poi quel tanto di autodisciplina, an­ ch' essa alla portata di tutti e di ognuno, vi contribuisce e non poco. 10 È la proposta di A. Hilhorst, Sind die Hebriier Triige geworden ? Zu den A ussagen iiber die Adressaten in Hebr 5 und 6, in Filologia Neotestamentaria 1 2 ( 1 999) 1 6 1 - 1 66. L'annotazione vale anche per Eb 6, 1 2 . L'uso di epei dopo un sostantivo (qui nothroi epei) è una combinazione che tro­ va riscontri in Paolo: I Cor 5, I O; Rm 3,5-6; 1 1 ,6.22; 1 5, 1 4- 1 6. Quell 'uso di epei è ellittico. Esso è ri-

« Siete diventati pigri nell 'ascolto » (paràclesi) Eb 5, 1 1 - 6, 12

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[v. 12ab] La captatio continua. Introducendosi con un kai gar (infatti), l 'au­ tore tenta di spiegarsi, ricordando ai suoi che essi, cristiani e credenti « ormai da tempo », da quando cioè hanno aderito a Cristo e, « attraverso il tempo » (dia ton chronon), fino al momento presente, sono maestri nella fede o, meglio, « dovreb­ bero esserlo », dovrebbero cioè avvertire il bisogno di trasmettere la loro fede da maestri. È il senso di opheilontes. Tale dovere si fonda sulla comune tradizione che riconosce a chi è avanti negli anni una maggiore responsabilità. Qui si tratta di una comunità che da anni ha compiuto la scelta della fede cristiana. È dunque in grado di trasmetterla responsabilmente. Un nuovo accorgimento retorico che invita a prendere atto di quello che si è e a non indugiare nel gusto di voler resta­ re bambini bisognosi di nutrice 1 1 • Quanto al termine « maestri » (didaskaloi), mentre i l NT ne fa uso per preci­ se persone 12, Ebrei segue il comune modo di pensare, secondo cui coloro che hanno appreso sono anche in grado di insegnare. Come a dire: pongo domande quando non conosco le cose; dopo averle scoperte, le insegno agli altri 13, senza indugio. « Per quanto tempo ancora vuoi tu essere uno che studia? D'ora in poi sii piuttosto un maestro » 14• E invece? Più che introdurre gli altri nella fede cristiana, da veri maestri, quei suoi destinatari mostrano di essersi come bloccati e diventa­ no essi stessi di nuovo (palin) bisognosi di introduzione nell 'abbiccì della fede. Immaturi ! « Avete di nuovo bisogno che qualcuno v' insegni >> (v. 1 2). L'autore continua a muoversi tra rimprovero e stimolo alla ripresa, tra aversio e captatio. Avere di nuovo bisogno di insegnamenti elementari è infatti una formulazione che abbassa di molto il livello sociale di coloro che ne necessitano, dal momento che quanti potevano o dovevano dare insegnamenti erano invece in posizione di onore. L'autore vuole ottenere che chi si è quasi declassato da solo, ne avverta l 'umiliazione e si rialzi. Inoltre, con riferimento a Eb 8, l l (in cui l 'autore, ri­ prendendo Ger 3 1 ,3 1 -34, assume che « nel popolo della nuova alleanza >> non sarà più necessario che gli uni insegnino agli altri il dono del Dio alleato) si può dedurre che Eb 6, 1 2 voglia dire che l 'assimilazione di quell 'alleanza non è anco­ ra avvenuta. Arche è parola familiare a Ebrei: indica la fase iniziale della proclamazione della « grande salvezza >> in 2,3 ; l 'accoglienza della medesima da parte degli ascoltatori in 3 , 1 4; l '« insegnamento iniziale >> su Cristo in 6, l : ripartire da lui, di­ sponendosi ali ' ascolto della « grande salvezza » che egli ha proclamato. Di que­ sta vanno rivisitati gli elementi base, quelli preliminari, cioè a fondamento di tut­ ta la costruzione. È il senso di ta stoicheia, elementi tanto elementari da essere

Ievabile anche fuori dal NT: 4Maccabei 2, 1 8- 1 9; Giustino, Dialogus cum Tryphone Judaeo 27,5; Atti di Andrea 3 1 . Ora, le situazioni prospettate sono tutte ipotizzate, date per possibili, ma non an­ cora reali. Una forma strategico-retorica che tende a evitare un male denunziandolo come già pre­ sente. Che anche in Eb 5, 1 1 e in 6, 1 2 sia ellittico, è attendibile. Ma che A. Hilhorst vi ravveda un motivo decisivo per attribuire Ebrei alla penna di Paolo, va oltre le possibilità di un simile stile. 1 1 Si legga ancora Epitteto, Manuale di disciplina 3,24,53. 1 2 Cfr. Rm 1 2,7; 1 Cor 1 2,28-29; Ef 4, 1 1 ; l Tm 1 ,6. 1 3 Così il saggio Apollonio, in Filostrato, Vita Apollon ii l , 1 7. 1 4 Così Seneca, Lettere a Luci/io 33,8-9. Anche Epitetto, Enchiridion 5 1 , 1 .

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fondamentali in un qualunque campo15; qui indica gli insegnamenti base della fe­ de cristiana, descritti opportunamente con logioi tou theou. La formula è nota al giudaismo ellenistico che se ne avvale per indicare le parole profetiche che tra­ smettono il pensiero di Dio nella Scrittura 16; specie al plurale, indicano la legge (Sal 1 1 9, 1 0- 1 1 )17, ma anche le Scritture giudaiche, nel giudaismo ellenistico non­ ché in epoca protocristiana18• Rendere logioi con « oracoli di Dio » è più espres­ sivo che non « parole di Dio >>. Ebrei considera le Scritture parola di Dio da inter­ pretare alla luce di Cristo 19• Infatti, gli « elementi fondamentali » degli oracoli di Dio (5, l ) e quelli basilari su Cristo (6, l ) non sono identici, eppure nessuno dei due può fare a meno dell 'altro. Le immagini del latte e del cibo solido (v. 1 2b), usuali e ben note nella filo­ sofia e nella lettaratura greche per distinguere la persona matura da quella imma­ tura, appesantiscono il rimprovero, ma spingono anche alla soluzione: se la cre­ scita del bambino va accompagnata da nutrimenti adatti, quali il latte e suoi derivati, quella dell 'adulto da cibi adatti. I più nutrienti sono quegl ' insegnamen­ ti che guidano « alla sapienza, alla temperanza, alla virtù »20• In l Cor 3 , 1 -3 Paolo si rammarica per non aver potuto dare nutrimento solido a chi è ancora soggetto alla mentalità carnale, non illuminata dallo Spirito; deve dunque continuare a proporre loro cibo per neonati, latte da bere e non cibo solido da masticare (v. 2). Da « neonati in Cristo » (v. l b) essi non ne erano ancora « capaci » (v. 2). Quei cri­ stiani adulti a Corinto sono ignari degli elementi base della fede in Cristo. Ne so­ no riprova invidie, discordie e divisioni, una maniera di comportarsi del tutto umana (v. 3). I destinatari di Eh 5, 1 2 invece sono persone ben informate sulla fe­ de, e la loro decisione è stata compiuta da tempo e da persone mature, ora però cadute in apatia. Vanno risospinti verso la maturità nella fede (Eh 6, l ); da qui Ebrei ricorda i valori basilari della fede ( 6, l -2) e ai vv. 4-8 mette a fuoco iperbo­ licamente i disastrosi risultati di chi dovesse restare nell 'apatia. Eppure in tanto rimprovero a motivo di una responsabilità non esercitata nella fede, pur sussi­ stendone le capacità, si coglie lo zelo pastorale dell 'autore: quel loro rifiuto è in­ spiegabile, quell 'apatia non si addice loro. Un rimprovero che, al tempo stesso, è stimolo a rimontare. Tracce gnostiche nel senso di maturi e immaturi nella fede, liberi dai legami del mondo i primi e schiavi i secondi, sono qui da escludere. Introdotta la metafora, Eh 5 , 1 3 - 1 4 ne dischiude ora dettagliati risvolti. 1 5 Le stesse lettere dell 'alfabeto sono ta stoicheia per una lingua e per ogni singola parola nel­ la medesima (Diogene Laerzio, Vite 7,56); un confronto, una discussione, uno studio su un argo­ mento preciso richiede « soggetti fondamentali >> di avvio (Senofonte, Memorabilia Socratis 2, l , l ; Quintiliano, Institutio oratoria l , l , l ), nonché « idee, pensieri, concetti » basilari in forza dei quali farlo evolvere (cfr. Plutarco [50- 1 20 d.C.], Moralia 1 2c [P.H. Lacy - B. Einarson, edd.], [LCL]), Harvard University Press, Cambridge-London 1 968). 1 6 Cfr. Filone di Alessandria, De posteritate Caini 28; Deus immutabilis 50. 1 7 Cfr. Dt 33,9- 1 0 . Si legga Filone di Alessandria, De vita Mosis 2.56; De decalogo 36. 18 Cfr. ancora Filone di Alessandria, De vita Mosis 2,56; Epistola di Aristea 1 76- 1 77; Rm 3,2; l Clemente 53, l ; 62,3. 1 9 Cfr. C. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 30 1 . 2° Così, con abbondanza di dettagli, Filone di Alessandria, De agricultura 9; De migratione Abrahami 29; De somniis 2,9 (cfr. anche Epitteto, Manuale di disciplina 2 , 1 6,39).

« Siete diventati pigri nell 'ascolto » (paràclesi) Eb 5, 1 1 - 6, 12

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[v. 13] « Latte e cibo solido », due cose che si escludono a vicenda. Chi è bi­ sognoso di latte è infantile nello spirito, non è maturo. Chiunque esso sia, pas (chiunque), non ammette eccezioni. Ebbene, questi è « ignaro della parola della giustizia » (apeiros logou dikaiosynes). Questa formula, che è hapax legomenon nel NT, può avere il senso di parlare correttamente della propria fede. Ciò non è possibile per chi è inesperto (apeiros), fermo ancora a uno stadio infantile nella fede. È « infatti », come un bambino. In base al v. 1 4b, « essere ignaro della paro­ la della giustizia » richiama lo stadio di chi conosce quella parola ed è così in gra­ do di distinguere il bene dal male: sono i perfetti (teleioi), i quali si nutrono di ci­ bi solidi (sterea trophe) ; al contrario, chi non è « perfetto » « non sa capire un discorso su ciò che è giusto ». Può indicare anche la predicazione cristiana nel suo insieme, l 'annunzio della grande salvezza operata dal Signore (Eb 2,3-4), il Cristo sacerdote e vittima, dono di Dio che giustifica. Essere un inesperto è mo­ do usuale di descrivere l ' immaturità di una persona, mentre per i maturi è detto che sono in grado di distinguere il bene dal male, ormai esperti nelle applicazio­ ni molteplici dell 'opzione fondamentale. Esperti e inesperti : due termini tratti dalla filosofia greca; descrivono l ' intenzione de li ' autore che giudica comporta­ mento pigro quello di coloro che, pur avendo le debite conoscenze preliminari nella fede, non hanno ancora trasposto quegli elementi nella ortoprassi della vita. Non carenza di conoscenza, ma di esperienza nella fede e di saggezza2 1 • L'esperienza cristiana è in grado di migliorare la conoscenza nella fede. La co­ munità si apra alle nuove proposte insite nella loro nuova situazione cristiana. Il riferimento infine può essere anche alle opere della legge, non in grado di giusti­ ficare. Fra i destinatari, infatti, in buona parte giudeocristiani, serpeggia insisten­ te il desiderio di tornare alla prassi cultuale della legge e delle sue opere. Restare loro agganciati e continuare a dipenderne, è precludersi l 'accesso alla parola che giustifica, è restare ignari della « grande salvezza » (2,3-4). La maturità del cristiano perfetto (teleios) non è la conoscenza mistica, ma la capacità di discernere il bene dal male, la quale non è propria del lattante. Né essere cristiano è condizione acquisita, bensì conquista continua. Ma chi è il lattante (nepios)? La parola in sé ricorre in binomio in Mt 2 1 , 1 6: « Dalla bocca dei bambini (nepioi) e dei lattanti » e indica persone molto giova­ ni, anzi appena nate; per Gal 4, l e Rm 2,20 è bambino chi non ha ancora rag­ giunto l 'età legale. Se Ebrei attribuisce ad adulti la parola « bambini », ciò è per­ ché ravvede in essi un comportamento infantile ( I Cor 3, 1 ; 1 3, 1 1 ; Sap 1 2,24) e una forte carenza di discernimento22• È indubbio che l 'autore voglia umiliare questi adulti bambini, ma per spingerli a un salto di qualità, a un più intenso zelo neli ' ascolto e nella scelta responsabile (abbattere per costruire).

2 1 Filone di Alessandria (De migratione Abrahami 46) conosce il motivo. La situazione dei fanciulli e quella degli adulti sono ben distinte: la prima è epoca di apprendimento, la seconda di saggezza; i fanciulli vedono le meraviglie della natura, gli adulti le posseggono, perché resi parteci­ pi del dono divino della saggezza. Essa è comunque un dono di Dio, il Padre dell 'universo. 22 Per carenza_di discernimento, l 'adulto è definito « bambino » già in Omero lliade 1 7,32; Platone, Simposio 2228. ,

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Parte seconda. Traduzione e commento

[v. 14] Dal lato della traduzione, exis rappresenta una crux: condizione o eser­ cizio? In tutto il NT ricorre solo in Eb 5 , 1 4. Ebrei esorterebbe i suoi destinatari a la­ sciarsi alle spalle la loro immaturità, elogiando coloro che, attraverso l 'esercizio costante (dia ten exin), sono giunti a disporre di facoltà mature, ben allenate (ais­ theteria gegymnasmenaj23 a discernere ciò che è bene da ciò che è male24• Da qui l 'interrogativo: La formuletta descrive le potenzialità di un bambino che diventano efficienti grazie al loro costante esercizio, trasformandosi in qualità acquisite e ope­ rative25? Oppure esprime lo status quo del bambino, le cui potenzialità sono in via di maturazione, ma anche lo status quo dell 'adulto, le cui potenzialità sono espres­ sione efficiente e operativa di maturità in corso di acquisizione26? Distinguere il be­ ne dal male depone da sempre a favore della maturità di giudizio27. Le « facoltà » fi­ siche e spirituali sono da sempre strumenti di apprendimento, in direzione piacevole e non. Eppure, non tutto ciò che è piacevole è di fatto positivo, né tutto ciò che non lo è, è di fatto negativo; un'esperienza piacevole può avere conseguen­ ze negative e viceversa. Eb 1 2, 1 1 attesta bene questa dinamica28• Da qui la neces­ sità di esercitare la mente e la ragione perché siano esse a guidare i sensi29, né que­ sto training conosce un definitivo punto di arrivo, ma porta in sé la caratteristica della continuità30• Su questo retrofondo giudaico-ellenistico, il training delle pro­ prie qualità e facoltà suggerito da Ebrei per i credenti individua solo nella fede in Cristo, proprio perché di lui non si percepisce ancora il trionfo finale (2,8-9), il « campo » in cui esercitarsi di continuo e senza interruzione: ognuno dall ' interno del proprio « stato » (exis). Favorito dal contesto e dal retrofondo, questo significa­ to si impone sia per chi è come un bambino da nutrire con latte sia per l 'adulto, da nutrire con cibo solido. Entrambi sono protesi verso una maturità nella fede (exis), per la quale dovranno essere sempre in esercizio (gegymnasmena), mettendo co­ munque in conto fasi alterne e ricorrenti. « Santificazione, gioia, pace e giustizia >> ( 1 2, I l ) necessitano sempre di training e prevedono comunque lentezze, pause e 2 3 Lo esprime la forma verbale gegymnasmena al participio perfetto. Essa racconta una espe­ rienza divenuta maturità stabile e valida capacità di giudizio, dai risultati ben visibili. Nel senso di Col 3, l 0: « Avete rivestito il nuovo, che si rinnova ». 24 « Il buono e il cattivo (kalou te kai kakou) : vocabolario concreto che evoca situazioni con­ crete. La traduzione « il bene dal male », egualmente buona, è astratta e meno vicina al testo, ma esprime più vivacemente il principio della opzione fondamentale. Si tratta anche di saper distingue­ re il vero dal falso e, ancora, ciò che è migliore da ciò che è semplicemente buono, come la nuova alleanza, ad esempio, che è migliore, superiore ali 'antica. 2 5 Su questo senso di exis riferisce C. Spicq (L'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, p. 1 45), avvalendosi di Quintiliano, Institutio oratoria l O, l , l ; di Platone (Philebus 1 1 d) che parla di exis psyches e del filosofo Albino (secolo Il), Epitome doctrinae p/atonicae 26,3,4.6.8- 1 0 . J.A.L. Lee (Hebrews 5, 14 and exis: a History of Misunderstanding, in Novum Testamentum 39 [ 1 997] 1 74) ri­ prende C. Spicq, dissentendo, e critica fortemente L. M. Kiley, A Note on Hebrews 5, 14, in CBQ 42 ( 1 980) 501 -503 : questi, appoggiando la tesi di Albino, lavorerebbe non sul testo greco, ma su una traduzione inglese ! 26 Così Filone di Alessandria (Leges allegoriae 3,2 1 O) commenta Gn 22, 1 7. 2 7 Così Dt 1 ,39; Is 7, 1 6. Si veda poi Pseudo-Cicerone, La retorica a Gaio Erennio 3 ,2-3 . 28 Cfr. anche Filone di Alessandria, De mutatione nominum 8 1 -82. 2 9 Cfr., al riguardo, Epitteto, Manuale di disciplina 2, 1 8,24-27; ancora Filone di Alessandria, De mutatione nominum 8 1 -82. Si veda poi Musonio Rufo, Fragmentum 6. 3° Cfr. Filone di Alessandria, De agricultura 1 60.

« Siete diventati pigri nell 'ascolto » (paràclesi) Eb 5, 1 1 6, 12 -

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nuove partenze. Dal contesto e dal retrofondo giudaico ellenistico, la cna di exis ri­ ceve una soluzione attendibile3 1 • Si noti l a posizione speculare interna ai vv. 1 3- 1 4 per paralleli antitetici : a) a') b) b') c) c')

v. v. v. v. v. v.

1 3a 1 4a 1 3b 1 4c 1 3c 1 4a

latte (galaktos) cibo solido (he sterea trophe) non discernimento (apeiros logou dikaiosynes) discernimento (pros diakrisin) bambino (nepios) adulto (teleion).

Al nutrimento con latte risponde quello con cibo solido (a-a'); a chi è ignaro della parola di giustizia risponde chi ha acquisito e va acquisendo (pros diakrisin) esperienza nel discernere il bene dal male (b-b '), per poi adeguatamente decidere la scelta32; al bambino lattante risponde l 'adulto maturo, perfetto (c-c ')33• Per Eb 5, 1 4b acquisire la conoscenza della « parola di giustizia )) deve essere il concreto ri­ sultato di un training ininterrotto di discernimento del bene dal male. In questa sua posizione, Ebrei risente del pensiero greco-romano34, ma ancora di più della prassi religiosa giudaica in epoca ellenistica quando, di sabato, i pii ebrei convenivano nelle loro scuole e « ragionavano sulla giustizia )), identificando i propri doveri ver­ so Dio e il prossimo e studiando i modi migliori per adempierli35• [6,1-3] Ma colui che in Cristo ha avuto la libertà dei figli di Dio (Eb 3 ,6), ha ricevuto anche la « parola di giustizia )). E non è necessario riproporre l 'argo­ mento. Né lo è il dover ricordare che la salvezza della persona umana non è frut­ to delle sue opere. Queste santificano. Ma la fiducia nella misericordia divina 3 1 J.A.L. Lee (Hebrews 5, 1 4 and exis: a History ofMisunderstanding, in Novum Testamentum 39 [ I 997] 1 5 1 - 1 76) analizza exis nel mondo classico, neotestamentario e patristico, e opta decisa­ mente per « stato », definendo « falsa » la traduzione « esercizio )). Ma quanto su proposto, mi pare ri­ sponda al meglio alla intentio auctoris: exis e astheteria gegymnasmena sono da considerare paral­ lelamente. Il contesto di Eb 5, 1 3- 1 4 rispetta la lessicografia, ma si spinge oltre. Sostengono questo senso di exis Gregorio di Nissa (secolo IV), De creatione hominis, in PL 67,2 1 ,3 800: « Nam iuxta disciplinam bonum a malo discernere, perfectioris esse habitus (exeòs) dicit apostolus eorum qui exercitatos habent sensus )) (Distinguere il bene dal male è proprietà dello stato maturo di coloro che hanno opportunamente esercitato i loro sensi). Ancora Ecumenio (secolo VI), Pauli Apostoli ad Hebraeos Epistola, in PG 1 1 9,3290-330, e Teofilatto (secolo XI), Epistolae Divi Pauli ad Hebraeos Expositio, in PG l 25,249A. Quest'ultimo conosce bene Giovanni Crisostomo, il quale, tuttavia, non offre un commento su Eb 5 , 1 3 - 1 4. Ma non lo fa neppure Teodoreto di Cir(r)o, Interpretatio Epistolae ad Hebraeos, in PG 82,7 1 3-7 1 6. Origene cita spesso Eb 5 , 1 4, ma non contribuisce a pre­ cisare il senso di exis. 32 Interessante constatazione : pros diakrisin riflette in Ebrei l 'uso classico (cfr. Platone, Repubblica 2,3 79e; Tucidide, Guerra del Peloponneso 1 , 1 3 1 ,2; Senofonte, Anabasis 1 ,6,5) e non quello del NT, che esprime, quasi esclusivamente, sentenza di condanna. Cfr. F. Biichsel, krisis, in GLNT ( 1 970) 5 , 1 076- 1 078. 33 Questa specularità mostra che eventuali risonanze gnostiche in Eb 5 , 1 4 sono solo l ' occasio­ ne per Ebrei onde sviluppare un ben altro insegnamento e una ben'altra paràclesi. Cfr. H. Feld, Der Hebriierbrief, p. 49. 34 Cfr. Senofonte, Ciropedia 1 ,6,30-3 1 , e Marco Aurelio, Meditazioni 1 1 , 1 , 1 0; 1 2, 1 . 3 5 Così Filone di Alessandria, De vita Mosis 2,2 1 6; De specialibus legibus 2,62.

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Parte seconda. Traduzione e commento

apre l 'uomo alla fede in Dio e ali ' incontro con lui. E se è bene menzionare anco­ ra una volta gli elementi principali della fede per un catecumeno, non è però un bene riesporli (me pa/in) , nonostante l ' accertata debolezza dei destinatari . « Lasciamo perciò da parte l ' insegnamento iniziale », non è infatti necessario do­ ver ri-gettare le fondamenta della conversione (themeleion . . . metanoias) al Dio vivente. L'espressione ha del retorico. La voce verbale aphentes (v. l ) descrive, infatti, il passaggio da una situazione iniziale (arch-) a un'altra più completa e perfetta (te/-)36, senza però che l ' insegnamento iniziale su/di Cristo debba essere abbandonato; esso è imprescindibile, sia che si tratti della « grande salvezza » promulgata agli inizi dal Signore stesso (2,3-4) sia di lui stesso come oggetto del­ l ' insegnamento da parte dei suoi37• E l 'autore lo sa bene: i suoi destinatari si so­ no già impossessati di quell ' insegnamento (captatio) . Proprio per questo (dio) non intende ridire cose note. Tuttavia ricorda, come en passant, sei elementi rac­ colti in tre binomi ben costruiti : opere morte e fede; insegnamento (didache) sui battesimi e sull ' imposizione delle mani; insegnamento sulla risurrezione e sul giudizio eterno38. Potrebbe fare da retrofondo a questi tre binomi un « insegna­ mento iniziale » su Cristo, già impartito dali ' autore per contrastare la posizione giudeocristiana gnostico-ebionita39• Questa vedeva in Cristo una potenza angeli­ ca che ha preso abitazione nel Gesù uomo dal suo battesimo alla sua passione, per poi }asciarlo al suo destino di morte e tornare fra gli angeli. Ebrei ridimensiona molto gli angeli e insiste sulla vera umanità di Cristo Gesù nella sua passione; ciò dà senso a 6, 1 e spiega anche la felice formulazione di 1 3,8: Cristo è lo stesso ie­ ri, prima dell ' incarnazione, oggi, dopo di essa e dopo passione e morte, dunque per sempre40• Su questo eventuale retrofondo si collocano i tre binomi con i quali Ebrei si riporta a tradizioni sinottiche e neotestamentarie: conversione (dalle opere mor­ te) e fede41 , risurrezione e giudizio42• Quanto al battesimo e ali ' imposizione del­ le mani, erano momenti vissuti dal protocristianesimo43, pur essendo non del tut­ to chiaro il loro rapporto con l ' insegnamento e con la prassi iniziali del Signore stesso. Gesù impone le mani per benedire o guarire (Mc 5,23; 6,5; 1 0, 1 3): egli 36 Questa forma chiastico-antitetica ricorre anche in Epitteto, Manuale di disciplina l , 1 6,9 e 4, 1 , 1 5 . 3 7 Toù Christoù (« Di Cristo ») può infatti essere genitivo soggettivo (« il Signore insegna », 2,3-4) e oggettivo (« il Signore è il contenuto de li ' insegnamento »). In entrambi i casi, per Ebrei vi è continuità. Va dunque escluso che l ' autore voglia bloccare una eventuale infedeltà ali ' insegna­ mento delle origini. 38 In un « libro >> costruito con molta arte letteraria questa ripartizione considera didaches (v. 2a) un genitivo comune, da cui dipendono i quattro genitivi: « dei battesimi, de li ' imposizione delle mani, della risurrezione dei morti, del giudizio eterno >>. Che si tratti della didache ton apostolon è da escludere. 39 Ne accenna Ireneo di Lione, Adversus haereses 1 ,26,2. 40 Suggerimento attendibile di M. Goulder, Hebrews and the Ebionites, in NTS 49 (2003) 393406, in forza di Eb l ,5 - 2, 1 8. 4 1 Cfr. Mc 1 , 1 5 ; At 2,38; 20,2 1 . 42 Cfr. Mc 1 2 , 1 8,27 e parr. ; Mt 1 0, 1 5; 1 2,36; Rm 2, 1 6. 43 Cfr., rispettivamente, At 2,4 1 ; 9, 1 8; Rm 6,3-4; Gal 3,27; l Pt 3,2 1 (battesimo) e At 8, 1 7- 1 8; 1 9,6; I Tm 4, 1 4; 5,22 (imposizione delle mani).

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stesso fu battezzato (Gv 4,2; già 3 ,22). I cristiani delle origini connettono il loro battesimo con quello di Gesù, con la sua morte e risurrezione. Dal momento che Ebrei suppone tutti questi elementi basilari già acquisiti, invita qui a camminare spediti verso la maturità nella fede, l 'approfondimento della medesima44, dando agli elementi basilari già appresi la possibilità di espri­ mere tutta la loro potenzialità (v. l a)45• In caso contrario, serio è il rischio de­ scritto in Eh 6,4-8 . Guardino invece a lui, che ha raggiunto la perfezione nella fe­ de attraverso contrarietà e sofferenze, fino alla morte (5 ,7-8)46• Primo binomio: « Abbandono delle opere morte e ritorno alla fede in Dio » (v. l ). Questo insegnamento-istruzione (didache) mette a fuoco in primis quelle opere che appesantiscono la coscienza con il tormento della trasgressione (9, 1 4; 1 0,3-4); opere « immorali e profane » (il caso emblematico di Esaù, 1 2, 1 6- 1 7) che danno la morte, la vera conseguenza del peccato: esso allontana da Dio, che è vita. E se l 'adesione a Dio è via alla vita47, l 'adesione alle « opere morte » è via a un giudizio di Dio che non potrà che essere severo48• Si tratta poi delle opere della legge e, fra esse, in particolare, dei sacrifici nel culto giudaico: questi non producono morte, ma lasciano nella morte; purificano infatti solo il corpo e non sanano la coscienza, che resta aggravata dalle infedeltà ali 'alleanza dalle opere morte (9, 1 4). Questo limite le rende inefficaci a produrre vita. Infine, l ' idolatria è « opera morta >> in quanto culto reso agli idoli, essi stessi inesistenti, morti49• Convertirsi da essi è aderire al Dio vivente e passare così da opere morte (apo nekron ergon) a opere vive, alla fede in Dio (kai pisteos epi theon; At 1 4, 1 5 ; 2Cor 6, 1 6). La testimonianza insistente di Ebrei sul « Dio vivente » (3, 1 2; 9, 14; 1 0,3 1 e 1 2,22) può suggerire una solerte attenzione dell 'autore al mondo della gentilità che andrebbe dunque considerato fra i destinatari della sua esortazione, cosa pos­ sibile, ma non ancora del tutto condivisa50• « Opere morte » sono dunque quelle che, compiute al di fuori della fede e vuote di speranza51 , allontanano dal Dio del­ la vita. Primo atto della comunità cristiana è revisione di vita, la conversione a

44 Epi ten teleioteta, formula singolare, fino a oggi attestata solo in testi cristiani, a partire da Eb 6, 1 ; 1 2,2 (cfr. G. Delling, teleiotes, in GLNT [ 1 98 1 ] 1 3 , 1 053 - 1 056). 45 Una scaletta equivalente in un simile cammino è in Seneca, Lettere a Luci/io 88,20: lo stu­ dio della grammatica prepara ad apprendere le arti liberali, queste poi orientano verso la virtù. Possedere quest'ultima, però, è risultato esclusivo di un lavoro assiduo del l ' interessato. Solo allora questi è « perfetto » e la procedura di apprendimento è completa. Così Ebrei: non ci si arresti nel­ l ' approfondire gli elementi basilari della fede, si vada tuttavia oltre, nella speranza, per pregustare già ora le promesse di Dio. 46 Al riguardo, c'è suggerimento ancora in G. Delling, teleiotes, in GLNT( l 98 1 ) 1 3, 1 055- 1 056. 47 Frequenze in Dt 30, 1 5 ; Ger 2 1 ,8; Ef2,5; Col 2, 1 3 ; Didachè 1 , 1 - 5,2. 48 Significativa testimonianza in Salmo di Salomone 1 5 , l 0. 1 3 . 49 Retrofondo biblico e giudaico-ellenistico i n Sal l 06,28 (TM); I s 44,9-20; Ger l 0,5; Dn 5,23; Sap 1 3, 1 0. 1 8; Giuseppe e Asenet 8,5; 1 2,5; 1 3, 1 1 . 50 Cfr. C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 305 . Si veda qui la Sezione introduttiva, pp. 5 1 Nel senso di Rm 1 , 1 8-20. Opere che conducono alla morte: Rm 5, 1 2 .2 1 ; 6,23 ; 7,5-6; l Cor 1 5,56; Ef 2, 1 ; Col 2, 1 3 ; Gc 1 , 1 5; Gv 5,24; I Gv 3, 1 4. Rinunziare a queste è compito dell'opzione fondamentale: l Ts 5,2 1 : « Omnia probate, quod bonum est tenete »; Eb 1 3, 1 8 : « Siamo persuasi di avere una buona coscienza, dal momento che vogliamo comportarci sempre bene in tutto ». Segno di tale rinunzia e opzione fondamentale è il battesimo.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Dio, nel senso di Is 46,8 (LXX): chi è incorso nell 'errore, si converta dalla du­ rezza del proprio cuore. L'adesione a Dio nella fede è il turning point per il pas­ saggio dalla morte alla vita (Sap 1 1 ,23; 1 2,2; At 1 4, 1 5 ; 20,2 1 ; 26,20). Primo bi­ nomio: riesaminare la fondazione cristiana. Secondo binomio: « Insegnamento sui battesimi e imposizione delle mani » (v. 2). Il plurale baptismon didaches (battesimi) proviene dal singolare baptismos. Evitando l 'usuale baptisma e optando per baptismos, Ebrei opera un riferimento al­ la prassi lustrate giudaica (9, 1 0; cfr. Mc 7,4), che ha nel ministero battesimale di Giovanni il Battista (At 1 8,25b) un rito lustraie di purificazione e pentitenza ( 1 9, 1 5), il suo più illustre ministro52• Altrove, il battesimo protocristiano è indicato con baptismos (Col 2, 1 2)53, ma anche con baptisma (Rm 6,4-5) e relativa voce verbale (At l ,5). Esprimendosi al plurale (« battesimi >>), l 'autore ha lo scopo di distingue­ re tra riti lustrati vari, tipo quelli menzionati in Eb 9, l O, e il battesimo cristiano54• Il fatto poi che in 6, 1 -3 egli ricordi insegnamenti basilari per coloro che hanno aderi­ to alla fede cristiana e combini il battesimo con l '« imposizione delle mani », e in 6,4 introduca anche l 'azione dello Spirito fra coloro che sono stati « illuminati », depone a favore di una sua catechesi intesa a profilare il battesimo cristiano nello Spirito santo e a distinguerlo dalle molteplici prassi lustrali55• Allusione alle purificazioni tardogiudaiche?56. O ai riti lustrati praticati a Qumran? Improbabile57• Quanto ai riti lustrati gnostici, se non altro perché im­ partiti più di una volta e con un rito ampolloso e concettualmente ripetitivo58, Ebrei se ne distanzia. Una cosa è però chiara: l 'abbondanza nel secolo I di simili riti, ai quali potrebbe globalmente alludere il plurale « dottrina dei battesimi », at­ testa il diffuso anelito alla purificazione per un giusto contatto con Dio. L'autore ricorda ai suoi che nel rito del battesimo cristiano è prevista l ' imposizione delle mani (epitheseos te cheiron, 6,2); ed è anche quest'ultima a ben distinguerlo dai riti lustrati tardogiudaici, qumraniani e gnostici. Essa è attestata in epoca neote­ stamentaria: va supposta in Mc l O, 1 3, dove Gesù « tocca, accarezza, benedice » i bambini59; è esercitata quando si investe qualcuno per una missione o per un mi52 Anche G. Flavio (A ntichità giudaiche 1 8, 1 1 7), che ne riferisce, si avvale di baptismos. 5 3 È il caso di Col 2, 1 2, in forza di J>46 (secoli II-III) e del codice 8 (secoli III-IV). 54 Così anche H. W. Attridge, Lettera agli Ebrei, p. 287; W.L. Lane, Hebrews 1-8, vol. l, su Eb 6,2; già H.F. Weiss (Der Brief an die Hebriier) su Eb 6,2a. 55 Poco attendibile, dunque, la traduzione: « Insegnamento sulle immersioni battesimali » sug­ gerita da A. Strobel (La Lèttera agli Ebrei, p. 9 1 ). Che il plurale baptismoi (battesimi) attesti la pras­ si delle « tre » immersioni rituali è poco sostenibile. Non se ne conosce infatti il perché (forse culto trinitario?) né si è in grado di determinarne l ' epoca. 56 Se ne discute in KNTTM.SB, vol. l, pp. 695-705 . 5 7 Documentazione e discussione in H. Braun, Qumran und das Neue Testament, vol. Il, pp. l -29. 5 8 Si veda la frequenza delle voci baptizein , baptisma e baptistes in C. Schmidt V. Macdermot, Pistis Sophia, Brill, Leiden 1 978: Greek Words, p. 787, e relativi contesti. 59 Haptomai tinos ha il senso immediato di « toccare qualcuno materialmente ». L'equivalenza con « benedire e imporre le mani >> è data dalla tradizione giudaica. Di sabato i genitori solevano benedire i propri bambini imponendo loro le mani. Nel grande giorno dell 'espiazione anche i bambini erano tenuti al digiuno, quindi portati alla presenza degli scribi perché imponessero loro le mani e li benedicessero. Cfr. J. Schmid, Il vangelo di Marco, Morcelliana, Brescia 1 969, p. 252; J. Gnilka, Il vangelo di Marco, Cittadella, Assisi 1 9983, p. 54 1 ; inoltre, S. Grasso, Vangelo di Marco (LB.NT 2), Paoline, Milano 2003 . -

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nistero specifico60, quale segno esterno capace di ottenere guarigione61 • La co­ munità cristiana stessa imponeva le mani su chi stava ricevendo il battesimo, pre­ gando perché su di essi scendesse lo Spirito santo62• Non deve sfuggire che, men­ tre Eb 6,2 menziona l ' imposizione delle mani, 6,4 parla di quanti sono diventati partecipi dello Spirito santo. Si può rintracciare la prassi dell ' imposizione delle mani come parte costitutiva del rito dell ' iniziazione cristiana63 • Terzo binomio: « Insegnamento sulla risurrezione dei morti (anastaseos te nekron) e sul giudizio eterno (kai krimatos aiOniou) » (v. 2b). Il primo riferimen­ to dell 'autore è a quanti sono morti: lo vuole il plurale nekroi. Egli non pensa al­ la sola risurrezione di Gesù come sarà invece in Eb 1 3 ,20. Questo richiamo mo­ stra la preoccupazione pastorale di Ebrei circa le idee in corso sulla risurrezione nel mondo farisaico. L'autore vi si immette con apporti propri. Così, in 1 1 , 1 9, l 'offerta incondizionata della vita di Isacco a Dio da parte di Abramo è fondata sulla certezza di quest'ultimo che quello stesso Dio è ben in grado di far risorge­ re anche i morti. In 1 1 ,35 , poi, il ritorno alla vita per opera di Elia ( l Re 1 7,2 1 ) e di Eliseo (2Re 4,35) di fanciulli morti è prefigurazione della risurrezione dei de­ funti dopo la morte, non necessariamente alla fine dei tempi. Eb 1 1 ,35 sembra inoltre appoggiare il modo della risurrezione per restituzione, quando ricorda che dei martiri hanno permesso che il loro corpo fosse mutilato in quanto certi che il Signore della vita avrebbe restituito loro quelle parti mutilate, dunque l ' integrità fisica, nella risurrezione futura (2Mac 7,9- 1 0. 1 4.29)64• Che questa sia la risurre­ zione alla fine dei tempi, crea una certa discontinuità con l ' azione del Dio viven­ te e dei viventi. Questi, per ridare la vita, dovrebbe attendere la fine dei tempi. Una questione, questa, che la catechesi (didache) di Ebrei sulla risurrezione mo­ stra di risolvere in ben altro modo, sia quando in 9,27 prevede la possibilità di un giudizio immediato dopo la morte sia quando in 1 2,23 riferisce sugli spiriti dei giusti che vivono in cielo. La questione è dunque aperta a un insegnamento da ap­ profondire. Per ora, più che risolvere la tensione in corso nella speculazione reli­ giosa tra vita presente e futura, tra una vita nuova subito dopo la morte o solo al­ la fine dei tempi, Ebrei propone ai suoi la novità cristiana in materia: la risurrezione dei morti per opera del Dio dei viventi, fatto certo, dà già ora senso alla vita presente dei cristiani in marcia verso quella futura quando egli rivestirà il ruolo di giudice nel Figlio risorto, il « pastore grande delle pecore » tornato dai morti ( 1 3 ,20). Sul « giudizio eterno », non dunque « condanna eterna », decide l 'uso del ter­ mine krima. Esso designa la decisione del giudice. Non poche le testimonianze nel NT al riguardo, fra le quali Eb 6,265• Il risultato poi di quella decisione, cioè della sentenza che le fa seguito, costituisce il secondo significato attestato nella 60 Si leggano: At 6,6; 1 3,3 ; l Tm 4, 1 4; 5,22; 2Tm l ,6. 6 1 Cfr. Mc 5,23; 6,5; At 9, 1 2. 1 7. 62 Così in At 8, 1 7- 1 8 e 1 9,6. 63 Così più tardi in Tertulliano, De baptismo 7-8, e in Cipriano, Epistula 73,6-7. 64 Su 2Maccabei, cfr. C. Marcheselli-Casale, Risorgeremo, ma come?, EDB, Bologna 1 988, pp. 334-338. 65 Cfr. ancora Gv 9,39; At 24,25; Rm 1 1 ,33; ! Cor 1 1 ,29.34; ! Pt 4, 1 7; 2Pt 2,3; Ap 20,4.

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maggioranza delle frequenze di krima nel NT. E si tratta per lo più di una senten­ za sfavorevole. Giudizio e sentenza sono dunque due momenti distinti, anche se correlati66• In 6,2 è rimarcato il primo senso. Ebrei conosce ma non dirime la questione, se tale giudizio eterno riguardi solo i giusti67 o anche gli empi68, se sia cioè un giudizio universale o meno. In ogni caso, il riferimento nel primo binomio, alle opere morte, spinge a ritenere che l 'autore pensi a una valutazione da parte del giudice sia delle opere buone sia di quelle non tali, in termini di ricompensa e di punizione. Nelle testimonianze di punizione, mai Ebrei esclude espressamente il dono della grazia di Dio69• È la po­ sizione dell 'autore, da valutare tuttavia in base a Eb 6,4-6. Intanto, non si pre­ scinda da quei tre binomi e dai sei punti dell ' « insegnamento iniziale ». Un cate­ chismo proselita?70. Tuttavia, si punti più in alto, verso « ciò che è più perfetto »: è la posta in gioco introdotta con decisa dichiarazione d' intenti : « Questo noi in­ tendiamo fare . . . » (v. 3a). L'autore, che una volta ancora si inserisce tra i destina­ tari della sua stessa esortazione (captatio), è certo della benevolenza di Dio che corona di successo un impegno comune; egli sa bene che da sola la migliore di­ sponibilità umana non basta; e sull 'aiuto di Dio non c'è dubbio ! Il richiamo è al v. l a: l 'autore vuole spingere alla fede matura, ma « . . . se Dio lo permette » (v. 3b)11, vuole andare con i suoi verso una maggiore « completezza » (epi ten te­ leioteta) nella fede, approfondire quanto è già contenuto in quegli elementi basi­ lari, spingersi oltre i medesimi . Lo stesso auspicato sostegno della condiscenden­ za di Dio e del suo benevolo giudizio è riferito alla situazione presente72 e va ottenuto nella fede. E siccome per Eb 2, l O Dio è colui « per il quale e dal quale sono tutte le cose », dire « se Dio vuole » significa riconoscerne la sovranità sulla vita cosmica, su quella umana, di ieri, di oggi, di domani. Eppure, i lettori hanno già mostrato slealtà nei confronti di Dio rinunziando alla loro crescita nella fede (5, 1 1 - 14). Essi non possono continuare a « ignorare un così grande dono di sal­ vezza )) (2,2 ) , piuttosto il loro sforzo sia di esercitare « maggiore impegno e at­ tenzione )) (v. l ) in una così grande questione, di tenere ferme la libertà e la spe­ ranza acquistate in Cristo (3 ,6), di esortarsi reciprocamente (3, 1 3) e di impegnarsi (4, 1 1 ). È il progetto di Dio (v. 3 ) per il quale egli investe la sua benevolenza (v. 1 0), conforme alla sua promessa (6, 1 3-20). L'amore redentivo di Dio non signifi­ ca che le sue promesse vadano comunque a compimento, anche senza l 'adesione obbedienziale nella fede. Al contrario, il dono della salvezza « autoobbliga )) i 66 Cfr. F. Biichsel, krima, in GLNT ( 1 969) 5 , 1 078. 67 Così lasciano pensare 2Mac 7,9. 1 4; Salmo di Salomone 4, 1 1 - 1 2. 68 Abbondanti frequenze: Dn 1 2,2; Sap 4,20 - 5,23; Mt 25,3 1 -46; Gv 5,28-29; Rm 2,6- 1 0; Ap 20, 1 2- 1 3 . 69 Così e bene C. R. Koester, Hebrews. A New Trans/ation, p. 306. 70 Per l ' ipotesi secondo cui in Eb 6, 1 -2 vi sono consistenti tracce di un catechismo proselita in sei punti, altrettanto validi per i cristiani, ma solo se riletti nella homologia gesuologico-cristologi­ ca, ed è questo lo sforzo pastorale de li ' autore, cfr. Sezione introduttiva, pp. 30-3 1 . 7 1 L'espressione (( Se Dio vuole )) era corrente: cfr. Gc 4, 1 5 ; 1 Cor 4, 1 9; 1 6,7; At 1 8,2 1 ; Rm l , l O. Si veda G. Flavio, Antichità giudaiche 20,267. 7 2 Come richiesto da eanper epitrepe ho theos al presente e non al l ' aoristo epitrepse. Cfr. M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 500.

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cristiani; quel dono è esigente, fino alle non auspicabili conseguenze, piuttosto dure e (quasi) irreparabili, di cui ai vv. 4-8. [vv. 4-6] A ustero rimprovero, senza speranza ? La comunità destinataria è messa di fronte a un accorato appello. Come è possibile pensare che una comu­ nità come la vostra, che ha già gustato in pienezza il dono di Dio in Cristo nello Spirito73, che ha già optato per la sua Parola e ha ora lo sguardo puntato verso le promesse future, possa come d' incanto rigettare il tutto? (vv. 4-5). Tutto ciò è davvero impossibile, pensa l 'autore. Come può infatti ricambiare vita chi già l 'ha cambiata? Come può una comunità di giusti giustificati estromettersi dalla giu­ stificazione? Come può sottrarsi alla forza giustificante del battesimo chi di fatto lo ha ricevuto? Tutt'al più può arenarsi nel cammino di santificazione, tornando, ad esempio, alle « opere morte » (v. l ). L'autore sembra come volersi confrontare con l 'assurdo, con una sorta d' ironia degli eventi e dare fondamento alla propria persuasione circa l ' impossibilità di un si­ mile risvolto: sarebbe come tornare a crocifiggere il già Crocifisso, riesporre ali ' in­ famia il già infamato (v. 6). Ma tutto questo è impossibile! Che se lo fosse, sarebbe davvero impossibile tornare a lui, una seconda volta. Ma i suoi lettori, comunità e singoli, avranno poi capito il loro pareneta, il firmatario della « parola di consolazio­ ne » ( 1 3,22), la forza ironico-iperbolica del suo discorso, il suo sottile adinato?74• Osserviamo i vv. 4-6 più da vicino. Le quattro frequenze participiali ai vv. 4575, sono in coordinazione subordinata reciproca e si spiegano a vicenda. Notevoli le implicazioni teologiche. Nessun perdono per peccati commessi dopo il battesimo? O solo situazione ipotetico-iperbolica?76• I vv. 4-6 devono avere co73 Il riferimento pneumatologico ha una riprova di tipo storico-religioso. Ali 'epoca del secon­ do tempio giudaico è forte la persuasione che il dono dello Spirito sia condizionato alla obbedienza a Dio, alla piena adesione a lui lungo il pellegrinaggio terreno. Disattendere quell'adesione è perde­ re l 'accompagnamento dello Spirito nonché le benedizioni di Dio-JHWH. Si veda utilmente M. Emmrich, Hebrews 6, 4-6. Again ! A Pneumatological lnquiry, in Westminster Theological Journal 65 (2003) 83-95. Ma la decisione e la ridecisione restano comunque nelle mani del peregrinante. Il che è sempre possibile, perché la fedeltà di Dio e dello Spirito è definitiva. 74 Suggerimento critico attendibile e buon apporto alla soluzione dello scottante interrogativo. Si leggano, al riguardo, e parallelamente i contributi di W.S. Sailer, Hebrews Six: An lrony or a Continuing Embarassment? in EJ 3 ( 1 985) 79-88 (su Eb 6,4-6); V.D. Verbrugge, Towards a New lnterpretation of Hebrews 6,4-6, in CTJ 1 5 ( 1 980) 6 1 -73 e G.E. Rice, Apostasy as a Moti[ and lts Effect on the Structure ofHebrews, in AndrUnSS 23 ( 1 985) 29-3 5 . Di recente, B. Nongbri, A Touch of Condemnation in a Word of Exortation: Apocalyptic Language and Graeco-Roman Rhetoric in Hebrews 6, 4-12, in Novum Testamentum 45 (2003) 265-279. Nello stile dello Pseudo-Cicerone (La retorica a Gaio Erennio 4,37,49 [F. Cancelli, ed.), Mondadori, Milano 1 992]), Ebrei redarguisce i suoi destinatari in modo pungente e severo; tende, tuttavia, a mitigare la propria minaccia con una esortazione incoraggiante in 6,9- 1 2 : continuino, i suoi, ad attraversare le vicende di questo mondo con perseveranza nella fede, evitando l 'apostasia, una caduta fatale senza ritorno. Ma essi non vi so­ no ancora caduti. Né vi cadranno. Secondo B. Nongbri, Eb 6,4- 1 2 coniuga il linguaggio dell 'apoca­ littica giudaica con quello esortatorio greco-romano. 75 Si tratta di: phOtisthentes (« che sono stati illuminati >>); geusamenous (« che hanno gusta­ to »); metochous genethentas (« che sono diventati partecipi »); geusamenous (« che hanno gusta­ to »), questa ultima frequenza, ripetizione intenzionale della seconda. 76 Suggerimento in M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 500: « A-dynaton po­ test intelligi hyperbolice ». Dettagliato contributo di A. Kawamura, Adynaton in Heb 6, 4, in AJB I O ( 1 984) 9 1 - 1 00.

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Parte seconda. Traduzione e commento

munque disturbato la comunità cristiana delle origini. Tre considerazioni previe, prima di accedere a questo punto. Chi sono costoro per i quali è impossibile tornare una seconda volta a con­ versione? Si tratta certamente di cristiani illuminati una volta per sempre (hapax photisthentes) dal battesimo e dalla parola del vangelo del Signore (Eh 2,3-4)17• Sono essi ad avere gustato il dono celeste e a essere divenuti partecipi della vita dello Spirito santo (v. 4). « Che hanno gustato » (geusamenous) , riferimento non improbabile alla celebrazione pasquale del Signore, a motivo della possibile al­ lusione a 2,9 (cfr., infra, 6,4b ), ma molto più solo alle due immediate specifica­ zioni successive: « La buona parola di Dio >>, cioè il vangelo, e le meraviglie78 del mondo futuro, le quali si sono rese manifeste nelle gesta di Gesù nel corso della sua vita terrena (cfr. 2,5- 1 0; 1 2,2); quasi un anticipo. La più grande meraviglia è poter già gustare il dono dello Spirito santo (v. 4), partecipare ai benefici della sua presenza. Questi tali, ebrei e gentili divenuti cristiani, che rinunziano ora alla fe­ de cristiana, perdono davvero molto cadendo nell 'apostasia (v. 6). La voce verbale parapesontas (v. 6) significa letteralmente « decadere, cader via . . . ». La versione dei LXX ne fa uso per indicare peccato e caduta79• In Eh l 0,26, con l 'uso di hamartano si descrive una situazione dalle analoghe conse­ guenze. « Apostati » sono coloro che crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio, che rigettano Cristo, non credono in lui e gli negano fedeltà. Si può trattare di giu­ deocristiani che tornano al giudaismo e di etnicocristiani riassorbiti nella genti­ lità; ma anche di ogni cristiano il cui stile concreto di vita è un ripudio di Cristo. L'apostasia non è rifiutare Cristo, bensì, avendolo già accettato, ripudiarlo. Ma può un cristiano cadere davvero in una simile sventura? Che cosa signi­ fica: « È impossibile (adynaton) rinnovarli una seconda volta a conversione . . . (palin anakainizein eis metanoian) »? (vv. 4a.6). La mancanza di soggetto rende la risposta non poco difficoltosa: è impossibile per un apostata tornare alla fede? Oppure per un annunciatore della fede riportare un apostata alla fede? O addirit­ tura per Dio stesso? O si deve pensare che l 'autore intenda suggerire che, quanto è impossibile agli uomini, è possibile per Dio, con allusione alle parole di Gesù

77 Photisthentas (illuminati) è infatti un participio aoristo passivo, complemento oggetto del­ l ' infinito anakainizein : tornare al vangelo e al battesimo ha dunque come effetto concreto quello di essere illuminati. Così H. Conzelmann, phOs, in GLNT ( 1 988) 1 5,36 1 -492, qui 484, che fa perno sul valore metaforico di photisthentas in Eb 6,4 e l 0,32. Il sostantivo phOs, deverbale di photizo, espri­ me così la prassi battesimale in epoca protocristiana attestata proprio in Ebrei, in cui tuttavia non for­ nisce una rigida terminologia. È vero, l 'illuminazione avviene nel battesimo, ma non ne è ancora la designazione; indica invece il processo di illuminazione qua talis, a mezzo della Parola (Eb 6,6; eventuale allusione a 2,3-4). 78 Dynamis, al singolare, indica la potenza in sé; il plurale dynameis si riferisce agli effetti vi­ sibili della potenza. Qui, le opere meravigliose di Dio potente. 79 W. Michaelis, parapipto, in GLNT ( 1 975) l 0,327 e 329, prende le mosse da Sap 1 2,9, in cui il verbo significa ii peccare ». Anche Ez 22,4 (LXX) se ne serve per indicare un errore legato a una colpa. In Eb 6,6 (hapax legomenon) il verbo è collegato agli apostati di 3 , 1 2 : i< Non si trovi in alcu­ no di voi un cuore perverso . . . che si allontani dal Dio vivente ». In Eb l 0,26, infine, le mancanze so­ no conseguenza di un atteggiamento generale: « Infatti, se pecchiamo deliberatamente . . . non rima­ ne più alcun sacrificio per i peccati ».

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in Mc l 0,27? Sembra più conforme allo stile argomentativo dell 'autore pensare che sia impossibile per un apostata tornare alla fede in quanto, rifiutato il Cristo, non vi è altra fede salvifica possibile. Quegli, cioè, viene a trovarsi fuori flusso. Rientrarvi da solo, dovrebbe essergli impossibile. Ma la possibilità di rientrare nella fede abbandonata, sussiste. È necessario però che qualcuno lo reimmetta. Un fratello cristiano? Dio stesso? Vi tornerò sopra a chiusura di Eh 6,8. Ma veniamo al profilo degli apostati, molto dettagliato. Chi sono costoro? « Quelli che sono stati una volta illuminati (photisthentes)» (v. 4a). Allusione a Eh l 0,32: « Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali, dopo essere sta­ ti illuminati (photisthentes), avete dovuto sopportare una grande e penosa lotta >>. La rigenerazione dei lettori attraverso il dono definitivo della salvezza che li ha trasformati in comunità giudeocristiana è già avvenuta « in quei giorni >>, quando essi hanno ricevuto l ' illuminazione piena sul ruolo della legge (mosaica) che li ha sospinti fino al « Signore >>, sul cui volto risplende la completa conoscenza-espe­ rienza di Dio, raccontata nella « grande salvezza >> (2,3-4) da lui annunziata. Fa da sostegno 2Cor 4,6: « E Dio . . . rifulse nei nostri cuori, per far risplendere (pros photismon) la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo >>. Singolare la voce avverbiale hapax, ephapax (« una sola volta >>), qualitativa enfatica e molto cara a Ebrei: con magistrale brachilogia l 'autore esprime la uni­ cità e singolarità della salvezza cristiana in un "oggi" permanente che annulla le barriere del tempo80: ciò che « accade una volta sola » accade sempre, esprime dunque completezza; tale è il sacrificio di Gesù rispetto ai sacrifici levi ti ci (cfr. Eh 9,25 .28); tale è la morte di Gesù, purificazione completa dal peccato (Eh l 0,2) e restauro in radice della libertà umana; chi è stato illuminato « una volta » e ha ricevuto lo Spirito « una volta » sperimenta « una volta per sempre » la pienezza del dono di Dio, della sua bontà, allo stesso modo come la terra imbevuta di ac­ qua piovana esprime il dono della bontà benedicente di Dio. Quella pioggia cade di continuo, senza posa, dunque anch' essa « una sola volta » (6,7)8 1 • L'enfasi di Ebrei è posta su un dono dato una volta per tutte (« Quelli che hanno gustato il do­ no celeste », v. 4b ), cioè il sacrificio redentore di Cristo82• Lo suggerisce l ' allu­ sione a Eh 2,9: « Perché . . . egli gustasse la morte a vantaggio di tutti ». Quella morte, gustata da Cristo (2,9), un aramaismo83 che sta per sperimentata, è il « do­ no celeste » ( 6,4) già gustato dagli illuminati quando hanno ricevuto la « grande salvezza » annunziata dal « Signore » (2,3-4 ), e lo Spirito, che è dono di Dio per80 Hapax: Eb 6,4; 9,7; 26,27.28; 1 0,2; 1 2,26.27. Ephapax: 7,27; 9, 1 2; 1 0, 1 0. Si veda lo studio di A. Winter, Die iiberzeitliche Einmaligkeit des Heils im « Heute >> . Zur Theologie des Hebriierbriefes, ars una, Neuried 2002. 81 Significativa conferma in G. Flavio, Guerra giudaica 2, 1 58; Id., Antichità giudaiche 4, 1 40. 82 Che per Eb 6,4 tale sacrificio redentore di Cristo continui a essere « gustato » nella celebra­ zione eucaristica è suggerimento di R. Kereszty, The Eucharist in the Letter to the Hebrews, in CommuniollntCathRev 26 ( 1 999) 1 54- 1 67. Ma lo stesso Keresztky è dubbioso. 8 3 Geuomai ha nel NT il senso di « assaggiare » (Mt 27,34), « gustare » (At 1 0, 1 0; 20, 1 1 ; Le 14,24, in relazione a un pasto). Nella combinazione geuomai thanatou esprime il provare la morte per quel che essa è (Mc 9, 1 e parr. ; Gv 8,52), dunque sperimentarla. Lo stesso P Oxy ( P 1 3 ) 654,5 conosce tale senso carico di verismo sulla realtà della morte. A essa e alla sua dolorosa violenza an­ che Gesù ha voluto sottostare. Cfr. J. Behm, geuomai, in GLNT ( 1 966) 2,428. =

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ché ne dona grazia e benevolenza ( l 0,29), lo hanno ricevuto nella celebrazione del battesimo che li ha illuminati e rigenerati; lo hanno « gustato », perché chi ri­ ceve lo Spirito è come se ne bevesse ( I Cor 1 2, 1 3 ; Gv 7,37-39), ne « sono diven­ tati partecipi » (metochous) perché già « partecipi di una vocazione celeste » (al­ lusione, 3, l ), ora partner dell 'attività dello Spirito santo. Se sono caduti dalla fede (lapsi) è perché si sono sottratti ali 'azione dello Spirito. « Quelli che hanno assaporato la buona parola di Dio » (v. 5a), cioè gli inse­ gnamenti del Gesù terreno circa il regno, la sua vita profeti ca, l ' insieme dei suoi detti e fatti, « tuttavia sono caduti » (v. 6a). Eppure, « promulgata ali ' inizio dal Signore, (quella parola) è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l 'aveva­ no udita » (allusione, 2,3b ). Parola e Spirito sono due beni connessi: gli ascolta­ tori della Parola ricevono lo Spirito proprio attraverso l 'ascolto del messaggio cristiano da lui promulgato (2,3-4 ). Che quella parola sia « buona », lascia inten­ dere che Ebrei risenta della tradizione de li ' AT che la compara al cibo84 buono a gustarsi85• E se neli 'AT le « buone parole» sono tali perché recano l ' annunzio della terra promessa e del riposo (Gs 2 1 ,45; 23 , 1 5), per Ebrei lo sono perché re­ cano l ' annunzio della salvezza (2,3 ; 4, 1 ; 5,9; 6, 1 2). « Le meraviglie-forze (dynameis) del mondo futuro » (v. 5b) poi sono un'al­ lusione a « segni, prodigi e miracoli di ogni genere » (Eb 2,4) operati dal Gesù terreno agli inizi della predicazione del vangelo. Quei segni dipingevano pro­ gressivamente in lui la figura del Cristo, recavano già l 'annunzio del « mondo fu­ turo » (2,5), della « città futura », la nuova Gerusalemme ( 1 2,22; 1 3 , 1 4). A chi non è in grado di comprendere tanto potenziale, non resta che dover sperimenta­ re la contraddizione tra il potenziale spirituale di tanto annunzio di salvezza da un lato e il conflitto sociale in corso dovuto alle pressioni esterne contro la fede cri­ stiana dali 'altro, fattori che stanno provocando la crisi della comunità e hanno spinto l 'autore a scriverle il suo accorato « appello ». « Tuttavia sono precipitati » (parapesontas, v. 6a); la loro non è infatti una scivolata ipotetica, ma reale, un vero abbandono della homologia, del patto pa­ squale e del relativo culto nella casa di Dio86• È quel participio aoristo, sostanti­ vato e non avverbiale, a favorire tale interpretazione. Non può infatti essere tra­ dotto come protasi di una frase al condizionale. Parapesontas è il quinto nella serie dei participi in Eb 6,4-6. Osservati in diagramma, essi sono accusativi maschili plurali, introdotti dali 'articolo tous e Così Dt 8,3 ; Am 8, I l . 8 5 Cfr. Sai i 9,7- I O; Ez 2,8 - 3,3; Sal 34,8; Ap 1 0,9- 1 0. 86 Secondo R. C. Gleason ( The 0/d Testament Background of the Warning in Heb 6,4-8, in Bibliotheca Sacra 1 55 [ 1 998] 62-9 1 ), Ebrei si riporta all 'esodo e in particolare agli eventi di Kadesh-Barnea come evocati dal Sal 94,7b- l l ed esorta i destinatari, raffreddati nella loro fede e tendenti a tornare al culto giudaico a causa delle persecuzioni incombenti. Questo retrofondo dali ' AT aiuta a descrivere lo stato spirituale dei credenti in Eb 6,4-5 e minaccia l 'impossibilità di un nuovo pentimento, in caso di abbandono della fede. Potrebbero cadere, come la generazione del de­ serto a Kades. Situazione spirituale simile: sfiducia, pigrizia. Cadere definitivamente lontani da Dio è voler restare in uno stato di spirito pigro. Dio è certo sensibile ali 'apostasia, ma già ali 'apatia. Cfr. R.C. Gleason, The 0/d Testament Background ofthe Warning in Hebrews 6/4-8, in BS 1 55 ( 1 998) 88-9 1 . 84

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collegati fra loro da una serie di congiunzioni semplici: te. . . kai . . . La serie si in­ terrompe dopo parapesontas. Ne segue che i due participi, anastaurountas (co­ loro che n-crocifiggono) e paradeigmatizontas (coloro che espongono ali ' infa­ mia), non appartengono alla serie dei cinque e sono da ritenere avverbiali. È infatti stile della lingua greca dotare di articolo determinativo il participio so­ stantivato, non quello avverbiale. Tous parapesontas è dunque un participio so­ stantivato e indica « caduti, apostati )), non ipotetici ma di fatto, e con attendibile riferimento a casi in corso, come sembra richiedere il tempo verbale ali ' aoristo87• Ebbene, per questi « caduti )) dalla fede è (o dovrebbe essere) impossibile (a­ dynaton) una nuova celebrazione liturgica della penitenza. Eppure, l 'affermazio­ ne pare intenzionalmente iperbolica88, dal momento che in Eh 3 , 1 3 si parla di esortazioni pressanti alla maturità, un processo che non esclude arresti e cadute: « Esortatevi a vicenda ogni giorno . . . perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato (contro la fede) )). Questi peccatori sono duri alla conversione, al rin­ novamento, perché rendono se stessi come coloro che hanno portato Cristo alla morte in croce, hanno odiato il Messia e lo hanno esposto al ludibrio. Abbandonare la fede già abbracciata è comportarsi come coloro che, mettendo in croce Gesù il messia, lo hanno rifiutato. Eppure quei cristiani, immaturi nel com­ portamento, desiderano la maturità nella fede. Questo è il problema di Ebrei: ne deve prendere atto, lo deve vedere realisticamente, un fallimento doloroso ma non definitivo. Da qui il suo richiamo a una minaccia di condanna, eppure in con­ testo paracletico. Carenza di gusto o stile retorico voluto?89• L'autore scrive: questi deboli credenti « è impossibile che si rinnovino una seconda volta per la conversione )) ( vv. 4a.6b ), non c'è disponibilità di un secon­ do ravvedimento (palin anakainizein eis metanoian)90: Perché è impossibile per un apostata tornare alla fede? O perché è impossibile per i fratelli cristiani ripor­ tare un apostata alla fede? O perché Dio stesso non è disposto a spingere un apo­ stata alla fede? Su queste tre ipotesi dovremo tornare al dettaglio (cfr. infra, a chiusura di Eh 6,8). Certo, la posizione sintattica di « è impossibile )) (adynaton), in apertura di frase, dice (enfaticamente?) che cosa preoccupa l 'autore o anche che cosa pensa?91 • Comunque stiano le cose, unica e irrepetibile è l 'opzione fondamentale che ha condotto alla scelta unica e definitiva di lui, nella fede. Proprio per questo, è 87 Si veda J.A. Sproule, Parapes6ntas in Hebrews 6, 6, in GraceTJ 2 ( 1 98 1 ) 327-332. 88 Cfr. ancora A. Kawamura, Adynaton in Heb 6, 4, in AJB I O ( 1 984) 9 1 - 1 00. 89 Sulla questione, cfr. R. C. Gleason, The 0/d Testament Background of the Warning in Hebrews 6/4-8, in BS 1 55 ( 1 998) 62-9 1 ; inoltre, B. Nongbri, A Touch of Condemmation in a Word of Exortation: Apocalyptic Language and Graeco-Roman Rhetoric in Hebrews 6, 4-12, in Novum Testamentum 45 (2003) 265-279. 90 « Restaurare, rinnovare » è il senso di anakainizein. Attestato in Giuseppe e Asenet 8,9; 1 5,5. 7, vi esprime conversione. In combinazione con altre forme verbali, esprime rinnovamento del­ la mente (Rm 1 2,2; 2Cor 4, 1 6; Col 3, I 0). In Tt 3,5 è associato allo Spirito, come qui in Eb 6,4. 9 1 Traspare bene questo interrogativo in B. F. Westcott ( The Epistle to the Hebrews, Macmillan, New York 1 903 [London 200 1 ] , pp. 1 49- 1 53 ), il quale ri leva la medesima preoccupazione in Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 60 (su 6,4): adynaton, in PG 63. 80-8 1 .

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impossibile ritornare a prima del battesimo. Con esso, Gesù il Cristo entra ad abi­ tare nel cuore dei suoi e con lui è partecipato lo Spirito (v. 4c); questi entra e abi­ ta nel credente e si esprime mediante la sua fede. Ecco perché non ci potrà mai essere un secondo battesimo92: la realtà del primo non potrà mai più essere can­ cellata, e quella duplice inabitazione è inannullabile. L' irrepetibilità della conversione poi è motivata dal sacrificio redentore, an­ eh' esso unico e irrepetibile; non ci potrà mai essere una seconda redenzione, nep­ pure una seconda conversione. È dunque urgente ravvedersi adesso, subito, una volta per sempre e di continuo. Passi indietro e incertezze saranno sempre ricu­ perabili, in un lavoro di permanente revisione. Anche chi si allontana e ripudia, resta di fatto agganciato e, al momento opportuno (kairos), può riagganciare il potenziale della sua prima scelta: smarrito sì, mai però perduto. Avvenuti una volta per sempre, quel battesimo e quel sacrificio redentivi non sono ripetibili, perché sempre efficaci93 : essi « avvengono )). Questo messaggio lo si può estrar­ re dal fatto che l 'autore avrebbe potuto esprimersi in termini di impossibilità di ritorno alla « grazia )) (charis) di Dio. Egli parla invece di metanoia (pentimento) impossibile, di quel movimento cioè che sposta una persona dali ' infedeltà (pec92 Su Eb 6,4-6 si è pronunziato già Tertulliano, De poenitentia l ,9, l : « Poenitentiae secundae et unius »; un affare delicato: la penitenza è solo e sempre una e si fa prima e in vista del battesimo; la seconda penitenza è invece per infedeltà postbattesimali; essa esige non solo un perdono chiesto a Dio nel segreto della coscienza, ma anche un atto esterno di denunzia: prostrarsi di fronte a Dio e ai fratelli nella comunità (/bid. 1 ,9,4). Anche se non detto espressamente, in gioco è l 'apostasia, e il retrofondo potrebbe essere Eb 6,4-6. In De poenitentia 2,9, l Tertulliano lascia poi intendere che ta­ le seconda penitenza è possibile una sola volta. Evidente disposizione ecclesiastica. Lo stesso Tertulliano, però, in De pudicitia 20,3-5 (specialmente in 20,4) ritiene di potersi basare su Eb 6,4-8 per sostenere l ' impossibilità di una seconda penitenza-conversione per chi ha gravemente peccato dopo il battesimo. Ma è ben chiara l ' interpretazione letterale, per di più ipotecata dalla forte pole­ mica antiereticale, che spinge lui, divenuto nel frattempo montanista, a mostrare chi sia o debba es­ sere il vero vir apostolicus: colui che è in ecclesiasticam conversationem. Tono ecclesiastico una volta ancora preponderante. L'appoggio a Eb 6,4-6 appare oggi non più sostenibile. Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homi/ia 9, in PG 63,79, riscontra in Eb 6, 1 -8 il no al secondo battesimo e manifesta così la propria lettura di 6,4-6 a favore del valore permanente del primo e unico battesimo: « Lavacrum baptismi non potest iterari >>. La proposta di G. Calvino (Commentarius in epistolam ad Hebraeos, p. 9 1 ) è, di recente, ripresa da A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 96: l 'apostasia è imperdonabile, perché è universale defezione dal vangelo ( « universalem ab Evangeli o defectionem >> ); il vangelo è luce, dunque l ' apostasia è scelta delle tenebre; essere nel­ la luce è essere partecipi dello Spirito santo, dunque l 'apostasia è l ' imperdonabile peccato contro lo Spirito santo. L'argomentazione, che nell ' insieme ha la sua logica, non appartiene all 'epidittica, al­ l' espositiva di Ebrei. Per V. D. Verbrugge ( Towards a New Interpretation of Hebrews 6,4-6, in CTJ 1 5 [ 1 980] 6 1 -73), l ' impossibilitato non è il singolo, ma la comunità. C. Spicq (L 'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, pp. 1 67- 1 78) pensa all ' impossibilità psicologica del peccatore di riavvicinarsi a Dio e sposta realisticamente il perno del problema ali ' interno di maturità e libertà personali. 93 Forse, indirettamente, conferma J. Behm, anakainizo, in GLNT ( 1 968) 4, 1 355, quando pro­ pone di vedere la severità della dichiarazione dell'autore legata alla prospettiva didattica del maestro cristiano: egli non può aiutare coloro che si sono allontanati del tutto dalla cristianità, onde ottenere un loro nuovo inizio nella fede. Il miracolo che fa di un uomo una kainè ktisis avviene infatti una so­ la volta: nel battesimo, nella croce. Il soggetto di Eb 6,6a non è dunque Dio, ma il catecheta cristiano. Eppure, proprio perché quel miracolo avviene una sola volta, esso « avviene >> ancora. E, poi, ciò che non può fare l 'uomo, lo può fare Dio (Mc l 0,27). Sulla stessa linea si pone già Erasmo da Rotterdam, Paraphrasis ad Hebraeos, in Acta Apostolorum Paraphrasis Erasmi Roterdami, p. 428.

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cato) alla fede. Avvenuto « una volta », quel pentimento resta per sempre, è sem­ pre possibile. In quella iperbolica impossibilità, dunque, l 'autore sembra aver vo­ luto immettere magistralmente il germe della possibilità. È il frutto più succoso della strategia retorica dell ' adinato. Rifiutare la fede ricevuta gratuitamente in dono è sempre possibile (v. 6c). Quanto quel rifiuto sia terribile è detto con parole dure: si crocifigge di nuovo (ana-stauroo) con le proprie mani e « per se stessi (eautois) », cioè per il proprio vantaggio, il Figlio di Dio e lo si espone allo scherno e ali ' infamia (paradeigma­ tizein) . Per apostasia, Ebrei non intende i singoli peccati, ma il rifiuto dello Spirito santo, non però il peccato contro lo Spirito santo (di cui in Mc 3,29) par­ tecipato nel battesimo e il rifiuto della croce, segno tangibile della redenzione, il rifiuto della « speranza che è posta innanzi a noi, àncora della nostra vita, speran­ za sicura e salda » ( 6, 1 8b- 1 9), Dio stesso cioè, presso il quale è già entrato oltre il velo, nel santuario celeste, il sommo sacerdote Gesù ( 6,20); in breve, il rifiuto della homologia teologica, gesuologico-cristologica e pneumatologica (cfr. 6, 1 8b- 1 9.20)94• Che cosa accadrà? È quanto tenta di spiegare Eb 6,7-8 . [vv. 7-8] Con un sostegno argomentativo dalla vita della natura, avviato da un gar (infatti), l 'autore introduce l ' immagine della terra simbolo del credente. Questi, se cerca di crescere nella fede, è come il terreno che produce vegetazio­ ne, piante verdi ed erba (v. 7), grazie alla frequente e ripetuta (pollalds) pioggia « assorbita », segno dell ' abbondante benedizione di Dio già rilevata in 6,4-5. Quella pioggia non può essere organizzata dalla tecnica umana; essa proviene dali ' alto ed è dono gratuito di Dio95• La terra che invece produce rovi e spine (v. 8a), nella migliore delle ipotesi, è innocua, nella peggiore è molto nociva96, per­ ché sotto l ' influsso nefasto della rottura della primissima alleanza97 ed esposta al severo giudizio di Dio98• Da qui l 'uso dell ' immagine per raffigurare il male e il peccato99• « Triboli e spine » ritraggono al vivo la debolezza e l ' immaturità del lettore già descritte in Eb 5, 1 1 - 1 4. La situazione di una terra che produce « rovi e spine » è approfondita dali 'autore in tre momenti. Quella terra « non ha alcun valore (adoldmos) »100 (v. 8b). Dunque terra de­ qualificata, anzi squalificata, non atta a produrre. Come in Paolo: « . . . Perché non 94 Si veda V. Rhee, Christo/ogy and the Concept of Faith in Hebrews 5, 1 1-6, 20, in JEvTS 43 (2000) 83-96, qui 95-96. Optando per la sola fede cristologica in Eb 6, 1 8b- 1 9 (cfr. ad locum), V. Rhee mostra qui, mi sembra, di perdere di vista il ricamo del contesto (ad esempio, Eb 6,4-5; 6,20). 95 Il motivo è caro all ' AT: Dt I l , 1 1 - 1 2; Is 55, 1 0; Zc 1 0, l ; G1 2,23, e al NT: Mt 5,45; At 1 4, 1 7; Gc 5 , 1 8 . 96 Cfr. rispettivamente Ger 1 2, 1 3 e P r 1 5, 1 9 (innocui); E z 28,24; P r 26,9 (nocivi). Anche Filone di Alessandria conosce il tema: Legum a/legoriae 3,253; De somniis 2, 1 6 1 . 97 Attendibile allusione a Gn 3, 1 8, in cui Adamo è condannato a lavorare la terra che gli avreb­ be dato « triboli e spine ». 98 Al motivo sembra particolarmente attento Is 7,23-25; 32, 1 3; 34, 1 3 . Lo si legge anche in Os 10, 1 8. 99 Ne riferisce N a l , l O; Pr 22,5. Si veda ancora Filone di Alessandria, Legum a/legoriae 3,248. 100 Contrario di doldmos. Detto di persone o cose, significa: l ) provato, sperimentato, fidato, attendible; 2) persona capace, importante, stimata, rispettata, amabile. Nella versione dei LXX con­ nota la purezza dei metalli (Gn 23, 1 6; I Cr 28, 1 8; 29,4). Cfr. W. Grundmann, doldmos, in GLNT ( 1 966) 2, 1 404.

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succeda che, dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato (adoki­ mos genomai) » (metafora della gara, l Cor 9,24-27), trovato improduttivo nella mia stessa predicazione. Quella terra « è vicina alla maledizione » (kataras eggys) 1 0 1 • Il riferimento al­ la caduta di Adamo, a seguito della quale la terra fu maledetta e condannata a pro­ durre solo spine e cardi (Gn 3 , 1 7b- 1 8), è sullo sfondo; qui tuttavia l 'autore pen­ sa più direttamente al fenomeno naturale della pioggia che, assorbita dalla terra, stimola la vegetazione utile. Inoltre, la maledizione della terra da parte di Dio è ben nota alla religiosità ebraica, quale giusto comportamento punitivo di Dio pre­ visto dalla legge. I destinatari del « libro », i giudeocristiani, non potevano che in­ terpretare in senso personale e non nazionale. Quella terra « è destinata al fuoco >> (to telos eis kaiìsin). Questa immagine ha fat­ to pensare ali ' inferno, ma senza ragione. Il fuoco infatti non è in analogia con la terra stessa, bensì solo a spine e rovi: essi esprimono bene il risultato della disobbedienza. La loro rimozione grazie al fuoco dà luogo a una prospettiva soteriologica. Si tratta dunque di un giudizio solo temporale, provvisorio, anzi medicamentoso102• Rovi e spi­ ne, purificati nel fuoco, possono paradossalmente esprimere utilità e fertilità103• Ma vi è anche una prospettiva escatologica, resa possibile da un'allusione a 1 Cor 3 , 1 4- 1 5 : « Il fuoco proverà la qualità di ciascuno. Se l 'opera che uno ha co­ struito resisterà, questi riceverà la ricompensa; sarà invece punito se quella sua opera dovesse finire bruciata. Tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuo­ co ». Per i credenti in Cristo, il fuoco brucerà tutti i loro futili pensieri e azioni. Adokimos e kausin esprimono qui un valore escatologico. Se la situazione sote­ riologica del credente è fondata nella fede, è anche vero che egli sarà valutato in base alle sue buone opere o al loro contrario. Il risultato per lui non è dunque la perdita eterna della salvezza, ma una collocazione giusta e adeguata alla sua si­ tuazione, nel regno escatologico104• 101 La maledizione che viene da Dio, dai suoi inviati (i profeti), dalla Scrittura stessa, ha lo sco­ po di presentare il suo giudizio come già in atto a carico di infedeli e trasgressori (Gal 3, I O. 1 3 ; Eb 6,8; 2Pt 2, 1 4 ). Ciò che pesa non è la maledizione in sé, piuttosto l ' ineluttabilità della medesima, una volta per sempre, a motivo del peccato. Cfr. F. Biichsel, katara, in GLNT ( 1 965) l , 1 1 98- 1 1 99. Ma siamo a un momento transitorio della riflessione di Ebrei. 102 Eco in Eb 1 2,5: « . . . Non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui » (cfr. Pr 3, 1 1 - 1 2). Altri possibili riferimenti : l Cor 5,5; l Tm l ,20. 103 « Arsa dal fuoco » (to telos eis kaysin) è hapax legomenon del NT: la terra infeconda sog­ giace alla maledizione divina e finisce con l ' essere abbandonata nel jùoco. L' immagine designa i cristiani che abbandonano la fede e cadono sotto la maledizione di Dio fino a essere consumati dal fuoco della sua ira. Ma si tratta di una metafora. Potrebbero sostenere questa lettura Is 40, 1 6: « Il Libano non basterebbe per accendere il rogo, né le sue bestie per l 'olocausto »; Dn 7, I l : « . . . Vidi la bestia uccisa e il suo corpo gettato a brnciare sul fuoco ». Trattandosi di metafora punitiva, essa de­ scrive un intervento circoscritto nel tempo e non chiude le porte al possibile « nuovo ritorno alla fe­ de, nel rinnovamento della conversione », di cui in Eb 6,6. Ma vedi R. B. Compton, nota seguente. 1 04 Ben altri i toni del recente studio di R. B. Compton, Persevering and Falling Away: A Reexamination ofHebrews 6,4-6, in DetroitBSJ l ( 1 996) 1 35- 1 67: se un vero credente diventa apo­ stata, l ) perde la salvezza o almeno il premio (ma quale la distinzione?); 2) anche in caso di aposta­ sia ipotetica (cioè?), perde la salvezza; 3) se poi si tratta di falso credente, questi è destinato all 'eter­ na dannazione. R. B. Compton si muove negli angusti limiti de li ' interpretazione letterale di : « È impossibile che si rinnovino una seconda volta per la conversione » (v. 6a). Affatto interlocutoria.

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Ai vv. 7-8, con i binomi fede-fertilità, apostasia-infertilità, l 'autore opera analogicamente, avvalendosi di una immagine agricola: una terra imbevuta di pioggia è benedetta da Dio; ma se produce pruni e spine, è maledetta, sarà arsa dal fuoco. Un brano che non va né esagerato né minimizzato. È un ammonimen­ to a ogni cristiano a difendere bene la propria fede, evitando tutto ciò che potreb­ be allontanarlo dal Dio vivente (cfr. 3 , 1 2). Avvalersi di questo brano per solleva­ re insicuri e sostenere deboli, intimorendoli onde evitare il peggio, sarebbe un grossolano uso e un errore di metodo. Certo, la vegetazione sterile abbondante su un terreno non fertile è eliminata. L'apostata che abbandona Dio e la fede in Cristo e nello Spirito e non risponde alle attese divine diventa non fertile105; un tempo benedetto da Dio, si trova ora nella sfera della sua non condivisione106• La temporanea maledizione di Dio a suo carico, a seguito del rifiuto della fede, non ne mette in pericolo l 'elezione e la retribuzione fra i giusti. Quella maledizione è punitiva, ma circoscritta nel tempo, e non esclude, anzi auspica una possibile ri­ monta, sia per il singolo credente sia per la vera protagonista dei vv. 4-6 ben col­ legati ai vv. 7-8: la comunità. Dalla punizione alla rimonta, una dialettica voluta dal linguaggio della metafora che spinge a interpretare oltre se stessa. Eb 6,7-8 gode di una solida tradizione primotestamentaria. Introdotta da gar (infatti), l 'allegoria agricola ai vv. 7-8 richiede un minimo di indagine onde ap­ purare se quell '« infatti » non riveli un'analoga immagine anticotestamentaria presente nella mente di Ebrei, dal momento che l 'autore, quando si avvale dei suoi frequenti sostegni dali ' AT, li introduce per lo più proprio con gar (infatti) 107• L'eventuale primo retrofondo in storia della tradizione ai vv. 7-8 è Is 5, 1 -7 (LXX). Sui non pochi possibili accostamenti si ha un buon consenso108: Isaia, in quel suo canto della vigna, parla di un campo ben coltivato, il quale dovrebbe produrre uva buona, al contrario rende solo uva selvatica (Is 5,2b [TM], con la si­ gnificativa variante della LXX, che sostituisce « uva selvatica » con « triboli e spine », cioè akanthas, il termine esatto di Eb 6,8). Dal lato linguistico, il feno­ meno è di peso, specialmente se si considera che Ebrei usa (quasi) sempre l 'AT nella versione dei LXX109• Entrambi, Isaia ed Ebrei, raccontano di un campo ben coltivato. Isaia offre una dettagliata descrizione di tutto ciò che il padrone della

105 L'immagine è nota a Filone di Alessandria, De agricultura 9. Che cosa sarebbe l 'uomo se lo spirito che è in lui non portasse a sviluppo e a maturazione tutto ciò che viene in esso seminato e piantato? Il latte del bambino è per la preparazione al ciclo educativo; il grano solido invece è per l 'adulto, perché cresca in prudenza e dominio di sé, e in altre qualità. Una piantagione opportuna non potrà che fiuttare azioni lucrative. 106 Filone di Alessandria (De agricultura 8) conosce bene il tema: « Dio si propone di non se­ minare e di non piantare specie sterili, ma solo specie produttive che diano ogni anno il raccolto al­ l 'uomo, che ne è il signore. È a lui infatti che la natura ha demandato l ' incarico di comandare agli alberi e, senza eccezione alcuna, a tutti gli altri esseri viventi mortali ». L' allusione è a Gn 2, 1 9-20. 107 Questo comportamento è riscontrabile in Eb 1 , 5 ; 2,5; 4,3; 6, 1 3 ; 7, 1 . 1 7; 8,8; 1 0, 1 5 ; 10,30.37; 1 2,20.25. 108 Fra i molti, segnalo ancora lo studio di V.D. Verbrugge, Towards a New lnterpretation of Hebrews 6, 4-6, in CTJ 1 5 ( 1 980) 6 1 -73. 1 09 Tale comportamento è notato già da F.F. Bruce, The Epistle to the Hebrews, p. LI. Un dato ormai acquisito dalla critica.

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vigna ha compiuto, perché potesse produrre la migliore uva possibile; Ebrei, me­ no dettagliato, parla in generale di un campo ben coltivato e della legittima atte­ sa di buoni frutti da parte dei coltivatori. La caratteristica più specifica di questo campo è, per Ebrei, di essere ottima­ mente provvisto di acqua (hueton) ; per Is 5,6 la punizione più rigida per una vi­ gna ben coltivata, eppure improduttiva, è la privazione di pioggia (hueton). Il ri­ sultato, diversamente formulato, è tuttavia per entrambi basilarmente lo stesso: per Eh 6,8c simile terra infeconda è puro materiale « destinato alla combustio­ ne » 1 10; per ls 5 (LXX) il risultato finale è di una vigna che, curata, ha prodotto so­ lo spine, come una terra abbandonata e deserta. Secondo le norme agricole del tempo, essa sarà controllata e periodicamente purificata dalla zavorra attraverso il fuoco. Un apporto specifico di questa ben fondata tradizione anticotestamenta­ ria sta nel fatto che ls 5, 1 -7 lo è non solo per Eh 6, 7-8 ma anche per Eh 6,4-6. Ciò contribuisce a una più completa interpretazione delle due microunità letterarie in­ terconnesse, dal momento che 6,7-8 (introdotto da « infatti ») è prova per 6,4-6. Se il destinatario di Is 5, 1 -7 è la « nazione-casa di Israele » e « gli uomini di Giuda », si deve ritenere che il contesto di Ebrei si muova nella relazione di Dio verso il suo popolo, quale comunità della nuova alleanza. Pur leggendo Eh 6,4-6 anche in riferimento ai singoli credenti chiamati a salvezza, è da privilegiare la lettura comunitaria: Dio sta cercando l 'accostamento ali ' incerto popolo dell 'al­ leanza, ora comunità di Dio in Cristo1 1 1 • Un secondo retrofondo anticotestamentario è richiesto dal binomio eulogia­ katara (benedizione-maledizione) in Eh 6,7-8. Si tratta di Dt 1 1 ,26-28 (LXX), in cui Dio-JHWH pone il popolo dell 'alleanza di fronte a due opzioni: l 'adesione al­ l 'alleanza ne ottiene la benedizione; l 'apostasia ne provoca la maledizione. Questo binomio trova elaborazione ulteriore in Dt 28-30 e culmina nella maledizione fina­ le (telos): sconvolgimento della terra come già fu per Sodoma e Gomorra (« Tutto il loro suolo sarà zolfo, sale, arsura, non sarà seminato e non germoglierà, né erba di sorta vi crescerà . . . perché hanno abbandonato l 'alleanza del Signore », Dt 29,23-24). Anche qui Mosè sta parlando al popolo intero, comunità dell 'alleanza. L'eventuale già menzionata allusione a Gn 3, 1 7- 1 8 deve tenere conto che « triboli e spine >> sono la conseguenza della maledizione di Dio per la comunità intera, men­ tre in Is 5; Dt 1 1 e 28-30 e in Eh 6 la maledizione è conseguenza di « triboli e spi­ ne ». L'apporto comunitario è presente nella terza persona, aute (essa), usata in Eh 6,4-6. « Essa » non è un astratto, è la comunità ecclesiale: è per lei l 'avvertimento serio sulle nefaste conseguenze dell 'apostasia. Da qui l 'esortazione a tutta la co­ munità, un incoraggiameno quasi a ogni costo, fondato nell ' incrollabile fede nella misericordia di Dio ( 6, l 0). Se si rinunzia a Dio (a dispetto dei suoi doni e della sua buona parola), se ne dovrà temere il severo giudizio. Potrebbe diventare impossibi1 10 Eis kausin: hapax legomenon del NT (cfr. Is 40, 1 6; 44, 1 5 ; Dn 7, 1 1 ). 1 1 1 Ancora V. D. Verbrugge, Towards a New Interpretation ofHebrews 6,4-6, in CTJ 1 5 ( 1 980) 64-65 . Per J. Schneider, kausis, in GLNT ( 1 970) 5,286, l ' immagine in Eb 6,8c esprime solo la ma­ ledizione di Dio per cristiani da lui maledetti e destinati al fuoco della sua ira! Ma non è il pensiero di Ebrei.

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le tornare a lui una seconda volta, egli stesso si troverebbe nella difficoltà di riac­ cogliere l 'apostata. Ma ci può essere qualcosa di impossibile a Dio? Che non si trat­ ti qui di ironia pedagogica, come di una strategia intenzionale? Questa è affidata a una singolare antitesi che si riscontra in 6,4-6, in cui l 'apostata è comunque uno che ha aderito alla fede cristiana e ottenuto la promessa della salvezza eterna, ma subi­ sce ora un giudizio di condanna eterna, e in l 0,29 ove l 'apostata, già annoverato fra quanti sono stati santificati, è ora condannato alla pena eterna. L'apostata è cioè, al tempo stesso, soggetto di salvezza eterna e di condanna eterna1 12• La strategia del­ l ' ironia appare qui chiara e appropriata1 13• Anche una tradizione neotestamentaria è riscontrabile nella metafora delle « spine »: in Mt 7, 1 6, in cui i falsi profeti sono come spine e rovi improduttivi, minacciosi per la comunità; in Le 1 3,6-9, in cui il fico improduttivo è inutile che resti a occupare spazio nella vigna; in Mt 2 1 ,43, in cui la vigna improduttiva sarà data a un altro popolo che la farà fruttificare. Eppure, al di là di tutto questo di­ scorso, si pone di nuovo Mc l 0,27: « Impossibile presso gli uomini, ma non pres­ so Dio, perché tutto è possibile presso Dio ». Ma su tanta speranza torna a cade­ re come una nuova doccia fredda: se già violare la legge di Mosè comportava la pena di morte (Eb l 0,28), « di quale peggiore castigo pensate che sarà ritenuto degno colui che avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano il sangue del­ l 'alleanza nel quale è stato santificato e avrà insultato il dono dello Spirito? » ( l 0,29). Né si dimentichi Esaù ( 1 2, 1 6- 1 7), le cui calde lacrime di pentimento non gli sono valse per il ricupero della primogenitura perduta. Bisogna dire che Eb 6,4-6. 7-8 resta un testo di difficoltosa interpretazione. Come spiegare, in particolare, la validità della promessa di Dio di preservare i san­ ti nella fede, se poi l 'eventuale apostata ne è definitivamente escluso? Come capi­ re la scelta di una comunità che Dio si è scelto come sua alleata e poi rigetta senza possibilità di appello in caso di apostasia? Una dimensione di mistero1 14 potrebbe chiudere la questione, ma è forse meglio indagare nel comportamento dello scritto­ re. Rm 9- 1 1 potrebbe dare luce alla questione: Dio non rigetta mai il popolo che ha scelto, né gli sottrae la promessa consegnatagli una volta per sempre1 15• Lo stesso si 1 12 Cfr. anche W.S. Sailer, Hebrews Six: An /rony or a Continuing Embarassment? in EJ 3 ( 1 985) 79-88, qui 8 3 . Ironia o testo ancora sempre imbarazzante? Anche per V.D. Verbrugge, Towards a New lnterpretation ofHebrews 6, 4-6, in CTJ 1 5 ( 1 980) 72-73, Eb 6,4-6 è e resta un testo difficoltoso, proprio per la promessa eterna fatta da Dio ai santi, esposti comunque al rischio dell 'a­ postasia e della condanna eterna. 1 1 3 Un recente studio di D. Mathewson, Reading Heb 6,4-6 in Light of the 0/d Testament, in WTJ 61 ( 1 999) 209-225, dissente dal comportamento dei più, inteso a individuare sostegni anticote­ stamentari ben precisi per Eb 6,4-6. 7-8. Questi ritiene, in maniera direi « esclusiva », che Ebrei risen­ ta qui di molteplici allusioni ali ' infedele generazione del deserto. L'autore direbbe ai « suoi » di non incorrere nello stesso guaio in cui è incappata quella generazione. Destinatari del patto di Dio e della sua benedizione, se ne sono resi indegni; quale terreno non fecondo, sono caduti nella sua maledizio­ ne. Siano dunque non solo dei credenti, ma « credenti fedeli » al patto nuovo, nel Figlio il Cristo e nel­ lo Spirito. Così D. Mathewson (lbid. 222-225): la sua analisi contestuale e linguistica, mentre richia­ ma l 'attenzione sul valore delle allusioni, lascia il problema di fondo del tutto irrisolto. 1 14 Vi insiste V.D. Verbrugge, Towards a New lnterpretation of Hebrews 6,4-6, in CTJ 1 5 ( 1 980) 73. 1 1 5 Posizione, di recente, ribadita da A. Pitta, Lettera ai Romani, pp. 374-392.

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dica di Eb 6,4-8: l 'autore non intende esporre un trattato sull 'apostasia dei santi (cristiani) e sulle relative conseguenze, piuttosto intervenire perché tutto ciò non accada. Una strategia pedagogica appunto, in cui il discorso minaccioso fa da de­ terrente. La storia di fede in una comunità può conoscere momenti di calorosa ade­ sione, ma anche di tiepida titubanza, fino alla freddezza dell 'apostasia. Che ciò possa impedire definitivamente la salvezza non è nella prospettiva dell 'autore, che vuole invece contribuire a che la strada verso di essa sia spedita e sicura. Con Eb 6,4-6.7-8 si è molto più nella prospettiva di Ap 2,5 : « Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima. Se non ti ravvederai, verrò da te e ri­ muoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti convertirai »1 16• Attendibile soluzione. Allora, per chi « è impossibile �� tornare a conversio­ ne? Per l 'apostata stesso (soggetto del verbo), psicologicamente impedito di tor­ nare là donde si è allontanato, cioè « incapace, inabile, impotente » a uscire da quella sua situazione?1 17• Componente attendibile. Oppure per lo stesso sacrificio di Cristo (soggetto del verbo), il quale, una volta ripudiato, non può più esprime­ re la propria efficacia di conversione-riconciliazione?1 18• Da escludere. Quel sa­ crificio infatti « avviene �� e la sua efficacia è un potenziale oggettivo sempre di­ sponibile (« una volta per sempre �)) . Forse per i cristiani stessi, del tutto impotenti di fronte all 'apostata? Potremmo avere qui due tracce di epoca proto­ cristiana: Le guide ecclesiali non si impegnavano a riportare l 'apostata nella co­ munione ecclesiale, ritenendo necessario allo scopo un secondo battesimo? Ma anche il battesimo « avviene )� in permanenza e quella prassi è comunque poste­ riore a Eb 6,4-6, anche se chi la sostiene, come Tertulliano, si richiama con lettu­ ra letterale proprio a 6,4-8, ma non così Crisostomo 1 1 9• Oppure non opportunità di catechesi finalizzata al ricupero degli apostati, in quanto 6, 7-8 fa pendere su di essi il severo e definitivo giudizio di Dio? Dunque: causa finita ! Eppure, quel giudizio escatologico è in primis soteriologico, come già sopra ricordato a pro­ posito di Eb 6, 7-8. Forse Dio stesso si trova nell ' impossibilità di riportare l 'a­ postata al pentimento? Certamente no ! Se egli infatti può tutto (2, 1 0; 1 2,26), può anche riportare a sé chi lo ha abbandonato. Egli non rifiuta, non può rifiuta­ re di riaccogliere un « caduto )� perché non può smentire se stesso, né il progetto di redenzione e liberazione per il quale si è solennemente impegnato con « due atti irrevocabili )� ( 6, 1 8). Potrebbe però, Dio, sospendere di adempiere il suo progetto di riconciliazione?120• Improbabile perché poco attendibili le due prove addotte: Dio rifiuta alla generazione infedele del deserto l ' ingresso nella terra promessa (3,7 - 4, 1 3); Esaù non ottiene la primogenitura venduta, nonostante le sue molte lacrime ( 1 2, 1 7). Nel primo caso, in verità, Dio è reso come impotente 1 1 6 « . Se non ti convertirai »: non accolta in A. Merk - G. Barbaglio (Nuovo Testamento gre­ . co e latino, EDB, Bologna 1 990), questa variante Io è in N.-AY. 1 1 7 È il senso completo di adynatos, già attestato nella classicità. Così Tucidide, Guerra del Peloponneso 7,28. Altri dati in W. Grundmann, dynamai e dynamis, in GLNT ( 1 966) 2, 1 475. 1 1 8 Così W L . Lane, Hebrews 1-8, vol. I , p . 1 42; H . W. Attridge, Lettera agli Ebrei, pp. 293-295. 1 1 9 Si veda rispettivamente Tertulliano, De pudicitia 20,3-5, e Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 9, in PG 63,79. 120 È la proposta di C. R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 3 1 3 . .

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dali ' infedeltà del suo popolo; esso è però smarrito, non perduto, e il Dio della sua elezione continua comunque a tenerlo d'occhio; non entrato in Canaan, non è au­ tomaticamente escluso dal riposo escatologico; nel caso di Esaù, si mostrerà più avanti ( 1 2 , 1 7) che quel pentimento lascia molto perplessi. Una considerazione di tipo sociologico: a mali estremi, estremi rimedi, on­ de evitare il peggio in una comunità nella quale è in corso un'acuta crisi interre­ lazionale. Diventa normale il ricorso a misure frenanti che siano inequivocabili e decise, onde mantenere e confermare quella realtà almeno nel suo status quo. È così che troverebbe legittimazione la dura e severa « dottrina dell ' impossibilità di un secondo pentimento »; essa risponde bene a questa funzione sociologica. Deviazioni fino al rischio dell 'apostasia minacciano la stabilità e la coesione in­ tema della comunità destinataria di Ebrei, addiruttura la sua stessa sopravviven­ za. Quale misura repressi va, quel rigorismo « dottrinale », non poco enfatico, ri­ flette l ' urgenza di eliminare tale minaccia 1 2 1 • Secondo questa lettura, quel rischio è reale in 6,4-8, ma non ancora realtà. Da qui la strategica e ironica minaccia di Ebrei P22• E se quella minaccia divenisse realtà? per chi si è allontanato dalla fonte è possibile poter tornare al potenziale della medesima, solo se decide il grande ri­ torno. Viceversa, è impossibile che quella possibilità possa realizzarsi: il Dio che può tutto e dal quale tutto dipende (2, l O; 1 2,26), non può nulla di fronte a chi non lo vuole. Ma la sua proposta resta123• Potremmo esprimerci così: per Eh 6,4-8 1 'esclusione è pensata come « fisica e teologica », allo scopo di evitare disturbo nella comunità. Dunque, è possibile il rientro, se . . . ? Se ci si riporta alla continuità espressa dai due participi presenti (anastaurountas e paradeigmatizontas), quell 'esclusione non è dovuta alla loro opposizione al Messia e Figlio di Dio, bensì alla qualità della medesima: essa è continua. Ne segue come una sorta di autoesclusione, di cui la comunità prende atto con sollievo, in quanto l 'apostata è comunque di disturbo, ma anche con di­ spiacere, per cui ne auspica il riorientamento. Come già l 'allontanamento, anche 121 Il recente suggerimento è di L. Salevao, Legitimation in the Letter to the Hebrews, pp. 254-255. 122 Accanto allo studio di L. Salevao, Legitimation in the Letter to the Hebrews, segnalo i due stimolanti contributi di D.A. de Silva, Hebrews 6, 4-8: A socio-rhetorical investigation (Part 1), in Tyndale Bulletin 50 ( 1 999) 33-57, e Id., Hebrews 6,4-8: A socio-rhetorical investigation (Part II), in Tyndale Bulletin 50 ( 1 999) 225-235. D.A. de Silva scopre nel comportamento di Ebrei una esplicita intenzione strategica: vedere come già in corso delle tensioni, in verità non ancora in corso. Scopo: impedire che quel fatto negativo diventi realtà; ciò sarebbe umiliante per cristiani disertori e « male­ detti » di fronte ad altri fedeli e « benedetti », stando ali ' immagine della terra feconda o meno (vv. 78). « Perseverare » è l 'espediente più giusto e opportuno per rispondere al « patronato » di Dio con gratitudine. Decisivo è l 'elemento solido che fa da sfondo: l ' impossibilità del ritorno alla fede non si armonizza con il contesto socioretorico nel quale Ebrei ha scelto di muoversi. 123 Si veda utilmente l 'excursus sull 'argomento in D.A. de Silva, Perseverance in Gratitude. A socio-rhetorical commentary on the Epistle to the Hebrews, Grand Rapids (Mighigan) 2000, pp. 234-236: chi ha rinnegato pubblicamente Gesù il Cristo non è escluso dal poter tornare a lui, se pub­ blicamente pentito e non tanto davanti al magistrato, come nell'uso sociopolitico del tempo (cfr. Ibid., nota 65), quanto di fronte alla « vergine madre (la Chiesa) »: tornare al Maestro e imparare a confessarne il nome, a perseverare nella gratitudine verso di lui. Così registra Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 5, 1 -2 .

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il riavvicinamento è nelle mani dell ' interessato. Questi può ripensare la sua op­ posizione continua, in particolare ricordare il proprio entusiasmo delle origini, osservare quello stabile e crescente di altre comunità. Fa da retrofondo la tradi­ zione giudaica del pasul: « Divine election and rejection (and re-election?))). A Dio stesso, cioè, non resta che prendere atto che la sua elezione è stata respinta. Ma la sua rielezione è sempre possibile. È la novità cristiana di Ebrei rispetto al pasul giudaico: la vicenda dell 'apostata può avere un risultato diverso da quello di Esaù124• Si ha a che fare con la sovrana libertà di Dio. E l 'apporto del nucleo sociocomunitario ecclesiale, è enorme: la perseveranza di chi non si allontana fa da supporto al disorientamento di chi si è allontanato; questi, tornato alla fede, di­ venta supporto per i suoi fratelli, perché non si allontanino. Un binomio che ri­ sente della dinamica del pasul: dalla perseveranza troncata alla perseveranza riavviata 125• [vv. 9-1 2] Motivi di speranza. Dopo inquietanti parole di ammonimento, ecco parole d' incoraggiamento (vv. 9- 1 0): l 'autore cambia abilmente il tono e, per la pri­ ma e unica volta in tutto il suo scritto, si rivolge ai suoi destinatari chiamandoli aga­ petoi (amati, v. 9), un hapax legomenon detto solo dei credenti. Egli li esorta fa­ cendo leva sul loro effettivo potenziale: « Siamo ben persuasi, per quello che vi riguarda, che vi sono cose migliori e in relazione alla vostra salvezza )) (v. 9), che voi cioè siete sulla buona strada, quella che porta ali ' incontro con il Dio salvezza e con il Figlio salvatore. Da pastore solerte, ammoniti i suoi sui pericoli incombenti (cfr. 5, I l ), con sottile captatio, l 'autore dice loro che egli non ha perso fiducia in essi. Al contrario, è convinto che essi non incapperanno in quelle insidie126, perché la loro comunità è viva e possiede « cose migliori in ordine alla salvezza )), essa de­ sidera giungere alla maturità nella fede cristiana e ricevere la benedizione di Dio. Non ha dunque bisogno di preservarli da errori teologici (la posta in gioco è infatti la scelta di Cristo; la fede in lui è ancora tutta da identificare!), ma solo di rassicu­ rarli della sua speranza sul solido potenziale della loro vitalità, del resto così spes­ so mostrata attraverso la loro opera amorevole (diakonesantes-diakonountes) nei confronti dei « santi )) (tois hagiois, 6, l 0). L'autore diventa più persuasivo quando si affida a una successione stilistica­ mente ben riuscita di due participi, aoristo e presente, del verbo diakoneo con estetica assonanza: diakonesantes-diakonountes. Quel loro magnanimo servizio­ ministero per la comunità dei santi è espressione di amore verso il nome di Dio, che è la sua stessa persona e le cose che lo riguardano, il suo progetto appunto per la comunità dei salvati (soteria, v. 9). E la giustizia di Dio non dimenticherà, cioè « Dio non è (così) ingiusto da dimenticare )) ( epilathesthai, infinito consecutivo, v. l O) quelle loro opere amorevolmente compiute in suo nome: protessi, antici124 Così, forse, anche J. Cervera, Hebreus, una exhortacio a perseverar, in RCatT 23 ( 1 998) 299-328, qui 3 1 2-3 1 5 . Già C. Spicq, L'épitre aux Hébreux, p. l 05. 12 5 Mi sembra questo l 'orientamento interpretativo di D.B. Armistead ( The Believer Who Falls Away: Heb 6, 4-6 and the Perseverance ofthe Saints, in StulosTheoUourn 4 [ 1 996] 1 39- 1 46). 126 La voce verbale pepeismetha, perfetto passivo da peithO, lascia intuire come un confronto tra l 'autore e i suoi destinatari sulla situazione in corso nella o nelle loro comunità. Risultato: la sua persuasione a loro favore. Cfr. già B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, p. 1 56.

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pazione su 1 3 , 1 -6?127• La formulazione è coraggiosa, incoraggiante e motivata: Dio non dimentica, perché non è ingiusto. Oltre a un così determinante servizio a favore dei santi, all ' incoraggiamento reciproco e quotidiano già caldamente loro esortato in 3 , 1 3 , il riferimento è al sostegno finanziario per « i santi », intesi pri­ mariamente come la propria comunità, ma ci saremmo dovuti attendere il più volte attestato eis heautous oppure allelois (cfr., ad esempio, l Pt 3, l O); si può al­ lora pensare a un servizio-sostegno oltre la comunità stessa, per Chiese povere della Palestina, ad esempio (prassi protocristiana ben attestata, cfr. 2Cor 8-9; Rm 1 5). Pro lessi su 1 3, 1 -6? Tutte queste sono le cose migliori (kreissona), che espri­ mono la vitalità della comunità cristiana e l 'accompagnano verso la salvezza (escatologica) 128• Dio benedice la disponibilità al sacrificio e al servizio. L'uso di agapetoi è intenzionale ed esprime il legame tra chi scrive e la co­ munità, un esempio di filofrònesi tesa a riottenere adesione viva a una fede in Cristo, affinché produca opere vive. Essi le hanno già compiute, ed egli li loda a motivo del loro lavoro, di ieri e di oggi. Con agapetoi l 'autore esprime ancora la propria certezza che fra i suoi destinatari non vi è neppure un virtuale apostata (v. 9). Viva è la speranza che la comunità vinca la propria pigrizia: le sue parole so­ no di consolazione, non vogliono suscitare timori e avvilimento. « Dio infatti (gar) non è (così) ingiusto da dimenticare » (vv. 1 1 - 1 2): ciò non dà ai cristiani diritto alcuno di essere comunque retribuiti da Dio, piuttosto la sua ri­ compensa è legata al loro servizio; essi sono in grado di renderlo e di mostrare con i fatti zelo nella fede e tensione nella speranza. Traspare bene il pensiero dell 'auto­ re: i destinatari della sua esortazione sono persone capaci di produttività nella fede; se al momento non rendono, ciò è solo a motivo della loro scarsa disponibilità a ca­ pire, del loro basso entusiasmo nel « portare a compimento (l 'opera della fede) si­ no alla fine » (v. 1 1 ). Alla (alle) comunità cui l 'autore scrive manca quello zelo che dà prova piena (plerophoria) della speranza cristiana, mediante fede e costanza, si­ no alle estreme conseguenze129; una energica esortazione alla perseveranza nella speranza (cfr. anche 1 0,22). Al contrario, li denunzia come pigri, immaturi (5, 1 1 1 4), ben lontani dai magnifici esempi di quanti hanno ereditato la promessa della salvezza, con fede e perseveranza (v. 1 2 ; allusione a Eb 1 1 ). L' incoraggiamento dunque incalza: più che incertezza, la comunità « dimo­ stri >> e « mostri >> 130 diligenza operosa, zelo (spouden). Quest'ultimo poi, imme­ diato e concreto, è più facile che non uno zelo che tenga viva la speranza del com­ pimento finale della salvezza (v. 1 1 ). Perché la comunità sia sempre viva, vanno coordinati i due aspetti: il singolo cristiano sia subito pieno di zelo, ma in vista di Colui nel cui nome opera nell 'amore. Ispirata e guidata dalla fede, quella dimo12 7 Sembra escludere un qualunque riferimento a fatti concreti, F.B. Westcott ( The Epistle to the Hebrews, p. 1 5 7): « The thought is perfectly generai and must be not limited either to the past nor to the future ». È il parere anche di altri commentatori. Ebrei, cioè, userebbe epilathesthai (lantha­ no) nel modo umano più semplice e immediato. Lettura, in verità, molto riduttiva. 128 Quelle « cose » infatti sono « viciniora, proximiora saluti » (echomena soterias) alla salvezza, scrive la versione della Vulgata; « haerentia saluti », annota Agostino di Ippona, Contra Cresconium 3,74. 129 Su questo senso di plerophoria, cfr. già H. Greeven, in GLNT ( 1 975) 1 0,7 1 0-7 1 1 . 1 30 È il senso ridondante di en + deiknysthai.

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strazione piena di testimonianza è già ora realizzazione della speranza. Convincersi della quale, tuttavia, fino alla piena sicurezza nella fede, esige dili­ gente costanza, fino al compimento (pros ten plerophorian) finale (archi telous) di quella speranza. Smarrirsi è un rischio reale, perseverare produce invece bene­ dizione già oggi, piena poi nell ' eschaton ( 6, I l ). A debolezza e lassismo, segni d ' immaturità, siano contrapposte diligenza e imitazione (mimetai, v. 1 2)131 di coloro che attraverso fede e pazienza sono in mo­ vimento verso i beni promessi 132, i valori della speranza sperimentabili già « og­ gi », in pienezza poi nel regno escatologico. Con longanimità nella fede, come ri­ sulta dal la combinazione dia pisteos kai makrothymias, si miri a una perseveranza costante che sappia attendere senza desistere né annoiarsi 133• La realizzazione di tanta promessa, infatti, non è ancora la salvezza eterna. Questa è dono di Dio mediante la fede. In vista di essa, al credente incombe l ' impegno di non cadere nella pigrizia, di dedicarsi piuttosto a un solerte lavoro a favore dei fratelli nella fede, secondo l 'esortazione di Eb 1 0,24: « Cerchiamo anche di sti­ molarci a vicenda nella carità e nelle opere buone ». La fede salva, è essa stessa salvezza di Dio; le opere buone santificano, purificano, spingono sulla strada del­ la salvezza. Fede e longanimità, costante perseveranza (makrothymia) : modelli per vincere la pigrizia ed ereditare le promesse. Dunque, la comunità non sia indolente, pigra, pavida, timorosa (nothroi, v. 1 2). Lo stesso tennine è usato in Eb 5, I l . Indolenza e apatia manifestano immaturità. Al contrario, siano diligenti e operosi imitatori di coloro che attraverso fede e paziente costanza (parrhesia) hanno ereditato le promesse. Come Abramo ad esempio (6, 1 320), il quale, « avendo pazientemente atteso, ottenne la promessa >> (v. 1 5 ; I l , 1 1 - 1 2). « Eredi delle promesse » è fonnulazione dell ' AT: indica la salvezza promessa da Dio che promette e al tempo stesso giura, cioè si impegna a dare compimento alla promessa. È il senso di epaggeilamenos al v. l 3a. La promessa ha sempre un conte­ nuto e un destinatario, un erede, il quale diventerà proprietario del dono promesso (cfr. 6, 1 7). Qui, il destinatario è la comunità pigra. Consideri quanti hanno tenuto salda la loro fedeltà al Dio delle promesse. Anch'essa è destinataria delle promesse di Dio ad Abramo: l 'abbondanza delle sue benedizioni {6,7. 1 3- 14), il mondo futuro ( 1 , 1 4) e il riposo « di-in Dio » nella città celeste (4, 1 - 1 1 ; 1 1 , 1 3- 1 6). Delle 18 volte in cui il tema « promessa » torna in tutto il « libro », ben 1 6 134 si riferiscono al regno futuro135• Per Ebrei la perseveranza è essenziale per eredi1 3 1 Si tratta di quanti si sono lasciati trainare dal potenziale del regno di Dio. Chi già ha per­ corso questa strada è ora forza trainante nella stessa direzione. È il senso migliore di Eh 6, 1 2 in sin­ tonia con il pensiero paolino, come proposto in W. Michaelis, mimeomai, in GLNT ( 1 97 1 ) 7,292293, il quale però non mi sembra abbia riferimenti a Ebrei. 1 32 Dio epaggeilamenos (Eb 6, 1 3 ; 1 0,23; 1 1 , 1 1 ) rivela se stesso nella parola della promessa ed è fedele alla promessa. Grazie a essa, la ekk/esia è in cammino verso il compimento delle promesse. Esse infatti, realizzate in Cristo, non lo sono ancora nel credente. 1 33 Rileva bene combinazione sintattica e relativo senso J. Horst, makrothymia, in GLNT ( 1 970) 6, l 042. 1 34 Si tratta di Eb 4, 1 ; 6, 1 2- 1 3, 7,6; 8,6; 9, 1 5; 1 0,23.36; 1 1 ,9 (2 volte); 1 1 , 1 3 . 1 7.33.39; 1 2,26; 1 5 , 1 7. 1 35 In tema di regno futuro, è frequente presso più di uno studioso l ' ipotesi che Ebrei pensi in ter­ mini di regno millenario di Ap 20, 1 -5. In verità, mai l 'autore di Ebrei mostra di essere millenarista.

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tare le promesse escatologiche136• Ed è ancora possibile per i suoi destinatari : es­ si infatti non sono ancora entrati in uno stato permanente di apatia, dal momento che Dio opera in essi e tiene desta la loro speranza nelle sue promesse e la loro perseveranza protesa a ereditarle (v. 1 2). Ebbene, quella promessa è già ora rive­ lata nel Figlio il Cristo (cfr. 1 1 ,39- 1 2,2) ed è pregustabile nella « nostra assem­ blea » ( l 0,25). Il possesso pieno di questa salvezza avverrà solo nel futuro (2,59) e allora erediteranno la promessa 137 in pienezza, il che non deve tuttavia rendere la medesima incerta. Il motivo è dato in 6, 1 3-20. Uno sguardo d' insieme su Eh 5 , 1 1 - 6, 1 2 favorisce i seguenti dati : quanti « sono caduti » dalla fede abbracciata (apostasia) costituiscono un notevole pro­ blema pastorale agli albori del cristianesimo. Le comunità cristiane si trovano co­ me nella impossibilità di richiamare i lapsi al ravvedimento a causa della loro de­ bolezza spirituale: « È impossibile che essi si rinnovino una seconda volta per la conversione » (6,6). L'analogia della pioggia assorbita dal terreno fa riferimento a una fase del giudizio escatologico di Dio, anticipato nel tempo. Un' escatologia soteriologica che permette in verità di pensare anche al ricupero dei lapsi. Il pastore paracleta, tuttavia, non imposta un trattato su di essi, ma esorta la comunità a crescere in maturità nella fede attraverso zelo e amore reciproci. Quella sua severità fa da de­ terrente, per cui Eh 6,4-6 non è un testo imbarazzante, ma una ben riuscita « iro­ nia » articolata sull 'antitesi paradossale « salvezza eterna - condanna eterna >>, e rivela una strategia pedagogico-pastorale138• Non si tratta di accertare un caso di apostasia e di dichiararne l' inassolvibi­ lità139, quanto di informare sul rischio reale di essa, onde sollecitare, chi stesse per incorrervi, a correre ai dovuti ripari. Qualora qui Ebrei pensasse a Mc 3,29, in cui si riferisce che il peccato contro lo Spirito santo (= apostasia?) non sarà perdonato, saremmo di nuovo in un genere ironico-iperbolico. Chi può, infatti, dire che lo Spirito santo non perdoni un peccato (di apostasia) commesso contro di lui? E, poi, è possibile incapsulare l 'azione dello Spirito in una norma tassativa?140• Proprio perché celebrato una volta per sempre, il battesimo è operante quale permanente bagno di rinnovamento nello Spirito. Proprio perché celebrato una vol­ ta per sempre, il sacrificio redentore redime in permanenza. Entrambi perdurano nel 1 36 Cfr. Eb 3,6. 1 4; 4, 1 ; 5,9; 6, 1 - 1 2 ; 1 0,23 .36. 1 37 Secondo il suggerimento del participio presente kleronomounton « loco futuri decadentis ». 1 3 8 Si muove in questa direzione D.A. de Silva, Exchanging Favor of Wrath: Apostasy in Hebrews and Patron-Ciient Re/ationships, in JBL 1 1 5 ( 1 996) 9 1 - 1 1 6. 1 39 Si ritiene essere stata la posizione di M. Lutero, Commentariolus in Epistolam divi Pauli Apostoli ad Hebraeos, in Luthers Werke. Vor/esungen iiber Ga/aterbrief, Romerbriefund Hebriierbrief, pp. 1 8 1 - 1 82. In verità, giocando sulla formula « apostasia volontaria », che sradicherebbe la fede pian­ tata nel cuore, Lutero lascia aperta la via al « ritorno volontario » da parte del lapsus. Dio non chiude la porta del suo perdono. Apostasia, adulterio e omicidio diventano peccati imperdonabili all 'epoca di Tertulliano e di Cipriano, posizione rigorosa comunque nella prassi ecclesiastica di molto successiva a Ebrei. 140 Eppure, A. Strobel (La Lettera agli Ebrei, p. 96) sembra essere proprio di questo parere. Ma in base a quale caso concreto nel NT?

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Parte seconda. Traduzione e commento

loro effetto. A chiunque incorre in « infedeltà >> postbattesimali, anche ai lapsi, è possibile riguadagnare il terreno perduto. « Non avere fretta di imporre le mani » ( l Tm 5,22) ai lapsi (?) che chiedono di essere ri ammessi nella comunità cristiana141 • Ma comunque, riammettili. Del resto, chi può ipotecare la riuscita di una scelta? Accanto a richiami espliciti ali ' AT, Eb 6,4-8 si muove in allusione continua alla tradizione della generazione desertica « caduta » dalla fede e perciò stesso « caduta » nel deserto: non è entrata nel luogo promesso. In verità, questa lettura di Ebrei è condotta una volta ancora in modo « esagerato »: dopo la lunga pere­ grinazione, infatti, molti sono caduti nel deserto, molti altri tuttavia sono i so­ pravvissuti entrati in quella terra. L' intenzione dell 'autore traspare là dove egli distingue tra « quelli che avevano peccato » (3, 1 7b) e « quelli che non avevano creduto » (3, 1 8b ). « Quelli che . . . », cioè non tutti. Uno per tutti, Giosuè. Smarriti, dunque, ma non perduti 142• E allora? Si tratta di ricuperare e migliorare « la profondità della conoscenza teologica cristiana » (6, 1 -3). Ebrei, però, è costretto a dire ai suoi destinatari che egli non può introdurli in essa come vorrebbe. Essi, che ne dovrebbero essere già maestri (5, 1 2), sono divenuti invece « ottusi e stanchi », « lenti di orecchio »143, zop­ picanti nel capire ( 5, 1 1 ). Chi si accosta con pigrizia allo studio della verità non può che ritardame la conoscenza, fino a fallire il segno144; pigre nell 'ascolto interiore e nella ricettività, le comunità di Ebrei mostrano di essere non adulte ma bambine, bi­ sognose di latte e non in grado di masticare il cibo solido, addirittura incapaci di di­ scernere il bene dal male ( 5, 1 3- 1 4 ). Adulte nell 'età, non lo sono altrettanto nella maturità umana e spirituale; la loro fede non è tenace e sicura nella speranza; spiri­ tualmente stanche e demotivate, non gustano più di lavorare nel tempo per la con­ quista della gioia escatologica; comunità deplorevolmente « pigre » ( 6, 1 2).' Così nothroi esprime due elementi che non si accordano bene con lo stile cristiano: la non capacità di accogliere nell 'ascolto la sapienza cristiana e l ' indifferenza di un cuore sclerotico che non gusta più la gioia di sperare. Non resta che ripartire, e i destinatari di Ebrei ne sono in grado. L'esperienza del loro passato pieno di fede, di opere e di speranza, lo attesta. Dio non dimen­ tica (6, 1 0). Lo Spirito guida (6,5). Dunque, ali 'opera.

1 4 1 Sulla questione in l Tm 5,22, cfr. C. Marcheselli-Casale, Le Lettere Pastorali, pp. 386-387. Su Eb 6,4- 1 2 si veda una esauriente trattazione del problema anche in T. K. Oberholtzer ( The Warning Passages: The Thorn-Infested Ground in Hebrews 6, 4-12, in BS 1 45 [ 1 988] 3 1 9-328). 1 42 Il richiamo di D. Mathewson (Reading Heb 6,4-6 in Light of the O/d Testament, in WTJ 6 1 [ 1 999] 209-225) sul peso delle « citazioni per allusione >> è opportuno. M a il risultato, buono quanto a impiego saggio del contesto, lascia piuttosto insoluto il problema specifico. 1 43 Così Eliodoro, Aethiopica 5, l , spiega il termine nothros. 1 44 Così già Platone, Theaetetus l l 4b.

PROMESSA GIURATA DI DIO AD ABRAMO: UN SOMMO SACERDOTE NUOVO Eh 6, 1 3 - 7,28

> (v. 1 7). Nel solo cap. 7 Ebrei si riporta al Sal l 09 ben 7 volte3• I lettori del « trattato », giudeocristiani e non, hanno in Gesù il Figlio, il più grande dei sacerdoti, il sommo sacerdote che ha messo a nudo l ' i­ nefficacia della legge sacerdotale antica introducendo « una potenza di vita sen­ za fine » (7, 1 6). Essi devono conoscere questa realtà e con il dovuto fondamento: il sommo sacerdote, Figlio, è reso perfetto dal suo stesso sacrificio (7 ,20). Il sa­ cerdote, nel secolo I, è colui che interviene presso Dio a favore del presente e del futuro delle persone; in Gesù, solidale e compassionevole, i cristiani hanno il pre­ cursore entrato da Dio, che è l ' àncora della nostra « anima-vita » ( 6, 1 9-20); a Dio egli presenta per l 'eternità la loro vita, fino al suo compimento nella sua pienez­ za, nel suo futuro, oltre il tempo presente. [6, 1 3 ] « Quando infatti Dio fece la promessa (epaggeilamenos) ad Abramo . . . giurò per se stesso (omosen kath 'heautou)», cioè « quando, giurando per se stesso . . . Dio fece ad Abramo la promessa . . . »4, gli promise di benedirlo e che egli stesso sarebbe stato benedizione per molti; gli promise che il suo popo­ lo sarebbe stato numeroso e incalcolabile (come le stelle del cielo e la sabbia del mare, Gn 22, 1 7) e avrebbe abitato una terra promessa (Gn 1 2,2-3). In tema di promesse, quelle fatte da Dio ad Abramo sono di certo le più decisive per Ebrei: benedizione e discendenza sono di capitale valore per la sua argomentazione in 6,7; 6, 1 4 e 7, 1 -6. Ma come poteva Dio garantire la proprie promesse, « poiché non aveva al­ cuno superiore (oudenos . . . meizonos) per cui giurare »? Su oudenos . . . meizonos, rinvio più avanti al v. 1 6. Potrebbe a prima vista sembrare non appropriato che Dio debba giurare per confermare una sua dichiarazione o promessa. Egli non ha pari né superiori a sé che possano garantire per lui; egli è garanzia per se stesso. Non dovrebbe dunque avere bisogno di garantire giurando. Eppure, è proprio questo il senso di omnyo, affermatosi nel linguaggio ellenistico al posto di omny­ mi. Il giudaismo biblico attesta un Dio che giura: Es 32, 1 3 (Mosè ricorda a Dio

3 Cfr. Eb 7,3 . 1 1 . 1 5 . 1 7.2 1 .24.28. 4 traduzione possibile, a motivo della contemporaneità deli ' azione espressa dal rapporto tra il participio aoristo epaggei/amenos e òmosen forma finita del verbo: « Avendo fatto la promessa, giurò », cioè, « quando promise, giurò », dunque « giurando, promise ». Caso analogo in Eb 2, l O. Si veda anche Rrn 4. 1 9.

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Parte seconda. Traduzione e commento

che ha giurato per se stesso ai suoi servi Abramo, !sacco e Israele e ha promesso loro posterità numerosa e un paese che possiederanno per sempre »), riletto in Sir 44,2 1 con i motivi del giuramento e della promessa; A t 7, 1 7 registra il compi­ mento della promessa di Dio ad Abramo di un popolo numeroso (cfr. Es l , 7 .8), mentre Le l , 73 fa appello al « giuramento di Dio fatto ad Abramo nostro padre »5• Il giudaismo rabbinico elabora i dati biblici e conosce frequenti giuramenti di Dio: « Per la vita dell 'uomo » (Levitico Rabba 34, 1 32a); per la vita del Messia (Pesiqta Rabbati 36, 1 62a); per la vita degli angeli (testimoni dell ' interesse di Dio per Abramo malato a seguito della circoncisione, con riferimento al Sal 8,5, Tanchuma 22a:), per le porte del tempio (risultato: distrutto il tempio, i portali fu­ rono salvati, Tanchuma 206a)6• Anche il giudaismo ellenistico pensa possibile e opportuno il giuramento da parte di Dio al solo scopo di dare garanzia e sicurezza alle promesse fatte al po­ polo7. Questo motivo sottende a Eb 6, 1 3 . 1 6- 1 8 (e 7,20 ss.) che mostra così di ignorare (o non considerare) l ' inflessibile e radicale posizione in Mt 5,34: « Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del gran re )), in cui va notata l 'efficace triade « altare-tempio-cielo )). In verità, Gesù non discute il giuramento come questione di principio, dando in merito norme ai discepoli, piuttosto conduce una implacabile polemica contro la casistica dei fa­ risei e degli scribi. Bastano Nedarim 2,2 e Sebuot 3 , 1 -9 ad attestare quanto fre­ quente fosse nel popolo giudaico il giuramento, onde rafforzare ogni tipo di af­ fermazione. Ebrei potrebbe dunque muoversi in buona compagnia con un Gesù che non è sfavorevole a un giuramento che sia motivato e non ha difficoltà ad af­ fermare, per la prima e unica volta in tutto il NT, che Dio « giurò per se stesso )) (v. l 3c), fornendo un proprio pensiero, che poi sostiene con apporti dali ' AT. Il ri­ ferimento può essere a Gn 22, 1 6: « Ho giurato per me stesso (kat 'emautou amo­ sa) . . . io (Dio) ti (Abramo) benedirò . . . (con) una discendenza numerosa )). Egli giura ancora per se stesso a motivo della generazione del deserto (Eb 3, l l ; 3, 1 8; 4,3) e a proposito del sacerdote Melchisedek (7 ,2 1 ). Dio non poteva giurare per altre cose di fatto a lui comunque inferiori, ma solo per se stesso, realtà a tutte le altre superiore, cioè la migliore in assoluto8• Intorno al l 00 d.C.9, Rabbi Eleazaro osserva: « Signore del mondo, se tu avessi giurato loro per il cielo e per la terra, il tuo giuramento sarebbe stato caduco e transitorio come lo sono cielo e terra. 5 Si legga ancora il Libro dei giubilei l , 7 con riferimento a Es 33, l ; Dt 30,20; 3 1 ,20: tema co­ mune è il giuramento di Dio per se stesso, onde dare certezza alle promesse della terra e della di­ scendenza numerosa. 6 Si veda ancora Numeri Rabba 44,8. 7 Così Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3,207; De sacrificiis Abelis et Caini 9 1 -94; De A brahamo 273. 8 Il motivo è noto in Am 4,2; 6,8; 8,7; in Is 45,23; 62,8; in Ger 22,5; 44,26; 49, 1 3 ; 5 1 , 1 4. Ancora in Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3,203 . 9 Datazione tenuta da C.R. Koester (Hebrews. A New Translation, p. 325), ma non da KNTTM.SB, vol. III, p. 69 1 , che lo attribuisce a un Rabbi E1eazaro (270 d.C.). In Esodo Rabba 44 ( l OOa) questo stesso testo è attribuito a Rabbi Chizqijja ben Chijja (ca. il 240). Tenendo la proposta di C.R. Koester, la dichiarazione ha ovviamente più peso.

Promessa giurata di Dio ad Abramo: un sommo sacerdote nuovo Eb 6, 13 - 7,28

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Ma tu hai giurato loro per il tuo grande nome, e siccome il tuo grande nome du­ ra sempre e sempre, anche il tuo giuramento dura per sempre » (b.Berakoth 32a)10• La sua parola è un impegno che lo fa garante di se stesso, poiché nessuno gli è superiore. Tuttavia, pensa Ebrei, Dio si serve di categorie umane per rende­ re più accessibile quanto vuole trasmettere. Anche se già credibile al di là di ogni giuramento, egli giura per se stesso (cfr. anche 7 ,20-22) 1 1 • [vv. 14-15] Da qui la promessa di Dio ad Abramo (Gn 1 2,2) con relativo adempimento, affidata a un ridondante efficace ebraismo: « Di certo, benedicen­ doti io ti benedirò e moltiplicandoti io ti moltiplicherò >>, ti colmerò cioè di bene­ dizioni e farò di te una grande e numerosa nazione. Introdotta da ei men ( « di cer­ to »), quale rafforzamento efficace di « giurò per se stesso » (Eb 6, 1 3 ) 12, la citazione da Gn 22, 1 7 (LXX; cfr. anche Gn 1 2,2-3) entra nello stile di Ebrei con la caratteristica estetica dell 'assonanza tanto cara alt 'autore: eulogon - plethy­ non; eulogeso se - plethyno se. Quel ridondante adempimento della promessa13 accade all ' indomani del sacrificio di Abramo, che « offre » a Dio il proprio uni­ genito Isacco (Gn 22), senza condizione alcuna. Con giuramento, Dio si impegna di fronte a tanta fede: avrai una grande discendenza (Gal 3 , 1 4- 1 6), nel discen­ dente, precisa Gal 3 , 1 4 (ti) sperma ti autou). Già in Gn 22, 1 7 è forte la spinta ver­ so l ' interpretazione non storico-empirica, ma storico-salvifica14• Con houtos (« e così ») l 'autore si riporta a 6, 1 415, in cui è dato il contenuto del giuramento di Dio: « Ti benedirò e ti moltiplicherò molto », cioè: « Ti colmerò di benedizioni e ti moltiplicherò grandemente >>; egli introduce così il compiersi di quella promessa giurata (v. 1 5b ). Ponte di collegamento: « Avendo persevera­ to nella fede » (v. 1 5a), magnanimo e costante in essa (makrothymesas). Da qui il seguente movimento: Dio promette con giuramento; Abramo persevera nell 'atte­ sa del compimento di quella promessa perché crede in essa. Dio compie la pro­ messa, perché è fedele (v. 1 4); Abramo ne gode, perché è stato magnanimo fino a offrire Isacco (Gn 22, l ; Eb 1 1 , 1 7) e perseverante nell 'attesa. La sua fede co­ stante è divenuta trainante per altri: Gdt 8,25; 1 Mac 2,5 1 -52; Rm 4, 1 -25. La sto­ ria della sua fede è descritta con cura in Eb 1 1 ,8- 1 6: un insieme di provocazioni 16• Abramo ha ottenuto ciò che gli era stato promesso. Ma che cosa ha di fatto ottenuto? Con riferimento a Gn 1 2, 1 -3 e a Gn 22, 1 5- 1 7 egli ha rispettivamente ri­ cevuto la promessa e la conferma della medesima. Non ne ha visto però il com­ pimento. Questa lettura tiene conto dell ' innegabile tensione tra Eb 6, l 2b. l 5b, in

10 La traduzione è mia. Testo in KNTTM.SB, vol. III, p. 69 1 . 1 1 Su omny6, cfr. J. Schneider, in GLNT ( 1 972) 8,5 1 4-5 1 6. 1 2 Cfr. M . Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 666. 1 3 Esso risente del l ' infinito assoluto ebraico. Cfr. F. B lass - A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento 422. 1 4 O « spiritualizzata », annota J. Kurianal, « Multiplying l shal/ multiply you ». Christians as the multiplicity ofprogeny promised to Abraham, in ETJ 5 (200 1 ) 23-33. 1 5 Per l 'uso di houtos, cfr. ancora Eb 5,5; 6,9; 9,6.23 . 1 6 Attenzione alla fede di Abramo nel Libro dei giubilei 1 7, 1 7- 1 8; 1 9,8; in Liber antiquitatum bib/icarum 6, 1 5 - 1 8 e in 'A bot 5,3.

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cui si legge che Abramo « ottenne la promessa », e 1 1 , 1 3 .39, in cui si informa che non ne gustò il compimento nel corso della sua vita terrena. Eppure, è possibile rintracciare il compimento della promessa in due precisi momenti della storia di Abramo: la nascita di !sacco e la sua vita « salvata », sot­ tratta in extremis alla morte (Gn 22, 1 1 ). Eb 6, 1 2 introduce la « promessa » e 6, 1 5 ne presenta il destinatario concreto. La tensione con 1 1 , 1 3 .39 diventa a questo punto feconda; indica infatti la realizzazione tipologica (antitipo, qualità miglio­ re, 1 1 , 1 9) di quella promessa, non nel tempo, ove tipo e antitipo restano due realtà a confronto e a sé stanti, ma nel compimento, ove si constaterà il realizzar­ si dell 'antitipo: la promessa conosce cioè due momenti di adempimento, la na­ scita di Isacco e la preservazione della sua vita dalla morte sacrificale cruenta, « simbolo >> ( 1 1 , 1 9) della risurrezione nel mondo futuro. Quest'ultima è anticipa­ ta da Isacco legato sul rogo ('aqeda) e dali ' intervento liberatore da parte dell 'an­ gelo di Dio (Gn 22, 1 1 ): « Egli contava sul fatto che Dio è capace di far risorgere anche dai morti; per questo lo riebbe come un simbolo >> ( 1 1 , 1 9). Del resto, il con­ testo si muove sull ' idea di fondo di un Dio che non solo promette, ma adempie le sue promesse. La vicenda, richiamata alla memoria della comunità giudeo-etnicocristiana, vuole stimolare la consapevolezza dei benefici che nascono dal giuramento del Signore: moltiplicazione della discendenza di Abramo. Questi mostra perseve­ ranza e fiducia rispetto alla promessa di un figlio, con successiva numerosa di­ scendenza (Gn 22, 1 7a), e della terra (Gn 22, 1 7b; Eb 1 1 ,9). Quella promessa por­ ta in sé un bene salvifico futuro : da quella discendenza doveva venire il discendente, Cristo (Gal 3 . 1 4); quella nazione non è Canaan, ma la celeste Gerusalemme, quel grande popolo è il volto definitivo del « popolo della sua ele­ zione » (Tt l , 14) 17• Ma la promessa, non ancora realizzata, è intravista da lonta­ no; Abramo diventa maestro di perseveranza e di fede in vista della salvezza fu­ tura, definitiva, universale, attraverso la risurrezione per il mondo futuro. [vv. 16-18] Giurare è una prassi giuridica molto impegnativa per greci ed ebrei nel secolo L Gli uomini giurano per qualcuno che è loro superiore e il giu­ ramento ha lo scopo di evitare controversie. Esso è il momento conclusivo di tut­ ta una disputa, cade a conferma di una decisione presa, è garanzia della bontà di conclusioni raggiunte (v. 1 6). Dio garantisce la solidità del dono della salvezza, che è compimento della « speranza che è posta davanti a noi >> (v. 1 8d), attraver­ so un giuramento in due momenti irrevocabili: egli giura per se stesso e non può giurare il falso. « Gli uomini invece giurano per qualcuno maggiore . . (kata tou meizonos) >> (v. 1 6a). La formulazione richiama oudenos . . . meizonos del v. 1 3a e può favorire due letture: essi giurano per qualcosa di più grande di loro, come il .

1 7 Il popolo cristiano, annota J. Kurianal, « Multiplying I sha/1 multiply you ». Christians as the multiplicity ofprogeny promised to Abraham, in ETJ 5 (200 1 ) 33, e altrove J. Kurianal distingue sì da ingenerare il sospetto di ritenere i cristiani i nuovi eredi della promessa (lbid. 26), il nuovo po­ polo di Dio. La formulazione giudeo-etnicocristiani è da preferire, perché più rispondente alla in­ tentio di Ebrei. Questi pensa in successione evolutiva e non sostitutiva: « Entsprechung, Andersartigkeit, ùberbietung ». Cfr. E.J. Schierse, Verheiftung und Heilsvollendung, pp. 40-4 1 .

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cielo, il tempio, l 'oro del tempio e il suo altare (Mt 23, 1 6-22; cfr. 5,34-36), e in questo caso la formula è al neutro; oppure per qualcuno più grande di loro: per Dio (Gn 3 1 ,5 3 ; Gs 9, 1 9-20)18, per il re ( l Sam 1 7,55; 2Sam 1 1 , 1 1 ), per l ' impera­ tore 19. « E il (loro) giuramento dà sicurezza » (v. 1 6b) circa la posta in gioco: è un appellarsi a Dio chiamandolo a testimone e garante della disputa in corso su una certa questione20, facendone il punto di riferimento per la soluzione di dubbiose controversie, onde garantire sicurezza (eis bebaiosinj21 • Che questo sia il senso del verbo bebaioo è richiesto dalla sua appartenenza alla sfera legale e commer­ ciale22. Grazie al peso decisivo del giuramento in nome di Dio, ci si pone « al di là di ogni controversia » (v. 1 6c ), sì che la disputa giunga a un risultato credibile e accettabile da ambo le parti. Dio, infatti, infallibilmente punisce il malvagio e ri­ scatta il giusto. Acquisito in epoca biblica (Es 22, l 0- 1 1 ; l Re 8,3 ), questo dato è attestato in epoca greco-romana, di cui già sopra. Voler dimostrare qualcosa (boulomenos epideixai) significa voler convincere qualcuno (v. 1 7)23. È della prassi civile ricorrere al giuramento onde ottenere cre­ dibilità da parte di chi continuasse a dubitare della medesima. Questo uso non può essere applicato a Dio, essendo questi in sé e per sé credibile24. Se Dio giura, se­ condo Ebrei, è per essere credibile a quanti hanno bisogno di avere certezza; Dio cioè si adatta25. Già credibile per sé, egli procede per giuramento onde « dimostra­ re con maggiore forza )) (v. 1 7a) e dare credibilità più chiara (perissoteron, una for­ ma comparativa che nel senso è però superlativa): Dio giura per se stesso non per essere « più credibile di )), ma per offrire il massimo livello della credibilità. Destinatari del suo giuramento sono « gli eredi della promessa )) fatta ad Abramo (Gn 22, 1 7- 1 8), cioè tutti i suoi discendenti. Anche i destinatari di Ebrei so­ no discendenti di Abramo: è « della sua stirpe )) infatti che egli si prende cura (Eb 2, 1 6); essi sono gli eredi della salvezza ( 1 , 1 4) e della benedizione di Dio (6, 14). Quel suo giuramento è accompagnato dall ' « irrevocabilità della sua decisio­ ne )). Si ha qui una prolessi sul Sal l 09,4 (riportato in Eb 7,2 1 ): « Il Signore ha giu­ rato e non cambierà il suo parere )). Il papiro di Ossirinco riferisce di un erede che dichiara di rispettare la volontà paterna non solo essendo ancora vivente il padre, ma anche dopo la morte di lui e dà la massima credibilità a tale suo giuramento, 1 8 « Io giuro per Tiberio Cesare Augusto imperatore ». Ne attesta anche Diodoro Siculo, Bib/iotheca historica l , 1 9,4. 1 9 Il P. Oxy (= P13) attesta in abbondanza: 240,3-9; 25 1 , 1 8; 255, 1 3-23; 257,38 e ancora. 2° Così Filone di Alessandria, De decalogo 86 e Legum allegoriae 3,205 si esprime aperta­ mente al riguardo. 2 1 Cfr. ancora Eb 2,2; 3, 14; 9, 1 7. Bebaioutai è la forma verbale usata anche da Filone di Alessandria, De somniis 1 , 12; De Abrahamo 273. 22 In occasione de li 'acquisto di uno schiavo, l 'acquirente giura per l ' imperatore Vespasiano Augusto di avere adempiuto tutte le condizioni prescritte « a garanzia futura (bebaii5sein) del con­ tratto ». Ancora P. Oxy (= P13) 263 ,4- 1 7. 2 3 Così At 1 8,28: Paolo « confutava . . . mostrando (epideiknys) ». Così J.H. Moulton & G. Milligan, The Vocabulary of the Greek New Testament, Grand Rapids (Michigan), 1 980, p. 23 7. 24 Così Filone di Alessandria, De sacrificiis A belis et Caini 93 . 2 5 Così ancora Id., De sacrificiis A belis et Caini 94; De A brahamo 273 .

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chiamando a testimone l ' imperatore romano: « lo giuro che non ho mentito »26• Da simili giuramenti la gente del popolo può anche essere sciolta (Gn 24,8; Gs 2, 1 7), altri sono invece irrevocabili (3Maccabei 5,42) oppure effettuati senza condizio­ ni, sì da non legare le generazioni successive (Gn 47,3 1 ; 50,25; 2Sam 2 1 ,2-7). Ebrei sottolinea con forza l 'immutabilità del giuramento di Dio, cioè della « sua decisione irrevocabile »27• Pur non mancando talora qualche resistenza da parte del popolo (Le 7 ,30), essa finisce sempre per prevalere28• Per Eb 6, 1 4 è immutabi­ le l 'intenzione di Dio di dare di fatto la benedizione promessa con giuramento: di­ scendenza e terra; per questo « intervenne con il giuramento » (emesiteusen horkQ, v. 1 7). La formulazione scelta è giuridica: può indicare chi media in una disputa intervenendo con giuramento o la testimonianza giurata di chi garantisce in mate­ ria legale. Questo secondo è il senso di Ebrei, che dà così enfasi alla promessa di Dio. Se egli è il garante (mesites) nei giuramenti umani (v. 1 6)29, lo è ancora di più nei riguardi di se stesso (v. 1 7). Con questa serrata argomentazione a minori ad maius l 'autore si ripromette di essere incisivo presso i suoi destinatari su Gesù il garante della nuova alleanza (Eb 8,6; 9, 1 5; 1 2,24)30• Ma quale la posta in gioco di promessa e giuramento, « due atti (legali) irrevo­ cabili » (dia duo pragmaton ametatethOn, v. 1 8), di cui già al v. 1 7? Talora essa ri­ guarda la terra (come in Dt 7 ,8; l Cr 1 6, 1 6; Sal 1 05,9- 1 1 [TM]). Qui molto più la be­ nedizione promessa ad Abramo e alla sua immensa discendenza (Sir 44,2 1 ). Di essa fa parte anche la comunità destinataria di Ebrei: sia dunque sempre viva la loro spe­ ranza di riceverla di fatto. Tale promessa, sostenuta da un giuramento irrevocabile, trova adeguato sostegno in 7, 1 2- 1 3, in cui l 'autore si avvale dello stesso strumento giuridico, del giuramento immutabile (7 ,2 1 , « Il Signore ha giurato e non si pen­ tirà »), per dare certezza che il sacerdozio di Cristo è il vero unico ed eterno, supe­ riore a quello levitico. Va osservata l 'autonomia nell 'argomentazione. Onde assicu­ rare la posta in gioco, l 'autore avrebbe infatti potuto avvalersi della legislazione giudaica attestata in Dt 1 7 ,6; 1 9,5 sul binomio « promessa e giuramento )). Manca tut­ tavia, nella sua intentio, ogni aggancio a tale tradizione; lo farà più avanti (in 7, 1 -28). In quei due atti irrevocabili « è impossibile che Dio mentisca )) (v. 1 8b). È una decisa constatazione-dichiarazione già del pensiero dell ' AT: la diffusa tendenza al­ l ' inganno ha prodotto la prassi del giuramento, che esige l ' impegno della dignità e credibilità umane quale massima garanzia nella questione contesa. Ma « Dio non è un uomo, da potersi smentire . . . Forse egli promette una cosa che poi non adem­ pie? )) (Nm 23, 1 9-20)31 • L' idea della fedeltà di Dio (e della divinità comunque32) era ampiamente diffusa e affermata anche oltre l 'esperienza dell 'Israele biblico, in 26 Si tratta dell ' imperatore Nerva Traiano Augusto Germanico Dacico. P. Oxy (= P 1 3) 482,3442; 75, 1 5 .34-36. 27 È il senso di to ametatheton, aggettivo (a-meta-thetos) sostantivato, e del genitivo tes boules. 2 8 L'annotazione è di Is 46, 1 0; Sal 33 , 1 1 ; Pr 1 9,2 1 ; At 2,23 ; 1 3 ,36. Cfr. ancora Filone di Alessandria, Deus immutabi/is 26. 29 Pensiero già annotato in G. Flavio, Antichità giudaiche 4, 1 33 . 30 S i veda F. Weiss, Der Briefa n die Hebriier, p. 362. 3 1 Si leggano ancora 1 Sam 1 5,29 e Sal 88,35. 32 Così Platone, Apologia 2 1 8; Artemidoro Daldiano, Onirocritica 2,69.

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epoca giudaico-ellenistica33, in quella tardocristiana34 e in epoca subapostolica35. Inoltre, questo dato di fatto emerge dalla struttura della creatura umana qua talis e dà solida base antropologica a una così universale accoglienza del giuramento nel nome della divinità. Un contesto relativamente favorevole per Ebrei per affermare l ' impossibilità di ingannare per il Dio biblico e cristiano. Si tratta di un asserto sto­ rico-religioso che non ha bisogno di essere provato. Con un echomen in forza del quale si accomuna una volta ancora ai suoi de­ stinatari, il pareneta porta nuovo materiale alla sua esortazione: « Noi, che abbia­ mo cercato rifugio (in lui) )) (v. 1 8c). Sospinti da una persecuzione? Lo potrebbe suggerire la forma verbale hoi kataphygontes, che esprime un rifugio già trova­ to36. Dunque, potrebbe esserci una persecuzione in corso (Eb 1 1 ,34; At 1 4,6). Ma anche la speranza di potere ottenere rifugio in lui, il Dio fedele37, è attendibile co­ me suggerito dalla forma incoativa kratesai, che denota l 'auspicabile inizio del­ l ' accoglienza da parte di quella speranza alla quale ci si vuole « ancorare )). Una normale richiesta di rifugio di chi ne avverte la necessità impellente per la fede, dato il preoccupante contesto politico. Sostiene questa lettura anche il plurale « noi )): inserendosi (una volta ancora ! ) fra i suoi destinatari, il mittente intende sosteneme la fede insidiata da difficoltà del momento. È dunque attendibile qui una sfavorevole situazione, la quale però anima speranza e attesa in lui ; un salu­ tare contraccolpo. Cercare rifugio « in Dio )), aiuto e protezione, è un fatto ampiamente attesta­ to38; chi è in pericolo, cerca qualcuno che gli possa garantire il minimo del ripa­ ro39. Essendo Dio il garante delle promesse (Eb 6, I 7), va da sé che la comunità destinataria si rivolga a lui per aiuto (4, I 6); è il senso più attendibile. Invece, è molto meno attendibile che Ebrei si ispiri alla tradizione giudaica e greco-roma­ na, che vede nel tempio il luogo dal quale non era concesso espellere alcuno40, o addirittura alla tradizione che menziona l 'altare del tempio come luogo di rifugio ( I Re I ,50; 2,28), o anche le città levitiche nelle quali il popolo poteva trovare protezione. Esclude questa lettura Eb 1 1 ,9. 1 3 , in cui si ricorda ai destinatari cri­ stiani che essi sono stranieri su questa terra, la quale, semmai, è il luogo della lo­ ro temporanea abitazione. Dio è dunque il loro vero rifugio. Anzi, il « nostro >>, osserva l ' autore (captatio).

33 S i legga, ad esempio, Filone d i Alessandria, De ebrietate 1 39; De vita Mosis l ,283; De sacrificiis Abelis et Caini 93. 3 4 Si vedano: Tt 1 ,2 e l Gv 1 , 1 0; 5 , 1 0. 35 La Chiesa antica registra la questione in !Clemente 27,2. 36 Si tratta infatti di un participio aoristo II effettivo. 37 Da notare che « in lui )) è un 'aggiunta attendibile per contesto. Non è presente nella restitu­ tio textus. 3 8 Ad esempio, nel pensiero ellenistico: Filone di Alessandria, De sacrificiis Abelis et Caini 70-7 1 ; 1 1 9; Giuseppe e Asenet 1 2,7; 1 3, 1 -2. Già nel Sal 1 42,9: « Liberami, o Signore, dai miei ne­ mici; in te io mi rifugio )). 39 Significativo attestato in Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 4,54,7. 40 Buone conferme, al riguardo, in Euripide, Ifigenia in Aulide 9 1 1 ; Erodoto, Storie 2, 1 1 3; 5,46 (D. Asheri, ed.), Valla-Mondadori, Milano 1 99J3; Tacito, Annali 3,60.

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« Noi » cerchiamo il rifugio in lui affinché « abbiamo un forte incentivo » (ischyran paraklesis) e poniamo mano alla speranza. La certezza che una tale spe­ ranza andrà comunque a compimento non è sostegno automatico per la vita cristia­ na, ma solo un incoraggiamento, un 'accalorata esortazione (paraklesis), un incen­ tivo che motiva ad « afferrarsi >> alla speranza ( 6, 1 1 ), a resistere al male, esortandosi a vicenda (3, 1 3) a dare compimento alle buone opere già compiute ( 1 0,24), ad ac­ cogliere l ' « esortazione » rivolta « come a figli » ( 1 2,5). Del resto, lo stesso « tratta­ to » ai cristiani di origine ebraica (e non solo) è « parola di esortazione » (parakleseos, 1 3 ,22); suo fine primario è sostenere quanti sono nella prova (2, 1 8 ; 4, 1 5), affinché non cedano nel perseverare (3,6; 4, 1 6; 1 0, 1 9.35). Che tale incentivo poi sia « forte » (ischyran) racconta bene quanto ali 'autore stia a cuore l 'appello che sta rivolgendo. Il tutto è infatti subordinato alla collabo­ razione del cristiano: è lui che deve impossessarsi di quella salvezza. In un mondo ostile il credente sopravvive proprio per la speranza cristiana che gli sta davanti e verso la quale tende. Ci si afferri, dunque, e con forza a quella speranza, perché « noi » possiamo iniziare ancora una volta a mettere mano su quella speranza4 1 , a sperimentare cioè in essa il forte sostegno ricercato: « Afferrarci saldamente (kra­ tesai) alla speranza che è posta davanti (tes prokeimenes elpidos) a noi » (già men­ zionata in Eb 3,6 e 6, 1 1 ). Si tratta in primis del patrimonio della speranza in quan­ to tale. Non è essa, tuttavia, il solido punto di aggancio che dà sicurezza, quanto restarle agganciati, come a un' àncora. « Posta davanti a noi », il suo potenziale va cercato nelle cose future (speranza oggettiva) : è il senso di tes prokeimenes (il co­ ronamento, il prezzo, la ricompensa del proprio combattimento terreno)42 • La mor­ te vista come un bene che immette in un bene ulteriore, la vita vera43 in lui. Una mè­ ta comunque da raggiungere44, « correndo verso il traguardo che ci sta davanti » ( 1 2 , l b): la gioia futura ( 1 2,2). Ebbene, quanto è sperato attende di essere raggiun­ to da chi persevera: dunque, cominciare e continuare a tenere duro (kratesai), non spostandosi neppure di un'oncia dalla propria professione di fede (3,6. 14; 4, 14; 1 0,23), il cui contenuto attende di essere posseduto da quanti non hanno cessato di anelare al mondo futuro e ai suoi beni (speranza soggettiva)45• Ma vi è un ulteriore potenziale in quella speranza. La forma verbale prokei­ menes potrebbe avere anche un valore spaziale e indicare la forte speranza di « entrare nel suo riposo » (4, 1 1 ), di « accostarci al trono della grazia » (4, 1 6) nel santuario celeste, nella città futura, al cuore cioè delle proprie attese (6,20; 1 1 , 1 0. 1 6; 1 3 , 1 4): speranza oggettiva e soggettiva46• L'aspetto storico-religioso

41 È il senso ancora più completo di kratesai, un infinito aoristo incoativo con valore finale; es­ so denota rinnovato inizio. 42 Motivo ben attestato in Filone di Alessandria, De congressu 1 59; De mutatione nominum 48; 82; 88; Legum allegoriae 1 , 1 53; 2,257; 4, 1 95; G. Flavio, Antichità giudaiche 1 , 1 4; 8,208. 43 Motivo noto a Filone, De /osepho 1 69; Ignazio di Antiochia, Agli Efesini 1 7, l ; Ai Magnesi 5, l . 44 Tema presente in Filone di Alessandria, De vita Mosis l ,48. 1 4 l . l 94; l Clemente 63, l . 45 I due aspetti della speranza, soggettivo e oggettivo, sono presenti. Sostenere che l ' uno pos­ sa escludere l 'altro è impresa non utile. 46 Pareri ora convergenti e ora divergenti, mai però in antitesi, danno contenuto allo status quaestio­ nis. Cfr. H. Braun, An die Hebriier, pp. 1 89- 1 90; E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1-6, vol. I, pp. 380-383; R.C. Koester, Hebrews. A New Translàtion, pp. 328-329; A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, pp. 1 04- 1 05.

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del binomio epaggelia-horkos (« promessa e giuramento >>, Eb 6, 1 8ab) ci guida a Creta: è là che nasce l 'uso della promessa giurata nella giurisprudenza greca. Essa fa leva sull ' innato senso religioso dei contendenti e sul loro timore reveren­ ziale verso la divinità, due sentimenti che di certo avrebbero impedito loro di mentire. Il sistema della promessa giurata portò a rapida e sicura soluzione delle dispute. Se infatti la sfida era accettata da una delle parti in causa, il magistrato decideva per lo più a favore di chi aveva fatto la promessa giurata, ovviamente dopo che i difensori delle parti in causa se ne erano accertati e l 'avevano soste­ nuta. Già Aristotele si interessa alle diverse tattiche oratorie47• Quintiliano48 sot­ tolinea la coscienza di chi è parte in causa e giura in forza di uno più grande; que­ sti è persona dal vivo senso religioso, comprende bene l ' impegno della propria promessa e la gravità di un eventuale spergiuro. In Ebrei risuona questo mondo giuridico, con gli adattamenti del caso: l ) Dio è testimone del suo giuramento perché non esiste uno più grande di lui; 2) la sua promessa è irrevocabile, in quanto egli è fedele a se stesso e non può pro­ nunziare il falso; 3) questa solenne promessa giurata a sostegno del Figlio è per il credente solida motivazione a non recedere dalla homologia. Ebrei ripercorre l 'e­ sperienza storica d'Israele partendo da Abramo, primo destinatario della promes­ sa: ne menziona la perseveranza di fede nell 'offerta del figlio unigenito Isacco, a cui segue la benedizione di Dio. Parla poi di Melchisedek come il tipo di Cristo, in quanto rappresenta in modo imperfetto ciò che Cristo antitipo realizza in sé a perfezione. La superiorità giuridica del suo sacerdozio sta nella capacità che egli ha di offrire se stesso per la redenzione universale. La superiorità qualitativa è nella sua disponibilità a offrire-donare al Padre la vita in espiazione redentiva. Risultato: nel patto-promessa giurato si compie « ora >> la comunione di vita tra Dio e gli uomini. [v. 1 9] L' « àncora dell ' anima (vita) » è metafora molto diffusa nella lettera­ tura del secolo I. Presa in prestito dal mondo nautico (Sap 4,3) e dalle manovre di attracco nei porti49, l 'àncora acquista un valore tipologico: descrive valori mag­ giori, la speranza appunto50, la sicurezza5 1 nel cammino (Tb 5 , 1 6) e la pace nella quiete del porto; inoltre « prudenza, generosità e fortezza » quali valori etici 52• In tutto il NT ricorre in At 27,29.30.40 e in Eb 6, 1 9 e non ha riscontri nell 'AT né equivalenti semitici. Dal secolo II l ' àncora è stata il simbolo della risurrezione e della vita futura53• « Della (nostra) anima » (tes psyches) è formula al genitivo già incontrata in Eb 4, 1 2 in combinazione con pneuma (spirito). Dal lato dell 'antropologia, questi Cfr. Aristotele, Rhetorica l . l 5, 1 377a 27-b33. Cfr. Quintiliano, lnstitutio oratoria 5,6,2. 49 Belle testimonianze, ad esempio, in Corpus hermeticum 7, 1 -2; A tti di Tommaso 37. 50 Ne riferiscono Virgilio, Eneide 6,3-5, ed Eliodoro, Aethiopica 8,6,9. 51 Si legga Appiano, Historia romana 1 1 ,9,56 (cfr. H . White [ed.], Appian 's Roman History I­ IV [LCL], Harward University Press, Carnbridge-London 1 962, vol. II, pp. 209-2 1 3). 52 Cfr. Pitagora, citato in Stobaeus, Anthology I ,29; Plutarco, Moralia 446A; 7820 (P.H. Lacy B. Einarson, [edd.], [LCL], Harvard University Press, Carnbridge-London 1 984). 53 Dati in A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 1 05 . 47

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due elementi indicano le due forze immateriali che danno vita alla persona uma­ na: l 'anima (psyche) e il pensiero (nous) identificato con lo spirito-pne uma uma­ no. In epoca giudaico-ellenistica psyche e nous (« anima e spirito ») sono usati non di rado per dire la medesima realtà che anima la persona54• Ma è la tradizio­ ne biblica di Gn 2,7 (LXX) che sembra far qui da retrofondo: JHWH-Dio alitò lo spirito-pne uma in Adamo e questi divenne « anima » (psyche) vivente, cioè esse­ re vivente. Su questa linea di antropologia globale, cioè olistica, si muove Eb l 0,39 quando scrive sulla « salvezza della nostra anima (psyches) », cioè della nostra persona, ed Eb 1 2,23 quando parla « degli spiriti (pneumata) portati alla perfezione », che sono « gli spiriti dei giusti >>, dunque « i giusti » (dikaioi), allu­ dendo alla perfezione della vita « nell 'assemblea dei primogeniti . . . nei cieli ». Il tutto spinge a rendere 6, 1 9 con « vita ». Con « la nostra vita (psyche) » l 'autore pensa alla nostra persona vivente. « Sicura e salda » (asphale te kai bebaian) è binomio noto già nel linguaggio commerciale, in cui un affare è ben riuscito se condotto in modo saldo e sicuro55• Tuttavia, una testimonianza, anche in quanto falsa, potrebbe essere, purtroppo, « sicura e salda »56• Non è così nel caso di Ebrei: i cristiani sperano nella promes­ sa di Dio, proprio perché egli non può attestare il falso. Quei due strumenti legali, promessa e giuramento, da lui utilizzati, attestano il vero (6, 1 7- 1 8 ; cfr. Sap 7,23)57• La sicurezza e la robustezza che l 'àncora esprime sono riferite alla speranza garantita da Dio: ai valori sperati, di cui sopra al v. 1 8 . Sballottato dalla tempesta, il vascello umano è tenuto saldo dali ' àncora che, « speranza sicura e salda » nel­ la fede, dà sostegno alle vite umane esposte a tutti i venti, fornendo loro l 'orien­ tamento. « Sicura e salda », essa è l 'àncora « che entra (eiserchomenen) fin nell ' interno del velo (del santuario) » (v. 1 9d). Il richiamo è a Es 26,33 e a Lv 1 6,2 . 1 2. 1 5, in cui quell ' interno della tenda è il « santo dei santi », « l ' interno del velo del santuario ». L'uso di -erchomai in Ebrei richiede un riscontro: entrare nel (eiserchomai) riposo promesso da Dio (3, 1 1 . 1 8. 1 9; 4, l-l); il sommo sacerdote entra nel (eiserchomai) santo dei santi (9, 1 2 .24-25, con anticipo in 6, 1 9). Nella forrnaproserchomai espri­ me accostamento del credente a Dio nella preghiera (4, 1 6; 7, 1 9; l O, 1 .22; 1 1 .6) e in­ dica ancora il traguardo nella città futura, quella celeste ( 1 2,22). Si ha qui un singolare caso di convergenza: la speranza cui l 'autore e i suoi anelano è il riposo di Dio, presso Dio, nel santo dei santi, nel tempio celeste, nella città futura. Là è l ' àncora, la speranza che « è posta davanti a noi » e nella quale Gesù il Figlio, che non è l 'àncora, è già entrato come nostro precursore: ali ' imme­ diata presenza di Dio, nel tempio celeste. Egli è già là, nella cortina del santuario, nel « santo dei santi », già luogo del sacrificio espiatorio annuale offerto dal sommo

54 La cosa si nota nel giudaismo ellenistico: Sap 1 5, I l ; G. Flavio, Antichità giudaiche I ,34; Filone di Alessandria, Quod deterius 80-86; Quis rerum divinarum heres sit 55-57. 55 Infonna, al riguardo, Plutarco, De Catone Maiore 2 1 ,5. 5 6 Ancora Plutarco, Moralia l 06 I C. 57 Ancora, quasi d'obbligo, Filone di Alessandria, De confusione linguarum 1 06; Quis rerum divinarum heres sit 3 1 4; De virtutibus 2 1 6; De praemiis et poenis 30.

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sacerdote levitico nel giorno della grande espiazione, ora luogo del sacrificio di ri­ conciliazione celebrato una volta per sempre dal sommo unico ed eterno nuovo sa­ cerdote58. Ecco la « speranza sicura e salda » alla quale Ebrei esorta i credenti ad an­ corarsi già ora, anticipandosi così il degustamento della vita futura, nel tempo presente. Anche da 4, 1 4 risulta che Ebrei pensa al cielo, più precisamente al san­ tuario celeste e al prezioso contenuto ivi presente eppure nascosto, proprio come l ' àncora anch'essa celata in acqua, eppure presente, funzionale ed efficace. « Sicura e salda », l ' àncora è dunque fissata nella « nascosta » residenza di Dio, il santo dei santi celeste, separato dal « santo » dal « velo del tempio >>, cioè dal « secondo velo » che immette nel « santo dei santi » (9,3; cfr. Lv 1 6,2 . 1 2; Es 26,33); infranto al momento della morte di Gesù (Mt 27,5 1 ), quel velo permette al Figlio di trasferire il proprio sacrificio redentivo dalla terra al cielo. Si noti, una volta ancora, il tono dualistico, tipico del pensiero ellenistico alessandrino. Ma anche rabbinico: il velo (katapetasma) menzionato è infatti quello che separa « il santo » dal « santo dei santi », cioè il cielo dalla terra59. Accogliendo tutto questo in casa cristiana, avremmo il seguente senso: Gesù, che attraversa il velo di sepa­ razione, unisce cielo e terra, l 'uomo e Dio. Forse come in Mc 1 5 ,38 e paralleli: in occasione della morte di Gesù, il velo del tempio si scinde e l ' accesso al santo dei santi è possibile a chiunque60 e libero per sempre61 • I l v. 1 9 richiede qui un breve chiarimento su due punti specifici. Il primo. Quale il senso di eis to esoteron (« Fin nell ' interno del velo [del santuario] », v. 1 9d; cfr. Lv 1 6,2. 1 2)? Intanto va notato che in Eb 6, 1 9 manca to hagion, che invece troviamo nella fonte di Lv 1 6,2; ivi to hagion è un aggettivo sostantivato retto dalla preposizione eis: il santo. Esoteron sta a indicare l ' inter­ no, oltre il velo, e aiuta a leggere to hagion nel senso del « santo dei santi ». In eis to esoteron tou katapetasmatos di Eb 6, 1 9 è to esoteron il sostantivo retto dalla preposizione eis, mentre tou katapetasmatos resta genitivo di luogo, come già in Lv 1 6,2. Questo luogo, all ' interno del velo, è come il « sacrario interno », il luo­ go « oltre il velo », cioè « il santo dei santi »; « il luogo santo più interno », stando a to hagion esoteron di Lv 1 6,2. 1 2 (LXX). Anche il contesto di Eb 6, 1 9 richiede che esoteron sia compreso come il « santo dei santi »62 • 5 8 Torna sul l 'argomento e con breve nota R.E. Gane, Re-opening Katapetasma (Veil) in Hebrews 6, 19, in AndrUnSS 38 (2000) 5-8. 59 Le nubi sono il velo che avvolge il trono di Dio, si legge in Targum Gb 26,9. Gabriele co­ munica a Giacobbe di avere ascoltato « dal di dietro del velo » in quale giorno avrebbe avuto inizio la schiavitù in Egitto. Così Targum Jerushalmi I su Gn 37, 1 7. Abramo giunge al velo di separazione ed è ammesso oltre esso (b. Chagiga 1 2b; 'A bot Rabbi Natan 37; Midrash del Salmo 1 1 4,2, sul v. l ); per b.Sota 49a su Is 30,20 i giusti contemplano Dio senza impedimenti; il velo infatti non è chiuso di fronte ai loro occhi. Per Ebrei, ha in Cristo libero accesso a quel trono di grazia chiunque. A tutti i testi rabbini ci retrostà Is 40,22: « Dio stende il cielo come un velo e lo spiega come una tenda do­ ve abitare >>. Cfr. O. Hofius, Der Vorhang vor dem Thron Gottes. Eine exegetisch-religionsgeschicht­ liche Untersuchung zu Hebr 6, 1 9fund 1 0, 1 9f(WUNT 1 4), Tiibingen 1 972, pp. 4-27. 60 Che la « strada attraverso il velo » possa suggerire sentimenti gnostici in Ebrei è da escludere. Ebrei è qui su posizione diversa rispetto a Filone di Alessandria, De mutatione nominum 1 92; De vita Mosis 2,82. 61 Sulla metafora « àncora della salvezza », segnalo la già approfondita esegesi paracletica di F. Weiss, Der Briefan die Hebriier, pp. 366-367. 62 Annotazione di F. Zorell, Lexicon graecum NT, PIB, Romae 1 9783, pp. 679-680. Già e bene F. Weiss, Der Brief an die Hebriier, p. 367.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Una constatazione di rilievo: mentre Lv 1 6 ha come contesto il sacerdozio aronide, Eb 6, 1 3-20 si riporta alla promessa di alleanza fatta ad Abramo e ai suoi figli e, oltre ad allontanarsi dalla linea aronitica del sacerdozio, in 6, 1 9 katape­ tasma si trova in una discussione sull 'alleanza abramitica e sulle relative benedi­ zioni dell 'alleanza e ne diventa il santuario dal quale sono dispensate le benedi­ zioni dell ' alleanza abramitica. Ma quell 'alleanza e quelle promesse hanno fatto, ora, in Gesù Cristo sommo sa­ cerdote un decisivo passo verso il compimento. In Eb 6, 1 9 katapetasma è dunque il santuario celeste nel quale Gesù è entrato come nostro precursore; da esso dispensa le benedizioni promesse e attese, ora alleanza nuova e definitiva63• Là è « la speranza che è posta davanti a noi )) (v. 1 8), > dal « santo dei santi », è katapetasma65• Questa distinzione è re­ cepita dalla versione greca dei LXX, secondo la quale katapetasma è la cortina o il velo interno del tempio o tabernacolo e divide il « santo » dal « santo dei san­ ti >)66• Ampia la convergenza dei pareri sulla versione dei LXX67• Il NT riferisce che al momento della morte di Gesù si lacerò il katapetasma (Mt 27,5 1 ; Mc 1 5,3 8; Le 23,45), cioè il velo interno che immette nel « santo dei santi )). Per Eb 6, 1 9; 9,3 ; 1 0,20 il velo è sempre quello interno. Una interpreta­ zione storico-teologica è presente, in parallelo con la liturgia del grande giorno dell 'espiazione. In quel giorno, attraversato il velo interno del santuario, il solo sommo sacerdote aspergeva il « santo dei santi )) con il sangue della vittima. Anche il santuario celeste, ben più prezioso del tempio terreno, ha il suo velo, « il velo della sua carne )) (Eb l 0,20): Gesù Cristo. È lui, sommo sacerdote, prodro­ mos-precursore (6,20) di tutti noi, a dischiudere, una volta per sempre, l ' accesso alla Presenza, al ta hagia, che è in verità il « santo dei santi )), dove « è )) Dio il Padre68• Quell 'àncora è Dio stesso. La nuova alleanza è ormai inarrestabile ! 6 3 Sulla questione, cfr. G.E. Rice, Hebrews 6, 1 9: Analysis of Some Assumptions Concerning katapetasma, in AndrUnSS 25 ( 1 987) 65-7 1 . 64 È su questa linea il recente documento della Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana. 65 Cfr. Filone di Alessandria, De vita Mosis 3,5. 66 Es 26,3 1 -35; 27,2 1 ; 30,6; 35, 1 2; 37,3 ss.; 40,3 .2 1 -26; Lv 4,6. 1 7 ; 1 6,2. 1 2- 1 5 ; 2 1 ,23; 24,3 ; N m 4,5. Più di rado indica il primo velo di separazione del l ' edificio sacro del tempio dali 'atrio (Es 26,37; 35, 1 5). 67 Rassegna critica sulla questione dal 1 938 al 1 987 in G.E. Rice, Hebrews 6, 1 9: Analysis of Some Assumptions Concerning katapetasma, in AndrUnSS 25 ( 1 987) 65-7 1 . L' interpretazione è te­ nuta dai più. 68 Con questa posizione si esclude la traduzione maggiormente sostenuta di katapetasma con > ove è Dio, ed è al godimento di quella Presenza che egli attende ognuno di noi . La contraddizione tra la stabilità dell 'àncora (v. 1 9) e il fatto che essa « penetra fino nell ' interno del velo del santuario » (v. 1 9) è solo apparente. Una volta « penetrata », è infatti stabile. Tutto questo lo ha reso possi­ bile lui perché sacerdote in eterno, unico e nuovo, secondo un ordine unico e nuo­ vo, « alla maniera di Melchisedek » (Sal l 09,4). Qui l 'autore si riaggancia a 5, l O, in cui ha annunziato il tema che riprende in 7, 1 -28 e lo tratta al dettaglio. Un accorgimento artistico va ora rilevato: Eb 6,20 fa da ponte tra 6, 1 3- 1 9 e 7,1 1 0,39, attraverso una ben riuscita struttura chiastica: il motivo del « sacer­ dote alla maniera di Melchisedek », annunziato in 6,20b, trova ascolto in 7, 1 - 1 7 . Il tema di Gesù, nostro precursore oltre il velo del santuario in 6,20a, è recepito e sviluppato in 7, 1 8 - l O, 1 8 ; la speranza che entra oltre il velo del santuario in 6, 1 9 ha riscontro dettagliato in l O, 1 9-3977• In simili procedure l 'autore è maestro. Il binomio « promessa-giuramento » di Dio in Eb 6, 1 3 -20 si muove tra ana­ lessi e professi (progressione e regressione) : l ) Promessa e giuramento di Dio sono due suoi atti irrevocabili; mentre noi giuriamo per uno che è più grande di noi, Dio deve giurare per se stesso. Nessuno è più grande di lui (6, 1 3- 1 8). 2) I destinatari della promessa: Abramo (v. 1 3), gli eredi (vv. 1 2b. l 7), noi che abbiamo cercato rifugio in lui siamo invogliati alla speranza: Dio è testimo­ ne fedele, non può mentire (v. 1 8). 3) Pazienza e perseveranza di Abramo (vv. 1 2. 1 5 ; cfr. Gn 22, 1 6- 1 7) trovano nutrimento incoraggiante in quel giuramento di Dio (v. 1 3) : « Io ti benedirò e tu ti moltiplicherai molto » (v. 1 4) : è una promessa giurata. 4) !sacco ne è il frutto. Abramo dona a Dio il figlio della promessa; Dio do­ na ad Abramo una crescita nella fede in lui78, il Dio della vita, capace di far ri­ sorgere dai morti ( 1 1 , 1 7- 1 9); Dio non può abbandonare Abramo (Nm 23 , 1 9), perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rrn I l ,29). La forza della promessa di Dio ne rassicura gli eredi (Eh 6, 1 7) : Abramo (vv. 1 3 . 1 5), la discen­ denza (v. 1 4), voi-noi (vv. 1 2 . 1 8- 1 9), fino a Gesù il Cristo, il discendente, sommo sacerdote e precursore (v. 20). Cresce la speranza di entrare nel riposo sabbatico -

76 Polluce, Onomasticon 3,39, 1 48. 77 Cfr. G.E. Rice, The Chiastic Structure ofthe Centra/ Section ofthe Epistle to the Hebrews, in AndrUnSS 1 9 ( 1 98 1 ) 245. 78 Il motivo della maturità nella fede sembra centrale nella paràclesi di Eh 5, I l - 6,20. Secondo F.T. Gench (Hebrews and James), tale esortazione parte da Eh 4, 1 4 e si sviluppa fino a 6,20. Si trat­ ta di una chiamata alla maturità, che si esprime nelle opere della fede, specialmente in 2, 1 4-26. Eco nel NT in I Ts 1 ,3; I Cor 2,6; 3, 1 - 1 3 ; Fil i , I 0- 1 1 ; Col 3 , 1 0- l l ; !Pt 2,2.

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( 6, 1 1 . 1 8); solo quei molti che furono nel deserto e non credettero, solo quelli non entrarono nel riposo di Dio (3,6-4, 1 3); severo avvertimento della storia. 5) In Gesù, la via verso « l 'àncora della nostra vita » (Eb 6, 1 8 .20). Egli è l 'e­ sploratore-precursore, il sommo sacerdote « alla maniera di Melchisedek » (v. 20; 5,20), per sempre. In lui la promessa-speranza (vv. 1 1 . 1 8) è adempiuta: quel­ l ' àncora è raggiunta. Eb 6, 1 3-20 rivela una procedura in pro/essi su 7, l - l 0,3 1 e descrive al tem­ po stesso la propria funzione preparatoria: la terra promessa, giurata da Dio, è pa­ gata da Gesù con azione sacerdotale eterna (7 ,20). Dio stesso gli è testimone (7, 1 7); il suo sacerdozio ridimensiona quello levitico : la legge l evitica rende le­ gittimo il servizio dei sacerdoti; Dio con il giuramento rende legittimo il sacer­ dozio del Figlio (7 ,20): « Egli ha giurato e non si pentirà: Tu sei sacerdote per sempre » (Sal l 09,4 in Eb 7,2 1 ). Con questa promessa Dio dichiara esaurita quel­ la in Es 29,9: « Il sacerdozio apparterrà loro (ad Aronne e ai suoi figli) per decre­ to perenne ». In Gesù, sacerdote vivente ed eterno, ha luogo il nostro accesso a Dio, poiché abbiamo un 'alleanza migliore e una migliore speranza, fondate su promesse migliori (Eb 7 ,25). Esse annullano il severo verdetto di Dio: « Non en­ trerete nel paese che ho promesso a voi » (Nm 1 4,28-30; Eb 3, 1 8; 4,3) e ne ridi­ mensionano lo sdegno verso coloro che non hanno avuto speranza nella promes­ sa dei padri (Dt 32,35-40). Terribile cadere nelle mani del Dio vivente ! (Eb l 0,30-3 1 ), che è però sempre il Dio dei viventi. Il Dio vivente ed eterno giura di dare compimento alla sua promessa e dona in Gesù il sommo sacerdote che celebra per l 'eternità la liturgia dell 'espiazione; i benefici di quel servizio sacerdotale (Eb 8, l - l 0,3 1 ) mirano al nuovo patto se­ condo Ger 3 8,33-34 (LXX) in Eb 8,8- 1 2, anzi al cuore del medesimo: « Dei loro peccati . . . non mi ricorderò » ( l O, 1 6- 1 7). La « promessa giurata del Padre » in 6, 1 3 - l 0,3 1 è tema centrale con ruolo strutturale. Su di esso l 'autore si concen­ tra in 7, 1 - 1 0, 1 8 . [7,1-3] Primo passo: Eb 7, 1 -28. Con un gar (« infatti », v. l ) l 'autore si tiene collegato a 6,20, in cui aveva appena introdotto « Melchisedek ». Decide poi di pre­ sentarlo in una singolare microunità letteraria: Eb 7, 1 -3 , la cui comprensione è le­ gata ai seguenti approcci: l ) Eb 7, 1 -3 e la sua storia delle tradizioni. 2) Culto pro­ tocristiano a Melchisedek-Gesù Cristo sommo sacerdote nella logica dell 'analogia (tipo-antitipo)? 3) Retrofondo greco-romano? 4) Microunità carica di retorica. Melchisedek, un profilo carico di mistero. Nel Primo Testamento si fa men­ zione di lui solo in Gn 1 4, 1 7-20 e nel Sal 1 09,4. Dando corpo a una creativa ar­ gomentazione, l ' autore prende il via dal Sal l 09,4 e lo applica a Gesù il Cristo ( 6,20b) nella cui direzione interpreta anche la storia di Gn 1 4, 1 6-20 (v. 1 8)19: 79 Questa la storia cui Eb 7, l allude: un re elamita con tre alleati invade la Transgiordania e il Negheb, saccheggia e cattura, fra gli altri, anche il nipote di Abramo, Lot. Informato della vicenda, Abramo si organizza e ricupera ogni cosa. Rientrando da questa vittoria, il patriarca offre a Melchisedek, re di Salem, la decima di ogni cosa (del bottino). Questi lo benedice e offre un sacrifi­ cio di ringraziamento al Dio Altissimo: pane e vino. Egli è infatti « sacerdote del Dio Altissimo >>

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Parte seconda. Traduzione e commento

Melchisedek è tipo di Cristo, l ' antitipo80; egli è imperfettamente ciò che in Gesù è perfettamente realizzato8 1 • Nel nome cananeo82 egli è re di giustizia (7 ,2), nel ti­ tolo è re di Salem (Gn 1 4, 1 8), cioè di pace (7,2c), ma anche di Gerusalemme. Nel Sal 75,3 infatti Salem è menzionata in parallelo con Sion; può dunque essere ab­ breviazione di Gerusalemme83, in accordo del resto con tutta la tradizione giu­ daica. Melchisedek è « sacerdote di Dio altissimo », il dio cananeo84, 'el- 'eljon, forse già adorato dai patriarchi sul monte Sion e ripreso in Gn 1 4, 1 8-20 come il creatore del cielo e della terra85• Ma la questione è ancora aperta86• Non è tuttavia impossibile che questo sacerdote cananeo del dio 'el avesse raggiunto la fede nel Dio vero . Il fatto che in Gn 1 4, 1 8-20 le origini, la vita e il tramonto di Melchisedek siano avvolti nel più rigoroso silenzio, conduce Ebrei a dire che egli è « senza principio di giorni né fine di vita » (v. 3). Questa formulazione non in­ tende avviare una speculazione sul personaggio, ma solo preparare la dichiara­ zione successiva: « rassomigliante87 al Figlio di Dio )) (v. 3). (Gn 14, 1 8). Questo è il contesto che deve avere ispirato Ebrei; sono tuttavia non rare le voci contra­ rie ali ' interpretazione cultuale di Gn 1 4, 1 8. Essa sarebbe un risultato solo in Wirkungsgeschichte. Il TM non ha « offrì », ma « fece uscire », verbo per niente cultuale, mi osserva autorevolmente A. Rolla, nelle note e nei rilievi manoscritti sul mio lavoro dattiloscritto, nel marzo 2004. 80 Messi a confronto (Entsprechung, confronto), Melchisedek è tipo di Cristo, che gli è qualita­ tivamente superiore ( Oberbietung, superiorità). Nella sua superiorità, tuttavia, Gesù il Cristo non eli­ mina Melchisedek (né Aronne). Restano cioè entrambi nel loro autonomo profilo e messaggio (Andersartigkeit, diversità). Come già altrove notato, questa trilogia potrebbe spiegare, forse meglio, il binomio « tipo-antitipo », che favorisce invece la scomparsa-sostituzione del tipo a opera dell 'anti­ tipo. Ripresa di frequente, la trilogia già proposta da E.J. Schierse ( Verheifiung und Heilsvollendung, pp. 40-5 1 ) è attentamente considerata da E. Griisser, Aujbruch und Verheissung, pp. 3 1 5-3 1 6. 81 Conferma Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3, 79: « Dio ha fatto di Melchisedek l 'u­ na e l 'altra cosa: re di pace, conforme al significato di Salem che è pace e suo proprio sacerdote (Gn 1 4, 1 8). Egli non ha predeterminato ogni sua azione, ma ha fatto in modo che fosse il re da lui desi­ derato, pacifico e degno del suo (di Melchisedek) sacerdozio )). 82 Si veda G. Flavio, Guerra giudaica 6, l 0,43 8; Antichità giudaiche l , 1 80. Questi informa che « il primo fondatore di Gerusalemme fu un capo dei cananei, il cui nome nella sua lingua suonava "re giusto" e tale egli era )). Sostiene e prova in modo meticoloso questa lettura, J.A. Fitzmyer, Melchizedek in the MT, LXX. and the NT, in Biblica 8 1 (2000) 63-69. E vi è di più: i dettagli che in Gn 1 4, 1 8-20 e nel Sal l l 0,4 (TM) descrivono questa figura di sommo sacerdote, originariamente ca­ naneo, hanno motivato nel giudaismo ellenistico e nel protocristianesimo corrispettive speculazioni (lbid. 67), le quali ben attestano il valore tipo logico del prototipo « Melchisedek )). 83 La versione dei LXX conosce l 'uso di Salem per dire Sichem. Cfr. Ger 33, 1 8; Gdt 4,4 e an­ che Gv 3,23. 84 Secondo G. Flavio, Guerra giudaica 6, 1 0,43 8 « (Melchisedek) fu il primo a fare da sacer­ dote al dio (cananeo) e, avendo per primo costruito per lui un tempio, cambiò in "Hierosolyma" il nome della città che prima si chiamava "Solima")). 85 Ritiene di avere provato, in modo decisivo, l ' interrelazione dal Sal l 09 a Gn 1 4, e non vice­ versa, P.J. Nel, Psalm 1 1 0 and the Melchisedek Tradition, in JNWSL 22 ( 1 996) 1 - 14. P.J. Nel ritiene inoltre che lo stesso Davide rende culto a 'el- 'eljon. Il Sal l 09,4 non va dunque inteso come culto re­ so a Davide re. 86 È ancora interlocutorio il parere autorevole di R. De Vauy, Histoire ancien d 'Israel, vol. I, Gabalda, Paris l 07 1 , pp. 26 1 -269: i patriarchi hanno adottato il dio cananeo di Melchisedek dopo il loro ingresso in Canaan, identificandolo con il loro « Dio dei padri )) e rivestendo lo della loro fede monoteista. Melchisedek sarebbe rimasto politeista! 8 7 Aphomoiomenos: participio perfetto passivo, similis sum, simile, somigliante. Così M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 503 . Per J . Schneider, aphomoio6, in GLNT

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Ma come spiegare la comparsa del personaggio Melchisedek?88• Si impone un breve ragguaglio sulle fonti : Gn 1 4, 1 7-20 e il Sal 1 09,4. Gn 1 4, 1 7-20 è un frammento letterario a sé stante, entrato tardi nella redazione finale di Gn 1 489• In questo frammento la relazione tra « sacerdote del Dio altissimo )) (v. 1 8) e « be­ nedì Abramo )) (v. 1 9) permette di vedere l 'oblazione di pane e vino menzionata in Gn 1 4, 1 8 e non in Ebrei, come gesto sacerdotale, una offerta per la pace (otte­ nuta dalla vittoria di Abramo). Il riferimento è a Nm 1 5 , 1 - 1 0, in cui si descrive anche un pasto sacro connesso al patto: fior di farina, olio e vino, oblazione in odore soave per il Signore (Nm 1 5 ,7). Quella di Melchisedek è dunque una spe­ ciale benedizione sacerdotale, sebbene officiata da un non )evita. Anche se Ebrei « omette )) qualunque menzione dell 'offerta, è possibile pensare a un patto tra Abramo e Melchisedek suggellato dali 'offerta sacerdotale di pane e vino secon­ do Nm 1 5 , 1 - 1 090• Che il Sal 1 09 possa contribuire a chiarire la provenienza di Gn 1 4, 1 7-20 può essere solo una congettura. Troppe le tradizioni confluite nella sua redazione attuale9 1 • I pareri convergono tuttavia su un punto: il redattore di Gn 1 4, 1 8-20 e l 'autore92 del Sal 1 09,4 hanno visto in Melchisedek una figura dai lineamenti ben definiti, erede delle prerogative regali e capo del sacerdozio; a lui i discendenti di Abramo pagano la decima (Gn 1 4,20). Eppure, Melchisedek resta misterioso quanto alla sua origine e alla sua funzione. Ciò nonostante Eb 7,3 ( « sacerdote per sempre )) ) e più avanti in 7,20 vi si riporta, volendo mettere bene in luce le funzio­ ni sacerdotale e regale interconnesse. Il Sal 1 09,4 infatti accosta Melchisedek e ( 1 972) 8,5 54-556: « farsi simile >>; o forse, al meglio, N. Casalini, Una Vorlage extra-biblica in Ebr 7, 1-3? Verifica delle ragioni letterarie dell 'ipotesi, in SBFLAn 34 ( 1 984) 1 09- 1 48: « rassomiglian­ te ». Giovanni Crisostomo (Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 1 2, in PG 63,95-1 02) ve­ de in Melchisedek e in Gesù rispettivamente il tipo e l 'archetipo. Questo accostamento pone il pri­ mo in posizione dipendente rispetto al secondo. Il che non è pensiero di Ebrei. Cfr. ancora J. Schneider, aphomoio6, in GLNT ( 1 972) 8,556. 88 Il quesito se lo pongono N. Casalini ( Una Vorlage extra-biblica in Ebr 7, 1-3? Verifica delle ragioni letterarie dell 'ipotesi, in SBFLA n 34 [ 1 984] 1 08- 1 48) e poi T. De Kruij f, The Priest-King Melchizedek. The Reception of Gen 1 4, l 8-20 in Hebrew mediated by Psa/m l l O, in Bijdragen 54 ( 1 993) 393-406. 89 Lo prova l 'esame letterario di Gn 1 4, 1 6.2 1 , in cui è rispettivamente interrotta e poi ripresa la storia del re di Sodoma, troncata proprio dali ' immissione di questo frammento cananeo. 90 L'offerta del pane e del vino da parte di Melchisedek è normalmente considerata pasto co­ mune di rifocillamento. Dal testo biblico di Gn 1 4, 1 7-20 non si riconosce nulla di più. Così A. Rolla nelle sue note e rilievi manoscritti sul mio lavoro dattiloscritto, nel settembre 2002. Ma non potreb­ be Nm 1 5 , 1 - 1 0 essere l 'eventuale retrofondo di Gn 1 4, 1 7-20? Sul banchetto, cfr. inoltre le riletture di G. Flavio, Antichità giudaiche 1 , 1 80; Filone di Alessandria, De Abrahamo 235: « Banchetto di gioia con offerte e preghiere di ringraziamento ». 91 Tre le ipotesi maggiori: l ) I l salmista ha fatto uso di un frammento gebusita sulla funzione del sacerdozio nel regno davidico di Gerusalemme; 2) il redattore finale di Gn 14 ha introdotto i vv. 1 7-20 nella storia di Abramo per collegare quest'ultimo con Davide; 3) entrambi gli autori han­ no avuto accesso a una medesima fonte a noi sconosciuta. Dà attenzione alla questione T. De Kruijf, The Priest-King Melchizedek. The Reception ofGen 14, 18-20 in Hebrews Mediated by Psalm l 10, in Bijdragen 5414 ( 1 992) 393-406. 92 Posto sotto il nome e l ' autorità di Davide (pseudonimia), il Sal 1 09 rimonta al secolo X a.C. quando fu redatto per l ' intronizzazione del re Davide, il quale non può averlo composto per se stesso.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Davide; Eh 7,3 avvicina Melchisedek e il Messia93 • Dire che il « Figlio » sia sa­ cerdote e re è per Ebrei fra i valori primari94• Excursus. « Sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek » (Sal 1 09,4; Eh 7,3), cioè senza appartenere alla casa di Aronne e senza ereditare le funzioni sacerdotali per discendenza. Oltre ogni norma. Ma è possibi le ciò? Eppure « punto capitale » (8, l ) di Eh 7 è porre in risalto che il Cristo è sacerdote, anche se non appartiene alla tribù di Levi . Il suo sacerdozio ha origine non nel­ la di scendenza, ma nel giuramento, ossia nella fedeltà di Dio alle sue promes­ se ( 6, 1 6 . 1 8 . 20). Per questo, esso è eterno. La formula « alla maniera di Melchisedek >> è un attendibile elemento di storia della tradizione ridotto alla sin­ tesi più essenziale : l 'autore disponeva, infatti, di informazioni aggiuntive e note, a noi non pervenute perché non trasmesse, il che dà al Sal 1 09,4 il carattere di un indovinello insolvibile. « Senza padre, senza madre, senza genealogia » (v. 3a) è formula creata da Ebrei, una verbalizzazione del silenzio di Gn 1 4. Essa è spiegata con il principio rabbinico: « Quod non in tora, non in mundo »95• Ma Eh 7,3 non se ne avvale, né qui né in tutto il « trattato >>. La mancata genealogia serve piuttosto per sottoli­ neare che Melchisedek è sacerdote e re non per discendenza e diritto ereditario, ma per sue qualità personali. Un contributo alla provenienza della figura di Melchisedek in Gn 1 4, 1 7-20 potrebbe venire dali ' interesse da essa destato in epoca giudaico-ellenistica. Secondo G. Flavio, Melchisedek è fondatore e primo sacerdote di Gerusalemme, nonché primo costruttore del tempio al Dio altissimo, a motivo della sua giusti­ zia96; è attento ali ' incontro di Melchisedek con Abramo e ali 'ospitalità resagli da quest'ultimo con un sontuoso banchetto, quasi il suggello di un patto97• Filone in­ vece, sull 'esempio dei rabbini, procede per illazione: dal nome ricava il profilo di chi lo porta98; è attento al motivo delle decime99 ed è pieno di stupore per l ' in­ contro di Melchi sedek con Abramo 100• Entrambi elaborano il profilo di Melchisedek in base al suo nome, e lo accettano quale sovrano cananeo. 93 Sulla questione, cfr. M.J. Paul, The Order ofMelchisedek (Ps 1 1 0, 4 and Heb 7,3), in WTJ 49 ( 1 987) 1 95-2 1 1 . 94 Esamina al dettaglio questa intentio auctoris in Ebrei Deborah W. Rooke, Jesus as Royal Priest: Rejlections on the lnterpretation ofthe Melchizedek Tradition in Heb 7, in Biblica 8 1 (2000) 8 1 -94. 95 Dati in KNTTM.SB, vol. III, p. 694. 96 G. Flavio, Guerra giudaica 6, 1 0,43 8. 97 G. Flavio (A ntichità giudaiche l, 1 80) scrive: «(Abramo) fu ricevuto dal re di So lima . . . Melchisedek . . . sacerdote di Dio . . . Ora questo Melchisedek ricevette dali 'esercito di Abramo ospi­ talità abbondantemente e nel corso del banchetto cominciò a benedire Abramo ». 98 Cfr. Filone di Alessandria (Legum allegoriae 3,79) citato sopra a nota 8 1 . 99 Filone di Alessandria (De congressu 98-99) scrive sulle decime. Egli riferisce sulla fertilità della terra, sui suoi frutti, doni di Dio, le cui primizie sono a lui riofferte (Jbid. 98): « Di tutto quello che tu darai, io darò a te la decima » (Gn 28,22b). Offerta e ringraziamento alimentano ne li 'uomo la pratica religiosa e ne fanno un anthropos asketikos. Segue la benedizione data al vincitore (Abramo) da parte di Melchisedek, possessore di quel sacerdozio, che egli non ha ricevuto da altri, ma possie­ de da se stesso. « Proprio per questo Abramo dette a Melchisedek la decima di ogni cosa ». 100 In De Abrahamo 235 Filone di Alessandria propone: « Quando il grande sacerdote (megas hiereus) del Dio altissimo vide Abramo avvicinarsi con i trofei e senza avere subìto perdita alcuna, fu

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L'esegesi allegorica filoniana cancella i tratti arcaici di Melchisedek presen­ ti in Gn 1 4, 1 7-20 e mette in primo piano le sue virtù, con l 'appoggio di interpre­ tazioni rabbiniche. Così Beresit Rabba parla di « Melki-$edeq Adoni-$edeq >> (con riferimento a Gs l O, l ). Gerusalemme è chiamata $edeq perchè è detto: « La giustizia vi dimora » (Is l ,2 1 ) . Re di Salem, re di $edeq: re di giustizia. Che que­ st'ultimo sia l 'elemento formale della sua elevazione a sommo sacerdote? Così sembra suggerire G. Flavio 101 • Forse, come nella dichiarazione di R. Jishaj: « Melchisedek era nato già circonciso »102, già giusto, appartenente a Dio, dunque già sacerdote? Eppure, in quanto agenealogetos, sarebbe stato del tutto non ido­ neo per il sacerdozio levitico 103• Un contributo al negativo alla tradizione su Melchisedek giunge dal Testamento di Levi 8. Vi si legge di sette uomini che rivestono Levi del sacerdozio e gli dicono: « Da ora sii sacerdote tu e tutta la tua discendenza. Il primo mi unse con olio e mi det­ te il bastone e mi fece mangiare pane e bere vino . . . ». Gli elementi della visione sug­ geriscono le consegne della dignità sacerdotale (olio-unzione e baculum) e dell 'o­ blazione (pane e vino): una singolare combinazione già rilevata in Gn 14, 1 7-20 a confronto con Nm 1 5 , 1 - 1 O. Ciò può postulare un testo originariamente giudaico, ela­ borato ( interpolato) poi da mano cristiana. Nella parte finale il Testamento di Levi im­ magina un uomo rivestito di dignità messianica: « Un uomo rinnoverà la legge con la potenza dell 'Altissimo ». I punti di contatto con Melchisedek sono non pochi, ma Melchisedk non è Levi. Altri due ultimi contributi, anch 'essi al negativo. Il primo è J J QMelch: in occasione del decimo giubileo avrà luogo « l 'espia­ zione per tutti i figli della luce e per gli uomini del partito di Melchisedek . . . ». Assimilare il Melchisedek di Il QMe/eh (messia celeste e messaggero messia, profeta escatologico e unto dello spirito) 104 con la figura proposta da Eb 7, 1 -3 ne rende ancora più problematica l ' identificazione. In questo caso, l 'autore sarebbe stato costretto a porre in contrasto Melchisedek e Cristo, entrambi messaggeri e promulgatori dell 'ultimo giubileo e della grande espiazione escatologica, cosa che non fa, e avrebbe dovuto distruggere l ' intero suo argomento in Eb l, che pre­ senta il Figlio (Gesù il Cristo) come rivelatore supremo del Padre, superiore agli angeli, per introdurre al suo posto Melchisedek che gli è solo « rassomigliante ». Un Melchisedek, figura messianico-escatologica, non sacerdotale, incaricata di eseguire i giudizi divini, ha nulla a che vedere con il protagonista di Eb 7, 1 -3 . =

stupito dell ' impresa e , pensando che simile successo non può avvenire senza la regia di Dio e l 'aiuto dell 'esercito, stese la mano verso il cielo e, in sua (di Abramo) vece, offri preghiere e sacrifici in rin­ graziamento per la vittoria e banchettò generosamente prendendo parte al convito di gioia ». 101 Cfr. G. Flavio, Antichità giudaiche l , 1 80: « Melchisedek . . . re di giustizia . . . per questa ragione fu fatto sacerdote di Dio ». 1 02 Testo in T. Federici, Commento alla Genesi, Beresit Rabba, UTET, Torino 1 978, p. 329. 1 03 Così KNTTM.SB, vol. III, p. 693 , e ivi ampi riferimenti. 1 04 Si veda il contributo di F. Garcia Martinez, Las Tradiciones sobre Melquisedec en los ma­ nuscritos de Qumràn, in Biblica 8 1 (2000) 7 1 -80. Quanto agli « unti )), essi sono il « messia di Aronne e il messia d'Israele )), secondo J QS 9, 1 1 . A riprova de li ' interesse critico che questo perso­ naggio misterioso continua a suscitare, si veda F. Franzi, Melchisedek e l 'angelo/ogia nell 'epistola agli Ebrei e a Qumran (AB 1 36), PIB, Roma 1 997, e le precisazioni dello stesso F. Franzi in RBJ 5 1 /3 (2003 ) 28 1 -3 14.

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Il secondo è nel trattato gnostico su Melchisedek (NHC 9, l): la presentazio­ ne della funzione salvifica in termini sacerdotali e cultuali (per Melchisedek e Gesù), nel rifiuto assoluto del sacrificio cruento, che invece Ebrei considera, esclude l 'attenzione di Ebrei per questo documento 105• Dunque, Eb 7, 1 -3 non fa riferimento a Filone, a G. Flavio, a Testamento di Levi 8, a J J QMelch né a NHC 9, 1 , ma offre di Gn 1 4, 1 7-20 e del Sal 1 09,4 un proprio commento 106• Tutta da provare l ' ipotesi che vede in Ebrei e principal­ mente in 7, 1 -3 una sorta di demonstratio delle promesse e delle attese escatolo­ giche realizzatesi in Cristo. Se in Gn 1 4, 1 7-20 è Abramo il principale personag­ gio, in Eb 7, 1 -3 lo è Melchisedek. Questi serve per provare la superiorità di Cristo rispetto agli angeli, a Mosè, ad Aronne, a Levi 107• Questa superiorità è spiegata mediante il termine aphomoiOmenos (rassomigliante, 7,3). Dio ha pensato Melchisedek come il proprio figlio per dire poi che il Figlio è sacerdote rassomi­ gliante a Melchisedek. Eb 7, 1 -3 è il frutto di un lavoro redazionale midrashico su Gn 1 4, 1 8-20, Sal 76,3 e Sal l 09,4, e non la sintesi di speculazioni religiose giu­ daico-ellenistiche del tempo. La ricezione di questa figura così singolare porta come per mano a scoprire nel v. 3 un.frammento a sé stante. I dati ivi contenuti non sono infatti presenti né in Gn 1 4, 1 7-20 né nel Sal 1 09,4. Quel frammento è un inno protocristiano, preesistente a Ebrei (preredazionale ), non mistura sincretica di più frammenti biblici ed extrabi­ blici. Oltre ai singoli riscontri su proposti, lo escludono la compattezza sintattica dell ' intera microunità letteraria e la sua precisa ripartizione in vv 1 -2a e vv 2b-3 108 : una redazione originale su Cristo, quella ai vv 2b-3, sacerdote « alla maniera di Melchisedek ». Le sei proposizioni participiali subordinate addensate al v. 3, di ti­ po attributivo e interconnesse109, con le quali 7,3 riesamina i fatti di Gn 1 4, 1 7-20, .

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1 05 Ne discute, ancora di recente, C. Gianotto, Il sacrificio nell 'Epistola agli Ebrei, in ASE 1 8 (2002) 1 69- 1 79. Anche il profilo di un Melchisedek « great Paralemptor of Light, the purifier of Light » (grande purificatore della Luce) è ignota a Ebrei. Cfr. C. Schmidt - V. Macderrnot (edd.), Pistis Sophia l ,25, Brill, Leiden 1 978, pp. 34-35. 1 06 Buona prova in G.J. Steyn ( The Vorlage of the Melkizedek phrases in Heb 7, 1-4, in Acta Patristica et Byzantina 1 3 [2002] 207-223), che estende la riflessione a Eb 7, 1 -4: in 7, 1 -2a l ' autore accoglie materiale da Gn 1 4, 1 7-20; in 7,2b immette due suoi commenti; torna poi in 7,3a a utilizza­ re materiale da tradizioni giudaiche; in 7,3b propone ancora due commenti propri; chiude poi la mi­ crounità in 7,4 con un commento finale. Mentre rileva un retroterra culturale plurimo in Ebrei, H. Feld (Der Hebriierbrief, pp. 49-5 1 ) ritiene inoppugnabile la presenza di risonanze gnostiche (Nag Hammadi) in Ebrei. L'autore, che ne è al corrente, tuttavia non ne dipende. 107 Sul valore tipologico di « Melchisedek » quale prototipo individuale, avente solo lo scopo di cui sopra, segnalo lo studio di C.L. Bird, Typological Jnterpretation within the 0/d Testament: Melchizedekian Typology, in Concordia Journa/ 2 1 (2000) 36-52. 1 08 Mi è parso lo scopo primario dello studio di N. Casalini, Una Vorlage extra-biblica in Ebr 7,13? Verifica delle ragioni letterarie dell 'ipotesi, in SBFLAn 34 ( 1 984) 1 08- 148. Questi propone così: vv. l -2a; vv. 2b-3 . Alla ricerca della Vorlage, offre una elaborazione del tutto redazionale G.J. Steyn ( The Vor/age of the Melkizedek phrases in Heb 7, l -4, in Acta Patristica et Byzantina 1 3 [2002] 207-223 ). 109 Si noti questo lungo periodo costituito da sei proposizioni relative subordinate, intercon­ nesse e gravanti sull 'ultima proposizione, la principale, nella quale culmina quanto l 'autore vuole dire: « Rimane sacerdote in eterno » (menei hiereus eis to dieneke [dia + phero}): portare attraverso, dunque di continuo, per sempre. Quanto detto di Melchisedek, cioè, quale tipo somigliante al Figlio di Dio, è proprietà dell 'antitipo Gesù. Nella traduzione ho preferito rispettare la composizione reda­ zionale e intenzionale dell 'autore.

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servono a Ebrei per dire che Melchisedek, « rassomigliando >> 1 10 al Figlio di Dio, ri­ mane sacerdote per sempre (v. 3d). Il sacerdozio di Melchisedek, totalmente diver­ so da quello levitico-aronide, è atipico; il sacerdozio di Cristo è doppiamente atipi­ co nei confronti di quello aronide (Gesù non è della tribù di Levi) e di Melchisedek. Quest'ultimo, infatti, è solo somigliante al sacerdozio di Melchisedek, che gli è so­ lo rassomigliante. La formula è reversibile. Per quanto eccellente e nuovo, il sa­ cerdozio di Melchisedek, resta ancora sempre prefigurazione umbratile di quello di Cristo1 1 1 , totalmente unico perché unico1 12• Gli attributi di Eb 7,3 danno voce ai silenzi di Gn 14 su origine, nascita e morte di Melchisedek, ma sono anche la conferma che Ebrei sta lavorando sul Sal l 09,4. Se è sacerdote « alla maniera (kata taxin) di Melchisedek », il Cristo pos­ siede la vita eterna ed esercita il suo sacerdozio per sempre. Ebrei si sente auto­ rizzato a dire di Melchisedek ciò che è detto di Cristo, e di Cristo ciò che è detto di Melchisedek. Quest'ultimo appare immortale: il suo sacerdozio supera quello levitico (7 ,4- 1 0), egli infatti non preleva le decime come fanno i leviti per i pro­ pri fratelli e per la legge, ma per autorevolezza personale; inoltre « rimane per sempre ». Se il sacerdozio di Melchisedek è legato alla personale autorità e « ri­ mane per sempre » (v. 3), è superiore a quello aronide; non deve dunque solleva­ re difficoltà alcuna il fatto che il sacerdozio di Cristo dichiari obsoleto (8, 1 3) quello aronide. Eb 7,3 è un inno protocristiano non extrabiblico, ma messo a pun­ to dali ' autore attraverso la tecnica della verbalizzazione dei silenzi di Gn 1 4, 1 720. Esso celebra Melchisedek « sacerdote del Dio altissimo ». In verità, vuole ce­ lebrare il Figlio sommo sacerdote Gesù il Cristo. Certo, per il Sal l 09,4 tali affermazioni sono improponibili. Esso parla solo dell 'ordine (taxis) di Melchisedek; è Ebrei a dimostrare che il principio costituti­ vo di tale realtà è la vita immortale (« senza principio né fine di giorni ») di Melchisedek, in base alla quale il suo sacerdozio è superiore a quello di Aronne, legato alla transitorietà umana. Ebrei non vuole dimostrare che Cristo è superio­ re a Melchisedek; questi infatti è solo « rassomigliante al Figlio di Dio » nella vi­ ta immortale. Ebrei non è preoccupato di combattere quella gnosi che vuole Cristo inferiore a Melchisedek, ma di mostrare che la loro interrelazione è di semplice somiglianza quanto al possesso della vita immortale e della funzione sacerdotale. Eb 7,28 chiarisce del resto e bene la differenza di Cristo e lo chiama « Figlio di Dio »; Melchisedek gli è solo « rassomigliante ». Un singolare quesito serpeggia ancora fra gli addetti ai lavori . Al v. 3b Melchisedek è « rassomigliante al Figlio di Dio »? Entrambi poi, con affermazioni separate, sono detti ai vv. 8 e 1 6 eternamente vivi. Che, a seguito di ciò, Melchisedek 1 10 Aphomoiomenos de, participio perfetto passivo (« fatto simile a . . . , reso somigliante a . . . , as­ similato a . . . »), dunque « rassomigliando » . 111 Se Ebrei ha qui di mira quanto si dice a Qumran su Melchisedek, dove questi gode di una sola menzione e di una posizione del tutto unica (J JQMelch), il suo superamento qualitativo da par­ te di Gesù il Cristo ne descriverebbe la novità e unicità. Interessante dichiarazione di Y. Yadin, A Note on Melchisedek and Qumran, in lsrael Exploration Journal 1 5 ( 1 965) 1 52 ss. Siamo in piena prospettiva escatologica. 1 12 Cfr. R. Penna, l ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neote­ stamentaria. Il. Gli sviluppi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1 999, p. 305.

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non sia il Cristo preesistente 1 1 3? Ebrei non avrebbe avuto il coraggio di dichiararlo apertamente e, data la scabrosità del tema, avrebbe preferito che i suoi lettori perve­ nissero da soli a simile scoperta. Tale suggestione incappa in due serie difficoltà: il rango di Melchisedek e in particolare quell ' aphdmoiomenos (« rassomigliante a . . . », v. 3): in Eb 7, 1 - 1 0 Melchisedek è paragonato a Cristo e non viceversa. Un paragone di Cristo con Melchisedek sarebbe stata una eloquente controprova 1 14• Ed ecco il frammento ionico in Eb 7,2b-3 : « Melchisedek, re di giustizia e re di pace (v. 2b), senza padre, senza madre, senza genealogia, senza pincipio di giorni né fine di vita, rassomigliando così al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre » (v. 3). I giudeocristiani melchisedechiani lo cantano a Melchisedek: esso è dunque extrabiblico. Ebrei lo preleva e trasferisce su Gesù il Cristo1 15• Eb 7, 1 -3 è una microunità letteraria dalla redazione originale, libera da in­ flussi extrabiblici. La teologia che vi è trasmessa è negativa, basata sul silenzio di Gn 1 4, messa a punto per Melchisedek, re sacerdote e figura profetica del Cristo. Gli attributi di Melchisedek presenti nel frammento ionico di Eb 7,2b-3 danno voce ai silenzi di Gn 1 4, 1 7-20, o per via di redazione autonoma di Ebrei o per ipotetica attendibile provenienza da una fonte sul personaggio, nota a Genesi, al Sal l 09, a Ebrei e alla tradizione giudaica, e dai quattro diversamente seleziona­ ta. Ciò che è detto in 7,3 è comunque estraneo al resto del discorso e pur tuttavia resta affermato, valido, anzi decisivo. Lo statuto teologico di Melchisedek ri­ spetto a Cristo impone delle riduzioni : simile al Figlio di Dio, quegli non è Dio; la intentio auctoris di Ebrei fa infatti leva sull 'eternità del profilo regale e sacer­ dotale del re di Salem, di Gesù il Figlio. Questa intentio è primaria ed esclusiva. Ebrei non vuole dire che il re di Salem sia eterno, come dice invece di Cristo. Con quel « al modo di Melchisedek » siamo nella logica dell ' analogia. Può arricchire l 'esame di 7,3 l 'eventuale retro fondo greco-romano, fosse pu­ re solo quanto a risonanze, un aspetto da non trascurare . Le prerogative di Melchisedek: « senza padre (apator), senza madre (ametor), senza genealogia (agenealogetos), senza nascita (mete archen hemeron) e senza morte (mete zoes telos), reso simile-rassomigliante al Figlio di Dio » richiamano infatti topoi lin­ guistici in uso presso il pensiero ellenistico-romano per descrivere un « vero dio ». Questi è eterno-immortale (aidios-aphthartos) l 16; non generato-non creato nel

113 Così, ad esempio, A.T. Hanson, Jesus Christ in the Old Testament, SPCK, London 1 965, pp. 65-67. 1 14 Di tale interrogativo si occupa, fra gli altri, P. Ellingworth, « Like the Son of God »: Form and Content in Hebrews 7, 1-10, in Biblica 64 ( 1 983) 255-262. 1 15 Può essere questo un buon risultato favorito dallo studio di A. Vivian (/ movimenti che si op­ pongono al Tempio: il problema del sacerdozio di Melchisedeq, in Henoch 1 4 [ 1 992] 97- 1 1 2): Melchisedek e melchisedekiani. Per una rassegna sulla dibattuta questione, cfr. N. Casalini, Una Vorlage extra-biblica in Ebr 7, 1-3? Verifica delle ragioni letterarie dell 'ipotesi, in SBFLAn 34 ( 1 984) 1 1 4- 1 27. 1 16 Così Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 6, 1 ,2.

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passato, dunque indistruttibile e immortale nel futuro (agenetos-aphthartos) ' 17; in­ causato-immortale (agennetos-aphthartos) l 1 8; non generato - non causato-eterno (agenetos-agennetos-aidios) 1 1 9; eterno-immortale (aionios-aphthartos) 1 20; non causato - non generato-indistruttibile (agennetos-agenetos-anolethros) l21 ; non creato - immortale-eterno (agenetos-aphthartos-aidios) l22; senza principio - senza fine (anarchos-ateleteutos) '23• Come si vede, la terminologia di Eb 7,3 è del tutto empirico-semitica; quella greco-ellenistica ne è invece come la riformulazione filosofica in teodicea124• Quei topoi, in sé diversi, esprimono la medesima realtà: Melchisedek, quale figura di­ vina, come un vero dio, « rassomigliante al Figlio di Dio ». Eppure egli finirà per profilarsi soltanto figura profetica (tipo) di un altro (antitipo): il Cristo. Infatti, è vero che Melchisedek « rimane sacerdote per sempre » (v. 4), ma egli non è il so­ lo. Eb 1 , 1 1 - 1 2, appoggiandosi al Sal 1 02,25-27 e trasponendolo, con coraggiosa operazione ermeneutica, su Gesù, non esita a dire di lui: « Essi periranno, ma tu ri­ mani; invecchieranno . . . saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e gli anni tuoi non avranno fine », ove è ben chiara la contrapposizione tra mortale e immortale, mutevole e immutevole, riformulazione in linguaggio ellenistico. Eb 7,24 registra un vivo contrasto tra Gesù (v. 22) e i sacerdoti aronidi : la morte impediva loro di durare a lungo. « Egli invece, poiché rimane in eterno, possiede un sacerdozio che non tramonta ». L'espressione « rimanere per sempre )) esprime immortalità, immutabilità, eternità e racchiude in sé tutte le caratteristiche di un vero dio: eterno (aidios), immortale (aphthartos-athanatos), indistruttibile (anolethros), per sempre (aionios). Anche le Constitutiones apostolicae descrivo-

1 17 Così scrive Diogene Laerzio, Zeno 7, 1 37. Ampie le frequenze in Filone di Alessandria: De cherubim 86; Legum al/egoriae l ,5 1 ; De decalogo 4 1 ; De sacrificiis Abelis et Caini 63 ; Quis rerum divinarum heres sit 14; De somniis 1 ,94; De vita Mosis 2, 1 7 1 ; Legatio ad Gaium 1 1 8. 1 18 C'era una considerevole confusione nel mondo antico sui termini agenetos e agennetos. Così non è accidentale trovare variazioni in cui « dio » è detto non proprio increato, ma incausato e immortale. È il caso di Iside e Osiride, > 129• Si legge in Apocalisse e in forma incalzante, a mo' di el­ lissi: « lo sono l 'alfa e l 'omega » ( 1 ,8); « lo sono alfa e omega, principio e fine » (2 1 ,6); « Io sono alfa e omega, principio e fine, il primo e l 'ultimo » (22, 1 3 ). « Come l 'antica tradizione dichiara, Dio tiene nelle sue mani il principio, il centro, e la fine di tutte le cose »130, « è, era e sarà ». Così in Oracoli Sibi/lini 3, 1 6: « Dio . . . esistente ora e anteriormente e di nuovo nel futuro ». Si veda anche Ap 4,8 e Ap I l , 1 7 : « Dio, che sei e che eri ». Il linguaggio di Eb 7,3 riflette il modo di pensare proprio della speculazione filosofica ellenistico-romana sulla vera divinità. Melchisedk lo è e in accordo con i topoi, che descrivono vere divinità eterne. Eppure, ciò che Ebrei dice di lui, intende dirlo di Gesù: una procedura midrashica, come già notato. La disposizione retorica di Ebrei va riscuotendo attenzione critica 1 3 1 . Una breve osservazione retorica su Eb 7, 1 -28 conferma lo stile estetico e approda a elementi che ne migliorano l ' interpretazione 132• Nonostante la sua marcata indo-

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Cfr. Constitutiones apostolicae 8,37, 1 ; 38,5; 4 1 ,4. « Mentre la mia anima è creata, mortale, mutevole, profana, Dio è increato (agenetou), im­ mutabile (atreptou), immortale (aphthartou)». Così Filone di Alessandria, De sacrificiis Abe/is et Caini 1 0 1 e anche in De somniis 2,237. 127 Così informa Lattanzio, Divinae institutiones 1 ,7, 1 ; 4, 1 3, 1 . 128 Così Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 6, l ,2; cfr. Plutarco, Pelopidas 1 6 . 1 29 Così Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica 3,9. 1 3° Così scrive Platone, Timaeus 37b (Timeo [G. Lozza, ed.], Mondadori, Milano 1 994). 131 P. Garuti propone nel suo commentario (Alle origini del/ 'orni/etica cristiana) : lexis, procedu­ re stilistiche; taxis, composizione e disposizione delle parti del discorso; euresis, individuazione delle argomentazioni adatte ali ' interlocutore. I risultati ottenuti per via retorica sono anche da me raggiunti per aliam viam. Una convergenza metodo logica di rilievo che il lettore paziente potrà ben rilevare. 132 Se ne occupa ampiamente P. Garuti (Eb 7, l-28: un problema giuridico, in DT 97 [ 1 994] 91 05), al quale do qui la dovuta attenzione. 1 26

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le giuridica, Eb 7 presenta procedimenti stilistici finalizzati alla persuasione del­ l 'uditorio; l 'autore vuole informare e convincere sul « punto capitale » (8, l ). Allo scopo, deve ridurre la pesantezza delle norme, ormai obsolete e, come districan­ dosi fra esse, giungere al cuore della questione: attribuire al « Figlio » il titolo di sommo sacerdote, probabile 133 punto nevralgico di tutto il « trattato ». [vv. 1-2] Con una percursio134 Ebrei spiega le proprie macroscopiche scelte, molto selettive rispetto a Gn 1 4, 1 7-20: l 'offerta di pane e vino (Gn 1 4, 1 8), il te­ sto della benedizione ( Gn 1 4, 1 9b-20), la connessione tra l ' offerta e il sacerdozio sono infatti dati che non sono neppure menzionati. L'autore va ali 'essenziale: ac­ creditare Melchi sedek come tipo del Cristo antitipo e la sua superiorità su Abramo e Levi suo discendente (7 ,4 ss. ). Così sorprende favorevolmente l ' ini­ ziativa di Melchisedek di incontrare Abramo, elemento posto in evidenza attra­ verso una magna inclusio in Eb 7, 1 (synantesas) e in 7, 1 0 (synentesen), mentre in Gn 1 4, 1 7 l ' artefice dell ' incontro è il re di Sodo ma. Altra positiva sorpresa: Abramo offre la decima a Melchisedek, mentre la LXX e il TM restano nel va­ go135. E vi è di più: Levi, in Abramo, paga già la decima a Melchisedek. Una digressione amplifica la narrazione. L'autore ripiega sul tema (v. l a), lo rumina, commorando in esso, e lo fa indugiando ben cinque volte sul termine ba­ sileus (re), riferito per 4 volte a Melchisedek. Quella commoratio va letta anche come una felice epanalessi (ripetizione di parole per ottenere maggiore chiarez­ za). Con una feconda interazione tra narratio, commoratio, digressio ed epana­ lessi l 'autore pone uno dei fondamenti per il raffronto Melchisedek-Cristo che si prepara a proporre a partire dal v. 5 . Lo strumento della digressione è ben atte­ stato nella esegesi rabbinica 1 36• In mancanza di elementi precisi nel testo di Genesi, essa cerca di ottenere dal nome indicazioni sull ' identità del personaggio. Ne risulta il binomio giustizia-pace137 (v. 2; cfr. ls 9,5-6), caratteristica del regno messianico, e ancora quanto segue al v. 3 . [v. 3 ] L'enumerazione a l v. 2 assume a l v. 3 andatura poetica grazie ad asin­ deto, ritmo, allitterazione (apator-ametor; mete-mete; hemeron-echon) e climax, che culmina nel v. 3 . È ancora sempre utile notare l ' apporto estetico di simili pro­ cedure, proprie di una penna esperta. Il v. 3 ( « . . . e rimane sacerdote in eterno »)

1 33 Dico « probabile » dal momento che non mancano studi che riscontrano il punto nevralgico di Ebrei nell 'assemblea di Dio, popolo peregrinante verso il suo (di Dio) riposo. Già E. Kiisemann (Das wandernde Gottesvolk. Eine Untersuchung zum Hebriierbriej) . Riprende l ' argomento E. Griisser, Das wandernde Gottesvolk. Zum Basismotiv des Hebriierbriefes, in ZNW 77 ( 1 986) 1 601 79. Se non nevralgico, quel tema è comunque co-nevralgico. 1 34 Come già detto nella Prefazione, per il vocabolario retorico, qui come altrove nel commen­ tario, cfr. il Lessico metodologico e biblico-teologico, pp. 736-743 . 1 3 5 In base al TM e alla LXX è possibile pensare che sia Melchisedek a dare le decime ad Abramo. In Eb 7,2 invece non c'è dubbio alcuno: Abramo dà le decime a Melchisedek. Cfr. A . Vivian, l movimenti che s i oppongono a l Tempio: il problema del sacerdozio di Melchisedeq, in Henoch 1 4 ( 1 992) 97- 1 1 2 . 1 3 6 Testi significativi di digressione, per illazione dal nome, si trovano in KNTTM .SB, vol. III, pp. 692-693, su Eb 7,2bc. 1 37 Si vedano rispettivamente G. Flavio, Antichità giudaiche l , l 0.2; Targum Jonathan l su Gn 1 4, 1 8. Poi Genesi Rabba 43 (26d, l 8) e altre testimonianze (cfr. KNTTM.SB, vol . III, pp. 692-693).

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Parte seconda. Traduzione e commento

assume un ruolo argomentativo centrale e contribuisce a sostenere il parere di chi vede in esso un inno cristiano o già precristiano. Il de (così) di 7,3c ha infatti un duplice ruolo: chiude una enumerazione asindetica con un sindeto, il che fa con­ vergere su di esso quanto precede; mantiene inoltre un collegamento in progres­ sione climatica con i motivi della rassomiglianza (v. 3) e del « non avendo prin­ cipio di giorni né fine di vita » (v. 3a). Che Melchisedek « rimanga sacerdote in eterno » si scontra con un ostacolo invalicabile, ma solo apparentemente: il suo è un sacerdozio di origine divina, esiste dunque da sempre e sfugge alle disposizioni legali (nomos) . Melchisedek non appartiene infatti alla tribù sacerdotale di Levi (cfr. Nm 1 ,49-5 1 ) né alla stir­ pe sacerdotale (cfr. Nm 3 ,6- 1 0). È dunque un caso eccezionale, che si presta be­ ne per « situare » il sacerdozio di Cristo. È infatti in armonia con il Sal l 09 ,4, messianico, applicato a Cristo dalla tradizione protocristiana già in Eh l , 1 3 : mes­ sia re e sacerdote. Muovendosi nel genere epidittico, Eh 7,3 introduce una ipotiposi su Melchisedek, apre una trattazione più piena nello stile e ottiene un altro ritratto, quello del Cristo (Eh 7,26), anch 'esso messo a punto con analoga procedura re­ torica. Le procedure, analogica, midrashica e retorica, pervengono a risultati am­ piamente convergenti. [7,4-1 0] Melchisedek, il sacerdozio levitico e la decima è argomento di 7,41 O. Lo apre il v. 4 con l ' esortazione a contemplare la grandezza di Melchisedek: questi è « grande » (pelikos estin) perché « rimane sacerdote per sempre » (v. 3); affermazione parallela al Sal l 09,4. Egli è « rassomigliante al Figlio di Dio » (v. 3b) e prefigura midrashicamente il vero Figlio di Dio; il suo sacerdozio non levi­ tico è tipo del sacerdozio di Gesù il Cristo, anch'esso non levitico. Melchisedek è « grande » perché lo stesso patriarca Abramo gli « diede la decima del suo bot­ tino migliore » (v. 4 ); Levi stesso e tutti i suoi discendenti nel sacerdozio aronide, ricevono sì le decime dal popolo (v. 5), ma danno in Abramo (vv. 4b.9- 1 0) la de­ cima a Melchisedek, ottenendone la benedizione. Ora « è l ' inferiore a essere be­ nedetto dal superiore » (v. 7). Cioè il sacerdozio di Melchisedek è superiore e migliore di quello aronide. Questa grandezza di Melchisedek va còlta contem­ plandola138 (v. 4), onde pervenire, oltre la medesima, alla maggiore grandezza di Gesù il Cristo. Quanto alle decime 1 39, esse avevano una funzione cultuale e socioassisten­ ziale notevole nella vita del popolo ebraico, sia prima sia dopo la vita terrena di Gesù. La sopravvivenza fisica dei sacerdoti di basso rango e senza alcun reddito era legata ai proventi della prima decima, che spesso erano oggetto di illegittima pretesa dai sommi sacerdoti 140. Anche in Eh 7, 1 - 1 0 si tratta della « prima deci-

È il senso del l ' imperativo esortativo theoreite: osservare con gli occhi della mente. Con Mt 23,23; Le 1 1 ,42 e 1 8, 1 2, Eb 7, 1 - 1 0 è uno dei quattro testi del NT che menziona le decime giudaiche e per ben 7 volte (Eb 7,2.4.5.6.8.9[2x]). Quelle quattro testimonianze si muovono o in clima polemico tra Gesù e i farisei, come in Matteo e Luca, o in funzione gesuologico-cristolo­ gica come in Eb 7. 1 40 Così informa G. Flavio, Antichità giudaiche 20, 1 80- 1 8 1 e 20,206-207. 1 38

1 39

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ma » 1 4 1 • Dal lato storico, l ' episodio di Gn 1 4, 1 8-20, pur centrale in questa sezio­ ne di Ebrei, non offre chiarimenti sulla prassi delle decime vigenti al tempo in cui Ebrei redige il suo « trattato », di certo dopo l 'anno 70 d.C. Decima e benedizione (Eb 7,2) sono qui integralmente riprese (vv. 4.6); la notizia delle decime è data con lo stesso verbo di Gn 1 4,20 (edoken, LXX), ma con una variante che fa da iperbole: « Dalla cima del mucchio »142• La menzione della parte migliore richiama la legge della decima nello spirito di Nm 1 8,29 143• Risalta subito il confronto tra le decime cui avevano diritto i sacerdoti levi­ tici (v. 5) e quella data da Abramo a Melchisedek (v. 4). L' intento principale di Ebrei è dimostrare due cose : Melchisedek è superiore ad Abramo; lo esprime be­ ne la benedizione di Melchisedek ad Abramo (v. 6), nonostante fosse Abramo « ad avere ricevuto le promesse da Dio ». Chi benedice è di certo più importante del benedetto (v. 7). Inoltre, il sacerdozio di Melchisedek è superiore al sacerdo­ zio aronide. Questi infatti, pur non essendo della famiglia di Levi , riceve la deci­ ma da Abramo. Se poi osserviamo in anticipo 7, 1 1 -28, altrettanto centrale è l ' in­ tento ivi esposto fin dal v. 1 1 : l 'eccellenza del sacerdozio eterno di Gesù Cristo « alla maniera di Melchisedek >> dichiara imperfetti nel loro compimento il sacer­ dozio levitico-aronide e la legge antica su cui esso è fondato (vv. 1 8- 1 9). Chi ha diritto alla decima? « In verità anche quelli tra i figli (i discendenti dei figli) di Levi che assumono il sacerdozio » (ek ton hyion Leui ten hierateian lam­ banontes) è una espressione participiale, dal senso derivativo o partitivo? Nel pri­ mo caso, dovremmo tradurre: « I discendenti dei figli di Levi, che assumono il sa­ cerdozio », con riferimento ai l eviti nel loro insieme, tribù tutta sacerdotale; nel secondo caso, si dovrebbe leggere: « Quelli tra i discendenti dei figli di Levi, che ricevono il sacerdozio ». Questa seconda sembra la lettura più vicina al testo gre­ co, sostenuta anche dalla Vulgata: « Et quidem de filiis Levi sacerdotium acci­ pientes ». In questo secondo caso, hanno diritto alle decime solo quei figli di Levi che ricevono di fatto il sacerdozio. È il senso del v. 5a. Un secondo interrogativo sulla « prima decima » è posto al v. 5b. Vi è detto che i sacerdoti della tribù di Levi « hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge, la decima (dekaten) dal popolo ». Si ha qui una difficoltà: la « prima deci­ ma » infatti, secondo la legge, era assegnata ai l eviti non sacerdoti, destinati a funzioni secondarie nel culto, perché potessero sopravvivere 144, e non ai sacerdo­ ti leviti; nella prassi vigente al tempo di Ebrei, ma già da prima e così ancora do­ po, erano invece i sacerdoti a beneficiare della « prima decima ». Un abuso già notato dal passo citato di G. Flavio. L'affermazione al v. 5b, errata quanto alla legge scritta, è invece esatta e perfino preziosa per la storia: denunzia un abuso 1 4 1 Sulla « prima decima )) scrive già, e in modo approfondito, M. Del Verme, La prima deci­ giudaica nella pericope di Eb 7, 1-10, in Henoch 8 ( 1 986) 339-363 . 1 42 È il senso di ek ton akrothinion. Vi si descrive la scelta migliore dal bottino di guerra, dun­ que « la decima del suo bottino migliore )). 1 4 3 « Da tutte le cose che vi saranno concesse, preleverete tutte le offerte per il Signore; di tut­ to ciò che vi sarà di meglio, preleverete quel tanto che è da consacrare )) (N m 1 8,29). 1 44 Buone informazioni in A. Rolla (ed.), Enciclopedia della Bibbia, LDC, Torino-Leumann 1 970, vol. IV, pp. 643-647. ma

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Parte seconda. Traduzione e commento

contro la legge. Ora Eb 7,5 consente solo due tracce possibili di soluzione : l) L'autore è incorso in uno svarione biblico 145• Ma, in verità, i sostantivi entole e nomos non sono un esplicito richiamo a un preciso testo legale della tora146• I due termini servono per stabilire un raccordo tra il sacerdozio levitico con le sue pre­ rogative attuali e la legge mosaica, con il dichiarato intento di decretarne l 'abro­ gazione definitiva a opera del sacerdozio eterno di Gesù. Quella legge ha fatto cioè il suo tempo; ora deve cedere il passo. 2) L'autore inquadra la prassi delle de­ cime subordinando la alle motivazioni centrali del suo « trattato » e ai propri ca­ noni ermeneutici nell 'uso delle Scritture. Egli vuole cioè dimostrare l 'eccellenza del sacerdozio eterno di Melchisedek rispetto a quello transitorio e imperfetto, ma preparatorio dei sacerdoti levitici; egli vuole fare risaltare il sacerdozio eter­ no di Gesù, nuovo e definitivo, che attinge valore perenne dalla promessa giura­ ta di Dio (cfr. Sal 1 09,4 ). Questo suo intento l 'autore lo affida a una serie di ( set­ te) confronti condotti in prevalenza con l ' ausilio dell 'iperbole. [ vv. 5-7] Il primo confronto: sacerdoti levitici 147 e Melchisedek, sacerdote non levitico. Il v. 5 dice che il popolo ha con Levi un legame di sangue risalente ad Abramo; il v. 6 presenta un forte indizio che attesta la grandezza di Melchisedek : riceve la decima dal patriarca Abramo e lo benedice; ali 'azione spontanea di Abramo che offre le decime (vv. 4.6), fa riscontro quella di Melchisedek, che accolse le decime da Abramo : quasi un diritto acquisito. Con il v. 6 il discorso sulle decime si chiude e lascia il posto alla benedizio­ ne permanente nei suoi effetti 148, tocco finale che descrive l ' esaltazione di Melchisedek con un bel costrutto chiastico : a) Ottenere la decima b) da Abramo b ) depositario della promessa a') benedire. '

Opponendo la grandezza del benedicente, Melchisedek, a quella del recetto­ re della benedizione, Abramo, si ottiene l 'esaltazione di Melchisedek confer­ mando quanto detto al v. 4. Il pagamento della decima non era sufficiente a pro­ vare la superiorità di Melchisedek su Abramo, in quanto poteva derivare dalla generosità del patriarca. La benedizione su di lui toglie ogni dubbio (v. 7). [vv. 8-10] Secondo confronto: sacerdoti levitici mortali e Mechisedek sommo sacerdote non levita, vivente. Al v. 8 è introdotto il confronto con Melchisedek, uno « di cui si attesta che vive )) e riceve le decime migliori, e i sacerdoti aronidi 145 Esso potrebbe essere intenzionale. L'autore infatti non può non conoscere la disciplina nel campo delle decime. Così J. Bonsirven (Saint Pau/. Épitre aux Hébreux) suggerisce che Eb 7,5b stia annotando espressamente il passaggio dalla legislazione alla prassi: dai leviti ai sacerdoti. 146 Se si considera la « prima decima >> come attuazione di un esplicito precetto sancito dalla legge, il nomos di Eb 7,5 esprime una ideologia teocratico-sacerdotale e non un ascolto della legge. Ora, questo orientamento non fa parte del patrimonio mentale e spirituale di Ebrei. 14 7 Si tratta della stirpe dei figli di Levi: tutti erano eleggibili per le funzioni sacerdotali, ma non tutti di fatto le esercitavano. Melchisedek, invece, non della stirpe di Levi, è sacerdote per sempre. 148 « Benedisse per sempre )): è il senso del perfetto eulogèken.

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« uomini mortali », i quali soggiacciono alla legge delle decime e alla sanzione della morte che l 'accompagna. Tornando sul tema della decima, Ebrei sembra meravigliarsi della morte di coloro che la percepiscono. La forma verbale al par­ ticipio presente apothneskontes, uomini che muoiono di continuo, dunque mor­ tali, descrive bene la morte come condizione permanente dell 'esistenza dei sa­ cerdoti secondo l 'ordinamento levitico. Non così per Melchisedek: sacerdote non levita, egli vive, cioè non muore, ovviamente non in quanto persona. Ali 'autore interessa in primo luogo l ' « ordinamento » (taxis) sacerdotale « alla maniera di Melchisedek », e poi Melchisedek in quanto sommo sacerdote. Ed eccone la te­ stimonianza: il Sal 1 09,4. Con una iperbole (7 ,9- 1 O) l 'autore ribalta il principio stesso di genealogia, traendone una conseguenza imprevedibile: in Abramo, che va incontro a Melchisedek, già Levi e tutti i l eviti versano le decime al re di Salem. « Egli infatti (Levi) si trovava ancora nei lombi del padre (Abramo) » (v. 10). L'espressione, già risuonata al v. 5, è al servizio di una elegante descrizione di un dato di fatto in sé molto semplice, il che dà all 'iperbole stessa un movimento più realistico, ma inso­ lito; in questo caso, infatti, esso non ha nulla di esagerato 149. Anzi, trasmette del­ l 'umoristico proprio per l ' immediatezza della descrizione, da un lato, e la posta in gioco molto pesante, dall 'altro: il sacerdozio di Melchisedek è un fatto straordina­ rio e superiore al sacerdozio di Levi. Onde esprimere al meglio questa sua intentio, l 'autore si avvale pure di una magna inclusio : con Abramo che va incontro a Melchisedek in Eb 7, 1 (ho synantesas) e in 7, 1 0 (synentesen), egli sottolinea non la distinzione tra discendenti di Abramo sacerdoti e non sacerdoti, piuttosto tra i levi­ ti, discendenti di Abramo, e il sacerdote nuovo « alla maniera di Melchisedek ». Cade così l ' interrogativo, se il Cristo, anch'egli ancora nei « lombi di Abramo » in quanto discendente di Giuda (7, 14 ), non abbia pagato le decime a Melchisedek. Quella iperbole e quella magna inclusio muovono infatti in tutt'altra direzione: il sacerdozio di Melchisedek è già annunzio di un ordinamento superiore e miglio­ re 150 di quello levitico, debole e transitorio (7, 1 1 - 1 9). [vv. 1 1-12] L'autore prosegue l 'argomentazione quasi divincolandosi attraver­ so una serie di « dunque, infatti, così », modi diversi di rendere, con l 'ausilio del contesto, la particella gar (vv. l l ; 1 2 ; 1 3 ; 14; 1 7; 1 8; 1 9). Stabilita la superiorità del sacerdozio di Melchisedek (vv. 4- 1 0), Ebrei si cimenta con una obiezione in sé plausibile. Come mai Dio stesso ha poi costituito il sacerdozio levitico, soppian­ tando così, almeno sembra, quello del re di Salem? Questa obiezione è ampiamen­ te controbattuta già dali ' AT, quando Dio stesso stabilisce il nuovo sacerdozio: « Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek » (Sal 1 09,4). La citazione, ap­ plicata a Gesù, diventa un argomento stringente e apre ali 'autore la strada per di­ scutere sulla normativa 1 5 1 data in occasione della costituzione del sacerdozio. E

1 49 L'esagerazione fino all ' incredibile è aspetto essenziale dell ' iperbole. Cfr. Quintiliano, lnstitutio oratoria 8,6,67 e 73. 1 50 Già F. Weiss, Der Brief an die Hebriier, p. 392 . 151 È la traduzione migliore di nenomothetetai ep 'autes (v. I l ): il popolo d'Israele « è stato nor­ mato » in materia di sacerdozio levitico, ha ricevuto cioè delle regole riguardo a esso. Cfr. anche

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Parte seconda. Traduzione e commento

cioè: il fatto che sia sorto « un sacerdote diverso rassomigliante a Melchisedek » (v. 1 5), dopo la nascita del sacerdozio levitico, dice che la « perfezione » non era stata raggiunta né sarebbe mai stata raggiungibile attraverso quel sacerdozio. In al­ tri termini, esso dichiara i propri limiti. Era dunque necessario un nuovo passo; nel­ l' imperfezione del sacerdozio aronide si ascoltava già l 'esigenza di un sacerdozio più perfetto. La perfezione (te/eiosis) è progettualità del Dio di Abramo; la legge, debole e ormai inutile, non è in grado di aprire una strada verso quella perfezione nel rapporto con Dio, attraverso un sacerdozio diverso e perfetto. Nella legge si re­ spira la drammaticità del non poter redimere ( vv 1 8- 1 9). Doveva dunque intervenire un cambiamento sostanzioso nella legislazione sul sacerdozio (vv. 1 2. 1 8). Già lo stesso Melchisedek non rientra nelle norme previste dalla idoneità sacerdotale !evitica; « senza geneaolgia » (agenealogetos), senza albe­ ro geneaologico, egli non avrebbe mai avuto quella idoneità152. Questi, poi, è prefi­ gurazione profetica di Gesù il Figlio, il quale proviene da Giuda (Rm 1 ,3; At 2,2936), tribù non sacerdotale (v. 1 4). Come a dire: la legislazione levitica non ha ottenuto i risultati sperati; è da sostituire in toto con una linea sacerdotale estranea a quella !e­ vitica e mosaica. Novità in assoluto: il sacerdozio di Melchisedek nella linea di Abramo. Quel patto di Dio in Abramo e Melchisedek evolve verso il compimento; quello in Mosè, già utile per la sua funzione tutoriale, è ormai obsoleto (8, 1 3). Accostata dal lato retorico, la questione posta ai vv 1 1 - 1 2 avrà risposta in Eb 7,26-27. Quanto introdotto da men o un (« or dunque », v. 1 1 ) pone gli uditori innanzi a un nuovo stadio della dimostrazione : pretendere il sacerdozio non è titolo suf­ ficiente per ottenerlo, è necessaria una proclamazione ! Il sistema aronitico cono­ sceva la cerimonia detta dell 'ordinazione a sacerdote (Es 29; Lv 8), in greco re­ sa con il verbo teleioo. La domanda retorica, se sia legittimo un altro sacerdozio, visto che la legge divina ne prevede già uno, è motivata da un dato acquisito, in verità non più tanto tale. Infatti, se la consacrazione dei sacerdoti leviti fosse sta­ ta già in sé completa, non ci sarebbe stata la promessa del Sal l 09,4. L' interrogativo sgorga dal senso pregnante di teleiosis (hapax legomenon in Ebrei); l 'autore ne vuole estrarre il « senso pieno » presente nella radice verbale: consacrazione perfetta. Avviene così uno slittamento non ali ' interno della stessa stirpe !evitica, bensì dalla tribù sacerdotale di Levi, non perfetta, al ceto sacerdo­ tale non levitico di Melchisedek, più perfetto (v. 1 8). Questo poi non è il definiti­ vo. Esso cambierà ancora, lasciando il campo e per sempre ali 'unico sacerdozio da Dio programmato, il più perfetto: quello del Figlio, il Cristo. « Mutato il sa­ cerdozio, muta necessariamente anche la legge » (v. 1 2). E si tratta di una neces­ sità logica (8,3 ), di un'abrogazione (7, 1 8). E se la legislazione giudaica ritiene che le leggi sacerdotali siano immutabili, di validità eterna (Libro dei giubilei 1 3 ,26), Ebrei non è dello stesso parere : è la progettuale volontà di Dio a dare va­ lore alla legge; è questa a deciderne il cambiamento (v. 1 2) 1 5 3 • .

.

H. W. Hollander, Hebrews 7, l l an d 8, 6: a Suggestion for the Translation of « nenomothetetai epi )), in BT 30 ( 1 979) 244-247. 1 52 Segnalo ancora KNTTM.SB, vol. III, p. 693 . 1 53 Cfr. C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 254.

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[vv. 13-1 7] Il sondaggio della genealogia sacerdotale levitica introdotta da leuitike hierosyne (v. I l ) continua. L'uso di « il Signore nostro » (ho Kyrios hemon, v. 1 4) produce un consenso ulteriore su due fatti: egli è germogliato da Giuda, tribù non sacerdotale (v. 1 4b ); egli è, ciò nonostante, personaggio di primo piano, perché sacerdote in primis, in forza della progettualità di Dio che cambia la legge (me­ tathesis) in vista di Gesù il Figlio. Questi non è di tribù sacerdotale, eppure è sa­ cerdote perfetto (v. 1 3) che mai ha officiato ali 'altare antico (thysiasterion), compi­ to primario di ogni sacerdote (Nm 1 8,5; I Cor 9, 1 3). Inoltre, « per la potenza di una vita indefettibile (akatalytou) » (v. 1 6b )154, nell 'uno e nell 'altro caso, non per una prescrizione legale (v. 1 6a) 155 Il fatto poi che « Mosè non ha dichiarato nulla ri­ guardo al sacerdozio » (v. 1 4) nella tribù di Giuda attesta solo il silenzio della legi­ slazione circa il sacerdozio in quella tribù; ebbene, quel silenzio non è un divieto esplicito di accedere al sacerdozio per i discendenti di Giuda. Anche di fronte alla legislazione !evitica, dunque, Gesù è pienamente sacerdote e di qualità superiore. « E la cosa », il fatto cioè che mutato il sacerdozio muta « di nevessità )) anche la legge (proposizione soggettiva al v. 1 2), va da sé dal momento che « è venuto un al­ tro sacerdote rassomigliante a Melchisedek )) (v. 1 5), dunque non come Levi­ Aronne, neppure come Melchisedek, ma « diverso )) (ho eterosJ 156• Da qui la testimonianza a lui resa nel Sal 1 09,4: l 'autore che ha già com­ mentato prima la seconda parte (« alla maniera di Melchisedek )) ) commenta ora la prima (« Tu sei sacerdote in eterno ))); introdotto l ' oracolo, rileva il giuramen­ to. L'oracolo è presentato come prova decisiva (martyria, v. 1 7), dove il teste di­ vino è presente e parlante; ciò giustifica la solennità della frase : « Gli è resa in­ fatti questa testimonianza (martyreitai gar) )). La formula « alla maniera (kata taxin) di Melchisedeb) (5,6. 1 0; 6,20; 7, 1 1 ), secondo il tipo sacerdotale, o a somiglianza (homoiotheta) di esso, dice bene che Ebrei sta lavorando con il Sal 1 09,4 allo scopo di escludere che il sacerdozio di Cristo possa rientrare nella dinastia sacerdotale corrente. Essendo esso solo co­ me, somigliante a, è del tutto diverso dal sacerdozio levitico, ed è nuovo anche ri­ spetto a quello di Melchisedek. Termina qui il secondo confronto. [vv. 1 8-19] Terzo confronto : abrogazione-introduzione. Un nuovo gar intro­ duttivo avvia a conclusione la serrata argomentazione circa una ordinazione sa­ cerdotale specifica. Si ha qui il linguaggio dell ' utile , caratteristico del genere de­ liberativo: ogni norma deve avere una finalità, decaduta la quale essa risulta inutile; è dunque ovvio che debba essere modificata (già v. 1 2). È il caso della legge sul sacerdozio, che non ha mai prodotto un rapporto perfetto con Dio; do­ veva dunque intervenire in essa un cambiamento sostanzioso. In caso contrario, sarebbe stata solo dannosa. •

A-kata-lytou: vita indefettibile, indistruttibile, che non ha fine, dunque eterna. Ne segue: è sacerdote da e per sempre. 1 55 Letteralmente: « per prescrizione carnale )), a norma cioè di discendenza biologica, dunque « carnale (kata nomon ento/es sarkines) )). 1 56 Letteralmente, « un altro )) (heteros). Non si tratta di « un altro sacerdote >> in senso numeri­ co, bensì qualitativo, dunque « diverso, differente )). 1 54

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Parte seconda. Traduzione e commento

Tre massime sintatticamente chiuse, pause meditative a mo' di parentesi, so­ no introdotte da un gar la cui traduzione risulterebbe difficile e diventerebbe, per i più 157, un problema letterario. Ma, in verità, forse solo apparente: Eb 7, 1 1 b è una formula di allusione alla legislazione che il popolo ha ricevuto e conserva a pro­ posito della consacrazione sacerdotale di Aronne e dei suoi figli (levi ti, Lv 9, 1 24). Ora quel sacerdozio è imperfetto; infatti lo è anche la legislazione. Si ha una efficace pausa meditativa sulla storia del sacerdozio aronide e della sua relativa le­ gislazione, ben introdotta da « infatti »; Eb 7, 1 2, dichiarazione del tutto generica, legherebbe male con 7, 1 1 b e interromperebbe il decorso del pensiero. Ma si po­ trebbe dire anche così : sta di fatto che, mutato il sacerdozio di Aronne a motivo di Melchisedek, doveva di « necessità » mutare anche la legislazione l evitica e cede­ re il passo ali ' ordinamento di Melchisedek. Se così, forse il v. 1 2 non è più una in­ terruzione inopportuna, ma un risultato chiaro e motivato. Eb 7, 1 9 si inserisce nel confronto dei vv. 1 8- 1 9, chiude il discorso sull ' imperfezione del nomos messo in luce nelle pause dei vv. 1 1 - 1 2 e anticipa, forse, quello ancora sul nomos in Eb 1 0. Tre pause, parentesi retoricamente opportune e letterariamente sostenute dal valo­ re lessicografico della ben concatenata trilogia: metathesis (cambiamento della legge, 7, 1 2), athetesis (abrogazione della legge, 7, 1 8a), epeisagogé (introduzione di una speranza migliore, 7, 1 9). La trilogia ha valore giuridico 158• [7,20-22] La promessa giurata: Gesù sacerdote per sempre. Dopo il sacer­ dozio aronide (l stadio) e quello di Melchisedek (Il stadio), siamo ora al sacerdo­ zio di Cristo (III stadio). Come già in Eb 7, 1 1 - 1 9, anche in 7,20-25 lo stile argo­ mentativo continua a essere cadenzato dali 'uso di gar (infatti), protraendosi fino al termine dell 'unità letteraria (vv. 20; 26; 27; 28). Il nuovo sacerdozio di Gesù è ora ben stabilito. Restano da provare le differenze tra i due sacerdozi, quello le­ vitico, da un lato, e di Melchisedek-Gesù il Cristo, dali 'altro. L' argomentazione procede con un accumulo di momenti epidittici (probanti), rispettivamente due ai vv. 20-25 e due ai vv. 26-28. Avvalendosi ancora di confronti connessi con i tre già esposti, l 'autore approfondisce la non teleiosis del « divenire sacerdoti » (hie­ reus ginesthai) e la teleiosis del « sacerdote in eterno ». [vv. 20-22] Siamo al quarto confronto : senza-con giuramento. Poggiato sul Sal 1 09,4a, esso si apre con una epanalessi (ripetizione) sul termine giuramento: choris orkomosias - meta orkOmosias, ripetuto a breve distanza allo scopo di da­ re maggiore forza al discorso. Al v. 2 1 la traduzione al presente (« come si dice ») rispetta meglio la formula: dia tou legontos pros auton. Il contrasto che ne deri­ va è molto incisivo: da un lato, i sacerdoti che diventavano tali senza giuramen­ to, dali 'altro, Gesù il Cristo che è sacerdote in forza di un giuramento « da parte di Dio, che gli dice », dunque un giuramento presente e permanente. L'aposiopesi, l ' interruzione cioè che al v. 20 lascia il lettore in attesa di sapere di quale giuramento si tratti, enfatizza l 'argomento del giuramento, che inaugura « la garanzia di una migliore alleanza » (v. 22) e giustificazione. Enfatizzato è anche il no1 57 Ne riferisce P. Garuti, Ebrei 7, 1-28: un problema giuridico, in DT 97 ( 1 994) 9- 1 05 . 1 5 8 Si veda l 'addentrata analisi lessicografica di J.M. Scholer, Proleptic Priests. Priesthood in the Epistle of the Hebrews, pp. 1 1 3 - 1 1 9, qui p. 1 1 3 .

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me di Gesù (v. 22) con la ripetizione del verbo ginomai (« diventavano, v. 20; « è di­ ventato )), v. 22), che richiama l ' imperfezione di quel sacerdozio aronide e accentua la fase istitutiva del nuovo sacerdozio. Con la forma verbale al participio perfetto ge­ gonotes, quel sacerdozio è ritratto nel momento in cui quei sacerdoti aronidi « diven­ tavano )) tali, immessi nel loro ufficio nel corso di una dettagliata e lunga cerimonia inaugurale del loro ministero (Es 28-29; Lv 8-9), ma senza giuramento159• Non così per Gesù il Figlio: il suo sacerdozio è inaugurato dalla chiamata di Dio stesso e dal suo confermante giuramento (di cui già in 6, 1 3 - 1 8)160• Gesù è dunque il garante (eggyos, hapax /egomenon del NT) di un patto-alleanza migliore (v. 22), perché il suo ministero sacerdotale è migliore: per esso infatti Dio giura per se stesso161 • Come già in 6, 1 3 . 1 6- 1 9, anche qui Ebrei torna a contrapporre la parola di Dio, confermata dal giuramento, alla semplice parola di Dio: il giuramento coinvolge Dio e dà alla sua parola una validità assoluta. Essa è, infatti, un particolare insegnamento scritturate affidato al Sal 1 09,4: il sacerdozio levitico non può appellarsi ad alcun giuramento divino; ora, poiché Dio ha nominato con giuramento (Sal l 09,4) un sacerdote eterno, egli ha contemporaneamente invalidato il sacerdozio antico162. La comunità cristiana della prima ora sa bene che con la sua vita, morte e risurrezione, Gesù si è reso ga­ rante che Dio porterà a compimento la salvezza, il patto. Quel suo giuramento avrà così ottenuto la riprova. Al v. 22 si ha per la prima volta l 'uso di patto-alleanza­ diatheke. Espleterà un ruolo centrale nel resto del « trattato ))163• [ vv. 23-25] Quinto confronto: sacerdoti in gran numero, perché mortali; sa­ cerdote unico, perché eterno. È in gioco l ' istituzione del sacerdozio levitico, in quanto atto divino con riferimento ali ' espressione tipica: « Aronne e i suoi figli )), che appare immancabilmente nelle descrizioni del conferimento della teleidsis sa­ cerdotale e della relativa legislazione 164• In tal senso va la scelta di hiereus al po­ sto di archiereus. La morte dei sacerdoti dimostra l ' inefficacia della loro consa­ crazione e contrasta con il ritornello « affinché non moriate )) (cfr. Es 28,43b ). Il ruolo di mediazione di Cristo è invece fondato sulla sua esistenza eterna: egli « possiede un sacerdozio che non tramonta )) in quanto « rimane in eterno )) (v. 24). Proprio per questo (othen) egli può « compiere )) la salvezza per sempre, dunque in modo perfetto1 65: intercede infatti ininterrottamente per noi, « vive sempre )) a tale scopo (7 ,25bc) 1 66• Invece, « quelli che (ho i men) sono diventati sacerdoti in gran 1 59 (Eisin) gegonotes infatti è da considerare equivalente a gegonasin e può essere tradotto con « diventavano ». Cfr. M . Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 504. 1 60 Tende a ridurre, mi sembra, il peso del giuramento di Dio, H. Preisker, eggyos, in GLNT ( 1 967) 3,9, ma credo inesattamente. 161 È il senso di eggyos (garante). Cfr. ancora H. Preisker, eggyos, in GLNT ( 1 967) 3,9. 1 62 Così J. Schneider, omny6, in GLNT ( 1 972) 8,5 1 5-5 1 6. 1 63 Questa prima menzione di « alleanza » diventerà tema centrale in Eb 8,6.(7).8b.9(2x). l 0; e in 9,4(2x). 1 5(2x). 1 6. 1 7.20. È ancora presente in 1 0, 1 6.29; 1 2 ,24 e 1 3 ,20. La Pontificia Commissione Biblica (Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana, p. 90) rileva il significato polivalente di b'rit. Osserva A. Rolla, nelle sue note e rilievi al mio manoscritto, nel febbraio 2004: « Tradurre diatheke con alleanza mi sembra non appropriato, almeno per Abramo ». 1 64 Si legga Es 29,4.9b. l 0b. l 5 . 1 9a.2 1 . 1 65 È il senso pregnante di eis to panteles (pan + telos). 1 66 Egli mostra così di avere alta stima della condizione umana da lui assunta nella sua esi­ stenza terrena e forte il desiderio di continuare a contribuire alla sua redenzione. Così Tommaso

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numero>> (v. 23), erano mortali e dovevano subentrare di continuo gli uni agli al­ tri, ed erano perciò stesso numerosi (v. 23)167; Gesù invece (ho de) è sacerdote uni­ co e il suo sacerdozio è eterno, permanente, immutabile, non conosce fine (v. 24) 168, è una delle « cose che non possono essere scosse >> (Eb 1 2,27), argomento tipico nell ' intero « trattato ». Egli è quel salvatore la cui potenza salvi fica non co­ nosce limiti; egli è in ogni momento in grado di donare salvezza e riconciliazione a quanti, dalle loro infedeltà al patto, cercano di riavvicinarsi al Dio (v. 25) sem­ pre fedele, avvalendosi della intercessione ininterrotta del Figlio (v. 25). Il con­ fronto tra i molti sacerdoti aronidi, inabili, e l 'ultimo sacerdote, quello vero, Gesù (7,22), raggiunge qui il risultato da sempre atteso: « Quelli che si accostano a Dio » (hoi proserchomenoi, 7,25), in lui sono perfettamente salvi. La particella othen (perciò) è qui decisiva nel suo valore inferenziale: a motivo cioè del suo sa­ cerdozio eterno 169. Più avanti, in 1 1 ,6, Ebrei precisa che tale salvezza ha comun­ que un'esigenza previa: chi si accosta a Dio (ho proserchomenos ti) thei)} deve cre­ dere in lui, nella sua esistenza, nella sua disponibile rimunerazione. Il peso epidittico di giuramento è tipico della cultura giuridica greco-lati­ na 170. Qui esso dice la qualità superiore del nuovo sacerdote: lo richiede il com­ mento della frase istitutoria dal Sal l 09,4. Più stimolante è l ' argomento dell ' uni­ cità già adombrato nel raffronto tra la molteplicità degli interventi rivelatori e la rivelazione unica « in un figlio » (Eb l , 1 -2), « il Cristo, entrato una volta per sem­ pre (ephapax) nel santuario . . . in virtù del proprio sangue » (9, 1 2), quel « Gesù Cristo >> che ha fatto l ' oblazione del proprio corpo « una volta per sempre » (ephapax, l O, 1 0), in cui l 'avverbio ephapax e il numerale eis assurgono a termi­ ni tecnici della gesuologia e della cristologia di Ebrei: 7,20-25 e 7,4- 1 0, sul pia­ no formale, sono due pericopi l 'un l 'altra molto vicine. [vv. 26-27] Sesto confronto: Gesù il Cristo è sacerdote e vittima, il suo sacrifi­ cio è unico e irripetibile. Un'etopea, un profilo, avvia il confronto al v. 26, con es­ sa l 'autore risponde alla quaestio rhetorica del v. 1 1 : non solo c 'era bisogno di un

d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. II, Ad Hebraeos 373, p. 4 1 7. Su Tommaso d'Aquino ed Ebrei, si legga G. Berceville, Le sacerdoce du Christ dans le commentaire de l 'épitre aux Hébreux de saint Thomas d 'A quin, in Revue Thomiste 99 ( 1 999) 1 43- 1 58, qui 1 56. Lo studio è propositivo. 1 67 È il senso di pleiones, il/i quidem ut plures. 1 68 È il senso attivo, il più attendibile di a-parabaton (para-baini5). Il senso passivo « senza successore » è basato sul v. 23, in cui però pleiones si riferisce ai « sacerdoti in gran numero » e non alla trasmissione de li 'ufficio sacerdotale ai molti sacerdoti appunto. Per tale questione, l ' autore non mostra interesse. Il senso passivo è basato ancora sulla traduzione di kata ten taxin Melchisedek (« Un sacerdote dopo l 'ordine di Melchisedek » ), onde poter dire che in Gesù si ha un sacerdote al quale non succede più nessuno. Anch' essa regge poco. Sostenuta dai padri greci, è di colore apolo­ getico. La traduzione « un sacerdote come Melchisedek » è infatti più aderente al testo, meno ricer­ cata e più probabile. Dirime bene la questione P. Ellingworth, The unshakable Priesthood: Hebrews 7,24, in JSNT 23 ( 1 985) 1 25- 1 26. 1 69 Su proserchomai in Eb 7,25b, cfr. J.M. Scholer, Proleptic Priests. Priesthood in the Epistle ofthe Hebrews, p. 1 1 9. 1 70 L'argomento del giuramento era stato presentato già in Eb 6, 1 6- 1 9, a cui rimando. Cfr., inol­ tre, D.R. Worley, Fleeing to Two lmmutable Things, God 's Oath-Taking and Oath Witnessing: The Use ofLitigant Oath in Hebrews 6, 12-20, in Restoration Quarterly 36 ( 1 994) 223-236.

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sacerdozio diverso da quello aronide, incapace di teleiosis, ma tale bisogno è stato soddisfatto. L'argomentazione epidittico-deliberativa svela una funzione didattica, poiché il nuovo sacerdote è stato trovato: Gesù il Figlio proclamato sommo sacer­ dote appropriato (eprepen) per gli uomini. L'uso di prepein in Eb 7,26 differisce da 2, l O. Lì l ' appropriatezza è menzionata in relazione a Dio e ci si chiede come gli ascoltatori risponderanno sull 'opportunità del suo coinvolgimento nella sofferenza e morte del Figlio. Qui invece l 'autore si focalizza su ciò che è appropriato per il Figlio: tendere alla perfezione attraverso la sofferenza. Ed ecco l 'etopea, ossia il profilo del sommo sacerdote per noi appropriato: « Santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori e divenuto più eccelso dei cieli >> (v. 26). Osserviamo le singole qualità. « Santo >> (hosios). D'uso fre­ quente nell ' AT per « dire » i credenti fedeli in Dio 1 7 1 , in Ebrei è un hapax lego­ menon, perciò di notevole peso. Il NT se ne serve per descrivere Gesù stesso (At 2,27; 1 3 ,35). La santità era richiesta al sacerdote, in quanto solo ciò che è santo poteva entrare nel tempio che è santo 172• « Innocente » (akakos) presenta chi non ha mai ceduto ali ' insidia del male (Gb 2,3 ; 8,20), ma è anche sinonimo di « santo » (Pr 2,2 1 , LXX). Qui Gesù è det­ to innocente in quanto, pur esposto alla tentazione di infedeltà a Dio, non le ha mai ceduto: choris hamartia. Provato in tutto, non ha peccati di infedeltà (Eb 4, 1 5), non ha abbandonato la sua scelta di Dio né la sua collaborazione obbe­ dienziale con il suo progetto (5,8); tale assenza di peccato va cercata nella sua fe­ de (pistos) nel Padre. Peccare è distanziarsi dalla fedeltà al Dio sempre fedele (3, 1 2- 1 3 ; 1 0,26.29), e solo nella fede è possibile restare fedeli e debellare i ri­ chiami dell ' infedeltà ( 1 1 ,24-25; 1 2 ,4). La fede è antidoto per la non fede. Da qui la sua innocenza. « Senza macchia » (amiantos) esprime assenza di irregolarità sul piano fisico e spirituale 1 73• Eb 1 3 ,4 se ne avvale per esortare alla santità del matrimonio. Adoratori « senza macchia e di cuore puro »174, questi sono graditi a Dio. La legge mosaica esige che il sommo sacerdote sia del tutto libero da contatti che lo conta­ minerebbero, ad esempio con cadaveri 1 75, rendendolo « impuro », non appropriato per il suo ministero. Ebrei va oltre e presenta ai cristiani il loro sommo sacerdote del tutto libero da ogni impurità legale e morale, nonostante egli abbia addirittura provato la morte a vantaggio di ognuno (2,9), il segno più forte della sottomissione alla legge del peccato, ma senza subirne la corruzione ( l Pt 1 ,4). « Separato dai peccatori » (kechorismenos apo tOn hamartolon) ha un senso qualitativo innegabile: in connessione con le tre caratteristiche precedenti, la se­ parazione dai peccatori non fa che confermare che egli è diverso, appartiene alla

1 7 1 Nella Vulgata, Sal 29,5 : hosioi (« i santi »), diversamente dal Sal 30,5 (TM): l]asidim (« i pii »); ancora Sal 30,24. 1 72 Così G. Flavio, Antichità giudaiche 1 9,332. 1 73 Così già Plutarco, Moralia 3838; 395E. 1 74 Il motivo conosce una significativa parabola: dal giudaismo ellenistico ( Testamento di Giuda 4,6) al protocristianesimo (Gc 1 ,27) e alla Chiesa antica ( J C/emente 29, 1 ). 1 75 Cfr. Lv 2 1 , 1 1 ; Filone di Alessandria, De specialibus /egibus l , l 1 3,250.

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categoria di chi è fedele e non ha capitolato di fronte ali ' infedeltà (Eb 4, 1 5 ; cfr. Sir 1 3 , 1 7). Riscuote attendibilità anche la lettura spaziale che connette « separa­ to dai peccatori » con la qualità successiva « divenuto più eccelso dei cieli »: Gesù, il Figlio, è stato rimosso dal luogo dove abitano i peccatori allo stesso mo­ do come il sommo sacerdote aronide, approssimandosi il grande giorno del per­ dono (Jom KippCir), si separa dal resto del popolo, onde non andare soggetto a im­ purità varie, sia fisiche sia etiche, e diventare così inappropriato per la celebrazione della riconciliazione alla presenza della Presenza (Joma ' l , l ). Del tutto diversa la posizione del nuovo sommo sacerdote: entra a far parte integran­ te del popolo di Dio, uomo fra gli uomini (incarnazione, 2, l 0- 1 8) e se ne separerà solo con la sua esaltazione . Nel « frattempo terrestre » (gesuologico) egli è soli­ dale in tutto con il suo popolo, compassionevole, fino alla morte, ma senza cor­ ruzione, anche nella tentazione, ma senza cedimento. A motivo della posizione transizionale di « separato dai peccatori », entrambe le letture sono valide. « Divenuto più eccelso dei cieli » (hypseloteros) potrebbe riferirsi alla vitto­ ria di Cristo sulle potenze cosmiche (Ef 4, l O; 6, 1 2), idea in verità qui in Eb 7,26 poco attendibile, mentre lo è in 2, 1 4- 1 5 . Più plausibile pensare all ' ingresso di Gesù nei cieli di cui in 9,24 ove ha ripreso il posto che da sempre gli compete, ac­ canto a Dio, « nei » cieli (8, l ). Termina qui l 'etopea del v. 26, che apre sul v. 27: santo, innocente, privo di infedeltà e non coinvolto fra i peccatori (v. 26), Gesù il Figlio non ha bisogno di sacrifici per se stesso. Egli è in grado di sacrificare se stesso (v. 27): sommo sacerdote migliore per un sacrificio migliore; sommo sa­ cerdote superiore per un sacrificio superiore. Il sesto confronto incalza (7,27): molti sacrifici per sé e per il popolo; un solo sa­ crificio, per tutti, non per sé, « una volta per sempre )). Lo esigeva la legislazione giu­ daica: quando un sacerdote « peccava )), la riparazione prevedeva sacrifici di espia­ zione (Lv 4,3- 1 2 ; 1 6,6. 1 1 ). Ne consegue che i sommi sacerdoti erano anche dei comuni peccatori nei confronti della legge; Gesù è invece sommo sacerdote del tutto privo di peccato. I sacrifici in questione sembra che Eb 7,28 li consideri come in un unico pacchetto espiatorio: quelli dello J6m KippCJr, riservati al solo sommo sacerdo­ te e una sola volta l 'anno, e quelli « quotidiani, di ogni giorno )), celebrati dai « molti sacerdoti )), di mattina e di sera176• Ma Eb 7,27 sembra suggerire sacrifici quotidiani anche da parte dei sommi sacerdoti, secondo, del resto, la legge mosaica. Essa infat­ ti prevede che Aronne, sommo sacerdote, e i suoi figli sacerdoti celebrino sacrifici quotidiani 177• Si può ritenere che di fatto il sommo sacerdote poteva, a sua discrezio­ ne, celebrare anche i sacrifici quotidiani e, ricorrendo lo J6m KippCJr, doveva offrire quelli di sua sola competenza (Tamid 7,3)178• Si spiega così l 'offerta sacrificale del sommo sacerdote innanzi tutto per le proprie infedeltà e per quelle dei suoi (Lv 1 6,614), poi per il popolo (Lv 1 6, 1 5- 1 6) come offerta quotidiana (Tamid, in Es 29,3842), connessa forse alla prassi dell ' immolazione quotidiana dell 'agnello (thysiaj l79• 1 76 Si leggano Es 29,38-42; N m 28,3-8 e Sir 45, 1 4. 1 77 Così Sir 45, 1 4; Filone di Alessandria, De specialibus legibus 3, 1 3 1 . 1 78 lnforma al riguardo G. Flavio, Guerra giudaica 5,230. 1 79 Cfr. Lv 6,20. Anche Filone di Alessandria, Quis rerum divinarum heres sit 1 74.

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Eh 7).7 sembra informato su queste tradizioni dell ' AT, ma di certo non è stato testi­ mone oculare di quella prassi. Se i sommi sacerdoti dovevano offrire sacrifici quoti­ diani, non è questo il caso del nuovo sommo sacerdote: la sua offerta sacrificate, quella di se stesso, è infatti unica e irripetibile, celebrata « una volta per tutte »180• Questa formuletta esprime felicemente singolarità quantitativa e completezza quali­ tativa. Come unico sacrificio, quello di Cristo è singolare, in quanto ottiene la com­ pleta espiazione-purificazione dei peccati, i valori soteriologici della conversione e del perdono, cose che i molti sacrifici levitici non erano capaci di ottenere, per cui era necessario fossero di continuo ripetuti (Eh 1 0, 1 -3); dal lato qualitativo il suo è sacri­ ficio superiore (9, 1 3- 1 4) perché è offerta di se stesso e non di animali. Mentre questi sono immolati nonostante la loro strenua opposizione, Gesù il Cristo « dà se stesso (alla morte) » con libera e volontaria decisione « per i nostri peccati » e le nostre infe­ deltà (Gal l ,4; Mc 1 0,45 ; l Tm 2,6; Tt 2, 1 4). La morte violenta non è il nucleo del suo sacrificio, lo è invece quella sua libera decisione di andarle incontro, sulla croce. Il sesto confronto ha prodotto il totale capovolgimento previsto181. [v. 28] Settimo e ultimo confronto: sommi sacerdoti 182, uomini deboli 183, e il Figlio sommo sacerdote1 84 perfetto in eterno; i sacerdoti aronidi contrassegnati da umana fragilità (già Eh 5,2-3) e Gesù, « un Figlio reso perfetto per sempre >> (v. 28). E questo in forza della parola del giuramento, venuto dopo la legge (mosaica), riformatore della legge (v. 28b; Sal l 04,4). Il confronto è espresso con paronoma­ sia su nomos-logos e chiude la dimostrazione assumendo le varie prescrizioni (en­ tolai) commentate sotto il termine chiave nomos (legge). L'argomento apologetico della posteriorità del giuramento rispetto al nomos mosaico (v. 28b) si incardina nel pensiero generale dell 'autore, secondo cui nelle promesse profeti che e nei salmi vi è un rilancio in vista della diatheke kaine secondo lo schema: promessa in Abramo (6, 14- 1 5) - realizzazione imperfetta nella legge mosaica; promessa in Abramo (Eh 6, 14) - compimento (realizzazione perfetta) in Gesù il Figlio (6, 1 5), « reso perfetto in eterno >> 1 85• Nel Figlio 186, cioè nella sua teleiosis, l 'alleanza-promessa in Abramo trova il suo « discendente >>, il garante del nuovo patto. 1 80 Si tratta di due parole: ephapax in Eb 7,27; 9, 1 2; 1 0, 1 0; hapax in 6,4; 9,7.26-28; 1 0,2; 1 2,26-27. Cfr. utilmente M. Morgen, « Christ venu unefois pour toutes », in Lum Vie 43 ( 1 994) 3345. 181 Cfr. C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 368. 1 82 Archiereis, con la maggior parte di codici e manoscritti e con la versione della Vulgata: pon­ tifìces. P"6 e D* leggono hiereis. 1 83 T.J. Finney (A Proposed Reconstruction of Hebrews 7,28a in f'46, in NTS 40 [ 1 994] 472473) riprende il 1>"6. Alle linee 23-24 del foglio 28 esso recita: « La legge infatti costituisce uomini sacerdoti esposti ali 'umana debolezza ». L'enfasi è posta su sacerdoti (hiereis) . Per quanto autore­ vole, questa lezione è poco seguita. I più leggono: « La legge uomini costituisce sommi sacerdoti (archiereis) . . . »; l 'enfasi è su uomini. Da qui la traduzione così sintatticamente ordinata: « La legge costituisce sommi sacerdoti, uomini esposti ali ' umana debolezza ». 1 84 Analoga riflessione come alla nota precedente. Si è probabilmente in presenza di due tradi­ zioni provenienti da due fonti : Gesù Cristo sacerdote; Gesù Cristo sommo sacerdote (v. 28b), moti­ vate dai sacerdoti della legge antica, sommi sacerdoti aronidi (v. 28a). 185 È il senso del participio perfetto passivo eis ton aiona teteleiomenon. 1 86 Quel Figlio è Gesù, prefigurato in Isacco al Moria, sull 'altare del sacrificio, cui si riporta Eb 1 1 , 1 7- 1 9. Sull 'argomento, cfr. J. Swetnam, Jesus and lsaac: A Study of the 'Aqedah in the Epistle to the Hebrews (AnBib 84), PIB, Rome 1 98 1 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

Era però necessario rimuovere la cesura mosaica, valida nella sua tutorialità, ma ormai obsoleta. L'autore si muove bene nel gioco delle leggi a confronto: egli soppesa la maggiore utilità dell 'una rispetto ali 'altra, valuta quale stia perdendo quota e debba cedere il passo, prende atto di quale stia subentrando. E decide: la prima invecchia e le manca poco per scomparire; ecco la nuova (Eb 8 , 1 3). L'unità letteraria di Eb 6, 1 3 - 7,28 vuole mostrare e dimostrare una mediazio­ ne più persuasiva: la metafora del giuramento (6, 1 3) esprime la fedeltà di Dio e dà forza alla sua promessa in Abramo ( 6, 1 7); la natura irrevocabile della sua parola (6, 1 7- 1 8) dà fondamento al sacerdozio completo-perfetto del Figlio; il giuramento di Dio conferma in Gesù il sommo ed eterno sacerdote ed esprime il felice ultimo tentativo di riannunziare ali 'uomo la sua immutabile fedeltà e volerlo riportare al­ la fedeltà con lui, il Dio sempre fedele. Nella perfezione sacerdotale del Figlio vi è Dio che desidera mostrare ai fratelli del Figlio e nella forma più convincente possi­ bile la sua ormai immutabile decisione salvi fica ( 6, 1 7), anche di fronte ali ' infedeltà del destinatario. Quello di Gesù il Cristo è infatti un sacerdozio di intercessione che congiunge in maniera unica l 'uomo a Dio, una volta per sempre. Ciò rende la sua espiazione più persuasiva di quella dei sacerdoti antichi. Quanto a potere persuasivo, anche alcuni elementi letterari risultano ora ben acquisiti : sotto il profilo stilistico l 'autore è abile nel disporre di diverse tecniche espositive, onde catalizzare l 'attenzione del lettore; sul piano argomentativo mostra competenza giuridica con il continuo ricorso a testi biblici affrontati da giurista e in stile rabbinico; riguardo alla legge, appoggiandosi a Nm 1 6- 1 8, offre una originale lettura, che apre la strada ali ' attribuzione formale del titolo di sacerdote al Cristo. Ed ecco l 'originalità argomentativa: la « perfetta consacrazione » (teleù5sis) l evitica sacerdotale era regolata nella t6ra da due dispositivi legali: l 'ordine divino e la sua esecuzione consacratoria (Es 29), condizioni indispensabili perché l ' ingresso nella tenda non risultasse fatale. Per provare la caducità di tali imprescindibili condizioni, Ebrei lavora sull ' AT con non poca ironia; fa infatti ricorso alla inventio rerom, con retrofondo rabbinico187, non per chiarire una norma, ma per escluderne l 'efficacia e dichiararla « carnale » (sarkine). Con ciò, egli ha inferto il colpo decisivo ai due ostacoli legali che più si frapponevano al titolo di archiereus per il Figlio Gesù il Cristo: mancanza di genealogia )evitica e di consacrazione. Consacrato dal giura­ mento di Dio (Eb 7,28; Sal l 09,4), quegli è sacerdote perfetto, eterno, del tutto nuo­ vo, proprio perché non sacerdote, in quanto fuori dalla genealogia }evitica. E men­ tre non deve sfuggire l 'acuto assurdo, il pregiato ossimoro (unione paradossale di due termini antitetici: sacerdote perché non sacerdote), si deve prendere atto che Gesù il Figlio ha attuato ciò che da sempre è stato ed è il senso del ministero sacer­ dotale: perdono dei peccati e accesso al trono di Dio; atteso e desiderato da parte del sommo sacerdote antico, quel senso è solo in lui realizzato1 88• 187

ketubim.

Si tratta, infatti, della quarta delle Middot (regole esegetiche) di Hillel: Binyan ab missene

1 88 Opportuna annotazione di G. Schunack, Der Hebriierbrief(Ziircher Bibelkornrnentare NT 1 4), Theologischer Verlag, Ziirich 2002, p. 1 07.

Promessa giurata di Dio ad Abramo: un sommo sacerdote nuovo Eb 6, 13 - 7,28

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In Eh 7,26-28 l 'autore chiude l 'argomentazione in sette serrati confronti189 e passa a ulteriore elaborazione epidittica, sul « punto capitale » (8, l ), verso il cuo­ re dell 'alleanza nuova. Siamo a Eh 8 , 1 - 1 3 .

1 89 Ri levato già da A. Vanhoye, questo stile (lexis) delle antitesi, di ispirazione filoniano-ales­ sandrina, riscuote oggi un generale consenso critico. Se ne occupa a più riprese K. Backhaus, Der neue Bund und die werdende Kirche. Eppure, più che ad antitesi, la intentio di Ebrei mostra mag­ giore interesse alla tecnica del confronto, nella continuità, secondo l ' attendibile trilogia: Entsprechung, Andersartigkeit, Oberbietung, già notata sopra.

SACERDOZIO NUOVO E OBLAZIONE : UN PATTO MIGLIORE Eb 8, 1 - 1 3

8 1 Punto capitale però delle cose che vengono dette 1 :

noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cieli, 2ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo, ha costruito. 30gni sommo sacerdote, infatti, è costituito per offrire doni e sacrifici : era di conseguenza necessario che anch'egli avesse qualcosa da offrire. 4Se (Gesù) dunque fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono coloro che offrono i doni secondo (la) legge. 5Questi però attendono a un culto che è immagine e ombra delle realtà celesti secondo quanto fu detto (da Dio) a Mosè, quando stava per costruire la tenda: « Guarda », (gli) disse infatti, « di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte ». 60ra invece egli ha ottenuto stabilmente (da Dio) un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l ' alleanza di cui è mediatore, giacché questa è (legalmente) costituita su migliori promesse. 7 Se la prima alleanza infatti fosse stata irreprensibile, non sarebbe stato il caso di cercarne una seconda. 8 (Dio) invece, mentre li biasima, dice2 : 1 Traduzione corrente: « Il punto capitale delle cose che andiamo dicendo è questo ». Senza ar­ ticolo in apertura e senza l 'aggiunta esplicativa « è questo; è che », il testo greco è più lapidario e in­ cisivo: epi tois legomenois. È participio passivo e lo rende bene la versione della Vulgata: « Super ea quae dicuntur », circa le « cose che vengono dette ». 2 Si tratta di Ger 38,3 1 -34 (LXX).

Sacerdozio nuovo e ablazione: un patto migliore Eb 8, 1-13

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« Ecco vengono giorni, dice il Signore, in cui io porterò a buon fine con la casa d'Israele e con la casa di Giuda un 'alleanza nuova; 9non come l 'alleanza che feci con i loro padri, nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dalla terra d' Egitto; poiché essi non sono restati fedeli alla mia alleanza, anch' io mi sono disinteressato di loro, dice il Signore. 10Poiché questa è l ' alleanza che io stipulerò con la casa d' Israele dopo quei giorni, dice il Signore : Porrò le mie leggi nella loro mente e le inciderò nei loro cuori; e diventerò il loro Dio ed essi diventeranno per me popolo. 1 1E ciascuno non dovrà istruire il suo concittadino né il proprio3 fratello, dicendo: "Conosci il Signore !". Tutti infatti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro, 12perché io sarò misericordioso verso le loro ingiustizie e non mi ricorderò più dei loro peccati ». 1 3Nel dire però « (alleanza) nuova », (Dio) rende antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia è prossimo alla scomparsa. Se in Eb 4, 1 5 - 7,28 è presentato Gesù Cristo sacerdote della nuova allean­ za\ in 8, l - l O, 1 8 è focalizzato il suo profilo sacerdotale in un movimento sinfo­ nico a tre cadenze : il santuario, sfera del ministero sacerdotale (8, 1 -2; 9, 1 - 1 O e 9,23-24), la celebrazione del sacrificio (8,3-6; 9, 1 1 - 1 5 ; 9,25 - 1 0, 1 4) e il patto (8,7- 1 3 ; 9, 1 6-22; 1 0, 1 5 - 1 8). Tre movimenti a incastro. L'alleanza nuova ne è il punto focale animato dal ministero sacerdotale e dali 'oblazione. Il tutto è il risul-

3 Ou me con il congiuntivo aoristo introduce già di per sé uno stile enfatico. Il plurale di­ daxosin, giustificato da ekastos, soggetto al singolare ripetuto due volte, conferma l 'enfasi: « E non dovranno istruire ciascuno il suo concittadino né ciascuno il proprio fratello ». La traduzione propo­ sta rende bene il tutto. 4 Menzionato per la prima volta in Eb 7 ,22, il tema de li '« alleanza » in genere e della « nuova alleanza » in particolare torna in 8,6.7.8b e in 9,4(bis). l 5 .20, in cui gioca un ruolo centrale. È anco­ ra presente in 1 0,29; in 1 2,24 e in 1 3 ,20. « Alleanza » (diatheke) ha un ruolo strutturale in tutto il « trattato >>.

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Parte seconda. Traduzione e commento

tato di un' attenta analisi strutturale5. Punto di arrivo per i primi sette capitoli, in climax ascendens: in Cristo abbiamo un patto (diatheke) migliore (superiore) del precedente, anch'esso buono, ma inferiore rispetto al nuovo. Egli ha avviato a compimento l 'antico patto facendolo come sfociare nel nuovo, cioè nella sua stessa persona: Col 2, 1 6- 1 76. Il nuovo patto, che non prescinde dal primo, è il passo ulteriore e decisivo verso la pienezza del patto già avviato al Sinai. Quella pienezza sarà definitiva solo nella celeste Gerusalemme (Eb 1 2,22-24; cfr. Ap 2 1 , 1 -8). Più di un ' immagine usata dali 'autore non si armonizza con la cultura cri­ stiana di venti secoli di cristianesimo: il sacrificio cruento nel sangue degli ani­ mali, ad esempio, nonché l ' immagine del mondo visibile e transitorio quale sa­ goma ombratile di ciò che deve venire7• Il problema preso in considerazione è invece da sempre ben noto: peccato e colpa, bisogno di redenzione e comunione con Dio. È il retrofondo permanente di Ebrei. Parole ed espressioni chiave poste ali ' inizio e al termine di un argomento; parole gancio usate per coordinare la fine di un paragrafo con l ' inizio di un altro; ripetizione intenzionale di termini tipici lungo la sezione, procedure midrashiche, uso del peser, impostazioni argomentative dal chiaro scopo retorico: questi e al­ tri accorgimenti letterari, mostrano bene di servire allo scopo e danno profilo al­ la dispositio di Eb 8, l - l 0,39 del tipo a-b-a' -b' -c : a) 8, 1 -2 b) 8,3 - 9, 1 0 b ' ) 9, 1 1 -28 a') 1 0, 1 - 1 8 c) 1 0, 1 9-39

Introduzione: Gesù sacerdote e il compimento. Il culto antico lascia il posto al nuovo. Gesù il Cristo vero sommo sacerdote ottiene salvezza eterna. Paràclesi analettico-prolettica.

[8, 1-2] Sacerdozio e sacerdote migliori. La legge mosaica aveva istituito un luogo di culto per la celebrazione dei riti sacri : il tabernacolo eretto da Mosè du­ rante la peregrinazione nel deserto, affidato a Levi e ai suoi discendenti perché ne curassero la liturgia. Gesù non è della discendenza di Levi, non può dunque cele­ brare culto liturgico alcuno in quel tabernacolo. Eppure il suo ministero sacerdo­ tale è possibile, « là, al di sopra dei cieli, dove egli è stato elevato » (7 ,26), là do­ ve egli « si è assiso alla destra della Maestà, ne li ' alto dei cieli )) ( l ,3 ), nel vero « santo dei santi )). Alla presenza di Dio stesso, nel suo tempio perfetto, egli con­ tinua a offrire una vittima speciale: se stesso. Si configura il punto capitale di Ebrei: Gesù Cristo è superiore allo stesso sommo sacerdote di Israele, il quale of­ ficia nel tempio imperfetto fatto dali 'uomo e offre sacrifici imperfetti. 5 Lo rileva G.L. Cockerill (Strocture and Interpretation in Hebrews 8, 1-10, 18: A Symphony in three Movements, in Bui/BibRes 1 1 ,2 [200 l ] 1 79-20 l ), il quale ravvede però il movimento focale nel sacrificio. Il che in verità restringerebbe la sinfonia. 6 « Nessuno dunque vi condanni più in fano di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a novilu­ ni e a sabati: tutte queste cose sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo ». Su Col 2, 1 7b, cfr., più avanti, p. 347 e nota 44, e J-N. Aletti, Lettera ai Colossesi, p. 1 66. 7 Ombra deli ' idea, dunque influsso platonico? O anticipazione simbolica, dunque linea apoca­ littica? Pur continuando a speculare sul primo suggerimento, l 'esegesi è orientata verso il secondo.

Sacerdozio nuovo e ablazione: un patto migliore Eb 8, I- I 3

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« Punto capitale » (kephalaion, v. l ) è quello più importante, l 'argomento più rilevante, il centro focale (v. l a)8 di tutto ciò che l ' autore va esponendo, in particolare in Eh 7, l - l O, 1 8 : il sommo sacerdote e la sua opera. Giovanni Crisostomo vede in esso il coronamento di 7, 1 -289• Eppure, questo argomento è anche il culmine di tutto lo scritto10, lo ricapitola e riassume 1 1, ne è cuore e so­ stanza12. È cioè il « punto » non solo di arrivo di tutta la disposizione argomenta­ tiva di Ebrei, ma anche quello dal quale dipendono tutti gli altri punti del « tratta­ to ». Di essi, quel « punto capitale » è coronamento 13, è arrivo di tutto ciò che è stato detto in precedenza e partenza per tutto ciò che sta per essere detto. Una sor­ ta di sommario retrospettico, ma anche prospettico, in cui i molteplici temi non sacerdotali mostrano rispettivamente di avere preparato quel « punto capitale >> (ad esempio, Gesù e gli angeli, 1 ,5 - 2, 1 8 ; Gesù e Mosè . . . , 3 , 1 -6) e di dipartirse­ ne (ad esempio, il popolo della fede, 1 1 , 1 -4 1 ). Il sommo sacerdozio di Cristo è il punto culminante di tutta la questione « Ebrei », ne è la tesi, ma non l 'unico ar­ gomento; degli altri, esso è però arrivo e partenza. È il senso analitico-struttura­ le 14 di kephalaion convergente con il retorico15. La formulazione: « Noi abbiamo >> (v. l ), ricorrente in Ebrei, è di tipo struttu­ rale: « Noi abbiamo un grande sommo sacerdote » (4, 1 4); « Noi abbiamo piena li­ bertà di entrare nel santuario » ( l O, 1 9); « Noi abbiamo un altare » ( 1 3 , l O); « Noi ab­ biamo (siamo persuasi di avere) una buona coscienza » ( 1 3 , 1 9). Qui, in 8, l leggiamo: « Noi abbiamo un sommo sacerdote così grande ». L'autore torna a in­ eludersi fra i destinatari della sua stessa « esortazione >> ( 1 3,22): tenta di trasmette­ re la propria persuasione e vuole rianimare la fede. La comunità giudeocristiana de­ stinataria è, sì, avvilita, ma possiede di fatto un grosso potenziale. Lo esprime bene lo strumento retorico della responsio tra 7,26 e 8,2: ali 'auspicio di 7,26 (etopea) ri­ sponde l 'adempiersi di quell 'auspicio attraverso la possessio in 8, 1 .2: « Noi abbia­ mo ». Che cosa? « Un sommo sacerdote così grande ». Con allusione al Sal 1 09, 1 , già menzionato in l ,3d. 1 3 (e più avanti in l O, 1 2), l 'autore torna a constatare che il Figlio si è assiso alla destra di Dio nei cieli. Il tema dell 'esaltazione gli è caro: essa è parte integrante del carattere sacerdotale del « Figlio di Dio >> (4, 1 4 ), il sommo sa8 Dati in C. Spicq, L 'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, p. 233; H. Braun, An die Hebriier, p. 227; ancora F. Weiss, Hebriier (KEKNT 1 3), Vandenhoeck & Ruprecht, Gi:ittingen 1 99 1 14, p. 428 e nota l . 9 Cfr. Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homi/ia 1 4, in PG 63, l 09- 1 1 6. 10 Senso estensivo di kepha/aion, attestato in Lv 5,24; Nm 5,7; 3 1 ,26; At 22,28. Cfr. anche P Oxy ( = P 1 3 ) 2,268,7; 1 0, 1 273, 1 9. 11 È il senso di kephalaion rilevato da H. Schlier, in GLNT ( 1 969) 5,390, riscontrabile ancora in Sir 32,8; Ef 1 , 1 0. Cfr. già P. Oxy (= P 1 3 ) 3,5 1 5,6; lsocrate (436-338 a.C.), Orazioni. Panegirico ­ Sulla pace 4, 1 49 (C. Ghirga - R. Romussi, edd.), BUR, Milano 1 993 . 1 2 Un significato di kephalaion attestato in Dn 7 , l . 1 3 Senso attestato in Filone di Alessandria, Legum al/egoriae 2, 1 02 . 14 Mi torna qui opportuno dire quanto persuasiva appaia a tutt'oggi l a struttura letteraria propo­ sta da A. Vanhoye, Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, e da allora sempre più perfezionata. l ten­ tativi molteplici di ridimensionamento e i suggerimenti di perfezionamento, più che indebolirla, con­ tribuiscono a evidenziarne la solidità. Il « punto capitale » si presenta come la cima di un alto monte; si ascende verso di esso ( l , l - 7,28) e, raggiuntolo (8, 1 - 1 0, 1 8), se ne ridiscende ( 1 0, 1 9 - 1 3,2 1 ). 1 5 Senso previsto già in Quintiliano, lnstitutio oratoria 3 , 1 1 ,2 7 ; cfr. anche Filone di Alessandria, De fuga 1 66.

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Parte seconda. Traduzione e commento

cerdote « che ha attraversato i cieli » (4, 1 4 ), « divenuto più eccelso dei cieli » (7 ,26b ), « penetrato fin nell ' interno del velo (del santuario) >> ( 6, 1 9), ora assiso alla destra di Dio ( l ,3 ); egli cioè « si è posto accanto a Dio che regna nei cieli >> 16• La for­ mula toiouton archierea (« un sommo sacerdote così grande >>) è del tutto nuova per il NT; detta di Cristo, poi, è riscontrabile solo in Ebrei, come anche il vocabolario sacerdotale con radice hier-eus. Una certa risonanza la si ha in Rm 1 5 , 1 6 nel parti­ cipio presente sostantivato hierourgounta: Paolo dice di « esercitare fra i gentili il ministero sacro del vangelo », una celebrazione, la cui offerta a Dio gradita, perché santificata dallo Spirito, sono proprio i gentili che aderiscono al vangelo 17• Questa immagine non suggerisce il riposo di Cristo, quasi egli avesse espletato la propria missione, dopo avere compiuto la purificazione dei peccati (Eb 1 ,3) e inaugu­ rato la redenzione. Tutt'altro. Stando accanto alla « Maestà » ( l ,3), egli ne gode il « ri­ poso » pieno di attività, continua a esercitare la sua mediazione sacerdotale (7 ,25); la sua offerta redentiva, perfetta, continua a dischiudere il proprio potenziale a favore del­ la « sua casa, che siamo noi », osserva Eb 3,618• Quel potenziale è lui stesso, il liturgo (v. 2). Egli è prima del « santo dei santi »23; il « santo dei santi »24. Qui può in­ dicare il santuario nel suo insieme, cioè il « santo » e il « santo dei santi », ma più 16

Così la traduzione ABU, che rende bene il senso. 1 7 Su questo vocabolario, segnalo A. Pitta, La Lettera ai Romani, p. 502. 18 Affronta ampiamente l 'argomento D.J. MacLeod, The Present Work ofChrist in Hebrews, in BS 148 ( 1 99 1 ) 1 84-200. Opportuno richiamo già in C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, p. 234. 1 9 n liturgo (leitourgos) compie cose non private, ma in rapporto con la comunità-popolo di Dio (lei'tos-ergon; /aos) . Così già il P. Oxy ( = P13) l ,82,3. Cfr. H. Strathmann, leitourgeo, in GLNT ( 1 970) 6,592; 6 1 8-6 1 9; H. Braun, An die Hebriier, p. 236. Detto di Gesù, /eitourgos è un hapax in tutto il NT. 20 n « liturgo >> è già chi compie il servizio militare. Così in alcuni papiri antichi : P. Petri 3,46; P.Hibeh l ,46, 14. Cfr. anche Polibio, Storie 3,93,5. 7; 5,2,5; 1 0,29,4. 21 Liturgo con il senso di servitore è attestato in Gs 1 , 1 ; 2Sam 1 3, 1 8; I Re 1 0,5; 2Re 4,43 ; 6, 1 5 . Anche Fil 2,2 5 : « Vi (ri-)mando Epafrodito . . . da voi mandatomi come liturgo per l e mie necessità », scrive Paolo. 22 Come attestato in Lv 1 0,4; Nm 3,28.38; Testamento di Levi 9, 1 1 ; Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3 , 1 25; De posteritate Caini 1 73; G. Flavio, Guerra giudaica 2,539; 4, 1 59. 23 Cfr. Es 26,33; Filone di Alessandria, De mutatione nominum 1 92; Quis rerum divinarum he­ res sit 226. 24 Cfr. Lv 1 6,2. 1 7; G. Flavio, Guerra giudaica 1 , 1 52 .

Sacerdozio nuovo e oh/azione: un patto migliore Eb 8, 1-13

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probabilmente il « santo dei santi », per i motivi che seguono: l 'accento è posto sul confronto tra il tempio terrestre e il tempio celeste; la formula: « Gesù, assiso accanto a Dio che regna nei cieli » suggerisce trattarsi del « santo dei santi », do­ ve appunto la Maestà di Dio ha il suo trono; infine l 'uso di ta hagia per indicare il « santo dei santi » sembra stile frequente in Ebrei, ricorrente in 9,8. 1 2.24.25; 1 0, 1 9 e l 3 , 1 1 . « Ministro », ufficiante delle cose sacre?25• O a servizio dei santi, cioè dei credenti in lui? Con attenzione a Eb 9,8. 1 2 ; 1 0, 1 9 e 1 3 , 1 1 , il ta hagia qui inteso è il santuario, non certo quello terrestre, davidico-salomonico, ricostruito e ab­ bellito da Erode il Grande, ma quello celeste, dove Dio troneggia a onta della ro­ vina del suo tempio terrestre (Lam 5 , 1 9); di esso il santuario-tenda terrestre era solo una figura, un' anticipazione simbolica (cfr. Eb 9,24). In questo ultimo caso, ta hagia indica il « santo » (hekiil) , il « santo dei santi >> (debir) o il santuario cele­ ste nel suo insieme? E poi la formula « del santuario, cioè della vera tenda », iden­ tifica « santuario e vera tenda », nel qual caso avremmo un kai (e) epesegetico­ esplicativo con il senso « del santuario, cioè della vera tenda », o intende dire che il sommo sacerdote Gesù è liturgo del santuario celeste e, in esso, del « santo dei santi » dove egli « è assiso alla destra del trono della Maestà », che si trova ap­ punto nel « santo dei santi » ?26• In questa serie di legittime domande porta un po' di luce il fatto che solo con Eb 9 inizia la netta distinzione tra « santo » (hekal) e « santo dei santi » (debfr) nella prospettiva apocalittica di Ez 4 1 , l -2 (hekal) e 4 1 ,3-4 (debfr) . In Eb 8,2 si può dunque pensare al tempio celeste nel suo insieme. Il kai (e) è in tal modo sinonimico. Fa da conferma la formulazione sintattica che segue: « che, la quale » (h en) ; essa è al singolare, non al plurale, il che suggerisce di vedere « santuario e tenda » come una unità. Stando poi a 9,24, « il santuario­ tenda vera » di 8,2 dovrebbe essere « il cielo stesso », con probabile riferimento alla speculazione giudaico-ellenistica sull 'unico tempio in grado di accogliere la Presenza: il cielo stesso (debfr), la parte più sacra del tempio cosmico (heka/)27• Anche se il testo greco non può accogliere la traduzione ABU, piuttosto li­ bera, va detto che quest' ultima rende bene il senso di Eb 8,2 in parafrasi: Gesù, sommo sacerdote svolge il suo ministero liturgico « nel santuario vero, costruito dal Signore (cioè nella vera tenda), non nella tenda dell ' alleanza costruita dagli uomini » e contrappone così le due realtà nel loro insieme. La « vera tenda » (skene, v. 2b) fa da ricordo ammonitore della « tenda del­ l ' alleanza costruita dagli uomini » durante la peregrinazione nel deserto28• Dicendo « tenda vera », cioè quella celeste, l ' autore non sminuisce la tenda terre­ stre; anche la descrizione di quest'ultima come abbozzo, sagoma ombratile della tenda celeste29, non ha intenti svalutativi . Sarebbe troppo poco. Egli vuole dire che la tenda vera è quella che Dio stesso ha costruito (allusione a Nm 24,5-6, 2 5 Senso previsto in Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3, 1 35 ; Defuga 93. 26 Suggerimento di N. Casalini, Agli Ebrei. Discorso di esortazione, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1 992, p. 248: ta hagia è il « santo dei santi )) della vera tenda, quella celeste. 2 7 Cfr. Filone di Alessandria, De specia/ibus /egibus 1 ,66-67. Vedi più avanti su Eb 9,24. 28 Così anche in Eb 9,2.3 .6.8. 1 1 .2 1 e 1 3 , 1 0. 2 9 È il senso dell 'endiadi hypodeigma-skia al v. 5 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

LXX), è quella celeste, « il cielo stesso » (Eb 9,24 con allusione al modello filo­ niano ), dove Cristo è entrato e continua a gestire il potenziale della sua offerta re­ denti va, avendola presentata una volta per sempre alla Maestà di Dio. La tenda della peregrinazione desertica (tipo) ha il solo compito di anticipare simbolica­ mente la tenda vera, che doveva venire (antitipo)30. Più avanti Eb 9,23-24 ripren­ de l 'argomento e lo sviluppa con procedura analogico-gerarchica: intende prova­ re così che il nuovo è migliore e definitivo rispetto al precedente, buono, ma insufficiente e provvisorio. A tal fine l 'autore si avvale di binomi antitetici, i cui poli non si escludono, ma si coordinano. Quella « vera » è la « tenda >> « che il Signore e non un uomo ha costruito » (v. 2c ). Grande è lo stupore per il tempio, per la sua grandezza e la sua bellezza. Esso esi ste già prima della creazione . Così la tradizione giudaico-rabbinica in b.Pesahim 54a. Più attendibile è l 'allusione a N m 24,5-6: « Come sono belle . . . le tue tende, Israele . . . Esse sono come . . . cedri che il Signore ha piantati »3 1 . Entrambe queste allusioni però sono riferite al tempio terrestre anch 'esso, nel suo splendore, opera di Dio e non dell ' uomo, e attestano la speculazione teologica sull 'argomento. Ma al riguardo il giudaismo ellenistico filoniano non sembra en­ tusiasta32. [vv. 3-4] Il nuovo sacrificio celeste è superiore al culto terrestre. Secondo Es 29, l , la tribù di Levi è la sola investita del servizio levitico-sacerdotale. Per Eb 7, 14 Gesù « germoglia » invece dalla tribù non sacerdotale di Giuda. Mai gli sa­ rebbe stato permesso, da parte della legge, di servire nel tempio come sacerdote (8,4). Un unico punto di contatto cade in 8,3 : come i leviti, anche Gesù, sommo sacerdote, deve avere qualcosa da offrire. Sacerdozio e dono sacrificate sono in­ fatti inscindibilmente connessi33 . Come il sommo sacerdote, nel gran giorno della espiazione, entra nel « santo dei santi » e vi porta l 'offerta per sé e per il popolo (v. 3), così « era necessario » (hothen anagkaion) che anch'egli avesse qualcosa da of­ frire (v. 3). Mentre però i sacerdoti e il sommo sacerdote, investiti34 del sacerdozio 30 Per hypodeigma, cfr. H. Schlier, GLNT ( 1 966) 2,822-824. 3 1 La formulazione in Ebrei è la stessa, con due precisazioni: il plurale (piantati) diventa sin­ golare e « Signore » (Kyrios) diventa « il Signore » (ho Kyrios) . Come in Eb 7,2 1 ; 8,8- 1 1 ; l O, 1 6.30; 1 2 ,5-6, anche qui in 8,2 il Kyrios è JHWH, il Dio dei padri, non Gesù Cristo. 32 Dio è uno solo e non vi può essere per lui che un solo tempio, l 'universo intero (ton sym­ panta . . . kosmon); il « cielo » (ouranon) ne è la parte più sacra, il santuario della sua Presenza; gli or­ namenti votivi, le stelle; i sacerdoti (hiereas), gli angeli (aggelous) a suo permanente servizio, spiri­ ti non corporei, privi di ogni irrazionalità. Al contrario, si lascia invece descrivere il tempio terrestre, « fatto a mano » (cheirokmèton) . Costruito per offrirvi sacrifici di ringraziamento e benedizione, per chiedervi perdono e ottenervi riconciliazione, esso si mostra di fatto inadatto al fine. Cfr. Filone di Alessandria, De specialibus legibus l ,66-67. 33 Così autorevolmente anche Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 1 4, in PG 63, 1 1 1 . Egli ritiene che nella comunità destinataria di Ebrei fosse sorta la do­ manda circa il sacerdozio di Gesù, che cosa cioè questi avesse da offrire, dal momento che i sacer­ doti della legge, i !eviti e i sommi sacerdoti, avevano sempre qualcosa da offrire in espiazione. Risposta: Gesù offre se stesso e la sua vita intera, una volta per sempre. Cfr. C. Spicq, L 'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, p. 235. 34 È il senso di kathistatai, al passivo: descrive una posizione che dà profilo (« costituito per . . . , investito di . . . , per essere qualcuno >>). Cfr. A. Oepke, kathistèmi, in GLNT ( 1 968) 4, 1 33 5- 1 34 1 , al quale tuttavia sfugge del tutto Eb 8,3. Cfr., inoltre, Es 32,25-29 e Dt 33,8- 1 1 .

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« per (poter) offrire doni e sacrifici », offrono a ripetizione i sacrifici quotidiani e ogni anno quello per la grande espiazione, per Gesù non è così; egli è investito del sacerdozio sommo allo scopo di offrire il suo sacrificio, con celebrazione liturgi­ co-offertoriale, « una volta per sempre ». « Per (poter) offrire doni e sacrifici >> (v. 3) è una formulazione ali ' infinito presente (eis to prospherein), ha valore finale e descrive la continuità dell 'offer­ ta come necessità cui erano soggetti i l eviti di Aronne35• La formulazione : « Era di conseguenza necessario che anch' egli avesse qualcosa da offrire » è ali ' aoristo congiuntivo (prosenegke) e descrive un 'azione redentiva unica e irripetibile, cul­ minata nel momento solenne della croce. Tutto ciò che è accaduto nella vita del Gesù terreno è accaduto una volta per sempre ed è permanentemente redentivo: egli intercede di continuo (è intercedente) per il suo popolo (Eh 7,25; 9,24-25) of­ frendo l ' unico sacrificio che poteva offrire: la sua vita. In quell 'atto di offerta consiste il suo sacrificio a Dio gradito. E lo fa da « ministro (leitourgos) del san­ tuario e della vera tenda » (v. 2), quella costruita da Dio stesso (tradizione apoca­ littica), non quella dell ' alleanza, opera umana, costruita nel deserto prima, e poi a Gerusalemme, sul monte Sion. La posizione dei leviti è dunque provvisoria e preparatoria: sacerdozio e sa­ crifici levitici, realtà terrestri realizzate nel tempio terrestre, oggetti cultuali men­ zionati in Eh 9, 1 -536, prefigurano e adombrano il sacerdozio e il sacrificio di Gesù, realtà celesti nel tempio celeste (v. 5). La realtà nuova poi è talmente onni­ comprensiva che di quelle realtà precedenti, anticipazione simbolica, « non è qui il caso di parlame al dettaglio » (9,5). Si osservi ora una formula retoricamente densa in quanto si esprime al condizionale, ma esattamente al contrario del dato di fatto: « Se (Gesù) dunque fosse sulla terra », ma egli non è sulla terra, « egli non sarebbe neppure sacerdote », ma in realtà lo è (v. 4). E la motivazione è chia­ ra: la legge che stabilisce e regola il sacerdozio terrestre non è in grado di fonda­ re il sacerdozio celeste. Il criterio dualistico « terrestre-celeste », di sapore filo­ niano, continua a farsi notare. « Coloro che (= i sacerdoti) offrono doni secondo la legge » (v. 4) sono infatti già ali ' opera sulla terra. Il plurale « sacerdoti », attestato in più di un manoscrit­ to, è sostituito dal relativo « coloro che » in J>46• Qualora appartenesse al testo ori­ ginale, va ritenuto omesso da Ebrei per homoteleuton. La cosa, tutt'altro che oc­ casionate, rivelerebbe una precisa intenzione : focalizzare l 'attenzione del destinatario sull ' unico sacerdote, Gesù, che non sarebbe affatto tale se fosse an­ cora sulla terra. Eppure lo è in forma unica, nuova e permanente, proprio perché sacerdote nei cieli. Guardare a lui è dunque guardare a tutta la sua storia, la qua­ le ha avuto, sì, il suo epilogo sulla croce, in un ben preciso momento della sua vi35 Bene, al riguardo, R. L. Omanson, A Superior Covenant: Hebrews 8, l-l O. l 8, in Review and Expositor 82 ( 1 985) 362. 36 L'autore vi si riferisce con la variante panta in Eb 8,5, introdotta intenzionalmente rispetto alla LXX . Per questa variante, non presente in Es 25,40, si possono dare due spiegazioni: l 'autore conosce Filone di Alessandria, Legum al/egoriae 3, 1 02 , in cui si ha la citazione di Es 25,40 con l 'immissione di panta; l 'autore cita Es 25 ,40 con la variante panta di Es 25,9. Questa seconda ipo­ tesi è più attendibile.

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Parte seconda. Traduzione e commento

ta terrestre, momento che tuttavia già allora portava in sé tutto il potenziale del sacrificio celeste. Quel fatto-evento è il kairos di Cristo che « continua a interce­ dere per noi >> (Eb 7 ,25), e lo è per i suoi, ancora sempre. L'argomentazione evol­ ve tra epidittica e paràclesi . Va da sé che il verbo « offrire >> non depone per un culto in corso nel tempio, dunque a favore dell 'esistenza del medesimo. Il di­ scorso di Ebrei è ad rem. Il tempio è già distrutto. [v. 5] Il servizio sacerdotale dei l eviti che offrono i doni secondo la legge (v. 4b) è solo schizzo, abbozzo, disegno accennato, proprio come « la cinta del tempio >> in Ez 42, 1 537 ne è solo la sagoma, non il tempio stesso. Quella cinta esterna sospinge il profeta ad anelare a ciò che essa recinge, il tempio-santuario. Quel « santo >> e quel « santo dei santi >>38 con tutti i loro oggetti di culto39 sono so­ lo il simbolo adombrato del tempio celeste, e del sacerdozio e del sacrificio, realtà vere che devono ancora venire. Una tensione apocalittica traspira da Ezechiele, centrata su ciò che attende di essere attuato40• « Abbozzo adombrato >> (hypodeigma kai skia) è una endiadi41 voluta da Ebrei e ben riuscita. Lo dice il senso che l 'autore stesso mostra di dare alla parola skia in l O, l : ombra dei beni futuri è la legge di Mosè, ombra della realtà vera che deve venire42• In questa scelta, egli è vicino a Col 2, 1 7, in cui tutte le norme cultuali e festive sono defi­ nite « ombra (skia) di quella realtà che doveva venire, ma la realtà (soma) è di Cristo », cioè appartiene a lui ; viene da lui, egli stesso è la realtà vera; è il valore epesegetico di tou Christou. Col 2, 1 7 ed Eb 8,5 e l O, l mostrano di non ricevere influssi dalla grecità classica43 e neppure dalla versione dei LXX che dà a « om37 Che Eh 8,5a (hypodeigma) debba essere capito in base a Ez 42, 1 5 (to hypodeigma tou oikou) è sempre più sostenuto. Status quaestionis in H. Lohr, Umriss und Schatten. Bemerkungen zur Zitierung von Ex 25, 40 in Hebr 8, 5, in ZNW 84 ( 1 993) 22 1 e nota 2 1 . 3 8 Hékii l e d>44• La traduzione di hypodeigma con « copia » è dunque non praticabile45• La direzione apocalitti­ ca si riscontra anche in 9,24a: il tempio terrestre è solo un antitypa (« modello preliminare ») in attesa che si realizzi il typos vero (ton alethinon, 9,24b ), le realtà celesti. Il binomio tipo-antitipo così frequente in Ebrei mostra flessibilità. Tre i punti di riferimento nel solo NP6 e uno in Melitone di Sardi : l ) In Rm 5 , 1 4 Adamo è ty­ pos del Cristo antitypos che deve venire. 2) In l Pt 3,2 1 , invece, non è chiaro se l 'acqua del diluvio sia tipo del battesimo, che ne sarebbe l 'antitipo (modello tipo­ logico: ciò che viene dopo realizza il tipo che è già stato disegnato prima), o se il battesimo non sia esso il tipo e l 'acqua del diluvio l 'antitipo (modello platoniz­ zante: ciò che viene dopo realizza l ' idea solo abbozzata prima)47• 3) In 9,24, Ebrei resta agganciato alla tradizione sacerdotale di Es 25,40 (kata ton typon), ma usa il termine « antitipo >> nel senso di controparte: il santuario che Mosè realizza nel tempo è l 'antitipo del santuario vero, quello celeste (tipo), adombrato in Es 25 ,40 e adempiuto nel momento in cui Cristo vi entra. I modelli platonizzante e tipolo­ gico (Es 25 ,40) si interscambiano. Ali 'autore non sta a cuore questo o quel mo­ dello; egli vuole comunicare un messaggio: il tempio celeste è il tipo, il tempio ter­ restre ne è solo un'abbozzata simbolica anticipazione. 4) Questa fluttuanza del binomio « tipo-antitipo >> permane, se è attestata anche nella seconda metà del se­ colo II d.C. nella celebre Omelia pasquale di Melitone di Sardi48• Egli informa che la legge e le re lati ve istituzioni, ali ' epoca del primo patto, sono paragonabili al materiale di cera o di argilla di cui uno scultore si serve per dare una prima realiz­ zazione alla sua opera. Essa è solo un modello, ed è detta typos o eikOn. L'opera vera invece è detta he aletheia (antitypos) . Completata l ' opera vera, il materiale provvisorio viene scartato; esso non ha più valore. Così il popolo eletto, la legge, la pasqua e la Gerusalemme terrestre (typoi) sono ora scartati perché sono giunti 44 Così parafrasa Col 2, 1 7b J-N. Aletti, Lettera ai Co/ossesi, p. 1 66. Questi ritiene che il v. 1 7 « resta enigmatico per l a sua brevità ». In verità, non se ne vede i l perché. Forse, la non chiara de­ scrizione da parte di Paolo della « eresia » che intende combattere rende la traduzione del v. 1 7 un po' incerta. Ma il binomio « ombra-realtà >> (skia-soma) è comunque indicativo. 45 Così L.D. Hurst, How p/atonie are Heb 8, 5 and 9, 23f ?, in JTS 34 ( 1 983) 1 58. La traduzio­ ne impropria risale già ad Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica 1 2,9. Egli legge Eb 8,5 con gli occhi di Platone, e forse di Filone di Alessandria. Questo tipo di traduzione si protrae fino a og­ gi. Risultato: si impedisce a Eb 8,5 (e ancora a 9,23-24) di esprimere il suo vero pensiero. 46 In De p/antatione 1 1 3 e in De confusione linguarum 1 02, Filone di Alessandria non offre aiuto alcuno: usa infatti antitypos con il senso di « oppositore, nemico ». 47 l Pt 3,20b-2 l a: qui v. 20b. La traduzione ABU ha: « Quest'acqua (del diluvio) era un'imma­ gine (antitipo) del battesimo (tipo), il quale ora salva voi ». Cioè, il battesimo è il tipo che doveva ve­ nire, simbolicamente anticipato dali 'antitipo: l 'acqua del diluvio. Così anche M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 54 1 . 48 Cfr. frammento 5,3; frammento 9,8.9. 1 7. Cfr. O. Perler (ed.), Melitone, Sur la P4que etfrag­ ments (Chester Beatty e Bodmer XIII), (SC 1 23), Paris 1 966, pp. 224-225 e pp. 234-235.

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Parte seconda. Traduzione e commento

la Chiesa, il vangelo, il sacrificio di Cristo e la celeste Gerusalemme (he aletheia: antitypoi) . Ma il tempio, il sacrificio, il sacerdozio, il patto non sono realtà scartate49, piuttosto « anticipazione simbolica » delle medesime, ma celesti (ton epoura­ nion)50. Esse si sarebbero compiute nel futuro (ton mellonton agathon)5 1 • Il bino­ mio « terrestre-celeste » non è dunque platonico-verticale (sostituzione del prima con il dopo), ma apocalittico-orizzontale (il prima sfocia nel dopo che ha prepa­ rato)52. Depone in questa direzione la variante deichthenta (aoristo) con cui l ' au­ tore sostituisce dedeigmenon (perfetto) della LXX, come a voler dire : quel mo­ dello, « mostrato » sul monte, resta circoscritto a quell 'occasione (aoristo); quello che sarebbe venuto, è tutto da scoprire (perfetto )53 • Il v. 5b, con il suo esplicito riferimento a Es 25 ,40, ha un peso centrale in Eb 8, 1 -6 . L'unità letteraria in due momenti ( vv. 1 -2 e vv. 3-6) trova in esso il proprio fulcro argomentativo nonché la novità di tutta la sezione: l 'ordinamento cultuale terrestre è solo un'anticipazione simbolica delle realtà cultuali celesti, quelle vere. Quanto al tempio terrestre, fatto da mano d'uomo, ne parla Filone di Alessandria: esso è solo una ombratile riproduzione del mondo celeste nel suo insieme; il vero rea­ le e altissimo tempio di Dio è l 'universo intero (kosmos), e il suo santuario è il cielo (ouranos). L' immagine filoniana pare presente in Eb 9,24: « Cristo non è entrato nel santuario fatto da mani d'uomo, ma nel cielo stesso ». È l 'autore stesso tuttavia a ridi­ mensionarla, !imitandone l 'uso, in tutto il suo scritto, solo a 9,2454• Mentre il binomio « terrestre-celeste >> in Filone assume peso antitetico, e gli in­ flussi platoniani sulla sua esegesi di Es 25,40 (kata ton typon) si fanno notare55, Ebrei conosce Filone, ma non ne segue le tracce; conosce Platone, ma ne resta libero56• Egli 49 Questa posizione di Melitone di Sardi può oggi essere riformulata con buon fondamento. Quelle realtà non sono state scartate, bensì superate in qualità. E tale superamento, quelle stesse realtà imperfette (typoi) lo hanno come esigito. 5° Come aggettivo, epouranios torna in Eb 3,1 (vocazione celeste); 6,4 (dono celeste); 1 1 , 1 6 (patria celeste); 1 2,22 (Gerusalemme celeste). In 9,23 si ha il sostantivo al plurale il quale, in base a 9,2 1 , inclu­ de il tempio e i suoi arredi. In 8,5 va riferito al tempio e al culto che vi si celebra. È la peculiarità di 8,5. 51 Su ta mellonta, per esprimere il futuro escatologico, converge anche la speculazione rabbi­ nica. Dati utili in KNTTM.SB, vol. IV, p. 820. 52 La terminologia è di L.D. Hurst, How p/atonie are Heb 8, 5 and 9,23f ?, in JTS 34 ( 1 983) 1 58 . La traduzione è mia. 53 Rispetto a Es 25 ,40 (LXX), Eb 8,5b introduce due varianti: aggiunge un panta e trasforma il participio perfetto passivo dedeigmenon della LXX nel participio aoristo passivo deichtenta; Ebrei non cita la Scrittura come Scrittura, ma argomenta avvalendosi della Scrittura e lavora primaria­ mente in vista del messaggio. 54 Filone di Alessandria, De specialibus legibus 1 ,66. Non così H. Lohr, Umriss und Schatten. Bemerkungen zur Zitierung von Ex 25, 40 in Hebr 8, 5, in ZNW 84 ( 1 993) 220. Ancora Ta 'anit 5a pro­ pone un'analogia tra il tempio terrestre e quello celeste. Testo in KNITM.SB, vol. III, p. 573. 55 Si veda, in particolare, Filone di Alessandria, De somniis 1 ,206 su Es 25,40. Segnalo il la­ voro di C. Bissoli, Il tempio nella letteratura giudaica e neotestamentaria. Studio sulla corrispon­ denza tra tempio celeste e tempio terrestre, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1 994, pp. 57-79, qui pp. 69-75 (su Filone di Alessandria). 56 Concordi, ma non in tutto, i due studi di G.E. Sterling, Ontology versus Eschatology: Tensions between Author and Community in Hebrews, in StudPhilonAnn 1 3 (200 l ) 208-2 1 1 , e di K.L Schenck, Philo and the Epistle to the Hebrews: Ronald Williamson 's Study after Thirty Years, in StudPhilonAnn 1 4 (2002) 1 1 2- 1 35, in particolare 1 32- 1 35. Cfr. la Sezione introduttiva, pp. 26 e 55-56.

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si lascia direttamente guidare da Es 25,8-9.4057 e mostra così di pensare a un taber­ nacolo costruito sulla terra rispondente al modello mostrato da Dio a Mosè sul Sinai, cioè per rivelazione58• La tenda-tempio vista da Mosè sul monte è il typos, l 'origina­ le che non è opera umana; quello fatto costruire da Mosè ne è solo la sagoma adom­ brata, un modello-segno apocalittico: anticipazione simbolica della realtà celeste. Per quel « tipo >> bisognava attendere un sommo sacerdote nuovo e un sacrificio nuovo59• Resta, tuttavia, il fatto che Ebrei conosce il pensiero platonico-filoniano le­ gato a tipo-antitipo. Il suo pensiero mostra sintonia anche con tradizioni giudai­ co-targumiche60 di indole escatologico-apocalittica, ed è elaborato con l 'ausilio della tipologia. L'Ascensione di Isaia 7, l O stabilisce il principio: ciò che è sulla terra (antitipo) è immagine imperfetta e adombrata di ciò che è nei cieli (tipo); 2Baruch 4,5-6 riferisce di Adamo al quale, prima che peccasse, Dio mostra la nuova Gerusalemme e l ' « immagine » del tabernacolo-tempio, che avrebbe poi mostrato a Mosè sul Sinai, la città santa (la nuova Gerusalemme), la sagoma del tabernacolo con tutti i suoi oggetti sacri. « Quella tenda è conservata presso di me (JHWH)» . Tipo e antitipo vanno da sé6 1 • 5 7 Così M. Wilcox, « According to the Pattern (TBNYT)». Ex 25, 40 in the New Testament and Early Jewish Thought, in Revue de Qumran 1 3 ( 1 988) 64 7-656. Si noti che in tutto il NT non si ha altra citazione di Es 25,40. In At 7,44 (discorso di Stefano) ne ricorre una parafrasi. 5 8 Tabnyt del TM = kata ton typon della versione dei LXX. Si legga Es 25,9-39.40 + 26, 1 27,2 1 . Il perfetto passivo kechrematistai (chrematizo) descrive un processo informativo al dettaglio su qualcosa di ben preciso. È un passivo divino: « Secondo quanto fu detto da Dio a Mosè ». Cfr. C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, p: 237: per rivelazione. Ali 'esistenza di una serie di norme per la costruzione della città-tempio (progetto divino), lasciano pensare I Cr 28, 1 9 (vi si ac­ cenna a un rotolo del tempio dato da Dio a Mosè, da Mosè a Giosuè, da Giosuè agli anziani, dagli anziani ai profeti, dai profeti a Davide, da Davide a Salomone), nonché 1 / QT: decrizione particola­ reggiata del nuovo tempio. Resta controverso se queste due testimonianze pensino a un tempio ter­ restre o sperino in uno futuro, escatologico. Eh 8,5 si attiene a Es 25,40 e pensa a un tempio nuovo, alla fine dei tempi. Il motivo della celeste Gerusalemme, di cui in Eb 1 2,22, non gioca qui ruolo al­ cuno. Attestato in Ez 40-48, in J J QT e 5Ql5 (La nuova Gerusalemme) e recepito nel NT in Gal 4,26; Fil 3,20; Eb 1 2,22 e Ap 2 1 ,9-22,5, quel motivo non è affatto presente in Es 25,8.9-40 cui in­ vece Eh 8,5 si riporta. Ritenere che Eb 8,5 tacitamente vi alluda, o addirittura in modo inconscio (Wilcox), è quanto meno improprio. 59 Si noti la fluttuanza del binomio « tipo-antitipo » di cui si è già fatta menzione appena sopra. Ebrei mira molto più al contenuto che ali 'uso esatto dei termini. 60 Cfr. ancora il lavoro approfondito di C. Bissoli, Il tempio nella letteratura giudaica e neote­ stamentaria, pp. 8 1 - 1 08 (Targum) e pp. 1 27- 1 46 (su Ebrei). In più di un punto, C. Bissoli sottolinea l 'antichità della tradizione midrashico-targumica, limitata ai due testi sicuri del Targum Genesi 28, 1 7 e del Targum Esodo 1 5, 1 7 (lbid., pp. 89- 1 08), sulla corrispondenza tra i due santuari, legitti­ mandone così la presenza già in epoca intertestamentaria, nonché la conoscenza da parte di Ebrei. Detta corrispondenza va capita così: la casa della tua S•kina, tempio terrestre sul santo monte, è co­ struita di fronte al tempio della tua gloria, nei cieli. Va da sé la concezione verticale de li ' essere di fronte, non dunque orizzontale. 61 Giova ricordare il risultato raggiunto già da C.T. Fritsch, To antitypon, in Studia Biblica et Semitica. FS T.C. Vriezen (W.C. Unnik, ed.), Veenman, Wageningen 1 966, p. 1 04: nella tradizione giudaico-apocalittica di 2Baruch 4,5-6 confluiscono le tradizioni di Es 25,40 e di Ez 40-48. Due de­ cenni dopo, C.R. Koester ( The Dwelling of God. The Tabernacle in the Old Testament, lntertestamental Jewish Literature and the New Testament [CBQ.MS 22], The Catholic Biblica! Association of America, Washington 1 988, pp. 1 52- 1 83) riprende e riesamina il peso intertestamen­ tario nell ' immagine del tempio e in Ebrei . Di recente, si pone in questa linea G.E. Sterling, Ontology versus Eschatology: Tensions between Author and Community in Hehrews, in StudPhilonAnn 1 3

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Parte seconda. Traduzione e commento

In Eb 8, 1 -6 si ha dunque il seguente rapporto tra realtà vera e sua anticipa­ zione simbolica: hypodeigma

aletheia

8,3

Sommi sacerdoti terrestri

8, l

8,5

Luogo di culto: tenda terrestre

8,2

Luogo di culto: il santo dei santi nel cielo

8,2b

Tenda da mano d'uomo

8,2b

Tenda non da mano d'uomo

8,3

Solo sacrifici terrestri

9,1 1 -1 4 Cristo sacrifica se stesso

8, 7

Patto antico: risultati imperfetti.

8,1 3

Un solo sommo sacerdote celeste: Gesù Cristo

Patto nuovo: risultati migliori.

Si ha un fecondo confronto tra imperfetto e perfetto, dove il secondo emer­ ge grazie al primo e il primo esige la venuta del secondo62• [v. 6] Facendo da cerniera tra i vv. 1 -5 e i vv. 7- 1 3 , il v. 6 svolge una funzione retrospettica e prospettica: « Ora invece » (nyni de), essendo Gesù Cristo sommo sa­ cerdote liturgo nei cieli (8, l b-2), celebra una liturgia tanto più eccellente, quanto in­ sorpassabile (hoso kai kreittonos [cfr. 1 ,4], diathekes mesites) è l 'alleanza di cui è mediatore, « legalmente costituita su migliori promesse » (8,6), quelle annunziate da Ger 38,3 1 -34 (LXX) e dal Figlio avviate a compimento; promesse migliori che « re­ golano, normano ))63 l 'alleanza nuova. Forte la connessione tra liturgia e alleanza (leitourgia-diatheke), ancora più forte a motivo dell ' intenzionale combinazione ho­ so kai, che esige una traduzione come « eccezionale, insuperabile ))64• Se Mosè, me­ diatore tra JHWH e Israele, doveva regolare una liturgia terrestre, Gesù Cristo è inve­ stito di un ministero cultuale che deve espletare di persona: dona la vita, e i frutti di tale donazione sono sempre fruibili65• Ciò accade al Golgota, punto culminante di una liturgia avviata dal grande nuovo sommo sacerdote, con la sua intera esistenza. Mosè, mediatore66, non possedeva il sacerdozio gradito a Dio, quello « alla maniera di Melchisedek », ma solo quello da lui stesso fondato, sia pure su indi­ cazione di JHWH (Es 29, l ): il sacerdozio levitico. L' alleanza della quale è media­ tore è nettamente inferiore a quella che Dio ha promulgato nel Figlio, un ' allean­ za sacerdotale valida a tutti gli effetti legali, previsti dalla legislazione levitica67, eppure non }evitica.

(200 l ) 1 90-2 1 1 ; ben note alla tradizione giudaico-ellenistica, le tradizioni platonico-filoniane ser­ vono a dire alla comunità cristiana nascente ciò che sta maggiormente a cuore all 'autore: l ' annun­ zio escatologico, di una vita oltre la morte, nel tempio di Dio, quello vero, quando « il fine dei tem­ pi » sarà raggiunto. 62 Cfr. J.L. Wolmarans, J.L., The Text and Translation ofHebrews 8, 8, in ZNW 75 ( 1 984) 143. 63 È il senso insito in nenomothetetai epi. Si veda anche H. W. Hollander, Hebrews 7, l l and 8, 6: a Suggestion for the Translation of« nenomothetetai epi », in BT 30 ( 1 979) 244-247. 64 Così annota C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, p. 239. 65 Tetychen, perfetto da tygchano (conseguire, procurarsi). Esprime continuità: il ministero li­ turgico, cultuale e sacerdotale che il « Figlio » si è procurato, è stabile e continuo. Non così quello dei sacerdoti del primo patto. « Gesù » come soggetto di tetychen, solo qui in tutto il NT. Cfr. H. Braun, An die Hebriier, p. 236. 66 Cfr. Gal 3, 1 9. Inoltre, Assunzione di Mosè l, 14; 3, 1 2 ; Vita di Mosè 2, 1 66. 67 La connotazione « legalmente » è contenuta ne li 'uso di nomotheteo. Tale legalità poi è per­ manente, come esprime bene l 'uso del perfetto passivo nenomothetetai. Cfr. già C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. l/: Commentaire, p. 239.

Sacerdozio nuovo e oblazione: un patto migliore Eb 8, 1-13

35 1

Entrambe le alleanze si caratterizzano per le promesse che contengono. Materiali quelle del primo patto e spirituali quelle del nuovo? Così Giovanni Crisostomo68• Ma non è il parere dell 'autore, il quale non pensa a simile contrap­ posizione. Le promesse del patto nuovo sono invece migliori perché più stabili e sicure, più durature e fruttuose; avviate a compimento da Cristo, nessuno ne po­ trà inficiare la validità e l ' efficacia, tanto meno la realizzazione definitiva (« me­ moriale perenne per il Signore >>, è il caso davvero di dire), l 'affermarsi della ri­ conciliazione, del perdono, come scrive Ger 3 1 ,3 1 : « Non mi ricorderò più dei loro peccati >> (recepito in Eb 8, 1 2 e in l O, 1 7 - 1 8). L'azione sacerdotale dei leviti non è in grado di ottenere tanto risultato; il suo valore consiste nel prefigurare l 'azione redentrice di Cristo. Lui è ora il sommo sa­ cerdote superiore ai leviti, ministro di un'alleanza migliore di quella mediata dai le­ viti, celebra un'offerta redentiva migliore di tutti i sacrifici della prima alleanza. Tutto ciò è dovuto alle « promesse migliori » (Eb 8,6), quelle profetate da Ger 3 1 ,3 1 -34 e realizzate dal sacrificio unico e irripetibile del sommo sacerdote Gesù Cristo. Il termine kreittonos (superiore) ha il senso base di « migliore » (ministero migliore, alleanza migliore, promesse migliori, 8,6) e implica una progressione che suppone i momenti precedenti come validi e buoni. Sacerdozio levitico e relativi sacrifici hanno valore nella loro forza di prefigurazione di ciò che doveva venire. Cinque i temi che si muovono in Eb 8, 1 -6. Essi si collegano a punti preceden­ ti e si aprono su punti seguenti : l ) il sommo sacerdote, di cui già in 5, 1 -3 e più am­ piamente in 4, 1 4 - 5, I O e poi in 7, 1 - 1 0.26-27, con riferimento alla figura di Melchisedek; 2) il sacrificio (thysia), di cui già in 7,27, in 9, 1 4.25-26 e in 1 0, 1 - 1 8 ; 3) due i temi nuovi : il santuario-tenda (agia-skene) e il patto (diatheke), quest'ulti­ mo ripreso in 8,7 e di nuovo in 1 0, 1 6; 4) un tema derivato: il nuovo ordine cultua­ le dichiara il primo esaurito, prossimo alla scomparsa o, meglio, ridimensionato nel nuovo che gli riconosce il valore avuto; se ne ha un ampliamento in 9, 1 - 1 4.23-24. Cade qui il momento opportuno per considerare il raffronto tra Eb 8, 1 -6 e 3, 1 -6. Esso è motivato dalla menzione di Mosè che in 8,5 ricorre per la seconda volta dopo 3 , 1 -6.

Eb 3, 1-6: a) 3,2b a') 3,6b b) 3,6b b') 3,2b c) 3,3b' c') 3,3b" d) 3,4a d') 3,4b e) 3,5ab e') 68

3,6a

Dio è l 'unico costruttore della casa (3,4) oikos: il popolo di Dio affidato a Mosè oikos: la casa di Cristo, noi, la comunità cristiana Gesù, il Figlio fedele (3 ,6a.2a): la sua casa siamo noi Mosè, ministro fedele, uomo di fiducia nella casa di Dio. Il costruttore della casa gode di maggiore onore rispetto alla casa costruita. Ognuno può costruire una casa ma il costruttore di tutto è Dio. Mosè antitipo nella sua qualità di terap6n: rende testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi (3,5ab). Cristo tipo, nella sua qualità di hyios epi (3,6a).

Cfr. G. Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 1 4, in PG 63, 1 1 4.

352

Parte seconda. Traduzione e commento

Eb 8, 1-6: a) 8,2b a') 8,5 b) b') c) c') d) d')

Due case e due costruttori Dio è il costruttore del tempio celeste e non un uomo (8,2b ). Mosè lo è di quello terrestre, su modello del celeste e su comando di Dio. 8,2b.5b Tenda celeste, quella vera 8,5a tenda terrestre. 8,2 Dio costruttore 8,2 uomo costruttore 8,5 sagoma adombrata (terrestre) della realtà celeste. 8,5

Si gusti questa feconda analogia « gerarchica ». [vv. 7-Sa] Cristo mediatore di promesse migliori. Con Eb 8,7- 1 3 l 'autore si immette direttamente nel motivo dell ' alleanza (diatheke) . Centrale in 8,7- 1 3 , es­ so è condotto con l 'argomentazione rabbinica qal wii/:zomer, dal meno al più (a fortiori}, già rilevata in 3 , 1 -6. La pericope è strutturata in tre momenti:

l) 2) 3)

8,7a 8,7b 8,8a 8,8b- 1 2 8, 1 3a 8, 1 3b

Il primo patto (prote [diatheke]) è imperfetto. Il nuovo patto è invece perfetto (dato implicito). Dio biasima il patto antico. Dio esalta il patto nuovo (diatheke kaine). Dio rileva che il primo patto va esaurendo il proprio potenziale. L'autore aggiunge che esso diventa obsoleto e va sparendo.

Si noti la grande inclusione su pro te (primo) in 8 , 7. 1 3 e non sfugga che il tessitore di tutto è Dio. Grazie a questa dinamica contenuta già in Ger 38,3 1 -34 (LXX; = Ger 3 1 ,3 1 34, TM), Eb 8,7- 1 3 mette in discussione il primo patto e avvia una riflessione sul nuovo. La « prima (alleanza) », detta semplicemente he prote ekeine, si fa notare per l ' assenza del termine diatheke, che va però integrato in riferimento logico al v. 6. È forte l 'effetto stilistico e retorico, in quanto crea una suspense che è appa­ gata al v. 8 con riferimento a Ger 38,3 1 b: diatheken kainen. Quest'ultima, al v. 7, è definita deutera: seconda in ordine di tempo, essa è migliore della prima, in quanto adempie le promesse di Ger 3 8,3 1 -3469• Il bel confronto « prima alleanza ­ nuova alleanza )) torna in 9, 1 5 in contesto di trasgressione. Quella « prima allean­ za )) andava dunque ripensata. Ma qual è questa « prima alleanza ))? In Gn 6, 1 8 e 9,9- 1 7 Dio stabilisce un ' alleanza con il patriarca Noè; in Gn 1 5 , 1 8 e 1 7,2- 1 4 con Abramo; in Gn 1 7, 1 9-2 1 con l sacco e in Es 2,24 e 6,4 con Giacobbe; quest'ultima è ritenuta « la prima )) in Lv 26,45 . Ebrei si riferisce di certo alle promesse fatte ad Abramo (cfr. Eb 6, 1 3- 1 5), contenuto del « primo patto )); applica poi il termine « alleanza )) al­ la cesura tutoriale in Mosè e alla nuova alleanza in Gesù il Cristo.

69 Cfr. anche K. Backhaus, Hebr 8. 7-13: Die Aujhebung der ersten diathèké, in Id., Der neue Bund und die werdende Kirche, p. 1 72. Su Ger 3 1 ,3 1 -34 segnalo il lavoro di S. Lehne, The New Covenant in Hebrews (JSNT.SS 44), JSNT Press, Sheffield 1 990, pp. 30-34.

Sacerdozio nuovo e ablazione: un patto migliore Eb 8, 1-13

353

Il movimento di Ebrei nel suo insieme e, in particolare, la sezione su Mosè (Eb 3 , 1 -6) e quella sul Sinai e la sua terribile teofania { 1 2, 1 8-2 1 ), il riferimento al­ la « prima alleanza » (9, l ) con chiaro appoggio su Es 25,23 .30, lasciano ben pen­ sare che si tratti dell 'alleanza mosaica. È questa che, poco più avanti, al v. 1 3 e in forma lapidaria, sarà definita « antiquata », per cui « ciò che diventa antico e in­ vecchia, è prossimo a sparire ». A mo' di cesura, l 'alleanza sinaitica ha svolto il suo ruolo tutoriale nei confronti dell 'alleanza in Abramo-Isacco (« Voi vi siete in­ vece accostati al monte Sion [al Moria: Abramo, Isacco] » ( 1 2,22). Quest'alleanza è tuttora in vigore perché la promessa su cui è fondata non è stata ritirata70• E quel­ la promessa marcia in direzione del discendente, e quel discendente è Cristo; nel senso di Paolo nella sua Lettera ai Galati7 1 • Due alleanze, due ministeri sacerdotali, due sacerdozi, due culti e sacrifici, due liturgie non in antitesi polare, bensì in raffronto dialettico, non in posizione platonico-verticale (l ' ideale celeste tende a liberarsi dal reale terrestre) 72, ma escatologico orizzontale (anticipazione simbolica). Il meno è simbolico anticipo del più che deve venire. L'alleanza, il sacerdozio, il culto e i sacrifici, imperfetti e incompleti, sfociano quasi naturalmente nel nuovo unico sacerdozio e nella nuova alleanza, nella nuova liturgia celeste e nell 'unico nuovo sacrificio, tutte realtà in sé complete e perfette. Se le realtà del l ' antica alleanza fossero state perfette ed efficaci « non si sa­ rebbe cercato (ezeteito) posto (topos) per un secondo patto ». Al contrario, pro­ prio la forma verbale ezeteito al passivo implica che Dio, avendo biasimato l 'an­ tica alleanza, sta ora provvedendo a una nuova e le sta cercando un posto (topos). Reso in genere con « posto », topos ha anche i l senso di opportunità (cfr. Eb 12, 1 7). La traduzione « posto >> è comunque da preferire a motivo del suo valore enfatico: esso è infatti la mente e il cuore degli uomini (8, l 0). «(Dio) invece >> (v. 8a), come soggetto, è « il Signore » dei vv. 8- 1 0, cioè « Dio » del v. l Ob. A motivo dell 'ampia citazione successiva, dal profeta Geremia, il sog-

70 In via di acquisizione, onnai da tempo da parte degli esegeti, questa posizione è stata uffi­ cialmente assunta dal recente documento della Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana. Lo stesso documento esorta a non utilizzare la fonnula « prima alleanza », ma quella di >. Dunque la Scrittura, cioè comunque Dio, « mentre biasima costoro (autous) », intende « la ca­ sa d'Israele e la casa di Giuda » del v. 8. È la lettura più tenuta. Ma anche la seguen­ te è proponibile: « Dio invece, mentre biasima la prima alleanza (quella mosaica, perché difettosa e insufficiente), dice loro (al popolo d'Israele e di Giuda, autois) ». Questa ricostruzione del testo è possibile e più rispondente al contesto: Dio trova di­ fettosa la prima alleanza mosaica (vv. 6-7). Il suo biasimo esprime il crescente suo disinteresse per un'alleanza tutoriale, che provoca fratture e infedeltà perché imper­ fetta. Dio non biasima il suo popolo, ma quell ' imperfetta alleanza che lo espone di continuo ali ' imperfezione. È quanto proviene dalla connessione tra « biasimare non aver cura » (memphomenos-emelesa), rispettivamente ai vv. 8 e 9. Al suo popo­ lo infatti Dio annunzia la nuova alleanza73, già sancita nella promessa ad Abramo di una innumerevole discendenza, oggi compiuta e visibile nel discendente. [vv. Sb-12] Siamo a Ger 3 8,3 1 -34 (LXX): la più lunga citazione dal Primo Testamento nel NT. Con l 'ausilio del profeta, l 'autore constata che il vero moti­ vo della provvisorietà e insufficienza dell ' AT risiede nel popolo stesso; Dio si vede come costretto a contestarlo, a riprenderlo, in attesa di una risposta miglio­ re. E lo fa nella forma di un rib implicito (v. 9) presso a poco così concepito: Che cosa dovevo fare io che non ho fatto? Ti ho portato fuori dalla schiavitù di Egitto e ho stabilito con te un 'alleanza. Non le sei stato fedele, non hai avuto cura di me (notitia criminis, accusa) e anch ' io non ho più avuto cura di te (mispat, sentenza giudiziale di condanna). Che cosa dovrei fare io ancora per te? Stabilirò con te un'alleanza nuova e attenderò la tua risposta nella fedeltà, per il perdono e la ri­ conciliazione. Per i destinatari di Ebrei, queste sono parole incoraggianti : « Io sarò cle­ mente verso le loro ingiustizie e non mi ricorderò più dei loro peccati » (mispat, sentenza giudiziale di riconciliazione). Essi sanno bene di essere in esilio sulla terra (Eb 1 3 , 1 4) e che le incertezze quotidiane aprono alla speranza della vita pro­ messa ( 1 0,32-39). Quel rib74 è amorevole ed è portatore delle migliori promesse del nuovo patto: - Relazione etico-esistenziale con Dio del tutto nuova, perché animata da una legge nuova, scritta nella mente e impressa nel cuore, interna alla persona e non a lei esterna, proposta e non imposta (v. l 0). - Ne scaturirà un rapporto di appartenenza, reciprocamente dichiarata in tut­ ta libertà: « Io sarò il loro Dio, essi saranno il mio popolo » (v. l 0). Quella libertà di risposta è richiamata dal motivo dell ' « uscita dalla schiavitù di Egitto » (v. 9): il dono gratuito di quella liberazione, gestita totalmente da Dio (« Li presi per ma­ no per. . . », v. 9), ha avuto come risposta l ' infedeltà del popolo (v. 9) e la contro­ risposta da parte di Dio (« . . . Anch' io non ebbi più cura di loro », v. 9). 73 J.L. Wolmarans ( The Text and Translation of Hebrews 8, 8, in ZNW 75 [ 1 984] 1 39- 1 44) ri­ tiene che, per homoteleuton, autois sia divenuto autous. L'oggetto originale di « biasimando » deve essere stato « la prima alleanza ». In base a Eb 8, 7 questa ricostruzione è possibile. 74 Su procedure, vocabolario e tecniche del rib, cfr. P. Bovati, Ristabilire la giustizia, PIB, Roma 1 997. L'autore non considera Ger 3 8,3 1 -34 (LXX) un rib, e in verità il vocabolario tipico non è presente. Ma la dinamica è quella di un rib, almeno implicito.

Sacerdozio nuovo e ablazione: un patto migliore Eb 8, 1-13

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- Tutto il popolo riunito (casa di Giuda e d'Israele, v. 8) e i suoi singoli com­ ponenti prenderanno parte ai benefici della nuova alleanza (v. 1 1 ). JHWH non tol­ lera divisioni, vuole l 'unità del suo popolo. - Momento molto qualificato della nuova alleanza e segno significante del­ la presenza della medesima: « Porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori . . . tutti mi conosceranno », cioè mi incontreranno e sperimenteran­ no nelle mie gesta 75• Con il nuovo patto inizia l 'epoca delle scelte responsabili nella fede. Ognuno dovrà poter dire: Non sono più io che vivo, è quel patto che vive in me. Nel senso di Gal 2,20: quel nuovo patto, infatti, è Gesù Cristo stesso. - Clemenza e perdono di tutte le ingiustizie, nessun ricordo delle iniquità del passato . Due densi binomi: « perdonerò - non mi ricorderò ; iniquità-peccati » (v. 1 2; ancora in Eb 1 0, 1 6- 1 8). Appoggiandosi a Ger 3 8,3 1 -34, l ' autore denunzia in 8,8b- 1 2 i limiti della prima alleanza presentando il potenziale della nuova, scritta nel cuore e scolpita nella mente: « Ex novitate deducitur antiquitas ». Tornerà a farne uso in l O, 1 6- 1 7 ma per confermare l 'azione redentiva di Cristo, che in tal modo dà compimento alle promesse nuove annunziate da Dio attraverso il profeta Geremia. L'autore si serve di una versione dei LXX molto vicina al codice Alessandrino, al quale mo­ stra di riportarsi fedelmente76• Tuttavia se ne allontana con varianti che diventano prezioso veicolo della sua intentio. Eb 8,8b: « Io porterò a buon fine (synteleso) un 'alleanza nuova ». Prima va­ riante di Ebrei rispetto all 'originale di Ger 3 8,3 1 -34 (LXX), che legge: « . . . Farò un'alleanza con . . . ». Il progetto di Dio è impegnativo prima di tutto per Dio stes­ so: egli si autoobbliga non solo a stipulare un 'alleanza nuova, ma ancora di più a condurla a termine. La variante è tale anche rispetto a Ger 3 1 ,3 1 -34 (TM). Eb 8,9: « Non come l ' alleanza che feci (hen epoiesa) ». Seconda variante di Ebrei rispetto ali ' originale di Ger 3 1 ,32 (LXX), che legge: « Con la quale mi so­ no alleato (hen diethemen) ». La cosa depone a favore di un testo stilisticamente curato, che tende a evitare la ripetizione frequente della voce verbale dia-tithemi e deverbali: ben 7 volte in Ger 3 8,3 1 -3477• Quella ripetizione frequente, tuttavia, ha nella LXX uno scopo preciso: porre in posizione centrale il tema dell 'allean­ za. L'uscita dall ' Egitto costituisce un tutt' uno con il dono delle « dieci parole » al Sinai, il patto mosaico (Es 20,2), che al v. 1 3 sarà definito « antiquato . . . e prossi­ mo a sparire », a conferma di quanto annotato al v. 7. La felice formulazione « nel giorno in cui li presi per mano (epilabomenou mou) », posta al genitivo assoluto, ha un peso psicoantropologico, invita a ricor­ dare un giorno (tempo) ben preciso di liberazione ed esprime come una compas­ sione permanente; quel genitivo assoluto può infatti essere reso « prendendo li io per mano », modalità verbale atemporale che favorisce la continuità: Dio si pren­ de cura dei suoi, sempre. Se ne ha riprova in Eb 2, 1 6 (epilambanesthai), in cui 75 È il senso più appropriato della voce verbale eidesousin me, futuro di oida (orao) . 76 Si veda K. Backhaus, Hebr 8, 7-13: Die Aujhebung der ersten diatheke, in Id., Der neue Bund und die werdende Kirche, p. 1 7 1 . 77 Cfr. N . Casalini, Agli Ebrei, p. 252.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Gesù il Cristo non tanto a favore degli angeli, ma « a favore della stirpe di Abramo opera », dove l 'esplicito riferimento alla discendenza abramitica espri­ me continuità. La compassione di Dio per i suoi continua: ne è riprova quello stesso patto antico, la cui imperfezione lo rende obsoleto, costringendolo a cede­ re il passo al nuovo 78• La frattura del patto dovrebbe far pensare al vitello d' oro, situazione che ri­ sponderebbe in modo più appropriato al TM, in cui si legge di > va incisa nel cuore e impressa nella mente. Questo fatto costituisce una no­ vità radicale: in primo luogo, un totale cambiamento di rapporto con la legge, poi « dopo quei giorni >> (v. l 0), quelli del Sinai cioè (analessi), « ecco: vengono gior­ ni >> (v. 8), i giorni nuovi (protessi), quando l ' imperfetta legge del Sinai sarà con­ dotta a perfezione. Come? Sullo sfondo resta sempre la spinta al ricupero del pat­ to in Abramo (v. 7); si aggiunge qui, con solenne introduzione, l 'annunzio di una nuova alleanza: « Questa è l 'alleanza che io stipulerò con la casa di Israele >> (v. l 0). Va così in adempimento Mt 5, 1 7. 1 8- 1 9: « Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento » dove quest'ultimo, nella mente del Gesù di Matteo, è av­ venuto e continua ad avvenire attraverso le beatitudini (Mt 5,3- 1 2). Eb 8, l Ob: quarta variante. « Inciderò >> (epigrapso), scelta molto più ricca di « scriverò >> (grapso) della LXX, tempo verbale più vicino al futuro del TM; epi­ grapso descrive al vivo la novità in arrivo: non una legge scritta sulla pietra, ma 78 L'idea della discontinuità tra patto antico e nuovo, definito quest'ultimo « secondo patto », in C. R. Koester (Hebrews. A New Translation, p. 386), è forse non pertinente. 79 Didous qui sta per il futuro doso. Così M. ZeiWick M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 67 1 . -

Sacerdozio nuovo e oh/azione: un patto migliore Eh 8, 1-13

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incisa nel cuore, una nuova alleanza. Eccone l 'esposizione dettagliata in quattro momenti progressivi. Primo momento: « Porrò le mie leggi nella loro mente e le inciderò nei loro cuori » (v. l O); esse dovrebbero presumibilmente non includere la legislazione sacerdotale levi ti ca, dal momento che in Eb 7, 1 1 . 1 8 essa è data per discutibile, in 8, 1 3 e in 9, I O le norme su cibi, bevande e abluzioni varie sono dichiarate ob­ solete. Ebrei non ne offre una lista dettagliata (oltre 9, l O) e suggerisce molto più un riferimento a Es 20, 1 -20: il decalogo, le dieci parole. Esigendo infatti lealtà e fedeltà a Dio ( l 0,29) e ponendo in guardia da deplorevoli dissacrazioni del matrimonio e da usi smodati della ricchezza ( 1 3 ,4-5), mostra ancora di alludere allo spirito delle beatitudini (altre dieci parole?), completamento qualitativo del decalogo. Quelle « mie leggi le inciderò nei loro cuori ». Il binomio « mente-cuore » è centrale nella fede di Israele (Dt 6,4-6) e nell ' insegnamento di Gesù (M t 22,3 7; Mc 1 2,340; Le 1 0,27). Se Dio decide, quasi dopo avere ripensato la sua prima op­ zione metodo logica, di scrivere il suo progetto non più su tavole di pietra, ma nel­ la mente e nel cuore, ciò significa per Ebrei che la sua nuova opzione strategica è interiorizzare le sue parole e portare il cuore a superare ogni cedevolezza ali 'in­ fedeltà80. Scritta nel cuore, la legge è infatti interiore, così come è esteriore quel­ la scritta sulle tavole8 1 . L' interiorizzazione è il presupposto imprescindibile per favorire che quelle « parole » si compiano; nel cuore e nella mente infatti avvie­ ne l 'adesione obbedienziale82. Del resto, Eb 3,8 e 1 0, 1 2 avvertono di non induri­ re il cuore, causa vera dell 'allontanamento da Dio. Il patto, inoltre, ha lo scopo di rendere i cuori veri e non falsi, fedeli e non infedeli ( l 0,22). I due momenti, inte­ riorizzazione e adesione, esprimono compimento e si esigono reciprocamente. Nessun indottrinamento dunque, ma solo ascolto ed elaborazione personale e co­ munitaria del nuovo patto: « Tutti mi conosceranno » (v. l l ), « Diventerò il loro Dio ed essi diventeranno per me popolo » (v. l O). È come un sommario, questa formulazione al v. l O; in essa si ha il profilo della relazione di Dio con il suo po­ polo: unica e nuova. L'autore ne risente, essendo questa formula ampiamente at­ testata nel primo patto83. Secondo momento: « Diventerò il loro Dio ed essi diventeranno per me po­ polo >> (v. I Oc ); siamo alla pietra angolare della garanzia di salvezza. Fratturato il patto antico, bisogna ora ricucirne le maglie. Se il risultato sarà una ritrovata re­ ciproca appartenenza bilaterale, la salvezza sarà stabile e garantita, perché fon­ data sulla bilateralità dell ' appartenenza, nutrita dal suo incondizionato perdono (v. 1 2) e radicata nell ' impegno solenne del Dio unico e vero che si pone a fianco del suo popolo. Ma questo progetto è ancora lontano dali 'essere realtà. Il popolo 8° Così Ger 1 7,9; già Ger 9,8 e 1 7, l . 81 Rilevano l ' antitesi: Es 24, 1 2 ; 3 1 , 1 8 ; 34, 1 ; Dt 4, 1 3 ; 5,22 e 2Cor 3,3.6. 82 Già Ez l 1 , 1 9-20: 36,26-27 e Dt I 0,4-6. 8 3 Si leggano: Es 6,7; 29,45 ; Lv 26, 1 2 ; Ot 26, 1 7- 1 8; Ger 7,23; 24,7; 30,22; Ez 1 1 ,20; 37,27; Os 2,23; Zac 8,8; 1 3 ,9; 2Cor 6, 1 6; Ap 2 1 ,3. Dati in E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 7, 1-10, 18, vol. II, p. 1 02, e in C. R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 387. La ricognizione critica dei dati è con­ vergente.

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Parte seconda. Traduzione e commento

della generazione del deserto non è ancora « suo )) né egli è ancora il loro Dio; e il perché va da sé: l 'alleanza non è ancora quella perfetta, è esterna, non ha toc­ cato cuore e mente. Una moltitudine di persone che conviene assieme consen­ sualmente e per il bene comune, creando in tal modo comunione, è popolo civi­ le. Quando queste si radunano sollecitate da Dio, solo allora quella moltitudine è populus Dei84: nella conoscenza di lui e nella disponibilità obbedienziale, condi­ zioni imprescindibili per appartenergli. Terzo momento e novità del nuovo patto (v. 1 1 ) : una conoscenza universale di Dio, senza necessità di insegnamento, per via di negazione enfatica, aperta sul futuro. Questa posizione di Ebrei è intenzionale e ben riuscita, una conoscenza­ esperienza spontanea85 • Ma come? Certamente attraverso le leggi poste nella mente, incise nel cuore (v. 1 0) . Forse per illuminazione soprannaturale data dallo Spirito di Dio, che dona la scienza esatta su di sé al suo popolo? Una sorta di scienza infusa? Da escludere86• Riferimenti concreti a una serie di punti del pri­ mo patto spingono molto più verso una interpretazione storico-religiosa espe­ rienziale. Quella illuminazione avviene nei tempi messianici e guida il popolo di Dio a constatare l 'adempimento delle attese profetiche sul tramonto dell ' idola­ tria, sull 'universalità della conoscenza-esperienza di Dio, non più monopolio di pochi. Essa infatti avviene nel cuore e nella mente del popolo di ieri, di oggi, di sempre, cioè di ogni persona alla quale egli si comunica87• Anche nel NT non mancano impulsi in questa direzione: in l Ts 4,9 Paolo ricorda ai suoi lettori che essi sono direttamente istruiti da Dio; Gv 1 6, 1 3- 1 5 e l Gv 2,27 scrivono di Gesù che egli fa conoscere il Padre attraverso i suoi detti e i suoi fatti. Dio si fa cono­ scere direttamente nella mente e nel cuore di ogni creatura, ma ciò non prescin­ de, anzi esige che quella conoscenza-esperienza di lui cresca come frutto della predicazione apostolica: « So che deve venire il Messia-Cristo . . . Egli ci annun­ zierà (anaggelei) ogni cosa )) (Gv 4,25). È probabilmente il pensiero di Giovanni Crisostomo, quando spiega Eb 8, l l applicandolo agli apostoli: i protagonisti del­ la prima alleanza sono istruiti da Dio attraverso una legge scritta sulla pietra; quelli della nuova, gli apostoli, lo sono direttamente da Dio, il quale stipula con essi un patto nuovo, incidendolo nel loro cuore e nella loro mente. Ciò avviene non in forza di una infusione intellettuale soprannaturale, ma in Gesù il Cristo, nel quale si ha l 'esperienza delle parole e delle gesta di Dio88• Il « proprio fratello )) (adelphon, v. l l ), da intendere in senso esteso, è ogni membro del popolo di Dio disponibile ad ascoltare, interiorizzare e aderire al pat-

84 Così Tommaso d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. II, Ad Hebraeos 406, p. 424: « Populus est coetus multitudinis, juris consensu et utilitatis communione so­ ciatus )), riprendendo il pensiero di Agostino di lppona, La città di Dio 2 1 . Poi continua: « Quando ergo consentiunt in jus divinae legis, ut sint ad invicem utiles et tendant ad Deum, tunc est populus Dei )), appoggiandosi ancora ad Ap 2 1 ,3 . 85 Capisco così i l suggerimento d i E . Grasser, An die Hebriier. Heb r 7, l-l O, l 8 ; vol. I I , p . l 02. 86 C. Spicq (L'épitre aux Hébreux. 11: Commentaire, pp. 243-244) offre una sintetica storia del­ l' interpretazione sulla questione. 87 Sono in questa linea: Is 1 1 ,9; 55,5; Ez 1 1 , 1 9; 36,26 e Gl l l ,27-28. 88 Cfr. Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 8, in PG 63, 1 1 3 .

Sacerdozio nuovo e oblazione: un patto migliore Eb 8, 1-13

359

to nuovo. Cfr. qui il commento su Eb 2, I l e 3 , l . Anche il proprio « concittadino >> (politen, v. I l b) è da intendere in senso esteso e non etnico. Concittadini sono quanti sono registrati non nella città terrena, ma in quella celeste dove prende­ ranno parte « alla grande assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli >> ( 1 2 ,23 ; an­ che 1 1 ,9- 1 0. 1 3- 1 6 e 1 3 , 1 4). Far parte di una tale cittadinanza, ecco il progetto di Dio per i destinatari di Ebrei. Ebbene, quando il patto nuovo si troverà nella mente e nel cuore di ognuno, nessuno dovrà dire ali ' altro : « Conosci il Signore >> (v. I l ). Tutti infatti « mi co­ nosceranno >> (v. 1 1 ). Tre gli aspetti della « conoscenza >> del Signore : ricognizio­ ne, anamnesi (ricordare, memoriale); riconoscere, aderire, cioè testimoniare. Il primo elemento da ricordare, una sorta di memoriale perenne, da mai di­ menticare, è che fu lui, il Dio del patto, ad avere condotto i suoi fuori dalla schia­ vitù egizia (Eb 9 ,9b; Es 6, 7; 29 ,45-46); nessun altro « dio >> è stato in grado di tan­ ta impresa; quel « suo » popolo scelto intenda, creda e comprenda e sia suo testimone (Eb 8, l Od; Is 43 , l O) e riconosca la sua esistenza operativa e gli sia fe­ dele e leale (Sal 9, 1 0) . Se quella generazione del deserto ha tentato Dio metten­ dolo alla prova, è perché non ne ha conosciuto le vie (Eb 3, l 0). Ricordare che egli solo è il loro vero e unico Dio (Es 20,3) esige un memoriale perenne della sua azione storica al loro fianco; il ricordare motiva anche il riconoscere, il prendere atto che davvero egli è l ' unico (Es 20,2-3); ne nasce la testimonianza obbedien­ ziale, alla quale è di impedimento solo l ' infedeltà (Is l ,3-4; Ger 4,22; 9,3 ; Os 4, 1 3). A l contrario, chi riconosce che i l Signore è stato al loro fianco nell 'umiliazio­ ne dell ' esilio, nella povertà e nelle necessità del deserto, è disposto a testimoniarlo verso i poveri e i bisognosi (Ger 22, 1 6) . La liberazione da quella « casa di schiavitù » (Es 20, l ) è pietra angolare del patto al Sinai; non lo si di­ mentichi mai, per poter conoscere e testimoniare ! Chiamati a tanta esperienza sono tutti e ognuno, dunque chiunque, « dal più piccolo al più grande » (v. 1 1 ; Ger 6, 1 3). L' infedeltà all 'alleanza può colpire tut­ ti : ognuno e tutti dovranno risalire la china. La formulazione è enfatica. Ma ri­ suonano anche gli oracoli di Geremia e Isaia: tutti in Israele conosceranno Dio (Ger 4,22); la terra sarà riempita dalla conoscenza del Signore (ls 1 1 ,9). Che Eb 9, 1 1 pensi ali ' adesione dei gentili ali 'unico e vero Dio o intenda annunziare la vi­ sione beatifica89, va notato, con le riserve del caso. Quarto momento e ultima novità del nuovo patto: « Sarò misericordioso (hi­ leos esomai) verso le loro ingiustizie e non mi ricorderò più (ou me mnestho eti) dei loro peccati (ton hamartion auton) » (v. 1 2; Ger 3 1 ,34b [TM] ; 38,34b [LXX]); no­ vità assoluta in Ebrei. Un rapido riscontro neli ' AT mostra bene che l 'autore dispo­ neva di testimonianze sull 'annunzio del perdono pressoché nulle; quel v. 1 2 dovet­ te risuonare nel cuore e nella mente dei suoi destinatari come lieto annunzio nuovo e liberante. L'esperienza successiva ali ' esilio ne dà conferma; essa conosce, è vero, 89 Così rispettivamente Teofilatto, Commentarius-Expositio in epistolam ad Hebraeos, in PG 1 25,295, e Nico1aus de Lyra, Vierbiindiger Bibel Kommentar in Latein von Nicolaus de Lyra, Venetiae 1 48 1 , pp. 266-292 (su Eb 8, 1 1 ); poi Tommaso d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. II, Ad Hebraeos 4 ! 0, p. 425 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

il tema « perdono », ma solo come rischiesta nella preghiera, nella professione di fede, nel ringraziamento e nella lode, non ancora quale dono di fatto, bene messia­ nico operante. Questa novità è ora l 'annunzio di Ebrei. Permane una certa difficoltà a valutare il peso di tanta novità. Ma si può certo dire che, ridimensionata la cesura mosaica del patto in Abramo (v. 1 3 ), l ' annunzio del perdono e della riconciliazio­ ne non può che essere il cuore di un nuovo patto, qualitativamente in grado di espri­ mere quel dono. Opera esclusiva della sovrana magnanimità di Dio, sollecitata dal­ la richiesta del suo popolo, quella novità diventa tangibile là dove l 'antico patto, ormai esausto, va cedendo il passo al nuovo. La expositio sulla questione l 'autore la propone in Eb 9, 1 -28; ma una pennellata finale manca ancora: il v. 1 3 . [v. 13] I l confronto dialettico « primo-nuovo » raggiunge ora un prezioso ri­ sultato: la prima alleanza (prote) lascia sempre più spazio alla nuova (kaine). Dio stesso ha dichiarato antica la prima; essa sta diventando antica e va invecchiando, aggiunge l 'autore, e se ne vedono i segni90; essa va cioè esaurendo il proprio po­ tenziale, e tende a scomparire, sfociando nella nuova che ha motivato e preparato. La prima alleanza, dunque, non muore, ma sopravvive, selezionata, nella nuova dalla quale riceve vitalità e viene migliorata. È una esigenza di Ger 38,3 1 -3491 : l 'ef­ ficacia del patto nuovo, scritto non su legno o pergamena in pelle, ma nel cuore, può ora avviare il popolo di Dio a diventare la perfetta assemblea del mondo futu­ ro (Eb 1 2,23 ), conquista e patrimonio dell 'unico mediatore ( 1 2,24 ). Questa spinta escatologica dà senso alla bilateralità storica già presente in Ger 38,3 1 -34 (LXX). Si può forse tentare di ricostruire così il processo di invecchiamento del primo patto: stabilito in Abramo, ha vissuto con Mosè la sua giovane età, a mo' di cesura tutoriale; con Davide e con i grandi profeti ha raggiunto la maturità. Dopo l 'esilio ba­ bilonese, quel patto antico ha cominciato a mostrare la propria imperfezione fmo a declinare; al tempo di Gesù il Messia questo processo senile ha avuto il suo segno più grave nella sclerosi della dominante corrente farisaica: chiamati a tramandare la va­ lidità del patto, i farisei si sono impantanati nella lettera del medesimo e hanno perso il contatto con Dio stesso, a svantaggio del destinatario di quel patto. La cesura mo­ saica nel patto in Abramo ha dovuto così prendere atto di aver esaurito le sue carte92• Il nuovo patto ha ripreso le maglie della promessa in Abramo, « nostro padre nella fe­ de » e, in Gesù « figlio di Abramo >> (Mt l , l ) e nuovo Mosè, pone il primo Mosè di fronte ai propri limiti. In Gesù, il discendente-discendenza (Gal 3, 1 9.29), il patto in Abramo riparte spedito. 90 È il senso indotto del pepa/aioken . I due verbi pa/aio6 e gerask6 (v. l 3b) sono sinonimi. La formula he palaia diatheke, attestata in 2Cor 3 , 1 4 e in Giustino, Dialogus cum Tryphone Judaeo 1 1 ,2 e 67,9. 1 0, non è nota a Ebrei. La si deduce tuttavia da 8, 1 3b grazie al valore sinonimico dei due verbi. Cfr. K. Backhaus, Hebr 8, 7-13: Die Aujhebung der ersten diatheke, in Id., Der neue Bund und die werdende Kirche, pp. 1 66- 1 67. 91 E anche di Ez 36,25-27. 92 Così C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. Il: Commentaire, p. 245 . La posizione di C. Spicq sul­ la sclerosi farisaica non trova oggi consenso da parte di ebrei aperti al NT come D. Flusser, Jesus, Morcelliana, Brescia 1 997; ancora prima S. Ben Chorin, Die Antwort des Jonas. Zum Gesta/twande/ lsraels, Reich, Hamburg 1 956, p. 99; M. Buber, Der Jude und sei n Judentum, Melzer, Koln 1 963; G. Sholem, Zum Verstiindnis der messianischen Idee, Suhrkamp, Frankfurt 1 963, p. 73; P. Lapide, Der Messias lsraels? Die Rheinische Synode und das Judentum, Neukirchener Verlag, Neukirchen­ VIuyn 1 980, p. 24 1 . Un contributo interlocutorio sulla questione è in N. Lohfink, L 'a/Jeanza mai re-

Sacerdozio nuovo e oh/azione: un patto migliore Eh 8, 1-13

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L'autore mostra saggezza e prudenza quando afferma che la prima alleanza (quella mosaica93, non quella in Abramo) « è vicina alla scomparsa » a motivo della sua debolezza (Eh 7, 1 8)94 che la rende obsoleta. Quel patto mosaico cioè è « prossimo a finire95 per chi crede nella morte redenti va del Cristo, che ha inau­ gurato la nuova. Ma per chi non crede, o non può credere in lui96, essa resta an­ cora una via che prepara alla salvezza da noi creduta, secondo la nostra visione teologica »97• Eh 8, 7- 1 3 è un punto del « trattato » che rende attuale il dialogo ebraico-cristiano contemporaneo. Eh 8, 1 -6.7- 1 3 è come una presa d'atto che Dio ha immesso nella storia del suo popolo il nuovo (kaine) patto su richiesta dell ' imperfezione del primo. Annunziato da Ger 38,3 1 98, quel patto è visto come « nuovo » in relazione tipologica ali 'antico (cfr. l Cor l O, 1 - 1 1 ). L'ermeneutica messianica dunque continua in una forma di cli­ max ascendens, che parte dalle interpretazioni profetiche ali ' interno di Israele, già capaci di intuire un destinatario più ampio: le nazioni, i popoli (Is I l , l O- l l ). La novocata. Riflessioni esegetiche per il dialogo tra cristiani ed ebrei, Queriniana, Brescia 1 99 l , e J. Moltmann, Jesus zwischen Christen und Juden, in Evangelische Theologie 55 ( 1 995) 49-63 . Rimando anche al mio contributo segnalato poco più avanti (nota 96). 93 Segnalata già altrove nei suoi studi, torna qui l 'annotazione al riguardo nel lavoro di A. Vanhoye, La feltre aux Hébreux. Jésus-Christ, médiateur, p. 1 86: « La nouvelle alliance dans le mystère pasca! de Jésus a "rendue ancienne" l 'alliance du Sinai; sa disparition est proche ». 94 E il senso di egghys naphanismou. 95 A. Vanhoye (La feltre aux Hébreux. Jésus-Christ, médiateur, pp. 1 86- 1 87) vede in Eb 8, 1 3 e in l 0,25 collegati dali 'uso i n comune del verbo egghizo: « Il giorno si avvicina )), i l chiaro presen­ timento di una catastrofe imminente: quella del l ' anno 70 d.C., con la presa di Gerusalemme e la di­ struzione del tempio. E conclude: ali ' epoca di Eb 8, 1 3 e di l 0,25 il tempio esiste ancora. Dunque la redazione di Ebrei va datata a prima del 70. Al riguardo, vedi qui la Sezione introduttiva, p. 37. 96 Così precisa M. Buber nella sua professione di fede ebraica, messa a punto dopo una con­ versazione con il neotestamentarista K.-L. Schmidt nel 1 933 nella sinagoga di Stuttgart: patto nuo­ vo in Gesù messia? Non appartiene al patrimonio (Vermogen) della nostra fede. Eppure S. Ben Chorin prende atto della cesura mosaica. Dunque, perché non quella in Gesù il Cristo? Sul proble­ ma, cfr. C. Marcheselli-Casale, Gesù di Nazareth, Messia di Israele? Verso un dialogo sempre più costrnttivo tra cristiani ed ebrei, in R. Fabris (ed.), « La Parola di Dio cresceva » (Atti I2. 24). FS C.M. Martini, pp. 52 1 -539, e più ampiamente in Id., Gesù di Nazareth. messia di Israele, o messia da Israele per Israele?, in G. Castello (ed.), Gesù di Nazareth e il dialogo ebraico-cristiano, Machiavelli-D'Auria, Napoli 1 999, pp. 4 1 -76. 97 Calibrata riflessione di N. Casalini (Agli Ebrei, pp. 252-253) in sintonia con l 'orientamento della riflessione esegetica e storico-teologica contemporanea. 98 È legittimo chiedersi quali circostanze abbiano portato Ger 38,3 1 -34 a inventare la formu­ la « patto nuovo )) (Toraverheissung); di certo, nel senso del rinnovamento del « patto antico )). Fanno pensare in questa direzione la scoperta del « libro della legge >> (2Re 23,35) e la riforma re­ ligiosa promossa da Giosia (anno 622 a.C.); patto antico rinnovato, dunque, nello spirito del Deuteronomio (riforma deuteronomica); la distruzione del tempio nel 596-586 a.C., condotta da Nabucodonosor, poi, spinge Geremia a esortare che si legga e studi la legge rinnovata = patto nuo­ vo in occasione di celebrazioni festive propiziatrici della ricostruzione del tempio e finalizzate, in particolare, a familiarizzarsi con la legge nuova (Erkenntnisverheissung). Allo scopo, quella « nuo­ va tora )) deve coinvolgere il « cuore )), cioè la persona, sostenuta dal dono del perdono incondizio­ nato (Vergebungsverheissung). Questa annotazione di equilibrata antropologia è presente in Geremia e integra bene il prevalente aspetto prescrittivo. Cfr. S. Lehne, The New Covenant in Hebrews, pp. 3034. Il movimento poetico del testo (trilogia riportata in corsivo) e la struttura letteraria del tipo a-b-c­ b' -a' favoriscono la comprensione della intentio auctoris nel senso indicato.

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Parte seconda. Traduzione e commento

vità semantica in Eb 8,7- 1 3 è nel confronto tra primo e nuovo patto. Quest'ultimo si riaggancia alla promessa in Abramo e al « discendente » (Gal 3 , 1 9.29) e solleva quello sinaitico dalle sue mansioni ( l 0,9)99: è giunto il « tempo della correzione » (9,8- 1 0, qui v. I Ob). La formulazione « patto nuovo » (8, 8b. l 3 ; 9, 1 5 ; anche 1 2,24) esprime un nuovo ordine salvifico, realizzazione qualitativamente migliore del do­ no della salvezza, in una presenza anticipata della dignità escatologica: nel sommo sacerdote Gesù, il fine della rivelazione di Dio incalza. Nonostante la parola « abo­ lizione, soppressione », favorita dal greco eggys nephanismou, ma contestualmen­ te poco felice, l 'autore si esprime in termini di continuità 100• Dal lato retorico, Eb 8, 1 -6.7- 1 3 attesta bene la strategia persuasiva dell 'auto­ re a favore di una o più comunità destinatarie, insicure e timorose, da rianimare. Emerge, infine, un valore ermeneutico: rapporto tra Scrittura e identità cri­ stiana. Quest 'ultima è descrivibile attraverso le promesse di Dio affidate alla Scrittura (in Abramo), data in custodia al suo popolo. Esse vanno lette in conti­ nuità con le promesse di salvezza precristiane. Dio non ha ricusato il suo popolo, non gli ha ritirato le promesse, trasferendole al popolo cristiano. Fatte a Israele, esse continuano ad appartenere a Israele, in attesa di ascolto e compimento; là do­ ve accolte e ascoltate, esse continuano a esprimersi nel nuovo volto giudeo-etni­ cocristiano del peregrinante popolo di Dio 101 • 99 È il senso attendibile di anairei. M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 676. 1 00 Cfr. E.E. Ellis, Biblica/ Interpretation in the NT Church, in Mulder M.J. - H. Sysling ( edd. ), Mikra. Text, Translation, Reading and Interpretation of the Hebrew Bible in Acient Judaism and Early Christianity, CRINT, Van Gorcum - Fortress Press, Assen-Maastricht - Philadelphia 1 988, p. 69 1 . Così anche K . Backhaus, Hebr 8, 7-/3: Die Aujhebung der ersten diathekè, in Id., Der neue Bund und die werdende Kirche, p. 1 80. Riprende la questione R. Daniels, How does the Church re­ late to the New Covenant? Or, Whose New Covenant is /t, anyway?, in F&M 1 6 ( 1 999) 64-98. Nel riportare Ger 38,3 1 -34, Eb 8,7- 1 3 ha una precisa intenzione: l 'alleanza di Dio con il suo popolo è continua; da Abramo a Cristo, attraverso la cesura mosaica, egli vuole portare a compimento le sue promesse. Nel! 'attuale epoca « millenaria »» (ma Ebrei non è un millenarista! ) quel compimento è già in corso e sarà perfetto con il ritorno di Cristo, re universalmente riconosciuto (Eb 9,28). 1 0 1 K. Backhaus (Hebr 8, 7-13: Die Aujhebung der ersten diathèkè, in Id., Der neue Bund und die werdende Kirche, pp. 1 80- 1 8 1 ) scrive sulla continuità della promessa (VerheifJungskontinuitiit). Eppure tende talom a sostenere la tesi dell 'abrogazione (Aujhebung), senza distiguere tm patto in Abmmo e ce­ sum tutoriale in Mosè. Procede in modo simile D.G. Peterson, The Prophecy ofthe New Covenant in the Argument of Hebrews, in RejTR 38 ( 1 979) 74-8 1 . Tomo a segnalare sulla questione la recente posizio­ ne assunta dalla Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana 4 1 , pp. 98-99: validità permanente del! 'alleanza-promessa di Dio in Abmmo e supemmento in Cristo dell 'alleanza-legge del Sinai. Da qui, i nn. 64-65: continuità, discontinuità, progressione; da Abmmo a Cristo con l 'ausilio della cesum (parentesi) mosaica. La Pontificia Commissione Biblica di­ rime la quaestio autorevolmente disputata da N. Lohfink (L'alleanza mai revocata) a favore dell'al­ leanza mosaica e da A. Vanhoye (Salvezza universale nel Cristo e validità del/ 'antica alleanza, in La Civiltà Cattolica 4 [ 1 994] 433-445), che a quell 'alleanza riconosce solo una validità tutoriale ormai espletata. Quest'ultima posizione (Pontificia Commissione Biblica - A. Vanhoye), anche da me tenuta, è di recente contestata da L. Nason, Punti fermi (o quasi). Una teshuvà delle chiese cristiane nei con­ fronti di Israele, in G. Bottoni - L. Nason (edd.), Secondo le Scritture. Chiese cristiane e popolo di Dio, EDB, Bologna 2002; cfr. ancom L. Nason, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cri­ stiana, in Sefer 1 04 (2003) 3-6; G. Borgonovo, Scrittura e berit in Es / 9-40, in Teologia 26 (200 1 ) 1 291 54. Per questi autori, anche la linea sinaitica conserverebbe la sua validità, nella linea di N. Lohfink, forse per l 'lsmele contemporaneo, bisognoso ancom di quella guida?

DALL'ANTICO AL NUOVO NELLA CONTINUITÀ Eb 9, 1 - 1 0, 1 8

L'imperfetto reclama perfezione

9 1 Certamente, anche la prima (alleanza) aveva norme di

culto e anche un santuario terreno. 2Fu costruita infatti la prima tenda, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell 'offerta: questa (tenda) era detta « santo » . 3Dietro il secondo velo poi vi era una tenda, (la seconda), detta « santo dei santi » 1 : 4aveva l 'altare d' oro per l ' incenso e l 'arca dell 'alleanza tut­ ta ricoperta d' oro, nella quale si trovavano un 'urna d' oro che conteneva la manna, la verga di Aronne che era fiorita e le tavo­ le dell 'alleanza. 5 Al di sopra di questa vi erano i cherubini della gloria, che coprivano con la loro ombra il propiziatorio. Di queste cose non è il caso di parlare ora dettagliatamente. 6Essendo dunque le cose così disposte, nella prima tenda en­ trano sempre i sacerdoti per compiervi il culto; 7nella seconda, invece, solamente il sommo sacerdote, una volta all 'anno, e non senza (portarvi del) sangue, che egli offre per se stesso e per i peccati involontari del popolo. 8Lo Spirito santo intendeva così mostrare che non era ancora aperta la via del santuario, mentre ancora sussiste la prima tenda. 9Essa è una figura per il tempo presente : vi si offrono doni e sacrifici incapaci di rendere perfetto, per quanto riguarda la co­ scienza, colui che presta il culto; 1 0esse sono solo norme umane sui cibi, sulle bevande e sulle diverse abluzioni, tutte prescrizioni che riguardano la carne, imposte fino al tempo in cui sarebbero state rettificate. 1 Oppure, « santissimo )).

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Parte seconda. Traduzione e commento

L'oh/azione che redime

1 1 Cristo invece, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, giunto (a Dio) attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano umana, cioè non di questa creazione, 12non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma mediante il suo propno sangue, è entrato una volta per tutte nel santuario, procurandoci una redenzione definitiva. 13Se infatti il sangue di capri e di tori e la cenere di una gio­ venca sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano per una purificazione del corpo, 14quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per rendere culto al Dio vivente ! Nuova alleanza e sangue di espiazione

1 5E anche per questo egli è mediatore di una nuova alleanza, perché, a causa della (sua) morte per la redenzione delle tra­ sgressioni commesse sotto la prima alleanza, i chiamati ricevano la promessa dell ' eredità eterna. 16Dove infatti c ' è una disposizione testamentaria, è necessa­ rio che sia accertata la morte del testatore. 1 7Una disposizione testamentaria infatti è basata sulla morte (del testatore ), non ha mai valore finché il testatore vive . 1 8Per questo neanche la prima alleanza fu inaugurata senza sangue. 19lnfatti, promulgata ogni prescrizione secondo la legge, a tutto il popolo, da parte di Mosè, questi, preso il sangue dei vitel­ li [e dei capri], con acqua, lana scarlatta e issòpo, asperse il libro stesso e tutto il popolo, 20dicendo : « Questo è il sangue dell ' alleanza che Dio ha sta­ bilito per voi ». 2 1 Asperse allo stesso modo con il sangue anche la tenda e tutti gli arredi liturgici. 22 È infatti nel sangue che quasi tutte le realtà si purificano secondo la legge, e senza spargimento di sangue non si ha remis­ sione.

Dali 'antico al nuovo nella continuità Eb 9, l

-

1 0, 18

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23Era dunque necessario che anche i simboli delle realtà ce­ lesti fossero purificati con tali mezzi, ma anche le realtà celesti stesse dovevano esserlo con sacri­ fici superiori a questi . « Una volta per sempre »

24Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mano umana, modello di quello vero, ma nel cielo stesso, per presentarsi « ora » al cospetto di Dio in nostro favore, 25e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui, 26poiché altrimenti avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Egli invece si è manifestato una volta sola, ora, nella pie­ nezza dei tempi, per l 'abolizione del peccato mediante il sacrifi­ cio di se stesso. 27E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, 28così anche Cristo, offerto una volta per tutte per toglier via i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l 'aspettano per la salvezza. Quel sacrificio perfetto ottiene salvezza eterna

l O 1 La legge infatti, la quale possiede solo un ' ombra dei be­

ni futuri e non la realtà stessa delle cose2, non può mai, per mez­ zo degli stessi sacrifici che si offrono in continuità di anno in an­ no, rendere perfetti coloro che si avvicinano (a Dio). 2Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal mo­ mento che quelli che praticano il culto, una volta purificati, non avrebbero più coscienza dei peccati? 2 Letteralmente: « . . . E non l 'immagine delle realtà )). EikOn è immagine nella quale si riflette la realtà. Si può essere in presenza di una endiadi : immagine delle realtà, per dire le realtà stesse. Questa lettura è favorita dal parallelo antitetico « ombra (skia) immagine (eiklm) )). -

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Parte seconda. Traduzione e commento

31nvece, proprio con quei sacrifici (si rinnova) il ricordo dei peccati, ogni anno. 4lnfatti è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati. 5Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice : « Tu non hai voluto sacrificio e offerta, un corpo invece mi hai preparato. 6Non hai gradito olocausti per il peccato. 7Allora ho detto : Ecco, sono venuto - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà ». 8Dopo aver detto prima: « Tu non hai voluto e non hai gradito sacrifici e offerte, olocausti per il peccato », cose tutte che sono offerte secondo la legge, 9allora aggiunse : « Ecco, io sono venuto per fare la tua volontà ». (Con ciò stesso) egli abolisce la prima cosa per stabilire la seconda3• 10Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell 'ablazione del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre. Non i molti sacerdoti ma l 'unico sacerdote

1 1 Mentre ogni sacerdote si presenta ogni giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici che non possono mai eliminare i peccati, 12egli, al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, per sempre, si è assiso alla destra di Dio, 13aspettando ormai che i suoi nemici siano posti a sgabello dei suoi piedi . 14lnfatti, con un 'unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. 15 Attesta per noi anche lo Spirito santo. Infatti, dopo aver detto: 16« Questa è l 'alleanza che io stipulerò con loro dopo quei giorni, 3 Cioè « abolisce il primo sistema sacrificale per stabilime uno nuovo >>.

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dice il Signore : Stabilendo le mie leggi4, nei loro cuori e nella loro mente le imprimerò », 1 7(dice): « E dei loro peccati (e) delle loro iniquità non mi ricorderò più )), 1 80ra, dove c ' è la remissione di queste cose, non c ' è più (bi­ sogno di) offerta per il peccato. Continuando ad addentrarci nel grosso blocco di Eb 5 , 1 1 - 1 0,39 (giurando per se stesso, Dio costituisce e insedia Gesù Cristo il Figlio quale unico vero sommo sacerdote. Più di Aronne e più di Melchisedek, egli celebra il sacrificio redentore nel suo sangue di espiazione e stipula così il patto nuovo), giungiamo ora al cuore del « punto capitale » (8, l ) : se i due patti sono in continuità, è anche vero che il nuovo è migliore del primo. In 9, 1 - 1 0, 1 8 l ' autore propone la sua esposizione in cinque argomentazioni, articolandole in una struttura chiastica: a) L'imperfetto reclama perfezione (l) b) Nel sangue di Cristo l 'oblazione che redime (Il) c) Nuova alleanza e sangue di espiazione. Morte del testatore (III) c') Anche il patto antico ha avuto bisogno di sangue espiatorio (III) b') « Una volta per sempre » (IV) a') L'oblazione perfetta ottiene salvezza eterna (V)

9, 1 - 1 0 9, 1 1 - 1 4 9, 1 5- 1 7 9, 1 8-23 9,24-28 1 0, 1 - 1 8.

Con richiami (analessi) a Eb 8 , 1 - 1 3 è possibile anche la seguente rilevazio­ ne chiastica del tipo « imperfetto - più perfetto »: a) 8,3-5 b) 8,6- 1 3 c) 9, 1 - 1 0 d) 1 0, 1 -4 e) 1 0, 1 1 t) 1 0, 1 5- 1 7

culto terrestre la nuova alleanza la prima tenda, opera umana sacrifici antichi i molti sacrifici imperfetti la testimonianza dello Spirito

4 Come già in Eb 8, l O anche qui il participio didous, a motivo della sua posizione parallela con il futuro epigrapso, potrebbe avere la funzione del tempo finito al futuro: « Stabilirò e imprimerò ». Preferisco tuttavia la traduzione su proposta, a motivo della seguente disposizione chiastica di tipo sintetico: a) didous nomous mou (dando, stabilendo le mie leggi) b) epi (nei loro cuori) b') epi (nella loro mente) a') epigrapso autous (le imprimerò). Come si vede, questa disposifio è diversa rispetto allo stesso testo riportato in Eb 8, l O, a ri­ prova del lavoro personale del l 'autore di Ebrei, già più volte rilevato, qui estetico e ritmico. La rile­ va bene A. Vanhoye, Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, p. 25.

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Parte seconda. Traduzione e commento

f) 1 0, 1 8 e') 1 0, 1 2- 1 4 d') l 0,5- 1 o c') 9, 1 1 - 1 4 b') 9, 1 5-22 a') 9,23-26

il perdono che redime l 'unico sacrificio perfetto il sacrificio nuovo: « Fare la tua volontà )) la tenda più perfetta, opera non umana il mediatore della nuova alleanza culto celeste.

Questo indubbio movimento simmetrico concentrico, mentre descrive una volta ancora le competenze stilistiche dell 'autore di Ebrei, conduce a scoprire in 9, l l : « Cristo invece (Christos de) », il cuore di Eb 8 , l - 1 0, 1 8 e, attendibilmen­ te, dell ' intero « trattato agli ebrei », da coordinare con Eb 1 2,2 ritenuto (cfr. ad lo­ cum) l 'apice di tutto il « trattato ». Siamo di fronte a una imponente e ben meditata composizione5 • Essa poggia su due solidi pilastri : la promessa di Dio che, giurando per se stesso, « costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per l ' eternità » (Eb 7 ,28); la decisione di Dio di voler ottenere lo scopo superando ogni intoppo e il rischio della pigrizia: inciderò la mia alleanza nel cuore e nella mente di ognuno (Eb 8,7- 1 3 Ger 3 8,3 1 -34) . Così preparata, l 'esposizione del punto capitale può avere ·il suo corso : evento nuovo in assoluto è la morte del sommo sacerdote Gesù il Cristo che, « una volta per tutte », offre se stesso in sacrificio perfetto; questo evento è in se stesso capa­ ce di redimere, risponde bene al progetto di salvezza da parte di Dio ( l O, 1 - 1 8) : « E dei loro peccati (e) delle loro iniquità non m i ricorderò più ». Come a dire : Ma che garanzia volete ancora per tenervi solidi nella fede? =

[9,1-10] Prima argomentazione: l 'imperfetto reclama perfezione. I doni e i sacrifici dell ' AT non avevano la forza di purificare la coscienza e la vita dell ' of­ ferente, ma solo di ricordargli le molteplici trasgressioni. Così conclude l 'autore in 9,8- 1 0. In precedenza, aveva descritto la celebrazione cruenta del sacrificio espiatorio, incapace di ottenere il perdono « con il sangue degli animali » (9,6-7). Ancora prima, l ' autore presenta gli arredi sacri e l ' evento liturgico del sacrificio (9, 1 -5). Il tutto per dire la superiorità del ministero di Cristo, mediatore. di un ' al­ leanza migliore perché migliori sono le promesse (8,6). [ vv. 1-5] L'autore propone una ricognizione del luogo e degli oggetti di cul­ to. È vero, ciò che è vecchio tende a scomparire (8, 1 3). Tuttavia, l ' Israele della « prima alleanza »6 aveva ricevuto norme per il culto, un sacerdozio e un santua­ rio terrestri (v. l ). Queste realtà denotano l 'anelito d'Israele alla purificazione e al perdono di ogni infedeltà. Già nella prima alleanza tutto questo rientrava nel progetto di Dio7• Allo scopo, Ebrei riprende il tema del tabernacolo e dei leviti che vi espletavano il servizio, già accostato in 8,2-5 . Si tratta del tabernacolo mo-

5 Fra le rilevazioni più recenti, cfr. G. Schunack, Der Hebriierbrief, pp. l 07- 1 08 e I 34. 6 He prole di Eb 9, I si riferisce a kainen di 8, 1 3 (alleanza nuova) con riferimento a 8,7: dialheke kaine, tema centrale nella citazione da Ger 38,3 I -34 (LXX): 8,8; 8,9(2x); 8, l O. Leggere he prole skene con silenzioso immotivato riferimento a 9,8 è fuori contesto e sintatticamente improbabile. 7 Si veda A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 1 37.

Dall 'antico al nuovo nella continuità Eb 9, l - l O, l 8

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saico, messo a punto secondo il modello mostrato da Dio a Mosè sul monte Sinai (8,5) e non del tempio salomonico ( l Re 6-8) ricalcato sul tabernacolo mosaico, e neppure del tempio erodiano. Per la descrizione del tabernacolo-santuario terreno8 Ebrei si appoggia a Es 25, l - 26, 1 4 (LXX) ed a Es 35,4 - 36,8 (LXX). Secondo Es 26,3 il tabernacolo-santuario è formato da una sola tenda (skene), divisa in due parti dal velo (katapetasma): il « santo » e il « santo dei santi )). Mentre menziona due tende che formano il taberna­ colo-santuario, la prima esterna (9,2.6.8) e la seconda interna (9,7), parla poi di una sola tenda: 8,5; 9,2 1 . Nella tenda esterna, la prima9 (v. 2), detta il « santo » (hagia) o « il luogo santo »10, vi erano degli oggetti sacri . La descrizione è essenziale, poco è il gusto per i particolari: il candelabro d'oro (he lychnia; menora) a sette bracci 1 1 con le luci alimentate a olio e che mai dovevano venire spente12• Quel candelabro doveva ri­ cordare agi ' israeliti i momenti salienti della loro storia religiosa: i sette giorni della creazione, espressivi della sapienza (sophia) di Dio visibile come la luce, perché il suo logos sapiente è luce. Esso sopravvive alla distruzione del tempio, nella quale so� no periti Aronne e i leviti. Quel logos è ora il sommo sacerdote dell 'universo13• Come forza centrale e coesiva dell 'universo, Dio è rappresentato nell 'oro di cui è fatta la lychnia-menora, un invito alle creature a lasciarsi malleare come l 'oro, secondo il progetto creatore di Dio14• La presenza delle tavole sinaitiche nel « santo dei santi )) richiama il binomio menora-torà Esso si sviluppa in epoca giudaico-rabbinica ed esprime il dono della tOra., luce di Dio. Se ne ha un'eco nel Sal 1 1 0, l 05 : « Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino )). Con « i pani della presenza )) (ho i artoi tes protheseos, Mc 2,26 e par.) Ebrei pensa ai pani de li ' offerta esprimendosi all ' inverso, prothesis ton arto n, letteral­ mente « presentazione dei pani, ispirandosi a 2Cor 1 3 , 1 1 . Si tratta di pani già esposti di fronte al volto di Dio luce e parola, sono i dodici pani collocati su una tavola d' oro puro in rappresentanza delle dodici tribù di Israele; venivano consu­ mati dai sacerdoti nella liturgia del sabato (vi si riferisce anche Mc 2,26) e così rinnovati (Es 25,30). Quei « pani dell 'offerta saranno sempre alla mia presenza » (Es 25 ,30), pani personali di JHWH. Come a dire: Il mio popolo (8, l O) si auto8 To hagion kosmikon, il santuario terrestre, cioè di questo mondo; letteralmente « cosmico ». L'autore risente di tradizioni giudaico-ellenistiche, secondo le quali il santuario mosaico e poi il tempio (salomonico prima ed erodiano poi), con tutte le ripartizioni ambientali e il culto, rappresentavano l 'or­ dinamento cosmico. « La terra è lo specchio del cielo », così pensavano i semiti. L'idea ha avuto una buo­ na risonanza anche nel mondo cristiano: « Tabemaculum hoc totius mundi tenet figuram », scrive Origene, In Exodum. Homilia 9,4: De tabemacu/o, in Origene, Homélies sur l 'Exode (M. Borret, ed.), (SC 32 1 ), Cerf, Paris 1 985, pp. 294-295; per Girolamo, Epistula ad Fabiolam 9, in PL 22,6 1 3, « totus mundus in tabemaculo describitur sacramento »; Gregorio di Nazianzo, Oratio 28 in PG 36,7 1 , ribadisce che « mosaicum illud tabemaculum mundi totius figuram et immaginem existisse docet Scriptura ». Cfr. ancora Gregorio di Nazianzo (P. Galleay - M. Jourjon, edd.), Discours 27-3 1 (SC 250), Cerf, Paris 1 978. 9 He prote. Se ne noti l 'uso ellittico: sta per he prote skene. 1 0 Ma la stessa formula è usata in Es 40,26 per il « santo dei santi ». 1 1 Cfr. Es 25,3 1 ; 37, 1 7-23 . 1 2 Cfr. Es 25,3 1 -39; 27,20-2 1 ; Lv 24, 1 -4. 1 3 Su immagine e vocabolario, cfr. E. R. Gooudenhough, Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, Pantheon Books, New York 1 954, vol. IV, p. 87. 14 Così Clemente d'Alessandria, Stromata 5,6. Cfr. E.R. Gooudenhough, Jewish Symbo/s, vol. IV, p. 86 e n. 1 1 2.

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comprenda come offerta a me gradita, in permanenza di fronte a me, di mia ap­ partenenza (8, 1 0; cfr. Rm 1 2,3 ; Tt 2, 1 4), popolo sacerdotale (Es 1 9,6a) 1 5 • Mentre la lychnia-menora rappresenta i l mondo di Dio e l a sua legge sapiente e luminosa, « la tavola (trapeza) d'oro puro » nel « santo » (hagia) e l 'altare degli in­ censi e dei profumi in hagia hagion rappresentano il mondo terreno in atto di ringra­ ziamento. La luce del candelabro cade sull 'altare e torna al candelabro e di nuovo sul­ l ' altare, una sorta di dialogo ininterrotto tra Dio e il mondo. I quattro corni de li ' altare, non menzionati, indicano i quattro elementi cosmici: aria, acqua, fuoco e vento, dun­ que il cosmo intero, anch'esso in atto di ringraziamento16• Tutta questa ricchezza di messaggio non è menzionata da Ebrei, ma lo sono i simboli che la contengono. La seconda tenda dietro il secondo velo del tabernacolo-santuario, quella in­ terna, è detta hagia hagiOn (« santo dei santi ))) 17 o il luogo santissimo 18 (v. 3). In base al vocabolario dei vv. 1 -3 si ha un santuario terreno (v. l ) costituito da una prima tenda, il « santo », e uno da una seconda tenda, il « santo dei santi )) . L'accesso alla seconda tenda avviene attraverso il secondo velo, che separa il « santo )) dal « santo dei santi )). Quel secondo velo lascia supporre un primo ve­ lo, posto ali ' ingresso della prima tenda, il « santo ))19• Il santuario terreno risulta da una sola tenda divisa in due parti o da due tende autonome? In base a Es 26, 1 1 4 e a 36,8- 1 9 (LXX) è da ritenere una tenda unica divisa in due parti, denomi­ nate prima e seconda tenda, proprio in corrispondenza della denominazione del­ l 'unico luogo sacro di Gerusalemme, il tempio: primo e secondo tempio20• Nel « santo dei santi » vi sono i seguenti oggetti sacri (v. 4): l 'altare dei pro­ fumi o degli incensi (Es 30, 1 - 1 0)2 1 • Thymiaterion22 è altare, ma anche turibolo, 1 5 La possibilità di riferire la formula: « La quale era chiamata » (hetis legetai hagia) non tanto a « la prima tenda » (he pr6te skene) ma a « i pani della presenza » (he prothesis ton arton), è sostenuta da J. Swetnam (Hebrews 9,2: Some Suggestions about Text and Context, in Melita Theologica 5 1 [2000] 1 63- 1 85) con analisi testuale e contestuale del v. 2. Il « santo » (hagia) non sarebbe in questo caso « la pri­ ma tenda », ma « i pani della presenza », anticipazione umbratile del « santo pane eucaristico » e « il san­ to dei santi » del v. 3, il nuovo santo dei santi, il tempio cristiano. Che questa linea eucaristica possa gio­ care il suo ruolo nella mente dell 'autore è stimolante poter! o apprendere attraverso gli studi di J. Swetnam, il quale si lascia sostenere dalle lezioni varianti del testo greco e latino (lbid. 72- 1 73). Se è tuttavia poco probabile che questa sia la intentio prima di Ebrei, è attendibile che ne sia the secondary meaning (lbid. 1 72) con funzione enfatica. Così già H. W. Attridge, The Epistle to the Hebrews, p. 230. 16 Si veda E. R. Gooudenhough, Jewish Symbols, vol. IV, p. 86. 1 7 In Eb 9, 1 -3 ricorrono: to hagion nel senso di santuario nel suo insieme (9, l ); poi hagia e hagia hagion. Si tratta di due aggettivi plurali neutri sostantivati: il « santo » (9,2) e il « santo dei santi » (9,3). 1 8 In Es 40,26 il « santo dei santi >> è detto « luogo santo ». 1 9 Si può ritenere che Eb 9,3 si riferisca qui a Joma ' 5, l (Rabbi Yose) su Es 26,33. Anche Filone di Alessandria (De vita Mosis 2, l O l ) conosce i due veli e fornisce il nome solo di quello in­ temo: katapetasma. 2° Così attesta G. Flavio, Guerra giudaica 5, 1 84. 1 86. 1 93 . 1 94. 1 95 . Cfr. N. Casalini, Agli Ebrei, p. 256 e nota 1 77. 21 In epoca greco-romana l 'offerta dell ' incenso è intesa come forma di sacrificio nel tempio. La nuvola che si forma è interpretata come protezione da parte di Dio, come preghiera che sale a Dio, ma anche come la stessa S'kina di Dio, forse in fusione con Lv 1 6,2b: Mosè deve informare Aronne suo fratello da parte di Dio di non entrare nel tempio in qualunque tempo; potrebbe incon­ trarvi Dio stesso, quando egli appare nella nuvola sul coperchio (propiziatorio, hilasterion): in quel caso morirebbe. Così E.R. Goodenhough, Jewish Symbols, vol. IV, pp. 1 98- 1 99. 22 Il codice Vaticano (B, secolo IV) attesta la parola thymiaterion in Eb 9,2 e nel « santo » (ha­ gia) . Anche Filone di Alessandria e G. Flavio pongono il thymiaterion nell 'hagia. Il suo trasferi-

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incensiere23• Fondendo i due significati, si ha « altare degli incensi », tesi ampia­ mente sostenuta anche in base a motivi contestuali24• L'altare degli incensi (o dei profumi) era di legno di acacia con il piano rivestito d' oro25, situato di fronte al velo26, che �asconde l 'arca dell ' alleanza o della testimonianza (v. 6)27• Secondo Es 30,7-8, su questo altare Aronne brucerà l ' incenso aromatico, ogni mattina, quando riordinerà le lampade (non menzionate da Ebrei) e anche al tramonto, quando riempirà di nuovo le lampade : incenso perenne davanti al Signore. Secondo Es 30, 1 0, su questo stesso altare il sommo sacerdote Aronne (vv. 78. 1 0a), consacrato da Dio, lui e i suoi figli (Es 29,43), celebrerà il rito di espia­ zione una sola volta l ' anno, nel giorno dell ' espiazione, ne aspergerà i corni con il sangue del sacrificio per il peccato. Ma dove si trova questo altare al quale Aronne accede due volte al giorno per predisporre lampade e incenso aromatico e una sola volta l ' anno per il grande rito espiatorio? Esso è posto di fronte al ve­ lo che nasconde l 'arca della testimonianza. Si tratta del secondo velo, che im­ mette nel « santo dei santi » (nel qual caso l 'altare in questione si troverebbe nel « santo ») o si tratta di un velo apposito (un terzo velo), che nasconde solo l ' arca dell ' alleanza e di fronte al quale è situato l 'altare dei profumi? In questo caso, si troverebbero entrambi, altare dei profumi e arca dell 'alleanza, nel « santo dei santi », divisi da un velo intermedio (diverso dal primo e dal secondo). Si avver­ te lo stridìo: Aronne entrerebbe nel « santo dei santi » due volte al giorno e non più soltanto una volta l ' anno. A Ebrei è noto che l 'altare dei profumi è nel « santo », ove due volte al gior­ no Aronne provvede all 'offerta degli incensi e alle lampade; esso è trasferito nel « santo dei santi » solo in occasione dello Jom KippDr per la celebrazione annua­ le da parte del solo sommo sacerdote, secondo quanto potrebbe lasciare intuire Es

mento da Eb 9,2 (« santo ») a Eb 9,4 (« santo dei santi ») è forse un tentativo di armonizzazione con Es 30,6b: « Porrai l ' altare di fronte al coperchio (kapparet) che è sopra la testimonianza », dunque nel « santo dei santi », in verità in contrasto con Es 30,6a: « Porrai l 'altare davanti al velo che na­ sconde l ' arca della testimonianza », dunque nel « santo ». 2 3 Oppure thysiaterion thymiamatos? Così la LXX per l 'altare degli incensi, la quale rende da vicino l 'ebraico mizbeaiJ miq{iir. Si rileva un qualcosa di indeterminato. 24 Propone la traduzione « incensiere d'oro » F. Di Giovambattista, Eb 9, 2-5: la Tenda del Convegno nel giorno dell 'Espiazione. La crux interpretum di chrysofin thymiaterion (9, 4), in RTL 4 ( 1 999) 29-52. Ma cfr. A. lto, Concerning the thymiatherion (Heb 9,4), in Exegetica I O ( 1 999) 1 49- 1 65. 2 5 Così in Es 30, 1 -3 ; ma per Eb 9,4 l 'altare è tutto d'oro: chrysoun . . . thymiaterion. 26 Nel « luogo santo », cioè nel hagia, secondo Es 30, 1 .6a; 40,5 .26. Anche per l Re 6,2 1 -22 l 'altare per l ' incenso nel tempio salomonico è posto di fronte al « santo dei santi », cioè nel « santo », davanti al velo che separava il > di propria iniziativa, onde ottenere una unità di luogo sacro. Altre libertà redazionali di Eb 9, 1 9 sosterrebbero al riguar­ do. Il participio echousa in Eb 9,4 non ha dunque il solo scopo di localizzare l 'al­ tare, ma anche di esprimere la connessione tra l 'altare degli incensi e il « santo dei santi >>. Pur volendo trascurare i dettagli (v. 5b), Ebrei ne evoca più di uno (v. 4) e predispone magistralmente quel materiale che gli servirà per presentare Gesù, nel nuovo « santo dei santi », il cui accesso sarà libero per ogni credente29• L'arca dell 'alleanza30, l 'oggetto più sacro a ogni pio ebreo; posta nel « santo dei santi, misurava quattro piedi di lunghezza, quattro e mezzo di larghezza, due e mezzo di altezza3 1 , era costruita con legno di acacia (Es 25, l 0), custodita dietro a un velo, di fronte al quale era posizionato l 'altare dei profumi; era « tutta rico­ perta d'oro ». Neli ' arca vi era >. La discussione sul patto, lungi dall 'essere una intrusione irrilevante, fa par­ te integrante di Eb 9. La prima tenda (prote skene) abbraccia tutto il primo patto con il relativo ordinamento cultuale quotidiano e annuale che vi aveva luogo. Il tempo presente (v. 9) è infatti quello del primo patto, caratterizzato da « doni e sa­ crifici » offerti sotto la prima tenda 53, per sé impotenti (me dynamenai) a purifi­ care la coscienza-consapevolezza54 del pio orante e offerente (latreuonta, 9,9, in grande inclusione con latreias, 9, 1 ; valenza sacerdotale dell 'offerente ! ), fino a renderla perfetta (teleiOsai) alla presenza di Dio. Questa struttura trova un corri­ spondente linguaggio in 5, 1 e in 1 0, 1 -3, dove si ha la descrizione del culto ritua­ le annuale da parte del sommo sacerdote, il cui unico rattristante effetto è quello di ricordare di anno in anno la quantità di peccati commessi ( 1 0,3), cioè le mol­ teplici trasgressioni circa « cibi, bevande e abluzioni » (v. 1 0). Non è più così nel nuovo patto, avendo il nuovo sommo sacerdote compiuto un 'offerta redentiva nella sua stessa persona (cfr. 7 ,27): sacerdozio antico e nuovo; sacrificio antico e nuovo; culto antico e nuovo; dunque primo patto e nuovo55• Il criterio di questa ermeneutica tipologica è stabilito dal v. 9 e dali 'aggan­ cio a Eb l O, 1 9-20: la prima tenda è figura (parabole), è tipo di ciò che è accadu­ to e sta accadendo nel tempo attuale e che ognuno può sperimentare (v. 9): i fatti del Golgota e della tomba vuota (antitipo). Decisivo per questa interpretazione è l O, 1 9-20: Gesù entra nel santuario, che è il nuovo « santo dei santi », in forza del proprio sangue, attraversando il velo del suo corpo, cioè la sua carne mortale in­ chiodata sulla croce. È coinvolta qui tutta la vita del Gesù terreno. Egli inaugura una strada nuova e definitiva, sempre percorribile. È la novità in assoluto: l 'ab­ battimento della tenda che ci separava da Dio.

53 Hetis (= he) . . . kath 'hen. Sulla base di comportamenti grammaticali e sintattici analoghi da parte dell'autore, in Eb 2,3; 8,6; 9,2; l 0,9. 1 1 .35 e 1 2,5 cresce l 'orientamento a riferire i due relativi a tes pròtes skenes di 9,6a.8b e non a parabole di 9,9a. Forse, una crnx interpretum in meno. Status quaestionis in N.H. Young, The Gospel according to Hebrews 9, in NTS 27 ( 1 98 1 ) 20 1 . In forza dei vv. 9b- 1 0, poi, l 'autore associa la prima tenda con elementi cultuali della prima alleanza (diatheke), ma non li identifica. La variante kath 'hon ( lY) da riferire a « secondo il tempo presente » (kairos) in quanto kath 'hen potrebbe essere attendibile attrazione del relativo hetis, è poco probabile. Il senso, tuttavia, non varierebbe di molto. 54 Syneidesis ricorre 5 volte in Ebrei, ma non nel senso di guida etica nella vita di una persona. Di esse, ben 4 volte ai capp. 9- 1 0 (Eb 9,9. 1 4 e 1 0,2.22; la quinta in 1 3 , 1 8). 55 Cfr. N.H. Young, The Gospel according to Hebrews 9, in NTS 27 ( 1 98 1 ) 20 1 -202.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Coscienza (syneidesis, v. 9b) è argomento centrale in Eb 9,8 - 1 0,22. Per l 'antropologia filosofica ellenistica, essa è giudice56, è severa accusatrice57, è pendolo, quasi ago della bilancia che spinge a ponderate scelte58; è anche testi­ mone e garante del rispetto della legge di Dio. La coscienza non va violata; ces­ serebbe di rendere il proprio prezioso servizio. Questo senso tipico nel pensiero ellenista non è seguito da Ebrei. La co­ scienza non è strumento etico della vita di una persona; è invece quella piena con­ sapevolezza che in Gesù Cristo è giunta la novità del patto, dell 'oblazione reden­ tiva, del sacerdozio eterno: egli ha avviato la fase del compimento. Così, in 9,9b coscienza è consapevolezza che « cibi, bevande e abluzioni varie » (9, l O) sono solo prescrizioni umane del tutto incapaci di purificare e perfezionare alla radice il rapporto dell ' essere umano con Dio; esse sono da cambiare (9, 1 0); in 9, 1 3- 1 4 essa è consapevolezza che l ' oblazione redentiva di Cristo purifica i n radice la persona rendendo la atta al servizio del Dio vivente, cosa del tutto impossibile per i sacrifici cruenti di capri e vitelli. Essi hanno una sola capacità: ricordare per­ manentemente le trasgressioni compiute, « opere di morte )) (9, 1 4) nei confronti di una legge inadempiuta; in l 0,2 coscienza è consapevolezza delle proprie tra­ sgressioni; in l 0,22 lo è di purificazione, di spinta a entrare alla presenza del Dio vivente, a rimuovere la barriera del male, a porsi nella sua sequela, a operare al suo servizio. L' oblazione redenti va e sacerdotale di Cristo ha reso ciò possibile, per sempre. Una coscienza colpevole impedisce il rapporto con Dio, costringe al­ l ' impotenza l 'azione redentiva di Cristo59• E siamo al v. l O. Il primo patto, rappresentato dal tabernacolo-santuario ter­ reno, opera delle mani umane, ha due debolezze: ha creato una barriera tra Dio e l 'uomo (v. 8); i doni e i sacrifici in esso offerti non erano in grado di purificare la coscienza di nessuno (v. 9). Si tratta infatti « solo di norme umane )), di prescri­ zioni non in grado di coinvolgere il cuore: cibi (bromasin) e bevande (pomasin)6°, con riferimento a quelle parti dei sacrifici che venivano consumate anche dai fe­ deli e alle bevande che accompagnavano quelle consumazioni6 1 ; le abluzioni poi (diaphorois baptismois) sono i riti di purificazione previsti dal cerimoniale di preparazione, specialmente per i sacerdoti62, ma non solo per essi, stando alle pre­ scrizioni giudaiche che richiedevano abluzioni a tutti i fedeli. Essi infatti poteva­ no essere incorsi in cibi impuri63 o in vini di provenienza etnica (Dn 1 ,8. 1 2). Ne

56 Filone di Alessandria (De opificio mundi 1 28) descrive la coscienza (syneidesis) come il giudice interiore che guida ad approvare, disapprovare, ammonire, suggerire. 57 Cfr. Id., Deus immutabi/is 1 28. 5 8 Cfr. Id., In Flaccum 7. 59 Cfr. G.S. Selby, The Meaning and Function of syneidesis in Hebrews 9 and I O, in Restoration Quarterly 28 ( 1 985- 1 986) 1 46- 1 48 e 1 52- 1 54. 60 Cfr. Lv 1 0, 1 2- 1 5 (cibi) e Lv 1 0,9 (bevande). 61 Singolare comportamento di Ebrei: broma è improprio rispetto alla tradizione sacrificate le­ viti ca e poma lo è rispetto ali 'usuale sponde della LXX (N m 1 5,5. 7. 1 O; 28, 7- l 0). 62 Cfr. Lv 1 4,7; 1 5,5; Nm 1 9, 1 7-22 e anche Mc 7, 1 4-23. 63 Cfr. Lettera di Aristea 1 28, 1 42, 1 58, 1 62; Leitera a Diogneto 4, l ; G. Flavio, Antichità giu­ daiche 4. 1 3 7.

Dali 'antico al nuovo nella continuità Eb 9, l

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risente Mc 7 ,4. Più avanti, Eh 1 3 ,9b- 1 0 esorta i destinatari a prendere le distanze da simile culto; si lavori invece alla fedeltà verso Dio che ha posto nel cuore di ognuno il suo dono (charis), e non si ripongano le proprie attese nell ' osservanza di prescrizioni rituali su cibi, bevande e simili, difettose e impotenti a dare re­ denzione64. Ciò che è tipico degli adoratori della tenda, è praticato nella prima tenda e secondo le disposizioni cultuali in essa previste, certo utili, eppure ineffi­ caci; lo esprime bene la magna inclusio di « ordinamenti-prescrizioni (dikaiOma­ ta) » in 9, l . l 0: un momento dell 'argomentazione che l ' autore chiarisce in termi­ ni di inefficacia, valutando al negativo quegli « ordinamenti di culto >> del v. l , che diventano prescrizioni « carnali » al v. l O a motivo della loro debolezza e transitori età, caratteristiche della « carne » legata alla morte (2, 1 4; 5, 7), espres­ sione dell ' esistenza umana transitoria, se confrontata con la vita consapevole del­ la coscienza (9 ,9- 1 O; già 7, 1 6) . Quelle prescrizioni carnali andavano osservate fi­ no al « tempo della rettifica » (kairos diorthoseos, v. l Ob). Quando? Al tempo di Gesù, nella sua prima venuta?65• O in occasione della sua seconda venuta, (9,28) che per l 0,25b.37 sembra essere imminente?66• In altri termini, Dio conduce la rettifica attraverso il Gesù storico o il Cristo escatologico? La formula è apocalittico-escatologica: annunzia un valore futuro, eppure immediato, in grado di congedare un valore antico, dai risultati limitati . Ma ha anche un valore messianico. L' immediatezza di quel valore futuro infatti è nella persona stessa del Gesù storico e nella sua vita hyper. . . (Mc l 0,45). Già i profeti avevano cominciato a insistere sulla purificazione del cuore67• Essi preparano l ' insegnamento di Gesù (M t 1 5 , l 0-20): egli libera i suoi da prescrizioni divenu­ te ormai solo materiali e senza forza (Mt 23 ,24-26) e, in particolare, imposte, dunque non valide in sé ma solo legalmente, perché stabilite dal legislatore (ka­ teskeuazo, Eb 9,2.6). La disposizione chiastica di kateskeuazo in 9,2.6 è un altro momento dell 'argomentazione : a quelle istituzioni inefficaci in sé dovevano su­ bentrarne di nuove ed efficaci. Ciò sarebbe accaduto ai giorni del Messia, ai qua­ li il v. l O si richiama68• Questa prima argomentazione risulta ora strutturata in tre momenti chiastici : quelle prescrizioni (dikaiometa, 9, 1 . 1 0) sono state stabilite (kataskeuazo, 9,2.6) per dare contenuto e norma al culto (latreia, 9, 1 .6.9) del pio offerente. Ed eccone il risultato: il risanamento (teleiosis, v. 9) della coscienza­ consapevolezza (syneidesis, 9,9b) che quel culto antico non ha mai potuto otte­ nere. Eh 9,6- 1 0: due sistemi-economie a confronto; il primo, mosaico; il secon­ do, cristiano. Quel confronto sarebbe accaduto nei giorni del Messia; è quanto l 'autore si prepara a spiegare. 64 Epikeimena, participio sostantivato (epikeimai). Esprime imposizione, dunque un fardello di prescrizioni imposte-disposte. Da tale imposizione-disposizione esse traggono la loro validità giuri­ dica. Ma non hanno efficacia. « Imposte-disposte » è preferibile a « valide ». 65 Così ad esempio R.L. Omanson, A Superior Covenant: Hebrews 8, 1-10, 1 8, in Review and Expositor 82/3 ( 1 985) 36 1 -373. 66 Come, ad esempio, N. Casalini, Agli Ebrei, p. 262. 67 Si leggano: Is 1 , 1 6; Ger 33,8; Ez 36,25-27; Sal 50, 1 2 . 68 Cfr. J.P. Michaud, « Parabole» dans l 'épitre aux Hébreux et typologie, in Sémiotique et Bible 46 ( 1 987) 24.

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Parte seconda. Traduzione e commento

[9,1 1-14] Seconda argomentazione: nel sangue di Cristo l 'oblazione che re­ dime. La piccola unità letteraria si impone per la sua struttura: il v. I l sta al v. 1 3 come il v. 1 2 al v. 14. È l ' argomento rabbinico a fortiori (qal wii}Jomer), affidato a una struttura concentrica in 9, 1 1 - 1 2 e a una parallela in 9, 1 3 - 1 469• Il v. 1 2a sta al culmine di un climax retorico. Così : v. 1 2a V.

v. v. v. v. v. v.

Jl 12b 13 12c 14a-c 1 2d 14d-e

Cristo è entrato nel santuario, una volta per sempre: immagine centrale in Ebrei (?) attraverso una tenda più perfetta (prepara il v. 1 2a) non con sangue di animali sangue di animali e cenere di una giovenca (amplia il v. 1 2b) in virtù del proprio sangue in virtù di uno Spirito eterno (amplia il v. 1 2c) ottiene redenzione definitiva purifica onde servire il Dio vivente (amplia il v. 12d).

Sono posti a confronto il Cristo sommo sacerdote e i sacerdoti della prima alleanza, il « santo >> e il « santo dei santi », la provvisorietà del primo patto e la definitività del nuovo. Ma veniamo al dettaglio. [v. 1 1 ] Christos de ( « Cristo invece ») , soggetto della proposizione principale, « è entrato una volta per sempre nel santuario . . . in forza del suo proprio sangue » (9, 1 2); soggetto voluto dalla proposizione subordinata: « Venuto come sommo sacerdote . . . » (paragenomenos, apparso, 9, 1 1 ). Che Eh 9, 1 1 sia il centro di tutto il « trattato »? « Ali 'inizio del v. 1 1 troviamo il nome di Cristo, solennemente proclamato, nella sua qualità di sommo sacerdote escatologico. In 9, 1 1 - 1 2 si ha la descrizione della sua azione redentiva nei suoi aspetti essenziali. Tutta la struttura di Ebrei si articola attor­ no a questo punto decisivo: momento chiave delle suddivisioni centrali (7, l -28; 8, l 9,28; 10, 1 - 1 8), della sezione centrale (8, 1 - 9,28), nella parte centrale (5, 1 1 - 1 0,39), con preambolo esortativo in 5, l l - 6,20 e conclusione esortativa in 1 0, 1 9-39 »70. Cristo è sommo sacerdote a servizio di beni futuri (ton mellonton agathon) o di beni già realizzati (genomenon agathon)? Le due letture sono entrambe possi­ bili71 . La prima è in sintonia letteraria con Eh l O, l ; la seconda lo è maggiormente con il pensiero dell ' autore che vede in Gesù Cristo colui che ha già stabilito la nuova alleanza. Questa è l ' insieme dei beni venuti con lui : la riconciliazione e la pace definitiva con Dio, la purificazione della coscienza non dal peccato ma dalla radice del male che espone al peccato, la pace fra gli uomini, la redenzione sono 69 La rileva S. Bénétreau (La mort de Jésus et le sacrifice dans l 'Épitre aux Hébreux, in Foi et Vie 95,4 [ 1 996] 33-45), riportandosi ad A. Vanhoye, Esprit éternel et feu du sacrifice en Hébreux 9, 14, in Biblica 64 ( 1 983) 263-274. 7° Così A. Vanhoye, Struttura e teologia nella epistola agli Ebrei, vol. I, PIB, Roma 1 983, p. 87. Per altri, centro di Eb è 1 2,2. Vedi ad locum. Ma in uno scritto così ampio e dettagliato, è dav­ vero un' impresa stabilire il versetto centrale! 7 1 Si ha qui un problema di critica testuale: genomenon agathon, « beni già venuti, già presenti, già realizzati », in lui, con la sua venuta. Così l 'autorevole codice Vaticano (B) e il p46_ È possibile anche la le­ zione mellonton agathon attestata dal codice Alessandrino (A). La formula ha un valore descrittivo e non temporale: si tratta comunque « . . . di beni futuri » già presenti. L'opzione per l ' una o l 'altra lezione non cambia il senso. Qui è seguita la lezione mellonton agath6n. Ma si veda N. Casalini, Agli Ebrei, p. 265 .

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ora beni disponibili nell 'azione redentiva unica e irripetibile celebrata da Cristo e offerta al Padre, nel santuario celeste, da eterno « sommo sacerdote » (5,9; 6,202 1 ). Di tutto questo è anticipazione simbolica l ' ingresso del sommo sacerdote aro­ nitico, una volta l 'anno, nel « santo dei santi >> terrestre. « Non costruita da mano di uomo >>; lo è invece la tenda terrestre. Con chei­ ropoietos è connesso il più delle volte nel Primo Testamento un senso peggiora­ tivo72. E anche l 'apocalittica in epoca giudaico-ellenistica conosce il motivo73 • E in epoca cristiana, fin dalle origini74• Nel NT il termine è applicato a istituzioni giudaiche del patto antico75• In At 1 7,24 è usato in riferimento a templi pagani, non degni dell ' abitazione del Dio creatore, uno e unico. Filone di Alessandria ne fa uso per indicare il tempio giudaico, ben poca cosa rispetto al tempio cosmico che solo può in qualche modo dare l ' idea dell 'ospitabilità di Dio76• Platone ha una significativa connotazione: cheiropoietos esprime l ' inferiorità della realtà che è ben minima cosa in relazione al valore che rappresenta77• La testimonianza giudaico-palestinese è anch 'essa sensibile ali ' argomento che combina con i motivi della gloria e del sacerdozio. Spiega 'A bot Rabbi Natan 3 7 su Es 1 5 , 1 7 che il santuario celeste, costruito dalle mani di Dio, si trova di fron­ te al trono della gloria78; « nella parte più elevata dei cieli abita la grande gloria79, nel "santo dei santi" , superiore a ogni santità >>, con allusione al Sal 23,7- 1 0: JHWH fa il suo ingresso nel santuario e prende dimora nel « santo dei santi >>80, opera del­ le sue mani. Per b.lfagiga 1 2b Gerusalemme, il santuario e l 'altare si trovano al quarto cielo; là è « Michele . . . (che) offre sull 'altare un sacrificio »81 ; Testamento di Levi (5, 1 -2) propone: « L'angelo mi aprì le porte del cielo. Io (Levi) vidi il tempio santo e sul trono la gloria dell 'Altissimo. Mi disse: "Levi, a te ho dato le benedi­ zioni del sacerdozio, fino al mio ritorno, quando abiterò fra voi "»82• Oltre al già menzionato Filone83, bisogna ritenere che queste speculazioni fossero ben note a Ebrei. Quanto ne sia dipendente, resta da appurare84• Egli ne 72 Lo si riscontra, ad esempio, in Lv 26, 1 : « Non vi farete idoli . . . »; in ls 3 1 ,7: « . . . Idoli di ar­ gento e oro, fatti dalle mani peccatrici de li 'uomo »; in Is 46,6: « . . . Pagano un orefice perché faccia un dio ». Il senso peggiorativo va da sé. 73 Oracoli Sibillini 3 ,606 (« . . . Hanno onorato idol i essi stessi mortali ») e 8,224 (« Uomini getteranno via i loro idoli . . . »). 74 Risonanze in Lattanzio, Divinae institutiones 7, 1 9,9. 75 Si leggano: Mc 1 4,58; At 7,48; Ef 2, l l b. Anche qui il senso peggiorativo va da sé. 76 Cfr. Filone di Alessandria, De vita Mosis 2,88. 77 Platone, Repubblica 3 ,405A. 78 Testo in KNTTM.SB, vol. III, p. 70 1 . 79 Cfr. Testamento di Levi 3,4. « Grande gloria » è il nome preferito dai circoli apocalittici per indicare Dio: JEnoch 1 4, 1 9; 1 02,3. Titoli simili in JEnoch 25,3.7; 47,3 (Is 6). 80 Tale traduzione tiene conto del Testamento di Levi 3,4. 81 La funzione sacerdotale di Michele in qualità di « messaggero » è ventilata già in l l QMe/eh. Così L. Moraldi (ed.), I manoscritti di Qumran, TEA, Milano 1 994, p. 580, nota 1 8. Ma Ebrei non ne risente affatto. 82 In Testamento di Levi 5,2b si ha una interpretazione cristologica di Dio, evidente interpola­ zione cristiana. 8 3 Si vedano Filone di Alessandria, De vita Mosis 2,74.76 su Es 25,40 e Quaestiones in Exodum 25,40 (sulla sagoma hypodeigma del tempio). 84 Cfr. F. Laub, « Ein for a/lemal hineingegangen in das Allerheiligste >> (Hebr 9, 12). Zum Verstiindnis des Kreuzestodes im Hebriierbrief, in BZ 35 ( 1 99 1 ) 72-73. -

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Parte seconda. Traduzione e commento

dispone comunque e lavora con strumenti differenziati : filosofico-ellenistici e rabbinici, a riprova, forse, che i suoi destinatari sono etnico- e giudeocristiani. A tutti propone il nuovo orientamento gesuologico-cristologico. « Venuto attraverso » favorisce l ' interpretazione cosmologica in quanto l 'autore divide il mondo celeste in due parti, corrispondenti alle due tende del ta­ bernacolo-santuario. Cristo (il Risorto) passa attraverso le regioni celesti (Eb 4, 1 4) e raggiunge il « santo dei santi », il santuario non fatto da mani d 'uomo, cioè la sekfna di Dio ( 1 ,3 ; 8 , 1 ; 9,24). Questa « tenda-santuario celeste » resta il luogo della presenza-abitazione di Dio e del culto a lui dovuto. Da questa tenda celeste, cui appartiene da sempre, il Figlio è venuto nella storia umana portando con sé « i beni futuri »; ora, da sommo sacerdote e liturgo, (ri-)entra nel tempio celeste, che è il cielo stesso (9,24), ove continua la sua celebrazione redentiva85 perché quei « beni futuri » diventino patrimonio definitivo dei suoi. Con riferimento a Eb 8,2 si deve ritenere che il santuario, la tenda vera, non costruita da mano d'uomo, è appunto la « tenda più grande86 e più perfetta » di 9, 1 1 grazie anche al parallelismo antitetico con 9, l : la prima tenda, il santuario terreno. Quella « tenda più grande e più perfetta » è il « santo dei santi », il cielo stesso (9,24); Gesù vi entra « attraverso >> (dia), preposizione che descrive le mo­ dalità dell ' ingresso. Quella è la « tenda più grande e più perfetta » (dia tes meizo­ nos kai teleioteras skenes) perché in essa il sommo sacerdote unico e vero conti­ nua a celebrare il sacrificio redentivo che purifica la coscienza dalla radice del male e rende l 'accesso a Dio libero e sempre possibile87• Quasi a dire: un Dio a nostra disposizione, in attesa di esprimerci la sua costruttiva misericordia. Questa la liberante catechesi dell ' autore ai suoi destinatari . E questo avviene grazie al sommo sacerdote Gesù, un aspetto specifico del suo profilo messianico88• Retrofondo: la liturgia dello Jom KippDr nei suoi migliori impulsi. La « tenda più grande e più perfetta » riceve la giusta spiegazione dal conte­ sto figurativo cui appartiene; essa rappresenta il santuario del cielo, è cioè il cor­ rispondente del santuario cosmico (9, l ), il quale, insieme con il sangue (9, 7), fa parte integrante della liturgia del giorno dell 'espiazione di cui l ' autore si serve per rappresentare il valore salvifico della morte del Cristo e per mostrare che gra­ zie a essa sono diventate realtà le attese di purificazione, di santificazione e di perfetta comunione con Dio89• Continuità dunque e non rottura, tra le promesse e 85 Sulla storia de l i ' interpretazione cosmologica, cfr. N. Casal in i, Ebr 9, 1 1 : la tenda più gran­ de e più peifetta. Una proposta per la soluzione del problema, in SBFLA n 36 ( 1 986) 1 55- 1 68. 86 Meizonos. Il manoscritto 1 739 legge kreittonos, migliore. Qui dobbiamo ritenere il senso generale di kreitton: usato 1 9 volte dal NT, ricorre 1 3 volte in Ebrei con prevalente senso metafisi­ co. Le due realtà contrapposte, cioè, sono in sé e per sé qualitativamente diverse; tuttavia, la miglio­ re non annulla la precedente che resta, nella sua bontà di fondo, la realtà antica che ha preparato la nuova. Cfr. J. W. Thompson, Hebrews 9 and Hellenistic Concepts ofSacrifìce, in JBL 98 ( 1 979) 5 70. 87 Si veda utilmente N.H. Young, The Gospel according to Hebrews 9, in NTS 27 ( 1 98 1 ) 205 e, più di recente, N. Casalini, Agli Ebrei, p. 266. 88 Cfr. A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 1 47. 89 Dal momento che Eb 9, 1 1 procede per figura e non per allegoria, va riconsiderata l ' inter­ pretazione allegorico-cristologica avviata dai padri della Chiesa e tenuta fino a oggi : « La tenda più grande e più perfetta » è immagine del corpo del Signore risorto. Questa interpretazione si allontana ·

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la loro realizzazione. Quest' ultima annotazione contribuisce a chiarire la posi­ zione critica generale di Ebrei nei confronti dell 'alleanza antica: essa è più pic­ cola e meno perfetta; esige e prepara quella più grande e più perfetta. Non vi è traccia di polemica antitetica dell 'aut-aut che sia intenzionale, piuttosto uno svi­ luppo progressivo, dal meno al più; nel meno è già potenzialmente presente il più: argomentazione rabbinica qal wiil)omer o a fortiori. [v. 12] I motivi della tenda e del sangue sono ora associati : « Entrato una volta per sempre nel santuario . . . in forza del proprio sangue », dono della vita (già Lv 1 7, 1 1 b), Gesù è il liturgo nel tempio celeste, dove continua a celebrare la liturgia del­ l ' espiazione nuova e definitiva. Ma vi è di più: ciò che egli presenta al Padre è tutta la sua vita; essa è sarx, cioè un insieme di situazioni da lui vissute in preparazione al momento capitale (Eb 8, l ); è il risultato più « razionale )) (logike)90 della sua vicenda terrena, tutta sacerdotale. Quel Gesù « è entrato una volta per sempre nel santuario ))

dal linguaggio dellafigura e dai quattro suoi attributi: tenda più grande, più perfetta, non fatta da ma­ no umana, non di questa creazione. Essi sono lavorati ali ' interno della figura stessa e della relativa controfigura: la tenda terrestre meno grande, meno perfetta, fatta da mano d'uomo, appartenente a questa creazione, quattro controelementi voluti dal parallelismo antitetico. Identificare la « tenda più grande e più perfetta » con il Cristo risorto non è il pensiero di Eb 9, I l ; identificarla con la Chiesa, nuovo popolo di Dio, in sostituzione della tenda antica, popolo antico di Dio, ma infedele, è anche da escludere, anche perché contraria alla linea della continuità tra antico e nuovo, la quale percorre l ' intero « trattato » agli ebrei. Entrambe le interpretazioni allegoriche sono sostenute dai padri : la prima da Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 1 2 , in PG 63,95 e Homilia 1 3 , in PG 63, 1 1 0: la tenda è la carne, il corpo, l 'umanità di Cristo. La seconda è ripresa da Giovanni Damasceno, In epistolam ad Hebraeos, in PG 95,97 1 -972 : il velo è la carne di Cristo o la Chiesa. Ne risente anche l 'esegesi medievale (Tommaso d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura [R. Cai, ed.], vol. Il, Ad Hebraeos 438, p. 433). Ma Eb 9, I l propone l ' interpretazione figu­ rativa: la tenda è il santuario celeste, dove il Cristo entra solennemente come sommo sacerdote del­ la nuova alleanza e continua a gestire il potenziale redentivo della sua liturgia, celebrata una volta per tutte nel corso della sua vita terrena, culminata al Golgota e alla tomba vuota. Ampia e persuasi­ va la discussione in N. Casalini, Ebr 9, 1 1 : la tenda più grande e più peifetta. Una proposta per la soluzione del problema, in SBFLAn 36 ( 1 986) 1 1 2- 1 1 3; 1 1 4- 1 24; 1 39- 1 55. Una conferma di ordine filologico-linguistico giunge dalla non plausibile proposta di J.P. Michaud, « Parabole» dans l 'épitre aux Hébreux et typologie, in Sémiotique et Bible 46 ( 1 987) 2024. Lavorando sul termine parabole, comune a 9,8b-9a (prima tenda, figura di quella più grande e più perfetta) e a 1 1 , 1 9, (l sacco figura del Risorto) e pur optando per l ' interpretazione figurativa del­ la tenda in 9,8b-9a. l l (/bid. 20-23), J.P. Michaud tenta di non far cadere quella allegorico-cristolo­ gica su 9, I l : « La tenda più grande e più perfetta » è il corpo risorto di Cristo, in forza dell 'aggancio letterario con I l , 1 9, dove la 'aqèda di Isacco è figura-parabole della 'aqèda del Risorto. Parabole sarebbe il termine chiave che rende attendibili entrambe le interpretazioni. In verità, i due usi di pa­ rabole sono contestualmente lontani l 'uno dali ' altro e assolvono a funzioni ben diverse. Le due 'aqèda invece si riconducono bene, ma in forza di un tutt'altro percorso esegetico. (Cfr. più avanti, su Eb 1 1 , 1 9). Anche l 'argomento per contesto sembra piuttosto debole: risalendo alla katapausis di Eb 4,3, J.P. Michaud vi vede l 'adempiersi della apokatastasis (restaurazione di tutte le cose) di At 3,2 1 : Gesù, il Santo, il Giusto, « è accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose ». Il binomio distruzione-ristrutturazione che ne risulta chiama in gioco il binomio morte-risurrezione di Cristo, il quale farebbe da retrofondo a Eb 9, I l , dove la « tenda più grande e più perfetta » non sa­ rebbe che il suo corpo risorto e glorificato. Entrambe le argomentazioni di Michaud paiono claudi­ canti. Più persuasivo S. Stanley, Hebrews 9, 6- 1 0: The Parable of the Tabernacle, in Novum Testamentum 3 7 ( 1 995) 385-399, qui 390-39 1 : sulla parabole della 'aqeda di l sacco. 90 Nel senso di Rm 1 2,2: « Vi esorto a offrire la vostra vita in sacrificio (thysian) vivente, san­ to e gradito a Dio. È questo il vostro culto razionale ». La ragione, cioè, che non prescinde dal cuo-

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Parte seconda. Traduzione e commento

(v. 1 2), quello celeste, il vero > (aiOnian lytrosin heurame­ nos, v. 12). La forma verbale heuramenos97 descrive il beneficio della redenzione definitiva, legata a un'azione accaduta in un preciso momento storico del passato: la morte che redime (Eb 1 ,3), il ritorno alla vita ( 1 3,20), l 'ascensione alla destra della Maestà ( l ,3d). Nella sua qualità di evento, quella vicenda storica sempre atti­ va, insostituibile e irripetibile, ottiene una redenzione definitiva98• Il tema è fami­ liare ali ' attesa giudaica, piena di speranza. Così « Israele sarà salvato dal Signore con salvezza perenne >> (soterian aionion, Is 45, 1 7); « Il volere di Dio è la salvezza eterna di Israele >> (l QM 1 5 , l ); l 'eterna sconfitta dei nemici, per la potente mano di Dio, porterà un 'eterna liberazione e redenzione per Israele ( J QM 1 8 , 1 2). Redenzione-salvezza eterna: è esattamente il progetto del Figlio, Gesù il Cristo. Si è ora in grado di rilevare la struttura chiastica di Eb 9, 1 1 - 1 2 ben bilanciata tra positivo e negativo: « Cristo è entrato nel santuario attraverso (dia) una tenda più grande e più perfetta, non (ou) costruita da mano (di uomo), cioè non (ou) di questa creazione, né (oude) mediante il sangue di capri e di vitelli, ma mediante (dia) il suo proprio sangue >>99•

Si è anche in grado di appurare la centralità del Cristo al v. 1 2 quale « nova via ad Deum per misterium corporis gloriosi » 100, grazie ai seguenti raffronti ana­ lettico-prolettici: 9, 7 Il sommo sacerdote (del patto antico) entrava nella seconda tenda (sirene = santo dei santi) una volta l 'anno non senza del sangue.

9, 11-12 (Il) sommo sacerdote dei beni futuri: Cristo è entrato nel santuario (hagia = santo dei santi) una volta per sempre in forza del proprio sangue.

9,25 Il sommo sacerdote (del patto antico) entra nel santuario (hagia = santo dei santi) una volta l 'anno con sangue altrui.

96 Si veda J. Moingt, La fin du sacrifice, in Lum Vie 43 ( 1 994) 1 5-3 1 . 97 Participio aoristo: sta per heuromenos. 98 Dissente R . L . Omanson (A Superior Covenant: Hebrews 8, 1 - 1 0, 18, in Review and Expositor 82/3 [ 1 985] 368), che definisce l 'annotazione « pedante ». 99 Per questa traduzione e per il valore di dia (attraverso), cfr. anche J.M. Scholer, Proleptic Priests. Priesthood in the Epistle of the Hebrews, p. 1 64. 1 00 Così A. Vanhoye, Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, p. 22: annotazione ripresa da una lezione del professore al Pontificio Istituto Biblico di Roma (nel 1 970).

Dali 'antico al nuovo nella continuità Eb 9, 1

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Questo confronto di punti paralleli permette ancora di ritenere che, con ha­ gia, l 'autore pensa al « santo dei santi » e di cogliere nel verbo eiserchesthai (en­ trare) un valore sacerdotale e cultuale 101 . Che il sangue degli animali non sia un sacrificio adeguato (v. 1 2), trova ampio riscontro già presso il giudaismo bibli­ co 102, qumraniano 103 e rabbinico-palestinese104. In tutte e tre queste direzioni, spe­ cialmente all ' indomani della distruzione del primo (587-5 86: Nabucodonosor) e del secondo tempio (29 agosto del 70: Tito) cresce la consapevolezza che per l 'e­ spiazione dei propri peccati Dio non vuole sacrifici cruenti, piuttosto di lode e di ringraziamento : si celebri l ' offerta della propria vita camminando al cospetto di Dio nella fedeltà 105. Ma è il mondo ellenistico, al quale Ebrei qui sembra riportarsi, a procedere per argomentazione metafisica. Perché l 'ordine sacerdotale di Melchisedek, al quale Cristo è rapportato, è migliore dell 'ordine sacerdotale levitico? (Eb 8,6). In primo luogo, i tre elementi negativi della struttura chiastica escludono ogni rap­ porto dell 'opera redenti va di Cristo con i limiti del culto levitico. I due elementi cultuali positivi, tenda e sangue, sono del tutto nuovi e superiori a quanto la pri­ ma alleanza era stata in grado di offrire. La stringente argomentazione dell 'auto­ re evolve con lo strumento letterario del contrasto. Così alla povertà e inefficacia del sangue di animali (9,7. 1 8-25; 1 3 , 1 1 ), che non ha mai potuto ottenere l 'effet­ to desiderato, va ora sostituito un sangue più efficace e perfetto, offerto in un cul­ to sacrificate vero, perché in grado di ottenere lo scopo (9,25; 1 0, 1 9; 1 3 , 1 2). Si tratta di una differenza qualitativa. L'uso di me dynamenai esprime, infatti, in Eb 9,9 una impossibilità per natura con risvolti quasi metafisici 106 in 9, 1 1 - 1 2 rispet­ to invece al linguaggio profetico, centrato su « misericordia e non sacrificio >> . L'argomento evolve poi a fortiori (qal wa/:lomer). Siamo a Eb 9, 1 3 - 1 4. [vv. 13-14] Con un nuovo argomento qal wa/:lomer (a fortiori) l 'autore porta a compimento la seconda argomentazione avviata ai vv. 1 1 - 1 2 e punta il focus sul­ l 'azione redentiva di Cristo : essa è la sola in grado di raggiungere il cuore, por­ tandovi « redenzione eterna », perfetta. Non ne erano affatto in grado i sacrifici an­ tichi « nel sangue di capri e tori »: essi purificavano ritualmente il corpo e solo provvisoriamente; inabili a ottenere una redenzione definitiva, andavano inevita­ bilmente ripetuti (vv. 1 2b- 1 3) . Essi raggiungevano solo la sfera terrestre dell 'esi­ stenza umana (sarx) e come tali non avrebbero mai potuto operare la purificazio101 Segnalo una volta ancora il contributo lessicografico di J.M. Scholer, Proleptic Priests. Priesthood in the Epistle ofthe Hebrews, pp. 1 53- 1 69. 1 02 Così eplicitamente Os 6,6; Am 5,2 1 -24; Mie 6,6-8; Is 1 , 1 0- 1 7; Sal 50,7- 1 5 . Tema comune: celebrare sacrifici di lode e camminare al cospetto di Dio. 1 03 Si veda J QS 9,4-5.26; 1 0,22-23. 1 04 Si veda 'A bot Rabbi Natan su Os 6,6. 105 In A bot Rabbi Natan si legge che alla vista delle rovine del tempio R. Joshua ben Hananiah abbia detto: « Miseri noi ! Il luogo dove le iniquità di Israele venivano espiate, giace ora distrutto ». Ma R. Yohanan gli rispose: « Non ti affliggere, figlio mio, poiché noi possiamo espiare le nostre ini­ quità in un modo altrettanto efficace, cioè attraverso opere di misericordia, come dice la Scrittura: "lo desidero misericordia e non sacrificio" (su Os 6,6) ». 1 06 Impossibilità metafisica, osserva J. W. Thompson, Hebrews 9 and Hellenistic Concepts of Sacrifice, in JBL 98 ( 1 979) 5 7 1 e nota 24.

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Parte seconda. Traduzione e commento

ne della coscienza (vv. 9b. l 4b; 1 0,4), dandole la consapevolezza (syneidesis) del­ la liberazione dal peso delle infedeltà. Essa resta « cattiva » (apo syneideseos po­ neras, Eb l 0,22); continua infatti a incolpare per le infedeltà compiute verso la tòrà, impotente al tempo stesso a liberarne. Coscienza-cuore stanno anche per sfe­ ra celeste presente nella persona umana, luogo dove Dio ha inciso il suo patto nuo­ vo (8, l 0), dove l 'uomo si dispone ali ' ascolto e costruisce il suo rapporto fedele con lui . A tale scopo la coscienza va purificata, il che esige un sacrificio qualitati­ vamente superiore. Quello della giovenca rossa? Menzionata in Eb 9,23 (katharizo), in 1 0,22 (rhantizo) e in 1 2,24b (rhantismos), l 'aspersione-purificazione rituale allude al rito delle ceneri della giovenca rossa, di cui in Nm 1 9,2 .9. 1 7 107• Immolata la giovenca fuori dali ' accampamento alla presenza del sacerdote (Eleazaro ), questi compiva con il suo sangue 7 volte l 'aspersione davanti alla tenda del convegno (Nm 1 9, 1 -4). L'acqua lustraie preparata con le sue ceneri rosse, colore che evoca il sangue che è vita, purificava le vesti e tutta la persona fisica del sacerdote (Nm 1 9,5-7). Quel ri­ to doveva purificare anche chi si era contaminato per contatti con cadaveri. La ce­ nere mista ad acqua e sparsa sui contaminati non aveva luogo nel giorno del per­ dono. Ebrei sorvola questa norma e abbina i due riti, in quanto in quel giorno la gente era purificata con il « sangue di capri e di vitelli », anch'esso spruzzato dal sommo sacerdote sui presenti in ogni cerimonia liturgica (Lv 1 6, 1 4- 1 4 e Nm 1 9,4). La sarx, volto esterno e terrestre della società israelita, era liberata-santificata (ha­ giazei) dai propri disordini etici, sociali e religiosi. Quell 'acqua lustrale, che ha del magico, è un rito d'espiazione (Nm 1 9,9). E la purificazione interiore? Questa valutazione di Ebrei, in verità, è inammissibile per l 'etica giudaica dell ' AT: quel sacrificio infatti purifica i « contaminati » dalle impurità legali, non solo esteriormente, ma anche nella coscienza, con la cancellazione della colpa davanti a Dio: ceneri purificatrici. Anche il retrofondo dello Jòm KippCir sembra spingere in quella direzione. Secondo la Mishna, le iniquità del popolo erano pre­ sentate per la purificazione dal sommo sacerdote a Dio redentore, nel momento in cui, nel « santo dei santi », quegli ne pronunziava il nome. Una rilettura di Jòma ' 6,2; 8,8.9 ci accosta ali ' insegnamento di Rabbi Eleazar ben Azariah (801 20 d.C.): nel grande giorno dell ' espiazione sono perdonate le trasgressioni nei confronti di Dio solo per chi ne è consapevole e fa richiesta di pentimento; quel­ le commesse nei riguardi altrui, solo per chi si rappacifica di fatto 108• Un consi­ stente passo in avanti rispetto a Nm 1 5 ,30-3 1 (cfr. supra in Eb 9,7). Per Ebrei però la purificazione della coscienza è possibile solo contrappo­ nendo a quel sangue quello del « mediatore >> . Esso, sì, ha la forza di purificare la coscienza mediante aspersione (haima rhantismou, Eb 1 2,24b)109• A quel rito si riporta anche Eb l 0,22 per presentare l 'azione purificatrice dell 'aspersione batNe riferiscono anche Filone di Alessandria, De specialibus legibus l ,262-272, e G. Flavio, Antichità giudaiche 4,78-8 1 . Presentazione della questione in C.H. Hunzinger, rhantizo, in GLNT ( 1 977) I l ,960-968. 1 08 Sorprendente sintonia con Mt 6, 1 4- 1 5. 1 09 Ali ' immagine e relativa terminologia dà attenzione la Lettera di Barnaba 8,2: « Quale figura pensate che sia, quando a Israele fu ordinato che gli uomini dalle colpe gravissime offrano una gio1 07

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tesimale: « Purificàti nel cuore da ogni cattiva coscienza e lavàti nel corpo con ac­ qua monda ». Questa aspersione è operata dal sangue di Cristo (haima rhanti­ smoù): confermano Eh 1 2,24b; l Pt 1 ,2; Lettera di Barnaba 5, 1 e, indirettamente, Eh 9, 1 8-2 1 . Inoltre, Eh 9, 1 3 - 1 4 sostiene questa lettura in quanto il sangue di Cristo è antitipo dell 'acqua di purificazione (hydor rhantismoù) ottenuta con quelle ceneri . Si può dire che l 'aspersione con il sangue di Cristo appartiene alla teologia protocristiana del battesimo : « Chi riceve il battesimo partecipa alla for­ za del sangue di Cristo, espiatoria, purificatrice e istitutrice dell 'alleanza » 1 10• I padri apostolici conoscono la formula: « . . . Purificati con la remissione dei peccati nel sangue della sua aspersione » (così la Lettera di Barnaba 5, 1 ). Non c'è riferimento esplicito al battesimo, chiamato tuttavia in causa dali ' espressione « re­ missione dei peccati » (aphesis ton hamartion), a esso collegata in Mc 1 ,4 e paral­ leli e At 2,38, e dali 'uso del verbo hagnizo (purificare) che l Pt l ,22 (hegnila5tes, perfetto, purificati in permanenza) collega al battesimo. La Lettera di Barnaba 8, 1 .3 propone un' interpretazione tipologica di Nm 1 9, 1 - 1 0, mostrando di conosce­ re il collegamento tra la remissione dei peccati e il battesimo: mentre la giovenca rossa è simbolo di Gesù (ho moschos ho 'Iesous estin), scrive Lettera di Barnaba 8,2, coloro che compiono l 'aspersione sono gli apostoli; essi « recarono la lieta no­ vella della remissione dei peccati e della purificazione del cuore » (8,3). La Lettera di Barnaba 8 è sulla linea di Eh 9, 1 4 e 1 0,22. Ma con un elemento di sapore paoli­ no: l ' aspersione è parte del battesimo e, ancor prima, momento ineliminabile della predicazione: « Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il van­ gelo » ( l C or l , 1 7); « Guai a me se non predicassi il vangelo ! » ( l Cor 9, 1 6b) 1 1 1 • Emerge un dato di fatto nella mente di Ebrei: i limiti di quella celebrazione penitenziale (Jom Kippur), per quanto solenne, permangono; essa non rimuove la pesante consapevolezza (syneidesis) del pio israelita di avere peccato, per cui egli tornerà quotidianamente e annualmente a ripetere quelle stesse celebrazioni espiatorie; non libera dal peso delle opere morte, con probabile riferimento a quanto va accadendo fra gli umani fin dalle origini, da Adamo in poi: il male e il suo dilagare 1 12, ma almeno anche in allusione alle opere morte di una legge che, venca, la sgozzino e la brucino? (Nm 1 9,7-8). Inoltre, i fanciulli ne raccolgano le ceneri, le adagino in vasi e pongano intorno al legno la lana rossa (di nuovo l ' immagine della croce e la lana rossa) e l' is­ sopo, e così i fanciulli aspergano a uno a uno tutto il popolo perché sia purificato dai suoi peccati? ». Cfr. A. Quacquarelli (ed.), / padri apostolici, Città Nuova, Roma 1 978, pp. 1 97- 1 98. In precedenza, nella Lettera di Barnaba 7,6- 1 1 , la lana rossa è posta attorno al capo del capro maledetto da cacciare nel deserto. L'altro invece è offerto come olocausto per i peccati. È figura di Gesù: sputacchiato e tra­ fitto, gli sarà posta attorno al corpo la veste rossa e si potrà dire: « Non è questi colui che abbiamo cro­ cifisso, oltraggiato e sputacchiato? ». Se per Ebrei non si ha più che un'allusione, per la Lettera di Barnaba vi è di più: un' immagine di ciò che sarebbe stato il Cristo. Nonostante le molte allusioni, la Lettera di Barnaba non assimila Gesù il Cristo al capro espiatorio, cacciato nel deserto. 1 10 Cfr. C. H. Hunzinger, rhantizo, in GLNT ( 1 977) 965-966. 111 Questi e altri dati in C.H. Hunzinger, rhantizo, in GLNT ( 1 977) 967-968. Rhantizo è ancora co­ nosciuto in /Clemente (ultimo decennio del secolo l, sotto Domiziano) 1 8,7, ove il ricorso al Sal 50,319 (umiliazione e fiducia incondizionata di Davide in Dio) attesta il senso di « purificazione ». Si veda A. Lindemann, Die Clemensbriefe: Die Apostolischen Viiter. 1: l Clemens J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 992, p. 66. Nel Pastore di Erma. Similitudini 9, 1 0,3 è attestato invece il senso profano di rhantizo (> (v. 1 4). Siamo alla seconda parte dell 'argomentazione qal wal]omer: dal meno al più. « Il san­ gue di Cristo >> (to haima) va letto in base a 9,25-26: l ' autore non pensa al sangue in sé e per sé, bensì alla donazione della vita da parte del Figlio, la cui croce è il momento storico culminante, il sacrificio qualitativamente superiore capace di « redenzione eterna >> (v. 1 2b ). Alla presenza della sekfna, egli non offre sacrificio nuovo alcuno 1 13• Quella donazione, una e unica, continua. L'hapa:x biblicum « con uno Spirito eterno » ( 9 ,4) è in contrasto con « prescri­ zioni umane » (dikaiOmata sarkos, 9, l O) e rientra nel binomio polare terrestre-cele­ ste (sarx-pneuma). Lo Spirito eterno, poi, fa contrasto ancora con sarx (9 , 1 0) , che non è eterna. Si profila una funzione demitizzante del v. 1 4: Gesù Cristo ha ottenuto la salvezza eterna per i suoi (per tutti), non per opporsi alla prassi cultuale dei sacri­ fici animali 1 14, né perché fosse esaltata l 'efficacia del suo sangue prezioso e imma­ colato1 15; né in forza della natura divina1 16; né in forza di una sua morale superiorità (di cui l 'autore spesso parla: migliore, più perfetto, ma in tutt'altro senso); né grazie a una sua disposizione interiore, al suo spirito di mansuetudine (pneuma praiitetos) ad esempio1 1 7; né in forza della sua grande carità che lo ha portato a donare se stes­ so1 18; né per azione dello Spirito santo che darebbe al sacrificio di Cristo una forza escatologica1 19; né in forza della riunificazione del suo spirito con il suo corpo grazie alla risurrezione ( 1 3,20), lo Spirito del Risorto, tema per altro pressoché assente in Ebrei; né a seguito di una ispirazione120. Infine, né in forza del suo stesso spirito qua­ le « parte del suo essere più autenticamente sua »121, ma solo a seguito della promes-

Così invece sembra suggerire J.W. Thompson, Hebrews 9 and Hellenistic Concepts of Sacrifice, in JBL 98 ( 1 979) 572. 1 14 La expositio antithetica è infatti solo un aspetto obbligato dell 'argomentazione retorica. 115 Così pensa Tommaso d'Aquino (Super epistolas Sancti Pauli Lectura [R. Cai, ed.], vol. II, Ad Hebraeos 444 p. 434), appoggiandosi a Es 1 2,5; Sir 34,4 e 1 Pt 1 , 1 9, in cui tuttavia la preziosità del sangue non è intentio primaria di Ebrei. 1 16 Così suggerisce C. Spicq, L'Épitre aux Hébreux. Il: Commentaire, p. 258. Ma a una cristo­ logia delle due nature Ebrei non pensa affatto. 1 17 Suggerimento già in G. Bonsirven, Saint Pau/: Épitre aux Hébreux (VSal l 2), Beauchesne, Paris 1 943 (ed. i t. Roma 1 96 1 ), p. 39 1 : fa riferimento allo spirito di l Cor 4,2 1 e Gal 6, l . 1 18 Così M. Lutero: « Hic enim est ignis illae charitatis quo voluit Christus offerre semeti­ psum >> . Cfr. M. Lutero, Werke. Nachschriften der Vorlesungen iiber Romerbrief, vol. 57, Die Glossen, p. 50. Già Tommaso d' Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. II, Ad Hebraeos 444 p. 434, appoggiandosi a Is 59, 1 9 (Vulgata) e a Ef 5,2 (Vulgata). 1 19 Così già Tommaso d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. Il, Ad Hebraeos 442, pp. 433-434, con allusione a pneuma hagiasynes di Rrn l ,4. A. Vanhoye, Saint Esprit (IV), Le Saint Esprit dans l 'Épitre aux Hébreux, in DBS ( 1 987) 1 1 ,333, sembra simpatizzare per questa lettu­ ra. Di recente, M. Emmrich (Amtscharisma: Through the Eterna/ Spirit [Hebrews 9, 14}, in BullBibRes 1 2 [2002] 1 7-32) tiene per la portata escatologica, ma risituata. Vedi appena qui di seguito, nota 1 20. 1 2° Così sembra suggerire A. Vanhoye, Saint Esprit (IV). Le Saint Esprit dans l 'Épitre aux Hébreux, in DBS ( 1 987) I l ,332. 121 Così H. W. Attridge (Lettera agli Ebrei, p. 42 1 ) e buona parte dei commentatori . 1 13

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sa di Dio: « Tu sei sacerdote per sempre alla maniera di Melchi sedek » (5,6; 7, 1 7.2 1 )122• Sulla proclamazione di Gesù a « sommo sacerdote >> da parte di Dio, Ebrei pone una enorme importanza. Siamo cioè una volta ancora al « punto capitale » (8, l ). Si può ritenere che Gesù celebri il proprio sacrificio, unico e irripetibile, nel fuoco dello Spirito eterno, lo Spirito santo, di gran lunga migliore e superiore ai fuochi molteplici che erano approntati per i sacrifici molteplici dei leviti (Lv 6, 1 5b1 6, verbo « bruciare ») 1 23• Sacerdote in eterno, nel fuoco dello Spirito eterno. L' attendibile allusione a lEsdra 6 ,2 3 (LXX : « Nella casa del Signore, in Gerusalemme, si sacrifichi con fuoco continuo ») favorisce la comprensione di Eh 9, 1 4, dove « con uno Spirito eterno » sembra in parallelo con « fuoco continuo » (« sempre tenuto acceso sull 'altare », prescrive Lv 6,5-6). Quello « Spirito eterno » è di Dio. La sua azione nell ' oblazione di Cristo consuma i sacri fici antichi. Sostituendo « fuoco continuo » con « Spirito eterno », Eh 9, 1 4 spiega che esso ha ri­ vestito l 'oblazione di Cristo che santifica e purifica l 'essere umano 124• Non si trat­ ta dello Spirito santo nel senso trinitario125, ma dello Spirito eterno di Dio126• Una nuova allusione allo Jòm KippDr si riscontra in: « Offrì se stesso senza macchia a Dio », a motivo del verbo prospherein. Usato per esprimere « preghiera » {5,7) « do­ ni » e « sacrifici » (5, 1 .3; 8,3 .4; 9,7.9), lo è ancora per indicare l 'offerta della vittima a Dio, immolata (thyein) e bruciata (Lv 3,9- 1 1 ). Nel giorno del perdono, l 'offerta sacrifi­ cate era completata con lo spruzzamento del sangue della vittima nel luogo più sacro del tempio, il « santo dei santi ». Spruzzato poi sul popolo dal sommo sacerdote (cfr. Eh 9, 1 9), quel sangue sacro era pegno di perdono: purificava il rapporto di alleanza. L'offerta di se stesso da parte di Gesù il Cristo esprime tutti e tre i momenti: la sua mor­ te, la sua esaltazione, il suo ingresso sacerdotale nel « santo dei santi ». Risultato: espia­ zione in radice e riconciliazione perenne, una soteriologia dalle innegabili risonanze psi­ co- e socioantropologiche127: in Cristo, Dio perdona e si riconcilia con l 'umanità 128•

1 22 Suggestiva la proposta di N. Casalini (Dal simbolo e alla realtà. L'espiazione dali 'Antica alla Nuova A lleanza secondo Ebr 9, 1-14. Una proposta esegetica [SBFAn 26], Franciscan Printing Press, Jerusalem 1 989, p. 1 0 1 ): « L'epressione dia pneumatos aioniou di 9, 1 4b non sta a indicare "il mezzo" con cui il Cristo ha compiuto il sacrificio di se stesso né "la causa" da cui è stato mosso, ma solo i/ mo­ do (interiore) con cui ha offerto se stesso, per dare compimento al disegno salvi fico di Dio )). Ma la for­ mula in questione ha il senso di « attraverso, con, in forza di uno spirito eterno >>, il quale non è il « suo >) né un suo atteggiamento interiore, piuttosto quello Spirito eterno di Dio che lo ha reso sommo sacer­ dote. M. Emmrich (Amtscharisma: Through the Eternai Spirit [Hebrews 9, 14}, in Bul/BibRes 1 2 [2002] 1 7-32) rileva l a valenza escatologica del senso: l o Spirito eterno continua a sostenere i l Cristo nella sua permanente offerta redentiva (cfr. Eb 7,25) alla S'tana: è il suo carisma ministeriale. 1 2 3 Attendibile lettura di A. Vanhoye, Esprit éterne/ et feu du sacrifice en He 9, 14, in Biblica 64 ( 1 983) 263-274. 1 24 È ancora il pensiero di A. Vanhoye, Esprit éternel etfeu du sacrifice en He 9, l 4, in Biblica 64 ( 1 983) 269-274. 1 25 Precisazione anche in H.W. Attridge, Lettera agli Ebrei, p. 42 1 . 1 26 Forse non così N. Casalini, Agli Ebrei, p. 268. 1 2 7 Focalizza la trilogia, di cui sopra, e il relativo risultato R. D. Nelson (« He offered Himself)). Sacrifice in Hebrews, in Jnterpretation 5713 [2003] 25 1 -265), cogliendone il retrofondo nella litur­ gia dello Jom Kippilr (Lv 1 6, 1 1 - 1 9 ed Es 24,5-8). 128 Prospherein, thyein, amomon in Eb 9, 1 4, poi hilaskomai in Eb 2, 1 7 e hilasterion in 9,5, ec­ cetera, solo alcuni vocaboli di espiazione. Sulla questione, segnalo in flash back che a partire da L. Moraldi, Espiazione sacrifica/e e riti espiatori nell 'ambiente biblico e nell 'AT, Pontificio Istituto

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Parte seconda. Traduzione e commento

Il fatto che egli sia offerta « senza macchia » (amomon) rimanda a colui che è in tutto a noi eguale, che si è lasciato tentare (tentazioni messianiche, Mt 4, l ­ I l ; Le 4, 1 - 1 3 ), uscendone sempre vincitore (Eb 4, 1 5 ), ma ancora prima alla se­ vera norma legale che non consente difetto alcuno nella vittima da offrire (Dt 1 7, l ; Lv l ,3 . l O). Un'offerta così perfetta non « purificherà la nostra coscienza dalla opere morte », trasgressioni ali 'alleanza a Dio sgradite? Di certo, perché es­ sa redime la coscienza, la rende atta a servire al Dio vivente con opere piene di vita, perché dello Spirito 1 29 (già in 9,9; l 0,2; 1 3 , 1 8). Qui syneidesis (coscienza) è richiamo a l 0,4, dove essa può essere purificata solo attraverso l ' ingresso di Cristo nella tenda celeste ( l 0,22). « Dalle opere morte » qualifica tassativamente le trasgressioni contro Dio e il suo piano di redenzione, quindi quelle contro la tora, in particolare contro il « codice di alleanza » e il « codice di santità ». Gesù il Cristo ha consegnato incondizionatamente la sua vita alla morte, onde debellare le opere morte con le opere vive. Il tema attraversa Ebrei a mo ' di spina dorsale ( 1 ,3 ; 2, 1 7; 9, 1 5 ; 9,26; 9,28; 1 0, 1 8): un valore strutturale. « Per servire il Dio vivente? ». Ebrei non dequalifica le opere umane come non vere, ma esalta quelle interiori come le più atte a celebrare il Dio vivente; è infatti anche qui da rispettare il binomio polare terrestre-celeste come canone in­ terpretativo. Da qui quanto segue: l 'uomo purificato nella sua coscienza dalle opere della morte, non è dato incontrarlo; si tratta molto più della purificazione dalle opere che appartengono alla via della morte (2, 1 5); chi se ne allontana, ha la capacità cultuale di avvicinarsi a Dio nel suo celeste tempio (9, 14; l O, 1 9-22) ed è in marcia verso la definitiva esistenza celeste, la città stabile futura che noi cerchiamo ( 1 3 , 1 4), dove abita il Dio vivente (la Gerusalemme celeste, 1 2,22). Intanto, si eserciti l ' amore fraterno, l 'ospitalità, si investa del tempo per visitare i prigionieri, si curi la fedeltà nel matrimonio, si fugga l ' avar_izia ( 1 2,28 - 1 3 ,9). Siamo a un risultato esistenziale del ministero sacerdotale di Gesù il Cristo 130. Una lettura comparata con Eh 5,7 e 1 0, 1 4- 1 6 contribuisce a precisare il pro­ filo di 9, 14: l 'oblazione nello Spirito. In tre punti precisi Ebrei descrive l 'obla­ zione sacerdotale di Gesù Cristo: 5, 7 (l 'oblazione della preghiera) ; 1 0, 1 4- 1 6 (l 'o­ blazione sacerdotale e la legge di Dio nel cuore) e 9, 1 4 (l ' oblazione di sé nello

Biblico, Roma 1 956, e L. Moraldi, Espiazione nel/ 'A T e nel NT, in RB/ 9 ( 1 96 1 ) 289-304; lbid. l O ( 1 962) 3- 1 7. Da S. Lyonnet - L. Sabourin, Sin, Redemption and Sacrifìce (AB 48), PIB, Rom 1 970, e S. Lyonnet, De peccato et redemptione.ll: De vocabulario redemptionis, PIB, Romae 1 972, il di­ battito sull 'argomento (aspetto discendente della riconciliazione: Dio perdona e si riconcilia con l ' uomo [Erlosungstheo/ogie], e non ascendente : l ' uomo propizia Dio placandolo [Siihne­ Theologie}) ha destato crescente interesse. Se ne registra un momento intenso tra A. Vanhoye, Sacerdoce du Christ et eu/te chrétien, se/on l 'épitre aux Hébreux, in Christus 28 ( 1 98 1 ) 2 1 6-230, e R. Girard, Des choses cachées depuis la fondation du monde, Grasset, Paris 1 978, pp. 329-333 (su Ebrei) e ancora alle pp. 2 1 6, 248, 25 1 -254, 27 1 , 275-276. Riprendono la questione J. Moingt, La fin du sacrifìce, in Lum Vie 43 ( 1 994) 1 5-3 1 , e G. Deiana, Il giorno dell 'espiazione. Il kippur nella tra­ dizione biblica, EDB, Bologna 1 995, pp. 1 82- 1 83 . 12 9 Segnalo, in questa direzione, N.H. Young, The Gospel according to Hebrews 9, in NTS 27 ( 1 98 1 ) 205 . 1 30 Si veda E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 7, 1-10, 18, vol. II, pp. 1 6 1 - 1 62; C.R. Koester, Hebrews, p. 4 1 1 .

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Spirito santo). Rispetto a Eb 5,7 si ha in 9, 1 4 un qualitativo passo in avanti : da una ablazione-offerta di preghiere e suppliche all 'ablazione della propria vita. In 9, 1 4 il collegamento è a 5,7-8: cominciata nella preghiera (v. 7), l 'ablazione sa­ cerdotale di Cristo è divenuta obbedienza-cooperazione consapevole (v. 8) per l ' umanità (vv. 9- 1 0). Eb 5 è più concreto e drammatico; Eb 9 più globale e ricco di teologia. Si osservino queste tre proprietà: l ' ablazione del Figlio è personale (ha infatti offerto se stesso e si offre di continuo1 3 1 ) ; è compiuta sotto l 'azione dello Spirito santo, « in uno Spirito eterno »; la perfezione dell 'ablazione è totale (egli è senza macchia, amomon ). Non si tratta della perfezione fisica di lui, ma della sua personale assoluta integrità: coscienza umana perfetta e « Figlio di Dio » (4, 1 4). Vittima più gradita non era possibile. Perfettamente senza macchia, egli purifica e santifica la coscienza di ogni persona umana, la risana in radice. Il Primo Testamento ha mostrato incapacità al riguardo : vittime ritualmente perfet­ te mai hanno fatto entrare persona alcuna in rapporto con Dio. Dio respinge ca­ daveri immolati 132• Né i sacerdoti del primo patto avevano di meglio. Lui, sì, può intercedere : è senza macchia, è capace di ascendere a Dio. Risultato: la nuova alleanza « è qui ». A seguito infatti di Eb 9, 1 4 (Spirito eterno), 9, 1 5 proclama: « E anche per questo egli è mediatore di un'alleanza nuo­ va ». Sono opera dello Spirito-fuoco l 'adesione di Cristo a Dio e la sua solidarietà con i fratelli. Si stabilisce una interazione pilotata dallo Spirito: alleanza appun­ to, fondata in una ablazione spirituale e non carnale-materiale (9, l 0), nel sangue che riconcilia e rappacifica e pone i credenti in rapporto personale con il Dio tre volte santo : « sangue di alleanza », espressione di vita sempre nuova. Nel sangue è nefes133• In Cristo non c'è più separazione tra sacerdote e vittima, tra culto e vi­ ta. Decisivo passo in avanti rispetto al patto nuovo vaticinato da Ger 38,3 1 -34 (LXX; cfr. Eb 1 0, 1 4- 1 6): ogni offerta per il peccato non ha più ragion d'essere; quell 'ablazione perfetta ha infatti cancellato in Dio il ricordo di ogni iniquità1 34• Un attendibile retrofondo greco-romano può avvalorare la posizione di Eb 9, 1 1 - 14. Quasi facendo eco a Is 66, 1 -2.3, il mondo classico conosce un 'acuta po­ lemica circa i sacrifici cruenti, maldestri tentativi di accattivarsi il favore della di­ vinità; essi sono una vera forma di ateismo, per chi crede ciecamente nella loro incondizionata efficacia, senza accompagnarli con adeguate disposizioni interio­ ri. In caso contrario, quel sangue sacrificate non purifica più di un'acqua che pu­ lisce un volto infangato. Accesa, al riguardo, la polemica antisacrificale condotta dai profeti 135• Il culto genuino da rendere a Dio (secondo la tradizione platonico­ filoniana) è la comunione con Dio. Essa si ottiene con un impegno più elevato: il culto della mente (nous); marcata è la distinzione tra la purificazione del corpo e È il senso del perfetto prosenegken con valore di presente continuo. Si vedano: Sal 50, 1 3 ; 39,7; Am 5 ,2 1 ; Is 1 , 1 1 . 133 Cfr. Lv 1 7, 1 4; Dt 1 2,23 . Si veda ancora F. Laub, « Ein fiir allemal hineingegangen in das Allerheiligste » (Hebr 9, l 2). Zum Verstiindnis des Kreuzestodes im Hebriierbrief, in BZ 35 ( 1 99 1 ) 65-85. 1 34 Suggerimenti in A. Vanhoye, L'ob/ation sacerdotale du Christ dans / 'épitre aux Hébreux, in Didaska/ia 1 4 ( 1 984) 20-26. 135 Si legge in Is 29, 1 3 ; in Os 6,6. Eco in At 1 7,24-25. 131

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Parte seconda. Traduzione e commento

quella della mente e del cuore. Quest'ultima non potrà mai essere ottenuta con l 'acqua che pulisce solo l 'esterno; né si può rendere culto a Dio con sacrifici cruenti, piuttosto con mente pura e intenzioni oneste. È consolidato presso i filo­ sofi d'epoca ellenistico-romana e ancor prima classica, ritenere che ci si può av­ vicinare a Dio cantando inni, pregando e curando la propria vita etica1 36• È così che la parte spirituale dell 'uomo può esprimere la divinità incorporea. Risente di questa linea Clemente d'Alessandria: ci si deve avvicinare a Dio con la ragione e non con i sensi 137• Non vale il sangue degli animali per il sacrificio, ma l ' inten­ zione dell 'offerente. Quando questi si presenta al culto con intenzioni non pure, il suo sacrificio non farà che ricordargli i peccati del passato 138• Dio non ha biso­ gno di sacrifici, si disgusta di approcci esterni 139• Filone di Alessandria nega la validità cultuale di templi fatti da mano uma­ na e di sacrifici cruenti in essi offerti. Il tempio di Gerusalemme, il più bello del mondo, d' inesprimibile splendore 140, con il suo altare, è solo un ' anticipazione simbolica, una pallida pre-figura del tempio celeste. E solo in quella prefigura­ zione è il loro valore. « Non è possibile mostrare la nostra gratitudine con templi, sacrifici e ablazioni, dal momento che lo stesso mondo intero è un tempio inade­ guato per lui ». Poi annota: il vero tempio per Dio è il cosmo intero, opera delle sue mani 14 1 • I l culto al tempio di Gerusalemme svolto dai sacerdoti purifica solo i l corpo esterno (soma), ma la purificazione dello spirito (psyche) è di certo il fine più pre­ zioso. Del resto, quando lo stesso sommo sacerdote è occupato in questioni che riguardano carne e sangue (di animali), opera fuori dal « santo dei santi »; quan­ do entra in esso, egli si preoccupa solo delle cose dello spirito. Il culto materiale infatti non può purificare lo spirito 142• Lo spirito poi, come nous, psyche e synei­ desis 143 raggiunge la propria purificazione attraverso la pratica della sapienza e una vita di contemplazione. Il migliore sacrificio da offrire nel tempio sono « in­ ni e canti di lode » 144• Questo sacrificio offerto dallo spirito dell 'uomo raggiunge Dio che è Spirito. Coloro che hanno lo spirito purificato dallo Spirito accedano pure all 'altare 145• Che l 'eco di questa speculazione classico-giudaico-ellenistica si ritrovi in Eb 9, 1 3- 1 4 e, più avanti, in 1 0, 1 9-22 e 1 3, 1 5- 1 6? Sembra di sP46• Infatti, Platone, pen,

1 36 Cfr. Platone, Leges 1 0,885b; Seneca, Fragmenta 1 23. 1 37 Così ripetutamente Clemente d'Alessandria, Les Stromates. Stromaten 5, I l ,67-7 1 (A. Le Boulluec - P. Voulet, edd.), (SC 278), Cerf, Paris 1 98 1 , pp. 1 36- 1 45. 1 3 8 Filone di Alessandria, De vita Mosis 2, 1 08; Eb 1 0,3. 1 39 Id., De decalogo 4 1 ; De specialibus legibus l ,293; Quaestiones in Exodum 2,50. 1 40 Id., Legatio ad Gaium 1 9 8; De decalogo 4 1 ; De specialibus legibus 1 , 72; 1 ,293 ; Quaestiones in Exodum 2,50; Quod Deus 2 1 , 1 07. 141 Id., De plantatione 1 26; De specialibus legibus 1 ,66. 1 42 Id., De specialibus legibus l ,259-269; De ebrietate 87. 1 43 Si veda Id., De specialibus legibus 1 ,269 (nous); 1 ,259.269 (psyche) e 1 ,203 (syneidesis) . 1 44 Id., De specialibus legibus l ,272. 1 45 lbid. l ,270. 1 46 Per la questione nel suo insieme, J.W. Thompson, Hebrews 9 and Hellenistic Concepts of Sacrifice, in JBL 98 ( 1 979) 577.

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satori di ispirazione platonica (Cicerone, Seneca, Filone), Cirillo d'Alessandria convergono in quanto segue: sacrifici terrestri in un santuario terrestre con elemen­ ti terrestri (sangue e animali, anche se legalmente perfetti e innocenti) sono inade­ guati a esprimere il vero rapporto con Dio e la vera purificazione-remissione dei peccati. Questa esigenza del cuore umano, molto insistente, resta inappagata. Dio può essere infatti accostato solo in coscienza pura, elemento celeste nell 'uomo; al­ lontanandolo dal terrestre, è in essa che avviene la relazione con lui. Ebrei ed elle­ nismo convergono nel « negare la validità di ogni culto terrestre, per motivi meta­ fisici »147• Eb 9, 1 1 - 1 4 sembra risentire di tutto questo dibattito, ma anche l O, 1 9-22, e in 1 3 , 1 5- 1 6 quando osserva che il vero sacrificio a Dio gradito consiste in opere buone, sequela esistenziale e preghiera di lode 148• [9, 1 5-23] La terza argomentazione, enfatico-patetica149, evolve in due mo­ menti : nuova alleanza e sangue di espiazione e morte del testatore (9, 1 5- 1 7 ) ; an­ che il patto antico ha avuto bisogno di sangue espiatorio (9, 1 8-23). L'autore, che ha appena ultimato di comparare i sistemi cultuali (9, 1 ) delle due alleanze (9, 1 1 4), precisa ora quanto aveva già annunziato in 8,6: Gesù è mediatore della nuo­ va alleanza. L'argomentazione procede per parallelismo antitetico e a mo ' di ex­ cursus. Ne nasce un deciso confronto dialettico tra la prima alleanza e quella nuova. Lo si nota bene in 9, 1 5ba. Nella prima alleanza: analessi (v. 1 5b) . 8,5; l O, l a) La legge possiede solo l'ombra dei beni futuri. La tenda-santuario è meno perfetta, è opera dell 'uomo. b) 9, l Hagia: i sacerdoti vi entrano ogni giorno. c) 9,6 Hagia hagion: il sommo sacerdote una volta l'anno 7,25; 9,7 d) 9, 1 2 e) con sangue altrui: di capri e vitelli. Norme valide fino a quando Dio non le cambia. 9, 1 0 f) g) Risultato: purificazione solo esterna, rituale. 9, 1 3 Nella nuova alleanza: professi (v. 1 5a) . a') 9, 1 1 .23-24; 10, 1 I beni eterni, celesti, quelli definitivi, sono già presenti. b ') 9, 1 1 .24 La tenda-santuario è più grande (migliore) e più perfetta. c' -d') 9, 1 2.25-28 Gesù è l 'unico sacerdote - sommo sacerdote l O, 1 -3 . 1 4 entrato una volta per sempre nel « santo dei santi ». Vi è entrato in forza del suo sangue (vita, persona). e') 9, 1 2; 1 0,4- 1 0 Ha ottenuto la redenzione eterna (definitiva). f) 9, 12 g') 9, 1 4 Risultato: purificazione della coscienza da ogni opera morta, una volta per sempre 150• 147 Cfr. J.W. Thompson, Hebrews 9 and Hellenistic Concepts ofSacrifice, in JBL 98 ( 1 979) 578. 148 Dal lato biblico-giudaico perviene a conclusioni molto simili F. S. Reding, Hebrews 9, 1 1 14, i n lnterpretation 5 1 ( 1 997) 67-70. 149 Insieme di elementi probanti con i quali I 'autore intende « s-muovere » i destinatari. 1 50 Elabora al dettaglio questi raffronti, in genere letterario antitetico-sintetico, N. Casalini, I sacrifici del/ 'Antica Alleanza nel piano salvifico di Dio secondo la lettera agli Ebrei, in RBI 35 ( 1 987) 443-464.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Si profila una dispositio letteraria in cui è riconoscibile la dialettica tra ana­ lessi e prolessi, tra il meno e il più: tra l ' imperfetto e il perfetto; tra il buono e il migliore; tra il grande e il più grande. Su questo rapporto di continuità non vi do­ vrebbe essere dubbio, né è in esso riscontrabile ombra alcuna di polemica cristia­ na antisemita: « Dopo Cristo, l ' AT non vale più come istituzione, come legge, ma continua a valere come profezia, la quale è il suo valore iniziale. Il solo valore che le stesse leggi istituzionali conservino è quello profetico, ossia tipologico. In altri termini, i testi che regolavano il sacerdozio e il culto, adesso non valgono più come precetti da osservare, ma ritengono un valore di prefigurazione riguardo al sacerdozio di Cristo » 1 5 1 • [vv. 15-17] Nuova alleanza e sangue di espiazione. L a morte del testatore. Ebrei è l 'unico scritto del NT che attribuisce a Cristo (v. 1 4a) il titolo di « media­ tore di un 'alleanza nuova >> 1 52, per tre volte (in 8,6; qui in 9, 1 5 e in 1 2,24). La for­ mula introduttoria « Proprio per questo . . . » (kai dia touto) è enfatica; l 'autore prosegue la sua argomentazione facendo pesare su di essa quella già esposta al v. 14 e pone in luce la donazione redentiva del Figlio come fondamento della sua mediazione sacerdotale (v. 1 4), accentuandone la finalità (hopos, perché): media­ tore di una alleanza nuova (v. 1 5a) 153• Pagando di persona, con la vita (sangue), Gesù il Cristo è il garante-mediatore di un nuovo testamento 1 54, il che dà senso a quella sua morte; egli restaura la coscienza « redimendo la dalle trasgressioni sot­ to il primo patto » e, quasi sottraendo la al fascino del male, la rende consapevole di essere in grado di opporsi a tutto ciò che potrebbe esporla ali ' infedeltà al pat­ to, ora nuovo, con Dio. La sua morte cancella le colpe della prima alleanza; quella morte cioè poteva accadere solo se si fosse verificata una radicale liberazione dali 'ordinamento anti­ co. In caso contrario, sarebbe avvenuta invano (v. 1 5b) 155• Inoltre, tutti i chiamati nel nuovo patto a possedere l ' « eredità eterna » mai vi sarebbero giunti da soli, ma solo « nel Figlio » ( l ,2) e ancor meno in forza di quel primo ordinamento. Quella morte redime dalle colpe commesse nel primo patto e apre le porte al nuovo. Per chi è chiamato ali 'eredità eterna e lo è in permanenza, oltre i confini del destinatario ebreo1 56, non si tratta solo di ottenere redenzione e perdono, ma an­ che del compiersi di quelle promesse che i destinatari non vedono ancora realiz­ zate. Per persuaderli, Ebrei metterà a punto, magistralmente, il cap. I l : il percor­ so della fede nella fedeltà al Dio fedele, garante il Figlio. Intanto, dice loro che essi sono destinatari di una « eredità eterna », la quale richiama la promessa di Dio in Abramo ( 1 1 ,8. 1 8) di una posterità spirituale che Eh 1 1 , 1 3- 1 6 e 1 3 , 1 4 iden1 5 1 Così A. Vanhoye, Literarische Struktur und theo/ogische Botschaft des Hebriierbriefes (l), in SNTU 4 ( 1 979) 1 1 7- 1 2 5. La traduzione è mia. 1 51 In l Tm 2,5 si legge: « Uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini: l ' uomo Gesù Cristo ». 1 5 3 Tra i vv. 1 4- 1 5a intercorre un legame logico; visti ali ' interno di 8,3 - 9,28, essi manifestano un ruolo strutturale centrale. È quanto suggerisce G. Berényi, La portée de dia tmito en He 9, 15, in Biblica 69 ( 1 988) 1 08- 1 1 2. 1 54 Cfr. Filone di Alessandria, De vita Mosis 2(3), 1 66, su Mosè mediatore. 1 55 Cfr. A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 1 53. 1 56 Lo suggerisce la forma verbale al participio kek/emenoi.

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tificano con una innumerevole discendenza che dovrà abitare nella città celeste, quella futura. Questa è la « promessa » (epaggelia) che trova in « eredità eterna )) (tes aiOniou kleronomias) il proprio contenuto: un genitivo epesegetico che per­ mette la traduzione « eredità eterna promessa )). I due patti, in continuità, si susseguono, e i destinatari si trovano ben collo­ cati fra essi, appunto tra il « già >> del primo e il « non ancora » del nuovo . Radicato nella vicenda terrena di Gesù il Cristo, fino alla morte, il patto nuovo è ancora in corso di realizzazione, verso il compimento. Questo tema doveva esse­ re dibattuto presso i destinatari giudeocristiani di Ebrei: i cristiani alla ricerca del potenziale redentivo della morte del Messia; gli ebrei senza parola di fronte a co­ tanto scandalo ( I Cor 1 , 1 8.22-24). « Trasgressioni commesse sotto la prima alleanza »: a causa o durante il pri­ mo patto?1 57. Si tratta comunque di gravi violazioni contro il progetto di Dio, al Sinai, oggetto di appassionata denunzia da parte dei profeti. Come scontarle? Non è sufficiente la grande celebrazione penitenziale dello Jom KippDr. Se ciò fosse, non sarebbe necessario tornare ogni giorno, ogni anno a ricelebrare e reim­ petrare l ' espiazione. Inoltre, con la menzione specifica delle « trasgressioni sotto il primo patto », l 'autore non può limitare la redenzione dalle medesime a favore dei soli giudeocristiani, dal momento che la tradizione del NT conosce questo stesso pensiero anche per gli etnicocristiani, ad esempio in Rm 5, 1 3 .20; 7,7- 1 2 . Da qui un nuovo argomento ai vv. 1 6- 1 7 . L'argomento assume un tono storico-giuridico; perché questo patto potesse realizzarsi, era necessaria la morte del pattuitore. Mentre un « dono » può essere elargito dal donatore in vita, non è così per un' « eredità » la quale è regolata di norma attraverso l ' atto legale del « testamento » (diatheke, v. 1 6) e distribuita agli eredi solo dopo la morte del testatore 1 58. Solo a questa condizione la sua alleanza poteva diventare operativa. Essa è infatti (gar) il suo testamento; egli, che ne è il « mediatore » (7,22; 9, 1 5) e il garante, ne è anche il testatore. Ora, un testamento entra in funzione solo dopo la morte del testatore, attestata mediante notificazio­ ne legale o notarile; prassi in uso da sempre 159. Ad essa si riporta anche Ebrei, che ai vv. 1 6- 1 7 si avvale di « testamento » (diatheke) con significato solo giuridi­ co160; è in questo senso che un testamento non potrà mai avere valore, se non do1 57 Epi te prote diatheke. Quelle trasgressioni sono avvenute >)167, parola preziosa che fa da ponte tra i vv. 1 9-20 e il v. 2 1 da un lato; tra il v. 2 1 e i vv. 22-23 dali 'altro. =

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1 64 Altre rilevazioni: in Es 24,3-8 Mosè dà la legge al popolo e sigilla il patto con il sangue di giovenchi. Nessun riferimento esplicito al sacrificio dei capri di cui in Eb 9, 1 9 (autorevolmente omesso tuttavia da J>46 e inserito dali 'autore al v. 1 9 sotto probabile influsso di 9, 1 2); per « lana scar­ latta e issopo » Ebrei risente di Lv 1 4,4 (purificazione del lebbroso); per l 'aspersione del popolo e per la formula dell 'alleanza torna Es 24,8ab. Le menzioni de li 'acqua (forse Lv 1 5? Impurità sessuali dell ' uomo: contesto molto lontano) e dell ' aspersione del libro sono introdotte da Ebrei. A Lv 8, 1 5 . 1 9 bisogna riferirsi per Eb 9,2 1 , mentre la bella formulazione di 9,22b è una rielaborazione di Lv 1 7, 1 1 . Ebrei lavora redazionalmente. 165 Cfr. A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, pp. 1 57- 1 58. 1 66 Ta skeue tes leitourghias. La formulazione rispetta la mente della LXX, che definisce allo stesso modo gli oggetti sacri deputati al culto nel tempio. Cfr. già J. Jeremias H. Strathmann, Le Lettere a Timoteo e a Tito. La Lettera agli Ebrei, Paideia, Brescia 1 973, p. 6 1 8. 16 7 Cfr. H. W. Attridge, The Epistle to the Hebrews, p. 1 00. -

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Parte seconda. Traduzione e commento

Il punto centrale dei vv. 1 9-22a è comunque chiaro: la prima alleanza fu si­ gillata con l 'aspersione del sangue. In mancanza di esso, non si dà riconciliazio­ ne né perdono né remissione (aphesis), osserva 9,22, « . . . perché il sangue espia, in quanto è la vita », scrive Lv 1 7, 1 1 (già Lv 8, 1 5). Mentre il v. 22 ricorda che « quasi 168 tutte le cose vengono purificate con il sangue ». Il lettore potrà ora egli stesso riscontrare il parallelismo tra i vv. 1 8 e 22b (sangue); tra i vv 1 9a e 22a (secondo la legge); tra i vv 1 9b e 22a (sangue); tra i vv. 1 9c e 2 1 (oggetti sacri), con convergenza sul v. 20 (sangue dell 'alleanza). Ma una difficoltà sembra disturbare tanta armonia, a motivo del riferimento di 9,2 1 a Es 40,9- 1 0 : vi si narra la dedicazione della « dimora )) (tabernacolo) e dell 'altare tramite unzione con olio; del sangue, nessuna traccia. Eppure, almeno tre motivi ne suggeriscono l 'uso anche in Es 40,9- 1 0: Aronne e i suoi figli sono insediati da Mosè come sacerdoti della « dimora )) mediante un 'unzione con il sangue (Lv 8,23-24.30); con lo stesso sangue del sacrificio espiatorio vengono unti i comi dell ' altare, l ' altare stesso ne viene purificato e consacrato (L v 8, 1 5). Eb 9,22 fa notare che a norma di legge, « quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue )), inclusi « i simboli delle realtà celesti )) (9,23), cioè il tabernacolo e quanto gli appartiene (9, 1 -5). « Allo stesso modo )) del v. 2 1 conferma bene. G. Flavio riferisce che Mosè inaugurò il tabernacolo e gli oggetti sacri nel corso di sette giorni, purificandoli con olio e sangue di capri e vitelli 169, anche se per bJòma ' 4a su Es 40 olio e acqua possono sostituire il sangue. In ogni caso, a Ebrei non sta tanto a cuore la morte cruenta nell 'effusione del sangue, quanto il valore redentivo di quella morte violenta (è il senso di ekcheo) « che Gesù prevede e che diviene per lui consapevole e volontaria, si trasforma per­ ciò stesso in un atto di abnegazione suprema, che sta al di sopra di ogni specifica idea sacrificale )) 1 70• E questo proprio in forza del v. 22b, ove l 'accento è posto sul perdono redentivo introdotto da quella morte. È quanto si può arguire da una lettu­ ra parallela dei vv 1 5 e 22b. Alla menzione del sangue Ebrei è tuttavia tenuto a mo­ tivo dell ' immediato retrofondo anticotestamentario e dell 'allusione a Lv 1 7, I l . Il punto centrale dei vv 1 9-22 è : « E senza spargimento di sangue (choris aimatekchysias, Lv 1 7, 1 1 b) non si ha perdono (aphesis) )) (v. 22b). L'autore è di certo informato su cerimoniali di purificazione rituale che non comportavano l 'effusione del sangue. Erano previste dalla legge purificazioni mediante acqua (Lv 1 5) e fuoco (Nm 3 1 ,22-23). Inoltre, chi per povertà non fosse stato in grado di offrire un paio di tortore o due colombi, poteva presentare un decimo di e fa ( 45 litri/chilogrammi, dunque 4,5 litri/chilogrammi) di fior di farina come sacrificio espiatorio del proprio peccato (Lv 5 , 1 1 - 1 3 ). Queste erano comunque eccezioni. La regola è in Lv 1 7, I l : « La vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho concesso .

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.

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168 Schedon unito a panta motiva la traduzione: « Quasi tutte le cose . . . >>. Ma può anche sottin­ tendere un altro modo del verbo « dire », con il senso di « come appena detto >> o « come si può ben dire » con riferimento ai vv. 1 8-2 1 . Cfr. D.J. MacLeod, The Cleansing ofthe True Tabernacle, in BS 1 52 ( 1 995) 64, nota 1 3; cfr. M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 509 ([ere dixerim) . La traduzione è tuttavia « quasi >> generalmente tenuta. 169 Cfr. G. Flavio, Antichità giudaiche 3,206. 1 7° Così già J. Behm, ekchei5, in GLNT ( 1 967) 3,377.

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di porlo sull 'altare in espiazione per le vostre vite, perché il sangue espia, in quanto è la vita )). E questa regola vale per la dedicazione del tabernacolo. « Senza spargimento di sangue )) è il senso di aimatekchysias, una parola compo­ sta da due: haima (sangue) e ekchynein (spargere). Si può ben supporre che la fe­ lice combinazione (hapax legomenon nel NT) sia opera della fervida mente del­ l 'autore. Esprime l ' immolazione violenta della vittima, condotta con violenza (Sir 1 7, 1 5 ; I Re 1 8,22), come vuole lo spargimento del sangue. Potrebbe tuttavia indicare l 'azione sacerdotale dell ' aspersione con il sangue, dell 'altare ad esem­ pio ( 1 1 ,28; Es 29, 1 2; Lv 4,7; 1 8,25) e a motivo del perdono che senza quell 'a­ spersione non si sarebbe mai potuto ottenere. I due aspetti tuttavia si completano: l 'aspersione suppone infatti l ' immolazione. Qui, tuttavia, l ' accento è posto sul­ l 'aspersione dell 'altare: è da essa che parte il perdono 1 7 1 • D i aphesis s i profila un significato complesso. Quale perdono? I n primo luo­ go « rimettere, liberare )) dalla schiavitù, dal carcere (Lv 25, 1 0- 1 3 ; Dt 1 5, 1 ; Le 4, 1 8), ma anche dai debiti sicché il creditore, nel nostro caso Dio, scioglie il de­ bitore da ogni obbligo di pagamento (M t 1 8,2 1 -25; Le 7,4 1 -4 7): se prevista, quel­ la remissione-liberazione annulla anche la pena (Col 1 , 1 4; 2, 1 3- 1 4; Ef 1 ,7). Il perdono di Dio per i peccati d'Israele caricati sul capro espiatorio in occasione del gran giorno dell 'espiazione è indicato anche con aphesis. Ma espressamente redentiva è l ' azione del sacerdote che « offre in sacrificio il giovenco dell 'espia­ zione . . . e sarà loro perdonato )) (Lv 4,20; 1 9,22)172• Katharizo (purificare) ricorre già al v. 22 e sembra sinonimo di aphesis (per­ dono) al v. 22b. Ogni peccato e infedeltà sono causa di contaminazione; da essa solo il perdono che purifica può liberare con l ' offerta di un sacrificio in grado di rimuovere il peccato stesso (Eb l 0,4; cfr. anche l Gv l ,9). Del resto è nell 'effu­ sione del sangue il potere di purificare oggetti come la tenda e quanto essa con­ tiene (9, 1 -5), oggetti che certo non peccano, ma possono andare soggetti a conta­ minazioni. L' espressione: « Senza spargimento di sangue non si ha perdono >> sembra assommare in sé i due significati : la purificazione rituale, e ancora il per­ dono delle colpe 1 73; un perdono ancor sempre imperfetto. Forte eco in Rm 3 ,2 1 -26. Volendo Dio « giustificare >) indipendentemente dal­ la legge e « per grazia >> (t� chariti), dunque gratuitamente, punta sul Cristo, « stru­ mento di espiazione >> (hilasterion). Questi opera la redenzione (apolytrosis) nel suo sangue, dona comprensione e offre « tolleranza >> (paresis) verso i peccati del 1 7 1 Sull ' intera pericope di Eh 9, 1 5-22, segnalo J.S. Wiid, The Testamental Significance of diatheke in Hebrews 9, 1 5-22, in Neotestamentica 26 ( 1 992) 1 49- 1 56. Successivamente J. W. Kleinig (The Bloodfor Sprinkling: Atoning Blood in Leviticus and Hebrews, in Luth TJ 33 [ 1 999] 1 24- 1 35) esamina il ruolo del sangue nei sacrifici rituali previsti dal Levitico, nonché il senso dello spargi­ mento di sangue nei sacrifici quotidiani. Esamina poi il ruolo del sangue di Cristo nel culto cristia­ no secondo Ebrei, ne rileva il linguaggio realistico e ravvede un'allusione alla cena del Signore. Che il sangue sparso da Mosè sul popolo (9, 1 9), sangue di alleanza, possa richiamare quello effuso da Gesù Cristo sulla croce è più attendibile. Credo lo sia molto meno l 'allusione eucaristica. 1 72 Ne scrive anche Filone di Alessandria, De vita Mosis 2 , 1 47; De specialibus legibus 1 , 1 90.2 1 5 .237. 1 73 Dati in C.R. Koester, Hebrews. A New Translation with lntroduction and Commentar (Anchor Bible 36), Doubleday, New York - London 200 1 , pp. 420-42 1 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

passato, un perdono parziale1 7\ e chiede in cambio la fede (eis pantas tous pi­ steuontas) in lui, grazie alla quale quel perdono parziale può evolvere in totale (Romani non conosce aphesis, ma solo aphiémi, 4, 7 dal Sal 3 1 , l ). Molto forti le convergenze linguistiche tra Ebrei e Romani 175• Un 'osservazione linguistica su Eb 9, 1 5-22 pone in chiaro una struttura at­ traverso particelle di congiungimento, coordinate, secondo una logica progressi­ va, a mo' di rnnemotecnica: a) b) c) d) e) f) g) h) i) l) m)

9, 1 5a 9, 1 5b 9, 1 6 9, 1 7a 9, 1 7b 9, 1 7c 9, 1 8 9, 1 9a 9,2 1 9,22a 9,22b

« E anche per questo )) (kai dia touto, causale) « perché )) (hopos, finale) « infatti )) (gar, causale) « infatti )) (gar, causale) « poiché )) (epei, causale) « finché )) (ote, temporale) « per questo neanche )) (hothen oude, consecutivo) « infatti )) (gar, causale-esplicativo) « anche )) (kai, avverbiale) « infatti )) (kai, copulativo-esplicativo) « e )) (kai, copulativo-conclusivo).

Punto chiave di questa dispositio è in a): « E anche per questo Cristo è me­ diatore di una nuova alleanza >) (Eb 9, 1 5a, causale), dove « E anche per questo >> è in analessi su 9, 1 1 - 1 4 e in pro lessi su 9, 1 5b-22 . Al motivo dell 'alleanza nuova, centrale in Eb 9, 1 5-22, contribuisce un ulteriore momento di struttura ai vv. 1 822 del tipo: a-b-c-d-c' -b' -a ' : a) b) c) a') b') c') d)

9, 1 8 9, 1 9 9, 1 9 9,22 9,22 9,2 1 9,20

choris haimatos ( « senza sangue ») kata ton nomon ( « secondo la legge )) ) errantisen ( « asperse )) ) choris haimatekchysias (« senza spargimento >) di sangue) kata ton nomon ( « secondo la legge >>) errantisen (« asperse »). touto to haima tes diathekes (« questo è il sangue dell ' allean­ za »): punto nevralgico che ruota nella mente dell 'autore, cuore del suo messaggio. Valori estetici a servizio del contenuto1 76•

Eb 9, 1 5-22 apre anche un interrogativo socio linguistico, con risvolti religio­ si. Un dato di fatto: l ) Diatheké, lo si è già notato, può esprimere l ' ultima volontà del testatore e, come tale, è termine giuridico. 2) Solo dopo la morte del testata­ re, i testatari diventano eredi del suo testamento (keklemenoi-kleronomoi nel sen-

1 74 Così su paresis M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 466. 1 75 Sulla questione in Rm 3,2 1 -26, cfr. A. Pitta, La Lettera ai Romani, pp. 1 56- 1 72. 1 76 Sul contributo estetico delle strutture-compositiones, segnalo L.L. Neeley, A Discourse Analysis of Hebrews, in JOTT 3-4 ( 1 987) 1 08- 1 09; G.H. Guthrie, The Structure of Hebrews, e in particolare K. Backhaus, Der neue Bund und die werdende Kirche, pp. 1 84- 1 85 .

Dall 'antico al nuovo nella continuità Eb 9, 1 - 1 0, 18

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so di Ger 3 8,33, LXX): « Sarò per essi Dio ed essi saranno per me popolo »; nel senso di figli ed eredi come in Eb l , 1 4 ; nel senso di figli ed eredi nello Spirito co­ me in Rm 8, 1 4- 1 7 e Gal 4,4-7. 3) Per Eb 9, 1 6- 1 7 diatheke-testamento legale di­ venta patto (berit) attraverso l 'uso di keklemenoi-kleronomoi di cui in 9, 1 5 . La morte del testatore rende tutto ciò possibile: fa del testamento un patto e di noi te­ statari gli eredi del testamento, dunque del patto-alleanza177• Magistrale soluzio­ ne dell ' autore 1 78, non da tutti condivisa 1 79. « Era dunque necessario » (anagke oun, v. 23) introduce la proposizione del tipo ta men - auta de ta, che ripropone il dualismo cosmologico (platonico-filo­ niano) già più volte menzionato (« realtà terrestri - realtà celesti »). Anagke oun è infatti introduzione tipica a dualismi antitetici di ordine cosmologico 180. Con con­ duzione serrata, l ' autore focalizza la purificazione dei simboli delle realtà cele­ sti 1 8 1 che, lo si noti, non menziona direttamente, cioè le realtà terrestri. Se dunque fu necessario (anagke oun) lo spargimento del sangue per la purificazione cul­ tuale della tenda e di tutti gli arredi del culto (v. 2 1 ), realtà terrestri (ta de) che era­ no solo la « figura, l 'ombra » di realtà migliori (quelle celesti), fu tanto più ne­ cessario (anagke) che anche queste ultime (auta de ta) fossero purificate 182 con « sacrifici migliori >> . Il plurale si riferisce di fatto ali 'unico sacrificio della nuov� alleanza ( l O, 1 2), espresso appunto al plurale in antitesi ai molti sacrifici dell 'an­ tica alleanza (Eb l O, I l ). Ma può voler significare altri tre elementi indicati ai vv. 24-28. L'antitesi è solo letteraria. Il linguaggio e la situazione descritta non vanno presi alla lettera; il santuario-tabernacolo celeste infatti non ha bisogno di purificazione (« Pura per se sunt coelestia >> ). Ma allora come spiegare che Cristo è entrato nel santuario celeste, « nel cie­ lo stesso », con il proprio sangue per purificare anche le realtà celesti (ta epoura­ nia, v. 23)? Forse in parallelo letterario poetico a quanto accadeva per i relativi loro simboli terrestri (vv. 2 1 .23), ma avremmo più poesia che teologia, compor­ tamento inconsueto per Ebrei. O forse una sorta di corrispondenza tipologica tra

1 77 Così J . S . Wiid, The Testamental Significance of diatheke in Hebrews 9, 1 5-22, in Neotestamentica 26 ( 1 992) 1 49- 1 56. 1 7 8 Buona conferma giunge dal l 'apporto estetico di Eb 9, 1 5-22 appena rilevato sopra: una struttura-compositio che fa perno sul tema dell 'alleanza nuova. Cfr. M.P. John, Covenant-Testament­ Wi/1, in BT 30 ( 1 979) 448 . 1 79 A d esempio, J.J. Hughes, Hebrews 9, 15ff. and Ga/atians 3, 15ff. A Study in Covenant Practice and Procedure, in Novum Testamentum 2 1 ( 1 979) 27-96. Esaminata la prassi testamentaria greco-ro­ mana, ampiamente esposta nel suo studio, J.J. Hughes ritiene impossibile tradurre diatheke con te­ stamento. Che se, ciò nonostante, Ebrei favorisce tale lettura, non resta che prendere atto di un nuo­ vo e autonomo comportamento di Ebrei. Delle 33 frequenze di diatheke nel NT, ben 1 8 sono in Ebrei. Dunque, testamento o patto-alleanza? Scrive M. Buber, Konigtum Gottes, Schocken, Berlin 1 932, p. 227: « Se la berit del TM è tradotta con patto-alleanza, ciò è perché non si è trovata una pa­ rola migliore ». Il che potrebbe provare che quella in uso è la migliore. 18° Cfr. W. Grundmann, anagkazo, in GLNT ( 1 965) 1 ,934, che però non menziona Eb 9,23. 181 Epourania ricorre 6 volte in Ebrei (3, 1 ; 6,4; 8,5; 9,23; 1 1 , 1 6; 1 2,22). 182 Si legge qui generalmente ancora katharizesthai (infinito passivo). Si può tuttavia vedere la figura dello zeugma. Ciò accade quando un solo verbo che può presiedere due soggetti, ne presiede di fatto uno solo, lasciando così spazio al secondo soggetto per un nuovo verbo: egkainizo (inaugu­ rare) appena ricorso al v. 1 8 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

i vv. 2 1 e 23 : ciò che accade per l 'ombra e il simbolo (tipo), accade anche per la realtà (antitipo). Forse ancora, dal momento che Ebrei mostra attenzione alla fe­ sta dello Jom KippDr di cui ripercorre il tracciato di fondo, si può pensare che Cristo, entrato nel cielo, abbia avviato una severa ricognizione dei peccati com­ messi dal suo popolo, li abbia portati al cospetto di Dio che li ha perdonati, ne abbia individuata la causa nella « persona di satana », abbia dichiarato costui colpevole del male diffuso fra gli uomini e, quale capro espiatorio, lo abbia sca­ raventato nel deserto. Il suggerimento è suggestivo. Eb 2, 1 4 conosce il tema del­ la sconfitta del « diavolo » da parte di Cristo, ma non lo sviluppa e non conosce il tema di un giudizio investigativo da parte di lui l83• Osserviamo un po ' più da vicino la sconfitta di satana menzionata in Eb 2, 1 4: con essa il cielo è purificato da tutte le negative contaminazioni di cui scri­ ve Gb 1 5 ,25 (il malvagio ha steso la sua mano contro Dio) e Gb 25,5 (« Ecco, la luna stessa manca di chiarore, e le stelle non sono pure ai suoi occhi ))). La cadu­ ta dal cielo di « lucifero, figlio dell 'aurora )) e stella del mattino 1 84 è raccontata da Is 1 4, 1 2 (« Come mai sei caduto dal cielo, tu, Lucifero, figlio dell 'aurora? ») ed è descritta appassionatamente da Ez 28, 1 4- 1 5 . Dichiarazioni accorate, da situare nel loro preciso contesto storico, comunque non prive d' ispirato anelito al para­ diso terrestre e di tracce mitologiche orientali. I padri della Chiesa non tarderan­ no a vedere nella caduta della « stella del mattino )) (versione Vulgata, lucifer) la caduta di satana185• Con esplicito riferimento a « nei cieli » (en tois epouraniois), Ef 6, 1 2 descrive il combattimento cristiano condotto « non contro creature di car­ ne e sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano « nelle regioni celesti )) . Ef 6, 1 2 cioè sintetizza bene il regno di satana nei cieli, sulla terra. Entrato nei cie­ li in occasione della sua ascensione (Eb l ,3), Gesù Cristo rivendica la sua signo­ ria sul regno di satana e libera i cieli dalla sua contaminante presenza. Solo in conseguenza di ciò, il cielo può diventare il luogo dell ' incontro tra Dio e l 'uomo. Efficace la sintonia con Col 2, 1 5 e l Gv 3,8b: Gesù Cristo distrugge le ope­ re del diavolo (male) in cielo e in terra. Anche qui il suggerimento è suggestivo e ben documentato. Tuttavia, Eb 9, 1 4- 1 8 è molto più concentrato sul tema di Cristo redentore dell 'uomo e non su quello della vittoria di lui su satana. E poi, volendo trasmettere questo messaggio, perché l 'autore non è stato più chiaro? O va sup­ posto che in cielo siano stati commessi dei peccati, forse quelli degli angeli ri­ belli? Eb l ,4 - 2, 1 8 mostra in verità molta considerazione per il mondo angelico, eppure non dà attenzione alla tradizione apocalittica di cui in Ap 1 2,7-9: la guer­ ra nel cielo tra Michele e i suoi angeli da una parte, il drago, il serpente antico, che noi chiamiamo satana, diavolo, e i suoi angeli ribelli dali 'altra. J KJ La proposta è di esegeti avventisti del settimo giorno che, in verità, si ridimensionano a vi­ cenda. Cfr. D.J. MacLeod, The Cleansing ofthe True Tabernacle, in BS 1 52 ( 1 995) 65. 184 Le due immagini impersonano due figure divine, secondo i poemi di Ras samra. Cfr. Gregorio del Olmo Lete, Mitos y leyendas de Canaan segrin la tradicion de Ugarit, Cristianidad, Madrid 1 98 1 , p. 435 (e Indice de materias: Asirio e Hijo). Per I s 14, 1 2a ed Ez 28, 1 4- 1 5, lucifero è creatura di Dio. 18 5 Precisazione della BJ su Is 1 4, 1 2- 1 5, la quale non riferisce questo passo a satana. Il kerub menzionato è allusione al Krnb protettore di Gn 3,24.

Dal/ 'antico al nuovo nella continuità Eb 9, l

- l O, 1 8

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È noto il pensiero del NT sul credente come « casa, abitazione, tempio di Dio » (Ef 2,22; l Pt 2,5). A tal fine, questi necessita di purificazione del cuore e della coscienza. Eb 3 ,6 vede nei credenti la « casa di Cristo >> e in 9, 14 afferma che la loro coscienza deve essere purificata. Il che è vero, ma non lo è in questo punto della lettera dove egli è concentrato sulla purificazione delle cose celesti, del cielo stesso (Eb 9,23-24). Ebrei non conosce una identificazione tra il taber­ nacolo celeste e la comunità dei credenti. Non era forse necessario chetare la col­ lera di Dio, il suo furore e il suo sdegno onde ricuperare lo splendore del suo amore? Il santuario terreno era infatti precluso al pio israelita, così anche quello celeste; e come nel santuario terrestre vi entrava solo il sommo sacerdote e una sola volta l 'anno per compiervi l ' espiazione per sé e per il popolo, così nel san­ tuario celeste vi entra Cristo una volta per sempre per purificarlo dali ' ira di Dio verso l ' uomo e ricuperare il suo amore per lui 186. In verità, sulla croce, si incon­ trano l 'amore e l ' ira di Dio. E poi ciò che allontana il cielo (Dio) dali 'uomo non è l ' ira di Dio, ma la caduta dell 'uomo. Contestualmente, questa lettura sembra valida; ma una spiegazione più persuasiva è da preferire. Si potrebbe pensare alla purificazione cosmica. Si sa, la caduta originale ha investito tutta la creazione1 87. Eb 9,23 sarebbe allusione ali 'ultimo e definitivo ef­ fetto redentivo della croce : cieli nuovi e terra nuova, un nuovo cosmo purificato dal male e riempito dalla giustizia, la grande speranza messianica giudaica. E ciò è vero, dal lato di un' escatologia in fieri (cfr. Col l ,20). Resta però che il conte­ sto immediato di Eb 9,24 (nyn) è più interessato ai benefici immediati della cro­ ce per i credenti, primo fra tutti il dono redentivo unico, irripetibile e di qualità superiore (9,23 ). Si potrebbe osservare che il verbo katharizein (purificare) usato al v. 23a non è ripetuto al v. 23b, dove però lo si deve supporre. Né è da escludere un riferi­ mento a egkainizo (« inaugurare, dedicare ») di 9, 1 8 : il primo patto e il primo ta­ bernacolo sono stati inaugurati nel sangue (9, 1 9.2 1 ), così il nuovo patto e il nuo­ vo tabernacolo in quello sparso in croce. Questa proposta risolverebbe la crux interpretum, ma annullandola. In verità, la struttura sintattica « dunque . . . anche » (oun men . . . de . . .) in 9,23 esige l 'utilizzo dello stesso verbo188 e depone a favore di una esplicita intenzione dell ' autore : anche « le realtà celesti dovevano essere purificate (non inaugurate) con sacrifici superiori » (v. 23). Eb 9, 1 8-20 riferisce dell ' inaugurazione del primo patto e del nuovo nel san­ gue; Eb 9,2 1 -23 aggiunge che i rispettivi santuari vengono inaugurati nel san­ gue1 89. Coordina bene « allo stesso modo » (homoios). L'autore poi va oltre: l ' i­ naugurazione dei due patti e dei due santuari comporta la loro purificazione. Ebrei non lavora in senso fisico-topografico, ma sulle interrelazioni : come il san1 86 Significativo suggerimento di F. Delitzsch, Commentary on the Epistle to the Hebrews, l-II, Dorftling & Franke, Giessen 1 989 (ristampa della prima edizione del 1 857), vol. II, p. 1 25. 1 87 Così Gn 3, 1 7- 1 9; ls 24,5-6; Ger 23, l O; Rm 8 , 1 8-20. 1 88 Così H. W. Attridge, The Epistle to the Hebrews, p. 26 1 ; Grasser, An die Hebriier. Hebr 7. 110, 18, vol. II, p. 1 88, nota 14. Non così C. Spicq, L 'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, p. 267. 1 89 Nel giorno dell 'espiazione venivano purificati il « santo dei santi )) (tenda del convegno; Lv 1 6, 1 7) e gli israeliti (Lv 1 6, 1 6) a motivo delle loro trasgressioni e impurità.

voli .

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tuario terrestre era il luogo dell ' incontro del pio orante con Dio, perché di lui bi­ sognoso, così il santuario vero, quello celeste. E come già allora l ' accostamento al tabernacolo veniva ostacolato dal peccato (reso noto dalla legge), così anche oggi il nuovo tabernacolo non è accessibile in piena libertà agi ' indeboliti e in­ certi nella fede. Da qui 9,23 : anche il tabernacolo celeste doveva essere purifica­ to attraverso il perdono donato ai credenti peccatori che vi si sarebbero recati ie­ ri, oggi e sempre. Non necessita di nuovi sacrifici, bensì l ' unica offerta redentiva di lui opera in permanenza la riconciliazione e provvede a che i credenti peccato­ ri purificati accedano alla presenza di Dio. Allo scopo, il sommo sacerdote tiene il santuario del cielo sempre aperto e lo purifica con il potenziale redentivo della sua vita vissuta hyper: dali ' incarnazione ( l ,6) ali ' ascensione (Eb l ,3), attraverso la morte e la risurrezione ( 1 3 ,20). Questa soluzione è in plausibile contesto con Ebrei 190• [9,24-28] Quarta agomentazione: « Una volta per sempre ». « Sacrifici su­ periori-migliori » (kreittosin, v. 23). Di che cosa si tratta? In 9,24-28 Ebrei offre una risposta e identifica quei « sacrifici » di qualità migliore in tre rassicuranti at­ teggiamenti del Cristo: egli è « ora . . . al cospetto di Dio in nostro favore » (v. 24); ha distrutto il peccato una volta per sempre (vv. 25-26); si prepara a portare a compimento la salvezza nella parusia (vv. 27-28). [v. 24] Aperto da un gar (infatti), il v. 24 ripropone in parole diverse quanto già esposto al v. 1 1 . Lo sfondo, affidato a una sintassi del tipo ou-alla ( « non­ ma »), è una volta ancora dualista platonico-filoniano: « santuario fatto da mano (d'uomo) >> (cheiropoieta hagia), il quale è « immagine di quello vero » (antitypa ton alethinon) l 9 1 , « c ioè tipo del celeste » (tout 'estin typos tou ouranou) l 92• L'antitesi non svaluta il santuario terrestre, dal momento che riconoscer! o come antitipo di quello celeste è valorizzarlo per quel che è. Tale già nota premessa ha lo scopo di sostenere l ' ingresso del Cristo (eiselthen; cfr. 9, 1 2) in un santuario vero, « nel cielo stesso »193• Quel suo « ingresso » dà massima sicurezza alla sua azione « in nostro favore », a quella sua intercessione radicata nella sua morte, la quale raggiunge il proprio compimento nella sua « ascensione » (eiselthen) . Tale sicurezza aumenta, in quanto quell ' intercessione per i « suoi » avviene nelle im­ mediate vicinanze di Dio (ti) prosopi) tou theou); là egli intende « presentars i » 1 94• Quella sua intercessione non potrà mai fallire il segno. Essa, poi, accade « ora » (nyn), cioè tra il « già » e il « non ancora », tra l 'ascensione e la parusia, a vantag­ gio dei suoi fratelli pellegrini verso il riposo di/in Dio, con i quali egli è sempre

1 90 Così R.L. Omanson, A Superior Covenant: Hebrews 8, 1-10, 18, in Review and Expositor 82/3 ( 1 985) 368. Dettagliato ragguaglio della questione disputata in D.J. MacLeod, The Cleansing of the True Tabernacle, in BS 1 52 ( 1 995) 64-70. Ma la crux interpretum resta. 1 9 1 L'autore pensa qui al « santo » fatto da mani d'uomo (v. 24) e al « santo dei santi », il cielo stesso (v. 24b). Cfr. supra, su Eb 9,8. Cfr. ancora Eb 9,8. 1 2.25; 1 0, 1 9; 1 3 , 1 1 . 192 L'annotazione correttiva è di Teofilatto, Expositio in epistolam ad Hebraeos 9 , in PG l 25,3 1 3A. Si noti l ' interscambio fluttuante, già altrove rilevato, tra tipo e antitipo, rispettivamente in Ebrei e nella rilettura di Teofilatto (secolo Xl). Ma è solo una questione nominale. 1 93 Eis auton ton ouranon : è il cielo stesso « il santuario vero » o quest'ultimo si trova nel cielo? 1 94 È il senso di emphanisthenai, con buona allusione al Sal 42,3 (w 'era 'eh p•ne 'Elohim).

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solidale, e di chiunque è disposto a ereditare il nuovo patto. La componente esca­ tologica è qui difficilmente eludibile. [vv. 25-26] Mentre il v. 24 è in corrispondenza con 9, 1 1 , i vv. 25-26 lo sono con 9, 1 2- 1 4. L'autore vi espone il secondo « sacrificio superiore »: egli ha di­ strutto il peccato una volta per sempre. Dà poi corpo a questa sua persuasione ar­ gomentando al negativo: rispetto al v. 24 già fortemente agganciato alla liturgia dello Jom KippDr, il v. 25 propone un vocabolario più critico sui limiti di quella liturgia. A una sintassi ancora del tipo « non-ma » (dualismo alessandrino) l ' au­ tore consegna tre contrapposizioni : l ) « non per >> (oud 'hina) offrire se stesso più volte (v. 25); « avrebbe infatti (epei) dovuto soffrire più volte » (v. 26); 2) non « ogni anno » (kat 'eniauton, v. 25b ), ma « una volta sola » (hapax, v. 26b ); non « con sangue altrui » (v. 25c ), ma « mediante il sacrificio di se stesso » (v. 26c ). È bene notare come alle molteplici « cose » liturgiche previste dallo Jom KippDr ri­ sponda una loro scadente qualità; al contrario, è di qualità superiore la nuova li­ turgia celebrata dal Cristo con essenzialità di tempi e di mezzi: una sola volta e nel suo solo sangue. Che se sacerdoti e sommo sacerdote non potevano offrire che sacrifici di animali, egli « ha offerto se stesso, « una volta sola » (hapax, v. 26; cfr. 7 ,27), « per mezzo di uno Spirito eterno » (v. 14 ), oblazione del tutto inno­ cente (« senza macchia », v. 1 4 }, quale sommo sacerdote nuovo ed eterno « alla maniera di Melchisedek » (7 ,24 ). « Contempla l 'eccellenza di Cristo. Il sommo sacerdote antico entra ogni anno nel tempio; Cristo invece una volta per sem­ pre », annota Teofilatto 195• Riprova del tutto: se il suo sacrificio avesse avuto il peso di quelli antichi, eb­ bene egli « avrebbe dovuto soffrire più volte » (pollakis pathein). La successione esistenziale per lui è invece ben diversa: « si è manifestato » (pephanerotai, v. 26); « patire » (pathein, v. 26); « è entrato-asceso » (eiselthen, v. 24); « per offrire se stesso » (prosphere heauton, v. 25); « una volta sola (hapax)» (vv. 26.28). Si ri­ scontra qui il valore sinonimico di eisienai (« entrare »; cfr. 9,6) ed eiserchesthai (« entrare », v. 25): entrambi esprimono l 'ingresso del sacerdote per il culto. Su alcuni di questi dati è bene soffermarsi: « Soffrire >> (pathein, v. 26a) richiama 2,9: « A causa della sofferenza della morte » (dia to pathema tou thanatou) . Per Ebrei è in primo piano non tanto la morte in sé, quanto il valore salvifico della medesima, presente nella sua soffe­ renza accolta e gestita. Dunque, se il peccato mostra la sua universale forza di­ struttrice, « fin dalla fondazione del mondo », ora è quella morte a esprimere il suo universale valore redentivo « fin dalla fondazione del mondo >> e in conti­ nuità. Una soffice allusione a Rm 5 , 1 8- 1 9 (vecchio Adamo - nuovo Adamo) è qui attendibile. « Ora » (nyni, v. 26b). A motivo del parallelo con Rm 1 6,26; Col 1 ,22; 2Tm l , l O, testi di indole ionico-liturgica, potremmo avere anche qui un indizio liturgico a favore della frase: « Egli si è manifestato una volta sola, ora, nella pienezza dei tempi . . . >>. La sua unica e irripetibile venuta dà alla storia umana un nuovo orienta­ mento, attraverso il lieto annunzio della parola (logos tes akoes, Eb 4,2) che rende 195 Teofilatto, Expositio in epistolam ad Hebraeos, in PG 1 25,9,3 1 4C.

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Parte seconda. Traduzione e commento

quella sua venuta sensibilmente presente. « Ora >>, in questo tempo pieno di lui, la salvezza è in via di compimento, perché gli effetti della sua venuta sono sempre at­ tivi 196; egli, ha inaugurato una strada sempre aperta verso il « santo dei santi » ( 1 0, 1 9), in efficace contrasto con la medesima strada « non ancora aperta » in 9,8. « Pienezza dei tempi » (epi synteleia ton aionon) è formula apocalittica 1 97, nota a Mt 1 3 ,39.40.49; 28,20 (synteleia aionos). Questi se ne serve per descrive­ re il tempo messianico in via di compimento e, in particolare, l 'atto finale della parusia. Ebrei invece si riporta qui a Eb l ,20 (« Ultimamente [Dio] ha parlato in questi giorni a noi per mezzo del Figlio ») e con « pienezza dei tempi » intende descrivere l ' inizio dell ' èra messianica: apice del messaggio messianico è appun­ to « la sofferenza della morte ». I destinatari di Ebrei si muovano tra quella sua venuta nel tempo, in ascolto del suo messaggio, e il potenziale redentivo di quel­ la sua sofferenza, terminata con il suo « ingresso-ascensione » (v. 24), oltre il tem­ po. Vivano i tempi messianici, nel tempo, in marcia verso il compimento, oltre il tempo. È di questo che qui si tratta. Le parole chiave hapax, ephapax, eis to dienekes, la loro frequenza e i valo­ ri che esse trasmettono, non stanno lì a ricordare l 'unicità atemporale della re­ denzione che, già sperimentabile nell 'oggi storico umano, sospinge verso il pro­ prio pieno godimento nel futuro di Dio? 1 98. Su hapax, ephapax, eis to dienekes, vedi più avanti in Eb l O, 1 4. [ vv. 27-28] Una cosa è certa, la salvezza di Dio si compirà nella parusia del Figlio. Siamo al terzo « sacrificio superiore », proposto dall 'autore alla comunità cristiana perché resti fedele al Cristo. Che l ' uomo muoia una sola volta è verità empirica da sempre attestata, ben introdotta da: « È stabilito che » (v. 27). « Gli uo­ mini muoiono una sola volta », scrive Omero1 99, e lo stesso pensiero è presente nella tradizione sapienziale200, e patristica20 1 . Eb 9,27 si immette in questo solco con serrata argomentazione: come (kath 'hoson) ogni uomo muore una sola volta, così anche (houtosj2°2 l 'uomo Gesù ha offerto la sua vita in redenzione, una sola volta; non dovrà più patire (v. 28)203. Nel tempio celeste, egli non celebra alcun nuovo sacrificio: è lo hapax che continua a esprimere il suo peso argomentativo. Immessosi nel solco della tradizione, Ebrei vi apporta del proprio: il giudi­ zio-krisis, quello definitivo, sul quale aveva già dato istruzioni ai suoi in 6,2. Nessuno stile di vita resterà inosservato, piuttosto Dio giudice lo soppeserà e va1 96 È il senso legato al perfetto pephanerotai: si è manifestato una volta per sempre. 1 97 Si vedano: Dn 8, 1 9; 1 1 ,27.35; 1 2,4 (LXX); Testamento di Beniamino 1 1 ,3 ; Testamento di Levi 1 0,2; Testamento di Ruben 6,8; al singolare synteleia toii aionos in Sir 43,7, secondo la recen­ sione di Simmaco; Assunzione di Mosè 1 2,4; 4Esdra 6,25. 1 98 È la tesi portante del recente lavoro di A. Winter, Die iiberzeitliche Einmaligkeit (hapax, ephapax) des Heils im « Heute ». Zur Theologie des Hebriierbriefes, Ars una, Neuried 2002 . 1 99 Ne parla già Omero, Odissea 1 2,22 : hapax thneskousin anthropoi. 200 Cfr. Sap 2,5: « La nostra esistenza è il passare di un'ombra e non c'è ritorno alla nostra mor­ te, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro ». Sulla stessa linea Qo 3 ,20; 1 2 , 7; Gb 34, 1 5 con riferimento a Gn 3, 1 9. 20 1 Cfr. Atanasio di Alessandria, Epistola ad Serapionem 4, in PG 25,687-688. 202 Kath 'hoson . . . outos: formulazione di tipo analogico. Nel NT ricorre solo in Eb 9,27. 203 Suggerimenti in E. Griisser, A n die Hebriier. Hebr 7, 1-10, 18, vol. Il, p. 1 67.

Dal/ 'antico al nuovo nella continuità Eb 9, l

- l O, 18

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luterà. Per questo elemento completivo, Ebrei potrebbe seguire la tradizione apo­ calittica che conosce ampiamente l 'argomento204• Quanto al « quando >> di questo giudizio, l 'autore dispone di fonti che si muovono in due direzioni: un giudizio finale e universale, alla fine dei tempi205 ; uno immediato e personale dopo la mor­ te di ognuno206• In entrambi i casi, un giudizio eterno. Il secondo orientamento esegetico, da tempo esplorato, sembra vada riscuotendo interesse critico207• Quel giudizio avverrà in contemporanea con la parusia, la quale avrà luogo immedia­ tamente dopo la morte-passaggio dei credenti, nel « santo dei santi >> celeste; là avviene l ' incontro tra il Figlio e i figli nel Figlio, lì avrà luogo la parusia del som­ mo sacerdote-re, donatrice di definitiva e sicura salvezza, non sulla terra alla fine della storia. Quella parusia infatti è « il fine » della storia di ogni persona208• Ebrei è attento alle due linee, forse con tendenza verso la prima. Ma è già mol­ to avere menzionato la seconda, dato che questa non è la più seguita. Forse è me­ glio ritenere che l 'autore non speculi sul « come e quando » il giudizio di Dio avrà luogo, ma che ne annunzi il dato di fatto che i suoi destinatari ne sono in attesa. Ebbene, quel giudizio non va temuto; esso altro non sarà che il compimento finale delle « promesse migliori » proprie di quel patto migliore, che l Pt 3, 1 8 magistral­ mente descrive in piena sintonia con Ebrei: « Cristo è morto per voi . . . una volta per tutte per i peccati degli uomini. Era innocente, eppure è morto per i malvagi, per ri­ portarvi a Dio. Egli è stato ucciso, ma lo Spirito di Dio Io ha fatto risorgere ». Eis to anegkein (v. 28): per portare su o per portare via? Alla piena sintonia con I Pt 3, 1 8 risponde una significativa dissintonia di Eh 9,28 con I Pt 2,24, ove si legge: « Cristo si addossò (anenegken) i (nostri) peccati », espressione preleva­ ta da Is 53, 1 2 (LXX) con l ' aggiunta di « nostri » (hemon), e con l ' integrazione « nel suo corpo sul legno ». Ne segue che lo scopo di « si addossò » è « per porta­ re i nostri peccati sul legno ». In questo modo, l Pt 2,24 comprime in una sola espressione due pensieri l ' eliminazione-rimozione dei peccati avviene nella mor­ te sacrificate di Gesù il Cristo, appeso con il suo corpo sulla croce. Per questi due pensieri, Eh 9,28 è meno brachilogico e investe due espressioni parallele: Cristo compie il sacrificio di se stesso « per l 'abolizione (eis athehesin) del peccato » (9,26); egli ha offerto se stesso « allo scopo di portare via (eis to anenegkein) i peccati di molti ». La stessa forma verbale presenta così due sensi diversi: « por­ tare su » la croce, senso sacrificale per l Pt 2,24, e « portar via, togliere via, eli­ minare », significato redentivo per Eb 9,28, che affida il momento sacrificale al-

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Si vedano Dn 7,26; 1 2,2; 4Esdra 7,69; 1 4,35; 2Enoch 2,7; 50, 1 -5; Mt 25,3 1 -46; Le 1 6,2223; Gv 5,29; 2Ts 2, 1 2 ; Ap 20, 1 2 . 205 Così Dn 1 2,2; 4Esdra 7,69; 1 4,35; JEnoch 1 ,7; Mt 25,3 1 -46; l Pt 4,5; Ap 20, 1 2- 1 3 . Dati in C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 423 . 206 Così suggeriscono Le 1 6,22-23 e già Sap 3, 1 -4. 207 Cfr. qualche vago impulso in A. Oepke, parousia, in GLNT ( 1 974) 9,874-875. Ne danno menzione molti commentatori, che però restano in genere anceps. Più chiaro, al riguardo, N. Lohfink, Was kommt nach dem Tod?, in Der Tod ist nicht das letzte Wort, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1 976, pp. 29-6 1 . 208 Così, e bene, W. Eisele, Ein unerschiitterliches Reich. Die mittelplatonische Umformung des Parusiegedankens im Hebriierbriej; W. De Gruyter, Berlin - New York 2003, p. 428.

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Parte seconda. Traduzione e commento

la nuova formula, eis ethetesin (v. 26)209• Da notare ancora che il comportamento di Ebrei è peculiare2 10• « Apparirà una seconda volta >> ( ek deuterou, v. 28). Analoga posizione in Eb 5,9 e in l 0,25 .37: il ritorno che sancirà la fase finale della salvezza, il compi­ mento. Essa chiama alla gloria (doxa, 2, l O) cui conduce il Cristo. In Eb 4, 1 . 1 O­ I l quella salvezza eterna e definitiva è detta katapausis (riposo), quello sabbati­ co, che ben richiama quello di Dio creatore nel settimo giorno. In marcia verso quella mèta, accederemo al santuario vero ( l O, 1 9-20) nel quale il Figlio ha pre­ ceduto e attende i suoi fratelli (6,20). Rivisitando il pensiero dell 'autore, se ne individua qui l 'argomentazione in due direzioni: l ) egli risente dell ' attesa protocristiana del ritorno di Cristo ( l Ts l , l O; l Cor 1 5 ,23 ; Fil 3,20), di tipo apocalittico: lo si attende infatti sulle nubi del cielo (Mt 24,30; 26,64; l Ts 4, 1 5- 1 6); ma se ne attende anche molto semplice­ mente la sua futura venuta ( l Cor l , 7; 2Ts 2, l ; l Tm 6, 1 4; l Pt l , 7); 2) Ebrei risente del ritorno del sommo sacerdote, a motivo del retrofondo liturgico sullo Jom KippC!r. Questa seconda lettura è da preferire. Come il primo Israele attendeva che il sommo sacerdote, entrato nel « santo dei santi », ne riuscisse (Lv 1 6, 1 8 ; Sir 50,5- 1 0), così i salvati da Cristo e a lui appartenenti attendono la sua ricomparsa, proveniente dal santuario celeste, come eterno sommo sacerdote. Quel suo ritor­ no (parusia) non è per togliere il peccato, cancellato una volta per sempre con la sua prima venuta risanatrice in radice della libertà umana, ma per portare il dono della salvezza definitiva a chi, avendolo seguito, ora gli appartiene. Sarà la sua scelta giudiziale (v. 27), misericordiosa e imparziale, a situare i suoi nella loro giusta posizione di salvati e redenti, in occasione della morte di ogni suo fratello. È la mia posizione. Senza relazione con il peccato, cioè « separato dal peccato » (choris hamar­ tias, Eb 4, 1 5 ; 7,26), pone un efficace e vivace contrasto con la prima venuta del « Figlio » il cui scopo, ormai adempiuto, era portare via il peccato (anenegkein: auferre peccata). Raggiunto questo scopo, egli non ha più l 'esigenza di dover prendere su di sé l ' infedeltà umana al Dio alleato (e i molti peccati che ne pro­ manano ), perché già espiati una volta per sempre, cancellati, eliminati . Con­ trariamente, quella sua morte sarebbe stata solo un fatto storico e politico, del tut­ to vana nell ' ordine della salvezza. La libertà decisionale di ognuno è ormai risanata in radice e lo è in continuità. L' abolizione del peccato, infatti, avvenuta in lui che ha pagato di persona una volta per sempre (è il senso di hapax prose­ nechtheis), non necessita di un nuovo sacrificio espiatorio2 1 1 • Nulla di nuovo ol­ tre la novità della croce. Su eis to pollon sussiste un duplice orientamento interpretativo: « Per tutti » con appoggio in 2,9, ove Ebrei scrive che il Cristo « ha gustato la morte in favore di Sulla questione, cfr. K. Weiss, anaphero, in GLNT ( 1 984) 1 4,987-988. Lo si rileva già dal confronto con lPt 2,24 e dal fatto che la tradizione apostolica conosce l 'uso di anaphero con l ' unico senso di « elevare, innalzare » . Cfr. Lettera di Barnaba 1 2 , 7; 2C/emente 2,2; Ignazio di Antiochia, Agli Efesini 9, 1 . 211 Sostengono l s 5 3 , l ; M c l 0,45 ; 1 4,24. S i veda N. Casalini, Agli Ebrei, p . 282. 20'1

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ognuno >>. « Per molti >>, dunque non per tutti, dal momento che Eb 1 0,26-27 preve­ de che ci possa essere chi sfuggirà al dono di salvezza, per propria infedeltà. È pro­ prio questa annotazione finale a favorire la prima interpretazione : egli ha comun­ que risanato la libertà di tutti di fronte alla salvezza (momento oggettivo universale); aderire ad essa resta prerogativa di ognuno (momento soggettivo). È il senso di « a coloro che lo aspettano per (la) salvezza » (apekdechomenois eis soterian), che lascia ben intendere che possa esserci anche chi quella salvezza non attende. Ma oggettivamente, essa è offerta a tutti. Quell 'attesa, già in epoca proto­ cristiana, era molto viva (Rm 8, 1 9.23 .25; l Cor 1 ,7; Gal 5,5; Fil 3,20)2 12• Eb 9, 1 -28 presenta una densa relazione tra l 'antico e il nuovo, tra il terrestre e il celeste, tra il tipo e l 'antitipo: al santuario terrestre, opera umana (hekal + cJebir), pallida anticipazione umbratile (9,23-24a), corrisponde il santuario vero, il cielo stesso; è in esso che Cristo è entrato, pioniere e perfezionatore della fede (v. 24). Le realtà celesti sono l 'antitipo delle opere delle mani umane (tipo), di quelle ve­ re, del santuario vero (9, 1 1 .24 ); anche il sangue degli animali, sangue altrui (9, 1 2. 1 9.2 1 .25b), è pallido tipo del sangue vero, quello di Cristo, suo proprio (9, 1 2; Rm 3,25). L'umbratilità della tenda terrestre pone in risalto lo splendore di quella celeste, non opera di mano d 'uomo, santuario ove egli ci ha procurato una reden­ zione eterna (9, 1 1 - 1 2; Rm 3 ,24). E se la legge-nomos è ombra di beni futuri, ebbe­ ne in lui sono giunti i beni futuri ( 1 0, 1 ; 9, 1 1 ), i quali manifestano la giustizia di Dio, indipendentemente dalla legge (Rm 3 ,2 1 ). La stessa morte di ogni essere umano ac­ quista senso e valore nella morte di Cristo (9,27); in occasione del suo ritorno, « av­ verrà » il compimento di ogni attesa (9,27-28). Questi raffronti dicono bene la con­ tinuità tra il prima e il dopo e la qualità migliore del dopo rispetto al prima213• Un'ultima rilevazione individua la stricta relatio strutturale in una serie di suddivisioni in successione da Eb 8, 1 a 9,28: 8, 1-6 8,7- 13 9, 1 - 1 0 9, 1 1 - 1 4 9, 1 5-23 9,24-28

(de, entrato nei cieli) (gar, sul patto) (oun, sul culto) (de, sul cutlo) (kai dia, sul patto) (ou gar, entrato nei cieli).

L'ultima suddivisione è in collegamento mediato e immediato con tutte le precedenti. Prova ulteriore di una dispositio strutturata con stile e arte. (10,1-18] Quinta argomentazione: que/1 'oh/azione perfetta ottiene salvezza eterna. Gesù il « Figlio » è entrato nel santuario celeste ove presenta al Padre l 'e­ spiazione per i fratelli fino al completo compiersi della pienezza dei tempi (Eb 9,25-28). Egli realizza la purificazione dei e dai peccati ( 1 ,3) una volta per sem212

Un altro angolo d i osservazione rileva i n E b 9, 1 5-28 tre aforismi. Cfr. Il messaggio teolo­ gico: Mediatore di un patto migliore, nella continuità, p. 702. 213 Così H. Lohr, Umriss und Schatten. Bemerkungen zur Zitierung von Ex 25, 40 in Hebr 8, 5, in ZNW 84 ( 1 993) 2 1 8-232: status quaestionis.

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pre. La conferma di questa idea centrale di Ebrei giunge in l O, 1 - 1 8 il cui gar (in­ fatti) di apertura stabilisce l 'aggancio con 9,25-28. Con Eb I O, 1 - 1 8 siamo alla parte finale dell ' insegnamento avviato con 7, l su Gesù unico sommo sacerdote. L'autore tenta di raccogliere le proprie riflessioni sull ' argomento e ne offre come una sintesi a effetto. La pericope che ne risulta è ridondante, eppure non ripetiti­ va; è formalmente nuova rispetto al cap. 9, eppure non aggiunge alcunché di nuo­ vo. Se una novità c 'è, essa è nel midriis-peser sul Sal 39,7-9a con il cui ausilio l 'autore continua a rafforzare le proprie posizioni. Il risultato è notevole: sia la ti­ pologia cultuale dello Jom KippDr sia la critica al culto da parte del Sal 39,7-9 contribuiscono a sostenere Ger 3 8,33 (LXX): quel patto nuovo, inciso nella men­ te e nel cuore, è ora tale in Gesù il Cristo; egli « è » la purificazione dei peccati e dichiara definitivamente chiusa la fase del culto terrestre nel santuario terrestre. La questione è esposta in quattro momenti : l ) vv. 1 -3 ; 2) vv. 4- 1 0 con il Sal 39,7-9b; 3) vv. 1 1 - 1 4 con aggancio a 9,24-28, un confronto tra i due sacerdozi dal risultato drammatico: fine del primo e venuta del vero ed unico2 14; 4) vv. 1 5- 1 8 con ritorno a Ger 38,33 (LXX): definitiva venuta del patto nuovo, purificazione adempiuta, nessuna necessità di ulteriori sacrifici (v. 1 8). [vv. 1-3] l ripetuti sacrifici antichi sono imperfetti, incapaci di redimere. A on­ ta della loro molteplicità, sfigurano di fronte alla superiore azione di Cristo, unica e definitiva, perché efficace. In forza di essa, Gesù ha conseguito un ministero supe­ riore (Eb 8,6), un servizio sacerdotale più efficace, il solo efficace. La liturgia del sa­ cerdozio levitico per contro ne è solo pallida prefigurazione. Almeno tre i motivi. Il primo: la legge che prescrive quei sacrifici, possiede solo « l 'ombra dei beni futuri (skian . . . ton mellonton agathon), non la realtà stessa delle cose (ouk ten eikona ton pragmaton) » (v. l ). Già in 8,5 skia ha proposto un senso spaziale: una realtà terrestre « ombra » di quella celeste; in l O, l Ebrei conosce anche un senso temporale: una ombratile realtà presente preannunzia quella vera e futura ( 1 0, 1 ). Un impiego negativo di skia indica la transitorietà di una realtà2 15• Un uso positivo rivela in skia la sagoma di un oggetto e contribuisce a comprendere il medesimo2 16• Eb 1 0, 1 si appoggia sull 'ambivalenza di « ombra »: essa è sagoma dei beni futuri, del tempio celeste, perché quello terrestre gli sia la controparte più fedele possibile (valenza positiva); quella tenda terrestre però e la legge che ne regola il culto sono transitorie e inefficienti : non sono « la realtà (eiktm) stes­ sa delle cose >> (valenza negativa). Eikon è infatti « realtà » visibile2 1 7, una « visibile manifestazione »21 8• Il cosmo stesso è una « realtà in movimento eterno »2 19• Per i cristiani della prima ora, eikOn

214 Ma questa formulazione di E. Griisser (An die Hebriier. Hebr 7, 1-10, 18, vol. II, p. 202) è piuttosto radicale. Del resto egli ritiene che l 'autore di Ebrei sia egli stesso un « radicale »! In questo lavoro è emersa molto più una intentio auctoris guidata dal superamento nella continuità. 215 Si leggano Sap 2,5; 6,9; Filone di Alessandria, Deus immutabilis 1 77. 216 Uso noto a Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3,97-99. 1 03 ; De somniis 1 ,206. 217 Così eikon indica le immagini visibili sulle monete (Mc 1 2, 1 6), le statue (Dn 2,3 1 -35), le pitture (Ez 23, 1 4). 218 Cfr. Plotino, Enneadi 5,8. 219 Si veda Platone. Timeo 37.

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è la doxa di Dio, manifestazione della sua presenza e potenza220• Per Eb 1 0, 1 eikon sono le « buone realtà future », ma anche la realtà stessa delle cose (prag­ mata). Tale equivalenza porta a interpretare in due direzioni : l ) L'espiazione-pu­ rificazione-santificazione sono beni « futuri » giunti già a noi dopo la legge che è stata del tutto incapace a produrli22 1 , essendone solo l 'ombra. Nel « Figlio » (9, 1 14) invece quei beni sono già realizzati « ora » . Del resto, per Eb 6 , 1 8 e l l , l prag­ mata sono la promessa e il giuramento di Dio nonché gli invisibili influssi della sua parola222• 2) Altri beni futuri saranno con il suo ritomo-parusia (9,28): il riposo (4, 1 - l O, katapausis) in Dio e la partecipazione al mondo futuro (2,5; 1 3 , 1 4)223• Questo comportamento di Ebrei, che contrappone skia a eikon, è per sé inusuale ri­ spetto ali 'uso della filosofia classica che li usa da sinonimi224• Con annotazioni ridondanti, ma non ripetitive, perché situate in contesti sempre diversi, Ebrei ricorda che i sacrifici antichi da offrirsi « di anno in anno >> (kat 'eniauton), e il riferimento è allo Jom KippDr (vv. l a.3 ), attestano esattamen­ te la non eliminazione del peccato nonché della colpa. Il sangue degli animali, anche se ritualmente puri e comunque innocenti, non è in grado di ottenere con­ sapevolezza di redenzione. Questa posta in gioco è di gran lunga superiore alla loro migliore possibilità di rendimento. Del resto, se lo Jom KippDr e gli altri mol­ teplici sacrifici (Eb 5 , 1 ; 8,3 ; 9, 1 2) avessero raggiunto questo scopo, non sarebbe stato più necessario continuare a offrirli. Il loro più grande insuccesso è non poter « rendere perfetti coloro che si ac­ costano (proserchesthai) a Dio ». La voce verbale « accedere » esprime l 'anelito alla perfezione, che consiste nel potersi avvicinare alla presenza della Maestà: al­ l ' altare dell 'offerta (Lv 9,7-8; 2 1 , 1 7.2 1 ; Nm 4, 1 9) per il sacerdote; al culto (Lv 9,5 ; Nm 1 0,3-4 ) per il pio credente. Ma quell 'accesso deludeva di continuo l 'a­ nelito della perfezione (teleiosis), perché imperfetti erano il sacerdote offerente, l ' offerta, la liturgia cultuale, la coscienza-consapevolezza del credente. Gesù è invece il vero offerente nel progetto di Dio, celebra l ' offerta di sé a Dio gradita e redenti va, ciò che quei sacrifici non potevano conseguire. L'opera della salvezza da parte della legge sta dunque a quella di Cristo come l 'ombra alla realtà225• Una questione da non sorvolare. Quanto su esposto si fonda sulla traduzio­ ne: « La legge, possedendo solo l 'ombra dei beni futuri, e non la realtà stessa » (v. l ), fornita dai codici Vaticano e Sinaitico (secolo IV) e da ampia parte dei mano­ scritti. Eppure il v. l a è stato e resta ancora un caso aperto di ricostruzione del teSi leggano l Cor 1 1 ,7; 2Cor 3, 1 8. Oudepote dynatai, letteralmente, « giammai può », né ieri, né ora, né mai. Radicale incapa­ cità. Il plurale dynantai, attestato nei codici Alessandrino, C (04) e altri, va ritenuto accidentale, in­ fluenzato da: « Quei sacrifici che essi (i sacerdoti) offrono ». 222 Pragmata sono « cose », ma molto spesso anche eventi o azioni (Le 1 , 1 ; At 5,4; Rm 1 6,2). 223 Cfr. C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 430. 224 Lo attestano Platone, Repubblica 509E-5 I OE (F. Adorno - F. Gabrieli, edd.), BUR, Milano 1 997; Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3,96; De decalogo 82; Quis rerum divinarum heres sit 72; Cicerone, De re publica 2,30,52 (C.W. Keyes ed.), (LCL 2 1 3), Harvard University Press, London 2000. 225 Si veda J.M. Scholer, Proleptic Priests. Priesthood in the Epistle of the Hebrews, pp. 951 03 (l 'analisi, molto dettagliata, è più lessicografica e meno linguistica). 220 22 1

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Parte seconda. Traduzione e commento

sto. L'autorevole papiro Chester Beatty (P46, secoli II-III) suggerisce la lezione kai ten eikona (« e la realtà stessa ») senza ouk (non), inducendo per i due termi­ ni, skia e eik6n, lo stesso significato. Così hanno letto Eh l O, l Melitone di Sardi (+ 1 94/ 1 95) e Metodio di Olimpo (+ 3 1 1 ca.): « Infatti, possedendo solo l 'ombra dei beni futuri e l ' immagine della realtà-verità delle cose, la legge . . . ». Andrebbe da sé la contradictio in terminis. La questione è tutta in ouk, che qui viene tenu­ to, in base ai codici suddetti, per quanto posteriori. I due termini, skia ed eikon, hanno infatti in Eh l O, l un peso rivelatorio e, attestando il dualismo alessandrino già più volte rilevato, non tendono a identificarsi in Ebrei e neppure in l O, l giu­ stificandone la traduzione con ouk (non). Se i due padri della Chiesa hanno avu­ to a disposizione un testo di Eh 1 0, 1 senza ouk (non), più che invocare l 'errore del copista di P46 che lo avrebbe fatto cadere, si deve ritenere che esso sia stato immesso dai copisti dei codici Vaticano e Sinaitico, onde evitare incertezze sin­ tattiche con ricaduta sul senso226• Il secondo motivo si apre con una nuova questione testuale legata anch 'essa a un ouk (non): « Altrimenti (non, ouk) si sarebbe forse cessato di offrirli? » (v. 2). Interrogativo retorico? Probabilmente, sì, favorito dalla combinazione epei ouk an (« forse che non » )227• Chi scrive, attende dai suoi ascoltatori e lettori una ri­ sposta positiva: « Sì, quei sacrifici sarebbero cessati, se fossero stati efficienti ». È attestata tuttavia una lezione senza ouk (non)228, la cui omissione è però opera­ ta dal copista al quale potrebbe essere sfuggita l ' indole retorica della domanda; quell ' indole è sostenuta proprio dal tono negativo della frase, la quale incalza con ulteriore interrogativo di tipo esplicativo : « Dal momento che quelli che pra­ ticano il culto (sacerdoti e fedeli), purificati una volta per tutte, non avrebbero più coscienza dei peccati? ». Syneidesis, cioè conoscenza esperienziale (eidesis) di (syn) se stessi, cioè consapevolezza, piena percezione delle proprie infedeltà e scelte contrarie alla giustizia (verso gli altri e Dio )229• Per Eh l 0,2 si tratta della « cattiva coscienza » che si avverte per avere scelto e operato il male. Sarebbe non giustificabile ignorare qui la delicata procedura psicologica dell ' autore : muovendosi tra infedeltà, consapevolezza di essa e ricordo rattristante della me­ desima in l 0,2-4, Ebrei descrive una oggettiva dinamica psicologica: dalla co­ scienza turbata ( l 0,22) alla consapevolezza della trasgressione ( l 0,2), al ricordo di essa, dunque ali 'allontanamento da Dio ( 1 0,2-3 .22). Il peccato, come passag­ gio dalla fede in Dio ali ' abbandono di lui, è la pena di doverne prendere coscien226

Cfr. Melitone di Sardi, Peri Pascha 40-42, in SC 1 23, e Metodio, Symposium 9,2, in SC 95. In tema di legge e vangelo, essi scrivono che la legge è typos kai skia tes eikonos (= del vangelo), il quale è a sua volta eikfm tes aletheias. Cioè la legge è tipo umbratile del vangelo, il quale è imma­ gine della verità-realtà (Dio). Mentre typos è skia, eikfm non lo è. Skia ed eikfm cioè non si identifi­ cano. Questo pensiero dei due padri della Chiesa si muove su Eb l O, l : con « non » o senza « non »? Mi sono già espresso sopra. Su tutta la questione scrive ampiamente R. Cantalamessa (// papiro Chester Beatty li/ {?"6} e la tradizione indiretta di Eb l 0, 1, in Aegyptus 45 [ 1 965] 1 95-2 14, qui 203205), il quale sembra optare per l ' identità skia-eikOn. 227 Cfr. M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 675 . 228 Ad esempio, H* 6 1 4 630 1 739 e altri. 229 Con questo senso, il termine syneidesis è attestato in Filone di Alessandria, De specialibus legibus 2,49; Diodoro Siculo, Storie 4,65,7.

Dali 'antico al nuovo nella continuità Eh

9, l - l O, l 8

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za. Rimosso tutto questo, scatta la dinamica contraria, fino al libero accesso a lui, nella fede230• Ebbene, « purificati una volta per tutte » (hapax kekatharismenous), quale ri­ sultato definitivo dell ' unico sacrificio, coloro che ne sono i destinatari non avverti­ rebbero più la coscienza appesantita da infedeltà ancor sempre commesse. Il fatto che continuino ad aver bisogno di quei sacrifici dice, al contrario quanto essi siano dei « non redenti », ancor sempre figli della legge, di un cerimoniale esteriore non in grado di purificare in radice. Da qui la necessità della loro ripetitività. La legge levitica è in grado di purificare la sola « carne >>, cioè l 'esterno, non la « coscienza » (9, 1 3- 1 4), cioè l ' interno. La coscienza, consapevole riconoscimento delle proprie infedeltà, apre la vita personale al beneficio di un risanamento radicale. Ne è ga­ rante la definitiva oblazione redentiva della nuova alleanza. La celebrazione sacer­ dotale quotidiana nel nuovo patto è solo ripresentazione di quell ' oblazione, unica e irripetibile, ed è partecipazione al sacerdozio dell 'unico sommo sacerdote. Che l 0,2 possa attestare che il « trattato » agli etnico-giudeocristiani sia re­ datto in epoca di culto sacrificale attivo, in un tempio esistente23 1 , dunque prima del 69-70, è suggerimento non molto condiviso232• « Invece, proprio con quei sacrifici, (si rinnova) il ricordo dei peccati, di an­ no in anno » (v. 3): il sommo sacerdote raccoglie i peccati d'Israele e li depone di fronte a Dio nel « santo dei santi » per la grande confessione e riconciliazione (Lv 1 6,2 1 ). Con attendibile allusione a Nm 5 , 1 5 (sacrifici che ricordano i peccati), proprio tale liturgia celebrata « di anno in anno » (kat 'eniauton Jòm Kippùr) non fa che ricordare agli israeliti le loro colpe. E vi contribuisce anche l ' intenzionale disposizione concentrica a-b-a' -b ' di tipo chiastico del v. 3 con il v. l b: =

a) v. 3 b) v. 3

sacrifici (en autais) di anno in anno (kat 'eniauton).

a') v. l b b') v. l b

sacrifici (tais autais thysiais) di anno in anno (kat 'eniauton).

I « sacrifici di anno in anno » ricordano le colpe dell 'offerente, senza potergli dare la purificazione in radice. Gesù il Cristo, invece, propone ai suoi di diventare creature nuove, kaine ktisis (2Cor 5,7; Gal 6, 1 5), al servizio del Dio vivente. Al pensiero paolino, di orientamento apocalittico, fa eco Ebrei con una linea esisten­ ziale e cultica: purificati una volta per sempre, per una vita gradita a Dio nel tem­ po, in viaggio verso il tempo di Dio, oltre il tempo. Il tutto, sulla base dell 'unico solido fondamento sempre presente, non una volta l 'anno, ma ininterrottamente: « Cristo si è offerto una volta per sempre . . . » (9,28). L'offerta del Calvario è infi­ nita; e l ' infinito è perfetto. Un'offerta perfetta non va più ripetuta; come una me­ dicina perfetta, presa una volta, guarisce in radice233• 2 3° Cfr. D.O. Via, The Letter to the Hebrews: Word of God and Hermeneutics, in PRS 26,2 ( 1 999) 232. 2 3 1 Ancora A. Vanhoye, Hebriierbrief, in TRE ( 1 985) 1 4,497. 2 3 2 Così i più: H. W. Attridge, The Epistle to the Hebrews, p. 41 (anni 60- 1 00: salomonico!); E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 -6, vol. I, p. 25 (anni 80-90); già H.F. Weiss, Der Brief an die Hebriier, pp. 76-77 (anno 80 ca.). 2 33 Si legga Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 1 7,3, in PG 63 , 1 30. Sul valore di pauein (guarire), cfr. i numerosi esempi nel classico contributo di N. van Brock, Recherches sur le Vocabulaire médical ancien du grec ancien, Paris 1 96 1 , pp. 208 ss.

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Parte seconda. Traduzione e commento

[1 0,4-10] La testimonianza della Scrittura: Dio non ha voluto sacrifici. Condotta sotto l ' influsso del dualismo « ombra-realtà », la critica al culto leviti­ co incalza (v. 4). L'autore è come afferrato dalla sua imperfezione. Eppure, ciò non consente di dire che egli sia un antiritualista. La sua critica non è distruttiva; egli è come costretto a prendere atto dei limiti del sistema cultuale antico e av­ verte la presenza storica dell ' intervento correttivo di Dio (9, l 0). Esorta quindi ad aprirsi alle selezioni e integrazioni del nuovo. Continuità nella discontinuità, non conflittualità polarizzata. In parallelo con Eh 9,9- 1 O e l O, I l , il v. 4 è introdotto da un prezioso gar (in­ fatti), che fa da cerniera tra l 0,3 e l 0,5 - 1 O ed è assertivo : non il sangue degli ani­ mali, tori e capri, nuovo richiamo al giorno del perdono, libera dal peccato, ma « il sangue stesso di Cristo », cioè la sua vita. Se per Lv 1 0, 1 7 l ' azione sacerdo­ tale levitica porta via i peccati attraverso l 'espiazione in quel sangue, rimozione parziale e provvisoria, per Es 34,7.9; Nm 1 4, 1 8 e Is 6,7 è vivo l ' anelito a un Dio che redime perché guarisca la coscienza, dandole la consapevolezza di essere ri­ sanata. Simile risultato non lo potranno mai raggiungere quei molti sacrifici : es­ si non redimono (Eh 9, 1 3). La posta in gioco non è restringi bile al solo campo eti­ co (necessità di rimettere singoli peccati e trasgressioni), ma è molto più di ordine metafisico: quella redenzione avviene una volta per sempre, essa sana alla radi­ ce. È realtà stabile in Cristo. Ma la debolezza massima di quei molti sacrifici sta nel fatto che Dio stesso non li ha mai graditi (vv. 5- l 0). La prova procede in tre momenti ben connessi (vv. 5-7; vv. 8-9a; vv. 9b- l O) ed è di tipo midriis-peser sul Sal 39,7-9. [vv. 4-7] Assicuratasi la connessione logica (« dio , per questo ») tra quanto va dicendo e quanto vuole continuare a dire, l ' autore introduce il primo momen­ to argomentativo con la solenne frase narrativa: « Per questo (dio), entrando nel mondo . . . », e descrive l ' ingresso del Figlio in esso, appoggiandosi al Sal 39,7-9a. Sta dietro la formula semitica bo fe 'olam nota alla tradizione giovannea (Gv l ,9; 6, 1 4; 9,39; 1 1 ,27) e a Ebrei, ma solo in 2, 1 4 e 9,26. Che l 'autore pensi all ' incar­ nazione del Figlio ( l ,6)?234• La formula « entrando nel mondo » descrive la venu­ ta del Messia-Cristo, « colui che viene nel mondo », il « preesistente » ( l ,6) e in­ veste l ' esistenza umana in ogni sua manifestazione in detti e fatti (2,3-4 ), fino al suo epilogo. È già il senso di « nei giorni della sua carne . . . >> (5,7). Corpo, carne­ sarx: ecco lo strumento-materia per la sua offerta redentiva. Una forte allusione alla 'aqeda d'Isacco va qui da sé. Con il riferimento ali ' incarnazione in l 0,5 Ebrei richiama un suo pensiero già formulato in 4, 1 5 : Gesù è in tutto uguale a noi uomini, eccetto nel peccato, non certo nel senso della non tentabilità (cfr. Mc 1 , 1 3 e par.), ma del non cedi­ mento alle suggestioni dell ' infedeltà ( « nei giorni della sua carne » egli è restato sempre fedele al progetto di Dio: fedele e credente). È poi di scena il Sal 39,7-9 con una fine critica al sacrificio cruento: esso non è gradito a Dio. Còlto in esso questo messaggio di fondo, Ebrei ne dà una lettura in midriis-peser e scopre nel­ la vita terrena del Messia, fino al suo epilogo, il potenziale offertoriale nuovo che 234 Così, ad esempio, C. Spicq, L'épitre aux Hébreux, pp. 1 65- 1 66.

Dali 'antico al nuovo nella continuità Eh 9, l

- l O, l 8

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supplisce al l ' impotenza dei sacrifici levitici. Presento un prospetto sinottico sul Sal 40(39),7-9 in Eb 1 0,5-7235: Sal 40 [TM] 10, 7a Sacrificio e offerta non gradisci.

Sal 39 (LXX) 10, 7a Sacrificio e offerta non hai voluto (ouk éthelesas).

Eb l O 10,5b Sacrificio e offerta non hai voluto (ouk éthelesas).

v. 7b Gli orecchi mi hai aperto.

v. 7a Gli orecchi (6tia} mi hai preparato.

v. 5c Un corpo (soma) mi hai preparato.

v. 7c Non hai richiesto olocausto e (vittima) per la colpa.

v. 7c Non hai richiesto (ouk étésas) olocausto e (vittima) per la colpa.

v. 6 Non hai gradito. (ouk eudokesas) olocausti e (vittime) per la colpa.

v. 8a Allora ho detto: Ecco, io vengo.

v. Ba Allora ho detto: Ecco, sono venuto (heki5).

v. 7a Allora ho detto: Ecco, sono venuto (heki5). v. 9 E soggiunge: Ecco, io sono venuto (heki5).

v. 8b

v. 8b

Sul rotolo del libro di me è scritto.

Sul rotolo del libro di me è scritto.

v. 7b (Poiché) sul rotolo del libro di me è scritto.

v. 9a Io desidero, o Dio, fare il tuo volere.

v. 8b Io desidero, o Dio, fare (toù poiésai) la tua volontà.

v. 7c O Dio, per fare (tou poiésai) la tua volontà.

v. 9b La tua legge è nel profondo del mio cuore.

v. 9b La tua legge nel mezzo del mio ventre.

236

_

235 Il corsivo mette in evidenza le varianti della versione dei LXX sul TM e di Ebrei sulla LXX e pone in luce il criterio seguito dali 'autore ne li ' introdurle: l 'assonanza fonetica come momento della tecnica retorica della paronomasia. Studia lo stile K.H. Jobes, Rhetorica/ Achievement in the Hebrews 1 0 'Misquote ' of Psa/m 40, in Biblica 72 ( 1 99 1 ) 387-396, e ancora K.H. Jobes, The Function ofParonomasia in Hebrews 10, 5- 7, in Trinity Journal 1 3 ( 1 992) 1 8 1 - 1 9 1 . 236 Eb l O, 7 è ritenuto il probabile unico punto in tutto lo scritto ove l 'autore si avvale della ver­ sione dei LXX con buona fedeltà ali 'originale: Sal 39,9. Eppure, le varianti riferite sopra non sono poche e vanno loro aggiunte ancora le seguenti: ho theos in Eb 1 0,7 rispetto a ho theos mou nel Sal 39,9a; la diversa disposizione delle parole: tou poiésai ho theos to theléma sou in Eb 1 0,7 rispetto a tou poiésai to theléma sou ho theos mou nel Sal 39,9, più personale ed enfatico. Anche l 'omissione di ebouléthén non deve sfuggire: essa pone in risalto il ruolo di poiésai.

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Parte seconda. Traduzione e commento

L'autore procede per paronomasia: varia cioè il testo onde ottenere somi­ glianze, eguaglianze e contrasti fonetici, a mezzo di assonanze; un accorgimento di carattere retorico, ricco di arrangiamenti ritmici e omamentali237; un procedimento stilistico inteso a favorire l 'ascolto, la memorizzazione e l 'approfondimento del messaggio che egli vuole trasmettere. Da cogliere anche la parafrasi interpretativa della versione dei LXX sul TM. Quattro le varianti : soma (corpo) invece di otia (orecchie) al v. 5c238; ho­ lokautomata (sacrifici) al plurale invece del singolare holokautoma nella LXX, al v. 6b; ouk eudokesas (« non hai gradito >>) invece di ouk ethelesas (« non hai ri­ chiesto ») al v. 6a; omissione di eboulethen (« io ho desiderato di ») del Sal 39,9b e convergenza di Ebrei su toù poiesai (« per fare ») al v. 7 c, in comune con il Sal 39,8b. L'autore mira direttamente allo scopo. >, la quale include già lo scopo: compiere il volere-progetto di Dio, affidato alla tora. Si tratta del patto antico: partito in Abramo, esso conosce un ausilio provvisorio nella cesura mosaica ormai obsoleta (8, 1 3 ) e tende ora al compimento pieno nel « Figlio >>. Questo è scritto in capite libri, per questo egli « è venuto ». Questa let­ tura è sostenuta dalla tradizione evangelica245 cui Eb l O, 7 si riporta e, ancora po­ co più avanti, al v. 9. Il pieno compimento del « volere » di Dio per il quale egli « è venuto nel mondo » avviene nel suo unico e definitivo sacrificio redentore; la prova profeti­ ca sta nel Sal 39,7-9a citato, selezionato e intenzionalmente modificato in Eb 1 0,5 -7246• Ne rrianca ancora l ' interpretazione alla quale l ' autore dedica 1 0,8-9. [ vv. 8-9a] La formula: « Dopo aver detto sopra » (anoteron, v. 8) è usuale nella penna di uno scrittore che intende riportarsi a quanto ha esposto in prece­ denza247. Con essa Ebrei torna sul Sal 39,7-9 (cfr. l Sam 1 5,22; Os 6,6; Am 5,2 1 25) e, in forma ridondante, mette a fuoco l ' antitesi tra le due economie sacrifica­ li (vv. 8-9a). Del Sal 39 non dà però l ' esegesi, cosa che abitualmente fa quando si serve del Primo Testamento, ne riscrive invece il testo a scopo argomentativo, solo a conferma di un dato di fatto più volte dimostrato e ormai acquisito. Ciò che ottiene redenzione dal peccato non sono « né sacrifici né offerte né olocausti . . . secondo la legge » (v. 8), ma è « l ' oblazione del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre » (v. l O), al fine di « fare la tua volontà » (v. 9). « Né sacrifici né offerte né olocausti né (sacrifici) per il peccato » (v. 8) è una formulazione globale che raccoglie in unità i quattro tipi più ricorrenti di of­ ferta sacrificale248 per il peccato. Per Ebrei, quei sacrifici sono del tutto inade­ guati; sono infatti « cose tutte che vengono offerte secondo la legge » (v. 8). Si tratta del nomos249 mosaico o primo patto (diathekej250• I due termini sembrano qui equivalersi. Discutere sul pensiero di Ebrei rivolto all ' aspetto cultuale della legge o a quello etico, o a entrambi, è probabilmente non utile. L'autore non tor­ na a occuparsi di momenti specifici già trattati in 7,5.28; 8,4; 9, 1 0 e 1 0,8, ma si riferisce ali ' intero corpo legislativo (codici del Sinai, levitico e di santità), il qua­ le include prescrizioni legali la cui trasgressione prevede punizioni corrispettive di portata etica. Il momento legale cioè e quello etico sono parallelamente pen­ sati, né possono sussistere separatamente. Orbene, questa legge-patto (nomos245 Ben attestata in M t 5, 1 7; 9, 1 3 ; 1 0,34; I l , 1 9 e par; I O, I O. 246 Sul Sal 39,7-9, riferito in Eb 1 0,5b-7 a mo' di logion Jesu, cfr. G.J. Steyn, Jesus Sayings in Hebrews, in ETL 77 (200 1 ) 433-440. 24 7 È attestata in G. Flavio, Antichità giudaiche 1 9,2 1 2; Contra Apionem 3,224-232. 248 Raggruppamento già noto a Filone di Alessandria, De specialibus legibus l , 1 94, e a G. Flavio, Antichità giudaiche 3,224-232. 249 Abbondante attestazione di nomos nei capp. 7- 1 0 di Ebrei: 7,5. 1 2 . 1 6. 1 9.28; 8,4; 9, 1 9.22; 1 0, 1 .8.28. 2 50 Buona frequenza di diatheke ai capp. 8-9 di Ebrei (8, 7.9. 1 3 ; 9, 1 , 1 5 . 1 8.20).

Dali 'antico al nuovo nella continuità Eb

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diatheke) è del tutto inadeguata a ottenere redenzione. Da qui il passo nuovo in assoluto, sintatticamente ben legato al v. 9. « Allora aggiunge (tote eireken) : "Ecco, io sono venuto a fare la tua vo­ lontà"» (v. 9a; Sal 39,8a.9a) . La formulazione esprime l ' « obbedienza » del Cristo, perfetta e consapevole, perché egli è in modo del tutto unico « senza pec­ cato » (4, 1 5). Die Sache Jesu, in tutta la sua estensione storica e metastorica, esprime obbedienza-collaborazione-redenzione, non a seguito di un cieco dispo­ tico volere di Dio, ma nella disponibilità somma a cogliere attraverso gli eventi (5,7, « da quel che patì », ad esempio) ciò che è a lui gradito. Quanto a Dio piace è il vero contenuto della sua volontà progettuale25 1 • La stessa sua morte è da lui accolta e gestita in consapevole sintonia con Dio; non è dunque la punizione da­ ta a un criminale. Questa constatazione ha avuto peso nella comunità cristiana delle origini252; una convinzione decisiva che ha dato ali alla fede in lui . [vv. 9b-10] La comunità giudeo-etnicocristiana può ora prendere atto del se­ guente risultato (vv. 9b- 1 0) : Cristo (v. 5) « abolisce il primo (sistema sacrificale) per stabilire il secondo » (v. 9b ), in rapporto di continuità. Lo richiede il dialogo tra anairein (abolire)253 e istemi (stabilire). Entrambe le forme verbali attestano rispettivamente l 'annullamento di una legge254, onde sancire un patto e descrive­ re l 'adesione a esso ( 1 Mac 2,27; Rm 3,3 1 ). Frutto di questo dialogo: il patto mo­ saico è « spiazzato ». I sacrifici della prima alleanza, prescritti da una legge ormai invecchiata e decaduta (8, 7. 1 3 ), non hanno più efficacia, se ne hanno mai avuta alcuna (principio negativo). Il vero sacrificio redenti vo sta nel compiere il pro­ getto di Dio (principio positivo). Tale compimento avviene nel « Figlio » nel mo­ mento del suo ingresso nel mondo ( l 0,5 ; cfr. l ,6) in vista del progetto di Dio, fi­ no ali ' « oblazione del corpo (= vita) » sulla croce, « fatta una volta per sempre » ( 1 0, 1 0). Per dire tutto questo, l 'autore si appoggia al Sal 39,7-9 e lo applica al Cristo-messia; intenzione del tutto assente nella mente del salmi sta. La procedu­ ra è tuttavia legittima; per Ebrei infatti il salmo è parola di Dio in crescita. Ne va estratta la forza probante: quel Cristo-messia è Gesù di Nazareth. Si tratta del mi­ driis-peser: l 'autore non argomenta in vista di Cristo, quasi che il salmo parlasse di lui, ma a partire da Cristo. Una probabile allusione cade anche sul Sal 68,3 1 -32: lode e azione di grazie (« Il Signore gradirà più dei tori, più dei giovenchi con corna e unghie >>255). Anche al Sal 49 l 'autore può riportarsi. Esso sollecita l 'orante a un'esperienza di

È il senso proponibile di thelema in base al retrostante termine ebraico r8$6n (Sal 40,9 TM). Cfr. W. Gesenius, A Hebrew and English Lexicon of the 0/d Testament, Clarendon Press, Oxford 1 95 1 , p. 953. 252 Si vedano Mt 26,42; Le 22,42; Gv 4,34; 5,30; 6,38-40; 1 9,30. 253 Anairei to pr6ton (ma ci si attenderebbe proteron) hina to deuteron, « abolisce gli antichi sacrifici ». Ma 1 'oggetto non è espresso. Contestualménte, « sacrificio » è l 'elemento più immediato al v. 8. M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti, p. 5 1 O. Si può dunque rendere « primo si­ stema sacrificale ». Così R. Fabris, Le lettere di Paolo, vol. III, p. 685. 254 G. Flavio, Guerra giudaica 2,4. 255 Così e bene P. Auffret, « Dieu sauvera ». Étude structurelle du Psaume LXIX, in VT 46 ( 1 996) 1 -29, qui 20 e 27. 251

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Parte seconda. Traduzione e commento

redenzione non attraverso sacrifici animali e cruenti, sterili e a Dio sgraditi (Sal 49, 1 8), ma attraverso una revisione di vita, magari anche penosa, una self-exami­ nation che approdi ad aderire al suo volere. L' insistenza sui verbi « lavami, puri­ ficami » (Sal 49,9) fa perno sulla trilogia « peccato, sacrificio, salvezza ». Siamo al sacrificio più costoso, quello spirituale (Sal 49, 1 9). A questo mira Ebrei256• Dio non gradisce sacrifici cruenti, ma l ' obbedienza nella fede. Dio non gra­ disce la morte di Cristo, ma l 'offerta della sua vicenda storica culminata nella morte, segno di collaborazione piena. Questo sacrificio è l 'omaggio perfetto a lui gradito257: il nuovo patto. Progetto di Dio per l 'uomo è la sua santificazione (v. l 0). Avvertito e condivi­ so da Gesù di Nazareth, esso è diventato concreto ogni qualvolta egli, nella poten­ za di Dio, ha ridato vita e speranza a uomini e donne incontrati lungo la sua strada. Quel dono ha santificato il destinatario. Il fondamento di ciò lo si individua in 2, 1 1 : Gesù non ha vergogna alcuna di ritenere i suoi come fratelli, dal momento che egli (« colui che santifica ))) e i suoi (« i santificati ))) provengono entrambi da uno solo: Dio, fonte di ogni santificazione (cfr. anche Gv 1 7, 1 9). In questo modo, essere in relazione con il thelema theou immette nel nuovo patto e nella componente gesuo­ logico-cristologica della sua attuazione: i santificati nel tempo, depositari di un'e­ sperienza di anticipo soteriologico, guardano oltre il tempo, ali ' eschaton, dove quella soteriologia sarà piena: soteriologia escatologica. Redenti e santificati continuativamente dali ' « oblazione del corpo di Gesù Cristo )) (2,9; l 0,5), l ' attenzione va subito alla parola finale ephapax (« una volta per sempre ))), strumento chiave nei capp. 9- 1 0 (vi ricorre in 9, 1 2.26.28 e in 1 0, 1 0). Chi è messo da parte per Dio (9, 1 3), gli appartiene ( 1 3 , 1 2) in una reci­ procità permanente258• L' « oblazione del suo corpo (soma) )) sulla croce, corona­ mento di tutta un'esistenza terrena per gli altri, riflette una tradizione del secolo I che vi vede una valenza pasquale. La formula è nuova in Ebrei: allude a l 0,5 e ancor prima a l ,6 e investe così tutta la vicenda del Gesù terreno. Si riferisce in­ fine al Golgota (2,9) e ha come retrofondo il giorno dell ' espiazione (« ora )), il nuovo Jom KippCir). Prosphora è termine usato per i sacrifici levitici ( 1 0,5.8. 1 8) e per il sacrifi­ cio di Cristo ( l O, l 0. 1 4 ). Ma il messaggio è diverso : solo il sacrificio di Cristo ha in sé la teleiOsis (9,9; 1 0, 1 . 1 4) dell 'offerta e dell 'offerente, ed è il solo in grado di dare corso a Ger 3 8,3 1 -34 (LXX), patto-alleanza del perdono, scritto nel cuo­ re e inciso nella mente. Presa in sé, la morte del Figlio è solo il risultato di un pro­ cesso politico-religioso, consumata fuori dalla porta della città di Gerusalemme, a norma di legge ( 1 3 , 1 2). Come offerta redentiva, l ' intera esistenza del Figlio con quel suo epilogo si pone molto al di là dei singoli sacrifici del Primo Testamento, per qualità innanzi tutto e per numero : sale alla presenza della Maestà e penetra nel « santo dei santi )) ottenendo redenzione piena e libero ac­ cesso al « trono della misericordia )), « una volta per sempre )). Una sola offerta è Suggerimento di C.V. Brooks, Psalm 5 1 (50), in Interpretation 49 ( 1 995) 62-66. Cfr. Gv 4,34; 6,38; Fi1 2,8. Cfr. C. Spicq, L 'épitre aux Hébreux, p. 1 67. 258 È il senso intensivo e dinamico di heghiasmenoi esmen: veniamo di continuo santificati.

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dunque redenti va con risultato pieno, stabile e continuo, perché l 'unica a Dio gra­ dita, perché a lui offerta in libertà piena e consapevole (sacrificio spirituale). E se il perdono redentivo fu cercato invano nei sacrifici cruenti, ora è ottenuto e per sempre in quel sacrificio spirituale259: la volontà del Figlio di aderire al volere del Padre. Prendere atto di tutto questo è consolatorio per una comunità disorientata ed esprime vitalità ecclesiale. Lo attesta l ' immediato passaggio dallo stile argo­ mentativo allo stile « noi » appunto di natura ecclesiologica: noi siamo ora una comunità di santificati (v. 1 0), dove una costruttiva apologetica apre al dialogo interreligioso tra ebrei ed etnici divenuti cristiani260• Non deve sfuggire, da ultimo, l 'accento soddisfatto e trionfale posto nella formula « corpo di Gesù Cristo » (v. 1 0), il Gesù storico cioè e il Cristo messia morto e risorto; una volta per sempre (v. 1 0). [vv. 1 1-14] L'unico sacerdote (v. l l) e l 'oh/azione perfetta (vv. 1 2- 1 4). Il terzo momento della quinta argomentazione (vv. 1 1 - 1 4) parte con un paralleli­ smo antitetico, di stile alessandrino, e proprio di Ebrei, secondo la serrata sintas­ si men-de: « Mentre ogni sacerdote261 . . . egli al contrario . . . » (v. l l - 1 2). Ribadita l ' inadeguatezza del sistema sacrificate levitico (v. l l ), l 'autore torna sulla fina­ lità del sacrificio nuovo (vv. 1 2 . 1 3- 1 4 ). Due termini di peso per l ' argomentazio­ ne in corso cadono al v. 1 1 , ove si ha un ebraismo: « Ogni (pas) sacerdote . . . sta in piedi (hesteken) . . . », posizione prescritta262, ma anche legata alla procedura dell ' immolazione della vittima. Ebrei dice due cose: ciò che è antico ha prepara­ to il nuovo. Giunto quest'ultimo, il primo in parte vi fluisce, in parte decade. Questo passaggio dali 'antico al nuovo è visualizzato dali 'autore quando ritrae l 'azione sacerdotale dei leviti e di Gesù: i primi offrono il sacrificio stando in pie­ di; Gesù lo offre seduto alla destra della Maestà ( l ,3 ), cioè di Dio anch 'egli assi­ so in trono. Dunque, ciò che è eterno è il sacerdozio di Cristo, nel tempio celeste ed eterno, non quello levitico con il relativo culto sacrificate ripetitivo. Tre le in­ dicazioni al riguardo: l ) devono esercitare il loro ufficio sacrificale offrendo ogni giorno (kath 'hemeran) e molte volte (pollakis) 2) sacrifici (thysias) che sono sempre gli stessi (tas autas), 3) i quali (haitines) non « possono » risanare (oude­ pote dynantai perielein) da trasgressioni e infedeltà, né ottengono redenzione. 259 Così A.J. Levoratti, « Tu no has querido sacrificio n i oblacion ». Salmo 40, 7; Hebreos 10,5, in Revista Biblica 48/24 ( 1 986) 234-23 7. 260 Per un buon confronto interreligioso, W. D. Spencer ( Christ 's Sacrifice as Apologetic: An Application of Heb l O, l- l 8, in JEvTS 40 [ 1 997] 1 89- 1 97) esorta i cristiani a sfruttare Eh l O, IO co­ me potente e costruttivo messaggio apologetico, capace di creare attenzione e ottenere adesione in un corrispettivo stile-scelta di vita (lbid. 1 97), più ancora del l ' annunzio della risurrezione (p. 1 95). Il potenziale pasquale della croce ne sarebbe maggiore. C'è da discutere. 261 Hiereus e archiereus sono qui egualmente attestati. Manca per sé un elemento decisivo che favorisca l ' una o l 'altra lezione. Il contesto tuttavia favorisce hiereus. Si tratta infatti dei sacerdoti che « ogni giorno » (kath 'hémeran) si recano al tempio per offrire sacrifici quotidiani. La variante archiereus nei codici Alessandrino e in C, P e in altri è sotto l ' influsso di Eb 5, l e 8,3. 262 Sullo sfondo la formula ebraica 'iimad lipne JHWH. Cfr. Dt 1 0,8 e 1 8,7: linguaggio sacerdota­ le levitico. Lo stare in piedi era prescrizione obbligante. Fatta eccezione per il re davidico, a nessun al­ tro era consentito sostare nell'atrio del tempio e sedere. Per riposarsi dopo il servizio reso, bisognava abbandonare il luogo sacro. Cfr. F. Delitzsch, Kommentar zum Briefe an die Hebriier, Dorftling & Franke, Leipzig 1 857 (ristampa, Giessen 1 989), p. 468.

424

Parte seconda. Traduzione e commento

L'argomentazione critica è nota anche a carico del sacrificio annuale (kat 'eniau­ ton), di cui in l O, l : il che favorisce la rilevazione della magna inclusio: prosphe­ ròn (v. l l ), prospherousin (v. 1 ). Eppure, secondo Lv 1 0, 1 7 quelle liturgie sacri­ ficati (leitourgon) ottengono la rimozione del peccato; prezioso attestato di una tradizione che evolve. Quei sacerdoti e il sommo sacerdote mostrano così l ' imperfezione del loro sacerdozio. Eppure, essi hanno espletato la loro funzione: creare l 'attesa sempre più intensa di un sacerdote unico, capace di celebrare un sacrificio unico e defi­ nitivo, per un perdono tangibile, anch' esso unico e definitivo. Per Ebrei, tutto questo avviene nel « Figlio » Gesù il Cristo. Anche questo ri­ sultato, introdotto da de (« al contrario », v. 1 2), è già stato rilevato più volte: egli ha « offerto un solo sacrificio per i peccati ». Si noti il parallelo con 9,26-28. Dal momento che la voce verbale prosenegkas (« ha offerto ») è un perfetto che espri­ me l 'unicità di quell 'offerta dagli effetti permanenti (cfr. v. 1 4), il successivo eis to dienekes (« per sempre >>) va agganciato più attendibilmente a ekathisen (« si è assiso », v. 1 2b)263, con riferimento a 1 ,3 . 1 3 ; 8, 1 . L'allusione è al Sal 1 09, 1 a: « . . . Siedi alla mia destra ». La versione dei LXX riflette la mitologizzazione e la divinizzazione del re, cosa usuale presso gli egi­ zi in epoca ellenistica. Efficace il ricorso al tempio di Abu Simbel. lvi Ramsete II è seduto alla destra di tre divinità: Re, Amun e Ptah. La scena può chiarire l 'e­ spressione del Sal l 09, F64• Ulteriore sviluppo: attese escatologiche e apocalitti­ che (9,26-28). Con il parallelismo hesteken-ekathisen, Ebrei dice che ciò che è antico ha preparato il nuovo. Mentre i sacerdoti della legge devono ogni giorno presentarsi al tempio265 per il sacrificio, Gesù al contrario ha offerto il suo « per sempre » (eis to dienekes); ora può porsi accanto a Dio, nei cieli, rivestito del potere che gli spetta. Il suo mini­ stero sacerdotale e la sua offerta redentiva sono, da parte sua, ormai completi. L' uso del Sal 1 09, l a al v. 13 è un peser: il salmo non dice che Gesù è sommo sa­ cerdote e re, ma l 'autore, partendo da quelle sue qualità, vede nel salmo un mo­ mento descrittivo e dimostrativo del suo sommo sacerdozio regale. Sacerdozio, sacrificio e culto hanno un ruolo notevole nell ' AT. Ciò spinse i cristiani della prima ora a investigare nella Scrittura il preannunzio del sacerdo­ zio di Gesù Cristo. Ebrei scopre così che il progetto base dell ' istituzione sacer­ dotale e del culto rituale dell ' AT avrebbe raggiunto in Cristo il proprio compi­ mento. Per la conduzione logica del suo discorso egli è obbligato a ricorrere abbondantemente al linguaggio cultuale del Primo Testamento, pone tuttavia vi­ no nuovo in otri vecchi, al punto che questi ultimi minacciano di rovinare. 263 La formula eis to dienekes, che al cap. 1 2 ricorre ai vv. 1 . 1 2 e 1 4, è più attendibile si riferi­ sca, qui al v. 12, cioè a « si è seduto alla destra di Dio » appunto, « in eterno, per sempre », e non al sacrificio celebrato « una volta per sempre >>. A tal fine, l 'autore usa sempre ephapax. Dalla destra di Dio egli gestisce il potenziale della sua offerta redentiva. Segnalo sull 'argomento D. J. MacLeod, The Present Work �f Christ in Hebrews, in BS 1 48 ( 1 99 1 ) 1 84-200. 264 Suggestivo suggerimento di M. Gorg, « Thronen zur Rechten Gottes ». Zur altiigyptischen Wurzel einer Bekenntnisformel, in BN 8 1 ( 1 996) 72-8 1 . 265 Cioè nello hekii l, hagia, il santo, la prima tenda: Eb 9,6.

Dall 'antico al nuovo nella continuità Eh

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Devono cedere il posto a un sacerdozio, a un sacrificio e a un culto diversi, a un sacerdote che è al tempo stesso vittima, non perché immolato sul sagrato di un tempio o su un altare del sacrificio con un atto esteriore di culto, piuttosto perché l ' intera sua vicenda terrena ha un denso valore redentivo, fino alla croce che quel valore densamente assomma, fino alla tomba vuota266• L'esegeta è chiamato a scoprire il contenuto nuovo, non dimenticando che il linguaggio va attentamente sondato (esso può infatti falsare la nostra compren­ sione), che le immagini possono non avere presa e che noi siamo esposti alla se­ duzione di una grammatica di superficie a tutto svantaggio della grammatica di profondità267• Da questo punto di vista, il lavoro di Ebrei è semplicemente magi­ strale. Il parallelismo avviato ai vv. 1 1 - 1 2 evolve in tre direzioni, altrettanti mo­ menti del pensiero dell 'autore : al v. 1 3 (futuro escatologico: « in attesa che . . . »); al v. 14 (perfetto escatologico: « ha reso perfetti per sempre >>) e ai vv. 1 5- 1 8 (ci­ tazione da Ger 3 8,33 a riprova dei due punti precedenti). Completando la citazione del Sal 1 09, l a con il v. l b, l 'autore immette nel suo scritto un ' idea del tutto nuova, senza più riprenderla. Si tratta del futuro esca­ tologico: « Aspettando ormai . . . che siano posti (eos tethasin) a sgabello >> (v. 1 3). Preso posto accanto a Dio nel tempio celeste, il Figlio lavora al compimento so­ teriologico della propria offerta redenti va. Ne sarà segno il superamento definiti­ vo di ogni opposizione. Ma proprio quest'ultima battuta, legata al Sal l 09, l , non trova riscontro in Ebrei. Si deve pensare a un puro complemento di citazione? O a un utilizzo generico del tema « oppositori >>? Il Sal 1 09, 1 ci conduce ad At 2,35 e in particolare a l Cor 1 5 ,24-27. Si tratta della consegna del regno da parte del Risorto a Dio Padre, superate tutte le oppo­ sizioni provenienti « da ogni principato e ogni potestà e potenza » (v. 24), com­ preso « l 'ultimo nemico ad essere annientato, la morte >> (v. 26). Questa azione condotta a fondo dal Risorto contro gli opposi ti ori è fondata per ben due volte sul Sal l 09, l : tutti i nemici dovranno essere posti sotto i suoi piedi (vv. 25 .27). Vittoria sicura, ma richiede attesa268; né è ancora tutto compiuto. Per l Cor 1 5,28, quando tutto gli sarà stato sottomesso, « anch ' egli, il Figlio, farà atto di sottomis­ sione a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti >>. Ma non è il pensiero di Ebrei. Se Eb 1 0, 1 3 pensa a questi oppositori, è di essi che Eb 9,26 attende la scon­ fitta entro il compiersi dei tempi storici (epi synteleia ton aionon) e ne gestisce la contro-opposizione. Questo comportamento attivo è suggerito dalla voce verbale « aspettando (ekdechomenos) », che esprime sosta, pausa, ma non inattività: egli è infatti assiso, ma « intercede per noi » (4, 1 4- 1 6; 7,25; 9,24); egli non tornerà per riprendere a combattere; perché egli « ora » è in continuo combattimento alla teCfr. A.J. Levoratti, « TU no has querido sacrificio ni oblacion ». Salmo 40, 7; Hebreos 10,5, in Revista Biblica 48/23 ( 1 986) 1 50- 1 52. 267 Opportuno richiamo critico di L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1 967, pp. 1 05- 1 09 e 1 64 (e altrove). 268 Eos tethosin : congiuntivo aoristo prospettico o escatologico. Preceduto da eos, esprime at­ tesa di qualcosa che deve avvenire. 266

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Parte seconda. Traduzione e commento

sta dei suoi269• La sconfitta dei suoi oppositori sarà ultima e definitiva in occasio­ ne del suo ritorno, precisa Eb 9,28, quando porrà in chiaro il falso e lascerà riful­ gere la verità. Il suo lavoro di redenzione è ormai compiuto. Egli ora prende par­ te alla sovranità di Dio e attende che si manifesti per sempre la sua potenza. Ma quella sua attesa è piena di « lavoro )): egli tiene d' occhio le scelte di coloro che « ha reso perfetti per sempre (teteleiOken) )) (v. 1 4). Il perfetto escatologico e i due eis to dienekes, qui e al v. 1 2, si corrispondono: egli è in trono per sempre perché ha dato compimento alla sua opera per sempre, con una sola offerta (mùi pro­ sphora); non ha dunque bisogno di ripeterla né di completarla. L'autore ha come un incontenibile bisogno di ricordare di continuo il valore qualitativamente uni­ co di quell 'offerta redentiva (il perfetto teteleioken ne sottolinea gli effetti perdu­ ranti e consolida il valore di « una volta per sempre )); e anche il participio pre­ sente tous agiazomenous: quelli che si lasciano santificare sono quanti si lasciano prendere dal potenziale redentivo di quel fatto-evento avvenuto una volta per sempre). Ciò accade in profondità solo attraverso una Selbsterlebnis270, una espe­ rienza-kairos sullo stile di quella di Cristo: come egli « attende )) alla destra della Maestà il compiersi dei tempi, così i cristiani attendano l ' ingresso nel riposo di Dio. Nell 'attesa pregustino quel riposo già oggi, entrando nel riposo-attesa di Cristo, ossia nella sua assemblea pasquale, terrestre, la quale con-celebra il patto nuovo, quello che egli continua a presentare al Padre. Quell ' assemblea è così sempre « in situazione » di redenzione e santificazione, verso il compimento. È il cammino « sacerdotale » di chi si coordina con « l ' azione sacerdotale » di colui che è stato « esaltato >> . Per il ruolo giocato dalla formula: « una volta per sempre >> in Ebrei, ne è qui opportuna una rilevazione delle frequenze: Quelli che sono stati « una volta >> (hapax) o «una volta per sempre » illumi­ nati e ricevuto il dono dello Spirito santo (nel battesimo). 9,7 « Il sommo sacerdote . . . una sola volta l 'anno (ephapax)». 9,26 Cristo è apparso una sola volta (hapax) nella pienezza dei tempi per annulla­ re il peccato. 9,27.28 « Come gli uomini muoiono una sola volta (hapax) . . . Cristo si è offerto una volta per tutte (hapax) ». 10,12 Sacrificio unico (thysia): eis to dienekes: in aetemum, semper. 10,14 Una offerta unica (prosphora); eis to dienekes. 10,10 Gesù santifica gli uomini con il suo sacrificio unico (ephapax, v. 10). Li rende perfetti per sempre (eis to dienekes, v. 14). 6,4

Eb 1 0,2 (hapax) e 1 0, 1 0 (ephapax) : unicità della condizione del cristiano, perché collegato con la unicità del sacrificio di Cristo.

Si veda il lavoro di D.J. MacLeod, The Present Work of Christ in Hebrews, in BS 1 48 ( 1 99 1 ) 1 84-200. 270 Si veda F. Delitzsch, Kommentar zum Briefe an die Hebriier, p. 47 1 . 269

Dali 'antico al nuovo nella continuità Eb

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Fatta eccezione di Eh 6,4, le frequenze sono tutte ai capp. 9- 1 0: la redenzione è irrepetibile. Due i valori che ne provengono: perdono dei peccati e riconciliazio­ ne; santificazione e perfezione. Poi la finalità escatologica della sua seconda venu­ ta: la vittoria definitiva sulla morte (cfr. 9,26-28). L'uomo redento può attendere la salvezza escatologica. Ne ha come diritto, una speranza certa (9,24.2627 1). Un quesito d'obbligo. Se il sacerdozio e il sacrificio di Cristo sono perfetti, a che pro allora i sacerdoti del NT? Ebrei non ne parla espressamente, ma neppu­ re ne esclude l 'azione; oppone però ai sacerdoti della prima alleanza il solo sa­ cerdote della nuova: Gesù il Cristo. Questi sono solo partecipi del suo sacerdozio e lo ripresentano; non celebrano nulla di nuovo, rendono visibile il memoriale della redenzione, il dono della riconciliazione272: ogni peccato infatti è già rimes­ so « una volta per sempre ». Chiunque riconosce la propria infedeltà sa di potersi rigenerare a quel potenziale. Un 'ultima rilevazione. In tre punti precisi Ebrei descrive l 'oblazione sacer­ dotale: in 5,7 l 'oblazione della preghiera; in 9, 1 4 l ' oblazione di sé nello Spirito santo; in l O, 1 4- 1 6 l ' oblazione sacerdotale e la legge di Dio scolpita nel cuore. Eh 1 0, 1 4 è l 'ultimo punto dove l 'autore menziona l ' oblazione sacerdotale di Cristo che « ha reso perfetti per sempre273 con un 'unica offerta quanti vengono santifi­ cati ». La forma verbale « ha reso perfetti per sempre (teteleioken) », connotata da « con un 'unica offerta », ha il senso di perfezione sacerdotale : reso perfetto, Cristo rende perfetti i santificati; trasformato, trasforma; sacerdote sommo, par­ tecipa il suo sacerdozio ai santificati, « popolo di sua conquista » (Tt 2, 1 4), > con la potenza del suo Spirito. Il loro kairos è l ' incontro con il progetto di Dio già disegnato in Geremia e ora vi­ sibile in Cristo. Essi ne sono coprotagonisti . Né l ' autore si esclude; l 'uso di hemin al contrario lo unisce intenzionalmente ai suoi destinatari : entrambi acco­ munati da un ' identica consapevolezza nella fede. Riproponendo Ger 38 (LXX) ai vv. 1 6- 1 7, l 'autore ha un comportamento li­ bero (cosa che gli è del resto usuale) nei confronti del testo profeti co, nel quale immette notevoli mutamenti. È l ' accorgimento retorico delle variazioni275 • Grazie a esse, egli mette in luce alcuni punti centrali del suo pensiero. Diversamente da 8,8- 1 2 dove riporta integralmente Ger 3 8,3 1 -34 (il patto: componente storica), in l O, 1 7 Ebrei si limita a Ger 38,33-34: intende così mette­ re a fuoco il perdono dei peccati (componente soteriologica), tema qui da lui pre­ ferito a quello del patto. Rispetto a 8, 1 2 dove Ger 3 8,34 viene correttamente citato secondo la ver­ sione dei LXX, in l O, 1 7 l ' autore introduce una variante che allarga il campo del perdono: non solo i peccati, ma ogni trasgressione alla legge. Con una ben riu­ scita endiadi, egli dice ai destinatari la definitività del perdono, nucleo del suo messaggiO. Il congiuntivo aoristo in Ger 38,34 (ou me mnesthO eti) ben citato in Eb 8, 1 2, diventa un indicativo futuro in l O, 1 7 (ou me mnesthesomai eti)276: l 'autore vuole dire ai destinatari l ' interesse di Dio per la loro situazione presente e spingerli a

Nouveau Testament, Éditions du Seui l, Paris 1 980, e Id., l due aspetti del sacerdozio cristiano, in PP 9/ 1 0 ( 1 987) 63-77. 275 Le rileva bene K. Backhaus, Der neue Bund und die werdende Kirche, p. 2 1 1 . L'autore non vuole ripetere materialmente la citazione, ma varia. Sullo strumento retorico delle variationes, cfr. Quintiliano, lnstitutio oratoria 4,2, 1 1 8 ; 6, 1 ,2; 9,2,63 ; 9,4,58; 1 0,5, 1 1 . 276 Il futuro mnesthesomai è elaborato dali 'autore in Eb l O, 1 7 rispetto a Ger 38,33 (LXX). In Eb 8, 1 2 invece l 'autore rispetta il congiuntivo aoristo prospettico conforme alla versione dei LXX.

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guardare con fiducia al loro futuro; con il pronome pros autous (loro)277 in l O, 1 6a Ebrei sostituisce la formula « alla casa di Israele » (tQ oikQ 'Israel, Ger 3 8,33, ben citato in Eh 8, 1 0), onde evitare l ' equivoco che un simile messaggio di perdono e di redenzione venga limitato al solo Israele, « popolo del patto »278• Ricordato il patto scritto nel cuore e nella mente (Ger 3 8,33 in Eh 1 0, 1 6b), in l O, 1 7 l 'autore cita Ger 3 8,34 (LXX). Da questo momento etico già denso nel primo patto egli prende occasione per elaborare il momento più denso del nuovo patto: in Gesù Cristo avviene il perdono dei peccati e la loro completa cancella­ zione, frutto di una offerta sacrificate redenti va unica e irripetibile ( l O, 1 8). Egli annunzia inoltre il dichiarato volere di Dio di non ricordare i misfatti. E quando Dio dimentica, lo fa una volta per sempre (ephapax, v. 1 7 ; cfr. 9, 1 5): rimette di fatto e perdona. Così analizzato, Eh l O, 1 5- 1 8 esprime bene la finalità soteriolo­ gica dell ' annunzio profetico affidato a un nuovo patto: quello scritto nel cuore. Se in 9,5-9 Cristo stesso parla del suo sacerdozio avvalendosi del Sa1 39,7-9, qui in l O, 1 5 è lo Spirito santo (to pneuma to hagion) a testimoniare quel sacer­ dozio e quel sacrificio e i relativi frutti. E siamo al risultato atteso e consolante : « Dove c ' è perdono di queste cose279, non c ' è più (bisogno di) offerta per il pec­ cato (prosphora tes hamartias) )) (v. 1 8) . L'autore non vuole dirimere una contro­ versia tra ebrei e cristiani circa il culto del sacrificio d' espiazione o circa la ne­ cessità di sostituire il culto antico con il nuovo; egli vuole piuttosto dire che sacrifici e sacerdoti molteplici hanno preparato il momento storico per l ' offerta che il Figlio fa di se stesso al Padre, accogliendo come epilogo della sua vita la morte in croce. Su di essa ha luogo 1 'offerta redenti va (mia prosphora, 1 0, 1 4) unica, irripetibile, universale, celebrata dali 'unico sommo sacerdote. Con lui, l 'annunzio di quel perdono-riconciliazione personale e universale, da sempre at­ teso, intensamente desiderato, è ora realtà sempre attuale. In 9,7 con l 'uso di prospherein, qui in 1 0, 1 8 con l 'uso di prosphora, l 'auto­ re mostra di riportarsi allo Jom KippCir e ali 'offerta sacrificale prevista per il gior­ no dell 'espiazione nel « santo dei santi )) . Ebbene, come l ' ingresso del sommo sa­ cerdote era già momento integrante del rito espiatorio presso il « trono della misericordia (hylasterion) » che vi veniva asperso con il sangue (Lv 1 6, 1 2- 1 5), così l ' ingresso del Figlio nel santuario del cielo mette il punto alla sua offerta re­ dentiva al Padre280: il nuovo Jom KippCir. Un approccio retorico alla dispositio di Eh 8, 1 - 1 0, 1 8 (come già per 7, 1 -28) e alle sue antitesi dialettiche controprova la bontà dei dati raggiunti. Lo stile dua­ listico di scuola filoniano-alessandrina già più volte rilevato, conduce a cinque antitesi non polarizzate (del tipo aut aut), bensì dialettiche (del titpo et et), aper2 77 Pros autous. Ma in Ger 38,33a (LXX), fedelmente riferito in 8, 1 0, si legge !Q oiki) '/srael. Variante redazionale dell 'autore che intende mostrare l 'universalità del perdono di Dio, non limita­ to alla sola casa di Israele. 2 78 Si ha un' aggiunta soteriologico-redazionale rispetto a Eb 8, 1 2 dove Ger 3 1 ,33 (TM) (= 38,33 [LXX]) è più fedelmente riportato. Ebrei lavora liberamente. 2 79 Cioè dei peccati e delle iniquità. 28° Cfr. N .H. Young, The Gospel according to Hebrews 9, in NTS 27 ( 1 98 1 ) 209-2 1 0 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

te alla continuità; esse svolgono il ruolo di cinque argomentazioni. Entriamo un po' in questo meccanismo e gustiamone i risultati teologici. Introducono le cinque argomentazioni due microunità dal tono introdutto­ rio. La prima (Eb 8, 1 -6) introduce l 'esposizione-narrazione del logos teleios: il « punto capitale » ( 8, l ). Vi si riscontra in modo diffuso una prima antitesi: « cie­ lo-terra; celeste-terrestre »; Cristo è il sommo sacerdote del vero tabernacolo, quello celeste (8,2 ) , del quale quello terrestre è solo pallida imitazione (8,5 ) . La seconda (Eb 8, 7- 1 3) introduce il testo profeti co che farà da base ali ' esposizione che segue (Ger 38,3 1 -34 [LXX]). Ai vv. 7 e 1 3 (introduzione e conclusione del passo profetico) si legge una seconda antitesi: « antico e nuovo ». L'autore tornerà a elaborarla in 9, 1 5-22. Scopo della citazione profetica e relativo commento è mostrare che il primo patto non fu perfetto e che il patto nuovo fu cercato, desi­ derato, atteso. Ed ecco le « migliori promesse »: il patto nuovo è una realtà nuova incisa nel cuore (8, l O; l O, 1 6); nel nuovo patto Dio non ricorda più i peccati; essi sono cancellati per sempre in forza di un perdono « celebrato » una volta per sem­ pre (8, 1 2). Queste due promesse sono inscindibilmente collegate. Nella prima promessa poi, in 8, l O, si notano gli elementi di una nuova antitesi: interno-ester­ no. Essa fa da perno alle due argomentazioni di 9, 1 - 1 0 e 9, 1 1 - 1 4. Le cinque argomentazioni sono disposte in paralleli del tipo a-b-c-b ' -a' : a) 9, 1 - 1 0 b) 9, 1 1 - 1 4 c ) 9, 1 5-23 b') 9,24-28 a') 1 0, 1 - 1 0

momento terrestre momento celeste momento terrestre-celeste momento terrestre momento celeste.

Momento terrestre ( 9, 1 - 1 0 ) : a) Vi si descrive il santuario terreno, kosmikon ( 9, l ), fatto da mano di uomo, sagoma ombratile di quello celeste ( 8,5; 9,8 ) , « il santuario vero » ( 9, 1 1 ). Ulteriori antitesi : il « tempo attuale », quello della prima tenda e delle prescrizioni umane ( 9,9 ) e il « tempo della riforma »; con l ' ausilio della figura retorica della correzione al v. l O è spiegato al v. I l : in Cristo vengo­ no a noi i beni futuri, anzi, egli stesso è la somma di quei beni, annota Col 2, 1 7 . Queste antitesi trovano un primo momento coagulante nella persona del sommo sacerdote, che una sola volta l ' anno fa il suo ingresso nella seconda tenda per l ' espiazione . Ancora più coagulante è il gioco dell 'autore sui termini « esteriore­ interiore ». Per mostrare che l 'esteriore (materiale) è vecchio mentre ciò che è in­ teriore (spirituale) è nuovo, egli fa ricorso a una nuova antitesi, carne (= prescri­ zioni legali), che appare per la prima volta in 7, 1 6 e « spirito », vita nuova che non ha fine, perché animata dal patto nuovo inciso nel cuore (Ger 38,33 [LXX]; Eb 8, l 0). L'antico sistema cultuale opera solo in superficie; esso è « carnale » ( 9, l 0), materiale e legalista, non potrà mai operare il rinnovamento della coscienza (sy­ neidesis, 9,9 ) , il quale esige un culto interiore ( 9,9 ) , capace di dare e alimentare una vita nuova (9, 1 1 . 1 4). Momento celeste (9, 1 1 - 1 4 ) : b) La tenda celeste «è più grande e più perfetta » ( 9, 1 1 ; già 8,2 ) della sua ombratile sagoma terrestre. Anche a questo motivo si as­ sociano ulteriori antitesi : celeste è il regno di ciò che è assolutamente unico, dove

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l 'unico sommo sacerdote è entrato « una volta per sempre » (ephapax, 9, 1 2) e pre­ senta la sua offerta unica e irripetibile « attraverso (in forza di) uno Spirito eterno » (9, 1 4)28 1 • Quest'ultima formulazione è decisiva per individuare il polo positivo dell 'antitesi: l 'antico-terrestre ha a che fare più con l 'esterno-carnale; il nuovo-ce­ leste opera invece nel regno dello Spirito, l 'animatore del patto universale, scritto nel cuore e nella mente (Ger 38,33 [LXX] in Eb 8, 1 0; Ez 36,27). La conferma a questa associazione di antitesi giunge in 9, 1 4 e 1 0, 1 4: il san­ gue = vita di Cristo purifica la coscienza dalle opere morte e rende perfetti per sempre quelli che ne vengono santificati . Con il dono del sangue = vita di Cristo si chiude un 'economia basata su molteplici sacrifici operati da sacerdoti addetti a immolare sangue di animali. Con il sangue-vita del « Figlio », il patto è sancito, nel perdono e nella riconciliazione : « Sine sanguinis effusione non fit remissio » (9,22). E la remissione è la purificazione della coscienza (9, 1 4) e la sua santifi­ cazione ( 1 0, 1 4), ed è anche : « Non mi ricorderò più dei loro peccati (infedeltà) ». Il sacrificio cruento antico è un 'azione cultuale, ricca di senso per gli ebrei. Il sacerdote è essenziale; egli media con Dio offrendo sacrifici. Ma il risultato è misero. Con l ' oblazione incruenta di Gesù perdono entrambi senso, appartengo­ no all ' antico-terrestre; necessitano di ri forma, rinnovamento, correzione (9, l Ob)282• Momento terrestre-celeste (9, 1 5-23): c) È il punto centrale della struttura e del commento sul nuovo patto. Esso evolve in due parti ben bilanciate che spiegano con enfasi l 'antitesi tra l 'antico e il nuovo283• Il Figlio è il mediatore del nuovo pat­ to. Egli opera « la redenzione (apolytrosis) delle trasgressioni sotto il prima patto » (9, 1 5). L'autore conosce questo motivo da Ger 3 8,34 (LXX) già riportato in 8, 1 2 ; qui egli riprende lo stesso motivo desumendolo però da Es 24,6-8 (gli eventi al Sinai); vi si riporta espressamente in 9,20, ove mostra di ben conoscere anche Mc 14,24 e Mt 26,28. Le cose stanno così: l ' inaugurazione di un patto richiede spargi­ mento di sangue; così è stato al Sinai, per opera di Mosè, nel sangue degli animali, asperso sul libro delle « dieci parole-comandamenti » e sul popolo tutto (9, 1 9-20), sulla tenda e su tutti gli arredi del culto (9,2 1 -22a); così è stato sulla croce, nel san­ gue di Gesù (Eb 9, 1 8), anch'esso asperso sui presenti (Mt 27,25). Le convergenze antitetiche lasciano trasparire un ardito accostamento: un at­ to terrestre-carnale come lo spargimento di sangue celebrato al Golgota (cui allu­ de il v. 1 5), viene associato a un evento celeste-spirituale, il dono libero e consa­ pevole del sangue (= vita) « pen>. Quel sangue allora sparso (fatto storico) una volta per sempre ha ora un valore spirituale e ha la forza di santificare e purifica281

Crux interpretum. Così H. W. Attridge, The Uses ofAntithesis in Hebrews 8- 10, in HTR 79 ( 1 986) 7. Vedi anche sopra, in Eb 9, 1 4. 282 Le argomentazioni in Eb 9, 1 - 1 0 e 9, 1 1 - 1 4 evolvono secondo la figura retorica della cor­ rectio (epanorthosis) : l 'autore tenta di ottenere l 'attenuazione progressiva dell 'antico, dichiarando­ ne la necessaria correzione, onde introdurre il nuovo, vuole persuadere della sua maggiore bontà e del potenziale correttivo nei riguardi dell 'antico. 283 In 9, 1 5-22 Ebrei fa ricorso al peso del pathos, un insieme di elementi probanti a mezzo dei quali egli vuole movere i destinatari (pathos) ad aprirsi alla sua na"atio-probatio (logos), esposta e motivata con autorevoli argumentationes (ethos).

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Parte seconda. Traduzione e commento

re anche tutte le realtà celesti, lo stesso tempio-tenda celeste, opera delle mani di Dio2s4. Momento terrestre (9,24-28): b') L'autore riprende il tema del regno celeste appena discusso in 9, 1 1 - 1 4. Già il v. 23 mette a fuoco questo polo dell ' antitesi quando parla di « realtà celesti » due volte nello stesso versetto: i simboli delle realtà celesti nel tempio-tenda terrestre dovevano essere purificati con i sacrifici (terrestri), dal momento che le vere realtà celesti dovevano essere purificate con sacrifici superiori ai terrestri : cioè con l 'unico sacrificio di Cristo285• Celebrata nel tempo e nello spazio, la sua azione redentiva è terrestre. A motivo della sua assoluta unicità-non ripetibilità, ephapax-hapax (9,26.27.28), essa è ora celebra­ ta nel tempio celeste . Da qui quanto segue. Momento celeste ( l O, 1 - 1 0): a') Siamo al culmine della procedura epidittica, climax ascendens della prova (probatio) . Gli elementi ripetitivi, affatto malde­ stri, favoriscono la figura retorica della correzione: l 'autore continua ad attenua­ re il valore dell 'antico e vuole richiamare l 'attenzione sul nuovo. In Eb l O, 1 -4 tornano due antitesi: vecchio e nuovo, binomio evocato attra­ verso le formule « beni futuri », dei quali > per con-celebrare con il nuovo e uni­ co sommo sacerdote il culto nuovo e definitivo a Dio, con speranza certa nel sa­ crificio di Cristo ( l O, 1 9-25 ; già 4, 1 4b ). Quel sacrificio, nel suo sangue, fu necessario per espiare le infedeltà di chi con tanta frequenza si era allontanato dali 'alleanza e dalla fede in Dio; ricadere in quell 'agguato è provocare il giudi­ zio terribile del Dio vivente ( l 0,26-3 1 ). « Richiamare alla memoria >> può essere di aiuto alla fede. La Chiesa di Cristo è formata da coraggiosi pionieri nella fede, non da un manipolo di timorosi indecisi ( 1 0,32-39). L'unità letteraria presenta la seguente disposizione : a) 1 0, 1 9-25 b) 1 0,26-3 1 b') 1 0,32-35 a') 1 0,36-38 c) 1 0,39

« La via nuova e vivente >>. Cinque esortazioni. Apostasia? Senza perdono ! « Ricordate . . . non abbandonate >>. Garanzia di costanza. « Avete bisogno di perseveranza >>. Avanti nella fede.

L'avvio dell 'esortazione, ai vv. 1 9-2 1 , presenta una rispondenza strutturale e di contenuto con Eb 4, 1 4- 1 6: rafforzare la fede nel sommo sacerdote Gesù e ac­ cedere con piena fiducia al trono di Dio. Ma vi è un apporto nuovo: la via nuova e vivente indica che in lui la salvezza è concreta, è in corso, la si sperimenta già. Magistrale il passaggio dal tono del maestro che insegna a quello di chi cer­ ca il contatto persuasivo e coinvolgente (pathos) : l 'autore si rivolge ai destinata­ ri come a « fratelli », esprimendosi nella prima persona plurale « noi >>. Questa forma comunica meglio dando maggiore credibilità a chi parla (ethos), ne rende più efficaci l 'ammonizione, la spinta a non dimenticare, e a essere coraggiosi (lo­ gos) . Operazione retorica ben riuscita. E anche quella ermeneutica: al Gesù sacerdote sommo che ha attraversato i cieli ( 4, 1 4, linguaggio metaforico) subentra ora « la via nuova e vivente » da lui inaugurata attraverso il dono della sua umanità (carne), una via di accesso a Dio ormai sempre aperta e per tutti disponibile (linguaggio esistenziale). La paràclesi infine si muove sulla triade « fede, speranza, carità >>. Essa so­ spinge la comunità a decidersi per una esistenza cristiana nella quale fede e spe­ ranza sono pietre angolari, e la carità ne è l ' espressione concreta più vitale. Non si tratta di virtù morali (nel senso di arete), né di virtù teologali, nel senso della teologia scolastica, bensì di potenziali che spingono ad agire con coraggio pieno di fiduciosa speranza (parrhesia) e di costanza, nonostante tutto (hypomone). Ma inoltriamoci nella paràclesi.

[ 1 0,19-2 1 ] « La via nuova e vivente ». Come apposizione al v. 20, il v. 1 9 ne illumina il contenuto. Ne è riprova la struttura parallela che i due versetti mostra3 Cfr. R.A. Culpepper, A Superior Faith: Hebrews 10, 1 9-12, 2, in Review and Expositor 82 ( 1 985) 375-390.

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Parte seconda. Traduzione e commento

no di avere. In entrambi si parla di una « strada » e se ne indica il traguardo: « Il santuario celeste . . . attraverso il velo; in entrambi la morte di Gesù in croce apre l ' ingresso al tempio celeste: « In virtù del sangue di Gesù (attraverso) il velo, cioè (attraverso) la sua umanità »4• Entrare alla presenza di Dio incute timore anche in chi è saldo nella fede. Da qui l ' invito alla fiducia e alla confidenza coraggiosa, piena di speranza e di gioia per avere incontrato, sulla croce, il Messia di Dio5, l ' opera giustificante del sommo sacerdote. Due i risultati: egli ci ha aperto una strada per accostarci a Dio e ci ha purificati, sì che possiamo avere fiducia nel suo sacrificio (v. 20) e confidenza in lui (v. 22). Sarà difficile trovare una sintesi mi­ gliore del valore salvifico della croce. Appelli ad > come via unica e del tutto nuova, con conferma decisiva da parte della formula « attraverso il velo >>. Che questa via poi sia anche « vivente >> (zosa) spinge a identificare la medesima non tanto con la per­ sona di Gesù, ma con la sua azione sacrificai e sacerdotale (Eb I O, 1 9b ). Tuttavia, per via di « uso pregnante », piuttosto frequente in Ebrei, l 'autore potrebbe pensare anche a Gesù. Cioè, mentre scrive della sua azione sacrificale sacerdotale, pensa automaticamente a lui, sacerdote e vittima sa­ crificale. A questo punto però il « Gesù via >> sarebbe una sua creazione a vantaggio della comunità. Cfr. W. Michaelis, hodos, in GLNT ( 1 972) 8,220-22 1 . Anche A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 1 76. 8 È la festa di Hanukka (dedicazione del tempio): cade il 25 di kislev (dicembre). La riconsa­ crazione del tempio fu necessaria a seguito della dissacrazione operata dal sirogreco Antioco IV Epifane ( 1 35- 1 34 a.C.). La menora a otto braccia ricorda questa festa. Dopo quello scempio, infat­ ti, pii israeliti reperirono olio sufficiente per far ardere un solo giorno la lampada di fronte ali 'arca. Questa però arse per otto giorni; un segno prodigioso.

Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi) Eb

1 0, 1 9-39

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fondo (Mc 1 5 ,38; M t 27,5 1 ; Le 23,45). Il velo rapppresenta anche tutto ciò che se­ para da Dio; Dio dunque intende avvicinarsi ali 'umanità, le si vuole manifestare. La missione di Dio lungo la storia è stata la rimozione di quel velo: a tal fine han­ no lavorato patriarchi e profeti ( l , l ); da ultimo il « Figlio » stesso ( l ,2). Questi, at­ traverso il velo della sua carne, la sua umanità e la vita terrena, culminata in cro­ ce, e nella sua esaltazione( -risurrezione)9, ha portato ali ' apice l ' autorivelazione di Dio, rimuovendo e sostituendo il velo d' ingresso nel « santo dei santi » con il ve­ lo appunto della sua carne. Una forte diversità: quel velo chiudeva il « santo dei santi » e impediva l 'accesso a Dio; il suo velo invece è pieno di vita, è vivente (zosa), rimuove ogni impedimento e apre una volta per sempre l 'accesso a Dio. Da « precursore » ( 6,20), egli ha inaugurato la via della vita 10 ed è « capo della casa di Dio » (v. 2 1 ) « che siamo noi » (Eb 3 ,6), capo nella sua qualità di « grande sacer­ dote » (Eb l 0,2 1 ) che « vive sempre per intercedere a nostro favore » (Eb 7 ,25). [ 10,22-25] Cinque esortazioni. Dunque, « accostiamoci » (proserchomethaY 1 (v. 22), con piena libertà (v. 1 9), prendiamo atto che noi abbiamo ora un « grande sacerdote » che presiede « la casa di Dio » (v. 2 1 ), « noi » (3,6), l ' intero suo popo­ lo pellegrinante verso « il suo riposo »: giudeocristiani ed etnicocristiani, ieri come oggi. Questa prima esortazione, appello accorato alla piena fiducia e alla fede bat­ tesimale (v. 22), evolve in una seconda al v. 23, invito alla speranza in colui che è fedele alle sue promesse. Ne seguono altre tre: tenere salda la fede (v. 23), stimo­ larsi a vicenda nel bene (v. 24), senza mai disertare « la nostra assemblea » (v. 25). [v. 22] La prima esortazione ( « Accostiamoci ») si allarga e concretizza. Che tale accostamento presupponga un « cuore sincero » è dovuto al fatto che ci si ac­ costa al « vero tabernacolo », dove Gesù il Cristo continua a esercitare il suo mini­ stero (Eb 8,2; 9,24). Un « cuore perverso, senza fede » (3, 1 2) non è « vero » e non può entrare in sintonia con una situazione « vera >>. Tale verità del cuore è possibi­ le attraverso la purificazione da parte di Dio nella fede in lui, la quale libera da ogni « cattiva coscienza » attraverso « il corpo lavato con acqua pura ». Ci si ado­ peri dunque per essere sempre « in piena adesione di fede » (en plerophori(!. pi­ steos), una disposizione interiore così solida da prodursi in testimonianza resa con fiducia piena di coraggio (parrhesia, v. 1 9a) e di speranza, come ricorda Eb 6, 1 1 , in cui ricorre la formulazione parallela (ten plerophorian tes elpidos). Non fu così per Abramo? Contro ogni speranza, credette alla promessa di Dio (cfr. Rm 4,2 1 ). 9 La formula: « cioè la sua carne-umanità » di Eb l 0,20 può essere riferita sia alla « via nuova e vivente )) sia al « velo )). Motivo: apposizione dipendente (il velo, il quale è la sua carne) o esplica­ tiva (il velo, cioè la via della sua carne-umanità). Entrambe sono possibili: la seconda coinvolge l ' in­ tera vita terrena di Gesù il Cristo, dalla sua incarnazione fino alla morte e alla risurrezione; la prima punta solo su morte e risurrezione, ed è la più tenuta. In entrambi i casi, la carne-vita terrena di Gesù e il velo del tempio celeste sono identificati. Status quaestionis in H. Braun, An die Hebriier, pp. 307-308. J. Jeremias (Hebriier l 0, 20: toùt 'éstin tes sarkòs autoù, in ZNW 62 [ 1 97 1 ] 1 3 1 ) sostiene il riferimento alla sola morte in croce in base alla struttura parallela tra i vv. 1 9-20 summenzionata. 10 Per H. Feld (Der Hebriierbrief, p. 49) Eb l 0,20 presenta riscontri gnostici possibili nell ' im­ magine della « via )) e del « velo di accesso )). In verità, Ebrei trasmette con linguaggio gnostico un contenuto non gnostico. 11 Inizia qui una ben riuscita trilogia di congiuntivi esortativi: « Accostiamoci )), « manteniamo )), « cerchiamo )). Essi rendono l 'esortazione intensa, anche in forza della loro posizione strutturale.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Tanta certezza nella fede e nella speranza trova fondamento storico e sote­ riologico nell 'espiazione compiuta dal sommo sacerdote Gesù e ancor sempre at­ tiva. Da qui la fiducia con cui il cristiano, purificato, può ora porsi di fronte a Dio. La plerophoria coinvolge così la parrhesia (v. 1 9): la certezza piena nella fede diventa fiducia piena e coraggio irrefrenabile 12• E tutto questo è tensione continua, magistralmente espressa da en pregnante, che incorpora un eis descrit­ tivo appunto della tensione verso la pienezza, senza interruzione, fino al compi­ mento, già nel tempo, quindi escatologico: « sino alla fine » (Eb 6, 1 1 )13, oltre il tempo, in Dio. La sicurezza nella fede e la piena adesione a essa nella speranza (Eb 1 1 , l ) provengono dal conoscere e dallo sperimentare che quel Dio, alla cui presenza possiamo ormai liberamente accedere attraverso l 'azione liturgico-cultuale, ha operato la nostra salvezza in Gesù Cristo. Questa piena adesione di fede suppone e produce al tempo stesso « cuori purificati in permanenza14 da ogni male consa­ pevole >>, liberati cioè da quella « cattiva coscienza » che sta sempre lì a ricordare l 'accumulo di infedeltà perpetrate verso il Dio fedele 1 5 e « corpi lavati di conti­ nuo », una volta per sempre 16• Si ha qui un riferimento al battesimo cristiano ben più efficace delle antiche prassi lustrali levitiche che purificano solo esterior­ mente (Es 29,4; Lv 1 6,4), perché incapaci di purificare in radice e per sempre. Il battesimo cristiano, invece, purifica il cuore, la coscienza, il corpo. Bagni rituali erano praticati quotidianamente1 7, con il desiderio di ottenere il massimo della purificazione interiore. Ma invano. Essa sarà infatti dono di Dio e del suo Spirito, scrive Ez 36,25-27, e sarà piena nel compimento escatologico. Con due esplicite menzioni, « cuori purificati » e « corpo lavato con acqua pu­ ra », l 'autore mostra di muoversi su due retrofondi: il rito di purificazione con ac­ qua e ceneri della vacca rossa (Eb 9, 1 3 ; cfr. 1 0,22) da un lato, e la purificazione bat­ tesimale per immersione in « acqua pura », la quale lava il corpo (9, 1 3 ; l 0,22), ma ora nel « sangue di Cristo per mezzo di uno Spirito eterno » (9, 1 4) dall 'altro lato. L' allacciamento è reso sintatticamente sicuro dalla voce verbale rhantizo (liberare), che accomuna rhantizousa di 9, 1 3 e rhantismenoi di 1 0,22 . Essa dà fondamento al­ la « purificazione-santificazione » resa in 9, 1 3 con lelousmenoi, forma participiale che esprime bene l ' effetto continuo della « santificazione » attraverso il lavaggio

12 Suggerimenti già in H. Greeven, p/erophoria, in GLNT ( 1 975) 1 0,7 1 1 . Questi tuttavia non ri­ leva la parabola « fede, speranza, fiducia coraggiosa », valori coordinati da (( pienezza » (plerophoria). 1 3 Formule introdotte da plerophoria hanno riscosso attenzione in l Ts l , 5 ; Ignazio di Antiochia, Ai Magnesi 8,2; / Clemente 42,3 . 14 È il senso del participio perfetto passivo rherantismenoi: continuità del l 'aspersione purifi­ catrice, dunque liberatrice, senso già attestato nella classicità. Ricorre ancora in Eb 9, 1 3 . 1 9.2 1 . Cfr. C.H. Hunzinger, rhantizo, in GLNT ( 1 977) 1 1 ,947-953. 1n Eb 1 0,22 esprime purificazione e libera­ zione dalla coscienza accusatrice. 1 5 Non è dunque la coscienza a essere cattiva. Essa ha piuttosto il compito di valutare e ricor­ dare ciò che di negativo è stato compiuto e la conseguente necessità della purificazione. Da qui la bella espressione: apo syneideseos poneras. 16 Lelousmenoi: altro participio perfetto passivo da louo. Esprime il permanente effetto della purificazione, qui nel battesimo. 1 7 A Qurnran: JQS 3, 1 -9, linea 4; J QS 4,2 1 e non solo. Cfr. sopra, in Eb 6,2.

Sperare in quel sacr�fìcio e perseverare nella fede (paràclesi)

Eb l 0, 1 9-39

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del corpo, chiaro riferimento al lavacro battesimale, e in l 0,22b con agiazei, un presente grafico che anche esprime santificazione in permanenza nel lavacro del corpo in acqua pura, riferimento anch'esso al rito battesimale u1. Pure il risultato accomuna entrambi i testi, in quanto espresso con il medesimo termine: katharoteta (purificazione) in 9, 1 3 riferito al corpo-carne (sarx) e la purificazione « attraverso il corpo lavato con acqua pura (hydati katharij) » 19, che rende come visibile la puri­ ficazione dei « cuori da ogni cattiva coscienza ». Questo ultimo elemento, infine, permette di rilevare l 'antitesi chiastica, sia pure a distanza, tra « coscienza cattiva (ponera) e purificata (kathara) », ulteriore fondamento ali 'aggancio menzionato. L'essere purificati nel corpo e nella coscienza (battesimo) onde poter entra­ re con fiducia nel santuario dove il grande sacerdote continua a offrire il suo san­ gue (vv. 1 9-22) suggerisce un collegamento dei due aspetti nella vita cristiana: il popolo di Dio, nel quale convergono ormai gentili e giudei, è purificato nel bat­ tesimo e assunto al tempo stesso nel sacerdozio del sommo sacerdote. Con il bat­ tesimo del popolo di Dio ha inizio de facto, anche in epoca cristiana, la promes­ sa di Dio: il mio popolo redento sarà popolo sacerdotale (Es 1 9,6)20• In Eb l 0,22 coscienza è consapevolezza di purificazione, quindi spinta a en­ trare nel luogo santo, alla presenza del Dio vivente, per celebrare di fronte a lui il culto della coscienza purificata. Se l 'ebreo, in economia mosaica, ha bisogno di continui sacrifici per sentirsi libero dal peccato, scopo che comunque non ottie­ ne, il cristiano sa che nell 'unica oblazione redentiva di lui ha ottenuto per sempre la liberazione dalla radice del male. La sua libertà, vanto della sua dignità, è risa­ nata. Sta ora a lui sapeme vivere. È l 'aspetto funzionale della sua consapevolez­ za (syneidesis) e sacerdotale della sua vita. [v. 23] La seconda esortazione: « Manteniamo >> (al congiuntivo esortativo, katechOmen) alla fede aggiunge la speranza. I due valori si intrecciano ed espri­ mono ricerca. La professione (homologia) della speranza era parte integrante del­ la celebrazione battesimale e pasquale, in forza de li ' allusione alle ceneri della vacca rossa al v. 22 e in 9, 1 3- 1 4 : cuori purificati nel sangue redentore. Professare la fede in Gesù il Cristo è sperare già ora nel compimento escatologico. Professare una speranza vera, perché basata sulla fedeltà di Dio al suo popolo. Essa è fiducia, confidenza e ottimismo al tempo stesso; è fiducia e confidenza in Dio, perché credibile e affidabile2 1 , in quanto non ha mai disatteso le sue pro18 Non è tuttavia pacifico che qui si tratti del battesimo. Si suggerisce una connessione con l 'o­ pera di Cristo come compimento di Ez 36,25-26: « Vi aspergerò con acqua pura e vi purificherò da tutte le vostre impurità; vi darò un cuore nuovo e porrò in voi uno spirito nuovo ». Due motivi scon­ sigliano questa tesi: Eb 1 0,22 si riferisce a un lavaggio fisico (cfr. anche Tt 3,5; Ef 5,26) con purifi­ cazione della coscienza ( l Pt 3,2 1 ) . La connessione fede-battesimo è già ricorsa in Eb 6, 1 -2. In 10,22-23 fede e battesimo sono associate nella homo/ogia. Tutto sospinge per la lettura battesimale. 19 Il motivo dell 'acqua pura è attestato in N m 5, 1 7; poi in Filone di Alessandria, De vita Mosis 2, 143; De specialibus /egibus 3,58. Per il lavaggio purificatorio con acqua: Lv 1 6,4. 20 Il suggerimento è ben situato nella struttura dei vv . 1 9-22. Cfr. P.J. Leithart, Womb of the Wor/d: Baptism and the Priesthood of the New Covenant in Hebrews l 0, 1 9-22, in JSNT 78 (2000) 49-65 . 21 È i l senso di pistos gar h o epaggei/amenos. L' inciso è noto d a Dt 7,9; 32,4; Sal l 44, 1 3 ; l Ts 5,24: 2Ts 3,3; I Cor 1 ,9; 1 0, 1 3 ; 2Cor 1 , 1 8; I Gv 1 ,9.

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Parte seconda. Traduzione e commento

messe e « oggi » le adempie donando misericordia e riconciliazione nel sacrificio volontario del Figlio, pietra angolare del nuovo patto; è ottimismo, perché quel progetto redentivo va ora a compimento. I destinatari del « trattato » sappiano ben comprendersi quale comunità di speranza: anche le promesse non ancora onora­ te, infatti, come ad esempio l ' ingresso nel « riposo di Dio » (4, 1 - 1 1 ), trovano so­ lida garanzia nelle promesse già adempiute ( 1 1 , I l ). Opportuna la precisazione a-kline (« senza vacillare »): più che un aggettivo riferito alla fede, a-kline è un avverbio che ben dipinge il modo vacillante di pro­ fessare la fede, una fermezza zoppicante ! Anche se in caso accusativo come ten homologian, akline ne è distante e privo di articolo. Dunque non fede vacillante, bensì credenti vacillanti. È comunque certo che la homologia suppone il terreno solido della perseveranza (6, 1 2); la comunità cristiana deve tenere duro in questa via di vita; è la strada del popolo di Dio. Quella homologia inoltre deve ricorda­ re ai destinatari incerti che essa è già stata garanzia di sicurezza per i genitori di Mosè ( 1 1 ,23) e per Mosè stesso ( 1 1 ,27); esposti entrambi alle ire del faraone egi­ ziano, essi hanno agito nella fede, come se vedessero l ' invisibile. Il rischio del contrario sarebbe pesante: cadere nella disapprovazione di Dio ( 1 0,38) e abban­ donare il Dio vivente, piuttosto che restare a lui agganc iati fino alla fine (3, 1 2. 1 4). Si tomi dunque a guardare Gesù: pioniere nella fede ed egli stesso cre­ dente (pistos) nel Dio fedele, ha sostenuto la croce disprezzandone il ludibrio ( 1 2,2). Se il primo Mosè e il nuovo Mosè sono stati così solidi nella fede (2, 1 7; 3,2.5), a che pro vacillare? E poi le stesse prime guide carismatiche della comu­ nità ( 1 3 , 7) si sono imposte al « ricordo » per avere dato testimonianza di fede. Non si dimentichi la loro proposta, anzi se ne tenga conto ! [v. 24] La terza esortazione: « Stiamo attenti a vicenda » (katanoomen allelous), ancora al congiuntivo esortativo, invita ali 'amore fraterno in opere buo­ ne, l 'uno per l 'altro; meglio, tutti per uno, ognuno per tutti, quasi un « provocarsi, stimolarsi l 'un l 'altro » (eis paroxysmonj22• Va notato questo senso positivo volu­ to da Ebrei per un sintagma per lo più noto nel suo immediato senso negativo, ben attestato ad esempio in At 1 5 ,39 (P"6), ove dà corpo al dissenso che porta Paolo e Barnaba ad allontanarsi (per sempre) l 'uno dali ' altro23, nuova prova di quel libe­ ro ma competente comportamento di Ebrei ne li 'uso del linguaggio corrente, già più volte rilevato. Ebrei « stimola » trasformando in positivo il senso negativo del­ lo « stimolare », probabile figura retorica della antanàclasi. Un amore privo di opere che lo esprimano è sterile24• L'amore cristiano non è una esercitazione filan­ tropico-sentimentale dal contenuto blando e vago, ma esprime attenzione, stima, amicizia e simpatia reciproche, descrive uno stile di vita, un amore diffusivo, atti­ vo, che vuole il bene dell 'altro (6, 1 0), nella solidarietà. In esso, i cristiani diventa-

22 Con questo senso, il sintagma si legge in G. Flavio, Antichità giudaiche 1 6, 1 25 ; ancora pri­ ma in Seno fonte, Memorabilia Socratis 3,3, 1 3 . 2 3 Altre ricorrenze al negativo i n Dt 29,27 (LXX); Ger 39,37 (LXX). 24 Bella eco di un confronto in corso tra Paolo e Giacomo. Cfr. B. Lindars, The Theology, p. 23. Ne ritraccia di recente il profilo C. Bottini, Giacomo e la sua lettera, Franciscan Printing Press, Jerusalem 2003, pp. 49-60.

Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi)

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no attenti l 'uno per l 'altro, perché si scoprono legati fra sé in Cristo; è in lui che essi si appartengono, perché è da lui che si irradia in essi quel sentimento che li ag­ gancia e li immette nel suo progetto. Attenzione a Gesù (3, 1 ) e agli altri ( 1 0,24): le due principali direzioni della vita cristiana, su spinta del resto di quanto già la legge chiedeva (o imponeva?) ali ' israelita: amare Dio (Dt 6,5) e il prossimo (Lv 1 9, 1 8). L'amore religioso e cristiano non è dunque solo un impulso, un trasporto sensibile e nemmeno un'estasi; esso è un deciso atto di volontà, una scelta moti­ vata, è solidarietà dimostrata. È il senso più immediato di agape25. Senza agape le opere non sono buone, piuttosto ipocrite. Il problema nella comunità destinataria di Ebrei sembra essere una deplorevole crescente pigrizia nella fede e nelle opere che la significano. L'esortazione a incitarsi al meglio reciprocamente, quasi ga­ reggiando nel mostrare il proprio amore cristiano in opere buone26, è nutrimento sicuro per la fede e incoraggiamento per la speranza. Opere buone: quali? Innanzi tutto quelle espresse dalla trilogia « fede, spe­ ranza (v. 23) e carità (v. 24) », a vantaggio di una fede attiva, di un amore che si esprima nel concreto, di una speranza rivolta verso Gesù Cristo il Signore (cfr. l Ts l ,3). Poi l 'opera buona della reciproca attenzione ed esortazione, special­ mente verso sconosciuti e afflitti e carcerati ( 1 3 , 1 -3 ; 1 3 , 1 6). E quando Dio « sce­ glie >> colui che ama, ciò è perché questi ha compiuto opere di giustizia contro l ' i­ niquità ( l ,9). Le opere dell ' agape hanno il loro contrario nelle opere morte del peccato (6, 1 ; 9, 1 4). Lavorare contro queste ultime, ecco un 'altra opera buona. L'evocazione del battesimo al v. 23, inoltre, fa pensare ali 'opera buona che è fon­ te e sostegno di fede, speranza e carità: comunicare la parola di Dio (v. 23 ; l Pt 1 ,22-23). L' invito che segue nella quarta esortazione (v. 25) è anch 'esso un'ope­ ra buona: frequentare l ' assemblea (liturgica) esprime fedeltà a Cristo e ai fratelli nella fede, offre solidarietà e sostegno nelle non favorevoli vicende del momen­ to. Questo richiamo persegue uno scopo preciso: dire ai destinatari che le loro opere buone rendono visibile l ' opera buona per eccellenza che il Cristo continua a compiere: la redenzione. In Eb l 0,22 con risonanza ai vv. 23-25 coscienza è consapevolezza del rischio di allontanamento da Dio a motivo dell 'esperienza del male. Rimuovere questa barriera è avvicinarsi al Dio vivente, porsi alla sua sequela, operare al suo servizio. [v. 25a] Una delle vie migliori per l ' esortazione reciproca alle opere di ca­ rità è « non disertare, non piantare in asso la nostra assemblea >>, come state inve­ ce facendo27• Siamo alla quarta esortazione espressa in forma participiale nega­ tiva. Dipendente dai tre congiuntivi che precedono, ne assume tutto il peso esortativo. Sembra ovvio dover pensare alla comunità riunita per il culto. Una co­ munità prospera in base alla qualità dei partecipanti . Chi sottovaluta o ignora il valore dell ' assemblea pasquale è difficile che possa sperimentare la persuasione piena nella fede (plerophoria, v. 22) cristiana e la speranza, fonte di fiducia. Una 25 Non così philein, che sembra privilegiare il calore umano. Si veda E. Stauffer, agapao, in GLNT ( l 965) 1 ,97-98 e 1 , 1 0 1 . 26 È il denso senso di eis paroxysmon. 27 È il senso più completo della formulazione participiale al negativo: me egkataleipontes.

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Parte seconda. Traduzione e commento

comunità cristiana demotivata, è morente. Eppure, più di un motivo spinge alla riunione liturgica: n-attualizzare ciò che Gesù il Cristo ha fatto una volta per sempre (il suo annunzio, il suo sacerdozio); prendere atto di ciò che noi siamo (self-identification); opportunità di reciproco incoraggiamento; attrezzarsi per af­ frontare l 'aggressività dei tempi; familiarizzare con la parola di Dio; avviarsi as­ sieme verso « il giorno (che) si avvicina »: un tono escatologico che rende ancor più necessario quel reciproco conforto possibile solo in un 'assemblea liturgica (parakalein, cfr. già l Ts 4, 1 8; 5, I l ). Del resto, tutto lo scritto è spinta alla reci­ proca esortazione (logos tes parakleseos, Eb 1 3 ,22). « Senza disertare la nostra assemblea » (Eb l 0,25) è una formula al singola­ re ten episynagogen e non è occasionale. Rispettata dalla versione Vulgata (con­ gregationem nostram), non lo è altrettanto nelle traduzioni in lingua volgare ove è spesso reso al plurale (« . . . le nostre riunioni »)28• Questo fatto oscura non poco il significato del singolare con l ' articolo, dali ' indubbio valore collettivo: espri­ me, infatti, raduno fisico di più persone. Raduno eucaristico? Se l 'assemblea era per il culto29, si deve ritenere che es­ sa celebrasse la pasqua del Signore. In l Cor 1 1 , 1 7-3 1 Paolo si rivolge ai corinzi a proposito del loro raduno in assemblea (synerchomenon hymon en ekklesiç,, v. 1 7) per mangiare la cena del Signore (v. 20a). L'equivalenza tra episynagòge di Eb l 0,25 ed ekklesia di l Cor 1 1 , 1 7 potrebbe dare fondamento al raduno di Eb l 0,25 come pasquale. Inoltre, anche se non si può affermare con assoluta certez­ za che tale celebrazione della cena fosse prassi presso tutte le prime comunità cri­ stiane, molte sono le indicazioni in questa direzione. L'esortazione di Ignazio di Antiochia (A Policarpo 4,2): « Siano (ginesthosan) più frequenti le assemblee (synagogai) e invita a esse tutti i fedeli per nome (ex onomatos) » va intesa nel senso delle assemblee cultuali in genere30, ma anche dell ' assemblea eucaristica, in forza dell 'aggancio di Ignazio di Antiochia, A Policarpo 4,2 con Ignazio, Agli Efesini 20,2, in cui ognuno e tutti insieme sono esortati a unirsi al vescovo e al collegio dei presbiteri, « spezzando un unico pane » (ena arton klontes). Esplicita è la prassi eucaristica in Ignazio d'Antiochia, Agli Efesini 1 3 , l : « Procurate di ra­ dunarvi per la divina eucaristia )) (synerchesthai [ l Cor 1 1 , 1 7] eis eucharistian =

28 Si vedano le traduzioni BJ, CEI e TIC. La Jerosalemer Bibel rettifica al singolare: unserer ei­ genen Versammlung. Ed è il caso anche di alcune traduzioni inglesi. Sulla questione, cfr. la breve e densa analisi di W. Schrage, episynag6gé, in GLNT ( 1 98 1 ) 1 3 , 1 23- 1 25. 29 Nel NT e nella Chiesa antica synagogé indica il luogo di culto giudaico, della predicazione di Gesù in >. Biblica/ Vision far a New Millennium, in SWJT 4413 (2002) 1 4-27. 49 Al riguardo, si veda qui la nostra Introduzione, pp. 33, 77. 50 Per il valore strutturale di gar, qui e altrove in Ebrei, e di altre particelle, si veda il testo strut­ turato di Ebrei in L.L. Neeley, A Discourse Analysis ofHebrews, in JOTT 3-4 ( 1 987) 1 - 1 46. 5 1 È il senso del genitivo assoluto, redazionale, dunque intenzionale, hamartanonton hemon. Esprime quasi visivamente la continuità del rifiuto: « Continuando noi a peccare volontariamente ». 52 Epignosis tes aletheias. La formula è hapax /egomenon in Ebrei, ma torna con frequenza nel­ le lettere pastorali ( I Tm 2,4; 2Tm 2,25; 3,7; Tt 1 , 1 ). La letteratura neotestamentaria protocristiana se ne avvale per significare la conoscenza-esperienza religiosa di ognuno, diversamente da gn6sis, termi-

Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi)

Eb 1 0, 1 9-39

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dell ' immortalità, stando a Sap 3 ,9. È una rinunzia a essere « figli della verità »53• Tale rifiuto è una scelta di morte; per esso sembra non esserci possibilità di per­ dono. Si tratta del principio stabilito in Nm 1 5 ,3054: non c'è perdono per il pec­ cato deliberato, che produce l ' immediata espulsione dalla comunità, ma solo un inesorabile giudizio55• Per un tale peccato, infatti, non c ' è sacrificio espiatorio56• Ora, se per Nm 1 5 ,30 e Dt 1 7,6 non c'è sacrificio per trasgressioni commesse « deliberatamente », resta la sola possibilità che esse possano essere cancellate « nel sangue dell 'alleanza » sopraggiunto. In esso si ha il nuovo Jom KippCir con il perdono totale e il risanamento in radice del cuore e della mente. Ma se questo sacrificio viene rifiutato da coloro che si allontanano da Colui nel quale pure han­ no creduto, dove poter trovare ancora la speranza del perdono? Al sacrificio re­ dentore di Gesù il Figlio non c ' è infatti alternativa. Non resta che il giudizio di Dio, come « vampa di fuoco che dovrà divorare i ribelli » (v. 27 e ancora Eb 1 2,29, con allusione a Is 26, 1 1 ). Ed « è terribile cadere nelle mani del Dio viven­ te ! » (v. 3 1 ). Due formulazioni, ai vv. 27b e 3 1 , scelte per descrivere la gravità dell ' infedeltà al patto del Dio fedele al suo patto. Eppure, tanto rifiuto è impensabile da parte di coloro che hanno « ricevuto la conoscenza (epignosin) della verità » e « sono stati una prima volta illuminati )) (Eb 6,4) dalla medesima; quella illuminante verità, che è il messaggio cristiano57 presentato dal Signore stesso e confermato da Dio (2,3-4), non è più tanto facile rifiutarlo. Se questo accade, non può essere attribuito che all ' ignoranza, a una co­ noscenza imperfetta, come suggerito da epignosis, che indica una conoscenza­ esperienza approfondita, dunque non superficiale, eppure ancor sempre incom­ pleta. Ironia retorica?58• [ vv. 27-28] Con la serrata sintassi ouketi-de (« non-ma ))), Ebrei sembra non lasciare alternativa ai « ribelli-apostati )): per essi non c ' è che l ' attesa, già in sé ne elitario, più specifico e restrittivo. Non così E. Griisser, An die Hebriier. Hebr l O, 19-13,25, vol. III, p. 37. La epignòsis è conosciuta presso la classicità, ove esprime ricerca della verità sugli dèi. Così Plutarco, De /side et Osiride 2,2,3 5 1 E. Analoga posizione in Filone di Alessandria, De specialibus le­ gibus 4, 1 78; De opifìcio mundi l ; 1 70, e De praemiis et poenis 46. Cfr. H. Braun, An die Hebriier, p. 3 1 8. La formula è, inoltre, presente in Gv 8,32; Ef l , 1 7; Col l , 1 -20; 2Pt 2,20. Il codice minuscolo 1 3 1 9, propone: « Conoscenza della promessa )) (epaggelias) . 53 La formula è attestata in l Q 4,5-6. 54 La distinzione tra colpa volontaria e involontaria è comune nel giudaismo biblico ed elleni­ stico (Lv 4, 1 - 5 , 1 3 ; 2Mac 4, 1 3 ; Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3, 1 4 1 ; De cherubim 75; G. Flavio, Contra Apionem 1 ,3 ) . È nota anche in ambito classico: Aristotele, Etica nicomachea 3, 1 , 1 0, 1 1 1 08; Demostene, Orationes 2 1 ,42; 25, 1 6; Platone, Leges 860E-86 1 A . 5 5 Cfr. Salmo di Salomone 1 3 ,5- 1 2. Eguale posizione i n Filone di Alessandria, De posteritate Caini l O- I l ; Deus immutabilis 48. 56 La questione, aperta e dibattuta ancora oggi, lo dovette essere già allora se, stando a Lv 1 6, 1 6, >, cogliendo nel pensiero del­ l 'autore la volontà di ribadire la serietà del proprio ammonimento e rimettere la valutazione di quei ribelli avversari (tous hypenantious) al solo giudizio di Dio. Severo comunque, se chi scrive avverte di doverne come restringere il peso at­ traverso quel tis. Tale severità è descritta con l 'ausilio di due immagini : la vampa di fuoco e la sua azione divorante. Entrambe sono note in Israele: « Il Signore tuo Dio è un fuoco divoratore, un Dio geloso », leggiamo in Dt 4,2459• Bisogna tornare al Dio dell 'alleanza per scoprire tutto il suo dissapore verso chi è infedele al suo patto. Il culto del suo popolo verso altri dèi provoca il suo intervento punitivo (Es 20,5; 34, 1 4; Dt 5,9; 6, 1 5) e nel fuoco (Eb 1 2,29), il quale implica distruzione, ma an­ che purificazione, comunque giudizio (6,7-8). Ebrei scopre lo stesso dissapore di Dio verso chi ha già fatto la scelta del « Figlio » (che è la sua verità, v. 26) e ora gli si dichiara contro60, lo respinge. Eppure, anche qui il testo sembra volere ope­ rare una restrizione quando, avvalendosi di una forma perifrastica attiva (mellon­ tos), scrive che quella « vampa di fuoco », di per sé sempre in grado di « divora­ re » (esthiein) bruciando, di fatto è ancora sempre in attesa di entrare in azione. Se ne ha conferma in l O, 1 3 dove, con altra formulazione prelevata dal Sal l 09, l , è espressa la stessa idea: il « Figlio », ormai esaltato alla destra del Padre, ma an­ cora sempre respinto dagli oppositori, resta in attesa « che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi ». Come a dire che anche per quegli oppositori vi è ancora la possibilità di tornare alla loro prima scelta. Un 'eco di Is 26, 1 1 dà so­ stegno a questa lettura, basata sull ' attendibile equivalenza « popolo eletto­ Figlio »: gli oppositori del « Figlio » arrossiscano constatando l ' « amore geloso » di Dio per lui (per il suo popolo, v. I l ) e prendano atto del fuoco già preparato per divorarli (v. 1 1 ); preparato, ma non ancora in azione. Se è terribile l 'attesa del se­ vero giudizio di Dio, è consolante osservare come l ' attesa di Dio sia essa stessa « sempre » in attesa di essere compiuta. Un Dio severo che ritarda al massimo l 'esercizio della sua severità. Che questo sia il comportamento di Dio, sembra certo se si considera che co­ sa la legge mosaica commina a chi la schernisce, violandola, a chi « la abroga »6 1 ; questi «"viene messo a morte", senza pietà », i n verità solo i n caso di idolatria (Dt 1 3 ,8) e di assassinio (Dt 1 9, 1 3 )62• In altri casi di « violazione-abrogazione » della

59 Altre esplicite indicazioni in Sof l , 1 8; Ger 4,4; Ez 22,2 1 ; M t 3, 1 2; Ap 20,9. L'immagine ri­ corre anche in JQ 2, 1 5 ; J QH 6, 1 8- 1 9; JQpHab 1 0,6. 1 5 . La documentazione registra anche un'am­ pia convergenza di interpretazione. 60 È il senso dell 'avverbio sostantivato hyp-en-antious. 61 Questo il senso di atheteo. già in Is 24, 1 6 (LXX); Ez 22,26 (LXX); Mc 7,9. 62 Ma è possibile qualche ulteriore dettaglio: violazione del sabato (terzo comandamento; Es 2 1 , 14-1 5); soppressione della vita, specialmente di bambini offerti in olocausto al dio Moloch (L v 20, 1 -5, quinto e primo comandamento); pratica di altri culti con offerta di sacrifici ad altre divinità diverse da JHWH (Es 22, 1 9, ancora primo comandamento); consultazione di indovini e negromanti

Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi)

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legge erano previste pene « senza pietà » (Dt 1 9,2 1 ; 25, 1 2). In una questione di vita o di morte è di estremo interesse notare il richiamo di Ebrei ali 'abrogazione della legge levitica compiuta dal Cristo sommo sacerdote, con un sacrificio che ha abolito il peccato (7, 1 8). Per Ebrei, quell 'abrogazione non è motivo di pecca­ to, ma « abolisce » il peccato. L'esecuzione capitale dell ' idolatra e dell 'assassino avveniva per lapidazio­ ne, ma alla presenza di due o tre testimoni (Dt 1 7,2-6; Nm 3 5 ,30). Ebrei, come Mt 1 8, 1 6; l Tm 5, 1 9, non sostiene la pena capitale per chi diventa oppositore del « Figlio » e dispregiatore dello « Spirito » (v. 29), ma accoglie il principio della te­ stimonianza perché quell 'opposizione al patto stabilito nel sangue della nuova al­ leanza sia riconsiderata, onde evitare la vampa divorante (v. 27) di Dio. [v. 29] Con un felice tocco retorico (« Non sembra (dokeite) anche a voi >>) e con procedura estetica intermittente (poso dokeite cheironos axiothesetai timorias), l 'autore chiede ai lettori che cosa pensino in materia di reazione delu­ sa e adirata di Dio a motivo delle infedeltà al patto nuovo. Non sarà il suo giudi­ zio ben più severo di quello di Mosè, che pur prevedeva la morte per le trasgres­ sioni volontarie alla legge? Rifiutare la fede in Cristo è restare per sempre nella morte. Quella fede in lui, sommo ed eterno sacerdote, è infatti la sola fonte di vi­ ta eterna. L' invito a riflettere su quanto egli va esponendo, esprime la speranza dell ' autore che la comunità si persuada a restare nella fede cristiana già scelta. E poi come è pensabile che qualcuno possa « ritenere profano quel sangue del pat­ to dal quale è stato un giorno santificato (en hij hegiasthe)? » (Eb l 0,29). Le parole « di quale peggior63 castigo » preannunziano l 'enormità del peccato di apostasià; la descrivono in tre formulazioni parallele e con argomento a minori ad maiusM. Chi incorre in quel rifiuto ha « calpestato (katapatesas) il Figlio di Dio », mostrando un innegabile disprezzo, e ha « ritenuto profano (koinon hegesamenos) il "sangue del patto"»65, non riconoscendo alla morte di Gesù quello speciale peso, proprio e unico, che la rende salvifica. Eppure, dal momento in cui quella morte è avvenuta, essi sono stati purificati e santificati (en hij hegiasthe); essa purifica e san­ tifica per sempre: è il patto nuovo, nel suo sangue. Entrambi, sangue e patto, sono due valori portanti, ai quali Ebrei lega il perdono per coloro che accolgono la sua morte nella loro vita di fede come offerta sacrificate compiuta una volta per sempre;

(Lv 20,6) e di propinatori di pratiche magiche (Es 22,7, primo comandamento), tutti casi di idolatria, deplorevole agli occhi di JHWH. La pena di morte viene eseguita per impiccagione o per lapidazione (24, 1 6.23). Sulla pena di morte per avere violato la legge mosaica, cfr. T. Hiecke, Das Alte Testament und die Todesstrafe, in Biblica 85/3 (2004) 357-358, e altrove. Secondo Eb 2,29, tutti questi casi so­ no una legislazione severa, eppure tanto pallida rispetto al calpestare il Figlio di Dio, ritenendone profano il « sangue dell 'alleanza », insultando così il dono dello Spirito. 63 È il senso di cheiron comparativo di kakos (cattivo, peggiore). 64 Notato da G. Calvino, Commentarius in epistolam ad Hebraeos, pp. 1 7 1 - 1 72, quell'argo­ mento sarebbe prova dell ' imperdonabilità del l ' apostasia: è stato violato il patto di Dio, è stata tra­ dita la dignità del vangelo. Questa lettura mette a fuoco la priorità del patto e del vangelo, ne riduce però il potenziale redentivo. È rigorosamente consequenziale, ma solo perché letterale; come tale ri­ schia la sterilità. 6 5 To haima tes diathekes: qui e in Eb 9,20. La formula è prelevata da Es 24,8 (LXX). Per l 'u­ so di diatheke in assoluto, tema prioritario in Ebrei, si veda 7,22; 8,6; 9,4(bis); 9,20; 1 2,24; 1 3 ,20.

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Parte seconda. Traduzione e commento

chi rifiuta la fede ha compiuto un sacrilego attacco alla persona stessa di Dio e ha « disprezzato (enybrisas) il dono dello Spirito », lo ha insultato, oltraggiato66, lin­ guaggio molto duro, che non lascia speranza né spazio per un nuovo dono (Mc 3 ,2829; Ef 4 ,30)67• « L'apostasia è ribellione e insulto (hybris) allo Spirito santo >>68• Dio­ JHWH è sensibile al disprezzo del suo nome-persona: « Guai all 'uomo per colpa del quale il mio nome è disprezzato, dice il Signore »69 (cfr. Is 52,5). Queste tre formulazioni con le loro forme verbali (katapatesas, koinon hegesamenos, enhybrisas) sono in parallelo, vanno dunque prese insieme70• Esse descrivono e definiscono la gravità di quel peccato deliberato, rifiuto della verità conosciuta (v. 26), e solo di esso. Che l 'autore intenda estendere questa valuta­ zione a ogni trasgressione commessa dai cristiani, o anche solo alle varie colpe deliberate postbattesimali, è da escludere (sulla questione, cfr. Eb 6,4-6). La proposizione relativa: «"Sangue dell 'alleanza" nel quale è stato santificato >> è solida7 1 , però è anche un passaggio difficile per traduttori e interpreti. Ma un dato è chiaro : la struttura del v. 29 presenta « colui il quale (ho) avrà calpestato (katapatesas) il Figlio di Dio e (kai) ritenuto (hegesamenos) profano il "sangue del­ l 'alleanza" - nel quale è stato santificato (en ho hegiasthe) - e (kai) avrà insultato (enybrisas) il dono dello Spirito », come soggetto unico; « il quale >> (ho) si riferisce infatti a tutti e tre i participi a loro volta ben collegati per via di paratassi (kai). A una sola persona vengono dunque addebitati tutti e tre i capi di accusa. Gli accusativi ton hyion (il figlio), to haima (il sangue) e to pneùma (lo Spirito) sottolineano chi o che cosa è stato calpestato, considerato profano e insultato. Ognuno di essi è parte di una costruzione al genitivo: il Figlio è il Figlio di Dio, il sangue è il sangue dell 'alleanza, lo Spirito è lo Spirito della grazia. Ognuno dei genitivi specifica il nome che lo pre­ cede. La proposizione relativa en h{) hegiasthe è legata al participio medio hegesa­ menos e fa da commento parentetico. Le tre proposizioni participiali, in sé autonome, convergono in un'unica proposizione soggettiva introdotta da « colui il quale >> (ho)

66 Un parallelo a Eb 1 0,29 si ha in 2Clemente 1 4,4: chi oltraggia (hybrisas, non en-hybrisas) la carne di Cristo, che è la Chiesa, oltraggia lo Spirito, che è Cristo. « Costui non avrà parte allo Spirito, che è Cristo » (v.4b), cioè alla salvezza. Per Ignazio di Antiochia (Ai Trallesi 8, l ) « la fede è la car­ ne del Signore . . . La carità è il sangue di Gesù Cristo ». 67 To pneuma tes charitos (letteralmente, « . . . lo Spirito della grazia »). Genitivo epesegetico: la grazia che è lo Spirito, cioè « il dono dello Spirito ». Il tema è noto a Qumran, in Documento di Damasco 5, 1 1 - 1 2 : « Inoltre, essi contaminarono anche i loro santi spiriti e aprirono la bocca a una lin­ gua che impreca contro le leggi di Dio ». Cfr. L. Moraldi (ed.), I manoscritti di Qumran, p. 236. Propone: « Il loro santo spirito )) J.H. Charlesworth ( The Dead Sea Scrolls. Hebrew, Aramaic and Greek Texts with English Translations. Vol. l: Rule of the Community and Related Documents, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 994, pp. 20-2 1 ); F. Garcia Martinez ( The Qumran Texts in English, Brill, Leiden 1 994 [tr. it., Testi di Qumran, Paideia, Brescia 1 996], p. 36) legge: « Lo spirito della loro santità ». 68 Così annota già O. Michel, Der Briefan die Hebriier, Vandenhoeck & Ruprecht, Gi:ittingen 1 960, pp. 353. 69 È il commento di Ignazio di Antiochia, Ai Trallesi 8, l, su Is 52,5. Ma la posizione di Ignazio, in verità, è più severa del disappunto del profeta. 70 Si veda G. Bertram, enhybrizo, in GLNT ( 1 984) 1 4,36. 71 N.-A. 2 7 la include, senza accennare a possibili varianti, sebbene sia omessa nel codice Alessandrino e in altri manoscritti menzionati da Giovanni Crisostomo. Cfr. H. Braun, An die Hebriier, p. 323.

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con cui si apre il v. 29b. Su questo dato, sembra esserci unanimità. Non così sulla tra­ duzione. Almeno cinque le proposte: l ) Haima (sangue) precede la forma relativa en ho (« nel quale ») e ha come soggetto « colui il quale » (ho) che regge tutti e tre i participi che seguono: « Ha calpestato . . . e ha giudicato profano (non santo) . . . e ha insultato ». La proposi­ zione introdotta da « colui il quale » è soggetto del passivo « nel quale l in forza del quale è stato santificato » (en h(! hegiasthe). Questa traduzione identifica il soggetto di hegiasthe con il protagonista dei tre participi, senza doverlo ripetere. Tale ripetizione non è infatti necessaria, essendo già presente nella paratassi (ho . . . kai. . . kai . . .). È la traduzione più accreditata, e credo a ragione. 2) Il v. 29b (« Nel quale è stato santificato »), è omesso dal codice Alessandrino, forse perché riferito ali 'apostata. Da qui la difficoltà di attribuire le infedeltà espresse dai tre participi a uno che è stato santificato nell 'acqua del battesimo e re­ dento nel sangue dell 'alleanza. In questo caso infatti, la « santificazione » non sa­ rebbe stata vera, non avrebbe raggiunto il cuore (cfr. Eh 8, l Oh), ma toccato solo la superficie della persona. La vera santificazione implica separazione radicale dalle infedeltà all 'alleanza e piena adesione al Dio fedele, il quale non violerà mai la sua alleanza e non muterà la sua promessa (Sal 88,35). L'omissione vorrebbe evitare questo controsenso. Senza la proposizione relativa, come suggerito dal codice Alessandrino, avremmo una costruzione grammaticale equilibrata. Il fatto che essa sia legata al participio medio hegesamenos contribuisce tuttavia a mantenere l ' ele­ ganza della struttura e, allo stesso tempo, lega a quel participio medio la proposi­ zione relativa, la quale resta del tutto sganciata dalle altre due, fra le quali è inseri­ ta e anch' esse participiali: katapatesas (« aver calpestato ») ed enybrisas (« aver disprezzato >>). In altre parole, il v. 29b è intenzionale. 3) Si potrebbe risolvere la difficoltà del v. 29b considerando che hegiasthe (« è stato santificato ») è usato impersonalmente e che il suo vero significato è: « Nel quale c'è santificazione >>. Cioè, il sangue dell 'alleanza è santificante. E chi calpesta il Figlio tratta il suo sangue purificante come profano, non santo. En h(! hegiasthe come passivo impersonale, sebbene non impossibile, sembra assai po­ co sostenibile. In nessuno dei sedici casi del NT in cui « santificare » ricorre nel­ la forma passiva è usato impersonalmente. 4) Il soggetto del v. 29b è « il Figlio di Dio » immeditamente precedente. Dunque, chi ritiene profano il sangue dell ' alleanza profana lui, il « Figlio di Dio » santificato nel suo stesso sangue. In verità, se Ebrei avesse voluto concentrare l ' attenzione sul valore contraente (di alleanza) del sangue del Figlio, santificato nel suo stesso sangue, avrebbe potuto scrivere più esplicitamente : « Nel quale il Figlio è stato santificato » (en h(! ho hyios hegiasthe). Ora, proprio perché la pro­ posizione relativa è legata alla costruzione media « ritenuto profano » (koinon hegesamenos) e non alla parte antecedente, dove è menzionato il « Figlio di Dio », essa non può trovare là il proprio soggetto. Eh l 0,29b non può dunque ri­ ferirsi al Figlio, anche perché quel riferimento è troppo lontano. 5) Il v. 29b è preceduto dal genitivo epesegetico « sangue del patto ». Questo « patto » sarebbe il soggetto di « nel quale è stato santificato ». Il suggerimento è attendibile se si considera che il genitivo epesegetico rende reversibile la formu-

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la, per cui « il sangue del patto » è di fatto « il patto del sangue ». Un chiaro esem­ pio a sostegno di questa lettura proviene da Es 24,8 (LXX): « E Mosè prese il san­ gue e lo asperse sul popolo dicendo: ecco il sangue dell 'alleanza che (to haima tes diatekes, hes) il Signore ha stipulato con te », dove il genitivo hes è gramma­ ticalmente riferito al femminile « dell 'alleanza », sintatticamente ali ' intera for­ muletta « il sangue dell ' alleanza ». La prima e la quinta proposta finiscono così col convergere: « sangue del patto = patto del sangue nel quale (en hij) è stato san­ tificato ». Questa traduzione e il suo senso sono qui da me tenuti72• Dal momento che l ' intento di Ebrei è sottolineare la differenza di qualità tra le due alleanze, non deve sorprendere che il v. 29b parli della nuova alleanza come san­ tificata dal sangue di Cristo73, dunque santificante. La prima non ne era in grado. [vv. 30-3 1] « Conosciamo infatti colui che ha detto », cioè Dio stesso del qua­ le tuttavia l 'autore parla qui in forma indiretta. I destinatari sanno bene, infatti, che egli non è un gran che disposto a scusare quel tipo di ignoranza che conduce al ri­ fiuto del suo patto; tutt'altro, egli si sente provocato a un intervento « vendicati­ vo >> a causa di quell ' ignoranza e non solo contro i nemici del suo popolo (Dt 32,35), ma qui, spiega Ebrei, proprio a carico del suo popolo, esposto anch'esso al rischio dell ' infedeltà (già Dt 34,7; Nm 1 4, 1 8; Sal 98,8). Ma non è egli il Dio che ricompensa? (Eb 2,2; 1 0,35; I l ,6.26). Certo, e il suo giudizio non è capriccioso; esso è benevolo per chi gli è fedele, ma duro e severo per l ' infedele. L'autore trova autorevole conferma in Dt 32,3 5 : se ne serve in due momenti successivi ben connessi, dando luogo alla figura retorica della pregressione ascendente (climax) : Dt 32,35a (dal cantico di Mosè): « Mia sarà la vendetta e il castigo »7\ e Dt 32,36a (LXX) : « Il Signore giudicherà il suo popolo » (TM, « farà giustizia al » )15• Entrambe le citazioni al v. 30 sono secondo il puro senso letterale dell 'originale76: Dio àvoca a sé un adeguato intervento correttivo contro 72 Così R. E. Smith (Hebrews 10, 29: « By Which Was Sanctified », in No Tr 4 [ 1 990] 37-42), in­ terlocutore in tutta questa questione. 73 Ma se è chiaro che l 'effusione del sangue santifica, lo è anche altrettanto che l ' alleanza pos­ sa santificare? Un esempio che mostra questo collegamento è in Le l ,72 : « . . . Si è ricordato della sua santa alleanza », e una « alleanza santa >> santifica. Il fondamento di Eb 1 0,29 è in 9, 1 3 : « Il sangue dei tori e dei capri . . . santifica »; quindi in Eb 9, 1 9, in riferimento alla prima alleanza ( (( Mosè, pre­ so il sangue dei vitelli e [dei capri], asperse il libro stesso e tutto il popolo dicendo: Questo è il san­ gue dell 'alleanza »), quel sangue è santificante ed è il sangue dell 'alleanza 74 A una globale corrispondenza di senso risponde una totale rielaborazione del testo da parte di Eb 1 0,30a rispetto a Dt 32,35a: l 'autore cioè cita dalla LXX, ma non fedelmente. Anche il TM non è per lui punto di riferimento. Tuttavia, la perfetta corrispondenza letteraria con Rm 1 2, 1 9 pone il problema, semmai egli non si ispiri a quella lettera o a una fonte comune a entrambi, forse ai tar­ gumim su Dt 32,35 . Questi attestano di freguente quella formulazione e in forme diverse, quasi un detto idiomatico nel linguaggio popolare. È forse la spiegazione più probabile. Così C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 453 . Nel suo lavoro, di per sé approfondito e dettagliato, F. Schroger (Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 255 e 26 1 ) segnala Dt 32,35a citato in Eb 1 0,30a ((( Nach der LXX-Fassung », in Jbid. p. 255, ma imprecisamente. 75 Qui la citazione è esattamente da Dt 32,36a (LXX). Ma ricorre anche nel Sal 1 34, 1 4, del quale, si suggerisce, l 'autore si sarebbe servito per la seconda parte della citazione. Non se ne vede in verità il motivo. Avendo sott'occhio Dt 32, perché avrebbe dovuto continuare con il Sal 1 34? Così già F. Delitzsch, Kommentar zum Briefe an die Hebriier, p. 500. 76 Cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, p. 26 1 (Literalsinn) . Ma l 'ermeneutica di Ebrei va oltre.

Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi)

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i persecutori del suo popolo. Allo scopo interviene in prima persona: egli e non altri. Come a dire che anche nel colmo della « vendetta » sarà solo e sempre lui a prendere l 'ultima decisione, il che lascia aperta la porta di accesso alla sua equa benevolenza, comunque. Tuttavia, la scelta della variante krinei (giudicherà) del­ la LXX rispetto a « renderà giustizia » (in ebraico, din) del TM dice bene che l ' in­ tenzione di Ebrei è continuare a far pressione sui suoi destinatari. Ai loro occhi egli vuole presentare un Dio che ama il suo popolo, ma che proprio nella sua giu­ stizia è pronto anche a giudicarlo severamente: lo vuole ricuperare, non condan­ nare. È il senso più attendibile di: « A me la vendetta. Io darò la retribuzione ! >> (Dt 32,36). Ebrei non vuole infatti stabilire le competenze giurisdizionali di Dio, ma solo incidere nel modo più intenso possibile sui potenziali apostati. Rincara la dose avvalendosi dello horrendum che accompagna il giudizio di Dio77 e lo ren­ de phoberos (terribile), tono corrente anche nell 'escatologia rabbinica (b.Berakot 33b; b.Megilla 25a). Siamo alla deinosis della retorica classica78: ingrandire una situazione attraverso lo strumento dell 'esagerazione, fino a ottenere quello scuo­ timento salutare capace di preservare dall ' apostasia quanti nella comunità sono al momento preda di un indebolimento nella fede. « È terribile cadere nelle mani >> (to empesein eis cheiras, v. 3 1 ) ha un senso traslato, molto singolare, e ricorre solo in Eh l 0,3 1 . Phoberon (« è terribile >>) allu­ de al « Dio grande, forte e terribile >> di Dt l O, 1 7 e al « Signore terribile, re grande su tutta la terra » del Sal 47,2. È attendibile che Eh 1 0,30-3 1 , in forza del motivo portante che è redentivo, non punitivo, intenda phoberos nel senso di « che incute riverente timore » e freni così dal « cadere nelle mani », espressione anche questa singolare. Altrove nel NT si incappa nei briganti (Le l 0,36), nel peccato ( l Tm 6,9) o nel potere del diavolo ( l Tm 3 ,6-7). Cadere nelle mani del Dio che punisce è un apporto di Eh l 0,3 1 , con possibile riscontro nell ' AT: la mano di Dio punisce in Es 7,4; fa sentire il suo peso su . . . in l Sam 1 2, 1 5 ; alle mani dell 'Onnipotente non si può sfuggire, secondo 2Mac 6,26 e 7,3 1 79• L' impossibilità di sfuggire alla mano di Dio è prospettata in l Clemente 28,2. Il giusto invece non teme le mani di Dio, an­ zi consegna loro la sua vita-spirito (Sal 30,6; Le 23 ,46). Il pio israelita affida la sua vita alle mani di Dio: « Nelle tue mani affido il mio spirito (Sal 3 1 ,6, TM); tu mi hai redento, JHWH, Dio vero »80• È dunque « terribile cadere nelle mani del Dio viven­ te », ma quel Dio è pur sempre il Vivente, Dio dei viventi. L'ammonimento esposto ai vv. 26-30 consente qualche rilevazione specifica sul v. 3 1 . Macchiare la santità di Dio e del suo Spirito, oltraggiare la bontà del suo dono è un'offesa enorme che non lascia spazio a un nuovo perdono. Lo stesso sa­ crificio di Cristo, unico e irripetibile, capace di sanare in radice la malattia del cuore, una volta respinto, non è più in grado di riequilibrare la situazione, proprio

77 Cfr. Is 24, 1 7- 1 8; Ger 30,5; 48,43 ; J QH ! 0,34. 7 8 Cfr. Aristotele, Rhetorica 2,2 1 ; Quintiliano, Jnstitutio oratoria 6,2,24. 79 Il motivo è conosciuto anche in J QM 1 2, 1 1 e 1 9,3. Filone di Alessandria ha un apporto in De vita Mosis 1 , 1 1 2 . 8° Così i n b.Berakot Sa; KNTTM. SB, vol. II, p . 269. La testimonianza è d i Rabbi Abbaje (3 88/3 89) e risale al Sal 3 1 e ali ' insegnamento rabbinico su di esso.

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perché respinto; a maggiore ragione i sacrifici dell 'alleanza antica. Pochi decen­ ni dopo, il Pastore di Erma, da Roma ( 1 40- 1 55 ca.), tenta un avvicinamento ri­ conciliativo tra il vangelo del perdono di Dio e la dura ammonizione di Ebrei che non vede (o vedrebbe?) possibilità di perdono per l ' apostasia. Perpetrato sotto il peso della persecuzione, questo tradimento della fede (e dei propri genitori, de­ nunziati ai pagani a motivo della loro fede)81 è un vero disprezzo di Dio e una be­ stemmia contro il Signore-Kyrios. Mentre nel Pastore di Erma. Similitudini 8,6,4 e 1 9, l ,3 questo peccato rende il peccatore « definitivamente morto di fronte a Dio », Pastore di Erma. Visioni 2,2, l è chiara la possibilità del ravvedimento, del pentimento e del perdono82• Da considerare la posizione di l Gv 2, 1 9: chi abban­ dona la fede non ha in verità mai cominciato a vivere in essa; cioè, un abbando­ no della fede è visto come impossibile. Il dono del perdono è spinta a comincia­ re realmente a vivere nella fedeltà al dono della fede. Da parte sua, Eb l 0,29-3 1 sembra non pronunziarsi; è però chiaro in 6,4-6 e in l 0,26-29 che coloro che ven­ gono coinvolti nell 'apostasia sono di fatto persone già santificate (v. 29) nel bat­ tesimo. Proprio la fedeltà di Dio al suo patto e quella di Cristo alla perennità sal­ vifica della sua oblazione, consentono di individuare la posizione dell ' autore : anche il grave peccato di apostasia, per chi « torna », è rimesso. Grave sì, ma per­ donabile. La forza salvante del battesimo è infatti permanente : è la risposta mi­ gliore che si possa dare all ' interrogativo retorico posto ai vv. 26-29. Il motivo portante in Ebrei è redentivo, non punitivo. L'autore vuole infondere nuovo co­ raggio a comunità ecclesiali morenti, e a tale scopo usa metodi duri : « È terribile il cadere nelle mani del Dio vivente » ( l 0,3 1 ), di lui che è fuoco divorante. Formule accorate, decise e severe, che lasciano trasparire l 'apprensione di un pa­ store di fronte al rischio concreto di abbandonare la fede, nel quale è sempre pos­ sibile incorrere. Avvalendosene, egli tenta di impedire che ciò avvenga. Che se dovesse accadere, il ritorno è sempre possibile. Proprio perché il nostro Dio è un Dio vivente, chiama alla vita; è un fuoco divorante: purifica e rinnova. La radi­ calizzazione del « fuoco )) produce così l ' effetto positivo e contrario83• Eb l 0,26-3 1 : Dunque, il dono di Dio è limitato? C'è davvero almeno un ca­ so in cui egli non può più donare il suo perdono? C ' è almeno un caso in cui Dio resta imbrigliato nella sua ira e nella sua vendetta? È corretto pensare che se c ' è un Dio della vendetta non può esserci u n Dio del perdono? Si deve dunque pren­ dere atto che esiste un' impotenza di Dio? L' evento « croce )), in verità, non vede

81

Così N. Brox, Der Hirt des Erma, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 99 1 , pp. 22-23, e ancora il consistente lavoro di M. Dibelius, Der Hirt des Hermas. Die Apostolischen Viiter IV, p. 444 . 82 Per il Pastore di Erma. Similitudini 8,6,4 e 1 9, l ,3 e Visioni 2,2, l , cfr. N. Brox, Der Hirt des Hermas, p. 98. La contraddizione è solo apparente e mostra come Erma risolva i problemi non solo in base alla gravità di un peccato ritenuto in sé imperdonabile, ma molto più in forza del l ' ostinazio­ ne in esso (Similitudine 8,6,4 e 1 9, 1 ,3) o in virtù del suo contrario, la forza del ravvedimento ( Visione 2,2, 1 ). La valutazione del caso (con confessione del medesimo) avveniva in seno alla co­ munità presieduta dal vescovo ( l Tm 5,2 1 ) e dal vescovo-presbitero-diacono per la celebrazione pa­ squale (cfr. Didachè 1 3, 1 -3). 83 Su linea analoga, E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13, 25, vol. III, pp. 5 1 -52.

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Dio-il Padre quale debole e impotente osservatore di un omicidio in corso e ad­ dirittura complice del medesimo. Se Dio non interviene per cambiare il corso de­ gli eventi, ciò è solo perché è del tutto appropriato (eprepen gar, Eb 2, l ) che an­ eh ' egli sia a fianco del Figlio, né il suo amore per lui si indebolisce a motivo di quella morte inevitabile. Essendo invece quest'ultima un fatto-evento carico di redenzione, essa è anche la testimone della potenza sempre potente dell ' amore del Padre per il Figlio e per i suoi fratelli. Difficile dunque pensare che egli non resti in attesa anche di chi potrebbe essere incorso nell 'apostasia. Un' ironia reto­ rica messa a punto per esagerazione e la possibilità di leggere Eb l 0,3 1 dali ' in­ temo della medesima attestano che quell 'oblazione avvenuta una volta per sem­ pre è comunque in grado di riordinare anche l 'apostasia. Allo stesso risultato conduce una riflessione su phoberos che, nella LXX, ha il senso di « terribile, pauroso » (Dt 8, 1 5 , il deserto è terribile), ma anche di « ti­ more riverenziale », ogni volta che esso ricorre in contesto con una invocazione di Dio. « Questo luogo è terribile (phoberos), casa di Dio e porta del cielo », esclama Giacobbe (Gn 28, 1 7), con il senso di « grande e terribile » a motivo del­ la presenza di Dio, cioè « santo » direbbe Es 3,5, un testo parallelo84• Cioè phoberos è bivalente nel senso. A motivo dell ' invocazione diretta di Dio in Eb l 0,3 1 b, c'è da ritenere che questo sia ivi il senso: « È grande e terribile (incute timore riveren­ ziale) cadere nelle mani del Dio vivente ». Con il risultato seguente: Eb 1 0,2630a è al negativo, mentre l 0,30b-39 è al positivo e introduce una tonalità escato­ logica85. Apostasia, colpa imperdonabile? Dovrebbe essere il pensiero autorevole di K. Barth86. Eppure Eb 1 0,3 1 è un caso unico, in tutta la Bibbia, che esige un esame altrettanto unico : ironia retorica. L' imperdonabilità non è pensiero di Ebrei ! Cadere nelle mani del Dio vivente potrà essere terribile, ma è pur sempre un cadere nelle sue mani. Il che non è terribile. Un'ultima considerazione, ma non ultima in qualità, fa notare che la formu­ la in parola è molto vicina al probabile unico caso riferito nell ' AT: Davide e il profeta Gad in 2Sam 24, 14 (LXX): « Lasciamoci cadere ora nelle mani di Dio, poiché la sua misericordia è grande )). La formula è qui usata al positivo, in Ebrei invece al negativo. La discrepanza è solo apparente se si osserva « Davide in si­ tuazione )) : i tre giorni di penitenza da lui scelti per ottenere misericordia da Dio ne producono, al contrario, l ' ira, che si esprime nella morte di 70.000 israeliti. Solo a questo punto Davide comprende quanto sia terribile cadere nelle sue ma­ ni. Da notare che si tratta di morte fisica e non di dannazione eterna. Perché mai Dio avrebbe dovuto punire eternamente quei 70.000 a causa del peccato di Davide? (2Sam 24, 1 7). Ebrei si avvale della formula nella stessa direzione : è sta­ to terribile cadere nelle mani del Dio vivente per la generazione disobbediente nel deserto, lo è stato per i sudditi di Davide, lo è stato per la generazione giudai­ ca in occasione dell 'occupazione romana, potrebbe tornado ad essere anche per 84 Cfr. ancora Sal 46,3; 75,8. 1 3 ; 88,8; 95,4 = l Cr 1 6,25. Cfr. J. Swetnam, Hebrews 1 0,30-31 : A Suggestion, in Biblica 15 ( 1 994) 388-394. 86 Cfr. K. Barth, Kirchliche Dogmatik, Ziirich 1 967- 1 979, vol. 1/ 1 , p. 442; vol. 111 1 , p. 406. Ripreso da E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13, 25, vol. III, p. 56, con le riserve del caso. 85

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quanti retrocedessero dalla fede scelta. Una punizione immediata, dunque, nella storia. Segno dell ' ira di un Dio che più non perdona?87• Ebrei non può pensare in questa direzione. Eppure, nessuno può presumere il perdono di Dio. Per evitarne il severo giudizio, non resta che combattere con la stessa arma che al momento va indebolendosi : la homo/ogia della fede. Lo scopo si raggiunge sostituendo alla pigrizia il coraggio di uscire dall 'accampamento an­ tico ( 1 3 , 1 3) per « portare » il patto nuovo nella città terrena, ben più grande della Gerusalemme terrena, minata dalle proprie instabili mura, guardando invece a quella futura ( 1 3 , 1 4). [v. 32] « Ricordate . . . non abbandonate . . . » : garanzia di perseveranza ( 1 0,32-3 5). L'esortazione epidittica incalza e propone una serrata successione di voci verbali opportunamente scelte. « Richiamate alla memoria (v. 32a) . . . non abbandonate (v. 35a)». Magistrale passaggio dall 'ammonimento austero all ' in­ coraggiamento, onde arginare un processo di indebolimento, ridare fiducia e tan­ ta forza a ciò che è minacciato. La nuova esortazione è costruita su un parallelo antitetico fissato in due aoristi congiuntivi esortativi : l ) i cristiani continuino a ri­ chiamare alla memoria (anamimneskesthe)88 • • • , si nutrano della ricchezza del lo­ ro passato . . . ; 2) non diano adito al pensiero di abbandonare la scelta fatta (me apobalete) . L' invito a « ricordare » (anamnesi) è elemento stabile nel genere let­ terario parenetico89 e ha scopi pedagogici : fa rivivere il passato e lo rende in­ fluente sul presente. « Ricordare i giorni del tempo antico e meditare gli anni lon­ tani » (Dt 32,7) ha per l ' AT un enorme peso teologico90; ricordare il duro esodo, motivo frequentissimo nell ' AT, è per Israele guida all 'abbandono nel potente aiuto di Dio, esperienza della sua « mano potente e del suo braccio teso ))9 1 , con­ statazione dell ' impegno storico del Dio liberatore. « Ricordare )) è tornare al pas­ sato, come scuola di teologia della storia. Eppure, questo « ricordare )) non resta circoscritto al passato, preme invece verso il futuro e lo carica di speranza. Potremmo essere in presenza di un Sitz im Leben catechetico, il cui scopo è ri­ cordare alla comunità indebolita l ' impegno di « mantenere saldo sino alla fine l ' inizio della realtà » (3 , 1 4), quella introdotta dal Figlio, il Signore (cfr. Eb 2,34 ). Prescinderne, è svuotare ogni speranza. Ricordare le difficoltà già vissute e accreditate a proprio vantaggio spiega ai cristiani indeboliti da nuove opposizioni quanto essi siano di fatto già attrezzati 87 Esclude questo modo di pensare in Ebrei R.C. Gleason ( The Eschatology ofthe Warning in Hebrews 10:26-31, in Tyndale Bulletin 53 [2002] 97- 1 20), il cui richiamo a soppesare comporta­ menti nella fede osservandone il retrofondo storico mi è parso opportuno. Qualunque esso sia, per Ebrei è occasione per rassodare la propria fede. Diversamente, forse, L. Lach, Le problème de l 'a­ bandon du Christ (He 10, 26-3 1), in Bobolanum 8 ( 1 997) 1 09. 88 Potremmo leggere anamimneskesthe anche come indicativo presente (« Voi ricordate »), ma il parallelo con i vv. 22-24, densamente paracletici, favorisce un imperativo esortativo aoristo. 89 Attestato sia nella Bibbia sia al di fuori di essa: Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 1 7, l 0,6 gode nel ricordarsi dei giorni antichi; Filone di Alessandria (Deus immutabilis 90) esorta a ricordare ciò che si è dimenticato. Per Temistio ( Commentaria graeca 4,55d), le contrarietà del passato, subite e superate, si trasformano in motivo di grande gioia. Altri dati in H. Braun, An die Hebriier, pp. 325-326. 90 Cfr. ancora i Sal 76,6 e 1 42,5 ; Ger 6, 1 6 (LXX). 9 1 Così Dt 5, 1 5; ancora 7, 1 8; 8,2. 1 8; 9,7; 1 5, 1 5 .

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per il nuovo confronto. Si tratta solo di « ricordare ». Sono trascorsi quei « primi [vostri]92 giorni >>, quelli della loro « illuminazione >>93, quando vennero « incor­ porati nella verità di Cristo mediante l ' istruzione (didache) e il battesimo >>9\ quando vennero ferrati per aspri combattimenti (pathemataj95, per « una lotta grande e penosa >>. Quale? [v. 33] Una serrata sintassi del tipo touto men . . . touto de . . . (« ora . . . ora . . . >>, v. 3 3 ) fa da veicolo alla vivace descrizione dell 'appannaggio di quella prima esperienza cristiana definita « lotta (athlesin) grande >>, che « ora >> espone ali ' in­ sulto, « ora >> spinge alla solidarietà. Il termine « lotta >> appartiene al linguaggio agonistico96 e tutta la descrizione fa riferimento a uno spettacolo pubblico, nel teatro (theatrizomenoi) : oltraggi e tribolazioni a motivo della loro adesione alla fede cristiana; solidali con gli svantaggiati e i prigionieri, esposti al rischio di ve­ nire imprigionati; gioiosi nel subire il sequestro dei propri beni (v. 34). « Ora (touto men) resi spettacolo pubblico >>, cioè puniti in pubblico, da par­ te della competente autorità cittadina. Gli « ancora liberi >>, ma comunque ben te­ nuti d' occhio, seppero « ora >> essere solidali con quanti « andavano per la propria strada >>, quella del coraggio e della perseveranza (v. 35a, parrhesia); letteral­ mente, « facentisi solidali >> (koinonoi genethentes), formulazione che esprime al vivo il collegamento più interiore, la coesione ininterrotta fra i componenti della comunità97• « Insulti e vessazioni-tribolazioni >> vanno intesi sul piano psicologico a mo­ tivo della fede e sul piano finanziario a motivo dei pagamenti, spesso esosi, dei processi, fino alla confisca dei beni (v. 34b). Per « insulti >> Ebrei propone oneidi­ smos, un termine che esprime irrisione e infamia, creazione della koine, frequen­ te nel NT98• Combinato con thlipsis (tribolazioni) ricorre in Is 37,3 (LXX), ove è indubbio il contesto di contrasti politici. E lo è anche in Eb l 0,33-34. Ma il fatto che tutto questo sia stato « accettato con gioia >> depone per una lotta che allora, cioè in « quei primi giorni >> (v. 32), fu guidata dali '« illuminazione >> catechetica sulla « conoscenza della verità » (v. 26) del Figlio e da quella battesimale. Quel potenziale li ha ben sostenuti allora in una « lotta dura e penosa >>. Il fatto poi che in 1 1 ,26 e 1 3 , 1 3 « infamia » (oneidismos) esprima inequivocabilmente l ' obbro­ brio della croce, spinge a pensare che l 'autore voglia esortare i destinatari inde­ boliti nella fede a guardare a quell ' obbrobrio e a non ripensarne la scelta e la se­ quela, decise allora con tanto coraggioso entusiasmo. 92 « Vostri » (hymon) : debolmente attestata, questa precisazione ha lo scopo di dire che il pas­ sato in questione appartiene di fatto alla storia della comunità, che non ne può più prescindere, di­ menticando. 93 PhOtisthentes, un participio aoristo passivo da interpretare come già in Eb 6,4 (hapax phOti­ sthentas). 94 Così A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 1 86, con riferimento a Eb 6,4. H. Braun, An die H�briìer, p. 325, traduce direttamente: « dopo il vostro battesimo » ( « nach eurer Taufe » ). 95 Si ha qui un contatto anche letterario con una situazione che già fu di Paolo apostolo. Cfr. l Ts 2,2. 96 Cfr. Polibio, Storie 5,64,6; 27,9,7. 97 Così bene E. Griisser, An die Hebriìer. Hebr 1 0, 1 9-13, 25, vol. III, p. 66, con riferimento an­ che a Eb 2, 1 4, dove l ' intima connessione di Gesù con i suoi fratelli è detta con il verbo koinonein. 98 Vi ricorre 5 volte, di cui tre in Ebrei (cfr. Rm 1 5,3 e l Tm 3,7; poi Eb 1 0,33; 1 1 ,26 e 1 3 , 1 3).

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Del resto, « vedere un uomo valoroso lottare contro le avversità, è spettacolo degno degli dèi (deo dignum) »99, anzi, « in lui si compiacciono uomini e dèi » 100• Questa visuale stoica, fondata sulla titanica autonomia dell 'uomo osservata con gu­ sto dagli dèi, è ripensata da Ebrei (e già prima da Paolo, l Cor 4,9), in cui « insulti e vessazioni >> pubblici diventano forza di Dio e testimonianza di fede, una realtà che lo spettatore dovrebbe cogliere spingendosi oltre ciò che egli vede nel teatro 101 • È possibile che Ebrei si avvalga di questo pensiero diffuso nella filosofia stoica cor­ rente, e noto ai suoi destinatari. È attendibile che Eb l 0,32 attinga a una tradizione che vede nella metafora sportiva della lotta (agone) l ' immagine descrittiva del combattimento etico102• È anche verosimile che l 'autore pensi alla lotta dei martiri (4Maccabei 6,9- 1 O; 1 7, 1 4- 1 6) : in entrambi i casi, un senso traslato che ben si coor­ dina con quanto appena esposto. Tuttavia, i dati qui riferiti, per quanto ampi nella loro descrizione, non bastano a datare la situazione storica di riferimento. [v. 34] Con sintassi « e infatti . . . e . . . » (kai gar. . . kai . . . , v. 34, come già in Eb 4,2), l 'autore richiama la solidarietà di « quei primi giorni » (v. 32), dandone una pri­ ma causale: la spoliazione e la confisca dei beni. Essa può essere spiegata in base al rimborso delle spese dei processi penali a carico di cristiani. L'entità era stabilita dal magistrato con l 'ausilio dei giurati. Essa, talora, poteva essere così elevata, da com­ promettere la futura esistenza del penalizzato. Senza opporsi alla violenza legalizza­ ta della confisca abusiva, i destinatari di Ebrei ne presero atto e non esitarono a mo­ strare la loro partecipazione carica di attenzione a quanto accadeva: è il senso di synpathesate, forma verbale motivata dalla seconda causale: « Vi siete resi partecipi delle sofferenze dei carcerati ». Anzi, mostrando addirittura grande gioia, hanno già saputo attestare che nella loro scala dei valori i beni materiali hanno solo un peso transitorio e finalizzato a beni maggiori: la vera vita, la fede, il godimento eterno nel­ la città celeste103, senza sottovalutare carica psicologica e coraggio. Tutto questo a motivo di una consapevolezza piena e continua, come ben esprime il participio gi­ noskontes, perché esercitata « allora » quotidianamente, a motivo di quella « grande e penosa lotta » e perché ispirata dalla certezza di possedere già ora « una proprietà mi­ gliore e duratura » (kreissona hyparxin kai menousan). Da qui l ' ammirevole concre­ ta risposta di allora da non dimenticare: aver curato gli imprigionati ingiustamente, quanti venivano lasciati morire di fame, sostenendoli con i propri averi ed esponen­ do se stessi al rischio della morte, perché simpatizzanti e complici. Da qui ancora quell 'incomprensibile gioia, paradossalmente motivata dalla confisca dei loro beni, e proprio quando ne venivano derubati e spogliati (v. 34b)104• Che cosa è dunque intervenuto di nuovo e di tanto grave da poter motivare l ' incertezza subentrata a una fede tanto coraggiosa e testimoniata nella operosità? Precisazioni a riguardo difettano. Contrasti tra ebrei e cristiani? Ma quali, dal mo99 Così Seneca, De providentia 2,9, e Lettere a Luci/io 64,4-6. 1 00 Così Epitteto, Dissertationes 2, 1 9,25; 3,22,59. 1 0 1 Cfr. G. Kittel, theatrizomai, in GLNT ( 1 968) 4,257-260. 1 02 Si legga, ad esempio, Filone di Alessandria, De somniis l , 1 70; De congressu 1 62; De che­ rubim 80-8 1 . 1 03 Ancora A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, pp. 1 86- 1 87. 1 04 È il senso di harpaghe (cfr. Le 6,22.29-20; Gc 1 ,2-3).

Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi)

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mento che essi erano ali 'ordine del giorno? Forse l 'autore allude ai torbidi che han­ no portato l ' imperatore Claudio (4 1 -54) a « scacciare da Roma (nel 49) i giudei che si agitano per istigazione di un certo Cresto »? 105• O anche alle persecuzioni ufficiali anticristiane da parte dell ' impero, forse a quella molto sanguinosa di Nerone (5468)? 106. O di Vespasiano (69-79), l ' imperatore che affida a Tito l 'assedio di Gerusalemme? Se dunque, in quelle o altre circostanze, i cristiani hanno mostrato tanta fermezza nella fede, perché ora tanta incertezza nelle nuove difficoltà, quelle, con ogni attendibilità, legate al periodo di Domiziano (8 1 -96), causate dal rifiuto dei cristiani di rendere a questo imperatore il culto divino? 107• Comunque stiano le cose, la difficoltà di un' individuazione precisa del momento storico non sembra es­ sere giustificata dalla pronunziata preoccupazione escatologica dell 'autore. Questi non è solo un consolatore, ma molto più uno che esorta alla combattività 108. [v. 35] Da qui la seconda esortazione ali ' imperativo esortativo proibitivo: me apobalete (v. 3 5 ; la prima era al v. 32), aperta da un oun (dunque) parenetico, che intende riassumere quanto detto ai vv. 32-34: non c'è dunque motivo alcuno di ab­ bandonare una strada così ricca di franchezza. Perché interrompere una così corag­ giosa testimonianza (parrhesia) nella fede? Al contrario, sollecitata dalla rischiosa situazione sociopolitica, la comunità cristiana ha tutti gli elementi per gestire la de­ bolezza del momento. Proprio ricordando le loro vittorie passate può ricuperare fi­ ducia e coraggio per il presente incerto e burrascoso e guardare con fiducia a un fu­ turo migliore. La fede solidale fa guadagnare una ricompensa di gran lunga più consistente: megalen appunto, entrare nel riposo di Dio, nel tempio celeste; sacer­ doti con il sommo sacerdote, per sempre. Ebrei torna a presentarsi pastore preoc­ cupato: dà coraggio là dove va prendendo piede il disorientamento. Il primo impulso è quello di mantenere salda la parrhesia (« ferma fiducia », v. 35a); l 'autore ne ha già parlato in 4, 1 6 e l O, 1 9, in entrambi i casi in connessio­ ne con il potenziale salvifico del nuovo sommo sacerdote nei cieli: accostarsi a lui è ormai esortazione permanente ai destinatari. In l 0,35 invece, come già in 3,6, egli argomenta più ad hominem, in quanto esorta i singoli credenti a non abban­ donare quella ferma fiducia già più volte mostrata; essa è ormai patrimonio acqui­ sito. Come a dire : non gettate via la vostra ferma consapevolezza nella fede. Questa personalizzata sottolineatura proviene dal ruolo contestuale del v. 35, che chiude i vv. 32-34 e apre sul v. 36. Ebrei non pensa a una perdita quasi involonta­ ria di tanto patrimonio, come la Vulgata sembra suggerire : « Nolite amittere con­ fidentiam )) (Non fatevi sfuggire di mano la fiducia), quasi il tutto dipendesse solo da condizioni esterne 109. Dopo tanta e combattiva resistenza, infatti, nel servizio ai Così Svetonio, Claudio 25,4. Ne riferisce Tacito, Annali 1 5,44: « . . . E la derisione accompagnava la loro (dei cristiani) fi­ ne. Erano ricoperti con pelle di animali feroci e trascinati ali ' intorno da cani; altri venivano fissati a delle croci e, quando la luce del giorno declinava, venivano incendiati perché rischiarassero la notte come lampade ». Ma si veda la nostra Sezione introduttiva, p. 80. 107 Per tutta la questione, cfr. la nostra Sezione introduttiva, pp. 78-83. 1 08 Non così, mi sembra, E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13, 25, vol. III, p. 68. 109 Questa lettura è tenuta da Tommaso d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. II, Ad Hebraeos 542, p. 453, ed è ripresa da C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. 11: Commentaire, p. 330. 105

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fratelli più aspramente perseguitati, fiducia e solidarietà sono un armamentario sperimentato ed è davvero incredibile che ora lo si lasci inattivo, con il rischio di perdere la « grande ricompensa ». Quale? Misthapodosia (v. 35b), in tutto il NT, ricorre solo in Eb 2,2 (hapax legame­ non) con il senso negativo di « giusta punizione »; in I l ,26 e qui in l 0,35 con il senso positivo di ricompensa nell 'ordine della salvezza, quella finale, escatologi­ ca, proprio per questo definita « grande ». Si può ritenere che dal lato del conte­ nuto questo termine equivalga a « promessa » (epaggelia, v. 36); esprime infatti il possesso di un bene migliore e stabile, di una « proprietà migliore e duratura » (v. 34 ), l ' ingresso nel « riposo » (katapausis) di Dio di cui ampiamente già in 4, 1 - 1 1 (e ancora in 6, 1 2; 9, 1 5 e 1 1 , 1 3 . 3 9), onde prendere parte alla celeste e definitiva celebrazione « sabbatica » (sabbatismos, 4,9), pregustata già « ora » nell ' « assem­ blea » (episynagoge, l 0,25) terrestre, battesimale e pasquale. Disporsi a conqui­ stare questa « grande ricompensa » è frutto di una fede consapevole, intesa qui come fiducia e pazienza, due valori in grado di garantire al popolo di Dio, espo­ sto alle più contrastate esperienze di vita, solidità e continuità in quella consape­ volezza. La fede consapevole, esistenzialmente in crescita, è destinata comunque ad adeguata ricompensa ( 1 1 ,6.26.33): fede è pazienza che ha uno scopo da rag­ giungere; è fedeltà che viene premiata; è speranza che diventa realtà1 10• Matura perché provata, simile fede è veicolo a quella iustificans et salvans, traguardo fi­ nale della « grande ricompensa = promessa » (misthapodosia = epaggelia) . Proprio perché già sperimentata quaggiù (momento terrestre), la fede è volta al futuro (momento celeste), al quale i credenti sono collegati. Basta ricordare l ' im­ magine dell ' àncora che unisce la vita nel tempo con l 'aldilà ( 6, 1 9) : quell ' àncora è Dio stesso; ne garantisce il raggiungimento Gesù il Figlio, dal quale è bene non distogliere gli occhi (3, l ). I due aspetti, terrestre e celeste, sono egualmente pre­ senti nella mente di Ebrei 1 1 1 • Solo da ultimo è utile ricordare che l ' idea della ricompensa nasce in Ebrei. Questi deve averla elaborata redazionalmente su suggerimento di Dt 32,35-36 di cui al v. 30: è solo JHWH il Dio che ricompensa. Dal lato della storia delle tradi­ zioni non avremmo altra possibilità esplicativa, dal momento che su « misthapo­ dosia -ricompensa )) tacciono la versione dei LXX, gli scritti pseudepigrafi dell ' AT, Filone di Alessandria e G. Flavio. Solo Eh 2,2; l 0,35 e I l ,26 e ancora 1 1 ,6 (misthapodotes) e le Costituzioni apostoliche 5, 1 , 1 ; 5,7,3 ; 6, 1 1 ,9 conoscono il motivo. [ 1 0,36-38] « È di perseveranza che avete infatti bisogno » (hypomones) . Siamo a un momento ulteriore dell 'esortazione introdotta da un gar (infatti) esplicativo (come già in 3 ,4), che allaccia il v. 36 al v. 3 5 . L' intenzione dell 'auto-

1 1°

Cfr. H. Preisker, misthos, in GLNT ( 1 97 1 ) 7,436. Rispettivamente in directo e in obliquo. Non così H . Preisker, misthos, in GLNT ( 1 97 1 ) 7,436; T. Soding, Widerspruch und Leidensnachfolge. Neutestamentliche Gemeinden im Konjlikt mit der paganen Gesellschafi, in MThZ 4 1 ( 1 990) 1 3 7- 1 55, ed E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13,25, vol. Ili, p. 7 1 . Anche se Ia pistis in Ebrei non è quella iustificans et salvans secondo Paolo e Giacomo, essa resta sullo sfondo quale grande, migliore e duratura ricompensa. 111

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re è epesegetica, in quanto al v. 36 intende spiegare ancora il v. 3 5 . Risultato im­ mediato : quando i tempi sono ingrati e insidiosi i rischi, la hypomone è il volto della parrhesia. Ne deriva che la pazienza non è rassegnazione remissiva, quasi un tacere « pro bono pacis ». Tutt'altro ! Essa è combattiva, costruttiva, radicata in terreno sicuro, stabile e irremovibile nelle decisioni consapevolmente prese 1 1 2• Lo stesso AT nel Sal 3 6,9 presenta i giusti come « coloro che attendono bramo­ samente Dio » (hoi hypomenontes ton kyrion) ; diversamente dai malvagi (Eb l 0,36), essi « sperano sempre nel Signore »: egli è la potenza salvifica cui è ri­ volta in permanenza la loro speranza. Il fondamento della loro costante pazienza va individuato nella speranza di prendere un giorno parte al banchetto messiani­ co (ls 25 ,9) e nella tensione verso quel traguardo con pieno abbandono in Dio. È il denso significato che la LXX riconosce a hypomone con cui traducono l 'ebrai­ co miqweh (speranza e fiducia) e tiqwa (speranza e tensione). « Aspettare Dio con fiducia, restargli fedele n eli ' impazienza di un 'attesa persistente e perseverante, continuare a sperare nella sua venuta » 1 1 3• Se Ebrei si trova in questa tradizione, la « pazienza costante » che qui egli esor­ ta è una virtù messianica legata ali ' annunzio della « grande salvezza promulgata dal Signore » (Eb 2,3), il « Figlio >>, Gesù il Cristo. Estromettersi da questo traccia­ to significa porsi fuori dal progetto-volere di Dio (thelema, v. 36) e disattendeme la promessa (epaggelia) l 14• Ci si dedichi invece a « poter conseguire (hina . . . komisesthe) la promessa >> (v. 36). Ebrei è anche qui in piena tradizione protocri­ stiana, quando si avvale di komizein per descrivere l ' anelito verso la ricompensa fi­ nale (Eb 1 1 , 1 3 .39; 2Cor 5, 1 0; Col 3,25; Ef 6,8; I Pt 1 ,9; 5,4). Essa è il compiersi della « promessa >>, quella cioè già menzionata in 4, l : l 'ancora « valida promessa di entrare nel suo riposo », e si identifica con la « grande ricompensa » del v. 35. Cioè tra l 0,36, l 0,35b e 4, l corre un rapporto di continuità, con un tocco finale: quella ricompensa è « proprietà migliore », perché stabile e « duratura » (v. 34). Da notare una volta ancora la funzione strutturale del dualismo cosmico ales­ sandrino: la perdita di beni terrestri è nulla in vista di tanta ricompensa celeste. Ebrei si pone così nella linea del « regno incrollabile » (Eb 1 2 ,28), che è il « regno celeste » di 2Tm 4, 1 8 e si spinge ben oltre i toni apocalittici del suddetto dualismo, proponendo una escatologia ricca di contenuto e di ricompensa. Tutto questo di­ venta realtà attraverso quella paziente costanza (parrhesia hypomone, vv. 3536) che garantisce l 'adempimento di una condizione: « Dopo aver compiuto il vo­ lere-progetto (thelema) di Dio ». Questo inciso, situato dopo « perché [ . . . ] possiate conseguire la promessa », permette alla promessa stessa di poter essere consegui=

1 1 2 Linea greco-classica, ellenistica e latina attestata rispettivamente i n Aristotele, Etica nicho­ machea 3, 1 2, 1 1 1 7a,32-35; Epitteto, Fragmenta l 0,34 e Filone di Alessandria, Deus immutabilis 1 3 ; Legum allegoriae l ,65 ; De mutatione nominum 1 97; 4Maccabei l , I l ; 6,2 1 . Afferma Cicerone (De inventione 2,54, 1 63 ) : « Pazienza è la volontaria e costante sopportazione dei contrasti più difficili, in vista della rispettabilità e del l ' onorabilità » . La traduzione è mia. 1 1 3 Abbondante documentazione in F. Hauck, hypomeno, in GLNT ( 1 97 1 ) 7,49-53; 7,54-56. 1 1 4 Epaggelia: il tema è caro a Ebrei, che lo avvia già in 4, 1 ; 6, 1 2. 1 5 . 1 7; 7,6; 8,6; 9, 1 5. Lo ri­ prende poi in 1 0,36 e 1 1 ,9(2x). l 3 . 1 7.33.39. Sull 'argomento, cfr. C. Rose, Verheiflung und Erfilllung. Zum Verstiindnis von epagghelia im Hebriierbrief, in BZ 33 ( 1 989) 1 86- 1 9 1 .

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ta. Muoversi nella direzione di Dio porta dunque ali '« ingresso nel suo riposo (ka­ tapausis) eterno )); muoversi nella direzione degli avvenimenti umani, affina la « paziente costanza )), Esercitata nella solidarietà, essa offre già « oggi )) il pregu­ stamento del riposo di Dio ai cristiani convenuti nella loro « assemblea )) battesi­ male e pasquale, una sorta di « riposo domenicale )) in parallelo con il « riposo sab­ batico )). È lì che quella « paziente costanza )) evolve, fino a divenire in epoca protocristiana una virtù fra le più basilari l l5• Almeno, è così per Ebrei. [vv. 36-37a] Ai vv. 36b-3 7 ove si legge : « Possiate conseguire la promessa )) (v. 36b) secondo la quale « colui che sta venendo, arriverà e non tarderà )) (v. 3 7b; Is 1 6,20; Ab 2,3 ), è proposto il binomio « promessa-compimento )), un theolo­ goumenon che arricchisce la soteriologia del « trattato )). Ebrei conosce promesse adempiute e altre non ancora adempiute; promesse legate al presente terrestre e al futuro celeste; promesse fatte a tutti e a singoli nel popolo dell 'alleanza antica; promesse comuni, fatte al popolo dell 'antica e a quello della nuova alleanza. Si può dire che là dove l ' autore parla di promesse fatte alla comunità cristiana, e usa i termini epaggelia, epaggellomai ed euagge/izesthai, intende riferirsi alla pro­ messa fatta, ma non ancora compiuta, di « entrare nel riposo )) (eiserchesthai eis ten katapausin). Parola di Dio non ancora compiuta, questa promessa è presente già in Eb 6, 1 7 ; 8,6; l 0,2 e ancora in 1 2 ,26. Quale bene promesso, non ancora rag­ giunto, l ' ingresso nel riposo è menzionato in 9, 1 5 , in l 0,36 e in 1 1 ,3 9-40. In 4, l e 6, 1 2 la promessa rivolta al popolo della prima alleanza e a quello della nuova, non ancora adempiuta, consiste nell ' ingresso (escatologico) alla presenza di Dio nel « santo dei santi )) celeste. Diverso è il caso delle promesse fatte a singoli esponenti della prima alleanza. Così Eb 6, 1 3 ; 7 ,6; l i , 1 1 e I l , 1 7 contengono la epaggelia ad Abramo di una im­ mensa discendenza; 1 1 ,33c è un caso particolare, come vedremo; in 6, 1 5 ; 1 1 , 1 1 - 1 2 la promessa conseguita da Abramo in forza della sua perseveranza è di certo la na­ scita di Isacco, un bene terrestre. Nessuna contraddizione dunque su 1 1 , 1 3.39: beni promessi ma non raggiunti. Anche 7,6 conferma: Melchisedek benedice colui che era depositario della promessa: in parte raggiunta in Isacco, ma in verità non rag­ giunta, perché il vero discendente è Cristo (« discendenza = uno solo = Cristo )), Gal 3, 1 6. 1 9.29). Dunque i destinatari dello scritto non siano pigri, ma guardino a quan­ ti nella perseveranza hanno ereditato la promessa, pur non avendone goduto il compimento. Evitino di ricalcare le orme della generazione del deserto, la quale ha perso l 'occasione di appropriarsi, già nel deserto, del bene escatologico della fami­ liarità e comunione con Dio. Quella generazione, annota Eb 4, I l , è esempio di « di­ sobbedienza )) (hypodeigma tes apeitheias). Come tale, essa identifica (erroneamen­ te, I l ,9) la terra promessa con il Canaan. Essa è invece la patria celeste, la « città futura )), la celeste Gerusalemme 1 1 6• Ecco la vera terra promessa per Abramo e per la 1 15

Una riprova sono i numerosi sermones de patientia nella Chiesa antica; l 'esortazione alla pazienza in epoca patristica; l 'attenzione data ali 'argomento da Tomrnaso d'Aquino in epoca scola­ stica; l ' interesse al tema da parte della filosofia moderna, ad esempio M. Heidegger, Gelassenheit, Pfullingen 1 959. Altri dati in H-H. Schrey, Geduld, in TRE ( 1 984) 1 2, 1 4 1 - 1 43 . 1 16 Sul! ' argomento desta attenzione la posizione di Eugenio Zolli, rabbino capo a Roma du­ rante la seconda guerra mondiale: « Secondo il pensiero israelita la legge, la terra d' Israele ('Erets

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sua immensa discendenza. Solo lì vi sarà piena comunione con Dio. Intanto, sia i pa­ triarchi (Eb 1 1 , 1 3 .3) sia i cristiani (Eb 4, 1 ; 9,28; 1 0,25 .35; 1 1 ,39-40; 1 2, 1 .22) non sono ancora entrati in possesso del bene escatologico della celeste Gerusalemme. Il theo/ogumenon (« promessa-compimento ») crea bene in Ebrei la tensione tra « il già e il non-ancora », dove il secondo aspetto è più sottolineato del primo. Di questo « non ancora » Ebrei mostra di conoscere già qualcosa: « Cristo . . . ap­ parirà una seconda volta » (Eb 9,28); « . . . Potete ben vedere come il giorno si av­ vicina » ( 1 0,25); « Ancora un poco . . . e colui che deve venire, verrà . . . » ( 1 0,37). Cade qui il momento soteriologico: in epaggelia infatti l 'autore combina pro­ messa e adempimento. Nella sua qualità di prodromos, Cristo è già nel « santo dei santi » celeste, in comunione piena con il Padre; lui, il Figlio ( l ,2-3 ), siede al­ la sua destra e intercede di continuo ( 1 ,3 ; 8, 1 ; 1 0, 1 2; 1 2, 1 2) per i suoi (7,25; 8,2; 9,24). Nel giorno del pieno compimento della salvezza (già in occasione della morte di ognuno?) 1 1 7, si presenterà (parusia) a coloro che lo attendono (9,28) per introdurli nella celebrazione del sabato eterno, nel riposo di Dio. Eppaggelia è dunque promessa e compimento della storia di Dio con gli uomini, storia di sal­ vezza; è fra i motivi base, ma non il punto capitale di Ebrei . [vv. 37b-38] Se in prospettiva escatologica la promessa è il « riposo eterno di/in Dio >> (Eb 4, 1 1 ), un momento immediato di quella promessa è l 'attesa di « co­ lui che sta venendo, (che) arriverà e non tarderà » (v. 3 7). Come già altrove, Ebrei dà fondamento al suo pensiero con citazioni dali ' AT. A memoria, cita un punto a lui familiare da Is 26,20 e lo fonde con Ab 2,3, mostrando inoltre conoscenza o fa­ cendo eco a Rm l , 1 7 e Gal 3 , 1 1 . Modificando la versione di Ab 2,3 (LXX) 1 18, par­ la dell ' imminente venuta di « colui che sta venendo ». Per lui, questi è certamente il Messia atteso, il « Figlio dell 'uomo », il Messia venuto ( l ,2) e che ora sta tornan­ do. Con l 'ausilio di Ab 2,4 (LXX), fedelmente citato, il v. 3 8 esorta ad aderire « in­ tanto » al messia nella giustizia e nella fede. Eb 1 0,3 7-38 cita Ab 2,3-4 (LXX) in modo fedele (Ab 2,4b in Eb 1 0,3 8a) e in modo molto libero (Ab 2,3 in Eb 1 0,37b e Ab 2,4a in 1 0,3 8b). Annota G. Calvino che Ebrei « aliquantum discedat a prophe­ tae verbis » 1 19• In verità, Ebrei segue qui il metodo del midriis-peser e dell 'aggiu­ stamento del testo fonte: modifica cioè Ab 2,3-4 in vista di un suo messaggio. È possibile così accedere meglio alla intentio auctoris. Al v. 3 7 Ebrei omette « se indugia, attendila » di Ab 2,3b. Vi si tratta di una visione (horasis) che tarda a verificarsi, ma che dovrà di certo realizzarsi: visio­ ne messianica 1 20• Ebrei aggira il procrastinarsi dell ' attesa e introduce direttamenlsra 'el) e il mondo futuro sono un tutt'uno: "Colui che possiede la terra d'Israele, detiene la vita eterna"». Una trilogia in evoluzione, dove il focus è « la vita eterna ». Come a dire: la vita eterna nel­ la città futura, ecco la terra d'Israele. Cfr. J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002, p. 30. 117 Cfr. Eh 9,27. Se ne è già accennato altrove. Questo orientamento registra adesione crescen­ te. In forma molto esplicita, W. Eisele, Ein unerschiitterliches Reich, p. 428 . 1 18 Ma F. Schroger (Der Verfasser des Hebriierbriefes, p. 254) ritiene la citazione: « Nach dem LXX-Text ». 1 19 Cfr. Calvino Giovanni, Commentarius in epistolam ad Hebraeos, p. 1 78. 1 20 Ab 2,3-4 è generalmente ritenuto rnessianico già da parte della teologia giudaica fino ali 'e­ poca dei targumim. Segnalo, in merito, lo studio classico di E. Hiihn, Die messianischen Weissagung

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Parte seconda. Traduzione e commento

te l 'adempiersi della medesima con la seconda venuta del Messia: « Colui che sta venendo, arriverà e non tarderà ». Lo scrittore si immette così nella tradizione cri­ stiana di quest 'attesa e dà, al tempo stesso, una base messi ani ca alla fede dei suoi destinatari . Quell 'annunzio in Abacuc è infatti promessa-parola di Dio. L'adempimento è dunque certo (cfr. Is 55, 1 0- 1 1 ). L' attesa ha ora un senso ed è più sostenibile. Erchomenos di Abacuc (LXX) diventa ho erchomenos in Ebrei, « il venien­ te, colui che sta (già) venendo ». La precisazione a mezzo dell 'articolo aiuta a ca­ pire di che cosa e di chi si tratta: del Messia e della sua seconda venuta. « Verrà, anche se dovesse tardare » (hexei kai ou me chronise) di Ab 2,3b (LXX; congiuntivo aoristo che esprime eventualità) diventa « Verrà e non tar­ derà121» (hexei kai ou chronisei chroniei) in Eb 1 0,37, indicativo futuro che esprime la certezza dell 'autore che vede in Abacuc l ' azione dello Spirito di Dio: il futuro va atteso con speranza perché certamente « accadrà >>. Eb l 0,37 immette in Ab 2,2-4 variazione di senso. In risposta ai suoi lamenti (Ab 2, l ), il profeta ve­ de una visione e la deve scrivere (Ab 2,2-3) : si tratta di un atteso liberatore del giusto. Se questi, quale leader umano, dovesse venire meno a tanto impegno e ri­ spondesse con infedeltà alla fiducia di Dio riposta in lui sarà questo il segno più chiaro che egli non è un eletto di Dio. Ma per Eb 1 0,37 quel liberatore verrà, an­ che se dovesse tardare. Va atteso, perché certamente arriverà; e non c'è dubbio: si tratta del Messia. Lo si attenda, la sua venuta/ritorno è infatti certa: egli « sta (già) venendo » (ho erchomenos). Nella penna di Abacuc c'è l ' impegno di Dio alla parola data. Altri aggiustamenti si rilevano in Eb l 0,3 8ab: « Il mio giusto1 22 intanto vivrà di/per (ek) fede; ma se torna indietro, io non mi compiacerò di lui 123» su Ab 2,4 (LXX): « Se (però) torna indietro, io non mi compiacerò di lui. (Ma) chi è giusto, vivrà dalla mia fede >>. Si ha una evidente inversione e una modifica. Con la prima, l 'autore ottiene due cose: l ) Evita la errata interpretazione che il Messia tardi a ve­ nire per ignavia e timore; infatti il v. 3 8b non si può riferire al Messia del v. 37b da cui è troppo lontano. 2) Ponendo Ab 2,4b in Eb 1 0,38a richiama l ' attenzione sulla centralità della fede per la giustificazione. Il non giusto, dali ' animo non retto, soc­ combe; il giusto invece vive. Seconda modifica: la forma pronominale mou (mio) è spostata da « dalla mia fede >> (ek pisteos mou) della LXX a « il mio giusto >>. Ebrei =

des israelitisch- jiidischen Volkes bis zu den Targumim, historisch-kritisch erliiutert, Freiburg im Breisgau 1 899, p. 3 . Di questa raccolta di dati si avvale F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes. Esamina Targum Abacuc 2,4, R. Penna, Il giusto e la fede. Abacuc 2,4b e le sue an­ tiche riletture giudaiche e cristiane, in R. Fabris (ed.), « La Parola di Dio cresceva >> (A t 12,24). FS C.M. Martini, pp. 359-380. Utile nel l ' insieme per la Rezeptionsgeschichte di Ab 2,3-4 nel NT, lo è in particolare per la sua rilettura in Eb 1 0,37-3 8 (lbid., pp. 375-377). 1 2 1 II futuro sigmatico chronisei preferito da N.-A. 2 7 è favorito da P. Oxy ( = P1 3), P'l6 e ancora da S* e D*; la forma asigmatica chroniei è tenuta da A. Merk - G. Barbaglio, Nuovo Testamento greco e latino, 1 99 1 probabilmente sotto l ' influsso del futuro asigmatico eudokei al v. 3 8b. Così anche A. Vanhoye, Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, p. 27. Una questione formale, non di contenuto. 1 22 Cioè: « . . . Chi è giusto di fronte a me ». 1 2 3 Letteralmente: « . . . La mia anima non si compiace in lui », dove « mia anima » sta per la to­ talità della persona (sineddoche, parte per il tutto). Dunque: « Io non sarò contento di lui ».

Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi)

Eb 1 0, 1 9-39

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registra l 'effetto: colui che vive « dalla (ek) fede mia = di JHWH » (Ab 2,4) è « il mio (mou) giusto ». Questi, « intanto », e cioè nella fase terrestre della sua vita, « vivrà di (per) fede », non tanto in JHWH, ma in « colui che sta venendo, arriverà e non tar­ derà » (Eb l 0,38). Fede nel Messia venuto e che torna. Il giusto, per Ebrei, è allora colui che ben sa come resistere nella fiducia e nel­ l ' abbandono in Dio, il quale compirà di certo la sua promessa con il ritorno del Messia. Ma se il giusto, giustificato nel battesimo (6,4-6), si ritira dalla fede, egli indietreggia di fronte a Dio, il quale non potrà più avere compiacimento alcuno in lui 1 24• La formula è eufemistica e intende dire quanto già detto in 6,4-6: l ' aposta­ sia, di cui appunto qui si parla, è una caduta grave. Dunque irreparabile?125• Con l 'ausilio di Ab 2,4ab, il v. 3 8b mette a fuoco l 'adesione-crescita nella fede e l ' indietreggiare da essa. Se questo è il caso, si ha qui conferma che anche l ' apostasia, severamente dipinta ai vv 29-3 1 , è perdonabile. Non si spiegherebbe contrariamente l ' invito ai vv. 32-34 a tornare alla solidità della fede originaria, quella dei primi giorni. Del resto, chi è diventato « giusto di fronte a Dio » nel bat­ tesimo ( l 0,22), lo è diventato una volta per sempre. Quel giusto è ora un creden­ te. Non è dunque possibile che questi possa abbandonare la parrhesia (« ferma fi­ ducia ») acquisita nella fede (v. 3 5 ) , ritirandosi dal combattimento che essa richiede, quasi un nascondersi in sé, comportamento del tutto contrario ali ' impe­ gno di fedeltà assunto verso la homologia (4, 1 4) : disattenderla è rischiare di an­ dare alla deriva (2, 1 ), perdere in credibilità, esporsi al rischio dell ' incostanza (hy­ postole, v. 39, hapax legomenon nel NT) nella fede126• Quali che siano i toni dell ' ammonizione, l 'autore è certo che la comunità ec­ clesiale non si compone di stanchi, deboli e incerti, ma di forti e convinti 127• La fede è la loro eredità, la storia della salvezza è la loro maestra. Ne è riprova il cap. 1 1 128• [v. 39] Dunque, avanti nellafede. Con un « noi però » (de), Ebrei si pone in connessione sintattica con l ' ipotesi di probabilità « ma se » (kai ean) del v. 3 8b, avendo ancor sempre sullo sfondo la congiunzione gar (infatti) del v. 3 6a. In tal modo, la microunità letteraria ai vv 3 6-39 appare ben compatta. Il v. 39 propone il nucleo essenziale dell 'esortazione, ciò che l 'autore vuole ottenere. Siamo al momento strutturale in cui si ha un parallelismo del tipo a-a' : .

.

a) « Noi però non siamo . . . )) (hemeis de ouk esmen) a') « ma siamo . . . )) (alla esmen . . .) . 1 24 « La mia (LXX; TM, nafta: la sua) anima non si compiace in lui ». La modifica mette in ri­ salto Dio che parla e comunica la sua presa di posizione. 125 Si veda appunto Eb 6,4-6 e 1 0,26-27. Si osservi inoltre che Ebrei si distanzia qui da JQpHab 8, 1 -3 : i giusti sono i qumraniani in contrapposizione agli ingiusti, che sono gli ebrei. Riprova: la loro nazione è stata rasa al suolo, disastro nazionale non impedito da Dio. Questa pro­ spettiva è del tutto assente in Ebrei. 126 Su hypostei//6-hypostole, cfr. K.H. Rengstorf, in GLNT ( 1 979) 1 2, 1 038. 127 In Eb 1 0,37-38 è ampio l ' interesse per Ab 2,3-4 (LXX); mentre ne resta influenzato nel­ l ' insieme, mostra non poca autonomia nel l ' interpretazione. Orientamento critico, forse un po' di­ verso, nella recente monografia di R. Gheorghita, The Role ofthe Septuaginta in Hebrew. 128 Per la procedura apparentemente manipolante di Eb l 0,3 7 su Ab 2,3 (e deli' AT in genere), cfr. qui la nostra Sezione introduttiva, pp 63-66. Inoltre, E. Griisser, Das Schriftargument in Hebr 10,37s, in R. Kampling - Th. Soding (edd.), Ekklesiologie des Neuen Testamentes. FS K. Kerte/ge, pp. 43 1 -439.

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Parte seconda. Traduzione e commento

La forma letteraria non esprime un comando da adempiere, ma dichiara un dato di fatto. L'autore non intende comandare qualcosa, ma prende atto che qual­ cosa è già operante nella comunità, pur costituendo in verità un problema apet:tç> . Come a dire : Vacillate nella fede, indietreggiate in essa e, pur essendo ben ag­ guerriti, vi ritirate dal confronto 129 tra patrimonio giudaico e novità cristiana, fa­ te marcia indietro ancora prima di avere raggiunto il traguardo1 30 che pure siete in grado di raggiungere. Vacillate nella fede, nella quale in verità già siete saldi (per il battesimo, Eb l 0,22); siete incerti nella fedeltà, pur essendo in grado di essere fedeli. Un comportamento retorico carico di captatio. « Tornare indietro (hypostel/esthai) >> nella fede è « codardia per la perdizio­ ne »; sgradita a Dio (Eb 1 0,38), ne provoca la maldicente reazione, come già nei confronti delle infedeltà di Israele (cfr. Dt 4,26) e dei nemici d' Israele (cfr. Dt 7,23 ). Dunque, restare saldi nella fede e non rammollirsi in essa. Non esporsi al disgusto (maledizione) di Dio, che si traduce in rovina e perdizione (pensiero ta­ lora affidato alla formula eis apoleian anche da parte dei profeti d'Israele 1 3 1 ) : chi apostata dalla fede, si espone alla perdizione132 entrando nella morte. Restare nel­ la fede è invece « acquistare e possedere » la vita133, la propria vita, nella pienez­ za della vita; è restare « figli nel Figlio » e non divenire « figli della perdizione » (hyioi eis apoleian). Formula anticotestamentaria recepita nel NT, nel senso mi­ naccioso di una perdizione senza rimedio? 1 34• O della perdizione eterna?135• In ve­ rità, apoleia, che ricorre 1 1 1 volte nella versione dei LXX e traduce ben ventuno termini ebraici, presenta altri significati : desolazione in Ez 32, 1 5 ; morte fisica in Est 7,4. Stando al contesto di Eb 1 0,26-28, il senso più attendibile al v. 39 sem­ bra essere di provvedimento disciplinare 1 36 da parte di Dio, che permetterebbe la perdita della vita fisica per uomini di fede che stanno tornando indietro e corrono il rischio di abbandonare la propria scelta del Figlio. Erano, infatti, « in cammino verso il possesso della vita eterna ». La perdita della quale non può essere esclu­ sa, pensa Ebrei, almeno come strategia deterrente: la vita eterna va dunque ben custodita, ed è necessario già ora stare ali 'erta ( 1 3 , 1 7); perdere la vita fisica e i propri beni è meno disastroso che perdere la fonte della vita e di ogni bene

12 9 Significato di hypostellesthai riscontrabile in Filodemo Philosophus, Volumina Rhetorica 1 , 1 08,32-34 (S. Sudhaus, ed.), S. Sudhaus, Leipzig 1 895. 1 30 Senso di hypostellesthai attestato in Filone di Alessandria, Quaestiones in Exodum 1 ,7. 1 3 1 Si vedano: Is 1 4,23; 33,2; 34, 1 2; Ger 30,2 .32; 5 1 , 1 2 ; Bar 4,6; Ez 28,7; 29, 1 0; 32, 1 5 ; Dn 2, 1 8; 6,22. 1 3 2 È il senso letterale di eis ap{Jleian, hapax legomenon in Ebrei. Il suo senso è, tuttavia, più frequentemente attestato: Eh 2, 1 .3 ; 3, 1 9; 4, I l ; 6,8; l 0,27.30-3 1 . Con valore religioso, la formula è nota anche nella letteratura non cristiana (Ermete Trismegisto, Corpus hermeticum 1 2, 1 6), nota già nel secolo I d.C. Cfr. A.D. Nock - A.J. Festugière, Trismégiste, Belles Lettres, Paris 1 945- 1 954. 1 33 Peripoiesin psyches: genitivo oggettivo, con il senso di « acquisto, possesso della vita (eter­ na) ». M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica! Analysis of the Greek New Testament, p. 679. Cioè, « possesso della salvezza della (nostra) anima = vita) ». 1 34 Cfr. Gv 1 7, 1 2; 2Ts 2,3. Si veda A. Oepke, apoleia, in GLNT ( 1 965) 1 , 1 060- 1 06 1 . 1 35 Interpretazione, questa, forse la più accreditata. 1 3 6 Sembra lo stile del l 'autore in Eb 3 , 1 - 4, 1 3 ; 5, 1 1 - 6, 1 2; 1 0,27-3 1 ; 1 2,4- 1 1 .

Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi)

Eh 1 0, 1 9-39

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( 1 0,20a.3 8a; 1 2 ,9). Se questa lettura regge, avremo qui un prezioso indizio a te­ stimonianza di una prassi disciplinare, in tono severo ma accorato, per quanti avessero messo a rischio le benedizioni escatologiche della fede137• Dunque, tor­ nare al Figlio sommo sacerdote, tenere salda la homologia in lui, emularsi a vi­ cenda nelle opere buone, non disertare « la nostra assemblea )) ( l 0,22-25), evita­ re posizioni testarde che impediscono i frutti della redenzione e riconciliazione; così arricchiti, affrontare le incertezze del proprio tempo. Con la formula « possesso della (propria) anima )) (peripoiesis psyches), Ebrei è sulla linea di una escatologia ellenistica che prevede la liberazione del­ l 'anima = vita dalla schiavitù (douleia) demoniaca. L'autore ne ha già parlato in Eb 2, 1 4, quando ha descritto il « Figlio )) come colui che ha « in comune con i fi­ gli la carne e il sangue )). In tal modo, egli ha potuto « gustare )) la morte a favore di ognuno, ridurre ali ' impotenza il « diavolo )), gestore della morte, e liberare dal­ la schivitù della morte quanti vivevano nella paura della medesima. Che retrostia qui un pensiero di risurrezione? Ebrei ne parla sporadicamente in 6,2; 1 1 , 1 9.35 e 1 3 ,20, ma non con diretta intenzione. Quella risurrezione è tuttavia presente nel suo più rilevante risvolto: il possesso della vita eterna nel compimento ( 1 0, 1 4; 1 1 ,40; 1 2,23 ), nell ' ingresso nel « riposo di Dio )) (4, 1 - 1 1 ), nel suo « regno incrol­ labile )) ( 1 2,28), nella città definitiva ( 1 3 , 1 4 ), patria celeste ed eterna ( 1 1 , 1 4- 1 6). Questo il denso contenuto imbrigliato nella serrata sintassi del v. 39: « Noi però non siamo quelli della codardìa per la perdizione, ma quelli della fede per la salvezza dell 'anima )), dove « anima )) (psyche) in combinazione con peripoiesis, esprime acquisizione, possesso della vita eterna 138• Eb 1 0,32-39 è testo chiave per capire l 'accorata preoccupazione dell 'autore, pastore zelante. È lì che si leggono le necessarie informazioni sulla crisi nella fe­ de presso la comunità cristiana e sui relativi tentativi dell 'autore a venime fuori. E il primo è presentare la fede come quel valore escatologico capace di fare di viandanti terrestri dei peregrinanti concittadini del cielo, depositari di una voca­ zione celeste (3, l ), esperibile già « ora )), nel « non ancora )), come ben prova « quel così gran nugolo di testimoni )) ( 1 2 , l ) che hanno trasmesso a noi, nel loro « frattempo )) terreno, una fede che punta oltre il tempo. Ciò accade però non senza aver preso atto che l 'evolvere in quella fede pas­ sa attraverso un momento obbligato: la croce. A quanti sono esposti a persecu­ zioni e violenze ( l 0,32), l ' autore propone il Cristo Gesù sofferente (2, 1 0), « Figlio di Dio )) ( 4, 1 4) e sacerdote per la comunità, pioniere della fede e suo per­ fetto realizzatore, che a una gioia transitoria ha preferito l ' ignominia della croce che gli ha dato la gioia perfetta e piena: sedere alla destra del Padre ( 1 2,2).

137 Cfr. ancora Le 1 7,33; 2 1 , 1 9; Ef l, 14 e l Pt l ,9. Sulla questione, vista da altri angoli di os­ servazione, cfr. T.K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews. Part 4 (of 5 parts) : The Danger of Willful Sin in Hebrews 1 0, 26-39, in BS 1 45 ( 1 988) 4 1 0-4 1 9. 138 Opportuna annotazione di M. Zerwick M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 679. Parallelo efficace in Le 1 7,33 (Chi cercherà di salvare la propria vita­ psyche, la perderà), ove si ha la stessa combinazione di Eb l 0,39: peripoiesis, apolesis. -

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Parte seconda. Traduzione e commento

Dunque, combattere non per perseguire l ' ideale dell 'agone greco-romano, ma solo per porsi stab ilmente nella sequela della croce . La solidarietà del Crocifisso con i suoi fratelli è garanzia di nuove vittorie; quel Gesù che è alla de­ stra del Padre, continua infatti a essere operativo per la sua comunità (Eb 7,25). Non si tratta dunque di attendere una parusia che liberi dali ' impero del ma­ le, piuttosto di essere perseveranti nella scelta compiuta: entrare nel santuario con piena libertà (Eb l O, 1 9), in piena consapevolezza battesimale ( l 0,22), evitare di­ serzioni dell 'assemblea ( l 0,25) nella quale invece ci si corrobora a vicenda nella fede, nella speranza, nelle opere buone ( 1 0,23-24). La comunità sappia di essere chiamata al combattimento. Già vissuto da lui, esso è paradigma. Ebrei non invi­ ta i suoi destinatari a celebrare una sorta di giubileo nel ricordo di campioni del passato ( 1 1 , 1 -40 ), nonché di vittorie ottenute agi ' inizi della propria esperienza di fede ( l 0,32-34 ); insiste invece perché l ' agone del Figlio diventi criterio unico e stabile per la lettura degli avvenimenti del presente. Il combattimento di ieri è an­ cora quello di oggi. Riportarsi a « ieri >> significa qualificare l ' « oggi »: avanti nel­ la fede, senza voltarsi indietro ( l 0,3 5 .36-39). La fede rende la vita imrnortale1 39, perché la propria vita, quella presente e vissuta nel tempo, porta su di sé lo stam­ po della salvezza promessa, già in corso 140• Per chi vive nella fede, essa è e resta antidoto ali ' indietreggiamento, alla codardìa. Il richiamo a essere persone « di fede » (pisteos, v. 39) avvia alla trattazione dettagliata dell 'argomento in Eb 1 1 , 1 - 1 2,2. Siamo alla parte IV ( 1 1 , 1 - 1 2, 1 3). Termina intanto la grande e articolata parte III (5 , 1 1 - 1 0,39).

1 39 Efficace espressione di Filone di Alessandria, De opificio mundi 1 54. 1 40 Così annota G. Schunack, Der Hebriierbrief, p. 1 60.

IL POPOLO DELLA FEDE Eb 1 1 , 1 - 1 2, 1 3

Che cos 'è la fede?

1 1 ' Ora, « la fede è fondamento (esperienza) delle realtà che si sperano e prova di quelle che non si vedono ». 2Per mezzo di essa, infatti, gli antichi ricevettero buona testimonianza. 3Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose invisibili quello che si vede ha preso origine.

Fede e protostoria

4Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e grazie a essa ricevette la testimonianza di essere giusto, poiché Dio stesso ha attestato di gradire i suoi doni ; e grazie a essa, benché morto, parla ancora. 5Per fede, Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte, e « non lo si è ritrovato più, perché Dio lo aveva trasferito ». Prima, infatti, del suo trasferimento aveva ricevuto la testimonianza « di essere stato gradito a Dio ». 6Senza fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti si accosta a Dio, deve credere che egli esiste ed è il rimuneratore di coloro che lo cercano. 7Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedono,

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Parte seconda. Traduzione e commento

costruì con riverente timore 1 un'arca a salvezza della sua famiglia; e per essa (fede) condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede. Fede e storia: (( Come se vedessero l 'invisibile »

8Per fede, Abramo, chiamato (da Dio), obbedì per andare in un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. 9Ancora per fede, soggiornò nella terra della promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. 10Egli aspettava infatti la città che ha salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. 1 1 Per fede, anche la stessa Sara, [sterile] , ricevette la capacità di fondare una stirpe, anche al di là dell 'età adatta, perché ritenne degno di fede colui che (glielo) aveva promesso. 12Per questo proprio da un uomo solo, per di più2 segnato dalla morte, fu procreata (una discendenza )3 « come le stelle del cielo » per moltitudine « e come la sabbia sul lido del mare » incommensurabile4• 1 3Nella fede morirono tutti costoro, senza avere ottenuto le promesse, 1 Eulabetheis è aoristo participio deponente da eulabeomai. Usato qui in forma traslata, favo­ risce il significato di riverente timore. 2 È il senso di kai tauta. 3 Non presente in Eb I l , 1 2 la « discendenza » può rispondere a un nominativo interno alla vo­ ce verbale al passivo egenethesan. Inoltre, essa è presente nell 'allusione a Gn 32, 1 3 : to sperma sou. 4 È la traduzione che al meglio si può ottenere nel rispetto delle allusioni di Eb I l , 1 2 a Gn 1 5,5; 22, 1 7 e 32, 13. È da esse che l 'autore ricava la sua disposizione. Optando per l 'allusione a Gn 32, 1 3, si potrebbe tradurre: « una discendenza incommensurabile per moltitudine » (ouk arithmethesetai apo tou plethous) . Ma non sembra la scelta di Ebrei, che dispone dei tre riferimenti ad libitum. Comportamento, del resto, frequente in Ebrei.

Il popolo della fede Eb 1 1 , l - l 2, 1 3

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ma avendole solo vedute e salutate di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. 14Coloro che dicono tali cose, infatti, mostrano di cercare una patria. 1 5 Se avessero ripensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità5 di ritomarvi; 16ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di loro, di essere chiamato loro Dio; ha infatti preparato per loro una città. 1 7Per fede, Abramo, messo alla prova, ha offerto Isacco e proprio chi aveva ricevuto le promesse, ha offerto il suo unigenito, 1 8del quale6 era stato detto: « In Isacco una discendenza sarà chiamata nel tuo nome7», 19contando sul fatto che Dio è capace di far risorgere anche dai morti : per questo lo riebbe come un simbolo. 20Per fede anche riguardo a cose future, Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù. 2 1 Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e « si prostrò, appoggiandosi ali 'estremità del bastone di lui ». 22Per fede Giuseppe, sul punto di morire, ricordò l 'esodo dei figli d'Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa. 23Per fede Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto per tre me­ si dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello; e non temettero l ' e­ ditto del re. 5 Tempo o possibilità oggettiva e concreta di tornare? In Eh 1 1 , 1 5 il senso di kairos è di possi­ bilità data da Dio. Cfr. G. Delling, GLNT ( 1 968) 4, 1 376: significato oggettivo e non cronologico: non tanto il tempo, quanto l 'occasione offerta ad Abramo da quello stesso Dio che lo ha messo in moto. È la mente di Eb I l , 1 5 . 6 Pros hon può riferirsi ad Abramo, ma sarebbe un riferimento piuttosto lontano; o a Isacco, con la traduzione: « del quale, riguardo al quale ». Qui è tenuta la seconda. Su pros con l 'accusativo, cfr. F. Blass - A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento (GLNT.S 3), Paideia, Brescia 1 982, p. 309.6. 7 Cfr. la versione della Vulgata: « Quia in Isaac vocabitur ti bi semen ». Il dativo etico soi (tibi) ha il senso di « a te, per te, nel tuo interesse » e può essere tradotto così : « In I sacco una discendenza sarà chiamata a te ». cioè nel tuo nome. Resta una indubbia difficoltà a tradurre.

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Parte seconda. Traduzione e commento

24Per fede, Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia di faraone, 25preferendo piuttosto essere maltrattato assieme al popolo di Dio che godere per breve tempo del peccato, 26poiché stimava ricchezza maggiore dei tesori d' Egitto la vergogna del Cristo : guardava infatti alla ricompensa. 27Per fede (Mosè) lasciò l ' Egitto senza temere l ' ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesse l ' invisibile. 28Per fede (Mosè) celebrò la pasqua8 e l 'aspersione del sangue, perché lo sterminatore non toccasse i loro primogeniti . 29Per fede attraversarono il mar Rosso come fosse terra asciutta; tentando di far ciò anche gli egiziani, furono inghiottiti . 30Per fede crollarono9 le mura di Gerico, dopo che si era girato intomo 10 per sette giorni . 3 1 Per fede Raab, la prostituta, non perì con coloro che avevano disobbedito, avendo accolto con pace gli esploratori. 32E che potrei dire ancora? Mi mancherebbe infatti il tempo, narrando di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide e di Samuele e dei profeti, 33i quali, grazie alla fede, soggiogarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero la realizzazione delle promesse, chiusero fauci di leoni, 34estinsero la violenza del fuoco, sfuggiroi10 al taglio della spada, furono rinvigoriti dalla (loro) debolezza, divennero forti m guerra, respinsero eserciti di stranieri. 35Alcune donne riebbero mediante la risurrezione i loro morti.

8 Poiein to Pascha: espressione idiomatica rituale, con il senso di celebrare. Cfr. M. Zerwick M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 682. 9 È il senso classico di epesan-pipto (attestato ad esempio in Omero, Iliade 6,307; l i ,425), con riferimento a oggetti inanimati la cui caduta rapida e inarrestabile avviene con un movimento dal­ l 'alto verso il basso e la cui causa è esterna al soggetto in caduta. Si veda W. Michaelis, pipto, in GLNT ( 1 975) 1 0,299; 3 1 2-3 1 3 . 10 Altra possibile traduzione: « mentre si girava attorno a esse da sette giorni ». -

Il popolo della fede Eb 1 1 , l

-

12, 1 3

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Ma altri furono torturati, perché non accettarono il riscatto, per ottenere una migliore risurrezione. 36 Altri, ancora, subirono la prova di schemi e flagelli, catene e png10ma; 37furono lapidati, segati, morirono uccisi a colpi di spada; andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati 38- di loro il mondo non era degno ! -, vaganti per deserti e sui monti e tra le grotte e le cavità della terra. Fede e metastoria: una promessa migliore

39Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto testimonianza grazie alla (loro) fede, non conseguirono la (realizzazione della) promessa: 40Dio aveva previsto qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi . Conservare la fede. Pedagogia divina

1 2 1 Anche noi dunque,

che abbiamo attorno a noi un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella gara che ci sta davanti, 2tenendo fisso lo sguardo sul pioniere e perfezionatore della fede, su Gesù, il quale, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando(ne) l ' ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. 3Considerate attentamente colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Motivi di conforto: Dio vi tratta da figli

4Non avete ancora resistito fino al sangue lottando contro il peccato

476

Parte seconda. Traduzione e commento

5e avete dimenticato l 'esortazione che si rivolge a voi come a figli: « Figlio mio, non disprezzare le correzioni del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; 6perché il Signore corregge colui che egli ama e castiga ogni figlio che accoglie ». 7È per la correzione che voi sopportate ! Dio si comporta con voi come con figli; e qual è il figlio che il padre non corregge? 8Se siete senza alcuna correzione, della quale tutti hanno la loro parte, allora siete figliastri, non figli! 9Del resto, noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; a maggior ragione non ci sottometteremo di più al Padre de­ gli spiriti, per avere la vita? 10Quelli infatti ci correggevano per pochi giorni, come sem­ brava loro. Questi invece per il nostro bene, allo scopo di renderei par­ tecipi della sua santità. 1 1 Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra essere causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto pacifico di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati educati . 12Perciò « riportate in posizione eretta le mani abbassate ' ' e le ginocchia indebolite » 13e « raddrizzate i sentieri per i [vostri] piedi », perché ciò che è zoppicante non abbia a storpiarsi ma piuttosto guarisca. ·

Eb 1 1 , l 1 2, 1 3 . Probabilmente il cap. 1 1 è il più noto di Ebrei, una lista di eroi ed eroine nella fede, come già in Sir 44-50 e Sap l O, una generazione dalle -

11 È il senso del participio perfetto passivo par-eimenas da par-iemi: lasciar cadere di fianco, cioè abbassare.

Il popolo della fede Eb

I l, l

-

12, 1 3

4 77

ampie prospettive 12• L'autore mette a punto un proprio tracciato della fede vissu­ ta in Israele: una genealogia della fede nella fede. « Coloro che hanno avuto fe­ de » ( l 0,39), hanno lottato per essa, hanno disegnato il cammino per un combat­ timento costante. La giovane Chiesa cristiana ha bisogno di ripercorrere la loro esperienza ( 1 2, l ) onde attingere incoraggiamento e forza spirituale; popolo di Dio peregrinante nella fede. L'avvio è impegnativo. La fede, che cos'è? Ebrei risponde non definendo, ma descrivendo. La sua presentazione è cadenzata dal sintagma trionfale pistei, per ben 1 8 volte, un dativo per lo più di modo, talora di relazione, ma anche cau­ sale (« nella, a mezzo, in forza, a seguito della fede »13). L'autore procede crono­ logicamente : fede, obbedienza e speranza dei patriarchi antidiluviani (fede e pro­ tostoria); dei patriarchi storicamente controllabili, inclusa Sara ! ; di Mosè, della comunità dell 'esodo, di giudici e profeti (fede e storia). I due ultimi vv. 39-40 fondano in un passato così pieno di fede la speranza della comunità presente in quella futura (fede e metastoria; cfr. già 1 1 , 1 3- 1 6). Eb 1 1 , 1 -40 non contiene esortazione alcuna ed è composto interamente all ' in­ dicativo e alla terza persona, ma è magistralmente incastrato in due sezioni che ri­ spettivamente lo precedono e seguono: 1 0, 1 9-39 e 1 2, 1 - 1 3 ; queste sono due esorta­ zioni, in prima e seconda persona, ali ' imperativo e al congiuntivo esortativo14• Così incastonata, la descrizione della fede ha tutto l 'affiato dell 'esortazione continua. E questa è: che si corra con perseveranza (di 'hypomones trechOmen), attrat­ ti dal pioniere e perfezionatore della fede (questo il nucleo di Eb 1 2, 1 - 1 3, una paràclesi articolata in sei momenti ben connessi). Quella corsa sia ininterrotta, fa­ cilitata dali 'esatta conoscenza del traguardo, ma non per questo meno esigente; si tratta di restare saldi di fronte alle avversità e perseverare nella fede; di accoglie­ re la pedagogia esigente di Dio che accoglie i suoi come figli. La perseveranza paziente è parte integrante di Eb 1 1 , l - 1 2, 1 3 e dell ' intera unità letteraria di Eb 1 0,32 - 1 3 , 1 7; di entrambe costituice un valore strutturale 15• Non mancano punti scottanti : il dono della discendenza è il frutto della fede del solo Abramo o anche della fede di Sara ( 1 1 , 1 1 )? E la fede è un concetto ben

12 Cfr. J. Swetnam, The Structure of Hebrews, a fresh Look. On the Occasion of a Recent Commentary, in Melita Theologica 43 ( 1 990) 42-46; ancora J. Swetnam, Hebrews 11. 1-13,24: A Suggested Structure, in Me/ifa Theo/ogica 47 ( 1 996) 27-40, che individua espressamente « the prio­ rity of content as a criterion of structure » (lbid. 28). Credo che il contenuto non possa mai essere cri­ terio prioritario di struttura letteraria; semmai, difficoltà di interpretazione possono essere sciolte da un apporto di contesto. Una struttura letteraria è sempre prioritaria. Più che Eb 1 1 , 1 (J. Swetnam, Hebrews 1 1, 1-13, 24, in Melita Theologica 47 [ 1 996] 30-32), la chiave strutturale di Eb 1 1 - 1 3 è l 'a­ nafora su pistis; quale spina dorsale, essa è d' indubbia portata strutturale. 1 3 Cfr. C. Spicq, L 'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, p. 340: esclude il valore strumentale del dativo pistei. 1 4 Rilevazione di tipo strutturale di A. Vanhoye, Discussions sur la structure de / 'épitre aux Hébreux, in Biblica 5 5 ( 1 974) 360; Id., Literarische Struktur und theo/ogische Botschaft des Hebriierbriefes (1), in SNTU 4 ( 1 979) 1 29- 1 30. La rilevazione è dato acquisito. 1 5 Ricorre, infatti, in ogni microunità semantica (Eb 1 0,32-39; I l , 1 -2; I l ,3-3 1 ; 1 1 ,32-38; 1 1 ,39-40; 1 2, 1 - 1 3 ; 1 2 , 1 4-29; 1 3 , 1 - 1 7). Se ne occupa al dettaglio D. Kim, Perseverance in Hebrews, in Skrifen Kerk 1 8 ( 1 997) 280-290.

478

Parte seconda. Traduzione e commento

definito, che mira a ottenere una persuasione per via razionale, o è una realtà che si sperimenta nella storia ( 1 1 , l )? Ed Eb 1 2,2 non potrebbe avere il movimento di un inno gesuologico-cristologico? Questioni da dirimere. Eb 1 1 , l - 1 2, 1 3 presenta una disposizione letteraria che si muove tra proto­ storia, storia e metastoria: L'avvio del/ 'argomento Ma cos'è la fede? Più che una defmizione, una descrizione La fede infonna che la creazione è opera della parola di Dio l padri antichi, pel/egrinanti verso l 'invisibile, come se lo vedessero Fede e protostoria: Abele, Enoch, Noè Sacrificio di Abele Trasferimento di Enoch La salvezza del giusto Noè Fede e storia Il tempo di Abramo, Isacco e Sara Il tempo di Mosè e Giosuè. Rahab I conquistatori, i martitri, i profeti Fede e me/astoria: una promessa migliore, il compiersi del popolo di Dio Dunque, conservare la fede. Paràclesi Appello alla perseveranza: guardare a lui Dio vi accoglie come figli Quale padre non corregge i figli? Così anche Dio: pedagogia divina Risultato: pace e santificazione

l 1, 1-3 1 1 1 -2 ' 1 1 ,3 l 1, 4-38 l 1,4- 7 1 1 ,4 1 1 ,5-6 1 1 ,7a-d l 1, 8-38 1 1 ,8-22 1 1 ,23-3 1 1 1 ,32-38 1 1, 39-40 l 2, 1-13 1 2, 1 -3 1 2,4-6 12,7-8 12,9- 1 1 1 2, 1 2- 1 3 .

[ 1 1 , 1 ] Entriamo i n medias res. Ma cos 'è la fede? « Ora l a fede è fondamen­ to delle realtà che si sperano e prova di quelle che si non vedono ». È la traduzio­ ne più diffusa, ma non è l 'unica, a riprova di quanto Eb 1 1 , l abbia occupato e continui a impegnare gli studiosi. « La fede è fondamento (hypostasis) delle cose che si sperano a prova (eleg­ chos) di quelle che non si vedono » 1 6; « realizzazione (piano oggettivo) di ciò che si spera, prova (livello oggettivo) di cose che non si vedono »17; « sostanza (pia­ no oggettivo) di cose sperate, prova (piano soggettivo) di cose (oggetti, realtà) non viste »18• Tre visioni che si muovono al solo livello oggettivo. « È infatti la fede garanzia di cose che si sperano, convinzione di quelle non viste >>; « garanzia di ciò che speriamo, nostra convinzione circa la realtà che non possiamo vedere » 19• Risalta bene il binomio hypostasis (« garanzia », piano og­ gettivo) ed elegchos (« convinzione », piano soggettivo). « È infatti la fede porre la nostra piena fiducia nelle cose che speriamo, diventare certi delle cose che 16

Così la traduzione BJ. Cfr. anche La Sacra Bibbia, Nuovo Testamento, CEI, Roma 1 997, p.

549.

1 7 Così già H. Braun, An die Hebriier, p. 337; H . W. Attridge, Lettera agli Ebrei, p. 504. 18 Così B. F. Westcott, The Epist/e to the Hebrew, p. 3 5 1 . 19 Così rispettivamente la traduzione in NRSV e in NASB. La traduzione è mia.

Il popolo della fede Eb I l, l - 12, 1 3

4 79

non possiamo vedere »; « Diventare - essere sicuri di ciò che si spera, diventare ­ essere certi di ciò che non vediamo »20; « La ferma fiducia in ciò che si spera, es­ sere convinti-persuasi di ciò che non si vede »2 1 ; « Siamo fiduciosi di ciò che spe­ riamo, siamo convinti di ciò che non vediamo »22• Se le prime traduzioni indicate privilegiano il piano oggettivo, quelle suc­ cessive propongono i binomi "fiducia - diventare fiduciosi " (piano soggettivo); "essere convinti - diventare certi " (piano soggettivo) e si muovono così al solo livello soggettivo. Eppure entrambi i binomi convergono: le traduzioni con l 'uso di « diventare sicuri, diventare certi » richiedono infatti la prova-dimostrazione come momento previo e oggettivo. È il senso di elegchos. « È infatti la fede : fer­ mezza in ciò che si spera (piano soggettivo), dimostrazione (elegchos) di cose che non si vedono (livello oggettivo) »23 ; « la realtà (hypostasis, piano oggettivo) di ciò che si spera, la convinzione (piano soggettivo reso possibile dalla prova, elegchos) di cose che non si vedono »24• Queste due proposte si muovono tra og­ gettivo e soggettivo, con il chiaro intento di trasporre il primo nel secondo. Quest'ultimo sforzo si fa particolarmente notare nelle tre proposte seguenti: « È infatti la fede: imperturbabile saldezza (hypostasis, piano soggettivo) nei be­ ni promessi e sperati (fondamento oggettivo), una oggettiva dimostrazione di realtà trascendenti (con risonanze soggettive )25; un modo di possedere già (livel­ lo soggettivo) le cose che si sperano (livello oggettivo), di conoscere già (sog­ gettivo) le cose che non si vedono (oggettivo) » (così in TIC); « La fede infatti dà sostanza-fondamento (hypostasis) alle nostre speranze (livello oggettivo/sogget­ tivo), ci rende certi (elegchos) circa la realtà che non vediamo (livello soggetti­ vo/oggettivo )26• Forse così : « Nella fede le cose sperate diventano realizzate >>27• Queste ultime tre proposte si muovono sul valore oggettivo di hypostasis ed eleg­ chos e sulla loro forza di persuasione. Tutte le versioni su indicate suppongono ed elaborano comunque la seguente: « La fede è fondamento (hypostasis)-esperienza delle realtà che si sperano e prova (elegchos) di quelle che non si vedono »28, la più vicina letteralmente al testo greco e alla Vulgata Latina. Da hypo-istemi deriva il senso di « dare sostanza a . . . », dare fondamento. Dunque, « la fede è fondamento . . . », dà fondamento, dà base. Cioè, la fede è possesso anticipato e preconoscenza certa delle realtà celesti, un assaggiare in anticipo quella conoscenza esperienziale che ci farà beati nel futuro. 2° Così la traduzione in NIV. Le due versioni sono mie. 2 1 Così la Jerusalemer Bibel. La traduzione è mia. 22 Così J. Moffatt, A Criticai and Exegetical Commentary, p . 1 58. 23 Così già A. Schlatter, Der Hebriierbriefausgelegtfiir Bibelleser, Verlag der Vereinsbuchhadlung, Stuttgart 1 892, p. 2 1 8. 24 Così A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 1 93 . 2 5 Così E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13, 25, vol. III, p . 92. L a traduzione è mia. 26 Così in New English Bible (NEB). La traduzione è mia. 2 7 Si veda R. G. Hoérber, On the Translation ofHebrews 1 1, 1 , in Concordia Journa/ 2 1 ( 1 995) 7779. Il senso di « certezza >> nella traduzione di hypostasis deve essere abbandonato, anche se ha goduto il favore di M. L utero, che ne discute in Commentariolus in Epistolam divi Pauli Apostoli ad Hebraeos, in Luthers Werke. Vorlesungen iiber Galaterbrief, Romerbriefund Hebriierbrief, pp. 226-229. 28 Così la traduzione della BJ.

480

Parte seconda. Traduzione e commento

Questa descrizione è, per non pochi esegeti, paradigmatica, una vera defini­ zione. Ma di definizione non si dovrebbe parlare29, in quanto l ' autore non espo­ ne dettagliatamente la fede come concetto, ma la propone ai suoi lettori come realtà; come tale, essa sta sfuggendo loro in un preciso momento del pellegri­ naggio terreno verso il riposo di/in Dio: egli vuole dire loro che se si disporranno a entrare nelle dinamiche della fede, la sperimenteranno anche come « fonda­ mento (esperienza) delle cose che si sperano e prova delle realtà che non si ve­ dono »30• Un aspetto soggettivo, innegabile, che ne suppone uno oggettivo. L'armonia dei due nella mente di Eh I l , l emergerà dali ' analisi che segue3 1 • Pistis. Molte le possibilità di descrizione di questo termine: designa pienez­ za della fede ( I Pt 1 ,7), fiducia (Rm 4,3), lealtà (Ap 1 3 , 1 0). Fede è anche il modo di credere (Rm 3,23) o il contenuto del credere (Rm 1 0,8). « Credere » richiede un assenso della mente (Gc 2, 1 9) e un conseguente impegno personale (Gv l , 1 2). Con la parola « fede >> si designa ancora la comunità cristiana (Gal 6, l O, « fratelli nella fede »), ma anche il corpus del pensiero cristiano che forma il deposito del­ la fede ( l Tm 6,20; 2Tm l , 1 2 . 1 4; Gd 3). Più che una definizione della fede, al v. l si ha una vivace e contestualizzata descrizione del credere, suggerita dalla si­ tuazione storica della comunità destinataria. Che nel retrofondo mentale dell 'au­ tore giochi l ' intenzione di dire al mondo giudaico che non è la legge a giustifica­ re, ma la fede e solo quella in Cristo, unico liberatore e giustificatore, potrebbe dare a Eh 1 1 , 1 -2 un valore analettico su 7, 1 9, in cui però si parla di una legge in­ capace di « portare alla perfezione », non di giustificare32• Pistis: fede-fiducia in Dio e speranza; la fede nella promessa di Dio è già speranza in lui (è il significato predominante in Eh 1 1 ) Appunto per questo i per­ sonaggi dell ' AT possono essere di esempio ai cristiani, la cui fede è ugualmente volta al futuro promesso da Dio; questi sanno, come quelli, che su questa terra non sono altro che stranieri e pellegrini (v. 1 3 ). Ciò è tanto più possibile, in quan­ to il futuro promesso ai credenti dell ' AT è identico a quello promesso ai cristiani (cfr. 1 1 ,40). Il carattere paradossale di questa fiducia piena di speranza è comune a Rm 4, 1 9 e a Eh 1 1 : credere e sperare nell ' invisibile (v. 7), ovvero in Colui che è invisibile (v. 27). Con questa sua posizione, Ebrei ripensa e riformula in proprio .

29 In E. Grasser (A n die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13,25, vol. III, p. 93) un breve resoconto. Tornrnaso d' Aquino (Super sententias Petri Lombardi, l. III, distinti o 23q.2a. I , alla fine) usa la pa­ rola « definizione » per Eb I l , I : « Definitio Apostoli includit omnes alias definitiones de fide da­ tas ». L'Aquinate vuole tuttavia dire che in I l , l ricorre la più completa formulazione sulla fede. La parola dejìnitio va dunque interpretata. Del resto, in Id., Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. II, ad Hebraeos 552, p. 457, lo stesso Tommaso parla, sì, di « definizione completa della fede, ma oscura >>. Definizione oscura? 30 Annotazione opportuna già in B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, pp. 35 1 -353: l 'or­ dinamento sintattico es tin de pistis (e non pistis de estin) mostra l ' intenzione de li ' autore, che non vuole dare una definizione formale della fede, piuttosto descriverla nelle sue caratteristiche reali. Ebrei vede la fede come realtà, non come concetto. Il gar (infatti) che segue al v. 2 ne è riprova. 3 1 Per una definizione oggettiva della fede in Eb I l , l si pronunzia P. Kasilowski, La louange de lafoi (He l /), in Bobolanum I O ( 1 999) 323-324. 32 Il suggerimento di Teodoro di Mopsuestia (In epistolam ad Hebraeos 1 1, 1-2, in PG 66,996), buono in sé. lo sembra meno se riferito a Eb 1 1 . 1 -2 .

Il popolo della fede Eb

I I, I - I2, I 3

481

le categorie del pensiero ellenistico-filoniano33: la pistis guarda alla realtà invisi­ bile e celeste, la quale non può essere colta dai sensi, ma solo creduta per fede (« Per fede comprendiamo che l 'universo è ordinato da una parola di Dio, sicché non da cose parventi provennero le cose visibili », 1 1 ,3). E la descrizione che 1 1 , 1 apre tutto il discorso abbraccia entrambi gli aspetti: « La fede è certezza di cose sperate, prova di cose che non si vedono ». Questa visione della pistis in Eb 1 1 è, da un lato, in conformità con l ' AT: « Giacché chi si accosta a Dio deve necessa­ riamente credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano )) (v. 6; cfr. 6, l ) e, dali ' altro, focalizza la rinunzia alla realtà terrena e il volgersi al mon­ do celeste (vv. 7. 1 5- 1 6.24-26; cfr. 1 2,2). Hypostasis34 si legge ancora in Eb 1 ,3 e 3 , 1 4 e già in 2Cor 9,4 e 1 1 , 1 735• Se­ condo Filone di Alessandria e altri scrittori ellenisti, hypostasis ha il senso di realtà invisibile, trascendente e realmente esistente36• Dal lato oggettivo, hypo­ stasis è la realtà fondamentale in forza della quale vengono sperati i beni futuri, per natura invisibili e trascendenti, eppure già sperimentati nel tempo presente. Dal lato soggettivo, hypostasis è sicurezza di raggiungere ciò che si spera, ma che non si vede; è fiducia incrollabile di chi vive nella certezza che l 'opera redentiva di Dio e il suo compimento futuro sono molto più importanti del mondo presen­ te: « La fede dà sostanza-sostegno alle nostre speranze )). Con la lettura soggettiva di hypostasis la fede è concepita come convinzione personale; essa è fiducia sicura e confidente, appoggio fiducioso. Entra così nel­ l ' interpretazione di Eb 1 1 , l un elemento completamente nuovo, un indubbio contributo ali ' esegesi della Chiesa antica e medievale, sospinta a guardare oltre l 'oggettività della sostanza, capìta come ousia (essenza), un senso al quale, per altro, Ebrei non poteva pensare37• L' interpretazione soggettiva ( « ferma certezza

33 Su Filone di Alessandria, ampia documentazione in R. Bultmann, pisteuo, in GLNT ( 1 975) 10,4 1 2-4 1 5. Interlocutorio e discutibile, specialmente su Eb I l (fede = obbedienza), ancora lo stes­ so R. Bultmann, pistis, in GLNT ( 1 975) 1 0,422-424. 34 Hypostasis: « Fondamento delle cose che si sperano ». È la traduzione più corrente. Essa con­ sidera la virgola dopo hypostasis e non dopo pragmaton. La traduzione suggerita sopra è dello stesso tenore, in formulazione più attendibile. Si potrebbe così chiudere una ricerca sul senso del termine, la quale ha conosciuto fasi varie. Per la storia dell ' interpretazione di hypostasis, trovo sintetico ed effi­ cace lo studio di H. Koster, hypostasis, in GLNT ( 1 984) 1 4,739-746: da sostanza a sicura fiducia; ed è in Gesù che abbiamo la sicura fiducia di vedere e sperimentare la persona di Dio, il Padre. Dunque, la fede è una realtà che fa già vedere e sperimentare ciò che è invisibile oggetto di speranza, una realtà esistente, quella di Dio già esprimibile nella vita della persona e della comunità. Questa realtà perso­ nale di Dio è sicura e sta in contrapposizione con la presunta realtà transitoria e umbratile del mondo. La formulazione di Eb l i , l è di arditezza senza pari: la fede è la realtà probante di ciò che si spera, proprio come Gesù il Figlio è charakter della realtà trascendente di Dio (Eb l ,3). 35 La tendenza a interpretare hypostasis come « fiducia » in 2Cor 9,4 non è rispettosa del con­ testo che descrive invece il progetto della colletta andato in porto e la situazione che ne è derivata per i cristiani di Acaia e per lo stesso Paolo. Il senso di progetto-programma va riconosciuto anche a 2Cor I l , 1 7 : Paolo è costretto a vantarsi a seguito della situazione che i suoi oppositori gli vanno creando. II suggerimento di H. Koster, hypostasis, in GLNT ( 1 984) 1 4,738-739 mi sembra ben mo­ tivato. In 2Cor 9,4 e I l , 7 hypostasis ha un senso oggettivo, non soggettivo. 36 Così Filone di Alessandria, Quis rerum divinarum heres sit 63,66. 37 Sul peso fortemente speculativo di ousia, cfr. L' ampia documentazione in G.W.H. Lampe, A Patristik Greek Lexicon, p. 1 458.

482

Parte seconda. Traduzione e commento

[hypostasis} - assenza di dubbio [elegchos}») ha preso piede nel mondo prote­ stante38, ha influenzato non poco quello cattolico, ha avuto serie risonanze anche oltre il mondo tedesco. Ne sono un segno vivace le traduzioni inglesi, ad esem­ pio, di cui sopra. Essa tuttavia, non va accolta a sostituzione dell 'altra. Entrambe trovano migliore formulazione come segue : la fede è la realtà presupposta di ciò che si spera. Nella fede si sperimentano come esistenti le realtà che si sperano. A esse la fede si equipara obiettivamente: non inganna. Quando quelle realtà le ve­ dremo come esse sono, prenderemo atto che l 'esperienza di fede nel tempo non è stata ingannevole39. Già in Eh 1 ,3 hypostasis ha un senso simile: Gesù è l ' impronta (charachter) visibile della persona invisibile (tes hypostaseos) di Dio. Così, in parallelo, « fe­ de » è l ' impronta visibile di cose invisibili, come Gesù è l ' impronta visibile del Dio invisibile. Si potrebbe dire anche: « La fede è la sicura realizzabilità-realizza­ zione delle cose sperate », di quelle cioè che ancora non vediamo, ma che sono già in fieri e che si realizzeranno nel tempo presente, nei tempi escatologici. Riprova: molte cose sperate si sono già realizzate proprio nella fede e lo attesta bene Eh I l nei suoi magistrali riquadri di historia salutis. Elegchos. Anche questo termine presenta due significati: oggettivo (argo­ mento, prova, dimostrazione o, meglio, strumento di conoscenza) e soggettivo (convinzione, persuasione). Si tratta della persuasione data da Dio nella fede o, meglio, acquisita sperimentando la fede, in ordine alla certezza delle realtà invi­ sibili40. Da qui « la fede è certezza di quanto speriamo, poiché è prova (concessa da Dio agli uomini) di cose invisibili »4 1 . Elegchos esprime anche persuasione ac­ quisita attraverso il confronto e la confutazione. Un invito discreto alla o alle co­ munità destinatarie a essere in grado di argomentare a sostegno della propria fe­ de. Guardino in avanti, verso il futuro di Dio già presente42. Il senso di certezza riconosciuto a elegchos come prevalente o, addirittura, esclusivo, è dunque da ridimensionare. Non si danno infatti esempi in tal sen­ so, anche se tale traduzione ha particolarmente entusiasmato Lutero e Melantone : « Fede è . . . convinzione-certezza delle cose che non si vedono ». Essa introduce un elemento in sé valido : la fede è cioè una personale compren­ sione-con vinzione-certezza. Il che è vero, ma non è tutto; può costruire un mo­ mento interpretativo della fede, ma non può essere la traduzione obiettiva ed 3 8 « Es ist aber der Glaube eine feste Zuversicht (hypostasis) auf das, was man hoffi, und ein Nichtzweifeln (e/egchos) an dem, was man nicht sieht ». Così in Die Bibel nach der Obersetzung Martin Luthers, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 1 984, e Melantone di Sardi, Corpus reforma­ torum 1 0, p. 696 su Eh 1 1 , 1 . 39 Cade qui opportuno il pensiero di Tommaso d' Aquino, Super epistolas Sane ti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. II, Ad Hebraeos 557 (fine), p. 458. L' Aquinate utilizza il termine substantia e lo spiega avvalendosi di l Cor 1 3 , 1 2 : « Fides est substantia rerum sperandarum, id est "Videmus nunc per speculum et in aenigrnate, tunc autem facie ad faciem", quasi dicat: Tunc erimus beati quando videbimus facie ad faciem illud quod nunc videmus in speculo et in aenigrnate » . 40 Cfr. F. Biichsel, elegchi5, in GLNT ( 1 967) 3,396. 41 Così F. Biichsel, e/egcho, in GLNT ( 1 967) 3,396-398 : prova, dimostrazione che suppone una indagine. 42 Non così E. Mengelle, La estructura de Hebraeos 1 1 , 1 , in Biblica 78 ( 1 997) 535.

Il popolo della fede Eb

I I. I

-

12, 13

483

esaustiva di elegchos. Si può forse dire che essendo « prova » (elegchos), la fe­ de produce convinzione e persuasione. In questo modo, il « conflitto >> tra og­ gettivo e soggettivo si riduce e diventa fecondo : la posizione esistenziale sog­ gettiva (protestante) della persuasione deve scoprire il passo previo oggettivo della « fede prova »; la posizione cattolica deve spingersi oltre il piano oggetti­ vo per scoprire che la fede « prova » intende ottenere adesione persuasa sul pia­ no soggettivo. Mi è parsa questa la chiave di volta della vertenza retrostante a tutti gli sforzi di traduzione. In elegchos sono presenti entrambi questi momen­ ti. Separarli è una diminutio capitis. Lo sforzo globale di Ebrei è persuadere a non abbandonare la fede cristiana. Già scelta con tanto entusiasmo, essa porta in sé prove abbondanti per non essere trascurata e abbandonata. In posizione paral lela, hypostasis ed elegchos hanno in sé il valore oggettivo di « fonda­ mento-prova » e mirano a produrre convinzione-certezza. Su che cosa? Su elpi­ zomenon . . . pragmaton . . . ou blepomenon. Pragma traduce in greco i termini ebraici dablir (cosa, affare, oltre che pa­ rola) ed efo$ (cosa, oggetto) e indica sempre concretezza. Ma in Ebrei il senso cresce : in 6, 1 3 . 1 7- 1 8 esso esprime l ' irrevocabilità della promessa e del giura­ mento con cui Dio si impegna a far conoscere « la speranza che ci è posta da­ vanti » onde afferrarci a essa, debellando ogni rassegnazione. Quelle due « co­ se », infatti, sono « eventi, avvenimenti » : portano in sé il compimento della salvezza, cioè il pragma che in 1 1 , l è la realtà delle cose vere ; non così la leg­ ge che ne porta in sé solo l ' ombra e la tragicità dell ' impotenza a compierle; in 1 1 , l la fede è collegata ai pragmata, alle >, vv. 1 3 e 29). Entrambe le parti contengono paralleli­ smi. In fondo, Eb 1 1 ripete in miniatura la tesi dell ' intero « trattato »: il sacrificio sacerdotale di Cristo in continuità con le promesse fatte ad Abramo. .

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Fede e protostoria: Abele, Enoch, Noè (11,4- 7). Il figlio più giovane di Adamo ed Eva, Abele53, apre al v. 4 la lista che dovrà dare credito al v. 2. L'autore deve ave­ re avuto sotto gli occhi il racconto di Gn 4, 1 - 1 6 (LXX), in cui però non si spiega per­ ché il sacrificio di Abele sia stato accetto a Dio, mentre quello di Caino sia stato da lui respinto (Gn 4,4-5); quel « perché » sembra darlo Ebrei quando dice che il sacrificio di Abele « è più grande, è migliore » (pleiona) di quello di Caino. In verità, il sacrifi­ cio dei primogeniti del gregge, da parte di Abele, è segnalato come « sacrificio » (thy­ sian, v. 4; in ebraico, min/J.a). Il racconto dell ' AT non indica nella fede di Abele il mo­ tivo che rende il suo sacrificio più gradito a Dio, ma nell 'equità del suo agire, desunta dali ' empietà di Caino, alla porta del cui cuore l ' insidia del male si è accovacciata (Gn 4, 7). Del resto, sembra essere questo uno stile di Ebrei, dal momento che anche in 7, 1 3 fornisce un dettagliato profilo su Melchisedek, nonostante gli agganci pressoché inesistenti con Gn 1 4, 1 7-20. Sia nel caso di Abele sia in quello di Melchisedek tutto lascia intendere che l 'autore si muova più sul piano ermeneutico che su quello della storia delle tradizioni. Indagare nella qualità e/o nella quantità dell 'offerta di Abele, migliore54 rispetto a quella di Caino, è del tutto estraneo agli interessi di Ebrei55• 5 2 Ne parla anche Filone di Alessandria, De confusione linguarum 1 7 1 - 1 72; De opificio mun­ di 1 6. Si veda, inoltre, Giuseppe e Asenet 1 2,2 (giudaismo ellenistico intertestamentario ). 53 Si legga Gn 4,2 (TM), hebel: alito, parvenza, nullità. Cfr. K. Seybold, hebel, in TWAT ( 1 977) 2,334-343 . Come a dire, forse, la debolezza di fronte alla violenza? 54 Abele offri pleiona thysian, un sacrificio migliore, più grande, più generoso, dove pleiona non necessita di correzione in hediona, più gradito, di migliore odore, anche se Giustino (Dialogus cum Tryphone Judaeo 29) e G. Flavio (Antichità giudaiche 1 ,54) usano hedion per descrivere la bontà del sacrificio di Abele. Quella correzione è testualmente immotivata. Cfr. anche H. Braun, An die Hebriier, p. 344. Dunque, sacrificio migliore non perché « più grande » (pleiona) o « più gradevole » (hediona), ma perché offerto « nella fede » (pistei). 55 Ampia documentazione giudaico-rabbinica e giudaico-ellenista in K.G. Kuhn, Abel-Kain, in GLNT ( 1 965) 1 , 1 9-24. Cfr. qui la nota seguente.

Il popolo della fede Eb 1 1 , l - 12, 1 3

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Per l ' autore ha valore prevalente il fatto che Dio ha accolto benevolmente l ' offerta di Abele (Gn 4,4). Tale accoglienza trova una sola spiegazione: l ' im­ menzionata fede di Abele. Senza di essa è impossibile piacere a Dio (Eb 1 1 ,6; già 1 0,38). Inoltre, avvicinarsi a Dio con un 'offerta è avvicinarsi a uno che non si ve­ de, ma come se lo si vedesse ( 1 1 ,27); è sperare nella sua accondiscendenza e nel­ la sua misericordia; è avere fiducia che per coloro che lo cercano Dio stesso sarà un giusto retributore. La descrizione del comportamento di Abele è molto vicina a quella della fede in I l , l . [v. 4] Eb I l ,4 imbocca una strada tutta propria, introducendo l ' opposizione tra pistoi e apistoi, Abele e Caino rispettivamente annoverati tra i testimoni e i non testimoni della fede. È per la sua fede (nell ' invisibile), è perché sospinto da essa (pistei, dativo modale e causale) che Dio si compiace del sacrificio di Abele e gli conferma che egli è giusto. Ed è per fede che Abele si appella tuttora (eti) al­ la giustizia di Dio, la sola che potrà rendergli soddisfazione piena per la sua mor­ te innocente (cfr. Ap 6,9- 1 1 ). È per questa sua fede che Eb 1 2,24 vede nel sangue di Abele la prefigurazione del sangue di Gesù: haima rhantismou, sangue dell 'a­ spersione, che esige, con grido più forte di quello di Abele, il pieno riconosci­ mento della sua innocenza e della sua efficacia. Ma la prefigurazione è claudi­ cante. Se infatti il sangue di Abele chiede giustizia e vendetta, quello di Cristo dona giustizia, pace e riconciliazione. Non si tratta di vendicare Abele (Gn 4, 1 0; Ap 6, 9- 1 1 ), piuttosto di provocare altri a scegliere lo stile di Abele, rigettando la violenza fratricida. Per Ebrei, l ' esempio di Abele serve a condurre i suoi lettori alla fede in Cristo e ali ' altare del suo sacrificio di pace e riconciliazione. Eb 1 1 ,4 dunque non mostra attenzione alla tradizione giudaico-rabbinica e giudaico-elle­ nista56, ma neppure a quella neotestamentaria57. Per la sua fede Abele « ricevette la testimonianza » (emartyrethe) da Dio, l 'attestato del suo gradimento: Dio accetta la sua offerta e gliela computa a giu­ stizia. Abele è dunque giusto (dikaios, Eb 1 0,38) di fronte a Dio, avendogli egli stesso attestato di avere gradito il suo dono. È il senso del genitivo assoluto marty­ rountos . . . tou theou, esplicativo di « fu dichiarato giusto >>. Che Abele sia giusto 56 Che Abele sia il giusto e Caino l 'empio è già possibile intuir!o in base al dualismo predominante nel tardo giudaismo, che divideva gli uomini in $addfqfm e r'sii 'fm, cioè in dikaioi e poneroi, dunque in giusti ed empi. Per Tanhuma (S. Buber, 1 885) blq 16, 1 40- 1 4 1 Abele è il secondo di sette giusti (da Adamo a Mosè) che hanno potuto costruire a Dio un altare a lui gradito; per Filone di Alessandria, De sacrificiis Abelis et Caini 14, Abele è la virtù (arete), perché vero (alethes) nelle sue cose, mentre Caino è il male (kakia) . Una soluzione di tipo etico stoico. Per Genesi Rabba 22a su Gn 4,3 Caino offriva i frut­ ti della terra, cioè offerte di poco pregio. Abele invece sacrificava in modo diverso, annota Filone di Alessandria, De sacrificiis Abelis et Caini 88. Per il Targum palestinese Neofìti I ([A. Diez Macho, ed.], Consejo Superior de Investigaciones Cientificas, Madrid 1 968, p. 22}, Gn 4,8, il sacrificio di Abele è più gradito a Dio, perché i frutti delle sue azioni sono di qualità superiore. Un salto etico. Ma, come già os­ servato, di tutta questa storia delle tradizioni l 'autore di Ebrei non tiene conto. 57 Per Mt 23,35 e parr., infatti, Abele e Caino sono rispettivamente giusto il primo ed empio il secondo, a motivo delle loro opere giuste e ingiuste; anche Gd v. I l valuta i falsi dottori come com­ pagni di strada di Caino. Per I Gv 3 , 1 2 il motivo della benevolenza di Dio verso Abele va cercato nella giustizia di lui, in sintonia con Eb I 0,38, dove è precisato che i giusti vivono di fede. Caino pro­ viene dal male (ek tou ponerou) . Nelle opere rispettivamente buone e cattive dei due si manifesta il loro profilo, la loro natura. Anche di tutto questo nessuna traccia in Eb I l ,4.

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Parte seconda. Traduzione e commento

lo attesta infine il fatto che egli, pur essendo morto (apothanon) , « parla ancora » (eti lalei). Grazie alla sua fede, Abele è sopravvissuto alla morte, nel senso che Dio ascolta i suoi giusti, anche se essi sono morti, anzi proprio dopo la morte, perché essi sono con lui. E la voce di Abele è quella del sangue : lo si deduce da 1 2,24, in cui il sangue della riconciliazione, effuso da Gesù Cristo, parla in mo­ do più eloquente del sangue di Abele. Questi diventa così tipo di Cristo in quan­ to prefigura nella sua qualità di offerente vittima. E continuerà a parlare fino al compiersi della storia. Perché gli si faccia giustizia? (cfr. Genesi Rabba 22, 1 5b)58• O per farsi giustizia da solo (cfr. Testamento di Abramo 1 1 , 1 2), quasi una vendetta?59• Non è quanto Ebrei pensa, nel momento in cui sceglie lalei e non la forma media laleitai. Quest'ultima avrebbe presentato un Abele a colloquio con se stesso, alla ricerca di un regolamento di conti. Più attendibile è invece: « Abele parla ancora », in quanto la memoria di lui è ormai fissata nella Scrittura sacra, la quale parla nel tempo e oltre il tempo. In ogni caso i destinatari di Ebrei, tanto titubanti nella fede, sappiano che « Abele parla ancora » proprio per la forza della sua fede salda, vincitrice della morte. Questa paràclesi è nella mente dell ' autore. La morte non riduce al silen­ zio coloro che le sopravvivono in una fede eloquente. [v. 5] Ascensione-trasferimento di Enoch. Come già di Elia (2Re 2, 1 1 ), an­ che di Enoch, figlio di Caino (Gn 4, 1 7), la saga racconta che egli « camminò con Dio e non fu più trovato, perché Dio lo aveva preso » (hoti meteken auton ho theos, Gn 5,24, LXX). Enoch è scomparso, sottratto al tempo e allo spazio, cosa che ha sollevato una non sana curiosità sul come questo fosse accaduto e sul do­ ve Enoch fosse approdato. L'enigmatica citazione di Gn 5,24 (LXX), invece, fa di Enoch uno che ha adempiuto il progetto di Dio, come è scritto in Mie 6,8: « Cammina umilmente con il tuo Dio », nella giustizia e nella pietà, nel riverente timore di lui, e pratica il bene che egli ti ha insegnato; questo egli gradisce per la riparazione delle colpe e non le miriadi di olocausti (Mie 6,6-7). Con « essere stato gradito a Dio » (euarestekenai ti) theij, v. 5b da Gn 5,24, LXX; 5,22a.24, TM), la versione dei LXX rende al perfetto la forma ebraica jithallek (hitqattel), causativo passivo dell ' hifil, causativo attivo. Se ne ottiene il senso seguente: Enoch è ora in diretto contatto con Dio, ne conosce bene i pro­ getti. Primi accenni di una tradizione apocalittica che troverà ampia risonanza nella letteratura omonima60• Con Sir 44, 1 6 e 49, 1 4 si ha un passo in avanti : Enoch è esempio di conver­ sione al vero Dio, di revisione di vita e di adesione a Dio nella fede, una via trac­ ciata per le future generazioni, intanto per i destinatari di Ebrei. Questa posizione del Siracide si coordina bene con la successione dei vv. 5-6 in Eb 1 1 , specialmen­ te attraverso la formula del v. 6: « Senza la fede è impossibile )) . In essa, infatti, si intravede già una tradizione della metanoia, che collega appunto i due versi. Per 5& Cfr. KNTTM.SB, vol. III, p. 403 . 59 Sembra accennarvi anche Giovanni Crisostomo (Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 22, in PG 63, 1 56), che tuttavia propone molteplici altre motivazioni. 60 Così già C. Westermann, Genesi, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1 995 2 , p. 485.

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questo Dio attira a sé Enoch nella pienezza di una vita che non conosce la morte. Il motivo di tanta simpatia e amicizia da parte di Dio per Enoch, come già per Abele, è infine da ricercare nella giustizia di Enoch (Mie 6,8): il pellegrino idea­ le che va verso Dio e cammina con Dio (ideale del pellegrino). Dovrebbe essere il senso del suo nome, qualora dovesse provenire dal cananeo hanaku61 • I più am­ pi riferimenti in Sap 4, l 0- 1 1 , ancor più ampi in l Enoch e Filone62, anche se noti all 'autore, non sono presi in considerazione. Egli preferisce seguire l 'essenzialità di Go 5,24 (LXX): Enoch è già hypodeigma pisteos. « In modo da non vedere la morte » è il forte messaggio finale che Ebrei affi­ da a una proposizione all ' infinito sostantivato: la fede ha il potere di sottrarre al do­ minio della morte. E lo fa variando la fonte della LXX : da « Dio lo ha trasferito una volta per sempre » (metheken, perfetto attivo) in « È stato trasferito da un luogo (ter­ ra) all 'altro (cielo = Dio) » (metetethe, aoristo passivo), e attribuisce questo fatto al­ la fede. La tradizione biblica e quella protogiudaica non conoscono questo tema. Enoch attesta l ' inviolabilità e l ' indistruttibilità di coloro che sono credenti nel sen­ so di Eb 1 1 , l . Difficile poter ritenere che l 'autore intenda riabilitare la figura di Enoch, valutata piuttosto negativamente presso il giudaismo rabbinico63• È tuttavia un dato di fatto che la valutazione positiva di Ebrei prende le distanze da quella giu­ daico-rabbinica. « Non vedere la morte » è un motivo frequente nella Bibbia: Sal 1 5 , 1 0; 88,49; Le 2,26; At 2,27. A conferma della tradizione della metanoia, su ac­ cennata, giunge il compiacimento di Dio nei confronti di Enoch, « prima del suo trasferimento )), cioè essendo ancora vivente sulla terra. Allo scopo, Ebrei si avva­ le della tipica forma passiva con cui la Bibbia esprime un intervento diretto di Dio: il passivo memartyretai (« ricevette la testimonianza ))). Dio stesso testimonia in fa­ vore di Enoch, esprimendo così il proprio compiacimento. [v. 6] Con una interruzione della lista dei campioni nella fede, Enoch e an­ cora prima Abele, l 'autore si appresta a dimostrare che senza la fede, da appaia­ re strettamente alla giustizia, nessuno può piacere a Dio64: un insegnamento bi­ blico generale sulla salvezza. Su di esso non si vuole né si può discutere; si tratta infatti di un valore fondamentale sul quale non si dà compromesso di sorta. La forza dell ' argomentazione è in adynaton, un vocabolario caratteristico in Ebrei (cfr. 6,4. 1 8; l 0,4: « Senza fede, però è impossibile essere graditi a Dio ))). Ed ec­ co la motivazione fondante : « Chi infatti si accosta a Dio, deve credere che . . . )) (pisteusai gar def), formulazione che esprime la persuasione sull ' imprescindibi­ lità della fede e ne imposta subito l ' argomentazione. Al v. 6b troviamo infatti due 61 Cfr. E. Grli.sser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13, 25, vol. III, p. 1 1 2, nota 28. 62 Cfr. rispettivamente 1Enoch 70, 1 -4; Filone di Alessandria, De mutatione nominum 34 e De A brahamo 1 7. 63 Cfr. Genesi Rabba 25 ( l 6b) su Gn 5,24: Enoch non appartiene ai giusti, ma ai senza Dio. Questa pesante valutazione è tardiva, di epoca sinagogale postcristiana, motivata forse dal fatto che i cristiani celebravano in Enoch il prototipo del Cristo esaltato. Un simile prototipo andava dequali­ ficato. Cfr. KNTTM.SB, vol. III, pp. 744-745 . 64 « Sine fide impossibile piacere Deo ». L'autore non pensa certo alla fede non avuta. Alla mancanza di questa sopperisce la buona coscienza (Rm 2, 1 4- 1 5). Ebrei pensa alla fede non avuta e respinta. Questo comportamento è da apostata. Senza l 'adesione a Dio nella fede è impossibile es­ sergli graditi.

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condizioni poste in parallelo con i due aspetti della fede citati al v. l : la fede cre­ de che Dio esiste, è cioè convinta dell ' esistenza dell ' invisibile; la fede crede che Dio ricompensa, cioè è fondamento e fonda la speranza. Questi due elementi so­ no parte integrante dell ' insegnamento elementare sulla fede in Dio (pistis epi theon) già previsto in 6, l . Per coloro che cercano Dio, come Enoch, dunque la ri­ compensa è accostamento a lui e sequela. Il riferimento a Enoch (Gn 5,22-24) è voluto dal contesto che precede: questi è piaciuto a Dio, forse perché gli offre in­ censo65, azione sacerdotale che ne esprime la perfezione morale e l 'alto gradi­ mento ai suoi occhi. Piacere a Dio nella fede in lui: ecco quanto è richiesto a chi gli si vuole accostare66• « . . . Deve credere >> (dei) rimanda a Eb 2, 1 (dei) e a 9,26 (edei) e descrive una necessità insita nella struttura delle cose, quindi di ordine logico, da capire, di cui appropriarsi e persuadersi, non di ordine giuridico, quasi una prescrizione. Il ri­ chiamo al dover credere che Dio esiste rimanda a quella parte della comunità de­ stinataria dello scritto, di eventuale provenienza etnica, sospinta a tornare alla proprie pratiche religiose pagane. A questi credenti titubanti è ricordato, con il dei, che vi è comunque un « Dio >> necessario, un anagke-theos, che governa il mondo e ne presiede l 'andamento. Per cristiani di provenienza giudaica, quel « Dio >> è già ben profilato: egli è, almeno, il Dio di Abele e di Enoch. Con dei Ebrei richiama un valore che gli è esclusivo: accedere a Dio (proser­ chomenon tij [ma l ' articolo è assente in molti manoscritti] theij) nella relazione cul­ tuale (patto pasquale), alla quale il verbo proserchomai rimanda di frequente: Eb 4, 1 6; 7,25; 1 0, 1 .22; 1 2, 1 8, è entrare nel suo riposo. Credere « che esiste un Dio >> (hoti estin), facendo cadere l 'articolo, o il Dio unico e personale, considerando in­ vece l 'articolo to (cfr. Sap 1 3 , l ), indica comunque nella sua esistenza una realtà di fatto, ma invisibile per sua natura, un pragma ou blepomenon di cui già in 1 1 , 1 67• Le due condizioni (credere nel Dio unico, personale e invisibile e alla sua « provvidenza rimuneratrice, fondamento della felicità sperata >>68 per chi lo cer­ ca, ekzetousin) sono non l 'espressione del minimo della fede, ma solo il presup­ posto elementare. Ora si tratta di continuare a cercare e costruirne l ' esperienza. La prima condizione è rivolta al mondo greco al quale propone il contenuto : Dio esiste, non un dio qualunque, ma il Dio della Bibbia, della rivelazione definitiva. La seconda parla il linguaggio giudaico della fede- 'emuna: credere nel Dio che si autorivela, avere fiducia ferma della sua giusta ricompensa, nella sua perfetta bontà, nel suo sostegno al momento della prova, in vista di un mondo migliore69. 65 Così in Libro dei giubilei 4,23-26, attendibile Vor/age di Eb 1 1 ,6. 66 Analisi Iessicografica di proserchomai in Eb I l ,6 in J .M. Scholer, Proleptic Priests. Priesthood in the Epistle to the Hebrews, pp. 1 3 1 - 1 33 . 67 Sono i n questa direzione G v l , 1 8; Rm l ,20; Col I , 1 5 ; I Tm l , 1 7; 6 , 1 6. 68 Formulazione felice della BJ. Dio deve dare cioè una giusta ricompensa a chi si è sforzato di cercarlo. Ampia sintonia con il NT (Mt 5, 1 2; 6,4.6. 1 8; 1 0,4 1 ; 1 6, 1 7; 20, 1 - 1 6; 25,3 1 -46; Le 6,35; 1 4, 1 4; Rm 2,6; l Cor 3,8. 1 4; 2Cor 5 , 1 0; Ef6,8; 2Tm 4,8. 14; l Pt 1 , 1 7; 2Gv 8; Ap 2,23; 1 1 , 1 8; 1 4, 1 3 ; 20, 1 2- 1 3 ; 22, 1 2). 69 Così P. Birnbaum, emunah, in Encyc/opedia of Jewish Concepts, Hebrew Publishing Company, New York 1 988, pp. 4 1 -43. Ebrei ha precisa conoscenza dei tre elementi della fede giu­ daica: credere in Dio, nella sua rivelazione, nella sua ricompensa.

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Entrambi gli aspetti sospingono la comunità incerta a cercare quel Dio di cui stanno invece dubitando. E non si tratta di una ricerca sul piano filosofico, molto più dell ' impegno a porsi a sua disposizione, nel suo sevizio (Eb 1 2,28); è questo a essere ricompensato (Eb 2,2; 1 0,35; 1 1 ,26). La sua ricompensa è un dono di grazia, ma anche frutto di operosità nella fede. La creatura umana ne è capace, ora che gli è stato aperto l ' accesso al trono del Dio ( 1 0,35) rimuneratore, annota Ebrei con un termine che gli è proprio: mistapodotes70• Il modo migliore per co­ noscerlo e trovarlo è accostarsi a lui: nell 'assemblea. [v. 7] Ed ecco il terzo colosso nella fede : Noè, la persona principale nel rac­ conto sul diluvio universale (Gn 6,5 - 8,22); egli è anche il capostipite dell 'uma­ nità postdiluviale, attraverso i suoi tre figli Sem, Cam e Jafet (Gn l O, l ). Il suo no­ me Noal) (Gn 5,29) esprime riposo e consolazione. Con lui si chiude in Eb 1 1 ,4-7 la rivelazione della fede nell ' invisibile, in epoca preistorica, nella triade Abele, Enoch, Noach. L'AT si occupa di Noè, giusto e integro, operatore di riconciliazione7 1 • Noè è conosciuto a Qumran 72 ed è noto al giudaismo ellenistico come giusto e amato da Dio73, da lui « avvertito » (chrematistheis) circa l ' invisibile74• Il NT conosce più di un riferimento a Noè75• Per Eb 1 1 ,7 Noè è « erede del­ la giustizia » (kleronomos . . . dikaiosynesj16• Novità assoluta rispetto a tutta la do­ cumentazione precedente : Noè costruisce (kateskeuasen) un 'arca a salvezza del­ la propria famiglia (v.7b)77; condanna il mondo perché senza Dio e diviene erede della giustizia. Tutto questo per fede (pistei) . Il verbo kateskeuazein richiama la costruzione delle navi78• L'arca dovrebbe essere in quello stile, secondo le misu­ re segnalate in Gn 6, 1 5 : lunghezza 1 30- 1 50 metri; larghezza 22 metri ca. ; altez­ za 1 2 metri . Invece, kibotos (Gn 6,4) indica non più di un cassone. Eb 9, 1 4 tutta­ via se ne avvale per indicare l ' arca dell ' alleanza (tes diathekes), come a dire che l 'alleanza è più grande dell 'arca. La finalità (« a salvezza della sua famiglia ») restringe Gn 6, 1 9-20; 7 ,2-3 ; 89; 8, 1 . 1 7 . 1 9, dove è espressa la richiesta di salvare nell 'arca anche gli animali. 70 Lo si riscontra ancora in Paralipomena Jeremiou 6,2 e in A tti di Tommaso 1 42. 7 1 Cfr. Gn 6,8-9; 7, 1 ; Ez 1 4, 1 4.20; Tob 4, 1 2 e Sir 44, 1 7. Cfr. Anche JQGnAp 6,6- 1 2 . 72 Cfr. i n J QGnAp 6,2-5 (Lamech racconta l a storia della nascita d i Noè); i n lQGnAp 6,6- 1 2 (Noè stesso racconta l a propria storia: egli ha sempre amato l a verità e , dopo i l diluvio, ha compiu­ to il rito espiatorio per tutta la terra e ha bruciato incenso sull 'altare. Operò cioè per la riconcilia­ zione: Sir 44, 1 7); in l QGnAp 6, 1 6 (Noè ripartisce popoli e regioni ai propri figli, dopo il diluvio). Ma il motivo di Noè giusto è assente. 73 Così Filone di Alessandria, Quod deterius l 05 (Noè il giusto, dikaios); De posteritate Caini 48 (Lamech, padre del giusto, dikaiou, Noè); G. Flavio, Antichità giudaiche 1 ,74-75 e ancora fino a l ,95 (dettagliato racconto del diluvio e di Noè, amato da Dio a motivo della sua giustizia). l Enoch 65, 1 - 1 2 conosce bene Noè e la sua vicenda in un frammento autonomo e certamente precristiano. 74 Chrematistheis appartiene al linguaggio oracolare dell 'AT: evoca Dio che comunica attra­ verso oracoli e sogni, fatto accolto come tale dal giudaismo ellenistico. Esamina la questione B. Heininger, Hebr l l, 7 und das Henochorakel am Ende der We/t, in NTS 44 ( 1 998) 1 1 5- 1 32. 75 Cfr. M t 24,37.38; Le 3,36; 1 7, 26-27; l Pt 3,20-2 1 ; 2Pt 2,5. 76 Ma non mancano valutazioni negative su Noè. Le segnala C. Rose, Die Wolke der Zeugen, pp. 1 94- 1 96. 77 Oikos nel senso di famiglia ricorre anche in Le 1 9,9; Tt l , l l . 7 8 Cfr. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 1 .92,2; l Mac 1 5,3.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Ebrei tace al riguardo e seleziona la fonte ai propri scopi (come già più volte no­ tato), seguendo solo Gn 7, l (LXX): « Entra nell ' arca, tu e la tua famiglia (pds ho oikos sou, Gn 47, 1 2) ». Tale ingresso è « salvezza » (soteria). L'autore insegue una ben altra gerarchia di valori e richiama l 'attenzione su tre elementi : l ) « Avvertito, istruito divinamente », spiega che Noè agisce a seguito di un' ispirazione che viene da Dio (passivo divino, chrematistheis; cfr. 8,5; 1 2,25), il quale gli fa vedere in una realtà visibile, il diluvio, una realtà più grande e non ancora visibile: il battesimo, precisa l Pt 3 ,20-2 1 . Noè spera in ciò che ancora non vede. Qui è il peso esemplare della sua fede; il suo comportamento in Eb 1 1 ,7 è conforme a 1 1 , 1 . 2) « Costruì un 'arca con religiosa riverenza (eulabetheis) » : Noè si attiene al­ le indicazioni di Dio e la sua fede si profila come atto obbedienziale. In tal modo, egli diventa giudice di un mondo disobbediente, di un' umanità che si è allonta­ nata dal progetto primordiale del suo Creatore, subendo la condanna correttrice del diluvio. Una haggada rabbinica presenta Noè come araldo di Dio che prean­ nunzia al mondo il suo giudizio (katakrima)19• 3) Noè « divenne erede della giustizia secondo la fede », avendo operato (co­ struendo l 'arca) sospinto dalla fede in ciò che ancora non vedeva. La formula­ zione kata pistin, e non ek pisteos, dice bene che Eb 1 1 ,7 non è interessato al di­ battito « paolino » sulla giustificazione80. Noè è annoverato da Dio fra i suoi giusti a motivo della sua fede obbedienziale e operativa nell ' invisibile, non a mo­ tivo della sua sola fede. Il messaggio ai destinatari è chiaro: chi vuole ottenere salvezza e giustizia deve operare nel progetto di Dio con fede obbedienziale ope­ rativa, con lo sguardo pieno di speranza fisso su ciò che ancora non si vede. Qui è il valore esemplare della fede di Noè: egli costruisce l 'arca a norma di fede e salva se stesso e la sua famiglia dal diluvio, cioè dal giudizio finale di Dio, una realtà ancora invisibile, ma da lui già vissuta nella fede (così Le 1 7,26-27; Mt 24,3 7-39). l Pt 3 ,20-2 1 annota un elemento in più rispetto a Eb 1 1 ,7: Noè è banditore di giustizia (2Pt 2,5) in quanto crede in un battesimo purificatore che ancora non ve­ de, un battesimo di riconciliazione, con allusione a Sir 44, 1 7 : giusto e perfetto, Noè fu riconciliazione. E in lui Dio stabilì « alleanze eterne )), continua Sir 44, 1 7b, cui però Ebrei non fa riferimento alcuno. Abele, Enoch, Noè in Eb 1 1 ,4-7 prefigurerebbero realtà cristiane? Abele (v. 4) simboleggerebbe Cristo e il suo sacri ficio; Enoch ( vv. 5-6) prefigurerebbe Maria e la sua assunzione; Noè (v. 7) richiamerebbe Cristo, che fonda la Chiesa, simboleggiata dall 'arca. Se il tutto è di discutibile gusto scientifico, il suggeri­ mento interpretativo su Enoch e la relativa implicita mariologia sono anche sin­ golari81 . Abele, Enoch e Noè, tre eroi che hanno sperato e creduto nella promes­ sa di realtà non ancora visibili. Essi sono ora esempi di una fede proiettata nel 79 Si tratta del Libro dei giubilei 7,20-2 1 .23.25. Cfr. C. Rose, Die Wo/ke der Zeugen, pp. 1 97- 1 99. 8° Cfr. E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13, 25, vol. III, p. 1 1 9. 81 La proposta è di J. Swetnam; Hebrews l l. An lnterpretation, in Me/ita Theologica 4 1 ( 1 990) 98-99.

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futuro, nell ' eschaton: Abele soccombe a una morte violenta, eppure « parla an­ cora »; Enoch ha camminato con Dio ed è stato sottratto alla morte; Noè ha rea­ lizzato il progetto di Dio di costruire un 'arca ed è sopravvissuto. Chi crede atten­ de che la salvezza (soteria) promessa da Dio si compia. Essa non è ancora posseduta dal credente ( 1 1 , 1 3 .39). Se in 1 0,38 Dio promette al giusto che egli vi­ vrà di fede, Abele Enoch e Noè attestano con la loro fede che tale promessa è at­ tendibile. Se da un lato le promesse di Dio attirano, dali 'altro costringono ali 'at­ tesa. A che vale dunque dubitare e tentennare, se comunque si compiranno? Nel « frattempo », osservare e meditare « tra il già e il non-ancora ».

Fede e storia: Abramo, Sara e !sacco (11,8-22) . Essi riscuotono specifica at­ tenzione in 1 1 ,8-22, la più consistente unità letteraria in 1 1 , 1 -40. Questa è artico­ lata attorno alla persona di « Abramo il patriarca » (7 ,4 ), al tema ben preciso della fede sua e dei patriarchi, al ruolo efficace della fede di Sara al v. I l , alla discen­ denza in Isacco, il figlio della promessa (vv. 1 7- 1 8). Tale unità è riconoscibile an­ che attraverso le 7 volte in cui ricorre la parola pistei ( l i ,8.9. 1 1 . 1 7.20.2 1 .22) con evidente funzione anaforica. Nel suo insieme Eh I l , 1 8-22 si compone delle seguenti microunità: Abramo, chiamato, parte per l ' ignoto ( 1 1 ,8) ed è straniero in terra straniera (vv. 9- 1 O); Abramo e Sara, nella loro fede ricevono il dono della discendenza (vv. 1 1 - 1 2). Con kata pistin al v. 1 3 l ' autore cambia stile, opera come una interruzione e introduce in 1 1 , 1 3- 1 6 il motivo di « una patria migliore »: i patriarchi, stranieri, ne sono alla ricerca, mossi dalla fede (vv. 1 3- 1 6). Ebrei ritorna su Abramo, sul sacrificio di Isacco e sulla di­ scendenza (vv. 1 7- 1 9) e chiude con la benedizione dei patriarchi morenti (vv. 20-22). Abramo e Sara (l 1 , 8- 1 2), entrambi avanti negli anni, e Sara afflitta dalla ste­ rilità; in entrambi la fede opera l ' impossibile, una discendenza feconda e incom­ mensurabile. I vv. 8- 1 2 sono considerati nel NT fra i più nobili. Energia trainante nella fede in AT (Gn 1 2, 1 .4; 1 5, 1 ; 23 ,4; Sir 44,2 1 ), Abramo è visto come tale an­ che nel NT (Rm 4, 1 8-22 e Gal 3 , 1 - 1 8 ; Gv 8,30-59). Quanto ad At 7,2-5 ed Eh 1 1 , i due autori mostrano di conoscere una tradizione comune sul personaggio82• Da pioniere e prototipo nel pellegrinaggio della fede, egli ha esplorato una terra igno­ ta e puntato lo sguardo verso una (non la) città santa83• Va da sé che attorno alla sua persona l 'autore abbia focalizzato potenti immagini e incisivi messaggi. Nella fede Abramo ha viaggiato verso l ' insicuro, certo solo della promessa di Dio circa un'eredità, una terra, un popolo, una nazione. Israele ha compreso la promessa di Dio come implicante la « terra santa » e una nazione terrena. Nel corso delle gene­ razioni, tuttavia, questa promessa è stata sempre più proiettata nel futuro, lavoro, questo, svolto già dai profeti de Il ' esilio84• La promessa di una « eredità » fu sem-

82 Un approfondimento sulla questione in K. Berger, Abraham. II: /m Friihjudentum und Neuen Testament, in TRE ( 1 977) 1 ,372-382. 8 3 La vicenda di Abramo è nota anche a Qumran (cfr. l QGnAp 6, 1 9). 84 Si pensi a Is 62-66. I l profeta, il Terzo Isaia, descrive la nuova Gerusalemme, dopo l 'esilio e la distruzione. La ricchezza delle immagini usate dà fondamento all ' interpretazione escatologica della promessa.

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pre più spiritualizzata. Lo stesso messaggio di Gesù di Nazareth è da comprende­ re in continuazione con la promessa di una eredità: egli promise non una terra, ma il regno di Dio e ha chiamato in vita non una nazione, ma un popolo-assemblea­ chiesa (qiihii/-synagoge-ekklesia) da tutte le genti e nazioni. Abramo e Sara sono forze trainanti esemplari per la cristianità, popolo di Dio pellegrinante nella fede, Chiesa in ascolto « obbediente », disponibile alla chiamata, verso una mèta che non conosce né vede, ma di cui è certa nella fede. Il patriarca ha soggiornato nella terra della promessa, ma come su suolo stranie­ ro, senza mai prenderne possesso. Quella terra apparteneva di fatto ad altri (Sal 79,9)85 e il luogo era duro e ostile. Questo paradosso ha continuato ad affliggere la terra d'Israele attraverso i secoli, fino a oggi. Così è anche per la Chiesa di Gesù Cristo : popolo di Dio nel mondo, essa è estranea al mondo e il mondo le è estraneo; quest'ultimo, anzi, le è spesso duro e ostile. Eppure, non può sottrarsi al dialogo con esso. [v. 8] Abramo: chiamato, parte per l 'ignoto. Sarebbe stato davvero problema­ tico spiegare l 'assenza di Abramo, guida nella fede, in Eh 1 1 . In verità, l 'autore vi ha già fatto riferimento in 6,3- 1 5 e riprende qui il caso ampiamente. Esempio di fi­ ducia piena di speranza e di abbandono incondizionato nelle promesse di Dio ( 1 1 ,7. 1 9.25 .27), Abramo è il giusto per eccellenza, un sostegno di alta qualità per la comunità giudeocristiana aggredita dal torpore della pigrizia e dalle minacce di una politica esterna non favorevole. Egli ha infatti seguito a ogni costo la chiamata di Dio, è vissuto da giusto di fronte a lui in tutti i giorni della sua vita (Libro dei giu­ bilei 23, 1 0; ancora 2Baruch 57,2; bJoma ' 28b)86. Punto di riferimento per Ebrei non è tanto Gn 1 5,6 (LXX), dove viene atte­ stata espressamente la fede di Abramo, piuttosto Gn 1 2, 1 .4 (LXX), dove si ha il racconto della chiamata. Questa è da parte di Dio, come vuole il passivo divino kaloumenos. Ed è proprio quel passivo a dare peso al verbo kaleo. La risposta di Abramo è pronta: ascolta ed esegue (hypekousen exelthein), si mise in movimen­ to; l ' infinito exelthein fornisce appunto il contenuto della chiamata. Abramo adempie in concreto ciò che Dio gli richiede. Questa « fede in opere » gli è ascrit­ ta a giustizia (Libro dei giubilei 23, l Oa; e già Eh 6, 1 3 - 1 587). Egli infatti si pone in movimento verso una situazione nuova, del tutto sconosciuta, quindi solo spera­ ta. Non chiede di conoscere in anticipo « dove » recarsi. Il suo è un abbandono pieno di fiducia alla chiamata di Dio ed è rinunzia a tutte le sicurezze terrene: per la fede, nella fede e in forza della fede (pistei), ascolta, esegue, lascia la propria

8 5 Si tratta di Canaan e dei cananei. Gli attestati archeologici di tale presenza preisraelitica so­ no molteplici e risalgono fino al 3000 a.C. Segnalo località cananee, le più note, presenti oggi sul ter­ ritorio del nuovo Stato di Israele: Bet sean, Megiddo, Gezer, Ai e Bete!, Hazor, Tirnna. Dice il Sal 79,9: « Hai divelto una vigna dali ' Egitto, per trapiantarla hai espulso i popoli ». 86 Ulteriori attestati di ricezione da parte del giudaismo ellenistico in K. Berger, Abraham. Il: /m Friihjudentum und Neuen Testament, in TRE 2,3 8 1 ,40-5 1 . Anche C. Rose, Di e Wolke der Zeugen, pp. 232-233. 8 7 Per G n 1 5,6, Dio « accreditò come giustizia » a d Abramo l a sua fede nella promessa d i una numerosa discendenza. Vi si riferisce Rm 4,23, ove la fede ha un ruolo prioritario, ma non si tratta di sola jìdes.

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casa e va verso l ' ignoto, da straniero in terra straniera; è lo specificum della fede di Abramo, in linea con I l , l . Ne contribuisce a descrivere la peculiarità il fatto che hypakouein in tutto il NT non è mai riferito al patriarca: pistis è ascolto ob­ bedienziale e operativo da tenere attivo lungo l ' intero tragitto verso il riposo di Dio (katapausis), raggiunto solo da Gesù Cristo (5 ,9). In cammino verso quel ri­ sposo, Abramo prefigura la comunità cristiana in marcia verso il traguardo spe­ rato; come lui, anch' essa non desista da quel cammino. Rispetto ai ben precisi punti di partenza e di arrivo indicati in Gn 1 2, l (ek tes ges sou, « esci dalla tua terra ») e Gn 1 2,7 ( ten gen tauten, « A te . . . darò questa terra >>), Eb I l ,8 sceglie la formula generica imprecisata di eis topon, opta cioè per la più completa oscurità sul « da dove >> Abramo parte e « verso dove >> si pone in movi­ mento. Intende infatti porre l 'accento sull 'essenziale: la destinazione di Abramo è « un luogo che doveva ricevere in eredità », meglio precisato al v. 9 come « terra del­ la promessa » (ge eppaggelias). Il messaggio è chiaro: la terra della promessa non è un luogo terreno; essa è oltre il tempo, nel celeste riposo di Dio. Abramo è pellegri­ no, tra « il già e il non-ancora », verso quel suo riposo. E anche il popolo di Dio, di cui egli è capostipite. Nel « frattempo >> esso è destinatario del /ogos tes parakleseos. Secondo Gn 1 5 ,7, Abramo riceve per sé e la sua discendenza la terra che Dio stesso gli mostra: « Questa terra darò a te e alla tua discendenza >>. Con allusione solenne a questa fonte, Ebrei rilegge Gn 1 5 ,7: è Dio che dà in eredità (eis klero­ nomian) ad Abramo quella terra, non è Abramo ad averla conquistata. Dio deci­ de il decorso delle cose e le rispettive fasi in vista della fase finale, e non Abramo. Una terra provvisoria, dunque, ricevuta in eredità (provvisoria) da Dio. In essa, quasi una stazione intermedia, egli non ha uno stabile possesso, ma vi si trova da straniero. Insoddisfatto di ciò, guarda in avanti e tende verso una posizione mi­ gliore: una terra-patria celeste (v. 1 6). Lo dicono bene le parole: « Partì senza sa­ pere dove andava », non era infatti nella possibilità di capire quanto gli stava ac­ cadendo88. Si noti la ben riuscita sintonia con Eb 1 1 , 1 : Abramo mostra di fatto una fede che è « prova di realtà che non si vedono >> e descrive se stesso come co­ lui che vive nella storia terrena, solo provvisoriamente; egli infatti non le appar­ tiene in modo definitivo. Il messaggio ai credenti traballanti è chiaro: per quanto incerti i tempi possano essere, non diventi incerta la fede; la sua ricchezza, ali­ menti il cammino verso il bene promesso, la patria migliore (v. 1 4). Un singolare suggerimento: per Eb I l ,8 Abramo, che non sa quale sia la sua mèta finale, simboleggerebbe il Cristo, il quale non conosceva quale fosse la vo­ lontà di Dio; egli infatti l 'apprese dalle cose che patì (5,8)89. [v. 9] « Ancora per fede >> (kai pistei) Abramo s' incammina verso l ' assenza totale di ogni possedimento. Una tale partenza non lo disturba né lo rende recai-

88 È il senso di mé epistamenos ( « pur non conoscendo »). Si veda H. G. Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon, pp. 65 8-659. 89 Cfr. J. Swetnam, Hebrews l l. An lnterpretation, in Melita Theologica 41 ( 1 990) 99- 1 00. In verità, « dalle cose che patì », il Cristo apprese esperienzialmente cosa comportava di fatto l' obbe­ dienza consapevole al progetto di Dio che andava dipanandosi nella sua storia personale. Quel pro­ getto di riconciliazione e redenzione gli era dunque ben noto.

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citrante90, ma neppure gli ottiene una nuova terra che sia sua, un suolo su cui abi­ tare a pieno diritto. Egli resta straniero in quella terra, promessa eppure straniera (al/otrian) ; di essa non gli apparterrà « neppure un metro » (At 7,5), nemmeno l 'orma dei suoi piedi. Abramo non è che un emigrante, lontano da parenti e ami­ ci9 1 , e come lui, Isacco e Giacobbe92• È il senso di parokesen (paroikein) : « Soggiornare in regione straniera », ove non è assente il tono della provvisorietà. Del resto, aver trovato una terra e avervi posto le tende non è ancora poterla di­ chiarare propria93 • Questa lettura, propria di Ebrei, ha delle equivalenze ad esem­ pio là dove il verbo paroikein indica quanto i saggi siano estranei al mondo94; o là dove il sostantivo è riferito ai cristiani, « pellegrini fra le cose che si corrom­ pono, in attesa dell ' incorruttibilità »95. Ma non pensa così l ' AT. Per Dt 26,9, l ' ingresso dei patriarchi in Canaan è la realizzazione di una promessa legata a una terra: « Il Signore ci condusse in que­ sto luogo e ci diede questo paese . . . ». In Go 26,3 Isacco si sente dire: « . . . A te e alla tua discendenza concederò tutti questi territori . . . ». Così pensano anche i rab­ bini96 e lo storico G. Flavio97. Di fatto, in Go 23, 1 7- 1 8 Abramo (a Mamre) e in Go 33, 1 9 Giacobbe (a Sichem) cominciano ad acquistare occasionalmente parti del territorio, entrandone in possesso. Ma per Ebrei, la cui visuale è dualistica, questa linea dell ' AT è priva d' inte­ resse: quella città terrena è solo provvisoria anticipazione di quella celeste. Per Abramo, Isacco e Giacobbe non resta che la sola speranza di poter vedere un giorno l ' invisibile ( I l , l ) impresso in quella terra visibile, della quale tutti e tre sono coeredi (ton synkleronomon tes epaggelias tes autes). Intanto, su di essa, Abramo, Isacco e Giacobbe vivono in tende (en skenais). Non pochi i riferimen­ ti storici attendibili: il primo attendamento di Abramo, tra Bete) e Ai (Go 1 2,8) ; il suo soggiorno provvisorio in Egitto, a causa di una carestia (Go 1 2, l O); passa­ to il pericolo, attraverso il Negheb rientra a Betel e vi ripianta la tenda (Go 1 3 ,3); poi giunge a Mamre ove anche vive sotto la tenda (Go 1 8, 1 ). Isacco, nel Negheb, introduce Rebecca nella tenda che fu di sua madre Sara (Go 24,67: cfr. 1 3 ,3), e si attenda poi a Bersabea (Go 26,25). Giacobbe pianta la tenda a Sichem (Go 33, 1 9); alla presenza del faraone lamenta i suoi centotrenta anni di vita nomade,

90 Annotazione in Filone di Alessandria, De Abrahamo 85. 9 1 Così annota Id., De virtutibus 2 1 8; Quis rerum divinarum heres sit 267; De Abrahamo 19. 92 Rispettivamente, cfr. Id., De Abrahamo 80 e 8 1 . 93 Cfr. Tommaso d' Aquino, Super episto/as Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. Il, Ad Hebraeos 5 84-585, pp. 464-465; Filone di Alessandria, De sacrificiis Abelis et Caini 97. 94 Così Filone di Alessandria, De confusione linguarum 76-78. 95 Cfr. l Pt l ,27; 2, l i ; Lettera a Diogneto 6,8. Per paroikein : risiedere in un luogo come fore­ stiero, dimorarvi temporaneamente, esservi di passaggio, cfr. ancora J Corinti (saluto) e Policarpo, Ai Filippesi (saluto). 96 Cfr. b.Sanhedrin I l i a con riferimento al dono della terra ad Abramo (Gn 1 3 , 1 7) e a Giacobbe (Gn 28, 1 3 ). Testo in KNTTM.SB, vol. III, p. 745 . 97 « Abramo, ali ' età di settantacinque anni, abbandonò la Ca! dea, avendogli Dio ordinato di portarsi nella Cananea nella quale si stabilì e (che) lasciò ai suoi posteri » (cfr. G. Flavio, Antichità giudaiche I , 1 54. 1 57). Interessante il motivo addotto in lbid. 1 , 1 55 - 1 56: l 'annunzio del monoteismo da parte di Abramo.

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attendata nel provvisorio ( Gn 4 7 ,9). Per tutti vale bene Dt 26,5 (P [Sacerdotale]), il credo del pio israelita: mio padre era un arameo errante, scese in Egitto, da fo­ restiero, con pochi che divennero molti, una grande nazione. Mosè liberò quel popolo numeroso dalla schiavitù del faraone e, attraverso i lunghi anni dell 'eso­ do, tra un attendamento e l 'altro, lo guidò alle soglie della terra promessa. Giosuè ve lo introdusse. Da allora Israele è attendato in Canaan, sempre nella provviso­ rietà, come in una permanente festa delle Capanne (Lv 23 ,42-43; Ne 8, 1 4), il ri­ ferimento alla quale è qui molto attendibile98• È il pensiero di Eb 8,2.5; 9, l ss. ; 1 3 , l O, in cui la formula « abitare sotto le tende » (en skenais katoikein), unica nel suo genere in tutta la Bibbia, si riconnette alla tenda del culto e apre un confron­ to efficace: per il nuovo volto giudeo ed etnicocristiano d'Israele, quella tenda non è terrena, ma celeste; la terra promessa non è una terra promessa, ma è la pro­ messa di una terra che si trova in cielo: nel suo riposo99• [v. l O] L'efficace confronto evolve con la menzione della « città che ha sal­ de fondamenta, il cui costruttore è Dio stesso ». La polis (città) è Gerusalemme. Il richiamo è dovuto ali ' eco in Eb 1 1 , l O di Ap 2 1 , 1 4 : vi si parla della città le cui « mura hanno (echon) dodici basamenti >>; in Ap 2 1 ,2, il suo nome è « la città san­ ta, la nuova Gerusalemme » 1 00 • Gerusalemme terrestre o celeste? Si propende per lo più per la Gerusalemme celeste, di cui in Eb 1 2,22101 : la città « ora » invisibile. È tuttavia attendibile la po­ sizione dell 'autore nei confronti della comunità giudeocristiana destinataria del suo scritto. Essa, che « ora » vive nella Gerusalemme terrestre, vi transiti con fede aper­ ta al futuro, vi si accampi in tende flessibili, aperte a cambiamenti e modifiche, a correzioni e perfezionamenti e a trasferimenti in base al manifestarsi del digitus Dei nella storia; sia pellegrina non solitaria, ma nella solidarietà; con Abramo sia in ascolto, con !sacco e Giacobbe sia disponibile e solidale e sia in benedizione (Gn 1 2, 1 -2). E non dimentichi mai che la città verso la quale è in cammino non è quel­ la in cui si trova ora, opera di mani d'uomo, ma « l 'altra », opera del progetto di Dio. Raggiungere quest'ultima: ecco lo scopo del suo pellegrinare102• 98 Si veda H. Braun, An die Hebriier, p. 355. 99 Cfr. Ibid. , pp. 355-356. 1 00 L'equivalenza-eco letteraria (nessuna interdipendenza) tra Eb 1 1 , 1 0 e Ap 2 1 , 1 4 è suggerita dalla formula comune: themelious echousan/echon. Vedere in questa città celeste la comunità stessa giunta al proprio traguardo, in base a l Cor 3, 1 6- 1 7 (« Voi siete il tempio di Dio . . . la vostra comunità è il tempio santo di Dio ») è poco attendibile. Paolo pensa alla comunità terrena, tempio di Dio, il cui solido fondamento (themelios) è Gesù Cristo. Ed è Paolo stesso a porre quel solido fondamento. In Eb I l , I O l 'architetto e costruttore è invece Dio ed è lui ad avere posto le fondamenta (themelioi) e non altri. Mentre è attendibile che il pensiero qumraniano secondo cui la comunità stessa è l 'unico e vero santuario di Dio (JQS 8,5- 1 0; 9,3-5) possa avere ispirato l Cor 3 , 1 6- 1 7, è meno attendibile che Eb I l , l O risenta di questa posizione. Anche in l QS la comunità è ancora sempre quella terrena (pianta eterna, casa santa, santo dei santi, abitazione, rifugio). Impegnata in una dura battaglia escatologica, essa è ancora nel tempo. Del resto, Eb I l , l O si muove sulla linea del dualismo celeste-terrestre, igno­ to a Qumran. Cfr. H. Braun, Qumran und das Neue Testament, vol. I, p. 267. 101 Breve riquadro in R.A. Culpepper, A Superior Faith: Hebrews 1 0, 1 9-12,2, in Review and Expositor 82 ( 1 985) 383 e nota 1 8. 1 02 La mens dualistica di Ebrei indica nella città terrena la pallida anticipazione della celeste. Resta così superata la domanda antitetica, quale delle due città l 'autore abbia in mente; entrambe so-

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La doppia strategia retorica torna qui a farsi notare: escatologia presente-oriz­ zontale ed escatologia verticale-futura. Mentre ricorda ai pellegrini sulla terra (in­ ter mundanas varietates) di avere in Dio una sicura àncora di vita (Eb 6, 1 9-20), Ebrei dice loro che Gesù, il Cristo celeste, ha già operato il collegamento con la città celeste e futura. Perché i suoi lettori raggiungano quella città, l 'autore si ado­ pera a dissiparne stanchezza e pigrizia ( 1 2 , 1 2- 1 3); la terra promessa non è infatti una realtà terrena, ma si è in marcia verso essa. Il genitivo qualitativo (« terra del­ la promessa ») diventa così un genitivo telico, di movimento finalizzato (itineris) : la terra, la quale addita la promessa. Il microtesto 1 1 ,9- 1 O (ge tes epaggelias, « ter­ ra della promessa >>) è decisivo per questa lettura 1 03• Sostiene questa interpretazione il richiamo ad Ap 21 ,2. 1 4. 1 9: la comunità cri­ stiana raggiungerà il suo compimento solo nella piena comunione con Dio e con l 'agnello, nella Gerusalemme celeste. Là e allora essa sarà il vero popolo di Dio, regale e sacerdotale (Ap 1 ,6; 5, 1 0), e il suo volto sarà quello dell 'agnello; qui e ora quella comunità giudeo-etnicocristiana104 è in marcia verso quella città105• Per dire l ' attesa di quella città futura da parte di Abramo, Eb 1 1 , l O usa la forma verbale exedecheto (« aspettava >>; già in 9,28 e in l O, 1 3 ) e ne fa seguire al­ tre due. Si hanno così tre verbi escatologici a breve distanza: in attesa di una città dalle solide fondamenta ( exedecheto, 1 1 , l 0), Abramo, l sacco e Giacobbe sono alla ricerca ( epizetein, 1 1 , 1 4) di una patria vera, migliore, quella celeste, da essi desiderata (oregesthai, 1 1 , 1 6), ma ora invisibile. I tre verbi sono una trilo­ gia aperta al futuro: le speranze in una patria terrena, il Canaan, non si sono an­ cora avverate, non resta che puntare sulla Gerusalemme invisibile e celeste, la ve­ ra città di Dio, trascendente ( 1 2,27); per quanto « futura >>, essa è sicura. Pellegrinante verso essa, il popolo di Dio ne è anche in attesa106• Polis in Eb l l , l Ob. Fatta da Dio ( 1 1 , 1 0. 1 6) su solide fondamenta, dunque imperitura ( 1 1 , 1 0), la città celeste nel NT è la Gerusalemme superiore (Gal 4,26) contrapposta ali ' inferiore (Gal 4,25, « Schiava della legge con tutti i suoi figli >>), è la città del Dio vivente, è « il monte Sion, la Gerusalemme del cielo » ( 1 2,22). Per i destinatari giudeo-etnicocristiani di Ebrei, essa è una realtà futura ( 1 3 , 1 4b); la possono tuttavia contemplare e pregustare, già ora, nella celebrazione liturgica ( 1 2,22-24), nella « nostra assemblea (episynagoge) » ( 1 0,25a). Proprietà di Dio ( 1 1 , 1 4- 1 6) e figli di Dio (2, l 0- 1 1 ), i credenti sono alla ricerca di quella patria mino pensate in continuità, nel rapporto tipo-antitipo o, forse meglio, di confronto diversità-superio­ rità, secondo il suggerimento di E.J. Schierse, VerheifJung und Heilsvollendung, pp. 4 1 -5 1 . 103 Cfr. K. Backhaus, Das Land der Verheissung. Die Heimat der Glaubenden im Hebriierbrief, in NTS 47 (200 1 ) 1 72- 1 74 e 1 76. 1 04 Allusione ai giudeocristiani fuggiti dalla Palestina in occasione della guerra giudaica del 66-70? Essi hanno raggiunto l 'Asia Minore e hanno dato vita alle comunità di cui riferisce Ap 2, l 3,22. L'autore di Apocalisse le conosce bene e le visita regolarmente. Al riguardo, cfr. H. Giesen, Die Offenbarung des Johannes, Pustet, Regensburg 1 997, p. 40. 1 05 Per qualche divergenza di interpretazione, cfr. H. Giesen, Die Offenbarung des Johannes, p. 465. 1 06 Breve discussione sull'argomento in E. Griisser, Das wandernde Gottevo/k. Zum Basismotiv des Hebriierbriefes, in ZNW 77 ( 1 986), pp. 1 63- 1 67; in Id., A ujbruch und Verheissung, pp. 234-238. Cfr. H. Braun, An die Hebriier, p. 356.

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gliore, « la città del riposo » 1 07, la città santa di Dio, la città nuova che viene dal cielo, secondo Ap 3 , 1 2 e 2 1 ,2. 1 0. In Eb 1 1 , 1 0, invece, la città non è indicata co­ me « santa », per quanto l ' aggettivo sia ben noto a Eb 3,7 e 8,2; essa inoltre non viene dali ' alto, né sembra muoversi su un retroterra anticotestamentario: non è il monte alto di Dio di Mie 4, l ; non è la Gerusalemme di Zc 1 4, l O né la Sion di Is 54, 1 0- 1 3 . Non è neppure la città di Davide. L'apocalittica dunque non contribuisce ali ' identificazione della città di Ebrei: Is 54, 1 1 e 4Esdra 1 0,27 hanno in comune il termine themelios (fondamento), ma non più di questo. Povero è anche il raccordo « città-riposo >> in 4Esdra 8,52. In lEnoch 1 0, 1 8- 1 9 e in 2Baruch 4,3 si descrive un nuovo palazzo che deve sostituire l 'antico. Per i rabbini, nella Gerusalemme futura non potrà entrare chiunque, come avviene nella Gerusalemme terrestre (b.Baba Batra 75b108 ; anche Oracoli Sibillini 5 ,420-427). Proprio il contrario di Eb 1 2,22-24. Per Ebrei si tratta di una città già esistente, ma invisibile, già programmata e realizzata da Dio fin dai tem­ pi del paradiso (2Baruch 4,3). In essa già Enoch è stato rapito nel godimento eter­ no (Libro di Enoch [slavo} 55,2). Del tutto inesistente sulla terra, quella città si renderà visibile alla fine dei tempi (4Esdra 1 3 ,36), là dove già fu il tempio (JEnoch 90,29; 2Baruch 32,2.4). Posizione diversa da Ap 2 1 ,2. Ebrei non è inte­ ressato alla localizzazione di questa città celeste né alla sua venuta dali 'alto. Essa, che già è, da invisibile diventerà visibile e sarà incrollabile ( 1 2,27). E non è una città spirituale percepibile solo attraverso le funzioni dello spi­ rito 109; essa è la città di Dio, del sommo sacerdote Gesù, luogo del perenne sacri­ ficio redentore, del riposo liturgico. Di questa città scrive Giovanni Crisostomo: « Non sai tu che la vita qui è solo un viaggio? Sei tu dunque cittadino? Tu sei so­ lo viandante. Hai capito cosa ho detto? Tu non sei cittadino, tu sei solo viandan­ te e pellegrino. Non dire : io ho questa o quella città. Nessuno ha una città. La città è in alto. Il presente è "strada"» 1 10 verso essa. « Dalle salde fondamenta » (tous themelious) è immagine non nuova (la si incontra in Is 54, 1 1 e in 4Esdra 1 0,27, testimonianze apocalittiche che non aiu­ tano però a precisare il valore del termine in Eb l l , l Oc ). L'equivalenza letteraria con Ap 2 1 , 1 4, già segnalata, è forse più preziosa; dovuta alla formula themelious echousan l echon comune a entrambi, esprime appunto stabilità delle fondamen­ ta. In senso traslato, Eb 6, l si avvale di themelios per dire la fondamentalità e la priorità di alcuni insegnamenti e relative scelte. Un buon contributo si ha in l QH 6,25-29: Dio costruisce una città fondata sulla roccia, fortificata da alte mura e ne prescrive le misure delle fondamenta 1 1 1 . Queste poi sono solide e stabili, permaCosì in Pseudo-C/ementine 1 3,3: straniero e pellegrino nella città terrena, tu vi accogli l 'an­ nunciatore della verità e acquisti il diritto di cittadinanza (« riposo ») nella città della verità, la città celeste. Si noti l 'abbinamento « città-riposo ». Testo in W. Schneemelcher, Neutestamentliche Apocryphen, vol. II, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 989, p. 460. Cfr. anche Pseudoklementinen (B. Rehm, ed.), l, Homilien, Akadamie Verlag, Berlin 1 969, pp. 1 5- 1 6. 108 Testo in KNTTM.SB, vol. II, p. 22. 1 09 Così Filone di Alessandria, De somniis 2,250 e De migratione Abrahami 5. 1 10 G. Crisostomo, Homi/ia de capto Eutropio et de divitiarum vanitate 5, in PG 52,40 1 . 111 Si veda anche 4Esdra 1 0,27. 107

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Parte seconda. Traduzione e commento

nenti e non provvisorie, come è invece nel caso delle tende. I due termini, città e fondamenta, sono specifici in Eb 1 1 , l O anche a motivo dell 'articolo: esso dice che la celeste Gerusalemme non è una città come le altre, con fondamenta come per le altre città; tutt 'altro ! Città e fondamenta lo sono kat 'exochen. La città in questione è « futura )), ma solo per chi è in cammino verso di essa; ancora tutta da fare, essa è attualmente inesistente; proprio perché « futura )), essa è già una gran­ de realtà celeste in fieri. Che essa possa essere instabile è dubbio del tutto infon­ dato: ideatore e realizzatore ne è infatti Dio stesso, non un architetto qualunque, e le sue fondamenta non sono paragonabili alle terrestri, deboli e vacillanti, anche se ben piantate, ma di qualità inferiore: sono l 'antitipo del tipo, la realtà vera e non la sua umbratile anticipata realizzazione (8,5; l O, l ) 1 12. Un movimento duali­ stico, non antitetico ma sintetico: la città terrestre, imperfetta e instabile, non più che una « tenda )), porta in sé la spinta verso la città stabile e perfetta. Entrambe restano quello che sono, ma la loro interrelazione è innegabile. La città terrestre con le sue fondamenta non appartiene alle « realtà incrollabili )) (me saleuomena, 1 2,27), « che permangonO )) (menousa, 1 3 , 1 4); vi appartiene invece la città cele­ ste. Il contrasto cosmologico è fecondo: dali ' instabilità alla stabilità, restando ognuna delle due realtà nel proprio autonomo profilo. In attesa del compimento, (conferma in 1 1 , 1 3- 1 6). Il sostantivo technites (architetto) è hapax legomenon in Ebrei. Il termine è noto nella letteratura biblica per lo più in senso traslato, anche applicato a Dio: egli è l 'artefice delle opere che si vedono ovunque (Sap 1 3 , l ) e lo è la sua sa­ pienza (Sap 7,22; 8,6; 1 4,2), che ha realizzato quelle opere. Egli è anche l ' artefi­ ce di ogni attività fisica e spirituale 1 13. In senso solo profano si legge nel NT in At 1 9,24.38 (artigiani); Ap 1 8,22 e in epoca subapostolica: Didachè 1 2,3 (artigia­ no). Anche demiourgos (costruttore) è hapax legomenon in Ebrei e nel NT. Se il cosmo è la città di Dio in cui abitare, scrive Filone di Alessandria, egli ne è il co­ struttore 1 14. E lo è di tutto ciò che è sapiente e saggio, buono e prezioso 1 15. Si può rilevare che il NT e il giudaismo ellenistico filoniano tendono a evi­ tare l 'applicazione di questi termini a Dio nel loro senso immediato; egli non è elaboratore di materiale già preesistente. E se in Eb l ,2 Dio è colui che « per mez­ zo di Cristo ha fatto (epoiesen) i mondi )), qui l 'autore evita accuratamente l 'uso dei verbi poieo (fare) e ktizo (creare) 1 16, preferiti invece dalla versione dei LXX e da Paolo. Per Eb 1 1 , l O Dio forma la città santa, la nuova Gerusalemme, realiz­ zandola dali ' invisibile, come « dalle cose invisibili sono state messe in esistenza le cose visibili )) ( I l ,3 )1 17. Con Eb 1 1 , l O si ha un salto qualitativo e selettivo : Dio è « artefice e costruttore )) non materiale di una città anch'essa non materiale. L'autore percorre ancora una volta una strada propria: quanto Dio compie è ren1 12

La cosa è già notata da H.F. Weiss, Der Briefan die Hebriier, p. 585. Così Filone di Alessandria, De cherubim 1 28. 114 Si veda lbid. 1 27. 115 Ancora Filone di Alessandria, De mutatione nominum 29-32. 1 16 Ebrei non usa mai il verbo ktizo (creare), e solo una volta il sostantivo ktisis (creatura, Eb 4, 1 3). 117 Con gegonenai (infinito perfetto), l 'autore mostra una volta ancora di voler evitare l 'uso di poieo e di ktizo-ktisis. 113

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dere visibile l ' invisibile. La città di cui egli è architetto e costruttore sarà visibi­ le proveniente dali ' invisibile 1 1 8• Abramo, Isacco e Giacobbe ( 1 1 ,8- 1 0), coeredi della stessa (autes, v. 9) pro­ messa, prefigurano realtà cristiane. In autes si ha una enfatizzazione della fede di Abramo che influisce sui discendenti Isacco e Giacobbe, chiamati a guardare al futuro: il primo rappresenta i gentili, il secondo gli ebrei. Ed ecco il valore di au­ tes: tra !sacco e Giacobbe, quindi tra gentili ed ebrei, vi è parità di dignità; unica e universale è la promessa, in forza della 'aqeda, unico il destino di gloria1 19• [v. 1 1 ] Con una digressione Ebrei introduce Sara quale protagonista e sog­ getto del v. 1 1 , per tornare subito su Abramo, soggetto del v. 1 2 . In verità, sussi­ ste al riguardo una difficoltà testuale: Sara, sterile e avanti negli anni (Gn 1 8, 1 1 ) , viene rivitalizzata nel suo potere di concepire, « sebbene fuori dali ' età ». Questo fatto è espresso con la formulazione greca propria della potenza procreatrice ma­ schile (v. 1 1 b ) 1 20• Da qui l ' interrogativo: È Sara il soggetto del v. 1 1 o Abramo (v. 1 2), che dà a Sara il seme della procreazione? (dativo, Sarra, ma vedi di seguito, al punto l ). L' incertezza del testo greco di Eb 1 1 , 1 1 è forse dovuta ali ' amanuense, che tenta di raggiungere una formulazione plausibile. Anche la tradizione attesta que­ sto sforzo inteso a motivare Sara come soggetto del v. 1 1 1 2 1 • Il confronto testuale conduce a tre ipotesi : l ) Kai aut e Sarra: « Per fede anche la stessa Sara ha ricevuto la capacità di . . . ». È questa la lezione più attestata e anche la più tenuta. Sara è infatti al no­ minativo e non al dativo 1 22; essa è il soggetto del v. 1 1 123 • 2) Kai aute Sarra [steira ousa}: « Per fede anche la stessa Sara, che era ste­ rile, ha ricevuto la capacità di . . . ». Pur confermando la proposta precedente, que­ sta lezione non va accolta, in quanto glossa chiarificatrice 1 24• 1 18

Ulteriori dati in H. Braun, An die Hebriier, pp. 357-358. Così J. Swetnam, Hebrews 1 1. An 1nterpretation, in Melita Theologica 41 ( 1 990) l 00. 1 20 Dynamin eis katabolen spermatos e/aben: riferito a Sara, non può che avere il senso di « rice­ vere la possibilità-capacità di generare . . . ». Cfr. M. Zerwick - R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 680. Così anche la versione della Vulgata e la glossa chiarificatrice nel codice D*: « . . . Ricevette la capacità di fare agire il seme maschile », per generare (eis to teknosai). 121 Cfr. anche R.A. Culpepper, A Superior Faith : Hebrews 1 0, 1 9- 12,2, in Review and Expositor 82 ( 1 985) 383. 1 22 Nell 'unciale greco p46 (secoli II-III) infatti non è presente la iota sottoscritta: Sarra. Le ver­ sioni Siriaca P•sitta' e Armena accettano questa lezione, la quale non è una glossa. Rivisita la que­ stione J.H. Greenlee, By Faith Sarah received Abi/ity, in ATJ 54 ( 1 999) 67-72. 123 L'uso prolettico del pronome aute (« la stessa ») contribuisce, assieme a kai (anche), a pun­ tualizzare il ruolo di Sara come soggetto della proposizione. Omesso dalle traduzioni della BJ e del­ la CEI, esso va tenuto. Non attendibile il testo della TIC, che modifica del tutto il v. I l : introduce espressamente Abramo, non previsto dal v. I l , chiamato in causa solo al v. 1 2 , e lo rende soggetto del v. I l . Così anche F. Hauck, katabole, in GLNT ( 1 969) 5,232-234, il quale ipotizza « un'antica corruzione del testo » (col. 233) una glossa. La proposta di F. Hauck (Jbid. 5,234): « In comunione sessuale con Sara », in verità non fedele al testo, tiene per certo Abramo come soggetto del v. I l . Di eguale parere E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13,25, vol. III, p. 1 2 1 : « Durch Glauben emp­ fing er, zusammen mit Sara, die unfruchtbar war . . . ». Meno traduzione e più interpretazione. 1 24 La glossa è attestata come segue: « Essendo sterile » (steira ousa; il codice Porfiriano; le versioni Siriaca pesitta' e Armena); o « la sterile » (he steira; codice 02, secolo VI, e versione della 1 19

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Parte seconda. Traduzione e commento

3) « Per fede, essendo la stessa Sara sterile, egli (Abramo) ha ricevuto la ca­ pacità . . . >>. Il soggetto del v. 1 1 è Abramo; Sara appare per inciso, in posizione se­ condaria. Questa traduzione è da escludere125• Qualora Abramo fosse stato il sog­ getto pensato dali 'autore, avremmo dovuto avere una sintassi al genitivo (assoluto?): autes Sarras steiras ouses dali 'effetto sicuro (e in parallelo con il v. 1 2b a proposito di Abramo); avrebbe infatti isolato Sara nella più totale dipendenza da Abramo. E questa possibilità era nella penna del glossista. Questi ha invece optato per un kai paratattico, che impedisce simile lettura. Sara, cioè, non è sgan­ ciata dali 'azione in corso e relegata in una posizione subordinata, bensì piena­ mente coinvolta in essa e da protagonista. Si è ora in grado di stabilire la lezione originaria: « Anche la stessa Sara ri­ cevette la capacità di fondare una stirpe >> (kai aute Sarra dynamin eis katabolen spermatos elaben). Questa lectio difficilior ha maggiore supporto testuale 1 26• « Sterile >> (steira) è glossa chiarificatrice in tutte e tre le sue attestazioni. Quanto alle parole: « Ricevette la capacità di emettere il seme >> (dynamin eis katabolen spermatos), esse esprimono letteralmente « l 'atto di gettare il seme nel seno della terra >> 127 madre, quindi la funzione maschile nella procreazione 128• Ora, se il soggetto di elaben (« ricevette >>) è Sara, anche quelle parole hanno lo stesso soggetto di « ricevette >>, cioè Sara, e significano la sua rivitalizzata « ca­ pacità di concepire >> 1 29, dunque di « fondare una stirpe ». Del resto eis katabolen spermatos può alludere solo a Gn 2 1 ,2 : « Il Signore visitò Sara e fece a Sara co­ me aveva promesso ». Cioè: « Anche la stessa Sara ricevette la capacità fondare Vulgata); o semplicemente « sterile » (steira; codici J>46 e D*; manca nei codici onciali P. Oxy [= P 1 3]; A; D2 ). Dati testuali in A. Merk - G. Barbaglio, Nuovo Testamento greco e latino, e in N.-A. 27• 12 5 È da escludere anche la traduzione proposta in TIC: « Per la fede, Abramo diventò capace di essere padre, anche se ormai era troppo vecchio e sua moglie Sara non poteva avere figli ». Traduzione, ma da quale versione greca? Il senso, tuttavia, può essere in sintonia con Gn 1 7, 1 9 e 2 1 ,2, e ancora con 1 8, 1 1 - 1 4, ma non è la « sintonia » di Ebrei. 1 26 Tenuta da A. Vanhoye (Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, p. 29), essa resta la più at­ tendibile; da A. Strobel (La Lettera agli Ebrei, pp. 1 97.202), e già da J. Moffatt (A Critica/ and Exegetica/ Commentary, p. 1 7 1 ). Di parere contrario: O. Michel, Hebriier, p. 267 e F. WeiB, Hebriier ( 1 99 1 1 5), p. 5 8 ( . . . Zusammen mit Sara!); H.W. Montefiore, A Commentary on the Epist/e to the Hebrews, pp. 1 93- 1 94; N. Casalini, Agli Ebrei, p. 360, il quale si appoggia a N.-A. 2 7; E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13, 25, vol. III, p. 1 2 1 ; H.W. Attridge, Lettera agli Ebrei, p. 529; C.R. Koester, Hebrews. A New Trans/ation, pp. 484 e 487-488. 1 2 7 Dati in F. Hauck, katabo/e, in GLNT ( 1 969) 5,23 1 . 1 28 Osserva P.W. van der Horst, Did Sarah Have a Semina/ Emission ?, in Biblica/ Review 8 ( 1 992) 34-39, nota 74: « Sembra che per fede Sara ebbe un'emissione seminate e, nonostante fosse trascorsa l 'età fertile, nacque Isacco. N eli 'antropologia greco-antica e in quella ebraica si credeva che le donne avessero tali emissioni ». Si veda Lv 1 2,2: la donna dopo il parto « sarà immonda come nel tempo delle sue regole ». In b.Niddah 3 1 a si legge di « una nocciola che vaga neli ' acqua uteri­ na ». Cfr. ancora b.Baba Qamma 92a. C. Spicq (L'épitre aux Hébreux. Il: Commentaire, p. 349) sembra considerare tali tradizioni: « Par la foi, elle aussi, Sara reçut une force pour une émission de semence ». Cfr. E. Vennum, fs She or Jsn 't She? Sarah as a Hero of Faith, in Dauthers of Sarah (Chicago) 1 3 ( 1 987) 4-7. 1 29 Così la versione della Vulgata: « Fide et ipsa Sara sterilis virtutem in conceptionem seminis accepit », la quale probabilmente legge la glossa e/aben . . . eis to teknosai nei codici D* (secolo VI) e P. Così A. Merk - G. Barbaglio, Nuovo Testamento greco e latino. Non così E. Nestle K. Aland, Novum Testamentum graece et Latine (edizione XXVII). -

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una stirpe ( di accogliere il seme e di diventare madre), anche al di là dell 'età adatta, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso » (Eb I l , I l ). Questo è anche il pensiero di Ebrei. Tuttavia, due richiami al v. 12 deporrebbero a favore di Abramo soggetto an­ che del v. I l : nonostante la definitiva estinzione della sua capacità procreativa130, Abramo, impotente, ebbe ancora la forza di generare ( « gettare il seme nel seno di Sara » ) 1 3 1 ; « da un uomo solo (eph 'enos), per di più segnato dalla morte, nac­ que una moltitudine . . . » è esplicito riferimento al patriarca e richiamo logico a lui. Essendo « gettare il seme » una funzione maschile, si tende a modificare la frase per fare di Abramo il soggetto del v. 1 1 . Ma in verità egli lo è solo del v. 1 2 . Del resto, secondo la concezione giudaica, katabole spermatos può essere detto anche della donna: « Il padre dà il seme bianco . . . , la madre dà il seme ros­ so (sangue) . . . , il Santo, sia benedetto, dà lo spirito-anima » 1 32• Ebrei non presen­ ta traccia alcuna di tale tradizione, comunque da non sorvolare. Se dunque il sog­ getto è Sara133, si avrebbe una migliore armonia tra i vv. 1 1 - 1 2 : « Per fede Sara è divenuta madre (v. 1 1 ). Per questo da un uomo solo (Abramo) . . . nacque una di­ scendenza numerosa (v. 1 2) )) 134• Con « benché (fosse) oltre il tempo (della generazione) » (kai para kairon helikias, v. 1 1 ) Ebrei introduce un inciso testualmente sicuro 135 che accomuna Sara ad Abramo. Entrambi, infatti, sono oltre l 'età normalmente adatta alla procreazio­ ne (Gn 1 8, 1 1 - 1 3)136• La traduzione: « Perciò proprio da questa coppia, per di più già morta, vennero discendenti numerosi )) (Eb I l , l l ) è piuttosto libera e interpreta il senso attendibile del testo, dal momento che la cultura patriarcale dominante in Gn 1 8,9- 1 5 fa riferimento ad Abramo ma non esclude Sara. Non è però preferibile. Infatti, anche solo di lei si legge espressamente che si trovava in quell 'età non più appropriata per la procreazione (Gn 1 8, I l ). A questa sua situazione « personale )) si riporta Ebrei 137 quando la pensa soggetto del v. I l . L' inciso concessivo « anche al di là dell ' età adatta », cioè benché fosse oltre il tempo della procreazione, conferma a motivo di un' altra glossa chiarificatrice che gli fa seguito: eteken (generò)l38, il cui scopo è ancor sempre precisare il ruolo di Sara, soggetto del v. I l . =

1 30 È il senso di nenekromenou, genitivo assoluto al participio perfetto passivo (Eb 1 1 , 1 2). 1 3 1 Ancora F. Hauck, katabole, in GLNT ( 1 969) 5,232. 1 3 2 In b.Niddah 3 l a. Accanto a questa tradizione rabbinica va ricordato C. Galeno, che scrive: « Non solo l ' uomo, ma anche la donna produce un seme per il concepimento ». Per Erasmo da Rotterdam ( 1 469- 1 536): « Anche la donna contiene il seme ». Daniel Heinstus ( 1 580- 1 665) esami­ na la storia di Sara e afferma che « la donna, come l 'uomo, produce il seme ». J. van Bever Wych ( 1 593- 1 64 7), fisico e medico, in base alle proprie conoscenze di biologia, afferma che la donna con­ tribuisce, come l 'uomo, al concepimento. Su queste posizioni, cfr. excursus storico in J. bwin, The Use ofHebrews 1 1, 1 1 as embryological Proof- Text, in HTR 7 1 ( 1 978) 3 1 2-3 1 6. 1 33 Ancora J. Swetnam, Hebrewws 1 1. An 1nterpretation, in Me/ita Theo/ogica 4 1 ( 1 990) l O l . 1 34 Così la traduzione della BJ. 1 35 La formula kai para kairon helikias è ben attestata. Cfr. E. Nestle - K. Aland, Novum Testamentum graece et Latine (edizione XXVII). Essa conferma che steira ozisa è una glossa esplicativa. 1 36 Riferisce a riguardo anche Filone di Alessandria, De Abrahamo I I I ; 1 95 . 1 37 Sorprende l a sbrigatività della soluzione contraria proposta da C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 488. 1 3 8 Quale glossa tardiva, « generò » (eteken, nei codici P e K., secolo IX) attesta la continua incer­ tezza testuale del v. I l e il tentativo costante di chiarirlo in modo da posizionare Sara come suo soggetto.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Si potrebbe concordare su quanto segue : non solo Abramo ha agito per fede, ma per fede anche la stessa Sara ha ricevuto la capacità di lasciare agire nel suo seno il seme ricevuto da Abramo, per quanto già fuori dalla normale età per la maternità. Da allora ella ha considerato Dio degno di fede, avendo egli adempiu­ to in lei quello che aveva promesso. E non solo in lei, ma ancora in un uomo vir­ tualmente morto. Per la fede di entrambi nacquero discendenti come le stelle del cielo, come la sabbia del mare (v. 1 2). Mi sembra la soluzione più rispondente al­ la intentio auctoris. Non mancano suggerimenti più decisi a favore di Sara, soggetto del v. 1 1 a, e del ruolo della sua fede nella fedeltà del « promettente » (v. 1 1 )139: avanti negli anni e sterile, le fu promesso un figlio. Rise, incredula (Gn 1 8, 1 2 - 1 3 . 1 5). Ma eb­ be un figlio come Dio le aveva promesso, Isacco, il figlio della risata140• Di certo non lo avrebbe avuto, pensa Ebrei, se non avesse creduto. Eppure, il sorriso di Sara è visto di norma come ostacolo alla fede. Ma non da Ebrei, che lo interpre­ ta come espressione di fede in Sara oppure tace (o dimentica ! ) questo increscio­ so particolare?141 • Se ne può ritenere l ' assenza in Ebrei (e non si dovrebbe sorvo­ lare sul sorriso di Abramo in Gn l 7, 1 7) quale segno di comportamento libero dell ' autore circa il racconto genesiaco. Una sola cosa gli sta a cuore: mostrare la fede di lei nella fedeltà di lui 142. Un ulteriore suggerimento, secondo il quale Sara non sarebbe soggetto del v. 1 1 ma « figura associata ad Abramo » 143, dunque co-soggetto in tutta la vicenda, la vede dipendente da lui nella fede e al tempo stesso collaboratrice nel progetto di Dio. Inizialmente incredula, Sara diventa credente grazie alla forza trainante della fede di Abramo 144• Se questi è il soggetto grammaticale del v. 1 1 , lei ne è il co-sog1 39 Ad esempio, J.H. Greenlee, Hebrews l 1, 1 1 : Sarah 's Faith or Abraham 's ?, in NoTr 4 ( 1 990) 37: « By faith Sarah herselfalso received ability for the deposition of seed (in her body by Abraham) ». L'autore riprende il tema in Hebrews l 1, 1 1 : by faith Sarah received Ability, in AJT 54 ( 1 999) 67-72. 140 Come nome proprio, lsacco (Jitschaq) è un deverbale dal verbo :>iihaq (ridere) ali ' imper­ fetto qal: « Ella ha riso ». Da qui la deduzione: « Isacco, figlio della risata >>. 141 « Possibile che Sara abbia avuto fede? Forse l 'autore di Ebrei ha dimenticato l ' incidente del sorriso quando ha scritto la lettera >>. Così H. W. Montefiore, A Commentary on the Epistle to the Hebrews, pp. 1 93- 1 94. 142 È il pensiero di Filone di Alessandria. « Sara . . . ha creduto veramente a ciò che Dio le ave­ va promesso. Nonostante l 'andropausa di lui e la menopausa di lei, dopo il sorriso, Sara si è resa ca­ pace di avere ancora normali rapporti sessuali con Abramo, divenendo la madre di quel bambino. Non c'è influsso filoniano per l 'assenza sia degli eventi miracolistici (di Filone di Alessandria) che del rovesciamento dei ruoli sessuali . . . Nella corporeità l 'uomo semina, la donna riceve i germi. Nell ' incontro delle anime, al contrario, la donna semina buoni consigli, parole serie, suggerimenti di principi molto utili alla vita. Lo spirito è di genere maschile, la virtù di genere femminile » (cfr. Filone di Alessandria, De Abrahamo 1 0 1 ; De ebrietate 2 1 1 ). 143 Così H. W. Attridge, Jesus and /saac, p. l O l . La soluzione, in sé condivisibile, è di ordine pragmatico contestuale; è il risultato migliore estratto dai vv. 1 1 - 1 2 . 1 44 L'argomento è vivo nella tradizione rabbinica dei secoli III-IV. Cfr. Genesi Rabba 4 7 (33d); Pesiqta Rabbati 42 ( 1 77a). Ancora bJebamot 64b e Genesi Rabba 47,29c: Dio riattiva in Sara la spenta facoltà di generare. Documentazione in KNTIM.SB, vol. III, p. 2 1 6 su Rm 4, 1 9. « Una sola cosa con lui » nella procreazione e nella fede, Sara contribuisce così a che si adempia la promessa. Fatta ad Abramo, quella stessa promessa ha bisogno del sostegno di Sara. Per Ebrei, quella di Sara è una fede che realizza l ' impossibile. Così già B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, pp. 362363 ; anche J. Jeremias - H. Strathmann, La lettera a Timoteo e Tito. La lettera agli Ebrei, p. 258; A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 202.

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getto logico e teologico. Ma non è la posizione di Ebrei 145• È infatti « per (la pro­ pria) fede nella fedeltà di Dio » che Sara riacquista il potere di generare. E se se­ condo una tradizione rabbini ca su Is 5 1 ,2a Sara è la madre dei credenti e Abramo ne è il padre 146, pensiero questo che anima la riflessione di Paolo in Gal 4,22-23 147 e I Pt 3 ,6, e se entrambi, Abramo e Sara, sono i fondatori di una posterità spiritua­ le, ebbene, questa posizione, dai risultati « teologici » attendibili, è valida solo se i due soggetti, Sara e Abramo, sono rispettati come tali, rispettivamente al v. 1 1 e al v. 1 2. Una subordinazione di Sara ad Abramo non è rintracciabile nella mente di Eb 1 1 , 1 1 l48• Al contrario, approfondendo il rapporto Sara-Abramo, si ha in Sara una fede nella potenza di Dio, capace di costruire la vita dal suo seno spento, in pa­ rallelo con la promessa di Dio che assicura ad Abramo una discendenza innume­ revole, nonostante la richiesta in sacrificio del figlio della promessa, capostipite di quella discendenza. Si profila così una interpretazione coerente con la fede di que­ gli eroi che hanno preceduto l 'atto di fede di Abramo. Come Abele, Enoch e Noè hanno creduto senza l 'esempio di Abramo, come Sara ha creduto senza vedere l 'offerta sacrificate e fiduciosa di Abramo, così i cristiani sono chiamati a fare un atto di fede, nonostante non abbiamo visto l 'esempio di Abramo e non abbiano vissuto l ' esperienza di Gesù, nel quale Dio ha mostrato di avere il potere di supe­ rare la morte. Così Paolo, in Rm 4, 1 9-24. Si veda più avanti, in Eb 1 1 , 1 2. Se la sezione Eb 1 0,32 - 1 3 , 1 7 forma una unità strutturale dove forte è l 'ap­ pello al lettore a rimanere fermo nelle avversità e a perseverare nella fede, e nel­ la fede in Cristo 149, questa lettura ottiene l 'effetto desiderato: Abramo e Sara so­ no due campioni nella fede, Sara soggetto e protagonista del v. I l ; Abramo del v. 1 2; entrambi coprotagonisti nei vv. 1 1 - 1 2 150• Non è dunque necessario « esigere » 1 45 Anche se Abramo è soggetto e protagonista del v. I l (posizione da me qui non tenuta), Sara ha comunque un ruolo essenziale nel realizzare la promessa di una grande posterità. Gli autori anti­ chi, greco-romani e rabbinici, ritengono che il seme femminile formi un miscuglio con quello ma­ schile. Dati in P.W. van der Horst, Did Sarah Have a Seminai Emission ?, in Biblica/ Review 8 ( 1 992) 34-39, nota 63 . Su questo retrofondo si può meglio comprendere che l 'espressione « Sara stessa » è una estensione del soggetto: « Per fede Abramo, insieme con Sara, ricevette la potenza di procreare, quando l 'età era trascorsa. L'autore cioè non pensa alle funzioni procreative specifiche maschili e femminili, ma al fatto che Abramo e Sara "effondono" insieme semi di una posterità immensa. Quanto al sorriso di Sara diventa più comprensibile se inquadrato nella sua sterilità. Quel sorriso non è ipso facto un ostacolo alla fede. Dopo l 'annunzio della gravidanza, infatti, Dio, è vero, rimprove­ ra Sara per il suo sorriso incredulo, ma le riaffida la promessa ». Cfr. P. E. Hughes, A Commentary on the Epistle to the Hebrews, pp. 47 1 -475 . 1 46 Così b. Yebamoth 64a. Testo in KNTTM.SB, vol. III, p. 2 1 6, su Rm 4, 1 9. 1 47 Segnalo, al riguardo, A. Pitta, La Lettera ai Galati, pp. 285-286. 1 48 Per fede Sara ha successo nel concreare la « discendenza » di Abramo: costui padre, lei ma­ dre della discendenza. Si ha così una interpretazione coerente tra il v. 1 1 (Sara soggetto) e il v. 1 2 (Abramo soggetto). Segnalo J. Swetnam, Hebrewws l l. An Interpretation, i n Melita Theologica 4 1 ( 1 990) 1 0 1 . 1 49 D . Kim (Perseverance in Hebrews, i n Skr!fen Kerk 1 8 [ 1 997) 280-290) mostra bene che il tema della perseveranza, presente in tutto lo scritto, culmina in Eb 1 0,32 - 1 3 , 1 7. 1 5° Così C. Spicq, L 'épitre aux Hébreux. 11: Commentaire, p. 349; già B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, p. 362: « La fede di Sara fu una condizione per la fecondità della fede di Abramo ». Di parere diverso: H. Braun, An die Hebriier, p. 358; E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13, 25, vol. III, p. 1 2 1 . Anche per N. Casalini (Agli Ebrei, p. 360) solo Abramo è il soggetto del v. I l . Osservo soltanto che kai aute Sarra è un nominativo (( difficilmente spiegabile » (F. Blass -

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Parte seconda. Traduzione e commento

in Abramo il soggetto del v. I l . L' interruzione al v. I l del soggetto logico di l i ,8- 1 2, mentre esalta opportunamente la posizione di Sara, non sminuisce quel­ la di Abramo. Entrambe le posizioni sono invece avvalorate dal fatto di conver­ gere l 'una nell ' altra. Dunque, è Eb I l , I l una crux interpretum? A tutt' oggi non si dispone di una convincente spiegazione di eis katabolen spermatos che illustri la mente dell 'au­ tore. Ritengo comunque come segue: Sara ricevette la capacità-possibilità di far agire il seme di Abramo nel suo corpo. La Vulgata1 5 1 (« Per mezzo della fede an­ che Sara, sebbene sterile, ricevette la forza di far concepire il seme . . . ») aiuta e conferma. Si ottiene la seguente intercomunicazione di dati, al tempo stesso stringata e densa sintesi esegetico-teologica: a) fede a') fede

b) Sara b') Abramo

c) seme c') seme

d) sterilità superata d') sterilità superata.

[v. 1 2] Per Ebrei, Abramo e Sara sono in piena sintonia con il criterio stabi­ lito in I l , l : essi credono a ciò che non vedono ancora, e vengono ricompensati con una discendenza maggiore delle stelle del cielo e della sabbia del mare (v. 1 2): i figli della promessa (cfr. Gn 1 7, 1 9; 2 1 ,2; Rm 4, 1 9). L'apostolo Paolo lavora attorno alla vicenda di Abramo e Sara in Rm 4, 1 -25. Unendoli entrambi al v. 1 9, egli dà luogo al seguente parallelo: come da un uomo ( eph 'enos; Vulgata: « Et ab uno ») e da una donna, Abramo e Sara, entrambi avan­ ti negli anni e come segnati dalla morte perché del tutto inabili a procreare, è nata una immensa discendenza (Eb 1 1 , 1 1 - 1 2 ; Rm 4, 1 9) per la fede di entrambi nella promessa di Dio, il quale considerò Abramo « giusto » (Rm 4,22; Gn 1 5,6), così dal Signore Gesù, anch'egli un solo uomo messo a morte, è sorta la vita nuova in lui risorto e noi tutti, discendenza di Dio in Abramo e nel Cristo risorto nel quale crediamo (Rm 22-24), siamo stati posti in rapporto giusto con Dio (Rm 4,25). Alla coppia quasi morta si oppone il morto che dà vita152• L' immensità della discen­ denza è posta in luce con due immagini (le stelle del cielo, la sabbia del mare), ri­ prese da Gn 1 5 ,5; 22, 1 7; Es 32, 1 3 ; Dt l , I O la prima e da Gn 22, 1 7 la seconda. A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento 1 94,2) e proprio per que­ sto è da tenere quale lectìo difficilior. La congettura di un dativo (H. W. Attridge, Lettera agli Ebrei, p. 529) tende a semplificare. E poi non va tolta la voce ai codici J>46 e D*. 151 « Fide et ipsa Sara sterilis accepit virtutem in conceptionem seminis etiam praeter tempus aetatis », come qui riportata e non secondo il suggerimento di E. Nestle - K. Al an d, Novum Testamentum graece et Latine (edizione XXVII): « Fide - et ipsa Sara sterilis - accepit virtutem in conceptionem seminis . . . », in cui il soggetto sottinteso di accepit è senza dubbio Abramo. Questa proposta di traduzione, che è già interpretazione, è discutibile. 1 52 Nell 'episodio di Abramo e del sacrificio di Isacco (Eh 1 1 , 1 2. 1 7- 1 8) « è palese il contrasto tra sterilità e potenza generativa, la tensione tra morte e vita, tra uno solo e la moltitudine dei di­ scendenti. La tensione diventa satura quando sembra che Dio voglia annientare la sua stessa pro­ messa chiedendo il sacrificio di Isacco, figlio della promessa (vv. 1 7- 1 8) » (così R. Fabris, Le lette­ re di Paolo, vol. III, p. 725). Il superamento avviene in forza della fede di Abramo: l ' imprevedibilità di Dio fonda la certezza che egli ha il potere di risuscitare i morti . Che in Isacco, destinato alla mor­ te sacrificate e già risorto per la fede di Abramo, si possa vedere il « tipo >> di Gesù « antitipo », il Figlio morto e risuscitato da Dio e nel quale la promessa raggiunge l 'apice del compimento, do­ vrebbe essere il nucleo della 'aqèda. nel pensiero di Ebrei.

fl popolo della fede Eb i l, l

-

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12, 1 3

Di Eb 1 1 ,8- 1 2 appare ora la disposizione temati ca:

1 1 ,8 1 1 ,9- 10 1 1 , 1 1-12 1 1 , 17- 1 8

Abramo parte da Ur (= obbedienza alla parola di Dio) vive da straniero in Canaan (= attesa della città dalle salde fondamenta) concepisce Isacco (= fiducia nel Dio fedele alla sua promessa) offre Isacco, il figlio della promessa, in sacrificio obbedienziale, tipo dell 'offerta obbedienziale di Gesù (antitipo) 1 53 .

[1 1,13-16] Lafede dei patriarchi: stranieri, alla ricerca di una patria miglio­ re. Sintatticamente ben articolati tra negativo (vv 1 3 . 1 5) e positivo (vv 1 4. 1 6), i vv. 1 3 - 1 6 sono una pausa meditativa sulla vita-pellegrinaggio 154• L'argomentazione nell 'arco dell ' intera microunità è logico-filosofica155• I quattro participi : me. . . la­ bontes (« non avendo ottenuto le promesse >>), alla. . . idontes kai aspasamenoi (« ma avendole solo vedute e salutate di lontano » ), kai homologhesantes (« e aven­ do dichiarato ») spiegano bene ciò che le relative frasi intendono esprimere: quei patriarchi sono tutti morti nella fede, hanno sperato in cose promesse e non ricevu­ te, ma solo viste di lontano. Essi stessi si definiscono ospiti e pellegrini 156, stranieri e in esilio sulla terra1 57• Alla ricerca di una patria, essi non hanno più pensato a quel­ la che avevano lasciato né hanno più cercato l 'opportunità di tornare in essa, pur avendola (v. 1 5)158• Segno che aspiravano a una patria nuova, « migliore, cioè a quella celeste » (v. 1 6). È il risultato di un sillogismo ai vv 1 4- 1 6 così concepito: es­ sere senza patria è sprone a cercarne una; essendo i patriarchi dei senza patria, ne sono ininterrottamente alla ricerca; non trovando questa nel tempo terreno, punta­ no lo sguardo oltre quel tempo e sperano in una patria celeste. Ed è « per questo » (dio) che Dio si dichiara « loro Dio », a motivo della loro tensione verso la patria dove è lui. Per chi gli è rimasto fedele fino alla morte, non c'è altra ricompensa che partecipare alla sua vita, nella sua città (v. 1 6). L'autore non si richiama dunque a una condizione passata da ricuperare, ma apre su una speranza futura (sottile suggerimento a non guardare indietro, alla si­ nagoga già lasciata e al suo stile di vita); si punti invece lo sguardo sulla nuova situazione raggiunta, migliore e più perfetta, la nuova realtà giudeocristiana, as­ semblea pellegrinante verso una « patria migliore », nuova, definitiva, verso la Gerusalemme eterna: « Cittadini del cielo . . . » (Fil 3 ,20). Ma non mancano letture più immediate e storiche: la patria terrena, promes­ sa ai figli di Abramo, è la città santa, la Gerusalemme terrena (vedi il commento .

.

.

1 53 Suggerimento in T. Soding, Die Antwort des Glaubens. Das Vorbild Abrahams nach Hebr 1 1 , in CommuniollntKathZeit 24 ( 1 995) 394-408 . 1 54 L'uso d i kata pistin, formula del tutto nuova rispetto alla stereotipa pistei, attesta l ' inten­ zionalità redazionale. 1 55 Analogo comportamento in Eb 4,8; 7, 1 1 ; 8,7-8. Rilevazioni dettagliate in P. Garuti, Alcune strutture argomentative nella lettera agli Ebrei, in DT 98 ( 1 995) 1 97-224. 1 56 Si leggano: Gn 23,4; 47,9; I Cr 29, 1 5; Sal 38, 1 2b- 1 3 ; Ef 2, 1 9; I Pt l , l b; 2, l l a; la bella pa­ gina in Lettera a Diogneto 5, l - 6, l . 1 57 lllustra bene lo status dei residenti stranieri nel secolo I, J.H. Elliott, A Home for the Homeless, Fortress Press, Philadelphia 1 98 1 , pp. 2 1 -58. 1 58 Su Eb 1 1 , 1 5, cfr. J.H. Greenlee, A Question of Tenses: Hebrews 1 1, 15, in NotTr I l ( 1 997) 52-56, con addentrata analisi.

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Parte seconda. Traduzione e commento

al v. l 0). Eppure, lo sguardo dei patriarchi è lanciato in un futuro che li spinge a prendere le distanze da una storia sempre meno promettente. Le due linee si pos­ sono coordinare : scopo di una vita cristiana in pellegrinaggio verso la città cele­ ste non è dimenticare la città terrestre e fuggire da essa, piuttosto far lievitare in ess� i doni della città eterna: pace e giustizia, riconciliazione e perdono, solida­ rietà e carità, speranza e fede. I vv. 1 3 - 1 6 sono un sommario. Vi si parla di tutti i personaggi finora men­ zionati . Ebrei presume che l ' enfasi sulla città (v. 1 6) sia stata compresa dal letto­ re nel suo vero significato. Ma ciò sarà chiaro solo alla fine del capitolo. [v. 13] Si possono rilevare quattro motivi addotti dali 'autore per giustificare la sua meditazione-interruzione: l ) In quei patriarchi pervenuti al termine della loro vita terrena senza aver go­ duto il contenuto della loro speranza, eppure saldi nella fede nel Dio delle pro­ messe, egli sottolinea la tensione tra il « già » e il « non ancora », tra la sofferenza nel tempo e il superamento della medesima solo nel compimento, oltre il tempo. Questo tema attraversa un po ' tutto lo scritto, con forti implicazioni cristologiche. 2) Quella sottolineatura avviene ai vv. 1 3 - 1 6, che cadono in 1 1 ,8-22, parte centrale di Eb I l . Lo scopo è retorico-strutturale : al centro del suo « ampio di­ scorso catechetico » sulla fede dei patriarchi piena di speranza nell ' invisibile, l 'autore dice ai suoi quanto carica di prospettiva escatologica sia la loro nuova vi­ ta in Cristo; se ne rendano attenti e se ne persuadano. 3) Outoi pantes (v. 1 3 ): se qui l ' autore pensi agli esempi di fede riferiti ai vv. 4- 1 2 o a quelli dei vv. 8- 1 2 o di tutto il capitolo, è davvero secondario. Ciò che in­ fatti prevale è il messaggio sulla perseveranza nella fede, presente in tutto il cap. I l . È attendibile che outoi pantes si riferisca agli esempi di fede già menzionati e a quelli che Ebrei sta per riferire. Lo stesso si deve dire di « sono morti (apetha­ non) nella fede »1 59• Questi sono posti a confronto con quanti sono stati assunti presso Dio, senza conoscere la morte (tradizione enochica). L'autore fissa il teno­ re continuo della sua esposizione, a partire da Abele (v. 4) fino a Giuseppe (v. 22), e con speciale attenzione sulla discendenza di Abramo (vv. 1 1 - 1 2; già in 2, 1 6), nella formula nuova kata pistin: con essa egli pone l 'accento non tanto sulla mor­ te, quanto sul fatto che essa non è l 'ultima spiaggia. Quanti « muoiono » nella fe­ de non sono abbandonati « nella morte )). Questa è solo preparazione al passaggio verso il compimento pieno, nella città di Dio. Là è in attesa dei « suoi )) Colui che attraverso la morte è già stato glorificato nella vita, « primizia dei dormienti )) ( l Cor 1 5 ,20). 4) « Tutti questi sono morti senza aver ricevuto i beni che Dio aveva pro­ messo (me labontes tas epaggelias) »; quel compimento, infatti, non potrà avve­ nire « senza di noi )) (choris hemon, I l ,40), non senza i suoi partner (metochoi tou Christou, 3 , 1 4). Anche tutti questi, viventi ancora nel tempo in qualità di ap­ partenenti al nuovo patto, vivono in attesa ( 1 3 , 1 4, e ancora prima 9,28; 1 0,25 .3738) del compimento delle promesse. Al v. 1 3 forte è la tensione escatologica: co1 59 Il verbo apothneskO ricorre ancora in Eb 7,8; 9,27; 1 0,28; 1 1 ,4.2 1 .37. Non indica mai la morte di Gesù Cristo, per la quale Eb 2,9; 1 3 , 1 2 preferisce il verbo pathein.

Il popolo della fede Eh l l, l - l 2, l 3

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struire un presente dove il « già » sia considerato e il « non ancora » atteso e con­ templato. Quel « non ancora )) sono le promesse in via di compimento. Essi non le han­ no viste attuate, ma solo contemplate da lontano: la città dalle solide fondamenta ( vv. 9- 1 0), che è la patria celeste (vv. 1 4. 1 6), e « il luogo del mio riposo (kata­ pausis) )) ( 4, 1 . 1 1 ). Di questi beni, essi sono stati in attesa (aspasamenoi) e li han­ no salutati solo da lontano (porrothen ), li hanno come abbracciati (è il senso di aspazomai) , ma solo nella speranza, si sono dichiarati disponibili ad attenderli e a dare loro la dovuta attenzione 160, come a beni già destinati, eppure ancora da at­ tendere 1 6 1 . La bella immagine retrostante è quella del pellegrino che marcia ver­ so la mèta che non ha ancora raggiunto, e che vede da lontano. Il pensiero va qui a Mosè: la terra promessa ad Abramo, lsacco e Giacobbe, egli la vede solo da lontano, non vi entra (Dt 34,4; già 32,52). Ma ai suoi destinatari l 'autore dice che i patriarchi, pellegrini tra due mondi, il terrestre e il celeste, aspirano nella spe­ ranza e nella fede a quella patria, a quel « luogo santo del cielo )) ( l O, 1 9), ove es­ si possono già liberamente entrare: grazie al sangue-vita di Cristo ( l O, 1 9), che lo ha loro dischiuso per sempre. Si tratta solo di non allontanarsi dalla speranza in quella fede. Di fronte alle persecuzioni, più che intimorirsi fino ad abbandonare la com­ petizione, pensino alla cittadinanza celeste cui sono chiamati (cfr. Fil 3,20), consi­ derino che la grandezza del messaggio cristiano raggiunge un suo apice nel subi­ re opposizione anche violenta162. Perseguitati nel corpo e nello spirito, i cristiani si ritrovano in un crescente clima di martirio, al quale anche l 'autore sembra pagare il proprio contributo. Certo è che tutto ciò non esprime il progetto della comunità politica e civile a escludere i cristiani dal proprio seno, perché stranieri ed esuli; né essi, in verità stranieri ed esuli, devono rassegnarsi ali ' insondabilità della vicenda politica. Tutt'altro: stranieri e pellegrini (xenoi e parepidemoi) essi lo sono solo perché testimoni di una fede che assicura loro beni celesti, la gioia dell ' ingresso nel riposo celeste (4,8- 1 1 ). Siano dunque sicuri di tanto dono « futuro )), già con­ templabile « di lontano )), e bandiscano ogni rassegnazione163. [vv. 1 4-16] Un nuovo sillogismo, introdotto da gar (infatti), suppone il v. 1 3 e si conclude al v. 1 6 : coloro che dichiarano di essere di passaggio sulla terra (v. 1 3 ; Gn 23 ,4) 164 annunziano in modo pieno e inequivocabile 16S, anche se non ufficiale 166, di essere alacremente alla ricerca167 di una patria (v. 1 4). Ora, i patriar-

È il senso di aspazomai in Platone, Apologia 290. È il senso di aspazomai presso G. Flavio, Antichità giudaiche 6,82; 7, 1 87. 1 62 Così Ignazio di Antiochia, Ai Romani 3,3. 1 63 Cfr. utilmente E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13, 25, vol. III, pp. 1 35-1 39. 1 64 È il senso del correlativo toiaiìta. 1 65 È il senso di emphanizousin. Cfr. M. Zerwick - R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 68 1 . 1 66 Lo vorrebbe I 'uso di emphanizousin, verbo classico usato dalle autorità per gli annunzi uf­ ficiali. Cfr. dati in H.G. Liddel - R. Scott, A Greek-English Lexicon, p. 549. 1 67 È il senso del verbo zetoiìsin nella forma epi-zetoiìsin . Cfr. H. Greeven, epizeteo, in GLNT ( 1 967) 3, I 537- 1 538. 1 60 161

5 1O

Parte seconda. Traduzione e commento

chi sono in questo tipo di ricerca; essi non guardano indietro, pur potendolo (v. 1 5), ma in avanti, anzi in alto, dove li attende la patria celeste, migliore di quella terrestre (v. 1 6); essi sperano e credono nella patria invisibile verso cui so­ no in cammino. E con essi, tutti noi, destinatari dello scritto. La ricerca di una patria migliore s ' inquadra bene nel noto dualismo ellenisti­ co di cui l 'autore mostra ancora una volta di avvalersi 168: la vita sulla terra è un esi­ lio169; dopo un breve soggiorno su di essa, da straniero, l 'essere umano raggiunge la patria vera 170• La vita dei patriarchi, in esilio sulla terra, è tutta protesa verso la patria futura; lo è anche la vita di quanti si ispirano alla loro fede in cose sperate, che ancora non si vedono ( I l , l ). Di esse, la realtà cosmica nel suo insieme ne è solo pallida anticipazione. Destinate a sparire ( 1 2,27), esse lasceranno il posto al­ le realtà vere, intramontabili, nel regno di Dio ( 1 2,28). Quali? Probabilmente una sola: l 'accesso libero a Dio, « nel suo riposo » (3 , 1 1 d), in Gesù Cristo, sommo ed eterno sacerdote. Non sfuggano due cose: solo in Eh 1 1 , 1 4. 1 6 ricorre il motivo molto corag­ gioso della « patria celeste », nonché quello della « terra » luogo di esilio e di pas­ saggio (v. 1 3b.38), due temi che la tradizione cristiana ha saputo tradurre felice­ mente in canto e preghiera. Il fatto che i patriarchi non tornino dove sarebbero potuti ritornare (v. 1 5) deno­ ta che la loro patria d'origine non era in grado di sedare la loro sete irresistibile verso una patria migliore, anzi alimentava quella stessa sete. Questo loro insistente senti­ mento li traspone oltre il tempo e la storia, dove sono le cose sperate e non ancora vi­ sibili (ou blepomena), le realtà intramontabili (ou saleuomena, 1 2,27). Qui Ebrei im­ mette un elemento escatologico nel comportamento dei patriarchi, avvalendosi di una tecnica argomentativa del tipo: « Se x fosse stato in grado di . . . non sarebbe stato necessario che . . . )), già proposta in 4,8; 7, 1 1 ; 8, 7 e l 0,2. Qui nella forma di un ' ipo­ tesi irreale: « Se la loro patria d'origine, da cui si erano allontanati (exebesan), li avesse dissetati, la possibilità (kairos) di pensare a essa (emnemoneuon) e di tornarvi (anakampsai) l 'avrebbero avuta (eichon an) )). Di fatto quel « se )) non si è avverato né si sarebbe potuto verificare (ipotesi irreale), in quanto la loro patria d'origine era di gran lunga meno perfetta di quella celeste dalla quale si sentivano attirati. Risultato: né la Mesopotamia, patria dei patriarchi, né la terra di Canaan (v. 9) sono state da essi considerate le città in cui porre le proprie tende. Non resta che tendere alla patria ce­ leste, a Dio: da lui essi sono « usciti )), a lui, nel suo riposo, essi devono « tornare )). Il v. 1 6 riassume quanto esposto ai vv. 1 0. 1 4. Il Canaan non si è rivelato ter­ ra promessa e non lo potrà mai essere; è solo tipo della patria celeste. Questa, che 168 Si veda in particolare Filone di Alessandria, De specialibus /egibus 4, 1 7; De agricultura 65. 169 Così già lo Pseudo-Piatone, Axiochus 365 8 : « La vita è un breve soggiorno in un paese stra­ niero ». 1 7° Così anche Epitteto, Dissertationes 2,23,39; 4, 1 , 1 54; Cicerone, Tusculanae disputationes 1 ,24 (Le Tusculane [E. Narducci - L.Z. Clerici, edd.], BUR, Rizzoli, Milano 1 996): dopo la separa­ zione dal corpo, l ' anima raggiunge la sua abitazione celeste. Retrostà la persuasione popolare, so­ stenuta da tradizioni filosofiche, secondo cui l 'anima torna al suo ambiente d' origine (Piotino, Enneadi 1 ,6,8). Ma non è questa la posizione antropologica di Ebrei. Dati in H. Braun, An die Hebriier, p. 367.

Il popolo della fede Eb 1 1 , l - l 2, l 3

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è l 'antitipo, al momento è invisibile, ma stabile e sicura, e tormenta il cuore dei patriarchi che anelano a essa, fino a volerla possedere 1 7 1 . Il loro pellegrinaggio, nella fede, tende a raggiungere il celeste (epouranios), migliore del terrestre. Quest'ultimo è stato ed è ancora necessario per i destinatari di Ebrei, onde capi­ scano la superiorità e l ' eccellenza (kreitton) del celeste 172 cui sono chiamati : « Entrare nel luogo del mio riposo » (3, 1 1 ). Si osservi l ' inclusione epikaleisthai (Eb 1 1 , 1 6) - kaloumenos (v. 8): Dio, che « non disdegna (ouk epischynetai) di chiamarsi loro Dio », è il Dio che chiama. E i chiamati sono appartenenti a lui (kleseos epouraniou metochoi, 3 , 1 ). L' inizio e il traguardo del cammino di fede sono nascosti in Dio; giungono a compimento at­ traverso Gesù, pioniere e perfezionatore della fede ( 1 2,2); è lui ad aver preparato (hetoimasen) per i suoi l 'anelata città (polis) celeste, la basi/eia (Mt 25 ,34)173• Ciò dice ancora quanto grande sia la ricompensa per chi non vacilla nella fede in lui (cfr. Eb l 0,35). I patriarchi la riceveranno con tutti noi ( I l ,40b) o l 'hanno già rice­ vuta al momento del loro incontro con il Dio vivente ( 1 2,22-23)? Ebrei non sembra interessato alla cosa, né offre elementi per una opzione precisa. La prima proposta è la più tenuta; ma la seconda va guadagnando terreno174• Con essi, quando sarà, l 'autore auspica che ogni credente, vittorioso su ogni dubbio nella fede, riceva la ri­ compensa delle cose sperate e invisibili, ora visibili e godibili 175• L' inclusione tra il v. 1 6 e il v. 8 richiama Eb 2, l l b per comunanza di lin­ guaggio e di contenuto: come la comune provenienza da uno solo (ex henos), Dio, rende Gesù solidale con i suoi fratelli, il quale non si vergogna (ouk epai­ schynetai) di chiamarli tali, lui redentore ed essi redenti (2, l 0- 1 8), così Dio, nel­ la maestà della sua regalità, non ritiene indegno di sé (ouk epaischynetai) ricono­ scere e accogliere quanti, nella fede, tendono a raggiungerlo. Non è per lui umiliante lasciarsi chiamare loro Dio (theos epikalefsthai auton) 1 76• L'allusione è a Gn 28, 1 3 e a Es 3 ,6. 1 5 : ai patriarchi e al suo popolo, entrambi pellegrinanti ver­ so di lui, Dio dà il suo riconoscimento e la sua accoglienza, dichiarandosi loro (auton) Dio: « Dio di Abramo, d' Isacco e di Giacobbe » 1 77• L'accento cade su au­ ton : Dio appare qui come il vero amico dei patriarchi 1 78•

1 7 1 È il senso forte di oregontai nel NT, qui e in I Tm 3, I; 6, l O. Attestato ancora in Epitteto, Dissertationes 1 ,2 1 , l ; in Filone di Alessandria, De somniis l , 1 40; De virtutibus 2 1 8 (altri dati in H. Braun, An die Hebriier, pp. 367-369), oregomai esprime una filosofia di vita tendente a relativizza­ re di molto le cose terrene, onde orientarsi verso le cose di Dio. È anche il caso dei patriarchi. 1 72 Non così E. Grli.sser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13,25, vol. 111, p. 1 42 : ritiene che kreitton qui e ovunque in Ebrei esprime assoluto contrasto. 1 73 Anche se Ebrei non è indicativo al riguardo, l 'uso di etoimazein applicato a Dio è in parallelo con il suo regno: ciò che Dio prepara per i suoi è il suo regno. 1 74 La sostiene W. Eisele, Ein unerschutter/iches Reich, p. 428 . 1 75 S u E b 1 1 , 1 4- 1 6, cfr. E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13,25, vol. I I I , pp. 1 35- 1 43. 1 76 La forma media ouk epaischynetai con l 'accusativo di persona e l ' infinito, tanto rara quanto preziosa nella versione dei LXX (2Esdra 8,22; 2Cr 1 2,6, LXX) e in Eb 2, l l b e 1 1 , 1 6 (cfr. anche 1 2,2), ricalca il senso corrente di vergognarsi o meno di fare qualcosa per qualcuno. Cfr. R. Bultmann, epaischyno, in GLNT ( 1 965) 1 ,508-5 1 2. 1 77 Così già Filone di Alessandria, De somniis I , 1 59. 1 78 Così H. Braun, An die Hebriier, p. 368.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Come gli eroi della fede in epoca biblica sono stati pellegrini verso la patria celeste ( 1 1 , l 0. 1 3 - 1 6), così i cristiani, compiuta la loro peregrinazione nel deser­ to (Eb 1 2, 1 8-2 1 ), sono approdati al monte Sion, alla celeste Gerusalemme, alla città del Dio vivente, di Cristo, degli angeli, alla città dei giusti ( 1 2,22-24) 179• Anticipato già « oggi », quell 'approdo sarà pieno nell ' adunanza festiva che ha luogo in cielo, alla quale somigliano altre che si tengono « intanto » sulla terra180• Tra il « già » e il « non ancora ». [1 1,17-19] Abramo e !sacco. Con la formula « anche riguardo a cose future » (kai peri mellonton, v. 20), l 'autore si collega alla promessa nei vv. 1 7- 1 9 e, per so­ miglianza di struttura, ai vv. 2 1 -22. Il v. 20 fa così da cerniera in una unità lettera­ ria, in due momenti: Abramo e il sacrificio dell 'unigenito !sacco, in 1 1 , 1 7 - 1 9; !sacco, Giacobbe, Esaù e la primogenitura in 1 1 ,20-22. Ognuno di questi patriar­ chi ha agito nella fede, credendo in cose non ancora visibili, ma che si sarebbero certamente verificate, perché le promesse di Dio non possono che adempiersi. [v. 1 7] Se al v. 8 Abramo è il « chiamato » (kaloumenos) con speciale voca­ zione a essere forza trainante (tipo) nella fede per noi tutti, chiamati ai beni della salvezza181, qui egli è il « tentato » (peirazomenos). Stando al Libro dei giubilei 1 7, 1 7- 1 8 e 1 9,8-9, si tratta della nona tentazione delle dieci cui Dio ha sottoposto Abramo: il sacrificio di !sacco. La scena evocata è quella di Gn 22: la 'aqeda (le­ gare). Questa denominazione proviene dal v. 9: « Abramo legò il figlio !sacco ». L'uso di prosphero (2 volte in 1 1 , 1 7) dà alla 'aqeda il profilo di una offerta sa­ cerdotale. Non sfugga la situazione paradossale voluta dali 'autore: avvalendosi del perfetto (prosenenochen) 182, questi intende dire che Abramo ha consumato il sacrificio d' !sacco, l 'unigenito figlio della promessa 183, nato da una coppia ormai prossima a morire ( 1 1 , 1 1 - 1 2). Ma quel sacrificio in verità non è mai avvenuto materialmente, ma nella fede184• Questa si erge così in tutto il suo profilo; quel sa1 79

Cfr. O. Bocher, Die heilige Stadt im Volkerkrieg, in O. Betz - K. Haacher - M. Hengel (edd.), Josephus-Studien. Untersuchungen zu Josephus, dem antiken Judentum du dem Neuen Testament. FS O. Miche/, Vandenhoeck & Rupprecht, Gottingen 1 974, p. 7 1 . 1 K° Cfr. K.L. Schmidt, kaleo, in GLNT ( 1 968) 4, 1 524. 181 Cfr. Ibid. 4, 1 455 . 1 458. 1 82 Gc 2,2 1 recepisce la tradizione giudaica sulla 'aqeda esprimendosi al participio aoristo: « Abramo . . . ha offerto (anenegkas, che sta per anenenkOn) sull 'altare dei sacrifici il figlio Isacco » e spiega che questo comportamento del patriarca è un'opera avvenuta nella fede. 1 83 Ebrei pensa a Isacco, figlio « unigenito » nato da Abramo e Sara, e ignora del tutto Ismaele da Agar. Cfr. anche G. Flavio, Antichità giudaiche 1 , 1 22 ; Salmo di Salomone 1 8,4. Ancora H. Braun, An die Hebriier, p. 370. Si interessa dettagliatamente all 'argomento J.M. Bulman, The only Begotten Son, in CTJ 1 6 ( 1 98 1 ) 56-79, per il quale monoghenes indica in l sacco il figlio non « uni­ co » (vi è infatti anche Ismaele), ma l 'unigenito da Abramo e Sara. Leggere « unigenito » nel senso di « unico nel suo genere » è da escludere come non pensato da Ebrei. 1 84 Il symposium su The Sacrifice oflsaac in the three monotheistic religions (F. Manns, ed.), Jerusalem 1 995 (al quale ho potuto presenziare), non ha dato attenzione a Ebrei o, probabilmente, non ha avuto motivo di darla, dal momento che la tradizione giudaica (rilevabile dalle feste liturgi­ che di Pesai], Tamid, s•moneh 'E5reh, S'lii]Ot e Ro 's hassana), tradizione molto attenta alla 'aqeda d' lsacco, non lo sembra altrettanto verso una celebrazione sacerdotale e sacrificate nella fede. Ciò comprova la specificità di Ebrei; anche il raffronto tra Ebrei e Paolo su Isacco conferma quella pe­ culiarità. Voler vedere in Rm 4,23-25 (morte e risurrezione di Gesù nostro Signore) un'allusione al­ Ia 'a qeda d' lsacco sembra un po' eccessivo, dal momento che tutto il capitolo di Rm 4, 1 -22 gira at-

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crificio avrebbe infatti annullato la promessa della discendenza proprio con la pa­ radossale collaborazione di lui, « il depositario stabile e permanente >> della me­ desima, stando alla formulazione « proprio chi aveva ricevuto (ho anadexame­ nos) le promesse ». La combinazione prosenenochen {perfetto) prosepheren (imperfetto) suggerisce la traduzione « stava per offrire, era sul punto di, era pronto a », la quale pone in luce il momento in cui il patriarca decide la propria adesione alla richiesta di Dio. Si tratta infatti di un imperfetto di conato 185• Isacco: figlio unigenito o figlio unico? Alcune rilevazioni per una risposta adeguata. Monogenes-unigenitus presenta Gesù generato dal Padre 186 come parola e come forza1 87, come fautore di tutte le cose1 88, come unigenitus perché generato solo da Dio, dunque unicus nel suo genere 189; ma è anche il prototokos-primoge­ nitus, perché generato prima di tutte le cose 190• Dunque: unigenito, unico, primo­ genito. La Vetus Latina rende monogenes con unicus a proposito di Le 7, 1 2; Gv l , 14. La Vulgata scrive unigenitus in Gv l , 1 4 e in Eb 1 1 , 1 7, mentre mantiene unicus in Le 7, 1 2. Si assiste cioè a un' interscambiabilità di termini. Eb 1 1 , 1 7 presenta Isacco (ton Jsaak . . . ton monogene; hapax legomenon in Ebrei) come « figlio unigenito, unico ». Ma di chi? Abramo ebbe infatti due figli : Ismaele da Agar (Gn 1 6) e Isacco da Sara (Gn 2 1 ), e ancora sei figli da Ketura (Gn 2 5 , l ). Eppure, solo l sacco è detto unigenito (mono-genes) di Abramo. L'appoggio per Ebrei è Gn 2 1 , 1 2 : « In Isacco avrai una discendenza che sarà chiamata con il tuo nome ». Isacco è dunque l 'unigenito di Abramo (da Sara), nel quale (e non in lsmaele da Agar) passa la benedizione per la discendenza. l sacco fu dunque l 'unigenito figlio di Abramo in vista dell 'elezione. Isacco è l 'unigenito figlio di Abramo, scelto perché in lui prenda corpo e no­ me la discendenza. Cristo è l 'unigenito (o unigenerato?} 1 9 1 « Figlio di Dio », il di-

tomo alla figura di Abramo e alla sua fede in una prole impossibile (ottima qui la sintonia con Ebrei). Cioè Rm 4 non allude a I sacco. Quanto a Rm 8,32 non si può andare oltre una citazione implicita di Gn 22, 1 2. 1 6, che peraltro non torna mai esplicitamente nell 'epistolario paolino; più chiara è invece la posizione di Eb 1 1 , 1 7- 1 9, dove la funzione di parabole-miisiil di Isacco, tipo di Gesù antitipo, è poco più esplicita: come Isacco è immolato (nella fede}, così Gesù è immolato di fatto; come Isacco « risorge » nella fede di Abramo, così Gesù risorge nella potenza di Dio. Il raffronto, che regge, met­ te in ogni caso in luce le due differenti posizioni: per Paolo è fondamentale la tipologia di Isacco, fi­ glio unico, la cui 'aqeda non è per lui argomento di esplicito interesse; l 'allusione in Rm 8,32a è dav­ vero irrilevante, è un theologumenon. P. Femandez, The 'Aqedah in Pau/, in (F. Manns, ed.), The Sacrifice of/saac, pp. 87 e 9 1 sembra sopravvalutarla. Cfr. la motivata posizione di A. Pitta, Lettera ai Romani, pp. 3 1 4-3 1 5 . Già J. Swetnam, Jesus and Isaac. 1 85 Così F. Blass - A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento 326. Ancora M. Zerwick - R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 68 1 . 1 86 Cfr. Atanasio di Alessandria, Orationes contra arianos 2,64. 18 7 Così Giustino, Dialogus cum Triphone Judaeo l 05, 1 -2. 188 Cfr. Eusebio di Cesarea, De laudibus Constantini I l , I l . 1 89 Così Girolamo quando traduce monoghenes con unicus, sotto l ' influsso del credo di Epifanio: « Unico Figlio generato dal Padre ». Cfr. DS 44. 1 90 Così Tertulliano, Adversus Praxean 1 0, 1 5, e Ireneo di Lione, Adversus haereses 5, 1 0- 1 1 . 1 9 1 J.M. Bulman (The only Begotten Son, in CTJ 1 6 [ 1 98 1 ] 56-79) propone una dettagliata di­ squisizione e vede in monoghenes lo only begotten son (unigenerato), che ritiene preferibile a only son (unigenito).

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Parte seconda. Traduzione e commento

scendente scelto per intraprendere il lavoro di concreatore e redentore. Su queste formulazioni si può convenire. [v. 1 8] Ed ecco la promessa: « In Isacco una discendenza 192 sarà chiamata con il tuo nome » (cfr. Gn 2 1 , 1 2, LXX). Con più attenzione al senso, la BJ tradu­ ce: « In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome »; dunque non in Ismaele, figlio della schiava (Gn 1 6, 1 5 ; Gal 4,22), ma solo in Isacco, il figlio del­ la promessa (Gal 4,23), il figlio unigenito e particolarmente amato 193• Da notare che Eb 1 1 , 1 8 si avvale di Gn 2 1 , 1 2b194, forse perché vi ricorre il verbo kaleo (chiamare), altrove associato ad Abramo (Eb 1 1 ,8), al sacerdozio (5 ,4) e ai cri­ stiani (3, 1 ). Virtualmente completo, il sacrificio di Abramo è ancora incompiuto, ha solo il valore di una parabole (figura) 195, è anticipazione simbolica di una realtà ancora invisibile: la croce e la tomba vuota196• Pietra basilare in tutta questa vicenda è la fede. Abramo si tiene saldo a Dio, anche nel caso estremo in cui questi gli sta mostrando di annullare la sua pro­ messa. In forza di questa fede, « esperienza . . . e prova delle realtà che non si ve­ dono )) ( l l , l ), il patriarca occupa da sempre nella storia della fede giudaica un in­ contrastato primo posto di onore e venerazione 1 97, nonché nella riflessione teologica e spirituale dell 'ebraismo contemporaneo198• L'agire di Dio non può ap­ parire ragionevole a chi ne coglie solo le apparenze. Le contraddizioni di Dio so­ no impegnative: promette ad Abramo « discendenti che porteranno il tuo nome )) ( 1 1 , 1 8) e chiede il sacrificio di Isacco, il capostipite della discendenza promessa; promette una terra, ma essa appartiene ad altri; sceglie e guida il suo popolo, ma lo conduce in esilio e in una peregrinazione lunga e faticosa; promette il Messia e invia un bambino; questi poi lo consegna a una croce. 192 Sperma sta per discendenza, come già in Eb 2, 1 6. 193 Così suggerisce il comportamento della versione dei LXX, che traduce l ' ebraicoja�id (uni­ co-unigenito) anche con « amato » (agapetes; Gn 22,2. 1 2. 1 6). Ma vedi L. Ginzberg, The Legends of the Jews, voli. I-VI, The Jewish Publication Society of America, Philadelphia 1 942, vol. I, p. 274: Abramo dichiara di amare egualmente Ismaele e Isacco. 1 94 Gn 2 1 , 1 2b è riferito letteralmente in Eb 1 1 , 1 8 e in Rm 9,7, secondo la LXX : en lsaak klethesetai soi sperma. 1 95 Nel NT parabole ha 54 frequenze dai significati diversi: nei sinottici ha il senso di senten­ za breve, detto, proverbio e, più comunemente, di parabola. In Ebrei parabole significa controfigu­ ra, tipo. Ricorre 2 volte: in 9,9 e nel nostro passo. Il suggerimento di A. Jaubert (Symboles etfigures christologiques dans le Judaisme, in RSR 47 [ 1 973] 3 8 1 -3 82), che ravvede nel sacrificio d'Isacco un valore espiatorio (( estremamente probabile », resta in verità del tutto improbabile proprio perché la 'aqeda d'Isacco è pura anticipazione simbolica della 'aqeda di Cristo (legato alla croce), l ' unica in grado di espiare. 196 Allusioni gesuologico-cristologiche, secondo H. Griisser (A n die Hebriier. Hebr 10, 1 913, 25, vol. III, p. 1 46, nota 22) sono da escludere. Eppure, il tipo-antitipo (( I sacco-Gesù » è innega­ bilmente presente nella mente di Ebrei. 197 Si leggano: Sir 44, 1 9-20; Sap l 0,5 ; l Mac 2,52; Gc 2,2 1 -23. Abbondante documentazione in R. Martin-Achard, Abraham. 1: /m Alten Testament, in TRE 1 6,364-37 1 , e K. Berger, Abraham. Il: /m Friihjudentum und Neuen Testament, in TRE 1 6,372-382, e R.P. Schmitz, Abraham. III: im Judentum, in TRE 1 6,382-385. 198 Si veda, ad esempio, L. Ginzberg, The Legends ofthe Jews, The Jewish Publication Society of America, Philadelphia 1 909, vol. I, pp. 27 1 -286: su Abramo e sulla 'aqec/8. Il materiale raccolto da L. Ginzberg proviene dalla letteratura talmudico-midrashica, pseudepigrafa, sinagogale, e dai pa­ dri della Chiesa.

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La grande prova di Abramo (vv. 1 7- 1 8) non fu tanto la chiamata di Dio a la­ sciare la sua terra di Harran (Gn 1 2, 1 ), ma il comando a eseguire il sacrificio di lsacco (Gn 22, 1 - 1 4), la 'aqeda (Gn 22,9), un impensabile sacrificio personale, che getta dense ombre di dubbio sul come possano poi adempiersi le promesse di Dio. [v. 1 9] Ma « Abramo, messo alla prova (peirazomenos) » (v. 1 7), reagisce in obbedienza-collaborazione e mostra piena fiducia che la morte non potrà in alcun modo impedire la realizzazione delle promesse di Dio. Egli procede a quel sacri­ ficio nella sicurezza che Dio può far risorgere dai morti. Secondo Eb I l , 1 9, Abramo, che riottiene Isacco, lo riceve come dalla morte; Isacco è cioè il simbo­ lo (parabole) della potenza di Dio, capace di richiamare i morti alla vita. Ebrei mostra di ben conoscere la tradizione targumica sull 'argomento, secondo la qua­ le il ritorno di Isacco con Abramo dal luogo del sacrificio è come un ritorno dal­ la morte. Abramo cioè è sicuro che, pur dovendo sacrificare Isacco, lo riotterrà vivo da Dio 199• Inoltre, che Ebrei veda nella 'aqeda di Isacco un' « anticipazione simbolica » della morte e risurrezione di Gesù legato [?] alla croce e avvolto-le­ gato in panni di lino nella tomba (Gv 1 9,40) e, in lui, della sua discendenza, sem­ bra non potersi escludere200 • Anche qui si è infatti in presenza di una haggada: Ebrei riprende la storia di Isacco e ne mette in luce il valore attuale nella storia cristiana201 • Il comportamento dell 'autore è oculato e opportuno, in quanto la hag­ gada su Isacco era molto nota nella teologia e nella preghiera giudaica202, dunque anche ai suoi destinatari, cristiani di origine ebraica: « O Dio eterno, Dio nostro, guarda benigno alla scena del sacrificio, quando Abramo legò suo figlio sull 'alta­ re. Ricòrdati ogni giorno del sacrificio di Isacco in favore della sua discenden­ za »203 • Ed è proprio quella popolarità della vicenda di l sacco a giustificarne riferi­ menti nel NT (Gv 8,36.56; Gal 3 ; Rm 4; 9,7- 1 1 , e soprattutto Rm 8,32). Vi si deve aggiungere Eb I l , 1 9b, il solo documento neotestamentario che vede in Gn 22 una tipologia esplicita: « Isacco-Gesù », « tipo-antitipo », a motivo della scena della

1 99 Così R. Le Deaut, La présentation targumique du sacrifice d '/saac et la sotériologie pauli­ nienne, in Studiorum Paulinorum Congressus Internationalis Catho/icus, vol. II, PIB, Rome 1 963, p. 569. 200 Così Lettera di Barnaba 7,3 e i padri della Chiesa: Teodoreto di Cir(r)o, Interpretatio episto­ lae ad Hebraeos, in PG 82,763, nota 6 1 9: simbolo e tipo di passione e risurrezione, con appoggio a Gv 8,56; Melitone di Sardi, Sur la Ptique 59,430, pp. 92-93 ; 69,499, pp. 98-99 (0. Perler [ed.], SC 1 23): il mistero del Signore legato in croce è illustrato da Isacco egualmente legato; Tommaso d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. Il, Ad Hebraeos 606, p. 469. Ancora Clemente di Alessandria, Origene, Agostino di Ippona. Lo esclude invece R.A. Culpepper A Superior Faith: Hebrews / 0, / 9-12,2, in Review and Expositor 82 ( 1 985) 385; più di recente, E. Griisser (An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13,25, vol. III, p. 1 49) impugna con decisione la posizione patristica. 201 Già presente nella storia dei patriarchi (Eb 1 1 ,7. 1 0. 1 3 . 1 6.20.26), la procedura haggadica di­ venta ben chiara in Ebrei nel caso d'Isacco. 202 Abbondanza di dati in R. Albertz, Isaak, in TRE 1 6,292-298, su AT e NT, e in M. Brocke, lsaak, in TRE 1 6,298-30 1 , su Isacco nel giudaismo. Quasi nulla (solo una menzione) l 'attenzione a Eb 1 1 , 1 7. 203 Così nella preghiera di Ro 's hassii na . Anche nel caso in cui questa preghiera dovesse esse­ re posteriore a Ebrei, il tema che essa elabora le è notevolmente più antico. Ebrei mostra di cono­ scere la haggada giudaica su Isacco. Così già R. Le Deaut, La nuit pasca/e. Essai sur la signification de la Paquesjuive à partir du Targum d 'Exode X/1 42 (Analecta Biblica 2), PIB, Rome 1 963, p. 1 68.

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Parte seconda. Traduzione e commento

'aqediJ. che accomuna le due vicende204. La haggada cristiana ne riprende una giudaica e se ne serve per « raccontare » il mistero di Gesù205, la morte e risurre­ zione di lui, in termini di perfezione e compimento (teleioo e parabole), un bino­ mio di tipo constestuale, dove il compimento è di ordine sacerdotale206. Ebrei nella restituzione di Isacco ad Abramo da parte di Dio vede una tipo­ logia risurrezionale generale e applica analogicamente questo potere di Dio, già esercitato in I sacco, a Gesù207. Si può dire che la 'aqediJ. è l 'evento su cui è centrato il messaggio di Eb 1 1 , il sacrificio di Abramo-Isacco e il conseguente rapporto tra l 'offerta sacrificate e la promessa di una discendenza. I capp. 1 1 - 1 3 trattano della discendenza di Abramo: prima di Cristo Eb I l ; dopo Cristo Eb 1 2- 1 3 . Questa promessa si rea­ lizza « nel ritorno dai morti » di Cristo, « il pastore grande delle pecore » ( 1 3,20), ed è vissuta con la fede in lui. In base a questo rapporto offerta-discendenza, so­ no da considerare altre realtà anticotestamentarie come Melchisedek, la liturgia del giorno dell 'espiazione, la profezia di Ger 3 8 ,3 1 -34 (LXX) sulla nuova al­ leanza208. Abramo ha imparato che Dio provvede (Gn 22,8. 1 4). Anche Ebrei pensa nella direzione di una fede che è « fondamento-esperienza delle realtà che si spe­ rano >> ( I l , l ). Dio porta a compimento le sue promesse. Anche quella della risur­ rezione? La 'aqediJ.209 d'Isacco, evento che fonda la promessa, porta già in sé una implicazione di risurrezione. Per il v. 1 9, la fede di Abramo nell 'offrire I sacco a Dio fu fede nella risurrezione. A una lettura più attenta, poi, se Giacobbe rappre­ senta Israele, Isacco rappresenta tutti gli eredi della promessa, ben oltre le dodici tribù, dunque anche i gentili. Anche Paolo illustra il rapporto tra ebrei e gentili in termini di risurrezione2 10. Analogo il comportamento di Le 1 5 ,24, che tratteggia 204 Così, autorevolmente, R. Le Deaut, La nuit pasca/e, p. 202, nota 1 85 . 205 La 'aqeda di Isacco potrebbe avere un valore espiatorio in base a lPt 1 , 1 9-20: « . . . Foste li­ berati (v. 1 8) con il sangue prezioso di Cristo come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo . . . >> . Che quest'ultima annotazione possa riferir­ si al valore prefigurativo del sacrificio di Isacco, resta discutibile. 206 Nel sacrificio di Abrarno-Isacco vi è l 'anticipazione simbolica (parabole) del sacrificio sacer­ dotale di Cristo sulla croce e alla tomba vuota (teleioo). Così J.P. Michaud, « Parabolb dans / 'épitre aux Hébreux et typologie, in Sémiotique et Bible 46 ( 1 987) 25-26, e anche J. Swetnam, Jesus and /saac, pp. 166- 1 67. Ma la qualità dell 'antitipo è nuova e superiore (kreittonos): Gesù il Cristo è sacerdote e vittima. 207 Si vedano utilmente S. Stanley, Hebrews 9, 6-1 0: The « Parable » of the Tabernacle, in Novum Testamentum 37 ( 1 995) 390-39 1 , e ancora prima J. Swetnam, Jesus and Isaac, pp. 1 66- 1 67. 208 Questo aspetto è trattato da J. Swetnarn, Hebrews 1 1. An Interpretation, in Melita Theologica 4 1 ( 1 990) 97- 1 14. L'impostazione argomentativa mi è parsa talora non poco ardita, come già altrove notato: assunzione di Enoch = assunzione di Maria; sterilità di Sara = verginità di Maria; rinunzie e per­ secuzioni = celibato sacerdotale. In verità, lo stesso J. Swetnarn (lbid. 1 1 3- 1 1 4) annota che le sue mol­ teplici ipotesi sono da approfondire e ne indica anche la strada: con l 'ausilio della letteratura giudaica. E conclude: « Una cosa è certa: Eb I l è uno degli scritti più intricati del NT ». 209 La 'aqeda sintetizza bene tutta la vicenda narrata in Gn 22, 1 - 1 9: la disponibilità di Abramo a offrire a Dio il suo unico figlio, la prontezza di Isacco a lasciarsi immolare perché quel progetto si compia. Entrambi mostrano di esserne ali 'altezza: Abramo, fondatore del popolo giudaico; Isacco, erede di tanto compito e simbolo dell 'offerta permanente a Dio. Lo sopiir - o corno di ariete - nel­ la festa di Ro 's hassiiniì ricorda appunto l 'ariete offerto a Dio in sostituzione d'Isacco. 2 1 0A coloro che un tempo erano tenebra e ora sono luce Paolo dice: « Svegliati, o tu che dormi, e destati dai morti (kai anasta ek ton nekron) e Cristo ti illuminerà » (Ef 5, 1 4). Ai gentili l 'Apostolo

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il contrasto tra i due fratelli ( 1 5, 1 1 -32), l ' attrito tra ebrei e gentili, con un lin­ guaggio di risurrezione2 1 1 • [vv. 20-22] La benedizione dei patriarchi morenti, !sacco, Giacobbe, Giuseppe. Ognuno di essi ha ricevuto una promessa per il cui adempimento ha guardato avanti, nel futuro, e non nelle immediatezze del presente. !sacco (v. 20) morente, vittima e pacifista per tutta la sua vita (Gn 26, 1 2-22), ri­ ceve la promessa (Gn 26,25) e, per quanto ingannato, non riconsidera la benedizione prevista per il primogenito Esaù, data invece al secondogenito Giacobbe (Gn 27, 1 -40). Anche Giacobbe (v. 2 1 ), l ' ingannatore birbone, si comportò allo stesso mo­ do e, prossimo a morire, elargì la sua benedizione sui figli Efraim il minore e Manasse il maggiore, incrociando le mani sì che la sua destra posasse sul capo del minore e non del maggiore (Gn 48, 1 4-20). Egli cioè guardò nel futuro dei due figli non in base alla tradizione tribale, ma con fede in ciò che il Dio dei padri avrebbe certamente attuato in essi. Giuseppe (v. 22), il sognatore, vicino a morire, ha guardato avanti, nel futu­ ro di Dio, e ha sperato nell 'adempimento delle sue promesse. Vissuto in Egitto fi­ no alla sua età di settanta anni, quella terra non era e non sarebbe mai stata la sua. Prevedendo l 'esodo, si fa promettere dai figli che le sue ossa sarebbero state tra­ sportate nella terra promessa (Gn 50,24-26; Es 1 3 , 1 9; Gs 24,32). Con questa en­ fasi sulla fede di Giuseppe nella risurrezione, l 'autore chiude i vv. 1 7-22. Il rife­ rimento all 'esodo, poi, lega questi versetti ai successivi: 1 1 ,23-3 1 . Un particolare di rilievo : il sacerdozio cristiano (in figura) sarebbe l 'ogget­ to della benedizione; lo dimostrerebbe l ' allusione di Eh 1 1 ,2 1 , in cui Giacobbe, nel benedire i figli di Giuseppe (Efraim e Manasse ), si appoggia al bastone (rhabdos) di lui21 2 (Gn 47,3 1 ; 48, 1 5- 1 6). Ora, in Eb 1 ,8b Cristo risorto (in segui­ to definito sommo sacerdote) è presentato con in mano lo scettro (rhabdos) e in Eh 9,4 si menziona « la verga (rhabdos) di Aronne », la quale sarebbe emblema del sacerdozio nella prima alleanza. Appoggiandosi al bastone, Giacobbe prefi­ gurerebbe, pur senza saperlo, il sacerdozio di Cristo2 13• Deduzione, credo, di gran

dice: « Voi eravate morti (nekrous) » (Ef 2, 1 ) e aggiunge: « Da morti che eravamo per i peccati, Dio ci ha fatti rivivere con Cristo (synezoopoiesen tij Christij): per grazia siete stati salvati » (Ef 2,5). In Rm 1 1 , 1 5 l 'accoglienza del popolo eletto sarà una « vita dai morti ». 211 Le 1 5,24: « Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita (nekros én ka i anezésen) ». 2 1 2 'lè s rhabdos autou. La traduzione della CEI omette il pronome personale, ma inopportuna­ mente. Senza autou, infatti, il bastone in questione non si capisce bene di chi sia. 213 Il primo significato etimologico di rhabdos è « ramo flessibile, verga, bacchetta ». Nel NT il termine può avere varie accezioni : strumento di misura, bastone per percuotere, o da pastore o da viandante. In Eb I l ,2 1 esso significa « bastone per il sostegno degli anziani ». Nel fatto che Giacobbe, dopo la sua ultima preghiera, si sia chinato sul bastone, Ebrei vede un segno di particola­ re umiltà davanti a Dio, di fronte al quale il patriarca morente « si prostrò ». Andare oltre, interpre­ tando l ' inconsapevole, è procedura « rischiosa », se non è solidamente fondata. Lo stesso rapporto « tipo-antitipo » è piuttosto debole e non in ordine al sacerdozio, ma alla regalità. Ci si può infatti n­ collegare solo a Eb l ,8: Cristo, come Signore del mondo, impugna lo scettro di Dio, segno del suo legittimo dominio divino e della sua regalità. Regalità dunque e non sacerdozio. Non è certo il caso di Giacobbe. Una nota estetica: il testo riprende lo scambio che la versione dei LXX fa in Gn 47,3 1 tra mif(a (letto di Giacobbe morente) e maf(eh (bastone). Cfr. C. Schneider, rhabdos, in GLNT ( 1 977) l i ,93 1 -933. Sulla verga di Aronne, cfr. Eb 9,4.

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lunga oltre l ' intenzione di Eb I l , che ha il solo scopo di dimostrare che la fede è dono gratuito ed è anima della speranza. Ma non si potrebbe trattare di significa­ ti nascosti, che sfuggono a un 'esegesi diretta e che vengono alla luce solo se let­ ti in relazione alle realtà cristiane che prefigurano? Aperto a ogni sorpresa, il cri­ terio (esegetico?) dell 'allusione nascosta genera perplessità2 14• Abramo pioniere, Isacco vittima pacifica, Giacobbe ingannatore, Giuseppe sognatore; ognuno, a suo modo, si impossessa delle vitali promesse di Dio e guarda avanti, per il loro adempimento nel futuro, nella fede, come se vedessero l ' invisibile. È quanto si può dire. [vv. 23-29] Fede e storia: da Mosè a Giosuè. Dopo Abramo, la forza più trainante nella fede per il giudaismo antico è Mosè, uomo di Dio e guida del po­ polo eletto: ha fiducia nelle speranze future e nel compiersi delle realtà invisibili (criterio stabilito in 1 1 , l ). Questo appare in cinque momenti della sua storia, tan­ to intrisa di pericoli e sofferenze. Il primo momento (v. 23). Con bel paral lel ismo, il neonato Mosè (gennetheis) è introdotto subito dopo il morente Giuseppe (teleuton, v. 22). I ge­ nitori nascondono per tre mesi il piccolo appena nato, sfidando i tremendi rischi in cui incorrono per il non rispetto dell 'editto del re (Eb 1 1 ,23; cfr. Es 1 ,22; 2,2-3 ). Nella sua straordinaria bellezza (elegantem infantem, dice la versione Vulgata), i genitori, ravvidero un segno della benevolenza di Dio e ne intuirono lo specia­ le progetto su quel bambino. Così annota Filone di Alessandria, il quale aggiun­ ge che essi fecero di tutto per proteggerlo, provvedendo alla sua sussistenza2 15• Una così coraggiosa opposizione al crudele editto del re, afferrato dali ' ira, non si può spiegare che a mezzo di una fede solida e incrollabile, da parte dei geni­ tori di Mosè, di casa levitica (Es 2, l ) . Un motivo di tanta fede è presente già in Es l , 1 7 : la fede piena di venerazione delle levatrici ebree, Sifra e Pua (Es l , 1 5). Non sfugga un particolare : mentre Es l ,22 parla del « faraone », Ebrei sostituisce il termine con « re ». La variante è intenzionale. L'autore intende riferirsi al re imperatore romano, concausa attendibile del disorientamento nella fede dei suoi destinatari. Un atteggiamento critico nei confronti dello Stato civile e dell 'auto­ rità costituita, ma anche un 'esortazione a sopravvivere nella fede (cfr. anche Eb 1 0,34 e 1 2,42 16). Il secondo momento (vv. 24-26). Divenuto adulto (Es 2, 1 1 ), Mosè acquista prestigio a corte e vi si impone come personalità di spicco2 17• Eppure rigetta (ernesato) senza ripensamenti2 18 l 'allettante invito (malon) di fare parte della fa­ miglia del faraone (v. 24), cosa che del resto gli spettava, essendo figlio di una fi­ glia (innominata) di lui (Es 2, l Oab), osserva Filone2 19• Rifiuta la vita agiata di corte e preferisce continuare a identificarsi con il popolo di Dio ( 1 1 ,24-26; Es 214 La questione nasce in base alla proposta di J. Swetnam, Hebrews 1 1. An lnterpretation, in Melita Theologica 4 1 ( 1 990) 1 05- 1 07. 215 Filone di Alessandria, De vita Mosis l ,9 ss. 2l6 Cfr. A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 208. 217 Così ancora Filone di Alessandria, De vita Mosis 1 ,3 1 ss. 218 È il senso di arneomai. Con 32 frequenze nel NT, questo verbo è presente in Ebrei solo qui. 219 Filone di Alessandria, De vita Mosis 1 ,45 . Ancora prima si vedano Es 2,5-7 .9- 1 0 e At 7,2 1 .

Il popolo della fede Eb 1 1, l

-

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2, 1 1 - 1 5 ), del quale vuole condividere umiliazioni e oppressione220• In questo sa­ rebbe consistito il suo « peccato »: restare a corte come principe egizio, mentre il suo popolo è nell ' umiliazione. Con questa scelta infelice, Mosè sarebbe come de­ caduto dali 'appartenenza al suo popolo, eletto da Dio. Anche Filone esamina il comportamento di Mosè e vi scopre il permanere della « capacità di vedere ciò che è giusto e vero ))22 1 • Mosè non si lascia abbacinare dai vantaggi momentanei (proskairon apolausin) in triste contrasto con gli svantaggi permanenti della sua gente. A guidarlo è la fede in quel Dio che avrebbe liberato il suo popolo (v. 25). Caloroso invito alla comunità: non si lasci riassorbire da tradizioni deboli e ormai sorpassate, le rifiuti decisamente e resti fedele alla scelta di Dio, in Gesù Cristo. Ed eccone il motivo, al v. 26. Con la sua fede in Dio, Mosè mostra di stimare « l ' oltraggio di Cristo )) (ton oneidismon, v. 26), formula tecnica ben nota ai destinatari dal Sal 88,50-5 1 : « Nella tua fedeltà ricorda, o Signore, l 'oltraggio dei tuoi servi », e ancora dai Sal 68, l O e 2 1 ,7 : il salmista ricorda a Dio che lo zelo per la sua casa gli ha ottenuto so­ lo oltraggio e disprezzo. Nella storia della propria fede essi sono il normale ap­ pannaggio di Mosè, il credente in Dio. Pur senza saperlo, egli obbedisce come a un filo conduttore nascosto e preannunzia nella sua fede la futura passione di Cristo. Di lui, egli è già « in qualche modo » un metochos-particeps (3, l ); gli ol­ traggi sono per lui una ricchezza maggiore di tutti i tesori dell 'Egitto messi insie­ me (Eb 1 1 ,26), pur sempre transitori. Qualora egli fosse rimasto a corte, sarebbe incorso nel peccato di abbandono del suo popolo ( 1 1 ,25), il popolo di Dio, in per­ manente oppressione. Egli, invece, non perde di vista la ricompensa, anzi « innal­ za verso essa con continuità il suo sguardo ))222; essa veicola il dono della salvez­ za, un bene superiore a tutti i beni terrestri . Egli decide di uscire dali 'Egitto, portando su di sé inconsapevolmente « l ' obbrobrio di Cristo » che esce dali ' ac­ campamento ( 1 3 , 1 1 - 1 3 ), oltre le mura protettrici della città, dunque neli ' insicu­ rezza della vita quotidiana, e partecipa, nella fede, alla sua passione. Contrasti e opposizioni sono il migliore presupposto per la conquista della vita futura. Ebrei elabora il termine « obbrobrio (oneidismos) » in proprio ( l O, 1 3 ; I l ,26; 1 3, 1 3) e se ne avvale per costruire un momento specifico della tipologia Mosè/Cristo. L'esortazione ai lettori è chiara: partecipare ali ' « oltraggio di Cristo » è ric­ chezza che sorpassa ogni ricchezza, anzi è il migliore guadagno (Fil l ,2 1 ). « Oltraggio di Cristo )) è dunque la sua passione e la sua croce, chiave interpreta­ tiva di ogni altra sofferenza nella fede, al di fuori della quale resta incomprensi­ bile percepire il perché di oltraggi e opposizioni. Dunque, scegliere Cristo e i suoi disprezzi o abbandonare la comunità cristiana. Un passo da compiere. Mosè inÈ il senso di synkakoucheìsthai attestato solo qui in tutto il NT e, senza syn-, in Eb 1 1 ,37 e 1 3,3. I padri della Chiesa conoscono il temine solo in riferimento a Eb I l ,25. Per qualche raro dato, cfr. G.W.H. Lampe, A Patristic Greek Lexicon, p. 696. Vedi anche Filone di Alessandria, De vita Mosis l ,32.40.42. 22 1 Così Filone di Alessandria, De vita Mosis 1 ,32. Si veda ancora A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 209. 222 È il senso di apeblepen eis ten misthapodosian. Il termine ricorre solo in Eb 2,2 in senso ne­ gativo di « punizione » e in Eb l 0,35 e I l ,26b in senso positivo. 220

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terpella chi guarda al di là di una soddisfazione transitoria: « I suoi occhi erano fissi al giorno futuro » ( 1 1 ,26). Il terzo momento (v. 27). Mosè « lasciò l 'Egitto senza temere (me phobetheis) l ' ira del re ». Il riferimento a Es 2, 1 5- 1 6 è suggerito dalla successione cronologi­ ca degli avvenimenti che Ebrei sembra percorrere : egli diviene uno straniero in terra straniera, ospite di Reuel, sacerdote di Madian, il quale gli darà in moglie Zippora, una delle sue sette figlie (Eb 1 1 ,27 con allusione a Es 2, 1 5- 1 6)223• Questo riferimento presenta tuttavia un ' incoerenza: Mosè, infatti, si allontana dali 'Egitto per paura dell ' ira del faraone (ephobethe, Es 2, 1 4)224 dopo l 'uccisione dell ' egi­ ziano, la quale comportava la pena di morte (Es 2, 1 4- 1 5). Forse, scrivendo « lasciò (katelipen) l 'Egitto >>, Ebrei pensa ali 'esodo di cui in Es 1 3 , 1 7 - 1 5 ,2 1 . Ma anche qui vi è qualche incoerenza. L'esodo infatti avvenne con l 'approvazione del fa­ raone (Es 1 2,3 1 -32), il quale cambia parere più tardi (Es 1 4,5) e solo allora quel­ l ' esodo diventa una « fuga » accompagnata dalla paura dei « fuggitivi » di essere ricatturati. L'esortazione di Mosè al popolo, a non avere paura (Es 1 4, 1 3), è an­ eh' essa non facilmente coordinabile con quanto Ebrei scrive225• Si ha qui, per una volta ancora, la prova che Ebrei è molto libero nei con­ fronti del materiale-fonte e delle tradizioni a sua disposizione. La formulazione « Mosè lasciò l ' Egitto senza temere l ' ira del re » è di tipo complessivo : essa rac­ coglie tutto ciò che Mosè e il suo popolo hanno dovuto temere e soffrire in Egitto, il cui risultato è l 'esodo. Dunque, mentre Esodo racconta che Mosè aveva paura del faraone, Ebrei ri­ ferisce che egli non si lasciò influenzare dallo sdegno di lui. Ciò solo grazie alla costanza nella fede che gli faceva vedere già realizzate cose ancora invisibili (ton aoraton). E la maggiore e prima realtà invisibile (gar) è Dio stesso (ton aoraton [theon}), JHWH, pur tanto presente; egli guida i passi del suo popolo verso il nuo­ vo ancora invisibile. Da qui la persuasione che le cose che non si vedono, si ve­ dranno e si verificheranno (Eb 1 1 , l ), prende il via da una dichiarata obbedienza­ collaborazione con la potenza operatrice di Dio, ancora prima che con ogni potentato umano. Questa persuasione circa l 'esistenza di Dio ( 1 1 ,6b) e la sua pre­ senza nella storia del popolo rende Mosè deciso a rinunziare a tutti i privilegi im­ mediati e ben visibili della corte egizia. Proprio a seguito di una tale decisione, egli acquista quel coraggio che lo rende libero da ogni timore. L'autorità terrena è ben poco rispetto a quella divina. Mosè sperimenta quella realtà invisibile « come vedendola » (hos horon) : siamo al paradosso della fiducia del credente che tiene testa a tutte le opposizioni, come (hos) uno che ha il Dio invisibile di fronte ai proÈ il caso di ricordare che il primo figlio di Mosè da Zippora ha il nome di Gersom, il cui senso è « sono stato straniero in terra straniera » (Es 2,22). 224 La cosa è già avvertita in At 7,28; l Clemente 4, I O; G. Flavio, Antichità giudaiche 2,254255; Filone di Alessandria, De vita Mosis 1 ,44-50. 225 È tuttavia significativa I ' interpretazione di Filone di Alessandria: questi riconduce l 'esor­ tazione di Mosè al popolo a non avere paura (Es 1 4, 1 3) a Es 3 , 1 ss., episodio del roveto ardente. In quel l ' occasione Mosè avrebbe ricevuto da Dio l 'esortazione: « Non devi avere paura » (Filone di Alessandria, De vita Mosis 1 ,66.69.73). Mosè, dunque, altro non farebbe che trasmettere la stessa esortazione. 223

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pri occhi226• Torna a giocare qui lo stile dualistico dell 'autore: visibile-invisibile. Su questo atteggiamento di Mosè scrive Ecwnenio: « Vedendo il Dio invisibile come con gli occhi della carne, (Mosè) lo ha visto con gli occhi della mente >>227• Una « vi­ sione >> rende dunque Mosè certo dell ' invisibile228 e lo spinge alla perseveranza. Quest'ultima tonalità è contenuta nella relazione pistis (fede) e karterein (perseve­ rare). La fede rende possibile resistere in una situazione pericolosa. Non si può ac­ certare se l 'uscita dali 'Egitto sia dovuta al timore del re, alla fuga di Mosè dopo l 'uccisione dell 'egiziano o alla liberazione del popolo. Il fondamento della perse­ veranza, che ha come presupposto la fede, è indicato con le parole « come se ve­ desse l ' invisibile >> (ton aoraton hos horan). La fede rende possibile la perseveran­ za, afferra l ' invisibile e lo sperimenta come visibile, pre sente. La fede come qualcosa che si volge verso Dio è illustrata al v. 27 con un esempio. La concezione del NT ha questo di essenziale: una fede nell ' invisibile, eppure reale esistenza di Dio, che rende l 'uomo capace di agire anche nelle situazioni più difficili (AT), sta accanto alla fede nel Dio che in Gesù Cristo si rivela e si dona a noi (NT); anzi, la fede nell ' AT è il presupposto di quella neotestamentaria. Quarto momento (v. 28) del messaggio di fede dalla vita di Mosè: « Ha com­ piuto, celebrato la pasqua )) (Es I l , l - 1 2,28, qui 1 2,7 . 1 2.22), memoriale di libera­ zione e protezione delle famiglie ebree e dei loro primogeniti (tapratotoka) in oc­ casione del passaggio di JHWH229, memoriale dell ' immolazione dell 'agnello230• Con un kai (« e ))) enfatico l 'autore pone un particolare accento sul rito del sangue. Eseguendo la disposizione di Dio a segnare con il sangue dell 'agnello gli stipiti e l 'architrave delle case ebree, Mosè ha ferma fiducia che Dio ha potere sulla vita e sulla morte. Egli impedisce ali 'angelo della morte, « lo sterminatore >> (ho oloth­ reuon)23 1 , esecutore delle decisioni punitive di Dio, di « toccare >> (thige)232 i primo­ geneniti degli ebrei (auton). Con il suo intervento numinoso, Dio avrebbe rispar­ miato i primogeniti del suo popolo, del quale egli, Mosè, è costituito guida. L'architrave e gli stipiti delle case ebree venivano spruzzati di sangue a mezzo di un fascio di issopo (Es 1 2,7.2 l b-23). Secondo Eb 1 1 ,28, « la celebrazione della pasqua e l 'aspersione del sangue sull 'architrave e sugli stipiti furono un atto di fede ))233• Più tardi, nel tempio di Gerusalemme, in occasione del memoriale della pasqua, veniva spruzzato l 'altare con il sangue del sacrificio pasquale (2Cr 35, 1 1 ; Libro dei

Il tema è presente ancora in Col 1 , 1 5 e in I Tm 1 , 1 7 . Cfr. Ecumenio, Commentarius in epistolam ad Hebraeos, in PG 1 1 9,4 1 7C. 228 Si veda E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13, 25, vol. III, pp. 1 73- 1 74; A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 2 1 O. 229 Il riferimento è a Es 1 2, 1 3.23.27; nel NT vi si riporta solo Mc 1 4, 1 . 230 Vi si riferiscono Mc 1 4, 1 2 e 1 Cor 5,7. 231 Participio presente sostantivato di olothreuo. Termine tecnico (Sap 1 8,25) per indicare l 'an­ gelo della perdizione, esecutore della punizione di Dio. Si vedano: 2Sam 24, 1 6; l Cr 2 1 , 1 5 ; 1 QS 4, 1 2; Documento di Damasco 2,6. 232 L'uso del verbo tiggano ricorre una sola volta nella LXX (Es 1 9, 1 2) e, nel NT, in Col 2,2 l ; Eb I l ,28 e 1 2,20. In Es 1 2,23 si legge invece patassein, con il senso di « colpire ». La scelta di Ebrei per tiggano dovrebbe sottolineare il carattere aggressivo e nemico del « toccare » i primogentiti, cioè del violame la vita. 233 Così J. Schneider, olethreuo, in GLNT ( 1 972) 8,473-474. 226 227

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giubilei 49,20; Pesal')im 5,6). Lo scopo è ottenere da Dio il perdono dei peccati e la liberazione dalla colpa. In Eb 1 2,28 esso è diverso e coincide con quello di Es 2,2 1 23 : protezione delle famiglie ebree e dei loro primogeniti. La voce verbale pepoiken (« ha compiuto, ha celebrato ») al perfetto esprime bene la continuità degli effetti di quella festa. Istituita allora, essa è tuttora efficace. La formula « aspersione del san­ gue ))234 ci aggancia al sacrificio di Cristo. Con l 'allusione alla « notte di veglia )) (Es 1 2,8- 1 1 ) Ebrei pensa ali ' adunanza della comunità cristiana. Anch'essa, oggi, « è strappata alla morte e consegnata alla vita ))235• Quel rito del sangue in quella notte di veglia è ora realtà permanente nella morte espiatrice di Cristo: memoriale perenne. Al v. 28 vi è convergenza nel ritenere che l 'autore abbia a disposizione la tradizione di Es 1 2,7. 1 3 .2 1 -23. Tuttavia, come sua consuetudine, opera persona­ li apporti stilistici. Si osservi la bella allitterazione per ben 5 volte sulla conso­ nante « p )): pistei, pepoieken, pascha, proschysin, prototoka. Differentemente dalla sintesi (elogiativa) della vita di Mosè offerta in At 7,20-44 e Sir 45, 1 -5, Ebrei preferisce soppesare e lodare le sue decisioni e dei suoi genitori : questi ultimi rifiutano di rispettare l ' editto del faraone; Mosè poi ri­ fiuta i tesori di quest'ultimo e non ne teme lo sdegno. Al contrario, ha piena fi­ ducia in Dio, si identifica con il suo popolo perseguitato, diviene pellegrino in terra straniera, in ossequio alle disposizioni di JHWH. Eb 1 1 ,24-28 vede in Mosè il prefiguratore di realtà cristiane: ai vv. 24-27 egli è figura di Cristo. Come Mosè « uscì fuori )) dali ' Egitto preferendo alle ric­ chezze egizie il futuro obbrobrio di Cristo, così quest 'ultimo « uscì fuori dali ' ac­ campamento )), cioè da Gerusalemme ( 1 3 , 1 1 - 1 3), subendo l ' ignominia della cro­ ce, perché pensava alla gioia riservatagli in cambio ( 1 2,2). Si profila il confronto tra il sacerdozio di Gerusalemme, fondato sui sacrifici e sul tempio, e quello cri­ stiano, le cui radici sono nell 'unico sacrificio di Cristo. L'uscita dali ' Egitto, men­ tre prefigura quella del Figlio dali ' accampamento, anticipa l 'abbandono del sa­ cerdozio antico a favore di quello di lui, nuovo, migliore e superiore. Un suggestivo quanto discutibile suggerimento : l 'espressione « come se (Mosè) vedesse l ' invisibile )) (ton aoraton hos horon, 1 1 ,27b) andrebbe collegata a 9,28, in cui si dice che Cristo « apparirà, sarà visto )) (ophthesetai) al suo ritorno. Mosè nel vedere la punizione data agli egiziani « vede )) (nella fede e inconsape­ volmente) anche ciò che in essa è significato: la distruzione di Gerusalemme (di cui l 'Egitto è prefigurazione) e il ritorno di Cristo nella sua nuova e definitiva si­ tuazione, alla destra della Maestà ( l ,3d), « del trono di Dio )) ( 1 2,2). Rendere espli­ cito l ' inconsapevole è procedura che lascia perplessi. La cronaca storiografica dei fatti-eventi continua con tre episodi che espri­ mono la fede del popolo dell ' esodo : il passaggio del mar Rosso; la caduta delle mura di Gerico; il ruolo di Rahab la meretrice236• 2 34 Ten proschysin tou haimatos (proscheo): hapax legomenon nel NT. Del tutto assente nella letteratura giudaico-ellenistica. 235 Così annota A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 2 1 O. 236 Il suggerimento è di J. Swetnam (Hebrews l /, /-/3, 24: A Suggested Structure, in Melita Theologica 47 [ 1 996] 1 05- 1 07). Mentre io menziono, devo notare che il rapporto « tipo-antitipo )) appare forzato, e il criterio dell ' inconsapevolezza nella fede, altrettanto.

Il popolo della fede Eb 1 1 , 1 - 12, 1 3

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Quinto e ultimo momento (v. 29). Con riferimento a Es 1 3 , 1 7 - 1 4,3 1 , in parti­ colare a 1 4, 1 6.22.27, e in modo ancora più specifico a 1 4, 1 3, Ebrei racchiude la sto­ ria dell 'esodo in una stringata sintesi: in forza della fede (pistei), abbandono in Dio, il quale adempie sempre le sue promesse, gl ' israeliti attraversarono (diebesan), sot­ to la guida di Mosè, il mar Rosso. Dunque è per fede che gl ' israeliti hanno attra­ versato il mare dei Giunchi (yam-sup)237• Di fronte a quel mare tutto sembra perdu­ to, l 'esodo arrestato. Ma essi sperano in cose che ancora non vedono (Eb I l , l ). Di fronte ali ' impossibile obbediscono e collaborano con la disposizione di Dio a pro­ seguire: « Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera in voi, poiché gli egiziani che voi oggi vedete non li vedrete mai più >> (Es 1 4, 1 3 ). Così Mosè. Quell ' impossibile diventa possibile. E furono guidati (Es 14, 1 5 ; I Cor 1 0, 1 ) oltre quel mare. Del tutto non interessato a una precisa identifi­ cazione del mar Rosso, Ebrei dà per buona la tradizione che vi si riferisce. Ciò che gli sta a cuore è documentare a cristiani deboli nella fede non tanto dove, quanto co­ me quell ' avvenimento avvenne: ancora prima di accadere, esso ha spinto gl ' israe­ liti ad avere fede in quel Dio che poteva trasformare le profondità del mare in stra­ da asciutta (cfr. Ger 5 1 , l 0). Ebbene, essi hanno sfidato i pericoli di un mare insidioso, armati di una fede che ha spostato le onde; anche i cristiani sappiano ar­ marsi di una fede capace di spostare i monti (Mc I l ,23 e par.). Da notare il comportamento selettivo di Ebrei rispetto al racconto di Es 1 4, 1 6-28. Cinque le più vistose omissioni: secondo la tradizione sacerdotale (P), Mosè stende per comando di JHWH la mano sul mare e ne divide le acque (v. 1 6); secondo la tradizione elohista (E), la divisione delle acque è opera di un forte vento (v. 26); ancora secondo « E», il fondo del mare si trasforma in terra asciut­ ta (v. 26; cfr. Gdt 5, 1 3); gli egiziani all ' inseguimento238 tentano anch 'essi il pas­ saggio, percorrendo la strada asciutta fino a metà (v. 28). Mosè ridistese la mano sul mare che si ricompose (v. 27). Tutte e cinque queste precisazioni sono omes­ se da Ebrei, che, con annotazione fugace, ricorda che il tentativo degli egiziani fallì « e annegarono » ( 1 1 ,29b)239• Fa eco Sap 1 0, 1 8- 1 9. Riemerge il comporta­ mento libero e stringato dell 'autore nell 'uso delle fonti, anche rispetto alla lette­ ratura del tempo240• Ed eccone il messaggio: quel mare può essere attraversato so­ lo nella fede241 ; nessun esercito agguerrito e nessuna violenza della natura, per 237 Del mar Rosso si parla in Es 1 5, 1 8 (ma qui la specificazione « Rosso o mare delle Canne o dei Giunchi » è posteriore) e in Es 1 5,4, l 'unico testo in cui si menziona il mare di Sup o delle Canne. L' identificazione resta incerta: acque non meglio precisabili o golfo di Aqaba (Es 23,3 1 )? Sulla que­ stione, cfr. anche E. Grii.sser, An die Hebriier. Hebr / 0, 1 9-13,25, vol. III, p. 1 79, nota 1 2 . 238 Con riferimento a Es 3,22ab, ha preso corpo una leggenda secondo la quale gl 'israeliti, pri­ ma di lasciare l 'Egitto, lo hanno spogliato delle sue ricchezze. Da qui l ' inseguimento. Cfr. Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica 9,26. 1 6; G. Flavio, Antichità giudaiche 2,349. 239 È il senso del verbo pino nella forma composta katapino. Pochi manoscritti maiuscoli e mi­ nuscoli leggono katapontisthesan con il senso di « furono inghiottiti », cioè totalmente annientati, di­ strutti. Cfr. H. Braun, An die Hebriier, p. 387. 2 40 Lo stesso racconto, esaminato in Ezechiele il tragico 220-229 (exagoge di Ezechiele) e in Filone di Alessandria, De vita Mosis l , 1 77- 1 80, è invece rispettato in tutte le sue movenze. 24 1 Così considera l 'avvenimento Filone di Alessandria, De vita Mosis l , 1 77- 1 80; 2,246-257. G. Flavio, Antichità giudaiche 2,347-349, invece, tenta di ridurne il carattere numinoso: « A propo­ sito di questi eventi, ognuno la pensi a modo suo », scrive.

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Parte seconda. Traduzione e commento

quanto immane, potrà arrestare il viaggio spedito degl ' israeliti verso la libera­ zione242, ma senza la fede è solo una pretesa voler attraversare quel mare. Esso in­ fatti avrà il sopravvento distruttore. Lo sappiano bene i destinatari di questo scrit­ to. E sappiano anche che « in tutti i modi il Signore ha magnificato e reso glorioso il suo popolo e non lo ha mai trascurato, assistendolo in ogni tempo e in ogni luo­ go » (Sap 1 9,22 ; cfr. Sir 36,5). Di quel suo popolo essi sono parte integrante, an­ ch'essi comunità in esodo verso la liberazione. Esodo e liberazione: due metafo­ re teologiche, da ben capire; esse contrassegnano il c ammino di Abramo nella fede ( 1 1 ,8), di Mosè ( 1 1 ,27) e d'Israele (v. 29), ma anche della comunità giudeo­ etnicocristiana, nuovo volto del popolo di Dio, verso il luogo dell ' obbrorio ( 1 3 , 1 3). Mosè, « profeta » che porta su di sé le sofferenze messianiche? Non man­ cherebbero allusioni in Eb 1 1 ,23-27.(28-3 1 ) : - Per fede, i l bambino Mosè fu salvato dalle acque e tenuto nascosto dai suoi genitori, che « non ebbero paura dell 'editto del re » ( 1 1 ,23) . Siamo all ' inizio del compiersi delle speranze messianiche. Già il comportamento delle levatrici egi­ zie, timorate di Dio, cui potrebbe alludere lo stesso v. 23, trova riscontro nell 'a­ more cristiano, nella fraternità e nell 'ospitalità che per Eb 1 3 , 1 -6 devono con­ trassegnare la comunità giudeo-etnicocristiana. Redenta, essa vive libera dal timore e dalla schiavità della morte, radicata nel liberante timore-amore di Dio. La riflessione, in sé buona, sembra eccedere le possibilità dell 'allusione. - Per fede, divenuto adulto, Mosè uccise (aneilen) l ' egiziano che torturava i suoi fratelli243. Eccesso di amore del prossimo? Mosè, cioè, fin dali ' inizio della sua esistenza pubblica pone la medesima al servizio della giustizia. Risuona la voce del Messia: « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia . . . » (Mt 5 ,6); e la voce di Eb 1 3 ,3 : ricordatevi dei carcerati da concarcerati e dei sofferenti da consofferenti. Altra riflessione in sé buona, ma l ' allusione è debole. - Per fede e in vista del Messia, Mosè si sottopone a sofferenze varie. Maltrattato per il suo popolo, pregusta in sé l 'obbrobrio del Cristo in vista di sicu­ ra ricompensa. E resta saldo e fedele a quell 'attesa (Eb 1 1 ,24-26), in forza della lu­ ce di quella tOra. che mwH aveva posto di fronte al suo volto (Sir 45,5), a riprova di quanto Ebrei pensa in termini di evoluzione continuativa, dali 'antico al nuovo. - Quella tora esprime attesa della promessa risurrezione dei morti (Eb 1 1 ,28) e di cieli nuovi e terra nuova ( l l ,29-3 1 ), oltre il Canaan, dove il « profeta » Mosè, significativamente, non sarebbe mai entrato. Mosè, « profeta della sofferenza messianica », odia la schiavitù e la combatte, è al servizio di JHWH (Dt 34, 1 2 e 4,34). Ma sarà compito del Messia, morto e risorto, inaugurare « già ora », per il suo popolo, cieli nuovi e terra nuova244. 242 Così G. Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 23, in PG 63, 1 65 (su Eb I l , 7).

243 Così prosegue Eb 1 1 ,23 secondo il codice D* (codice occidentale) e pochi manoscritti del­ la versione Vulgata. 244 È quanto propone K . P. Lehmann (Die messianischen Leiden des Propheten Mose. Exegetische Anmerkungen zu Hebriier l /, 23-3 /, in T&K 22 [ 1 999] 95- 1 1 4) con i ridimensionamenti accennati sopra.

Il popolo della fede Eb 1 1, l

-

12, 1 3

5 25

[vv. 30-3 1] Ebrei si collega ora con il libro di Giosuè (v. 30), anche perché esso sembra essere caratterizzato dal binomio « promessa di Dio - adempimen­ to », che apre e chiude il libro in forma di grande inclusione (Gs 1 ,6 e 23, 1 4). La promessa della terra deve compiersi. E se Gerico è l 'ultimo ostacolo ali ' ingresso in essa, dunque in quella promessa di Dio è incluso che Gerico sia conquistata. Giosuè non è menzionato, e se ne vede il perché: l 'autore vuole mettere in risal­ to la fede della comunità israelitica. Essa crede, ed è la forza della sua fede che fa cadere le mura della città. I « figli d'Israele >>, girando per sette giorni ininterrot­ tamente245 attorno alle mura, ne ottennero il crollo (Gs 6,20); dopo averle aggira­ te e circondate (kyk/Othenta), quelle mura rovinarono (epesan). Quel popolo elet­ to ebbe ferma fiducia in realtà ancora invisibili. Si ripete qui il fenomeno stilistico del v. 29: Ebrei omette tutti gli elementi cultuali e liturgici riferiti nel racconto biblico (Gs 6,4.6 e ancora prima 5, 1 3- 1 5), nonché gli aspetti bellici presenti nel verbo kykloo (« circondare », Gs 6,3 .5) e la descrizione della caduta della mura al grido degli israeliti e al suono delle trom­ be, senza alcuna azione militare (Gs 6,5). Ebrei lascia cioè da parte una serie di elementi che potrebbero favorire una componente « quasi magica », e mette a fuoco l ' azione di Dio-JHWH. Demitologizzata la scena, l ' autore ottiene che la « fede » (pistis) abbia quel posto centrale che le compete, in base a 1 1 , l . A que­ sto punto, la formula « per sette giorni continuativamente » dà alla fede il profilo di uno strumento permanente per ottenero lo scopo. Quel numero 7, infine, che gioca un ruolo decisivo presso molte espressioni religiose246, oltre a essere un da­ to informativo storico esprime bene la perfezione dell ' intervento di Dio che è fe­ dele alle sue promesse, a favore di chi gli è fedele nella fede247. Rahab, la meretrice (v. 3 1 ), una pagana abitante nella Gerico cananea, chiude la serie dei campioni della fede nell ' AT. Essa non avrebbe avuto alcun titolo per appari­ re in questa lista di eroi nella fede se il suo coraggio non le avesse guadagnato un po­ sto nella letteratura giudaica e cristiana248. Accanto a Sara (v. 1 1 ) e ad altre donne glo­ balmente ricordate al v. 35, Rahab è la seconda e ultima donna a essere menzionata per nome in Eh 1 1 , non certo con lo scopo di sostenerla nella sua professione di prostituta (porne) della città. Del resto, questo epiteto non le è attribuito da G. Flavio. Di questa donna invece Ebrei dice che ricevette le spie israelite, ebbe fiducia nel loro Dio, ed è per questo che essa resta in vita, con tutto il suo parentado, mentre i ribelli periscono249. È il senso di epi epta hemeras con il participio presente kykloiìntes da supporre e il cui sog­ getto è: « i figli d'Israele ». 246 Se ne occupa Filone di Alessandria, De opificio mundi 90 ss.; Legum allegoriae 8 ss. Altri dati in H. Braun, An die Hebriier, p. 388. 247 Gs 6, 1 -2 1 : un'azione militare? Una liturgia cultuale? Una mistura di entrambi? Due tradi­ zioni confluite in un'unica redazione? Difficoltà per la ricostruzione del documento originale per­ mangono a tutt'oggi. 248 Ne parlano Mt 1 ,5 e Gc 2,25. Cfr. G. Flavio, Antichità giudaiche (cfr. nota seguente). Richiama l ' attenzione su questo aspetto già M. Lutero, Luthers Vorlesung iiber den Hebriierbrief 1 5 1 7- 1 5 1 8, in J. Ficker (ed.), Die Glosse, Dieterich, Leipzig 1 929, p. 57: « Meretrix et couponaria, non periit cum incredulis », ma ha accolto gl ' inviati di Giosuè che, spinti dalla necessità, le hanno chiesto ospitalità. 249 G. Flavio (Antichità giudaiche 5,9. 1 5 .26.30) riferisce di una vera guerra di occupazione di Gerico con uccisioni di donne e bambini. 245

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Parte seconda. Traduzione e commento

Questo è tutto ciò che Ebrei riferisce sull 'ampio racconto di Gs 2,8-2 1 e 6,22-25 . Come già per Mosè, anche per Rahab l 'autore ha più a cuore di metteme in luce la fe­ de che si esprime nella scelta di collocarsi dalla parte del popolo di Dio250• In verità, la fede di Rahab è sconosciuta ali 'AT e alle tradizioni giudaiche. In riferimento tuttavia a Gs 2,8- 1 1 , Ebrei può alludere ad alcuni punti della sua fede: lei conosce le promesse sulla terra (Gs 2,9: « So che il Signore vi ha assegnato-donato già ora [dedoken} il pae­ se »); conosce la vicenda del mar Rosso in quanto quel grande evento ha avuto riso­ nanza, ed esprime la sua fede nel « Signore vostro Dio che è Dio lassù in cielo e quag­ giù sulla terra » (Gs 2, 1 1 ). Vi è quanto basta per ritenere il suo appoggio agi ' israeliti ispirato da questa sua fede25 1 • Ben diversa la sorte degl ' increduli (apeithesantes api­ stoi): pur avendo le medesime conoscenze e informazioni di Rahab, essi non hanno creduto al Dio d'Israele, hanno tenuto le porte chiuse agli israeliti (Gs 6, l ) e sono sta­ ti votati allo sterminio (Gs 6,2 1 ). Che Rahab si sia aperta alla fede israelitica e sia rimasta fedele nella sua scel­ ta è detto con la formula: « Avendo accolto con pace (mel 'eirenes) gli esploratori », cioè senza inganno. Dal momento che il motivo della pace ricorre con frequenza in Ebrei (7 ,2; 1 2, 1 4; 1 3 ,2), si deve ritenere che l 'autore scriva sotto l ' influsso del ter­ mine ebraico sal6m e gli riconosca una valenza salvifica: la pace è frutto della giu­ stizia (Gc 3, 1 8 ; Eb 1 2, 1 1 ; Fil 1 , 1 1 ; Pr 1 1 ,30). Rahab, giustificata per le sue opere, nella fede, agisce nella pace. Magistrale intervento di Ebrei nel dibattito su fede e opere della fede. Inserendosi tra Paolo e Giacomo, egli dà il suo contributo: le ope­ re della pace non possono che venire dalla fede. Per questo giustificano. Che egli pensi alla sola accoglienza ospitale va escluso, dal momento che il termine appro­ priato allo scopo (philoxenia, Eb 1 3 ,2) gli è ben noto. Rahab ha accolto alcuni esploratori del popolo di Dio nella fede, nella pace. Con le sue opere Rahab realizza quanto già detto in Eb l 0,3 8 Ab 2,4 (LXX) : « Il mio giusto vivrà di fede ». Essa appartiene di diritto a quelli che cre­ dono, secondo Eb l 0,3 9: « Noi abbiamo la fede e camminiamo verso la nostra salvezza >>. Fede e opere, nel senso anche della tradizione giudaica presente in b.Berakot 2,8 (Se) e in Gc 2,25 . [ 1 1 ,32-38] La fede dei conquistatori e dei martiri. L'unità presenta una strut­ tura letteraria e tematica del tipo a-b-c-b ' -a' : =

=

a) v. 32 b) VV. 33-34 c) v. 35a

Introduzione: kai ti eti lega? Catalogo degli eroi vincitori nella fede hoi dia pisteas. Stico di transizione? Morti risorti.

250 J. Swetnam (Hebrews 1 1. 1-13, 24: A Suggested Structure, in Melita Theologica 47 [ 1 996] 1 071 1 1 ) pensa che la scelta dei tre episodi in Eb I l ,29-3 1 sia enigmatica, se riferita alla storia dell'esodo. Perché questi e non altri ugualmente importanti? Essa però non è più tale se riferita al sacerdozio cri­ stiano. In questi tre momenti, infatti, il passaggio da una situazione all 'altra descrive il transito dal sa­ cerdozio antico a quello nuovo. L'argomentazione addotta da J. Swetnam lascia non poco perplessi. Le equivalenze sono piuttosto eccessive. Ad esempio, il riferimento a una terra e a una città (Gerico) ha una connotazione escatologica, in quanto dice riferimento al paradiso. Rahab, defmita « la prostituta », ri­ chiama l ' immagine omonima in Ap 1 7, 1 .5. 1 5, in cui il riferimento è alla città di Roma. Rahab sta dun­ que per il passaggio dalla città di Gerico-Gersalemme alla città di Roma. Ebrei intenderebbe dire che il cambiamento di sacerdozio implica quello di città, da Gerusalemme a Roma. Ma non è un po' troppo? 251 La pensa allo stesso modo l Clemente 1 2, 1 sotto il probabile influsso di Eb 1 1 ,30.

Il popolo della fede Eb

b') vv. 35b-38 a') vv. 39-40

I l, l - 12, 1 3

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Catalogo dei testimoni della fede nella sofferenza: alloi de. Conclusione, il compiersi del popolo di Dio: kai outoi pantes.

[v. 32] L'autore s' introduce nell 'argomento accennando a una lista che po­ trebbe continuare all ' infinito. Tuttavia, la interrompe e, mediante la domanda reto­ rica: « E che potrei dire ancora? » (kai ti eti lega?j252, collega i vv. 32-34 ai prece­ denti e dà il via a una peroratio nella quale riprende il tema della fede vissuta; già presentato, lo sviluppa ancora, ma in sintesi253, e si avvia così a concluderne la trat­ tazione. Si respira un certo impaccio da parte dell 'autore: il continuare con la me­ desima capillarità avrebbe prodotto un'esposizione smisurata. Accanto a una generica menzione dei profeti sono citati sei personaggi del pe­ riodo dei giudici e di Davide. I sei eroi sono accomunati dal fatto di avere combat­ tuto per Israele, di non avere una genealogia né successori militari (eccetto Davide, il cui successore, Salomone, fu un uomo di pace). Presentati in coppia, i personag­ gi sono cronologicamente invertiti. Il fatto non è casuale, visto che una cosa simile è avvenuta per la non primogenitura. Con tale inversione l 'autore sembra voler in­ dicare che essi formano una casta a sé, senza genealogia254• La lista dei sei nomi procede per asindeto e la loro espressa menzione è en­ comiastica. Solo al termine si riaffaccia il polisindeto: Davide e Samuele e i pro­ feti. Ed ecco i sei nomi. Gedeone (dall 'ebraico, spada, guerriero)255 della tribù di Manasse. Intorno al 1 200 a.C. egli è uno dei giudici più significativi in Israele, dopo l ' insediamento in Canaan (Gdc 1 , 1 -2,5), « salva » gl ' israeliti dalle aggressioni dei madianiti (proba­ bile riferimento a Gdc 8,4-2 1 256) . E tutto ciò « per fede ». Barak (dall ' ebraico, lampo, fulmine, Gdc 4,6; Gdc 4,6 - 5,3 1 ; 7,22 - 8,3), as­ sieme a Gedeone, fa parte dei giudici stabilitisi in Israele prima dell ' istituzione della monarchia. Egli precede Gedeone; per incarico della profetessa Debora, giudice d'Israele (Gdc 4,4), sconfigge con il suo aiuto e con uomini raccolti dal­ le tribù di Neftali e di Zabulon, le truppe di Sisara, comandante di Iabin, re di Canaan al fiume Kison (Gdc 4, 1 2-23). Con un esercito raccogliticcio Barak ha difeso Israele da potenze nemiche ben maggiori (Gdc 4, 1 3 ) ed è entrato nella me­ moria storica del giudaismo257 come uno dei salvatori del suo popolo. Eb 1 1 ,32 lo considera testimone della fede in un futuro atteso con speranza ( I l , l ). 2 5 2 La traduzione di lego al congiuntivo deliberativo è preferibile a quella ali ' indicativo. L'autore ha infatti il problema concreto di come continuare la sua lista dimostrativa e avverte che gli mancherebbe (epileipsei) spazio e tempo. 2 53 Lo lascia ben capire la voce verbale diegoumenon al participio condizionale (M. Zerwick R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 683), con il senso di « qua­ lora volessi ulteriormente inoltrarmi in una dettagliata esposizione-dimostrazione (diegesis) )). 2 54 Per J. Swetnam (Hebrews 1 1, 1 -13, 24: A Suggested Structure, in Melita Theologica 47 [ 1 996) 1 1 1 - 1 1 2), ciò è sufficiente per riscontrare un 'allusione al sacerdozio di Melchisedek e al nuo­ vo sacerdozio di Cristo e dei cristiani. Che J. Swetnam non vada oltre l 'allusione? 2 55 La tradizione giudaico-rabbinica dà a Gedeone il senso di « vite )) (si veda L. Ginzberg, The Legends of the Jews, vol. VI, p. 20 1 , nota l 03). Per la tradizione giudaico-ellenistica, Gedeone « è il più forte fra tutti i suoi fratelli )) (Libro delle antichità giudaiche 35, 1 ), forse in allusione a Gdc 6, 1 2 . 25 6 M a s i leggano ancora: Gdc 6, 1 2-25 e l Sam 1 2 , 1 1 ; Gdc 7, 1 - 8,3; risonanze i n Sal 82, 1 2; ls 1 0,26; Libro delle antichità giudaiche 35-36. 2 57 Se ne occupa il Libro delle antichità giudaiche 30-33.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Sansone (Gdc 1 3 ,24 - 1 6,3 1 ; in ebraico, « piccolo sole ») è l 'ultimo grande giudice del periodo premonarchico. Alla moglie sterile di Menoa viene profetiz­ zato che suo figlio sarà un « nazireo di Dio, un consacrato a Dio >>. Per Ebrei, an­ che Sansone è annoverato in quella lunga serie di personaggi che hanno operato grandi gesta in forza della loro fede. Intorno al suo nome prolifica una serie di leggende, originariamente autonome : la sua forza fisica, immane, ha lacerato le fauci di un leone, quasi fosse un capretto (Gdc 1 4,5-6; Eb 1 1 ,35); poi lancia nei campi dei filistei trecento volpi dopo avere legato alle loro code fiaccole accese. Le volpi scorazzano per i campi di grano con i covoni ammassati, attraversano i vigneti e gli uliveti di filistei, innescando ovunque incendi rovinosi. Con una ma­ scella d'asino, Sansone abbatte mille nemici e per venti anni è giudice d'Israele (Gdc 1 5- 1 6). Solo più tardi, la forza straordinaria di Sansone è considerata dono dello Spirito di JHWH (Gdc 1 3 ,25, 1 4,6. 1 9; 1 5 , 1 4). Più tardi ancora, è un nazireo, un eletto di Dio a lui consacrato, e solo da ultimo uno dei giudici258. La tradizio­ ne haggadica vede nella forza sovrumana di Sansone quanto basta per ravvisare in lui il messia259• Eb 1 1 ,32 si interessa a Sansone come uomo di fede (ad esem­ pio, Gdc 1 6,28) e vede in lui il prescelto da Dio per salvare gli israeliti dalle ma­ ni dei filistei (Gdc 1 3 ,5b; 1 6,30-3 1 ). Jefte il Galaadita (dali ' ebraico, « Dio apre, libera, salva », Gdc I l ,29-40) è figlio di prostituzione ed è rifiutato dai suoi fratelli. Assieme ad altri, vive di ra­ pine nel paese di Tob, in Transgiordania. È richiamato dagli anziani in patria, per difendere Galaad dali 'occupazione ammonita. Come Sansone, Jefte ha portato a compimento la liberazione della sua terra in modo straordinario, cioè con i l solo spontaneo e impegnativo voto di offrire in olocausto al Signore chi per primo (e tale sarà la figlia ! ) sarebbe uscito di casa per andargli incontro, al suo ritorno vittorioso dalla battaglia. Una vittoria fondata nella fede sancita da quel sacrifi­ cio260. Non va tuttavia passato sotto silenzio il tragico conflitto interiore di Jefte tra il voto, l ' obbedienza a esso e l 'amore paterno. Diventa capo dei galaaditi ed è venerato come uno dei grandi giudici d'Israele nel periodo premonarchico (in­ tomo al 1 200 a.C.). La tradizione giudaico-ellenistica se ne occupa nel Libro del­ le antichità giudaiche 39-4 1 . Con Davide ( l Sam 1 2, 1 0 - 2Sam 24, 1 7 ; 2Sam 8 , 1 5) e Samuele ( l Sam 3 ,20; 7, 1 5 ; Sir 46, 1 3 -20) Ebrei lascia il periodo dei giudici e si inoltra in quello mo­ narchico. I due hanno infatti introdotto e consolidato la monarchia e la linea pro­ fetica (At 3 ,24). Davide (in ebraico, « comandante supremo » o « molto amato ») è il succes­ sore del re Saul. È l 'unico dei re a essere menzionato da Ebrei, che ravvede in lui il re per eccellenza. Del resto è scritto: il Signore era « con lui » (2Sam 7, 1 -3 . 9); alla

2 5 8 Dal lato della storia dell 'attualizzazione del testo (Wirkungsgeschichte) è utile notare che già la Chiesa antica pone sullo stesso piano il mito di Eracle e la storia di Sansone, e fa derivare quel mito da quest' ultima. 2 59 Cfr. L. Ginzberg, The Legends ofthe Jews, vol. IV, p. 48. 260 Ma la tradizione haggadica riprova tale sacrificio e giustifica Iefte, vittima di ignoranza e orgoglio mal compreso. Avrebbe infatti potuto offrire al tesoro del tempio un riscatto in denaro.

Il popolo della fede Eb 1 1 , l

-

12, 13

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sua stirpe è data la promessa del Messia (2Sam 7, 14 ). La sua menzione è estrema­ mente sintetica e sfugge anche al genere encomiastico: il solo nome. Si deve co­ munque ritenere che Ebrei si riporti alla profezia di Natan (2Sam 7, 1 1 - 1 6)261 , se­ condo la quale Dio garantisce il suo sostegno al trono d'Israele ( l Re 2,4), divenuto il trono di Davide (2Sam 7, 1 6). In Eb 5,6 l 'autore ha presentato Davide come sa­ cerdote voluto da Dio con giuramento inviolabile, riportandosi al salmo davidico 1 09,4 e trasponendolo poi su Gesù. Ebrei deve infine avere di fronte agli occhi le conquiste più determinanti di Davide: la presa della città cananea di Gerusalemme (2Sam 5,6 ss.); la fondazione di un grande regno israelitico. La formulazione in po­ lisindeto: Dauid te kai Samouel kai ton propheton pone Davide in collegamento non solo con Samuele e i profeti, ma anche con l 'azione guida dello Spirito di Dio che ha accompagnato il ministero dei giudici, dei re, dei profeti. Anche Davide è guidato dallo Spirito262; in Eb 3,7 e 4,7 è portatore dello Spirito profetico. Samuele (in ebraico, « nome di Dio >> oppure « il suo nome è El ») è l 'ultimo testimone della fede a essere menzionato per nome. Contrariamente alla succes­ sione storico-cronologica, Samuele è menzionato dopo Davide, perché conside­ rato antenato dei profeti d'Israele, con la sommaria menzione dei quali l ' autore chiude il v. 32. Il NT se ne occupa in At 3 ,24; 1 3 ,20 e in Eb 1 1 ,32. La tradizione anticotestamentaria vede in lui il veggente ( l Cr 9,22; 26,28; 29,29) o anche il profeta ( l Sam 9,9; 2Cr 3 5 , 1 8). In At 3,24 si legge: « Inoltre, anche tutti i profeti che hanno parlato dopo Samuele . . . ». Così anche Agostino di Ippona263• La tradi­ zione giudaica accomuna Sansone, Davide e Samuele e li definisce « giusti » e perciò stesso credenti264• Che Samuele sia un credente è detto espressamente in Sir 46, 1 5 . Se Ebrei abbina « Samuele e i profeti » si deve ritenere che l 'autore si ispiri a questa ricca tradizione. Egli mostra al tempo stesso di essersi orientato ai profeti « anteriori » e « posteriori ». Con « e i profeti », Ebrei chiude la lista introduttiva. La formulazione globa­ le lascia però capire che l ' autore è ben consapevole di non aver chiuso il suo di­ scorso. Volerlo continuare è impossibile: gli mancherebbe tempo265 e il suo scrit­ to rischierebbe di diventare smisurato. Quasi a voler dire ai destinatari : voi stessi continuate a scrivere quella storia. Cominciata in Abramo, essa evolve nella sua discendenza, senza fine266• [v. 33] Con la forma relativa « i quali per fede » {hoi dia pisteos) l 'autore si riporta alla fede dei personaggi appena menzionati e si avvia a presentarne altri. Questi non li menziona, ma ne descrive le gesta, avvalendosi di una lista di nove verbi. Ognuno di essi è corredato di un sostantivo senza articolo, la cui assenza rende i riferimenti non dettagliati. E molto probabilmente vi si riporta anche la tradizione giudaico-ellenistica fissata in G. Flavio, Antichità giudaiche 59-65 . 262 Cfr. l Sam 1 0,6. 1 0; 1 6, 1 3 ; 2Sam 23,2; Is 1 1 ,2; At 1 , 1 6. 263 Agostino di Ippona, La città di Dio 1 7, l . 264 Dati in C. Rose, Die Wolke der Zeugen, p. 307, note l O 1 5- 1 0 1 7. 265 Modo di dire diffuso, attestato in Filone di Alessandria, De somniis 2,63; De vita Mosis l ,2 1 3 ; De specialibus /egibus 4,238. 266 Su Eb 1 1 ,32 si veda utilmente E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 10. 1 9-13,25, vol. III, pp. 1 89- 1 92. 261

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Parte seconda. Traduzione e commento

« Soggiogarono regni » (kategonisanto basileias, l Sam 7, 1 5 - 1 7 ; 2Sam 8, 1 5). L'espressione ricorre in 4Maccabei dove i fratelli maccabei appunto, im­ pegnati contro i loro oppositori in un confronto nell ' arena, sono esposti al marti­ rio; qui invece si tratta di una battaglia in campo aperto. Siamo al primo elemen­ to dell 'encomio. I regni in questione non includono il regno di Dio, come del resto escluso dal plurale « regni ». Si tratta molto più dei « regni di questo mon­ do » (Ignazio di Antiochia, A i Romani 6, l ), i regni della terra267• Eh 1 1 ,33-34 ha solo un appoggio per giustificare guerre (v. 34) allo scopo di conquista: i libri dei Maccabei, quando riportano le gesta di eroi della fede a difesa della medesima sul campo di battaglia. In tutto il NT, infatti, polemos (guerra) ricorre con senso po­ sitivo solo in Eh 1 1 ,34268• La positività però sta nel fatto che lo strumento di tali conquiste non è stata la guerra, ma la fede. Ne è riprova la lunga lista degli eroi già presentati, la cui « battaglia » (agon, l 0,39) attesta saldezza e fedeltà al Dio delle promesse. Questa fede dei combattenti, dunque, ha valore prioritario per l 'autore, e non il loro rendimento militare sul campo di battaglia. Ed è stata solo quella fede fedele la vera arma vincente, a dispetto della misera consistenza mi­ litare sul campo. In forza di essa, vittorie impossibili sono divenute possibili269• Retrostà la persuasione che fede e ricompensa si appartengono. Dio ricompensa con la vittoria la solidità della fede dei suoi combattenti . Del tutto da escludere, dunque, in Eh 1 1 , 1 4, una qualunque giustificazione della « guerra santa », cioè di un'esaltazione bellica ispirata a l Mac 3, 1 7-25 ; 4,6-22; 4,34-36. A quali conquiste pensa l 'autore in concreto? Anche se non ha riferimenti concreti né li lascia intravedere, è possibile riportarsi alla storia d'Israele: i giu­ dici sono chiamati a difendere popolo e terra dalle aggressioni di cananei, madia­ niti, moabiti, edomiti, ammoniti e filistei. Re e principi vengono prodigiosamen­ te (pistei) vinti (Gdc 3 , 1 0. 14; 4, 1 7.23 ; 7,25; 1 1 ,32-33). Sempre in forza della fede, Davide e Samuele hanno protetto i propri confini da tentativi di conquista da parte di regni limitrofi ( l Sam 7,3 ss.; 1 7, l ss.; 30, l ss. ), con ottimale risultato. Ma lo scopo di Ebrei è uno solo: i suoi destinatari (popolo di Dio nella nuova al­ leanza) sappiano bene che quel tipo di fede è anche per essi l ' arma più efficace nel loro pellegrinare verso Dio. « Esercitarono la giustizia » (ergasanto dikaiosynen) e la consolidarono. Siamo al secondo momento dell 'encomio. Letteralmente, « hanno imposto la giu­ stizia »: si tratta di un idioma ebraico, riscontrabile nel Sal 1 05,3 e in Is 56, 1 , che non ha nulla a che fare con la violenza dell ' imposizione270, stando ali 'esercizio del­ la giustizia da parte di Samuele, del quale il popolo dice: « Tu non ci hai fatto né violenza né torto alcuno » ( l Sam 1 2,4 ). Di Davide è detto che « esercitava il diritto Cfr. I Mac 1 ,6; 3,27; 2Mac 9,24; 3Maccabei 6,24; Mt 1 2,25-26. Fino a tutto il periodo imperiale di Marco Aurelio ( 1 2 1 - 1 80 d.C.) le comunità protocristia­ ne non erano tenute al servizio militare, il cristiano battezzato non fu mai soldato. 269 Una equivalenza in Filone di Alessandria (De vita Mosis l ,225): « Le nostre armi . . . e tutta la nostra potenza sono riposte solo nella fiducia (fede) in Dio. Quest' attrezzatura è tanto forte da po­ ter sottomettere con grande superiorità forze esperte nella guerra e quantitativamente insuperabili » . 270 L'espressione riflette forse la posizione elevata del giudice rispetto al giudicato. Da questa sua posizione, egli « impone )) il giudizio. 267

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e la giustizia » (2Sam 8, 1 5). Il riferimento è inoltre ai giudici e ai re di cui già al v. 32, ma non solo a essi. Già Abramo ha infatti esercitato la giustizia e il diritto (Gn 1 8, 1 9, LXX), non in qualità di giudice, ma avendone fatto il proprio stile di vita, se­ condo la richiesta divina. Nelle proprie scelte quotidiane chi si orienta al rispetto della tOra. contribuisce a consolidare la giustizia: fare ciò che è retto e giusto agli oc­ chi di Dio. Le strade di Dio sono giuste (Es 34,6), sono quelle indicate a quanti in­ tendono rendergli culto nel modo dovuto (Sal 1 4,2); percorrerle è essere giusti; questi devono rispettare una sola condizione: avere nei confronti di Dio un com­ portamento di vita giusto e irreprensibile (ergazomenos dikaiosynen), in piena sin­ tonia con l 'alleanza. È anche il senso di dikaiosyne nel NT (At l 0,3 5 ; Gc l ,20). Ed è il senso di Eb 1 1 ,33 e ancora prima di Eb l ,9; 7 ,2; 1 1 , 1 7 ; poi 1 2, 1 1 . Per i rabbini, essere giusti è imitare la giustizia (l)esed) di Dio: imitatio Dez"27 1 • Nessun riferimen­ to dunque alla problematica paolina della giustificazione, come invece sembra es­ sere in 1 1 ,7, in cui Noè è giustificato per la sua fede. Eb 1 1 ,33c è un caso particolare, in quanto « essi (Gedeone, Barak, Sansone, Iefte, Davide, Samuele, i profeti, I l ,32) ottennero la realizzazione delle promes­ se (epaggelion) )), non allude a promesse di tipo escatologico, come l ' ingresso nel riposo di Dio o nel (( santo dei santi )) celeste, ma a risultati di tipo terrestre, descritti in l i ,33b-34a: (( Chiusero fauci di leoni, estinsero la violenza del fuoco, sfuggirono al taglio della spada )), evitando di venime uccisi. I giudici, Davide, Samuele, i profeti sono un esempio di fede in grado di rianimare la comunità di­ sorientata. (( Ottennero la realizzazione delle promesse )) (epetychon epaggelion) . Siamo al terzo elemento dell ' encomio. Si tratta di beni promessi e già ottenuti (6, 1 3 ss.; 8,6; 1 1 ,9. 1 7.33d), mentre altri restano comunque da conseguire (9, 1 5 ; 1 0,36; 1 1 , 1 3 .39), beni ricevuti lungo il decorso dell 'esistenza terrena nella fede, dunque paradigmatici (6, 1 2- 1 5 ; 1 1 , 1 7 .33d), mentre altri sono orientati verso il compimento nelle realtà celesti ( 1 1 , 1 3 .3 9)272• La chiave di volta, che può giusti­ ficare anche la traduzione proposta sopra, si trova in Eb 6, 1 5 e in 1 1 ,39-40 : Abramo attese con pazienza e ottenne ciò che Dio gli aveva promesso (6, 1 5). Tuttavia, lui e altri, approvati da Dio a motivo della loro fede, non hanno rag­ giunto tutto ciò che egli aveva promesso. Vi sono dunque promesse già ottenute, altre non ancora273, conforme anche al plurale epaggeliai. A quali beni promessi già ottenuti sta pensando Ebrei? Se quelli non ancora ottenuti possono essere ben raccolti nella promessa di una patria migliore (kreittonos, v. 35), dove gli eroi nella fede trionferanno da eroi, i beni già ottenuti sono da identificare con le sofferenze di quegli eroi che nella fede e attraverso la fede hanno reso possi­ bile l ' impossibile (vv. 35-38). Una maggiore concretezza la si può trovare in Davide e nei profeti (2Sam 7, 1 ss.; Ab 2,3-4 in Eh 1 0,37-38), ma anche in sin-

Dati in A. Finkel, Gerechtigkeit. Il: !m Judentum, in TRE ( 1 984) 1 2,4 1 3, 1 7- 1 8. La storia del l 'esegesi di Eb I l ,33 registra ampia attenzione sull 'argomento. Se ne veda la rapida sintesi in E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13, 25, vol. III, pp. 1 96- 1 97, nota 4. 273 Parere autorevolmente sostenuto già da G. Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia I l , in PG 63,89-90. 271

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Parte seconda. Traduzione e commento

goli giudici la cui opera ottenne risultati prodigiosi (Gdc 4, 14; 6, 1 4). Il plurale epaggeliai (« promesse o beni promessi ») esclude del tutto che l 'autore stia pen­ sando al Messia274• « Chiusero fauci di leoni ». Di quanto è capace la fede ! Siamo al quarto mo­ mento de li ' encomio. Qui è d' obbligo riportarsi al « racconto di salvezza » su Daniele nella fossa dei leoni (Dn 6,2-29)275• Va subito detto che Dn 6,23 (« Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ») ha come soggetto « Dio » (ho theos). Il motivo di tanto intervento a favore di Daniele è al v. 24: « Egli ha avuto fede (episteusen) in Dio (tQ theQ)», cioè la sua fede ha mosso Dio a chiu­ dere fauci di leoni. Per 1 Mac 2,60 è l ' innocenza di Daniele ad avere spinto Dio in persona a intervenire a suo favore. Della fede di Daniele parla espressamente 4Maccabei 1 6,22 (« storie di martiri »). « Chiudere fauci di leoni » riassume com­ portamenti coraggiosi anche di Sansone, il quale « squarciò il leone come si squar­ cia un capretto >> (Gdc 1 4,6) e di Davide il quale inseguiva, abbatteva e strappava la preda dalla bocca del leone, lo afferrava poi per le mascelle, lo abbatteva e lo ucci­ deva ( l Sam 1 7,34-3 5)276• Tutte queste vicende gloriose s ' inquadrano nelle « storie di martiri », genere caratteristico ali 'epoca dei maccabei. Ne riferisce 1 Mac 2,49: « Ora domina la superbia e l ' ingiustizia, è il tempo della distruzione e dell ' ira rab­ biosa ». Sono le parole di Mattatia, prossimo alla morte violenta, ai suoi figli. Nell 'àmbito della fede cristiana delle origini forte è la risonanza in materia277• Il messaggio è chiaro: questi comportamenti oltre il normale esprimono l ' incrollabi­ le speranza dei protagonisti nel Dio invisibile. Di essa è fondamento la loro fede. [v. 34] Anche il quinto momento dell 'encomio, « estinsero la violenza del fuoco » (esbesan dynamin pyros), è un ' immagine che riporta a scene prodigiose, a Dn 3,46-50, in cui l 'angelo del Signore libera dal fuoco Sedràch, Mesàch e Abdènego (in ebraico), Anania, Azaria, Misaele (in greco); a 1 Mac 2,59, dove « Anania, Azaria e Misaele per la loro fede furono salvati dalla fiamma »; in Dn 3, 1 7 i tre affrontano il re Nabucodònosor: se uno può salvarci dalle fiamme alle quali tu minacci di condannarci (Dn 3, 1 5), questi è solo il Dio nel quale credia­ mo, e non le tue divinità in statue d'oro. Un'ardita quanto rischiosa dichiarazio­ ne di nullità a carico delle divinità pagane e di assoluta unicità e superiorità a fa­ vore del Dio d' Israele278• Essa avviene nella fede. Il NT conosce il tema del fuoco

2 74 Così A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 2 1 3 . 2 75 Ne riferisce anche G. Flavio, Antichità giudaiche 1 0,253-262. 2 76 Altro riferimento, meno noto e meno celebre, in 2Sam 23,20b: « Benaià . . . scese in mezzo a una cisterna dove uccise un leone in un giorno di neve » . 2 77 A d esempio, i n Atti di Paolo e Tec/a. V i s i legga l a storia del martirio d i Tecla condannata al rogo nel teatro di Iconio (Atti di Paolo 2 1 -22) e alle fiere nel l ' arena di Antiochia (Atti di Paolo 26-39), in cui le allusioni a Daniele nella fossa dei leoni e ai tre giovani nella fornace ardente e al ri­ spettivo intervento di Dio, prodigioso e liberatorio, si lasciano ben intravedere. Vi si legga, inoltre, il Martirio di san Paolo apostolo 1 -7, « consumato in Roma, sotto l ' imperatore Nerone, il 5 di epep (29 giugno) », come recita il titolo nel codice C (secolo Xl ) , dove si rilevano forti allusioni al rac­ conto della morte e risurrezione di Gesù. Per entrambi i racconti, cfr. L. Moraldi (ed.), Apocrifi del Nuovo Testamento, vol. II, pp. I 72- 1 77; 205-2 1 O. 2 78 Si legga utilmente, al riguardo, J. Lebram, Daniel - Danielbiicher, in TRE 8,329,33-36.

Il popolo della fede Eb

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che purifica: in l Pt l , 7 si ha la fede provata nel fuoco; in Ap 3 , 1 8a la cristianità di Laodicea è esortata ad acquistare oro purificato con il fuoco da Colui che sta alla porta e bussa. Risonanze in epoca cristiana posteriore non mancano279• Ebrei vede nell 'estinzione del fuoco la salvezza da persecuzione e morte per i credenti in Gesù Cristo. L'autore esorta a vedere in quella forza del fuoco lo strumento manovrato da Dio per una salutare purificazione e per il necessario irrobustimen­ to della propria fede, onde essere pronti a concostruire la casa di Dio. Credere nella potenza di Dio sul fuoco è sperare in realtà future, certe, ma che ancora non si vedono: quella fornace di fuoco, visitata dall 'angelo (potenza) di Dio, diventa come « un luogo dove soffia un vento pieno di rugiada ». Un'eco in 4Maccabei 2,26 o ve il sesto dei sette fratelli dichiara: « Per noi il fuoco è freddo »; eco anche in casa cristiana: « Il fuoco dei carnefici era freddo per loro », si dice di Policarpo e compagni martiri (cfr. Martirio di Policarpo 2,3). « Sfuggirono al taglio della spada » è il sesto momento dell 'encomio. Il mo­ tivo della spada tagliente, o a doppio taglio280, è presente nella tradizione anticote­ stamentaria con due termini: machaira e rhomphaia, il secondo più del primo; inoltre le varie recensioni del testo interscambiano spesso i due vocaboli. In Gdc 3, 1 6 (TM) e relativo Targum Gdc 3 , 1 6a si tratta di Eud il quale, per liberare Israele (Gdc 3 , 1 5), « si fece un spada a due tagli » (machairan distomon); in Targum Pr 5,4 si descrive la donna non ebrea: essa « è pungente come spada a doppio taglio »; nel Sal 1 49,6 i figli di Israele, hanno « le lodi di Dio sulla loro bocca e le spade a due tagli (rhomphaiai distomoi) nelle loro mani », essi sono infatti strumento del-

2 79 Cfr. Atti di Tommaso 1 27; il Pastore di Erma. Visioni 4,3,4. Stornata machaires apre un caso un po' singolare per due motivi: l ) uso improprio della koine in Le 2 1 ,24 e in Eb 1 1 ,34 (dove per « bocche della spada » sono da intendere « i tagli affinati della spada »); 2) l ' insolito plurale di Eb 1 1 ,34: « Tagli affinati della spada », e non « spada a dop­ pio taglio », (come già in Eb 4, 1 2, machairan distomon, o al singolare come in Le 2 1 ,24, stornati machaires). Che non si tratti di una risonanza analogico-retorica su Eb 1 1 ,33 (stornata leonton)? Sarebbe l 'unica possibilità di confronto quanto a testo greco; Eb 4, 1 2 aiuta tanto quanto nulla e Le 2 1 ,24 è ali 'usuale singolare. Può aiutare il ricorso al testo ebraico dell ' AT e a quello aramaico del Targum: la formula peh-�ereb al singolare, infatti, vi ricorre con lo stesso senso e piuttosto di fre­ quente. Meno frequente, ma ben attestata, la variante « spada dai due tagli, dal doppio taglio >> (in ebraico, l)ereb w/ah S'né pejot) . È il caso di Gdc 3, 1 6 e relativo Targum Gdc 3, 1 6 (spada a due ta­ gli: pejot-pumin); Targum Pr 5,4 (pumin) cui sottende I 'ebraico IJereb . . . S'ne pejot. Si noti ancora il plurale in b.Berakot 5a: « Quando si recita lo sh•ma stando a letto, è come se si avesse nelle mani una spada (di difesa) a due tagli (}Jereb . . . S'ne pejot) >>, ove è attendibile il riferimento al Sal 1 49,6 (pipijot). Un ultimo attestato in Sir 2 1 ,3 : « Ogni trasgressione è come spada a doppio taglio, non c'è rimedio per la sua ferita >>, spada distruttrice e mortale. In ogni caso, se nella mente deli 'autore gio­ ca un 'attendibile allusione a se stesso in Eb 4, 1 2 (« La parola di Dio . . . è più tagliente di ogni spada a doppio taglio >>), si può ritenere che ai suoi destinatari voglia proporre lo stile di vita guidato dal­ la fede di quanti sono sfuggiti a due grossi pericoli : l ) A una situazione di estrema gravità, fino al pericolo di morte, da cui sono stati liberati quei testimoni dell 'antica alleanza che hanno operato « per fede ». 2) Al severo giudizio della parola di Dio, inarrestabile nel suo cammino di penetrazio­ ne, fino ai più intimi sentimenti e pensieri del cuore. Ai suoi destinatari egli vuole dire: facciano al­ trettanto, con decisione libera, ma incrollabile, nella fede in Gesù Cristo. Per la questione, cfr. la no­ ta pragmatica e interlocutrice di O. Hofius, stornata machaires. Hebr 1 1. 34, in ZNW 62 ( 1 97 1 ) 1 29- 1 30. 280



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Parte seconda. Traduzione e commento

la giustizia divina; in Sir 2 1 ,3 « ogni trasgressione è come spada a doppio taglio » (hos rhomphaia distomos), immagine che ispira i rabbini in b.Berakot Sa e pro­ voca una lunga discussione. Anche « la spada » in assoluto, senza connotazioni, ha una sua tradizione : in l Re 1 9, l Elia uccide di spada (en rhomphaia) tutti i pro­ feti e fugge dal cospetto di Gezabele; in l Re 1 9, 1 0 gl ' israeliti uccidono di spada (en rhomphaia) i profeti di Dio; in l Sam 1 8 , 1 1 Davide sfugge alla spada (rhomphaia) di Saul, essa infatti mai tornava indietro a vuoto (2 Sam l ,22a); nel Sal 1 43 , 1 0 Davide invoca Dio: « Salvami dalla spada iniqua » (ek rhomphaias poneras). Non può sfuggire che gli eroi della fede presentati al v. 34b si compor­ tano, come non mai, in modo passivo. A chi pensa l 'autore? Molto probabilmente a nessuno in particolare, come farà anche ai vv. 35-38, che riflettono in pieno l 'epoca maccabaica. Gli sta a cuo­ re sottolineare la forza della fede nel suo insieme, e rifugge così dal fornire det­ tagli; gliene mancherebbe il tempo (v. 32) e il risultato sarebbe smisurato. Le si­ tuazioni menzionate ai vv. 33-34 raccontano di persone esposte a torture di ogni tipo a motivo della loro fede. Dal lato retorico, siamo al pathos: l 'autore intende smuovere l ' incertezza spirituale dei suoi e ottenere la loro ammirazione per il profilo di fede che quegli eroi propongono. Egli lo fa ponendo in situazione ciò che la retorica classica aveva fissato già per un 'esposizione verbale: le più racca­ priccianti torture, raccontate, « provocano un'enorme impressione » 28 1 • « Furono rinvigoriti dalla (loro) debolezza » (edynamothesan apo asthe­ neias) è il settimo riquadro dell 'encomio; la loro situazione cioè cambiò radical­ mente, da deboli a forti, e fu proprio la loro debolezza a dotarli di forza, arric­ chendone il loro patrimonio personale282• Restarono infatti incrollabili nella fede, e questa fu la loro forza. Echeggia il motto paolino : quando sono debole, è pro­ prio allora che sono forte (2Cor 1 2, l 0). Ma a chi pensa l 'autore? Anche volendo renderei attenti al contesto, resta dif­ ficoltosa ogni identificazione. Forse a gravi malattie risanate, come nel caso di Ezechia (Is 38, 1 -8)? Il binomio forza-debolezza (dynamis-astheneia), che descrive in primis sanità e malattia corporali283, lo lascerebbe supporre. Sullo sfondo avrem­ mo la vicenda terrena di Cristo stesso: nella debolezza della sua croce si è resa visi­ bile sulla terra la potenza (dynamis) di Dio284• La debolezza umana è il « luogo » in cui si manifesta la potenza di Dio. Ma Eb 1 1 ,34 non sembra riferirvisi. Forse l 'au­ tore pensa alla debolezza che ha colpito Sansone, secondo Gdc 1 6, 1 7 (astheneso) e di successiva forza secondo Gdc 1 6,28 (enischyson me), e a quella di Giuditta, se­ condo Gdt 1 3 ,7 (Oloferne)? Entrambi in seria situazione di debolezza, diventano forti in seguito alla richiesta di forza nella preghiera. Nella fede, essi sperano di ot­ tenere ciò che ancora non posseggono: sono deboli, sperano di diventare forti.

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Cfr. Quintiliano, Institutio oratoria 6, l ,30-3 1 . Ulteriori dati in W. Grundmann, dynamoi5, in GLNT ( 1 966) 2, 1 478. La lettura composta en­ dynamoi5 è proposta da alcuni manoscritti autorevoli (Sinaiticol, D; Y [044]; 1 739), forse sotto l ' in­ flusso di Rm 4,20. Il senso è, tuttavia, identico in Ebrei e in Romani. 283 Dati in G. Stiihlin, astheneia, in GLNT ( 1 965) 1 , 1 305 . 284 Si leggano: I Cor 1 ,23-24 e 2Cor 1 1 ,30; 1 2,5 .9- 1 0; 1 3,9. 282

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Tuttavia, dal momento che l 'autore non precisa il rapporto « forza-debolez­ za », anche a seguito del fatto che il termine astheneia è del tutto assente, è im­ probabile che egli stia pensando ai casi riportati . Un 'esegesi contestuale tuttavia non lo esclude, anzi lascia al lettore una specie di via libera all ' interpretazione. In ogni caso, emerge una volta ancora la sua coerenza con quanto dichiarato al v. 32 e il suo interesse primario per situazioni di debolezza, trasformatesi in situa­ zioni di forza: dia pisteos. Siano i suoi destinatari a individuarle285. « Divennero forti in guerra » (eghenethesan ischyroi en polemQ), furono va­ lorosi vincendo la forza con la debolezza: ottavo momento dell 'encomio. Favo­ rendo una lettura contestuale, l 'autore fa pensare a Gdc l , 1 7-22 (le vittorie di Giuda e Simeone); Gdt 1 3 ,7 (Giuditta e Olofeme); l Sam 1 7,40-54 Sir 47,5 (LXX, Davide e Golia); Sir 46, 1 (Giosuè); Gdc 4, 1 4 (Barak); l Sam 1 7 ,52 (Davide e gli israeliti all ' inseguimento dei filistei fino a Gat ed Ekron). È più at­ tendibile che Ebrei pensi alle guerre maccabaiche ( l Mac 4, 1 - 1 5 e simili). Quelle guerre, nel tempo dell 'ellenizzazione forzata antigiudaica, sono condotte dai fra­ telli maccabei « oggi » in vista di « domani ». La connotazione escatologica apre sull 'affermazione definitiva dell 'universale regalità di Dio. Guerra santa? L'espressione: « Il Signore è forte in battaglia » (Kyrios dyna­ tos en polemQ) ricorre nel Sal 23,8. Descrive la presenza di JHWH nella guerra, (Dio guerriero, Dt l O, 1 7; Ger 32, 1 8). Ciò basta per dare fondamento, in epoca an­ ticotestamentaria, alla istituzione della « guerra santa » (Es 1 5 ,3 ; 2Sam 5 , l 0). A questa sono ispirate l ' insurrezione maccabaica ( l Mac 3 , 1 7-25 ; 4,6-22 ; 4,34-36), le insurrezioni antiromane negli anni 66-70 (Tito) e negli anni 1 32- 1 50 (Adriano: Elia capitolina). Anche per i qumraniani la « guerra santa » è un dato giustifica­ to286. Ma nel NT non è così ! Delle 1 6 volte in cui ricorre il termine polemos (guer­ ra), solo una volta esso ha un valore positivo (Eh 1 1 ,34). Gesù vede nella violen­ za religiosa l ' espressione di quel potere satanico (Le 4, 1 - 1 1 e par. ; Gv 6, 1 4; Mc 8,33; 1 5 ,32) che egli stesso ha definitivamente debellato (Mc 3,27; Le 1 0, 1 8; 1 1 ,20-22)287. Con lui ha avuto inizio la « guerra escatologica » del bene contro il male, dove il bene appare debole e il male forte. Eppure, la vittoria del primo sul secondo è certa. E il v. 34, letto contestualmente, è dello stesso parere. Quella « guerra » non è esaltata in quanto tale, con tutte le sue implicazioni di violenza e sangue, ma in quanto strumento che mette in luce la forza (ischyros) di chi è di­ ventato vittorioso con l 'arma della fede (dia pisteos). « Respinsero eserciti di stranieri » (parembolas eklinan allotrion), obbligan­ done alla fuga i potenti eserciti : nono momento dell 'encomio. La terminologia del v. 34e è scelta e di ordine militare: parembole è l 'accampamento ove gli eserciti armati sono ali ' erta288, in pieno assetto di attacco, ma descrive anche l ' attacco in =

285 Ad esempio, il contrasto enorme tra « fol7.3 e debolezza » in l Sam 1 7, l ss. : Davide e Golia. Più di un autore vi si riporta: la fol7.3 sovrumana di Golia crolla di fronte alla debolezza di Davide af­ fidata a una misera fionda, la quale rivela la propria fol7.3 nella sua strutturale debolezza ( l Sam 1 7,45). 286 Si legga JQM: guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre. 281 Dati abbondanti in H . Hegennann, Krieg. III: Neues Testament, in TRE 20,25-28. 288 Così in Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, 1 3 ,87,2. In Es 29, 1 4 (LXX) parembole è detto dell 'esercito degli israeliti.

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Parte seconda. Traduzione e commento

corso, a ondate successive289• Il NT conosce questo secondo senso solo in Eb 1 1 ,34; eklinan (klinein) è greco scelto (« mettere seriamente in difficoltà, creare incertezza nell 'avversario, costringere alla fuga » )290; ho i allotrio i esprime alterità ed estraneità, ma anche inimicizia29 1 • In I Mac 1 ,38 e in 2,7 ha un senso religioso negativo. Si tratta di pagani, popoli senza Dio, che tentano di opporsi al popolo di Dio. Ebbene, sono stati messi in fuga con la sola arma della fede in JHWH. Ma chi sono questi eroi? Ipotizzando un kai (e), di fatto non attestato, po­ tremmo ritenere che « quanti respinsero invasioni di stranieri » sono gli stessi che « divennero forti in guerra >> . Difatti, si continua ad avere qui il problema dei ver­ si precedenti : Ebrei non precisa, ma lascia che i suoi lettori indaghino. Così Barak respinse l ' esercito (parembole) di Sisara (Gdc 4, 1 6); Gedeone colse di sor­ presa l 'accampamento (parembole) dei madianiti (Gdc 7, 1 5-22) e Gionata quel­ lo dei filistei ( l Sam 1 4, 1 - 1 5). Di nuovo la letteratura maccabaica fornisce molto materiale in contesto con la terminologia del v. 34: I Mac 2, 1 5 -48; 4, 1 -25 nonché con esso nel suo insieme, quasi l 'autore avesse voluto dare in sintesi alcune im­ prese dei maccabei ( I Mac 3 , 1 7-2 5 ; 4,6-22 .30-33). Lo scopo continua a essere il medesimo: dire ai destinatari che essi, in quanto popolo di Dio pellegrinante, per­ corrono una strada irta di opposizioni. Parola d'ordine: combattere (agon), non da belligeranti armati a tutto pugno, ma con una sola arma: dia pisteos, nella pie­ na fiducia della sola potenza protettrice di Dio. Il genere dell 'encomio produce il suo effetto retorico; l ' uso di simili liste celebrative trova riscontro già in I Clemente 55,3-5. I vv. 32-34 hanno una procedura retorica che non deve sfuggire: la dichiara­ zione dell ' autore, che dice di poter continuare la lista degli esempi ali ' infinito ma preferisce chiuderla, mostra che tale chiusura è in verità solo apparente, dal mo­ mento che subito dopo egli mette in atto tecniche retoriche che sospingono l 'e­ lenco in avanti, indefinitivamente: asindeto, paronomasia, isocòlo, antitesi, poli­ sindeto. Al v. 32 (« Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, e di Samuele e dei profeti . . . ») si ha un chiaro asindeto, una serie di nomi senza congiunzione tecnica. Tale procedura ha fini epici, fa risaltare la grandezza dei personaggi menzionati e imprime i detta­ gli nella mente dell 'ascoltatore con uno speciale vigore della voce292• Il catalogo di nomi senza opere di Eb 1 1 ,32 conduce al catalogo delle opere senza nomi nei vv. 33-34. Il v. 32 e i vv. 33-34 sono raggruppati assieme in una struttura di frasi di uguale lunghezza, secondo la tecnica della isocolonna o isocò­ lo. A Eb 1 1 ,32: « E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo narrando di . . . » fan-

Così in Aelianus ( 1 75-255 d.C.), Varia historia 1 4,46. Si vedano ancora Es 1 4, 1 9-20 e Gdc 4, 1 6; 8, 1 1 . 290 Attestati già in Omero, Iliade 5,37; 1 4,5 1 0; G. Flavio, Guerra giudaica 5 ,94; 6,79; Antichità giudaiche 1 3 ,342; Filone di Alessandria, De vita Mosis 1 ,26 1 . In Eb 1 1 ,34 è hapax lego­ menon biblico. 291 Con tale senso ricorre in Poli bio, Storie 27, 1 5, 1 3 ; Diodoro Siculo, Bib/iotheca historica 1 1 ,27, 1 e con frequenza nella versione dei LXX: l Mac 1 ,38; 2,7 e altrove. 292 Quintiliano, Jnstitutio oratoria 9,3,50. 289

Il popolo dellafede Eb

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1 1 , 1 - 1 2, / 3

no seguito i vv 33-34: essi, « . . . grazie alla fede l soggiogarono regni, l esercitarono la giustizia, l ottennero le promesse, l chiusero fauci di leoni, l estinsero la violenza del fuoco, l sfuggirono al taglio della spada, l furono rinvigoriti dalla (loro) debo­ lezza l divennero forti in guerra, l respinsero eserciti di stranieri ». Questa tecnica293 chiarisce e completa il pensiero iniziato al v. 32, prevede una pronunzia lenta e stac­ cata dei nomi, che serve per martellarli nelle orecchie degli uditori, per penetrare emotivamente nella memoria e nei sentimenti e per dare la concreta impressione che quella lista è più abbondante: quei sette personaggi sono in verità settantasette. L'effetto retorico è rinforzare la dichiarazione al v. 32: non c'è tempo sufficiente per ricordare tutti gli esempi disponibili e ricordarsi che Dio loda chi ha fede. I vv. 33-34, inoltre, intensificano l 'efficacia retorica per mezzo degli aoristi in principio e a fine frase costruiti artisticamente con le terminazioni in «-santo, -san e -on », effetto assonante a tutto vantaggio della memorizzazione, ma che le traduzioni non riescono a dare: .

v.

33

a) conquistarono: lmtegdni-santo (agdnizomai) b) esercitarono: eirga-santo (ergazomai) c) conseguirono: epetych-on (epitynchano) d) chiusero: ephrax-an (phrasso)

v.

34

a) spensero: esbe-san (sbennymi) b) scamparono: ephyg-on (pheuga) c) trovarono forza: edynamothe-san (endynamao) d) respinsero: egenethe-san (ginomai)294•

Prova delle capacità artistico-retoriche già fatte notare nella nostra Sezione introduttiva, a servizio di un messaggio ben definito: « . . . E per fede . . . . ». [v. 35] Il v. 35a fa da cerniera tra il catalogo degli eroi vincitori nella fede (vv. 32-34) e il catalogo dei testimoni della fede nella sofferenza (vv 35-38). Esso è infatti isolato dal v. 35b che introduce tutt 'altro catalogo; il suo contenuto poi contribuisce a isolare il v. 35a dal v. 34e (respinsero invasori stranieri) e dal v. 35b: il motivo della risurrezione, infatti, resta limitato al v. 35a. Dopo Sara (v. 1 1 ) e Rahab (v. 3 1 ), tornano di scena delle donne, questa volta senza nome, inserite nel « gran nugolo di testimoni )) della fede (Eb 1 2, l ). Si trat­ ta di donne che hanno riottenuto (elabon) viventi i loro morti (nekroi), attraverso la risurrezione (ex anastaseos). A motivo dell 'allusione a 1 1 , 1 9 (tenuta dai più), e in base alla natura stessa dei casi evocati, non si può trattare che di un vero ritor­ no alla vita, di una « resurrectio quae vitam mortalem restituit ))295• Dunque, un ri­ torno di morti nella vita del tempo presente. Così Elia ha ridato la vita al figlio del­ la sconfortata vedova di Sarepta ( l Re 1 7, 1 7-24 )296 ed Eliseo ha ridato la vita al figlio della donna di Sunem (2Re 4, 1 8-3 7). La formula: « La donna sunamita rice­ vette vivo il figlio di lei morto )) (he gyne. . . elaben ton hyion autes) di 2Re 4,37 .

29 3 /socòlo per Aristotele, Rhetorica 4, 1 9,26 (J.H. Frese, ed. [LCL], W. Heinemann Ltd, London 1 998). La tecnica dell 'isocolonna in Eb I l ,32-34 tuttavia si distacca dalle regole descritte nella Retorica ad Erennio sia per la corrispondenza delle frasi sia per la loro lunghezza. 294 Cfr. M . R. Cosby, The Rhetorical Composition of Hebrews I l , in JBL 1 07 ( 1 988) 257-273, qui 262-267. 295 Posizione tenuta dalla maggioranza dei commentatori. 296 Ne riferisce anche G. Flavio, Antichità giudaiche 8,325-327.

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Parte seconda. Traduzione e commento

può avere ispirato Ebrei. Che si tratti di questi due casi, è opinione comune già al tempo di Crisostomo e di Teodoreto297• Della fede delle due donne in questione non si fa menzione esplicita. Sono tuttavia le due scene nel loro insieme a richie­ derla, nonché il riferimento al v. 33 che va sempre ritenuto. Come già in Eb 1 1 , 1 7- 1 9 (Abramo riottiene indietro e vivo Isacco), anche qui le due risurrezioni sono da leggere in figura (en parabole), in riferimento al v. 35b, ove si parla di quella « migliore risurrezione » della quale queste due sono pallida anticipa­ zione298, e alla insurrezione dei maccabei, i quali sperano che « il re del mondo li risu­ sciterà a una vita nuova ed eterna » (2Mac 7,9; ancora 2Mac 7, 14 e Dn 1 2,2-3). Questo accadrà in occasione dell ' irruzione del regno di Dio sul monte Sion (Dn I l ,45; 1 2, l ). L'autore può esprimersi dali ' interno di quel dualismo ellenistico che gli è familiare e che gli consente di esortare i destinatari a leggere le vicende del loro tempo con l ' oc­ chio puntato verso il tempo migliore, escatologico, nel regno di Dio. Garante di tutto ciò è Gesù Cristo il Figlio. Egli ridà la vita ai morti299 e armunzia l ' irruzione dei tempi messianici ai quali appone il sigillo con la propria risurrezione, quella « risurrezione migliore » cui accenna il v. 35b. Menzionati con allusione esplicita al v. 35a, i due co­ lossi della fede, Elia ed Eliseo, Ebrei riprende la lista anonima. La fede infatti non ga­ rantisce sicurezza e prosperità: la giovane Chiesa giudeo-etnicocristiana deve fare i conti con le opposizioni che l 'attendono. Da qui la necessità di continuare a proporle la forza trainante di quanti harmo dovuto soffrire per la loro fede. Il parallelismo antitetico (« i quali . . . ma altri >>, rispettivamente, ho i. . . [v. 33a] alloi de [v. 3 5b]) garantisce che il termine chiave dell ' argomentazione con­ tinua a essere pistis (« la fede »), elemento conduttore dal v. 3 3 . La piccola for­ mula « ma altri » chiude il catalogo degli eroi vincitori nella fede ( vv. 32-34) e apre quello dei martiri per la fede (vv. 36-3 8). Con essi riprende l 'encomio. « Furono torturati » (etympanisthesan), decimo elemento dell ' encomio, si lasciarono cioè liberamente stendere sullo strumento del martirio come si stende la pelle del timpano, del tamburo, onde rendere più doloroso ogni colpo di tortu­ ra. Si noti la metafora: tympanon infatti è originariamente il tamburo a mano (Gn 3 1 ,27; Es 1 5 , l 0). Quanto più la pelle è stirata, tanto migliore è il suono, cioè la ri­ sonanza del loro martirio. Anche qui Ebrei non fa nomi. Tuttavia, indagando nella storia dell ' AT in­ contriamo il martire Eleazaro, uno dei primi dottori della legge e tra i più stima­ ti; questi andò gioiosamente incontro alla flagellazione, pur di non rinnegare le prescrizioni della sua fede (sulle carni proibite, 2Mac 6, 1 9 .28). Sostenuto dalla fede (dia pisteos), egli vedeva già adempiuta la sua speranza di partecipare a una risurrezione migliore300, dunque a una vita di gran lunga migliore della presente. Ebrei continua a muoversi su l l , l . 297 Cfr. Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 27, in PG 63, 1 87, e Teodoreto di Cir(r)o, Interpretatio epistolae ad Hebraeos I l , in PG 82, 767D. 298 Difficile dire se G. Flavio (Antichità giudaiche 8,325-327) pensi in questa direzione quan­ do, riferendo il caso della donna di Sarepta, rende anastenai-anastasis con « rianimazione » : « Immettere nuovamente l 'anima nel ragazzo e ridargli l a vita >> (8,326). 299 Si leggano: Mc 5,2 1 -43 e par. ; Le 7 , 1 1 - 1 7; Gv 1 1 , 1 -44 . 300 È il senso di kreittonos anastaseos tychosin, dove l 'aoristo congiuntivo tychosin (tynchano) esprime appunto la certezza della speranza.

Il popolo della fede Eb

1 1, l

-

12, 1 3

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È ancora il caso del martirio della madre coraggiosa e dei suoi sette figli3° 1 • Costoro non furono liberati dalle loro sofferenze, ma hanno ricevuto grazie a esse una vita migliore, la « risurrezione migliore » per la vita nuova. Tutti questi perso­ naggi sono accomunati da comportamenti identici: avrebbero potuto sfuggire alla morte, ma preferiscono sottrarsi a uno stile di vita dettato da Antioco IV Epifane302; una vita trascorsa nella comunità dei credenti in Dio è infatti immensamente mi­ gliore di una vita con i senza Dio, commenta Filone303• Quei martiri preferiscono decisamente una morte gloriosa a una sopravvivenza ignominiosa, rifiutando una liberazione-scarcerazione304 che sarebbe stata solo una parvenza. È il caso specifi­ co di 2Mac 6, 1 9 .2 1 -22; 7 ,40; 4Maccabei 7,2 1 : essi sanno, nella speranza, di anda­ re incontro a una « migliore risurrezione >>, quella per la vita eterna (Dn 1 2,2); san­ no di lasciare dietro di sé un potenziale trainante, di essere timpani risuonanti e lo splendore del firmamento (Dn 1 2,3). Non hanno infatti ceduto a un riprovevole compromesso, ma, incrollabili nella fede305, sanno di ottenere (tychosin)306 la vitto­ ria sperata: una risurrezione migliore di quella operata da Elia ed Eliseo. I riferimenti alla futura risurrezione (Eb 1 1 , 1 7 - 1 9) e alla restituzione-risurre­ zione nel tempo (Eb 1 1 ,35) sono argomento sufficiente per ritenere che la fede nel­ la risurrezione sia per Eb 1 1 un fattore centrale. Se poi si richiama qui anche 1 3 ,20 (la risurrezione-ritorno dai morti del pastore grande delle pecore), si è come co­ stretti a definire priva di base la posizione di chi sostiene che per Ebrei l 'argomen­ to « risurrezione » non ha avuto importanza. Anzi, di Eb I l essa è la chiave di let­ tura307. L' incerta comunità cristiana osservi bene e prenda esempio. La sua situazione, in quell 'ultimo scorcio del secolo l, non è poi tanto diversa da quella di giovani Chiese che hanno portato a compimento la loro fede nel martirio308• [ 1 1 ,36-38] Due i gruppi di martiri : la presentazione del primo (vv. 36-3 7a) termina con apethanon (« morirono uccisi »); quella del secondo (vv. 3 7b-3 8) ini­ zia con perielthon (« andarono in giro »). Il primo gruppo subisce il martirio; il secondo è costretto a una vita randagia, anch 'essa equiparata al martirio. Il paral­ lelo assonante è intenzionale. 301 Ne riferisce 2Mac 6, 1 8 - 7,42, qui 7,9. 1 1 . 1 4. L'argomento è, inoltre, ampiamente trattato in 4Maccabei 5, 1 - 7,23 (Eleazaro); 8, 1 - 1 4, 1 0 (i sette fratelli); 1 4, 1 1 - 1 7,6 (la madre). 302 Già Socrate si era pronunziato per una simile scelta: « Meglio salvare la propria vita mo­ rendo, anziché conservarla nel compromesso », riferisce Epitteto, Dissertationes 4, l , 1 64- 1 65. 303 Così Filone di Alessandria, De posteritate Caini 39. 3 04 Il senso di apolytrosis in verità è espiazione e perdono (redenzione). Con il significato di « liberazione » ricorre in Filone di Alessandria, Probus 1 1 4; Lettera di Aristea 1 2,33 e, nel NT, solo in Eb 1 1 ,35. Si veda F. Biichel, apolytr6sis, in GLNT ( 1 970) 6,960. 305 Il tema « fede » (pistis) accomuna la documentazione citata (Eb I l ,33a; 2Mac 7 ,40; 4Maccabei 7,2 1 ). 306 Essere incrollabili nella fede è già una collaborazione con il Dio nel quale si crede ed è co­ me costringerlo a intervenire. La loro « migliore risurrezione )) non è dunque solo il frutto del! 'azio­ ne di Dio, ma anche la sua risposta alla loro fede, fedeli fino al martirio. Quella « migliore risurre­ zione )) essi se la sono guadagnata. È il senso di tygchano, anche in 2Tm 2, l O. Forse non così E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13, 25, vol. III, p. 207, nota 27. 307 Così G.L. Cockerill, The Better Resurrection (Heb 1 1, 35): A Key to the Structure of Rhetorical Purpose ofHebrews 1 1 , in Tyndale Bulletin 5 1 (2000) 2 1 5-234. 308 Ne riferiscono Ignazio di Antiochia, Ai Romani 4,2; Pseudo-Clementine 2,38,2.

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[vv. 36-37a] « Altri, ancora » (eteroi de) hanno sofferto da martiri per la lo­ ro fede (v. 36). Che cosa? « Scherni e flagelli » (empaigmr5n kai mastigr5n), undi­ cesimo elemento dell 'encomio. Empaigmos si legge in 2Mac 7,7, in cui esprime la tortura più umiliante: la vittima è duramente torturata, fino alla morte. Si può pensare al profeta Michea figlio di Imla, percosso e imprigionato a pane e acqua per aver descritto al re d ' Israele (Nord) la disfatta degl ' israeliti di fronte a Giosafat, re di Giuda (Sud): « Vedo tutti gli israeliti vagare sui monti come peco­ re senza pastore >> ( l Re 22, 1 7 .24-27). Eppure, molti falsi profeti avevano profe­ tizzato la vittoria. Ma al vero profeta sono riservati cattura, imprigionamento, tor­ tura, percosse, morte. Per Ebrei è questo il normale appannaggio dei profeti. La ricerca di ulteriori casi specifici non viene suggerita. « Inoltre (eti de) catene e prigionia (desmr5n kai phylakes) >>, dodicesimo mo­ mento dell 'encomio, come Geremia (Ger 20,2; 38, 1 3); come Hanani il veggente (2Cr 1 6, l O) è messo in prigione da Asa, re d'Israele, per avergli profetizzato un fu­ turo pieno di guerre; si è infatti appoggiato ai potenti della terra e alle loro allean­ ze e non ali 'unico potente, il Dio d'Israele. La congiunzione eti de, insuper (« inol­ tre, ancora >>) contribuisce a far crescere la tensione retorica, quasi che l 'autore voglia confermare di non poter narrare tutto di tutti (v. 32), e al tempo stesso a in­ curiosire e motivare i suoi vacillanti destinatari. Una forma di climax ascendens, al quale questi ultimi dovranno continuare a dare contenuto. « Scherno e derisio­ ne », come agli eroi maccabei da parte di Nicànore, al quale avrebbero dovuto con­ segnare Giuda e il suo esercito. Ma temporeggiano e ne provocano ira e minacce ( l Mac 7,34; 9,26); sono da menzionare ancora una volta Eleazaro e i sette fratelli maccabei con la loro coraggiosa madre e infine il servo sofferente di JHWH, flagel­ lato, percosso sulla guancia, insultato, sputacchiato (Is 50,6). Gesù stesso nella sua passione dà pieno compimento alla descrizione del servo sofferente (cfr. Mt 1 2 , 1 5-2 1 ). Quel vocabolario torna infatti nel corso della sua passione. Per i cristiani, è lui il servo sofferente e redentore309, non i suoi di­ scepoli né i credenti in lui. È attendibile che lo stesso scrittore voglia rimandare a Eb I l ,26, stabilendo così un parallelo tra « subirono la prova di scherni e fla­ gelli » (v. 3 6) e « l 'obbrobrio di Cristo » (v. I l ): una connotazione cristologica elaborata sulla storia dei martiri. La comunità destinataria giudeocristiana è esor­ tata a vedere in tutte queste storie, a lei ben note, non certo il semplice racconto di vicende bibliche, ma un vero incontro con i protagonisti, nella contempora­ neità, al fine di comprendere meglio il proprio presente. La storia della propria vita e della propria fede è un combattimento. « Altri furono lapidati » (elithasthesan, v. 37a; tredicesimo elemento del­ l 'encomio) è voce verbale nota ancora in Eb 1 2,20 con riferimento a Es 1 9, l 3 (LXX). La lapidazione è nota ali ' AT e al NP 10• La normativa giudaico-rabbini­ ca la prevede come pena capitale per precisi misfatti3 " . Qui si può pensare a Che l 'autore vi stia pensando è suggerito oltre che dal contesto di Ebrei, anche da una serie di dati paralleli. Se ne veda l 'esauriente trattazione in G. Bertram, empaizo, in GLNT ( 1 974) 9,2 1 9. 310 Si vedano rispettivamente: Lv 20, 1 0; 24, 1 6; Dt 22,22-24 e Gv 8,3-5; At 6, 1 1 . 311 Si veda Sanhedrin 6, l - 7, l O. 309

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Zaccaria (2Cr 24,20-22) figlio di Joiadà3 12, lapidato nel cortile del tempio (v. 2 1 ), tra il tempio e l ' altare, per ordine del re Ioas. La sua predicazione: « Avete ab­ bandonato il Signore, anch 'egli vi abbandonerà » (v. 20), ne fu la causa. Si può ancora pensare alla 1apidazione di Geremia3 13, tanto più che Eb 1 1 ,37 conosce la tradizione-leggenda giudaica sul martirio di Isaia. Perché non anche quella sul martirio di Geremia? Possibile, con conferma almeno indiretta da par­ te di Mt 23,37: « Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati . . . », a motivo del plurale. Va comunque aggiunto che ali 'epo­ ca di Ebrei il NT ha già registrato la tradizione della lapidazione, rilevando la dal­ le « storie di martiri )). Preziose indicazioni in Mt 2 1 ,3 5 ; 23,3 5 ; At 7,58 (Stefano) e in 1 4, 1 9b (Paolo) e ancora in l Clemente 45 ,4-5 (« I giusti furono lapidati (elithasthesan) )). Nell ' insieme va notato che se Ebrei resta sulle generali, ciò è dovuto alla sua coerenza con il v. 32, ma anche al fatto che, in più di un caso, le tradizioni giudaiche e cristiane dovevano essere ben note ai destinatari . I coin­ volti nella lapidazione, da Isaia a Geremia, dai profeti agi ' inviati, da Stefano a Paolo, hanno una cosa chiara da dire: fedeltà nella fede. « Altri furono segati (epristhesan) ))3 14: quattordicesimo momento dell 'enco­ mio. La voce verbale è del tutto assente in AT ed è hapax legomenon nel NT3 15• La leggenda-tradizione giudaico-ellenistica racconta che Isaia fu segato in due con una sega da legno. Motivo: contrariamente agli abitanti di Giuda e di Gerusalemme, ce­ devoli nella fede, Isaia vi resta saldo, maledice il falso profeta Balkira che lo accu­ sa presso il re Manasse di grossi inganni a carico del popolo ed esige la ritrattazio­ ne dei suoi « falsi )) annunzi. Al suo rifiuto, il re emette la condanna a morte a carico del profeta innocente, che viene segato in due alla presenza dei suoi nemici31 6• Questa tradizione è nota a Eb 1 1 , 1 7. Anche il Talmud non ne è ignaro3 17• Ampia la risonanza in ambiente cristiano3 18• Al di là delle tradizioni e dell 'eventualità che Ebrei vi si stia riferendo, ciò che sta a cuore ali ' autore è di nuovo il messaggio: i de­ stinatari di Ebrei prendano atto di come una fede insistente finisca per imporsi pro­ prio nella situazione più estrema del martirio. 3 12 O di Barachia, come riferisce Mt 23,35? Si deve trattare dello Zaccaria figlio di Ioiadà, di cui in 2Cr 24,20-22 l 'ultimo racconto di assassinio ne li ' AT, essendo 2Cronache l 'ultimo libro del canone giudaico. In questo caso, « figlio di Barachia » di M t 23,35b è segno di confusione con lo Zaccaria di cui in Is 8,2 (LXX) e Zac l , l . 3 1 3 Se ne parla in Paralipomena Jeremiou 9,2 1 .30 e in Vita prophetarum 2 , l . 3 1 4 La variante epeirasthesan (>, ma ha lo sguardo rivolto oltre la storia, verso il « celeste >>; le prospettive gesuologica, cristologica, escatologica sono per Ebrei lo scopo primo della sua fatica di scrittore. Quelle prospettive sono per i suoi destinatari ebrei divenuti cristiani e non, per gli ebrei di ieri e di oggi; allo scopo di persuadere gli uni e gli altri, egli mette in opera tutti gli strumenti a sua di­ sposizione. Solo questo è il suo scopo. Egli torna così a muoversi all ' interno di quel pensiero duali­ stico che lo contraddistingue: il binomio terrestre-celeste. Condizione: vedere nella croce il fatto nuo­ vo, in Gesù Cristo il redentore. E allora lo sterminio è già redento, come ogni altra sofferenza umana, nella sua solidarietà. Il tema, discusso nel l ' epoca contemporanea, ha conosciuto accalorati mo­ menti di confronto. Sullo scottante interrogativo, se Eh I l , 1 -40 possa essere considerato come to­ pos in cui è già (( anticipata » la storia successiva d'Israele fino ad Auschwitz, fino a oggi, si sof­ ferma K. Haacker, Der G/aube im Hebriierbrief und die hermeneutische Bedeutung des Holocaust. Bemerkungen zu einer aktuellen Kontroverse, in TrierTZ 39 ( 1 983) 1 52- 1 65 . Da ultimo E. Griisser (Exegese nach Auschwitz? Kritische Anmerkungen zur hermeneutischen Bedeutung des Holocaust am Beispiel von Hebr l l, in KD 27 [ 1 98 1 ] 1 52-1 63 ) , il quale riprende la sua posizione in Id., An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13, 25, vol. III, pp. 2 1 5-2 1 6, 22 1 -223.

Il popolo della fede Eh 1 1 , 1 - 12, 1 3

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Elia ed Eliseo hanno indossato pelli di animali, quasi un vestito professionale, e sono vissuti in caverne ( l Re 1 9, 1 3 . 1 9; 2Re 1 ,8 ; 2,8. 1 3 - 1 4); in Zac 1 3 ,4 i profeti indossano il mantello di pelo, quasi una moda, attestata anche in Martirio d 'Isaia 2,9- 1 O; gli eroi maccabei hanno appunto condiviso una simile esistenza: Mattatia fugge tra i monti e nel deserto, seguito dai fedeli alla legge ( l Mac 2,28-3 8); Giuda Maccabeo « si ritirò nel deserto, vivendo tra le montagne alla maniera del­ le fiere assieme a quelli che erano con lui » (2Mac 5 ,27); « altri che si erano rac­ colti insieme nelle vicine caverne per celebrare il sabato »: denunziati, non si di­ fesero e persero la vita, bruciati in quelle stesse caverne, « per il rispetto a quel giorno santissimo » (2Mac 6, 1 1 ). Il maccabeo e i suoi, nella festa delle Capanne, celebrano con gioia la riconsacrazione del tempio e ricordano come poco tempo prima avevano dovuto celebrare quella stessa festa « dispersi sui monti e nelle ca­ verne come animali selvatici » (2Mac l 0,6). In Mc l ,6 il Battista indossa « un ve­ stito fatto di peli di cammello ». Ebrei intende non mettere in luce l ' ascesi dei profeti, quasi un 'opposizione allo stile di vita del mondo, ma soprattutto la povertà della loro vita, la loro solitu­ dine piena in Dio e nella sua legge, la loro miseria. Depongono in questo senso il materiale dimesso di cui sono fatti i loro vestiti e la più completa assenza di abita­ zione fissa, che li costringe a girovagare. Questo profilo dell 'esistenza profetica è ottenuto dali 'autore con una successione di tre participi al presente; essi descrivo­ no la situazione in corso di profeti che stentano l 'esistenza e mancano del neces­ sario (hysteroumenoi) ; sono angustiati, oppressi, tormentati, perseguitati (thlibo­ menoij322, maltrattati (kakouchoumenoi) . Quest'ultimo verbo sostituisce, forse, l 'uso di pascho che Ebrei riserva al Cristo sofferente nella sua passione. Nel qual caso, si noti l 'allusione alla medesima, ben riuscita proprio perché indiretta. « Di loro (an) il mondo (ho kosmos) non era degno (ouk en axios) » (v. 38); perché non aperto a Dio323, quel mondo non ne ha accolto i profeti . È questo il motivo di quel duro giudizio di Ebrei. Lo sarà invece il mondo celeste. Esso è la loro casa, per la cui ricerca essi sono degli erranti stabili. L' autore ripropone qui la sua mentalità dualista nel binomio « terrestre-celeste >>. Per la formula: « Il mondo non è degno di >> si ha un prezioso paral lelo nel Vangelo (copto) di Tommaso 1 1 1 (epoca gnostica)324• Trovarsi bene nel mondo terrestre e venirne amati è restrittivo; venirne respinti e maltrattati è per i profeti, ora per i cristiani, esperienza di « qualcosa di grande >> (Ignazio di Antiochia, Ai Romani 3,39). Da parte loro, questi eroi perseguitati per la fede hanno mostrato che andare errando325 « qua e là, per i deserti e sui monti » (epi eremiais kai oresin), « tra le grotte e le cavità della terra » (kai spelaiois kai tais opais tes ges, l Re 1 9, 1 3 ), può diventare in un qualunque momento parte integrante dell 'esperienza di fede. 3 22 Con questo ultimo senso, thlibo ricorre in I Ts 3,4 e in 2Ts 1 ,6. 3 2 3 Costruito con il genitivo, axios an ricorre nella religiosità pagana al positivo o al negativo ed esprime un agire conforme agli dèi o meno. Cfr. anche Epitteto, Enchiridion 1 5 . Inoltre, W. Foerster, axios, in GLNT ( 1 965) 1 , 1 0 1 3- 1 0 1 7. 324 Testo in L. Morali (ed.), Apocrifi del Nuovo Testamento, p. 572. 3 2 5 È il senso di planomenoi: andare errando senza sosta (participio presente), qua e là, spinti dal bisogno.

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Parte seconda. Traduzione e commento

« Per deserti )) ; con il senso non solo di luogo solitario, ove il pericolo per la propria vita è elevato (2Cor I l ,26), ma anche come il luogo dell 'estraneità più assoluta. Questi eroi dicono che la vita terrena non è esaustiva in sé, anzi si muo­ ve tra incertezze varie e, come tale, esige una vita migliore. Torna a farsi notare, in sordina, la mentalità dualistica dell 'autore. « E sui monti )) ; regioni appartate nelle quali ci si può ritirare (così in Gdc 6,2; l Sam 23, 1 4; l Re 1 9, 8 1 ; l Mac 2,28). « E tra le grotte (spelaiois) », luoghi di riparo, onde sottrarsi a qualcosa di perico­ loso che sovrasta: Gdc 6,2; l Sam 1 3 ,6; 22, P26, « e tra le cavità (opais) della ter­ ra »: qui e in Gc 3 , 1 1 (ope). Si può ben pensare ad anfratti scoscesi nelle pareti inaccessibili dei monti327• Secondo il Martirio d 'Isaia 2, l 0- 1 1 i profeti vivono tra deserto e monti per piangere il disorientamento d'Israele e il suo allontanarsi da JHWH . Articolato in ben sedici momenti, in isocolonna e tra asindeto e polisinde­ to, si chiude un magistrale encomio e, con esso, l ' attenzione dell 'autore al rap­ porto tra fede e storia; potremmo dire meglio: sedici riquadri di esistenza, anima­ ti dalla fede.

Fede e metastoria (11,39-40) : una promessa migliore, il compiersi del po­ polo di Dio. Conclusione magistrale alla lista di quanti si sono imposti alla storia per le opere della loro fede: « Tutti questi hanno ricevuto attestazione per la loro fede ))328• Eppure, neppure uno di essi ha potuto vedere il compiersi della grande promessa di Dio: egli avrebbe costruito un popolo, gli avrebbe dato una terra, lo avrebbe reso grande e numeroso, segno della sua benedizione per tutte le nazio­ ni. E questo perché Dio ha di fatto programmato e già preparato qualcosa di mi­ gliore. Ora, lungo tutto il suo « trattato )), Ebrei ha usato di frequente l 'aggettivo « migliore (kreitton) )), riferendo lo alla cristianità e a singole realtà che la caratte­ rizzano. Un vero leitmoti\.,329• L'autore ha esposto tutti questi elementi come de­ scrizione del « qualcosa di migliore (kreitton ti) )) che Dio aveva da tempo prepa­ rato per noi nella sua provvidenza ( 1 1 ,40)330: in Gesù Cristo, pioniere nella fede e perfetto credente. La fede e le opere di Dio nel corso delle generazioni non hanno raggiunto il risultato pieno. La lezione della storia per le nuove generazioni è di doversi rela­ zionare a Dio accogliendone il progetto che le accompagna verso il compimento della sua promessa. Come già i grandi credenti di « ieri )), così ogni membro del326 Riferisce al riguardo anche G. Flavio, Antichità giudaiche 6,247. 32 7 Così H. Braun, An die Hebriier, p. 400. 3 28 È il senso di martyrethentes, un participio aoristo passivo concessivo (martyreo): nono­ stante le loro prove, anzi proprio in forza di esse, sono stati approvati nella fede da Dio. Egli stesso è loro testimone. Cfr. M. Zerwick - R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p . 683. 3 29 Cfr. Eb 1 ,4; 6,9; 7,7. 1 9.22; 8,6; 9,23; 1 0,34; 1 1 , 1 6; 1 1 ,35; 1 2,24. Cfr. /l messaggio teologi­ co, p. 709. 33 0 È il senso di problepsamenou, un aoristo del participio di blepi5 (« vedere, pre-vedere ») che, nella forma media, esprime il significato di « provvedere ». Dio ha progettato così e attende il com­ piersi da parte nostra, nella fede. Cfr. M. Zerwick - R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 684. ·

Il popolo della fede Eb I l, l - 12, 1 3

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la comunità cristiana deve capire « oggi » quale responsabilità egli ha nel profes­ sare la fede cristiana, anche di fronte ai suoi precursori nel patto antico, che alla fede lo hanno introdotto e sospinto. La fede e le speranze di questi precursori pos­ sono venire nullificate o pienamente realizzate, in base alla fede in Cristo o al­ l 'apostasia. Ogni credente in ogni generazione è chiamato a dare decisivo contri­ buto a tale compimento. È il senso di « raggiungere la perfezione (teleiothosin) >>, l 'ultima parola che chiude il cap. I l . Quei pionieri non hanno raggiunto la « per­ fezione >> nella fede, non hanno conseguito la promessa (già Eb l 0,36), non han­ no visto il sacrificio unico e perfetto di Cristo, sommo e unico sacerdote . Tuttavia, senza essi anche i nuovi credenti non possono raggiungere la perfezio­ ne nella fede. Quest'ultima, poi, è indicata dal pioniere perfetto nella fede (pro­ dromos, Eb 6,20), Gesù Cristo; in lui trovano adempimento le promesse di Dio. Una preziosa indicazione circa lo sforzo di Ebrei a coordinare le due epoche: AT e NT, i padri nella fede e noi, verso il Dio delle promesse, ma non senza di noi. Quelle due epoche non sono in opposizione, ma in continuità, nell 'unico popolo di Dio dai volti storici più svariati, in marcia verso il compimento. Intanto, nel « frammezzo », si punti lo sguardo su Gesù. Entriamo così in Eb 1 2, 1 - 1 3 .

[ 1 2,1-13] Conservare la fede. Pedagogia divina. Accorata paràclesi (exhor­ tatio) in sei momenti progressivi : 1 2, l -2.3 chiude il cap. I l e introduce l 'esorta­ zione che evolve in 1 2,4-6; 1 2,7-8; 1 2,9- l l ; 1 2 , 1 2 ; 1 2, 1 3 . [vv. 1-2] S i ha qui una disposizione sticometrica in movimento innico a par­ tire dalla posizione enfatica su « Gesù »: « Anche noi dunque, a) avendo attorno a noi un così gran nugolo di testimoni, b) deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia c) con perseveranza (di 'hypomones) d) corriamo nella gara che ci sta davanti, « e >> tenendo fisso lo sguardo (aphorontes) sul pioniere e perfezionatore della fede, su Gesù, d') il quale (hos), in cambio della gioia che gli era posta innanzi, c') si sottopose alla croce, b') disprezzandone l 'ignominia, a') e si è assiso (kekatiken) alla destra del trono di Dio )). In questa attendibile dispositio, « e » è punto centrale e culminante (v. 2a)33 1 e svolge una funzione di transizione al v. 2b, un momento innico gesuologico-cri­ stologico che prende corpo in d'-c ' -b'-a'. Introduce il tipico pronome relativo hos332, su cui ricadono gli elementi a-b-b ' -a' ; la posizione enfatica di « Gesù », 33 1 È il risultato cui pervengono anche B.J. Littleton, Exposition of Hebrews 12,2, in F&M 16 ( 1 999) 22-29, e A. Neamtu, An Exegesis on the Greek Text ofHebrews 12,2, in F&M 16 ( 1 999) 3038. Ancora J. Lach, « Avendo lo sguardo fisso a Gesù » (Eb l 2, 2), in STWsz 35 ( 1 977) 49-55. Un'unica riserva: che Eb 1 2,2 sia l 'apice di Ebrei? Certo, ma solo di Eb I l , l - 1 2,2. Altrimenti, un risultato prioritario tutt'al più. 33 2 Identica procedura si riscontra negli inni cristologici in Fil 2,6; Col l , l 5; I Tm 3, 1 6 e in Ef2, 14.

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Parte seconda. Traduzione e commento

posto al termine della frase, autorizza a considerare « e >> punto di partenza del frammento inni co: e-d ' -c' -b ' -a' . Così: « e » teniamo fisso lo sguardo sul pioniere e perfezionatore della fede, a) « il quale (hos = Gesù), in cambio della gioia che gli era posta innanzi, b) si sottopose alla croce b') disprezzandone l ' ignominia a') e si è assiso alla destra del trono di Dio »333• Quel pronome relativo è decisivo per l 'unità letteraria dei vv. 1 -2 in quanto rivela il lavoro dell 'autore e la sua intenzione di collegare il v. l con il v. 2. Che si tratti di un inno gesuologico-cristologico lo attestano ancora elementi di ho­ mologia propri della cristianità delle origini : Gesù è disceso dal cielo (Eb 1 2,2; Fil 2,6; Gv l ,9); è morto (Eb 1 2,2; Fil 2,8; Col l , 1 8 ; l Tm 3, 1 6; l Pt 3 , 1 8) ; la sua morte è ignominiosa (Eb 1 2,2; Fil 2,8); egli è esaltato (risorto) e intronizzato (Eb 1 2,2; Fil 2,9; l Tm 3 , 1 6; l Pt 3 ,22; Eb 1 ,3)334. Il riferimento contestuale immediato delle parole: « Ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori » (v. 3) alla croce e alla sua ignominia (v. 2) giustifica il collegamento del v. 3 ai vv. 1 -2, in forza ancora dell ' imperativo esortativo antilogisasthe, un invito pressante a riflettere attentamente e insieme, in un momento assembleare liturgico qui evocato, su di lui e su se stessi. Gli ele­ menti retorici summenzionati , confermano ulteriormente. In 1 2, 1 -2 abbiamo dunque un'unità letteraria compatta, dal peso teologico decisivo. Essa chiude 1 1 , 1 -40 e introduce 1 2,4-29, ove l 'esortazione evolve. Paràclesi: si guardi a Gesù Cristo, « autore e perfezionatore della fede ». Parole immortali. Introducendo le con toigaroun (« proprio per questo »), l ' auto­ re mostra di aver scritto il cap. 1 1 in preparazione a esse. I suoi lettori sono non degl ' incerti che guardano indietro e si arrestano o addirittura si ritirano dalla ga­ ra nella fede ( l 0,39), piuttosto dei podisti in corsa, lanciati alla conquista di un grande traguardo. E con perseveranza (di 'hypomones, v. l ; cfr. l 0,36). Guardino dunque a questo « nugolo di testimoni » (paràclesi) . Il fatto che essi siano vissu­ ti nell 'antica alleanza mostra ancora una volta che i destinatari sono in buona par­ te giudeocristiani e che l 'autore continua a stabilire un rapporto di continuità tra le due alleanze, tra quei testimoni antichi e Gesù (v. 2a), in forza del quale essi, sia pure inconsapevolmente, hanno creduto fino a testimoniare la loro fede nel sangue ( 1 1 ,3 5b-3 8)335•

333 Fa il punto della questione W. Gloer, Homologies and Hymns in the New Testament: Forms, Content and Criteriafor Identification, in PRS I l ( 1 984) 1 1 5- 1 32, qui 1 24- 1 29. Di recente, V. Rhee, Chiasm and the Concept ofFaith in Hebrews 12, 1-29, in WTJ 63 (200 1 ) 275-276. 334 Si veda D.A. Black, A Note on the Structure ofHebrews 12, 1-2, in Biblica 68 ( 1 987) 546, 548-549. 335 Riduttiva sembra la posizione di Teodoro di Mopsuestia (In epistolam ad Hebraeos 12, l, in PG 66,966) quando scrive che « testes hic vocantur non qui passi sunt, sed qui fidem profitentur » . I testimoni di Eb 1 2, l , con ovvio riferimento a I l , 1 -40, non sono coloro che hanno patito e perduto la loro vita, ma solo coloro che hanno professato la fede. Sul « come » di questa professione, Teodoro di Mopsuestia non scrive nulla, né in 1 2, I né in I l , l (cfr. lbid.).

Il popolo della fede Eb 1 1, 1 - 12, 1 3

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Prima condizione: « Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta da­ vanti )). La bella immagine dello stadio e della gara che vi si svolge è nota dal pensiero paolino e postpaolino336 e non può che essere davvero appropriata per una cultura intrisa di competizioni sportive, di impegno a essere fisicamente in forma e di massimo slancio verso la vittoria ai giochi olimpici. Tutti gli eroi nel­ la fede menzionati in Eb I l , « stuolo di testimoni » (v. l ), hanno corso e hanno raggiunto la mèta, ognuno ha vinto in situazioni e tempi diversi; ora essi sono al traguardo e ci indicano le condizioni migliori per un'efficiente corsa: evitare di appesantirsi con inutile zavorra, indossare abiti leggeri, tenere agile il corpo, li­ bero e deciso lo spirito e sottoporsi a un training disciplinato. Seconda condizione: deporre la zavorra (ogkos, hapax legomenon del NT). L' immagine del fardello di cui alleggerirsi fu spesso coordinata con il battesimo, inizio di una vita di fede337• A motivo dell ' immagine dell 'atleta, ogkos ha il senso di fardello di cui gli atleti devono liberarsi, onde alleggerirsi e poter così conqui­ stare più speditamente la mèta. L'uso di panta esclude ogni ricerca sul tipo di far­ dello al quale l 'autore potrebbe pensare338• « Il peccato che assedia », di cui anco­ ra al v. l , non può che riferirsi ali ' apostasia e non ad altro peccato particolare. Quei giudeo-etnocristiani sono infatti esposti al rischio di ritrattare la scelta di Cristo. Allontanarsi dalla fede, infatti, è l 'unico grave impedimento alla corsa in essa. Sostiene in questa direzione l 'allusione implicita a Rm 7,2 1 , ove Paolo de­ scrive il combattimento per il bene e la sorpresa di aver compiuto il contrario. Una legge dura ! Accelerazioni in questa corsa sono da evitare. La gara nella fede non prevede sprint, piuttosto pazienza e costanza, onde raggiungere la vittoria. La te­ stimonianza nella fede di quanti ci hanno preceduto incoraggia; ma il massimo in­ centivo in essa proviene da Gesù, dal quale dipende la partenza, la corsa e l 'arrivo (Eb 1 2 ,2a; Fil 3 , 1 2- 1 4; cfr. anche 4Maccabei 1 7, 1 0). Egli è pioniere della fede, sia perché ci ha preceduti in essa e sia perché i pionieri in Israele hanno creduto in quanto, sia pure inconsapevolmente, hanno guardato a lui (v. 2). Consolazione: è insita nel training, « avere lo sguardo fisso su di lui (apho­ rontes)» come lo si ha al traguardo. Aphorontes è fissare qualcuno negli occhi, guardare a qualcuno con fiducia, ad esempio a Dio339, allo scopo di orientare ver­ so lui il proprio comportamento; qui a Gesù, onde seguirlo nella lotta per la fede, in un perseverante affidamento a lui340• Che Gesù sia il « pioniere della fede )) per­ ché l ' avrebbe posta in noi dandole l ' avvio34 1 , non rientra nella intentio di Ebrei proprio a motivo della metafora dell 'agone. Nessuna connotazione di fede cristologica. I credenti sono molto più spinti a una fede operativa, in azione : seguire colui che li attrae, in quanto è lui a indi33 6 Si leggano: I Cor 9,24; Fil 2, 1 6; I Tm 6, 1 2; 2Tm 2,5; 4,7. Per dettagli sull 'agone atletico, cfr. documentazione in E. Stauffer, agon, in GLNT ( 1 965) 1 ,3 6 1 -366. 337 Allusioni contestuali in Ef 4,22.24; Col 3,3; Gc l ,2 1 ; l Pt 2, l . 33 8 È già il parere di H. Seesemann, ogkos, in GLNT ( 1 972) 8, 1 1 6- 1 1 8 . 339 Così Epitteto, Dissertationes 2, 1 9,29. 340 Su aphor6ntes in Eb 1 2,2 riletto alla luce della pistis , cfr. T. Soding, Zuversicht und Geduld im Schauen aufJesus. Zum Glaubensbegriffdes Hebriierbriefes, in ZNW 82 ( 1 99 1 ) 2 1 4-24 1 . 34 1 È i l pensiero di Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 1 8, in PG 63 , 1 93 .

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care loro la strada da seguire, dalla croce al trono di Dio, dagl ' inizi, da quando hanno fatto la scelta (arch- in archegos), alla fine, al compimento (tel- in teleiotes). Il richiamo a una fede che ricevuta agi ' inizi (arche) resti solida e sfidi le intempe­ rie fino alla fine (telous), di cui in 3, 1 4, conferma questo pensiero di Ebrei : come Gesù è restato saldo nella fede in Dio, così i suoi « compagni » (metochoi) cre­ denti in lui342• Altra consolazione: egli è « l ' autore (pioniere) e perfezionatore della fe­ de »343, l 'ha inventata ed è stato perfetto nel credere, ha avuto piena fiducia in Dio, ha respinto ogni attrazione mondana, ha perseverato fino alla croce, ne ha disprezzato l ' ignominia (v. 2). Oggi egli è forza trainante nella fede per coloro che scelgono di appartenergli. Né si tratta solo dei pochi fortunati che a lui han­ no aderito nel nuovo patto, come suggerirebbe l ' inesatta traduzione « della no­ stra fede >>; Gesù è « autore e perfezionatore della fede (tes pisteos) >>, quella dei « santi >> dell ' AT menzionati in Eb 1 1 , quella dei santi del NT, « oggi >> in corsa verso di lui. Quest'ultima esortazione esprime bene il potenziale di una forza trai­ nante, molto meno la staticità di un modello, ammirabile ma per lo più inimitabi­ le, né la parola « modello >> appartiene al vocabolario di Ebrei344• Si è ritenuto a lungo, e spesso lo si legge ancora, che teleiOtes (perfezionato­ re) sia non solo un hapax legomenon, ma un prodotto della fervida mente del­ l 'autore. Motivo: mancherebbero riscontri in assoluto, il termine è ignoto alla let­ teratura del tempo e non attestato in quella greca, che precede Ebrei345• Eppure non è così . Il termine è noto al rètore e storico Dionigi di Alicarnasso. Egli giu­ stifica di aver omesso nei suoi scritti ogni riferimento ali ' oratore Di narco, in quanto questi non è stato l ' inventore (euretes) di uno stile nuovo né il perfezio­ natore (teleiOtes) dello stile altrui, ma solo un imitatore346• Alla luce di questo da­ to, mentre resta ben fermo che in Eb 1 2,2 si tratta di un hapax legomenon, non si può più asserire che il termine sia stato coniato dallo scrittore del « trattato >> . Inoltre, l 'uso di Dionigi di Alicarnasso non è religioso (come vuole in genere il gruppo linguistico con radice telei- ), ma del tutto ordinario. Uniti insieme, i due termini (archegos kai teleiotes) dicono che Gesù è l ' originatore e il consumatore della fede, il pioniere e il perfezionatore. Egli è il prototipo nel credere.

342 Cfr. E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13,25, vol . III, p. 236. 343 Sul valore provocatorio di questa terminologia, abbinata a « misericordioso e fedele e soli­ dale » di Eb 2, 1 7, onde rimotivare una comunità demotivata nella fede, cfr. A. Mulloor, The Pioneer ofSalvation and the Merciful and Faithful High Priest, in Jeevadhara 27 ( 1 997) 1 23- 1 32: un rischio ermeneutico di pieno successo. 344 Ritorno qui sullo studio di V. Rhee, Chiasm and the Concept ofFaith in Hebrews 12, 1-29, in WTJ 63 (200 1 ) 269-284. Ricco di impulsi ternatici, mi è parso esserlo di meno quanto a « a careful exe­ gesis » di Eb 1 2, 1 -29; la procedura chiastica rilevata in 1 2, 1 -3 (e ancora in 1 2,4- 1 3 e 1 2 , 1 4-29) appare problematica, mancando i riscontri previsti dal chiasmo, i quali non possono essere incerti e sporadici. Si potrebbe tutt'al più parlare di sticometria tematica. Il richiamo esplicito su Gesù, poi, è in primis ge­ suologico, poi cristologico, a motivo della sua attuale posizione alla destra di Dio. L'orientamento del­ la fede in Eb 1 2, 1 -3 è gesuologico-cristologico. Né la sottolineatura è accademica. 345 Così, ad esempio, W. L. Lane, Hebrews 9-l 3, vol. II, p. 4 1 1 . 346 Cfr. Dionigi di Alicarnasso, Dinarco l . Da Corinto, Dinarco vive in Atene dal 342 a.C.; è l 'ultimo della lista dei dieci oratori attici.

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Archegos (pioniere) ricorre in contesto religioso pagano a proposito di sa­ crifici offerti a Zeus ed Erma: questi sono gli dèi originatori (archegoi) e inven­ tori (euretai) di tutte le cose347• Veniamo così a disporre da parte della classicità di due binomi in collegamento attraverso euretes. Risultato: dal lato linguistico, sono in binomio classico anche archegos-teleiotes, e si ha l 'attendibile risultato che per Ebrei Gesù è archegos (euretes) e telei0tes348. Per Ebrei archegos è parola appropriata per presentare la persona e l ' opera di Gesù il Cristo ai suoi destinatari disorientati. Il NT ove ricorre solo 4 volte349, la versione dei L:XX3 50 e l 'uso non biblico di archegos35 1 ne suggeriscono un tri­ plice senso : pioniere che apre la strada ad altri , fonte o fondatore, capo. L' archegos ha così il compito di aprire la strada per coloro che lo seguono; fon­ da la città in cui essi possono dimorare, dà il suo nome alla comunità, conduce le sue battaglie e assicura la vittoria, rimanendo capo-sovrano-eroe del suo popolo. Un buon numero di fonti ebraiche illustra uno o più aspetti di archegos352• In Eb 2, 1 0 Gesù è detto « il capo della salvezza ». In 1 2,2 archegos espleta un ruolo di transizione in quanto pone a confronto le sofferenze passate con l 'o­ nore presente. Centrale resta « Gesù, autore e perfezionatore della fede ». Egli è tale perché « sopportò la croce », la quale lo ha « reso perfetto e causa di salvez­ za eterna » (5,9). Ora è « alla destra del trono di Dio ». La sua sofferenza è prelu­ dio alla gloria. Per Ebrei, Gesù archegos ha aperto la strada verso la presenza di Dio (9, 1 1 - 1 2) e la nuova èra ( 1 ,2), quella della nuova fase della storia della sal­ vezza. Non resta che riconoscere il Figlio migliore e superiore a tutte le persone e istituzioni dell ' AT, ormai obsolete . I cristiani si raccolgano attorno a lui ( 1 3 , 1 3 ), perché egli è il Signore. Nelle difficoltà, « i suoi » sappiano trovare for­ za in lui, il loro grande eroe e pioniere; guardino attentamente e con fiducia pie­ na (aphorontes) verso la sua persona e verso il suo stile di vita. Con l ' inaugura­ zione della nuova èra da parte di Gesù archegos, la storia della salvezza ha compiuto un salto in avanti: escatologia « realizzata », ma « non ancora compiu­ ta >>, una salutare tensione. Per quanto pioniere-vincitore-eroe-fondatore, i risul­ tati non sono ancora completi . Tutte le cose « non gli sono ancora sottomesse » (2,8); egli « apparirà una seconda volta » (9 ,28) e attenderà « finché i suoi nemici - apostasia e morte - vengano posti sotto i suoi piedi » ( 1 0, 1 3). Questo messaggio va ali ' indirizzo di destinatari che stanno correndo il rischio di respingere « il pioniere » per far ritorno ali ' obsoleto, ormai di ieri. Forse per pa-

347 Cfr. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 5,73,2. 34 8 Si veda N.C. Croy, A Note on Hebrews 1 2,2, in JBL 1 1 4 ( 1 995) 1 1 7- 1 1 9. 349 Cfr. At 3, 1 5 e 5,3 1 ; Eb 2, 1 0 e 1 2,2a. 35° Con archegos la versione dei LXX traduce l 'ebraico qa$in e r6 '5, applicandolo al capo po­ litico e/o militare del l ' intero popolo o di una sua parte (Mie 1 , 1 3 ; l Mac 1 0,47; Ger 3,49). 35 1 Nel codice Manicheo Coloniense 94, 1 0- 1 1 , Mani chiama Elchasai ho archegos tou nomou hymon, riferendosi a lui come fondatore o capo speciale. 35 2 Nella versione greca di Gdc I l ,6 è chiesto a lefte di diventare archegos sugli abitanti di Galaad per liberar! i dagli ammoniti. Altri leader del l ' AT, durante il periodo dei giudici, vengono detti archegos (Gdc 5,2) come soter (Ne 9,27; 2Re 1 3 ,5; Otniel in Gdc 3,9; Eud in Gdc 3, 1 5 ; fre­ quentemente Mosè nei racconti del l ' Esodo).

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Parte seconda. Traduzione e commento

triottismo, ali 'indomani della distruzione della città di Gerusalemme e del tempio nell 'anno 70? Di certo l 'autore è preoccupato per la (sua) comunità sempre più in­ differente nella fede e la mette in guardia e con insistenza (Eb 2, 1 ; 2,3; 6, 1 2; 5 , 1 1 ; 12, 1 2) da un atteggiamento tanto nocivo. Egli si ripromette che la sua « parola di esortazione » ( 1 3 ,22) la spinga a una visione ampliata della storia della salvezza in Cristo. Allontanarsene è come tentare di spingere quella storia ali ' indietro, e re­ spingere così la realtà del « tempo futuro » ( 6,4 ss. ). Tra l '« obsoleto » e il nuovo è subentrato un nuovo rapporto (8, 1 3 ; 1 0,9). Giudaismo e cristianesimo non sono al­ ternative egualmente valide, ma due momenti in continuità: il patto antico ha tro­ vato nel nuovo il suo ultimo punto d'arrivo ( 1 ,2). Nel « pioniere e perfezionatore della fede » è partita la fase ultima e definitiva del patto nuovo, unico ed eterno. Considerando che le funzioni di archegos non si escludono a vicenda, anzi si appartengono perché esercitate dalla stessa persona, « autore, iniziatore, fon­ datore, pioniere » è la traduzione migliore che si possa offrire353• Ancora consolazione. Il v. 2c può avere due versioni : « In vista della gioia po­ sta innanzi a lui >>; « In cambio della gioia che gli era posta innanzi >>. La seconda è preferibile, anche in base a Fil 2,6- 1 1 ; Eb 2,5- 1 8; 5,5- 1 O. Gesù ha raggiunto la cro­ ce, ha gestito la propria corsa verso di essa, ha disprezzato la vergogna da essa cau­ sata, come ritenuto da greci, romani ed ebrei : « Maledetto chi pende dal legno >> (Dt 2 1 ,23 e Gal 3, 1 3), e ha dato il via alla riabilitazione di quell ' ignominia. Il « Figlio >> cresce e acquista esperienza attraverso sofferenze causate dalla persecuzione e dali '« ostilità dei peccatori », e anche i figli sono esortati a crescere, guidati dalla pedagogia del Padre, nell 'autodisciplina affinata dalla sofferenza ( 1 2,5-6 e Pr 3 , 1 1 12). I destinatari di Ebrei sono spinti a leggere la propria situazione assieme a quel­ la scioccante del Getsemani, ali ' indomani della quale Gesù è proclamato « Figlio » ( 1 ,2) alla destra di Dio ( 1 2,2): là egli continua a operare la redenzione. Gesù mani­ festa che cosa è la figliolanza e se ne fa mediatore a favore degli altri, i figli (2, 1 0), i fratelli (2, 1 1 ). Agonizzante nella fede, la comunità apprende dal Figlio che fede e sofferenza sono un binomio inscindibile che apre alla figliolanza . Come lui, anche i suoi, « figli » nel Figlio e suoi fratelli, lungo la stessa strada. A buon diritto, Ebrei è stato definito uno scritto per i sofferenti. Sulla scia di Gesù, anch'essi sono fratel­ li nella tribolazione e nella gioia. La sofferenza non è disdicevole per la figliolan­ za, al contrario ne è segno qualificante354• Per Gesù e per i suoi, figliolanza e soffe­ renza sono inscindibili, segno concreto dell 'amore di Dio355• 353 Cfr. J.J. Scott, Archegos in the Salvation History ofthe Epistle to the Hebrews, in JEvTS 29 ( 1 986) 47-54. Ancora J. Vemet, Cristo, el que abre el camino, in Salesianum 47 ( 1 985) 4 1 9-43 1 . A. Mulloor ( The Pioneer of Salvation and the Mercifùl and Faithful High Priest, in Jeevadhara 21 [ 1 997] 1 23- 1 32) individua un rischio voluto e calcolato di reinterpretazione. Ebrei vede in « Gesù pioniere della fede e della salvezza e compassionevole sommo sacerdote » il tema nuovo e unico nel NT, l 'argomento capace di persuadere alla fede i suoi destinatari, ai quali ha già proposto, ma con incerti risultati, un articolata riflessione sulla fede. 354 Su « figliolanza )) e « disciplina )), cfr. Dt 8,5; Rm 8, 1 4- 1 8. Su « sofferenza » e « discepola­ to )), cfr. Mc 8,3 1 .34; 9,3 1 .33; 1 0,33; Le 24,26; At 1 4,22. 355 II binomio Figlio-figli corre lungo tutta la tessitura di Ebrei : 2, 1 0. 1 3 . 1 8 e soprattutto 5,7-8, in cui si dice che il Figlio ha imparato a obbedire attraverso la sofferenza. Mette a fuoco questo aspet­ to già P. Volz, Die Eschatologie derjiidischen Gemeinde, Gg Olms, Hildesheim 1 966, pp. 1 30- 1 3 1 . •

Il popolo della fede Eb

1 1, l - 1 2, 1 3

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Ultima consolazione: questo Gesù, pioniere e perfezionatore della fede, ci rende attivi nella competizione per la conquista della sua medesima perfezione. Il suo efficace sostegno è sicuro da quando egli si è assiso, per sempre356, di fron­ te alla sekina di Dio357• Da quella sua posizione egli continua a gestire la nostra corsa verso di lui. Eh 1 2, 1 -2 contribuisce alla teologia del sommo sacerdote con due annotazioni linguistiche: l ) la sezione maggiore di Ebrei (4, 1 4 - l O, 1 9) su Cristo sommo sacerdote si apre con il participio: « Avendo dunque » (echontes oun, 4, 1 4). La stessa espressione si ritrova nell 'esortazione finale della sezione in 1 0, 1 9 (echontes oun) . In 1 2, l leggiamo oun (P46) - toigaroun . . . echontes. Qui il participio non è, come nei due casi precedenti, riferito immediatamente a Cristo, ma a un altro participio, « guardando noi a . . . » (aphorontes, v. 2a), il che permet­ te il collegamento a « Gesù ». L'uso di una medesima espressione è servito al­ l 'autore per richiamare alla mente del lettore Cristo sommo sacerdote; 2) la pa­ rola « autore >> (archegosj358 la troviamo in Eb 2, l O, dove Cristo viene detto « autore della salvezza ». Pochi versetti dopo, in 2, 1 7, egli è definito per la prima volta « sommo sacerdote ». La parola riappare in 1 2,2: questa volta egli è detto « autore della fede ». Come tale, Gesù è posto a confronto con gli antichi di Eh 1 1 . Le loro gesta e la loro fede, sebbene encomiate, sono imperfette. Questa smi­ nuizione pone in risalto il completamento operato dalla sua croce. Si chiude così la prima paràclesi in Eh 1 2, 1 -2 : con due conditiones e quattro consolationes. La seconda è in 1 2,4-6. Una vecchia questione critica sembra oggi per lo più risolta, e la nostra espo­ sizione appena conclusa ne è riprova: Eh l l , l - 1 2,2 fa ampio uso dello strumen­ to retorico dell 'encomio; è l 'unico elogio della fede a noi noto, è il momento cul­ minante di tutta la procedura epidittica sulla fede in Ebrei. Di provenienza greco-romana359, l ' encomio-elogio si combina bene con elementi letterari di de­ rivazione giudaica. Tre gli elementi tipici presenti nella letteratura biblica ed ex­ trabiblica: il compendio storico360, gli esempi in serie36 1 , l ' anafora (parola chiave, 35 6 È il senso della forma verbale al perfetto kekathiken . Il codice p46 legge ekathisen. 357 Cfr. Eb 1 ,3; 8, 1 ; 1 0,2; Mc 1 4,62; Sal l 09, l . 35 8 Nella classicità archegos indica l 'eroe di una città di cui è fondatore, spesso l 'eponimo e ne di­ viene quindi il protettore: ad esempio, Atena per Atene. A ciò è legato il concetto di « autore >>. Un altro significato secondario è « capo ». Nel testo della versione dei LXX archegos è soprattutto il capo politico e militare del popolo o di una parte di esso. In Ebrei il termine assume un significato religioso cristiano. 359 Cfr. Cicerone, Orator ad M. Brutum l , l ,230; l ,2,304-305. 360 Si legga Dt l , 1 -4, l : Mosè offre un compendio della storia d'Israele dal Sinai a Moab. Un altro esempio di compendio storico lo si trova nel Sal 77: sommario dei prodigi di Dio a favore di Israele. Si veda anche 3Maccabei 2,2-20: la preghiera del sommo sacerdote Simone. 36 1 Si legga il Sal l 04,9. 1 0. 1 7.26: vi è una serie di esempi addotti per esortare. Esempi in serie, allo scopo di distogliere, in Gd 5-7. Singolare il caso di 4Esdra 7, 1 06- l l l . L'autore si chiede se i giusti possano intercedere per i peccatori e propone una serie di esempi positivi a beneficio di al­ trettante situazioni negative. Per Ta 'anit 2,4 Abramo, Mosè e Aronne, « i nostri padri al mar Rosso », Giosuè, Samuele, Elia, Giona, David e Salomone sono tutte persone che hanno porto l 'orecchio al­ la voce del Signore e ne hanno ricevuto ascolto. Dunque, che egli porga ascolto alla tua voce, oggi. Altri esempi in serie si leggono in autori greci e romani, come Cicerone e Filone di Alessandria. Il primo scrive in Tusculanae 4,29 che la pazienza « è utile per convincere che si possono e si debbo­ no tollerare le eventuali sventure (come attesta) i/ numero di quelli che seppero tollerarle ». Filone

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Parte seconda. Traduzione e commento

iniziale e ripetuta)362• Questi tre momenti li incontriamo in due brani extrabiblici363 e in Eb 1 1 , 1 - 1 2,2, in parallelo con Sir 44-50. Consideriamo qualche dettaglio. Compendio storico: dalla creazione (Eb 1 1 ,3) al periodo intertestamentario ( 1 1 ,33-37), grazie a dati rilevati dagli apocrifi dell ' AT; una serie di esempP64, in ordine cronologico, da Abele ( 1 1 ,4) agli eroi anonimi ( 1 1 ,33-37); una parola chiave, anafora: « fede » (pistis, 1 8 volte); la congiunzione toigaroun (dunque) che introduce l 'esortazione finale ( 1 2, l ), in analogia a l Clemente 7,2 (dio). Esempi in serie. Che Eb 1 1 , 1 - 1 2,2 sia davvero un encomio risulta dal con­ fronto con Sir 44-50365, un « elogio » (Sir 44, l ) dei personaggi chiave della storia d'Israele. Vi si notano i due elementi (retorici) fondamentali : la auxesis o ampli­ ficazione e la taxis o disposizione366• Nei vari momenti dell 'amplificazione si ha il confronto, incluso il contrasto, nel quale l ' encomiasta dichiara la propria ina­ deguatezza a elogiare le azioni senza precedenti dell 'elogiato. La disposizione dell 'encomio si articola in quattro punti : proemio con sommari, dichiarazioni di inadeguatezza e simili; genealogia, lista di antenati con confronti positivi o nega­ tivi; azioni da essi compiute, indimenticabili; epilogo o ricapitolazione con ulte­ riore richiamo alla lode. Confrontando Sir 44-50 con Eb 1 1 , 1 - 1 2,2 risaltano alcune incongruenze. Sir 44-50 loda un uomo, Simone II (Sir 50,5 .9- 1 1 ); gli encomi infatti lodano gli uomini, non Dio. Ebrei 1 1 invece, pur elogiando gli uomini, intende rendere un vero inno di lode a JHWH : quegli uomini illustri infatti hanno creduto in lui . Si ri­ scontra inoltre una distinzione formale tra i due passi: l 'uso della parola chiave, presente in Ebrei, è assente in Siracide367• Sussiste tuttavia una convergenza di fondo: la serie di esempi; e questa è decisiva. Eb 1 1 è un elogio in forza della di­ sposizione (taxis) : proemio ( 1 1 , 1 -3 ) ; genealogia ( 1 1 ,4-3 8); epilogo ( 1 1 ,39 -

di Alessandria fa eco al pensiero di Cicerone e in De praemiis et poenis 1 9, 1 1 4- 1 1 5 scrive: « Le im­ magini ininterrotte di modelli esemplari imprimono la loro somiglianza negli animi non del tutto in­ duriti e pietrosi ». 362 Un noto esempio di parola chiave o anafora è in ICor 1 3 (« la carità », he agape). Ripresa di continuo con un ruolo sempre più ampliato, essa vi ricorre 9 volte. Altro esempio è in Sap l O, 1 -2 1 : si parla della sapienza che opera nella storia, da Adamo a Mosè, fino all 'esodo. Parole chiave: sophia (sapienza) e il pronome aute (essa). 363 Si tratta del Documento di Damasco (manoscritto A 2,2-3 , 1 3) e di ! Clemente 4, 1 -7,2. 364 Per Aristotele (Analytica priora 1 ,2, 1 6,64-65) addurre un esempio è porre in primo piano il comportamento di una persona, onde fame apprezzare il coraggio, quale espressione delle sue qua­ lità di temperamento. Chi se ne avvale, non intende restare a quella o a quelle persone, ma vuole ge­ neralizzare e motivare a che si faccia lo stesso. È il comportamento di Ebrei: i suoi eroi nella fede devono muovere alla fede. 365 Sir 44-50 è ritenuto unanimemente un encomio. 366 Un'indagine sulla letteratura greca attesta che dal secolo V a.C. al III d.C. il genere enco­ miastico ha conservato invariati quei due elementi. Cfr. M.R. Miller, What is the Literary Form of Hebrews 1 1 ?, in JEvTS 29 ( 1 986) 4 1 1 -4 1 7. 367 Ciò permette di ritenere di genere encomiastico passi biblici ed extrabiblici che, privi di pa­ rola chiave, sono comunque un valido parallelo per Eb l l . È il caso di l Mac 2,5 1 -60: « Ricordate le gesta compiute dai nostri padri ai loro tempi . . . Abramo . . . Giuseppe . . . Pincas . . . Giosuè . . . Caleb . . . Davide . . . Elia . . . Anania, Azaria, Misaele . . . Daniele ». Una serie esemplare, priva di parola chiave. Altri confonti possibili: 3Maccabei 2; 6; 4Maccabei 1 6; 1 8.

Il popolo della fede Eb 1 1, 1 - 12, 1 3

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1 2,2), e lo è anche grazie ali 'apporto di 1 2, 1 -2, ove è presente uno degli elemen­ ti convenzionali dell 'elogio: l 'esortazione a emulare, di eroe in eroe, di fede in fede ( 1 2, l ), fino a Gesù, « pioniere e perfezionatore della fede » ( 1 2 ,2). Parola chiave o anafora. Sia per Sir 44-50 che per Eh 1 1 , 1 - 1 2,2 l 'oggetto dell 'encomio è la fede; essa cadenza per ben 1 8 volte l ' esposizione dell 'elogio; essa è connessa rispettivamente con il sommo sacerdote Simone II e il sommo sa­ cerdote Gesù. I due argomenti sono collegati già in Eh 2, 1 7 : Gesù è il « sommo sacerdote fedele » (cfr. 2, 1 7). Si ricordi che pistos (fedele) ha la stessa radice di pistis (fede). Ebrei per 5 volte definisce « fedele » nella fede, dunque credente, Cristo sommo sacerdote (2, 1 7 ; 3,2; 3,5; 1 0,23 ; 1 1 , 1 1 ). Il motivo pistos è appro­ priato al « sommo sacerdote fedele »; l 'anafora pistis è appropriata all 'encomio della fede nella storia di chi cerca Dio. Devo tornare su Eh 1 2,2: « Gesù, il pioniere della fede (archegos tes pi­ steos) », a motivo di una singolare interpretazione midrashica che richiama qui l 'attenzione, per l 'apporto che essa può dare proprio a Eh 1 2,2. Messa a punto da rabbini affascinati dal Ct 4,8: « Osserva dalla sommità dell ' Amana » (tasuri mer 'os 'amanti), essa gioca sui termini (assonanti) e diventa: « Canta dalla som­ mità della fede » (tisiri mero 's 'emuna}, cioè: « Canta a causa di colui che è la sommità della fede », Abramo, ovviamente. Provvedono a questa identificazione alcune antiche testimonianze: Esodo Rabba 23,5 sente Israele cantare già ora il cantico nuovo al Signore per i suoi pro­ digi (Sal 98, l ), per il suo ritorno dall 'esilio. Quel canto è frutto della fede ereditata in Abramo il quale « credette nel Signore » (Gn 1 5,6). Grazie a essa, gl 'israeliti pos­ sono cantare. Mekhilta Rabbi /shmael (secolo I a.C.) su Esodo 1 4,3 1 si attarda sulle parole: « Essi credettero nel Signore e credettero in Mosè suo servo. Allora Mosè, con i figli d'Israele, cantò ». Quel loro canto di liberazione dali 'esilio, poi, è frutto dello Spirito santo che si posò su di essi. E che si tratti del canto di liberazione, do­ po il passaggio del mar Rosso (dei giunchi), lo attesta Rabbi Shemaya (secolo I d.C.) ancora in Mekhilta Rabbi /shmael su Gn l 5, 6: Mosè e gl ' israeliti attraversarono il mare nella fede di Abramo loro padre, il quale ha creduto che JHWH poteva fendere le acque. Genesi Rabba 40,6 su Gn 1 2, 1 6 tramanda che quando Dio dice ad Abramo: « Esci dalla tua terra e va' in quella che io ti mostrerò » vuole dirgli : « Parti e apri la strada ai tuoi figli >>, e quella strada è quella della sua stessa fede. Sin dalla testimonianza più antica di questa tradizione, diversi elementi si trovano associati fra loro: la fede di Abramo, la fede d'Israele, il passaggio del mar Rosso, il ritorno (escatologico) degli esiliati, il canto del cantico. Tre testi biblici si ritrovano in tutti questi midrashim, al punto da costituire una sorta di corpus: l ) « Egli credette nel Signore e lui glielo accreditò come giustizia » (Gn 1 5,6). 2) « Essi credettero nel Signore e in Mosè suo servo; allora Mosè, con i figli d'Israele, cantò il cantico » (Es 1 4,3 1 - 1 5 , 1 ). 3) « Osserva la sommità dell ' Amana » (Ct 4,8). Questa antica tradizione rabbinico-midrashica del secolo I a.C. presenta Abramo pioniere, iniziatore della fede e richiama la nostra attenzione su Eh 1 2,2, dove Gesù è « il pioniere della fede ».

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Parte seconda. Traduzione e commento

Si potrà obiettare che i midrashim ed Ebrei lavorano su due immagini trop­ po differenti l 'una dali 'altra per poter essere comparate : da « la sommità dell ' Amana » (ro 's 'a manti, Ct 4,8) ad Abramo « il pioniere della fede » il passo sembra eccessivo. Eppure l ' interpretazione « capo della fede » non è metaforica; se si considera il gioco ortografico 'amanti- 'emunti, per cui ro 's 'amanti diventa ro 's 'emunti con il senso di « capo della fede », si vede bene che i rabbini vanno oltre la metafora e applicano uno dei principi dell 'esegesi giudaica antica, secon­ do la quale dalle parole della Scrittura provengono più significati . Del resto, nel­ la tradizione rabbinica le montagne sono l ' immagine dei patriarchi e la cifra 3 evoca naturalmente Abramo, Isacco e Giacobbe (così anche per Ct 4,8). Da ulti­ mo c'è da notare che archegos, nella versione dei LXX, rende 1 5 volte l 'ebraico r6 's. Inoltre, la versione Siriaca pes itta' del NT rende archegos di Eb 2, l O e 1 2,2 con resa, che corrisponde ali 'ebraico ro 's. La riserva iniziale dunque cade368• Resta tuttavia da precisare: il rapporto « Abramo - Gesù » è da « tipo - antitipo >> : Abramo è l ' iniziatore della fede nelle promesse di Dio e spera in esse che sono l 'anima del patto antico; Gesù è l ' iniziatore della fede nella redenzione che egli stesso attua nella sua persona, divenendone il realizzatore, il perfezionatore. Con Abramo siamo agli inizi, con Gesù abbiamo il compimento. In Eb 1 1 , l - 1 2,2 si rileva bene ora la disposizione encomiastica: proemio ( 1 1 , 1 -3); genealogia o serie di esempi ( 1 1 ,4-3 8) con sintesi storica e chiave anaforica; epilogo ( 1 1 ,39 - 1 2,2)369• Esso è l 'unico encomio della fede a noi noto, è il punto culminante del genere epidittico in Ebrei. [v. 3] Che il v. 3 sia parte integrante della microunità letteraria dei vv. 1 -2 non è pacifico370• Assediati da ogni tipo di ostilità, affaticati, stanchi (ka me te) e scoraggiati (ekluomenoi)37 1 , quasi vicini alla disperazione, i cristiani guardino al « Figlio »372 che ha dovuto affrontare ostilità molteplici da parte dei « peccatori (aggressori) »: ha dovuto cioè sostenere la passione, la croce e il suo obbrobrio373, 368 Si veda la elaborata e documentata esposizione di M . Remaud, L'initiateur de la foi. Abraham et Jésus, in Revue de l '/nstitut Catholique de Paris 54 (avril-juin 1 995) 79-9 1 . 369 L'argomento « elogio-encomio » in Eb 1 1 , 1 - 1 2,2 è studiato al dettaglio da M.R. Miller, What is the Literary Form ofHebrews l l ?, in JEvTS 29 ( 1 986) 4 1 1 -4 1 7. L'aspetto chiastico è proposto an­ che da V Rhee, Chiasm and Concept of Faith in Hebrews l l, in BS 1 55 ( 1 998) 327-345. Questi, mi sembra, ravvede in Eb I l una fede cristologica, grazie in particolare alla sezione I l , 1 3 - 1 6 che la strut­ tura del capitolo rileverebbe come centrale. Credo sia troppo. Se poi si considera Eb I I chiuso con 1 2, 1 -2, come da me proposto, l 'esplicito riferimento al « Gesù » cui è bene guardare favorisce la pre­ senza di una forte gesuologia: le vicende terrene di tanti colossi nella fede evocano la vicenda terrena di « Gesù », caratterizzata anch'essa da molta conflittualità. Accomuna le due vicende un' irremovibile fede in ciò che sarebbe dovuto venire. Gesuologia, cristologia, escatologia: tre momenti interconnessi. 370 H. Braun, An die Hebriier, p. 402, stacca del tutto 1 2, 1 - 1 1 da 1 1 , 1 -40; già B. F. Westcott, The E,Pistle to the Hebrews, p. 393; O. Miche!, Hebriier, p. 425. 1ncludono il v. 3 in 1 2, 1 -3 : A. Vanhoye, Epitre aux Hébreux. Texte grec structuré, p. 32; E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13,25, vol. III, p. 244; A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 220; già F. Weiss, Der Brief an die Hebriier, p. 630. 37 1 Ekluomenoi (participio passato -luo) con il senso di perdere le forze fisiche e interiori (G. Flavio, Antichità giudaiche 1 7,263), le forze del cuore (Dt 20,3). 372 « Considerate attentamente colui che . . . ». Costruzione di antilegein con l 'accusativo di pe­ sona propria di Eb 1 2,3. Moto più frequente è la costruzione con l 'accusativo di cosa. Dati in H. Braun, An die Hebriier, p. 407. 373 Senso di antilogian generalmente tenuto.

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e ancora po ma opposizioni e ribellioni alla sua predicazione sul regno di Dio e su Dio stesso, vere dispute condotte sulla falsariga del contraddittorio374 e della re­ sistenza a quel « Dio che ha parlato in questi ultimi tempi nel Figlio >> ( l ,2), dun­ que dell ' infedeltà al suo lieto annunzio. L'autore ha in mente un parallelo con si­ tuazioni tipiche nel patto antico, dove i peccatori sono i nemici della fede dei giusti (Sal 36, 1 2.32), incalzano contro di essi (Sal 54,3-4; 1 1 8,6 1 ) e fanno pesa­ re su di essi la loro mano minacciosa (Sal 70,4; 96, I O; 1 39,5); egli ravvisa in es­ si il profilo dei nemici di Gesù (Mt 26,45 ; Mc 1 4,4 1 ; Le 24, 7); essi parlano dura­ mente contro di lui (Le 2,34; Gd v. 1 5 ; Lettera di Barnaba 1 2,4 da Is 65,2); lo attaccano di continuo, fino ali ' immolazione (Lettera di Barnaba 8,2)375, una osti­ lità ininterrotta da sopportare senza sosta376• Si noti il ben riuscito chiasmo anti­ logisasthe-antilogian: ali 'accanita opposizione dei nemici, i destinatari contrap­ pongano senza pausa377 l 'attenta riflessione sulla coraggiosa vicenda vissuta dal Gesù terreno, fino alla croce, e tirino le conseguenze. Già in l O, 1 9-25 Ebrei aveva rivolto ai suoi un severo ammonimento e ad­ dotto una serie di motivi a perseverare; ora essi sono di nuovo esortati a conside­ rare quanto hanno già sofferto per la fede, sulla stregua degli eroi d'Israele e di Gesù stesso. Non diano spazio alla stanchezza (kamete) dunque, quasi fossero dei malati nel loro cuore (tais psychais)378, come accasciati da una gara nello stadio, senza forze nel loro organismo e scoraggiati379• Il perdersi d' animo potrebbe ap­ parire la cosa più giustificata. Eppure non è così. Essi sono di fatto già in cam­ mino verso la perfezione nella fede; impensabile arrestarsi proprio ora. Piuttosto, la provocazione è a vivere la fede a dispetto di ogni contrarietà, a capirsi quale popolo di Dio, cuore della sua eredità, chiamati al seguito del Gesù terreno e del Cristo morto e risorto, in una esperienza di fede « che è fondamento delle realtà che si sperano e prova di quelle che ancora non si vedono » ( l l , l ); essa ha sol­ tanto in lui il suo valore e solo in vista di lui è stata sperimentata già dagli anti­ chi. Siamo di fronte al « decisivo cristiano »380• [vv. 4-6] Secondo momento paracletico: l 'appello evolve adducendo motivi di conforto. Ai vv. 4-6 ha inizio una argumentatio ad hominem che prende il via da una constatazione di fatto: « Non avete ancora resistito fino al sangue lottando contro il peccato » (v. 4). Opposizione e coercizione da parte delle autorità civili, di certo gravi, la già menzionata « grande e penosa lotta » (pathemata, 1 0,32), non hanno ancora chiesto il costo della vita fino al martirio (nel senso di l l ,36 374 Controversia è il secondo senso, anch'esso attendibile, di anti/ogian, come in Eb 6, 1 6 e 7, 7. Nella direzione di Mt 5,2 1 -48: « Sapete bene che è stato detto . . . ma io vi dico . . . >> . 375 Vivace immagine in Lettera di Barnaba 8,2: la vacca rossa è figura di Cristo; quelli che la immolano prefigurano quei peccatori che hanno esposto Cristo al sacrificio. 376 È il senso indotto dal participio perfetto hypomemenekota. 377 È il senso dell ' imperativo aoristo antilogisasthe. Così F. Blass - A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento 42,5. 378 L'immagine del cuore malato affidata al verbo kamno ricorre in Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 20,96,3; la si legge in Filone di Alessandria, De posteritate Caini 3 1 . 379 Immagini attestate rispettivamente in Filone di Alessandria, De migratione Abrahami 1 33 e in Giuseppe e Asenet 1 9, 1 . 3 80 « Das Unterscheidend-Christliche » : così F. Weiss, Der Briefan die Hebriier, p. 635.

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ss.). Assimilabili a una croce permanente, esse non sono ancora la croce del Figlio (v. 2). Affrontate però con coraggio, si sono risolte in una testimonianza di fedeltà nella carità e nella fede ( 1 0,32-39). L'annotazione oupo (« non anco­ ra ») può preludere a un possibile rincrudire dell ' opposizione ai cristiani chia­ mati così a dare testimonianza della loro fede con il dono della vita. Quel « non ancora » tuttavia potrebbe richiamare la mancanza di coraggio di 1 2,3 quale comportamento dei destinatari purtroppo usuale, affatto tollerabile. Si tratta in­ vece di essere saldi nella fede, costanti nel combattimento (antagonizesthai), agonisticamente impegnati contro un concorrente : il peccato di indebolimento nella fede (pros ten hamartian), fino al rischio della rinunzia totale a essa, un ab­ bindolamento, una vera seduzione (3, 1 3). Il « peccato » in questione è infatti non tanto il proprio peccato, le proprie incertezze e infedeltà (considerazione valida dal lato teologico, ma non voluta dali 'autore), quanto la spinta insidiosa a per­ dersi di coraggio, a cedere terreno nella propria scelta di fede; questo è il pecca­ to che assedia ( 1 2, l ), indurisce e seduce (3 , 1 3 b)38 1 . Eppure, non hanno essi già vissuto un' esperienza di ben altra qualità? Motivati e attirati da beni migliori e più duraturi ( 1 0,34), non hanno esitato a solidarizzare nella tribolazione e nel­ l ' insulto ( 1 0,33), nella sofferenza e nella privazione di ogni bene ( 1 0,33) con i loro fratelli nella fede, perseguitati e maltrattati. Non desistano dunque dal con­ trastare (antikatestete, « fare muro ») nel combattimento la spinta a rinunziare alla fede. L'argomento ad hominem incalza (v. 5). Ebrei pone a fuoco la pedagogia di Dio quale padre (v. 7) e chiede ai suoi destinatari, non essendo ancora intervenuto il martirio, semmai abbiano « completamente dimenticato »382 che il suo comporta­ mento usuale e progettuale resta sempre lo stesso (v. 5a), e lo fa citando Pr 3 , 1 1 - 1 2 in Eb 1 2,5b-6. L'esortazione383 è autorevole e ispirata perché presa dalla Bibbia, fonte autentica che parla oggi ancora a ognuno di essi, anzi in essa Dio stesso li in­ terroga direttamente su pene e angustie, su incertezze e paure, esperienze cui Dio chiama i « figli >> perché affinino la propria autodisciplina nella contrarietà (Pr 3, 1 2): anziché demordere, sappiano vedere in tanta opposizione un segno dell 'a­ more paterno di Dio che richiama e riprende (elegchomenos) nonché della loro fi­ gliolanza384. Quel Dio infatti è Padre proprio perché educa i figli ali 'autodisciplina (vv. 5b.7): « Qui dit correction, dit filiation »385• E i figli sono sospinti ad accoglie­ re la contrarietà che proviene dai non-cristiani come « correzione, guida » di Dio: Si veda F. Weiss, Der Brief an die Hebriier, pp. 646-647. Pareri divergenti e relativi dati in H. Braun, An die Hebriier, p. 408. 382 È il senso di eklelesthe. Cfr. M. ZeiWick - R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 684. 383 Paraklesis: il termine è programmatico, ha un forte contenuto, non è solo « un modo di dire » (Nicolaus de Lyra, Postilla super totam Bibliam, vol. IV, Minerva GmbH., Frankfurt am Mai n 1 97 1 [ri­ produzione invariata della edizione Minerva GmbH., StraBurg 1 942], senza numerazione di pagine), né un modo di addolcire un discorso severo (G. Calvino, The Epistle to the Hebrews [J. Owen, ed.], Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) 1 993, p. 3 1 5), né esprime pura consolazione (Erasmo da Rotterdam, Adnotationes 1 524) ; è « esortazione » a un impegno serio nella fede, fosse pure fino al martirio. 384 Cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 1 88- 1 89. 385 Così A. Vanhoye, La Structure littéraire, p. 1 98. Ma il valore di paideuei è più ampio: educare. 381

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suoi patemi interventi educativi386• Anziché deprezzare tanto potenziale, lo accre­ scano puntando lo sguardo sulla vita e sulla croce di « Gesù » (v. 2). Questo inin­ terrotto collegamento con quell 'evento darà alla loro sofferenza un alto profilo. Non comincino neppure a perdersi d'animo387, piuttosto si lascino incoraggiare da quella « parola » che, pronunziata ieri nell ' AT, parla ancora oggi (dialegetai) ed esorta, perché parola vivente del Dio vivente (Pr 3 , 1 1 )388• Eb 1 2,6 registra una citazione diretta da Pr 3, 1 2 : « Il Signore corregge colui che egli ama e castiga ogni figlio che accoglie ))389, sferza cioè chiunque ricono­ sce come figlio. L'autore, ben radicato nella rivelazione dell ' AT, dalla quale at­ tinge le molteplici citazioni dirette e non, che poi elabora in vista della manife­ stazione di Cristo, mostra altrettanta attenzione a due strutture contestuali dell ' AT di tipo escatologico, che precisano efficacemente il retroterra del v. 6: orizzontale la prima, secondo lo schema apocalittico del « già e non-ancora )); verticale la seconda, in base allo schema dualistico del terrestre-celeste. Spesso, i due momenti confluiscono l 'uno nell 'altro. È quanto accade in Eb 1 2, 1 - 1 1 e qui al v. 6: colui che Dio sferza oggi, nel tempo, è colui che egli già ama oltre il tem­ po, nel suo ambiente celeste. I destinatari del « trattato )) vengono sospinti a en­ trare con decisione nell ' « ora-oggi )) della loro vita e nel combattimento che essa loro propone o impone ( 1 2, l ), onde conquistare la vita vera in Dio, quella futura (v. 9), e partecipare alla sua santità (v. 1 0, tes hagiotetos autou). Ma vi è di più: già « ora )) i credenti possono contemplare la loro vera vita futura, puntando lo sguar­ do su Gesù che li ha già preceduti in quel mondo celeste ( 1 2,2) al quale anch 'es­ si sono chiamati. Quella vita appartiene a loro; essi infatti nel tempo presente e nel mondo terrestre sono solo di passaggio. Ma ecco il punto centrale, una situazione vitale (Sitz im Leben) da mettere bene a fuoco: la comunità di Ebrei è sferzata (mastigoi) da Dio (v. 6), come già lo è stato Israele nel deserto, lungo tutto l ' esodo (una situazione certo sfavorevole, ma intermedia). Conquistata la terra promessa, tutto si sarebbe messo per il me­ glio. Eppure, pochi secoli dopo, la caduta di Gerusalemme e del tempio davidi­ co-salomonico (596-5 86 a.C.) per mano di Nabucodonosor riapre la questione: A quando la fine di tanta dispersione e umiliazione? A quando un nuovo intervento di Dio, liberatore e ricostruttore? A quando il dono pieno della salvezza di Dio al suo popolo amato? La sua promessa non tarda: dalla tomba dell 'esilio (Ez 3 7, 1 - 1 4) Israele sa­ rebbe tornato alla vita come una nuova creazione (Is 43, 1 9; 54, 1 1 ss.), rivivifica-

3 86 Il tardo giudaismo rabbinico vede nel martirio e nella punizione di Dio un segno del suo amore. Dati in K.NTTM.SB, vol . II, pp. 1 93 - 1 97; pp. 274-282. Il NT per contro vi vede non puni­ zione, ma educazione: Ef 6,4; 2Tm 3, 1 6. È la posizione di Eb 1 2,5-6. Mai, nei testi cristiani, il mar­ tirio è considerato punizione di Dio. Cfr. H. Braun, An die Hebriier, p. 4 1 O. 3 87 È il senso dell ' imperativo presente ekluou (-luo). 3 88 Molti gli studi che esaminano la marcata tendenza di Ebrei a citare I' AT. Che esso sia pa­ rola vivente di Dio è una sorprendente caratteristica del l ' intero « trattato ». In Eb 1 2,5a paraklésis è soggetto di dialegetai. 3 89 Sulla correzione, anche severa ma amorevole, cfr. ancora Tb 1 1 , 1 5; 1 3,2.5.9. 1 1 ; Gdt 8,27; Filone di Alessandria, De congressu 1 77.

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to dallo spirito del Dio vivente. Strumento immediato di tanto progetto: Ciro il Persiano. Nel 54 1 a.C. un suo editto concede agli ebrei il rientro nella loro terra e la ricostruzione del tempio. Dio ha avuto misericordia del suo popolo. Che le vicende avverse siano ormai finite? E se questa speranza dovesse di nuovo esse­ re delusa? La tradizione postesilica di Giobbe, in particolare la redazione del di­ scorso « poetico )) di Eliu (Gb 32-3 7), descrive la difficile situazione del popolo di Dio e l ' intensità della sua delusione, a seguito della quale la fede nel Dio d'Israele non può che cadere in una grave crisi. Dio continua a sferzare il suo po­ polo. Ma con quale scopo? Forse perché lo ama? Eb 1 2,4-6 (e non solo) si muove proprio su questo retrofondo, ma con un con­ tributo di qualità del tutto nuovo: Dio corregge e continua a sferzare colui che ama e accoglie come « figlio ))390 e lo fa nel periodo intermedio della loro esistenza. In tal modo egli intende educarli a capire che essi non hanno qui nel tempo e nel ter­ restre una permanente dimora, ma sono in cammino verso quella vera, celeste. Inoltre, destinatari di tanto progetto sono i popoli tutti. Per Ebrei l 'orizzonte esca­ tologico è universale: « Il Signore . . . castiga-sferza chiunque . . . )) (v. 6). Quell 'orizzonte è impregnato dell 'attesa del ritorno di Cristo e del compimento fi­ nale della salvezza di Dio (9,28; 1 0,37). Intanto, i « suoi )) scoprano nelle loro sof­ ferenze un richiamo di Dio e non si fermino lì, costernati e delusi (v. 5). Quel ri­ chiamo, infatti, proviene dal suo amore di Padre (v. 6) verso i suoi figli. Ed è così : essendosi essi messi alla sequela di Gesù il Cristo, sono divenuti, come lui, figli prediletti di Dio il quale, per essi come per lui, vuole solo la pienezza della vita (v. 9b ), quella escatologica, la piena comunione con Dio che in Eb l 0,38 è promessa a coloro che attendono nella fede e con perseveranza il ritorno glorioso di Cristo. Il motivo della piena comunione con Dio è previsto anche dalla redazione poe­ tica del discorso di Eliu oltre i confini della morte (Gb 1 9,25.27; 33,29-30; 36, 1 1 ). Ma Ebrei va oltre: restare saldi nella fede in Cristo è partecipare alla santità di Dio (Eb 1 2, 1 0; Lv 2 1 ,9), anzi alla sua stessa natura (2Pt 1 ,4); è avere accesso al Padre co­ me figli attraverso il Figlio. Per Ebrei il punto del tutto nuovo (rispetto a Pr 3, 1 1 - 1 2 e alle due tradizioni retrostanti) di quest'azione pedagogica di Dio culmina nel fissa­ re lo sguardo sull '« autore e perfezionatore della fede )) ( 1 2,2). Per coloro che gli vo­ gliono appartenere ha tracciato il cammino che egli stesso ha percorso: attraverso la sofferenza, verso il compimento, « assiso alla destra del trono di Dio )) (v. 2) 39 1 • [vv. 7-8] Con haggadà midrashica392, tipico peser qumraniano393, l 'argomen­ to ad hominem incalza e dà corpo a un terzo momento paracletico: con l 'ausilio

390 Da notare l' inscindibile connessione sintattica di paradechetai come hyios con mastigoi: « Riconosce come figlio colui che sferza ». Che vi sia qui un 'allusione ai jìlius verus et dilectus, Gesù il Cristo è da escludere. Così già Nicola di Lira, Tractatus super loto corpore bib/iae, p. 290. Quanto ali 'uso sintattico, esso è ben attestato, oltre che in Pr 3, 1 2, ancora in Filone di Alessandria, De congressu 1 77; in Eb 1 2,6 e / Clemente 56,4. 39 1 Su Eb 1 2,6, cfr. il contributo di T. Mende, « Wen der Herr lieb hat, den ziichtigt er » (Hebr 12, 6). Der alttestamentliche Hintegrund von Hebr 12, 1- 1 1 ; 1, 1-4; 2, 6- 1 0, in TrierTZ 1 00 ( 1 99 1 ) 146- 1 52. 392 Così F. Schroger, Der Veifasser des Hebriierbriefes, p. 1 89. m Cfr. H. Braun, An die Hebriier, p. 4 1 0.

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di parole prelevate dalla Scrittura sacra, l 'autore spiega che la sofferenza è una necessità; più che essere un segno contrario al progetto di Dio, essa è riprova del­ la sua cura per i suoi (eis paideian hypomenete, v. 7). Costoro, più che chiedersi come mai egli possa comportarsi così duramente nei loro confronti e reagire da insofferenti verso di lui, prendano atto che egli deve comportarsi così, perché es­ si sono suoi figli. Ogni padre che interviene con decisione verso i figli contribui­ sce ad arricchirne il potenziale, in vista del loro profilo nella vita394• In Eb 1 2,7 comincia il commento dell 'autore a Pr 3, 1 1 - 1 2 con un'affermazione prima e una domanda poi: « È per la (vostra) correzione che voi sopportate! Dio si comporta con voi come con dei figli ». È questa l 'affermazione in cui decisiva è la parola « figli >> (hyioi). Una constatazione di fatto: la comunità destinataria soffre sot­ to il peso di eventi duri395• Essi, già noti in 1 0,32-34, possono ben ripetersi. Ma ecco la buona novella: quando Dio interviene « disciplinarmente >> attraverso avvenimenti duri, è proprio in quel momento che egli tratta i suoi da figli396• Dovessero essi vive­ re nel terribile sentimento di essere nello sfavore di Dio, a motivo delle molteplici op­ posizioni, rivedano il loro parere: quelle tribolazioni sono segno inequivocabile del­ l 'apprezzamento di Dio; attraverso esse, egli vuole condurli alla maturità nella fede, ali 'autoconsapevolezza di essere figli di Dio397• Che padre sarebbe se non intervenis­ se con sensibilità pedagogica (paideuei) per proporre le opportune correzioni di rot­ ta? E l ' intervento di Dio, qualunque esso sia, non sorge da collera e furore, ma dal­ l ' incomprimibile amore per le sue creature. Egli non sottopone l 'uomo a severa disciplina, ma lo conduce con solerte guida a un'efficace autodisciplina nella fede. Da non dimenticare: figlio di Dio non si nasce, ma lo si diventa nella me­ diazione del Figlio. E questi ha appreso in pienezza la figliolanza attraverso l 'a­ zione educativa del Padre nei suoi confronti. Questi vede nel « Figlio >> non tanto un obbediente rassegnato nella sofferenza fino alla morte, quanto un convinto collaboratore al suo progetto. Con l ' obbedienza persuasa del Figlio entra nella storia il nuovo stile pedagogico del Padre. « E qual è il figlio che il padre non corregge? >>. Questo interrogativo retori­ co stabilisce un parallelo con il comportamento pedagogico del padre di famiglia verso i figli: una pedagogia patema correttiva e non punitiva398• Se tale norma è 394 Indicazioni in F. Schroger (Der Verfasser des Hebriierbriefes, p. 1 89), il quale sembra però attribuire al padre un ruolo totalizzante. 395 Tale situazione è ben espressa ali ' indicativo (hypomenete, cfr. H. Braun, An die Hebriier, p. 4 1 2), non all 'imperativo (M. Zerwick - R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 685). 396 È il senso di prospheretai (Eb 1 2, 7b) forma passiva con dativo (« interessarsi di, trattare con »). È hapax legomenon nel NT. L'uso è noto in Filone di Alessandria, De specialibus legibus 2, 1 22 e in G. Flavio, Guerra giudaica 7,254. Ma vi è una forte differenza: mentre in questi testi si ha una con­ statazione di comportamenti, in Eb 1 2,7b risalta un'azione qualitativa di Dio: un intervento educativo. 397 Questa lettura riscuote generale consenso. Dietrich Bonhoeffer, Widerstand und Ergebung (E. Bethge, ed.), Evangelische Verlag Anstalt, Miinchen 1 96 1 , p. 292, deve avere interiorizzato a perfezione questo versetto, quando scrive di sentirsi sempre più figlio di Dio a mano a mano che va preavvertendo che il momento della sua impiccagione si sta avvicinando. E conclude: « Das ist das Ende - fur mich der Beginn des Lebens ». 398 Sulla linea di Col 3,2 1 ed Ef 6,4: i padri vengono esortati a non punire severamente i figli. Scopo del l ' intervento pedagogico non è la punizione disciplinare, bensì promuovere ali 'autodisciplina. ,

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riconosciuta e accettata da sempre, quanto più lo dovrà essere quale espressione della pedagogia di Dio. Gesù conosce tale norma e l 'argomento rabbinico qal wii/:tomer « dai padri terreni al Padre celeste » (Mt 7,9- 1 1 ; Le 1 1 , 1 1 - 1 3 ). E se la pedagogia dei padri è aperta solo al costruttivo, quella del Padre tende a rendere partecipi della sua santità ( 1 2,6), dona gioia e pace e frutti di giustizia ( 1 2, 1 1 ). Santità e giustizia, due requisiti per porsi alla sequela di Dio (Mt 5 , l 0): entrambi sono il frutto di un 'autodisciplina affinata nel contrasto. Come il Figlio, così i fi­ gli : l 'Uno e gli altri, figli di un solo Padre, accolti e amati proprio per la sua lun­ gimirante pedagogia399• L'obiettivo di ogni intervento correttivo era solo e sem­ pre il bene della persona, mai la punizione di un comportamento ritenuto errato; cosa che l 'autore conosce molto bene400 • Al v. 8 si ha lo stesso argomento del v. 7, proposto però al contrario: « Se sie­ te senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete figliastri, non figli ! ». Il figliastro (nothos, hapax legomenon nel NT) è figlio naturale o illegit­ timo (da concubinato), come tale è privo di una guida educativa patema. Egli in­ fatti non sottostà alla patria potestas né il padre illegittimo può rivolgergli rim­ provero alcuno. Non ha diritto ali ' eredità e non riceve il nome del padre401 • Egli è dunque lasciato a se stesso ed è letteralmente disprezzato402, ritenuto maligno403 e del tutto dimenticato404, non prende parte neppure al culto405• La contrapposi­ zione tra hyioi e nothoi è molto forte. Ma fra i destinatari non dovrebbe figurare la presenza di figli spuri nella fede; tutti (pantes), nessuno escluso, compreso lo stesso Gesù (2,9; 5,7; 1 2,2; 1 3 , 1 2) so­ no ammessi alla scuola (paideia) della fede e in forma continuata (metochoi gego­ nasin, forma verbale al perfetto), come del resto ha ben dimostrato il cap. 1 1 : figli del padre celeste, non di un padre terreno. Se qualcuno si volesse sottrarre a quella scuola si priverebbe della fede e della sua forza educativa. Non sarebbe figlio di Dio in Gesù Cristo, ma solo un figliastro ! Ed è con mal celata afflizione che l 'au­ tore scrive simili parole. Egli auspica cioè che questo non accada mai. Il codice Alessandrino e Ori gene leggono nothros (« senza forza »)406: ne ri­ sulterebbe un senso più attenuato. Non essere passati attraverso il crogiuolo del­ la correzione pedagogica significa essere deboli nel temperamento, nella propria personalità, dunque anche nella fede.

399 Cfr. G. Bertram, paideia, in GLNT ( 1 974) 9, 1 78- 1 82 (su Eb 1 2, 1 - 1 1 ). Sull 'educazione alla fede per mezzo del dolore nel tardogiudaismo, cfr. ancora G. Bertram, paideia, in GLNT ( 1 974) 9, 1 65- 1 70. 400 Cfr. A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 226. 40 1 Prassi giuridica nel diritto greco romano. Dati in H. Braun, An die Hebriier, p. 4 1 3 . 402 Ne riferisce, ad esempio, Filone di Alessandria, De mutatione nominum 1 32. 403 Ne riferisce G. Flavio, Antichità giudaiche 233. La preoccupazione di Abramo e Giacobbe per i nothoi, di cui in Filone di Alessandria, De congressu 6 e De virtutibus 224, è una eccezione che tende a umanizzare l 'epoca dei patriarchi. 404 Pericle ignora del tutto se il proprio figlio illegittimo (nothos) sia ancora in vita. Cfr. Plutarco, De Pericle 37,2-5. 405 Cfr. W. Dittenberger (ed.), Sylloge lnscriptionum Graecarum, voli . I-IV, S. Hirzelium, Lipsia 1 9 1 5- 1 924, qui vol. IV, 1 1 06, 1 44- 1 47. 406 Il termine è ben documentato. Cfr. H.G. Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon, p. 1 1 86.

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« Essere partecipi » (metochoi) della paideia di Dio (v. 8) è in parallelo con « essere partecipi >> (matalambanein, v. l O) della santità (tes hagiotetos) di Dio407• Non si tratta di rettitudine né di perfezione morale, quanto di partecipazione alla vita di Dio, nella sua beatitudine (v. 9)408• Un traguardo escatologico: per ogni cri­ stiano è scopo di vita pellegrinare come scortato dalla paideia di Dio, fino a por­ si al suo fianco, accanto alla sua santità e di essa partecipe nella pace e nella giu­ stizia (eirene kai dikaiosyne), i due frutti migliori della sua paideia. Il dualismo dell ' autore torna a farsi vivo e il raffronto « terrestre-celeste >> raggiunge qui un punto elevato. [vv. 9-1 1 ] Quarto momento della paràclesi di Eb 1 2, 1 - 1 3 : è protagonista la pedagogia divina. Con una introduzione del tutto unica nell ' intero NT (« Del re­ sto - molto più », eita men . . . ou poly de malo n) il v. 9 si presenta pieno di duali­ smi all ' insegna dell ' inferiorità-superiorità: padri secondo la carne - Padre degli spiriti; carne-spirito (sarx-pneuma) ; rispetto ai primi - sottomissione al secondo; solo correttori i primi - datore di vita il secondo. In ogni dualismo il secondo ele­ mento è superiore al primo. L'autore formula la domanda retorica al v. 9, avendo in mente due argomen­ tazioni rabbiniche: il generale, il particolare, il generale (kelal uferat, uferat uke­ lal = figura retorica della sineddoche), e a fortiori (qal wii/:zomer) : Se abbiamo ascoltato e rispettato i nostri padri terreni, che ci hanno dato solo la vita corpora­ le (v. 9a), quanto più dovremo sintonizzarci con il Padre della vita409? Con lui che ci dà vita continua (kai zesomen), quella che ci rende partecipi della sua vita eter­ na e immortale (aphtarsia)?410• Favorito dalla magistrale combinazione delle due regole rabbiniche, è questo forse il senso migliore della forma verbale « quanto più non ci sottometteremo . . . » (hypotagesometha) a lui onde coordinare la nostra vita al suo progetto, fino al compimento. Il pronome « noi », insistente nella forma pronominale e verbale, ottiene lo scopo di comunicare e farsi ascoltare. L'autore mostra qui sensibilità pastorale, inserendo se stesso nell ' argomentazione. Efficace il ricordo ai destinatari di es­ sere stati bambini rispettosi dei propri padri, anche quando essi furono esigenti e severi. Che cosa impedisce che si faccia lo stesso nei riguardi di Dio, il « padre degli spiriti », lui che garantisce la vita, quella vera? L'allusione a Nm 1 6,22 (« Dio degli spiriti e di ogni essere vivente ») e a Nm 27, 1 6 (« Dio della vita in ogni essere vivente ») attesta una volta ancora la saggia sensibilità di Ebrei, che propone ai destinatari argomenti alla loro portata. Se la « carne >> viene dai padri terreni, la vita è opera solo del Dio degli spiriti : egli dona qualcosa della sua for-

407 L'uso di hagiotes da parte di Ebrei si pone nella più attestata prassi biblica del parlare su Dio. 408 Così C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. Il: Commentaire, p. 396. Parere ampiamente condivi­ so. Cfr. anche F. Weiss, Der Brief an die Hebriier, p. 655. 409 1o patri: detto di Dio come Padre, qui (padre degli spiriti) e in Eb 1 ,5 (padre di Gesù). 4 1 ° Così Filone di Alessandria, De ebrietate 1 40. La posizione di Ebrei si capisce solo se vista nell 'àmbito del dualismo nel quale egli si muove. Speculazioni intese a rimuovere la presunta dimi­ nutio capitis di Dio, che non sarebbe qui il creatore del corpo umano ma solo del suo spirito, sono del tutto sterili. Si legge in Filone di Alessandria che Dio è padre non solo del l 'Adamo preso dalla terra (De virtutibus l 04), ma anche della sua psyche umana (De somniis 2,273).

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Parte seconda. Traduzione e commento

za vitale (dynamis) che è molto più di un semplice « alito celeste »4 1 1 • Egli è in­ fatti padrone della vita e dello spirito412• La fugace allusione a l , 1 4 (dove gli angeli sono detti « spiriti incaricati di un ministero, in servizio di coloro che devono ereditare la salvezza ») allarga il rag­ gio della paternità di Dio: essa è globale e universale. Ogni spirito trova in Dio l 'origine della propria vita e il senso della propria esistenza. Le due argomenta­ zioni rabbiniche, ma anche retoriche, sono tese a ottenere il consenso dei lettori, dunque a persuadere. Solo allora la correzione di Dio potrà essere efficace. In ca­ so contrario, Dio stesso sarebbe come bloccato e non potrebbe neppure interve­ nire, obbligando. Ebrei ha una visione di fondo : il cristiano maturo. A questa vi­ sione non rinunzia mai413• Nuovi particolari accompagnano l 'evoluzione dell 'argomentazione al v. 1 0. L'autore si introduce con una costruzione: « Quelli infatti . . . egli invece » (hoi men gar. . . ho de) e pensa già a Dio, il Padre degli spiriti. I padri « secondo la carne » (hoi men, v. 9), imperfetti, erano esposti ali 'errore educativo: essi intervenivano infatti « come sembrava loro » e solo « per pochi giorni », cioè nel tempo della paideia414• La loro azione poteva cedere all 'arbitrarietà ed era comunque provvisoria e limita­ ta nel tempo previsto dalla legge. Prenderli a esempio è solo per risalire all 'azione pedagogica di Dio non esposta ali ' incertezza e non limitata nel tempo; egli è sem­ pre pronto a intervenire, secondo la dinamica già esposta al v. 6 (Pr 3 , 1 2), solo e sempre « per il nostro bene ))415• Lo scopo che « il Padre degli spiriti (ho de) » in­ tende raggiungere motiva in pienezza ogni suo intervento correttivo, per quanto se­ vero: assorbire i suoi nella sua santità, farli partecipi di essa. L'argomento « san­ tità » era ben noto al pensiero giudaico416, dunque di facile comprensione anche per i destinatari. Si tratta di un processo continuo nel tempo417 con intervento educati41 1 Così Filone di Alessandria, De virtutibus 203 ; De specialibus legibus 4, 1 27. 412 Così in 2Mac 1 4,46. 41 3 Di parere diverso A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 227: argomentazione filosofica di ti­ po metafisico. L'armonia del progetto salvifico di Dio non può essere disturbata dalla ritrosia nella fede. Dunque, ci si sottometta. 414 Interessante antitesi con un elemento esplicito: pros oligas hemeras e il secondo implicito: senza limiti di tempo. Nel senso temporale, pros oligon è formula nota in Gn 29,20; Sal t 08,8; l Mac 7,50; Sap 1 6,6; 4Maccabei 1 5,27. 41 5 Si noti l 'antitesi: « come sembrava loro »» (kata to dokoun autois) e « questi invece per » (epi to sympheron) . La seconda formulazione (e relativo contenuto) è nota alla filosofia stoica (cfr. K. Weiss, symphero, in GLNT ( 1 984) 1 4, 1 0 1 6- 1 023) e ricorre nel giudaismo ellenistico (2Mac 4,5; I l , 1 5; 4Maccabei 5, I l ; Filone di Alessandria, De Abrahamo 1 8,256; De cherubim ! 3 ; De congres­ su 1 3 7). Kata to dokoun autois è anche formula attestata nella classicità: Tucidide, Guerra del Peloponneso l ,84,2; Diodoro Siculo, Bibliotheca historica 1 9,9, l . Mentre la prima esprime l ' incer­ tezza della pedagogia umana, la seconda afferma il sicuro vantaggio del l ' intervento pedagogico di­ vino. Così A. Vanhoye, La structure littéraire, p. 203 . 41 6 In 2Mac 1 5,2 si parla della santità del sabato. Secondo il Testamento di Levi 3,4, nel quarto cielo abitano lo splendore di Dio e la sua magnificenza, superiori a ogni santità (hyperano pasés ha­ giotétos) . A questo splendore di Dio hanno ormai libero accesso i credenti in Gesù (Eb 1 0, 1 9; cfr. ancora 2, 1 1 . 1 7; 1 0, 1 0. 1 4.29; 1 3 . 1 2). Gesù è già entrato nello splendore di Dio; ai ) e dedicarsi a chi è in pericolo. La versione dei LXX pensa alla comunità intera, i cui piedi incerti non devono essere trascurati, ma curati e resi spediti; pensa anche a ogni singolo componente della medesima. Il rapporto tra « non abbia a storpiarsi (ektrape), ma piuttosto a guarire (iathe) » definisce un efficace quadro medico, diagnostico e terapeutico424 in metafora: si tratta infatti di rianimare quanti, nella comunità, si sono bloccati425 nel loro cam­ mino di fede, intimoriti dalle avverse vicende. Ognuno è chiamato a correre spe­ ditamente e ad essere forza trainante per gli altri. Più che inveire contro quanti ri­ tardano, perché avviliti e scoraggiati, ci si occupi di essi con particolare cura; parole opportune e interventi appropriati, sullo stile dell 'arte pedagogica del Padre (Eb 1 2,4-8 .9- 1 1 ), devono evitare il rincrudimento di situazioni già pesanti e contribuire a un clima di reciproco sostegno426, in particolare a favore di cri­ stiani disorientati, pressati dal rischio dell 'abbandono della fede427• Tutti nella co­ munità, e non solo le sue guide428, sono responsabili della crescita nella fede: i cristiani, pellegrinanti verso la città di Dio, che si tengono saldi nella fede e ne spianano il percorso al popolo di Dio, lavorino in posizione antitetica a quella di Esaù, operino perché germogli non amarezza (Dt 29, 1 7) ma gioia (v. 1 5) e pren­ dano radice « pace e santificazione » (v. 1 4a), due pietre miliari per la costruzio­ ne della comunità. Ma a questo punto la paràclesi di Eb 1 2, 1 - 1 3 , mentre chiude la quarta parte ( 1 1 , 1 - 1 2, 1 3), ci ha già immessi nella quinta ( 1 2, 1 4 - 1 3 , 1 9). Uno sguado d' insieme ci propone i seguenti risultati. Come già in Eb 3,7 - 4, 1 3 , anche per Eb 1 1 , 1 - 1 2, 1 3 1 'esperienza di fondo è quella di un popolo eletto in marcia verso un preciso traguardo: il riposo in Dio. Strumento imprescindibile è la fede, sì, ma ancora di più la perseveranza in es­ sa429. Quei pellegrinanti sono « il popolo della fede » la cui esistenza è ripresa co­ me in un filmato di ben sedici riquadri di vita vissuta. Di quella fede Gesù il Figlio è stato non solo l ' iniziatore, ma anche il perfezionatore ( 6,20; 1 2,2). Quel traguardo deve animare la comunità timorosa e stanca; esso è infatti il « compi­ mento » della salvezza, già « ora » sperimentabile nel « riposo » di Dio, in quel­ l ' assemblea pasquale da non disertare ( l 0,25). La nostalgia per i valori ebraici e l 'attenzione interessata per quelli cristiani non depongono per una lacerante con­ frontazione (in corso?); questa non è nella intentio auctoris. Scopo unico è riatti­ vare l 'entusiasmo delle origini cristiane ben radicate nell 'humus giudaico, nel Dio

424 Se ne veda l 'uso in Ippocrate, kat 'ietreion (De ojjìcio medico) 1 4. 425 È il senso di to cho/on: hapax /egomenon in Ebrei. Nel l ' AT esprime l ' impotenza cultuale dei sacerdoti (Lv 2 1 , 1 8) e l ' inefficacia dei sacrifici animali (Dt 1 5, 1 9.2 1 e Mal 1 ,8. 1 3). L'uso ver­ bale cha/euein dipinge l 'essere bloccati. Cfr. Filone di Alessandria, De somniis l , 1 3 1 ; De praemiis et poenis 47. 426 Già il classico B.F. Westcott, The Epist/e to the Hebrews, p. 406. 42 7 Eloquente situazione parallela in 2Cor 2,7-8. 428 L' immagine ricorre in Ode di Salomone 6, 1 4- 1 5 : il profilo dei ministri della comunità, de­ diti al servizio dei cristiani deboli, è dato con termini simili. 429 Tomo a segnalare D. Kim, Perseverance in Hebrews, in Skrif en Kerk 1 8 ( 1 997) 280-290 (su Eb 1 0,32 - 1 3 , 1 7) .

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d'Israele e nella fede dei padri in lui. Che la fede affievolita si risvegli e si riapra alla speranza: ecco il kairos di quella stanca assemblea dove ognuno deve torna­ re ad avvertire il proprio responsabile impegno per ognuno e per tutti; che la fe­ de non abbia mai più ad affievolirsi. Questo suo martellante pensiero l 'autore lo incastona nel binomio hypomone­ hypomenein presente in 1 2, 1 -3 ; ciò che ne risulta è un valore tematico dal consi­ stente peso teologico: il valore della perseveranza. Esso proviene dalla pregnanza dell ' intero cap. I l e si traduce in una altrettanto pregnante conclusio: « Corriamo con perseveranza » (v. 1 ), dove l 'aggancio a Eb 1 0,36 sembra intenzionale: « Avete bisogno di perseveranza, di fermezza >>. Attorno a questa conclusio sono articolate tre forme al participio in climax ascendens: avendo infatti un così grande stuolo di martiri (v. l a), forza trainante e incoraggiante (paràclesi); deponendo e abbando­ nando ogni elemento impediente, condizione (conditio) per una vittoriosa sfida; te­ nendo fisso lo sguardo (aphorontes) verso colui che ha già vinto, avendo dato com­ pimento alla sua sofferenza, nella morte (v. 2, consolazione), punto culminante dei vv. 1 -3 molto vicino a Fil 2,8: si pensi attentamente a colui che ha sopportato tanta ostilità fino alla morte (consolazione) e non ci si perda d'animo (condizione) ( 1 2,3). I destinatari guardino alle ostilità del tempo presente e sappiano vedervi l 'agone (agon) della fede (v. l ) e ne adempiano le condizioni: la vittoria è certa. Ben collocato tra l 0,32-39 e 1 2, 1 -3 , Eb I l appare in tutto il suo peso. Punto di partenza : la solida fede del giusto ( 1 0,38 = Ab 2,4 [LXX]). Traguardo: Gesù, testimone della fede ( 1 2,2-3), nonché pioniere e perfezionatore ( 1 2,2) della me­ desima, cioè forza trainante. L'intenzione paradigmatica è mostrare ai destinata­ ri quanto grave sarebbe l 'errore, e già lo fu una volta (Eb 3, 1 5- 1 9), di optare per l ' incredulità. Il contrario, invece, la solida adesione a lui, lo mostra bene quel « gran nugolo di testimoni » ( 1 2, l ). Questi infatti camminano decisi « verso il possesso della salvezza (eterna) » ( 1 0,39), il riposo di/in Dio. L' innegabile tono sillogistico razionale (fede oggettiva) che si ascolta in I l ,6 è insolito per Ebrei e non gioca un ruolo decisivo nell ' interpretazione di I l , 1 -40 e, forse, neppure l ' adesione soggettiva sic et simpliciter a Dio nella fede; il caso di Rahab (v. 3 1 ) sembra essere eloquente al riguardo. Decisivo è invece il ruolo delle prove, sofferenza e morte, per una fede perseverante e solida. La tri­ logia che ne risulta, « fede, sofferenza e morte », è il denso contenuto della strut­ tura retorica di Eb l l . Questo è ciò che sta a cuore ali 'autore430 ed è ciò che di­ mostra quel tipo di prova della vergogna a carico di cristiani di certo meno esposti alla morte di quanto non lo furono quei testimoni ( 1 2, l ), la cui vicenda terrena dà contenuto di vita alla formulazione ( filoniano-razionale) di Eb I l , 1 43 1 • Sulla base di questo dato esperienziale, Ebrei dà valore anche a un 'adesione sog­ gettiva che fa del credente persona a Dio gradita (v. 6). Un ricco risultato teologico emerge dal rapporto tra la disposizione (taxis) e le am­ plificazioni (auxesis) in Eb 1 1 , 1 - 1 2,2; ne risultano quattro valori tematico-teologici: 430 È quanto dimostra A.D. Bulley, Death and rhetoric in the Hebrews « hymn to faith )) , in StudRe/ 25 ( 1 996) 4 1 0-423, qui 4 1 3�4 1 7. 43 1 Cfr. A.D. Bulley, Dea th an d rhetoric in the Hebrews « hymn tofaith )), in StudRe/ 25 ( 1 996) 4 1 7.

Il popolo della fede Eb 1 1 , 1 - 12, 1 3

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l ) Risurrezione. Abramo, nell ' offrire Isacco, credette che Dio può far risor­ gere anche i morti ( 1 1 , 1 9). Alcune donne riacquistarono per fede i loro morti, al­ tri furono torturati per una migliore risurrezione ( I l ,35). La risurrezione di Gesù è presente nell 'espressione « si è assiso alla destra di Dio » ( 1 2,2; già l ,3 ). La fe­ de nella risurrezione si realizza nel « pastore grande delle pecore che Dio ha fat­ to tornare dai morti » ( 1 3 ,20). 2) Sacrificio. Il riferimento è ad Abele ( 1 1 ,4), ad Abramo-Isacco ( 1 1 , 1 7, 'aqeda) e a Mosè ( I l ,28, pasqua ebraica). Questi sacrifici anticipano la croce ( 1 2,2) sulla quale Cristo ha offerto il sacrificio perfetto, unico e definitivo. 3) Sofferenza e morte. Il ri ferimento è alla morte di Abele ( I l ,4 ), di Giacobbe ( 1 1 ,2 1 ), di Giuseppe ( 1 1 ,22) e degli antichi in genere ( I l , 1 3 ). La loro sofferenza è trattata a lungo in I l ,35b-38. Il tema è accentuato in riferimento a Mosè, che preferisce essere maltrattato con il popolo di Dio ( I l ,25) e per il qua­ le i tesori di Egitto non sono paragonabili alla ricchezza dell 'obbrobrio di Cristo. La sofferenza che gli antichi sperimentarono nella fede è completata da Cristo, che « ha disprezzato l 'umiliazione della croce » e « ha sopportato la croce » ( 1 2,2). Il binomio « sofferenza e morte » costituisce un perno retorico nella di­ sposizione di Eb I l . Riferimenti sono infatti presenti in vari punti di questo « in­ no alla fede » e lo attraversano a mo' di spina dorsale. Questo modo di procedere mostra che l ' autore se ne avvale come argomentazione epidittica432• 4) Guardare l 'invisibile. Questo argomento è ripreso tre volte con l 'uso di blepo433, riferito a che cosa è la fede ( I l , l ), alle origini dell 'universo ( I l ,3) e al­ la fede di Noè ( 1 1 ,7). Abramo partì verso l ' ignoto ( 1 1 ,8). Gli antichi videro le promesse da lontano ( 1 1 , 1 3) e hanno desiderato ardentemente la città celeste ( 1 1 , 1 4). La benedizione d'Isacco riguarda cose future ( 1 1 ,20). Mosè restò saldo come se vedesse l ' invisibile (cfr. 1 1 ,27, binomio pistis-karterein ) . Per i cristiani, « vedere I ' invisibile » è in concreto « guardare a Gesù » (aphorontes, 1 2,2). Gli antichi sono per essi un esempio e una spinta a « guardare » a lui. Il loro atto di fede amplifica l ' atto supremo della croce di Cristo. Con una paràclesi articolata in sei dettagliati momenti progressivi in Eb 1 2, l - 1 3 , l 'autore punta al cuore della questione: riprendersi, raddrizzarsi, rimet­ tersi in cammino, far tesoro della pedagogia di Dio, severa, sì, ma produttiva e gioiosa, perché mira a fare di tutti dei figli di Dio, e non dei figli spuri ! Eb 1 1 , l -40 è composizione propria dell ' autore, ottimo conoscitore della tra­ dizione biblica e forbito rètore. Riportarne il lavoro a tradizioni apocalittiche

432 È anche il parere di A.D. Bulley, Death and Rhetoric in the Hebrews « hymn to faith » , in StudRe/ 25 ( 1 996) 409-423 . 433 Blepa ricorre nella L XX p i ù d i 1 30 volte e h a i l senso d i « avere visto, essere i n grado d i ve­ dere ». Le 1 3 7 frequenze nel NT indicano la facoltà di vedere in senso stretto. Quando si tratta della percezione di eventi visibili nel mondo empirico quale riscontro della certezza di valori religiosi in­ visibili, l 'uso di blepa è assolutamente appropriato (Rm 8,24; 2Cor 24, 1 8; Eb I l , 1 .3 . 7). In Eb I l , l prima del participio blepomenon si ha la negazione ou con valore di alpha privativa. Sorprende che Ebrei, qui e in I l , 7, non usi aoratos come in I l ,27. L'uso di ou blepomenon potrebbe servire a met­ tere in maggiore rilievo l ' idea, insita in blepa, che tali realtà sono inaccessibili ai sensi.

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nonché al dualismo platonico ( filoniano) indica solo come l ' esegesi neotesta­ mentaria sia spesso in grado di appesantire il suo stesso lavoro. Quel dualismo, altrove rilevabile e apprezzabile, non è infatti qui affatto dimostrabile. Eb 1 2, 1 2- 1 3 chiude la quarta parte ( 1 1 , 1 - 1 2, 1 3 ) e apre la quinta ( 1 2, 1 4 1 3 , 1 9)434; nella disposizione in struttura letterario-tematica chiude l 'ottavo argo­ mento e apre il nono.

434 Così A. Vanhoye, Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, p. 35, forse solo lui, e, mi sem­ bra, a ragione! La congiunzione dio di Eb 1 2, 1 2 infatti fa dei vv. 1 2- 1 3 una microunità letteraria a sé, di tipo conclusivo. Il v. 1 4 riparte letterariamente in completa autonomia, segno che un discorso nuovo è nella mente dello scrittore.

« CERCATE PACE E SANTIFICAZIONE». IL FRUTTO PACIFICO DELLA GIUSTIZIA Eb 1 2 , 1 4 - 1 3 , 1 9

Paràclesi

1 2 14Perseguite la pace con tutti e la santificazione,

senza la quale nessuno vedrà il Signore, 1 5vigilando che nessuno resti indietro rispetto alla grazia di Dio, perché non « spunti e germogli alcuna radice di amarezza causando turbamento » e a causa sua molti siano contaminati; 16perché nessuno sia impudico o profanatore, come Esaù, che in cambio di un cibo « vendette la sua primogenitura ». 1 7Sapete infatti che, quando in seguito volle ereditare la benedizione, fu respinto; infatti non trovò più posto ' per il pentimento sebbene lo richiedesse con le lacrime. Ascoltare: le ragioni dell 'ascolto

1 8Voi infatti non vi siete accostati a un luogo tangibile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, 19né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che li2 udivano scongiuravano 1 Topos: posto, spazio, occasione. Topon metanoias: posto, spazio per poter esprimere il suo pentimento; cioè l 'occasione di/per il pentimento. 2 Hes: genitivo singolare costruito con akousantes. Ha un valore plurale: si riferisce a squillo di tromba e a suono di parole.

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che non fosse loro rivolta parola; 20non potevano infatti sopportare quest 'ordine : « Se anche una bestia tocca il monte, sia lapidata ». 2 1 Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse : « Pauroso sono io » e tremante. 22lnvece voi vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, adunanza festosa3, 23e ali 'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e a spiriti di giusti giunti alla perfezione, 24al mediatore della nuova alleanza, Gesù, e a un sangue di aspersione che parla più forte di quello di Abele. Non rifiutare: le ragioni del non rifiuto.

25Vedete di non rifiutare Colui che parla. Se infatti quelli non trovarono scampo sulla terra quando rifiutarono colui che promulgava oracoli, a maggior ragione noi che voltiamo le spalle a Colui (che parla) dai cieli, 26la cui voce allora scosse la terra, ora invece ha fatto questa promessa: « Ancora una volta io scuoterò non solo la terra, ma anche il cielo ». 27Quella parola « ancora una volta » indica il cambiamento delle realtà che possono essere scosse (sono destinate a passare), in quanto cose create, perché rimangano quelle incrollabili. 28Perciò, ricevendo un regno incrollabile, conserviamo questa grazia per mezzo della quale rendiamo culto gradito a Dio, con riverenza e timore, 29perché « il nostro Dio è un fuoco divorante ».

3 Megl io d i « in festa ». Panegyris è infatti apposizione d i « miriadi d i angeli » e d esprime con­ corso di persone.

« Cercate pace e santificazione ». Ilfrntto pacifico della giustizia Eb 12, 14 - 13, 19

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Vita cristiana e sue dinamiche

1 3 1 L'amore fraterno perduri . 2Non trascurate l ' ospitalità; alcuni, praticandola, hanno ospitato angeli senza saperlo. 3Ricordatevi dei prigionieri, come se foste imprigionati con loro, e di quelli che sono maltrattati, come se foste maltrattati con loro, poiché anche voi vivete in un corpo. 411 matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo (sia) senza macchia. Dio giudicherà fornicatori e adulteri . 5La (vostra) condotta non sia avida di denaro, accontentandovi di quello che avete. Dio stesso ha detto infatti : « Non ti lascerò e non ti abbandonerò ». 6Così possiamo dire con fiducia: « Il Signore è il mio aiuto, non temerò. Che cosa mi potrà fare l 'uomo? ».

Appello a un 'esistenza peregrinante

7Ricordatevi delle vostre guide, che vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando l ' esito della condotta, imitatene la fede. 8Gesù Cristo (è) ieri e oggi lo stesso e per sempre. 9N on lasciatevi fuorviare da dottrine varie e peregrine. È invece bene che il cuore sia rinsaldato dalla grazia, non con cibi rituali dai quali non furono beneficati coloro che ne fecero uso. 10Noi abbiamo un altare al quale non hanno diritto di mangiare quelli che rendono servizio alla tenda. 1 1 Infatti i corpi degli animali, il cui sangue è portato nel santuario dal sommo sacerdote per il peccato, vengono bruciati al di fuori dell 'accampamento. 12Perciò anche Gesù, per santificare il popolo mediante il proprio sangue,

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patì fuori dalla porta della città. 1 3Usciamo dunque anche noi fuori dall 'accampamento verso di lui, portando la sua vergogna; 14infatti non abbiamo quaggiù una città permanente, ma ricerchiamo quella futura. 1 5Per mezzo di lui dunque offriamo continuamente a Dio « un sacrificio di lode », cioè « il frutto di labbra » che confessano il suo nome. Condividere, collaborare, pregare

16Non scordatevi della beneficenza e della condivisione; di tali sacrifici infatti Dio si compiace. 1 7 Aderite alle vostre guide e siate loro deferenti4, perché esse vegliano sulle vostre vite5, dovendone rendere conto; perché facciano questo con gioia e non gemendo : ciò sarebbe dannoso per voi. 1 8Pregate per noi; siamo infatti persuasi di avere una buona coscienza, dal momento che vogliamo comportarci bene in tutto. 19Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché io vi sia restituito al più presto. Eb 1 2, 1 4 - 1 3 , 1 96 contiene il punto culminante (climax, 1 2 , 1 4-29) della exhortatio di Ebrei e la conclusione della stessa ( 1 3 , 1 - 1 9) . Argomenti messi a confronto nel corso dello scritto, come le due alleanze, il culto, la mediazione di

4 Traduzione letterale corrente: « Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi ». Ma il verbo peitho esprime persuasione; lasciatevi persuadere dalle vostre guide, dunque aderite a esse. Al ri­ guardo, si veda il commento ad locum. 5 Letteralmente: « sulle vostre anime ». 6 Questa ripartizione è tenuta da quanti considerano Eb 1 2, l -3 chiusura di l i , l -40 e introdu­ zione a 1 2,4 - 1 3, 1 9. Così A. Vanhoye, Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, p. 32; A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 220. P.R. Jones (A Superior Life: Hebrews 12, 3-13, 25, in Review and Expositor 82 [ 1 985] 3 9 1 -405) propone 1 2,3 - 1 3 ,25; non così B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, p. 393; N. Casalini, Agli Ebrei, p. 383.

« Cercate pace e santificazione ». l/frutto pacifico della giustizia Eb 12, 1 4 -

l 3, 1 9

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Gesù e di Mosè, il popolo di Dio peregrinante verso il riposo-compimento, pre­ sentati ora in stile di sermone esortatorio orale (9,5; 1 1 ,32), ora in stile pastorale, liturgico, epidittico, sempre con marcata attenzione alla storia della generazione del deserto, vi sono ripresi. Quali colonne portanti del « trattato », quegli argo­ menti hanno un carattere espositivo, dal momento che l ' AT è non solo citato, ma anche interpretato. Il tracciato dei due capitoli corre sul tema di una vita qualita­ tivamente superiore, quella introdotta da Cristo sommo sacerdote, mediatore del­ la nuova alleanza. L'esortazione escatologica ( 1 2, 1 4-29) evolve in tre momenti: la caduta di Esaù per una questione di cibo ( 1 2, 1 4- 1 7); le ragioni dell ' ascolto di colui che parla: un ultimo confronto tra patto antico e patto nuovo ( 1 2 , 1 8-24); le ragioni del non rifiuto ( 1 2,25-29) e la scelta dell ' incorruttibile7• Eh 1 3 , 1 - 1 9 pone una questione previa. Dal momento che Eh 1 2, 1 8-29 è sempre più considerato il culmine tematico dello scritto8, si propone di vedervi anche la conclusione naturale. Eh 1 3, 1 - 1 9 ne sarebbe così solo un'appendice, con ulteriore aggiunta in 1 3,20-25, un poscritto. Alcuni stridii, è vero, sono innegabi­ li: 1 3 , 1 introduce ex abrupto un tema nuovo; i vv 22-25 sono più epistolari dei vv 1 -2 che non lo sono affatto, anzi si pongono in tutta continuità con 1 2,29, ope­ ra di un aggiustamento redazionale, allo scopo di coordinare il cap. 1 3 con il cap. 1 2 e quindi con tutto il « trattato »; i vv 1 -6 propongono alcune esortazioni gene­ riche, non rintracciabili nello scritto9; in 1 3 ,20 è presente un ' idea gesuologico­ cristologica nuova: « Il pastore ». L'autore, che ha esposto un trattato e ha messo per iscritto una serie di ser­ moni orali dai diversi generi letterari, giunto alla fine, gli ha dato l 'aspetto del­ l' epistolografia paolina, perché godesse dell 'autorità dell 'Apostolo e acquistasse pe­ so nella comunità. Sarebbe sorto così Eh 1 3 del tutto eterogeneo, un post-scriptum pastorale, pseudepigrafo, specialmente ai vv 22-25 ove è presentato Timoteo col­ laboratore di Paolo, in viaggio per lui, fratello di lui e della comunità, nella fede10• Eh 1 3 , 1 -2 1 è una lettera posta in appendice a l , l - 1 2,29 e 1 3,22-25 ne è il po­ scritto1 1 , una nota di accompagnamento. Se poi Ebrei è una omelia midrashica .

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7 Dettagliata analisi di Eb 1 2 , 1 4-29 in W. L . Lane, Hebrews 1-8, vol. I, pp. 43 1 -435. 8 Così autorevoli studiosi dalle diverse aree linguistiche. Già Origene e Atanasio di Alessandria. Su di essi, cfr. R.A. Greer, The Captain of our Salvation, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 973, rispettiva­ mente pp. 22-66 e 65-97. 9 A ben osservare la struttura di Eb 13 si nota che i primi sei versetti formano una unità ben di­ stinta e strutturata. Quattro frasi composte da due proposizioni abbinate in un parallelismo simme­ trico danno l ' intelaiatura al discorso esortativo. Le piccole sentenze, in numero complessivo di otto, poste di seguito senza evidenti legami fra di loro, danno alla composizione un ritmo rapido e incal­ zante. Questo insieme di fattori ha sollevato il problema dell 'autenticità di questo brano. Si veda, ad esempio, A. Vanhoye (La question littéraire de Hébreux 13, 1-6 in NTS 23 [ 1 977] 1 2 1 - 1 39), che si pronunzia tuttavia per l 'autenticità di Eb 1 3 . 1 ° Così già W. Wrede, Das literarische Riitsel des Hebriierbriefes, pp. 85-86, e C.C. Torrey, The Authorship and Character ofthe So-called « Epistle to the Hebrews >>, in JBL 30 ( 1 9 1 1 ) 1 37- 1 56. 1 1 Così C. Spicq, L'épitre au.x Hébreu.x. II: Commentaire, e J. Héring, L'Épitre au.x Hébreux, (CNT 1 2), Labor et Fides, Neuchatel, Paris 1 954; poi C. Rose, Die Wolke der Zeugen. Eine exegeti­ sch- traditionsgeschichtliche Untersuchung zu Hebriier 1 0, 35-12,3 ( WUNT Il/60), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 994, ad esempio p. 33.

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sul Sal 1 09, il cap. 1 3 , preparato per gli sposi (ma è davvero troppo ! ), certo non gli si coordina bene12• Eppure, tra Eb 13 e il resto del « trattato » intercorrono consistenti legami : 1 3 , 1 -6 e 1 2, 1 2- 1 7 su fornicazione e adulterio, tema che trova agganci già in I l ,25 e in 1 2, 1 6; l 'uso del denaro in 1 3 ,25 è argomento che si collega a I l ,26, in cui Mosè opta per il suo popolo e non per le ricchezze d' Egitto; il coraggio del cre­ dente, a onta di ogni paura di cui in 1 3 ,6, è presente già in I l ,23 .27; l 'unicità del patto-alleanza presenta equivalenze tra 1 3 ,5. 1 7.20-2 1 e l O, 1 -2.9. 1 1 . 1 4; la dichia­ razione di 1 3, 1 0 è in parallelo con 8, l ; la ricca dichiarazione di 1 3 ,8 è in sintonia con 1 , 1 2 ; il sangue dell 'alleanza eterna di 1 3,20 si connette a numerosi punti del « trattato »; il motivo del popolo di Dio peregrinante in 1 3 , 1 1 - 1 6 è forse il colle­ gamento più forte con il cuore dello scritto; infine, l ' uso dell ' AT in Eb 1 3 conti­ nua come in tutti i capitoli precedenti e rivela un sottile, sicuro e continuo lega­ me con essi; si considerino il salterio e il pentateuco dai quali Ebrei preleva le più numerose citazioni; e il cap. 1 3 non fa eccezione. Mentre Eb 1 2 , 1 8-29 è un vero apice del « trattato )), il capitolo finale è un ap­ pello continuo, in cui gli elementi che sono stati molto a cuore ali 'autore vengo­ no ripresi e ripresentati in forma esortativa, quasi una peroratio; così in 1 3 , 1 - 1 9. Chiude una benedizione in 1 3 ,20-2 1 , una additio, commenta Nicola da Lira; mentre i vv. 22-25 devono essere stati aggiunti come parola personale nel mo­ mento in cui il « trattato )) veniva inviato alla comunità destinataria; una replica­ fio, annota ancora Nicola da Lira13• Eb 1 2, 1 4 - 1 3 , 1 9 presenta la seguente disposizione : Perseguite pace e santificazione Ascoltare colui che parla (le ragioni de li ' ascolto) Non rifiutare colui che parla (le ragioni del non rifiuto) Vita cristiana e sue dinamiche Appello a un'esistenza peregrinante Cooperare con le guide della comunità Saper distinguere l 'altare cristiano da quello giudaico Non lasciarsi fuorviare Condividere collaborare pregare Professare la perennità di Gesù Cristo

12, 1 4- 1 7 12, 1 8-24 12,25-29 1 3, 1 -6 13,7.9-15 13,7.( 1 7 ) 1 3 , 1 0-14 1 3,9 1 3 , 1 6-19 1 3,8.

[12,14-17] La caduta di Esaù per una questione di cibo. Siamo ai vv. 1 4- 1 7, un asindeto in forma di istruzione paracletica il cui scopo è avvertire e ricordare che l ' abbandono della fede (come per Esaù della primogenitura, Gn 25,29-34;

12 Ma così pensa G. W. Buchanan, The Present State ofScholarship on Hebrews, in Neusner J. (ed.), Judaism. Christianity and Other Greco-Roman Sects. FS Morton Smith, vol. l, p. XIX. A di­ stanza di circa trent'anni il genere letterario omiletico di Ebrei è ancora questione aperta, e per lo più sempre meno condivisa. 1 3 Cfr. Nicolaus de Lyra, Postilla super totam Bibliam, voli. I-IV. Epistola Pauli ad Hebraeos, / vol. IV (senza numerazione di pagine).

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27 ,30-40) potrebbe non conoscere il ricupero del bene perduto 14, tema già esami­ nato in Eb 6,4-8 e l 0,26-3 1 . Dunque, attenti a non cadere. [v. 14] L'autore non dà inizio a una nuova serie di riflessioni. Piuttosto espone ciò che è detto in immagine ai vv. 1 2- 1 3 : il v. 1 4a (« Perseguite la pace con tutti e la santificazione ») corrisponde al v. 1 2 e il v. 1 4b (« Senza la quale nessuno vedrà il Signore ») al v. 1 3 . Perseguire la pace (allusione al Sal 33, 1 5b) è una urgenza pasto­ rale; l 'autore pensa nei termini di Rm 1 2, 1 8 (« Per quanto è possibile, nella misura in cui dipende da voi, vivete in pace con tutti »), ma si collega ancora prima al suo stes­ so pensiero al v. I l (« pace e giustizia ») in retrospettiva e a 1 3 ,20 (« Il Dio della pa­ ce ») in prospettiva. Inoltre, il terreno su cui si muove risente dell 'anelito rabbinico alla pace: « Date la caccia alla pace-sa16m (eirenen diOkete) »15, perseguitela, cioè in­ seguitela (cfr. Rm 1 2, 1 6- 1 7; l Pt 3 , 1 1 ). Essa è infatti un valore « pieno » e come tale non è mai pienamente raggiungibile: pace e tranquillità d' animo (valore psicologi­ co); pace con Dio, in quanto il proprio rapporto con lui è libero da ogni turbamento (valore spirituale e cultuale); pace con gli altri in assemblea (valore ecclesiologico); pace con tutti, anche fuori assemblea cristiana (valore sociopolitico); pace come sta­ to di salute della persona intera nel riposo in Dio (valore escatologico). Tutti e cinque questi sensi sono qui presenti, il primo preme sul secondo e questo sul terzo; tutti e tre poi qualificano il quarto e il quinto. Ne risulta un campo semantico in cui pace e fedeltà (salòm ed 'emet) sono combinati, frutto già di una tradizione anticotestamen­ taria che vi riscontra un valore salvifico globale: JHWH opera la pace (ls 45,7), egli è pace e fedeltà; nella sua direzione è necessario muoversi, verso il suo « riposo ». Con l 'esortazione positiva eirenen diOkete Ebrei pensa così '6• L'autore raccomanda poi « santità » (ton hagiasmon, v. 1 4), un valore cul­ tuale, il solo in grado di porci in sintonia con la santità di Dio (cfr. v. I l ); egli ha come retrofondo il codice di santità: « Sarete santi per me, poiché io, il Signore, sono santo » (Lv 20,26a). Vi abbina la « pace » (eirene) e propone così le due condizioni imprescindibili per il compiersi della salvezza (esortazione positiva). Entrambe si interpretano reciprocamente: si differenziano tuttavia in quanto la « santificazione >> caratterizza « i santificati » come proprietà di Dio e di Cristo, mentre la « pace » come appartenenti alla comunità. « Perseguire la santificazio­ ne » non ha dunque un senso etico, quanto cultuale: si tratta della santità ottenuta dal sangue di Cristo ( 1 0,29; 1 3 , 1 2). Inoltre, chi è santificato dal suo sangue gode della visione di Dio ora, nella vita presente, nella pace, quasi vedesse già l ' invi­ sibile ( I l ,27). La « santificazione » è l ' irrinunciabile condizione per poter « ve­ dere Dio ». Per questo essa deve essere permanentemente inseguita. Il tema è centrale nell 'AT e nel NT 17• 14 Da m e tenuta, questa posizione m i sembra sostenuta da P. Kasilowski, Not /ike Esau (Heb 12, 14- 1 7), in Bobo/anum I (200 1 ) 83- 1 1 0. 1 5 Dati in W. Foerster, eirene, in GLNT ( 1 967) 3,222-223 . 16 Non si tratta dunque di una esortazione alla pace onde evitare la guerra, come nello Pseudo­ Platone, Definitiones 4 1 3A, né della pace come condanna al potere politico, secondo il noto discor­ so di lsocrate, Sulla pace (peri eirenes), due aspetti comunque cari alla Bibbia (2Mac 3, l ; 4,6), ma non presenti in Ebrei. 1 7 Si leggano: Es 33, 1 7-23; Mt 5,8; 1 Cor 1 3 , 1 2 ; 1 Gv 3,2; Ap 22,4.

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« Con tutti » (meta panton) ha innanzi tutto il senso di « tutti » in assoluto, senza eccezione alcuna. Ne dà conferma il fatto che « nessuno >> (oudeis) può prescindere da quella santificazione che sola può mettere in comunicazione con « il Santo >>. Quel meta panton, tuttavia, richiama l 'attenzione della comunità su quei membri che di fatto vivevano in divisione o stavano per provocare uno sta­ to di scissione ecclesiale o erano addirittura sul punto di abbandonare la scelta cristiana fatta. Anch 'essi fanno parte dei « tutti >> e l ' assemblea (episynagoge, 1 0,25) deve darsi premura permanente 1 8 perché non avvengano defezioni ( 1 2, 1 5 ). Senza quella « santificazione >> infatti (v. 1 4, ou choris) incombe il ri­ schio dell ' abbandono di Dio, del rapporto con lui : charis (v. 1 5). Due i possibili elementi conflittuali nella comunità: la durezza del cuore, come opposto della pace (allusione a 3 , 1 5 e Sal 94,8) e un incipiente stato di « non giustizia >> nei ri­ guardi di Dio e della sua charis, esattamente il contrario della santità (v. 1 1 ). La comunità produca pace, l ' insegua (diokete, v. 1 4a), per condurre una vita pacifi­ ca, ma ancora di più perché la benedizione di Dio produca pace nella vita degli altri 19• L'episynagoge cristiana, la comunità di « tutti i santi >> ( 1 3,24), sia il luo­ go-topos dove il frutto pacifico della giustizia (karpos eirenikos . . . dikaiosynes, v. 1 1 ) trova il suo appropriato humus di sviluppo nella santificazione: allo scopo di « vedere Dio >> . Desta interesse la tendenza del NT a descrivere i valori escatologici con l 'au­ silio non tanto del verbo « ascoltare », quanto del resto « vedere » (orao) . Ampiamente attestata20, essa è in continuità con l ' AP1 • Ebrei non pensa qui al ri­ torno di Cristo nella sua parusia, come invece in 9,28 e 1 0,25, e ancora meno a un « vedere mistico »; l 'autore si collega molto più al proprio pensiero in l O, 1 9, dove ricorda che l ' ingresso nel « santo dei santi » è ormai in ogni momento possibile per ogni credente nel sangue redentore di Cristo, adempimento alla sua promessa fis­ sata nella sesta beatitudine in Mt 5,8: « Beati i puri di cuore, perché vedranno (opsontai) Dio »22• Quel « vedere Dio » è poi ottenuto con quella « migliore risur­ rezione » di cui in 1 1 ,3 5, sperata da quanti, torturati, hanno resistito in vista di es­ sa, quasi vedendola, pur essendo al momento invisibile. Al di là di quelle torture, infatti, vi è quel Dio giudice giusto ( 1 2,22-23) che presiederà la festa celeste. Un cristiano del tipo di Esaù (v. 1 6) difficilmente potrà vedere Dio (ton ky­ rion) : incontrarlo e « vederlo » nel culto terrestre prima e celeste poi esige che si possegga una santificazione proveniente dalla sofferenza che affina ( 1 2, l O, Dio corregge perché si partecipi alla sua santità) e riduce la trasgressione al suo patto ( 1 2, 1 6) nel sangue del Figlio. Esaù è visto come « fornicatore », probabilmente perché contrasse matrimonio con donne hittite, non ebree (fatto questo ritenuto 18 È il senso di episkopountes in Eb 1 2, 1 5 . Episkopein non descrive ancora la funzione eccle­ siastica del supervisore, piuttosto l 'esercizio di un ministero carismatico dal quale dovrebbe prove­ nire la motivazione de li ' episkopein. Il suggerimento, che parte già da O. Miche!, Der Brief an die Hebriier, p. 453, mette a fuoco non solo un ideale, ma anche una realtà viva al tempo di Ebrei. 1 9 Sulla pace, cfr. Mt 5,9; Mc 9,50; Rm 1 4, 1 9; 1 Pt 3 , 1 1 . 20 Si veda, ad esempio, Eb 1 2, 1 4 ss.; poi Mt 5,8; Mc 1 4,62; 1 Cor 1 3 , 1 2; 1 Gv 3,2; Ap 22,4. 21 Si leggano, ad esempio, Is 60, 1 ss.; Gb 1 9,26-27. 22 Cfr. E. Grasser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13, 25, vol. III, pp. 288-289.

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immorale, Gn 26,34-3 5) e come « profanatore », perché vendette la primogenitu­ ra, considerata cosa sacra. [vv. 15-17] Incontriamo qui un punto difficoltoso e controverso. Un aiuto a dipanarne il groviglio proviene da me tis (nessuno). La formuletta è suggerita da Dt 29, 1 7- 1 8 (LXX) e ricorre 3 volte : nessuno perda il passo verso la piena sal­ vezza di Dio (charis, v. 1 5), nel suo riposo (katapausis); nessuna velenosa radice germogli e si sviluppi (v. 1 5); nessuno viva da idolatra e da senza Dio (v. 1 6). I tre pericoli non sono distanti l 'uno dali 'altro, ma interconnessi. Tutti e tre espon­ gono la comunità al rischio dell 'apostasia e costituiscono i tre momenti di un'e­ sortazione formulata al negativo (vv. 1 5- 1 6) . Il caso di Esaù (vv. 1 6- 1 7) chiude l 'avvertimento esortativo. Il primo momento dell 'esortazione (v. 1 5a) è in forma ritmica23: descrive quanto è stato appena detto in metafora al v. 1 3 , chiude la quarta parte di Ebrei e preannunzia la quinta. Apre l 'esortazione il participio episkopountes. Esso di­ pende dal v. 1 4 : « Perseguite la pace con tutti (diokete meta panton) e la santifi­ cazione », e dà la direzione precisa da imboccare: « Essere attentamente vigilanti e senza interruzione » perché « pace e santificazione (eirenen. . . kai ton hagia­ smon) >> vengano garantite e consolidate (esortazione al positivo) e siano decisa­ mente evitati quei tre seri pericoli introdotti da « non vi sia (me tis) >>. Quella vigilanza nella comunità è servizio dell 'uno per l 'altro. All 'autore sta molto a cuore il tono ecclesiale della fede, dal quale prenderà profilo e conte­ nuto lo stesso ruolo delle guide. Queste (hegoumenoi, 1 3 ,7 . 1 7 ; l Pt 5,2) non sono le sole a essere investite di questo compito, ma ognuno è « episcopo » dell 'altro (episkopountes meta panton). È il pensiero di Ebrei qui e in 3 , 1 2. Come a dire : tutti per uno e uno per tutti, e per una causa comune che non ammette egoismi, quella della salvezza (charis) in Dio. Dunque, se avete scelto la fede, camminate in essa: nessuno venga meno al rapporto amicale con Dio, « nessuno resti indie­ tro rispetto alla sua grazia » (v. 1 5 , charis in inclusione con il v. 28); nessuno di­ serti l 'assemblea ( 1 0,25), ma gusti in essa già in anticipo la charis di Dio; il suo riposo (katapausis)24, pellegrinando verso la pienezza escatologica del medesi­ mo; nessuno si perda per strada e diventi ritardatario25• Secondo momento dell 'esortazione (v. 1 5b): la comunità non abbia a dover sperimentare che « spunti e germogli alcuna radice di amarezza (me tis) che causi turbamento », disturbo e contagio per molti (mianthOsin hoi polloi). La singolare forma verbale ano + phyousa26 consente la traduzione proposta: « spuntare, ger-

2 3 Epi - skopoun - tes me - tis hys - teron - apo. La cosa è notata già da F. Blass A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento 487,2. Cfr. il materiale abbondante in J. Moffatt, A Criticai and Exegetical Commentary, pp. LVI-LIX e oltre. 24 Da Eb 4, l si può identificare charis con katapausis. Eb 4 è il capitolo della katapausis (4, 1 .3.5 .6.8.9. 1 0. 1 1 ). In precedenza ricorre solo in 3 , 1 1 . 1 8. Con senso parallelo a 1 2, 1 5 1a perseve­ ranza nella fede introduce alla charis di Dio ancora in A t 1 3 ,43; Rrn 5,2; Gal 5 ,4; l Pt 5,2. Cfr. F. Weiss, Der Brief an die Hebriier, p. 663 . 2 5 È il senso di hysterein apo attestato ancora in Qo 6,2 (LXX). Cfr. F. Blass A. Debrunner F. Rehkopf, Grammatica del greco del Nuovo Testamento 1 80,6. 26 Participio femminile da phy6. -

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mogliare e venire su, cioè crescere ». La vivace immagine « radice di amarezza » (v. 1 5b)27 è tolta dal mondo della vegetazione. Come già la formula me tis, anche il linguaggio « radice di amarezza e di molestia » (rhiza pikrias en ch olej 2 8 provie­ ne da Dt 29, 1 7-20 (LXX), ove l 'esortazione, che ha tutto il sapore di una parabo­ la e di un annunzio apocalittico29, è rivolta a Israele perché non tradisca l 'alleanza e non cada nell 'apostasia30• Al v. 1 5 quella radice velenosa (pikria) è l 'apostasia, in armonia con il senso della metafora tradizionale che esprime ingiustizia e ido­ latria e che si afferma nella tradizione dell ' AT fino alla prima epoca cristiana3 1 • Questa metafora fa da perno ai tre suggerimenti introdotti da me tis: i l primo e il terzo presentano una dimensione individuale; il secondo, comunitaria. Tuttavia, i tre momenti sono interdipendenti. Molto marcata la reciproca interrelazione tra la persona singola, la comunità e Dio. Entrambi gli aspetti, individuale e comunitario, sono ben sottolineati, ma il centro di gravità in tutta la pericope di Eb 1 2, 1 2- 1 7 re­ sta la comunità cristiana. Al positivo, ognuno si adoperi a spianare la strada della fede per l 'altro, a essere operatore di pace e di santificazione (v. 1 4), valori salvifi­ ci da perseguire sul piano ecclesiale32; al negativo, ci si dia da fare perché la comu­ nità non sia contaminata dal velenoso diffondersi della radice di quel male (v. 1 5 ; Dt 29, 1 9) che è l 'apostasia: essa abbatte la fede scelta in Cristo33• Merita maggiore attenzione l ' immagine della radice velenosa in Dt 29, l 7. Essa è applicata a ogni persona nel popolo del patto che operi scelte secondo l ' o­ stinazione del proprio cuore e pretenda nonostante ciò di essere nel giusto. Ora, l ' apostasia in Dt 29, 1 7b è pensata in termini di ritorno alla prassi cultuale paga2 7 La citazione in Eb 1 2, 1 5b è da Dt 29, 1 7b (LXX). Il testo ebraico dice: « Non vi sia fra voi radice alcuna che germogli veleno e assenzio ». Sulla questione, brevemente C. Maurer, rhiza, in GLNT ( 1 977) I l ,98 1 -982. 28 La questione critica parzialmente ancora dibattuta, se si debba leggere en chole (« con mo­ lestia, velenosità ») con valore di genitivo epesegetico oppure enoch/e, congiuntivo presente in for­ ma assoluta (cfr. M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 686: « . . . E causi molestia e velenosità >> ), non contribuisce a precisare un senso di per sé in en­ trambi i casi identico e già molto duro. 29 Così già O. Miche l, Der Briefan die Hebriier, pp. 453-454. 30 In Dt 29-30 si ritrovano gli elementi di un formulario di alleanza con una rievocazione sto­ rica degli avvenimenti de l i ' esodo. 3 1 Cfr. Am 6, 1 2 (LXX); Sal 9,28 con risonanza in Rm 3,4; poi At 8,23 ed Ef 4,3 1 ; anche Filone di Alessandria (De ebrietate 223) conosce la metafora; J QH 4, 1 4 parla di una radice velenosa e ama­ ra che gli empi portano radicata nei loro progetti; né la ignora la Chiesa antica: Lettera di Barnaba 1 9, 7; Didachè 4, 1 0. Ignazio di Antiochia (Agli Efesini l 0,3) auspica che la radice diabolica non sia trovata nel cuore degli efesini. 32 Anche se l 'autore non pensa alla pace come armonia fra le persone, tale senso non è da escludere. Quell'armonia infatti contribuisce non poco alla crescita della pace ecclesiale, a servizio della fede. Ebrei intende qui la pace che viene da Dio nel dono della sua charis-salvezza nel Figlio. Quella pace va cercata. Cfr. Pr 3, 1 -2; 3,33; 4,26; cfr. già J. Moffatt, A Critica/ and Exegetical Commentary, pp. 208-209. 33 Resta del tutto incerto se l 'autore intenda parlare di una « controfigura anticristiana de li 'at­ tesa messianica della mdice di Jesse », ann ota O. Miche l, Der Brief an die Hebriier, pp. 455-456, quasi a voler dire che nel regno della radice di Jesse, che è il Messia, non vi potrà essere posto alcu­ no per tanto oppositore, « mdice amara e velenosa ». Simile pensiero, in Ebrei, non è presente. Per abbattere l ' apostasia, invece, si insegua la pace: eirenen diokete. Questa la posizione deli ' autore: si attuino nella episynagoge, con solerzia e continuità, i contenuti della charis-salvezza.

« Cercate pace e santifìcazione ». Iljhltto pacifico della giustizia Eb l 2, 14 -

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na, di abbandono del patto e di allontanamento da Dio. Eppure, l 'apostata spera, paradossalmente, che il terreno irrigato soppianti quello arido, che l 'abbondanza dell 'acqua debelli la sete, che il peccatore cioè non sia distrutto, per merito di chi è senza peccato (Dt 29, 1 9). L'apostata sappia che le cose stanno diversamente: secondo Dt 29,20, per lui non ci sarà possibile perdono, ma solo un severo giudi­ zio. Dio rifiuta infatti il suo perdono a chi lo ha abbandonato (Dt 29, 1 9). Dopo tutto, l ' infelice scelta dell 'apostasia ha amari riflessi anche sulla comunità inte­ ra, un vero inquinamento34, che abbatte la pace interna e annulla il collegamento con il Dio della pace. La facilità con cui il male si può propagare (Dt 29, 1 7 -20) arresta di fatto e pericolosamente il corso della charis-salvezza. La si blocchi su­ bito quella radice, a+ primo germoglio; anzi, non spunti affatto (me tis. . . ano phyousa) . Antidoto per non smarrire la pace è inseguirla, secondo un suggestivo suggerimento rabbini co, ispirato al Sal 3 3, 1 5 : « Cerca la pace e dàlle la caccia » come selvaggina rara e pregiata. « Cercala >> nel luogo dove ti trovi, « inseguita » verso il luogo successivo (Levitico Rabba 9, 1 1 1 b)35• Come a dire: « Bonum est diffusivum sui ». Che se l ' apostasia dovesse avvenire, ebbene essa è irreversibile e imperdo­ nabile (Eb 6,4-6; 1 0,26-27 e 1 2, 1 7). Allo scopo, infatti, sarebbe necessaria una seconda oblazione redentiva. Questa però è una sola ed è avvenuta una volta per sempre. Iperbole deterrente o realtà triste e inoppugnabile? Cfr. Eb 6,4-6; 1 2, 1 7. Terzo momento dell ' esortazione (v. 1 6): nessuno (me tis) conduca una vita immorale e profani il sacro, come Esaù. L' immagine della « radice velenosa » si apre sulla vicenda di Esaù, « fornicatore e profanatore ». Per illustrare il suo pen­ siero l 'autore, che si è già appoggiato a Dt 29, 1 7-20, si avvale ora di questo caso e ammonisce la comunità perché si guardi da soddisfazioni immediate (come il piatto di lenticchie) a scapito del bene molto più consistente dell '« eredità » (di­ ritto di primogenitura) cristiana acquistata in Cristo e da sperimentare nella fede. Nessuno conduca una vita senza la guida della « legge » (nel caso, matrimoniale) e da profanatore del sacro (nel caso, la primogenitura), come Esaù. Questa loro possibile apostasia si diffonderebbe come un 'epidemia inquinante {peso temati­ co di miaino) a carico di molti (pollai) (v. 1 5c). A Ebrei sta a cuore stigmatizza­ re non il comportamento reprensibile nella vita di questo o quel credente rinun­ ziatario, ma quello abnorme di chi, dopo avere scelto Dio, lo abbandona. Egli pensa: chi resta saldo nella fede non cede di certo a inquinamenti di sorta36• Dunque, « non ci sia (fra voi) alcun fornicatore (pornos) o profanatore (be­ belos), come Esaù ». Il v. 1 6 è molto controverso. Detto di Esaù, pornos può es34 È il senso dell 'aoristo congiuntivo passivo mianth6sin in Eb 1 2, 1 5 . Attestato in Omero, Iliade 4, 1 4 1 , in forma assoluta e con il senso di dipingere a colori, acquista il significato di mac­ chiare, contaminare il fisico, ma soprattutto la sfera religiosa e cultuale, quando è accompagnato da connotazioni di biasimo. È il caso di Eb 1 2, 1 5 : l 'apostata, allontanandosi da Dio, contamina anche gli altri nella comunità. Così F. Hauck, miaino, in GLNT ( 1 97 1 ) 7,2 1 5 e 7,2 1 8. Ma è forse meglio dire che l 'apostata espone al rischio della contaminazione i suoi fratelli; apostatare al seguito del­ l ' apostata non è una fatalità. 35 Cfr. KNTTM.SB, vol. 111, p. 748. 36 Così anche E. Griisser, An die Hebriier. Hebr IO, 19-13,25, vol. III, pp. 29 1 -292.

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sere letto in due direzioni : fornicatore, che conduce cioè una vita sregolata37; op­ pure apostata (senso metaforico). La prima interpretazione è da preferirsi qui, co­ me altrove nel NT, a motivo della netta opposizione con l 'esortazione alla « san­ tificazione » (v. 1 4 ). La fornicazione, intesa come indulgenza a soddisfazioni immediate, costituiva il rischio più serio per i nuovi convertiti alla vita cristiana (come in l Cor 5 ,9- 1 0: incestuoso). L' incombente pericolo dell 'apostasia, tutta­ via, e il decorso tematico di Ebrei sulla fede rendono attendibile anche la secon­ da interpretazione. Quanto a Esaù, ritenuto pornos, l 'autore potrebbe riferirsi al suo matrimonio con due donne hittite (Giudit e Basemat, Gn 26,3 l a), del tutto sgradito a Isacco e Rebecca (Gn 26,3 1 b; 27,46). I matrimoni misti violavanO' la legge di Mosè38• Possibile anche il riferimento alla tradizione rabbinica, che vede in Esaù il proto­ tipo dell 'uomo che spiace a Dio39• Ma è anche probabile che l 'autore intenda ri­ ferire a Esaù solo il secondo termine, bebelos (profanatore ), dal momento che la spiegazione addotta al v. 1 6 (con citazione da Gn 25,33) e al v. 1 7 considera solo la sua dissacrazione del diritto di progenitura. « Profanatore >> (bebelos) ha il senso del latino profanus e si oppone a ciò che è santo e puro (Ez 44,23). Esaù è il prototipo di chi è incline al profano40, per ciò stesso persona lontana da Dio e a lui sgradita, cosa denunziata in generale già in 1 Tm 1 ,9. Il vero problema di Esaù è avere sottovalutato il suo diritto di primogeni­ tura, sacro e irrinunciabile; Gn 25,34 si esprime in termini di « disprezzo » verso di lui che rinunzia a tale diritto per un minimo inconsistente controvalore: un piatto di lenticchie. Che i cristiani, investiti della benedizione e della chiamata a primogeni­ ti nella Chiesa (Eb 1 2,23), non abbiano a incorrere in tanta sventura. Nel pensiero di Ebrei l 'espressione « in cambio di una sola pietanza » (anti broseos mias, v. 1 6b) ha un peso teologico, se la si considera con l 'ausilio di 9, 1 O e 1 3 ,9. lvi si parla di « cibi . . . prescrizioni umane » (bromasin . . . dikaiomata sarkos) . Anche in 1 2, 1 6b si parla di cibo (brosis da bibraslro, mangiare). Quel piatto di lenticchie è un brama-bene terreno il cui valore escatologico è nullo. Scambiarlo con un bene escatologico, come la primogenitura (prototokia), signi­ fica porre il proprio cuore su un valore di nessun valore41 • E vi è un 'aggravante,

37 Se ne ha un esempio in 1 Cor 5,9; M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 686. 38 Cfr. ancora Libro dei giubilei 25, l . 7-8; 26,34; 35, 1 3- 1 4; Filone di Alessandria, De virtutibus 208; De migratione Abrahami 1 53. Così già S. Cipriani, Lettera agli Ebrei, in Le Lettere di San Paolo, Cittadella, Assisi 1 974 ( 1 990 ristampa), p. 82 1 ; C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 532. Non così B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, pp. 409-4 1 0. Si veda C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. ll: Commentaire, p. 40 1 ; infine, F. Hauck, bebelos, in GLNT ( 1 966) 2,238-239. 39 Per lo stesso motivo: matrimoni non graditi alla legge di JHWH. Così Genesi Rabba 65 su Gn 26,34 con risonanza nel secolo III in b.Baba Batra 1 6b (Rabbi Johanan); Libro dei giubilei 25, 1 -8 (spinge il fratello a seguirlo sulla sua stessa strada). 40 Così Filone di Alessandria, De ebrietate 9; Legum allegoriae 3, 1 39- 1 4 1 ; De fuga 39. 41 Che Ebrei possa pensare anche a una sottovalutazione del cibo eucaristico, per cui « chi si accosta ali ' eucaristia da non credente pecca gravemente e rischia di perdere la vita eterna » profa­ nando quel cibo escatologico, è del tutto da escludere. Sulla questione eucaristica in genere, cfr. Il messaggio teologico, pp. 680-683 . ·

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sottolineata da Ebrei con una precisazione intenzionale: la parola miàs (« un piat­ to ») non è infatti attestata in altre redazioni della vicenda di Esaù. L'enfasi è iro­ nica: per una sola pietanza, per un solo piatto di lenticchie !42. La rinunzia alla « primogenitura », scambiata con un bene di immediato go­ dimento, ma di qualità del tutto inferiore, è rinunzia alla cittadinanza celeste, è vera profanazione idolatrica di un valore escatologico. Come Esaù perde defini­ tivamente la benedizione paterna, lui che ne era il primo erede, così chi nella co­ munità cristiana dovesse abbandonare la fede nel Figlio deve fare i conti con lo stesso rischio: la perdita della primogenitura celeste. Non vi sarà nuova possibi­ lità di metanoia? Quel solo e unico piatto di lenticchie aumenta la colpa e non rende meritevole di misericordia? Sostenuta da molti, specie da parte protestan­ te43, questa posizione si scontra con il messaggio basilare di Ebrei: avvenuta una volta per sempre, la redenzione « avviene >>. Facendo eco a quanto già precisato in Eb 6,4 e in l 0,26-3 1 , l ' autore torna sul caso di Esaù (Eb 1 2, 1 6b- 1 7), ne sottolinea la definitiva perdita della benedizione paterna e chiude così la microunità 1 2, 1 4- 1 7 dal lato letterario e contenutistico. Nonostante le sue calde lacrime, Esaù non riesce a persuadere il padre Isacco a ri­ tirare dal fratello Giacobbe, secondogenito (Gn 27,30-40), la benedizione previ­ sta per il primogenito che ne è l ' erede (v. 1 7)44• Il pentimento piangente di Esaù, espressione di forte desiderio e decisa volontà a volere comunque riottenere con­ tro ogni impossibilità45 quanto ha perduto, non è produttivo agli occhi del padre morente. La sua benedizione, alla quale erano connesse le promesse messianiche, per Esaù è ormai perduta e per sempre: il padre non poteva infatti mutare senti­ mento (topos metanoias, v. 1 7). La richiesta in lacrime del primogenito è respin­ ta dal padre, indiscusso soggetto contestuale dell 'azione in corso da lui interior­ mente ben soppesata e valutata46• Il dono della benedizione al secondogenito Giacobbe da parte di Isacco morente (Gn 26,40) ha avuto infatti come testimone Dio-JHWH. Quel dono ha dunque un peso sacro e non può essere ripensato. Quella benedizione è ormai indivisibile. Ritirarla è come interrompere il rapporto di so­ lidarietà con Dio; questo, Isacco non se lo può consentire. Dunque : ciò che è fat­ to, è fatto. Esaù viene respinto. Eppure, in Gn 27,39, anche per Esaù, piangente, Isacco trova parole benedicenti. Un aspetto scottante della questione è legato alla formula: quel pianto « non trovò più spazio di pentimento (presso il padre) » (metanoias gar topon ouch eu­ ren). Il soggetto contestuale è il padre Isacco; è lui a respingere la richiesta del fi­ glio in lacrime e non Dio, come sostenuto, credo prevalentemente, in casa prote­ stante. I due testi chiamati a sostegno, l Sam 1 5,29 (LXX) e Gl 2, 1 3 (LXX), in 42 Cfr. Gn 25,35 (la minestra di lenticchie, LXX e TM), Libro dei giubilei 24,3-6; Targum Jerushalmi l su Gn 25,32.34. Si veda KNTTM.SB, vol. III, pp. 748-749. 43 Mi sembra, anche da E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13,25, vol. III, p. 294. 44 K/eronomein ten eulogian (Eb 1 2, 1 7) risponde a metalambanein eulogias apo tou theou (6,79), una magna inclusio oggettivamente redazionale. 45 È il senso di the/en in Eb 1 2, 1 7a. Cfr. G. Schrenk, thelo, in GLNT ( 1 968) 4,263-264 e nota 8. 46 È il senso dell ' aoristo passivo apodokimasthe. Così M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 686.

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quanto in essi ricorre, anche se non letteralmente, la stessa formulazione, espri­ mono infatti la disponibilità di Dio a qualunque perdono e in qualsiasi momento e per ogni causa di allontamento, purché vi sia la volontà del ritorno. Come a di­ re che a chi torna Dio non chiude la porta del ritorno (metanoia) . Isacco, che non accetta il pentimento, non viene dunque sostituito in Eb 1 2,7 da Dio, quasi che anch 'egli fosse incapace di perdonare o avesse deciso di non perdonare il tra­ sgressore superficiale e volontario, che tuttavia si ravvede47• Resta difficile accettare che Ebrei si riporti qui al caso di Esaù per dire che anche per i cristiani, incappati nell 'abbandono della fede, è impossibile ricupera­ re il terreno perduto, essendo la loro apostasia imperdonabile perché irreversibi­ le. L'offerta della salvezza è avvenuta una volta per tutte. Perderla è non poteri a più ricuperare ! Così ancora in Eb 6,4-6 e 1 0,26-27. Eppure, non è proprio quella vita del Figlio, « offerta una volta per sempre >> al Padre, a garantire che la reden­ zione è continua e disponibile in permanenza? La questione si fece scottante già verso la fine del secolo l. Se ne occupa il Pastore di Erma (cfr. il commento su Eb l 0,3 1 ) alcuni decenni dopo l 'epoca neotestamentaria, intorno al 90, quando si cimenta con le trasgressioni postbattesimali e ne fa un interrogativo centrale, po­ nendo forse i presupposti di quello sviluppo che ha caratterizzato la ricerca ec­ clesiale sull 'argomento nei secoli successivi48 e fino a oggi, dove le posizioni protestante e cattolica continuano a divergere e a confrontarsi: per la prima, l 'a­ postasia è irreversibile; per la seconda, non esiste alcunché di imperdonabile, là dove c'è il pentimento49• Il fatto che Isacco morente non trovi la forza di riportare sul primogenito Esaù la benedizione che pure gli spettava, e di cambiare così sentimento (topos metanoias) nei confronti di lui che gliene faceva richiesta con lacrime di ravve­ dimento, è una drammatica esasperazione della vicenda da parte di Ebrei. La for­ mula è giudaico-ellenistica: indica l 'occasione offerta da Dio per accedere al suo patto, al suo riposo. Qui descrive il pentimento che consente l ' ingresso-ritorno nello spazio (topos) della sua misericordia. La richiesta di Esaù in lacrime non è interessata solo a ottenere la benedizione patema dovuta al primogenito, ma esprime ancora di più la sua volontà di cambiare e accedere, attraverso la porta

47 Così, mi sembra, E. Grasser (An die Hebriier. Hebr 10, 1 9-13,25, vol. III, p. 297), il quale tut­ tavia, altrove, pare favorisca il contrario. 48 È nota, ad esempio, la « dottrina » sui lapsi, quei cristiani caduti nel l 'apostasia pressati dal­ la persecuzione. Novaziano (+ 257 ca.) e Donato ne sono noti e intransigenti rappresentanti. Già di­ verso il parere di Agostino di lppona: l 'apostasia non va identificata con la morte; essa si risolve, pri­ ma o poi, in un consistente aiuto al ritorno, secondo il pensiero di 2Cor 7, I O: « . . . La tristezza secondo Dio (infatti) produce un irrevocabile pentimento che porta a salvezza, mentre la tristezza del mondo porta alla morte ». È quanto si evince da Agostino di lppona, De peccatorum meritis et remissione 4 1 2, in M.J.R. De Journel, Enchiridion patristicum, Herder, Freiburg im Breisgau ­ Romae 1 965, pp. 5 7 1 -573, nrr. 1 7 1 5- 1 728. 49 È il suggerimento, in contesto non solo di apostasia, di l Sam 1 5,29 e Gl 2, 13. Che tale rigo­ rismo possa essere stato ispirato dalla prassi qumraniana è da escludersi. Cfr. già H. Braun, Qumran und das Neue Testament, vol. l, pp. 256-269. La questione, nel suo insieme, appassiona ancora oggi gli esegeti. Qui segnalo lo studio ancora indicativo di J.C. McCullough, The 1mpossibility of a Second Repentance in Hebrews, in Bib Th 24 ( 1 974) 1 -7.

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del ravvedimento, espresso in lacrime, al « trono della grazia » (Eb 4, 1 6). Il fatto che il padre non riesca a trovare la strada della concessione dice che il perdono non è nelle mani dell 'uomo e non può essere concesso a ogni richiesta. Qui è la drammaticità nel caso di Esaù. Per i cristiani apostati, tuttavia, il padre in que­ stione non è Isacco, cioè un padre terreno, ma Dio stesso, il padre celeste. Chiedere a lui il perdono per la propria apostasia significa poterlo ottenere. Una riduzione della drammaticità è di certo evidente e si riduce ulteriormente anche la tesi di chi sostiene l ' imperdonabilità dell ' apostasia. Non è infatti necessaria una seconda azione redentiva ( 1 0,26) a favore di un secondo pentimento (6,4). A quel « trono di grazia » si può ormai sempre accedere « per ottenere misericor­ dia >> (4,6); avvenuta una volta per sempre, la redenzione « avviene ». Dogmatismi in un così complesso problema, dove le componenti personali giocano un ruolo decisivo e richiedono seria considerazione, sono del tutto inap­ propriati; del resto, si esige che un accostamento sistematico al problema tenga conto della rivelazione biblica nel suo insieme, con riferimento ad esempio a Fil 1 ,6 e a 1 Cor 1 ,8-9. In entrambi i testi Paolo esprime la persuasione che Colui che ha iniziato nei credenti l ' opera della fede, la porterà di certo a termine (anche e proprio a dispetto dell ' apostasia). Un buon risultato. Non è da saggi sottovalu­ tare la questione. Il messaggio biblico nel suo insieme e il dono della perseve­ ranza, così centrali nel battesimo (momento di iniziazione alla fede cristiana), vanno decisamente rimarcati nella catechesi. L'autore mostra più interesse a que­ sti valori che non all 'apostasia; punta sulla certezza del positivo e non sull 'even­ tualità del negativo. L' intera esistenza del credente è un continuo « ricomincia­ re ». Con tutti i mezzi possibili va tenuto vivo nelle comunità ecclesiali lo spirito di Esaù « in lacrime »50• La tradizione rabbinica del pàsul, elaborata in targumim e midrashim, è sul­ la medesima linea. La parole pornos he bebelos con cui Eb 1 2, 1 7 descrive il com­ portamento di Esaù sono dette anche di Ruben (incesto con Bilah, Gn 35,22). Entrambi i casi parlano di elezione e di rifiuto da parte di Dio (divine election and rejection), il che giustificherebbe l 'esclusione dalla comunità di chi è causa di di­ sturbo (senso applicato di pornos he bebelos). Ma è esclusa in assoluto la loro riammissione? Esclusione più curativa che definitiva. PiisUI: Dio elegge e re­ spinge; ma perché non dovrebbe rieleggere? Egli è libero e sovrano nelle sue de­ cisioni 5 1 . 5° Forse sulla stessa linea P. Kasilowski (No t like Esau [Heb l 2, l 4- l 7], in Bobolanum l [200 l ] 83- 1 1 0) quando annota che Ebrei ricorda ai suoi destinatari di essere diventati 46, va tuttavia letto nella mente dell ' autore e dell ' eventuale glossista. Questi dà luogo a un parallelo antitetico, il quale comporta che la parola « monte >> pensata e scritta al v. 22 sia pensata ma non scritta al v. 1 8. Avremmo al v. 22 un' anales ­ si magistralmente efficace. Inoltre ha un peso di rilievo il contesto dell ' Esodo, di continuo evocato con le molte citazioni dirette. Il vero senso dell 'antitesi, dunque, non può che essere: Sinai-Sion; monte terrestre - monte celeste; patto antico - pat­ to nuovo8 1 • Per la speculazione rabbinica, il luogo di raccolta dei giusti veniva collegato ali 'abitazione di Dio (Hagiga 1 2 b) o al giardino di Eden (Hagiga 1 5a). Non è il pensiero di Ebrei, più legato alla speculazione apocalittica: cielo e sue molteplici sfere82• Eb 1 2, 1 8-24 è come un sommario del messaggio di Ebrei fissato in rilevan­ ti immagini intrecciate in modo tale da far pensare al tratto conclusivo di un mo­ mento omiletico: giustappone due alleanze e due mediatori; al Sinai domina il terrore, tipicizzato da un Mosè che non regge alla teofania, « spettacolo terrifi­ cante (phoberon) », e dice: « Ho paura e tremo » (v. 2 1 ) , aspetto ulteriormente ac­ centuato dali 'ammonimento a non avvicinarsi (Es 3 ,5), con il risultato di rendere immensa la distanza tra l ' orante e Dio. L'esperienza del Sinai fu quella di un Dio lontano, nell 'oscurità (a dispetto del fuoco e della sua luminosità), in una triste malinconia, nella tempesta, con l 'ascolto di una voce, la sua, terrificante (v. 1 9). Al contrario, l ' alleanza e il culto nuovi sono basati proprio sull ' avvicinamento al « Dio vivente » (v. 22): nella sequela del Figlio e in piena comunione con Dio. [ vv. 25-29] « Vedete di non rifiutare colui che parla »; decidetevi piuttosto per ciò che è incrollabile. Siamo alle ragioni del non rifiuto. Portato appena a ter­ mine uno stridente contrasto (Sinai e Gerusalemme terrestre da un lato, Sion e Gerusalemme celeste dali ' altro), l ' autore argomenta per l ' ultima volta in base ai due momenti storici della rivelazione : la prima e la nuova alleanza. I suoi porgano l ' orecchio ( 1 2,25-29): « Si guardino bene dal non rifiutare (blepete me) » ( 1 2,25). Ed ecco le ragioni del non rifiuto. La prima accorata ammonizio­ ne (v. 25) è quasi un ordine : « Fate bene attenzione, vedete di non, guardatevi da » (blepete). Chi scrive vuole catturare l 'attenzione dei lettori. Formulata al presen­ te, essa richiama a diligenza continua: « Vedete di non rifiutare . . . » né ora né mai « colui che sta parlando » (me paraitesesthe ton lalounta), « ora », stando al parti­ cipio presente sostantivato. Una costruzione parallela ricorre già in 1 2, 1 9 (me prostethenai. . . logon) in cui Ebrei ricorda che gl ' israeliti sul Sinai chiedevano che Dio non parlasse più loro e non facesse più tuonare e lampeggiare la sua voce. Al compiersi della sto81 Il problema è sollevato da T. Jelonek, « Pa/pabile » et « Mons Sion » . De vero sensu Antithesis in Hbr 12, 18-24, in AnCracov 9 ( 1 977) 1 54. Cfr., già e al dettaglio, J. Moffatt, A Critica/ and Exegetical Commentary, p. 2 1 0. 82 Così già O. Michel, Der Brief an die Hebriier, p. 467.

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ria, quella voce scuoterà cielo e terra ( 1 2,26). E se quanti erano sotto l ' alleanza antica, non sfuggirono al severo giudizio di Dio, avendone rifiutata la legge, co­ me è possibile allontanarsi dalla nuova alleanza e ripromettersi di sfuggire al suo giudizio? Per coloro che disobbediscono e rifiutano « colui che sta parlando », non c'è via di scampo, perché Dio è « fuoco che consuma », potrebbe essere il senso sostantivato del participio katanaliskon ( 1 2,29). « Colui che parla )) (ton /alounta) è Dio. Egli parla in Gesù, il « mediatore della nuova alleanza )) di cui al v. 24, il Figlio attraverso il quale Dio ha parlato definitivamente in questi ultimi giorni (Eb l ,2), dopo aver parlato nei profeti ( 1 , 1 ) e in Mosè al Sinai ( 1 2, 1 8-2 1 ). Già in 3,7. 1 3 . 1 5 e 4,7 Ebrei invita all 'ascol­ to della parola-predicazione. In 6,8 annunzia apertamente, e non senza timore, il giudizio di Dio su una terra improduttiva: e se quanti disattendevano la legge mo­ saica incorrevano in una condanna senza scampo ( 1 2,25), quanto più (argomen­ to a fortiori, qal wa}Jomer) non troveranno scampo quanti dovessero voltare le spalle a quel Dio che parla « oggi )) definitivamente nel Figlio ( 1 2,25 ; già in 2,23)83. Esortazione piena di speranza: si eviti tanto rischio. Molte, del resto, le ra­ gioni del non rifiuto. L'argomentazione incalza (vv. 26-27), sostenuta da Ag 2,6. L'oracolo profe­ tico riguarda la ricostruzione del tempio. La formulazione è incoraggiante : essa dipinge lo scuotimento cosmico a opera di Dio, di un mondo materiale, non eter­ no, che cresce e invecchia, come un vestito (Eb l , 1 1 ) . In quest' attesa, dove ciò che si impone è solo il grande intervento scuotitore e trasformatore di Dio (Eb 1 2,26), non resta che guardare alla città dalle solide fondamenta (il cui costrutto­ re è Dio stesso, I l , l 0), abitata da coloro che sono vissuti irremovibili nella fede. Essi, sapendo di non avere qui nel tempo una città stabile e permanente, hanno camminato spediti verso la città futura ( 1 3 , 1 4 ) . Se sul monte Sinai la voce di Dio scosse la terra (Es 1 9, 1 8)84, in seguito egli farà tremare il cielo e la terra: « Dice infatti il Signore degli eserciti : Ancora un po ' di tempo e io scuoterò il cielo e la terra, il mare e la terraferma )) ( Ag 2,6)85. E quanto è già avvenuto è garanzia di ciò che avverrà. Questa citazione è usata spesso negli scritti giudaici apocalittici per descrivere un terremoto escatologi­ co86. L'evento sarà un vero cataclisma cosmico e vi saranno coinvolti cielo e ter8 3 Per Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 32,2, in PG 63,22 1 -222, « colui che parla » è solo Gesù. In verità, tutta la pericope di Eb 1 2 , 1 8-24.25 punta su Dio che parla nel Figlio. Questa lettura coglie il confronto Mosè-Gesù (contesto immediato), ma an­ che il raffronto « Sinai-Sion-Gerusalemme » (contesto poco più lontano, Eb 1 2,22). I due aspetti so­ no inscindibili. Breve riscontro in C. Bottini, L'assemblea deiprimogeniti iscritti nei cieli (Eb l 2, 1829). L'escatologia della Lettera agli Ebrei (l/) , in R. Corona (ed.), Lettera agli Ebrei. Lettura esegetico-esistenziale, Curia Provinciale dei Frati Minori, Convento di S. Bernardino, L'Aquila 1 994, pp. 1 1 9- 1 20. 84 Si noti l 'abbondanza delle immagini apocalittiche: « Il monte Sinai era tuttofumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto » (Es 1 9, 1 8). 85 Ag 2,6 è citato in senso direttamente messianico secondo la versione dei LXX e in schema « profezia-adempimento » (cfr. F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, p. 262). 86 Si vedano: Libro dei giubilei 1 ,29; 4Esdra 6, 1 5- 1 6 e 2Baruch 59,3.

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ra ( l , l 0- 1 2). In Eh 1 2,27 si ha una ulteriore spiegazione di questa citazione, affi­ data a « rimozione » (metathesin) : il tremare della terra e del cielo esprime com­ pleta distruzione e non semplice trasformazione87• « Cose create » (pepoiemenon) è apposizione di « cose che possono essere scosse » (ton saleuomenon). Solo quelle cose che non si possono scuotere (ta me saleuomena) hanno un valore eterno e rimarranno dopo questo evento escatologico. Quali? « Bona immobilia sunta futura »88• Dunque, un tale cataclisma contiene una realtà presente e una promessa futura. Si ripropone una volta ancora il binomio terrestre-celeste: nel­ l ' antica alleanza Dio ha parlato epi ges (sulla terra), ora parla dal cielo; l 'antico è identificato con la terra, il nuovo con il cielo. E, ancora una volta, lo schema dualistico è trasformato quando viene rivelata la promessa futura, il carattere uni­ co dell 'evento escatologico (Ag 2,6): la terra e i cieli saranno scossi e solo l ' in­ crollabile rimarrà; il contrasto terra-cielo ne risulta accresciuto. L' immagine apo­ calittica di un cataclisma che scuote diventa metafora per il giudizio finale e le prove che i cristiani devono sopportare. Non solo l 'antica alleanza sarà scossa; accadrà lo stesso anche per la nuova ! La stessa comunità affronterà una prova fi­ nale e se non la supererà, come Esaù (v. 1 7), perderà ogni cosa. Mentre rammen­ ta ai suoi il dono ricevuto, « un regno incrollabile », l 'autore li esorta a « rendere un culto gradito a Dio » nella fede. Introdotta da dio (pertanto), l ' ammonizione (vv. 28-29) evolve: ai credenti appartiene già il regno che non sarà mai scosso. L'uso del presente paralamba­ nontes (« coloro che ricevono ») va inteso al presente e come futuro profeti co: i lettori sono in procinto di ricevere il regno che riceveranno e che tuttavia non hanno ancora ricevuto89, del quale essi stessi sono il volto presente « oggi »90• Se il regno fosse già stato ricevuto, non ci sarebbe stato bisogno di quest'ultima esortazione. Il regno che i credenti riceveranno è il « regno incrollabile »9 1 in cui essi regneranno e governeranno come metochoi (compagni) del re Messia, è il re­ gno di Dio descritto ai vv. 22-24. La perseveranza fedele sarà il metro di valuta­ zione per la ricompensa nel regno. La citazione di Ag 2,6 si riferisce ali 'aspetto eterno del regno dopo la distruzione del vecchio ordine del cosmo e alla creazio­ ne di nuovi cieli e nuove terre nel senso di Ap 2 1 , l . Il linguaggio usato in Eh 12,2728 sembra indicare che dopo la catastrofe ci sarà il regno che non potrà essere scos­ so, dunque eterno. Parlandone, l 'autore scrive: echomen charin (« Conserviamo questa grazia »). Ma possiamo anche tradurre: « Conserviamo questo dono >> a noi dato dal sommo sacerdote (Eh 4, 1 4- 1 6). La traduzione « ricevere e conservare il

87 Così, al riguardo, in condensato apocalittico 2Pt 3, l 0- 1 2 : « Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra . . . sarà distrutta . . . nel giorno di Dio . . . i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fon­ deranno >>. 88 Così commenta Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 32, in PG 63,222. 89 Su paralambanontes (« coloro che ricevono »), si veda C. Bottini, L'assemblea dei primoge­ niti, p. 1 2 1 . 90 Così già B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, pp. 3 9 1 -392. 91 Sul regno incrollabile, cfr. W. Eisele, Ein unerschiitterliches Reich, pp. 1 20- 1 23 .

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dono (del regno) » è confermata dalla frase « per mezzo del quale rendiamo culto gradito a Dio con riverenza e timore >> (v. 28 ). La comunità non dimentichi che è un privilegio servire Dio nella nuova alleanza come popolo sacerdotale. Rinunziare, ora, a tanta dignità? L'enfasi di Eb 1 2,29 sta nel fatto che Dio è un « fuoco che consuma >>. Coloro che hanno scelto di tornare ali ' alleanza antica (Sinai) agiscono come Esaù che perse l 'eredità futura. Per essi, terreno arido invaso da pruni e spine, non c ' è la benedizione di Dio, ma la sua maledizione ( 6, 7 -8), il suo severo giudizio ( l 0,27), un « fuoco che consuma >>. Il riferimento a Dt 4,24 tuttavia (« Poiché il Signore tuo Dio è fuoco divoratore, un Dio geloso >>) lascia aperta una speranza: quella gelosia di Dio non può cessare. I cristiani siano dunque pieni di riconoscenza e fedeli a Dio nel culto (assembleare). Il regno di Dio annunziato nel patto nuovo e il mediatore di questo patto sono eterni, non transitori. Dn 7, 1 3 aiuta forse l ' auto­ re: « Il regno del Figlio dell 'uomo non avrà fine >>. Rispetto e timore fanno parte del culto cristiano, nel quale Dio va venerato come « fuoco divorante >> (Dt 4,24). La menzione del fuoco riporta alla scena escatologica di Eb 1 0,27 con riferimen­ to a Is 26 , 1 1 92• L'esortazione di Eb 1 2,25-29 è molto severa e vuole dire la superiorità qua­ litativa della nuova alleanza su quella mosaica. Eb 1 2, 1 -24 e 1 2,25-29: rapporto contestuale e teologia. Eb 1 2, 1 -3 incorag­ gia a prendere esempio dai padri dell ' AT: essi hanno avuto fede e sono vissuti se­ condo la fede (v. l ). Lo sguardo sia tenuto ben fisso su Gesù, autore e pioniere (archegos) della fede per i suoi (v. 2): ogni loro sofferenza, nutrita e qualificata dalla sua, acquista in valore e non può essere certo insostenibile (v. 3). Assiso per sempre accanto a Dio (v. 2), Gesù attende di dare pieno valore alla vita di chi gli è rimasto fedele. Eb 1 2,4- 1 1 ricorda ai destinatari che gl ' interventi disciplinari del Signore sono quelli di un padre amorevole per i suoi figli (Pr 3, 1 1 - 1 2). La lo­ ro immaturità spirituale spinge Dio a « imporre loro amorevolmente >> un corret­ tivo, come esprimono i termini « rimproverare ))93, « educare >>94 e « sferzare ))95• 92 Su Eb 1 2,25-29, si veda T. K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews. Part 5 (of5 parts): The Fai/ure to Heed His Speaking in Hebrews /2, 25-29, in BS 1 46 ( 1 989) 67-75 . L'autore si esprime in termini di « regno millenario », ma impropriamente: Ebrei non è un millenarista. Se rife­ rita alla fase attuale del regno di Dio, quella da noi vissuta attualmente, l 'espressione può avere il suo senso. Ma, credo, sia meglio evitarla. 93 Elegcho ricorre in Eb 1 2,5 con il senso di far presente a qualcuno la propria infedeltà e inci­ tarlo a riordinare le proprie scelte. L'idea di un Dio che costruisce correggendo è eredità dall 'AT (Pr 3, 1 2; Gb 5, 1 7). Cfr. F. Biichsel, e/egcho, in GLNT ( 1 967) 3,392-393 . 94 Paideuo: come il Figlio ha appreso la collaborazione con il Padre (obbedienza) dai patimenti sofferti (Eb 5,8), così anche i suoi fratelli. Scopo di una correzione che fa soffrire (eis paideian, 1 2, 7) è tendere a una personalità cristiana purificata. Chi è incorso nel l ' infedeltà ha bisogno di rico­ noscere di esservi incappato, onde poter risalire la china. Tutto ciò è faticoso, ma il frutto è copioso: la giustizia nella pace ( 1 2, I l ). Se in Eb 1 2,7 leggiamo, come è preferibile perché meglio attestato, ei paideian (« se siete tenaci nella pazienza »), otteniamo una lettura aperta sul quel valore, altro frutto dell 'azione di Dio che « vi tratta da figli » e interviene per rilanciare, non per punire e abbattere. Cfr. G. Bertram, paideuo, in GLNT ( 1 974) 9, 1 78- 1 82 . 9 5 Mastigo6 ricorre i n E b 1 2,6, che s i appoggia a P r 3, 1 2. Il senso è traslato: « dare una puni­ zione educativa )), quasi sferzando, ma con la ridondanza del proprio affetto. Per il cristiano, essere

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Anche la perdita della vita fisica (« Non avete ancora sparso il sangue . . . », v. 4) può rientrare in questo comportamento di Dio. Lo scopo finale della disciplina è il rinnovamento. I lettori abbiano cura l 'u­ no dell 'altro, si incoraggino reciprocamente. Allo scopo, Eb 1 2, 1 2- 1 3 si avvale di un concentrato di eloquenti immagini : prese dalla vita fisica le prime due, ma­ ni cadenti e ginocchia infiacchite; dali ' osservazione empirica le altre tre, rad­ drizzare le vie storte perché chi zoppica non abbia a peggiorare, ma a guarire. Il valore dinamico di queste immagini sta nel decodificarle sullo sfondo della fede in Cristo, abbracciata, ma ora zoppicante. Eb 1 2, 1 4- 1 7 raccomanda ai credenti giudeocristiani di cercare la pace e la santità. Sono stati esortati a non ritardare di impossessarsi della grazia-salvezza (charis) di Dio, del Cristo cioè e del suo regno. Il rimaneme privi, l 'autoesclu­ dersene può nascere dalla « durezza di cuore >>, stando a Dt 29, 1 8 . Già in Eb 3 , 1 2 i l cuore duro è detto « radice di amarezza » perché produce allontanamento dalla comunità. Esaù rinunziò alla sua primogenitura per accontentare desideri terreni, immediati e transitori (Eb 1 2, 1 6) : ammonimento per i lettori a non rischiare la lo­ ro primogenitura cristiana (figli nel Figlio primogenito), né l ' eredità futura, per una presunta sicurezza presente. Un simile atto turba il ritmo della storia della salvezza. Esaù, rassegnato e avanti negli anni e malato, rinunziò ai suoi privilegi ereditari e non poté più riaverli. Così gli apostati: non potranno più tornare indie­ tro96. L'eredità escatologica è subordinata alle opere e alla perseveranza. Eb 1 2, 1 8-29 spiega perché i lettori dovrebbero evitare di essere come Esaù. Il brano ricorda che un privilegio più importante esige una responsabilità maggiore. L'autore cerca di scoraggiare i lettori a diventare apostati e ricorda la differenza tra l 'antica e la nuova alleanza: il monte Sinai e il monte Sion la mettono in evidenza. Il Sinai ricorda il terrore unito alla consegna della legge da parte di Dio; il Sion è associato alla gioia futura. Sul Sinai, quando la legge fu data a Mosè, il popolo fu atterrito dagli eventi di spaventosi cataclismi. La descrizione del Sion è invece gioiosa (cfr. Eb 1 2,22-24). La città del Dio vivente, la nuova Gerusalemme, quella celeste, sarà la dimora del popolo (sacerdotale) di Dio, la città che Abramo ha cer­ cato ( I l , l 0), « la Gerusalemme di lassù, libera e nostra madre » (Gal 4,2697; cfr. Ap 3 , 1 2; 2 1 ,2). Le parole « miriadi di angeli » sono in rapporto diretto con « adunanza festosa », di cui sono apposizione98, e in parallelo a « Gerusalemme celeste ». La « Chiesa dei primogeniti » è un richiamo ai santi viventi del NT. Anche se questi so­ no ancora sulla terra, sono in attesa della « città escatologica » che verrà (Eb 1 3 , 14).

fustigato da Dio è essere amato da Uno che lo >, dal momento che koite è un eufemismo per la relazione sessua­ le1 19. Costruito sull 'assonanza timios e amiantos (« sia rispettato - non sia macchia­ to »), il v. 4 presenta un chiaro parallelismo antitetico. Una corretta vita cristiana chiede che il matrimonio sia tenuto in onore, in ogni situazione (en pasin, al neutro) e da tut­ ti, cioè da ognuno (en pasin, maschile). Le due letture sono egualmente attendibili 120. Un' ampia tradizione attesta il peso dell 'argomento nella riflessione pre- e protocristiana: il matrimonio « sia rispettato », non venga « macchiato » dali 'a­ dulterio (Sap 1 4,24), sia irreprensibile ed encomiabile 1 2 1 , rispettabile 1 22 e sano 123• Queste dichiarazioni non intendono intervenire contro pratiche ascetiche, tese a sminuire il valore del matrimonio, ma contro il disordine (Sap 1 4,24b) e la sre­ golatezza ( Testamento di Aser 5, 1 ), contro una concupiscenza incontrollata (Tb 8,7)1 24: non è consentito falsare il matrimonio 1 25, comportarsi in esso in modo in­ decoroso 1 26, assecondare desideri al di fuori di esso 127• Ciò non è secondo il Signore, ma cedimento alla concupiscenza1 28• Quella di l Cor 5, una relazione in­ cestuosa, è certo un « matrimonio » non degno di lode. Mentre da un lato alcuni padri della Chiesa fondano in questo verso la bontà del matrimonio visto con l 'occhio della fede 129, dali 'altro va ridimensionato il pa1 17

Quasi letteralmente, Eb 1 3,4a ricorre in Clemente di Alessandria, Stromata 1 29, l e Costituzioni apostoliche 6, l l ,6; 6,28,6. Si veda anche Ef 5,5. 1 18 Va sottinteso esto, imperativo. Cfr. M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica! Analysis of the Greek New Testament, p. 687. 1 19 Koite: « Letto, talamo (= matrimonio Eh 1 3,4), relazione sessuale (avere figli, Rm 9, 1 0), rapporto sessuale immorale (Rm 1 3 , 1 3) >> . Cfr. B. Buzzetti, Dizionario base del NT, Libreria Sacre Scritture, Roma 1 989, p. 9 1 . 1 20 En pasin: può essere considerato al neutro o al maschile; se al neutro, avremmo « in ogni cir­ costanza », compresi i tentativi ascetici di sottovalutare il matrimonio; se al maschile, « da parte di tut­ ti, fra tutti ». L'autore potrebbe pensare in primo luogo ai coniugati: che il loro matrimonio sia sano. 121 Così, ad esempio, Filone di Alessandria, De specialibus legibus l, 1 3 8. 1 22 Cfr. Pseudo-Clementine, Omelie 1 3 , 1 8, 1 . (B. Rehm, ed.), vol. I, Homilien, Akadamie Verlag, Berlin 1 969. 123 Così G. Flavio, Antichità giudaiche 3 ,274. 1 24 Si veda ancora Filone di Alessandria, De sacrificiis A belis et Caini 1 34; Ignazio di Antiochia, A Policarpo 5,2 1 25 Cfr. Filone di Alessandria, De /osepho 45. 1 26 Così G. Flavio, Antichità giudaiche 4,245 . 127 Si veda Filone di Alessandria, De losepho 44; De specialibus legibus 2,50; 3,63. 1 28 Così Ignazio di Antiochia, A Policarpo 5,2. 1 29 Si legga Clemente di Alessandria, Stromata, 4, 1 29, 1 . Commentando Mt 1 9, 1 0: « Se questa è la condizione dell'uomo in rapporto alla donna, non conviene sposarsi (Mt 1 9, I O) », Clemente si do-

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rere di quanti vi vedono una dura condanna di pratiche ascetiche contrarie al ma­ trimonio 1 30. In verità, si tratta molto più di un invito pressante alla fedeltà coniu­ gale. L' adulterio è una rottura del patto matrimoniale e un attentato all 'unità e in­ tegrità della comunità cristiana. Dio giudicherà (severamente) l 'adulterio, non solo, ma anche l 'abuso della propria libertà nella sfera sessuale 1 3 1 , che in tanto è rispettata in quanto è coniugata con la sfera affettiva. In verità, la sottolineatura che sarà Dio (ho theos) a giudicare, e non altri, suggerisce che « adulteri e forni­ catori » (v. 4) appartengono alla giusta misericordia di Dio e a nessun altro. Il binomio « fornicatori e adulteri » (pornoi kai moichoi) evoca due proble­ mi etico-sociali: la porneia, il piacere di una sessualità senza amore e la moicheia (adulterio), un valore semantico più specifico. Sarà il caso di ricordare che la sfe­ ra sessuale nel mondo ellenistico 132 era regolata da leggi molto libere, da una pro­ miscuità rampante fino alla prostituzione sacra nei templi. Nei teatri, la fedeltà era molto denigrata a sostegno dei rapporti extramatrimoniali. In questo degrado, la cristianità formava un' isola di stabilità e fedeltà matrimoniali, ereditate dalla cultura ebraica. Pornos133 si legge già in Eb 1 1 ,3 1 a proposito di Rachab: non giumanda: « . . . È utile sposarsi? Sì, io sono di questo avviso, perché "onorabili sono il matrimonio e il let­ to coniugale senza macchia" (Eb 1 3,4); esso è utile per chi è temperante, non per coloro che sono in­ saziabili e vogliono avere per la carne più riguardo di quanto non ne debba di fatto avere ». Per Gregorio di Nazianzo (Discorsi 37,9, in SC 3 1 8, p. 29 1 ), « il matrimonio, l 'unione coniugale, il desi­ derio di avere una posterità, è buono ». Per Gregorio di Nissa ( Verginità 8, in SC 1 1 9, p. 359), > (krinei) « fornicatori » (pornous) e « adulteri » (moichous), coloro cioè che « intrigano per corrompere "ciò che è in tutta verità

1 34 Documentazione in KNTTM.SB, vol. III, pp. 342-343 . 1 35 Così Epitteto, rispettivamente in Dissertationes 4, 1 ,2 1 e in Dissertationes 2,8, 1 3 . Forte an­ cora la condanna di Musoni o Rufo, Diatriba 1 2, appena ricordata. Cfr. F. Hauck - S. Schulz, porne, in GLNT ( 1 975) 1 0, 1 457- 1 458. 1 3 6 Cfr. Hipponax, Fragmento, in E. Diehl (ed.), A nthologia Lyrica Graeca. /amborum Scriptores, Teubner, Lipsia 1 954, fascicolo 3, vol. III, p. 99. 1 37 Si leggano: Is 57,3; Gb 24, 1 5 (LXX); Sal 49, 1 8; Pr 6,32; Sap 3, 1 6; Sir 25,2; Filone di Alessandria, De vita Mosis 1 ,300; De decalogo 1 23 ; 1 26; 1 29- 1 30; G. Flavio, Contra Apionem 2, 1 99-203 ; Pseudo-Focilide 1 75-206. 1 3 8 Così informa Filone di Alessandria, De specialibus legibus 3,58. 1 39 Ampia documentazione su Mt 5,32 (porneia-moicheia) in KNTTM.SB, vol. I, pp. 3 1 2-32 1 . Quel comportamento è l 'unico caso in cui Gesù stesso riconosce che la comunità coniugale è viola­ ta e che « di e Ehegemeinschaft tatsiichlich aufgehoben ist » (KNTTM. SB, vol. I, p. 3 1 2, su Mt 5,32). Sembra essere il pensiero di Eb 1 3 ,4. 140 Si vedano l Clemente 35,8; Ignazio di Antiochia, A Policarpo 5, 1 ; Lettera di Barnaba 1 0,7. 141 Rappresentative le posizioni di Epitteto, Dissertationes 2,4,2; Musonio Rufo, Diatriba 1 2 (cfr. Von der Beziehung der beiden Geschlechter, pp. 275-277). 142 Il talamo è macchiato da Ruben: Gn 49,4; I Cr 5, 1 ; Testamento di Ruben 1 ,6. Inoltre, Mie 2, l ; Sir 1 8, 1 8; Sap 3, 1 6. Il giudizio è molto duro.

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un matrimonio onorabile e un letto nuziale senza macchia" (Eb 1 3 ,4a) »? 143• Quelle forti sottolineature hanno un potenziale pedagogico deterrente, come tali non riflettono necessariamente situazioni deplorevoli nella comunità né tanto meno escludono la riconciliazione e la rinascita. L'esortazione al v. 4 è orientata a creare mentalità e persuasione, onde favorire scelte stabili e durature. Anche il comportamento di Gesù va in questa direzione. L'accoglienza da lui riservata alle prostitute (Mt 2 1 ,3 1 -32; Le 7 ,36-53) non è tolleranza della pro­ miscuità, ma esprime efficacemente il possibile riordinamento di una esistenza disorientata. È in questa direzione che l ' autore sembra muoversi, quando precisa che è solo Dio (ho theos), e non altri, colui che soppesa, valuta e « giudicherà » (krinei) ; egli solo possiede i criteri di valutazione esatta della situazione, solo lui è in grado di rimettere in moto un potenziale umano deviato. E il suo intervento è nel tempo: ripristino dell 'equilibrio psicoantropologico nella fede e oltre il tem­ po: un giudizio escatologico ben espresso dal futuro krinef. Si può forse dire che sia dei fornicatori, cioè infedeli al proprio mondo sentimentale, cosificatori della propria persona e di quella altrui, sia degli adulteri, cioè infedeli alla propria scel­ ta matrimoniale, di entrambi Dio è disgustato, ma resta in attesa. Trovo l ' inter­ pretazione di questo punto, in via generale, molto letterale e non armonizzata con il caso di Esaù (cfr. 1 2, 1 6). Krinef esprime il motivo del futuro giudizio di Dio introdotto da gar (infat­ ti), come già in l 0,26.30-3 1 . Mentre in l C or 1 5 , 1 3 « Dio giudicherà quelli di fuo­ ri )), cioè i non cristiani, Eb 6,4-6 vedrebbe in « quelli di fuori )) quanti sono in­ corsi definitivamente in un ' irrevocabile punizione, in una perdita definitiva della salvezza (in verità, impensabile ! ), sullo stile del giudizio futuro di Dio previsto dai cataloghi di vizi registrati dalla tradizione paolinica delle lettere pastorali. Questa posizione, in verità estrema e intransigente 144, è ravvisata nel fatto che l 'autore non farebbe riferimento alcuno ali ' incontro con Dio sul tipo di 1 2, 1 4: « Cercate . . . la santificazione (ton hagiasmon), senza la quale nessuno vedrà mai il Signore )). In verità, quel motivo c ' è ed è proprio in 1 2, 1 4, oltre che altrove. Esso è criterio portante per l 'autore, il quale, avendolo già indicato come tale, non lo ripete di continuo. E, poi, come può essere pensabile una perdita « defini­ tiva )) della salvezza per chi quella salvezza ha già ricevuto « una volta per sem­ pre )) ! Il dono dell ' iniziazione cristiana nel battesimo è ormai un fatto stabile e in­ cancellabile. Esso potrà essere vissuto con totale incoerenza, ma resta. Come già in Eb l , l , la menzione di Dio (ho theos) cade in ultima posizione e chiude il v. 4, come a dire: l ' intervento punitivo di Dio ha luogo solo quando ogni altro tipo di suo tentativo correttivo non ha ottenuto lo scopo. Il fornicatore e l 'a­ dultero non potranno vedere il Signore, perché hanno interrotto il rapporto di san­ tificazione con lui ( 1 2, 1 4). Dunque, per sempre lontani da lui? Sta di fatto che quel giudizio è e resta suo e solo suo: del Dio vivente, terribile e geloso. Accanto alla 14 3 Così Gregorio di Nissa, Verginità 1 6, 1 . Cfr. M. Aubineau (ed.), Traité de la virginité, SC 1 1 9, Cerf, Paris 1 966, p. 45 1 . 1 44 Così H. Braun, An die Hebriier, p. 453. Ma cfr. C. Marchese Ili-Casale, Le Lettere Pastorali, pp. 1 1 2- 1 1 4.

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severità, deterrente del quadro generale, questo motivo di speranza resta in piedi. Essendo di tipo pastorale, l ' esortazione è di fatto intesa a promuovere l ' armonia della famiglia cristiana. La vacillante fede di comunità che vanno disertando l ' as­ semblea liturgica (episynagoge, 1 0,25), nella quale ci si può esprimere come fa­ miglia di Dio, finirebbe per avere negativi influssi sulla compattezza della fami­ glia cristiana. Questo il preoccupato pastore intende evitare145• Nuovo dettaglio esortativo: sull 'uso del denaro, sul rischio di cedere alla bramosia dell 'arricchirsi, anziché accontentarsi di quanto si riesce ad avere. Il NT ha sempre respinto l 'attaccamento eccessivo ai soldi, il desiderio delle ric­ chezze e la fede nell 'opulenza 146• Per i primi cristiani l ' attaccamento al denaro era un indizio d' indipendenza da Dio; tale insidia è messa in evidenza da Gesù in Mt 6, 1 9.24; Le 1 2, 1 5, in cui il legare la vita alle ricchezze ha due pericoli: cede­ re il passo a un nemico sempre in agguato; e quando quel presunto tesoro verrà meno, anche la propria vita crollerà. Per evitare tanto disastro, « non essere di co­ loro che nel ricevere allargano la mano e la stringono invece nel dare », annota Didachè 4,5 con riferimento a Sir 4,3 1 : « La tua mano non sia aperta a ricevere e chiusa nel dare ». Saresti un avaro: e l 'avarizia è allontanarsi da Dio e circondar­ si di mezzi umani ritenuti esaurienti, al punto da considerare Dio superfluo. Ebrei non si appella alla tradizione, ma preferisce attingere a Dt 3 1 ,6.8 e Gs l ,5, ottenendone un versetto composto da un imperativo sottinteso (esto) e un participio (arkoumenoi) dello stesso valore. Ne risulta la traduzione seguente : « Il modo di vivere dev 'essere libero dali ' amore per i soldi, e devi accontentarti di ciò che hai ». Poi va oltre. Il dettaglio esortativo è messo a punto con sensibilità pastorale grazie ancora a Dt 3 1 ,6 (LXX), un 'eloquente citazione di incoraggia­ mento, costruita sull 'amore stabile e sicuro di lui: « Il Signore non ti lascerà e non ti abbandonerà mai >> : Dio assicura la sua costante presenza. Ciò è detto in forma intensiva e con procedura ad effetto, formulata con due negazioni: « Non ti lascerò mai solo, non ti abbandonerò mai ». E che quella sua presenza, una volta sperata, è già ali ' opera, lo assicura l ' eplicito appoggio al Sal 1 1 7,6 in Eb 1 3 ,6: « Il Signore è il mio aiuto, non temerò. Che cosa mi potrà fare l 'uomo? ». Ognuno deve sapere e con certezza che potrà cantare con il salmista: « Il Signore è mia forza e mio canto » (Sal 1 1 7, 1 4a). Se l 'autore si dilunga su questa ingiunzione è perché sta pensando ai profughi cristiani, che hanno dovuto lasciare le loro pro­ prietà ( l 0,34-36); il pericolo di una nuova confisca dei beni è tutt' altro che im­ maginario. Il solo pensarci provoca ansietà e preoccupazioni e il contraccolpo di una corsa ali 'accumulo di beni. In 1 3 ,6 i vari sentimenti di paura, timore e incer­ tezza o addirittura di morte (2, 1 5) sono annullati dali ' inattaccabile presenza di Dio, al quale essi sono offerti come vero sacrificio ( 1 2,28). Egli è boethos (aiuto, v. 6), hapax /egomenon in Ebrei dal Sal 1 1 7,6, e aiuta il giusto. La bramosia è una enorme minaccia per la pace del pellegrinante popolo di Dio (Ef 5,5; l Cor 5, 1 1 ; l T m 3,8). L'accontentarsi invece è un potente alleato (Fil 4, 1 1 ; l Tm 6,6) : fa evitare corse incontrollabili e passi affrettati, mette in luce 145 Cfr. H. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13,25, vol. III, p. 348. 146 Si pensi a Mc 4, 1 9; At 5, l ss. (Anania e Saffira); l Cor 6, I O; Ef 5,3; l Tm 6, 1 O; Gc 5, l .

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quanta e quale miseria la cupidigia introduce nella vita, fino a indurire le corde della compassione 147; favorisce l 'equilibrato rapporto con quanto si ha. Eb 13,1-3.5-6 riceve una luce inattesa da un documento del secolo Il, La morte di Peregrino 1 48, a firma di Luciano di Samosata 149• Vi si parla di cristiani alla ricerca di un credente imprigionato: Peregrinus è il suo nome. Essi si adope­ rano per otteneme il rilascio; gli portano cibo, leggono con lui le Scritture sacre; raccolgono per lui denaro; trascorrono in visita da lui tempo adeguato per recar­ gli conforto. Tutto ciò che sappiamo di questo protagonista (un cristiano del se­ colo Il, sconosciuto, Peregrino appunto) lo deduciamo dal pungente resoconto di Luciano di Samosata1 50 sulla morte dell ' insegnante cinico Peregrinus Proteus 1 5 1 , che aveva personalmente conosciuto. Luciano ha solo disprezzo per quest'uomo, un esibizionista che mise in scena la sua morte ai Giochi olimpici per assicurarsi vasto pubblico e reputazione durevole. La conoscenza del cristianesimo da parte di Luciano è però molto impreci­ sa. Egli sa che Gesù è stato crocifisso in Palestina, ma non ha conoscenza alcuna delle circostanze che hanno portato alla sua esecuzione. Da accanito oppositore della cristianità, Luciano di Samosata non aveva interesse alcuno a precisare il dato storico-teologico di quell 'evento. Eppure, senza volerlo, egli fornisce una buona giustificazione alla struttura di Eb 13,1-6. Luciano spiega a Cronius152 che il modo di rapportarsi vigente fra i cristiani è del tutto inusuale: essi si considera­ no l 'un l ' altro « fratelli » 1 53• Egli richiama l ' attenzione sul loro atteggiamento verso i beni materiali e descrive la loro disponibilità a condividere con gli altri ciò che appartiene loro, secondo l ' insegnamento di Gesù.

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Su Eb 1 3 , 1 -6 si veda T.C. Smith, An Exegesis ofHebrews 13,1-17, in F&M7 ( 1 989) 70-78. Edizione còtica in A.M. Hann on (ed.), Lucian. V.· The passing ofPeregrinus (LCL 302), W. Heinemann Ltd., London 1 962, pp. 1 -5 1 . Se ne occupa WL. Lane, Unexpected Light on Hebrews 13, 1-6 from a Second Century Source, in PRS 9 ( 1 982) 267-274. 149 Luciano di Samosata ( 1 2 1 - 1 8 1 d.C. ca.) è scòttore satiòco greco. Ci sono giunti di lui set­ tanta scòtti : retoòci, letteraò, filosofici. A questi ultimi appartiene La morte di Peregrino. -Jso Scòve di lui J. Quasten, Patrologia, vol. I, Maòetti, Casale Monferrato (AL) 1 980, p. 1 66: « Fra i pòncipali avversaò del còstianesimo del secolo Il, òcordiamo l 'autore satiòco Luciano di Samosata che, nel De morte Peregrini, scòtto nel 1 70, gettava il òdicolo sui fedeli per il loro amo­ re fraterno e il loro disprezzo della morte » . 151 Peregrinus nacque da genitoò agiati a Paòum, una piccola cittadina greca nell 'Eilesponto. Da giovane fu preso da affaò d' amore e da violenti litigi in casa. Lasciò Paòum perché sospettato di avere strangolato suo padre. I suoi viaggi lo portarono in Palestina, dove fu introdotto alla còstianità. Con il passare del tempo fu òconosciuto come profeta e capo nei circoli còstiani, raggiungendo una considerevole reputazione come interprete delle Scòtture e difensore della fede còstiana. Quando Peregrinus fu impògionato perché còstiano, le Chiese di Palestina e di altri luoghi accorsero in suo sostegno. Peregòno coronò la sua vita con un sensazionale suicidio: si gettò nelle fiamme di una ar­ dente pira funeraòa davanti a una folla ammirata in occasione dei Giochi olimpici dell 'anno 1 65 . A una statua eretta in suo onore furono accreditati dei miracoli e attrasse un gran numero di pellegòni. 15 2 Non sappiamo chi sia questo Cronius, probabilmente un coròspondente epistolare di Luciano di Samosata. Vero o fittizio? Resta un mistero come per l '« illustre Teofilo >> degli scòtti lucani. 153 La sorpresa di Luciano è giustificata. « Fratelli » è un termine inusuale, dunque una novità del tutto còstiana, e dice bene che anche un acculturato come Luciano non fosse in grado nel seco­ lo Il di capire una raccomandazione come quella di Eb 1 3, l: « Perseverate nell'amore reciproco co­ me fratelli ». cui retrostà M t 23.8 : « . . . E voi tutti siete fratelli ». Una novità insolita! 148

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Parte seconda. Traduzione e commento

« Non dimenticate l ' ospitalità » (Eb 13,2) esprime amore fraterno. Si legga 3Gv vv. 5-8 ove « l 'anziano » dà il profilo di un certo Gaio: « Carissimo, tu ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai per i fratelli, anche se essi sono estranei per voi. Essi hanno parlato alla Chiesa del vostro amore. Farete bene a provve­ derli nel viaggio in maniera degna di Dio. È per amore del nome di Cristo che an­ darono lontano, senza ricevere alcun aiuto dai pagani. Perciò dobbiamo mostrare ospitalità a questi uomini, così che possiamo lavorare insieme per la verità )). Questo brano richiama quanto detto in 13,1-2 e quanto Luciano asserisce di Peregrinus 1 54• Questi era stato servito bene grazie al vitto che i cristiani prepara­ vano per i fratelli che viaggiavano. Scrive Luciano di Samosata nell 'ultimo punto del suo resoconto : « Egli (Peregrinus) lasciò la sua casa, allora per la seconda volta, per girovagare, sapen­ do di avere un 'ampia risorsa di fondi nei cristiani, grazie alla generosità dei qua­ li egli viveva in piena prosperità >) 155• « Ricordatevi dei prigionieri )) (Eb 13,3). L'esposizione di Luciano diventa una preziosa fonte di informazione quando egli riferisce sulla reazione delle comunità cristiane in occasione del suo imprigionamento. Quella reazione è in sintonia con 13,1-3 e ne riflette la paràclesi: il sostegno dell 'amore fraterno, il suo tradursi in ospitalità, il ricordarsi di coloro che sono in prigione. Il fatto che alcuni capi dor­ missero nella cella di Peregrinus, e che nel secolo II i cristiani raccogliessero le lo­ ro risorse per sostenere chiunque fosse stato imprigionato, il riferimento alla con­ divisione dei pasti, alla lettura delle Scritture e alla loro esposizione, indica che i cristiani erano ansiosi di estendere al prigioniero le esperienze della casa-Chiesa e spiega come la Chiesa del secolo II cercasse di attuare il precetto « di visitare i car­ cerati e di ricordare coloro che erano in carcere come se fossero stati compagni di cella )). Il sostegno dato a Peregrinus è paragonabile a quello che Paolo ricevette dalle Chiese della Macedonia e dell 'Asia quando fu imprigionato 156• « La (vostra) condotta non sia avida di denaro )) (13,5), la vostra vita non sia dominata dal denaro. Luciano scrive che l 'atteggiamento dei cristiani verso i be­ ni materiali è basato sulla convinzione che essi godranno della vita eterna. Simile enfasi sull 'assenza d' interessi materiali e della paura (13,6) di fronte alla morte, in presenza di minacce ambientali ostili, si trova in 13,5-6. L'ammonimento : « La vostra condotta non sia avida di denaro », sia cioè senza avarizia (aphilargyros), « accontentandovi di quello che avete )) ( 13,5), è sostenuto dalla promessa divina che Mosè ricorda a tutto Israele: « Non temere . . . Il Signore Dio tuo cammina con te. Egli non ti lascerà e non ti abbandonerà mai )) (Dt 31,5). I confronti tra La morte di Peregrinus ed Eb 13,1-3.5-6 sono di rilievo per­ ché non intenzionali. Luciano non era consapevole che le spiegazioni che andava offrendo al suo amico Cronius sulla fede e sulla prassi di vita dei cristiani della prima ora avrebbero contribuito a far luce sulle loro tradizioni: amore fraterno, 154 Questo confronto tra due testi del NT mette bene in luce la sintonia degli atteggiamenti cri­ stiani con il dinamismo della tradizione. 155 Cfr. M. Harmon (ed.), Lucian. V.· The passing ofPeregrinus 1 6, p. 1 8. 156 Si leggano: Fil 2,5-30; 4, 1 0- 1 8; Tt 3 , 1 3 ; 2Tm 1 , 1 6- 1 8.

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ospitalità, interesse per un fratello arrestato, atteggiamento distaccato dalla ric­ chezza e fiducia nei confronti della morte, tutte qualità che distinguevano i cri­ stiani del suo tempo (e che ritroviamo in Eb 13,1-3.5-6). E vi è di più: la testi­ monianza di Luciano attesta, sia pure indirettamente, che la paràclesi di Eb 13,1-6 divenne proposta vitale per le Chiese del secolo II con riverbero inevita­ bile nelle strutture sociali del mondo ellenistico-romano. [13,7.15.17] Appello a un 'esistenza peregrinante. Cinque i momenti di pro­ filo: rapporto sereno e cooperativo con le guide della comunità (13,7.17); peren­ nità di Cristo (13,8); « Non lasciatevi fuorviare » da false dottrine e falsi dottori (13,9); saper distinguere l 'altare cristiano da quello giudaico (13,10-14)157; chiu­ sura a mo' di sommario (v. 15). [v. 7] « Ricordatevi delle vostre guide che vi hanno annunziato la Parola di Dio )) (v. 7). Hegoumenos si può rendere con « pensatore )) 158, dunque una guida ca­ rismatica che « pensa )) il proprio ministero nella comunità alla luce della Parola Il compito prioritario per gli hegoumenoi era infatti annunziare la Parola. La formula: « Hanno annunziato la parola di Dio )) è standard e caratterizza il ministero missio­ nario1 59. Lo stesso autore di Ebrei deve essere stato un missionario; quella formula­ zione lo esige 1 60 . Inoltre, quella sottolineatura riporta i destinatari ai momenti di fon­ dazione della loro comunità cristiana, nella Parola annunziata dalle loro guide carismatiche. Per i lettori di Eb 13,7 tutto questo è un motivo in più per collaborare con le proprie guide, offrendo loro un'obbedienza operosa e responsabile: « Figlio mio, ricordati di giorno e di notte di chi predica la Parola di Dio e onorato come il Signore )), esorta Didachè 4 e le fa eco la Lettera di Barnaba 19,9: « Amerai come la pupilla del tuo occhio chi ti dice la Parola di Dio )) 161. Guidare la comunità, gui­ dati dalla Parola. Ecco il profilo delle « guide )). Di esse, Ebrei richiama la fede da 157 « Recidere ogni connessione con il giudaismo ». Così A. Vanhoye, Struttura e teologia nella epistola agli Ebrei, 1 983, vol. II, pp. 1 3 5- 1 49. Dichiarazione da risoppesare? Cfr. J. Fischer, Covenant, Fulfilment and Judaism in Hebrews, in ERT 1 3 ( 1 989) 1 75- 1 87: Ebrei non scalza la componente ebraica del cristianesimo, né è un attacco al giudaismo, ma pone Gesù come vero cen­ tro e scopo del giudaismo stesso. Testi come Eb 6, 1 -2 ; 8,7- 1 3 ; 9,3- 1 0; 1 3, 1 0. 1 4 sono tutti intonati alla continuità tra giudaismo e cristianesimo. Del resto, lo stesso A. Vanhoye, Les Juifs selon les Actes des Apotres et /es Épitres du Nouveau Testament, in Biblica 72 ( 1 99 1 ) 87-88; Id., Salut uni­ versel par le Christ et validité de l 'A neienne A lliance, in NRT 1 1 6 ( 1 994) 829-834 (=Salvezza uni­ versale nel Cristo e validità del/ 'Antica A lleanza, in La Civiltà Cattolica 1 45 ( 1 994) 433-445), ha migliorato se stesso. 158 Due i significati di hegeomai: « guidare, condurre » e « stimare, credere, ritenere, pensare ». I due sensi, qui, sembrano fondersi bene. In Eb 1 3 ,24 il saluto è rivolto prima agli hegoumenoi e poi agli agioi, le due componenti della comunità. Gli hegoumenoi sono le guide che « vegliano >> sulla comunità e ne sono responsabili davanti a Dio ( 1 3 , 1 7); i membri della comunità prestino loro ascol­ to e diano loro collaborazione obbedienziale fattiva. Anche i fondatori della comunità ormai defun­ ti sono considerati ancora sempre hegoumenoi a motivo della forza trainante che la loro fede spri­ giona. II loro ministero della Parola sopravvive a loro stessi. La disponibilità agli hegoumenoi, devota e operosa, è un elemento essenziale della pietà cristiana, è deferenza alla dignità del loro ser­ vizio-ministero. Cfr. F. Biischel, hegeomai, in GLNT ( 1 968) 4,9- 1 1 . Si vedano anche l Clemente l ,3; 21 ,6, e il Pastore di Erma. Visioni 2,2,6. 1 59 La si legge in At 4,3 1 ; 8,25; Mc 2,2; Fil l , 1 4; l Pt 4, I l e altrove. 160 Così anche A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 245. 161 Testo in A. Quacquarelli (ed.), l padri apostolici, p. 2 1 2.

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imitare e il loro esempio di vita, un potenziale trainante verso Dio: annunzio e testi­ monianza, detti e fatti. E non è da escludere che qui si pensi anche al martirio162• Per questo già Paolo, in quanto guida, chiese alle sue comunità di imitarlo, essendo egli imitatore di Cristo163• Non si tratta di imitare Paolo, ma di lasciarsi prendere dalla forza trainante che ha preso lui. E se Paolo afferma questo, è perché i vangeli non erano ancora stati scritti. Ai suoi ascoltatori-lettori non restava che vivere conside­ rando il suo stile di vita. Così anche ai destinatari di Eh 13 non resta che « osserva­ re attentamente il risultato (ekbasis) del . . . tenore di vita » (v. 7b) delle loro guide: apostoli, profeti, maestri, vescovi, presbiteri, diaconi e altri ancora, in servizio ec­ clesiale con uffici ministeriali diversi (cfr. Didachè 4,5), e « imitarne la fede ». Si tratta di persone note, delle quali non è necessario fare i nomi; oltretutto parla per es­ si il loro ministero nella comunità, in opere della fede. L'espressione solenne, « esi­ to (ekbasis) della loro condotta (di vita) », pone dunque in luce la fedeltà esemplare nella fede da essi proposta con la vita e il risultato operativo e programmatico: ri­ pensare a come hanno condotto e concluso la loro vita (v. 7b) e lasciarsi avvincere dalla loro fede, fino alla parusia. È il senso di ekbasis164 combinato con ana­ strophe165. Formale e idiomatica, l 'espressione è riferita alle guide che, forse già nel riposo sabbatico (katapausis) di Dio 166, hanno lasciato come eredità il potenziale trainante della loro vita, la testimonianza alla Parola annunziata e il faticoso impe­ gno nella fedeltà alla fede167• Ora, queste guide cambiano o sono già scomparse; eb­ bene, Cristo rimane: a lui bisogna « guardare », a lui « (che è) ieri e oggi lo stesso e per sempre )) (v. 8). Nonostante la morte dei loro capi di ieri e la provvisorietà degli attuali, in presenza di un evolversi della storia in apparenza non favorevole, Gesù Cristo è stabile e permanente, iniziatore e perfezionatore della nostra fede (Eh 12,2). Delle guide si torna a parlare al v. 1 7. Di chi si tratta? Forse di quelle in cari­ ca nel momento in cui ha luogo la redazione di Ebrei, diverse dunque da quelle del v. 7? O di quelle delle diverse comunità, cui lo scritto viene inviato? Osserviamo il significato di peithesthe168 e hypeikete169 (v. 1 7a, verbi ali ' imperativo): « obbedire-

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« . . . Il racconto del martirio degli apostoli intende non tanto soddisfare una pia curiosità, quanto promuovere un modello da imitare, proprio riprendendo l 'esortazione di Ebrei )). Così G. Poupon, Les actes apocryphes des apotres de Lefevre à Fabricius, in Id., Les apocryphes des Apotres. christianism et monde pai"en, Labor et Fides, Genève 1 98 1 , p. 27. 16 3 Cfr. 1 Cor 4, 1 6; 1 Cor 1 1 , 1 ; 2Ts 3,7. Così T.C. Smith, An Exegesis ofHebrews 13,1-17, in F&M 7 ( 1 989) 70-78. Ma nel senso sopra indicato. 164 Nel NT troviamo e kbasis solo in Eb 1 3,7; 1 Cor 1 0, 1 3 ; neii 'AT in Sap 2, 1 7; 8,8. Il senso po­ trebbe essere: « Il modo in cui periodi e tempi giungono al loro termine, i loro risultatifina/i)). Così B. Buzzetti, Dizionario base del NT, Libreria Sacre Scritture, Roma 1 989, p. 48. 1 65 Cfr. M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica[ Analysis of the Greek New Testament, p. 688. 166 Lo lascerebbe intendere l 'aoristo elalesan, che potrebbe richiamare un ministero svolto nel passato. 1 67 Per questo significato, cfr. W. Michaelis, mimetes, in GLNT ( 1 97 1 ) 7,273-274. 1 68 « Questo verbo ha diversi significati. In Eb 1 3 , 1 8 abbiamo peithometa e significa "siamo convinti"; altre volte il senso è decisamente "ubbidire" come in Eb 1 3, 1 7 >>. Così già R. Bultrnann, peitho, in GLNT ( 1 974) 9, 1 360- 1 36 1 . 1 69 HypeikiJ (Eb 1 3 , 1 7) è sottomettersi (al l ' autorità di qualcuno), tenere un atteggiamento sot­ tomesso, meglio « essere deferente )).

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aderire nella persuasione » il primo, « cedere, sottomettersi » il secondo 170• Tenendo conto di ciò, sono possibili le seguenti interpretazioni : il v. 17 giustifica l 'autorità delle guide, responsabili della comunità e di fronte alla comunità; è una dichiara­ zione di sostegno alle guide ne li ' esercizio del loro ministero; vuole intimidire la comunità, farle capire che essa è peccatrice, mentre le sue guide sono rette. Autorità tirannica quest' ultima171, e le prime due restano discutibili. È infatti nella natura delle « guide » conduce il gregge con la persuasione, mediante dialogo e coerenza di vita. Se è vero che esse devono presentare il con­ to del loro servizio 1 72 a Dio, è anche vero che la comunità deve corrispondere173• La conseguenza del collaborare porta vantaggi nella fede : alle guide e al gregge. I cristiani non sono una massa amorfa, ma una comunità ben strutturata che ha guide carismatiche. Menzionate due volte, ai vv. 7 e 17, esse sono una magna in­ clusio che fa da cornice a 13,7-17. Momento centrale: Cristo è ormai il mediato­ re della parola di Dio (v. 8). Secondo 13,7, egli esercita la sua mediazione per mezzo delle guide; sono esse che di fatto hanno annunziato ai cristiani la parola di Dio. Per questo i credenti sono invitati a sintonizzarsi con esse. E poi non può essere solo un puro caso il fatto che la doppia menzione delle guide inquadri un brano che definisce il culto cristiano, al cui altare solo i credenti hanno diritto di mangiare (13,10); a quell ' altare essi sono chiamati a rendere il sacrificio di lode (13,15) e della carità fraterna (13,16) e, in tutto questo, a compiacere il Signore (v. 16). Nominate prima e dopo, le guide sono in rapporto stretto con l ' azione re­ dentiva del culto cristiano 1 74• In Eb 13,1-7 si ha la risonanza concreta della solidarietà del Figlio (sacerdo­ te misericordioso e compassionevole, 2,17-18) verso i suoi fratelli (2, I l ), solida­ rietà umana, fraterna e sacerdotale. Essa muove i suoi a essere solidali l 'uno con e per l ' altro. Oltre a un nuovo e fecondo rapporto con il « trono della grazia », es­ si dovranno curare un nuovo rapporto fra loro, in opere d'amore fraterno e di fe­ de. Novità neotestamentaria, qui in Ebrei, rispetto ali ' AT? 175•

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« Eh 1 3, 1 7 avverte i lettori a "lasciarsi persuadere" dalle loro guide e a "essere loro sottomessi". Poiché la traduzione usuale suggerisce una posizione di comando da parte dei capi e un typos legale di autorità, tale traduzione suscita discussioni e oscillanti opinioni ». T.M. Willis, «Obey your leaders »: Hebrews 13 (7 & 17) and Leadership in the Church, in Restoration Quarterly 36 ( 1 994) 3 1 6-326. 171 « Eb 1 3, 1 7: richiamare l 'obbedienza ai capi, in assoluto e fuori contesto, sembra contraddi­ re le implicanze antigerarchiche di Ebrei. Posto nel contesto, il brano richiama la comunità cristiana ali ' obbedienza solidale e non a un 'obbedienza cieca. Realtà, quest'ultima, assente nel NT ». Così W. D. Meyer, Obedience and Church A uthority: The Problem of the Book of Hebrews, in AsiaJT 28 ( 1 996) 9-28. La traduzione è mia. 1 72 « Noi vediamo che la cosa stessa accade in chi ha attraversato l 'acqua. Essendosi consacra­ ti a Dio, essi obbediscono con sottomissione a coloro che, nel sacerdozio, hanno ricevuto la cura del­ le cose di Dio, secondo quanto dice l 'Apostolo ». Così Gregorio di N issa, Vita di Mosè 2, 1 30 (SC I bis), pp. 69-70. 173 « Come il servo al padrone, la moglie ali 'uomo, la Chiesa a Cristo, così i discepoli obbediscano a maestri e pastori ». Così Gregorio di Nazianzo, Ad cives nazianzenos. Orationes 1 7, in PG 35,974. 1 74 Si legga A. Vanhoye, Sacerdoti antichi e nuovo sacerdote, LDC, Torino 1 990, pp. 1 8 1 - 1 82. 175 Così pensa G. W. Grogan, The 0/d Testament Concept ofSolidarity in Hebrews, in Tyndale Bulletin 49 ( 1 998) 1 59- 1 73 . Ma sarà il caso di ricordare Lv 1 9, 1 8b (> di Cristo è costituito da « i giorni della sua vita terrena » (Eb 5, 7), quando ha solidarizzato in tutto con i suoi fratelli e ha annunziato loro (2,3-4) la grande sal­ vezza (2,3a), quando ha compiuto la purificazione dei peccati ( 1 ,4), dopo avere gridato al Padre di liberarlo dalla morte (5,7); quel suo « oggi » è visibile e speri­ mentabile da noi in forza del suo sacrificio, unico e irripetibile, celebrato una vol­ ta per sempre, e che egli continua a presentare alla Presenza. I suoi discepoli at­ tual izzano quotidianamente quel suo sacrificio, e solo quello. Anzi, l ' intero popolo di Dio presenta al Padre « continuamente un sacrificio di lode » (Eb 1 3 , 1 5 ; Lv 7, 1 2). Quel popolo è infatti popolo sacerdotale: « Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti » 1 79• Ma l ' « oggi » di Gesù il Cristo è prevalentemente il tempo dell 'ascolto e dell 'attuazione della vo­ ce di Dio: « Ascoltate oggi la sua voce » (3, 1 5 ).

176 Cfr. H. W. Montefiore, A Commentary on the Epistle to the Hebrews, p. 242 : «La sconnes­ sione è causata dali 'assenza di un verbo, il contesto suggerisce una formula liturgica ». Altri paral­ leli di formule di fede in Rm l 0,9: «Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crede­ rai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo » e in l Cor 1 2,3: «. . . Nessuno può dire che "Gesù è Signore")) (lbid. , p. 242). 177 A partire da Es 3 , 1 4 questa spiegazione del nome santo attraversa i secoli. La si ritrova in Esodo Rabba 3 (69c). Cfr. KNTTM.SB, vol. III, p. 750. 178 Cfr. B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, p. 437. 179 Così Is 6 1 ,6. Ancora prima Es 9, 1 6; poi l Pt 2,9- 1 0; Ap 5 , 1 0. Sul popolo sacerdotale, cfr. V. M. Femandez, La vida de las cristianos seglln la carta a las Hebreos, in Revista Biblica 52 ( 1 990) 145-152. Cfr. , qui, Il messaggio teologico, pp. 680-683 .

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Eis tous aionas (« . . . per sempre>> ) è chiave interpretati va dislocata lungo tut­ to il « trattato », a sostegno del sacerdozio di Cristo, « eterno » (cfr. 7, 1 7). Da qui la stabilità della sua persona non provvisoria, l ' inesauribilità del suo insegna­ mento a custodia della comunità, in una continua e armonica crescita180• Una ri­ sonanza di Eb 1 3 ,8 nel Sal l O l richiama l ' attenzione: il salmi sta prega di non es­ sere tolto dai suoi giorni (vita). Destinatario di questa sua preghiera è JHWH. Egli lo può ascoltare ed esaudire. Infatti, « i tuoi giorni sono eterni, non così i miei. La mia vita è come ombra (v. 1 2), tu sei per sempre (v. 1 3) »: confessione ionica. « Tutto passa, tu resti per sempre (v. 28) »: altra confessione ionica. È il tema del tempo-vita: « passa come fumo (v. 4), non ha consistenza né durata; secca come vegetazione (v. 1 2), invecchia come un vestito, come un mantello: entrambi cam­ biano. Tu resti per sempre ». Si osservi la forza delle abbondanti immagini mes­ se in azione dal salmista. In particolare, non sfugga l 'ardita operazione ermeneu­ tica di Eb 1 3 ,8, che applica a Gesù il Cristo ciò che il Sal l O l dice di JHWH 1 8 1 • Gesù i l Cristo è ho autos (lo stesso) nel suo profilo terreno e i n quello cele­ ste: nel suo immutabile e unico sacerdozio (Eb 7,23), a differenza dell ' intermi­ nabile serie di sacerdoti del l ' antica legge (7 ,22, mortali e sempre da sostituire); nel suo immutabile e unico sacrificio, a differenza dei molteplici sacrifici, insuf­ ficienti e sempre da ripetere. Gesù è sacerdote secondo l 'ordine di Melchisedek. Questi, del quale non si conosce né nascita né morte, « vive » ed è prefigurazione di Gesù il messia, il Cristo risorto ed esaltato alla destra del Padre ( 1 2,2b + Sal l 09, l ). Come tale, ho autos è il Gesù terreno e il Cristo celeste : vive per sempre (7,24) e opera la salvezza in ogni tempo (7,25)182• Uno e unico e sempre lo stesso, egli è guida-sacerdote del suo popolo, dal vol­ to giudeo-etnicocristiano. Traballante nella fede, esso è esortato a ricordare e imi­ tare la vita delle guide carismatiche della comunità; esse hanno affrontato la morte senza desistere dalla fede 183• La formula, che non implica necessariamente martirio, esprime comunque una vita vissuta e conclusa nella testimonianza di fede. L'autore potrebbe pensare a Stefano protomartire o a Giacomo, o anche a Pietro e Paolo. Si 1 80 Meno attendibile il parere di P.R. Jones (A Superior Life: Hebrews 12, 3-13, 25, in Review and Expositor 82 [ 1 985) 40 1 ), il quale pone di più l 'accento sull 'ontologia di Cristo, immutabile nella sua natura e nel suo insegnamento. Ma non sembra il pensiero proposto qui da Ebrei. 181 Analisi formale (Critik Form) dettagliata del Sal 1 02( 1 0 1 ) in R.C. Culley, Psalm 102: A Complaint with a Difference, in Semeia 62 ( 1 993) 1 9- 3 5 . F. Sedlmeier (Zusammengesetzte Nominalsetze und ihre Leistungfiir Psalm CJI, in VT 45 [ 1 995) 239-250) conferma per via di anali­ si nominale la polarizzazione tematica già individuata da R. C. Culley per analisi formale. L'analisi delle frasi nominali, imprescindibile, pone l 'accento non sull'azione o evento descritto nel verbo (R.C. Culley, Psa/m 102: A Comp/aint with a Difference, in Semeia 62 [ 1 993] 27-28), ma sul sog­ getto dell'azione verbale e sul suo comportamento (F. Sedlmeier, Zusammengesetzte Nominalsetze und ihre Leistungfiir Psalm CII, in VT 45 [ 1 995] 249-250). Per entrambi gli studiosi, l ' intenzione del salmista è un contrasto che attraversa tutto il salmo: da un lato la creazione e la sua transitorietà, dali 'altro la imperturbabile stabilità di mwH e la sua eternità. Ebrei coglie nel segno e trasferisce il tutto su Gesù il Cristo. Su li ' efficacia del contrasto «perenne-transitorio >>, cfr. utilmente T. Lorenzin, l Salmi, pp. 398-40 1 . 182 Forse non così E. Griisser (An die Hebriier. Hebr 10,19-13,25, vol. III, p. 372), che vede in ho autos un titolo cristologico, peculiare in Ebrei. 183 È il suggerimento dell ' imperativo esortativo mnemoneuete.

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tragga ispirazione dalla loro testimonianza. Egli inoltre ricorda che i responsabili delle comunità oggi ci sono, domani non più (Eh 7,23). L'unico intramontabile lea­ der ( 1 2, 1 -3) vive e vuole condurre il suo popolo nella sua casa, la città di cui è co­ struttore Dio stesso ( 1 1 , l 0). Guide costruttive, secondo 1 3 ,7, sono i fedeli annun­ ciatori della Parola: essi non annunziano se stessi, ma Gesù il Cristo, il primo fedele testimone della fede in Dio (Eh 1 3 ,7; Ap 1 ,5); la loro fede è provata, il loro mini­ stero è arduo e coraggioso: sono pastori zelanti che hanno cura del popolo di Dio e non cercano posizioni di prestigio e di comando ( 1 3, 1 7; l Pt 5, 1 -3). Saggia annota­ zione dell 'autore che lascia intravedere tensioni socioreligiose tra autorità struttu­ rale e autorevolezza pastorale. Nella o nelle comunità giudeocristiane di Roma e dintorni doveva essere in corso un dibattito al riguardo184. Gesù Cristo è lo stesso nel suo insegnamento e nella sua benevolente miseri­ cordia. Il senso del v. 8 va còlto anche in riferimento al v. 7 e al v. 9, fra i quali è redazionalmente situato dallo scrittore: inattendibili insegnamenti sul cibo, tenta­ zione a riabbracciare legalismi giudaici o ad accogliere suggerimenti non sani sul tipo di Col 2, 1 6. La solidità del messaggio cristiano corrobora e rafforza il cuore con il dono della grazia (v. 9); è stile di Dio e di Gesù il Figlio. Quest'ultimo ha trascorso la sua vita, dal battesimo alla crocifissione, a contatto con peccatori, ha raccontato la parabola del fariseo e del pubblicano (Le 1 8 ,9- 1 4), del padre com­ passionevole e del fratello adirato (una famiglia che, spiazzata, si ritrova, Le 1 5 , 1 1 -32). In Eh 8, 1 2 il patto di Dio con il suo popolo è così descritto: « Sarò cle­ mente verso le loro iniquità » (cfr. ancora 2,9; 4, 1 6; 1 2,24; 1 3 ,25). L' insegnamento di Gesù non cambia (e se sì, solo nel senso dell 'approfondimento), come accade invece per insegnamenti stravaganti e peregrini (v. 9). Autorevolmente attestato nel codice D* (secolo VI), « Amen » dice il carat­ tere liturgico della trilogia: « (a) Gesù Cristo lo stesso ieri (b) e oggi (c) e per sem­ pre »185. Una omologia che, stando alla storia delle forme, chiude una professio­ ne di fede in Gesù: egli è il Cristo, è stabile e permanente come Dio, è presente nella storia del suo popolo, ieri e oggi e ancora186. La comunità resti fedele al con­ tenuto di questa professione di fede. Esso è nuovo, non poco problematico e per­ ciò stesso insidiato; anzi, è oltremodo scandaloso dire alla sinagoga ebraica che proprio il Gesù crocifisso è il Cristo promesso e atteso (cfr. l Cor 1 ,23). È provo­ cazione inaudita dire loro che quel Gesù è « ieri e oggi lo stesso e per sempre >> e professare, così, che egli ha una dignità simile a quella di Dio-JHWH: costa molto « raccontare >> che quella formula concisa e perciò stesso incisiva e ben memoriz­ zabile 187 è sullo stesso piano di Es 3 , 1 4, in cui Dio-JHWH racchiude in sé passato, presente e futuro (Sir 38,22), essendo egli, Dio, l 'unico essere188. È difficile in1 84 Cfr. W.L. Lane, Social Perspectives on Roman Christianity during the Formative Years from Nero to Nerva: Romans, Hebrews, /Clement, in K.P. Donfried - P. Richardson (edd.), Judaism and Christianity in First-Century Rome, pp. 2 1 4-2 1 7. 1 85 O anche «Gesù Cristo lo stesso (a) ieri (b) e oggi (c) e in eterno », in cui «Gesù Cristo (è) lo stesso », tiene uniti i tre momenti della trilogia, ai quali è soggetto comune. 1 86 Cfr. H. W. Attridge, The Epistle to the Hebrews, p. 390, nota 2. 18 7 La si legge già in Omero, !fiade l , 1 70. 188 Cfr. Filone di Alessandria. De vita Mosis 1 .75.

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trodurre una novità strutturale in una prassi religiosa già tanto consolidata e restìa a cambiamenti di sorta: che cioè in Gesù vi è il Cristo garante di un nuovo rap­ porto con Dio; e che una simile professione di fede avvenga in contesto pasqua­ le, sembra voluto dali ' attendibile allusione di 1 3 ,8 a formule liturgiche proprie della celebrazione pasquale 1 89• Se questo è il Sitz im Leben nel quale si sono mos­ se le « guide carismatiche >> della comunità, a quest'ultima non resta che seguire quelle orme 190• Nel continuo variare delle cose, esposti alla stanchezza nella fede, in cam­ mino verso il riposo di/in Dio, quello sabbatico (Eb 4,9}, comunque nella fede, perché ogni speranza è infatti possibile solo nella fede ( 1 1 , l ), anche se stanca e cadente, i destinatari di Ebrei abbiano ferma la persuasione di essere in marcia verso il trono della grazia (4, 1 6), già ora sperimentabile e godibile. Là, nel tem­ pio celeste, attende colui che resta al di là di ogni cambiamento e di ogni tra­ monto: « Der Bleibende bleibt; was bleibt, ist der Bleibende » (« Colui che rima­ ne, resta, e ciò che resta è solo colui che rimane »), e questi è Gesù il Cristo, « ieri e oggi lo stesso e per sempre »; come tale, egli è l ' eschaton, il compimeno di ogni umana attesa, il traguardo della storia nel suo insieme. Così pensa Ebrei; e la co­ munità, con il suo Amen 19l. [13,9-14. 1 5] Siamo al momento finale dell 'esortazione: uscire incontro a Gesù il Cristo, fuori dall 'accampamento giudaico per entrare in quello cristiano, e identificarsi lì con lui e la sua causa. Il motivo centrale di Ebrei torna a essere mes­ so in luce: popolo pellegrinante di Dio, in sintonia con la generazione del deserto, pellegrini verso il « suo riposo » (cfr. 3 , 7 - 4, 1 1 e 1 1 , l - 1 2,2). Andare incontro a lui, che è già nel riposo di Dio, è per i cristiani continuare quel pellegrinaggio: aspetto dinamico della cristologia di Ebrei ottenuto attraverso un rispettoso co­ stante confronto con l 'economia mosaica. L'autore si muove sul retro fondo di Mt 2, 1 3 - 7 ,29; At 7, 1 4-46; l Cor l O, 1 - 1 5 e lascia così apparire la sua tendenza a coor­ dinare la prima con la nuova alleanza. Un argomento a favore dell 'unità di Ebrei. La struttura sintattica di Eb 1 3 ,9- 1 4. 1 5 si presenta così : vv. 9- 1 0

vv. l l a. l 2a vv. 1 3a. l 4a v. 1 5a

Dottrine contrarie all ' « altare » (thysiaterion) . Cibi-mangiare (bromata-phaghein) : elemento letterario co­ mune ai due versetti. Gar (infatti), dio (perciò); toinun (perciò); gar (infatti); oun (dunque).

Questa struttura lascia intendere che il v. l O sia motivazione del v. 9. I vv. 1 1 14 presentano il contenuto della motivazione (gar, v. l l a): al positivo ai vv. 1 1 - 1 2 189 Si vedano, ad esempio: Sal l l l ( l l 0),8- 1 0; 1 1 3( 1 1 2), 1 -3; 1 36( 1 35), 1 ss. Così A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 246. 190 Non sfugga la sintonia di Eb 1 3,8 con la paràclesi del NT (Rm 1 5, 7; Ef 4,5-6; 5, 1 4). 191 Si veda lo studio di K.M. Woschitz, Christus (gestern, heute) und der se/be in alle Ewigkeit, in Renovatio 56 (2000) 77-82. Questi propende per l ' interpretazione escatologica di Eb 1 3,8. Buona in sé, essa è riduttiva nell ' insieme. A. Paciorek (Jesus Christ is the Same Yesterday, Today, and Forever [Hbr 13,8}, in RoczTK 45 [ 1 998] 1 65- 1 66, sintesi inglese) rileva l 'uso di Eb 1 3,8 da parte di Origene,

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(gar-dio), dove il v. 1 2 motiva il v. I l ; e al negativo ai vv. 1 3 - 1 4 (toinun, dunque; gar, infatti : vv. 1 3a. l 4a), dove il v. 1 4 motiva (gar, perciò) il v. 1 3 . Il toinun del v. 1 3 attesta la connessione sintattica e logica del v. 9 con i vv. l 0- 1 2 . Il v. 1 5a (« per mezzo di lui, dunque [oun}») chiude il tutto e riformula la necessità di do­ ver ben distinguere i due altari. Veniamo ai singoli momenti. [v. 9] Apre la microunità letteraria di Eb 1 3 ,9- 1 4. È parere diffuso che ricor­ ra qui uno dei più complessi passi del NT. La sua interpretazione dipende da co­ me viene spiegato il v. 9b: « Il cuore venga rinsaldato dalla grazia (chariti), non da cibi rituali (bromasin) >>. Si tratta in particolare della parola brama. Nel mez­ zo delle sue esortazioni, e senza dare spiegazione alcuna, l 'autore introduce un tema nuovo e avverte la comunità di tenersi lontana da dottrine varie e peregrine: « Non spostate i limiti fissati dai vostri padri, non disprezzate il discorso sempli­ ce della predicazione ordinaria, non date preferenza alle dottrine complicate >>, scrive Gregorio di Nissa192• Quali193? Abbiamo un solo indizio, bromata, proba­ bile riferimento al cibo rituale e alle sue molteplici prescrizioni e proibizioni . Deporrebbero a favore i vv. l 0- 1 2 e l 'uso del verbo peripateo. In buona sin toni a con la ha/iika giudaica, esso indica quanti seguono quelle prassi rituali come scel­ ta di vita194• Vi farebbe pensare anche l 'uso di chariti contrapposta a « legge >>, chiamata in causa, quest'ultima, dalle molteplici prescrizioni rituali, « dottrine variegate e peregrine » (didachais poiki/ais kai xenais), da sempre del tutto inca­ paci di rinsaldare il cuore dei credenti, di offrire loro un qualunque aiuto 195 • Se questa lettura è corretta, questi cibi cultuali e rituali (bromata) sono legati a rela­ tive festività giudaiche, dunque al tempio e agli ambienti sinagogali da esso lon­ tani, onde dare ai pii israeliti il senso concreto della solidarietà con il culto al tem­ pio di Gerusalemme. Chi, fra i giudeocristiani destinatari di Ebrei, fosse coinvolto in simili cibi rituali, riconoscerebbe di fatto la validità del tempio e del suo culto, ne verrebbe come sviato. Da qui l 'esortazione: « Non lasciatevi porta­ re via » (me parapheresthe) . E ciò è del tutto contrario al messaggio messo a pun­ to dali 'autore, il quale vede in Gesù Cristo il punto stabile di riferimento ( 1 3,8; di Gregorio di Nazianzo, di Cirillo d i Alessandria e Atanasio. Questi se n e servono per sostenere l e due nature di Gesù Cristo nella sua unica persona (vertenze ariana e nestoriana). Ma il problema non è di Ebrei. Eppure, A. Paciorek « esorta )) gli esegeti ad apprendere dai padri della Chiesa il senso vitale dei testi, in connessione con i momenti storici della fede cristiana. Siamo alla Wirkungsgeschichte, a cui l 'esegesi dà una attenzione sempre maggiore, mai però prescindendo dal Sitz im Leben in cui un testo è stato redatto. Questo punto resta saldo e prioritario. Ebrei non pensa alla persona unica di Gesù in due nature! Come a dire che i patrologi non possono prescindere dagli esegeti. 192 Cfr. Gregorio di Nissa (335-394 ca), Lettere 3,26 (P. Maraval [ed.], Letters), (SC 363), p. 145. 1 93 «"Gesù Cristo ieri e oggi lo stesso e per sempre". A questa perennità del vero fondamento della fede cristiana si aggancia l 'esortazione a non lasciarsi "portar via" (me parapheresthe), proprio il contrario di quella stabilità. Le "dottrine" varie e stravaganti sono tema costante in Ebrei: mettere in guardia i lettori cristiani contro il pericolo di andare fuori strada (2, l ); di allontanarsi (3, 1 2); di ve­ nir meno (4, l ); o di abbandonare la via o l 'impegno cristiano assunto ( l 0,35) )). Così R. Fabris, Le lettere di Paolo, vol. III, p. 767. Ma si può essere più precisi: l 'autore pensa alle dottrine sui sacrifi­ ci cruenti consumati sul l 'altare del tempio, di cui subito appresso ai vv. 1 0- 1 3 . 194 Cfr. M. Zerwick - M . Grosvenor, A Grammatica l A nalysis of the Greek New Testament, p. 688: peripatountes. 195 È il valore rispettivamente del l ' infinito perfetto passivo bebaiousthai e di ouk ophelethesan.

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anche Gd v. 1 2 ; Ef 4, 1 4) e nella sua morte i l compimento delle attese dello Jom KippCir. Quella morte va al cuore del tempio e del suo culto e ne dichiara « obso­ leta » ogni prassi : ora c ' è il nuovo 196. Allusione a G. Flavio 197? O all 'ascetismo propinato da insegnamenti sul tipo di quelli menzionati in Rm 1 4,2.2 1 ; l Tm 4,3 e Col 2, 1 6.2 1 ?198. O alla partecipazione a conviti pagani come quelli menzionati in l Cor 8- 1 0; Ap 2, 1 4.20? 1 99. Non sappiamo. Del resto, l ' espressione « dottrine di­ verse (poikilais} » escluderebbe che l 'autore stia pensando a insegnamenti preci­ si200. Trattandosi poi di « dottrine straniere (xenais) », si potrebbe pensare a in­ flussi dottrinali dali 'estemo201 ? In verità, ciò non è necessario, se diamo a xenais la lettura metaforica di « peregrine, vaganti ». Si tratta cioè di insegnamenti ormai non più compatibili con le tradizioni religiose dei destinatari. Nel qual caso, in ba­ se a Eb 1 3 , l O, lo stesso culto ebraico potrebbe essere fonte di tali ritualità non condivise e relative fondazioni dottrinali. Già abbandonate, perché ormai divenu­ te « peregrine », esse sono ancora sempre guardate con nostalgia. Il che non sor­ prende, se si considera che molti lettori cristiani erano ebrei convertiti. Con una formulazione stilizzata, di tipo ellenistico202, l 'autore esorta a che non ci si lasci rifagocitare, come « trasportare via »203 da ciò che sta per dire ai vv. l 0- 1 1 . Ci si renda invece attenti ali 'ascolto di un messaggio che va ben oltre gli angusti limi­ ti di pratiche rituali (vv. 1 2- 1 4). L'autore continua a confrontare l 'evento salvifi­ co cristiano con le sue prefigurazioni anticotestamentarie e ne mostra sia l 'analo­ gia sia il superamento: metodo ampiamente utilizzato in tutto il suo « trattato >>. [ 13, l O-l S] Introdotta dal v. 9, la microunità letteraria di Eb 1 3 , l 0- 14. 1 5 evolve in due momenti: vv. l 0- 1 1 , dove i l v. 1 1 motiva i l v. l O; vv. 1 2 - 1 4, dove il v. 1 3 motiva il v. 1 2 e il v. 14 il v. 1 3 . Riassumendo il tutto, il v. 1 5 chiude la peri­ cope dei vv. 1 0- 1 4. [v. 10] Si parla di un altare (thysiasterion) del tutto diverso da quello che si trova nel tempio giudaico204: La croce, la celebrazione pasquale o forse entram-

196 Cfr. P. Walker, Jerusalem in Hebrews 13,9-14 and the Dating of the Epist/e, in Tyndale Bulletin 45 ( 1 994) 40-4 1 . 197 « Ora sono spiacente che tali statuti si siano fatti contro dei nostri amici e alleati e che si sia vietato loro di vivere in modo conforme ai propri usi e di contribuire con denaro ai pasti comuni e ai sacri riti, perché questo non fu loro proibito neppure a Roma ». Così G. Flavio, Antichità giudaiche 1 4, 1 0,8, a proposito de li ' opposizione dei cristiani al culto ebraico e alle relative usanze di vita. 198 Così già O. Miche!, Der Brief an die Hebriier, pp. 493-498, appoggiandosi anche a G. Flavio, Guerra giudaica 2,4 1 4 . 199 Così, a d esempio, già J. Moffatt, A Critica/ and Exegetical Commentary, pp. 232-234. 200 Come invece sembra il caso di 2Tm 3,6 e Tt 3,3, ma con espressioni letterarie ben diverse. 201 Così C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 560. 202 Così K. Berger, Hellenistische Gattungen im NT (ANRW 25 .2), W. De Gruyter, Berlin New York 1 984, p. 1 349. 203 È il senso più appropriato del! ' imperativo passivo me parapheresthe (cfr. Ef 4, 1 4 ). 204 Thysiasterion appartiene allo speciale vocabolario giudeocristiano. Ricorre sulle 400 volte nella versione dei LXX, 1 9 volte nelle opere di Filone di Alessandria, 24 negli scritti di G. Flavio e ancora negli apocrifi e pseudepigrafi. Indica il luogo del sacrificio, l 'altare, sul quale il sacrificio è offerto (thyij) e custodito (tereion) . Così Filone di Alessandria, De vita Mosis 2, l 06; De specialibus legibus l ,290, la cui spiegazione è filologica. Proveniente dalla letteratura giudaica, il termine ap­ proda nel NT e negli scritti cristiani antichi, si può dire, direttamente: 23 volte nel NT, 1 5 volte nei

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bi? Si deve pensare a un altare materiale, o molto più a uno non materiale, anche se legato ali ' evento concreto della morte sacrificate di Gesù?205 • L'altare celeste, presso cui Gesù Cristo sommo sacerdote continua a officiare il suo sacrificio, perfetto e perenne, è da escludere206• Lo esige la formulazione « diritto di man­ giare », riferimento esplicito alle vittime presenti sull ' altare e che i sacerdoti do­ vevano consumare (Lv 6,26; 1 0, 1 4; Nm 1 8,9). Si potrebbe pensare che l ' altare di Eh 1 3 , 1 0 sia una metonimia e stia per la morte sacrificate di Gesù, celebrata nel nuovo « santo dei santi », il luogo del Cranio, fuori dal recinto sacro giudaico, sul nuovo altare, la croce. Si ha così il nuovo J6m KippOr, la nuova pasqua; essa innova l ' antico culto sacrificate d'Israele207• Questo suggerimento è attendibile208, anche a motivo del verbo pha­ gein (mangiare), il quale costringe a prendere il dovuto contatto con i sacrifici dell ' AT e la relativa consumazione delle carni immolate, quivi compresa la cele­ brazione della pasqua al tempio di Gerusalemme. Essendo quest 'ultimo ormai di­ strutto, diventa necessario considerare le celebrazioni-cene sacrificali che erano diventate tradizione nella diaspora: la cena del sabato, quella pasquale, la cena in occasione dell 'accoglienza di nuovi prose liti e altre cene cultuali209• Un'equivalenza comune, di per sé scontata, c'è: quello di Eh 1 3 , 1 0 è un al­ tare al quale si accede per consumare la cena pasquale. In essa si fa memoria del­ la croce e della esaltazione-risurrezione di lui, ora assiso per sempre alla destra della Maestà ( 1 ,3d). A questa cena non hanno il diritto (ouch echousin exousian) o, meglio, non hanno la possibilità effettiva (exousia) di prendervi parte quanti non gli appartengono e continuano a servire nel tabernacolo dell ' antico patto; e neppure i cristiani hanno più diritto di partecipare ali 'altare antico. Esso non fa parte della novità della fede cristiana, sia pure nella continuità giudeocristiana. Le rispettive vittime si escludono a vicenda. padri apostolici, 3 volte negli scritti di Giustino. La dipendenza dal linguaggio giudaico anticotesta­ mentario si tocca con mano, spesso con citazioni dirette. Dati in H.J. Klauck, Thysiasterion in Hebr 13, 10 und bei Ignatius von Antiochien, in H.J. Klauck (ed.), Gemeinde-Amt-Sakrament (neutesta­ mentliche Perspektiven), Echter, Wiirzburg 1 989, pp. 359-36 1 . 205 Ebrei confronta Gesù Cristo con il cuore del giudaismo. L'identità del Cristo non respinge quella del giudaismo. Il compimento evolve infatti come stratificazione e non disgiunzione, e molti passi di Ebrei non sono in contrasto con altri del NT. Questa conclusione è inoltre supportata da un esa­ me del retroterra culturale delle pratiche di alleanza del Vicino Oriente e dai contesti storici del mar Morto. Così J. Fischer, Covenant, Fulfilment and Judaism in Hebrews, in ERT 1 3 ( 1 989) 1 75- 1 87 . 206 La questione fa ancora discutere. Un sintetico status quaestionis in H.J. K1auck, Thysiasterion in Hebr 13, 10 und bei Ignatius von Antiochien, in H.J. Klauck (ed.), Gemeinde-Amt­ Sakrament (neutestamentliche Perspektiven), pp. 362-363 . 207 Segnalo M.E. Isaacs, Hebrews /3,9-16 Revisited, in NTS 43 ( 1 997) 268-284. 208 È anche il suggerimento di R. Keresztky, The Eucharist in the Letter to the Hebrews, in Communio/JntCathRev 26 ( 1 999) 1 54- 1 67 . 2 09 Dati i n H.J. Klauck, Thysiasterion in Hebr 13,10 und bei Ignatius von Antiochien, i n H.J. Klauck (ed.), Gemeinde-Amt-Sakrament (neutestamentliche Perspektiven), p. 362: Eb 1 3, IO potreb­ be alludere alla cena gnostica, da sempre sottoconsiderata; mangiare a quell 'altare è ricevere nutri­ mento per il cuore, cioè per il nucleo centrale della persona umana, per l 'anima. Allusione a 1QSa 2, 1 7-22? O anche a Giuseppe e Asenet 1 5 , 1 3 - 1 5? Pasti sacri ordinariamente previsti dal culto giu­ daico. Per Eb 1 3, l O, il riferimento è al servizio cultuale nel tabernacolo del l ' antica alleanza, tipo ombratile dell 'antitipo: l 'altare pasquale nel tabernacolo della nuova alleanza. Altre allusioni sono poco attendibili. Tutt'al più si potrebbe pensare a mere risonanze.

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« Quelli che rendono servizio alla tenda (hoi tr skenr latreuontes) » sono il sommo sacerdote, in occasione dello Jom Kippùr, i sacerdoti secondo Lv 1 6210, nonché i pii israeliti che salgono al tempio per il culto; ma anche quegli ebrei che, divenuti cristiani, continuano a intrattenere un rapporto cultuale con le loro tradi­ zioni giudaiche o se ne stanno lasciando riassorbire e magari rivestono ancora po­ sizioni di rilievo. Di essi l 'autore aveva già detto in 8,5 : « Essi attendono a un ser­ vizio che è una copia e un 'ombra delle realtà celesti ». Si ricorderà, inoltre, che Eh l O, 1 1 usa leitourgein per indicare la celebrazione sacrificate presieduta dai sacerdoti secondo l ' ordinamento levitico, il quale distingue nettamente tra l ' of­ ferta sacerdotale (leitourgia) e quella degl ' israeliti, popolo di Dio (latreuein-la­ treia ; Nm 1 6,9b [LXX]). Eh 1 3 , 1 0 sorvola questa distinzione e impiega la­ treuontes per gli uni e per gli altri, tentativo ben riuscito di relativizzare il sistema cultuale giudaico2 1 1 • Ecco dunque che cosa l ' autore intende dire ai suoi destinatari : essi hanno, in lui, un altare del tutto nuovo e vero che offre loro la realtà e non la sua ombratile anticipazione. Nel rispetto del valore del tempio giudaico, egli spinge con forza i cristiani a compiere una scelta: dichiarare quel tempio e il suo culto ormai privi di valore; è subentrato infatti il nuovo tempio, l 'altare dell ' alleanza nuova, del sacrificio nuovo, per le mani del sacerdote nuovo, Gesù il Cristo che « compie >> sulla croce la sua offerta redentiva2 12, « una volta per sempre ». Un raffronto con Ignazio di Antiochia può migliorare la comprensione di Eh 1 3 , 1 0: Altare solo pasquale, o anche eucaristico? Eh 1 3 , 1 0 non sembra muo­ versi nella prospettiva eucaristica tipica del protocristianesimo; thysiasterion è un termine troppo specifico per potere acquisire un significato così nuovo. Eppure, av­ valersi di parole antiche dando loro un senso nuovo, quasi una rifondazione del lin­ guaggio corrente, era operazione normale in epoca protocristiana; inoltre thysia­ sterion appartiene al vocabolario cultuale giudeocristiano2 13• Del resto, il fatto che in Eh 9,4 esso sia « l 'altare d'oro per i profumi » (e altrove quello dei sacrifici) at­ testa la flessibile applicazione del termine. Si può ritenere che 1 3, l O sia un riferi­ mento generico ali ' evento salvifico gesuologico-cristologico, il cui punto culmi­ nante è l ' offerta redentiva di Gesù sulla croce. Fin qui sembra giungere l 'orientamento generale degli esegeti. Essa è l 'altare del tutto speciale che la co­ munità cristiana possiede, e al quale non possono accostarsi coloro che servono al­ l 'altare nel tabernacolo: sia perché in tal caso dovrebbero uscire dali 'accampamen­ to sacro per entrare in un luogo non sacro; sia perché la croce è un obbrobrio. Per la comunità cristiana invece, quella croce è redentiva, è potenza e sapienza di Dio che salva, mentre per l 'ebreo è scandalo e per il pagano è stoltezza ( l Cor 1 ,23-24).

2 10 Lv 6, 1 7- 1 9.22 e 7,6 riportano norme per la consumazione da parte dei sacerdoti degli olo­ causti offerti in riparazione dei peccati: « È cosa santissima». 211 Cfr. N.H. Young, « Bearing His Reproach » (Heb1 3, 9-14), in NTS 48 (2002) 243-26 1 , qui 247. 2 12 Cfr. P. Walker, Jerusalem in Hebrews 1 3, 9- 1 4 and the Dating of the Epistle, in Tyndale Bulletin 45 ( 1 994) 4 1 -42. 2 13 Si esprime in questa direzione e autorevolmente A. Vanhoye, Sacerdoti antichi e nuovo sa­ cerdote, p. 1 80.

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L' impiego del verbo phagein (mangiare) suggerisce un breve approfondi­ mento. Spiegarne l 'uso con la sola allusione al fatto che nel giorno dell 'espiazio­ ne il sommo sacerdote non aveva il diritto di consumare le carni della vittima im­ molata sull 'altare del « santo dei santi >> non è esauriente. Si tratta infatti del solo sommo sacerdote, mentre 1 3 , l O parla di « coloro che servono nel tabernacolo ». Si ha cioè un plurale. Inoltre, al v. l O possiamo intendere anche così : « Abbiamo un altare al quale noi abbiamo il diritto di mangiare, ma non coloro che . . . >> . Anche se il riferimento ali 'altare della celebrazione pasquale non è esplicito ( ep­ pure il raffronto del thysiasterion cristiano con il thysiasterion nel « santo dei santi », di certo coraggioso, deve avere un contenuto che possa stare ali 'altezza del raffronto), esso va ritenuto o almeno evocato proprio dal verbo « mangiare ». Avremmo un impulso in direzione della celebrazione pasquale eucaristica in se­ no alla comunità cristiana. Combinando Eh l 0,25 con 1 3 , l O, avremmo i due pos­ sibili passi ove l ' allusione eucaristica sembra avere consistenza2 14• Ignazio di Antiochia non vuole interpretare Eh 1 3 , l O, ma vi contribuisce co­ munque : Agli Efesini 5,2: « Chi non è nel recinto dell 'altare - thysiasterion - (dove l 'assemblea cristiana si raduna) rimane privo del pane di Dio >> . L'abbinamento « altare - mensa del pane >> risalta da sé. Ai Magnesi 7,2: « Accorrete tutti insieme a un unico tempio, a un unico alta­ re, cioè a Gesù Cristo . . . >>. Si vede bene l ' identificazione del binomio « tempio­ altare >> con la persona di Gesù Cristo. Ai Filadelfi 4, l : « Procurate dunque di partecipare a una sola eucaristia, poi­ ché una è la carne del Signore nostro Gesù Cristo, uno è il calice che ci unisce nel sangue di lui, uno è l 'altare . . . ». Di questa ricca unità non possono godere coloro che servono nel tabernacolo dell ' AT. Ai Trallesi 7,2: « Chi è nel recinto dell 'altare è sano (mondo); chi non è nel recinto dell 'altare non è sano (mondo) ». Cioè chi fa qualche cosa (il riferimento è alla celebrazione eucaristica) senza il vescovo, senza il collegio dei presbiteri e senza i diaconi, costui non è sano nella sua coscienza. Anche qui il binomio « al­ tare-eucaristia >> è chiaro; quest'ultima poi è segno di unità della comunità. Ai Romani 2,2: « Una sola cosa concedetemi : lasciate che io sia immolato a Dio, finché l 'altare è pronto ». Ignazio desidera essere immolato sull ' altare del Colosseo, a Roma, lì « tramontare al mondo per risorgere in Dio », come Gesù è stato immolato sull 'altare della croce. In tal modo traspone il mistero eucaristico, evocato in thysiasterion, nella sua vita personale, fino alle estreme conseguenze. Se in Eh 1 3 , 1 0 il termine thysiasterion non implica la celebrazione eucari­ stica, in Ignazio tale implicazione è forte. Nella formulazione: « Abbiamo un al­ tare al quale (noi abbiamo diritto di mangiare . . . ma altri) non hanno diritto di mangiare . . . », proprio il verbo « mangiare >> potrebbe fare da ponte di collega2 14 Cfr. S. Ruager, « Wir haben einen A/tar » (Hebr 1 3, 1 0. Einige Oberlegungen zum Thema: Gottesdienst-Abendmahl im Hebriierbrief, in KD 36 ( 1 990) 72-77. Anche J. Swetnam, che però am­ plia di molto il numero delle allusioni e riconosce in esse un valore eucaristico marcato. Si veda qui Il messaggio teologico, pp. 7 1 2-7 1 6 e 7 1 6-7 1 8.

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mento. Le evocazioni eucaristiche esplicite in Ignazio di Antiochia, non lo sono altrettanto in Eb 1 3 , 1 0 da dove tuttavia non possono essere del tutto escluse. Su un risultato del genere ci si potrebbe ritrovare e accontentare. Avviato al v. l O, l 'appello si sviluppa in 1 3 , 1 1 - 1 4, condotto in stile paracletico: come già in Eb 34 esorta a entrare nel riposo di Dio, in Eb 9- 1 O spinge a portarsi con audacia nel santuario e in Eb 1 1 esalta il cammino deciso di chi procede in avanti, quasi ve­ desse l ' invisibile, l 'autore incoraggia ora i cristiani delusi a vivere apertamente la loro fede, senza patteggiamenti con un passato obsoleto, piuttosto accogliendo il nuovo. Il fondamento del suo appello ai vv. l l - 1 4 lo preleva da Lv 1 6,27 (Jom KippDr) : i corpi degli animal i bruciati fuori dall ' accampamento suggeriscono il parallelo con la morte di Gesù consumata fuori dal la città di Gerusalemme (v. 1 2). Sorprende che l 'appello a uscire e a identificarsi con lui (v. 1 3) sia in con­ trasto consapevole con Lv 1 6,28: colui che brucia gli animali per il sacrificio rientrerà poi nel campo. Per i cristiani il luogo sacro non è un approdo sicuro, ma, pellegrinanti nel tempo, essi devono fare i conti con sofferenze e prove; guardino a lui, audace nella fede. [vv. 1 1-12] Dopo essersi pronunziato per la non validità dei « cibi rituali >> (bromata), l ' autore apre il confronto tra la morte di Gesù fuori le mura e i riti dello Jem KippDr e dichiara non valido il sangue degli animali sparso per l 'espiazione: la/le comunità giudeo-etnocristiane sappiano bene di non poter più giocare al com­ promesso. A quell 'altare (del tempio) non possono più prendere parte; in caso con­ trario, non possono partecipare ali 'altare-mensa di lui . Devono decidere: o con lui fuori dal campo (parembole, v. 1 3), fuori da Gerusalemme e dal tempio che essa custodisce e dal « santo dei santi >> (v. 1 1 ) e immettersi nell 'esperienza cristiana, o restare in quel campo, in quella città, in quel tempio2 15, dunque nel giudaismo. Oltre al linguaggio topografico, si tratta ora di compiere una scelta di lealtà: restare sul monte del tempio o spostarsi per sempre sul monte del Cranio (il Golgota). Il tem­ pio ha espletato il suo ruolo, se ne prenda atto: esso ha preparato la venuta del nuo­ vo tempio, ora però è « obsoleto >> (8, 1 3); ha preparato la venuta di Cristo: egli, ora, è qui216. Seguirlo al di fuori del campo significa abbandonare Gerusalemme e tutto il suo ricco patrimonio storico-spirituale? È proprio questo il pensiero dell 'auto­ re?2 1 7. Non propriamente. Si tratta invece di selezionare tanto patrimonio, di co­ glierne il sempre valido e scoprime l 'aggancio con il Nuovo. 2 15 Sul tempio (< tenda de l i ' alleanza » e su Gerusalemme (( il campo >>, dove il tempio si trova, cfr. 4QMMT 397-398, di epoca erodiana. 2 16 P. Walker (Jerusa/em in Hebrews / 3, 9-/4 and the Dating ofthe Epist/e, in Tynda/e Bulletin 45 [ 1 994] 42-43) tenta di provare che Eb 1 3,9- 1 4 dichiara ormai superato non solo il tempio, ma la stessa città di Gerusalemme e l ' intero giudaismo. L'argomentazione mi sembra ben condotta. Ma mi esprimerei così: il tempio, Gerusalemme e l ' intero giudaismo hanno preparato nei secoli quel mo­ mento storico, giunto il quale, essi hanno espletato il loro ruolo. I giudeocristiani dovranno restare in contatto con il patrimonio giudaico (si pensi ai profeti, ai salmi . . . ), ma lo dovranno selezionare e, rispettando lo nel la sua storia. rileggerlo alla luce dell 'evento (( croce ». Quest'ultimo, poi, cuore del cristianesimo, supera qualitativamente il cuore de li ' ebraismo, Io Jom KippDr, celebrazione de li ' e­ spiazione e del perdono, pur condividendone la finalità. 2 17 Così P. Walker, Jerusalem in Hebrews / 3, 9-14 and the Dating of the Epist/e, in Tynda/e Bulletin 45 ( 1 994) 49.

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Parte seconda. Traduzione e commento

L' espressione: « Patì fuori dalla porta della città >> (exo tes pyles epathen) ri­ prende Dt 1 7,5, però né secondo il TM, che legge « alle porte della città >>2 18, né secondo la versione dei LXX, che legge exaxeis (« porterai fuori >> ), senza le due precisazioni « della porta o delle porte della città >>. In altri termini, Ebrei elabora il riferimento ali ' AT secondo i propri scopi. « Patire, morir:e >> fuori dalla città e appeso a un palo era per gli ebrei un fatto carico di maledizione, come una iattu­ ra219. In occasione dello Jom KippCir, il sommo sacerdote offriva nel « santo dei santi >> il sangue espiatore per il peccato e portava egli stesso le carni fuori dalle mura della città perché venissero bruciate. Per essere poi certo della propria pu­ rezza rituale, egli faceva il bagno fuori dalla città prima di rientrarvi. Si ha così il seguente parallelo: come i corpi degli animali immolati per l 'espiazione erano portati fuori dalla città, in luogo non santo, an�he Gesù, stipulatore di una nuova alleanza, era stato ucciso e appeso a un palo fuori dalla città, in luogo non san­ to220. A causa di ciò, agli occhi di un giudeo era un obbrobrio avvicinarsi ali 'al­ tare del corpo e sangue di Gesù Cristo22 1 , il Golgota. Di fronte al « santo dei san­ ti >> dunque, che è nel cuore della città santa, e non salva né redime, si pone il Calvario, fuori dalla città santa, un « obbrobrio >> che redime e salva. Da questo momento storico-salvifico in poi i cristiani sono pellegrini-sacerdoti : pellegrini perché destinati a un porto straniero, la città eterna, la nuova Gerusalemme; sa­ cerdoti perché modellati su Gesù Cristo sommo sacerdote. Anche andare fuori dall 'accampamento è per essi un gesto sacerdotale: già proprio del sommo sacer­ dote giudaico, è ora vissuto in prima persona da Gesù il Cristo nel suo pellegri­ naggio sacerdotale al Golgota222• 2 18 Dt 1 7,2-5 : « Qualora si trovi in mezzo a te . . . un uomo o una donna che faccia ciò che è ma­ le agli occhi di Dio . . . farai condurre alle porte della tua città quell'uomo o quella donna . . . e lapi­ derai ». « On se demande si l ' execution a li eu en dehors de la ville, on discute sur le mot (Dt 1 7 ,2-5) "dans les portes": est-ce la ville ou en dehors? ». L' interrogativo è sollevato già in Sanhedrin 6, l . Cfr. J. Bonsirven, Textes Rabbiniques, nota B24. 21 9 Dt 2 1 ,23 : « L'appeso è una maledizione di Dio e tu non contaminerai il paese che il Signore tuo Dio ti darà in eredità ». 120 Ma « Gesù Cristo ha redento noi dali 'apostasia con il suo sangue, affinché potessimo esse­ re un popolo santificato >>. Così Ireneo di Lione, Adversus haereses 3,5,3. 22 1 L'altare dà corpo visibile ali 'evento salvifico operato da Gesù nella sua morte di croce e nel­ la sua risurrezione. Egli entra così nel vero santuario, quello celeste, ed esce definitivmente dal l ' ac­ campamento giudaico. Esortàti a seguirlo, i cristiani operano non solo una rottura con il campo giu­ daico, ma « vanno verso >> di lui, solidali con la sua condizione di escluso, e ne portano la croce. Operare la scelta dell'umiliazione, rompendo con le pseudosicurezze delle istituzioni gratificanti, ecco il messaggio nuovo e programmatico (cfr. R. Fabris, Le lettere di Paolo, vol. III, pp. 768-769). C'è in­ compatibilità tra il culto cristiano e quello antico, il che implica che i cristiani non hanno il diritto di mangiare ali 'altare ebraico e, viceversa, gli ebrei non hanno il diritto di mangiare ali 'altare cristiano. L'espressione (( mangiare de li ' altare >> si fa più comprensibile se raffrontata con Paolo: (( Quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono in comunione con l 'altare? >> ( l Cor 1 0, 1 8). Il contesto parla dell 'eucaristia come partecipazione a un sacrificio. Così A. Vanhoye, Sacerdoti antichi e nuovo sacer­ dote, p. 1 80, nota 46. Non così C.R. Koester (Hebrews. A New Trans/ation, p. 570) e altri. 222 Così e bene E.A. Schick, Priestly Pilgrims: Mission Outside the Camp in Hebrews, in CurrTM 1 515 ( 1 989) 372-376. Il pellegrinaggio del popolo di Dio è un motivo conduttore in Ebrei (3,7 - 4, 1 3 ; I l ; 1 2, 1 8-24; 1 3 , 1 3- 1 4). Esso esprime la persuasione dei cristiani di diventare cittadini della Gerusalemme celeste. Lungo il loro pellegrinaggio essi sperimentano il (( non ancora >> delle aspettative parusiache; nel (( frammezzo >> definiscono e ridefiniscono la propria autocomprensione

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Cercate pace e santificazione ». Ilfrutto pacifico della giustizia Eb 12.14 - 13.19

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[vv. 13-14] L'appello a sapere ben distinguere i due altari si fa preciso e con­ creto. Si noti il paradosso salvifico: Gesù esce dal recinto sacro, entra in luogo ritenuto non santo e santifica noi . Anche noi poi siamo esortati a seguirlo, fuori dalla città santa, dal tempio, e a non tornarvi più. Infatti, noi non abbiamo stabi­ le dimora (v. 1 4) nella Gerusalemme terrena223 • Ancora: noi siamo purificati e santificati proprio lasciando il luogo sacro del tempio e andando con lui fuori dalla città al suo obbrobrio, alla croce e nel mondo secolare, per il quale egli, il logos di Dio, è « diventato carne )) (Gv 1 , 1 4), ha dato la vita, in quel mondo che egli ha redento e santificato, e che impropriamente viene ritenuto luogo mac­ chiato, non santo. Ma, forse, è proprio qui il problema che Ebrei avverte : non tanto portare nella sua comunità tanti aderenti, quanto persuadere quelli che già sono in essa a uscire allo scoperto, nel mondo, per immettere in esso il vangelo della redenzione, il potenziale del « lieto annunzio ))224 • Non si tratta di salvare il vangelo dal mondo secolare, ma di immettere il vangelo nel mondo secolare. Non vi è infatti azione più secolare della nascita e della morte di Gesù per il mon­ do secolare. Un 'azione così « coraggiosa )) da parte del Figlio spinge al coraggio: supera­ re i confini interni ed esterni della propria religiosità e puntare alla comunità ideale, la cui missione è introdurre in essa quanti sono al di fuori, consegnare lo­ ro la tora, autoidentificazione dell ' ebreo225, e l ' « annunzio della grande salvezza )) (Eb 2,2), il vangelo, autoidentificazione del cristiano: in rapporto di continuità evolutiva. Il vangelo suppone la tora, questa esige il vangelo226• Cadono così tutdi popolo-Chiesa. Buona annotazione di P.J. Arowele, The Pilgrim Peop/e of God. An African 's Rejlections on the Motif of Sojourn in the Epistle to the Hebrews, in AsiaJT 4 ( 1 990) 438-455. Ma una cosa è certa: « Riposeranno ne li 'Eden i santi e della nuova Gerusalemme gioiranno i giusti ». Così i l Testamento di Dan 5, 1 2 . Per la tradizione ebraica e quella giudaico-ellenistica, la Gerusalemme terrestre è simbolo di quella futura. 22 3 Nella città non definitiva si è portati a vedere un velato riferimento alla Gerusalemme ter­ rena; l ' intero passo suonerebbe come un invito a separarsi del tutto dalla c ittà terrena di Gerusalemme e da l suo tempio e dai suoi latenti legalismi cultici, disponendosi a un pellegrinaggio verso un Dio creativo, in un ministero (sacerdotale) agganciato a lui e aperto al mondo secolare. Così P. Walker, Jerusalem in Hebrews 13, 9-14 and the Dating of the Epistle, in Tyndale Bulletin 45 ( 1 994) 39-7 1 . 224 Cfr. L.P. Trudinger, The Gospel Meaning in the Secular: Reflections on Hebrews 13, 10-13, in EQ 54 ( 1 982) 236-237. m Un'annotazione di Seneca (conservata in Agostino di Ippona, La città di Dio 6, 1 1 ) informa che la maggior parte dei giudei, certo consapevole del l 'origine e del senso delle leggi, quando pren­ de parte ai riti non conosce ciò che fa. Così anche G. Flavio, Contra Apionem 1 76, 1 78. Una parte­ cipazione di fatto, anche se non consapevole, attesta il senso di autoidentificazione della propria per­ sona. Cfr. R. W. Johnson, Going outside the camp. The sociologicalfunction of the Levi tica/ critique in the Epistle to the Hebrews (JSNT.SS 209), JSOT Press, Sheffield 200 1 , p. 35. 226 Non si tratta di respingere il giudaismo, ma di inquadrarlo al suo posto giusto e nuovo; esple­ tato il proprio ruolo prioritario, esso appartiene ora alla « grande salvezza » (Eh 2,3), ali 'obbrobrio del­ la croce. I cristiani continuino pure a fraternizzare con la sinagoga da cui provengono e quanti non ne provengono, perché gentili, fraternizzino con essa egualmente. Ci sarà tutto da guadagnare. Ma ci sa­ rebbe da perdere, se a quel giudaismo si continuasse a riconoscere una priorità che gli è appartenuta e che ora è obsoleta. Questo sembra essere il vero problema di Ebrei quando relativizza la questione dei cibi ( 1 3,9) e insiste sulla necessità di orientarsi verso di lui ( 1 3 , 1 3 ) e di puntare sulla città eterna ( 1 3, 1 4); questo il senso di « uscire fuori dall 'accampamento verso di lui, portando il suo obbrorbrio » ( 1 3, 1 3).

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Parte seconda. Traduzione e commento

ti i confini; i nuovi sono porosi e permettono a ognuno il libero ingresso. Allo scopo, è necessario il ridimensionamento radicale del sistema levitico onde pun­ tare sulla comunità ideale, senza confini, ispirata al nuovo culto pasquale, che l 'autore e le comunità cristiane destinatarie già sperimentano, alla guida di tale pastore ! Rischi e persecuzioni diventano così fonte di coraggio e sicurezza e, pa­ radossalmente, danno sostegno a una vita civile vissuta nella fede nel Figlio, in marcia verso la città del Dio vivente, arricchiti dalla « grazia » (charis, Rm 6, 1 41 5), nella fede (Gal 3 ,23), guidati dallo Spirito (Gal 5 , 1 8), ormai non più sotto il regime della legge (hypo nomon), annota Paolo ( I Cor 9,20)227• Si vede bene una volta ancora il tono escatologico della chiamata cristiana (v. 14). In concreto, essa esige che si relativizzi ogni rapporto con il giudaismo e i suoi riti, anzi che si cessi ogni rapporto con essi da parte di quei destinatari che erano rimasti ancorati alla sicurezza delle tradizioni ebraiche o tendevano a ritor­ nare a esse228; a costoro l 'autore richiede di porre le proprie basi in Gesù Cristo, disposti a morire per lui, che si è fatto maledizione per noi, e di andare verso l ' i­ gnoto come ha fatto Abramo ( 1 1 ,8). Sullo sfondo c'è un 'assemblea pasquale che sa di non appartenere a una pa­ tria terrena (v. 1 4). Vivere nella fede peregrinando verso il compimento esige che l ' esistenza sulla terra sia vissuta da stranieri (Eb I l ,8- l O e 1 1 , 1 3 - 1 6). Un possibi­ le impulso sociologico si esprime nella stessa direzione: Eb 1 3 , 1 4 si muoverebbe sulla linea di l Pt 2,4-5 .9- 1 0 e rifletterebbe da parte dei cristiani l ' autodecisione che anticipa quanto poi sarà realtà nel secolo II d.C.; essi si autocomprendono quale terzo popolo accanto a greco-romani ed ebrei, popolo nuovo, generazione nuova, assemblea santa, gente sacerdotale, quali eletti di Dio, sua proprietà, sua casa, suo pascolo, vivente nel presente, ma destinati al futuro di/in Dio229• La provvisorietà di ciò che è terrestre è tema noto al NT230• Lo si rileva in Gv 2, 1 9 e in Ef 2, 1 9-22; secondo Fil 3 ,20-2 1 la nostra patria (politeuma, hapax legomenon del NT) è nei cieli, non qui sulla terra (v. 1 9). Pone bene i n rilievo questo status quaestionis, N.H. Young, « Bearing His Reproach » (Heb/3, 9-14), in NTS 48 (2002) 253-258. Si tratta di estrarre il meglio da una simile situazione conflittuale. Ma da qui a dire che Ebrei sia un sermone polemico mi sembra eccessivo (lbid. 258-259). 22 7 Efficace contributo da analisi socioreligiosa su Eb 1 3, 1 3 . Cfr. R. W. Johnson, Going outside the camp, pp. 20, 35 e 1 53 . 228 Questo impulso è presente i n Mt 2 1 ,39: « E, preso lo, l o cacciarono fuori dalla vigna e l o ucci­ sero »; in Gv 1 9,20: « Molti giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo in cui fu crocifisso Gesù era vicino alla città ». Entrambi le citazioni fanno riferimento all 'essere fuori dalla città. Invito a una netta secessione dal giudaismo? Ebrei confronta l ' identità di Gesù il Cristo con il cuore del giudaismo; senza disconoscere il valore del culto ebraico e tanto meno respingerlo, lo relativizza al nuovo valore. Questa conclusione è sostenuta da un esame del retroterra cultuale delle pratiche di alleanze del Vicino Oriente, dei contesti storici della comunità del mar Morto, in particolare dalla comprensione biblica del compimento come stratificazione e non come disgiunzione. Lo studio di alcuni passi di Ebrei (6, 1 -2; 8, 1 - 1 3; 9,3- 10; 1 3 , 1 0- 1 4) mostra il non contrasto, anzi la continuità tra Ebrei e gli altri testi del NT e dell 'AT. Cfr. J. Fischer, Covenant, Ful.filment and Judaism in Hebrews, in ERT 1 3 ( 1 989) 1 75- 1 87. 229 Cfr. R. Feldmeier, Die Christen als Fremde. Die Metapher der Fremde in der antiken We/t, im Urchristentum und im 1.Petrusbrief(WUNT 64), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 992, p. 1 7 1 . 23° Cfr. M . Theobald, « Wir haben hier keine bleibende Stadt, sondern suchen die zukiinftige » (Hebr 1 3, 1 4). Die Stadt als Ort der friihen christlichen Gemeinde, in TG 78 ( 1 988) 1 6-40; R. Feldmeier, Die Christen als Fremde, pp. 9, 83, 89, 92, 94 e 1 7 1 .

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Cercate pace e santificazione ». Ilfrotta pacifico della giustizia Eb 12, 14 - 13, 19

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Redatto (in Alessandria?) per le comunità giudeo-etnicocristiane attendibil­ mente in Roma, metropoli del mondo, e dintorni, Ebrei parla con frequenza del­ la città celeste, anche a motivo di una situazione di vita molto incerta per le co­ munità cristiane nel loro ambiente cittadino . I cristiani provenienti dal giudaismo, pur portando in sé il potenziale della fede giudaica, abbandonano di fatto uno spazio vitale sicuro, protetto dalle autorità dell ' impero romano che ri­ conoscevano loro alcuni privilegi : diritto a riunirsi, esercizio della giustizia in proprio. Gesù è morto « fuori dalla porta della città )) ( 1 3 , 1 2). Se l 'autore esorta a uscire dali 'accampamento e ad andare verso di lui portando il suo obbrobio ( 1 3 , 1 3 ), è per incoraggiare i suoi destinatari ad affrontare quella nuova situazio­ ne che li spinge a dover vivere ai margini della vita cittadina, nell ' incertezza e forse nel pericolo. Soppesino quella situazione con l 'ausilio della fede. Essa dice che la vera città dei cristiani è in cielo e che i loro nomi sono già registrati nelle liste dei cittadini del cielo ( 1 2,23). Se stranieri, essi lo sono nei riguardi della città terrena ed è del tutto giustificato che anelino a uscire da quella loro situazione di stranieri ( 1 1 , 1 4 ; 1 3 , 1 4). Tutto lascia intendere che Eh 1 3 , 1 4 attesti una fase avan­ zata del processo di sganciamento dei cristiani dal mondo giudaico, dal quale es­ si pure provengono. Abramo sia la loro forza trainante : uscito dalla sua terra ( 1 1 ,9- 1 0. 1 3- 1 6), egli, come tanti altri, non è tornato nella patria di origine, pur potendo lo; aspirava infatti a una patria « migliore, cioè a quella celeste )) ( 1 1 , 1 51 6), a quella solida città di Dio che sulla terra viene cercata invano. Queste dichiarazioni sono esortazione ai cristiani a guardare al trascendente e a esercitarsi in esso, favoriti dalla progressiva privazione di ogni privilegio nella città terrena. Influsso stoico? Influsso filoniano? Né l 'uno né l 'altro. « È del tutto impensabile che la tradizione stoica sulla città terrena . . . governata dagli dèi23 1 ed è del tutto impensabile che la tradizione filoniana sulla vera città di Dio, pervasa dal logos divino, possano essere stati i fattori ispiratori di un tracciato gnostico in Ebrei ))232, quasi un invito a evadere dal mondo presente per cercare scampo in un futuro indefinito233• Il cristiano non fa violenza alla realtà storica, dividendola qua­ si indebitamente in presente e futuro. I due momenti sono inscindibilmente uniti: egli vive nel presente, ancorché sfavorevole, ma ha l 'occhio rivolto al futuro; egli lavora nel presente, ma aspira al futuro; egli contribuisce alla costruzione della città terrena, ma sa bene che essa è solo anticipazione ombratile di quella celeste. La storia d'Israele, del resto nota ai giudeocristiani della prima ora piena di spe­ ranze deluse, insegna che la città di Dio non è realizzabile sulla terra. Costruttore della città celeste è solo Dio ( 1 1 , 1 0). Simile esperienza storica alleggerisce di mol­ to un lavoro diretto a ottenere la città perfetta qui sulla terra. Ma un impegno per­ mane: contribuire a un profilo della città terrena che sia in modo dignitoso « para-

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Così Seneca, Dialoghi 7,20,5 (G. Viansino, ed.), Mondadori, Milano 1 990. Così M. Theobald, « Wir haben hier keine bleibende Stadt, sondern suchen die zukiinftige » (Hebr 1 3, 1 4). Die Stadt als Ort derfriihen christlichen Gemeinde, in TG 78 ( 1 988) 22, nota 24 con documentazione. 233 Segnalo, sul l 'argomento, M.J. Casey, Christian Assembly in Hebrews: a fantasy island?, in Theology Digest 30 ( 1 982) 323-335. 232

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Parte seconda. Traduzione e commento

bo la » (parabole) di quella celeste. I cristiani sono pienamente nella città terrena, ma lanciati verso quella celeste234• Forse Ger 29,4-7 dà qui un forte impulso. Agli esuli, deportati da Gerusalemme in Babilonia, « così dice il Signore: "Costruite case e abitatele, piantate orti e man­ giatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie . . . Cercate il benes­ sere (salòm) del paese in cui vi ho fatto deportare. Pregate il Signore per esso, per­ ché dal suo benessere (salom) dipende il vostro benessere (salom)" ». E la pace-benessere (salòm) sarà colma (salem) solo nella città di Dio235 • Acuta e rispettosa della concretezza delle cose è la posizione di Giovanni Crisostomo236 su Eb 1 2, 1 4: l ) I cristiani sono stranieri al mondo, perché il loro pro­ filo nuovo e molto marcato li distingue dal mondo ebraico, dal quale pure proven­ gono in buona quantità. Questa situazione, tuttavia, è tipica nel loro periodo terre­ no; nel loro « oggi » storico essi continuano a essere stranieri gli uni agli altri; l 'epoca terrena è infatti quella delle diversità e delle distanze. 2) Ma una novità ir­ rompe e ne usufruiscono entrambi: ebrei e cristiani sono dei riconciliati. Questo fat­ to dà loro un nuovo modo comune di essere stranieri sulla terra. 3) Questo modo è il fatto stesso di essere « ancora >> nel « non ancora >>, entrambi desiderosi di rag­ giungere la città celeste. Il presente pesa su di essi con tutte le sue ipoteche. L'auspicio di Ef2, l l - l 2 resta ancora tale !237• Ma intanto che cosa fare? [v. 1 5] « Offriamo continuamente a Dio "un sacrificio di lode", cioè "il frut­ to di labbra" che confessano il suo nome ». Il v. 1 5 chiude Eb 1 3 ,9- 1 4. Il sacrifi­ cio di lode (thysian aineseos), detto anche di ringraziamento, è un sacrificio di comunione con offerte materiali. Così in Lv 7, 1 2 ; 2Cr 29,3 1 ; Sal 5 5 , 1 1 . 1 3 ; 1 1 5, 1 7. In altre testimonianze dell ' AT però l 'espressione s i slega dal sacrificio materiale (cfr. Sal 49,5b. 1 4a.23a) a favore di un sacrificio di lode, inteso ora co­ me atteggiamento orante nei confronti di Dio (momento spirituale), ora di mise­ ricordia e fraternità verso i fratelli (momento di condivisione). Quest'ultima di­ mensione è di particolare interesse per Eb 1 3 , 1 5 . Decisivo il termine chiave eleos (misericordia). Talora esso si identifica con il sacrificio di lode: i pani nel sacrificio di lode sono l ' offerta comune per l ' ele­ mosina, Is 58, 7a; colui che pratica la misericordia offre un sacrificio di lode, Sir 35,2. Inoltre, per Dn 4,24 (cfr. Eb 9, 1 2) « la misericordia redime dalle iniquità », mentre per Tb 1 2,9 « la misericordia libera dalla morte e purifica da ogni pecca234 Ancora M. Theobald, « Wir haben hier keine bleibende Stadt, sondern suchen die zukiinfti­ ge » (Hebr l 3, l 4). Die Stadt als Ort derfriihen christ/ichen Gemeinde, in TG 78 ( 1 988) 38-39. Del resto, chi oggi vuole visitare città antiche del tempo di Gesù e di Paolo deve preparare la propria sen­ sibilità umana e di fede a un forte scossone. Quelle città sono tutte scomparse, di esse, un tempo ce­ lebri, non restano che rovine archeologiche (ben inteso, molto eloquenti e dal forte valore storico e di fede). Esse raccontano: non siamo noi, come tali, a dover essere cercate; nostro compito è indica­ re qual è la città da trovare: quella celeste, costruita da Dio e non da mano umana. 235 Cfr. M. Theobald, « Wir haben hier keine bleibende Stadt, sondern suchen die zukiinftige » (Hebr 1 3, 1 4). Die Stadt als Ort derfriihen christlichen Gemeinde, in TG 78 ( 1 988) 40. 236 Cfr. Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 32, 1 , in PG 63,2 1 0-220. 237 Cfr. J. Roldanus, Le chrétien - étranger dans /es homé/ies bibliques de Jean Chrysostome, in Sacris erudiri. Jaarboek voor Goldsdienstwetenschappen 30 ( 1 987- 1 988) 23 1 -25 1 .

« Cercate pace e santificazione ». Ilfrntto pacifico della giustizia Eb l 2, 14 - l 3, 19

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to >>238• Per poter collocare Eb 1 3 , 1 5 in questa corrente, va superata una difficoltà provocata dali 'autore stesso quando spiega « un sacrificio di lode » con: « cioè, il frutto (karpon) delle labbra che celebrano il suo nome », espressione che inter­ preta « sacrificio di lode » semplicemente come preghiera: « labbra che confessa­ no » e, confessando, celebrano. Nel Primo Testamento troviamo un uso singolare di « frutto ». Vi si legge che « il frutto dell 'uomo è la misericordia » (Pr 1 9,22 [LXX]) e che « con il frut­ to della sua bocca l 'uomo si nutre, con il frutto delle sue labbra si sazia » (Pr 1 8,20): una concretizzazione materiale, il cui senso va oltre le parole. Si legge an­ cora che « per il frutto della sua bocca l 'uomo si sazia di bene; ciascuno riceve il salario (sarà ripagato) dalle sue mani (opere) » (Pr 1 2, 1 4). « Frutto delle sue lab­ bra » diventa così il simbolo dell 'attività dell 'uomo. Os 1 4,3 grida: « . . . Tornate al Signore, ditegli . . . ti offriremo il frutto delle nostre labbra » (espressione di con­ versione). Eloquente il parallelo interno al libro di Osea tra 1 4,3 (« Invece di vi­ telli ti offriremo il frutto delle nostre labbra ») e 6,6a (« Voglio misericordia (eleos), non sacrifici »). Questo parallelo permette l ' equivalenza tra eleos e « frutto (karpon) delle labbra »: il frutto delle labbra deve essere la misericordia. Si può allora dire che Ebrei, in questa solida tradizione, intende il sacrificio di lode, il frutto che loda Dio, nell 'ordine della fraternità, un'offerta quotidiana che è ministero sacerdotale. Ed è la struttura chiastica di Eb 1 3 , 1 5- 1 6 a esigere questo significato: « Per mezzo di lui (= Gesù, v. 1 2a).

a) « Offriamo un sacrificio di lode a Dio », b) cioè ilfrutto c) di labbra che conjèssano-celebrano il suo nome. b') « Non scordatevi di fare il bene e di far parte dei vostri beni ali 'altro >>, a') perché di tali sacrifici Dio si compiace. Il « frutto delle labbra » (b-e) si identifica con « fare il bene » (b ') e « vivere in comunione » (b '). Tutto questo è sacrificio di lode a Dio (a), della cui qualità (a' ) Dio si compiace (a-a'). Lodare e celebrare con le labbra il suo nome (c) ab­ braccia i momenti spirituali e della condivisione. Sorprende tuttavia che l 'autore non si avvalga del Sal 5 1 , 1 7, di indubbia forza argomentativa: « Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode » (Sal 50, 1 7)239• [13,16-19] Condividere, collaborare, pregare. L' esortazione accorata volge al termine. [vv. 1 6-17] « Non scordatevi . . . » (v. 1 6). Accanto alla lode, l 'autore esorta i lettori a non dimenticare di operare il bene e di condividere i doni ricevuti da Dio, in una solidarietà che si esprima in aiuti concreti. È il senso di eupoifas (hapax le­ gomenon del NT) e di koinonia: condivisione di beni e amicizia. Qui in Ebrei ( l volta) e spesso nel NT ( 1 9 volte), koinonia è amicizia spirituale ed ecclesiale, e si 238 Eguale pensiero in Sir 3,29b: « L'elemosina (radice eleos) espia i peccati )), e in Pr 1 0, 1 2: « L'amore ricopre i peccati )). 239 Segnalo lo studio di V.M. Femandez, La vida de los cristianos segUn la carta a los Hebreos, in Revista Biblica 52 ( 1 990) 1 45- 1 52.

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esprime spesso in termini di contributo concreto. Ma i valori più rilevanti che es­ sa trasmette sono l 'unione e l 'unità dei cristiani240• Tendere a questo valore è già offrire un sacrificio (thysia) di lode, è un 'azione sacerdotale. Di tutt'altro indirizzo quell 'interpretazione semi oti ca che vede nel v. 1 6 ben altre preoccupazioni : la comunità soffrirebbe di uno stile egoistico di consumazio­ ne. Presi quasi dal timore di perdere i « propri » beni, i destinatari si sarebbero dati al loro godimento e non alla loro condivisione. Dunque, una comunità in sé chiusa, una sorta di gruppo esoterico, addirittura con lo scopo di separarsi dagli altri, per­ ché peccatori. Simile comportamento, del tutto non paolino, potrebbe aver sorpre­ so l 'autore di Ebrei motivandone la preoccupata esortazione pastorale. Anche il richiamo a sacrifici e doni graditi a Dio potrebbe svelare una ten­ denza cultico-mistica motivata dalla paura della pena eterna e dal fatto che il pat­ to nuovo sembra esigere che Dio venga pacificato (non un Dio per gli altri, ma che esige dagli altri di essere come placato). Da qui fuga e rifugio nell 'eterno, perché dopo tutto « non abbiamo qui una città permanente, ma tendiamo verso quella futura >>. In questo clima, soffre seriamente l 'armonia comunitaria ed ec­ clesiale: nuovo sprone per l 'autore a intervenire con accorata esortazione. Eb 1 3 , 1 6 potrebbe descrivere un mondo chiuso in sé, misterioso nelle proprie cele­ brazioni, una pseudocomunità che non prende parte alla vita degli altri, gli empi, mentre essi sono i giusti. Ebrei trasporrebbe Dio misticamente nel presente e non considererebbe il percorso escatologico di un Dio che viene e incontro al quale si va. Questa posizione in Ebrei è del tutto assente24 1 • Con l ' imperativo esortativo : « Obbedite alle vostre guide carismatiche . . . obbedite . . . » (v. 1 7), l 'autore riprende l 'argomento hegoumenoi già introdotto al v. 7. Ubbedite o aderite? L' interrogativo si pone a motivo di un dibattito storico­ esegetico in corso. Tenerne conto è utile per un approfondimento di Eb 1 3 , 1 7. Una serie di passi dal NT e da fonti extrabibliche guida alla ricerca del « model­ lo buono » per il governo ecclesiastico242• Emergono due poli distinti: a favore dell 'autorità il primo, dell 'antiautorità il secondo. I proautorità contestano ai lo­ ro oppositori di volere sottrarre agli anziani (hegoumenoi) l 'autorità che loro compete fin dai tempi biblici. Gli antiautorità accusano i primi di favorire il ruo­ lo autoritario degli anziani. Qualunque sia la causa del confronto, un' attenta indagine suggerisce che, nello spirito del NT, un 'autorità ben compresa è più di ordine ecclesiale e meno ecclesiastico-strutturale. Il modello della società ecclesiastica per lo più invocato in questa discussione è infatti quello monarchico e può essere abbozzato in que-

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Cfr. Rm 1 5,26; 2Cor 9, 1 3 ; At 2,42. Questa lettura di W. Schenk, Die Pariinese Hebr 13, 16 im Kontext des Hebriierbriefes. Einer Fallstudie semiotisch-orientierter Textinterpretation und Sachkritik, in Studia Theologica 39 ( 1 985) 73- 1 06 (su 1 3, 1 6), risulta dallo studio attento di ogni termine del v. 1 6 nell 'àmbito dell ' inte­ ro scritto. Accanto a un presumibile materiale che motiva l ' intervento esortatorio di Ebrei, la tesi di fondo resta molto discutibile. 242 Cfr. T. M. Willis, «Obey your leaders »: Hebrews l 3 (7 & l 7) and Leadership in the Church, in Restoration Quarterly 36 ( 1 994) 3 1 6-326: excursus su posizioni emerse sull 'argomento dal 1 950 al l 994. 241

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sti termini: il re (Dio) ha emesso le sue leggi ai suoi portavoce (gli apostoli), che a loro volta le hanno comunicate ai sudditi del re (i cristiani). Ai funzionari ade­ guatamente designati, gli anziani, è stata assegnata la responsabilità di governare la comunità secondo le leggi del re. Pertanto, tre potrebbero essere i modelli a giustificazione dell 'autorità degli anziani in Eb 1 3 , 1 7 : carismatico, carismatico-stabile, legale-razionale. Il primo ti­ po di autorità è attribuito in base a qualità personali (chiamate charismata, come nel caso dei giudici dell 'antico Israele). Si segue il leader per quello che è, non per la carica che detiene, un leader carismatico che ha un dono per fare ciò che è ne­ cessario in quel momento. Il secondo modello riflette invece un ruolo permanente nel tempo, legato a bisogni permanenti. La persona carismatica che ne è rivestita, si trova a svolgere un ruolo carismatico-stabile, con competente efficacia. L'autorità lega/e-razionale (terzo tipo) è invece quella data dall 'alto, da parte di un'autorità superiore, indipendentemente dal fatto che l ' interessato abbia carisma o meno. Gli si deve obbedienza per il solo fatto della carica-posizione che detiene. Siamo al punto focale del dibattito sull 'autorità degli anziani in Eb 1 3 , 1 7: il modello monarchico, invocato per capire il governo ecclesiastico, assume auto­ maticamente l 'aspetto legale-razionale. Nel modello monarchico infatti l 'auto­ rità di Dio è stata convogliata attraverso gli apostoli nelle leggi, cioè negli scritti del NT. Come esecutori di queste leggi, essi detengono una carica che dà loro au­ torità. In verità, il primo e il secondo modello, fusi assieme, mostrano maggiore sintonia con il NT. Ecco alcuni indizi a sostegno di una simile opzione. Il NT richiede agli « anziani », ad esempio in l Tm 3, 1 -7 e Tt l ,5-9243, doti di annunzio, di esposizione catechetica, di insegnamento didascalico e un sano sti­ le di vita. Queste qualità cristiane vengono passate al vaglio continuo dell 'espe­ rienza e confermate. Eb 1 3 , 1 7 propone anziani (hegoumenoi) dotati più di autorità di tipo cari­ smatico-stabile, andata man mano formandosi e affermandosi, che non lega/e-ra­ zionale; oppure, anche legale-razionale, che si è però andata trasformando e af­ fermando come carismatico-stabile. Infatti, gli hegoumenoi hanno testimoniato con lo stile di vita (ekbasis + astrophe, v. 7) il loro insegnamento, quello della e dalla parola di Dio; hanno ereditato una incrollabile fede in Gesù Cristo, in forza della quale continuano a vegliare (agrupnousin gar, v. 1 7) sui loro fratelli nella fe­ de, e hanno così convalidato per sempre il loro ministero di guide: sono diventati autorevoli. Siano sempre nel ricordo (v. 7). Le nuove guide, poi, vengano scelte con eguale criterio e immesse nella stessa verifica esperienziale, perché quel loro mini stero sia gioioso e non causa di gemito. Ciò risponde allo spirito del NT (cfr. l Pt 5 ,2-3). Contrariamente, quel ministero potrebbe diventare dannoso (v. 1 7, aly­ siteles; cfr. anche At l ,5). Con una litote a effetto, l 'autore esprime con il negati­ vo del positivo (non vantaggioso) ciò che avrebbe potuto dire espressamente al ne­ gativo: ciò sarebbe a vostro danno. 243 Le caratteristiche degli anziani elencate nelle due lettere paoliniche riguardano le capacità oratoriali e di insegnamento. Cfr. T.M. Willis, «Obey your leaders »: Hebrews 1 3 (7 & 1 7) and Leadership in the Church, in Restoration Quarterly 36 ( 1 994) 322.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Ma l 'autorità carismatico-stabile proposta in Eb 1 3,7. 1 7 sembra non riscuotere l 'attenzione dovuta dalla maggior parte delle traduzioni moderne e da più di un com­ mentatore: « Ubbedisci ai tuoi capi e sottomettiti a loro >>; « E sottomettiti alla loro au­ torità >>; « Ubbedite a quelli che hanno un comando su di voi e sottomettetevi >>; « Ubbedite ai vostri capi e state loro sottomessi >>244. È questo il tenore nella maggior parte delle traduzioni che propendono così per un'interpretazione legale-razionale dell 'autorità degli hegoumenoi: ai leader cioè si deve obbedienza e sottomissione. Questa comprensione di Eb 1 3 ,7. 1 7 si riscontra anche presso alcuni com­ mentatori. C ' è chi vi vede un « interesse per una conveniente subordinazione al­ le autorità ecclesiastiche e al loro lavoro, con riferimento a situazioni di fine pri­ mo secolo >>245; altri, invece, cita la « solenne responsabilità » conferita al lavoro dei capi della comunità come una forte ragione di sottomissione alla loro auto­ rità246 da parte dei cristiani. Migliore la traduzione: « Obbedite ai vostri capi e siate loro arrendevoli »247. Preferibile e ben centrata la seguente: « Siate attenti ai vostri leader e collaborate produttivamente con essi »248. Entrambe chiedono un leale confronto con le proprie guide carismatiche su valori e realtà; postulano il modello carismatico-stabile eser­ citato nella e con la comunità e per essa e non in base a posizioni raggiunte o da rag­ giungere. La posta in gioco non è l ' autorità, ma il servizio alla Parola ( 1 3 ,7). In tutta la questione ci avviciniamo forse al momento più importante e decisi­ vo: la traduzione/interpretazione dei due verbi in Eb 1 3 , 1 7 è infatti piuttosto infeli­ ce ed esige una correzione. Il secondo verbo (hypeikete) è usato solo qui nel NT ed è reso con « piegarsi, sottomettersi, essere arrendevoli ». Specificare il tipo di auto­ rità supposta non aiuta a capire il perché uno dovrebbe piegarsi: forse per la posi­ zione « altolocata » di colui di fronte al quale ci si dovrebbe « piegare »? E poi il sen­ so di quel verbo è anche « essere deferenti, accondiscendere, acconsentire ». Infme, come coordinare il tutto con la voce verbale peitheste, il primo verbo del v. l 7? Il suo significato più comune, all 'attivo, è infatti « persuadere, convincere ». Così Paolo parla alla gente cercando di persuaderla ad accettare il vangelo249. Coloro che . hanno aderito al messaggio cristiano sono stati persuasi, convinti, da quello che Paolo e gli altri hanno loro detto sul regno di Dio250. Ci sono almeno altre 40 ricor­ renze di questa radice nel NT, ed è inteso lo stesso senso di base quasi in ogni caso. Ci sono invece due casi nel NT dove peitho ricorre al passivo e viene reso con « obbedire »: Gal 5, 7 ed Eb 1 3, 1 725 1 . In Gal 5, 7 Paolo retoricamente chiede ai suoi lettori : « Chi vi ha impedito di obbedire alla verità? » (t� aletheig me peithe244 Così, ad esempio, e rispettivamente le traduzioni: RSV, NRSV, KJV e, da ultima, la tradu­ zione della CEI. 245 Così H. W. Attridge (Lettera agli Ebrei, p. 658), che si appoggia a l Pt 5, 1 -5 ; l Clemente 57, l . 246 Così già N . Lightfoot, Jesus Christ Today. A Commentary on the Book ofHebrews, Bacher, Grand Rapids (Michigan) 1 976, p. 253. 247 Così A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 245 . 248 « Heed your leaders and yield to them » (così C.R. Koester, Hebrews. A New Translation, p. 568). Sostiene questa traduzione 4Maccabei l O, 13; 1 5, l O; 1 8, l . 249 Si legga At 1 3,43 ; 1 8,4; 1 9,8-26; 26,28; 28,23. 2 50 Si legga At 1 7 ,4; 28,24; cfr. ancora 2 1 , 1 4 ; 23,2 1 ; 27, 1 1 . 2 51 Ve ne è anche un terzo: Gc 3,3. Vi si ha l ' immagine di cavalli che obbediscono al morso messo loro in bocca.

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sthai?j252• Questa traduzione, mentre non rispetta il valore passivo di peithesthai, vela la particolare sfumatura che l 'apostolo intende dare alla sua dichiarazione. Comunicata oralmente, infatti, « la verità )) è anche sottoposta a considerazione ul­ teriore in un documento scritto che il mittente invia ai suoi destinatari perché sia letto e riletto. Allora, perché non tradurre in modo più letterale: « Chi vi ha impedi­ to di venire persuasi (nella) verso la verità? ))253• Paolo sta dicendo che qualcuno ha fisicamente intralciato i suoi lettori dali ' aderire a ciò che la verità propone e de­ nunzia il fatto che questo tale li ha influenzati con argomentazioni che hanno scal­ fito e non poco la loro « persuasione )), tanto da scegliere un'altra (falsa) serie di in­ segnamenti che contrastano con ciò che è insegnato nella « verità ))254• Lo stesso senso si ritrova in Eb 1 3 , 1 7 reso comunemente con obbedire. Si po­ trebbe leggere invece: « Lasciatevi persuadere dai vostri leader )). Alcuni punti del contesto di Eb 1 3 danno sostegno a quest'ultima interpretazione. Così, la disponi­ bilità dei credenti verso i loro leader attuali è messa in parallelo con quella già di­ mostrata verso i leader del passato, menzionati al v. 7255• Ai lettori viene ricordato lo stile di vita (anastrophe, scelte, comportamenti) dei primi leader e la loro fede. Ne vengono esaltati la persona e il ministero, non il ruolo o la posizione. Punto fon­ damentale: essi sono « coloro che dicono a voi la parola di Dio )) (v. 7b). L'esito, il risultato (ekbasis} del loro stile di vita e la loro fede non erano e non sono che il ri­ flesso di ciò che insegnavano e insegnano: coerenza e consequenzialità. Se quest'analisi è corrretta, le guide carismatiche devono guadagnarsi la col­ laborazione persuasa e rispettosa dei membri delle loro comunità grazie a uno sti­ le di vita coerente con la fede professata. E se l 'attenzione è puntata su ciò che i primi leader insegnavano con fede, va da sé che anche per i leader attuali il mag­ giore interesse debba risiedere in ciò che insegnano : competenza e testimonian­ za. L'autore dà loro il suo completo appoggio e dice ai suoi lettori che devono ve­ nire persuasi dalle loro guide (in forza di ciò che esse insegnano) e sottomettersi a loro (perché sono stati persuasi da ciò che insegnano); collaborino cioè aderen­ do a tale loro persuasivo insegnamento256 e coinvolgente testimonianza. 252 È il senso riconosciuto all ' infinito passivo peithesthai da M. Zerwick - M. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis ofthe Greek New Testament, p. 574. Vi resta in sostanza di recente A. Pitta, Lettera ai Galati, p. 30 1 , quando rende: « Chi vi ha ostacolato nell 'essere ubbidienti alla verità »? Ubbedire perché persuasi. 253 Sarebbe reso bene te alethei(l come dativo pregnante (il te suppone eis) e di relazione. 2 54 Così A. Pitta, La Lettera ai Galati, pp. 309-3 1 O. 2 55 Come già notato sopra, si registra un ampio consenso sul fatto che Eb 1 3 ,7 si riferisce ai lea­ der del passato (« Essi parlavano la parola di Dio »; notare anche la frase: « L'esito della loro vita », che sembra supporre la loro morte), mentre il v. 1 7 si riferisce a leader del presente. Cfr. T. M. Willis, «Obeyyour leaders >> : Hebrews l 3 (7 & l 7) and Leadership in the Church, in Restoration Quarterly 36 ( 1 994) 32 1 . Diversamente W.D. Meyer, Obedience and Church Authority: The Problem of the Book of Hebrews, in Asia.JT 28 ( 1 996) 9-28. 256 Una persona obbedisce quando è d'accordo con ciò che gli si dice di fare; una persona cede, si arrende, quando ha un'opinione contraria. Cfr. T. M. Willis, «Obey your leaders >> : Hebrews l 3 (7 & l 7) and Leadership in the Church, in Restoration Quarterly 36 ( 1 994) 32 1 . Diversamente W. D. Meyer, Obedience an d Church Authority: The Problem of the Book ofHebrews, in Asia.JT 28 ( 1 996) 9-28. Eb 1 3 , 1 7 spinge i lettori a essere persuasi. Presa isolatamente, l 'esortazione a rispettare i leader della comunità sembra contraddire le implicazioni antigerarchiche di Ebrei. Il contesto propone mol­ to più un appello alla solidarietà cedevole e arrendevole, perché responsabile e disponibile.

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L'apostasia è un' insidia reale. Il modo migliore per combatterla è non un in­ tervento d' autorità dei « capi )) in forza del loro ruolo, ma un richiamo al potenzia­ le di persuasione della Parola che essi insegnano, capace di dare e ridare contenuto a scelte antiche e nuove257• Un interrogativo legittimo. Come mai, differentemente dalla tradizione paolinica delle lettere pastorali (episkopoi, presbyteroi, diakonoi), Eb 1 3,7. 1 7 .24 introduce il termine hegoumenoi? Il probabile retroterra va cercato nella gestione della responsabilità civile da parte di prefetti e governatori di pro­ vincia, di responsabili locali e addetti a uffici vari. Fonti greco-romane informano su hegoumenoi nei settori amministrativo e militare258; fonti giudaico-ellenistiche riferiscono il termine a quanti si occupano degli affari della comunità, pur senza definirne il ruolo259• In àmbito cristiano « gli apostoli e gli anziani assieme a tutta l 'assemblea )) scelgono tra i fratelli hegoumenoi da inviare ad Antiochia (At 1 5 ,22), senza precisare se essi siano eletti fra gli anziani. Scritti del tardo secolo l, in connessione con la città di Roma, presentano le guide come prohegoumenoi con compiti anche amministrativi, ma in particolare quali guide capaci di portare la comunità cristiana al gusto della « parola di Dio ))260 • Al v. 7 si parla di guide tornate alla casa del Padre, hegoumenoi il cui mini­ stero specifico è consistito nell ' annunzio della Parola. In quel ministero ha preso corpo il loro profilo autorevole: autorità non apostoliche, sono state guide spiri­ tuali e carismatiche della generazione protocristiana, hanno ottenuto ascolto de­ ferente e condivisione (lalein e akouein), immettendosi così nel flusso della più pura tradizione delle origini . Ci si ricordi di loro ! Al v. 1 7 anche gli hegoumenoi viventi sono guide carismatico-spirituali, chiamate a proteggere e vigilare (agroupnein); a essi si deve obbedienza, non sot­ tomissione (Paolo, hypotassesthai) e ancora di più adesione persuasa (peithestai), non ribellione (J Clemente 1 , 1 3). Al v. 24 i « capi, guide )), ai quali per primi l 'autore rimette i propri saluti per poi salutare i « santi )), potrebbero essere un indizio di autorità gerarchica in Ebrei? Gli hegoumenoi sono comunque un gremio-guida, responsabile per la/le comunità. Queste obbediscono, cioè lavorano con le loro guide carismatiche nel 25 7 Un esempio concreto degli anziani come persuasori lo si ha nella legge del levirato: Dt 25,51 O. Quando un cognato non adempiva ai propri obblighi verso la moglie del fratello morto, gli anzia­ ni potevano solo parlargli (v. 8) per cercare di sensibilizzarlo al caso. Quanto l 'abilità oratoria degli anziani valga lo attesta Giobbe, persona rispettata. Quando egli parla, gli altri sono in silenzio e ascol­ tano (Gb 29,7- 1 1 ). È la sua parola che conta (Gb 29,2 1 -22), saggia e autorevole. T. M. Willis ( «Obey your /eaders )); Hebrews 13 [7 & 17} and Leadership in the Church, in Restoration Quarterly 36 [ 1 994] 324) informa sul ruolo carismatico degli anziani nelle comunità arabe dell 'Est e del Nord de li ' Africa, ove ancora oggi la più importante caratteristica degli shaykh è la loro capacità di persua­ sione. Ogni capo ne ha bisogno per riconciliare nelle dispute, ed è tanto più stimato quanto più riesce a mediare e persuadere. Una rilevazione di tipo socioculturale. 2 5 8 Dati in Bauer W. - Amdt W. F. - Gingrich F. W. - Danker F. W., Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature, Chicago University Press, Chicago 1 9792, p. 34 1 [ I ] ; ancora H.G. Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon, p. 763 . 259 Così la Lettera di Aristea 309-3 1 O; Sir 33, 1 9 . Dati in E. Schiirer, The history of the Jewish People in the age of Jesus Christ ( 1 75 B . C . - 1 3 5 A.D.), M. Black, Edinburgh 1 9 87, vol. III, pp. 88, 92 (tr. it., voli. I-II, Paideia, Brescia 1 985- 1 987). 260 Si leggano: l Clemente l ,3; 2 1 ,6, e il Pastore di Erma. Visioni 2,2,6; 3 ,9, 7.

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servizio al primato della Parola e dell 'annunzio. La comunità e i suoi responsa­ bili sono infatti sotto la Parola261 • [vv. 1 8-19] « Pregate per noi )) (proseuchesthe peri hymon, v. 1 8a). L'autore invita a pregare per lui (e lo fa al plurale); subito dopo torna a esprimersi al sin­ golare ( 1 3 , 1 9.22-23; già in 1 1 ,32). Il plurale non è mai estatico, dice piuttosto che egli sta scrivendo in compagnia di altri, « quelli dali ' Italia )), menzionati al v. 24. Questa prassi è comune in chiusura di lettera nel NT262• L'uso di proseuchomai nel NT è generico: esprime preghiera in generale, ma anche di domanda263 • La motivazione per la richiesta di preghiera è di alta qualità: la persuasione (peitho­ meta) di avere una sana e buona coscienza (kalen syneidesin), avendo fatto la scelta di operare solo il bene, in tutto e sempre (en piìsin). L' autore non intende dire di essere privo di difetti e limiti; insiste tuttavia nel manifestare i suoi inten­ ti ispirati solo al bene, sullo stile di quanti, nella fede, lo hanno già preceduto nel­ la morte ( 1 3 ,7), nel regno indistruttibile ( 1 3,28). La sua è un 'opzione fondamen­ tale in campo etico-esistenziale ed è scelta del vangelo in campo ministeriale. Questo sensibile pastore nutre la speranza di poter tornare quanto prima (v. 1 9) fra i suoi . Non si vedono motivi specifici che lo abbiano portato ad allon­ tanarsi . Il richiamo molto accorato alla sua « buona coscienza )) (v. 1 8), quale cri­ terio ispiratore di tutte le sue decisioni, può far pensare a momenti di contrasto con la comunità. Forse sul profilo e sul ruolo degli hegoumenoi? Questo potreb­ be avergli alien�to l ' appoggio di più di uno nella comunità, fino a suggerirgli un temporaneo allontanamento dalla medesima. Ma il desiderio del ritorno è incon­ tenibile. Allo scopo rinforza la sua richiesta di preghiera con le parole: « Con maggiore insistenza vi esorto )), dove il passaggio dal plurale al singolare solen­ nizza la richiesta, personalizzandola, focalizza la connessione di perissoteros con paraka/6 e non con poiesai e dà a proseuchesthe un contenuto preciso: il suo ri­ torno fra i suoi. È il senso di poiesai (fare) quella preghiera, perché « faccia )) quel risultato. Quel suo forte intento di ritornare, dice espressamente che l 'autore è stato già in precedenza presso di essi, ora lettori-ascoltatori del suo scritto. Egli conosce già i suoi destinatari . Il poter desiderare di tornare di nuovo fra essi, an­ zi di poter essere loro restituito al più presto (tachion), lascia intendere che il cli­ ma tra le due parti è migliorato. La speranza di poter fare ritorno « al più presto )) è un elemento standard nel­ l 'epistolografia dell 'epoca ( ! Corinzi, Filippesi, Fm v. 22) e anche nella retorica: un movimento emozionale tra apusia e parusia. Esso dovrebbe ridurre la possi­ bilità che « al più presto )) nasconda degl ' impedimenti imprevisti, ora in via di su­ peramento. Ma il condizionale resta d' obbligo; la forma verbale apokatastatho hymin, hapax legomenon in Ebrei, ma nota ad altri scrittori, esprime restituzione materiale, liberazione da una minacciosa situazione, come la schiavitù264, da una

26 1 Così anche F. Laub, Verkiindigung und Gemeindeamt. Die Autoritiit der hegoumenoi in Hebr 13, 7. 1 7. 24, in SNTU 617 ( 1 98 1 - 1 982) 1 69- 1 90. 262 Si vedano: Ef 6, 1 9; Co1 4,3 ; 1 Ts 5,25; 2Ts 3, 1 . 263 Dati in H. Greeven, proseuchomai, in GLNT ( 1 967) 3 , 1 294- 1 295. 264 Cfr. Papiro di Ossirinco 38, 1 2.

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Parte seconda. Traduzione e commento

carcerazione265, da un sequestro di persona266, da un esilio267; da tormenti e tribo­ lazioni268, da una lontananza obbligata e prolungata269, da una eventuale malattia che lo ha come strappato ai suoi270, ora in via di superamento. L'argomentazione lessicografica è buona in ognuno di questi aspetti; ma il motivo preciso che abbia fatto crescere nell 'autore il desiderio di un ritorno rapido fra i suoi resta da indi­ viduare. La richiesta ai suoi destinatari di pregare per lui mette in luce l ' essen­ ziale: che egli ritorni (cfr. Fm v. 22). Eb 1 2 , 1 4 - 1 3 , 1 9: « inseguire » la pace con tutti, in primis con il Dio della pa­ ce onde ottenere da lui la santificazione; ascoltare e non rifiutare; ricordare e non dimenticare; avere solido profilo propositivo di fronte alla stravaganza dei tempi; equilibrio nel matrimonio e nella ricchezza; far crescere la responsabilità ecclesia­ le reciproca, sì che nessuno abbia a cadere dalla fede. Questo ministero ecclesiale, infatti, non è una esclusiva delle sole guide della comunità, ma chiama in causa la fede di ogni suo componente; ognuno e tutti sono una comunità ecclesiale che vi­ ve il presente della salvezza: condividere, collaborare, in dialogo deferente e co­ struttivo con le proprie guide; sono in gioco infatti non le proprie posizioni, ma il primato della Parola; accedere alla celebrazione del patto nuovo, nella croce, e uscire con essa allo scoperto, oltre il recinto; comunicare a tutti che la speranza della redenzione è ormai realtà operante proprio in quell ' obbrorio sul quale non è più appesa la maledizione, bensì la benedizione e la riconciliazione. Inoltre, cele­ brare Gesù Cristo ieri e oggi e per sempre, cuore della verità di Dio e dell 'uomo: egli non consente che ci si abbandoni a verità peregrine e presunte; impossessarsi di lui, la verità, onde combattere con efficacia le radici di amarezza che causano turbamento e pregare. Un intenso programma, una paràclesi densa dal tono epidit­ tico, un'analessi (risonanza retrospettica) su tutto il « trattato ».

265

Cfr. 2Mac 1 2,25; Giuseppe e Asenet 1 1 ,2 . Polibio, Storie 3,98,7. 267 Esilio non meglio precisato. Cfr. già Nicola da Lira, Epistola Pauli ad Hebraeos 1 3 , l (ultima pagina su Ebrei). 268 Cfr. Ermete Trismegisto, Corpus hermeticum 7,6. 269 Cfr. Lettera di Aristea 46. 27° Così B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, p. 449. 266

AUGURIO, PREGHIERA E POSCRITTO

Eb 1 3 ,20-25

Augurio e preghiera

13 2011 Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il pastore grande delle pecore 1 « in virtù del sangue di un' alleanza eterna », il Signore nostro Gesù, 2 1 vi prepari con ogni bene, per compiere la sua volontà, operando in voi ciò che è gradito al suo cospetto per mezzo di Gesù Cristo, al quale (sia) la gloria nei secoli [dei secoli] . Amen.

Poscritto 22Vi raccomando, fratelli, accogliete questa parola di esortazione, e ve la invio infatti in poche parole2 • 23Sappiate che il nostro fratello Timoteo è stato rilasciato;

è con lui che, se arriva presto, vi vedrò . 24Salutate tutte le vostre guide e tutti i santi. Vi salutano quelli d' Italia. [25lLa grazia (sia) con tutti voi .

1 Letteralmente: « Il pastore delle pecore quello grande » (ton poimena . . . ton megan) a motivo della funzione reiterativa del l ' articolo a scopo enfatico esplicativo, tanto più che la combinazione poimen megas non si riscontra altrove nel NT. Potrebbe di conseguenza essere giustificata la tradu­ zione: « il pastore più grande delle pecore ». Non è invece da giustificare l 'aggiunta di hiereus ac­ canto a megas: « il pastore, sacerdote grande ». Manca al riguardo ogni aggancio sintattico conte­ stuale. Da escludere che Ebrei voglia porre il « pastore grande » a confronto con i pastori piccoli, riferendosi alle guide delle comunità. Queste sono dette poimenes in Ef 4, I l ; in Ignazio di Antiochia, Ai Filadelfi 2, 1 ; mai in Ebrei, che usa il termine hegoumenoi. « Archipoimen, il pastore supremo », ricorre in l Pt 5,4. 2 È il senso di dia bracheon : brevemente, in breve, in poche parole.

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Parte seconda. Traduzione e commento

Due brevi unità discusse. Già Nicola da Lira vede il problema letterario, quando definisce i vv. 20-2 1 una additio e i vv. 22-25 una replicatio. È forte, tut­ tavia, il contenuto tematico : la risurrezione del pastore grande, il sangue dell 'al­ leanza eterna; forte la paràclesi : pronti al bene, al progetto di Dio, ad accogliere la parola di esortazione. [ 1 3,20] Augurio e preghiera (additio) . « Il Dio della pace (tes eirenes) )) (v. 20) è motivo comune in buona parte delle benedizioni paoline3• Non si tratta della beatitudine di Dio (egli stesso pace), donata quasi gratuitamente. « Il Dio della pace )) è invece quel Dio che opera al fianco dei suoi, che pone satana sotto i loro piedi (Rm 1 6,20), che dice ai suoi che la pace non è assenza di conflitti, ne è piuttosto il risultato. Qui, al v. 20a, il dono della pace da parte del Dio della pa­ ce implica tutti gli elementi riferiti al v. 2 1 , graditi ai suoi occhi, e quanto già det­ to in 1 2, 1 4: perseguire la pace con tutti, essere operatori di pace, pur nella diver­ sità delle situazioni, delle persone, delle etnie (giudei e cristiani e gentili). Il riferimento a Dio che ha il potere di far tornare (ho anagagan) i morti alla vi­ ta, di cui in At 26,8 e anche in §moneh 'ESt-eh 2 è di per sé scontato. I cristiani del­ la prima ora vanno oltre e applicano questo potere di Dio specificamente a Gesù (Rm 4,24; 8, 1 1 ; 2Cor 4, 14; Gal l , l ). Eb 1 3 ,20, invece di usare egeirein (risorgere, 1 1 , 1 9) o anastasis (risurrezione, 6,2; 1 1 ,35), preferisce avvalersi di anagein (« far tornare, portare indietro ))). Dal momento che Is 63, I l (LXX) dice che « Dio ha portato fuori dalla terra (anagein) )) Mosè « il pastore delle pecore )), si può pensare che l 'autore ri­ veda nell 'esaltazione-risurrezione di Gesù la liberazione dali 'Egitto operata da Mosè (Es 32, 1 2; Nm 14, 1 3 ; 20,5). Inoltre, il fatto che l 'uso di anagd in tema di risurrezio­ ne torni nel NT una sola volta ancora in Rm 1 0,7 (« Chi scenderà nell'abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti ))) suggerisce di cogliere nella penna dell 'autore lo schema giudaico « discesa-ascesa )), ormai usuale presso i cristiani della prima ora. Esso, tuttavia, non va letto letteralmente. Non è intenzione di Ebrei « fotografare )) la discesa di Gesù il Cristo dal cielo e la sua rivivificazione e risalita dal profondo de­ gl ' inferi, dal regno dei morti; Ebrei vuole piuttosto dire che il Figlio è il compimen­ to del nuovo patto e al tempo stesso è la parola « fine )) dell 'antico; egli è ora sempre presente fra i suoi\ in qualità di « pastore grande delle pecore )), di sommo sacerdote buon pastore5. La bella preghiera di benedizione, in §moneh 'ESt-eh 2, aiuta a co­ gliere il profilo di questa metafora che descrive il carisma della guida6 e dà corpo al­ la speranza messianica7• I cristiani applicano l ' immagine a Gesù il Cristo anche allo scopo di evitare che sia confuso con altre guide del popolo di Dio8• Egli è infatti l 'u3

Lo si legge in Rm 1 5,33; 1 6,20; 2Cor 1 3 , 1 1 ; Fil 4,9; ! Ts 5,23. Si veda W.R.G. Loader, Sohn und Hoherpriester. Eine traditionsgeschichtliche Untersuchung zur Christologie des Hebriierbriefes (WMANT 53), Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1 98 1 , pp. 50-5 1 . 5 Così sembra insinuare l. Zidrun, The Mistery of Christ 's Priesthood, in Eph ThZagabr 69 ( 1 999) 590. 6 Si vedano: Ger 23, 1 -4; Ez 34, 1 -6; Epitteto, Manuale di disciplina 3,22,25. 7 Si leggano: Ez 34,23; Salmidi Salomone 1 7,40. 8 Cfr. I Pt 2,25; 5,4; Gv 1 0, 1 1 ; Mt 26,3 1 ; Ap 7, 1 7 . 4

Augurio, preghiera e poscritto Eb l 3,20-25

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nico « grande pastore » ( 1 3 ,20), l 'unico « grande sommo sacerdote » (Eh 4, 1 4; 1 0,2 1 ). Tuttavia, che Eh 1 3 ,20 possa essere connesso a 4, 14 e a l 0,2 1 è inattendibile. La connessione sintattica è troppo distante. Ma il riferimento, o almeno l 'allusione più attendibile, è a Is 63 , 1 1 (LXX), ove Mosè è presentato come il pastore delle pecore. In Es 3, l Mosè è pastore in Madian. La qualifica di « pastore » è frequente per Mosè. Attribuita a Gesù come liberatore, dà luogo a un fecondo parallelo: Mosè-Gesù. In esso, tuttavia, Gesù emerge nella sua unicità e qualità superiore in quanto è detto il pastore « grande » (to megan) tornato dai morti per opera del Dio della pace. Motivo ulteriore: il suo sangue, che sancisce la nuova alleanza, è eterno (v. 20). Il riferimento è a Zc 9, 1 1 . Se in 1 , 1 -2 si ha già una velato parallelo Gesù-Mosè, si può ben dedurre che dali ' inizio alla fine del suo « trattato » l 'autore argomenta in termini di conti­ nuità-superiorità. « Alleanza eterna » ricorre nella penna di molti scrittori dell ' AT quando tratta­ no le alleanze di Dio con Noè (Gn 9, 1 6), con Abramo ( 1 7,7. 1 3 ; 1 Cr 1 6, 1 7; Sal 1 04, 1 0), con Davide (2Sam 23,5). Anche le norme che regolano il sabato (Es 3 1 , 1 6) e il culto del tempio (Lv 24,8) vengono presentate come « alleanza eterna ». Pur po­ nendosi sulla linea dell 'evoluzione continua della storia della salvezza, il salto qua­ litativo è radicale quando Eh 1 3,20 descrive la nuova alleanza eterna « in virtù del suo sangue » (v. 20): essa è inchiodata sulla croce nella morte di Gesù il Figlio (Eh 7,22; 8,6; 9, 1 5); la prima alleanza ha infatti espletato ogni suo ruolo ed è divenuta obsoleta (8, 1 3). E poi essa non era « eterna >>: intuizione già messa in chiaro dai pro­ feti quando annunziano che Dio avrebbe introdotto una nuova eterna alleanza por­ tatrice di salvezza9 e di pace, di cui Ebrei ha già detto in l 2, 1 4a e 1 3 ,20a. Nel suo insieme, « sangue di un 'alleanza eterna >> chiede che si prenda atto dei seguenti dati : l ) uso frequente nel NT di aiOnios nel senso d' indefinita dura­ ta nel tempo o nell ' eternità futura; 2) totale assenza in AT-NT, prima di Ebrei, di una specifica menzione di « patto eterno » di redenzione, avvenuto in un « passa­ to eterno » , dunque sempre valido; 3) la specifica menzione di cinque patti nell ' AT qualificati come « eterni »10, ma di fatto non tali, in quanto puntano lo sguardo in avanti, non indietro; 4) il predominante frequente riferimento nell ' AT a un « nuovo patto eterno >> 1 1 rispetto ai quattro appena menzionati; 5) la compar­ sa in Ebrei di soli due patti, l 'antico e il nuovo, il che restringe contestualmente le opzioni interpretati ve; 6) la connessione in Ebrei di « sangue >> con « patto eter­ no >>. Ecco sei punti che spingono in direzione di un patto nuovo che doveva av­ venire, che sta avvenendo, che è avvenuto, che avviene. La lettura testuale e con­ testuale di « sangue di un'alleanza eterna » in Eh 1 3 ,20 punta sul sangue sparso nel nuovo patto in espiazione e propiziazione; produce un'attesa presente e futu­ ra, dunque permanente, eterna, della redenzione personale 1 2• 9 Si leggano: Is 55,3; 6 1 ,8; Ger 32,40 39,40 (LXX); 50,5; Ez 1 6,60. 1 0 Pre cisi fatti biblici: patto noahico (Gn 9, 1 6); abramitico (Gn 1 7,7. 1 3 . 1 9; Is 24,5); sacerdotale (Lv 24,8; Nm 1 8, 1 9); davidico (2Sam 23,5; Sal 88,3-4.28-29.36) e patto nuovo, di cui in nota seguente. 11 Si tratta di Is 55,3; 59,2 1 ; 6 1 ,8; Ger 32,40; 50,5; Ez 1 6,60; 36,26. 12 Sul peso esegetico-ermeneutico-pastorale di Eb 1 3 ,20, cfr. R.L. Mayhue, Heb 13. 20: Covenant ofGrace or New Covenant? An Exegetical Note, in MastSem.Journ 7 ( 1 996) 25 1 -257. =

636

Parte seconda. Traduzione e commento

« Il Signore nostro Gesù >> è magistrale chiusura di carattere gesuologico (il Gesù terreno), cristologico (il Cristo Signore), ecclesiologico (nostro). Come a di­ re: in lui tutto è racchiuso: quanto è stato detto e per sempre. [v. 2 1 ] Il soggetto del v. 2 1 è al v. 20: « Il Dio della pace ». Questi provveda a che la comunità dei credenti cresca « nel bene >> ( en agathij, codice P46), una for­ ma al neutro che indica in primis il bene della salvezza (9, I l ; 1 0, l ), ma che giu­ sti fi ca l 'aggiunta « in ogni bene » (en panti agathij), dunque, di ogni cosa buona, di ogni necessità quotidiana, onde i suoi siano in condizione di dare compimento al suo progetto di pace (v. 20) in un « oggi » permanente, in un 'adesione continua (eis to poiesai) a quel progetto (thelema). Il dare compimento è aderire in con­ creto operando, compiendo « opere » (ergon-erga), propongono alcuni codici un­ ciali (C, D2), richiamando così l 'attenzione sul lavoro che le comunità devono svolgere, essendosi poste al seguito del progetto di Dio (anche 2Ts 2, 1 7), nella fe­ de. Ergon è una probabile aggiunta intenzionale. Una bella composizione sintattica all ' aoristo ottativo (katartisai) seguito da un infinito finale (eis to poiesai) provvede a trasmettere il vivo desiderio dell 'au­ tore: « Il Signore nostro Gesù vi prepari per compiere la sua volontà ». Allo sco­ po, la prima azione a fondo, da parte dei destinatari, è da condurre su se stessi : « . . . Operando in voi . . . fra voi . . . », dove non deve sfuggire la reiterazione enfatica di « per compiere . . . compiendo (eis to poiesai . . . poion ». I credenti, più che retrocedere dalla loro adesione al « Signore nostro Gesù » (v. 20), operino in se stessi (poion en hymin), lavorino a se stessi fino a ottenere che il nuovo patto eter­ no avvolga il cuore, la mente, la coscienza (8, 1 0; 9, 1 4; l O, 1 6); operino fra di lo­ ro (altra possibile traduzione di en hymin, dal forte peso ecclesiologico, in quan­ to lo stile di vita della comunità è parte essenziale dell 'opera di Dio, 1 0,25 ; 1 3 , 1 . 1 6). Compiano ciò che torna gradito a Dio, con attendibile riferimento a tut­ te le opere menzionate in 1 2,28 - 1 3 , 1 9. Tutto compiano « per mezzo di Gesù Cristo », e sarà il modo più sicuro per non abbandonarlo. « . . . Al quale sia gloria . . . ». Dossologia, l 'unica in Ebrei. A Dio? Questi è in­ fatti il personaggio principale in 1 3 ,20-2 1 13• O a Gesù Cristo? Questi è invece il personaggio di riferimento più immediato per il pronome hij (« al quale »)14• Per quanto le due letture possano essere attendibili, la seconda s' impone per la posi­ zione sintattica. Spesso tradotta dalla LXX con genoito (« così sia »), o semplicemente traslit­ terata, la parola ebraica amen riscuote ampio consenso presso la comunità cristiana delle origini e correda la chiusura di molte dossologie 15• Esprime colore liturgico e assenso della comunità riunita per il reiterato ascolto 1 6 del « trattato » a lei inviato. 1 3 Sullo stile di Rm 1 1 ,36; Gal l ,5; Fil 4,20; l Tm l , 1 7. 14 Sullo stile di 2Tm 4, 1 8; 2Pt 3, 1 8; Ap l ,6. 15 Come nella quasi totalità delle dossologie (teologiche e cristologiche) nella epistolografia del NT: Gal l ,5 e Fil 4,20 (a Dio; identiche nella forma); Rm 1 1 ,36 e 2Tm 4, 1 8 (al Signore); 1 6,27 (a Dio per mez­ zo di Gesù Cristo); Ef 3,2 1 (a Dio in Cristo Gesù); poi l Tm 1 , 1 7 (a Dio re unico); 6, 1 6 (a Dio invisibile); inoltre l Pt 4, 1 1 (a Gesù Cristo); 5 , 1 1 (a Dio); 2Pt 3, 1 8 (a Cristo; l 'unica senza amen); Gd v. 25 (a Dio per mezzo di Gesù Cristo). Si veda anche Ap 1 ,6; 5 , 1 3 e 7, 12. Da ultimo !Clemente 20, 38, 43, 50, 58, 6 1 . 1 6 Certo non nel corso di una sola ora! Cfr. Sezione introduttiva, p. 4 1 .

Augurio, preghiera e poscritto Eb 1 3, 20-25

637

[ 1 3,22-25] Poscritto, battute finali, di chiara indole epistolare, ascrivibili al­ l 'autore di Ebrei o anche allo stesso Paolo 1 7? O si tratta di un comportamento pseudepigrafo relativamente riuscito? [v. 22] « Vi raccomando, fratelli, accogliete questa parola di esortazione ». Lo stile epistolare s ' intravede subito grazie alle parole parakalo adelphoi (« Vi raccomando, fratelli » ), le quali si leggono ancora a chiusura di l Ts 5, 1 4; l C or 1 6, 1 5 e Rm 1 6, l 7. Rispetto al ricco contenuto di parakalo al v. 1 9, qui esso è piuttosto povero, segno attendibile che si ha a che fare non con l 'autore di Ebrei, ma con un « qualcuno » 18 che tenta di portare il « trattato » nel ciclo deli ' epistolo­ grafia paolina. Altro segno al riguardo è il tono fraterno e pastorale della parola adelphoi (fratelli), anch' essa propria di Ebrei in 2, 1 1 - 1 2 . 1 7; 3, 1 . 1 2 e l O, 1 9 e qui semplicemente trasferita; contribuisce a fare di Ebrei un documento di sapore paolino, carico dell 'autorità dell 'Apostolo. La formula: « Vi raccomando, fratel­ li » inoltre, là dove ricorre nell 'epistolografia paolina, trasmette accorate preoc­ cupazioni, qui anch' esse del tutto assenti. Lo scopo pseudepigrafico, di aggan­ ciare con questa formula tutto il documento per ascriverlo ali ' Apostolo, si può certo dire, non è riuscito. Secondo il v. 22, Ebrei è nel genere dell 'esortazione (logos tes parakaleseos). Qui l ' intervento pseudepigrafico è invece più felice. La forma letteraria molto concisa riesce infatti a rendere il nucleo di Ebrei: esortare raccomandando e rac­ comandare esortando. In tal modo la intentio auctoris di tutto il « trattato » è ben resa: evitare un ' irriversibile apostasia. Significativo il possibile collegamento con l 0,2 5 : l 'autore raccomanda che non venga disertata « la nostra assemblea », quella del nuovo patto pasquale, piuttosto si partecipi a essa e ci si esorti a vicen­ da (parakalountes) . L'attendibile allusione ali 'assemblea liturgica sta molto a cuore (parakalo) al « Paolo autore », soggetto non nominato, ma voluto dalla na­ tura pseudepigrafica dei vv. 22-24. In 1 0,25 si precisa anche l 'argomento: « . . . Il giorno (del Signore) è vicino ». Per sostenere i destinatari stanchi nella fede, Ebrei contribuisce con la « parola di esortazione » (parakaleseos) . Venga dunque accolta e la si legga nelle assemblee, quella « parola »: la si ascolti e la si lasci scendere nel proprio cuore e diventi persuasione. È il senso denso di anechesthe (« accogliete »): ascoltare, tenere in sé, trattenere 19; un vero « appello » a costrui­ re. Tutt' altro, dunque, che un rimprovero. Con kai gar (« proprio per questo »), che si legge già in 4,2; 5 , 1 2, e che ap­ partiene allo stile di Ebrei, l 'autore si dichiara rispettoso della virtù della brevità; egli non ha inteso stancare i suoi destinatari giudeo-etnicocristiani con uno scrit­ to lungo e verboso e dal contenuto pesante; spera così di non incorrere in una sgradevole non accoglienza. In verità, lo scritto loro indirizzato non è affatto bre17 Avverte la questione già Nicolaus de Lyra, Postilla super totam Bibliam, voli. I-IV. Epistola Pauli ad Hebraeos, vol. IV (ultima pagina, senza numerazione), quando annota che i vv. 20-2 1 so­ no una additio (finalis) e i vv. 22-25 una replica; intende dire: un'aggiunta epistolare e una replica della medesima. 18 Si pensa addirittura a un falsario. Cfr. E. Griisser, An die Hebriier. Hebr 1 0, 1 9-13, 25, vol. III, p. 41 O. Ma il tono pseudepigrafico non è mai stato indizio di un falsario. 19 Si veda H. Schlier, anecho, in GLNT ( 1 965) l ,965-968.

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Parte seconda. Traduzione e commento

ve, se lo si compara con le altre lettere dell 'epistolario paolino. Anzi, più di una di esse è ben più breve di Ebrei. L'autore intende allora dire di essersi espresso brevemente su materia di tanto valore, bisognosa comunque di ulteriore tratta­ zione. È tuttavia sufficiente quanto egli ha presentato, essendo sua finalità priori­ tana consolare ed esortare alla fedeltà nella fede. Scopo questo che egli ritiene pienamente raggiunto. In questo senso sono « brevi » anche la l Pt 5 , 1 2 e le lette­ re ai Rm 8,2 e A Policarpo 7,3 di Ignazio di Antiochia, pur non essendo affatto brevi. E non lo sono neppure 2Maccabei e Lettera di Barnaba, testi considerati brevi, eppure ben più lunghi di Ebrei. Sono i rispettivi autori a considerare « bre­ ve » la loro esposizione20• Tuttavia, prendendo alla lettera la dichiarazione di bre­ vità, vi è chi pensa che l 'autore si riferisca al solo cap. 1 3 . Si tratta di studiosi che ritengono Eb 1 3 un capitolo posteriore e aggiunto2 1 • [v. 23] « Sappiatelo bene, i l nostro fratello Timoteo » è una formulazione combinata in due tempi: ginoskete (« sappiate lo bene ») riporta i lettori al Paolo prigioniero (Fil 2, 1 9.23-24). Come già al v. 22, ci si ritrova a contatto con ele­ menti che tendono a fare di Ebrei uno scritto di Paolo. « Il nostro fratello Timoteo », si legge ancora in l Ts 3,2; al contesto carcerario richiama l 'unico pos­ sibile riferimento in Fm v. l : « Paolo, progioniero di Gesù Cristo, e il fratello Timoteo », probabilmente anch'egli prigioniero con Paolo; l ' ansia dell ' autore di tornare quanto prima in seno alla sua comunità (v. 23, apusia-parusia) è quella di Paolo in Fil 2, 1 9-24 e l Cor 4, 1 9. Non dovrebbero esserci dubbi che il Timoteo in questione sia la persona a noi nota dagli Atti degli apostoli e dali 'epistolario paolino. Paolo lo conosce a Derbe in At 1 6, 1 nel corso del suo primo viaggio missionario. Il rapporto s' in­ tensifica sul piano ministeriale e umano, fino a motivare l 'uso del termine « fra­ tello ». Timoteo è menzionato ancora in At 1 7, 1 4 con Sila, in Fil 2, 1 9 dove rice­ ve l 'elogio più elevato che Paolo abbia potuto fare di un suo collaboratore (Fil 2,20-22), nonché in 2Tm 1 ,5 ; in Rm 1 6,2 1 , in 1 Cor 4, 1 7 e 1 6, 1 0- 1 1 , in Fm v. l e Col l , l dove appare, se non coautore, almeno committente di quelle lettere. Questo Timoteo appare qui noto e molto vicino ali 'autore di Ebrei. Perché mai questo intervento pseudepigrafico avrebbe dovuto riferirsi a un « altro » Timoteo? Ignoto ai padri apostolici e agli apologisti, egli è più tardi conosciuto nelle Costituzioni apostoliche 6,8, 1 1 e 7 ,46, 7. Timoteo «è stato rimesso in libertà » (apo/elymenon) . Da quale carcerazio­ ne? E per quale motivo? Nonostante l ' informazione di Fm v. l di cui sopra, si va­ ga ancora nella non chiarezza. Del resto tutto l ' intervento pseudepigrafico è ac­ compagnato dalla non cura del dettaglio. La forma verbale apo/elymenon al participio perfetto passivo è nota alla classicità, che se ne serve per informare sul­ la liberazione dal carcere22• L' autore, che conosce questa forma verbale solo qui, intende sia la liberazione di Timoteo dal carcere sia la già avvenuta sua partenza 20

Ampia documentazione in H. Braun, An die Hebriier, pp. 48 1 -482. Vedi l ' introduzione a Eb 1 3 : una questione previa. 22 Così O. Procksch, /y6, in GLNT ( 1 970) 6,883-886. Ampia documentazione in H. Braun, An die Hebriier, p. 483 . 21

Augurio, preghiera e poscritto Eb 1 3, 20-25

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verso di lui . Poco attendibile che egli voglia fornire una nuda e cruda informa­ zione di liberazione e d' incontro programmato; una così fredda notizia non si ad­ dice a un pastore tanto preoccupato e desideroso di portare a compimento l ' ope­ ra intrapresa a favore di destinatari disorientati. La solidarietà di Timoteo gli torna opportuna allo scopo. Si può anzi fondatamente pensare che quella forma verbale usata per una sola volta in tutto lo scritto proponga un 'esperienza di gran­ de gioia, proprio perché alla liberazione ha fatto già seguito la partenza. Non re­ sta che attendere e sperare che Timoteo giunga al più presto (tachion). Una considerazione non secondaria: questo intervento pseudepigrafico ha ottenuto un grande risultato. Nonostante la lunga attesa, Ebrei entra nel canone del NT, se non proprio, almeno per il decisivo apporto di quell ' intervento. « Se arriva presto » (tachion erchetai) è una formulazione tipica (At 1 7, 1 5 ; Fil 2, 1 9.24; l Tm 3 , 1 4; Giuseppe e Asenet 2, 1 42). L'autore lontano (apusia) vuo­ le visitare (parusia) i suoi destinatari quanto prima è possibile (desiderio già espresso al v. 1 9): sia la comunità stessa a ottenere da Dio che tale desiderio (fi­ lofrònesi) si compia al più presto. Da notare che al v. 1 9 Ebrei parla solo di una sua visita, senza abbinare a sé Timoteo. Si dovrebbe pensare a due visite diverse. Ma anche a una sola, da intendere così : se arriva presto, come spero (ean + l 'in­ dicativo), vi farò visita con lui ; in caso contrario, verrò da solo. Ma la speranza è che Timoteo, sopraggiungendo, prenda con sé l 'autore ed entrambi raggiungano la comunità. Timoteo intanto è già in viaggio, in direzione dell 'autore, ma anche verso la comunità. La grande gioia di quella liberazione dà fondamento alla for­ ma verbale « sappiatelo bene (ghinoskete)», un imperativo che esprime la incon­ tenibilità di un' esperienza che l 'autore ha bisogno di comunicare subito. [v. 24] « Salutate tutti (pantas) i capi e tutti (pantas) i santi ». Salutate cioè quelli che esercitano il ministero del governo nella vostra comunità e la comunità stessa. Entrambi sono presentati dall 'uso di pantas che ha qui un valore ecclesio­ logico: si tratta infatti di tutte le guide carismatiche stabili presso tutte le comu­ nità giudeocristiane destinatarie del « trattato ». Non così il panton di 1 3 ,25 . Se hagioi è detto anche delle guide carismatiche, abbiamo qui un primo piano della comunità dei santi (cioè dei battezzati in Gesù il Cristo), nella quale sono presenti quelle guide con qualificato impegno ministeriale. Gli uni e gli altri chiamati al­ la fedeltà nella fede. « Vi salutano quelli (i santi) d' Italia >> (hoi [hagioi} apo tes Italias). Rinvio al­ l 'esposizione dettagliata nella Sezione introduttiva. Qui in sintesi: si tratta di cri­ stiani venuti dall ' ltalia23 e al momento viventi fuori dall ' Italia, o di cristiani dall ' Italia, nel senso che sono al momento in ltalia?24• Comunque sia, si dovrebbe trattare dei cristiani delle varie comunità di Roma, formate da ebrei e anche da

23 Nel senso di « Gesù da Nazareth » (M t 2 1 , 1 1 ); Giuseppe « da Arimatea » (Mc 1 5,43); Filippo « da Betsaida )) (Gv 1 ,44); Natanaele « da Cana di Galilea )) (Gv 2 1 ,2), tutte persone segnalate con apo. anche quando si trovano in tutt 'altro luogo e non nella loro città di provenienza. 24 In questo caso, le poche righe del poscritto pseudepigrafico potrebbero essere state scritte dall ' Italia, immediatamente dopo l 'esecuzione capitale de li ' Apostolo; ne sarebbe latore appunto Timoteo, rimesso in libertà: lo esclude del tutto A. Strobel, La Lettera agli Ebrei, p. 256.

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Parte seconda. Traduzione e commento

gentili che hanno abbracciato la fede in Cristo. Argomento a favore, l 'equivalenza > favorita da At 1 8,2-3 ; 27, 1 .6 (al contrario, Svetonio, Vite dei Cesari. Claudio 23,26; Vite dei Cesari. Giulio Cesare 38). Il fatto tuttavia che l Clemente (in­ troduzione) e Ignazio di Antiochia, Agli Efesini 1 ,2; 2 1 ,2 e Ai Romani 5, 1 ; 1 0,2 non evitino di menzionare espressamente Roma, potrebbe porre in forse quell ' equivalen­ za. Perché Ebrei non ha menzionato Roma altrettanto espressamente? Ma ci si può an­ che chiedere perché lo avrebbe dovuto fare. Autori diversi, stili diversi. Si dovrebbe pensare che ). Il Risorto, poi, non è presentato con uno dei suoi nomi ricorsi in tutta « questa parola di esortazione >>, come « Figlio, Signore, Gesù, Cristo, Gesù il Figlio di Dio », ma con una formulazione inusitata in Ebrei e nel NT: « Il pastore grande delle pecore ». Pensa l 'autore al quadro sinottico di Gesù con le pecore (Mc 1 4,27 e par. = Zac 1 3 ,7) o all ' immagine giovannea di Gesù buon pastore (Gv 1 0, 1 0)? Pensa « al pa­ store supremo (archipoimen) » di I Pt 5 ,4 o risente del Martirio di Policarpo 1 9,2, dove si legge di Gesù pastore della Chiesa cattolica sparsa nel mondo intero? Quel che si può dire è che Ebrei si pone in questa tradizione, dimostrando tuttavia anco­ ra una volta una procedura espositiva personalizzata. Ritenere poi che in 7,25 (« Egli vive sempre per intercedere in loro favore ») Ebrei voglia riferirsi al « pa­ store grande » che presenta le sue « pecore » a Dio nel tempio celeste, per cui egli è anche il « sommo sacerdote », è improprio dedurlo. Il riferimento al ritorno dai morti in Eb 1 3 ,20 è non poco prezioso nella sua sporadicità; esso si armonizza con i momenti che lo precedono nella vicenda terre­ na del Figlio: egli « si sottopose alla croce » ( 1 2,2), « patì fuori dalla porta della città» ( 1 3 , 1 2; cfr. Gv 1 9, 1 7). Dopo che « il Dio della pace (lo) ha fatto tornare dai morti » ( 1 3 ,20), egli è asceso nell ' interno del velo del santuario (6, 1 9-20; 9, 1 2.24) ed ha attraversato i cieli (4, 1 4), prendendo posto alla destra della Maestà ( 1 ,3; 4, 14; 8, 1 ; 1 0, 1 2). Ora i « suoi » attendono il suo ritorno (9,28; cfr. 1 ,6). Dall ' inizio alla fi­ ne del suo pellegrinaggio terreno, Gesù il Figlio resta sempre fedele a Dio (4, 1 4), santo e senza macchia, separato dai peccatori (7,26); amministra il divino progetto redentivo (2,3-5), nella solidarietà con i fratelli, compassionevole e misericordioso

33 « Gratia Dei, id est, peccatorum remissio ». Preziosa annotazione di Tommaso d' Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. II, Ad Hebraeos 775, p. 506. Già Teofilatto, Epistolae Divi Pauli ad Hebraeos Expositio, in PG 1 25, 1 85-404, qui 404 spiega così la charis: essa è remissione (aphesis) dei peccati, in cui i cristiani incorrono dopo il battesimo, purificazione (katharsis), partecipazione (metalepsis) al dono dello Spirito. 34 11 fenomeno è rilevabile anche neli ' epistolario paolino: mentre in Gal 6, 1 8 Amen è dalla pen­ na di Paolo, in ben altre 1 2 ricorrenze del l ' epistolario paolino è aggiunta liturgica (Rm 1 ,25; 9,5; 1 1 ,36; 1 5,33; 1 6,24.27; I Cor 1 4, 1 6; 2Cor 1 ,20; Ga1 1 ,5 ; Ef 3,2 1 ; Fil 4,20; l Ts 3 , 1 3 . Inoltre in l Tm l , 1 7 e 6, 1 6; 2Tm 4, 1 8).

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Parte seconda. Traduzione e commento

(2, 1 6- 1 7). Alla destra di quel trono, egli continua « ora » a celebrare la redenzione: sommo sacerdote della nuova alleanza (7,25). Eb 1 3 ,22-25 è una conclusione (poscritto) pseudopaolina, il cui scopo è dare al « trattato >> origine apostolica e dignità canonica. Quelle battute finali mirano a includere il « trattato >> nel numero degli scritti paolini. Ma la redazione non è né di Paolo né dell 'autore di Ebrei. L'unità letteraria è a sé stante e ogni possibile rap­ porto con il corpo di tutto lo scritto continua a essere controverso. Quali che possa­ no essere state le finalità di questo poscritto, di fatto presenti nella sua stessa for­ mulazione letteraria (dal genere ora esortativo ora epidittico ora informativo, dunque eterogeneo), resta chiaro lo scopo raggiunto: l ' immissione di Ebrei nel ca­ none. Ma è altrettanto chiaro che quel poscritto continua a porre domande, alle qua­ li ancora oggi non è possibile dare adeguata risposta. Un enigma che rimane ! Il mio commentario è giunto al termine. È stato come un film avvincente. Sullo scenario della vicenda storica, due gli atti interconnessi: il primo ripercor­ re le fasi chiave della storia d'Israele, nella transitorietà e nell ' imperfezione, tra fedeltà e infedeltà; il secondo estrae da quella medesima storia l ' irresistibile spinta verso l 'alto, verso il trascendente, l 'eterno, il perfetto. Il dramma è provo­ cato da due tensioni, religiosa l ' una e sociale l 'altra. E se la seconda è alimenta­ ta dali 'anamnesi continua di una storia di ieri, eppure sempre di oggi, la prima tensione apre invece alla percezione di ciò che certamente dovrà accadere. Gli spettatori di questo dramma, giudeocristiani in Roma (sinagoga degli ebrei?) e gentili cristiani anch' essi in Roma, nonché proseliti simpatizzanti del giudaismo, attenti al fenomeno cristiano crescente, sono presi da due tensioni : nel tempo la prima, mentre la seconda sospinge oltre il tempo. E se il primo atto del dramma tiene legati al terrestre, il secondo eleva al celeste. Chiave di volta: « Gesù Cristo il Figlio sommo sacerdote », un'ermeneutica metaforica da tutti comprensibile, oltre la quale s' impone la teologia della redenzione. L'attesa messianica ha rag­ giunto il suo punto nevralgico: egli è al traguardo, oltre il velo. In attesa di noi, ancora pellegrini, al di qua del velo. Ed esorta: Siate saldi nella vostra professio­ ne di fede: io, Gesù il Cristo, ho superato in qualità e in efficienza tutte le attese di redenzione seminate nel primo atto del dramma storico di Israele; ora è suben­ trato il secondo, quello celeste. Per voi ancora in corso, esso viaggia verso il com­ pimento35.

3 5 Cfr. K . Schenck, Understanding the Book of Hebrews: The Stora behing the Sermon, Westminster J. Knox, Louisville 2003 . Cfr. la recensione di W. Brouwer, in CTJ 39/ 1 (2004) 1 761 78.

Parte terza

IL ME S SAGGIO TEOLOGICO

VERSO IL RIPOSO

È un dato di fatto: gli studi sulla struttura letteraria e sullo stile linguistico di Ebrei sono in sovrappiù rispetto ai pochi sul messaggio. Eppure, Ebrei ne è pieno, e vi è solo il tormento della scelta per estrarlo e presentarlo, sì che risponda al pensie­ ro dell 'autore e incida nel presente. Lo sforzo è di costruire un ponte sicuro tra ese­ gesi e teologia biblica, opera dell 'esegeta; è difficile che altri lo possano sostituire in questa impresa 1 • Solo l 'esegesi storico-critica mostra di poter mettere in movimen­ to quegli aspetti funzionali del testo di Ebrei capaci di svelare la ricchezza del Figlio Gesù il Cristo attraverso l ' interrelazione di tutto ciò che gli si riferisce. Il « trattato ai cristiani di origine ebraica ed etnica ora ellenizzati » è indiriz­ zato a una o più comunità di cristiani della seconda e terza generazione, i quali, nonostante la loro temporale vicinanza agli eventi storici della salvezza, stavano smarrendo il senso dell 'evento da essi stessi testimoniato: Gesù, il loro Signore e salvatore2• Bisognava persuaderli a rifocalizzare la loro attenzione su di lui . Punto di partenza sono la provenienza del « Figlio » da Giuda (7, 1 4 ), la lotta di Gesù nella preghiera (5,7) e la crocifissione fuori dall ' accampamento ( 1 3 , 1 2): tre indicazioni indiscutibili a favore della storicità del Gesù in cui credere. Tutto il resto richiede disponibilità al cibo solido e non al latte per bambini ( l O, 1 2- 1 4 ). In quelle tre stazioni Ebrei racconta la rivelazione che accade nella storia, una sto­ ricità unica, che continua nel sommo sacerdozio « alla destra della Maestà » ( l ,3 ). Il Gesù storico è la prova più decisiva per superare ogni tentativo gnostico di re­ denzione elitaria3, nonché di nostalgici riflussi nel passato.

l. Peregrinare nella fede (tema)

Non resta che prendere atto di essere in movimento verso di lui, come in esodo da casa propria (Eb 6,2; l 0,22 ; 1 1 ,8. 1 5), pellegrini nella fede verso il ripo1

Decisa la posizione assunta a1 57° Meeting della SNTS (Durham, 6- 1 0 agosto 2002), dai re­ latori C. Breytenbach e J.W. Taeger. Entrambi si ripronunziano per un metodo storico-critico rigoro­ so a partire da lessicografia e linguistica come momenti imprescindibili per un'esegesi che persua­ da e una teologia biblica che ne sia il frutto migliore, un severo Text Criticism. Presente io stesso a quel Meeting, non ho potuto che condividere. 2 Sui due plausibili motivi (nostalgia della sfarzosa liturgia dello Jam Kippur e sfavore politi­ co da parte imperiale, dali 'anno 4 1 al 96), cfr. la Sezione introduttiva (sul Sitz im Leben storico del secolo 1: da Claudio a Domiziano [anni 4 1 -96]), pp. 77-83 . 3 Così E. Griisser, A ufbruch und Verheiftung. Gesammelte A ufsiitze zum Hebriierbrief (M. Evang - O. Merk, edd.), (BZNW 65), W. De Gruyter, Berlin - New York 1 992, pp. 1 25- 1 27.

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Parte terza. Il messaggio teologico

so di/in Dio (4, 1 . 9), tra ritardi e smarrimenti, eppure senza perdersi4• Che tipo di fede è mai questa, capace di animare tanta speranza? Con un preludio che va al­ l ' essenziale, Eb l O, 1 1 - 1 9 prepara il grande exploit sulla fede in Eb 1 1 . Essa è la risposta esatta al nuovo patto ( l O, 1 5- 1 8) nella morte espiatrice e redentrice di Gesù ( l O, 1 1 - 1 4 ), è un processo di ricezione esistenziale, uno stile dello Spirito, essenziale al compiersi del progetto salvifico. I destinatari si aprano alla fede con fiducia ( l O, 1 9), ne acquisiscano la piena consapevolezza ( l 0,22), saldi nella spe­ ranza ( l 0,23) in ciò che ancora non vedono, perché « la fede è fondamento-espe­ rienza delle realtà che si sperano e prova (certa) di quelle che non si vedono » ( 1 1 , l ). In forma quasi intellettuale, l 'autore tenta di portare i lettori alla com­ prensione della fede, li esorta a !asciarsene ispirare e a dare una risposta che pro­ venga dal cuore. Argomenta così : fede è la base (hypostasis) per costruire un po­ sitivo atteggiamento di vita aperto al futuro. Quest'ultimo è sicuro, anche se non ancora sperimentato, perché oggetto di speranza. Quanti hanno creduto ( 1 1 ,2-40) sono vissuti con lo sguardo rivolto a quelle realtà future, quasi già le vedessero ( 1 1 ,27), dando prova di quanto concrete e certe siano le promesse di Dio. Con lo strumento retorico dell ' a n afo ra , Ebrei ottiene l ' effetto desiderato. Egli introduce ogni personaggio della storia d'Israele con il dativo di relazione « per fede » (pistei) e per ben 1 8 volte: per fede si guarda a un futuro promesso e sicuro, eppure incerto. L'unica certezza è « la fede ». Essa offre strumenti opera­ tivi per la vita cristiana: saldezza, fedeltà e affidabilità ( l 0,23a), sullo stile di Dio, il quale è affidabile perché fedele ( l 0,23b)5; sullo stile di Mosè, obbediente e operoso nella fede per il popolo di Dio; sullo stile di Gesù (3, l -6), pioniere nella fede per il popolo di Dio. L'autore pastore chiede ai suoi destinatari la stessa fe­ deltà del Dio fedele, di Mosè suo servo e di Gesù il Figlio (3 ,6- 1 4). « Fede » non descrive un contenuto; a questo scopo quel pastore catecheta si avvale di « pro­ fessione )) (homologia, 3 , 1 ; 4, 1 4; 1 0,23). « Fede )) è realtà da capire in momenti dinamici, visibili in una serie di concrete situazioni dell ' AT ( 1 1 ,2-40). L'autore pensa in termini di vita. Egli non definisce la fede in senso filosofico né dogma­ tico e neppure in quello paolino della « giustificazione )) (Rm 3 ,24-25). Nella sua penna,fede è di significato così vario da fornire a Martin Lutero l 'argomento più forte per dire: questo scritto non è di Paolo6• Il pensiero di Ebrei e quello di Paolo, tuttavia, non sono incompatibili: si tratta solo di risposte diverse a circostanze di­ verse. Paolo scrive a etnicocristiani, non impone loro la legge, come invece è ri­ chiesto da una influente classe 'dirigente giudaica; Ebrei scrive a giudeo-etnico­ cristiani, li esorta a cogliere la legge nella sua transitorietà. In caso contrario, ne

4 Cfr. Eb 3 , 1 2- 1 8; 5, 1 1 - 6, 1 2 ; 1 0,23-26; 1 1 ,25-27.33-38; 1 2,4. Si hanno qui gli elementi tipi­ ci che strutturano il pellegrinaggio, espressione di religiosità nella Bibbia e oltre. Cfr. D.O. Via, The Letter to the Hebrews: Word of God and Hermeneutics, in PRS 26 ( 1 999) 22 1 -234. 5 La fedeltà è una qualità di Dio. Così anche in l Cor 1 ,9 e altrove in Paolo e nel NT. 6 Per il pensiero del riformatore, cfr. Commen tariolus in epistolam divi Pauli Apostoli ad Hebreos, 1 5 1 7, in M. Luther, Werke. Nachschriften der Vorlesungen iiber Romerbrief. Galaterbrief und Hebriierbrief Kritische Gesamtausgabe, vol. 57, Bohlau (u.a.), Weimar 1 939; Die Glossen, pp. 226-229 (in generale). Ne accenna B. Lindars, The Theology, p. 1 1 1 .

Verso il riposo

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andrebbe della fede abbracciata, respingere la quale esporrebbe al rischio di un ritorno ad antiche prassi e tradizioni. Il compimento finale del piano di Dio appartiene al « mondo futuro » (Eh 1 1 , 1 3- 1 6). Intanto, si operi nel mondo presente. Momento decisivo: la venuta di Gesù (2,9), il « Figlio di Dio » (4, 1 4). Il patto nuovo cui egli ha dato avvio è in cor­ so ancora « oggi », una marcia nella fede verso il compimento, quando « si com­ pirà » per tutti il tempo dell 'attesa, nel riposo (katapausis) in Dio. Nel « frattempo >> si guardi al « pioniere e perfezionatore della fede » ( 1 2,2). Ali 'apice del popolo del­ la fede ( 1 1 , l - 1 2,2), egli ha messo in movimento il piano di Dio; egli è il primo ad avere creduto in esso e ad averlo portato a compimento nella fedeltà. Quel Gesù è ora nella compagnia di Dio ( 1 2,2). Per tanta gioia che lo attendeva, non ricusò la croce. Si peregrini con lui in una fede operosa, si lotti contro il rischio della pigri­ zia (5, 1 1 ), dell ' apostasia ( 1 2 , 1 .4), fino al dono della propria vita ( 1 2,4a). Quest'ultimo riferimento potrebbe alludere ali ' incendio di Roma e alle reazioni punitive dell ' imperatore7 o, meglio, alla situazione non rosea per i cristiani nel se­ colo l, ma anche alla pressione ebraica ad abbandonare la scelta (giudeo-)cristiana. Combattere fino al sangue avrebbe dunque il senso di resistere a ogni costo, nella fede. Singolare strumento operativo: pazienti nella lotta, costanti ( 1 2, l b) nella fede ( 1 2, 1 2- 1 7). Alcuni momenti qualificanti : lavorare alla pace con tutti ( 1 2 , 1 4), alla santificazione, trasponendo in sé la santità di Dio (v. 1 4b); evitare culti profani e cu­ stodire il matrimonio (v. 1 6). Non si incappi nel caso di Esaù (Eh 12, 1 6- 1 7), che, per un piacere momentaneo, profana la benedizione di Dio, perde il diritto di pri­ mogenitura e l 'eredità delle promesse messianiche8. Allontanarsi dal « Figlio Gesù il Cristo » è perdere la sua benedizione, è vendere la primogenitura cristiana e non potere più tanto facilmente fare ritorno a lui (6,4-6); come Esaù, del resto, che non ha più potuto riappropriarsi della primogenitura (Gn 27,36-38). La comunità ri­ sponda invece con fede consapevole del presente e sia aperta al futuro (Eh 1 2, 1 829): il progetto redentivo di Dio, già avvenuto nella persona di Gesù il Cristo, si compirà al suo ritorno, quando egli « comparirà » di nuovo, senza dover rinnovare l 'espiazione (9,28), ma da trionfatore. I credenti, raccolti in assemblea, sperimen­ tano « oggi » quel progetto di fede e ne respirano in anticipo ( 1 2, 1 8-24) il potenzia­ le futuro ( l 0,25b ). Non accade la stessa cosa al monte Sinai? « Monte santo » e ter­ ribile, esso cede il passo al « monte Sion », luogo della presenza di Dio e dell ' accesso libero a lui, già disponibile a ognuno « ora » nella episynagoge ( l 0,25), poi nel « non ancora », nella festosa assemblea dei primogeniti nella fede ( 1 2,22b-23). Per tale compimento bisognava attendere il Cristo ( 1 1 ,40), il portato­ re del nuovo patto nel suo sangue sparso (9, 1 3- 1 5). E se il sangue di Abele grida vendetta, quello del Figlio grida riconciliazione. I destinatari vedano di non rifiuta-

7 Così B. Lindars, The Theology, p. 1 1 3 (poco attendibile). Sulla questione, cfr. la Sezione in­ troduttiva (sul Sitz im Leben storico del secolo 1: da Claudio a Domiziano [4 1 -96]), qui su Nerone, pp. 78-8 1 . 8 Alcune fonti giudaiche considerano Esaù un ingiusto verso Dio, quasi un senza fede: Genesi Rabba 63 (40b); Targum Jerushalmi l su Gn 25,32.34. Testi in KNTTM.SB, vol . 111, pp. 748-749. Il motivo di Esaù ricorre anche in Rm 9, 1 3 . Ebrei conosce la vicenda, che elabora però in proprio.

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Parte terza. Il messaggio teologico

re tale invito a tanta salvezza. Prendano invece atto della transitori età delle cose; so­ lo ciò che è incrollabile resta: il regno di Dio (Eb 1 2,26 e Ag 2,6). Per questa pro­ messa, Ebrei chiede all 'assemblea sensibilità al ringraziamemto e che non sia di­ sertata ( l 0,25). In essa, la fede (pasquale) è celebrata e si consolida; la « teologia della redenzione» è messa a fuoco, la titubanza nella fede si trasforma in marcia de­ cisa verso il riposo di/in Dio9• Pellegrinaggio e riposo: due luoghi teologici (topoi) . I l « trattato agli Ebrei )) chiama ad ascoltare l a parola del Figlio Signore e a ri­ spondere con un pellegrinaggio nella speranza, a lasciare casa e a muoversi verso la città celeste. Questa visione è storica ed escatologica: edotta dal passato, la co­ munità si muove attraverso le difficoltà presenti; esposta allo smarrimento, punta verso la piena redenzione, nella città del « riposo », traguardo del pellegrinaggio. Verso di esso è in marcia nella fede ogni pellegrino alla ricerca del Dio che salva10• Ma quale il contenuto di questo pellegrinaggio? Esso è una esperienza educa­ tiva continua nella quale le prove esprimono la maturità nella fede: Abramo ( 1 1 ,822) e Mosè ( 1 1 ,23-3 1 ) vedono l ' invisibile nonostante le contrarietà. Il Dio della promessa resta infatti credibile perché fedele, corregge i suoi e li conforta. « Nel Figlio )) egli compie la sua promessa ( l ,2), sempre; essa continua nei cristiani; quel fatto-evento accaduto nella storia richiede l ' ascolto di Dio e la guida dello Spirito. Durante il pellegrinaggio si sperimenta la credibilità della novità cristiana: avvolti nell ' immaginario familiare (padre, figli, fratelli, casa . . . ), i cristiani sono membri di un 'assemblea santa; rafforzati dall 'amicizia e dalla correzione frater­ na, sono solidali nelle contrarietà; nutriti dalla preghiera e fondati sulla fratellan­ za con Cristo, essi si confrontano con lui che ascolta il Padre, il quale ascolta la preghiera del Figlio. La sofferenza di quest'ultimo, fedele nella fede, è solidarietà con la famiglia umana, sospinta anch 'essa alla fedeltà nella fede. Forza trainante nel pellegrinaggio verso il Padre, il Cristo rafforza i vincoli fra gli umani, chia­ mati a incontrarsi fra di loro per un sostegno reciproco ( 1 0,25). L'autore stesso, anch 'egli pellegrino nella fede, è unito alle difficoltà dei destinatari . Lungo il pellegrinaggio, le esortazioni enfatizzano il bisogno della perseve­ ranza; le ammonizioni hanno il tono della massima severità; gli incoraggiamenti risollevano e rilanciano (strategia pastorale ) 1 1 e ricordano che il dono di Dio è in­ scindibile dalla risposta umana, la santità va coltivata. Cristo, « causa di salvez­ za » (Eh 5,9), è il traghettatore che porta i viaggiatori a casa 12• Nella sua qualità 9 Il riposo non è solo escatologico, oggetto di una speranza che avverrà solo nel mo"do cele­ ste. Esso è già fruibile oggi, in quello terrestre, dove accompagna la marcia terrena del pellegrino. Lo richiede il dualismo terrestre-celeste cui Ebrei affida di continuo il suo pensiero. Così S. Bénétreau (Le repos du pèlerin [Hébreux 3, 7-4, 1 1], in Études Théologiques et Religieuses 78 [2003] 203-223), il quale tuttavia non individua nella episynagage il luogo terreno del riposo. 1 ° Cfr. D. W. Perkins, A Cali to Pilgrimage: The Cha/lenge ofHebrews, in TEdr 3 1 ( 1 985) 698 1 : Dio continua a chiamare i suoi, provocando/i al pellegrinaggio verso il suo riposo. 1 1 Su « esortazioni, ammonizioni e incoraggiamenti » come momenti di paràclesi, cfr. J. Cervera, Hebreus, una exhortacio a perseverar, in RCatT 23 ( 1 998) 299-328. Ma si può andare ol­ tre: quei tre elementi sono infatti interagenti e, con tutta probabilità, i primi due approdano al terzo, quello voluto dali 'autore. Cfr. qui Il messaggio teologico, pp. 7 1 8-722. 1 2 Più che causa di salvezza, Cristo è traghettatore, cioè « causa salutis mediata », nota Martin Lutero (Commentariolus in Epistolam divi Pauli Apostoli ad Hebraeos, p. 1 78). Ma per Eb 5,9 Gesù « è divenuto causa di salvezza eterna ». I due aspetti sono da integrare.

Verso il riposo

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di « sommo sacerdote peregrinante », egli è il pellegrino per eccellenza; pellegri­ ni siamo anche noi destinati alla città eterna. Quello di Gesù è dunque un pelle­ grinaggio sacerdotale, in movimento verso l 'essere umano suo fratello e con lui, solidale, in movimento verso Dio, perché fedele a lui e al suo progetto. Egli è già entrato, i suoi fratelli invece sono in cammino verso l 'àncora della salvezza (6, 1 9). Il sommo sacerdote « peregrinante >> 1 3 dà senso al sommo sacerdote giu­ daico che ogni anno « pellegrinava >> verso il « santo dei santi ». Donando il suo sangue (= vita, 1 3,9- 1 0), sulla croce e fuori dalla città (Eb 1 3, 1 1 - 1 2 e Lv 1 6,27), egli ha compiuto il suo pellegrinaggio entrando una volta per sempre, e non una sola volta ali 'anno (Eb 1 3 , 1 5- 1 6), nel « santo dei santi celeste », ottenendo per i suoi l 'accesso libero al trono della redenzione ( 4, 1 6; 1 0, 1 9). I due pellegrinaggi dei due sommi sacerdoti sono in rapporto di continuità nella discontinuità. Unirsi a quello di Gesù il Cristo è possibile già ora: ma bisogna partire dali 'accampa­ mento antico ed entrare nel nuovo ( 1 3, l 0), là dove il nuovo sommo sacerdote sta celebrando il nuovo Jom KippDr. Intanto, nel suo pellegrinaggio sacerdotale, la comunità ecclesiale si autocomprenda come popolo di Dio aperto a tutte le na­ zioni . Essa ha il compito sacerdotale di garantire a ogni persona umana il libero accesso « al trono della riconciliazione » 14• Si può ritenere che in buona parte i ricchi aspetti paracletici di una fede, praxis orientata, siano il contenuto del pellegrinaggio 1 5 : una fede che è parrhesia, libertà coraggiosa nel cercare la solidità in essa (Eb 3,6; l 0,35), ma anche nel « muoversi » per accedere al santuario celeste (4, 1 - 1 2. 1 6; l O, 1 9-25 .35); costanza (hypomone, 1 0,36-39; 1 2, 1 ); fondamento ed esperienza di ciò che si spera (hypo­ stasis, 3 , 1 4; 1 1 , 1 )16; speranza di ciò in cui si crede (elpis, 6, 1 1 . 1 8 ss. ; 1 0,22 ss. ; l i , l b); zelo (spoude, 6 , 1 1 - 1 2), speranza piena di certezza, da affrettarsi ad ac­ quisire al patrimonio della propria fede, onde salvaguardarla fino al compiersi della propria vita17; imitazione di chi ha fede (mimetai, 6, 1 2 ; 1 3 , 1 7; ancora 4, 1 1 e 1 2,2), senza rinunziare alla propria impronta individuale; il modello non è uno schema da copiare, ma un appello-forza trainante da parte di chi ha già compiuto il percorso della fede 18; tentativo di conoscere approfonditamente con la mente e 1 3 A mettere a fuoco il pellegrinaggio sacerdotale di Cristo è E.A. Schick, Priestly Pilgrims: Mission Outside the Camp in Hebrews, in CurrTM 1 515 ( 1 989) 372-376. 1 4 Cfr. E.A.C. Pretorius, Christ Image and Church Mode/ in the Letter to the Hebrews, in TEvca 15 ( 1 982) 3- 1 8, qui 3 . 1 5 Condivisibile suggerimento d i R . Brown (Pilgrimage in Faith: The Christian Life in Hebrews, in SWJT 28 [ 1 985] 28-35): rilettura, attendibile, dei temi di Ebrei come contenuto del pel­ legrinaggio. 1 6 Molto ricco il parallelo con Rm 5, l - I l : la fede è il fondamento della nostra giustificazione. In essa siamo in pace con Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Grazie a essa, abbiamo speranza; chi spera, guarda in avanti e sperimenta quanto Dio ci ama e riempie il nostro cuore con la sua forza, in Cristo, nel quale abbiamo ricevuto la riconciliazione. 17 Cfr. W. Michaelis, mimetes, in GLNT ( 1 97 1 ) 7,273-274. Creatore di questa terminologia è Platone, 1imeo 3 8a; 48e: il tempo imita l 'eternità, il visibile l ' invisibile. Ebrei prende le distanze nel modo detto sopra. 18 Cfr. G. Harder, spoude, in GLNT ( 1 979) 1 2 ,954-958 . Con il senso di affrettarsi in qualcosa, occupandosene con sollecitudine, ricorre nella Chiesa antica in Martirio di Policarpo 7 ,2; 8,3 e in A. Diogneto 1 2, l .

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con l 'esperienza, perché è prova (elegchos, l l , l b)19; apprendere (noein, l l ,3) co­ noscenza sperimentata della verità (epignosis tes aletheias, 1 0,26; 1 1 ,6; 1 1 ,27)2°; è la fede di Gesù, che inventa, sviluppa e perfeziona la fede dei suoi (tes pisteos archegos kai teleiotes, cfr. 1 2,2)2 1 . Poi il traguardo : il riposo in Dio, proposta an­ cor sempre aperta (4,9). Una confidenza serena pervade il peregrinare nella fe­ de22. Anche se la pistis in Ebrei non è quella iustificans et salvans di Paolo e Giacomo, essa resta comunque sullo sfondo quale ricompensa migliore, perché duratura (così l 0,35). E anche se la pistis non è il tema di Ebrei, lo è di certo in I l , l - 1 2, 1 3 ed è soffusamente presente in tutto il documento. L'autore lavora sub speciefidei in tre direzioni: gesuologico-cristologica (Gesù è l 'artefice della fede e, come Cristo, ne è il perfezionatore), ecclesiologica (annunziata al popolo di Dio, è da questi trasmessa), escatologica (compimento delle promesse)23. Quanto al « pellegrinaggio » nella fede, lo si può ritenere punto di partenza nell 'organico pensiero teologico di Ebrei24.

2. Verso il riposo (katapausis) 25• Ma quale?

Riposo celeste, una sorta di ritorno al Padre per chi ha accolto la redenzio­ ne? Lettura tendenzialmente gnostica; ma Ebrei non pensa in termini gnostici. Riposo di Dio in occasione del ritorno di Cristo? Lettura apocalittica, attendibile in 3, 1 4; 9,28. Riposo nella terra promessa (Canaan), intesa come stabilità politi­ ca e sicurezza nazionale? Troppo poco! La promessa di Dio va oltre ogni confine nazionale. Riposo di Dio al settimo giorno, dunque sabbatico (sabbatismos, 4,9), al compiersi della peregrinazione nella fede, come per lui quel riposo è caduto al compiersi della creazione? È l ' interpretazione più attendibile. Per questa ragione Eb 4,9 sostituisce katapausis con sabbatismos, per dare al « riposo » la qualità di « sabbatico »26• Entrare in quel riposo è sempre possibile. Nonostante la ribellio19 Per la Lettera di Barnaba 1 , 1 - 2,5 la fede deve diventare conoscenza perfetta. Assieme alla speranza della vita e alla salvezza, che è inizio e fine del piano di Dio, essa fa parte delle tre grandi realtà rivelate dal Signore (cfr. F.X. Funk, Pa tres apostolici l ,3-7 (Laupp Verlag, Tiibingen 1 90 l ). 2° Cfr. E. Griisser, Der Glaube im Hebriierbrief(MThSt 2), Elwert, Marburg 1 965, pp. 95- 1 46. Poco condivisibile la tendenza a riscontrare una valenza « filosofica » nella fede in Ebrei (Ibid., p. 1 26). 2 1 Per una dettagliata esposizione sui dati riferiti, cfr. D. Hamm, Faith in the Epistle to the Hebrews: The Jesus Factor, in CBQ 52 ( 1 990) 270-29 1 . Quanto al « Jesus Factor» , identificato in Eb 1 2,2 con procedura chiastica, c'è da avere riserve e rimando al commento qui su 1 2,2. Insiste su « Gesù, il primo e più perfetto credente in Dio », l. Zidrun, The Mistery of Christ 's Priesthood, in EphThZagabr 69 ( 1 999) 590. 22 Si veda T. SOding, Zuversicht und Geduld im Schauen aufJesus. Zum Glaubensbegriff des Hebriierbriefes, in ZNW 82 ( 1 99 1 ) 2 1 4-24 1 , specialmente 228-233 . 23 Cfr. T. Horak, Theologia fidei in Epistola ad Hebraeos, i n Co/eT 6 1 ( 1 99 1 ) 62. 24 Il popolo peregrinante alla ricerca di Dio, in viaggio ancora verso il suo riposo, è tema ae­ que principalis con il sommo sacerdozio di Cristo. Già introdotta da E. Kiisemann, la questione è ri­ presa da E. Griisser, Das wandernde Gottevolk. Zum Basismotiv des Hebriierbriefes, in ZNW 77 ( 1 986) 1 65; cfr., ancora prima, S.N. Olson, Wandering But Not Lost, in W& W 5 ( 1 985) 426-433 . 25 Frequenze: E b 3, 1 1 . 1 8; 4 , 1 .3(2x).5. 1 0. 1 1 (sostantivo); 4,4.8. 1 0 (verbo). 26 Se ne occupa, e con punte originali, K.K. Yeo, The Meaning and Usage ofthe Theology of « Reso) (katapausis-sabbatismos) in Eb 3,7-4,13, in AsiaJT l ( 1 99 1 ) 1 -33.

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ne del suo popolo, egli non ha mai annullato la promessa di quel riposo (4,6. 1 1 ): dichiarazioni severe rilasciate neli ' ira27, cedono di fronte ali ' irrevocabilità della promessa e alla definitività della redenzione. Anche « la terra della promessa » in 1 1 ,9 favorisce questa lettura: nella prima alleanza essa è il riposo promesso in Canaan, il santuario terrestre, con sullo sfondo il monte Sinai (tutte realtà prov­ visorie). Appare ora la città futura, la patria cercata, il tempio celeste : realtà vere verso le quali si è peregrinanti nella speranza ( 1 1 , l ). La prova maggiore è che in quella patria è già entrato il precursore, il sommo sacerdote pellegrino. Aperta « una via nuova e vivente » ( 1 0,20)28, egli è in attesa che il suo popolo sacerdota­ le la percorra, da pellegrino. Questi intanto « creda » (4,3), perché la fede rende reali nel presente le cose future; perché chi ha creduto e crede, è già nel riposo sabbatico, nella pace dei cieli. E poi ne « ascolti >> (3,7; 1 3 , 1 5 ; 4,7) la parola, « og­ gi »: il riposo di Dio è una promessa e una realtà. Vi si entra, momento per mo­ mento, pellegrinando nella fede, « ascoltando » la propria guida carismatica, l ' au­ tore pastore. Questi, unito ai suoi, tenta di riportare la comunità alle radici della vita cristiana, offrendole un corso fondamentale in materia di fede (5, 1 2). Scopo: « guardare a Gesù » ( 1 2,2), ascoltarne il grande messaggio (2,3b-4) e prendere operativamente sul serio il suo evento soteriologico. Alternativa rattristante: assemblea pasquale stanca e apatica, alla deriva (2, l ), incapace di cercare, trovare e raggiungere il riposo ora, quello sabbatico poi (4, 1 - 1 1 ): timorosa della morte e del duro giudizio di Dio (9 ,27; 1 0,3 1 ); appe­ santita da una coscienza non purificabile e da un culto ripetitivo e inefficace (9,9); accasciata dalle sofferenze ( l 0,32-36); provata e delusa nella speranza (2,9; 5 ,7-8), bloccata nel pellegrinaggio. Controalternativa: tornare ali 'evento del patto nuovo. Esso si vede e si sen­ te. Ciò che si vede sono la passione e la morte di lui vissute nella fede e la sua ri­ surrezione (Eb 1 3 ,20) : « Lo vediamo ora coronato di gloria e di onore » (2,9). Ciò che si sente è la parola di Dio. Chi se ne pone « oggi » in ascolto, ode parole du­ re ed esigenti, ma anche un incoraggiante messaggio. Ne è culmine la piena co­ munione amicale con Dio (4, 1 6), la riconciliazione da lui compiuta ( 1 ,3c; 8, 1 2). Alla scuola del vedere e del sentire, la comunità apprenda ad avvalersi della fede per interpretare la realtà; a coordinare la propria debolezza con quella di Gesù, che ha gestito la tentazione, senza incappare ne li ' infedeltà (4, 1 5). Nel lungo pel­ legrinaggio terrestre, i cristiani hanno in lui un accompagnatore, sensibile e soli­ dale. In lui, umiliato e abbandonato, opera Dio stesso. La speranza sia dunque in­ crollabile: nonostante ogni opposizione, Dio vince29• E si cerchi. Chi è alla ricerca può vagare e allontanarsi dalla via di Dio. D'altra parte, noi non siamo a casa in questo mondo, bensì stranieri e pellegrini (Eb 1 3 , 1 4). Ed è proprio dello straniero essere in ricerca. Ora, chi cerca non è né

2 7 Del tipo: « Non entreranno nel luogo del mio riposo » (cfr. Eb 3 , l l b; 3, 1 8 ; 4,3 ; 4,5; 4, 1 1 ). 2 8 Vedi lo studio di K. Backhaus, Das Land der Verheissung. Die Heimat der Glaubenden im Hebriierbrief, in NTS 47 (200 l ) 1 7 1 - 1 78. 29 Per questi e altri momenti parenetici, cfr. Th. SOding, Gemeinde auf dem Weg. Christsein nach dem Hebriierbrief, in BK 48 ( 1 993) 1 80- 1 87.

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smarrito né perduto. Ma il rischio sussiste ! Restare nell ' AT è « vagare » nel de­ serto. Incontrare il Messia è entrare nella nuova economia, portatrice del celeste nel terrestre. L' AT è salvezza promessa e sperata; il NT è salvezza presente, ve­ nuta da Dio nel tempo. L' antico ha esaurito il suo potenziale, chiede al nuovo di subentrare. Dalla ricerca dell 'essenziale (AT) al peregrinare in compagnia del­ l ' essenziale (NT), fino alla katapausis, « ora » nella « nostra assemblea » ( 1 0,25)30, domani in Dio, accanto al Figlio, già nel riposo di Dio, alla sua destra ( 1 ,3) e in attesa di noi, popolo sacerdotale (Es 1 9,6; Ap 5 , 1 0): una speranza da non deludere3 1 • La « spiritualità del pellegrinare » verso i l riposo di/in Dio ha una storia non ignota ad Ebrei. Secondo l ' apocalittica, ellenistica e giudaica, il pellegrinaggio porta in sé un ideale religioso: è il luogo prima intermedio e poi definitivo per il riposo dei giusti in Dio; è il traguardo dei beati32• Immagine apocalittica di tale ri­ poso è la Gerusalemme celeste, città nuova e perfetta, nei cui confronti quella ter­ restre, distrutta e inquinata33, è inferiore. Verso di essa è diretto l ' incontenibile desiderio dei pellegrini, là è « l ' assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli » (Eb 1 2,23 ), là è il riposo in Dio, sabbatico e definitivo. Il tono escatologico della vittoria di Dio è trasmesso in Eb 3, 7 4, 1 1 : il po­ polo eletto, nei suoi vari volti storici, è chiamato comunque alla pace eterna. Esso è « ora » impastato nella vicenda terrena di Gesù il Figlio, è immerso nel mondo degli uomini e tende a quella casa di Dio che il perfezionatore della fede ha già raggiunto. Là egli attende i suoi, in quell ' assemblea di miriadi di angeli e di giu­ sti ( 1 2,22-23). Quei « suoi » vivano intanto nella fedeltà al patto nuovo, in quel singolare luogo di sperimentazione del riposo di Dio, che è « la nostra assem­ blea » ( 1 0,25). Al compiersi di quella fase34, la vittoria nel suo « regno incrollabi­ le » ( 1 3 ,28)35, nel riposo in Dio. -

30 Questo aspetto attuale del riposo, da me più volte richiamato, trova un probabile sostegno in R. Kangas, The Heavenly Christ in the Epistle to the Hebrews, in A&C 4 ( 1 998) 5- 1 6, qui I l . La po­ sizione di R. Kangas è, tuttavia, molto generica: l 'assemblea pasquale come luogo del riposo non mi sembra indicata; non distingue le fasi gesuologica e cristologica; questa seconda invade e pervade tutto il suo contributo. 3 1 Coglie questi aspetti T. G. Long, Bo/d in the Presence of God. Atonement in Hebrews, in lnterpretation 52 ( 1 998) 53-69, qui 58-64. 3 2 L'argomento torna con frequenza negli scritti giudaici di epoca greco-romana. Testi in O. Hofius, Katapausis. Die Vorstellung vom endzeitlichen Ruheort im Hebriierbrief (WUNT I l ), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 970, pp. 59 ss. Per il pensiero rabbinico, cfr. Tamid 4, 7; 'A bot Rabbi Natan l ( l e); Pirqe Eliezer 1 8 (9d); Genesi Rabba 1 7 ( l 8a). Testi anche in KNTTM.SB, vol. III, p. 687. 33 Eco in Ap 2 1 ,2. 1 . Cfr. ancora 2Enoch 53,6; 90,28-30; 4Esdra 7,26; 8,52; 1 0,27-29.50-54; 1 3 ,36; 2Baruch 4. Cfr. H. Giesen, Die Offenbarung des Johannes, Pustet, Regensburg 1 997, p. 453. 34 Che la fase terrena di questo regno possa essere definita « millenaria » in base a Eb 4, l - I l e a 1 2,26-28 è suggerimento di D.A. de Silva, Entering God 's Rest: Eschatology and the Socio­ Rhetorical Strategy ofHebrews, in Trinity Journa/ 2 1 (2000) 25-43 . Ma Ebrei non è un millenarista! 35 Riscontro nella ricerca contemporanea la tendenza a leggere Ebrei sotto l ' influsso di alcuni fatti storici accaduti in tempi moderni o, anche, ancora in corso. Il focus è puntato in particolare su Auschwitz e sulla situazione africana. Quanto è accaduto nella storia d'Israele, dai tempi della schia­ vitù in Egitto e de li ' esodo, sarebbe preludio ali ' olocausto (§5 'iì) della seconda guerra mondiale, una continuazione naturale della storia di sofferenza d'Israele. I peregrinanti di Eb I l ne sarebbero la mi­ gliore riprova. Ebbene, Eb I l non va superinterpretato in ordine a una teologia della sofferenza, ma

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3. Con il vademecum del pellegrino

Ma a quando quel « regno incrollabile », se Gesù, « il (più) grande pastore delle pecore » tornato dai morti ( 1 3 ,20) non torna fra i suoi? Sembra proprio che la « peregrinazione » del popolo di Dio sia senza fine. Delusione e paura. Che fa­ re? Attaccarsi alla fede in lui e professarla. Questa la reazione dell 'autore e que­ sti i due momenti della homologia. Battesimale, il primo: ognuno si accosti a Dio « con il cuore purificato da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pu­ ra » ( 1 0,22). È forte l ' allusione alla liturgia battesimale ( 1 0,22-23 ; cfr. 6,4-6): confessare-accogliere il Figlio ( l ,2), Gesù (2,9), il Cristo (3,6), « il Figlio di Dio » (4, 1 4 ), in senso funzionale-esistenziale. Ognuno giunga a poter dire : Gesù il « Figlio » è sommo sacerdote « sopra la casa di Dio » ( 1 0,2 1 ; ancora 4, 1 4), alla quale io appartengo. Quell 'uomo della croce è l ' iniziatore e il compitore della mia fede. Pasquale, il secondo: attraverso il sommo sacerdote, ognuno entra in contatto con Dio; egli è infatti fra di noi. La sua croce resta e il suo valore ricon­ ciliativo è sempre presente presso il trono della Maestà ( 1 ,3), in un ministero ce­ leste d' intercessione (Eb 7,25)36• « Non disertare la nostra assemblea » ( l 0,25) di­ venta così accorata esortazione a partecipare alla celebrazione del patto pasquale, momento apice nel pellegrinaggio verso il riposo. In essa le dimensioni terrestre ed escatologica sono in connessione, il patto pasquale antico e quello nuovo tro­ vano continuità e « compimento » (patto pasquale, non eucaristico37). Da qui una paràclesi di fede : « Accostiamoci, manteniamo, cerchiamo, non disertiamo » ( l 0,22-25); educarsi alla consapevolezza, sperimentando la fede. Il « trattato >> agli Ebrei ha tutto il profilo di un vademecum per i pellegrini verso il riposo. Con andamento meditativo, l 'autore non adduce insindacabili motivazioni « dottrinali >> al fine di escludere dalla salvezza pasquale gli apostati (6,4-6), ma con tatto pastorale esorta a restare saldi nella fede, in « attesa >> del ri-

letto solo in ordine alla fede e alla solidità in essa: i martiri in Eb I l sono tali perché hanno peregri­ nato nella fede, incrollabili nella speranza ( I l , l ). Questa è la situazione da cui nasce lo scritto. Se Ebrei si riporta alla storia d'Israele, lo fa in quanto storia di fede e non di sofferenza. Semmai Israele rifletta oggi nella fede le proprie vicende e potrà scoprire la contemporaneità di Eb I l con la propria situazione. Dunque, non tanto inserire in Eb I l avvenimenti che gli sono posteriori (come l ' olocau­ sto), quanto leggere questi ultimi con l 'ausilio di Eb I l . E anche di Eb 1 2,2: l 'unicità e l 'esclusività del l 'evento Gesù Cristo, nonché l 'archetipicità del medesimo, non vanno mai persi di vista. Da Auschwitz ali ' Africa. P.J. Arowele ( The Pilgrim People of God. An African 's Rejlections on the Motif ofSojourn in the Epistle to the Hebrews, in AsiaJT 4 [ 1 990] 438-455 [su Eb 3,7 - 4, 1 3 ; I l ; 12, 1 8-24; 1 3 , 1 3 - 1 4 ]), richiama l 'attenzione sulla situazione africana con toni di esegesi storico-cri­ tica corretta: Ebrei vuole dimostrare che « la nostra assemblea » ( l 0,25a) è popolo escatologico in marcia verso la vita vera, oltre la transitorietà di quella terrena. E, poi, il primo pellegrino verso Dio non è forse lo stesso Gesù terreno? Dopo Auschwitz, la « crisi umana » continua in Africa e non so­ lo, avvolta in una fede che porta in sé una speranza che non demorde. « Ho osservato la miseria del mio popolo, ho ascoltato le sue grida » (Es 3,7), ma non mi sostituisco alla sua risposta, nella fede. Ne resto anzi in attesa. Non è dunque corretto inserire in Ebrei vicende che gli sono posteriori e che non ha potuto prevedere. La procedura corretta si muove ali ' inverso. 3 6 Il tema del sangue che redime è noto a Paolo, non quello di un ministero celeste del Redentore. Si leggano anche soltanto Rm 3,25; l Cor 7,23; 1 5,3. Inoltre, I Pt 1 , 1 8- 1 9. 37 Sulla questione, vedi qui Il messaggio teologico, pp. 680-683.

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tomo, ormai vicino, del Signore ( l 0,25b ). Allo scopo, egli utilizza a piene mani l ' AT e il relativo vocabolario (più di cento i ricorsi al pentateuco e molti ai sal­ mi). Tali riferimenti provano la natura omiletica di Ebrei, ma anche parenetica, catechetica e, più ancora, argomentativa: meditare la storia del popolo di Dio in dura peregrinazione. L'annunzio della Parola, in questa « celebrazione peregrinante », è centrale. Quelle frequenti citazioni esigono, infatti, il confronto responsabile fra i partecipan­ ti, con finalità esortatorie ed epidittiche (parakalountes, l 0,25). Nella lode a Dio e nell 'ascolto della sua Parola, la comunità esposta a contrarietà e persecuzione (Eb 1 3, 1 5- 1 6) si custodisce, si rigenera e matura. Quel raduno è già un andare verso il Signore, è pregustarne « oggi >> la vicinanza, che sarà « piena >> nel suo futuro. La preghiera universale ( 1 3 , 1 6- 1 9) e la benedizione finale ( 1 3 ,20-2 1 ) sono altri elementi propri di una celebrazione liturgica ed esprimono l ' intenzione del­ l 'autore di volersi avvalere anche di momenti omiletici. La celebrazione pasquale ( 1 0,29; 1 3 , 1 O) nel sangue dell ' alleanza antica è ora nuova nel sangue di Gesù Cristo e nella sua risurrezione ( 1 0, 1 9; 1 3 ,20), nel dono della sua persona38• « Voi siete venuti qui >> (proserchesthai), all 'altare della celebrazione pasqua­ le, è formula usata dal presidente dell 'assemblea, che si rivolge a quanti vi si in­ tendono accostare ( 1 3 , 1 0). Ritrovino il coraggio della fede. Essi infatti si sono av­ vicinati non al Sinai tremendo e procelloso (Eb 1 2,22-24), ma « siete venuti >> al monte Sion, al raduno festivo, escatologico, per il canto di gloria. « Siete venuti >> qui, nella comunità dei primogeniti, dei rigenerati-purificati-lavati nel battesimo, e siete già in comunione con l ' assemblea celeste; vi siete accostati a quel Dio che per voi opera con giustizia. « Siete venuti >> alla celebrazione in cui si fa memoria dei defunti e dei martiri, di quei giusti che nel martirio hanno dato « compimento >> al­ la loro vita e ottenuto la « perfezione >> (v. 23). « Siete venuti » a incontrare « il me­ diatore della nuova alleanza » e a celebrare il patto ispirato al perdono, nel suo san­ gue migliore di quello di Abele, ispirato alla vendetta (v. 24). Queste realtà siano « oggi » per voi oggetto di reciproca esortazione, vademecum nel vostro peregrina­ re: dalla episynagage alla vita ecclesiale vissuta. Allo scopo, urge la ricerca di ar­ monia ecclesiale: la celebrazione scenda nella vita con decisioni operative. Un'assenza si fa notare in questo decorso liturgico : il perdono dei peccati . Ma potrebbe essere presente in 6,4-6. I due momenti della homologia (battesi­ male e pasquale), professati una volta per sempre, non consentono di ritenere che per l 'apostata non vi sia redenzione . Si tratta molto più di un' iperbole deterrente. Tutto lascia intendere che quel rischio non sia ancora realtà (6,9- 1 1 ). Una ordina­ ta successione del rito liturgico in Ebrei non è individuabile; i pochi elementi rin­ tracciabili hanno un buon peso mistagogico39• 38 « Corpo » e « sangue » esprimono al pari l ' intera persona di Gesù il Cristo, l ' intera sua esi­ stenza, fino alla croce. Così già R. Pesch, Das Abendmahl und Jesu Todesverstiindnis (Quaestiones Disputatae 80), Herder, Freiburg-Basel-Wien 1 978, pp. 90-93. 39 Potrebbe essere la posizione di J .R. Kleiner (Brief an die Hebriier. Judenchristliche liturgi­ sche Mystagogie, in Heiliger Dienst 46 [ 1 992] 263-268). Non mi è però del tutto chiaro se quella mi­ stagogia si esaurisca nel momento liturgico o vada oltre.

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L'accorato appello (Eb 1 3 ,22) dell'autore punta su un personaggio centrale. Come a dire che questi e la sua intera vicenda accompagnano i « suoi » lungo il lo­ ro pellegrinaggio terreno. Siamo così oltre il clima liturgico: nel Figlio è presente il progetto di redenzione; egli ne è mediatore storico ed escatologico; vero uomo, « per poco » (LXX) inferiore agli angeli (2,6-8). Disponibile al progetto di media­ zione redentiva (5,7; 8,7- 1 0), gli dà compimento nel dono della vita e ottiene la ne­ cessaria perfezione di fronte a Dio (2, l 0)40 e la meritata corona di gloria4 1 • Figlio e sommo sacerdote, esposto alla tentazione di sottrarsi al disegno del Padre, resta in­ crollabile nella fedeltà (4, 1 5b ); con l ' oblazione sacerdotale « nel suo sangue » si­ gilla il patto nuovo e supera la tragicità del sacrificio antico, non « capace » di sta­ bilire comunione con Dio né di redimere. Quel suo patto è sancito « una volta per sempre ». « Ora » è assiso « alla destra della Maestà (nelle altezze) » (Eb l ,3d; cfr. Sal l 09, 1 ; Ef 1 ,20; l Pt 3 ,25), gestisce il potenziale della croce ed è nostro interces­ sore (4, 1 4; 7,25), fino alla parusia (9,28). Nella comunità si rimediti tutto questo e ci si esorti alla fedeltà: in itinere nella fede, essa ha in lui il primo credente, giunto già nel riposo sabbatico. Non distolga lo sguardo da tanto precursore, se ne lasci in­ vece trainare ( 1 2 ,2)42• Come? « Ascoltando oggi » e « non indurendo il cuore » (Sal 94,7- 1 1 )43• Se ci fossero sbandamenti, non si dimentichi : egli è « fedele e compas­ sionevole (2,27), egli è solidale; e poi c'è sempre l 'assemblea pasquale, il luogo ove si pregusta il « riposo sabbatico ». Non la si diserti, dunque. Un crescendo epidittico-narrativo propone il profilo della salvezza da medi­ tare lungo il pellegrinaggio verso la città futura: il Figlio Gesù il Cristo è il re messia atteso. I profeti ne hanno preparato la venuta nei nostri giorni ( 1 , 1 -3). Presso i destinatari, questo punto gode di pieno consenso. Eb 2, 1 -4 è un momen­ to paracletico allo scopo di ottenere l 'ascolto (akouo) su Gesù re e messia, Parola di Dio, tagliente e penetrante ( 4, 1 2); sul Figlio, di gran lunga superiore agli an­ geli e allo stesso Mosè, servo. La sua umanità è necessaria alla salvezza; essa ha un valore teologico e antropologico: solidale in tutto con noi, inattaccabile nella fedeltà al Dio fedele. I destinatari hanno perduto la speranza del perdono delle in­ fedeltà. Mentre da un lato non possono più prendere parte ai sacrifici « antichi » per la remissione dei peccati, dali 'altro non sono in grado di cambiare rapida­ mente mentalità in direzione della nuova pasqua di riconciliazione. « Avvenuta » una volta per sempre (ephapax), essa riconcilia. La strada della salvezza è ormai percorribile sempre. Quale allora il senso del rigorismo senza compromessi di 6,4-6? Chi incorre nell 'apostasia rimette il Figlio in croce (o ne pretenderebbe la ricrocifissione ), onde poter essere « di nuovo » re­ dento. Ciò è imperdonabile, ma ancora prima è impossibile. Toni così severi han40 Un attendibile retrofondo è nel diffuso pensiero stoico (che esorta alla perfezione attraverso la pratica della « virtù ») e nei miti di redenzione proposti dalla cultura ellenistica. Ma per Gesù il Figlio la perfezione è il compimento di una vita il cui epilogo è la croce (Eb I 2,2). Lì egli ottiene la corona di gloria e la « capacità » di redimere i fratelli. Tutt'altra cosa, come si vede. 4 1 Cfr. Eb 2,6-8 e Sa1 8,5-7; 2,9; ancora 2Cor 5,2 1 e I Pt I , l 8- 1 9. 42 Con paziente e pieno affidamento. Elabora al dettaglio T. Sooing, Zuversicht und Geduld im Schauen aufJesus. Zum Glaubensbegriffdes Hebriierbriefes, in ZNW 82 ( I 99 1 ) 2 I 4-24 1 , qui 228-234. 43 Si leggano ancora Eb 3,8 - 4, 1 1 ; Eb 3, 1 7 e Nm 1 4,29.

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no lo scopo di impedire tanta sventura. Ma questo pericolo fra di voi certamente non sussiste: una ben riuscita forma di captatio benevolentiae (6,9- 1 1 ), un delica­ to tentativo di bilanciare due contrapposte emozioni . I destinatari non riescono an­ cora ad accettare che ci possano essere altri credenti, diversi da coloro che s ' ispi­ rano al tempio e al suo culto. Essi non comprendono che la nostalgia dei sacrifici antichi li espone ali ' indietreggiamento nella fede ( l 0,39). Considerino piuttosto le promesse di Dio (6, 1 3-20); ciò permetterà loro di risolvere il proprio interrogati­ vo di fede. Riflettano sul sacerdozio di Gesù Cristo - Melchisedek, onde scoprire la validità riconciliativa del suo sacrificio, permanente non quanto a cerimoniale, bensì a efficacia: il sacrificio nuovo del NT (7, 1 -28). Scopriranno che la salvezza è « ora », eppure « non ancora »; che i sacrifici antichi sono molti e transitori, quel­ lo di Gesù il Cristo è invece unico e permanente (solo « figura », i primi; realtà, il secondo). Innegabile il superamento qualitativo, nella continuità: in Cristo abbia­ mo la strada, la chiave di lettura degli avvenimenti. Non resta che divenire uno con lui nella fede. Molti credenti, cercatori di Dio e a lui fedeli, personaggi di primo piano nell ' AT, non hanno raggiunto la salvezza come compimento del progetto di Dio. Ora questo è possibile, « con noi », in Cristo ( 1 1 ,40). Eb 1 1 , 1 -40, racconto lungo e dettagliato, dimostra che per Ebrei la « fede >> è un valore centrale. I lettori conoscono quei personaggi e possono capire l 'eroicità del­ la loro speranza nell ' invisibile; eppure essi sono solo prefigurazione e servono al « nuovo >> nella continuità. La serrata conduzione epidittica ha in 1 2, 1 8-29 il suo fi­ nale solenne: dal Sinai al Sion, dal Dio della paura al Dio vivente, fuoco divoratore; dalla Gerusalemme terrestre a quella celeste; da Mosè a Gesù. Al dettaglio e in sin­ tesi, il vademecum è completo44• Ebrei, dice qualcuno, poteva essere letto nel corso di un'ora, il tempo per una buona omelia45• Ma Ebrei non lo è. Elementi liturgici so­ no tuttavia presenti46• E, poi, una lettura impegnata di Ebrei richiede più di un'ora.

4. Sotto la spinta dello Spirito santo, il fedele accompagnatore

In Ebrei sono 1 2 le frequenze di pneuma : in 3 di esse è autore della Scrittura (Eb 3,7; 9,8; 1 0, 1 5); in 4,7 l ' autore del Sal 94,8 (LXX) è Davide, ma suo ispira­ tore è l ' innominato Spirito santo; in 7 ricorrenze è « Spirito santo »47; una sola volta presenta l 'articolo personalizzante (to pneuma to hagion, 3 ,7); una sola vol­ ta l 'articolo con qualificazione (to pneuma tes charitos, 1 0,29), agente della ma­ gnanimità donatrice di Dio. Questa situazione dice che al tempo di Ebrei48 non si

44 Cfi. D. Lillie, Let Us Go On. A Handbook for Disciples, Patemoster Press, Exeter (UK) 1 99 1 . In seguito, H. F. Weiss, Ein Bueh geht mit seinem Leser um, in BK 50 ( 1 995) 32-38. 45 Così H. D. Galley (Der Hebriierbrief und der christliche Gottesdienst, in JLH 3 1 [ 1 9871 988] 72-83) e altri. Cfr., al riguardo, la Sezione introduttiva, p. 41 . .wi Ad esempio, Eb 5,7-8; 7,2b-3 : inni liturgici preredazionali? La questione è stata affrontata ad /oca. 47 Pneuma hagion : Eb 2,4; 3,7; 6,4; 9,8. 14; 1 0, 1 5 .29. 48 Ma già in Luca e in Atti degli apostoli pneuma torna senza articolo, un fatto grammaticale che sposta l 'attenzione su contenuti e situazioni: nel l ' AT descrive una qualità di Dio, come in Gdc

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ha ancora un pensiero preciso sulla persona dello Spirito santo, il che tuttavia non riduce a « ruolo minimo » la sua azione . Che lo Spirito sia « autore » della Scrittura descrive certo un ruolo « personale »; anche in l 0,29 pneuma sembra enfatizzare il carattere personale dello Spirito, come anche quell 'unica volta in cui egli è direttamente attivo nella vita di Gesù Cristo (9, 1 4). Ebrei pensa allo Spirito santo come forza di Dio che verrà (6,4); è lui che riempie con i suoi doni i predicatori del vangelo (2,4). Anche i cristiani hanno ri­ cevuto il dono dello Spirito e ne sono partecipi (2,4; 6,4). Egli parla a loro e li esorta (3,7b; 9,8). Lo Spirito è testimone : attesta che la creatura umana ha rice­ vuto la salvezza ( l O, 1 5). Egli è presente quando guida Gesù verso la croce, per l 'offerta redentiva di sé, quale sommo sacerdote (9, 1 4), mostrando così di essere forza attiva nella sua vita49, nel momento più decisivo, ed è presente agl ' inizi del­ l ' annunzio della salvezza alla comunità (2, 1 -4; 6,4-6); la sua forza dà peso alla vita quotidiana dei destinatari : Dio, che ha agito nei « detti e fatti >> del Figlio, par­ la ora e agisce attraverso lo Spirito (3,7- 1 1 ; 9,8; 1 0, 1 5- 1 7); questi è il fedele ac­ compagnatore verso il « futuro >> di Dio, guida il credente al trono della grazia ( 1 0,29)50• La presenza dello Spirito nella comunità è vivace: egli le parla negli scritti dell ' AT e le comunica così i « detti e i fatti >> di Dio; contribuisce alla varietà del parlare di Dio (Eb 1 , 1 ); quale suo portavoce, è ammonitore-esortatore (3,7), con­ solatore ( l O, 1 5 - 1 7), rivelatore e maestro (9 ,8). Le sue parole sono per il bene del­ la comunità: contengono l ' insegnamento sulla salvezza (9 ,8. 1 4 ), la promessa « profetica » di parteciparvi ( 1 0, 1 5- 1 7) e un' istruzione « carismatica » di accom­ pagnamento lungo il tragitto salvifico. Durante la marcia terrena, egli è in dialo­ go immediato, carismatico-profetico, con la comunità ecclesiale presieduta dai suoi hegoumenoi, adunata per la celebrazione del nuovo patto pasquale; quel suo dialogo punta a interpretare il tempo presente e orienta lo sguardo della comunità ecclesiale verso il « non ancora »5 1 • La « parola dello Spirito santo » è per Ebrei una componente essenziale del­ la sua « parola di consolazione », è parola di Dio pronunziata ora per la comunità destinataria ed è strutturalmente alla base di tutta la paràclesi di Ebrei. Lo Spirito attesta la salvezza con la parola, e con l ' azione la conferma e la rafforza. I desti­ natari sono partecipi dello Spirito santo (6,4), dello Spirito che è dono (pneuma

1 1 ,29, in cui spirito (rù'IJ) di Dio su Jefte è potenza di Dio. L'assenza del l ' articolo fa vedere nello Spirito santo una qualità di Dio e i suoi doni. Cfr. B. Lindars, The Theo/ogy, pp. 55-59. 49 In Eb 9, 1 4 Cristo si dona in forza dello « Spirito eterno di Dio ». La formulazione è tardiva. Secondo Tommaso d' Aquino (Super epistolas Sancti Pauli Lectura [R. Cai, ed.] , vol . II, Ad Hebraeos 444 , p. 434), lo Spirito eterno di Dio è lo Spirito santo che pone il Cristo in condizione di portare a compimento la chiamata del Padre. 50 Cfr. A. Paciorek, The Holy Spirit as a Gift in the Letter to the Hebrews, in RoczTK 46 ( 1 999) l 09. 5 1 Spirito santo, profeta e interprete immediato, profetico-carismatico: sarebbe questa la pro­ spettiva « esegetica » di Ebrei. Così M. Emmrich, Pneuma in Hebrews: Prophet and lnterpreter, in WTJ 64 (2002) 55-7 1 . L' impulso mi sembra utile, ma all ' interno di una comunità ecclesiale dove guide carismatiche e « santi » (Eb 1 3,7. 1 7.24), in sintonia di ascolto, perseguano quella comunione ecclesiale che è dono dello Spirito, e scoprano il potenziale che Dio ha seminato in essa.

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tes charitos, l 0,29) che permette loro di accedere al trono della grazia ( 4, 1 6), « quia liberamur a peccato >>, annota l ' Aquinate52, che ravvede in quel dono il perdono dei peccati. La salvezza è concreta e sperimentabile proprio grazie allo Spirito. Ciò dona ai destinatari la forza necessaria per restare fedeli al Dio fede­ le. Questo Spirito-dono va accolto; disprezzarlo ( l 0,29) significherebbe porre in gioco il suo dono. La strada della fede va percorsa in cooperazione con lui. Essere aperti alla parola e ali 'azione dello Spirito è condizione per raggiungere il tra­ guardo53, e ne è garanzia54•

5. Verso il regno-riposo sabbatico. Escatologia

Il pellegrinaggio nella fede verso « il fine dei tempi )), il regno incrollabile (Eb 1 2,28), è scandito da diversi appuntamenti. Forse quattro? Promissio (AT); spes (come se vedessero l ' invisibile, I l , 1 3 ) ; consummatio per Jesum consum­ matorem, che compie il disegno del Padre ( 1 2,2) e tornerà da trionfatore (paru­ sia, 9,28); iudicium, che pone ognuno di fronte alle proprie personali responsabi­ lità, tragico momento eppure pieno di fiduciale certezza nella salvezza. Uno schema essenziale e razionale55. Ma Ebrei dice molto di più. Il tempo presente ha già una valenza escatologica: il Figlio preesistente apparso « ultimamente in que­ sti giorni >> ( l ,2) è il « Cristo )) che riapparirà solo alla fine dei tempi (9,28). La co­ munità cristiana vive intanto nel nuovo patto e ha già accesso alle realtà celesti, a Dio stesso (4, 1 6). Ne goda, ma non pensi di essere già al traguardo; la tensione tra la fase terrena del regno e quella celeste si fa notare56; la salvezza « avviene >>. Al Figlio è stato tutto sottomesso, è vero, ma non lo si vede ancora (2,8). Per la comunità cristiana, nuovo volto del popolo di Dio, l 'esodo continua (Eb 3-4): tempo d' attesa. Intanto, si guardi a lui e se ne ascolti la parola, onde non diveni­ re deboli (3, 1 .6. 1 4; 4, 1 ; 5 , 1 1 ; 1 2, 1 2). La patria vera è ancora lontana. E il presente non è quel luogo privilegiato che la possa sostituire. Dunque, viva bene l ' « oggi )) di Dio, tra « il già e il non an­ cora », in marcia verso la parusia. Di essa manca in Ebrei un 'articolata descri­ zione. Ma qualcosa c'è. In occasione del ritorno del Cristo avrà inizio non la fi­ ne, ma il fine della storia, il compimento. La storia umana e cosmica non finisce, ma si compie (9,28; 1 ,6). Ma quel suo ritorno non avrà relazione alcuna con il peccato da sradicare (9,28). Esso è già stato sconfitto, « una volta per tutte >> (7,27; 9, 1 2 .26.28). Quanti saranno in attesa di lui, riceveranno la salvezza piena; 52 Significativa annotazione di Tommano d'Aquino, Ad Hebraeos 238, p. 388 (R. Cai, ed.). 53 Cfr. T. Lewicki, Der Heilige Geist im Hebriierbrief, in TG 89 ( 1 999) 494-5 1 3 ; P. Kasilowski, The Holy Spirit in the Letter to the Hebrews, in Bobolanum 1 1 (2000) 444-445 . 54 Cfr. A . Vanhoye, Saint Esprit (IV). L e Saint Esprit dans / 'Épitre a ux Hébreux, i n DBS ( 1 987) I l ,327-334. 55 Così T. Horak, De eschatologia Epistolae ad Hebraeos, in Co/eT 59 ( 1 989) 20. 56 Non sembra il pensiero di M. Nicolau, El « Reino de Dios >> en la carta a los Hebreos, in Burgense 20 ( 1 979) 393-405: il regno di Dio è solo quello escatologico, ed Ebrei è uno scritto esca­ tologico. Posizione discutibile.

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gli angeli presteranno a lui l 'adorazione dovuta e gli ultimi nemici, apostasia e morte, saranno definitivamente vinti ( 1 ,6. 1 3 ; 1 0, 1 3). Il Cristo della parusia assu­ merà il dominio sul mondo nuovo e futuro (2,5). Quando? Ebrei non specula al riguardo. Sembra tuttavia chiaro che l 'autore attenda tale evento come imminen­ te ( 1 0,3 7-3 8): « . . . 11 giorno si avvicina )) ( 1 0,25c; cfr. Gl 2, 1 . 1 1 .3 1 ; Am 5 , 1 8.20). Il poco tempo che resta venga impegnato nella reciproca esortazione, nel soste­ nersi a vicenda ( l 0,24-25), nel partecipare ali 'assemblea )) pasquale ( l 0,25)57• Con la parusia, il giudizio. Sull ' argomento, Ebrei è insolitamente severo quando collega il giudizio escatologico con le incertezze nella vita di fede (9,27; l 0,3 0-3 1 ). Punto davvero rigoroso è l ' impossibilità che possano ravvedersi quanti, una volta abbracciata la fede, l ' abbiano rifiutata (6,4-6). Per essi, Ebrei minaccia solo un giudizio irrevocabile: « È terribile cadere nelle mani del Dio vi­ vente )) ( l 0,3 1 ). Ma, in quanto vivente, non resta egli il Dio dei viventi? L'argomento doveva essere noto ai destinatari ai quali, con intenzionale ironia, lo scrittore lo aveva già ricordato in 5 , 1 1 - 6,2 assieme ad altri elementi catechetici da lui ritenuti necessari per una comunità che li aveva già dimenticati : ravvedi­ mento dalle opere morte e fede in Dio; battesimi e imposizione delle mani; risur­ rezione dei morti e giudizio eterno (6, l b-2). Quest'ultimo abbinamento spinge a pensare che la risurrezione sia qui menzionata non come restituzione alla vita di una realtà trasfigurata (come in 1 1 ,35 e 1 3 ,20), ma come momento previo di un giudizio aperto alla salvezza o alla condanna58• Quel giudizio emetterà una sen­ tenza di « vita eterna )) (aionios), in seguito alla quale apparterrò al mondo futu­ ro, alla celeste Gerusalemme o . . . ? Opportunamente, l 'autore non descrive il con­ trario, ma ricorda solo che la condanna consisterà nel « cadere nelle mani del Dio vivente )), Il che è ancora una speranza. Anche l ' immagine del fuoco in Eb l 0,27 perde in severità se si riflette che Dio stesso è fuoco purificante. Giudizio, subito dopo la morte? Questa posizione acquista sempre più credito59• Ma Ebrei non specula al riguardo: egli conosce un giudizio in occasione della parusia (9,28), inizio del compimento, ma anche subito dopo la morte (9,27). Per tutti coloro che vivono in attesa del Cristo, la sua parusia porta salvezza (eis soterian, Eb 9,28). Usata in 1 1 ,7 per descrivere Noè e i suoi che scampano alle ac­ que del diluvio, soteria ricorre in tutti gli altri casi per dire la salvezza escatologica60• Salvezza è non incorrere nel giudizio punitivo. Qualora ciò fosse, Gesù il Cristo avrebbe fallito lo scopo della sua passione: redimere dalla colpa a causa del pecca­ to (2, 1 0; 9,28). È così che egli « è diventato causa di salvezza eterna )) (5,9) e som­ mo sacerdote dei beni futuri (9, 1 1 ). Il « compiersi in pienezza ))61 della salvezza 57 In questa direzione S.O. Toussaint, The Eschato/ogy ofthe Warning Passages in the Book of Hebrews, in GraceTJ 3 ( 1 982) 67-80. 58 In conformità alla tradizione giudaica, di cui Le 1 4, 1 4 e At 24, 15 e Gv 5,27-29 conservano tracce. 59 Si veda W. Eisele, Ein unerschiitterliches Reich. Die mittelplatonische Umformung des Parusiegedankens im Hebriierbrief, W. De Gruyter, Ber1in - New York 2003 , p. 428. 60 Si legga Eb 1 , 1 4 ; 2,3 . 1 0; 5,9; 6,9; 9,28. 61 Su qualche ambiguità della parola compimento (e alla quale non sarebbe sfuggito il documento della Pontificia Commissione Biblica, // popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana),

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coincide con l 'ingresso nel riposo in Dio, di cui in Eb 3 e 4: un incontro con Dio che tuttavia subisce ritardi. Da qui, ammonimenti ed esortazioni. Allo scopo, Ebrei si av­ vale del Sal 94,7b- l l , che ben si attaglia alla situazione dei destinatari. La genera­ zione del deserto, in cammino verso il riposo di Dio, la terra promessa di Canaan, ha fallito il traguardo, non ha creduto ed è caduta (Eb 3, 1 7). Potrebbe capitare la stessa sorte ai cristiani incerti nella fede: questa infatti è condizione per l ' ingresso nel ripo­ so di Dio. Eb 4,3 lo esprime magistralmente, volgendo al positivo il negativo della ci­ tazione: « A entrare in quel riposo siamo noi che abbiamo creduto (v. 3a, positivo), secondo ciò che egli ha detto: "Sicché ho giurato nella mia collera: Non entreranno nel mio riposo" (v. 3b, negativo)>>. La motivazione spiega entrambi gli aspetti: le ope­ re da lui compiute, infatti, giustificano l ' ira di Dio per coloro che, non vedendole, non credono, e l 'ingresso « nel mio riposo » per chi invece, vedendole, gli si apre nel­ la fede (v. 4). Dunque, per coloro che credono, la speranza di raggiungere « il riposo (escatologico) di Dio » è sempre viva, le porte di accesso ancora aperte. Per un ingresso in Canaan? O nella vita eterna (aionios)? O, meglio, nella « vita nel mondo che verrà »? Sì, se nel senso di Eb 5,6, che vede Gesù sommo sa­ cerdote « per sempre », cioè qui sulla terra e « già » nel mondo a venire, riempito dalla presenza del Cristo : escatologia messianica per lui già compiuta, per noi ancora in via di compimento. Noi, infatti, i « suoi » (metochoi), stiamo lavorando a tale realizzazione, amministriamo già « ora » l ' eone futuro, siamo protesi verso il fine-compimento dei tempi. Se l ' escatologia del primo patto vede il compiersi dell 'attesa nel dono della terra di Canaan, quella del patto nuovo vede quel dono nel « cielo », regione celeste sganciata da quella terrestre. Un dualismo che Ebrei crea e risolve attraverso un calibrato processo di spiritualizzazione ispirato a Mt 5,5: « Beati i miti perché erediteranno la terra ». Va da sé che il pensiero di Gesù vada ben oltre la « terra »62• Gli fa eco Eb 1 3 , 1 4, che abbandona la provvisoria città terrena e punta su quella che verrà. In vista di essa, ognuno rinnovi « oggi » il proprio stile di esistenza: non indietreggi, ma, nella fede, conquisti la vita (psy­ che, l 0,39)63• Il contrasto retorico64 è molto efficace; l ' autore è sicuro che quan­ to esorta, andrà in compimento: chi cammina deciso nella fede vince. richiama l 'attenzione, in un omonimo articolo, L. Nason, in Sefer 1 04 (2003) 3-6. Vi sarebbe una de­ scrizione frammentaria del compimento. Se tuttavia si coordinano gli elementi frammentari, ne risulta una posizione più organica: « Il NT può essere pienamente compreso solo alla luce dell 'AT » (n. 2 1 ); « Sul piano concreto della esegesi, i cristiani possono apprendere molto dalla esegesi ebraica » (n. 22); « L'attesa messianica ebraica non è vana (ma) può diventare per noi cristiani un forte stimolo a mante­ nere viva la dimensione escatologica della nostra fede {perché) anche noi, come loro, viviamo nell 'at­ tesa » (n. 2 1 ); il tutto in un'alleanza che è nuova, ma non diversa dali 'unica alleanza perennemente rin­ novata. Si potrebbe dire così: l 'AT e il NT anelano a un compimento che è in via di compimento. 62 Cfr. A. Buzzard (Hebrews and Eschatology: The Challenge ofa Realistic Future, in JRadRef l [ 1 992] 22-23); questi ritiene il ricorso a Mt 5,5 necessario, perché Ebrei, creato il dualismo antite­ tico, vi resterebbe imbrigliato. In verità, ne esce magistralmente. Il richiamo, comunque valido, s' in­ quadra nell'approccio « canonico » (cfr. Pontificia Commissione Biblica, L 'interpretazione della Bibbia nella Chiesa pp. 45-47) alla posizione « dualista » di Ebrei. 63 Psyche ha qui il senso di vita, come in Mc 1 0,39. 64 Sul tono escatologico di Ebrei, mediato con strategia socioretorica, cfr. D.A. de Silva, Entering God's Rest: Eschatology and the Socio-Rhetorical Strategy ofHebrews, in Trinity Journal 2 1 (2000) 25-43 .

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E sarà così anche per la vita nuova nel mondo nuovo: chi, nella fede, prende su di sé la sofferenza e collabora con il progetto di Dio, vivrà ( 1 2,9). Forza trainante per tanta sicura speranza è l ' evento della risurrezione del « grande pastore delle pe­ core che il Dio della pace ha fatto tornare dai morti » ( 1 3,20). E vi è già un risulta­ to storico: « Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti » ( I l ,35a)65• Dunque, vita nuova nel mondo nuovo. La vecchia creazione dovrà accettare il pro­ prio tramonto. E questo perché cielo e terra, cioè tutto il cosmo creato, sottoposto allo scuotimento della voce del creatore ( 1 2,26), dovrà soccombere alla propria in­ nata instabilità. Ebrei non pensa alla distruzione del vecchio mondo, ma alla sua trasformazione; metathesis esprime infatti la trasformazione di qualcosa che già esiste66• Il vecchio mondo deve così fare spazio al nuovo, all ' incrollabile regno di Dio, al mondo futuro (2,5.8), alla patria, alla città celeste ( 1 1 , 1 4- 1 6). Circa la speranza di un mondo nuovo, mancano i dettagli. Ma qualcosa si può dire. Secondo Eb l ,2. 1 O il Figlio è mediatore, ma anche erede di tutto ciò che gli ap­ partiene per diritto ( 1 , 1 4; 6, 1 2). Di questa eredità, il Cristo non è ancora entrato in possesso. Ma dal momento che « ha gustato la morte per tutti » (2,9), dunque per ognuno, egli avrà la sovrana regalità che gli spetta su ognuno e su tutti e su tutto, un dominio salvifico, quando i suoi più acerrimi nemici, la morte e l 'apostasia, saranno posti sotto i suoi piedi ( 1 , 1 3 ; 1 0, 1 3). Essi hanno ancora potere e possono di nuovo esporlo alla vergogna ( 1 2,2) minando la cristianità. Ma queste possibilità sono de­ stinate a finire. Anzi, la loro fme è già avvenuta: nella sua croce. Al compiersi dei tempi, il Figlio sarà non solo erede dei credenti, ma del cosmo intero, dei mondi « concreati » ( l ,2), ora « nuovi », della « Gerusalemme celeste » ( 1 2,22). Questa spe­ ranza è possibile perché fondata nella fede67• Nel frattempo, nella Gerusalemme ter­ rena, si viva pellegrinando nella fede in sintonia con l 'esodo degl ' israeliti verso la terra promessa, si gusti la persona del Gesù terreno, si lavori per pace e santifica­ zione ( 1 2, 1 4), si perseveri nell 'amore fraterno e si curi l 'ospitalità; si visitino i car­ cerati, si rispetti il matrimonio, si abbia un equilibrato rapporto con la ricchezza ( 1 3 , 1 -6), si programm i saggiamente l 'oggi terrestre. Nutriti dalla Parola (2,3-4) e dalla pasqua di riconciliazione ( l ,3 ; 2,9), essi ben vedono « come il giorno (del Signore) si avvicina » ( 1 0,25 .37), quello della sua regalità universale (Eb 2,5-8) e della sua incoronazione di gloria e di onore (2,9). Questo accadrà quando egli ri-ap­ parirà per dare salvezza a quanti lo attendono (9,28), per « soppesare » gli apostati, tornati al culto pagano o anche alla (sola) prassi giudaica ( l 0,28-29). E se è « terri­ bile il cadere nelle mani del Dio vivente )) ( l 0,3 1 ), è anche vero che il Figlio, torna­ to al Padre ( 1 ,3), ha portato con sé l 'umanità intera, redenta, eppure ancora soffe­ rente; da sommo sacerdote nel tempio celeste continua a liberar/a dall ' infedeltà68• 65 Elia ha ridato la vita al figlio della sconfortata vedova di Sarepta ( l Re 1 7, 1 7-24 ), ne riferi­ sce anche G. Flavio, Antichità giudaiche 8,325-327; Eliseo al figlio della donna di Sunem (2Re 4, 1 8-37). 66 Ad esempio, del sacerdozio antico, della legge che lo regola (Eb 7, 1 2), del creato scosso ( 1 2,27). Cfr. C. Maurer, metathesis, in GLNT ( 1 98 1 ) 1 3 , 1 25 1 . 6 7 Cfr. M . Rissi, Die Eschatologie, in Id., Die Theologie des Hebriierbriefs. lhre Verankerung in der Situation des Veifassers und seiner Leser (WUNT 4 1 ), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 987, pp. 1 25- 1 29. 68 Si veda J.E. Terra Martins, A Libertaçào EscatolOgica na Epistola aos Hebreus. O Povo de Deus a Caminho do Santuario, in RevCuBib 2 ( 1 978) 34 1 -343 . Nella estremizzazione del momento

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Quello sarà dunque il giorno di Dio e della sua Parola, del Cristo glorioso e di quan­ ti gli si saranno ispirati69• Questi continuino dunque a peregrinare, nella fedeltà, ver­ so il « regno-riposo sabbatico » loro riservato (4,9). Il processo di spiritualizzazione di Canaan evolve : esso è la celeste Gerusalemme ( 1 2,22). Una nuova immagine per contrasto, Sinai e Sion, fa cresce­ re questo risultato: i destinatari di Ebrei non si sono accostati alla scena temibile del Sinai, in occasione della teofania a Mosè, ma « al monte Sion e alla città del Dio vi­ vente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli », in particolare « all 'adunan­ za festosa » ( 1 2,22) che siete voi, cioè « all 'assemblea di primogeniti » ( 1 2,23). Rigenerati nel battesimo ( 1 0,22), essi fanno già parte della liturgia celeste; conve­ nendo in assemblea ( l 0,25), vi incontrano il « Figlio di Dio » (4, 1 5), parola e ri­ conciliazione pasquale; in lui rendono grazie a Dio e gli si accostano con timore e riverenza perché egli è un fuoco divorante ( 1 2,28-29). Il tempo antico è finito; è « irrotto >> il nuovo, e si marcia verso « il fine » (teleiosis) dei tempi, la città futura che non può prescindere dalla terrestre, la Gerusalemme messianica (Ap 2 1 ,922, 1 5). Va da sé il pressante appello a non disertare « la nostra assemblea » ( l 0,25), ma a entrarvi1°. « Intanto » si resti ben avvolti dal potenziale pasquale della « nostra assemblea »: i cristiani vi celebrino la Parola (2,3-4) e l 'espiazione-riconciliazione e non si trincerino fra le mura del santuario, come da stile anticotestarnentario, ma entrino in quel mondo dove egli stesso ha vissuto la sua vicenda umana da sommo sacerdote del nuovo J6m KippDr, e ivi offrano il loro sacrificio di sofferenza, fe­ deltà, lode e buone opere (Eb 1 3 , 1 5- 1 6)1 1 • Nell 'assemblea del suo « riposo » i cri­ stiani apprendono che in lui è già giunto il regno di Dio, il nuovo eone (new age) e ne sperimentano il potenziale di benedizione. Ma essi vedono anche che questo re­ gno non è ancora completo. Lo sarà quando egli tornerà (Eb 9,28) per ricompensa­ re coloro che lo attendono. La battaglia decisiva è già stata combattuta e vinta dal Figlio; ai suoi non resta che operare e attendere la vittoria finale72• L' invito a una reliberatorio terreno è, forse, il limite della teologia della liberazione. Buona nelle sue spinte, essa non deve perdere di vista che il tempo trascorso nella città terrena è solo un breve segmento verso un punto d'arrivo che è il cuore della nuova alleanza: il riposo in Dio nella sua città eterna. La tensione tra « il già e il non ancora » permane e impone il proprio ritmo, il quale, tuttavia, è ormai sotto il con­ trollo di colui che « è assiso alla destra della Maestà » (Eb 1 ,3). 69 Pensiero portante nel tracciato escatologico di Ebrei, secondo D.J. Szlaga, Die Eschatologie des Briefes an die Hebréier, in Anna/es Theologico-canonicae 34 ( 1 987) 73-85, ma non in Ebrei nel suo insieme. 70 Eiserchesthai di Gesù il Figlio nel tempio celeste, alla destra del Padre, è motivo per il pro­ serchesthai della comunità nella episynagoge, in cui appunto sperimenta il libero accesso al riposo di Dio, in vista di quello in Dio, dove il Figlio è già entrato come sommo sacerdote e attende. Pertinente annotazione di F. Laub, Das > della parola di Dio (« il Figlio >>) attra­ verso le sfere angeliche (2, 7); la passione di Cristo è il suo combattimento con quegli angeli dell 'a­ ria che, perdenti ( 1 , 1 4), sono scaraventati nel l ' Ade (cfr. Ap 1 2,7-9); la risurrezione ( 1 3,20) è l 'esal­ tazione de li 'umanità di Cristo al di sopra di tutte le sfere angeliche; dopo la morte, « l 'anima » di ognuno attraverserà le molte sfere celesti e ne incontrerà, lungo il tragitto, i vari guardiani, per an­ dare incontro a colui al quale soltanto dovrà rendere conto. Tutto questo è parte del pensiero cosmo­ logico apocalittico finito nella riflessione escatologica del giudeocristianesimo delle origini. Ebrei ne è un attestato, ma quanto libero e indipendente! La redenzione, raccontata in Ebrei, si pone al di là di simile visione, si riaggancia direttamente allo Jam Kippur e vede in Gesù il Figlio, il Cristo, il nuovo Jom Kippur: il riconciliatore, una volta per sempre. Mi sembra riscontri una dipendenza mag­ giore di Ebrei dal pensiero cosmologico-escatologico corrente J. McRay, A tonement and Apocalyptic in the Book of Hebrews, in Restoration Quarterly 32 ( 1 980) 9. 76 Cfr. ancora G. MacRae, A Kingdom that cannot be shaken: the heavenly Jerusalem in the Letter lo the Hebrews, in Tantur Yahrbuch ( 1 979- 1 980) 38-40. Cfr. inoltre M. Saucy, Exa/tation christology in Hebrews: what kind ofreign ?, in Trinity Jouma/ 1 3 ( 1 992) 4 1 -62. Non mi sembra ab­ bia invece centrato l 'argomento annunziato nel titolo P. Ellingworth, Hebrews and the Anticipation of Completion, in Themelios 1 4 ( 1 988) 6- 1 1 .

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Attesa, sì, ma quanto ancora? Quanto più a lungo si faceva attendere il com­ piersi della salvezza, tanto più si caricava di dubbi la credibilità de li ' « evento Cristo ». Ebrei reagisce e scopre nel ritmo del culto giudaico al tempio, del tutto imperfetto, un argomento visivo capace di dare attualità e senso ali 'attesa di Gesù il Cristo, l ' eterno sommo sacerdote (7, 1 7), perfetto. I cristiani vivano in quest' at­ tesa come in un'escatologia che, già realizzatasi nella sua storia, attende ora di compiersi là dove egli aspetta ognuno di noi (7 ,25). Il dramma della salvezza con­ tinua77, con lo sguardo rivolto al « tempo futuro ». Ma quale è la realisti ca visione di questo futuro? Il messia Gesù non ha ancora ottenuto sul mondo intero ( « i mon­ di )), l ,2) la sovranità che gli compete (Eb 2,8); ai cristiani, suoi seguaci (meto­ choi), appartiene la città futura preparata in cielo, da Dio; ebbene, essa apparirà in tutta la sua realtà solo « alla fine dei giorni )) (be 'al)arit hayyamim, Is 2,2). Quale fatica per fasciarsene attirare ! E, poi, la terra di Canaan che JHWH intende dare a Giacobbe è solo preparatoria di quella vera e definitiva. Quale tragica attesa ! Eppure, la Gerusalemme terrena è così ben descritta ! Non potrebbe già essa esse­ re la Gerusalemme celeste78? Sta di fatto che il profilo teologico di questa secon­ da è tale da escludere quell ' immediata identità79: la città celeste appartiene al non ancora. Da qui la forte esortazione a vivere in tensione verso di esso, sperimen­ tandone il già e valorizzando al massimo il proprio ora80• « Già, ora, non ancora )): non si tratta di come fuggire dali 'oggi, piuttosto di come vivere l 'oggi, sperando nel non ancora. Pregustato nella fede e neli ' assemblea pasquale, l ' oggi del regno è l 'anticipa­ zione del non ancora nel presente81, regno sacerdotale per un popolo sacerdotale (Es 1 9,6); attrezzato con fede solida, il popolo di Dio dal volto cristiano continui nella speranza, ad onta di sofferenze e morte, il proprio camm ino verso di lui, già nella gloria. Garante di tale dinamica è la sofferenza, la morte e il ritorno alla vita di Gesù il Cristo, « ieri e oggi lo stesso e per sempre )) ( 1 3,8)82• Novità cristiana? Certo ! 77 Cfr. E. Griisser, Christus und das Heiligtum im Hebriierbrief, in Welt und Umwelt der Bibel 1 3 ( 1 999) 53-54. 78 Così già F. Delitzsch, Kommentar zum Briefe an die Hebriier. 79 0pportuna annotazione già di G. W. Buchanan, Epistle to the Hebrews, p. 1 29. 8° Cfr. il buon apporto di De A. Severa Z., Entre o presente e o futuro: a escatologia em Hebreus, in Vox Scripturae 6 ( 1 996) 205-223 . 81 Così, forse, R.L. Dixon, The Kingdom ofGod in Hebrews, in Stulos TheoUourn 3 ( 1 995) 951 1 2. Avremmo una prospettiva unica in Ebrei: la comunità dei credenti coinciderebbe con il mo­ mento terrestre del regno. Ma Ebrei è più orientato per la episynag6ge, in movimento continuo ver­ so il regno, nutrita dalla Parola e dalla pasqua di riconciliazione. 82 E che tutto questo sia un risultato retorico-ermeneutico, lo mostra bene C.R. Koester, Hebrews, Rhetoric, and the Future of Humanity, in CBQ 64 (2002) 1 03- 1 23 . Questi intravede una procedura epidittica in tre argomentazioni (Eb 2, 1 0 - 5, 1 0; 7, 1 - 1 0,25 e 1 1 , 1 - 1 2,24), interrotte da tre digressioni trasversali (5, 1 1 - 6,20; 1 0,26-39, 1 2,25-27). Risultato: quanto detto sopra. Che la trave portante di Ebrei debba essere l ' escatologia finale appare a questo punto improbabile. L'eschaton è il normale risvolto del l ' intero tracciato storico-salvifico del NT. Né Ebrei fa eccezio­ ne. Ma la « fede-fedeltà di Gesù » costringe a osservarne la vicenda dalla gesuologia alla cristologia. Gli apporti propri di Ebrei alla teologia del NT vanno cercati anche altrove. Sulla questione, cfr. l. Molinaro, « Ha parlato nel figlio >>. Progettualità di Dio e risposta del Cristo nella lettera agli Ebrei (SBFAn 55), Franciscan Printing Press, Jerusalem 200 1 , il quale offre una elaborazione teo­ logica (lbid., pp. 255-344) tutta ispirata ali 'escatologia. Segnalo la nota critica di F. Manzi, L '« affi-

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Il passaggio dal tempo ali 'escatologia è solo un apporto cristiano legato alla perso­ na di Gesù Cristo che cambia radicalmente la concezione ontologica del tempo e della storia. Ebrei non dipende affatto dali ' ellenismo platonico-alessandrino83•

6. Nelframmezzo, incontrare il Gesù terreno

Cresce l 'esigenza di individuare gli elementi gesuologici e cristologici, in­ scindibilmente connessi nella persona di Gesù il Cristo. La gesuologia (o stadio gesuano) mostra il Verbo di Dio, conosciuto nella vita terrena come il Figlio Gesù di Nazareth, Messia sofferente fino alla sua morte; dopo la risurrezione, la cristo­ logia presenta Gesù « Figlio di Dio », Messia risorto. Questa distinzione non è una pura operazione didattica, ma è presente nell 'ordine delle cose, la si rintraccia nei vangeli e nell ' epistolario paolino e, molto bene, in Ebrei. È una ricchezza notevo­ le percorrere i due tracciati, per coglierne poi le convergenze84• La prima fase storica è gesuana; la seconda, dopo la risurrezione, è cristolo­ gica. Nella episynagoge (Eb l 0,25), entrambe continuano a poggiare nella storia, in forza della promessa di lui ai suoi discepoli di essere con loro fino alla fine dei tempi. In questo dialogo tra gesuologia e cristologia, nella ecclesiologia, si situa la croce come fatto-evento base in Ebrei (2,9). La cristianità titubante riguadagni la propria scelta e peregrinando, nel « frammezzo » guidata dallo Spirito, riscopra il volto storico del Figlio. Quindici le connotazioni gesuologiche che l 'autore propone: cinque mag­ giori e dieci minori; di queste ultime, sei sono riferite alla persona del Gesù ter­ reno, quattro ne definiscono l 'attività. l ) Le cinque connotazioni maggiori sono aperte dal nome « Gesù >>. Esso ap­ pare per la prima volta in 2,985• È il nome proprio del Figlio di Dio ( 1 ,2.3 . 5 . 8). Con un riuscito accorgimento retorico, Ebrei crea attesa attorno a quel nome par­ landone in l , l - 2,8 come « Figlio », ma senza nominarlo. È di lui che si tratta, sa­ cerdote « misericordioso e fedele » (2, 1 7), dunque uomo solidale e compassione­ vole, esperto in umanità, sensibile alle infermità dei suoi fratelli, a essi simile in tutto, ma non nell ' infedeltà (4, 1 5). Forza trainante anche nella solidarietà, Gesù spinge gli uomini a essere solidali gli uni con gli altri, a emularsi nella solidarietà, oggi, ad autocomprendersi come popolo sacerdotale di Dio in movimento verso la città di Dio86: una solidarietà escatologica. dabilità » di Gesù nel/ 'epistola agli Ebrei. In margine a un libro recente sulla « progettualità di Dio » e la « risposta del Cristo », in RB/ 50 (2002) 3 1 1 -327. 83 Cfr. G.E. Sterling, Ontology versus Eschatology: Tensions between Author and Community in Hebrews, in StudPhilonA nn 1 3 (200 1 ) 209-2 1 0. 84 Cfr., di recente, R. Penna, Il DNA del cristianesimo. L'identità cristiana allo stato nascente, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, pp. 56- 1 53 . 8 5 Per i l suggerimento ardito d i J . C . O'Neill (Jesus in Hebrews, i n Joumal ofHigher Criticism 6 [ 1 999] 64-82) in merito alla comparsa del nome di Gesù in Ebrei e alle sue successive frequenze, rimando al commento su Eb 2,9. 86 Cfr. utilmente G . W. Grogan, The Old Testament Concept of So/idarity in Hebrews, in Tynda/e Bulletin 49 ( 1 998) 1 59- 1 73, qui 1 66- 1 72.

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'Iesozis-Gesù ricorre l O volte in Ebrei87 mentre « Gesù Cristo » si legge solo tre volte: Eb l O, l O; 1 3 ,8.2 1 . Lette come Wl « insieme » letterario, quelle l O fre­ quenze rivelano Wl contenuto organico che ruota attorno al senso della parola « Gesù >> e alle connotazioni indicate. È Wl effetto letterario di non secondario va­ lore il fatto che l 'autore pone quel nome per ben 8 volte al termine delle sue for­ mulazioni, cioè in posizione enfatica88• Esso ci riporta alla vita storica del Figlio in Palestina ed è sempre in relazione con la sua esperienza umana e terrena. Dislocato intenzionalmente lWigo tutto il tracciato del « trattato », esso vi ha Wl indiscusso ruolo strutturale. In quel nome è presente il carattere terreno dell 'opera di colui al quale il nome appartiene. E se « Gesù Cristo (è) ieri e oggi lo stesso e per sempre » ( 1 3,8), in lui è presente la continuità tra il Gesù atteso (ieri), il Gesù storico venuto (oggi), il Cristo asceso al Padre (per sempre). Siamo allo schema gesuologico-cri­ stologico tradizionale tripartito89• Ma Ebrei lo elabora: vi aggiunge il titolo « som­ mo sacerdote »90 (4, 1 4), vittima, ampliando così il II stadio (abbassamento) e spie­ ga meglio il III (esaltazione). Lo provano due fattori : l 'uso di teleiosis-teleioo riferito a Gesù, reso perfetto in forza del suo abbassamento fino alla morte (Eb 2, l O; 5, 7 -l O; 7 ,28), offerta redentiva avvenuta Wla volta per sempre; l 'uso di verbi e tempi verbali ben scelti91 per descrivere la morte di « Gesù » e la sua situazione at­ tuale di sommo sacerdote: reso perfetto « per sempre » (teteleiomenon, 7,28) siede ora e « per sempre » (kekatiken, 1 2,2) alla destra della Maestà, alla quale continua a presentare la propria offerta redentiva (7 ,25)92• La vita terrena di Gesù è essenziale per capire la sua morte redentiva e la sua permanente efficacia presso il Padre; la gesuologia è base per la cristologia. In « Gesù », figlio e sommo sacerdote, avviene liberazione e salvezza, conforme al senso del nome nella sua forma ebraica fhosua '/jesùa ·, rispettivamente pre- e postesilica (la trascrizione greca è Iesozis93). In 8 delle l O frequenze, « Gesù » evoca questo suo compito salvifico: apostolo e pontefice della fede (3, l ), annunzia la grande salvezza (2,3-4 ); per donarla a tutti gusta la morte (2,9); è mediatore ( 1 2,24) e garante della nuova alleanza (7,22) Il si­ gnificato di « Gesù » in Ebrei parte da ciò che egli « fece e disse » (At l , l ) durante la sua vita terrena, fino all 'offerta di sé (Eb 5,7)94• ,

'

.

87 Cfr. Eb 2,9; 3, 1 ; 4, 14; 6,20; 7,22; 1 0, 1 9; 1 2,2; 1 2,24; 1 3 , 1 2.20. Paolo non ne è ignaro: cfr. 2Cor 4, I 0. 1 1 . 1 4; l i ,4. In Ebrei è tanto frequente quanto lo è « Cristo )), titolo preferito in Paolo. Si può anche osservare che la formula: « Nostro Signore Gesù Cristo )), cara ali ' Apostolo, non si legge mai in Ebrei. 88 Cfr. Eb 2,9; 3, 1 ; 6,20; 7,22; 1 0, 1 9; 1 2,2.24; 1 3,20. 89 Preesistenza (il promesso-atteso), abbassamento (il Gesù storico), esaltazione (il Cristo glo­ rioso; cfr. Fil 2,6- 1 1 ; Col I, 1 5-20; Ef l ,3- 1 4). Ebrei ben conosce questo schema, che però elabora. 90 L'autore lo preleva dal Sal 1 09, 1 .4b, che cita in lungo e in largo (Eb l , 1 3 ; 5,6; 5, l O; 6,20; 7,3. 1 1 . 1 5 . 1 7.2 1 ; 8, 1 ; 1 0, 1 2). 9 1 Si tratta prevalentemente del verbo ana/pros/pherein, in prevalenza ali 'aoristo (Eb 5, 7; 7,27; 9,7. 1 2 . 1 4; 1 0, 1 ). 91 Espone il « lavoro )) di Gesù Cristo « per sempre )) nel tempio celeste D.J. MacLeod, The Present Work of Christ in Hebrews, in BS 1 48 ( 1 99 1 ) 1 84-200. 93 Fino agl ' inizi del secolo Il, il nome fhosua '/esous era molto diffuso fra gli ebrei. Dati in W. Foerster, '/esous, in GLNT ( 1 968) 4,909-9 1 1 . Era dunque ben noto anche ai destinatari giudeo­ cristiani di Ebrei. 94 È riduzione indebita dello stadio gesuano vedere nel l ' « offerta di sé )) il solo momento che dà valore alla vita terrena di Gesù. Una marcata gesuologia, apprezzabile in sé, ma impropria nel suo · -

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Archiereus-sommo sacerdote ricorre 1 7 volte in Ebrei9S, 3 volte con l 'arti­ colo, con riferimento preciso al sacerdote dell 'antica alleanza (9,7.25; 1 3 , 1 1 ). Attribuito per lo più a Gesù, questo appellativo ne mette in evidenza il ministero umano di pontifex tra l 'uomo e Dio. L'accostamento alla figura del sommo sa­ cerdote del primo patto, nel momento solenne in cui questi celebra lo Jom KippDr, si impone da sé96• In Gesù sommo sacerdote è in azione il progetto di Dio per l 'uomo e per il cosmo97: rendere possibile a ognuno e in ogni momento l 'acces­ so a Dio. Per esercitare un sacerdozio efficace di salvezza, Gesù doveva essere uomo (5, 1 ) solidale con gli uomini {5,2; 2, 1 0- 1 8), stirpe di Abramo98, santo e in­ nocente, senza macchia (7,26), fedele nella fede99• Affinato da sofferenza e mor­ te (5,8), egli è il sacerdote perfetto (5 ,9) dei beni futuri (mellonton 100, 9, 1 1 ), pro­ duttore di salvezza eterna per chi lo ascolta e gli è fedele (5,9; già 2, l 0) 101, autore e perfezionatore della fede ( 1 2,2); sacerdote grande sulla (epi) casa di Dio ( l 0,2 1 ), ha fatto di tutti noi i suoi fratelli in una sola famiglia (2, 1 1 ) ed è media­ tore di alleanza nuova e migliore {8,6; 9, 1 5 ; 1 2,24), apostolo e sommo sacerdote (3, 1 , apostolon [ton] kai archierea), endiadi quest'ultima, unica in tutto il NT: sommo sacerdote inviato. Un ricco profilo sacerdotale del Gesù terreno. Il titolo di « sommo sacerdote )) (tesi in Ebrei, 8, l )102, solidale e compassio­ nevole, appartiene alla situazione del Gesù terreno: infatti può compatire solo chi è uomo come gli uomini 103• Ebrei allude a episodi della vita terrena di Gesù, i presunto peso strutturale in Ebrei, sembra assolutizzata, è proposta da S. Stanley, The Structure of Hebrews from three Perspectives, in Tyndale Bulletin 45 ( 1 994) 26 1 . L'autore fa ruotare tutto il « li­ bro >> agli Ebrei solo attorno a « Gesù ». Contributo molto buono, ma anche molto limitato quanto a metodologia. Ne ho già detto nella Sezione lntroduttiva, p. 4 1 . 95 Cfr. Eh 2, 1 7; 3 , 1 ; 4, 1 4. 1 5; 5 , 1 .5 . 1 0; 6,20; 7,26.27.28; 8, 1 .3; 9,7. 1 1 .25; 1 3 , 1 1 . 9 6 Se ne veda una ri levazione di dati e relativo confronto in T.J. Finney, A Proposed Recontruction of Hebrews 7,28a in P'6, in NTS 40 ( 1 994) 472-473 ; poi in J. Moingt, La .fin du sa­ crifice, in Lum Vie 43 ( 1 994) 1 5-3 1 ; infine, M. Morgen, « Christ venu une fois pour toutes )), in Lum Vie 43 ( 1 994) 33-45. 97 Sul ruolo cosmico di Gesù in Ebrei, cfr. P. Ellingworth, Jesus and the Universe in Hebrews, in EQ 58 ( 1 986) 337-350. 98 Un contributo di rilevanza gesuologica: « Egli infatti non opera a vantaggio degli angeli, ma "a vantaggio della stirpe di Abramo opera" ». Per questo non si fece come gli angeli, ma come gli uomini; voleva infatti farsi vicino agli uomini e non agli angeli. Cfr. J. Dukes, The Humanity ofJesus in tfebrews, in TEdr 3 1 ( 1 985) 38-45, qui 39-40. 99 Mi sembra di poter condividere la posizione di l. Molinaro (« Ha parlato nel figlio )). Progettualità di Dio e risposta del Cristo nella lettera agli Ebrei [SBFAn 55], Franciscan Printing Press, Jerusalem 200 l ) quando mette a fuoco la « fede-fedeltà di Gesù ». Questo valore è nuovo nel NT e va ascritto a Ebrei, che lo scopre già nel « Gesù terreno » e ne dà l ' annunzio con vocabolario nuovo: il Gesù pistos è anche archegos tes pisteos e teleiòtes tes pisteos. Ebrei introduce un argo­ mento nuovo con hapax legomena a riprova della peculiarità del medesimo. Discute questo e altri aspetti F. Manzi, L'affidabilità di Gesù nel/ 'Epistola agli Ebrei. In margine a un libro recente sulla « progettualità di Dio )) e la « risposta del Cristo )), in RB/ 50 (2002) 3 1 1 -327. 1 00 O dei beni già realizzati (genomenon)? Quest'ultima lezione è autorevolmente attestata dai codici JW> e dal Vaticano. Cfr. qui il commento a Eh 9, I l . 101 È il senso più completo di tois hypalrouosin aut(!. 1 02 Si veda D.J. MacLeod, The Doctrinal Center ofthe Book ofHebrews, in BS 1 46 ( 1 989) 29 1 300. 1 03 Cfr. A. Vanhoye, Sacerdoti antichi e nuovo sacerdote secondo il NT, LDC, Torino­ Leumann 1 990, pp. 73-75.

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quali ne sostengono bene il profilo sacerdotale: Gesù appartiene alla tribù di Giuda (7, 1 4); la sua predicazione è accreditata da Dio e dallo Spirito santo con segni e prodigi (2,3-4; Mc 1 6,20; l Cor 1 2,4. 1 1 ). Egli è Figlio fedele a Dio e cre­ dente in lui (pistos, 3,2; l 0,5-9) 104; impara l 'obbedienza, che è deferente fedeltà (hypakoen), dalle cose che sperimenta nella sofferenza (2, l O; 5 ,8); sopporta l ' o­ stilità dei peccatori ( 1 2,3 ); è forte nella tentazione (2, 1 8 ; 4, 1 5); prega, supplican­ do Dio con lacrime (5,7); sostiene il ludibrio della croce ( 1 2,2); muore fuori dal­ la porta della città santa ( 1 3 , 1 2) . Gesù ha dunque pieno accesso a Dio ed è « misericordioso e fedele » (2, 1 7)105 con gli uomini ; solidarietà senza limiti (kata panta, 4, 1 5), la sua. Qui è l 'originalità di Ebrei : Gesù è sacerdote solidale, non separato da noi, suoi fratelli; la sua oblazione è sofferenza personale e morte, non un rituale; la sua offerta sacerdotale è sempre efficace: rende perfetti per sempre coloro che ne sono santificati. Questi possono ora entrare nel santuario in piena libertà ( l O, 1 9), accedere a lui nella fede ( l 0,22 ; 1 2,2), convenire in assemblea pasquale ( l 0,25), correre con perseveranza nella corsa che sta davanti a loro ( 1 2, 1 ) e presentare così la propria vita a Dio quale offerta sacerdotale gradita106• Hyios-Figlio è un attributo che ricorre più di 20 volte in Ebrei 107, per lo più senza articolo108, un unicum nel NT. Indica l 'aspetto umano di Gesù e il suo mi­ nistero terreno, erede (kleronomos) delle realtà terrestri e celesti ( l ,2). In l ,3 hyios pone Gesù sullo stesso piano di Dio (ho theos, v. l ); egli è infatti, nel tem­ po e nella storia umana, « irradiazione della sua presenza, segno visibile (im­ pronta) della sua sostanza (persona) ». Cioè, ciò per cui Dio è Dio, è caratteristi­ ca di Gesù. Questi, poi, in 2,6 è considerato « Figlio dell 'uomo », espressione semitica a lui attribuita secondo il Sal 8,5 . Ciò che fa l 'uomo uomo è caratteristi­ ca di Gesù. Non è intenzione di Ebrei provare che Gesù è Figlio di Dio e Figlio dell 'uomo, ma piuttosto descrivere le caratteristiche che gli appartengono in quanto « Figlio », in entrambe le direzioni . Gesù Figlio è superiore agli angeli ministri ( l , 14). Già sensibili al ministero angelico, i destinatari di Ebrei sono spinti a considerare attentamente il ministero nuovo e superiore di Gesù ( 1 , 1 4-2,4): generato come Figlio, egli è loro capo, è « al di sopra » (epi) del suo popolo che siamo noi . Siamo in 3 ,6 ove Ebrei si riporta al Sal 2,6: il suo unto, Dio lo ha costituito re « su Sion », suo monte santo, diversa­ mente da Mosè, che è solo servo fedele nel (en) suo popolo. Il nome proprio del « sommo sacerdote » è dunque « Figlio >> e « Figlio di Dio >> (4, 1 4; 7,3.28). Egli ri­ ceve inoltre tutti gli attributi del re : consacrato, unto (Sal 2,7), re di Israele (sopra Sion, Sal 2,6), dunque figlio di Davide (cfr. Le l ,32b-33), ma solo in allusione. In Ebrei, egli non è mai detto espressamente « Figlio di Davide >>. L'autore accoglie la

1 04 Si muove cautamente in questa direzione A. Mulloor, The Pioneer of Salvation and the Merciful and Faithful High Priest, in Jeevadhara 27 ( 1 997) 1 23- 1 32. 105 « Fedele >> come traduzione di pistos è più attendibile di « degno di fede ». 106 Sul sacerdozio ministeriale e del popolo di Dio, vedi Il messaggio teologico, pp. 7 1 2-7 1 6 . 107 Cfr. E b 1 ,8; 2,6. 1 0; 3,6; 4, 1 4; 5,5.8; 6,6; 7,3 .5 .28; 1 0,29; 1 1 ,2 1 .22.24; 1 2,5(bis).6.7(bis).8. I OR Cfr. Eb l ,2; 3,6; 5,5.8; 7 ,28.

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tradizione del discendente di Davide innalzato a sovranità eterna (Sal 2,7). Lo si ve­ de già nel prologo, dove hyios, in quanto « erede », è contrapposto a tutto ciò che Dio ha anticipato e promesso neii 'AT ( 1 , 1 -2). L'attributo « figlio >> è inteso come una dignità di qualità superiore che sorpassa quella di Mosè « servo » ( l 0,29), del sacerdozio antico (7,28) e persino degli angeli ( 1 ,8). L'accostamento tra sommo sa­ cerdote e Figlio di Dio in Eb 4, 1 4- 1 6 serve a unire il Gesù storico sofferente con il Gesù « Figlio di Dio >>; senza dimenticare che un figlio di Dio nella sofferenza « mortale » è paradossale (5,8)109• Eppure, è essa a far crescere la perfezione del Figlio (non etica, piuttosto ministeriale ): egli è il salvatore, non il legislatore; è il credente in Dio; ha la figliolanza divina nello spazio e nel tempo; è Figlio dell 'uo­ mo, perché vero uomo; guida i suoi nella fede, da pioniere e precursore. In Eb l ,2 e l ,5 « figlio >> richiama la tradizione sinottica sulla voce celeste al bat­ tesimo (Mt 3, 1 7) e alla trasfigurazione (Mt 1 7 ,5) e il logion in Mt 1 1 ,27 di sapore gio­ vanneo (cfr. Gv 3,35; 1 3,3; 1 7,2). Gesù è Figlio, eppure lo diviene: eredita quel nome ( 1 ,4) nell 'obbedienza collaboratrice (5,8), fino ali 'oblazione redentiva e sacerdotale. Christos-Cristo è la quarta connotazione maggiore, che appare in Ebrei 9 vol­ te, 6 con l 'articolo e 3 senza1 10• Come Cristo, Gesù sommo sacerdote e Figlio por­ ta in sé tutte le speranze messianiche d'Israele. I cristiani d'origine ebraica le ri­ tennero realizzate in Gesù di Nazareth. Vedere Gesù è per essi vedere l 'unto-Cristo di Dio. A questo punto, la designazione di « Gesù-salvatore >> non esprime tutto il potenziale di salvezza presente in Gesù il Cristo. Disponibile a offrire al Padre se stesso per l 'espiazione ( l ,3), nella sua posizione di Figlio e sommo sacerdote, Gesù è Cristo « entrato nel santuario » (9, 1 1 - 1 2) da « salvatore-redentore » (9, 1 2). Qui trova compimento quel legame tra messianicità e sommo sacerdozio che si scorge in una serie di passi del NT, pur senza un collegamento con la designazio­ ne di Christos: figliolanza divina di Cristo 1 1 1 ; Cristo, re nel regno di Dio1 12; Cristo, rivelazione del Padre (Signore)1 1 3; Cristo, re e sacerdote dell 'umanità1 14; Cristo, « Figlio de li ' uomo »: uomo vero e perfetto 1 1 5• In questa progressione in cinque momenti, Cristo compie tre tipi di servizio: è il re che ascende al trono attraverso tribolazioni e prove (2, 1 1 - 1 2); è il profeta dalla fede incrollabile, annunziata ai fra­ telli (2, 1 3); è il sacerdote che compie a perfezione il progetto di Dio, acquisendo­ ne progressiva consapevolezza ( l 0,5-6). In Gesù il Cristo le comunità protocristia­ ne vedono quanto nei tempi dell 'attesa era stato annunziato dai profeti: un messia re, profeta e sacerdote 1 16• E se egli è latente in queste testimonianze della prima al­ leanza, quest'ultima è ora in lui patente. 1 09 Cfr. E. Schweizer, hyios, in GLNT ( 1 984) 1 4,233�234 (senza riferimento alcuno a Ebrei ! ), e 1 4,243-246. 1 1 ° Cfr. rispettivamente Eb 3 , 1 4; 5,5; 6, 1 ; 9, 1 4.28; 1 1 ,26 ed Eb 9,6. 1 1 .24. 1 1 1 Cfr. Sal 2,7 = Eb 1 ,5; 5,5. 2Sam 7, 1 5 = Eb 1 ,5; Dt 32,43 . Sal 96,7 = Eb 1 ,6. 1 1 2 Cfr. Sal 44,6-7 = Eb 1 ,8-9; cfr. anche 1 2,28. 1 13 Cfr. Sal l 0 1 ,25-26; Eb 1 , 1 0 ss.; cfr. ancora 1 ,2; 1 1 ,3 . 1 1 4 Cfr. Sal l 09, 1 = Eb 1 , 1 3 ; 1 0, 1 2- 1 3 ; Sal l 09,4 = Eb 5,6. 1 0; 6,20; 7, 1 1 - 1 2. 1 1 5 Cfr. Sal 8,5-6 = Eb 2,6-7; Sal 2 1 ,22 = Eb 2, 1 1 - 1 2; Sal 8, 1 7- 1 8 = Eb 2, 1 3; Nm 1 2,7 = Eb 3 , 1 2; Sal 2,7 = E b 5,5; Sal 39,7 = E b 1 0,5-6. 1 1 6 Cfr. J . Harvill, Focus on Jesus, in Spirituality Today 3 7 ( 1 985) 336-347. J. Harvill ritocca di poco il suo stesso articolo, apparso in Restoration Quarterly 22 ( 1 979) 1 29- 1 40.

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Kyrios-Signore chiude le cinque connotazioni maggiori. Kyrios, così frequen­ te in Paolo, è presente in Ebrei 1 6 volte, delle quali ben 1 2 sono riferite al Signore Dio 1 1 7 e solo 4 al Signore Gesù: 1 , 1 0 (dal Sal 1 0 1 ,26, creatore della terra e dei cie­ li); 2,3 (il promulgatore della salvezza); 7, 1 4 (germoglio da Giuda); 1 3 ,20 (il Signore tornato dai morti). Queste 4 frequenze ripercorrono altrettante fasi della cristologia classica: la preesistenza, in quanto concreatore; il periodo gesuologico in quanto promulgatore della salvezza; la fase terrena, messianico-sacerdotale; la fase gloriosa del Risorto, ora alla destra della Maestà. In Kyrios si rintracciano un retroterra anticotestamentario e uno greco-ro­ mano. Il primo riporta Kyrios a JHWH , il Signore. Attribuire quel termine al Signore risorto significa porre quest' ultimo sullo stesso piano del Signore Dio nel Primo Testamento. Nella cultura greco-romana quel titolo era attribuito al­ l ' imperatore. Riferito a Gesù Cristo, Signore ne vuole indicare la supremazia 1 18• Eb 8,8- 1 O riporta Kyrios senza articolo: è attribuito a Dio. Con l 'articolo ricorre nella locuzione ho logos tou Kyriou in 2,3 riferita al Gesù terreno che promulga la salvezza. Singolare uso di Kyrios: detto per lo più del Risorto esaltato e asce­ so, è qui attributo del Gesù terreno. I cinque titoli maggiori offrono le linee maestre della gesuologia del « tratta­ to »: il Figlio, il Gesù della storia, il Sommo sacerdote, il Messia-Cristo, il Signore. Fra i cinque, « Gesù sommo sacerdote » è tesi capitale nel trattato. Ed è proprio questa tesi a coinvolgere gli altri aspetti : vedere il sommo sacerdote nel­ la celebrazione del nuovo Jom KippDr è vedere il Gesù della storia, il Figlio, il Cristo, il Signore proteso verso la sua gloria etema1 19• 2) Dieci titoli minori, ricorrenti talora una sola volta nel NT, definiscono ul­ teriormente il profilo di Gesù. Sei di essi ne descrivono la persona, quattro l 'a­ zione. Quattro sono corredati di articolo, sei ne sono privi. Gesù è ho apostolos (« l ' apostolo », Eb 3 , 1 , hapax legomenon in Ebrei), in­ viato agli uomini e per gli uomini . Questa qualità gli dà superiorità rispetto agli angeli e lo situa in autorità anche rispetto a Mosè (3 ,2b-5): mandato dal Padre co­ me plenipotenziario, autorizzato a parlare in suo nome, la sua voce è quella di Dio ( l ,2); è l ' apostolo della fede, in quanto « Figlio » costituito « sulla sua casa » che siamo noi (3 ,6), dunque in tutto qualitativamente superiore a Mosè, che pure ha portato a compimento il suo mandato (« servitore fedele nella sua casa », 3 ,5). Ben riuscito lo sforzo di mettere a punto una continuità nella discontinuità: Mosè

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Cioè in Eb 7,2 1 ; 8,2.8.9. 1 0. 1 1 ; I O, 1 6.30; 1 2,5.6. 1 4; 1 3 ,6. Propone l a questione H . Giesen, Die Offenbarung des Johannes, Pustet, Regensburg 1 997, pp. 28-30. 1 19 Cfr. J. Harvill, Focus on Jesus, in Spirituality Today 37 ( 1 985) 1 36. Si muove in quest'ulti­ ma direzione il recente studio di M .L. Mouneme ( The Terrestrial Jesus and the Celestial Christ: Our Forerunner ofSalvation in Hebrews , in Hekima Review 25 [200 1 ] 7 1 -83), quando distingue nel pro­ filo di « Gesù il Cristo >> i momenti antropologico, cristologico o divino, sacerdotale, soteriologico ed escatologico. In tutti questi momenti, terrestri e celesti, egli è « il nostro precursore di salvezza ». Cfr. R. Penna, l ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria. Il: Gli sviluppi, pp. 265-328, che preferisce dare all 'ampia titologia fornita da Ebrei su Gesù il Cristo la qualifica di cristologica. Egli perfeziona la sua posizione in Il DNA del cristianesimo, pp. 56- 1 53 . 118

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doveva « rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato >> (3,5), cioè lui, l ' apostolo, l ' annunciatore della nostra fede (2,3) 1 20• Gesù è il santificatore (ho hagiazon) e noi i santificati (hoi hagiazomenoi, hapax legomenon in Eb 2, 1 1 a). Questa dinamica risente del l ' azione santificatri­ ce di Dio sperimentata dal popolo eletto e fissata in Lv 1 7-26 (legge di santità). La santità è dono di Dio, l 'unico santo d'Israele (Lv 1 1 ,44-45; 1 9,2; 20,7.26; 2 1 ,8), l 'unico che può santificare : Dio è ho hagiazon (Lv 2 1 ,8). Nasce così una relazione vitale tra il popolo e Dio stesso. In Eb 2, 1 1 essa diventa visibile in noi cristiani santificati (hoi hagiazomenoi) dalla redenzione del santificatore. È il suo sangue purificatore ( l ,4) a introdurci alla presenza del Santo; esserne alla pre­ senza è il segno più forte che siamo stati santificati (Eb 9, 1 3 - 1 4), una volta per sempre. A fondamento del potenziale santificante presente in « Gesù » sta la sua disponibilità al progetto di Dio ( l 0,9): è essa ad averci santificati ( l O, l O); grazie a essa ha avuto luogo l 'unica oblazione redimente e santificante, in grado di per­ fezionare (nella fede) i santificati ( 1 0, 1 4). Cedere allo smarrimento è abbandona­ re un tale patrimonio santificante, « calpestare » l 'alleanza nuova nel suo sangue­ vita ( 1 0,29); per santificare i suoi ( 1 3 , 1 2), egli ha consegnato la vita. Gesù è il pioniere (ho archegos). Questa qualifica si legge due volte in Ebrei (2, l O e 1 2,2). Nell ' AT veniva data al capo di una tribù alla guida di una famiglia organizzata in forma tribale. Nella classicità greca con questo titolo erano vene­ rati gli eroi fondatori di città, spesso eponimi 12 1 • Gesù è i l pioniere della fede, l ' i­ niziatore del cammino, il primo credente in Dio, ha creduto all ' amorevole pro­ gettualità della croce, ha reso l ' amore di Dio visibile e sempre sperimentabile nella storia 122• Forza trainante, il pioniere motiva i suoi a seguirlo in una fede che non conosce smarrimento 123• Egli è il pastore (ho poimen), l 'ultimo dei quattro appellativi con l 'articolo: si legge nella preghiera finale di 1 3 ,20-2 1 al v. 20 ove la risurrezione di Gesù, « il grande pastore delle pecore », è molto più di una semplice allusione. L' immagine proviene da Ez 34, ove Dio pasce come un pastore il suo popolo che da tempo ne è privo. Per Ebrei, quel pastore grande è « il Signore nostro Gesù » ( 1 3 ,20; l ' ag­ giunta « Cristo » è meno attestata). Dunque non un pastore qualunque, ma « il pa­ store grande », una figura del tutto nuova, sconosciuta presso Israele. L' immagine persegue anche uno scopo retorico: richiamare l 'attenzione su tanta novità e for­ nire un punto di riferimento per la preghiera e la lode dei cristiani. « Gesù » è dunque santificatore: apre l 'accesso a Dio; apostolo: inviato da Dio, è la voce di Dio; pioniere: avvia il pellegrinaggio della e nella fede; pastore grande: provvede ai suoi fratelli in piena solidarietà, fino alla morte, e apre loro il passaggio verso il riposo di/in Dio.

120 Si veda anche M. Carrez, Note sur la titulature originale du Christ dans l 'Épitre aux Hébreux, in Lum Vie 43 ( 1 994) 68. 12 1 Dati in G. Delling, archegos, in GLNT ( 1 965) l , 1 295- 1 298. Così la dea Atena fonda e dà il nome alla città di Atene. Zeus è detto « autore » della natura (archegos physei5s). 122 Così G. Delling, archegos, in GLNT ( 1 965) 1 , 1 298. 12 3 Questo senso traslato di archegos è attestato in Mie 1 , 1 3; I Mac 9,6 1 ; 1 0,47; Ger 3,4; Lam 2, I O.

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3) Due i « titoli » riferiti alla persona di Gesù e privi di articolo. « Ministro del santuario » (leitourgos ton hagiOn) (8,2). C ' è qui buona parte del messaggio di Ebrei, il servizio del sommo sacerdote unico. Quel suo ministero è il motivo più profondo della nostra speranza di redenzione, già oggi, nella storia: perma­ nente riconciliazione e accesso al Padre, per sempre. È la liturgia del nuovo pat­ to. Anche gli angeli sono ministri (leitourgoi) di Dio, è lui che li « fa » (ho poiOn, 1 ,7) « pari ai venti e come fi amma di fuoco » ( 1 ,7; Sal 1 04,4). Gesù invece si fa da sé ministro del nuovo patto nel suo sangue, investendo la sua vita. Nessuno de­ gli angeli è liturgo come lui, a essi invece del tutto superiore in qualità. La co­ munità disorientata prenda atto di tale dono di Dio e riorienti la propria scelta di fede. Gesù poi è diventato superiore agli angeli perché redime, perdona e ricon­ cilia. A tal fine, doveva consumarsi nella morte, lui, il Gesù terreno, che avvia co­ sì l 'opera redentrice progettata dal Padre. E questo Gesù è lo stesso Cristo divino ed eterno 124• « Erede >> (kleronomos, l ,2). Con questo uso, « Ebrei accoglie la tradizione del discendente di Davide innalzato a sovranità eterna >> 125• Quel Figlio è infatti erede di tutto ciò che Dio ha promesso nella prima alleanza, perché supera tutti in dignità: il servo Mosè ( l 0,29), il sommo sacerdozio antico (7 ,28), e persino gli angeli ( l ,8). La sua dignità è simile a quella di Dio (cfr. Sal 1 09, l ). Il termine « erede >> è prelevato dal Sal 2,8: « Ti darò in eredità (ten kleronomian) le genti e in dominio i confini della terra >> . Dio, che per mezzo di lui ha creato i mondi, lo ha reso anche erede di essi, con tutti i loro problemi: entra nella storia umana e cosmica, porta in sé il potenziale di liberazione per un uomo nuovo, libero e fe­ dele al patto. Ciò avviene attraverso uno scambio fecondo: pienamente partecipe (meteschen) della situazione umana dei suoi fratelli, « nella carne e nel sangue >> (2, 1 4), egli rende noi partecipi (metochoi, 3 , 1 4) della sua situazione : coeredi del­ la sua stessa gloria in Dio, presenti alla sua presenza: « Colui che ha messo in mo­ to i tempi eterni, ne è anche il compimento >> 126• Si ha qui un' eco liturgica proto­ cristiana di sapore paolino ( l C or 8,6; Ef l , l 0). Protesi verso il riposo di Dio, i cristiani ne sono già eredi in assemblea pasquale ( l 0,25). 4) Quattro attributi descrivono il ministero di Gesù. « Mediatore » (mesites) è il primo (Eb 8,6; 9, 1 5 e 1 2,24). Esso definisce che Gesù è colui che sta nel mez­ zo e unisce due realtà diverse : l ' uomo e Dio. Per dare compimento a questo pro­ getto, egli introduce un 'alleanza nuova, più perfetta della prima, voluta dalla pri­ ma. Quest 'operazione è un ministero liturgico (leitourgia, 8,6). Quell ' alleanza poi è nuova in ordine al tempo storico in cui accade ( 1 2,24, segna il limite ultimo dell 'antica) e in ordine alla nuova qualità dell ' offerta sacrificate che le dà il si­ gillo (9, 1 5 , nella sua morte espiatrice e redentrice). Gesù è « garante » (eggyos, 7,22, hapax legomenon del NT), perché in grado di garantire da sé il suo stesso « patto migliore » e la redenzione definitiva che esso introduce. Il motivo è uno e unico: quella redenzione avviene una volta per sempre 124 Cfr. J. Dukes, The Humanity ofJesus in Hebrews, in TEdr 3 1 ( 1 985) 40. 12 5 Così E. Schweizer, hyios, in GLNT ( 1 984) 1 4,243 . 1 26 Così A. Strobel, La Letter� agli Ebrei, Paideia, Brescia 1 997, p. 29.

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nell 'offerta della sua vita. Eggyos potrebbe risentire di una parola antica il cui sen­ so è « mano »127: il dono della riconciliazione da parte di Dio è stato posto nella ma­ no di Gesù e da questi dato al credente come possesso già attuale ( 1 2, 1 2 ss. ) . Di ta­ le riconciliazione, sempre disponibile, egli è garante. Garantisce ogni garanzia l 'evento della croce. Completamente a noi « già » donata da parte di lui, la reden­ zione sarà da noi completamente goduta solo nel « non ancora » (4, 1 ; 6, 1 1 - 12; 9, 1 5 ; 1 0,36). I l cammino verso il quale avviene nella fede storica128• Gesù è « fonte, sorgente, causa di eterna salvezza » (aitios, Eb 5,9, hapax le­ gomenon del NT) e nostro « precursore » (prodromos, 6,20, hapax legomenon del NT) entrato nei cieli. Dopo la prima creazione, egli ricrea l 'umanità malata e tra­ sforma l 'uomo vecchio in uomo nuovo. Primizia dei risorti a vita nuova, egli è la speranza dei redenti, corre loro innanzi, perché lo seguano; è forza trainante. Il traguardo è assicurato da lui che lo ha già tagliato. « Perfezionatore » (teleiotes, 12,2). Questo appellativo (colui che compie, per­ feziona, hapax legomenon del NT) si coordina con « il pioniere » (ho archegos), ma senz'articolo. Pioniere della fede, Gesù è anche colui che la porta a compi­ mento. L'uso di teleiosis descrive il ministero di lui: appropriarsi del progetto del Padre e accompagnarsi al pellegrinaggio cristiano nella fede; questo non ha solo un inizio, ma evolve nel tempo verso un traguardo: si compie in Dio, alla destra del cui trono egli è già in attesa. In lui, il Gesù glorioso è « ora » simultaneamen­ te presente l ' inizio del volto cristiano del popolo di Dio e il suo profilo finale; uno spunto fecondo nel dialogo ebreo-cristiano. Smarrire Gesù il Cristo? Tale eventualità rende il « trattato » attuale ai nostri giorni. Guardare al Gesù terreno, meditarne l 'articolato profilo, è consolidare la propria fede. Smarrire la « strada >> (hodos) è pur sempre possibile. L'autore lo sa bene ed espone tutta la propria preoccupazione pastorale; molti si chiedono se sia il caso di darsi pena di essere cristiani. Un Gesù che piange e grida quale speranza può infatti offrire? E che prospettiva di vita futura, anche nel tempo, può dare un Gesù che muore appeso al legno? Questa preoccupazione di Ebrei è giustificata129• 5) Nei giorni della sua vita terrena Gesù grida e piange (5,7): epilogo di tutta la vicenda terrena di Gesù o, anche, come plurale di categoria, di « uno o di alcuni dei giorni della sua vita terrena », con specifica allusione ai giorni della passione e al giorno del Getsemani 130• Per l 'attendibile retrofondo sinottico, rimandiamo al commento su Eb 5,7-8. Una cosa è certa: la preghiera di Gesù affidata al grido e al-

12 7 Eggyos, da en + ghyn o ghys, mano vuota. Ho eggyos è chi riempie una mano vuota, che of­ fre garanzia, il garante, il mallevadore. Dati in H. Preisker, eggyos, in GLNT ( 1 967) 3,9- 1 0. 1 2 8 Si veda J. Harvill, Focus on Jesus, in Spirituality Today 31 ( 1 985) 336-347; M. Carrez, Note sur la titulature originale du Christ dans l 'Épitre aux Hébreux, in Lum Vie 43 ( 1 994) 65-69. 129 Per I. Havener (A Concerned Pastor, in BToday 24 [ 1 986) 223-225), l 'autore di Ebrei è un pastore zelante; conosce la situazione di ieri e di oggi delle comunità cristiane e sa adattarsi alle lo­ ro necessità. 1 30 Privilegia la lettura ampia della formula « giorni della sua vita terrena » K.M. Woschitz, Erlosende Triinen. Gedanken zu Hebr 5. 7, in Bibel und Liturgie 55 ( 1 982) 1 96-20 l : su Eb 5, 7. Al contrario, P.G. Rinaldi (L'Uomo del Getsemani [Eb 5, 7- / 0], in BO 24 [ 1 982] 1 5- 1 7) ne restringe la lettura ai soli giorni della passione e del Getsemani.

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le lacrime esprime piena adesione al Padre. La sua è un'agonia interiore, psicologi­ ca e spirituale: tra il Padre e il Figlio nessuna divergenza. Risultato: quel sommo sa­ cerdote wniliato si abbassa al nostro livello. Non può che essere opera del Gesù ter­ reno 1 3 1 . Anzi, quei suoi giorni terreni sono prova del suo sommo sacerdozio totalmente nuovo, rispetto a Melchisedek e ancora di più ad Aronne 132• Da qui l 'esaudimento « per la sua pietà-fedeltà (eulabeia)», per il suo ininter­ rotto rapporto religioso con Dio, per l ' incrollabile fiducia e fede in lui. Pur di fron­ te alla morte, egli chiese la perfetta coesione con il Padre, e la ebbe: fu esaudito1 33, poté cioè gestire in tutta libertà la decisione di abbracciare la morte, via alla vita. La sofferenza di Gesù dà spiegazione alla sofferenza umana. Uomo fra uo­ mini, sperimenta dolore e lacrime, in tutto eguale ai suoi fratelli (2, I l ), anche nel pianto (Eb 2, 1 7) 134. Le allusioni alle sue vicende terrene non sono poche: opposi­ zione da parti varie, incredulità, diffidenza, cattura, processi sommari e poi « il compimento deli ' espiazione dei peccati » ( l ,3 ), la grande celebrazione del dono della vita, della grande redenzione : il nuovo Jom Kippùr. È generalmente accolto che al momento della morte in croce (Mt 2 7,5 1 ), violenta scissione del corpo dalla vita, allude lo squarcio del velo del tempio. Ebrei vuole dire che proprio in tale scissione nella persona di Gesù, Dio si rivela e apre agli uomini l 'accesso a sé 135• Siamo alla soteriologia dell ' approccio. Dalla gesuologia alla cristologia, o gesuologia nella cristologia? Va da sé che l 'abbassamento gesuologico ha ripercussioni cristologiche. Richiamarle e attua­ lizzarle in assemblea abbatte la crisi di fede, grazie alla salutare tensione tra ab­ bassamento ed esaltazione, alla rilevanza tra soteriologia (gesuologico-cristologi­ ca) e paràclesi, alla migliore comprensione di lui, perfezionatore della fede 13 6 • La seconda linea è dunque più consona al pensiero di Ebrei, il quale non procede per settori successivi, bensì per incastro 1 37• Questa procedura, mentre da un lato pone in luce la soteriologia dell 'approccio, ne risulta confermata dali 'altro138. 1 3 1 Cfr. F. Laub, Bekenntnis und Auslegung. Der pariienetische Funktion der Christologie im Hebriierbrief, Pustet, Regensburg 1 980, pp. l 08- 1 1 9. 1 32 Cfr. F. Laub, Bekenntnis un d A uslegung, pp. 1 23- 1 42. 1 33 Per una esegesi dettagliata su: « . . . E fu esaudito » e suli ' eventualità di una lezione origina­ ria: « . . E non fu esaudito », cfr. qui il commento a Eb 5,7. 1 34 Con una malcelata nota di rammarico, rileva la marcata non attenzione a questi aspetti ge­ suologici da parte degli esegeti, P. Gray, Brotherly Love and High Priest Cristology of Hebrews, in JBL 1 22 (2003 ) 335-35 1 . Si veda il commento su Eb 2,0- 1 8. 1 35 Cfr. J. Cunningham, The Humanity ofJesus in the Epistle to the Hebrews, in JRadRef6 ( 1 997) 419; B. B. Colijn, « Let us Approach >>: Soteriology in the Epistle to the Hebrews, inJEvTS39 ( 1 996) 571 -586. 1 36 Così F. Laub, Bekenntnis und Auslegung, pp. 1 43- 1 6 1 . 1 37 Sondaggio felice, mi sembra, in J.O. Tuili, Jesus en la carta a los Hebreos, in Revista Latinoamericana de Teologia 3 ( 1 986) 283-302. Cfr. anche l 'esauriente studio di B.L. Melboume (An Examination ofthe Historical-Jesus Motif in the Epistle to the Hebrews, in AndrUnSS 26 [ 1 988] 28 1 -297), il quale rileva otto indicazioni strategiche a favore della gesuologia in Ebrei: 2,6-9 (per poco inferiore agli angeli); 3 , 1 (Gesù sommo sacerdote e apostolo); 6,20 (Gesù precursore); 7,22 (Gesù garante); 1 0, 1 9 (il sangue di Gesù); 1 2,2 (Gesù pioniere e perfezionatore); 1 2,24 (Gesù me­ diatore del nuovo patto); 1 3 , 1 2 (Gesù, fuori dalla porta della città). Secondo D. Hamm (Faith in the Epistle to the Hebrews: The Jesus Factor, in CBQ 52 [ 1 990] 270-29 1 ) , Ebrei mostra bene che una cristologia che non poggi sulla gesuologia rischia il proprio fondamento. 1 38 Coglie questo fecondo aspetto il già menzionato studio di B. B. Colijn, « Let us Approach »: Soteriology in the Epistle to the Hebrews, in JEvTS 39 ( 1 996) 57 1 -586. .

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7. Celebrare Cristo salvatore: soteriologia, cristologia, ecclesiologia

a) Soteriologia. - La riflessione muove da due pilastri già noti : Gesù è « fi­ glio » e « sommo sacerdote »1 39• « Gesù Figlio di Dio » (Eb 4, 1 4) è una formulazione di particolare peso in Ebrei, anche se nella cristianità delle prime ore ne era confusa la comprensio­ ne140. Egli è preesistente (Eb l ,2-3) : è la sapienza preesistente 141 , è dunque supe­ riore agli angeli (cfr. 2, 7 -9). L'enfasi sulla preesistenza qualifica la soteriologia messa a punto dal Gesù terreno. Anzi, la kenosis142 dice la sua superiorità sugli angeli ( 1 ,5- 1 3 ; 2, 1 6) e su Mosè (3, 1 -6), servo e testimone del Figlio risalito alla destra della Maestà. Ebrei accetta la figliolanza quale primo generale asserto, ma la esprime in termini di preesistenza (protologia: figlio è da sempre); di umanità (abbassamen­ to e solidarietà: filiazione acquisita, gesuologia); di risurrezione (cristologia); di ascensione-esaltazione (protologia-compimento, signoria), di ritorno trionfale (parusia). Sommo sacerdote è attribuito a Gesù in Ebrei e mai più nel resto del NT. L'autore unisce il messia sacerdote e il messia re in Gesù il Cristo. In lui egli ve­ de colui che dà adempimento alle attese di un culto capace di redimere. Funge da guida per tale comprensione il fatto che Dio lo ha proclamato sommo sacerdote « alla maniera di Melchisedeb> (5, 1 0). Ma le reticenze bibliche su di lui in Gn

1 39 Cfr. M . C . Parson, Son and High Priest: A Study in the Christology ofHebrews, in EQ 60 ( 1 988) 1 95-2 1 5 . Pochi anni prima, J.W. Pryor (Hebrews and Incarnational Christology, in RejTR 40 [ 1 98 1 ] 44-50) elabora una cristologia dell ' incarnazione anche su due pilastri : Gesù il Cristo, inferiore agli angeli, ma solo « per poco » (Eb 2), e sommo sacerdote. Solidale con gli uomini e compassionevole, egli siede ora alla destra del Padre, glorificato e superiore agli angeli. È infat­ ti « il Figlio ». Più di recente R. Penna (/ ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristolo­ gia neotestamentaria. II. Gli sviluppi, San Paolo, Milano 1 999, pp. 282-285) allarga il campo e, accanto alla fi liazione preesistente, vede anche una filiazione acquisita, per cui « Gesù è figlio, eppur lo diviene » (p. 282) e in modo perfetto, perché perfettamente solidale con gli uomini (2, 1 0) in forza di un'esperienza cruciale di passione e morte, altrettanto perfetta (pp. 287, 29 1 293 ) . Figlio da sempre, Gesù l o diventa i n modo visibile sulla croce; sommo sacerdote da sem­ pre, egli lo diventa in modo visibile nella celebrazione della croce. Su questa posizione si può convenire. 1 40 Per R. Penna (l ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neote­ stamentaria. II. Gli sviluppi, p. 282}, « Figlio di Dio », in quanto formula, potrebbe essere una va­ riazione nel modo consueto di pensare ed esprimersi. Per J.A.T. Robinson ( The human Face of God, SCM Press, London 1 972), essa è segno che la comunità giudeocristiana avrebbe potuto conoscere spinte adozioniste. Ebrei ne sarebbe venuto fuori con una scelta precisa: Figlio di Dio, preesistente. Dissente vivacemente J. W. Pryor (Hebrews and Incarnational Christology, in RejTR 40 ( 1 98 1 ] 44-50). 1 4 1 Suggerisce questa qualifica il fatto che « per mezzo di lui, Dio ha creato i mondi » ( l ,2-3 ). Come a dire: la creazione dell 'universo richiede sapienza, e questa è « il Figlio ». 1 42 Anche se il termine non ricorre in Ebrei, quanto detto in 2,9- 1 0. 1 7- 1 8 risponde bene ali 'u­ miliazione kenotica di cui in Fil 2.6- 1 1 .

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1 4, 1 7-20 e nel Sal 1 09,4 assumono per Ebrei un indiscutibile valore simbolico; Gesù non è successore di Melchisedek P43 Dalle due qualifiche portanti, figlio e sacerdote, ne derivano altre. Quel « Fi­ glio eterno », da sempre preesistente (protologia), è divenuto uomo nel tempo, due realtà non in contrasto. È una sua proprietà essere figlio. Efficace al riguardo il parallelismo « profeti-Figlio >> : Dio ha parlato ieri nei profeti, oggi « nel Figlio » ( l , l -2), da sempre presso di lui . Il fatto poi che per mezzo di quel Figlio, Dio ab­ bia creato « i mondi » (aionas, l ,2) descrive, una volta ancora, la sua preesisten­ za. E se Dio ha creato « i mondi » (celeste e terrestre) « per mezzo di lui e in vista di lui », quel Figlio è concreatore e redentore de/l 'universo144: entrato nel tempo umano, egli vi eredita il progetto cosmico del Padre, di purificazione e redenzio­ ne. Ora, siede alla destra del Padre ( 1 ,3 ; Sal l 09, 1 ). Il « Figlio » supera così tutti i profeti del Primo Testamento: è sacerdote, profeta e re (Eb l ,5- 1 3 ; 2Cor l ,20), tre prerogative messianiche. Solo « per poco » inferiore agli angeli, il « Figlio » è di fatto superiore a essi. Si tratta dell 'accostamento di Eb 2,6b-8a al Sal 8,5-7 (LXX): vi si parla della grandezza dell 'uomo, « per poco inferiore » agli « angeli » (Eb 2, 7), ma anche co­ ronato di gloria e di onore; anzi, tutto Dio ha posto sotto i suoi piedi (Eb 2,8; Sal 8, 7b ). Per Ebrei tutto questo può dirsi del Figlio: nei giorni della sua umiliazione terrena, con epilogo nella passione (abbassamento soteriologico), il Figlio è dav­ vero apparso « per poco tempo » (Sal 8,6) « inferiore agli angeli » (Eb 2, 7 .9)145• Ma era solo un'apparenza: infatti la « gloria e l ' onore », di cui Dio l 'ha coronato dopo i « patimenti della sua morte » (Eb 2,9), lo ristabiliscono nella sua piena di­ gnità di « Figlio di Dio ». Distrutto il potere del male e della morte, egli è ora su­ periore agli angeli, i quali ne accettano la supremazia. L'abbassamento soteriologico del Figlio fino alla croce fa risaltare l ' imper­ fezione e la provvisorietà dell 'alleanza antica mediata da Mosè, non in grado di ripristinare la fedeltà a Dio. La nuova è invece perfetta ed eterna perché perfetta è l ' oblazione del Figlio (7 ,25): figlio perfetto di Dio per perfezione acquisita. Quella nuova alleanza è la gloria del Cristo che salva, mentre la gloria di Mosè, la legge, chiede aggancio alla nuova alleanza e cede il passo alla sua gloria: la croce. Se Mosè è « servo », il Figlio è Signore, come a dire: l 'antica alleanza è a servizio della nuova e ne favorisce la venuta. Se Aronne è il sommo sacerdote che celebra uno Jom KippC!r impotente a redimere, nel Figlio l ' espiazione-purifica1 43 Cfr. H.J. Jonge, Tradition and Exegesis: The High Priest Christology and Melkizedek in Hebrews, in NedTTs 37 ( 1 983) 1 - 1 9 (in 1 8- 1 9 esauriente sintesi in tedesco di J.C.H. Lebrarn). Più di recente, R. Kangas ( The Heavenly Christ in the Epist/e to the Hebrews, in A&C 4 [ 1 998] 5- 1 6) pre­ senta il Cristo « attuale » quale sommo sacerdote, regale e celeste e aggiunge poi: « secondo l ' ordi­ ne di Melchisedek ». In verità, il Cristo celeste ha superato anche questa fase e il suo sacerdozio è solo suo, unico e nuovo. 1 44 In Ef 1 , 1 0 e in Gv 1 , 1 -5 la redenzione è una « nuova creazione ». Integra bene l 'argomento P. Ellingworth, Jesus and the Universe in Hebrews, in EQ 58 ( 1 986) 337-350: quella nuova creazio­ ne è un « successo » prima di tutto soterio/ogico, dunque cristologico. Come tale, essa è nuova e si rin­ nova in permanenza. Cfr. qui l ' analisi su Eb 2,9; 4, 1 4; 6, 1 9-20; 7,26; 8, 1 -2; 9, 1 - 1 4; 9,24; 1 0, 1 9-20. 1 45 Cronologicamente dunque, non qualitativarnente, come sembra suggerire il Sal 8,6 (TM): « di poco » (m• 'af) .

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zione 146 diventa redenzione perfetta e santificante (Eb l O, 1 1 - 1 5); la nostra uma­ nità è redenta e glorificata con lui : in lui abbiamo la guida verso un 'àncora sicu­ ra, là dov' è la nostra speranza (6, 1 8) : il santuario della Maestà di fronte alla qua­ le egli opera sempre come sommo sacerdote (Eb 6, 1 9)147 Il suo abbassamento fino a noi è soteriologico, ha preparato e motivato la sua esaltazione; lo ha reso superiore ai profeti, agli angeli, a Melchisedek, a Mosè, ad Aronne. •

b) Cristologia. L' attuale opera di Gesù il Cristo, nel tempio celeste, è un momento centrale nella cristologia di Ebrei. Il materiale al riguardo, abbondan­ te, è per lo più indebitamente trascurato. Eppure, una cristologia del NT senza « Ebrei >>, è monca! 148• Quando e dove il lavoro celeste di Cristo prende inizio? E in che cosa consiste « oggi », cioè « ora »?149• Il presupposto del lavoro attuale di Gesù il Cristo è articolato in momenti interconnessi: ascensione, ingresso, inse­ diamento, intercessione. La sua ascensione attraverso i cieli è il culmine di tre fasi successive: il suo « la­ voro » redentivo sulla croce (Eb 9, 1 2); il suo ritorno dai morti, in virtù del sangue di un'alleanza eterna (Eb 1 3 ,20); il suo definitivo attraversamento dei cieli (Eb 4, 14). Il suo ingresso nel santuario celeste dà luogo a più di una vivace contrappo­ sizione con il santuario terreno: questo è infatti solo un ' immagine umbratile del celeste; in quello celeste (9,24), invece, Cristo sommo sacerdote entra una volta per sempre, in forza del proprio sangue (9, 1 2) . Quella sua entrata conduce al­ l 'àncora della salvezza (6, 1 8- 1 9) : a Dio stesso. E occupa il posto che gli compe­ te alla destra del Padre (Eb 1 , 1 3a = Sal 1 09, la LXX), e per diverse ragioni : ha compiuto il lavoro di purificazione dei peccati ( 1 ,3 ; 1 0, 1 2), e una volta per sem­ pre; ora « siede » perché ha terminato quel suo lavoro, mentre il sacerdote del pat­ to antico non potrà mai « sedere », dovendo ricominciare sempre daccapo il suo lavoro; il « Figlio Gesù siede », rivestito di gloria e di onore (2,9), esaltato già sul­ la croce, poi dopo il suo ritorno dai morti ( 1 3 ,20). « Sedere alla destra » descrive anche l ' agire di Dio stesso che ha accompagnato il Figlio sulla croce (Eb 2, 1 0) e lo ha richiamato alla vita ( 1 3 ,20). A lui il Figlio continua a mostrare i segni della passione-glorificazione. La redenzione non conosce sosta. A quel posto d'onore nel regno indistruttibile ( 1 2,28), il Figlio attende il compiersi definitivo della pro­ messa del Padre: apostasia e morte, nemici irriducibili, cadranno sotto il dominio della sua signoria, vinte per sempre, senza scampo. L'insediamento di Cristo a sommo sacerdote perfeziona il confronto tra il suo sacerdozio e quello di Melchisedek. Il Figlio è infatti sacerdote non come, ma « alla maniera di Melchisedek » (Sal 1 09,4); proclamato tale da Dio stesso -

1 46 È il senso plurimo di hilaskomai. Si veda F. Dunkel, Expiation et Jour des expiations dans l 'épitre aux Hébreux, in RRé/33 ( 1 982) 1 52- 1 59: quel senso plurimo è un risultato di contesto. 1 47 Non così P.E. Hughes ( The Christo/ogy ofHebrews, in SWJT 28 [ 1 985] 1 9-27), che vede in Gesù stesso « l ' àncora della speranza ». 1 48 Lo mostra bene W.Y. Ng, The Supreme Christ: A G/impse of NT Christology through the Book ofHebrews, in CGST Journa/ 34 (2003) 1 3-35. 1 49 Esamina la questione D.J. MacLeod. The Present Work of Christ in Hebrews, in BS 1 48 ( 1 99 1 ) 1 84-200. Diversamente T. Horak, Die Christology des Hebriierbrief, in Cole T 62 ( 1 992) 45-57.

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(5, 1 0), venuto come sommo sacerdote (9, 1 1 ) e divenuto tale (6,20), ora elevato sopra i cieli (7 ,26), egli porta a perfezione il sacerdozio nel tempio celeste. E se il suo sacrificio è finito perché egli siede alla destra del Padre, il suo ministero sa­ cerdotale a favore del suo popolo continua (8,2). Su alcuni momenti si può convenire: Cristo compare (9,24) davanti a Dio (9,7.9.24.25), senza mediazioni; gli presenta ininterrottamente il sacrificio perfet­ to celebrato sulla terra, sempre efficace per il popolo peregrinante. Egli inaugura una « strada nuova e vivente » dentro la presenza di Dio: ogni cristiano ha ormai la libertà, cioè parrhesia (cfr. Eb 1 0, 1 9; poi 3,6; 4, 1 6; 1 0,35). Di accedere a quella presenza, al « trono della grazia » (4, 1 6); al contrario, un solo uomo scelto fra le do­ dici tribù poteva accedere al santuario antico. Quella strada nuova è la sua carne crocifissa (cfr. Eb l 0,20); essa guida ali ' incontro sicuro con Dio. Inaugurata a fa­ vore dei suoi fratelli, il Figlio continua a tenere aperta « ora » quella strada. Egli « intercede per il suo popolo » (7,25), offrendo senza fine se stesso al Padre, « nel­ lo spirito eternO )) (9, 1 4). Il Risorto ( 1 3 ,20) « intercede )) (entygchanein) « Ora )); esprime compassione, invoca da Dio benedizione per i suoi, assicura loro la sal­ vezza escatologica da ereditare al suo ritorno; sprona i fratelli, riconciliati e santifi­ cati, a ritrovare la fedeltà smarrita. La sua solidarietà aiuta i suoi a ricordare quan­ to egli ha operato per essi « quando era ancora con loro )) nella loro storia, a riappropriarsi della loro umana dignità offesa nell 'emarginazione forzata, ad ac­ quisire e gustare la propria unione con lui e con Dio, ideatore della soteriologia; a celebrare quest'ultima in assemblea nella fede pasquale150 e nella loro vita perso­ nale, che è sacerdotale 1 5 1 • Mediare, ecco un'altra attività del « pastore grande delle pecore )) ( 1 3 ,20), « oggi )). Attraverso di lui, i santificati possono elevare a Dio il lo­ ro sacrificio di preghiera e di ringraziamento: essi stessi popolo sacerdotale. Asceso alla destra, il Figlio anticipa l 'esercizio di quella signoria che gli compete e che sarà piena solo alla fine dei tempi. Cristo sovrano è presente nel suo regno, già « ora )); egli attende tuttavia, alla destra del Padre, il « quando )) dovrà tornare sulla terra (parusia) per ereditare pienamente il regno, ormai liberato da tutti i suoi ne­ mici; e se gli ultimi sono morte e apostasia, quel regno sarà vita e fedeltà.

c) Ecclesiologia. Soteriologia e cristologia: due momenti connessi e ope­ ranti nell ' ecclesiologia; ovvero, il Figlio continua a redimere i suoi fratelli (un 'ottica privilegiata in Ebrei). Sui seguenti elementi che cadenzano la vita di chi ha aderito a Cristo il Figlio, si può ben convenire. -

150 La salvezza soteriologica si riceve e si sperimenta nella fede: quando egli la proclama (Eb 2,34), quando egli la compie (5, 7-8; 2, 1 6- 1 7) « a favore della sua casa, che siamo noi » (3,6). Così Ebrei secondo A. Viard, La salut par la foi dans l 'épitre aux Hébreux, in Angelicum 58 ( 1 98 1 ) 1 1 5- 1 36. 151 Felice intuizione di D.F. Kelly, Prayer and Union with Christ, in SBET 8 ( 1 990) l 09- 1 27; questi rileva la connessione, in Ebrei, tra Gesù il Cristo e il suo popolo, tra il suo sommo sacerdo­ zio per essi, in umana mortale natura, e il loro sacerdozio in lui. Sperimentare tale connessione con lui è possibile nella celebrazione del patto nuovo. Queste e altre considerazioni in M. Thomas, The High Priestly Christology ofHebrews as a Paradigm for an Indian Christology, in Bible Bhashyam 27 (200 1 ) 27 1 -285. Notevole lo sforzo dell 'autore che legge la storia del popolo di Dio (nel l 'oggi indiano) su spinta di una gesuologia e una cristologia della solidarietà, aperte al compimento esca­ tologico.

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La chiamata di Dio, senza la quale non si dà salvezza, avviene per mezzo del­ la Parola. Dio « chiama )) la sua episynagoge in Cristo, nel battesimo e nel nuovo patto pasquale. I chiamati entrano in un processo di illuminazione e crescono nel­ la conoscenza-esperienza del patrimonio di salvezza grazie al dono dello Spirito (Eb 6,4). Ciò avviene solo una volta, nella rivelazione-predicazione di Gesù (2,34). Egli è la verità « ieri e oggi lo stesso e per sempre )) ( 1 3,8): in lui Dio ha parla­ to definitivamente ( l ,2), da lui accoglie l ' espiazione-purifìcazione e i suoi « fra­ telli )) riconciliati abbandonano le opere del male, si decidono per quelle del bene, le quali li collegano operativamente al Redentore. La purificazione immette i « fratelli )) nella santifìcazione: egli è il santificatore, noi i santificati. Ebrei pre­ scinde dalle esteriorità del culto sacrificate dell ' AT e punta sull 'unica oblazione che santifica dentro. Chi è santificato è pronto a servire il Dio vivente « ora )), tra « il già e il non ancora )) . I destinatari sappiano che servire il Dio vivente è poter essere già alla sua presenza, il che è grazia-dono che fortifica la coscienza e nutre il cuore di coloro che possono mangiare al suo altare ( 1 3 , 1 0). I sacrifici dell 'AT non potevano redimere né rendere il cuore forte; ciò lo può la riconciliazione in Cristo; lui « può )). Chi è nella episynagoge è libero dalla paura del male e della morte; vive nel mondo, ma viaggia verso la città futura ( 1 3 , 14). La morte è veico­ lo per il fine; essa non è la fine, e chi vi entra non teme il giudizio. Esso appartie­ ne infatti a lui solo, Dio dei vivi e non dei morti. Nella morte si avvia la fase fina­ le dell 'escatologia, verso il compimento pieno, oltre il tempo, oltre ogni timore. Ma intanto, oggi, si pregusta quel compimento già nel libero accesso a Dio. Invano desiderato dai sacerdoti dell 'alleanza antica, esso è ora patrimonio di tutti nel/ 'assemblea pasquale e sacerdotale. In essa, da mai disertare ( l 0,25), avviene la celebrazione della purificazione nell 'acqua pura (battesimo) e la redenzione nel sacrificio pasquale del Figlio. La modalità sorprende: ininterrotta e continua. Il salto qualitativo è avvenuto: l 'accesso alla città di Dio, impossibile per le comu­ nità dell ' AT, è « ora )) possibile. Mentre sono ancora sulla terra, esposte ali ' imper­ versare dei venti, dove ben sanno di non avervi residenza permanente ( 1 3 , 1 4), le comunità del NT pregustino nella episynagoge terrestre, cioè in se stesse, il ripo­ so di Dio, in attesa del compimento nell 'assemblea celeste, nel riposo in Dio. Se quest'ultimo, per Gesù (pistos en pistei) è la sua glorificazione, cioè il suo ingres­ so nel « santo dei santi )) celeste (Eh l O, 1 2b- 1 3), per i credenti coincide con il loro accesso al celeste « santo dei santi )) nella preghiera e nell ' assemblea dove già si pregusta ciò che sarà ( 6, 1 8-20, momento soteriologico molto forte in Ebrei). In sintonia con 1 1 ,39 il « compimento )) in Dio, nel suo riposo, sarà possibile solo con noi, in Gesù il Figlio, verso il quale patriarchi, profeti e martiri hanno cam­ minato, nella fede (Eh 1 1 ), quasi inseguendo l ' invisibile, e nella speranza (essa fonda la certezza che il futuro è nelle mani di Dio, anima la fede verso ciò che sarà certamente manifestato). Proprio questa speranza è in pericolo; deve tornare al pri­ mo posto nella celebrazione del patto pasquale ( l 0,25). Perché tornare a perdere la libertà acquisita nella morte del Figlio? Per Eh l 0,36 e 1 2, l restare aperti alla pa­ rola di Dio è garantirsi quella libertà. La non disponibilità ad ascoltarla, l 'incapa­ cità a riconciliarsi, ecco il pericolo maggiore. Eppure proprio da questi due valori dipendono tutti i doni di Dio (6,4-6; l 0,26-3 1 ; 12, 1 2- 1 7). Non si dimentichi Esaù:

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lo spazio alla riconciliazione può essere dato, ma anche negato. Il rischio maggio­ re per i destinatari è di non vedere il pericolo in cui versano: ricrocifiggere il Figlio e riesporlo allo scherno degli avversari. Tale allontanamento (apostasia) è imper­ donabile (cfr. Eb 6,4-6): è calpestare volontariamente il sangue di Cristo (cfr. Eb l 0,26-3 1 ); è allontanarsi dal Dio vita, nella morte. Dichiarazioni ammonitrici, non punitrici: che i destinatari non cedano a tanto rischio incombente. Così letti, que­ sti momenti di vita cristiana danno il profilo di una soteriologia in azione gestita dal Cristo insediato (cristologia) nella episynagage152 (ecclesiologia). Sintesi. Possiamo ora prendere atto del tracciato completo proposto da Ebrei . Quello cristologico classico in tre momenti (preesistenza, abbassamento, esaltazione), gli è ben noto, ma egli lo amplia di molto: protologia (preesistenza, Eb 1 ,2); incarnazione e ingresso (sacerdotale e regale) nel mondo ( 1 ,5 e Sal 2,7); vita pubblica (gesuologia ed ecclesiologia, 2,3-4; 5 , ?a), fino alla croce (soterio­ logia sacerdotale visibile, 5 ,7-8); risurrezione ( 1 3 ,20, cristologia); ascensione (attraversamento dei cieli); insediamento regale « alla destra della Maestà >> ( l ,3d, escatologia protologica); parusia (ritorno del Figlio il Cristo, re trionfato­ re, 9,28b) e compimento delle fasi ecclesiologica ed escatologica. Acuta e detta­ gliata elaborazione dove l ' interesse di Ebrei al Gesù terreno non è un mero ri­ cordo di cose accadute al suo tempo, ma bilanciamento di una cristologia enfatizzata e base per una cristologia più aderente ai fatti che la fondano 153• Si osservi il seguente risultato : l ' impossessarsi del « regno indistruttibile » (basi/eia asaleutos, 1 2,28-29) è garantito dal Gesù Figlio, dali ' intera sua vicen­ da terrena, dalla sua croce, dal Cristo ora assiso alla destra della Maestà, dalla sua parusia. Una paràclesi consistente, da elaborare in assemblea liturgica, nel patto nuovo. Quel regno intramontabile è la città-patria (polis-patris) non terrestre, ma celeste: dualismo alessandrino a servizio di un tracciato completo che si muove tra il « già », l ' « ora » e il « non ancora ». L' interconnessione si vede1 54• Intanto?

d) Celebrazione del patto nuovo, patto eucaristico ? - Nel frammezzo, in at­ tesa della parusia, la comunità celebri nella gioia in assemblea ecclesiale ( 1 0,25)155 quel lavoro redentivo del Gesù terreno e del Cristo celeste, patto per1 52 Vi richiama l ' attenzione M. Rissi, Die Theologie des Hebriierbriefs. Ihre Verankerung in der Situation des Verfassers und seiner Leser (WUNT 4 1 ), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 987, pp. 94- 1 1 5 . 15 3 Opportuno richiamo di D.L. Mealand, The Christology of the Epistle to the Hebrews, in Modern Churchman 22 ( 1 979) 1 80- 1 87, qui 1 8 1 . Mostra bene questa esigenza W.-Y. Ng (Hebrews 2, 6-Ba. A Case in the New Testament Use of the 0/d Testament, in CGSTJourna/ 24 [Hong Kong 1 998] 1 3-35), il quale mette l 'accento su una cristologia tripartita, ma elaborata da Ebrei con nuovo contenuto: ai capp. 1 - 1 O la supremazia di Cristo sta nelle sue due qualità di Figlio di Dio e sommo sacerdote; in l , 1 -4 si ha il II stadio cristologico, che è anche il più elevato; ai capp. 1 1 - 1 2 il III sta­ dio: Cristo Gesù è descritto « autore e perfezionatore della fede >>, il più eccelso credente fra i cre­ denti. Questo triplice movimento gesuologico-cristologico ha lo scopo di migliorare nella comunità cristiana l 'esperienza soteriologica, sì che essa trovi sostegno e spinta nella confessione della fede, nonostante persecuzioni e turbolenze. 1 54 Cfr. F. Laub, Bekenntnis und A uslegung, pp. 253-257. 1 55 E liturgica? Così H. W. Attridge, New Covenant Christology in an Early Christian Homily, in QRMin 8 ( 1 988) 89- 1 08; ma non solo. Ne abbiamo già discusso nella Sezione introduttiva (Ebrei porta in sé elementi liturgici e omiletici, ma non è una omelia né una liturgia), pp. 40-42.

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fetto, perché qualitativamente nuovo 1 56• Patto eucaristico? Non potrebbe infatti Eb l 0,25 essere la traccia sopravvissuta di un sermone eucaristico in assemblea eucaristica? 1 57• Lo motiverebbe un singolare comportamento dell 'autore: questi argomenterebbe e silentio, in base alla « disciplina del segreto >> adatta proprio a presentare un grande mistero in modo velato e lento. In verità, mancando ele­ menti espliciti, è proprio quell 'argomento a dimostrare la discutibilità della pro­ posta. Poco attendibile, ad esempio, che in Eb 4, 1 6 (« Accostiamoci [proser­ chometha] dunque con fiducia al trono della grazia >>, disponiamoci a « entrare >> [eiserchomai] nel riposo di Dio), le due voci verbali possano avere valore cul­ tuale eucaristico. È vero, in Eb 3 , 1 1 . 1 8 e 4,3b.5 quel riposo (katapausis), ieri ne­ gato alla generazione del deserto, è oggi per la comunità cristiana convenuta per la celebrazione del patto pasquale, pregustamento del riposo di/in Dio. Ma dove leggere il senso eucaristico? « Entrare >> nel « santo dei santi », alla presenza di Dio, è possibile « grazie al sangue della croce di Cristo » ( l O, 1 9b ) Altra allusio­ ne « eucaristica » nella mente di Ebrei? .

15 6 « Jesus cultum et leges delere non venit, sed adimplendo novum ordinem statuit. Haec est principalis thesis christologiae in Epistola ad Hebraeos ». Così T. Jelonek, Christologia Epistolae ad Hebraeos, in AnCracov 1 7 ( 1 985) 253-257. Ma si dovrebbe dire così: tesi principale di Ebrei è il sommo sacerdozio di Cristo; tema è il suo pellegrinaggio sacerdotale, fino alla croce; risultato in corso ancora oggi è il patto nuovo. 1 57 Ne sono del parere già C. Spicq, L'épitre aux Hébreux. l: lntroduction, pp. 3 1 6-3 1 8; H.W. Attridge, New Covenant Christology in an Early Christian Homi/y, in QRMin 8 ( 1 988) 89- 1 08; M. Cahill, A Homefor the Homily: An Approach to Hebrews, in ITQ 60 ( 1 994) 1 4 1 - 1 48, e J. Swetnam, Christo/ogy and the Eucharist in the Epistle to the Hebrews, in Biblica 70 ( 1 989) 74-95; W.L. Lane, Hebrews 9-13, vol. Il, su Eh 1 0,22-25; R. Keresztky, The Eucharist in the Letter to the Hebrews, in Communiol/ntCathRev 26 ( 1 999) 1 54- 1 67, i quali vedono in episynagoghé l 'assemblea cristiana riu­ nita per la celebrazione dell 'eucaristia. A. Feuillet (L'Eucharistie, le sacrifìce du Calvaire et le sacer­ doce du Christ d 'après quelques donn ées du quatrième Évangile. Comparaison avec /es Synoptiques et / 'Épitre aux Hébreux, in Divinitas 29 [ 1 985] 1 03- 1 49) intravede in Gv 6; 1 0 e 1 2 elementi che fa­ vorirebbero in Ebrei il tono eucaristico del patto. Ma anche in questo caso prevale il senso pasquale. Anche presso i padri della Chiesa non mancherebbero conferme. Per Giovanni Crisostomo (Ena"atio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 1 7,3, in PG 63, 1 30), l ' identità tra l 'oblazione sulla croce e quella sull 'altare è chiara a motivo dell 'unicità tra sacerdote e offerta; per Gregorio di Nazianzo ( Orationes 2,95, in PG 35,396), omoioma è il sacrificio eucaristico, antitipo del sacrificio antico. Dunque, Ebrei pensa il patto nuovo in termini eucaristici? In verità, siamo di fronte ad affermazioni empirico-acriti­ che; ottime in sé, non sembrano rispondere alla intentio di Ebrei. Ampiamente sostenuta dagli studiosi appena indicati, la tesi eucaristica è ribattuta, credo effi­ cacemente, da N. Casalini (Per un commento a Ebrei [//]: Eb 7, /-/0, /8, in SBFLAn 44 [ 1 994] 2092 1 2) e, di recente, da P. Williams ( The Eucharist in the Epistle to the Hebrews, in LTR 1 2 [ 1 9992000] 95- 1 03), il quale riprende e ridimensiona R. Williamson, The Eucharist and the Epist/e to he Hebrews, in NTS 2 1 ( 1 974- 1 975) 300-3 1 2. Questi ritiene che la partecipazione all 'assemblea è an­ ticipazione della festività che la comunità celeste celebra con l 'agnello, e questa è eucaristica. Dunque anche la nostra, direbbe Ebrei; un'anticipazione nell '« oggi » del « non ancora ». Ravvedere nel discorso eucaristico non esplicito di Ebrei un metodo intenzionale, i cui strumenti « scientifici » sono un'alta densità metaforica voluta (highly mataphorical) e un complesso simbolismo (complex symbo/ism) altrettanto voluto, suppone sicurezza critica in materia di allusioni implicite. Ma quella sicurezza è piuttosto insicura, rileva P. Williams, !bid. 97-98. Lo stesso si dica del bel tema della epi­ synagagé in Eh I 0,25. Che il raduno assembleare, oltre a essere motivo di gioia cristiana, esprima il clima eucaristico dell ' incontro, da ritenersi perché esperienzialmente familiare, è di nuovo un valo­ re troppo implicito, per essere così esplicito come suggerisce P. Williams, The Eucharist in the Epistle to the Hebrews, in LTR 1 2 ( 1 999-2000) 1 03 .

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Trovo ammirabile lo sforzo di chi si adopera a provare la natura eucaristica del patto. Il materiale offerto merita attenzione critica: teleioo-teleù5sis è perfe­ zione di Cristo raggiunta nella morte, nella risurrezione e nell 'eucaristia; la per­ fezione della tenda (skene) dell 'alleanza ottiene la massima espressione nel cor­ po di Cristo di cui è prefigurazione; i ta hagia, il luogo santo e gli oggetti sacri per il sacrificio, conducono verso la perfezione che ha il suo punto culminante nella celebrazione eucaristica; accostarsi al trono della grazia per la riconcilia­ zione è avvicinarsi al trono della grazia eucaristica. La stessa celebrazione euca­ ristica, raggiunge il suo punto più perfetto nel momento della diatheke nel suo sangue (Le 22,20). Questi e altri suggerimenti di J. Swetnam, specialmente a mo­ tivo della simbolica, stimolano ali 'approfondimento, come egli stesso del resto auspica. Ma resta la constatazione di fondo: Ebrei non menziona mai la celebra­ zione eucaristica, ed Eb l 0,25, riferimento possibile, ha finalità più ecclesiologi­ che che eucaristiche; l 'aggancio di Ebrei a Le 22,20 non è certo di tipo eucaristi­ co, bensì pasquale, cioè storico-soteriologico. Non è poi secondario il fatto che il vocabolario eucaristico (eucharistia, eucharisteo) in Ebrei sia del tutto assente. Infine, quando Eb 8,6- 1 2 descrive il patto nuovo lo presenta come inciso non sul­ la pietra, ma nel cuore, avvalendosi allo scopo di Ger 3 8,3 1 -34. Non sarebbe sta­ to questo il momento più opportuno per descriverne anche la valenza eucaristica? Expressis verbis J. Swetnam afferma che la diatheke, scritta nel cuore di ognuno, è prefigurazione della diatheke eucaristica, essendo quel termine caratteristica base nei testi dell ' istituzione. Ma l ' inevitabile relativizzazione del patto scritto nel cuore che ne risulterebbe non è certo nella mente di Ebrei. E poi, l 'analogia con Melchisedek, tanto decisiva in Ebrei, il quale offre pane e vino, come mai non è affatto percorsa dali 'autore in direzione eucaristica? Una vera occasione perduta. Un' allusione al pane eucaristico, tuttavia, J. Swetnam la intravede più chiaramente in Eb 9,2-3 ove coglie due paralleli : « i pani della presenza » (he prothesis ton arton) sono anticipazione del « santo pane eucaristico » e « il santo dei santi » del v. 3 lo è del nuovo santo dei santi, il tempio cristiano, custode del­ l 'eucaristia. Avendone discusso ad locum, vi rimando. Né J. Swetnam è solo in questo tentativo; R. Keresztky, ad esempio, vede impliciti elementi eucaristici in 6,4; 1 3 , l O e altrove, e rileva che Ebrei conterrebbe un forte potenziale eucaristi­ co, per la fede e la vita spirituale. La mia impressione è che a riguardo sia in corso una sopravvalutazione di toni eucaristici legati al concetto di sacrificio, una forma di non avvertita pre­ comprensione che porta a identificare tout court eucaristia e croce. In verità, la intentio di Ebrei, anche in l O, 1 9-20 ove si leggono i termini « sangue e carne », è riconciliazione e purificazione, dunque rappacificazione (salom) con Dio, frutto teologico del patto. Vedervi il sacramento dell 'eucaristia, mi sembra spingere troppo il testo. Non così per l 0,22, ove il riferimento al battesimo è ben più at­ tendibile. Come già altrove indicato, combinando Eb 9,20 (« Questo è il sangue del­ l ' alleanza »; cfr. Es 24,8 : « Ecco il sangue »), con 1 0,25a (« senza disertare la no­ stra assemblea ») e con 1 3 , 1 0 (« Noi abbiamo un altare »), potremmo avere gli unici due o tre punti a favore di un eventuale modo eucaristico di pensare, in al-

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lusione, il patto nuovo da parte di Ebrei. Troppo poco, in verità, per sostenere l 'assunto 1 58•

8. Sommo sacerdote grande (tesi) e perfetto

Che questo sia « il punto capitale » (8, l ), la tesi dell ' intero « trattato », lo mo­ stra la strategica solerzia dell 'autore nel preparare i destinatari a tale argomento. l ) Egli richiama alcuni punti dali ' AT nei quali « ascolta » come un prean­ nunzio del sommo sacerdozio di Gesù: l ' incontro di Abramo con il sommo sa­ cerdote Melchisedek in Gn 1 4, 1 8-20 trova eco in Eb 7, 1 . 1 0. In Eb 5,6. 1 O; 6,20; 7, 1 1 (bis). 1 7 si ha un aggancio al Sal l 09 ,4b (« Tu sei sacerdote per sempre ))), il che permette di individuare il momento storico al quale Ebrei pensa vada fatta ri­ salire l ' investitura sacerdotale di Gesù: fin dal momento in cui Dio ha deciso il suo ingresso nella storia umana (Sal 1 09,3 ; Eb 1 ,5a, « oggi ») e per sua volontà consacrante (cfr. Es 29, 1 -3)159• Al Figlio, di cui nel Sal 2,7, si riporta Eb 1 ,5a men­ tre in Zac 1 2, l O si legge un più diretto riferimento al compito sacerdotale e sacrificate: « . . . E guarderanno a colui che hanno trafitto . . . e faranno lamenti per lui come ci si lamenta per la perdita del Figlio unico . . . e piangeranno amaramente come si piange per il Figlio primogenito )). Si avverte una mutazione profonda ri­ spetto ali ' ordinamento levitico della prima alleanza: sacerdote per gli altri, Gesù ha dato la sua vita per molti (= tutti, con discreta allusione a Is 53 ,5b-6). Inoltre, nessun mortale è presentato nella Bibbia seduto alla destra di Dio (Sal l 09, l b; Eb 1 , 1 3 ). Se è detto del re, ciò è perché questo re è particolare e unico: re messia­ unto (Sal 2,2b ), insediato personalmente dal Signore (Sal 2,6), egli stesso rende nota la decisione di JHWH su di sé (Sal 2, 7). Fin dal primo momento della sua esi­ stenza, il re ha ricevuto tale dignità unitamente a quella sacerdotale (Sal 2 + Sal l 09,3-4 ): « Egli appare in pubblico in vestimenti sacri )) (Sal l 09,3). Per la Bibbia, il congiungimento in una sola persona delle due dignità, regale e sacerdotale, non è problematico; Salomone e Davide sono re e sacerdoti, rivestiti di paramenti re-

1 58 Si veda D.J. Brege, Eucharistic Overtones Created by sacrifìcial Concepts in the Epistle to the Hebrews, in ConcordTheolQ 66 (2002) 6 1 -8 1 . 1 59 Diverso il parere di H . Cousin, « Accredité comme Fils sur sa maison »: Révélation etfilia­ tion dans la Prédication sur le sacerdoce du Christ, in Lum Vie 43 ( 1 994) 47-62 : Gesù è sommo sa­ cerdote dall ' indomani della sua risurrezione, anzi con la sua ascensione al cielo. Questo suggeri­ mento è incerto: non è questo il pensiero di Ebrei, che tiene ben conto dei Sal 2 e l 09; non è inoltre in sintonia con Zac 1 2 , l O (e neppure con Is 53,5b-6), né con Zac 9,9. Gesù è ufficialmente sacerdo­ te dal momento della sua generazione nel tempo ( 1 ,5; Sal 2,7; 1 09,4b). Per N. Casalini (1/ tempio nella letteratura giudaica, in RBI 48 [ 1 995] 1 8 1 -2 1 O, qui 205-206), la teleiosis di Eb 2, 1 0 è la con­ sacrazione (perfezionamento) sacerdotale conferita da Dio al Cristo nel momento della sua morte espiatoria, e questo in forza del Sal l 09,4. Ma vedi commento su Eb 2, l 0- 1 1 . Sulla preparazione di questo momento storico sacerdotale, cfr. A. Feuillet, Une triple préparation du sacerdoce du Christ dans / 'Ancien Testament, in Divinitas 28 ( 1 984) 1 0 1 - 1 36. Quel suo sacerdozio diventerà visibile in precisi momenti della sua vita. Il fatto poi che egli sia sacerdote « alla maniera di Melchisedek » sug­ gerisce che egli è re e sacerdote senza origine e senza fine, dunque da sempre e per sempre. È la mia posizione.

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gali e sacerdotali. Nei Sal 1 09,4 e 2,6-7 Ebrei avverte il preannunzio del re sa­ cerdote messia-unto, e non secondo le prescrizioni della casa di Levi ma di Zac 9,9 e di Melchisedek (Sal 1 09,4) 1 60• Con procedura epidittico-paracletica, Ebrei continua a dissodare il terreno per i suoi lettori . Un argomento « per assunto », informa tout court sul « punto ca­ pitale >> (8, l a) del « trattato >> : il sommo sacerdozio di Gesù Figlio (8,4a). La stra­ tegia è creare nel lettore il bisogno di appurare se tale argomento sia davvero il « capitale >>: Perché il sacerdozio e non il « Figlio >> o la sua « sovranità universa­ le >> o il « patto nuovo » o il pellegrinaggio nella fede verso il riposo, o altro? In tal modo l 'autore muove l ' interesse dei lettori a rilevare, con procedura paralle­ la, altri momenti che hanno il loro peso, ma solo in funzione di quel « punto ca­ pitale » che contribuiscono a definire come tale. · Così « il Figlio . . . Gesù » è tema dominante, m a i n Eb l , l - 2 , 1 8, dunque non « capitale »; non lo è, ma lo prepara. Anche la sovranità-eredità del Figlio { l ,2d; l ,8) « Gesù » (2,9) è tema centrale, ma collegato al suo sommo sacerdozio. Dunque non « il » tema. Lo stesso si dica dell 'alleanza. Argomento centrale in Eb 8- 1 0 e ancora prima, là dove gli angeli ( 1 , 14; 2,2) e Mosè (3,5-6) sono ministri e mediatori del patto antico, esso non è « il punto capitale » in Ebrei. Per l 'autore, infatti, è il ministero sacerdotale della croce, celebrato « una volta per sempre », a essere decisivo per la fondazione del patto nuovo, a cui pure guarda con simpa­ tia, ma non è però « il capitale >>. Quale popolo sacerdotale, i cristiani avanzino peregrinanti verso il sommo sacerdote, loro « precursore » nel riposo di Dio (3,7 4, 1 3), consci di accostarsi non al Sinai tremendo, ma al Sion festoso ( 1 2, 1 824.25), solidi nella fede, trainati in essa da un nugolo di credenti ( 1 1 , 1 -39). Quel popolo di Dio pellegrinante è una comunità sacerdotale in marcia verso il Figlio, sommo sacerdote glorioso. Anche il pellegrinaggio è in funzione del sommo sa­ cerdozio. E se quest'ultimo è la tesi di Ebrei 161 , il pellegrinaggio ne è il tema prin­ cipale. La strategia preparatoria sul « punto capitale >> è ora al suo momento cul­ minante. L'autore ha come una visione e la propone poco per volta e con lin­ guaggio familiare. Affinché la comunità deglutisca pian piano (Eb 5 , 1 2, « Siete bisognosi di latte »), egli descrive il Figlio con immagini già note ai suoi destina­ tari : in l ,3 si ha un riscontro equivalente a Col l , 1 5 (« Egli è immagine del Dio invisibile >>) e a Fil 2,6 (« Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con

1 60 La chiamata in causa di Melchisedek spiega la scelta di Ebrei per un retroterra apocalittico e non platonico-gnostico. Lo prova bene DJ. MacLeod, The Doctrinal Center of the Book of Hebrews, in BS 1 46 ( 1 989) 29 1 -300. La proposta di Filone di Alessandria, secondo cui il sommo sa­ cerdote (archiereus) non è uomo, ma è « il suo (di Dio) primogenito (ho protogonos), la parola di­ vina (theios logos) . . . nel tempio del! ' universo », è dallo stesso Filone ben poco percorsa. Sporadiche le frequenze: De migratione Abrahami 1 8, l 02; Defuga l 08; De gigantibus 52; De somniis l ,2 1 5 . Il tema è dunque noto a Filone, ma non è fra i suoi preferiti. La scelta apocalittica pone Ebrei a con­ tatto con il Sal l 09,4 (LXX) e al di là del sacerdozio levitico ufficiale: Gesù è « sacerdote alla ma­ niera di Melchisedek ». Un fatto del tutto nuovo. 1 6 1 N. Hugedé (Le sacerdoce du Fils. Commentaire de / 'Épitre aux Hébreux, Fischbacher, Paris 1 983) fa ruotare il suo commentario attorno al motivo-tesi: il sacerdozio del Figlio.

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Dio »); in 1 ,3 Ebrei scrive che il Figlio è prima di tutte le cose, le quali tutte sussi­ stono in lui, con equivalenza in Col 1 , 1 7; in 1 ,3c quel Figlio compie la purificazio­ ne dai peccati 162, con eco in Col 1 , 1 5-20 e Fil 2,6.9 163. Eb 1 ,8-9 cita il Sal 44,7-8: ri­ suonano parole come « trono », « scettro giusto del regno », « unzione regale con olio di letizia ». Il salmo celebra le nozze di un re israelita164. Ebrei vi ravvisa lo schema « profezia-compimento » su Gesù re messia 165. Lo « scettro giusto » evoca la figura del re di Salem in Eb 7 , 1 -3 . Con riferimenti discreti e caute allusioni, l 'au­ tore continua a preparare i suoi all 'annunzio decisivo : il sacerdozio di Gesù. E lo fa con linguaggio familiare, affinché la comunità non subisca traumi. In 2, 1 1 Ebrei introduce un linguaggio sacerdotale: « Colui che santifica e i santifica­ ti »166; in 2, 1 7 propone per la prima volta l 'esplicita menzione di Gesù come som­ mo sacerdote, dopo avere descritto il « Figlio » con imponenti termini divini ( 1 ,3) e averne menzionato per la prima volta il nome « Gesù >> (2,9), dopo averlo descritto « per poco tempo » inferiore agli angeli nella sua vita terrena, rivestito di onore e di gloria nella sua esaltazione, dunque superiore agli angeli, sovrano su tutte le cose (2,5), appoggiandosi al Sal 8,5. Ciò che vi è descritto, avverrà in futuro; ora egli de­ ve soffrire persecuzione e morte (Eb 2,8-9). Con linguaggio familiare l ' autore chie­ de ai suoi di contemplare lui incoronato di gloria e onore dopo la morte che ha sof­ ferto (2,9); essa è dono benevolente di Dio (2,4), che accoglie la decisione libera del Figlio di « gustare la morte » a vantaggio di ogni creatura167. L'espressione semiti­ ca168 può essere allusione al calice dell 'agonia (Eb 5,7; Le 22,42)169. La strategia espositiva ottiene ora lo scopo: l 'autore può scrivere che Gesù il Figlio è sommo sacerdote misericordioso e fedele 1 70, attributi che l ' AT ricono-

162 Secondo il NT, la purificazione si consegue: nel battesimo e nella morte espiatoria di Gesù (Eb 3, 1 7). Cfr. F. Hauck, katharismos, in GLNT ( 1 968) 4, 1 298. Rm 6,4-6 li unisce magistralmente. 163 Siamo in presenza di riscontri equivalenti in Ebrei, Colossesi e Filippesi, come tali registra­ ti nelle edizioni critiche del NT. Cfr., ad esempio, E. Nestle K. Aland, Novum Testamentum graece et latine (edizione XXVII). Si può ritenere che i tre scritti risentano del comune retroterra culturale ellenistico-alessandrino. Meno attendibile che Ebrei conosca Filippesi e Colossesi. Ne accenno po­ co più avanti. 1 64 Salomone, oppure Geroboamo II o il re Acab che sposò una principessa di Tiro ( l Re 1 6,23 ) . Per le tradizioni giudaica e cristiana, si tratta delle nozze del re messia con Israele. A lui sono attri­ buite qualità di JHWH e dell 'Emmanuele. 1 65 Analisi dettagliata in F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 60-66 e 256. 166 Il senso di Eb 2, I l è che Cristo e i cristiani, avendo la stessa carne e lo stesso sangue, so­ no figli dello stesso padre, che non è Dio bensì Adamo. Cristo, essendo hagios, agisce come ha­ giazon negli hagiazomenoi, compie la santificazione dei santificati « per mezzo del l 'offerta del suo corpo » ( l O, I O), « con il suo sangue » ( 1 3 , 1 2), strumento di riconciliazione. Queste parole esprimono il rapporto tra espiazione e santificazione come impegno continuo a rimanere santi, ag­ ganciati al Santo, attraverso la fede nel santificatore, anche dopo essere stati posti nello stato di santità. Così anche in Ap 22, 1 1 : « Il santo si santifichi ancora )) . Cfr. O. Procksh, hagios, in GLNT ( 1 965) l ,30 1 -302. 16 7 J. Tetley ( The Priesthood of Christ in Hebrews, in AEJTM 5 [ 1 988] 1 95-206) riscontra in questo atteggiamento la perfezione sacerdotale di Gesù. 168 « Gustare la morte )): semitismo. Cfr. KNTTM.SB, vol. I, pp. 75 1 -752. 169 Cfr. C. Spicq, L'épitre aux Hébreux, p. 7 1 . 1 70 Approfondisce questa combinazione di attributi M.C. Parson, Son and High Priest: A Study in the Christology of Hebrews, in EQ 60 ( 1 988) 1 95-2 1 5 . Cfr. anche W.R.G. Loader, qui nota 1 7 1 . -

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sce solo a Dio: « misericordioso », fino a farsi simile a noi uomini (2, 1 7); « fede­ le » (egli non abbandonerà mai il suo popolo allo sbaraglio). Amore misericor­ dioso e fedeltà sono le basi del sacerdozio di Dio visibile in Gesù. Ci si avvicini in tutta fiducia al trono del Dio fedele e misericordioso, là è la presenza di un sommo sacerdote fedele e misericordioso, associato alla nostra debolezza, uno che è stato provato nella sua vita terrena ( 4, 1 5), come già gli ebrei nel deserto, co­ me « ora >> i destinatari di Ebrei 1 7 1 . Ebrei può addentrarsi adesso nella tradizione dell ' AT sul sacerdozio, aroni­ tico e di Melchisedek. Ebbene, quello aronide non è il sacerdozio di Cristo 172• La sua dignità sacerdotale è di ben altra qualità. Progettato da Dio nelle Scritture (Sal l 09,4 citato in Eb 5,6; 6,20; 7, 1 1 . 1 7 .2 1 ), esso è « alla maniera (kata ten taxin) di Melchisedek »; sacerdote da sempre, egli lo diventa visibilmente nel tempo (2, 1 7; 6,20) per decisione divina al momento della sua generazione (5, 1 6) 173, ancora di più sulla croce. S e l ' aspetto semitico del sommo sacerdozio del Figlio esprime continuità con quello dell ' AT, l 'ellenizzazione del giudaismo e del kerygma cristiano aiutano a spiegare l 'enorme novità in Gesù di Nazareth : sa­ cerdote e vittima, offerta e offerente, sommo sacerdote che opera più di quello le­ vitico e più dello stesso Melchisedek. Il suo sacerdozio è semplicemente « mi­ gliore » (kreittonos) . Come Ebrei operi il passaggio dalla concezione semitica a quella ellenistica è ancora un dilemma, forse lievemente attenuato dalla proposta filoniana del logos divino sommo sacerdote 1 74. Per questo sacerdozio e sacrificio nuovi, il Primo Testamento non era pron­ to. Se esso ha trovato posto nel cristianesimo, lo si deve più che altro alla ricca esperienza dell 'alleanza che Israele portava in sé da più di un millennio. Questa . si attua « ora » con l 'offerta sacerdotale del « Figlio » già prefigurata nella dispo­ nibilità sacerdotale di Abramo, che non rifiuta di « legare » ('aqeda) per Dio Isacco, il Figlio della promessa (cfr. 1 1 , 1 7- 1 9) 1 75• Solidale con noi, quel sacerdo­ te ideale fa di noi una sola famiglia, perché suoi fratelli 1 76. Dire che Gesù è 1 7 1 Per W.R.G. Loader (Sohn und Hoherpriester. Eine traditionsgeschichtliche Untersuchung zur Christologie des Hebriierbriefes, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1 98 1 , p. 25 1 ), quale figlio e sommo sacerdote, Gesù non è un brutum factum relegato nel passato, bensì un « evento >> per­ manente. Presente fra i suoi, egli rende presente la presenza di Dio. Questa è la sua dignità e la sua missione, precisa J. Szlaga, Berujùng und Wiirde des Hohenpriesters des Neuen Bundes nach dem Hebriierbriej, in AnnalesThCan 25 ( 1 978) l O l . 1 72 Categorico rilievo di E. Kiisemann (Das wandernde Gottesvolk. Eine Untersuchung zum Hebriierbrief, pp. 23-27), esaminato e ripreso da E. Griisser, Das wandernde Gottevolk. Zum Basismotiv des Hebriierbriefes, in ZNW 77 ( 1 986) 1 60- 1 79. Efficace l 'apporto di W. Horbury, The Aaronic Priesthood in the Epistle to the Hebrews, in JSNT 1 9 ( 1 983) 43-7 1 . Bene R. H. Culpepper, The High Prietshood and Sacrifice ofChrist in the Epistle to the Hebrews, in TEdr 3 1 ( 1 985) 46-62 . Segnalo, infine, M.E. Isaacs, Priesthood and the Epistle to the Hebrews, in Heithrop Journal 38 ( 1 997) 5 1 -62. 1 73 Cfr. J. Harvill, Focus on Jesus: The Letter to the Hebrews, in Spirituality Today 37 ( 1 985) 345. 1 74 Cfr. già E. Kiisemann, Das wandernde Gottesvolk. Eine Untersuchung zum Hebriierbriej, p. 67. Sostenuta da L.D. Hurst, The Epistle to the Hebrews, pp. 1 23- 1 25 , la posizione filoniana po­ trebbe fare da trait d 'union . Resta tuttavia discutibile, anche perché poco percorsa dallo stesso Filone di Alessandria. Vedi sopra, nota 1 59. 1 75 Sulla 'aqeda di I sacco in Eb 1 1 , 1 7- 1 9 (cfr. qui il commento corrispondente). 1 76 Cfr. G. W. Buchanan, Epistle to the Hebrews, pp. 1 35- 1 36.

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Christos non basta più; egli è sommo sacerdote « alla maniera di Melchisedek » (Eh 7, 1 -28), del quale Eh 7, 1 -3 attesta la superiorità sul sacerdozio aronide . Qualitativamente inferiore, quest'ultimo ha espletato la sua utilità. È il messag­ gio di Eh 7 , 1 1 - 1 7 che fa di nuovo appello al Sal 1 09,4b, il quale muta (metathe­ sis, v. 1 2) il sacerdozio levitico e la legge che lo ha istituito (vv. 1 1 - 1 2). Il Sal 1 09,4 inoltre è rivolto a un personaggio che non è della tribù }evitica; Ebrei lo ap­ plica a Gesù che è della tribù non sacerdotale di Giuda (vv. 1 3- 1 4); il salmo isti­ tuisce un sacerdozio che non muore (in eterno), mentre quello levitico è basato su una legge « carnale » (Eh 7, 1 6- 1 7); abrogando (athetesis, v. 1 8) la legge l evitica, il Sal l 09,4 fonda una speranza migliore. È il parere di Eh 7, 1 8- 1 9. Inoltre, quel salmo istituisce il sacerdozio « alla maniera di Melchisedek » con un giuramento (« Il Signore ha giurato e non si pente »), a differenza di quello levitico (7 ,20-22). E se la morte impedisce ai sacerdoti levitici di durare, Melchisedek è sacerdote « in eterno » (Sal l 09,4), « rassomigliante al Figlio di Dio >> (Eh 7,3). Il Cristo è così in possesso di un sacerdozio che non tramonta; egli non si è arrogato il tito­ lo di sacerdote (Eh 5 ,5-6), ma gli è stato dato da Dio, e proprio nel Sal l 09,4; egli « vive sempre per intercedere a favore » nostro (Eh 7 ,25) e lo fa da posizione re­ gale, seduto alla destra di Dio ( l O, 1 2), mentre i sacerdoti aronidi devono ripetere i loro sacrifici, in piedi177• Quest'ultima esclamazione è piena di stupore e di com­ piacimento, motivata dalle caratteristiche personali del Cristo: santo, innocente, incontaminato; dalla posizione che ha acquisito : separato dai peccatori, elevato al di sopra dei cieli, eppure solidale con i fratelli; dali 'efficacia della sua azione: ha offerto se stesso una volta per tutte (7,26-28). Con un'argomentazione in tre fasi, Eh 7, 1 -28 traccia una essenziale teologia del sommo sacerdozio. Nella prima fase (vv. 1 1 - 1 7), in un' ipotesi dell ' impossibi­ lità (« se la perfezione ci fosse stata . . . »), il sacerdozio levitico è dichiarato incapa­ ce di perfezione. Di quello « alla maniera di Melchisedek » si dice invece che viene da potenza di vita; nella seconda (vv. 1 8-25), con affermazioni positive e negative molto nette, del sacerdozio levitico si dice che è stato abrogato perché debole e inefficace, mentre quello del re di Salem è eterno ed è efficace perché avvicina real­ mente a Dio; nella terza fase (vv. 26-27) si definiscono deboli e peccatori i sacer­ doti levitici; egli, invece, è sacerdote santo, innocente, senza macchia, perfetto ed eterno178• Sorprende non poco quanto testi così brevi e reticenti si trasformino nel­ la penna di Ebrei in una miniera di argomenti a favore del nuovo sommo sacerdo­ zio. Anzi, il Sal 1 09,4 sottende a tutta la struttura di Eh 5 , 1 - 7,28179• 1 77 Si veda Gédéon Monga Ngoy, Prééminence de la pretrise du Christ sur celle des Aaronides dans l 'écrit adressé aux Hébreux, in Analecta Bruxellensia 5 (2000) 8 1 -96. 1 78 Si leggano utilmente C. Dieterlé, Par-delà le voi/e: l 'Épitre aux Hébreux et le sacrifice (Hebreux 6, 13 à 1 0,21), in Foi et Vie 95 ( 1 996) 47-5 1 , nonché i due recenti studi di É. Cothenet, Pretre selon l 'ordre de Melchisédek d 'après l 'épitre aux Hébreux, in EsprVie I l O (2000) 1 3- 1 7 e 1 923: il nucleo del profilo di Gesù il Cristo è sacerdotale. Forse meglio: in pellegrinaggio sacerdotale. 1 79 Segnalo a riguardo l 'analisi molto dettagliata di J. Kurianal, Jesus Our High Priest. Ps l 10, 4 as the Substructure of Heb 5, 1 - 7, 28, European University Studies, Frankfurt am Main 1 999, pp. 1 6 1 - 1 97 (sul Sal 1 1 0,4 [TM] e il suo retrofondo giudaico) e pp. 1 99-234 (sul sacerdozio di Gesù « alla maniera di Melchisedek » ).

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Sommo sacerdote perfetto è il profilo di Gesù a partire da Eb 7,27: da Abramo-Levi a Melchisedek (7, 1 - 1 0), poi il salto di qualità nel sacerdote Gesù, perfetto perché entrato nel celeste santo dei santi, attraverso il velo della propria carne-vita, fatto unico e irripetibile. Che l ' autore voglia qui polemizzare con Abramo e Levi? 180. Più attendibile ritenere che in forza dell 'unico valore rimasto in piedi, la parola-giuramento di Dio (Sal l 09,4 ), egli voglia rilevare che molto tempo prima dei sacerdoti levitici il loro capostipite, Abramo, era stato benedet­ to da un re sommo sacerdote più antico e migliore di Aronne e Levi. Lo stesso Abramo, di fronte a quel sacerdozio, si era piegato a pagare le decime. Quale perfezione? Dio rende perfetto nella sofferenza il nostro salvatore attraver­ so ciò che patì, scrive Eb 5,7. Il suo sacerdozio è perfezione visibile. E se nessun sa­ cerdote della prima tenda è perfetto perché non paga di persona, egli, il Figlio, con l 'of­ ferta perfetta della propria vita, ha reso e rende perfetti quanti ne sono santificati. E, quale la radice di tanta perfezione? La disponibilità consapevole del Figlio ad aderire al progetto redentivo del Padre, nella fedeltà. Nella sua richiesta di essere liberato dal potere della morte fu infatti esaudito perché fedele (eulabeia)l81, scrive ancora Eb 5,7. Quel « Figlio di Dio » perfetto è sommo sacerdote per il popolo in cammino1 82, dunque anche per i destinatari di Ebrei. Le persecuzioni spingono ali 'apostasia, ma anche alla fedeltà: non si ritratti la scelta di lui, « parola di Dio vivente ed efficace » (Eb 4, 1 2- 1 3); lo si segua piuttosto quale sacerdote sofferente (5, 1 - 1 0). Generato nella storia ( 1 ,5a) con un corpo ( 1 0,5; Sal 39,7) che lo ha reso uomo in aiuto al­ l 'uomo (2, 1 7- 1 8; 9,25-28), testimone fedele fino alla morte (7,26-28), ha speri­ mentato nella sua vita terrena momenti densi di grida e lacrime (Eb 5,7), uomo del dolore, sacerdote sofferente, ma anche sacerdote perfetto ed eterno (7 ,23-28), ga­ rante di una nuova eterna alleanza (Eb 7,22-23) oltre la morte. Il suo servizio redi­ me sempre perché efficace sempre (Eb 7,26-27) 1 83• Dunque, i cristiani della seconda e terza generazione, soprattutto quelli prove­ nienti dal giudaismo184, lo abbiano per certo: nel messia e sacerdote Gesù il Cristo 1 8° Certo, se i destinatari dello scritto sono sacerdoti del culto antico divenuti cristiani, ma an­ cora attratti dalla fede antica, dal culto dei sacrifici e dallo splendore della liturgia giudaica, l ' ipote­ si potrebbe reggere. Ebrei vorrebbe dimostrare loro la superiorità del sacerdozio di Melchisedek su quello levitico e aiutarli a superare la tentazione del ritorno al sacerdozio giudaico. Suggerimento recente di C. Gianotto, Qumran e la lettera agli Ebrei, in RSB 2 ( 1 997) 2 1 1 -230. Destinatari: grup­ pi sacerdotali vicini ali 'ellenismo. Ma Ebrei ha un destinatario ben più ampio. 1 8 1 Non così J. Stevenson-Moessner ( The Road to Perfection. An lnterpretation ofSuffering in Hebrews, in Interpretation 57 [2003] 280-290), che ravvede il cammino della perfezione lungo la via della sofferenza e della morte: « Obedience was learned through suffering and perfection was achieved. Obedience is expected ofhis followers ». 1 82 Cfr. D. Launderville, Jesus, the Eternai High Priest, in BToday 24 ( 1 986) 2 1 7-222 . Monga Gédéon Ngoy (Prééminence de la pretrise du Christ sur celle des Aaronides dans l 'écrit adressé aux Hébreux, in Analecta Bruxellensia 5 [2000] 8 1 -96) offre un quadro esaustivo dei risultati rag­ giunti sull 'argomento (lbid. 96): il sacrificio sacerdotale di Cristo, perfetto, è l 'ultima tappa nella ri­ cerca della relazione del! 'uomo con Dio. La mediazione del Cristo non ha più barriere. Non resta che peregrinare al trono della riconciliazione (Jbid. 96). 1 83 Erl6sungstheologie. Si legga utilmente P.D. Duerksen, lmages of Jesus Christ as Perfect High Priestfor God 's People, in Quarterly Review 1 4 ( 1 994) 32 1 -336. 1 84 0pportuna precisazione contestuale già di A. Vanhoye, Cristo Sumo Sacerdote, in Revista de Cultura Biblica I l ( 1 978) 3 1 3-323.

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si ha la realizzazione definitiva delle attese messianiche 1 85; siano consapevoli di avere un sommo sacerdote perfetto e glorificato perché ha attraversato i cieli (4, 1 4), perfetto mediatore (8,6; 9, 1 5 ; 1 2,24) perché in lui abbiamo accesso a Dio (4, 1 6); solidale con noi, (4, 1 5), nostro fratello (2, 1 1 b), ha preso su di sé le nostre sofferenze, la nostra morte offrendo dal Getsemani alla croce, in modo visibile, la sua perfezione sacerdotale (teleiesis). Questo motivo appare centrale in Ebrei, per­ ché connesso al « sommo sacerdote grande », che ne è il « punto capitale >>, cioè la tesi, non ne è però il tema principale, che resta il pellegrinaggio nella fede, come già notato 186; per lui e per noi, quel pellegrinaggio è sacerdotale. Invenzione umana o annunzio nuovo da parte di Dio? Nel Sal 1 09, 1 Ebrei in­ travede la proclamazione del Cristo, risentendo, forse, di Gesù stesso che riferisce quel v. l al messia (Mt 22,43-46) quando disquisisce in modo enigmatico con i fari­ · sei sul messia, « figlio e signore di Davide » al tempo stesso; in modo esplicito nel momento in cui il sommo sacerdote lo interroga, se egli sia il messia. Gesù risponde, avvalendosi di nuovo del Sal l 09, l combinato con Dn 7, 1 3 , in Mt 26,64: « Vedrete il Figlio dell 'uomo seduto alla destra dell 'Onnipotente ». Con l ' insediamento del Figlio (Eb 1 ,3d), si compie questo oracolo profetico. Nel Sal 1 09,4 (LXX) lo stesso personaggio, già intronizzato alla destra di Dio IHWH, è proclamato sommo sacerdo­ te: è un oracolo più solenne del primo, perché vi interviene un giuramento divino. Siamo al fondamento scritturistico del sacerdozio di Gesù il Figlio: la volontà eletti­ va e consacrante di Dio. Ovviamente, il Sal l 09, 1 .4 non parla di lui, ma è Ebrei a in­ terpretarlo in quella direzione187• I cristiani incerti vedano la volontà consacratoria di Dio nella vita del Figlio: nella sua umile solidarietà con gli uomini; nel fatto che non evita il contatto con la morte (come invece vuole il Lv 2 1 , 1 -2. 1 1 . 1 7), che liberamen­ te affronta e gestisce; nella sua passione ove diventa sommo sacerdote visibilmente. Venuto « in una espressione visibile della carne del peccato » (Rm 8,3), Gesù trasfor­ ma la situazione umana e la rende conforme al progetto di Dio. Qui è la redenzione: un atto sacrificate sacerdotale, risultato di condivisione obbedienziale1 88• Ebrei mo·

18 5 Del sacerdozio e del culto al tempio si parla nel pentateuco e in maniera molto estesa. In Es 25, l - 3 I , 1 7 dopo la conclusione de li' alleanza (Es 24, 1 - 1 8), e in Es 35, l 40,38 dopo il suo rinnova­ mento (di cui in Es 34, l ss. ); in Lv 8 (Eb 7,26-28) si parla circa i sacrifici e la consacrazione di Aronne e dei !eviti da parte di Mosè; in Nm 1 8, l e in Es 28,38 si legge: « Aronne porterà il carico delle colpe degli israeliti . . . per attimre su di essi il favore del Signore ». La storia posteriore d'Israele mostm una connessione sempre più stretta tra la dinastia regale e il tempio di Gerusalemme. La famiglia davidi­ ca e il sacerdozio levitico sono, per l 'autore delle Cronache, i due pilastri che sostengono il popolo di Dio. Tempio e sacerdozio rivestono un ruolo primario nell'AT. 1 86 Il motivo della perfezione ricorre come verbo teleioo 9 volte (Eb 2, 1 0; 5,9; 7, 1 9.28; 9,9; 1 0, 1 .4; 1 1 ,40; 1 2,23); come sostantivo 2 volte: teleiosis (Eb 7, 1 1 ) e teleiotes ( 1 2,2), entmmbi hapax /egomena in Ebrei. Per teleiotes, forma inusitata, rimando al commento su Eb 1 2,2. Dedica ap­ profondita attenzione ali ' argomento A. Vanhoye, La teleiosis du Christ: point capita/ de la Christologie sacerdotal d 'Hébreux, in NTS 42 ( 1 996) 32 1 -338. 187 Cfr. ancom F. SchrOger, Der Veifasser des Hebriierbriefes, pp. 1 1 6- 1 1 9. Sia il Sal 2, 7 sia il Sal 1 09,4 sono citati in forma diretta e secondo la versione dei LXX. Essi descrivono la figum di Gesù sa­ cerdote, « alla maniera di Melchisedek >> : re e sacerdote. Ebrei mvvede nei due salmi, come già in I , 1 3 ove riporta i l Sal 1 09, 1 , l 'adempiersi di una promessa messianica nella persona di Gesù Cristo. 1 88 Cfr. A. Vanhoye, Il sacrificio di Cristo e la consacrazione sacerdotale, in La Civiltà Cattolica 3 (200 1 ) 1 1 4- 1 26. -

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stra così la superiorità di Gesù rispetto ad Aronne e a Melchisedek, quest'ultimo so­ lo « rassomigliante al Figlio di Dio » (7 ,3): quello di Gesù è infatti il sacerdozio del Figlio di Dio, nuovo, senza alcun parallelo possibile, non sarà mai sostituito, durerà sempre, fino alla croce, alla risurrezione ( 1 3 ,20), alla glorificazione (4, 14), all ' inse­ diamento regale ( l ,3 ), fmo a « oggi ». Che tutto questo non sia un ' invenzione umana, lo prova l 'offerta sacrificate li­ bera del Figlio sommo sacerdote, egli stesso offerente e offerta. Nell ' incondizio­ nata disponibilità a « darsi per » è il valore redentivo del « dono » volontario di sé1 89• Indagando nell 'alleanza antica, Ebrei vede nella morte di Gesù e nella sua glorifi­ cazione (4, 14 ), nel senso giovanne o: « Do la mia vita e la riprendo » (Gv 1 7, 1 7 - 1 8), il sacrificio che instaura l 'alleanza nuova. Se la morte è l 'epilogo della sua vita ter­ rena, la glorificazione è continuazione del suo ministero sacerdotale, unico ed eter­ no. Ormai libero dalla sua angoscia mortale, egli « redime ». Il suo sacrificio cele­ ste, continua. Il sacerdozio del Figlio è di comunione con Dio e con gli uomini : tutto in unione, nulla in separazione; l 'unica divisione avviene con l 'apostasia. Ma anche al riguardo, quel sommo sacerdote resta colui che « apre » il cammino, avendolo aperto una volta per tutte ( 1 2,2). Che Gesù sia l 'eterno sommo sacerdote, manifesta l 'originalità di Ebrei ri­ spetto ali ' intero NT, oltre che ali ' AT. In questo dato di fatto convergono due mo­ menti essenziali in Ebrei: la cristologia della preesistenza e la gesuo/ogia della so­ lidarietà. Quel sommo sacerdote emerge vistosamente per umanità e fedeltà; sacerdote eterno oltre Melchisedek, egli porta in sé la garanzia (7,22, eggyos) di un patto migliore. Gesù sommo sacerdote e il Cristo sommo sacerdote sono per Ebrei due realtà connesse, indivisibili. Ne risulta una soteriologia in due momenti: ge­ suologico (giorni della vita terrena, fino alla croce) e cristologico (insediamento presso il trono di Dio per il sacrificio celeste). Gesuologia e cristologia sono mo­ menti di eguale rilevanza in Ebrei. Nessuno dei due può fare a meno dell 'altro. Possiamo ora identificare i criteri del nuovo sommo sacerdozio: servizio di fronte a Dio (dimensione verticale); comprensione e solidarietà con gli uomini (orizzontale); offerta del sacrificio di riconciliazione (entrambe) 1 90• Una ricca ge­ suologia e cristologia sacerdotali in Ebrei. Gesù si occupa della sofferenza uma­ na. La sua croce è il nuovo Jom KippCJr, il nuovo hilasterion (propiziazione ), egli inaugura la nuova umanità; in lui, il sacerdote messianico, si adempie ogni atte­ sa cultica dell 'AT (9, 1 5) ; in lui, la continuità storica: dalle promesse antiche al patto nuovo (Eb 8,6 e 1 0, 1 6) 1 9 1 • 1 89 In sintonia con la tradizione evangelica: « . . . Venne per servire, per dare la sua vita per mol­ ti (= tutti) >>, scrive Mc l 0,45 ; in Gv 1 0, 1 7 Gesù « dà la sua vita a disposizione (tithemi) »; egli la dà con le sue proprie mani: indiscutibile donazione libera e volontaria. A tavola con i suoi per l ' 'aggad!J pasquale, egli anticipa la celebrazione della sua passione e risurrezione, memoriale perenne. 190 Si veda K.M. Woschitz, Das Priestertum Jesu Christi nach dem Hebriierbrief, in Bibel und Liturgie 54 ( 1 98 1 ) 1 39- 1 59. 191 Anche se non esplicita, l ' annotazione sulla « continuità » è già in Tommaso d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), vol. Il, Ad Hebraeos, p. 392. Ne tratta G. Berceville, Le sacerdoce du Christ dans le commentaire de l 'épitre aux Hébreux de saint Thomas d 'Aquin, in Revue Thomiste 99 ( 1 999) 1 43- 1 58.

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9. « Alla maniera di Melchisedek » 1 92

Un « tipo » enigmatico? Di lui si è fatto un essere eterno, una « grande po­ tenza » soprannaturale, una prima incarnazione della parola di Dio, un essere di­ vino superiore a Cristo o, ancora, un' apparizione dello Spirito santo 193• Eb 7,3 sembra volerne fare un personaggio misterioso: « Senza padre, senza madre, sen­ za genealogia, senza principio di giorni, né fine di vita . . . rimane sacerdote in eterno » . Non si dubita della sua esistenza storica a Salem-Solyma ( Gerusalemme), antica città cananea194, né delle sue funzioni di re e sacerdote nel culto « al Dio altissimo » 1 95• Ma le prove mancano 196• Ricordato solo in due passi assai brevi dell 'AT (Gn 14, 1 8-20 e Sal 109,4b), Melchisedek è sommo sacerdote e re in Eb 7, 1 -3, l 'unico passo del NT che ne abbia una creativa attenzione197• Già nel racconto di Genesi la sua apparizione improvvisa ali ' inizio della storia di Israele suscita interrogativi e favorisce speculazioni. Il fram­ mento 1 1 QMe/eh lo presenta come un essere celeste a cui appartiene il potere di eli­ minare « Belial e gli spiriti complici » e di eseguire i giudizi di Dio198; ma sul suo sa­ cerdozio neppure un cenno. Tuttavia 1 1 QMe/eh attesta quanto fascino esercitava in quell 'epoca la sua figura. Questa riappare in testi apocrifi intertestamentari199 e gno=

1 92 « Melchisedek » è trascrizione del nome ebraico secondo l 'ortografia greca; « Malkitsedeq )), secondo quella ebraica. 1 93 Riferimenti sull ' argomento già in C. Spicq, L 'épitre aux Hébreux. II: Commentaire, pp. 205-206. 1 94 In sintonia con tutta la tradizione giudaica, Salem non è altro che Gerusalemme (Sal 75,3 ), città cananea abitata già dal 3000 a.C. e menzionata nei testi egizi fin dagli albori del secolo XIX: « Città del dio Salim )), nome noto già dal sumerico Uru-Salim. Melchisedek vi costruisce il tempio (hieros) e la città cambia nome: Hierosolyma. Cfr. G. Flavio, Antichità giudaiche 1 , 1 80; Guerra giu­ daica 6, 1 0,43 8. G. Vitucci (ed.), Flavio Giuseppe. La guerra giudaica, voli. I-II, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 1 989, vol. II, p. 582, è sorpreso che G. Flavio attribuisca la fon­ dazione del tempio a Melchisedek e non a Salomone e che, a seguito di ciò, abbia mutato il nome della città. In verità siamo in epoca cananea, in un tempio cananeo, con un sommo sacerdote cana­ neo. Per Isidoro di Siviglia, Etymologiarum liber XV, in PL 82,527, la città (cananea) di Salem, fon­ data da Melchi sedek che vi stabilì il suo regno, fu poi conquistata dai gebusei e chiamata « Hierusalem )); poi, da Salomone, « Hierosolyma, quasi Hierosolomonia dieta est )), città di Salomone. Salem, come forma abbreviata di Hieru-Salem, è nota già a Tacito, Storie 5,2-3. 195 L'appellativo « Dio altissimo (èl 'èljon) )) è fenicio-cananeo e depone aneh' esso per origini omonime di Melchisedek. Non è da escludere che questo sommo sacerdote cananeo del dio supre­ mo 'El fosse pervenuto alla fede nel Dio unico e vero. Gn 1 4,22 riconosce in lui un adoratore del Dio unico e non ha difficoltà alcuna a inserirlo, per quanto non ebreo, nelle origini della storia di Israele. 1 96 Lo rileva H.J. De Jonge, Tradition and Exegesis: The High Priest Christology and Melkizedek in Hebrews, in NedTTs 31 ( 1 983) 1 8- 1 9. 1 97 Melchisedek è menzionato ancora in Eb 4,6; 5, 1 0; 6,20; 7, 1 0. 1 4. 1 5 . 1 7. Cfr. J. Szlaga, Melchisedek in der neutestamentlichen Tradition, in AnnalesThCan 30 ( 1 983) l 02. 198 Cfr. M. De Jonge - A. S. van Der Woude, 1 / Q Melchizedek and the NT, in NTS 1 2 ( 1 9651 966) 30 1 -326. Poi, J. Charlesworth, in 0/d Testament Pseudepigrapha, 1 985, vol. I, pp. 249-250 e 932; L. Moraldi (ed.), Manoscritti di Qumran, pp. 577-580; Garcia Martinez F., Testi di Qumran, Paideia, Brescia 1 996, pp. 253-255. 1 99 Se ne occupano 2Enoch (sulla nascita di Melchisedek !); se ne fa menzione nelle Preghiere sinagoga/i ellenistiche: Costituzioni Apostoliche 7,4; 8, 1 1 ; 8,23; in Testamento di Mosè (secolo I d.C.) l 0,2, Melchisedek è identificato con Michele. In Testamento di Ruben 6, I l ; Testamento di Levi 8,4 e Pseudo-Eupolemo (secolo I a.C.), in Eusebio di Cesarea, La préparation évangélique 9, 1 7,6,

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stici200• In più, figura anche nella letteratura patristica201 e rabbinica202• In Ebrei il re di Salem riveste un ruolo prestigioso e decisivo per la teologia cristiana: eserci­ ta un sacerdozio superiore a quello aronide. Anzi, Eb 7,3 relativizza il sacerdozio aronide203• Il fascino di Melchisedek si rileva in epoca cristiana in Eb 5 ,5-6. 1 0: « Tu sei sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek (Sal 1 09,4b) ». Anche per Eb 7, 1 5 - 1 6 la comprensione del « Figlio sommo sacerdote >> deve passare per Melchisedek: Gesù non ha genealogia sacerdotale, non discende da Levi ma da Giuda, tribù non sacerdotale (7, 1 4). Il giuramento divino (7,2 1 ) indica che il mi­ nistero sacerdotale di Gesù è per sempre: eterno (7 ,22). La speculazione giudai­ ca ellenistico-romana e il cristianesimo della prima ora vi scoprono il tipo di un antitipo204• Melchisedek, un personaggio enigmatico205? Eppure, un profilo è possibile. Il suo nome è cananeo, come Adoni Sedech: il mio signore è giustizia, re di giustizia; come Adoni Salem, il mio signore è pace, re di pace. Inoltre, egli non ha genealogia ed « è rassomigliante (aphomoiOmenos) al Figlio di Dio >> (Eb 7,3). La storia di Melchisedek potrebbe coincidere con quella di un santuario dell 'antico Canaan, più tardi israelizzato. La tradizione sui re-sa­ cerdoti di Canaan, con sede originaria sul Tabor, è passata per i giudei a Salem (= Gerusalemme), nel tempio, per i samaritani al Garizim, per i cristiani al Golgota. È assai probabile che Melchisedek sia una figura sacerdotale cananea le cui origini vanno cercate nelle regioni nordiche della Palestina206, poi sacerdote di 'el 'eljon sul monte Sion207• (É. des P laces, ed.), (SC 369), Cerf, Paris 1 99 1 , Melchisedek è presentato come sacerdote, il proto­ tipo dei sacerdoti celesti nell 'ultimo giorno. Cfr. A. Tronina, The Intertestamental Interpretation oj Psalm J J0, 4, in Colc T 63 ( 1 993) 89-95 . 200 Cfr. C. Gianotto, Melchisedech e la sua tipologia. Per la posizione di Gianotto, rimando al commento su Eb 7, 1 -3. Segnalo, inoltre, J.E. Ménard, Le traité de Melchisédek de Nag Hammadi, in RSR 64 ( 1 990) 235-243 . 201 Ne parla, ad esempio, lsi doro di Siviglia, Etymologiarum liber XV, in PL 82,527 : « Sem, fi­ glio di Noè, è Melchisedek . . . » (>226 , doni attesi con il re-messia227• Se si aggiunge « sacerdote del Dio altissimo » (Go 1 4, 1 8), si ottiene l 'unione del sacerdozio con il profilo regale, il che corrisponde alla posizione del « Figlio di Dio » (Eb 7,3 ; già 4, 1 4 ), re e sacerdote, « alla destra della Maestà », dunque eterno. Ma come scorgere questi lineamenti in Go 1 4, 1 8-20, ove non si dice nulla di tutto questo? Se consideriamo i silenzi del testo ispirato, notiamo che esso omet­ te di riferire particolari di primaria importanza, trattandosi di un sacerdote: silen­ zio sulla genealogia (Gn 1 4, 1 9-20; Eb 7,3); eppure un sacerdote era tenuto a for­ nire la propria genealogia, a riprova della sua appartenenza alla stirpe sacerdotale228• Questa situazione paradossale descrive un sacerdozio particolare, che non è quello aronide. Ritorna il principio rabbini co: « Quod non in Torah, non in mundo », dunque da Dio; silenzio su nascita e morte, due omissioni che spingono Ebrei a descrivere Melchisedek « rassomigliante al Figlio di Dio » (7 ,3 ), la cui esistenza è eterna (Eb l ,8. 1 0. 1 2). Se Ebrei si fosse accontentato di studiare Gn 1 4 in sé e per sé, non avrebbe scoperto tanta luce. Avrebbe piuttosto provato meraviglia e perplessità, come nelle discussioni su Melchisedek: i rabbi­ ni si interrogavano sull 'origine del personaggio; gli inventavano una genealogia; gli contestavano il suo modo di benedire Abramo. Eppure, accostati al Sal l 09 e alla glorificazione del Cristo, i silenzi del testo genesiaco acquistano parola, ma­ gistrale tecnica della verbalizzazione a favore della figura di un sacerdote eterno, che si stacca nettamente dal sommo sacerdote dell ' AT, dove se ne prevede la morte e la sostituzione con uno dei discendenti229• Eb 7, 2-3: un inno a Melchisedek preesistente? Proprio così. Testo chiave in tutta la questione « Melchisedek », Eb 7,2-3 è un inno letterario preesistente a Ebrei, una microunità di redazione originale, libera da influssi extrabiblici. Specialmente ciò che è detto in 7,2b-3 è del tutto estraneo al resto del discorso e pur tuttavia con esso ben amalgamato. I participi attributivi con i quali 7,3 (cfr. il commento) riesamina i fatti di Go 1 4, 1 7-20 servono per dire che Melchisedek, « rassomigliante al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre ». Se gli attributi di Eb 7,2b-3 sono tratti dai silenzi di Genesi, essi sono anche la conferma che l 'au­ tore sta riflettendo sul Sal l 09,4: quale sacerdote « a somiglianza (aphomoiome­ nos) di Melchisedek », egli possiede la vita eterna ed esercita il suo sacerdozio per sempre. Ebrei si sente così autorizzato ad accettare il v. 3 quale unità ionica pree­ sistente, ove si dice di Melchisedek ciò che egli intende dire di Cristo. 226 Queste traduzioni-interpretazioni simboliche ricorrono già in Filone di Alessandria, Legum allegoriae 3,19. 22 7 Cfr. Is 9,5-6; l l , l -9; Mie 5,4; Sal 44,8, citato in Eb 1 ,9; Sal 7 1 ,7. 22 8 In Esd 2,6 1 -63 si racconta che al ritorno dali ' esilio alcuni sacerdoti ebrei, non avendo ritro­ vato i registri genealogici, vennero esclusi dalle funzioni sacerdotali (dal governatore Zorobabele). 229 Su Gesù, Melchisedek e il sacerdozio levitico, cfr. L.J. Nascimento, El Sacerdocio de Cristo en la Carta a los Hebreos, in RevCuBib I O ( 1 986) 47-85; A. Vanhoye, La novità del sacerdozio di Cristo, in La Civiltà Cattolica 1 49 ( 1 998) 1 6-27.

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Se Melchisedek appare immortale (7 ,3 ), Cristo è sacerdote « alla maniera di Melchisedek »: i due si rassomigliano nel sacerdozio immortale. Per questa ragio­ ne il sacerdozio di Cristo è migliore anche di quello di Melchisedek; non è infatti lo stesso. Per Eb 7,28 del resto non c'è dubbio: Cristo è « Figlio di Dio reso perfetto in eterno » in forza di una celebrazione sacerdotale in cui ha offerto se stesso. È per lui il frammento innico in Eb 7,2b-3 : « Re di giustizia e re di pace l senza padre, senza madre, senza genealogia l senza principio di giorni né fine di vita l rassomi­ gliando così al Figlio di Dio l rimane sacerdote per sempre ». I giudeocristiani mel­ chisedekiani lo cantano a Melchisedek; Ebrei lo applica a Gesù il Cristo230• Melchisedek un ecumenista? Proprio in quanto « sacerdote del Dio altissi­ mo » (Gn 14, 1 9), egli è il progenitore di ogni sacerdozio. Il suo, « migliore » di quello di Aronne, non lo scalza, ma ne è diverso; esso poi cede il passo a quello di Gesù il Messia. Ebrei non valuta i tre sacerdozi, QUasi fossero l 'uno contro l 'altro, ma piuttosto dice che il sacerdozio eterno di Gesù il Cristo è un richiamo alle co­ munità cristiane, nella loro diversità, a scoprire in quel sacerdote crocifisso il mo­ tivo dell'unità che le porta a essere testimoni in se stesse e fra loro, e non le une contro le altre. Una valenza ecumenica. Nella sua pluralità (confessionale) il sa­ cerdozio cristiano ha la sua unità nel sommo sacerdozio di Gesù il Cristo, il Figlio. Suggerimento ardito, da elaborare. Proposta già nel 1 920 a Costantinopoli, questa visuale non ha (ancora?) avuto seguito23 1 •

10. Compie espiazione e riconciliazione

La morte del sommo sacerdote è chiave di volta in Ebrei, un evento che non si lascia descrivere in una sola direzione232• Essa pone potenze a confronto. È il linguaggio di Eb 2 , 1 4 : Gesù condivide la stessa condizione degli uomini, fino al­ la morte, « per ridurre ali ' impotenza colui che della morte detiene il potere, cioè, il diavolo )). In 1 3 ,20 Dio (ho anagagon) esalta il « pastore delle pecore, quello grande », facendolo « tornare )) dai morti e poi assidere alla sua destra ( l ,3d). Ma la croce è già in sé vittoria decisiva sulla morte. La risurrezione ne è la conferma. Essa è denunzia del rifiuto di Dio da parte degli uomini che respingono e ricroci­ figgono il Figlio ( 6,6) e profanano l ' alleanza. Essa è un processo perché sancisce un 'alleanza (Eb 8 e 9, 1 8-2 1 ), è accordo tra due parti, è stesura di un contratto, è testamento (9, 1 6), è abrogazione (8, 1 3 ; 9,26; il linguaggio legale è chiaro). Per ogni umana creatura Gesù Cristo ha « gustato la morte )) (2,9) e, perciò stesso, per tutti233• Quella morte è un progetto paradossale: l ' innocente, umiliato sulla ero230 Può essere questo un risultato favorito dallo studio di A. Vivian, I movimenti che si oppon­ gono al Tempio: il problema del sacerdozio di Melchisedeq, in Henoch 14 ( 1 992) 97- 1 1 2 . 23 1 Così T.K. Thomas, Melkizedek, King and Priest. An Ecumenica/ Paradigm?, in EcumRev 52 (2000) 403-409. 232 Sulla questione, cfr. S. Bénétreau, La mort du Christ selon l 'Épitre aux Hébreux, in Hokhma 39 ( 1 989) 25-4 7, e ancora S. Bénétreau, La mort de Jésus et le sacrifice dans l 'Épitre aux Hébreux, in Foi et Vie 95 ( 1 996) 33-45. 233 Su hyper pantos, cfr. qui il commento su Eb 2,9.

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ce, è esaltato da Dio e siede ora alla sua destra ( 1 ,3 ; 1 0, 1 2 ; 1 2,2); del resto, già se­ condo la prospettiva dell ' AT, il giusto perseguitato che confida in Dio è vincen­ te234. È un evento-avvento escatologico, è una cesura necessaria al compiersi del­ la salvezza ed esige un lasso di tempo che la renda visibile a tutti, fino a quando egli tornerà per prendere con sé quanti sono in gioiosa attesa del suo ritorno (9,28 ; cfr. l Ts 5 , 1 7). Quella morte purifica e santifica la coscienza in radice, le ridà la libertà dei figli nel Figlio (loro fratello), espia il peccato del mondo, ottie­ ne il perdono, annulla la colpa. È impegno consapevole di ognuno inserirsi in questo processo di purificazione e perdono onde accedere al Padre. La purifica­ zione non è dunque di cose, ma della coscienza (9, 1 4 ; 1 0,22), della mente e del cuore (8, l 0), della persona intera. Per Eb 9,28, Gesù con la sua morte non solo li­ bera dal peccato, ma se ne fa carico, il che rinvia a Is 53 , 1 1 - 1 2 (« Il giusto mio servo giustificherà molti »). Giustificazione ed espiazione non sono un automati­ smo. Da qui il perdono e il riscatto. Il primo introduce una sfumatura giuridico­ relazionale: è annullato un obbligo, condonato un debito, dimenticata un'offesa; quanto al secondo, esso è unico e definitivo: dalle trasgressioni (9, 1 2), soprattut­ to all ' antica alleanza, e dalle relative sanzioni. « Perdono e riscatto » si ricollega­ no agli eventi che fondano l 'alleanza ali 'uscita dall ' Egitto e ai fatti del Sinai (8,9 - 1 0), quando il popolo si impegna a compiere tutto quanto il Signore ha det­ to. L'efficacia del riscatto di Cristo è perfetta e retroattiva: redime anche l 'antica alleanza al Sinai e riporta alla prima alleanza, in Abramo. Quanto ali ' espiazione, essa « descrive la missione di Gesù sommo sacerdo­ te: "espiare i peccati del suo popolo", renderli cioè insignificanti davanti a Dio » (gesto colmo di misericordiosa solidarietà235); non tanto cancellare la sanzione di chi è entrato in conflitto con Dio, sarebbe troppo poco, ma dare compimento alle attese che la liturgia dello Jom Kippflr anticipava simbolicamente: risanare in ra­ dice la libertà umana rendendola capace di fedeltà. È la dignità ministeriale del nuovo sommo sacerdote, secondo Eb 2, 1 7 . Quella morte è « abrogazione-abolizione del peccato » (eis athetesin tes ha­ martias, 9,26). Il carattere giuridico è qui indiscusso, come esprime l ' impiego di « peccato » al singolare: quello che impediva la comunione con Dio motivando­ ne il giudizio (9,27); quel peccato è ormai annullato. Essa è « via e accesso » (ho­ dos ed eisodos) secondo lo schema dello Jom Kippflr, in quanto il sommo sacer­ dote antico e il sangue degli animali compiono la stessa strada verso il « santo dei santi ». Il nuovo sommo sacerdote invece è entrato una volta per sempre nel san­ tuario celeste in forza del proprio sangue (cfr. 9, 1 1 . 1 2.24; 1 0, 1 9.20). Torna il dua­ lismo alessandrino di Ebrei tra celeste e terrestre. E siamo al compimento: quella morte del sommo sacerdote, divenuto visibil­ mente tale proprio nella morte, purifica e perfeziona i credenti, riportandoli alla pie­ na comunione con Dio (9, 1 5). Questo linguaggio arricchisce la tradizione cristologi­ ca del NT proprio con questa novità decisiva: il ministero di Gesù Cristo è 234 È il caso del servo sofferente (cfr. Is 49,7; 50,5-9). 235 Così F. Biischel, hilaskomai, in GLNT ( 1 968) 4,992. Hilaskomai nel NT ricorre qui e in Le 1 8, 1 3 dove esprime implorazione della misericordia di Dio.

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sacrificio-oblazione sacerdotale (2, 1 7 - 1 8)236• Quale spazio resta, dopo di lui, per il sa­ crificio? Ecco ciò che resta: « Gesù Cristo ieri e oggi lo stesso e per sempre >> ( 1 3 ,8)237• Vi è un'analogia tra la liturgia dello Jòm KippCir al tempio e la vita-morte di Gesù in croce. Come riconciliarsi con Dio? L' infedeltà dissacra l ' alleanza; essa è un deficit, volontaria o involontaria che sia. Va dunque riparata, pena l ' ira di Dio. Lo Jòm KippCir rappacifica con Dio, momentaneamente. E questo accade perché nella liturgia l ' invisibile si fa visibile: nella preghiera avviene il dialogo con Dio; nell 'offerta del sacrificio avviene il suo perdono. Ebrei si avvale della simbolo­ gia dello Jòm KippCir, per dare profilo alla liturgia di morte e riconciliazione ce­ lebrata dali 'unico sommo sacerdote. Ma Gesù doveva morire nella effusione del sangue? L' interrogativo è legit­ timo. Nel « grande giorno della espiazione » il sacrificio cruento era decisivo per la riconciliazione con Dio. Il sangue porta in sé la vita; nel sangue di animali ri­ tualmente puri si offre a Dio la propria vita e la si riottiene da lui purificata. Sollecitato dal sangue, che trasporta la vita, Dio dà la vita nuova238• Si potrebbe dire che la morte di Gesù non era del tutto necessaria, lo era però l 'effusione del sangue, perché tutta la sua vita, fino al suo epilogo, potesse esprimere riconcilia­ zione. Per Ebrei è decisivo lo Jòm KippCir, non tanto la pasqua. È lo Jòm KippCir che Gesù trasforma nella sua nuova pasqua; morte, la sua, che non è uccisione (thysia), ma offerta-oblazione (prosphora). Veicolo: l 'attenzione {hypakoe) al progetto del Padre ( l 0,5- 1 0), progressiva condivisione delle sue motivazioni (5,8-9), fino al pieno compimento nella situazione storica come andava evolven­ do. Il sangue di Cristo ha chiuso per sempre la liturgia dell 'espiazione. Ne è na­ to il nuovo Jòm KippCir; esso è all 'opera239• La prospettiva di Eb 7, 1 -28240 sulla morte di Cristo è radicata nella tradizio­ ne evangelica241 • Il motivo del « sangue dell 'alleanza », « il sangue del nuovo pat­ to, sparso . . . per il perdono dei peccati » (M t 26,28) e la riconciliazione, si legge ancora in Le 22,20; in Mc 1 4,24. Retroterra in Es 24,8: « Mosè prese il sangue, ne asperse il popolo e disse : "Ecco il sangue del patto che l ' Eterno ha fatto con

2 36 Cfr. R. Martinez de Pis6n, Accion Salvifica de Jesucristo y Lenguaje Sacrijìcial-Sacerdotal;, Continuidad o Ruptura en la Epistola a los Hebreos? in ComSev 25 ( 1 992) 334. 237 Se ne occupa al dettaglio J.P. Michaud, Que reste-t-il des rites après Jésus? Une lecture de l 'épitre aux Hébreux, in Théologiques (Montreal) 4 ( 1 996) 33-5 5 : una novità nella continuità. Per R.H. Culpepper ( The High Priesthood an d Sacrifice of Christ, in TEdr 3 1 [ 1 985] 46-62), la diffe­ renza qualitativa del sacrificio del NT rispetto all ' AT è abissale. Conferme e ap profondimenti in B. Lindars, The Theology, pp. 94- 1 07; cfr. anche C . Dieterlé, Par-delà le voi/e: l 'Épitre aux Hébreux et le sacrifice (Hebreux 6, 13 à 1 0,21), in Foi et Vie 95 ( 1 996) 47-5 1 . 2 3 8 Così Lv 1 7-26 (« codice di santità ))); Lv 1 7, 1 1 : sul sangue che rigenera (sangue è vita). 23 9 Cfr. F. Dunkel, Expiation et Jour des expiations dans l 'épitre aux Hébreux, in RRéf 33 ( 1 982) 63-7 1 ; più di recente A. Schenker, Sacrifices anciens, sacrifice nouveau dans l 'Épitre aux Hébreux, in Lum Vie 43 ( 1 994) 7 1 -76; ancora J. Massonnet, Note sur la ftte juive de Kippour, in Lum Vie 43 ( 1 994) 77-86. 240 Vedi Eb 7, 1 -28; 8, 1 - 9,28 e 1 0, 1 - 1 8 . Cfr. P. Ellingworth, Reading through Hebrews 1-7, in Epworth Review 1 2 ( 1 985) 80-88. 24 1 Ampia analisi in A. Vanhoye, Sacerdoce du Christ et eu/te chrétien selon l 'épitre aux Hébreux, in Christus 28 ( 1 98 1 ) 2 1 6-230.

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voi secondo tutte queste parole")). È da Es 24,8 che i sinottici riprendono l 'e­ spressione « sangue dell ' alleanza )) per esprimere la morte di Gesù. Esso è il suo « sangue )), è sacrificio personale. Gesù vi si richiama di frequente nella sua pre­ dicazione242. Ebrei sa bene che il sacrificio antico non consisteva nell 'uccisione della vittima, ma nella purificazione attraverso il sangue. Uccisa fuori dal san­ tuario, in esso ne era introdotto solo il sangue. La morte di Cristo non è un atto penalizzante, ma di salvezza. Forse è così già per Lv 1 7, 1 1 : l 'effusione del san­ gue della vittima è gradito a JHWH che, benevolente, riaccoglie l 'alleato infedele. Diventa opportuno chiarire la parola sacrificio, per comprenderne il senso « sacro )) e cristiano nonché la sintonia di Ebrei con la tradizione evangelica243 . Ciò che sacrifica (sacrum-facere) la vittima è il colpo del sacrificatore (Girard). E un certo sostegno dal Primo Testamento sembra possibile: i leviti avevano l ' in­ carico di immolare gli agnelli della pasqua (2Cr 30, 1 7) : « . . . Immolate . . . la pa­ squa )) (2Cr 3 5 ,6). « I sacerdoti, figli di Aronne, presenteranno il sangue e lo spar­ geranno tutt' intorno sull ' altare . . . un sacrificio fatto col fuoco (thysia), odore soave all 'Eterno )) (Lv l ,5 .9). Sembra che i leviti uccidessero le vittime e quel lo­ ro gesto costituiva il « sacrificio ))244 (Girard), mentre i sacerdoti le presentavano quale oblazione soave a Dio gradita (Vanhoye ). Ora, ciò che in Ebrei sacrifica il Cristo non sono i colpi inferti dai carnefici (come propone Girard); nessuno di essi è sacerdote, unico sacerdote è lui, che of­ fre se stesso nel momento in cui accoglie nella sua esistenza terrena la progettua­ lità divina che vuole sconfiggere la violenza umana. È così che egli si santifica, si sacrifica, si offre; disponibilità incondizionata ali ' azione di Dio, la sua. Inoltre, un sacrificio che santifica è solo opera di Dio. Nessun uomo può santificare qual­ cosa. Il Primo Testamento sottolinea questo fatto con l ' immagine del « fuoco dal cielo )> che consuma le offerte e che proviene « dalla presenza dell ' Eterno » (Lv 9,24). Per Eb 9, 1 3- 1 4 il fuoco divino dell 'AI è lo Spirito eterno per mezzo del quale Gesù Cristo offrì se stesso senza macchia a Dio; è lui a « purificare la no­ stra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente ! » (Vanhoye). L' offerta che « santifica )) Gesù è descritta in Eb 5 ,7-8 : un punto denso che, come rilevato nel commento, presenta stretti rapporti con la tradizione evangeli­ ca sull 'agonia di Gesù (Mc 1 4,36 e Mt 25 ,42245). L' offerta « durante i giorni del­ la sua carne » è presentata in Eb 5 ,7a come « offerta sacerdotale )), non come of­ ferta comune. Essa investe tutta la vita terrena del Figlio, lo fa perfetto e ne rende visibile la consacrazione sacerdotale per volontà consacrante di Dio246; sommo 242 Cfr. Mt 20,28; Mc 1 0,45; Gv 1 0, 1 1 . 1 8; ancora Mt 26,26-46 e paralleli (aspetto oblativo). 243 Si veda A. Vanhoye (Sacerdoce du Christ et eu/te chrétien, selon l 'épitre aux Hébreux, in Christus 28 [ 1 98 1 ] 2 1 6-230) in disputa con R. Girard (Des choses cachées depuis la fondation du monde, Grasset, Paris 1 978, pp. 329-333) su Ebrei (inoltre, lbid. pp. 2 1 6; 248; 25 1 -254; 27 1 ; 275276. Riprende la questione J. Moingt, La fin du sacrifice, in Lum Vie 43 ( 1 994) 1 5-3 1 . 244 Una conferma cade in Ez 44, l 0- 1 4, ove si legge che i l eviti « scanneranno gli olocausti e i sacrifici » (v. 1 1 ), ma resteranno esclusi dal sacerdozio a causa delle loro colpe (v. 1 3). Rileva la co­ sa già R. de Vaux, Les institutions de l 'A ncien Testament, vol. Il, Cerf, Paris 1 960, p. 292. 245 Cfr. anche C. Z. Estrada, Hebreos 5, 7-8. Estudio historico-exegético, PIB, Roma 1 990. 246 Essa è chiara già in Es 29,9.29.33.35; Nm 3,3 (JHWH consacra i figli di Aronne attraverso Mosè); Lv 4,5; 8,33 (JHWH richiama l 'attenzione sui sette giorni della consacrazione); Lv 1 6,32 (il

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sacerdote non separato da, bensì consacrato per legarsi a Dio e agli uomini: spi­ ritualità della 'aqeda? Queste due relazioni si fondono: Gesù diviene liberatore degli uomini (2, 1 0- 1 8) in forza della sua docilità verso il Padre (2, 1 3 ), è sacer­ dote perfetto per avere investito la propria vita terrena a favore di un piano di espiazione e riconciliazione. Risultato: un capovolgimento paradossale della sof­ ferenza e della morte « grazie allo Spirito eterno » (9, 1 4), il cui intervento è stato invocato con docilità (5 ,7-8). La croce non è dunque violenza subita, ma vittoria della docilità divina sulla violenza del male (Vanhoye)247; non è espiazione cruenta (Siihne-Theologie, Girard), ma il frutto dell ' agape (Erlosung- Theologie, Vanhoye, Moingt); Gesù si sottopone alla violenza del sacrificio, ma la decanta con la predicazione dell 'amore. Eppure, il sacrificio potrebbe rischiare il nulla: infatti la violenza è nell 'uomo, che ne è il primo produttore (Mc 7, 1 4-23 ). Ma Eb 8,7- 1 3 si libera bene da questa situazione abnorme : riprende Ger 3 8,3 1 -34 (LXX) ed esalta l 'alleanza scritta nel cuore, strumento di permanente crescita nella rela­ zione con Dio. Un sacrificio espiatorio e riconciliativo nell ' agape, attraverso la propria morte, non trova riscontri nell ' AT. Lo stesso sacrificio d'Isacco è per la giustificazione nella fede, non per la riconciliazione. Il sacrificio del Figlio, in­ vece, non è violento né solo espiatorio, ma ordinato alla salvezza e alla riconci­ liazione dell 'uomo con Dio. Se il cristianesimo è marcatamente contrassegnato dal sacrificio, lo è non a motivo di Ebrei, ma per il fatto che i primi cristiani, non disponendo ancora di un proprio rituale, lo hanno prelevato in particolare dalle celebrazioni sinagogali e re­ lativi sacrifici. Lo lascia pensare il fatto che essi tornavano di frequente al tempio e ai suoi riti. Eppure, già dai tempi di quell 'ultima cena (alla quale Ebrei mai allu­ de), il cristianesimo nascente è in grado di distaccarsi da un'espiazione cruenta e di celebrare quella riconciliazione quale evento unico e definitivo (7 ,27) nell ' aga ­ pe. Anche se dalla croce, vista come immolazione sacrificate di Gesù, si è dipana­ ta tutta la teologia del sacrificio espiatorio (Siihne Theologie), non è tuttavia cor­ retto continuare a « con-celebrare » l 'evento croce come sacrifico violento. Esso è molto di più, perché unico e irripetibile: come atto di violenza contro un giusto, es­ so appartiene alla storia; come celebrazione neli ' agape, esso diviene annientamen­ to della violenza. Tutta la « teologia della salvezza » (Heilstheologie) invece va ol­ tre la storia e oltre la « teologia dell 'espiazione ». Il sacrificio volontario di Cristo consacrato farà l 'espiazione). Il termine « consacrazione, consacrare » si trova solo in queste cita­ zioni e non è utilizzato altrove. 247 Interlocutorio lo studio di C. Gianotto, Il sacrificio nell 'Epistola agli Ebrei, in ASE 1 8 (200 1 ) 1 69- 1 79. Questi raffronta l a proposta del sacrificio i n Ebrei con tre documenti: 4Q SirSabb (75a.C. - 50 d.C.); il trattato gnostico su Melchisedek (NagHmmadi Papiro 1 0,9, 1 ) e il documento giudeocristiano delle Ricognizioni 1 ,27-7 1 (in Pseudoklementinen [8. Rehm - G. Strecker, edd.], Rekognitionen, vol. II, Akademie Verlag, Gottingen 1 994). Tali documenti non danno apporto alcu­ no al « carattere cruento del sacrificio offerto dal sommo sacerdote Gesù nel tempio celeste », idea pertanto nuova e ardita e « senza precedenti nella tradizione giudaica », sostenuta appunto da Ebrei (G. Gianotto, lbid. 1 74). Ebrei mostra così una volta ancora di essere del tutto indipendente da ele­ menti culturali e cultuali del momento, che pur apprezza e conosce. La disponibilità offertoriale del Cristo continua ora nel santuario celeste (7,25). Al di là del sacrificio cruento, instabile, permane stabile quello spirituale. Ma quello del Figlio è sacrificio celeste cruento?

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spinge verso quell ' « oltre » : è teologia della redenzione (Erlosungstheologie). Siamo al nuovo Jom KippCtr 248. Proteso a coinvolgere i sentimenti dei destinata­ ri249, l 'autore presenta loro il senso del nuovo: non più tanti sacrifici, ma uno solo; non più tanti sacerdoti e tanti sommi sacerdoti, ma uno solo; non più tanti tentati­ vi incapaci di riconciliazione, ma uno solo e definitivo; non più tanti ingressi nel « santo dei santi », ma uno solo, attraverso il velo della sua carne e una volta per tutte. Ephapax esclude ogni possibilità di ripetizione, ma anche di inefficacia; quella sua disponibilità ali 'oh/azione redentiva, ha redento per sempre. Se sacri­ ficio e sacerdote sono due realtà agganciate, si può parlare della morte di Gesù il Cristo solo in senso sacerdotale250. Al contrario, la tipologia biblica permette di dire che sacerdoti e sacrifici dell 'antico patto hanno avuto il valore di dimostrare di non avere avuto valore; essi non hanno ottenuto mai gli scopi per cui venivano offerti: senso della santità di Dio, attitudine appropriata nell 'avvicinarsi a lui, dono dell 'espiazione e della riconciliazione, grazia di Dio, accesso al suo trono. Essi hanno avuto tuttavia un compito educativo: introdurre al patto in Abramo per approdare, attraverso la zoppicante cesura in Mosè, al patto nuovo in Gesù il Cristo, sacerdote e vittima, espiatore e riconciliatore25 1 . La combinazione di ha-kippiirim e hilasterion è or­ mai una efficace realtà operante.

1 1 . È mediatore di un patto migliore, nella continuità

Diatheke, dall ' AT berit, probabilmente dall 'accadico baru: legare, dunque accordo impegnativo tra due parti. Risultato: lo Sii lom fra i contraenti. O ultima volontà testamentaria?252 Gesù il Figlio è mediatore « di una nuova alleanza » (diathekes kaines mesi­ tes) e « garante di un 'alleanza migliore » (kreittonos diatekes eggyos), due bino­ mi ai quali va data ora specifica attenzione. Mesites esprime il ministero del som­ mo sacerdote per il popolo di Dio253. In Ebrei e in scritti posteriori (cfr. l T m 2,5) 248 Si legga F. Dunkel, Expiation et Jour des expiations dans l 'épitre aux Hébreux, in RRéf33 ( 1 982) 63-7 1 . 249 Rileva questa intenzionalità J. Moingt, La fin du sacrifìce, in Lum Vie 43 ( 1 994) 23. 2 50 Esprimono con altre parole la stessa idea, credo arri cchendola, F. Manzi - G.C. Pagazzi , Cristologia del sacrificio e antologia della coscienza. Spunti di riflessione, in Teologia 24 ( 1 999) 1 54- 1 76: « Il sacrificio, secondo l ' intenzione di Gesù, consiste nella decisione di ritenere affidabile la pedagogia del Padre che vuole donargli la vita; e questo anche quando tale pedagogia sembra na­ scondere ogni tratto di paternità. Il sacrificio di Gesù, che ha il suo fenomeno decisivo nel dare la vi­ ta crocifissa, coincide propriamente con la rinunzia a salvare da sé la propria vita ». Cfr. ibid. 1 73. Che Gesù, con tale accettazione, intenda dire grazie al Padre per la vita terrena come dono da rido­ nare, dono eucaristico, si può capire. Ma non userei la parola eucaristico. Essa ha un preciso senso e, al momento, non se ne vede il clima in Ebrei. Cfr. qui // messaggio teologico, pp. 680-683. 25 1 Così D.M. Roark, The New Covenant, in TEdr 3 1 ( 1 985) 63-68, qui 66-67. 2 52 Ma non è il parere di Ebrei. Cfr. qui il commento su Eb 9, 1 5 - 1 8. Si veda anche S.R. Murray, The Concept ofdiatheke in the Letter to the Hebrews, in ConcordTheo/Q 66 (2002) 42. 253 Illustra bene questo aspetto F. Martin, Le Christ médiateur dans / 'épitre aux Hébreux, in Sémiotique et Bible 97 (2000) 37-45 : il mediatore di quel patto nuovo è sommo sacerdote perché

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occupa una posizione centrale nella teologia della mediazione. In Eb 8,6 mesites indica colui che « media » tra due parti distanti. Questo senso è il più vicino al pensiero dell 'autore che usa 1 7 volte quel termine abbinandolo per 3 volte ad al­ leanza: « mediatore di una nuova alleanza » (8,6; 9, 1 5 ; 1 2,24). Mesites ha di per sé un peso giuridico: intermediario, testimone, colui che vigila sulla realizzazione degli accordi . Nel linguaggio ellenistico, può designare colui che si impegna, che fornisce una cauzione, che garantisce. In questa acce­ zione è sinonimo di eggyos (sponsor, garante) : « Gesù è diventato garante di un'alleanza migliore » si legge in Eb 7,22 dove eggyos appare per 1 'unica volta in Ebrei e in tutto il NT, unito a diatheke: « Per questo Gesù è divenuto garante di un'alleanza migliore »; in lui cioè « avviene » una nuova relazione tra Dio e gli uomini: venuto fra gli uomini (movimento discendente), li apre a Dio (movimen­ to ascendente). Eggyos acquista così un senso di mediazione che la parola in ve­ rità non ha. Ebrei espone la mediazione di Cristo in 5, 1 1 - 1 0,39. In 9, 1 5-28 l ' argomen­ to evolve in tre aforismi254: necessità della morte del testatore perché il testamen­ to sia operante, e applicazione alla prima alleanza, con descrizione di quattro mo­ menti del rito secondo Es 24 : proclamazione della legge, aspersione con il sangue, parole dell 'alleanza pronunziate da Mosè, aspersione della tenda con il sangue dei sacrifici. Eb 9, 1 5-2 1 è il primo aforisma. Il secondo segue in Eb 9,2226: necessità del sangue per la purificazione e applicazione al Cristo. Egli entrò non in un santuario manufatto, ma nel cielo stesso, non molte volte come i sacer­ doti della classe di Levi ma una volta sola, non con sangue altrui ma con l ' offer­ ta di se stesso. Il terzo aforisma è in Eb 9,27-2 8 : la morte per ogni uomo è un momento unico, e applicazione al Cristo. Egli si è offerto una volta soltanto e per sempre e media di continuo per coloro che lo attendono (7 ,25). Gli aforismi o po­ stulati addotti devono parlare ai lettori e mostrare loro che non ha senso la nostal­ gia per il culto giudaico, dopo aver conosciuto Gesù il Cristo. Allo scopo, essi so­ no selezionati dagli ambienti sia giudaico (dove c ' è un testamento è necessaria la morte del testatore, 9, 1 6) sia cultuale (ogni sacerdote è per offrire doni e sacrifici, 8,3 ; senza versamento di sangue non c'è perdono dei peccati 9,22) sia religioso in generale (l 'uomo muore una sola volta, poi è giudicato, 9,27). Tutto ciò rinvia a un destinatario capace di tanta qualità argomentativa255• L' insistenza su mediazione sacerdotale e alleanza è già una prima innova­ zione nei confronti de li ' AT, nel quale il legame tra sacerdozio e alleanza era non espresso. Il patto al Sinai aveva avuto luogo senza l ' intervento di sacerdoti (Es 24,4-8). La loro presenza non è richiesta per la mediazione di alleanza, ma per il culto. Ai sacerdoti era riservato un rapporto cultuale privilegiato con Dio (Es 28, l ; 29, l ), era loro diritto-dovere offrire sacrifici; il sommo sacerdote entrava

mediatore. Per poter essere tale, si è fatto in tutto simile ai suoi fratelli (2, 1 7). Su diatheke, cfr. J.M. Caballero, Para mejor comprender la Carta a los Hebreos, in Burgense 29 ( 1 988) 407-4 1 1 . 254 Per la procedura epidittica, cfr. il commento su Eb 9, 1 -28, in tre serrate argomentazioni. 255 Si veda C. Dieterlé Par-delà le voi/e: / 'Épitre aux Hébreux et le sacrifice (Hebreux 6, 13 à 10,21). in Foi et Vie 95 ( 1 996) 47-5 1 .

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una volta l ' anno nella parte più sacra della casa di Dio, fino al suo trono. Questo faceva di lui un essere quasi celeste, innalzato al di sopra di tutto il popolo. Ed ec­ co il salto qualitativo di Ebrei: « Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, è costituito a favore degli uomini per le cose che riguardano Dio » (Eb 5 , l ). Invece di dire « costituito per Dio », come era prescritto nell ' AT (Es 28, l ), Ebrei scrive « costituito per gli uomini )), per poi precisare l ' altro aspetto della mediazione, la relazione con Dio. Anzi, proprio a Cristo applica per tre volte il titolo di « me­ diatore25 6 di alleanza )) ( 8,6; 9, 1 5 , 1 2,24), legando così il sacerdozio ali 'alleanza. Da questa prima innovazione ne derivano altre: se per l 'antica alleanza il sacer­ dote mediatore deve tenersi separato dagli altri ( 5 , 1 ) , per la nuova è necessaria la sua unione fraterna con il popolo di Dio (2, 1 7- 1 8 ; 4, 1 5 ; 5,8). È così che quell 'al­ leanza nuova, da tempo promessa e attesa, è ora visibile in lui mediatore (8,8- 1 2; Ger 38,3 1 -34 [LXX]) . Invecchiato e prossimo alla scomparsa (8, 1 3), l ' antico patto non aveva la forza di redimere (8, 7; 9,9- 1 0). Simboleggiato dalla prima par­ te del tabernacolo (ta hagia: 9,8-9), esso è stato abrogato quando con la morte del Figlio è entrato in vigore il patto nuovo (9, 1 5- 1 7) : attraverso il velo della sua car­ ne (umanità), egli è entrato nella seconda parte del tabernacolo, alla presenza del­ la Presenza, mediatore e garante della nuova alleanza, per avere offerto se stes­ so al Padre (9, 1 1 -22; 1 3 ,20, nel suo sangue). Quell ' alleanza nuova avvicina a Dio ( l 0,22; già 4, 1 6); con essa la riconciliazione è piena, per sempre; in essa si è ri­ chiamati dai morti, come lui ( 1 3 ,20); in essa è già elargito il dono promesso del­ l 'eredità eterna (9, 1 5). Gesù Cristo è mediatore di comunione di Dio con gli uomini e degli uomini con Dio. Egli assume su di sé tutte le missioni mediatrici dell ' AT, « mediatore )) presso Dio per gli uomini tutti e in tutti i tempi. Non così per Mosè, intercessore a favore di un popolo smarrito nel deserto. Gesù mediatore guida i suoi fratelli al Padre. La sua alleanza supera tutte le separazioni e raduna tutte le genti in Dio. Punto culminante: la celebrazione del patto pasquale, veicolo di comunione. Quel mediatore è sommo sacerdote « fedele )) (pistos) a Dio, « misericordio­ so )) (Eb 2, 1 7) e compassionevole (eleemen) con i suoi fratelli: due preziosi agget­ tivi qualificativi. Negli eventi della passione e della glorificazione, essi hanno rag­ giunto il loro culmine espressivo: nella sua morte, il Figlio ha conquistato una capacità estrema di compassione e di misericordia; nella pasqua che è la nuova al­ leanza, egli continua a mediare. La relazione « Dio-uomo-Dio )) non si potrà più ar­ restare: è la definitività dell 'alleanza nuova. La novità è nella qualità della media­ zione : essa è sacerdotale . Sacerdote già nel/ 'incarnazione, egli lo diventa visibilmente nel servizio alla sofferenza umana (2, 1 2 ) : toccando un lebbroso (Mc 1 ,4 1 ) , mangiando con pubblicani e peccatori (Mc 2, 1 2 ; Le 1 5 , 1 -2 ) , prendendo per mano un morto (Mc 5,4 1 ) , ascoltando un ricercatore di Dio e del suo regno (Gv 3 ) , dialogando con una donna straniera di Samaria (Gv 4) , con una cananea (Mt 1 5 ,2 1 28 ) . E l e situazioni sono innumerevoli. I l culmine della novità è raggiunto nella propria sofferenza: passione e morte. Quella condanna fu un atto di dissacrazione 256 Esso non si trova mai nel pentateuco e solo una volta nel resto dell 'AT: (( Ah! Se ci fosse tra noi due un mediatore! » (Gb 9,33), )asciandone capire la non presenza.

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della sua vita; quella morte e quel ritorno dai morti sono la nuova pasqua di reden­ zione, nel suo sangue. In contrapposizione a ogni oblazione rituale antica, la pas­ sione-morte è oh/azione del cuore, a tutte superiore in qualità, libera e consapevo­ le in assoluto; essa lo ha reso « perfetto » (Eb 5,9; 2, l O; 7 ,28) nella mediazione sacerdotale. Prevista da Ger 38,3 1 -34 e recepita in Eb 8,7- 1 2, l 'oblazione a Dio gradita e « attuata » dal Figlio è ascoltare ciò che egli incide nel cuore e scrive nel­ la mente: sacrificio a Dio gradito, offertogli dal suo popolo sacerdotale. Perché, al­ lora, tornare ali 'antico, obsoleto? Domanda retorica257• Un patto continuo, verso « il non ancora ». Assente in Paolo un'articolata consi­ derazione delle promesse e del patto258, è in Ebrei che esso ottiene il suo profilo259 di patto continuo progranunato in fasi successive. Le antitesi, è ormai accertato, sono un linguaggio retorico, una bebaiosis, un confronto dialettico che non esprime antisemi­ tismo260, piuttosto il continuum261 di Dio nelle diverse fasi della storia del suo popolo. Gli impulsi al dialogo ebreo-cristiano e una propositiva teologia del patto non tolle­ rano quella divisione tra ebrei e cristiani che la storia ha registrato, quasi fosse soste­ nuta da Ebrei. Questo risultato è indebito, perché favorito da una comparazione tra ebraismo e cristianesimo nascente applicata senza la dovuta attenzione ali ' ambiente vitale (Sitz im Leben) del « trattato ». L'ordinamento levitico può essere « ora >> sem­ pre più relativizzato a motivo della novità escatologica introdotta nella storia umana dali ' evento « Gesù Cristo >>. Proprio perché « relativo », il patto antico porta in sé l 'e­ sigenza di un superamento di qualità, fmo al compimento escatologico262. Ebrei non contrappone bensì coordina, con adeguata evoluzione del linguag­ gio, la teologia protogiudaica del patto antico con quella protocristiana del nuovo e pone le premesse di una crescita continua, dalla gesuologia fino al culmine cri­ stologico: il patto antico e il nuovo non possono prescindere né dalla tora né da Cristo. Per i cristiani, la tora, riletta, è punto fermo di riferimento; per gli ebrei, Gesù, l 'ebreo, non può essere ignorato, anche se ne dovesse derivare conflittualità. 257 Si legga A. Vanhoye, La novità del sacerdozio di Cristo, in La Civiltà Cattolica l ( 1 998) 1 6-27. Inoltre, J. Schlosser, La mediation du Christ d 'apres l 'épitre aux Hébreux, in RSR 63 ( 1 989) 1 69- 1 8 1 . 258 Per Io più se ne ritiene del tutto assente la trattazione. Non così A. Vanhoye, Salvezza uni­ versale nel Cristo e validità del/ 'Antica A lleanza, in La Civiltà Cattolica 4 ( 1 994) 433-445, sul pat­ to antico e nuovo in Paolo (riduzione de li 'articolo apparso in NRT 1 1 6 [ 1 994] 8 1 5-835). Sulla con­ tinuità tra patto antico e nuovo in Ebrei, lbid. 829-834. 259 K. Backhaus, Der neue Bund und die werdende Kirche, pp. 345-369. 260 Sulla questione, cfr. J.C. McCullough, Anti-Semitism in Hebrews ? in JrBSt 20 ( 1 998) 30-45. Mi sono parsi sulla stessa linea già i contributi di A. M. Beavis, The New Covenant and Judaism, in BToday 22 ( 1 984) 24-30, e J. Fischer, Covenant, Fulfilment and Judaism in Hebrews, in ERT 1 3 ( 1 989) 1 75- 1 87. 26 1 Il primo patto è « tipo )) superato in qualità dali '« antitipo )). Esso offre materiale (sacerdo­ zio levitico-aronide: I stadio del sacerdozio) che il nuovo patto riconsidera (sacerdozio alla maniera di Melchisedek: II stadio del sacerdozio) e avvia a completamento (sacerdozio di Cristo: III stadio del sacerdozio, unico, nuovo, definitivo). Da Abramo in poi la storia del popolo di Dio è un unicum continuum. Si legga A. Vanhoye, Salvezza universale nel Cristo e validità del/ 'Antica Alleanza, in La Civiltà Cattolica 4 ( 1 994) 433-445. Vanhoye si pronunzia, e bene, per la validità tutoriale e prov­ visoria del patto sinaitico, ormai esaurito; quello in Abramo resta. 262 Opportuna annotazione di K. Backhaus, Der neue Bund und die werdende Kirche, pp. 368369. Forse così anche N. Casalini, l sacrifici del/ 'antica alleanza nel piano salvifico di Dio secondo la lettera agli Ebrei, in RB/ 35 ( 1 987) 443-464.

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Si profila una teologia giudeocristiana del patto in quattro momenti ben coor­ dinati: centralità di Dio-JHWH, un punto in comune; autonomia delle rispettive iden­ tità, comunque in comunione; centralità del fatto-evento Gesù Cristo per i cristiani; relativizzazione escatologica delle differenze. E se il sacerdozio unico ed eterno del Figlio e la sua oblazione seme/ pro semper hanno risvolti ecumenici, il patto nuovo, in lui continuo, dà fondamento al dialogo ebreocristiano, verso « il non-ancora ». Quella continuità è garantita da una singolare annotazione: « una volta per sempre >> (ephapax; hapax, Eh 7,27; 9,26.28), qualità assolutamente nuova di quel patto sa­ cerdotale, oblazione perfetta, perché continua263• Redento, il cristiano attende il compiersi della salvezza (escatologia). Anzi, ne ha come il diritto, lo spera e ne è certo (9,24.26), in forza di quel patto. Perché esso « è » e « avviene ». Che il nuovo patto sia anche « migliore » ( kreittonos, 1 3 volte), Ebrei non lo dimostra direttamente, ma lo affeima e lascia che i suoi destinatari lo deducano in base a due impulsi : ne è garante il « Figlio » preesistente e il sacerdote nuovo, capace di redenzione eterna. Si può dire così : come il Preesistente è per sé supe­ riore alle realtà incommensurabili (angeli e Melchisedek) e a quelle umane (Mosè, Giosuè, Aronne, Levi)264, così il compimento della salvezza, da lui ope­ rato, è ben garantito dalla sua preesistenza e, con maggiore sicurezza, dalla sua oblazione sacerdotale (thysia e prosphora). In forza di entrambi, egli è garante e mediatore di un patto migliore e unico, nella continuità dall 'antico al nuovo, ver­ so il compimento. Proprio perché « migliore », quel patto è « nuovo », cioè kainos (Eh 8,8. 1 3 ; 9, 1 5 ) e neos ( 1 2,24 ), due termini qualificativi impiegati da Ebrei so­ lo per qualificare il patto (diatheke) . Esso è inoltre temporale, in quanto è annun­ ziato nei giorni del profeta Geremia; è di qualità, perché sorpassa decisamente l ' antico; è dinamico, dal momento che mostra quanto l 'antico abbia esaurito tut­ to il suo potenziale e chieda esso stesso di essere completato. Il vocabolario usa­ to dal forbito autore di Ebrei esprime tutto questo in antitesi sintetica: la prima al­ leanza e la seconda (8,7); la nuova e l ' antica (8, 1 3). Risultato: la nuova alleanza è migliore (7,22; 8,6)265• Argomento confermativo è la funzione strutturale di kreittonos in Ebrei, un vero leitmotiv266: egli, il Figlio costituito Signore, è migliore degli angeli ( l ,4); realtà migliori che appartengono alla salvezza sono già patrimonio della comu­ nità (6,9); la salvezza nel nuovo patto riceve una benedizione migliore che nel patto antico (Melchisedek benedice Abramo, 7, 7); una migliore speranza ci avvi­ cina a Dio, cosa che non ha potuto realizzare la legge di Mosè (7, 1 9); Gesù Cristo è egli stesso il patto migliore (7,22; 8,6a), fondato su promesse migliori (8,6b) e su sacrifici migliori (9,23b); i destinatari ben sanno di possedere beni migliori 263 Cfr. M. Morgen, « Christ venu unefois pour toutes )), in Lum Vie 43 ( 1 994) 33-45. 264 Cfr. P. Pilhofer, kreittonos diatekes eggyos. Die Bedeutung der Priiexistenzchristologie fiir die Theologie des Hebriierbriefes, in TLZ 1 2 1 ( 1 996) 3 1 9-328. 265 Si veda S. Lehne, The New Covenant in Hebrews (JSNT. SS 44), JSOT Press, Sheffield 1 990, p. 53. 266 Ne resta affascinato già H. W. Chilstrom, A New and Better Way, Franciscan Printing Press, Philadelphia 1 984: vede la chiave di lettura di Ebrei nel motivo (( strada nuova e migliore ». Ma si tratta di un tema, non del tema e tanto meno della tesi.

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( l 0,34 ); gli eroi nella fede tendono a una patria migliore ( 1 1 , 1 6); attendono una risurrezione migliore ( 1 1 ,35); il sangue di Gesù Cristo è più eloquente e miglio­ re di quello di Abele ( 1 2,24): infatti racconta cose migliori, non vendetta ma re­ denzione. Tutti questi elementi descrivono quel « qualcosa di migliore » (kreitton ti) che Dio aveva da tempo preparato per noi nella sua provvidenza ( 1 1 ,40)267: in Gesù Cristo, mediatore e garante migliore, perché perfetto268• Tra il patto antico e il nuovo c 'è continuità. Questo aspetto riscuote atten­ zione crescente: una continuità non legale tra AT e NT (come tale appartiene so­ lo a Israele e a Giuda ed è sempre in attesa di realizzazione, Ger 38,3 1 -34 [LXX]), ma di storia della salvezza, un annunzio universale al numero delle na­ zioni (ls I l , I l ), la cui benedizione è sperimentabile già ora nella remissione dei peccati. Quella continuità mette in luce il superamento della prefigurazione da parte della realtà, e se il patto nuovo non è un'appendice dell 'antico, ma il pro­ dotto migliore269, il patto antico non è scalzato dal nuovo, il quale ha in esso le proprie radici; e se il primo è vivo in Abramo, il nuovo è Cristo stesso, in lui si « vede >> e sperimenta la profezia di Geremia: è lui il patto inciso nel cuore e scrit­ to nella mente270• Da Geremia, oltre Geremia; da Israele, oltre Israele271 , nel me­ diatore migliore del patto migliore.

12. Gesù è il « Figlio » più di

• . .

È più dei profeti e degli angeli e di Melchisedek. I profeti « nei tempi antichi molte volte e in diversi modi » (Eb l , l ) hanno « parlato » ai padri d'Israele di JHWH, il Dio della loro storia, ne hanno trasmesso loro la Parola. Quel loro ministero profetico ha ora raggiunto il proprio scopo : « Ultimamente, in questi giorni » ( l , l ), infatti, Dio ha dato nel Figlio l ' impulso

267 Così prob/epsamenou (b/epò) : vedere, pre-vedere. Nella forma media esprime il significato di « provvedere ». Cfr. M. Zerwick - R. Grosvenor, A Grammatica/ Analysis of the Greek New Testament, p. 684. 268 Su kreitton, cfr. la rassegna contenutistica in J.M. Caballero Cuesta, Para mejor compren­ der la Carta a los Hebreos, in Burgense 29 ( 1 988) 398-400. 269 Si ha un'eco del l ' immagine paolina del l 'olivo e del l ' oleastro (Rm 1 1 , 1 7-24). Del tutto infondato il timore di chi vede nel rapporto « innesto-tronco » il pericolo di fare del cristianesimo una setta giudaica. Ne segnalo una recente analisi in A. Pitta, Lettera ai Romani, pp. 387-392. 2 70 Interlocutori sull 'argomento: J.P. Michaud, Le passage de / 'A ncien au Nouveau selon / 'Epitre aux Hébreux, in Science et Esprit 35 ( 1 983) 33-52; A. Vanhoye, Salut universel par le Christ et validité de / 'Ancienne Alliance, in NRT 1 1 6 ( 1 994) 8 1 5-835; A. Vanhoye, Salvezza uni­ versale nel Cristo e validità dell 'A ntica A lleanza, in La Civiltà Cattolica 4 ( 1 994) 433-445 : sintesi de li 'articolo apparso in NRT 1 1 6 ( 1 994) 8 1 5-835; M. Theobald, Zwei Biinde und ein Gottesvolk. Die Bundestheologie des Hebriìerbriefs irn Horizont des christlich-jiidischen Gespriìchs, in TQ 1 76 ( 1 996) 309-325. 2 7 1 Che il patto storico e legale sia la terra di Palestina non è nella mente di Ebrei, né lo è il suo auspicato compiersi nel regno millenario. Esamina il rapporto tra patto legale e contenuto del patto D. Daniels, How does the Church re/ate to the New Covenant? Or, Whose New Covenant is /t, anyway?, in F&M 1 6 ( 1 999) 64-98.

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finale alla sua autorivelazione, lo ha costituito « erede » di tutta la sua progettua­ lità, cosmica ( l ,2) e redenti va ( l ,3) e ha accolto benevolmente la richiesta di ri­ conciliazione; le sue parole e le sue azioni, « detti e fatti », annunziano e danno salvezza. Chi, tra i profeti, ha potuto realizzare tanto? Quale profeta può vantare di essere presenza storica di Dio e impronta della sua persona ( 1 ,3)?272. Che non sia egli la sapienza di Dio?273• Quale profeta può vantare un simile profilo? Quanto agli angeli, pur prendendo atto di contatti tra il « trattato » e l 'ange­ lologia del tempo, vanno ridimensionate affinità eccessive tra essi e il Figlio, a motivo di sensibili differenze. Il culto degli angeli fiorisce in Israele nel periodo postesilico, per influsso babilonese e persiano, più ancora per l 'acuto senso del trascendente. Da qui l 'opportunità di porre esseri intermedi tra il divino e l 'uma­ no. Ne attestano l 'evoluzione gli scritti rabbinici274 e la letteratura apocrifa giu­ daico-ellenistica275 e se ne rileva la presenza nei manoscritti di Qumran276• Ali ' epoca di Ebrei (fine secolo I) si registra un forte idealismo sul ruolo degli an­ geli negli eventi umani. Il confronto tra Gesù e gli angeli diventa tema centrale in Eb l ,5 2, 1 8277, anche su spinta di cristiani di origine ebraica interessati alla loro identità e al loro ruolo. Secondo I l QMelch 1 8, il messaggero del messia sarebbe apparso in Gerusalemme e sarebbe stato l ' arcangelo Michele, anzi « il messag­ gero è il messia ». Da qui la cura di Ebrei a dimostrare la superiorità del « Figlio >> messia sugli angeli278. In Eb 1 ,5b si ha un contatto con 4QF/or 1 , 1 0- 1 3 ; entram-

2 72 Nel senso di « chi vede (ha visto) me, vede (ha visto) il Padre )) in Gv 1 4,9. 2 73 Il libro della sapienza vede nella sophia « un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio della gloria dell 'Onnipotente (tes tou pantokratoros doxes) )) (Sap 7,25), >, la parola chiave è « ereditare »: egli eredita per sempre (kek/eronomeken) . Ed eredita quel « nome ». Magistrale prassi retori­ ca, sottile almeno quanto Fil 2,6- 1 1 , dove il « nome sopra ogni altro nome » non è Gesù, ma Kyrios, datogli in occasione della sua esaltazione. In Eb 1 ,2 quel no­ me non è Gesù, ma Figlio, datogli al suo ingresso nel mondo ( l ,5-6). Ciò che ne segue è un quadruplice confronto tra il Figlio e gli angeli: Gesù il Cristo è Figlio di Dio (cfr. l , 1 4 ), gli angeli non sono tali, essi adorano il Figlio (cfr. l ,5-6); il Figlio partecipa della dignità di Dio, della sua sovranità ed eternità, coopera alla creazione, gli angeli invece sono solo servi (cfr. l , 1 6); il Figlio è messia e re davidico, la sua è una regalità vittoriosa (cfr. l , 1 7) ed è assiso nelle altezze ( l ,3 ), gli angeli sono solo degli inviati « per coloro che devono ricevere la salvezza » ( l , 1 4b ); il Figlio, infine, è k/eronomos (erede}, cioè « possiede », è « padrone » sovrano di tutto l 'universo e non semplicemente « erede » di tutto286 ; il suo nome è più eccellente di ogni altro nome: è Figlio. Questa sequenza argomentativa fa da battistrada al fatto che il Figlio è supe­ riore a . . . Che la parola kreittonos (superiore) ricorra 1 3 volte in Ebrei è prova non solo di una sua qualità migliore, ma anche di una sua « situazione » migliore. Già i padri della Chiesa hanno visto in quella differenza di qualità ciò che distin­ gue la nuova economia dali ' antica. Se in quest'ultima « si diventa », nella nuova « si è ». Per questo, Giovanni Crisostomo ha difficoltà ad accogliere che il Figlio è « diventato » superiore agli angeli e sfuma la traduzione con « dichiarato (mo­ strato) superiore . . . »287• L' affermazione che il Figlio è « diventato » superiore agli angeli e ha ereditato il nome « Figlio » ha qualcosa che stride, vi si avverte come una tensione insuperabile tra la cristologia della preesistenza e quella della glori­ ficazione. Eppure è così : se il Figlio entra nella gloria di Dio, ciò è perché già vi apparteneva e vi possedeva quel nome. Ma doveva « attraversare » la sua vicen­ da storica per mostrare tanta sua superiorità. Ebrei interpreta una gesuologia cri­ stologica in eventu, non elabora una tesi di cristologia sistematica. 284 Cfr. P.D. Duerksen, lmages of Jesus Christ as Perfect High Priest for God 's People, in QRMin 14 ( 1 994) 32 1 -322. 28 5 Cfr. R. Fabris, Le lettere di Paolo, vol. III, pp. 549-555; S. Cipriani, Le lettere di Paolo, Cittadella, Assisi l 99 F, pp. 744-746. Più approfonditamente N. Casalini, Una Vorlage, pp. 1 0 1 148. Cfr. qui i l commento su Eb l ,2b-3. 286 D.J. Ebert ( The Chiastic Structure of the Prologue to the Hebrews, in Trinity Journa/ 13 [ 1 992] 1 63 - 1 79) mostra che le qualità del Figlio sono affidate d a Ebrei a l potenziale espressivo del­ la struttura chiastica di l , l -4. Le riserve da me avanzate su quest'ultima (ad locum) non sminuisco­ no il valore dell ' intuizione. 28 7 Cfr. Giovanni Crisostomo, Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homilia 2, in PG 63,24-25 (su Eb 1 .4).

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Quel Figlio poi è più di Melchisedek. In l l QMe/eh l 8 1 ' arcangelo Michele (o anche Gabriele)288 e Melchisedek sarebbero la stessa persona289• Nell 'enigmatico sacerdote e re290 di Salem si profilerebbe così un super-essere angelico. Tale figura ha creato attorno a sé il movimento dei melchisedekiani29 1 • Ebrei ridimensiona: il Figlio è superiore agli angeli, a Michele e a Melchisedek292• Sacerdote « alla ma­ niera di Melchisedek », il Figlio è superiore al sommo sacerdote e re di Salem an­ che nel sacerdozio. Egli è più dei profeti, è più degli angeli.

13. Figlio di diritto, rivelazione di Dio, messia re

« Oggi ti ho generato » ( l ,5; Sal 2,7; 2Sam 7, 1 4). Ebrei usa hyios 24 volte in senso generale. Le seguenti 6 frequenze sono invece personali: Dio parla attra­ verso il « Figlio » (Eb 1 ,2); questi è Gesù Cristo, « Figlio » di Dio (Eb 4, 1 4) per sua diretta dichiarazione : « Tu sei mio figlio » (5,5.8); ricrocifiggere il « Figlio di Dio » ( 6,6); per chi calpesta il « Figlio » vi è un adeguato ammonimento ( l 0,29); il « Figlio » è più di Melchisedek (7 ,3.28). In l ,8- l O theos e kyrios, connotazioni di Dio, creatore e signore del cielo e della terra nel Primo Testamento, sono tra­ sferite al Figlio. Il « diritto alla nascita >> è sottolineato in Eb l ,5, dove si riscontra l ' adora­ zione del « Figlio » da parte degli angeli; in l , 7- 1 4, dove gli angeli sono presen­ tati come ministri e servi del « Figlio », e in l ,6, dove la nozione apocalittica è unita a quella storica: vi è identità tra il « Figlio dell 'uomo » e il « Figlio di Dio ». La parola chiave in questo contesto è ho prototokos (« primogenito »; cfr. 1 ,6 e 2, 1 1 . 1 2. 1 7), dali 'ebraico bekor; indica una relazione unica e privilegiata: Israele, santo e inviolabile, è primizia del raccolto di JHWH (Ger 2,3) e appartiene esclu­ sivamente a lui, sebbene la realtà storica dica il contrario. L' oracolo profetico va oltre la storia293• Il primogenito aveva un aggancio speciale con il padre quanto alla benedizione e ali ' eredità (Eb I l ,20; cfr. Gn 27, 1 -45 : Giacobbe, la benedizio­ ne, !sacco ed Esaù). In Eb l ,5 - 2, 1 8 si intravede la posizione netta dell ' autore sul diritto alla primogenitura: l 'uso ripetuto di hyios indica la relazione speciale tra Gesù e il Padre. Con prototokos Eb 1 ,2 .4-5 . 1 3 descrive le caratteristiche del Figlio, erede dell 'universo : gli angeli gli sono sottomessi (v. 4 ); ha un diritto na­ tivo alla regalità, in quanto ha cooperato alla creazione « dei mondi », dei quali è

288 Michele è il grande patrono del popolo ebraico (Dn 1 0, 1 3 .2 1 ; 1 2, 1 ; Testamento di Levi 5,56) e difensore di Dio; Gabriele è il grande messaggero di Dio (Dn 8, 1 6; 9,2 1 ; Le 1 , 1 9.26). Si deve tuttavia dire che il tardo giudaismo (rabbinico) ascrive a Michele una statura enorme. Così J.D. Charles, The Angels, Sonship and Birthright in the Letter to the Hebrews, in JEvTS 33 ( 1 990) 1 72. 289 Cfr. P.E. Hughes, The Christology ofHebrews, in SWJT 28 ( 1 985) 22. 290 Si legga Gn 1 4, 1 8; cfr. J QSU 2, 1 1 - 1 6. 29 1 Se ne occupa A. Vivian. l movimenti che si oppongono al Tempio: il problema del sacerdo­ zio di Melchisedeq, in Henoch 1 4 ( 1 992) 97- 1 1 2 . 292 Cfr. P.E. Hughes, The Christology ofHebrews, in SWJT 28 ( 1 985) 1 9-27. 293 Si legga il denso articolo di .M. Tsevat, b>, Gesù è rivelazione di Dio297• Dio si è autorivelato al suo popolo attraverso angeli e profeti. A Mosè, poi, « l 'uomo di fiducia in tutta la mia casa » (Nm 1 2, 7), egli ha parlato bocca a bocca (Nm 1 2 ,8a). Nella tradizione rabbinica, gli angeli e Mosè rivestono un ruo­ lo determinante nell ' autorivelazione di Dio298: gli angeli ne sono ministri ( 1 , 1 4), Mosè la riceve da Dio stesso. Eppure, né i profeti, né gli angeli né Mosè sono a lui paragonabili; essi sono solo ambasciatori. Gesù invece è superiore in qualità a tutti perché « Figlio », egli stesso rivelazione del Padre: irradiazione del Dio vi­ vente o, meglio, sua adeguata significazione storica (apaugasma), manifestazio­ ne della sua persona (charakter, 1 ,3). Il Figlio è inoltre sacerdote unico ed eter­ no; sempre vivo per riconciliare (7 ,25), offre un sacrificio nuovo, non cruento, ma perfetto e redentivo : « una volta per tutte »; egli è « ieri e oggi lo stesso e per sempre » ( 1 3 ,8). Per Ebrei, nel giudaismo non vi è figura alcuna che possa essere paragonata al Figlio. Dunque è Ebrei lo scritto più critico verso l 'ebraismo in tutto il NT? Ancora più di Galati e Romani? C ' è chi la pensa cosF99• Ma questo modo di sen­ tire è sempre più in revisione. Che se lo fosse, ne andrebbero risoppesati toni e

294 Segnalo sull 'argomento lo studio di P. Ellingworth, Jesus and the Universe in Hebrews, in EQ 58 ( 1 986) 337-350. 295 Cfr. M. Saucy (Exaltation Christology in Hebrews: What Kind ofReign ?, in Trinity Journal 13 [ 1 992] 41 -62) visiona il tema dell 'esaltazione-intronizzazione. La trattazione è cristologica. 296 Si veda R. Martinez de Pis6n, Accion Salvifica de Jesucristo y Lenguaje Sacrificial­ Sacerdotali, Continuidad o Ruptura en la Epistola a los Hebreos? in ComSev 25 ( 1 992) 333-358. 297 Si veda H. Cousin, « Accrédité comme Fils sur sa maison » : Révélation et filiation dans la Prédication sur le sacerdoce du Christ, in Lum Vie 43 ( 1 994) 47-62. H. Cousin ritiene che l 'annunzio del sacerdozio di Gesù avviene in sede liturgica e in forma omiletica. Che Ebrei nel suo insieme sia un'o­ melia è parere sempre meno sostenuto. Che vi siano dei momenti liturgici è tuttavia un dato di fatto. 298 Il pensiero rabbinico su Mosè, il fedele custode della casa di Dio, è proposto in Sifre Nm 1 2,7 § 1 03 (27 b ); Esodo Rabba 37 (96a); Jalqut Shimoni su Nm 1 2,7 ( l §739); Pesiqta Rabbati I O (35b). Dati i n KNTTM.SB, vol. III, p. 683. 299 È la posizione di H. Cousin, « Accrédité comme Fils sur sa maison )) : Révélation erfiliation dans la Prédication sur le sacerdoce du Christ, in Lum Vie 43 ( 1 994) 47-62 .

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contenuti. Dopo tutto, il Figlio si pone al di sopra e al di fuori de li ' ebraismo e dello stesso cristianesimo. Prenderne atto è facilitarne per entrambi la ricerca. Gesù Figlio e messia re: binomi inscindibili. Eh l ,5 argomenta sul Figlio in base al Sal 2, 7 secondo lo schema interpretativo « promessa messianica e suo adempimento nella persona di Cristo ))300• In Eh l ,8-9 egli è il re messia-unto, « consacrato con olio di letizia )) (Sal 44,8), il suo scettro è giusto, il suo trono du­ ra per sempre (Sal 44,7); ed è Dio stesso a parlare del Figlio appena generato : « Del Figlio invece (pros de ton hyion) afferma )) (Eh l ,8). Anche qui lo schema interpretativo è « promessa messianica e adempimento ))301 ; l 'abbinamento dei due appellativi, Figlio e re messia-unto, lo si ha ancora nell 'allusione di Eh 1 ,5 e 1 ,8-9 al Sal 89,27-30. In 1 ,6 Ebrei torna ad appoggiarsi al Sal 89,28 a motivo del termine prototokos (primogenito), il Figlio, cioè, primo elemento del binomio « Figlio-Messia )). In 1 , 1 3 = Sal 1 09, 1 , il Figlio che siede alla destra di Dio è il Messia vittorioso su tutti i suoi nemici, e la sua vittoria sarà messa a punto per­ sonalmente da Dio. Quel Figlio per il quale il Padre ( l ,5) s ' impegna tanto è l ' at­ teso messia re. Se vi dovessero essere dubbi, questi cadono di fronte alla trilogia­ epilogo della sua vita: crocifissione, risurrezione, ascensione . Diventa, in tal modo, decisiva in Eh 9,28 l 'allusione a Is 5 3 , 1 2 : « Ha consegnato se stesso alla morte e . . . mentre portava il peccato di molti, intercedeva per i peccatori )). Ciò dà forza ali ' espiazione da lui compiuta ( l ,3 ). Entrato nel santuario celeste, colui che si è assiso alla destra del Padre è dunque il re messia che ivi continua il suo ministero: così il Sal 1 09, l . Quella sua nuova situazione è definitiva. E come vi giunge? In Eh l ,3 vi è un vuoto: si parla di purificazione dei peccati, riferimento esplicito alla morte, e di ascensione alla destra della Maestà, ma non si fa cenno alcuno alla risurrezione. Bisogna attendere Eh 1 3 ,20 per leggervi l 'unica men­ zione esplicita: quel Figlio messia è « il pastore delle pecore, quello grande )) che Dio ha fatto tornare dai morti302; poi « ha attraversato i cieli )) (4, 1 4 ). Retroterra apocalittico e sforzo ermeneutico sono ben riconoscibili.

14. Noi, sacerdoti e pellegrini

« Voi sarete per me un regno di sacerdoti )) (Es 1 9,6). Disorientato, ma non smarrito, a quel « regno di sacerdoti )), oggi dal volto cristiano, non resta che riap­ propriarsi di una fede solida in una peregrinazione sacerdotale di vita, che già fu del Figlio. La questione scaturisce dai termini latreuein (servizio cultuale) e syneidesis (coscienza-consapevolezza) in Eh 9,9- 1 0 e in 9, 1 4; vi si riferisce dei due rituali di alleanza. Essi possono indurre a ri1evazioni contrastanti . Latreuein indica coloro che svolgono un culto sacrificate, i sacerdoti di 8,5 e 1 0,2. Eh 9, 1 4 e 1 0,2 ne pro300 Così F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, p. 38. 301 Cfr. ancora F. Schroger, Der Verfasser des Hebriierbriefes, pp. 60-66. Il Sal 44,7-8 è citato in Eb l ,8-9 quasi letteralmente. 302 Anche per questo Eb 1 3, 20 è parte integrante dello scritto, non un' aggiunta posteriore.

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pongono tuttavia un significato alternativo: « culto » sacerdotale di un popolo sa­ cerdotale. In forza del sacrificio perfetto, tutti possono accedere a Dio più diretta­ mente, i sacerdoti che officiano e i fedeli riuniti; gli uni e gli altri rendono a Dio un 'adorazione riverente, onde beneficiare del dono della sua salvezza. Syneidesis, la coscienza esistenziale303, ha a che fare con gli effetti prodotti dali ' oblazione del­ l 'uomo Gesù, una novità cristiana, secondo Ebrei, insita nel suo patrimonio sa­ cerdotale, nella capacità cioè di offrire « sacrifici spirituali » a Dio graditi, in una vita tutta di Dio e tutta dei fratelli. Anche se il vocabolario sul sacerdozio comune non è esplicito304, suppliscono bene espressioni equivalenti : possiamo entrare nel santuario ( l O, 1 9; 6, 1 9; 9,8), abbiamo un altare ( 1 3 , 1 0), offriamo un culto gradito a Dio ( 1 2,28; 9, 14), usciamo fuori dali 'accampamento (come il sommo sacerdote antico, 1 3 , 1 3 [= Lv 1 6,27; 4, 1 2]). Appropriata è la scelta del verbo latreuo nell 'e­ spressione: « Tributiamo un culto graditO )) (9, 14; 1 2 ,28): designa il servizio sacro di tutto il popolo e anche quello dei sacerdoti (Eh 8,5; 1 3, l 0). In base a questo da­ to linguistico, l ' azione sacerdotale dei cristiani (latria) è innestata nel sacerdozio di Cristo, la « liturgia )) (8,6) dei sacerdoti ne è l 'attualizzazione. Che tipo di sacrifici celebra il cristiano? La risposta è in Eh 1 3 , 1 5 : « Offriamo un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che "confessano (homo­ logo unton) -celebrano" il suo nome )). Per illustrare il sacrificio di lode, l 'autore colloca 1 3 , 1 5 in una duplice corrente de li ' AT: preghiera di lode a Dio con offer­ ta di sacrifici di ringraziamento . . . )) (Sal 50, 1 7- 1 8 ; Ger 33 , 1 1 ); atteggiamento di misericordia verso i fratelli con offerta di sacrifici di lode (Sir 3 5 ,2). Questa du­ plice tradizione è solido fondamento per il culto nella vita cristiana, in quanto i due sacrifici sacerdotali, difede/tà verso Dio e di misericordia verso i fratelli, si fondono e partecipano de li ' unico ministero sacerdotale del sommo sacerdote « fedele e misericordioso )) (Eh 2, 1 7)305• Ne segue che la misericordia verso i fratelli è sacrificio di lode a Dio, mo­ mento che esprime l ' alta qualità del popolo sacerdotale. Per delineare un sacrifi­ cio che consiste nella lode306 l ' autore si avvale di Os 1 4,3, secondo la versione dei LXX307, ove « frutto di labbra )) sono le labbra oranti di chiunque accoglie Dio, e 303 Quella che presiede le decisioni libere nella vita e le ispira nella realizzazione. 304 Come invece lo è in 1 Pt 2,5: l 'espressione sacerdozio santo ivi riferita ai cristiani, ne fa un or­ ganismo sacerdotale e pone in luce il carattere sacerdotale di ogni credente. Anche in Ap 1 ,5-6 e 5, 10 la terminologia non lascia equivoci . Già in Is 66,20-2 1 il Terzo Isaia, in epoca di ricostruzione postesi­ Iica, vede i popoli tutti e i figli d'Israle presentare l 'offerta al Signore nel tempio del Signore: « Anche fra essi mi prenderò sacerdoti e !eviti, dice il Signore ». Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale? 305 L'allusione anche al Sal 49 permette di rilevare quanto una situazione storico-politica pos­ sa incidere su un orientamento religioso. L'esortazione a offrire a Dio un sacrificio di lode nel gior­ no della sventura (Sal 50, 1 4 citato in Eb 1 3 , 1 5) è legata agli anni 732-720 a.C. (annessioni assire: Sennacherib e Sargon Il) o, ancora meglio, agli anni 596-586 (Nabucodonosor e la distruzione del tempio). L'assenza del tempio giustifica l 'esortazione al sacrificio di lode e ringraziamento, non es­ sendo praticabile il sacrificio cruento. Cfr. P. Auffret, « Sacrifie à Dieu un sacrifice d 'action de gra­ ce ». Étude structurelle du Pasume 50 (49), in Fo/Or 28 ( 1 99 1 ) 1 35- 1 5 5 . 3 06 Sacrificio d i lode {= lode che è sacrificio): è il senso del genitivo epesegetico thysia aineseos. 307 Cfr. Os 1 4,3; Sal 50, 1 4.23 . « Qual è dunque l 'olocausto spirituale? Il sacrificio della lode ». Così Basilio di Cesarea, Sullo Spirito santo 27,2 (8. Pruche, ed.), (SC 1 7bis), Cerf, Paris 1 968, p. 473 . Cfr. T.C. Smith, An Exegesis ofHebrews 13, 1- 1 7, in F&M 7 ( 1 989) 70-78.

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non secondo il TM, ove sono le labbra d'Israele che torna al suo Dio. Ebrei uni­ versalizza così le parole del profeta e spinge i suoi destinatari a prendere atto di essere assemblea sacerdotale: le prestazioni dei cristiani (eupoiia e koinonia, compiere opere buone di fronte a Dio per i fratelli) sono infatti veri sacrifici alla portata di tutti, offerte che aprono l ' esistenza personale e sociale alle esigenze della carità divina ( « Eb 1 3 , 1 5 attesta che i sacrifici dei cristiani passano attraver­ so Gesù Cristo. Il termine tecnico di sacrificio è applicato alla vita di carità fra­ tema. Ormai il culto non è accanto alla vita, ma la trasforma >>308). Nel solco della ricca tradizione dell ' AT (Sal 50, 1 7- 1 9; Ger 3 3 , 1 1 ; Sir 3 5 ,2), Ebrei intende per « sacrificio di lode >> il « frutto >> che loda Dio, nell 'ordine della fraternità. L'offerta quotidiana di questo frutto è ministero sacerdotale. A esigere questo significato è la struttura chiastica di Eb 1 3 , 1 5- 1 6309• Se consideriamo, poi, l 'esortazione di Eb 1 0, 1 9-39, in modo particolare i vv. 1 9 .24 (entrare nel santua­ rio ed emularsi a vicenda nella carità e nelle opere buone), si scopre una vita cri­ stiana nella quale quei due atteggiamenti appaiono per quello che sono : « sacrifi­ ci sacerdotali >>. In questo modo, la vita sacerdotale dei cristiani, come quella del sommo sacerdote Gesù il Cristo, è atto di obbedienza-adesione fedele al Padre e disponibilità alla piena comunione con i fratelli3 10• Per quanto il sacerdozio comune (latreuein} nell ' AT sia diverso (per grado) da quello ministeriale (leitourgein)31 1 , entrambi sono strettamente uniti ; derivano infatti dali 'unico sacerdozio di Cristo : distinti, ma non contrapposti . Te­ stimonianze dal NT e in particolare da Eb 8- 1 O fanno da fondamento3 12• Per il sa­ cerdozio comune, due i momenti essenziali: l ' accesso a Dio e l 'offerta esisten­ ziale. Il sacrificio di Gesù Cristo ha eliminato le barriere tra il popolo e Dio. « Ora >> tutti sono chiamati ad accostarsi a Dio senza paura (diritto anticamente ri­ servato solo al sommo sacerdote, Jom Kippf.Jr, Lv 1 6,3-34). Anzi, i cristiani han­ no il privilegio superiore di poter entrare sempre e liberamente nel « santuario in forza del sangue di Gesù >> (Eb l O, 1 9). Il tono è di vittoria: per Cristo abbiamo tutti, nell 'unico Spirito, l 'accesso al Padre. Non c ' è più alcuna distinzione, la re­ lazione con Dio nella nuova alleanza è interiore, per ciascuno (Eb 8 , l 0). « Santificati » dal suo unico sacrificio sacerdotale, i suoi accedono al santuario per offrire, da sacerdoti, i loro sacrifici3 13• E non animali e cruenti, ma spirituali e

308

Così A. Vanhoye, Sacerdoti antichi e nuovo sacerdote secondo il NT, LDC, Torino-Leumann 1 990, pp. 1 76, 1 84. La stessa idea trova fondamento nella forte allusione al Sal 50, 1 7- 1 9: il salmista e, per Ebrei, il credente, è in grado di soppesare la propria vita; se l ' infedeltà lo getta nell 'angoscia, non gli resta che dissodare la situazione di peccatore, diventare giusto di fronte a Dio sradicando dal proprio cuore la radice del! ' infedeltà. Cfr. P. A. Domini c, « Miserere >>, a Prayer for Justice, in RRel 49 ( 1 990) 1 32- 1 36. 309 Per i dettagli rimando qui al commento su Eb 1 3, 1 5- 1 6. 3 1° Coglie bene questi aspetti V.M. Fermmdez, La vida sacerdotal de los cristianos seg!ln la carta a los Hebreos, in Revista Biblica 52 ( 1 990) 1 45- 1 52. 311 Si noti il differenziato vocabolario anticotestamentario che Ebrei non rispetta, come già notato. 312 Si veda A. Vanhoye, I due aspetti del sacerdozio cristiano, in PP 91 1 0 ( 1 987) 63-77. 313 Sull 'argomento, cfr. N. Casalini, Per un commento a Ebrei (//): Eb 7, 1 - 10, 18, in SBFLAn 44 ( 1 994) 1 1 1 -2 1 4, qui 2 1 3 . La polemica anti-Griisser ivi condotta, tuttavia, mi appare non poco esagera­ ta. È vero, gli evangelici devono riscoprire il gioiello mancante del culto e del sacerdozio, comune e mi-

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personali, qualcosa di se stessi, al modo del sacrificio di Cristo e nel senso di Rm 1 2, l : offrano « il (proprio) corpo come sacrificio vivente, santo, gradevole a Dio in culto spirituale »314. Siamo al cuore del culto cristiano. Non separato dalla vi­ ta, esso vi è così mescolato da costituire con essa un tutt'uno. Il culto cristiano non è un insieme di riti esterni; esso si esprime in sacrifici-oblazioni che sono spi­ rituali e reali: nella lode-ringraziamento a Dio (comunione con Dio) e nella mi­ sericordia-amore verso i fratelli (condivisione). Abbiamo così una definizione obiettiva del sacerdozio comune deifedeli: comunione e condivisione. Quanto al sacerdozio ministeriale, a prima vista potrebbe sembrare che non vi sia posto per esso. Tutti i cristiani, infatti, capaci di « offrire >> la loro vita, sono sa­ cerdoti. Eppure il sacerdozio ministeriale è indispensabile alla comunione ecclesia­ le, in quanto strumento della mediazione di Cristo3 15• Essa è sua e solo sua ed è im­ prescindibile per l 'esercizio del sacerdozio comune: nessuno infatti può presentare l 'offerta perfetta della propria vita, se non in quella mediazione. Questa, poi, ha bi­ sogno di manifestarsi, ed è qui che si colloca il veicolo sacramentale del sacerdo­ zio ministeriale: in esso i suoi ministri attualizzino la sua presenza nella storia e aiu­ tino i cristiani a gustare la sua mediazione sacerdotale. Il sacerdozio ministeriale è dunque servizio al sacerdozio di Cristo e al sacerdozio comune. Senza quello di Cristo, il sacerdozio comune dei fedeli e il ministeriale non avrebbero contenuto; senza il sacerdozio comune del popolo di Dio, quello ministeriale non avrebbe uti­ lità alcuna. Eppure, senza questo mezzo di collegamento tra l 'offerta di Cristo e le offerte dei cristiani, la vita cristiana non potrebbe essere trasformata in un'offerta sacerdotale a Dio gradita. Per quanto tra i due sacerdozi corra una differenza di gra­ do3 1 6, i loro rapporti non sono di inferiorità e superiorità, ma organici e così inter-

nisteriale. Non si ha qui un'occasione « scientifica » di tutto peso ecwnenico? Le modalità di quella Ti­ scoperta, infatti, implicano un lavoro comune alla ricerca di una teologia biblica del culto a partire dal­ l 'uso che il NT fa della terminologia cultuale, valutando la possibilità di applicare i testi deli ' AT alle odierne assemblee liturgiche, registrando le differenze tra l ' AT ed il NT in particolare, dando a Ebrei il riconoscimento che merita, in quanto il culto è fra i suoi temi centrali, e l 'autore è interessato a cogliere la relazione tra ciò che è stato preparato nell 'AT e quello poi realizzato in Cristo il Figlio nel NT. La me­ todologia di E. Griisser favorisce un simile dialogo ecwnenico, critico-storico. Un buon apporto, in que­ sta linea, in D.G. Peterson, Towards a New Testament Theology of Worship, in RejTR 3 ( 1 984) 65-73 . 3 14 Logiké esprime in primis razionalità. Dunque, « culto razionale », cioè ragionevole, perché còlto dalla ragione nelle sue ragionevoli motivazioni. Per Rm 1 2, l la conformità del sacrificio e del culto alla « razionalità » di /ogiké avviene nell '« azione misericordiosa compiuta da Dio in Cristo )) (dia ton oiktirmon toii theoii) e soltanto nello « spirito di Gesù Cristo )) (pneuma 'fésoii Christoii). Questa innovazione in Rm 1 2 , l innalza culto e sacrificio dalla sfera razionale a quella etica e spiri­ tuale. Cfr. G. Schrenk, /ogikos, in GLNT ( 1 970) 6,396-400. Ma vedi A. Pitta, La Lettera ai Romani, p. 42 1 : tiene per « razionale )). 315 Il problema è già avvertito da Giovanni Crisostomo. Questi lo chiarisce, reintroducendo la di­ stinzione tra sacerdozio del popolo di Dio (latreuein) e sacerdozio ministeriale (/eitourgein); momen­ to specifico di quest'ultimo è la celebrazione eucaristica. Dai due risulta il sacerdozio ecclesiale (così in Id., Ad Hebraeos. Homi/ia 1 7, in PG 63, 1 3 1 e in PG 63,339-340. Cfr. J.P. Mondet, C/artés sur le sa­ cerdoce ministériel: le témoignage de Saint Jean Chrysostome dans son Commentaire sue l 'épitre aux Hébreux, in Lafoi et le temps. NS 1 8 ( 1 988) 259-286. Posizione chiara quella di Crisostomo, che va però oltre Ebrei: questi non distingue i due verbi, né presenta un chiaro orientamento eucaristico. 316 E di struttura? Così la Lumen gentium l O: « Essentia et non gradu tantum differant )). Ma la formulazione è ambigua. Per una rilettura di questo inciso, cfr. G. Philips, La Chiesa e il suo miste-

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connessi da non poter essere autonomi l 'uno rispetto all 'altro: il sacerdozio comu­ ne è offerta esistenziale, il sacerdozio ministeriale attualizza la comunione organi­ ca del popolo sacerdotale di Dio. Questi due aspetti del sacerdozio di Cristo sono distinti e correlati (non vanno separati) : esprimono la comunione ecclesiale nel sa­ cerdozio ecclesiale e danno la misura della fratellanza cristiana. Trasformare l 'esistenza in qualità e continuità è il nuovo culto cristiano che ha preso il via con il nuovo sommo sacerdozio (reale, personale, immesso nell ' e­ sistenza), contrapposto al culto rituale antico (esteriore e convenzionale). Non più santificazione negativa, attraverso separazioni rituali, ma positiva e proposi­ riva, sullo stile sacerdotale del Figlio: docilità verso Dio ( 1 0,7-9) e solidarietà verso i fratelli ( 1 2, 1 -4; 1 3 , 1 6.2 1 ), due qualità che trasformano in permanenza la vita del cristiano e la rendono, a tutti gli effetti, sacerdotale3 11• Regredire nella fe­ de? Molto meglio « edificare noi stessi » ed essere « inviati » agli altri3 18: « Sarete per me un regno di sacerdoti » (Es 1 9,6). Allo scopo, abbeverarsi a quel ministe­ ro sacerdotale. Siamo ben oltre la ritualità antica, siamo a un sacerdozio comune, esercitato in comunione con il sacerdozio ministeriale: sacerdoti per lui e per il popolo (non funzionari), sacerdoti per la riconciliazione nella donazione (Eb 1 3 , 1 5- 1 6), per la solidarietà nell ' agape . È quanto Ebrei propone.

15. Rendiamo al Figlio il culto nuovo

Il culto è risposta alla regalità divina. Questa la prospettiva in Is 6 sul significa­ to del tempio e del tabernacolo; in Ebrei esso è risposta alla regalità di Gesù il Figlio, « erede di tutte le cose )) ( l ,2), « assiso alla destra della Maestà nelle altezze )) ( l ,3). In una catena di testi, che mostra l ' assoluta trascendenza del Figlio, Eb l ,513 introduce un linguaggio cultuale specifico: « Lo adorino (proskynesatosan) tutti gli angeli di Dio )) ( l ,6; Sal 96, 7); « Lo adorino i figli di Dio )) ( l ,6; Dt 32,43 [LXX]). Con proskynein Ebrei sembra muoversi in sintonia con la tradizione dell ' AT, ove quel verbo esprime l 'omaggio reso a re e superiori3 19, a Dio nel cul­ to320, ma anche in piena sintonia con la tradizione neotestamentaria32 1 • L'autore ha uno scopo preciso: esortare i credenti a onorare Gesù il Figlio adeguatamente sulla terra, per godere già ora del suo dono di salvezza. Egli scrive loro: « Proprio ro nel concilio Vaticano Il. Storia, testo e commento della Lumen gentium, Jaca Book, Milano 1 993, pp. 1 29- 1 39; L. Sartori, Sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, una formula ambigua?, in Rassegna di Teologia 21 ( 1 980) 409-4 1 2. Infine, e al meglio, A. Vanhoye, l due aspetti del sacer­ dozio cristiano, in PP 91 1 0 ( 1 987) 63-77. 3 1 7 Si veda una felice intuizione in D.F. Kelly, Prayer and Union with Christ, in SBET 8 ( 1 990) 1 09- 1 27, qui 1 09: Cristo Gesù è collegato con i suoi (popolo sacerdotale) a loro volta connessi con lui, sonuno sacerdote per essi nella mortale umana natura. 3 1 8 Cfr. A. Vanhoye, Sacerdoce du Christ et eu/te chrétien se/on / 'épitre aux Hébreux, in Christus 28 ( 1 98 1 ) 2 1 6-230. 3 1 9 Si vedano: Gn 27,29; I Sam 25,23; 2Sam 1 4,33 ; 24,20. 3 2° Così Gn 22,5; Es 4,3 1 ; 24,26; 24, 1 ; Dt 26, 1 0. 3 2 1 Cfr. Mc 5,6; Mt 8,2; 1 4,33; 28,9. 1 7; Le 24,52; Gv 9,38. Ancora di più in Ap 4, 1 0; 5 , 1 4; 7, 1 1 ; 1 1 , 1 6; 1 9,4.

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per questo bisogna che ci applichiamo con maggiore impegno a quelle cose che abbiamo udito >> ( l , 1 - 1 3 ; cfr. 2, l ), perché di una « salvezza così grande . . . pro­ mulgata ali ' inizio dal Signore >> (2,3) possono beneficiare solo « coloro che gli obbediscono >> (5,9). « Avete infatti bisogno di costanza, perché dopo aver com­ piuto il volere di Dio, possiate conseguire la promessa >> ( l 0,36; cfr. l 0,26 1 3 ,25). Tutto questo preme sulla homologia (Eh 3, l ; 4, 1 4; l 0,23), con la quale Ebrei mostra ancora sintonia con il NT322• Risultato: il modo per riportare il cul­ to agli angeli nel suo giusto àlveo è una risposta cultuale gradita a Dio, nel Figlio. Tale conclusione è confermata dali 'uso di latreuein. Anche qui, Ebrei mo­ stra di conoscere la tradizione dell ' AT che ne fa uso in riferimento al culto del po­ polo, riservando leitourgein ali 'ufficio sacerdotale323• Senza rispettare tuttavia la distinzione anticotestamentaria, Ebrei usa latreuein per dire il ministero sacrifi­ cate dei sacerdoti (Eh 8,5; 1 3 , 1 0; cfr. 9,6; 1 0, 1 1 ), ma anche il culto dei fedeli (Eh 9,9. 1 4; 1 0,2). E insiste sul « culto gradito (euarestos) a Dio >> nella fede (Eb 1 1 ,56 ; 1 2 ,28), risposta del credente ali ' espiazione-redenzione del Figlio (9, 1 4 ; 1 2,28), fino alla homologia i n « quel sacrificio d i lode che è frutto di labbra che confessano il suo nome >> ( 1 3 , 1 5 ; cfr. Os 1 4,3), fino al servizio nella carità, « per­ ché il Signore se ne compiace (euaresteitai) >> ( 1 3 , 1 6). Risultato: il culto è appro­ priazione personale dei benefici dell 'azione salvifica di Cristo. Un terzo elemento linguistico cultuale è nell 'esortazione ad « accostarsi >> con fi­ ducia a lui (4, 1 4- 1 6; l O, 1 9-23), il Figlio, sommo sacerdote « nell 'alto dei cieli » ( 1 ,3; cfr. 4, 14; 5,5-6; 7,26-28; 1 0, 1 1 . 14). Si tratta di proserchesthai ed eggizein (7, 1 9): i due verbi godono di una vasta tradizione anticotestamentaria. Proserchesthai descri­ ve chi si accosta a offrire il sacrificio a Dio in tutta perfezione (fisica)324, ma anche l 'accostarsi a Dio di tutto Israele325; esprime inoltre relazione generica con Dio (Sir l ,28.30; 2, l ). Eggizein presenta il ministero sacerdotale326, la preghiera di Abramo (Gn 1 8,23 ), l 'avvicinarsi a Dio di tutto Israele, per ascoltarlo e ritornare a lui327; per Gdt 8,27 « è a fine di correzione che il Signore castiga coloro che gli si avvicinano (cfr. Eb 1 2,5b-7) ». Il giudaismo ellenistico filoniano conosce l 'uso di proserchethai per dire una relazione con Dio permessa a coloro che desiderano avvicinarsi a lui, con la mente perfettamente purificata perché distaccata dalle cose materiali e ne ricono­ scono la sovrana beatitudine328• Ebrei si avvale ampiamente di questo linguaggio, ri­ conoscendogli peso cultuale: « Accostiamoci dunque con piena fiducia » (4, 1 6; cfr. Ger 7, 1 6 [LXX] e Sal 33 ,6); « Perciò (Gesù, 4,22) può salvare in modo perfetto quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio » (7 ,25); « (La legge) invece non ha il potere di condurre alla perfezione . . . coloro che si accostano a Dio » ( 1 0, 1 ). Da qui Ger 38,3 1 (LXX) in Eh 8,8: « Ecco: vengono giorni . . . quando io porterò a buon 322 Cfr. Mt 1 0,32 e paralleli; Gv 9,22; 1 2,42; Rrn 1 0,9- 1 0; Tt 1 , 1 6; I Tm 6, 1 2 - 1 3 . 323 Cfr. E s 3, 1 2 e 4,23 ; E s 8,4; D t I O, 1 2 .20; G s 24, 1 4 ss. 324 Così Lv 2 1 , 1 7- 1 8.2 1 ; 22,3: chi si accosta dovrà essere privo di ogni deformità (perfezione). 325 Si leggano: Es 1 6,9; 34,32; Nm 1 0,3-4. 326 Cfr. Es 1 9,22; 42, 1 3 ; 43, 1 9. 327 Cfr. Qo 4, 1 7; Os 1 2,7; Sof 3,2; Is 29, 1 3 ; 58,2; Sal 1 48, 1 4. 32 8 Cfr. rispettivamente Filone di Alessandria, De opificio mundi 1 44 (proserchesthai); De p/antatione 64 (prose/elythen) e Deus immutabilis 1 6 1 (hoi proselthontes).

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fine ( . . . )329 un'alleanza nuova ». «Accostiamoci dunque (a Dio) con cuore sincero in piena persuasione di fede >> ( 1 0,22), onde cercarlo ( 1 1 ,6) e stringersi a lui ( 1 Pt 2,4). La sua risposta sarà dello stesso tenore: «Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi >> (Gc 4,8); « Voi infatti non vi siete accostati a un luogo tangibile » ( 1 2, 1 8), « voi vi sie­ te accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente » ( 1 2,22). Ebrei mostra di non volere affermare soltanto che in Cristo il sacerdozio antico giunge a compimento, ma che esso conduce di fatto ogni credente alla giusta relazione con Dio. Il vocabolario cultuale impiegato presenta un triplice senso: esprime l 'o­ maggio che gli angeli rendono a Gesù il Figlio; descrive il servizio gradito a Dio, cioè l 'obbedienza riconoscente al dono della riconciliazione in Cristo, il che si traduce in homologia di fede in Cristo, nonostante le difficoltà, accompagnata dalle opere buone; denota l ' appropriazione personale della redenzione in Cristo in una relazione di fiduciale dipendenza da lui. È così che il cristiano dovrebbe ri­ spondere al vangelo. Ebrei non usa mai il linguaggio cultuale in riferimento al­ l 'assemblea liturgica cristiana, per la quale prevale quello paracletico, deciso e talora severo, ma sempre incoraggiante (Eb 3 , 1 2; 1 0,22-25) e in buona sintonia con il NT (Rm 1 2, 1 -8; Ef 5 , 1 5 ss. ; Col 3 , 1 6)330• Ne tratto qui di seguito.

16. Paràclesi, stile di un pastore zelante

Ne ho riferito ovunque essa è ricorsa: è come il clima di tutto il « trattato »33 1 • Qui fornisco un rapido prospetto dei dati. In verità, la paràclesi in Ebrei resta sub judice: c'è chi ne riscontra cinque brevi unità letterarie332; altri ne ravvede cinque ampie sezioni333; altri ancora sco3 29 « Con la casa d'Israele e con la casa di Giuda ». In questa puntualizzazione storica si ravve­ de l 'aspetto legale del patto in Ger 38,3 1 -34, esclusivo di Israele e Giuda. Ma Ebrei va oltre. Cfr. D. Daniels, How does the Church re/ate to the New Covenant? Or, Whose New Covenant is /t, anyway?, in F&M 1 6 ( 1 999) 64-98. Cfr. qui Il messaggio teologico, pp. 24, 36, 362 e 706. 330 Studiando la relazione tra culto antico e nuovo, D.G. Peterson ( Towards a New Testament Theology of Worship, in RejTR 3 [ 1 984] 65-73) ravvede nel culto e nel sacedozio ministeriale e co­ mune del popolo di Dio il gioiello mancante alla teologia biblica evangelica. Un argomento ecume­ nico di valore. Si veda inoltre J.D. Pursiful, The cultic Moti/in the spirituality ofHebrews, Lewiston, New York 1 993. Segnalo poi M.E. Isaacs, Sacred Space. An Approach to the Theology ofthe Epistle to the Hebrews, JSOT Press, Sheffield 1 992. 33 1 Mi è parso parere comune fra gli esegeti ravvedere in Ebrei la presenza di fatto di una suc­ cessione tra insegnamento epidittico e paràclesi. Così J. Swetnam, The Structure of Hebrews 1 , 1 3, 6, i n Melita Theologica 43 ( 1 992) 58-66: 1 ,5- 1 4 esposizione seguita d a paràclesi i n 2, 1 -4; 2,5- 1 8 esposizione seguita da paràclesi in 3 , 1 -6. Colgono ancora questo aspetto S . McKnight, The Warning Passages ofHebrews: A Forma/ Analysis and Theological Conclusions, in Trinity Journa/ 1 3 ( 1 992) 2 1 -59 (su 2, 1 -4; 3,7 - 4, 1 3 ; 5, 1 1 - 6, 1 2; 1 0, 1 9-39; 1 2, 1 -29); F.J. Matera F.J., Mora/ Exhortation: The Relation between Mora/ Exhortation and Doctrinal Exposition in the Letter to the Hebrews, in TorJT 1 O ( 1 994) 1 69- 1 82 . 332 E h 2, 1 -4; 6,4-8; 1 0,26-3 1 ; 1 2, 1 2- 1 7; 1 2,25-29. È l a proposta piuttosto contenuta d i A . Mugridge, Warnings in the Epistle to the Hebrews: An Exegetical and Theo/ogical Study, i n RejTR 46 ( 1 987) 74-82 . 333 Eh 1 ,5 - 2,5; 3 , 1 - 4, 1 3 ; 6,4- 1 2 ; 1 0,26-39; 1 2,25-29. È la proposta più estesa e contestualizza­ ta di T.K. Oberholtzer, The Warning Passages in Hebrews. Part l: The Eschatological Salvation of Hebrews 1, 5-2, 5, in BS 1 45 ( 1 988) 83-97; Part 2: The Kingdom Rest in Hebrews 3, 1-4, 13, in BS 1 45

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pre nell 'alternanza tra cinque sezioni espositive e cinque esortatorie la struttura dell ' intero « trattato », che ruota attorno al motivo della fede334• Per altri, la chia­ ve per comprendere il messaggio del « trattato » sta proprio nei passi paracletici, rilevati ed esaminati in modo essenziale335, ma anche in forma più articolata e dettagliata336• Una ulteriore osservazione consente una rilevazione più caratteriz­ zata della paràclesi in Ebrei337: incoraggiamento338; ammonimenti severi339; mi­ nacce contro eresia e « dottrine peregrine » ( 1 3 ,9) 340• Lo stretto rapporto tra inse­ gnamenti ed esortazioni si impone da sé: pericopi che invitano i lettori a trattenere (katechein) gl ' insegnamenti che sono già loro patrimonio e altre dove si richiede di afferrare (kratein) a due mani la novità della fede cristiana (buona prova della continuità dell ' AT nel NP41). Si ha così una struttura paracletica a spirale gesuologico-cristologica che ruota attorno al Figlio, Gesù il Cristo, e ap­ proda nell 'assemblea. Ogni sezione termina con un 'esortazione: Eb 2,5- 1 8 argo­ menta che Gesù è superiore agli angeli; 2, 1 -4 esorta a dare attenzione più alle pa­ role vive dette da Gesù che non ai profeti e agli angeli. Eb 3,7 - 4, 1 3 si riporta epiditticamente alla storia dell 'esodo (3,7- 1 0; Sal 94,8- l l ), per poi impiantare una paràclesi sul pellegrinaggio: « oggi » si ascolti la sua voce, senza indurire il cuore, onde evitare di non conseguire il riposo promesso (4, I l ); Eb 4, 1 4 - 5, l O ( 1 988) 1 85- 1 96; Part 3: The Thorn-/nfested Ground in Hebrews 6, 4-12, in BS 1 45 (579, 1 988) 3 1 9328; Part 4: The Danger of Willful Sin in Hebrews 1 0. 26-39, in BS 1 45 , 580 ( 1 988) 4 1 0-4 1 9; Part 5: The Failure to Heed His Speaking in Hebrews 12, 25-29, in BS 1 46 ( 1 989) 67-75. A motivo della loro ampiezza, le paràclesi proposte da T.K. Oberholtzer sconfinano in altri aspetti della narratio­ expositio; non così A. Mugridge che centra in modo credo più attendibile la sola paràclesi. 334 Eb l , 1 - 1 4 esposizione sulla fede e 2, 1 -4 esortazione alla fede; 2,5- 1 8 esposizione e 3, l - 4, 1 6 esortazione; 5, 1 - 1 0 esposizione e 5 , 1 1 - 6,20 esortazione; 7, 1 - 1 0,8 esposizione e 1 0, 1 9-39 esorta­ zione; 1 1 , 1 -40 esposizione e 1 2, l - 1 3,2 1 esortazione. È la proposta di V. Rhee, Christology and the Concept ofFaith in Hebrews 1, 1 -2, 4, in BS 1 57 (2000) 1 74- 1 89. 33 5 Eb 2, 1 -4; 3,7; 4, 1 3 ; 5, 1 1 ; 6,20; 1 0, 1 9; 1 3 ,26; cfr. S.O. Toussaint, The Eschatology of the Warning Passages in the Book ofHebrews, in GraceTJ 3 ( 1 982) 67-80. 33 6 Merita attenzione la proposta di S . McKnight, The Warning Passages of Hebrews: A Forma/ Analysis and Theological Conclusions, in Trinity Journa/ 1 3 ( 1 992) 2 1 -59: egli individua cinque compositiones paracletiche (Eb 2, 1 -4; 3,7 - 4, 1 3 ; 5, I l - 6, 1 2 ; 1 0, 1 9 - 39; 1 2 , 1 -29). Ognuna di esse è articolata in elementi ricorrenti : esortazione (prosecho, blepete, parakaleite . . . in 2, 1 ; 3 , 1 2; 3, 1 3 . . . ), possibile caduta nel! ' infedeltà (pararreo in 2, l ; parabasis e parakoe in 2,2 . . . ), sgradite conseguenze (me eise/eusesthai in 3 , 1 1 ; 4, 1 ; 6, 1 1 . . . ; adynaton palin anakainizein in 6,4-6; 1 2, 1 61 7 . . . ), ascolto di un insegnamento chiarificatore (caso tipico e molto articolato in 6,4-6: proposizio­ ne centrale spiegata da cinque dipendenti), essere consapevole che il dono redentivo di Dio è sem­ pre disponibile (2,3b-4). Questi elementi possono essere ritenuti certi a motivo del vocabolario appropriato che li veicola. Cfr. lbid. 25-43. 337 Cfr. J. Cervera J., Hebreus, una exhortacio a perseverar, in RCatT 23 ( 1 998) 299-32 . 33 8 E b 2, 1 6- 1 8; 3, 1 .6; 4,2-4. l l a. l 4- 1 6; 6 , 1 .9- 1 2 . 1 9-20; 1 0, 1 9-20.22-24.25b.32-39; 1 1 ,401 2 , 1 4a.22-24; 1 3 , 1 -7. 1 3- 1 7.22. 339 Eb 2, 1 -3 ; 4, l . l l b. 1 3 ; 1 2,25-29; 1 3,8-9; o anche solo ammonimento, come suggerisce M.L. Gubler (Der Hebriierbrief. eine Mahnrede, in Diakonia 34 [2003] 1 86- 1 90), il quale però lo propo­ ne come genere letterario di Ebrei finalizzato a ottenere adesione ai segni redentivi di Gesù il Cristo. Un tale genere letterario lo abbiamo già escluso nella nostra Sezione introduttiva, p. 40. 340 Eb 3, 1 2- 1 4; 6,4-8; 1 0,26-3 1 ; 1 2 , 1 4b- 1 7. 34 1 Cfr. E. Griisser, Der A lte Bund im Neuen. Exegetische Studien zur Israelfrage im Neuen Testament (WUNT 35), J.C.B. Mohr, Tiibingen 1 985, pp. 290-3 1 1 . La questione è oggi molto senti­ ta e registra nuovi sviluppi.

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dimostra che Gesù è un obbediente sommo sacerdote; in 5 , 1 1 - 6,20 spinge i cre­ denti a mantenere forte la loro professione di fede in lui. Una qualità primaria della paràclesi nell ' intero « trattato » la si ha in l , 1 -4: Ebrei dice prospetticamen­ te che Gesù è Parola escatologica di Dio; nel resto del suo scritto esorta alla spe­ ranza in lui, che è la salvezza escatologica. Egli porta il Dio eterno nel tempo e nella storia342• E vi è di più: Gesù è fedele al Padre, crede in lui e nel suo proget­ to. È un fedele nella fede. Grazie a lui, la fede stessa diventa paràclesi. Ebrei è l 'unico scritto del NT e in tutta la Bibbia dove la fede assume un marcato profilo paracletico: l 'autore cioè non pone la fede come condizione dottrinale, piuttosto esorta a compiere il cammino della fede. Ebrei non parla mai della necessità di credere in Gesù Cristo salvatore (cosa invece normale per Paolo e Giovanni), ma presenta Gesù stesso come credente, primo dei credenti, iniziatore e perfeziona­ tore (archegos kai teleiotes, 1 2,2) della fede in Dio: egli stesso ha compiuto il proprio cammino di fede verso il Padre, senza mai vacillare (4, 1 4) . Quanti nell ' AT hanno creduto (Eb 1 1 ,2-39), hanno compiuto quel cammino di fede, gui­ dati da lui e verso lui, pur senza saperlo. E nel NT i credenti sono alla sua scuo­ la, esortati a compiere « oggi >> quel cammino343, sospinti da tanta forza trainante nella fede ( 1 1 , 1 -40). Camminiamo dunque anche noi. Anzi, corriamo. Questo scritto per la seconda generazione cristiana tenta di attualizzare il messaggio della « fede in Dio », senza falsare la fede stessa. Questa operazione ermeneutica si rende necessaria dal momento che la seconda venuta-parusia del Cristo giudice (9,28) tarda a compiersi344; egli ora « siede alla destra della Maestà nelle altezze » ( 1 ,3). Affrontare questa situazione è compito dell ' autore: Gesù non è colui al quale credere, piuttosto colui che indica il punto di arrivo. Da qui l 'esortazione a raggiungerlo alla destra del Padre, a guardare a lui (aphOrontes eis), alla sua vita, alla sua morte, a scoprire in lui il primo e perfetto credente ( 1 2,2), per credere come lui. Ebrei non può essere considerato solo come aggancio a un 'antica tradizio­ ne protogiudaica, a motivo del sacrificio e del sacerdozio levitico (simile inter­ pretazione è riduttiva). L'orizzonte dello scritto è ben più ampio. Quel « tratta­ to » è il risultato migliore di tutta l ' attesa anticotestamentaria. Attraverso i profeti, un corretto ascolto della parola di Dio guida alla scoperta del Figlio, il quale porta la manifestazione storica di Dio al suo punto culminante ( 1 , 1 -2). L'autore guida questo sviluppo lungo il giusto tracciato, fino alla destra del Padre che ne è il segno più eloquente ( l ,3 ). A quel punto dobbiamo giungere an­ che noi. Se per il NT la fede è obbedire a Cristo (hypakoe tes pisteos), per Ebrei è peregrinare con lui che crede e ha aperto il cammino verso il riposo di/in Dio. Tutte le fasi della sua vita, fino alla croce, lo descrivono credente nel Padre : una

342 Si veda D. W. Perkins, A Cali to Pilgrimage: The Challenge ofHebrews, in TEdr 3 1 ( 1 985) 69-8 1 . 343 Se ne occupa T. SOding (Zuversicht und Geduld im Schauen aufJesus. Zum G/aubensbegriff des Hebriierbriefes, in ZNW 82 [ 1 99 1 ] 2 1 4-24 1 ), con riferimento a E. Grasser (Der Glaube im Hebriierbriej) su Eb l 2,2a. 344 Il problema riscuote attenzione già in 1 -2Tessalonicesi.

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paràc/esi continua. Tutt'altra prospettiva. Israele sa bene che la sua patria non è sulla terra ( l l , 1 0. 1 3- 1 6. 1 9-20), ma al di là del tempo, nel « non ancora », in Dio, nel suo riposo. « Teniamo dunque fisso (aphOrontes) lo sguardo in/su (eis) Gesù >> ( 1 2,2), colui che ha portato a compimento la propria fede. In lui, Dio dona al­ l 'uomo la visione parziale dei beni futuri, non ancora visibili in pienezza. Siamo al punto più stimolante della fede come paràclesi : « Non abbiamo quaggiù una città permanente . . . >> (Eh 1 3 , 1 4 ), ma finché ci siamo, « usciamo anche noi fuori dall 'accampamento . . . » ( 1 3 , 1 3), come lui. Due momenti che ben descrivono l 'e­ straneità (escatologica) al mondo dei cristiani pellegrini in esso, ma ancora di più il loro impegno perché la sua vicenda continui. Il pellegrinare coordina i punti esortativi di Ebrei e ne è tema paracletico portante. L'autore vuole sottrarre i suoi ai ristretti limiti del giudaismo e aprirli alla missione universale cristiana. Anche se con qualche riserva, questa linea epidittico-paracletica è tenuta. Dunque, resi­ stere nella fede degli apostoli (2,3-4). Pistis con il relativo gruppo semantico è un dato basilare nella teologia di Ebri, una paràclesi esistenziale. Che se dovesse permanere del dubbio circa l 'adempimento delle promesse fatte ad Abramo, eb­ bene esso trova nella fede del Figlio adeguato dissipamento. Da qui la forte e varia esortazione dell 'autore pastore perché la comunità ri­ prenda il cammino: resti ben salda (2, 1 ; 4, 1 4; 1 0,23 ; 3,6. 1 4); non indurisca il cuo­ re (Sal 94 [LXX] ; Eh 3 -4), anzi obbediscalcollabori con Dio come Abramo (6, 1 5), Mosè ( 1 1 ,24-28) e Gesù ( 1 2,2-3); non si esponga al reale pericolo di ca­ dere nella disobbedienza-infedeltà che esclude dal riposo di/in Dio (4, 1 1 ) e ne provoca il giudizio severo (2,2-3a; 6,4-6; l 0,26-3 1 ), che tuttavia è ben controbi­ lanciato dal fatto che « rimane valida la promessa (di Dio) di entrare nel suo ri­ poso » (4, l ); per chi rimane nella fedeltà, e la cerca e ricerca, non c'è che conso­ lazione ( 1 2,28). Per i credenti ancora bambini nella fede (5 , 1 1 - 1 4) forte è la spinta a divenire adulti ( 6, l ) in ascolto del pastore, il cui insegnamento è ben ra­ dicato nella vita di Gesù Signore (2,3b-4) e nel potenziale della sua offerta re­ dentiva. Elementi saldi e precisi danno fondamento a questo progetto del Padre: la figliolanza divina di Cristo ( l ,2 e Sal l 09 [LXX]), la sua regalità ( l ,8a; Sal 44, 7), il suo sacerdozio e l 'offerta di sé. Ciò rende l ' intera antica alleanza « oh­ sol eta » (8, 1 3 ) e inaugura una speranza nuova per chi sceglie Gesù il Cristo. Importante è guardare agli eroi dell ' AT (Eh 1 1 ), testimoni di speranza nel Messia e di una fede che ha saputo resistere nella speranza. Se ne traggano gli auspici: si resti con il « pioniere e perfezionatore » della fede. Con lui il compimento è stato appena avviato. Esso sarà completo « alla destra della Maestà » (Eh l ,3 ). Non re­ sta che vivere in tensione e contribuire al compiersi del compimento. E alla Chiesa di oggi? A lei l 'autore dice: osservi, guardi a Gesù (Eh 2,9) e lo decifri, guardi al suo inscindibile rapporto con la fede dei padri, in Abramo; guardi alle Scritture che sono sue e raccontano di lui; abbia fiducia di entrare nel santuario per il culto nuovo (v. 1 9); si accosti a Dio-àncora con cuore sincero; ali­ menti la propria fede sino alla pienezza (v. 22); mantenga e proponga la profes­ sione della speranza, senza vacillare (v. 23); stimoli nella carità e nelle opere buo­ ne (v. 24) ; qualifichi la « nostra assemblea », da non disertare (v. 25), con pertinente annunzio e attenzione agi ' interrogativi del suo tempo; sia consapevo-

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le che la casa di Dio ha come capo un grande e sommo sacerdote (v. 2 1 ) e non al­ tri345. E produca paràclesi, ad esempio nella forma della synkrisis. Basata sulla comparazione tra antico e nuovo (Entsprechung), essa si risolve in una costante esortazione a osservare l ' altro (Andersartigkeit), a dialogare con lui, onde deci­ dere per il meglio (iiberbietungj346• Un pastore preoccupato, quello di Ebrei? Felice quella preoccupazione che ha prodotto un tale « appello », un tale « tratta­ to », una tale « parola di esortazione » ( 1 3 ,22).

1 7. Problemi e prospettive

a) Ebrei: quale storia della salvezza ? - Le linee della storia della redenzione ricevono in Ebrei un profilo ben caratterizzato rispetto al NT. Rilevo solo alcuni momenti, per lo più articolati sul filo dell 'antitesi sintetica: l ) Antico e nuovo esprimono invecchiamento e innovazione e sono in rapporto di continuità347• 2) E se l ' AT è buono, il NT è migliore (kreittonos) : un mediatore migliore, un patto mi­ gliore, un sacerdozio migliore, un sacrificio migliore, uno stile di vita migliore, un'economia migliore, pagata con l ' inferiorità (abbassamento, elattonos, l , 7), sia pure per poco tempo. 3) Molteplicità e unicità. La prima è proprietà dell 'AT: mol­ te manifestazioni, molti sacerdoti, molti sacrifici; la seconda lo è del NT: una sola manifestazione nel Fglio unico, un sommo sacerdote unico, un sacrificio di ricon­ ciliazione unico, « una volta per tutte ». 4) Mutabilità e stabilità. La prima è profi­ lo di un popolo peregrinante nel deserto, spesso smarrito, fino a fallire il traguar­ do del « riposo » (katapausis). In Gesù Cristo il pellegrinaggio è più sicuro, il « riposo » è sempre possibile. In lui vi è stabilità, egli è « ieri e oggi lo stesso e per sempre » ( 1 3,8). 5) Imperfezione e perfezione, provvisorietà e compimento. Se il patto antico fosse stato perfetto, non ci sarebbe stato posto né motivo per il nuovo (8, 7). 6) Terrestre e celeste. Il nuovo patto, nella fase terrestre, è esso stesso im­ perfetto. Avrà il proprio compimento solo nella città di Dio, quella celeste. « Oggi », nel « frammezzo », solo un pregustamento. 7) Quella città è il regno di Dio: esso va cercato nel tempo e oltre il tempo, « regno incrollabile » al quale ane­ lare con fede incrollabile. E se il celeste è prototipo per il terrestre, quest'ultimo ne è solo l 'ombra. 8) Visibile e invisibile. Nella fede tutto è invisibile; con Mosè, al Sinai, tutto è visibile. Ma il Sinai è « tremendo », impaurisce e intimorisce, e al­ lontana più che avvicinare; Sion, il monte della fede, è gioioso, là è l ' assemblea « festosa » di giusti ed eletti che hanno peregrinato verso l ' invisibile, come veden­ do lo. 9) Servo e Figlio. Mosè è servo fedele; onore e venerazione sono invece per Gesù, il Figlio intronizzato, re e messia fedele. La fedeltà del Figlio è migliore di 345 Si legga B. Corley, « We See Jesus », Biblica/ Vision for a New Millennium, in SWJT 44 (2002) 1 4-27. 346 Cfr. D.F. Watson, Rhetorical Criticism ofHebrews and the Catholic Epistles Since 1 9 79, in CRBS 5 ( 1 997) 1 85 . 347 T. Lohmann (Zur Heilsgeschichte des Hebriierbriefes, i n Orientalische Literaturzeitung 79 [ 1 984] 1 1 7 - 1 25) pensa che l ' AT in Ebrei sia eliminato dal NT. Non è però così. I due sono invece in continuità discontinua.

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quella del servo. l O) Sacerdote sommo e unico, più di Aronne, più di Melchisedek; gestisce la redenzione con libera disponibilità. l l ) Sulla risurrezione Ebrei non ha un pensiero organico. L'autore tuttavia presenta Gesù il Cristo come « il grande pastore delle pecore che Dio ha fatto tornare dai morti » ( 1 3 ,20), ora « assiso alla destra della Maestà » ( l ,3d). In lui non si è più stranieri, ma a casa. Basta guarda­ re a lui (Eb 1 2,2), andare a lui, restare con lui (Gv 1 ,3 8-39). 1 2) Noi, assemblea pa­ squale (episynagoge) in pellegrinaggio sacerdotale, con traguardo « il riposo (ka­ tapausis} » in Dio, nella sua città futura.

b) Permangono delle difficoltà. - Esse rendono Ebrei di problematico accesso ancora oggi : l ) Il « trattato » suppone una più che buona conoscenza generale del­ la Bibbia, delle usanze israelite circa il sacrificio cruento di animali innocenti da presentare a Dio come richiesta di purificazione e perdono, di riammissione al rap­ porto fedele con lui. 2) Le conclusioni che l 'autore trae sono logiche per i suoi de­ stinatari, ma non altrettanto per noi oggi : la redenzione eterna, ad esempio, ottenu­ ta da Cristo con il suo unico e definitivo ingresso nel « santo dei santi » celeste, poteva essere chiara per il lettore del suo tempo, informato sul decorso cultuale ri­ spettato dal sommo sacerdote, « una sola volta l ' anno », in occasione dello J6m KippDr. In assenza di queste informazioni, il lettore di oggi non trova logico ciò che allora lo era. I destinatari di Ebrei non hanno la difficoltà (che noi oggi abbiamo) di capire il parallelo tra i sacrifici antichi e quello di Cristo e la superiorità qualitativa di quest'ultimo sui primi; è invece più facile per noi, come già per essi allora, capi­ re che il « Figlio >> è superiore agli angeli, ma lo è già meno l 'ingresso solenne di quel Figlio nel mondo: « Oggi ti ho generato >>, argomento irresistibile che impegna le emozioni dei lettori di ieri. 3) Per mostrare a Dio la propria adesione e credere in lui non è necessario offrire sacrifici; piuttosto egli gradisce l 'offerta di se stessi, sa­ cerdozio del popolo di Dio. Ciò richiede notevole lavoro per mettere a punto al me­ glio una propria posizione sacerdotale alla presenza di Dio. 4) Patto migliore (8,6), dunque, superiorità dei cristiani sugli ebrei? Un errore storico, in corso di revisio­ ne, del resto. Dopo tutto, Eb 1 1 racconta di tanti ebrei, tutti di rilievo, che hanno re­ so culto a Dio con la vita. Eb 1 1 ,26 poi lascia intendere un culto giudaico a Gesù: Mosè stima la croce di Cristo un guadagno maggiore delle ricchezze e delle gioie egizie. Tra ebraismo e cristianesimo c'è continuità. Queste rilevazioni non com­ portano un rigetto dell 'ebraismo, piuttosto i giudeocristiani stessi vi hanno motivi sufficienti per apprezzare il loro ebraismo, scoprendovi le radici del proprio svi­ luppo cristiano. Siano consapevoli della loro « nuova » identità e non la svendano. c) Dialogo ebreocristiano. - Il fatto che il cristianesimo diventi la religione dominante non autorizza a ritenere l ' ebraismo superato. Pensarla così è stato un disservizio allo stesso nome di Gesù Cristo348• E, poi, come la metteremmo con Ap 1 5 ,3-4: « . . . Cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e dell 'agnello », ove Mosè e l 'agnello sono destinatari di un unico cantico di lode?349• C ' è da riconsi348 Così F.S. Reding, Hebrews 9, 1 1 - 1 4, in lnterpretation 5 1 ( 1 997) 67-70. Cfr. anche ad locum, in Eb 9, 1 1 - 14. 349 Acuta rilevazione di B. Lindars, The Theo/ogy, p p . 1 -25.

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derare ! Il « patto )) continua. E mentre promuove un dialogo ebreo-cristiano, Ebrei, ieri come oggi, chiede alcune condizioni. l ) Per ebrei e cristiani destinata­ ri del suo « trattato )), l 'autore tenta una descrizione delle rispettive identità in ba­ se a valori comuni e affini (Entsprechung) e a diversità (Andersartigkeit): l 'o­ rientamento teocentrico nella teologia del patto; la pasqua del « sommo sacerdote )), evento base diverso eppure comune per un costruttivo dialogo350. Urge un riesame continuo del retrofondo storico di Ebrei, onde definire il patto alle origini. È essenziale partire dal Sitz im Leben di ieri, abramitico e mosaico, per approdare all 'ambiente vitale della comunità di Ebrei (gesuologico e cristo­ logico), fino a quello delle nostre comunità di oggi ( ecclesiologico ). Esse ricono­ scano il peso escatologico tanto accentuato nel giudaismo e siano disposte a ri­ vedere di continuo il NT, liberandolo da interpretazioni antigiudaiche, ma senza cedimenti acritici. Quel potenziale escatologico ridimensiona le differenze, apre a una ricerca della verità che fa liberi. E si accettino le crisi della comunità: esse fanno crescere la teologia del patto {Oberbietung) . 2) Il carattere di promessa del nuovo patto, ultimo e definitivo, ma non ancora giunto al compimento, esige che si situino bene le promesse di Dio date a Israele e ancora in attesa di essere ac­ colte. Di quelle promesse e di quel patto, Gesù è il garante. 3) In questo processo va ben considerata la teologia protogiudaica del patto nella tora, e anche quella tardorabbinica. Questo esame manca, o va appena cominciando in casa cristiana, anche perché la stessa Chiesa delle origini ha preferito porre in evidenza la non fedeltà al patto da parte d' Israele anziché la sua faticosa ricerca di fedeltà al me­ desimo. Quel che ne è seguito è stato un doloroso isolamento da ambo le parti. Tanto più che gli ebrei, dopo il 70 d.C., costretti alla diaspora, perdono molto del­ la loro identità. Ricuperarla è ricollegarsi al patto in Abramo e in Mosè al Sinai, è percepire la perennità del primo e la transitorietà del secondo, è alimentare una speranza ebrea che non può più essere cercata solo nella storia ebrea, ma essa è legata infatti anche alla storia cristiana. Pellegrinante verso « il riposo )), quel po­ polo resta agganciato a Dio nel primo patto, si apre a lui nel nuovo nel Figlio e continua a pellegrinare verso il volto definitivo dell ' alleanza: popolo sacerdota­ le351 in Cristo352• 4) Per Ebrei l ' identità cristiana si rispecchia in quella giudaica e

35° Cfr. K. Backhaus, Der neue Bund und die werdende Kirche, p. 355. 35 1 Una certa insistenza sull'assemblea cristiana = Chiesa = popolo di Dio è dovuta agli scritti NT nel tardo secolo 1: la chiamata al pellegrinaggio in Ebrei, « oggi »; la pericolosità del viaggio in Giacomo, le prove della peregrinazione in I Pietro, l 'avvertimento a non smarrire la giusta direzio­ ne in Giuda e 2Pietro, il traguardo sicuro dei pellegrini, felicemente raggiunto nella terra desiderata, in Apocalisse. Argomento appassionante. Ne tratta S. Nash, The Church as a Pilgrim People. Hebrews-Revelation, Ali the Bible, Macon (Georgia) 200 1 , pp. 6-3 7. 35 2 Questo armonico insieme mi sembra sfugga a C.M. Williamson, A nti-Judaism in Hebrews?, in Interpretation 57 (2003) 266-279. È vero, Ebrei non distingue tra giudei, gentili e cristiani, non fa raffronti tra i gruppi, alla ricerca del migliore; non offre argomento alcuno in direzione antigiudai­ ca. L'unica novità in Ebrei rispetto ali ' AT sarebbe il solo sistema sacrificale. Davvero troppo poco! Dal cuore del nuovo sistema sacrificale si diparte infatti una quantità di novità! Controspinta (apo­ logetica?) in G.R. Osbome, The Christ of Hebrews and others Re/igions, in JEvTS 46 (2003) 249267. Il rischio incombente, da cui guardarsi, di cadere in una retrogressione verso l 'antico (giudai­ smo e paganesimo) è per G.R. Osbome preoccupazione preponderante in Ebrei. Antidoto: urge

Verso il riposo

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quest'ultima in quella cristiana: le promesse (epaggeliai) di Dio sono e restano il sostrato permanente del patto, quasi i suoi « detti » per un popolo in marcia nel « frattempo », tra il « già e il non ancora ». Il patto nuovo, ultimo e definitivo, s' immette nel ritmo delle promesse e le spinge verso il compimento. Come non lasciarsi attrarre e trainare da un « Gesù Cristo, ieri e oggi lo stesso e per sempre » (Eb 1 3 ,8)353?

d) Qualche risultato. - Per decodificare Ebrei e il suo messaggio s' impone un'operazione ermeneutica. L'autore stesso ne è il migliore esempio. Ebrei va ricu­ perando nei confronti di Paolo, con il quale ha non poche convergenze e nei con­ fronti del quale ha non poche innovazioni354• La lettura antigiudaica di Ebrei ap­ partiene ormai al passato. E lo sforzo linguistico di farsi capire è ammirabile355: ciò che è terreno è anticipo di ciò che è celeste. Nel celeste, entrambi saranno visibili nella loro reciproca relazione: il terreno anela al celeste, lo storico al metastorico, il provvisorio al definitivo, l 'umbratile al vero. Come nella seguente interrelazione: confronto (gegenseitige Entsprechung); pluralità-diversità (Verschiedenheit­ Andersartigkeit); qualitativa superiorità {Oberbietung)356• Un metodo esistenziale, quello di Ebrei: prende le mosse dalla persona uma­ na situata e ne considera opportunamente le strutture. Una provocazione al nostro tempo: in Cristo, nello Spirito, gustare l ' urgenza di una speranza che è fonda­ mento della fede e, nel « frammezzo », dialogare con chi è pensoso e sbandato; compito sacerdotale dell 'assemblea pasquale verso il « non ancora ». Una rivincita di Ebrei? Certo, questo autore ha saputo attendere il « suo )) tempo. Assieme a Giovanni e Paolo, egli è ormai nel la tema dei tre grandi teolo­ gi del NT, e con pieno diritto. Anche se il suo « trattato )) non ci fornisce, e non lo si può negare, una formula altrettanto completa quale quella di Gv 1 , 1 4: ho logos sarx egeneto, non si può disconoscere che in esso abbondano formulazioni che affermano la reale, autentica e inalterata umanità del Figlio di Dio e ne descrivo­ no la sua vita nella carne: così Eb 5,7 e molto probabilmente anche 1 0,20 (non velo, ma strada vivente storia della vita terrena)357• È comunque chiaro che Ebrei presenta la vita terrena di Gesù senza ambiguità, come fatto reale situato tra la preesistenza e la sua croce, sino alla risurrezione-ascensione. Incarnazione del logos? Non è il linguaggio di Ebrei o, meglio, del Figlio preesistente. =

prendere atto de li ' identità cristiana rispetto ali ' ebraismo e a ogni altra religione, della superiorità di Cristo su ogni aspetto de l i 'ebraismo e su ogni altra religione; urge perseverare nel proprio pellegri­ naggio verso il fine dei tempi e il compimento. Soluzione cristologica, forse intollerante? In verità, Ebrei propone un profilo cristiano di qualità che sia a servizio di un dialogo interreligioso (moder­ no) di qualità. Già A. Feuillet, Le dialogue avec le monde non-chrétien dans /es épitres pastorales et l 'épitre aux Hébreux. Deuxième partie: / 'épitre aux Hébreux, in EsprVie 98 ( 1 988) 1 52- 1 59. 35 3 Osserva la situazione con acume critico di J. Dukes, The Humanity ofJesus in Hebrews, in TEdr 3 1 ( 1 985) 38-45 . 3 54 E va conquistando attenzione anche nei piani di studio delle Facoltà Teologiche presso le quali è da tempo solo una cenerentola. 355 Cfr. già F.J. Schierse, Die irdischen und himmlischen Dinge in der Sprache der heutigen Theo/ogie, in Id., VerheifJung und Heilsvollendung, pp. 60-64 (Excursus: escatologia anticipata). 356 Cfr. F.J. Schierse, VerheijJung und Heilsvol/endung, pp. 40-4 1 . 357 Cfr. R. Williamson, The lncarnation ofthe Logos in Hebrews, in Exp Tim 95 ( 1 984) 4-8 .

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Ebrei è preziosa testimonianza di uno sforzo di autodefinizione (self-defini­ tion) da parte cristiana di fronte al mondo greco-romano e a quello giudaico358. L'autore dialoga con queste culture, e quando propone il nuovo progetto cristia­ no359 se ne avvale, ma non più di tanto: ne è interessato e indipendente (nuovo comportamento ermeneutico). Non così qualche recente preoccupato intervento che, in verità, andrebbe non considerato, a motivo della totale assenza di un apparato critico che prenda atto di una problematica in corso. Ne do tuttavia menzione, perché con il paven­ tato crollo dell 'anglicanesimo360 è connesso a quello dell ' intero cristianesimo. Motivo: un 'addolcita esegesi lo proverebbe là dove Ebrei mostra ben più decise posizioni : se Dio ha parlato definitivamente nel Figlio, dunque lo si ascolti seria­ mente ( 1 ,2). Come a dire: di profeti e giudaismo si può fare a meno ! Quel patto antico, del resto invecchiato, è stato scalzato ! La crisi religiosa cristiana contem­ poranea è dovuta a un difettoso rapporto con la parola di Dio. Se, ad esempio, è detto che esiste un peccato imperdonabile (6,4-6), sorprende che si faccia di tut­ to per rendere perdonabile l ' imperdonabile. Una simile posizione non può che fa­ re del male alla coscienza religiosa e al profilo cristiano. Analoga la questione sul patto : esso è definitivamente chiuso; il Messia re lo ha celebrato sulla croce. L' eucaristia non ne può essere la continuazione, come insegnato da Anglicans e Anglicans Catholics. Sarebbe come dire che quel patto non è ancora chiuso. E co­ sì via su altri argomenti. Rispettabili posizioni di un pastore in apprensione, ma lontano dalla ricchezza di un testo che considera il rischio nella fede come un ar­ ricchimento in essa e il sondaggio della Parola come inesauribile. L'enorme velocità nella vita degli ultimi decenni provoca casi del genere, ma pone al centro la persona di Abramo alla ricerca del senso di Dio e dell 'uo­ mo : crede nell ' incredibile; spera nella città futura; ha creduto che !sacco gli sa­ rebbe stato ridato dai morti. Questo messaggio torna d' attualità nel nostro tempo. Ebrei lo avverte già al suo tempo e lo tratta con sensibilità ermeneutica: sceglie le parole e cura la fraseologia, non abbassa la guardia teologica, anzi l ' intensifi­ ca alla ricerca di un nuovo linguaggio, che persuada. Nel nugolo di testimoni del­ la fede, Abramo ha certo un ruolo centrale361 : continuare a guardare al futuro di Dio, nella speranza. In primis al discendente nella sconfinata discendenza: Gesù il Cristo ( 1 2,2).

358 Cfr. D.F. Watson, Rhetorical Criticism ofHebrews and the Catholic Epistles Since 1 9 79, in CRBS 5 ( 1 997) 20 l . 359 Cfr. A. Feuillet, Le dialogue avec le monde non-chrétien dans /es épftres pastorales et l 'épi­ tre aux Hébreux. Deuxième partie: l 'épftre aux Hébreux, in Espr Vie 98 ( 1 988) 1 52- 1 59. 3 60 Si tratta infatti del contributo del pastore anglicano P. Peterson, The Epistle to the Hebrews and the Decline ofAnglicanism, in Churchman 1 1 4 (2000) 330-345. 361 Si legga utilmente T. Soding, Die Antwort des Glaubens. Das Vorblid A brahams nach Hebr 1 1 , in Communio-IntKathZeit 24 ( 1 995) 404-405 .

EBREI NELLA STORIA

l. Ebrei e il canone della Scrittura

Ovvero, sul l ' approccio canonico di Ebrei? Il quesito è doveroso, dopo la pubblicazione del documento della Pontificia Commissione Biblica (L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa) . In esso si distingue tra metodo ed approccio. In verità, ho difficoltà a cogliere questa distinzione e non vedo la pos­ sibilità di un approccio al testo biblico senza metodo. Capisco invece che il me­ todo biblico è ampio e flessibile e si apre su molteplici approcci. Quello canoni­ co è un « processo o sviluppo progressivo delle Scritture alle quali la comunità credente ha riconosciuto un' autorità normativa » 1 • Esso esamina un documento biblico rapportandolo a quelli che lo precedono e seguono immediatamente, e ad altri ancora, cogliendone armonia e continuità, anche nella discontinuità. Si trat­ ta di un processo di maturazione che suppone il metodo storico-critico di cui l 'approccio canonico stesso è parte integrante. Ed è un buon approccio, se con­ dotto con metodo. Non lo è se intende sostituirsi a esso. Nel caso di Ebrei, l 'ap­ prodo finale è tra lettere pastorali e Filemone da un lato, Giacomo e l Pietro dal­ l ' altro. E altre risonanze vanno ben oltre questi confini immediati2• Seguiamo in sintesi la storia di questo approdo e poi del senso.

a) L'approdo. - Ebrei si muove in circolo paolino? Fin dalle origini questo scritto non ha avuto un posto preciso fra le lettere dell 'Apostolo; questo fatto, men­ tre ne attesta comunque la conoscenza da parte delle Chiese, è riprova che quel do­ cumento è stato a lungo alla ricerca di collocazione. E se i testimoni più antichi, il p46 {= Chester Beatty ca 200) e i codici unciali B (secolo IV), S (secoli IV-V) e A (secolo V), collocano Ebrei dopo Romani, che risulta così annoverata fra le lettere di Paolo, il canone Muratoriano (ca. 200) ignora Ebrei. Preziosa la testimonianza delle versioni: quella Saidica (Romani, l -2Corinzi, Ebrei); la Saidica di Atanasio (Galati, Ebrei, Efesini); la versione Bohairica (lettere ecclesiali, Ebrei, lettere pa­ storali); Teodoro di Mopsuestia (Romani, l -2Corinzi, Ebrei, Galati). Comunque siano andate le cose, anche se questo « trattato » finisce per esse­ re inserito nell 'epistolario paolino, si avverte nei primi secoli che esso non può 1 Cfr. Pontificia Commissine Biblica, L 'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pp. 45-46 che dirime la questione aperta da Brevard S. Childs e James A. Sanders (ivi citati), optando per il suggerimento storico-critico del secondo. 2 Si veda qui la Sezione introduttiva, pp. 66-7 1 .

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Parte terza. Il messaggio teologico

essere attribuito a Paolo. Eppure, in questa storia della sua ricezione, il fatto che Ebrei abbia occupato differenti posizioni nei manoscritti e nelle versioni rivela l 'autorevolezza di un documento percepito in modo diverso. La collocazione di Ebrei dopo 2Tessalonicesi e prima delle lettere pastorali è frequente nei padri greci. Il codice B, che posiziona Ebrei dopo Romani, dà un contributo particolare quando annota ai margini la numerazione di una collezione (più antica) delle let­ tere paoline, dove Ebrei è posta tra Galati ed Efesini . Così : Gal 5, 1 6; Eh l , l ; 3, l ; 4, 14; 6,9; 7, 1 9; 9, 1 1 ; Ef 1 , 1 . Disposizioni flessibili ricorrono anche in versioni come la Sahidica (secoli 11-111)3 ad esempio, dove Ebrei si trova tra 2Corinzi e Galati ; Teodoro di Mopsuestia situa Ebrei dopo le lettere pastorali e dopo la Lettera a Filemone4; ancora diversa è la disposizione di Cassiodoro, Institutiones 14 (Colossesi, Ebrei, l Tessalonicesi5). Il manoscritto latino di Westminste� richiede attenzione. Esso riporta le lettere di Paolo nella seguente successione : Romani, l -2Corinzi, 1 -2Tessalonicesi, 1 2Timoteo, Galati, Efesini, Colossesi, Filippesi, Ebrei, Filemone, Tito. La collocazio­ ne è certa a motivo della formula latina che chiude la lettera precedente (« explicit epistola ad . . . ») e apre la seguente ( « incipit epistola ad »); nel nostro caso: « explicit epistola ad Philippenses; praefatio epistolae ad Hebraeos; explicit epistola ad Hebraeos; incipi epistola ad Philemon ». Ma questo suggerimento è e resta isolato. La versione Siriaca pes itta' riporta Ebrei dopo le lettere pastorali e la Lettera a Filemone ed è seguita dalla Lettera di Giacomo e dalla l Pietro. Questo ordina­ mento influisce su una buona quantità di manoscritti greci posteriori ed è accolto nel textus receptus. Se ne ha testimonianza in Epifanio: « Filemone è la tredicesi­ ma lettera seguita da Ebrei che è la quattordicesima )) 7• Lo stesso ordine ricorre nei manoscritti latini delle versioni Vetus Latina e del­ la Vulgata nelle sue varie edizioni8, forse perché in OcCidente Ebrei non ebbe rapi­ da accoglienza. Quando giunse il momento, Ebrei fu semplicemente immesso nel­ la collezione delle lettere paoline dopo le lettere pastorali e la Lettera a Filemone. Ma non in forma acritica. Il codice Claromontano D2, ad esempio, pone Ebrei in ap­ pendice alle lettere di Paolo, separandola riconoscibilmente da Filemone a mezzo sticometria. Dunque, per D2 vi sono solo tredici lettere di Paolo. Nel manoscritto di Sir T. Phillips, da cui Mommsen riporta la sticometria eplae Pauli XILP, si dice espressamente che le lettere di Paolo sono tredici. Dunque, senza Ebrei. Una pere­ grinatio singolare e molto varia, quella del nostro « trattato )). Risultato: l 'approdo finale di Ebrei è dopo le lettere personali a Timoteo, a Tito e Filemone e prima della Lettera di Giacomo e della l Pietro. Ma per altri, 3 Informa al rigurado B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, p. 3 1 . 4 Cfr. in PG 66,935-95 1 . 5 Cfr. in PL 70, 1 1 25- 1 1 26. 6 Cfr. ancora B.F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, p. 3 1 . 1 Cfr. Epifani o, Adversus haereses, in PG 4 1 ,8 1 0-8 1 1 . Lo stesso Epifanio informa su altre di­ sposizioni come: Ebrei, l -2Timoteo; Lettera a Tito e Lettera a Filemone. 8 Si veda E. Nestle - K. Aland, Novum Testamentum graece et latine (edizione XXVII). 9 Ne riferisce B . F. Westcott, The Epistle to the Hebrews, Macmillan, New York 1 903 Macmillan, London 200 l , p. 32.

Ebrei nella storia

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specialmente in Oriente e oggi ancora, Ebrei non ha posto alcuno negli scritti apostolici.

b) Confronti. - Il raffronto contenutistico con le lettere prima e dopo le qua­ li Ebrei è posto nei primi tempi della Chiesa, è stato offerto nella Sezione intro­ duttiva (Ebrei e il NT). Esso rileva temi propri di Ebrei e temi comuni, che rice­ vono in Ebrei altra elaborazione. Dopo la 2Tessalonicesi e prima delle lettere pastorali, Ebrei risente della linea escatologica di 1 -2Tessaloniscesi e dell 'argomento episkopoi, presbyteroi e dia/co­ noi delle lettere pastorali. In entrambi i casi, l 'elaborazione propria è notevole : l 'e­ scatologia è molto più ampia e dettagliata e si compie nel « regno indistruttibile » ( 1 2,28); con hegoumenoi, Ebrei sintetizza la trilogia delle lettere pastorali favoren­ do una linea meno gerarchica e più carismatica: si tratta di guide carismatiche. E se le lettere pastorali conoscono un orto e una eterodidascalia, Ebrei propone un lo­ gas tes soterias promulgato, confermato, udito, testimoniato da Dio e dallo Spirito (2,3-5), capace di contenere la spinta di « dottrine diverse e peregrine » ( 1 3,9). Gesù Cristo, che è « lo stesso ieri e oggi e sempre >> ( 1 3 ,8), è il nuovo polo di attrazione. Posto dopo le lettere pastorali e la Lettera a Filemone e prima della Lettera di Giacomo, il « trattato » agli Ebrei mostra contatti sul motivo de li ' ospitalità e della visita ai prigionieri (nel caso di Onesimo, il prigioniero è proprio Paolo) e s ' immette con discrezione e chiarezza nel dibattito su fede e opere : una fede che è guida alla scelta delle opere buone e alla vittoria sulle opere perverse. La bontà del matrimonio in l Tm 4,23 è argomento in Eh 1 3 ,4. La celeste Gerusalemme in Ebrei e in Apocalisse, il popolo sacerdotale in Ebrei e l Pietro, il giudizio di Dio e solo di Dio in Ebrei e in Giacomo, ecco al­ trettanti contatti tra il « trattato » e gli scritti del NT che lo precedono e seguono, immediatamente e non. -

c) Apporti nuovi. - La katapausis come riposo di/in Dio e « la nostra assem­ blea (episynagage) » sono due apporti nuovi di Ebrei rispetto al NT: assemblea peregrinante, quella cristiana gusta già in se stessa il riposo di Dio, in marcia ver­ so quello del settimo giorno, il riposo sabbatico in Dio. Il suo è un pellegrinaggio sacerdotale: essa è popolo sacerdotale ( l Pietro; Apocalisse); fa da retro fondo lo Jom Kippflr ormai nuovo, in Gesù, anch'egli sacerdote pellegrino. Infine, ma non è tutto, l 'uso dell ' AT in Ebrei è magistrale, ampio e tipico, catechetico ed epidit­ tico. E poi il metodo, ad esempio, delle antitesi non polarizzate, ma sintetiche: eredità alessandrina, ma con quanta personalizzazione ! Pioniere e perfezionatore della fede, pellegrino nella fede come già il suo popolo nell ' esodo; sacerdote migliore rispetto ad Aronne e Melchisedek, Gesù è Figlio di diritto ed è più degli angeli e di Mosè. La sua vita terrena è teleiosis pro­ gressiva fino al suo apice: la croce, perfezione sacerdotale (altrettanti apporti spe­ cifici di Ebrei al NT). Lo « Spirito eterno » guida il Figlio a decidersi per la croce (9, 14 ); egli giun­ ge alla glorificazione, introdottovi dall 'obbrobrio della croce (2,9), « separato da Dio ! » (choris theou). Armonia del paradosso ! Lontana sintonia con Gv 1 2,23 e 1 3 ,30-3 1 , dove Gesù è glorificato proprio nella crocifissione, ma non con Paolo,

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nel cui pensiero la risurrezione glorifica il Crocifisso. Ma anche per Paolo la cro­ ce, scandalo e stoltezza, è sapienza e potenza di Dio. Apostasia irreparabile? Attenzione acuta e preoccupata solo in Eb 6,4-6 e 1 0,26-3 1 . Ma quell ' ephapax battesimale e pasquale favorisce l ' ironia retorica, un deterrente accorato (mossa strategica acuta). Un ben riuscito adinato. Il patto eterno di redenzione, di cui Eb 1 3 ,20b, è « nel sangue di un'alleanza eterna ». In quanto eterno, quel patto assume in sé i cinque patti nell 'AT qualificati come « eterni »10• Essi puntano lo sguardo in avanti, verso quell 'unico « patto eter­ no >> che doveva dare fondamento alla loro aspirazione eterna. Da parte sua, il patto nuovo guarda indietro a quei cinque patti per dare compimento a quella loro aspira­ zione. Una procedura del genere è del tutto assente in AT e NT prima di Ebrei. Una ricca procedura canonica quella di Ebrei. Che cosa è ancora necessario per dire il profilo unico di questo trattato, la sua imprescindibilità per la teologia del NT, nonché l ' autorevolezza unica del suo autore, tanto noto nella sua profes­ sionalità di fede e cultura quanto ignoto nella sua identità personale?

2. Storia dell ' interpretazione. Ovvero, alcune linee

di Wirkungsgeschichte in Ebrei

La prassi liturgica nelle comunità cristiane attesta un'attenzione a Ebrei che l 'esegesi non le ha invece accordato. Almeno nel passato è stato così. Forse la di­ scussa paternità paolina ha fatto di Ebrei fin dalle origini della Chiesa antica un documento altrettanto discusso; fino alla Riforma, la sua teologia non è stata mo­ tivo di confronto teologico. Oggi, anche l ' esegesi va relativizzando le proprie ri­ serve. Ebrei si prende la rivincita: da cenerentola, è ora al centro di una crescen­ te attenzione critica. Tre elementi immettono Ebrei in un 'accesa discussione : l ' apparente irridu­ cibile severità nei confronti dei /apsi, il suo altrettanto apparente orientamento fi­ losofico (platonico-filoniano) e la concezione innovatrice sul sacrificio. Mentre il primo aspetto è oggetto di animato confronto già nei primi tempi della Chiesa, gli altri due animano il dibattito nei secoli XVIII e XIX, proposti a un pubblico selezionato. Ma una controtendenza non tarda a farsi sentire. Essa vede in Ebrei lo scritto del NT che « va più in profondità di ogni altro >> e offre cibo solido per la crescita spirituale in Cristo. Ebrei è paulinarum epistolarum princeps et regi­ na. Si tratta del pietismo. Una storia dell ' interpretazione (Wirkungsgeschichte) di Ebrei esige atten­ zione ad entrambi gli aspetti. Ne provengono due orientamenti critici: positivo il primo, l 'altro negativo. Essi evolvono mano nella mano.

a) Offre Ebrei ilfianco a una critica negativa ? Alcuni elementi lo lascereb­ bero supporre. Eb l , 1 -2 : « Ieri nei profeti, oggi in un figlio », che è il Figlio. Ciò 10 Precisi fatti biblici : patto noahico (Gn 9, 1 6); abramitico (Gn 1 7,7. 1 3 . 1 9; Is 24,5); sacerdota­ le (Lv 24,8b.9b; N m 1 8, 1 9); davidico (2Sam 23,5; Sal 89,3-4.28-29.36-38) e patto nuovo (Ger 38, 1 34 in Eb 8,7- 1 2).

Ebrei nella storia

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che è stato, resta; ciò che segue, evolve : due momenti in correlazione. Sia il bi­ nomio « tipo-antitipo » sia il tentativo di spiegarli con la trilogia « confronto, di­ versità, superiorità », già opportunamente richiamata, nonché l 'altro binomio « promessa-compimento », non sono un aut aut, ma un et et, ed evolvono nella di­ rezione epidittico-ermeneutico-paracletica, non polemico-antitetica. Eb 8, 1 3 : « Ciò che diventa antico e invecchia è prossimo alla scomparsa >>. Questa dichiarazione ha dato àdito a un certo antigiudaismo ecclesiastico, a un tentativo di dichiarare morto l ' AT, quasi fosse una parte non più efficace della Scrittura; eppure non vi è in Ebrei il benché minimo tentativo di sganciare il cri­ stianesimo dal suo fondamento giudaico anticotestamentario. Esattamente il con­ trario! Non poco il torto fatto a un autore che ha dovuto a lungo subire un imme­ ritato isolamento. Eb 8,5; l O, l ; l O, 1 - 1 0. Il cristianesimo, visto come compimento del giudai­ smo, ha favorito a lungo la tesi della sostituzione di quest'ultimo da parte del pri­ mo; così si dica del culto antico (AT) visto come ombra del culto vero e perfetto capace di redimere (8,5; l O, l ); del sacerdozio aronide (l stadio) fortemente ridi­ mensionato da quello di Melchisedek (II stadio), per non dire sostituito. E poi il sacerdozio di Gesù (III stadio) del tutto nuovo, vero, unico ed eterno : la perfe­ zione che abbatte l ' imperfezione ( 1 0, 1 - 1 0). Fa da retrofondo l ' idea che l 'AT è solo introduzione al NT e conferma tipologico-cristologica per il medesimo. Qui cessa la sua funzione ! Marcata concezione dualistica del tipo aut aut. Eb 2,5 . 1 6; 8,5; 1 3 ,9; 1 1 ,36-3 8; 1 2,24 e Mt 27,25. Chi in Ebrei voleva vedere e sentire un messaggio antigiudaico aveva qui del materiale esplosivo a disposizione: 2, 1 6 (i cristiani vera famiglia di Abramo); 8,5 (tara e circoncisione ridotte di valo­ re); 2,5 (culto degli angeli) e 1 3 ,9 (cibi puri e impuri) sono per i cristiani la riprova dell 'errata religiosità giudaica; se Adamo, Abele, Enoch, Noè e Abramo sono giu­ sti senza tora, anche Melchisedek lo è da vero sacerdote non giudeo, riconosciuto da Abramo; e, poi, quanto si legge in 1 1 ,36-3 8 di profeti maltrattati e uccisi, è ri­ prova del cattivo animo giudaico; Eb 1 2,24 risentirebbe di M t 27,25 ove i giudei chiamano su se stessi la maledizione di Dio ( « Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli »), eppure, quel sangue parla più forte di quello di Abele. Ciò rèlega i giudei nel ruolo di Caino, uccisori del fratello buono, uccisori di Gesù l 'ebreo, il Cristo. Una lettura a dir poco polarizzata. Ma una rilettura critica di questi dati ri­ duce l 'accusa di antigiudaismo in Ebrei, in termini di abrogazione del medesimo. L' antico e il nuovo impongono il principio della correlazione: essi sono così con­ nessi da non poter essere sganciati l 'uno dall 'altro. Di nuovo: non aut aut, ma et et. Con i secoli XX e XXI la questione giudaica in Ebrei ha preso pieghe più ri­ spettose della storia, di Dio e dell 'uomo e della vicenda giudeocristiana legata a Gesù di Nazareth, l 'ebreo. Il concilio ecumenico Vaticano Il, con la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, Nostra aetate, ha soppe­ sato bene la riflessione storico-esegetica. Essa da un lato ha ridotto l ' antigiudaismo cristiano dei secoli precedenti, dali 'altro va correndo il rischio di spostare il bari­ centro del problema sull 'altro versante: un progiudaismo così accentuato da porre a rischio lo specifico cristiano. Non irenismo ma realismo, a tutto vantaggio della verità storica dei fatti.

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b) Paradossalmente, è proprio Ebrei a prendersi la rivincita; quel « trattatO )) attesta a fine secolo I l 'esistenza non di due religioni provenienti dalla stessa radi­ ce, ma di un giudaismo cristiano e di un giudaismo non cristiano; un cristianesimo che ha realizzato in pieno il giudaismo (giudeocristianesimo) e un giudaismo che non ha ancora preso contatto con il cristianesimo. Questa posizione riduce l 'anti­ giudaismo ecclesiastico, fino ad annullarlo. Proprio qui è il merito dell 'autore: por­ si fuori da un'accusa indebita della storia, con le proprie forze. Ha dovuto e saputo attendere che la storia maturasse. Superata questa empasse, il « trattato )) va sempre più imponendosi per la sua positività. La sua Wirkungsgeschichte conosce momen­ ti di qualità già alle origini. Solo alcune rilevazioni. Origine e Girolamo. Per Origine, Ebrei ha non solo un linguaggio superiore a quello di Paolo, ma ancora di più un contenuto (noemata) che pone la « lettera )) in posizione non secondaria (ou deutera) rispetto all ' epistolario paolino 1 1 • Girolamo apprezza nell 'autore un vir ecclesiasticus, uno scrittore della Chiesa che ha scritto aliquid de Scripturis sacris12• Eb 1 ,3 ; 2,9- 1 0. 1 4; 3 , 1 ; 5 ,7-9; 1 3 ,8 ottengono l 'attenzione delle due grandi scuole, antiochena e alessandrina, le quali si dividono sull ' interpretazione di que­ sti passi : per la prima, essi descrivono l ' umanità di Gesù; per la seconda, la sua divinità. Inoltre, essi trattano la cristologia dell ' abbassamento e dell 'esaltazione del Cristo, le sue due nature, nonché la nota questione trinitaria della omousia. In verità, è troppo esigere tutto questo da Ebrei ! Il fatto tuttavia che quelle due scuo­ le vi riscontrino materiale da elaborare, parla a favore del « trattato )). Eb 2,9: chOris theou o chiariti theou? Punto scottante, ancora oggi discusso. Per Origine ( 1 85/ 1 86 - 254/255), sine Deo è la lezione più attestata dai manoscritti a sua disposizione 13, tenuta ancora da Eusebio di Cesarea, Ambrosiaste, Girolamo, Ecumenio. Questa lezione critica è riproposta da A. Harnack, che la fa ricadere pesan­ temente su Eb 5,7. È segnalata in E. Nestle - K. Aland, Novum Testamentum graece et latine (edizione XXVII). Eppure, secoli dopo, Giovanni Damasceno (+ ca. 754) opta per grafia Dei 1 4, segno di un dibattito ancora aperto, e lo è ancora oggi. Per questo mo­ mento scottante nella storia dell ' interpretazione, vedi qui il commento su Eb 2,9. Eb 4, 1 2- 1 3 ; 6, 1 9. Il logos è Dio che parla o è la persona di Gesù? L' appas­ sionata discussione sorta già tra i padri della Chiesa (Origene, Ilario, Ambrogio, Atanasio, Crisostomo) si protrae ancora oggi: le due letture vengono tenute. Ma prevale la prima: quel logos è Dio (4, 1 2- 1 3). Analoga discussione su Eb 6, 1 9 con risultato simile: « L' àncora della (nostra) vita )) non è il Cristo che ha già raggiunto quell 'àncora, ma Dio stesso, fondamento stabile della nostra speranza.· Eb 5,6 ispira non pochi a vedere in Melchisedek la manifestazione dello Spirito santo. Si tratta del movimento dei melchisedekiani 15• Nessuna traccia di questa visuale in Ebrei e nessuna significativa ricezione posteriore. 11

Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 6,25, 1 1 - 1 2 . Cfr. Girolamo, De viris illustribus. Praefatio l . 13 Cfr. Origene, Commentarius in Johannis Evangelium 2, 1 8, 1 23 ( C . Blanc, ed.), Commentaire sur Saint Jean (SC 1 20), Cerf, Paris 1 966, p. 289. 14 Cfr. G. Damasceno (+ ca. 754), In epistolam ad Hebraeos, in PG 95,93 8. 15 Reagisce Epifanio di Salamina, Adversus haereses 55, 1 (GCS 3 1 ), W. De Gruyter, Berlin 1 9802, pp. 324-325. 12

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Eb 5,7-9. Marcata sottolineatura dell 'umanità del Figlio, esposto a sofferenza e morte. Vi si appoggiano, ad esempio, intorno al 200 d.C., i monarchiani, i quali ritengono il Cristo un uomo riempito di potenza divina16• Anche i docèti inciampa­ no in questo passo. Ma la linea gesuologica elaborata dall 'autore 1 7 era in grado già allora di motivare equilibrati dibattiti. Sta di fatto che la Wirkungsgeschichte dove­ va fare il suo corso. Oggi, è dato esegetico certo. Eb 6,4-6. La questione dei /apsi trova in Filastrio di Brescia e in Epifanio18, attenti e rigorosi osservatori : i lapsi non vanno riaccolti. Vi si riportano i nova­ ziani (con seguito ecclesiastico fino al secolo VII). Testo base a sostegno della lo­ ro posizione: Eb 6,4-6. Tertulliano « premontanista » invece1 9 ammette una se­ conda penitenza dopo il battesimo, escludendone, soltanto da « montanista )), lussuriosi e impudichi. Si avvale di Eb 6,4-6, in De pudicitia 2020• Egli impugna così il Pastore di Erma che favorisce, a suo avviso, una rischiosa tendenza ireni­ ca a favore dei /apsP-1 • Lo sviluppo successivo del dibattito giunge a riammettere i /apsi proprio in forza di Eb 6,4-6, dove anakainzein (rinnovare) - la voce ver­ bale che è pietra di inciampo - viene riferito al battesimo celebrato una volta so­ la. Un secondo battesimo resta dunque escluso. Giovanni Crisostomo (344-407) dedica trentaquattro omelie a Ebrei. Nella questione dei lapsi è testimone autore­ vole della loro ri arnmissione, senza necessità di un secondo battesimo. Questa li­ nea prende con lui definitivamente piede. Fino a oggi. Ali ' attenzione riscossa da Ebrei in epoca medioevale s ' interessa D.E. Riggenbach con uno studio sui commentari latini di quel periodo (Historische Studien zum Hebriier, Leipzig 1 907); C. Spicq scrive un articolo su Eb 1 1 in Tommaso d' Aquino ( 1 947); H. Feld (Der Hebriierbrie/ [ 1 985], p. 56) rileva la tendenza medievale, mi sembra sostenendo la, a vedere in Ebrei il fondamento del papato come monarchia sacerdotale regale ! Caietano, Epistolae Pauli et a/iorum Apostolorum ad graecam veritatem casti­ gatae . . . et juxta sensum literalem enarratae, Venezia 1 53 1 , pp. 1 56- 1 72. Pensiero solido e conciso, in poche pagine. Il titolo fissa l 'angolo di osservazione: la verità greca (il pensiero ellenistico cioè), alla quale l ' interpretazione dell 'epistolario pao­ lino e quella di Ebrei sarebbero obbligate. Tra le posizioni avanzate rispetto a quel­ le del suo secolo, questa anticipa un momento metodologico oggi del tutto acquisi­ to. Ne potrebbe essere il pregio. Tuttavia, il commentario juxta sensum literalem su Ebrei è di qualità inferiore ad altri commentari dello stesso Caietano.

Cfr. lppolito di Roma, Refutatio omnium haeresium ( elenchos) 7,36, 1 (M. Marcovich, ed.), (PTS 25), W. De Gruyter, Berlin - New York 1 986. 17 Per essa, rinvio qui al Messaggio teologico, pp. 665-675. 18 Vedi Filastrio di Brescia (350 d. C.), Diversarum haereseon liber 89,3, in CC 9,256, che si avvale di Epifanio di Salamina, Adversus haereses 59,2, 1 (GCS 3 1 ), W. De Gruyter, Berlin 1 9802 , p. 365. 1 9 Cfr. Tertulliano ( 1 60-223), De poenitentia 7,2, 1 0- 1 4; 1 2,8, in CSEL 76, 1 57. 1 59- 1 60. 1 69- 1 70. 2° Cfr. rispettivamente in CSEL 20,227-228 e in CSEL 20,266-267. 2 1 Si veda, ad esempio, N. Brox, Der Hirt des Hermas, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 99 1 , pp. 546-549, sul battesimo e sul suo valore unico e irripetibile di rigenerazione permanente (il carattere - sphragis to hydor estin), nel Pastore di Erma. Similitudini 9, 1 6,4; cfr. anche lbid. 8, 1 , 1 1 1 ,5, sul l ' enorme potenziale della penitenza. Cfr. N . Brox, Der Hirt, pp. 345-375. 16

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Parte terza. Il messaggio teologico

La Riforma si fa attenta a Ebrei con un dibattito su 2,7, un 'attendibile chia­ ve di volta nel « trattato >>. In verità, il confronto fra gli umanisti su Eb 2, 7 si era già acceso: Cristo è per poco (LXX) - di poco (TM) inferiore agli angeli. Nella discussione, Erasmo da Rotterdam è il più efficace rappresentante. Si può dire che in questo momento nasce la ricerca scientifica su Ebrei e non si arresta più. Martin Lutero esalta Ebrei per la sua cristologia: la « lettera » è cristocentri­ ca, è una esposizione sul sacerdozio di Cristo, è una competente esegesi dell ' AT. In essa il riformatore trova il fondamento alla sua Schrift-Theologie, ritenuta og­ gi un indubbio apporto ali 'esegesi. E che Ebrei sia stata a lungo una cenerentola nel NT è per G. Calvino indubbia opera satanica. Quale altro documento attesta il sacerdozio di Cristo e l 'unicità del suo sacrificio redenti vi nella morte? Una verità base : Cristo è la fine (o il fine?) della legge . Un tesoro da tenere alto22 ! G. Calvino, sorprendentemente, va oltre. Eucaristia in Ebrei? L'autore non ne parla espressamente. Ma per G. Calvino, sì. In caso contrario, Eb 9,20 registre­ rebbe parole vuote per un patto vuoto. Il sangue dell ' alleanza sarebbe un segno sterile. Ma non può essere così. Nel nuovo patto, quel sangue è neli ' eucaristia. Non riconoscerla, significherebbe togliere l ' anima al sacramento. Per Eb 1 0, 1 5 poi quel sacrificio è unico ed è celebrato una volta per sempre (9,26; 1 0, 1 4) dal­ l 'unico sommo e vero sacerdote. Nuovi sacrifici celebrati da nuovi sacerdoti non sono dunque pensabili. Un pensiero polemico nei confronti del cattolicesimo che però, nel frattempo e dopo il concilio ecumenico Vaticano Il, ha già raggiunto po­ sizioni più riflettute in materia. Oggi, un simile confronto appartiene al passato; Gesù stesso continua a offrire il sacrificio redentore (5,7. 1 4.25.28; l O, l 0. 1 4) ce­ lebrato una volta per tutte, cioè in continuità (7 ,27; 9, 1 2 ; l O, l 0). Se l 'eucaristia è un sacrificio, va inteso solo così : non una Siihnetheologie o Meftopfer (teologia dell 'espiazione; troppo poco, anche se già molto ! ), ma un patto nuovo ed eterno, una teologia della redenzione e della salvezza (Er/Osungs- e Heilstheologie). Già Agostino23 è di questo parere quando si riporta a Eb 7,26-28 per dire che il me­ diatore è uno e unico, Gesù l ' apostolo (3, l ), egli solo ha dischiuso ai suoi fratel­ li la strada verso l 'àncora di salvezza, Dio. I sacerdoti della nuova alleanza lo so­ no solo nell 'unico sacerdote, rendono visibile il suo sacerdozio e celebrano la sua celebrazione. Qui, come in altri punti, Ebrei mostra di possedere un potenziale critico notevole, per la crescita della comunità ecclesiale. Per l ' ortodossia, Ebrei è alla base dei tre poteri sacerdotali di Cristo : profe­ ta, re, sacerdote. E credo anche per il cattolicesimo. Quella trilogia immessa nel­ la celebrazione del battesimo, sacramento della iniziazione cristiana, non può ve­ nire che da Ebrei. Oggi, Ebrei continua a trovare accoglienza più nelle comunità ecclesiali che fra gli studiosi. Molti canti liturgici e preghiere le si ispirano. Ma anche questo fe­ nomeno va appartenendo sempre più al passato. Alle comunità liturgiche cristia­ ne manca infatti una visione solida e d' insieme. Essa è possibile con il contribu22 Cfr. Corpus reformatorum 83,5. 23 Cfr. Agostino di lppona, Contra epistulam Panneniani 2,7, 14; De peccatorum meritis et remis­ sione 2, 13, 1 9. Cfr. Enchiridion patristicum; vedi A. Vanhoye, Hebriierbrief, in TRE ( 1985) 14,502,47-50.

Ebrei nella storia

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to dell 'esegeta. Questo lavoro è in corso; grazie a esso, Ebrei cresce in credibi­ lità: dali ' AT, libro caro e irrinunciabile per la comunità cristiana, a gesuologia, cristologia e soteriologia, pneumatologia breve e intensa, ecclesiologia; e poi, a un sacerdozio efficace nuovo e unico; a un patto pasquale senza soluzione di con­ tinuità, dali ' antico al nuovo. Accanto a Giovanni e Paolo, l ' autore di Ebrei va conquistando un ' arricchente posizione teologica nel NT: accanto a essi, non nel­ la penombra della loro ombra24•

24 Sulla Wirkungsgeschichte in Ebrei, dati ulteriori in E. Grasser, Hebriier, vol. I, pp. 32-38.

LESSICO METODOLOGICO E BIBLICO-TEOLOGICO

l . RETORICA E STRUTTURA LETTERARIA

Adinato (adynaton)

Singolare aspetto dell ' iperbole: enfatizza al massimo un pensiero o una si­ tuazione, portandola fino alla impossibilità. In verità, chi se ne avvale intende esprimere solo la parvenza dell ' impossibile. È il caso di Eb 6,4-6 : è impossibile che l 'apostata possa riorientarsi verso la conversione. Una ironia retorica che in­ tende dire: è possibile. L' adinato è figura retorica. Nel caso in questione, può es­ sere accostata al pasUI giudaico. Allitterazione, assonanza

Ripete la stessa consonante o la stessa sillaba ali ' inizio di parole contigue; anche gli inizi vocalici di parola possono dar luogo a un' allitterazione. Aforisma

Sentenza breve ad alta concentrazione di contenuto, un postulato di per sé noto, in grado di parlare al lettore in forma immediata. In Eb 9, 1 5-28 ne ricorro­ no tre: dove c'è un testamento è necessaria la morte del testatore (9, 1 6); ogni sa­ cerdote è per offrire doni e sacrifici (8,3) e senza versamento di sangue non c ' è perdono dei peccati (9,22); l 'uomo muore una sola volta, dopo d i che c'è il giu­ dizio (9,27). Allusione

Accenno indiretto a ciò, o a chi, non si nomina apertamente. Chi se ne avva­ le suppone che il destinatario sia in grado di decifrarla, a motivo della sua cultu­ ra generale da lui supposta. I riferimenti indiretti, del resto, puntano su tratti ca­ paci di caratterizzare il contenuto dell ' allusione. Amplificazione (auxésis)

Procedura retorico-argomentativa. Lo scrittore che se ne avvale aumenta la strumentazione probante, allo scopo di ottenere una maggiore adesione al conte­ nuto dell 'argomentazione stessa.

Lessico metodologico e biblico-teologico

73 7

Anafora (anaphora)

lterazione, ripetizione di una parola all ' inizio di enunciati in forma succes­ siva. Tale ripetizione non è in senso stretto, ma per lo più connessa a variazioni in climax ascendens (« Beati . . . », in Mt 5 ,3- 1 2 ; « per fede . . . », in Eb 1 1 ). Analessi-prolessi

Analessi o regressio-reditus (in greco, epanodos) è il ritorno là da dove si è partiti, dopo aver raggiunto però la mèta; pro/essi o progressio è nuova partenza dalla mèta raggiunta verso una nuova mèta. Pro/essi e analessi sono in posizione speculare. Ebrei ne usa magistralmente. Antanàclasi

Un interlocutore rigira un 'espressione usata dall 'altro, dandole un senso di­ verso. Antitesi ( antiteto, antitheton)

Contrapposizione di idee in espressioni letterarie corrispondenti o contrap­ poste : l 'ombra si mette in luce. L' accostamento può avvenire tra immagini o per­ sone o altro ed è per lo più di tipo logico. L' aspetto antitetico può restare preva­ lente e può anche avere un risultato sintetico. Quest'ultima procedura appare privilegiata in Ebrei (cfr. chiasmo). Aposiopesi

Esprime reticenza voluta; tiene sospeso l ' animo di chi ascolta, facendo emergere la difficoltà di trovare le parole adatte. Un esempio ricorre in Eb 7,20: l 'autore lascia il lettore in sospeso, in attesa di conoscere quale sia il giuramento di Dio a favore del « sommo sacerdote » della nuova alleanza. Apostrofe, aversio (apostrophe)

Svolta improvvisa nel discorso; chi parla si rivolge direttamente a persona diversa dal destinatario. Lo scopo è suscitare il pathos onde ottenere la parteci­ pazione emotiva dell ' uditorio o del lettore e la conseguente mozione. Con l 'apo­ strofe, chi parla si riporta a cose già dette (analessi) e ne può anticipare di nuove (pro/essi) . Apusia-parusia

Letteralmente : assenza-presenza, per lo più spaziotemporale. Ricorre nei prescritti e poscritti del genere epistolare antico e anche neotestamentario. Esprime il rapporto tra mittente e destinatari, ossia il desiderio del primo, assen­ te per progetti di viaggio, di tornare a rivedere i suoi. Esprime amicizia (filofrò­ nesi) e contribuisce a definire il profilo tra mittente e destinatario.

738

Lessico metodologico e biblico-teologico

Argomentazione ad hominem

Prova o argomentazione retorica. Lo scrittore rètore entra in diretto contatto con l ' interlocutore (ascoltatore presente o anche lettore assente) allo scopo di coinvolger­ lo nella procedura argomentativa, accordandogli magari anche delle concessioni onde accattivarsene la benevolenza (captatio). Il tutto torna a vantaggio della tesi voluta. Asindeto

Coordinazione slegata, sciolta, che sopprime le congiunzioni tra gli elementi di una proposizione oppure tra proposizioni che hanno pari valore sintattico per dare maggiore rapidità ed enfasi alle frasi, nonché maggiore centralità (cfr. polisindeto ). Assonanza (---+ allitterazione) Axiologia

Determina la scala dei valori e dei non valori, onde mettere a punto quelli normanti per l 'esistenza. Biasimo (---+ elogio, encomio) Brachilogia

Tecnica della brevità. Ne è caratteristica la riduzione del discorso ali ' essen­ ziale. Il sermo brevis è apprezzato per il nerbo e l 'efficacia incisiva, ma la chia­ rezza non ne deve risentire. In Ebrei ricorre sporadicamente. È invece più fre­ quente il contrario: la ripetizione ellittica. Captatio benevolentiae

Strategia retorica di chi indirizza la propria argomentazione, orale o scritta, a destinatari dai quali intende ottenere condivisione persuasa per la propria tesi. In Ebrei ricorre ovunque l 'autore si avvale della forma « noi », quando cioè an­ novera se stesso fra i destinatari della propria paràclesi. Chiasmo (antimetbole)

Disposizione speculare in forma di X (chiazo), una sorta di permutazione nell 'ordine delle parole, onde ottenere un capovolgimento di senso (chiasmo an­ titetico) o un approfondimento (chiasmo sintetico). Tutte le parti che lo compon­ gono devono dare luogo a una figura letteraria del tipo a-b-b' -a' . Il peso retorico del chiasmo esige che tutti gli elementi che lo compongono espletino un ruolo ar­ gomentativo. Climax, gradatio

Procedura continuata, a scala, per gradini, soffermandosi su ognuno di essi, prima di accedere al gradino successivo. Si determina come un'ascesa, o anche

Lessico metodologico e biblico-teologico

739

una discesa, dove il gradino seguente sviluppa il precedente, agganciandosi a es­ so in un punto comune. Graficamente così : a/a-b/b-e . . . Commoratio (epimone)

Indugio, insistenza su un pensiero attraverso la ripetizione frequente, eppu­ re non ripetitiva, delle idee che lo trasmettono. Lo scopo è inculcare negli inter­ locutori ciò che si desidera sia da essi ritenuto. Compositio (struttura, disposizione)

Unità letteraria, strutturata dagli elementi diversi che la compongono: chia­ smi, assonanze, ritmo, parole chiave o parole gancio, allusioni, particelle di con­ giungimento . . . Tale unità si lascia di norma inquadrare in uno schema: ad esem­ pio, a-b-c-d-c ' -b ' -a' e simili. Confronto (synkrisis)

Raffronto tra realtà varie (cose, valori, persone, formule letterarie) allo sco­ po di mettere in luce la superiorità o l ' inferiorità dell 'una sull 'altra. È una effi­ cace procedura retorico-argomentativa: confronto, diversità, superiorità (Entsprechung, Andersartigkeit, Oberbietung). Ebrei se ne avvale ampiamente. Correctio (epanòrtosi)

Figura retorica. Intende ottenere un cambiamento (metanoia). Allo scopo, procede per contrapposizione e miglioramento. Ebrei conduce la correctio magi­ stralmente, tra aversio e captatio. Digressio o digressione

Distacco (aversio) momentaneo dali 'argomento che si sta trattando per svi­ luppare temi concomitanti, per inserire spiegazioni, narrare episodi atti a chiarire particolari dell 'argomento principale. Dispositio (ta.xis, struttura, composizione)

Strutturazione della comunicazione retorica in momenti vari. I due essenzia­ li sono la propositio da provare e la/le relative probationes o argumentationes, corredate da amplifìcationes e refutationes. Ellissi (el/eipsis)

Una proposizione è ellittica quando è sottinteso il soggetto, il predicato o un altro elemento, comunque facilmente intuibili dal contesto immediato. Ne risulta uno stile più semplice e scorrevole. La ellissi è una figura retorica. Elogio, encomio

Specie retorica del genere epidittico o dimostrativo: attraverso l 'esaltazione delle virtù, si ripropone scopi pedagogici e mira a influire positivamente su una

7 40

Lessico metodologico e biblico-teologico

situazione presente. Lo stesso si dica del suo contrario, il biasimo. Un caso unico per contenuto e ampiezza ricorre in Eb 1 1 , 1 -40: l 'elogio della fede. Endiadi

Figura retorica. Accosta due termini come in uno solo, volendo così espri­ merne il valore unico in essi contenuto. Una cosa invece di due: strada polvero­ sa invece di strada e polvere. Entimema (enthymema)

Procedura retorico-argomentativa che omette una delle premesse o delle con­ clusioni perché nota o facilmente intuibile. Si coniuga bene con la brachilogia. Enfasi

Dare a intendere più di quanto non si sia espressamente detto. Pregnanza di significato. Epanalessi, ripetizione

Figura retorica che ripete una o più parole nello stesso periodo, allo scopo di rafforzare un pensiero e dare maggiore chiarezza al discorso. Epidittica

Genere retorico dimostrativo tipico di un contesto di virtù e del loro contra­ rio. Le specie del genere epidittico sono l ' elogio e il suo contrario, il biasimo. La procedura epidittica in Ebrei è pressoché continua, specialmente là dove l 'autore si avvale dell ' AT per provare l 'avvenuto passaggio nel NT, nella continuità. Esagerazione (deinosis)

Ingrandisce una situazione, onde ottenere uno scuotimento salutare capace di preservare da un ' infedeltà, ad esempio dall 'apostasia, a motivo di un indeboli­ mento nella fede. Potrebbe essere il caso dell ' ironia retorica in Eb 6,4-6.7-8.9- 1 3 . Etopea

Figura appartenente alla tecnica della descrizione di qualità etiche, virtù e vizi, di comportamenti di una persona con i mezzi della retorica. Caso chiaro in Eb 7, 1 -3 è il profilo di Melchisedek. Hapax (legomenon)

Indica sostantivi, aggettivi, forme verbali o brevi formule letterarie che si leggono « una volta sola >> o anche più volte, solo in quell 'autore, ad esempio in Ebrei, o anche in una intera parte della Bibbia, ad esempio nell ' AT o nel NT (cfr. Una volta per tutte).

Lessico metodologico e biblico-teologico

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Inclusione (epan adiplosi) o ciclo

Ricorrenza di una o più parole in posizione ravvicinata (parva inclusio) o di­ stante (magna inclusio), ali ' inizio, nel corso e alla fine di un tracciato letterario o segmento testuale. Graficamente: a-a' -a" . lperbole (hyp erbole)

È una figura retorica. Tende ad ampliare, magari anche a esagerare, un valo­ re allo scopo di renderlo più incisivo e appetibile (- esagerazione). l poti posi

Descrive in modo particolarmente vivace un fatto o un oggetto: pone davan­ ti agli occhi, in evidenza, l 'oggetto della comunicazione mettendone in luce parti­ colari caratterizzanti, per concentrare su di esso l ' immaginazione dell ' ascoltatore. Isocòlo (isocolonna)

Equivalenza, nella struttura sintattica e nella sua ampiezza, di periodi, frasi e loro membri. Se ne ha un esempio in Eb l , 1 -4. Chiasmi e strutture possono ab­ bondare neli ' isocolonna. Litòte

Perifrasi che esprime la negazione del contrario: grande, non piccolo. Non di rado il tono è ironico. Talora la litote è eufemistica. Metafora

Cambiamento di significato di una parola o di una locuzione. Immessa in una argomentazione, essa fonde in sé al tempo stesso un valore descrittivo e uno tematico. Metonimia (m etonom azein)

Figura retorica che tende a connettere il valore voluto con un suo traslato, fo­ calizzandoli entrambi: il contenente per il contenuto, ad esempio. Se ne ha un esempio in Eb 1 , 1 -2, dove l 'autore sembra voglia sostituire l ' intero AT (padri e profeti) con il NT (figlio). In verità, egli li esprime entrambi e li pone bene in connessione, sì che l ' AT sta per il NT e il NT per l ' AT. Ossimoro (oxymoron)

La parola greca dice acuta follia. Unione paradossale di due termini antite­ tici, dove uno dei due esprime il contrario del senso de li ' altro. (La vita degl ' im­ mortali è morire). ParaUelismo

Collocazione in parallelo di forme, parole, suoni, forme grammaticali, strut-

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Lessico metodologico e biblico-teologico

ture sintattiche, cadenze ritmiche. Ricorrono nel discorso a tutti i livelli della sua strutturazione. Parentesi

Inserzione di un segmento di discorso, di ampiezza varia, entro un enuncia­ to. Scopo: focalizzare un valore. Ebrei se ne avvale con parsimonia. Parusia-apusia ( ---+ ap usia-parusia) Paronomasia

Figura retorica prodotta dali 'accostamento di due parole che hanno l ' aspet­ to formale simile, ma il significato differente. Ebrei se ne avvale quando cita dali ' AT, introducendo varianti utili al suo scopo. Se ne ha un caso molto chiaro in Eb 8,7- 1 2 . Percursio

Figura retorica che accentua l 'essenziale attraverso una congerie di espres­ sioni brevi e concitate, una corsa veloce che evita di perdersi in narrazioni so­ vrabbondanti, per non annoiare l 'ascoltatore; narrazione di avvenimenti concisa, onde poteme valutare immediatamente la portata. Ne risulta come un sommario, una rassegna rapida ed essenziale di fatti e avvenimenti. Polisindeto

Coordinazione mediante congiunzioni ricorrenti. Suo contrario è l 'asindeto. Poscritto

Nel genere epistolare è chiusura di una lettera. Trasmette i saluti finali. Se l 'autore vi riprende elementi già trattati con scopo persuasivo, quel poscritto ha il peso di una peroratio. Prolessi-analessi (---+ analessi-prolessi) Retorica

Quella classica e la nuova retorica sono una tecnica comunicativa, un modo (persuasivo, elegante) in cui ci si esprime; una scienza del discorso e un insieme di norme che ne regolano l 'efficacia. Nella Bibbia ogni discorso presenta una dispo­ sizione (taxis) letteraria il cui scopo è comunicare. Aperta da un esordio e chiusa da un epilogo, quest'ultimo arricchito di frequente da una peroratio, detta disposizio­ ne si articola attorno a tre elementi : l 'oratore-scrittore, il discorso-testo, l 'uditorio­ destinatario. Da qui tre fattori di persuasione: ethos o autorevolezza dell 'oratore­ scrittore; logos o argomentazione e contenuto del discorso; pathos o emozioni suscitate nel destinatario. Finalità da raggiungere : persuadere senza imporre.

Lessico metodologico e biblico-teologico

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Ritmo

Elemento essenziale della compositio poetica e in prosa. Nella lingua greca classica, e anche nel greco ellenistico di Ebrei, consiste nella successione regola­ ta delle sillabe lunghe e di quelle brevi. Simmetria

Parallelismo nella struttura della frase, in genere con membri di eguale am­ piezza. Con anafora, polisindeto, paratassi, appartiene alle figure della ripetizio­ ne. Contribuisce alla costruzione di una compositio letteraria. Sineddoche (synekdoche)

« Quando il tutto di una cosa viene conosciuto da una piccola parte o una parte dal tutto ». Così lo Pseudo-Cicerone, La retorica a Gaio Erennio 4,33 ,44. La sineddoche è figura retorica.

2. JUDAICA A fortiori

Argomentazione retorica nella letteratura greco-romana e anche giudaica. La procedura dimostrativa è logica e procede dal meno al più, dal minore al mag­ giore (cfr. qal wiibomer). Se ne ha un caso in Eh 1 2,9. Haggada

Penetra profondamente nello spirito della Scrittura sacra fornendone l ' interpre­ tazione spirituale ed edificante (70% della tradizione giudaico-rabbinica), esortando a comportamenti conformi alla giustizia prevista dalla halaka. (30% della .tradizione). Suo scopo è dare forza e conforto al popolo giudaico nelle sue sfavorevoli vicende sto­ riche. Anche l 'esegesi può essere haggadica. Questa procedura si avvale spesso della leggenda. Abbonda nel midrash. Ebrei ne mostra buona conoscenza (cfr. 'aggada). 'aqeda

Legare. Ricorda il sacrificio di Abramo e Isacco ed esprime la teologia che ne deriva. Ebrei mostra simpatia per la 'aqeda: vi ravvede Gesù « legato » sulla croce. Lo stesso stile della vita cristiana è un legarsi a Dio. 'amidli (cfr. §mo neh 'E5reh) Binyan ab (m issene ketub im)

Terza delle regole (middot) di Hillel: un principio halakico contenuto in una o due norme bibliche diventa principio generale per tutti i passi giuridici a quelli riconducibili (inventio rerum) .

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Lessico metodologico e biblico-teologico

Gezerah shawah

Seconda delle sette regole (middot) esegetiche di rabbi Hillel. Letteralmente, principio di equivalenza. È basata sull ' analogia semantica e/o lessicale di termini presenti in due testi differenti. Si tratta di spiegare un testo biblico meno chiaro o ambiguo con l 'ausilio di parole identiche ricorrenti in altri testi biblici, in più chia­ ro contesto. Un buon esempio in Es 2 1 ,2, spiegato con Dt 1 5,2. Ebrei conosce que­ sta midda. Haggada

Termine, in genere, specifico per dire il Seder (ordinamento) della pasqua e il relativo rito della celebrazione liturgica. Ha/alca

Interpretazione giuridica della Scrittura sacra. Parte giuridica della letteratu­ ra giudaica (30%). Materiale halakico è ampiamente presente in Ebrei. Sorprende la capacità magistrale dell ' autore ad estrarne valori haggadici, ad esempio in Eb 7, 1 -28 ( --+ haggada). Jom ha kippurim

Giorno annuale delle espiazioni, le cui origini risalgono alla missione affidata da Dio a Mosè (Lv 1 6, 1 -34). Gli sviluppi rituali successivi sono in Joma (Mishna) e nel Talmud. Veniva celebrato cinque giorni prima della festa dei Tabernacoli. Condizioni: riposo assoluto dal lavoro e digiuno assoluto tra le due sere consecuti­ ve. Punto culminante era l ' ingresso del sommo sacerdote, solo in quel giorno, nel « santo dei santi » per aspergere il coperchio dell 'arca dell 'alleanza (kapporet) con il sangue dell 'animale offerto in olocausto e del capro espiatorio, vittima offerta per le infedeltà proprie, della classe sacerdotale e del popolo intero. Dopo la distruzio­ ne del tempio, quel rito penitenziale è sostituito dalla confessione dei peccati se­ condo quanto fissato nella « preghiera della festa (�pii/a)». '

Kelal uferat ukelal (il generico, lo specifico, il generico)

Sesta delle sette regole (middot) esegetiche di Rabbi Hillel: se il generico è seguito dallo specifico e questo a sua volta dal generico, la valutazione deve se­ guire lo specifico. Un buon esempio in Es 22,8. Può corrispondere alla figura re­ torica della sineddoche: la parte per il tutto, il tutto per la parte. In Eb 1 2,9 si ri­ scontra l 'uso di questa regola combinata magistralmente con la prima midda di Hillel (--+ qal wii/:lomer = a fortiori). Mekhilta

Commentario midrashico-halakico ( --+ halaka) dell ' Esodo . Epoca dei Tannaim, i maestri delle scuole rabbiniche (Ysibot) nei primi due secoli. Sono gli autori (orali) della Mishna e della Tosefta.

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Midrash (daras, cercare)

Aspetto particolare dell 'esegesi rabbinica. Ricerca il senso profondo della Scrittura in vista di un commento giuridico e/o spirituale, onde dedurne applica­ zioni diverse per la vita religiosa. Si ha un midrash haaggadico o narrativo, a ca­ rattere omiletico-spirituale, e un midrash halakico o etico, che dà rilievo alla va­ lenza legale della Scrittura. È normato dalle regole ermeneutiche di Rabbi Hillel o di Rabbi Eliézer. Mishna (sana, ripetere)

Compilazione della legge orale in sei ordinamenti (sedarim), curata da Rabbi Giuda a Tiberiade ali ' inizio del terzo secolo. La radice verbale sana si ri­ ferisce allo studio della legge (halaka) per ripetizione frequente e mnemonica, se­ condo l 'esortazione di Rabbi Hillel: « Rivedere una lezione cento volte è molto meno che rivederla cento e una volta » ( Chagiga 9b ). Piisiìl (piisìil)

Non idoneo, tagliato fuori dal culto, respinto da Dio. È il caso Esaù e Ruben­ Bilt)a. Descrive la dignità rituale perduta. Electio et rejectio Dei et ri-electio. Nel Talmud ha il senso di squalificato. Non poter fare parte del tempio e del suo alta­ re. Sembra essere la chiave di lettura per Eb 6,4- 1 2 . Piler (piiSiir, interpretare)

Termine ebraico con l ' accezione di commentario, interpretazione, senso. Usato già nel TM, oggi indica sempre più i commentari dei libri biblici rinvenuti a Qumran; commento-interpretazione di Abacuc, ad esempio. Il commento è mi­ drashico ed è condotto stico per stico. La tendenza è attualizzare il testo biblico. Pesiqta Rabbati (secolo IX)

Raccolta midrashica di discorsi omiletici in occasioni di feste (della luce l Mànnukka, della pace) e di particolari sabati. È detta rabbati (più ampia) per di­ stinguerla dalla Pesiqtà di Rav Kahana (secolo VI). Tradizione rabbinica. Qal wiihomer

È la prima delle sette regole (middot) previste dal canone di Rabbi Hillel per l ' esegesi giudaica. Risponde ali ' argomentazione retorica a fortiori. Procede dal minore al maggiore, dal meno al più. Quanto vale per il meno, vale anche per il più. Se ne ha un beli 'esempio in Eb 9, I l : la tenda meno perfetta; la tenda più per­ fetta. seti�ot

Preghiere intese a ottenere il perdono. Venivano recitate il giorno preceden­ te lo Jom ha kippùrim.

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�kina

Esprime la maestosa presenza di Dio fra gli uomini, anche nel senso della sua autorivelazione. Più ancora al tempio. Semoneh 'E§reh (o 'amida)

Diciotto benedizioni recitate tre volte al giorno. Di alcune di esse, antiche, si ha il parallelo in Ben Sira. Altre vanno ascritte agli esperti di Jamnia. Sifra

Il libro. Commentario giuridico del Levitico a opera dei Tannaìm. Sifre

I libri. Commentario giuridico di Numeri e Deuteronomio, a opera dei Tannaìm. Talmud (lamad, ricevere un insegnamento, insegnare)

La Bibbia insegna: ta lmud tora; i rabbini insegnano. Due le raccolte dei loro insegnamenti sulla tora e sulla Mishna : palestinese (p . Talmud) e babilonese (b. Talmud). Entrambi elaborano gli insegnamenti più belli e nobili della Bibbia ebraica sulla vita in tutte le sue fasi umane e religiose. Composte dalla Mishna ebraica e dalla Gemara (commentario) aramaica, i due Talmud sono il risultato dell ' attività accademica dei Tannaim e degli Amoraim, a partire da Hillel e Shammai fino agli inizi del secolo VI. Il b. Talmud è stato la fonte primaria per l ' educazione umana e religiosa degli ebrei fino al secolo VI. Il p. Talmud è meno ampio per un terzo del b. Talmud ed è di più difficile comprensione. Targum (traduzione)

Traduzione aramaica della Bibbia ebraica, già dai tempi della letteratura rab­ binica. Fu introdotta da Esdra nella liturgia, allo scopo di rendere comprensibile la Bibbia ebraica al popolo, specialmente alle donne. Dopo la deportazione in Babilonia, infatti, gli ebrei furono costretti ad apprendere la lingua del luogo, l 'a­ ramaico appunto. Tosefta (aggiungere, completare)

Tradizioni tannaitiche, aggiunte a complemento della Mishna secondo il suo stesso ordine. Curata da Rabbi Giuda, la Tosefta mira a risolvere casi concreti in base ali 'ordinamento mishnaico. 3. LETTERATURA BIBLICO-TEOLOGICA Abitazione (casa, oikos)

Noi siamo la casa di Dio, i suoi, la sua famiglia. Noi non abbiamo qui una città (casa, abitazione) permanente, la nostra abitazione-casa vera è il cielo.

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L' esposizione è articolata sul dualismo (alessandrino) terrestre-celeste. Ali 'architettura della casa si ha qui solo una pallida allusione. Ebrei pensa molto di più al regime familiare; spingendosi poi oltre il medesimo, raggiunge il senso teologico. Si legga Eb 3 , 1 -6. Abramo

Gesù il Figlio si prende cura della stirpe di Abramo, non degli angeli. È for­ za trainante nella fede. Per fede è pronto ali ' immolazione di !sacco, il figlio del­ la promessa. Dio fa la promessa ad Abramo giurando per se stesso. Con paziente attesa nella fede, Abramo consegue la promessa. Per quanto depositario della promessa, Abramo riceve la benedizione da Melchisedek con il quale condivide la decima del suo bottino migliore. In Abramo, anche Levi versa la decima a Melchisedek, non della tribù di Levi. Chiamato, parte per l ' ignoto; straniero in terra straniera, è in attesa della città di Dio, solida e non fatta da mano d'uomo. Abramo e Sara, avanti negli anni, eppure fecondi : nella fede. Abrogazione

Quale « sistema di prescrizioni carnali >> (v. 1 6), la legge è un ordinamento « debole e ormai inutile ». Va abrogato (v. 1 8), avendo ormai reso il servizio che poteva rendere. La legge }evitica, che eleva al sacerdozio uomini deboli, è aboli­ ta-abrogata dalla parola del giuramento (di Dio) che consacra il « Figlio » sacer­ dote vero, unico ed eterno. Accostarsi a (proserchesthai)

In abbinamento con entrare (eiserchestai) e perfezionare (teleioun) . Una speranza migliore ci fa accostare a Dio, al trono della grazia. Il Cristo salva in modo perfetto chi si accosta a lui ; la legge invece è incapace di rendere perfetti coloro che si accostano a Dio. Chi si accosta a Dio deve credere in lui rimunera­ tore. Noi non ci accostiamo a . . . (legge del Sinai : terrestre), noi ci accostiamo al Dio vivente e giudice: celeste. Alleanza

Quella antica o prima (h e pro te, « prima tenda, primo patto ») è buona, ma imperfetta. I suoi sacrifici (nel sangue animale) sono imperfetti: non redimono. Essa è ormai « obsoleta ». L' alleanza nuova è stipulata nel sangue di Gesù il Cristo, ha la sua radice nel suo sacrificio unico e personale, è di qualità migliore e come tale dichiara antiquata la « prima alleanza ». Essa ha la dinamica di un dia­ logo permanente con Dio, le sue leggi sono infatti incise nella mente, impresse nel cuore (---+ patto). Altare

Quello dei profumi, nella prima tenda, tutto in oro. Esso cede il passo a un altro altare, quello che « noi abbiamo e al quale non hanno diritto di mangiare i

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servi del tabernacolo » (Eb 1 3 , 1 0). Allusione eucaristica? Di certo, l ' altare della croce, del patto nuovo ( ---+ eucaristia). À ncora

Simbolo di una speranza sicura e salda che si trova oltre il velo del santua­ rio. Essa è Dio stesso; Gesù il Figlio è penetrato oltre il velo ed è già giunto pres­ so di essa. In lui noi abbiamo un precursore che ha compiuto la sua corsa ed è in attesa di noi, assiso alla destra di quell 'àncora. Angeli

Messaggeri, inviati. Numerosi e di varie specie, la Bibbia dice che cosa essi fanno, ma non chi essi sono. Per poco tempo il Figlio è loro inferiore nell 'abbassa­ mento dell ' incarnazione (Cristo è di fatto superiore a essi). Ministri di Dio, pari ai venti e alla fiamma di fuoco, sono a servizio di coloro che devono ereditare la sal­ vezza. Mediatori della promessa, essi non sono i dominatori del mondo, né presen­ te né futuro. Il Figlio non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo. Apostasia

Coloro che abbandonano la fede precipitano nell 'apostasia ed è impossibile che si rinnovino per la conversione una seconda volta. Per Ebrei, è un deterrente, una ironia retorica. Il termine in sé non si riscontra in Ebrei. Apostolo (apostolos, apostello, in ebraico salial))

Gesù è l ' apostolo della nostra professione di fede, è l ' inviato di e da Dio con un particolare compito: definire la nuova alleanza, nell ' obbrobrio della croce. Con lui ha inizio la riabilitazione di quell ' obbrobrio. Ascensione

Gesù è penetrato oltre il velo del santuario, nei cieli, ove è l 'àncora della no­ stra salvezza: Dio. Cristo è entrato una volta per sempre nel santuario, dopo ave­ re attraversato i cieli. Atto finale della sua vicenda terrena, inizio della sua mini­ sterialità celeste (« Egli vive sempre per intercedere a nostro favore »). È il suo sacerdozio celeste e regale, alla destra della Maestà. Assemblea (episynagoge)

Comunità depositaria della promessa, costituita in base al patto in Abramo; comunità (qiihiil) del patto pasquale sotto la guida di Mosè: richiede imprescin­ dibilmente il patto pasquale nuovo. Di esso è poco probabile il tono eucaristico. Chiesa-assemblea: luogo ove si cantano le lodi del Signore; non disertare « la nostra assemblea » (Chiesa terrestre, comunità) e guardare ali ' assemblea festo­ sa dei primogeniti nei cieli (Chiesa celeste); )asciarsene attirare, fin « nel riposo di Dio » .

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Assoggettamento, sottomissione

Non a degli angeli Dio ha assoggettato il mondo futuro, ma al Figlio. Dopo averlo assoggettato per poco tempo agli angeli, Dio ha assoggettato ogni cosa sot­ to i suoi piedi. Assoggettate a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse as­ soggettato. Tuttavia, al presente non vediamo ancora che ogni cosa gli sia assog­ gettata. Però vediamo Gesù coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto. Da questo momento, tutto è progressivamente assoggettato a lui. Autorità autorevole (hegoumenoi)

È il senso pregnante di hegoumenoi: guide carismatiche annunciatrici della Parola e forze trainanti nella fede. Autorità autorevole nella comunione. È l 'esi­ to (ekbasis) della loro vita. Canaan

La terra di Canaan non è mai menzionata espressamente, ma fa da sfondo continuo al motivo: « Non entreranno nel luogo del mio riposo ». Con procedura epidittica Ebrei dimostra che « il luogo del riposo » non è la terra di Canaan, né essa è la vera terra promessa (cfr. Gerusalemme). Carne

Il « Figlio » ha in comune con i figli e con i fratelli la carne e il sangue. Egli, Gesù, è vissuto nella carne, in tutto ciò che è materiale, umano, senza connotazione etica. Nei giorni della sua carne ha imparato l 'obbedienza dalle cose che patì, ha gri­ dato e pianto; ha imparato la solidarietà. Le prescrizioni cultuali della prima tenda so­ no « carnali )), vanno rettificate. La severa pedagogia di Dio va accolta, dal momento che abbiamo rispettato quella dei nostri padri secondo la carne. Compimento e promessa

I colossi della e nella fede non hanno conseguito la promessa. Dovevano at­ tendere noi, fratelli del Figlio perfetto nella fede : sacerdote perfetto sulla croce. Contestazione

Il cristiano compia tutto senza contestare. La contestazione è sterile. Non lo è l 'obbedienza ispirata a una collaborazione consapevole. Conversione

Per chi ha provato la comunione con Dio (nel battesimo) e cade nell ' apo­ stasia, una seconda conversione potrebbe diventare impossibile (ironia retorica!) ( � ptisul; cfr. adinato ). Correzione

È esortazione fraterna e vicendevole, è educazione da parte di Dio che inter­ viene come un padre, sferzando chi ama come figlio. I nostri padri secondo la

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carne ci hanno sottoposti a correzione. Chi è senza correzione, non è figlio, ma figliastro. Coscienza

È consapevolezza delle proprie azioni e decisioni, rinnovata (restaurata in radice) nel sacrificio di Cristo. Creazione, creatura

I mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che quello che si vede (tipo) ha preso origine da cose non visibili (antitipo). Cristologia

Termine tecnico con cui si descrive l 'azione di Gesù il Cristo, il Figlio, con­ siderata a partire dalla risurrezione. Croce

Crocifisso per la sua debolezza, Gesù vive per la potenza di Dio; Cristo si è sottoposto alla croce disprezzandone l ' obbrobrio. Questo obbrobrio è consegna­ to all ' assemblea pasquale perché lo porti oltre l 'accampamento. Decima

La riscuotono per diritto i leviti. Abramo diede la decima del suo bottino mi­ gliore a Melchisedek, non levita. Anzi, lo stesso Levi, che riscuote le decime per diritto, ha versato la sua decima in Abramo, a Melchisedek. Dio

Ha parlato ieri ai padri nei profeti (autorivelazione), oggi ha parlato a noi per mezzo del Figlio (autorivelazione); con segni e prodigi e doni dello Spirito se­ condo il suo progetto, attesta la promulgazione della grande salvezza da parte del Signore (il Figlio). È presente nella vita dei suoi figli con pedagogia correttiva, sullo stile dei padri terreni, secondo la carne. È l 'àncora salda e sicura Entrare (eiserchesthai)

Con « accostare » (proserchesthai) e « perfezionare >> (teleioun) forma una trilogia tipica in Ebrei. I sacerdoti « entrano » (eisienai) per il culto nella prima tenda. Il sommo sacerdote entra una volta l ' anno per il culto (Jom Kippur) nella seconda tenda: Cristo non entra in un santuario terrestre per offrire se stesso più volte, ma sale sulla croce ed entra nel tempio celeste una volta per sempre, nel santuario vero . . . in virtù del suo sangue: egli non è entrato nel santuario fatto da mano d'uomo, immagine umbratile di quello vero. La nostra speranza (in Dio­ àncora) penetra (« entra ») nel santuario (v. 1 9) dove è entrato Gesù, sommo sa­ cerdote.

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Escatologia, tempo, kairos, parusia

Nel « Figlio » abbiamo la pienezza del tempo (ultimamente, in questo gior­ ni, oggi). « Alla pienezza dei tempi » (epi synteleia ton aionon) è apparso il Figlio (= è nato da donna, sotto la legge, Gal 4,4a, to pleroma tou chronou) per com­ piere l 'espiazione. Apparirà una seconda volta (parusia), non per espiare e redi­ mere, ma per adempiere le attese di salvezza di chi lo attende. L'attesa sarà pie­ namente soddisfatta « nel riposo di Dio ». Esperienza dello Spirito

Lo Spirito santo dice . . . Con doni distribuiti dallo Spirito santo, secondo il suo progetto, Dio attesta l 'opera della grande salvezza condotta dal Figlio. Nel battesimo si diventa partecipi dello Spirito santo; è lui a mostrare quando si apre la via alla salvezza (dal patto antico al patto nuovo). Egli, Spirito eterno, accom­ pagna Gesù ad offrire se stesso alla croce. Chi ha disprezzato il dono dello Spirito (battesimo e offerta riconciliatrice di Cristo), sarà meritevole di un pesante casti­ go. Non è detto quale. Ironia retorica? Strategia deterrente? Espiazione (giorno dell ')

Una delle feste più importanti degli ebrei, chiamata Jom Kippur. Cade a fi­ ne settembre. Ai tempi del tempio, il sommo sacerdote entrava in questo giorno nel « santo dei santi » e offriva un sacrificio per i peccati propri e del popolo d'Israele (Lv 1 6,29-34). In Eb 9- 1 0 questa festa è immagine del giorno dell 'e­ spiazione operata da Gesù una volta per sempre con la sua morte e risurrezione. Eucaristia (?)

Non si diserti « la nostra assemblea » (pasquale; eucaristica?). Ali ' altare, al quale abbiamo diritto di mangiare (cena eucaristica?), non hanno lo stesso diritto quelli che sono al servizio del primo tabernacolo (cfr. altare). Fede

È forza trainante. È un dono, ma esige impegno per essere salda. È fonda­ mento della speranza: per fede e nella fede molti hanno visto l ' invisibile (fede storica). È criterio di lettura della realtà: per fede sappiamo infatti che i mondi fu­ rono formati dalla Parola di Dio. Senza la « fede » in Dio che esiste e rimunera chi lo cerca, non si può essere a lui graditi (« Sine fide impossibile est piacere Deo » ). Gesù è « autore e perfezionatore della fede ». È il primo credente in Dio il Padre, mai ha ceduto nella fedeltà. È esperienza peregrinante. Figlio (un, il) di Dio

Espressione usata nella Bibbia per indicare il popolo d'Israele nel suo insie­ me (Es 4,22). Nel Sal 2,7 indica il re d' Israele. Al tempo di Gesù era viva presso gli ebrei l 'attesa del Messia. Lo chiamavano il re della fine dei tempi (re escato-

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logico) e Figlio di Dio. Per Eb l ,5b il titolo contenuto nel Sal 2, 7 (« Tu sei mio Figlio ») e in 2Sam 7, 14 (« Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio ») va inteso nei riguardi di Gesù Cristo. Nei vangeli, il titolo di « Figlio di Dio >> è dato a Gesù con un senso molto più profondo : in Mc 1 4,36, ad esempio, Gesù si rivolge a Dio chiamandolo « Padre mio ». Per le orecchie ebraiche, questo modo di pregare è del tutto nuovo. Dio ha parlato « nel Figlio »: è questo il nome più insigne di quel­ Io degli angeli. Quel Figlio è Gesù (2,9), è Signore (2,4), è Cristo (3,6): « Gesù, il Figlio di Dio » (4, 14 ). In lui, anche noi siamo figli e suoi fratelli. Gerusalemme

È la città futura, celeste, quella del Dio vivente; è il monte Sion, assemblea degli eletti; è il monte Sion, opposto al monte Sinai, luogo turbinoso e terribile. È la vera terra promessa. II raffronto tra Gerusalemme terrestre (cfr. Canaan) e Gerusalemme celeste si muove nella logica del dualismo (alessandrino), proce­ dura dimostrativa cara a Ebrei. Gesù Cristo Figlio

In lui, Dio parla a noi in questi giorni; per mezzo del Figlio Dio ha fatto i mondi; è l 'erede universale, di tutte le cose, è irradiazione della gloria (presenza, esperienza) del Padre e segno visibile della sua persona (meno bene: copia, im­ magine, impronta); è Signore universale. Per poco tempo inferiore agli angeli (incarnazione), tutto gli è stato assoggettato; tuttavia al presente non vediamo an­ cora che ogni cosa sia a lui assoggettata. Intanto lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto. È il paradosso di Ebrei. In tutto si­ mile ai suoi fratelli, egli Ii riconcilia con Dio espiandone i peccati; con la sua morte ha compiuto la purificazione dei peccati ed è divenuto autore di salvezza eterna. È « il Figlio di Dio »; la sua morte redime e libera dal peccato e dalla col­ pa; è il pastore grande delle pecore che Dio ha richiamato dai morti; è il primo­ genito dei risorti, nella sua morte vince la morte e colui che ne ha il potere, il dia­ volo. È sommo sacerdote misericordioso e fedele, lo è in modo del tutto nuovo: secondo Melchisedek; il Figlio è reso sacerdote dalla parola del giuramento (di Dio) e non dalla legge l evitica che fa dei sacerdoti degli uomini deboli. Mediatore di un'alleanza migliore, apparso « alla pienezza dei tempi » (epi synteleia ton aiOnon), apparirà una seconda volta (parusia), non per espiare e redimere, ma per adempiere le attese di chi lo attende. Gesuologia

Termine tecnico, riferito ai detti e ai fatti di Gesù di Nazareth compiuti nel corso della sua vita terrena (= stadio gesuano). Ebrei è a essa molto attento. Giudizio, condanna

II severo giudizio di Dio punisce giustamente chi trasgredisce la legge mo­ saica portata dagli angeli; quanto più severa sarà la sua punizione per chi rifiuta

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la grande salvezza (ironia retorica) promulgata dal « Figlio ». Il suo giudizio è eterno, un insegnamento basilare per chi abbraccia la fede cristiana. Esso avvie­ ne (immediatamente) dopo la morte . Per chi vive nell ' infedeltà, non resta che la « terribile attesa del giudizio », una « vampa di fuoco }} che divora i ribelli. Solo Dio « si vendica }} (giudica) e dà la retribuzione, non altri. Giuramento di Dio (horkos)

Dio giura per se stesso, non potendo giurare nel nome di altri. Nessuno gli è superiore. Vincolando se stesso con un giuramento, egli s ' impegna ad adempie­ re le promesse fatte al suo popolo dell 'alleanza, ai padri, alla dinastia davidica, al re sacerdote messianico. Illuminazione

Il battesimo è illuminazione, inizio di una vita nuova. Gli illuminati (photi­ sthentes) sono in grado di affinare sempre più i loro sensi, distinguere il bene dal male e scegliere il bene, ciò che è divino. Imitazione, forza trainante

Porsi sul tracciato della fede vissuta dalle proprie guide carismatiche, fino alla loro morte (ekbasis) . La fede di quei colossi sprigiona forza trainante e fa ve­ dere l ' invisibile. Latte

In senso figurato, esprime la situazione debole di chi non è in grado di ac­ cedere al cibo solido della fede o di chi, essendosene già nutrito, non lo ha ben digerito. Questi deve tornare al latte. I pigri nell ' ascolto ne hanno urgente bi­ sogno. Legge

È « sistema di prescrizioni carnali », ordinamento « debole e ormai inutile >>, va abrogato; la legge non ha portato nulla alla perfezione. Alla legge levitica che fa dei sacerdoti degli uomini deboli subentra la parola del giuramento (di Dio) che fa sacerdote il « Figlio >>; mutato il sacerdozio, (ne) deve mutare anche la leg­ ge. Quale patto sinaitico, libro della legge, del! 'alleanza, che Mosè ha asperso con il sangue del patto, la legge ha esaurito la sua funzione; è « obsoleta >>. Le su­ bentra la « grande salvezza promulgata dal Signore }). Liberazione, libertà

Cristo ci ha liberati dalla paura della morte. Mantenere salda la libertà della speranza ci fa « la sua (di Dio) casa >>. Alla liberazione dalla tortura si preferisce « una migliore risurrezione >>. Avere cura di carcerati da con-carcerati è sentire con essi la privazione della libertà.

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Libro dell 'alleanza (berit, diatheke)

Mosè asperge con il sangue il libro dell 'alleanza (cfr. Eb 9, 1 9). Si può rite­ nere si tratti del decalogo o del codice di alleanza (Es 20,22 - 23,32), o di en­ trambi. Ma il libro dell 'esodo non dice nulla circa il contenuto di quel libro. Anche l ' autore di Ebrei non precisa. Lombi

I leviti riscuotono la decima dai loro fratelli, sebbene questi provengano dai lombi di Abramo; Levi, ancora nei lombi del padre Abramo, versa in lui la deci­ ma a Melchisedek. Il termine riflette la concretezza dell 'antropologia semitica. Mediatore, garante

Gesù il Figlio è mediatore di una nuova alleanza e garante di un'alleanza migliore. Essere mediatore descrive il ministero del sommo sacerdote solidale con il popolo di Dio e compassionevole. Melchisedek

Re e sommo sacerdote in Salem (Gerusalemme). Presiede il culto al dio al­ tissimo ( cananeo) in pane e vino. Personaggio enigmatico, non se ne conoscono le origini e neppure la fine dei suoi giorni . Eppure, il suo profilo è ben definito. In Ebrei incorpora il II stadio sacerdotale, dopo Aronne (I stadio). Non ebreo, non levita, prepara la comprensione del sacerdozio del Figlio, anch' egli non levita (III stadio). È « fatto simile al Figlio di Dio ». Mosè

Mediatore del patto al Sinai (cesura), ne asperge il libro e il popolo con il san­ gue; rifiuta di essere chiamato figlio della figlia del faraone e preferisce condivi­ dere con il suo popolo soprusi e oppressione; stima l 'obbrobrio dell 'Unto-Messia­ Cristo (croce) più dei tesori d'Egitto; con lo sguardo puntato verso la ricompensa, resta fermo nel suo progetto, quasi vedesse l ' invisibile. Oggi

Parola chiave in Ebrei combinata con il verbo �scollare: « Ascoltate oggi la voce di Dio ». Infedele al tempo nel deserto, il popolo dell ' antica alleanza ha per­ duto l 'appuntamento con Dio ed è caduto nel deserto; quell 'oggi di Dio è tutta­ via sempre disponibile. Ne è erede il popolo della nuova alleanza, nel Figlio. Pace, gioia

La correzione severa di Dio non sembra dare gioia; dopo, però, arreca frutti di pace e di giustizia, una gioia dalle solide fondamenta, che spinge a conservare la pace con tutti.

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Paràclesi

Meglio di parenesi. Stile e strategia epidittico-pastorale, esortazione acco­ rata in forma d' incoraggiamento, ammonimento, severa minaccia contro chi ce­ de al compromesso nella fede; minaccia di esclusione dalla comunità cristiana a carico di quanti negano la figliolanza divina di Gesù, a scopo deterrente (cfr. pasul). Intende ottenere che non accada ciò che di fatto non è ancora accaduto. Iperbole e ironia servono allo scopo, la conduzione argomentativa mira a otte­ nerlo. Un simile paracleta è pastore pienamente coinvolto nella sua stessa parà­ clesi ministeriale. Ebrei, « parola di esortazione », è accompagnata da un am­ biente paracletico. Parola di Dio

Dio ha parlato nei tempi antichi spesso e in modi diversi nei profeti, oggi parla « nel Figlio ». La Parola di Dio è viva, efficace e penetrante come una spa­ da a doppio taglio; fu rivelata attraverso gli angeli (legge mosaica), fu promulga­ ta dal Signore (Gesù Cristo) come grande salvezza; è garantita da Dio stesso con segni e prodigi e doni dello Spirito. Patriarchi

Nella fede si sentono stranieri alla ricerca di una patria migliore. La benedi­ zione dei patriarchi morenti (l sacco, Giacobbe e Giuseppe) segna il tracciato fu­ turo della progettualità di Dio. Patto

Quello della promessa in Abramo: permane. Cesura mosaico-sinaitica: ob­ soleta. Il nuovo patto: inciso nella mente, scritto nel cuore (---+ alleanza). Parusia, ritorno

Cristo « apparirà una seconda volta », non per espiare e riconciliare, ma per donare definitivamente la salvezza a chi lo attende. Quella sua parusia coincide con il compiersi dei tempi e del regno. Pellegrinaggio

Indica il movimento dal già al non ancora attraverso il frammezzo. Lo ha compiuto la generazione del deserto, lo ha compiuto Gesù stesso, lo stanno com­ piendo i suoi: pellegrinaggio sacerdotale del popolo sacerdotale. Peccato

È l ' infedeltà all ' alleanza del Dio fedele. Provato in tutto come noi, eccetto il peccato (infedeltà), Cristo « apparirà una seconda volta, senza alcuna relazio­ ne con il peccato ». I suoi affrontino la lotta contro il peccato.

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Perfezione (te/a ioo, teleios, teleiotes, teleiosis)

Con « accostarsi a » (proserchesthai) ed « entrare » (eiserchesthai) forma una trilogia tipica in Ebrei. Dio rende perfetto nella sofferenza il nostro salvatore at­ traverso ciò che patì. La legge invece non ha portato mai nulla alla perfezione; es­ sa ha costituito sacerdoti mortali, imperfetti. La parola del giuramento invece ha reso perfetto il Figlio, costituito sacerdote in eterno. Il sacerdozio di Cristo è per­ fezione. Non così il sacerdozio levitico. I sacrifici offerti nella prima tenda non possono rendere perfetto colui che li offre; la legge è incapace di rendere perfetti quanti si accostano a Dio. Egli invece, il Figlio, con un'unica offerta, ha reso per­ fetti quanti ne vengono santificati. I colossi della fede nella prima alleanza atten­ dono di essere resi perfetti con noi. Il nutrimento perfetto sulla « grande salvezza » li ha resi maturi e adulti. Giunti alla perfezione, essi, gli spiriti dei giusti, sono nel­ la celeste Gerusalemme. Là è anche Gesù, il perfezionatore della nostra fede, in attesa di noi. Porta

Gesù patì l 'obbrobrio della croce fuori dalla porta della città, il che spinge noi a uscire fuori dali 'accampamento, portando su di noi e agli altri quel suo obbrobrio. Preghiera

Nel grido, nelle lacrime, la preghiera di Gesù, nei giorni della sua vita terre­ na, è drammatica. E fu esaudito, perché irremovibile nella fedeltà. Profeti

Parlano a nome di Dio e riferiscono ali 'uomo il suo messaggio. Nel NT si parla dei profeti in riferimento a quelli del Primo Testamento. Anche Giovanni il Battista (Mt 1 1 ,9) è detto profeta, Gesù stesso (Mt 1 6, 1 4) e cristiani che hanno dallo Spirito il dono della profezia ( 1 Cor 1 2, 1 0; 1 4,3). Protologia

Termine tecnico per designare descrizioni o riferimenti alla vita di Gesù il Cristo, il « Figlio » prima della sua comparsa nella storia umana. Riposo (katapausis)

Indica la posizione protologica del Figlio presso il Padre; il dono del riposo di Dio dato dal Figlio ai suoi, costituiti in episynagoge; la comunità pasquale stessa come luogo del riposo di Dio nel tempo; la posizione del Figlio tornato nel riposo del Padre. È la mèta dell 'esodo del popolo ebraico, nella terra di Canaan? Per il po­ polo di Dio è riservato un riposo sabbatico. In attesa, il riposo messianico è parte­ cipazione (pregustata) al riposo di Dio: il nostro riposo è Gesù Cristo, lo si pregu­ sta già nel la « nostra assemblea » da non disertare. Esso sarà pieno solo nel compimento, nella città vera e futura, traguardo del pellegrinaggio terreno del po­ polo sacerdotale.

Lessico metodologico e biblico-teologico

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Risurrezione dei morti

È l ' insegnamento basilare nella fede cristiana. Alcune donne riebbero i loro morti per risurrezione. Molti preferirono la tortura alla liberazione, onde ottene­ re una risurrezione migliore. Il pastore grande delle pecore Dio lo ha richiamato dai morti. La sua morte e la sua risurrezione sono il nuovo Jom Kippur. Sabbatico

Per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico, in Dio, nella sua città. Il dono di questo riposo è sempre possibile. È il riposo eterno, quello che Dio stes­ so si è concesso nel settimo giorno, dopo i sei della creazione. Viene goduto pres­ so di lui, àncora della nostra vita. Ed è un riposo dinamico, ricolmo di liturgia sa­ cerdotale. Ebrei ne tratta in 4,9 e 1 2,22-24. Questo riposo è stato negato alla generazione del deserto, perché infedele. Ma più di un rabbino è di altro parere. Sacerdozio, sacerdote

Istituito nell ' AT per offrire a Dio sacrifici in espiazione dei peccati, non ha mai raggiunto la perfezione; ha bisogno infatti di molti sacrifici, viene abrogato perché de­ bole e non utile allo scopo di espiare e riconciliare. Gesù non era sacerdote, ma lo è di­ venuto al momento dell ' incarnazione e per chiamata divina. Egli non è della tribù di Levi, non poteva quindi essere sacerdote secondo la legge mosaica (I stadio); lo è in­ vece secondo l 'ordine di Melchisedek (II stadio), più nobile del sacerdozio levitico. « Il Signore nostro è sacerdote secondo l ' ordine di Melchisedek », il suo è infatti un sa­ cerdozio eterno; dura in cielo, nella vera tenda del Signore, non fatta da mano d'uomo, e in sacrificio egli offri se stesso; quel suo sacrificio è unico (III stadio). A seguito di ciò egli è mediatore dei beni futuri, mediatore della nuova alleanza. Il suo popolo è sa­ cerdotale perché partecipa al suo sacerdozio nella preghiera e nella condivisione. Sangue

Espia e purifica tutto, anche le realtà celesti. È il sangue di Gesù Cristo sulla cro­ ce. Asperso da Mosè sul libro del/ 'alleanza e sul popolo, il sangue di animali puri e se­ lezionati sancisce il patto con Dio. Nello Jom Kippur antico quel sangue ottiene espia­ zione, ma non redenzione. In ogni caso, senza spargimento di sangue non si ha perdono. Sommo sacerdote

Colui che aveva la più alta carica fra i sacerdoti: archiereus. Presidente del tribu­ nale supremo degli ebrei. Nel giorno dell 'espiazione (Jom Kippur), dunque una volta l 'anno, entrava nel luogo più sacro del tempio (santo dei santi) e offriva un sacrificio per i propri peccati e della classe sacerdotale e per quelli del popolo d'Israele (Eb 9,7). « Spada a doppio taglio »

Ogni spada a doppio taglio è meno tagliente della Parola di Dio. Risultato : quella Parola penetra fino al punto di divisione dell 'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore.

75 8

Lessico metodologico e biblico-teologico

Spirito santo (esperienza dello)

È dono e riempie con i suoi doni i predicatori del vangelo rendendoli atti al­ l 'annunzio. I cristiani sono partecipi dello Spirito : egli parla loro e li esorta; atte­ sta ali 'uomo di avere ricevuto la salvezza e guida il credente al trono della gra­ zia. L' opera d' arte dello Spirito è avere guidato Gesù verso la croce, per l 'offerta di sé. È autore della Scrittura. Speranza

Dio è fedele, porterà ogni cosa a compimento. Egli è àncora della nostra spe­ ranza. Ha come fondamento la fede, dalla quale riceve impulsi e alla quale dà soste­ gno. I cristiani hanno la pienezza della speranza; essa va curata e conservata salda. Tenda

La prima tenda contiene il candelabro, la tavola e i pani dell 'offerta; essa ri­ tarda l ' apertura della via verso il santuario vero. La seconda tenda, quella non fatta da mano d'uomo, ospita Dio stesso e il Figlio che continua a offrire il suo sacrificio redentore ed è « semper vivens ad interpellandum pro nobis ». « Una volta per tutte » (hapax, ephapax)

Termine specifico in Ebrei. I cristiani sono illuminati « una volta per tutte », una prima volta che vale sempre e che l ' apostasia non cancella. Gesù il Figlio ha offerto se stesso « una volta per tutte >>. Cristo ha sofferto « una volta sola » e si è offerto « una volta sola», cioè « una volta per tutte » ed è entrato « una volta per tutte » nel santuario. Il sommo sacerdote dell ' alleanza antica invece entra nel santo dei santi « una volta » l 'anno, ogni anno. Attraverso il sacrificio, i fedeli so­ no purificati « una volta per tutte », cioè per sempre redenti e riconciliati; noi sia­ mo santificati dali 'oblazione del santificatore, « fatta una volta per sempre ». Ha un valore metatemporale (iiberzeitlich).

BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

l . Servizi bibliografici: Il crescente interesse sulla Lettera agti Ebrei

Aletti J-N . , Bulletin Paulinienne, in RScR 8 5 ( 1 997) 1 1 0- 1 1 2 (Recensione su P. Garuti, A lle origini del/ 'orni/etica cristiana . La Lettera agli Ebrei, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1 995). Buchanan G.W., The Present State of Scholarship on Hebrews, in J. Neusner (ed.), Judaism, Christianity and Other Greco-Roman Sects. FS. M Smith, voli. I-Il, Brill, Leiden 1 975. Conybeare W.J. - Howson J.S., The Life and Epistles of Saint Pau/, Longman, London 1 869. Ellingworth P. , Hebrews in the Eighties, in BT 3 9 ( 1 988) 1 3 1 - 1 3 8. Grasser E., Neue Kommentare zum Hebriierbrief, in ThR 56 ( 1 99 1 ) 1 1 3 - 1 39. Grasser E., « Vie/e Male und auf vielerlei Weise . . . » . Kommentare zum Hebriierbrief von 1 968 bis 1 991, in BK 48 ( 1 993) 206-2 1 5 . McCullough J.C., Some Recent Developments in Research on the Epistle to the Hebrews. 1: in IrBSt 2 ( 1 980) 1 4 1 - 1 65 ; II: in IrBSt 3 ( 1 98 1 ) 28-45 . McCullough J.C., Hebrews in Recent Scholarship (Part l ), in IrBSt 1 6 ( 1 994) 6686; (Part 2), in IrBSt 1 6,3 ( 1 994) l 08- 1 20. Koester C.R., The Epistle to the Hebrews in Recent Study, in CRBS 2 ( 1 994) 1 231 45 . Zesati Estrada C., Resefia de los mas recientes e importantes comentarios a Hebreos, in QOL 1 3 ( 1 997) 47-5 5 . 2. Metodo storico-critico e oltre 2. 1. Analisi del discorso e linguistica Neeley L. L., A Discourse Analysis of Hebrews, in JOTT 3 -4 ( 1 987) 1 - 1 46 pro­ pone una Struttura Letteraria in base a dati sintattico-semantici rilevati in Eb 1 , 1 -4, 1 3 ; 4, 1 4- 1 0, 1 8 ; 1 0, 1 9- 1 3 ,2 1 . Schenk W. , Hebriierbrief 4, 4-1 6. Textlinguistik als Kommentierungsprinzip, in NTS 26 ( 1 980) 242-252 esamina in modo approfondito la disposizione lin­ guistica di Eb 4, 1 4- 1 6. 2.2. Strunura leneraria Vanhoye A., Épitre aux Hébreux. Texte grec structuré, Institut Biblique Pontificai, Rome 1 9762 (credo con attenzione anche alla sticometria di Ebrei).

760

Bibliografia ragionata

Vanhoye A., Discussion sur la structure de l 'Épitre aux Hébreux, in Biblica 5 5 ( 1 974) 349-3 80. La struttura letteraria proposta da A. Vanhoye h a fatto e continua a fare scuola. Ogni esegeta, si può dire, vi si riporta. L' attenzione critica alla Struttura Letteraria di sezioni, macro e microunità letterarie, è ampia, notevole e approfondita. È tuttavia frequente il tentativo di introdur­ re correttivi e, comunque, precisazioni . 2.3. Disposizione retorica

Garuti P. , Alle origini del/ 'orni/etica cristiana. La Lettera agli Ebrei. Note di ana­ lisi retorica (SBFAn 38), Jerusalem 1 995, propone la dispositio rethorica di Ebrei. Come ho potuto notare qua e là nel mio commentario, i risultati con­ vergono spesso con quelli da me raggiunti in base al Metodo Storico Critico. Lindars B., The Rhetorical Structure of Hebrews, in NTS 35 ( 1 989) 3 82-406, ri­ tiene che l ' impeto retorico di Ebrei sia suggerito dali 'uso del Sal 1 1 O ( l 09).

3. Sul metodo dell 'autore di Ebrei 3. 1. Eredità dalla scuola di Alessandria

Attridge H. W. , The Uses ofAntithesis in Hebrews 8- 1 0, in HTR 79 ( 1 986) 1 -9: le antitesi antitetiche si risolvono in sintetiche. Dillon J . , Philo and the Greek Tradition of A llegorica/ Exegesis, in ( E . H . Lovering Jr. ed.), SBLS P S 3 3 , 1 994, pp. 69-80. Thurston R.W., Philo and the Epistle to the Hebrews, in EQ 58 ( 1 986) 1 33- 1 43 . 3.2. Gusto dell 'Antico Testamento

Biichner D., Inspiration and the Texts of the Bible, in HTS 53 ( 1 997) 393-406. Ebrei è un efficace esempio di come l 'autore selezioni le interpretazioni del­ la versione dei LXX cui dà ampio rispetto, senza introdurre correzioni sulla base del TM. D. Biichner osserva: « Chi lo guida è lo Spirito ». Fabris R., La Lettera agli Ebrei e l 'A ntico Testamento, in RivB 32 ( 1 984) 237252. Kieffer R., Une relecture de l 'A ncien Testament, in Lum Vie 43 ( 1 994) 87-98. McCullough J.C., The 0/d Testament Quotations in Hebrews, in NTS 26 ( 1 980) 363-379 propone un 'ampia rilevazione statistica. Motyer S., The Psalm quotations of Hebrews 1 : A hermeneutic-free zone?, in Tyndale Bulletin 50 ( 1 999) 3-22 : Ebrei ripensa i Salmi ! Operazione erme­ neutica coraggiosa. Schroger F., Der Verfasser des Hebriierbriefes als Schriftausleger, Pustet, Regensburg 1 968, esamina l ' abbondante impiego dei Salmi da parte di Ebrei, secondo la versione dei LXX. Tendenza: promessa - adempimento messianico. Ormai un classico, F. Schroger è molto attento alle divergenze tra la versione dei LXX e il TM. Rinvio inoltre alla parte finale della Bibliografia generale.

Bibliografia ragionata

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Vanhoye A., Anamnèse historique et créativité théologique dans l 'Épitre au.x Hébreu.x, in (D. Maguerat - J. Zumstein, edd.), Le mémoire et le temps: mé­ langes offerts à Pierre Benoit, Labor et Fides, Ginevra 1 99 1 , pp. 2 1 9-23 1 . Ebrei usa la storia dell ' AT con rispetto dei dati e molta creatività. 3.3. Ebrei e il Nuovo Testamento

Hickling C.J .A., John and Hebrews: the Background ofHebrews 2, l 0-l 8, in NTS 29 ( 1 983) 1 1 2- 1 1 6. Raffronti semantici, diretti e per allusione. Jelonek T. , Summarium operum s. Lucae in Epistola ad Hebraeos, in AnCracov 1 3 ( 1 98 1 ) 1 43 - 1 5 1 . Ma la proposta lascia non pochi dubbi. Rubinkiewicz R., Mc l 5, 34 et Hbr 1,8-9 à la lumière de la tradition targumique, in RoczTK 25 ( 1 978) 59-67. L' interpretazione messianica del Sal 44 in Eb l , 8-9 deriva (o deriverebbe?) dalle tradizioni targumiche del I secolo. Witherington B. III, The lnfluence of Galatians on Hebrews, in NTS 3 7 ( 1 99 1 ) 1 46- 1 52, puntuale e approfondito esame di risonanze, equivalenze, allusioni. 3. 4. Ebrei e Qumran

Bateman H . W. , Two First-Century Messianic Uses of the OT: Heb 1,5-13 and 4QF/or 1, 1-19, in JEvTS 38 ( 1 995) 1 1 -27. Coppens J., Les a.ffin ités qumrdniennes de l 'Épitre au.x Hébreus, (ALBO IV, l ), Louvain 1 962, pp. 1 -45. Lo studio offre documentazione ed esame analitico. Cockerill G.L., Melchizedek or King ofRighteousness, in EQ 63 ( 1 99 1 ) 305-3 1 2. 3. 5. Ebrei e apocrifi del Nuovo Testamento

Colless B.E., The Letter to the Hebrews and the Song of the Pearl, in Abr­ Nahrain (Melbourne) 25 ( 1 987) 40-5 5 . Eb 9, 1 1 - 1 0,22 potrebbe risentire del Canto della perla negli Atti di Tommaso: l 'espiazione di Cristo indicata dal mantello rosso (Le 1 5, 1 1 -32) e dall ' immolazione sulla croce, esclude ogni influsso gnostico. 4. Frammenti innici in Ebrei? Casalini N., Una Vorlage extra-biblica in Eb 7, 1-3. Verifica delle ragioni lette­ rarie del/ 'ipotesi, in SBFLA n 34 ( 1 984) l 09- 1 48. Lo studio si muove tra sto­ ria delle tradizioni e storia delle forme. Ellingworth P. , Reading through Hebrews l - 7. Listening especiallyfor the Theme of Jesus as High Priest, in Epworth Review 1 2 ( 1 985) 80-88 vede in Eb l ,2b-3 un frammento innico preredazionale. Gloer W., Homologies and Hymns in the New Testament: Forms, Content and Criteria for Identification, in PRS 1 1 ( 1 984) 1 1 5- 1 32, qui 1 24- 1 29 vede in Eb 1 2,2 un frammento cristologico e precisa criteri epistemologici che assi­ curino l ' identificazione critica di simili frammenti. Steyn G .J., The Vor/age ofthe Melchizedek phrases in Heb 7, l -4, in ActaPatrByz 1 3 (2002) 207-223 rileva una tradizione mista: in 7, 1 -2a (da Gn 1 4, 1 7-20)

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Bibliografia ragionata

seguita da due commenti dell 'autore in 7 ,2b; in 7 ,3a (da tradizioni giudai­ che) seguita anch'essa da due commenti dell ' autore in 7 ,3b. Chiude un com­ mento finale redazionale in 7 ,4. S. Temi propri (hapax legomena) di Ebrei 5. 1. Archiereus: il sommo sacerdote

Anderson D.R., The King-Priest ofPsalm l l O in Hebrews, (SBL 2 1 ), Lang, New York 200 1 . È messa in risalto la decisa procedura ermeneutica dell 'Autore che traspone su Gesù il Figlio il potenziale del Sal 1 1 0( 1 09). Kurianal J., Jesus Our High Priest. Ps l 1 0, 4 as the Substructure ofHeb 5, 1 - 7,28, European University Studies, Frankfurt a.M. 1 999, pp. 1 99-234: sul sacer­ dozio di Gesù alla maniera di Melchisedek. Swetnam J., A Mercifu/1 and Trusthworthy High Priest: Interpreting Hebrews 2, 1 7, in PacificJourn Th 2 1 ( 1 999) 6-25. Vanhoye A., La novità del sacerdozio di Cristo, in La Civiltà Cattolica l ( 1 998) 1 6-27. 5.2. Diatheke (ma non è un hapax)

Backhaus K., Hebr 8, 7-13: Die Aujhebung der ersten diatheke, in Das Neue Bund und das Werden der Kirche, Miinster 1 996. Continuità o sostituzione? La posizione di Backhaus non è sempre chiara. Wiid J . S . , The Testamental Significans of diatheke in Hebrews 9, l 5-22, in Neotestamentica 26 ( 1 992) 1 49- 1 56. 5.3. Ephapax: una volta per sempre

Laub F., « Ein for allemal hineingegangen in das Allerheiligste » (Hebr 9, l 2). Zum Verstiindnis des Kreuzestodes im Hebriierbrief, in BZ 3 5 ( 1 99 1 ) 65-85. Morgen M., « Christ venu unefois pour toutes », in Lum Vie 43 ( 1 994) 33-45. Winter A., Die iiberzeitliche Einmaligkeit (hapax, ephapax) des Heils im « Heute ». Zur Theologie des Hebriierbriefes, Ars una, Neuried 2002 . 5. 4. Episynagoge: assemblea

Cahill M., The Implications ofepisynagoghe in Heb 1 0,25: The First Eucharistic Homily?, in QLtg 74 ( 1 993) 1 98-207. È la episynagoghé il luogo del riposo per l 'assemblea, pellegrina nella fede? Vanhoye A., L'Eucharistie, le sacrifice du Calvaire et le sacerdoce, in NTS 8 ( 1 9896) 33. 5. 5. Hegoumenoi: guide carismatiche

Laub F., Verkiindigung und Gemeindeamt. Die A utoritiit der hegoumenoi in Hebr 13, 7. 1 7. 24, in SNTU 617 ( 1 98 1 182) 1 69- 1 90: discute l ' autorevolezza delle

Bibliografia ragionata

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guide carismatiche, la collaborazione con esse, oggi, come già con quelle di ieri, che hanno chiuso la loro vita terrena - ekbasis - lasciando in eredità la testimonianza della loro fede. 5. 6. Hodos: pellegrinaggio e vademecum

Grasser E., Das wandernde Gottesvolk. Zum Basismotiv des Hebriierbriefes, in ZNW 77 ( 1 986) 1 60- 1 79. Riprende e mette a punto il tema « popolo di Dio peregrinante » come motivo base di Ebrei, nella proposta di Kasemann E. , Das wandernde Gottesvolk. Eine Untersuchung zum Hebriierbrief, FR­ LANT 5 5 , Gottingen 1 939. 1 957; Darmstadt 1 96 1 4• Hamm D., Faith in the Epistle to the Hebrews: The Jesus Factor, in CBQ 52 ( 1 990) 270-29 1 : nel pellegrinaggio della fede, incontrare il Gesù terreno. Per Ebrei, una cristologia che non poggi sulla gesuologia, rischia di non ave­ re fondamento. WeiB H.F., Ein Buch geht mit seinem Leser um, in BK 50 ( 1 995) 32-38: nel loro pel­ legrinaggio, i destinatari abbiano con sé il « trattato » rimesso loro dali 'autore. 5. 7. Jom Kippiir: giorno de/l 'espiazione-riconciliazione

Di Giovambattista F., Gli effetti del Giorno del/ 'Espiazione secondo la lettera agli Ebrei, in RTL 4 ( 1 999) 4 1 7-44 7. Massonet J., Note sur lafetejuive de Kippour, in Lum Vie 43 ( 1 994) 77-86. McRay J., A tonement and Apocalyptic in the Book of Hebrews, in RestQ 32 ( 1 980) 1 -9. Frequenti i riscontri in casa giudaico-ellenistica: Test XII Patr; 2En; AscJes e altri . 5. 8. Katapausis-sabbatismos: riposo sabbatico

Attridge H. W. , « Let us strive to enter tha t Rest ». The Logic of Hebrews 4, 1 - 1 1 , i n HTR 73 ( 1 980) 279-288. Yeo K.K., The Meaning and Usage of the Theology of « Rest » (katapausis and sabbatismos in Hebrews 3,7-4, 1 3), in AsiaJT 5 ( 1 99 1 ) 2-33 (Eb 3,7-4, 1 3 è una gezerd sawd sul Sal 95,7- 1 1 e Gen 2,2). Vanhoye A., Sanctuaire terrestre, sanctuaire céleste dans l 'Épitre aux Hébreux, in C. Focant (ed.), Quelle maison pour Dieu ?, Lectio Divina, Cerf, Paris 2004, pp. 35 1 -394: è la katapausis il tempio di JHWH, il nuovo tempio della nuova alleanza, la comunità stessa - episynagoge? Sembra essere il suggeri­ mento del noto esegeta. 5. 9. Katapetasma: velo (del santuario)

Rice G.E., Hebrews 6, 1 9: Analysis of Some Assumptions Concerning katapeta­ sma, in AndrUnSS 25 ( 1 987) 65-7 1 . 5. 10. Kreittonos: una realtà migliore

Chilstrom H. W., A New and Better Way, Franciscan Printing Press, Philadelphia

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Bibliografia ragionata

1 984. Vede la chiave di lettura di Ebrei nel motivo « strada migliore )). Ma si tratta di un tema, e non della tesi. Pilhofer P., Kreittonos diatekes eggyos. Die Bedeutung der Priiexistenzchristologie fiir die Theologie des Hebriierbriefes, in TLZ 1 2 1 ( 1 996) 3 1 9-328 : chiave di volta di Eb è « il patto migliore )). Si dirà meglio tema, non tesi. 5. 1 l. Mesites-eggys: mediatore, garante

Lach J., Jesus Christus als Mittler des Neuen Bundes (Hebr 1, 1-4), in STWsz 26 ( 1 988) 205-220: esegesi trionfalista? Se ne ha l ' impressione. 5. 12. Popolo sacerdotale: lode e ringraziamento a Dio e condivisione con ifratelli

Fermindez Victor M., La vida sacerdotal de los christianos seg(tn la carta a los Hebreos, in Revista Biblica 52 ( 1 990) 1 45- 1 52 . Vanhoye A . , I due aspetti del sacerdozio cristiano, i n PP 9/ 1 O ( 1 987) 63-77. Vanhoye A., Sacerdoce du Christ et eu/te chrétien selon l 'Épitre aux Hébreux, in Christus 28 ( 1 98 1 ) 2 1 6-230. 5. 13. Teleiosis, perfezione

Pryor J, Hebrews and Perfection, in RejTR 38 ( 1 983) 92-94. Recensione su D. Peterson, Hebrews and Perfection, Cambridge University Press, Cambridge 1 982. La perfezione-teleiosis è la chiave di volta di Ebrei, un tema cioè, e non la tesi. Vanhoye A., La teleiosis du Christ: point capitai de la Christologie sacerdotal d 'Hébreux, in NTS 42 ( 1 996) 32 1 -338. La celebrazione della croce è la per­ fezione del Figlio.

6. Punti controversi 6. 1. Eh 2, 9

Gdisser E., Hebriier, voli. I-III, Benzinger Verlag, Ziirich; Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1 990, pp. 1 24- 1 26. Ragguaglio dettagliato su Eb 2,9: « Per grazia di Dio (chariti Theou))) o « senza Dio (choris Theou)))? Ampio appoggio dai Padri nell 'una e nell ' altra direzione. 6.2. Eh 4,12-13: Logos: Dio o Gesù ?

Swetnam J., Jesus as Logos in Hebrews 4, 12-13, in Biblica 62 ( 1 98 1 ) 2 1 4-224: vede nel Logos, Gesù; ma è più attendibile, si tratti di Dio. 6.3. Eh 5, 7-8

Allen W. , The Translation ofapo tes eulabeias at Hebrews 5, 7, in BulllnstRejBibSt l ( 1 989) 9- 1 0: al meglio, « per la sua fedeltà (al Padre) )). Swetnam J., The Crux at Hebrews 5, 7-8, in Biblica 8 1 (2000) 347-36 1 .

Bibliografia ragionata

765

6. 4. Eb 6,4-6: il passo più controverso, ma cresce il consenso

Armistead D.B., The Believer Who Falls Away: Heb and the Perseverance ofthe Saints, in StulosTheoUourn 4 ( 1 996) 1 3 9- 1 46. Compton R.B., Persevering and Falling Away: A Reexamination ofHebrews 6, 46, in DetroitBapSem.Journ l ( 1 996) 1 3 5- 1 67. Mathewson D., Reading Heb 6, 4-6 in Light of the 0/d Testament, in WTJ 6 1 ( 1 999) 209-225. Sailer W. S . , Hebrews Six: An Irony or a Continuing Embarassment? in EJ 3 ( 1 985) 79-88 (su Eb 6,4-6) Emmrich M., Hebrews 6, 4-6. Again ! A Pneumathological Inquiry, in WTJ 65 (2003) 83-95 . Nongbri B . , A Touch of Condemmation in a Word of Exortation: Apocalyptic Language and Graeco-Roman Rhetoric in Hebrews 6, 4-12, in NT 45 (2003) 265-279. 6. 5. Eb 8,8: il biasimo di Dio

Wolmarans J.L., The Text and Translation ofHebrews 8, 8, in ZNW 75 ( 1 984) 1 391 44. Dio biasima il suo popolo (v. 8) o l ' alleanza antica (v. 7)? 6. 6. Eb 9,4

Di Giovambattista F., Eb 9, 2-5: la Tenda del Convegno nel giorno dell 'Espiazione. La crux interpretum di chrysoùn thymiaterion (9,4), in RTL 4 ( 1 999) 29-52. Una crux in meno? 6. 7. Eb 1 1,11: solo Abramo o anche Sara ?

Greenlee J .H., Hebrews 1 1, 1 1 : Sarah 's Faith or Abraham 's?, in No Tr 4 ( 1 990) 37-42. Sulla versione : Sara è il soggetto sintattico del v. 1 1 . Risolto il pro­ blema sintattico, Greenlee J.H. assume la seguente chiara posizione: Byfaith Sarah received Ability, in ATJ 54 ( 1 999) 67-72. Da condividere.

7. L'autore di Ebrei è un antisemita? Sulla continuità tra i due patti, ovvero sul rapporto ebrei-cristiani Williamson C.M., Anti-Judaism in Hebrews?, in Interpretation 57 (2003) 266279 libera Ebrei da una simile ombra. E anche gli studi seguenti: Michaud J.P., Le passage de l 'ancien au nouveau, selon l 'Épitre aux Hébreux (8, 1 - 1 3), in ScEs 35 ( 1 983) 33-52: passaggio nella continuità. Vanhoye A., Les Juifs selon !es Actes des Apotres et /es Épitres du Nouveau Testament, in Biblica 72 ( 1 99 1 ) 70-89. Patto-alleanza: una realtà giudeo-cri­ stiana. In Atti degli apostoli + Lettere, gli Ebrei sono i figli-destinatari privi­ legiati del messaggio pasquale; l Ts 2, 1 4- 1 6 e Rm 9- 1 1 trasmettono un pie-

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no rispetto dell 'ebreo; solo in Eb 7, 1 8 e l 0,9 l ' abrogazione della legge è af­ fermata in maniera decisa. Vanhoye A., Salvezza universale nel Cristo e validità de/l 'A ntica Alleanza, in La Civiltà Cattolica 4 ( 1 994) 433 -445 . Sintesi dell 'articolo apparso in NRTh 1 1 6 ( 1 994) 8 1 5-83 5 . Il patto del Sinai, antico o primo patto, è rivelazione profeti ca, dunque sempre valida. Come già l ' impegno-patto con Abramo: ir­ revocabili. Tuttavia, per Paolo ed Ebrei, quello sinaitico è istituzione « prov­ visoria )), ormai obsoleta. A. Vanhoye si pronuncia per la validità tutoriale del patto sinaitico. Non così N. Lohfink. Cfr. Bibliografia generale. 8. Ebrei: il patto nuovo, è eucaristico? Williamson R., The Eucharist and the Epistle to the Hebrews, in NTS 2 1 ( 1 9741 975) 300-3 1 2 avvia il confronto sul problema. Esso è in corso. Swetnam J., Christology and the Eucharist in the Epistle to the Hebrews, in Biblica 70 ( 1 989) 74-95 mi sembra al momento lo studioso più attento alla questione, in questo e altri studi. Keresztky R., The Eucharist in the Letter to the Hebrews, in Communio/ IntCathRev 26 ( 1 999) 1 54- 1 67 riprende la tesi. Ma l 'assunto resta discutibile. 9. Lo Spirito guida e accompagnatore fedele

Emmrich M., Amtscharisma: Through the Eterna/ Spirit (Hebrews 9, 1 4), in BullBibRes 1 2 (2002) 1 7-32. Kasilowski P. , The Holy Spirit in the Letter to the Hebrews, in Bobolanum 1 1 (2000) 83- 1 1 o. Vanhoye A., Saint Esprit (IV). Le Saint Esprit dans l 'Épitre aux Hébreux, in DBS ( 1 987), 1 1 ,327-334. I tre studi elaborano al dettaglio i pochi dati che Ebrei offre sullo Spirito san­ to. Ne risulta una esauriente pneumatologia. 1 0. I padri della Chiesa su Ebrei Non ancora padre della Chiesa, ma eccellente scrittore ecclesiastico, Origene è il primo a scrivere Omelie su Ebrei e un commentario. Delle prime, ci sono pervenuti due frammenti, grazie a Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiasti­ ca 6,25, 1 1 - 1 4; i quattro frammenti del secondo sono conservati in Pamfilo, Apologia pro Origene. Molti i riferimenti a Ebrei disseminati in tutta l ' ope­ ra ongemana. 10. 1. Greci e orientali

Crisostomo Giovanni (344-407), Enarratio in Epistolam ad Hebraeos in PG 63,9236 offre trentaquattro omelie pubblicate dopo la sua morte da Costantino, sa-

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cerdote di Antiochia. Esse costituiscono la principale fonte patristica per l ' e­ segesi cristiana di Ebrei, sia per l 'esposizione del senso letterale che per le ap­ plicazioni pastorali. 10. 2. Latini e medievali V go di San Vittore,

Quaestiones et decisiones in epistulas Divi Pauli, in PL 1 75 ,607-634 offre il primo esempio di esegesi medievale a orientamento teologico scolastico. Tommaso d'Aquino, Super epistolas Sancti Pauli Lectura (R. Cai, ed.), (Editio VIII), vol. II, Marietti, Torino 1 953, si pone alla base del pensiero cristiano medievale su Ebrei. Preziose annotazioni ne rivelano l ' intuizione esegetico­ teologica. Credo, in buona parte da scoprire.

l 0. 3. Dal rinascimento al secolo XV/11 e Riforma

Calvino Giovanni, Commentarius in epistolam ad Hebraeos (T.H.L. Parker, ed.), Genève 1 996 (Ioannis Calvini opera exegetica, vol . XIX). Esposizione ac­ curata, attenta al messaggio, ben motivata, con tendenze spirituali. Erasmus Roterdamus, Paraphrasis ad Hebraeos per Erasmum Roterdamum, in Erasmus Roterdamus, In Acta Apostolorum Paraphrasis Erasmi Roterdami, Frobenius, Base l 1 524, pp. 4 1 8-454 ( cinquecentina in ottime condizioni, re­ staurata e da me consultata presso la Fraterherren Bibliothek Sk. Martini, in Wesel. Le annotazioni marginali indicano bene la centratura dei temi. Buone le rilevazioni filologiche. Qui, su Eb 1 ,5- 1 4 (Mosè e Gesù); 6,4-6 (apostasia e nuova conversione); sul riposo di Dio (Eb 4 ???) Luther M . , Werke. Kritische Gesamtausgabe, 5 7 . Band, Vorlesungen iiber Galaterbrief, Romerbrief und Hebriierbrief, Weimar 1 939: Die Glossen (pp. 3 - 1 27); die Scholien (pp. 1 29-232): Commentariolus in epistolam divi Pauli Apostoli ad Hebreos, 1 5 1 7 . Esposizione accurata del testo latino (Die Glossen) e tentativo costante di spiegarlo con riferimenti interni ed esterni (oggi: metodo « canonico » : IBCh 1 993); situazione teologica non sempre legata al testo (die Scholien), tuttavia intuitiva, creativa, utile e per lo più buona. Non mancano riserve esegetiche. Nicolaus de Lyra, Vierbiindiger Bibel Kommentar in Latein von Nicolaus de Lyra, Venetiae 1 48 1 . Su Ebrei: pp. 266-292. Massora marginale in stile di Gemara. Cinquecentina da me visionata e consultata presso la Fraterherren Bibliothek Sk. Martini, Wesel (Deutschland). Zuingli, In epistolam B. Pauli ad Hebraeos expositio brevis, Turicum 1 838, VI, 2, pp. 29 1 -3 1 9. Le ri1evazioni teologiche sono brevi, dense e articolate.

1 1 . Commentari moderni e contemporanei Il. l. Prima del 1980

Bonsirven J., Saint Pau/: Épftre aux Hébreux, Beauchesne, Paris 1 943. Pioniere

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acuto nel rapporto tra esegesi e teologia. Notevole attenzione alla spiritualità biblica. Delitzsch F., Commentary on the Epistle to the Hebrews, voll. 1-11, Dorffiing & Franke, Giessen 1 989 (ristampa della prima edizione 1 857). Oculato nelle intuizioni ese­ getiche, si intravvedono in questo la�oro i preannunci di un rigoroso MSC. Michel 0., Der Brief an die Hebriier, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 936. 1 960. Opera classica condotta con solido Metodo Storico Critico e molta filologia. Montefiore H., A Commentary on the Epistle to the Hebrews, Black, London ­ New York 1 964. Opera da annoverare tra le classiche. Molta l 'attenzione al patrimonio filologico. Spicq C., L'Épitre aux Hébreux. I: Introduction, Gabalda, Paris 1 952; L'Épitre aux Hébreux. II: Commentaire, Gabalda, Paris 1 95 3 . Approfondito, detta­ gliato, con molti excursus. Marcata attenzione al retrofondo greco-romano ed ellenistico alessandrino. Documentazione « immensa ». MSC ben indivi­ duabile. Traduzione agile e fedele all 'originale. Resta un classico da cui non poter prescindere. Introduzione più che esaustiva e molto dettagliata (vol. 1). Citato molto, seguito meno. Spicq C., L'Épitre aux Hébreux, Gabalda, Paris 1 977. Volume unico, ampio, sinte­ si dei due precedenti, aggiornato al 1 977. Attenzione a spiritualità e pastorale. Weiss H.F., Der Brief an die Hebriier (KEKNT 1 3 ), Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 99 1 14• Approfondito nel sondaggio del testo, pregevole per il metodo storico critico e la Wirkungsgeschichte, il lavoro di H.F. WeiB è imprescindibile. Westcott B.F., The Epistle to the Hebrews, Macmillan, London 200 1 (riproduzio­ ne meccanica di Macmillan, New York 1 903). Un classico ancor sempre au­ torevole. Pregevole per la lessicografia e, in generale, per la esegesi. Tutti i commentari menzionati fanno ancora scuola, per dati e metodo. 11.2. Dopo i/ 1 980

Attridge H.W., Lettera agli Ebrei, LEV, Roma 1 999. Bénétreau S., L'Épitre aux Hébreux, voli. 1-11 (C É B 1 0. 1 2), Edifac, Vaux-sur­ Seine 1 989- 1 990. Braun H., An die Hebriier (HNT 14 ), Mohr, Tubingen 1 984: ricco e prezioso per la documentazione classica, patristica, intertestamentaria, rabbinica. Bruce F.F., The Epistle to the Hebrews (NICNT), Eerdmans, Grand Rapids, Michigan 1 990. Carrer M . , Der Brief an die Hebriier. Kapitel 1 , 1-5, 1 0 ( OTKNT 20/ 1 ), Gi.itersloher Veri. - Haus Mohn Giitersloh 2002 . Casalini N., Agli Ebrei. Discorso di esortazione (SBFAn 34), Franciscan Printing Press, Jerusalem 1 992. Esposizione approfondita, prevalentemente filologi­ ca, non sempre facilmente leggibile. De Silva D.A., Perseverance in Gratitude. A socio-rhetorical commentary on the Epistle to the Hebrews, Grand Rapids, Michigan 2000: punto focale in Ebrei è la perseveranza nella gratitudine. Ma si dirà meglio: tema, e non l ' unico.

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Hugedé N . , Le Sacerdoce du Fils. Commentaire de l 'Épftre aux Hébreux, Fischbacher, Paris 1 983 : punto focale (tesi) di Ebrei è il sommo sacerdozio del Figlio. Riggenbach E., Der Brief an die Hebriier, Brockhaus, Wuppertal 1 987. Strobel A., La Lettera agli Ebrei, Paideia, Brescia 1 997. Esegetico-teologico, at­ tento al mondo greco-romano e giudaico, è ricco di impulsi pastorali e cate­ chetici.

12. Attualità di Ebrei Ne danno prova i bollettini bibliografici riportati in apertura e gli studi spe­ cifici. Marz C.P., Zur Aktualitiit des Hebriierbriefes, in TPQ 1 40,2 ( 1 992) 1 60- 1 68 Miirz C.-P., Ein Auj3enseiter im Neuen Testament. Zur Aktualitiit des Hebriierbriefes, in BK 48 ( 1 993) 1 73- 1 79. Né C.P. Miirz è il solo! Per esigenze selettive, mancano qui altre rilevazioni. È Apollo l 'autore di Ebrei? Ed è Ebrei un trattato? Chi sono e dove i destinatari? Altri momenti di at­ tualità, dettagliatamente discussi e documentati nella nostra Sezione introduttiva.

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l . Fonti e strumenti biblici

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4. Fonti patristiche, strumenti e studi sulle fonti 4. 1. Fonti

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INDICE DEGLI AUTORI 1

Aitken E.B. 37, 3 8 Allen D.L. 2 8 , 254 Anderson D.R. 762 Anselmo di Canterbury 385 Annistead D.B. 290 Arowele P.J. 62 1 , 653 Attridge H.W 24, 40-4 1 , 44, 86, 1 1 4, 1 59, 209, 2 1 6, 222, 224, 226, 232, 236, 238, 253-254, 370, 398, 4 1 5, 43 1 , 432, 434, 478, 502, 506, 6 1 1 , 628, 680-68 1 Auffret P. 1 83 Bachmann M. [ 1 2 1 , 1 32, 1 46- 1 47, 259, 26 1 -262 Backhaus 1C. 54, 67, 352, 360, 362, 498, 65 1 , 704, 724 Barr G.K 86 Basilio di Cesarea 59 7, 713 Bateman H.W. 1 2 1 , 1 32, 76 1 Beavis M. A. 94, 1 93, 704 Becker E.-M. 23 1 Bénétreau S . 20 1 , 3 80, 648, 696 Berceville G. 332, 690 Berényi G. 3 96 Bickermann E.J. 39 Biser E. 252, 256 Bissoli C. 349 Black D.A. 26-27, 29, 44, 48, 89, 1 08 , 1 1 4, 546 Bocher O. 5 1 2 Bodinger M. 692

Bonsirven J. 1 40, 224 Borchert G.L. 30, 36, 83 Bornkamm G. l 09 Bottini C. 592-593 Braun H. 95, 1 98, 20 1 , 203 , 204, 23 1 , 240, 273, 34 1 , 449, 452, 458-459, 478, 486, 497, 50 1 , 5 1 0, 5 1 2, 523, 544, 554, 557-558, 560, 582, 585, 598, 60 1 , 603, 63 8, 693-694, 707 Brawley R.L. 1 53, 1 5 5 , 483 Brege D.J. 683 Brock S.P. 1 5 8 Brown R. 40, 649 Bruce F.F. 40, 49, 89, 1 24, 285, 564 Brug F. 57, 1 3 1 Buchanan G.W. 43, 1 07 , 1 1 4, 223 , 574, 686 Bulley A.D. 566-567 Bulman J.M. 5 1 2, 5 1 3 Burns L. 45, 73 Buzzard A. 660 Caballero Cuesta J.M. 56, 702, 706 Cadwallader A.H. 63-64 Cahill M. 24, 40, 446, 68 1 Calvino G. 23, 282, 45 1 , 465-466, 60 l Camacho H.S. 372 Carr G.L. 1 32 Carrer M. 1 42 Carrez M. 67 1 , 673 Casalini N. 1 63, 3 1 5 , 320, 343 , 36 1 , 3 74, 3 8 3 , 3 9 1 , 3 9 5 , 4 1 0, 502,

1 Gli autori selezionati per questo indice sono quelli che hanno scritto espressamente su Ebrei.

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Indice degli autori

505, 572, 68 1 6 8 3 , 692 , 704, ' 709, 7 1 4 Casey M.J. 589, 623 Cernuda A. V. 1 26- 1 27, 1 30, 1 3 8 Cervera J . 290, 648, 7 1 9 Charles J.D. 694, 707, 7 1 0 Chilstrom H . W. 705 Chopineau J. 1 98 Ciccarelli M. 1 75 Cipriani S. l 07 Clark N. 1 2 1 Clements R.E. 6 1 -62 Cockerill G.L. 1 25 , 340, 539, 694 Colijn B.B. 674 Colless B.E. 60 Compton R.B. 284 Conybeare W.J. - Howson J.S. 24 Coppens J. 57 Corley B. 448, 722 Cosby M.R. 537 Cothenet É. 687 Cousin H. 1 85, 683, 7 1 1 Croy N.e. 549 Culpepper R.A. 437, 497, 50 1 , 5 1 5 Culpepper R.H. 686, 698 Cunningham J. 674 Daniels D. 24, 36, 362, 706, 7 1 8 Davidson R.D. 3 1 1 De A. Severa Z. 664 De Jonge H.J. 676, 69 1 De Kruij f T.C. 3 1 5 , 693 de Silva D.A. 1 62, 233, 289, 293 , 652, 660 Del Agua Pérez A. 1 23 Del Verme M. 325 Del Ville J.P. 3 1 Delitzsch F. 405 , 423 , 426, 664 Di Giovambattista F. 3 7 1 Dieterlé C . 687, 698, 702 Dillon J. 26 Dixon R.L. 664, 694 Doignon J. 1 33, 226 Dolfe K. - G.E. 1 7 1 Dormandy R. l O l

Duerksen P.D. 688, 709 Dukes J. 667, 672, 725 Dunkel F. l 08, 677, 698, 70 l Dussaut L. 86 Ebert D.J. 94, 1 07, 1 09, 1 23 , 709 Ecumenio 27 1 Eisele W. 409, 5 1 1 , 593, 659 Ellingworth P. 35, 1 07, 1 1 0, 266, 320, 332, 663 , 667, 676, 7 1 1 Elliot J.H. 507 Emmrich M . 277, 390, 657 Erasmus Roterdamus 1 92, 203 , 282 Eusebio di Cesarea 23, 24 Evans C.F. 49, 1 1 5 Fabris R. 24, 6 1 , 227, 42 1 , 506, 596, 6 1 4, 620, 709 Feld H. 59, 6 1 Feld H . 6 1 Feldmeier R. 622 Fernandez Victor M. 6 1 0, 625, 7 1 4, F euillet A. 59, 77, 68 1 , 683, 725-726 Fischer J. 607, 6 1 6, 622, 704 Fitzmyer J.A. 3 1 4, 692 Frankowski J. l 08- 1 09 Franzi F. 3 1 7 Galley H.D. 40, 656 Gane R.E. 309 Garuti P. 24, 50, 5 1 , 53, 330, 322, 507 Gench F. T. 69 Gheorghita R. 65, 467 Gianotto C. 3 1 , 57, 3 1 8, 688, 692, 700 Giovanni Crisostomo 40, 1 26, 1 5 6, 2 1 O, 2 1 3 , 226, 230, 232, 27 1 , 28 1 -282, 34 1 , 344, 3 5 1 , 358, 485, 488, 499, 524, 53 1 , 538, 547, 592, 624, 68 1 , 709, 7 1 5 Giovanni Damasceno 732 Girard R. 392, 699 Girolamo 369 Glaze R.E. 23, 78 Gleason R.C. 233, 280, 458, 708 Gorg M. 1 3 5 , 424

Indice degli autori

Goulder M. 1 1 3, 272 Griisser E. 36, 44, 53, 59, 66, 7 1 , 75, 87, 1 05, 1 3 1 , 1 46, 1 5 8, 1 65, 1 69, 1 75, 1 87, 1 90- 1 92, 1 94, 1 99, 2 1 42 1 5 , 2 1 7, 230-23 1 , 234, 240, 244, 246, 260, 323, 353, 392, 408, 4 1 2, 4 1 5 , 446�7, 449, 456, 459, 462, 479-480, 489, 492, 498, 50 1 , 505, 509, 5 1 1 , 5 1 4-5 1 5, 52 1 , 523, 529, 53 1 , 539, 542, 548, 563, 576, 579, 5 8 1 -582, 598, 603, 6 1 1 , 637, 645, 650, 686, 7 1 9, 735 Gray P. 1 59, 674 Grayston K. 385 Greenlee J.H. 50 l, 507, 5 1 1 Greer R.A. 1 5 7, 573 Gregorio di Nazianzo 369, 609, 68 1 Gregorio di Nissa 60 1 , 603 , 6 1 4 Grelot P. 4 1 , 64 Grogan G.W. 1 75 , 609, 665 Gubler M.L. 44, 7 1 9 Gudorf M.E. 1 72 Guthrie G.H. 8, 27, 49, 86, 402 Haacker K. 542 Hamm D. 650, 674 Harnack A. 29 Harvill J. 669-670, 686, 673 Havener l. 32, 673 Heininger B. 1 1 O, 49 1 Helyer L. R. l 07 Héring J. 573 Hickling C.J.A. 59, 69, 7 1 Hilhorst A. 266 Hoérber R.G. 479 Hofius O. 2 1 7 , 22 1 -222, 224, 309, 533, 652 Hollander H. W. 328, 350 Horak T. 650, 658, 677 Horbury W. 686 Hugedé N. 684 Hughes J.J. 6 1 , 67, 1 1 7, 403 , 677, 694, 710 Hughes P.E. 1 40, 505 Hurst L.D. 28, 50, 56, 6 1 , 346

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lrwin J. 503 lsaacs M.E. 2 1 , 36, 6 1 6, 686, 7 1 8 lto A. 3 7 1 Jelonek T. 2 8 , 64, 1 8 1 , 5 84, 588, 59 1 , 68 1 Jeremias J. 252, 399, 504 Jeremias J. 438-439 Jobes K.H. 4 1 7 John M.P. 403 Johnson L.T. 7 1 Johnson R.W. 62 1 -622 Jones P.R. 5 72, 5 84, 60 l , 6 1 1 Kangas R. 652, 676 Kasemann E. 59, 2 1 7, 323, 686 Kasilowski P. 38, 42, 480, 575, 583, 595, 658 Kawamura A. 28 1 Kelly D.F. 248, 678, 7 1 6 Keresztky R. 257, 279, 6 1 6, 68 1 Kieffer R. 24, 6 1 Kiley M . 270 Kim D. 477, 505, 565, 596 Kistemaker S.J. 29 Klauck H.-J. 6 1 6 Kleiner J.R. 40, 654 Kleinig J.W. 40 1 Koester C.R. 35, 44, 50, 87, 1 45, 1 62, 1 69, 1 82, 1 85 , 1 95 , 1 99, 2 1 1 -2 1 2, 220, 222, 258, 268, 273, 276, 288, 300, 349, 353, 392, 397, 40 1 , 4 1 3 , 4 1 9, 454, 502, 503 , 580, 6 1 5 , 620, 628, 662, 664 Koops R. 1 3 7 Kuriana1 J. 30 1 , 687 Kuss O. 224 Lach J. 1 08, 545 Lach L. 458 Lane W. L. 3 3 , 40, 78-79, 1 1 3 , 288, 573, 548, 605, 6 1 1 , 68 1 Langkammer H . 46 Laub F. 1 45 , 238, 3 8 1 , 630, 662, 674, 680

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Indice degli autori

Launderville D. 688 Lee J.A.L., 270-27 1 Lehmann K.-P. 524 Lehne S. 352, 705 Leithart P.J. 44 1 Levoratti A.J. 7 1 , 73, 75, 423, 425 Lewicki T. 658 Lillie D. 656 Lincoln L. 398 Lindars B. 37, 4 1 , 50, 69, 442, 647, 657, 722 Linnemann E. 89 Littleton B.J. 545 Loader W.R.G. 1 1 7, 634, 686 Lohfink N. 722 Lohmann Th. 30 Lohr H. 1 88, 346, 4 1 1 Long T.G. 652 Lutero Martin 1 56, 2 1 0, 293 , 390, 479, 60 1 , 646, 648

Meyer W.D. 609, 629 Michaud J.P. 75, 379, 383, 5 1 6, 698, 706 Michel O. 452, 502, 5 54, 576, 5 7 8 , 588, 59 1 , 595, 6 1 5 Miller M.R. 49, 552, 554 Mitchell A.C. 1 60 Moffatt J. 23, 24, 30, 36, 47, 1 07, 479, 502, 5 64, 578, 59 1 , 6 1 5 Moingt J. 3 92, 667, 699, 70 1 Mo1inaro l. 664-665, 667 Mondet J.P. 7 1 5 Montefiore H . 26, 1 40, 1 62, 502, 504, 610 Morgen M . 3 3 5 , 427, 667, 705 Motyer S. 1 2 1 - 1 22, 1 32 Mouneme M.L. 670 Mugridge A. 7 1 8 Mulloor A. 1 72, 548, 550, 668, Murray J.H. 1 3 1 - 1 32, 398, 70 1 Musvosvi J.N. 1 76

MacLeod D.J. 49, 400, 404, 406, 424, 426, 666, 667, 677, 684 MacRae G. 662, 663 Manzi F. - Pagazzi G.C. 70 l Manzi F. 1 62, 255, 664-665 , 667, 694 Marconi G. 1 7 1 Martin F. 70 l Martinez de Pis6n R. 698, 7 1 1 Marz C.-P. 22, 40, 68 Massonnet J. 384 Matera F.J. 597, 7 1 8 Mathewson D. 287, 294 Mayhue R.L. 635 McCullough J.C. 6 1 , 582, 704 McKnight S. 7 1 8-7 1 9 McRay J . 44, 663 Mealand D.L. 248, 680 Meier J.P. 94, 1 04, 1 26, 1 3 7- 1 3 8, 1 43 Melantone F. 482 Melbourne B.L. 674-675 Ménard J.E. 692 Mende Theresia, 1 5 3, 558 Mengelle E. 482, 484

Nardoni E. 2 1 1 , 587 Nascimento L.J. 695 Nash S. 724 Neamtu A. 545 Neeley L.L. 8, 47, 85, 94, 233, 402, 448 Nel P.J. 3 1 4 Nelson R.D. 390 Neyrey J.H. 32 1 Ng W.Y. 1 49, 1 54, 677, 680 Ngoy Monga Gédéon 687-688 Nicolau M. 658 Nicolaus de Lyra 359, 585, 637 Nongbri B. 277, 28 1 O'Neill J.C. 43, 1 55, 665 Oberholtzer T. K. 1 42, 1 9 1 , 205, 208, 2 1 1 , 2 1 7 , 225, 227, 294, 469, 594, 7 1 8-7 1 9 Olson S.N. 650 Omanson R.L. 345 , 37 1 , 406 Origene 1 5 7 Osborne G.R. 724,

Indice degli autori

Paciorek A. 6 1 3 , 657 Parker H.M. 78, 82-83 Parsons M.C. 675, 685, 694 Paul M.J. 3 1 6 Penna R. 65, 3 1 9, 670, 675 Perkins D.W. 648, 720 Peterson D. 764 Peterson D.G. 7 1 5 , 7 1 8 Peterson P. 726 Pilhofer P. 705 Pinde1 R 234 Pretorius E.A.C. 649 Pryor J.W. 675 Punt J. 6 1 Pursiful J.D. 7 1 8 Radcliffe T. 52 Raurell F. 1 03 , 1 53 Reding F. S . 395, 722 Reim G. 7 1 Remaud M . 554 Rhee V. 94, 1 74, 1 83, 283, 3 1 1 , 546, 548, 5 54, 7 1 9 Rice G.E. 85, 3 1 0, 3 1 2 Riggenbach E . 145 Rinaldi P.G. 252, 673 Rissi M. 1 07, 66 1 , 680 Roark D.M. 70 1 Ro1danus J. 624 Rooke D.W. 3 1 6 Rose C. 64, 87, 463, 485, 49 1 , 494, 529, 573 Ruager S. 6 1 8 Rubinkiewicz R. 25 1 Sailer W. S . 277, 287, 449 Salevao L. 56, 289 Saucy M. l 05, 663, 7 1 1 Schenck K. 37, 8 1 , 642 Schenck K.L. 56, 1 34, 1 43 , 348 Schenk W. 233-234, 236, 626 Schenker A 698 Schick E.A. 620, 649 Schierse E.J. 42, 84, 302, 3 1 4, 498, 725 Schlatter A. 4 79

813

Schlosser 1. 704 Schmidt T. 1 69- 1 70 Schmidt T.E. 564 Scholer J.M. 1 63, 3 1 1 , 330, 4 1 3 , 490, 586 Schreiber S. 1 72 Schroger F. 24, 6 1 , 64, 75, 1 06, 1 241 25 , 1 3 1 , 1 84, 205, 244, 445, 454, 465, 558-559, 592, 685, 689, 7 1 2 Schunack G. 336, 368, 470 Scott B.R. 1 84 Scott E.F. 30 Scott J.J. 1 62, 550 Scott L.C. 1 9 1 , 1 93 Seitz E. 599 Selby G.S. 378 Sharp J.R. 55, 1 92, 662 Sharp J.R. 5 5 , 75 Smith R.E. 454, 596 Smith T.C. 605 , 7 1 3 Smothers T.G. 46, 1 1 4, 1 1 7, 1 87, 22 1 Soding T. 462, 507, 54 7 , 650-65 1 , 655, 720, 726 Songer A.S. 262 Spencer W.D. 423 Spicq C. 46, 55-56, 84, 68-69, 20 1 , 2 1 1 ' 2 1 3 , 230, 239, 270, 282, 290, 34 1 -342, 349, 405 , 422, 46 1 , 477, 502, 505, 56 1 , 5 7 3 , 68 1 , 685, 69 1 Sproule J.A. 28 1 Stanley S. 40, 86, 3 74, 383, 5 1 6 Stanley S. 667 Sterling G.E. 26, 5 5-56, 1 92, 348 Stevenson-Moessner J. 688 Steyn G.J. 3 1 8 Steyn G.J. 52, 1 63, 1 68, 420 Strathmann H. 252, 3 99, 504 Strobel A. 1 5 1 , 1 62, 234, 242, 25 1 , 260, 262, 273, 293 , 368, 396, 399, 436, 438, 446, 459, 460, 479, 502, 5 1 8, 52 1 , 522, 532, 554, 560, 562, 572, 607, 6 1 3 , 628, 639, 672 Swetnam J. 24, 86, 89, 1 3 5, 1 43 , 1 72, 1 74, 1 82, 226-227, 232, 236, 257,

814

Indice degli autori

335, 457, 477, 492, 495, 50 1 , 503 , 505, 5 1 6, 5 1 8, 522, 526-527, 596, 68 1 , 7 1 8 Sz1aga J. 662, 686, 69 1 Teodoreto di Cir(r)o 1 57- 1 58, 27 1 , 485 Teodoro di Mopsuestia 480, 546 Teofilatto 27 1 , 359, 406, 407, 60 1 Terra Martins J.E. 66 1 Tertulliano 282 Tetley J. 246, 259, 685 Theobald M. 622-624, 706 Thomas M. 678 Thomas T.K. 696, Thompson J.W. 1 07, 382, 394, 662 Thurston R. W. 26, 50 Tommaso d' Aquino 1 5 6, 3 3 1 -3 3 2 , 358-359, 3 90, 480, 482, 496, 5 8 5 , 589, 60 1 , 640-64 1 , 657-65 8 , 690 Torrey C.C. 573 Toussaint S.O. 44, 1 42, 659, 7 1 9 Trudinger L.P. 62 1 Trummer P. 256 Tuiii J.O. 674 Ulrichsen J.H. 1 1 1 - 1 1 2 Vaganay L . 49, 84 Van Der Horst P.W. 502, 505 Vanhoye A. 24, 29, 34, 36, 40, 49, 6 1 , 77, 83, 85, 1 25 , 1 3 9- 1 40, 1 54- 1 55 , 1 6 1 , 239, 252, 3 6 1 -362, 380, 390, 392-393, 396, 4 1 5 , 427-428, 436, 447, 477, 568, 572, 607, 609, 6 1 7, 620, 658, 667, 688-689, 695, 698699, 704, 706, 7 1 4, 7 1 6, 734 Vennum E. 502

Verbrugge V.D. 277, 282, 285-287 Vemet J.M. 22, 1 62, 202 Via D.O. 4 1 5 , 646 Viard A. 678 Vivian A 320, 323, 696, 71 O Voulgaris C.S. 27 Walker P. 6 1 5 , 6 1 7, 6 1 9, 62 1 Watson D.F. 8, 45, 50, 722, 726 Wedderbum A.J.M. 54 Weiss H.F. 226 Weiss H . F. 3 7 , 226, 2 7 3 , 34 1 , 4 1 5 , 500, 5 54-556, 56 1 Wells D.F. 1 07, 1 1 4 Westcott B.F. 1 39, 28 1 , 290-29 1 , 398, 478, 480, 504, 505, 554, 565, 572, 5 80, 593, 6 1 0, 632, 728, Wiid J.S. 40 1 Wilcox M. 63, 349 Williams P. 68 1 Williamson C.M. 724 Williamson R. 68 1 , 725 Willis T.M. 609, 626-627, 629-630 Winter A._279, 408 Witherington B. III 67, 353 Wo1marans J.L. 350 Wood C.M. 230 Worley D.R. 298, 332 Woschitz K.M. 40, 25 1 , 6 1 3 , 673, 690 Wrede W. 29, 40, 42, 573 Yeo K.K. 226, 650 Young N.H. 42, 3 1 1 , 376, 429, 6 1 7, 622 Zedda S. 27 Zesati Estrada C. 699 Zidrun I. 634, 650

INDICE FILOLOGIC0 1

agapetoi 6,9 agenealoghetos 7,3 agiazon (ho) 2, 1 1 aimatekchysias 9,22 aitia * 2, I l aitios* 5,9 ametor 7,3 apator 7,3 apaugasma l ,3a apeiros logos dikaiosynes* 5 , 1 3 aphomoiomenos 7,3 apokatastatho hymin 1 3 , 1 9 apostolos (ho) 3 , l (detto di Gesù) apostolon (ton) kai archierea 3, l (endiadi unica in tutto il NT)

229 320 67 1 400-402 1 65 , 1 73 673 1 23 320, 323 1 0 1 - 1 04, 1 07, 1 1 5 , 1 34, 707, 77 1 269 3 1 4, 3 1 8-320, 692 63 1 670 667

boethos 1 3 ,6

604

charakter l ,3a cholon (to)* 1 2, 1 3 demiourgos* I l , l O dia pneumatos aioniou 9, 1 4 (frequenza unica in tutta la Bibbia) diatheken kainen* 8,8b diathekes kaines 9, 1 5 diathekes neas mesitr 1 2,24 (mediatore della nuova alleanza o del nuovo patto)

1 0 1 , 1 03- 1 04, 1 07, 1 1 5, 1 34, 48 1 , 7 1 1 565 1 89, 500

590

eggyos 7,22

3 1 1 , 33 1 , 672-673 , 690, 702

39 1 352 352

1 Questo indice pone attenzione agli hapax /egomena di Ebrei, che ne contiene all ' incirca 1 60, I O dei quali del tutto unici; Romani ne ha 1 1 3; ! Corinzi, I l O; 2Corinzi, 99. Alcuni degli hapax le­ gomena, esclusivi di Ebrei, sono contrassegnati da un asterisco (*).

816

Indice filologico

eisagage l ,6 eis apoleian l 0,39 eis to dienekes 7,3 ; 1 0, 1 . 1 2. 1 4 epignosis tes aletheias l 0,26 episynagoge* l 0,25

epristhesan 1 1 ,3 7 (forma unica i n tutta l a Bibbia) eupoii"as 1 3 , 1 6

1 25 , 1 28- 1 29 468 424, 426 448 , 650 58, 62, 1 85, 20 1 , 206-207, 209, 22 1 , 444446, 462, 498, 576, 578, 604, 647-648, 654, 662, 665, 679-68 1 , 723, 729 76, 54 1 714 67 1 , 685 1 08, 1 74, 39 1 , 677, 697

hagiazomenoi (ho i) 2 , l l hilaskomai 2, 1 7 hodous (tas) mou 3, 1 0 (e in Rm 1 1 ,33, hodoi autou) hosios* 7,26 hypostole l 0,39

200 333 448, 467

kaitoi* 4,3 (2 volte) kreittonos diathekes eggyos 7,22 kreittonos diathekes mesites 8,6 koinonia* 1 3 , 1 6 koite (he) 1 3,4 kratos (to)* 2, 1 4 kritikos* 4, 1 2b

(e ancora, e essi) 70 1 , 705 350 625, 7 1 4 625 , 7 1 4 1 69- 1 70 228-230

lalethesomenon (ton) 3 ,5b (perfetto futuro passivo unico in Ebrei) leitourgos* 8,2 (detto di Gesù) leitourgoi l , 7 (detto degli angeli)

342, 345 , 672 1 42

misthapodosia 2,2; l 0,3 5 ; 1 1 ,26 monogene (ton) 1 1 , l 7

1 45 , 1 47, 462, 5 1 9 513

nothos 1 2,8 nothroi* 5' 1 1 ; 6, 1 2

560 266, 292, 294

ogkos 1 2 , 1 ou (= dove) 3 ,9a (e in Le 4, 1 6)

547

panegyris 1 2,22

570, 587

1 98

Indice filologico

817

parapesontas 6,6 parapikrasmos 3,8. 1 5 (2 volte) parepikranan 3, 1 6 (pikraino) peirasmou (tou) 3,8 photisthentes 6,4; l 0,32 polymeros l , l polytropos l , l prodromos 6,20 proschysin (ten) tou haimatos I I ,28 prospheretai* 1 2,7 (con dativo)

278, 280,-28 1 1 96 214 1 96 277-279, 459 47, 95, 1 1 5 47, 94-95, 1 1 5 202, 3 1 0-3 1 1 , 465 , 673 522 559

sabbatismos 4,9 syndedemenoi* 1 3 ,3 technites I I , l O teleiosis 7, 1 1

2 1 7, 223-224, 226, 462 598-599 48, 1 89, 500 328, 330-33 1 , 333, 335-336, 379, 4 1 3 , 422, 598, 622, 626, 673, 682, 689 548-549, 650, 667, 673, 689, 720 1 48 284 1 86, 1 90 43 8

teleioten 1 2,2 telikautes 2,3a telos (to) eis kausin 6,8 therapon (famulus, servus) 3,5 zosan (hodon) l 0,20

INDICE DELLE CITAZIONI 1

l. Fonti classiche Appiano Historia romana 1 1 ,9,56

307

Aristotele Rhetorica 2,2 1 2,2 1 ' 1 1 2,2 1 , 1 5 3,7, 1 -5 3,8,6-7 3, 1 9,6 4, 1 9, 1 6

455 1 88 1 88 1 59 46 42 537

Cicerone De re publica 2, 30,52 Tusculanae dispositiones l ,24 De partitione oratoria 1 5,53 De oratore 2,20,84-87 3,55,2 1 0-2 1 2 Lettere ad Attico 9,2a

413 510 42 1 59 1 59 171

Demostene Orationes 2 1 ,42 25, 1 6

449 449

Diodoro Siculo Bibliotheca historica l ' 1 9,2

45 49 1

l ' 1 9,4 1 ,92,4 4,54,7 4,65,7 5,73 ,2 6, 1 ,2 1 1 ,27, 1 1 3,87,2 1 5,47 1 7, 1 0,6 1 9,9, 1

303 229 305 414 549 320, 322 536 535 219 458 562

20,96,3

555

Diogene Laerzio Vite 1 ,3 7,56 7, 1 3 7

161 268 32 1

Dione Cassio Storia romana 60,6 67, 1 3- 1 4

34, 77 81

Dionigi di A/icarnasso Dinarco l

548

Epitteto Dissertationes l ,2 1 ' l 2, 1 1 ,20 2, 1 8, 1 3 2, 1 9,25

51 1 212 602 460

1 La lista non vuole essere completa, ma raccogliere i paralleli più significativi citati nel corso del commento, solo dalla letteratura extrabiblica.

Indice delle citazioni

2, 1 9,29 2,23,39 3,22,3 3,22,59 4, 1 ,2 1 4, 1 , 1 54 4, 1 , 1 64- 1 65 Manuale di disciplina 1 ,6,7 1 ,7,30 2, 1 0, l l , 1 6,9 2,4,2 2, 1 6,39 3,22,25

547 510 54 1 460 602 510 539

3 ,24,53 4, l ' 1 5

267 272

Erodoto Le storie 1 , 1 60 1 , 1 70 2, 1 1 3 2, 1 93 2, 1 50 4, 1 2 1 - 1 22 5 ,46 7,230

311 219 305 54 1 1 44 31 1 305 311

Filone di Alessandria De Abrahamo 16 273 257 44 457 257 4,256-257 De agricultura 1 20 1 40 9 De cherubim 1 25- 1 28 47 29

1 89 266 1 54 272 602 268 634

1 26 202 239 24 1 24 1 24 1 262 1 26 1 26 264 1 6 1 , 1 89 249 254

819

264 42 De fuga et inventione 1 26 IO 256 25, 1 38 De Iosepho 95 32 238 33 De legatione ad Gaium 33 23, 1 52. 1 55 - 1 56 249 276 De migratione 1 88- 1 89 1 93 De p/antatione 101 50 1 88 68 De praemiis et poenis 51 7, 1 4 De sacrificiis Abelis et Caini 202 91 De sobrietate 1 92 5 De specialibus legibus 161 1 ,208 1 92 1 ,275 1 26 1 ,295 1 02 4, 1 23 De posteritate Caini 268 28 De somniis 144 2, 1 23 236 1 ,2 1 5-2 1 9 236 2, 1 83 De virtutibus 51 1 98 254 24 De vita Mosis 95 1,1 17 1 44 2, 1 4 268 2,56 96 2, 1 87- 1 9 1 De mutatione nominum 1 05 256 De opificio mundi 1 04 1 46 Legum allegoriae 1 26 1 ,6 1

820

Indice delle citazioni

1 26 3,253 254 3,3 1 3 Quaestiones et solutiones in Exodum 217 2,45-46 1 99 2,49 55 2,52.82.90 Quod deterius potiori insidiari so/et 1 26 56 250 92-93 Quis rerum divinarum heres sit 1 26 282 1 54 4 254 7; 14; 1 9-20; 22; 29 265 1 2- 1 3 253-254 22; 29 Quod Deus immutabilis sit 217 1 2,59 268 50 De decalogo 268 36 Luciano di Samosata Peregrino

598, 605-606

Ovidio Metamoifosi 8,6 1 3-7 1 5

598

Pausania Periegesi l , 14,6

60 1

Platone Apologia di Socrate 29D 21B La repubblica 9,592A-B 3,405A 509E-5 1 9E 7,5 1 5-5 1 7 2,379C 8,549C 5 1 0E Leges 860E-86 1 A 1 0,885b Simposio 222B Timeo 38a; 48c;

509 304 587 38 1 413 346 27 1 243 55 449 394 269 649

37

412

37b

322

P1utarco Le vite di Temistocle e di Camillo 3,4 Moralia 1 2c 446A; 782D; 1 06 1 C 383B; 395E; Le vite di Cimone e di Lucullo 6

585 268 307-308 333 1 05

Polibio Storie (Historiae) 3 1 ,26,6 1 57 2,49,7f 2,29,3 2,6, 1 3,63,7; 4,8,5; 4,60,2 3,93,5.7; 5,2,5 ; 1 0,29,4 3,98,7 5,64,6; 27,9,7 27, 1 5, 1 3

171 208 249 266 342 632 459 536

Pseudo-Cicerone M. T. La retorica a Gaio Erennio 270 3,2-3 1 88 4, 1 7,25 277 4,37,49 Pseudo-Filone Liber antiquitatum biblicarum 30-33 ; 35-36 527 Quinti1iano Institutio oratoria 268 1,1,1 34 1 3 , 1 1 ,27 5,6,2 307 534 6, 1 ,30-3 1 455 6,2,24 8,6,67.73 327 536 9,3,50 9,3,66; l 0,3,5 1 0,5, 1 1 1 0, 1 , 1 1 1 , 1 ,7; 1 1 , 1 ,30 Seneca Lettere a Luci/io 1 1 3,32

418 428 270 1 59

1 62, 1 65

82 1

Indice delle citazioni

1 02, 1 7 33 ,8-9 88,20 64,4-6 De providentia 2,9 Dialoghi 7 ,20,5 Fragmenta 1 23

1 65 267 273 460 460 623 394

Strabone Geografia 9,2,3 1 8,738 Caesar (Divus) Claudius 25,34 25,4 Svetonio Divus Domitianus 1 5 Divus Vespasianus 7 Annali 1 5,44 3,60 Tacito Storie 4,8 1 5 ,2-3 Annali 3,60 1 5,44

24

Basilio di Cesarea Sullo Spirito santo 27,2

597 713

144 60 1

Cassiodoro Institutiones 14

728

77 46 1

Clemente di Alessandria Stromate 1 ,4,27, 1 4, 1 29, 1 5, 14

95 600 321

81 1 49 77-80, 46 1 305

1 49 69 1 305 80, 46 1

Agostino Contro Cresconio 3,74 29 1 La città di Dio 1 7 ,6,2 96 21 358 1 7, 1 529 6, 1 1 62 1 De peccatorum meritis et remissione 412 582 2, 1 3 , 1 9 734 2, 1 1

232. 376-379

Lettera (seconda) a Serapione 3,6 Lettera (prima) a Serapione

2. Dai padri deUaChesa

Ambrogio De Spiritu sancto

Atanasio di Alessandria De incarnatione 3 1 ,3

232

24

Clemente l di Roma ]Corinzi (=] Clemente) 36 23; 39 36, 1 ; 6 1 ,3 ; 64 51 42,3 440 l Corinzi (saluto) 496 35,8 602 Clemente 2,2 410 1,1 589

Didachè 1 , 1 -5,2 4, 1 4,2 4, 1 0 4, 1 1 1 2,3 1 3 , 1 -3

273 498 209 578 1 65 500 456

Ecumenio Pauli Apostoli ad Hebraeos Epistola 27 1 , 52 1 , 732 (choris theoù) Eusebio di Cesarea Historia ecclesiastica 3,1 6 3, 1 8,4 3,25,2-3

40 81 24

822

Indice delle citazioni

3,38, 1 3,38,2 4,23, 1 0 5 , 1 -2 5,26 5,25 5,25-26 6, 14,2 6,25, 1 1 - 1 4 6,25, I l 1 0,5, 1 5 Praeparatio evangelica 3,9 6, 14, 1 5 9, 1 7,6 1 2, 1 9, 1 -9 1 2,9

39, 54 46 35 289 39 39 39, 54 23, 46 24, 46, 732 39 39 322 65 69 1 55 347

Giovanni Crisostomo Enarratio in Epistolam ad Hebraeos. Homiliae 2,2 1 02, 709 3 1 26 4 1 50 6 2 1 3, 28 1 7 226, 230, 232 8 358 9 282, 288 Il 53 1 12 3 1 5, 383 13 383 14 34 1 , 344, 35 1 17 4 1 5, 68 1 , 7 1 5 18 547 22 484, 488 23 524 27 538 32 593, 624 Giovanni Damasceno In epistolam ad Hebraeos 383, 732 Girolamo Epistula ad Eustochium

81

Epistula ad Fabiolam

369

Giustino Apologie 1 ,55,2 1 70 1 ,20 1 88 Dialogus cum Tryphone Judaeo 1 ,3 40 3,1 23 5 32 1 1 1 ,2 360 1 1 ,4 23 27,5 267 29 486 52,3 240 56, 14 131 63,3-5 131 69, 1 212 67,9. 1 0 360 1 05, 1 -2 513 1 20,5 54 1 1 4 1 ,5 39 Gregorio di Nissa De creatione hominis Lettere 3,26 Vita di Mosè 2, 1 30 Verginità 8 1 6, 1

60 1 603

Gregorio di Nazianzo Orationes 28 37 2,95

369 60 1 68 1

Ignazio di Antiochia Ai Filippesi 9, 1 Agli Efesini 1 ,2; 2 1 ,2 5,2 8,2 9, 1 1 0,3 1 3 , 1 ; 20,2 1 7, 1

27 1 3 14 609

51 640 618 207 410 578 444

306

823

Indice delle citazioni

Ai Magnesi 4, 1 ; 1 1 , 1 ; 1 3 , 1 5, 1 7,2 8,2 Agli Smirnesi 8, 1 -2 1 2,2 A Policarpo 4,2 2, 1 5,2 5,1 7,3 8,2 Ai Trai/esi 8, l 7,2 Ai Romani 3,3 2,2 4,2 5, 1 ; 1 0,2 8,2 Ai Filadelfi 4, 1 2, 1

212 306 618 440 212 640 444

589 600 602 638 640 452 618 509 618 539 640 638 618 633

Ilario di Poitiers Tractatus mysteriorum 2,6 232 Tractatus in Ps 1 24 589 lppolito di Roma Rejùtatio omnium haeresium 733 7,36, 1 Commentaire sur Daniel 4, 1 0- 1 4 65 7,9- 1 0. 1 3- 1 4 1 55 De Christo et antichristo 54 1 lreneò di Lione Adversus haereses l ,26,2 3,5,3 4,20,7 5 , 1 0- 1 1

1 1 3; 272 620 1 52 513

Lettera a Diogneto 4,2 5 , 1 -6, 1 6,8 7,2 1 2, 1

585 507 496 1 89 649

Lettera di Barnaba 1 ,7

228

4,7; 14,4 5,1 6,6 6,8; 1 4, 1 7,3 7,4 7,6- 1 1 8,2 8,5 9,8 1 0,7 1 2,4; 8,2 1 2,7 1 5 , 1 -9 1 9,7 1 9,9 1 9, 1 0

1 99 389 485 202 515 375 389 388-389 210 1 70 602 555 410 217 1 65, 578 607 209

Musonio Rufo Diatribe 12 13

60 1 -602 60 1

Origene

In Johannis Evangelium 2, 1 8, 1 23 Pastore di Erma Visioni 2,2, 1 2,2,6 2,3,2 2,4, 1 3,7,2 3,9,7 4,3,4 Mandati 1,1 5 ,2,6 1 1 ,8 Similitudini 8,6,4 9, 1 0,3 9, 1 6,4 1 9, 1 ,3

1 57, 732

456 35, 607, 630 208 485 208 35, 630 533 485 210 444

456 389 733 456

824

Indice delle citazioni

Teodoreto di Cir(r)o Interpretano Epistolae ad Hebraeos 39, 1 57 13,10 2,9 1 58, 27 1 , 485, 5 1 5, 538 Teodoro di Mopsuestia In epistulam Pauli ad Hebraeos 1 57 2,9 1 1 ' 1 -2 480 1 2, 1 546 Teofilatto Epistolae Divi Pauli ad Hebraeos Expositio 27 1 , 359, 406-407, 60 1 , 64 1 Tertulliano De baptismo 7,8 De oratione 26, l De poenitentia 1 ,9, 1 2,9, 1 7, 1 , 1 0- 1 4 1 2,8 De pudicitia 20,3,5

275 598 282 23, 282 733 733 282, 288

Tommaso d'Aquino Super epistolas Sancti Pauli Lectura. Ad Hebraeos 1 56, 33 1332, 358359, 383, 390, 46 1 , 464, 480, 482, 496, 5 1 5, 585, 589, 60 1 , 640-64 1 , 657, 690, 733

3. Intertestamentaria

Libro dei giubilei 1 ,25

208

4,23-26

Testamento di Abramo l l, l 2

490 488

Testamento di Beniamino l 1,3 408 Testamento di Dan 5,12 6

62 1 1 43

Testamento di Gad 7,2

249

Testamento di Giuda 24, 1 -3

1 40

Testamento di Levi 2,3 3 3,4 3,4-5 3,5 5, 1 -2 5,2 5,5-6 8 8,4 9,8 9, 1 1 1 0,2 1 8,2

663 1 43, 249 38 1 , 562 708 375 38 1 381 710 3 1 7-3 1 8 69 1 209 342 408 1 68

Testamento di Mosè 1 0, 1 1 0,2

1 68 69 1

Testamento di Ruben 6,8 1 ,6 6, 1 1

408 602 69 1

Giuseppe e Asenet 8,5 1 2,5 1 3, 1 1

273 273 273

INDICE GENERALE

pag.

7

))

9

SEZIONE INTRODUTTIVA

))

19

Profilo storico-letterario

))

21

l . Agli Ebrei: una rivisitazione storica

))

21

2 . Il problema letterario

))

38

))

54

4. Il problema esegetico: Ebrei, l ' AT e il NT

))

61

5 . Il problema metodologico

))

71

6 . Sul testo

))

76

))

77

))

83

TRADUZIONE E COMMENTO

))

91

Il Figlio Eh l , 1-4

))

93

))

1 18

))

1 77

))

263

))

295

))

338

Prefazione Abbreviazioni e sigle Parte prima

3 . Il problema storico: tra culture e autonomia dell ' opzione

7. Sul

Sitz im Leben storico del secolo I : da Claudio

a Domiziano (4 1 -96) 8. Tra struttura letteraria e tematica

Parte seconda

« Figlio »: un nome più insigne di quello degli angeli Eb 1 , 5 - 2, 1 8 Un sommo sacerdote misericordioso, fedele e solidale con l 'umanità Eb 3, 1 - 5, 1 0 « Siete diventati pigri nel/ 'ascolto » (paràclesi) Eh 5, I l - 6, 12 Promessa giurata di Dio ad Abramo: un sommo sacerdote nuovo Eb 6, 13 - 7, 28 Sacerdozio nuovo e oh/azione: un patto migliore Eb 8, 1 - 1 3

826

Indice generale

Da/l 'antico al nuovo nella continuità Eb 9, l - l O, 1 8 Sperare in quel sacrificio e perseverare nella fede (paràclesi) 1 0, 1 9-39 Il popolo della fede Eb 1 1, l - 12, 1 3 « Cercate pace e santificazione ». Il frutto pacifico della giustizia Eb 12, 1 4 - 1 3, 1 9 Augurio, preghiera e poscritto Eb 1 3, 20-25

pag. 3 6 3 »

43 5

»

47 1

»

569

»

633

IL MES SAGGIO TEOLOGICO

))

643

Verso il riposo

))

645

))

645

))

650

))

653

))

656

Escatologia

))

658

6.

Nel frammezzo, incontrare i l Gesù terreno

))

665

7.

Celebrare Cristo salvatore : soteriologia, cristologia,

Parte terza

l.

Peregrinare nella fede

3.

(tema) Verso i l riposo (katapausis) . M a quale? Con il vademecum del pellegrino

4.

Sotto la spinta dello Spirito santo, il fedele

2.

accompagnatore 5.

Verso i l regno-riposo sabbatico.

»

675

»

683

»

69 1

l O. Compie espiazione e riconciliazione

))

696

11.

»

70 1

))

706

ecclesiologia 8.

Sommo sacerdote grande

(tesi) e perfetto

9.

« Alla maniera di Melchisedek »

È mediatore di un patto migliore,

1 2 . Gesù è il Figlio più

nella continuità

di . . .

1 3 . Figlio di diritto, rivelazione di Dio, messia re

))

710

1 4 . Noi, sacerdoti pellegrini

»

712

1 5 . Rendiamo al Figlio il culto nuovo

))

716

1 6. Paràclesi, stile di un pastore zelante

))

718

1 7 . Problemi e prospettive

))

722

Ebrei nella storia l.

Ebrei e il canone della Scrittura

))

727

2.

Storia dell ' interpretazione .

))

727

Ovvero, alcune linee di

))

730

))

736

»

759

Wirkungsgeschichte in Ebrei

Lessico metodologico e biblico-teologico Bibliografia ragionata

Indice generale

827

Bibliografia generale

))

770

Indice degli autori Indice filologico Indice delle citazioni

))

809

))

815

))

818

Indice generale

))

825