Lettera a Tito. Lettera a Filemone. Introduzione, traduzione e commento 9788821568541, 8821568547

Testo greco a fronte. Annotazioni e commento sono scanditi secondo due livelli: Il primo, filologico-testuale-lessicogra

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Lettera a Tito. Lettera a Filemone. Introduzione, traduzione e commento
 9788821568541, 8821568547

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ROSALBA MANES, nata a San Giovanni Ro­ tondo 1'8 agosto 1977, è consacrata neii'Ordo vir­

ginum della diocesi di San Severo ( FG) dal 200 l. Dopo il baccellierato in filosofia e in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana, ha con­ seguito la licenza in Sacra Scrittura presso il Pon­ tificio Istituto Biblico e il dottorato in Teologia Bi­ blica presso la Pontificia Università Gregoriana. Ha svolto corsi di Sacra Scrittura presso I'ISSR

Beata Vergine del Soccorso di San Severo

( FG) ,

I'ISSR Giovanni Duns Scoto di Nola ( NA) e il Cen­ tro di teologia per laici deii'ISSR Ecclesia Mater di Roma. Insegna presso l'Istituto Teologico San Pie­ tro di Viterbo. Ha collaborato con i Periodici San Paolo nell'edizione della Nuova Bibbia per la Fa­

miglia.

Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari

NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI

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Presentazione :\UO\'A

VEHS.LO~E

DELLA lllBBlA DAl TESTJ A,'iTlCilT

L

a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore a margine dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel 1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contemporanee. I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un lato rendere conto dell'andamento del testo e, dall'altro, soddisfare le esigenze del lettore contemporaneo. L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, necessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente ad esse. Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo livello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei termini, i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che spingono a preferime una e altre questioni analoghe. Un secondo livello, dedicato al commento esegetico-teologico, presenta le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno, il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto dialogico. Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri, dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche

PRESENTAZIONE

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fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine, la storia della sua trasmissione. Un approfondimento, posto in appendice, affronta la presenza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo nella sua collocazione "originaria", ma anche nella dinamica interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebrazione liturgica costituisce l'ambito privilegiato. I direttori della Serie Massimo Grilli Giacomo Perego Filippo Serafini

Annotazioni di carattere tecnico M '0\ A \'EHS I01\E DEl .LA lllBllL\ DAI TEST LAl\TIClll

Il testo in lingua antica Il testo greco del Nuovo Testamento stampato in questo volume è quello della ventisettesima edizione del Novum Testamentum Graece curata da B. Aland - K. Aland - J. Karavidopoulos - C.M. Martini (1993) sulla base del lavoro di E. Nestle (la cui prima edizione è del 1898). Le parentesi quadre indicano l'incertezza sulla presenza o meno della/e parola/e nel testo.

La traduzione italiana Quando l'autore ha ritenuto di doversi scostare in modo significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i seguenti accorgimenti: i segni • , indicano che si adotta una lezione differente da quella riportata in greco, ma presente in altri manoscritti o versioni, o comunque ritenuta probabile; le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che appaiono necessari in italiano per esplicitare il senso della frase greca. Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si allontanasse troppo dall'originale ebraico o greco, tenendo però conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi diffuso e abbastanza affermato.

I testi paralleli Se presenti, vengono indicati i paralleli al passo commentato con il simbolo l l; i passi che invece hanno vicinanza di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo •!•.

La traslitterazione La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferimento alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.

L'approfondimento liturgico Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati), rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani, quindi alla versione CEI del2008.

Per ulteriori approfondimenti legati al presente volume e all'intera Serie si veda H·sito www.nuovaversionedellabibbia.it

LETTERAA TITO Introduzione, traduzione e commento

a cura di Rosalba Manes

~

SAN PAOLO

Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 27u. Revised Edition, edited by Barbara Aland, Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger in cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, Miinster/Westphalia, © 1993 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2011 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2- 10153 Torino ISBN 978-88-215-6854-1

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TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

Già il Frammento Muratori 1 (seconda metà del II secolo), che riflette la posizione della Chiesa di Roma, rivela il giudizio positivo attribuito alla lettera a Tito e alle due lettere a Timoteo e le accoglie nel canone delle Scritture del NT. Viene supportata così la cattolicità delle lettere inviate non solo alle comunità, ma anche a singoli individui, ritenendole «scritte per l'affetto e per l'amore, e tuttavia ispirate dall'onore della Chiesa cattolica e dall'ordinamento della disciplina ecclesiastica» (Frammento Muratori, righe 60-63). A questo canone fa eco Ireneo di Lione nella prefazione del suo Contro le eresie. Dapprima la lettera a Tito, nel1703 ad opera di D.N. Bardot, e poi anche le due missive a Timoteo, nel 1726/1727 ad opera di P. Anton, ricevettero il nome di «lettere Pastorali» perché indirizzate a due intimi collaboratori di Paolo, pastori delle comunità ecclesiali di Efeso e di Creta. Esse si prefiggono non tanto la diffusione del Vangelo, quanto la cura delle comunità evangelizzate, durante l'assenza dei missionari. Del loro carattere peculiare erano consapevoli anche gli antichi, come sant'Agostino, che scrive: «Queste tre lettere dell'Apostolo deve tener ben presente colui al quale, nella Chiesa, viene affidata la mansione di dottore» (La dottrina cristiana 4,16,33). La lettera a Tito e le due lettere a Timoteo sono dette «tritopao1 Uno dei più importanti documenti per la storia. primitiva del canone del NT, che prende il nome dallo storico italiano che identificò e studiò il manoscritto nel 1740.

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line», poiché contengono un'enfasi particolare sulla strutturazione delle comunità e sembrano riflettere una maturazione delle comunità cristiane, per distinguerle dalle «protopaoline» (l Ts; Gal; Fil; Fm; 1-2Cor; Rm), la cui paternità paolina non è messa in dubbio, e dalle "deuteropaoline" (2Ts; Col; Et), che presentano circostanze diverse e sviluppano il pensiero di Paolo alla luce di una concezione più vasta della Chiesa verso la fine del I secolo. È probabile che le Pastorali fossero già conosciute verso la fine del I secolo, dal momento che ad esse sembrano alludere la seconda lettera di Pietro, la lettera di Clemente Romano, le lettere di Ignazio di Antiochia, la lettera di Policarpo ai Filippesi, il Pastore di Erma, la lettera a Diogneto e le opere di Giustino. Sorprende la convergenza della lettera a Tito con le due a Timoteo dal punto di vista sia letterario sia teologico. La loro redazione, infatti, lascia supporre che siano state concepite come un corpus. Nell'ordine tradizionale delle lettere di Paolo, che si fonda sulla loro lunghezza decrescente e dove le lettere scritte a singoli individui seguono le lettere indirizzate alle Chiese, la lettera a Tito appare dopo le due lettere a Timoteo. L'ordine più antico però, attestato, p. es., nel Frammento Muratori e nell'Ambrosiaster (un commentario delle lettere di Paolo datato intorno al380 d.C., che prima dell'umanista Erasmo da Rotterdam veniva attribuito ad Ambrogio, vescovo di Milano), è quello che elenca la lettera a Tito prima delle due a Timoteo. L'ordine che vede la lettera a Tito collocata prima degli scritti a Timoteo lascia supporre che, a motivo della sua ampia introduzione, la lettera a Tito sia stata collocata come prefazione al corpus delle Pastorali: la prima lettera a Timoteo riprenderebbe i temi della lettera a Tito per ampliarli e la seconda lettera a Timoteo completerebbe la prima e al tempo stesso se ne distaccherebbe, a motivo del genere letterario testamentario, caratterizzato dall'abbondanza di personalia (notizie personali). Dopo essere stata considerata per molto tempo uno scritto di «teologia minore», a motivo delle differenze che presenta con le grandi lettere di Paolo, la lettera a Tito viene oggi rivalutata e stimata come un'attualizzazione del messaggio dell'apostolo, che

Il

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si colloca nella tensione tra la fedeltà alle origini e l'attenzione a dialogare con la società e a sincronizzarsi con i movimenti di un mondo che cambia, per aiutare i credenti a progredire nell' assunzione di una specifica identità cristiana. In questo volume la lettera a Tito è abbinata a quella a Filemone a motivo della loro vicinanza all'interno del canone del Nuovo Testamento. La lettera a Filemone, infatti, pur appartenendo al gruppo delle protopaoline appare dopo le Pastorali, a motivo della sua brevità e per il fatto di essere annoverata tra le lettere personali, indirizzate a singoli e non a comunità.

ASPETTI LETTERARI

La lettera, pur essendo indirizzata a un singolo, ha un carattere più ufficiale che personale. Essa si presenta nella veste di un'istruzione su cosa e come il ministro debba insegnare in una comunità minacciata dalla falsa dottrina, per custodire la fede nella salvezza divina che è per «tutti gli uomini» (2, 11) e salvaguardare la natura dell'identità cristiana attraverso il primato delle «opere buone» (2,7.14). La lettera, più che polemizzare contro la falsa dottrina, richiama l'autorità sulla quale la vera è fondata: Dio, Gesù, Paolo, il successore di Paolo. Contiene un discorso edificante che punta a dimostrare come la vera conoscenza e la fede si manifestino nelle opere e nelle virtù; vuole, inoltre, muovere alle «opere buone» (alla lettera: «opere belle»). Dal punto di vista stilistico, la lettera presenta un'ampia concentrazione di forme verbali imperative e contiene tre modi di organizzare il testo: esortazioni, codici comportamentali, esposizioni dottrinali. Si tratta dunque di uno scritto tessuto su una trama e un modello epistolare, su cui s'innesta a sua volta materiale diverso per forma, contenuto e provenienza. La lettera a Tito presenta delle somiglianze con le istruzioni etiche dei filosofi, riproposte come modelli nelle scuole di retorica e raccolte in elenchi di virtù e vizi, oltre a cataloghi di doveri. Quanto al suo genere più specifico, essa non è una lettera di genere parenetico o esortativo, perché chi

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scrive in nome di Paolo non dà esortazioni etiche a Tito, ma ordini da eseguire e norme di comportamento che questi deve trasmettere agli altri. Questo testo epistolare si presenta piuttosto come un mandatum, simile ai mandata principis (lettere ufficiali), dal carattere innovativo che ne fa uno scritto assimilabile a decreti, editti e ordinanze, che l'amministrazione pubblica del periodo ellenistico diffondeva nell'Impero in forma di lettere circolari. La lettera presenta un Paolo "rivisitato" e appare come una sorta di collage d'autore, uno scritto cioè che nella forma di lettera circolare raccoglie una complessità di espressioni letterarie che vanno dalle esortazioni ai codici domestici, sociali, ecclesiali e agli enunciati teologici, imbastite con materiale squisitamente paolino e materiale liturgico preesistente dalla forte connotazione pasquale (come frammenti di catechesi giudeo-cristiane o protocristiane, formule di professione di fede che costituiscono il nucleo del credo cristiano, dossologie). Più in dettaglio la lettera si presenta suddivisa nelle seguenti sez10m: 1,1-4 Il prescritto. L'orizzonte della predicazione di Paolo l ,5-3, Il Il corpo epistolare 1,5-16 Il ruolo centrale del ministro. L'aiuto per restare saldi nella fede 1,5-9 Presbiteri ed episcopo l, l 0-16 La presenza di dissidenti 2,1-15 Disposizioni etiche particolari ed esposizione teologica del mistero pasquale 2, l La direttiva centrale per Tito 2,2-10 Il codice comunitario 2, 11-14 Il fondamento soteriologico 2,15 Il monito conclusivo a Tito 3, 1-7 Disposizioni etiche generali ed esposizione teologica dell'evento battesimale 3,1-2 Esortazioni a carattere generale 3,3-7 L 'effusione dello Spirito e i suoi effetti 3,8-11 L' «utile» e l' «inutile»

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3,12-15 Il postscritto. Il frutto delle «opere buone» 3,12-14 Ipersonalia 3,15 Il saluto finale

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

La lettera ci offre interessanti squarci sulla vita della comunità protocristiana: la nascita dei ministeri, il costituirsi di una tradizione dinamica, la necessità di custodire la fede da possibili devianze, l'esigenza di "abitare" il mondo e inserirsi nella fitta rete dei suoi equilibri sociali e istituzionali. Se nelle lettere protopaoline il cristiano è impegnato a trascendere il mondo attuale, nella lettera a Tito egli invece è istruito dalla grazia divina a vivere «nel presente» (2,12). La teologia della lettera subisce la provocazione dei dissidenti, pressante preoccupazione che attraversa l'intero scritto. Si tratta di un gruppo interno alla comunità caratterizzato da tendenze che richiamano la gnosi, un complesso di dottrine filosofico-religiose a carattere sincretistico, apparse nel Vicino Oriente nel II secolo d.C. La gnosi si caratterizza per la tendenza a un marcato dualismo tra Dio e il mondo, predica la liberazione dalla materia, limita la salvezza a una ristretta cerchia di eletti destinati da Dio a ricevere tale dono, nega l'incarnazione reale del Cristo. Questa dottrina fu combattuta dagli scrittori cristiani del II secolo. Anche se si tratta di un sistema documentato soltanto in un periodo successivo alla comparsa del cristianesimo, tracce di terminologia gnostica appaiono in alcuni testi polemici del NT, come quelli presenti nella lettera a Tito. Siamo quindi di fronte a una gnosi incipiente di provenienza giudaica, che predica genealogie, miti e favole. Per far fronte agli errori dottrinali ed evitare stili di vita non compatibili con il Vangelo, l'autore della lettera combina l'etica con la teologia. Nella sua visione l'etica cristiana è cristologica, si alimenta cioè del mistero dall'incarnazione, vero codice di umanizzazione e di bellezza per ogni uomo. La vita nuova nello Spirito, inaugurata dallavacro battesimale e attuata per mezzo del

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dono che Cristo fa di se stesso, opera nell'uomo un potenziamento della sua attitudine al bene; così le «opere buone» del cristiano appaiono come il risultato dell'opera di Dio nella vita dell'uomo e sono esse stesse epifania della bellezza e della bontà divina nel mondo. La teologia della lettera è pertanto incentrata sulla cristologia che attinge a un vocabolario nuovo, come attesta il titolo sot~r, «salvatore». Attribuito sia a Dio che a Gesù Cristo, esso rappresenta una novità non solo per la duplice attribuzione, sia al Padre che al Figlio, ma anche perché sostitutivo di «signore», presente invece nelle altre lettere paoline. Il termine «salvatore», proveniente dal lessico ellenistico dove era impiegato per l'imperatore, diventa il titolo distintivo di Gesù Cristo che in Tt 2,13 è detto, con una formula insolita e del tutto innovativa, «nostro grande Dio e salvatore». Quindi la cristologia della lettera a Tito può essere definita soteriologica. Appaiono poi concetti quali «grazia», «bontà», «amore per gli uomini» impiegati come personalizzazione dei sentimenti di Dio verso l 'uomo attraverso l'opera di Cristo. Il mistero dell'incarnazione del Cristo è presentato nella lettera come «epifania», manifestazione di Dio agli uomini, che comunica la salvezza dal peccato e colloca in una vita nuova. Il tema dell' «epifania» o della manifestazione divina attesta la medesima origine ellenistica. Si distinguono due manifestazioni del Cristo nella lettera: una prima, nel passato, che coincide con l'evento storico dell'incarnazione e della redenzione operata dal Cristo; una seconda, escatologica, attesa per il futuro. Viene, inoltre, presentato l'aspetto permanente della prima manifestazione del Cristo in quanto essa si realizza ora mediante la predicazione del Vangelo. La cristologia della lettera a Tito si condensa in alcune espressioni o formule riprese dalla professione di fede tradizionale o da brani catechetici (cfr. Tt 2,1114; 3,3-7) che rivelano l'iniziativa gratuita ed efficace di Dio che salva non per i meriti dell'uomo, ma per sua misericordia, e che si realizza nell'effusione dello Spirito. Possiamo paragonare l'impianto teologico della lettera a un'ellisse con due fuochi. Uno dei due fuochi è rappresentato dalla celebrazione del mistero pasquale, dove si condensa l'azione di Dio in

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Gesù Cristo salvatore che offre se stesso per amore degli uomini, al fine di purificarli e farne il suo popolo, consacrato al bene. L'altro fuoco attorno a cui ruota la teologia della lettera è rappresentato dalla celebrazione del battesimo, dove la misericordia di Dio si concretizza nell'effusione abbondante dello Spirito per mezzo di Gesù Cristo, che giustifica l 'uomo e lo rende erede dei beni eterni. L'ambito in cui l 'uomo fa esperienza dell'epifania salvifica divina per mezzo di Gesù Cristo e dove si riceve lo Spirito Santo è quello della comunità dei credenti, assimilata a una famiglia. La comunità cristiana è presentata da un lato come luogo di educazione e formazione, in cui l'insegnamento e l'esempio, conforme alla sana dottrina trasmessa dagli apostoli, hanno un ruolo molto importante; dall'altro come spazio esposto alle minacce di eterodossia cui bisogna adoperarsi con ogni mezzo per resistere. Il modello familiare della Chiesa appare negli elenchi di qualità umane richieste ai responsabili della guida della comunità. Sia all'episcopo che al presbitero, preposti per garantire il buon ordine e l'ortodossia nella comunità locale, si richiede che abbiano dato buona prova di sé nell'educazione dei figli e nella conduzione della propria famiglia. Seguono poi nella lettera altri cataloghi rivolti ad altre categorie della compagine ecclesiale. Da questi elenchi emerge il profilo del cristiano, caratterizzato da un'etica delle relazioni giuste ed equilibrate.

DESTINATARI, AUTORE E DATAZIONE Pur essendo stata attribuita sin dal III secolo a Paolo di Tarso

(Eusebio, nella sua Storia della Chiesa 3.3.3, pone le Pastorali tra i cosiddetti libri homologoumenoi, cioè autenticamente paolini), la lettera a Tito oggi è considerata un prodotto della «tradizione paolina», una lettera di Paolo solo quanto al pensiero e all'autorità, messa a punto però da un autore-redattore esperto di pseudepigrafia2. La possibilità che alcune lettere del corpus paolino non siano 2

Fenomeno letterario che consiste nel porre un testo scritto da un autore anonimo sotto

il nome e l'autorità di un personaggio notoriamente conosciuto.

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state scritte o dettate da Paolo ma redatte da qualcuno dei suoi discepoli, non incide negativamente sulla valutazione letteraria, teologica ed esegetica di questi scritti che rimangono canonici, cioè ispirati. Il fenomeno della pseudepigra:fia nasce dalla reale premura di conservare un insegnamento ritenuto particolarmente prezioso e punta a realizzare una sorta di prolungamento della personalità di un personaggio, atto a diffonderne l 'insegnamento e promuoverne l'autorità, nonché a ribadire la verità del patrimonio tradizionale in circostanze di vita mutate rispetto alle origini storiche normative o fondanti. Il patrocinio del· personaggio e l'autorevolezza invocata tramite l'imitazione stilistico-letteraria è in funzione della verità del patrimonio tradizionale. Nel caso specifico della lettera a Tito, sia il destinatario che il mittente potrebbero essere una finzione letteraria, posta al servizio del contenuto. Quanto al personaggio ·di Tito, esso non è mai menzionato negli Atti; è invece uno dei più noti nella seconda lettera ai Corinzi, dove si apprende di un viaggio di Paolo a Troade in Macedonia, durante il quale avrebbe dovuto incontrare Tito. In l Cor 16 Paolo, che si trova a Efeso, progetta un viaggio in Macedonia per andare a Corinto e trascorrervi l'inverno. Poi però la seconda lettera ai Corinzi ci informa che egli non andò a Corinto, ma in Macedonia dove incontrò Tito che non aveva trovato a Troade. Tito era stato lasciato poi a Creta (isola che vantava di esser stata evangelizzata da Paolo e Tito) al fine di mettere in ordine ciò che mancava e insediare presbiteri. Paolo evangelizzò Creta nei tre anni in cui insegnò a Efeso, prima del viaggio a Corinto. Stando a Tt 3,12 è a Nicopoli, città della Macedonia, a nord di Filippi, che Paolo incontra Tito (come attesta anche 2Cor 7,5-6). È molto probabile che l'autore della lettera a Tito pensi alla sua lettera come scritta da Efeso, prima di mettersi in viaggio per la Macedonia. Varie sono le ipotesi relative alla data di composizione dello scritto. Stando ali 'ipotesi della redazione precoce, la lettera sarebbe autentica, scritta cioè da Paolo, tra il 58 e i161 d.C.; per l'ipotesi della redazione frammentarista, invece, lo scritto sarebbe il risultato di una giustapposizione di biglietti-frammenti vari, realizzata da un anonimo nel II secolo; infine, secondo l'ipotesi della redazione tardiva-pseudepi-

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grafica, sarebbe stata redatta tra il 100 e i1120 da un anonimo, che intenzionalmente avrebbe scritto sotto il nome di Paolo. Nel presente lavoro spieghiamo l'origine della lettera a Tito a partire dall'ipotesi pseudepigrafica, fenomeno diffuso nel cristianesimo antico. Tale ipotesi si fonda sui caratteri linguistici delle lettere Pastorali che divergono dalle lettere protopaoline; sui personalia, frammenti di carattere epistolare e autobiografico che forniscono un quadro storico non conciliabile con quello che risulta dalle altre lettere paoline e dal racconto degli Atti degli Apostoli; sul fenomeno della discontinuità, relativa soprattutto alla cristologia e alla soteriologia presente nelle lettere protopaoline. La pseudepigrafia si caratterizza perciò come uno strumento utile a coniugare la necessità di appellarsi a un'autorità comune e fronteggiare i conflitti interni alla comunità, con il bisogno di tenere ben presenti le origini dell'identità cristiana in un contesto sociale, culturale ed ecclesiale ormai diverso da quello degli inizi della predicazione evangelica. Il luogo di composizione della lettera a Tito va individuato in Macedonia e la sua redazione è da collocare dopo il martirio di Paolo ad opera di un autore anonimo (forse un giudeo-cristiano aperto all'evangelizzazione dei pagani), che si avvale del nome dell'apostolo per garantire la più ampia circolazione ai suoi scritti e che potremmo chiamare il «Paolo pseudepigrafo». Si tratterebbe di un uomo dotato di grande familiarità con le lettere dell'apostolo e con la sua teologia. Data la sua prospettiva ecclesiale, potrebbe essere stato un pastore della Chiesa, di certo esperto di cristologia e di vita ecclesiale. Custode della tradizione paolina, appassionato allo sviluppo delle comunità fondate dall'apostolo, l'autore-redattore della lettera a Tito avrebbe selezionato il numeroso materiale che aveva a disposizione (frammenti di inni, codici familiari, cataloghi di vizi e virtù, le tradizioni battesimali e i personalia) facendolo confluire nello scritto in modo personalizzato e innovativo. Inserita nel solco della tradizione paolina, la lettera a Tito rappresenta la testimonianza da una parte della fecondità del patrimonio teologico e spirituale di Paolo; dall'altra, della creatività dei discepoli nell'inculturare il suo pensiero in uno scenario storico ormai nuovo, al fine di rivitalizzare il messaggio cristiano.

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TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Il testo della lettera a Tito, insieme a quello delle due lettere a Timoteo, manca nel papiro Chester Beatty II {SJ)46) scritto verso il 200 e nel codice Vaticano (B) del IV secolo. Questa assenza però si potrebbe spiegare per motivi contingenti: sembra che il copista del papiro Chester Beatty II {SJ)46) non avesse a disposizione un numero sufficiente di fogli per completare l'opera, mentre gli ultimi fogli del codice Vaticano (B) sarebbe andati perduti. Il papiro Rylands 5 {SJ)32), anche questo datato intorno al200, invece, contiene alcuni versetti della lettera, come Tt 1,11-15; 2,3"'-8. Elenco dei manoscritti per il testo di Tito citati nel commento Papiro Colt 5 {SJ)61 ) scritto attorno al 700 e conservato alla Pierpont Morgan Library di New York. Codice Sinaitico (K), scoperto nel monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai; risale al IV secolo; la maggior parte dei suoi fogli sono conservati alla British Library di Londra. Codice Alessandrino (A), del V secolo; conservato alla British Library di Londra. Codice di Efrem riscritto (C), scritto in maiuscolo e risalente al V secolo. Il nome deriva dal fatto che la pergamena, che in origine conteneva tutto l'ATe il NT, fu riutilizzata nel XII secolo per scriverei alcune opere di Efrem siro; il codice è conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Codice Claromontano (D), scritto in maiuscolo e risalente al V secolo, contiene le lettere paoline; è conservato alla Biliothèque Nationale di Parigi. Codice di Augia (F), del IX secolo; il nome è quello della località in cui fu copiato, il monastero dell'isola di Reichenau sul lago di Costanza, chiamata Augia in latino; attualmente è conservato al Trinity College di Cambridge. Codice di Borner (G), del IX secolo; conservato a Dresda nella Sachsische Landesbibliothek. Codice della Laura del monte Athos {'P), dell'VIII-IX secolo; prende il nome dal luogo in cui è conservato.

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Manoscritto greco 14 (33), scritto in minuscolo e risalente al IX secolo, e conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Manoscritto greco di Lambeth Palace 1185 (642), scritto in minuscolo e risalente al XV secolo, è conservato alla Lambeth Palace Library. Manoscritto greco 300 di S. Caterina al Sinai (1881), scritto in minuscolo e risalente al XN secolo. La dizione «testo bizantino» indica quello riportato dalla maggioranza dei manoscritti greci esistenti; essa viene usata perché si tratta del testo adottato dalla Chiesa di Bisanzio a partire dal IV secolo.

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I1POLTITON A TITO

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TITO 1,1

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nauÀoç OouÀoç 8eou, àn6crroÀoç OÈ 'Irtcrou XplO'TOU KaTà n{crnv ÈKÀEKTWV 8EOU KaÌ ÈntyVWO'lV cÌÀrt8daç 1

1,1 Servo di Dio (1iouÀ.oc; 6Eofl)- Si tratta di una qualifica singolare nell'ambito dei prescritti paolini. Di solito appare l'espressione «servo di Cristo» o ancora più spesso «servo di Gesù Cristo». Paolo utilizza il titolo «servo di Cristo» a proposito di se stessoinRrn l,l;Gall,lOeFill,l ediEpafra in Col 4,12. Il termine «servo» nell'antichità designava colui che, privo della sua libertà e dei diritti che spettavano a un cittadino, era ritenuto un oggetto. L'espressione «servo di Cristo» viene impiegata da Paolo e da altri autori del NT per sottolineare il fatto che i cristiani, grazie all'opera salvifica di Cristo, sperimentano il passaggio dal servire il peccato al servire colui che libera dal peccato. L'espressione «servo di Dio», invece, ricorre solo in Tt 1,1 e in Gc l, l come auto-designazione dell' apostolo. In l Pt 2, 16 i cristiani in generale sono detti «servi di Dio», e in Ap 7,3 troviamo l'espressione «servi del nostro Dio» applicata ai centoquarantaquattromila segnati. Il titolo però proviene dali' AT che lo applica soprattutto a Mosè (Nm 12,7; 2Re 18,12; Dn 9,11; Ne 9,14; 10,30; lCr 6,34; 2Cr 1,3; 24,9). N eli' AT il «servo (ebraico, 'ebed) di Dio» è colui che cura gli interessi di Dio, è una persona speciale come Abram (cfr. Sall05,42), Davide (cfr. Sal89,4), Daniele

(cfr. Dn 6,21) e i profeti (cfr. Ger 25,4; Ez 38,17;Am 3,7; Zc 1,6). InAt 16,17, invece, il titolo «servo di Dio» non serve a riconoscere un ministero ufficiale, ma per indicare la dedizione di Paolo e Sila a Dio, come in Dn 3,93 LXX (TM 3,26) dove Shadrak, Meshak, Abednego sono detti «servi del Dio altissimo». Apostolo di Gesù Cristo (à:rroo-roÀ.oc; 1iÈ 'lTJoou XpLo-rou)- Alcuni manoscritti riportano XpLo-rou 'lTJoou invece di 'lTJoou XpLo-rou e il codice Claromontano (D) nella versione originale riporta XpLo-rou e omette 'lTJOOu. Va detto però che i "nomi sacri" si prestano a modifiche da parte degli scribi per motivi religiosi o per assimilazione alle formule liturgiche. Tuttavia il titolo adottato dal vocabolario dell'autore delle Pastorali è 'lTJoou XpLo-rou. Questo secondo titolo, assai frequente nell'epistolario paolino (cfr. Rm l, l; l Cor l, l; 2Cor 1,1; Ef l, l; Col l, l; lTm l, l; 2Tm 1,1), mette in luce che il ministero di Paolo non è una sua iniziativa personale: è Cristo a chiamarlo e a immetterlo nel processo salvifico che realizza la promessa della vita eterna. Radicato nella fede (Ka:-rò: n(onv) - Per quanto riguarda la preposizione Ka:-rlf con l'accusativo consideriamo l'anfibologia, la

PRESCRITTO. L'ORIZWNTE DELLA PREDICAZIONE DI PAOW (1,1-4) La lettera a Tito si apre con un prescritto (l'indirizzo che compare in genere all'inizio di ogni lettera antica) dal carattere programmatico, il più ampio e articolato delle lettere Pastorali sia nella presentazione di Paolo e della sua autorità, sia nella descrizione del compito affidato a Tito. Sorprende il contatto con il prescritto di Rrn l, 1-7 con cui condivide la prolissità nel delineare il profilo dell'apostolo. Mentre nella lettera ai Romani si pone l'accento sulla cristologia, nella lettera a Tito si insiste sullo stretto nesso tra l'apostolo e il successore, tra l'origine e l "'oggi" della vita ecclesiale. Il prescritto, che consta della superscriptio (l'indicazione del mittente, vv. 1-3), dell' adscriptio (indicazione del destinatario, v. 4a) e della salutatio (saluti iniziali,

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TITO 1,1

1

Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo- radicato nella fede degli eletti di Dio e nella conoscenza della verità, 1

possibilità cioè di interpretarla in due modi diversi, intendendo Ka:ta nel senso di corrispondenza e conformità: «in accordo e armonia», oppure nel senso finale di ELç, «pem. La versione CEI del2008 traduce l'espressione Ko:tà Tr[onv con «portare alla fede», soluzione da noi non seguita perché stando al contesto si tratterebbe piuttosto di aiutare a perseverare nella fede. La missione di Tito consiste infatti nel continuare un'opera che è già avviata. Degli eletti di Dio (ÈKÀ.EKtwv 9Eoiì) - Gli «eletti di Dio» potrebbero essere il popolo dell'antica alleanza, o uomini e donne già divenuti cristiani o, infine, gentili non ancora convertiti a Cristo. Nel primo caso l'autore-redattore presenterebbe la vita cristiana come normale evoluzione della fede nel Dio di Abramo. Nel secondo, inviterebbe i credenti a un radicamento maggiore nella fede cristiana. Nel terzo, si tratterebbe di una vera chiamata alla conversione radicale. Confrontando questa referenza con Rm 8,33 e Col 3,12 appare chiaro che con l'espressione «eletti di Dio» ci si voglia riferire ai cristiani, mettendo un'enfasi particolare su colui che li ha scelti. E nella conoscenza della verità (Ko:i ÈTI[yvwow &:J..,eElo:ç)- Quest'espressione

si oppone apertamente a «ciò che si spaccia per conoscenza ma non lo è» (ljJEuowvulloç yvwOLç) di cui si parla in l Tm 6,20. Nel NT ricorre anche in l Tm 2,4 dove la conoscenza della verità appare piuttosto come una finalità dell'apostolato. Si trova anche a Qumran, Inni (l QH) 18,27-29: «Ma a coloro che partecipano della tua verità, hai dato l'intelligenza [affinché ti conoscano per l'etemi]tà; e a seconda della loro conoscenza vengono onorati, l'uno più dell'altro. E così il figlio dell'uo[mo ... ] ha moltiplicato la sua eredità grazie alla conoscenza della tua verità e secondo la sua sapienza e [la sua capacità di comprendere] [sarà glorificato]». Questo testo celebra l'onnipotenza di Dio e al tempo stesso la sua «accessibilità» per l'uomo nel concedergli di penetrare i suoi segreti e nel farsi conoscere. Nell'espressione, quindi, la conoscenza non è un fatto puramente intellettuale, ma un'esigenza etica. In Tt 1,1 essa amplia ulteriormente l'orizzonte dell'apostolato di Paolo. Il Ko:[ potrebbe essere epesegetico ( aggiùnge una spiegazione a ciò che precede) e descrivere la fede degli eletti vissuta in seno alla Chiesa: la «conoscenza della verità» sarebbe il risultato della trasmissione della tradizione e dell'insegnamento degli apostoli.

v. 4b ), si presenta anche come un sommario prospettico, dove vengono enunciati diversi temi soteriologici che ricorrono in tutte le Pastorali e che avranno uno sviluppo più esteso nel corpo della lettera stessa (cfr. 2,11-14; 3,3-7). Esso contiene una vera e propria teologia de li' apostolato che, facendo leva sull'esaltazione della figura di Paolo e sulla credibilità del suo insegnamento, vede nell'esemplarità dell'apostolo la via maestra per camminare nella «sana dottrina» che da Cristo discende alla Chiesa di tutti i tempi, grazie al ministero degli apostoli e dei loro successori. Il prescritto, posto all'inizio della lettera, ha la funzione di fornire !'identikit del mittente e del destinatario (ambedue fittizi per via del ricorso alla pseudepigrafia), di creare una comunicazione empatica tra i due interlocutori e di introdurre proletticamente il contenuto e l'intento della lettera.

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TITO 1,2

Tfjç KaT' EÙcrÉ~Etav 2 Èn' ÈÀniòt ~wfjç aiwviou, ~v È1tf1YYEtÀaTO Ò à\jJeuO~ç 8eòç npò xp6vwv aiwv{wv, 3 ÈcpavÉpwcrev OÈ Katpoiç iòiotç TÒv Àoyov aÙTou Autentica vita religiosa - La conoscenza della verità è collegata alla EÒOÉI3euxv («vera religiosità» ), il delicatO rispetto nei confronti della sfera del divino che regola anche i rapporti umani nel mondo civile e nella comunità ecclesiale. 1,2ln vista della speranza (Èn' ÈÀ.nLliL) -Alcuni manoscritti riportano Èv invece di Èn', ma l'espressione Èv ÈÀn(I>L («nella speranza>>) non esiste altrove nel NT, mentre Èn' ÈÀ.n(I>L («in vista della speranza>>) ricorre più volte nell'epistolario paolino. Risulta però difficile stabilire se con il termine «speranza» l'autore voglia designare l'attesa fiduciosa basata sulla promessa di Dio, oppure l'oggetto della speranza, il Cristo salvatore e la manifestazione della sua gloria. Se consideriamo la preposizione greca Èn( possiamo capire che l'autore non sta parlando più di un possibile orizzonte in cui s'inserisce l'apostolato di Paolo, come potrebbe essere l'atteggiamento della speranza, ma di una finalità, cioè della manifestazione ultima

dell'oggetto di questa speranza, che è proprio la vita eterna che Gesù Cristo salvatore dona a quanti credono in lui. Conferma ne è il fatto che in Tt 2, 13 vi è un unico articolo e un unico aggettivo che regge «speranza>> ed «epifania della gloria>>, a mostrare che con «speranza>> si vuole intendere il contenuto di questa virtù, cioè la manifestazione della gloria del Salvatore. Da sempre (npò xpovwv alwv[wv)- Questa locuzione, presente anche in 2Tm l ,9 e che la versione CEI del 2008 traduce letteralmente «fin dai secoli eterni», richiama il npò KataPoÀ.ijç KOOj.lOU («prima della creazione del mondo») di Gv 17,24 ed Ef l ,4, dove più che riferirsi a un tempo quantificabile, si vuole esprimere la volontà salvifica immutabile ed eterna di Dio di farci partecipi della sua vita. Questa formula non è una definizione temporale che rimanda a una data precisa, ma un ebraismo che esprime la rilettura delle promesse messianiche alla luce della fede in Gesù Cristo. Per questo

1,1-3 La superscriptio Dopo quella della lettera ai Romani, si tratta della superscriptio più lunga del NT. Essa presenta tre elementi: il mittente (fittizio) che è «Paolo», i suoi titoli («servo di Dio» e «apostolo di Gesù Cristo») e uno sviluppo che spiega ulteriormente i titoli e che è rappresentato dali' orizzonte della fede, della conoscenza della verità e della vita eterna. Servo di Dio. Il primo titolo impiegato per presentare Paolo svolge la duplice funzione di indicare sia il carattere ministeriale del suo ufficio apostolico sia la sua dedizione a Dio: «la sostituzione di "Dio" al posto di "Gesù Cristo" dà a questa designazione un valore accessibile anche ai pagani; essa tende inoltre a mettere l'apostolo allivello di Mosè e degli altri servi di Dio nell'AT (cfr. Dn 9,10-11), specialmente in relazione con il "servo di Dio" d'Isaia; essa mostra infine che Paolo non fa differenza tra il Padre e il Figlio» (Spicq, 220). In Rm l, l; Gal l, l Oe Fil l, l il titolo «servo di Cristo» mette l'accento sull' appartenenza radicale a Cristo e la dedizione piena nell'annuncio del Vangelo. Il cambiamento da «servo di Cristo» a «servo di Dio» potrebbe non essere significativo, oppure potrebbe essere intenzionale per esprimere il fatto che Paolo

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TITO 1,3

intimamente unita a un'autentica vita religiosa, 2in vista della speranza della vita eterna che Dio, che non mente, ha promesso da sempre ... 3Ma nel proprio tempo egli ha scegliamo di tradurre con l'italiano «da sempre», che esprime durata e continuità, più che precisione cronologica. L'autore sottolinea con questa formula la straordinaria continuità all'interno dell'unica storia di salvezza, creando uno stretto nesso tra il presente della comunità di Creta, il passato delle promesse messianiche e il passato (meno remoto) della predicazione dell'apostolo Paolo. 1,3 Ma - Sembrerebbe che la particella avversativa liÉ introduca al v. 3 la continuazione antitetica del v. 2b; invece, nella costruzione manca il KO:L di congiunzione che mostri che quanto Dio ha manifestato è la vita eterna che aveva promesso: la proposizione relativa di 1,2b è seguita da un'affermativa al v. 3 che non ha rapporto con la frase precedente. Infatti, ciò che è nascosto e promesso («la vita eterna») in l ,2 non è identico a ciò·che è rivelato («la parola») in 1,3. Siamo pertanto in presenza di un anacoluto, vale a dire di un costrutto incompleto a causa della mancanza

o dell'incongruenza di nessi sintattici. Per questo traduciamo: «Ma nel proprio tempo egli ha manifestato la sua parola mediante la predicazione ... », a differenza della versione CEI del 2008 che corregge l'anacoluto inserendo la congiunzione e traducendo «e manifestata al tempo stabilito nella sua parola mediante la predicazione». Ha manifestato (È), viene tracciato tuttavia un arco tra la protologia e l'escatologia, al centro del quale l'accento è messo sulla rivelazione del contenuto centrale della predicazione apostolica. Il compimento di questa promessa rimanda al «proprio tempo», dove gli interventi salvifici di Dio a favore dell'uomo trovano la loro piena maturazione: l 'incarnazione del Figlio suo, la sua passione, morte e risurrezione, l'invio dello Spirito, e anche quell'evento di salvezza che è la predicazione apostolica. Il verbo «manifestare» offre quindi concretezza alla promessa eterna di Dio collegandola alla rivelazione della parola dell'apostolo. La parola eterna di Dio prende corpo nell'annuncio affidatQ a Paolo, che assume un ruolo centrale e fondante nella vita della Chiesa. La predicazione apostolica realizza le promesse divine e assume un carattere quasi sacramentale di realtà di compimento, di realtà che realizza ciò che annuncia, sull'esempio della predicazione dei profeti dell' AT e del Cristo stesso. Il Verbo eterno continua a incarnarsi e a manifestarsi nell'annuncio cristiano, la cui autorità non proviene dall'uomo ma dal comando di Dio che sceglie di designare l'apostolo per tale servizio. Nella visione della lettera a Tito, pertanto, la rivelazione è strettamente legata al Vangelo di Paolo e al suo annuncio. La predicazione apostolica riceve qui una rilevanza soteriologica e così lo stesso Paolo, che viene "canonizzato" come parte integrante del dinamismo della rivelazione e della storia della salvezza.

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TITO 1,4

YVT]O'l(f> TÉKV(f> Karà KOlV~V rdcrnv, xaptç KaÌ EÌp~VT] àrrò 8Eou rrarpòc; KaÌ Xptcrrou 'IT]crou rou crwrfjpoc; ~}JWV.

4 Tfr è invece assai più ricca e articolata. «Paolo» non si rivolge direttamente alle categorie che compongono la comunità ecclesiale, ma si avvale del leader, «Tito», per applicare le sue disposizioni. In 2,2-10 abbiamo un mandato, che consiste nell'enunciare norme momli; in 2,11-14 segue una giustificazione dottrinale, che aiuta l'intelligenza della fede ad aderire alle direttive apostoliche. In 2,15 compare un'esortazione al capo che ricapitola il suo compito e ne mostm l'importanza. Le norme del c. 2 non sono generali o generiche; sono piuttosto enunciate secondo le diverse età, secondo i generi e secondo la condizione. Le categorie prese in esame sono quattro: gli uomini anziani, le donne anziane, i giovani, gli schiavi. 2,1 La direttiva centrale per Tito Il v. l svolge una triplice funzione: introduce il contmsto rispetto alle posizioni degli eretici di 1,10-16, si presenta come il titolo dell'intero capitolo e costituisce una sorta di inclusione con 2,15. 2,2-10 Il codice comunitario La pericope è una parenesi rivolta alla comunità sotto forma di «codice comunitario» o «codice corpomtivo». Al v. 2, infatti, inizia un catalogo di sei virtù, che risente dell'influsso della tmdizione etica, propria della filosofia popolare ellenistica, e che rifluirà in seguito negli scritti di epoca sub-apostolica. La prima categoria a essere interpellata è quella degli uomini anziani. Ad essa sono riferite

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TIT02,4

rroÀÀ'f> ÒEÒouÀW}lÉvaç, KaÀoòtòao'KaÀouç, 4 iva crw; nei Salmi si incontra il senso ambivalente

di «amorevole sentimento o modo d'agire di Dim> oppure «beni di fortunro> da lui concessi, cioè il «benessere>>. In Filone XPTIIJ'to'tllç ricorre nei cataloghi di virtù, dove spesso è in alternanza con cjiLÀIIvepwn(u (Vita di Mosè 1,249), mentre altrove forma con questo vocabolo un'endiadi, una coppia cioè di sostantivi coordinati per sottolineare un concetto (Ambasciata a Caio 73). Egli spesso l'attribuisce a Dio, sulla linea della Settanta, per indicare l'atteggiamento che Dio ha verso gli uomini e il suo preferire il perdono alla punizione. Nel NT il termine acquista il significato di «atteggiamento misericordiosm> di Dio verso il peccatore (cfr. Rm 2,4; Il ,22). L 'amore per gli uomini (~ cjiLM:vepwnl.u)- È la sapienza ad essere definita cjiLÀ.llv9pwnov nveiì!J.U («spirito amante degli uomini>>) in Sap 1,6; 7,23. In Sap 12,19, invece, è detto

attraverso uno stile squisitamente paolino che appare soprattutto in Gal 3,1-5 e 1Ts 1,5-10, dove, dinanzi alle deviazioni, l'apostolo invitava a fare memoria dell'ingresso nella vita nuova. Prima dell'incarnazione del Figlio di Dio, l'uomo viveva nella condizione di schiavo, descritta con un ritratto a tinte fosche che rende ancora più sorprendente la trasformazione avvenuta. L'autore, rifacendosi agli stilemi della predicazione primitiva, ricorre alla terminologia tipica del popolare catalogo di vizi filosofico. Egli, però, non si ferma al quadro negativo dell'uomo prima della venuta di Cristo, ma fa riferimento nel v. 4 a un evento spartiacque che ha guadagnato all'uomo la liberazione e la salvezza. Alla situazione in cui gli uomini si trovavano a vivere a causa del dilagare del peccato, il testo contrappone un'enunciazione sull'opera salvifica di Dio e una professione di fede in Lui. Si parla di un presente tutto salvifico caratterizzato dall'opera della misericordia. È per un'iniziativa estremamente gratuita da parte di Dio che l'uomo può essere liberato dalle catene del peccato e ricevere la vita nuova, effetto del «lavacro di rigenerazione e di rinnovamento>> che è il battesimo. Molti esegeti hanno visto in 3,4-7 la presenza di un vocabolario dal sapore ionico

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TIT03,5

OÙK È~ Épywv t'WV ÉV ÒtKatocrUvn Q: Érrot~O'a}..lEV ~}lEi