Il vangelo secondo Luca 8839405984, 9788839405982

Scritto dopo il 70 a.C. ma prima degli Atti degli apostoli (redatti certamente dalla stessa mano), il Vangelo secondo Lu

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Italian Pages 376 [369] Year 2000

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Il vangelo secondo Luca
 8839405984, 9788839405982

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Nuovo Testamento Seconda serie a cura di Peter Stuhlmacher e Hans Weder 3 Il vangelo secondo Luca

Paideia Editrice

Il vangelo secondo Luca Eduard Schweizer

Paideia Editrice

Titolo originale deli'opera:

J?.as Evangelium nach Lukas

Ubersetzt und erklart von Eduard Schweizer

Traduzione italiana di Paola Florioli Revisione di Monica Negri

© Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 21986 © Paideia Editrice, Brescia 2000

Indice del volume

9

Elenco delle abbreviazioni

11

Introduzione

19

Prologo Gli intenti di Luca

(1,1-4) 24

Parte prima Racconti dell'infanzia: Giovanni e Gesù

(1,5-2,52) 73

16o

Parte seconda Raccolta della comunità

(J,I-9,50) Parte terza In cammino verso Gerusalemme

(9,5 I- 19,27) 282

Parte quarta Passione e risurrezione

(I 9,28-24,5 3)

3 59

Retrospettiva

365 367

Bibliografia Indice analitico Excursus

64 70

95 301 306 3I 9 334

Israele e i popoli La predicazione di Cristo nella storia dell'infanzia Storia della salvezza L'importanza d,Israele Venuta definitiva e storia escatologica La concezione della morte in croce di Gesù Fonte propria nella storia della passione?

Elenco delle abbreviazioni

Scritti biblici

Ab. Abacuc. Abd. Abdia. Agg. Aggeo. Am. Amos. Apoc. Apocalisse. Atti Atti degli Apostoli. Bar. Baruc. Cant. Cantico dei cantici. Col. Lettera ai Colossesi. I, � Cor. Prima, seconda lettera ai Corinti. I, .1 Cron. Primo, secondo libro delle Cronache. Dan. Daniele. Deut. Deu­ teronomio. Ebr. Lettera agli Ebrei. Ecci. Ecclesiaste. Ef. Lettera agli Efesini. Es. Esodo. Esd. Esdra. Est. Ester. Ez. Ezechiele. Fil. Lette­ ra ai Filippesi. Film. Lettera a Filemone. Gal. Lettera ai Galati. Gd.

Lettera di Giuda. Gdt. Giuditta. Gen. Genesi. Ger. Geremia. Giac. Lettera di Giacomo. Giob. Giobbe. Gion. Giona. Gios. Giosuè. Giud. Giudici. Gl. Gioele. Gv. Vangelo di Giovanni. 1, .1, 3 Gv. Prima, se­ conda, terza lettera di Giovanni. Is. Isaia. Lam. Lamentazioni. Le. Vangelo di Luca. Lev. Levitico. I, .1 Macc. Primo, secondo libro dei Maccabei. Mal. Malachia. Mc. Vangelo di Marco. Mich. Michea. Mt. Vangelo di Matteo. Naum Naum. Neem. Neemia. Num. Numeri. Os. Osea. I, .1 Pt. Prima, seconda lettera di Pietro. Prov. Proverbi. I, 2 Re Primo, secondo libro dei Re. I, .1, 3, 4 Regn. Primo, secondo, terzo, quarto libro dei Regni (LXX). Rom. Lettera ai Romani. Rut Rut. Sal. Salmi. 1, .1 Sam Primo, secondo libro di Samuele. Sap. Sapienza di Sa­ lomone. Sir. Siracide (Ecclesiastico). So f. Sofonia. I, .1 Tess. Prima, seconda lettera ai Tessalonicesi. 1, .1 Tim. Prima, seconda lettera a Timo­ teo. Tit. Tito. Tob. Tobia. Zacc. Zaccaria. Q fonte dei discorsi di Gesù utilizzata da Mt. e Le. S materiale proprio di Luca (Sondergut, v. intr. 1); intr. = introduzione; conci. = conclusioni (v. introduzione). .

Scritti giudaici del 11/1 secolo a. C.

Ahiqar raccolta di massime, epoca d'origine vn sec. a.C. CD Documento di Damasco (Qumran). Ep. Arist. Lettera di Aristea. Hen. aeth. Libro etiopico di Enoc (la data di composizione varia secondo le parti). Iub. Libro dei Giubilei (giudaico sacerdotale, n sec. a.C.?). LXX Septuaginta (traduzione greca deli'A.T.). 3 Macc. Terzo libro dei Maccabei. 4 Macc.

IO

Elenco delle abbreviazioni

Quarto libro dei Maccabei (giudeo-ellenistico, 1 sec. a.C. o posteriore). Mar t. Is. Martirio di Isaia. 1Q, 4Q ecc. Scritti di Qumran (cf. sotto. p. 366). Test. XII Testamenti dei dodici Patriarchi. Scritti giudaici del /f/1 secolo d.C. e posteriori Apoc. Esd.fMos. Apocalisse

di EsdrafMosè (rielaborazione cristiana). Ass. Mos. Assunzione di Mosè (1 sec. d.C.). Bar. syr. Apocalisse siriaca di Ba­ roe (fine I sec. d.C.). 4 Esd. Quarto libro di Esdra (fine I sec. d.C.). Giu­ seppe Flavio Giuseppe: Ant. Antichità giudaiche; Ap. Contro Apione; Beli. Guerra giudaica; Vita Vita Iosephi (fine I sec., Roma). Hen. slav. Apocalisse slava di Enoc (substrato anteriore al 70 d.C., successivamente rielaborato ) . Ios. As. Giuseppe e Asenet (rielaborazione cristiano-gnosti­ ca?). Filone Filone Alessandrino: molti scritti (Alessandria, fino al 50 d.C.).

Ps.-Filone Pseudo Filone, Liber Antiquitatum Biblicarum (influenzato da Qumran). Od. Sal. Odi di Salomone (d'influenza cristiano-gnostica). Sib. Oracoli sibillini (raccolta di profezie giudeo-ellenistiche). Tg. Jon. Tar­ gum di Gionata (libera versione aramaica del Pentateuco ). Vi t. Ad. Vita di Adamo ed Eva (affine ad Apoc. Mos.). Scritti cristiani del !fil secolo d.C. e posteriori

Act. Thom. Atti di Tommaso (111 sec., Siria?). Barn. Lettera di Barnaba ( II s ec.). Cirillo Cirillo di Alessandria (m. 444). 1 Clem. Prima lettera di Clemente (fine 1 sec.). Ps.-Ciem. Recognitiones pseudo-clementine (300 ca. ?). Ps.-Cyprian. opere falsamente attribuite a Cipriano (n sec.). Const. Ap. Costituzioni apostoliche (Iv sec., Siria; ma alcune parti sono più anti­ che). Did. Didachè (ordinamento ecclesiale, fine I sec.; Siria?). Didasc. Didascalia, Const. Ap. I -6 (III sec.; Siria?). Epifanio Epifanio di Salamina (Cipro, IV sec.): Haer. Haereses. Eus. Eusebio di Cesarea (m. 339): Hi s t.

Ecci. Storia ecclesiastica. Ev. Eb., Thom. Vangelo degli Ebioniti, di Tom­ maso (n sec. ?). Herm. Pastore di Erma: Mand. Mandata; Sim. Similitudi­ nes; Vis. Visiones (Roma, metà II sec.). Ign. Ignazio di Antiochia (m. po­ co dopo il 110): Mg. Ai Magnesi; Poi. A Policarpo; Sm. Agli Smirnei; Tr. Ai Tralliani. lust. Giustino Martire (m. 165 ca.; Efeso, Roma): Apol. Apo­ logia; Dial. Dialogo con Trifone giudeo. Origene Origene di Alessandria (185-254). Protoev. Iac. Protoevangelo di Giacomo (fine n sec.).

Introduzione

Al pari di Matteo, Luca inizia con i racconti dell'infanzia, ma poi, a parte alcune aggiunte, segue Marco fino a 9, 50 e ancora da I 8,1 5 in poi. La sezione intermedia (9, 5 I-1 8, I 4) è costituita dal cosiddetto re­ soconto di viaggio, in cui compaiono tradizioni proprie di Luca e pe­ ricopi affini a Matteo; esso verte sul cammino di Gesù verso Gerusa­ lemme. È probabile quindi che Luca conoscesse Marco e una raccolta di discorsi di Gesù, la «fonte dei logia» che qui sarà indicata sempre con Q {ted. Quelle), benché non sia affatto unitaria (v. intr. a Matteo, 2 e 3). Nella traduzione si terranno quindi nel massimo conto identità e differenze rispetto a Marco e Matteo, anche laddove ciò comporti e­ spressioni inusuali. Eventuali traduzioni letterali sono riportate tra parentesi quadre, mentre le integrazioni necessarie in italiano com­ paiono tra parentesi tonde. Riguardo al materiale comune si dà per co­ nosciuta l'interpretazione di Mc. e Mt. e si fanno rilevare solo le parti­ colarità lucane. Il passo parallelo più importante è indicato ogni volta nel titolo. Ai passi prettamente lucani, e soprattutto al materiale pro­ prio di Luca (Sondergut, indicato con S), seguono l'introduzione (intr.), che discute struttura e storia del testo, la spiegazione vera e propria e le conclusioni (conci.). Sulla questione dell'autenticità storica v. intr. a Mc. (5); per gli intendimenti di Luca v. a 1,1-4; per gli aspetti teologici v. la retrospettiva e gli excursus (cf. indice del volume). 1.

2. a)

È assai arduo riuscire a stabilire in quale misura Luca si sia ser­

vito delle fonti. Ovviamente il materiale suo proprio (Sondergut) non è una sua invenzione, ma gli era disponibile in forma scritta od orale. È quasi impossibile determinarlo da un punto di vista linguistico. Sul­ la base di Mc. (e di Q) si può constatare come Luca trascriva le pro­ prie fonti in uno stile del tutto personale. Se non avessimo Mc. (e Mt. ) sarebbe davvero difficile scoprirle in 3 , 1 6-22; 8,22-2 5; 9,2 8-36. D'altra parte, laddove riformula autonomamente le sue fonti, Luca ne assume le peculiarità stilistiche: cf. 1 7,2 5 con Mc. 8,3 1; 24,7 con Mc. 14,41 ecc.

11

Introduzione

In presenza di tradizioni parallele, inoltre, si fa influenzare da un testo

ogni volta diverso (v. a 1 7,23 e 9,8/19; 9, 1 -6/Io, I - 1 2). Così, mentre in 8, 1 6 e 1 1 ,43 (v. ad loc. ) accanto a Mc. e Q compaiono espressioni non lucane, in 1 I ,3 3 e 20,46 si trovano invece espressioni di Mc. o di Q. Ancora, Luca adotta talvolta uno stile volutamente arcaizzante. Di norma parla del diavolo, ma eccezionalmente anche di Satana (Atti 5, 3 ; 26, I 8), termine che altrimenti riprende esclusivamente dalla tradizio­ ne (I I , I 8; da S: IO, I 8; I 3 , I 6; 22,3 .3 I). Talvolta nel testo greco degli At­ ti ricorre anche la forma biblica sacrale Hierosolyma in luogo della Gerusalemme lucana. Per queste ragioni, la presenza di espressioni lu­ cane non prova che alla loro base non vi sia alcuna fonte, né le espres­ sioni non lucane provano la dipendenza da una fonte. Tuttavia passi come 3,3 - 1 6a o I0,2 I - 24 appaiono tanto poco lucani che bisognerebbe supporne la dipendenza da fonti anche se non conoscessimo né Mc. né Q né i Settanta (LXX). b) Le. I, I parla di «molti» predecessori. Benché propria dello stile re­ torico, questa espressione non può riferirsi solo a Mc. e Q. Se anche Luca avesse conosciuto ancora un altro testo-base, precedente a Mc. e Q (fatto peraltro improbabile), non si sarebbe certo trattato di una nar­ razione evangelica vera e propria. Luca potrebbe aver conosciuto sin­ goli logia e racconti di tradizione orale, ad esempio dalla liturgia o an­ che dalla sinagoga giudeo-ellenistica. Per esempio il nucleo di 24, I 3 3 5 potrebbe essere stato narrato i n una forma orale già saldamente fis­ sata. Lo stesso potrebbe dirsi anche di parabole e parole di Gesù, seb­ bene dal confronto con Marco risulti che le modifiche apportate da Luca sono pochissime. Tuttavia esse potrebbero aver già subìto delle trasformazioni nella tradizione orale prima di Luca, e in particolare avrebbero subìto l'influsso del pensiero greco. Vi sono comunque passi nei quali sono riconoscibili i differenti stra­ ti della tradizione o le tensioni tra modello testuale e interpretazione, come ad es. i capp. I s.; 3,23-3 8; 4, 14-30; 5 , 1 - I 1; 7,36-50; I 9, I - I o; le tre guarigioni operate di sabato e il racconto della passione e della pa­ squa (v. excursus dopo 23,2 5), parabole come 10,2 5-37; x 1,5 -8; 1 6, 1 - I 5; 1 8, I -8; 19, 1 1-27, discorsi come 1 3,23-29·3 1 -3 3 ; 1 7,20-3 7; 21. Inoltre si discostano nettamente dalla tradizione anche annotazioni lucane sia generali sia marginali (7,29 s. ?; I 1,37-4 I ; 1 2, 1 3 -2 1.4 I ; 14,7- 1 4; v. anche a 7, 1 I - 1 7; 1 5, I -3; 1 8,9- 14). Non tutto ciò si può spiegare con l'ipotesi della tradizione orale, né è pensabile che Luca abbia avuto a disposi-

Introduzione

I3

zione una quantità di singoli fogli con racconti, parabole e discorsi. È molto più verosimile invece che la maggior parte delle pericopi conte­ nenti materiale proprio si trovasse in una fonte scritta unitaria. A favore di questa ipotesi depone anche lo stile, perfettamente assi­ milato alla Bibbia greca; infatti negli Atti espressioni analoghe compa­ iono quasi solo in relazione a determinate citazioni. Dietro a S c'è si­ curamente una tradizione che mostra parecchi punti di contatto con il quarto vangelo, senza che si possa pensare a una diretta dipendenza dell'uno dall'altro. Ciò vale per il racconto della passione (v. excursus dopo 2 3,2 5 ), ma anche per il rifiuto del Battista di lasciarsi venerare come messia (Le. 3,1 5 l Gv. 1,2o), per i nomi Maria e Marta (e Lazza­ ro, v. a 8,2), per i miracoli come motivo dell'esultanza all'ingresso di Gesù (Le. I9,3 7 l Gv. 1 2, 1 7 s.). Più importanti sono gli insegnamenti di Cristo insistentemente rivolti a Israele, la mancanza di ogni contat­ to di Gesù con i pagani prima della passione nonostante la loro aper­ tura verso di lui (Le. 7,3; v. a 8,39 l Gv. I 2,20-3 2), la caduta di Satana (Le. Io, I 8 l Gv. I 2,3 I ), l'intercessione di Gesù in favore dei discepoli (Le. 22,3 I s. l Gv. 1 7, I 5), lo Spirito santo come dono di Gesù ad essi (Le. I 1 , 1 3; 24,44 l Gv. I4, I 6 s.; 2o,2I s.), l'idea della morte come passaggio alla gloria e l'importanza dell'esaltazione di Gesù (Le. 24,26. 5 1 Atti I,9; 2,3 3; 5,3 I ). Come in Giovanni, anche in S la Samaria svolge un suo ruolo e Gesù sembra operare a lungo sia qui sia in Giudea (Le. 9, 5 1 s.; I 7,1 1; I 9,47; 2 1 ,3 7 s.; 22,39; v. a 22, 1). Anche negli Atti la Gali­ lea è nominata soltanto in 9,3 I (v. a 4,44; 24,6), la Samaria invece in 1 ,8; 8, 1 - I 4; I 5,3 . Che alla base del materiale proprio di Luca come alla base di Giovanni vi sia una tradizione di discepoli della Giudea, dei qua­ li forse si parla anche nel discorso missionario di I O, I - 1 2 (in S dopo la partenza per la Samaria e Gerusalemme), mentre 9, I -6 riguarderebbe un gruppo galileo, di cui si parla in Mc. e Q? Da un punto di vista con­ tenutistico, tipica di S è anche la particolare apertura nei confronti del­ le donne e dei poveri (comunque anche Q in 6,2o; I 2,34; Le. in I 6, 1 4; I 8,22; Atti I 6, I J - I 8), come pure l'idea di una cerchia (intima) di di­ scepoli più ampia, l'avversione per il concetto di merito ( 1 o,2o; I 5,2 5 32; I 7, 5 - 1 0) e la destinazione della salvezza al popolo ( I ,68; 2,3 2.3 8; 7, I 6), mentre Luca insiste sulla decisione del singolo. I racconti dell'infanzia assumono una collocazione peculiare, intrec­ ciando la vita di Gesù con quella del Battista e assimilando il loro stile ai LXX in modo straordinariamente forte. La parola «Signore» ricorre

l4

Introduzione

in essi 26 volte in riferimento a Dio, a fronte di un'unica occorrenza in Le. 5 , 1 7, mentre in Le. 8,39 essa è addirittura eliminata rispetto a Mc.

s, 1 9. Che questi racconti costituiscano il nucleo, o un'ultima aggiunta, stilisticamente molto marcata, della fonte propria di Luca, la quale da J, 1 0- I 4.23 -3 8 in avanti contiene la maggior parte del materiale proprio e che avrebbe poi proseguito con un racconto della passione (v. excur­ sus dopo 23,2 5 ) ? Non è possibile esserne certi, perché in ogni caso oc­ corre tener conto che tale fonte ha influenzato Luca stesso. Tuttavia molti elementi depongono a favore di quest'ipotesi. c) Molto più difficili da individuare sono i passi ripresi da Q, in quan­ to presentano una serie di parole e forme stilistiche che altrimenti compaiono solo in S. Mancando del tutto in Mt., esse devono per for­ za risalire o a Luca stesso o all'autore della fonte S, e poiché non si ri­ trovano né in Atti né nei passi che Luca ha ripreso da Marco, la se­ conda ipotesi è la più probabile. Particolarmente convincenti risulta­ no alcuni tratti caratteristici che Luca elimina o modifica nel materiale ripreso da Marco (come il verbo «iniziare» non necessario, o la collo-· cazione del numerale dopo il sostantivo). Certo neanche in questo ca­ so è possibile acquisire la certezza. Da Luca sembra provenire proprio la caratteristica più nota, che compare solo nel materiale proprio e in Q, ovvero la designazione del Gesù terreno come «il Signore» in I 2, 42; I 7, 5 s.; I9,8 ( 24,3 ?), e, come appellativo, anche in IO, I 7; I I , I; I 2,4 I ; 1 3,2 3 . Inoltre Luca elimina tutt'e nove le forme del verbo «chiamare a sé» presenti in Marco, ma impiega questo termine in Atti e, presumi­ bilmente per esigenze redazionali, in 7, I 8 ( ?); I 8, I 6. Certo tali caratteri non lucani si accumulano in 10,23 s.; 1 2,49- 5 3 ; 1 4, 15-24; 1 7,34-37; 1 9, 1 2-27 (in S ad es.: 7, 1 2- 1 6; 22, 1 4- 1 8.2 1 -3 8; 23,283 1 .39-43 ) , dove anche la lettera e la disposizione del testo si differen­ ziano notevolmente da Mt. Questo fatto conforta l'ipotesi che Luca abbia utilizzato una forma di Q già molto rielaborata e segnata dallo stile dell'autore di S. Luca avrebbe allora già conosciuto, oltre a Mc., un vangelo nel quale era presente materiale di Q. Analogamente a Gio­ vanni, questo sarebbe stato fortemente influenzato dalla tradizione giudaica samaritana e avrebbe presentato dal punto di vista contenuti­ stico quelle caratteristiche di cui s'è detto sopra, in special modo l'in­ teresse per poveri e donne e per lo stretto rapporto della comunità di Gesù con Israele. Occorre certamente procedere con cautela, come mostra il citato uso

Introduzione

I5

di «chiamare a sé» e «Signore». Determinato materiale può anche es­ sere stato ripreso da tradizione orale, e aver raggiunto invece Mt. per altre vie. Quanto ai passi di Q nettamente divergenti, potrebbe essere comune a entrambi solo la prima radice della tradizione. Le parabole potrebbero essere esistite in una raccolta a parte, indipendente da Q. Mt. o Le. potrebbero aver trascurato o sostituito alcune parti di Q. Certo Luca si è lasciato influenzare da Mc. anche nella struttura, inse­ rendovi la propria fonte (S + Q), se è esistita veramente. Tuttavia, di fronte alle succitate tensioni tra modello testuale e redazione lucana, appare altamente improbabile che Luca stesso sia responsabile della maggior parte del materiale proprio e dei cambiamenti di Q, e che ab­ bia quindi conosciuto una tradizione prevalentemente orale. D'altra parte, dato che è davvero difficile ipotizzare l'esistenza di un gran nu­ mero di brevi brani scritti, resta più probabile l'esistenza di una fonte propria S + Q. Riguardo a Q, disponibile anche a Mt. prima d'essere eventualmente accolta in S, v. introduzione a Mt. (2}; questo strato è evidente con la massima chiarezza in 3,7-7, 10, ma è riconoscibile an­ che fino a I 7,3 7· 3 · a) Chi è Luca? Il suo nome non compare mai nel testo, ma è cita­ to solo alla fine del n secolo da Ireneo (Adversus haereses 3 , I , 1 ) e in un elenco degli scritti canonici. Entrambi lo identificano con il medi­ co etnicocristiano (cf. Col. 4, I I }, compagno di viaggio di Paolo, no­ minato in Film. 24 e Col. 4, I4. Tuttavia ciò è poco probabile, dal mo­ mento che gli Atti in più di un punto non concordano con ciò che emerge dalle lettere di Paolo, e inoltre sanno ben poco della sua lunga permanenza a Efeso, condivisa anche da Luca. E invece ipotizzabile che i brevi passi degli Atti espressi alla prima persona plurale (e il rac­ conto del viaggio a Roma ?) risalgano a una registrazione delle tappe del viaggio, integrata da concise annotazioni, di mano di Luca, di mo­ do che gli è stata attribuita anche la doppia opera di successiva com­ ,posizione, vangelo e Atti. Occasionati espressioni mediche compaio­ no anche in altri autori coevi, che pure non erano medici (cf. Conzel­ mann, Le origini del cristianesimo). Non è possibile stabilire dove Lu­ ca abbia redatto la sua opera. Potrebbe essere stato ad Antiochia, ma questa città è nominata solo nel IV secolo (Eus., Hist. Ecci. 2,4,6). Luca conosce e utilizza la Bibbia greca e il suo stile. Prima di essere battez­ zato era forse un timorato di Dio, cioè un pagano che assisteva alla li-

I

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Introduzione

turgia giudaica e rispettava i comandamenti principali senza tuttavia farsi circoncidere {v. a 24,47). Come risulta da 1 , 1 -4, non è un testi­ mone oculare, né sembra essere di origine palestinese (v. a 4,44; I 7, I I ). Poiché il testo di 2 I ,2o-24 non solo predice l'assedio e la distruzione di Gerusalemme, ma in considerazione di questi eventi propone una nuova interpretazione del testo di Mc. , il vangelo dev'essere stato scrit­ to dopo l'anno 70 (cf. anche I9,43 s.; 23,28-3 I; 1 3, 1 - 5 ), ma prima degli Atti ( I , I s.). Questa seconda opera dimostra uno spiccato interesse per Paolo, ma non conosce ancora nessuna delle sue lettere, quindi non può essere stata composta più tardi della fine del 1 secolo. Si dovrà perciò datare il vangelo almeno dall'So in poi. È altamente improbabi­ le che Luca, oltre a Q, abbia conosciuto anche Mt., come si è talora supposto. Come avrebbe altrimenti potuto trascurarne i racconti del­ l'infanzia, così diversi dai suoi, la ricchezza del discorso della monta­ gna, l'ordinamento della comunità con la significativa parabola del per­ dono (Mt. I 8) o le parabole sul giudizio (Mt. 2 5 ) ? Come avrebbe po­ tuto modificare parole come quelle di Mt. I 2,28 ? b) Non è possibile individuare un fronte unitario al quale Luca si opponesse. Si trattava forse di seguaci estremisti di Paolo, o di premar­ cioniti (v. a 4,3 I ) ? Eppure nella seconda metà degli Atti solo Paolo è visto come colui che segna la storia successiva della comunità, senza che però emerga la sua dipendenza dai dodici. E come avrebbe potuto allora Luca riprendere il discorso di Stefano (Atti 7) ? È ancora meno plausibile che egli polemizzasse direttamente con il giudaismo, in quan­ to tiene a sottolineare che Gesù continuava a predicare all'interno del culto giudaico. Il pericolo della gnosi non compare mai, tantomeno nel «testamento» di Paolo in Atti 20, I 8-3 5 . Né emerge con urgenza la questione dell'imminenza o meno della seconda venuta di Gesù. c) È indubbio che lo stesso autore ha redatto anche gli Atti. A dire il vero ci sono leggere variazioni stilistiche: un po' diversa è la costru­ zione con «e avvenne.», la parola «ugualmente» compare undici volte in Le. e nessuna in Atti e così via. Ma si tratta certamente del medesi­ mo autore, che evidentemente ha redatto anche il secondo libro dopo un certo lasso di tempo, così come fin dal principio aveva in animo di fare. 24,47-49 indica che la storia di Gesù può essere rettamente com­ presa solo in unione con la storia del suo effetto. Forse Luca nel redi­ gere 22,66-7I ha tralasciato l'invettiva di Gesù contro il tempio perché ne compare una simile nel processo a Stefano (Atti 6, I 3 s.). Natura!-

Introduzione

I7

mente si può pensare anche a un intervento successivo (cf. Mc. 5 ,4o; 1 4,2 con Atti 9,40; 1 2,4). Il prologo però non è ancora stato scritto per entrambi i libri, v. a 1 , 1. Per una visione d'insieme cf. introduzione agli Atti, soprattutto 2, anche J, 4.6.2, 5, 7.2 e bibliografia. 4· Durante la mia attività di docente presso il Southern Baptist Theo­ logical Seminary di Louisville, Kentucky, ho potuto rivedere ancora una volta e a fondo il mio commento, discuterne con cari amici e ar­ ricchirlo, grazie a una fornitissima biblioteca, attraverso ulteriori lettu­ re soprattutto di bibliografia anglosassone (che include anche un'an­ cora inedita teologia di Luca a opera di R. Maddox, letta in fotocopia). Dedico quindi la mia opera alla Society of Biblica} Literature del Nord­ america, e in particolar modo ai miei amici che ne sono membri. Si tratta di un piccolo segno di riconoscenza per avermi nominato mem­ bro onorari in occasione del suo centenario.

L'autore è inoltre grato per un contributo dello Schweizerischer Na­ tionalfond, che gli ha consentito di usufruire dell'aiuto di un assisten­ te, in particolare per la revisione delle bozze, anche dopo il pensiona­ mento.

Prologo

Gli intenti di Luca

(1,1-4)

1 Poiché molti già han posto mano a redigere un 'esposizione degli eventi che si sono compiut i in mezzo a noi 2 come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin dal principio e sono diventati servitori della parola - 3 anche a me è sembrato giusto, dopo aver seguito con cura ogni cosa fin dall'inizio, descriverla ordinatamente a te, illustre Teofilo, 4 af­ finché tu riconosca la verità delle parole nelle quali sei stato istruito. -

Luca compone il suo prologo in un'unica frase magistralmente co­ struita in greco, che si differenzia nettamente dallo stile dei racconti successivi. Esso si conforma ad analoghe introduzioni di opere stori­ che dell'epoca (ad es. Ep. Arist. I s.), tuttavia tocca anche questioni teologiche tipiche del tempo di Luca. Mentre Marco investe, quasi colpisce i suoi lettori con la sua «buona novella», Luca preferisce su­ perare il fossato che lo separa dai lettori presentandosi come un e rudi­ to del tempo. «Molti» tentarono (gr.: aoristo, il tempo che indica sin­ goli avvenimenti conclusi del passato) di descrivere l'evento salvifico che, per quanto passato, resta sempre vivo (gr.: perfetto). Essi dove­ vano già dipendere da quella catena di testimoni oculari che, al servi­ zio della parola, trasmisero (aoristo) nel presente l'evento passato. Vie­ ne ora la frase principale, nella quale Luca compare al dativo («a me»). Anch'egli si colloca a metà strada fra il passato, la ricerca ch'egli ha condotto e che è il presupposto del suo scritto (perfetto), e lo scopo di quest'ultimo, che risiede ancora nel futuro: che cioè Teofilo acquisisca la certezza riguardo alle cose già udite (aoristo). La concatenazione che dal passato giunge, attraverso il presente, fino al futuro è illustrata con abilità d'artista: evento salvifico - intervento dei testimoni - trasmis­ sione della loro testimonianza - tentativi finora compiuti - vangelo lucano - certezza di fede. Non è un caso che l'oggetto - gli eventi da esprimere nella parola - sia nominato prima dell'evangelista. Solo l'e­ vento salvifico stesso e la ricerca ad esso relativa svolta da Luca com­ paiono al perfetto, quasi fossero l'unica realtà che dal passato continua a vivere ancor oggi (cf. a 4,2 1).

.10

Le. 1 , 1 -4. Gli intenti di Luca

Il fatto che «molti» {spesso usato convenzionalmente) «tentaro­ no» di descrivere non implica necessariamente un loro fallimento (At­ ti 9,29; I9, I 3 ; diversamente Giuseppe, Ap. 2, I s.); comunque un nuovo tentativo non è superfluo. La tradizione allora, certo a causa della sua varietà, è già diventata un problema. Essa non dev'essere semplice pre­ dicazione della fede e chiamata ad essa, bensì «esposizione di eventi» {analogamente Diodoro Siculo I I ,2o, I ). Ma in essi si è «compiuto» qualcosa. Questo può indicare in senso neutro la fine di un periodo di tempo, come in Atti I4,26; I9,2 I ; 24,24.27, ma in linea di massima è riferito a qualcosa che Dio ha voluto (Le. 8,3 I ; 2 I ,24; 22, I 6; Atti 7,23; 9,23) e già annunciato nell'Antico Testamento (Le. 4,2 I ; 24,44; Atti I , I 6; J , I 8; I 3 ,27), e così va inteso anche qui. I due significati non sono in contraddizione, se Dio è al di sopra dello scorrere dei tempi. «In mezzo a noi» non sta a significare che la storia di Dio si è conclusa tra le persone nominate negli Atti: le cose non stanno affatto così, tanto più che Luca, pur avendo in progetto fin dal principio il suo secondo libro, non compone il prologo per entrambe le opere. I «molti» pre­ decessori possono solo riferirsi al vangelo; inoltre il perfezionamento dello stile indica che gli Atti sono stati scritti solo dopo un certo in­ tervallo di tempo. Luca, quindi, ha in mente tutti coloro per i quali Gesù è giunto a compimento: così anche Giustino, nel n secolo, scrive che il Battista è comparso «in mezzo a noi» (Dia/. 8 1 ,4) . .1-4. Luca stesso non fa più parte dei testimoni oculari, né conosce alcun vangelo attribuito a uno di essi. Deve perciò dipendere dalla tra­ dizione degli «eventi» verificatisi in un preciso periodo di tempo (Atti I ,22: dal battesimo di Giovanni sino alla risurrezione), e non solo dal modo in cui parla oggi lo Spirito o dalla nuova concezione che di Dio hanno gli apostoli. L'apostolo, tuttavia, è non solo garante del decor­ so storico, ma anche «testimone della risurrezione» (Atti I,22; cf. 4,3 3 · accanto a 3 I). s econdo 4· I,2 i testitp.oni oculari furono resi «servito­ ri della parola», certo a pasqua (aoristo, come Atti I0,4 I; I 3,J I); al fat­ to di «vedere» (il Risorto, v. anche Le. 24,3 1 .34; Atti 1,2 I -23) deve ag­ giungersi anche la chiamata (scelta dei dodici, pentecoste). La loro fun­ zione quindi non è soltanto di descrivere in modo storicamente cor­ retto l'avvenimento (come i testimoni di un incidente), ma allo stesso tempo di predicarlo come azione di Dio (cf. Giuseppe, Beli. 6, I J4: «testimone oculare e testimone»). È escluso che si tratti di propaganda a favore della loro causa, poiché il soggetto vero e proprio della loro 1.

Le. 1 , 1 -4. Gli intenti di Luca

21

testimonianza è l o Spirito di Dio (Atti 1,2; 5,3 2), i l solo che fa capire cosa è realmente accaduto (cf. 2, 1 1 s., ecc.), altrimenti anche Erode e Pilato andrebbero considerati dei meri testimoni oculari. Le due cose sono in relazione: qualcosa che si è verificato nella storia terrena è vi­ sto come un'azione di Dio che sconvolge ogni evento terreno, non so­ lo come simbolo o esempio di una verità valida anche a prescindere da esso (al riguardo cf. excursus dopo 4,30). Quindi anche per Luca es­ senziale è la «parola», nella quale comincia a esprimersi non la profon­ dità del nostro cuore né il pensiero di un uomo particolarmente sag­ gio, bensì ciò che Dio ha compiuto nella storia. A differenza di Flavio Giuseppe (Bell. intr. I,I ) Luca non scrive nulla della propria persona: è membro della comunità, tutto il resto è irrilevante. Quattro espres­ sioni caratterizzano il suo scritto. «Fin dall'inizio» può rimandare a Le. I s., certo senza sottolineare che un vangelo sarebbe inadeguato senza la storia dei suoi antefatti. Tale espressione può significare an­ che semplicemente «di nuovo» oppure «a fondo», ma qui va tradotta come sopra. «Ordinatamente» indica la successione (Atti 3,24; I 8,2 3), e mette forse l'accento anche sulla completezza, ma non si riferisce si­ curamente a una successione cronologica di periodi della storia della salvezza. Di certo la traduzione non può essere «il seguito» (invece che «di seguito») perché manca l'articolo. Il fatto che Luca abbia se­ guito «ogni cosa» è sottolineato forse in considerazione di tradizioni segrete che cominciavano a circolare (Atti 20,20.27). La parola «segui­ re» può indicare una personale testimonianza oculare che si potrebbe riferire solo ad alcuni episodi degli Atti, mentre nel vangelo quest' eve­ nienza è esclusa dal v. 2; quindi il verbo va messo in relazione solo con la ricerca effettuata dall'autore che, secondo il prologo in Atti 1 , 1 , concerne l a tradizione su Gesù fino all'ascensione. Infine, Luca proce­ de «con cura», come compete a uno storico. Secondo una tradizione incerta (Ps.-Clem. 10,71 ), Teofilo sarebbe più tardi diventato vescovo di Antiochia. L'attributo «illustre» è di uso corrente e non bisogna trarne la conclusione né che indicasse un alto funzionario romano (lo s tesso appellativo ricorre in Atti 2 3,26; 24,3 ; 26,2 5 ), né che nel periodo intercorso tra la redazione di Le. 1 ,3 e di Atti I, I (dove tale aggettivo è assente) Teofilo sia entrato a far parte della comunità cristiana. Anche -un ebreo avrebbe potuto portare il nome greco Teofilo = «caro a Dio». Egli è «istruito» in merito al vangelo, o perlomeno ne è «informato». Si pensa quindi a un compagno di fede; l'appellativo di cortesia impie-

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Le. 1,1-4. Gli intenti di Luca

gato qui, per quanto assai inusuale, può essere ricondotto allo stile con­ sueto di un prologo. Certamente il vangelo non intende essere una apologia indirizzata a funzionari romani: chi di loro avrebbe mai letto un'opera di tale ampiezza solo per ricavarne sporadiche informazioni sulla pericolosità o meno di questo gruppo ? Resta inoltre fortemente dubbio se i lettori siano minacciati di persecuzione da parte di Roma (v. a 2 1 , 1 2 e cf. a 4,6). Come la fede sarebbe ben poco fede cristiana senza l'azione di Dio nella storia d'Israele, di Gesù Cristo e della co­ munità, così un corretto resoconto storico non potrebbe fornire in quanto tale la «certezza» alla fede. Tuttavia Luca presuppone una vera e propria predicazione di fede e rammenta le «parole» che Teofilo già conosce. La concreta e quindi storica azione d'amore di Dio non può essere ridotta a una dottrina astratta: per questo il vangelo si fa narra­ zione. Allo stesso tempo però quest'azione dev'essere predicata e tra­ smessa al lettore come azione di Dio. È difficile che Luca difenda questa «certezza» contro una dottrina esplicitamente eterodossa. In Atti 20,29 s. i falsi maestri vengono de­ scritti alquanto genericamente, senza evidente riferimento a un errore specifico; secondo i vv. 3 3 s. sembra piuttosto trattarsi di pratiche eti­ camente discutibili (cf. introduzione, 3b ). In nessun passo vi è anche solo un'allusione al fatto che Paolo abbia potuto essere frainteso nella comunità; al contrario, egli assurge a modello della lotta contro l'ere­ sia che sta per diffondersi (Atti 20,17-3 6). In conclusione, Luca concepisce la propria opera come fondamento per l'intera cristianità; scritta nella moderna lingua di esigenti con­ temporanei di cultura laica, è forse concepita anche come opera «con­ correnziale», accessibile a un pubblico istruito. Laddove adotta espres­ sioni bibliche arcaiche proprie della sua tradizione, lo fa consapevol­ mente, simile all'architetto di una chiesa neogotica, per esprimere quel­ la dimensione sacra che le parole di tutti i giorni non riescono a co­ gliere. Luca parte comunque dal presupposto che il suo pubblico co­ nosca l'Antico Testamento e la storia cristiana (cf. ad es. a 1 ,7; 4,3 8) e il suo intento è quello di rafforzare nozioni di fede già esistenti e fa­ vorirne la diffusione nella comunità. Ma la formulazione assomiglia a quella dello storico scientifico: «L'unico scopo e l'unico intento della storiografia è di essere utile, e questo può venire solo dalla verità... L 'unico compito dello storico è di descrivere le cose esattamente nel

Le. 1 , 1-4. Gli intenti di Luca

23

modo in cui sono accadute ... , affinché, al verificarsi di situazioni ana­ loghe, gli uomini apprendano dalla descrizione del passato come rea­ gire alle esigenze del presente)) (Luciano, Sul modo di scrivere la storia 9,39.42). Dal punto di vista del contenuto Luca la pensa in tutt'altro modo. Già la storiografia veterotestamentaria non cercava esempi di avvenimenti che si ripetono di continuo, ma mirava a individuare l'a­ zione di Dio, che ha sempre uno scopo preciso e perciò è unica, ogni volta sempre diversa pur avvenendo con fedeltà costante. Qui il passa­ to non costituisce un esempio istruttivo, ma è la ragione della vita nel presente, punto di partenza per avviarsi all'adempimento della fine dei tempi. Quindi Luca non può né vuole mantenere la sua esposizione a quel livello puramente oggettivo e storico a cui alludeva nel prologo. In Atti I, I- 5 il suo interesse di fede spazza via anche l'elegante forma letteraria del prologo. Lo schema dell'opera segue quello di Marco, determinato dalla predicazione di fede, oppure mostra la volontà di Gesù di intraprendere il viaggio per Gerusalemme {9, 5 I - 1 9,28), volon­ tà importante dal punto di vista teologico; la risurrezione, in quanto conclusione del vangelo, rimanda al futuro dell'azione divina (illustra­ ta negli Atti). Anche i vangeli precedenti a Luca avevano l'intento di predicare mediante il loro racconto (cf. Mc. , introduzione, 6). Tuttavia Luca individua consapevolmente il problema della connessione tra l'e­ vento passato e l'incoraggiamento per il presente. Certo il primo non può essere semplicemente garanzia del secondo, ma può preservare la fede dal cadere nella superstizione, può correggerla e darle nuova im­ pronta, così come viceversa il significato dell'evento passato è svelato solo attraverso la testimonianza della fede (v. excursus dopo 4,30).

Parte prima

Racconti dell'infanzia: Giovanni e Gesù ( 1,5-2,5 2 )

Nei capp. 1 -2 i racconti dell'infanzia di Giovanni e di Gesù sono stret­ tamente intrecciati l'uno all'altro; la nuova inserzione di 3,1 s. li sepa­ ra nettamente dal loro successivo operato. N eli' ordine si susseguono: A. annuncio della nascita: 1, 5-2 5/26-38 - passaggio agli eventi succes­ sivi (visita di Maria a Elisabetta, Magnificat): 1 ,39- 5 6. B. 1 , 5 7-8o/2, 1 40: a) nascita: 1 , 5 7 s.j2, 1-2o; b) circoncisione e attribuzione del nome: 1 , 59-66/2,2 1 -24; c) cantico di ringraziamento e profezia: 1 ,67-79/2,2 5 3 9; d ) crescita del bambino: 1,8o/2,40 - passaggio agli eventi successivi (Gesù nel tempio): 2,4 1 - 5 2. Sorprende l'ampiezza del racconto della nascita di Gesù - in parallelo sarebbero stati sufficienti i vv 6 s. - e l'ampliamento costituito da 2,2 1-39, in cui la presentazione di Gesù al tempio e la profezia di Anna vanno oltre i paralleli con Giovanni. Il testo di 1, 5-24a(2 5). 57-66 proviene presumibilmente da circoli vi­ cini al Battista che non riconoscevano Gesù come messia (cf. Mc. 2, 1 8; Le. 7, 1 6; Atti 19,2); essi attendevano soltanto la definitiva venuta di Dio, non il messia (v. a 1 , 1 7). Ciò vale anche per i cantici di 1,46-5 5 (canti­ co di Elisabetta senza il v. 48b ?) e 68-75 (senza 76-79), che si differen­ ziano nella struttura ma attingono allo stesso patrimonio lessicale (v. ad loc. ). Al contrario, è assai improbabile che la storia di Giovanni sia stata composta dopo quella di Gesù. Se il cantico di Zaccaria avesse preso forma insieme alla storia, dovrebbe trovarsi dopo il v. 64; inol­ tre ad esso è stata aggiunta in 76-79 una strofa d'ispirazione cristiana e stilisticamente diversa (v. intr. ai vv . 57-66 e 67-80). Tralasciando le pericopi dei vv 26- 5 6, di contenuto cristiano, si può agevolmente ri­ prendere dal v. 57 la lettura interrotta al v. 25; in questo modo si co­ glie ancora più chiaramente la sfumatura veterotestamentaria. Forse in origine si narrava anche in che modo Elisabetta avesse saputo della profezia (v. 6o). È difficile dire se questa tradizione sia stata completa­ ta da un giudeocristiano prima di Luca, o dall'evangelista stesso grazie a corrispondenti racconti su Gesù che offrivano più notizie di quelli su Giovanni, e in che misura si fossero già verificati allo stadio orale .

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Le. I,f-2,f2. Racconti delt'infanzia: Giovanni e Gesù

25

eventuali accostamenti tra i due racconti. Ciò accadde probabilmente prima di Luca; infatti egli, pur tenendo in grande considerazione Ma­ ria (Atti 1 , 1 4; anche Le. 8,19.2 1 , meno radicale rispetto a Mc. 3,22.3 3; cf. anche 1 1 ,27 s.), tanto che i vv 2, 19. 5 1 b sono presumibilmente di suo pugno, tuttavia non accenna mai alla nascita verginale (iV. a 2, 1 2 ), neppure nei sommari della fede (Atti 10,34·43; I J, 1 6-41 ecc.). Inoltre Luca scioglie in anticipo il parallelo tra Giovanni e Gesù: quest'ultimo è presentato come Elia, il Battista non più; mancano Mc. 9, 1 r - 1 3 e Mt. 1 r, 14, come pure il racconto del suo martirio. Quasi sicuramente 2, 8.2.0 esisteva già come racconto a sé (v. intr. a 2, 1 -20); probabilmente esisteva anche una tradizione comprendente all'incirca 2,J-7.22-3 8.42S I a, ma non è possibile esserne certi. Si potrebbe trattare già di un'ag­ giunta a un vangelo (Mc. ? oppure S?). Il v. 21 sarebbe stato inserito in occasione del collegamento con la tradizione del Battista in corri­ spondenza a 1, 59. Spesso nella Bibbia compaiono degli abbinamenti (Elia/Eliseo; Mosè/Giosuè; MosèfElia; Pietro/Paolo), ma non capita mai che il secondo personaggio superi in importanza il primo. Luca potrebbe aver collegato Giovanni e Gesù nei vv 39-45 , aver posto il cantico di 46- 5 5 sulle labbra di Maria e aver scritto 2,2 1 ; tuttavia è pro­ prio nei vv 39-46a che si riscontrano espressioni non lucane, quindi può essere che egli abbia fatto solo delle singole aggiunte ( 1,48b.8o; 2,1 s. r 9.40. 5 1 h?), rielaborando poi il tutto dal punto di vista stilistico. I racconti sul Battista sottolineano la relazione con Israele, in spe­ cial modo con la tradizione sacerdotale gerosolimitana, mentre i can­ tici hanno un'impronta giudaica messianica più accentuata. Entrambe queste considerazioni valgono anche per i racconti su Gesù (2,2 1-3 8. 4 1 - 5 1 e 2,32 s.), tra i quali l'episodio dei pastori presenta tratti suoi particolari. Se la mancata comprensione dei miracoli di Dio era tipica della tradizione antica, chi ha collegato le due cose ha introdotto an­ che la fede comprensiva di Maria, accogliendo inoltre aspettative nu­ trite a Qumran (v. a 1,34 s.). Stilisticamente i capitoli 1 -2, con la loro forma biblica solenne che ha influenzato anche Luca, si differenziano fortemente dal prologo. Oltre a ciò, solo in r,8o; 2, 5 2 e nell'aggiunta di 1,76-79 si accenna a quanto seguirà a partire da J, I . In essi quindi Luca vede una introduzione ai capitoli 3-24, come Atti 1 -2 lo sono ai capitoli 3-28. Il fatto stesso che l'infanzia di Gesù sia oggetto di racconto riveste una grande importanza. Della maggior parte dei profeti si conosce .

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26

Le. I,J-1,J1. Racconti

dell'infanzia: Giovanni e Gesù

solo la parola che dovevano trasmettere; di nessuno esiste una narra­

zione dell'infanzia (cf. tuttavia excursus a 2, 1 - 10; Giuseppe, Ant. 2, 2 1 5 s.; 5,276; Hen. aeth. 106; Iub. 2). Quindi in Gesù Dio si è fatto non solo parola, ma anche carne. Per Luca è importante che un'intera vita umana sia stata vissuta in ogni suo aspetto, dal ventre materno fi­ no alla morte e alla risurrezione. Dio è diventato solidale con gli uo­ mini, o meglio, la vita di Dio è tale da potersi sviluppare in una vita (completamente pervasa dall'amore di Dio) quale l'ha vissuta l'uomo Gesù di Nazaret. Per questo motivo essa è tanto strettamente intrec­ ciata alla vita umana del Battista. Non si tratta di interesse biografico, ma di predicazione del miracolo divino grazie al quale una vita in tut­ to e per tutto umana significa la salvezza del mondo. Il testo vuole su­ scitare un'adesione di fede, non soddisfare una curiosità. Ciò accade in forma narrativa proprio perché la salvezza di Dio non va ricercata in idee elevate o in proposizioni dogmatiche, ma nella vita storica di un uomo. Tale salvezza vuole continuare a vivere nella totalità di una vita umana, perciò ricerca l'adesione di intelletto, volontà e cuore. I racconti non sono leggende che vogliono illustrare la verità di un'idea; essi presentano in forma leggendaria o mitica ciò che è realmente ac­ caduto, cioè che Dio non è rimasto in un remoto ordine superiore al di là del mondo, ma è divenuto presenza reale nel. mondo e vuole di­ ventarlo anche nella vita di chi legge. Come la vita del Battista in sé resterebbe priva di senso - fu infatti giustiziato prima di aver potuto realizzare concretamente qualcosa -, così non ne avrebbe neanche la vita che non fosse riempita da Gesù, con tutti i suoi aspetti positivi e negativi. Da quando l'amore di Dio si è incarnato in Gesù, la sua po­ tenzialità e la sua benedizione sono anche su quelle vite umane che, da un punto di vista strettamente umano, sono state interrotte prima di giungere a pienezza (cf. retrospettiva). A. ANNUNCIO DELLE NASCITE

(1,5-38)

circostanze generali: tempo, lu ogo, persona, difficoltà; circostanze specifiche: tempo, luogo, persona, apparizione dell'angelo; C I 2. IJa/29.JOa reazione della persona, parole di conforto d el l'angelo; D I Jb- 1 7/3ob-33 promessa della nascita e del suo significato per m ol ti; C' rS-20/34-37 reazione della persona, promessa del segno da parte dell ' angelo; A B

5-718- 1 1 /26-28

Le. I ,S-2S· Il nuovo inizio di Dio: annunciazione di Giovanni

27

ammutolimentofconfessione della persona; B' 11 s./J 8 adempimento: eliminazione della difficoltà. A' 13-15/In C si ripetono quasi parola per parola le espressioni «fu turbato», «l'angelo gli {le) disse: non temere ( + nome)»; in D: «essa ti partorirà {tu partorirai) un figlio e gli darai nome ... », «egli sarà grande»; in C' «disse all'angelo», «ed ecco». Inoltre Gabriele è nominato entrambe le volte. La promessa «sarà chiamato Figlio dell'Altissimo» va confron­ tata con il v. 76 «tu (Giovanni) sarai chiamato profeta dell'Altissimo». Le differenze più rilevanti saranno prese in considerazione nel com­ mento a 1,26-3 8. Apparizione dell'angelo - turbamento - annuncio - do­ mande relative al «come» - segno sono elementi tipici anche di Gen. 1 7, 1 -2 1; 1 8,1- 1 5; Giud. 1 3,3-11, in parte in successione diversa. Il nuovo inizio di Dio: annunciazione di Giovanni,

1,5-2 5

s Avvenne nei giorni di Erode, re di Giudea, che vi era un sacerdote di no­ me Zaccaria, della classe di Abia, e aveva una moglie delle figlie di Aronne, e il suo nome era Elisabetta. 6 Entrambi erano giusti davanti a Dio e cam­ minavano irreprensibilmente in tutti i comandamenti e i precetti del Signo­ re. 7 Ed essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile, ed entrambi erano già anziani. 8 Ora avvenne che, mentre prestava servizio sacerdotale davanti al Signore secondo il turno della sua classe, 9 gli toccò in sorte, se­ condo l'usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per presentare l'offerta dell'incenso, 10 e fuori tutta la folla del popolo pre­ gava nell'ora dell'offerta dell'incenso. I I Allora gli apparve un angelo del Si­ gnore, che stava in piedi alla destra dell'altare dell'incenso. 12 E Zaccaria fu turbato quando lo vide, e timore cadde su di lui. IJ Ma l'angelo gli disse: N o n temere, Zaccaria, perché la tua preghiera è stata ascoltata e tua moglie Elisabetta «ti metterà al mondo un figlio e tu gli darai nome Giovanni». 14 Ed egli ti porterà gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua na­ scita. 1 s Infatti egli sarà grande davanti al Signore, e non berrà vino né be­ vande inebrianti, e sarà colmato di Spirito santo ancora nel grembo di sua madre, 1 6 e volgerà molti dei figli d'Israele al Signore loro Dio. 17 E pro­ cederà davanti a lui in Spirito e forza «di Elia, per volgere i cuori dei padri ve1'6o i figli» e i ribelli alla saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo pronto. 1 8 E Zaccaria disse all'angelo: Come posso conoscere que­ sto? Io infatti sono vecchio, e mia moglie è anziana. 19 E l'angelo rispose e gli disse: Io sono Gabriele, colui che sta al cospetto di Dio, e sono stato mandato per parlarti e portarti questa buona novella. 2o Ed ecco, tu diven­ terai muto e non po trai parlare fino al giorno in cui questo avverrà, perché

18

Le. 1,s-�s. Il nuovo inizio di Dio: annunciazione di Giovanni

non hai creduto alle mie parole che si adempiranno a loro tempo. �� E il popolo era in attesa di Zaccaria e si meravigliavano che egli indugiasse così a lungo nel tempio. 2.2. Ma quando uscì fuori non poté parlare loro, ed essi capirono che aveva avuto una visione nel tempio, ed egli faceva loro dei cen­ ni e rimaneva muto. 3 E avvenne che, quando furono compiuti i giorni del suo servizio, egli se ne tornò a casa sua. 2.4 Dopo questi giorni sua moglie Elisabetta restò incinta e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: 2. 5 Que­ sto mi ha fatto il Signore nei giorni in cui si è preoccupato di togliere la mia vergogna tra gli uomini. �

s I Cron. 2.4,10. 7-18 Gen. 18, 1 1 s.; I Sam. 1,1. 13 Dan 10, 11. 15 Num. 6,3; Giud. 1),4· 17 Mal. 4,5 s. .

L'episodio narra un miracolo, ma si discosta dai soliti racconti di mi­ racoli. È ovvio che come soccorritore si presenti un angelo, e non Ge­ sù. lnusuale è invece che l'ostacolo, il dubbio di Zaccaria, compaia so­ lo dopo la promessa. Quest'elemento rientra piuttosto nello stile del racconto di vocazione (Es. 3,1 1 -4, 1 3; Ger. 1 ,6; cf. Gv. 6, 5), come pure l'apertura dell'episodio a un futuro molto più ampio del semplice aiu­ to prestato a una coppia senza figli Inoltre è la rettitudine dei genitori a essere sottolineata, non la loro fede di fronte alla promessa del mira­ colo, anzi al contrario il dubbio pro p rio da parte del giusto. Il segno di Dio quindi è al contempo punizione e aiuto alla fede e sottolinea il carattere assolutamente inaspettato e incredibile dell'irruzione divina. È possibile che Luca abbia aggiunto dei particolari come i vv. 1 0.2 1 , ma essenzialmente il suo intervento dev'essersi limitato allo stile. I vv. 24 s. sono stati aggiunti al momento del collegamento con la storia di Gesù, che in origine non era ancora stato preventivato (v. 1 7). A un cenno nel v. 24a (e 2 5 ?) farà seguito il v. 57 (per i vv. 46-5 5, v. sotto). .

s-25. Erode voleva passare per davidide (Giuseppe, Ant. 1 4,9) e ma­ gari essere egli stesso una specie di messia. In una storia così terrena e umana interviene l'azione di Dio. I nomi sono significativi: Zaccaria «il Signore si è ricordato», Elisabetta «giuramento (oppure felicità? o perfezione?) di Dio», Giovanni «il Signore è datore di grazia» . Giudea indica l'intero territorio, come 4,44; 23 ,5, e spesso in Atti; in 3 , 1 è il nome della provincia romana; in 1 ,65; 2,4; 5,1 7 e Atti 9,3 1 a es­ sere chiamata così è la sua parte meridionale (accanto alla Galilea). La storia di Dio ha inizio nel tempio, il quale per Israele è segno della pre­ senza di Dio. È evidente il compiacimento veterotestamentario per l' os=

=

=

Le. I,s-.zs. Il nuovo inizio di Dio: annunciazione di Giovanni

29

servanza della legge senza alcuna obiezione critica. I due genitori la ri­ spettano «irreprensibilmente» al pari di Paolo (Fil. 3,6); ovviamente «davanti a Dio», al quale solo spetta il giudizio al riguardo. L'autore non possiede schemi per poter misurare in modo semplice tale rettitu­ dine come a Qumran o presso i farisei. La devozione dei due anziani è di tipo rituale, sempre acritica e priva di inasprimento rigorista (pre­ sente invece a Qumran e presso i farisei). Tuttavia lo Spirito vivente e la saggezza di Dio svolgono un ruolo importante ( 1 , 1 5 .80; 2,2 5 .40·47). La loro situazione è simile a quella dei genitori di !sacco (Gen. 1 7, I 7; cf. I 8,1 I «vecchi, avanti negli anni [lett. nei giorni]))), di Sansone (Giud. 13,2; analogamente al v. 5), e di Samuele (I Sam. 1 , 1 s.). Quanto in queste vicende era stato sopportato e tramutato in gratitudine e gioia, si concentra ancora una volta nel destino della coppia indicando che il senso di tutte queste esperienze umane si adempirà. Per adesso la loro ferita non è ancora sanata, la salvezza non ancora conseguita. N ella lo­ ro vita privata come in quella d'Israele tutto è ancora aperto al futuro. Ognuna delle 24 classi sacerdotali officia per una settimana ( 1 Cron. 24); a questo scopo i suoi membri si recano a Gerusalemme dal loro luogo di residenza. All'interno della classe ogni singola famiglia è di turno per un giorno. Secondo una prescrizione successiva l'offerta del­ l'incenso è presentata un'unica volta da un sacerdote come culmine del­ la sua vita, fintantoché la sorte non designi qualcun altro. Dopo la preghiera usuale «Venga il Dio della misericordia nel santuario e ac­ cetti con benevolenza l'offerta del suo popolo)) (Str.-Bill. n, 75), il sa­ cerdote svuota sulla brace, nel Santo dietro la tenda esterna, la coppa con l'incenso (Str.-Bill.). Ciò accade al mattino, prima dell'olocausto offerto nel cortile, e il pomeriggio alle tre, dopo il sacrificio, quando la folla presente è particolarmente numerosa (v. IO, cf. I Re 8,5. 1 0- 1 4). An­ che Giuseppe, Ant. I3,282 narra di una voce divina udita durante l'of­ ferta dell'incenso da parte del sommo sacerdote. La preghiera per la ve­ nuta del Signore è esaudita in modo visibile (cf. Sal. 1 4 I , 1 s.). Il tem­ pio, tenda dell'alleanza eretta in pietra, viene ricolmato della sua vita e comincia a muoversi com'era normale per la tenda gonfiata dal vento del deserto. È una nuova, diretta irruzione della presenza di Dio; sta­ volta non prende forma concreta nella parola profetica - Zaccaria anzi diventa muto -, bensì nell'angelo. Il timore è la normale reazione uma­ na di fronte a qualcosa di assolutamente inaspettato che non ci si sa spiegare (Giud. 6,22 s.; 13,6.22; Dan. 8, 17; IO, I I - 19; Tob. 1 2, 1 6; Mc.

3O

Le. 1, s- .2. s. Il nuovo inizio di Dio: annunciazione di Giovanni

1 6, 5 ecc.). È la paura che invade l'uomo quando Dio, che per lui di fatto ricopre un ruolo così secondario, d'improvviso fa irruzione nella sua vita con la sua immensità. Ma la prima parola che introduce la nuo­ va alleanza libera dal timore l'uomo, ovvero colui che si apre all'incon­ tro con Dio e non vi si sottrae (cf. a I ,29 ). La promessa divina coglie Zaccaria assolutamente di sorpresa, tanto poco aveva concretamente sperato (v. I 8) nell'adempimento della sua richiesta (pregava per un fi­ glio o per la salvezza divina ?, cf. Gen. I7, I 9; Dan. 9,20-23 ) . Quanto a­ veva onestamente creduto in teoria, non se lo era mai immaginato nel­ la realtà. Il nome, la cui imposizione spetterebbe di diritto al padre e che determina già l'essenza stessa del nasci turo, gli è anticipato da Dio (cf. Gen. I 6, 1 I; I7, 1 9; /s. 7, 1 4; 1 Re 1 3,2). Anche se dopo sarà notevol­ mente accentuata la predicazione di conversione, tuttavia la promessa decisiva riguarda la gioia, anzi una definitiva «esultanza» per «molti». La prima parola di Dio è quindi liberazione dalla paura, esaudimento di ogni supplica, gioia definitiva, «vangelo» (v. 19) . In questo modo il lettore è già invitato ad annoverarsi tra quei «molti» per i quali la pro­ messa vale. Il fondamento di ciò sta nell' «essere grande (di Giovanni) davanti al Signore ( Dio, v. I 6)». Gesù stesso gliene darà conferma esplicita ( 7,26-28 ) . Non si tratta puramente di grandezza agli occhi u­ mani; nei vv. 1 5hj1 6 e ancora nel v. I7afh essa è definita dono e incari­ co. Ancor prima di nascere, e non per sua scelta (cf. /s. 49, 1 ; Ger. 1 , 5; Sir. 49,7; I QH 9,29-3 I), egli è prescelto da Dio come i nazirei, i quali rinunciando al taglio dei capelli, al vino e alla carne dovevano dimo­ strare che nella vita il godimento della civiltà non è tutto (Num. 6,2- 5; Giud. I 3 ,4-7; I 6, I 7). Originariamente il profeta e il nazireo erano fi­ gure distinte, ma poi finirono per identificarsi (Am. 2, I I s.). Eppure Giovanni non è un nazireo; manca il divieto di tagliarsi i capelli (an­ che 1 Sam I , I 1) ed è una novità la promessa di doti spirituali a vita. In ciò si manifesta simbolicamente già in una singola persona quanto Dio ha in progetto per il suo popolo: il tempo della salvezza sta incomin­ ciando (G/. 2,3 2-3 6; all'opposto Sal. 74,2.9). Suo compito è richiamare Israele al suo «Signore». La salvezza consiste perciò nel dono all'uo­ mo della forza e del silenzio per convertirsi, per cambiare. Il v. 17 svi­ luppa questo concetto. «Spirito» e «forza» sono spesso insieme, soprat­ tutto in Luca e Paolo, ma anche in /s. I I,2; I QH 7,6. Come in Elia (cf. a 1 ,76; 3 , 1 9 s.) lo Spirito opera una trasformazione reale sia nel corpo sia nel cuore malati. L'attesa di una riconciliazione tra generazione =

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Le. I ,f-2 J. Il nuovo inizio di Dio: annunciazione di Giovanni

3I

vecchia e giovane (Mal. 4,6) è qui espressa propriamente come speran­ za in una gioventù che a differenza dei vecchi, ormai come arenati, si lasci chiamare al nuovo (analogamente già LXX e Sir. 48, 1 o; Iub. 23, I6.26; Hen. aeth. 90,6 s.). Quando si rimetterà in marcia verso Dio, ad essa finirà per unirsi anche la generazione più anziana. Luca pensa for­ se a pagani e Israele (cf. 3,8)? Oppure bisogna mettere sullo stesso piano «ribelli» e giovani, «giusti» e genitori, mantenendo in tal modo il duplice movimento ? Questo però nel testo non c'è. Che si tratti di ritorno a Dio, e non solo di compromesso nel conflitto generazionale, lo afferma già il v. I6. Del battesimo non è detto nulla. Giovanni è vi­ sto come precursore del «Signore», secondo il v. 1 6 chiaramente Dio, e di conseguenza nella presentazione diventa una sorta di figura mes­ sianica (v. a I,76). Secondo Mal. 3 , 1 .23 questo vale anche per Elia (così pure Test. Sim. 6, 5; solo con i copisti cristiani viene riferito al Verbo incarnato). Luca ha certamente pensato a Gesù (cf. I ,43; 2, I I), effetti­ vamente a buon diritto, perché in lui la venuta di Dio è divenuta reale. Il messaggio dell'angelo costituisce una tale novità che anche Zaccaria, come i personaggi dell'Antico Testamento, non vi è preparato (cf. Gen. I 5 ,8, «Come potrò saperlo ?»; Giud. 6,36-40; 1 Sam. 1 0,2-7; 2 Re 20,8 s.; !s. 7, I 1). Dio però non si lascia fermare dalla poca fede degli uomi­ ni. All'enfatico «lo sono vecchio>> di Zaccaria si contrappone un altret­ tanto enfatico: «lo sono Gabriele». Già il nome («uomo di Dio», se­ condo Hen. aeth. 40,9 colui che «al cospetto di Dio» è a capo di tutte le potenze, cf. Str.-Bill.), che già di per sé allude a colui che lo ha in­ viato (similmente Dan. IO, I I e soprattutto To b. I 2, I 4 s.), vuole rende­ re grande la poca fede dell'uomo nella «buona novella», il «vangelo». Sia questo sostantivo sia il verbo corrispondente designano nel giudai­ smo l'annuncio del profeta o dell'angelo, o anche di Dio o del messia stesso, annuncio del giudizio (2 Macc. 3,29) come della salvezza (Ez. 3,26; 24,27) (cf. anche Apoc. 20 1 4,6). Perciò il segno concesso a Zac­ caria ne rivela l'incredulità, ma proprio per questo diventa anche un aiuto alla sua fede. Una salvezza che non rivela e quindi non trasfor­ ma quanto le si oppone non sarebbe realmente tale (cf. a R om. I , I 8). Che Dio apra a un uomo gli occhi su ciò che è sbagliato, per rinnovar­ lo e non per annientarlo, è dimostrazione del Dio vivente. Anche al sommo sacerdote era imposto di restare nel santuario solo per breve tempo, per non impaurire il popolo (Str.-Bill. n, 77). Israele sapeva che la presenza di Dio è come un «fuoco divorante» (Deut. 4,24; /s.

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Le. 1,1.6-38. La nuova creazione di Dio: annunciazione di Gesù

3 3, 14)! Di fronte all'operato stupefacente di Dio l'uomo ammutolisce (parimenti Dan. I O, I 5 s.). Il suo silenzio è lo spazio per le azioni sal­ vifiche di Dio, che adesso è il solo ad avere la parola. Ora Zaccaria non può che far ritorno alla sua cittadina di montagna (v. 3 9) dove abita ed esercita la sua professione. La promessa di Dio «si compie» (v. al v. 5 7) e anche Elisabetta si ritira nel nascondimento, che sarà svelato solamente dall'angelo (v. 36). Ora che Dio ha iniziato a opera­ re in lei, da parte sua non vi è posto che per la gratitudine. Così l'inizio della nuova storia di Dio è radicato nella devozione alla legge e al tempio d 'Israele, ma al contempo, secondo la concezio­ ne lucana, anche nell'apertura al futuro agire di Dio. Nel momento in cui la vita di un sacerdote è al suo culmine Dio - in modo del tutto autonomo e inaspettato - comincia a diventare realtà dapprima nella vita di due persone alle prese con le loro difficoltà. Del messia ancora non si fa parola; si parla invece di una venuta di Dio che andrà ben oltre la sorte del singolo e ricondurrà tutto Israele al suo Signore. Ec­ co allora che diventa evidente come anche la vita di uomini che non agiscono a propria discrezione e secondo la morale umana, ma vivono in una dimensione di apertura a Dio, sia poco preparata ad accogliere la nuova azione divina. La venuta del Dio reale, che non ci si aspettava così, in un primo momento provoca l' ammutolimento anche della persona giusta e devota, che all'improvviso scopre la propria poca fe­ de e si accorge che, pur avendo onestamente creduto, in realtà non ave­ va mai contato su un'irruzione di Dio che cambiasse le cose. Dio pe­ rò, che si serve per i suoi fini della storia terrena segnata dal caso e dalla buona come dalla cattiva condotta, va oltre Zaccaria ed Elisabet­ ta. Costoro si sentono sollecitati da Dio e toccati dalla sua grazia, per­ ciò il mutismo e il ritiro nel silenzio ne sono la giusta conseguenza. En­ trambi vengono così coinvolti nella buona novella d eli' azione scon­ volgente e consolatoria di Dio che si fa strada contro ogni resistenza umana. Per questa ragione l'inizio della gravidanza è narrato già qui, mentre più propriamente andrebbe collocato al v. 57· La nuova creazione di Dio: annunciazione di Gesù, 1 ,26-3 8

in una città della Ga­ lilea di nome Nazaret 27 a una vergine che era fidanzata con un uomo d i no-

1.6 Nel sesto mese l'angelo Gabriele fu mandato da Dio

Le. I,.t6-J8. La nuova creazione di

Dio: annunciazione di Gesù

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me Giuseppe della casa di Davide, e il nome della vergine era Maria. 28 Ed entrando da lei le disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. 29 El­ la però a queste parole rimase turbata e si chiedeva cosa significasse questo saluto. 30 E l'angelo le disse: Non temere, Maria; perché tu hai trovato grazia presso Dio. 3 1 Ed «ecco, tu concepirai e p artorirai un figlio e gli darai nome» Gesù. 32 Costui sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre, 3 3 ed egli sarà re in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo dominio (o: il suo regno) non avrà fine. 34 Allora Maria disse all'angelo: Come accadrà questo, dato che io non co­ nosco uomo ? 3 5 E l'angelo rispose e le disse: Spirito santo scenderà su di te e potenza dell'Altissimo stenderà su di te la sua ombra, perciò colui che sarà generato sarà chiamato santo, Figlio di Dio. 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, anch'ella ha concepito un figlio nella sua vecchiaia e questo è il se­ sto mese per lei, che è detta sterile. 37 «Infatti per Dio niente è impossibi­ le». 38 Allora Maria disse: Ecco l'ancella del Signore; accada di me secondo la tua parola. E l'angelo partì da lei. )I Giud. 1 3,3; Ger. 3 2, 1 7.

/s. 7,14. 3.1 /s.

9,6;

2

Sam.

7,11-16. ll

Mich.

4,7; Dan. 7,14. 37 Gen. 18,14;

Il confronto con i vv. 5-2 5 (v. a 1 , 5 -3 8) mostra differenze rilevanti. Mancano la descrizione della situazione di difficoltà, che qui non sus­ siste, e quella della rettitudine dei genitori, perché in questo caso si tratta, in misura del tutto diversa, di esclusiva grazia di Dio (A). Per­ ciò in primo piano passa l'angelo. È lui il soggetto, mentre solo in un secondo momento Maria appare come lo scopo del suo invio. Pari­ menti manca la menzione del prodigio accaduto, perché la ris posta di fede del v. 3 8 non ne ha più bisogno (N). Si insiste invece sulla figura della donna (v. a 8,3) come destinataria della promessa. Sarà l�i a dare il nome a suo figlio, e non lo partorirà « a suo marito» (come al v. 1 3 ). In luogo dell'ammutolimento di Zaccaria subentra il consenso di fede (B'). La risposta alla sua domanda, che corrisponde al dubbio di Zac­ caria, è l'accenno alla potenza creatrice dello Spirito santo che quindi dalla pericope D {vv. 1 5 . 1 7) passa alla C' {v. 3 5 ) assumendo un'altra funzione. In 1 , 1 5 · 1 7.4I .67.8o; 2,2 5 -27 si parla di Spi rito profetico nel modo proprio dell'Antico Testamento; lo Spirito creatore di 1 ,3 5 in­ vece introduce una nuova azione di Dio (v. a 3,21 s.). Anche Maria ri-

34

Le. I,16-38. La nuova creazione di Dio: annunciazione di

Gesù

ceve la promessa di un segno, ma ella non ne ha più bisogno e lo vedrà solo dopo il consenso espresso nel v. 3 8. In questo modo il carattere gratuito dell'operato divino risulta straordinariamente sottolineato: contro ogni aspettativa a beneficiarne è una donna, e l'avvio non è da­ to né da una particolare rettitudine né dalla preghiera incessante di un bisognoso. Come all'inizio del mondo, il libero agire creativo di Dio fa nascere colui che non è più precursore di un evento ancora più gran­ dioso, colui il cui dominio non avrà fine. È stato rimarcato il contrasto tra la speranza in un re davidico (vv. 32 s.) e l'attesa del Figlio di Dio generato dallo Spirito (v. 3 5) conside­ rando un'aggiunta ora i vv. 34 s. ora l'introduzione di Giuseppe e l'at­ tesa tipicamente davidica. Nel secondo caso risulterebbe comprensibi­ le l'affermazione di Maria di non conoscere uomo (v. 34, v. ad loc. ) e sarebbe da attribuire a Luca anche l'inserimento del figlio di Davide (Atti I 3,2 3 ), del suo «trono» e del suo «dominio» (Atti 2,3o; Le. 22,30; 23,42). D'altra parte espressioni come «scendere su di te - Spirito san­ to - potenza - Altissimo - stendere l'ombra» sono di stampo lucano mentre saranno d'ispirazione ellenistica i vv. 34 s. piuttosto che l'atte­ sa davidica (v. a Mc. 1 2,37). Tuttavia il v. 3 5 non proviene da Luca in quanto egli non vi allude mai, neppure in 2, I - 20. «Scendere su di te» (dello Spirito /s. 3 2,I 5; cf. Giob. I,I9; 4, I 5; Num. 5,I4.3o; 1 Sam. I I ,7) e «stendere l'ombra» (Es. 40,3 5; Num. I0,3 6; v. al v. 3 5) sono locuzio­ ni veterotestamentarie; «Spirito» e «potenza» sono espressioni più for­ ti rispetto a quelle di 1 , I 7; dell' «Altissimo» parlano anche i vv. 3 2.76. In particolare 4Q243 ( I ,7; 2, I) mostra ora l'assunzione di concetti simili (provenienti dall'ambiente ellenistico?) nel giudaismo palestine­ se del tempo: «Egli sarà grande ... sarà chiamato Figlio di Dio ed essi lo diranno Figlio dell'Altissimo.» Di un «regno» (Le. 1,33) parla anche 4Q243 2,2; in I,I compare l'espressione «essa si posa su di te» : pur­ troppo non è dato sapere chi sia il soggetto, comunque in ebraico lo Spirito è di genere femminile. Per gli ebrei non era assurdo pensare che un angelo potesse generare un uomo, come mostrano Gen. 6,4 e I QapGen 2, 1; forse in x QSa 2, 1 1 s. è attestata addirittura la genera­ zione del messia per mezzo di Dio. Anche in Rom. 1,3 s. i titoli figlio di Davide e Figlio di Dio sono giustapposti, benché il secondo sia ri­ servato solo al Risorto, ma soprattutto entrambi compaiono uniti in 2 Sam. 7, I 2- 14 e sono perciò sin dall'inizio connessi l'uno all'altro. Quin­ di chi ha collegato le tradizioni di Gesù e · Giovanni e redatto i vv . 26-

Le. I,z6-38. La nuova creazione di

Dio: annunciazione di Gesù

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38 come superamento dei vv 5-2 5 ha già voluto coniugare le due idee; infatti i vv. 2 7-3 I si riferiscono soltanto a Maria e mirano così a supe­ rare in importanza il miracolo dei vv. 7· I J . Nei vv 3 2b.3 3 può essere stato ripreso un detto messianico davidico tramandato oralmente, men­ tre è possibile che i vv 34 s. dal punto di vista contenutistico utilizzi­ no la tradizione della nascita verginale, nota anche a Mt. 1 , 1 8. .

.

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26-38. L'allusione al sesto mese di gravidanza (di Elisabetta!) colle­ ga i due racconti. In tal modo il corso delle due vite si intreccia sin dal­ l'inizio. Per Iub. 1 6, 1 2 Sara concepì nel sesto mese dell'anno. Secondo un testo rabbinico (Rosh ha-Shanah 1 ob. I I a, cf. Str.-Bill. 1, s o. 91 8; IV, Ioo6) la sterilità delle madri di !sacco, Giacobbe e Samuele scomparve tuttavia all'inizio dell'anno santo (fine settembre). Da ciò si ricavereb­ be il giorno esatto della nascita di Giovanni (24 giugno) e conseguente­ mente anche il giorno 24 o 2 5 dicembre per la nascita di Gesù (entram­ be queste date sono attestate per la prima volta nel IV secolo). Ma chi avrebbe saputo di questa tradizione e fatto i relativi calcoli? Presumi­ bilmente il 2 5 dicembre venne scelto perché il 25 marzo era già consi­ derato il giorno della creazione e quindi anche del concepimento di Gesù (così Giulio Africano nel 22 1 d.C.), o perché a Roma alla fine di dicembre si celebrava il solstizio d'inverno, cosicché la nascita di Gesù sarebbe avvenuta all'inizio del sole crescente e quella di Giovanni al­ l'inizio del sole calante (Gv. J,J o). Qui è l'angelo a recarsi da Maria, mentre in I ,9 è Zaccaria ad andare là dove si sa che Dio è presente. Analogamente in 1 ,23 si afferma che Zaccaria «se ne andò» mentre in I ,J 8 è l'angelo ad «andarsene via» da lei. Tutto ha inizio nel modo più modesto presso una fanciulla di una cittadina insignificante, e non presso il sacerdote nel tempio della capitale. Anche qui l'apparizione non viene descritta: solo l'annuncio ha importanza. L'allusione alla di­ scendenza davidica è in connessione con Giuseppe (ugualmente in J, 23). In seguito al fidanzamento Maria è entrata legalmente a far parte di questa stirpe; l'atto giuridico a quel tempo era determinante più del primo rapporto sessuale, tant'è vero che le vergini che perdevano il fi­ danzato prima della cerimonia di nozze erano considerate vedove. Per primi Ign., Eph. 1 8,2; lust., Dial. 43 ecc. considerano anche Maria del­ la stirpe di Davide. Il gioco di parole (che tradotto suona all'incirca co­ sì: «Salve a te, prescelta per la salvezza») ribadisce la scelta di grazia fatta da Dio. Insieme al v. 42 questo saluto costituisce l' «Ave Maria».

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Le. 1 ,2.6- 3 8. La nuova creazione di Dio: annunciazione di Gesù

A essere citato per primo non è il nome di lei, la sua peculiarità in quan­ to persona, ma ciò che le è accaduto e sta accadendo e che è la confer­ ma della presenza del Signore. Ella è figlia, non madre della grazia. La promessa fatta alla «figlia di Sion» (Sof 3, I4- I 7: «è il Signore in mez­ zo a te [ebraico anche: nell'intimo del tuo corpo] ») riecheggia appena. In ogni caso Le. I9,28-4o non allude alla visita che l'umile cavaliere di Zaee. 9,9 rende alla «figlia di Sion)>, come è il caso invece per Mt. 2 I , 5 . L'atto di scelta da parte di Dio è sottolineato dalla sua irruzione asso­ lutamente inaspettata e sconvolgente. Non si fa parola di devozione e preghiere di Maria (diversamente I ,6. I 3 ), né tanto meno al fatto che è senza peccato dalla nascita. Anch'ella in un primo momento accoglie Dio come l'estraneo, ma timor di Dio - ovvero il timore di considera­ re una qualsiasi cosa più importante della sua grazia e perdere così la propria vita - e fiducia nella sua grazia sono una cosa sola (Sal. 33, I 8). Ciò ricorda Abramo (Gen. I 8,3 . I4 = Rom. 4, 1 .2 I; cf. Le. 1,3 7· 5 5); tut­ tavia nulla è ancora detto a proposito della nascita di Maria. Tutto vie­ ne «dal Signore». L'attribuzione del nome da parte della madre si ha anche con Agar in Gen. I 6, I I , poiché in questo caso non c'è il padre (cf. anche 30,2 1; Giud. I3,24), e presumibilmente nel testo ebraico di Is. 7, 1 4, dove però è la traduzione greca a introdurre «vergine» al po­ sto di «giovane donna» (v. a Mt. I,2 I e 23). Tutto ciò che è riferito solo a Dio vale per Gesù: egli sarà «grande» (cf. I , I 5, dove però si ag­ giunge «davanti a Dio»). Il bimbo non ancora concepito (verbo al fu­ turo del v. 3 I) è già preso in consegna da Dio. In lui si adempie quan­ to ci si attendeva dalle predizioni di 2 Sam. 7, I 2- I 6 a proposito del fu­ turo discendente di Davide: la durata eterna del suo dominio (v. Bar. syr. 40,3; 4 Esd. 7,29, dove però è presentato come dominio terreno e perciò limitato dal compimento finale) e la paternità di Dio (Sal. 89, 27-29; 2,7; /s. 5 5,3; Ps. Sal. 1 7,3 s.; I 8; 4QFlor I, IO ss.; 4QPatr I -7). La discendenza umana (v. al v. 27) non può competere con la figliolanza divina. Quanto è stato detto di Giovanni appare qui chiaramente su­ perato. Anche quando si collega «Figlio dell'Altissimo» con la funzio­ ne del re in carica come in Sal. 2,7 (v. a Mc. I 5,39, excursus), all'inter­ no dell'attesa davidica non può esser detto nulla di più grande. Ma già anche l'insolita espressione «Altissimo» fa pensare alle idee esposte nel v. 3 5 (cf. anche Le. 22,70 accanto a 67). In ogni caso si tratta della straordinaria irruzione di Dio nella storia degli uomini e più precisa­ mente nella reggenza di Gesù, non nella sua passione. Luca pensa cer-

Le. 1 ,2 6 -3 8 .

La nuova creazione di Dio: annunciazione di Gesù

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to al dominio del Risorto sulla sua comunità, che avrà compimento fi­ nale nel regno di Dio (cf. Atti 1 ,6-8) e in questo modo unisce natale e pasqua, la venuta di Dio e la chiamata della comunità a decidere e agi­ re in un certo modo. Non è certo se Luca pensi anche all'ultima venu­ ta di Gesù come conclusione del tempo salvifico, deli' azione del Gesù sia terreno sia glorificato. Manca ogni accenno all'ascesi (cf. 5,3 3 ; 7,3 3 s.}, cioè agli sforzi umani per conquistarsi Dio. Il gruppo di Qumran attendeva un messia sacerdotale e uno regale ponendo il primo al di sopra del secondo. Ma qui non v'è traccia di ciò. Già nei vv . 3 1 -3 3 Ge­ sù è chiaramente distinto da Giovanni ed è posto su un piano diverso (cf. a 3,19 s.). Maria non manifesta entusiasmo ma, nello spirito del­ l'intera pericope, neppure rifiuto; in modo estremamente sobrio chie­ de come l'annuncio si realizzerà. Dal punto di vista psicologico è una reazione singolare: Maria avrebbe dovuto pensare piuttosto alla vita matrimoniale che stava per cominciare, ma la frase è una semplice in­ troduzione al v. 3 5 . Il verbo «conoscere» indica nell'uomo il rapporto carnale, e qui è impiegato in tal senso. Col v. 3 5 si dà spiegazione al mi­ racolo. Nel giudaismo allo Spirito non è attribuita potenza generatri­ ce, bensì creazione (Sal. 33,6; Gen. 1,2} e nuova creazione (Ez. 37, 1 4}, e su questo è posto l'accento. Quanto era avvenuto quando lo Spirito aveva creato la vita dal caos del mondo e da ossa inaridite, si ripete ora per Maria e non è giustificato né dalla condotta di lei o dal suo essere né dall'attiva volontà procreatrice dell'uomo. La presenza di Dio stes­ so «stende la sua ombra» su Maria, analogamente alla nube di Dio che si libra sopra la tenda dell'alleanza (v. sopra, intr.; cf. ancora LXX Sal. 90[9 1],4; 1 39[1 40],8; Prov. 1 8,1 1 ). Anche in Le. 9,34 la terribile pre­ senza di Dio si manifesta ai discepoli con una nube: in fondo non dif­ ferisce da ciò che è narrato qui, sebbene in 9,3 5 la nuova vita sia attesa dalla parola di Gesù. È allora ripresa e al contempo trasformata una concezione diffusa dal punto di vista storico-religioso (v. a Mt. 1 , 1 8 . 2 3 , excursus). Mentre nel corso dell'intera pericope l'accento è posto sull'immeritata, immotivata, gratuita venuta di Dio, il v. 3 5 b descrive la particolarità di Gesù. Andrà tradotto come sopra in quanto «essere chiamato santo» significa la scelta di un uomo per Dio (/s. 4,3 ; cf. 3 5, 8; 62, 1 2; Es. I J, 1 2; Lev. 23,2.37 LXX). S'intende allora che il bimbo, prescelto da Dio, sarà suo Figlio. La fede nel Dio che crea ogni vita anche laddove dall'uomo non c'è da aspettarsi più nulla (è questo il caso di Sara, della moglie di Manoah e di Anna) si è qui unita alla fede

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Le. 1 ,2 6-3 8 . La nuova creazione di Dio: annunciazione di Gesù

nello Spirito che dà inizio a una nuova creazione. Ciò ha aiutato la co­ munità a fissare la piena umanità del Figlio di Dio: «Gesù Cristo ... di Maria, che veramente nacque, mangiava e beveva ... » (Ign., Tr. 9, I ). Maria impara a fidarsi di Dio anche senza segno (v. 3 8) e successiva­ mente, con gratitudine, ad accoglierne con occhi aperti anche l'aiuto per la fede (v. 39). La frase del v. 37, secondo cui a Dio nessuna «paro­ la» (traduzione letterale, ma nel termine è inclusa anche l'efficacia di questa parola) è impossibile, è tratta dalla storia di Abramo ( Gen. I 8, I 4) e viene ripresa da Maria senza essere propriamente citata. Maria è aperta all'efficace parola creatrice di Dio, di fronte al quale ella non può essere che «ancella» di cui servirsi. Con questo ha fine ogni di­ scussione. Ed è perciò che Maria è grande nella fede. Non sono essen­ ziali né i motivi per credere né quelli per dubitare, bensì è essenziale solo l'agire di Dio che determina la condotta dell'uomo. L'ultima pericope si conclude con questa frase di Maria. Niente di paragonabile si trova invece in I ,20. Maria è in tutto e per tutto colei che è piena di grazia come le era stato assicurato inizialmente dall'an­ gelo. Se in origine a contraddistinguere la singolarità del Figlio di Dio era stata la nascita verginale, nel primo narratore di questa storia è piut­ tosto la gratuità della parola di Dio, che suscita la vita dal nulla. Di­ versamente da 1 , 5-25 tutto ha inizio con l'angelo; della fanciulla nella piccola Nazaret non si narra niente di straordinario. La visita dell'an­ gelo è sconvolgente per lei quanto per qualsiasi altra persona, e anche lei reagisce con la domanda di chi non comprende: come può avvenire tutto ciò ? Di veramente grande in lei vi è la fede destata dalla parola di Dio, fede in grado di restare in silenzio davanti a Dio e di !asciarlo agire. Per una persona del tempo la nascita verginale era un evento cer­ tamente raro ma non assolutamente eccezionale. Perciò il testo può es­ sere rettamente compreso solo se si considera come centrale non que­ st'aspetto bensì l'azione di grazia operata da Dio, incomprensibile ep­ pure reale. A maggior ragione non si dice nulla a proposito della ver­ ginità perpetua di Maria (v. a Mc. 6,3). Si tratterebbe di un ideale gre­ co, non ebraico. Quanto era espresso da Marco con il rimando all'An­ tico Testamento (1,2 s.), da Giovanni con la frase del Verbo eterno di Dio che si è fatto carne ( I , I - 1 4), da Paolo con l'accenno all'invio del Figlio (Gal. 4,4), è descritto da Le. 1,3 5 con un linguaggio che tenta di delineare il mistero di Dio ricordandone la straordinaria opera creatri-

Le. I ,)9· J 6 . Magnificat

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all'inizio del mondo. Già prima della creazione Dio è vita, movi­ mento, e non semplicemente una «persona» chiusa in sé che se ne sta al di sopra di tutte le sofferenze del mondo in una dimensione eterna, immobile e sublime. In quanto Spirito egli ci viene continuamente in­ contro, è entrato nella creazione (Gen. 1 ,2; Sal. 3 3 ,6: ebraico «spiri­ to») e nella vita di Gesù come inizio di una nuova creazione. L'unità di Dio può essere colta nell'immagine di un'unica «persona», del «Pa­ dre». Ma non si può essere persona senza essere principio di vita, sen­ za vedere, sentire, interpellare chi e cosa ci sta attorno. La chiesa ha tentato di esprimere questo concetto con l'immagine delle tre «perso­ ne»: in Dio è da sempre esistito il flusso della vita che scorre dal «Pa­ dre» al «Figlio» e viceversa e che nello «Spirito» s i è irradiato fin den­ tro la creazione, ha preso forma nella vita di Gesù e giungerà a compi­ mento in futuro nel regno di Dio (v. excursus a Mt. 28, 1 9). In Maria è presentata come destinataria di questo vivere e amare di Dio l'umani­ tà. Nella sua serena attesa dell'azione di Dio ella è figura dell'avvento, esempio alternativo all'attività frenetica della società moderna. Per questo motivo la chiesa successiva ha elaborato la formula «concepito dallo Spirito santo (non solo da esso generato, come nei miti pagani}, nato da Maria (senza intervento attivo dell'uomo)» . Quindi sono pro­ prio le correzioni apportate all'idea consueta della generazione di un figlio da parte di un dio o del suo spirito a essere sostanziali, e non quest'idea in sé, che per Giustino vale anche per gli eroi greci e quindi non è caratteristica della fede cristiana (Apol. 1,2 1; Dia/. 48,2; cf. a Mt. 1 , 1 8.23, excursus). cc

'

B. L INTRECCIO DELLA DUPLICE AZIONE DI DIO:

INCONTRO DELLE MADRI, Magnificat ( 1 ,39- 5 6)

39 In quei giorni Maria si levò e si recò in fretta verso la montagna in una città di Giuda 40 ed entrò nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. 41 E avvenne che quando Elisabetta udì il saluto di Maria il bambino sussultò nel suo grembo ed Elisabetta fu piena di Spirito santo 42 e levò la sua voce i n un alto grido e disse: Benedetta sei tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. 43 A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? 44 Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai mi ei orecchi il bambino ha sussultato esultante nel mio grembo. 4 5 E beata te che hai creduto, per­ ché avrà compimento ciò che ti è stato detto dal Signo re. 46 E Maria disse:

cL' anima mia» magnifica «il Signore» e il mio spirito «esulta per Dio, mio Salvato re» ; 48 perché «ha guardato all'umiltà della sua serva»; ecco infatti, d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata; 49 poiché «grandi cose ha fatto a me il Potente e santo è il suo nome so e la sua misericordia» per generazioni e generazioni «per quelli che lo temono». s 1 «Egli ha esercitato» potenza «con il suo braccio. Ha disperso i sup erbi» nei pensieri del loro cuore, s� «rovesciato» potenti dai troni «e innalzato umili, .J J ricolmato di beni gli affamati» e «mandato via a mani vuote i ricchi». J4 Si è «preso cura» d'Isra el e «suo servo, ricordandosi della misericordia, s s come» aveva detto «ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre». s6 Allora Maria restò con lei per circa tre mesi e ritornò poi di nuovo a ca­ sa s ua . 47

·

Questa pericope unisce le due linee del racconto. Anche se inizial­ mente è Maria ad arrivare da Elisabetta e a salutarla, ben presto i ruoli s'invertono; il saluto del nascituro e la benedizione rivoltale dalla cu­ gina mostrano chiaramente qual è il fulcro dell'attenzione, che non ca­ de tanto su Maria in sé quanto sul fatto inaudito che Dio sta operando in lei. Ciò è sottolineato anche nel cantico, inserito nel racconto come per Es. 1 5 , 1 - 1 8; Num. 23 s.; Deut. 32 s.; Giud. 5; 2 Sam. 22 s.; Gion. 2; Gdt. 1 6; Dan. 3,23 LXX ecc. Il cantico si snoda in tre fasi successive passando dali' esperienza personale di Dio, espressa alla prima persona singolare (vv 46-49a}, a quella generale descritta alla terza persona, con Dio come soggetto (vv 49b- 53) e infine all'esperienza di Dio nella storia, in cui compare la prima persona plurale {vv 54 s.). Ne i vv 46 b 5 3, a parte il v. 48b, ricorrono sempre due frasi parallele; nei vv. 5 2 s. queste si contrappongono invertendo la successione da a-b a b-a. Nel­ le prime due strofe si susseguono la lode e la sua motivazione, nella seconda e terza invece motivazione e rimando all'Antico Testamento. L'espressione «la sua serva» {48a) è ripresa da «suo servo» (54), men­ tre «ha fatto» (49a) è ripreso dal medesimo termine greco nel v. 5 1 . Nel v. 48 mancano le parole corrispondenti ai vv 68-75 (v. ad loc. ); in .

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Le. 1,39-56. Magnificat

41

compenso presenta una espressione tipicamente lucana («d'ora in poi») ed è l'unica frase al futuro e che non parli dell'operato di Dio. L'accenno a «tutte le generazioni» supera di gran lunga il parallelo di Gen. 30, 1 3 e non s'addice alla concezione di Giovanni quale ultimo profeta prima dell'imminente giudizio divino (il v. 50 è formulare}. Senza 48b il cantico avrebbe potuto essere originariamente pronuncia­ to da Elisabetta (v. a I, 5-2., 52., intr. ). A favore di tale ipotesi vi sono il v. 48a e i paralleli con il cantico di Anna {I Sam. l, I - I o ) oltre al v. 4 1 (Elisabetta presa dallo Spirito santo) e 56 («con lei» Elisabetta, men­ tre Maria è nominata esplicitamente). Che la fine del v. 4 1 e i vv. 46- 5 5 siano stati tramandati come cantico di Elisabetta (come il v. 67 con il cantico di lode di Zaccaria) ? È stato forse Luca a porre il cantico sulle labbra di Maria aggiungendo il v. 48b per subordinare con evidenza ancora maggiore Giovanni a Gesù ? =

3 9-56. Maria, che in quanto fidanzata doveva avere sui dodici/quat­ tordici anni, intraprende il cammino di tre o quattro giorni (cf. a 2., I 6} e resta via per tre mesi (v. 56). Pur avendo già acconsentito alla via di Dio, ella accetta il segno che Dio le offre (v. 36}. Il racconto parla solo delle donne nella «casa di Zaccaria». Per il narratore esse costituisco­ no una specie di prima comunità che si sente unita nella lode a Dio. Non soltanto «il cuore» di Elisabetta è «felice e sussulta come sussulta un bimbo nel grembo di sua madre» (Ps. Sal. 28,2), ma è come se si ve­ rificasse un primo incontro tra Giovanni e Gesù. Un parallelo a que­ sto passo è offerto non tanto da Gen. 2 5 ,22 s. quanto piuttosto dall'in­ no di lode dei bambini non ancora nati al passaggio del Mar Rosso {testo rabbinico, Str.-Bill.). Con il suo «alto grido>> il saluto di lode di Elisabetta risulta un po' inquietante. Tutto l'insieme è comunque ir­ razionale, irragionevole, fuori dalla norma, paragonabile piuttosto a un erompere di impulsi e sentimenti del subconscio. Ma così si evidenzia che in fondo non è la voce di Elisabetta a prorompere, ma è Dio stes­ so a pronunciare anche la lode delle proprie azioni e a «benedire» Ma­ ria in chiave creatrice (cf. 2,28). Quindi il primissimo riconoscimento di Cristo è già dono dello Spirito di Dio (I Cor. I 2,J). «Signore» è in­ teso chiaramente da un punto di vista personale come «mio Signore». Ciò porta all'esultanza che spesso allude al tempo finale, presagito an­ che dalla discesa dello Spirito su Elisabetta. Mal. 3,20 paragona questo giubilo al saltellare dei vitelli lasciati uscire al pascolo, Gv. 3,2.9 s. alla

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Le. 1,39- s6.

Magnificat

gioia dell'amico dello sposo. Maria è esaltata in quanto credente, come Giuditta in quanto aveva sperato (Gdt. I J , I 8 s.); ma diversamente da costei l'esaudimento visibile della sua fede non è ancora avvenuto. Così lo svolgimento del testo riconduce alla grande azione di Dio del­ la quale si narrerà più avanti. Nel cantico Maria non dà una risposta a Elisabetta; grazie alla sua benedizione, Maria è posta davanti a Dio, del quale parla (in terza persona) con lode adorante. «Spirito» accanto ad «anima>> (cf. a 8,5 5) ricorda in modo particolare quella parte del­ l'uomo che è aperta allo Spirito di Dio. Ancora una volta si parla del­ l'esultanza «della fine dei tempi» (cf. Sal. 3 I,8; 3 5,9; Ab. 3 , I 8) che an­ cora non è rivolta al messia come in 2, I I, bensì a Dio come il «salva­ tore» o «redentore». Al suo cospetto Maria, me more della parola del­ l'angelo (cf. 2, I 7), può solo considerarsi l' «ancella» prescelta dal Si­ gnore (v. 3 8). L' «umiltà» inizialmente avrebbe potuto essere riferita alla sterilità di Elisabetta, ma ora sta a indicare la situazione della per­ sona in generale. Non si tratta di falsa modestia, ma di quello stupore grande e infantile nel senso migliore del termine che si prova di fronte alla bontà di Dio, la quale guarda (v. a 9,3 8) anche chi non è una «bel­ lezza». Di fronte ad essa impallidisce sia l'affermazione sia il fallimen­ to della propria persona (cf. I 8,9- I4 e la giustificazione del peccatore secondo Paolo). Pertanto il v. 48b può collocarsi immediatamente do­ po, quasi come l'esaltazione di Cristo dopo la sua umiliazione nel can­ tico di Fil. 2,6- I 1 (cf. excursus dopo 2, 5 2, c). Il grandioso operato di Dio non deve in alcun modo essere tenuto in scarsa considerazione: sono stati la sua «potenza» (cf. Sof. 3 , I 7; Sal. 4 5,4-6) e il suo «nome» a compiere «grandi cose» (Deut. I0,2 I; 1 Sam. I 2,24; Sal. I 26,2 s.). Dio non è un destino astratto; ha un nome che può essere invocato. Allora la sua potenza si fa ogni volta misericordia (Sal. I 1 1 ,9; I 03, I . I J . I 7) e ridesta nell'uomo il «timore» di non saperne gioire abbastanza (v. al v. 29 ). Ancora una volta il cantico è aperto su un futuro senza limiti. Si passa così all'operato universale di Dio, che ha anche risvolti sociali (/s. 5 7, I 5; 6 1 , I -3; Hen. aeth. 92- I04). Di per sé l'attesa di un capovol­ gimento di tutti i rapporti sociali è diffusa (Test. Iud. 25,4; Test. Sal. 1 0, 1 2 [C]; in ambito greco Senofonte, Elleniche 6,4,23; Euripide, Tro­ iane 6 I 2 s.). Tuttavia qui siamo di fronte a una lode di Dio che allude al futuro, e non a un'accusa o a un'ammonizione al lettore in conside­ razione di una sorte capricciosa. L'innalzamento degli umili che si profila già con Elisabetta e Maria raggiungerà il proprio obiettivo in

Le. 1,39-s6. Magnificat

43

Gesù e àttraverso di lui in tutti coloro che stanno davanti a Dio in u­ miltà. Le ciotole vuote saranno riempite. Agli occhi di Dio grandezza c bassezza non sono come agli occhi umani. Tuttavia si parla anche di reali conseguenze sociali, di «detentori del potere» e di «coloro che sono ricchi» (alla lettera), non certo di «pagani» ! Questo non è stato cancellato al momento di inserire il salmo nella vicenda personale di una donna. Il cantico non è tanto una minaccia di giudizio che esorta al cambiamento (come Le. 6,20 s.24 s.; 1 2, 1 3 -2 1 ; 1 6, 1 9-26), quanto una lode ali' agire di Dio che dà a tutti lo stesso peso e pensa a tutti allo stes­ so modo (ugualmente 1 Sam. 2, 5 -7). Pur provenendo da un salmo mes­ sianico davidico (89,1 I) neanche il v. 5 I parla del messia; il «servo di Dio» è Israele (come /s. 4I,8 s.). In Israele viene inserita anche la co­ munità di Gesù, nella quale l'operato misericordioso ed elettivo di Dio proseguirà per sempre. Negli Atti di Luca Abramo compare per 22 volte, indice dell'importanza attribuita ai «padri» (v. al v. 72). La lun­ ga permanenza di Maria e la menzione della casa «di lei» presuppon­ gono che ella non è ancora sposata. Non si pensa certo qui a 2 Sam. 6, I 1 (l'arca dell'alleanza in cui è presente il Signore resta fuori «per tre mesi»), nonostante la vicinanza a 2 Sam. 7 (v. 3 2 s. ! ). L'intera pericope è incentrata su due donne, delle quali una è senza marito mentre quello dell'altra è muto. Sono le prime persone a salu­ tare nella potenza dello Spirito il Signore che viene. Per questo moti­ vo tutto è colmo di esultanza. Ma per quanto il miracolo che ciascuna ha sperimentato personalmente possa essere sconvolgente, le due don­ ne non si fermano a questo e in modo addirittura rivoluzionario vi scor­ gono Dio che vuole andare al di là della loro piccola vita individuale e intervenire a favore di tutti gli umiliati e gli smarriti. Per questa ragio­ ne Maria è divenuta speranza e centro della fede di milioni di povere donne, poiché in lei diviene chiaro che Dio agisce non solo nella pro­ messa, ma anche nella lode con cui l'uomo gli risponde e che si spinge fino ai concreti rapporti sociali. Come il coro nel dramma antico, l'in­ no, che non ha paralleli nella corrispondente pericope riferita a Gesù (cf. a I,5-2,5 2, intr.), mette in rilievo quest'aspetto. Comunque Dio non è un signore capriccioso che intraprende ora questo, ora quello. Il suo operato, dalla prima elezione di Israele fino all'aiuto definitivo, è tale da includere anche il piccolo destino della singola persona.

C. NASCITA, AITRIBUZIONE DEL NOME, LODE A DIO ( 1 , 5 7- 2,40)

Basta uno sguardo generale a mettere in evidenza i paralleli: 1, 5 7 s.f 2,6 s.: nascita; 1 , 59-6J/2,2 1 : circoncisione e attribuzione del nome se­ condo l'annuncio dell'angelo; 1,67/2,2 5d-27a: azione dello Spirito san­ to: 1,64/2,27b.28: come lode a Dio; 1,68-79/2,29-32: nell'inno; 1 ,65 s.J 2,3 3 : reazione della persona; I,8oj2,4o: crescita del bambino. 2, 1 - 5 . 820.22-2 5C· 34-39 non sono presi in considerazione (v. ad loc. ). Adempimento della promessa: nascita e attribuzione del nome, 1,57-66

Per Elisabetta si compì il tempo di partorire e mise al mondo un figlio. E i vicini e i parenti di lei udirono che il Signore aveva reso grande la sua misericordia con lei e si rallegrarono con lei. 59 E avvenne che all'ottavo giorno vennero per circoncidere il bimbo, e lo chiamavano con il nome di suo padre Zaccaria. 6o E sua madre rispose e disse: N o, dovrà invece chiamarsi Giovanni. 6 1 Ed essi le dissero: Non c'è nessuno tra i tuoi parenti che si chiami con questo nome. 62 A cenni chiesero allora a suo padre come de­ siderava che fosse chiamato. 6 3 Ed egli chiese una tavoletta e scrisse: Gio­ vanni è il suo nome. E tutti si meravigliarono. 64 In quel momento gli si aprì la bocca e la lingua, e parlava in lode di Dio. 6 5 E timore invase tutti quelli che abitavano nelle vicinanze e per l'intera regione montuosa della Giudea si discorreva di tutti questi eventi, 66 e tutti coloro che ascoltavano ciò lo serbavano nel loro cuore e dicevano: Che cosa mai sarà di questo bambi­ no? E l a mano del Signore era con lui. 57

sS

Il dono dello Spirito santo e il successivo cantico avrebbero propria­ mente dovuto essere inseriti subito dopo il miracolo (vv. 63 s.); eviden­ temente l'inno esisteva già insieme alla sua introduzione {67), altri­ menti Zaccaria non sarebbe stato presentato una seconda volta come «suo padre». Così è stato collocato solo alla fine. La narrazione dell'at­ tribuzione del nome (59-64a) è piuttosto elaborata e sostiene il peso del racconto perché in essa la fede dei due genitori si afferma nono­ stante una certa resistenza portando quindi al segno divino della paro­ la ritrovata. La pericope si chiude con la lode pronunciata dal padre e lo stupore interrogativo di tutti ( 64b-66), come lo stile richiede. 57-66. I l tempo del parto (1 ,24, senza allusione a 26- 56!) «si com­

pie» (come per Rebecca, fino a quel momento senza figli, Gen. 2 5,24).

Le. 1,57-66. Nascita e attribuzione del nome

4S

Forse nell'espressione solenne (anche 1,23; 2,6.2 1 .22) riecheggia l'idea dell'adempimento della promessa di Dio. Dio rende «grande» la pro­ pria bontà (che è sempre disponibile) con un particolare intervento di soccorso (anche Gen. 1 9, 1 9). Qui è attestata per la prima volta l'attri­ buzione del nome insieme alla circoncisione (come più tardi per il bat­ tesimo cristiano; presso i greci nel settimo o nel decimo giorno). Sce­ gliere lo stesso nome del padre non è prassi usuale (solo Tob. 1 , 1 .9) e proporlo serve solo a introdurre la risposta della madre. Essa è segno della gratitudine di un cuore umano che ritiene la promessa di Dio molto più importante del rispetto delle convenzioni familiari. Né i ge­ nitori né i parenti possono vantare alcun diritto nei confronti di que­ sto bambino, soltanto Dio, che lo ha già destinato al proprio servizio (v. 1 3 ). Non è detto se e come Zaccaria abbia comunicato il nome alla moglie, tuttavia il loro accordo in proposito non dev'essere interpre­ tato come un miracolo. I congiunti intuiscono qualcosa dell'evento di­ vino, ma non ne sono ancora al corrente. I cenni usati per comunicare (Zaccaria è forse anche sordo ?) e la richiesta di una tavoletta (di legno, ricoperta di cera) mettono in evidenza una volta di più l'infermità di Zaccaria prima che sia sanata dal miracolo divino. Adeguandosi anche egli alle istruzioni dell'angelo dimostra, com'è ovvio, di essere diventa­ to un uomo di fede. Per questa ragione le prime parole che può di nuo­ vo pronunciare sono una lode a Dio (v. a 1 7, 1 5) e non una spiegazione del mistero né una motivazione illuminante della scelta del nome. Tut­ ti quelli che assistono sono colti da timore (v. ai vv. 1 2.29). Riguardo alla «Giudea» (e non «Giuda» come nel versetto di collegamento, v. 3 9) , cf. a 1 , 5 . L 'ultima frasetta non pertiene assolutamente ai discorsi della gente ma è piuttosto un'annotazione conclusiva del narratore. In questo brano la «mano di Dio», ossia il suo aiuto e la sua guida, si manifesta in vario modo: nella promessa che egli adempie concre­ tamente nella nascita di un uomo; nella gente che vi scorge qualcosa della misericordia divina che «si fa grande», e nei più diretti interessati che da ciò apprendono ad accogliere il dono di Dio e a testimoniarlo anche agli altri attraverso l'obbedienza. Elisabetta, attenendosi alle pa­ role d eli' angelo, è colei che fa il primo passo. Zaccaria ha sperimenta­ to di persona un prodigio che lo ha umiliato e prorompe in un inno di lode a Dio. Il segno di Dio non toglie la fede all'uomo; anche i testimo­ ni vogliono conoscerne il significato e, dopo un primo momento di

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Le. 1,67-80. Benedictus

gioia partecipe, puramente umana, sono colti da timore e meraviglia. Inizialmente si diffondono soltanto «parole»: parole serie, di riflessio­ ne teologica, di grato resoconto, ma anche pettegolezzi, chiacchiere e­ sagerate che perdono di vista l'essenziale; tuttavia ovunque vi sono persone che in un modo o nell'altro le accolgono nel loro cuore (come è detto di Davide in r Sam. 2 I , I J). Tutto conduce a un unico interro­ gativo che fondamentalmente riguarda Dio stesso. In tutto ciò, già nei primi giorni di vita di Giovanni è all'opera la mano vivente di Dio. Benedictus, 1,67-80 67 E Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito santo e profetò: 68 «Sia benedetto il Signore, il Dio d'Israele»,

perché ha visitato il suo popolo e gli ha operato [fatto] redenzione

69 e ha suscitato per noi «un corno di salvezza»

nella casa di Davide suo servo, come aveva detto per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo, 7 1 salvezza [via] dai nostri nemici e dalla mano di tutti quelli che ci odiano, 72 di usare [fare] misericordia «con i nostri padri e ricordarsi della sua santa alleanza» 73 «del giuramento prestato ad Abramo nostro p ad re » , 74 e «di concedere» a noi, senza paura, «liberati dalla mano dei nemici», 75 di servirlo in santità e giustizia al suo cospetto per tutti i nostri giorni. 76 E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo; giacché camminerai davanti al Signore a preparargli le strade 77 e a concedere al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei loro peccati 78 grazie alla sincera misericordia del nostro Dio, nella quale «il sorgere» ci ha visitato dall'alto, 79 per comparire a coloro «che siedono nelle tene bre e nell'ombra della morte», e dirigere i nostri passi sulla via della pace. 8o Il bambino intanto cresceva e diventava forte nello Spirito, e visse nel de­ serto fino al giorno del suo insediamento in Israele. 70

r Sam. 2, 1o; Sal. 89,2 5 . 72 Es. 2,24. 73 Gen. 26,3 . 74 Ger. 1 1 , 5; Mich. 7,20. 76 Mal. 3 , 1 ; /s. 14,3· 78 /s. 6o,1 s.; Zacc. 3,8. 79 Sal 107,IO; /s. 9,1 ; 42,7.

69

Le. 1 ,67- So. Benediaus

47

Nel cantico parole identiche si ripresentano in successione chiastica (inversa): a)

visitare (68b) b) popolo (68b) c) salvezza (69) d) profeti (7o) e) n emici (71 ) f) mano (7 1 ) g) nostri padri (72); g ' ) nostro padre (73) f') mano {74) ' e ) nemici (75) d') p rofeti (76) ' c ) salvezza (77a) b') popolo (77a) ' a ) visitare (78a).

Al centro si trova il rimando all'alleanza e al giuramento di Dio (72b. 73 a). Parimenti si susseguono chiasticamente a)

misericordia (72)

b) concedere (74) c) al suo cospetto (75); ' c ) davanti al Signore (76b) h') concedere (77) ' a ) misericordia (78).

Il centro è qui costituito dall'affermazione sul profeta del v. 76a. I vv. 76-79 sono espressi al futuro e formano un cantico della natività che preannuncia l'importanza futura del nascituro, e non un inno di lode per le azioni di Dio già verifìcatesi. Nei vv. 68-75 si affollano le stesse parole che comparivano anche nel cantico di Maria; dal v. 76 ciò vale al massimo per le ripetizioni tratte dai vv . 68-7 5 . Inoltre la prima parte è molto simile a preghiere ebraiche e, come i vv. 46- 5 5, presenta nu­ merose espressioni veterotestamentarie (sia le une sia le altre di tradi­ zione davidica). Nei vv. 76-79, invece, come nel cantico (cristiano) di 2,29-3 2, compaiono unicamente locuzioni che sono presenti anche al­ trove nella tradizione cristiana (per lo più lucana): I ,76 = Mc. I ,2 = Le. 7,27; 3,4 / I,79 = Mt. 4, 1 6 (sul collegamento con Luca v. a Mt. 4, 1 3) l 2,20 = 3,6 l 2,3 1 = Atti 1 3,47. Infine il v. 75 corrisponde a una locuzio­ ne conclusiva usuale nei salmi ( 1 6, 1 I ; 1 8, 5 1 ; 28,9; 29, 1 0; cf. 3 5,28; 7 1 ,

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Le. 1,67-80. Benedictus

24). Quindi per mezzo dei vv 76-79 un salmo (ebraico) preesistente è stato completato in chiave attualizzante e adeguato al racconto (cf. in particolare I, I4- 1 7). Nei vv 76-78 sono state riprese in successione inversa le parole chiave del salmo «misericordia - concedere - al suo cospetto» e «visitare - popolo - salvezza». È improbabile che i vv 6875 siano stati inseriti nel contesto originario di 67.76-79, e al limite so­ lo se fossero già esistiti come salmo tradizionale. Il cantico originario può essere così suddiviso: vv 68 s.7I l 72 s. l 74 s. Alla fine di ciascuna delle prime due pericopi, in una frasetta slegata appena giustapposta viene ripetuta una parola chiave («salvezza» 69a.71a. l «i nostri padri, nostro padre» 72a.73), mentre il v. 74 riprende in successione inversa l'espressione del v. 71 («salvezza [via] dai nostri nemici e dalla mano ... )) l «liberati dalla mano dei nemici»). Il v. 70 non è preso qui in con­ siderazione; esso concorda quasi alla lettera con Atti J,2 I (cf. 3 ,2 5) e potrebbe essere stato inserito da Luca. L'integrazione dei vv 76-79 proviene da un discepolo di Giovanni o da un giudeocristiano ? N el primo caso il «Signore» sarebbe Dio stesso, come in 1 , 1 6 s. Ma poiché il v. 69 parla già del messia davidico è ben difficile che tale titolo pos­ sa essere stato attribuito a Giovanni, che non è della stirpe di Davide. Inoltre le citazioni dei vv. 76 e 79 sono profondamente radicate nella tradizione cristiana (v. ad loc. ). La visita del «sorgere» è chiaramente molto di più della comparsa anche del più grande profeta. I vv. 76-79 quindi intendono il rapporto tra il Battista e Gesù allo stesso modo di chi ha messo in relazione le due figure e ha subordinato la prima alla seconda, vale a dire un giudeocristiano. Tali versetti ovviamente iden­ tificano il «noi» del cantico di lode d'Israele con la comunità di Gesù. È singolare la formulazione «remissione dei loro (e non: dei nostri) peccati». Si tratta di un'aggiunta lucana (Le. 24,47; Atti 2,J 8; 5 ,3 I ; I O, 43; 1 3 ,3 8; 26,1 8) oppure di un'espressione fissa giudeocristiana (Mc. 1 , 4 = Le. J,J; Mt. 26,28; analogamente Col. 1 , 14; non nei LXX) ? .

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67-75. Al festeggiamento usuale (e ai contrasti, vv 5 8.61 ) fa seguito il cantico. «Pieno di Spirito santo» (anche vv I 5 .4 1; cf. 2,27; non in I , 4 6 per via di 1,3 5 ?) è Eliseo (Sir. 48, 1 2, altrimenti solo in Prov. 1 5,4 LXX). La presenza di Dio è immaginata in modo tanto concreto quan­ to lo è la nuvola che riempie la tenda dell'alleanza o il tempio. « Profe­ zia» è ciò che segue, riferito a Gesù (vv. 78 s.). Il cantico inizia con la tradizionale lode del Dio d'Israele, che solitamente è posta alla con.

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Le. 1,6]-80. Benedictus

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elusione (Sal. 4 I , I 4; 72,I 8; 89, 5 3 ; Io6,48); essa è motivata dalla visita di grazia fatta da Dio. L'espressione ebraica nell'Antico Testamento designa la venuta di Dio sia nell'ira (ad es. Es. 20, 5 ) che nella grazia, mentre nella traduzione greca significa più spesso «visita» gratuita di Dio, la sua «visitazione». Nel Nuovo Testamento, dove ricorre solo i n Le. 1,78; 7, 1 6; 1 9,44; Atti 1 5, 14, essa ha esclusivamente quest'ultimo significato. Alla lettera vuoi dire che Dio volge il suo sguardo su qual­ cuno dedicando a lui in particolare la propria presenza (che vale per tutti) e riservandogli una particolare strada. È proprio questa la «libe­ razione». Essa si verifica quando Dio «suscita» o «fa (ri)sorgere» qual­ cosa (come è detto del profeta o re: Deut. 1 8, I 5. I 8; 1 Sam. 2,3 5; 2 Sam. lJ,I; Atti 3,22.26; cf. I J,22), ossia il «corno» in cui si pensava fosse concentrata la forza dell'animale. I Sam. 2, I o parla del «corno del suo consacrato», espressione che i dotti giudei interpretavano in riferimen­ to al messia (Str.-Bill.). Nella preghiera ebraica delle diciotto suppli­ che la quindicesima, ovviamente in una redazione più tarda (Str.-Bill. IV, 2 I J), declama: «Fa' presto fiorire il germoglio di Davide, e sorga il suo corno per mezzo del tuo aiuto». Che Dio susciti nuovamente po­ tenza «nella casa di Davide» può essere interpretato solo in senso mes­ sianico (cf. a I,J I). Anche in Atti 4,2 5-27 Gesù in quanto «Signore e Cristo di Dio» è allo stesso tempo, come Davide, anche «servo» di l)io (questo solo in preghiere giudaiche e cristiane). Mentre i vv. 69.72 s . descrivono il proseguimento della storia della salvezza iniziata con Davide e Abramo, il rimando del v. 70 illustra la concezione lucana di Gesù come adempimento di tutti i profeti. Con la «liberazione dai ne­ mici», originariamente intesa in senso politico, Luca intende evidente­ mente tutte le tentazioni («peccati», v. 77). «Misericordia con i padri» presuppone forse che questi dal cielo prendono parte alla sorte del lo­ ro popolo ( 1 6,23 .27; Gv. 8,56; Str.-Bill. 1, 892). Ci si ricorda spesso di loro (v. 5 5; cf. Mich. 7,20; I Macc. 4, Io). Che Dio «SÌ ricordi» del suo «giuramento» si addice in modo straordinario al nome dei genitori (v. a 1, 5). Un silenzio durato secoli, durante i quali Israele poteva atte­ nersi solo alla parola tramandata, non significa però che Dio abbia di­ Inenticato il suo popolo. Lo scopo ultimo dell'operato salvifico di Dio presuppone sì l'avvenuta liberazione dai nemici, ma consiste nell'inin­ terrotto servizio a Dio. Se ne parla altrove solo in Is. 24, I 4, nei termi­ ni però di un'istruzione che Dio impartisce al suo popolo. Qui invece si tratta di un tipo di devozione per cui il servizio divino, compiuto da

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tutti e non solo rappresentativamente dai sacerdoti, comporta la mas­ sima gioia possibile. Libertà del servizio divino è ciò che di più grande si può desiderare, come sottolinea la supplica della sua durata eterna (o forse «nostri» è riferito soltanto alla generazione dell'epoca?). 76-So. «E tu» introduce il passaggio dalla lode generale di Dio alla situazione concreta. Sulla base di Deut. I 8,1 8 s. Israele attendeva un profeta messianico escatologico (4QTest 5; 1 QS 9, 1 r ; cf. a Le. 1 , 1 7). Ma il v. 76, come Mc. 1,2 s.; Le. 3,4-6; 7,27, vede in Giovanni il precur­ sore di Gesù sulla base dell'attesa di Elia (Mal. 3,1, influenzato anche da Es. 23 ,20; /s. 40,3 ). Secondo Mc. 1,4 (v. ad loc. ) = Le. J,J il suo bat­ tesimo di conversione comporta la remissione dei peccati (v. a 24,47); anche qui ciò non significa che egli si limita ad annunciare tale remis­ sione, bensì che nella sua predicazione Israele s'incontra già con Gesù ormai vicino, nel quale diventa realtà la «misericordia» di Dio, il dono di tutti i suoi sentimenti. «Il sorgere» può indicare l'apparire del sole, ma anche la fioritura di un nuovo «germoglio» (così Ger. 23,5 LXX; Zacc. J ,8; 6, 1 2), come il giudaismo aveva definito il messia davidico. Certo il redattore ha presenti questi passi, ma la prosecuzione del rac­ conto dimostra che egli ha davanti agli occhi l'immagine del sorgere d'un astro, della «grande luce» (/s. 9, 1 ), del «sole della giustizia» (Mal. 4,2) o della «stella che spunta da Giacobbe» (Num. 24, 1 7). Tuttavia que­ sta luce non appare all'orizzonte, sorgendo dalle profondità come il Figlio dell'uomo che emerge dal mare di 4 Es d. 1 J, ma nell' «alto», co­ me il rifulgere improvviso di una meteora. Né si tratta d'un generico chiarore, ma di una luce che «ci» visita, che guarda verso di «noi» (v. al v. 68) eliminando ogni ombra di morte e indicando agli uomini la retta via. Quindi anche qui il Cristo è visto come colui nel quale Dio entra di nuovo nella vita dell'uomo e gli dona, nell'oscurità in cui ave­ va smarrito la strada, la luce ove trovare pace (parimenti Mt. 4, 1 6 che utilizza la medesima radice «sorgere»). Solo a questo punto si viene a sapere che Giovanni ha vissuto nel deserto fino al momento della sua manifestazione (v. a 3,2 s.). Certo non fece parte della comunità di Qumran, dato che: suo padre era sacerdote del tempio (istituzione cri­ ticata dai monaci di Qumran); la sua veste è quella d'un profeta, non d'un monaco; il suo battesimo è valido una volta per sempre e non va ripetuto ogni giorno; la sua chiamata è rivolta a tutto il popolo e non a una comunità monastica, il suo ideale non mira a una rigorosa inter­ pretazione della legge come a Qumran. Inoltre il v. So sottolinea pro-

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prio l'indipendenza da qualsiasi opinione umana. Con «Spirito» si in­ tende lo «Spirito» di Dio che gli viene conferito e diviene così anche suo spirito (v. ai vv . 46 s.). Questo versetto si collega a J,I -20, creando così una «biografia» del Battista. In ordine inverso rispetto ai vv 46- 5 5 il cantico inizia lodando l'o­ perato di Dio per tutto Israele; solo dal v. 76 si entra nel merito della vita del singolo personaggio che, naturalmente in quanto profeta del­ l'Altissimo, porterà la salvezza a tutto il popolo. Non si dice di quale popolo si tratti; in ogni caso non si parla di pagani. La visita del Dio di Israele significa (in positivo) salvezza per tutto il popolo grazie al discendente di Davide, e (in negativo) liberazione dai nemici. Questa liberazione (in negativo) consente (in positivo) di servire ininterrotta­ mente Dio. Al centro si ha l'interpretazione di tutto ciò come adempi­ mento dell'alleanza stretta con Abramo; Dio ha raggiunto lo scopo fi­ nale del proprio operato nei confronti d'Israele. La menzione di Davi­ de (sottolineata da Luca al v. 70) mostra che è a un re messianico che si pensa. Il linguaggio è quello di una speranza nazionale che, con mo­ tivazioni ovviamente religiose, mira alla libertà del servizio divino. Questa finalità è ripresa da un giudeocristiano che la mette in relazio­ ne con la predicazione di Giovanni, il quale prepara la strada al «Si­ gnore» Gesù e quindi alla definitiva visita di grazia di Dio (vv 76-79). In tutto ciò il grandioso operato di Dio è talmente in primo piano che neppure si accenna a conversione e battesimo, ma solo alla liberazione dai nemici, interpretata dal redattore come remissione dei peccati. De­ cisivo è il rifulgcre in Gesù della presenza di Dio in quanto tale, sua «epifania» (così in greco) nelle tenebre e nell'ombra della morte. Essa concede la possibilità di servire Dio o, come interpreta il narratore, la pace. Laddove si rivolge direttamente a Dio nella lode la comunità può e deve solo esaltarne l'operato e l'infinita bontà. Che con ciò non sia­ no risolti tutti i problemi lo dimostra già l'accentuazione della remis­ sione dei peccati. Che però con la venuta di Gesù si siano rivelate pos­ sibili vie di pace rimaste invisibili sino a quel momento è vero anche in considerazione della convivenza umana e dei suoi problemi. Nella collocazione di tali inni di lode prima della predicazione del Battista si evidenzia quello sfasamento (accentuato da Paolo) per cui solo chi ha ricevuto in dono da Dio remissione e pace è messo in grado di servire Dio nella pace. .

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Avvenne allora in quei giorni che uscì un editto dell'imperatore Augusto perché fosse censita tutta la terra. 2 Questo fu il primo censimento, com­ piuto quando Quirinio era governatore della Siria. 3 E tutti andavano a far­ si censire, ciascuno nella propria città. 4 Così anche Giuseppe dalla Galilea dalla città di Nazaret salì verso la Giudea nella città di Davide, chiamata Betlemme, perché era della casa e della stirpe di Davide, 5 p er farsi censire con Maria, sua fidanzata, che era incinta. 6 Ora, mentre si trovavano là, av­ venne che si compirono per lei i giorni in cui doveva partorire, 7 e partorì il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non vi era posto per loro nell'abitazione. 8 E vi erano dei pastori al­ l'aperto in quella regione che di notte vegliavano sul loro gregge. 9 E un angelo del Signore si accostò loro e la gloria del Signore li avvolse di luce e furono colti da grande timore. 10 E l'angelo disse loro: Non temete; ecco, vi annuncio una buona novella, una grande gioia che sarà di tutto il popo­ lo; I I perché oggi nella città di Davide vi è nato un salvatore che è il Cri­ sto, il Signore. I2 Questo è per voi il segno: troverete un neonato avvolto in fasce che giace in una mangiatoia. 1 3 E subito con l'angelo vi fu una mol­ titudine dell'esercito celeste che lodavano Dio e dicevano: 14 Gloria nell'alto a Dio e sulla terra pace tra gli uomini della (divina) compiacenza. 1 s Appena gli angeli si allontanarono da loro nel cielo, avvenne che i pasto­ ri si dicessero l'un l'altro: Su, andiamo a Betlemme e vediamo quest'avve­ nimento che là è accaduto e che il Signore ci ha riferito. 16 E andarono al più presto e trovarono Maria e Giuseppe e il neonato che giaceva nella mangia­ toia. 17 Quando videro ciò, riferirono della parola che era stata detta loro su questo bambino. 1 8 E tutti quelli che udirono si stupirono di ciò che i pastori raccontavano loro. I9 Maria invece serbava tutte queste parole e le meditava nel suo cuore. 20 E i pastori fecero ritorno, glorificando e lodan­ do Dio per tutto ciò che avevano udito e veduto, come era stato detto loro. 1

Come corrispettivo di 1,57 s. e come introduzione a 2,2 1 sarebbe bastato un breve accenno alla natività come 2,6 s. L'episodio dei pa­ stori (vv. 8-20) è in sé concluso: il v. 8 è l'evidente inizio di un nuovo racconto che si conclude, come lo stile richiede, con la lode a Dio del v. 20. La struttura è chiarissima: all'accampamento dei pastori e alla venuta dell'angelo (vv. 8.9a) corrispondono in successione inversa il commiato degli angeli e la partenza dei pastori (v. 1 5 ), allo spavento dei testimoni e alla proclamazione della salvezza da parte dell'angelo

Le. .z.,1 -.z.o.

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che indica nella mangiatoia il segno (vv 9b- 1 2) corrisponde la procla­ mazione della salvezza da parte dei pastori presso la mangiatoia e lo stupore dei testimoni (vv 1 6- x 8), alla lode a Dio degli angeli (vv. 1 3 s.) quella dei pastori (v. 20). Il v. 19, che come il v. 5 1 b è di stile pretta­ mente lucano, dev'essere stato inserito dall'evangelista stesso. È molto difficile capire come si è costituito il racconto sulla nativi­ tà: I . Quella dei pastori è con tanta evidenza una narrazione in sé con­ clusa che doveva già esistere almeno oralmente in una forma ben defi­ nita prima di essere accolta in Le. I s. La predicazione di Cristo che vi compare è molto diversa da quella di 1,32-3 5 («Salvatore», «Cristo il Signore», v. al v. I 1 ). Ad ogni modo potrebbe aver avuto origine in Palestina, dove fin dal tempo dei patriarchi, di Davide e dei profeti i pastori avevano un ruolo ben preciso, e dove vivono il «popolo (di Dio)» e gli «uomini della (divina) compiacenza» (vv. 10. I 4). 2. I vv 47 non si rifanno all'annunciazione della nascita verginale; difatti Giu­ seppe e Maria vengono presentati una seconda volta. Questi versetti invece si prestano bene a introdurre 2,22-3 8; da Betlemme è facile rag­ giungere Gerusalemme. Allora dello stesso racconto farebbe parte an­ che la menzione del censimento come motivo dello spostamento della famigliola, che serve a collegare la tradizione del luogo di residenza Nazaret con quella del luogo di nascita Betlemme. 3· Nel passo di col­ legamento con il cap. 1 Maria venne definita «fidanzata» di Giuseppe (v. s , dove invero alcune antiche tradizioni leggono «sua sposa»); è probabile che anche le parole chiave «città di Davide» e «mangiatoia» (vv. 4.7) siano state inserite ex novo nei vv. 1 I e 1 6, e che ex novo sia stato costruito il v. I 2. A Luca stesso possono risalire le indicazioni cro­ nologiche dei vv I s., l'osservazione a proposito di Maria del v. 19 e una diffusa rielaborazione stilistica. L'evento della natività si svolse veramente in questo modo ? La nar­ razione di Luca non concorda con le indicazioni fornite da Matteo (v. a Mt. 1 , 1 8. 23), a parte la menzione in entrambi di Betlemme ed Erode (Le. 1,5); tuttavia anche in Le. 1 s. trovano espressione diverse tradizio­ ni che non è facile armonizzare. La storicità del censimento è oggetto di discussione (v. al v. 2 ); inoltre Maria sarebbe stata tenuta a intra­ prendere il viaggio insieme a Giuseppe solo se avesse avuto ella stessa delle proprietà terriere a Betlemme. Oltretutto è impensabile che una coppia non ancora sposata abbia viaggiato insieme. Eppure il racconto della natività descrive con immaginifica evidenza quanto è realmente .

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accaduto, e cioè che nella nascita di questo bambino Dio si è incontra­ to col mondo, e per questo nei cieli regnava il giubilo e gli uomini si sono aperti alla pace di Dio. Tutte queste cose possono essere com­ prese solo alla luce della fede, e le immagini del racconto di Luca han­ no il compito di illustrare quanto è al di là dell'umana comprensione. Per questo motivo non è dato sapere in che misura i particolari della narrazione costituiscano un'elaborazione posteriore in cui la fede ten­ ta di delineare la dimensione di quest'evento. Tuttavia due sono gli a­ spetti essenziali: che questa nascita è avvenuta realmente, a prescinde­ re dal luogo e dalla data; che di vero c'è unicamente quello che può es­ sere riconosciuto dalla fede ed espresso in una serie di racconti, ovve­ ro che in questa nascita Dio è venuto nel mondo in modo unico ed ec­ cezionale. Cf. quanto s'è detto a proposito della questione dell'auten­ ticità storica, introduzione a Mc. (5). 1-7. La ripresa libera è tipica dello stile di Luca. La vicenda prende avvio non da un annuncio angelico ma dall' «uscita» dell'editto impe­ riale per tutto il mondo abitato di allora (in greco: ecumene). Secondo Flavio Giuseppe tra il 9 e il 4 a.C. (anno della morte di Erode) Quiri­ nio certamente non fu governatore della Siria, e l'accertamento tribu­ tario (censimento) ebbe luogo dopo l'accorpamento della Palestina nel­ la provincia della Siria {6 d.C.) (Ant. 1 7,27. 89; 1 8,2). Prima di allora un siffatto censimento sarebbe stato di difficile realizzazione, dato che Erode era un re giuridicamente autonomo; tuttavia non sarebbe stato del tutto impossibile, come dimostra un esempio in Asia Minore. È inoltre attestato un censimento dei cittadini romani (e non «di tutto il mondo») nell'8/7 a.C. e di un altro, palestinese, nel 74/75 d.C. {un po� prima dell'epoca in cui scrive Luca). Per un censimento in Egitto, nel 1 04 d.C., coloro che risiedevano altrove dovettero «far ritorno nel lo­ ro paese» . È possibile, seppur improbabile, che il registro dei tributi fosse stato compilato già sotto Erode e che la tassazione sia stata poi applicata nel 6 d.C., quando Quirinio era effettivamente governatore della Siria; oppure, nel caso estremamente improbabile che Flavio Giu­ seppe abbia confuso due eventi analoghi, una tassazione potrebbe es­ sere stata promossa da Quirinio, che dal 1 2 a.C. operava in Oriente, non in qualità di governatore ma nell'ambito di un incarico speciale; o ancora potrebbe essersi verificato uno scambio tra Quirinio e Quinti­ lio (Varo), il quale dal 4 a.C. fu governatore in Siria. È plausibile che

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Luca si sia sbagliato, come non di rado avviene per fatti risalenti a qua­ si un secolo addietro. La questione però è del tutto irrilevante, in quan­ to l'obiettivo dell'evangelista non è certo illustrare la storia tributaria della Palestina bensì mostrare in che modo Dio si esprime in un even­ to storico e terreno (come può esserlo un censimento di Roma o un qualsiasi altro evento) senza ricorrere a un sistema filosofico che dia una spiegazione del mondo, né a un mito che con la sola immagina­ zione illustra una verità universalmente valida anche senza di esso. An­ zi: l'azione di Dio non irrompe nella nostra storia come una meteora, 1na incomincia in un contesto assolutamente secolare come l'imposi­ zione di un censimento, il cui senso può essere compreso solo alla lu­ ce di quanto accadrà in seguito. Stavolta non compaiono angeli, né vi­ sibili bagliori: solo funzionari romani e contribuenti più o meno irri­ tati; nondimeno Dio è soggetto di un evento capace di sconvolgere il mondo. All'epoca di Luca le fervide aspettative riposte in Augusto era­ no state deluse ormai da tempo; ma anche per l'evangelista l'imperato­ re pagano resta colui al quale il discendente di Davide, a differenza dei rivoluzionari del suo tempo, prestò obbedienza. In 2 Sam. 5 ,7 ecc. la «città di Davide» è Sion, mentre qui, in accordo con Mich. 5,1, è Be­ tlemme. La discendenza davidica di Giuseppe (v. a 1 ,3 2) è messa in evi­ denza, e questo per dimostrare non tanto la continuità della storia della salvezza - la sola speranza in un discendente di Davide che por­ tasse la salvezza è sopravvissuta per quasi mille anni -, quanto la fedel­ tà di Dio, che non è arbitraria ma sta sempre dalla parte di quella sto­ ria a cui ha dato inizio in Israele. I giorni «si compiono» (v. a 1,57). Non si fa parola di pensieri, sentimenti, colloqui; con la massima so­ brietà si menziona solo la nascita. Che Maria partorisca «il suo figlio primogenito» fa pensare che vi siano stati altri figli dopo di lui (v. a Mc. 6,3); però potrebbe stare semplicemente a indicare che il primoge­ nito appartiene a Dio (v. a 2,23 s.). Secondo la leggenda posteriore, la levatrice constata la verginità intatta di Maria (Protoev. lac. 19,3). Che sia la madre ad avvolgere in fasce il bimbo non è prova di un parto in­ dolore, nel quale si sarebbe annullato Gen. 3 , 1 6, ma piuttosto della piena umanità di questa nascita. In un secondo tempo si lesse in fs. 1 ,3 che il bue e l'asino «conoscono la mangiatoia del loro padrone» e tale versetto fu messo in relazione con Gesù. Anche la mangiatoia è un elemento non inconsueto. Si tratta di una bacinella utilizzata per il fo­ raggio, o di un incavo tondeggiante praticato in una sorta di panca al-

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lo scopo di proteggere il bambino dagli zoccoli del bestiame che spes­ so in Palestina è ricoverato per la notte nell'abitazione stessa. Nulla è narrato della ricerca di un alloggio per la notte da parte della coppia, né del rifiuto incontrato ovunque. L'espressione greca di 22, 1 1 indica la casa o la stanza riservata a un ospite, mentre per «locanda» in 1 0,34 è impiegato un termine diverso. Non potrebbe allora essere che al mo­ mento di partorire, non essendoci posto a sufficienza, la coppia abbia lasciato l'abitazione ove era alloggiata, appartenente ad amici o alla fa­ miglia di Giuseppe, per ritirarsi in una costruzione attigua destinata agli animali (o in una grotta situata sotto l'abitazione stessa) ? La grot­ ta citata nella tradizione successiva potrebbe benissimo esser stata trat­ ta da /s. 3 3, 1 6 LXX («egli abita in un'alta grotta rupestre») (lust., Dial. 70; 78, 5 s.). Sono tutti particolari che ci restano ignoti, poiché per Lu­ ca conta solo che si sia trattato di una normale nascita umana, nel con­ testo per nulla romantico o solenne della vita quotidiana di gente po­ vera ancorché non indigente. 8-.2.0. Nei racconti ellenistici di nascite i pastori svolgono un ruolo ben preciso: non per nulla Davide aveva fatto il pastore nella zona di Be­ tlemme (1 Sam. 17, 1 5; 1 6,4. 1 1; cf. Sal. 78,70-72). Rabbi di epoca suc­ cessiva (Tg. Jon. 1 a Gen. 3 5,2 1) hanno atteso la nascita del messia, il pastore d'Israele, presso la «torre del gregge» (Mich. 4,8) nelle vici­ nanze di Betlemme (Mich. 5 , 1 s.; cf. «pascere» v. 4). È probabile che sullo sfondo vi sia quest'attesa, e non il disprezzo nutrito per i pastori da rabbi d'epoca più tarda (Str.-Bill.). Le greggi venivano condotte fuo­ ri dagli ovili in marzo o aprile e riportate al coperto in novembre. Tuttavia poteva capitare di accamparsi nei pressi dei centri abitati an­ che il 24 di dicembre (v. a 1,26). L'indicazione temporale «di notte» compare solo in relazione ai pastori (cf. a 9,28). Con il racconto che li riguarda è descritto il costituirsi delle prime «comunità» di persone che «ascoltano» la parola di Dio e «lo lodano». Il repentino «appari­ re» d eli' angelo fa divenire realtà la presenza di Dio in modo inatteso. A differenza di 1 , 1 1 .26 dell'angelo non si dice il nome. Ancora una volta la reazione più naturale è il timore, e la liberazione da questo ti­ more è il primo effetto della parola di Dio (v. a 1 , 1 2.29). Nello «splen­ dore» di Dio diventa visibile anche esteriormente la sua irruzione nel mondo dell'uomo. Al «grande» timore la parola di Dio contrappone la «grande gioia». Al pari di 1 , 19 (v. ad loc. ) essa viene predicata «co­ me lieta novella». La forma ricorda le proclamazioni ellenistiche, ma il

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termine per «popolo» indica, eccetto che in Atti I 5, I 4; I 8, I o, sethpre Israele (più di ottanta occorrenze); quindi presumibilmente esso ha per Luca il medesimo significato anche qui. L'estensione a tutti i po­ poli si ha solo in un secondo momento (cf. a 2,3 I ). «Salvatore» («re­ dentore», anche Le. I,47; Gd. 2 5 ; 1 Tim. I , I ecc.) secondo l'Antico Te­ stamento è Dio, ma anche il giudice da lui inviato in soccorso ( Giud. 3,9. I 5). Ciò è decisivo per Fil. 3,20 in cui Cristo è indicato come «sal­ vatore» della sua comunità al suo ritorno, e in seguito anche per Atti 5,3 I ; I 3,23; Ef. 5,23; Gv. 4,42; 1 Gv. 4,I 4 ecc. Tale titolo è perfetta­ mente comprensibile nel mondo greco, in cui era attribuito alle anime divenute semidei (Plutarco, Iside e Osiride 376d), ma anche a impera­ tori (v. excursus dopo 2,3 8) e a persone che salvavano vite umane co­ me medici, filosofi, statisti. A fronte di un impiego così ampio il tenni­ ne è qui spiegato da «Cristo, il Signore», cioè da un'allusione al messia davidico (cf. I,J2 s.69). Si tratta di un'espressione unica, paragonabile soltanto a Atti 2,3 6 («Signore e Cristo», di Gesù glorificato}. Che in origine sia stato «il Cristo del Signore» come 2,26; Lam. 4,20 (mutato da alcuni copisti anche in «Cristo, il Signore»); Ps. Sal. I 7,3 2 ? Del re­ sto nel v. 9 il «Signore» è Dio! «Oggi» indica un evento terreno, lega­ to al tempo e alla storia, incomprensibile senza la predicazione divina ma neanche riducibile alla comunicazione di una dottrina universal­ mente valida. La frase egiziana «Oggi la Core (una dea fanciulla) ha partorito Eone» (Epifanio, Haer. 5 I,22, Io) è forse solo un'interpreta­ zione dei Padri della chiesa, e comunque non ha nulla a che vedere con Le. 2, I I in quanto mette unicamente in relazione la rinascita an­ nuale della primavera con l'inizio di una nuova era. Le. 2, I I al con­ trario sottolinea l'unicità dell'azione di Dio che sconvolge ogni cosa e che come la crocifissione di Gesù è inesorabile e incomprensibile sen­ za la parola di Dio (cf. a 4,2 I ). «Questo è il segno per voi» compare anche in 1 Q27 1 , 5; è di una tale semplicità che riesce difficile pensare a /s. 7, 14 (nascita verginale). Forse è accentuata proprio la discrepanza tra ciò che si vede e ciò che può essere compreso solo sulla base della parola di Dio. Per un attimo è come se il sipario si alzasse rendendo visibile il mondo di Dio da cui proviene ogni cosa, anche ciò che per gli uomini è ancora nel futuro. N oi la chiamiamo trascendenza divina. E fondamentale che essa prenda forma nell'inno di lode che gli angeli rivolgono a Dio, e in questo modo essa promette agli uomini la sal­ vezza. La frase si divide in due parti (con l'inversione dell'ordine di

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soggetto e determinazione di luogo) come in I 9,3 8, i cui membri però si riferiscono entrambi solo a Dio. Gli angeli (v. a I , I I) rappresentano il movimento di Dio verso la terra e perciò assegnano a Dio la gloria, agli uomini la pace divina. I due piani non si confondono: la terra non diventa cielo ma vi viene inclusa, riceve l'impronta del cielo di Dio e non ne resta priva. Gli «uomini della compiacenza» sono gli eletti da Dio ( 1 QH 4,32 s.; I I,9: «uomini della sua compiacenza»); ciò non fa che sottolineare l'assoluta gratuità della scelta divina senza nulla to­ gliere alla salvezza destinata a «tutto il popolo» (v. I o). Questo signi­ fica non solo che gli uomini sono in pace tra di loro (/s. 2,4; 9,7; I I ,69}, ma che Dio sarà «dimora presso gli uomini» (Apoc. 2 I ,3) e pertan­ to pace definitiva. Il tono della formula ricorda le ardenti aspettative che erano state associate al regno di Augusto (v. excursus dopo 2,3 8); ma quant'è diverso il senso in cui esse si adempiono in Luca! Le. 1 9,3 8 infatti ripete le stesse parole «pace» e «gloria» (assenti invece in Mc. I I , l o ) all'inizio della passione; questa stabilisce la pace divina. Una vol­ ta ripartiti gli angeli, sono i pastori a mettersi in moto. Vogliono vede­ re la «parola» (v. a 1,3 7) che è stata loro proclamata. La parola di Dio è tanto affidabile da assumere forma visibile. La loro «rapida» reazio­ ne alla chiamata di Dio (cf. 1 ,39; 19, 5 s.; Atti 20, 16; 22, 1 8) evidenzia ciò che Paolo definisce «fede». Anch'essa fa parte del racconto natali­ zio. Maria è nominata prima di Giuseppe (cf. al v. 19). La parola di Dio induce allora a mettersi in cammino con fede, a vedere (termine accentuato anche ai vv . I 5 .20, benché non vi sia niente di straordina­ rio da vedere), e infine a predicare. Senza l'esperienza di Dio la parola resta vuota; al contrario solo la parola «che era stata detta loro» (u­ gualmente al v. 20) e che poi essi predicano identifica come operato di Dio ciò che è stato visto. I presenti si meravigliano, non neutralizzano quello che stanno udendo semplicemente considerandolo già noto. «Quanto più fortemente si crede in qualcosa, tanto più se ne resta stu­ piti e se ne gioisce» (Lutero). «Chi cammina rettamente nella parola di Dio non smette mai di stupirsi» (Calvino). Maria invece «medita» que­ ste cose. Non le dimentica dopo che i pastori se ne sono andati; si domanda cosa esse nascondano e rimane aperta a qualsiasi novità le pos­ sa accadere per questo, ma senza «collegarle» (possibile significato del termine) agli eventi precedenti, altrimenti si potrebbe svelare il piano divino. Conclusione e scopo di tutta la narrazione è la lode di Dio che ora risuona anche sulla terra, proclamata da voci non angeliche ma as-

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solutamente umane. I proclamatori di questa lode non vanno poi a formare un nuovo gruppo messianico, bensì fanno ritorno al loro lavo­ ro; ma il loro inno di lode risuona insieme a quello degli angeli. Il testo dovrebbe eliminare dal racconto natalizio ogni sentimentali­ smo. Non si fa menzione dell'inverno, né la coppia in cerca d'alloggio viene rifiutata. La povertà dei due genitori non è estrema: essi appar­ tengono piuttosto al ceto medio-basso. La mangiatoia è una bacinella per impastare, oppure una specie di incavo lungo la parete; accanto non ci sono né l'asino né il bue. Lo splendore celeste è visibile per i pastori, ma non per i genitori, ai quali la parola di Dio giunge per il tramite di testimoni alquanto miseri. La mangiatoia, segno divino ben poco appariscente, pressoché privo di valore agli occhi degli uomini, è nominata in ciascuna delle tre pericopi (vv. 7. 1 2. 1 6) . Le piccole cose quotidiane assurgono così a segno del grandioso operato di Dio, mo­ strando da subito che il dominio regale del suo Figlio si presenterà in modo diverso da come ci si attendeva, obbligandoci a mutare il nostro modo di pensare. Ad ogni modo Dio concede ad alcuni testimoni scelti secondo cri­ teri dal punto di vista umano singolari un'esperienza tutta particolare che li induce a prestare ascolto alla parola loro affidata. Essi non si li­ mitano ad ascoltarla, ma la trasmettono. Si può essere contemporanei, financo direttamente interessati, e tuttavia, come Augusto, non essere in grado di comprendere. E ancora si può ascoltare la parola e aprirsi ad essa. Ci si può meravigliare e interrogare sul suo significato. Lo stu­ pore infine può nuovamente venir meno, oppure indurre l'uomo a non lasciare che la parola si spenga di nuovo, a farla vivere e giungere infi­ ne al suo effetto definitivo. A chi si lascia così chiamare alla fede si chia­ risce allora lo sviluppo del testo: esso prende il via nella capitale del­ l'impero in seguito all'iniziativa dell'imperatore, volta a lasciare trac­ cia «su tutta la terra»; mette in movimento due fra i cittadini più mo­ desti di questo vastissimo impero, conduce a una minuscola cittadina di provincia che però già secondo Gen. 3 5,19; Rut 1 , 1 . 19. 22; 4, 1 1; 1 Sam. 1 6,1; Mich. 5 , 1 ; Mt. 2, 5 s. è prescelta da Dio, e da lì a una nascita affatto appariscente. Da tutto ciò nasce l'opposto movimento delle schiere celesti che ven­ gono ad annunciare «a tutto il popolo» il «Signore» unto da Dio, mo­ vimento che a loro volta trasmettono ad alcuni pastori. Si arriva così

alla formazione di una prima comunità che loda Dio e ne predica le grandi opere. Da essa il movimento passerà infine a Roma (Atti 28, 143 1 ) e nel mondo intero. Alla nascita in sé non è conferito p art icolar e risalto; solo la p roclamazione celeste e terrena consente di riconoscere il vero significato dell'evento, così come accadrà anche con la croce e la risurrezione . Il saluto a Gesù nel tempio: Nunc dimittis, z,z 1-40 E quando si compirono gli otto giorni per circonciderlo, allora gli fu mes­ so nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere conce­ pito nel grembo della madre. 22 E quando «si compirono i giorni della lo­ ro purificazione», secondo la legge di Mosè, salirono a Gerusalemme per pre­ sentarlo al Signore, 23 come è scritto nella legge del Signore che «ogni ma­ schio che apre il grembo della madre» deve essere chiamato santo per il Si­ gnore, 24 e per offrire un sacrificio secondo quanto è detto nella legge del Signore: «Un paio di tortore o due giovani colombi». 25 Ed ecco, a Geru­ salemme viveva un uomo di nome Simeone, e quest'uomo era giusto e de­ voto; attendeva la consolazione d'Israele e Spirito santo era su di lui. 26 E dallo Spirito santo gli era stato promesso che non avrebbe visto la morte pri­ ma di aver veduto il Cristo, il Signore. 27 E venne nello Spirito al tempio. E quando i genitori vi portarono il bambino Gesù per agire secondo l'uso della legge, 28 allora egli lo prese tra le braccia e lodò Dio e disse: 29 Ora lascia andare il tuo servo, Signore, secondo la tua parola nella pace; 30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, 3 1 che hai preparata davanti a tutti i popoli, 3 2 luce per la rivelazione ai popoli e gloria del tuo popolo Israele. 33 E suo padre e sua madre si meravigliavano per quello che si diceva di lui. 34 E Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: Ecco, costui è desti­ nato a far cadere e rialzare molti in Israele e a essere segno di contraddizio­ ne, 3 s e attraverso la tua stessa anima passerà una spada affinché da molti cuori siano svelati i pensieri. 36 E c'era una profetessa, Anna, figlia di Fa­ nuele della tribù di Aser, che era già molto avanti negli anni dopo aver Yis­ suto con un marito per sette anni dal tempo della sua verginità, 3 7 ed era ve­ dova di ottantaquattro anni. Non lasciava il tempio e giorno e notte servi­ va il Signore con digiuni e preghiere. 38 E sopraggiunse in quello stesso mo­ mento e lodava anch'ella Dio e parlava di lui a tutti coloro che attendevano la redenzione di Gerusalemme. 39 E dopo aver adempiuto ogni cosa secon21

.

Le.

2,2 I -40. Nune dimittis

6I

do la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea nella loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si faceva forte, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

40

11-14 Lev. 1 1,4-8;

Es.

1 3 ,1; 34, 19 s. 30-3 1

/s.

S 1, J o; 42,6; 49,6.

Come in 1 , 59-66 anche in 2,2 I l'attribuzione del nome è posta in ri­ salto, qui con il richiamo al comando dell'angelo. La circoncisione ser­ ve solo a dare un'indicazione cronologica. Il versetto è stato presumi­ bilmente inserito da chi per primo aveva collegato i vv. 22-3 8 al cap. 1 . I vv. 22-24 sono in più rispetto al racconto relativo a Giovanni. Come 1 , 5 -7 (diversamente da I,26-3 8; 2, I-2o) sia questi versetti che v. 27b sottolineano che i genitori sono osservanti della legge. Forse in tal mo­ do Luca ha inteso spostarsi sulla scena di Gerusalemme per adeguarsi alla tradizione di Giovanni (cf. a 4, I 6) ? In ogni caso egli presume che il ritorno a Nazaret sia avvenuto solo in un secondo momento (v. 39), quindi dopo quaranta giorni (Lev. I 2,2-4; ma Luca lo sa?). Forse pen­ sa addirittura che entrambi i genitori si facciano purificare («loro>>) ? L'espressione «quando si compirono i giorni» e il termine «Signore» in riferimento a Dio sono ripresi dai vv. 9/1 5.26. «Legge del Signore» compare solo qui e nel conclusivo versetto 39 (lucano?). Anche in Atti 22, I 2 Luca elogia Anania «devoto secondo la legge»; in Le. 2,2 5 il «devoto e giusto» Simeone. Forse il v. 2.2. h, che presenta la forma gre­ ca per «Gerusalemme» (non lucana, v. intr. 2a), costituiva l'antica in­ troduzione al racconto, che originariamente era a sé stante e che, co­ me i vv. 4 s., conosce come genitori Giuseppe e Maria (vv. 27.3 3) e co­ ordina le frasi con la congiunzione «e» (persino i vv. 2. I e 2 8, dove la si è tradotta con «allora»)? I vv. 34 s. potrebbero essere un episodio iso­ lato inserito qui da Luca. È possibile che nel racconto aleggi un ricor­ do dell'esseno Simeone che, secondo Giuseppe, Ant. I 7,3 . I46; Beli. 2, 1 I 3, al tempo dell'aumento delle tasse del 6 d.C., predisse il futuro ad Archelao interpretando un suo sogno (quanto al tempio cf. al v. 2.7). 2 I-J8. L'obbedienza all'annuncio dell'angelo del v. 2 1 precede quel­ la nei confronti della legge (22-24). Il nome non è insolito e non viene neppure interpretato come in Mt. 1 ,2 1 . Tutto si svolge come per un qualsiasi bambino ebreo, solo che, come il lettore ben sa, al di sopra di tutto è ali' opera una particolare promessa di Dio. La devozione per il tempio e per la legge è assai importante, e i precetti vengono citati pun­ tualmente; nulla del genere invece è narrato a proposito di Giovanni,

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Le. 2,2 1 -40. Nune dimittis

pur figlio di un sacerdote. Non c'è allusione a Mal. 3,1 («entrerà nel suo tempio il Signore», versetto citato anche in I , 1 7.76). Nel racconto si intrecciano la purificazione della puerpera e l'offerta prescritta per il primogenito, che di solito si adempiva con un versamento in denaro a un sacerdote del luogo di residenza (cf. excursus dopo v. 5 2, inizio). Naturalmente non si parla di un riscatto di Gesù, ma piuttosto di un'accoglienza al servizio di Dio (nel quale sarà lui a riscattare gli al­ tri: Mc. 10,4 5, certo non ripreso da Luca). Forse c'entra anche il ricor­ do di 1 Sam. 1 , 1 1 .22-28, ma qui è la madre a consacrare il bambino a Dio, mentre in Luca è Dio stesso a destinarlo al proprio servizio tra­ mite il suo profeta. Un rito prescritto acquista così il suo nuovo signi­ ficato diventando una sorta di «presentazione» del neonato. Simeone è il rappresentante dell'Israele benedetto da Dio. Egli è «giusto» (v. a 1 ,6) e «devoto» (parimenti Atti 2,5; 8,2; 22, 1 2). Il costante possesso dello Spirito è prerogativa rara nell'Antico Testamento (Gen. 4 1 ,3 8; Dan. 4,5; anche Num. 1 1 , 1 7; /s. 59,2 1 ?). Tuttavia la sua azione sempre nuova non si rende mai superflua. È lo Spirito che spinge Simeone al tempio. Simeone è interamente proiettato verso l'avvenire, verso la «consolazione» d'Israele. Di questa parlano anche /s. 40, 1 s.; 49, 1 J ; Bar. sy r. 44,7; Str.-Bill.; jBerakot 8d (contenuto dell'ultimo colloquio tra Elia ed Eliseo [ma della fine del IV secolo!]). Egli non è nel novero di quanti vivono rivolti al passato (3,8) ma vive orientato al futuro. Lo Spirito santo allora non provoca sazietà religiosa, bensì fame e sete di compimento (Rom. 8,23 -27). Né ciò resta semplicemente un pio pen­ siero: l'imminenza dell'adempimento condiziona la vita sua e di chi lo ascolta (riguardo a «Cristo, il Signore», cf. a 9,20). Dopo l'annuncia­ zione nel tempio Giovanni è ricondotto nel nascondimento ( 1 ,24) e poi nel deserto { 1 ,8o); dopo l'annunciazione nella piccola città della Gali­ lea Gesù è portato nella città regale di Betlemme e nel tempio di Ge­ rusalemme. La presentazione vera e propria non è narrata. L'essenzia­ le non è che qualcuno presenti Gesù a Dio, ma che Dio tramite il suo profeta si appropria di Gesù. A partire dal v secolo i vv . 29-3 2 vengo­ no recitati come preghiera di ringraziamento durante la compieta. Si­ meone si rivolge «al suo Signore» usando un'espressione che potrebbe adottare uno schiavo (anche Atti 4,24; Apoc. 6,1 0). È pronto «a con­ gedarsi in pace» (Atti 1 5,3 3 ), forse riecheggiando il Sal. 4,9 (LXX: « Dor­ mirò in pace ... tu, o Signore, mi fai abitare nella speranza»). Certo non si tratta solo di desiderio individuale di morire, come in Gen. 46,30;

Le. 2.,2. 1 -40. Nunc dimittis

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Tob. I I ,9, né di uno sfogo di disperazione come I Re I 9,4; Giuseppe, Beli. I ,78 s.; Ant. I 3,3 I I s. In vita sua Simeone ha visto molte cose, buo­ ne e cattive. Ora gli è concesso di vedere la salvezza, che non è desti­ nata solo a lui personalmente. A differenza del v. 3 2a qui è scelto il t ermine che altrimenti al singolare indica il popolo di Dio (v. a 2, I o). L'espressione «tutti i popoli» però sta a indicare i pagani (e Israele ?), come in /s. 5 5 , 5 ; 6o, 5; 6I,9 (Atti 4,2 5 .27 è ovviamente riferito a Israe­ le). Come testimonia il v. 32 essi non sono solo spettatori (come /s. 5 2,10; Sal. 98, I -3) e vengono addirittura nominati prima di Israele, il cui «splendore» si riferisce alla luce che da esso si diffonderà per tutto il mondo (/s. 49,6; 42,6; 60, 1 -3; cf. Le. 3,6). Il suo particolare ruolo di primo popolo eletto è mantenuto tal quale, come pure l'illimitata espansione della salvezza a tutti. Anche in questo versetto dei genitori si dice solo che si stupirono. In particolare risalto è posta Maria (v. a 2 , 1 9, intr.). A differenza della lode a Dio (vv. 28-3 3) l'annuncio (34 s.) è rivolto a lei sola. S'intende che alcuni cadranno mentre altri saranno rialzati? Già Rom. 9,3 3 e I Pt. 2,6-8 (cf. 1QH 2,8 s.; 3,9 s.; 4,34-3 6; 1QM 14,IO s.) uniscono /s. 8, 1 4 s. e 28, I 6: la pietra angolare per i cre­ denti diventa per altri la pietra dello scandalo (ma cf. a 20, 1 8). Certo si pensa anche a «contraddizione» e divisione. Ma solo chi giace a terra può essere rialzato, e in tutti i passi veterotestamentari in cui compa­ iono queste due espressioni sono sempre gli stessi che cadono e si rial­ zano, oppure non si alzano più (in senso negativo Am. 5,2; 8, 14; /s. 24, 2o; in senso positivo Prov. 24,1 6: «sette volte cade l'uomo pio e sette si rialza»; specialmente Mich. 7,7-9: «Se cado mi rialzo; se siedo nelle tenebre Jahvé è la mia luce»; cf. Eccl. 4, 10). A «molti», cioè a tutti co­ loro che sono realmente in grado di ascoltare, toccherà in sorte cadere c rialzarsi, giudizio e grazia (analogamente Rom. 1 , 1 7 s.). La grazia di Dio, che è anche giudizio, svela sempre l'uomo per quello che è ( I Cor. 14,2 5). Per questa ragione la venuta della «consolazione» è para­ gonabile anche alla spada che trapasserà intere nazioni (Ez. 1 4, 1 7 LXX c Sib. 3,3 1 6; cf. Giob. 20,2 5). Essa provocherà sofferenza, forse giun­ gerà a dividere anche i pensieri (come Ebr. 4, 1 2), tanto che Maria avrà una «doppia anima» (Giac. 1,8 = sarà «dubitosa») (8, 19-2 1 ; 1 1 ,27 s.). Benedizione non significa annuncio di cose piacevoli: essa pone alla presenza di Dio, quindi di fronte al giudizio e alla grazia. Accanto al­ l'esaltazione dell'uomo (v. 28) compare la «corrispondente esaltazio­ ne» (così il v. 3 8 alla lettera) della donna {v. a 8,3). Come Giuditta, an-

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Israele e i popoli

che Anna resta nella condizione di vedova. Supponendo che si sia spo­ sata a quattordici anni com'era usuale, e che gli ottantaquattro anni ( sette volte dodici) si riferiscano alla vedovanza, allora Anna avrebbe avuto anche la stessa età di Giuditta (Gdt. I 6,23 s.). Il suo servizio di preghiera è anche modello per lo stato delle vedove cristiane ( 1 Tim. 5 , 5) per le quali però la rinuncia a un secondo matrimonio non è un pre­ cetto di legge ( I Cor. 7,7-9). Nel v. 3 8 è evidenziata ancora una volta l'apertura al futuro da parte della profetessa: da essa prorompe la sua predicazione. Una cerchia di «custodi di Sion» (Sal. I 30, 5 -8; /s. 5 2,8I o) si raccoglie intorno a lei.

=

Israele e i popoli (cf. excursus dopo 2 I ,24). Secondo 2,3 I s. i popoli non si sostituiscono a Israele, ma con il loro confluire da ogni parte ( I 3,29) quest'ultimo giunge alla gloria destinatagli da Dio (2,3 2). Ciò trova conferma nel profondo radicamento dei racconti su Giovanni e Gesù nella devozione d'Israele alla legge e al tempio. Non si tratta certo della devozione di chi ha qualcosa in suo possesso: sono infatti una coppia senza figli, un profeta e una profetessa ad attendere la «con­ solazione» loro e d 'Israele, la «liberazione di Gerusalemme». Zaccaria diventa muto ( 1 ,20) e i genitori di Gesù non capiscono (2,3 3 · 50). Chi ha collegato le due tradizioni ha visto nelle due madri una costante a­ pertura all'azione imminente di Dio (I,4 I -4 5 ; cf. 76-79), e così, a mag­ gior ragione, Luca (2, I9. 5 I ). Di una divisione in Israele sono al cor­ rente anche 2,34 s., la fonte Q con la chiamata alla penitenza d'Israele, che si sente al sicuro e sarà invece umiliato dai popoli (3,7-9; I 3,28 s.), e la tradizione che sta dietro a Le. 4,24-27 (cf. anche a 7, 1 - I o). Secon­ do Atti I 3,46; I 8,6; 20,26; 28,28, Paolo si rivolge ai pagani in seguito all'insuccesso presso i giudei, ma dopo conversioni di massa proprio da parte dei giudei di Gerusalemme (cf. excursus dopo 2 I ,24). Comun­ que, di missione presso i pagani si parla già in Le. 24,47 (cf. Atti I ,6f8; 2,39; 3,25) e in Atti I o,2o è proposta dal Signore. Di «salvezza» per i popoli parlano Le. 2,30-3 2; 3,6; Atti 28,2 8 . Perciò non è l'ostinazione d'Israele a provocare la missione presso i pagani, né viceversa (cf. an­ cora a 8,39). Pertanto Luca non chiama mai la comunità di Gesù il nuovo Israele o l'Israele spirituale (per Paolo cf. a I Cor. IO, I 8; Gal. 6, 1 6), e quasi mai «popolo» (di Dio, v. a 2, Io). Per lui Gesù (a diversa­ mente da Mt. I6,I 8) non fonda alcuna «chiesa»; tale termine compare per la prima volta in Atti 5, I I in riferimento ai giudei che credono in

Israele e i popoli

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lui. È un maestro d'Israele anche Paolo, il quale, ricevuta una educa­ zione di stampo farisaico, dottore della legge, credente nella Scrittura, predica soltanto la speranza d 'Israele, che ha cominciato ad adempiersi con la risurrezione di Gesù (Atti 22,3 ; 23,6; 26, 5 7; 28,2o; cf. Pietro in 4,2). Le comunità hanno come punto di riferimento le sinagoghe (Atti 1 5,2 I); si compongono di giudei e pagani «timorati di Dio» che com­ prendono rettamente Mosè ( 1 3, I 4-43 ecc.; cf. a Le. 4,44). La tradizio­ ne di Le. 2,3 5 e I J ,28 s. allora influisce anche su Luca (cf. a 4,23 ). Da Gerusalemme partono i messaggeri verso i popoli (Le. 24,47; Atti I , 8; 3,2 5 s.; Rom. I 5 , I 9 s.). D'altra parte il racconto della natività è pervaso dalle attese ellenisti­ che del tempo, che a loro volta risalivano ad antichissime speranze sor­ te nel Vicino Oriente (nel commento di H. Wildberger a fs. 8,23-9,6 e 1 I , I - I o ) . Tuttavia dopo cinquecento anni di dominazione greca, egi­ ziana, siriaca e romana sulla Palestina le due culture sono difficilmente scparabili. A partire da Dan. 9,24 ci si attende la redenzione dopo set­ tanta «settimane», quindi settanta volte sette «giorni» (cf. anche a Le. 3,23 -3 8; Mt. I , I - 1 7). Dopo tre periodi e mezzo sarà trascorsa la metà del tempo prestabilito (Dan. 7,2 5; Apoc. 1 2, 1 4 1 260 giorni [I I,J .6]; cf. a Le. 4,2 5). Inoltre si contavano ancora dieci settimane (Hen. aeth. 93; 91 , I 2- 1 7). L'attesa della fine imminente è comprovata da numero­ se figure messianiche (v. a Atti 5,36 s.) e dall'interpretazione biblica di Qumran che riferisce la profezia a quell'epoca. Anche nel mondo gre­ co s'era diffusa una speranza quasi indescrivibile, riposta particolar­ mente in Augusto, che però al tempo in cui opera Gesù si stava ormai spegnendo. Augusto governò come unico imperatore dal 3 1 a.C. al 1 4 d.C.; nel 29 a.C. chiuse il tempio della guerra e nel 14 a.C. consacrò l'Ara pacis. Nelle epigrafi è salutato con aspettative che compaiono già in Is. I I, I -I o e in testi affini provenienti dal Viqno Oriente, ed è celebrato da Virgilio come «salvatore» di «tutto il genere umano» che «esaudisce e supera le preghiere di tutti» trasformando il mondo con le sue «buone novelle» (cf. E. Lohse, L 'ambiente del N. T. , 1 5 5 s. e 1 68 s.). A quel tempo quindi era ampiamente diffusa la convinzione che ci si stesse avvicinando alla meta di tutta la storia di Dio con Israele, op­ pure, dal punto di vista ellenistico, al ciclico ritorno di una novella età dell'oro. Per questo Luca vede l'adempimento dell'Antico Testamen­ to nel destino di Gesù complessivamente inteso e non solo in singole prove scritturistiche (v. excursus dopo Mt. I,I 8-2 5). =

66

Le. 2.,2. 1 -40. Nune dimittis

3 9-40. Come in 2,4 (sulla base della redazione lucana?) è Nazaret il

luogo di residenza dei genitori (a differenza di Mt. 2,23). Lo sviluppo di Gesù è narrato parallelamente a I,8o, ma senza far cenno a una cre­ scita nello Spirito. Creato dallo Spirito, fin dall'inizio Gesù ne è intera­ mente determinato (v. a 4, I ). Il tempio come istituzione è discutibile quanto la chiesa. Ma a quel­ la parte d'Israele che non vive rivolta all'indietro confidando nel pas­ sato, bensì è aperta all'azione nuova e sconcertante di Dio, tale azione apparirà come adempimento di ogni cosa avvenuta fino a quel mo­ mento e perciò avrà il suo inizio proprio nel tempio ( 1 ,8 s.; 2,22.27. 3 7). Le due figure di profeti come pure i genitori di Gesù sono segno di una vita buona e «incompiuta», che non rinuncia con rassegnazione al proprio desiderio né lo mette a tacere con una sicura soluzione «re­ ligiosa», ma si affida totalmente all'esperienza della grazia di Dio e proprio per questo anela al concretizzarsi della sua presenza e la at­ tende per il futuro. Cosa che puntualmente avviene in modo totalmen­ te diverso da quel che ci si aspettava. Di conseguenza essi riescono a intuire l'esistenza della spada del giudizio, senza la quale è impossibile la felice venuta di Dio. Solo chi si lascia liberare da o gni deformazione e mascheramento sa cosa significhino grazia e pace. È questa la «con­ solazione» d'Israele. In essa tutto quello che Israele aveva sperimenta­ to nel corso dei secoli con la parola del suo Dio si concretizza nel ser­ vizio ai popoli, che conferisce anche a Israele il suo significato e la · sua identità di «luce dei popoli» (fs. 49,6). Simeone dimostra che la pace può consistere nel farsi da parte per lasciar agire Dio. In Gal. 3,23; 4,4 s. Paolo ha riflettuto sulla «sottomissione» di Gesù «alla legge». La sua risposta è completamente diversa da quella di Luca. Nella legge Paolo identifica il mezzo col quale l'uomo vuole assicurare e garantire se stes­ so di fronte a Dio (così Le. I 8, I I s.!); la storia lucana dell'infanzia vi vede invece la gioia di servire Dio e la speranza aperta alla sua azione di grazia. Sia per Paolo sia per Luca gli uomini divengono quindi libe­ ri da se stessi in vista del grandioso operato di Dio - altrimenti infatti i «pagani» non si troverebbero bene presso i «devoti» . Ma a seconda del destinatario, del pericolo che lo minaccia e dell'annuncio di cui ne­ cessita, variano anche gli aspetti in base ai quali si deve condurre l'in­ terpretazione. Paolo pensa al «devoto» che vuole possedere la certez­ za per se stesso; la storia lucana dell'infanzia pensa invece a chi è già

Le. 2,4 1 - 52. Gesù, di casa p resso

Dio e presso gli uomini

67

stato oltrepassato da Dio, a chi attraverso la «caduta» ha già sperimen­ tato il proprio «rialzarsi» (cf. excursus dopo 2 1 ,24, b). 0. GESÙ, DI CASA PRESSO DIO E PRESSO GLI UOMINI

{2,4 1 - 52)

E i suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa della pa­ squa. 42 E quando egli ebbe dodici anni ed essi vi salirono tutti secondo l'uso della festa 43 e i giorni furono trascorsi, allora, quando fecero ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, e i suoi genitori non lo sapevano, 44 poiché pensavano che fosse tra i compagni di viaggio. Così viaggiarono per una giornata di cammino e lo cercarono presso parenti e conoscenti 4 s e non avendolo trovato tornarono a Gerusalemme a cercarlo. 46 E avvenne che dopo tre giorni lo ritrovarono nel tempio seduto in mezzo ai maestri che li ascoltava e li interrogava. 47 Ma tutti coloro che lo udivano si meravi­ gliavano della sua intelligenza e delle sue risposte. 48 E quando lo videro andarono fuori di sé (dallo spavento), e sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io ti stiamo cercando pieni d'angoscia. 48 Ed egli disse loro: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo stare nel (mondo del) Padre mio ? so Ed essi non compresero la parola che disse loro. s 1 Ed egli andò con loro e discese a Nazaret e stava loro sottomesso. E sua madre serbava nel suo cuore tutte queste parole. 52 E Gesù progre­ diva in sapienza ed età e «favore presso Dio e gli uomini». 41

J.1 I Sam. 2,26.

Questa pericope collega quanto era stato profetizzato a proposito di Gesù e ciò che si narrerà delle sue opere a partire dal cap. 3. Può es­ sere suddivisa in vario modo. Si possono scorgere le corrispondenze tra: viaggio a Gerusalemme e ritorno (4 1 s./5 1a); Gesù che resta a Ge­ rusalemme all'insaputa dei genitori e la sua risposta, ad essi incompren­ sibile {43/49 s.); ricerca e ritrovamento da parte dei genitori, e loro in­ terrogativo carico di rimprovero (44-46a/48). Si otterrebbe così la suc­ cessione abc-cba, con al centro la sosta di Gesù fra i maestri d'Israele (46b.47). Il v. 47 tuttavia resta al di fuori di questa cornice: in esso gli spettatori diventano bruscamente soggetto della frase al posto dei ge­ nitori (vv. 46.48) mentre, in contrasto con il v. 46b, si parla di risposte date da Gesù (v. ad loc. ). Lasciando da parte questo versetto la struttu­ ra diventerebbe più chiara. All'introduzione, che serve a precisare per­ sonaggi, luogo e tempo (v. 42), segue il problema creato dall'azione di Gesù (che resta in città) cui fa seguito la reazione dei genitori (che vanno a cercarlo e lo trovano) (43 -46a); si ha poi una temporanea so-

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Le. 2,4 1 - 5 2. Gesù, di casa presso Dio e presso gli uomini

luzione che consiste in un'azione di Gesù (il suo pio desiderio di im­ parare), che però provoca una nuova reazione (i rimproveri dei geni­ tori) (46b.48); infine è ancora l'azione di Gesù {la sua parola) a dare la soluzione definitiva, ancora una volta con la reazione dei genitori {lo­ ro incapacità di comprendere) (vv. 49. 50). Il ritorno costituisce la con­ clusione, in cui, come nell'introduzione, soggetto è di nuovo Gesù ( 5 I a). I punti chiave sono allora la parola di Gesù, che ne sottolinea la grandezza, e la sua condotta, che ne evidenzia la sottomissione. Poi­ ché figliolanza divina e saggezza sono complementari (Sap. 2, I 3 . I 8), e dal momento che Gesù è qualcosa di più di un semplice discepolo an­ sioso di apprendere, Luca (?) ha aggiunto il v. 47· Il v. 5 I a è la conclu­ sione consueta di un racconto (ritorno, anche 1,2J .J8. 56; 2,20.3 9); il v. 5 1 b è un'evidente correzione del v. 50; inoltre «tutte le parole» non può riferirsi a «la parola» (v. 50). Il versetto pertanto, unitamente al v. 5 2, va inteso come conclusione {lucana) di tutti i racconti dell'infanzia, e corrisponde quasi letteralmente a 2, I 9· Tale circostanza, come pure il termine non lucano «maestri» giudei invece di «scribi, maestri (o dot­ tori) della legge)» dimostra che il racconto esisteva già prima di Luca. 4I- 52. In teoria tutti gli uomini - più tardi anche donne e bambini ­ avevano l'obbligo di recarsi a Gerusalemme in occasione delle tre grandi feste annuali: pasqua, festa delle settimane e festa delle capanne (Es. 3 4,23). Di fatto però, e a seconda della lontananza, spesso ciò era possibile solo una volta l'anno o addirittura un'unica volta nella vita. La pasqua (v. excursus dopo Mc. 1 4, 1 2- I 6), che originariamente era la festa di primavera delle tribù nomadi durante la quale il sangue scac­ ciava i demoni, in seguito all'esperienza in Egitto aveva assunto un nuovo significato. Da allora infatti è celebrata espressamente come festa della partenza impreparata, con pane senza sale e senza lievito; in Samaria la si celebrava addirittura stando in piedi e col bastone da viaggio in mano. In quanto festa principale d 'Israele per secoli essa ha contribuito a mantenerlo aperto a un prossimo intervento di Dio. In Le. 22, 1 5 - I 8 (v. ad loc. ) essa è concepita nuovamente come segno che la comunità è in cammino. Il dodicesimo anno di età come precoce inizio di un saggio operare è citato tra l'altro a proposito di Ciro (Se­ nofonte, Ciropedia I ,J , I ), Epicuro (Diogene Laerzio I O,I4), Samuele (Giuseppe, Ant. 5,348, cf. Mosè in 2, 2 3 1 e Filone, Vita di Mosè I , I S2 5), Salomone (1 [J] Re 2, I 2 LXX), Daniele e Davide (lgn., Mg. 3 ,2.4

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[interpol.]). A tredici anni i giovinetti ebrei diventano «figli del coman­ damento», sono cioè personalmente responsabili del rispetto dei co­ mandamenti. Si può pertanto supporre che i genitori di Gesù volesse­ ro iniziarlo alla celebrazione della festa. Naturalmente anche i bambi­ ni dovevano assistervi non appena fossero stati in grado di camminare o anche solo di essere portati in braccio; tuttavia questo valeva solo per gli abitanti di Gerusalemme. Dalla città al confine con la Galilea ci sono quasi cento chilometri. Poiché erano interi villaggi a mettersi in cammino insieme è facile immaginare quanta confusione dovesse cre­ arsi. In parte si comincia già a intravedere la sofferenza che toccherà a Maria (v. 3 5 ). Tre giorni sono un numero simbolico, né è detto a par­ tire da quando debbano essere calcolati. Il «tempio» non indica l' edi­ ficio vero e proprio, riservato ai soli sacerdoti, bensì la corte esterna, accessibile anche alle donne. Non appare come luogo di culto ma d'in­ segnamento, come 19,47; 2 1 ,37 s.; Atti 2- 5 . Diversamente dagli esempi citati però Gesù vi compare come il discepolo che, accovacciato a ter­ ra, interroga i dotti, circostanza che, se è insolita riferita a un dodicen­ ne, tuttavia rispecchia la normale prassi scolastica. Il v. 47 interpreta in modo differente quest'atteggiamento contrapponendo forse la sag­ gezza delle sue risposte a quelle sapientemente elaborate degli scribi. Ma tale saggezza non allieta i genitori; il punto cruciale è tutt'altro. L'inconsueta espressione «tuo padre e io» consente a Gesù di rispon­ dere nominando un Padre affatto diverso. Per Tg. Jo n. a Es. 1 5 ,2, do­ po il passaggio del Mar Rosso anche i lattanti invocarono «nostro Dio (o Padre ?)». Le prime parole che Gesù pronuncia nel vangelo di Luca rimandano a colui che è al di sopra di lui e al quale egli è legato come a nessun altro. Gesù «deve» stare in ciò che appartiene a suo Padre. Con quest'espressione non è intesa soltanto la casa di Dio, che tra l'al­ tro Gesù sta per lasciare, bensì tutto ciò che appartiene a Dio e dal quale né leggi né ordinamenti terreni potranno mai escluderlo. Il ver­ bo «devo» (cf. 4,43; 9,22; 22,37) divide Gesù dai suoi genitori. Che es­ si ignorino tale dovere lo meraviglia molto. In contrasto con questa scena, nel v. 5 1 Maria è presentata come in 2, 19 (v. ad loc.). L'uomo è talmente estraniato da Dio da prendere in considerazione qualsiasi altra evenienza piuttosto che la reale ed efficace presenza di Dio nella sua vita. Tutt'al più tale presenza è percepita in rari momenti, per esem­ pio quando si prega. La stranezza dell'affermazione di Gesù è accen­ tuata dal fatt� che egli sostiene la propria pretesa non operando mira-

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coli, ma anzi reinserendosi nella quotidiana routine familiare, vivendo per trent'anni in una cittadina orientale dove, al di fuori della celebra­ zione del sabato, della lezione nella sinagoga e di un pellegrinaggio an­ nuale, non esiste alcun diversivo, in una dimensione sociale tanto ri­ stretta e primitiva da risultare oggi pressoché inconcepibile. Questo si­ gnifica crescere in «saggezza e grazia (o: favore)» (v. a 2,40). Evidente­ mente tutto ciò è possibile anche senza un'istruzione superiore o un impegno particolare, poiché Dio non ha fretta di agire. L 'unico racconto neotestamentario tratto dall'adolescenza di Gesù non è un vero racconto adolescenziale: non illustra infatti il suo svi­ luppo, il radicarsi della sua azione nelle esperienze giovanili, le prime avvisaglie delle doti future (eccettuato forse il v. 47). Al contrario, fin dal principio Gesù sa chi è suo padre. Il Gesù vero allora non è certo il «nostro», quello che ci si riesce a spiegare e a comprendere. L' epi­ sodio che lo vede studente della legge a Gerusalemme potrebbe al massimo indicare che è maturato precocemente, ma il significato vero e proprio è espresso solo dalle sue parole. Lo dimostrerà in modo sin­ golare, vivendo in un contesto per nulla dissimile da quello degli altri, sia nella sua casa paterna sia nella storia d'Israele e del suo tempio. Sa­ rà la passione a svelare che questa vita mira a qualcosa che va al di là dell'umanamente pensabile (non per questo tuttavia le parole «pa­ squa», «cercare» nel posto sbagliato e «tre giorni» si riferiscono già a ll, I 5 ; 24, 5 .7). La predicazione di Cristo nella storia dell'infanzia a) La struttura di Le. 1 s. mostra uno sviluppo preciso. Esso prende avvio dalla devozione di Israele e dall'annuncio della nascita di Gio­ vanni in quanto inattesa azione di Dio, e passa quindi all'annunciazio­ ne di Gesù che le è di gran lunga superiore. Seguono, sempre in con­ dizione di superiorità rispetto alla storia di Giovanni, la nascita di Ge­ sù e la proclamazione degli angeli, dei pastori e dei profeti, che con­ sente di individuarvi l'azione escatologica di Dio. Una pericope di passaggio anticipa già il mistero della figliolanza divina di Gesù e con­ sente di passare al suo operato. Per 1,5-2,39 si possono calcolare set­ tanta settimane ( 6 + 9 mesi + 40 giorni}, il che corrisponderebbe a Dan. 9,24 (v. excursus dopo 2,3 8); poiché però non vi si accenna mai, e per

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di più i quaranta giorni precedenti la purificazione (ma non il riscatto del primogenito: Es. 22,29; 34,20; Num. r 8,I 5 s.) possono essere calco­ lati solo sulla base di Lev. I 2, deve trattarsi di una coincidenza. b) Il ricorso stesso alla tradizione del Battista è inaudito: il precur­ sore di Dio ( I , I 6 s.) diventa precursore di Gesù, nella venuta del quale si concretizza la definitiva venuta di Dio. Perciò non sono solo dei te­ sti a essere interpretati a favore di Gesù, ma addirittura la vita d'un uo­ mo, cronologicamente intrecciata con quella di Gesù e ancora viva nel­ la memoria di ognuno. Gli stessi profeti non sono dei testi scritti ma figure di contemporanei viventi a Gerusalemme. È questo l'agire di Dio nella storia di una vita terrena, che trova il suo compimento in Ge­ sù e rende manifesto il tempo escatologico (cf. intr. a I , 5 -2, 5 2, fine, ed excursus dopo 4,30). In questo contesto stupisce che si narrino dei racconti dell'infanzia - al contrario di Mc. , Gv., tutte le lettere e i som­ mari della fede (anche in Atti). La salvezza decisiva consiste allora nel­ la nascita (e nella proclamazione) di Gesù. Ovviamente si dà per scon­ tato il suo operato successivo e ci si limita a sottolineare che in esso si decide la sorte di Israele e dei popoli, in sintonia con Is. 9,6; I I, I e con le attese ellenistiche (v. excursus dopo 2,3 8). Tuttavia la salvezza non risiede unicamente in tale operato. L'uomo si è talmente estraniato da Dio che l'atto con cui Dio si fa nuovamente realtà presente già com­ porta salvezza. Questo proclama l'angelo. Perciò al centro dell'inte­ resse non vi è qui l'adulto, la sua condotta di fede, la sua concezione della vita, bensì il bimbetto che è anzitutto oggetto passivo dell'even­ to. Per questo l'unica parola di Gesù a venire riportata riguarda il Pa­ dre, al mondo del quale appartiene. La salvezza passa allora attraverso il giudizio, il rialzarsi attraverso la caduta, come mostra la stessa inca­ pacità di comprendere dimostrata dai genitori di Gesù. Non si fa cen­ no a un'azione espiatrice di Dio, a meno che non s'intenda l'espiazio­ ne in senso talmente ampio da includervi ogni retto operare della per­ sona pia (Sir. 3 2,I -7). Questo però varrebbe al massimo per i genitori di Gesù e del Battista e per le figure profetiche di Gerusalemme, e non certo per il Bambino Gesù. Pertanto la riconciliazione si realizza nel momento in cui Dio, per puro amore, si volge nuovamente al popolo che aveva eletto, facendolo di nuovo suo nel giudizio e nella grazia. c) Questo pensiero sarà ripreso da Luca (v. excursus dopo 22,30). Di­ versamente da Gv. I , I - I4; Gal. 4,4 s. (v. a I,26-3 8, conci.), Le. I s. non si sofferma sulla venuta di Gesù da un mondo celeste, bensì sulla re-

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staurazione dell'alleanza tra Dio e Israele, che perseguirà uno scopo assolutamente superiore a tutto quello che era stato sino a quel mo­ mento. Nell'annunciazione di Gesù non si parla più di giustizia e de­ vozione umana ma solo della sua grazia, alla quale l'uomo può accon­ sentire con fede solo in un secondo momento ( 1 ,3 8; cf. 2, 19). Mentre i genitori del Battista sono ancora di stampo prettamente veterotesta­ mentario, la discesa della grazia su Maria (v. a 1 ,48) e le parole sul con­ to di Gesù rifulgono già di luce neotestamentaria. Gesù è unico nel suo genere, ma non perché piomba come una meteora in un mondo a lui totalmente estraneo. La vita di Dio, lo Spirito santo, pervade già la sto­ ria e la vita di migliaia di persone in Israele, come dimostra in primo luogo la vicenda di Giovanni. Gesù è unico perché in lui l'agire di Dio trova il proprio scopo, senza di lui niente risulterebbe comprensibile, solo da lui ogni cosa riceve il proprio significato (cf. a 24,27). Nella concezione di Luca ciò non vale solo per Israele ma addirittura per le decisioni politiche dell'imperatore romano (2, 1 - 5 ). Naturalmente solo la fede può operare questo riconoscimento, e Dio la suscita in Zacca­ ria, in Elisabetta e Maria, nei pastori e nei profeti di Gerusalemme. Il vangelo e gli Atti proseguiranno questo racconto. Ma i credenti d'Israe­ le hanno sempre saputo che tutta la sua storia è comprensibile solo al­ la luce del futuro di Dio, l'esodo e la permanenza nel deserto sono comprensibili solo alla luce dell'ingresso nella terra promessa, le sof­ ferenze e persecuzioni solo alla luce del futuro regno di Dio. Forse è per questo che anche l'ebraismo di oggi, sulla base delle proprie espe­ rienze, è più saggio a questo proposito rispetto a una cristianità piut­ tosto autosufficiente, alla quale talvolta importa poco sia di avere la propria origine nella storia di Dio, sia domandarsi cosa Dio le riservi per il futuro.

Parte seconda

Raccolta della comunità

( J , I -9 , 5 0) A. COMPARSA E PREDICAZIONE DEL BATI'ISTA E DI GESÙ:

LA PREPARAZIONE (J , I -4,JO) Con J, I/2Ja ha inizio l'operato di Giovanni e Gesù ormai adulti. Ancora una volta la storia del Battista si intreccia con quella di Gesù. Lasciando da parte 2, 1 - 5 2, 1 ,8o prosegue in J,J; 2,40, tralasciando J , I 10 (cf. a 3,19 s.), trova continuazione i n 3,2 1 s. Chiamata, predicazio­ ne e imprigionamento del Battista trovano il loro parallelo in 3,2 1 s.; 4, I 6-27.28-3o. Per questo è preferibile considerare 4, I 4-30 parte inte­ grante della sezione preparatoria. In tal modo si chiarisce il paralleli­ smo tra la presentazione del Battista tramite !s. 40,3 - 5 e quella di Ge­ sù mediante Is. 61, I s., come pure il risalto conferito allo Spirito in 3, 12; 4, 1 . I4. I 8. La cesura potrebbe allora collocarsi al passaggio in Giu­ dea (4,44) (cf. 23,5; Atti I0,3 7), tanto più che 4,3 I -43 si contrappone a 1 6-30, mentre 4,43 riprende il v. I 8 . La Galilea sarebbe allora rappre­ sentata da Nazaret (I 6-Jo) e da Cafarnao (3 I -43). Tuttavia 4,3 8 s. è evi­ dente preparazione a 5 , I - I I, e a sua volta 4,3 Ib inaugura l'operato ge­ nerale di Gesù. Inoltre la struttura di 4,3 I -43 riprende quella di Mc. I , 2 I -J9, mentre J , I -4,JO segue Q, integrata d a S (3, 10- I 4.23 -3 8; 4, I 6-3o) c influenzata da Mc. (3,3 . 1 6 [19 s.].2 1 s.; 4, 1 6-30). A Luca si devono con tutta verosimiglianza l'introduzione {3 , 1 s.), l'inserimento delle cita­ zioni (3 ,5 s.) e la cornice (3 , 1 5 . 1 8-2o), mentre è probabile che alla base di 4, 14-3 ra vi sia il materiale proprio. Il dono dello Spirito di 3,22 sarà ripreso in 4, 1 . I4.I 8. Se Luca avesse inserito i capp. I s. solo in un se­ condo momento, allora 3,I s. avrebbe costituito un inizio solenne, in corrispondenza anche con Atti I , I e 10,3 7, e la genealogia di Gesù sa­ rebbe subito seguita alla prima menzione del suo nome. Ma 3 , 1 s. in­ tende più che altro illustrare quali circostanze rivestivano in Palestina una certa importanza per l'operato di Gesù, mentre la genealogia segue immediatamente la voce di Dio che proclama «Tu sei mio figlio»; così le due pericopi sottolineano a un tempo umanità e divinità di Gesù.

Il precursore, 3,1-6 (cf. Mc. 1,2-6; Mt. 3 , 1 -6)

Ma nel quindicesimo anno del governo dell'imperatore Tiberio, quando Ponzio Pilato era governatore sulla Giudea ed Erode tetrarca sulla Galilea, suo fratello Filippo tetrarca sull'Iturea e la Traconitide e Lisania su Abilene, 2 sotto il sommo sacerdote Anna e Caifa, allora la parola del Signore scese su Giovanni, il figlio di Zaccaria, nel deserto. 3 Ed egli venne in tutta la regio­ ne del Giordano come annunciatore di un battesimo di penitenza per la re­ missione dei peccati, 4 come sta scritto nel libro delle parole d'Isaia il profeta: «Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore; raddrizzate i suoi sentieri. 5 Ogni voragine sarà colmata e ogni monte e collina sarà abbassato, e q uel che è storto sarà dritto e le vie impervie diverranno piane, 6 e ogni carne vedrà la salvezza di Dio». 4-6 !s. 40,3-6. r

1-6. La pericope ha inizio con la collocazione storica. A seconda che

s'includa o meno nel conto il periodo in cui Tiberio fu reggente insie­ me ad Augusto e che si calcoli l'anno secondo il computo romano o quello orientale, si va dalla fine del 26 all'inizio del 29 d.C. La Giudea e la Samaria fanno parte dell'impero romano fin dal 6 d.C.; le altre tre regioni, spe tta nti ai «principi» (in origin e quattro), mantengono un go­ verno relativamente autonomo sotto la direzione di Roma. Anna non era più sommo sacerdote dal 14/1 5 d.C., ma continuava ad avere un ruolo di primo piano, e probabilmente mantenne anche in seguito il titolo (analogamente Giuseppe, Vita 3 8). Luca sa che può esserci un solo sommo sacerdote, perciò scrive al singolare «sotto il sommo sa­ cerdote»; a quanto risulta da Atti 4,6 sembra ritenere che di fatto a ri­ coprire tale carica fosse Anna e no n Caifa, al quale sarebbe spettata di diritto. Ad Augusto, in un primo tempo salutato come portatore del pa­ radiso, è succeduto il diffidente e scorbutico Tiberio; truppe romane hanno occupato la terra santa. La sacralità del sommo sacerdozio è sva­ nita: i romani insediano e destituiscono a loro piacimento i sommi sa­ cerdoti secondo le convenienze politiche. In questa situazione si veri­ fica un fatto che, dopo un'introduzione tanto lunga, è e sp resso con e­ strema concisione: «la parola di Dio avvenne», e avvenne concreta­ mente «a (o: sopra) Giovanni» (alla lettera). Non si tratta quindi di una semplice dottrina tramandabile. A una nuova succinta descrizione

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della predicazione di Giovanni segue un'estesa citazione di Isaia, che Luca amplia all'inizio e alla fine. Come Mt. 3,3 anche Luca la introdu­ ce solo dopo aver accennato alla predicazione, mentre il passo citato in Mc. I,2 compare solo a 7,27 (Mt. I I , Io). Anche Luca parla di «tutta la regione del Giordano» (Mt. 3,5), forse a motivo di Q (cf. a Mt. J , I I s . c 4, 1 - 1 1, intr.). Dal punto di vista teologico egli sottolinea l'irruzio­ ne di Dio nella storia del mondo e l'adempimento delle sue promesse. Il verbo «venne» sta forse a indicare l'origine divina, come 7,3 3 . La parola di Dio scende su colui che era stato chiamato sin dal grembo materno (I, I 5 ), come un tempo su Geremia (I, I - 5; cf. Os. I, I, con le indicazioni cronologiche e il patronimico ). Il modo in cui ciò avviene non è ulteriormente precisato, né si fa più cenno allo stile di vita asce­ tico di Giovanni, dato per scontato in 1 , 1 5; 7,2 5 . Anzi, secondo Luca Giovanni abbandona il deserto in cui viveva e si dà a percorrere la re­ gione del Giordano (analogamente Gv. I,28; 3,22 s.; diversamente Mt 3,5; 1 1,7); la «voce nel deserto» (v. 4) è allora la chiamata che Dio ri­ volge a lui (e poi attraverso di lui). «Abbassare» [«umiliare»] ha forse per Luca un significato spirituale (in I 8, I4 il termine compare nella stessa forma, cf. I , 5 I 5 3 e Atti 2,40): nel tempo della salvezza nessuno più può farsi grande davanti a Dio, ma neanche vi sarà più chi giace nell'abisso (cf. a 6,20-26). L'ultima frase assegna la salvezza (così solo nei LXX) «a ogni carne», ossia anche ai popoli (2,3 I s.; Atti 28,28). .

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La buona novella del Battista, 3,7-20 (cf. Mc. I,7-8; 6,1 7- I 8; Mt. 3,7- I 2; 1 4,3-4) 7 Diceva dunque alla folla che usciva a farsi battezzare da lui: Razza di vi­ pere, chi vi ha insegnato a sfuggire all'ira imminente? 8 Portate dunque frut­ ti che siano degni della conversione. E non cominciate a dirvi: Abbiamo Abramo per padre; poiché io vi dico: Dio può suscitare dei figli ad Abra­ mo anche da queste pietre. 9 Ma ormai anche la scure è già posta alla radi­ ce degli alberi; così ogni albero che non porta buon frutto verrà abbattuto e gettato nel fuo co . Io E la folla lo interrogava: Che cosa dobbiamo fare? • r Ed egli rispondeva e diceva loro: Chi h a due tuniche, le divida con chi non ne ha, � chi ha cibo faccia lo stesso. 12 Giunsero poi anche dei pubbli­ cani per farsi battezzare, e gli dicevano: Maestro, cosa dobbiamo fare? 1 3 Ed egl i disse loro: Non esigete nulla di più di quanto vi è prescritto. 14 Lo inter­ rogavano anche dei soldati e dicevano: E noi, cosa dobbiamo fare? Ed egli rispose loro: non maltrattate nessuno e non estorcete nulla a nessuno, e ac-

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contentatevi delle vostre paghe. 1 s Poiché il popolo e tutti quanti si chie­ devano in cuor loro riguardo a Giovanni se non fosse lui il messia, 1 6 Gio­ vanni rispose e disse a tutti: Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, al quale io non sono degno neanche di sciogliere i legacci dei calzari. Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. 17 Ha in mano il suo ventilabro per pulire la sua aia e raccogliere il frumento nel suo granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile. 1 8 Così, anche con molte al­ tre esortazioni, predicava al popolo la buona novella. 19 Il tetrarca Erode, da lui rimproverato a causa di Erodiade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che Erode aveva compiuto, 20 aggiunse a tutte le altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione. Riunendo l'ammonimento a non sentirsi al sicuro tramandato da Q (vv. 7-9), il materiale proprio con le istruzioni rivolte a varie categorie sociali (vv 1 0- 1 4), e l'annuncio di qualcuno che sta per venire, presen­ te anche in Mc. e in Q (vv 1 5 - I 8), Luca dà forma a una rappresenta­ zione circostanziata della predicazione profetica del Battista, inqua­ drandola tra il racconto della chiamata (vv I -6) e quello dell'impri­ gionamento (vv I9 s.). Rispetto a Mc. e a Q egli amplia i vv . I 5 -20 dan­ do notizia delle false attese messianiche del popolo (v. I 5) e della pre­ dicazione evangelica del Battista (v. I 8), e propone in conclusione la pericope con l'accenno al suo imprigionamento. In tal modo l'annun­ cio di Gesù viene distinto ancora più nettamente dalla minaccia di giu­ dizio dei vv 7 9. Le parole del v. 1 6 (analogamente a Mt. J , I I s.) dif­ ferenziano in modo tale Giovanni da Gesù che alla menzione iniziale del primo, che battezza con acqua, si contrappone decisamente quella finale del secondo, che battezza in Spirito (v. I 6afd); ma al centro del­ la frase l'ordine s'inverte e Gesù, il più forte che deve venire, è nomi­ nato prima del suo indegno servitore Giovanni (v. t 6bfc). .

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7- 1 4· Per Luca l'azione principale di Giovanni è la predicazione. In

essa egli incarna la profezia veterotestamentaria che sa che non esiste grazia senza giudizio, salvezza senza conversione, perdono senza ricor­ so alla volontà umana. Nel suo compito egli non è ostacolato da sensi d'inferiorità nei confronti della schiera dei teologi ufficiali o del te­ trarca, né la superiorità spirituale lo rende inaccessibile a pubblicani e soldati con le loro difficoltà. Le parole dei vv 7-9 concordano quasi alla lettera con Mt. 3,7- I o, ma invece di essere indirizzate a farisei e sad­ ducei (Mt. 3,7) sono rivolte a tutto il popolo (cf. 1 , I 7.77; Atti I J,24). .

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Non mirano ad ammorbidire, in vista del battesimo, dei cuori induriti ma si rivolgono a coloro che sono già intenzionati a farsi battezzare: a costoro è diretto il monito a non cullarsi nell'illusione di una sicurez­ za data dall'appartenenza al numero dei «fedeli» e dall'aver ricevuto il sacramento (vv. 7-9); ad essi è rivolta l'esortazione a comportarsi di conseguenza (vv. IO- I 4) e l'accenno a colui che donerà lo Spirito san­ to (vv. I 5- I 8). In primo luogo dunque per Luca non esiste un «resto santo» per il quale l'esortazione sarebbe superflua. Secondariamente non esclude i farisei (cf. a I 3,3 1). Predica Cristo a «ogni carne» (vv. 46). La frase «io ho Abramo per padre» non ha alcun valore né nel sen­ so stretto in cui la intendono i farisei, né nella superficiale accezione popolare più diffusa. Le «pietre» non si recano certo in sinagoga o in chiesa, ma Dio sarebbe in grado di animare anche loro. Ritenere che Israele sia il frumento, i popoli la pula {Str.-Bill. 1, I 22) potrebbe rive­ larsi un errore fatale (cf. l'immagine di Mal. 4, I), come illustra Luca nel­ le istruzioni che compaiono solo nel suo vangelo (vv. I 0- 1 4). I «frut­ ti» (v. 8 al plurale, diversamente da Matteo) si trovano presso i pubbli­ cani e i soldati, che i devoti avevano emarginato. 1 1- 14. Giovanni è interrogato per tre volte (in forma simile anche Apoc. Mos. 9; Vit. Ad. 3 5; Apoc. Esd. 7,4}. La prima risposta formula il principio generale, mentre la seconda e la terza entrano nel merito del­ la situazione specifica. Solo dei pubblicani è detto espressamente, al centro della pericope, che erano venuti per farsi battezzare e che rico­ nobbero Giovanni come «maestro»: erano infatti le persone più con­ testate (Mc. 2, I4- I 7; Mt. I I , I 9; 2 I ,J I s.; Le. 7,29; I 5 , 1 s.). Il «vangelo» (v. I 8) è caratterizzato da persone in crisi riguardo alla propria con­ dotta, da domande sempre più pressanti e da risposte precise. La pri­ ma esortazione richiama alla mente la radicalità del discorso della mon­ tagna, sebbene si pensi non tanto a una donazione totale e definitiva (cf. 6,29) quanto piuttosto a una «condivisione» di quanto basta per due. La proprietà come istituzione non è attaccata se, invece di tener­ sela stretta, la si mette a disposizione come del proprietario così di un altro che ne ha bisogno. Diversamente da I QS I, I 2 (e da analoghi si­ sterni economici moderni) è importante che ciò avvenga in modo spon­ taneo. Vivere nella pratica tale principio malgrado esperienze non sem­ pre confortanti è già una scelta abbastanza radicale. C'è poi la parti­ colare questione di come si debba agire all'interno di una professione e delle norme che la regolano. A quel tempo la riscossione del dazio

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Battista

(publicum) era appaltata al miglior offerente, che per mezzo dei suoi subalterni, i «pubblicani», doveva esigere oltre alla somma dovuta an­ che una quota per il proprio �ostentamento. Era perciò pressoché im­ possibile trovare un pubblicano onesto. In Asia Minore, all'incirca al­ l'epoca dell'operato di Gesù, al padre di Vespasiano venne eretta ad­ dirittura una statua con la dedica: «A colui che ha riscosso bene (per i contribuenti o per lo stato ?) il dazio». Che poi nel far questo egli non ci abbia rimesso lo dimostra la successiva fondazione di una sua banca in Elvezia (Svetonio, Vite dei Cesari 8, I ,2 s.)! La conversione deve com­ portare il cambiamento nel modo di pensare del singolo, e non quello dell'istituzione del dazio in sé, il che a quell'epoca avrebbe costituito un'utopia irrealizzabile. Per chi oggi in Europa è impiegato nella ri­ scossione del dazio o dei tributi la frode non è una grossa tentazione, fosse solo per via dei severi controlli. Alla luce del v. I I occorre dun­ que valutare se è «l'incaricato» a essere onesto o se è il sistema stesso a richiedere modificazioni, che non sono certo attuabili senza leggi e ob­ blighi; tuttavia risultano determinanti anche l'iniziativa e la perseve­ ranza di singole persone che, cambiando il proprio modo di pensare, stimolino tale cambiamento negli altri. Pertanto la riforma dell'ordina­ mento statale o del culto ecclesiastico (ad es. IQS 3 , 5 s.) non è suffi­ ciente. Il vangelo punta alla trasformazione dei cuori, che può portare a cambiamenti concreti nello svolgimento di funzioni pubbliche op­ pure all'impegno per la creazione di nuovi sistemi, ad esempio doga­ nali o tributari, senza però confondere queste eventualità con la salvez­ za dal vangelo offerta (cf. excursus dopo Mt. 5-7). A chi pensa Luca: a soldati non giudei, a mercenari giudei di Erode o innanzitutto ai pro­ blemi della sua comunità? La risposta del Battista non li pone di fron­ te alla questione ultima (che del resto per loro è difficile da valutare nel­ la pratica), ovvero se ciò che viene loro ordinato sia giusto o no, tutta­ via impone loro una sensibile restrizione. Anche oggi, prendendo spun­ to dal v. I I, occorre domandarsi se una guerra di conquista o di difesa calpesti il diritto dell'altro, ed esiga perciò il rifiuto di prestare servi­ zio militare; ma occorre anche chiedersi, alla luce del v. I 4, se un rifiu­ to radicale non apra i battenti all'ingiustizia nella sua peggior forma di totalitarismo o terrorismo. Riguardo ai vv. I 5 s. v. sotto (conci.). I s-zo. Le parole del Battista corrispondono quasi alla lettera a Mt. J , I I s., solo che Luca distingue tra il battesimo «per mezzo» dell'ac­ qua e quello «in» Spirito santo (cf. al v. 22). Diversamente da Mt. J , I 2

Le. 3,7�20. La buona novella del

Battista

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la purificazione e la raccolta sembrano aver luogo fin da ora, mentre la pula sarà bruciata solo in futuro. Come in 3,7 perciò anche qui l'udi­ torio è formato dal «popolo», e Giovanni predica a «tutti». La separa­ zione non è ancora in atto. Il «più forte» {stessa radice in 2 Tess. 1 ,9; Apoc. 5,1 2) che sta per venire doveva portare, secondo il Battista, jl giu­ dizio finale. Per Luca invece è colui che battezza in Spirito santo (in primo luogo a pentecoste Atti 1 ,5, ma anche 19, 1 -7). Naturalmente porterà anche il giudizio: se infatti in Atti 1,5; 1 1, 1 6 Luca tralascia l'ag­ giunta «e nel fuoco» significa che non lo mette in relazione con le fiam­ me dello Spirito santo (Atti 2,3). Laddove però lo Spirito rende un uomo capace di assumere su di sé il giudizio di Dio, allora ciò si tra­ muta in benedizione. L'imprigionamento (Mc. 6, 1 7 s.) è anticipato da Luca, forse per distinguere nettamente il ruolo di Gesù da quello di Giovanni. Erode è nominato all'inizio della frase; il suo misfatto, che va ad aggiungersi a tutti gli altri, è posto alla fine. Egli tornerà a essere nominato in I J ,J I s.; 23,6- 1 2; Atti 4,27. Luca non dà rilievo al fatto che l'operato di Gesù ha avuto inizio solo una volta concluso quello di Giovanni {anche Mc. 1 , 1 4 Mt. 4, 1 2). Il v. 16 trascura anzi che Ge­ sù sia venuto «dopo di lui» (Mc. 1,7 Mt. J , I 1 ), forse perché è un'e­ spressione spesso usata per indicare un successore. 7,1 8 non fa parola della prigionia del Battista, mentre 7,29 s. lascia addirittura pensare che continuò la sua attività di battezzatore. Luca preferisce conclude­ re un episodio prima di passare a narrare fatti che pure lo precedono, ricorrendo qui addirittura a una nuova indicazione cronologica (8,3 7/ 3 8; 1 ,8o/2, 1 ; 2 1 , 1 2; 23,54/5 5 s.; 24,5 1 b / Atti 1,9; Atti 1 1 , 1 8/19; cf. Le. 9, 5 1 e a J , I -4,J O, intr.). Pertanto inserisce proprio a questo punto la notizia dell'imprigionamento di Giovanni, dato che della di lui esecu­ zione (presupposta in 9,7.9) non racconterà nulla (v. a 20,9- 1 9, conci.). In tal modo inoltre si sottolinea il carattere precorritore non solo della sua predicazione, ma anche della sua vita e della sua morte. Questo fu forse gradito a Luca perché così poté lasciare imprecisato chi nella re­ altà amministrò il battesimo a Gesù, menzionato solo in una frase su­ bordinata del v. 2 1 . =

=

7- 14. Luca aveva trovato il battesimo di conversione e i discorsi di penitenza già in Mc. 1,4 e in Q. Con i vv. 5 s. ribadisce il carattere sal­ vifico di questa predicazione. Anche nei vv. 10- 14 non si tratta di im­ porre maggiori doveri nel particolare ambito della religiosità, che mol-

So

Le. 3,7-20.

La buona novella del Battista

ti non sarebbero in grado di adempiere (cf. r 8, r 2; Atti r s,ro), ma nep­ pure di una legge morale. La risposta alla medesima domanda «Cosa dobb_iamo fare ?» in Atti 2,3 7 s.; r 6,3o s.; 22, 1 0- 1 6 (in questo caso po­ sta da Gesù) suona rispetto a qui altrettanto concreta ma molto diver­ sa. Ciò dimostra che anche l'indicazione più chiara non esime dal por­ re sempre nuove domande e dal ricercare delle risposte. La semplice attuazione di quanto è ordinato ad �sempio in Le. 3, 1 3 s. dovrebbe es­ sere già garantita in un'amministrazione tributaria ben controllata dal­ lo stato e in un esercito disciplinato. Ciò non va assolutamente sotto­ valutato e probabilmente rappresenta, molto più di quanto si pensi, un frutto del vangelo, benché non sia la stessa cosa. Solo i cuori colpiti dal vangelo restano costantemente aperti a ciò che Dio richiede, in li­ nea con quanto inizialmente aveva preteso in concreto, e oltre. Perciò al testo qui in esame preme, molto più che dare indicazioni pratiche, porre in risalto che, esigendo da pubblicani e soldati una condotta se­ condo la volontà divina, essi vengono di nuovo ricondotti in seno alla comunità di Dio. Quell'atteggiamento che il giudeo colto dell'epoca derideva considerandolo frequentazione di cattive compagnie (Orige­ ne, Contro Celso 1,62) rappresenta di fatto l'inclinazione di Dio per il reietto. Così col suo discorso pastorale Giovanni anticipa quanto si a­ dempirà con Gesù (7,29 s.; 1 5 ,1 s.): la professione non deve corrompe­ re l'uomo, per quanto costui possa invece corrompere la propria pro­ fessione. Similmente avviene anche nelle tavole dei doveri domestici " (Col. 3, I 8-4, 1 ecc.) dove, a differenza dei modelli greci, non è solo il maschio adulto di condizione libera a essere interpellato riguardo al suo comportamento nei confronti di donne, bambini e schiavi ma so­ no proprio questi ultimi a vedersi attribuita la responsabilità e a essere quindi presi in seria considerazione. In tal modo il vangelo, salvezza di Dio, viene spesso presentato nella forma di nuovi compiti che con­ feriscono responsabilità e quindi significato alla vita. I s-zo. Luca opera una netta distinzione tra Giovanni e Gesù perché nel frattempo erano sorti gruppi che veneravano (come messia ?) il Bat­ tista (v. 1 5 ; Atti 1 1 , 1 6; 1 3,25; 19,4; Gv. 1 , 2 o). Nonostante la funzione di precursore, non una volta Giovanni è paragonato a Elia. Mancano del tutto Mc. 1,6; 9, 1 1 - 1 3 ; Mt. 1 1, 14, mentre è Gesù ad assomigliare a Elia (Le. 4,2 5-27; 7, 1 2- 1 6; 9,6 1; cf. 8,5 5; 9, 54; 1o,4b; Atti 1,r r b). Que­ sto avviene forse perché lo stesso Elia, di cui è atteso il ritorno, veniva anche equiparato al messia (v. a I , 1 7.76). Perciò Luca non colloca più

Le. 3,2 1 -3 8 . Proclamazione del Figlio di Dio: battesimo e stirpe di Gesù

8I

l'una accanto all'altra le due figure di Gesù e Giovanni come messag­ geri di sapienza, come fa invece Q {7,3 3 -3 5) e forse anche un'antica tradizione giudeocristiana alla base di Apoc. I I,3- 1 4, nella quale i due rappresentano i profeti Elia e Mosè ritornati (cf. Atti 3,22; 7,3 8). D'al­ tra parte Luca stesso li mette in stretta relazione tra loro (cf. I I , I ). La nascita di entrambi è «vangelo» (I,I9; 2, 1 0), e tutt'e due sono annun­ ciatori del «vangelo» (v. a Mc. I , I ed excursus dopo Le. 4,30, inizio) a «tutto il popolo» d'Israele (x ,8o; 3, 1 5 ; Atti I J ,24; Le. 2, 1 0; 6, I 7; 7, I ; 24, I9). Entrambi «evangelizzano» (v. a I,I9) i l popolo (accusativo in J , r 8; 20,1; anche Atti 8,2 5; 1 4,2 1 ecc.), Giovanni in quanto predica la (Onversione (J,J .8; Atti I 3,24; I9,4), Gesù in quanto predica il regno di Dio (Le. 4,43; cf. Mc. I,14 s.). La predicazione anticipatrice di Gio­ vanni fa parte della confessione cristiana (Atti 1 0,3 8; 1 3 ,24). Il suo bat­ tesimo è inizio di quello cristiano: infatti non è seguito da alcun co­ mandamento battesimale come in Mt. 28,I9. Come Giovanni dona la possibilità della conversione, che comporta il perdono (3,3; 7,29 s.), co­ sì anche Gesù: I 5 , 1 s.; Atti 5,3 1 ; I I ,I 8 (vita); 20,2 1 (fede). Come Gio­ vanni, anche Gesù ha fama di profeta (4,24; 7, I 6.39; I 3 ,3 3; 24, 1 9; anzi del profeta: Atti 3,22 s.; 7,3 5-37). 7,28 non può dunque significare che Giovanni resti escluso dal regno di Dio (possibilità negata già da I 3,28). Luca ci presenta innanzitutto coloro che sono stati battezzati col bat­ tesimo di Giovanni e che presumibilmente sono in concorrenza con le comunità cristiane, e non piuttosto dei cristiani ai quali non tutto è ancora noto e che necessitano quindi di un ulteriore battesimo nel no­ me di Gesù (Atti 1 9, I -7; cf. I 8,2 5). Per Luca, quindi, Giovanni è già par­ te integrante del tempo salvifico, che è lui a inaugurare (v. a 1 6, I 6). Proclamazione del Figlio di Dio: battesimo e stirpe di Gesù, 3,2 I - 3 8

(cf. Mc. 1 ,9- 1 I; Mt. J , I 3 - I 7; I , I - I 7)

E durante il battesimo di tutto il popolo avvenne che, mentre Gesù dopo essere stato battezzato pregava, il cielo si aprì 22 e lo Spirito santo discese su di lui in forma corporea come una colomba e venne una voce dal cielo: «Tu sei il mio diletto figlio», in te mi sono compiaciuto. 23 Ed egli, Gesù, era di circa trent'anni quando cominciò, figlio, come si riteneva, di Giusep­ pe, di Eli, 24 di Mattat, di Levi, di Melchi, di lnnai, di Giuseppe, 2 s di Mat­ tatia, di Amos, di Naum, di Esli, di Naggai, 26 di Maat, di Mattatia, di Se­ mein, di Iosek, di loda, 27 di loanan, di Resa, di Zorobabele, di Salatiel, di N er i, 2 8 di Melchi, di Addi, di Cosam, di Elmadam, di Er, 29 di Gesù, di 11

82

Le.

3,2 1-38. Proclamazione del Figlio di Dio: battesimo e stirpe di Gesù

Eliezer, di Iorim, di Mattat, di Levi, 30 di Simeone, di Giuda, di Giusepp e, di Ion am, di Eliacim, 3 1 di Melea, di Menna, di Mattata, di Natam, di Da­ vide, 3 2 di lesse, di Obed, di Booz, di Sala, di Naasson, 33 di Aminadab, di Ad m in , di Arni, di Esrom, di Fares, di Giuda, 34 di Giacobbe, di !sacco, di Abramo, di Tare, di Nacor, 3 5 di Seruk, di Ragau, di Falek, di Eber, di Sala, 3 6 di Cainam, di Arfacsad, di Sem, di N o è, di Lamech, 37 di Matusalemme, di Enoc, di Iaret, di Malleel, di Cainam, 3 8 di Enos, di Set, di Adamo, di Dio. 22 Sal. 2,7; /s. 42, 1 .

Dopo un'introduzione piuttosto lunga, che struttura la frase in mo­ do da distinguere il battesimo di Gesù da quello del popolo (cf. al v. 20), vengono i tre verbi fondamentali che mirano a descrivere «ogget­ tivamente» (non più come visione di Gesù, v. a Mc. 1 ,9- I I) il cielo che si apre, la discesa dello Spirito e il risuonare della voce di Dio, tenni­ nando in una proclamazione: «Tu sei mio figlio ... ». Come Mt. 3 , 1 6 anche Le. 3,2 1 parla dell'«aprirsi» (e non: «fendersi», Mc. I , I o) del cie­ lo; è questa l'espressione delle aspettative escatologiche (Ez. 1 , 1 ; /s. 64, I ; Test. Lev. I 8,6; v. a Mc. I ,9-I I, intr.). È incerto se questo termi­ ne, insieme all'espressione sulla venuta dello Spirìto «santo» (assente in Mc. ) «su» di lui (= Mt. 3 , 1 6), risalga a Q come i vv 1 6 s., sebbene Q (4,3) presupponga il titolo di Figlio di Dio. Alcuni manoscritti (v. in­ troduzione agli Atti, 7.2) riportano al v. 22 la lezione: « ... io oggi ti ho generato» (come Atti 1 3,3 3, dove però «oggi» si riferisce alla pasqua). Che il versetto provenga da Q e sia stato adattato a Mc. 1 , 1 1 per evita­ re la contraddizione con 1 ,3 5 ? Ma nessun'altra famiglia di manoscritti riporta anche solo in parte questa lezione. È più probabile invece che dei copisti (giudeocristiani ?) abbiano adattato il versetto al testo del sal­ mo regale 2,7 per accentuare la regalità di Gesù; Ev. Eh. 4 (giudeocri­ stiano) riporta entrambe le lezioni. La genealogia differisce totalmente da quella di Mt. I , I - I 7 (v. ad loc.). Solo da Davide ad Adamo si attiene abbastanza fedelmente alla Bibbia, e precisamente a quella greca, l'uni­ ca a conoscere Cainam (v . 36). Tra Davide e Gesù quasi tutti sono sconosciuti, alcuni portano il no­ me dei patriarchi. Già il padre di Giuseppe si chiama in modo diverso rispetto a Mt. I , I 6. La successione Gesù - (due nomi) - Mattat - Levi (assente in un manoscritto africano) - (due nomi) - Giuseppe, presente ai vv 2 3 s., si ripete in 29 s.; inoltre ai vv 2 5 e 26 c'è un Mattatia, al v. 3 I un Mattata. Che i vv 23-26 e 29-3 I siano stati in origine due versio­ ni delle stesse generazioni, inserite poi qui una dopo l'altra ? Ciò spie.

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.

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Le. J,2 I -J8. Proclamazione del Figlio di Dio: battesimo e stirpe

di Gesù

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gherebbe come mai Luca per due volte conti sette generazioni in più ri­ spetto a Matteo. zz. Lo Spirito fa la sua comparsa «in forma corporea». A questo fa riferimento il paragone con la colomba («come» ! ), che difficilmente andrà riferito soltanto al suo «librarsi». Per Luca conta la realtà con­ creta dell'evento; non certo i particolari, che possono essere stati im­ preziositi di tratti leggendari, bensì piuttosto l'inizio dell'operato di Gesù a partire dall'unità con Dio. In modo completamente diverso dal v. 2 la parola di Dio scende qui su Gesù proclamandolo Figlio di Dio davanti a «tutto il popolo» (v. 2 I ). La realtà dell'evento dello Spi­ rito è illustrata attraverso l'immagine della colomba che si libra scen­ dendo dal Padre verso il Figlio, come più tardi attraverso l'immagine delle lingue di fuoco (Atti 2,3 ), del particolare linguaggio dello Spirito (2,4; I0,44-46; I9,6; certo anche 8, 1 7- 1 9) o del terremoto (4,3 1 ); tutta­ via la proclamazione divina differenzia nettamente la posizione del «fÌ­ glio» nei confronti di Dio rispetto a quella della comunità. Per Luca non è importante tanto la facoltà di scacciare i demoni o cose del ge­ nere, quanto la testimonianza resa dallo Spirito (v. a I 2, I O- I 2 e 4,23; inoltre Atti 1,8; 4,8.3 I; 6, 10 ecc.). Gesù stesso è chiaramente distinto da profeti o taumaturghi che si lasciano semplicemente guidare dallo Spirito; egli consapevolmente lascia agire lo Spirito (v. a 4, I e I 2, 1 0; 1 I , I 5; cf. 4, 1 4; inoltre a 1,3 5; 2,40) e dopo la propria esaltazione lo do­ na alla comunità (24,49). Perciò lo Spirito è il dono di Dio (v. a Le. I I , 1 3 ) fatto, a differenza che nel giudaismo, a tutta la comunità (v. a 3 , 1 6; cf. Atti 2,3 8 s.; I 5,8 s.; 19,2 ecc.); ma a differenza di quanto si legge in Paolo esso non dà la conoscenza della fede ( 1 Cor. 2, I o- 1 6), bensì a chi già è credente e osservante conferisce la forza di vivere come tale (Atti 2,3 8; 5,3 2 ecc.). Per questo motivo spesso la preghiera precede il dono dello Spirito (Atti 4,3 I; 9,9. I 1 s.; I J , I -J), anche qui per Gesù (non in Mc. I,9; Mt. 3 , 1 5; cf. a Le. 6, I 2). In realtà J,2 I s. non costituisce il re­ soconto del battesimo di Gesù, bensì delle parole e dell'azione di Dio nella preghiera che le segue; in greco il battesimo è espresso come azio­ ne già compiuta e la preghiera come azione ancora in corso. Il primo fatto da narrare dell'operato di Gesù adulto mostra come egli si apra a ricevere la grazia e la potenza di Dio . .13-28. La genealogia comincia così: «Ed egli, Gesù, era ... figlio ... » e si conclude: « ... di Adamo, (figlio) di Dio». È chiaro cosa è importante

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Le. 4, 1 - 1 3 . La tentazione di Gesù

agli occhi di Luca. In costui, che per età e stirpe è presentato come es­ sere umano e che porta a compimento la storia di Dio su Israele, la figliolanza divina di Adamo raggiunge il suo fine in modo totalmente nuovo per mezzo dello Spirito di Dio e a Dio riconduce l'umanità in­ tera. L'età di trent'anni si ritrova anche in Num. 4,3; Gen. 4 1 ,46; 2 Sam. 5,4 (Ez. I , I ); perciò non si tratta necessariamente di un dato biografi­ co preciso. Risalendo da Gesù a Salatiel, il primo in esilio, si contano tre volte sette generazioni; lo stesso da Nen, l'ultimo libero, a Davide. Così Gesù a sua volta dà inizio alla settima serie di sette generazioni a partire da Davide. Inoltre, da Davide ad Abramo si contano due volte sette nomi, e tre volte sette nomi da quest'ultimo a Dio, il creatore di Adamo. In tutto vi sono perciò settantasette nomi, cosicché Gesù dà inizio alla dodicesima serie di generazioni, per 4 Esd. 14, I I l'ultima nella storia del mondo (cf. excursus dopo 2,3 8, fine). Tuttavia Luca non è più consapevole di questa regolarità storico-salvifica. Per lui ha rilievo unicamente la linea che da Dio, Padre di Adamo e con lui di tutti gli uomini (Atti 1 7,2 8 s.), giunge sino a Gesù, evidenziandone la solidarietà con l'umanità intera. Per Paolo Cristo è l' «ultimo Adamo» (Rom. 5,I4; 1 Cor. I 5,22.45 -49; cf. Ebr. 2,6 s. I 7 s.); dell'uomo nuovo creato dallo Spirito parlano Col. J,Io (= Cristo ?, cf. Gal. 3,27) e Ef. 4,24 (cf. Rom. 6,4 e Atti 1 7,26.J I ). L'accenno al desiderio di farsi battezzare che prende «tutto il popo­ lo» dimostra che non solo singole persone, ma tutto Israele viene pre­ parato all'evento di Cristo. Già Marco parla dell'avvento del tempo nuovo di Dio in cui il cielo si apre e lo Spirito ne discende per procla­ mare il Figlio di Dio e per chiamarlo al suo servizio. Questa circostan­ za riceve peso ancora maggiore sia da quanto Luca collega al dono del­ lo Spirito sia da quello che la genealogia esprime presentando il nuovo Adamo (così anche Mc. I , I 2 s., v. ad loc. , ma non più Le. 4, I - I J Q). La tentazione di Gesù, �h i- 1 3 (cf. Mc. I , I 2 s.; Mt. 4, 1 - I I ) 1 Ges ù , pieno di Spir ito santo, tornò dal Giordano e s i lasciò condurre dal­ lo Spirito nel deserto, 2 per quaranta giorni, durante i quali fu tentato dal diavolo. Ed egli non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono termi­ nati ebbe fame. 3 Allora il diavolo gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, di' a que­ sta pietra che diventi pane. 4 E Gesù gli rispose : Sta scritto: «Non di solo pane vive l'uomo». 5 E lo condusse in alto e in un momento gli mostrò tut­ ti i regni della terra. 6 E il diavolo gli disse: A te darò tutta questa potenza

Le. 4, 1 - 1 3. La tentazione di

Gesù

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e la sua gloria; infatti essa è stata data a me e io la do a chi voglio. 7 Se mi adorerai essa ti apparterrà per intero. 8 E Gesù rispose e gli disse: Sta scrit­ to: «Adorerai il Signore tuo Dio e lui solo servirai». 9 Ma egli lo condusse a Gerusalemme, e lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: Se tu sei Fi­ glio di Dio, gettati giù da qui; Io infatti sta scritto: «Egli darà ordine per te ai suoi angeli di custodirti», I I e «ti porteranno sulle mani perché non in­ ciampi in una pietra con il tuo piede». 11 Gesù rispose e gli disse: È detto: «Non tenterai il Signore tuo Dio». 1 3 E quand'ebbe esaurito ogni tenta­ zione, il diavolo stette lontano da lui sino al tempo stabilito. 4.8. 1 1

Deut.

8,3; 6, 1 3 s. 16. 10 s. Sal. 9 1 , 1 1 s.

I vv. 1 .2a sono formulati da Luca sulla base di Mc. I , l 2 s.; tutto il resto procede parallelamente a Matteo (v. ad loc., intr.}, solo che la se­ conda e la terza tentazione sono invertite. A Qumran si attendevano un profeta, un re e un sacerdote messianici, e quest'ultimo sarebbe stato il più grande ( I QS 9, 1 I; 4QTest 5-8; I QSa 2, 1 1 -22). Che Luca abbia concepito la tentazione secondo questo schema ? Ma i vv. 2-4 non rinviano certo a un'azione profetic a ; oltretutto in Luca manca an­ che l'accenno alla parola (Mt. 4,4). Né il v. 9 parla di una funzione sa­ cerdotale, sebbene sia nominato il tempio. Resterebbe così solo il v. 6, che prende in esplicita considerazione la messianicità regale; cf. Str.­ Bil l . 111, 67 5: «lo (Dio) voglio dare in possesso a te (al re messianico) le ricchezze dei popoli e in tuo potere i dominatori dei confini della terra». Anche la leggenda giudaica di Bileam, l'avversario escatologico di Dio che volò fino al cielo ma fu schiacciato dal sommo sacerdote (Tg. Jon. a Num. 3 1,8) non è di alcun aiuto; infatti nulla indica che nell'ultimo miracolo Luca abbia visto una sconfitta dell'Anticristo. È pi ù probabile invece che abbia posto alla fine il salto dal tempio per­ ché è qu i che Gesù si sente a casa sua {2,49), e inoltre perché allo stes­ so tempo il v. 1 2 può essere inteso come definitivo rifiuto di Satana, o ancora perché Gerusalemme è scopo e termine dell'attività di Gesù. I- I l.. Che Gesù lasci il Giordano non sottolinea il commiato dal Bat­ tista bensì unicamente il passaggio dal battesimo alla tentazione. An­ che gli altri vangeli (lo stesso Gv. 3,23) successivamente non nomina­ no più questo fiume, ma soltanto la regione «oltre il Giordano». A differenza di Mc. 1 , 1 2 (Mt. 4, 1) nel v. I (come in 4, 14; 1 o,2 I ) il sogget­ to è Gesù e si parla di Spirito «santo» (anche 3 ,2 2, v. ad loc. ). Gesù decide da sé la propria strada; vive «nello» Spirito che è disceso su di

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Le. 4, 1 - 1 3. La tentazione di Gesù

lui (3 ,22), lo riempie totalmente (4, 1), lo consacra per la sua opera e rimane sopra di lui (4, 1 8). È lui inoltre a condurre Gesù «nel deserto» [stato in luogo], come Dio con il suo popolo (Deut. 8,2). Mc 1 , 1 2 (ma cf. v. 1 3); Mt. 4,1 scrivono: «nel deserto» [moto a luogo]. Per quanto l' «unzione» con lo Spirito possa portare al risanamento «di tutti colo­ ro che sono in potere del diavolo» (Atti I O,J 8), possesso dello Spirito e tentazione sono pericolosamente vicini tra loro. Secondo la Scrittura sono proprio le persone chiamate da Dio a essere esposte alla tenta­ zione, in quanto si sentono perennemente contese tra Dio, dal quale non riescono a liberarsi, e il mondo, di cui condividono la sofferenza. Come Es. 34,28; Deut. 9,9, anche Luca usa l'espressione «non mangia­ re» (Mt. 4,2: «digiunare»). A differenza di Mt. 4,3 immagina certo che il diavolo abbia tentato Gesù lungo tutti i quaranta giorni. Tuttavia evita il verbo «si accostÒ» a Gesù, come pure (v. 7) la richiesta di «pro­ strarsi» davanti a lui (Mt. 4,3 .9). Luca è conscio della dimensione non più terreno-umana di quest'incontro. La trasformazione anche solo di un pane non è reiterazione del miracolo della manna (Mt. 4,3), né tan­ tomeno di un miracolo dell'Anticristo (Apoc. Esd. 4,27), ma serve solo a saziare la fame di Gesù. Il diavolo varia i propri attacchi. Nella pri­ ma e nella terza tentazione mette in discussione la figliolanza divina di Gesù in una subordinata ipotetica per poi richiederne la prova e pro­ spettargli il successo; nei vv. 1 0 s. ricorre addirittura a una frase bibli­ ca. Nella seconda tentazione la promessa del diavolo è posta all'inizio e (a differenza di Mt. 4,9) la sua potenza è affermata esplicitamente. Segue poi la condizione, sempre accompagnata dalla promessa del suc­ cesso. La risposta di Gesù invece consiste sempre e solo nel semplice richiamo alle parole della Bibbia. Non ha bisogno di diplomazia. Il dia­ volo mostra a Gesù tutti i regni, non (spazialmente) da un alto monte (Mt. 4,8) bensì {temporalmente) «in un momento», inclusi quelli pas­ sati e futuri. Luca sottolinea dunque il carattere sovrannaturale e pro­ digioso d eli'episodio e fa dichiarare al diavolo che il mondo è stato messo nelle sue mani (Ger. 27,6), il che è evidente, almeno a un esame superficiale (cf. Apoc. 1 3,2). Ancora, non si accenna soltanto ai regni (Mt. 4,9), ovvero al potere politico, ma anche alla loro «potenza e glo­ ria», forse un'allusione alla pericolosità del potere e degli onori sia in ambito politico che religioso. Comunque anche il diavolo di Luca non arriva a presentare il mondo terreno in una luce così negativa da at­ teggiarsi a suo creatore, come successivamente sostennero alcuni gno.

Le. 4, 1 -1 3. La tentazione di

Gesù

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stici. L 'ultima tentazione ha luogo nel tempio. Ma poco dopo che Ge­ sù si sarà diretto decisamente verso Gerusalemme (9, 5 1 ) Satana preci­ piterà ( I o, 1 8, v. ad loc. ). Ciò che infatti ha l'apparenza di un suo trion­ fo, dato che Gesù non si salva dalla croce ricorrendo a un miracolo eclatante, rappresenterà la sua definitiva sconfitta. Infatti Gesù torne­ rà al tempio, lì la sua comunità si tratterrà e da lì avrà inizio il cammi­ no verso il mondo dei popoli ( 19,47; 2 1 ,3 7 s.; 24, 5 3 ; Atti 2,46; 5,42; 22, 1 7-2 1; 26,20 s.). Come in questi passi (e in Le. 2,46; I 8,1 o), anche qui il tempio, alla conclusione di una pericope, sta a indicare le cose nuove che Dio intende compiere. Che Satana, il cui abuso della Bibbia non impedisce a Gesù di impiegarla correttamente, si allontani da lui «sino al tempo stabilito» (espressione tipicamente lucana) non significa però che la vita di Gesù fino alla passione sia stata già tempo del regno di Dio, esente da tentazioni. 22,3 , in cui Satana (v. a 8, 1 2) entra in Giuda I scariota, fa parte della tradizione (v. ad loc. ) e non mette in p articola­ re risalto la concezione lucana; inoltre, secondo 22,28 anche i discepo­ li hanno condiviso le «tentazioni» (al plurale come Atti 20,29) di Gesù (ad es. nella lotta contro i demoni di 9,4 1; I0, 1 7; 1 I , I 4-22; I J, I I - I 7)· Certo, la tentazione al singolare esiste ancora, non per i discepoli (cf. 1 2,40.46; I 1,4) ma solo per quelli che vengono meno {8, 1 3). Anche qui il racconto della tentazione si colloca all'inizio dell'ope­ rato di Gesù. Luca però non ha in mente appariscenti miracoli mes­ si anici, bensì quelli nei quali Gesù si manifesta come vero uomo (cf. hattesimo e genealogia prima, accenno a Gerusalemme e alla passione poi). Certo solo lui avrebbe potuto mutare una pietra in pane; ma la sua condotta si basa su precetti validi per tutti. Luca anzi tralascia il prodigio degli angeli che scendono a servirlo (Mc. 1 , 1 3; Mt. 4, I 1 ). In tutto questo, le azioni suggerite dal diavolo non sono «cattive» in sé, al contrario, solo mirano ad accrescere la fama di Gesù e non quella di Dio. Due sono le indicazioni di rilievo: Gesù vince la tentazione a van­ taggio di tutti gli uomini - obiettivo che sarà raggiunto sulla croce -, ma anche per fornire ai suoi seguaci un modello di comportamento nelle tentazioni (di gran lunga minori) della vita di ogni giorno - e ciò si realizzerà nella storia degli apostoli e della comunità. In tal modo sono già abbozzate le risposte che il vangelo dà alle questioni centrali: chi è Gesù nei nostri confronti? Chi siamo noi nei suoi confronti ? Co-

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me possiamo vivere di lui, come dobbiamo vivere per seguire il suo e­ sempio (cf. excursus dopo 22,30)? La programmatica predicazione inaugurale d i Gesù, 4,1 4-30 (cf. Mc. 1 ,1 4.28.39; Mt. 4, 1 2; 9,26; Mc. 6, 1 -6; Mt. 1 3, 54- 5 8) 14 Allora Gesù nella potenza dello Spirito ritornò in Galilea, e di lui si par­ lava in tutta la regione, 1 5 ed egli insegnava nelle loro sinagoghe, lodato da tutti. 1 6 E giunse a Nazaret, ove era stato allevato, e come d'abitudine nel giorno di sabato entrò nella sinagoga e si alzò per leggere. 17 E gli venne dato il libro del profeta Isaia. E quando lo aprì trovò quel passo dove era scritto: 1 8 «Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché mi ha unto. Per predicare la buona novella ai poveri mi ha mandato, per proclamare la liberazione ai prigionieri e la vista [ri-vedere] ai ciechi, per rimettere in libertà gli oppressi 19 e proclamare un anno gradito al Signore,.. 2.0 E arrotolato il libro lo diede all'inserviente e si sedette. E gli occhi di tut­ ti nella sinagoga erano fissi su di lui. 2 1 Ma egli cominciò a dire loro: Oggi questa scrittura si è adempiuta davanti alle [nelle] vostre orecchie. 22. E tut­ ti gli rendevano testimonianza e si meravigliavano delle parole piene di gar­ bo (o: di grazia) che uscivano dalla sua bocca e dicevano: Questi non è il figlio di Giuseppe? 2 3 Ed egli disse loro: Certo mi citerete questo detto: Me­ dico, cura te stesso! Quanto abbiamo udito che è accaduto a Cafarnao, com­ pilo anche qui, nella tua città natale. 2.4 Ma egli disse: Amen, io vi dico, nes­ sun profeta è ben accetto nella sua città natale. 2 5 In verità vi dico: vi erano molte vedove in Israele nei giorni di Elia, quando il cielo restò chiuso per tre anni e sei mesi e una grande carestia venne su tutto il paese, 26 e a nessuna di esse venne inviato Elia se non a una donna vedova, a Zarepta in Sidone. 27 E vi erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nes­ suno di essi fu sanato se non Naaman il siro . 2 8 E quando udirono ciò tut­ ti nella sinagoga si riempirono di collera, 29 si alzarono e lo spinsero fuori dalla città e lo condussero su un versante del monte su cui era costruita la loro città per gettarlo giù. 30 Ma egli passava in mezzo a loro e se ne andava. ·

La struttura dei vv. I 6-22 è chiarissima: «Ed egli si alzò e gli venne dato . . . ed egli aprì . .. » (vv. 1 6 s.) da una p arte; dall'altra «ed egli chiu­ se ... restituì e si sedette» (v. 2oa, in successione inversa), fanno da cor-

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ice al testo veterotestamentario ( I 8 s.}, mentre la parola di Gesù ( 2 I) è racchiusa dai versetti relativi alla reazione «di tutti» (2ob.22). L'agire di Gesù è descritto in frasi ali' aoristo come azione puntuativa, la re­ azione della gente invece all'imperfetto, come azione durativa. Sogget­ to dei vv I 6 s.2oa sono Gesù, il libro o la Scrittura - solo di sfuggita al v. 20 è detto che c'era un inserviente della sinagoga -; nei vv 2ob.22 (;csù è al centro dell'attenzione del pubblico. Quindi tutto è concen­ trato su di lui e sulla Scrittura. Meno chiari invece sono i vv. 23-30: al­ le rimostranze del popolo (23) fanno seguito la risposta di Gesù (24) e due esempi veterotestamentari (2 5-27); la collera di tutti (28) porta ad attentare alla vita di Gesù (29) che si mette in salvo (30). Anche qui è la figura di Gesù il soggetto dominante: è lui che provoca il popolo dando espressione alla sua protesta, sebbene soggetto delle frasi sia­ no gli israeliti non sanati ai vv. 2 5 e 2 7a, il pagano Naaman al v. 2 7b, gli ascoltatori ai vv . 28 s. In entrambi i casi è sottolineato il contrasto con Gesù. Da questi drammatici avvenimenti narrati all'aoristo si discosta infine l'azione durativa del v. 3ob, quando Gesù se ne va. A Luca il v. 24 (= Mc. 6,4; ma anche Gv. 4,44!) doveva essere già noto in una for­ ma ormai fissa, altrimenti avrebbe come al solito evitato l' «amen». I vv. 25 -27 non sono adeguati al contesto perché non si riferiscono più alla città natale bensì alla terra natale. Forse questi versetti ricalcano una giu­ stificazione della missione ai pagani proposta da cristiani esperti della Scrittura. I vv. 28-30 sono redatti in stile affatto lucano. All'ingresso di Gesù nel v. I6 corrisponde il suo andar via (v. 30). Il v. 3 I a costitui­ sce un nuovo inizio e giustifica il trasferimento a Cafarnao (Mc. I,2 I ) in conseguenza del rifiuto incontrato a N azaret (cf. 2,3 9· 5 I ) . Mt. 4, I 3 (v. ad loc. ) lascia supporre l'esistenza di un racconto prelucano secondo il quale Gesù si sarebbe allontanato da «Nazara» rivolgendosi ai «paga­ ni» di Cafarnao (vv I 6.24.3 I a). Può essere che l'influenza di questo mo­ dello inizi già ai vv I4 s., altrimenti Luca non avrebbe certo scritto «le loro sinagoghe» (v. al v. 44). Il racconto prelucano avrebbe quindi sviluppato nei vv ( I 4 s.) I 6-22 l' «insegnamento» di Gesù (Mc. 6,2) in­ tendendo la frase «Questi non è il figlio di Giuseppe ?» come stupore dettato da incertezza o da assenso; poi Gesù avrebbe posto la questio­ ne critica sulla vera fede nei vv. 2 5 -27. Oppure le parole «rendere te­ stimonianza» e «meravigliarsi» potrebbero essere state intese in sen­ so ostile, come in Mt. 2 3,3 I; Gv. 7, I 5 ? Dal punto di vista linguistico il v. 23 è lucano. Sia i giudei sia i greci conoscono questo «detto» (Str.n

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Bill., Euripide fr. 1 071; Cicerone, Lettere ai familiari 4, 5,5). È tipico di Luca che la promessa di salvezza ai poveri si adempia in miracoli (v. a 4,3 1 -44, intr.; 7,2 1). Con questo Luca passa già ai vv. 2 5 -27, che ri­ prende dalla tradizione facendoli precedere da «in verità» (la sua tra­ duzione di «amen»). Ciò è in evidente contraddizione con le guarigio­ ni effettuate a Nazaret narrate da Mc. 6, 5 . Per Luca il conflitto vero e proprio scoppia solo a motivo della positiva valutazione dei pagani, pre­ sente già in Mt. 4, 1 5, e che presumibilmente appartiene al modello (cf. a 8,39). Ev. Thom. 3 I recita: «Un profeta non è gradito nella sua patria, né un medico guarisce coloro che lo conoscono». Si tratta di un'ana­ logia secondaria e illogica, già indipendente da Luca. Luca ha omesso Mc. 6, 1 -6, dunque consapevolmente ha premesso all'operato di Gesù quest'altra versione. Come il Battista in 3,4-9 era stato introdotto da un'ampia citazione di Isaia, così avviene ora anche per Gesù. Alla predicazione del giudizio imminente del primo corri­ sponde quella dell'esperienza di grazia del secondo (cf. anche a 3,1 -4, 30). Così facendo Luca riprende una tradizione applicata all'operato profetico escatologico di Gesù ( 1 QS 9, 1 1 ) (vv. 1 8.24.2 5-27.29; cf. a J, I 5-20, conci.), ma in modo tale che il compimento escatologico che tut­ to sconvolge è messo in risalto dalla predicazione di Gesù, dal suo ac­ cenno ai pagani, dall'attacco di cui è vittima e dal suo prodigioso sal­ vataggio. Egli viene attaccato perché rivela già la propria intenzione di dirigersi altrove (a differenza di Mc. 6, 1 -6). Come la narrazione ha ini­ zio quando Gesù si «alza» (lo stesso termine che «risorgere»}, così si conclude quando è il popolo ad alzarsi contro di lui. In tal modo si al­ lude alla sorte di Gesù, ma anche a quella degli apostoli, caratterizzata da un analogo succedersi di reazione positiva, rifiuto, missione ai pa­ gani, cacciata (Atti I 3,4 5 - 50, cf. 40 s., inoltre cf. a Le. 1 1 ,49 ed excur­ sus dopo 22,30, b2). L'insuccesso in entrambi i casi non dimostra af­ fatto impotenza da parte di Dio. La storia della salvezza include sia la ribellione dell'uomo sia la grazia di Dio che ci guida a lui. Per questo Luca ritiene di fondamentale importanza sia l'interpretazione positiva di Is. 6 1 , 1 s. (in ebraico senza la guarigione dei ciechi) che la promessa fatta ai pagani (cf. a 8,26). 14-30. Lo Spirito che ha guidato Gesù mentre era nel deserto lo con­ duce ora dagli uomini. Ogni cosa avviene a suo tempo e sotto la guida di Dio. Diversamente dal Battista Gesù non aspetta che siano gli uo-

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tnini a recarsi da lui. «Nella potenza dello Spirito» (v. a 4, I } fa ritorno i n Galilea {2, 5 I !). Ovunque si parla di lui e del suo «insegnamento», non dell'annuncio del regno di Dio imminente (Mc. I, I 5 ). Come mostra il v. I 6, si pensa al servizio del culto, non allo studio delle Scritture in un locale apposito della sinagoga. Poiché si potevano immolare vitti­ nlc sacrificali solo nel tempio di Gerusalemme, la sinagoga con il suo puro culto della parola di Dio si era diffusa forse sin dall'esilio babi­ lonese e comunque certamente a partire dal III/II sec. a.C. rendendo possibile la sopravvivenza del giudaismo dopo la distruzione del tem­ pio. Inserito in una cornice di preghiere e benedizioni, il culto sinago­ gale ha al suo centro la lettura della legge, che al tempo di Gesù dove­ va già seguire regole fisse (di solito i lettori erano più d'uno}, mentre la lettura dei profeti si poteva ancora scegliere liberamente. Il testo e­ braico viene tradotto in aramaico, la lingua corrente, e spesso spiegato da una o più persone. Ogni uomo - le donne non sono ammesse può offrirsi per tale compito alzandosi in piedi (anche 1 Cor. I4,3 o); di regola però ci si accorda in precedenza chiedendo a qualcuno di prestarsi a tale servizio (Atti I 3,1 5). Per la spiegazione ci si rimette se­ duti (v. 20). L'iniziativa personale di Gesù dimostra la singolarità di quanto accade. Tutti e sei i racconti del sabato (v. a I J , I 0- 1 7) in Luca sfociano in una disputa; proprio per questo egli, ricorrendo a un'e­ spressione dei LXX (anche Atti I 7,2}, sottolinea l'abitudine di Gesù di partecipare al culto, negando così che egli disprezzasse la regolare rou­ tine della predicazione, cosa che trova riscontro nella devozione delle due coppie di genitori in I, 5-7 e 2,22-24.27b. Dio interviene con il suo nuovo modo di parlare là dove ci si attende che sia la sua parola, per quanto imperfetta e discutibile possa essere l'azione della sinagoga co­ me della chiesa. Dio resta fedele a se stesso e alla sua alleanza, ed è la vecchia parola d'Israele ad annunciare la nuova. Ma la frattura diviene visibile. La questione è se Israele abbia compreso questa vecchia paro­ la. La scelta del rotolo e verosimilmente anche del testo non spetta a Gesù. «Cristo» non è impiegato da Luca solo come nome proprio. Si­ gnifica «l'Unto», come è qui spiegato (cf. a 4, I e Atti 4,27; I O,J 8). 4,43 c Atti 10,3 8 appoggiano la traduzione proposta sopra, anche se si po­ trebbe scandire pure in questo modo: « ha unto per ... Mi ha inviato per... ». La liberazione di /s. 6 I , I s. (citato anche in 1 QH 1 8, 1 4 e Barn. 14,9) già in 1 1 QMelch è messa in relazione con la proclamazione del­ l'anno santo di Lev. 2 5, 1o; Deut. I 5,2, ed è attesa da «Melchisedek», che •••

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sebbene non sia esattamente un essere celeste ( I I QMelch I O s. parla di giudizio di Dio) tuttavia è una figura di sommo sacerdote superiore al re (rigo 5 s.), escatologica (4), consacrata in spirito (I 8), sostenuta dagli angeli (I4). /s. 6 1 , 1 s. è quindi già interpretato in senso esca­ tologico messianico. Ma da qui a concludere che il 26/27 d.C. sia stato celebrato come anno santo e che a ciò alludesse Gesù ci vuole molta fantasia. Per prima cosa si ha la predicazione di salvezza rivolta ai po­ veri, che si addice a 6,20 e alla concezione di Gesù come profeta (v. so­ pra, intr.). Per Luca perciò è particolarmente importante l'aggiunta di /s. 5 8,6 «per rimettere in libertà (medesimo termine anche per «remis­ sione, perdono») gli oppressi», che Gesù non avrebbe potuto trovare nel testo di Is. 6 I, I s.; Gesù non solo ha annunciato la remissione dei peccati e la libertà (come il Battista, 1 ,77; 3,3), ma le ha portate (v. a 24,47). La prima parola che sentiamo pronunciare da Gesù adulto è «oggi». Secondo Mc. I, I 5 il «tempo» è compiuto, ha cioè avuto inizio il tempo escatologico; per Le. 4,2 I a essere adempiuta è invece la Scrit­ tura, e questo in un giorno ben preciso, a cui è possibile fare riferimen­ to. Il particolare evento divino è dunque limitato agli anni della vita di Gesù, per cui non è «escatologico, del tempo ultimo», bensì piuttosto «del tempo intermedio» ? Eppure si adempie «nelle vostre orecchie», cioè in modo tale che gli uomini possono fare l'esperienza della parola di Gesù come salvezza. Ciò non è così ovvio: l'oratore ·non sembra poi tanto all'altezza del proprio discorso, né è pronto a dar prova del­ la propria peculiarità. L' «oggi» rappresenta perciò al tempo stesso il momento dell'irrevocabile decisione in favore di Dio, cf. excursus do­ po 30, a. Che poi la Scrittura si adempia nell'operato e nel destino di Gesù è patrimonio comune dei cristiani. La passione viene infatti rac­ contata impiegando espressioni dei salmi (v. a Mc. I 5,22-24, intr.), men­ tre gli esperti cristiani della Scrittura trovano sempre nuovi passi che alludono a Gesù (excursus a Mt. 7, I 3 -23 [3]). Che il regno di Dio di­ venti realtà presente nell'operato di Gesù è già detto in Mt. I 2 , 2 8 (Q), in maniera più velata anche in Mt. I 1,2-6 e nella predicazione in para­ bole di Gesù. Presupposto comune è sempre che gli uomini si lascino indurre dalle azioni e dalle parole di Gesù a domandarsi cosa sia venu­ to a fare (v. a Mc. 4,3 5-4 I , conci.) sino a farsi dare da lui stesso la ri­ sposta, senza tuttavia riuscire davvero a comprendere razionalmente il mistero di Dio {v. excursus a Mc. 4, I -9) . Qui Luca (come Giovanni) mette tale comprensione in più diretta relazione con la persona e i di-

Le. 4, 1 4-30. La programmatica predicazione inaugurale di

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scorsi di Gesù, ma anche per lui la comprensione «nelle orecchie» del­ la gente resta un miracolo di Dio. Essa è ostacolata anche dal fatto che la gente loda le «parole del garbo» (con articolo !) di Gesù, facendolo quindi rientrare nella norma. Lo stesso termine, con l'aggiunta «di Dio», indica in Atti 14,3; 20,24.3 2 la «grazia», più esattamente la «com­ piacenza» davanti a Dio gratuitamente donata all'uomo (cf. 2,40. 5 2). l .c parole di Gesù quindi «piacciono» a Dio e agli uomini, sebbene per n1otivi diversi: i nazareni vi scorgono soltanto abilità retorica. Deut. 8,3 parla in termini analoghi della parola «che esce dalla bocca del Si­ gnore» (cf. Mt. 4,4; non citato in Le. 4,4). Luca omette il netto rifiuto di Mc. 6,3 e descrive una sorta di consenso non impegnativo o addirit­ tura capace di fraintendere (come Atti 1 3,42; 14, 1 1 - 1 3 ; 1 7, 1 1 . 1 9-2 1). Nulla fa pensare che i nazareni avrebbero preferito ascoltare la lettura del «giorno della vendetta» (sui pagani) di /s. 61,2 che Gesù invece non legge. Tuttavia tale comportamento del popolo è di per sé un ri­ fiuto prima ancora che sia espresso a parole (cf. il futuro «direte»). Gesù ovviamente non si reca a Cafarnao prima del v . 3 r a; tuttavia è difficile che Luca abbia in mente una reazione successiva che segua a 4,3 1 -4 1 né ce la racconta; tralascia anzi addirittura l'intenzione di ri­ condurre Gesù a Nazaret (Mc. 3,2 I ) (v. a 8, I9-2 1 ). Il v. 23a vuole solo introdurre le parole tràdite dei vv. 24 e 2 5 -27 (v. a 3 , I -4,30). Solo la r arola di Gesù svela che non basta semplicemente meravigliarsi di lui. E negata una dimostrazione che renda superflua la fede (v. a Mc. 8, 1 I ­ I J ), tanto più che già in Deut. I 3,1-3 è scritto che non è il segno pro­ digioso a decidere se uno è profeta del Signore o meno, ma il contenu­ to del suo annuncio. I tre anni e mezzo (anche Giac. 5 , I 7 s. contro 1 Re 1 8,1; cf. Str.-Bill. 111, 760 s.) includono forse anche l'estate, che è normalmente siccitosa (tuttavia v. excursus dopo 2,3 8, verso la fine). >, così qui alle molte cose si contrappone l 'unica indispensabile, ovvero l'ascolto della parola di Gesù, che nutre in tutt'altro modo. Solo così si indica cosa «ha scelto» Maria al contrario di Marta, e solo così di­ venta comprensibile l'espressione «c'è bisogno» (non: è sufficiente).

Le.

1 1 ,I-I J . La chance della preghiera

I 83

Per quanto Gesù sia qui destinatario del servizio umano, tuttavia fondamentalmente è sempre lui quello che serve ( I 2,3 7; 22,27). Perciò ancora non basta che accanto all'amore per il prossimo (29-37) com­ paia anche quello per Dio (3 8-42). L'unica cosa indispensabile è il ser­ vizio di Gesù come fonte d'ogni agire. Accogliere lui (anche I 9,6) si­ gnifica accogliere la sua parola {8,I J; Mc. 4,2o) e !asciarsene guarire. 1 9, I - I o mostra che questo non ha nulla a che vedere con una mistica passiva in opposizione all'agire attivo; si tratta piuttosto di un operare che ha origine dall'ascolto e nel quale Gesù possa divenire Signore. La chance della preghiera,

I I,I-IJ

(cf. Mt. 6,9- I J ; 7,7- I I )

r E avvenne che, mentre pregava in un luogo, quand ' ebbe finito uno dei suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. z Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre, . sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, 3 dacci giorno per giorno il nostro pane per il giorno ven tu ro , 4 e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a chi è nostro debitore, e non ci indurre in tentazione. s Ed egli disse loro: Chi tra di voi avrà un amico e andrà da lui a mezzanot­ te e gli dirà: Amico, mi servono tre pani, 6 perché è arrivato da me un ami­ co in viaggio e io non ho nulla da offrirgli, 7 e da dentro quello risponde­ rebbe e direbbe: No n importunarmi; la porta è già sprangata e i miei figli sono a l�tto con me, non posso alzarmi a darteli ? 8 Io vi dico: E se anche non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua insistenza fi­ nirà per alzarsi a dargli quanto gli serve. 9 E io vi dico: Chiedete, così vi sarà dato; cercate, così troverete; bussate, così vi sarà aperto; Io perché chiun­ que chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto; I I quale padre tra di voi se un figlio gli chiede un pesce - gli darà invece del pesce un ser­ pente? I 2 o se gli chiede un uovo - non gli darà certo uno scorpione? I 3 Se allora voi, che siete cattivi, sapete dare doni buoni ai vostri figli, quanto più il Padre dal cielo darà lo Spirito santo a quanti glielo chiedono!

1-4. La condotta raccomandata in I 0,42 è illustrata in I I , I - 1 3 come invito a pregare. Il materiale tratto da Q dei vv 2-4 e la parabola lie­ vemente modificata dei vv 9- I 3 sono stati in epoca prelucana comple­ tati ai vv 5-8 con un'altra parabola che introduce bene i vv 9 s. Al.

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Le. I I , I - I J . La chance della preghiera

l'indicazione specifica di come pregare segue così quella più generale, incorniciata da due parabole. Per il Padrenostro v. a Mt. 6,7- I 3 . L'in­ troduzione del v. I proviene da Luca, per il quale è importante che la preghiera di Gesù sia la fonte di ogni preghiera dei suoi discepoli (v. a 6,I 2). Che «uno qualsiasi» all'interno o all'esterno della cerchia dei di­ scepoli (anche 9,57; 1 1 ,1 5; 2 1 , 5 .7 sempre contro Mc. o Mt. ; cf. 1 0,2 5 ; 20,27 ) ponga una domanda, direttamente o tramite un suo comporta­ mento, provocando in tal modo l'ammaestramento di Gesù, è tipico di Luca ( 1 1 ,27.45; 1 2, I 3 .4 1 ; I J , I .23.J I ; 1 4, I 5; 1 5,2; 1 6, I 4; 1 7, 5 . 20; 1 8,9; I9, 1 1 .39; 22,24.49; 23 ,27). Ciò è dovuto alla convinzione che, come Paolo scrive le sue lettere in risposta a problemi pratici, così Gesù non sale in cattedra per insegnare verità universali ma vuole aiutare a vive­ re meglio uomini concreti, in situazioni determinate. Astratte dal con­ testo le sue verità possono diventare false: 10,3 7 non è rivolto a Marta, né I 0,42 al dottore della legge. Al contempo Luca sottolinea analogit· e differenze rispetto ai discepoli di Giovanni (cf. a 3, 1 5 -20, conci., c 5,3 3) senza però tacciarli di eresia. Anche Atti 1 8,25; 19, 1 -3 vedono in loro dei potenziali cristiani, pur ribadendo che non devono limitarsi a rimanere tali. Evidentemente ciò ha grande importanza all'epoca di Lu­ ca. Nella forma lucana le prime tre richieste (in successione inversa) si contrappongono alle tre tentazioni di Gesù {4, 1 - 1 2), e l'ultima corri­ sponde alla loro conclusione (4, 1 3). I discepoli di Gesù devono essere preservati dalla tentazione, così come devono confermare la loro fede in tentazioni di ogni tipo (v. a 4, 1 3 ). A Luca preme che la comunità vi­ va dell'insegnamento di Gesù sulla preghiera e che tutta la sua vita ne sia permeata; perciò la preghiera si rivolge ai grandi obiettivi di Dio co­ me alla vita di tutti i giorni nella sua routine quotidiana (cf. a 9,23). s-8. La parabola (vv. 5-8) è concepita interamente come domanda ( 5 -7; cf. a Mt. I 2, I 1) e risposta (8). Alla condotta di colui che chiede ( 5 a) corrisponde nella risposta quella dell'amico (8b), al discorso del richiedente (5b.6) quello (inatteso) dell'amico (7). La successione tipi­ camente semitica di più coordinate introdotte da «e» (in luogo di frasi subordinate, causali e avversative) difficilmente sarà da attribuire a Lu­ ca. La parabola, come i vv. 9- 1 3 ( 1 3 b espresso in modo esplicito) riba­ disce l'aspettativa fiduciosa del richiedente. La domanda posta all'ini­ zio sottolinea la certezza di ricevere aiuto: in fondo si parla di un ami­ co, non di un qualsiasi vicino di casa; negozi non ce n'è di sicuro. Tre pani rappresentano la razione normale. Il futuro «avrà» (v. 5 ), non del

Le.

1 1, 1 - 1 3. La chance della preghiera

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tutto corretto, rimanda forse come quello del v. 8 a situazioni prossi­ me venture, nelle quali saranno i discepoli di Gesù a fare tali richieste. La domanda (v. s a) invita a identificarsi con il richiedente: suonerebbe infatti ben strana la traduzione «e questi (l'amico in difficoltà) va da lui ... ». Tuttavia la frase conclusiva parla solo dell'amico che finisce per dare «tutto il necessario». Anche la domanda del v. I I riguarda la perì sona che dà. Questa consapevolezza rassicura il richiedente: Dio è pre­ sente per coloro che sanno quanto hanno bisogno di lui. Nel v. 8 tale certezza è motivata dall'insistenza della richiesta (come I 8, I -8, v. ad loc. ; 2 1 ,36 S?). Nella parabola in sé comunque non si parla di bussa­ re «ripetutamente». Nel v. 8b allora l'accento si sposta sull'ammoni­ mento, che certo non avrebbe senso senza la fiducia nell'amico, a me­ no che non si traduca, in riferimento a quest'ultimo: «per non restar là in piedi spudoratamente», traduzione a mala pena possibile dal punto di vista linguistico e inadeguata quanto al contenuto. 9- 13. I vv. 9 s. 1 3 sono ripresi quasi alla lettera da Mt. 7,7- 1 I {v. ad loc.), ma il contesto lucano è tutto incentrato sulla preghiera; in Mt. (), r - I 8 tale tema si affianca a quelli dell'elemosina e del digiuno, e in 7,7-1 I ad altre esortazioni che sono riassunte nel comandamento del­ l'amore per il prossimo di 7, 1 2. La frattura interna alla frase (in I I a soggetto è prima il figlio, poi il padre) mostra quanto l'inserimento del «padre» sia importante per il narratore (prelucano ?). Luca nomina lo Spirito santo (v. 1 3) perché per lui rappresenta il «bene>> (così Mt. 7, 1 I ) (cf. a J,2 I s.) e perché conosce l'ambiguità di ogni «bene» ( I 2, 1 8 s.; I 6,2 5; diversamente 1,5 3)- Nel dono dello Spirito è riassunto tutto quello che in gioia, forza, coraggio nella testimonianza e quindi nella vita è donato alla comunità di Gesù. =

Con questo la preghiera perché venga il regno di Dio (v. 2 ), che a differenza dello Spirito santo non è ancora giunto, è incentrata con maggior forza su ciò di cui la comunità avrà bisogno nelle tentazioni che dovrà affrontare (cf. a 4, 1 3; 22,28 ) che non sul «vieni, o Signore» (1 Cor. I6,22; Apoc. 22,20; cf. a Le. I 8,8 ) . All'esperienza del rapporto con i propri genitori (v. 1 I ) si affianca quella con gli amici (v. 5); en­ trambe incoraggiano a pregare e fanno sperare in una benevola rispo­ sta di Dio. Le due parabole sembrano esporre concetti scontati, ma solo a condizione che Dio si sia fatto «amico» e «Padre» dell'uomo. Perciò è possibile ascoltarle solo dalla bocca di Gesù. Come la pre-

1 86

Le.

I I , I4f.-36.

La chance dell'incontro con Gesù

ghiera propria di Gesù (v. 1 ), anche la preghiera dei discepoli può ac­ compagnare costantemente la loro nuova vita (v. 8; 1 8, 1 ). Dio le apre anche nuove vie (Atti 1 , 14.24; 6,6; 8, 1 5; 1 0,9; I J,J). In tal modo questa per ic ope coinvolge i disc epoli e quindi anche i lettori non solo nella vita di Gesù con Dio ma perfino nell'operare di Dio sulla terra. La chance dell'incontro con Gesù, 1 1, 14-36 (cf. Mc. 3,22-27; 4,2 1 ; Mt. 5,1 5; 6,22 s.; 1 2,22-JO.J S-45)

E scacciava u n demonio, e questo era muto. Avvenne però che, quando il demonio uscì, il muto si mise a parlare. La folla si meravigliò. 1 5 Alcuni di loro dissero: Scaccia i demoni per mezzo di Beelzebul, il capo dei demo­ ni . 16 E altri, per metterlo alla prova, esigevano da lui un segno dal cielo. 1 7 Ma egli conosceva i loro pensieri e disse loro: Ogni regno che è diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra. r 8 Ma se anche Satana è di­ viso in se stesso, come si reggerà il suo regno ?, poiché voi dite che io scac­ cio i demoni con Beelzebul. 1 9 Ma se io scaccio i demoni per mezzo di Be­ elzebul, per mezzo di chi li scacciano i vostri figli? Perciò essi saranno i vo­ stri giudici. 20 Ma se io scaccio i demoni per mezzo del dito di Dio, allora il dominio di Dio è giunto su di voi. 21 Quando il forte sorveglia ben ar­ mato il suo palazzo, quanto gli appartiene è in pace. 22 Ma se arriva uno che è più forte di lui e lo vince, gli strappa via l'armatura nella quale aveva confidato e spartisce il suo bottino. 23 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. 24 Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si aggira per steppe desolate in cerca di riposo e non lo trova. Dice: Tornerò nella mia casa da cui sono uscito, 25 torna e la trova spazza­ ta e adorna. 26 Allora vi entra e prende altri sette spiriti che sono peggiori di lui; ed essi entrano e vi alloggiano; e la fine di quest'uomo è peggiore dell'inizio. 27 Ma avvenne che, mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai succhiato. 28 Ma egli disse: Anzi, beati coloro che ascoltano e custodisco­ no la parola di Dio. 29 E mentre la folla si radunava cominciò a dire: Que­ sta generazione è una generazione malvagia; esige un segno, e non le verrà dato segno alcuno fuorché il segno di Giona; 30 infatti come Giona diven­ ne segno per gli abitanti di Ninive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. 3 1 La regina del meridione sorgerà nel giudizio insie­ me agli uomini di questa generazione e li condannerà; perché ella venne dai confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone, ed ecco, qui c'è più di Salomone. 32 Gli uomini di Ninive si leveranno nel giudizio con que­ sta generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono, ed ecco, qui c'è più di Giona. 33 Nessuno prende una luce 14

Le. I I , 1 4-3 6. La chance dell'incontro con Gesù

I 87

la mette in cantina o sotto il moggio o sotto il letto, ma sul lu cern ier e, affinché quelli che entrano vedano lo splendore. 34 Il lume del corpo è il tuo occhio. Se il tuo occhio è limpido anche tutto il tuo corpo è luce. Ma se è malvagio, anche il tuo corpo è oscuro. 3 5 Guarda dunqu e che la luce in te non sia tenebra. 3 6 Se dun qu e tutto il tuo corpo è luce e non ha alcuna part� oscura, sarà tutto luce, come quando la lucerna ti illumina con il suo raggto. e

31

r

Re

I O, I - I J . 3.2. Gion. 3 ·

I 6-%%:1n opposizione allo Spirito santo compare lo spirito immon­ do (vv. 1 3/1 4) che Gesù scaccia con il dito (Mt. : Spirito) di Dio. Al pretesto {14) corrispondono esattamente il rimprovero ( 1 5) e la do­ manda con Gesù replica {v. I9), alla quale devono rispondere i suoi stessi avversari. Seguono quindi, come in Mt. I 2,28-30, la risposta po­ sitiva (2o), l'allusione, racchiusa nell'immagine del forte, a quanto re­ almente sta accadendo in Gesù (2 1 s.) e l'avvertimento (23). Le parole sul ritorno dello spirito immondo probabilmente avevano questa col­ locazione già in Q (v. a Mt. 1 2,43-45, intr.). I vv. 27 s. sembrano essere un'aggiunta lucana, mentre 29-3 2 e forse anche 3 3 -3 6 facevano già parte di Q. In aggiunta a Mt. 1 2,22-28 (v. ad loc. ), nel v. 1 6 (Mc. 8, I 1 ) Luca prepara già ai vv. 29-32 (Q), vedendo il tutto come un'unità fino al v. 36. Gli preme molto la condotta di massima del popolo (entram­ be le volte non dei farisei, Mt. 1 2,24·3 8) (cf. v� 23). Oppure in Q era già presente una frase simile, forse persino l'espressione «in se stesso» del v. 1 7, così vicina a Mc. 3,24 ? L'immagine è più unitaria rispetto a Mc. 3,24 s.; Mt. 1 2,2 5; co n la disfatta del «regno» crollano anche le «case». Il v. I 8b, con la sua buona costruzione greca, risale certo a Lu­ ca; per il v. 20 v. a Mt. 1 2,28. Rispetto a Mc. 3,27 (v. ad loc. ) i vv. 21 s. sono fortemente rielaborati, il che deve risalire già a Q (v. a Mt. 1 2,29, intr.). Ne è segno anche il più stretto accostamento del v. 22 fine a fs. 49,2 5; 5 3 , 1 2, mentre Luca solitamente preferisce evitare eco siffatte (v. a 23,3 5). Qui a essere fatto prigioniero non è più un padrone di casa ma un castellano armato (in Is. 49,2 5 un gigante), i cui beni vengono poi spartiti. In tal modo risulta ancora più accentuata la richiesta che venga uno (senza articolo!) ancora più forte che con la suà «vittoria» instauri la «pace» superando la falsa fiducia nel possesso. %3-%8. La questione decisiva allora è: su cosa si «fa affidamento» (22). ciò che sembra dare sicurezza tangibile, oppure su quel «dito di Dio» che il salmista scorge nella creazione (Sal. 8,4), lo storiografo nel

I 88

Le.

I I , 1 4-36. La chance dell'incontro con Gesù

destino storico di Israele (Es. 8, 19), per il cui intervento però si pu>, che però si ritrova nel vangelo nel suo complesso. La lo­ gica dei vv 47 s. non è molto chiara. Si vantano del culto che riserva­ no ai profeti invece di fare penitenza? O s'intende piuttosto dire che non prestano loro ascolto, o addirittura che con la loro interpretazio­ ne ormai esanime edificano le tombe dei profeti o venerano profeti mor­ ti, in una religione che ormai coltiva solo il sacro passato ? In modo si­ mile anche Atti 2,29-3 I esorta a lasciare la tomba di Davide per vol­ gersi a ciò che egli come profeta aveva predicato: la risurrezione di Gesù. Questo diviene ancora più palese nei vv 49- 5 1 . I vv . 50 s. parla­ no di profeti vissuti nel periodo compreso dal canone veterotestamen­ tario. Luca però ribadisce che con la persecuzione di Gesù ( I 3 ,3 3 ) e dei suoi apostoli ( I I ,49; cf. a 6, I 3 ), che sono totalmente uniti a lui, si è raggiunto l'apice, il giudizio, che per Luca è la distruzione di Gerusa­ lemme. Quanto Mt. 23 ,34-39 prediceva che sarebbe accaduto alla fine dei tempi, s'è già adempiuto (v. a I J ,J 5). Essi subiranno la sorte dei profeti (cf. a I J,J J). Appartenendo al gruppo dei perseguitati e non dei persecutori Gesù può dire i «vostri» padri (v. 47) . Il v. 5 2 pone vo­ lutamente alla fine la questione della retta conoscenza (della Scrittura) (cf. 1 QH 4, 1 1 ) . Per chiave si intende quella che schiude la via alla retta conoscenza, oppure quella che è data dalla conoscenza e consente l'ingresso nel regno di Dio ? La seconda ipotesi è la più probabile (come Mt. 2J, I J , v. ad loc. }, infatti l'immagine dell'«ingresso nella co­ noscenza» sarebbe piuttosto insolita; ma il logion è talmente abbre­ viato da essere diventato di difficile comprensione. Luca conclude la pericope con un'osservazione riassuntiva sull'ostilità di scribi e farisei - che comunque non eguaglia quella di Mc. 3,6 (v. a Le. 6, 1 1 ) sia che si traduca «molestare duramente» sia «prendere di mira» (entrambe le traduzioni sono legittime) - e con un monito a guardarsi da loro. Per lo scambio d'interlocutore tra discepoli e popolo v. a 6,2oa. La parola «anzitutto» significa anche «per prima cosa» e potrebbe far parte della premessa. «A migliaia», come in Flavio Giuseppe (e Atti 2 1,20) non è da prendere alla lettera. «Ipocrisia» (cf. a Mt. 6,2) originariamente si ri­ feriva senza dubbio a una falsa dottrina (anche Mc. 7,6 e ancora 1 Tim. .

.

I 94

Le. 1 1 ,3 7-1 2,1 . Controversia con farisei e seri bi

4,2). Qui è sottinteso, come pure in 1 3 , 1 5; ma in 1 1,56 (e 6,42 Q; an­ che 1 Pt. 2, 1) l'ipocrisia non è riscontrata soltanto nei farisaici avver­ sari di Gesù. Luca ha in mente piuttosto un modo di vivere incoerente nel quale la fede non pervade ogni cosa ( 1 I,34-3 6), oppure la contrad­ dizione tra il dire e il fare, che impedisce all'uomo di vivere nella sua interezza (cf. anche Giob. 34,30; 36, 1 3 LXX). All'osservanza puramente esteriore di determinate regole Luca con­ trappone una vita che abbracci tutto l'uomo nella sua globalità, senza tuttavia propagandare soltanto un atteggiamento spirituale, interiore. Dev'essere una vita che si esprime in offerte di denaro (4 I ), nella ri­ nuncia a far carriera (43), insomma nell'impegno a rispettare il diritto dell'altro e nell'amore per lui (42). L'accusa di «ipocrisia» (Mt. ) man­ ca, ma viene riproposta in I 2, I , e il v. 44 descrive la condizione del­ l'uomo nel quale non è più possibile (né a lui né agli altri) individuare alcunché di male nascosto. Che in fondo si tratti della corretta inter­ pretazione di tutta la Scrittura è sottolineato dal coinvolgimento dei dottori della legge. Sono loro a impedire la retta comprensione dei pre­ cetti, che non sono stati imposti all'uomo per opprimerlo (46) bensì per schiudergli il regno di Dio (5 2). Questa comprensione della Scrit­ tura sarà possibile solo quando Gesù e i suoi messaggeri percorreran­ no la stessa strada dei profeti perseguitati e uccisi (47- 5 1). In ciò non v'è assolutamente nulla di antisemita. Luca riprende anzi una massima giudaica (v. a Mt. 23,34- J 6, intr., e 29 s.), e la medesima accusa ricorre an­ che in 2 Esd. 9,26; Iub. I , I 2 e in testi rabbinici posteriori: Pesiqta Rab­ bati I 3 Sa: «Abbiamo ucciso i nostri profeti e trasgredito tutti i precet­ ti ... »; 1 46a: «Io (Sion) ho ucciso i profeti ... »; I 5 3 b: «Quanti inviati {i profeti) vi ho mandato e voi non li avete ascoltati». È una confessione di colpa da parte d'Israele che invita alla conversione perché ora è sta­ to raggiunto l'apice e Dio si volgerà con la sua grazia a Israele conver­ tito. Così, con estrema chiarezza, si fanno due affermazioni: che Dio porterà a compimento la sua salvezza in Israele; che ciò non sarà do­ vuto a una particolare devozione da parte d'Israele, anzi, contro ogni logica spetta a un popolo sempre peccatore. L'accusa allora mette in risalto la speciale elezione d'Israele, attendendosi da esso conversione e salvezza (cf. già Deut. 4,25 -3 I ; anche Zacc. 1 ,2-4, la struttura di Bar. LXX [preghiera di penitenza - predica di conversione - lode del tem­ po salvifico] e 4 Es d. 7, 1 27- 1 3 1). Lo stesso avviene in Atti 2,23 s.3 6.3 8;

Le.

12,2- 1 2.

Discepolato senza paura

195

3, 1 5 . 19; 4, 10. 1 2; 5,30 s.; 7,5 2 (discorso sconnesso); 1 0,39 s.; 1 3 ,27-JO. L'invito alla conversione, valido per i giudei della Palestina e in ma­ niera diversa anche per i pagani ( 14,1 5; 1 7,JO) non è certo rivolto e­ splicitamente a timorati di Dio e giudei della diaspora; comunque per Luca non esistono persone che non debbano convertirsi, cf. retrospet­ tiva, 1 . La crocifissione di Gesù a opera d 'Israele e la sua risurrezione, con la quale Dio si volge ancora una volta al suo popolo, esortano alla conversione prima lo stesso Israele e poi tutte le altre nazioni. Così il cammino di Gesù verso la croce, che porta a termine la storia di Dio con i profeti, acquisisce significato salvifico in quanto chiamata alla conversione (cf. excursus dopo 22,JO, b2.3). Discepolato senza paura,

1 2,2- 1 2

(cf. Mt. 10,22-33; 1 2,3 1 s.; 10,19 s.; Mc. I J,I I ) 2 M a non vi è nulla d i occulto che non sarà rivelato, e nulla di nascosto che

non sarà conosciuto. 3 Pertanto tutto quello che avete detto nelle tenebre sarà ascoltato nella luce, e quello che avete detto all'orecchio nelle camere sarà proclamato sui tetti. 4 Dico a voi, amici miei: non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non hanno più possibilità di fare altro. s Ma vi voglio mostrare chi dovete temere; temete colui che dopo aver ucciso ha il potere di gettare all'inferno. Sì, io vi dico: costui temetelo. 6 Cinque pas­ seri non sono forse venduti per due soldi, eppure non uno di essi è dimen­ ticato da Dio. 7 Ma anche tutti i capelli della vostra testa sono contati. Non temete, voi valete molto più dei passeri. 8 Io vi dico: chiunque mi confes­ serà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo confesserà davanti agli angeli di Dio. 9 Ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinne­ gato davanti agli angeli di Dio. 10 E chiunque dirà una parola contro il Fi­ glio dell'uomo sarà perdonato. Ma a chi bestemmierà lo Spirito santo non sarà perdonato. 1 1 Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe e alle au­ torità e a tutto il resto, non preoccupatevi di come o di cosa parlare a vo­ stra difesa o (cosa) dire, 1 2 perché proprio in quell'ora lo Spirito santo vi insegnerà cosa dovrete dire. Il monito espresso all'imperativo (v. 1 , che per contenuto conclude 1 1,37-54) è seguito dalla sua motivazione in due doppie frasi parallele, in cui dall'affermazione generale (v. 2) si passa all'apostrofe (v. 3). Un nuovo monito all'imperativo, sviluppato in negativo (v. 4) e in posi­ tivo (v. 5 ), è motivato a sua volta da un'affermazione generale (v. 6) e da un'altra formulata alla seconda persona plurale (v. 7). Seguono poi

I96

Le.

I .z.,.z.- I .z.. Discepolato senza paura

quattro «sentenze», di cui le due positive {vv. 8 . Ioa) sono introdott>, il secondo dallo stesso Gesù (4a). In entrambi i casi segue la domanda con Gesù replica e la sua risposta ammonitrice, con leggere variazioni stilistiche. Al posto dei galilei subentrano gli abitanti di Gerusalemme. In tal modo la pa­ rabola dei vv. 6-9 riceve già una spiegazione. Questo accade anche per Le. I0,29.3 7; I 1,9; 1 2,2 1 (4 1 ); 1 6,9- 1 3 ; 1 8, I 4h; particolarmente tipica di Luca è una frase riepilogativa posta all'inizio: 1 2, 1 5 ·3 5; I 5,1 s.; I 8, 1 .9; 19, 1 1 . Nella parabola la presentazione delle circostanze (6) è seguita dalla conclusione tratta dal padrone (7). L'obiezione del vignaiolo (8) lascia ancora aperta l'opzione tra due possibilità. 1-9. Alla base del v. 1 vi è l'eterna questione della giustizia di Dio; per questo motivo non è precisato né chi è stato a porre la domanda né in qual e momento. Inoltre no n è solo a chi lo aveva interpellato che Gesù risponde, bensì a «loro» (v. al v. 23). Giuseppe, Ant. 1 8,8 s-87 narra di samaritani che si recarono al santuario e furono trucidati per ordine di Pilato, ma solo dopo la morte di Gesù e sul monte Garizim. Al contrario in I 8,60-62 si riferisce di una manifestazione giudaica a Gerusalemme, all'incirca all'epoca di Gesù, repressa sanguinosamente da Pilato. La risposta di Gesù invalida il dogma secondo il quale a una particolare colpa corrisponde una certa disgrazia, e quindi anche l'opi­ nione per cui è vero, siamo «tutti peccatori», ma non quanto quello o

.2. I O

Le. 1 3 , 1 -9. Tempo per la conversione

quell'altro. Con la sua significativa introduzione, essa respinge la do­ manda degli spettatori e quindi anche la loro spiegazione dell'operato di Dio. Non è l'uomo a dover mettere in discussione Dio o a volerlo salvaguardare presumendo colpe particolari in chi è colpito da disgra­ zie; è Dio a mettere in discussione l'uomo. Si tratta indubbiamente di un'affermazione inedita; chi osa liquidare così ogni differenza senza curarsi di approfondire il grado di devozione ? Anche il crollo della torre non è riportato da nessun'altra fonte; tuttavia il fatto che non se ne verificò alcuno durante la costruzione del santuario (Str.-Bill.) non prova che non sarebbe potuto accadere ad es. durante la costruzione delle mura della città o delle condutture che portavano l'acqua alla pi­ scina di Siloe (Giuseppe, Bell. 5 , 14 5 . 275; Ant. 1 8,6o). L'uomo deve convertirsi proprio a quel Dio che gli pone enigmi insolubili. È a questo che anche la parabola esorta insistentemente. Le. I J,J · 5 pensa certo a una «fine)) come quella dei galilei o degli abitanti di Gerusa­ lemme, ossia a una catastrofe storica come fu la caduta della città. Inoltre la vigna e l'albero di fico sono simboli d'Israele (/s. 5 , 1 -7; Os. 9, 1 o; Mich. 7, 1; Ger. 8, 1 3). Ma chi ha ascoltato i vv . 1 - 5 non può co­ munque più credere che Dio assegni castighi temporanei ed eterni a seconda di quello che uno si merita, per cui ogni disgrazia è la conse­ guenza di una particolare mancanza. In base alla parabola di Gesù non si può perciò attribuire ai giudei di Gerusalemme una colpa specifica. Tuttavia Luca fa parlare Gesù dall'interno del suo tempo predicando verità non generiche; sa infatti che solo in Gesù s'è realizzato questo: che non si emette semplicemente il giudizio sull'uomo (come nell'epi­ sodio dell'albero di fico rinsecchito di Mc. 1 I , 1 2- 14, omesso da Luca), ma che il tempo di Gesù, con tutti i suoi eventi terribili provocati o meno dall'uomo, è un invito alla salvezza. Ciò è illustrato dal dialogo tra padrone e vignaiolo, di cui non abbiamo paralleli in parabole simili (Ahiqar 8,3 5; Str.-Bill. IV, 474)· Già il presente del v. 8 (v. a I6,2J, intr.) indica che il passo è prelucano, probabilmente genuina parola di Ge­ sù. Vi si rivela qualcosa del mistero di Gesù per cui, in virtù dell'offer­ ta di grazia all'uomo, Dio può anche essere contro Dio. Certo questa presenza di Gesù si ripete ogni qual volta egli può rivivere in un uo­ mo (v. a 4,2 1). Perciò questa pericope fa seguito all'invito a tenersi pronti per la ve­ nuta di Dio, rivolto sia ai discepoli (1 2,3 5 - 5 3 ) che al popolo (54- 5 9). Così gli interrogativi dei vv. 2 e 4 interpellano al contempo tutti i let-

Le. I J ,I 0- 1 7. Il sabato, segno della nuova creazione di

Dio

2I I

tori. È detto loro infatti che sebbene Dio non sia esplicabile tuttavia se ne può fare l'esperienza. Il sabato, segno della nuova creazione di Dio,

I J , I 0- 1 7

I o Nei sabati insegnava i n una delle sinagoghe. 1 1 E d ecco, vi era una don­ na che da diciotto anni aveva uno spirito d'infermità ed era tutta incurvata e non era più in grado di raddri zzars i . I 2 Quando Gesù la vide; la chiamò a sé e le disse: Donna, sii liberata dalla tua infermità, I 3 e le impose le mani e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. 14 Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva guarito di sabato, rispose e disse alla folla: Vi sono sei giorni in cui si deve lavorare. Venite dunque in essi per farvi gua­ r i re , e non nel giorno di sabato. I 5 Ma il Signore gli rispose e disse: Ipocri­ ta, forse che ognuno di voi di sabato non slega il suo bue o l'asino dalla greppia e lo porta ad abbeverarsi ? 16 Questa però, che è figlia di Abramo, che Satana ha tenuto legata, ecco, per diciotto anni, non doveva essere sciol­ ta da questo legame nel giorno del sabato ? 17 E quando diceva queste cose «furono svergognati tutti quelli che erano contro di lui», e tutta la folla si rallegrava per tutti i fatti gloriosi che avvenivano per opera su a 17 fs. 45,16. .

Il racconto del miracolo si conclude al v. I J, dov'è presumibilmente Luca a inserire la lode a Dio (v. a 1 7, 1 5 ) . Alla comparsa del soccorri­ tore ( I o) e di chi è nel bisogno con la caratteristica indicazione della gravità del caso ( I I ) seguono guarigione mediante parola e gesto, esito positivo e lode a Dio ( 1 2 s.). Decisiva è però l'obiezione del v. I4, alla quale si replica con altre due domande ( 1 5 s.) che dividono l'uditorio in antagonisti umiliati da una parte e popolo esultante dall'altra. Que­ sto dunque è il punto su cui gravita il testo. Mentre i vv . IO- I J (Gesù che si rivolge a una donna!) e I 7 sono linguisticamente lucani, non lo sono invece i vv. 14- 1 6. Spesso il plurale «sabati» è impiegato invece del singolare, e in origine doveva essere così anche in questo caso. Lu­ ca utilizza sempre il singolare eccetto che nell'espressione «giorno di sabato» di 4, I 6 ( tradizione ?), apportando le dovute correzioni anche a Mc. e a Q ( 6, 1 .7.9; I 4,J - 5 ) . La frase di Mc. 2,24 «perché fanno di sa­ bato quello che non è permesso ?», in cui compare il plurale benché s'intenda unicamente quel giorno in cui i discepoli di Gesù strappava_. no spighe, viene corretta da Le. 6,2 in: «perché fanno quello che non è permesso nei sabati ?» appunto perché Luca riferisce sempre il plurale a più sabati. Così anche in questo racconto in origine doveva esserci il =

212

Le. I J , I 0- 1 7· Il sabato, segno della nuova creazione di Dio

plurale come al v. 10. Luca ha corretto anche l'espressione «giorno di sabato» dei vv . I4- I 6, ma al v. IO ha abbandonato il plurale perché pen­ sa a un insegnamento ripetuto «nei sabati». La domanda tipica di Ge­ sù « Chi tra voi ... ?» (analogamente nel v. I 5 ) in I4, 5 ; Mt. I 2, I I (v. ad loc.) è messa in relazione con la questione del sabato. Poiché né nella comunità primitiva né nel giudaismo le guarigioni di sabato emergono come problema, risaliranno a Gesù stesso, come di certo anche l'argo­ mentazione del v. I 5, che fuori da questo contesto non avrebbe senso e inoltre impiega in senso allegorico il verbo «sciogliere». 1 0- 1 7. Luca s'immagina Gesù che insegna durante (o dopo ?) il cul­ to sinagogale: 4, I 6.3 1 .3 3 (Mc. 1 2 1 .2 3 ); 6,6 (dove «insegnare» è aggiun­ to); cf. Atti I 3, 5 . I4; 1 4,I; 17, 1 s. ecc. Poiché le donne non sono ammes­ se nella comunità sinagogale, era possibile incentrarne una soltanto uscendo. Luca pensa forse che Gesù la chiami a sé dal fondo (v. 1 2) ? L e malattie e la possessione diabolica erano attribuite a spiriti, come nel modo di dire italiano «colpo della strega», dando espressione alla sensazione di un potere superiore contro il quale nulla può l'uomo. L'iniziativa di Gesù (cf. 6,8 Mc. 3,3; I4,3 s.) è ancora più sorpren­ dente nei confronti di una donna (v. a 8,3 ). Non si trova mai una don­ na giudea che chiede aiuto a Gesù (cf. solo Mt. 20,20; Gv. I 1 ,20-22). Piuttosto è Gesù che si rivolge a loro. Luca sottolinea anche il contatto fisico (cf. Sal. 145,I4; 146,8 e v. a Le. 4,39·40) e la lode a Dio (cf. a 1 7, I 5 ) che ha agito per mezzo di Gesù. Decisiva è l'indignazione (cf. 1 5 , 2) del capo della sinagoga (v. a Mc. 5,2 2), che si attiene alla legge, a ciò che ha validità da sempre, senza riconoscere che da parte di Dio sta facendosi strada qualcosa di nuovo. In questo Gesù vede «ipocrisia» (v. a 1 2, 1 ). Abbeverare il bestiame di sabato è stato successivamente consentito solo con limitazioni estreme (Str.-Bill.): bisogna sciogliere la fune con una sola mano e il pozzo deve trovarsi all'interno del cor­ tile; similmente anche CD I I , 5 -7 (cf. a Mt. I 2, I I ). L'argomentazione non è del tutto convincente, tanto più che la guarigione avrebbe potu­ to benissimo essere operata anche il giorno dopo (I4b). Solo il sor­ prendente accenno a Satana e soprattutto al legame con Abramo (cf. ·� 9,9 }, e il richiamo alla descrizione del tempo salvifico in cui gli oppo­ sitori d'Israele saranno svergognati mentre al popolo toccherà la sal­ vezza (/s. 4 5 , I 6) mostrano che qui si tratta di qualcosa di più di una prassi liberale facilmente comprensibile. ,

=

Le. 1 3 ,1 o- 1 7. Il sabato, segno della nuova creazione di Dio

1I 3

Luca, che non è solito riportare tradizioni parallele, riferisce di gua­ rigioni avvenute di sabato oltre che in 6,6- I I (= Mc. J , I -6) anche qui e in I 4,I -6, sebbene nella sua comunità la questione del sabato non fos­ se più d'attualità. Ha intuito che dietro questa prassi di Gesù si cela qualcosa di più profondo, il che diviene qui evidente. Già il fatto che si tratti d'una donna è indice del tempo nuovo in cui non ci sarà più «né maschile né femminile», ma in Cristo sono tutti «uno solo» (Gal. 3 ,28). Il richiamo al legarne con Abramo è fondamentale. La formula­ zione non è inconsueta {Str.-Bill. n, 200: «Se dovesse essere ripudiata ogni donna di cui le filatrici chiacchierano, ad Abramo non resterebbe nessuna figlia che potesse rimanere accanto al marito»), ma compare qui in contrapposizione al dominio di Satana. Con la guarigione ope­ rata da Gesù tale dominio è spezzato, e ristabilita l'alleanza di Dio con Israele. Proprio il nuovo atteggiamento di Gesù nei confronti del sabato, che distingueva nel modo più evidente la comunità cristiana dal giudaismo, non comporta perciò in alcun modo la separazione da Israele, anzi porta a compimento il cammino di Dio con Israele. Per­ ciò ora non si tratta di interpretare più o meno rigidamente i precetti sabbatici, sui quali si può discutere, ma di decidere tra una dottrina fondamentalmente falsa (ipocrisia) e l'apertura alla nuova azione esca­ tologica di Dio. Il sabato è il giorno del compimento di ogni opera di Dio (Gen. 2, 1 -3), dunque ogni volta che viene celebrato rimanda al compimento definitivo nell'opera salvifica di Dio per tutto il mondo (Ebr. 4,9- 1 I; v. a Mt. I 2, I -8). La gioia sabbatica d'Israele venne via via sepolta dal moltiplicarsi canceroso di precetti e divieti; Gesù la libera nuovamente (v. a Mc. 2,27). Guardare alla Scrittura non deve rendere conservatori. Forse per questo I 4, I -6 è esposto nel contesto di un pran­ zo avvenuto di sabato, con discorsi che alludono, nei vv. 7- I4 ancora velatamente, in I 5 -24 invece apertamente, al tempo della gioia che sta per venire. Che Gesù non abbia aspettato il giorno successivo perché intendeva già alludere all'atteso sabato di Dio, che libererà definitiva­ mente e che ha avuto inizio nel suo operato ? È stato Luca o un compi­ latore a lui precedente ad associare perciò il racconto di I J, I -9, con la chiamata alla conversione d'Israele, alle dichiarazioni sul regno di Dio e la sua apertura ai popoli di 1 8 - 2 I ? E I 4,3 è ancora una reminiscenza di come sia stato Gesù a porre la questione fondamentale del sabato ? In tal caso, Gesù ha allora di fatto strappato l'uomo all'autoalienazio­ ne riconducendolo a una vita piena di significato (Mc. �,27).

Piccolezza e grandezza del regno di Dio, I J, 1 8-z l (cf. Mc. 4,30-32; Mt. 1 3,3 1 -3 3)

1 8 Diceva dunque: A chi è simile il regno di Dio e a chi devo paragonarlo ? 19 Accade con esso come [è simile] a un seme di senape che un uomo prese e gettò nel suo giardino, e crebbe e diventò un albero e «gli uccelli del cielo hanno fatto il nido tra i suoi rami». 20 E di nuovo disse: A chi devo para­ gonare il regno di Dio ? 2 1 Accade con esso come al lievito che una donna prese e nascose in tre misure di farina finché non fu tutto fermentato. 19

Ez.

1 7,23; 3 1 ,6.

Riguardo alle due parabole cf. a Mt. 1 3,3 1 -3 3 . L'introduzione dop­ pia (vv . 1 8. 19a triplice) ricorre anche in Mc. 4,30. Sembra essere carat­ teristica di Q ed essere stata abbreviata da Matteo (parimenti Le. 6, 47b.48a; 7,3 1). Invece del terreno nel v. 19 si parla del giardino. Per Lu­ ca le parabole sono successive alla guarigione operata di sabato. Ana­ logamente a 14,7- 14 esse affermano che nella guarigione di quest'uni­ ca donna si preannuncia il tempo escatologico, che è già iniziato e non può più essere arrestato. D. GERUSALEMME, CITIÀ DELLA DECISIONE

PER GESÙ, ISRAELE E I POPOLI ( I J,22- J 5) Il tempo del cammino si concentra tutto attorno a questa pericope centrale (v. a 9, 5 1 - 1 9,27). Perciò Gerusalemme è nominata all'inizio e alla fine. I vv. 22-30 hanno toni fortemente escatologici, come 1 2,3 55 9, ma ora s'appuntano esplicitamente sui contemporanei di Gesù ( 1 3 , 26), estendendosi con i vv. 29 s. anche al di là d'Israele. È pertanto prc­ feribile concludere la pericope con la fondamentale affermazione sul mandato di Gesù dei vv . 3 1 -3 5 che operare una suddivisione tra i vv . JO e 3 I . La vicinanza a Gesù dei lontani, IJ,Z.l-JO (cf. Mt. 7, 1 3 s . .1 2 s.; 8, 1 1 s.)

Ed egli passava insegnando per città e villaggi ed era in cammino verso Ge­ ale mm e. 2 3 E uno gli disse: Signore, sono pochi quelli che vengono sal­ vati? Ma egli disse loro: 24 Lottate per entrare dalla porta stretta, perché molti, io vi dico, cercano di entrarvi e non ci riescono. 25 Non appena il padrone di casa sarà alzato e la porta chiusa, e voi comincerete a stare fuori e a bussare alla porta e a dire: Signore, aprici, allora risponderà e vi dirà: 22

ru s

Le. I J ,22-JO.

La vicinanza a Gesù dei lontani

21 5

Non so di voi, di dove siate. 2.6 Allora vo i comincerete a dire : Abbiamo man­ giato e bevuto davanti a te, e tu hai insegnato nelle nostre strade. 2 7 Ed egli vi parlerà e dirà: Non so di dove siate; allontanatevi da me, voi tutti opera­ tori dell'ingiustizia. 2.8 Là vi sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo e lsacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, ma voi cac­ ciati fuori. 29 Ed essi verranno «da oriente e occidente e settentrione e me­ ridione» e si accomoderanno a tavola nel regno di Dio. 30 Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e primi che saranno ul timi . 2.7 Sal. 6,9. 19 Sal. 1 07,3 ·

Come di consueto (v. a 1 1 , 1) Gesù, provocato dalla domanda di «uno» qualsiasi (2 3a), formula il suo monito in linguaggio figurato d'uso corrente (24a, v. a 1 2,3 5) e ne dà la motivazione {24b). Ai vv. 2 5 2 7 segue l a parabola. Inizia con una frase temporale al congiuntivo che presenta le circostanze in modo descrittivo, per poi passare alla frase principale (2 5) in modo non proprio grammaticalmente corretto, con la dichiarazione del padrone di casa. All'obiezione (26) mossagli, questi ripete la sua risposta (ancora una volta con il superfluo verbo «cominciare»), rendendo più aspro il rifiuto con l'uso dell'imperativo (27). L'immagine tradizionale del giudizio (2 8a, v. a Mt. 8, 1 2) è a sua volta seguita da una frase temporale al congiuntivo (28b), che passa poi a una principale (29) in cui la positiva promessa di salvezza funge da elemento di contrasto con la sentenza (2 5 fine). Già i vv. 2 5 -27 so­ no formulati al futuro e rivolti, in discorso diretto, a «voi». I vv. 2 7 e soprattutto 28 s. mandano in frantumi l'immagine. La porta chiusa proviene da una vera parabola (Mt. 2 5, 1 0- 1 2, v. ad loc. ), la sentenza da un annuncio diretto del giudizio (Mt. 7,23, v. ad loc. ), la promessa del­ la massiccia affluenza dei popoli dal logion di Gesù formulato in Mt. 8, 1 1 s. (v. ad loc. ), ancora alla terza persona. Il versetto conclusivo è una nota frase citata in altro contesto da Mt. 20, 1 6 (e, in ordine inver­ so, anche da Mc. 10,3 1 = Mt. 1 9,30). Dal punto di vista linguistico, non sono lucani almeno i vv. 2 5 -27; l'obiezione dei respinti è simile a quella di Mt. 7,22, collocata anche lì accanto all'immagine della porta stretta, ma come esempio per chi sa solo dire «Signore, Signore», at­ teggiamento già biasimato in Le. 6,46 (Mt. 7,2 1 ). La frase «lo non so (nulla) di voi» (così alla lettera Mt. 2 5 , 1 2 = Le. 1 3 ,2 5) ha attratto il lo­ gion «lo non so» (Le. 1 3,27 = Mt. 7,23: «lo non vi ho mai conosciu­ ti»), e l'avverbio «fuori» è sia nel v. 2 5 che nel v. 28; allo stesso tempo l'appellativo «Signore» ha richiamato il logion di Mt. 7,22 (Le. 1 3,26)

216

Le. I J ,ll- JO. La vicinanza a Gesù dei lontani

introdotto dal monito a non dire «Signore, Signore». Questo si riferì­ sce certo non più a profeti dotati di carismi ma a contemporanei di Gesù in Palestina. Tale limitazione non è lucana {v. a I J , I -9, conci.), né lo è il participio (in greco presente) «cacciati» (v. 28) e l'accenno al­ la fede dei pagani (v. al v. 29). Forse le varie parole simboliche erano già state raccolte nella tradizione catechetica, e Luca si è limitato a rie­ laborarle stilisticamente adattandole le une alle altre. Il suo stile si può notare nei vv. 22-24. 2.2-30. La meta, Gerusalemme, condiziona tutto quel che segue. An­ cora una volta s'insiste sull'insegnamento di Gesù (v. al v. 10). Interro­ gato da «uno» a proposito dei «salvati» (/s. 3 7,3 2 LXX), Gesù rispon­ de «loro», rivolgendosi quindi a tutti. Così disquisivano rabbi e apo­ calittici. Da una parte si affermava: «Tutto Israele ha parte al mondo futuro» {Str.-Bill. I, 88 3 ) , dall'altra: «L'Al�issimo ha creato questo mon­ do per molti, quello futuro però per pochi» (4 Esd. 8, 1 , dove segue anche una parabola). Il piano della discussione teologica è però ab­ bandonato nell'apostrofe diretta di Gesù. Già 2 Macc. I J, I 4 parla di «combattimento» (propriamente «competizione») dei martiri, e i cri­ stiani hanno ripreso spesso quest'immagine. L'opposizione tra i molti e i pochi già in Mt. 7, 1 3 s. è collegata all'immagine della porta stretta, che però in Matteo è difficile da trovare perché angusta è la via che vi conduce. Così anche i rabbi parlano della stretta «porticina» attraver­ so la quale si deve passare per uscire in mare aperto {Str.-Bill. I, 46 1 ). In Le. 1 3,24 resta oscura la ragione per cui i molti «non riescono» (e­ spressione lucana) a varcarla. Ad essa non si contrappone alcun largo portone (in greco lo stesso vocabolo) con un accesso ben visibile, ben­ sì una porta chiusa di cui è indifferente che sia larga o stretta. Luca dun­ que parla un linguaggio già logoro in cui le immagini sopravvivono in modo non più corretto. Anche il padrone di casa è solo simbolo di Gesù, per cui viene interpellato con «Signore» e «tu» in riferimento al suo agire nella cerchia degli ascoltatori. A differenza di Mt. 2 5, 1 0, do­ ve lo s p oso siede al banchetto nuziale, qui egli si alza per chiudere la porta. E caratterizzato maggiormente come giudice. Il riferimento alle circostanze storiche dell'operato di Gesù mostra che prima di Luca si pensava al termine fissato per Israele; ma Luca ha generalizzato nei vv . 2 3 s. estendendo a tutti l'esortazione a prendere una decisione. «Tut­ ti gli operatori dell'ingiustizia» è espressione di stampo lucano, come

Le.

I J ,J I -J S ·

Gerusalemme, città della decisione

217

pure l'accenno a «tutti i profeti». A provocare la trasposizione è stato, in Luca o prima di lui, il collegamento dei vv 28 s. all'immagine del giu­ dizio. L'immagine di partenza esprime ora la protesta vivace dei re­ spinti, alla quale fa seguito l'immagine dell'accoglienza di coloro che confluiscono da ogni parte, mentre in Mt. 8, 1 1 s. (v. ad loc. ) l'ordine è inverso. Il v. 29 parla solo dei lontani che non fanno parte dei contem­ poranei palestinesi (Mt. 8, 1 2: i figli del regno = Israele !) di Gesù (cf. a 1 I,3 7-54, conci.), quindi non si riferisce univocamente ai 'pagani ben­ ché costoro vi siano certo inclusi (v. a 8,39). A maggior ragione non è detto «molti primi)) o addirittura «i primi)) (Mt. 1 9,30; 20, 1 6), bensì «vi sono primi che . ». I vv 28 s. vengono dunque corretti: vi sono pa­ gani che credono, ma anche giudei. Come in Mt. 20, 1 6 (contro I9,JO) la promessa è posta all'inizio. Oltre all'esortazione generale dell'ini­ zio, Luca deve avere aggiunto anche la sentenza conclusiva, divenuta proverbiale. .

.

.

.

Questa raccolta di ammonimenti etici, resi con immagini impiegate in modo ormai schematico, mette in guardia dal sentirsi troppo sicuri di se stessi. Come il puro e semplice richiamarsi ad Abramo è di poco aiuto, così serve a poco confessare il Signore, anche per coloro che han­ no sperimentato nella realtà la comunione di mensa con lui. La figlia di Abramo deve prima essere sciolta dai legami (v. 1 6), i lontani dal Si­ gnore confluiranno in massa verso di lui (29); entrambe le cose acca­ dono grazie all'azione potente di Gesù, superflua solo per colui che pensa di possedere già tutto e di non aver bisogno di alcun aiuto. Gerusalemme, città della dec is ione,

I J ,J I -3 S

(cf. Mt. 23,37-39)

In quell'ora giunsero alcuni farisei e gli dissero: Parti e vattene via da qui, perché Erode vuole ucciderti. 32 Ed egli disse loro: Andate e dite a questa volpe: Ecco, io scaccio demoni e opero guarigioni oggi e domani, e al terzo giorno sarò compiuto. 33 Ma oggi e domani e il giorno successivo debbo camminare, perché non sta bene che un profeta muoia fuori di Gerusalem­ me. 34 Gerus alemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono inviati, quante volte ho voluto radunare i tuoi figli come l'uccello ma­ dre la sua covata sotto le ali, e voi non avete voluto. 3 5 Ecco, «la vostra ca­ sa vi viene lasciata deserta». Ma io vi dico: non mi vedrete più finché acca­ da che diciate: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». 31

JS

Ger.

2.2.,5; Sal.

1 1 8,2.6.

218

Le. 1 3 ,3 1-3 S ·

Gerusalemme, città della decisione

Il logion di Gesù è provocato da un avvertimento che gli giunge dall'esterno (3 I, v. a I 1 , 1 ) e, dopo aver descritto con tre espressioni l:l sua azione (3 2), lo pone di fronte all'imperativo di Dio (alla lettera «bisogna che io ... »), motivato da una frase causale. Segue un'apostrofe a Gerusalemme che racchiude una visione retrospettiva dell'attività d i Gesù e una minaccia futura. In pratica corrisponde alla lettera a Mt. 23,3 7-39. Originariamente era associata a I I ,49- 5 I (v. ad loc. , intr.). Certo si addice anche a I 3 ,26-3o, se si presume che sia stata pronun­ ciata a Gerusalemme; ma l'immagine del v. 34, dove l'uccello femmina è come la sapienza o la «presenza» di Dio, per la quale è impiegata la stessa figura (v. a Mt. 23,3 7), pertiene chiaramente a un logion sapien­ ziale come I I,49- 5 I . Stilisticamente lucani sono il v. 3 I e l'espressione «il giorno successivo» (Atti 20, 1 5; 2 I ,26). Si crea così una discordanza rispetto ai tre giorni nominati al v. 3 2. Certamente non lucane sono l'espressione «non sta bene» e l'autodefinizione «un profeta». Che Luca dunque abbia introdotto i tre giorni (o solo il terzo ?) nel v. 3 3 perché per lui anche il cammino verso la croce fa parte dell' «andare» (88 occorrenze tra Le. e Atti) di Gesù ? Che sia stato lui, come già altre volte, a cancellare una preesistente indicazione di luogo alla quale si riferiva in precedenza l'avverbio «da qui» (v. 3 I ) ? Allora il testo tràdi­ to avrebbe semplicemente detto che solo Dio determina la fine dei tre giorni dell'attività di Gesù, e che pertanto questi doveva recarsi a Ge­ rusalemme a morire. ; 1-3 5· Storicamente è possibile che l'avvertimento sia rivolto a Ge­

sù per conto di Erode, che sarebbe stato ben felice di liberarsi di lui. Anche secondo Mc. 3 ,6 farisei e erodiani si uniscono per opporsi a Ge­ sù. Luca però non ne trae alcuna deduzione intendendo piuttosto l'av­ vertimento come un favore amichevole. Erode e Gerusalemme (v. 34) vogliono la morte di Gesù, mentre i farisei e i romani (v. al v. 3 5 ) pur restando nella penombra non sono comunque dei semplici avversari di Gesù. Certamente in origine i vv . 34 s. costituivano la conclusione di un discorso contro i farisei. Ma per Luca molti di loro sono aperti a Gesù. Lo invitano a casa loro: 7,3 6: I I,37; 1 4, 1 . Rispetto a Marco la loro reazione è sempre mitigata (6, I I) o tralasciata ( I 1, I 5 s.; I 6, 1 8 [cf. Mc. 1 0,2]; 20, 19 s.); solo in 5 , I 7.2I Luca li affianca agli scribi. Luca ri­ prende Q in modo meno antifarisaico rispetto a Matteo. In S o nella redazione lucana parole di critica sono rivolte in particolare contro il

Le. I J ,J I -3 5 · Gerusalemme, città della decisione

219

loro insegnamento: 7,30.39; 1 1 ,37-44· 5 3 s.; 1 2, 1 ; 14,3; 1 5 ,2; 1 7,20; 1 8, 10- 14; 19,39. Vi sono però anche farisei cristiani (Atti I 5 , 5 ; cf. 5,34 ) , e Paolo è presentato come un autentico fariseo (v. a Le. I 6, 14- I 8, conci.). Così facendo Luca ha conservato un elemento di verità. Sebbene tra le autorità giudiziarie sedessero anche dei farisei, tuttavia, a eccezione di Mt. 27,62 (e Gv. 1 8,3 ), essi non compaiono mai nel racconto vero e proprio della passione. Qui le forze motrici non sono loro bensì l'élite sadducea interessata in particolare al mantenimento di un modus vi­ vendi politico con Roma. Ai farisei, che certamente avevano già avuto delle dispute anche con Gesù nelle polemiche sul sabato e nelle di­ scussioni sulle regole cultuali, venne attribuito il ruolo dei veri nemici di Gesù perché più tardi, soprattutto dopo la distruzione di Gerusa­ lemme, si diedero a fissare pedantescamcnte la prassi giudaica, entran­ do così in conflitto con la comunità cristiana. Dal punto di vista stori­ co entrambi i gruppi furono costretti a difendere con il massimo rigo­ re la propria peculiarità: se il giudaismo non voleva essere assorbito dal sincretismo di tutte le religioni, dal canto suo la comunità di Gesù non intendeva restare semplicemente una setta giudaica. La «volpe» è simbolo dell'uomo insignificante o astuto (Str.-Bill.). Qui come in 7,2 1 esorcismi e «guarigioni» (sostantivo e relativo verbo quasi esclusiva­ mente lucani, dunque aggiunti da lui) sono fondamentali per esprime­ re l'origine divina dell'autorità di Gesù. A Gerusalemme non se ne ve­ rificheranno più (tranne che in 22,5 1 ) . I tre giorni rappresentano il tempo fissato da Dio. Questa è la grande libertà di Gesù: che tutto il suo operato, come pure la fine ad esso fissata, appartiene a Dio. È que­ sto il senso del verbo «compiere», la cui radice è la stessa di «termina­ re» e forse per Luca indica già che la vita di Gesù nell'adempimento della volontà di Dio mira all'esaltazione e al compimento della salvez­ za divina. Il suo cammino è imposto da Dio {v. a 9, 5 I ) , non avviene a sua discrezione né è condizionato dalla paura di fronte a Erode. Che Gerusalemme uccidesse dei profeti è narrato raramente ( Ger. 26,2023; cf. 2,3o; 2 Cron. 24,2 1 ; cf. 1 Re 1 8,4. 1 3 ; 19,I 0. 14 ) , ma se ne riferisce in leggende (v. a Mt. 23,29 s.), e vi sono confessioni di peccati giudai­ che in cui questa condotta è vista come tipica d'Israele (v. a Le. 1 1 ,3 71 2, 1 , conci.). In questa serie di profeti s'inserisce Gesù, certamente co­ me colui che la conclude definitivamente (v. a 3 , 1 9 s. ed excursus do­ po 22,30, a) . In modo assolutamente inedito Gesù riprende da con­ fessioni di peccati giudaiche questa frase e con essa la propria sorte di

220

Le. I J,J I -J S ·

Gerusalemme, città della decisione

profeta. Ma proprio tale scelta non è semplice condanna di un popolo disobbediente e irragionevole, ma offerta di una salvezza in virtù della quale gli ultimi potranno diventare primi (v. 3 0). La frase sulla morte dei profeti sta molto a cuore a Luca: Gerusalemme (nominata 90 volte da Luca, contro le 49 del resto del N.T.) è fatta emergere al di sopra di tutte le città del mondo a opera della colpa dell'uomo e dell'azione di Dio. Ciò è messo in relazione da Luca.con i vv 3 4 s. (v. a I I,49- 5 I ): Ge­ sù morirà non solo a, bensì per opera di Gerusalemme. Questo ne cam­ bia affatto il significato. La benedizione (v. 3 5) ha ora una collocazio­ ne diversa rispetto a Mt. 23 ,39, essendo inglobata nella risposta ai fari­ sei della giurisdizione di Erode, e risuonerà ancora in 19,3 8 . Che i fa­ risei «non vedano più» Gesù si riferisce quindi solamente al periodo che precede l'ingresso a Gerusalemme, che già prefigura la caduta del­ la città ( 1 9,3 9-44), ragion per cui non viene indicato il tempo conclusi­ vo della crisi come fa Mt. 23,39 dicendo «da adesso in poi». Luca inter­ preta così il «testo>> della casa lasciata deserta, che certo non s'addice al contesto; perciò fa riapparire i farisei anche in I9,39 come coloro che rifiutano la chiamata della «gran folla dei discepoli» (così solo in Le. I 9, 3 7). Allora sarà presa la decisione. Fino a quel momento le strade di Gesù e dei suoi ammonitori restano separate; fino ad allora rimane lo­ ro ancora un po' di tempo per convertirsi; poi verrà la fine per Geru­ salemme, che per Luca è la conquista da parte dei romani (cf. vv I -9) . .

.

Un logion riguardante originariamente la fine dei tempi (così Mt. 23, 39) per Luca si realizza dunque nel destino di Gesù a Gerusalemme, che a sua volta allude alla caduta della città nel 70 d.C. Questo non si­ gnifica che per lui la fine dei tempi sia irrilevante (v. excursus dopo 2 1 , 3 8 ) , ma certo vuoi dire che riteneva fondamentale il tempo dato al­ l'uomo per decidere nella sua situazione storica. Per tale ragione an­ che la caduta di Gerusalemme è di monito ai suoi lettori. I vv 22-3 0, ai quali il v. 3 I collega strettamente il logion successivo, sono contrad­ distinti sia dall'impostazione della propria vita come tempo del «com­ battimento» spirituale (v. 24), sia dalla concezione d'Israele come mo­ nito a guardarsi da ogni sicurezza di sé, destinata al fallimento nel giu­ dizio finale. Non per questo i farisei vengono demonizzati: si tratta di persone che non hanno nulla contro Gesù, ma sono lieti se riescono a mantenere a una certa distanza (v. 3 I ) lui e la sua radicalità alla quale proprio non sanno adeguarsi. Ad essi Luca contrappone l'assoluta man.

Le.

1 4, 1 - 1 5 ,3 2.

La gioia della conversione

221

canza di compromessi con cui Gesù si assoggetta a Dio divenendo so­ lidale con gli uomini, soprattutto i più bisognosi. Ciò non deve certo indurre a credere erroneamente che si tratti di puro entusiasmo. È già decretato da quel «terzo giorno», e poiché Gesù ne è a conoscenza può vivere in modo davvero intenso (3 2) sostenendo fino in fondo la solidarietà di Dio con l'uomo. Ne sono figura i profeti, e al v. 3 3 an­ che Gesù è chiamato così. Al discorso profetico corrispondono anche la forma participiale e interrogativa dei vv . 34 s., come pure la sequen­ za: chiamata - invettiva - minaccia - richiamo alla fedeltà di Dio - pro­ fezia. Ma la formula d'annuncio «così dice il Signore» manca nei logia di Gesù, e così ogni corrispondente rimando ai suoi segni. Egli parla e agisce con autorità propria divenendo al contempo chiamata alla peni­ tenza e predicazione di salvezza, perché mostra qual è la situazione dell'uomo e quale quella di Dio, che mantiene il suo amore per l'uo­ mo fin sulla croce. Per Dio non vi è posto nel mondo (2,7), cionono­ stante è in cammino verso di esso (1 3,3 3)! L'aspetto terribile è che proprio la città dei pii ha l'esclusivo privilegio di uccidere i profeti, perché più dei farisei del v. 3 1 è convinta di sapere tutto di Dio. La d­ dove però il Dio vivente abbandona la sua casa, nonostante vi siano ancora mura imponenti di tcmpli e chiese (cf. 2 1 , 5 ), tutta la pratica re­ ligiosa completa d'ogni nozione teologica non riesce a celare che in realtà queste mura sono vuote, «abbandonate da tutti gli spiriti buo­ ni»; è solo questione di tempo, poi anch'esse crolleranno (3 5) e soltan­ to turisti interessati alla storia d eli' arte visiteranno le rovine mentre le guide ripeteranno come un'eco inquietante la frase «Qui il tempio di Jahvé! » (Ger. 7,4). In Gesù invece la presenza vivente di Dio (v. a Mt. 23,3 7) si stende su Gerusalemme, e non su una comunità particolare da lui fondata. Perciò il monito a guardarsi dal giudizio imminente è al tempo stesso invito pressante di Dio. È rivolto sia ai pii ormai irrigidi­ ti sia ai farisei che dubbiosi se ne stanno in disparte e al mezzo-giudeo Erode, ma altresì ai discepoli (a metà o per intero) di Gesù. Per tutti costoro vi saranno tempi in cui non vedranno più Gesù, ma occorre tenersi pronti finché non si manifesterà di nuovo come il Vivente. E. LA GIOIA DELLA CONVERSIONE ( 1 4, 1 - 1 5,32)

Insieme a I J, I -2 1 , questa sezione fa da cornice al nucleo di 1 3,22-3 5, tutto incentrato su Gerusalemme. Come in I J , I 0-2 1, il regno di Dio

22.1

Le. 14,1-6. Guarigione di sabato

ormai prossimo { I J,I 8.20/I 4, I4.I 5) è annunciato in opere ( I 4, I -6, gua­ rigione di sabato come lì) e parole {14,7- I4, parabole come lì). Anche qui il regno provoca divisione (I J,I7/I4,6). Se in I ) , 1 -9 la chiamata di Israele alla conversione precedeva, qui invece segue in I4,I 5 - I 5 , 3 2, certo con un'espansione straordinaria che dimostra l'importanza del fatto che si convertano e vengano coloro che non erano propriamente attesi ( I 4, I 5-24; I 5 , 1 - 3 2). I 5 , I è un nuovo inizio: ma qui i pubblicani c i peccatori incarnano le persone citate in I 4,2 1 .23, i farisei e gli scribi quelle di I 4,24. I discorsi a tavola, chiamata al regno di Dio: I. Guarigione di sabato, 14, 1 -6 1 E avvenne, mentre entrava nella casa di un capo dei farisei per mangiare di sabato, che essi erano lì a osservarlo. .1. Ed ecco, vi era un idropico davanti a lu i . 3 E Gesù rispose e parlò ai dottori della legge e ai farisei e disse: È le­ cito o no guarire di sabato? 4 Ma essi tacquero. Ed egli lo prese, lo guari e lo congedò. 5 E disse loro: Chi di voi, se il figlio o il bue gli cade in un poz­ zo, non lo tira subito fuori in gio rno di sabato? 6 Ed essi non riuscivano a ribattere nulla a questo.

I vv. I -24 sono inseriti nel contesto di un banchetto, cf. 7,36; I O,J8; I I,37; anche 5,29. Questa cornice letteraria, utilizzata sia da Platone e Plutarco sia dal giudaismo ellenistico (Ep. Arist. I 87-300), alla quale ben si addicono i vv. 7- I 4 che riecheggiano proverbi sapienziali giudaici, potrebbe provenire da Luca, come mostrano le espressioni lucane dei vv. 1 .7. 1 2 . 1 5 . Poiché però eccetto che al v. 1 5 a parlare è soltanto Ge­ sù, è probabile che la cena del Signore come luogo dell'insegnamento di Gesù (22,24-30; Gv. I J- I 6) gli sia servita da modello per la forma (cf. al v. 24 e Atti 10,7; 2,42). Vi si addice anche l'accento gioioso (vv. 1 1 . 14. I 6) fortemente orientato al tempo escatologico. Poiché i vv. 26.8- I 4 (senza 1 2a). 1 6-24 contengono elementi non lucani, è plausibile che siano stati associati già prima di Luca; per questo egli ha incluso anche la guarigione ( I -6) nel contesto del banchetto. Come nei raccon­ ti di miracoli i vv. 1 s. iniziano introducendo le due figure del soccor­ ritore e del bisognoso. Tuttavia gli avversari sono già nominati. È in­ solito che sia Gesù a porre la domanda fondamentale, riducendo al si­ lenzio i suoi oppositori (3 .4a), prima che la guarigione si verifichi (4). Solo in seguito si hanno l'argomentazione e l'aporia degli avversari (5

Le. I•J,7- I 4· La vita plasmata dal regno imminente

2.2 3

s.). Il racconto perciò è trasformato dal prevalente interesse per la que­ stione di fondo, il che evidenzia di cosa si tratta (cf. 1 J,IO- I 7, conci.). Stilisticamente i vv I .2a (reminiscenza di 6,6 s. ?).4.6 sono chiaramente lucani; la domanda del v. 3 e l'argomentazione del v. 5 sono affini a Mt. 1 2, 1 0 s. (v. ad loc. ). Erano forse già associati ai vv 7-24 come logion di Gesù, con breve introduzione (il termine per «davanti» al v. 2b non è lucano) e un accenno alla guarigione, sicché Luca per primo ne avreb­ be tratto un racconto vero e proprio, che ovviamente è un doppione ? .

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I -6. Il fariseo vede certo in Gesù un maestro il cui modo di pensare è affine al proprio. I rabbi in viaggio vengono spesso invitati, in parti­ colare al pasto di mezzogiorno ( I 1 ,3 7; alla lettera «a mangiare il pa­ ne», v. al v. 1 5) dopo la celebrazione della liturgia sabbatica {Str.-Bill. 1, 5 89 s. 61 1 -6 1 5; u, 202 s.). Altrimenti si usa mangiare solo al mattino c alla sera. La domanda non è posta in termini teoretici; è sempre in situazioni ben precise che Gesù chiede qual è la volontà di Dio qui e adesso. La sorprendente espressione «figlio o (anche solo un) bue» (v. a Mt. 1 2,9- 1 4) è stata corretta in molti modi dai copisti. A celebrazioni e feste dunque per Gesù hanno parte anche i poveri con la liberazione che ne consegue per essi. Si può essere aperti a Gesù (cf. a 1 3 ,3 I ), di­ squisire di buon grado sulla sua dottrina, e ciononostante continuare a ignorarlo perché nelle questioni pratiche non si vuole rinunciare ai princìpi, preferendo tacere. Pertanto Gesù provoca il suo ospite solo perché vorrebbe rendcrlo disponibile alla nuova azione divina che sta avendo inizio. La gioia sabbatica di Dio intende liberarlo dal morali­ smo che gli sbarra la strada verso il fratello sofferente. 2. La vita p l a s m a ta dal regno imminente, I4,7-I4 M a disse agli invitati una parabola poiché osservava come s i scegliessero i primi posti a tavola e disse loro: 8 Quando sei invitato alle nozze di qual­ cuno, non accomodarti al primo posto, perché non sia invitato da lui uno più importante di te 9 e colui che ha invitato te e lui ti dica: Fagli posto, e tu poi inizi a occupare con vergogna l'ultimo posto. Io Ma se tu sei invita­ to, vai e mettiti all'ultimo posto, cosicché se quello che ti ha invitato viene ti dirà: Amico, passa più avanti. Allora avrai onore davanti a tutti gli invita­ ti. I I I nfatti chi esalta se stesso sarà umiliato, e chi umilia se stesso, esaltato. I 2 Ma disse anche a colui che lo aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non chiamare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i 7

124

Le. 14,7- 14. La vita plasmata dal regno imminente

ricchi vicini, perché essi non ti invitino a loro volta e te ne venga il contrac­ cambio. 1 3 Ma quando prepari un convito, invita poveri, storpi, paralitici, ciechi, 14 e beato te, perché non possono ricambiarti. Ma te ne sarà data ri­ compensa nella risurrezione dei giusti. I due logia sono costruiti in parallelo: «Quando tu ... , allora... (richie­ sta in negativo), affinché non ... ; ma quando tu ... , allora ... (richiesta po­ sitiva con altro logion)». In entrambi i casi due verbi al futuro indica­ no l'esito nella vita terrena e in quella eterna. Ciò mostra, insieme al­ l'introduzione propria della parabola, che non si tratta unicamente di regole di buona creanza. Il v. I 1 compare anche in 1 8,I4 e Mt. 23 , 1 2 {cf. Giac. 4,6; Petr. 5 , 5 ; 1 Clem. 30,2; Ign., Eph. 5,3); evidentemente si tratta di una frase nota e citata di frequente. Riguardo al v. I 3 cf. al v. 2 I ; per 7- Io v. a Mt. 20,20-28, conci. 8- 1 4. La disposizione a tavola costituiva già allora un problema spi­

noso e in seguito, per non offendere nessuno, si preferì al criterio della stima o della ricchezza quello dell'età. Così i vv 8 - I o sembrano essere un buon consiglio per chi è avido di onori particolari: «Tieniti lontano dal tuo posto di due o tre sedili (non bisogna esagerare con la modestia!) e aspetta finché non ti si dice: Vieni avanti ... » {Str.-Bill.; similmente anche Prov. 2 5,6 s.). Ma il v. I I e la sorprendente esclama­ zione «beato» del v. 14 (v. a I 2,J7 s.) mostrano che Gesù vuole attin­ gere una profondità ben diversa. Anche i vv I 2- I 4 sembrano parimen­ ti essere una regola con motivazioni meramente sociali {per «paralitici e ciechi» cf. a Mt. 2 I , I4); ma ancora una volta la ripresa dei concetti «ricompensa))f«ricompensare)) ( 1 2. 1 4a) nella frase conclusiva indica che Gesù intende qualcosa di più generale. Della risurrezione (solo) dei giu­ sti parlano anche 20,3 6 (v. ad loc. ); Giuseppe, Ant. 1 8, 1 4 (cf. 2 Macc. 7,9). A differenza di Dan. 1 2, 1 -3 è solo evento salvifico (come in 20, 3 5 ), non risveglio in vista del giudizio (v. a Mc. I 2, I 8-27, conci., ed ex­ cursus a Mc. 5,2 1 -43). Ma in quest'espressione non bisogna scorgere alcun insegnamento dogmatico in proposito, né dedurre il contrario dall'immagine di 16,23 (v. ad loc.). .

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Le parole di Gesù sarebbero completamente fraintese se le si inter­ pretasse come invito a un' «umiltà» cristiana che col suo «io non sono niente» ruota sempre e solo attorno a se stessa. Questa infatti non sa­ rebbe libera e disponibile per l'altro, ma in segreto aspetterebbe solo

Le. I.> . In 24,29; Atti I 6, I 5 il verbo significa (con un prefisso, com'è solito aggiungerne Luca senza variazioni di significato) «invitare con insistenza». È evidente il paral­ lelo con «predicare» e presumibilmente così si coglie quello che Luca intende dire. Certo tale forma può anche significare «spinge per entra­ re», che è la traduzione più comune; ma è poi vero che «ognuno» fa co­ sì ? È importante appurare se l'espressione «sino a Giovanni» compren­ da anche lui oppure no. Il suo è un tempo intermedio come quello tra la pasqua e la pentecoste (anche tra Le. 9,3 I e 5 I ?). Le apparizioni del Risorto e l'ascensione vengono pertanto narrate sia all'inizio degli At­ ti sia alla conclusione del vangelo, e Le. 24,49 allude già alla penteco­ ste. È vero che Giovanni «predica la buona novella» (J , I 8) collegando in tal modo legge e profeti all'imminente regno di Dio; Luca però non afferma mai direttamente che abbia predicato proprio questo regno. Ciononostante in 3 , 1 s. è con lui che ha inizio il nuovo. Luca anticipa la citazione di 3,4-6 e le fa seguire la predicazione del Battista, intro­ dotta da «dunque», caratterizzandolo pertanto come colui che adem­ pie la profezia. Perciò Giovanni è molto più che profeta, annunciatore di ciò che sta per venire (7,26; v. a J,I 5 -20, conci.). Tutta la sua attività di battezzatore (Atti I0,37; I 3,24 s.), e non solo il battesimo ammini­ strato a Gesù (in J,2 I non si fa menzione di Giovanni!) appartiene al tempo della salvezza secondo 7,29 s.; Atti I,2 I s. Secondo Le. I s. la sua vita s'intreccia strettamente a quella di Gesù. Per quanto dunque il suo tempo non sia già presenza del regno di Dio nella stessa misura del tempo di Gesù, tuttavia per Luca appartiene essenzialmente al tem­ po nuovo. Anche per quanto riguarda il tempo di Gesù si può affer­ mare che si è già invitati a «entrare nel regno di Dio», benché questo

.246

le. 16,19-3 1 . Possesso come separazione tra Dio

e uomini

non escluda la permanenza della legge come norma di comportamen­ to etico, pur nella nuova interpretazione fornita dalla predicazione del regno da parte di Gesù (cf. v. 29) attraverso la quale la legge raggiunge il suo vero scopo. Come accade anche con i profeti, vengono soppres­ si alcuni elementi del suo adempimento, ad esempio i precetti rituali; ma con Luca non si ha una netta separazione tra i tempi. Il v. I 8 è ag­ giunto nella forma di Q, ma menziona due possibilità di colpa del­ l'uomo rivelandosi in questo ancora più tipicamente giudaico di Mt. 5, 3 I s. (v. ad loc.). Che Marcione (v. a 4,3 I) abbia sentito l'esigenza di reinterpretare il v. I 7 riferendolo alla parola di Gesù mostra quanto le frasi radicali di Paolo inducessero alla demonizzazione dell'Antico Testamento, se si dimenticavano affermazioni come quelle di Rom. J,J I; 7, I 2. Luca al contrario presenta della legge una nuova concezione donata da Gesù, v. excursus dopo 2 I ,24, b. Quanto afferma a proposito dell'amore per il denaro (vv I � s.) e della validità della legge (vv 1 6- 1 8) sarà ripreso nuovamente nel vv I 9-3 I . .

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Possesso come separazione tra Dio e uomini, 16,19-3 1 19 Un uomo però era ricco e si vestiva di porpora e del lino più fine e banchet­ tava ogni giorno nello sfarzo. 20 Ma un povero di nome Lazzaro, coperto di piaghe, giaceva sulla sua soglia 21 ed era bramoso di saziarsi con quel che cadeva dalla tavola del ricco; ma anche i cani venivano e leccavano le sue pi aghe. 22 Avvenne però che il povero morì e venne portato via dagli ange­ li nel seno di Abramo. Morì però anche il ricco e fu sepolto. 2 3 E negli in­ feri alzò gli occhi mentre era nel tormento, vede Abramo da lontano e Laz­ zaro nel suo seno. 24 Ed egli gridò e disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro, perché immerga la punta del suo dito nell'acqua e rinfre­ schi la mia lingua, giacché patisco tormenti in questa fiamma. 2 5 Ma Abra­ mo disse: Figlio, ricordati che tu hai ricevuto il tuo bene nella vita, e nella stes­ sa misura Lazzaro il male; ora però qui egli trova consolazione, e tu soffri tormenti. 26 Per di più tra noi e voi è stabilito un grande abisso, così colo­ ro che vogliono passare da qui a voi non lo possono, né da giù possono pas­ sare da noi. 27 Ma egli disse: Ti prego allora, padre, di mandarlo nella casa di mio padre, 28 perché io ho cinque fratelli, affinché dia loro testimonian­ za perché non vengano anch'essi in questo luogo di pena. 29 Ma Abramo gli dice: Hanno Mosè e i profeti, che ascoltino loro. 30 Ma egli disse: No,

I6,19-3 1 . Possesso come separazione tra Dio e uomini

Le.

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padre Abramo, ma se uno dai morti si recasse da loro si convertirebbero. 3 1 Ma egli gli disse: Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno con­ vincere neanche se uno risuscitasse dai morti. 19-3 1 . I vv I 9-2I illustrano la condizione dei due personaggi pre­ cedente alla loro morte narrata al v. 22, il v. 23 quella successiva. Nel v. 20 il povero guarda con desiderio verso il ricco, nel v. 23 il contra­ rio, perché è il ricco, che non sta più sopra ma sotto, a dover «alzare» gli occhi (v. 23). Comunque è sempre quello che soffre a volgere lo sguardo sull'altro. Tra di loro non si scambiano parole, e il dialogo tra il ricco e Abramo è solo una conferma della divisione definitiva ( 2 5 s.). Se nei vv 2 1 .24 si parlava di mangiare e bere, nei vv 27-3 I l'accen­ to è posto sulla parola, regola di vita in assoluto sufficiente. Nel v. 27, in modo formalmente parallelo al v. 24, Abramo viene chiamato e pre­ gato di mandare Lazzaro allo scopo indicato al v. 2 8 con una frase fi­ nale. Come mostra il verbo al presente dei vv 2 3 .29 {rispetto a Marco Luca elimina 92 casi su 93 ! ) , questo racconto esemplare già preesisteva (su Lazzaro cf. vv 29-3 1 ) . Alla sua base sta la leggenda egiziana di un dio che diventa figlio di genitori umani e mostra loro Ade e Paradiso, dove dopo il magnifico funerale del ricco il suo splendido corredo funebre è dato al povero. Infatti «con chi è buono (malvagio) in terra, si è buoni (malvagi) an­ che nel regno dei morti». Sotto l'influsso di questa leggenda anche nel giudaismo si narrava delle solenni esequie tributate a un ricco pubbli­ cano, ricompensa per l'unica buona azione da lui compiuta, mentre al devoto tocca una misera sepoltura in espiazione del suo unico peccato (una volta si era legato i filatteri della fronte prima di quelli del brac­ cio ! [v. a Mt. 23, 5]); in tal modo a entrambi poté essere assegnata nel­ l'aldilà la piena retribuzione (Str.-Bill.; frequenti esempi simili). Pari­ menti Hen. aeth. 1 03,5 s. pensa: «Guai (a quelli che dicono): Beati i peccatori, che per tutti i giorni della loro vita hanno visto cose buone e muoiono onusti di gloria, e non hanno subìto alcun giudizio in vita loro! » Ad essi nell'aldilà è riservato uno speciale luogo di punizione ( 22, 1 0, dove si accenna anche alla loro sepoltura). 1 9-3 I . Il ricco non è presentato come uno strozzino. Vive nel modo che allora si considerava giusto (v. a I 2, 1 6- 19) dal momento che è Dio ad assegnare povertà o ricchezza, ed è lui a conoscerne la ragione. L'a­ spetto più terribile è l'inoffensività (cf. I 7,27 s.) con cui vive, isolato e spensierato, senza accorgersi di ciò che lo circonda. Come il sacerdote .

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.248

Le. 16,19-J I . Possesso come separazione tra Dio e uomini

il levita (I o,J I s.) non vede affatto il bisognoso. Perciò in questa pri­ ma scena semplicemente non succede nulla. In questo contesto ben si inserisce la menzione del nome, caso più unico che raro per una para­ boia o un racconto esemplare. Il povero non è una persona qualun­ que, si chiama «Dio aiuta». Quest'accentuazione andò perduta quan­ do alcuni copisti introdussero un nome anche per il ricco (Neves), che forse deriva dalla leggenda di cui sopra, dato che fa la sua prima com­ parsa in Egitto. Lazzaro sembra essere paralitico («giaceva»). I cani so­ no considerati immondi; non s'intende però con questo affermare che fossero più compassionevoli del ricco, bensì accentuare l'estrema indi­ genza del povero. Di sepoltura si parla soltanto a proposito del ricco, solo la sua è degna di nota. Biblicamente gli «inferi» non sono l'infer­ no ma il luogo dove i morti attendono il giudizio. D'altra parte anche l' «entrare fra (o essere riunito a) i padri» (Gen. I 5 , I 5; 47,30; Deut. 3 1 , I 6; Giud. 2, Io) e l'essere presso Abramo (Le. I 3 ,28) hanno sì luogo su­ bito dopo la morte, ma descrivono piuttosto la pace definitiva. L'im­ magine allude certo al posto d'onore accanto ad Abramo durante il ban­ chetto (cf. Gv. I 3,23). Il racconto non è una guida turistica per l'aldi­ là: non è possibile stabilire se implica differenti luoghi d'attesa prima della risurrezione (così Hen. aeth. 1 8-27) oppure se attende in minor tempo, subito dopo la morte (v. a 2.3,43), la condizione definitiva illu­ strata anche in 4 Esd. 7,3 6 in termini di «inferno» e «paradiso». Esso utilizza in modo atipico anche l'espressione «vita» per indicare solo il tempo terreno (parimenti Hen. aeth. 103 , 5 ; v. sopra, intr.), in quanto non mira a impartire un insegnamento dogmatico sull'aldilà ma inten­ de rafforzare il v. 29. Perciò la rappresentazione della felicità del po­ vero non è una consolazione rimandata a un aldilà in cui i rapporti si invertono {cf. Ez. I7,24, anche /s. 5 5, 1 3 ; 6o, I 7). Al contrario va dura­ mente punita l'ingiustizia da lui sofferta sulla terra, e il tormento del ricco è proprio quello di doversi struggere per ciò che prima costitui­ va il contenuto stesso della sua vita. Richiamarsi semplicemente ad A­ bramo {3 ,7 s.) non è d'alcun aiuto; nel corso della sua vita il ricco ha scavato un abisso insuperabile. Come I 2,JO (cf. 1 3 ,30; 1 6,8) anche i vv. 27 s. presuppongono che la necessità della conversione sia evidente, e il peccato consiste nella stoltezza, che non sa guardare più in là del­ l'attimo presente. Ad essa può contrapporsi solo la parola di Dio, se persino uno «risuscitato dai morti» (formulazione cristiana) non sa­ rebbe essere d'alcun aiuto. Ciò è dimostrato dal Lazzaro di Gv. 1 1 ,43 e

Le. 1 7, 1 - 1 0. La vita del discepolo

249

5 3 . Luca - o il suo modello - pensava forse che la risurrezione di Ge­ sù non provocava ovunque la conversione (Atti 3 , I 5 - I 7; I 3,27-30; I 7, 30 s.), oppure la frase è stata concepita in risposta a un desiderio dei membri della comunità di sperimentare di persona gli eventi pasquali ?

A differenza di tutti i passi paralleli nulla è detto circa la bontà del povero, tutt'al più s 'intuisce che non gli resta più alcun aiuto all'in­ fuori di Dio stesso. Né il ricco è descritto come un poco di buono, ben­ ché la sua inoffensività non costituisca una scusante. È stoltezza igno­ rare del tutto il fratello, che avrebbe dovuto vedere sulla sua soglia, e in lui Dio stesso. Nell'aldilà non si prospetta alcun mondo ideale sen­ za povertà (Deut. 1 5 ,4; lo «stato» di Platone) che serva da consolazio­ ne per l'indigenza terrena. La beatitudine del povero compare solo co­ me oggetto degli sguardi del ricco ( 2 3 ) A essere in discussione non è il problema della giustizia retributiva di Dio (cf. a 1 3 , I 9). L'intero rac­ conto è imperniato sul ricco, o più esattamente sui suoi fratelli ancora in vita e anche sui lettori del testo lucano. Il suo scopo è liberare la pa­ rola di Dio dalla loro sicurezza di sé, assurda e insensata; di insegnare a guardare nella direzione opposta, aprendosi alla comunione di men­ sa con tutti i poveri e gli svantaggiati così come è donata dall'interpre­ tazione di Gesù riguardo a «legge e profeti» (24,27- 3 I ). Con ciò Luca ha ribadito qualcosa di estremamente caratteristico sia per l'Antico Te­ stamento che per Gesù: la preferenza di Dio per i poveri. Ma per cotil­ prendere la parola bisogna prima ]asciarsene coinvolgere. Solo allora anche la risurrezione di un morto può divenire segno (Atti I0,40 s.); altrimenti anch'essa porta solo all'ostinazione. .

La vita del discepolo, 1 7,1-10 (cf. Mc. 9,42; Mt. I 8,6 s. I 5 .2 I s.; 1 7, I 9 s.) 1 Ma egli disse ai suoi discepoli: È escluso che gli scandali non avvengano; ma guai a colui per il quale avvengono. Ne avrebbe più vantaggio se gli fos­ se appesa una macina al collo e se fosse gettato in mare, piuttosto che scan­ dalizzi uno solo di questi piccoli. 3 Badate a voi. Se il tuo fratello pecca, rim­ proveralo, e se egli si converte perdonalo. 4 E se pecca contro di te sette vol­ te al giorno e per sette volte si volge a te e dice: Voglio pentirmi, tu lo per­ donerai. s E gli apostoli dissero al Signore: Infondi in noi la fede. 6 Ma il Signore disse: Se avete fede quanto un granello di senape, direste a questo gelso: Sradicati e piantati nel mare, ed esso vi obbedirebbe. 7 Chi però di 2.

2. so

Le. 17,1 - 1 0. La vita del discepolo

voi avendo un servo che ara o che pascola gli dirà quando torna dal campo: Vieni subito qui e mettiti a tavola? 8 No n gli dirà al contrario: Preparami la cena, cingiti la veste e servimi finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangia e bevi tu? 9 Ringrazierà forse il servo per aver fatto tutto quanto gli era stato o rdi nato ? t o Così anche per voi, q u and o avrete fatto tu tto qu ello che vi era stato ordinato d i te : Siamo servi inutili; abbiamo fatto quanto era­ vamo tenuti a fare. I - I o. Quando i destinatari delle parole di Gesù sono i discepoli, si vuoi rimarcare che il pericolo appena individuato sussiste in maniera diversa anche per loro. Allora chiedono e ottengono il suo aiuto ( 5 I o; v . a I 6, I - I 3 ) . I vv . I s., in origine u n ammonimento escatologico, comparivano uniti già in epoca prelucana (v. a Mc. 9,42; Mt. I 8,7) cer­ to nella versione di Q ripresa e modificata da S, come pure i vv. 3 s. (v. a Mt. I 8,2 1 -3 5). Nel contesto lucano mettono in guardia dal mettere in pericolo in qualsiasi modo il più debole, com'è illustrato esemplar­ mente da I 6, 1 9-2 1 per la convivenza materiale, da 1 7,3 s. per quella spirituale. Come già Mt. I 8, I 5 {v. ad loc. ) anche Le. 1 7,3 pensa certo al fratello all'interno della comunità, ma a differenza di Matteo conside­ ra il caso in cui la colpa dell'altro ci riguardi personalmente, come pre­ cisa il v. 4 («contro di te»). Inoltre Luca presuppone (in modo analo­ go a Test. Gad 6,3 s.[6 s.]) che l'altro «si volga» e «si converta» (en­ trambi i verbi esprimono spesso la conversione a Dio). A Luca preme in modo particolare che la chiamata di Gesù sia vissuta nella pratica giorno dopo giorno. Segue un logion che anche in Mt. 17,20 (v. ad loc. e a Mc. 1 I,23 ) è inteso come risposta a una domanda dei discepoli (v. a I I , I ) provocata dalle esortazioni dei vv. I -4· A S è ben nota la fede che Gesù infonde come aiuto contro le tentazioni sataniche (22,3 1 s.); il collegamento con i vv. I s. potrebbe allora essere già esistito in tale fonte e pertanto non sarebbe dovuto solo alla parola chiave «mare» (2./6). A favore di tale ipotesi potrebbe deporre anche la doppia ricor­ renza di «il Signore» (v. introduzione, 2c). In relazione alla parabola di I 6, I -8, in 14- 1 8 i farisei erano richiamati alla validità della legge, in­ terpretata in modo nuovo grazie e alla predicazione del regno di Dio; i discepoli sono invece richiamati alla fede, che possono solo richiede­ re in dono (v. a 22,3 1 ). Naturalmente non si tratta di avere più o meno fede: se «hanno la fede» vera (e non: se «avessero» !), questa agisce, per quanto minuscola possa essere (Mc. 4,3 I ). Il concetto non cambia nep­ pure se nell'immagine del granello di senape si includesse anche quella

Le. 1 7, 1 - I o. La vita del discepolo

15 1

della sua crescita. Che sia stata coniata da Gesù l'immagine straniante del gelso, che non ha paralleli nel giudaismo e non è attribuibile alla comunità ? I vv . 7- 10 fanno parte del materiale proprio. Presumibilmen­ te l'interpretazione ( I o), che ritarda di un poco il punto cruciale (v. sot­ to), e la scena rappresentata in 8bc non appartengono ancora alla reda­ zione più antica {gesuanica). La formula «Chi tra voi ... » (v. a Mt. 1 2, 1 1 ), con la frase principale accompagnata da una relativa o da un par­ ticipio, è tipica di Q ( 1 2,2 5 .41 s., abbreviata in Le. : I I , I s.; 14,5) e di S ( 1 1, 5 -7; 1 4,28.3 1 ; 1 5,4.8; 1 7,7-9). «Arare» e «pascolare» non hanno una funzione specifica nella parabola, ma servono a illustrare la fatica del lavoro, e non è necessario riferirli allegoricamente a missionari e capi di comunità. L'atteggiamento del padrone non è giustificato (cf. 1 2,37), se ne prende atto e basta. La frase conclusiva deve restare impressa: se già il garzone della fat­ toria non deve credersi chissà chi perché fa il necessario, tanto meno lo devono i discepoli di Gesù. Secondo l'odierno diritto del lavoro le pretese del padrone non sarebbero più così scontate; ma per il disce­ polo di Gesù lo sciopero non può certo essere un'arma per regolamen­ tare i propri obblighi nei confronti di Dio. Certamente il v. 1 0 non esorta a un'umile confessione di colpa, ma raccomanda l'amore che sa di non aver mai finito il suo compito. Il di­ scepolo di Gesù è «inutile» non perché non è o non può nulla, ma perché non ha affatto portato a termine tutto quello che ancora reste­ rebbe da fare. Lo stesso vale per quei capi di comunità ai quali forse pen­ sa Luca, andando oltre i proverbi giudaici: «Se hai adempiuto molta legge, non menarne vanto: per questo sei stato creato ... Non siate co­ me i servi che servono il padrone per ricevere la paga» {Str.-Bill. n, 2 3 5 e IV, 1 9k ). Ciò libera da ogni presunzione, che finisce per portare nuovamente al calcolo, al confronto e quindi al senso d'inferiorità, e fa sì che ci s'accorga del carattere di dono di ogni vita vissuta nel ser­ vizio e perciò piena di significato. Alla richiesta di donare con autorità (v. 5 ) Gesù risponde rendendo liberi i suoi discepoli, liberi di essere naturali e semplicemente di esistere per coloro che hanno bisogno del loro servizio. No n si tratta di offrire prestazioni straordinarie. Ogni calcolo e confronto risulta pertanto falso, sia che nel misurare persino la propria fede la si giudichi particolarmente grande (o anche vergo­ gnosamente piccola), sia che si voglia stabilire di aver già fatto abba-

1J 1

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Le. 1 7,1 1 - 1 9,.17. Preparazione al giudizio finale di Dio

stanza, per cui tutto quello che è compiuto in più va considerato una prestazione straordinaria. «Noi apparteniamo a Dio con tutto ciò eh> secondo l'uso semitico, ripreso anche da Atti 20,7, si potesse tradurre «il primo». Questo però sarebbe pos­ sibile soltanto se fosse accompagnato dali' articolo, come avviene solo nella consueta espressione «il primo della settimana». Per quanto però possa andar bene per 2 I ,28, Luca non può aver pensato al primo gior­ no della redenzione, il giorno della venuta di Gesù. In ogni caso l'in­ troduzione specifica che il tempo immediatamente a venire sarà un pe­ riodo di tribolazione (Atti I 4,22 ), nel quale i discepoli, che avranno già preso quella decisione pretesa dai farisei al v. 2 I, brameranno la venu­ ta di Gesù. Essi, che vorrebbero vedere la gloria, devono imparare ad aver fede. Luca ha conformato l'avvertimento al v. 2 I a (come fa spes­ so: 23,3 5/37/3 9; anche 8,2 Ij1 1,28; 10,2 5/I 8,I 8; I 2, 1 1/2 1 , 14; 22,2/4; cf. introduzione, 2a). I falsi maestri compiono quello che in verità è im­ possibile (v. 2 1). Andando oltre Mt. 24,27 (v. ad loc. ), si sottolinea lo sfolgorare del lampo da orizzonte a orizzonte {cf. Bar. syr. 5 3 ,8 s.: il lampo «illuminò tutta la terra e guarì le nazioni»). Il giorno è quello della venuta di Gesù, come al v. 3 1 . Come in 19, 1 I è respinta l'idea di una gloria senza passione. Luca in proposito ricorre a un'antica for­ mula (9,22; v. a Mc. 8,27-3 3, intr.) che insiste solo sulla sofferenza ca­ gionata da «questa generazione» (v. a Mt. I I , I 6) a Gesù (analogamen­ te 9,44; cf. Atti I4,22). In aggiunta a Mt. 24,3 7-39 è riportato anche l'esempio di Sodoma, con tutte le occupazioni quotidiane tipiche dei suoi abitanti (non cer.to i peccati della città!): il commercio, il lavoro nei campi, la costruzione di case. «I giorni del Figlio dell'uomo» stan-

Le. 1 7,.2.0·37· Presente e futuro del regno di Dio

261

no qui a indicare il periodo alla fine del quale egli verrà definitivamen­ te (v. 3 0) . Ma poiché questo giorno non si conosce, di fatto tutto il pe­ riodo a partire dalla pasqua potrebbe essere l'ultimo. Come l' «entra­ ta» di Noè nell'arca è descritta in termini biblici, così anche il giudizio su Sodoma dopo l' «uscita» di Lot. I due episodi sono giustapposti an­ che in 2 Pt. 2,5 s., come pure in Sap. 10,4-7; Filone, Vita di Mosè 2,5 3 5 6; Str.-Bill. I, 5 74; 3 Mace. 2,4 s.; Test. Neph. 3,4 s. Mentre al v. 2 6 ac­ canto ai giorni di Noè erano menzionati anche quelli del Figlio del­ l'uomo, al v. 30, come in Mt. 24,39, si parla di «il giorno» in cui que­ st'ultimo si «rivela». La parola «rivelazione» designa tale concetto an­ che in 1 Cor. I ,7; 2 Tess. 1 ,7, mentre il verbo «rivelarsi» altrove è usato diversamente (Rom. 1 , 1 8 ; 2 Tess. 2,3 -8). Il v. 3 1 (v. a Mc. 1 3,I 5 s.) in questo contesto si limita ad affermare che alla venuta di Gesù nessuno più potrà radunare in fretta e furia i propri averi. L'esempio della mo­ glie di Lot vale perciò come ammonimento in questo senso. L'avverti­ mento di Gen. 19, 1 7 a non voltarsi indietro significa certo che il giudi­ zio di Dio non ammette spettatori: o gli si sfugge, guardando unica­ mente all'obiettivo fissato da Dio, oppure se ne viene colpiti. Le paro­ le chiave presenti nel versetto, «salvare la vita», hanno però rammen­ tato a Luca il logion (Q) del v. 3 3 (v. a Mc. 8 , 3 5 e Mt. I0,39). Anche nel secondo discorso escatologico in 2 I , 1 8 egli inserisce una frase trat­ ta da Q. Luca allora interpreta il guardarsi indietro della moglie di Lot come un attaccamento ai beni terreni, ed esorta pertanto a quella li­ bertà interiore che dev'essere praticata fin dalla vita terrena. Certo non va inteso come monito contro il conservatorismo (v. a 2 I , I 9). «Con­ servare» (così Ez. I 3, I 9 in opposizione a «uccidere») in greco ha an­ che la sfumatura di significato «ottenere con propria prestazione», men­ tre il concetto di «mantenere» (così Es. I, I 7; Atti 7,19) che gli viene qui contrapposto illustra anche quello di «destare» e «generare». Luca sottolinea pertanto il coinvolgimento dell'uomo, concepisce l'accetta­ zione di ciò che sta per venire come ammonimento etico per il presen­ te pensando a questo riguardo non più solo al martirio. A differenzia di Mt. 24,40 s. i vv. 3 4 s. si aspettano che il giudizio avvenga di notte, durante il banchetto (così Ev. Thom. 6 I b) oppure prima dell'alba men­ tre gli uomini dormono e le donne macinano (cf. a 8,3). O ancora si pensa a una coppia di coniugi che dormono mentre le serve sono già al lavoro ? Verosimilmente tuttavia la notte fa solo parte dell'immagi­ ne della «veglia» (Mc. 1 3 , 3 5 ) che, per quanto qui non accentuata, in Mt.

262

.Le. 1 7,2.0-37· Presente e futuro del regno di

Dio

1.•J,42 è collegata a questa doppia sentenza e si riferisce certo al «gior­ no» della venuta di Gesù di 24,3 6 (mentre l' «ora» della notte compare ai vv. 43 s.). Il v. 36 (Mt. 24,40) manca in tutti i manoscritti antichi. Il v. 3 7, con un'introduzione non lucana espressa al presente (v. a 1 6,23, intr.), conclude il discorso e respinge ancora una volta ogni limitazio­ ne di luogo (v. al v. 2 1 ) . Così il «cadavere» è immagine del giudizio di Dio (v. a Mt. 24, 2 8 ) come in Giob. 39,30: «Dove vi sono uomini ucci­ si, là è (l'avvoltoio)».

L'intero discorso ribadisce che non è possibile raffigurarsi ciò che verrà né nello spazio né nel tempo. Perciò utilizza unicamente imma­ gini che mettano in movimento l'uomo e s'imprimano già nella sua vita d'oggi, descritta al v. 22 come tribolazione. Per questa ragione il discorso escatologico non solo compare alla fine dell'attività di Gesù, immediatamente prima della passione come Mc. 1 3 (Le. 2 1 ), ma è an­ che inserito nella cronaca del suo viaggio. Già i primi due versetti esclu­ dono la rassicurante possibilità di fare da spettatori. Non si può «os­ servare» come uno scienziato, senza farsi coinvolgere, per poi eventual­ mente prendere una decisione a livello personale, come se nei confron­ ti del regno di Dio l'uomo di sua iniziativa potesse semplicemente com­ portarsi in un modo o in un altro. Di fatto è il regno di Dio ad agire nei confronti dell'uomo, in quanto gli è ormai andato incontro. Perciò l 'uomo non può assegnare al regno di Dio una collocazione nel pre­ sente o nel prossimo o lontano futuro. È il regno ad assegnare all'uo­ mo il suo posto, perché nell'operato di Gesù impronta già di sé tutto il presente. Chi si guarda intorno per scoprire segni della sua venuta futura ha pur sempre il tempo, benché forse solo poco, di valutare se prepararsi ad attenderlo oppure no. Ma con il regno di Dio il futuro non va inteso come distanza dal presente, perché lo ingloba già in sé. Destinato a essere portato a compimento nel futuro, è già presente come il lievito che agisce nella farina, il seme in attesa nel campo, il p a­ drone che ordina ai servi cosa fare. Chi lo intendesse come mera figlio­ lanza divina avrebbe falsamente spiritualizzato, dimenticando quanto grande sia la sua volontà d'includere il mondo, anzi il cosmo, e trasfor­ marne le strutture di base. Chi invece lo concepisse solo come speran­ za in una futura, prodigiosa fine del mondo, avrebbe falsamente accen­ tuato l'elemento apocalittico, dimenticando quanto grande sia la sua volontà di condizionare sin d'ora gli uomini pervadendo li completa-

Le. I 8,1 -8. Chiamata a pregare incessantemente il Dio della

grazia

2.6 3

mente. Perciò ritrarsi nell'interiorità è sbagliato quanto equiparare il regno a una qualsiasi utopia, anche secolarizzata, o imporre un pro­ gramma, sia esso reazionario o rivoluzionario.· Il regno di Dio non è né qui né là ( 2 3). Il vero pericolo è l'inoffensività nella quale l'uomo, assorbito da una quotidianità borghesemente perbenista, perde la vi­ sione aperta sul futuro di Dio (26-30). A maggior ragione bisogna ri­ nunciare a tutti i sogni di immediata realizzazione di una gloria para­ disiaca. Come Gesù stesso ( 2 5 ) anche il suo discepolo dev'essere libe­ ro per ciò che verrà, non più vivere legato al transitorio (3 I s.). Ciò può anche apparire insensato come la costruzione dell'arca o la fuga di Lot (27.29), e il discepolo non è in grado di dimostrare a nessuno quanto Gesù gli dice, cioè che la vita che l'uomo vuole spasmodica­ mente conservare o crearsi è pura apparenza, mentre è realtà solo la vita destata dalla fede (3 3). Come dimostra la moglie di Lot, anche chi è stato scelto per la salvezza è in pericolo. Perciò essere a conoscenza della separazione imminente (34-3 7) dovrebbe spingere a condurre una vita che nella preghiera punti tutto su Dio (1 8, 1 - 14). Le parabole suc­ cessive mostrano quanto sia seria l'esortazione a trovare il coraggio di condurre una vita libera da tutto ciò che il mondo considera impor­ tante. Questo può comportare sofferenza, e il suo significato non può essere dimostrato semplicemente a tutti. Si tratta però di una vita che non ignora più Dio ma è tutta incentrata su di lui. Certo non si può · né si deve immaginare la venuta di Gesù in termini umani, però si può e si deve vivere nella prospettiva di quell'ultimo incontro con lui, che, al di là di quanto può trasmettere la tradizione storica e addirittura lo Spirito santo durante la tribolazione, porterà la pace definitiva. In es­ so si rivelerà che Dio ha il volto di Gesù e che ogni incontro con Gesù durante la vita terrena dell'uomo costituisce una preparazione al gior­ no in cui Dio stesso nella figura di Gesù Cristo accoglierà l'uomo nel­ la vita definitiva con sé. Chiamata a pregare incessantemente il Dio della grazia, 1 8,1-8 I Ma disse loro una parabola circa la necessità di pregare sempre senza stan­ carsi, 2 e disse: In una città vi era un giudice che non temeva Dio né si cu­ rava di alcun uomo. 3 In quella città però vi era una vedova, ed ella andò da lui e disse: Fammi giustizia contro il mio avversario . 4 E per molto tem­ po egli non volle. Ma poi disse tra sé: Se anche non temo Dio e non mi cu­ ro di alcun uomo, voglio, s poiché questa vedova mi dà fastidio, farle giusti -

2.64

Le. 1 8, 1 -8.

Chiamata a pregare incessantemente il Dio della grazia

zia, perché alla fine non venga e mi tratti male. 6 E il Signore disse: Ascol­ tate cosa dice il giudice ingiusto. 7 Ma Dio non dovrebbe fare giustizia ai suoi eletti, che giorno e notte gridano a lui, e si farà attendere da loro ? 8 Io vi dico: Farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando ver­ rà, troverà fede sulla terra? La parabola occupa i vv. 2- 5 . Il soccorritore è caratterizzato dal suo modo di vivere, la donna bisognosa d'aiuto dal suo comportamento (2 s.). A ostacolare l'aiuto è proprio lo stile di vita del primo (ripetuto al v. 4), che però sarà vinto dal modo di fare della seconda (vv. 4 s.). L 'introduzione del v. I , che fornisce già la chiave interpretativa (cf. a I J, I - 5), è di stampo lucano, come mostra l'espressione ormai stereoti­ pata «pregare incessantemente» (v. a 5,36). Il v. 5 nella scelta dei ter­ mini ricorda I I ,7 s. Il v. 8b è un logion isolato, oppure originariamen­ te era la conclusione, in stile non lucano, collocata dopo I 7,3 7· Con esso Luca ha forse inteso introdurre alla fine un appello al lettore (cf. 1 5,2 5 -3 2), così come anche in 1 7,19 dopo il ringraziamento (in forma di preghiera) del lebbroso accenna alla «fede» ? Il v. 6 ricorda 1 6,8a, anche se qui «il Signore» è indubbiamente Gesù. Senza il v. 7 (e Sa) la parabola risulterebbe incomprensibile, a meno che Gesù non l'avesse pronunciata in circostanze tali da assicurarne un'interpretazione uni­ voca. Ma allora il primo narratore avrebbe dovuto aggiungere almeno il v. 7. Il v. 8 ripete il precedente dando maggior risalto alla prontezza dell'aiuto, il che è però alquanto in contraddizione con l'immagine del giudice. La fine del v. 7 presenta delle difficoltà. Bisogna forse sup­ porre l'esistenza di un modello aramaico e tradurre «anche se ... si fa attendere>> ? In greco ciò non è comunque possibile; neanche 2 Cor. 1 3,4 costituisce un parallelo per tale uso linguistico. Inoltre ci si aspet­ terebbe un congiuntivo aoristo o un futuro. Si potrebbe tradurre: «ed è paziente con loro», che però non si adatta alla parabola né tantome­ no al «prontamente» del v. 8a, sia che si pensi ai discepoli di cui esaudi­ sce le preghiere, sia a quanti la sua pazienza offre ancora una possibilità di conversione (2 Pt. 3,9- I 2). Dovrebbe però esserci almeno un «ma» . Né si può pensare a una forma primitiva dei vv . 2- 5 ·7 s. che da una par­ te ribadisse la certezza della venuta del Figlio dell'uomo per il giudizio e dall'altra ne ricordasse la grande pazienza e motivasse quindi il di­ scorso escatologico di 1 7,20-3 7· Di conseguenza si può tradurre solo come sopra e intendere l'espressione conclusiva come una domanda, sebbene il verbo descriva più un'attesa paziente che un differimento.

Le.

18,1-8. Chiamata a pregare incessantemente il Dio della grazia

265

1-8. Come in 1 I ,8 Luca insiste sulla preghiera incessante o che sem­

pre ricomincia, che anzi assilla Dio, più che sulla certezza della (pros­ sima) venuta della fine. Questa deve dare l'impronta alla vita nel pre­ sente (v. a I 7,20-3 7, conci.). «Magari l'uomo potesse pregare per tutto il giorno! », auspica anche il rabbi (Str.-Bill.). Flavio Giuseppe in Ant. 1 0,83 descrive Ioiakim come «né devoto verso Dio né benevolo verso gli uomini». Nelle controversie patrimoniali a decidere anche come giu­ dice unico può essere un uomo universalmente stimato (Str.-Bill. I, 289). Al v. 5 l'insistenza che ancora ci si aspetta dalla vedova è descritta in termini grossolani (alla lettera: «con continui [forma presente] colpi sot­ to l'occhio»), sia che si traduca come sopra sia «in eterno, incessante­ mente» (nonostante l'apparente vanità dei suoi sforzi). È difficile che si possa intendere solo «mi fa perdere la faccia». Quello che alla fine fa anche il giudice ingiusto (alla lettera: giudice dell'ingiustizia, cf. I 6,8), Dio lo farà molto prima (cf. a I I ,8). «Se il maligno è vinto dalla sfac­ ciataggine, quanto più lo sarà l'infinitamente buono del mondo» (Str.­ Bill. I, 4 5 6). Scopo di Dio è il diritto da lui imposto, che va a vantaggio proprio dei deboli e inermi; tuttavia s'insiste ancora sulla necessità di pregare incessantemente. L'espressione «farsi attendere» potrebbe de­ rivare da Sir. 3 5 (3 2), I J - 22( r 8 ! ), ove è rappresentato il giudice che sen­ za parzialità aiuta la vedova. Il v. 8 fa sperare in un aiuto «pronto». Lu­ ca ha forse in mente la sua venuta «improvvisa»; comunque cf. a 2 1 ,3 2. La traduzione «senza esitazione» (invece di «prontamente») non ap­ pare giustificata neanche dal richiamo a 1 Tim. 5 ,22. La domanda con­ clusiva non è se Dio agirà, ma se l'uomo è pronto al suo intervento. È insolito trovare una domanda dopo una parabola, a meno che come in 7,42b non sia rivolta direttamente all'ascoltatore costituendo così il punto cruciale, che interpreta l'intera parabola. Il v. 8b è dunque una aggiunta che intende introdurre un altro importante punto di vista. La forma più antica della parabola culminava nel «quanto più», in­ sistendo pertanto sulla certezza che Dio esaudisce le preghiere della «vedova» oppressa, cioè della sua comunità che chiede la venuta del regno. La parabola risulterebbe totalmente trasformata se l'antagoni­ sta fosse un latifondista con tutti gli agganci possibili e immaginabili, in grado di prendere qualsiasi iniziativa pur di ottenere giustizia. Così dunque la comunità viene informata che la preghiera corrisponde al suo rapporto con Dio. Non può costringere Dio, né deve farlo. Può

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Le. 1 8,9-I4. Chiamata a valutarsi rettamente davanti al Dio della grazia

però confidare di essere in tutto e per tutto affidata a lui e imparare a pregare, anche nei momenti in cui ciò sembra totalmente privo di sen­ so. Nella sua libertà Dio finirà per donarle il proprio regno, quando e dove sarà opportuno. Tal e certezza ha il suo fondamento nel fatto ch e è Gesù a raccontare la parabola (o che a lui la comunità la attribuisce); in lui infatti il regno viene già incontro a chi è in grado di ascoltarla veramente. Soltanto più tardi divenne importante che il regno venisse presto (7b.8b). Fu aggiunto anche l'interrogativo ammonitore del v. 8b; insomma, Luca osserva la vita della comunità del suo tempo con occhio imparziale e riconosce che alla preghiera vi è riservato un po­ sto troppo ridotto. Perciò dà tanto peso all'esortazione a pregare (v. 1 ). In relazione a 1 7,22-37 avrà pensato anch'egli alla preghiera per la venuta del Figlio dell'uomo. Chiamata a valutarsi rettamente davanti al Dio della grazia,

18,9-1 4

9 Ad alcuni però, che di se stessi confidavano di essere giusti e disprezza­ vano gli altri, disse questa parabola: Io Due uomini salirono al tempio per pregare, l'uno un fariseo, l'altro un pubblicano. I I Il fariseo si mise in pie­ di e pregava così tra sé: Dio, ti ringrazio che non sono come tutti gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, o anche come questo pubblicano. 1 2 Io di­ giuno due volte alla settimana, pago la decima su tutto ciò che compro. IJ Il pubblicano invece stava lontano e non osava neanche alzare gli occhi al ci elo , ma si batteva il petto e diceva: Dio, abbi grazia verso me peccatore. 1 4 Io vi dico: costui ridiscese giustificato a casa sua davanti a quello; perché colui che si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato.

L'introduzione, lucana anche dal punto di vista stilistico, interpreta il racconto esemplare (cf. a I J , I - 5), che è certo antecedente a Luca per via delle frasi non collegate fra loro e che doveva essere già unito ai vv. 2-8 ( «giustizia»/«giustificazione» vv. 7/1 4). È proba bil e che tale rac ­ conto provenga da Gesù. Il v. I o presenta i due personaggi. Alla loro «salita» (Io) corrisponde la «discesa» (v. 14). Entrambi sono orientati verso il «tempio» e «Dio», quindi «verticalmente verso l'alto». En­ trambi vengono contraddistinti dalla loro preghiera (I I- 1 3). Quella del primo è assai lunga e soggetto è sempre «io», quella del secondo inve­ ce è brevissima, con Dio come soggetto. Il primo, certo perseguendo l'ideale di giustizia proposto dal Sal. 26 ecc., abbandona l'orientamen­ to a Dio e si pone «orizzontalmente» mettendosi a confronto con gli

Le.

18,9-14. Chiamata a valutarsi rettamente davanti al Dio della grazia

267

altri. Il secondo, con Sal. 5 I ecc., pone Dio al di sopra di quello che egli è in confronto agli altri. L'ingresso del primo è descritto succinta­ mente, quello del secondo in modo particolareggiato. La sentenza di Gesù valuta l'episodio narrato (v. I4a). Solo il giudizio di Dio crea («verticalmente dali' alto») il rapporto d eli 'uno con l'altro anche sul piano «orizzontale». Una frase corrente generalizza quel che è stato detto (I4b). I rabbi conoscono una giustizia dell'uomo che potrebbe riconciliare persino il mondo (Str.-Bill. I, 2 I I s.; bSukkah 45b). I QS 1 I ,2- 5; I QH I I , J . I O- I 8.30 s.; 1 J , I 6 s. invece parlano del Dio che giu­ stifica il peccatore perché possa poi adempiere la legge. I I - 1 4· L'entrata in scena del fariseo è posta in risalto; forse per questo il «pregare tra sé» deve alludere al fatto che resta intrappolato in un monologo. Certo il suo ringraziamento è sincero e se ne trovano di simili anche in preghiere ebraiche, come nel Sal. 26 ecc. «Chi s'im­ pegna nella sinagoga· per ottenere il paradiso, invece che a teatro o al circo per l'inferno, ringrazi Dio», dichiarano anche i rabbi (Str.-Bill.). Solo che quanto il fariseo elenca non costituisce alcuna tentazione per lui. Fa parte infatti di un gruppo o di uno stato sociale in cui «queste cose non si fanno» - non così il pubblicano. Il digiuno è d'obbligo so­ lo nel giorno dell'espiazione; tuttavia Did. 8, 1 afferma che a quel tem­ po gli «ipocriti» (dunque i giudei) osservavano come giorni di digiuno il lunedì e il giovedì (i «buoni cristiani» mercoledì e venerdì), un sacri­ ficio notevole se si pensa che si rinunciava anche a bere. Che si depon­ ga nella cassetta per i poveri la decima dovuta a Dio anche per quello che si acquista è una precauzione (che eccede la legge) nel caso il ven­ ditore non l'abbia ancora fatto. Il fariseo non lascia aperta alcuna scap­ patoia che gli consenta di sottrarsi al servizio di Dio. Il suo impegno è degno di ammirazione. Egli non ha proprio nulla da impetrare: non così il pubblicano (v. a 3,1 3). La sua preghiera sembra essere senza speranza, perché può riconciliarsi con Dio soltanto chi si è riconcilia­ to con tutti coloro che ha offeso (Str.-Bill. n, 3 75), e questo è impos­ sibile. Ma da subito il pubblicano dà ragione a Dio, anche contro se stesso. Pertanto non deve più preoccuparsi di sé e della sua condizio­ ne rispetto ad altri. La sua umiltà non è una studiata «virtù cristiana», tutta concentrata sul proprio Io ma con un'errata percezione di sé. N on si manifesta nei pensieri o nelle parole, ma in modo del tutto spontaneo nel suo atteggiamento. Perciò la sua entrata non è narrata;

2.68

Le.

1 8,9- 14. Chiamata a valutarsi rettamente davanti al Dio della grazia

egli «sta» semplicemente lì, «lontano» (presumibilmente dal centro dell'atrio o dall'entrata del tempio) e non «osa» (così in semitico, alla lettera: voleva) neanche alzare gli occhi (cf. Hen. aeth. 1 3 , 5 : «Non po­ tevano più parlare né alzare gli occhi al cielo dalla vergogna per i loro peccati»). Che la sentenza di Dio sia la realtà che decide di salvezza o dannazione, Paolo l'ha appreso da Gesù. Significa esattamente « al di là di quello, passando davanti a quello»; forse allora bisognerebbe tra­ durre «non quello». Luca interpreta questa battuta come rifiuto d'ogni autogiustificazione {v. a 1 6, 1 5, riguardo alla formulazione Ez. 33 , 1 3 ) e ribadisce la propria opinione inserendo la sentenza di 14 b (v. al v. 1 6 e a 14,7- 1 4, conci.), che essendo espressa al futuro rimanda all'immi­ nente giudizio di Dio stabilendo così il collegamento con 1 7,20-3 7· Quanto afferma il fariseo (v. a I J,J I ) è vero, senz'altro lodevole e gradito a Dio. Altrettanto corretta è l'autodefinizione del pubblicano come peccatore. Diversamente da certe raffigurazioni, è piuttosto il fariseo ad avere un aspetto magro e ascetico, in contrasto con quello benestante e corpulento del pubblicano. «Questo» pubblicano, e non ogni pubblicano, è ben accetto a Dio, e «quel» fariseo, e non ogni fari­ seo, gli è estraneo. Non è la devozione del fariseo a essere sbagliata; anche il confronto di per sé è legittimo (come Gal. 1 , 1 4; 2, 1 5 ; Fil. 3,6) . Simili confronti con gli altri rivestono molta importanza anche in oc­ casione di esami, candidature ecc.; perché un'organizzazione funzioni deve esistere una gerarchia di sovra- e sub-ordinati che può svolgere un certo ruolo di stimolo anche nella vita del credente. Perciò chi a­ scolta questo racconto non solo dovrà identificarsi con il pubblicano, ma dovrà anche scoprire in se stesso qualcosa del fariseo. E però fatale quel che accade tra la salita al tempio e la discesa, quel punto di svolta in cui chi sta pregando Dio vorrebbe assistere alla riprovazione del pub­ blicano; anche i dotti giudei condannano un giusto che non sia bene­ volo nei confronti delle creature (Str.-Bill. 111, 22 3 ) . In tal modo non consente più a Dio di esser tale, ma resta incagliato in un mondo in cui l'uomo cerca di affermarsi senza di lui. Ma nell'autoritaria senten­ za di Gesù del v. 14 Dio stesso emerge dal suo nascondimento e svela la realtà. Davanti a lui scompaiono le differenze forse inevitabili nella vita terrena. Quando un gruppo di persone si fa fotografare, quelle che stanno dietro devono mettersi un gradino più in alto; viste da un ae­ reo o addirittura dal sole, queste differenze di posizione scompaiono.

Le. I 8,I S · JO. Chiamata a essere come bambini

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Ma l'affermazione del v. I4 va ancora più a fondo. In essa infatti di­ viene visibile un Dio totalmente diverso da come se lo erano raffigu­ rato i due uomini. Dio non è l'autorità che automaticamente premia la devozione e punisce l'irreligiosità. In tal caso gli uomini non avrebbe­ ro affatto bisogno di Dio, che diventerebbe una specie di macchina di cui sarebbero in grado di controllare il funzionamento e che potreb­ bero quindi utilizzare come strumento per la ricompensa finale. Di fatto Dio ama quelli che vengono a mani vuote e sporche non meno di co­ loro che hanno fatto molto per lui, e questo non soltanto se vi è stata prima la riconciliazione con tutti gli offesi (v. a I9,8). Con i sensi d'in­ feriorità pertanto non si ottiene nulla; bisogna invece scoprire questo Dio inconcepibilmente ricco di grazia (Calvino). Che il gorgo di un fiume giri verso destra o verso sinistra non ha importanza, comunque finisce per inghiottire il nuotatore, che dev'essere trascinato fuori dal centro del gorgo e indirizzato verso un altro centro, verso chi gli salva la vita. La parabola libera allora dalla mentalità efficientista incentrata sul lavoro svolto, come pure dall'incapacità di vivere tutta imperniata sulla mancanza di autostima; libera dall'entusiasmo eccessivo per il suc­ cesso ottenuto, come dalla rassegnazione davanti a un fallimento. Ren­ de liberi di rischiare di vivere senza più preoccuparsi di mettersi al si­ curo. Chi consente a Dio di essere l'unica autorità, è capace di vedere i propri lati di luce e d'ombra, ovvero di riconoscere che pur lavorando più d'ogni altro ( I Cor. I s,Io) è talmente punzecchiato da Satana da non poter mai montare in superbia (2 Cor. I 2,7). L'immagine del cuo­ re «di carne», cioè vivo, in contrasto con quello di pietra (Ez. I I , I 9) è perciò migliore di quella del cuore «affranto» (Sal. 5 1 , I 9), perché an­ che il sasso ridotto in sabbia conserva ancora in ogni granellino gli spi­ goli originari. Certo solo Dio può donare un siffatto cuore vivo. Que­ sto accade nel miracolo esposto da Gesù in questo racconto. Nella pa­ rabola allora Dio svela se stesso contro tutte le immagini che di lui si sono fatti gli uomini. Nei vv. 9. 1 4b Luca l'ha interpretata come esor­ tazione ad affidarsi realmente a questo Dio senza più ignorarlo. Chiamata a essere come bambini e alla libertà dal possesso, I 8,I 5-30 (cf. Mc. IO, I J -22; Mt. 19, 1 3 - 2 2) 1 5 E gli portavano anche i lattanti perché li toccasse. Ma quando videro que­ sto i discepoli li rimproveravano. 16 Ma Gesù chiamò a sé i lattanti e dis se :

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Le.

1 8,1 s -30.

Chiamata a essere come bambini

Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; perché a q uelli come loro appartiene il regno di Dio. 17 In verità [Amen] vi dico: Chiun­ que non accoglie il regno di Dio come un bambino non vi entrerà. 1 8 E lo interrogò uno dei capi e disse: Maestro buono, cosa devo fare perché io erediti la vita eterna? 19 Ma Gesù gli disse: Perché mi chiami buono? Nes­ suno è buono se non l'unico Dio. 20 Conosci i comandamenti: «Non com­ mettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza, onora tuo pad re e tua madre». 21 Ed egli disse: Tutto questo l'ho osserva­ to fin dalla mia giovinezza. 22 Quando udì questo, Gesù gli disse: Ancora una cosa ti resta da fare; vendi tutto quello che hai e distribuiscilo ai pove­ ri, e avrai un tesoro nel cielo, e vieni e segui mi. 2 3 Ma quando udì ciò diven­ tò triste, perché era molto ricco. 24 Poiché Gesù lo vide disse: Con quanta difficoltà entrano nel regno di Dio i proprietari di ricchezz e. 2 s Infatti è più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago che un ricco en­ tri nel regno di Dio. 26 E quelli che ascoltavano ciò dissero: E chi allora può essere salvato? 27 Ma egli disse: Quello che è impossibile agli uomini è pos­ sibile a D io . 2 8 Ma Pietro disse: Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre cose c ti abbiamo seguito. 29 Ed egli disse loro: In verità [Amen] vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato la casa o la moglie o i fratelli o i genitori o i figli per il regno di Dio, 30 che non riceva molto di più in questo tempo, e nel mon­ do futuro la vita eterna . .2.0 cf. Es. 2o, u - r 6; Deut. s , r6-zo.

I s- 1 7· Luca segue Marco quasi alla lettera. Al v. I 5 parla di « latta n­

ti», termine che evidenzia ancor di più la loro totale dipendenza dal­

l' aiuto altrui, la loro incapacità di imporsi. Sono quelli che non posso­ no giustificarsi da soli, che ancora non sono presuntuosi (come i veri credenti non sono più). Poiché nel corso della tradizione il v. 1 7 ven­ ne messo in relazione al battesimo (v. a Mt. 1 8,3, intr.), la variazione potrebbe dipendere persino dall'usanza del battesimo dei fanciulli (ex­ cursus dopo Mc. Io, I 6). La frase in cui si afferma che nulla può impe­ dire il battesimo (Atti 8,3 6; 1 0,47; 1 1 ,1 7) sta allora a indicare che esi­ steva una liturgia battesimale in cui si trovava qualcosa di simile a Le. 1 8, 1 6 s., che forse addirittura conteneva il v. 14b, visto che anche Mt. 1 8,3 è collegato a una sentenza analoga { 1 8,4) ? Che Gesù sia in 1 8,2 che in Le. 1 8, 1 6 «chiami a sé» è certo un caso. Luca avrebbe allora in­ serito il v. 1 4b come passaggio. Si tratta tuttavia di pure supposizioni. L'imma gine idilliaca dell'amico dei fanciulli che impone le mani in se­ gno di benedizione (Mc. IO, I 6) in Luca manca, forse perché il v. 1 7 non riguarda i lattanti o perché l'imposizione delle mani era già dive-

Le. 18,1 s-30. Chiamata a essere come bambini

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nuta istituzionale nei momenti del battesimo, dell'assunzione d'un ministero o della guarigione (Atti 6,6; 8, 17; 9, I 7; I J ,J ; I 9,6; 28,8; cf. I4,23), il che ovviamente deporrebbe contro una relazione con il batte­ simo dei bambini. All'incomprensione dei discepoli corrisponde quel­ la del v. 3 4· Questa pericope insegna una fede che in modo infantile {non puerile) affida a Dio la sua intera salvezza senza più contare sulle proprie opere, come dimostra il pubblicano di 9- 14. 1 8-3o. Segue immediatamente il v. I 8 (contro Marco). Anche qui fa la sua comparsa uno che come il fariseo dei vv. 9- 14 deve rinunciare al­ le sue sicurezze, ovviamente di tipo diverso da quelle del fariseo. Solo Luca afferma che si trattava di uno dei capi. Elenca i comandamenti con un ordine diverso. In Luca Gesù non parla mai della ricchezza pe­ ricolosa (eccetto 8,14 = Mc. 4, 1 9; però cf. 1 6, 1 3 = Mt. 6,24) ma piutto­ sto del ricco in pericolo, o dell'essere ricchi. Più accentuato rispetto a Marco è anche l'inserimento dell'episodio nel viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Egli stesso allora procede davanti a tutti nell'esercizio di una vita (v. al v. 3 1 ) che, nel rinunciare a ogni sicurezza come un bambino, è tutta orientata a Dio. In tal modo egli rende possibile ciò anche agli altri, com'è illustrato dall'esempio dei discepoli. Luca, men­ tre in 5,1 I (v. ad loc.).28 e I 8,22 (in aggiunta a Marco !) puntualizza che i discepoli hanno abbandonato «tutto», stralcia da Mc. 10,28 tale precisazione e fa dire a Pietro solo che hanno lasciato le loro cose. Pie­ tro dunque non si vanta. I discepoli perciò possono tranquillamente domandare qual è il senso di questa sequela: la fede rende la vita più povera o più ricca? Poiché Luca omette Mc. I O,J I, l'ultima parola di Gesù è «vita eterna», oggetto della domanda del v. I 8: la si trova se­ guendo Gesù. Ad essi è consentito conoscere questa promessa. No n possono fraintendere pensando che sia una garanzia su cui accampare un diritto. Del resto a questo sono stati chiamati da Gesù, mentre non ci viene narrato di nessuno che di propria iniziativa si sia mosso alla sequela e possedesse la forza per portarla avanti. La sequela, anche in questo particolare significato di radicale rinuncia a tutto, è dunque un dono. Il v. 29 parla del regno di Dio, non del vangelo o del nome di Ge­ sù come Mc. 1 0,29; Mt. 19,29. Poiché Le. 2 1 , I 2 aggiunge «a causa del mio nome» persino in riferimento al periodo dopo la pasqua, forse qui tale espressione è omessa per collocare più chiaramente la frase nel tem­ po del Gesù terreno e dei suoi discepoli (cf. excursus dopo 4,3 0, ini­ zio). Gosì anche altre varianti lucane acquistano il loro senso. Il capo

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Le. I B,) I -43 ·

Cecità di fronte alla via e alla potenza salvifica di Dio

non va via; i vv. 24 s. allora sono diretti a lui personalmente e non ai discepoli come in Mc. 1 o,2 3 . Per questa ragione sono formulati al pre­ sente: egli, il «molto ricco» (v. 2 3) dovrebbe «entrare nel regno di Dio» adesso (non al futuro come Mc. I0,23). Manca pertanto anche la generica frase di Mc. 10,24 sulla difficoltà di fare ciò. Né sono i disce­ poli che al v. 26 chiedono chi potrà essere salvato, ma qualcuno degli ascoltatori esterni. Ciò sta a indicare che l'attenzione di Luca s'appun­ ta tutta su questo caso specifico. Con i comandamenti Gesù ha offerto al ricco la salvezza. Salvezza significa proprio che Dio richiede qualcosa da noi e rende così la no­ stra vita piena di significato. Questo dovrebbe comprendere il ricco. Gesù non intende offrire una nuova via di salvezza. Ma continuando a parlare (2 1 ) il ricco si preclude la via del ritorno. Non ha ancora tro­ vato pace. Gesù non gli fornisce alcun insegnamento dogmatico, che l'altro potrebbe semplicemente assorbire facendo quanto richiesto, an­ che se andasse contro la sua intelligenza. Gesù gli chiede di impostare ogni cosa su Dio; per il ricco questo significa sul niente. Quanto s'è detto a proposito di 6,2oa trova allora conferma: ogni credente deve esercitarsi a condurre una vita che punta tutto su Dio; vi è inoltre una sequela in senso più stretto, nella quale un uomo, essendo d'esempio agli altri con la propria radicale rinuncia, può aiutarli a strutturare in maniera analoga la loro vita. Questa sequela ovviamente ha buon esito solo se è Gesù stesso a chiamare ad essa e a renderla possibile quale suo precursore. Se la fraternità di Taizé provvede previdentemente a stipulare assicurazioni contro la malattia e la vecchiaia, ma per il resto ogni anno dona tutto quel che possiede, questo costituisce un segno incoraggiante a fianco di molti altri meno noti. Cecità di fronte alla via e alla potenza salvifìca di Dio, I 8,3 1-43 (cf. Mc. 1 0,3 2-34· 46- 5 2; Mt. 20,1 7-I9.29-34) 31 E prese con sé i dodici e disse loro: Ecco, saliamo a Gerusalemme, e tut­ to quanto è stato scritto dai profeti sarà compiuto nel Figlio dell'uomo; 3 2 in­ fatti sarà consegnato ai pagani e sarà deriso e spavaldamente oltr aggiato c coperto di sputi, 33 e dopo che l'avranno flagellato lo uccideranno. E al ter­ zo giorno risorgerà. 34 Ed essi non ne comprendevano nulla, e questa pa­ rola restò loro celata ed essi non capirono quanto aveva detto 3 s Avvennc però, mentre si avvicinava a Gerico, là un cieco sedeva lungo la strada .

>, sicché il termine greco che la precede va tradotto con «paese», non con «terra». Perciò segue anche la de­ scrizione di un evento storico in tutti i suoi dettagli nei quali natural­ mente si adempie una predizione profetica (v. sopra). L'essere calpe­ stati dai popoli (o: dai pagani) e il tempo fissato per questo si ritrova­ no anche in Apoc. 1 1 ,2 (cf. Zacc. 8, I J .22; Tob. 1 4, 5 s.). «Il tempo dei pa­ gani» perciò difficilmente si riferisce a quello della missione ai gentili, bensì a quello del dominio di Roma e ovviamente al contempo anche della comunità etnicocristiana (riguardo a Gerusalemme v. a 1 9,4 1 -44, conci.). Dunque da Mc. I J,I4-20 o dal suo modello e dall'Antico Testamen­ to sono riprese ogni volta aspettative escatologiche, poste però in re­ lazione alla caduta di Gerusalemme che al tempo di Luca era già storia passata. Così nel vangelo è ripreso in maniera accentuata un evento verificatosi dopo la pasqua. All'esperienza storica è conferito carattere di rivelazione come altrimenti accade solo nell'Apocalisse e nell' Anti­ co Testamento. Naturalmente la si distingue nettamente dalla fine del mondo (già nei vv. 10 s.) che, come ognuno ben sa, non avvenne certo nel 70 d.C. Luca però vuole insistere sul contesto oggettivo, magari mettendolo direttamente sullo stesso piano della venuta finale di Gesù come i primi cristiani avevano fatto con la risurrezione. In ogni caso Luca omette «in quei giorni dopo quella tribolazione» (Mc. I J ,24) e

L,importanza d,Israele

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unisce direttamente il v. 2 5 al tempo dei popoli senza soluzione di con­ tinuità, dal momento che con la caduta di Gerusalemme s'è adempiuto tutto quello che le Scritture predicono. Essendo il vangelo giunto a Roma già prima di lui (Atti 28,26-28), Luca può alludere direttamente al compimento finale. Ammonisce a non vivere ignorando Dio, eppe­ rò introduce il tempo che conduce inesorabilmente alla venuta del Fi­ glio dell'uomo. Sebbene non si possa stabilire l'ora esatta in cui questa avverrà, tuttavia si insiste sulla sua imminenza ( 1 7,24-3 7; cf. I 2,45; 2 I , 3 2). In questa luce l a caduta di Gerusalemme è parte della storia esca­ tologica (v. excursus dopo il v. 3 8, a). L'importanza d'Israele (cf. excursus dopo 2,3 8) a

) Luca inizia e conclude il suo vangelo nel tempio di Gerusalemme

( I ,8- Io; 2,22-3 8.4 I - 5o; I9,47; 2 I ,37; 24,5 3). La devozione al giudaismo contraddistingue Gesù e la sua comunità. Paolo è presentato come un fariseo, sicché la disputa verte esclusivamente sull'esistenza della ri­ surrezione e se questa è già avvenuta in Gesù oppure no (Atti 4,2; 2 3, 6; 24, I 5 .2 I ; 26,8). Fede giudaica nel creatore e illuminata visione elle­ nistica di Dio sono i fondamenti ai quali va ad aggiungersi solo la pre­ dicazione cristiana di risurrezione e giudizio (Atti 1 7,24-3 I ). Tuttavia occorre individuare anche la frattura. Il ruolo di Gerusalemme è or­ mai al termine (v. a 19,28-44, conci.). Le. 2 1 ,20-24 sostituisce Mc. 1 3 , I 4-2o (v. ad loc. , conci., e a Le. 1 3, 1 -9, conci.). Le. 1 9,4 1 -43 e 23,28-3 1 presentano questo come adempimento della profezia di Gesù, 2 I ,22 come adempimento delle Scritture. Il tempio è divenuto luogo dell'in­ segnamento di Gesù (v. a 2,47; 19,47); perciò è tanto importante che la predicazione, estesa ormai al di fuori della comunità giudaica, parta da Gerusalemme (Atti 8,14- 1 7). Ma ora la comunità non si riunisce più nel tempio; infatti con Paolo la predicazione del regno di Dio e la dot­ trina del Signore Gesù Cristo si stanno diffondendo da Gerusalemme in tutte le nazioni sino a Roma (Atti 28,3 I), ovviamente solo dopo che Israele s'è finalmente deciso. A Gerusalemme sono dapprima in 3 ooo ad accogliere il vangelo, poi 5 ooo, poi sempre di più, infine decine di migliaia (v. a Le. 1 2,1) (Atti 2,4 1; 4,4; 5,14; 6, 1 .7; 1 2,24; 2 1,20). Lo stes­ so avviene in modo ancora più spontaneo presso i giudei della diaspo­ ra e i timorati di Dio (9,42; I 3,43; 14, 1 ; 1 7,1 I s.; cf. a Le. I 1 ,37- 54, conci.). Nel primo discorso ai pagani è predicato il vangelo inviato a Israele

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L•importanza d'Israele

(1o,J6.42; cf. I J,23 s.). Nella discendenza di Abramo sono benedette tutte le genti (3,2 5), ma popolo in senso pieno resta solo Israele (v. a Le. 2, I o). Atti 26,1 8 afferma forse come Rom. I I , I 7 s. che i pagani ri­ ceveranno la loro parte in Israele, «santificato» da Dio ? Ma i «santi » di 9, I J . J 2.4 I ; 26,Io sono i cristiani, seppur quelli di Gerusalemme c dintorni. Il parallelo più vicino, 20,J 2, non va certo inteso così, e an­ che Atti 26, I 7 è inerente a giudei e pagani che devono trovare la loro parte tra i «santificati», dunque nella comunità di Dio. Solo eccezio­ nalmente in Atti I 5 ,I4; I 8,Io Luca chiama anche la comunità di Gesù «popolo (di Dio)», e mai «il vero Israele». Per quanto i popoli si ag­ giungano agli israeliti che hanno accolto il vangelo, per quanto impor­ tante sia la continuità, tuttavia la denominazione «Israele» non è mai trasferita alla comunità, quantunque il giudaismo come organizzazio­ ne complessiva abbia rifiutato l'offerta di Dio (Atti 28,26-28). b) Qualcosa di simile accade anche riguardo al problema della leg­ ge. I genitori del Battista e quelli di Gesù sono esemplari nell'osserva­ re la legge (x ,6; 2,22-24.27.4 1), osservanza basata tutta sul fare (J, I O- I 4; 8, 1 5 .2 I ; I 0,3 7). Per Atti 7, 5 3 sono i giudei a non rispettare la legge, men­ tre Paolo, da fariseo coerente, l'ha seguita e anche dopo la sua chiama­ ta ad apostolo può continuare a osservarla (Atti 1 6,3; I 8, I 8; 26, 5 ; cf. I 6,4. I 3 ). Certo ora predica il regno di Dio «in base alla legge e ai pro­ feti» (Atti 28,23; cf. Le. I 6,3 1). Tuttavia la rettitudine richiesta dalla legge esiste in ogni popolo ( x o,3 5); infatti la legge rituale non ha molta importanza, benché occorra preservarne una minima parte ( 1 5, I o. 1 9l i ; 2 I ,24 s.), cosa che ovviamente nessun fariseo avrebbe mai potuto accettare. Perciò la vera fede esiste anche nell'Israele precristiano, e non come per Paolo solo nell'Abramo vissuto prima del tempo della legge (Gal. J,6- I 8}. Luca sa come passare dalla legge al vangelo, che ne eli­ mina l'imperfezione (Atti 1 3 ,3 8 s.; I 5, I O. I 9 s.). Mancano sia Mc. 7,I 5 sia le formulazioni per opposizione di Mt. 5 ,2 1 -48. D'altra parte la leg­ ge viene radicalizzata (cf. a Le. I 6,I7). Ma allora si tratta soltanto di ri­ durre le pretese rituali superflue o eccessive, concentrando tutto sui co­ mandamenti etici centrali? Tutto questo è certo assai lontano dalla chiarezza con cui Paolo con­ trappone la legge al vangelo. Eppure come Paolo anche Luca conosce il pericolo dell'autogiustificazione (I0,29; I 6, 1 5; 1 8,9) per cui l'uomo crede di non aver più bisogno di Dio. Essa costituisce un abuso delle opere, in sé buone, che la legge esige. Rende infatti impossibile l'amo-

L'im portanza d'Israele

303'

re perché induce l'uomo a misurarsi e confrontarsi con l'altro per po­ ter restare «sopra» (cf. a I 5,29 s., conci.). Tuttavia Luca non la indivi­ dua più nella forma dell'adempimento puntiglioso della legge di Mo­ sè. Piuttosto si potrebbe rimproverargli che I0,29; I 6,I 5 e I 8,9 com­ paiono solo in relazione a questo. Tuttavia egli sa che esiste vera fede solo laddove l'uomo sta a mani vuote in attesa davanti a Dio (v. excur­ sus dopo 2,52, c). Perciò figure come quelle dei ricchi di I 2, I 6-2 I e I 6, I 9-3 1 (cf. a I 8,8 ! ) , o del figlio maggiore di I 5,2 5-3 2, del fariseo di 7, 36-50 o degli spettatori di I 3, I -5, che vogliono distinguersi dai pecca­ tori, o ancora accenni lucani al significato presente degli ammonimen­ ti di Gesù (v. ad es. a 14,I 5-24, conci.; I4,3 3; I7, 1 -4) per così dire «tra­ ducono» la falsa autogiustificazione all'interno della nuova situazione. Poiché la devozione giudaica per la legge non costituisce quasi più un pericolo, e dunque la legge di Mosè non è più via di salvezza, Luca può interpretare anch'essa al pari dei profeti come rimando al vangelo e (come Paolo in Rom. 3,3 I; 7, I 2 ) come buona espressione della vo­ lontà di Dio. È proprio lui a mostrare come la ricchezza e l'ambizione possano indurre alla falsa presunzione di sé davanti a Dio. D'altra parte, per chi ha imparato a vivere del dono di Dio ciò può diventare un'indicazione concreta della direzione da prendere per proseguire il cammino. Luca quindi individua la scelta d'una direzione sbagliata più nella condotta pratica di vita che non nell'adesione pedantesca a un cammino di salvezza della legge invece che della grazia. Perciò la se­ parazione passa nel mezzo tra giudei e pagani e si realizza di continuo anche all'interno della comunità cristiana. 2.5-2.8. I fenomeni cosmici (Mc. I 3 ,24) , notevolmente abbreviati, so­ no riassunti come «segni» (come al v. I I ) ; scompare così la ripresa di /s. I 3, Io; 34,4 mentre è conservata solo l'espressione biblica «potenze del cielo» (le schiere delle stelle, Dan. 8,Io; anche 2 Re I 7, I 6) . Per con­ tro lo sgomento dei popoli, dunque un evento terreno, è illustrato con reminiscenze del Sal. 65,8 s. (cf. anche a Mt. 24,30) . A differenza di Dan. 7, 1 3 , Mc. I 3,26 e I4,62; Apoc. 1,7, qui si parla di un'unica nuvola come per l'ascensione; secondo Atti I , I I i discepoli di Gesù lo ve­ dranno ritornare così come s'era allontanato da loro, poiché la sua ve­ nuta è il compimento della sua esaltazione (cf. a Mc. I4,62 ) . La nuvola (al singolare) è segno della presenza e della gloria di Dio anche in Es. I 9, I 6; 24, 1 6; Num. I 1 ,25 ecc., cf. 9,26. L'invio degli angeli da parte del

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L'imponanza d'Israele

Figlio dell'uomo (Mc. 1 3 ,27) è omesso {cf. a 9,26); essi pertengono spiccatamente a Dio ( 1 2,8 s.; 1 5, 10), non al Figlio dell'uomo (Mt. 1 3, 4 1 ; 1 6,27; 24,3 x; 2 5,3 1). La funzione di giudice, che di per sé preme mol­ to a Luca (Atti 10,42; 1 7,3 1), con il Figlio dell'uomo passa qui decisa­ mente in secondo piano. Probabilmente anche Gesù ha concepito se stesso non ancora come giudice, bensì solo come testimone decisivo nel giudizio finale (così 1 2,8; in I 2,9 nemmeno menzionato) così come già Sap. 5 , I-5 si attendeva dal giusto sofferente (v. excursus a Mc. 8, 27-3 3, verso la fine). In quanto tale egli difende i suoi (Atti 7, 5 6); per­ ciò la pericope è conclusa da un invito alla gioia, passando di nuovo alla forma del discorso diretto. Promette «redenzione» (cf. Hen. aeth. s 1,2: «il giorno della loro redenzione è vicino») dalla tentazione del presente, che è presa molto sul serio, promette cioè il «regno di Dio» (v. 3 I) che verrà dopo il giudizio. 2.9-36. Luca illustra la duplice reazione degli uomini alla venuta di Gesù, reazione di cui Mc. 1 3,24-27 nulla dice. Non è la comunità a dover temere (vv 9. 14 s.) ma coloro che essa è oggi tentata di temere. Certo il compimento riguarda anche il mondo stesso; ma oscuramen­ to di sole e luna e caduta delle stelle sono irrilevanti. Al massimo su­ scitano curiosità, invece di chiamare a una vita che conduce a definiti­ va speranza, non a terrore e sgomento. Luca fornisce di introduzione la parabola di Mc. I 3 ,2 8-3 2 (v. a 6,3 7-42, intr.) e parla di «tutti gli al­ beri», ricavandone una legge di natura generale che si dovrebbe com­ prendere «da sé» (cf. I 2, 5 7), il che cancella il riferimento originario a Gl. 2,22. «Regno di Dio» è aggiunta di Luca, che già ai vv I 6. 1 9.28 ac­ centuava il riferimento ai discepoli. Ma come intende Luca la sua im­ minenza? Non può avere in mente il suo essere presente in Gesù (co­ me 9,27, v. ad loc. ), perché prima vi sono i segni cosmici e la venuta del Figlio dell'uomo. Inoltre a chi si riferisce «questa generazione» ? Se­ condo 1 7,2 5; 1 1 ,29-3 2. 50 s. dovrebbe essere quella che viveva al tem­ po di Gesù, sicché Luca attenderebbe il regno di Dio prima della mor­ te degli ultimi testimoni oculari, interpellati ai vv 2 8-3 2 alla seconda persona plurale, dunque entro i prossimi due, al massimo tre decenni. Forse Luca intende realmente così (cf. I 8,8). «Tutto» (v. 3 2) però do­ vrebbe allora includere anche la venuta di Gesù del v. 27, il che non è affatto probabile, altrimenti gli Atti non potrebbero essere stati scritti senza il minimo accenno a questa fine del mondo e senza alcun ricor­ so al linguaggio apocalittico. Ma allora con «questa generazione» si .

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L'importanza d'Israele

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intendono forse i giudei ? In tal caso sarebbe segno della storia di Dio che essi non possano essere assorbiti dagli altri popoli (Rom. 9- I I ). Ma di fronte a un aspetto tanto importante Luca si sarebbe davvero li­ mitato a quest'unica parola poco chiara ? O non avrebbe dovuto alme­ no esservene un accenno in Atti 28,26-2 8 ? I cristiani non vengono mai chiamati «questa generazione». Si pensa allora all'umanità, come in I 6,8 ? Come è sicuro che essa non si estinguerà, altrettanto sicura è la venuta del regno. Tuttavia ciò sarebbe espresso in modo piuttosto ba­ nale. Tutt'al più Luca pensa che dopo la pasqua tutti appartengono al­ la generazione del tempo escatologico, che anche secondo I QpHab 2, 7; 7,2 sembra comprendere più generazioni, perché «il tempo della fi­ ne si espande» (7,7). Per questo motivo si sottolinea anche che nessun uomo conosce la data della venuta di Gesù (Atti I ,7) a eccezione natu­ ralmente di Gesù stesso - Mc. I J ,J 2 infatti è omesso! La conclusione è priva di paralleli. Il suo monito è più pressante dei vv. 28.3 r; tuttavia la speranza nella redenzione finale, l'esortazione a pregare incessante­ mente e la questione della reazione degli uomini sono collegate anche a 1 8, I -8. Come lì Luca riprende la sua tradizione {v. intr.) concordan­ do con essa. L'ebbrezza è la condizione in cui «i sensi sono appesanti­ ti dal vino» (Omero, Odissea I9, 1 22; J , I J9; cf. Filone, Ebbrezza I04 [bramosie, passioni]. I 3 I , tanto che non si è più in grado di vedere la realtà e si vive nell'illusione. Di queste fa parte ciò che definiamo rea­ listico: la preoccupazione per il sostentamento {8, I4; 1 2,22; cf. I 2, I J 34·45; 1 7,26-3o). Così si dimentica «quel giorno» (1 o,t2; I 7,3 I) e ci si finisce dentro come un animale preso al laccio (anche 1 Tim 6,9). L'e­ stensione a tutti gli abitanti della terra proviene da !s. 24, I 7 e rafforza l'appello ai singoli individui. Pregare incessantemente (cf. I 8, 1 ; Ef 6, 1 8) dà la forza per fuggire via da ogni terrore, verso il Figlio dell'uo­ mo; non verso il giudice (come 2 Cor. 5 , 1 o) ma verso colui davanti al quale «si è posti in piedi» (stesso termine in Rom. I 4,4) in quanto cre­ denti. Come anche I 2,8, queste potrebbero essere parole autentiche di Gesù. 37-38. I vv. 3 7 s., con 19,47 s. e 20, 1 , racchiudono e concludono il periodo dell'insegnamento di Gesù a Gerusalemme (v. a 22, I). Anche qui il popolo compare al suo fianco (cf. la conclusione dell'insegna­ mento di Mosè di fronte al popolo: Deut. 3 1,1; 3 2,44 s.). Gv. 8,I s. è af­ · fine anche nella scelta dei vocaboli, ma potrebbe essere stato redatto sul modello di Le. 2 1,37, poiché Gv. 7,5 3 -8, 1 1 in un manoscritto com.

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Venuta definitiva e storia escatologica

pare tra Le. 2 I ,37 e 3 8. Tuttavia Gv. I 8,2 presuppone come Le. 22,39 che Gesù si trattenga di frequente sul («cosiddetto», sebbene sia già stato nominato in I 9,37 [cf. 22,3 9]) Monte degli Ulivi. In tal modo è già preparato lo scenario della sua cattura. Come in Mc. I 3, il discorso escatologico conclude l'operato pubblico di Gesù. No n è che la fine un giorno semplicemente verrà, bensì condiziona già la vita presente. Perciò Gerusalemme occupa il suo posto di rilie­ vo, mentre le catastrofi naturali escatologiche passano in secondo pia­ no. La caduta della città introduce il tempo escatologico di Dio, il «tempo dei pagani», che Luca collega già fortemente all'ultima venuta di Gesù. Perciò la rappresentazione oggettiva dei vv. I 6. 1 8 s.28 assu­ me la forma del discorso diretto, mentre ammonimenti come Mc. I 3, 3 3- 3 7 erano già stati sviluppati ampiamente in I 2,3 5 - 5 9 e 1 7,22-3 7. «Eb­ brezza» e «ubriachezza», splendore e miseria possono riempire il cuo­ re al punto che non vi è più posto per quello che è realmente impor­ tante: il sapere, proprio della fede, che la fine è l'inizio della gioia defi­ nitiva. Da qui deve avere origine quell'irrequietezza salutare che pone nuovi valori. Venuta definitiva e

s

toria escatologica

) Per Luca gli eventi escatologici e la venuta definitiva del Figlio del­ l'uomo sono molto importanti. Le. I9,1 2 sottolinea redazionalmente il ritorno del Signore. Gli accenni al riguardo sono molto più numero­ si in questo vangelo che non in quello di Marco: Luca ha non un solo, ma tre discorsi escatologici ( 1 2,3 5-59; 1 7,20-37; l 1 , 5 -36) mentre soli­ tamente omette i testi di Marco (ad es. 4,30-3 2; 6, I -6; 9,42-50; I o,2- 1 2) se ha già ripreso materiale analogo (ad es. da Q). Nel primo discorso si insiste sulla necessità di vegliare, nel secondo sul carattere improv­ viso della venuta di Gesù, nel terzo vengono illustrati il tempo inter­ medio e l'evento finale nella loro diversità e complementarità, mentre in Atti 1 ,6-8 si parla esplicitamente dello Spirito. Luca distingue netta­ mente eventi già avvenuti, come la conquista di Gerusalemme e la per­ secuzione della comunità, dal tempo escatologico vero e proprio che riguarderà il cosmo intero (2 1 , 1oa.r 2a.2o-24). Nell'esporre i primi le frasi prettamente apocalittiche (!'�abominio» di Mc. I J , I4) vengono eliminate o trasferite al periodo ultimo ( I 7,3 I}. Tuttavia quanto è già a

Venuta definitiva e storia escatologica

3 07

avvenuto non è storia profana, bensì parte dell'azione escatologica di Dio. Anche per questa è impiegato il linguaggio biblico (v. a I 2, 5 2; 2 1 , 22). Gli eventi cosmici sono associati in 2 I , I o s. a quelli già in corso; anzitutto il tempo dei pagani, non più limitato ai tre anni e mezzo a­ pocalittici (Apoc. I 1 ,2), confluisce direttamente in quello della venuta del Figlio dell'uomo; 2I,2 5 tralascia l'espressione «in quei giorni (do­ po quella tribolazione)», che designa il tempo escatologico vero e pro­ prio (v. al v. 23). Secondo Atti 2, 1 7-21 «gli ultimi giorni» hanno avuto inizio e il tempo dello Spirito si immette senza soluzione di continuità in quello dei prodigi cosmici, dell'oscuramento del sole e del giudizio universale. Tutti sanno che la caduta di Gerusalemme non ha costitui­ to la fine del mondo; per i lettori di Luca tale evento aveva riguardato un cantuccio insignificante dell'impero romano. Luca però sottolinea il contesto oggettivo con gli eventi escatologici veri e propri. Neanche la morte di Paolo comportò la fine. Il suo discorso di commiato parla sì dei «lupi» che stanno per venire (Atti 20,29 s.), attesi nel tempo del­ la fine (v. a Mc. 7, 1 5); ma come in Le. 10,3 questo sta a indicare il tem­ po della persecuzione prima dell'ultimo periodo escatologico. Sicura­ mente Luca non pensa a secoli interi: la fine può giungere in qualun­ que momento ed è attesa dalla comunità del tempo escatologico per­ vasa dallo Spirito. Secondo 2 I ,J 2 (v. ad loc. ) sembra anzi che sia pros­ sima a venire. La missione d'Israele è conclusa (Atti 28,28) e anche la predicazione ai pagani ha certo raggiunto il suo scopo con la morte dell'apostolo. Naturalmente la predicazione va portata avanti (28,3 I ); non per questo tuttavia 20,28 ha in mente la missione, bensì il pascere il gregge (definito ora come «vegliare», v. 3 1 !, v. a 1 0, 1 7-20, conci.), sen­ za però che ancora si ponga il problema della conservazione della dot­ trina per le generazioni future (2 Tim. 2,2). D'altra parte Luca (come già Marco!) scrive un vangelo in cui l'attenzione s'è spostata dall'am­ monimento (come già Mc. I J ,J4-J 7, v. ad loc. ) alla responsabilità nel tempo intermedio. Gli Atti sottolineano, è vero, la risurrezione dei mor­ ti (24,2 I ecc.) e il giudizio con la giustizia che esso richiede (24,2 5 ); tuttavia nulla è detto circa eventi cosmici escatologici e la venuta di Gesù, alla quale si accenna solo in 3,20 s. in un'espressione tradiziona­ le. A ciò si collega il fatto che quanto predetto da legge e profeti com­ prende innanzitutto passione e risurrezione di Gesù, caduta di Geru­ salemme e predicazione ai popoli (Le. 2 1,22; 24,26 s.46 s.; Atti I 7,3; 26,22 s.27, e anche 3,2 I -26; cf. 2 Cor. 5 , 19), ma non gli eventi escato-

308

Venuta definitiva e storia escatologica

logici veri e propri. Certamente nella rappresentazione dell'ultimo pe­ riodo compaiono espressioni bibliche anche al di fuori dei paralleli a Marco ( 1 7,29; 2 1 ,25.3 5), ma non vengono caratterizzate in quanto tali e sono forse riprese da Luca. Esse alludono anzitutto al giudizio che attende gli uomini. Le pericopi sul tempo escatologico svolgono dun­ que la funzione di rammentare ai lettori il giudizio che attende anche loro e la gloria che spetterà loro (2 1,28 . 3 6; Atti I0,42; I 7,3 I ). b) Anche «regno di Dio» ha un duplice significato. Non ha ancora inizio nel compimento atteso dal popolo ( I 9,I I ) e dai discepoli (Atti I ,6), ma solo dopo il ritorno del Signore (I9, 1 2. I 5). Gesù (nella sua e­ saltazione ?) ha già adito l' «eredità» del Padre, e da parte sua «lascia in eredità» il regno ai suoi discepoli, che però solo in futuro lo condivi­ deranno con lui (22,29 s.). Allo stesso modo anche la comunità entrerà un giorno nel regno di Dio «attraverso molte tribolazioni» (Atti I 4, 2.2.) . Peraltro l'insegnamento relativo al regno di Dio (Atti I ,3 ), il suo annuncio da parte di Gesù (Le. 4,43) e dei discepoli (Le. 8, I ; Atti 28, 3 I ) non va certo inteso solo come trattazione degli eventi escatologici. I discepoli, che annunciano la venuta di Gesù (Le. ·IO, I, redazionale), alla città che li rifiuta dichiarano che il regno le è stato vicino (I o, I I ). La variante lucana in I 8,24 (v. ad loc. ) accentua l'ingresso attuale nel regno di Dio. Le due cose però per Luca descrivono la decisione a fa­ vore del regno futuro. Mentre infatti le parabole del suo materiale pro­ prio non contemplano alcuna introduzione che accenni al regno di Dio, Luca lo introduce redazionalmente nel senso citato in I 4, I 5; I 9, I I . Nei paralleli di Mt. 22,2; 25, 1 è all'interno della parabola, ma inserito in un contesto indubbiamente escatologico. Egli interpreta certo in tal modo anche le affermazioni tràdite sulla presenza del regno in I I ,2.o; I 7, 2 1 (cf. anche a I 0,19), e può riprendere da Q anche 1 3, I 8 -2 1 . Lad­ dove emerge l'interrogativo sul quando ( 1 7,20; I 9, 1 1; 2 I,7; Atti I ,6 s.), si rimanda al futuro ancora di là da venire. Come per Gesù stesso (ex­ cursus a Mc. 1, 14 s.) non bisogna tanto chiedersi se il regno è presente o futuro, quanto in che modo esso è presente o futuro; solo che Luca non risponde con il paradosso di Mt. I I , I 2 (v. ad loe. ), bensì sottoli­ nea l'apertura che ci si attende ora dall'uomo per ciò che sta per veni­ re. È futuro nel senso della liberazione definitiva da ogni tribolazione (Le. 2 I ,28-3 I; Atti 14,22), della comunione indisturbata con il Signore (22,J O), quindi dell'uscita dal nascondimento (19, I I ; cf. I J , I 9 b.2 8 s.). Dio si riserva. comunque di stabilire tempo e luogo (v. a 17,20 e 2I ) . È

Vènuta definitiva e storia escatologica

3 09

presente nell'operato e nella persona di Gesù (cf. a 1 7, I 5 s. e retro­ spettiva), al quale occorre aprirsi. «Con lui» i discepoli entreranno nel regno di Dio e perciò in un certo modo vi sono già (22,28-30; 23 ,4 3; Atti 7, 56). È già predisposto per loro, naturalmente senza identificarsi con la comunità ( I 2,3 2 ) . Essi lo possono già «vedere» (v. a 9,27). Atti I ,6-8 non solo negano una prescienza di luogo e tempo, ma pongono al suo posto l'azione universale dei discepoli e la loro predicazione di Gesù come il Cristo (5,42; cf. 1 0,36) nella potenza dello Spirito santo, senza ricorrere ancora all'espressione «regno di Dio»; infatti né la loro azione precedente (cf. I o,2o accanto a I8) e successiva alla pasqua, né la vita della comunità equivale ad esso. Tuttavia Paolo, predicando il Signore Gesù Cristo (e non: Gesù il N azareno, Le. 24, I 9! ), predica il regno di Dio (Atti 28,3 I ). Questo, che è allora azione regale di Dio, già visibile nella vita terrena di Gesù, è conferito al glorificato come «re­ gno suo (di Gesù)» (Le. I9, 1 2. 1 5; 22,29) poiché regna in nome di Dio. c) Ma allora non si può affermare che Luca concepisce l'azione ter­ rena di Gesù come centro del tempo, al quale seguirebbe un altro pe­ riodo paragonabile al tempo prima di Gesù, fino al momento in cui l'in­ tervento di Dio non ponga fine alla storia intera. Certo morte, risurre­ zione e ascensione di Gesù contrassegnano un intervallo tra due tem­ pi, che da Le. 2 4 , 50 - 53 ; Atti I , I - 14 vengono descritti sia come distinti sia come confluenti l'uno nell'altro. Tuttavia proprio Luca sottolinea la stretta appartenenza reciproca (cf. excursus dopo 4,3 0, b) nella qua­ le i due tempi insieme, in quanto adempimento dei profeti (v. sopra, a, fine), si distaccano dal tempo della profezia. Certo gli eventi salvifici nella vita, morte e risurrezione di Gesù precedono nell'ordine la fede; ma proprio raccontando in Atti anche la storia della fede, suscitata an­ cora una volta dall'azione di Dio, Luca dimostra di sapere bene che senza la predicazione e la comprensione credente gli eventi salvifici non sono più tali (v. a 4,2 I ed excursus dopo 4,30, c)'. Se per Luca la presenza del regno di Dio rappresenta anzitutto la possibilità di aprir­ glisi per riceverlo, tanto più questo vale per la predicazione postpa­ squale del Signore, al quale il regno è già stato conferito. Sarà solo la pienezza del regno, promesso ai discepoli e non più «paradossale» (5, 26) a portare la definitiva comunione con Gesù (22,29 s.). d) La prima comunità ha potuto identificare come tempo escatolo­ gico in senso proprio il tempo dopo la pasqua ancora insieme a quello del Gesù terreno, perché attendeva con imminenza tale la fine (Mc. 9,

3 IO

Venuta definitiva e storia escatologica

che la predicazione a Israele e più tardi a tutte le genti rappresentava il termine ultimo. È probabile che avesse addirittura concepito l'esperienza dello Spirito come inizio del­ la venuta di Gesù per il giudizio. Anche Paolo poteva pensarla ancora in maniera analoga ( 1 Tess. 4,I7; 2 Cor. 6,2). Due decenni dopo la mor­ te di Paolo, all'epoca in cui scrive Luca, questo non era più possibile. Con Giovanni si potrebbe affermare sulla scia di Paolo che con Gesù il tempo escatologico è già qui perché quant'è accaduto in lui scavalca tutti i tempi, trasferendo già nella salvezza l'uomo che perviene alla fede e unendolo a Cristo. Allora la venuta di Cristo e il giudizio finale significano solo più che il velo è stato sollevato rendendo visibile a tutti quanto da sempre era celato. Il pericolo è allora quello della gno­ si, che considera importante solo la conoscenza della salvezza già rag­ giunta, sicché ogni forma di vita nel mondo passa in secondo piano (cf. excursus dopo 4,30, a ) . Svanisce dunque anche l'interesse per Dio come creatore del mondo e con esso l'impegno a favore della natura, della società e dello stato. Per questo già Paolo aveva dichiarato che noi siamo sì morti con Cristo, ma dobbiamo risorgere con lui cam­ biando la nostra vita per divenire un giorno partecipi della risurrezio­ ne definitiva (Rom. 6,8-I I ) . Di fronte ai fraintendimenti dei Corinzi Paolo ha distinto nettamente la risurrezione dei morti come evento del tempo escatologico da quanto ha valore sin d'ora ( 1 Cor. 15,21-28), sostenendo questa concezione fino a Fil. 3,20 s. (nonostante I,2J). Lo stesso Giovanni ha affiancato chiare affermazioni riguardo alla risur­ rezione dei morti ancora da venire ad altre inerenti a quella già avve­ nuta (come accanto a 3,3 ha ripreso 3,5, v. a Mt. I8,3 s., intr.), o perlo­ meno così è stato successivamente corretto (5,28 s.; 6,39; cf. 1 Gv. 2, 28). Per la fede è essenziale l'azione finale di Dio volta a condurre uma­ nità e mondo, non soltanto alcune anime, allo scopo da lui previsto nella creazione. Perciò tale operato può anche essere posto al centro come fa l'Apocalisse, naturalmente solo in immagini profetiche, sotto­ lineando così tutto quello che è esposto a Mc. IJ,I-27, conci. Il rischio è allora la fuga in una realtà di sogno che non prende più sul serio il mondo e il tempo che separa dalla fine. Se si vogliono evitare entrambi questi pericoli bisogna con Luca restare fedeli all'attesa di un'azione di Dio che tutto concluda, dando però sempre il peso maggiore alla con­ dotta dell'uomo nel tempo intermedio, condotta che dev'essere deter­ minata da tale attesa (v. a 12,35; 18,1; 2I,J4-J6). In Luca questa tensio1; IJ,JO; I

Tess.

4,17; I

Cor.

I5,5I)

Le. 22, I- I 3. Preparativi per la pasqua ebraica all'ombra della croce

3 Il

ne è talmente forte che negli Atti (cf. anche Le. 16,23; 23,43) non è più chiaro se egli attenda risurrezione e giudizio solo come conclusione di ogni singola vita umana, magari addirittura subito dopo la morte, op­ pure come scopo del mondo. e) Luca evita il secondo rischio, cioè di scambiare il regno di Dio con attività umane, di stampo credente o profano. Lo collega strettamente a Gesù stesso (v. sopra, c) e attende la salvezza dall'azione escatolo­ gica di Dio; nella vita della comunità vede quella dello Spirito santo, il cui dono va richiesto di continuo, anche da coloro che l'hanno già ri­ cevuto (Atti 4,8.3 1 ; 1 3 ,9 ecc.); nella fede riconosce un dono di Dio (Le. 1 7,5; Atti 3,16: «la fede (donata) per mezzo di lui»; 1 6,14). L'irru­ zione di Dio nella vita dell'uomo, già avvenuta in Gesù, e l' orientamen­ to al compimento divino pervadono dunque l'uomo, nell'evento dello Spirito, durante il tempo della comunità. Luca non accenna nemmeno all'abitare di Cristo in noi o alla nostra vita in lui come Paolo e Gio­ vanni, ma parla del Gesù glorificato assiso in trono nel cielo davanti a noi e che per mezzo dello Spirito opera in noi. Sebbene Luca non co­ nosca neppure per questo tempo alcuna storia della salvezza che possa essere descritta, nel senso di uno sviluppo verso la fine (v. excursus do­ po 4,30, a) , tuttavia non intende dire soltanto che l'evento di Cristo influisce sulla storia o che serve sempre, fondamentalmente allo stesso modo, come segno della volontà e della grazia di Dio (v. excursus do­ po 4,30, c ) . Nella storia della comunità è Dio stesso a crearsi quella fe­ de che già intravede alla propria fine giungere il regno e gli si apre. Per­ ciò gli ultimi tempi (Atti 2, 1 7) hanno inizio con Gesù e il dono dello Spirito (v. a Le. 2 1 ,6). B. PASSIONE DI GESÙ (22,1-2J, 56)

Sebbene Luca segua in sostanza lo schema di Marco, qui se ne allon­ tana in modo particolare, v. excursus dopo 2 3,2 5 . Preparativi per la pasqua eb ra ic a all'ombra della croce,

22,1-1 3

(cf. Mc. 14,1 s. I o- 1 6; Mt. 26, 1 - 5 . 1 4- 1 9)

Si avvicinava però la festa del pane azzimo, chiamata p asqua. 2 E i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di toglierlo di mezzo, perché teme­ vano il popolo. 3 Ma il Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era uno del numero dei dodici. 4 Ed egli andò e discusse con i sommi sacerdoti e 1

3 I2

Le. 11, 1 - 1 3. Preparativi per la pasqua ebraica all'ombra della croce

con i comandanti sul modo di consegnarlo loro. 5 Ed essi si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. 6 Ed egli acconsentì e cercava una buona occasione di consegnarlo loro in disparte dalla folla. 7 Ma venne il giorno del pane azzimo nel quale si doveva sacrificare la pasqua. 8 Ed egli inviò Pie­ tro e Giovanni e disse: Andate a preparare per noi la pasqua perché la man­ giamo. 9 Ma essi gli dissero: Dove vuoi che la prepariamo? Io Ed egli dis­ se loro: Ecco, appena entrerete nella città vi verrà incontro un uomo che por­ ta un a brocca d'acqua. Seguitelo nella casa in cui entrerà 1 1 e al padrone del­ la casa direte: Il maestro ti dice: Dov'è la stanza dove posso mangiare l'a­ gnello pasquale con i miei discepoli? 1 2 E quello vi mostrerà una grande sala al piano superiore rivestita di tappeti. Là preparate. 1 3 E quando se ne andarono trovarono tutto come egli aveva detto loro.

1-8. Essendo tralasciato l'episodio dell'unzione (v. a 7,36 -50, intr.),

la decisione dei sacerdoti di far morire Gesù e l'offerta di Giuda ven­ gono a trovarsi fianco a fianco (Mc. 14, 1 s./ I o s.). I successivi prepara­ tivi per l'unzione della salma (23,56) vengono vanificati dalla risurre­ zione. La scadenza di due giorni (Mc. 1 4 , 1 ) è omessa da Luca, che non conosce la distribuzione dei fatti in una settimana (dalla domenica del­ le palme a pasqua) (v. a 1 9,28-21 ,38). L'errore di far coincidere le due feste (v. a Mc. I4, 1 ) è ampiamente diffuso (anche Giuseppe, Ant. 3 ,249; 14,2 1 ; I 8,29; Beli. 2, I o; I 7,2 I 3 ; 20, 5 ) ; ma «il giorno» {e non: il primo, come Mc. 1 4, I 2) del v. 7 è quasi impossibile (cf. però Giuseppe, Beli. 5,99). Inoltre il giorno della pasqua ebraica inizia solo dopo il tramon­ to, non al mattino come calcolano i greci (cf. v. 34). Ovviamente si provvedeva in precedenza a macellare l'agnello e a far sparire da casa il lievito. Ancora una volta il popolo è nettamente distinto dalle auto­ rità (v. a 19,48). Come in Gv. 1 3 ,2.27 («il Satana [in Gv. non compare altrove così!] entrò in lui»), il tradimento è ricondotto a Satana (v. a 8 , 1 2). In modo analogo anche Mart. /s. 3, 1 I narra che Belial (= Satana) si è annidato nel cuore di Manasse. Si tratta solo più di trovare il mo­ do di eliminare Gesù (cf. v. 2). Luca menziona intenzionalmente gli ufficiali di polizia del tempio (v. ai vv. 47- 5 3, intr.), sottolinea il con­ senso di Giuda e spiega il motivo del suo coinvolgimento: la cattura deve avvenire «in disparte dalla folla». Che con il verbo «dovere» Lu­ ca intenda alludere alla necessità della morte di Gesù ( 24. 26; Atti 8, 3 2)? Certo non concepisce Gesù come agnello pasquale, e anche il v. I 5 contrasta questa visione. Non sono i discepoli (Mc. 1 4, 1 2) ma è Gesù stesso a prendere l'iniziativa inviando «Pietro e Giovanni» (v. a 8,45).

Le.

22,14-38. La cena pasquale

3I3

La «buona occasione» (v. 6) ancora non si offre, poiché Giuda non sa dove si trova la sala. La cena pasquale, segno del servizio di Gesù e del suo compimento,

22, 1 4 -38 (cf. Mc. 1 4, 1 7-3 1 ; 1 0,42-4 5 ; Mt. 26,20-35 ; 20,2 5 .28; 1 9,28 ; Gv. IJ,I-J 8) 14 E quando fu l'ora, si accomodò a mensa e i discepoli con lui. 1 s Ed egli disse loro: Ardentemente ho desiderato mangiare questa pasqua con voi prima della mia passione. 16 Poiché vi dico: Non la mangerò più finché non si compia nel regno di Dio. 17 E prese un calice, pronunciò la preghie­ ra di ringraziamento e disse: Prendete questo e dividetelo tra di voi; 18 poi­ ché vi dico: Da ora in avanti non berrò più del frutto della vite finché non venga il regno di Dio. 19 E prese del pane, disse la preghiera di ringrazia­ mento, lo spezzò e lo diede loro e disse: Questo è il mio corpo, che è dato per voi. Fate questo in mia memoria. 20 E allo stesso modo il calice dopo la cena con queste parole: Questo calice è la nuova alleanza (o: il nuovo te­ stamento) nel mio sangue, che è versato per voi. 21 Ma ecco, la mano di colui che mi consegna è con me sulla tavol11. 22 Per­ ché il Figlio dell'uomo va, come è stabilito; ma guai a quell'uomo per mez­ zo del quale è consegnato. 23 Ed essi cominciarono a chiedersi l'un l'altro chi di loro potesse essere colui che avrebbe fatto ciò. 24 Sorse anche una contesa tra di loro su chi di essi andasse considerato il più grande. 2 5 Ma egli disse loro: I re delle genti dominano su di esse e i loro potenti sono chiamati benefattori. 26 Non così però voi, ma il più gran­ de tra voi sia come il più giovane, e colui che comanda come colui che ser­ ve. 27 Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non quello che sta a tavola? Io però sono in mezzo a voi come colui che serve. 28 Ma voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie tentazioni. 29 E io la­ scio in eredità a voi come il Padre ha lasciato in eredità a me un dominio re­ gale (o: un regno}, 30 affinché voi mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno, e sederete sui troni per governare le dodici tribù d'Israele. 31 Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come il grano. 32 Ma io ho pregato per te che la tua fede non venga meno. E tu, quando un giorno ti sarai ravveduto, rafforza i tuoi fratelli. 33 Ma egli gli disse: Si­ gnore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte. 34 Ma egli disse: Pietro, io ti dico: il gallo oggi non canterà finché tu per tre volte non avrai negato di conoscermi. 35 E disse loro: Quando vi ho mandati senza borsa né bisaccia né sanda­ li, avete mai sofferto la mancanza di qualcosa? Ed essi dissero: Di nulla. 36 Ma egli disse loro: Ora però chi ha una borsa la prenda, e così una bisac-

314

Le.

.2..2.,14-38. La cena pasquale

eia, e chi non l'ha venda la sua veste e compri una spada. 37 Poiché io vi di­ co: deve compiersi in me quanto è scritto: «E fu annoverato tra i fuorileg­ ge». Infatti quello che mi riguarda volge al termine. 38 Essi dissero: Signo­ re, ecco due spade. Ma egli disse: Basta! 37

/s.

5 3,2 J.

14-38. All'inizio della cena ( 1 4) corrisponde l'allontanarsene (39) che prelude alla cattura. Con la formula «E Gesù disse loro» vengono introdotte le parole sulla cena (incluso l'annuncio del tradimento, 1 524 ) e sul futuro dei discepoli (25-3 4), come pure l'esortazione a com­ prare una spada (3 5-3 8). Con «Poiché vi dico» si sottolinea che Gesù predice la propria sorte {1 6. 1 8.37). Solo i vv. 3 1 -3 8 sono in forma dia­ logica (cf. però 23 s.). Le parole sulla cena sono singolarmente intrec­ ciate. Nei logia sulla pasqua e sul calice l'introduzione solenne e la pro­ spettiva sul regno di Dio corrono parallele {1 6. I 8). Invece l'introdu­ zione al logion del calice corrisponde a quella del logion sul pane ( I 7. 1 9), mentre le parole relative al tradimento vengono subito dopo il v . .10, senza passaggi intermedi. Per le parole dell'istituzione cf. excursus a Mc. 1 4,22-25. I vv. 1 9a e 20 fine corrispondono a Mc. 1 4, 2 2 . 24 {tran­ ne «preghiera di ringraziamento» invece di «benedizione»), i vv. I 9b (da «per voi») e 20 (fino a «sangue») alla redazione di 1 Cor. I I,24 s., anche se non proprio esattamente. Così si esprimeva certo la liturgia che Luca conosceva nella sua comunità. In un antico manoscritto man­ cano i vv. 1 9 b. 2 o, conservati però in tutti gli altri, anche in quelli ad esso strettamente imparentati, e nel papiro più antico. Giacché senza 19b.2o il v. I9a rappresenterebbe una conclusione assai brusca, e poi­ ché altri manoscritti o antiche traduzioni pongono i vv. 1 7 s. dopo il v. I 9 (e 20) o al posto di 1 9b . 2 o, oppure li omettono del tutto, l'abbre­ viazione si spiega più probabilmente come un tentativo ulteriore di eliminare i due calici (al v. 17 prima del pane, al v. 20 dopo), in quanto durante il pasto serale se ne usava solo uno. Certo è strano che l'omis­ sione non riguardi i vv. 1 7 s. e comprenda anche il v. 19b (adeguamen­ to a Marco?). Al v. 20 l'espressione «versato per voi» è ripresa mecca­ nicamente da Mc. 1 4, 24. Infatti il calice è al nominativo, mentre «san­ gue» appare al dativo. Di per sé dovrebbe riferirsi al calice (in greco di genere neutro come «sangue»), che però non può certo essere versato. « ... Nel mio sangue, quello per me versato» indica dunque ancora il conflitto tra le due formule tradizionali; cf. ancora excursus a Mc. I 4 , .12-25. Luca ha certo ripreso i vv. 14- 1 8 dalla sua tradizione propria:

Le.

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22,14-3 8. La cena pasquale

presentano infatti espressioni non lucane, sebbene sia visibile anche la sua redazione. È difficile immaginare che di propria iniziativa, senza sapere esattamente come si svolge una cena pasquale, Luca abbia in­ trodotto un calice prima del pane e spostato l'indicazione del tradito­ re in modo che anche Giuda riceva pane e vino. Ma a causa del v. 2 I b questa deve comparire qui in un racconto che ripeta le parole prima del, e sul, primo calice (riguardo a «tuttavia» v. introduzione, 2c). Inol­ tre l'inconsueto riferimento dei vv I 6/1 8 ad agnello e (primo) calice è più antico del riferimento al calice eucaristico di Mc. I 4,2 5 . Affini ad essi sono poi i vv 29 s., nei quali ai discepoli è assicurata la partecipa­ zione a ciò che Gesù attende per se stesso (vv 1 6. I 8), ossia al regno e al banchetto solenne. Nel mezzo s'inseriscono i vv 2 5 -27, nei quali si adduce come motivo del servizio dei discepoli l'atteggiamento di ser­ vizio di Gesù, presentato ora al momento della cena, ma tale da deter­ minare tutta la sua vita e la sua morte. Il logion stesso è una variante di Mc. 10,42-4 5, non ancora strutturata come una vera e propria di­ chiarazione espiatoria (v. a Mc. 10,3 5-45, intr.). Il v. 24, versetto di pas­ saggio (cf. 9,46}, è lucano (anche il v. 28 ?). La forma «più grande» si ri­ trova solo in 7,28 (Q); 1 2,I 8 (S); 9,46 (Mc. ) e qui; tuttavia compare in Mt. 2J,I 1 in opposizione a «servitore» (cf. a Mc. 9,3 3-37, intr.). Ci si trova pertanto di fronte al materiale proprio. L'attenuazione «domi­ nano» rispetto a Mc. 1 0,42, il prefisso in «stare a tavola» e altri ele­ menti, come pure la doppia domanda (v. 27) non sono lucani. Il v. 30b è una variante del logion particolare di Mt. 1 9,28b (v. ad loc. ). Il cam­ biamento del tempo verbale rispetto al v. 3oa potrebbe indicare che il v. 30b (ma v. ad loc. ) originariamente era un logion trasmesso a parte. Neppure la morte di Giuda viene qui presupposta. Il termine per «la­ sciare in eredità» è della stessa radice di «alleanza» (in Atti 3,2 5 le due parole sono associate, cf. 2 Sam. 5 ,J LXX). Quest'ultima compare con forte risalto al v. 20, che perciò apparterrà anch'esso al testo originario di Luca. Esisteva allora una tradizione precedente nella quale i vv I 41 8 .(2 5 s.)27.29 s. erano collegati, magari con una descrizione della ce­ na pasquale inserita nel mezzo ? Essa avrebbe ribadito la rinnovata al­ leanza con Dio e la prospettiva del compimento finale. Si è addirittura ipotizzata una celebrazione pasquale protocristiana nella quale la ve­ nuta del Figlio dell'uomo era attesa durante la notte della pasqua (cf. la notte della redenzione nel giudaismo, Str.-Bill. 1, 8 5). Ma se ciò è at­ testato per alcuni gruppi cristiani di epoca più tarda, per l'epoca di Lu.

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ca resta una mera supposizione (cf. a 17,34 s.). Nei vv. 3 1 -34 compare un logion completamente diverso (in stile non lucano) rivolto a «Si­ mone» (cf. a 5 , 1 - 1 I, intr.). Lucano è il nome «Pietro» al v. 34· Il logion richiama Mc. I 4,30 solo nell'annuncio del rinnegamento, e contro Mc. 14,26 è pronunciato nel locale della cena (v. al v. 3 1 ). Deve quindi ba­ sarsi anch'essa su una tradizione particolare. A favore di quest'ipotesi depone anche l'affinità con la tradizione giovannea (v. al v. 3), che co­ me il v. 14 parla dell' «ora» di Gesù (I 3 , 1 ; cf. però Mc. 14,3 5) e conosce ( 1 3,3 6; 2 I , 1 5- 17) una «successiva» sequela e cura delle anime da parte di Pietro, come pure l'appellativo «Simone (di Giovanni)». Dal punto di vista formale Gv. I 3 ,3 8b è più vicino di Marco a Le. 22,34. I vv. 2 I s. (Gv. 1 3 ,2 1 ) seguono certo Mc. 14, 1 8 (cf. Sal. 4 1 , 1 0 in Gv. 1 ), 1 8). Tut­ tavia anche in Gv. 1 3 - 1 6 il logion a Simon Pietro si colloca tra l'ultima cena, che comprende l'episodio del servizio di Gesù ai discepoli con l'impegno a imitarlo, e i discorsi di commiato che rimandano al com­ pimento futuro (v. excursus a Mc. I4,22-25). I vv. 3 5-3 8, che seguono senza soluzione di continuità, sono assolutamente privi di paralleli. Il v. 3 6b è d'interpretazione talmente difficile, e così in contraddizione con il v. 5 1 , che sicuramente esisteva già prima di Luca. Anche la cita­ zione del v. 37, più vicina all'ebraico e introdotta da un articolo non lucano, non è stata inserita dall'evangelista, anche perché altrimenti l'avrebbe collocata piuttosto dopo il v. 5 3 · Vi è inoltre un rimando al logion rivolto ai settanta( due) ( 1 0,4, Q?) invece che a quello indirizza­ to ai dodici. Che i vv. 3 6.37 siano stati tramandati insieme e sviluppati in un piccolo episodio a sé (in epoca prelucana, per ragioni stilistiche) ? 14-30. È qui evitata la difficoltà creata dal fatto che Gesù arrivi con i «dodici» nonostante due lo abbiano già preceduto (Mc. I4, 1 7). In cambio è descritto l'inizio di un pasto solenne, per il quale ci si adagia a mensa. L'«ora» (cf. Gv. I J, I ) è quella della cena pasquale ebraica (v. a 2,4 1 ) ma al tempo stesso anche quella fissata da Dio per la dipartita di Gesù. «Questa pasqua», cioè «quest'agnello pasquale», indica l'agnel­ lo servito loro a tavola, sicché probabilmente si intende che Gesù ne mangia per l'ultima volta (e non che d'ora in poi vi rinuncerà). La for­ ma greca potrebbe far pensare a un giuramento, ma anche in altre cita­ zioni e parole tradizionali di Gesù compare come puro preannuncio del futuro: 1 , 1 5; (1 2,29); 1 3,3 5; I 8,7; (2 I,3 3). Ad ogni modo risulta ac­ centuato il compimento escatologico; al contempo è posto in rilievo lo stare insieme degli uomini che ne è il modello di riferimento. Per

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Luca è importante che si possa già sperimentare ciò che è in sé inim­ maginabile, pur non potendolo definire con esattezza. N ella nuova p a­ squa, nella comunione di mensa della cena del Signore, si riesce già a vivere anticipatamente qualcosa del compimento (cf. 14, I 5-24). Sebbe­ ne agnello e vino siano elementi propri della pasqua ebraica, non della cena del Signore, l'elevazione del calice e la preghiera di ringraziamen­ to la ricordano. Nel corso della pasqua ebraica o di banchetti solenni la benedizione sul primo calice (cf. excursus a Mc. I 4, I 2- I 6) è pro­ nunciata per tutti da una persona sola, in genere il capofamiglia: «Sii benedetto . ; tu che creasti il frutto della vite (/s. 3 2, 1 2)» (Str.-Bill. IV, 62. 62 I); è lui a bere per primo. L'invito alla condivisione mette in ri­ lievo la comunione. Poiché a rigore, secondo il v. 1 8, Gesù non avreb­ be più potuto bere dal calice del v. 20, questo logion è stato forse po­ sposto in Mc. I4,2 5. Segue, ai vv ( I 9 s.)29 s., la promessa del regno. Se i vv I4- I 8.2 5 -30 costituissero un'antica tradizione particolare, l'agnel­ lo e il vino sarebbero posti in speciale risalto, al che si addice la gioia festosa e l'attesa del banchetto escatologico. Comunque la venuta del regno resta interamente appannaggio di Dio; Gesù vi ha parte e pro­ mette partecipazione anche ai suoi, però non è lui a realizzarla. Non sappiamo se si trattasse effettivamente di pane. Ad ogni modo lo «spez­ zare il pane» (Atti 2,42.46; 20,7. I I) non può essere postulato a partire da qui come forma particolare di una cena del Signore senza vino né concezioni espiatorie, ma ricolma di speranza escatologica. «Prende­ te» (Mc. I 4 22) era detto al v. I 7 e non viene ripetuto. «Memoria» si­ gnifica molto più che ricordo. In essa l'evento storico diviene talmen­ te presente da avere effetto ancora oggi. Il calice è equiparato alla nuo­ va alleanza (testamento), e non il vino al sangue. Al posto della pasqua ebraica compare la nuova comunione con Dio, che in Gesù diventa già realtà e (secondo i vv. 29 s.) un giorno sarà realizzata in modo visi­ bile. Al corpo offerto corrisponde il sangue versato. Così la salvezza è fondata non soltanto sulla cena rituale ma su Gesù offerto sulla croce. Il v. 2I è più semplice di Mc. I4,2o: non comprende (ancora?) l'imma­ gine dell'intingere nello stesso piatto, la persona del traditore è indica­ ta indirettamente tramite la «mano», e manca il richiamo al Sal. 4 1 , I O. Invece che alla Scrittura si allude a quanto prescritto (da Dio) (cf. Atti 2,23). L'insicurezza dei discepoli corrisponde a Mc. I4, I 9 («l'un l'altro» però come Gv. 1 3,22) e mostra che ne è dell'uomo, anche dell'uomo obbediente a Gesù: chiunque potrebbe essere Giuda. Forse. si fa visi..

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bile qualcosa del mistero del male: esiste anche un'elezione al male (che però da sola non giustifica nessuno), il quale in ultima analisi torna utile a Dio (v. a Mc. 14, I o). Grazie alla diversa disposizione i vv. 2 1 -23 vengono a costituire l'inizio dei discorsi di commiato di Gesù (cf. Deut. I,I - 5 ; 3 2,4 5 -3 3 , 1 ; Tob. 4,3 -20; 14,3- I I; Test. XII; Gv. I 4- I 6; Atti 20, 1 83 8). La situazione esposta (v. a I I , I } è la stessa di 9,46, ma in sua as­ senza sarebbe difficile concepire i vv. 2 5 -27 (come in 9,46/48). Perciò non è a una contesa per il posto a tavola ( Giac. 2,2-4) che Luca sta pen­ sando. Diversamente da Mc. 10,43, qui si parla di una persona che è

v�ramente grande e ha un ruolo di guida; tanto più nel servizio. Ciò vale specialmente per gli apostoli. «Coloro che comandano» (Atti I 5, 22; Ebr. I 3,7-I 7.24) e «giovane» (Atti 5,6.[Io]; l Pt. 5,5; cf. I Tim. 5,1 s.; Tit. 2,6) potrebbero designare particolari posizioni all'interno della comunità, ma al massimo come interpretazione posteriore (come I 2, 42), poiché il termine «servitore» (Mc. 10,43), che indica anche il dia­ cono, qui invece manca. Tuttavia a differenza di Atti 2,42 s.; 13 , 1 -3 qui si percepisce già il pericolo di fraintendere il ministero di vescovo o presbitero come esercizio di potere. Certo, non si parla di umiltà in senso generale; Gesù mette in pratica nel servizio attivo la condotta che esige dai discepoli. Non parla di una virtù ma rimanda a qualcosa che sta facendo. Per contenuto ciò corrisponde a Gv. I J , I - 1 7. In Le. 22 (vv. 1 I . I 5) Gesù è in primo luogo un padrone di casa; Luca ha forse in mente un'azione simbolica profetica (come la lavanda dei piedi di Gv. I 3 ) che illustri cosa è stata, e soprattutto cosa sarà il mattino successi­ vo, tutta la sua vita e cosa adempie in modo incomprensibile 1 2, 3 7. Il v. 28 insiste sulla perseveranza, Mt. I 9,28 sulla «sequela». Alla visione retrospettiva (v. a 4, 1 3) corrisponde quella in prospettiva. Entrambe sono comprese nelle parole di commiato. La «nuova alleanza» (v. 20) è conclusa con la promessa consociatrice della perfetta comunione di mensa; «lasciare in eredità» in greco ha la stessa radice di «alleanza». Nei vangeli è singolare che «regno (di Dio)» (o dominio regale) sia qui senza articolo. Questa forma compare altrove solo nella formula di 1 Cor. 6,9 s.; I 5,5o; Gal. 5,2 I; perciò è tradotta come sopra (cf. Apoc. 1,9). L'espressione pertiene sia alla frase principale sia alla secondaria, o s'intende solo il dominio conferito a Gesù? Dal punto di vista con­ tenutistico non cambia quasi nulla, dal momento che comunque i di­ scepoli vi avranno parte (cf. Rom. 5 ,17; 1 Cor. 4,8; 6,2 s.; 1 Pt. 2,9; Apoc. 3 2 1 ; 5 , 1 0; in particolare 2 Tim. 2,r2a). Questo è illustrato al v. 30. Non ,

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ci si possono raffigurare le due immagini contemporaneamente, per­ ché il trono è simbolo di giudizio e dominio (Dan. 7,9; Apoc. 20,4; cf. 1 Cor. 6,2); tuttavia anche Apoc. 3 ,20 associa comunione di mensa e tro­ ni, e Hen. aeth. 62, I4 attende il banchetto solenne assieme al Figlio del­ l'uomo, che prima avrà giudicato tutti i popoli. A pasqua Dio confe­ risce il dominio a Gesù (Atti .2.,3 6); ora i suoi discepoli sono assogget­ tati ad esso, ma un giorno vi avranno parte (v. a 1,33 e 23,42). Dunque non si parla affatto di dominio della chiesa su Israele; adesso essa de­ v'essere testimone (sofferente) davanti a lui (2 1 , 1 2 s.; Atti 1 ,8). Come Test. Neph. I la cena di commiato è un testamento che impronta di sé anche il futuro. Le parole della liturgia pronunciano per due volte «per voi» ( 1 9 s.). Ciò viene sviluppato nel contesto. Come il pasto di comunione di Ge­ sù con i pubblicani fa entrare questi ultimi nella comunione con Dio ( 5,30; 1 5,2; 1 9,7), così Dio conclude la nuova alleanza con i suoi uo­ mini già nel mangiare e bere di Gesù insieme ai discepoli (cf. 24, 1 3 -3 5 , conci.). L a comunione non è solo affermata a parole, ma è compiuta nei fatti. Naturalmente resterebbe vuota se Dio un giorno non adem­ pisse questo segno in una comunità che non resterà frammentaria e simbolica ma includerà tutto quello che costituisce la vita. Ecco perciò la grande gioia della celebrazione eucaristica della prima cristianità (v. a 2,41 ), gioia tutta protesa al futuro e che resterebbe pia illusione se non pervadesse la vita di chi vi prende parte al punto da renderla un servi­ zio. Ecco dunque lo straordinario impegno che dalla celebrazione eu­ caristica protocristiana si manifesta nella vita di tutti i giorni (Atti 2,46. 4 5 ). Così la cena del Signore è esperienza che anticipa il compimento futuro ed esperienza che ripete la vita che Gesù ha vissuto per noi. La concezione della morte in croce di Gesù

) Luca tramanda il «per voi» della liturgia, ma come «il sangue ver­ sato» di 22,20 non è affatto collegato alla frase, così pure l'espressione «con il suo proprio sangue» di Atti 20,28, riferita a Dio invece che a Gesù, in una formula che ricorda Sal. 74(73),2 e Apoc. 5,9. «Salvare» (o guarire, aiutare) ricorre per più di 3 0 volte in Luca (anche in I 9, 1 o), mai però in relazione alla morte di Gesù. Tuttavia la sofferenza di Ge­ sù è sottolineata con più forza che negli altri vangeli (v. a 9,3 I e 20, 1 5). a

310

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Anzi, Luca riprende la nuova creazione cristiana dalla «passione,. di Cristo (Mc. 8,3 x; 9, 1 2), che indica la sua morte anche nell'interpreta­ zione di 2 Cor. 4, 1o; Fil. J , Io. Nella comunità, a differenza di Luca, es­ sa veniva utilizzata soprattutto sotto l'aspetto etico (2 Cor. 1,5 -7; Fil. J, I o; Col. 1,24; Ebr. 2,9 S. I 8; s,S; 9,26; I J, I 2 j I Pt. 2,2 I .2J; J , I 8 ; 4,I . I J ; 5,1 .9)· . b) I. Luca ha al riguardo una posizione autonoma. Per lui il «dover soffrire» è addirittura la funzione del Cristo. Non è un punto di vista

né giudaico né genericamente cristiano. In tale funzione Gesù è visto come il giusto sofferente, o più esattamente il profeta sofferente, sul cui cammino sta il «dovere» imposto da Dio ( I J, JI - JJ). L'ebraico non ha alcun termine che esprima questo concetto, al contrario della cre­ denza greca nel fato (Erodoto 8,5 3; l'intera Attica, secondo la profezia di Dio, «doveva» essere assoggettata ai persiani); tuttavia l'apocalittica giudaica riprese questo «dovere». Come il sogno inviato da Dio «de­ ve» adempiersi nel tempo escatologico (Dan. 2,2 8 LXX), così la pro­ fezia di Gesù (Mc. 1 3 ,7; Apoc. 1 ,1). Già Mc. 8,3 1 vede nel destino di Gesù l'azione escatologica di Dio; Luca vi vede l'adempimento della Scrittura (22,37; 24,2 5 -27). Poiché però questa non predice le catastro­ fi cosmiche finali, Luca sposta a 21,9 (= Mc. 13 ,7) quello che «deve» accadere mettendolo in relazione anzitutto con la morte di Gesù, la sua risurrezione ed esaltazione, e inoltre con le sofferenze che la co­ munità dovrà sopportare per rendergli testimonianza (anche 1 7,2 5; 24, 7; A tti

I , I 6; 9,I6; 1 4,22; I 7,J; 19,2 1 ; 2 5 , 1 0). 2. A Mc. 10,45 si sostituiscono Le. 1 9, 1 0 e 22,27. Le due frasi de­

scrivono tutta la vita di Gesù, non solo la sua morte. Se ci si interro­ gasse sul significato salvifico del ministero che lo conduce alla morte, si troverebbe che Le. 19,10 lo presenta come «cercare e salvare ciò che era perduto». Per questo motivo è fondamentale per Luca ricercare il Crocifisso tra gli empi (22,3 7), ai quali si volge donando loro la con­ versione ( 19,8; 22, 5 1; 2J,J2 . J4 [v. ad loc.]. 40-42) come aveva fatto du­ rante tutto il suo operato. Mentre per Mc. 1 5 ,34 il Crocifisso accentua soltanto la spaventosa solitudine di questa morte e per Gv. 1 9,26- 2 8 . 30 provvede regalmente alla madre e al discepolo prediletto, adempie coscientemente alla Scrittura e muore con un grido di vittoria, in Luca invece tutt'e tre i logia sulla croce testimoniano della disposizione d'a­ nimo di Gesù nei confronti degli uomini e di suo Padre nel cielo. 3. Se ci si chiede qual è l'effetto sulla comunità, 22,2 7 ribadisce che

La concezione della morte in croce di Gesù

32I

Gesù con il proprio servizio e la propria passione le ha dato la possi­ bilità di servire, concedendole una sorta di «esperienza a posteriori» (cf. a 4, I - I 3, conci.) della potenza di Dio. Con le stesse parole del Croci­ fisso pregherà Stefano (Atti 7, 59 s.), del cui «sangue versato» si parla (Atti 22,20) negli stessi termini di quello dei profeti (Le. 1 I,49 s., dove gli «apostoli» sono inseriti da Luca!) e di Gesù stesso (Le. 22,20). Il viaggio di Paolo a Gerusalemme ricorda quello di Gesù (Atti I 9,2 I; 20, 22; 2 I ,4. 1 I - I 5) anche nel suo svolgimento (annuncio di sofferenza da parte di Dio [Le. 9,3 I], discorso di commiato, sinedrio, governatore romano, re erodiano: Atti 9, I 6; 2o, I 8-25; 22,30; 23,3 3; 2 5 ,23). Come il Figlio dell'uomo anche Paolo sarà «consegnato nelle mani dei pagani» (Atti 2 1 , 1 I ; Le. 1 8,3 2; 24,7; Iub. I , 1 9). Il 23,5% degli Atti narra di Pao­ lo prigioniero, e secondo 9, I 6 il motivo della sua elezione è la soffe­ renza per il nome di Cristo («poiché»). Come Gesù così anche la co­ munità può avere accesso al regno di Dio solo attraverso la tribolazio­ ne (Le. 24,26; Atti I4,22). La passione di Gesù è dunque illustrata in modo da comprendere il suo intero ministero, nel quale è creata una nuova possibilità per l'uomo di vivere e morire. Se fede non è mera ac­ cettazione d'una formula o d'uno schema, devono esistere certe ana­ logie tra l'esperienza di Gesù e quella dei suoi discepoli (parimenti Fil. 2,5-8; J,Io s.). Forse è per questo che in Luca riecheggiano con tanta frequenza non solo le invocazioni del Padrenostro (22, I 8.40.42; 23,34) ma anche alcuni motivi dei martìri giudaici: la tentazione da parte di Satana, lo scontro, la speranza nell'aiuto celeste e nella sua venuta, l'ac­ cusa politica, l'annuncio del giudizio per i persecutori e la sentenza di innocenza (Mart. fs. J,6.I 1; 2 Mace. 7,6. I 2.14. I 9.24.30.J I -3 5; 3 Mace. 4, 1 I; 5,7-9; 6, 1 8; 4 Macc. 6,4.6; 8,6-9; 9, I O.JO-J 2; I 7, I O s.). Gesù diven­ ta così «il fedele testimone» che rende tali anche i suoi discepoli (Apoc. I,5; 2, I 3). Le. 22, I 5 -30(3 8) diviene allora il discorso testamentario di commiato. c) Luca dunque interpreta 1 . l'azione di Gesù in adempimento alla sorte dei profeti veterotestamentari come consapevole cammino verso la passione. Sottolinea la grandezza della tentazione, il «potere delle tenebre» e la sottomissione di Gesù alla volontà di Dio. Questo divie­ ne 2. causa di salvezza nell'atteggiamento di disponibilità di Gesù nei confronti dell'uomo, e rende possibile 3· il cammino postpasquale del­ la comunità nel servizio e nella sofferenza. Ma come in Apoc. 5,9 (v. sopra, a) solo Gesù è l'agnello che ha riscattato un popolo a Dio, così

3 2.2.

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22,14-38. ;La cena pasquale

anche per Luca la passione di Gesù resta fondamento inconfondibilc di ogni esperienza successiva, tant'è vero che il vangelo è precede n te agli Atti degli Apostoli (cf. excursus dopo 2. 1 ,3 8). In questo si manife­ sta la sua dignità di Cristo. Solo Gesù può promettere autorevolmente il regno (2.2,29 s.) e il parad_iso (23,43, v. ad loc. conci.), quindi la sal­ vezza. 3 1-34. A differenza di Mc. 14,26-3 1 (v. ad loc. , intr.), il logion a Si­ mone segue immediatamente. È dunque espresso nel locale della cena, come in Gv. 1 3 ,37 s.; come lì, Pietro chiama Gesù «Signore» e si di­ chiara pronto a morire (3 3, non Mc. 14,29); come lì, il v. 34 è formula­ to con «non ... finché». Accanto ai vv. 2 1 -23 dunque si afferma una volta di più che nessuno può essere certo di non cadere, e che proprio chi si sente ben saldo è abbandonato alla propria debolezza. Solo at­ traverso la conversione si può giungere ogni volta alla vera fede, spe­ rimentata come dono. 3 5-38. Di nuovo si susseguono retrospettiva e prospettiva, que­ st'ultima però su un tempo in cui si ha bisogno di spade. Il v. 3 6a abo­ lisce la regola di 10,4 ( v. 3 5 ), che valeva solo per la situazione con­ tingente della preparazione alla venuta del Gesù terreno, e raccoman­ da di prendere con sé il minimo indispensabile. Così ha fatto Paolo. N o n appena il vangelo si espanse dalla Palestina rurale, dove si poteva trovare ospitalità presso dei correligionari, alle città greche, se un mis­ sionario voleva spingersi in nuove regioni (Rom. 1 5,20) diventava in­ dispensabile un minimo di equipaggiamento; chi voleva attenersi alla lettera al comando di Gesù (v. excursus a Mt. 1 3 ,23 [71]) doveva limi­ tarsi a visitare comunità di cristiani già avviate. Forse a Paolo veniva rimproverata proprio la sua abitudine a viaggiare portando con sé del denaro (guadagnato da lui!) (Atti 1 8,3 ) senza affidarsi unicamente, se­ condo Le. 1 0,4, al diritto d'ospitalità ( I Cor. 9,6-I 5). Ovviamente egli ha vissuto in modo diverso la semplice spensieratezza dei messaggeri di Gesù (Atti 20,3 3-3 5; Fil. 4, 1 2- 1 6). Le istruzioni di Gesù perciò per Luca non sono delle leggi rigide (cf. a Mt. 1 0, 5 s.) ma vanno vissute nella pratica anche in situazioni mutate (cf. a 6,2ob ). Certo sorprende l'esortazione a comprare una spada rivolto a colui che non ha spada (o bisaccia). Si tratterà di un'espressione proverbiale propria di un'epoca di emergenza nella quale una spada diventa più importante della co­ perta per ripararsi dal gelo notturno ? Il tempo dell'edificazione della =

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��,39-46. Gesù all'affannosa ricerca della via di Dio

3 23

chiesa è forse simile a quello di 2 Esd. 4, 1 8 ? S'intende dire che il sem­ plice possesso di una spada mette al riparo da eventuali attacchi ? In ogni caso Le. 22,49 pone espressamente la questione dell'uso della spada, che in 22, 5 1 riceve risposta negativa. La risposta di Gesù al v. 38 non può dunque approvarlo. Si tratta presumibilmente di un bru­ sco rifiuto («Ora basta! », analogo a 1 Re 19,4; Deut. 3,26 nel discorso di commiato di Mosè), e non di una battuta ironica («più che suffi­ cienti! » ) . Né è possibile che le due spade stiano a indicare i due armati tra i quali viene crocifisso Gesù, o che gli empi del v. 3 7 siano i disce­ poli per cui le due spade «basterebbero» come testimoni. Ancor meno plausibile è la supposizione che Gesù avrebbe progettato una rivolu­ zione armata: due spade non sarebbero certo bastate e inoltre al mo­ mento della cattura i discepoli restano inattivi (v. 5 4). È altresì impro­ babile che in determinate situazioni ci fosse la possibilità di difendersi. Di certo è attestato solamente che i tempi sono cambiati: il cammino di Gesù (v. 3 7, cf. excursus dopo il v. 30, b r ) esige che si estragga la spada (Mt. 1 0,34; cf. Le. 1 2, 50/5 1 ) . Adesso bisogna prendere con sé anche il minimo indispensabile e non si può più solo proclamare la pace, senza bisaccia (r o,4 s.). Il logion gesuanico di 3 6b, tramandato dalla tradizione, andava risolto in qualche modo. Luca sicuramente lo interpreta in senso figurato: come per Gesù ogni cosa deve giungere a compimento nella passione (cf. I 8,3 r, lucano), così anche per i disce­ poli hanno inizio tempi duri; analogamente a Atti 9,3 I segue 1 2, 1 ecc. Tuttavia, nonostante il v. 5 I, questo passo è servito a giustificare la teo­ ria per cui le due spade apparterrebbero la prima alla chiesa, la secon­ da allo stato, il che dimostra quanto possa essere funesto non solo vo­ ler conservare parole di Gesù che non si sono comprese, ma anche vo­ lerle interpretare a tutti i costi. Gesù all'affannosa ricerca della via di Dio, 2.1,39-46 (cf. Mc. 14,3 2- 42; Mt. 26,3 6- 46) 39 Ed egli uscì e come sua abitudine si recò sul Monte 4 egli Ulivi. E anche i discepoli lo seguirono. 40 Quando giunse sul posto disse loro: Pregate di non cadere in tentazione. 41 E si staccò da loro quasi un tiro di sasso, e pie­ gò le ginocchia e pregò 42 e disse: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice; tuttavia sia fatta non la mia, ma la tua volontà. 4 3 E gli apparve un angelo dal cielo che lo confortava. 44 E poiché fu preso da un'angoscia estre­ ma pregava più intensamente e il suo sudore divenne come gocce di sangue

3 14

Le.

2.2.,)9-46. Gesù all'affannosa ricerca della via di Dio

che cadono a terra. 45 Ed egli si alzò dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per il dispiacere. 46 Ed egli disse loro: Perché dormi­ te? Alzatevi e pregate di non cadere in tentazione. Vi è concordanza con Marco quasi soltanto in alcune parole di Ge­ sù, tuttavia mancano espressioni non lucane. Luca riprende una tra­ dizione orale, della quale avrebbe fatto parte anche la preghiera di Ge­ sù (Mt. 26,42; Le. 22,42! ), oppure S? Dopo l'introduzione, il logion di Gesù (4ob.46) inizia e conclude la pericope. All'allontanarsi di Gesù corrisponde il suo ritorno (4 1 ·4 5 ). Tutt'e quattro i versetti menziona­ no la sua preghiera. I vv. 42-44 costituiscono il centro. I vv. 43 s. man­ cano in alcuni manoscritti antichi, ma dal punto di vista stilistico sono così lucani che è davvero difficile che siano stati redatti più tardi. Ti­ pici di Luca sono anche la preghiera incessante e intensa, la risposta tramite l'angelo e i paralleli con 9,28-3 2 (preghiera sul monte - mes­ saggeri celesti - allusione alla passione - discepoli addormentati). Sen­ za questi versetti non ci sarebbe un vero punto cruciale. Evidentemen­ te qualche copista li ha trovati troppo umani.

39-4 6. Solo a questo punto Gesù lascia il locale della cena e si reca sul Monte degli Ulivi (Mc. 14,26. cf. a Le. 2 1,37 s.). Il nome Getsema­ ni, ignoto anche a Giovanni, qui manca, come pure Golgota. Non ci so­ no ancora luoghi santi. Forse si fa notare che i discepoli lo «seguiro­ no» perché quest'episodio deve segnare la vita della comunità. · Non vengono invitati a vegliare, né rimproverati per essersi addormentati (46), ma (in stile lucano) sono esortati a pregare come al v. 46. Gesù non prende con sé i tre più fidati, come Mc. 14,3 3, ma «si allontana» (Atti 2 1 , 1 ). Come in Atti 7,6o; 9,40; 20,36 (commiato); 2 1 , 5 (anche 1 Re 8,54) la preghiera si svolge in ginocchio (non in piedi come in 1 8, 1 1 . 1 3); le sue parole concordano al centro con Mc. 14,36 («questo cali­ ce», in greco come al v. 10), ma all'inizio e alla fine variano nella for­ ma (certo prelucana). Nell'Antico Testamento il calice indica il giudi­ zio di Dio che, mancando in Luca Mc. 10,3 8 (v. ad loc. ), è emesso non solo nella morte di Gesù ma nel rifiuto totale della sua persona. «Sia fatta la tua volontà» (in Mt. 1 I , I o; 26,42 leggermente diverso nella for­ ma) manca nella redazione lucana del Padrenostro. Anche l'ora delle tenebre, anzi di Satana (vv. 5 3 .3) può essere voluta da Dio. Che un angelo porti «conforto» è narrato in Dan. I 0, 1 3 . 1 5 - 1 8; per i giudei lo stesso accadde ad Abramo che secondo la leggenda fu gettato in una

Le. 22,47- 5 3 · L•ora delle tenebre

325

fornace {Str.-Bill. IV, 4 54 per il v. 3 ; cf. Is. 42,6 a proposito del servo di Dio). Tale conforto non elimina l' «angoscia» ma dà la forza di affron­ tarla. La radice è la stessa di «sforzarsi» (v. a 1 3 ,24) e così allude già alla preghiera «incessante» (anche Atti 1 2, 5). «Come gocce di sangue» non chiarisce se sangue si mischiasse al sudore, e comunque Gesù non è descritto come uno stoico (cf. il sudore come segno di indignazione e rifiuto, e di pentimento, los. As. 4,9; 9, 1) . Il sonno dei discepoli viene scusato, solo che non è ora di dormire. La conclusione non guarda in­ dietro (come Mc. 1 4,3 7b), ma solo in avanti. Mancano il logion sulla de­ bolezza della carne e gli altri due momenti di preghiera (Mc. 14, 3 8-42). · Analogamente a Ebr. 2, 1 7; 5 ,7- 1 0 Gesù è presentato come colui che

«è stato fatto in tutto simile ai suoi fratelli». Soltanto a questa condi­

zione la sua passione può essere assunta nella vita di fede, e non solo accettata idealmente. Si conferma dunque quanto asserito nella digres­ sione dopo il v. 3 0: a Luca preme che la fede partecipi del cammino di Gesù e se ne lasci forgiare; però a Gesù soltanto è mandato l'angelo, e lui solo non dorme nell'ora decisiva. L'ora delle tenebre, 22,47- 5 3

(cf. Mc. 1 4,43 - 5 2; Mt. 26,47- 5 6; Gv. 1 8,2- 1 2) Mentre egli ancora parlava, ecco una folla, e quello chiamato Giuda, uno dei dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. 48 Ma Gesù gli disse: Giuda, con un bacio consegni il Figlio dell'uomo ? 49 Quando quelli intorno a lui videro cosa stava per accadere dissero: Signore, dobbiamo col­ pire con la spada ? so E uno di essi colpì con la spada il servo del sommo sa­ cerdote e gli staccò l'orecchio destro. s 1 Ma Gesù rispose e disse: Lasciate perdere (o: non arrivate a tanto), e toccò l'orecchio e lo guarì. 52 Ma Gesù disse ai sommi sacerdoti e ai comandanti delle guardie del tempio e agli anziani che gli si erano fatti incontro: Come contro un predone siete usciti con spade e bastoni; 53 quand'ero ogni giorno nel tempio con voi, perché non avete steso le mani su di me? Ma questa è la vostra ora e il predominio delle tenebre. 47

In contrasto con Marco, ma in modo analogo a Giovanni, Gesù è il protagonista vero e proprio (vv. 48 . 5 1 . 5 3 b); Giuda è presen­ tato alla guida della turba, ma vi è anche un comandante (o più d'uno); non è precisato se Giuda riuscì a baciare Gesù (come suggerisce ex no­ vo il v. 48); è l'orecchio «destro» a essere reciso prima ancora che Ge47- 5 3.

326

Le.

21,s4-7I. Rinnegamenti di Pietro e confessione di Gesù

sù sia catturato; i discepoli non fuggono. Alcune locuzioni sono ripre­ se da Marco. Non c'è nulla di manifestamente non lucano, tuttavia al­ cuni elementi sorprendono. Il v. 47 come Mt. 26,14 all'inizio della pas­ sione parla di «quello chiamato Giuda», come se fosse nominato per la prima volta (cf. Atti 3,2; 6,9 e a Le. 2 1 ,37 s.). Poiché sono presenti so­ lo i discepoli (e gli avversari) è strano trovare l'espressione q u e l l i intorno a lui», che in Mc. 4, 1 o; Atti 1 3 , 1 3 designa un gruppo indefini­ to (cf. Mt. 26,5 1). Infine i sommi sacerdoti, i comandanti e gli anziani vengono nominati solo al v. 5 2 (cf. Mc. 14,43). I comandanti fanno cer­ to parte del corpo di polizia del tempio; in Atti 4, 1 ; 5,24.26 si parla in­ vece di un solo capitano. Che si debba vedere qui l'inizio di un antico racconto della passione? Il fatto che anche in Mc. I 4,4 7 si parli dei «presenti» e che il termine «discepoli» non compaia più dopo Mc. I 4, 3 2 {tranne I 6,7) / Le. 22,4 5 , sebbene Luca non riferisca nulla della loro fuga, sta forse a indicare che erano fuggiti subito all'inizio della cattu­ ra, circostanza che riecheggia ancora nella stessa tradizione di Luca (cf. a 2 3,49) . «Consegnare il Figlio dell'uomo» è espressione ormai fis­ sa {9,44; I 8,3 2; 22,22; 24,7; anche Mc. 14,4 1 ). Qui si tratta indubbiamen­ te di un'azione di difesa; la cattura non è ancora avvenuta (cf. ai vv. 3 5 3 8). M a poiché secondo Mc. 14,47 s. la spada fu effettivamente usata, Luca può posporre la risposta negativa di Gesù. Questa consta di tre sole parole (contro le 42 di Mt. 26,5 2- 54!) (alla lettera: «Lasciate [per­ dere ? fare?] fino a qui»), ma accompagna un'azione molto più eloquen­ te. La tenebra è il regno di Satana (v. 3; Atti 26, I 8). Gesù stesso lo af­ ferma, lasciandosi arrestare. «

È posto esplicitamente il problema della violenza. Gesù vi risponde con la sua disponibilità a soffrire e addirittura a guarire il suo avver­ sario. Entrambi gli atteggiamenti fanno parte del suo cammino. Non contesta certo a Pilato il suo diritto e il suo potere militare, ma per quanto riguarda se stesso rifiuta il ricorso alla spada. Sua intenzione è donare la vita, non toglierla. Con ciò la questione non è risolta, ma si fornisce una chiara indicazione (cf. excursus dopo Mt. 7,29, a3 e c2.4). Rinnegamenti di Pietro e c onfess ione di Ges ù, .2..2.,54-71

(cf. Mc. 14,53 -72; Mt. 26, 5 7-75; Gv. I 8, 1 3-24) S4 Quando lo ebbero arrestato lo condussero via e lo portarono nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo s eguiva da lontano. s s E poiché avevano acce-

Le. 22, s4-71 . Rinnegamenti di Pietro e confessione di Gesù

3 27

so un fuoco nel mezzo del cortile e si erano seduti attorno, Pietro si sedet­ te in mezzo a loro. s6 Ma quando una serva lo vide seduto presso il fuoco e lo ebbe fissato, disse: Anche questi era con lui. 57 Ma egli negò e disse: Donna, non lo conosco. s 8 E poco dopo lo vide un altro e dichiarò: Anche

tu sei uno di loro. Ma Pietro dichiarò: Uomo, non lo sono. 5 9 E passata quasi un'ora un altro insisteva: In verità, anche costui era con lui, infatti è anche lui un galileo. 6o Ma Pietro disse: U orno, non so cosa dici. E subito, mentre ancora parlava, il gallo cantò. 61 E il Signore si volse e guardò Pie­ tro, e Pietro si ricordò della parola del Signore, come gli aveva detto: Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte. 62 E uscì fuori e pianse ama­ ramente. 63 E gli uomini che lo custodivano lo deridevano e lo percuoteva­ no 64 e lo bendavano e chiedevano: Profetizza, chi è che ti ha colpito ? 65 E molte altre bestemmie dicevano contro di lui. 66 E quando fu giorno si ri­ unì il consiglio degli anziani del popolo, sommi sacerdoti e scribi e lo con­ dussero nel loro tribunale 67 e dissero: Se tu sei il messia, diccelo. Ma disse loro: Se ve lo dico, non mi crederete comunque, 68 e se vi interrogo non mi risponderete comunque. 69 Da ora in avanti il Figlio dell'uomo sederà alla destra della potenza di Dio. 70 Ma tutti dissero: Dunque tu sei il Figlio di Dio ? Ma egli dichiarò loro: Voi lo dite, io lo sono (oppure: che lo sono). 71 Ma essi dissero: Che bisogno abbiamo ancora di una testimonianza? Voi stessi infatti lo avete udito dalla sua bocca.

Luca colloca il rinnegamento di Pietro durante la notte ma riporta un unico interrogatorio al mattino (66, cf. a Mc. 14, 5 3 - 5 5, intr.). La narrazione dei due episodi si discosta da Marco quasi quanto quella di Giovanni. La tradizione a cui con ogni probabilità fa qui ricorso Luca dev'essere sotto molti aspetti originaria. Certo, con Marco condivide alcune espressioni, specialmente una parte del logion di Gesù al v. 69. Tuttavia una quantità notevole di particolari, sia linguistici sia conte­ nutistici, concorda con Giovanni; anche il v. 67 ricorda il dialogo di Gv. 10,24 s. A Luca e Giovanni è comune innanzitutto lo svo l gimento del processo (v. a Mc. 14, 5 3-72, excursus). Ancor più strano è che il v. 62 e la domanda del v. 64 coincidono alla lettera con Mt. 26,7 5 .68 (v. ad loc. ). Ciò non si può più spiegare con l'esistenza di una tradizione puramente orale. È vero che espressioni lucane non sono frequenti, ma dal punto di vista contenutistico molto è cambiato. Che alla base vi sia la stessa fonte dei vv. 3 1 -34 ? s6-7I. Luca menziona una donna, la cui testimonianza a quel tem­ po aveva ben poco valore, e due uomini, .poiché stando a Deut. 19,1 5

328

Le.

zz,s4-71. Rinnegamenti di Pietro e confessione di Gesù

occorrono almeno due testimoni. Solo il secondo interlocutore inter­ pella direttamente Pietro, mentre in Mc. 14,67.69 avviene il contrario. La tentazione gli si fa perciò via via più vicina. Prima si trattava anco­ ra delle chiacchiere di una serva che non gli avrebbero certo impedito di seguire da vicino la sorte di Gesù. Perciò Pietro non si ritira, come in Mc. I 4,68. Il terzo parla un'ora dopo. Forse Luca vuole suggerire che la calma apparente non deve ingannare. Anche stavolta Pietro non è interpellato direttamente, e risponde brusco: «Non so cosa dici», sen­ za affermare esplicitamente di non sapere nulla di Gesù, come in Mc. 1 4,7 I . Solo Luca riferisce che Gesù si volse a guardare Pietro. Eviden­ temente era tenuto prigioniero nello stesso cortile in cui si trovava il discepolo. Oppure è dentro la «casa» (v. 54), dove Pietro può vederlo attraverso una finestra aperta. Si tratta forse come per Gv. I 8, I 3 della casa di Anna, che di fatto è il sommo sacerdote (v. a 3,2) ? Comunque solo al v. 66 Gesù è condotto in tribunale, forse nel palazzo di Caifa (Gv. I 8,24). Pur prigioniero provoca in Pietro il cambiamento decisi­ vo che, attraverso quanto Luca narra della testimonianza del discepo­ lo a Gerusalemme, in Samaria e presso i pagani dopo la pasqua, riceve un peso ancora maggiore che in Mt. 26,75 . Della «parola del Signore» parlano gli Atti; in essa il Signore è presente e viene in aiuto quando ci si smarrisce. Sebbene si stesse parlando di Pietro, il pronome «io» si riferisce a Gesù; infatti è lui il personaggio principale. A differenza di Mc. 14,6 5 non sono membri del sinedrio ma le guardie nel cortile a «deridere» (come Mc. I 5,20) Gesù, a coprirgli il volto, a percuoterlo e a provocarlo perché indovini. Le reminiscenze di /s. 5 0,6 sono ormai svanite. Per Luca si tratta di bestemmie (contro Dio). Lo scherno è meno cattivo che in Marco; ma anche l'uomo non malvagio « bestem­ mia» quando vive come se Dio non esistesse e col suo agire provoca­ torio vuole affermare se stesso. Solo al mattino Gesù è condotto di­ nanzi al tribunale. «Consiglio degli anziani» potrebbe essere una de­ nominazione complessiva che include anche sommi sacerdoti e scribi. Ma in 20, 1 e Atti 22, 5, e certo anche in 5,2 1, i tre gruppi appaiono ben distinti tra loro. Luca omette l'interrogatorio dei testimoni, le parole di Gesù riguardo al tempio e il suo silenzio; inoltre il sommo sacerdo­ te non è in primo piano. Invece la domanda sul Cristo è posta subito, non certo perché Luca voglia fare paragoni con altri martìri successivi. Essa serve a chiarire fin dal principio che «Figlio di Dio» (v. 70) va inteso in senso veterotestamentario, non come un semidio greco; an-

3 29

Le .2.2, J4-71 . Rinnegamenti di Pietro e confessione di Gesù .

che in 4,4 1 i due titoli sono l'uno accanto all'altro. Alla domanda Ge­ sù risponde in modo simile a Gv. 10,2 5 s. (cf. 3 6, formalmente anche Ger. 3 8, I 5 ) . In realtà è lui a porre la domanda e gli altri a essere inter­ pellati (cf. 20,7). Analogamente a Gv. I 8,36 s. Gesù riprende la doman­ da e risponde affermativamente, ma in un senso differente da quel che s'aspettavano i suoi interlocutori. «Da ora in avanti» (simile a Mt 26, 64!) ribadisce che è al tempo dell'esaltazione che si pensa, non dell'ul­ tima venuta; per questo non è detto neanche che il Figlio dell'uomo «verrà con le nubi» e che lo si «vedrà». «Figlio dell'uomo», dunque, come in Dan. 7, 1 3 (cf. excursus a Mc. 8,27-3 3) indica colui che è in­ nalzato a Dio e può quindi essere equiparato a «Figlio di Dio» (v. 70). Che qui, nonostante le espressioni lucane, vi sia alla base un'antica tradizione che in origine seguiva immediatamente i vv. 67 s. ? O tale tradizione ha interpretato la risposta profetica di Gesù col misterioso accenno al Figlio dell'uomo del v. 69 nel senso di A tti 1 3 ,3 3 e Rom. 1 ,4, per cui nella risurrezione Gesù è stato elevato a Figlio di Dio ? Nel giudaismo del 1 sec. d.C. i titoli Figlio dell'uomo e Figlio di Dio sembrano non identificarsi mai. In 4 Esd. 1 3,3 .3 2 questo accade, ma il testo latino riporta presumibilmente un primitivo titolo «servo (non: figlio) di Dio». In Hen. aeth. 48,1 0[49,3]; 5 2,4 i titoli Figlio dell'uomo e messia si equivalgono; tuttavia non si sa a quale data risalga questa parte di Enoc. Oppure è stato Luca ad aggiungere il v. 70, sostituendo all'accenno all'ultima venuta di Gesù, predicata in 2 1 ,27, quello sulla figliolanza divina? «Voi lo dite» sta a indicare che in fondo essi lo sanno, o anche che la loro formulazione è ancora inadeguata perché Gesù assumerà il dominio (1 ,3 2 s.) ad essa collegato. Benché altrove Luca sposti la colpa dai romani sui giudei, qui non riprende da Mc. 14, 64 la sentenza di morte giudaica, che manca anche in Le. 1 8,3 2. Evi­ dentemente segue un altro racconto. Dal punto di vista giuridico for­ male il sinedrio agisce correttamente, senza maltrattare l'accusato; ma il rifiuto opposto a Gesù è meno onorevole e molto più profondo ri­ spetto a quello opposto dai servi nel cortile. Ancora più marcatamente rispetto a Marco e Matteo, Gesù è q ui il personaggio principale. È lui al centro del colloquio nel cortile. È lui che col suo sguardo aiuta Pietro a rinsavire, e l'interrogatorio verte su una sola domanda: chi è Gesù? Tuttavia l'obiettivo non è puntato sul­ la fine del mondo ma sul tempo della comunità, alla quale è concesso sapere che il suo Signore celeste è già pronto ad accoglierla (Atti 7,56). .

«Davanti a re e governatori�, .Z J , I -1 5

(cf. Mc. 1 5, 1 - 1 5; Mt. 27, 1 s.1 1 -26; Gv. 1 8,2 8 - 1 9, 1 6) I E tutta la loro moltitudine si alzò e lo condusse da Pilato . .1 Ed essi comin­ ciarono ad accusarlo e dicevano: Abbiamo trovato che costui sobilla il no­ stro popolo e impedisce di pagare tributi a Cesare e dice di essere il messia re. 3 Ma Pilato lo interrogò e disse: Sei tu il re dei giudei ? Ed egli gli rispo­ se e dichiarò: Tu lo dici. 4 E Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: Non trovo nessuna colpa in quest'uomo. 5 Ma essi divennero ancora più irru­ enti e dissero: Istiga il popolo con la sua dottrina per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea sino a qui. 6 Quando Pilato udì ciò, chiese se quell'uomo fosse un galileo, 7 e quando venne a sapere che era della giuri­ sdizione di Erode lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava proprio a Gerusalemme. 8 Ma quando Erode vide Gesù si rallegrò molto; infatti già da molto tempo desiderava vederlo perché aveva sentito parlare di lui e sperava di vedere un segno da lui compiuto. 9 Lo interrogava con molte pa­ role; ma egli non gli rispondeva nulla. xo Ma i sommi sacerdoti e gli scribi erano sorti contro di lui con accuse violente. 1 I Erode con la sua guardia del corpo lo schernì e lo insultò, gli mise indosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. 12 Erode e Pilato però divennero amici l'uno dell'altro in quel giorno; infatti prima c'era inimicizia tra loro. I 3 Pilato radunò i som­ mi sacerdoti e i capi e il popolo 14 e disse loro: Avete portato davanti a me quest'uomo come sobillatore del popolo, ed ecco, l'ho interrogato davanti a voi e non ho trovato in quest'uomo nessuna delle colpe di cui l'avete ac­ cusato; 1 5 e neppure Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, da lui non è sta­ to fatto nulla che meriti la morte. 16 Intendo dunque castigarlo e rilasciar­ lo. 1 8 Ma essi gridarono tutti insieme: Via costui, dacci libero Barabba, 19 il quale era stato gettato in carcere a causa di una rivolta scoppiata in città e per omicidio. zo Ma Pilato parlò loro di nuovo, con l'intento di rilasciare Gesù. 2 1 Ma essi urlavano e dicevano: Crocifiggi, crocifiggi. 22 Ed egli dis­ se loro per la terza volta: Cosa ha mai fatto di male costui? Non ho trovato in lui nessuna colpa meritevole di morte. Intendo dunque castigarlo e rila­ sciarlo. 2 3 Ma essi lo incalzavano alzando forte le voci ed esigevano la sua crocifissione, e le loro voci aumentavano. 24 E Pilato decise che la loro ri­ chiesta fosse esaudita. 2 5 E rilasciò colui che era stato gettato in carcere per ribellione e omicidio, quello che essi avevano richiesto; invece -consegnò Gesù alla loro volontà.

Il processo è scandito dalle tre dichiarazioni d'innocenza da parte di Pilato: vv. 4· 1 6.22; nei versetti intermedi si hanno la scena davanti a Erode, riferita solo da Luca, e la discussione per Barabba; in quelli iniziali un breve interrogatorio, in quelli conclusivi la sentenza. Le con-

Le.

23,1-2 5. •Davanti a re e governatori»

33I

cordanze letterali con Marco non vanno molto oltre la domanda «Sei tu il re dei giudei ?» e la risposta di Gesù (v. 3 ), che compaiono identi­ che anche in Gv. I 8,3 3 ·37 (v. al v. 4 ) . 1-5. La «folla», descritta sempre più precisamente nei vv. IO e I 3 (v. ad loc. ), in questo contesto può designare solamente il sinedrio (Atti 23,7) . Non si specifica che Gesù fu incatenato (Mc. I 5 , I ) : egli continua

ad agire liberamente. Logicamente l'accusa precede l'interrogatorio (a differenza di Mc. I 5,2/3 ) ed è formulata per l'orecchio del funzionario romano: minaccia all'ordine e alla tranquillità, rischio finanziario, at­ tacco alla dignità dell'imperatore; perciò «Cristo» è tradotto con «re». Apparentemente dunque il sinedrio combatte solo nell'interesse di Ro­ ma (cf. Gv. I I ,48-5o) . «Tu (enfatizzato in greco) lo dici» difficilmente va interpretato come una domanda, come in Gv. I 8,34; può trattarsi so­ lo di un'affermazione, come in I 8,3 7 {anche Str.-Bill. I, 990, unica atte­ stazione!). Significa ovviamente che Gesù si sarebbe espresso in modo diverso (v. a Mt. 26,63 s.). Tanto più sorprendente è dunque la dichia­ razione d'innocenza. Luca intende forse: «Tu dici questo (ma non è così)» ? Ma in tal caso la frasetta tra parentesi non potrebbe mancare. Piuttosto pensa che Pilato non prenda sul serio la questione. Gv. I 8, 38 segue quasi alla lettera la stessa formula dopo la medesima risposta di Gesù, che qui però in più dichiara d'essere re in senso spirituale. Ora, il v. 14 presuppone che Pilato abbia condotto un interrogatorio vero e proprio davanti al popolo, il quale tutt'a un tratto è presente senza essere stato introdotto. Che Luca segua una fonte più ampia ? Perché se no avrebbe ripreso da Mc. I 5,2 solo il v. 3 (invariato! ) ? Il v. 5 utilizza per «popolo», diversamente dal v. 2, l'espressione che desi­ gna il popolo di Dio (v. a I9,48 ) e presuppone nuovamente il contra­ sto tra autorità e popolo. Nei vv. 10 e 24,20 sono coinvolte solo le pri­ me (v. a I9,48 ) ; inoltre il popolo non insulta, bensì si pente ( 23,3 5 .48 ) . Ugualmente anche in Atti I - 5 il popolo in contrasto con le autorità è dalla parte dei discepoli. È stato Luca a introdurre in 23,4. 1 3 (v. ad loc. ).3 5 (cf. I 8 .23 ) le espressioni (lucane) «folla» e «popolo», mentre la tradizione distingue nettamente dal popolo i capi come avversari di Gesù ? Anche negli Atti dapprima sono solo le autorità a opporsi agli apostoli e al vangelo, poi a poco a poco anche il popolo. Il v. 5b corri­ sponde a A tti I 0,37· La Giudea indica certamente l'intera regione (v. a 4,44 ), la Galilea è aggiunta per consentire il passaggio al v. 6. L'accusa

331

Le. 2 J , I-2 J.

«Davanti a re e governatori•

viene mossa insinuando sospetti politici (v. 1) di cui il lettore conosce l'infondatezza ( I 9,42; 20,2 5; 9,2 I s.). L'interrogatorio si limita alla do­ manda se Gesù è re, egualmente .riportata in tutti i vangeli, e si conclu­ de con l'affermazione dell'innocenza di Gesù. 6-1 6. I vv. 6- I 6 presentano espressioni quasi esclusivamente lucanc e poco o nulla di non lucano. Che fossero stati tramandati solo oral­ mente ? Dai galilei c'era da attendersi una sommossa; negli anni Ses­ santa la rivolta contro Roma s'innescò proprio in quella regione (cf. anche 22, 59; Gv. 7,5 2). Ma alla menzione della Galilea Pilato reagisce diversamente da come ci si sarebbe aspettati: Gesù in quanto galileo è sotto la giurisdizione di Erode, e così glielo «manda», come viene det­ to con un termine tecnico impiegato anche nel v. I 5 : una mossa politi­ camente astuta, sebbene poco coraggiosa. Così facendo rende onore a Erode e forse riesce a liberarsi di un caso difficile. La designazione «l'uomo» usata da Pilato in senso spregiativo riceve nell'Ecce homo di Gv. I 9, 5 rilevanza teologica. Gesù adotta un comportamento politica­ mente poco astuto, ma obiettivamente coraggioso e soprattutto one­ sto, nel quale anche il suo silenzio ha un peso politico. Erode è aperto nel caso in cui Dio gli si manifesti inequivocabilmente attraverso dei miracoli; ma i segni vengono concessi solamente a chi si lascia coin­ volgere da Dio (v. a Mc. 8, I I - I 3, conci.), come ha già dimostrato 4, I1 3 .23 (cf. a I9, I - I o, conci.). L'accusa da parte dei sommi sacerdoti, il silenzio di Gesù e lo scherno con la veste regale (Giuseppe, Ant. 8, I 8 5 s.) in Mc. I 5,3 s.I7-20 (v. ad loc. ) sono inseriti nel corso dell'udienza davanti a Pilato, e sottolineano l'innocuità di Gesù, di fronte alla qua­ le Erode non ha alcun timore. Il v. I 1 non intende affermare che fu Erode stesso a indossare la veste candida (il che sarebbe testualmente possibile!); anzi, egli stesso «schernisce». Per questo un'antica tradu­ zione ha addirittura espunto i vv. I o- I 2 (a causa del v. I 5 !). Pilato ha conseguito il primo obiettivo, non però il secondo: l'inimicizia con Ero­ de (cf. Filone, Ambasceria 24,3 8) è superata, ma lui non è stato solle­ vato dalla responsabilità. Di amicizia tra Pilato ed Erode non si parla altrove. Certamente non si pensa solo a un'allusione simbolica alla ri­ conciliazione tra pagani e giudei (Ef 2, 1 1 -3 2). Può essere che tale ami­ cizia sia stata dedotta dal Sal. 2,2, nel quale «re» e «capi» congiurano insieme contro il Cristo. Anche in Atti 4, 2 6 s. il passo è stato riferito a Erode e Pilato. Ciò dev'essersi verificato già prima di Luca. Secondo l'evangelista infatti entrambi vorrebbero salvare Gesù, e per lui Erode

Le. 2 J , I -2. J .

«Davanti a re e governatori»

333

non è un «re» (v. a 9,7). Quando parla di «capi» ( I 6 occorrenze) si ri­ ferisce sempre ad autorità giudaiche, eccetto quando mette il termine in relazione con i demoni. Come qui anche 24,20 opera una distinzio­ ne tra sommi sacerdoti e capi. Sorprende che si facciano radunare au­ torità e popolo. Gli accusatori infatti secondo il v. 10 avevano accom­ pagnato ogni trasferimento; che il popolo fosse rimasto presso la resi­ denza di Pilato ? Che alle spalle vi sia una tradizione comune anche a Gv. I 8,3 8.39b; I9,I ? Anche lì Pilato si presenta al popolo, o più preci­ samente ai giudei, dichiara innocente Gesù, propone di rilasciarlo e gli infligge una punizione. O in origine si trattava di «capi del popolo» (co­ sì I9,47)? È stato Luca a variare o a introdurre di sua iniziativa il po­ polo (di Dio) perché questo (secondo Mc. I 5,I 1 -34) esige la liberazio­ ne di Barabba? Comunque in tal modo si accentua il rilievo dato alla dichiarazione d'innocenza, nella quale ora anche Erode compare co­ me secondo testimone (Deut. I 9, I 5 ). Invece che di flagellazione (Mc. I 5, 1 5 ) Luca parla di castigo ma non riferisce nulla della sua esecuzione. 17-.2. 5. Le grida in favore di Barabba non vengono motivate e nulla è detto dell'usanza di concedere un'amnistia in occasione della pasqua ebraica. Qui sembra trattarsi piuttosto di una proposta di scambio. La tradizione lucana sa ancora che si trattava di un caso unico (v. a Mc. I 5,2- 1 5 , intr.) ? Alcuni manoscritti hanno introdotto la menzione di quest'usanza al v. I 7 perché altrimenti non si riuscirebbe a capire co­ me mai Pilato ceda. L'esclamazione «Via costui! » e il doppio «Croci­ figgi, crocifiggi» corrispondono a Gv. I 9,6. I 5 . Linguisticamente i ver­ setti sono lucani, e si insiste sul fatto che «tutti quanti» (v. al v. 5 ) ri­ chiedono a gran voce Barabba, del quale, in netto contrasto con l'in­ nocenza di Gesù (vv 14 s. ecc.) come in Gv. 1 8,40, solo in un secondo tempo si chiarisce l'identità. Solo Luca specifica che la sommossa ave­ va avuto luogo a Gerusalemme. Gesù è accusato di essere un rivolu­ zionario, eppure tutto il popolo solidarizza con il vero rivoluzionario. Ora non si ricorre più alle argomentazioni, bensì al clamore (cf. v. 23 !). Sulla crocifissione pende la maledizione di Dio (Deut. 2I,23, ri­ badito nel Rotolo del tempio di Qumran). Cittadini onesti, che presi sin­ golarmente erano rimasti impressionati da Gesù, nella massa diventa­ no ciechi. Ciò indica forse che nonostante tutto Barabba è loro più fa­ miliare di Gesù, che è sotto molti aspetti inquietante e sempre insonda­ bile ? Come in Gv. 1 8,3 8; I 9,4.6, Pilato dichiara per la terza volta «N on trovo alcuna colpa in lui» (vv 4. 14) e ripete la proposta del v. 1 6. Co.

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3 34

Fonte propria nel racconto della passione?

me in Gv. I9,2 s. lo scherno a Gesù (in Le. �3, I I però da parte dei sol­ dati di Erode) avviene prima che sia consegnato per essere crocifisso. Non viene pronunciata una sentenza vera e propria (però cf. 24,20). La colpa di Barabba è invece ripetuta con le parole del v. I 9. Gesù è consegnato «loro». Poiché i soldati «si aggiungono» solo al v. 3 6, il let­ tore profano dovrebbe supporre che siano stati i giudei a crocifiggerlo (analogamente 24,20; cf. però 20,20; Atti I 3,28 e per il cambio di sog­ getto ad es. Le. 23,3 2/3 3 ). Comunque Luca non dice esplicitamente che siano stati i romani gli esecutori materiali, addossando la colpa decisi­ va al popolo (Atti 2,23.36; 4, Io; I 3,28); tuttavia cf. a I I,37- I 2, I , conci. I capi sono condizionati dal loro timore di sommosse; il popolo li segue e alza la voce perché ognuno ha paura di scoprirsi di fronte agli altri; il governatore ha buone intenzioni nei confronti di Gesù e vor­ rebbe salvarlo con l'astuzia, ma nonostante tutto il potere di cui dispo­ ne è vittima della propria diplomazia e non riesce più a eluderla. Un'u­ nica persona resta libera: Gesù, che appare quasi solo come oggetto ed è sprezzantemente chiamato «quell'uomo». Solo una volta è presen­ tato come muto soggetto (v. 9) e un'altra pronuncia due parole, con le quali riesce ancora ad attribuire all'altro l'affermazione decisiva (v. 3 ). (S) nel racconto della pas s io ne ? È difficile risponde­ con sicurezza a questa domanda. Mancano: unzione, alcuni parti­ colari nella scena del Getsemani, fuga dei discepoli e sua predizione, in­ terrogatorio notturno, silenzio di Gesù davanti al sinedrio e a Pilato, presentazione di Barabba, scherno da parte dei soldati romani (cf. pe­ rò v. 3 6!) e del popolo, meraviglia di Pilato, primo intruglio da bere, di­ scussione su Elia (Mc. I4,3-9 ·26-28.33 S .3 8b-42· 5 5 -6 J a.64b; I 5,3-5 ·6I O. I 6-20a.23 .2 5 .29 s.34 s.44 s.). Hanno collocazione diversa: indica­ zione del traditore, spostamento sul Monte degli Ulivi, cattura di Ge­ sù, scherno, crocifissione dei !adroni, intruglio da bere, iscrizione, pre­ parativi per l'unzione della salma (Le. 22,2 I -23·39· 54.63 -65; 23,3 3 .36. 3 8 . 5 6}. In nessun'altra parte del vangelo di Luca la sequenza degli av­ venimenti si presenta così mutata rispetto a Marco senza che al con­ tempo un altro testo non rimandi a una tradizione particolare: (J, I 9 s.); 4, 1 6-3o; 5 , I - I I; (6, I 7- I 9); 8,I9-2 I; I0,2 5 -28; 1 I , I4-23 .37-4 I ; I 2, I o; 1 3 , I 8-2 1; I4,34 s.; I 7,1 s.23 s.3 1 . Vi sono alcune tradizioni particolari collegate tra loro che sembrano essere in relazione con altre precedenFonte propria

re

Fonte propria nel racconto della passione?

335

ti: l'ultima cena con il logion a Simone e quello sulla spada, il Getsema­ ni, (il rinnegamento di Pietro), l'interrogatorio al mattino, davanti a Pilato e a Erode (cf. 9,9b; 1 3 ,3 1 ), le parole su Gerusalemme (cf. 19,4 1 44), l a crocifissione (v. ai vv. 26-49), l e donne prima e dopo la visita alla tomba (cf. 8,2 s.), le apparizioni pasquali (cf. 24,6): 22, 1 5 - 1 7.24-3 8 . 39- 5 3 (54 - 65) 66- 7 1 ; 23,2.4 - 1 6,22 S .27- J 2. J J b. J 4a· J 5 - J 7·39 - 43 ·46b(4 7) 48. 5 5 s.; 24, 1ob- 1 2. 1 3- 5 3 · Si ritrovano qui anche parole della Scrittu­ ra, non solo rimandi generici all'adempimento, in: 22,3 7; 23,30.3 5 ·46 (49 ?), v. ad loc. Ora, già 1 e 2 Cron. , Ps.-Filone, Iub. , Giuseppe mostra­ no con quanta libertà i giudei di allora abbiano ripreso la storia biblica arricchendola di nuovi dettagli; ma è indubbio che Luca non può aver inventato ogni cosa. Mezzo secolo dopo Papia dichiarava: «A quello che viene dai libri non attribuivo tanto valore quanto a quello che pro­ viene dalla viva ... voce» (Eus., Hist. Ecc/. 3,39,4). Anche Luca la pen­ sava così? Se si suppone che conoscesse quasi a memoria il racconto marciano della passione, allora si può pensare che l'abbia arricchito e rinnovato con una tradizione orale e riportato in una successione di­ versa. Ma la scena della cena presenta una quantità tale di c:spressioni non lucane e soprattutto tensioni tali tra i due calici e nel logion della spada, che non si può fare a meno di presumere l'esistenza di una fon­ te scritta (cf. anche a 23, 5 .27.29). A favore di quest'ipotesi depongono anche i paralleli con Giovanni: v. a 22,3 1 -34, intr., inoltre a 2 1 ,37 s.; 22,3 . 1 4.23 .27.3 1 .3 2.47- 5 3 · 54-7 1 ; 23,4 (e sua intr.). 1 3 . 1 8-2 5, intr.; 24, 1 2. 40/4 1 e introduzione, 2h. Forse il testo-base di Gv. 1 8,22 s. influenza persino Atti 23,2- 5, come Mc. 14, 5 3 - 5 8 influenza Atti 6, 1 3 s. Inoltre la crocifissione è narrata in modo diverso, col frequente impiego di espres­ sioni non lucane; né di certo Luca (23,3 5, cf. al v. 49) ha impiegato di propria iniziativa espressioni tratte dal Sal. 22(2 1 ),8 diverse da Mc. 1 5,29, perché pur essendo capace di scrivere nello stile dei LXX Luca trascura spesso allusioni a determinati versetti ( 1 9,3 8 ?; 20,9; 2 1 , 1 6.2 5 28.39; 22,2 1 .63; v. a 23,3 5). I l dialogo con i due ladroni sembra essere inserito in uno schema preciso (v. a 23,3 3-48, intr.). D'altra parte le scene nel Getsemani e davanti a Pilato e a Erode presentano espressio­ ni lucane, quasi mai il contrario. Negli episodi successivi alla pasqua sono individuabili entrambi gli elementi, senza che prevalgano quelli non lucani. Tuttavia 24, 1 - 1 2 si distacca nettamente da Mc. e presup­ pone la conoscenza dei sepolcri giudaici chiusi da una pietra rotolata davanti all'entrata (v. 2). L'episodio di Emmaus mostra chiaramente i

3 36

Le.

2),26-32. La via crucis

vari strati della sua composizione e non si riesce ad accordarlo all'ap­ parizione ai discepoli narrata successivamente. Neppure il logion a Si­ mone (22,3 2) e la scena davanti a Pilato (cf. il coinvolgimento del po­ polo, la comparsa di Barabba, la mancanza di un esame approfondito) sono della stessa mano. È pensabile che gli episodi del Getsemani, del­ l'interrogatorio davanti a Pilato (e a Erode ?), della crocifissione e quel­ li successivi alla pasqua venissero narrati di continuo alla comunità in modo relativamente libero durante la liturgia, cosicché Luca riportan­ do le sue fonti (Mc. e S) in queste pericopi vi immise in maniera parti­ colarmente marcata il proprio stile ? L'evidente prevalere in queste par­ ti di espressioni lucane evidenzia forse un influsso particolarmente for­ te della tradizione orale accanto all'adozione delle fonti scritte ? Ad es. chi ha ascoltato spesso il racconto della natività e l'ha narrato egli stes­ so, lo riporterà ogni volta di più con un linguaggio proprio, pur se­ guendo nel contenuto Mt. I s. e Le. I s. Si lascerà infatti influenzare an­ che da profezie veterotestamentarie sull'avvento che avrà pronunciato qualche volta in coro, da canti natalizi che avrà imparato a memoria, da leggende della Lagerlof o di Timmermann che avrà letto ecc. Riguar­ do a tutto ciò cf. introduzione, 2. La fine, allusione al nuovo inizio, l.J,l.6-s6

La crocifissione si svolge in una certa misura come in Marco, ma con un testo diverso e una mutata successione (v. sopra, excursus). Elemen­ ti nuovi sono: il logion su Gerusalemme, affine a I 9,4 I -44 (v. ai vv. 28 s.}, la duplice menzione dei !adroni crocifissi con lui (v. 3 2 [con la sin­ golare formulazione «altri due malfattori))]. 3 3 h [«là)), atipico per Lu­ ca]) e il dialogo con loro (39-43), le parole di Gesù (34a.46), la spiega­ zione delle tenebre (4 5 ) e la reazione del popolo (49). Sono individua­ bili concordanze con Marco solo ai vv. 26.34b.(3 5b [ma v. ad loc.]. 3 8 ?).44.(45 h.46a.c.47 ?) e sembrano talvolta inserite a forza (34b.3 8). L'ora sesta e la nona sono menzionate al v. 44, non così la terza (Mc. I 5 ,2. 5). Ognuna delle quattro pericopi (26-3 2/3 3 -3 8/39-43/44-49) con­ tiene un logion di Gesù (v. al v. 34). 1 . La via crucis,

l.J,26-J l. (cf. Mc. 1 5,20 s.; Mt. 27,3 I s.; Gv. 1 9, 1 6 s.)

26 E m en tre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirene che ve­ niva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù.

Le

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.13,.16-32. La via crucis

337

.17 E lo seguiva una gran massa del popolo e di donne che lo piangevano e fa­ cevano il lamento su di lui. 18 Ma Gesù si voltò verso di loro e disse: Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su di voi e i vostri fi­ gli; 19 perché, ecco, vengono giorni in cui diranno: Beate le sterili e i grem­ bi che non hanno partorito e le mammelle che non hanno allattato. 30 Poi inizieranno a dire ai monti: Cadete su di noi, e alle colline: Copriteci; 3 1 per­ ché se fanno questo al legno verde, cosa accadrà di quello secco ? 3.1 E ve­ nivano condotti con lui anche altri due malfattori per essere giustiziati. 30

Os.

1 0,8.

�6-3 I. Solo Luca aggiunge che Simone dovette «portare la croce die­ tro a Gesù». In 9,23 e 14,27 aveva già insistito sulla «croce quotidia­

na» impiegando ovviamente termini diversi da «portare» e «dietro». Tuttavia è probabile che in Simone veda il simbolo della sequela. For­ se intende persino affermare che anche una «croce» involontaria può essere una benedizione; infatti Simone è addirittura «preso» per com­ piere questo servizio. Luca non dice «costringere» come Mc. I 5,2 1 , presumibilmente perché non nomina neanche i soldati romani che hanno il potere di farlo. Accanto a questa, vi è un'altra sequela che si realizza in modo più consapevole e spontaneo, anche se per il mo­ mento non va oltre il pianto. Il pronome relativo «che» si riferisce solo alle donne. Che Luca abbia inserito la «gran folla di popolo» (an­ che in 6, I 7; cf. I , I o; Atti 1 4, 1 ; I 5 , 1 2; 1 7,4; 2 1 ,36 e così di frequente) in una parte della sua fonte che narrava solo delle donne e che nei vv. 283 I contiene espressioni non lucane? In Zacc. I 2, I 0- 1 4 (v. a Mt. 24,30) per il «lamento (medesimo termine greco) dell'unico figlio» la men­ zione delle donne assume particolare risalto. Ma Gesù non ricerca tanto la compassione quanto la conversione. Viceversa esprime il suo dolore per Gerusalemme, come al suo ingresso in città ( 1 9,4 1 -44), così anche quando ne esce (un'espressione analoga in Seneca, Agamennone 659 s.). Tutt'e due le volte è accentuato il destino dei figli. Solo qui come nei LXX si ha il presente «vengono» (v. a 19,43 ), forma che sor­ prende accanto a «diranno», e la beatitudine sembra essere del tutto tradizionale. Certo è singolare ma non ha nulla a che vedere con Gal. 4,27, in cui la comunità di Gesù è paragonata a Sara, in un primo tem­ po «sterile». Analoghe parole di minaccia apparivano in 2 I ,2 3 ( Mc. I 3 , I 7), ed entrambe le volte Luca le riferisce chiaramente alla caduta di Gerusalemme (v. excursus dopo 2 I,3 8, a). In Apoc. 6, 16 la medesi­ ma citazione descrive le catastrofi cosmiche escatologiche. Se il fuoco =

3j8

Le. .13,3 3-49. Crocifissione e morte di Gesù

divora il legno vivo, quello verde, tanto più divorerà quello secco. A maggior ragione la sorte di Gesù, come quella dei profeti, toccherà ai suoi avversari (analogamente Prov. I I,J I e Str.-Bill. a proposito di un giusto che viene crocifisso}, cf. 1 Pt. 4, 1 7 s. Anche l'ellenismo (v. 28) e l ap ocalittica giudaica (vv. 2 9 s.) cono­ scono la profezia di eventi terribili. Il giudaismo sa che il martirio del profeta o del giusto chiama alla conversione (cf. a 1 I ,J 7- I 2, I , conci.). Ma la figura di Gesù e il suo cordoglio per Gerusalemme (v. 2 8 ; 1 9,4 1 44) dominano la pericope. Perciò vi è anche chi porta la croce dietro di lui e in tal modo, misteriosamente, partecipa già della benedizione divina, e in primo luogo vi sono, chiaramente distinte da quelle di Ge­ rusalemme, le donne galilee, che seguono Gesù e lo servono anche do­ po la sua morte (vv. 39· 5 5 s.) . '

.1.

Crocifissione e morte di

Gesù, 23,33 -49

(cf. Mc. 1 5,22-4 1 ; Mt. 27,3 3 - 5 6; Gv. 1 9, I 7-3 0) 33 E quando giunsero al luogo che si chiama Cranio, là crocifissero lui e i mal­ fattori, uno a destra e l'altro a sinistra. 34 Ma Gesù disse: Padre, perdona lo­ ro, perché non sanno quello che fanno. «Per la divisione delle sue vesti get­ tarono le sorti». 3 S E il popolo stava a guardare. Ma anche i capi lo scher­ nivano e dicevano: Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se costui è il Cristo di Dio, l'Eletto. 36 Lo deridevano anche i soldati che si accostavano porgen­ dogli dell'aceto 37 e dicevano: Se sei il re dei giudei, salva te stesso. 38 Vi era anche una scritta sopra di lui: Questi è il re dei giudei. 39 E uno dei malfattori crocifissi lo insultava: Non sei tu il Cristo ? Salva te stesso e noi. 40 M a l'altro rispondeva e lo redarguiva e affermava: Non temi Dio, dacché sei tu pure sottoposto alla stessa pena ? 41 E noi riceviamo a ragio­ ne quanto corrisponde al nostro agire. Costui però non ha fatto nulla di di­ sdicevole. 42 E disse a Gesù: Ricordati di me quando giungi nel tuo regno. 43 Ed egli gli disse: Amen, io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso. 44 Ed era ormai verso l'ora sesta quando sopraggiunse una tenebra su tutta la terra fino all'ora nona, 4 s poiché il sole perse il suo splendore. E il velo del tempio si squarciò nel mezzo. 46 E Gesù gridò a gran voce: Padre, «nelle tue mani rimetto il mio spirito», e quando ebbe detto questo spirò. 47 Ma quando il centurione vide l'accaduto, glorificò Dio e disse: Vera­ mente quest'uomo era giusto. 48 E tutta la folla del popolo che era accorsa a questa scena e aveva osservato gli eventi accaduti, si percosse il petto e fe-

Le. 2 3 , 3 3 -4.9·

Crocifissione e morte di Gesù

339

ce ritorno. 4.9 «Tutti i suoi conoscenti» però «rimanevano da lontano», e le donne che lo avevano accompagnato dalla Galilea, e vedevano ciò. 34 Sal. 22, 19. 46 Sal. 3 1 ,6. 49 Sal. 3 8 , 1 2; 88,9

s.

33- 49. La narrazione procede in quattro parti di tre fasi ciascuna: crocifission� intercessione di Gesù, spartizione delle vesti l autorità, soldati, malfattori: «Salva te stesso» (per tre volte) l tre segni: tenebra, velo, grido di Gesù l effetto su centurione, popolo e conoscenti. La con­ versione di uno dei malfattori (vv. 40-43) si inserisce in questo sche­ ma. Il nome «Golgota» manca (v. a 22,39) come pure la bevanda della misericordia (Mc. 1 5,22 s.); anche Gv. 19,29 nomina solo l'aceto (Le. 23,36). In cambio la crocifissione dei due !adroni, già nominati al v. 3 2 (come Gv. 1 9, 1 8), è menzionata al posto giusto senza far cenno all'a­ dempimento di 22,37. Il primo logion sulla croce (v. excursus dopo 22, 30, c) manca nel papiro più antico e in alcuni buoni manoscritti. Forse è stato espunto perché sembra voler scusare i giudei. Alcuni giudeocri­ stiani potrebbero aver pensato a Lev. 4,2 secondo cui il peccato incon­ sapevole viene espiato con la morte dell'animale offerto in sacrificio, in questo contesto la morte di Gesù. Un analogo gruppo di manoscrit­ ti omette la giustificazione dei giudei a causa della loro inconsapevo­ lezza in Atti 1 3,27 mentre la conserva per i pagani ( 1 7,23 .30) o addirit­ tura la introduce ex novo ( 1 6,39), gravando ulteriormente anche in 3 , 1 7 i giudei, distinti dai cristiani. Un'inconsapevolezza di tutt'altro tipo è invece sottintesa nell'aggiunta a Le. 6, 5 (v. ad loc. ). Il v. 34 si ad­ dice a Luca (Atti 3 , 1 7; I 3,27; cf. anche Le. I 2,48a}, e Stefano oltre alle ultime parole di Gesù ripete anche questo logion, entrambi ovviamen­ te con parole diverse (Atti 7,59 s.). In tal modo inoltre risultano tre lo­ gia di Gesù sulla croce (cf. ai vv. 26-3 2, intr.}, che sostituiscono la con­ sueta confessione di colpa o la maledizione del nemico da parte del condannato (2 Mace. 7, 19; 4 Mace. 9, I 5). La morte di Gesù dunque non è solo chiamata alla conversione (v. 3 1); pagando persino per i suoi aguzzini Gesù fa sì che la possibilità del perdono divino si apra anche per la colpa più grave e che al contempo ai suoi discepoli si schiuda una nuova strada per far risplendere per parte loro l'amore di Dio (v. excursus dopo 22,30, b2.3). Più labili sono le allusioni a Sal. 22(2 I), I9 (vv. 34b s. rispetto a Mc. I 5,24).8 (v. 3 5}; 69,22 (v. 3 6) (v. excursus do­ po il v. 2 5). Rispetto a Marco il v. 3 5 è fortemente modificato. Non «tut­ ti quelli che stanno a guardare», ma soltanto i capi (v. ai vv. 5 · I 3 ) «lo scherniscono» (v. a Mc. I 5 ,27-3 2, intr.). Il termine, assai raro, ricorre

3 40

Le.

23,33-49· Crocifissione e mone di Gesù

anche in Le. I 6, I4. Deriva forse qui dal Sal. 22,7 ed è stato inserito da Luca in I 6, I4 ? Che contro la sua tradizione Luca voglia con «ma an­ che» indicare che pure il popolo deride ? Probabilmente l'espressione «popolo (di Dio)» viene da lui. Inoltre viene a mancare l'allusione alle parole di Gesù sul tempio (v. a 22,67). Il titolo politico «re» è posto sulla bocca dei soldati (v. 3 7), ma qui è sostituito da un titolo pretta­ mente giudaico («Cristo di Dio», v. a 9,2o; «l'eletto», 9,3 5; del messia Hen. aeth. 39,6; 40, 5; 4 5,3 s.). Manca il concetto che i capi sarebbero di­ sposti a credere almeno in seguito a dei miracoli. L'esortazione a sal­ vare se stesso corrisponde a Mc. I 5,3 I; ovviamente è formulata come imperativo alla terza persona singolare, il che concorda piuttosto con Mc. I 5,30 e J 2. È ripetuta alla lettera ai vv. 37·39· Dare da bere dell'a­ ceto è puro scherno; manca l'equivoco per cui Gesù avrebbe invocato Elia. Solo a questo punto si fa menzione della scritta, e i soldati met­ tono in rilievo quanto sia ridicola. Contro Mc. I 5,3 2 Luca differenzia i due malfattori evidenziando così le due possibilità: la fede come ac­ cettazione della salvezza o l'incredulità come suo rifiuto (analogamen­ te in 7,36- 5 0 invece di Mc. I 4,3 -9; anche I 5 ,24- 3 2; I 8,9- I4). Per Luca esigere dei miracoli visibili e limitarsi a una salvezza puramente este­ riore significa bestemmiare Dio. Temere Dio (cf. 1, 50; I 8,2.4; Atti 10, 3 5 ) consiste nel riconoscere e accettare il giudizio di Dio, ma anche te­ stimoniare l'innocenza di Gesù. Di qui nasce la preghiera che si pro­ tende oltre l'esteriormente visibile. La formula «Ricordati di noi, Si­ gnore ... » (Sal. Io6[1o5],4) è ricorrente nelle iscrizioni sepolcrali giudai­ che (lsrael Exploration Journal vj4, 234 ss.). Diodoro Siculo (34,2, 5 - 8) narra di uno schiavo che in virtù dei suoi miracoli e visioni aspirava al titolo regale, e per scherzo venne invitato a banchetto e così esortato: «Poi, quando sarai re, ricordati di questa buona azione ! » . Del regno di Gesù parlano anche I ,3 3 ; 22,3 0 (v. ad loc. ). «Oggi» risulta partico­ larmente accentuato se al v. 42 si segue la lezione (accolta sopra) atte­ stata da antichi manoscritti («nel tuo regno» come complemento di sta­ to in luogo invece che di moto a luogo) o addirittura «nel giorno della tua venuta», secondo un altro gruppo di manoscritti. Gesù dunque alla speranza in un futuro ancora molto lontano contrappone la salvez­ za che si realizza già oggi. Verosimilmente si vuole sottolineare che chi vive «con Cristo» ha già parte al regno presente in lui, e così mo­ rendo entra nella comunità di Cristo in paradiso, senza peraltro impli­ care una riflessione su singole concezioni di una vita dopo la morte (v.

Le. .lJ,J J-49· Crocifissione e morte di Gesù

341

excursus dopo 2 1 ,3 8, b, a 1 6,23 e a 8,5 5 e cf. Fil. 1,23). L'assoluta al­ terità della vita perfetta con Dio non è più espressa dalla differenza temporale da qui al giudizio universale, ma da quella spaziale tra terra e paradiso. È improbabile che Luca abbia in mente una condizione paradisiaca intermedia prima della risurrezione di Cristo a pasqua e del ladrone l'ultimo giorno. Come in 4,2 1 (v. ad loc. ) e 1 9,9 sottolinea l' «oggi» della salvezza, così anche qui, naturalmente in connessione con «tu sarai», perché l'adempimento, il «paradiso», si trova al di là della lotta e del dolore terreni. Del resto anche in 22,69 è detto «da ora in avanti», benché la pasqua e l'ascensione debbano ancora avvenire. As­ solutamente inverosimile è invece la suddivisione: «Ti dico oggi: .. L'ora sesta (con l'indicazione lucana «verso») è specificata perché è strano che vi sia buio a mezzogiorno (A m. 8,9) . Luca lo «spiega» con un'eclissi di sole, ovviamente impossibile con la luna piena della pa­ squa. Come alla nascita di Gesù la notte fu illuminata, così ora il gior­ no si oscura (cf. 22, 5 3 !). La lacerazione del velo del tempio viene anti­ cipata, e non menzionata solo dopo la morte di Gesù come in Mc. 1 5 , 3 8; ciò che il centurione «vide» (v. 47) non può certo riferirsi a d essa, per cui i prodigi nel cosmo e nel tempio si ritrovano fianco a fianco. Analogamente a Mc. I 5,34. 3 7 Gesù muore «gridando a gran voce» (co­ sì alla lettera, per far emergere l'importanza del momento}; non è però un grido inarticolato, né dettato dalla sensazione di abbandono, ma è un grido di fiducia e fede. Gesù è stato consegnato nelle mani degli uomini (9,44; 20, I 9; 22,5 3); proprio per questo rimette se stesso nelle mani del Padre. «Il mio spirito» sostituisce «me» anche nel Sal. 3 1 (30), 6 qui citato, e sta perciò a indicare l'interezza della persona vivente. Mc. I 5,37 riporta alla lettera «esalò lo spirito»; da qui si passa a Mt. 27, 50 («rese il suo spirito», v. ad loc. ) e a Le. 2 3,46. L'invocazione «Pa­ dre» (come 1 0,2 1 ; I I ,2; 22,42; 23,34) è propria di Gesù (v. excursus a Mc. 1 4,36). Non si pensa assolutamente a un'esistenza incorporea del­ lo «spirito» dopo la morte (v. a 8,5 5). Tutto l' «accaduto», vale a dire sia il prodigio della tenebra sia la condotta di Gesù, induce il centurio­ ne (v. 47) a glorificare Dio (v. a 1 7, 1 5) e a esprimere il suo giudizio. Invece di «Figlio di Dio» lo chiama «giusto». Luca cambia perché «Figlio di Dio» sulla bocca di un pagano suscita idee erronee, oppure si tratta di un'antica tradizione che in Gesù vede il giusto sofferente senza colpa (cf. Atti 3,I4; 7, 5 2; 22, I 4; excursus a Mc. I I , I I 6, 8 e Mc. 1 5,22-24, intr.; I 5,27-3 2, conci.) ? L'effetto della morte di Gesù è visi.

-

».

34 2

Le.

23,3 3-49. Crocifissione e morte di Gesù

bile anche sulla folla del popolo. Questa a dire il vero «osserva» sem­ plicemente gli «avvenimenti», che non è affatto la stessa cosa che «ve­ dere» l'unico, decisivo «accaduto» del v. 47· Anche in Gv. I 6, I 9 i due verbi distinguono nello stesso senso il vedere esteriore da quello spiri­ tuale. Tuttavia la folla se ne lascia scuotere e prova qualcosa di simile al senso di colpa (come I 8, I J !). Si volge per rientrare in città: per ora è un'inversione, non ancora una conversione. La vera conversione sarà possibile solo in Atti 2,3 7 s. In disparte dalla folla vi sono i «cono­ scenti» di Gesù. I discepoli non vengono menzionati (v. a 22,47- 5 J , intr.), al contrario delle donne (v. a 8,2 s.), che, presentate come gali­ lee, vengono nettamente distinte dalle «figlie di Gerusalemme» (v. 28). Non è sicuro se si senta qui l'influsso di Sal. 3 8[3 7], 1 2; 8 8 [87],9; «da lontano» è anche in Mc. I 5 ,40. In modo ancora più evidente che in Marco, la morte di Gesù non è né proclamata né predicata nel suo significato, bensì semplicemente narrata (cf. retrospettiva, 3). Questo però avviene in modo tale da ren­ dere visibile un gran numero di rapporti differenti. Infatti la morte di Gesù è al contempo il suo volgersi all'uomo. Il riconoscimento del pec­ cato, la confessione a Gesù e la preghiera a lui rivolta costituiscono allora il fondamento della promessa di salvezza? Ma all'inizio della scena Gesù si trova proprio nella situazione in cui dei malfattori ven­ gono suppliziati a morte (22,37!). In lui si rende manifesta la solidarie­ tà di Dio con gli uomini, che sola consente questa comprensione. Nel­ la narrazione perciò è rappresentata quella condizione dell'essere cro­ cifissi e risuscitare con Cristo che compare in Rom. 6. In essa, all'in­ terno di un'esperienza identica, resta salda la netta superiorità di Ge­ sù: pur essendo esteriormente altrettanto impotente, egli promette do­ minio regale. In questo senso viene crocifisso anche «per» questo mal­ fattore. Ci si può domandare se è possibile illustrare questo concetto in un racconto. Senza il riserbo di Marco e senza il preciso chiarimen­ to didascalico di Paolo esso rimarrebbe troppo vago. Viceversa, senza il contributo di Luca la fede resterebbe piuttosto astratta. L'unicità di Gesù non è espressa con dei titoli. Egli è il legno verde accanto a quel­ lo secco (3 I), l'innocente accanto ai malfattori (4 1 ), ma soprattutto è co­ lui che a pieno titolo può dire «Padre» (34.46) e promettere il paradiso (43). L'eclissi di sole e la lacerazione del velo del tempio chiariscono chi è che sta morendo. Così allora si realizza la salvezza: in Gesù che

Le.

�J,so-s6. La sepoltura di Gesù

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si volge ad aguzzini e condannati (34·43) si manifesta Dio che si volge all'uomo, e avviene che il popolo è scosso, un pagano si mette a glori­ ficare Dio, e un uomo di fuori città compie un inaspettato atto d'amo­ re. Infine si presagisce già dietro colui che non di sua volontà segue Gesù, ma soprattutto nelle parole di Gesù che successivamente saran­ no ripetute da altri (34.46), la comunità che sta per nascere. 3· La

sepoltura di Gesù, 2J,so-s6

(cf. Mc. 1 5,42-47; Mt. 27,57-61; Gv. 19,3 8-42) so Ed ecco, un uomo di nome Giuseppe, che era membro del sinedrio, uo­ mo buono e giusto - s 1 costui non aveva approvato la loro decisione e il loro operato - di Arimatea, una città dei giudei, uno che attendeva il regno di Dio, �1 costui andò da Pilato e richies e il corpo di Gesù. 53 Ed egli lo depose e lo avvolse in un lenzuolo e lo seppellì in una tomba scavata dove non era ancora stato adagiato nessuno. 54 Ed era il giorno dei preparativi, e il sabato cominciava a risplendere. s s Ma le donne che erano venute con lui dalla Galilea gli andarono dietro e videro la tomba e come il suo corpo veniva sepolto. s6 E tornarono indietro e prepararono balsami e unguenti. Per tutto il sabato riposarono secondo il comandamento.

so-s6. Giuseppe di Arimatea è nominato in tutti i vangeli. Ciò di­ mostra che non c'era nessun discepolo che adempisse il primo dovere dettato dalla pietà. Come all'inizio della vita di Gesù vi è un «giusto» che attende «la consolazione d'Israele», il «regno di Dio» (2,2 5 ), così anche alla fine. Accanto al romano (v. 47) compare il giudeo (cf. Atti 5,34). I vv . 5 2 s. somigliano in modo straordinario a Mt. 27, 5 8 s., spe­ cialmente all'inizio, nel termine usato per «avvolgere» e nell'abbrevia­ zione del testo di Marco. Come in Gv. 19,4 1 s. si insiste sul fatto che la tomba era nuova, e solo a questo punto si puntualizza che era ve­ nerdì. È possibile che il «risplendere» (di Venere o dell'alba del saba­ to?) di questo sabato rivesta per Luca significato simbolico: la pro­ messa di compimento fatta da Dio rifulge già sulla tomba di Gesù e da allora anche su quelle della sua comunità. Si rimarca il fatto che le donne videro la tomba, e dunque la mattina di pasqua non si recarono per errore a un altro sepolcro (24, 1). La loro «sequela» fin dalla Gali­ lea (v. 49) prosegue e si evidenzia in un ultimo servizio (cf. 8,3). Di­ versamente da Mc. 1 6, 1 (secondo quasi tutti i manoscritti) fanno gli acquisti necessari al venerdì sera. Anche qui come in 1 ,6; 2,22-24.27 si

3 44

Le.

.z4, I - I .z.

Annuncio di Dio alle donne

sottolinea l'osservanza dei comandamenti. È l'ultimo sabato prima che sorga il «giorno del Signore» (cf. Apoc. I , I o) . C. NUOVO INIZIO - DONO DEL RISORTO (24, 1 - 5 3)

Solo i vv . 1 - 1 2 concordano in una certa misura con Mc. 1 6, 1 -8. Tut­ to il resto si trova soltanto in Luca. Annuncio di Dio alle donne, 24, 1 - 1 2

(cf. Mc. 1 6, 1 -8; Mt. 28, 1 -8; Gv. 20, I - I J ) M a i l primo giorno della settimana, di buon mattino, giunsero alla tomba e portavano i balsami che avevano preparato. 2 Ma trovarono la pietra ro­ tolata via dalla tomba. 3 Entrarono nella tomba e non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4 E avvenne, mentre erano stupefatte per questo, ecco, due uomini in vesti sfolgoranti si accostarono loro. s Poiché s'impaurirono e volsero il viso a terra, essi dissero loro: Cercate il Vivente tra i morti? 6 Egli non è qui, ma è risorto. Ricordatevi come vi parlava quando era an­ cora in Galilea 7 e del Figlio dell'uomo diceva che doveva essere consegna­ to nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso e al terzo giorno ri­ suscitare. 8 Ed esse si ricordarono delle sue parole 9 e tornarono dalla tom­ ba e annunciarono tutto questo agli undici e a tutti gli altri. 10 Ed erano la Maddalena Maria e Giovanna e Maria di Giacomo e le altre con loro. Lo dissero agli apostoli. I I E queste parole parvero loro come una fola e non credettero loro. 11 Ma Pietro si alzò e corse al sepolcro, si chinò e scorse le bende e andò via, e si meravigliava tra sé per l'accaduto. :i

A parte l'indicazione del giorno (v. 1 ), cinque parole nella fra­ se dell'angelo e l 'esp re ssione «alla/dalla tomba» (ma cf. al v. 6), nulla concorda con il testo di Marco. Alcuni elementi potrebbero essere pre­ marciani. Il v. 1 2 manca in una parte di una famiglia di manoscritti. Nel tenore del testo è analogo a Gv. 20,J -6. I o, ma è improbabile che sia stato interpolato da lì: perché l'altro discepolo (Giovanni ?) non sareb­ be nominato, soprattutto dal momento che nel v. 24 si parla di più di un testimone ? Diversamente da Gv. 20, 1 2, l'apparizione dell'angelo eb­ be luogo già prima dell'arrivo di Pietro (anche al v. 23). Dal punto di vista stilistico, inizio e conclusione sono tipicamente lucani, non così però il presente «scorge» (v. a 1 6,23, intr.) e l'espressione «a (o: tra) se stesso». Si potrebbe collegarla a «si meravigliava», come nella tradu­ zione riportata sopra, oppure ad «andò via», traducendo allora secon1 - 1 2.

Le. 24, 1 - 1 2. Annuncio di Dio alle donne

34 5

do un modo di dire aramaico «andò a casa». Gv. lO, I O preferisce que­ sta seconda interpretazione. Ciò fa supporre che la redazione origina­ le di Le. 24, I 2 riportasse: «si meravigliava tra sé» (simile a I 8,1 1 ) ed esistesse prima ancora di Giovanni. Forse il versetto fu espunto per non entrare in conflitto con la prima apparizione a Pietro narrata nel v. 34 · Come in Gv. 2o, I la pietra è nominata solo a questo punto, non al momento della sepoltura o delle riflessioni delle donne. Essa fa pie­ namente parte del racconto pasquale. Come in Gv. 2o, I 2 i «due» an­ geli (anche 9,3o; Atti I ,Io) appaiono solo dopo la scoperta della tomba vuota e l'incertezza che ne consegue. È difficile immaginare che nella tomba fossero entrate tutte le donne (v. Io!). Il racconto antico inten­ deva certamente solo le tre citate per nome. Un detto giudaico contro la necromanzia recita: «Se si è soliti cercare i morti fra i vivi, forse an­ che i vivi fra i morti ?» (Str.-Bill.). Poiché Gesù è vivo come lo è Dio, non va ricercato fra i morti (cf. a Mc. I 2,27), né come sobillatore final­ mente liquidato, né come maestro da onorare pietosamente. Lo sguar­ do viene anzi distolto dalla tomba. A ciò si collega bene il «non è qui» (anteposto come in Mt. 28,6, v. ad loc.). La rielaborazione (preluca­ na?) di Mc. I 6,7 porta alla singolare menzione della Galilea e all'impre­ ciso «a voi» (in Mc. I 6,7 è corretto: ai discepoli). La Galilea appartiene al passato, non vi accade più nulla di nuovo (v. a 4,44); dopo la pasqua verrà nominata ancora solo una volta (Atti 9,3 I). La formula del v. 7a ricorda 9,44; l'aggettivo o sostantivo «peccatore», che Luca non usa mai in Atti né inserisce mai di propria iniziativa nel materiale che ri­ prende da Marco, rimanda a Mc. 1 4 ,4 1 . «Crocifiggere» non compare in nessun sommario della passione. «Risorgere» appare sì nelle formu­ le di Le. 24,46; Atti I0,4I; I 7,3, ma potrebbe esservi stato tramandato dalla tradizione, dal momento che Luca modifica o omette il termine in Mc. 8,3 I; 9,3 1 . L'anticipazione di «Figlio dell'uomo» è ancora più singolare nel testo primitivo; comunque è paragonabile ad Atti I J,J 2 (cf. Le. 9,3 I ; Gal. 4, I I). Dunque molti elementi sosterrebbero l'ipotesi di una formula già preesistente a Luca, benché non ve ne sia la certez­ za. Diversamente da Mc. 1 6,8 le donne eseguono l'incarico loro affida­ to, ma a differenza di Mt. 28,9 s. senza incontrare Cristo. Solo a que­ sto punto (cf. Atti I , I J s.) è specificato di quali donne si trattava. I no­ mi non coincidono con quelli di Mc. I 6, I (v. ad loc. , intr.): è singolare che «Maddalena» preceda «Maria» (cf. a 8,2); su Giovanna v. a 8,3; Maria di Giacomo dovrebbe indicare sua moglie (però cf. Mc. 1 5,40.

346

Le.

24,1 3-3 s . Parola e sacramento - Dono del Risono

4 7; x 6, x ) . Ancora più strana è la ripetizione di 9b, nella quale appare ora il titolo di ap os toli, assai importante per Luca (vv. 9·3 3 e Atti 2, 14: egli undici»). Che l'evangelista abbia inserito i vv. 1 0 s. nel racconto

tràdito, nel quale però i nomi erano tramandati (oralmente ?) ? Solo in Le. 24, 1 1 .4 1 si riferisce dell'incr�dulità dei discepoli (cf. a Mc. 1 6,9 s . ) . Certo non è la stessa cosa che rifiutare la proclamazione della risurre­ zione (Atti 1 7,1 8 . J 2) . Anche l isp ezione di Pietro provoca solamente meraviglia, pur preludendo ovviamente anche all'apertura a esperienze ulteriori. La certezza della risurrezione non è comunicata all'apostolo (v. 3 4) «né da parte di uomini né per mezzo di un uomo� (Gal. x , x ). '

Parola e sacramento - Dono del Risorto, .14, 1 3-3 5

1 3 Ed ecco, in quel medesimo giorno due di essi si recavano in un villaggio che distava sessanta stadi da Gerusalemme, di nome Emmaus. 14 E discu­ tevano di tutti questi avvenimenti. 1 s E avvenne, mentre conversavano e discutevano, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. 16 Ma i lo ­ ro occhi erano impediti dal riconoscerlo. 17 Ma egli disse loro: Che parole sono queste che vi scambiate tra voi mentre camminate? Ed essi si ferma­ rono con lo sguardo triste. 1 8 Uno, di nome Cleopa, rispose e gli disse: Ti trattieni da solo a Gerusalemme e non hai saputo cosa vi è accaduto in questi giorni ? 19 Ed egli disse loro: Che cosa? Ed essi gli dissero: I fatti relativi a Gesù il Nazareno, che fu un profeta potente in opere e parole da­ vanti a Dio e a tutto il popolo, 20 come i nostri sommi sacerdoti e capi lo hanno consegnato perché fosse condannato a morte e lo hanno crocifisso. 21 N o i però avevamo sperato che fosse lui a dover redimere Israele. Con tutto ciò è già oltre il terzo giorno da quando è accaduto questo. 22 Ma ci hanno messo in agitazione anche alcune donne, delle nostre, che si erano recate di mattino presto alla tomba 23 e non avendo trovato il suo corpo vennero a dirci di aver visto persino un'apparizione di angeli che dicevano che egli vive. 24 E alcuni di quelli con noi si recarono alla tomba e la trova­ rono come avevano detto anche le donne, lui però non l'hanno visto. 2 s Ed egli disse loro: O insensati e tardi di cuore nel credere � tutto quello che han­ no detto i profeti. 26 Non doveva il Cristo patire tali sofferenze ed entrare nella sua gloria? 27 E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che era detto di lui. 28 E si avvicinavano al villaggio dove erano diretti, ed egli fece mostra di proseguire oltre. 29 Ed essi insi­ stevano con lui e dicevano: Resta con noi perché si sta avvicinando la sera e il giorno volge già alla fine. Ed egli entrò per rimanere con loro. 30 E av­ venne, quand'era accomodato a tavola con loro, prese il pane, disse la be-

·Le. 24, 1 3 - 3 5 · Parola e sacramento - Dono

del Risorto

3 47

nedizione e lo spezzò e lo diede loro. 3 1 E i loro occhi furono ap erti ed es­ si lo riconobbero. Ed egli scomparve da loro. 3 2 Ed essi si dissero l 'u n l'al­ tro : Non ardeva in noi il nostro cuore quando ci parlava durante il cammi­ no, quando ci spiegava le Scritture? 33 E in quel momento si alzarono e fe­ cero ritorno a Gerusalemme, trovarono gli undici e quelli insieme con lo­ ro, 34 i quali dicevano: Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone. 3 s Ed essi narrarono quanto era accaduto loro per via, e come egli fosse sta­ to da loro riconosciuto allo spezzare del pane.

Alla partenza dei due discepoli (I 3 s.), alla comparsa di Gesù ( I 5 ) e alla loro incapacità di riconoscerlo ( I 6) corrispondono in successione inversa il riconoscimento (3 I a), la scomparsa di Gesù (3 I b) e il loro ritorno (3 3 - 3 5). Al centro vi è il momento della cena (2 8-30), precedu­ to da un colloquio che ha inizio con una domanda di Gesù (I 7) e si conclude con la sua risposta istruttiva (2 5-27). I vv 2 I b-24 fungono da collegamento con i vv. I - I 2, benché «alcuni» del v. 24 non corri­ sponda esattamente al v. I 2. Esteriormente l'episodio segue lo schema di un racconto di miracoli: l'introduzione presenta luogo e personaggi ( I 3 s.), compare il portatore di salvezza ( I 5), le difficoltà vengono ri­ badite ( I 6-24), un aiuto temporaneo (2 5 -27) provoca la richiesta da parte dei bisognosi (28 s.) e in risposta a questa è loro accordata la sal­ vezza (30 s.); confessione, conferma e predicazione (3 3-3 5) concludo­ no l'episodio. Ma proprio qui se ne manifesta la singolarità. Il dialogo di I 6-27 è strutturato in maniera inusitata, e l'aiuto non è prestato alla fede riposta in Gesù, bensì consiste nel dono della fede. Poiché qui risiede il centro dell'interesse, il dialogo al riguardo diviene allora es­ senziale e dietro il racconto si intravedono la predicazione della paro­ la e la cena del Signore (cf. al v. 30). Tutto è improntato a uno stile for­ temente lucano. A ciò si aggiunge il parallelo di Atti 8,26-40. Entram­ bi gli episodi hanno inizio lungo il cammino, l'incomprensione di fron­ te alla Scrittura riceve chiarimento a partire dalla passione di Gesù; la preghiera di restare segue o precede. Ambedue i racconti finiscono con il sacramento, la cena o il battesimo, e con la scomparsa del soccorri­ tore. Non lucani sono la localizzazione a Emmaus, non a Gerusalem­ me, e l'apparizione di Gesù a due non apostoli (Atti I , I -4; I 0,4 I ), men­ tre i vv 26 s. rispondono pienamente all'interesse di Luca. Singolare per un racconto pasquale è la comparsa di Gesù in una figura non ri­ conoscibile, né circonfusa di splendore celeste, oltre al riconoscimen­ to durante la cena e alla mancanza di una missione. Nel contenuto ciò .

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Le. 24,1 3-J S · Parola e sacramento - Dono del Risorto

ricorda Gv. 2 I , I - I4. Vi sono anche leggende ellenistiche che narrano qualcosa di simile: dopo la sua morte Romolo avrebbe incontrato per strada un contadino il quale poi ne avrebbe riferito a Roma (Dionigi d' Alicarnasso, Antichità Romane 2,63 ,3 s.). Apparizione e scomparsa di angeli sono narrate di frequente (ad es. Giud. 1 3 ,2 3 ·9 ·2o; 2 Mace. 3, 3 3 s.); di un dio in Virgilio, Eneide 9,65 6 ss.; di Elena in Euripide, Ele­ na 6o 5 ss.; Oreste 1496 ss. Apparizione durante il cammino di chi si credeva morto, ma ancora non lo è, e contatto fisico sono narrati in Filostrato, Vita di Apollonia 8,1 I s., ma forse già sotto l'influenza di Luca. Sicuramente alcuni elementi preesistevano già: Emmaus, i due discepoli e il nome Cleopa, la scena del pasto serale (all'incirca i vv I 3. I 5b. 1 6.2 8-3 1 con la doppia indicazione dell'ora al v. 29, che altri­ menti Luca espungerebbe da Marco). Ci sarebbe la possibilità che Lu­ ca riporti una tradizione orale. Ma le espressioni più chiaramente non lucane si trovano proprio nei vv (1 8.)19.23-25, dov'è più probabile sup­ porre la sua redazione, a prescindere dalle due frasi già precostituite dei vv. 26.34. A ciò si aggiunge che l'inizio «due di loro» è corretto solo se lo si collega al v. 9, nel quale accanto agli undici erano nomina­ ti anche «tutti gli altri». Secondo i vv I O s., presumibilmente inseriti da Luca, si dovrebbe pensare agli «apostoli». Se Luca avesse narrato li­ beramente l'episodio senza essere legato a un modello, avrebbe ancora potuto parlare dell'incredulità dei discepoli al v. 4 I , dopo i vv. 34 s. in cui entrambi i gruppi sono ormai convinti della risurrezione di Gesù ? Inoltre è impensabile che tutta la scena dei vv 3 6- 5 3 si sia svolta nella medesima sera. È chiaro che sono state messe insieme due tradizioni differenti. Se anche fosse stato Luca ad aggiungere la formula del v. 34 per fissare la prima apparizione all'apostolo, l'incongruenza non risul­ terebbe comunque eliminata e si dovrebbe ipotizzare per entrambi i racconti una fonte scritta, che naturalmente è stata qui fortemente ri­ elaborata e non è quindi individuabile con esattezza. .

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I J-3 5· Il racconto ha inizio con il tema del cammino (v. a 9, 5 1 ). La domenica dopo la pasqua ebraica è giorno di ritorno a casa. Una Em­ maus sembra fosse distante da Gerusalemme 3 2,5 km, un'altra 6,5 km (rispettivamente 176 e 3 5 stadi). Dal momento che i discepoli fanno ritorno la sera stessa (v. 3 3 ), può trattarsi solo della seconda. Oppure è nel giusto un testo più antico che riportava la lezione « I 6o stadi», e allora il « IOO» sarebbe stato omesso a causa del v. 3 3 ? Camminare dà

Le. 24,1 3 - 3 S · Parola e sacramento - Dono del

Risorto

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il tempo di riflettere sull'accaduto. A questo punto Gesù si unisce alla loro compagnia: non si sa né da dove venga né dove poi scompaia. Co­ me in Gv. 2 1 ,4 il lettore è subito introdotto nella scena, per cui non domanda chi sia lo sconosciuto ma come avviene l'incontro con i due. La loro mancanza di fede li sovrasta come una forza (v. a 1 8,34). Ma il fattore essenziale è che i loro dubbi divengono consapevoli. Cleopa e Clopa sono la stessa persona? Secondo Eusebio (Hist. Ecci. J,I 1) que­ st'ultimo era fratello di Giuseppe e padre di Simeone, il successore di Giacomo alla guida della comunità di Gerusalemme. È per questo che è il solo a essere chiamato per nome ? N on si può esserne certi; ancor meno certo è che il secondo discepolo fosse Giacomo, fratello di Gesù ( 1 Cor. 1 5 ,7). Il termine «trattenersi» indica il soggiorno di chi non è residente; Luca lo usa perché un cittadino sarebbe più informato op­ pure perché considera Gesù come in cammino ? «Gesù il Nazoreo (sem­ pre così in Luca tranne qui e in 4,34 = Mc. 1,24)» compare come «uo­ mo contraddistinto da Dio per mezzo di azioni potenti, prodigi e se­ gni» anche in Atti 2,22; come «profeta» in Le. 4,24; 1 3,3 3 (v. a J , l 5-20, conci.). Nuova è l'associazione tra opere {preposto) e parole (vicever­ sa di Mosè in Atti 7,22 !). In Atti 2,22; 10,3 8 sono menzionati solo i mi­ racoli, mentre in riepiloghi sommari si parla solo del suo insegnamen­ to (Le. 4, 1 8 s.44; 8, 1 ; 1 5 , 1 ; 19,47; 20, 1 ; 21,37) o delle guarigioni da lui operate {4,40 s.; I J,J 2), tranne quando l'insegnamento è aggiunto alla tradizione di guarigioni (6,6. 1 8; I J,IO s.); a proposito dei discepoli in­ vece i due elementi vengono associati (9,2; 10,9 in base a Q ?). «Tutto il popolo» compare nuovamente ben distinto dalle autorità (v. a 1 9,48), che sembrano aver compiuto la crocifissione (v. a 23,2 5). La colpa non è addossata né al popolo giudaico né a quello romano. Della «reden­ zione» d'Israele parla 1 ,68 (2,3 8). Ma proprio questa precostituita at­ tesa religiosa impedisce ai discepoli di vedere colui che «vive» (cf. 20, 3 8; 24, 5; Atti I,J; 2 5 , 1 9). La tomba vuota non genera la fede (cf. al v. 5 ). È la pigrizia e rigidità del loro cuore che non si sa aprire al nuovo, a quanto non corrisponde alle aspettative. Il destino del Cristo è riepi­ logato con concisione estrema: passione ed entrata nella gloria che, se­ condo 19,3 8, regna «nelle altezze» (cf. excursus dopo 22,3 0, b 1 ). Al di sopra di tutto questo vi è la volontà di Dio (v. a 9,22), non nel senso di una storia complessiva che si snoda dalla creazione fino al ritorno e al compimento finale bensì nel suo manifestarsi ovunque nella pienez­ za della storia e dell'insegnamento biblici. Perciò non vengono citati

3 SO

Le. 24,1 3-3 5.

Parola e sacramento - Dono del Risorto

particolari passi della Bibbia, ma sono «tutte le Scritture,. (= «Mosè e i Profeti» e le «Scritture», ossia i Salmi ecc., cf. v. 44) a rimandare a Cristo, cosicché solo a partire da lui la storia d'Israele diventa signifi­ cativa (v. excursus dopo 4,30, b). La Scrittura pertanto interpreta gli eventi di Gesù; tuttavia nell'Antico Testamento Luca non cerca con­ ferme a singoli eventi nella storia di Gesù come se così facendo si po­ tesse «provare» che in essi era all'opera Dio. Compare ancora una volta il «camminare, andare» di Gesù, al quale si oppone la preghiera di «restare», probabilmente in casa dei due discepoli. Per quanto Gesù al v. 1 5 arrivi inaspettato, perché resti è necessario pregarlo. La frase si addice alla situazione, ma allo stesso tempo è esplicativa di una verità più profonda descritta da Apoc. 3,20 come «arrivo» presso il credente del Cristo glorificato che «mangia insieme a lui». Nei vv. 29 s. «con lo­ ro» è accentuato dalla triplice ripetizione. L'ospitato diventa ospitan­ te. «(Ed essi fecero) accomodare (in greco = adagiarsi a mensa) (tutti); ed egli prese (i cinque) pane (-i) ..., disse la benedizione ... e spezzò ... e (li) diede ai discepoli»: così si legge in 9, 1 5 s., dove compaiono anche dei pesci (cf. v. 42), ma non il vino, che non era d'uso durante i pasti nor­ mali. Entrambi i racconti ricordano anche l'ultima cena di Gesù, alla quale ovviamente i due discepoli non avevano preso parte {v. conci.). L'apertura dei loro occhi, che non è assolutamente presupposto bensì dono della comunione di mensa con Gesù, allude al mistero della cena del Signore, come pure la scomparsa dello stesso Gesù. Lo scopo è raggiunto fornendo loro l'autorevole interpretazione delle Scritture e portandoli alla comunione di mensa con lui. Gesù non può essere trattenuto come accade con un amico che si desidererebbe avere sem­ pre disponibile vicino a sé. Egli viene nella parola e nel pasto di comu­ nione, ma l'uomo non può mai averlo semplicemente a propria dispo­ sizione. Dove il cuore d'un uomo arde (Sal. 39[3 8],4; Test. Neph. 7,4) tanto da non potersi più separare da Gesù e da pregarlo di rimanere, in lui egli già vive. Certo i due discepoli si rendono conto solo dopo, guardandosi indietro, che le Scritture si erano loro aperte molto prima dei loro occhi. Non si ha missione; tuttavia l'incontro porta diretta­ mente alla testimonianza. Il loro moto d'allontanamento da Gerusa­ lemme viene raggiunto dal Risorto e la sua direzione invertita. La fra­ se del v. 3 4 reca la chiara impronta della tradizione pasquale. È impor­ tante perché in tal modo la prima apparizione davanti a Simone (cf. a 5 ,8, intr.; 1 Cor. 1 5 , 5 ) resta fissata anche rispetto ai discepoli di Emmaus.

Le. 2.4, 1 3-3 s.

Parola e sacramento - Dono del Risorto

35I

Indubbiamente s'intende una visione reale come per le apparizioni di­ vine veterotestamentarie (alla lettera: «è stato visto da Simone» ); an­ che 1 Cor. 9, 1 ; Gv. 20,1 8.2 5 .29 e tutti i racconti pasquali interpretano in questo modo. L'espressione chiave «spezzare del pane» è posta e­ spressamente alla fine: è così che il glorificato entra nel centro della sua comunità. Il racconto ha inizio col frantumarsi di una «fede da bambini». Ai due discepoli è stata tolta ogni illusione e restano loro solamente delle parole che non sono di alcun aiuto. È evidente invece il successo degli altri: le autorità giudaiche e i romani hanno raggiunto il loro obietti­ vo. Ed è proprio in questa situazione che entra Gesù con le sue parole di conforto, irriconoscibile nella figura di un compagno di viaggio qua­ lunque. Il loro discutere senza costrutto lascia un intervallo di silen­ zio in cui Gesù può prendere la parola. I due discepoli si lasciano in­ terrogare e rispondendo riescono a dare forma articolata alla loro tri­ stezza e ai loro dubbi. Quello che impedisce loro di credere è la fede in un'immagine di Cristo alla quale Gesù non corrisponde. Dovrebbe stare dalla parte di chi dà aiuto, non di chi ha bisogno. Da tre giorni ormai - e può sembrare tanto - non si vede altro che catastrofe e mor­ te scandalosa. Così la falsa fede è sicura di sé, mentre sorgono le do­ mande sul conto di Gesù. È vero, alcune persone alla sua tomba han­ no fatto l'esperienza di Dio, e poi ci sono stati gli angeli che hanno predicato la salvezza: i due discepoli possono ripetere tutto ciò e rite­ nerlo veritiero, tuttavia resta per loro qualcosa di sentito dire. La svol­ ta non è provocata da un qualche miracolo ma dalla Scrittura, che na­ turalmente dovrebbe essere letta con cuore non pigro ma attivo. Essa riesce a scuotere a tal punto la sicurezza della loro incredulità che non se la sentono di troncare lì il dialogo. Anche all'esterno la sera che cala e l'arrivo a casa pongono un limite alla prosecuzione del cammino. Così essi divengono più che mai pronti ad accogliere Gesù. Nella co­ munione di m.ensa Gesù dona la realtà della sua presenza; la sua paro­ la assume la forma di dono visibile. Allora la comunione di mensa con il Gesù terreno o glorificato è decisiva in quanto tale, e non si può più operare una netta distinzione tra il cibo quotidiano preso nella comu­ nione della fede e la cena del Signore nella cerchia più ampia della co­ munità, nella quale s'aggiunge anche il vino delle solennità: Le. 5 , 273 2; 1 9, 1 - IO; Atti 2,42-46; 20,7- 1 2; 27,3 5 . Egli stava già dietro il «cuore

352

Le.

24,36- 5 3 . Il cammino nel futuro della comunità - Dono del Risorto

ardente», e ancor di più dietro il miracolo degli occhi che si aprono. In tutto ciò non vi è traccia di splendore ultraterreno, tanto inequivo­ cabile è il miracolo dell'azione di Dio che gli uomini non sanno spie­ gare. In modo alquanto strano, l'unico elemento chiaramente «ultra­ terreno» è proprio la scomparsa di Gesù, segno esplicito e categorico che Dio, laddove penetra nella vita dell'uomo e si rivela, non si conce­ de mai al punto di farsi da lui imprigionare. Perciò anche i due di­ scepoli non possono far altro che raccontar ne l'operato, mancando lo­ ro una qualsiasi formula in cui possano racchiudere il Vivente. Allo stesso tempo si accorgono di ricevere essi stessi forza dall'esperienza degli altri, segno che la fede, per quanto sia donata alla singola perso­ na, crea immediatamente comunità. In questo modo si domanda al let­ tore in che punto di questo cammino egli si trova: è con i confusi, ai quali però Gesù già si accompagna? Oppure con quelli che stanno ri­ flettendo e si lasciano interpellare, quelli che hanno udito la predica­ zione di altri, che si lasciano toccare il cuore dalle Scritture, che non se ne separano e non intendono semplicemente mettere a tacere la loro inquietudine ? O ancora con coloro ai quali nella comunione di mensa col Risorto si sono aperti gli occhi, sicché trovano la propria strada per giungere agli altri ? Il cammino nel futuro della comunità - Dono del Risorto, 24,3 6- 5 3

36 Mentre parlavano di questo, egli stesso venne in mezzo a loro e dice a lo­ ro: Pace a voi. 37 Ma essi si spaventarono e furono presi dalla paura e pen­ savano di vedere uno spirito. 3 8 Ed egli disse loro: Perché siete così turbati e perché sorgono dubbi nei vostri cuori ? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io. Toccatemi e guardate, ché uno spirito non ha carne e ossa come vedete che io ho. 40 E quando ebbe detto questo, mostrò loro le mani e i piedi. 4 1 Ma poiché per la gioia restavano ancora increduli ed era­ no stupefatti, disse loro: Avete qui qualcosa da mangiare? 42 Essi gli die­ dero un pezzo di pesce arrostito. 43 Ed egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44 E disse loro: Queste sono le mie parole, che vi avevo detto quan­ d'ero ancora con voi: dev'essere compiuto tutto quello che di me è scritto nella legge di Mosè e nei Profeti e nei Salmi. 45 Allora aprì la loro mente a comprend ere le Scritture. 46 Ed egli disse loro: Così sta scritto: il Cristo deve soffrire e il terzo giorno risuscitare dai morti 47 e nel suo nome de­ v' essere predicata la conversione per il perdono dei peccati, a cominciare da Gerusalemme. 48 Voi ne siete testimoni. 49 Ed ecco, io mando su di voi

Le.

.14,36-53· Il cammino nel futuro della comunità - Dono del Risorto

3 53

la promessa del Padre mio; voi però rimanete in città finché non siate rive­ stiti di potenza dall'alto. so Ma li condusse fuori sino a Betania e alzò le ma­ ni e li benedisse. 5 1 E avvenne, mentre li benediceva si staccò da loro e ven­ ne assunto in cielo. s .1 E dopo essersi inginocchiati in adorazione fecero ritorno a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio e be­ nedicevano Dio. La pericope ha inizio con la comparsa del soccorritore: una certa condizione di necessità emerge solo come reazione (v. 3 7, ancora al v. 4 1 ; cf. a 5,8). L'aiuto è prestato sotto forma di una domanda e di segni visibili (3 8-43), ma soprattutto con l'insegnamento (tratto dalle Scrit­ ture, vv. 44-48). Ad esso segue un invito all'azione, che sarà conferma­ ta dall'aiuto promesso, come avverrà negli Atti (49). La scomparsa del soccorritore costituisce la conclusione dell'episodio (50 s.), mentre la lode di Dio a Gerusalemme ( 5 2 s.) conclude il libro intero, così come vi aveva dato inizio; contemporaneamente però illustra già l'inizio di quanto predetto al v. 49· La successione di primo incontro (3 6-43), in­ segnamento sulla base della Scrittura (44-46), orientamento ai pagani (47) e testimonianza continua (48 s.) ricorre analoga anche in Atti 28 (1 7-22/23-2 5 a/2 5b-28/3o s.); la successione di apparizione a singole per­ sone e a tutti i discepoli si ritrova in Mt. 28(9 s.j1 6-2o) e Gv. 20( 1 1 1 8/1 9-29). Come anche in precedenza, l'aiuto non è dato alla fede ma consiste nel dono della fede. Il collegamento (3 6a) con quanto era nar­ rato al v. 34 s. è simile anche in 22,47 = Mc. 14,43; 22,60 = S. Sotto l'a­ spetto linguistico potrebbe essere prelucano, mentre la descrizione di timore e incredulità nei vv. 37.4 1 denota lo stile di Luca. A lui preme rappresentare la fede completamente come dono di Gesù, come «fede (donata) per mezzo di lui)) (Atti 3,16). La tensione con i vv. 34 s., do­ vuta alla tradizione, è da lui interpretata nel senso che la fede cresce di continuo attraverso il dubbio e le ricadute, l'ascoltare e il vedere sem­ pre nuovi, trovando infine il proprio compimento nel rendere testi­ monianza a Gesù. Il papiro più antico e la maggior parte dei mano­ scritti contengono i vv. 36b (con un sorprendente verbo al presente, v. a 1 6,23, intr.).40. 5 1 b. s 2a, che mancano nello stesso gruppo di mano­ scritti in cui mancano i vv. 22, 1 9b.2o; 23,34a; 24, 1 2 (v. introduzione agli Atti, s, 7.2). Come in quei casi, anche qui è più verosimile pensare a un'omissione che non a un'aggiunta posteriore; che l'ascensione del v. 5 1b fosse già nel vangelo è dimostrato da Atti 1 ,2. Che il saluto di pace sia stato tralasciato perché suscita timore, il v. 40 perché l'incre-

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Le.

.24,36- S 3. Il cammino nel futuro della comunità - Dono del Risorto

dulità risulta ancora più improbabile, il v. 5 r b per via di A tti 1 , 1 I (so­ lo dopo 40 giorni!)? Lo stile lucano è evidente; le espressioni non lu­ cane da segnalare sono poche; i vv. 36b.3 9-4 1 concordano ampiamen­ te con Gv. 20, I9 s. Forse bisogna pensare a una tradizione orale che conteneva solo alcune frasi in forma ormai fissa. Il carattere misterioso dell'apparizione di Gesù corrisponde a quello della sua scomparsa nel v. 3 r . Colui che è già presente nella testimonianza dei discepoli esce fuori dal suo nascondimento, analo­ gamente ai vv. 2 5 -27/30 s. Insieme a lui la pace scende sui discepoli. Certo Luca si immagina che la scena avvenga durante la cena (vv . 4 I 43; A tti I ,4; I0,4 I; cf. Gv. 2 I ,I J). L'idea che uno «spirito» continui a vivere suscita terrore puro. Ignazio (Sm. 3,2) in questo contesto parla di un «demone incorporeo»; per lui come per Luca si tratterebbe solo di uno spettro (così alcuni manoscritti come in Mc. 6,49), mentre i greci, per i quali l'incorporeità è una caratteristica paradisiaca (Lucia­ no, Storia Vera 2, I 2), designano così le anime dei defunti. Per la Bib­ bia questa non è ancora fede ma puro arzigogolamento mentale; per essa si tratta a tal punto di una comparsa in carne e ossa, che un sem­ plice «spirito» non potrebbe essere equiparato all' «io» (enfatizzato come in Mc. 6, 50) di Gesù neanche se lo si definisse angelo e non de­ mone (cf. A tti r 2,I 5; 23,8 s.). Il v. 39 è l'unico passo della Bibbia in cui si parla di «carne e ossa» del Risorto. Per i greci questo proverebbe come egli si trovi ancora nella dimensione della vita terrena (Filostra­ to; v. a I 3 -3 5, intr.). Ciò contrasta ovviamente con I Cor. I 5 , 5 0; certa­ mente la risurrezione è intesa ovunque in senso anche fisico, ma il nuo­ vo corpo sarà talmente diverso ( I Cor. I 5,3 5 -45) da non poter essere equiparato a «carne e ossa» (Le. 20,3 5 s.). Di fatto questo vale anche qui, come dimostrano l'apparizione e la scomparsa di Gesù, ma è cate­ goricamente rifiutata una concezione greca di risurrezione puramente spirituale. Anche qui dunque «carne e ossa» di Gesù si differenziano totalmente dal concetto umano terreno. Tuttavia quest'espressione, in­ sieme all'atto dimostrativo del mangiare, induce a pensare alla risurre­ zione come a un puro e semplice richiamare in vita, senza prendere sul serio l'altro aspetto umanamente inconcepibile. Da lì, la «risurrezione della carne» è entrata a far parte della confessione di fede. Ma se que­ sto aveva senso contro la riduzione della risurrezione a una semplice prosecuzione della vita in uno spirito, oggi è diventata estremamente 3 6- 5 3 .

Le.

�4,36-53. Il cammino nel futuro della comunità - Dono del Risorto

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ambigua. Se Luca suppone che mani e piedi portino il segno dei chio­ di (cf. Gv. 20,2 5 e a Mt. 27,3 5 ), allora come in Apoc. 5,6 si afferma che la risurrezione non cancella semplicemente l'essere crocifisso, in quan­ to ora diviene ancor più importante che Gesù abbia percorso questo cammino. Il v. 40 dimostra che non si tratta solo di toccare parti del corpo. Questo, come pure il mangiare il pesce, è affine a Gv. 20,2 7; 2 1, 10, e parimenti la gioia dei discepoli ( Gv. 20,20). Al pari della tristezza di 22,4 5, essa indica che la loro incredulità non è per principio ma va attribuita alla grandezza dell'evento, che l'uomo fatica a comprendere (cf. a Mt. 28,1 6-2o, conci.; analogamente Atti 1 2, 1 4; Livio 39,49, 5). I l pesce si trovava anche a Gerusalemme (2 Esd. I 3, I 6); alcuni testimoni aggiungono anche il miele, forse perché più tardi entrò a far parte di battesimo e cena del Signore (mentre il pesce divenne simbolo di Cri­ sto}. Anche le figure divine di Gen. 1 8,8 mangiano (diversamente da Giud. 1 3 , 1 6; Tob. 1 2,19). Con un'introduzione analoga a Deut. 1 , 1 , ac­ canto alla legge e ai profeti vengono nominati anche i Salmi (o «Scrit­ ture» = tutti gli altri libri}, unica menzione in tutto il Nuovo Testamen­ to (v. al v. 27). Se il racconto precedente scorreva dall'interpretazione delle Scritture all'incontro visibile, qui accade il contrario. Vi si allude come in 24,6 all'insegnamento di Gesù, che resta vincolante per l'inter­ pretazione delle Scritture. La conoscenza successiva alla pasqua dun­ que non è nulla di assolutamente nuovo, benché solo a partire da essa diventi comprensibile ai discepoli colui che «era presso di loro» come persona terrena (quale non è più ora!). Ciò corrisponde in tutto e per tutto a quanto è detto in Gv. 1 4,26 a proposito del «confronto». An­ che Paolo, secondo Atti 20,3 5, allude all'insegnamento di Gesù, natu­ ralmente in un contesto diverso. La novità è che ora Gesù dona ai di­ scepoli la comprensione delle Scritture (v. al v. 27). Solo chi compren­ de lui dunque ha compreso le Scritture; questo però è ancora una vol­ ta dono del Risorto stesso, non ci si può semplicemente arrivare con l'intelletto. Del patire del Cristo parlano anche 24,26; Atti 3 , 1 8; 1 7,3 ; patire e risorgere, o più spesso venire risuscitato (al terzo giorno: 9,22; 24,7; cf. Atti Io,4o}, sono associati in 9,22; Atti 1 7,3 . Il nome di Gesù, {la conversione e) la remissione dei peccati e la testimonianza dei di­ scepoli (= i dodici, naturalmente inseriti in un gruppo più ampio: 9,3 3, cf. 6, 1 3 ; Atti 1,2 1 ) compaiono assieme anche in A tti 2,3 2 s.3 8; 3 , 1 5 s. 19; 5,28-3 2; 1 0,39·43· La formulazione «per il perdono dei peccati» sta a indicare che per Luca la conversione ne è condizione fondamentale,

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Le. 24,J6- s 3 . Il cammino nel futuro della comunità - Dono del Risorto

ma non che egli attenda la remissione solo al momento del giudizio fi­ naie. Contro tale ipotesi depone già il perfetto di 7,47 s., non solo nel­ la concezione originaria della parabola per cui la gratitudine fa seguito al perdono già concesso, ma anche nell'interpretazione lucana. Anche in I 8 , I 4 del pubblicano è detto che è stato giustificato. Alla «conver­ sione» (v. a 5 ,32. ) sono chiamati i giudei a tutti gli effetti e i pagani (At­ ti I 7,JO) , non però i giudei della diaspora e i pagani timorati di Dio ( I o, 2.43; I J , I 6.J 8; cf. però I I ,I 8 ) . L'importante è che l'evento salvifico (morte e risurrezione) includa la predicazione (parimenti Atti 1 7,3; 26, 23; J, I 5 ; 5,30-32; 10,4 1 ; 1 3 ,30 S. ) ; il V. 47 infatti dipende sempre da «è scritto» (cf. «il suo nome» ! , anche Atti 10,43; 1 3 ,47) . Nel suo «nome» è presente lui stesso (v. a I 0, 1 7 ) . L'evento di Cristo comprende dun­ que anche la predicazione in parole e opere, poiché il Cristo si predica nei suoi stessi messaggeri. Con giudei e timorati di Dio si rimanda sem­ pre alle Scritture (Atti I 0,43; I 3,29) , mentre con i greci, proprio per la vicinanza a Dio, si rimanda a poeti greci (Atti I7,28 ) . Per la prima volta compare la missione ai pagani (49; cf. Mc. I J, I O [non in Le.]; Mt. 2.8, I 9 s.), tipicamente associata al concetto dei «testimoni» (martyres), pronti anche a morire per essa (Atti 1,8; 2.2,20) . La prova scritturistica per questo è rinvenuta da Giustino (Dial. 109 [in opposizione alla con­ tromissione giudaica, Dial. 17, 1 ?]) in Mich. 4, 17. Lo Spirito è inviato da Gesù (co me Atti 2.,3 3; Gv. I 5,26; 16,7; cf. 2.0,2 I -23; da Dio: Atti 5, 3 2; Gv. 14,16.26) . È una «forza» inesplicabile dal punto di vista uma­ no. L'immagine dell'essere rivestiti o dell'indossare è frequente nell'An­ tico Testamento («forza» Sal. 93 [92] , 1 e altrove) e in Paolo; dello Spi­ rito viceversa è detto che ha investito ora l'uno ora l'altro (Giud. 6,34; 1 Cron. 1 2,19; 2 Cron. 24,20 ) . Come all'inizio si faceva riferimento al­ le Scritture (44) così alla fine a Gerusalemme, che rappresenta la conti­ nuità con la storia di Dio fino a quel momento. Perciò anche il primo passo al di fuori d 'Israele deve ricevere conferma da Gerusalemme (Atti 8,I4- 1 7; cf. Rom. I 5 , 1 9 s.), senza però che a questo si attribuisca autorità canonica. La colletta degli etnicocristiani a favore di Gerusa­ lemme, che tra l'altro costituiva un atto di riconoscimento del suo ran­ go (Gal. 2., 10) , è sostituita da Luca, che pure ne era al corrente (Atti 2.4, 1 7) da un'offerta puramente caritativa, promossa da profeti carismati­ ci (Atti 1 1,27-30) . Il libro si conclude con Gesù che compie quanto il sacerdote di 1,22 non era più in grado di fare: benedice, ovvero bene­ dice i suoi discepoli in vista del loro servizio. Il gesto di alzare le mani

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24,36-SJ· Il cammino nel futuro della comunità - Dono del Risorto

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rende fisicamente visibile l'atto di benedire come per il sommo sacer­ dote di Sir. 5 0,20 s. Come prima della pasqua anche ora è Gesù a gui­ dare i discepoli {cf. Gv. 2 1 , 1 9 s.), stavolta a Betania ( 1 9,29). Come al v. 3 1 , segue la sua scomparsa, descritta però ora come ascensione al cie­ lo. In senso proprio questa è pensabile solo nella domenica di pasqua, cf. però a 3,20. Essa è conclusiva, o Luca pensa che il Risorto appare ai suoi discepoli dal cielo (40 o «parecchi» giorni dopo, Atti I,J; I J ,J I ) ? Nella chiesa solo un secolo più tardi l'ascensione è stata collocata al quarantesimo giorno; prima era celebrata in un altro momento, anche insieme alla pasqua. Solo a questo punto, e non direttamente di fronte al Risorto, si ha l'adorazione da parte dei discepoli, quale altrimenti spetta solo a Dio. A dire il vero Luca anche in 5 , 1 2; 8,28.4 1 ; 1 7, 1 6 par­ la di persone che cadono in ginocchio davanti a Gesù, ma mai in ado­ razione come Mc. 5,6 (Mt. 8,2; 9, 1 8; 14,3 3; 1 5,2 5; 20,20). Forse sceglie qui l'altro termine greco perché nei racconti ellenistici l'ascensione porta sempre al riconoscimento della divinità (Sofocle, Edipo a Colo­ no 16 54; Plutarco, Romolo 27,8 s.; Luciano, Morte di Peregrino 39; cf. Giud. 1 3,20; Sir. 50,20-22). In essa Dio ha «costituito Signore» Gesù (Atti 2,3 6); l'adorazione dei discepoli ne è il riconoscimento nella lode a Dio. Come Atti 1,3 - 8 menziona le apparizioni del Risorto, così Le. 24 cita già l'ascensione. In tal modo i due libri sono concatenati l'uno all'altro. Come negli altri vangeli, la risurrezione di Gesù non è soddisfazio­ ne di desideri umani; non si fa parola della risurrezione dei discepoli. Egli è risorto; egli è divenuto il Signore davanti al quale i discepoli s'inginocchiano. È piuttosto una sorta di assunzione al servizio (anche in Gal. 1 , 1 6; 1 Cor. 9, 1 ), in Luca senza un comando vero e proprio, nel­ la forma della promessa dello Spirito (49; cf. Gv. 20,22). Neppure per Luca la fede sorge attraverso l'esperienza d'un miracolo, sebbene egli si presti talora a quest'equivoco. Neanche l'esibizione di mani e piedi supera l'incredulità (41; cf. 23 s.), ma solo la parola; essa schiude ai di­ scepoli le Scritture che dimostrano come il cammino di Gesù dalla passione alla risurrezione è cammino di Dio. Già il Gesù terreno ave­ va accennato a questo. Come Risorto dona perciò anche la fede (4448; Atti 3 , 1 6; 1 6, 1 4), mentre lo Spirito è dato a chi già crede e obbedi­ sce (Atti 2,3 8; 5,3 2) come forza per vivere nella fede e soprattutto per predicare Gesù in parole e opere. Quando Luca parla di carne e ossa

3S 8

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non è certo da prendere alla lettera, in quanto Gesù viene e scompare in una dimensione di vita totalmente altra, nella quale può apparire a Pietro più o meno nello stesso momento in cui cammina verso Em­ maus. L'aspetto fondamentale è che egli stesso si manifesta vivo. Non solo la sua causa procede, ma addirittura vive colui che si può adorare. Anche con espressioni come «egli stesso» o la «sua persona» ci si av­ vicina soltanto alla realtà senza riuscire a descriverla compiutamente. Questo stesso aspetto è sottolineato dal fatto che Atti r, I I concepisce in modo analogo la sua venuta alla fine del mondo e la sua dipartita. Anche questo sfugge alla comprensione umana; ma l'immagine di un incontro da uomo a uomo è evidentemente la migliore di tutte. I suoi discepoli lo incontreranno in persona quando ogni storia sarà giunta a compimento. Per questo il vangelo si conclude con la «grande gioia» annunciata dagli angeli in 2, I o ora divenuta realtà, e che lo diventa ogni volta che gli uomini incontrano nella fede il Signore vivente.

Retrqspettiva

I . Luca non presenta una dottrina univoca su Cristo. Gesù è «profe­ ta» (I3,3 3 ; cf. 7, I 6; 24, 19) o «il profeta (come Mosè)» (Atti 3,22 s.; 7, 37}, «salvatore» o «capo» (Le. 2, I I ; Atti 3,I s; 5,3 I ; I 3 ,23)· Resta poco chiaro se «servo di Dio» designi il sofferente (Atti · J, I J .26) o il re (come Davide, Atti 4,2 5-30). Diversamente da Marco e da Q il Gesù terreno è già chiamato «Signore» (v. introduzione, 2c); ma Atti 2,3 6 afferma che Dio lo avrebbe costituito tale nella risurrezione. Egli è «Fi­ glio di Dio» per Le. 1 ,3 5 grazie alla sua nascita prodigiosa, per Le. 3, 23-3 8 in virtù della sua discendenza da Abramo, per Atti 1 3 ,3 3 s. in seguito alla risurrezione (v. excursus dopo Mc. I 5 ,39). È un «uomo» accreditato da Dio (Atti 2,22; I 7,3 I) e in quanto tale è «Cristo», «Fi­ glio dell'uomo» e «Figlio di Dio», espressioni che in Le. 22,67-70 sem­ brano equivalersi tutte. In ogni caso tutto ciò non è molto chiaro. Ugualmente vaga è la motivazione della salvezza (v. a 7, I 9) nella mor­ te di Gesù, che compare esplicitamente solo in due formule riprese mec­ canicamente che non sono neppure inserite nel contesto (v. excursus dopo 2l,JO, a) . Inoltre Luca accentua con molta più forza che gli altri vangeli la via crucis di Gesù (v. a 9,3 I). Ci si potrebbe persino chiede­ re se persone come Elisabetta, Simeone e Anna in Le. I s., o Cornelio in Atti I o, non siano dei giusti che non devono far altro che riconosce­ re Gesù come messia. Ma proprio in Le. 3,7 la chiamata alla conver­ sione da parte di Giovanni è valida per tutti, e I 5 , I s. mostra dal punto di vista redazionale che in realtà i novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione non esistono; ancora, Atti I I , I 8; I 3 ,3 8; I 5,9. I I. I 9 sanno bene che anche i pagani timorati di Dio hanno bisogno di conversione e grazia. Alcune parabole proprie di Luca, come Le. 7,4047; 1 5,2 5 - 3 2; I 8,9- 14 (cf. a I I ,37- I 2, I , conci., e 1 3, 1 -9, conci.}, sono ad­ dirittura pronunciate contro i giusti. Luca individua in primo luogo il pericolo della giustificazione o sicurezza di sé, che naturalmente non minaccia soltanto il fariseo (v. excursus dopo 2 1 ,24, b). Ciò mostra l'importanza delle affermazioni lucane. Se la fede coinvolge l'uomo

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Retrospettiva

tutto intero, non solo il suo intelletto o i suoi sensi, il suo cervello o il suo cuore, allora vi devono essere delle analogie tra ciò che si svolge nella vita, morte e risurrezione di Gesù e ciò che avviene ai lettori del vangelo: esperienze successive (oppure precedenti, come per i perso­ naggi di Le. I- 2) fondate su ciò che in Gesù si è rivelato come realtà di Dio (v. a I , 5 2, 5 2, intr.; excursus dopo 2, 5 2, b.c e dopo 22,3 0, b2.3). 2. Parlando di Dio e del suo regno, di peccato e remissione, di mor­ te e di vita futura, Gesù si è espresso in parabole. Ai suoi ascoltatori non ha mai fornito frasi dirette e univoche che essi potessero sempli­ cemente accogliere, accettare come veritiere e portare a casa, e quindi «padroneggiare» (v. excursus a Mc. 4, I -9). Né ha mai dato loro un ti­ tolo nel quale il suo significato potesse essere colto e assunto razional­ mente una volta per tutte. Il termine «Cristo» nel Nuovo Testamento conta più di 500 occorrenze, ma compare sulla bocca del Gesù terre­ no, secondo i primi tre vangeli, solo in Mc. 9,4 I (ove però Mt. I 0,42 presenta la forma più antica senza tale titolo); I 2,3 5 (ma non esplicita­ mente riferito a Gesù); Mt 2J,IO (dove però sono già presupposte le varie funzioni all'interno della comunità cristiana); Mc. I 3,2 1 e Le. 24, 46 sono postpasquali. Altri chiamano Gesù «Figlio di Dio» (Mc. I4, 6I; I 5,3 9; Mt. 1 6, 1 6; 27,43); egli stesso parla al massimo di «Padre» e «Figlio», mettendo peraltro in rilievo la subordinazione del Figlio al Padre e non la sua superiorità su tutti gli altri. È chiamato «servo di Dio» solo in Atti 3 s. e indirettamente nella citazione di Mt. 1 2,1 8 . Pro­ babilmente però egli parlava di sé come del «Figlio dell'uomo», seb­ bene non si trattasse ancora di un titolo riconosciuto ma alludesse al mistero della sua persona: era semplicemente «uomo» come gli altri, oppure «l'uomo» in un'unicità donata da Dio (v. excursus a Mc. 8,2733 e a Mc. 8,30; I 3,32)? 3 · Luca questo l'ha capito. Perciò in lui manca ogni affermazione diretta riguardo a chi è Gesù e a come in lui si fondi la salvezza del­ l'uomo. Il lettore potrebbe intenderle come definizioni in grado di co­ municargli il sapere e la conoscenza della verità. Al contrario le para­ bole di Gesù parlano solo quando il lettore impara a capirle «dal di dentro», ossia quando se ne lascia scuotere e coinvolgere al punto da vivere in qualche modo dentro di esse. Allora gli si rivela la verità che esse racchiùdono e che può essere ogni giorno nuova e diversa. Lo stesso si ripete quando Luca non trasmette semplicemente delle dot­ trine su Cristo e la sua salvezza, ma narra una quantità di episodi. An.

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che questi schiudono il proprio significato solo a colui che inizia a vi­ verci dentro !asciandosene coinvolgere. È pure possibile che Dio gli parli oggi nell'uno, domani nell'altro episodio. In ogni caso chi è Ge­ sù e che cosa egli significhi per la fede può essere espresso solo nell'in­ tera ricchezza della tradizione. In questa rientrano sia le guarigioni o­ perate da Gesù con potenza che la sua impotenza sulla croce, sia la sua familiarità con pubblicani e prostitute che il suo rigetto a opera dei concittadini, sia il miracolo della sua nascita che il rifiuto opposto a ogni richiesta di segni, sia i discorsi sul giudizio, con tutti i loro «guai ! », che le parabole sull'amore di Dio alla ricerca dell'uomo. Di fatto nes­ sun altro nel Nuovo Testamento ha caratterizzato così incisivamente la figura di Gesù e con essa la vita della comunità: i racconti della nati­ vità, il dodicenne e la sua conoscenza del Padre, il predicatore a Naza­ ret; colui che chiama prodigiosamente Pietro, che risveglia dalla morte l'unico figlio della vedova, che è aperto alle prostitute e al ladrone cro­ cifisso con lui, che sul Getsemani lotta sudando sangue, che prega persino per i suoi aguzzini, il compagno di strada dei discepoli di Em­ maus, il narratore delle parabole del samaritano pietoso, del figliolo perduto, del fariseo e del pubblicano, ecc. - tutto questo si deve a Lu­ ca, e con ciò una predicazione in grado di dare la sua impronta alla fe­ de attraverso i secoli. Quest'attenzione concentrata su Gesù e sulla sal­ vezza che risiede in lui distingue pertanto Lc.-Atti dalle biografie di fi­ losofi, formalmente affini, composte da Diogene Laerzio (111 sec. d. C. !), dove si susseguono vita del maestro, vita dei discepoli e presenta­ zione della dottrina. 4· Forza e debolezza della rappresentazione emergono con partico­ lare chiarezza in Luca. Non è facile spiegare come croce e risurrezio­ ne, la grande importanza della passione di Gesù nel vangelo e del pati­ re della comunità negli Atti, si rapportino alle esperienze miracolose, o come il carattere di dono proprio della fede si rapporti alla conver­ sione dell'uomo, fortemente accentuata (v. a 4,3 1 -44, intr.; 9,3 1; 22,3 2; Atti 5,3 2). Indubbiamente Paolo ha chiarito meglio questi e altri inter­ rogativi. In tempi di controversie con le eresie Paolo può essere molto d'aiuto. Ma quanto se n'è abusato, ad esempio nel movimento gnosti­ co o in certi rami della moderna filosofia esistenziale che hanno accol­ to sì qualcosa di simile alla sua dottrina della giustificazione, ma in cam­ bio hanno ritenuto ormai superfluo un Gesù di Nazaret! Né in Luca si ritrova una chiara e ininterrotta linea storico-salvifica che dall' Anti-

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co Testamento giunga a Gesù e da lui alla fine di tutti i tempi. Anche sotto quest'aspetto Matteo e lo stesso Paolo sono più chiari (v. excur­ sus dopo 4, I4-30, a) . Tuttavia, quanto hanno abusato della storia della salvezza di Matteo coloro che vi hanno rinvenuto la giustificazione delle tremende persecuzioni contro gli ebrei ! Al contrario risulta pres­ soché innocuo l'abuso di Luca per sostenere una chiesa accompagnata da miracoli e senza dubbio guidata da Dio. Tuttavia, laddove si tratta di fornire una delimitazione il più chiara possibile contro l'errata comprensione, ecco che Paolo e altri autori di lettere sono maggiormente d'aiuto, come pure gli altri vangeli nel loro complesso. Ma dove occorre condurre a una fede genuina, che coin­ volga l'uomo nella sua interezza, il vangelo di Luca, incentrato su una gran quantità di episodi sull'operato e l'insegnamento di Gesù, con la sua rinuncia a ogni titolo cristologico e a ogni teorema che pretenda di racchiudere in sé questa pienezza vivente, è più vicino alla predica­ zione in parabole e alle azioni simboliche, non facili da spiegare, di Gesù che qualsiasi altra Scrittura. Da Gesù Luca ha appreso che in fondo di Dio si può parlare correttamente solo nella forma del rac­ conto, che rimanda di continuo a ciò che Dio ha compiuto all'interno della nostra storia. In Luca il Verbo s'è fatto davvero carne, Dio s'è fatto davvero uomo (cf. Gv. I,I4). Quanto meno i dettagli storici so­ no sicuri, tanto più il suo racconto si differenzia da tutti quei miti che esprimono in forma narrativa solo una verità di validità atemporale; Luca si riferisce infatti con evidenza e di continuo a Gesù di Nazaret che in un determinato tempo e in un determinato luogo è vissuto, mor­ to e risorto. Per questo è tanto importante per Luca l'unicità di Dio, come dimostra anche la statistica: in Mc. la parola «Dio» ricorre 48 volte, in Mt. 5 I, in Le. I 22, in Atti I 66. Solo Dio è circondato da ange­ li (v. a 2 I ,J 8}, non Cristo. Ma questo Dio non lo si può trovare se non in Gesù di Nazaret. Dio si rivela nell'agire di Gesù verso l'uomo da lui raggiunto, sia nel tempo del suo ministero terreno che nella comunità del Risorto. Che Luca non si sia limitato a scrivere solo un vangelo ma abbia re­ datto anche gli Atti degli Apostoli è un'ovvia conseguenza di questa concezione. In tutto il Nuovo Testamento non è mai descritta la ri­ surrezione di Gesù, ovvero l'agire di Dio in Gesù in sé e per sé; è nar­ rato invece l'effetto che quest'agire ha sui suoi discepoli. In questo senso anche Mc. I 6,r -8; Mt. 28 e Gv. 20 s.; 1 Cor. 1 5, 5 - 1 I sono atti ·

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degli apostoli esattamente come il secondo libro di Luca. Solo che in questo si mostra una volta di più che Luca ha compreso perfettamente che anche il miracolo compiuto da Dio sul Gesù ucciso e sepolto può essere narrato soltanto nella pienezza dei racconti che rispecchiano que­ st' agire di Dio.

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Indice analitico

Adamo, 3,23-28 adempimento, 1 , 5 7; 1 ,7 1 ; 2,26; 2,3 8 E Israele e i popoli; 4, I 4-2o; 7,2 1 ; 2 I ,22.23; 2 1 ,3 8 E Venuta definitiva alleanza, 1 3 , 10- I 7; 22,20.29 amore di Dio, 1 4,2 5 -3 5 ; 1 5 ,32; 1 5 , 1 1 - 32 come comandamento, 6,27.28; 7,43 ·48 ·49; 10,2 5 · 3 3 · 34 · 3 5 ; I 0,2 S -J 7 j 1 7, 1 - I O come dono, I 2,49 andare, viaggiare, 9, P - 1 9,27; 9, p ; 9, p - s 6; 9·57· S 8.6o; I 2,J f ; 1 2,5o; I 3,22-3 5 ; 1 3,33; 1 9,28; 20,2 I j 24, 1 ) - 1 f ; 24,28 angeli, I , J 2 . I 8. I 9j I ,26; 2,9. I J . I4 j 9,26; 2 I ,27 j 22,43; 24,39 anima, 8, s s ; 1 2,4. 5 ; 20,J4 ·3 5 ·4o Anna, 3,2 Antico Testamento, 1 , 1 -4; 1 ,67-8o; 2,3 8 E Israele e i popoli; 4,30 E Storia della sal­ vezza; 4,3 1 ; 9,p - I9 ,27; t o, I 7-2o; 16, I 4- 1 8 apostolo, I ,2; 4, 14-2.0; 6, I J; 20, 16; 22,26; 24, I 2; v. anche discepolo ascensione, 9,3 1; 9,5 I ; 19,43; 24,5 I - S 3 Atti degli Apostoli, I , 1 attribuzione del nome, I , J . I J ; I ,) I; 1 , 5 9 Augusto, 2,3 8 E Israele e i popoli; 3,2

battesimo, 1 8, I 7 «battesimo» (= morte}, 1 2, 5 0 Battista, seguaci del, x , s -2,52; 2,52 E Predica­ zione di Cristo Bultmann, R., 4,30 E Storia della salvezza buona novella, -+ vangelo Caifa, 3,2 cena, ultima, 1 4, I -6; 14,7- I4; 22, 1 5 -20; 22, 14I 9.30; 24,3 1 j 24, 1 )-3 5 chiamata salvi fica, 1 2,3 5 -48 chiasmo, 1 ,67-80 A comandamenti, -+ legge compimento, I J , I 0- 1 7

confessione, 1 9,6 conversione, I , I 6- 1 7.2o; 3 ,7-20; J , I J ; 3,7-9; 5 ,J 2 j l I ,37- I 2, 1 ; l S , I - I Oj 19, 1 - I Oj 19, 5 ; 22, 32 j 24,47 creazione, xo, x 8; 1 0, I 7-2o; 2 1,38 E Venuta definitiva Cristo, 4, 1 7. I 8 . x 9; 9,20.26; 23,3 5 ; retrospet­ tiva 1 .2. croce, 22,30 E Morte in croce di Gesù; 23, 2 1 j 2 3,26; 2J,J 3 -49 culto, 4, 1 4 . 1 f .2o. x 6; 4,30 E Storia della sal­ vezza demoni, I 0,1 7-20 A; I I , 1 4.27.2 8 denaro, -+ possesso diavolo, -+ Satana Dio infinito, I 1 ,22 trascendente, 1 3 ,6-9; I J, I I-)2; 1 8,9- 1 4; 24, 1 3 -3 5 unico, retrospettiva 4 discepolo, 6,2oa; 8 , x o; 9,46-49; to, x ; 1 2,22. 3 3 · 34; 1 2,42; 1 4,)3 - J S ; I 8,2 1 .24.2 f j 1 8,)4; 22, 52; v. anche apostolo discorsi di commiato, 22,2 I .28; 22,30 E Mor­ te in croce di Gesù donna (-e), 1 ,26-3 8; 1 ,39 · 4o; 1,39-5 6; 2,36; 8, 1 -Jj 10,3 9; I J, I I - I J j I J , IO- I 7j 14,26; 2), 27; 2J,49; 24,3 ·4· 1 0 dottrina d i Gesù, 10, I 7; 1 9,47·48; 2 1 ,37·3 8 ; 24, 1 9; 24,44; retrospettiva 3 elemosina, 1 2,22- 34 elezione, I,29; 2,14; 2 , 1 -20; 2,3 2; 9,3 s ; I O, I 72o; I 7,20-37; 22,2 1 Elia, I ,s- 2, 52; I , 1 7; 1 ,67.76; J, I J-2o; 7, 1 1 - 1 7; 7, 1 4 . 1 s ; 9,7.8; 9,3 1 ; 9,5 s ; 9, 5 7-62; 23,3 6 ellenismo, 2,3 8 E Israele e i popoli; 7 , I 1 - 1 7; 2 1 ,24 E Israele; 24, 5 2 · 5 3 Erode, ) , 1 9.20; 9,7.8; 1 3,3 I ; 2 I ,5; 23,7- 16 esaltazione, -+ ascensione

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Indice analitico

escatologia, 2,38 E Israele e i popoli; 2, 52 E Predicazione di Cristo; 4, 1 4-20; 4, 1 8. 19. 2 1 ; 6,2ob; 7,2 1 ; 9,3 5 ; 1o, I 7-2o; 1 2, 5 2; 1 3 , J I -3 5 ; 1 7, 1 . 2; 1 7,2o-37; 2 1 , 5-38; 2 1 ,8.9.24. 32; 2 1 ,3 8 E Venuta definitiva; 22, 1 5 . 1 6. 1 8 esperienza, 4,30 E Storia della salvezza; 5 , I ­ n ; 1 0, 1 7-20; 10,2 1 -24; 22,30 E Morte in croce di Gesù; retrospettiva 1 espiazione, 2, 5 2 E Predicazione di Cristo; 23,34 etica, 3, 1 0- 1 4; 6,20-49; 16, 1 7. 1 8 farisei, 1 1 ,37 ·4o; 1 ),) 1 ; 1 3 ,3 1 -3 5 ; 1 5 , 1 - 1 0; 1 8, 1 1 . 1 2; 1 8 ,9- 14; 2 1 ,24 E Israele fede, credere, 1 ,3 8; 1 ,26-38; 1 ,4 5 ; 1 , 57-66; 2, 1 20; 2, 1 6. 1 8 ; 2, 1 -20; 2, 5 2 E Predicazione di Cristo; 4,27; 4,30 E Storia della salvezza; 5 , 1 - 1 1 ; 5 , 1 2-6, 1 1 j 7,9; 7,36-50; 8, 1 8; 8,25; 8,47; 1 7, 5 .6; 1 7, 1 - 1 0; 1 7, 1 1 - 1 9; 1 9, 1 - 1 0; 21, 24 E Israele; 2 1 ,38 E Venuta definitiva; 22,30 E Morte in croce di Gesù; 22,32; 22, 39-46; 23,39; 23,33-49; 24, 1 3-3 5 ; 24, 1 3 -3 5; 24,36- 5 3 ; 24,36- 5 3 ; retrospettiva 1 .4 poca fede, 1 , 5-2 5; 9,4 1 Figlio dell'uomo, 9,26; 1 2,8.9; 1 7,22.26-30; I 9, 1 o; 2 1 ,2 7; 2 2,7o; retrospettiva 2 figlio di Davide, 1 ,26-3 8; 1 ,32; 1 ,69; 1 ,67-8o; 2,4 · 5 ; 1 8,42 Figlio di Dio, 1 ,26-3 8; 1 ,J2.3 5 ; 1 ,26-38; 2, 1 20; 2,49; 3,22 . 23 -28; 9,3 5; 1 0,22; 20, 1 5; 22, 67.70; retrospettiva 2 figliolanza divina, 2,4 I-52 fonte dei logia, intr. 1 .241-c; ) , I 5 -20; 5 , 5 fonti, intr .za-c .

Galilei, 1 3 , 1 -9; 23,6; 24,6 Gerusalemme, intr. la; 5 , 1 7; 9, J i j 9tS 1 - 1 9,27; 9,p ; 1 2, 5 0; I J, I -9j I J,6-9; 1 3 ,22-3 5; I J,J J35; 1 3 ,3 1 -3 5; 1 7, 1 1 ; 1 7,20; 1 9, 1 1 ; 19, 1 1 -27; 19,3 9·40 ·43 ·46·47; 21 ,20-24; 2 1 , 1 1.20-23; 2 1 ,24; 2 1 ,24 E Israele; 2 1 ,3 7.38; 2 1 ,38 E Venuta definitiva; 2J,28.Jo; 24,49 gioia, 1 , 1 4; 1 , 5 -2 5 ; 2, 1o; l s , I - I Oj l 5 ,24 · 32; 1 5, 1 1 -3 2 ; 1 9,43 ; 24,36- 5 3 Giovanni Battista, 1 , 1 5 . 17; 2,27; 2,5 2 E Pre­ dicazione di Cristo; J,2.J; J ,720j 3,1 5 . 1 s 20; 7, 1 8; 9,7. 8; I 6, I 6 Giovanni Evangelista, 1 1 , 1 ; 2 1 ,3 8 E Venuta definitiva; 22,54-7 1 ; 23,25 E Fonte pro­ pria; 24, 1 2

giudei, 10,2 5; 1 1 ,37- 1 2, 1; 1 3 ,6-9; 1 4, 1 5 -24; 1 8 , 1 2; 2 1 ,24 E Israele; 2 1 ,3 2; 23,2 5; 23,34; 2 3, 5 1; 24,4 7; retrospettiva 4 giudizio, 2,3 5; 2,2 1 -40; 3 , 7-20; 3 , 1 6; 4, 1 4-30; 8 , 1 6. 1 7. 1 8; I 2,J j 1 2,49; 1 6,9; I 7,J2.J Jj 1 8, 14; 1 9, 1 1 -27; 2 1,3 8 E Venuta definitiva giusti, 1 5 , 1 - I o; 1 5 ,7; 23,26-3 2; 23,47; 23,5 1 ; retrospettiva 1 giustificazione, 1 ,48; 1 4,7- 14; 1 5 , 1 I -32; 1 8,9I 4; 1 8,9; I 8, t s ; 2 1 ,24 E Israele giustizia di Dio, I J , I ; I6, 19-3 I gnosi, intr. 3b; 4,30 E Storia della salvezza; 21 ,3 8 E Venuta definitiva; retrospettiva 4 grazia, 2,3 5 ; 2,2 I -4o; 2, 5 2 E Predicazione di Cristo; 3 ,7-20; 4,22; 4, 14-30; I 9,9 grecità, 2,3 8 E Israele e i popoli; 4, I - I 3 ; 7, 1 1 - 1 7; 8 , I 2- I 5 guarigione, I 7, 1 1 - 1 9 incarnazione d i Dio, I , 5-2, 5 2 Israele, popolo di, 1 , 54; 2, 1o; 2,32; 2,3 8 E Israele e i popoli; 2,2 1 -40; 2, 52 E Predica­ zione di Cristo; 3,8; 4,27; 4,30 E Storia del­ la salvezza; I I ,J7- 1 2, 1 ; I 2,22 -34; I J , I 01 7; I J,J 3; I J,J I-) 5; 14,2 1 ; I 4,3 3 ; 2 1 ,24 E Israele legge, I ,6; 1 ,5-25; 2,2 I -4o; 2,2 I -22; 2,2 1 -40; 4,30 E Storia della salvezza; 5 , 1 2-6, I I; 6, 5; I O,J2.J J• J4. 3 5 ; 1 1 ,4 1 .42; I 6, I 7. I 8; I 8, I S ­ JOj 2 1 ,24 E Israele; 22,36a libertà, I 5 , I I -J 2; 23, 1 -2 5 lode a Dio, 1 ,39-42; 1 ,64; I,68; 2,2o; 1 7, 1 5 Luca, intr. 3a-c luce eterna, I I ,J6·3 5 figli della, 1 6,8 Marcione, marcioniti, intr. 3b; 4,3 1 ; 10,2 1 ; 1 1, 42; 16, I 4-I 8 Maria, 1 , 5 -2,52; I ,26-3 8; 1 ,27·34-3 8; 1 ,39-56; 2, I -2o; 2,7. 1 7. 1 9; 2,34 · 3 5 ; 2,46 . s o; 2, 5 2 E Predicazione di Cristo; 1 1 ,27.28 Maria di Magdala, 8, I -J messia, I ,69.78; 2,8. 1 1 ; 3, 1 5-20; 4,1 - 1 3; 4, 1 8. 19; 9,2o; 19, 1 I -27 miracoli {racconti di), 1 , 5-2 5 ; 4,3 1 -44; 5 , 1 1 1 ; 7, 1 1 - 1 7; 7, I 8 .2 1 ; 7,36- s o; 9,40; 9,5 1 56; 10, 1 7; I0,2 1 j I 3, 10- 1 7; 1 4, 1 -6; 23,39; 24, 1 3 -3 5; 24, 1 9

Indice analitico missione, 8, 1 8; I o, I - I 6; 2 I,J8 E Venuta defi­ nitiva; 22,J6a; v. anche missione ai pagani missione ai pagani, 2,3 8 E Israele e i popoli; 5 ,4; 7,3-6; 8,4o; 14,2 1 ; 24.49 monte, 6, 1 2; 9,2 8-36 morte di Gesù, 12,49; 22,30 E Morte in cro­ ce di Gesù narrazione, I , 5 -2,52; 2, I -2o; 4,30 E Storia della salvezza; retrospettiva 4 nascita verginale, I , 5 -2, 5 2; I ,27.3 I .J s ; I ,2638; 2, 1 -20j 2,7. I 2 natale, I ,26; 2, I -2o; 2,3 8 E Israele e i popoli; I 9,J 8 Nazaret, 4,14-30; 4,29 nazirei, I, I 5 nome di Dio, I ,49; IO, I 7 d i Gesù, 4,30 E Storia della salvezza; IO, I 7; 24,47 ·

pace, 1 ,67- S o; 2, I 4; 2,29; 2,2 1 -40; 10,5 .6; I 2, 5 2.49; I 9,J 8 ·4 1 .42.4 3 pagani, 2,3 1 ; 2,3 8 E Israele e i popoli; 2,2 1 40; 4, I 4-20j 4,27; 6, 1 7. I 8; 8,26 .40; I O, I . I J j I0,2 5; 1 1 ,37- I 2, I ; 14,2 1 ; 1 4, I 5-24; 2 1 ,24; 2 I,24 E Israele; 2 I ,3 8 E Venuta definitiva; 2 3 t 34 j 24,47 parabole di Gesù, 12,)7·3 8; I 5 , 1 - I Oj I s , n ­ J 2 j retrospettiva 2 . 3 parola di Dio, I ,2; I ,3 7; 1 ,26-38; I,73; 2, I 5 . I 7. I 8 ; J ,2 j 4, 1 6.20. 1 7.2 I j 4 tJ2.J6• 3 Jj 5 , 1 . 5 j I O, 1 6; 10,1 - 1 6; I 6,29-3 I di Gesù, 1 0,42; 24,3 1 ; 24, 1 3-3 5 parole chiave, 1 2,2- 1 2; 1 2,3 5-48; 1 7 ,5 .6 parusia, � venuta di Gesù pasqua: 5, 1 - 1 l j 7, 1 6; 24,34 pasqua ebraica: 2,4 1 ; 22, 1 j 22, 1 5 -20.24-)0j 22, 1 5 - 1 7.2o passione, 6,2 1 ; 9,3 1 ; 1 8,3 1 .34; 22,30 E Morte in croce di Gesù peccato, 5 ,6-8; 5 , 1 - l l j 7t37·43 t 7,36- 50

peccatori, I 5 , 1 - 10 perdono dei peccati, � remissione dei peccati persecuzione, 2 1 , I 2. 1 J . I 6. I9 Pietro {Simone), 5 , 1 - 1 1 ; 6, 1 3 ; 8,4 5 ; 9,22; 9,33; 1 8,28; 22,3 1 -34; 22,3 I ; 22, 5 8 -62; 24,2. 1 2 politica e fede, 20,20-26; 22,36b popolo, 6,2oa; 7,29-30· 3 5 ; 8,Io; 2J t4·S ; 24,20

3 69

[popolo] di Dio, 2,) 1 .32; 2,3 8 E Israele e i popoli; I 9,48; 20, 1 ; 2 3 ,3 5 � Israele possesso, 1 2, 1 5; I 4,2 5 -3 5 ; 16,8 - 1 2; I 6, 1 - 1 3; I 8, 1 S -JO poveri, 6,2ob; 1 6, I 9-3 1 ; 1 6, 19-2 1; 1 6, 1 9-3 1 predicazione, I O , I 6j 1 0, 1 - 1 6; 10, 1 7-20j 24,3 6SJ pregare, preghiera, 5,33 · 34; 9, 1 8; 1 0,2-4; 1 1 , I - 1 3; 1 8, 1 ; 1 8 , 1 -8; 1 8,9- 1 4; I 8, I l j 22,)946; 22.40-46 presentazione di Gesù al tempio, 2,23 -24 profeta (-i), I , I J . 1 9; 1 ,76; 2,23 - 24.28; 2,5 2 E Predicazione di Cristo; 3,1 s -20 j 7, 1 6; 7t 40; 9,7.8; 9,26; 10,1 7-20j 1 1 ,37- 1 2, I j 1 3 ,3 l 3 5 t 1 3,3 3 ; 1 3 ,3 1 -3 Sj 20,9- 19; 23,26-32 professione, mestiere, 1 9, 1 .2 promessa, 1 2,37.38 pubblicano, J , 1 3 . 1 0- 1 4; 7,29.)0; 1 5 , 1 - 10; 1 6, 19-3 1; I B , I 2. 1Jj 1 8,9- 1 4; 1 9,2; 1 9, 1 - 1 0 Qumran, 1,33; I ,So; 2,3 8 E Israele e i popoli; 4, 1 - 1 3 ; 1 5 ,2 racconti dell'infanzia, intr. 2b; 1, J-2, 5 2; 2,5 2 E Predicazione d i Cristo Rahner, K., 4,30 E Storia della salvezza rapporti sociali, 1 , p . 5 2; 1 ,39-56; 1 ,67-8o; 3 , 1 3 . 10- 1 4; 6,2ob; 8 , 3 ; 1 7,20-37 regno di Dio, 3 , 1 5 -20.2 I ; 4,43 ; 6,2ob; 9, 1 .2. 6; 9t 27j I0,9j IO, I 7-20j 10, 1 9; 1 4, 1 5; I S , I I 32; 1 6, 1 6; I 7,20j I 7,20-37t I 8,t -8; I 9, 1 I 27; 19, 1 2.27; 2 I ,3 1 .32; 2 1 ,38 E Venuta de­ finitiva; 22, 1 8 .29; 23,42.43 remissione dei peccati, I ,67-8o; 3,7-20; 4, 1 8. 19; 5 , I Oj 5 , 1 - I I j 7,36- s o; 7 t47 ·48 ·49 j l 5 ,2022; I 7, I - 1 0j 23,34; 24,47 ricchi, 16, 19-3 1 ; I6,I 9-22.24; 16, I 9-3 1 ; 1 8,2 I ; I 8,I 5 -30 riconciliazione, 2, 5 2 E Predicazione di Cri­ sto; I 8, I J ; I9, I - Io risurrezione dei morti, 9,7. 8; 1 4, 1 4; I6,2 3; 20,27.3 4-40; 2 I ,3 8 E Venuta definitiva; 24,3 9 di Gesù, t 6,29 - 3 1 ; 24,3 7-40; 24,36- s J, conci . sabato, 4,20. 1 6; 6,4· 5 · • ; I J,I0- 1 7 sacerdoti, I ,8 salvatore, 2, 1 I ; 2,3 8 E Israele e i popoli

3 70

·

Indice analitico

salvezza, 7,3 6- 5o; 1 7, 1 1 - 19; retrospettiva 1 samari t ani, 9, 5 2; 9, 5 I - 56 sapienza, 2,4 1 - 5 2; 3,1 5 -.zo; 7,3 5 ; I J ,J I - } 5 ; 1 4, .z8-32 Satana, diavolo, intr. u ; 4,2.5 - 1 .1; 4, 1 - 1 3; 8, 1 2j 1 0, 1 7-20j 10, 1 8; IO, I 7·20j 2.1,3 scribi, 1 5 , 1 - 1 0 Scrittura interpretazione, 2 I ,22; 24,27.3 I; Z4, I J·J 5i 24,44·4 5 ·47 validità, l I ,4 5 - 5 2; I I,J7· I 2, I segni dei tempi, 1 7,20-37; 2 1,25 .26 sentenze, I 2,2- 1 2 sequela, 4, 1 - 1 3 ; 5 ,1 - 1 1 ; 5 , 1 1 ; s , x - u ; 6,20-49; 9 ,23; 9, 1 8 -27; 9,3 7- 50; 9,5 7-62; 9, 59 . 6o; 1 4, . z 8- J 2j 1 4,25-3 5; I 8 , JOj I 8 , I S ·30i 19, 1 - 1 0; x 9, u -z 7; 23,26.2 7; 23,5 5 Signore (Kyrios), 2,1 1 ; 5 , 5 ; I0,40j 2 1 , 1 5 Simone, _. Pietro Sondergut (materiale proprio), intr. 1 .2b-c; 17, 5 .6; 23,25 E Fonte propria spiriti, 1 0, 1 7-20j 24,37-39 Spjrito di Dio / di Gesù, «Spirito santo», I , 1 7; 1 ,26• 3 8; 1 ,4 } ·46; 1 ,68.8o; 2,40; 3 ,22; 4, 1 ; 9,26; r 1 ,9- 1 3 ; u , I o. u ; 2 I , 1 5 ; 2 I ,J 8 E Venuta definitiva; 24,49; 24,36- 5 3 possesso dello, 2,2 5; 3, 16 stile, intr. 2a-b; I , I -4j 2, 1 -20; 5 , 1 2-6, I l j 7, 36- s o; 9,2 8 -36; 1 2,2- u; I 5 , I - 1o; 23,25 E Fonte propria; 24,36- 5 3 storia, 1 ,2; I , I -4; 2, J . I 1; 2 1 ,24 d,Israele, 1 ,4; 2,3 8 E Israele e i popoli

storia della salvezza, I ,3; 1 , 5 - 2 5 ; 2, 5 2 E Pre­ dicazione di Cristo; 4,30 E Storia della sal­ vezza; .z I ,3 8 E Venuta definitiva; retro­ spettiva 4 Teilhard de Chardin, P., 4,30 E Storia della salvezza tempio, 1 , 5 . 1 1 ; 1 , 5 -2 5 ; 2,22.27; 2,2 1 -40; 2,46; 4,9; 4, 1 6; 4,30 E Storia della salvezza; 1 9, 45 ·4 5 -48; 2 1 ,5 -7 tempo di Dio, 1 2, 5 6. 5 7 tempo intermedio, 19, 1 1 -27; I 9, 1 1 -.17; 2 1 ,3 8 E Venuta definitiva; 23 ,4 3 tentazione, 4, 1 ; 4, 1 - 1 3 testimone, I ,2; 2,1 -20; 6, 1 3; 24,4 9 timor di Dio, 1 , 5o; 2, I o tradizione, 1 , 1 .2; 1 , 1 -4; 24, 1 3 - 3 5 trinitarismo, 1 ,26-3 8 ultima cena,

_.

cena, ultima

vangelo, buona novella, 1 , 1 4. 1 9; 1 ,5 -2 5 ; 2,3 8 Israele e i popoli; J, I I . I0- 14; 4,30 E Storia della salvezza; 4,43; 2 1 ,24 E Israele venuta di Gesù, 1 2,3 5 -48; u,J s ; 1 2,3 5-48; 177 20-J 7j 1 7,22.2 5 . ) 1 ; I 7,20-37; 1 9, 1 2 . 1 J j 2 1 , 2 7. 2 8 .32; 2 1 ,3 8 E Venuta definitiva verità, I o, l ; retrospettiva 3 ·4 violenza, 22,36b; 22,47- 5 3 «visita» di Dio, I ,68; 1 ,67-80; 7, 16; I 9,43 vita dopo la morte, u, s; 1 6,23 ; 20,40; 23,43. 46; 24,3 7· 39 vocazione (racconti di), 1 , 5 -25; 5 , 1 - 1 x ; 5 , 1 0

Per i tipi della Paideia Editrice stampato da Grafiche 4 (Padenghe) Brescia, luglio 2ooo