Vangelo di Luca. Commento a 19,28-24,53 [3] 9788839408457

Con la pubblicazione del terzo volume del commento di François Bovon al vangelo di Luca giunge a conclusione un'imp

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Vangelo di Luca. Commento a 19,28-24,53 [3]
 9788839408457

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VANGELO DI LUCA François Bovon Edizione italiana a cura di Oscar Ianovitz

Volume

3

Commento a 1 9 ,2 8-2 4 , 5 3

PAIDEIA EDITRICE

ISBN

978 8 8 394 084 5 7

Titolo originale dell'opera: François Bovon

Das Evangelium

nach

Lukas

4· Teilband: Lk 1 9,28-24,53 (Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament) Traduzione italiana di Marco Bertagna Revisione di Oscar lanovitz © Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 2009 © Patmos Verlag & Benziger Verlag, Diisseldorf und Ziirich 2.009 © Paideia Editr ice, Brescia 20 1 3

PREMESSA

Poco tempo fa una mia dottoranda mi disse: «Ho appena letto un suo ar­ ticolo e vuoi sapere una cosa ? » . « Che cosa ? » , le chiesi. , v. 34), ma non il senso: si tratta di requisire un asinello (vv. 29-34). Quest'azione, che ha valore di un preparativo disposto da Gesù, porta ad altri preparativi nati dall'iniziativa dei discepoli. Dopo essersi tolti le vesti per metterne alcune sull'asinello, a mo' di sella, fanno montare Gesù in groppa prima di gettarne altre al suolo come a formare un tappeto rosso. � In questo lasso di tempo Gesù resta silenzioso e passivo (dal v. 3 2 al v. 39). Introdotta da un breve riepilogo della situazione (v. 3 7a), l'azione prin­ cipale si svolge ora. Sempre presenti e unici personaggi attivi, i discepoli, presentati come gruppo numeroso (7tÀi'j-8o�, «moltitudine» ), si rallegrano dei miracoli di Gesù rendendo grazie a Dio e poi benedicendo l'eroe col supporto della Scrittura e di una formula liturgica ( vv. 3 7b-3 8).3 I lettori vengono quindi a conoscenza della presenza di una «folla >> (o-x.ì.oc;) e sentono la lamentela, senza spiegazione, di alcuni farisei (v. 39). Gesù, di nuovo attivo e loquace, li riduce al silenzio approvando la lode che pare al contempo orchestrata e spontanea (v. 40). Riassumendo, i lettori assistono a quattro azioni successive, presenta­ te in breve senza commento esplicito: vv. 28-34 una volta richiamata la situazione, due discepoli requisiscono un asinello. vv. 3 5 -3 6 i discepoli fanno salire Gesù in sella. vv. 3?-3 8 la folla dei discepoli prorompe in lodi. vv. 39-40 alcuni farisei cercano di intromettersi. Gesù li fa tacere. 4 Analisi diacronica. Un confronto sinottico consente di ricostruire, a titolo di ipotesi, i materiali tradizionali a disposizione dell'evangelista e di rilevare l'impronta redazionale che vi impose. Il racconto riportato da Luca presenta paralleli non solamente in Marco e Matteo, ma anche in Giovanni. s H. Patsch, Einzug, 1 5 s. riporta il caso di un contemporaneo di Gesù e degli apostoli: •Una volta rabbi Jo!)anan ben Zakkai montò su un asino e si diresse verso Gerusalem­ me e i suoi discepoli si misero a seguirlo» (bKet. 66b bar.; Bill. n, 4 14; secondo il ms. di Monaco; il ms. di Bamberga legge che il rabbi lascia Gerusalemme); The Talmud. Tal­ mud Babel. The Steinsaltz Edition, Xl. Tractate Ketobot, Part v, New York 1 994, 1 8 con­ serva la lezione «lasciò Gerusalemme »; cf. il parallelo Sifre Deut. a J I , I 4 § 305 ( 1 30a). � Lagrange, 499 ritiene invece che siano state altre persone ad aver gettato le loro vesti sulla strada. 3 Cf. Lagrange, 499 e C.F. Evans, 68o. 4 Cf. la presentazione schematica, un po' diversa, di Bock n, 1 5 5 1 . 5 Il racconto non è presente nel Vangelo di Tommaso. M. Rese, Motive, 1 96-199 ritiene che i legami tra Le. 19,3 6-40 e il vangelo di Giovanni non siano molto stretti. 1

LA MARCIA REALE

Tre elementi di Luca si ritrovano solo nel quarto vangelo: 1 il ricordo dei miracoli di Gesù, impresso nella memoria dei discepoli (v. 3 7 e Gv. 1 2, 1 6); il titolo di «re», attribuito a Gesù (v. 3 8 e Gv. 1 2, 1 3 ); una rea­ zione negativa da parte dei farisei (v. 3 9 e Gv. 1 2,19). Luca quindi con­ divide con Giovanni alcuni ricordi relativi soprattutto agli ultimi giorni di Gesù.z. Alcuni particolari, soprattutto grammaticali, sono comuni a Luca e a Mat­ teo. Ecco la lista di queste «concordanze minori » : l'aoristo del verbo «av­ vicinarsi >>, laddove Marco ha il presente (v. 29 e Mt. 2 1 , 1 ); 3 l'aoristo « in­ viÒ>>, laddove Marco ha il presente storico (v. 29 e Mt. 2 1 , 1 ); l'assenza di aù-tou ( « di lui>> ) dopo la parola «discepoli » (v. 29 e Mt. 2 1 , 1 ); il participio presente , laddove Marco ricorre al verbo ipÉpw, «portare>> o « recare» (vv. 30.3 5 e Mt. 2 1 ,2.7); la pre­ senza di o-tt dopo «voi direte» (v. 3 1 e Mt. 21,3 ); l'affermazione che i disce­ poli fecero come Gesù aveva detto loro (v. 3 2 e Mt. 2 1 ,6); 4 l'assenza delle parole (Mc. 1 1 ,4; cf. v. 32 e Mt. 21 ,6); l'assenza di «benedetto il regno che viene, del padre nostro Davide>> (Mc. 1 1 ,10; cf. v. 3 8 e Mt. 2 1 ,9). Questo elenco non basta, a mio avviso, a stabilire una relazione letteraria tra il primo e il terzo vangelo. 5 I due evangelisti possono aver migliorato la loro fonte comune, Marco, allo stesso modo. È pure possibile che abbia­ no ancora nell'orecchio una versione orale tradizionale della narrazione. Immaginare - altra ipotesi - che dipendano ambedue, insieme a Marco, da un Deutero-Marco 6 costituisce una soluzione complicata e improbabile.? I legami tra Luca e Marco corrispondono a una parentela prossima. Il testo di Luca ha l'aspetto di una riscrittura che migliora lo stile, la narra­ zione e i concetti di Marco. Agendo in tal modo, esso conserva quindi la parte essenziale del racconto della sua fonte fin nei particolari di numerose espressioni. 8 Al pari di Marco, Luca nomina Betania e rivolge i suoi inte1

Cf. J. Schniewind, Parallelperikopen, 26-28. Vi sono anche dei punti concordanti tra Matteo e Giovanni, soprattutto la citazione di Zacc. 9,9. 3 Non in tutti i manoscritti di Marco si fa menzione di Betfage. Se fosse assente, la presen­ za di questo villaggio in Luca e Matteo costituirebbe un'ulteriore concordanza minore. 4 Su queste concordanze minori cf. A. Ennulat, Minor Agreements, 24 5-252. 5 Contra M.D. Goulder, New Paradigm n, 685-688. 6 L'ipotesi di A. Fuchs, Agreements. 7 Sussistono parecchie concordanze tra Matteo e Marco: ad esempio l'adorazione attra­ verso gesti e parole proviene dalla folla e non dai discepoli (Mt. 2 1 ,8-9; Mc. 1 1 ,8-10); cf. anche il duplice osanna (Mt. 2 1 ,9; Mc. 1 1 ,9-10). 8 Un buon confronto tra Marco e Luca è stato stilato da Fitzmyer n, 1 242 s. che, in questa pericope, intravede anche alcune connessioni tra Luca e Giovanni (Gv. 1 2, 1 2-16). z.

33 ressi al Monte degli Ulivi (v. 29 e Mc. 1 1 , 1 ); menziona un unico animale (Matteo, come si sa, parla di un'asina e del suo piccolo per rispettare la profezia di Zacc. 9,9); non riporta la citazione di Zacc. 9,9; descrive, nello stesso ordine e con gli stessi termini, l'agire dei due discepoli (vv . 3 2-3 5). Oltre alle «concordanze minori� tra Matteo e Luca già indicate, anche qual­ che elemento separa Luca da Marco: Luca omette le parole «e subito lo la­ scerà venire qui� (Mc. 1 1 ,3 b); tralascia di menzionare i rami tagliati (Mc. 11,8); preferisce ripetere l'accenno alla direzione e al luogo (v. 37a); evita per due volte l'«osanna)) (Mc. 1 1 ,9-10); propone una nuova formula, «pa­ ce nel cielo e gloria nei luoghi altissimi� (v. 3 8b), al posto del secondo «osanna� ( «Osanna nei luoghi altissimi �, Mc. 1 1 ,1oc); introduce in chiusa un breve dialogo tra i farisei e Gesù ( vv . 3 9-40). L'ipotesi di una fedeltà critica nei riguardi di Marco basta a spiegare la maggior parte del racconto lucano e le peculiarità del terzo vangelo si possono qui spiegare come do­ vute a slancio compositivo. È probabile tuttavia che il detto di Gesù sulle pietre che gridano (v. 40) non sia un'invenzione di Luca, ma un antico lo­ gioo instabile che l'evangelista ha saputo introdurre (v. 39) e citare con co­ gnizione di causa (v. 40). Dubito dunque che si debba parlare in questo ca­ so di un'influenza del materiale suo proprio. 1 Se Matteo e Giovanni hanno sviluppato ciascuno la propria fonte nella direzione di un messianismo che compie le profezie bibliche, Luca, che su questo punto segue Marco, concepisce la cavalcata di Gesù come un'azio­ ne simbolica della regalità imminente o attuata. :z. Siccome l'episodio non si spiega se non partendo dal testo di Zaccaria secondo i LXX e corrisponde a un tema della letteratura aretalogica greca, non è possibile attribuire al reperimento dell'asinello una datazione antica, e ancor meno considerare la vicenda come storica. Gradevole preambolo, non è peraltro indispensa­ bile al racconto principale.3 La processione di Gesù su un asinello, accla­ mato dai suoi discepoli, costituisce un'unità letteraria in grado di soddisfa­ re i criteri della Formgeschichte.4 Onorato come uno di quei felici pellegri­ ni ai quali si riferisce il Sal. 1 1 7( 1 1 8 ), il Gesù delle origini diventa, dopo pa1 Contra H. Patsch, Einzug, 8 s. e T. Schramm, Markus-Stoff, 148; con V. Mariadasan, Triomphe, 1 8 . K. Paffenroth, Story, 3 2 s. 65 n. 243 e 95 n. 1 5 4 si mostra esitante. :z. Sul tema lucano, così presente in questo passo, della regalità - accertata - di Gesù, cf. sotto, pp. 3 7 s. n. 7. 3 Il carattere secondario della ricerca dell'asinello viene sottolineato da R. Bultmann, Syn. Trad., 28 1 . 4 Secondo W. Bames Tatum, Entry, 1 3 1 Gesù non ha voluto dare un segno messianico, ma sfidare i romani, ricordare loro il potere di Dio, infine «far fare ai romani la figura degli stupidi » . M. Trautman, Handlungen, 347-378 ritiene che all'origine del racconto vi sia stato un fatto che aveva attirato l'attenzione ma che questo accadimento non fosse scaturito dall'intenzione di Gesù; in quest'occasione il Cristo non voleva offrire un se­ gno profetico. B.A. Mastin, Date suggerisce che l'ingresso di Gesù a Gerusalemme si sia svolto in autunno, probabilmente durante la festa della dedicazione del tempio.

34

LA

MARCIA REALE

squa, oggetto delle prime elaborazioni cristologiche, il figlio di Davide che si presenta da vincitore alla sua capitale e manifesta la sua regalità alle fol­ le impazienti. Si è confrontato l'episodio con le visite che sovrani, principi o governato­ ri, greci, romani o giudei, rendevano alle loro capitali e alle loro città. I Ta­ li entrate trionfali erano preparate dalla popolazione locale che addobbava le vie, usciva vestita di bianco dalle mura incontro all'eroe, al generale vit­ torioso o al funzionario investito dell'autorità, e organizzava i discorsi co­ me pure l'accoglienza. 1 Prima di riferirsi alla giornata delle palme, il mo­ dello antico era stato adottato - fatto troppo spesso trascurato - per rap­ presentare in anticipo la parusia del figlio dell'uomo. Il suo utilizzo per l'en­ trata in Gerusalemme avrebbe richiesto un adattamento: non bisognava con­ fondere questo preludio della passione né con un'entrata trionfale di ca­ rattere politico o militare, né con una parusia religiosa fallita a motivo del­ la mortalità di Gesù. Da qui il carattere ambiguo dell'episodio: un asinello segno di regalità e tratto di umiltà, regalità irridente nel secolo di Tiberio e Pilato e metafora viva ma fragile di una intronizzazione celeste. Luca, ma pure gli altri evangelisti, pensa alla pace « nel cielo••, poiché sulla terra si agiteranno ancora i demoni dell'oppressione. Alla tipologia che va dalle Scritture al momento presente, Luca aggiunge la storia che aspira alla pro­ pria fine) 28. Secondo Luca Gesù giunge da Gerico ( 1 8,3 5 e 1 9, 1 ) e, camminan­ do in testa (t[J.7tpoa-8Ev, «avanti » ), si dirige verso Gerusalemme. Il v. 28 costituisce uno dei sommari (cf. 9,5 1 ; 1 3 ,22; 1 7, u ) che fungono da supporto al racconto di viaggio."' Il discorso che Gesù ha appena tenu­ to ('tctu'ta, «ciò, questo » ) è la parabola delle mine con la sua appendice, il viaggio del principe partito per ottenere la corona reale ( r 9, I 2-14). 29-34. xai ÉyÉvE'to, «ora avvenne», ha la funzione di segnalare un nuovo episodio. Gesù in questo momento si avvicina a due villaggi. Malgrado due proposte, la localizzazione di Betfage (lett.: > del Deutero­ nomio (Deut. 4,3 8-40) e l'«oggi » della predicazione inaugurale di Gesù a Nazaret (4,2 I ), questo vuv diventa presente nelle decisioni prese dalla chiesa e dalla sinagoga. Dio si manifesta e si nasconde, rifiuta la prova inconfutabile. Si è fat­ to vedere nella persona e negli atti di Gesù (cf. v. 3 7). Il diritto di chiu­ dersi gli occhi appartiene ahimè alla libertà umana. 4 La rivelazione, da allora, si è oscurata. Viene il giorno, tuttavia, in cui tutto quello che è nascosto sarà rivelato, palesato in modo incontestabile ( I 2,2).5 Prima del lungo termine però c'è il breve termine, i giorni di sventura che in­ combono minacciosi ( vv . 4 3 -44). 43-44. « l giorni verranno» è espressione corrente nella letteratura pro­ fetica e apocalittica. 6 Il futuro non tollera alcuna esitazione: l'avvenire è di 1 Dal punto di vista grammaticale è ugualmente possibile tradurre con «anche tu» , ma in tal modo non si capisce bene con chi Gesù paragoni Gerusalemme. Traducendo con •tu pure» si ricordano con discrezione i privilegi della città santa. 2. Anche se i vv . 43 -44 descriveranno il suo contrario in termini militari. 3 Sulla pace in Luca cf. J. Comblin, La paix dans la théologie de saint Luc: ETL 3 2 ( 1956) 43 9-460; F. Bovon, Luc le théologienJ, 1 9 5 . 4 S u ÈxpU{jlJ à.7tÒ òcp-lìczÀp.wv o-ou cf. Ger. 1 6, 1 7 LXX . 5 Cf. a 1 2,2 (vol. u, pp. 277-279).

6 Bengel, citato da Plummer, 4 5 1, ha messo in risalto il contrasto: •dies, multi, quia unum diem non observas» ( •parecchi giorni, poiché non osservi un giorno solo "). Cf. J.A. Bengel, Gnomon Novi Testamenti (secundum editionem tertiam ( 1 773]), Berlin 1 8 5 5, 1 8 3 , per l'originale latino; Bengel, Gnomon 1, 3 89, per la traduzione tedesca.

49 Dio ed è annunciato dal profeta da lui abilitato. Poiché questi giorni ver­ ranno «su di te>>, Gesù piange «su di essa >> (v. 4 1 ). Segue una descrizione dell'assedio di Gerusalemme. I suoi nemici la cingono di sorpresa I con un x.�pcx�, una « palizzata >> ; 1 questa manovra consente di « accerchiare» 3 e di « stringere >> 4 la città da tutte le parti. Pur breve, la descrizione è eloquente. Sembra ispirarsi alla Scrittura, in par­ ticolare a Es. 29,3 LXX: XClt xuxÀwaw w> . 5 Essi fecero questo ragionamento dicendo tra loro: d «Se diciamo: 'dal cielo', dirà: 'Perché non avete creduto in lui?'. 6 Ma se diciamo: 'dagli uomini', tutto il popolo ci lapiderà, poiché è convinto che Giovanni fosse un profeta » . 7 Ri­ sposero quindi di non conoscerne l'origine.e 8 Allora Gesù disse loro: «Nep­ pure io vi dico con quale autoritàb faccio questo» .

a Len.: « E gli parlarono dicendo» . - h Len.: «In quale autorità» . - c Len.: «Vi doman­ derò anch'io qualche cosa (oppure: un'opinione, 'Myoc; ) » . - d Oppure: «Fecero il ragio­

namento per loro stessi dicendo» . - e Len.: «E risposero di non sapere da dove».

Il ministero di Gesù è iniziato con una serie di dispute con gli scribi e i

farisei ( 5 , I 7-6, u ) . Termina con una serie di polemiche con gli scribi e i sommi sacerdoti, e in seguito con i sadducei ( 2o,I-21,3 8 ) . L'attività mis­ sionaria degli apostoli susciterà un'opposizione simile (Atti 3,1-5,42): la proclamazione del vangelo (cf. e:ùc:xyye:Àt�O(J.Évou, v. 1) scatena regolar­ mente ondate di ostilità. ' Analisi. L'unico soggiorno d i Gesù in Giudea e a Gerusalemme de­ scritto da Luca inizia in modo grandioso. L'evangelista esprime anzix

Cf. j. Zumstein, L apotre comme martyr dans les Actes de Luc: RThPh 1 1 2 ( r98o)

3 7 1 - 3 90.

'

DOMANDE SENZA RISPOSTA

tutto una verità cristologica: il maestro, sul suo asinello, merita il titolo di «re» ( 1 9,3 8). In seguito trae una conclusione ecclesiologica: il > . Ascoltando queste parole, dissero: «Non sia mai! >> . I 7 Avendoli guar­ dati in faccia, disse loro: « Che significa dunque questo passo delle Scrittu­ re: e 'La pietra che gli architetti hanno scartato, è quella che è divenuta la pietra d'angolo' ? { I 8 Chiunque cada su questa pietra sarà sfracellato e co­ lui sul quale cadrà, essa lo schiaccerà » . 1 9 Gli scribi e i sommi sacerdoti cercarono di mettere le mani su di lui in quello stesso momento. Ma temettero il popolo, perché sapevano che era contro di loroK che aveva rivolto questa parabola. 9

a Lett.: «a dire » . - b Lett.: •Un essere umano» . c Lett.: «lo rimandarono vuoto» . d Lett. : «ragionavano». - e Lett.: • di ciò che è scritto» . - f Lett.: «la testa d'angolo» . ­ g Oppure: «a loro » . -

-

La storia tragica di questa vigna pone domande difficili a coloro che la commentano. La versione di Luca, vicina a quella del Vangelo di Tom­ maso, brilla per semplicità e logica. Vi si deve scorgere una versione indi­ pendente da Marco, fors'anche più antica ? Si tratta di una parabola o, piuttosto, di un'allegoria delle disavventure di Dio con il suo popolo? Si può ricostruire, a partire dalle versioni allegorizzanti dei vangeli, la versione orale di una parabola originaria ? Ciò che sembra irreale e in­ verosimile ad alcuni lettori moderni è possibile che fosse verosimile e consueto in Israele al tempo di Gesù ? Le citazioni che fungono da ap­ pendice (vv. 1 7- r 8 ) sono state aggiunte al racconto dai primi cristiani oppure facevano parte del messaggio originario di Gesù? Queste sono le principali domande, collegate le une alle altre, sulle quali gli esegeti mo­ derni discutono con passione. 1 1 Oltre alle quattro monografie, S.M. Gozzo, Disquisitio; M. Hubaut, Parabole; K.R. Snodgrass, Tenants; j.S. Kloppenborg, Tenants, cf. A. jiilicher, Gleichnisreden 11, 3 8 5 -

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PARABOLA DEI VIGNAIOLI OMICIDI

Analisi sincronica. Fin dall'avvicinamento a Gerusalemme Luca insi­ ste sui legami particolari che uniscono Gesù al > , letteralmen­ te «non ti preoccupi di nulla » [o «di nessuno >> ] (Mc. I 2,14), sparisce e la frase «non tieni conto della condizione delle persone >> (Mc. 1 2,14) vie­ ne sostituita con l'espressione biblica «non fai distinzione di persona >> .4 L'ultima parte di questa captatio benevolentiae (Mc. I 2,14) conviene perfettamente a Luca che la mantiene senza modifiche: «ma insegni la via di Dio secondo verità » (v. 2 1 ) . Tranne due eccezioni, lo stesso vale per la domanda con la quale le spie sperano di far cadere in fallo Gesù: « Ci è permesso, o no, di dare il tributo a Cesare ? >> (v. 22). Le due ecce­ zioni sono: Luca preferisce il termine greco cpopoc;, «tributo>>, al prestito latino x ij vaoc;, «imposta » ; 5 ritiene peraltro ridondante la ripetizione del­ la domanda che legge nel vangelo di Marco: «Dobbiamo pagarlo o non pagarlo ? >> (Mc. I 2,I4). L'evangelista apporta le seguenti modifiche nella sua riscrittura della reazione iniziale di Gesù: nel suo testo il Cristo «osserva >> , «medita >> o «considera >> (xa-ravow, v. 23 ), laddove secondo Marco (olòa, Mc. 1 2, 1 5 ) 1

Una buona analisi della rilettura lucana in C.H. Giblin, Caesar, 5 1 7- p .o. l farisei non hanno alcun ruolo negli episodi di Gerusalemme; quanto agli erodiani, troppo poco conosciuti dai lettori di Luca, non c'è alcuna ragione di menzionarli. 3 Il ms. greco D ( 05, codex Bezae), il ms. latino e (v sec., conservato a Trento) e la ver­ sione siriaca curetoniana hanno semplicemente «al governatore » al posto di «al potere e all'autorità del governatore» . 4 Cf. Deut. 10, 1 7; Dan. 2,8 LXX; Sir. 3 5, 1 2-13; Rom. 2 , 1 1 ; r Pt. 1 , 1 7; Giac. 2, 1 . Luca attribuirà questa qualità a Dio in un momento decisivo della sua opera, ossia nel discor­ so di Pietro al primo convertito tra i pagani, il centurione Cornelio (Aui 10,J4-3 5). L'imparzialità divina doveva costituire un elemento costante della catechesi cristiana. 5 Su xljva� cf. Bauer-Aiand, s.v., e Bauer-Danker, s.v. 2.

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semplicemente > , anziché Àoyoç, «discorso » ) e la menzione del successo di Gesù che, con la sua «risposta » (&:7toxpLaLç), riduce gli avver­ sari al silenzio (Èatyl)aiXv, «tacquero>> ). Malgrado queste non poche differenze di particolari, il racconto di Luca corrisponde a quello di Marco. Anche Matteo rilegge Marco. Si tratta infatti di un'unità che non si può sfrondare: la domanda, la pre­ sentazione del denaro e l'ultimo detto di Gesù costituiscono un apofteg­ ma che si è rapidamente diffuso tra i primi cristiani. 4 I tre vangeli sinottici, unanimi, screditano gli interlocutori di Gesù per ragioni politiche o morali. Lo stesso avviene in un frammento di un van­ gelo non canonico, PEgerton 2. Pubblicato nel 193 5 , questo papiro pre­ senta lo stesso episodio dei vangeli sinottici, ma lo conclude in modo molto differente: insiste sulla controversia e tratteggia un Gesù accusato­ re. Invece della risposta: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare . . . >> , il PEgerton 2 rappresenta un Gesù in collera che, citando il profeta Isaia, r Per contaminazione di Matteo il termine 7tOVlJptot, «malvagità » , «furbizia » , «astuzia », compare qui in molti testimoni di Luca. 2 lnfluenzati da Matteo e Marco, gli scribi di parecchi mss. inseriscono queste parole nel testo di Luca qui, nel v. 2.3; cf. NA�7, ad loc. apparato. 3 'ttvo� tXtt con accusativo (v. 2.4) invece di 'ttvoc; con il verbo •essere» sottinteso (Mc. 1 2., 16); n:p> , Le. 20,22, in realtà al plurale in Giustino). Come l'autore di Ev. Thom. , Giustino trasmet­ te una versione orale dell'episodio, che cominciava con una domanda legit­ tima che si poneva tanto ai giudei quanto ai cristiani. Sostenere che il Van­ gelo di Tommaso e Giustino Martire abbiano discolpato gli interlocutori di Gesù che, in origine, erano ostili al maestro, non mi pare un'ipotesi acI Sul PEgerton :z. cf. D.A. Bertrand, Fragments évangéliques, in É crits apocryphes chré­ tiens I, 4 1 2.-4 1 6. 2 Su Ev. Thom. 100 cf. B. Gartner, Theology, 3 2. s.; R. Valantasis, Thomas, 1 80 s. 3 Riguardo al logion 100 di Ev. Thom., non credo che si debba contrapporre Dio a Ge­ sù e vedere nella figura di Dio il demiurgo concepito in modo negativo (contra E. Cuvil­ lier, Mare). La maggior parte dei commentatori considera, a torto, l'intera recensione di Ev. Thom. come una rilettura della forma iniziale sinottica. 4 Cf. lust. Apol. 1 , 1 ?,:z..

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cettabile. 1 Da un punto di vista modo logico (formgeschichtlich) la malizia degli interlocutori nei vangeli canonici, come pure l'allungamento cristolo­ gico della replica nel Vangelo di Tommaso, sono elementi secondari.:!. Pare dunque che l'episodio sia circolato in due versioni, una da rintraccia­ re dietro i sinottici e l'altra dietro Giustino e Tommaso. Quest'ultima igno­ rava o trascurava la polemica e conservava solo l'insegnamento di Gesù. Le due forme del racconto si basano su ricordi differenti di una stessa vicen­ da. Storicamente, Gesù fu probabilmente interrogato circa il dovere o no di pagare le tasse ai romani. Ciascuno si ricordò poi di come il maestro se l'era cavata in modo brillante ricorrendo a una moneta e a un detto lapi­ dario che evocava Dio e Cesare. Senza dimenticare l'origine dell'episodio, gli uni - da Marco a PEgenon 2, passando per Luca - insistettero sulla do­ manda iniziale degli interlocutori di Gesù, la quale fu subito intesa come una prova, poi come un tranello; gli altri - da Tommaso a Giustino - sot­ tolinearono la qualità della risposta di Gesù, alla quale conferirono una por­ tata etica universale. Lo storico dell'antichità comprende perché alcuni tra i primi cristiani ab­ biano potuto concepire la domanda iniziale come una trappola.3 Per secoli e a più riprese Israele aveva sperimentato la presenza straniera sul suo suo­ lo e aveva cercato il modo di preservare la sua fede (che, in origine, distin­ gueva poco o per nulla l'ambito religioso da quello politico) malgrado l'oc­ cupazione. Se la legge era stata scritta in un'epoca in cui la questione anco­ ra non si poneva, i libri profetici e soprattutto gli «scritti >> cercavano una so­ luzione accettabile per le esigenze di Dio e per le costrizioni dei sovrani stranieri. La ricerca di tale soluzione si svolse non senza esitazioni e disac­ cordi. Una minoranza in Israele perorava la causa di una fede senza com­ promessi: bisognava opporsi all'occupazione straniera, rifiutare di pagare il tributo e tentare di respingere l'aggressore con le armi. Giuda di Gamala iniziò la sua attività di resistenza rif.utandosi di pagare qualsiasi tassa ai ro­ mani.4 Questo non è che l'esempio più conosciuto di un atteggiamento che riaffiora ogniqualvolta l'oppressione diventa insostenibile. Un'altra mino1

La

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E.

mia interpretazione diverge, su questo punto, da quella di E. Cuvillier, Mare, 341 s. Cuvillier, Mare esamina le sei versioni di questo episodio, considerando le tre ver­ sioni non canoniche come forme di «ricezione » delle tre versioni canoniche. 3 Cf. l'importante lavoro di I. Abrahams, Caesar, 62.-65 che mostra bene sia l'antichità sia l'attualità del problema posto a Gesù. Rimanda a Ger. 2.9,7; Dan. 8,16; Ecci. 8,2. e cita Jo�anan ben Zakkai (rabbi del 1 sec. d.C. ), Samuele di Nehardea ( 1 65-2.57 d.C.) e il rabbi Na�um ben Simai, uomo di eccezionale santità poiché non aveva mai guardato l'immagine di una moneta. Cf. anche E. Stauffer, ZirJSgroschen, 1 2.1-143; O. Cullmann, César, 1 1 -2.6; J.D.M. Derrett, Render, 3 1 6-32.3; P. Lapide, Steuer. Cf. infine A. Bea, Ce­ sare, 574-577, che aggiunge altti riferimenti: Dan. 2.,2. 1 . 3 7-38; 4,14.2.9; Sap. 6, 1-1 1; I Hen. 46,5; Apoc. Bar. syr. 82.,9; I Clem. 4,5; 14,1; 6o,4; 6 1 , 1 ; I Tim. 2., 1 -2.; Apoc. 1 3 , I·S. L. Goppelt, Kaisersteuer trascura eccessivamente l e radici giudaiche della soluzione adottata da Gesù. 4 Cf. Ios. Beli. 2.,8,1 ( 1 1 8); Atti 5,37; Orig. Comm. in Mt. 1 7,2.5 ( Werke x, 6 5 5 ) .

IL DENARO DI CESARE E IL REGNO DI DIO

ranza non disdegnava i contatti con l'occupante. Più o meno spinta, que­ st'opzione somigliava a ciò che durante la seconda guerra mondiale si è chia­ mato collaborazionismo. Diverse famiglie aristocratiche e sacerdotali non esitarono a giocare questa carta. La riflessione teologica, specialmente dei farisei, apre una terza via d'interpretazione, che diventa infine normativa in Israele e poi nella chiesa dei primi secoli: bisogna distinguere tra l'auto­ rità di Dio e l'autorità del principe. Finché il potere politico limita le sue ambizioni al dominio di questo mondo, i fedeli possono, anzi devono, ac­ cettarlo; non appena invece oltrepassa i suoi diritti ed esige una sottomis­ sione incondizionata, ossia una venerazione religiosa, i credenti devono cri­ ticarlo e organizzare una resistenza non violenta. I martiri segnano quindi con il loro sangue i limiti del potere politico. Prima che scorra il sangue tut­ tavia la comunità religiosa ha il tempo di «rendere a Cesare quello che è di Cesare». Ponendo a Gesù la domanda della tassa dovuta all'occupante ro­ mano, gli interlocutori affrontavano quindi una tematica conosciuta, deli­ cata, controversa e di scottante attualità. Non avevano torto a porre la do­ manda e la loro intenzione non era necessariamente perversa. 1 2.0.

Luca, che introduce il soggetto con talento e determinazione, sce­ glie termini precisi e persino inusuali. Raro (compare soltanto qui in tut­ to il Nuovo Testamento), l'aggettivo sostantivato èyxa-Bt't'o�, «agente», >, , «spiano>> Gesù (tali sono le sfumature del ver­ bo 1ta.pa.'t'lJpcil) . 2. Lo fanno a distanza e nell'ombra, ricorrendo ad «agen­ ti>>, «informatori », una volta si sarebbe detto « appostati>> , oggi forse si direbbe persino > (queste le traduzioni possibili di èyxa-8t't'o�). Que­ sti uomini si azzardano ad arrivare fino a Gesù. Luca rimprovera loro non solamente di rappresentare il volto visibile dell'opposizione al suo maestro, ma anche di nascondere il loro progetto criminale (consegnare l'innocente) 3 dietro propositi apparenti di giustizia. Tale presunto atteg­ giamento morale servirà dunque alla peggiore delle politiche: costoro in­ terpreteranno al contrario l'insegnamento del maestro e l'accuseranno davanti a Pilato di rifiutare di pagare la tassa a Cesare ( 23 ,2).4 Luca preCf. J.D.M. Derrett, Render, 3 1 6; C.K. Barrett, State, 7 s. E. Delebecque, Evangile, 1 26 traduce -n:apa'njp�aavnc:; con le parole «dal loro appo­ stamento» . Il codex Bezae (D = 0 5 ) e il codex Koridethi (8 = 03 8) come pure, forse, i te­ stimoni della Vetus Latina, riportano «essendosi allontanati " (IÌ-n:oxwp�avnc:;) invece di Ttapa'tlJp�aavnc:; ( «avendo sorvegliato » ). Il codex di Freer (W = 032) riporta u-n:oxwp�aa.v­ nc:; ( «essendosi ritirati » ) . Le versioni siriache sinaitiche e cuxetoniane hanno semplicemen­ te: «Dopo di ciò » . 3 Numerosi mss. riportano elc:; 'to, •in vista d i .. , invece d i wan, «in modo da » . 4 Alcuni esegeti ritengono, a torto, che l'accusa mossa contro Gesù fosse valida e che egli, 1

2.

LC. 20,20-26

99

para qui l'arresto e annuncia la comparizione di Gesù davanti al gover­ natore romano. Si ritroverà il verbo «consegnare» (1tapaòiòw!lt) sulle lab­ bra di Gesù in occasione del bacio di Giuda ( 22,48) e l'effettivo trasfe­ rimento al governatore dopo la riunione del sinedrio ( 2 3 , 1 ) . Quanto ai termini > . Cita quindi Rom. I J , I (ogni autorità viene da Dio) e incoraggia ciascuno a rispettare gli Stiinde (le ca­ tegorie sociali, gli stati): il fatto che esistano esempi di malgoverno non deve portare a condannare la nozione stessa di autorità politica. Quan­ to al «rendere a Dio quello che è di Dio>>, intende designare la fede in Dio e l'amore per il prossimo; nessuna autorità politica ha il diritto di proi­ bire questa pratica religiosa. L'applicazione del « rendete a Dio quello che è di Dio >> è la rinuncia battesimale al diavolo e a tutte le sue pompe.3 Calvino conferma l'interpretazione di Lutero: > , quello dell' &vaa-.amc;, della «risurrezione» (il termine ricompare nei vv. 3 5 e 3 6) . La replica del maestro si conclude con una breve dimostrazione scritturistica che, dalla legge di Mosè, risale al­ l'identità di Dio che l'ha ispirata (vv. 3 7-3 8 ) . In una pagina Luca guida dunque i suoi lettori da un episodio antico alla nuova realtà della risur­ rezione, dalle generazioni umane ai figli della risurrezione, da una di­ chiarazione di Mosè a un'altra, da un'immagine di Dio a un'altra. I sadducei prendono il posto degli agenti inviati dagli scribi e dai som­ mi sacerdoti (20, 19·20) per interrogare Gesù (v. 27). Gli sottopongono un caso da manuale, citando innanzitutto la regola (v. 28), presentando quindi un esempio (vv. 29-3 2), formulando infine la loro domanda (v. 3J). La risposta di Gesù si sviluppa in due tempi. Senza argomentare, il maestro afferma dapprima che gli uomini in «questo tempo>> si sposa­ no ma che i beneficiari di «quel tempo>> non lo fanno (si noti il presente indicativo, vv. 34-3 5 ) . Poi spiega (yap, «giacché>> ) il suo detto (e non il caso che gli è sottoposto, v. 3 6) . Continuando a «dimenticare>> la don­ na e i sette fratelli, si concentra infine sull'origine biblica della risurre­ zione dei morti giustapponendo in maniera enigmatica z. una citazione di Es. 3 (v. 37) e un'affermazione personale che giustifica in poche pa­ role (v. 3 8 ). L'episodio termina con le lodi degli uni e il silenzio intimo­ rito degli altri (vv. 3 9-40) . Ecco la schematizzazione della pericope: V. 27 arrivo del gruppo dei sadducei vv. 28-3 3 intervento di queste persone a) v. 28 richiamo al comandamento del levirato b) vv . 29-3 2 storiella della donna e dei sette fratelli c) v. 3 3 domanda rivolta a Gesù I Cf. W. Strawson, Jesus, 203-210; E. Charpentier, Tous; B. Rigaux, Dieu, 24-39; j.J. Kilgallen, Sadducees; J.-G. Mudiso Mba Mundla, fesus, 7 1 - 1 09. 299-305; O. Schwankl, Sadduziierfrage, q-62 (status quaestionis). 442-465 (redazione lucana); B. Prete, Inse­

gnamento. z. Cf. F. Kermode, The Genesis of Secrecy. On the Interpretation of Narrative, Cam­ bridge, Mass. 1 979, 2 s.

vv.

34-3 8

vv.

3 9-40

replica di Gesù a) vv. 3 4-3 6 contrasto tra «questo tempo» e «quel tempo» b) vv. 3 7-3 8 rivelazione di Mosè e tesi di Gesù lodi degli scribi e silenzio degli altri. '

Questa controversia è l'ultima di una serie iniziata quando Gesù entra nel tempio ( 1 9,4 5 ). Tale serie è stata intervallata da una parabola di Gesù (20, 9-19) e sarà seguita da una riflessione sempre di Gesù (il figlio di Davide, 20,4 1-44), da un episodio colto dal vivo (la vedova e la sua monetina, 21, 1-4) e da un'ultima domanda rivolta a Gesù sulla data della distruzione del tempio ( 2 1 ,7, in cui si trova lo stesso verbo, È7ttpw't'w, di 20,21 e 20,27). An­ che se la sequenza di domande ricevute e poste non si inserisce esattamente in un genere letterario rabbinico preciso, 2 corrisponde ad abitudini dialo­ giche, polemiche e scolastiche del giudaismo antico. 3 Questa constatazione spiega perché gli interlocutori, invece di contraddire apertamente, preferi­ scano il procedimento della domanda. La maggior parte degli esegeti ritiene che Luca riprenda il suo racconto da Marco e ne ,riscriva il testo migliorandone lo stile, chiarendo le posi­ zioni e indirizzando l'attenzione sul significato da attribuire. La dipenden­ za da Marco è particolarmente evidente all'inizio della storia (arrivo e in­ tervento dei sadducei, vv. 27-3 3 ). 4 Tra i ritocchi migliorativi si segnalano: 5 «alcuni sadducei» invece di «sadducei» (Mc. 1 2, 1 8 ); questi uomini «si fan­ no avanti» (7tpoatÀ.Son�, v. 27) mentre in Marco «vengono da lui» (Épxov1 Schema affine in Bock n, 1 6 1 8; R. Meynet, Evangile 1, 1 8 8 s.; n, 1 9 2. s. presenta una strutturazione differente. 2 D. Daube, Rabbinic, 1 5 8- 1 6 3 ritiene che la tradizione sinotrica, specialmente Matreo e Marco, abbia fuso ricordi di Gesù in uno schema rabbinico rappresentativo di quattro tipi di domande. L'ipotesi di Daube è stata seguita da molti e pure criticata da alcuni; cf. J.-G. Mudiso Mba Mundla, ]esus, 303-305; J. Le Moyne, Sadducéens, 1 2. 3 s. Al ter­ mine di un esame meticoloso D.M. Cohn-Sherbok, Defence conclude che Gesù non ri­ spetta nessuna delle sette regole esegetiche elaborate da Hillel, né le trentadue composte più tardi da Eliezer ben Jose il Galileo. Il nazareno non aveva dunque ricevuto alcuna formazione rabbinica. 3 Cf. ad esempio E.E. Ellis, Sadducees; J. Le Moyne, Sadducéens, 1 2.3 - 1 2. 5 , che rimanda, come altri, «al racconto di bSanh. 90b in cui rabbi Gamaliel n (attorno al 90 d.C.) è in­ terrogato dai sadducei riguardo alla prova scritturistica della risurrezione» (p. 1 2. 5 ). 4 Buon confronto sinottico in J.-G. Mudiso Mba Mundla, ]esus, 74-8 1 ; B. Rigaux, Dieu, 14-3 1 ; Fitzmyer n, 1 2.99. 5 Vi sono anche, in questi versetti, alcune differenze che non apportano alcuna miglioria (si devono a un intento di Luca oppure al testo di Marco che Luca aveva a disposizio­ ne?): oi invece di ol-rtv� (Mc. 1 2., 1 8), È1tlJPW'tl)C"!1V, aoristo, al posto dell'imperfetto È1tl)­ pbi-rwv (Mc. 1 2., 1 8); éxwv yuv11ix11 (accento sulla situazione anteriore) al posto di x!1-rciÀi 1tTI yuva.ix11 (accento sulla situazione al momento del decesso, Mc. 1 2.,19); rielaborazione delle brevi descrizioni dei decessi successivi (Mc. I2.,2.0-2.2.); wnpov al posto di Écrl!1'rOV 111iv-rwv (Mc. 1 2.,2.2.). -

IlO

IN DISPUTA CON I SADDUCEI

7tpÒc; athov, Mc. 1 2,1 8); «dicono al contrario>> (ot à,,mÀÉ')'OV't"Ec;, v. 27): mentre in Marco «dicono>> (ot't"LVEc; ÀÉ')'ouatv, Mc. 1 2,1 8); i fratelli muoiono «senza figli >> (cinxvoc;, v. 29; si veda où xa't"ÉÀmov 't"Éxva, «non lasciarono fi­ gli >>, v. 3 1 ), invece che > , letteralmente senza (a7tÉp!Joa, Mc. 1 2,20.2 1 . 22); :z. nella risurrezione, l'espressione di chi > la moglie invece di chi > la moglie? (Mc. 1 2,23 ). 't"cu

La dipendenza da Marco è visibile anche nell'ultima parte dell'inter­ vento di Gesù (vv. 3 7-3 8 ) : stesso soggetto, la risurrezione dei morti; stes­ so riferimento all'episodio del roveto ardente; stessa menzione del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (Mc. 1 2,26-27). I vv. 3 7-3 8 di Luca 20 contengono tuttavia alcuni ritocchi che vanno oltre l'aspetto forma­ le.3 L'evangelista si disinteressa del > , della lettura e del inteso quale titolo di una pericope (Mc. I 2,26). È la voce di Mosè 4 che gli interessa poiché essa (È!Jo�vuaEv, v. 3 7, che è proprio di Luca) l'identità di Dio.5 A questa prima modifica, relativa alla comunicazione della verità, Luca aggiunge una seconda, riguardante appunto il conte­ nuto della verità. Rinvia, a quanto pare, più a Es. 3 , 1 5 che a Es. 3 ,6: non è un > che declina uno dei suoi titoli, è una voce che proclama Signo­ re il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Se Luca pensa alla frase di Es. 3,1 5 nella sua interezza, come pure al contesto del roveto arden­ te, sa che a questo punto dell'episodio sacro, a differenza di Es. 3 ,6, Dio ha già comunicato (Es. 3,14) il suo vero nome: jhwh, reso con xuptoc;, «Signore>> , nei LXX, la Bibbia di Luca. Sa anche che la frase che Mosè deve pronunciare gli è stata dettata da Dio. Ecco il testo completo di Es. 3 , 1 5 secondo i LXX: >, per precisare la situazione dell'uomo al momento del decesso. Il termine, oltre a suonare meglio agli orecchi dei greci rispetto alla formula ebraica « senza lasciare discendenza » (lett. « seme » ) di Mc. 1 2, 20, ha anche, per il lettore attento, una connotazione giuridica. Se Luca ri­ corre, alla fine dell'enumerazione (v. p ), all'espressione où xa't'ÉÀmov 't'Éx­ va, «non lasciarono figli>>, è per influenza di Marco che dice, a proposito del secondo fratello, 1.1.� xa't'aÀmwv a7tÉp!J.a, «senza lasciare discendenza >> (lett. «seme >>, Mc. 1 2,2 1 ; lo stesso Marco è influenzato dal testo biblico che ha citato: xaì xa't'aÀt1tTJ yuvaixa, «e lascia una donna >> , Mc. 1 2,19).

Leggendo questi versetti, rimango colpito dall'importanza conferita ad alcuni termini e temi: l'uomo, la donna, i figli, la morte e la mancanza di figli. Ma vi è anche, fin dall'inizio, questa parola &:vcia-raatc; nella formu­ lazione del narratore (v. 27), poi sulle labbra dei sadducei (v. 3 3 ), infine su quelle di Gesù (vv. 3 5 e 3 6). La connessione tra questo termine e il testo della Scrittura, come pure lo scenario imbastito, appare nella stes­ sa citazione biblica. Il sistema del levirato, vi si legge, è imposto con uno scopo preciso: t'va È�avaa't'�aTl a1tÉp(La, «affinché susciti una discenden­ za » (v. 28). Perché parlare, si domandano e domandano i sadducei, di un'altra «risurrezione>> rispetto a quella che è descritta, proposta o im­ posta dalla legge? Dietro la domanda dei sadducei I e nella pericope evangelica, è dunque in gioco la definizione di «risurrezione>> . Del resto è un po' una disputa degli antichi e dei moderni, dato che i sadducei si attengono al sistema arcaico di una vita vera su questa terra, in questo tempo. Ciò che viene dopo la morte appartiene al mondo impersonale e impotente delle ombre, al regno senza vita della sheol. Tutto quello che si può fare, tutto quello che ha immaginato il loro Dio per limitare i danni, è la successione delle generazioni umane. Tu sopravviverai nei tuoi figli, sono loro che porteranno il tuo nome. E se ciò accade, si con­ fà solo agli uomini, padri e figli. Se si legge attentamente il v. 3 3 , si comprende lo scetticismo dei sad­ ducei. Se vi è una «risurrezione>> di un altro tipo rispetto a quella offer­ ta dalla legge, il sistema previsto sfocia nel non senso e nell'impossibile. Questi sette uomini, al momento della suddetta «risurrezione», non po­ tranno avere tutti e sette la stessa donna. Che i sadducei contemplino la poligamia o la monogamia non cambia nulla della questione, perché qui • • •

I Il verbo della domanda è incerto: ylve:'t"a;t, «diviene », o Éa't"a;t, «sarà » . Entrambi sono ben attestati, ma Éa't"l%t dev'essere influenzato dal parallelo di Mc. u .,2.3 . Mantengo dunque yt'IIE't"l%t.

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si tratterebbe di un caso - inimmaginabile - di poliandria. È come per sottolineare tale impossibilità implicita • che aggiungono alla loro do­ manda l'espressione ridondante: «Poiché i sette l'hanno avuta per mo­ glie>> (v. 3 3 b). 34-3 6. L'introduzione xcxi El7tev cxÙ'toi'c; o 'I lJaoUc;, «E Gesù disse loro>> , corrisponde a mio parere a una ripresa e modifica lucana del parallelo marciano (Mc. 1 2,24a).1 Si è suggerito che potrebbe anche essere l'inci­ pit della tradizione, indipendente da Marco, citata qui da Luca; l'evan­ gelista preferisce infatti 7tp6c; seguito dall'accusativo dopo i verba dicen­ di. Risponderei che, siccome gli capita talvolta di utilizzare il dativo in casi simili, è del tutto possibile che abbia conservato otÙ'toi'c;, «a loro», che Marco gli suggeriva. Inoltre, come avviene per alcuni logia instabi­ li, la tradizione indipendente trasmetteva probabilmente i detti senza alcuna formula di introduzione, o quantomeno senza menzionare desti­ natari anonimi. Consideriamo per iniziare i detti di Gesù (vv. 3 4b-3 6) come un'unità indipendente, composta da due pani. La prima, vv. 34b-3 5, contrap­ pone in modo simmetrico e antitetico i due «tempi >> e soprattutto le due categorie umane: tutto il mondo da un lato, i giusti o gli eletti dall'altro. Si noterà un elemento che risulta superfluo e altera questa simmetria: le parole xcxi 'tijc; &:vcxa'taaewc; 'tijc; èx vexpwv, «e la risurrezione dai motti» (v. 3 5 ).3 Probabilmente questa ridondanza è il frutto di un intervento di Luca che ha un duplice obiettivo: legare più strettamente i logia alla con­ troversia sulla risurrezione e chiarire, per i propri lettori, il senso del­ l'espressione «di quel tempo» . La forma della seconda pane dell'unità, v . 3 6, si presenta meno armo­ niosa. Contiene infatti, nella prima metà, due proposizioni successive ac­ compagnate ciascuna da ycip, «poiché>> : «poiché non possono più mori­ re>> e «poiché sono uguali agli angeli . . . » . Inoltre, nella seconda metà, l'affermazione di Gesù con la ripetizione del verbo «essere» non brilla • Per capire bene ciò che accade in questa disputa, bisogna riconoscere, come dice J. An­ derson, Look, 1 3 , che «ciò che era implicito serviva a segnalare l'importanza » . 2 S u questi versetti cf. M . Wiles, Studies; C . Montanti, Filiazione; U . Bianchi, Relevance; D.E. Aune, Logion. 3 Nel v. 34 buoni testimoni, come il codex Bezae (D = 0 5 ), alcuni mss. della Vetus Lati­ na e talune versioni, specialmente siriache, hanno un testo più lungo. Prima di «si spo­ sano e si maritano» riportano le parole « sono generati e generano• . Secondo Wiefel, 34 2 questo potrebbe essere il testo originario di Luca. L'assenza di tali parole nella gran­ de maggioranza dei mss. greci dipenderebbe dal tentativo di adattare il testo di Luca a quello di Marco (direi piuttosto di Matteo e di Marco).

1 20

IN DISPUTA CON I SADDUCEI

neppure per eleganza: «e sono figli di Dio, essendo figli della risurrezio­ ne» . A mio avviso occorre tener conto, anche qui, di uno sforzo redazio­ nale di Luca che, a forza di voler chiarire, fa perdere al detto parte del­ la sua incisività e sobrietà. Penso quindi che la frase >, del tutto possibile in greco): la rivelazione l'ha fatta bd 'tijc; �ci'tou,4 vale a dire durante l'episodio del roveto ardente.s 1

S u questa frase e l a sua sopravvivenza nell'antichità cf. U . Bianchi, Relevance. Su questi versetti cf. F. Dreyfus, Argument; S. Bartina, Saduceos; A. Suhl, Funktion, 677 2.; R.H. Gundry, Use, :z.o-:z.:z.; F.G. Downing, Resurrection; F. Manns, Technique. 3 Alcuni hanno sostenuto, basandosi sul parallelo 4 Macc. 7, 1 9 e I 6,:z.s, che l'argomenta­ zione di Gesù dimostrava l'immortalità dell'anima; cf. contra N. Geldenhuys, The Gospel o{ Luke, Grand Rapids 1975, 5 1 1 s. 4 Marco ha il maschile (ò [»-toc;); Luca preferisce il femminile (i) [»"toç) che è più corren­ te; cf. Bauer-Aland, s.v. 5 Sopra ho indicato che, con queste parole, Marco pensa alla pericope del roveto arden­ te, mentre Luca, così mi pare, fa riferimento aLL'episodio del roveto ardente. 1

1 26

IN DISPUTA CON I SADDUCEI

«Egli» dice; grammaticalmente il pronome si riferisce a Mosè, ma die­ tro questo soggetto umano deve esserci quello divino. Questo «dire» che rivela, menziona il Dio di Abramo, di !sacco e di Giacobbe. Su questo punto Luca e Marco concordano, 1 ma se Marco comincia con Èyw, «io», in riferimento a Es. 3,6, Luca nomina invece il xl}ptoç, il «Signore», cioè la persona stessa di Dio, l'equivalente del nome proprio di Dio, Jhwh, nella Bibbia ebraica. Il terzo evangelista si richiama dunque a Es. J , I 5 , versetto che segue immediatamente la celebre rivelazione del nome pro­ prio di Dio « lo sono colui che sono » (Es. J,J4).1 Questo Dio, che ha appena rivelato il suo nome, è dunque anche il Dio dei patriarchi. Si osserverà che la formula è solenne e ripetitiva: « il Dio di Abramo e il Dio di !sacco e il Dio di Giacobbe», vale a dire il Dio d'Israele, il Dio fedele a ogni generazione. Ma non è una tautologia di­ re che Dio è Dio? Non lo è nella misura in cui la frase non dice solo che Dio è Dio, ma afferma qualcosa di più. Uno studio erudito e convin­ cente ha mostrato che l'espressione corrente Dio di Abramo, di !sacco e di Giacobbe non designava tanto il Dio adorato dai patriarchi quanto piuttosto il Dio che si fa carico di Abramo, Isacco e Giacobbe.3 È in questo e soltanto in questo senso che la citazione biblica raggiunge il suo scopo. Il ragionamento sottinteso è infatti il seguente: se Dio proteg­ ge i patriarchi, se si preoccupa del suo popolo, non cesserà di farlo. Di conseguenza, tutti i patriarchi, benché morti, non sono abbandonati al­ le ombre della sheol, ma vivranno di nuovo grazie alla fedeltà di Dio. 4 Un simile ragionamento non sarebbe stato sicuramente sostenibile qual­ che secolo prima ma, al tempo di Gesù e dei primi cristiani, la vecchia soluzione, difesa ancora dal gruppo minoritario dei sadducei, non sod­ disfa più le esigenze dottrinali di coloro che sono passati attraverso la persecuzione e il martirio. 5 1 Cf. G. Downing, Resurrection, che ne confronta l'uso nei vangeli sinottici e in Filone (Abr. 50- 5 5 e Fug. 5 5-59): «Almeno un ebreo, quasi contemporaneo di Gesù, si trovò vin­ colato da un'interpretazione di Es. 3,6 e 3 , 1 5 s., secondo la quale i passi in questione sta­

vano a significare che Dio si era legato così strettamente agli uomini mortali da far sorgere domande scomode e inevitabili sulla mortalità in quanto tale » . 1 Cf. J.J. Kilgallen, Sadducees, 487-494. 3 Si tratta di F. Dreyfus, Argument; dimostrazione ripresa da S. Bartina, Saduceos. 4 Cf. Ebr. I I , I I . 1 3 - 1 6 che mette anche in relazione questi patriarchi e il mondo futuro; cf. Test. lud. 2. 5 , 1 . 5 Sull'evoluzione della credenza nella risurrezione dei morti cf. K. Schubert, Auferste­ hungslehre; P. Grelot, La résurrection de Jésus et son arrière-plan biblique et juif, in P. de Surgy (ed.), La résurrection du Christ et l'exégèse moderne (LeDi v so), Paris 1 969, 1 753; E. Charpentier, Tous, 8 5-88; B. Rigaux, Dieu, 3 -:z.:z.; O. Schwankl, Sadduziierfrage, 1 4 1 -300; C.F. Evans, 7 1 2.-7 I4; j.D. Levenson, Resurrection.

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Spesso si è fatto osservare che il testo richiamato da Gesù non è mai citato da autori giudei a favore della risurrezione.' Ciò non deve stupi­ re: Gesù non partecipava al mondo scolastico e rabbinico. Lo conosce­ va dall'esterno, cosa che dà malgrado tutto una svolta scolastica al di­ battito, ma non riusciva o non voleva rispettarne le esigenze e le regole. Ho parlato di Gesù, ma naturalmente l'autenticità del dialogo non è sicura. :z. Se il confronto con alcuni sadducei sembra verosimile, l'argo­ mentazione del Gesù storico potrebbe aver seguito altre strade rispetto a quelle che tracciano gli evangelisti. Mi sembra tuttavia probabile an­ che che Gesù abbia replicato limitando l'applicabilità della legge di Mo­ sè ed evocando la nuova condizione dei resuscitati. Non è escluso inol­ tre che abbia aggiunto un argomento scritturistico (tanto più che il testo citato è originale e inatteso).3 Ugualmente verosimile che abbia conclu­ so con un ultimo logion, a motivo dell'aspetto folgorante dell'espressio­ ne, la quale ricorda del resto un altro detto attribuito a Gesù ( « lasciate che i morti seppelliscano i morti », 9,6o). Ma ammettere l'autenticità di tutti questi elementi 4 ci lascia con un'unità ridondante (conto in sostan­ za due risposte di Gesù), il che contraddice le regole della Formgeschich­ te che optano per la semplicità originaria. C'è dunque la possibilità che la pericope già in Marco e forse anche prima, abbia fuso due episodi del­ la vita di Gesù: una controversia con i sadducei che si concludeva con la menzione della risurrezione, tempo da cui sarebbe stato escluso il ma­ trimonio, e una disputa sempre sulla risurrezione, dalla quale Gesù sa­ rebbe uscito vincitore riferendosi al Dio dell'esodo.5 I

Cf. per esempio Bossuyt-Radermakers, 4 3 3 , che notano che i rabbi apprezzano Deut. n,9 e 3 2,39; D.M. Cohn-Sherbok, Defence, 70 s. presenta numerosi testi rabbinici che, rispettando le regole esegetiche giudaiche, provano la risurrezione a partire da altri passi del Pentateuco. J.D. Levenson, Resurrection difende la tesi secondo la quale la credenza nella risurrezione è radicata nella fede d'Israele sin dai tempi più antichi. Scrive (p. x): •Ritengo che l'attesa della risurrezione dei morti fosse una trave portante nell'edificio del giudaismo rabbinico» . 2 R. Bultmann, Syn. Trad., 2 5 . 5 1 pensa che l'episodio sinottico rifletta una controversia della chiesa delle origini piuttosto che un dibattito che coinvolse il Gesù storico; cf. an­ che E. Haenchen, Weg Jesu, 4 1 1 . 3 Sull'originalità, poco rabbinica, di Gesù cf. D.M. Cohn-Sherbok, Defence. Sulle rela­ zioni che alcuni testi del Mar Morto stabiliscono tra la dimora dei morti e la speranza escatologica radicata nella Scrittura cf. E.E. Ellis, Sadducees, 277-279, che rimanda in particolare a 1 QH 3 , 1 9-22 e 1 QH 6,29-3 0·34· 4 D.H. van Daalen, Observations, 243-24 5 rileva il carattere teocentrico e non cristocen­ trico della risposta di Gesù. 5 E. Haenchen, Weg ]esu, 4 1 0 osserva che in Mc. 1 2,26 / Le. 20,37 vi è un « nuovo ini­ zio•; prima di lui R. Bultmann, Syn. Trad., 2. 5 . p; B. Rigaux, Dieu, 34-36 indica i soste­ nitori e gli oppositori del carattere secondario di quest'ultima parte della risposta di Ge­ sù (Mc. 1 2,2.6-2.7 / Le. 20,3 7-3 8).

1 28

IN DISPUTA CON I SADDUCEI

Il detto finale di Gesù «Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi» ren­ de esplicito ciò che la citazione di Es. 3 sottintendeva. • Risolve quindi l'enigma proponendone però un altro! Giacché se è elegante e legittimo dire che Dio è il Dio dei viventi e non dei morti, ciò non risponde alla questione degli innumerevoli morti, in ultima analisi di tutto il mondo. Il problema, a fronte di una simile risposta ellittica, si risolve solo con l'aiuto di un ragionamento implicito.:. Attraverso il suo nome 3 Dio è le­ gato all' «essere » ; per sua natura è attaccato alla «vita » . Infatti è il crea­ tore e rimane sempre il protettore e il salvatore della vita d'Israele. Il ver­ bo «vivere» in ebraico è del resto molto simile al verbo «essere» , presen­ te nel nome stesso di Dio (i filologi dicono addirittura che al tempo di Gesù i due verbi si pronunciavano nella stessa maniera).4 Chi dice Dio dice dunque anche il donatore della vita,5 e poiché la morte non è «na­ turale» in Israele e per i cristiani, Dio non può che opporvisi. Questa è la fede nella risurrezione, più precisamente nella risurrezione dai morti (si noti Èx vexpwv, v. 3 5; cf. anche Mc. 1 2,26 / Mt. 22,3 1 ) . È proprio que­ sto ragionamento sottinteso che Luca, da teologo, ci teneva a far com­ parire al termine del logion di Gesù (né Marco, né Matteo si sono presi questa briga). Con una frase spiega ai suoi lettori ciò che Gesù vuoi di­ re quando parla di un Dio dei viventi e non dei morti: perché, dice, «tutti vivono grazie a lui».6 Luca stesso, tuttavia, non ci soddisfa com­ pletamente: vorremmo sapere chi siano, ai suoi occhi, questi 1tavnc;, que­ sti «tutti »; e pure quale sia la funzione del dativo a.Ù't�: sta a significare «grazie a lui » o «per lui» ? 7 Il resto dell'opera di Luca ci invita a non tra­ scurare né l'universalismo della salvezza, né la pienezza di un Dio che è nello stesso tempo origine e destinazione, causa e scopo. 3 9-40. Gli scribi (Luca pensa a scribi di tendenza farisaica, quindi fa­ vorevoli alla risurrezione) applaudono. 8 L'uditorio è tuttavia diviso. Gli 1 E. E. Ellis, Saddueees, 2. 7 5 s. considera le parole 1tavn� yàp ctÙ't"cj} t;waw una glossa lucana, un pesher, vale a dire un commento attualizzante. :z. Cf. ]. Anderson, Look. 3 Cf. S. Bartina, Sadueeos, 1 54 s.; ].]. Kilgallen, Saddueees, 488-490. 4 Cf. F. Manns, Teehnique, 6. 5 Cf. G. Carton, Anges, so; E. Haenchen, Weg ]esu, 410 s. che rimanda a Sal. 6,5-6; 29

(3o),9b- 10; I 1 3B( I 1 5 ),I7; Ger. 3 8,1 8; Dan. 1 2.,2.-3 . 6 Su questa osservazione di Luca cf. ].]. Kilgallen, Saddueees, 491-494. 7 E. Delebecque, Evangile, 1 2.7 traduce in modo interessante: «perché tutti hanno la vita legata a lui » . 8 Talbert, Luke, 1 9 5 nota che i l v. 39 diviene - paradossalmente, aggiungerei - l'occa­ sione per muovere una duplice critica agli scribi: alla loro teologia, Le. 2.0,41 -44 e al lo­ ro stile di vita, Le. 2.0,4 5-47 e 21,1-4.

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altri, probabilmente i sadducei che avevano cominciato il dibattito, han­ no perduto la loro superba sicurezza, ma non sono convinti. Semplice­ mente non «osano » più porgli domande. L'ultima parola, secondo Lu­ ca, è che non hanno più nulla da dire. Si zittiscono. 1 Storia degli effetti. Menandro e Cerdone non sono nulla più che no­ mi; le opere di Marcione e di Taziano sono in gran parte perdute. Cio­ nonostante lo storico può affermare che nel n sec. d.C. vi furono nume­ rose correnti cristiane, legate a questi nomi, che respinsero il matrimo­ nio in quanto portatore di morte, esaltarono la continenza e imposero a tutti i credenti, a tutti «coloro che sono stati giudicati degni di raggiun­ gere quel tempo» , un'interpretazione letterale di Le. 20,34- 3 6 con vali­ dità immediata e un'interpretazione spirituale della risurrezione dei mor­ ti. La posizione teologica di Menandro, nell'esempio presentato da Eu­ sebio di Cesarea (che ovviamente vi si oppone), ricorda il detto di Le. 20,3 4-3 6. Vi si ritrova la dignità di coloro che sono eletti (stesso verbo xa'!a�tci>), l'ottenimento della salvezza e la successiva impossibilità di mo­ rire. 'L Il battesimo, come accesso alla vita nuova, attualizzava l'escatolo­ gia e la risurrezione, spiritualizzata, cominciava immediatamente.3 Le testimonianze antiche mostrano che una tale lettura di Le. 20,34-3 6 (o dei logia instabili che Luca recupera ) si affermò specialmente in Siria, anche al di fuori delle cerchie eretiche. 4 Ben si comprende come, in al1 J.G. janzen, Resu"ection alle dimensioni esegetica e teologica dell'episodio, riconosciu­ te dai biblisti, ne aggiunge una ermeneutica. Gesù stabilisce infatti un'analogia tra il tempo dei patriarchi, vale a dire di Mosè, e quello delle generazioni successive, che biso­ gna intendere in modo ermeneutico. Rimprovera anche ai sadducei, perlomeno in Marco e in Matteo, di non capire le Scritture. 2 òuì -rou �ncxÒIÒo!J-Évou 'ltpÒ>.-. Eliminando la menzione dei discepoli (Mc. I 2,4 3a) per non distrarre l'attenzione, ri­ porta le parole di Gesù con la consueta fedeltà. Si limita a evitare il fo­ restierismo « amen>> (gli sostituisce « in verità >> ) e la ridondanza «che of­ frono nel tesoro» (Mc. I 2,4 3 b). Altri particolari: preferisce dire «tutti co­ storo» invece che «tutti>>, ripete la parola «offerta>> ( «per le offerte>> ), sostituisce la realtà concreta oo'tÉpljfJ.IX all'astratta ua'tÉpljat� per designa­ re la «mancanza >>, e compie un'ultima inversione, mettendo in risalto i «beni» o la «vita » (che ho tradotto con «tutto quello che aveva per vive­ re>> ), invece di )asciarli in un'apposizione zoppicante. Come si vede, il confronto sinottico mostra più somiglianze che divergenze. Le differen­ ze si spiegano principalmente con lo sforzo lucano di migliorare la lingua 1

Su questa «sparizione» della folla cf. Marshall, 77 1 . L'espressione «versare nel tesoro» compare due volte i n Marco (Mc. 1 2,4 1 e 4 3 ) . 3 Luca aggiunge una precisazione d i luogo: l a vedova mette • là» (txei) questi due soldi. 4 Si è assai discusso a proposito di questa precisazione di Marco. Taluni, W.M. Ramsay, Mark (due brevi articoli) in particolare, hanno pensato che Marco si sentisse obbligato a spiegare il valore dei due lepta (spiccioli) orientali a un uditorio romano. Di conseguen­ za il vangelo di Marco avrebbe un'origine romana ! Perché l'argomentazione funzioni, oc­ corre che il quadrante fosse sconosciuto o poco conosciuto in Oriente. Sebbene le città, i principati o le province orientali dell'impero non emettano loro monete d'oro e raramen­ te quelle d'argento, hanno però praticamente il monopolio delle monete di minor valore. Le piccole monete romane di bronzo, tra cui il quadrante, secondo questi autori, avreb­ bero raggiunto l'oriente dell'impero solo nel n e soprattutto nel 111 secolo. Per gli altri, F. Blass, Mark (due brevi articoli) in particolare, il quadrante era ben noto in Oriente fin dal I secolo e la spiegazione marciana non direbbe nulla sulla regione in cui il vangelo sarebbe stato scritto. 2

UNA VEDOVA ESEMPLARE O SFRUITATA?

evangelica per i suoi lettori colti e possono altresì derivare dalla preoccu­ pazione di operare slittamenti semantici. La caratterizzazione della ve­ dova o il termine scelto per designare i doni modificano leggermente il si­ gnificato dell'episodio ereditato da Marco. La semplificazione della sce­ nografia e la riduzione del numero dei personaggi favoriscono un con­ fronto e un contrasto. Questa pericope è un breve episodio che mette in risalto la saggezza di Gesù. Si è presa l'abitudine di chiamare un brano di questo tipo apofteg­ ma; ' in questo genere di storie, è la parola decisiva del maestro a con­ tare. A differenza di altri casi, la cornice qui è indispensabile al detto di Gesù. Non si tratta dunque di una storia costruita dai primi cristiani per inquadrare un detto tradizionale di Gesù." La solennità del discorso, introdotto da « in verità vi dico», non implica necessariamente un con­ tenuto kerygmatico o apocalittico delle parole di Gesù. Queste costitui­ scono piuttosto una preziosa diagnosi, una saggia constatazione, come potrebbe farne un filosofo, forse anche il giudizio ispirato di un profeta che va controcorrente rispetto all'opinione comune.3 Da un punto di vi­ sta di metodo morfologico (formgeschichtlich) queste parole di Gesù non mostrano le caratteristiche del lamento. 4 Se la localizzazione nell'area del tempio costituisce parte essenziale dell'episodio, è inverosimile invece che la serie di avvenimenti, così co­ m'è stabilita da Marco, quindi da Luca e da Matteo, abbia un'origine an­ tica, o addirittura che corrisponda alla realtà storica. Se è dunque vero che Marco e Luca giustappongono la critica di coloro che sfruttano le vedove e la presentazione della vedova con i suoi due soldi, nulla dice che questi due episodi abbiano avuto in origine un qualche rapporto. Non bisogna quindi basarsi sul contesto letterario per ricostruire il significa­ to dell'unità nella fase della tradizione orale. Presa indipendentemente, la pericope non parrebbe implicare una critica del tempio o una recrimi­ nazione contro lo sfruttamento delle vedove. L'esegesi ci dirà se il testo, nella sua stesura scritta e redazionale, operi un tale cambiamento di senso: vale a dire la radicale trasformazione di una constatazione sapien1 Cf. R. Bultmann, Syn. Trad., 3 2 s. Gli esegeti anglosassoni parlano di pronouncement­ story (racconto aforistico); Fitzmyer n, 1 3 20. :t M. Dibelius, Formgeschichte, 261 suggerisce questa ipotesi con esitazione.

3 Gesù ha tenuto talvolta discorsi di sapienza. Negargli la possibilità di essere simile a un filosofo, come fa A.G. Wright, Lament, 260, è un esempio di petitio principii. 4 Si noti la differenza di stile tra il nostro passo e, ad esempio, il lamento di 1 9,4 1 -44. Non mi trovo d'accordo qui con coloro che, seguendo A.G. Wright, Lament, pensano che il detto di Gesù rappresenti un lamento. Su questo genere letterario cf. C. Westermann, Grundformen prophetischer Rede (BEvTh 3 x ), Miinchen 1 960, 1 4 5 s.

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2 1 , 1 -4

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ziale o profetica dei poveri in un lamento su una donna povera e sui sa­ cerdoti oppressori. Quanto alla forma, la versione lucana della storia si suddivide nel mo­ do seguente: vv. 1-2 vv. 3 - 4

Duplice constatazione di Gesù con lo sguardo v. 1 l'offerta dei ricchi v. 2 l'offerta della vedova Duplice valutazione di Gesù con la parola v. 3 l'atto della vedova (constatazione di fatto) v. 4a l'atto dei ricchi v. 4b l'atto della vedova (giudizio di valore).

Si tratta dunque di una costruzione in due parti, ciascuna delle quali si

suddivide ulteriormente. 1 Non vedo come si possa parlare qui di strut­ tura concentrica.1 Si tratta in effetti di una struttura parallela e antite­ tica, con un'astuta inversione: lo sguardo passa dai ricchi alla vedova, il discorso invece si sposta dalla vedova al ricco per poi ritornare abilmen­ te su di lei, che è la protagonista.3 Questo procedimento agevola la lettu­ ra, evitando gli andirivieni, e concentra l'attenzione sul personaggio della donna. Il centro di interesse coincide dunque con il centro del testo. Simili storie paradossali (il generoso non è colui che si pensa) circola­ no presso tutte le civiltà. A titolo di esempio, riporto qui tre paralleli che gli esegeti hanno scoperto da tempo: uno proviene dall'India, l'altro dal­ la Grecia, il terzo da Israele.4 Ecco, in sintesi, il primo, che appartiene al buddismo indiano e risale probabilmente al 1 o al n secolo d.C.: una povera vedova mendica un po' di cibo durante una celebrazione religio­ sa; purtroppo non ha nulla da offrire in cambio, fino a quando si ricorda d'aver trovato due monete su un cumulo di letame. Il sacerdote intona allora un inno in onore della vedova, mentre lei a sua volta canta la spe­ ranza di un'ampia ricompensa.s Il secondo è un frammento di una trager Diversi tentativi di strutturazione in R. Meynet, Evangile 1, 1 90; n, 1 9 5 s.; V. Sebas­ rian, Offering, 1 1 1 s.; T. Malipurathu, Poverty, 1 79; J.M. Arlandson, Women, 1 74. 1 T. Malipurathu, Poverty, 1 79 e V. Sebastian, Offering, 109 utilizzano entrambi questa espressione o una simile, anche se il secondo rileva pure il parallelismo antitetico. 3 Si pensi ad altre contrapposizioni lucane tra ricchi e poveri, a cominciare dalle beatitu­ dini e le maledizioni ( 6,2.0-2.6) e dal ricco e il povero Lazzaro ( I 6, I 9·J I ) . 4 Su questi paralleli cf. Fitzmyer n, 1 3 2.0. 5 Una presentazione del testo si trova in C. Clemen, Erkliirung, 2.5 1-2.53; G. Faber, Erziih­ lungen, 5 5-57; H. Haas, Scherflein, I06-I I 6; J.B. Aufhauser, Buddha, 1 3·16. R. Bult­ mann, Syn. Trad., 32. percepisce un'influenza del racconto buddista su quello evangeli­ co. H.-J. Degenhardt, Lukas, 96, spec. n. 43 è molto scettico. Non bisogna escludere una influenza evangelica sul racconto buddista che, in tal caso, rientrerebbe nella «storia de-

UNA VEDOVA ESEMPLARE O SFRUTTATA ?

dia perduta di Euripide, Danae: «Più d'una volta vedo povere persone che sono più sagge di quelle ricche e che porgono dalle loro deboli mani [se si legge !J.txp� x_e:tpi] offerte agli dei; più pie peraltro di coloro che of­ frono buoi in sacrificio» . • Il terzo infine, è un passo del Levitico rabbah: una povera donna portò solo un pugno di farina in offerta; ciò irritò il sacerdote che pensava di non riuscire a dividere tale offerta nella parte da presentare a Dio e in quella da conservare come cibo per il clero. In sogno il sacerdote, rimproverato, impara a non disprezzare colei che ha offerto la sua vita.1 In tutti questi paralleli viene espressa ammirazione per la virtù dei poveri, confrontata con l'atteggiamento dei ricchi, e in nessuno di essi ci si lamenta per la triste sorte che la religione impor­ rebbe agli indigenti. r-2. Lo sguardo scoraggiato del Gesù lucano si è abbassato al termine della messa in guardia che precede? 3 Sempre lo stesso sguardo si alza in questo momento, a notare allora coloro che versano le loro oblazioni. Il giudaismo, come altre religioni, aveva infatti sviluppato un sistema di offerte, le quali potevano essere raccolte nel tempio, come in questo ca­ so, e servivano allora per sostenere il servizio del culto, 4 ma anche al­ l'esterno del santuario, al fine di permettere un aiuto sociale, specialmen­ te alle vedove e agli orfani.5 La letteratura rabbinica menziona nel tem­ pio tredici cassette a forma di tromba per raccogliere le offerte. 6 Una re­ cava l'iscrizione: « Oro per il coperchio dell'arca » . In quella, forse, se il sistema aveva già raggiunto questo grado di organizzazione, i ricchi de­ ponevano le loro elemosine/ Nessuna cassetta pare fosse destinata a una gli effetti � . I rapporti tra il buddismo e il cristianesimo delle origini vanno ripensati e le influenze, qualora esistano, possono andare in entrambe le direzioni. 1 Eur. Danae fr. 3 2.7, in Tragicorum Graecorum Fragmenta, v/1 . Euripides, ed. R. Kan­ nicht, Gottingen :z.oo4, 379; si vedano altri paralleli già in J.J. Wettstein, Novum Testa­ mentum 1, 6 I 8 s.; G.M. Lee, Story sottolinea la parentela temarica più che formale tra il nostro passo e il frammento di Euripide; Fitzmyer n, I 3 :z.o. 2. MHG Wa (Lev. r.) I07a o 3,5; Midrash rabbah. Leviticus, capp. I·I9, tr. J. Israelstam, London 3 1 983, 40 s. Cf. Bill. 11, 45 s.; Fitzmyer 11, I 3 :z.o; C.F. Evans, 72.8 s. (che rinvia a Ios. Ant. 6,7,4 [I 49l e a MHG Wa [Lev. r.] I07a o 3,5). 3 Cf. V. Sebastian, Offering, I I 3 · 4 Sul sistema di offerte raccolte nel tempio cf. Bill. n , 3 7-4 5 . 5 Segnalando la tensione tra «ebrei � ed «ellenisti ,., Luca fa riferimento a questo secondo sistema, che i cristiani hanno applicato seguendo i loro compatrioti giudei (Atti 6, x ); sul sistema giudaico di assistenza ai poveri H.-J. Degenhardt, Lukas, :z.3-:z.6; F. Bovon, Luc le théologienJ, 409. 6 mSheq. 6,5·6; cf. Mischnajot n, :z.84-:z.86; Bill. n, 3 7-42.. 7 C.F. Evans, 72.8 osserva a ragione che Luca colloca la parola «ricchi• alla fine della frase per darle maggiore enfasi.

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offerta tanto modesta come quella della vedova, che ha dovuto dunque mettere i suoi due soldi 1 in una delle sei cassette destinate alle «offerte volontarie» . Gesù sa quanto la vedova ha offerto, secondo gli evangeli­ sti, non in base alla destinazione delle cassette ma per il suo sapere so­ prannaturale di uomo divino. 2 Che cosa designa esattamente il termine ycx'çorpuÀaxwv, vocabolo conosciu­ to dalla tradizione sinottica, dal vangelo di Giovanni (Gv. 8,2o), da Giu­ seppe e da alcuni altri autori giudeo-ellenistici? 3 Etimologicamente indica uno spazio in cui si custodisce (rpuÀaaaw) il tesoro (ya'çcx, termine che pro­ viene dal persiano, in cui designa il tesoro imperiale). Ma di che spazio si tratta ? Può essere una costruzione particolare (come fa pensare Marco, che pone Gesù «di fronte» al ycx'çorpuÀcixwv) oppure l'insieme delle cassette che possono essere collocate in un qualsiasi edificio. Luca è meno chiaro di Mar­ co poiché scrive �aÀÀw dç 'tÒ ycx'çorpuÀaxtov 'tà òwpcx cxù'twv, «mettere le loro offerte nel tesoro» e, due righi più in basso, �ÀÀw elç 'tà òwpcx, «versare per le offerte>> . Riprendendo il termine ycxl:;orpuÀaxwv, l'evangelista pensa proba­ bilmente a una cassetta simile a quelle ritrovate a Delo nel primo santuario dedicato agli dei egiziani, il Serapeo A.4 Né Marco, né Luca paiono dunque distinguere cassette diverse. Riassumendo, per i lettori giudei di lingua gre­ ca il ycx'çorpuÀaxwv designa una stanza o un edificio destinato a conservare e custodire le offerte. Il primo significato del verbo �ÀÀw è «gettare». Il suo campo semantico in greco non coincide tuttavia con quello del verbo italiano «gettare>> . In greco �ÀÀw serve talvolta a designare il gesto o l'azione di coloro che «met­ tono» il loro denaro nella cassetta, «investono» i loro risparmi, «pagano>> il dovuto o «depongono» le loro offerte. Il suo impiego in questo passo non è dunque sorprendente) Ciò che invece colpisce l'esegeta è la frequenza dell'impiego di questo verbo: cinque volte in poche righe! Queste ripetizioni sono espressione dell'imperizia del narratore o corrispondono, al contrario, a una sua in­ tenzione ? Se sì, quale? Sono convinto piuttosto, seguendo Pascal, che le ripetizioni non siano tutte infelici. 6 L'attenzione dei lettori non deve es­ sere distratta da una varietà di verbi: si tratta sempre dello stesso gesto. r Su Àt7t'tov, il « lepton, spicciolo • , cf. 1 2,59; Blass, Mark (due brevi articoli) e Ramsay, Mark (due brevi articoli); Degenhardt, Lukas, 9 5 Cf. sopra, p. 1 5 5 n. 4· ·

2.

L'onniscienza di Gesù è stata menzionata poco prima, durante la requisizione dell'asi­ nello ( I 9,JO-J6); cf. L. Bieler, Stio.; à.v�p, 87-9 1 . 3 Su ycx'çotpuì..ci xtov cf. Bill. n , 3 7-4 5 ; Plummer, 475; H.-J. Degenhardt, Lukas, 9 5 · 4 Cf. P. Bruneau - J. Ducat, Guide de Délos (Ecole franç. d'Athènes), Paris 1 9 6 5 , 1 3 8 . 5 Cf. LSJ, s.v. e Bauer-Aland, s. v. Ciò non toglie che Cirillo d'Alessandria preferisca uti­ lizzare il verbo 11:poatpipw; cf. fr. 3 1 6, L 2, J. Reuss, Lukas-Kommentare, 204. 6 Pasca!, Pensées 1, 48.

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Quello che varia sono coloro che lo fanno, ciò che il gesto implica e la somma versata. Vi è tuttavia un'altra ripetizione di Marco che Luca evita: quella del­ l'aggettivo «povera » (1t't'W'X,�). Quando si esprime con le sue parole, Lu­ ca preferisce il più ricercato m:vt"X,Poc;. Ma in greco c'è una differenza, quantomeno all'origine, tra i due aggettivi: il primo designa colui o co­ lei che non possiede niente e non può far altro che nascondersi per la ver­ gogna e, talvolta, mendicare; I il secondo indica colui o colei che deve lavorare per guadagnarsi da vivere, quindi chi è indigente, sprovvisto, povero oppure mendicante (il verbo 1tÉVO(L!Xt significa anzitutto « lavora­ re », «faticare» per guadagnarsi da vivere, poi «essere povero » ) .1 Di fat­ to, da questa radice derivano due aggettivi, il più ricercato 1tEVt"X,Poc; e il più comune 1tÉv1Jc;. Ben difficile comprendere innanzitutto perché Luca eviti 1t't'W'X,� e poi perché preferisca 1tEVt"X,Poc; a 1tÉV1Jc;! Al tempo di Luca 1tEVt'X,POc; richiama più l'indigenza che la necessità di lavorare. Alternan­ do 1t't'W'X,Oc; e 1tEVt"X,Poc; Luca vuol dunque evitare la monotonia, ma forse segnala anche, discretamente, attraverso l'aggettivo 1tEVt"X,Poc;, che questa vedova pena per sopravvivere.3 3-4. In modo solenne Gesù constata che, in un certo senso, la vedova dà più di tutti gli altri. La parola di Gesù possiede così una duplice ener­ gia: osserva, poi valuta; si pone al livello dei fatti, poi a quello dell'inter­ pretazione. Fa dapprima uscire dal silenzio una realtà umana soffocata da una società che punta sulle apparenze e che rispetta i ricchi per i lo­ ro averi; poi esprime una verità (cìì..1J-8cilc; ì..Éyw U(Ltv, « in verità vi dico», v. 3) sulla mancanza e l'abbondanza, sulla ricchezza del povero e sul do­ no della sua vita (v. 4b).4 Nello stesso tempo disprezza implicitamente i doni che vengono dall'opulenza e dal superfluo. Prima di procedere oltre, merita illustrare qui l'interpretazione di A. G. Wright,S che ha avuto l'onore di ricevere il gradimento di numerosi e fa­ mosi esegeti. 6 Questi ritiene innanzitutto che la maggior parte dei com­ menti tradizionali siano dettati più dalla pietà e dalla morale delle chiese I

Cf. L. Simon, Sou, I I 7. Aiistoph. P/. 5 5 2- 5 5 3 , citato da Fitzmyer n, I 3 22: « La vita del povero (1tTW'X,�) consi­ ste nel vivere non avendo assolutamente nulla, quella dell'indigente (1ttv�) invece nel vi­ vere nella miseria, dipendendo dal suo lavoro » . 3 Sull'aggettivo 1ttv1� cf. Plummer, 475; sulla povertà i n Luca cf. T . Malipurathu, Pov­ erty; H.-j. Degenhardt, Lukas, 96 s.; F. Bovon, Luc le théologien3, 407-4 1 2. 503-505. 4 Cf. Wiefel, 346; R. Meynet, Guide, 23 I; Maier n, 5 1 6; T. Malipurathu, Poverty; Craddock, 242. 5 A.G. Wright, Lament. 6 Cf. Fitzmyer n, I 3 2o s.; Tiede, 3 54; Evans, 306 s.; Green, 728 s.; Ringe, 250. Per parte sua, L'Eplattenier, 2 3 3 -23 5 considera possibili entrambe le letture, l'antica e la moderna. 2.

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cristiane che da rigore storico-critico. I Sostiene poi che il testo non ten­ ta in nessun momento di elogiare la vedova o di sottolineare il valore del suo gesto. Basandosi infine sul contesto precedente, vede una relazione tematica tra l'accusa di sfruttamento delle vedove ( 20,47) e il caso di questa povera vedova: costei avrebbe interiorizzato le richieste di una re­ ligione avida di arricchirsi sulle spalle degli indigenti. Qui Gesù dunque denuncerebbe il tempio (di cui annuncerà la distruzione, 21,6). Ho indi­ cato sopra come il genere letterario dell'episodio non supporti l'ipotesi ingegnosa di A. G. Wright. Aggiungo che il contrasto, sia secondo la tra­ dizione sia secondo la redazione, si gioca tra i ricchi e la povera vedova, 1 e non tra la vedova e oscuri sfruttatori. Al di là della constatazione di buon senso (ci sono poveri più generosi dei ricchi), Luca, seguendo Marco e la tradizione (che risale fino a Ge­ sù?), sviluppa una tematica che gli è cara: la condivisione dei beni e il do­ no di se stessi. Qui non prende in considerazione la natura del tempio, per il quale ha le sue simpatie e le sue esitazioni, ma se la prende, come nelle beatitudini, con i ricchi la cui ricchezza non viene intaccata. Esa­ mina quella che è realmente l'esistenza della vedova. Sa benissimo che la morale giudaica e quella cristiana cercano di proteggere le vedove, ma di nuovo non è questa la posta in gioco dell'episodio. La vedova in que­ sto passo non è considerata come oggetto di una sollecitudine necessaria ma come soggetto etico. Senza dubbio - ed è qui che si passa dal punto di vista umano a quello divino - il gesto della vedova è eccessivo (non avrà più niente per vivere), assurdo (il tempio può benissimo fare a me­ no di queste due monete) e addirittura impossibile (com'è possibile da­ re ciò che non si ha ? Come attingere dalla sua « mancanza », Ùa'tÉplJ!J.CX?). Ma ecco, secondo Luca, che l'ha mostrato a proposito delle ricchezze (tutti i beni da abbandonare, 1 2,3 3 e 14,3 3 ), l'esistenza cristiana non è ragionevole e neppure realizzabile. Poco importa: donando tutti i suoi averi, tutta la sua vita (�tO> (6,47); è come se ottenesse la vita eterna. Luca non associa la salvezza alla sola redenzione attraverso la croce e la risurre­ zione, ma la collega anche al ministero di Gesù e all'atteggiamento che assumono, davanti a lui, i suoi interlocutori. Come il Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per arricchire gli uomini poveri (2 Cor. 8,9), così la vedova ha tratto vantaggio dalla sua indigenza e dalla sua povertà ha generato abbondanza. Se il verbo �ci).J.w, «gettare >>, «deporre» , è fre­ quente, il lessico della mancanza 1 e quello dell'abbondanza sono ugual­ mente presenti e vivi nel cristianesimo delle origini. La vedova ha versato «di piÙ >> , ha attinto dalla sua > . Mentre Mar­ co menziona infine l'adunanza degli eletti dai quattro angoli dell'oriz­ zonte (Mc. 1 3 ,27), il materiale proprio termina con un'esortazione rivol­ ta ai fedeli: quando comincerà lo svolgimento degli eventi, sarà tempo di raddrizzarsi, perché la redenzione sarà vicina (v. 28). Collocando qui una nuova introduzione narrativa ( ), Luca indica che cambia fonte (v. 29 ) : ritorna infatti al testo • • .

r :z.

Cf. T.W. Manson, Sayings, 3 28 s. La visibilità sarà totale; tutti, uomini e donne, credenti e non credenti, vi assisteranno.

1 77

di Marco, di cui segue l'enunciato della parabola in modo scrupoloso. Si permette nondimeno qualche miglioria stilistica (descrizione della ve­ getazione e ripetizione dell'avverbio «già » , v. 30) e, soprattutto, due in­ terventi tematici: l'imminenza imprecisata (Mc. 1 3 ,29 ) diventa l'immi­ nenza della f3cxatÀe:icx "ou .Seou, del «regno di Dio» (v. p ); l'ignoranza del giorno e dell'ora, condivisa anche dal «figlio» (Mc. 1 3 ,3 2), deve essere scartata e sarà menzionata più tardi nell'altro testo (Atti 1,7) e non ri­ guarderà che gli uomini. La parabola è circolata in modo isolato, poi ha fornito il materiale per un'esortazione nella prima lettera di Clemente.• Da un punto di vista della storia delle forme occorre distinguere la pa­ rabola (v. 30), seguita dalla lezione che se ne trae (v. p ), dai detti che le sono agganciati (vv. 3 2-3 3 ). La parabola e la lezione hanno avuto una loro esistenza orale indipendente. Come fa già il profeta Amos (Am. 8, 1-2), il parlante gioca sull'omofonia tra «estate » (qaji§) e « fine» (qe§).1 Nulla impedisce di pensare che il primo locutore sia stato il Gesù stori­ co. I primi cristiani hanno apprezzato questa parabola per il suo messag­ gio escatologico e, per renderla esplicita, le hanno aggiunto anzitutto il detto su «questa generazione» che «non passerà » , poi - senza che ci si debba vedere altro che una conferma o un'autenticazione - quello relati­ vo alla perennità delle parole di Gesù.3 Hanno concluso l'interpretazio­ ne con una precisazione o correzione che Luca tralascia: di fatto nessuno conosce la data della fine (Mc. 1 3 ,3 2). Luca, in seguito, abbandona nuovamente Marco: non ricopia la pa­ rabola del portinaio, senza dubbio perché la trova troppo simile all'ini­ zio della parabola delle mine ( 1 9, 1 2- 1 3 ) e alle parabole dei servitori ( 1 2, 3 5 -40.4 1-46), ma non disdegna (v. 3 6) l'imperativo iniziale di Marco à:ypu1tve'tn ( «vegliate>> , Mc. 1 3 ,3 3 ). Offre invece un breve insegnamento etico che inizia con 7tpoaÉx,en òè: Écxu"o'Lç, « badate a voi stessi» (v. 34). Tale esortazione (vv. 34-36) non ha equivalenti negli altri sinottici; per lessico, tono e orientamento richiama la catechesi paleocristiana 4 e i pas­ si in cui Luca esprime la sua preoccupazione morale (cf. ad es. 8,I I-1 5 oppure 3 , 1 0-14). L'analisi particolareggiata dirà se questi tre versetti debbano essere attribuiti all'evangelista o al materiale suo proprio. La questione non si pone per i vv. 3 7-3 8: si tratta di una conclusione narrativa sotto forma di sommario generalizzante all'imperfetto. L'evan­ gelista è sicuramente l'autore di queste poche righe. Clem. 23,3-4; cf. anche 2 Clem. 1 1 ,2-3 . 2. Cf. M. Fernandez, Aestas, 3 64-367. In Ev. Thom. 1 1 si ritrova un riscontro al v. 3 3 : «Gesù ha detto: 'Questo cielo passe­

1 I

3

rà, e passerà colui che è sopra di esso, e coloro che sono morti non sono vivi e coloro che sono vivi non moriranno' » . 4 Cf. sotto, pp. 1 98-2oi, i paralleli che si leggono nelle lettere.

CONVERSAZI ONE SULLA STORIA FUTURA

Dopo parecchie esitazioni sono infine giunto alla seguente conclusio­ ne: secondo la sua abitudine, Luca alterna le sue fonti, che qui sono Mar­ co e il materiale suo proprio: vv. 5-9 (Mc. ); vv. I0-28 (S Lc ); vv. 29-3 3 (Mc.); vv. 34-3 6 (S Lc oppure Luca stesso).' A titolo di confronto, Mat­ teo trascrive fedelmente il testo di Marco, vi inserisce diversi detti e pa­ rabole di Q (Mt. 24,37-50 e 25,I4-30) e aggiunge due testi apocalittici inediti: la parabola delle vergini (Mt. 2 5 , 1 - 1 3 ) e quella del giudizio fina­ le (Mt. 25,3 1-46). Non è mia intenzione scrivere la preistoria delle due fonti che Luca utilizza qui. Sono state avanzate diverse ipotesi al riguardo: 1 appropriazione cri­ stiana di un'apocalisse giudaica; 3 ricorso da parte di Marco a diverse fonti (un'apocalisse, alcuni detti missionari e una profezia relativa al tempio); 4 raggruppamento redazionale di detti sparsi.5 Risulta più utile rintracciare i paralleli tra questo discorso apocalittico e alcuni passi delle lettere. Vi si scopre una medesima preoccupazione da parte dei primi cristiani: quella di pensare, a scopo esistentivo e comunitario, i legami tra Gesù e la fine dei tempi. Una comune impazienza escatologica convive, in questi due tipi di testi, con un identico rifiuto di ogni speculazione apocalittica. I Tess. 5 , 1 3 , Atti 1,6-8, Apoc. 3,3 e i sinottici (Mc. 1 3 , 1 8-3 2 par. ) sono i testimoni di1 Si vedano, a titolo di confronto, le posizioni adottate da T.W. Manson, Sayings, 3 233 3 7; V. Taylor, Siege e Fitzmyer n, 1 3 26- 1 3 30. Contro l'opinione comune del suo tem­ po, L. Gaston, Sondergut pensa che Luca si serva di un Proto-Luca che concatenava l'es­ senziale di 19,4 1 -44·47-48; 21,5-7.20. 2 1 b - 22.23b - 24. 1 0- 1 1 . 2 5-26.28.37-38 (la sua ricostruzione della fonte si legge alle pp. 1 7 1 s.). L. Hartman, Prophecy, 226-23 5 pensa anch'egli che Luca, insieme a Marco, si sia servito di una seconda fonte, di carattere apocalittico e midrashico. 2. Cf. Nolland m, 984-986. 3 La vecchia ipotesi di T. Colani, ]ésus-Christ et /es croyances messianiques de son temps, Strasbourg 1 8 64. 4 Si tratta dell'ipotesi di F. Fliickiger, Redaktion. Si vedano anche le complesse pagine di P. Winter, Treatment: se si distacca Mc. 1 3 da Le. 21, non restano che pezzi sparsi. Un brano apocalittico isolato del tempo di Caligola ( 3 9-40 d.C.) è giunto fino a Luca attra­ verso diversi intermediari tra cui Marco, Q e il materiale proprio. Luca lo utilizza, gra­ zie a Q, nel cap. 17 e, con Marco, nel cap. 2 1 . Vi è inoltre un rapporto tra Le. 2 1 , 2 1 b e l'oracolo conservato da Eus. Hist. Ecci. 3,5 ,2-3 (esortazione a fuggire da Gerusalemme durante l'assedio). Secondo C. Koester, Pella non è impossibile, ma nemmeno certo che Luca abbia conosciuto la tradizione relativa a Pella; cf. anche J. Wehnert, Auswanderung che mette in discussione la tesi di J. Verheyden, De vlucht van den Christenen naar Pella, Bruxelles 1988, per giungere a una conclusione opposta rispetto a quella dell'autore che esamina: secondo Wehnert la tradizione relativa a Pella poggia su un sostrato storico. 5 Questa l'ipotesi di R. Bultmann, Syn. Trad., 1 29. 1 3 2. 3 50 e di W.G. Kiimmel, Verheis­ sung, 88-97. Secondo quest'ultimo, Mc. 1 3 contiene tre tipi di detti: alcuni, escatologici, risalgono al Gesù storico; altri, apocalittici, al giudaismo o giudeocristianesimo; altri in­ fine riflettono l'esperienza della chiesa delle origini. Il messaggio escatologico del Gesù storico, secondo quest'autore, non dipende dall'apocalittica.

1 79 versi e indipendenti di quest'insegnamento paleocristiano che spera nel gior­ no del Signore, ne sottolinea l'imminenza e ne afferma l'imprevedibilità. Pro­ prio a una tale catechesi si devono il richiamo e il ricordo di un'apocalittica cristiana che si fonda su alcuni detti del Signore e li adatta alla realtà della comunità (ad esempio l'esperienza della caduta di Gerusalemme, Le. 2 1 , 2024), mettendo però in risalto la concordanza dei fatti o delle profezie con le Scritture (cf. il riferimento a Daniele in Mc. 1 3 ,1 4.26 par., la citazione di ls. 1 3 , 1 0 aggiunta da Mt. 24,29 e la menzione di nella fonte di Le. 2 1 ,2.2).1 s -6.

Il termine !e:pov indica , «compiere>> (v. 22, a proposito delle Scritture) e 7tÀlJpw, «riempire», «compiere>> (v. 24, riferito ai tempi delle nazioni) inserisce la sorte di Gerusalemme nel­ lo schema profezia-compimento. 1 Passiamo ora a l destino della città e a quello dei suoi abitanti. La Scrit­ tura conosce e descrive, è vero, l'assedio e la caduta di diverse città, tra cui quella di Gerusalemme che soccombe sotto i colpi di Nabucodono­ sor (2 [4] Re 25 e 2 Cron. 3 6). Pare dunque possibile che il locutore dei vv. 20-24 si sia ispirato a queste descrizioni per annunciare l'avvenire. Ciò non toglie che il passo suoni troppo verosimile perché sia soltanto una profezia; sembra piuttosto un annuncio rivisto alla luce degli even­ ti storici recenti. Quello che Luca scrive sulla caduta di Gerusalemme, sull'assedio, sulle armate che circondano la città, sui tentativi di fuga, sui movimenti disordinati provocati dal panico, sulla sorte delle donne incinte e delle giovani madri, sui massacri e gli spostamenti di popola­ zione, assomiglia troppo alla descrizione di Giuseppe per non riflettere l'esperienza del dramma dell'anno 70. Occorre menzionare due ultimi punti: I. accanto a tutta questa parte descrittiva, non bisogna dimenticare i passi prescrittivi e apodittici. 1 Nel v. 2 1 tre imperativi offrono una possibilità di sfuggire al dramma; tutti e tre invitano a rompere qualsiasi legame con Gerusalemme: fuggendo nelle montagne,3 abbandonando la città 4 oppure rinunciando a entrarPiù recentemente P. Perkins, Destruction cerca di immaginare il corso della storia se Ge­ rusalemme non fosse stata distrutta dai romani nel 70 d.C.: l'antigiudaismo dei vangeli non si sarebbe potuto sviluppare e la chiesa cristiana, pur integrando al suo interno i pa­ gani, sarebbe rimasta una setta giudaica. x Sui verbi 7tt(J-7tÀ1J(J-t e 7tÀ1Jpw cf. a 1 , 1 s; 1,2o; 1 , 5 7; 2,6; 4,21 (vol. 1, pp. 69 n. 2. 73 n. 4· 1 2 1 . 144. 2 5 1 s.). :t L'imperativo aoristo yvwn (v. 20) conosce varianti: ytv : probabilmente raggruppate, le nazioni sono in ogni caso angosciate davanti al comportamento dell'oceano. Israele, poI Sui vv. 25-28 cf. E. Galbiati, Avvento; R.C. Tannehill, Resources; E. Achtemeier, Luke z r:25-3 6; J.E. Kay, Redemption; C.W. Stenschke, Genti/es, 59· 2 Per H. Flender, Heil, 103-105 Luca vuole collegare la caduta di Gerusalemme (escato­ logia del passato) alla fine dei tempi (escatologia del futuro). Contra H. Conzelmann, Mitte, 1 2 1 , secondo il quale non vi sono cesure tra i vv . 24 e 2 5 .

polo di contadini e non di marinai, ha sempre temuto i flutti del mare. I Qui la paura si muta in panico di fronte al «fragore» ( -cò �x.oc;) .. e l' «agi­ tarsi >> (aa:Àoc;) 3 del «mare >> ('19a:Àaaaa). Anche qui la Scrittura, nelle sue profezie, ha già fissato la formulazione di queste paure apocalittiche. Basti pensare a Sal. 64( 6 5 ),8: « Egli placa il frastuono dei mari, il fra­ stuono delle loro onde, e il fragore dei popoli >> ; 4 come pure a Is. 24, 1 9 : . Segue un genitivo assoluto che aggiunge una nuova fonte di angoscia: il ti­ more nei confronti dell'avvenire. Tale profluvio di espressioni conferma la pioggia di avvenimenti imprevisti e di sentimenti di turbamento angoscioso che questi provocano. Gli uomini sono > ) «dalla paura >> (tpo�oc;) 6 e «dall'attesa » (1tpoaòo­ xla).7 Temono ciò che deve , lett. , 8 sulla «su­ perficie della terra abitata» (olxml(J.ÉvYJ).9 Queste paure sono pienamente giustificate: infatti ci si deve aspettare una scossa cosmica. Il verbo aaÀe:uw al passivo (si è già incontrato il sostantivo o atiÀoc;, « l'agitarsi» , •< la scos­ sa » , nel v. 2 5 ) significa normalmente > e la presenza dei «santi angeli» ). Conferma la sua fede nel­ la parusia (anche se non utilizza il termine) nel primo suo discorso apoca­ littico, quando accenna a «uno dei giorni» oppure ai «giorni del figlio dell'uomo >> ( 1 7,22 e 26). La seconda venuta si distinguerà dalla prima per la potenza e la glo­ ria. Come i suoi correligionari, Luca stabilisce un contrasto tra la venu­ ta di Gesù, dalla mangiatoia alla croce, contrassegnata dalla debolezza e dalla sofferenza, e quella del figlio dell'uomo, dopo la risurrezione, con­ traddistinta appunto dalla potenza e dalla gloria. Per lui, sin dal giorno di pasqua, Gesù, risorto ed entrato nella gloria ( 24,26), è seduto alla de­ stra del padre e vi resta per sempre ( 22,69 ); più tardi verrà 3 (21,27):� Luca in questo passo condivide con Marco e Matteo la presenza della nu­ be e la menzione della potenza e della gloria (cf. Mc. 1 3 ,26 e Mt. 24,30).5 Questo paragrafo si conclude con un'esortazione redatta in uno stile Cf. Mt. 2.4,3 -2.7-37·39; I Cor. 1 5,2.3; I Tess. :z., I 9; 3 , 1 3 ; 4,1 5 ; 5,2.3; 2. Tess. :z., I .8; Giac. 5,7-8; z Pt. 1 , 1 6( ?); 3 ,4. 12.; 1 Gv. :z.,:z.8. Si incontrano anche l'espressione auvtÉÀttcx ['t"ou] llÌwvoç, «compimento dei tempi » (Mt. 1 3 ,3 9.49 e 2.4, 3 ) e il termine 'ltcxÀt"'("'(t"'talcx, « rigene­ razione» (Mt. 1 9,2.8). Cf. Did. 1 6,3-8; Barn. 4,9; lust. Dial. 3 5 .3 e 82.,1 -:z.. � Sul titolo • figlio dell'uomo » in Luca cf. a 5,2.1-2.4 (vol. 1 , p. 2.92. s. e n. 3 ). 3 Sul carattere messianico ed escatologico che può assumere il verbo «venire» cf. 7,19-2.0 e a 7,1 8-2.3 (vol. 1, p. 439). 4 Ani 7 pone un problema particolare poiché il figlio dell'uomo si alza per accogliere, l

alla sua morte, il primo martire, Stefano. Luca qui armonizza probabilmente la conce­ zione collettiva della parusia con la sua speranza di una escatologia individuale al mo­ mento della morte; cf. F. Bovon, Luc le théologien3, 1 9 2.. 5 Seguendo Dan. 7, 1 3 , Marco e Matteo utilizzano il plurale «nubi » . Luca preferisce il singolare forse per fedeltà alla sua fonte o per logica narrativa: nel racconto dell'ascen­ sione Gesù è sollevato su una nube (Ani 1 ,9) e l'angelo promette ai discepoli che il loro maestro ritornerà •nello stesso modo» (Ani 1 , 1 1 ). Anche Apoc. 14,14- 1 5 presenta il sin­ golare, mentre Apoc. 1 ,7 ha il plurale, come pure I Tess. 4,17, anche se in questo caso si tratta del rapimento dei credenti al momento della parusia.

1 94

CONVERSAZIONE SU LLA STORIA FUTURA

elegante e con un lessico scelto (v. 28). Il Gesù lucano interpella qui i suoi discepoli e impartisce loro un ordine che è anche una promessa. Ol­ tre all'arrivo del figlio dell'uomo (v. 27), i termini «quando queste cose cominceranno ad accadere» si riferiscono ai segni cosmici (v. 25 ). Ed è per evitare ogni confusione che Luca - o la sua fonte - utilizza il verbo ap­ 'X.O!J.IXt, «cominciare » . ' I segni sono all'inizio, il figlio dell'uomo alla fine. Il «voi» della comunità cristiana è nettamente distinto dal (( loro », cioè dal resto degli « uomini» (av-8pro1tot). Questi ultimi saranno atterriti al manifestarsi dei segni (v. 26). I discepoli da parte loro mostreranno la loro relazione particolare con il Dio della storia e con il suo mediatore messianico ritrovando coraggio (v. 28); si raddrizzeranno e rialzeranno la testa, quando gli altri perderanno le loro forze. Luca ha utilizzato il verbo !Ìvcxxu1t-rro in senso letterale in 1 3 , I I : la donna curva, che non può «raddrizzarsi », è guarita grazie all'intervento di GesÙ.1 Senza dubbio da intendere sul piano fisico, la guarigione di questa discendente di Abra­ mo costituisce tuttavia una liberazione esemplare per ogni redenzione: xcxi 7tcxpcx'X.Pi'J!J.cx à:vrop-8w-8lJ xcxi iò6�cxaEv 't'Òv -8Eov, «ella si raddrizzò in un attimo e si mise a glorificare Dio» ( 1 3 , 1 3 ).3 Il verbo !ivcxxu1t-rro si con­ trappone a auyxu1t-rro ( «curvarsi insieme» , ((chinarsi» ) di 1 3 , u o a xcx­ -rcxxu7t-rro ( ((piegarsi», ((chinarsi », (( piegarè la testa » ) di Gv. 8,6-I 1, il rac­ conto della donna adultera. Un indizio del fatto che non si debba esitare ad attribuire talvolta un senso figurato a questi verbi si ha leggendo i passi in cui compare il verbo 1tcxpcxxu1t-rro, «piegarsi di lato», ((guardare da più vicino» (cf. L Pt. 1 , 1 2). I fedeli non solo vedranno (cosa che faran­ no pure gli altri uomini), ma si prepareranno a partecipare alla felicità del regno, (( raddrizzando » (v. 28) anzitutto i loro corpi, di cui i vv. u19 hanno descritto l'umiliazione, l'oppressione e la persecuzione; quindi (( alzando» o ((rialzando la testa »,4 osando guardare, non avendo paura, a viso aperto, senza voltarsi dall'altra parte.5 1 Non è necessario ricorrere a questo verbo nelle frasi parallele dei vv. 31 e 3 2. Aggiun­ giamo che diversi testimoni manoscritti, tra i quali due di rilievo, il codex Bezae (D = 05) e il minuscolo 1 3 , riportano !px.op.Évwv ( «quando ciò arriverà », lett. «arrivando»), senza dubbio sotto l'influenza di lpx.op.tvov, •arrivando» (tradotto «arrivare» ), del rigo prece­ dente. Questo participio seguito dall'infinito yivea.Sctt ( «prodursi », «accadere » ) non offre un senso soddisfacente; cf. NA'7, ad loc. apparato. 2. Probabilmente è per errore che alcuni mss., il codice Freer di Washington (W = 032), quello della Grande Lavra del Monte Athos (V = 044) e la famiglia di minuscoli f' ri­ portano IÌvaxctÀu�n, «togliete il velo», invece di IÌvctx�n, «raddrizzatevi » . Gli scribi responsabili di questa variante hanno forse immaginato che fino a quel momento gli uo­ mini avessero avuto il volto velato (in segno di lutto?). 3 Cf. a 1 3 , I I· I7 (vol. n, pp. 430-438). 4 Nel Nuovo Testamento i l verbo E1tatipw, «alzare», «inalberare», «elevare « » , « rialzare•,

LC. 2 1 , 5 - 3 8

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La speranza può rinascere perché quello che si sta avvicinando non ha più nulla di spaventoso: Òto'tt eyyt'çEt iJ &.7toÀu'tpwatç Up.wv, «perché la vostra li­ berazione si avvicina» ; si noti il verbo • , l' «aurora » ). 6 Questo è l'essenziale 7 che a Luca pre1

Delebecque, Evangile, 1 3 3 mette in evidenza la qualità letteraria di questi due versetti. Per E. Delebecque, Evangile, 1 3 3 (non saprei se a ragione): «Il plurale contiene un'emo­ zione, sottolineata dal plurale di 'notti': sono gli ultimi giorni di Gesù, giorni contati» . 3 Cf. 1 9,45·47-48; 2.0, 1 ; 2.1,5-6. Sul tempio in Luca cf. a 2.,2.7 (vol. 1 , p . 1 69); a 18,10 (vol. n, pp. 792. s.); F. Bovon, Luc le théologienJ, 341 n. 2.3. 5 7 1 . 4 Mt. 2. 1 , 1 7 menziona per l a notte Betania e non i l Monte degli Ulivi; Matteo utilizza in questo contesto lo stesso verbo a:uÀtl;O!J41, letteralmente •bivaccare». 5 Secondo E. Delebecque, Evangile, 1 3 3 il verbo a:ÙÀtl;Ofi-Cll è « molto classico»; inoltre «ha due impieghi, uno rurale e uno militare: dall'Odissea a Erodoto, infatti, si dice sia di greggi e di uccelli che passano la notte fuori, sia di soldati che bivaccano» . A mio avviso può riferirsi anche a persone che, semplicemente, passano la notte fuori casa (cl. Tob. 4,14; 6,1 1 ; 9,5; Giud. 1 9,4 [secondo B 03, il Vaticanus] ). 6 Cf. su questo verbo la nota suggestiva di E. Delebecque, Evangile, 1 3 3 : «Questo è l'uni­ co esempio del verbo op-Bpil;w nel Nuovo Testamento, ma se ne ritrovano parecchi nei LXX (spec. in Cant. 7, 1 1 e u, dove i verbi op-8pil;w e a:ùÀil;ofloctl si susseguono) . . . » . 1

=

203 me presentare in riassunto: Gesù insegna nel tempio e passa la notte sul Monte degli Ulivi; il popolo, così desideroso di «ascoltarlo», 8 sale al tem­ pio fin dall'alba.9

Storia degli effetti. Tertulliano, opponendosi, come al solito, all'inter­ pretazione che Marcione dà di Le. 21,5-J S, rifiuta la distinzione di due divinità e mostra la convergenza tra l'insegnamento di Gesù e le profezie dell'Antico Testamento. r o La prima schermaglia, difficile da compren­ dere, riguarda l'espressione «nel mio nome» (v. 8): il Gesù di Tertullia­ no ha il diritto di esprimersi in tal modo perché è il Dio creatore che l'ha chiamato così e che ha dato al Cristo il nome di Gesù. r r Invece il Cristo di Marcione, essendo estraneo al Dio creatore, cade sotto i colpi della critica: non vi è impudenza in lui che ha usurpato il suo nome, quando mette in guardia contro coloro che verranno «nel suo nome » ? La se­ conda discussione si riferisce ai vv. 9-19. Tertulliano non esita a citare i profeti dell'Antico Testamento che hanno anticipato gli oracoli di Gesù relativi ai segni che verranno e alle persecuzioni future. 1 2 Anche se os­ serva che le sofferenze precederanno i segni, arricchisce la sua riflessio­ ne sulle persecuzioni con l'esperienza dei martiri del suo tempo. Tertul­ liano, attraverso la Scrittura (Balaam, Num. 22-24, e Mosè, Es. 4,1o12) 13 e la storia coeva, sa che Dio ispira sapienza ai suoi testimoni quan­ do devono esprimersi: « Cosa c'è di più saggio e di più arduo da contrad­ dire di una confessione semplice e diretta da parte di un martire chiamato 'forte con Dio', che è la traduzione di 'lsraele' ? » . 14 Dopo avere evocato 7 La famiglia di mss. minuscoli {' 3 aggiunge qui, tra 2. 1 , 3 8 e 2.2., 1, la pericope della don­ na adultera che la maggior parte dei testimoni inserisce in Gv. 7,53-8, 1 1 . 8 L'ascolto è l'atteggiamento di coloro che vogliono conoscere i l messaggio evangelico e aderirvi: cf. specialmente 8, 1 5 e Atti 2.8,2.8; J. Dupont, Nouvelles études, 473-477. 9 L'anonimo irlandese dell'viii secolo, Comm. in Le. 2.1,38 (CCSL 1o8c, 96) interpreta il mattino in senso spirituale: è il momento dell'ascolto della verità, dopo che l'ignoran­ za della notte si è dissipata. r o Tertullian. Mare. 4,39. Apparentemente il vangelo di Marcione non includeva né Le. 2.0, 45-47, né Le. 2. 1 , 1 -4, né Le. 2.1,2.1 -2.4. Seguendo il suo metodo Tertulliano non si ferma dunque a questi versetti. .Ora possiamo disporre, per il quarto libro deii Adversus Mar­ cionem, dell'edizione di C. Moreschini e della traduzione francese, con note, di R. Braun (SC 456). I I Su questo cambiamento di nome cf. Tertullian. Mare. 3,1 5-16. r2 ln questo cap. 39 Tertulliano cita Zacc. 9, 1 5- 1 6; Is. 44,5; 50,4; Sal. 9,19; I I 5( I I 6), 6 ( 1 5 ); Zaec. 6,14; Gl. 3.3-4; Ab. 3,9-12. ; Dan. 7, 1 3 -14; Sal. 2.,8; Ab. 3 , 1 3 . 1 3 Questi due esempi, i n ordine inverso, s i ritrovano i n riferimento allo stesso testo d i Le. 2 1, 1 4- 1 5 in Cypr. Fort. 10. Nella traduzione di Braun si deve probabilmente leggere Ba­ laam, non Balaac. 1 4 Mare. 4,3 9,7 (traduzione secondo R. Braun). La convinzione che Dio metta parole di sapienza sulle labbra dei suoi martiri diventa tradizionale, la si ritrova in Beda Exp. Aet. Apost. 6,10 (CCSL 1 2. 1, 3 3 ). '

204

CONVERSAZIONE SULLA STORIA FUTURA

le catastrofi cosmiche (vv. 20-26) e la venuta del figlio dell'uomo (vv. 27-3 1 ),' Tertulliano si schiera vigorosamente contro Marcione in una terza schermaglia: sarebbe disastroso mettere in relazione le catastrofi con il Dio antico e le promesse con il Dio salvatore. Profeti e apostoli sono concordi nel dire che il Dio unico è all'origine di questi due tipi di oracoli. Scrive: «E apparirà chiaro che il tuo Cristo non fa promesse su­ periori a quelle del mio figlio dell'uomo» .:l. Le sventure riguarderanno le nazioni, la felicità, gli eletti; questi disastri precederanno la parusia, questo periodo gioioso la seguirà. Tertulliano trova una conferma delle sue vedute nella parabola del fico (vv. 29-3 2) e fa riferimento infine agli avvertimenti (vv. 3 2-3 5 ) e al sommario finale di Luca (vv. 3 7-3 8 ) . Ambrogio saprebbe certo conferire u n senso letterale alla caduta del tempio, alle persecuzioni o ai segni cosmici, ma preferisce di gran lunga cercare il senso allegorico dei versetti che spiega.3 In tal modo sostitui­ sce spesso una prospettiva individuale a un quadro universale, una pre­ occupazione spirituale presente a una cosmica ed escatologica. Parla del tempio distrutto dal nemico, ma il santuario può designare la sinagoga che «cade in rovina quando sorge la chiesa »,4 oppure riferirsi al tem­ pio che è in ciascun essere umano. Agli occhi del vescovo il programma apocalittico è meno interessante dell'irruzione del Cristo nell'anima: « È dunque a me che il Cristo deve venire, è per me che deve avvenire la sua venuta ».5 Ambrogio mette in evidenza che le domande rivolte a Gesù variano da un vangelo all'altro. «Luca ha ritenuto che avremmo saputo a sufficienza sulla fine del mondo, se fossimo stati informati della venu­ ta del Signore».6 Ciò non toglie che Ambrogio si senta nella posizione ideale per richiamare l'atmosfera da fine del mondo che regna attorno a lui (menziona gli unni, gli alani, i taifali, i sarmati e i goti). Preferisce parlare della guerra da condurre contro le brame e le passio­ ni; per poi dire: « Che il vangelo sia annunciato affinché il secolo sia di­ strutto! » ; 7 descrivere i diversi tipi di anticristo; 8 dar conto del «disac­ cordo dei testi » 9 relativi alle donne incinte; Io speculare sull'inverno e I Opponunamente Tenulliano (Mare. 4,39,I I ) associa la venuta del figlio dell'uomo al viaggio del principe, panito per richiedere il suo titolo regale, nella parabola delle mine ( 1 9,12). 1. Op. cit. 4,39,1 2. 3 Ambr. In Le. 10,6-4 5 · 4 Op. eit. xo,6 (traduzione secondo G. Tissot). 5 Op. cit. 10,7 (traduzione secondo G. Tissot). 6 Op. cit. 10,9 (traduzione secondo G. Tissot). 7 Op. cit. 10,14 (traduzione secondo G. Tissot). 8 Op. eit. 10, 1 5 - 2 1 . 9 Op. cit. 10,23 (traduzione secondo G. Tissot). I o Una benedizione o, come qui v. 23, una maledizione; la soluzione sta nella distinzio­ ne tra donne incinte buone e malvagie, queste ultime sono intorpidite - allusione al v. 34? - «fiacche in vinù e gravide di vizi• ; op. eit. 1 0,23 (traduzione secondo G. Tissot).

LC. 2 I , 5 - 3 8

20 5

sul sabato; • interpretare i segni cosmici del v. 25 in un senso spirituale (abbandono della religione) ... In breve, la venuta del figlio dell'uomo si compirà in tutto l'universo, come già si attua in colui che accoglie il Cri­ sto nel suo cuore) Cirillo di Alessandria dedica un sermone al discorso apocalittico 4 di Gesù. Ammira il sapere divino di colui che annuncia la trasformazione di una creazione di cui pure è stato l'architetto. Segnala che Gesù disprez­ za il tempio e il rispetto che esso suscita, mettendo a confronto - immagi­ na Cirillo - l'edificio umano con le dimore celesti (pensa probabilmente a Gv. 14,2). Il vescovo di Alessandria constata la tensione che sussiste tra il punto di partenza terrestre (la bellezza del tempio) e il punto d'ar­ rivo (la fine del mondo). Ritiene che fossero stati gli ascoltatori a dare una determinata piega alla conversazione equivocando sulla risposta di Gesù: immaginarono che l'annuncio della caduta del tempio si riferisse alla fine dell'universo. Secondo Cirillo, Gesù, se si ricorre alle categorie moderne, accettò allora di passare dal piano storico a quello escatolo­ gico (Cirillo rifiuta però di inserire la rovina di Gerusalemme nel calen­ dario apocalittico). Gesù, secondo il vescovo di Alessandria, esorta quindi a diffidare dei falsi messia: potranno solo imitare la prima venuta del Cristo,5 che fu contraddistinta dall'umiltà dell'incarnazione. 6 Ma ciò che i fedeli devo­ no attendere d'ora in poi è la seconda venuta del messia, che sarà segna1 Ambrogio si riferisce tutto a un tratto a Mt. 2.4,2.0 / Mc. 1 3 , 1 8 o legge questa frase nel suo vangelo di Luca ? Op. cit. 10,3 3 . 2. Op. cit. 10,3 6-3 7. Nel S 3 7 scrive: «Perché i l sole celeste si affievolisce o cresce per me, a seconda della mia fede» (traduzione secondo G. Tissot). Nello stesso paragrafo pensa che la chiesa stia al Cristo come la luna al sole (e vi sono eclissi dovute ai vizi della carne!). 3 Op. cit. 10,39. Ambrogio riflette quindi (op. cit., 10,39-4 5 ) sulle •potenze del cielo» (v. 2.6), sulle «nubi» (v. 2.7) e sul •fico» (v. 2.9) . 4 Cyr. Serm . i n Le. 1 39. ll testo citato s i limita ai vv 5 - 1 3 d i Le. 2. 1 . I frammenti greci conservati (J. Reuss, Lukas-Kommentare, 2.04-2.06 [frr. 3 17-324)) corrispondono ai due terzi del sermone. I vv 37-3 8 compaiono, con i vv 1-6 di Le. 2.2., all'inizio del sermone 140. Il vescovo conserva il triplice insegnamento successivo ai vv. 5 ss. di Le. 2. 1 : a) Ge­ sù proclamava allora la realtà al di là dell'ombra della legge; b) al popolo piaceva ascol­ tare, perché la sua parola era potente; c) abitava sul Monte degli Ulivi, lontano dai ru­ mori della città, scelta esemplare per coloro che vogliono vivere tranquillamente (pensa ai monaci?). 5 Secondo il fr . 3 1 8 (J. Reuss, Lukas-Kommentare, 2.04) questi falsi messia verranno -r;Ò aÙ't"où 1tp0aw1tov Écxu-toit; 7ttpmÀii-r;-r;ovnt;, •applicando a se stessi il suo volto»; porteranno la maschera (1tp nel senso di «esultate nei vostri cuori>> o «nei vostri spiriti», perché, di­ ce, la «testa » nella sacra Scrittura designa spesso lo « spirito» (mens).-4 Il v. 19 è un versetto che attira l'attenzione nei secoli della tarda anti­ chità e del medioevo: « Perché è nella vostra perseveranza che guadagne­ rete le vostre anime>> (in patientia vestra possidebitis animas vestras). Il termine u7tO!J-OV�, , «determinazione», «pazienza » , è stato dunque reso con patientia in latino. Molti conside­ rano questa qualità cristiana come la più preziosa e decisiva; probabil­ mente era la più indispensabile in quei tempi di incertezza e di scon­ volgimenti. Agostino ritiene che in questo v. 19 Gesù formuli una pro­ messa collegando la pazienza alla speranza. s Gregorio Magno dice che possedere questa pazienza significa vivere nella perfezione e dominare Great, Forty Gospel Homilies (Cistercian Studies Series 1 2.3 ), tr. di D. Hurst, Kalamazoo, Mich. 1990, 1 5-2.0. JOI-J I I. Nel sermone 3 5 , rivolto al popolo e non a monaci, per l'an­ niversario di un santo anonimo, Gregorio si attiene strettamente al testo biblico. Occor­ re notare che: a) Gregorio segnala al suo uditorio una variante testuale (nel v. I I «tempe­ ste» invece di •segni » ); b) i segni, vale a dire i disastri, giungono come castigo a seguito dei peccati commessi. 1 Il sermone 3 in antico tedesco, ed. A.E. Schonbach, Altdeutsehe Predigten, 9, che inol­ tre menziona Gregorio Magno un po' più sotto, riprende questo confronto. 2. Menziona l'uragano che, l'antivigilia, ha divelto alberi da frutto, distrutto case, abbat­ tuto chiese e ucciso uomini. Anche se ritiene di dover ancora attendere i segni celesti, ri­ leva già, al suo tempo, un deterioramento dell'aria, quindi ricorda che le invasioni bar­ bariche sono state precedute da lampi di fuoco nel cielo, segni del sangue umano che sa­ rebbe stato versato. 3 Il sermone 77 in antico tedesco, ed. A.E. Schonbach, Altdeutsehe Predigten, 1 8 3 s., in­ tende i segni come messaggi premonitori delle pene eterne inflitte al peccatore. 4 Lo stesso sermone interpreta il v. 2.8 in modo simile (p. 1 84): il credente deve dirigere il suo spirito verso il cielo affinché alla fine dei giorni il Cristo venga in suo aiuto. 5 Aug. En. in Ps. n 8, Sermo I 5,2. (CCSL 40, I 7 I I ). Agostino interpreta altrove questo versetto nei contesti della salvezza, della risurrezione o della pazienza. In Io. Ev. Traet. 52., I I (CCSL 3 6, 450) giustifica attraverso Le. 2.1,19 il passo di Gv. I 2.,J 2.: Cristo attira a sé l'essere umano nella sua interezza (il latino ha omnia e non omnes, «tutto» e non «tutti »). Le. 2. 1 , I 8 ( « E nessun capello della vostra testa sarà perduto» ) conferma, a suo avviso, questa interpretazione. Cf. anche Civ. D. 2.2., 1 2.-I4 (CCSL 48, 8J 1-83 J ). Que­ st'ultimo passo fa pensare che Le. 2. I , I 8 sia stato utilizzato allora da una parte e dall'al­ tra nelle controversie sulla risurrezione della carne. Cf. infine Pat. 7-8 [6-7] (PL 40, 6 I 3 614): attraverso l a pazienza acquisirete l e vostre anime (Le. 2.1,19), non dimore; e la pro­ messa relativa ai capelli (Le. 2. I , I 8 ) darà coraggio ai martiri.

208

CONVERSAZIONE SULLA STORIA FUTURA

tutti i moti dell'anima. • Cassiodoro afferma che l'essere umano, grazie alla sua pazienza, custode della sua fede, sopporta tutte le oppressioni del mondo e vince sul diavolo. 2. Tra i commentari del medioevo,3 scelgo le lunghe e approfondite pa­ gine di Bonaventura. A suo giudizio, i vv. 5-6 confermano una verità di fede: la vera patria dei credenti è nei cieli. I discepoli sono ancora attac­ cati al mondo sensibile e si sbagliano per tre ragioni: confondono ciò che è piccolo e ciò che è grande, ignorando così Is. 66, r ( « il cielo è il mio trono . . . » ); prendono l'immagine per la realtà, dimenticando così At­ ti 1 7,24-25 (Dio non abita in case umane); ritengono eterno ciò che è ef­ fimero, trascurando dunque I Cor. 7,3 r (l'immagine di questo mondo passa). Gesù annuncia di fatto la distruzione di Gerusalemme ( «a opera di Tito e Vespasiano quarantadue anni dopo la passione del Signore», dilazione offerta da Dio a Israele per pentirsi). 4 Seguendo la sua passione per le classificazioni, Bonaventura enumera quindi tre modi di perdere la retta via (vv. 8- u ) : le eresie, le guerre e le epidemie.5 Per ogni categoria trova numerosi argomenti scritturistici. A proposito dei vv. r 6- r 7 distingue le persecuzioni pubbliche da quelle private (ovvero quelle all'esterno della famiglia e quelle al suo interno, se si segue Gregorio Magno).6 Come molti altri, e citando nuovamente Gregorio, si interessa alla pazienza vittoriosa menzionata nel v. 19. La Gerusalemme circondata (v. 20) - Bonaventura qui allegorizza e inten­ de spiritualiter - è l'insurrectio perversorum contra ecclesiasticam pa­ cem, «la rivolta dei malvagi contro la pace della chiesa » . 7 Questa pre­ sentazione parziale dell'esegesi di Bonaventura dovrebbe bastare. NoI Greg. M. Mor. 5 , I 6,3 J (CCSL 14J, 24 1 ); cf. anche Greg. M. Serm. 3 5 ·4·9 (PL 76, 1 261 s. 1 264 s.). 2. Cassiod. Psalm. 3 2,20 (CCSL 97, 29 1 s.). L'anonimo irlandese dell'vm secolo, Comm. in Le. 2 1 , 1 9 (CCSL xoSc, 9 5 ) così commenta il v. 19: , dei sommi sacerdoti e degli scribi (v. 2) all' t��nt, «cercava >>, di Giuda (v. 6), dal progetto generale alla sua esecuzione particolare. Il motore del racconto non è qui né la provvidenza divina né la volontà umana, ma di­ pende - Luca lo dice esplicitamente - da un intervento di Satana che en­ tra in Giuda (v. 3 ) . Il v. 3 si trova a un incrocio di strade diabolico tra le intenzioni dei capi (vv. I-2) e l'impegno del traditore (vv. 4-6). Spiccano altre simmetrie. L'imminenza della festa impone misure da adottare, la normalità sacra delle quali contrasta con l'irregolarità del complotto; i vv. 7-1 3 sono dedicati a questi preparativi per la pasqua. Risalente all'inizio della festività (v. 7), l'iniziativa di Gesù si esprime attraverso un ordine rivolto ai discepoli; affinché si realizzi richiede, an­ ch'essa, un incontro, una conversazione e un accordo: inviati dal mae­ stro, i due discepoli, Pietro e Giovanni, incontrano il proprietario della A detta di R. Meynet, Guide, 89-92, Le. 22, 1 - 5 3 forma una sequenza in cui l'inizio (vv. 1-7) e la fine (vv. 47- 5 3 ) si corrispondono. Egli la intitola «il testamento di Gesù». Al­ l'inizio è Giuda a tradire, alla fine sono gli apostoli. A mio avviso nei vv. 49- 5 1 i discepoli non tradiscono, ma si comportano in modo inopportuno, e i vv. 5 2-53, che trattano del­ le autorità giudaiche, non possono essere posti sotto il titolo «gli apostoli tradiscono il loro maestro È vero invece che il complotto è fomentato nei vv. 1-6 ed eseguito nei vv. 47-5 3. D. Senior, Passion, 40. 42 osserva che Luca qui cerca di trasportare i lettori nel­ l'atmosfera della passione attraverso tocchi brevi e rapidi. :. Si noti l'imperfetto i:r;�-.ouv, «cercavano», che sottolinea l'intenzione e l'insistenza delle autorità di Gerusalemme. r

...

216

COMPLO'ITO SATANICO

casa e si mettono d'accordo con lui per prenotare la sala per la festa. Se Satana favorisce il complotto, Gesù appronta i preparativi realizzati per la festa (la menzione reiterata di questi, vv. 8-9 e 1 2- 1 3 , corrisponde al­ la duplice ricerca negativa, vv. 2 e 6). Luca riprende e adatta il vangelo di Marco all'inizio del racconto del­ la passione.' I vv. 1-2 hanno come parallelo Mc. 14,1-2 e i vv. 3-6 corri­ spondono a Mc. I4,IO- I I .:z. Luca preferisce, nel v. 1 , l'idea di avvicina­ mento (�)')'L�Ev, «si avvicinava» ) alla precisione marciana «due giorni dopo » . Elevando lo stile del detto, opta per la scelta, forse infelice, di identificare la festa degli azimi con la pasqua. Nel v. 2 semplifica il testo con eleganza, tralasciando l'arresto con l'inganno e il verbo « uccidere» . Come s'è visto, Luca insiste sul «come » 3 e ricorre a u n verbo che ritor­ na spesso negli Atti, àvcxtpw, > 1

Cf. D. Senior, Passion, 47, che rimanda ad Atti 1,25. Su ÀaÀw in Luca cf. a 1,45; 2,1 7-20; 9,10- 1 1 (vol. I, pp. 1 0 5 . I 5 6 e 5 so). 3 Le. 4,36; 9,30; 22,4; Atti 25,1 2. 4 Qualcosa di simile compare in Luca e negli altri evangelisti nell'utilizzo di «sommi sa­ cerdoti» al plurale. Di fatto non c'era che un solo sommo sacerdote- È tuttavia probabi­ le che l'utilizzo del titolo si sia ampliato e che abbia progressivamente incluso i sommi sacerdoti degli anni precedenti e/o il gruppo dei principali sacerdoti di Gerusalemme. s Sul termine a'tpa·nrroc; e i suoi equivalenti in ebraico e in aramaico negli autori giudei cf. Bauer-Danker, s.v.; Plummer, 490 s.; Lagrange, 5 39; Fitzmyer n, 1 3 7 5 6 Cf. Evans, 776; Tannehill, 3 10 sbaglia a d accogliere l a resa d i 1tapaÒtÒW(Jol con « tradire» (New Revised Standard Version), anche se menziona il senso primario di «consegnare». 2.

22!

LC. 22, 1 - 6

Gesù alle generazioni future. Giuda lo consegnò con u n tradimento, Lu­ ca lo consegna secondo una tradizione. Atteniamoci alla storia: al verbo 1tapaÒtÒW(.Lt, «consegnare >>, risponde il verbo ÒtÒW(.Lt, «dare>> . L'accordo, risultato di auÀÀaÀw, della «conver­ sazione» , consiste in uno scambio: Giuda «consegnerà >> Gesù alle auto­ rità; i capi « daranno » del denaro all'Iscariota. 1 Nell'aria non c'è sempli­ cemente soddisfazione, ma gioia (È'X.cZPlJaav, «ne furono rallegrati>> ) .1 Vi è anche da parte di Giuda un impegno, un accordo solenne (È�W(J.OÀOYTJ­ ae:v), che precede il suo atto.3 Se l'esomologesi diventerà, nella chiesa an­ tica, la confessione pubblica dei peccati, originariamente il verbo È�o(.Lo­ Àoyw designa diversi atti di parola: . All'attivo è eccezionale; Luca deve intenderlo nel senso di > (il semplice Ò(J.oÀoyw etimologicamente si­ gnifica «parlare la stessa lingua>>, «essere d'accordo» ). 4 Il contenuto dell'accordo connota negativamente tutto il lessico di questo episodio, mentre ogni termine in quanto tale può essere inteso in senso positivo. Così succede alla fine con e:ùxatpta (xatp� è il o il , l' «occasione>> ; cf. 4, 1 3 ). Il prefisso e:� è naturalmente positivo: si tratta dunque qui di una « buona occasio­ ne>>, di una «opportunità », come si dice oggi. Risulta buona ovviamen­ te solo dal punto di vista degli avversari di Gesù o, su un secondo pia­ no, da quello teologico ultimo (non era forse opportuno che Gesù moris­ se per i suoi?).s Storia degli effetti. Tertulliano è convinto che Gesù, padrone del suo destino, abbia scelto lui stesso la data della sua passione. In tal modo ha inscritto il suo destino nel movimento tipologico della rivelazione: morendo durante la pasqua, segnalava che moriva come l'agnello il cui 1 Erasmo, Paraphrasis, 449 riassume bene: «Illi polliciti sunt pecuniam, hic operam» («Quelli [i capi giudei] hanno promesso il denaro, questi [Giuda] il lavoro». Sulla fun­ zione del denaro cf. Fitzmyer n, 1 3 7 5 e F. Bovon, Studies, 8 3 . 2 Plummer, 49 1 commenta i l verbo ÈXaplJaav, «ne furono rallegrati », i n u n modo che definirei assolutamente britannico: « Ciò era del tutto inatteso, e semplificava enorme­ mente le cose » . 3 Le parole xaì È�W!J.OÀoyl)atv sono assenti i n una patte della tradizione manoscritta, in particolare nella prima mano del codex Sinaiticus (�,. 0 1 ), nel codex Ephraemi (C 04), in N ( 022), nella maggior parte dei testimoni della Vetus Latina, nella versione siriaca del Sinaitico (sy'), e pure in Eusebio di Cesarea; cf. NA'7, ad loc. apparato e R.J. Swanson, Manuscripts, 3 6 3 . 4 Cf. Bauer-Danker, s.v. e Lampe, s.v. 5 Bonaventura Comm. in Le. 22,3,7 ( 542) ritiene che vi siano tre tipi di consegna: il pa­ dre consegna suo figlio (Rom. 8,3 2); il figlio consegna se stesso (E(. 5,25); il traditore, infine, consegna Gesù (Mt. 26,23 ). =

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222

COMPLOITO SATANICO

sangue era portatore di salvezza. La legge prefigurava dunque la sua pas­ sione e lui stesso desiderava compierla in tale forma. Tertulliano precisa inoltre che Gesù avrebbe potuto essere consegnato da uno degli avver­ sari, ma è stato tradito da uno dei suoi affinché si adempisse la Scrittu­ ra (Sal. 40[4I], I0), che dice che l'amico del salmista alza il calcagno con­ tro di lui! Attraverso questi due commenti Tertulliano continua la sua lotta contro Marcione, il quale contrapponeva l'Antico Testamento al Nuovo e li interpretava come progetti di due divinità distinte. Bonaventura, nel suo commento a Luca, 2 suddivide il vangelo secon­ do uno schema tripartito: l'incarnazione, la predicazione e la passione. Qui inizia la terza parte. Tale inizio si suddivide a sua volta in due fasi: gli avvenimenti che precedono immediatamente la passione, poi quelli che le sono concomitanti. Quattro episodi costituiscono gli antecedenti: la macchinazione perversa del traditore, che sono i nostri versetti (vv. I-6); l'istituzione del sacramento dell'eucaristia ( 22,7-23 ); l'istruzione dei discepoli ( 22,24-3 8 ) e la scena dell'orto degli Ulivi ( 22,39-46). Per spiegare questo o quel versetto, Bonaventura si avvale dell'armonia evangelica e si ispira a concordanze tra Antico e Nuovo Testamento. I «due giorni » di Mt. 26,2 gli permettono di stabilire che il tradimento di Giuda avviene un mercoledì, il giorno di Mercurio, dio del commercio! Il vangelo di Giovanni lo spinge a rilevare il parallelo tra il passaggio del­ la pasqua e la passione di Gesù ( Gv. I 3 , I ), oppure a dire che la scelta del­ la data non dipendeva da Giuda ( Gv. 7,30 e Io, I 8 ) . L'esegeta medieva­ le osserva quindi la contraddizione tra la santità che caratterizza i sa­ cerdoti secondo la Scrittura e la loro bassezza, quale emerge nella sto­ ria della passione.3 Si preoccupa poi, come molti altri teologi prima e do­ po di lui, dell'intervento di Satana nel cuore di Giuda. Rifiuta di intende­ re il v. 3 come la prova di un determinismo: Satana non ha potuto far altro che incitare Giuda a consegnare Gesù (è entrato in lui non per il­ lapsum essentiae, sed per suggestionem nequitiae, «non per trascinarlo nella caduta del suo essere, ma per suggerire la sua perversità » ) . Seguendo l'ordine dei versetti, la Paraphrasis di Erasmo 4 affronta di­ versi argomenti: presenta il senso e l'etimologia delle due feste (v. I ), in­ siste sul ruolo determinante di Dio anche nelle decisioni criminose degli uomini (v. 2), e poi sull'azione di Satana (v. 3 ), che all'inizio del vangelo tenta «personalmente » (per se) Gesù e, alla fine, lo fa «attraverso la me­ diazione dei suoi ministri e agenti» (per suos ministros et organa). OsTertullian. Mare. 4,4o,x -2.. 2 Bonaventura Comm. in Le. l.l.,J , I -7 ( 5 40-542.). n, 1 703 parla in questo caso di ironia: «Nel bel mezzo di questo periodo di festa che celebra la vita, i capi tramano per porre fine alla vita di uno che viene a portarla,. . 4 Erasmo, Paraphrasis, 4 4 8 s. x

3

Bock

LC. 22, 1 -6

223

serva con finezza che colui che consegna Gesù è un suo intimo per la fun­ zione che ricopre, ma è un nemico per la disposizione d'animo che lo ca­ ratterizza. Grozio • si preoccupa delle volontà in gioco al momento del tradimen­ to di Giuda. Riconosce il ruolo di Satana, che, in questo caso particola­ re, conferma la regola generale della lettera agli Efesini (il principe del­ la potenza dell'aria agisce sui figli della ribellione, Ef. 2,2). Ricorda an­ che che niente accade senza il consenso di Dio; esita tuttavia a sottomet­ tere Giuda a una necessità che lo scagionerebbe. Come si vede, il raccon­ to della passione solleva problemi metafisici, la cui difficoltà si riflette persino nella frase del commentatore. Scartando la pericope dell'unzione di Betania, Luca ha accostato l'inten­ to assassino ( vv . 1-2) al complotto riuscito (vv. 4-6), collegandoli tra­ mite un intervento di Satana (v. 3 ). Uno dei due campi, quello degli av­ versari, le cui velleità non avevano fino ad ora preso consistenza, � è dun­ que pronto per l'imminente duello. Da parte sua Gesù, circondato dai suoi, organizzerà, secondo una simmetria antitetica, i suoi preparativi, quelli della pasqua (vv. 8-9. I I- 1 3 ), della sua ultima pasqua prima del re­ gno (v. 1 6). r U. Grozio, Adnotationes, 8 9 9 s . � cf. 4,28-29; 6,1 1; 7,3o; 1 1 , 5 3 -54; I J ,J I ; 1 9,47-4 8; 20, 1 . 1 9; Fitzmyer n , 1 3 74.

PREPARAZIONE DELLA PASQUA ( 2 2, 7 - 1 4 )

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LC. 22, 7 - 1 4

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-

b Lett.: • Essendosene dunque andati•• .

Mentre la scena precedente ( 22, 1-6) era dominata dalle forze avverse, qui ( vv. 7- q) sono al centro del quadro gli elementi favorevoli, Gesù e i suoi. Anche se non è mai designato con il suo nome, Gesù in questo momento è il maestro (o òtòaaxaÀoc;) del sapere e del potere. Ciò che sa e organizza concerne la festa giudaica della pasqua.

Analisi sincronica. L'obbligazione menzionata nel v. 7 (EÒe:t, ) è soddisfatta nel v. 1 4 ( « si mise a tavola e gli apo­ stoli con lui>> ) . Tra i due versetti vi è lo sforzo congiunto del maestro e dei suoi discepoli: Gesù ordina (v. 8 ), poi - per seguire la formulazione di Agostino - dà ciò che ordina (vv. 10-1 2). I discepoli che anzitutto si interrogano e lo interrogano (v. 9), eseguono poi il suo comando senza batter ciglio (v. 1 3 ) . Schematicamente ne risulta: veva >> ,

v. 7 v. 8

il dovere di celebrare non è pronto per essere compiuto Gesù vuole compiere tale dovere con l'aiuto dei suoi discepoli v. 9 Pietro e Giovanni interrogano Gesù vv. 1 0- 1 2 Gesù offre la risposta v. 1 3 i discepoli eseguono l'ordine del maestro v. 1 4 il dovere di celebrare è pronto per essere compiuto

Vi sono così tre livelli: anzitutto quello della religione, della Scrittura o di Dio, che ha previsto la celebrazione liturgica della pasqua (vv. 7 e 14); quindi quello di Gesù, che permette l'esercizio della religione (v. 8 e vv. 10- 1 2); infine quello della comunità che, attraverso la sua doman-

226

PREPARAZIONE DELLA PASQUA

da, il suo ascolto e la sua obbedienza, attua il progetto del maestro e ri­ sponde così all'attesa di Dio (vv. 9 e 1 3 ). ' La presentazione di questa struttura rimarrebbe incompleta se non se ne sottolineasse la densità del lessico. La pericope precedente ricordava l'approssimarsi della festa, mentre questa ne mette in risalto l'arrivo men­ zionandola quattro volte (vv. 7-8. 1 I . 1 3 ) . Come ogni altra importante occasione, anche la pasqua esige alcuni preparativi: il testo ricorre, sem­ pre per quattro volte, al verbo «preparare >> : le due ultime occorrenze, vv. 1 2- 1 3 , rispondono alle prime due, vv. 8-9; tutte insieme avvolgono il rac­ conto e ne determinano la tematica. Analisi diacronica. Non v'è dubbio alcuno che Luca in questo passo continui a seguire il vangelo di Marco. 2 Le statistiche dimostrano 3 che dipende dal suo modello e che, se qui o là ne prende le distanze, è per fornire una precisazione oppure per migliorare lo stile. 4 Nel v. 7 non si interessa del calcolo dei giorni (dice « il giorno >> laddove Marco parla del , Mc. 14,1 2), ma gli preme creare una attesa menzionando il dovere (afferma che >, dove Marco si accontenta di dire che >, Mc. q,12). Nel v. 8 non esita a modificare la sua fonte per collocare Ge­ sù nella posizione di capo: è il maestro che prende l'iniziativa di inviare i suoi discepoli in città mentre, secondo Marco, sono i discepoli che si preoccupano per primi (Mc. q, 1 2). Senza fornire alcuna spiegazione al 1 Tre ragioni mi spingono a unire il v. 14 a questa unità letteraria: a) il rapporto temati­ co che collega il v. 14 al v. 7; b) il nuovo avvio costituito dal v. 1 5; c) il fatto che Luca se­ gua Marco fino al v. 1 4 e invece il materiale suo proprio a partire dal v. 1 5 . R. Meynet, Guide, 95 presta attenzione anch'egli alla struttura di questa unità letteraria. Colloca al centro il v. 10, il segno di riconoscimento, osserva come i vv. 9 e 1 1 contengano doman­ de simili e sottolinea l'importanza del verbo •preparare» presente in modo simmetrico nei vv. 8-9 e 12- 1 3 . Bock II, 1 709 così suddivide il testo: v. 7, situazione di partenza; vv. 8- 1 2, disposizioni relative al pasto: a) invio; b) domanda; c) istruzione; v. 1 3 , realizza­ zione. Crede peraltro che l'episodio corrisponda a un ricordo storico e che sia, inoltre, carico emotivamente. Cf. anche C.H. Talbert, Reading, 206. 2 Cf. T. Schramm, Markus-Stoff, 1 8 3; Schneider II, 44 1; Wiefel, 3 60; M.D. Goulder, New Paradigm II, 720, che scrive: «Per lo meno sono quasi tutti d'accordo che Luca cominci seguendo Marco» . 3 V. Taylor, Third Gospel, 34 s. sostiene che qui Luca riprende i l 65,2% del lessico di Marco; ancora più preciso H. Schiicmann, Paschamahlbericht, 7 5 calcola che Luca condivida con Marco 50 delle 106 parole di Mc. 14, 1 2-1 8a, scelga equivalenti per altre 20 e differisca dal secondo vangelo solo in 3 6 occasioni. Le. 22,7- 14 è dunque, secondo lui, una ripresa redazionale di Marco. 4 Fitzmyer II, 1 3 76 s. presenta un valido status quaestionis sulle relazioni che uniscono Luca alla sua o alle sue fonti.

LC. 22,7- 1 4

227

riguardo, Luca ci tiene a indicare chi siano i due discepoli mandati in ricognizione: segnala i nomi di Pietro e Giovanni che pure gli Atti (Atti 3,1. 1 1 ; 4, 1 3 . 1 9; 8,14) menzionano spesso in coppia. Seguendo la sua fonte, non dimentica la domanda dei discepoli (v. 9); che è del resto indispensabile al racconto, al quale serve da spunto di avvio. La rispo­ sta di Gesù, la cui lunghezza e la cui precisione sono intenzionali (vv. 10-1 2), corrisponde a quella formulata nel vangelo di Marco fin nei par­ ticolari della sintassi e del lessico.1 Tutt'al più si può osservare come Lu­ ca, che ama la preposizione auv, preferisca il verbo auvav'tw ad cbtaV'tW per parlare dell'incontro provvidenziale) Poiché talvolta può non esse­ re attento, trascura d'altronde l'etimologia del termine olxoòe:crno'tlJ>, letteralmente «padrone di [della] casa », e aggiunge il ge­ nitivo, superfluo in greco, « della casa » (v. 1 1 ). Siccome l'aggettivo e'tot­ tJ.OV, «pronto» , non è attestato in tutti i manoscritti di Marco (Mc. 14, 1 5 ), può darsi che Luca non l'abbia letto nel suo modello; è però possi­ bile che l'abbia giudicato inutile. « Come aveva detto loro» (v. 1 3 ) è una miglioria rispetto a «come ha detto loro» di Marco (Mc. 1 4, 1 6). Nel v. 14 due ritocchi redazionali meritano attenzione: invece di «sera » (Mc. 14,17), Luca preferisce parlare dell' «ora», termine che si ritroverà nel v. 53· Inoltre, come gli capita qualche volta (cf. 6, 1 3 e 9,10), designa i dodici già come gli «apostoli» (v. q).4 Ci si può ben domandare se le modifiche che l'evangelista apporta al vangelo di Marco, sua fonte in questo passo, siano dovute solo alla sua volontà redazionale oppure siano anche dettate da una versione paral­ lela. La questione si pone perché bisogna riconoscere che Luca attinge alternativamente a diverse fonti. Le pericopi seguenti provengono dal materiale proprio e dovevano essere precedute da una qualche introdu­ zione. Non è dunque escluso che Luca si ispiri anche a una seconda fonte di informazione, benché non sia possibile provarlo s perché le dif­ ferenze rispetto al secondo vangelo portano tutte un marchio lucano: la 1

Ben rilevato da Lagrange, 5 4 1 . Luca ci tiene a rispettare per quanto possibile l'enunciato tradizionale dei detti d i Ge­ sù. Non è così nel parallelo di Matteo (Mt. 26, 1 8 ) . 3 Utilizza questo verbo i n 9 , 3 7 . L a predilezione lucana pe r i verbi composti con l a pre­ posizione .ruv, •con», risulta ben evidente in 1 5,6; cf. a 1 5,5-6 (vol. n, p. 607). Alcuni mss. optano per una terza possibilità: un:Clnw, mentre il codex Bezae (D 05) si attiene al verbo di Marco, à.n:Clv-.w; cf. NA•7, ad loc. apparato. 4 I mss. divergono al riguardo. La maggior parte ha «gli apostoli»; alcuni, per influsso dei paralleli di Mt. 26,20 e di Mc. 14,17, hanno •i dodici »; altri, unendo le due lezioni, scrivono «i dodici apostoli»; infine altri ancora, fedeli a Mc. 14,1:1. e a Mt. 26,17-19, conservano «i suoi discepoli»; cf. NA'7, ad loc. apparato. 5 Pongo la questione e condivido le esitazioni di Schneider n, 442. 1

=

228

PREPARAZIONE DELLA PASQUA

coppia «Pietro e Giovanni», come pure il titolo di « apostoli», sono ca­ ratteristici della doppia opera di Luca. Si rimane colpiti dall'affinità che unisce la scoperta miracolosa del­ l'asinello nel racconto dell'entrata a Gerusalemme (Mc. r r ,r-I I ) con quella, non meno straordinaria, della sala indispensabile al pasto pa­ squale di Gesù e dei suoi discepoli (Mc. I4, r 2- r 7 ) . ' Marco, che Luca segue in entrambi i casi ( r 9,28-3 8 e qui, vv. 7- 14), non si preoccupa di raccontare i due episodi ricorrendo a una struttura narrativa identica e riprendendo lo stesso lessico. :z. Risulta evidente come, per narrare uno degli episodi, Marco si ispiri all'altro. Il carattere di doppione che que­ sta scelta redazionale conferisce ai due racconti non ha tuttavia scon­ volto Luca, che non esita a integrarli entrambi nella sua opera. Si è di­ battuto sull'origine di questo motivo: alcuni pensano che la prescienza di Samuele, il profeta che annuncia a Saul una serie di segni imminenti che non mancano di avverarsi (a cominciare dalle asine ritrovate), r Sam. 9-ro, abbia potuto ispirare i primi cristiani; altri ritengono che casi si­ mili di prescienza appartengano più in generale al folclore dei popoli. L. Schenke resta probabilmente isolato quando, a conclusione della sua me­ ticolosa indagine, afferma che la scoperta miracolosa della camera di sopra, da un punto di vista formgeschichtlich, era in origine una leggenda indipen­ dente, senza rapporto con l'ultima cena, il cui Sitz im Leben doveva essere una sala venerata a Gerusalemme dai primi cristiani.3 R. Bultmann, segui­ to da G. Schneider, pensa piuttosto che si tratti di uno sviluppo leggendario che serviva, fin dalle sue origini, a introdurre il racconto dell'ultimo pasto di Gesù e dei suoi discepoli.4 Un'ultima osservazione resta ancora: senza che si possano ben spiega­ re, s'incontrano concordanze occasionati tra i vangeli di Luca e di Gio­ vanni nel racconto della passione. Qui vediamo ad esempio l'uso della parola «ora», termine caratteristico del quarto vangelo, che compare an­ che in Le. 22,r4 all'inizio della passione: Giovanni menziona l' «ora» in1 Cf. R. Jacob, Péricopes, 1 5-2.7, che ritiene che Marco disponga di due fonti per scrive­ re la preparazione della cena (cf. anche l'appendice n, 1 2.7). Luca non si limita a ricopiare Marco, ma lo riprende imprimendo il suo marchio personale in ogni momento. Alle pp. 8o s. Jacob precisa che Luca conosce, oltre a Marco, la seconda fonte utilizzata da que­ st'ultimo, la quale si ispira a I Sam. 9-10: per l'entrata a Gerusalemme stabilisce un pa­ rallelo tipologico tra il re Saul, non ancora rigettato, e Gesù; per quanto riguarda invece la preparazione della pasqua, accosta Samuele, nella sua funzione sacerdotale, a Gesù. :z. Al riguardo è probante la messa in parallelo dei due racconti presentata da H. Schiir­ mann, Paschamahlbericht, 1 2. 1 . 3 L . Schenke, Studien, 1 5 2.-198, spec. 1 8 1 - 1 94. A suo avviso è l a redazione marciana che insiste sulla festa della pasqua e aggancia l'episodio alla passione di Gesù. 4 R. Bultmann, Syn. Trad., 2.83 s.; Schneider n, 44 1 s.

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combente nella quale il figlio lascerà questo mondo per far ritorno al pa­ dre, e lo fa non senza mettere in relazione l' «ora » con la festa della pa­ squa ( Gv. I J , I ). 7· Come si era notato per il v. 1, Luca, seguendo Marco, si interessa agli usi giudaici, ma li descrive in modo impreciso. 1 L'immolazione del­ l'agnello pasquale, che non era, propriamente parlando, un sacrificio, non avveniva il primo giorno degli azimi, ma l'antivigilia, il giorno pri­ ma della pasqua, vale a dire il pomeriggio che precedeva la veglia pa­ squale.1 Molti hanno descritto i preparativi della festa,3 ma nessuno l'ha fat­ to con maggiore precisione di Gustav Dalman.4 In origine l'agnello pa­ squale non era solamente sgozzato ma anche consumato all'interno del­ l'area del tempio. Con il tempo, non bastando più quel luogo, la città in­ tera divenne lo spazio sacro adatto. Gesù, il cui alloggio notturno era sta­ bilito sul Monte degli Ulivi ( 2 1 ,3 7), doveva dunque trovarsi un posto al­ l'interno delle mura per celebrare la pasqua. Gli abitanti di Gerusalem­ me accettavano di mettere alcuni locali a disposizione dei pellegrini; do­ vevano anzi prestarsi di buon grado a rendere questo servizio: nessun abitante di Gerusalemme infatti doveva considerarsi come proprietario, giacché la città santa apparteneva a Dio, quindi, tramite delega, al po1 Sono necessarie due annotazioni di critica testuale a proposito del v. 7: a) il testo detto occidentale (il codex Bezae [D = 05]; numerosi mss. della Vetus Latina; le versioni siria­ che sinaitica e curetoniana ) parla del «giorno di pasqua » e non del «giorno dei pani azimi» . Questa lezione non elimina tuttavia la difficoltà cronologica; b) i migliori mss. esitano sulla presenza o assenza della preposizione lv, •in», prima del pronome relativo al dativo �· Il suo utilizzo non è necessario: il dativo semplice per indicare un momento è classico. Si può immaginare un uso popolare della preposizione che alcuni puristi han­ no eliminato . . . Oppure il contrario! 2 Cf. Lagrange, 540, che però suggerisce: « Ma Luca, avendo deciso di chiamare pasqua la festa degli azimi, secondo un uso che si era affermato a partire da Giuseppe, poteva definire giorno degli azimi quello in cui si preparava il pranzo pasquale, visto che in quel giorno i pani fermentati dovevano sparire» . Sopra, p. 2.1 8 n. I, i riferimenti biblici relativi alla celebrazione della pasqua. 3 Fitzmyer n, I J77- I J 82 risponde in modo chiaro alle tre seguenti domande: 1. L'ulti­ ma cena di Gesù fu un pasto pasquale? Risposta: così viene presentata dai vangeli sinot­ tici, in particolare da Luca. 2. Che cosa ne è della tradizione giovannea che colloca l'ulti­ ma cena alla vigilia della pasqua? Risposta: tutti i vangeli hanno ragioni teologiche per scegliere la data che riportano. 3· I vangeli sinottici e il vangelo di Giovanni fanno riferi­ mento a calendari differenti (ipotesi di A. Jaubert, La date de la Cène, Paris I957)? La ri­ sposta di Fitzmyer è no. Nello stesso senso Bock n, I 7 IO: •L'uso di un idioma popolare è più probabile di una differenza calendariale» . 4 G . Dalman, ]esus-]eschua, 98-I I I ; cf. anche C.F. Evans, 778. In mPes. 5 si trova l a mag­ gior parte delle informazioni utili.

PREPARAZIONE DELLA PASQUA

polo intero. Prestare una sala voleva dire dunque riconoscere questi di­ ritti, divino e popolare; la disponibilità del proprietario si spiega con que­ sta tradizione religiosa. Gli ospiti di passaggio esprimevano con piacere la loro riconoscenza lasciando al padrone di casa la pelle dell'agnello sgozzato. Il miracolo, secondo Luca, non consiste in tale disponibilità, ma nella conoscenza soprannaturale di quella che era forse l'ultima ca­ mera libera! I samaritani avevano conservato il comando originario, mangiando la pasqua in piedi e di fretta. I giudei invece avevano adattato l'ordine: dovevano condividere il pasto, ben accomodati e distesi, per mostrare che non erano più schiavi, ma liberi. Era stata adottata la forma del tri­ clinium greco e romano: nel caso di Gesù e dei suoi discepoli, questi ul­ timi occupavano i posti sui due lati lunghi (cinque persone su ciascuno dei lati) e i due accanto a Gesù, all'estremità della tavola. I larghi cusci­ ni che costituivano i posti potevano essere adagiati direttamente sul pa­ vimento oppure rialzati su sostegni di legno. L'agnello doveva essere sgozzato «tra due sere » . Il pomeriggio, dopo che era stato offerto il sacrificio quotidiano, era il momento in cui si im­ molavano gli agnelli. Il libro dei Giubilei e lo storico Giuseppe lasciano intendere che questa immolazione si svolgesse tra le due e trenta e le cin­ que. I Né Luca né gli altri evangelisti prestano attenzione a questo gesto. Parlano della pasqua che si mangia, ma non menzionano mai esplicita­ mente l'agnello, né la sua immolazione. Forse per descrivere meglio il pasto nuovo della cena ? 8. Luca designa i due inviati. Sceglie Pietro e Giovanni, futuri porta­ voce della chiesa di Gerusalemme, per sottolineare l'importanza del com­ pito o, al contrario, per mostrare che l'autorità apostolica si esercita nelle mansioni più modeste? Difficile da dire. 1 Non è invece arduo rilevare che se l'evangelista riprende da Marco il verbo à1toa'tÉÀÀw, « inviare», è però il solo a concludere l'episodio definendo i compagni di Gesù, in questo momento solenne, à7tocr'toÀot, «inviati », «apostoli » (v. 1 4 ) . Luca apprezza i l lessico della «preparazione » : per un verso i l regno di Dio è ancora ai suoi preparativi; senza dubbio i cristiani, come il vecI

Iub. 49,1 0- 1 2 e Ios. Beli. 6,9,3 (423 ); cf. Es. 1 2,6; Lev. 23,5; Num. 9,3 . 5 ; Deut. 1 6,6. Plummer, 492. invece ha scelto: «Il tradimento di Giuda può aver portato Gesù a sceglie­ re due dei suoi apostoli più fidati » . D. Senior, Passion, 52. ritiene che, compiendo la loro missione, Pietro e Giovanni servano gli altri, offrendo così il modello di ciò che devono essere i discepoli. Gesù stesso darà l'esempio nell'ultima cena. Tannehill, 3 1 1 scrive con sobrietà: «Gli apostoli, che saranno i primi capi della chiesa, devono agire come coloro che servono a tavola » . :z.

LC. 22,7- 1 4

chio Simeone, hanno già visto nella persona di Gesù la salvezza che Dio ha «preparato» al cospetto del mondo ( 2,3 1 ); ma l'attesa continua, come il cap. 21 ha eloquentemente ricordato. Del resto qui si parla di preparativi indiretti del regno, poiché si tratta di approntare la pasqua giudaica che servirà da cornice all'ultima cena di Gesù. Questo divente­ rà il primo esempio di un nuovo rito, cristiano, che anticiperà esso stes­ so il banchetto del regno. 9· Malgrado o piuttosto a causa dell'iniziativa di Gesù, la domanda dei discepoli, come è formulata da Marco, rimane, legittima. D'accor­ do, dicono in sostanza i discepoli, ma dove troveremo un posto ? 1

10-12. La risposta di Gesù costituisce il cuore dell'episodio: vi si men­ zionano unicamente realtà umane, ma lo si fa con una precisione che prepara l'incontro miracoloso, il sincronismo provvidenziale. 2 Spesso si è detto che un uomo non portava l'acqua, a parte la sua borraccia per­ sonale, ma lasciava questo compito alle donne. Il testo di fatto non spe­ cifica il sesso della persona in questione: in Luca, come pure in Marco, si indica un &v-8pw7toç, un «essere umano» , un� «persona» appunto, e non un àv�p, un « uomo», che gli inviati troveranno; xepaJJ-tov è senza dubbio un vaso d'argilla, probabilmente di terracotta, anche se l'acqua si con­ serva meglio nelle brocche porose d'argilla indurita al sole. L'espressio­ ne xepaJJ-tov Ua-.oç, « brocca d'acqua », ricorda nel suo costrutto l' àÀa­ �cxa-.pov JJ-upov, «vasetto di alabastro riempito di profumo », di 7,37.3 Il primo termine designa il recipiente, il secondo, al genitivo, precisa il con­ tenuto. Una volta che avranno incontrato il portatore d'acqua, i discepoli lo seguiranno fino alla sua destinazione.4 Non sarà però a lui che rivolger

Alcuni mss. aggiungono am, «per te », mentre altri, senza dubbio per influenza di Mt. 1taaxa, «per te per mangiare la pasqua », cf. NA27, ad

26,1 7, presentano ao1 cpaye:lv -.ò loc. apparato.

2 Con Schneider II, 442 opto per la prescienza di Gesù e per il potere profetico sopran­ naturale che esercita sul servo, e poi sul proprietario della casa. Parecchi esegeti ritengo­ no che, per quanto sia Gesù a dirigere le operazioni, non lo faccia in modo miracoloso: avrebbe potuto accordarsi in anticipo con il padrone di casa; cf. le opinioni al riguardo ben presentate da Plummer, 492 s.; C.F. Evans, 777 e Tannehill, 3 1 1 . 3 Cf. già Plummer, 492, che suggerisce che l'acqua non era probabilmente destinata alla preparazione dei pani azimi, ma a permettere ai partecipanti di lavarsi le mani prima della cena. E perché non sarebbe potuta servire da bevanda a tavola? 4 Senza che queste varianti modifichino il senso, i mss. esitano a proposito della subor­ dinata relativa che, secondo gli uni, è introdotta da e:l> (òtti�cxat> del libro degli Atti e del vangelo di Luca; mentre in passato si sceglieva seguendo una regola crono­ logica, le opzioni contemporanee danno maggior peso ai dati geografici. Del tutto possibile peraltro che siano coesistite nel medesimo tempo forme di uno stesso scritto che differivano a seconda delle regioni in cui circola­ vano. 4 I ricercatori sono anche divenuti più modesti, più rassegnati, persino più scettici: hanno rinunciato a ritrovare il testo originario e si accontenta­ no delle forme più antiche alle quali hanno accesso.5 Invece di dibattere sul=

=

Appendix, 63 s. Nella loro stessa edizione, Text, 1 77 i due editori pongono i versetti in­ criminati tra doppie parentesi quadre: secondo loro non facevano parte del testo origi­ nario di Luca- La lettura di Fitzmyer n, 1 3 8 8 consente di apprezzare il successo incon­ trato dalla decisione di Wescott e Hort presso altri editori del Nuovo Testamento e pres­ so numerosi esegeti. Assente in Nestle fino alla 2 5 " edizione, il testo lungo è riportato di nuovo a partire dalla 26". x Bisogna aggiungere a questi innumerevoli mss. la testimonianza di parecchie versioni antiche: la Vulgata, le versioni siriache (a eccezione della Peshitta, della curetoniana e della sinaitica), copte (tranne alcuni mss. della bohairica), armena e georgiana; cf. B.M. Metzger, Textual Commentary, 173 s. Occorre aggiungere anche la testimonianza di autori cristiani del n secolo: Marcione, che manteneva, almeno in parte, i vv_ 19 e 20; Taziano e, forse, Giustino; cf. P. Benoit, Récit, 1 64-166 (della raccolta). 2. Le altre versioni del testo (cf. B.M. Metzger, Textual Commentary, 1 74 e Fitzmyer n, 1 3 88) sembrano dipendere tutte da queste due forme principali. A p. 1 7 5 del suo Textual Commentary, B.M. Metzger ha ripreso, adattandolo leggermente, uno schema fissato da F.G. Kenyon - S.C.E. Legg, The Textual Data, in R. Dunkerley (ed_ ), The Ministry ami the Sacraments, London 1 9 3 7, 284 s., che presenta, in greco, sei forme differenti di Le. 22,1 7-20. Cf. anche A. Merx, Die Evangelien des Markus und Lukas, 44 1-448, che for­ nisce pure il testo di numerose versioni. 3 B.D. Ehrman, Corruption, 197-209; D_C. Parker, Living Text, 148- 1 574 Cf. l'introduzione a questo commento (vol. 1, pp. 23 s.) e lo studio suggestivo di C. Arn­ phoux, Les premières éditions de Luc: EThL 67 ( 199 1 ) 3 1 2-3 27; 68 ( 1 992) 3 8-48 . 5 Cf. E.J. Epp, The Multivalence of the Term «Origina/ Text» in New Testament Textual Criticism: HThR 92 ( 1999) 24 5-28 1 .

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24 5

l'anteriorità del testo «occidentale>> oppure del testo «egiziano», ammetto­ no che coesistono due forme venerabili attestate a partire dal n secolo del­ l'era volgare. Bisogna seguirli, rinunciare a rintracciare il testo originario di Luca e dire che queste due forme di Le. 2 2 sono equivalenti e corrispon­ dono ad altrettante forme di Luca-Atti tra loro contemporanee? Sarei qua­ si propenso a pensarlo se i manoscritti greci fossero meglio distribuiti, ma il loro numero e il loro valore fanno pendere la bilancia a favore del testo lungo. Come riconosce Joseph A. Fitzmyer, che propende per quest'ultimo, la cosa più difficile tuttavia è spiegare l'origine del testo breve. 1 Con la sua duplice presenza del termine calice (vv. I 7 e 20) il testo lungo è senza dubbio ridondante, e pure i sostenitori del testo lungo lo riconoscono. Ma perché gli scribi del testo breve hanno omesso la formula liturgica classica (vv. I9b-2o), che dovevano conoscere, e non il detto insolito? Ecco ciò che è singolare. Taluni hanno pensato alla disciplina degli arcani: le parole di istituzione non dovevano cadere sotto gli occhi dei pagani. 2 Fu veramente un eccesso di venerazione a provocare l'omissione? E perché la censura in­ tervenne soltanto su alcune copie di un solo vangelo? L'argomentazione non è convincente. Una cosa sembra certa: la presenza di due calici nel te­ sto lungo disturba. Perché un calice compare già nel v. I ?, quando se ne de­ ve parlare di nuovo, seguendo l'ordine tradizionale, nel v. 20? Il testo bre­ ve, che non è appesantito da questa ripetizione, sorprende tuttavia per l'or­ dinamento, il quale situa il calice prima del pane. E pur vero che nella Di­ dachè e altrove si trova una simile sequenza inusuale,3 ma il calice è pre­ sentato solo dopo la menzione del pasto (v. I 5 ). Come si vede, gli argomen­ ti si equilibrano e nessuna soluzione si impone in modo definitivo. Se si suppone, come me, che Luca disponga di una seconda fonte ol­ tre a Marco, si può tentare di delinearne i contorni: come ha ben nota­ to R. Bultmann,4 essa possiede, al suo inizio, un carattere biografico (Ge­ sù immagina la propria passione). Inoltre, come suggeriscono le men­ zioni del regno di Dio ( vv . I 6 e 1 8 ) e del calice (v. I ?), si orienta deci­ samente verso l'escatologia. Le componenti biografica ed escatologica non impediscono tuttavia la presenza di elementi comunitari e liturgici: la tradizione metteva in evidenza come i discepoli fossero presenti (si noti il «voi>> reiterato) e proponeva un sostegno cultuale in assenza del­ l'eroe (il pasto da condividere, v. 1 6, e il calice da passarsi, v. 1 7). r Fitzmyer n , 1 3 88. Recentemente B.S. Billings, Disputed Words h a ipotizzato che gli scribi avessero eliminato i vv . 1 9 b 2o di Le. 22 dopo alcune persecuzioni, in particolare quella di Lione e Vienne verso il 177 d.C. Volevano in tal modo risparmiare ai cristiani l'accusa di cannibalismo. 2 Cf. B.M. Metzger, Textual Commentary, 1 76. 3 Did. 9,2-3; cf. già z Cor. ro, r 6; B.M. Metzger, Textual Commentary, 1 74 n . r . 4 R. Bultmann, Syn. Trad., 286. -

LA CENA TRA LA PASQUA E IL REGNO

Che ne è del seguito (v. 1 9-20) ? Pare probabile che il materiale pro­ prio di Luca (o Luca stesso) abbia riunito due tradizioni, quella biogra­ fica, di cui ho appena detto (vv. 1 5-1 8), e quella liturgica che presenta le parole di istituzione (vv. 1 9-20) . ' Una simile combinazione di tradizio­ ni spiega la duplice presenza del calice; ma dato che nella prima occor­ renza (v. 17) la menzione del calice è incorniciata da detti che guardano verso l'avvenire del regno (v. 1 6 e v. 1 8 ), l'autore di questa composi­ zione l'ha conservata tanto più volentieri in quanto la seconda (v. 20) orienta l'attenzione verso il passato della croce. Che vi siano state due tradizioni lo fanno intendere pure Marco e Matteo: dopo aver ricorda­ to la cena, trasmettono entrambi anche una parola sull'attesa del regno (Mc. 14,25 / Mt. 26,29).2. Mi rendo conto tuttavia del carattere conget­ turale della mia ipotesi; so che l'idea di una leggenda biografica difesa da R. Bultmann 3 venne respinta da J. Finegan e P. Benoit,4 e so anche che quando l'ipotesi fu ripresa da J. Jeremias e H. Schiirmann, questi ultimi subirono le critiche di G. Schneider e H. Patsch.5 Ci si deve attendere un'opposizione. 15. Nei vangeli risulta eccezionale che Gesù esprima i suoi desideri. Qui lo fa in modo palese e intenso attraverso una formula semitica che duplica, per così dire, il verbo (im-8!J{Jow) con il sostantivo derivato dalla medesima radice (È7tt-8u!J-t�) .6 Anche se non bisogna confondere l'espres­ sione antica della È7tt-8u!J-tCX con la moderna deflagrazione della libido do­ po Freud, vi è tuttavia una continuità antropologica tra i due periodi. Gli antichi lasciavano al termine Èm-8u!J-tCX una polisemia che il contesto linguistico aveva il compito di indirizzare: poteva trattarsi di un deside­ rio malvagio, espressione della concupiscenza, o di un desiderio buono, manifestazione di una viva volontà. Luca, di cui si dice a torto che non voglia sottolineare i sentimenti di Gesù, ha menzionato un'altra formu­ lazione di questo desiderio: nel detto sul battesimo che avrebbe costi1 R. Meynet, Guide, 96 insiste fin quasi all'eccesso sul contrasto tra la pasqua antica e la nuova alleanza. 2. Cf. J. Gnilka, Markus n, 240-24 3 . 246 s., che non sembra parlare di questa ipotesi. 3 R. Bultmann, Syn. Trad., 286. 4 J. Finegan, Oberlieferung, 1 1 ; P. Benoit, Récit de la Cène, 1 86-200 (della raccolta). 5 Schneider n, 444 e H. Patsch, Abendmahl, 93 s. 6 Si ritrova la stessa formula in Gen. 3 1 ,30 LXX. Su questo tipo d'espressione cf. BDR, § 198.6 e Fitzmyer n, 1 3 9 5 s. È peraltro vero che il greco conosce la figura etimologica: v6a'll voaEiv, «soffrire di una malattia ». Nella sua tesi di dottorato a Losanna (2007) Clai­ re Clivaz, L'ange et la sueur de sang (Le. 22,43 -44) ou eomment on pourrait bien eneo­ re éerire l'histoire (Biblica) Tools and Studies 7), Leuven 2010, insiste su questo desiderio legittimo di Gesù.

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2 47

tuito la sua morte, il Gesù lucano aveva utilizzato un altro verbo, auv­ É'X.Ot.J.CIL, «sono oppresso» , che designava il suo progetto di vita fino alla sua morte: «come sono oppresso finché non sia compiuto» ( 1 2,50). Il detto non spiega perché Gesù abbia tanto voluto mangiare questa pasqua con i suoi discepoli prima della sua passione. Il prosieguo del testo tuttavia lo fa intendere: sarà l'ultima occasione per lui e la prima celebrazione per loro. 16-18. Per due volte, vv. 1 6 e 1 8, Gesù sottolinea la sua astinenza, che sarà dovuta alla sua assenza: où t.J.� q>cirw (v. 1 6) e où t.J.� 7ttw non hanno semplicemente valore di futuri negativi; questi congiuntivi aoristi con una duplice negazione sono formulazioni forti ( «la forma più precisa di affermazione negativa sul futuro» ), 1 più che voti, si potrebbero dire qua­ si giuramenti o incantesimi. Gesù assicura ai suoi discepoli e a se stesso, immergendosi nel sapere di Dio, che morirà e che in seguito per lui non conterà nient'altro se non l'insediamento del regno. � Il v. 1 6 aggiunge una precisazione: la pasqua di oggi ha il suo valore, ma non ha ancora raggiunto la sua pienezza) Pur voluta da Dio sin dai tempi dell'esodo, pur rispettata da Gesù, la pasqua resta nondimeno un rito umano, un segno che punta verso la realtà attesa, una celebrazione imperfetta in attesa di compimento. La struttura teologica soggiacente al discorso di Gesù corrisponde alle affermazioni della lettera agli Ebrei secondo le quali il giorno dell'espiazione richiede una ripetizione annua­ le a motivo della sua imperfezione, mentre la morte di Gesù possiede una volta per tutte la perfezione escatologica. 4 Senza indicare esplicitamente il calice, e senza nemmeno dire a quale dei quattro utilizzati nel rito della pasqua giudaica si riferisca, Gesù af­ ferma, nel v. 1 8 come nel v. 1 6, che sarà assente a partire dalla sua mor­ te fino alla venuta del regno. r

BDR,

§ 365.

� Sul regno d i Dio cf. l'excursus nel vol. n, p . 447· Sarebbe erroneo identificare l'attua­

zione del regno con la risurrezione del Cristo o l'istituzione della chiesa. L'espressione iJ [hatÀEta, con o senza -rou �Eou, comparirà ancora in 22,29-30 e 23,5 1 , e poi nel libro de­ gli Ani (ad es. Atti 1,3 e 28,2 3 ) . 3 Il soggetto d i 1tÀ1Jpw�'fl, •sia compiuto», è aù-r6, «ciò•, che rimanda a -roiiTo -rò 1taaxa del v. 1 5 . 1tÀlJpb.l, •compiere», ritorna spesso nei testi di Luca, che lo utilizza per parlare del compimento delle Scritture (Le. 4,2 1; 24,44), di un tempo o dei tempi (Le. 21,24; Atti 7, 23; 9,23 ), e di tutto ciò che riempie il cuore o la vita di un uomo o di un popolo (Le. 2, 40; Atti 2,28; 5,28; 1 3,25·5 2). Il più delle volte con questo verbo Luca insiste sull'attua­ zione del piano di Dio (Le. 1 ,2o; 9.3 1 ; 24,44); cf. a 4,2ob-21 (vol. 1, p. 25 1 n. 3 ). 4 Presente nel v. 1 6, il tema del compimento è assente dal v. 1 8. Malgrado il loro apparen­ tamento, i due versetti non sono quindi del tutto simmetrici.

LA CENA TRA LA PASQUA E IL REGNO

Incluso tra queste due proiezioni nell'avvenire (vv. 16 e 1 8 ), il v. 17 menziona un gesto profetico di Gesù, accompagnato da un imperativo. Ciò che egli fa in questo momento dovranno farlo i discepoli (sottinte­ so: da adesso fino all'irruzione del regno di Dio): prendere I un calice z. e condividerlo. Perché? Per sentirsi solidali (si noti l'espressione e:lç Éau­ 'to�, «tra voi » ) , per mitigare l'assenza di Gesù (l' «io» di Gesù scompa­ re dalla frase) e per attendere l'avvenire incoraggiati dalla virtù simbo­ lica, fortificante e festiva 3 del vino.4 I vv. 1 6- 1 8, come Mc. 14,25 / Mt. 26,29, attestano che l'eucaristia dei primi cristiani non fu altro che un memoriale della morte di Gesù, ma anche un'anticipazione gioiosa del­ la fine. La giustapposizione di questi due aspetti in Le. 22,1 5-20 indica che, al tempo dell'evangelista, essi coesistevano. Gli antecedenti della pericope suggeriscono che si trattasse in origine di tradizioni distinte: i vv. 1 5- 1 8 ricordano la natura escatologica dell'una e i vv. 1 9-20 il carat­ tere di commemorazione dell'altra. 5 19-20. I l fatto che Gesù accompagni i l suo gesto e i l suo discorso con una preghiera (e:ùx.apta-t�aac;, «avendo reso grazie » ), significa che il mo­ mento presente e i momenti futuri pertengono alla religione e costitui­ scono d'ora in poi un rito. I Il verbo ÒÉ'X,ofla;t significa innanzitutto « ricevere», « accogliere», poi, come qui, «pren­ dere» (cf. Ef. 6, I7 xa;l "t�v mptXEtpa;Àa;ia;v -tou aw-tl}piou òÉ!;a;a.9E, «e prendete l'elmo della salvezza »). Più avanti, nello stesso v. I 7, poi nel v. I 9 a proposito del pane, Luca utiliz­ zerà il verbo Àa;f.tf3>, quindi «ricevere». Si devono percepire sfumature differenti nell'impiego di questi due verbi? Pare probabile che Gesù abbia domandato un calice e l'abbia in qualche modo «ricevuto» (v. I 7). z. Si osservi l'assenza di articolo determinativo: « un calice» . L'articolo determinativo -to aggiunto da alcuni mss. (in particolare il codex Alexandrinus [A 02] e il codex Bezae [D = os)) dà valore liturgico a questo racconto ( « il» calice che si conosce dal rituale). 3 Cf. j. Lebeau, Vin nouveau, 3 3-5 2. Tutto questo libro è dedicato alla parola escatologi· ca di Gesù sul calice, il nostro v. I 8 e i suoi paralleli in Mc. I4,25 e Mt. 26,29. 4 Perché Luca, esattamente come i suoi compagni sinottici ( Mc . I4,25 e Mt. 26,29), par­ la «del frutto della vigna » (-tÒ yÉvl}fla; -tij, ed �"(OU(LEVOc;, il ((responsabile>>, il cccapo >> . Luca utilizza il priRom. 8,3 8; 1 Cor. 1 5,24; Ef. 1,21; 3,10; 6,1 2; Col. 1 , 1 3 . 1 6; 2, 10. 1 5; I Pt. 3 ,22. Cf. F. Bovon, Révélations, 1 3 2. 3 Su xuptEUw e xl1't11xuptEUw, utilizzati dai paralleli, Mc. 10,42 e Mt. 20,25, cf. K.W. Clark, Meaning. 4 Cf. Fitzmyer n, 1 4 1 6 s. s A mio parere non è sulla base del testo biblico che Firzmyer n, 1 4 1 7 può scrivere: «Il comando di Gesù dev'essere compreso correttamente; non elimina alcuna distinzione o rango nella vita cristiana . . . Le sue parole non vanno intese in senso egualitario . . . I

z.

».

27 1

mo termine in Atti 5,6 per definire probabilmente un gruppo di giovani cristiani (giovani per età e per la conversione recente).' Quanto al se­ condo, compare sin dalla lettera agli Ebrei per indicare se non un mini­ stero, almeno una responsabilità ecclesiale: « Ricordatevi - scrive l'auto­ re - dei vostri capi» ((.LVlJtJ.Ove:Ué:n -rwv T]yoUtJ.Évwv Ù(.Lwv, Ebr. 1 3 ,7), pre­ cisando che questi responsabili hanno annunciato la parola di Dio. :z. Ri­ baltando il sistema umano dell'autorità e dell'esercizio del potere, il Ge­ sù di Luca (ma qui deve riflettere il Gesù storico) richiede a chi si trova in alto di essere ben disposto a scendere. Vi è del resto una duplice pre­ tesa in questo senso, giacché questo movimento, questo rovesciamento, è difficile da attuare. Di fatto l'inversione non si impone ora: sarà effet­ tiva solo nel regno ( vv . 28-3o); là i più umili domineranno e giudicheran­ no Israele. Per il momento, quaggiù, nella chiesa, è il modello cristologico che do­ mina: «Ma io sono in mezzo a voi come 3 colui che serve » (v. 27b). E affinché ciò sia chiaro, poiché la cornice è quella di un pasto, si distin­ gue colui che ha preso posto a tavola (l' à:vcxxe:t(.Le:vo�, l'invitato seduto a tavola) 4 dal servitore solerte (per due volte Luca preferisce o òtcxxovwv, «colui che serve», a o òttixovo�, «il servitore», perché sa che ci sono ser­ vi indolenti e incompetenti, 1 2,4 5 -46). Questa cristologia del servitore getta la sua luce sulla vita ecclesiale come hanno già fatto altre perico­ pi: infatti Gesù è ricorso più volte all'immagine del : 1 2,3 5-40. 41-46.47-48; I?,?- I0.5 Intento a stabilire questo fondamento cristolo­ gico del ministero ecclesiale, Luca, che pure conosce il parallelo soterio­ logico di Marco (Mc. 10,4 5 ), non ne trae ispirazione. 6 Preferisce resta­ re fedele alla propria tradizione, anche se la cristologia del servizio che essa attesta è meno marcata della cristologia della redenzione di Mc. 10, 45· Là non vi è nessuna allergia nei confronti dell'espiazione, vi è solI Qualche versetto più in basso (Atti 5,Io), senza ragione apparente, Luca alterna e ri­ corre al termine ve11viaxot, «giovani » . :z. Secoli dopo e ancora ai nostri giorni ò 'Ìj')"OtJruVOI;, l'igumeno, è i l monaco a capo d i un monastero ortodosso greco. 3 Occorre intendere w>, «nello spazio che è il vostro >> ( 1 7,2 1 b ) ? Il termine xa:8wc; è impor­ tante: ne va della continuità della storia della salvezza e dell'armonia tra il mondo di Dio e quello della creazione. Dio ha affidato il suo potere al figlio, questi lo condividerà con il suo popolo. 1 Il regno, come spesso avviene nella tradizione biblica e per come è ac­ colto da Luca, è concepito come un banchetto ( 1 4,24) che i pasti di Ge­ sù con i suoi discepoli o con i peccatori hanno anticipato e simboleggia­ to (5,29-3 2; 7,34-3 5 ; 1 5,2; 19,5-7; 22,14). L'espressione «alla mia tavo­ la>> collega questo futuro del regno con il presente della cena (v. 2 1 ) . Ci si è interrogati sulla relazione tra il regno del padre e quello del figlio: 2 a mio avviso si tratta più di periodi che di realtà differenti. Se si accosta il nostro passo a I Cor. 1 5,23-28, si scopre che i primi cristiani s'interro­ gavano sull' «ordine>> ( -.tl:yp.a) degli avvenimenti ultimi: il Cristo re, una volta annientata la morte, restituirà infine il potere a suo padre.3 «Man­ giare » e « bere » hanno espresso ed esprimono sempre l'essenziale di un pasto.4 Il parallelo di Mt. 19,28, tratto probabilmente da Q, menziona anche la fi­ ne dei tempi, il regno del figlio e la funzione di giudici accordata ai dodici. Si tratta dunque di una speranza arcaica dei primi cristiani, legata alla co­ scienza di essere Israele (cf. Gal. 6, 1 6) e al ricordo dei giudici che un tem­ po guidavano il popolo. La funzione descritta dal verbo xptvw non è dun­ que unicamente giudiziaria, ma include anche il potere esecutivo. 5 Tale po­ tere non si eserciterà fuori dalla competenza del figlio che, nella parabola di Matteo, è rappresentato come il «re>> (�aatÀeUç) escatologico (Mt. 25,34) e, nelle formule kerygmatiche, come il giudice (xpt-.�c;) dei vivi e dei morti (Atti 10,42). L'immagine del trono, al tempo di Gesù e degli apostoli, ha

r j. Guillet, Formule ;ohannique aggiunge il v. 19 all'elenco, già lungo, dei paralleli tra vangelo di Luca e il vangelo di Giovanni. Pensa a Cv. 1 5,9; 1 5, 1 1 o 10, 2. 1 . Insiste sul Xd&tl.;, «che non stabilisce un semplice confronto, ma un confronto tra relazioni» (p. 1 14). Rimanda a O. de Dinechin, Ka-BW>, accanto ad altre potenze, tutte concepite come minacce per l'autorità di Dio) I o apo­ calittica (si attende da Dio e dai suoi angeli un esercizio ultimo del potere rappresentato da troni).1 3 1-34. Gesù si rivolge a uno dei dodici: 3 questi porta il suo vecchio nome semitico, Simone, che conosciamo sin dalla pesca miracolosa ( 5 ,4. 5.8. 10) e dalla vocazione apostolica (6,14).4 Fin dall'inizio Luca ha in­ segnato ai suoi lettori che Simone portava un altro nome, un nome nuo­ vo, una sorta di soprannome, «Pietro >> ( 5 ,8), che aveva ricevuto da Ge­ sù (6,14). L'evangelista ha del resto utilizzato questo nome nuovo qual­ che rigo sopra ( 22,8 ) e vi ricorrerà nuovamente pochi righi più in basso (22,3 4). La tradizione del duplice nome Simone Pietro è ampiamente attestata nel Nuovo Testamento (cf. per es. Mt. 1 6,1 6), ma prima di es­ sere ((Pietro», che è una forma greca, questo nuovo nome era (( Cefa», che è la forma semitica (attestata dall'apostolo dei gentili: I Cor. 1 , 1 2; 3,22; 9,5; 1 5,5; Gal. 1 , 1 8 ) .5 Paolo lascia intendere ( Gal. 2,8- 14) e Gio­ vanni afferma ( Gv. 1 ,42) che il termine semitico Cefa si traduce in gre­ co con Pietro. 6 I Questo è il motivo per cui i cristiani ne attendono la distruzione ( .c Cor. 1 5 ,24) o la sot­ tomissione (Ef. 1,20-21 ) . 2. Cf., per i l trono di Dio, Mt. 23,22; Atti 2,30; Ebr. 1 2,2; Apoc. 4,2; pe r i l trono del Cristo, Mt. 25,3 1; Apoc. 3,21; per il trono degli anziani seduti al cospetto di Dio, Apoc. 4,4 e 1 1, 1 6. In parecchi testi Cristo è chiamato a condividere il trono con Dio (Apoc. 3,21; 5,6; 22, 1 ), il che conferisce una nota particolare alla problematica del regno di Dio e del regno del Cristo (cf. sopra e p. 273 n. 2). Sul simbolismo del trono cf. G. Cope, Throne Symbolism in the New Testament: StEv 3 ( 1 964) (TU 8 8 ) 178-1 82. 3 Sui vv. 3 1-32 cf. lo studio di B. Prete, Primato. Sono analizzati di volta in volta la sto­ ria della tradizione, la struttura letteraria, il contesto storico, il lessico, gli elementi reda­ zionali e la portata dottrinale; cf. anche W. Foerster, Lukas e C.H. Pickar, Prayer, che a ragione osserva come il discorso di Gesù si divida in tre parti (vv. 3 1 , 3 2a, 3 2b). 4 Vi sono altri Simone menzionati nel Nuovo Testamento, ma vengono regolarmente accompagnati da una precisazione che eviti la confusione: per restare a Luca, Simone lo zelota (6, 1 5; Atti 1 , 1 3 ); Simone il fariseo (7,40·43 ·44); Simone il mago (Atti 8,9; in que­ sto caso la presentazione differisce leggermente: Luca parla di «un certo uomo, chiama­ to Simone», rendendo nondimeno impossibile la confusione di questo nuovo personag­ gio con Simone Pietro); infine Simone il conciatore (Atti Io,6. 1 7. 3 2). 5 Continuo a chiamare Peter un amico svizzero tedesco che abita da molto tempo nella Svizzera romanda e che preferisce lui stesso essere chiamato Pierre. 6 Sia il Martirio greco di Pietro che il frammento greco Rainer dell Apocalisse di Pietro danno all'apostolo il nome di Pietro; cf. L. Vouaux, Les Actes de Pierre. Introduction, textes, traduction et commentaire (Les Apocryphes du Nouveau Testament), Paris 1 922, 398-467 e M.R. James, The Rainer Fragment of the Apocalypse of Peter. JTS 3 2 ( 1 931) 270 s. Il testo latino degli Atti di Pietro (Actus Vercellenses 33) contiene questa curiosa '

LC. 22,2 1 - 3 8

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La ripetizione di un nome al vocativo non è inusuale nelle lingue semitiche. Luca, o la sua tradizione, ricorre a questo procedimento in 6,46 (« Signore, Signore>> ) e in 1 0,4 1 ( ); • poi nuovamente in Atti 9,4 ( «Saul, Saul >> ). Esprime stima e affetto con, a volte, una sfumatura di rimprovero. Simone Pietro è interpellato e lo è in quanto responsabile e/o rappre­ sentante dei dodici. I lettori si ricordano che, durante la trasfigurazione, Luca ha presentato > (9,3 2); scopri­ ranno, nel libro degli Atti, il ruolo dominante dell'apostolo. 1 Satana torna a essere particolarmente attivo alla fine del vangelo: è en­ trato in Giuda ( 22,3 ) e qui rivendica i discepoli. Reclamando gli apo­ stoli, agisce nelle vesti di procuratore generale, che, alla corte di Dio, ha il compito di perseguire i colpevoli (l'evangelista qui utilizza il verbo È�­ llt-toli!J.IXL, > ). È l'unico impiego neotestamentario, ma questo verbo è ben attestato nella letteratura greca, all'attivo e al medio. All'at­ tivo significa >; al medio, come qui, >, «rivendicare» .3 Esattamente l'atteggiamento che adotta Sata­ na quando si presenta davanti a Dio per > Giobbe e Dio po­ ne Giobbe alla mercé di Satana (Giob. 1,6- 1 2; 2, 1-6; certo, il verbo È�­ llt'tOlifJ.t:lt non compare in questi passi dei LXX, ma si ritrova la realtà a cui fa riferimento).4 Satana reclama i discepoli ( >, «dormire >>, evitando così una ripetizione che non pare turbare Marco. Alla domanda Luca aggiunge un ultimo comando che riprende quello che ha posto all'inizio della pericope (v. 40b). Il racconto di Luca si interrompe qui (v. 46), mentre quello di Marco prosegue, insistendo sulla vigilanza ( «vegliate e pregate» , Mc. 1 4,3 8a) prima di citare il celebre detto, assente in Luca: « Lo spirito è pronto, ma la carne è debole>>, Mc. 1 4,3 8b. Continua poi presentando una dupli­ ce ripetizione dello scenario (Mc. 14,3 9-4 1a) e le ultime parole di Gesù Come vocativo Mc. 14,36 utilizza il nominativo con l'articolo (o 1tGt'tlJp, « il padre», «pa­ I dre»), che è un costrutto popolare. ,. :n:Gtpéve:yxt à:n:' è11-où, «allontana da me», e -rò 7to-rl]ptov, «il calice» . Luca pone il dimo­ strativo -roù-ro, «questo», prima della menzione del «calice», Marco dopo. 3 Luca utilizza una formulazione che ricorre al termine -8ÉÀlJ!'-�X, «volontà »: «Tuttavia av­ venga non la mia volontà, ma la tua » . Si ritrova la stessa formulazione negli Atti in for­ ma abbreviata (Atti 21,14). . • •

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(«Basta. L'ora è venuta: ecco che il figlio dell'uomo è consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi! Andiamo! Ecco che è arrivato colui che mi consegna » , Mc. 14,4 1 b-42).' Il confronto non si ferma alla tradizione sinottica, giacché vi sono pa­ ralleli anche tra i vangeli sinottici e il vangelo di Giovanni: '" l'autore del quarto vangelo conosceva sicuramente la tradizione del Getsemani. Am­ mette con i sinottici che Gesù è stato turbato dall'idea della morte ( «ora, la mia anima è turbata» , Gv. 1 2,27a), ma a differenza dei sinottici rifiu­ ta l'idea che il maestro abbia cercato di evitare il martirio ( «e cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma è proprio per quest'ora che sono venu­ to», Gv. 1 2,27b). È importante segnalare l'atteggiamento di Giovanni, perché conferma le riserve che molti cristiani, felici di contare su un Cri­ sto forte, hanno avanzato, con il tempo, nei confronti di un Gesù smarri­ to. Scegliendo la propria fonte, nemmeno Luca ha trasmesso i due verbi inquietanti di Marco, ix�IX!Lf3eia�at, «essere preso da timore», e CÌÒlJ(J.o­ ve:iv, «essere tormentato » (Mc. 14,3 3 ) . Senza tuttavia spingersi lontano come Giovanni, non elimina l'episodio, ma raddoppia le precauzioni sottolineando come Gesù non volesse per nulla opporsi alla volontà di Dio (v. 42). Se questa allusione all'episodio del Getsemani si colloca nel cap. 1 2 di Giovanni, dunque prima dei discorsi d'addio, un riferimento all'uscita di Gesù al di là del Cedron compare più avanti, nel cap. I 8. Il quarto evangelista introduce infatti il racconto della passione con que­ ste parole: « Avendo così parlato, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron; vi era là un giardino in cui entrò con i suoi disce­ poli» ( Gv. 1 8, 1 ) . In tal modo collega strettamente la sera d'addio nella casa e il cammino verso il Monte degli Ulivi. Questa sequenza corrispon­ de a quella di Luca o piuttosto a quella del materiale suo proprio che combina la camera di sopra ( 22, 14-3 8 ) e il Monte degli Ulivi (22,39-46), trascurando il dialogo con i discepoli (Mc. 1 4,26-3 1 ).3 Luca è l'unico tra i vangeli canonici a menzionare l'apparizione bene­ fica di un angelo e i sintomi fisici della tensione psichica di Gesù ( vv . 431 Sulla storia della tradizione anteriore a Marco cf. K.G. Kuhn, Gethsemane, il quale con­ clude sostenendo che il secondo evangelista fonde due storie, una incentrata sulla cristo­ logia (Mc. 14,32· 3 5 ·40.4 1 ), l'altra sull'etica (Mc. 14.33-34·36-3 8). Al seguito di Kuhn, T. Lescow, Lukas ritiene che Luca insista sulla portata etica ed esistentiva della seconda storia. Sugli antecedenti della pericope cf. anche W. Mohn, Gethsemane; W.H. Kelber, Gethsemane. :�. Cf. B.P. Robinson, Gethsemane, che tende a sottolineare il contrasto tra le versioni si­ nottiche e quella giovannea; inoltre sostiene che Giovanni intende il giardino (Gv. 1 8 , 1 ) come i l paradiso ritrovato. 3 Sui paralleli Luca/Giovanni in questo passo cf. J. Schniewind, Parallelperikopen, 32 s.; Wiefel, 378.

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44 ). Non è però il solo a indicarli, se si estende il confronto sinottico al di fuori del canone neotestamentario. 1 Infatti da una cinquantina d'an­ ni si sa che un vangelo giudeocristiano offriva la stessa informazione. La Historia passionis Domini, testo latino di anonimo tedesco del me­ dioevo,'" riporta infatti quanto segue: «Ma come l'angelo ha reso forte il Cristo nel combattimento della sua preghiera, ciò è riportato nel van­ gelo dei nazareni. La stessa cosa è menzionata anche da Anselmo nel suo lamento: 'Sii forte, Signore, perché ora viene il tempo in cui, attra­ verso la tua sofferenza, il genere umano, venduto in Adamo, deve esse­ re riscatta to' ». 3 Il riferimento ali' opera di Anselmo 4 non è così enigma­ tico come parrebbe e la menzione di un vangelo apocrifo è certa. Que­ sto documento medievale, per quanto ne so ancora inedito, attesta co­ me quello di Luca non fosse l'unico vangelo a menzionare un interven­ to angelico in occasione dell'episodio del Monte degli Ulivi. Almeno un altro condivideva dunque questa informazione e si spingeva ancora ol­ tre: citava le parole dell'angelo, che richiamano il vangelo di Giovanni per la menzione del «tempo» che «viene » (cf. Gv. 1 2,27. 3 1 ; 4,23; 5,25) e le epistole paoline per la visione dottrinale della redenzione (cf. I Cor. 1 5,22.4 5; Gal. 3 , 1 3 ; Rom. 5 , 1 2-21). Naturalmente si impone prudenza, perché è probabile, ma non certo, che il vangelo non canonico citato nel medioevo sia quello che circolava nel II secolo dell'era volgare. Inoltre è possibile - sebbene non sembri affatto verosimile - che dipenda diret­ tamente da Luca (in tal caso farebbe parte della storia degli effetti e non della tradizione evangelica). Penso piuttosto che, come l'intera perico­ pe, i due versetti (vv. 43-44) facessero parte del materiale proprio di Lu­ ca, e che l'autore del vangelo dei nazareni si ispiri qui a questa fonte 1 Cf. P. Vielhauer - G. Strecker, judenchristliche Evangelien, in W. Schneemelcher, Neu­ testamentliche Apokryphen I, 1 27 s. 1 3 7; A.F.J. Klijn, Jewish-Christian Gospel Tradi· tion (SVigChr 1 7), Leiden 1992, 142-144 e 2 3 . 2. La scoperta d i questo testo s i deve a B . Bischoff, i l quale h a trasmesso queste citazioni a P. Vielhauer e a A.F.J. Klijn, ma entrambi questi, che si richiamano a rapporti episto­ lari con Bischoff, indicano i fogli, la datazione e l'origine del manoscritto, ma nulla di­ cono della sua natura. Dove si trova questa «theologische Sammelhandschrift,. origina­ ria probabilmente della Germania del nord e risalente al xiv-xv secolo? 3 Si tratta del f. 32r del manoscritto. A.F.J. Klijn, Jewish-Christian Gospel Tradition, 143 e K. Aland, Synopsis, 457 ne forniscono il testo latino. La sinossi parla del Vangelo degli Ebrei (è nota la confusione a proposito di questi due vangeli giudeocristiani ). 4 A.F.j. Klijn, ibid. pensa che possa trattarsi di un riferimento al Planctus attribuito tal· volta ad Anselmo. C. Clivaz mi ha aiutato a rintracciarlo: è un'opera chiamata ora Piane· tus ora Dialogus beatae Mariae et Anse/mi de Passione Domini. Non autentica, fa parte degli spuri di Anselmo di Canterbury. Il nostro passo è accessibile nell'edizione del testo, nel cap. 1 (PL 1 5 9, 273 ).

piuttosto che al vangelo di Luca. I Di conseguenza Luca e il vangelo dei nazareni sarebbero entrambi testimoni di una tradizione molto antica. :r. Drammatizzando le preghiere e le lacrime di Gesù, la lettera agli Ebrei (Ebr. 5,7) si fonda probabilmente sulla medesima tradizione.3 A metà del n secolo anche Giustino Martire conosce l'episodio, ma dice esplici­ tamente che lo riprende dalle memorie degli apostoli, quindi dai vange­ li, molto probabilmente da Luca: 4 è dunque il primo testimone della ri­ cezione di questi versetti. Poco dopo, se si presta fede al commento di Efrem, T aziano, allievo a suo tempo di Giustino, integra il sudore di san­ gue nel Diatessaron. s Resta ora da affrontare il problema che ha reso questa pericope celebre tra gli specialisti di critica testuale: la presenza o no di questi vv. 43 -44 nel te­ sto di Luca. La critica esterna, vale a dire la natura, il numero e l'età dei te­ stimoni manoscritti, è divisa.6 Senza che sia necessario menzionarli tutti, di­ ciamo che tra i più antichi e i più famosi, alcuni attestano questi versetti, I

Cf. F. Bovon, Récit lucanien de la Passion, 4 I 7. II PStras copto 5-6, che S. Emmel ha recentemente annesso al vangelo del salvatore, con­ tiene, nel recto del primo foglio, una preghiera di Gesù che unisce le tematiche della pre­ ghiera sacerdotale di Gv. I 7 e della preghiera del Getsemani, e, nel verso, un racconto del Getsemani che menziona un annuncio della passione, il detto «lo spirito è pronto . . . .. , il pianto degli apostoli e un discorso di Gesù che incoraggia ed esorta i suoi discepoli. In quel che rimane non vi è menzione né della visita dell'angelo, né dei grumi di sangue. Cf. D.A. Bertrand, Fragments évangéliques, in Écrits apocryphes chrétiens 1 , 42.7 s., se­ condo il quale i due fogli vanno datati al V-VI secolo e il testo potrebbe risalire al III se­ colo. Tra gli agrapha ve n'è uno indiretto, conservato da Tertulliano Bapt. 2.0,2. (cf. sotto, p. 3 I 5 n. 4): •l discepoli, credo, sono stati tentati, per il fatto che si erano addormentati, di abbandonare il Signore nel momento del suo arresto . . . e tuttavia prima si era detto che nessuno sarebbe giunto al regno dei cieli senza essere stato tentato» (tr. secondo D.A. Bertrand, op. cit., 49 5 ) . Tertulliano non dice esplicitamente che questa affermazione di Gesù è stata pronunciata nel Getsemani. Nel Vangelo di Nicodemo, recensione latina A,2.o, Satana, che dialoga in questo passo con l'inferno, rifiuta a Gesù il titolo di figlio di Dio e utilizza l'episodio del Monte degli Ulivi, in particolare la frase «la mia anima è triste fino alla morte" (Mt. 2.6, 3 8 ), per limitare l'identità di Gesù a quella di un semplice uomo; cf. R. Gounelle - Z. lzydorczyk, L 'évangile de Nicodème. . . (Apocryphes 9), Turn­ hout 1997, I 8 8 . 3 Cf. E . Griisser, A n die Hebriier, I . Teilband Hebr 1 - 6 (EKK xvn/I), Ziirich-Neukirchen/ Vluyn 1990, 2.65-2.67. 2.96-305. 3 1 2.-3 14; A. Strobel, Psalmengrundlage, che rimanda ai Sal. 1 14 e 1 1 5 secondo i LXX (= Sal. 1 1 6). 4 lust. Dia/. 103,8. 5 Ephr. Comm. Diat. 2.0, 1 1 . 6 Chiara presentazione dei testimoni, di ciò che in inglese si chiama «external evidence», in B.D. Ehrman - M.A. Plunkett, Ange/, 401-403 ; in Wiefel, 377 s. e in C.F. Evans, 8 1 2. s.; alcuni mss. leggono questi versetti in un altro luogo, seguendo Mt. 2.6,39. J . Duplacy, Préhistoire, 78 riassume bene il problema: «l nostri versetti sono stati aggiunti al testo non oltre il 1 50 o sono stati invece eliminati non oltre il 2.00-2.50? » . :r.

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altri no. Il papiro Bodmer (1)7 5 ), li ignora, mentre il codex Sinaiticus (� = 01) li conosce; l'Alexandrinus (A= 02) e il Vaticanus (B= 03 ) restano mu­ ti; �I, un primo correttore del Sinaiticus, li omette lui pure; il codex Bezae (D= 0 5 ) e il codice 0171, un frammento molto antico in onciale dell'anno 300 circa, sono i testimoni della loro presenza. I Di certo entrambe le for­ me del testo, breve e lunga, sono attestate a metà del n secolo. Si è detto che il testo alessandrino è ostile a questi versetti, mentre il testo occidentale è favorevole/ ma si tratta di una semplificazione. Risulta tuttavia sicuro che tali versetti non sono affatto conosciuti dalle comunità in Egitto dal n al IV secolo, mentre sono celebri in Siria. Marcione è forse testimone del testo breve e Giustino Martire di quello lungo.3 Epifanio di Salamina nel IV se­ colo segnala - indicazione preziosa - che alcuni sostenitori della divinità del figlio rifiutavano questi versetti. 4 I critici sono molto divisi e li si può capire: alcuni ritengono che i vv. 4 3 -44 siano stati aggiunti per sottolineare la natura umana del Cristo in un periodo in cui il docetismo incombeva mi­ naccioso (un po' come Ignazio di Antiochia inserisce l'avverbio ci'ì.1J-8wç, «ve­ ramente >> , nelle formule di confessione di fede, per sottolineare la realtà della passione); 5 altri pensano che questi versetti abbiano presto scanda­ lizzato, in un secolo, il secondo, in cui i credenti trovavano conforto nella regalità di un figlio, verbo divino. Anche la critica interna si rivela difficile da maneggiare. Si è prestata molta attenzione alla struttura chiastica della peri�ope; 6 è possibile individuare un chiasmo senza i versetti in questione, ma un altro anche con questi versetti! Si è spulciato pure il lessico con ri­ sultati contrastanti: parecchi termini ed espressioni corrispondono all'uso lucano; 7 altri sono unici nel Nuovo Testamento (ciywvia, «combattimento, angoscia », !òpwç, «sudore », -8po!J.f3oç, «grumo, goccia », sono tutti e tre ha­ pax legomena neotestamentari). 8 Si è infine indagata la teologia di questi versetti: Luca, hanno detto gli uni, edulcora il testo di Marco, sottolinea la docile obbedienza dc;l figlio e omette, più avanti, il grido di abbandono di 1 Il fr. 0 1 7 1 comincia con il v. 44· Cf. K. Aland, Alter und Entstehung des D-Textes im Neuen Testament. Betrachtungen zu 7)69 und or7r; in K. Aland - B. Aland, The Text of the New Testament, tr. ingl. di E.F. Rhodes, Grand Rapids 1 989, 63 ne viene presentata una fotografia (il v. 44 si trova in fondo a quel che resta della colonna di sinistra; i vv. 45 e seguenti nella colonna di destra ). Ringrazio Eldon J. Epp che mi ha aiutato a com· prendere la natura e la presentazione di questo frammento. C. Clivaz mi segnala che un antico testimone latino, a (Vercelli, IV secolo), contiene i vv. 43-44. 2. Così B.D. Ehrman - M.A. Plunketr, Angel, 402.. 3 Su Marcione cf. Harnack, Marcion, 2.34 •; K. Tsutsui, Evangelium Marcions, 1 2.4. Su Giustino cf. sopra, p. 303. 4 Epiph. Ancoratus 3 1 ,4-5; cit. e tradotto in B.D. Ehrman - M.A. Plunkett, Angel, 404 s. s Ad esempio lgn. Trall. 9, 1 ; cf. la nota di T. Camelot in Ignace d' Antioche - Polycarpe de Smyrne, Lettres. Martyre de Polycarpe (SC 10), ed. T. Camelot, Paris 1 969, 100 n. 4· 6 B.D. Ehrman, Corruption, 1 9 1 s. 7 Sul lessico dei vv. 43-44 cf. J.W. Holleran, Gethsemane, 92.- 1 0 1 . 8 Op. cit., 96.

Gesù (Mc. 15,34); non è dunque possibile che abbia potuto presentare un messia così fragile e così umano.' L'evangelista, hanno invece osservato gli altri, adatta il racconto della passione per conformarlo ai racconti di mar­ tirio. 1 Non è raro che i martiri, anche se alla fine muoiono, ricevano un con­ forto dal cielo nel corso del loro supplizio. Stefano, in Aui 7,56- 5 7, non si vede accolto dal figlio dell'uomo nel momento della sua agonia? Conside­ rato tutto ciò, ritengo che Luca non abbia né creato né ignorato l'episodio. Come ho detto, il blocco Le. 22,15-46 proviene dal materiale proprio di Lu­ ca e conteneva i vv 43 -44. L'evangelista può aver esitato a riprenderli: se non teme di sottolineare la natura umana di Gesù (non ama forse ricorda­ re nel vangelo [24,46] e negli Atti [Aui 17,3] le sofferenze di colui che chiama il messia sofferente [1t1X'!91J't"Ò> è una metafora conosciuta, uti­ lizzata, eppure ambigua: allude a una punizione, al destino, o alla mor­ te? 7 «Punizione>> non è affatto verosimile, poiché il Gesù lucano non ha mai dato l'impressione di essere colpevole di alcunché. 8 Il concetto di «destino>> insiste troppo sulla durata, quando invece ci si trova alla vi­ gilia di un avvenimento rapido� e unico. L'idea di «sofferenza >> o «mor­ te» si impone con la violenza ingiusta che essa implica quando riguarda 1 La preghiera detta 'amidJ, essenza del culto sinagogale, significa etimologicamente «pre­ ghiera che si pronuncia stando in piedi•• . 2. Si veda Salomone, prima in piedi e poi inginocchiato, 2 Cron. 6, 1 2- 1 3 . Vi erano rego­ le, pare, per i comuni mortali, per il sacerdote e per il re. Oltre a quella eretta o inginoc­ chiata, c'erano altre posizioni, ad esempio inchinata oppure sdraiata. Cf. Bill. II, 259-261. 3 Atti 9,40; :z.o,36; 21,5; Ef. 3,14. 4 Cf. nei LXX ad esempio I Cron. 29,20; I (3) Re 8,54. 5 Cf. ls. 45,23. R. D. Aus, Gethsemane e M . Kiley, Lord ritengono che il Sa l. x 14( r 1 6),4 stia sullo sfon­ 6 do della preghiera di Gesù. Sull'invocazione «padre,. in Luca cf. a 1 1 ,2a (il Padrenostro; vol. II, pp. 148 s.). 7 Su 7tO't-f}pLOv, « bicchiere», «calice», cf. C.E.B. Cranfield, Cup; M. Black, Cup; L. Gop­ pelt, 7tlvw x'tÀ., TWNT 6, 148- 1 5 8. Il termine è impiegato raramente nella letteratura gre­ ca in senso metaforico. Il corrispondente ebraico kos, al contrario, conosce tale impiego nella letteratura ebraica, e quest'immagine è frequente nelle civiltà del Vicino Oriente antico. Cf. ad esempio Is. 5 1 , 1 7.22-23 ; Ez. 23,3 1 -34; Ger. 2 5 , 1 5 -I6. r 7. 27-28; Sal. 74(75), 9; Ab. 2,16; Ps. Sal. 8,14- 1 5 ; Apoc. 14,1o; 1 7,4. L'autore dell'Apocalisse utilizza anche il termine qmtÀlJ, «vaso, coppa », Apoc. 1 5,7; r 6, r ; 21,9. In questi passi il vocabolo espri­ me spesso la collera e il giudizio di Dio. L'idea è che la coppa contenga un veleno così mor­ tale o un vino così inebriante da togliere le forze, da consegnarvi al nemico o da spingervi in una situazione disastrosa. 8 Eppure è questa la concezione alla quale L. Goppelt, 7tlvw, 1 5 2 s. giunge in conclusio­ ne: il calice di Le. 22,44 e parr. designa il destino di Gesù, non la triste sorte, ma il giu­ dizio che Dio esprime sul peccato degli uomini e che il Cristo subirà. A mio avviso Gop­ pelt proietta una dottrina paolina sulla tradizione sinottica. 9 Quest'uso del calice con il significato di « destino» è raro: cf. Sal. 1 5 ( 1 6),5-6.

un uomo ancora giovane. 1 Questa interpretazione si giustifica anche per il fatto che, altrove, il maestro '- ha paragonato il martirio a un calice. 3

Nessun uomo, pieno di progetti e di desideri, aspira a morire. Esiste da molto tempo, attestata da Tertulliano e da altri scrittori antichi, una paura generalizzata della morte.4 Gesù qui palesa senza equivoci la sua appartenenza alla stirpe dei mortali. Gesù si mostra anche responsabile e preoccupato di armonizzare il suo desiderio con quello della divinità; Luca insiste, più di Marco o Mat­ teo, su questa obbedienza filiale. Come s'è visto nell'analisi, l'evangelista esprime anzitutto il limite posto da Gesù alla sua richiesta attraverso la formulazione, tutta attica, e:! �ouÀe:t, «se vuoi».5 Come se Dio potesse non aver inteso, il Cristo lucano si ripete e afferma in un modo che più esplicito non si può: «Tuttavia, non avvenga la mia, ma la tua volontà � . Niente fa pensare che il Gesù di Luca possegga qui un sapere sovruma­ no. Se Luca ha lasciato intendere che Gesù aveva annunciato la sua passione e due volte la sua risurrezione, 6 il pericolo incombente, come un'onda che spazza via tutto quello che trova sul suo cammino, fa di­ menticare ogni futuro radioso. Robin Barbour ha insistito non solo su questo aspetto umano che il racconto evangelico conferisce a Gesù, ma anche sulla necessità teologica della storicità di tale sentimento di an­ goscia/ 1 L'immagine del calice non è tuttavia utilizzata nella Bibbia ebraica per esprimere la sof­ ferenza o la morte al di fuori del quadro della giustizia che condanna, eppure è il senso che si impone qui. Deve trattarsi di un uso sviluppatosi con il tempo. Cf. Ps.-Philo Ant. Bibl. 50,6 ( «ho bevuto il calice delle mie lacrime• ); Test. Abr. (recensione lunga) 1,3 e passim (cf. sotto, pp. po s.). 2 Mc. 10,38-39: « 'Potete voi bere il calice che berrò, o essere battezzati con il battesimo con il quale sarò battezzato?'. Gli risposero: 'Lo possiamo'. Gesù disse loro: 'Il calice che berrò, lo berrete, e con il battesimo con cui sarò battezzato, sarete battezzati' " · Questi versetti, conosciuti anche da Matteo (Mt. 2.0,2.2.-2.3), sono assenti in Luca (cf. a I8,1517, vol. 11, p. 8o6; a I8,35-43, vol. 11, p. 842. n. 4). 3 Tale senso è attestato anche in Asc. Is. 5,13 e in diversi testi rabbinici (cf. L. Goppelt, 7rL'YW, 153 n. 39) e si diffonderà sotto l'influenza dei vangeli. Policarpo (Mart. Poi. 14,2.) in punto di morte prega così: «Ti benedico per avermi giudicato degno di questo giorno e di questa ora, di prendere parte, nel novero dei tuoi martiri, al calice ('t"ljl 1to'tlJPi!Jl) del tuo Cristo . . . (tr. secondo T. Camelot). Cf. lgnace d'Antioche - Polycarpe de Smyrne, Lettres. Martyre de Polycarpe, ed. T. Camelot (SC 10), Paris 1969, 2.2.8 s. 4 Tertullian. De testimonio animae 4,1-11. Ringrazio André Schneider che mi ha segna­ lato e tradotto questo passo; cf. anche Ebr. 2.,15 (ipO�IJI -8av�'t"ou, «per paura della mor­ te•); cf. pure i riferimenti che fornisce H.W. Attridge, The Epistle to the Hebrews. A Commentary (Hermeneia), Minneapolis 1989, 98 n. 165. s Cf. H.W. Smyth, Greek Grammar, S 62.8; BDR, S 2.7.2.. 6 Le. 9,2.2.; 18,33. 7 R.S. Barbour, Gethsemane, 2.51. M. Bonnington, Obedient Son ritiene invece che il te­ sto metta in evidenza più l'obbedienza di Gesù che la sua sofferenza o la sua angoscia. »

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ULTIMA PREGHIERA DI GESÙ

La cristologia di Luca, associata a una concezione soggettiva della re­ denzione, apre quindi la via alla fede e alla vita dei cristiani: anch'essi (uomini e donne) diranno «padre» (o , Atti I 2,7). L'angelo non consegna nessun messaggio, ma comunica una forza. Come la donna che aveva perdite di sangue ricevette l'energia curativa da Gesù (Le. 8,43-48, il termine ÒUV(X(J.t, 22,3 2). Gli ascoltatori hanno ancora queste pa­ role negli orecchi. 44· Ci si aspetterebbe l'ordine inverso: l' ciywvt(X umana prima, il con­ forto divino poi. Ma la vita non è fatta di happy end; l'angelo dell'orto degli Ulivi non è un angelus ex machina, e la presenza di Dio è reale, ma non cancella la battaglia.

Il significato di ciywvlcx è discusso. Il termine greco ciywv designa la «compe­ tizione >> , il «combattimento >> ; tra gli autori del periodo classico, quali Pin­ daro o Erodoto, ciywvlcx non ha un significato differente. 1 In epoca elleni­ stica e in seguito in epoca romana tuttavia ciywvlcx designa più che la realtà del combattimento, lo spirito di colui che affronta un conflitto, una prova o la morte ... La parola può essere resa con « sofferenza interiore>> , «ango­ scia >> , con i diversi gradi di intensità che questi termini possono implicare. Il verbo ciywvtw subisce del resto la stessa evoluzione: al tempo del Nuovo Testamento significa «essere angosciato » e si ricorre invece ad &ywvl�o!Lat per dire «essere impegnato in una competizione >> , « battersi » . 3 Assai im­ probabile che ciywvlcx indichi qui un «combattimento» esteriore, com'è in­ verosimile che esprima la vittoria di una « lotta >> interiore. 4 A ogni modo il significato del vocabolo greco non corrisponde al senso moderno che viene dato ad «agonia » , cioè in genere i momenti, le ore che precedono immesuoi confratelli fucilato dai tedeschi nel 1 9 14, mi diceva di aver compreso questo sudore di sangue di un uomo in piena salute al momento del supplizio». 1

2,5 3 ; Hdt. 2,9 1 . 2. Cf. Diog. Laert. 7,1 1 2-1 1 3 ; cf. anche Tannehill, 3 24. 3 Cf. Philo Plant. 1 7 5 . 4 Contra G. Gamba, Agonia; M. Galizzi, Getsemani, 20-23. 202 s.; J.H. Neyrey, Ab­ sence, 1 6 1 - 1 6 5 : quest'ultimo pensa al combattimento vittorioso contro la tristezza. Cf. Pind. Olymp.

313 diatamente la morte, ma piuttosto all'uso italiano attestato nel xvm seco­ lo: «angoscia »/ ed è quello che ha conservato in greco moderno. Il lessico diviene preciso senza che sia necessario vedervi la mano di un medico. Il termine tòpwç designa il sudore (Platone parla di sudori «secchi>> per contrapporli alla traspirazione prodotta da un bagno).2 Gli antichi co­ noscevano il fenomeno eccezionale di una sudorazione che si tinge di san­ gue e pure Aristotele parla dell'ematidrosi.3 Il romanzo giudaico Giuseppe e Asenet ne dà un esempio: 4 il sudore di Asenet si sarebbe detto simile (wad, ) a -IJ.po(J.�Ot di sangue; il termine -IJ.po(J.�oç può avere due significati: grumo e goccia. Non so spiegare perché mi venga da pensare a grumi piut­ tosto che a gocce. Come li hanno rappresentati gli artisti del medioevo ? Che io sappia gli artisti dell'antichità cristiana non si sono arrischiati a raf­ figurare questa scena. Gocce o grumi, questo sudore di sangue cade sul ter­ reno: l'aiuto non è lunga) i suoi discepoli e ha la brutta sorpresa (è veramente una sorpresa per lui?) di trovarli a ssop iti. Luca li scusa: si sono addormentati , l' «angoscia », la «tristezza » o l' «afflizione»; quindi designa una , &:'ì.:rJ-8wc;); 3· Ciò che sta a cuore a quest'autore è fondamentalmente la corrispondenza tra il testo della Scrittura e la storia vissuta da Gesù. 1

Senior,

Passion, 84-89

insiste sulla funzione della preghiera davanti al male e alla mone.

2.

Il lettore troverà una breve presentazione e una selezione di testi patristici in trad. ingl. in A.A. Just, Luke, 340-344. U. Luz, Matthiius IV, 1 3 9-1 5 1 e]. Gnilka, Markus II, 265 forniscono preziose indicazioni riguardanti gli altri due sinottici. Non ho avuto accesso alla tesi inedita di E. Wild, Histoire de l'exégèse. 3 lust. Dial. 97,3 - 1 06,4.

4 Op. cit. 103,8; tr. secondo G. Archambault, in Justin, Dialogue avec Tryphon, texte grec, traduction française, introduction, notes et index (Textes et Documents pour l'étu· de historique du christianisme) II, 2 voli., Paris 1 909, qo s.; cf. P. Bobichon: Justin Mar· tyr, Dialogue avec Tryphon (Paradosis 47, 1 -2) I, 2 voli., Fribourg 2003, 464-467. L'inci· so tra parentesi quadre è mio.

Anche Ireneo di Lione conosce il particolare del sudore di sangue. 1 Lo utilizza due volte contro i valentiniani in una concatenazione di epi­ sodi della vita di Gesù che sottolineano la sua umanità e la sua funzio­ ne di novello Adamo. 1 Dato che Marcione ha forse trascurato la scena del Getsemani, Tertul­ liano non la menziona nel capitolo 4 1 del IV libro dell'Adversus Marcio­ nem,3 ma vi si riferisce nel suo trattato sulla preghiera, quando spiega la richiesta del Padrenostro: «non ci indurre in tentazione» . È Satana il tentatore; Dio non fa altro che mettere alla prova. La richiesta dell'ora­ zione domenicale è confermata dal comando che Gesù rivolge ai suoi discepoli nel Getsemani: malgrado tale ordine, essi cedettero alla tenta­ zione e abbandonarono il loro Signore. Tertulliano conclude sostenen­ do come l'ultima invocazione del Padrenostro, ••ma liberaci dal male», confermi il senso che occorre dare a «non indurci in tentazione» .4 Verso il 1 80 Celso si interessa all'episodio del Getsemani. Se Gesù è Dio, non può aver provato la paura della morte, né dolore fisico: que­ sto è il punto di vista del filosofo pagano; se ha patito la sofferenza e implorato Dio di risparmiargli questo calice, non potrebbe essere Dio: questa è l'opinione che Celso attribuisce al filosofo giudeo. Origene con­ traddirà i punti di vista esposti da Celso e presenterà la sua interpreta­ zione della scena nel Contra Celsum. Rinuncia all'interpretazione esote­ rica destinata ai perfetti e si accontenta di una spiegazione elementare: la preghiera di Gesù, espressione della sua umanità, attesta soprattutto la sua sottomissione alla volontà di Dio. Gesù mostra alla fine la sua fermezza d'animo, rivelando lo spirito, che menziona nell'espressione «lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt. 26,4 1 ).5 1 Iren. Haer. 3,22,2 e 4,3 5 , 3 · In Epid. 7 5 Ireneo si basa, senza citarlo, sul v. 42 e parai· !eli sinottici, quando dice che la passione di Gesù corrispose alla volontà di Dio padre. z Clem. Al. Paed. 1 ,46, 1 e Strom. 4,7 5 , 1 menziona il «calice» che Gesù ha dovuto bere; poiché spiega, nel Paedagogus, il significato del latte e del sangue, e non accenna ai gru­ mi di sangue, si può pensare che il suo esemplare di Luca non contenesse i vv. 43-44. 3 Cf. A. Harnack, Marcion, 234 •; K. Tsutsui, Evangelium Marcions richiama a ragione alla prudenza, dicendo che la presenza dei vv. 43-44 in Marcione semplicemente non è

attestata. Il silenzio di Tertulliano fa tuttavia pensare che questi versetti fossero davvero assenti nel vangelo di Marcione. 4 Tertullian. Orat. 8,5-6; cf. anche Tertullian. Bapt. 20, 1-2 (viene citato Mt. 26,4 1 / Mc. 14.3 8 piuttosto che Le. 22,40 o 46), che confronta di contro i credenti che si prepa­ rano al loro battesimo e i discepoli nell'orto del Getsemani (cf. sopra, p. 303 n. 2). Cf. infine Tertullian. Prax. 27, I I , passo nel quale l'autore distingue, in una persona, Gesù, Dio e l'essere umano, quindi stila un elenco stereotipato di allusioni al carattere umano di Gesù (le parole anxia usque ad mortem, «[la carne di Gesù] angosciata fino alla mor­ te•, devono riferirsi al v. 44). s Orig. Cels.

2, 24-25. Senza respingerla, Origene menziona (S 25) un'altra spiegazione che

ULTIMA PREGHIERA DI GESÙ

3 16

Nella sua Esortazione al martirio Origene si occupa del «calice»; • ri­ tiene che ogni martirio sia chiamato un «calice» , come dimostrano il vangelo (episodio del Getsemani) e il Sal. I I 5 ( I I 6). In modo originale, Origene osserva che questo salmo accosta la morte dei santi (v. 6 [v. 1 5]) al «calice della salvezza » (v. 4 [v. 1 3]). Negli stessi anni, vale a dire nella prima metà del m secolo, Ippolito di Roma menziona, anche lui, il sudore di sangue di Le. 22,44 nel suo libello contro Noeto. 2 Per primo segnala, accanto al v. 44, il v. 4 3 , vale a dire il soccorso recato a Gesù dall'angelo (che cita dopo aver men­ zionato il sudore di sangue). Così, concludendo che il Cristo che con­ forta ebbe allora lui stesso bisogno di conforto, Ippolito si inscrive nel­ la linea esegetica di Giustino e di Ireneo, che ricorrono all'episodio lu­ cano del Getsemani per ricordare l'incarnazione del figlio) In questi primi secoli l'episodio del Getsemani da una parte è stato im­ piegato nelle dispute relative all'incarnazione e alla natura umana di Ge­ sù, dall'altra è servito a scopi parenetici, con l'esempio di Gesù da imi­ tare e quello dei discepoli da non seguire. 4 Nel IV secolo la letteratura cristiana raggiunge una tale ampiezza che non andrò oltre una campionatura.S Scelgo Efrem Siro, il cui commenta­ rio al Diatessaron di T aziano dedica numerose pagine alla scena di Ge­ sù sul Monte degli Ulivi. 6 La tristezza di Gesù fu reale e corrispondeva alla realtà umana del maestro, che non si vergogna di ammetterla; essa tuttavia preoccupa Efrem che cerca di spiegarla in tutti i modi. La ri­ chiesta di allontanare la coppa fu rivolta a Dio per proteggere coloro che ne avrebbero subito le conseguenze (Origene conosceva questa spiega­ zione)/ Questa paura - altra interpretazione - «lo invase affinché fosse palesata la sua natura di figlio di Adamo, sul quale 'regna la morte', sesi incontra altrove: Gesù ha pregato il padre non per se stesso, ma per evitare agli uo­ mini i disastri che la sua passione non avrebbe mancato di produrre. Cf. anche l'esegesi del Getsemani nel In Mt. 26,36-46 (2.04-216) di Origene. 1

Orig. Mart. 29. Devo questo riferimento ad A. A. Just,

2. Hipp.

Noet.

18,2.

3

Luke,

341.

Cf. B.D. Ehrman - M. A. Plunkett, A ngel, 406 s.

4 Stando agli indici che ho consultato, Cipriano non pare essersi particolarmente interes­ sato all'episodio del Getsemani. 5 Esistono diverse omelie greche della tarda antichità su Mt. 26.39 e il parallelo di Le. 2.2, 42.: Chrys. Hom. in Mt. 83 o 84 (PG 58, 745-752); Ps.-Chrys., «In illud, pater, si possi­ bile . . . .. (PG 61, 751-756); Anfilochio di Iconio Or. 6, «In illud, pater, si possibile.. . • (CCSG 3, 139-152.); Basilio di Seleucia Or. 32., «In illud, pater, si possibile . . . » (PG 85, 349-36o); Severiano di Gabala, «In illud, pater, transeat a me calix iste» (Mt. 26,39), cf. C. Martin (ed.), Note sur I'Homélie de Sévérien de Cabala . . . » (Le Muséon 48 [1935] 31 1-32.1) e J. Zellinger, Studien zu Severian von Gabala (MBTh 8), Miinster 1926, 9-21. 6 Ephr.

Comm. Diat.

20,1-11.

7 Cf. pagina precedente n. 5.

condo la parola dell'apostolo )) . 1 Gesù - terza spiegazione - entrò nei sentimenti dei suoi discepoli per servire loro d'esempio. 2. Ultima inter­ pretazione: Gesù «ha avuto paura per ingannare la morte, voleva spio­ gerla a inghiottirlo e a rigettarlo immediatamente)).3 Al centro della ri­ flessione di Efrem vi è il contrasto dei due Adamo. A proposito del su­ dore di sangue osserva: ••'Il suo sudore si fece come di gocce di sangue', dice l'evangelista. Sudò per guarire la malattia di Adamo. 'Con il sudo­ re del tuo volto - disse Dio - mangerai il tuo pane' ( Gen. 3 , 1 9). E in que­ sto orto restò in preghiera, per ricondurre Adamo in quello che era stato il suo giardino)).4 All'altro capo del mondo antico, Ambrogio medita sul mistero del Monte degli Ulivi in modo assai personale.s Una netta distinzione tra le due nature del Cristo 6 cancella i timori che avevano preso Efrem. Il ve­ scovo latino non ha nessuna intenzione di scusare Gesù, al contrario lo elogia per aver «preso i miei sentimenti)) / In questa maniera intimisti­ ca, che preannuncia il messaggio di Lutero e fa pensare ai corali di Bach, Ambrogio scrive: « È dunque per me che si è afflitto, non avendo per se stesso nessun motivo di afflizione; e, messo da parte il piacere della sua divinità eterna, si lascia raggiungere dal tedio della mia infermità. Ha preso la mia tristezza per elargirmi la sua gioia, è sceso sui nostri passi fino all'angoscia della morte, volendo sui suoi passi richiamarci alla vi­ ta. Non esito dunque a parlare di tristezza, poiché predico la croce)).8 Va da sé che questo rispetto per la debolezza di Gesù non corrisponde a una concessione nei confronti dell'arianesimo: Ambrogio si oppone infatti anche esplicitamente a un'interpretazione ariana dell'episodio.9 1 2

Op. eit. Op. eit.

3

Ibid.

20,4 (tr. secondo L. Leloir).

20,7. Quest'ultima spiegazione si suddivide a sua volta: i credenti imparano da Gesù a non gloriarsi in anticipo della morte, a pregare per evitare la tentazione e a non temere la morte mentre ricevono il conforto di Gesù. (tr. secondo L. Leloir).

4 Op. eit. 20,1 I (tr. secondo L. Leloir). n Liber Graduum, redatto in siriaco all'inizio del Iv secolo, fa riferimento per due volte alla preghiera di Gesù, al conforto portato dal­ l'angelo e ai grumi di sangue (Sermo 18,3 e Sermo 20,8 [PS 3, 435-440 e 543-548)). Per l'autore si trana di invitare i cristiani al combattimento della preghiera nelle lacrime con­ tro il peccato, tappa dell'ascensione spirituale, seguendo l'esempio del Cristo, che fu esau­ dito e giunse alla perfezione (Ebr. 5,7-9). Devo questo duplice rinvio al don. Emmanuel Papoutsakis che ringrazio. s Ambr. In Le. 10,56-63. 6 •Come uomo, rifiuta la morte; come Dio, mantiene la sua parola,., secondo G. Tissot).

op. cit.

10,59

(tr.

8 Ibid (tr. secondo G. Tissot). cit. 10,56 (tr. secondo G. Tissot). 9 lbid. In Trin. 10,27-29 e 36-43 Ilario di Poitiers riflette a lungo sul racconto del Getse­ mani in una prospettiva antiariana. Fa riferimento ai vv. 43-44 di Le. 22, che sa essere

7 Op.

.

ULTIMA PREGHIERA DI GESÙ

Ultimo sussulto del paganesimo, l'imperatore Giuliano adotta un at­ teggiamento che ricorda quello di Celso nel suo attacco ai cristiani. Ec­ co ciò che scrive in uno dei frammenti conservati del suo trattato Con­ tro i Galilei: «Ma Gesù innalza anche preghiere simili a quella di un po­ veruomo incapace di sopportare serenamente dei fallimenti, ed è un an­ gelo che lo fortifica, lui, un dio! E chi ti ha annunciato, Luca, l'episodio dell'angelo, se anche fosse avvenuto ? Persino coloro che si trovavano là mentre lui pregava non potevano vederlo, perché dormivano. È per que­ sta ragione che, tornando dalla preghiera, li trovò addormentati di ango­ scia e disse loro: 'Perché dormite? Alzatevi e pregate' e così di seguito ». 1 Nel v secolo Cirillo di Alessandria, come Efrem Siro un secolo prima, si interroga sulla paura della morte che si impossessa del Cristo sul Mon­ te degli Ulivi. :z. La sua cristologia sottolinea la divinità del verbo, come fa il mosaico, più recente di un secolo, di Sant'Apollinare Nuovo a Ra­ venna. La paura e la debolezza di Gesù in quel momento lo sorprendo­ no; 3 per accettarle, ricorre alla nozione di mistero, che si propone di sve­ lare ai suoi ascoltatori.4 Un simile atteggiamento da parte di Gesù si spie­ ga solo, secondo lui, con l'economia divina che ha voluto l'incarnazio­ ne del verbo,5 e, anche così, il timore di Gesù non è una sua esitazione a soffrire, ma l'espressione di una preoccupazione per i suoi discepoli e per il suo popolo. «E dimmi, quale vignaiolo, quando la sua vigna è ab­ bandonata e devastata, non prova angoscia per essa ? » .6 Gesù non ha forse pianto su Gerusalemme? 7 Semplificando, si può dire che i giudeocristiani, i sostenitori di Paolo di Samosata, gli ariani, i nestoriani e persino i calcedoniani apprezzano o almeno tollerano i vv. 43-44. I doceti, i niceni, i monofisiti non li ama­ no affatto: o si adattano a essi o cercano di evitarli. Nel vn secolo, ulti­ ma conseguenza delle dispute cristologiche, si accendono il conflitto sul­ l'energia del Cristo, poi quello sulla sua o sulle sue volontà. Massimo il assenti in diversi mss. greci e latini. Sui rischi cristologici assunti da Ilario cf. K. Madigan, Ancient and High-Medieval lnterpretations, 1 62. s. r Giuliano, Contre /es Galiléens. Une imprécation contre le christianisme, intr., tr. e comm. a c. di C. Gérard, Bruxelles 1 995, 72.. Si tratta del fr. 7 secondo Neumann. Il frammento è conservato da Theod. Mops. Comm. in Le. Fragm. (PG 66, 72.3 ) . Cf. T. Baarda, Julian. :z. Cirillo pronuncia due omelie sull'episodio del Monte degli Ulivi. La prima è dedicata al timore che Gesù prova; la seconda all'esempio di preghiera che Gesù dà tenendosi lonta­ no dai suoi discepoli e al carattere volontario e involontario della sua passione. Cf. Cyr. Serm. in Le. 146 e 1 47; cf. R. Payne Smith, Cyriln, 683-692.; i frammenti di questi sermo­ ni, frr. 340-344, in j. Reuss, Lukas-Kommentare, 2. 1 4-2.1 6.

3 Nel primo sermone si domanda più volte perché Gesù ha avuto paura; cf. R. Payne Smith, Cyriln, 684 s. 4 Cf. l'inizio del primo sermone; op. cit., 683 s. s

Op. cit., 684. 686.

6

Op. cit., 685.

7

Op. cit., 686.

3 19

Confessore paga con la vita la difesa delle due nature, poi delle due vo­ lontà del Cristo in un tempo in cui trionfa il monotelismo. Dottrina che alla fine esce sconfitta ed è il duotelismo che la spunta nel sesto concilio ecumenico tenutosi a Costantinopoli nel 68o-6 8 r . L'episodio del Getse­ mani gioca una parte importante, poiché in un certo senso vi trovano espressione le due volontà di Gesù: quella della sua natura umana tenta­ ta e quella della sua natura divina conforme alla volontà del padre.1 Al tempo di Beda il Venerabile,:'" all'inizio dell'viii secolo, la pratica di prendere a prestito elementi esegetici è già cominciata.3 Nella sua esegesi di Le. 22,3 9-46 Beda cita Gerolamo e Gregorio Magno, mescolando così tradizione e innovazione. Alla tradizione si devono ascrivere la ri­ flessione sul luogo in cui Gesù si ritira, tanto più facile da trovare in quanto familiare; il rapporto tra l'ordine di Gesù (v. 46) e la richiesta del Padrenostro ( I I ,4 ); l'osservazione sulla solitudine di Gesù; l'inter­ pretazione della tristezza di Gesù che è «per noi »; l'idea infine che l'ap­ prossimarsi della morte sia un combattimento. All'innovazione invece attribuisco l'interpretazione allegorica del cammino verso il Monte degli Ulivi, che sta a significare che i discepoli, che sono stati iniziati ai miste­ ri del corpo e del sangue di Gesù in occasione dell'ultima cena e saranno battezzati nella sua morte al momento della crocifissione, devono anco­ ra essere marchiati con il sigillo supremo dello Spirito santo. Tra le in­ novazioni metto anche le due parti della preghiera di Gesù (v. 42), che riflettono le sue due nature: la richiesta, che corrisponde all'umanità, e l'obbedienza filiale, che corrisponde alla divinità. 4 La presenza o l'assenza dei vv. 43 -44 pare aver suscitato intensi dibat1 Cf. Massimo Confessore, Sixième opuseule théologique et polémique (PG 9 1 , 61-68); Massimo Confessore, Opuscules théologiques et polémiques, intr. a c. di J.-C. Larchet, tr. fr. E. Ponsye, Paris 1998, 43-49. 142-144; cf. anche Massimo Confessore, L'agonie du Christ (Les Pères dans la foi), intr. F.-M. Léthel, Paris 1 996; M. Lods, Bataille, 428 s. 1 Nel suo Luke, 342 e 343, A.A. just cita, in trad. ingl., un passo difficile di Gregorio di Nazianzo (Orat. 30, 1 2) sull'identica volontà del padre e del figlio, e un altro di Gio­ vanni Damasceno ( inizio VIII secolo), Sulla fede ortodossa 3 , 1 8, che tratta della volontà umana e della volontà divina, entrambe presenti in Gesù Cristo, e attive durante l'epi­ sodio nel Getsemani. Sull'esegesi patristica latina e soprattutto medievale del Getsemani cf. K. Madigan, Aneient and High-Medieval Interpretations.

3 Beda

In Le. 6,876-9 54·

4 L'anonimo irlandese (fine dell'viii secolo) del

Comm. in Le. 22,4 1-44 (CCSL 1o8c, 96 s.) fa solo tre osservazioni sull'episodio: la prima, con valore forse allegorico o tropolo­ gico, analizza il tiro di sasso; la seconda riguarda l'apparizione dell'angelo (se Gesù nel­ la sua carne è confortato da un angelo visibile, nel suo spirito è costituito da una maestà invisibile); la terza concerne il sudore di sangue che dimostra che Gesù offre il proprio sangue di sua spontanea volontà e che non soffre meno degli altri.

ULTIMA PREGHIERA DI GESÙ

3 20

titi in Armenia.' Dall'viii al xm secolo i manoscritti esitano: alcuni ri­ portano questi versetti, altri no, e quando li contengono, danno loro for­ me diversificate. Alcuni non hanno che il v. 43, e dunque mancano del v. 44; altri trascurano sia il conforto portato dall'angelo, sia le gocce di sangue, ma sottolineano che la preghiera di Gesù si svolgeva «con po­ tenza ». 2. La nota a margine di un manoscritto della metà del XIII seco­ lo, che include i vv. 43-44, spiega che «questo passo si trova nei vangeli dei franchi, dei siriani e dei greci, ma non degli alessandrini. E il vange­ lo degli armeni sembra sia stato tradotto a partire da questi ultimi, per­ ché il passo in questione non compare nei vangeli armeni. Ma tutti i com­ mentatori lo segnalano, lo citano e ne danno una spiegazione. E io stes­ so, avendolo trovato nel mio modello, l'ho ricopiato ».3 Le esitazioni della tradizione manoscritta armena, come ha mostrato S.P. Cowe,4 non possono essere tenute separate dalle dispute teologiche di questa chiesa e dalla situazione politica internazionale di allora. Un teologo dissidente, Hovhannes Mayragomec'i (vn secolo) ritiene che la carne del Cristo corrispondesse a quella di Adamo prima e non dopo la caduta: essa ignorava dunque le passioni umane. Non è quindi possibi­ le che Cristo abbia conosciuto la paura, che è considerata appunto una passione umana. I vv. 43-44 non fanno parte del vangelo, come dimostra Gregorio Illu­ minatore, grande autorità della chiesa armena, che non ne parla mai. De­ vono essere stati aggiunti sotto l'influenza nestoriana. 5 La confutazione della posizione di Mayragomec'i da parte di T'eodo­ ros (vn secolo) dev'essere collocata sullo sfondo della vittoria dell'impe­ ratore Eraclio sui persiani e del ritorno dell'influenza bizantina sugli ar­ meni. T'eodoros dà una lettura differente rispetto a Gregorio Illuminato­ re e ritiene che i vv. 43-44 facciano parte del vangelo.6 Prima di lasciare l'Armenia aggiungo che la presenza o l'assenza dei nostri versetti nei manoscritti armeni è stata messa in relazione con l'ipo­ tesi di una traduzione in due tempi della Bibbia in armeno. Tale ipotesi, come pure la successione dei testi (all'inizio i vv. 43-44 erano presenti o assenti?) è dibattuta dagli studiosi/ In ogni caso le esitazioni dei mano­ scritti armeni, che somigliano a quelle dei manoscritti greci e siriaci, cor1

Cf. S.P. Cowe, Christological Trends e, prima di lui, J. Duplacy, Préhistoire, 8 3 .

2. Queste osservazioni dipendono d a S.P. Cowe,

Christological Trends, 47, che ha fatto lo spoglio dell'apparato critico dell'edizione della Bibbia armena curata da Zohrab. 3 Questo ms., il codex 5 5 8 della collezione Chester Beatty a Dublino, è stato commissio­ nato dal katholikos Kostandin Baryrberdc'i e, di conseguenza, proviene probabilmente dallo scriptorium di Hromkla; cf. S.P. Cowe, Christological Trends, 46. 4

Op. cit., 41. 47·

5

Op. cit., 3 8-4 1 .

6

Op. cit., 4 1 -4 3 .

7

Op. cit., 43

s.

3 21

rispondono a scelte dottrinali, favorevoli o all'umanità o alla divinità di Gesù.' Grazie a un particolare conteggio Bonaventura, nel XIII secolo, giunge alla comprensione. 2 Come vi sono quattro pericopi prima della passione vera e propria,3 ci sono sette condizioni perché la preghiera riesca, sgra­ nate una dopo l'altra in questi versetti: I . la preghiera deve essere segre­ ta (v. 39); 2. è accompagnata dalla preoccupazione provocata dall'immi­ nenza del pericolo (v. 40); 3 · si esprime nell'umiltà (Gesù si inginocchia, v. 41 ) ; 4 4· si fa con giudizio, coscientemente (è in tal senso che intendo il termine discretio), come mostra la preghiera di Gesù (v. 42); 5 · non man­ ca di vigore, come il conforto portato dall'angelo (v. 43 ); 6. sorge in un contesto di angoscia (v. 44); 7· è chiara come fu circospetto l'atteggia­ mento di Gesù che andava a verificare la vigilanza dei suoi discepoli (v. 45 ). A questa enumerazione principale si aggiungono due secondarie, quella dei sette doni di sangue che Gesù ha fatto (a cominciare dalla cir­ concisione per finire con il colpo di lancia ) e quella dei tre tempi della preghiera del maestro (secondo Matteo e Marco). Calcoli simili rassicu­ rano o allietano il dottore medievale che peraltro, come tutta la cristia­ nità del tempo, non può immaginare la paura di Gesù se non come un timore per noi: «L'angelo apparve - scrive - per consolare, non a causa della sua debolezza, ma per il nostro conforto» . Fin dall'antichità l'in­ staurazione di una cristologia forte rendeva impensabile un'umanità de­ bole di Gesù. s Poiché la Riforma non ha avuto come principale interesse la cristolo­ gia, le interpretazioni di Erasmo 6 e di Lutero/ poi quelle di Calvino 8 e 1 In Disputa di Sergio Stilita contro un giudeo 7,7 l'autore, che scrive in siriaco nell'viii secolo, enuncia questa frase enigmatica: « Se il figlio cercò aiuto da un angelo, nello stes­ so modo il padre scagliò una maledizione su Meroz perché essi non vennero in aiuto del Signore� (tr. secondo A.P. Hayman, The Dispute of Sergius the Stylite against a ]ew [CSCO 3 3 9 scriptores syri 1 5 3], Louvain 1973, 1 8 ) . La maledizione di Meroz risale al cantico di Debora ( Giud. 5,23). Vi fu una debolezza del figlio, questo è probabilmente il senso, come vi fu una debolezza del padre. Devo questo rinvio al dott. Emmanuel Pa­ poutsakis, che me ne ha forniti altri e mi ha procurato riferimenti bibliografici. 1 Bonaventura Comm. in Le. 22,5 1-58 ( 5 5 5- 5 5 8 ). 3 Cf. sopra, p. 222. 4 Bonaventura vede due sensi allegorici nel tiro di sasso: la pietra angolare si allontana per breve tempo e ritorna subito; chiunque preghi deve staccarsi dagli appetiti della carne. 5 Plummer, 5 1 1 cita una frase di Bernardo di Chiaravalle, Dominica Palmarum, Serm. M (PL 1 8 3 , 262), nella quale il teologo medievale dice che Gesù «ha supplicato non solo con i suoi occhi, ma, per così dire, con tutte le sue membra, affinché tutto il suo corpo, che è la chiesa, sia purificato dalle lacrime di tutto il suo corpo� . 6 Erasmo, Paraphrasis, 4 5 4 s . 7 Lutero, Evangelien-Aus/egung, 1 1 5 4-1 1 5 9. Lutero riconosce l a paura esistentiva d i Ge-

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ULTIMA PREGHIERA DI GESÙ

di Maldonado I non sono fondamentalmente in contrasto tra loro. Gli uni e gli altri sono ancora segnati dall'evoluzione della pietà, così perce­ pibile nelle arti nel XIV secolo, che da un Cristo onnipotente si apre ai mi­ steri della sofferenza del figlio di Dio. Questo Christus dolorosus sotten­ de parecchie spiegazioni. In epoca illuministica il dogma delle due nature vacillerà tra i pensatori indipendenti e poi tra i protestanti: Cristo pro­ vò realmente timore e sofferenza. Col grido «Eloi, Eloi, lama sabaktha­ ni» di Mc. I 5 , 3 4 le lacrime di sangue e la paura divengono esempi del­ l'uomo Gesù. Le sue esitazioni suscitano, nella maggior parte dei casi, ammirazione: non supera forse la sua apprensione legittima con una ras­ segnazione eroica ? In quanto espressioni della sua debolezza, provoca­ no invece il sarcasmo di coloro che difendono la figura dell'uomo forte. Gli spiriti illuminati e critici del XIX secolo, che saranno seguiti dai di­ fensori della teologia liberale, si annoverano tra gli ammiratori. Ernest Renan, nella sua famosa Vita di Gesù, scrive due pagine significative su Gesù sul Monte degli Ulivi.1 Da un lato riassume, armonizzandole, le di­ verse versioni dell'episodio, dall'altro le interpreta in modo narrativo se­ guendo la linea che ho appena indicato. Cito alcuni passi eloquenti: «Una grande tristezza sembra aver riempito, in questi ultimi giorni, l'anima, di solito così felice e serena, di Gesù. Tutti i racconti concordano nel con­ cedergli prima del suo arresto un momento di esitazione e di turbamen­ to, una sorta di agonia anticipata . . . La sua anima fu triste fino alla mor­ te; un'angoscia terribile pesò su di lui; ma la rassegnazione alla volontà sù, anche se ritiene che non sia piccola cosa ammettere che il figlio di Dio abbia provato un tale sentimento. Pone quindi la questione, decisiva a suo parere, dell'utilità dell'epi· sodio del Getsemani per i cristiani. Secondo lui è triplice: la scena biblica 1 . mostra qua· le sia il peso del peccato, 2. insegna dove trovare la consolazione (nel luogo in cui la mor· te, in passato punizione del peccato, diviene guarigione dal peccato), 3 · impegna ciascu· no a pregare quando la prova irrompe. s Calvino, Harmonie, 662-670. Il riformatore ginevrino annota le particolarità lucane. Conosce le problematiche che l'episodio ha posto agli esegeti obnubilati dalla gloria di­ vina del Cristo. Apprezza il commento di Ambrogio e cita Cirillo di Alessandria. Mette in relazione il timore con la natura umana di Gesù, che però, essendo senza peccato a dif­ ferenza dei comuni mortali, ha preferito la volontà di Dio alla sua. Vi erano - riflessione che poi K. Barth svilupperà - due ragioni alla base della sua paura: la morte come sepa­ razione e passaggio, e la morte come giudizio e punizione in vista della redenzione. Cal­ vino riflette sull'atteggiamento mutevole - diremmo noi psicologico - di Gesù e sulle con­ dizioni reali della preghiera. Contro gli eretici monoteliti del passato, ritiene che ci fos­ sero in Gesù due nature ma anche due volontà: una umana che, abbagliata dall'irruzio­ ne della morte, giungeva a dimenticare la sua missione redentrice; l'altra divina, che si ricordava il disegno immutabile di Dio. I J. Maldonat, In Le. 22,38 ( 1 49), che rimanda alla spiegazione della scena del Monte degli Ulivi presentata nel suo commento a Matteo. 2. E. Renan, Vie de ]ésus, 236 s.

divina ebbe il sopravvento» . Dopo un istante di smarrimento ( (> . Non occorreva forse che morisse perché potesse esse­ re «il principe della vita >> (o CÌfl"X.Y))'Òc; -.i)c; "çwi)c;, Atti 3 , 1 5 ) ? La strada porta

da natale al venerdì santo e la distanza non è lunga.

sang (Le. 22,43 ·44) ou comment on pou"ait bien encore écrire /'histoire ( 2007). Se sia­ mo d'accordo sull'origine lucana dei vv. 43-44, che non sono dunque un'interpolazione,

siamo invece in disaccordo sul senso da conferire al termine greco ciywvla. C. Clivaz di­ fende il significato di «lotta » . Qualunque sia il senso da dare a questa parola, l'esegeta valdese presenta con talento il quadro di « lotta» nel quale si inscrive la pericope.

ARRESTO DI GESÙ ( 22, 47 - 5 3 )

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Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio consegni il figlio dell'uomo? » .a 49 Vedendo ciò che stava per succedere, quelli che lo attorniavano disse­ ro: « Signore, dobbiamo colpire con la spada ? » . s o E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l'orecchio destro. 5 1 Gesù rispose: « Lasciate fare fino a questo punto >> . Poi, toccato l'orecchio, lo guarì.

a Altra traduzione: «Giuda, con un bacio consegni il figlio dell'uomo! ,. .

3 27 52· Gesù disse a coloro che erano arrivati contro di lui, ai sommi sacer­ doti, agli ufficiali del tempio e agli anziani: «Siete usciti con spade e basto­ ni come contro un brigante! 5 3 Quando, ogni giorno, mi intrattenevo con voi nel tempio, non avete alzato le mani contro di me, ma questa è l'ora vostra, e la potenza delle tenebre» .

In questo passo, cui la tradizione cristiana ha dato per titolo: «L'arresto di Gesù », l'arresto vero e proprio non compare, sarà menzionato, solo di sfuggita, all'interno di una subordinata participiale, all'inizio della peri­ cape successiva (v. 54). 1 Luca evita in modo palese il verbo xpa-rw, «af­ ferrare», che Marco utilizza quattro volte (Mc. I4.44·4 6·49·5 J ). Questo silenzio non significa tuttavia che i lettori debbano dimenticare la minac­ cia che pesa su Gesù; al contrario, tutto gliela ricorda in questi versetti: il figlio dell'uomo consegnato (v. 48), la possibilità della resistenza ar­ mata (v. 49), il colpo inferto all'orecchio del servo (v. 50), la presenza di spade e di bastoni (v. p . ) e l'espressione «alzare le mani contro di me» (v. 5 3 ). Tali ricordi negativi formano lo sfondo di una realtà posi­ tiva che si impone sul proscenio: l'autorità di Gesù, che si manifesta tre v olte: a) Giuda non ha il tempo di dare il suo bacio (v. 47) che Gesù lo rimprovera (v. 48); 2 b) i discepoli esitanti (v. 49), poi il compagno pre­ so da zelo intempestivo (v. 50) sono rimessi in riga con un'espressione enigmatica e un gesto curativo del maestro (v. 5 1 ); c) gli avversari che fanno irruzione si vedono umiliati da un discorso di Gesù che svela la loro codardia e la loro malizia (vv. pb 5 3 ) . -

Secondo l'ipotesi qui adottata, Luca alterna le sue fonti piuttosto che combinarle. Dall'inizio del cap. 22 l'evangelista ha seguito dapprima Marco ( 22, 1- q), poi il materiale suo proprio ( 2 2, 1 5 -46); qui riprende Marco, al quale resta fedele fino alla comparizione davanti a Pilato ( 22, 47-23 , 5 ). La dipendenza lucana nei confronti di Marco in questi vv. 4753 è fuor di dubbio ed è ammessa dalla maggior parte degli esegeti.3 Ciò non significa che Luca riproduca la sua fonte pedissequamente,4 la riCf. C.F. Evans, 8 1 4; D. Senior, Passion, 9 3 · 2 Cf. D. Senior, Passion, 90. Ad esempio Fitzmyer n, 1448. G. Schneider, Passion jesu, 43-5 5 confronta con precisio­ ne la redazione lucana con quella del vangelo di Marco; ritiene che il v. 5 3 b, non mar­ ciano, sia tradizionale e appanenga al materiale proprio; pensa infine che Luca e Giovan­ ni abbiano in comune aggiunte e omissioni. 4 Vi sono opinioni diverse riguardanti gli antecedenti della pericope nella versione ripor­ tata da Marco. Per J.W. Doeve, Gefangennahme dietro Marco sta un'unità tradizionale di origine aramaica che ciascun evangelista amplia a proprio piacimento. Per E. Linne­ m an n , Studien, 4 1 -69 si è davanti a tre piccole unità indipendenti: a) un apoftegma bio­ grafico (Mc. 14,43·48-49); b) il racconto dell'arresto di Gesù grazie a Giuda (Mc. 14,4446); c) la menzione della reazione attiva dei discepoli (Mc. 1 4,47· 50-p.). Per G. Schnei1

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ARRESTO DI GES Ù

scrive invece a suo piacimento: se le è fedele all'inizio (v. 47),' conserva per la fine la menzione delle spade e dei bastoni (v. p), per evitare l'in­ felice ripetizione di Marco (Mc. 14,43 e 48) e passa inoltre sotto silen­ zio la funzione di segnale del bacio (Mc. 1 4,44), affinché sia Gesù a spie­ garla e non il narratore. Tale spostamento non si è attuato senza modifi­ che: invece di servire a riconoscere Gesù nella notte e in mezzo al grup­ po, il bacio marca il contrasto tra l'affetto che presuppone e l'inimicizia che qui lo accompagna (consegnare il figlio dell'uomo, v. 48). Poiché a Luca importano più le parole di Gesù, che intuisce e domina la situazio­ ne, che i gesti degli avversari, l'azione di Giuda (Mc. 14,4 5 ) non ha nem­ meno bisogno di essere menzionata: Luca non ne segnala che l'intenzione (v. 47b). L'arresto stesso (Mc. 14,46), come ho detto, sparisce in quanto tale, per sopravvivere solo discretamente all'inizio dell'episodio succes­ sivo (auÀÀa�ovn� aù-rov, «avendolo preso» , v. 54). Luca rispetta l'episo­ dio marciano dell'orecchio mozzato (Mc. 1 4,47), ma, giacché gli preme accordargli il significato di un principio - il rifiuto cioè di ogni resistenza armata 1 -, introduce l'incidente con una domanda generale dei disce­ poli (v. 49). Ciascuno può riconoscere il carattere redazionale di questa frase; si notino l'espressione classica ol 7ttpt aù-rov, «coloro che gli erano intorno», che si ritrova negli Atti (Atti 1 3 , 1 3 : ol 7ttpt IIauÀov, «coloro che erano intorno a Paolo» ); 3 l'uso del participio futuro (-rò Èao[J.&Vov, «ciò che sarebbe successo» ) che compare solo qui nel Nuovo Testamen­ to; il titolo cristologico KUpLE, «Signore», che, come si sa, piace partico­ larmente a Luca; 4 infine il ricorso a domande all'interno di un dialogo didattico, procedimento che dipende dalla tecnica letteraria del terzo evangelista. Poiché ristabilisce sempre la salute, il messia lucano non potrebbe dunque tollerare qui che i suoi discepoli le rechino offesa: Ge­ sù guarisce il ferito (v. 5 I ), 5 non senza estendere, al tempo stesso, la por­ tata della lezione che impartisce (Èii-re, «lasciate fare», è al plurale e rider, Verhaftung si tratta di un racconto originario breve che si è arricchito nel corso del tempo (ad es. dell'episodio dell'orecchio tagliato). 1 La formulazione dell'inizio del v. 47 corrisponde esattamente a quella di Mc. 1 4,43, che anche Mt. 2.6,47 rispetta fedelmente. La rilettura lucana omette tuttavia xa;Ì tù-lìV> agli : 6 in questo passo riprende infatti un titolo che aveva introdotto in 22,4, quello di «ufficiale» (a-tptX'tlJ)'Oc:;), che riprenderà negli r Si vedano le due pagine di P. joiion, Luc: l'autore dubita che l'evangelista, che altrove non esprime né la sua ribellione né la sua tristezza davanti alla passione di Gesù, dia im­ provvisamente una connotazione affettiva a w-riou del v. 5 1 . Osserva anche che w-riov de­ signa non tanto un «piccolo orecchio,., ma l' «orecchio esterno>>, il « padiglione» . Cf. an­ che BDR, § I I 1 . 3 n. 5 · È possibile che, per il genitivo, la lingua popolare dell'epoca pre­ ferisse ricorrere a w-riou piuttosto che alla forma che joiion definisce anomala, 00..6�. 2. Sia il codex Bezae (D = 05) che i testimoni della Vetus Latina raccontano la guarigione (fine del v. 5 1 ) in modo un po' differente: xcxl Èxnivcx� -r�v X!ipcx ljljxx-ro cxthou xcxl IÌ7tExcx­ 't"Ea't"a..91J -rò o� cxthou, «e, avendo teso la mano, lo toccò e il suo orecchio fu ristabilito"; IÌ7tExcxna't"li..91J ha doppio aumento (al riguardo cf. H.W. Smyth, Greek Grammar, § 4 5 I ). 3 In 6,6 Luca ha precisato che la mano secca (Mc. 3, I-6) era di fatto la mano destra. 4 Sulla nozione di «servo» in Luca cf. I 2,4 I -46, a I 2,4 I -46 (vol. n, pp. 365-370). s In Gv. I 8,3 e I2 si fa menzione, da un lato di una coorte e, dall'altro, di servi o messi inviati dai sommi sacerdoti e dai farisei. Il quarto evangelista pensa senza alcun dubbio a una coorte romana. Amplia anche l'aspetto miracoloso, poiché militari e civili cadono nel panico davanti all'identità rivelata da Gesù, la cui onniscienza viene esplicitamente menzionata ( Gv. I 8,4-8). 6 In Le. 9,22 invece, l'evangelista accetta la lista di Mc. 8,3 1 , che cita, benché in un or­ dine differente, le tre medesime categorie di Mc. I4,4 3 ·

LC.

22, 4 7 - 5 3

33 5

Atti (o a'tpll:tYJ"( Ò>, Atti 4,1).' Se Marco ha presente la divisione tripartita del sinedrio, Luca pensa più all'orga­ nizzazione del tempio e, probabilmente, della città.1 Nel v. 5 2 non inten­ de segnalare l'arrivo di un secondo gruppo, ma precisare l'identità di co­ loro che erano arrivati, secondo il v. 47: mxptX"( tVO(.LIXL non significa «giun­ gere più tardi>>, ma semplicemente «essere presente», «arrivare >> .l Il fat­ to che questo verbo sia seguito qui dalla preposizione È1tt, «SU>>, «contro>>, evidenzia l'ostilità (solitamente si arriva 7tpoç, «verso>>, «presso» qualcu­ no, ad es. 7,4 e Atti 2.0, 1 8 ).4 Il Gesù di Luca, che qui si esprime come il Gesù di Marco,5 rivolge un rimprovero a coloro che sono venuti ad arrestarlo. In realtà il rimpro­ vero è doppio: da una parte queste persone considerano a torto Gesù co­ me un ÀTJO"'t�ç, un « brigante>> , mentre dimostrava pubblicamente ogni giorno il suo carattere inoffensivo; dall'altra, agiscono di nascosto per non dover affrontare la folla pronta a difenderlo. La prima accusa ri­ guarda l'impiego della violenza ( «con spade e bastoni» ), 6 la seconda in­ vece la furbizia (il codardo approfitta della notte; si veda la parola «te­ nebre» alla fine del v. 5 3 e forse, per contrasto, il richiamo al «giorno» 7 all'inizio dello stesso versetto).8 1

Cf. a 22,1 -6, sopra, pp. 2 1 6 s. Cf. F. Schmidt, La pensée du Tempie, 9 1 -105, in çui si possono çogliere in modo vivi­ do le attività dei responsabili del tempio. 3 Quest'ultimo è il senso >, v. 57) e la sostituisce con un uomo per la seconda (vocativo > . Dicendo « poi, trascorsa circa 7 un'ora »,8 Luca, che ignora 1 W.J.P. Boyd, Denial contraddice M. Black, Aramaic Approach, 79 s. dell'edizione che utilizzo: le forme marciane e lucane del primo rinnegamento di Pietro non possono esse­ re due traduzioni differenti di un medesimo originale aramaico. 2. D. Senior, Passion, 96 s. fa opportunamente osservare che col suo rifiuto, Pietro nega la sua relazione con Gesù e al tempo stesso l'appartenenza al gruppo dei dodici e l'iden­ tità di discepolo. 3 Per formulare la seconda osservazione Luca si ispira all'inizio della terza secondo Mar­ co ( 14,70). 4 Luca talvolta utilizza IZ�pw1tO>, scrive semplicemente. Inoltre - al­ tra attenuazione - il Pietro di Luca dice di non capire, mentre quello di r Per Wiefel, 3 8 3 Luca vuole segnalare che il rinnegamento non fu un incidente di breve durata. 2 1ÌÀ1]-8wc; di Mc. 14,70 è ben scelto, poiché l'avverbio si impiega quando si tratta di ve­ rificare se un fatto sia vero. Anche l'espressione corrente b' àì-11-8e:l� si adatta bene, ma forse per un'altra ragione: sottolinea piuttosto la sincerità del locutore, in questo caso quella dell'uomo che insiste e ritiene veramente di aver ragione. 3 Luca riprende da Marco un idiotismo: l'abbinamento delle due congiunzioni xcxl ycip (Mc. 14,70), letteralmente «e infatti» . 4 Sulla parlata dei galilei cf. Mt. 26,73; U . Luz, Matthiius IV, 2 1 5 . Luca menziona la «Ga­ lilea» a più riprese (cf. 1,26; 2,4.39; 3 , 1 ; 4,14. 3 1 ; 5 , 1 7; 8,26; 1 7,1 1 ; 23,5 ·49· 5 5 ; 24,6); segnalerà pure questa regione, benché più discretamente, nel libro degli Atti (Atti 9.3 1 ; 10,37; IJ,3 I ). L'evangelista h a impiegato i l termine «galileo» i n 1 3 , 1 e 2 riferendosi al­ le vittime e vi ricorrerà in 23,6 a proposito di Gesù.

IL RINNEGAMENTO DI PIETRO

Marco afferma di non conoscere ((l'uomo di cui mi parlate» , scortese de­ signazione di Gesù. Per esprimersi, come fa spesso in questa pericope, Luca ricorre tuttavia a una frase di Marco, che si trova però altrove, vale a dire all'interno della prima risposta (Mc. 14,68 ). Pietro persiste: per due volte (vv. 57 e 6o) dice ad alta voce di non sapere, di non co­ noscere. Quante negazioni! Tre oùx, «non» (vv. 57, 5 8 e 6o) per un tri­ plice rinnegamento. 1 Le parole di Gesù erano state interrotte nel v. 47· Qui, v. 6o, lo sono quelle di Pietro, con la stessa formula (t"tt ÀcxÀouv"toc; aù"tou, «mentre an­ cora parlava » )." Luca ci ha abituati all'avverbio 1ttXPIX'X.PlJ!J.CX, «nello stes­ so istante•• , (( subito» , e alla funzione che svolgono le espressioni che in­ dicano fretta o repentinità: segnare un intervento divino o l'attuazione di un disegno provvidenziale. 3 Che il gallo canti al levar del giorno è del tutto normale, ma che Pietro termini il suo triplice rinnegamento nel momento previsto dal Cristo fa parte, per Luca, del piano di Dio nella storia. 6 1 . Chi ha frequentato un palazzo di giustizia sa che gruppi di per­ sone attendono nei corridoi e che si incrociano i passi e gli sguardi di coloro che escono da un'udienza e di coloro che attendono fuori. Pro­ prio quello che succede qui. Per mostrare che Gesù è occupato altrove, ma non dimentica la sorte del suo discepolo, Luca impiega il participio a"tpcxcpe:k, «essendosi voltato» . Non c'è affatto bisogno di dirci che cosa in questo momento tenga occupato Gesù: i lettori sanno che ha perduto la libertà dei suoi movimenti. Ciò che vengono a sapere è che Gesù uti­ lizza l'ultimo diritto che gli resta: quello di voltare 4 la testa e di guarda­ re 5 il suo discepolo.6 L'evangelista non connota questo sguardo. Tutto 1 Aug. Serm. 2.8.5,3 (PL 38, 1 2.94 s.) accosta il triplice rinnegamento al triplice «mi ami?» che il Cristo risuscitato rivolge all'apostolo ( Gv. 2 1 , 1 .5-17); cf. A.A. Just, Luke, 349 s. Identico accostamento in Ambr. In Le. 10,90. 2. Muta soltanto l'ordine delle parole, e si evita uno iato; nel v. 47 leggiamo E'ti tXÙ-tou À«Àouvtoç. 3 Si veda la fretta di Maria di raggiungere Elisabetta, 1,39; a 1,3 9-40 (vol. 1, p. 102). Si ritrova spesso 7tczptX'XPW« in Luca, specialmente per mettere in evidenza il carattere istan­ taneo del miracolo che si compie: cf. 1,64; 4,39; .5,2.5; 8,44·47·.5. 5 ; 1 3 , 1 3 ; 1 8,43; 19,u (qui non si tratta di un miracolo, ma dell'irruzione, attesa a torto, del regno di Dio). 4 Luca ricorre allo stesso participio in 7,9; su a-tpi�, È1t1a-tp&!f1w e il loro mediopassivo in Luca cf. F. Bovon, Luc le théologien3, 2.92.-298. 5 Su ljJ.�ÀÉ7tw cf. LSJ, s.v. e Bauer-Danker, s.v. 6 Nel De Passione Sermo 111, ossia 4 1 ( .54),.5 (SC 74, 60-63), Leone Magno sottolinea l'im­ portanza di questo sguardo: esso penetra in Pietro e lo invita a voltarsi verso colui che glielo rivolge. Cf. A.A. Just, Luke, 349·

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22, 5 4 -6 5

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quel che si può dire è che Gesù si disinteressa di se stesso e si preoccupa del suo discepolo. Ma lascia trasparire tristezza ? Oppure il suo sguardo contiene un rimprovero ? O vuole avere ragione? Non si sa. Tutto quel­ lo che a Luca preme segnalare è l'effetto immediato che produce. Pietro infatti si ricorda subito delle parole di Gesù. La sua reazione corrisponde al· comportamento cristiano che l'evangelista definisce nel corso di tutta la sua doppia opera. Nel vangelo Luca ha ricordato che occorreva ascoltare la parola, non dimenticarla e vivere di essa. • Nel momento in cui Gesù si volta verso di lui, pure Pietro si volge verso il suo Signore, poiché «si ricordò della parola del Signore» . Più importan­ te di un movimento fisico, si tratta di un volgersi interiore (cf. È7tta-.pÉ�oo;, «una volta voltato», «una volta convertito», del v. 3 2). Attraverso que­ sta !J.E'tcXVOtGt, questa «conversione» , l'apostolo appare come il modello del credente. Luca precisa quindi che colui che rivolge la parola a Pietro e lo fissa poi con lo sguardo, non è semplicemente «Gesù», ma «il Signo­ re» (il titolo o xuptoc;, « il Signore» , compare qui due volte).1 Il richiamo della parola di Gesù (v. 6 1 ) corrisponde meglio al parallelo di Marco (Mc. 14,72) rispetto alla profezia stessa nella sua formulazione lucana (v. 34).3 Là Luca seguiva infatti il materiale suo proprio, qui si confor­ ma invece al secondo vangelo."' 62. Risulta molto difficile stabilire se questo versetto facesse o no par­ te, in origine, del vangelo di Luca. Propendo per una contaminazione di Matteo (Mt. 26,7 5b). Tale finale matteano rende visibile all'esterno il lavoro spirituale che Pietro sta operando nel suo intimo. Le lacrime se­ gnano il pentimento.s Che esse siano amare (mxp�, « amaramente» ) si spiega con l'orrore per il peccato che è stato appena commesso. Il fatto che Pietro «esca » indica che non ne può più: da quel momento è in mo­ vimento verso il perdono e la vita nuova. I commenti si esauriscono spesso in confronti sinottici e in ricostru­ zioni storiche; i loro compilatori dimenticano allora l'essenziale: una fe­ nomenologia o una psicologia del rinnegamento. Due sposi possono ri-

Cf. ad es. 6,47; 8,1 5 . 2 1 ; 1 1 ,28; a 6,47-49 e 8,19-21 (vol. I, pp. 399-402 e 488-490). Sul titolo o xt)pux;, •il Signore », in Luca cf. a 2,1 1 (vol. I, p. 1 50 s.); F. Bovon, Luc le théologien3, 1 99-202. 3 Anche se, seguendo Marco, il primo significa normalmente «negare» e il secondo «ri­ fiutare », •rinnegare•, Luca dà all'incirca lo stesso senso al verbo semplice àpvoU(Aat (v. 57 e 12,9) e al composto IÌ7tapvoUfJ.cxt (qui, v. 61, e in 1 2,9). In 9,23 i mss. esitano tra le due forme, cf. a 9,23 (vol. I, p. 565). 4 L'utilizzo marciano di wç, •come•, •quando•, va bene a Luca che apprezza questo impiego; cf. J. Jeremias, Sprache, 298. 5 Ambe. In Le. ro,87-90. r

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IL RINNEGAMENTO DI PIETRO

pudiarsi, separarsi, ma non possono affermare di non conoscersi. Il rin­ negamento si inserisce in un quadro più ampio e meno intimo rispetto alla famiglia; dipende dal gruppo, dalla banda, dall'associazione, dal par­ tito. Di che cosa si tratta più precisamente? Di una decisione rapida presa in una situazione di crisi, di un riflesso di autodifesa 1 determina­ to più dal panico che dal calcolo; di una decisione presa sotto l'effetto di un impulso più che di una riflessione, che consiste nel «lasciare » una persona alla quale fino a quel momento si è «tenuto» . Proprio questo brusco cambiamento, di cui la persona abbandonata non è responsabi­ le, scandalizza il senso morale di ciascuno: a distanza e per lo spettato­ re, corrisponde a codardia, egoismo, ingiustizia e ingratitudine; 1 da vi­ cino e per il diretto interessato, dipende invece dalla sopravvivenza da­ vanti a una situazione segnata essa stessa dall'ingiustizia e dalla violen­ za. In tal senso, l'aspetto notevole del pentimento di Pietro è che si veri­ fica quando la violenza non ha ancora toccato il suo apice; senza questo esame di coscienza l'atteggiamento di Pietro resta tuttavia vergognoso e suscita obbrobrio e critica. Per dirla altrimenti, l'aspetto deludente del pentimento di Pietro è che ci sono voluti tre rinnegamenti consecutivi, il canto del gallo e lo sguardo del maestro perché esso infine avvenisse. Chi non è mai stato codardo e ha sempre dato prova di Zivilcourage gli scagli la prima pietra ( Gv. 8,7). 63-65 . Luca inserisce qui una scena di oltraggi che gli altri due vange­ li sinottici pongono alla fine della comparizione notturna davanti al si­ nedrio (Mc. 14,65 l Mt. 26,67-68 ), comparizione che l'evangelista non conosce in questo luogo. Marco, Matteo e Giovanni sanno di una se­ conda scena di ingiurie nella cornice del processo davanti a Pilato (Mc. 1 5,1 6-2oa l Mt. 27,27-3 1a l Gv. 19,2-3 ); Luca la ignora,3 poiché segue in questo momento il testo del materiale suo proprio (da 23,6 a 23 ,43 ) 1 Cirillo di Alessandria Serm. in Le. 149 osserva che la paura della morte era più forte di ogni resistenza umana; sarà sconfitta solamente dopo la vittoria sulla morte rappresen­ tata dalla redenzione del venerdì santo e dalla risurrezione del giorno di pasqua; cf. R. Payne Smith, Cyril n, 669. 2. Aug. Epist. 265,2 (PL 3 3 , 1086) distingue Pietro dai penitenti che attendono sui ban­ chi della sua chiesa. L'apostolo è meno colpevole di loro, giacché ha commesso il suo peccato prima di aver ricevuto il dono dello Spirito santo, prima della risurrezione del Cristo e della pentecoste. Loro invece sono stati battezzati e hanno ricevuto lo Spirito prima di cadere nel male. Cf. A.A. Just, Commentary, .349· Cyr. Serm. in Le. 149 diffida di una simile distinzione: nel momento del suo rinnegamento Pietro non aveva già con· diviso il corpo del Cristo durante l'ultima cena ? Cirillo di Alessandria preferisce insiste· re sulla forza della tentazione e sul Dio che perdona; cf. R. Payne Smith, Cyril n, 700 s. 3 Ben sottolineato da Lagrange, 567 e 570.

3 59 e forse I primi

anche perché non vuole dare un'immagine negativa dei romani. oltraggi si inscrivono in un quadro giudaico: con i loro gesti e le loro parole, gli aguzzini accusano Gesù di non essere che un falso pro­ feta. Gli oltraggi successivi si spiegano in un contesto romano: i soldati del governatore ridicolizzano le pretese regali di Gesù. 1 Come ho detto/ Luca ha riformulato l'episodio rispetto a come lo raccontava Marco. Precisa l'identità di coloro che se la prendono con Gesù: sono «gli uomini che lo tenevano prigioniero » .3 Impiega quindi il verbo È(J.7tait;w (v. 63 ) che fa pensare a dileggi piuttosto che a torture (cf. il termine 1taic;, «fanciullo » ) . Può succedere che il gioco consista nel farsi beffe di qualcuno; il divertimento degenera poi in crudeltà. Sono i verbi 1taiw e ÒÉpw a segnalare che gli scherni, seri, sono accompagnati da colpi. Non dimentichiamo che il senso primario di ÒÉpw è . b Gli rispose così: «Tu lo dici » .' 4 Pilato disse allora ai sommi sacerdoti e alle folle: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo>>.

a Lett.: «Costui» . - b Oppure: «Sei tu i l re dei giudei? » . - c Oppure: « Sei tu che l o dici».

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5 Ma essi insistevano dicendo che agita il popolo insegnando per tutta la Giudea,d dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui».

d Sul senso estensivo che si deve dare a questo termine cf. sotto, p . 3 9 1 .

Luca, che considera il Cristo «giudice dei vivi e dei morti» (Atti 1 0,42), lo fa comparire qui davanti a Pilato, giudice della potenza mondiale del­ l'epoca. All'umiliazione drammatica di un giudice che si vede accusato si aggiunge il paradosso insostenibile del divino consegnato all'umano. I Queste tensioni, seppure presenti, restano senza dubbio celate, ma l'eco­ nomia dell'intera opera di Luca, vangelo e Atti, le esplicita e ne dà conto. I pochi versetti qui analizzati formano l'anello di una catena: "' costitui­ scono, con il prosieguo (la comparizione davanti a Erode, 23,6- 1 2; il dia­ logo di Pilato con le autorità giudaiche, 23 , 1 3 - 1 6, e la decisione di un Pi­ lato titubante, 23,1 8-2 5 ) , un'unità letteraria in cui il governatore ro­ mano è il protagonista dell'azione. La comparizione davanti a Pilato pe­ raltro non si spiega senza ciò che precede, vale a dire la seduta del sine­ drio (22,66-7 1 ), che fa seguito logicamente al complotto ( 22,1-6) e al­ l'arresto ( 22,47- 5 3 ).3 Se ci si ricorda l'intensità del dialogo tra Gesù e i suoi discepoli nella stanza di sopra e nell'orto degli Ulivi, si constata, di volta in volta, la presenza di Gesù tra i suoi, sua nuova comunità ( 22, 7-46); il suo confronto con le autorità d'Israele, sua comunità di origi­ ne (22,47-7 1 ); infine il suo incontro con Pilato, rappresentante del pote­ re universale di Roma ( 23 , 1-25). La comparizione davanti a Pilato si svolge secondo una logica che ri­ spetta al tempo stesso le esigenze narrative e le norme procedurali roma­ ne: 4 Gesù viene condotto dai suoi avversari (v. 1 ); costoro lo accusano I

Cf. l'interpretazione di Calvino presentata sotto, pp. 393 s. F.J. Matera, Jesus, 5 3 5 parla di un « processo prolungato composto da quattro scene» (davanti al sinedrio, davanti a Pilato, davanti a Erode e, di nuovo, davanti a Pilato). 3 Secondo C.H. Talbert, Reading, 2. x:z. i versetti da 2.2.,39 a 2.3,2.5 formano un'unità che fa parte di un insieme più esteso compreso tra 2.2., 1 e 2.3,56. Secondo R. Meynet, Guide, 1 04 e Evangile 1, 2. 1 5 e n, 2.2.4-2.2.9 sono i versetti 2.2.,54-2.3,2.5 a costituire un'unità, la quale è strutturata a chiasmo: Pietro abbandona Gesù ( 2.2.,54-62.) i guardiani si prendono gioco di Gesù ( 2.2.,63-65) davanti al sinedrio ( u,66-7o) verdetto ( 2.2.,7 1 ) davanti al governatore (2.3,1-5) Erode si prende gioco di Gesù ( 2.3,6-12.) tutti abbandonano Gesù (2.3,13-2.5). Personalmente non credo che Luca voglia dare particolare risalto al v. 71 del capitolo 2.2.. 4 Cf. F. Bovon, Derniers jours\ 55 s. 2

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(v. 2); il giudice si volge verso l'imputato per interrogarlo (v. 3a); questi risponde, senza dubbio in maniera evasiva (v. 3 b); il giudice esprime la sua opinione (v. 4); il fatto che consideri Gesù innocente suscita una rin­ novata opposizione da parte dell'accusa (v. 5 ). L'evangelista allora ri­ tiene che il processo non sia concluso e gli dà un seguito inatteso. Il di­ ritto romano conosce la remissio ' ed è una grazia, senz'altro tempora­ nea, che Pilato offre in questo momento: la menzione del ministero di Gesù in Galilea (v. 5 ) gli ricorda la presenza a Gerusalemme, in quei giorni di festa, del principe di Galilea. Decide quindi di far comparire Gesù davanti a lui ( vv. 6-7).1 Occorre confrontare la versione lucana del processo davanti a Pilato con le altre versioni evangeliche. L'ordine che Marco e, sulla sua scia, Matteo conferiscono all'episodio non presenta né la logica né l'elegan­ za della narrazione lucana: dopo una riunione mattutina del sinedrio, menzionata senza alcun particolare, le autorità giudaiche conducono Gesù da Pilato dopo averlo legato (Mc. 1 5, 1 l Mt. 27,1 -2).3 Senza che sia formulata un'accusa, Pilato pone immediatamente a Gesù la domanda relativa a una eventuale identità regale. La risposta di Gesù è identica nei tre sinottici: aù ÀÉytL�, «tu lo dici» oppure «sei tu che lo dici» (v. 3 / Mc. 1 5,2 l Mt. 27, 1 1 ). Il racconto di Marco e di Matteo procede in mo­ do differente rispetto a quello di Luca: le accuse delle autorità giudai­ che piovono quindi su Gesù, prima che Pilato interroghi di nuovo e per due volte l'imputato: Gesù tace in entrambe le occasioni, e ciò non man­ ca di sorprendere Pilato (Mc. 1 5,3-5 l Mt. 27, 1 2-14). Secondo l'ipotesi che sostengo in questo commento, Luca non conosce Matteo, ma cono­ sce Marco. Come si comporta in questo passo? Sono state proposte due soluzioni. Secondo la prima, Luca mal sopporta le goffaggini logiche di Marco, ristabilisce una logica narrativa conforme allo svolgimento abi­ tuale di un processo romano e riscrive il tutto nel suo stile e con le sue parole. 4 Ciò che rispetta di Marco e che è centrale ai suoi occhi è la pri­ ma domanda di Pilato ( «tu sei il re dei giudei ? » ) e la risposta di Gesù r

Su questa remissio cf. E. Bammel, Trial, 42. 3 . Evangile n , 2.2.7 ritiene che dopo l'introduzione costituita dal v . I , il proces­ so davanti a Pilato, vv. 2.-5, «sia costruito in modo concentrico» . Sia i vv. :z. e 5 (accuse giudaiche) sia i vv. 3a e 4 (parole di Pilato) si corrispondono. Il v. 3 b, risposta di Gesù che, secondo Meynet, accetta il titolo regale, occupa il centro dell'unità letteraria. 3 Matteo intercala qui - ed è il solo a farlo - l'episodio della morte di Giuda, Mt. 2.7,3IO. Luca conosce un riscontro a questo racconto, molto differente, e lo fa narrare a Pie­ tro all'inizio del libro degli Atti (Atti I , I 6-l.o). 4 Cf. Creed, 2.79 s.; Schneider n, 47I; Fitzmyer 11, I472.; W. Radi, Sonderiiberlieferungen; Wiefel, 3 8 8; F.J. Matera, ]esus è un fervido difensore della dipendenza lucana dal solo Marco. 2. R . Meynet,

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( « tu lo dici»). I l v . 3 di Luca corrisponde, fatta eccezione per qualche par­ ticolare, a Mc. I 5,2. Secondo l'altra soluzione, Luca qui si basa sul ma­ teriale suo proprio che riporta a suo modo la comparizione di Gesù da­ vanti a Pilato. 1 Diversi argomenti depongono a favore di questa ipotesi: le differenze di lessico tra le versioni lucana e marciana sono considere­ voli. Certo, Luca si compiace sempre di migliorare la prosa di Marco, ma raramente in modo così pesante (sulle 89 parole del passo, sono sol­ tanto 20 quelle che Luca riprende da Marco).1 Varia anche il concate­ namento narrativo: se gli inizi si assomigliano qui e là (dopo la riunio­ ne del sinedrio Gesù viene condotto davanti a Pilato),3 solo Luca men­ ziona logicamente le accuse rivolte contro Gesù (v. 2). Dopo lo snodo comune del breve dialogo tra Pilato e Gesù (v. 3 ), i racconti divergono: Luca ignora le nuove domande di Pilato, il silenzio, in risposta, di Gesù e la sorpresa finale del governatore. Marco, invece, non conosce la di­ chiarazione di innocenza di Gesù pronunciata da Pilato, né le .nuove ac­ cuse avanzate dalle autorità giudaiche, riguardanti l'insegnamento itine­ rante di Gesù. Difficile decidere: dopo parecchie esitazioni, propendo per una rilettu­ ra redazionale di Marco. Il lessico di questi versetti è infatti lucano e non ricorda le particolarità del materiale proprio.4 Se si pensa al participio àvcxa'tli:v, «alzatasi» , ad a7tcxv, «tutta », a 'tÒ 1tÀij-8oc;, ce la moltitudine», per restare al v. I,5 oppure all'orientamento tematico delle accuse rivolte contro Gesù, vale a dire la corruzione del popolo, il suo insegnamento, il rischio di una sedizione - tutti argomenti sollevati anche contro i cri­ stiani nel libro degli Atti 6 -, si ammetterà che Luca riprende, facendo­ lo suo, e migliora il vangelo di Marco. Seguendo l'ipotesi dell'alternanza delle fonti alla quale sono giunto/ constato che Luca cessa di ricopiare Marco alla fine dell'episodio (v. 5 ) e continua con il materiale suo pro­ prio a partire dall'episodio di Erode (v. 6). Non senza astuzia ha men1

Cf. V. Taylor, Passion Na"ative, 86 s. 89. Per Taylor il v. 3 è un'inserzione marciana un

episodio non marciano. Anche se non la difende, F.J. Matera, Jesus, 5 3 6 s. presen2. Cf. Emst, 621. 3 Luca non dice che Gesù arriva incatenato nel conile di Pilato (Mc. 15,1 / Mt. 27,2). Questo silenzio può dipendere dalla fonte di Luca o da un'intenzione dell'evangelista (esitazione a umiliare Gesù; libenà di movimento dell'accusato finché la sentenza di Pilato non è pronunciata). 4 Cf. Fitzmyer n, 1471 s. 5 Nel v. 2 si notino i verbi �'X.O!J.CII, «cominciare», xwMw, «impedire» , «proibire»; nel v. 4 l'uso di ltpoc;, «a», dopo il Verbo Myw, «dire»; nel V. 5 l'uso di XCI't"r.i COn l'aggettivo oÀoc; (d. 4, 14 e 8,39). 6 F.J. Matera, Jesus, 5 3 9, che rinvia ad Atti 1 7,6-7 e 24,5 . E. Bammel, Trial, 425 s. segna­ la le relazioni tra il testo di Luca e la situazione del cristianesimo al tempo in cui l'evangelista scriveva. 7 Cf. F. Bovon, Le récit lucanien de la Passion, 410-4 1 6. in

ta con chiarezza questa ipotesi e coloro che la sostengono.

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zionato la Galilea nell'evocazione del ministero di Gesù (v. 5 ), creando così una transizione benvenuta con l'episodio di Erode (v. 6). Non è verosimile che il vangelo di Giovanni conosca i sinottici. 1 Ogni rapporto tra questo scritto e il vangelo di Luca deve perciò essere spie­ gato in altro modo. Che ne è in questo passo di tali relazioni? Il quarto vangelo da un lato segue la sua strada ed elabora, come equivalente del­ l'insieme costituito dal processo davanti a Pilato, dall'episodio di Barab­ ba e dagli oltraggi, una scena complessa e strutturata che contrappone il «dentro » del pretorio e il «fuori » dove stanno i giudei ( Gv. 1 8,28-19, 16).1 All'interno si svolge il dialogo teologico tra Pilato e il Cristo e, al­ l'esterno, le contrattazioni tra i giudei e Pilato. Al centro della compo­ sizione chiastica, Gv. 19,1-3, in uno spazio non precisato, probabilmen­ te sulla soglia, Gesù riceve la corona di spine e il titolo di re dei giudei. Per Giovanni i soldati che insultano Gesù dicono senza saperlo la verità che si cela dietro le apparenze contrarie. Ma il quarto vangelo, da un al­ tro lato, condivide più di un elemento con i sinottici, in particolare con Luca. Per ciò che riguarda la pericope di cui ci stiamo ora occupando, è opportuno segnalare la domanda di Pilato, identica a quella che ripor­ tano i sinottici,3 e la risposta di Gesù che è resa esplicita e ampliata nel quarto vangelo ( Gv. 1 8,34-3 8a); occorre soprattutto osservare la dichia­ razione di innocenza pronunciata da Pilato nei confronti di Gesù, che so­ lo Giovanni condivide con Luca ( Gv. 1 8,3 8b). In realtà nell'uno e nell'al­ tro scritto Pilato esprime per tre volte questa convinzione di innocenza (Gv. 1 8,3 8b; 19,6b. 1 2a e Le. 23,4· 14- 1 5 .22).4 La circolazione indipen­ dente dei racconti della passione non impediva né le somiglianze né le influenze. La comunità lucana e quella giovannea insistevano ambedue sull'opinione favorevole di Pilato nei confronti di Gesù, e allo stesso modo sottolineavano in particolare l'ottusità delle autorità giudaiche) Anche se conferisce una portata religiosa alla sua opera, Luca non abx Esiste ai giorni nostri una corrente di ricerca che riconosce invece una dipendenza let­ teraria del quarto vangelo nei confronti degli altri tre; cf. R.E. Brown, An lntroduction to the Gospel of fohn, ed. F.J. Moloney, New York 2003, 94- 104. 2 Cf. J. Blank, Die Verhandlung vor Pilatus. ]oh 1 8,2 8-19, 1 6 im Lichte iohanneischer Theologie: BZ 3 ( 1 959) 60-8 1 . 3 Cf. Fitzmyer 11, .1475• 4 La terza volta, Gv. 19, 1 2, Pilato esprime implicitamente il suo convincimento volendo rilasciare il suo prigioniero. Sulle eventuali relazioni tra Luca e Giovanni cf. Emst, 621. 5 Il Vangelo di Pietro non può servire qui da termine di paragone. Il principale frammen­ to greco conservato incomincia soltanto dalla fine dell'udienza di Pilato. Eccone l'inizio: «Ma, tra i giudei, nessuno si lavò le mani, né Erode né alcuno dei suoi giudici. E, poiché rifiutavano di lavarsele, Pilato si alzò. E allora il re Erode ordinò di condurre via il Si­ gnore dicendo loro: 'Tutto quello che vi ho ordinato di fargli, fatelo' ,. (Ev. Petr. 1-2; tr. secondo E. Junod, Evangile de Pierre, in É crits apocryphes chrétiens 1, 247).

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bandana la prospettiva storica; crede a l valore evenemenziale di quel che racconta. Il lettore moderno, più ancora lo storico contemporaneo, si po­ ne dunque la domanda: ci si può fidare di Luca dal punto di vista storico? Poiché ho sollevato tale questione altrove, 1 mi limito alla conclusione: Gesù ha subito una pena romana, la crocifissione,'" e fu un'autorità ro­ mana, il governatore Pilato, che gliela inflisse. Da « prefetto» - questo era il suo titolo 3 - Pilato, di cui è attestato il carattere risoluto e persino vio­ lento,4 ha subito compreso il rischio di disordini che Gesù, il predicatore di Galilea, poteva causare. In qualità di rappresentante dell'imperatore, il governatore di questa provincia procuratoriale aveva una grande liber­ tà d'azione. La sua giustizia, di tipo amministrativo, non rispettava l'or­ do, la «procedura » , dei tribunali romani. Questa cognitio extra ordinem, indagine preliminare, imputazione e giudizio al di fuori dell' orda , spie­ ga perché Pilato abbia potuto istruire questo processo così velocemente e concluderlo in maniera così rapida.s Le esitazioni di Pilato menzionate dai vangeli sono invece inverosimili: occorre probabilmente ascriverle ai cristiani che, dopo la rivolta giudaica e la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., insistono sul carattere politico inoffensivo del movimento reli­ gioso creato dal loro maestro. Si deve imputare loro anche la pessima luce gettata sulle autorità giudaiche. Queste pensavano di agire bene ri­ fiutando di ammettere l'autorità di Gesù e mantenendo la calma in cit­ tà, dove la situazione poteva diventare tesa, specialmente in occasione r Cf. F. Bovon, Derniers jours'; in precedenza J. Blinzler, Prozess, 1 7 5-162.; D.R. Catch­ pole, Trial, 121 -26o; E. Bammel, Trial, che in conclusione ritiene - a mio avviso a torto - che storicamente furono le autorità giudaiche e non Pilato a condannare Gesù; La­ grange, 576 difende la storicità del processo di Gesù contro quella che chiama •la scuo­ la neomitica » . T. Horvath, Why si chiede perché Gesù, a differenza di Stefano, non sia stato lapidato. Secondo lui i notabili giudei hanno voluto dare al nazareno un'ultima pos­ sibilità, vale a dire quella di dimostrare tramite un segno la sua autorità messianica da­ vanti al governatore romano. 1 Riconosco con E. Bammel, Trial, 44 1 s. che autorità giudaiche abbiano occasionalmen­ te condannato dei colpevoli alla crocifissione, ma in questo caso è arduo pensare che il sinedrio, autorità religiosa e politica, non rispetti norme stabilite dalla legge di Mosè, le quali ignorano il supplizio della croce. 3 Solo più tardi il governatore di una provincia procuratoriale, come la Giudea, riceverà il titolo di «procuratore» . Cf. Bovon, Derniers jours \ 3 5 n. 1 . 4 Su Pilato cf. J.-P. Lemonon, Pilate et le gouvernement de la Judée. Textes et monuments (EtB), Paris 1 9 8 1 ; J. Blinzler, Prozess, 1 94-1 96; W. Carter, Pontius Pilate. Portraits of a Roman Governar, Collegeville, Minn. 2003. s Cf. C.F. Evans, 840-842; F. Bovon, Derniers jours\ 5 3-56. P. Garnsey, jurisdiction di­ mostra che il diritto di comminare la pena di morte era stato accordato ai governatori di provincia a partire dall'inizio del principato, anzi già dalla fine della repubblica, e non soltanto dal III sec. d.C.

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delle feste religiose. Venti di rivolta antiromana si levavano regolarmen­ te e soffiavano spesso e volentieri dalla Galilea. x I . In 22,7 1 il sinedrio riteneva di aver udito abbastanza da parte di Gesù e di poter fare a meno dei testimoni a carico. Luca non precisava, in quel punto, se fosse per condannare Gesù a morte oppure per deferir­ lo a Pilato.:. Il lettore si ricorda anche di 22, 1-6 e dell'intenzione di eli­ minare Gesù. Se, accanto alle autorità giudaiche, Luca menziona Pila­ to, che desidera peraltro proteggere, è perché vi è costretto dalla tradizio­ ne e dal ricordo. Tutti i racconti della passione, canonici (i quattro vangeli) e non ca­ nonici ( Vangelo di Pietro e Atti di Pilato), che sottolineano più o meno fortemente la responsabilità giudaica, conservano tuttavia la presenza del governatore romano.3 Tra i rari episodi della vita di Gesù attestati nelle lettere vi è del resto la comparizione di Gesù davanti a Pilato: 4 «Ti ordino - scrive il discepolo di Paolo - alla presenza di Dio che dà vita a tutte le cose e alla presenza del Cristo che ha reso testimonianza davanti a Ponzio Pilato in una bella professione di fede . . . » ( I Tim. 6, 1 3 ).s Una menzione di Pilato era dunque inevitabile qui, in Le. 23 . Al lettore attento del terzo vangelo il nome del governatore non era del 1 Cf. Ernst, 623. Bock n, 1 807 s. ritiene che i tre capi d'accusa portati contro Gesù dalle autorità giudaiche, nel v. 2, corrispondano a ricordi storici, perché spiegano bene il ri­ corso alla pena della crocifissione. 2 La residenza ufficiale del governatore romano era Cesarea. Quando saliva a Gerusa­ lemme doveva risiedere probabilmente sulla collina occidentale, in quello che era stato il palazzo di Erode. È probabilmente là, forse all'aperto, che amministrava la giustizia. Tal­ volta si è invece pensato che il processo di Gesù davanti a Pilato si fosse svolto nella o da­ vanti alla fortezza Antonia, situata sull'area del tempio, nel suo angolo nordoccidentale; cf. Plummer, 5 1 9 s.; Blinzler, Prozess, 1 83 - 1 86; Evans, 844; Bovon, Derniers jours>, 67. 3 Bammel, Trial, 4 3 3 s. 446 introduce a ragione nella discussione il testimonium Flavia­ num (il passo controverso dello storico Giuseppe), il Vangelo di Pietro e gli Atti di Pilato. 4 In 1 Tess. 2, 1 5 Paolo segnala soltanto la responsabilità dei giudei nella morte del Cristo. La menzione dei «profeti » perseguitati accanto al «Signore Gesù» dimostra che l'apostolo si ispira alla tradizione deuteronomistica del popolo d'Israele che se la prende con gli in­ viati di Dio. Paolo tuttavia non rigetta affatto la partecipazione dei romani alla condan­ na di Gesù. 5 L'autore di 1 Tim. conosce dunque una tradizione, come quella del vangelo di Giovan­ ni, che descrive un Gesù più attivo e che confessa di più rispetto a quello della tradizio­ ne sinottica. Intendo È1tl llon(ou lltÀ> giudaica. r Grundmann, 422; Schneider n, 472; G. Schneider, Politica/ Charge, 407 s., che si basa su un determinato uso di xczi. . . xczl (cf. BDR, § 444·3 ) e sulla priorità data allo sviamen· to del popolo nei vv. 5 e 14; W. Radi, Sonderiiberlieferungen, 1 3 2. � Cf. K. Kasmer, Pilatus, 65-67. 3 Su xcz"t"Yj"fOpw (seguito da genitivo) cf. Bauer-Danker, s.v. e Moulton-Milligan, s.v. Atti 24,2 ha una forma molto simile: iJp�cz"t"o xcz't'YjyopE'i v o T ÉpwÀÀo, 56 s.; H.W. Hoehner, Why, 86 s.; C.F. Evans, 849-851. 4 Se il prefisso !iva- conferisce una sfumatura al verbo, è piuttosto quella di un ritorno (cf. Film. 1 2): Pilato rimanda il galileo al signore della Galilea. 5 Sul verbo !iva7tÉ!l-7tW cf. Plummer, 5 22; E. Bickerman, Utilitas, 206; Grundmann, 4 24; C.F. Evans, 8 p ; Bock n, 1 8 1 8; Moulton-Milligan, s.v. H.W. Hoehner, Why, 86 ritiene, probabilmente a torto, che il verbo qui non sia da intendersi in senso giuridico. 6 Luca - o la sua fonte - utilizza qui la forma greca 'I!poa6ÀUjJ-a e non la forma semitica 'lEpouaaÀ�!l-; su queste due forme cf. a 1 3 ,22 (vol. n, p. 465 n. 6). .

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va nella città santa in qualità di pellegrino. 1 Giuseppe segnala un caso si­ mile: .. Erode Antipa, il sovrano, e il governatore di Siria, Vitellio, salgo­ no insieme a Gerusalemme in occasione di una festa religiosa)

8. Con abile perizia l'autore - Luca o, prima di lui, l'autore del mate­ riale proprio - cambia registro e passa dal campo del diritto a quello del­ le relazioni sociali, quasi mondane. Mentre Pilato faceva controvoglia il suo mestiere, Erode qui pensa con tutto il cuore ai propri svaghi. Il lessico, la sintassi e lo stile di questo passo sono caratteristici di Luca o del materiale suo proprio: ìòwv, «avendo visto » , «dopo aver visto » , richiama il triplice lòwv della parabola del buon samaritano ( I 0,3 1 . 3 2. 3 3 ) ; 4 È� lxcxvwv �vwv, «da molto tempo»,5 ricorda la parabola dei vignaioli omicidi ( 20, 9 ) ; sia la costruzione perifrastica �v. . . -8éì..wv, «voleva » , 6 sia l'infinito sostan­ tivato con la preposizione òt!i (òt!X 1:Ò àxoU&tv, « a causa di ciò che sentiva di­ re» ) 7 sono modi di esprimersi lucani. 8 1 Molti pensano che Erode alloggiasse a Gerusalemme nel palazzo situato sui pendii del­ la collina occidentale, un tempo occupato dagli asmonei; cf. Lagrange, 579; P. Benoit, Passion et résu"ection, 1 6 5 ; Sabourin, 3 60. Credo invece che questo palazzo servisse da residenza al governatore romano, a meno che non ne avessero occupato ciascuno un'ala! 2. Ios. Ant. 1 8,5,3 ( 1 22); cf. H. W. Hoehner, Why, 86. In un passo del Bellum Iudaicum ( 1 , 10,4 [399]), l o stesso Giuseppe segnala che, una quarantina d'anni prima, i l governatore romano di Siria, Varrone, aveva consigliato ai procuratori di Giudea di non intrapren­ dere nulla senza il parere del re Erode il Grande; cf. P. Joiion, Luc 2J,II, 8 3 . 3 Secondo Tannehill, 3 3 3 gli esegeti hanno dato tre spiegazioni differenti dell'invio di Gesù a Erode da parte di Pilato: a) Pilato cerca di sbarazzarsi di un caso imbarazzante; b) Pilato non deferisce Gesù a Erode, ma ci tiene semplicemente a sapere il suo parere; c) Pilato vuole fare un gesto a favore di Erode senza interessarsi troppo alla sua opinio­ ne. Per Schneider n, 474, la funzione principale della scena è di scagionare Gesù. 4 Il verbo •vedere» compare tre volte nel v. 8; cf. Evans, 8 5 1; Delebecque, Luc, 141. 5 Il testo è incerto in questo punto. L'Alexandrinus (A = 02) e la maggior parte dei mss. bizantini riportano �" -ycìp .siì..wv è� ixavou, «perché voleva da molto tempo» . Il ms. del monte Athos ('l" = 044) e altri testimoni hanno �" -yeìp l� lxavou �vou �ÉÀwv, •perché voleva da molto tempo»; cf. NA�7, ad loc. apparato e R.J. Swanson, Manuscripts, 3 87 . A Luca piace utilizzare lxa� nel senso di •grande », «lungo» oppure di •numeroso» (cf. Atti 8,u); Lagrange, 5 79· Quanto a �voç, •tempo», Luca lo usa sia al singolare sia al plurale, cf. ad esempio 8,27 (singolare) e 8,29 (plurale). Cf. K. Miiller, Herodes, 1 1 5 . 6 Cf. Atti 1,ro; E. Haenchen, Apostelgeschichte, 1 1 6 s. n. 7· 7 Cf. 2,4; BDR, S 402. 1 . Numerosissimi mss. precisano che Erode ha •molto» sentito parlare di Gesù: aggiungono 7toÀÀii dopo ci.xoU!tv; cf. NA�7, ad loc. apparato. 8 Luca non ama affatto utilizzare il verbo xaipop.at, «rallegrarsi», nel senso di una gioia malvagia. L'ha impiegato in 22,5, seguendo Marco (Mc. 14, 1 1 ). Se qui se ne serve an­ che con una connotazione negativa, forse è per influsso del materiale suo proprio. Non impiega mai inoltre l'avverbio ì.. iav, «assai», «molto», che unisce al verbo. L'espressione xaiPfll ì..iav, • rallegrarsi molto» , è corrente in greco, e corrisponde al nostro «molto pia­ cere»; la si ritrova due volte nelle lettere giovannee (2 Gv. 4 e 3 Gv. 3 ) .

GES Ù DAVANTI A ERODE

Il testo si riferisce a un evento anteriore,' l'imbarazzo di Erode Anti­ pa nei confronti di Gesù durante il ministero di questi in Galilea (9,79). Luca allora aveva dato un tocco personale a questo episodio della triplice tradizione, aggiungendo le parole: «e cercava di vederlo», anti­ cipando così la futura comparizione. L'evangelista qui precisa la moti­ vazione di Erode: il tetrarca di Galilea spera 1 che Gesù compia un al)­ (J.e:iov, un «segno » miracoloso. Si può leggere questo versetto con un sen­ timento di disprezzo nei confronti di Erode che sarebbe semplicemente avido di meraviglioso. È possibile leggerlo anche più seriamente ricor­ dando che un segno dal cielo convalidava l'autorità di un inviato di Dio. L'apostolo Paolo, che sa di cosa parla, descrive i giudei come un popo­ lo che chiede «segni» (stessa parola: alJ(J.Eta:, al plurale, I Cor. I,z.z.). Se il Gesù lucano ha già rifiutato di dare qualsiasi altro segno all'infuori di quello di Giona ( u ,z.9 ) a coloro che ne reclamavano uno da lui ( n ,I6), è perché una tale richiesta non aveva a che fare con la fede. Lo stesso succede qui: Erode spera di vedere una prova che gli risparmierebbe il rischio dell'impegno personale e della fede.3 Vorrebbe che quello che ha «Sentito dire» (tixoUe:Lv) «riguardo a lui» (7te:pì a:Ùtou) 4 gli divenisse di­ rettamente accessibile (lòe:iv, «vedere» ) sotto forma di una prova supple­ mentare, di un segno compiuto «da lui» (lm' a:Ù't'ou).5 9- 10. Se la questione del segno atteso appartiene alla redazione luca­ na, l'interrogatorio che segue dipende dalla tradizione del materiale pro­ prio. Vi è infatti tensione tra il v. 8 e i vv. 9-10. Questi ultimi ci riportano nella situazione di un processo che il v. 8 aveva abbandonato. L'accu­ sato e i suoi accusatori si fronteggiano sotto lo sguardo del giudice. Come nel racconto parallelo di Marco (Mc. I 5 ,z.- 5 ) , il giudice, qui Ero­ de, là Pilato, non ottiene alcuna risposta dall'imputato. 6 Questo silenzio di Gesù è una maniera di ricordare la sua innocenza, la sua nobiltà d'ani­ mo, il suo coraggio davanti alle avversità e la sua influenza sul corso del 1

Tale procedimento non è insolito in Luca: 22,3 5-38 rimanda a 10,4. Il verbo ÈÀn:t't;w, «sperare», è utilizzato cinque volte in Luca-Atti, molto spesso in senso profano o persino negativo: ad esempio Atti 24,26: Felice «sperava nondimeno che Pao­ lo gli avrebbe dato del denaro � . Cf. C. Spicq, Lexique, 497-5 10. 3 Cf. a 1 1 ,29-32 (vol. n, p. 22 1 ) . 4 M.L. Soards, Hearing confronta se i traduzioni inglesi dell'espressione òtà -.ò à:xoUe:tv m:pl aÙ'toii e propone di tradurre con «a causa di quello che aveva sentito su di lui » . s Cf. Bock n , 1 8 19. 6 La versione siriaca curetoniana aggiunge, alla fine del v. 9, dopo la menzione del silen­ zio di Gesù: «come se non fosse là »; cf. NTG, 207; ringrazio Chip Coakley che mi ha aiutato su questo punto. l.

LC.

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proprio destino. ' Eppure, qui come là, non mancano né accusatori, né accuse: 1 in Luca i sommi sacerdoti e gli scribi accusano a gran voce, in Marco Pilato dice «vedi tutte le accuse che muovono contro di te» (Mc. 1 5 ,4 ) . L'avverbio EÙ'tovwc;, > . 23 Ma essi si ostinavano a richiedere con voci forti che fosse crocifisso. E le loro voci si imponevano. 24 Pilato allora decise che si dovesse accettare la loro richiesta. 25 Rila­ sciò dunque colui che era stato gettato in prigione per ribellione e omicidio, colui che essi richiedevano. E consegnò Gesù alla loro volontà. a Sull'assenza del v. 17 nel testo originario del vangelo cf. sotto, pp. 427 s. Ecco il testo del v. 17: •Infatti era costretto a rilasciare loro qualcuno in occasione della festa » .

Il complotto (22,2-6) ha provocato l'arresto ( 22,47- 5 3 ) e la compari­ zione davanti al sinedrio ( 22,66-7 1 ). Divenuto un affare giudiziario, è proseguito davanti a Pilato ( 23 , 1 - 5 ), prima di deviare davanti a Erode (23,6- I 2). Ora eccoci di nuovo davanti a Pilato (23,1 3-25).1 Mentre Seguendo J.H. Neyrey, Passion, 81 e A. N. Sherwin-White, Roman Society, 24-28, Bock 1823 osserva che gli sforzi di Pilato corrispondono bene al possibile svolgimento di un processo secondo il diritto romano (le sette fasi qui sono: arresto, imputazioni, isttut· toria, sentenza, verdetto complementare, desiderio di assoluzione, ammonimento). 1

n,

417 Gesù è rimasto attivo dallo scatenarsi del complotto fino al suo arresto, diviene adesso l'oggetto di un divenire di cui era fino ad ora il sogget­ to.' Sarebbe tuttavia errato ritenerlo meramente passivo, giacché la sua volontà attiva sopporta senza lasciarsi andare una sorte che è sempre più contraria. Malgrado il conforto che ha offerto con le sue ultime pa­ role (22, I 5-3 8), Gesù ha visto crollare il principale dei suoi discepoli (22,54-62): gli avversari ormai lo circondano. La loro superiorità socia­ le - sono presentati come le autorità politiche e religiose del paese conferisce loro un potere diretto. Quest'ultimo è tuttavia limitato: da un lato dal popolo, che mette paura a questi capi (22,2), dall'altro dal go­ vernatore romano, la presenza del quale ricorda loro che dopo Dio non sono loro i signori. La triplice dichiarazione di innocenza pronunciata da Pilato (23,4·I4.22) consola momentaneamente del triplice rinnegamen­ to di Pietro ( 22, 54-62). Il parallelo antitetico diviene ahimè un semplice parallelo, poiché Pilato non impone la propria opinione (23 ,24). Il po­ polo stesso, sempre favorevole a Gesù, si schiera improvvisamente dalla parte degli avversari (23,I 3 ). I segni di pentimento, che il racconto di­ spone nel prosieguo come ciottoli bianchi (23 ,27.3 5 ·48), non fanno di­ menticare il duplice grido «crocifiggilo, crocifiggilo » (23,2 I ) . Abban­ donato dai suoi, Gesù è abbandonato da tutti. 2

Analisi sincronica. I vv. I 3 -25 del cap. 23 formano un'unità: Pilato, che è stato sollecitato al v. I e che ha tentato di schivare l'incombenza nei vv. 6-7, qui prende in mano la faccenda. Se allora (v. I ) era l'ultimo vocabolo della frase, all'accusativo, qui (v. I 3 ), come nei vv. 6 e 24, è al nominativo e all'inizio della proposizione. Come indica tuttavia la fi­ ne della pericope, la solerzia del governatore, che si era sgretolata a fa­ vore di Erode, finisce per crollare a vantaggio degli avversari giudei di Gesù o, per citare l'evangelista, a vantaggio della «loro volontà » (v. 25 ). Il nome di Pilato, così attivo e così rassegnato, inquadra l'unità lettera­ ria e le conferisce i suoi limiti (v. I 3 e vv. 24-2 5 ). Tale unità comporta un movimento e una coerenza propri. In minia­ tura, si sviluppa come una tragedia: in un primo tempo (vv. 1 3 - I 6), il personaggio principale riassume la situazione e dichiara la sua intenzio­ ne; in un secondo tempo (vv. I 8-23 ),3 gli interlocutori convocati reagi1

Cf. F. Bovon, Récit lucanien de la Passion, 3 9 5 · M.D. Goulder, New Paradigm n , 761 ritiene che, i n questo passo, l e tendenze di Luca siano onnipresenti tanto quanto sono lucane le peculiarità linguistiche. Nelle pp. 761 s. l'esegeta britannico fornisce particolari filologici e statistiche relativi al lessico utilizzato in questi versetti. 3 Sul v. 1 7, che non appartiene al testo originale di Luca, si veda sotto, pp. 427 s.

2

L'ULTIMA COMPARIZIONE

scono e vi si oppongono con tutta la forza della loro voce; in un terzo tempo, infine, colui che ricopre il ruolo principale rinuncia al suo proget­ to e si sottomette a loro (si noti la duplice presentazione di questa abdi­ cazione: 'tÒ tx!'tl](J.tx txÙ'twv, «la loro richiesta » è soddisfatta; e Gesù è con­ segnato 't� -8&À�(J.tx'tt txÙ'twv, «alla loro volontà »; vv. 24-25 ) . I Il dramma contrappone desideri, volontà, programmi narrativi diversi e opposti. Voci e grida si rispondono. La scena prima di sfociare in atti è costitui­ ta da parole, come a teatro. Sono posti uno di fronte all'altro l' elm:v, «disse » (v. q), di Pilato e le «voci forti» (v. 23 ) degli avversari. Tra que­ ste parole il silenzio di Gesù è così discreto che è passato, si potrebbe di­ re, proprio sotto silenzio. L'assenza di risposta (v. 9 ) continua dunque a spiccare. Eppure non si tratta di teatro, ma di un processo. E un pro­ cesso non è fatto anch'esso di parole e di deliberazioni che conducono ad atti? Le parole di Pilato e quelle dei capi d'Israele si collocano su piani dif­ ferenti: Pilato parla (el7tev, «disse», v. q) mentre i suoi interlocutori gri­ dano (à:vÉxptxyov, «gridarono» , v. 1 8 ) .1 Il governatore si esprime in mo­ do circostanziato; coloro che gli stanno di fronte, invece, in maniera bru­ sca attraverso imperativi (txlpe, «elimina » ; a'ttxupou, «crocifiggi» ). La vo­ ce della ragione tenta invano di far tacere quella dell'irragionevolezza. Luca dirà negli Atti che questa irrazionalità era nata dall'ignoranza (At­ ti 3,17; 1 3 ,27). Ha lasciato intendere anche che Satana si fosse insinua­ to nel cuore di Giuda (Le. 22,3 ). Le voci umane non rappresentano dun­ que che la superficie delle cose. Il disegno divino, come in ogni tragedia, si attua attraverso esseri umani e persino tramite il demoniaco (Atti 2,23; 4,28 ). Non è tanto questione di colpevolezza degli attori, quanto piutto­ sto di destino collettivo. La colpa è addossata alla figura del silenzioso: esplicitata dagli avversari sin dall'inizio (v. 2), è ripetuta indirettamente I La mia suddivisione in tre parti corrisponde a quella di Sabourin, 3 6 1 e di Bock n, 1 8 23. M.D. Goulder, New Paradigm n, 76o-764 considera un'unità i vv. 1 3 -3 2.; ritiene i vv . 13-16 una prefazione e i vv. 2.7-3 2. un'appendice. Ernst, 62.6 s. sostiene invece che siano i vv. 1-25 a costituire un'unità. Non sbaglia: a mio avviso i vv. 1 3-25 formano una pic­ cola unità all'interno di una maggiore, vv. 1-25. Com'è sua abitudine, R. Meynet, Evan­ gile n, 225 s. ritiene che la costruzione dei vv. 1 3 -25 sia concentrica: ciascuna delle due parti, vv. 14b- 1 6 e vv. 1 8b-25, è preceduta da una frase di introduzione, vv. 1 3 - 14a e v. x 8a. Come segnalo più avanti, p. 428 n. 2, questo interprete sbaglia a collocare il v. 1 7 al centro della composizione poiché, secondo il parere quasi unanime degli esegeti, questo versetto non faceva parte del testo originale di Luca. Temi centrali di questa unità sarebbe­ ro la parodia della pasqua, la sovversione imputata e praticata e la perversione della giu­ stizia. Cf. anche R. Meynet, Guide, 105·107. 2. Il significato di lmcpwvw, v. 21, è anche «chiamare gridando» , « urlare con maggior vigo­ re »; cf. sotto, p. 429.

(v. 14), quindi direttamente dalla violenza delle grida (vv. 1 8 e 20). Pila­ to, seguito da Erode, non cessa tuttavia di dire la verità e di proclamare l'innocenza di Gesù (vv. 14-1 5 .20.22). La colpa attribuita a Gesù è persino precisata. Essa è di importanza fondamentale: dal punto di vista politico rappresenta un attacco all'au­ torità dei capi d'Israele e contro il potere romano; dal punto di vista re­ ligioso corrisponde a un traviamento del popolo: lo svia dal cammino tracciato da Dio. Il narratore tenta allora di aggiungere la sua voce a quella degli attori del dramma : nel v. 1 9 lo si sente spiegare che Barab­ ba era lui stesso colpevole di questo peccato capitale, poiché aveva par­ tecipato ad azioni terroristiche durante una ribellione nella città santa. Nel v. 25 Luca fa di nuovo sentire la sua voce per ripetere la sua opinio­ ne. L'accecamento, suggerisce l'evangelista, è così totale che l'innocente sarà dichiarato colpevole e il colpevole sarà liberato.

Analisi diacronica. Tre fatti testuali si impongono all'attenzione di chi voglia procedere a un confronto sinottico. Anzitutto non esiste in Marco e Matteo alcun parallelo ai vv. 1 3 - 1 6 di Luca. In secondo luogo non esi­ ste in Luca alcun parallelo immediato ai vv. 6-I I di Mc. 1 5 (/ Mt. 27,1 520). In terzo luogo i vangeli si avvicinano tra loro solo nell'ultimo dialo­ go tra i giudei e il governatore, dialogo che si conclude con la sentenza di Pilato (vv. 1 8-25 ). Come spiegare questa realtà testuale? 1 Se si ritie­ ne, come fanno numerosi esegeti, che l'evangelista non disponga che di Marco, si attribuirà a Luca la redazione dei vv. 1 3 - 1 6. Questi versetti ricordano anzitutto nei particolari quel che è successo. Dicono il ruolo dei capi giudei che hanno condotto e accusato Gesù, poi menzionano la funzione di Pilato che, pur ritenendo Gesù innocente, ha nondimeno con­ sultato Erode Antipa. Si concludono infine con il breve enunciato del­ l'intenzione di Pilato: rilasciare Gesù dopo un ammonimento. Luca ci tiene a scrivere questo paragrafo per riassumere la situazione e assicu­ rare una transizione. Quanto ai vv. 6- 1 1 di Mc. 1 5, secondo il parere di questi esegeti non sono spariti dal terzo vangelo. Luca, che non ama afr

Sul carattere letterario e sul valore storico del racconto lucano cf. S.G.F. Brandon, Triai, Luca dipende da Marco e probabilmente da informazioni indipendenti prove­ nienti dalla chiesa di Gerusalemme e dalla casa di Erode. Luca, che scrive per lettori di origine pagana e di espressione greca, ha una visione razionale e teologica del processo di Gesù. Ci tiene a riscrivere Marco, omettendo l'accusa di aver attaccato il tempio e aggiungendo una scena, vale a dire la comparizione davanti a Erode. È il processo davan­ ti a Pilato e non quello davanti al sinedrio che, agli occhi di Luca, costituisce quello dav­ vero decisivo. Brandon lo riassume così (p. I l.l.): •Si tratta di una lotta sulla sorte di Ge­ sù ingaggiata da Pilato da un lato e dai capi giudei e dal popolo dall'altro » . u6-u.s:

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fatto le digressioni di Marco,X li ha spostati e riscritti: il loro contenuto, relativo a Barabba, compare nell'osservazione del narratore (v. 19), che si sente in dovere di precisare l'identità del terrorista imprigionato. I vv. 1 8-2 5, malgrado le loro peculiarità, non sono che una riscrittura lucana che abbrevia il corrispondente marciano/· I punti deboli di una simile ipotesi sono numerosi: perché Luca si sen­ te in dovere di comporre una transizione così lunga ( vv . 1 3 - 1 6) ? Perché si impegna senza spiegazioni nell'episodio di Barabba, mentre Marco lo rende comprensibile da un punto di vista logico? 3 Perché fa sparire l'espressione «re dei giudei» così importante in bocca a Pilato (Mc. 1 5,9 e 1 2 ) ? Perché sostituisce un imperativo presente maldestro (a't!XUpou, «crocifiggi », con valore durativo) a un corretto imperativo aoristo (a'taU. pwaov, «crocifiggi», con valore puntuale) ? Si trovano troppe particolari­ tà nel racconto lucano della passione perché ci si possa accontentare di una sola fonte. Secondo la mia ipotesi,4 Luca dispone di un'altra fonte, della quale alterna abilmente i racconti che, per forza di cose, si asso­ migliano (ricordi storici, rimandi biblici, esigenze liturgiche e coerenza teologica): a mio parere Luca, che ha rielaborato Marco fino al primo in­ terrogatorio di Pilato, segue il materiale suo proprio a partire dall'epi­ sodio di Erode e vi si attiene fino alla crocifissione (v. 43 ). Ecco alcuni argomenti a favore di questa ipotesi. Nei vv . 1 3 - 1 6 non è solo la voce di Luca che si sente, ma anche quella dell'autore del materiale proprio: le accuse mosse contro Gesù nel v. 14 corrispondono a quelle del v. 2; tali accuse non hanno equivalenti in Marco e devono risalire alla secon­ da fonte di Luca.5 La triplice dichiarazione di innocenza, pronunciata da Pilato, è propria di Luca e Giovanni; 6 ignorata da Marco, deve corri­ spondere anch'essa a un dato del materiale proprio. La presentazione lu­ cana del caso di Barabba e l'utilizzo che ne è fatto da Luca non si spie­ gano come una riscrittura di Marco, ma come dipendenza letteraria da 1

Ci si ricordi che Luca omette la digressione marciana della morte di Giovanni Battista (Mc. 6, 17-29). 2 La posizione illustrata, che non è la mia, corrisponde ad esempio a quella di Schneider n, 476. F.J. Matera, jesus before Pilate giunge anche lui alla conclusione che una secon­ da fonte, accanto a Marco, non sia indispensabile per spiegare la genesi di Le. 23,13-25; a suo avviso è sufficiente constatare l'ampiezza del lavoro redazionale di Luca. 3 Lagrange, 5 8 2 scrive: « Quello che interessa a Luca, più che un uso o l'intervento dei componenti del sinedrio, è l'aspetto odioso del confronto tra Gesù e Barabba» . 4 Cf. F . Bovon, Récit lucanien de la Passion. 5 Dovevano comparire nella fonte nel punto in cui le leggiamo (v. 14), in occasione del­ la seconda udienza davanti a Pilato. Luca le ha menzionate una prima volta, in anticipo riscrivendo Marco, durante la prima comparizione davanti a Pilato (v. 2). 6 Cf. sopra, p. 3 82.

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un altro documento: rilasciare u n prigioniero non corrisponde, in Luca, a un uso religioso, ma a una pressione popolare. La lingua è senza dub­ bio quella di Luca, ma anche quella del materiale proprio. Quest'ulti­ mo - si ricordi - ricorre volentieri a un lessico che va oltre l'elementare. Ed è quello che si vede qui: la convocazione (v. 1 3 ), le dichiarazioni di innocenza (vv. 4, I4 e 22), l'intenzione di liberare Gesù (vv. 1 6 e 20), le proteste della folla (v. 23 ) e l'abdicazione finale di Pilato (vv. 24-25 ) sono espresse in termini precisi ed eleganti. Alcune sono proprie di Luca, ma altre appartengono all'autore del materiale proprio: penso a que­ st'ultimo leggendo 1tot(J.1tÀYJ-8e!, «tutti insieme» (v. 1 8 ), hapax nella sua forma avverbiale, l'astratto 'tÒ octnu�ooc otÙ'twv , «la loro richiesta» (v. 24) e i verbi che sembrano farsi eco 1tpoa�wvw, «dichiarare» (v. 20) ed È1tt�w­ vw, «gridare» (v. 2 1 ) . • L'evangelista Giovanni conosce pure lui il processo di Gesù davanti a Pilato. Lo sviluppa, come si è visto, in una sequenza di scene organiz­ zate in modo concentrico. Se l'evocazione del privilegio pasquale ricor­ da, in Giovanni, il vangelo di Marco, sia le dichiarazioni reiterate di in­ nocenza che l'assenza di oltraggi alla fine dell'udienza e prima della cro­ cifissione richiamano Luca. Alcuni particolari di Giovanni, come il ver­ bo oc!pw ( Cv. 1 9,1 5; cf. Le. 23,1 8), il raddoppiato «crocifiggi, crocifiggi» ( Gv. 19,6; cf. Le. 23,2I), oppure il gesto decisivo di Pilato ( Gv. 19, 1 6; cf. Le. 23,2 5 ) o ancora la preferenza per Barabba ( Gv. 1 8,40; cf. Le. 23,1 8) fanno anche pensare che gli evangelisti abbiano in comune una o più tradizioni indipendenti da Marco. 1. Pilato è ugualmente presente nel Vangelo di Pietro, in cui sembra ad­ dirittura sottomesso all'autorità di Erode. Proprio questa collaborazio­ ne tra i due uomini, come si è visto,3 permette di stabilire connessioni tra il vangelo di Luca e il frammento di Akhmim. Gli altri tratti del carat­ tere di Pilato, come pure gli altri suoi fatti e gesti, non hanno rapporti pri­ vilegiati con il terzo vangelo. Che Pilato sembri considerare Gesù inno­ cente è comune a tutti i vangeli. Giuseppe di Arimatea che chiede a Pi­ lato il corpo di Gesù è un altro dato comune. Il fatto che collochi alcune guardie presso la tomba di Gesù e dialoghi con loro dopo l'esperienza della risurrezione, lo avvicina al vangelo di Matteo.4 Al termine di que­ sti confronti intertestuali, direi - cosa affatto sorprendente - che i par Grundmann, 421-428, favorevole a una Sonderiiberlieferung, segnala l'opinione di al­ cuni altri che sostengono questa ipotesi. Da allora Emst, 626 s. condivide questo avviso. 1 Cf. J. Schniewind, Parallelperikopen, 62-77. 3 Cf. sopra, pp. 401 s. 4 Cf. Ev. Petr. 1-49. Si dovrebbe confrontare Luca anche con gli Atti di Pilato e con il Libro del gallo tradotti in francese in Écrits apocryphes chrétiens n, 261-297. 1 5 3-203; cf. in un primo tempo, per gli Atti di Pilato, Plummer, 5 27.

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L'ULTIMA COMPARIZIONE

ralleli più stretti di Le. 23,1-25 si trovano nel libro degli Atti degli Apo­ stoli: cf. Atti 2,23; 3 , 1 3 - 1 5 ; 4, 1 0; 4,27-28; 1 0,39; 1 3 ,27-29. 1 Alla fine di questa analisi è lecito porre la questione della storicità de­ gli avvenimenti riportati da un evangelista che ha l'ambizione di raffor­ zare il messaggio proclamato con racconti storici (cf. 1 , 1 -4). Lo storico moderato , si basa su Marco, come ha fatto Luca. È quindi Marco che bisogna interrogare per primo; 3 Luca tuttavia si basa probabilmente su un'altra fonte. Che credito può accordare lo storico al materiale pro­ prio di Luca ? Le qualità dell'autore che questo documento rivela sono, a mio parere, più letterarie che storiche. Nell'episodio che ci riguarda, conosce anch'egli l'episodio di Barabba, ma ha l'originalità di pensare che Pilato, liberando il prigioniero, non abbia seguito un'usanza, ma ab­ bia ceduto alla pressione del popolo. Difficile dire se ha ragione, poiché la questione della storicità del privilegio pasquale è assai dibattuta.4 I

Cf. C.A. Evans, 3 3 3 · 2. H . Lietzmann, Prozess, a p . 2.p della raccolta scrive: «Per l a storia della passione pos­ sediamo solo un'unica fonte primaria, il vangelo di Marco» . Evito di segnalare gli au­ tori dei numerosi libri recenti sul Gesù storico; mi basti rimandare alle pagine ormai da­ tate, ma equilibrate, di W. Trilling, Fragen zur Geschichtlichkeit ]esu, Diisseldorf 1966, I J 0- 1 4 1 . 3 Cf. F. Bovon, Derniers ;ours\ 1 5-34, spec. 1 8 -2.0. 4 Cf. Plummer, 52.5 che fa riferimento a Livio ( 5 , 1 3 ,7), il quale menziona il primo lectis· ternium, festa romana nel corso della quale furono liberati alcuni prigionieri; Schneider n, 476, che ritiene possibile da parte giudaica un'amnistia annuale durante la festa di pa· squa; Bock n, 1 8 3 3 . 1 9 5 3 s., che infine accetta la storicità dell'usanza e dell'avvenimento. Parecchi studi esaminano questo privilegio pasquale. Poiché tale uso non è menzionato esplicitamente da Luca, mi limito a segnalare quelli a cui ho avuto accesso: J. Finegan, Oberlieferung, 2.9 s. ritiene che Luca colleghi abilmente l'episodio di Barabba al processo di Pilato che precede; in tal modo evita di menzionare questa usanza. C.B. Chavel, Releas· ing ricorda innanzitutto i precedenti e i paralleli greci e romani proposti dagli studiosi (le feste ateniesi delle Panatenee e delle Tesmoforie, la festa romana del lectisternium); segnala quindi una testimonianza giudaica che evoca una liberazione di prigionieri in occasione della pasqua (mPes. 8,6). Di fatto J. Merkel, Begnadigung aveva già menzio­ nato questo testo rabbinico, ma non lo riteneva significativo. H.A. Rigg, Barabbas pen· sa al contrario che non ci fosse alcuna usanza di praticare amnistie a pasqua e che non ci sia stata nessuna persona, distinta da Gesù, di nome Barabba. Fu Gesù che venne giu­ dicato dapprima come Gesù Barabba, Gesù figlio del padre; Pilato lo rilasciò. Poi fu ac­ cusato di essere Gesù il Cristo; Pilato allora lo giudicò per alto tradimento. Solo più tar­ di la tradizione ha distinto due personaggi. L'autore stesso riconosce (a p. 4 5 3 ) che la sua tesi è fantasiosa! H.Z. Maccoby, ]esus and Barabbas difende un'ipotesi molto simile: la folla voleva la liberazione di Gesù il maestro (bar rabba[n]), i sommi sacerdoti ottennero la morte di quest'uomo. P. Winter, Trial, 1 3 1-143 rigetta la validità del testo rabbinico mPes. 8,6 come testimonianza in favore del privilegio pasquale. Vi furono davvero, peral­ tro, due uomini distinti, prigionieri nello stesso tempo e chiamati entrambi Gesù. La do­ manda di Pilato aveva lo scopo di distinguerli. Questa realtà storica è stata poi modifi­ cata dagli autori cristiani. Non vi era invece alcun privilegio pasquale tradizionale. R.L.

LC.

2 3 , 1 3 -2 5

Se l'ipotesi di una seconda fonte è accettata, bisogna ammettere an­ che che la vicenda di Barabba è doppiamente attestata, il che ne conso­ lida la verosimiglianza storica. Eppure ritengo sicura, da un punto di vista storico, solo la comparizione di Gesù davanti a Pilato in seguito a un arresto operato dalle autorità giudaiche e a un confronto di Gesù con i sacerdoti e gli scribi. Che vi siano state un'udienza presieduta da Erode e una seconda comparizione davanti a Pilato - tale è la presenta­ zione del materiale proprio che Luca rispetta e riprende - è longi dall'es­ sere certo. Anche la funzione del popolo è controversa: la tendenza ese­ getica attuale è di minimizzarla e di riportare il fardello sui capi giudei e sul governatore romano. I vangeli sono tuttavia unanimi nel far ri­ suonare la vox populi: ciò si deve unicamente alla premura cristiana di aggravare la responsabilità giudaica? Stante la libertà di cui godeva un magistrato al servizio dell'imperatore nel seguire la cognitio extra ordi­ nem, non è impossibile che il governatore sia stato sensibile all'opinio­ ne popolare. Non è neppure impossibile che la folla abbia cambiato ca­ sacca: può darsi che il popolo, collettivamente favorevole a Gesù, sia ri­ masto improvvisamente deluso e abbia deciso di abbandonarlo. Con «popolo » intendo ovviamente una parte della popolazione di Gerusalem­ me. L'evangelista Luca descrive la funzione della folla durante la passio­ ne di Gesù in modo senza dubbio libero e letterario: la vede costantemen­ te attaccata al maestro fino alla comparizione davanti a Pilato e dopo la condanna a morte, ma nota con precisione (v. I 3 ) che il popolo è pre­ sente e attivo nel momento cruciale in cui si tratta di far cedere il go­ vernatore. Questo destino del popolo ricorda del resto quello di Pietro e risponde a un'esigenza teologica (croce e risurrezione permettono la conversione). Pare tuttavia possibile che questa descrizione abbia avuto anche un fondamento storico. Non deve tuttavia risvegliare alcuna acri­ monia cristiana né suscitare alcun sentimento ostile ai giudei in generale. 1 3 · Mentre l'iniziativa della prima comparizione venne dalle autorità giudaiche, qui è il governatore romano che la convoca. 1 La prima situaMerrit, Pardon risponde agli argomenti di Rigg e Maccoby, e allunga la lista di eventua­ li antecedenti o paralleli dell'usanza del privilegio pasquale, segnalando in particolare esempi babilonesi, greci e romani di amnistia. A. Vincent Cernuda, Ba"abas propone una singolare ricostruzione storica: ritiene che Barabba fosse un celebre auriga e che quan­ ti volevano la sua liberazione fossero frequentatori fanatici dell'ippodromo. Pilato com­ mise l'errore di credere che costoro fossero in disaccordo con i sommi sacerdoti e di con­ fondere il processo di Gesù con il privilegio pasquale. I sostenitori di Barabba erano sta­ ti indottrinati: sapevano che la sua liberazione significava la crocifissione di Gesù. x Lagrange, 580 scrive a proposito della convocazione indetta da Pilato: «Si doveva pur emettere una sentenza • . Plummer, 5 2.4 rimanda a 9,1 (cruyxc:tÀoiip.c:tl).

L'ULTIMA COMPARIZIONE

zione corrisponde all'inizio di un processo tipico dell'antichità in cui la giustizia si mette in moto quando viene mossa un'accusa. La seconda scena si svolge quando la procedura è già in corso. 1 Mentre la prima fa­ se del processo riguardava le autorità giudaiche, l. la seconda coinvolge anche il popolo.3 Luca e probabilmente il materiale proprio prima di lui erano preoccupati di segnalare che nel momento critico Gesù era stato abbandonato da tutti, compreso il popolo." L'evangelista si è premura­ to di avvicinare progressivamente il popolo al cuore dell'azione (si ve­ dano l'espressione imprecisa «la loro moltitudine» nel v. 1 e «le folle» nel v. 4). Il popolo è là in massa, pronto a gridare nel v. 1 8 (1ttx!J-1tÀYj-8Et, «tutti insieme» ). Se i sommi sacerdoti sono costantemente menzionati durante il pro­ cesso, non si può dire altrettanto degli altri avversari: si tratta degli seri­ bi, in 22,2, in occasione del complotto; degli ufficiali, in 22,5 2, nel mo­ mento dell'arresto; probabilmente degli anziani e degli scribi, in 22,66, durante il processo davanti al sinedrio; infine, qui, dei capi e del popolo. Si fatica a capire il perché di queste variazioni; forse pertengono ai com­ piti da adempiere: gli ufficiali, ad esempio, sono utili durante l'arresto.5 1

Cf. A.N. Sherwin-White, Roman Society, 2.6. R.J. Cassidy, Chief Priests analizza con precisione ciò che Luca dice dei sommi sacer­ doti e ciò che rappresentava allora questo gruppo sacerdotale. I sommi sacerdoti di quel tempo non erano amati dal popolo, che rimproverava loro di non essere i discendenti le­ gittimi della stirpe sacerdotale e di sfruttare la situazione a proprio vantaggio in modo disonesto. Costoro portavano rancore nei confronti di Gesù perché li aveva criticati cac­ ciando i mercanti dal tempio e narrando la parabola dei vignaioli omicidi. 3 L'ipotesi di G. Rau, Volk è ingegnosa (è la ripresa di un'intuizione di P. Winter, Trial, 2.01 n. 2.3). Per eliminare ciò che vi è di sorprendente, vale a dire la menzione della convo­ cazione del popolo, si propone di modificare l'accusativo xcxi 't"Òv Àcxov, «e il popolo», in un genitivo 't"Ou Àcxou, «del popolo» . Il popolo così sparisce dalla scena e sono convocati solo «i sommi sacerdoti e i capi del popolo» . Contro questa ipotesi bisogna segnalare 't"O� oxÀou.;, «le folle », del v. 4 e 7tCX(.L7tÀlJ'I')ei, «tutti insieme», del v. 1 8 . Cf. Schneider n, 477· 4 Emst, 62.7 ritiene che Luca, aggiungendo qui il popolo, voglia contrapporre tutti i giu­ dei che invocano la condanna di Gesù ai romani che lo dichiarano innocente. Cf. anche J. Kodell, Laos, che analizza l'uso di Àcxcl.;, «popolo», nell'opera di Luca. L'evangelista tenta di diminuire la responsabilità del popolo che la tradizione gli trasmetteva e intende questo termine nella cornice della storia della salvezza. Qui il popolo è responsabile, ma per ignoranza e si pentirà. Cf. ancora Tannehill, 3 3 5 s., che pensa che Àcxcl.; non sia, qui e in generale in Luca, la folla, bensì il popolo d'Israele che, solitamente favorevole a Ge­ sù, qui diviene colpevole, ma si convertirà dopo aver peccato. Il suo comportamento as­ somiglia a quello di Pietro. Cf. infine J.-N. Aletti, L'art de raconter, 1 66, che scrive a proposito del v. 1 3 : « La sorte di Gesù diventa affare di tutti» . 5 ].-N. Aletti, L'art de raconter, 173-175 ritiene che gli avversari di Gesù si scinderanno in due gruppi dopo il dramma. Gli uni, come i sommi sacerdoti, manterranno la loro opposizione; gli altri, come il popolo, comprenderanno il loro errore e si pentiranno. La 2.

LC .

2 3 , I 3 -2 5

14· Il Pilato lucano fa il punto della situazione 1 nel momento in cui inizia la nuova udienza.1 Riassume i vv. 1 - 5 in modo elegante ed equi­ librato,3 e riprende in particolare l'accusa mossa dalle autorità giudai­ che rinunciando a esprimersi con il 'tou'tov, «costui», spregiativo, al quale SOStituiSCe un'espressione Senza COnnotazione, 'tÒV av-9pW1tOV 'tOiJ.. 'tov, «quest'uomo» . Non conserva che l'accusa più seria, il traviamento del popolo. Preferisce IÌ:1toa'tpÉcpw, «distogliere», wvouv indica forse anche una gradazio­ ne maggiore in confronto a àvÉxpcxyov, «gridarono» (v. 1 8 ), donde la mia no persino immaginato che la domanda di Pilato non offrisse un'alternativa, ma cercas­ se di chiarire le identità. Cf. C.F. Evans, 8 5 5 s. e sopra, pp. 42.2. s. n. 4· 1 Il termine crrcicnç designa anzitutto la «posizione eretta », lo «stato», la «posizione so­ ciale>•, !'«esistenza » oppure la «condizione» , quindi significa, come .qui, «sedizione », «ri­ bellione» , «movimento di rivolta» , «sollevazione» , «alterco» oppure «controversia »; cf. Zorell, s.v.; Bauer-Danker, s.v.; Plummer, 52.5 s.; C.F. Evans, 8 5 7. 2 Cf. E. Delebecque, Evangile, 1 4 3 . 3 La costruzione perifrastica con i l participio aoristo è insolita; cf. Plummer, 526. 4 Sui diversi tentativi di rivolta contro l'occupante romano, che molto spesso partivano dalla Galilea, cf. P. Prigent, La fin de jérusalem (CAB 1 7), Neuchatel 1 969; R.A. Hors­ ley - J .S. Hanson, Bandits, Prophets, and Messiahs. Popular Movements in the Time of Jesus, Harrisburg, Peno. 1 999. Più in generale sull'ostilità manifestata contro Roma nel­ l'impero, specialmente nelle province orientali, cf. H. Fuchs, Der geistige Widerstand ge­ gen Rom in der antiken Welt, Berlin 1 9 3 8 . 5 Posso dire «ripete» a causa di 7tclÀtv, •di nuovo,., e parlare di «volontà » in ragione del participio presente 8ÉÀwv, «volente» , «che voleva » . Ernst, 62.8 osserva che in questo istante Pilato ha cambiato la sua funzione: da giudice diviene avvocato difensore. S.G.F. Brandon, Trial, 1 2.4 ritiene che Luca trasformi il processo in un confronto tra Pilato e i giudei, la cui posta in gioco è la sorte di Gesù. 6 Cf. Lagrange, 5 8 3 .

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L'ULTIMA COMPARIZI ONE

traduzione «ma essi con più vigore gridavano » . Un duplice imperativo (v. 2 1 ) ha più forza di uno solo (v. 1 8 ). 1 Il verbo «crocifiggere» è più con­ creto e più violento del verbo 34): CSion 5 ( 19 5 1 ) 3 2 1 - 3 3 6; J.D.M. Derrett, The Two Malefactors (Lk XXIII.33·394J), in J.D.M. Derrett, Studies m, z.oo-214; M. Dibelius, Formgeschichte, I78n8; J. Dupont, Béatitudes m, 1 3 3-145; 1. Ehman, Luke .ZJ:I-49= Interp. 51 ( 1998) 74-76; A. Feuillet, Souffrance et confìance en Dieu. Commentaire du Psaume XXII: NRTh 70 ( 1948) 1 3 7-149; j.A. Fitzmyer, Crucifìxion in Ancient Palestine, Qumran Literature, and the New Testament: CBQ 40 ( 1978) 493-5 1 3 ; D. Flusser, «Sie wis­ sen nicht, was sie tun?». Geschichte eines Herrenwortes, in P.-G. Miiller - W. Sten­ ger (edd.), Kontinuitiit und Einheit (Fs F. Mussner), Freiburg i.Br. 1981, 393-410; V. Fusco, La morte del Messia, in Associazione biblica italiana (ed.), Gesù e la sua morte, Brescia 1984, 5 1-73; J.M. Garda Pérez, El relato del Buen Ladron: EstB 44 ( 1986) 163 -304; D.E. Garland, One Hundred Years of Study on the Passion Narrat­ ives (NABPR.BS 3 ), Macon, Ga. 1999; A. George, Le sens de la mort de ]ésus pour Luc: RB 8o ( 1973 ) 1 86-2 1 7; H. Gese, Psalm .z.z und das Neue Testament: ZThK 65 (1968) 1-2.2.; C.H. Giblin, Destruction, 93-104; H. Giesen, «Noch beute wirst du mit mir im Paradies sein» (Lk .ZJ,4J). Zur individuellen Eschatologie im lukani­ schen Doppelwerk, in C. G. Miiller (ed.), Licht zur Erleuchtung der Heiden und Herr­ lichkeit {Ur dein Volk Israel (Fs J. Zmijewski) (BBB 1 5 1 ), Hamburg 2005, 1 5 1-177; -

44 0

VERSO LA CROCE E SULLA CROCE

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Oppure: «dalla campagna ,. . - b Lett.: «su di lui » . - c Lett.: « umido», «tenero ».

44 2

VERSO LA CROCE E SULLA CROCE

33 Quando arrivarono al luogo detto del Cranio, là crocifissero lui e i mal­ fattori, uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra. 34 Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno>> .d Poi, spartite le sue ve­ sti, le tirarono a sorte. 3 5 E il popolo restava là e guardava.e Ma le autori­ tà lo schernivano dicendo: «Ne ha salvati altri, che salvi se stesso, se è dav­ vero f il messia di Dio, l'eletto>>. 3 6 Anche i soldati lo deridevano avvicinan­ dosi e offrendogli aceto: 3 7 > , (( brigante>> , conservato da Marco e Matteo,4 che si applicava ai ribelli giudei ostili all'occupazione romana del paese.5 In tutta la sua opera Luca sta molto attento a evitare ogni confusione tra il movimento cristiano e l'insurrezione giudaica.6 Lo si osserva in 22,52.

ticanus (B = 0 3 ) e il codex Ephraemi (C = 04). Anche NA•s lo ometteva nel suo testo. Invece di yÉvl)Tat, congiuntivo aoristo, che ha la funzione di futuro, diversi mss. riporta­ no l'indicativo futuro ytv�anat, lezione più esplicita, ma che dev'essere secondaria. I

Sull'apoftegma in generale e questo in particolare cf. Bultmann, Syn. Trad., 37 s. s S-7J .

:1.

L'ordine delle parole xaxoupyot òoo è invertito in alcuni mss. antichi, tra cui I'Aiexan­ drinus (A = 02), il codex Ephraemi (C = 04) e il codex Bezae (D = 05), come pure nei te­ stimoni del testo bizantino. Luca è solito mettere i numeri cardinali dopo i nomi. Io con­ servo l'ordine di NA'7. 3 Il verbo àvatp> . l. Là è il luogo in cui crocifissero Gesù.3 Il

v. 3 3 non ripete la goffaggine del v. 3 2: non parla di tre malfattori, ma di Gesù e dei malfattori. Precisando la posizione di ogni croce, l'au­ tore prepara il dialogo che seguirà e soprattutto, come nella grande pa­ rabola di Matteo (Mt. 25,3 3 ), distingue tra il buono e il cattivo. Già allora la sinistra era connotata negativamente e la destra positivamen­ te. 4 Occorre dunque immaginare il buon ladrone crocifisso alla destra di Gesù ed è così, in ogni caso, che gli artisti raffigurano la scena. Senza parlare di sinistra e destra, i vangeli di Giovanni e di Pietro precisano anch'essi che i due ladroni sono stati messi in croce da una parte e dal­ l'altra di Gesù ( Gv. 19,1 8; Ev. Petr. ro).s 34· Questo versetto pone uno dei problemi testuali di maggiore rilie­ vo del vangelo di Luca. 6 La preghiera di Gesù che implora suo padre di perdonare i suoi carnefici (v. 34a) faceva parte del testo originario di Luca oppure è stata aggiunta in seguito? L'età, l'importanza e la quali­ tà dei manoscritti si equivalgono: nella sua stesura originaria il Sinaiti­ cus (� = or ) ne contiene la menzione, mentre il papiro PBodm XIV-XV (1}75) la omette. Il Vaticanus (B = 03 ) come pure il codex Bezae (D = 05) nel suo stato originario omettono il passo che è invece attestato da Ta­ ziano, Egesippo e Ireneo all'incirca nel 1 7o-r 8o.? Per farsi un'opinione Cf. Plummer, 5 3 1; Réaux, Iconographie n, 48 8-49 1 ; Bauer-Danker, s.v. foÀyo&i, lj. Così si legge in P. Benoit (già direttore della scuola), Passion et résu"ection, 1 94. 3 Sulla crocifissione stessa cf. S. Rosenblatt, Crucifìxion; P. Winter, Triai, 90-96; J.A. Fitzmyer, Crucifìxion; M. Hengel, Mors. 4 Cf. a 1 5,7 (vol. 11, p. 609). s Per segnalare l'arrivo del corteo nel luogo del Cranio numerosissimi mss. preferiscono o à:n:ljÀ&v, «pervennero .. , o daijÀ&v, «giunsero», al verbo semplice �À-8ov, «arrivaro­ no», mantenuto da NA17. Più avanti, menzionando la crocifissione, il codex Bezae (D = 05) e un ms. latino aggiungono un avverbio: Ò!J.OÙ, «insieme ... Sempre nel v. 3 3 alcuni mss. ricordano che i malfattori erano in numero di due. 6 Cf. B.M. Metzger, Textual Commentary\ 1 54; D.M. Henry, Forgive; A.H. Dammers, Studies; P. Démann, Père; D. Daube, They know not; D. Flusser, Sie wissen nicht; M. Delobel, Crux; e soprattutto M. Blum, Denn sie wissen nicht, 1 7-2.8. 7 La lettura dell'apparato critico è impressionante: lascia l'esegeta in grave difficoltà. Gli seri bi stessi hanno esitato: un primo correttore del Sinaiticus (l'l: = 0 1 ), ad esempio, ha eliminato la preghiera, mentre un secondo l'ha reintrodotta. Lo scriba del codex Bezae (D = 0 5 ) la ignora, un correttore invece si è preoccupato di inserirla_ 1

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VERS O LA CROCE E S ULLA CROCE

la critica esterna non basta, occorre aggiungervi la critica interna: il les­ sico e lo stile corrispondono a quelli di Luca. Il vocativo 1tanp, «padre», è esattamente quello che accompagna la preghiera di Gesù in 10,21 e che apre il Padrenostro nella versione lucana ( r r ,2). Il contenuto della preghiera obbedisce anche all'esigenza del discorso della pianura di pre­ gare per i propri nemici (6,28 ). Che gli avversari di Gesù abbiano agito per ignoranza corrisponde all'opinione che Luca mette in bocca a Pie­ tro (Atti 3 , 1 7) e a Paolo (Atti 1 3 ,27) negli Atti. Anche il parallelo tra Gesù e Stefano depone a favore del carattere originario della preghiera di Gesù: il primo martire, di cui Luca tratteggia il destino a immagine di quello del suo maestro, prega per i suoi carnefici (Atti 7 ,6o ). x Il fatto che la formulazione degli Atti differisca da quella del vangelo non rap­ presenta un argomento contrario; Luca infatti evita le ripetizioni mec­ caniche. In modo ingegnoso Jason Whitlark e Mikael Parsons .. hanno tentato tuttavia di spiegare quella che considerano un'aggiunta: al mo­ mento della canonizzazione dei quattro vangeli (seconda metà del n se­ colo) i cristiani vollero che il Cristo in croce avesse pronunciato sette pa­ role, essendo sette il numero sacro della totalità. Avrebbero dunque im­ maginato la settima e l'avrebbero posta in questo punto. Credo piuttosto che la preghiera di Gesù, autenticamente lucana, sia stata eliminata da molti. Perché? Per un motivo logico e per antisemitismo. La caduta di Gerusalemme nel 7o appariva ai cristiani, si è visto, come una punizione per la morte di Gesù. Trasmettere la preghiera di Gesù significava am­ mettere che il maestro si era sbagliato, poiché Dio non aveva perdonato. Eliminare questo segno di misericordia significava anche dare libero cor­ so, come fecero ahimè molti cristiani dell'antichità, all'ostilità contro i giudei. Io conservo dunque la preghiera di Gesù nel testo del vangelo di Luca. Questa presenza conferma la santità che l'autore conferisce al Cri­ sto durante la sua agonia.3 Che si mantenga o no la preghiera di Gesù in questo punto (v. 34a), la menzione della spartizione delle vesti (v. 3 4b) è curiosamente aggan­ ciata a ciò che precede. Per comprendere l'importanza del gesto, attesta­ to dai vangeli canonici e dal Vangelo di Pietro, occorre ricordare l'impor­ tanza, agli occhi di Luca e dei primi cristiani, della prova scritturistica.4 L'evangelista, come i suoi correligionari, doveva convincere giudei, greci 1 «Signore, non imputare loro questo peccato », così recita la formulazione messa in bocca a Stefano. :z. j. Whitlark - M. Parsons, The «Seven» Last Words.

3 Sul verbo tlJ(J.t e la nozione di perdono in Luca cf. a 5 , 2 1 -24, l'excursus sulla remissio· ne dei peccati, e a 7,44-50 (vol. I, pp. 29 1 -294. 4 6 1 -464) . 4 Cf. A. Feuillet, Souffrance; B. Lindars, Apologetic, 88-93; J.R. Scheifler, Salmo 22; J.H. Reumann, Psalm 22.

LC .

2 3 ,26- 4 3

e romani, e pure se stesso, che non era aberrante venerare come Signore un crocifisso. L'argomento biblico permetteva di inserire lo scandaloso, il paradossale e l'inconcepibile nel disegno di Dio. Il Sal. 2 1 ( 2.2) con la sua rappresentazione del giusto sofferente poteva servire allo scopo. Co­ me gli altri evangelisti, testimoni con lui della tradizione cristiana, Luca rappresenta gli ultimi istanti di Gesù servendosi di modelli stereotipati tratti dalle Scritture. Che i carnefici avessero l'abitudine di spartirsi le vesti dei condannati non importa affatto,' conta solo l'adeguamento della passione ai Salmi e ai Profeti. Si noterà anche che Luca non insiste dicendo «come è scritto» : 2. per lui le parole hanno un peso maggiore se la convergenza rimane implicita. L'armonia è più convincente quando parla da sé. 3 35-37. Prima di enumerare gli insulti rivolti a Gesù, l'evangelista con­ tinua la sua riabilitazione del «popolo» : favorevole a Gesù durante il ministero in Galilea e il viaggio a Gerusalemme, il Àcxoc; ha ceduto solo durante la comparizione davanti a Pilato ( 2 3 , 1 3 e 1 8 ). Dopo di ciò si è ripreso: ha seguito con gli occhi il corteo dei condannati senza esprime­ re alcuna ostilità (v. 2 7) e, in questo momento (v. 3 5 ), resta là 4 e contem­ pla. Penso che, in Luca come in Giovanni, -8twpw definisca un atteggia­ mento, vale a dire quello di coloro che guardano riflettendo.5 Non è pri­ vo di significato che il verbo -8twpw, come più avanti ÈX(.I.UX't'l)pt'çw si leg­ gano uno vicino all'altro nel Sal. 2 1 ( 22),8.6 1

S u tale questione d i storia sociale cf. J. Blinzler, Prozess, 27 1 s . Giovanni non condivide l a discrezione d i Luca. Infatti scrive: «l soldati s i dissero tra loro: 'Non strappiamola, tiriamo piuttosto a sorte a chi andrà', affinché si adempisse la Scrittura: 'si sono spartiti le mie vesti e hanno tirato a sorte la mia tunica' » (Gv. 1 9,24). 3 Cf. il testo dei LXX: ÒtE:(J.tpiaav-ro -r!X t(J.cX"rtcX (J.OU Éau-ro'tç, xaì E7tÌ -ròv t(J.wvljacxc; indica un'anteriorità ( « dopo aver gridato a gran voce» ) oppure coincide con l'azione principale non rivestendo al­ cun valore temporale ( «gridando a gran voce» ) P Come il grido di ab­ bandono, secondo Marco, rappresentava una citazione del Sal. 21 (Sal. 21 [22],2), così la preghiera di Gesù in Luca corrisponde al v. 6 del Sal. 30(3 1 ) secondo la versione greca dei LXX.3 Il Sal. 30(3 1 ) rappresenta un appello di aiuto e al tempo stesso l'espressione di una immensa fidu­ cia. Come il salmista, il Gesù di Luca rimette il suo spirito tra le mani di Dio, perché sa che Dio è più forte dei nemici e della stessa morte. Per accentuare la relazione tra l'orante e il suo Dio, l'evangelista aggiunge al­ la citazione del salmo il vocativo 1tcinp, «padre». Questo appello al «pa­ dre» è costante all'inizio delle preghiere di Gesù nel terzo vangelo.• Ciò che Gesù, secondo il salmo, rimette a Dio, è il suo 1tve:U(J.cx, il suo «spirito». La radice di questo lessico si ritrova nel verbo che seguirà, è�­ Ém�e:uae:v, «spirò» . Il 7tve:u(J.cx non designa una parte soltanto della perso­ nalità, ma il soffio vitale, ciò che dunque la costituisce nella sua interezza. Concludendo così l'esecuzione capitale, l'evangelista osserva con di­ screzione che, maltrattato dagli uomini, Gesù conserva tuttavia il con­ trollo del suo destino. Come nel racconto degli scherni e nell'episodio dei due briganti, Gesù non ha certo il potere di sfuggire alla morte, ma pos­ siede quello di affrontarla ora, in attesa di vincerla. 5

Cf. Atti 1 6,28: ÉtproVJ)aEv ÒÈ 1-LE'YtXÀTl rpwviJ, «ma Paolo gridò a gran voce » . Come la maggior parte d i coloro che ho consultato, Plummer, 5 3 8 ed E . Delebecque, Evangile, 14 5 adottano la seconda soluzione. La questione si ripresenta alla fine del ver­ setto: qual è il valore di EÌ1trov? Gesù ha finito la sua frase prima di morire oppure muore mentre la sta pronunciando? Berttand Bouvier, da filologo qual è, ritiene che l'aoristo indichi sempre un'anteriorità, anche minima, quindi per lui Gesù ha pronunciato la fra­ se, poi ha reso lo spirito. 3 Luca apporta solo una modifica al testo dei LXX: preferisce il presente 1tapa-t1-8t(.LaL, •rimetto» , che indica palesemente l'attualità dell'atto, al futuro 1tapa-8l)ao(.LaL, «rimette­ rò», dei LXX. Mentre il codex Bezae (D = 0 5 ), la famiglia di minuscoli f e alcuni altri mss. greci riportano l'attivo 1tapa-r1-87)1Lt, «depongo» , il testo bizantino corregge la citazio­ ne dei LXX e mantiene il futuro 1tapa-8l)aO(.LaL, «rimetterò» . 4 Cf. 10,2 1 ; 22,42; 23,34; cf. anche n,2. 5 Sulle ultime parole di Gesù secondo Luca cf. in particolare (in ordine cronologico): T. Yates, Words, che qui percepisce un accento di vittoria; J. Wilkinson, Words, che ricor­ da che queste ultime parole di Gesù corrispondono alla preghiera che un bambino giu­ deo pronunciava prima di addormentarsi; M. Rese, Motive, 200 s., che preferisce non 1

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47· A detta di Luca 1 il primo spettatore ad ammirare il coraggio del condannato fu un ufficiale (deve considerarlo romano, dunque pagano). Egli dimostra così il suo intento di aprire il vangelo alle nazioni. Evitando, anche qui, un forestierismo,"" il latinismo xe:nuptwv (per cen­ turio; Mc. 1 5,39), Luca sceglie l'equivalente greco ÈxtX'tOV'ttXp'X,Yjc;, ((centu­ rione », e riscrive l'intera frase. Trascura il richiamo al trapasso di Gesù (Mc. 1 5 ,39) che sarebbe stato una ripetizione, e parla pudicamente di «ciò che era accaduto ». Quest'ufficiale, come molti timorati di Dio men­ zionati in Luca-Atti, riconosce la maestà e la provvidenza divine. Luca si compiace di dire quel che Marco non ha ancora espresso, ovvero che il centurione rendeva gloria a Dio.3 L'ufficiale ammetteva il disegno mi­ sterioso del Signore d'Israele che accettava la morte ingiusta del suo mes­ sia. Esprimeva l'altra faccia della medaglia: la qualità di questo essere umano. Per assicurare l'intensità della sua convinzione, ricorre all'av­ verbio ov-rwc;, «realmente », «veramente ». Gesù era veramente ÒtXIXtoc;:• Vi sono due traduzioni e interpretazioni possibili di questo aggettivo: una colloca la giustizia di Gesù nella tradizione biblica della � edaqa, del­ l'integrità morale, dell'autenticità religiosa, dell'appartenenza al popolo di Dio nel quadro dell'alleanza. Traducendo dunque con «giusto », Gesù viene a rappresentare il ((giusto sofferente» dei Salmi e del Deutero-Isaia. L'altra resa preferisce restare nel contesto profano del processo di Gesù:

parlare di citazione poiché non vi è introduzione, ma osserva tuttavia che Luca qui vuo­ le riferirsi alla Scrittura; L. Feldkamper, Der betende Jesus, :z.68-z.84, che insiste sul fatto che Gesù si abbandoni alla volontà e all'affetto del padre; B. Prete, Preghiere, 94-96, il quale ritiene che Luca abbia sostituito Sal. 30( 3 1 ),6 a Sal. l. l ( z.:z.),z. per due ragioni: a) il rischio che i suoi ascoltatori pagani credessero che Gesù fosse stato realmente abbando­ nato da Dio; b) il Sal. 30( 3 1 ) corrispondeva meglio alla cristologia lucana; E. Bons, Ster­ bewort, che considera il morivo della speranza come ragione principale della sostituzio­ ne; R. Russ, Vermiichtnis, che da questa preghiera deduce che Gesù lascia questa vita in pace e può rendere tutto quello che ha ricevuto; E. Manicardi, Parola, che confronta gli ultimi istanti di Gesù e di Stefano, insiste sul verbo ipwvw, •alzare la voce», «gridare», e sottolinea che Gesù non supplica; D. Liberto, Fear, il quale ritiene che, presentando Ge­ sù che prega in questo modo, Luca dipinga quello che deve essere l'atteggiamento cor­ retto di fronte alla morte. Da una parte Luca sfida i greci mostrando che il suo eroe non teme la morte, dall'altra li critica ricordando loro l'importanza del timore di Dio. 1 Il codex Bezae (D = os) presenta un inizio di versetto un po' differente: omette lo sguar­ do che il centurione rivolge a Gesù, ma segnala l'esclamazione (ipwvlja�) che pronuncia. 2. Tralasciando il grido di abbandono, Luca ha al contempo eliminato una ÀÉ�1> di Gesù, Ambrogio 10 ritiene che l'accoglienza riservata al ladrone sia derivata dalla preghiera di Ge­ sù per i suoi nemici che non sanno quel che fanno. 1 1 r Mentre Tertulliano (Mare. 4,42,4) ritiene che Marcione abbia soppresso il sorteggio delle vesti, Epifanio afferma il contrario. Difficile spiegare questa contraddizione; cf. quanto annota R. Braun in Tertullien, Contre Marcion IV (SC 4 5 6), 5 1 3 n. 7· Cf. sopra, p. 474 n. r . 2. Tertulliano si riferisce a Sal. 2 1 ( 22), 1 9 . 1 7.8-9. 3 Le citazioni di Is. 50,3 e soprattutto di Am. 8,9 diventeranno presto classiche in questo contesto. 4 Tertullian. Mare. 4,42,4-8. 5 Arnbr. In Le. ro,ro9 (tr. secondo R. Braun). 6 Op. cit. ro,I I6. 7 Op. cit. 10,1 24 (tr. secondo R. Braun). 8 Op. cit. 10,1 26. 9 Op. cit. ro,u6-u8. ro Op. eit. ro,1 29- 1 3 r (tr. secondo R. Bra un). II Riscoperta recentemente in una traduzione siriaca, probabilmente abbreviata, la con­ clusione dei Sermoni su Luca di Cirillo di Alessandria non è ancora stata pubblicata. È

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Beda il Venerabile (fine dell'viii secolo) 1 scrive un commentario con­ tinuo ed equilibrato di tutti i versetti del nostro passo. :r. Le tenebre nel­ l'ora della crocifissione attestano che il Signore è morto per i peccati di Adamo sorpreso da Dio nel giardino durante il pomeriggio. Lo squar­ ciarsi del velo del tempio rappresenta il trasferimento di tutti i misteri della legge alla moltitudine delle nazioni. Pregando il «padre», Gesù si manifesta come il «figlio di Dio» e la confessione del centurione prefi­ gura la fede della chiesa. Il fatto che gli spettatori si battano il petto può essere spiegato in almeno due modi: perché hanno richiesto la morte di colui che avevano amato quando era in vita, oppure perché hanno osser­ vato la gloria che ha mostrato durante la sua morte. Ciò che colpisce Beda è la diversità delle reazioni della folla. Il tenersi a distanza degli amici e delle amiche di Gesù compie quanto dice il Sal. 87( 88),19 (Dio ha allontanato gli amici del salmista). Giuseppe di Arimatea secondo la Vulgata è un decurione, di cui Beda chiarisce la funzione amministrativa; se la sua dignità è grande nel mondo terreno, è ancora maggiore davan­ ti a Dio. Per spiegare il lenzuolo funebre, cita - senza dirlo, come suo so­ lito - uno dei suoi predecessori, vale a dire Gerolamo che commenta il vangelo di Matteo. L'autorità dell'antico dottore non vieta altre inter­ pretazioni, come ad esempio la seguente: la tomba di Gesù era diversa da quelle degli altri uomini per indicare che la sua opera di salvezza differì dalla loro debolezza e che egli sarebbe risuscitato. Beda insiste quindi sulla corrispondenza - tesi spesso ripresa - tra la nascita, naturale e so­ prannaturale, e la morte, umana e particolare, di Gesù. Dopo aver spie­ gato i giorni della preparazione e del sabato non senza far riferimento alle età del mondo, Beda menziona i preparativi delle donne. Nell'insie­ me, il venerabile esegeta rispetta sia il senso letterale e la storicità della passione, sia il senso figurato e spirituale. La Glossa ordinaria presenta l'esegesi medievale in modo conciso e riassume bene interpretazioni anteriori.3 Frasi intere di Ambrogio o di stato tuttavia possibile restituire a queste omelie alcuni frammenti greci ttatti dalle cate­ ne; cf. sopra, p. 477 n. 7; Fragments n, I09 e I IO, in J. Reuss, Lukas-Kommentare, 272. s.; R. Payne Smith, Cyt'il u, 722 s. x A.A. Just, Luke, 3 67-373 offre in traduzione diversi estratti esegetici di Efrem Siro, Cirillo di Alessandria, Ambrogio, Cirillo di Gerusalemme, Massimo di Torino e Origene. l passi citati dei sermoni di Massimo di Torino sono particolarmente interessanti: in essi si ritrova il parallelo tra la nascita e la morte di Gesù, tra la vergine Maria e Giuseppe di Arimatea (Serm. 39,1 e Serm. 78,2) e vi si legge che la salma fu deposta nella tomba di un altro per indicare che la morte di Gesù aveva espiato i peccati altrui. La perma­ nenza del corpo del Cristo in questa tomba fu però breve, il che significa che assomigliò più a un sonno che a un decesso (Serm. 39,3 ). :r. Beda In Le. 6, I 7 I 6- r 884. 3 Glossa ordinaria a Le. 2.3,44-5 6 (PL 1 14, 348-3 50).

Beda scorrono così sotto gli occhi del lettore, mentre alcune annotazio­ ni paiono originali. Riguardo alla funzione di Giuseppe di Arimatea, l'autore segnala - è il solo o è il primo a dirlo? - che il suo intervento fu provvidenziale, poiché se gli stessi apostoli avessero sepolto Gesù, si sarebbe detto che colui di cui era scomparso il corpo non era mai stato sepolto. Come Beda, Bonaventura analizza tutti gli elementi del testo e con­ fronta inoltre questo con gli altri vangeli per togliere dal testo lucano i particolari contraddittori. • Pensa che le tenebre non siano state un fe­ nomeno naturale e che il velo strappato rappresenti la rivelazione delle Scritture fatta alle nazioni pagane. Bonaventura sostiene che Gesù ab­ bia emesso tre ultime grida poiché gli preme conciliare Matteo, Gio­ vanni e Luca, e mostrare apprezzamento per le tre ultime espressioni del Cristo che essi trasmettono. Il celebre passo della lettera agli Ebrei (Ebr. 5 ,7·9-10) conferma l'opinione di Luca: è con una preghiera che Gesù si è espresso esalando l'ultimo respiro. Maria fu presente alle due estremità della vita di suo figlio: se, durante la nascita, ha dato alla luce nella gioia, ha partorito tra i dolori durante l'agonia. La semplicità del lenzuolo funebre ha ispirato la modestia dei tessuti ecclesiastici ed è an­ che, sul piano morale e spirituale, un segno di innocenza. Questi esempi possono bastare. Il rinascimento non modifica in modo sostanziale l'interpretazione del nostro passo. Nella sua Paraphrasis Erasmo da Rotterdam ritiene che le tenebre scese alla morte di colui che era la luce del mondo attestino lo sconvolgimento della natura intera davanti a questo crimine. Vede an­ che nello squarcio del velo l'annuncio della fine del culto giudaico, poi­ ché la croce, in quanto sacrificio, basta per tutti i tempi. L'ultima espres­ sione, «padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito» (v. 46) dimostra che Gesù, a differenza degli altri uomini, non morì per necessità, ma per un atto della sua volontà. 2 A proposito della confessione del centurione, Erasmo anticipa G.D. Kilpatrick insistendo sull'innocenza di Gesù e dà un'ulteriore prova della sua ostilità nei confronti dei giudei: dichiaran­ do Gesù innocente, il centurione condannava coloro che l'avevano ingiu­ stamente proclamato colpevole. Come molti prima di lui nel medioevo, ritiene che coloro che si batterono il petto lo fecero per diverse ragioni, gli uni per rispetto verso Gesù, gli altri per paura del castigo. I paragrafi concernenti l'iniziativa di Giuseppe di Arimatea, il seppellimento di GeBonaventura Comm. in Le. 2. 3, 54-7 2. ( 5 8 I - 5 87 ). Il commento di Brunone di Segni Comm. 2.,48 (PL 165, 44 5 ) rinvia sostanzialmente a quello che lo stesso autore ha dedicato al vangelo di Matteo. ;z. Cf. qui le osservazioni di J.E. Phillips in Erasmo, Paraphrase, 2.2.2. n. 5 3 · r

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MORTE E SEPOLTURA

sù e i preparativi delle donne corrispondono al genere letterario e al ti­ tolo dell'intera opera: si tratta di una parafrasi. Un'osservazione merita tuttavia di non essere trascurata: Gesù, dopo avere portato a termine il suo compito il venerdì santo, può riposarsi nella sua tomba l'indomani, giorno del sabato. 1 Tra i commentari dei riformatori/ quello di Calvino brilla per chia­ rezza, attenzione per il senso letterale e per l'armonizzazione scritturi­ stica, precisione storica e dimensione teologica) Calvino ammette che sulla croce «la debolezza della carne ha coperto per un certo tempo la gloria della divinità » . Dio tuttavia «in questa estrema abiezione ha mes­ so in atto alcuni primi segni, come preparativi della gloria a venire», quali «l'oscuramento del sole, il terremoto, il fendersi delle pietre e del velo» . L'oscurità, che occorre circoscrivere alla Giudea, ebbe anche un'altra funzione, quella cioè di risvegliare il popolo giudaico e di invi­ tarlo «a considerare il meraviglioso progetto di Dio nella morte di Cri­ sto». La soteriologia costringe Calvino a riconoscere che sulla croce Ge· sù soffrì non solo fisicamente a causa della crudeltà umana, ma anche spiritualmente per la condanna divina. Il vangelo di Luca permette di completare, anzi, di correggere il quadro, poiché «narra le parole di que· sto secondo grido di Cristo», dando a intendere che la fede di Gesù non fu, in ultima analisi, scossa. Rinunciando a rivolgersi agli uomini, «si è rivolto direttamente a Dio e ha deposto nel suo grembo la testimonian­ za della sua fiducia » . In tal modo Gesù ha anche affidato a Dio «come in un fascio, tutte le anime dei suoi fedeli, affinché siano custodite e sal­ vate insieme con la sua » . Dopo alcune osservazioni convenzionali sul ve­ lo strappato, sull'esclamazione del centurione e sulla reazione delle fol­ le, Calvino sottolinea la funzione delle donne galilee: «Non senza moti­ vo gli evangelisti lodano soprattutto le donne, giacché erano degne di es­ sere preferite agli uomini » . C'è Dio dietro alla testimonianza di queste donne. Calvino conclude la spiegazione del cap. 23 descrivendo «la se1 Erasmo, Paraphrasis, 463-465; Paraphrase, 2.2.1-2.16; cf. anche, dello stesso autore, Ad­ notationes, 2. 1 6, che contengono alcune osservazioni testuali e filologiche. 2 Cf. Lutero, Evangelien-Auslegung, 1 2.2.1-1 2.2.4. 1 2.2.9- 1 2.3 1 . Per il riformatore la tremen­ da oscurità, nient'affatto naturale, rappresenta un mondo nuovo. Pronunciando Sal. 30 (3 1 ),6, Gesù prende congedo. Lo fa per noi, perché possiamo vedere il cuore di Dio; ora tocca a noi pentirei. La morte di Gesù provoca agitazione e sgomento tra i suoi avversa­ ri, consolazione e coraggio invece tra i suoi sostenitori. Quanto alla sepoltura, mette in evidenza le qualità di Giuseppe rispetto alla mediocrità degli apostoli nel corso di queste ore. Lutero infine insiste sui diversi frutti della passione di Gesù, quali il buon !adrone e Giuseppe di Arimatea. 3 Calvino, Harmonie, 7 1 5-72.7. Le citazioni provengono in successione dalle pp. 716, 716-7 17, 7 1 7 (due volte), 7 1 9 (due volte), 72.0 e 7 2. 3 .

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poltura di Cristo come un passaggio dall'ignominia della croce alla glo­ ria della risurrezione,. . ' Qualora si voglia osservare l'effetto potente di alcuni versetti sulla ci­ viltà cristiana, si possono consultare, a proposito delle tenebre di tre ore (vv. 44-4 5a), i lavori di P. de Labriolle e di R.M. Grandez. Tale oscuri­ tà ha occupato le menti sin dal n secolo, quando un autore pagano, Fle­ gone, menzionò un'eclissi di sole. :z. Alcuni avversari pagani del cristia­ nesimo pare abbiano ridotto le ore di tenebra a una banale eclissi. Uno Pseudo-Origene e Giulio Mricano hanno preso le difese dell'oscurità mi­ racolosa, mentre poi Tertulliano, Origene ed Eusebio l'hanno sfruttata per inserire la storia evangelica nella cronologia universale} Alcuni au­ tori ecclesiastici, come Cipriano,4 hanno trovato talune profezie bibli­ che, come Am. 8,9- 10 e Ger. 1 5, 9 , che annunciavano l'avvenimento. Questi rimandi, individuati già prima di Cipriano, divengono presto tra­ dizionali. Dionigi Areopagita (fine del v, inizio del VI secolo) occupa un posto importante in questa storia dell'interpretazione: s a suo parere non ci si deve basare su quel che scrivono al riguardo gli autori pagani, giac­ ché il Cristo, come causa universale, fu capace di realizzare un simile mi­ racolo, e una spiegazione naturale risulta dunque inutile. Gli esegeti del­ l'epoca scolastica, come Alberto Magno, adottano tale interpretazione. 6 1 Ho sotto gli occhi le Adnotationes, 923-925 di U. Grozio. Vi si leggono, tra le altre, os­ servazioni filologiche ed esegetiche sul futuro n:ctpa-Bljao(J.ctt (v. 46), lezione che preferisce pur attribuendogli un significato presente, o sul verbo btttpwaxw (v. 54), che qui evoca la luna e le stelle che spuntano, e non il sole che si alza; ho potuto anche accedere alle note esegetiche e teologiche di Bengel nel suo Gnomon 1, 4 I 3 s.: se il padre riprende lo spiri­ to di Gesù - scrive a proposito del v. 46 - Gesù accoglie lo spirito del credente. Quanto alle folle menzionate nel v. 48, che erano state manipolate perché gridassero «crocifiggi­ lo! », cambiano atteggiamento e stato d'animo: è una preparazione alla pentecoste. Infi­ ne, deponendo il corpo di Gesù nella propria tomba, Giuseppe di Arimatea, v. 53, prefi­ gura il credente che muore con il suo Signore ed è sepolto con lui; come Gesù rimarrà per poco tempo soltanto nella sua tomba, così avverrà anche per il credente. Dio è il Dio dei vivi. 2 P. de Labriolle, La réaction pai"enne. Etude sur la polémique antichrétienne du Ier au VI• siècle, Paris I 9 50, 204-22.0; R.M. Grandez, Tinieblas. M. Goguel, ]ésus et les origines du christianisme. La vie de ]ésus (Bibliothèque historique), Paris I 9 3 2., 70-72 ha creduto di poter dimostrare che un certo Tallo il samaritano, che visse a Roma alla metà del 1 seco­ lo d.C., avesse già polemizzato contro i cristiani a proposito delle tenebre della crocifis­ sione. La polemica tuttavia è attestata effettivamente solo nel 111 secolo. 3 Ps.-Orig. In Mt. (PG I ], 309); il frammento di Giulio Africano è conservato in Giorgio Sincello e pubblicato in PG IO, 88-89; Tertullian. Apol. 5-6; Orig. Cels. 2,3 3 e 59; Eus. Chron. (anni 3 2) (Eusebius Werke vn, GCS 47, I 74-I 76); Plummer, 5 3 7· 4 Cypr. Testim. 2,23; cf. Eus. Dem. Ev. 10,6,6-8; 10,8,8 e 1 5- I 6 (Eusebius Werke VI, GCS 2.3 , 468-474). 5 Dionigi Areopagita, Theologia mystica. Epistula 7,2 (PG 3, I08 I ). 6 Aiberto Magno Comm. in Le. 2.3,45 (73 3 ) .

MORTE E SEPOLTURA

Dal XVI al xx secolo ricompare però l'ipotesi di un'eclissi, ma parecchi la definiscono soprannaturale. G. Maldonado (fine del XVI secolo) dedi­ ca a questo tema non meno di quattro dense pagine del suo commento a Matteo. 1 Con il formarsi della coscienza storica e scientifica moder­ na, sorgono le critiche e le discussioni accademiche si moltiplicano: nel r720 ad esempio Augustin Calmet pubblica a Parigi una Dissertation sur les ténèbres arrivées à la mort de ]ésus-Christ. Quanto a E. Renan nella sua Vie de ]ésus 1 elude il problema dell'oscurità di tre ore e prefe­ risce interessarsi alla psicologia di colui che agonizza. Un eccellente articolo di A. Pelletier permette di comprendere le esi­ tazioni dei primi secoli cristiani riguardo allo squarciarsi del velo del tempio (v. 45b).J Si possono distinguere due orientamenti differenti: il primo ricollega il tema della conoscenza a quello che è in ultima analisi uno svelamento. Per Agostino l'episodio palesa la grazia del Cristo me­ diatore: «Allora, questa realtà era presente tra il popolo . . . , ma lo era in modo latente; ora però è percepibile per tutte le nazioni come uno spa­ zio evidente».4 L'altra diffusa interpretazione vede in quello che è pri­ mariamente uno squarcio la dissacrazione dei riti: l'avvenimento sim­ boleggia l'abrogazione del cerimoniale del tempio. Così Teodoreto di Ciro vede nell'episodio la profanazione del santo dei santi: «Lo strap­ parsi della cortina mostra in modo concreto che la grazia che si trovava là ha appena abbandonato l'interno del santuario e che è divenuto pro­ fano ciò che un tempo era accessibile soltanto al sommo sacerdote» . 5 Queste due interpretazioni possono combinarsi. Così nel suo Pasqua­ le carmen Sedulio, il poeta cristiano del IV secolo, scrive: «Il tempio glo­ rioso, vedendo crollare il pinnacolo di quest'altro tempio più grande di lui, come un fanciullo in lacrime, si denudò il petto ferito, per mostrare che ormai si potevano rivelare alle generazioni a venire i suoi misteri segreti, poiché la legge di Mosè, da lungo tempo nascosta sotto il velo, grazie alla venuta del Cristo si svela a noi >> .6 La prima interpretazione può anche suddividersi a sua volta in altre due, a seconda che gli autori considerino come oggetto dell'intervento r G. Maldonado, Commentarii in quattuor evangelistas n, ed. F. Sausen, Mainz-Paris­ Louvain 1 84 1 , 403 -407. 1 E. Renan, Vie de ]ésus, �68 scrive: « Il cielo era scuro; la terra, come tutt'intorno a Gerusalemme, arida e triste » . 3 A. Pelletier, Tradition. 4 et tunc ergo . . . erat in popu/o Dei, sed. . . inerat latens; nunc autem. . . in omnibus genti­ bus tanquam area cernitur patens, Aug. Liber de peccato originali �5 (PL 44, 400). 5 Theodoret. ln Dan. 9,�7 (PG 8 1 , 1 48 1 ), tr. secondo A. Pelletier, Tradition, 1 62. s. 6 Sedulius Paschale carmen 5.�70-�75 (CSEL 10, 1 34); tr. secondo A. Pelletier, Tradi­ tion, 1 6 5 .

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divino il primo o il secondo velo. Se si tratta della prima cortina, cioè quella che copriva l'accesso al tempio stesso, la rivelazione offerta dallo squarcio non è che parziale; occorrerà attendere lo strappo escatologico del secondo velo, vale a dire quello che proibiva l'entrata nel santo dei santi, per non vedere più come attraverso uno specchio, ma faccia a faccia. • Se si tratta dello squarciarsi del secondo velo, come dice un frammento attribuito a Crisostomo, allora «tutto quello che era proibi­ to vedere nell'adyton divenne visibile a tutto il mondo ».2 Come si può immaginare, le due interpretazioni principali, la rivela­ zione e l'abrogazione, includono ciascuna una buona dose di ostilità nei confronti del giudaismo. «Dio con questo mostra - dice Crisostomo o uno dei suoi epigoni - che tutti i misteri dei giudei saranno profanati e che la loro vergogna sarà mostrata a tutto il mondo» .3 Quindici se­ coli più tardi la vergogna dovrebbe ricadere sugli autori di simili inter­ pretazioni. Nella sua Sacred Biography,4 Thomas J. Heffernan menziona ed esa­ mina la funzione che le ultime parole di Gesù (v. 46) hanno avuto nelle vite dei santi nel medioevo. Come Luca ha conformato il martirio di Ste­ fano alla passione del Cristo, così i biografi medievali hanno attribuito ai santi, di cui raccontavano la morte, tratti e parole che i vangeli attri­ buiscono a Gesù. Così Walter Daniel racconta che l'abate Aelredo (xn secolo) morì dicendo: «Tra le tue mani rimetto il mio spirito ».5 Heffer­ nan segnala al riguardo parecchie interpretazioni medievali delle ultime parole di Gesù secondo Luca. Il lettore si rende conto che il termine «spirito» (spiritus) ha assunto diverse sfumature: per alcuni si trattava del soffio di vita individuale offerto a tutte le creature, per altri dello Spi­ rito stesso di Dio, che, secondo Gen. 2, 7, il Signore trasmise ad Adamo e alla sola stirpe umana. 6 Gli esegeti medievali, quale che sia l'interpre­ tazione adottata, segnalano talvolta connotazioni trinitarie: lo Spirito non unisce il padre al figlio? 1 Cf. Orig. Comm. in Mt. Ser. 1 3 8 ( Origenes, Werke XI, GCS 3 8 , 285 s.). 1 Symbolorum in Mattheum I, ed. P. Poussines, Toulouse 1 646, ad Mt. 27,45-53; tr. secondo A. Pelletier, Tradition, 1 62. Non sono riuscito ad avere accesso all'edizione di P. Poussines; mi baso dunque sul lavoro di A. Pelletier. 3 Ib id., tr. secondo A. Pelletier, Tradition, 1 63 . 4 T.J. Heffernan, Sacred Biography. Saints and their Biographers i n the Middle Ages, Oxford 1988, 74-87. Ringrazio Beverly Kienzle che mi ha fornito questo riferimento. 5 Vita sancti Aelredi 5 6-57; cf. Walter Daniel, The Life of Aelred of Rievaulx (Cister­ cian Fathers Series 57), tr. e note di F.M. Powicke, intr. di M. Dutton, Kalamazoo, Mich. 1994. 1 3 7 s. 6 Adatto al mio modo di vedere i dati di T.J. Heffernan, Sacred Biography, 83-85, non molto chiari al riguardo. .•.

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MORTE E SEPOLTURA

Gli storici dell'arte e, più modestamente, i visitatori dei musei sanno che ci sono due principali modi di rappresentare la crocifissione: quello che si può chiamare orientale, che presenta la sola croce di Gesù Cristo accanto alla quale si trovano sua madre e il discepolo diletto, e quello definibile occidentale, che raffigura, in modo storico e narrativo, una grande scena che include le tre croci e tutti i personaggi associati a quel­ le tragiche ore. 1 Questo secondo tipo corrisponde bene alle intenzioni di Luca. A proposito del centurione (v. 47), gli artisti e soprattutto i loro committenti preferiscono tuttavia la versione di Matteo e di Marco: conservano l'esclamazione «veramente questi era il figlio di Dio», piut­ tosto che l'espressione lucana cc davvero quest'uomo era giusto » . Lo stes­ so vale per la tela di Bayonne in grisaglia (xv secolo) conservata al mu­ seo del Louvre. Il filatterio che riporta le parole del centurione contiene in latino, come è logico aspettarsi, il titolo «figlio di Dio» ... Di fatto, con­ formandosi al principio dell'armonia evangelica, sono numerosi anche gli esegeti, predicatori e teologi, che operano la stessa scelta. Già Ambro­ gio, spiegando Luca, si esprime così: cc lnfine ecco che lo stesso centurio­ ne proclama figlio di Dio colui che aveva crocifisso».3 L'esegeta interessato alla storia della ricezione della deposizione e del­ la sepoltura si volge anche all'arte: i manuali di L. Réau e di G. Schiller, come pure il Lexikon zur christlichen Ikonographie curato da E. Kirsch­ baum 4 e il volume IV del commento a Matteo di U. Luz consentono di familiarizzarsi con queste interpretazioni.5 La raccolta di A.A. Just 6 of­ fre la possibilità di seguire l'interpretazione patristica di questi episodi (vv. 48- 5 6a). Non a torto M. Dibelius paragonò la versione lucana della passione di Gesù a un racconto di martirio. 7 La narrazione infatti tende a rendere visibili, anzi spettacolari, gli episodi che si susseguono. Il martire stesso affronta il suo destino con un coraggio ammirevole. I lettori o gli ascol­ tatori vengono interpellati e l'invito che ricevono li dirige sul cammino x Cf. L. Réau, Iconographie n/2, 492 s., che propone anche ulteriori suddivisioni; cf. G. Schiller, Ikonographie n, 98-176 e E. Kirschbaum, Lexikon n, 562-5 90. 600-642. 2. L. Réau, lconographie 11/2, 497, che si interessa poco a tale personaggio, segnala che questo era il contenuto del filatterio relativo al centurione nel grande dossale di Conrad von Soest a Niederwildungen ( 1404 ). 3 Ambr. In Le. 10,12.8 (tt. secondo G. Tissot). 4 L. Réau, Iconographie n/2, 5 1 3 -5 28; G. Schiller, Ikonographie n, 177- 198; E. Kirsch· baum, Lexikon n, 590-595. 192-196. s U. Luz, Matthaus IV, 297-305. 3 1 3-3 1 5 . 3 1 9 s. 3 2 5 . 3 3 5-342. 348-3 5 3 . 3 8 2.-3 86. 6 A.A. just, Luke, 3 70- 3 7 3 . 7 M. Dibelius, Formgeschichte, 202.

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dell'imitazione. Sarebbe errato tuttavia spingere questo accostamento tanto lontano da far diventare eroico il coraggio del maestro e il suo at­ teggiamento più simile a quello di un Socrate animato da saggezza stoi­ ca piuttosto che a quello del servo sofferente di Isaia. 1 Infatti, secondo Luca, l'umanità di Gesù rimane per intero: come nell'orto degli Ulivi lo prende la paura, così qui non può fare a meno della preghiera (v. 46). Non esprime tuttavia, come fa in Matteo e Marco, l'abbandono che sen­ te, ma attraversa ciò che ha annunciato (22, 5 3 ), vale a dire ore di tene­ bre, e non sfugge alla morte.� Se gli elementi, tenebre e velo del tempio, confermano la drammaticità dell'ora presente, l'atteggiamento degli uomini, trasformati nel corso dell'agonia e quindi della morte di Gesù, dimostra il valore non soltan­ to esemplare ma anche redentivo della passione. 3 1 Qui mi oppongo a una tendenza della ricerca lucana contemporanea rappresentata dai lavori di J.H. Neyrey, Absence (cf. la bibliografia a Le. 23,26-43), J.S. Kloppenborg, Exitus e G. Sterling, Mors Philosophi. 1 Cf. l'eccellente tesi di dottorato di Claire Clivaz, L'ange et la sueur de sang (Le 22,43 44) ou eomment on pou"ait bien encore éerire l'histoire. Cf. sopra, pp. 294 e 3 24. 1 Cf. F. Bovon. Salut.

SEPOLCRO VUOTO E PIENEZZA DEL MESSAGGIO ( 2 3 , 5 6h-2 4 , r 2 )

T.H. Akaabian, The Proclamation of the Good News. A Study of Lk 24 in Tiv Con­ text, Frankfurt I999; G. Baldensperger, Le tombeau vide: RHPhR u . ( I 932) 4I3443; I3 ( I 9 3 3 ) I05-I44; I 4 ( I 937) 97- u . 5 ; A. Bedenbender, Geschlechtertausch und Geschlechtsverlust (Lk 24, 10 und Pred 7,27). Zur Funktion der Attribute «miinnlich» und «weiblich» im Lukasevangelium und im Prediger Salomo: TeKo 2I ( I998) I 7-34; P. Benoit, Passion et résu"ection, 263-29 5 ; E. Bickerman, Das leere Grab: ZNW 23 ( I 924) 28 I -292; E.L. Bode, The First Easter Morning. The Gospel Accounts of the Women's Visit to the Tomb of ]esus (AnBib 4 5 ) , Roma I970, I05u6; M. Brandle, Auferstehung ]esu nach Lukas: Orien. 24 ( I96o) 84-89; A.G. Brock, Mary Magdalene, I9-40; H. von Campenhausen, Der Ablauf der Osterereig­ nisse und das leere Grab, 2. verbesserte und erganzte Auflage (SHAW.PH 2), Hei­ delberg � I 9 5 8; T.L. Chafis, Women and Angels. . . When They Speak, It's Time to Listen! A Study of the Structure of Luke 23:J0-24:12: AThJ 2 I ( I 990) I I - I ?; W.L. Craig, The Disciples' Inspection of the Empty Tomb (Lk 24,12-24; ]n 20,2-10), in A. Denaux (ed.), fohn and the Synoptics ( BEThL I O I ), Leuven I 992, 614-6I9; W.L. Craig, The Historicity of the Empty Tomb of ]esus: NTS 3 I ( I 9 8 5 ) 39-67; K.P.G. Curtis, Luke XXIV. 1 2 and fohn XX.3 - 10: JThS 22 ( I 9 7 I ) 5 I 2-5 1 5 ; A. Dauer, Lk 24, 12. Ein Produkt lukanischer Redaktion, in Four Gospels n, I697I 7 I 6; A. Dauer, Zur Authentizitiit von Lk 24, 12: EThL 70 ( I 994) 294- 3 I 8; A. De­ guglielmo, Emmaus: CBQ 3 ( I94 I ) 29 3-30I; E. Dhanis (ed.), Resu"exit. Actes du symposium international sur la résu"ection de ]ésus, Roma I974; R.J. Dillon, Eye­ Witnesses, I-68; J. Dupont, Les discours de Pie"e dans les Actes et le chapitre XXIV de I'Évangile de Luc, in L'Évangile de Luc>, 3 29-3 74 (rist. in J. Dupont, Nouvelles études, 5 8- I I I ); L. Dussaut, Le triptyque des apparitions en Luc 24 (analyse struc­ turelle): RB 94 ( I 987) I 6 I -2 I 3 ; A.R. Eckhardt, Why Do You Search Among the Dead?: Encounter s r ( I 990) I - I ?; B. Ehrman, Corruption, 2 I 2-2I 7d· Englebrecht, The Empty Tomb (Lk 24:1-12) in Historical Perspective: Neotest. 23 ( I989) 235249; J. Ernst, Schriftauslegung und Auferstehungsglaube bei Lukas: ThGl 6o ( I 970) 3 60-3 74; P. Gaecher, Die Engelerscheinungen in den Auferstehungsberichten: ZKTh 89 ( I 967) I 9 I -202; H. Gerits, Le message pasca/ au tombeau (Le 24, 1-12). La résu"ection selon la présentation théologique de Luc: EsTe 8/I 5 ( I 9 8 I ) 3-63; H. Gollwitzer, ]esu Tod und Auferstehung nach dem Bericht des Lukas (KT 44), Miinchen I979; H. Grass, Ostergeschehen, I 5-23 . 3 2-3 5 ; M. Hengel, Maria Magda­ lena und die Frauen als Zeugen, in Abraham unser Vater, 243 - 2 5 6; Z.C. Hodges, The Women and the Empty Tomb: Biblia Sacra I 23 ( 1 966) 301-309; P. Hoffmann, Der garstige breite Graben. Zu den Anfiingen der historisch-kritischen Osterdiskus­ sion, in P. Hoffmann, Tradition und Situation. Studien zur ]esusuberlieferung in der Logienquelle und den synoptischen Evangelien (NTA n.s. 28), Miinster i.W. 1 9 9 5 , 3 4 I - 3 72; T. Han, ]ewish Women in Greco-Roman Palestine. An Inquiry into 1m­ age and Status, Peabody, Mass. 1 996, I 6 3 - I 66; J. Jeremias, Heiligengriiber in ]esu Umwelt (Mt 23,29; Lk L I,47). Eine Untersuchung zur Volksre/igion der Zeit ]esu,

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Storia degli effetti. Poiché la ricezione del testo è avvenuta nel corso dei secoli in ambiente cristiano, la questione della storicità dell'episodio non si poneva. L'attenzione si concentrava sull'armonia tra i vangeli, principale fonte di preoccupazione: chi erano le donne presenti? In qua­ le momento è avvenuto tutto ciò? Furono uno o due gli angeli che com­ parvero ? Quale fu il messaggio rivolto alle donne? Perché Luca non men­ ziona, con Giovanni, la presenza di un altro discepolo accanto a Pietro ? Nella tarda antichità e soprattutto nel corso del medioevo si manifestò un'altra tendenza, quella di allegorizzare racconti altrettanto meraviglio­ si e convincenti quanto quello del sepolcro vuoto. La preparazione degli aromi diviene così un esercizio spirituale e gli aromi stessi preghiere o atti pii. Sarà in seno alla società cristiana, in Francia, in Inghilterra e in Ger­ mania, che si manifesteranno gli spiriti forti in epoca illuministica. Si esprimeranno dubbi sempre più profondi riguardo alla storicità del se­ polcro vuoto. I teologi tenteranno allora di limitare i danni prendendo in prestito gli strumenti degli storici. Per dare un'idea della storia dell'interpretazione di Le. 23,5 6b-24, 1 2 proporrei, tra le fonti che le contingenze storiche c i hanno preservato, le testimonianze di Tertulliano, Ambrogio, Cirillo di Alessandria, Beda il Venerabile, l'anonimo irlandese, Bonaventura, Erasmo, Calvino, Bengel, Reimarus e Strauss. Nella pagina che dedica alla tomba vuota,' Tertulliano rileva, contro Marcione, l'armonia tra Antico e Nuovo Testamento. Tanto la persona di Giuseppe di Arimatea, il sepultor del Cristo, quanto le donne nei lo­ ro pii compiti sono stati annunciati profeticamente nelle sacre Scritture. Tertulliano quindi cita, a proposito di Maria Maddalena e delle sue com­ pagne, Os. s , I s -6,2 LXX ( « Esse cercheranno il mio volto . . . » ) , poi Is. 57,2 LXX (sepoltura rimossa) e Is. 27,I I (presenza di donne). L'africa­ no aggiunge con finezza che arrivando al sepolcro le donne furono pre­ se dal dolore e dalla speranza. Continua dicendo che la presenza di due angeli assicurava una testimonianza valida e conclude affermando che l'incredulità degli undici fu in realtà una buona cosa: permise l'episodio successivo, quello dei discepoli di Emmaus, e la lezione di ermeneutica cristiana che il Cristo impartì a partire dalle Scritture. Ambrogio � esalta innanzitutto le donne: ultime ad allontanarsi dal se­ polcro, sono le prime a ritornarvi. «Pure nell'ora della risurrezione sono là; e mentre gli uomini si sono dati alla fuga, loro soltanto sono avver­ tite dall'angelo di non avere paura. Chiamano Pietro; il loro zelo le pre­ seguito a quella delle donne. Curiosamente, non riguarda il solo Pietro, ma più persone (cf. sotto, p. s 6:z.). I Tertullian. Mare. 4.43,1-2.. l. Ambr. In Le. 1 0, 144• 1 67.

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cede, la loro fede le segue» (§ 145 ). Mfronta quindi i problemi che han­ no gettato l'antichità cristiana nella confusione: i dati contraddittori dei vangeli riguardo alla cronologia e alle persone. Si prende il tempo di ar­ monizzare queste indicazioni con forzature esegetiche che divengono tal­ volta giochi di prestigio. Immagina persino una seconda Maria Madda­ lena per sciogliere le tensioni! 1 Cirillo di Alessandria o un altro padre greco tratta del sepolcro vuoto e dei discepoli di Emmaus. 2. L'autore si limita spesso a raccontare la sto­ ria, però inserisce nel suo racconto alcune annotazioni. La parola di Dio ha assunto il rischio di incarnarsi e, in tal modo, è caduta nella mortali­ tà. Grazie a Dio, la morte del Cristo ha significato al tempo stesso la mor­ te della morte. Da allora il risorto, che ha riacquistato la gloria celeste, ha così aperto la strada alla nostra incorruttibilità. Gli angeli hanno dunque ragione a essere presenti alla risurrezione come lo sono già stati in oc­ casione della natività, davanti ai pastori di Betlemme. Il teologo si ral­ legra che la novella della risurrezione sia stata annunciata anzitutto ad alcune donne, perché ciò vuoi dire che sono state assolte, e la maledizio­ ne che pesava su di loro si è trasformata in benedizione. Se gli apostoli non credono loro, è perché non hanno ancora compreso le Scritture. Beda il Venerabile 3 racconta anch'egli i fatti, ma conferisce loro pure un significato spirituale. Insiste sulla ricerca delle donne che cercano e trovano nel fervore del loro affetto: esse ci danno un esempio mistico di accesso all'altare del Signore, qui rappresentato dal sepolcro, uscendo dalle tenebre che simboleggiano i vizi. Procedendo con questa allegoria di carattere eucaristico, Beda dà un senso figurato agli aromi, che occor­ re intendere come virtù e preghiere, e alla pietra rotolata, simbolo del superamento della lettera della legge. Beda continua applicando ai cri­ stiani del suo tempo, a «noi>>, l'ordine degli angeli che hanno consolato e proclamato: tocca a noi avvicinarci ai misteri celesti. In più occasioni r Nella sua opera Quaestiones et responsiones evangelicae, della quale rimangono solo frammenti e un riassunto, Eusebio di Cesarea avanza la stessa ipotesi; cf. il riassunto, 2,7 (PG 22, 947 s.) e C. Zamagni, Les Questions et réponses sur /es évangiles d'Eusèbe de Césarée. Etude et édition du résumé grec, diss., Lausanne-Paris 2003, 59-62bis. Le catene greche hanno conservato due frammenti di Apollinare di Laodicea relativi al no­ stro passo. Nel primo il teologo si interroga sul momento esatto dell'arrivo delle donne al sepolcro; nel secondo armonizza i racconti dei due evangelisti sui quali sostiene di fa­ re maggiore affidamento, Matteo, che parla di un angelo, e Luca, che ne menziona due; cf. j. Reuss, Lukas-Kommentare, 9 s. ( frr. 1 8 e 19). 2. Queste pagine sono pubblicate da ]. Reuss, Lukas-Kommentare, 273-278 (fr. 2, 1 1 21 2 5 ) e tradotte da R. Payne Smith, Cyril n, 724-73 1 . Non è sicuro che siano autentiche, e nel caso lo siano, non è certo che abbiano fatto parte del commento a Luca di Cirillo. Cf. sopra, p. 477 n. 7· 3 Beda In Le. 6, 1 8 8 s -2o1o.

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Beda giustifica così, tramite un'esegesi allegorica, non solo atteggiamen­ ti spirituali, ma anche pratiche ecclesiastiche. 1 Bonaventura 1 rimane fedele a se stesso: ripartisce la materia in diver­ se unità; il vangelo di Luca ha quattro parti, poiché tratta in successio­ ne dell'incarnazione, del ministero, della passione e della risurrezione. La stessa risurrezione si organizza pure in quattro sezioni: la rivelazione (vv. 1-1 2), l'apparizione (vv. 1 3 -3 2), la certezza (vv. 3 3 -47) e la diffusione di questa certezza (vv. 48 e successivi). La rivelazione presso il sepolcro vuoto merita tre spiegazioni: la prima riguarda l'occasione, che fu evi­ dentemente l'arrivo delle donne al sepolcro; ciò non toglie che questa evidenza non risolva la dibattuta questione dell'ora della risurrezione (Bonaventura riconosce che vi è discordanza di parere al riguardo: fu du­ rante la notte oppure allo spuntare del giorno ?). Questa divergenza non impedisce di conferire un senso figurato alle tenebre dalle quali emergo­ no le donne: tali tenebre rappresentano l'oscurità della morte e della di­ mora dei morti. La seconda spiegazione concerne la modalità: la pietra rotolò prima o dopo la risurrezione? Bonaventura, basandosi esplicita­ mente su Beda, sceglie il dopo. Poi vede nella tomba l'allegoria della sa­ cra Scrittura, e nella pietra l'allegoria del velo posto sulla stessa Scrittu­ ra. La terza spiegazione, se intendo bene, si applica al messaggio certo degli angeli. Dopo aver risolto la questione relativa al loro numero, che differisce da un vangelo all'altro, grazie a una ingegnosa armonizzazio­ ne, Bonaventura paragona la gioia del momento a quella della natività, proclamata anch'essa da angeli ( 2,1 0), poi sottolinea il fatto che il de­ stino di Gesù, risurrezione compresa evidentemente, corrispose in ogni punto ai diversi annunci della passione che quest'ultimo aveva rivolto ai suoi discepoli. Le parole degli angeli costituiscono, per il teologo, una testimonianza e al tempo stesso una dimostrazione. Poiché le donne si ricordano di queste profezie, sono condotte alla fede. Bonaventura ritie­ ne quindi che non senza intenzione divina la risurrezione sia giunta agli uomini per il tramite di donne: 3 come il peccato e la morte, secondo l'aur Anche l'anonimo irlandese, Comm. in Le. 2.4,1-1 1 (CCSL 1o8c, 98-99) fa un uso deci­ so dell'allegoria: l'arrivo delle donne al sepolcro rappresenta l'accesso delle chiese alla fe­ de in Gesù Cristo morto e risuscitato; gli aromi simboleggiano le opere buone preparate sotto la legge antica e manifestatesi sotto la legge nuova; la pietra rotolata raffigura l'em­ pietà abominevole ecc. Anche l'irlandese tuttavia ricorda e spiega il senso letterale della storia. L'assenza del corpo nella tomba è ciò che Pietro constata e ammira con stupore. Il duplice attaccamento al senso letterale e a quello figurato è evidente nella Glossa ordina­ ria a Le. 2.3,5 6b-2.4, 1 2. (PL 1 14, 3 50 s.), in cui si ritrovano numerose osservazioni di Beda. 1 8onaventura Comm. in Le. 2.4, 1 - 1 5 ( 5 87-59 1 ); Bonaventura, Comm. Luke m, tr. di R.J. Karris, 2. 1 89-2.2.02.. 3 Bonaventura si basa esplicitamente su Giovanni Crisostomo. Si tratta, secondo R.J. Kar-

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tore medievale, sono entrati nel mondo attraverso una donna, è norma­ le che avvenga lo stesso con la vita e l'immortalità. Se, inoltre, Maria Maddalena precede le altre donne, è perché ama Gesù più delle altre, e questo naturalmente per quattro ragioni! Quanto a Pietro, restò immo­ bile nel suo stupore, perché, secondo Gv. 20,9, non aveva ancora capito le Scritture. ' Nella sua Paraphrasis 1 Erasmo segnala che, per quanto siano stati pii, i preparativi delle donne furono tuttavia superflui. Dopo aver racconta­ to le precauzioni prese affinché il corpo non venisse rubato, sottolinea l'audacia delle donne che osarono entrare nel sepolcro. Poi aggiunge che l'aspetto sgargiante degli angeli annunciava il trionfo della risurrezione. n prosieguo ben rispecchia il nome dell'intera opera di Erasmo: si tratta di una parafrasi del racconto. Qui e là però l'umanista fa scivolare una sua interpretazione. Ritiene, in particolare, che il messaggio degli ange­ li sia stato trasmesso con calma e gentilezza. Dalla risurrezione deduce inoltre l'assenza del corpo nel sepolcro. Se avete verificato l'annuncio della morte di Gesù, non esitate, esorta Erasmo, a credere nel compi­ mento della profezia relativa alla risurrezione. Del resto, dice, ci si può fidare dei calcoli premonitori di Gesù. Se ha parlato del terzo giorno, è perché aveva previsto di morire il primo, di riposare nella tomba il se­ condo e di rialzarsi dai morti il terzo. Convinte dagli argomenti degli an­ geli e con l'animo nutrito di ricordi risvegliati, le donne dunque non han­ no più alcuna ragione di restare presso la tomba vuota. Ritornano perciò verso coloro che hanno dimenticato tutto e ceduto alla disperazione. Era­ smo allora riprende, abbandonando il piano narrativo per quello spe­ culativo, il tema tradizionale della donna, causa della caduta e fonte della redenzione.3 Per spiegare il rifiuto della testimonianza delle donne da parte degli undici, Erasmo si avvale di un argomento che risale a Gre­ gorio Magno " e attraversa il medioevo (lo si ritrova citato in Beda): 5 questo rifiuto non portò solo inconvenienti; costrinse Dio a offrire ulte­ riori prove della risurrezione, cosa che tornò a vantaggio delle generaris, Bonaventura, Comm. Luke m, 2199 n. 2.3, di un passo della Hom. in Gv. 85(84),4 (PG 59, 465). r Cf. anche Tommaso d'Aquino Catena aurea 309-3 1 2. e Teofilatto Ena". Le. 2 4,4 12. (PG 1 23, uo9- u 1 2). 1 Erasmo, Paraphrasis, 465-467; cf. Erasmo, Paraphrase, tr. ingl. di j.E. Phillips, 226-230. 3 Cf. le annotazioni di J.E. Phillips in Erasmo, Paraphrase, 229 nn. 12 e ro, che menzio­ na i predecessori di Erasmo su questo punto e la permanenza, a partire da Ambrogio, del verbo transfudere per esprimere la trasmissione da parte delle donne sia del peccato che della grazia. 5 Beda In Le. 6,1 990- 1 996. 4 Greg. M. Hom. Ev. 29,1 (PL 76, 1 2 1 3 ) . -

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zioni successive, della «nostra » in particolare. L'insistenza delle donne convinse nondimeno Pietro ad alzarsi e a farsi un'idea da sé. La tomba vuota, che non bastava tuttavia a persuaderlo a credere, riuscì giusto a incuriosirlo e a far emergere nella sua mente diverse possibilità. Come si vede, Erasmo fa parte ancora dell'esegesi antica e medievale: non nu­ tre ancora alcun sospetto nei confronti della storicità della risurrezione. Ciò che sfronda, tuttavia, sono le ramificazioni eccessive dell'allegoria.1 Anche se attestano una sensibilità più teologica, i passi spesso omile­ tici di Lutero che ho sotto gli occhi presentano le medesime caratteristi­ che. :z. Due punti specialmente stanno a cuore al riformatore: a) la con­ dizione della fede delle donne: se anche amano Gesù, la loro fede rima­ ne quella di un bambino, poiché non hanno ancora incontrato il risor­ to; 3 b) il significato dell'assenza di Cristo: se viene detto che Cristo «non è qui», ciò vuoi dire anche, per Lutero, che non è là dove molti credono di poterlo rinchiudere, ossia nella devozione dei riti e delle cerimonie:� Calvino si attiene alla dimensione teologica della sua esegesi, che qui presento come la si può leggere nella Harmonie évangélique.5 Non inizia forse la sua analisi con l'enunciato dottrinale «ma ora siamo giunti alla conclusione della nostra redenzione » ? Per la salvezza è dunque indispen­ sabile credere nella risurrezione di Gesù (Calvino fa qui riferimento a I Cor. 1 5,14), poiché attraverso la sua morte e risurrezione Gesù ha otte­ nuto giustizia per noi presso Dio. I nostri sensi, che Calvino chiama «il senso della nostra carne», avrebbero desiderato un'altra manifestazione della nostra redenzione. Dio ha voluto altrimenti e ha fatto bene, poiché ha agito in modo progressivo procedendo dalla tomba vuota fino alle ap­ parizioni: «Così ha condotto i suoi a una conoscenza più ampia, poco a poco secondo la loro capacità» . Calvino in seguito valorizza la provvi­ denza che ha incoraggiato le donne nel momento in cui gli uomini era­ no mezzo morti. Il Cristo, seguendo questa strategia, «ha concesso loro [alle donne] un onore particolare, togliendo agli uomini la carica di apo­ stolo». Il riformatore si cimenta anche nel confronto sinottico e fornisce spiegazioni che relativizzano più che armonizzare le differenze tra i van­ geli. Vi sono «poche divergenze» , ma « quanto alla sostanza, di fatto ben 1

Nelle sue Adnotationes, 2. 1 6 s. Erasmo inizia il lettore al testo greco del vangelo che ci­ qui o là e che confronta con la Vulgata. Spiega anche alcune espressioni, come op-8pou �-8é� (questa è la grafia che conserva), «allo spuntare del giorno» (diluculum), che se­ gue il canto del gallo (gallicinium), il quale succede al silenzio della notte (conticinium); oppure il participio 11:apax�, che interpreta nel senso di •guardare inclinando la testa di lato• . Segnala infine alcune varianti testuali. :z. Lutero, Evangelien-Auslegung, 1 2. 3 3 -47. 3 Op. cit., 1 3 3 4 s. 4 Op. cit., 1 2.36. 5 Calvino, Hannonie, 72.9-737. Le citazioni provengono in successione dalle pp. 72.9, 730 (tre volte), 73 1 (due volte) e 736. ta

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concordano » . Calvino ritiene che i giudei fossero i soli, tra i popoli del­ l'antichità, a praticare riti funebri legittimi, poiché li collegavano alla ri· surrezione. A partire dalla risurrezione di Gesù tuttavia questi riti perse· ro la loro necessità. Curiosamente Calvino scansa la difficoltà 1 e non lo turba affatto che l'ordine che gli angeli impartiscono alle donne differi­ sca a seconda che si legga Luca oppure Matteo e Marco.� La critica al cristianesimo è iniziata come critica all'egemonia eccle­ siale e all'impero del dogma. La religione, Dio, o lo stesso Gesù erano meno presi di mira. Il deismo inglese, i filosofi francesi, poi i pensatori tedeschi hanno rivendicato il trionfo della ragione sulla rivelazione. La risurrezione di Gesù divenne dunque la posta decisiva.3 A titolo di esem­ pio presento l'atteggiamento intellettuale di Hermann Samuel Reimarus, l'autore dei frammenti pubblicati postumi nel 1774 e nel 1 777 da Les­ sing, i celebri Wolfenbutteler Fragmente .4 È significativo che Reimarus non abbia voluto pubblicare la sua opera mentre era in vita; 5 preferì in­ traprendere la sua indagine per se stesso e per la cerchia privata della sua famiglia e dei suoi amici illuminati. Lavorò fino alla sua morte. I due spessi tomi dell'ultima versione apparvero in forma integrale solo nel 197 2. 6 I frammenti pubblicati da Lessing sono tratti da una versione pre­ cedente, più breve, dell'opera. 1 Al termine dell'analisi Calvino, Harmonie, 736 s. ritiene che Luca abbia cambiato in­ tenzionalmente l'ordine della storia collocando dove ora si trova la corsa di Pietro al se­ polcro. A suo parere non vi è nulla di male in questo: Luca segue un'abitudine ebraica che consiste nel «raccontare più avanti ciò che è stato omesso dove sarebbe dovuto comparire ». Su questo punto occorre rispettare, secondo Calvino, l'ordine cronologico di Giovanni che anticipa la corsa alla tomba. � Bengel, Gnomon 1, 4 1 5 ritiene, come ho fatto io, che -ròv l;wniX non voglia dire sempli­ cemente che Gesù è di nuovo in vita ma molto di più; egli è divenuto « il vivente» : « Non era soltanto di nuovo vivo, ma era anche il 'vivente' nel senso più alto del termine•. Do­ po aver citato il v. 1 2 Bengel passa dall'esegesi alla preghiera e alla confessione di fede: «Signore Gesù, credo con tutto il cuore che Dio ti abbia risuscitato dai morti» . 3 Per questa parte devo molto a P . Hoffmann, Graben. Alle pp. 348·3 5 1 viene segnalata la controversia, sorta a metà del XVIII secolo in Gran Bretagna, alla quale hanno preso parte con le loro opere tra gli altri Anthony Collins, Thomas Woolston, Peter Annet, Thomas Sherlocks, Gilbert West e Thomas Chubb. 4 Sono apparsi nella rivista, curata da Lessing, Zur Geschichte und Literatur. Aus den Schiitzen der Herzoglichen Bibliothek zu Wolfenbuttel. Nel 1 778 comparve ancora co­ me pubblicazione a sé stante un altro frammento intitolato Von dem Zwecke Jesu und seine funger. Cf. Fragmente des Wolfenbuttelschen Unbekannten, ed. G.E. Lessing, Ber­ lin 4 1 8 3 5 . 5 Reimarus ha dato il seguente titolo alla sua opera: Apologie oder Schutzschrift fi.ir die vernunftigen Verehrer Gottes. 6 H.S. Reimarus, Apologie oder Schutzschrift fi.ir die vernunftigen Verehrer Gottes, 2 voli., ed. G. Alexander, Frankfurt a.M. 1 972.

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A differenza dei filosofi Reimarus pratica l'esegesi, la critica dei testi e l'analisi storica. Legge la Bibbia come una qualsiasi altra opera dell'an­ tichità, scegliendo così un atteggiamento chiaramente eccezionale al tem­ po; presta attenzione alle divergenze e alle contraddizioni tra i vangeli, e le sue critiche sono più esegetiche di quelle dei suoi predecessori ingle­ si. Nel quinto frammento, Ober die Auferstehungsgeschichte, Reimarus mette in dubbio la storicità dell'episodio delle guardie al sepolcro così come è menzionato dal solo Matteo, 1 poi si rivolge alla tomba vuota e alla stessa risurrezione: certo, tutti i vangeli le proclamano, ma la loro te­ stimonianza è così piena di contraddizioni (Reimarus non manca di elen­ carle e analizzarle) che non si può dar loro credito. Reimarus si oppone così ai tentativi di armonizzazione contemporanei che si fondavano su secoli di esegesi teologica. Conclude infine la sua indagine con l'ipotesi del furto del corpo di Gesù: se questa è tanto vecchia quanto il vangelo (cf. Mt. 27,64 ), Reimarus ha tuttavia l'audacia, al contrario dei primi cristiani, di mettersi dalla parte degli avversari dell'evangelista. David Friedrich Strauss pubblicò la sua vita di Gesù, Leben ]esu, nel 1 8 3 5 .1 Aveva venticinque anni e si opponeva tanto ai razionalisti, ai qua­ li rimproverava di essere incapaci di spiegare il passaggio dal Gesù sto­ rico al Cristo della fede,3 quanto ai soprannaturalisti, che a suo parere avevano il torto di prendere i miracoli per oro colato. Strauss sceglie il mito - non era il primo a introdurre il concetto - per spiegare le realtà attestate dal Nuovo Testamento: con «mito» egli intende il fatto di rive­ stire idee religiose di apparenze storiche. La vita di Gesù, secondo Strauss, non manca di fondamenti storici: Gesù passò l'infanzia a Nazaret, rice­ vette il battesimo da Giovanni, formò una cerchia di discepoli, percorse il paese dei giudei annunciando il regno e opponendosi ai farisei, e ter­ minò la sua vita sulla croce. Ma i discepoli, presi dalla loro fede religio­ sa, hanno conferito una dimensione mitica a questi ricordi storici: «que­ sta impalcatura è stata circondata dai più vari e opportuni puntelli del­ la riflessione e della fantasia religiose, mentre tutte le idee che i primi cri­ stiani avevano avuto sul loro maestro risorto, trasformatesi in realtà, si erano intrecciate al corso della sua vita » .4 • Oggi sappiamo che le guardie sono menzionate anche in Ev. Petr. 28-49. 1 Anche qui mi baso sull'articolo di P. Hoffmann, Graben, spec. 3 6 1 -3 72. 3 Strauss non utilizzava ancora questa terminologia: rimproverava loro di non poter spie­ gare come Gesù fosse potuto divenire l'oggetto di un culto. 4 D.F. Strauss, Das Leben ]esu kritisch bearbeitet 1, 2 voli., Tiibingen 1 8 3 5-1836, 72; te­ sto citato da C. Hartlich W. Sachs, Der Ursprung des Mythosbegriffes in der modernen Bibelwissenschaft, Tiibingen 1 9 5 2, 1 3 7 e da P. Hoffmann, Graben, 3 63; cf. anche D.F. Strauss, Das Leben ]esu kritisch bearbeitet 1, 2 voli., Tiibingen J 1 8 3 8-1 839, 43-124. Cf. sotto, pp. 63 1 s. -

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Quanto agli eventi di pasqua, Strauss riprende gli argomenti di Rei­ marus: si adopera anzitutto per dimostrare il carattere leggendario del­ l'episodio delle guardie al sepolcro, quindi sottolinea le contraddizioni dei vangeli riguardo al mattino di pasqua e alla tomba vuota, contrad­ dizioni che nessuna armonizzazione riesce a conciliare. A suo parere fra le testimonianze trasmesse dal Nuovo Testamento nessuna ha il valore di testimonianza oculare, e ciò vale sia per la tomba vuota sia per le ap­ parizioni del risorto. In conclusione Strauss non opta né per l'ipotesi del furto della salma né per quella della morte apparente: Gesù morì davvero sulla croce. Soltanto la convinzione religiosa dei primi cristiani, il loro senso per le Scritture e l'entusiasmo della loro devozione hanno permesso la costruzione della risurrezione di Gesù e le sue due manife­ stazioni narrative, la leggenda della tomba vuota e i racconti delle appa­ rizioni del risorto. Va da sé che sia Reimarus sia Strauss hanno provo­ cato intense reazioni: furono numerosi i teologi che difesero la storicità della risurrezione di Gesù e l'autenticità dei racconti che ne danno testi­ monianza. A partire da quel periodo tuttavia il clima intellettuale e spi­ rituale muta, non è più quello dell'antichità, del medioevo e persino del rinascimento: ormai non si può leggere Le. 23,5 6b-24, 1 2 senza ricordar­ si del parere di un Reimarus o di uno Strauss. Il racconto del sepolcro vuoto svolge nel Nuovo Testamento la funzione che ha la traversata del Mar Rosso nell'Antico: questa tradizione memo­ riale è importante per la fede cristiana e illustra il kerygma. A partire dal secolo dei lumi e da quello dello storicismo, gli studi letterari hanno mes­ so in evidenza la natura e la funzione dei racconti di fondazione, dei qua­ li importa più la portata kerygmatica che la storicità. Il teologo e anche il credente d'oggi rinunciano forse a porre la questione della storicità, ma non trascurano il valore del messaggio. I Il racconto della tomba vuota (come pure le rappresentazioni che ne hanno dato un Piero della France­ sca o un Griinewald) mostra in modo immaginoso il messaggio decisivo della risurrezione di Gesù e introduce anche ai racconti di apparizione. Tra le particolarità lucane dell'evento sono da osservare l'audacia di dichiarare vivo l'introvabile defunto e anche di onorario col titolo «il vi­ vente>> ; l'inversione da uno sguardo orientato verso l'avvenire (andare in Galilea) a una memoria retrospettiva (ricordarsi della Galilea) che con­ stata l'adeguamento dei fatti alle attese; lo slancio dell'apostolo Pietro sulle tracce di Maria Maddalena e delle sue compagne. I Nel suo libro R.J. Dillon, Eye-Witnesses insiste sull'interpretazione teologica imprescin­ dibile dei fatti.

I DISCEPOLI DI EMMAUS ( 24 , 1 3 - 3 5 )

J.E. Adams, The Emmaus Story, Lk XXIV. 13-35· A Suggestion: ET I 7 ( I 905-o6) 3 3 3 -3 3 5 ; J.-N. Aletti, L'art de raconter, I 77- I98; J. -N. Aletti, Quand Luc raconte, 2.2.0-2.2.3; J.-N. Aletti, Luc 24, 13 -33· Signes, accomplissement et temps: RSR 75 ( 1 987) 305-3 2.0; R. Annand, «He was seen of Cephas». A Suggestion about the First Resu"ection Appearance to Peter: SJTh 1 1 ( I 9 5 8 ) I 8o- I 87; W. Amdt, �Ayr.L, Luke 24:2 1 : CfM 14 ( I 94 3 ) 6 I ; G. Beimer, Sonntag. Der Auferstehungstag der Wo­ che (zu Lk 24,35({): Diakonia 2.8 ( I997) 28 I -2.83; P. Benoit, Passion et résu"ection, 2.97-3 19; H.D. Betz, Lukian von Samosata und das Neue Testament. Religionsge­ schichtliche und pariinetische Parallelen. Ein Beitrag zum Corpus Hellenisticum No­ vi Testamenti, Berlin I 9 6 I , I 24- 1 3 0. I 6 I - 1 6 3 . I 69- I 7 1 ; H.D. Betz, The Origin and Nature of Christian Faith according to the Emmaus Legend (Luke 24:13-32): In­ terp. 2.3 ( I 969) 3 2.-46; versione tedesca H.D. Betz, Ursprung und Wesen christli­ chen Glaubens nach der Emmauslegende (Luk 24, 13-3 2): ZTK 66 ( I 969) 7-2. 1 ; D. BiUy, The Road to Emmaus. The ]ourney of Discipleship: Emmanuel IOJ ( 2.00 1 ) 1 5 5-1 59; P . Bokel, Luc 24,25. Il leur ouvrit l'esprit à l'intelligence des Ecritures: BTS 3 6 ( I 9 6 1 ) 2. s.; A. Bonus, Emmaus Mistaken {or a Person: ET 1 3 ( I 90 I - I 902) 561 s.; U. Borse, Der Evangelist als Verfasser der Emmauserziihlung: SNTU.A 1 2. (1 987) 3 5-67; C.R. Bowen, The Emmaus Discip/es and the Purposes of Luke: BW 35 (19 10) 2.34-2.4 5 ; l. Broer, «Der He" ist dem Simon erschienen» (Lk 24.34). Zur Entstehung des Osterglaubens: SNIU I 3 ( 1 988) 8 1 - 1 00; l. Broer, «Der He" ist wahrhaft auferstanden» (Lk 24.34). Auferstehung ]esu und historisch-kritische Me­ thode. Erwiigungen zur Entstehung des Osterglauben, in L. Oberlinner (ed.), Auf­ erstehung ]esu - Auferstehung der Christen. Deutungen des Osterglaubens (QD 105), Freiburg i.Br. 1 9 86, 3 9-62.; G.R. Brunk, ]ourney to Emmaus and to Faith. An Illustration of Historical-Critical Method, in W.M. Swartley (ed.), Essays on Bib­ lica/ Interpretation. Anabaptist-Menonite Perspectives (Test-Reader Series I ) , El­ khar, Ind. I 9 84, 203-2.2.2.; G.R. Brunk, The Concept of the Resu"ection according to the Emmaus Account in Luke's Gospel, diss. inedita, Union Theological Semin­ ary, Richmond, Va. 1975; A. Brunot, EmmaU.S, cité pasca/e de la fraction du pain: BTS 36 ( I 9 6 I ) 4- 1 1; M. de Certeau, Les pèlerins d'EmmaU.S: Christus 1 3 ( I957) 56-63; C.E. Charlesworth, The Unnamed Companion of Cleopas: ET 34 ( 192.2.192.3 ) 2. 3 3 s.; L.-M. Chauvet, Symbole et sacrement. Une relecture sacramente/le de l'existence chrétienne (CFi 144), Paris I987, 1 67- 1 8 5 ; N. Chinello, I discepoli di Emmaus e l'Eucaristia: PaVi 1 6 ( 1 9 7 I ) 3 5 2.-363; F.G. Clancy, St. Augustine's Commentary on the Emmaus Scene in Luke's Gospel: StPatr 43/5 ( 2.006) 5 1 - 5 8; C. Combet-Galland - C. Smyth-Florentin, Le pain qui fait lever les Ecritures. EmmaU.S, Luc 24, 13-35: ETR 68 ( 1993 ) 3 2.3 -3 3 2.; K.E. Corley, ree. di A.A. Just, Ongoing Feast. Table Fellowship and Eschatology at Emmaus: JBL 1 14 ( 199 5 ) 3 3 8-3 40; J.A.S. Correia, O caminho do reconhecimento em do anuncio. Le 24, 13-35 em perspectiva cristologica: Theologica n s. 3 6 ( 2.00 1 ) 3 59-402.; J.H. Crehan, St. Peter's ]ourney to Emmaus: CBQ I 5 ( 1 9 5 3 ) 4 1 8-42.6; L. Cummings, A Tale of Two Travellers: Bi

I D ISCEPOLI DI EMMAUS

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I DISCEPOLI DI EMMAUS

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I DISCEPOLI DI EMMAU S

43 ( 1 987) 309-3 2.9; G. Widengren, Was Not Then Our Heart Burning in Us?, in E. C. Polomé (ed. ), Essays in Memory of Karl Kerényi Uournal of lndo-European Studies Monograph Series 4), Washington, D.C. 1 9 84, 1 1 6- 1 2.2.; F. Williams, Archi­ lochus and the Eunuch. The Persistence of a Na"ative Pattern: Classics lreland I ( 1 994) 96- 1 1 2.; J. Wojcik, The Road to Emmaus. Reading Luke's Gospel, West La­ fayette, Indiana 1989; F. Wulf, «Sie erkannten ihn beim Brechen des Brotes». Lk 24. 3 5 : GuL 37 ( 1 964 ) 8 1- 8 3 ; W. Zwickel, Emmaus, ein neuer Versuch: BN 74 ( 1 994) 3 3 -3 6. 1 3 Ed ecco che due di loro, in quello stesso giorno, stavano andando verso un villaggio distante sessanta stadi da Gerusalemme, di nome Emmaus. 14 E discorrevano di tutto quello che era avvenuto. 1 5 Ed ecco avvenne che, mentre parlavano e discutevano, Gesù stesso, avvicinatosi, si mise a cam­ minare con loro. 1 6 Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17 Dis­ se loro: « Che discorsi sono questi che scambiate tra voi mentre cammina­ te? » . Ed essi si fermarono, con il volto triste. 18 In risposta uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: « Sei l'unica persona che risiede a Gerusalemme e che non conosce gli avvenimenti che vi si sono svolti in questi giorni ? » . 19 Dis­ se loro: EuO!J-EVot, «stavano andando », v. I 3 ), i riferimenti ad al­ tre parti del vangelo (il ministero profetico di Gesù, v. I9, la passione, v. 20 e le donne al sepolcro, vv. 22-23 ), la teologia del disegno di Dio (où'X,L . eòet; «non era forse necessario? >>, v. 26), come pure l'armonia tra la profezia scritturistica e il suo compimento nella storia ( «tutto quello che i profeti hanno annunciato >> , v. 25, «e cominciando da Mosè . . . », v. 27 ), sono tutti elementi che corrispondono esattamente alle maniere di credere, pensare e scrivere di Luca. 1 Due ragioni impediscono tuttavia di concludere che l'evangelista ab­ bia inventato questo episodio. La prima è connessa ai risultati della Formgeschichte, metodo che ritiene che le unità letterarie siano la mes­ sa per iscritto di racconti trasmessi in un primo momento oralmente. Il racconto dell'incontro di Emmaus possiede le caratteristiche di questa letteratura originariamente orale: la storia narrata basta a se stessa; di dimensioni limitate, fa intervenire pochi personaggi; svolge una funzio­ ne che va oltre l'episodico; una volta raccontata infine nutre la fede delle prime comunità. Complementare alla Formgeschichte, la Redaktionsgeschichte, vale a dire lo studio del lavoro redazionale degli evangelisti, ha mostrato co­ me Luca si sia spinto sì fino a orientare i ricordi che riceveva nella dire­ zione della sua teologia, ma anche come non abbia affatto creato episo­ di di sana pianta. L'evangelista è legato alle tradizioni che eredita dalla sua comunità: ed è proprio una di queste che rielabora qui. Una seconda ragione viene a confermare la prima. Per quanto possa essere lucano, l'episodio dei discepoli di Emmaus porta solo in parte i se­ gni distintivi del suo autore: :r. a livello di lessico e soprattutto di stile, il racconto palesa la sua precedente appartenenza al materiale proprio. L'ampia maestà e la lenta progressione della narrazione corrispondono alle abitudini letterarie del predecessore di Luca. La precisione e persi­ no la ricercatezza del lessico tradiscono anch'esse l'autore che si è impo­ sto all'evangelista: i discepoli discutono tra loro di ciò che è avvenuto x Cf. j. Wanke, Emmauserziihlung, 23-1 26; R.j. Dillon, Eye- Witnesses, 69- I 5 5; j.-M. Guillaume, Luc interprète, 67- I 59; Fitzmyer n, I 5 5 5 s. :1. Cf. j.-M. Guillaume, Luc interprète, 7 I ·7J, che analizza quel lessico di questa perico­ pe che non è caratteristico di Luca. Ritiene, a mio avviso a torto, che questo lessico non derivi da una tradizione che Luca riprendeva, ma dalla conoscenza che l'evangelista ave­ va della lingua greca. Alle pp. 90-92 indica in quali generi letterari gli studiosi hanno ten­ tato di inserire l'episodio di Emmaus: leggenda di viaggiatori, scena di riconoscimento oppure epifania. Secondo lui si tratta principalmente di un insegnamento kerygmatico. A suo parere la questione del genere rimane complessa.

555 (Ò(LtÀw, v. I4, e cru!L�cxivw, v. 14, sono poco frequenti in Luca-Atti), i lo­ ro occhi sono impediti (letteralmente liytov, «qualcosa da mangiare» , per accom­ pagnare il pane, poi più specificamente «del pesce» ( Gv. 21,5, laddove Le. 2•b4 I ha 'tt �pwatp.ov, «qualcosa da mangiare » ) . Poiché fino a quel momento non hanno preso nulla nelle loro reti, il risorto offre loro una pesca miracolosa, poi prepara loro un pasto. Come Luca parla di «pesce arrostito», l'autore di Gv. 21 menziona un ò�aptov, etimologicamente ) dopo il verbo «dire » , qui come nel v. 3 6: può trattarsi di una traccia della tradizione utilizzata da Luca, poiché quest'ultimo evita spesso il dati­ vo e preferisce 1tpOc; e l'accusativo dopo i verba dicendi.

Nell'episodio di Tommaso l'incredulo, il quarto evangelista met­ te i punti sulle i: osservando e toccando, il discepolo vuole individuare il segno dei chiodi ( Gv. 20,25 ). Senza dirlo esplicitamente, Luca desidera giungere al medesimo risultato: piedi e mani devono recare dei segni per rivelare un'identità. La nutrice Euriclea riconosce Ulisse da una cicatrice sulla gamba.4 Altrimenti occorre guardare il viso per riconoscere una persona (8-tt Èyw e:l!'' aù-.6c;, «sono proprio io» ). Bisogna inoltre intender­ si sullo statuto di questo «io»: la tradizione che Luca cita scarta questo resto di persona che sopravvive alla morte e si presenta sotto forma di 39·

(416). Si noti l'osservazione caustica di Caird, 2.6 1 : « Questo significa che per un giudeo uno spirito incorporeo poteva assomigliare soltanto a un fantasma, non a un essere uma­ no; una fine, impalpabile copia carbone che era in qualche modo sfuggita all'archivio della morte » . 1 Sulla necromanzia in Israele e nell'antichità d. F. Bovon, Gespenst. 2 A Luca sta a cuore il verbo -8ewpw, poiché lo riprende nel v. 39· 3 Sul termine ÒIGtÀO'"flap.cl> , Luca insiste sull'argomento in fa­ vore della risurrezione. Certo, diversi esegeti ricordano che i LXX e, forse, Luca utilizzano la preposizione èvwmov nel senso di auv e pensano quindi a un pasto condiviso. 6 Credo al contrario, basandomi su 1 3 ,26, 43·

caduta delle parole «di un favo di miele» non vi sia una ripetizione: rupoc; K llt l llt ltOIJ-EÀ&a­ a&ou Kl)P&ou K llt & À O&{jwv. Come hanno evidenziato questi autori, nel romanzo giudeo-elle­ nistico Giuseppe e Asenet (los. As. 1 6-17) il miele, il cui favo proviene dal paradiso, è considerato cibo di immortalità. Cf. soprattutto B. Cherubini, Mangiò pesce e miele. 1 Nel primo caso ruì.. iaa&�, ov è un aggettivo, «di ape», «dell'alveare •; nel secondo, TÒ IUÀiaatov, « lo sciame d'api », « l'alveare• è sostantivo. Nel primo caso dunque il risorto riceve «un pezzo di pesce arrostito e un pezzo di favo di miele» (JA-Époc; si riferisce ai due alimenti e CÌ1to è una superfetazione); nel secondo invece gli viene offerto «un pezzo di pesce arrostito e un favo di miele preso da un alveare», quindi un pasto più generoso. Bertrand Bouvier mi ha aiutato a chiarire questo punto. di codex Koridethi (8 03 8 ) riporta la seconda variante. 3 La (' 3 presenta la prima (così Cherubini) o la seconda variante (NA27)? 4 Cf. A. D'Anna, Pseudo-Giustino. Sulla risu"ezione. Discorso cristiano de/ II secolo (Let­ teratura cristiana antica ), Brescia 2.00 I, 4 8 s. 5 Secondo Luca in questo momento i discepoli hanno riconosciuto il risorto per quello che è, ma l'evangelista non si prende la briga di dirlo. Ricordando Giuseppe riconosciu­ to dai suoi fratelli ( Gen. 4 5 , 1 - 1 6 e Atti 7,1 3 ) e Gesù riconosciuto da Paolo (Atti 9,5), C.M. Mattini, Apparizione, 2. 3 2. insiste sulla nozione di « riconoscimento» . Segnala inol­ tre che negli Atti viene ricordata l'apparizione agli undici, ma che questa ha pochi punti in comune con le menzioni di apparizioni o di visioni. 6 Nella sua monografia R.J. Dillon, Eye-Witnesses, spec. 195 e 2.01 s., rifiuta di vedere in =

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che évwmov debba essere distinto da auv e presenti un Gesù che mangia di fronte ai suoi discepoli. In questo momento costoro infatti non man­ giano, ma osservano la dimostrazione. 1 Luca non si pone ancora la domanda che si presenterà però nel n se­ colo: il risorto ha digerito questo cibo e, se sì, come ha fatto? I cristiani troveranno la risposta nella tradizione giudaica che aveva dovuto risol­ vere un problema identico riguardo agli angeli: questi non avevano for­ se accettato l'invito di Abramo e di Sara ( Gen. r 8,6-8 ) ? Invece di dire che il Cristo aveva fatto finta di mangiare, gli autori antichi preferivano immaginare che i corpi risorti o angelici mangiassero, certo, ma non di­ gerissero come fanno i corpi umani: avvertivano un fuoco divino che ve­ niva a consumare il cibo come facevano le fiamme degli olocausti. 1 44· In questo momento comincia la seconda parte dell'episodio, il di­ scorso finale del risorto.3 Uomo di continuità, Luca non immagina un'ul­ tima rivelazione, ma ripete l'insegnamento già trasmesso.4 Una lunga proposizione riguarda le Scritture; queste vengono suddivise in tre parti e tutte contengono profezie che devono giungere al loro compimento. Due parole, messe in risalto nella chiusa della frase, bastano a indicarne il contenuto: 7ttpÌ. É[J-oii, «riguardo a me» . Luca, è vero, non dice che tut­ te le storie e tutti i comandamenti dell'Antico Testamento parlano del Cristo; osa però imporre una lettura cristologica delle Scritture d'Israe­ le. L'aggettivo mxv-rcx, «tutte», conferma questa ambizione.

questo passo un argomento apologetico antidoceta basato su una prova della risurrezione fisica e preferisce l'idea di commensalità di Gesù e dei suoi discepoli. D.R. Dumm, Hospit­ ality perora la stessa causa e insiste sull'ospitalità offerta e su quella ricevuta. La mag­ gioranza degli esegeti tuttavia mantiene come significato principale dell'episodio quello apologetico, ma accetta un'apertura simbolica come significato secondo; cf. ad esempio Ernst, 666-668. r G. O'Collins, Did ]esus Eat the Fish? presenta numerose risposte alla sua domanda. Lui stesso esita a rispondere affermativamente e rifiuta di leggere Luca •alla lettera• (p. 72)! E.F.F. Bishop, With Saint Luke ritiene che il pesce fosse stato salato per essere conserva­ to e immagina che provenisse dalla pescheria dei figli di Zebedeo, i quali dovevano avere un addetto a Gerusalemme! 2. Cf. Tertullian. Mare, 3,9; A. Harnack, Marcion, 1 2.5; A. Orbe, Cristologia Gnostica 1, 3 8 3-3 87; n, 5 1 5-5 1 7; C.W. Bynum, The Resurrection of the Body in Western Christian­ ity, 200-IJJ 6, New York 1995, 2. 1 -4 3 . 3 Cf. A . George, Intelligence; R.J. Dillon, Eye-Witnesses, 2.03-2.2.0; Idem, Easter Revela­ tion, 243-2.56; D.R. Dumm, Hospitality; J.K. Kingsbury, Luke 24; J. Dupont, Mission de Pau/; T.S. Moore, Great Commission, il quale ritiene che Luca abbia redatto questo passo pensando al servo di Isaia; T. Mierzwa, Gesù, che, come R. Meynet, ama i chiasmi; B. Prete, Intelligenza. 4 C.C. Black, Voice, 99 suggerisce che le spiegazioni fornite dal risorto amplino le facol­ tà di percezione dei discepoli.

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Ancora quattro osservazioni: a) è la seconda volta che Luca sottoli­ nea il carattere cristologico del compimento delle Scritture: cf. 24,27 ('tà 7ttpÌ Écxu'tou, «ciò che lo riguardava » ); 1 b) è la seconda volta anche che, in un racconto di risurrezione, Luca dirige lo sguardo dei lettori verso il passato: cf. 24,6; c) è in termini lucani che viene espresso questo com­ pimento (cf. Òtt, «occorre» , il verbo 7tÀl)pw, «compiere», 'tèt ytypt:x(L(LÉvcx, «ciò che è scritto» ); d) unica particolarità di questo passo: la divisione della sacra Scrittura non solo in due parti, legge e profeti (cf. 24,27), ma in tre.1 Luca è uno dei primi autori ad attestare questa nuova suddi­ visione e se sceglie i Salmi come testimoni degli scritti che si andavano costituendo, è perché i discorsi degli Atti trarranno da questa raccolta l'essenziale delle loro argomentazioni cristologiche. In conclusione dicia­ mo che l'evangelista, da autore abile ed esperto, sa ripetersi (cf. 24,6-7; 24,25-27 e qui, v. 44) senza cadere nella monotonia.3 45· Se il messaggio rimane lo stesso - riprende del resto i diversi an­ nunci della passione snocciolati sin dai tempi della predicazione in Ga­ lilea - è invece il modo di intendere degli ascoltatori che deve cambiare. 4 Gli annunci della passione avevano inutilmente colpito gli orecchi dei discepoli ottusi. Le. 9,44-4 5 sottolineava l'incomprensione sulla quale si incagliava l'insegnamento di Gesù. Per Luca né il messaggio delle don­ ne ritornate dal sepolcro vuoto, né le parole dei discepoli rientrati da Emmaus, né le prove della risurrezione sono bastati a offrire una chiave di interpretazione delle sacre Scritture.5 Occorre l'intervento spirituale r Lagrange, 6 1 3 scrive: «Gesù rivela ìl piano divino. Le sue parole saldano nella sua per­ sona il passato, vale a dire le Scritture, con l'avvenire, ovvero la missione degli apostoli » . 1 Già nel 1 9 8 2 D. Flusser, Psalmen segnala che i l testo d i Qumran 4QMMT ( 4Q397398) contiene la medesima divisione delle Scritture in tre parti, con i Salmi in terza posi­ zione. Rifiutando di parlare di un'influenza essena su Luca, Flusser mostra come per le persone di Qumran la legge, i profeti e i Salmi siano tutti e tre «testimoni della storia del­ la salvezza,. (p. 4 1 ) . 3 Come altri, M. Domer, Heil, 99 mette in parallelo l'introduzione del v. 44 con l'inizio del Deuteronomio nei LXX: oO>tm o! Àbyot, o\K; èì.ciì.7JaEV Mro� 1tcxv-tÌ 'lapcx�À 1tÉpcxv -toii 'Iopòcivou Èv -rTJ Èpip.!.JI (Deut. I , I ). A mio avviso questo parallelo non si impone. Quanto a J. Dupont, Mission de Pau/ mette invece opportunamente in parallelo i vv. 44-49 con Atti 1 , 8 e Atti 2.6, 1 6-2.3 : « Luca applica alla missione di Paolo il medesimo modello che definisce la missione dei dodici apostoli .. (p. 2.97). 4 Bossuyt-Radermakers n, 5 2.7 osservano con finezza: «Il v. 45 è introdotto da una con­ giunzione [in realtà un avverbio] che segna una svolta: 'Allora' (-tou ) » . 5 Cf. J. Ernst, Schriftauslegung, che s i interessa alla maniera i n cui Luca parla delle Scrit­ rure e le intende alla luce del Cristo. L'evangelista ricorre a tre procedimenti: la prova scritturistica, la tipologia e lo schema promessa-compimento. S. Grasso, Fattori, 305 e 3 1 3 ritiene che la pericope lucana prepari, a suo modo, l'idea di una seconda Scrittura, di =

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del Cristo risorto, poiché si tratta della trasformazione dell' « intelligen­ za » (voUc;). Pasqua è il giorno delle aperture: apertura del sepolcro ( 24,2), degli occhi ( 24,3 1 ), delle Scritture ( 24,32) e, qui, dell'intelletto (v. 4 5 ).1 Il processo non è del resto soltanto intellettuale: se Luca qui utilizza vo�, altrove parla di xa.p8ta., «cuore» ( 24,25 e 3 2) . La trasformazione riguar­ da le persone nella loro interezza, principalmente il loro essere interio­ re. L'episodio potrebbe chiudersi qui. 46. Se Luca ridà la parola al risorto (si noti la ripetizione di &l1tE:v, vv. 44 e 46), .. è perché intende specificare le parti essenziali di queste pro­ fezie. I lettori del resto le conoscono bene, giacché si riferiscono alle due articolazioni principali del kerygma, la morte e la risurrezione, che co­ stituivano anche il nocciolo degli annunci della passione.3 Non si è af­ fatto sorpresi dalla formulazione ora lucana ora tradizionale che rice­ vono questi elementi centrali della fede cristiana: la morte è definita qui in modo redazionale come un soffrire 4 (cf. 24,26) e il ritorno alla vita in modo tradizionale come una risurrezione 5 al terzo giorno (cf. 24,7). Risulta invece sorprendente che l'evangelista non menzioni il ministe­ ro di Gesù che precede la passione. Né gli atti di potenza né gli insegna­ menti del messia hanno qualche funzione in questo passo. Vengono in mente due spiegazioni: a) Luca subisce l'influenza di una costruzione teo­ logica, attestata da Paolo, che concentra l'attenzione sul binomio croce­ risurrezione; b) Luca si prepara a voltare pagina e pensa già al libro de­ gli Atti. E appunto in questo secondo libro gli apostoli e i testimoni con­ dividono la predilezione paolina per un messaggio incentrato sulla mor­ te e sulla risurrezione (si vedano i discorsi cristologici degli Atti). Questo orientamento verso l'avvenire è tuttavia paradossale in versetti che si ri­ feriscono palesemente al passato (v. 44). un Nuovo Testamento. Si legga anche l'excursus «Verheissung und Erfullung» in Schnei­ der n, 503 s. x Su questo tema dell'apertura cf. G. Delling, Als er uns; B. Prete, Intelligenza, 467-471. 2. 'lt@Òç GtÙ'rolX; che segue il verbo nel v. 44 è caratteristico dell'evangelista, mentre il dati­ vo GlÙ'toic; che lo segue nel v. 46 è forse la traccia della tradizione utilizzata da Luca. È probabile infatti che il racconto di apparizione si concludesse con un ordine missionario 3 Cf. 9,22.44; 1 7,25; 1 8,3 2-3 3 . (e si veda sopra, pp. 5 8 1 s.). 4 In due forme differenti innumerevoli mss. ci tengono a ricordare il carattere necessario della passione: aggiungono xGtÌ oiYrwç e&t, «e così era necessario», seguendo in questo la formulazione di 24,26; cf. NA17, ad loc. apparato. 5 Luca qui precisa - cosa che non fa sempre - che à:vGtcr'rijva:t, letteralmente «alzarsi », «risuscitare», indica una risurrezione «dai morti " (ix wxprov). Tale precisazione non è indispensabile: il codex Bezae (D = 0 5 ) e la versione sahidica la ignorano.

LC .

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4 7. Luca ama ripetere le verità prime, ma sa anche variare le espres­ sioni. Qui non solo varia ma arrischia un'integrazione, aggiungendo sot­ to ciò che aveva rifiutato sopra. Suscitando una nuova sorpresa, affer­ ma che le Scritture proclamano, oltre al medesimo messaggio, la promes­ sa della sua diffusione. Come ha visto bene Jacques Dupont, 1 lo spettro coperto dalle Scritture si allarga: dopo Gesù, si apre alla chiesa. L'espres­ sione «così è scritto » (v. 46) include la predicazione del pentimento e l'offerta del perdono. Luca avanza questa tesi, suggerita nel suo vangelo, per una duplice ragione: fedeltà alla tradizione che riprende e attenzio­ ne già rivolta al futuro libro degli Atti. z. La formulazione di questo v. 47, come si è visto,3 contiene elementi che, sorprendenti in Luca, devono risalire alla tradizione che utilizza: l'evangelista non dice in nessun altro passo che la !J.t'tlivotct, la «conver­ sione» , deve essere «proclamata» e insiste poco sul lessico del «perdo­ no dei peccati».4 Al contrario lo stesso verbo XYjpuaaw,