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Italian Pages 712 Year 2019
MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE XXV
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STUDI E TESTI ———————————— 534 ————————————
MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE XXV
C I T T À D E L VAT I C A N O B I B L I O T E C A A P O S T O L I C A V AT I C A N A 2019
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Pubblicazione curata dalla Commissione per l’editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Marco Buonocore (Segretario) Eleonora Giampiccolo Timothy Janz Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni (Presidente) Delio V. Proverbio
Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va
—————— Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2019 ISBN 978-88-210-1026-2
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SOMMARIO M. A. BILOTTA, L’esemplare franco-meridionale del Catholicon di Giovanni Balbi, Vat. lat. 1472: una nuova ipotesi attributiva del suo apparato illustrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
M. CERESA, Note sui primi inventari dei libri stampati della Vaticana (1608-1611 circa): Vat. lat. 6446 + Vat. lat. 14477 . . . . . . . . . . . . . . . .
33
L. COCO, Firmato Pitra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
53
M. G. CRITELLI, A proposito delle “fiammelle inquartate con le lettere FD” di Federico da Montefeltro nei codici Urbinati . . . . . . . . . . . . . . . . .
73
D. D’ELIA, Su una inedita traduzione in lingua inglese de Una partita a scacchi di Giuseppe Giacosa (Patetta 839) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
99
A. DÍAZ, Historias contadas con la piel. Estudio codicológico comparativo de los códices prehispánicos de la Biblioteca Apostólica Vaticana . . .
123
G. DINKOVA-BRUUN, De essentia et natura lacrimarum: classification of tears in manuscript BAV, Vat. lat. 10380 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
165
D. DI PINTO, Notizie preliminari sul fondo della curia di Frascati conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
181
D. DOMENICI, D. BUTI, C. GRAZIA, É. DUPEY GARCÍA, A. ROMANI, L. CARTECHINI, A. SGAMELLOTTI, C. MILIANI, Non-invasive chemical characterization of painting materials of Mesoamerican codices Borgia (Borg. mess. 1) and Vaticanus B (Vat. lat. 3773) of the Biblioteca Apostolica Vaticana .
201
L. LALLI, I libri di Aldo Manuzio il giovane nella Biblioteca Apostolica Vaticana: il progetto BAV-ALDVS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
229
G. MANDATORI, «Reverendissimo padre ed amico». Le lettere inedite del carteggio tra Giovanni Battista de Rossi e Leopoldo Maria De Feis . .
247
P. MANONI, The Mellon Project at the Vatican Library: WEB thematic pathways of Medieval manuscripts from the Vatican collections using International Image Interoperability Framework . . . . . . . . . . . . . . . .
265
F. MANZARI – J. STOESSEL, The intersection of Anglo-French culture and Angevin illumination in a fourteenth-century Ars nova miscellany: a new dating for Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307 and Sankt Paul im Lavanttal, Archiv des Benediktinerstiftes, Ms. 135/6 . .
283
G. MURANO, Opere di Elia del Medigo nella biblioteca di Giovanni Pico della Mirandola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
333
C. PASINI, La nomina di Pio XI e la Bodleian Library (e i precedenti contatti oxoniensi di Franz Ehrle e di Achille Ratti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
371
P. PIACENTINI, Appunti su codici cerviniani di ambiente bolognese . . . . . .
399
F. TOSCANO, La scrittura latina e greca di Antonio Costanzi da Fano, con osservazioni sul manoscritto Vat. lat. 3630 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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SOMMARIO
F. TRONCARELLI, Fecit Adalgaudo Leutaldus: il lungo viaggio di due codici di Orléans (Vat. lat. 3363 e Ott. lat. 35) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
469
P. VIAN, Un ebreo tra i monsignori. Giorgio Levi Della Vida in Biblioteca Vaticana (1931-1939) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
525
P. VIAN, Il miglior «discepolo» di Ranke. Prime indagini sulla ricezione in Italia della Storia dei papi di Ludwig von Pastor . . . . . . . . . . . . . . . . .
591
H. VINCK, Documentation complémentaire aux Vaticani latini 1496914993 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Indice dei manoscritti e delle fonti archivistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Indice degli esemplari a stampa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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MARIA ALESSANDRA BILOTTA
L’ESEMPLARE FRANCO-MERIDIONALE DEL CATHOLICON DI GIOVANNI BALBI, VAT. LAT. 1472: UNA NUOVA IPOTESI ATTRIBUTIVA DEL SUO APPARATO ILLUSTRATIVO Nel corso delle nostre ricerche condotte nei fondi manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla Fundação para a Ciência e a Tecnologia portoghese1, abbiamo avuto occasione di esaminare l’apparato illustrativo e decorativo del manoscritto Vat. lat. 14722. Il lavoro di analisi formale condotto su questo raffinato codice, del quale tratteremo nel presente contributo, ci ha permesso di formulare una nuova ipotesi attributiva riguardo alla realizzazione del suo apparato illustrativo e decorativo e, in tal modo, di portare qualche novità sulla produzione del miniatore, di formazione tolosana, attivo intorno alla metà del XIV secolo, autore dell’apparato illustrativo del Decreto di Graziano, ms. 659, conservato nella Biblioteca municipale di Avignone, miniatore che, da ora in avanti, designeremo come Maestro del Decreto di Avignone. Il codice Vat. lat. 1472 Il codice Vat. lat. 1472 misura 397 × 259 mm e tramanda il testo del Catholicon seu Summa prosodiae (citato anche come Summa Grammaticalis quae vocatur Catholicon) del domenicano genovese Giovanni Balbi (Iohannes Balbus, de Balbis, de Ianua): com’è noto, è un trattato, compiuto dal suo autore il 7 marzo 1286, riguardante le arti del Trivio3. 1 Questa ricerca è stata condotta nell’ambito del nostro progetto di ricerca post-dottorato, finanziato dalla Fundação para Ciência e a Tecnologia (FCT) portoghese (nr. di riferimento SFRH/BPD/74298/2010) e svolto dal 1 settembre 2011 al 31 gennaio 2019 presso l’IEM (Instituto de Estudos Medievais – FCSH-UNL). 2 Le immagini di questo manoscritto sono disponibili on-line nel sito internet della Biblioteca Apostolica Vaticana al link seguente: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.1472 (ultima consultazione: 20 gennaio 2019). Il codice Vat. lat. 1472 è anche menzionato on-line in MIRABILE, Archivio digitale della cultura medievale al link seguente: http://www.mirabileweb. it/manuscript/città-del-vaticano-biblioteca-apostolica-vaticana--manoscript/160554 (ultima consultazione: 21 gennaio 2019). 3 Cfr. TH. KAEPPELLI, Scriptores Ordinis Praedicatorum medii aevi, II, Roma 1975, s.v.
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 7-32.
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MARIA ALESSANDRA BILOTTA
Il Catholicon, com’è risaputo, è un’enciclopedia filologica e si compone di cinque sezioni nelle quali si tratta rispettivamente dell’ortografia, dell’accento, dell’etimologia e della sintassi, delle figure retoriche e, ancora, della prosodia. La sezione dell’opera riguardante la prosodia è la più rilevante poiché l’autore vi affronta anche questioni di ortografia, di etimologia e di semantica; inoltre tale sezione è corredata da un considerevole glossario che ha reso Giovanni Balbi un’insigne autorità della lessicografia medievale4. Infine, com’è stato evidenziato da Giuseppe Cremascoli, grande rilievo viene dato, nell’opera, ai lemmi di contenuto teologico5. Opere come il Catholicon furono di particolare utilità per Cistercensi e Domenicani i quali se ne servirono per comporre sermoni6. Il Catholicon ha avuto un notevole ascendente sul sistema educativo del tardo medioevo in Italia, ma anche in Francia, in Spagna e in Inghilterra7. Iohannes de Balbis Ianuensis, p. 280, 2199: Catholicon sive Prosodia (7 III 1286). – Inc.: Prosodia quedam pars grammatice nuncupatur. Partes liquide grammatice sunt quattuor, scil. Ortographia, etymologia, diasintastica et prosodia. – Inc. lexicon alph.: Alma interpretatur virgo abscondita vel absconsio virginitatis[…] Ianua: Huius civitatis oriundus fuit compilator presentis libri, qui dicitur Prosodia vel Catholicon. Compilator siquidem istius operis dictus est fr. Iohannes Ianuensis de Balbis de ord. fr. Pred. modicus. Qui etiam composuit alium libellum in theologia, qui dicitur Dialogus de questionibus anime ad spiritum. Qui etiam composuit quoddam opus paschale, ubi scil. de facili reperitur pascha, sed hoc opus paschale composuit antequam ordinem intraret. – Expl.: Immensas omnipotenti deo patri et filio et spiritui s. gratiarum referimus actiones, qui nostrum Catholicon ex multis et diversis doctorum texturis elaboratum atque contextum, licet per multorum annorum curricula, in millesimo ducentesimo octogesimo VI anno domini, nonis Martii, ad finem usque perduxit. 4 Cf. A. PRATESI, s.v. Balbi, Giovanni (Iohannes Balbus, de Balbis, de Ianua), in DBI, 5, Roma 1963, pp. 369-370: 369. 5 Cfr. G. CREMASCOLI, “Theologia” nel “Catholicon” di Giovanni Balbi, in Cristianità ed Europa. Miscellanea di studi in onore di Luigi Prosdocimi, a cura di C. ALZATI, Roma-FreiburgWien 1994, I, pp. 297-312, ripubblicato in ID., Saggi di lessicografia mediolatina, a cura di V. LUNARDINI, Spoleto 2011, pp. 139-157; ID., “Ecclesia” nel “Catholicon” di Giovanni Balbi, in Itinerari nel testo per Stefano Pittaluga, a cura di C. COCCO, C. FOSSATI, A. GRISAFI, F. MOSETTI CASARETTO, G. BOIANI, I, Milano 2018 (Pubblicazioni del D.AR.FI.CL.ET.“Francesco Della Corte” Terza serie, n. 254), pp. 283-299: 284. 6 R. H. ROUSE, M. A. ROUSE, Preachers, Florilegia, and Sermons – Studies on the Manipulus Florum of Thomas of Ireland, Toronto 1979 (Studies and Text, 47), p. 7, 11; R. H. ROUSE, Cistercian Aids to Study in the Thirteenth Century, in Studies in Cistercian History 2 (1976), pp. 123-134; cfr. P. MORPURGO, Forme verbali ordinate in sinonimi, libri divisi in indici: strumenti per la lettura, per la predicazione, per l’insegnamento in scuole e università medioevali. Note a due testi del ms. 79 della Biblioteca Antoniana di Padova, in Pluteus 4-5 (1986-87), pp. 69-100; alla pagina 69 di quest’ultimo articolo, nella nota 4, l’autore scrive di aver consultato il codice Vat. lat. 1472. 7 Cfr. G. POWITZ, Le Catholicon – Esquisse de son histoire, in Les manuscrits des lexiques et glossaires de l’Antiquité tardive à la fin du Moyen Âge. Actes du Colloque international organisé par le “Ettore Majorana Centre for Scientific Culture” (Erice, 23-30 septembre. 1994), a cura di J. HAMESSE, Louvain-la-Neuve 1996 (Textes et études du moyen âge, 4), pp. 299-336: 300; in
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L’ESEMPLARE FRANCO-MERIDIONALE DEL CATHOLICON DI G. BALBI
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Il testo dell’esemplare Vat. lat. 1472, che non è firmato e non è datato, si arricchisce di alcune annotazioni scritte sull’ultimo foglio del codice, il f. 272v: nella colonna 1, in corrispondenza del vocabolo «Zozimus», si legge l’addizione «sit tibi laus christe quoniam liber explicit iste»; alla fine della colonna di testo si legge il colophon «Finito libro reddatur gratia christo. Deo gratias»; infine, nel margine superiore del foglio è scritto «Somma vocabulorum huius ultime partis 14353, XIIIIm IIIc LIII, ut patet in somma vocabulorum cuiuslibet litterarum alphabeti superius quotatorum suis locis»8. In quest’ultima nota, chiaramente di bottega, che doveva servire con ogni probabilità al computo del compenso del miniatore, è notevole il fatto che lo scrivente si senta in dovere di replicare la numerazione in cifre romane dopo averla scritta in numeri arabi, segno che siamo ancora in una fase alta (entro gli anni ’30 del secolo XIV?) in cui la confidenza con la nuova tecnica di numerazione non è ancora del tutto entrata nell’uso quotidiano9. Il Vat. lat. 1472 è menzionato nell’Inventario della Biblioteca del papa Eugenio IV (1431-1447), risalente al 144310, dove si trova contrassegnato dal numero 156 («Catholicon, in pergameno, bona litera, bene ligatus, cohopertus rubeo, cum scutis et clauis eneis»)11. Il manoscritto appare registrato anche nell’Inventario della Biblioteca del successore di Eugenio IV, il papa Nicolò V (1447-1455), contrassegnato con il numero 636 («Item aliud volumen forme regalis ex pergameno cum 4or serraturis et cum angulis de cupro et postibus ligni, copertum coreo rubeo, nuncupatum Catholicon»)12. Tra i codici di Nicolò V sono stati identificati anche quest’opera il codice Vat. lat. 1472 è citato alla pagina 334, dove viene localizzato dubitativamente in Italia del Nord. 8 La trascrizione di questa annotazione si deve a Paolo Cherubini (comunicazione scritta del 25 gennaio 2019), che ringrazio. L’annotazione era stata individuata e trascritta anche da Nogara nel suo Catalogo dei manoscritti Vaticani latini della Biblioteca Vaticana; cfr. B. NOGARA, Codices Vaticani Latini. Codices 1461-2059 /recensuit Bartholomeus Nogara ..., Codices 1461-2059, Roma 1912 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manuscripti recensiti), p. 9. 9 Ringrazio Paolo Cherubini per le osservazioni che ci ha comunicato in data 25 gennaio 2019, riguardanti l’annotazione vergata nel margine superiore del foglio 272v del Vat. lat. 1472. 10 Città del Vaticano, ASV, Cam. Ap. Collect. 490, ff. 1r-29v. Cfr. J. FOHLEN, La Bibliothèque du Pape Eugène IV (1431-1447). Contribution à l’histoire du fonds Vatican latin, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 452), p. 36, nota con asterisco a fondo pagina. 11 FOHLEN, La Bibliothèque cit., pp. 52, 59. 12 Cfr. A. MANFREDI, I codici latini di Niccolò V. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, Studi e documenti sulla formazione della Biblioteca apostolica vaticana, I, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 359), p. 399; R. BIANCHI, S. RIZZO, Manoscritti e opere grammaticali nella Roma di Niccolò V, in Manuscripts and tradition of grammatical texts from
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MARIA ALESSANDRA BILOTTA
altri due esemplari dell’opera di Giovanni Balbi: i manoscritti Vat. lat. 1473 e 147413. Il Vat. lat. 1472 è documentato inoltre nella biblioteca del papa Sisto IV (1471-1484), come si evince dalla lettura del Convivium scientiarum del notaio romano Antonio de Thomeis il quale lo cita come Cactolicon al verso 848 del suo poema14. La scrittura del codice Vat. lat. 147215 Dal punto di vista paleografico, pochi elementi paiono genericamente rinviare la scrittura del codice Vat. lat. 1472 ad un’area grafica meridionale (occitanica) della Francia, a parte il fatto che si tratta comunque di una rotunda di formato medio-piccolo. Tali elementi sono: l’uso di nota tironiana non tagliata per et, che si richiude su sé stessa in alto a sinistra e prolunga talora la base verso destra sul rigo; la presenza di codine relativamente frequenti alla terminazione dei tratti inferiori di s maiuscola e c retroversum; l’analogo allungamento sotto il rigo del secondo tratto di h; sovrapposizione di tutte le curve contrapposte di hoc; tratto superiore di a che richiude quasi a ricciolo su se stesso, in maniera simile a quanto avviene nelle textuales d’area iberica. Nel codice sono presenti due ordini di note: il primo, presente soltanto su due fogli, sembra legato alla rilettura e correzione del testo; il secondo è chiaramente funzionale al lavoro di bottega e probabilmente al pagamento del decoratore. Primo ordine di note: a f. 84r e a f. 87v c’è un avvertimento di cui non si comprende appieno il significato; all’inizio della col. A di entrambe le pagine, nel margine sinistro in alto, si legge la sillaba vi- che sicuramente si chiude alla fine della medesima colonna, nel margine inferiore sinistro, Antiquity to the Renaissance. Proceedings of a conference held at Erice, 16–23 October 1997, M. DE NONNO, P. DE PAOLIS, L. HOLTZ, Cassino 2000, pp. 587-653: 592, nota 15. 13 Cfr. MANFREDI, I codici latini di Niccolò V cit., pp. 399-340, 505-514; G. BARBERO, «Credo sit Papias integer»: la ricezione del Liber glossarum in Italia presso gli Umanisti, in Dossiers d’HEL (Histoire Épistémologie Langage) 10 (2016), Le Liber glossarum (s. VII-VIII): Composition, sources, réception. Actes du colloque «Libgloss2016 : Le Liber glossarum (s. VII-VIII). Sources, composition, réception» 25-27 mai 2016 (Paris). Sous la responsabilité d’Anne Grondeux, pp. 321-356: 329 dove vengono citati i tre codici Vat. lat. 1472, 1473 e 1474 . (ultima consultazione 21 gennaio 2019). 14 Cfr. A. DE THOMEIS, Rime: Convivium Scientiarum, in laudem Sixti Quarti Pontificis Maximi, a cura di F. CARBONI, A. MANFREDI, Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 394), p. 52, 193. 15 Le osservazioni riguardanti la scrittura del codice Vat. lat. 1472 si devono a Paolo Cherubini.
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L’ESEMPLARE FRANCO-MERIDIONALE DEL CATHOLICON DI G. BALBI
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con la sillaba -di. È ben noto il segno va/cat utilizzato di frequente da copisti a prezzo di questo periodo per segnalare la ripetizione di una porzione di testo da annullare. Una novità è, invece, leggere la parola vi/di evidentemente con analogo significato. Secondo ordine di note: dal fascicolo che inizia a f. 47r, fino alla fine del manoscritto, nel margine esterno di ciascuna pagina (recto e verso) in basso si legge un numerino in cifre arabe (34, 42, 34, 22, 44, 51 ecc.) che corrisponde al numero di iniziali decorate (litterae magis notabiliores) con cui inizia ciascun paragrafo (capilettera); si tratta di letterine colorate alternativamente in rosso e blu e riempite di sobri motivi a filigrana. I numeri usati sono compatibili con la metà circa del secolo XIV (in particolare la forma del 7 è molto arcaica e scompare poco dopo la metà del ’300). Sicuramente si tratta di un computo necessario al pagamento dell’artigiano che trova riscontro nella frase finale, poc’anzi analizzata, posta lungo il margine superiore dell’ultima pagina del manoscritto16. Probabilmente già al centro del margine superiore di f. 47r (e poco prima anche nel margine superiore di f. 39v) in corrispondenza della decorazione che include la scena dell’Annunciazione, c’era un numero che è stato eraso (usando la lampada di Wood, si riconosce a mala pena soltanto un 3). Numeri scritti da una mano trecentesca si trovano poi in posizione analoga anche a f. 64v (1319), a f. 70r (394), nel margine superiore di f. 96v (1815), a f. 106v (741), a f. 117r, in basso verso sinistra, sopra il ramo inferiore della decorazione marginale (721 e forse, seminascosto 4), nel margine esterno di f. 129v (1 e 724), nel margine inferiore di f. 135v (313), nel margine esterno di f. 139v (4 e 268), ai ff. 151v-152 (763 e X, l’unico in cifra romana), nel margine esterno di f. 162v (652), a f. 177r (13 e 803), a f. 190 (3 e 464), a f. 217 (12 e 1561), a f. 219v (4 e 170), a f. 225v (424), a f. 250r (5 e 1394), a f. 259v (694 e 12), ai ff. 271v e 272r (621, 27 e 83). Non ci sono numeri nei margini dei ff. 28r, 12v e 1 r, dove iniziano le prime lettere alfabetiche e si tratta degli stessi fascicoli dove manca la numerazione delle litterae magis notabiliores. Anche Nogara, nel suo catalogo dei codici Vaticani latini della Biblioteca Vaticana aveva riferito che sul recto e sul verso di ciascun foglio del Vat. lat. 1472, nel margine inferiore, sono indicati i numeri dei vocaboli che ciascuna pagina contiene: «omnium enim foliorum margines inferiores in recto et in verso exhibent numerum vocabulorum unoquoque folio contentorum»17. Sulla base di quanto esposto finora, il numero «1319»
16 17
Cfr. supra, p. 9 e nota 9. Cfr. NOGARA, Codices Vaticani Latini cit., p. 9.
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MARIA ALESSANDRA BILOTTA
non indicherebbe una data, come è stato in precedenza ipotizzato18, ma si riferirebbe al computo delle lettere necessario al pagamento dell’artigiano. Il Vat. lat. 1472 è uno degli esemplari miniati del Catholicon; un altro esemplare di quest’opera, preziosamente ornato ed illustrato nella Corona d’Aragona nel XIV secolo, attualmente conservato nel Capitolo Metropolitano di Zaragoza (ms. 10-8), è stato recentemente scoperto e studiato da Josefina Planas19. La decorazione del manoscritto vaticano, di fattura omogenea, ascrivibile a un’unica mano, si compone di iniziali filigranate, preziose iniziali decorate a motivi vegetali, tipologicamente unitarie, una raffinata iniziale istoriata A («Alma Interpretatur virgo abscondita ut absconsio virginitatis […]»20; tav. I), entro la quale è dipinta l’Annunciazione, al f. 47r, in corrispondenza dell’incipit della quinta parte del Catholicon e, infine, un riquadro miniato, occupante la prima colonna di testo, dipinto all’inizio dell’intera opera, al f. 1r (tav. II). In quest’ultimo riquadro, secondo l’interpretazione di Nogara, è raffigurato Giovanni Balbi, ossia l’autore dell’opera, che, seduto in cattedra, ne consegna un esemplare a un discepolo: non si tratterebbe pertanto propriamente di una scena di dedica quanto piuttosto di una scena di consegna21. La scena si svolge all’interno di un elaborato inquadramento architettonico, che funge da scenografia, entro il quale l’azione si compie su di uno sfondo dalla superficie non uniforme ma suddivisa in ampi quadrati, ciascuno dei quali percorso da un motivo ornamentale diverso dall’altro, a formare una sorta di scacchiera. Entro un campo rettangolare bipartito di colore rosa antico e blu, percorso da esili racemi vegetali tracciati in biacca, dipinto al disopra delle architetture che incorniciano la miniatura, si stagliano «due stemmi gemelli, corretti due volte: dell’arme sottostante restano tracce di una banda rossa; mentre lo stemma sovrastante era di tre pali di nero; una terza correzione
18 Cfr. F. MANZARI, La miniatura ad Avignone al tempo dei papi: 1310-1410, Modena 2006, p. 119. 19 J. PLANAS BADENAS, Un códice inédito conservado en el Archivo Capitular de Zaragoza y su filiación con el gótico internacional de la Corona de Aragón, in La miniatura y el grabado de la Baja Edad Media en los archivos españoles, a cura di M.ª DEL CARMEN LACARRA DUCAY, Zaragoza 2012, pp. 157-202. L’articolo è disponibile on-line al link seguente: https://ifc.dpz.es/ publicaciones/ver/id/3230 (ultima consultazione 25 marzo 2019). 20 Cfr. supra nota 2. 21 Cfr. NOGARA, Codices Vaticani Latini cit., p. 9. La miniatura al f. 1r del manoscritto Vat. lat. 1472 si trova riprodotta sulla copertina del libro Les manuscrits des lexiques et glossaires de l’Antiquité tardive à la fin du moyen âge. Actes du Colloque international (Erice, 23-30 septembre 1994), a cura di J. HAMESSE, Turnhout 1996 (Textes et Etudes du Moyen Âge TEMA, 4). Cfr. MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 147-148 nota 98.
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ha coperto tutto con una lamina d’argento»22 (tav. II). Tale osservazione permette di desumere che il Catholicon vaticano sia passato, nel corso degli anni, nelle mani di diversi possessori i quali hanno voluto manifestare il possesso del manoscritto facendovi dipingere al di sopra dell’illustrazione d’incipit il proprio stemma araldico. Il testo della prima parte del Catholicon, trascritto al disotto del riquadro miniato, è introdotto da una pregevole iniziale decorata P («Prosodia quedam pars gramatice [...]») nel cui campo interno si ripete il medesimo motivo decorativo a scacchiera che costituisce lo sfondo della miniatura soprastante (tav. II). Un manoscritto miniato nel Sud della Francia Nel 1996 Powitz aveva localizzato dubitativamente il codice Vat. lat. 1472 in Italia del Nord23. Una localizzazione del manoscritto in Francia meridionale è stata proposta invece inizialmente da Francesca Manzari, alla quale si deve anche il merito di aver analizzato per la prima volta il Catholicon vaticano, da un punto di vista stilistico, nel suo importante libro sulla miniatura avignonese al tempo dei papi, pubblicato nel 2006 e divenuto riferimento imprescindibile per gli studi sulla miniatura avignonese24. La studiosa romana è propensa a collegare il manoscritto Vat. lat. 1472 all’ambito della miniatura avignonese della fine degli anni venti del XIV secolo, o dell’inizio del decennio successivo, in virtù dei raffronti con altri manoscritti miniati, riferibili a quest’ambito di produzione, come il Libro d’ore, ms. 121, e l’Evangelistario, ms. 23, conservati nella Biblioteca Municipale di Avignone25. L’ipotesi di una localizzazione avignonese del codice Vat. lat. 1472 (formulata da Francesca Manzari) è riportata anche da Paul Payan in un suo saggio riguardante il Libro d’ore ms. 121 della Biblioteca Municipale di Avignone, pubblicato nel 2009, nel quale, per un refuso, Giovanni Balbi è citato come «Giovanni Balli»26. Certamente, come è già stato giustamente osservato da Francesca Man22
Cfr. MANFREDI, I codici latini di Niccolò V, p. 399. Cfr. POWITZ, Le Catholicon – Esquisse de son histoire cit., p. 334. 24 MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., p. 37, 119, 147-148 nota 98, 346. 25 Cfr. EAD., ibid. p. 119. Le immagini del Libro d’ore ms. 121 e dell’Evangelistario ms. 23 della Biblioteca Municipale di Avignone sono disponibili on-line sul sito Bibliothèque Virtuelle des Manuscrits Médiévaux (BVMM) dell’Institut de Recherche et Histoire de Texte (IRHT) di Parigi rispettivamente ai links seguenti: https://bvmm.irht.cnrs.fr/consult/consult. php?reproductionId=15460; https://bvmm.irht.cnrs.fr/consult/consult.php?reproductionId= 15432 (ultima consultazione: 21 gennaio 2019). 26 Cfr. P. PAYAN, Le livre d’Heures au XIVe siècle: un exemple entre Picardie et Avignon (MS. 23
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zari, il manoscritto Vat. lat. 1472 presenta alcuni elementi nel suo apparato illustrativo e ornamentale che lo collegano alla Francia meridionale. In particolare, nella miniatura al f. 1r del manoscritto, lo stagliarsi delle figure contro un fondo ripartito in ampi quadrati, ciascuno percorso da un motivo ornamentale diverso dall’altro, a mo’ di scacchiera (tav. II), è un dettaglio tipico della miniatura del Midi, in particolare tolosana, che s’incontra molto raramente nei manoscritti illustrati nei territori del Nord della Francia27. Tale particolarità, diffusasi a partire dalla fine del XIII secolo, perdura, infatti, anche nei manoscritti tolosani prodotti nel corso del XIV secolo28. La definizione spaziale delle due compatte torrette con tetti a spioventi, ricoperti di tegole rosse, che sormontano ai lati l’incorniciatura architettonica a duplice arcata nella miniatura al f. 1r del manoscritto (tav. II) rivela una conoscenza dei modi italiani nella resa delle strutture architettoniche. Anche tale conoscenza avvicina il codice Vat. lat. 1472 agli ambienti di produzione dei miniatori tolosani, particolarmente ricettivi nei confronti delle contemporanee esperienze della miniatura italiana nella resa delle incorniciature architettoniche delle miniature29. Un altro aspetto che lega il codice Vat. lat. 1472 alla produzione miniata della Francia del Sud, soprattutto a quella tolosana, anch’esso già 121 de la médiathèque Ceccano d’Avignon), in Provence historique 238 (2009), pp. 431-443: 435, nota 11. 27 Cf. F. AVRIL, Scheda nr. 262. Décret de Gratien, in Les fastes du Gothique. Le siècle de Charles V, Catalogue de l’exposition (Paris, Galeries nationales du Grand Palais, 9 octobre 1981-1 février 1982), Paris 1981, p. 311; ID., Scheda nr. 230, in L’Art au temps des rois maudits. Philippe le Bel et ses fils 1285-1358, Catalogue de l’exposition (Paris, Galeries nationales du Grand Palais, 17 mars-29 juin 1998), Parigi 1998, p. 322; M. RUSIUS, L’illustration du Décret de Gratien dans l’enluminure toulousaine au XIVe siècle. Thèse de doctorat de 3e, histoire de l’art, Paris IV Sorbonne, 1986-1987, vol. I, pp. 183-184; P. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien avec les gloses de Barthélemy de Brescia, in Les Manuscrits à Peinture de la Bibliothèque Municipale d’Avignon XIe-XVIe siècle, Catalogo della mostra (Avignone 1993), Catalogo dattiloscritto, pp. 125-128, in particolare p. 125; MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., p. 28; M. A. BILOTTA, Le Décret de Gratien: un manuscrit de droit canonique toulousain reconstitué, in Art de l’enluminure 24 (mars/avril/mai 2008), p. 13; EAD., Images dans les marges des manuscrits toulousains de la première moitié du XIVe siècle: un monde imaginé entre invention et réalité, in Mélanges de l’École française de Rome. Section Moyen Âge 121/2 (2009), pp. 349-359: 254; EAD., Nuovi elementi per la storia della produzione e della circolazione dei manoscritti giuridici miniati nel Midi della Francia tra XIII e XIV secolo: alcuni frammenti e manoscritti ritrovati, in Medieval Europe in Motion. The Circulation of Artists, Images, Patterns and Ideas from the Mediterranean to the Atlantic Coast (6th-15th centuries), a cura di M. A. BILOTTA, Palermo 2018, pp. 319-392: 324, 327, 330, 374. 28 Cfr. AVRIL, Scheda nr. 230, in L’Art au temps des rois maudits cit., p. 332. 29 Cfr. BILOTTA, Le Décret de Gratien cit., pp. 19-20; EAD., Nuovi elementi per la storia della produzione cit., p. 330.
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evidenziato nel manoscritto da Francesca Manzari30, è costituito dalla presenza, nella sua decorazione marginale, ai ff. 28r (tav. III) e 217r (tav. IV) rispettivamente di un volto umano, acconciato con un appuntito cappello a cono, che ricorda una tiara papale, e di un volto grottesco dalle orecchie appuntite e dall’espressione ilare, rivolto all’insù, posati entrambi su lunghi colli filiformi dall’andamento sinusoidale e inframmezzati da dischi dorati. Infatti, come abbiamo già avuto modo di esporre in altra sede, i volti grotteschi dalla faccia lunare, sovente adornati con cappelli appuntiti, abbarbicati in cima ad un collo filiforme e sinuoso oppure arricciato a guisa di molla, sono un motivo decorativo talmente diffuso nella produzione miniata di matrice tolosana, al punto da divenirne un inconfondibile e durevole marchio31. E così pure un marchio della produzione miniata tolosana è rappresentato dalla testa di cicogna che stringe nel becco un cerchio d’oro, posata in cima ad un collo filiforme e sinuoso che si intreccia quasi a formare un fiocco, dipinta al f. 272v del Vat. lat. 1472 (tav. V)32. Un’opera del Maestro del Decreto di Avignone (Avignone, Biblioteca Municipale, ms. 659) L’apparato decorativo del manoscritto Vat. lat. 1472 segue dunque alcune soluzioni abituali in area tolosana. Ciò poggia, infatti, sul confronto delle miniature del codice vaticano con altre miniature realizzate in un prezioso esemplare del Decreto di Graziano, proveniente dal convento dei padri celestini di Avignone e oggi custodito nella Biblioteca Municipale di questa città, ms. 659 (tav. VI), collocato in un contesto di produzione occitano e più specificatamente tolosano e datato tra il 1340 e il 1350 da
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Cfr. MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., p. 119. Cf. RUSIUS, L’illustration du Décret de Gratien cit., vol. II, p. 406; L. RANDALL, Medieval and Renaissance Manuscripts in the Walters Art Gallery, I: France, 875-1420, Baltimore – London 1989, pp. 158-162, nr. 60, fig. 124, 125; F. AVRIL, Un élément retrouvé du bréviaire choral W. 130 de la Walters Art Gallery: le ms. N. a. lat. 2511 de la Bibliothèque nationale de France, in The Journal of the Walters Art Gallery 55/56 (1997/1998), pp. 123-134; BILOTTA, Le Décret de Gratien cit., pp. 11-16; EAD., Nouvelles considérations sur un manuscrit toulousain du Décret de Gratien reconstitué, in Le livre dans la région toulousaine et ailleurs au Moyen Âge, a cura di S. CASSAGNES-BROUQUET–M. FOURNIÉ, Toulouse 2010, pp. 73-83; EAD., Un artista ricomposto: il maestro del Decreto di Tolosa, in Alumina. Pagine miniate 29 (2010), pp. 24-29; EAD., Images dans les marges cit.; H. HARUNA-CZAPLICKI, Le décor des manuscrits de Bernard de Castanet et l’enluminure toulousaine vers 1300, in Mémoire de la Société archéologique du Midi de la France 48 (2008), pp. 227-281; BILOTTA, Nuovi elementi per la storia della produzione cit., p. 327. 32 Per la bibliografia riguardante questo elemento decorativo e la sua specificità tolosana si veda supra la nota 26. 31
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Patricia Stirnemann33. Infatti, in quest’ultimo manoscritto si rilevano molti elementi del tutto analoghi al Vat. lat. 1472 come la raffigurazione dei lineamenti dei personaggi, l’andamento molto allungato delle mani, dalle lunghe dita affusolate, le pettinature dei personaggi. Si confrontino, ad esempio il volto di Giovanni Balbi nel manoscritto vaticano con quello del vescovo che si rivolge alla comunità dei fedeli, appoggiandosi su una cattedra vuota, nella parte destra della miniatura che introduce la Causa III («Quidam episcopus a propria sede deiectus […]») al f. 129r del Decreto di Avignone (tav. VII). I tratti con i quali sono resi i lineamenti dei due personaggi, la linea del naso che prosegue ininterrotta a formare il sopracciglio sinistro, la linea curva del sopracciglio destro che si unisce con la linea della palpebra quasi a formare una V, l’andamento delle capigliature connotate da una caratteristica frangetta e da un’ondulazione terminante con un boccolo rivolto all’insù, sembrano essere quasi identici. Assai vicine sono anche, ad esempio, le fattezze della mano destra di Giovanni Balbi nel Catholicon vaticano e la mano destra del vescovo giudicante, nel riquadro miniato dipinto in corrispondenza dell’incipit della Causa XV («Quidam ecclesiasticus in crimine carnis lapsus […]») al f. 189v del Decreto di Avignone (tav. VIII). Tra i due codici si osservano interessanti analogie anche per ciò che riguarda gli indumenti del vestiario dei personaggi quali, ad esempio, il caratteristico berretto nero, sormontato da un fiocco rosso, indossato da Giovanni Balbi nella miniatura vaticana (tav. II) che si ritrova indossato ripetutamente anche da alcuni personaggi in numerose illustrazioni del Decreto avignonese (ai ff. 129r, 137v, 140r, 142v, 157v, 226v, 273v, 281v, tav. IX). I raffronti potrebbero continuare per verificare l’appartenenza dei due codici alla stessa mano. I due manoscritti sono anche apparentati dall’uso di una uguale gamma cromatica e dall’uso di un medesimo vocabolario decorativo impiegato per la realizzazione delle iniziali decorate come si evince chiaramente dal confronto fra l’iniziale D dipinta al f. 96v del Vat. lat. 1472 e l’iniziale Q al già menzionato f. 129r del ms. 659 di Avignone, nelle quali il corpo della lettera è percorso da identici motivi ornamentali in biacca, tracciati con un tratto elegante e accurato. Ancora, gli stessi motivi decorativi in biacca si incontrano anche 33 Cfr. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien cit. Le immagini del Decreto di Graziano avignonese sono disponibili on-line sul sito Bibliothèque Virtuelle des Manuscrits Médiévaux (BVMM) dell’Institut de Recherche et Histoire de Texte (IRHT) di Parigi al link seguente: https://bvmm.irht.cnrs.fr/resultRecherche/resultRecherche.php?COMPOSITION_ ID=10355 (ultima consultazione: 24 gennaio 2019). Le immagini di questo manoscritto sono anche disponibili nel catalogo on-line Initiale. Catalogue des manuscrits enluminés dell’Institut de Recherche et Histoire de Texte (IRHT) di Parigi al link seguente: http://initiale.irht.cnrs. fr/codex/633 (ultima consultazione: 27 gennaio 2019).
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nell’iniziale Q dipinta al f. 145v, all’incipit della Causa VII («Quidam longa invalitudine gravatus […]») del Decreto di Avignone, nella quale il campo interno della lettera è ornato da uno sfondo a scacchiera del tutto simile a quello della poc’anzi citata iniziale D dipinta al f. 96v del Vat. lat. 1472 (tav. X). Ancora, un linguaggio assai vicino, sebbene non identico, appare dal confronto fra la figura grottesca, di stampo tolosano, realizzata al f. 217r del Vat. lat. 1472 e quelle realizzate ai ff. 28r e 83r del Decreto di Graziano avignonese. Sulla base di tali confronti, il codice Vat. lat. 1472 andrebbe dunque collocato nel contesto figurativo tolosano della metà del XIV secolo e legato alla produzione del Maestro del Decreto di Avignone. I manoscritti della bottega del Maestro del Decreto di Avignone Alla mano del Maestro del Decreto di Avignone sono stati attribuiti da Patricia Stirnemann diversi manoscritti, la maggior parte dei quali di argomento giuridico34. Il primo di questi manoscritti è un Apparatus super Decretales, oggi conservato in Catalogna, nell’Archivio capitolare di Tortosa, ms. 18235. Quest’ultimo codice contiene la glossa ordinaria alle Decretali, scritta da Bernardo da Parma36 e nell’unico riquadro miniato ancora presente nel manoscritto (la quasi totalità delle miniature sono state purtroppo ritagliate in un’epoca imprecisata), al f. 159r37, si individuano alcune particolarità che lo avvicinano al Vat. lat. 1472 quali le capigliature e le acconciature dei personaggi, i tipi facciali, la resa delle mani, connotate da lunghissime dita, quasi innaturali, i motivi decorativi dello sfondo della miniatura, in parte quasi identici a quelli della miniatura al f. 1r del Vat. lat. 1472 (tavv. II, XI). Il secondo codice è un esemplare del Decreto di 34
Cfr. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien cit. Su questo manoscritto, segnalato ma non riprodotto da Dominguez Bordona, (vol. 2, n° 1803), si vedano anche E. BAYERRI BERTOMEU, Scheda nr. 182. Apparatus super Decretales (Lib. I-III), in Los Códices Medievales de la Catedral de Tortosa. Novíssimo inventario descriptivo, Barcelona 1962, 341; I. ESCANDELL PROUST, Scheda nr. 181, Apparatus super Decretales, in Catalunya Medieval, Catalogo della mostra, 1992, pp. 270-271 (in questa scheda il manoscritto è indicato come catalano); M. A. BILOTTA, Les manuscrits juridiques enluminés du Midi de la France au XIVe siècle : deux nouveaux exemplaires retrouvés en Espagne, in Culture religieuse méridionale: les manuscrits et leur contexte artistique, Toulouse 2016 (Cahiers de Fanjeaux 51), pp. 247-283: 258-259. 36 Bernardus Parmensis (de Botone), professore di diritto canonico a Bologna e cancelliere dell’università. Cfr. Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, 1912-2012, VIII, coll. 721-722; Dictionnaire de droit canonique, 1935-1965, II, coll. 781-782; O. CONDORELLI, s.v. Bernardo da Parma, in Dizionario Biografico dei Guiristi Italiani, I, Bologna 2013, pp. 230231. 37 Ringrazio Mn. Josep Alanyà, canonico archivista dell’Archivio Capitolare di Tortosa, per avermi fornito le immagini del ms. 182 di Tortosa. 35
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Graziano, attualmente custodito a Madrid, nella Biblioteca Nazionale di Spagna, Mss./1914938. Innegabili analogie tra quest’ultimo manoscritto e il Vat. lat. 1472 si rilevano nella resa delle fisionomie e dei profili dei personaggi come pure nella gestualità, come si evince, ad esempio, dal confronto fra la figura di Giovanni Balbi al f. 1r del Vat. lat. 1472 e la figura del vescovo nella miniatura dipinta in corrispondenza dell’incipit della Causa X («Incipit decima causa […]») al f. 155v del Decreto di Graziano di Madrid, Mss./19149 (tav. XII). Sempre nella Biblioteca Nazionale di Madrid è custodito un altro esemplare del Decreto di Graziano, Mss./1914839; quest’ultimo manoscritto, non recensito da Patricia Stirnemann, è stato rinvenuto e studiato nell’ambito del progetto scientifico HispaNord – De l’Espagne à l’Europe du Nord : les manuscrits français et flamands de la Biblioteca nacional de España (Madrid), coordinato Anne-Marie Legaré et Samuel Gras; anche quest’ultimo manoscritto, secondo Samuel Gras et secondo chi scrive, è stato miniato dal Maestro del Decreto di Avignone. Nel Mss./19148 (tav. XIII) ritroviamo anche il caratteristico berretto nero, sormontato da un fiocco rosso, indossato da Giovanni Balbi nella miniatura vaticana, berretto che, come abbiamo visto, si ritrova indossato da numerosi personaggi anche nel Decreto di Graziano, ms. 659, di Avignone (tavv. II, IX, XIII). Ancora, Patricia Stirnemann40 ha attribuito al Maestro del Decreto di Avignone il ms. 729 della Biblioteca Municipale di Reims41 (tav. XIV), che tramanda l’Apparatus in Sextum Librum, scritto da Giovanni d’Andrea nel 1326 e l’Apparatus in Clementinas, anch’esso opera di Giovanni d’Andrea42. In quest’ultimo manoscritto, in corrispondenza dell’explicit dell’Apparatus in Sextum Librum, si legge un’iscrizione al f. 120r, in parte erasa, 38
Cfr. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien cit. Ringrazio Samuel Gras per avermi fornito sulle informazioni del Mss./19149 di Madrid. Quest’ultimo manoscritto è citato anche da Alison Stones: cfr. A. STONES, Illuminated Manuscripts of Popes Clement V and John XXII: Toulouse or Avignon?, in Rivista di Storia della Miniatura 17 (2013), 83-94: 93 nota 52. 39 Le immagini di questo manoscritto sono disponibili on-line sul sito Biblioteca Digital Hispánica al link seguente: http://bdh-rd.bne.es/details.vm?o=&w=Mss.+19148&f=&g=load& g=work&lang=es&view=main&s=0 (ultima consultazione 27 gennaio 2019) 40 Cfr. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien cit. 41 Le immagini in bianco e nero del Apparatus ms. 729 della Biblioteca Municipale di Reims sono disponibili on-line sul sito Bibliothèque Virtuelle des Manuscrits Médiévaux (BVMM) dell’Institut de Recherche et Histoire de Texte (IRHT) di Parigi al link seguente: https://bvmm.irht.cnrs.fr/resultRecherche/resultRecherche.php?COMPOSITION_ID=13755 (ultima consultazione: 27 gennaio 2019). Ringrazio Frédéric Mongin, “Responsable des collections locales et iconographiques et du service numérisation” della Biblioteca Municipale di Reims, per avermi fornito le immagini a colori di questo manoscritto. 42 Su Giovanni d’Andrea si consulti A. BARTOCCI, s.v. Giovanni d’Andrea, in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani, I, Bologna 2013, pp. 1008-1012.
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nella quale è indicata una data: «anno domini MCCCXL co(rrectus)»43. Un’altra analogia che unisce il codice Vat. lat. 1472 al gruppo dei manoscritti del Maestro del Decreto di Avignone, in particolare in questo caso all’Apparatus di Reims, è costituito dalla fattura delle fogliettine trilobate che adornano le iniziali decorate e che ricorrono del tutto simili nel Catholicon vaticano e nell’appena citato Apparatus di Reims (tavv. III, IV, X, XIV). Secondo Patricia Stirnemann la realizzazione dell’apparato illustrativo e decorativo del manoscritto di Reims non dovrebbe essere molto lontana dall’anno della correzione del testo, ossia dal 1340, mentre l’esecuzione del Decreto di Graziano di Avignone si collocherebbe leggermente più tardi44. Infine, l’ultimo dei manoscritti ricondotti da Patricia Stirnemann al Maestro del Decreto di Avignone è costituito dalla prima unità codicologica (ff. 1r-99v; Salterio feriale e litanie) del Breviario, ms. 77, conservato nella Biblioteca Municipale di Tolosa, proveniente dalla biblioteca del convento domenicano di questa città, nella quale il nostro miniatore avrebbe realizzato le iniziali istoriate e decorate45. Laura Alidori Battaglia ha rinvenuto in alcuni fogli (ff. 12v, 36v, 60v) di questa unità codicologica, lo stemma del cardinale Bertrando del Poggetto46. Tale stemma ha permesso alla studiosa di ipotizzare che il manoscritto sia stato illustrato e decorato a Avignone, aggiungiamo noi da artisti di formazione tolosana, per conto del cardinale Bertrando o, forse, per il fratello Gallardo (Gualhardus de Pogeto, lector
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Cfr. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien cit. Ibid. 45 Cfr. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien cit. Su questa unità codicologica del manoscritto 77 di Tolosa si veda A. STONES, Les dominicains et la production manuscrite à Toulouse aux environs de 1300, in Le Parement d’autel des Cordeliers de Toulouse. Anatomie d’un chef-d’œuvre du XIVe siècle, Catalogo della mostra (Tolosa, Musée Paul-Dupuy, 15 marzo – 18 giugno 2012), a cura di M. A. BILOTTA, M.-P. CHAUMET-SARKISSIAN, Paris 2012, pp. 51–57: 51; EAD., Gothic Manuscripts 1260-1320, London–Turnhout 2014 (A Survey of Manuscripts Illuminated in France), vol. II,1, Cat. VII-38, pp. 240–242. Le immagini del Breviario domenicano ms. 77 della Biblioteca Municipale di Tolosa sono disponibili on-line sul sito Bibliothèque Virtuelle des Manuscrits Médiévaux (BVMM) dell’Institut de Recherche et Histoire de Texte (IRHT) di Parigi al link seguente: https://bvmm.irht.cnrs.fr/resultRecherche/resultRecherche.php?COMPOSITION_ID=26 (ultima consultazione: 27 gennaio 2019). 46 Cfr. L. ALIDORI BATTAGLIA, Libri di lettori, libri di prelati: tre manoscritti toscani nella biblioteca dei domenicani di Tolosa e una commissione di Bertrando del Poggetto, in Il codice miniato in Europa. Libri per la chiesa, per la città, per la corte, a cura di G. MARIANI CANOVA, A. PERRICCIOLI SAGGESE, Padova 2014, pp. 223–242: 241–242. Su Bertrando del Poggetto si veda P. JUGIE, Un Quercynois à la cour pontificale d’Avignon: le cardinal Bertrand du Pouget (v. 1280–1352), in La papauté d’Avignon et le Languedoc (1316–1342), Toulouse 1991 (Cahiers de Fanjeaux, 26), pp. 69–95; BILOTTA, Nuovi elementi per la storia della produzione cit., pp. 330-331. 44
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Tholosanus47), frate domenicano, lettore di teologia a Tolosa fino al 1322, in seguito maestro del sacro palazzo di Avignone fino al 132848. Se consideriamo valida l’ipotesi di Laura Alidori Battaglia secondo la quale il Breviario domenicano ms. 77 di Tolosa sia stato commissionato da Bertrando del Poggetto ad Avignone, ciò sembrerebbe ulteriormente corroborare l’ipotesi che ad Avignone, durante il pontificato di Giovanni XXII, fossero attivi miniatori di formazione tolosana. La presenza di influenze provenienti dal sud-ovest della Francia nella miniatura avignonese era stata anche evidenziata da chi scrive nell’ambito della produzione miniata risalente al pontificato di Giovanni XXII (1316-1334)49. Se consideriamo invece valida la seconda ipotesi formulata dalla studiosa, secondo la quale il Breviario domenicano di Tolosa sarebbe stato miniato per conto del fratello di Bertrando del Poggetto, Gallardo, è anche possibile supporre che quest’ultimo possa aver commissionato la decorazione del Breviario ms. 77 di Tolosa negli anni ’20 del XIV secolo a Tolosa stessa, dove egli risiedeva e insegnava teologia; quest’ultima ipotesi supporterebbe quella di Patricia Stirnemann, secondo la quale il Breviario domenicano, ms. 77, di Tolosa sarebbe stato molto probabilmente miniato a Tolosa ad uso del convento dei Jacobins della città50. Conclusioni In conclusione, sulla base dei confronti istituiti in questa sede tra l’apparato decorativo e illustrativo del codice Vat. lat. 1472 e i manoscritti legati stilisticamente al miniatore di formazione tolosana che abbiamo designato in questa sede come Maestro del Decreto di Avignone, ci sembra possibile attribuire l’esecuzione di tale apparato a quest’ultimo miniatore, così nominato per aver illustrato, come abbiamo visto, l’esemplare del Decreto di Graziano ms. 659 della Biblioteca Municipale di Avignone. L’attività di questo valente e raffinato illustratore di formazione tolosana si è svolta, come abbiamo esposto poc’anzi, a cavallo tra gli anni ’20, 47 C. DOUAIS, Les Frères prêcheurs en Gascogne au XIIIe et au XIVe siècle: chapitres, couvents et notices / documents inédits publiés pour la Société historique de Gascogne par C. Douais […], Paris 1885, p. 187 (l’opera è disponibile on-line sul sito Gallica della Biblioteca Nazionale di Francia al link seguente: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k208763z/f1.image. texteImage [ultima consultazione: 27 gennaio 2019]); cfr. ALIDORI BATTAGLIA, Libri di lettori, libri di prelati cit., p. 242, nota 51. 48 Cfr. ALIDORI BATTAGLIA, Libri di lettori, libri di prelati cit., 242. 49 Cfr. M. A. BILOTTA, Quelques remarques stylistiques sur les manuscrits peints du pape Jean XXII, Jean XXII et le Midi, a cura di M. FOURNIÉ, D. Le BLÉVEC, Toulouse 2012 (Cahiers de Fanjeaux, 45), pp. 573-614. 50 Cfr. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien cit.
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ai quali risalirebbe, secondo gli studi di Laura Alidori Battaglia51, l’esecuzione dell’apparato illustrativo del Breviario domenicano, ms. 77, della Biblioteca Municipale di Tolosa, e gli anni ’40-’50 del XIV secolo, ai quali risalirebbe, secondo gli studi di Patricia Stirnemann52, l’esecuzione delle miniature dell’Apparatus, ms. 729 della Biblioteca Muncipale di Reims e del Decreto di Graziano, ms. 659 della Biblioteca Muncipale di Avignone. Le analogie formali istituite in queste pagine tra le miniature del Vat. lat. 1472 e quelle del Decreto di Graziano, ms. 659 della Biblioteca Municipale di Avignone e del Decreto di Graziano, Mss./19149, della Biblioteca Nazionale di Spagna che, presenta un frontespizio miniato e uno stile del tutto simile a quello del ms. 659 di Avignone (e che per tale ragione può essere attribuito allo stesso miniatore e datato negli stessi anni), fanno propendere per una datazione delle miniature del codice Vat. lat. 1472 tra gli anni ’40 e ’50 del XIV secolo. Tale ipotesi di datazione trova conferma nell’analisi paleografica del Catholicon vaticano, secondo la quale, come abbiamo visto, i numeri usati per indicare il numero delle iniziali decorate sono compatibili con la metà circa del secolo XIV (in particolare la forma del 7 è molto arcaica e scompare poco dopo la metà del ’300). Per quanto riguarda infine la localizzazione del Vat. lat. 1472, è possibile formulare due ipotesi circa il luogo dove questo manoscritto avrebbe ricevuto la sua decorazione miniata. Se consideriamo valida l’ipotesi formulata da Patricia Stirnemann, secondo la quale il Maestro del Decreto di Avignone avrebbe operato a Tolosa, possiamo supporre che il codice Vat. lat. 1472 sia stato miniato in questa città. Se consideriamo invece valida l’ipotesi formulata da Laura Alidori Battaglia, secondo la quale l’attività del miniatore si sarebbe svolta, almeno in parte, ad Avignone, dove avrebbe realizzato la decorazione della prima unità codicologica del Breviario domenicano, ms. 77, della Biblioteca Municipale di Tolosa, potremmo supporre che il manoscritto Vat. lat. 1472 sia stato miniato ad Avignone. Quest’ultima ipotesi di localizzazione si accorderebbe con quella formulata da Francesca Manzari che indicava appunto in Avignone il luogo realizzazione del Catholicon vaticano. Queste ultime osservazioni mostrano bene quanto stretti dovettero essere i legami e le connessioni tra Tolosa e Avignone nella prima metà del XIV secolo anche per ciò che concerne la produzione e la decorazione dei manoscritti. Proprio tali nessi facilitarono e incentivarono, nelle due città, la produzione di codici di notevole tenore qualitativo, frutto dell’incontro tra maestranze e committenze e delle sinergie che da tale incontro si svi51 52
Cfr. ALIDORI BATTAGLIA, Libri di lettori, libri di prelati cit., pp. 241-242. Cfr. STIRNEMANN, Scheda nr. 32. Décret de Gratien cit.
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lupparono, dando vita così a eclettici linguaggi pittorici che trassero nutrimento dal fecondissimo e vicendevole scambio di conoscenze, esperienze e suggestioni.
Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 47r.
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 1r.
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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 28r.
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Tav. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 217r.
Tav. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 272v.
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Tav. VI – Avignon, Bibliothèque municipale, ms. 659, f. 2r (cliché IRHT).
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Tav. VII – A sinistra: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 1r. A destra: Avignon, Bibliothèque municipale, ms. 659, f. 1r (cliché IRHT).
Tav. VIII – A sinistra: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 1r. A destra: Avignon, Bibliothèque municipale, ms. 659, f. 189v (cliché IRHT).
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Tav. IX – A sinistra: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 1r. A destra: Avignon, Bibliothèque municipale, ms. 659, f. 129r (cliché IRHT).
Tav. X – A sinistra: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 96v. A destra: Avignon, Bibliothèque municipale, ms. 659, f. 145v (cliché IRHT).
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Tav. XI – Tortosa, Arxiu de la catedral, ms. 182, f. 159r (© Tortosa, Arxiu de la catedral).
Tav. XII – A sinistra: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1472, f. 1r. A destra: Madrid, Biblioteca Nacional de España, Mss./19149, f. 155v (© Biblioteca Nacional de España).
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Tav. XIII – Madrid, Biblioteca Nacional de España, Mss./19148, f. 1r (© Biblioteca Nacional de España).
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Tav. XIV – Reims, Bibliothèque municipale, ms. 729, f. 124r (© Bibliothèque municipale de Reims).
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Tav. XV – Madrid, Biblioteca Nacional de España, Mss./19149, f. 1r (© Biblioteca Nacional de España).
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NOTE SUI PRIMI INVENTARI DEI LIBRI STAMPATI DELLA VATICANA (1608-1611 CIRCA): VAT. LAT. 6446 + VAT. LAT. 14477 Nei primi anni del Seicento, all’inizio del pontificato di Paolo V, una volta trasferito definitivamente il materiale librario nella nuova sede costruita da Sisto V1 e disponendo ormai di ampia disponibilità di spazio, alla Biblioteca Vaticana venne deciso che l’entità della collezione dei libri stampati, ormai sistemata nel suo complesso e disposta in armadi individuali, contigui a quelli dei manoscritti, doveva essere servita da un’inventariazione più sistematica e che era il momento di intraprendere la compilazione un inventario completo. Un inventario degli stampati, ormai perduto, già esisteva2, ma si decise di aggiornarlo. Ciò derivò probabilmente dal massiccio ingresso di raccolte di impressi proprio verso la fine del Cinquecento, quella di Aldo Manuzio il Giovane il 24 ottobre 15973 e quella di Fulvio Orsini il 18 maggio 1600, meno numerosa ma ricca di incunaboli4, oltre a quella di Tommaso Sirleto, nipote del card. Guglielmo, consistente di 14 cassoni di stampati5, e quella di Alonso Chacón6, ma a tale decisione 1 Il trasporto dei libri fu messo in atto tra il settembre 1590 e il marzo 1591, dopo la morte di Sisto V. 2 Cfr. T. PESENTI, Gli stampati: la formazione della “Prima Raccolta” e i suoi cataloghi, in La Vaticana nel Seicento (1590-1700). Una biblioteca di biblioteche a cura di C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2014 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 3), p. 565. 3 Dei quasi 10.000 esemplari della biblioteca vennero scelti 1564, oltre a manoscritti, di gran lunga il maggior afflusso di stampati dalla fondazione della Vaticana. La lista si trova nel Vat. lat. 7121, ff. 8r-48v. La questione dei volumi della biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane acquisiti dalla Vaticana è trattata in profondità da A. SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane, Milano 2007, pp. 133-147 e pp. 362-390 dove è trascritta la lista dei libri scelti per la Vaticana; cfr. anche M. CERESA, Acquisizioni e ordinamento degli stampati nel corso del Cinquecento, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2), p. 95, Scheda 2. 4 Constava di 229 stampati: cfr. G. BELTRANI, I libri di Fulvio Orsini nella Biblioteca Vaticana, Roma 1886; DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini cit., Paris 1887. 5 Per l’arrivo di queste collezioni e altre minori cfr. F. PIGNATTI, Cesare Baronio studioso e la Vaticana, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica cit., p. 209; PESENTI, Gli stampati cit., pp. 545-547. 6 L’inventario degli stampati di Chacón, Vat. lat. 8185, pt. 2, ff. 379r-388r, fu eseguito da Marino Ranaldi. La raccolta era costituita da 235 esemplari, 96 in folio, 109 in 4°, 30 in 8°.
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 33-52.
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non dovette essere alieno il grave incendio che nel 1605 provocò danni alle collezioni7. Paolo V, inoltre, era orientato a una divisione netta delle collezioni tra materiale d’archivio, manoscritti e stampati8, e per questi ultimi, che ormai raggiungevano il numero di quattromila e oltre, sembrò utile e necessario offrire nuovamente un punto fermo con un inventario. All’inizio del Seicento la Vaticana aveva ancora in organico i nipoti di Federico Ranaldi, il custode che nel corso del Cinquecento aveva quasi dominato la scena della biblioteca: Domenico, Marino e il loro nipote Alessandro9. La morte quasi contemporanea di Domenico10 e Marino11 nel 1606, lasciava sulla scena il solo Alessandro, dato che un altro Ranaldi, Giuseppe, nominato invece di Domenico, fu rimosso dall’ufficio dopo pochi mesi. La famiglia, la cui influenza verso la fine del Cinquecento era stata considerata persino eccessiva e fastidiosa da alcuni ufficiali di biblioteca12, si riduceva quindi al solo Alessandro, che rimase al servizio della Vaticana fino al 1645. A lui fu affidata, accanto ad altri compiti riguardanti gli inventari dei manoscritti, la stesura del primo inventario degli stampati della Vaticana dopo il trasferimento della sede. Alessandro Ranaldi decise di compilare l’inventario in ordine di numero di collocazione all’interno di quello generale alfabetico, cioè all’interno di ogni lettera l’ordine era numerico. Questa sistemazione comportava, purtroppo, che le opere di uno stesso autore non erano elencate insieme. Nella citazione, al numero di collocazione segue il nome di battesimo e il cognome degli autori o la prima parola dei titoli, titolo breve13, formato, note tipografiche, ma prive del nome del tipografo, e indicazione dell’armadio 7 Da una bottega di falegname sottostante la Biblioteca il fuoco raggiunse il Salone Sistino e si propagò tra banchi e armadi. Il personale fu costretto a gettare libri dalla finestra per salvarli, danneggiandone comunque un numero considerevole, data l’altezza. 8 Cfr. W. J. SHEEHAN, Bibliothecae Apostolicae Vaticanae incunabula, vol. I A-C, Città del Vaticano 1997 (Studi e testi 380), p. XXXI. 9 Iniziò a lavorare alla Vaticana nel giugno 1602 come coadiutore dello zio Marino e fu assunto come secondo custode alla morte di quello nel 1606. Rimase nell’ufficio sino al 1645. Per l’attività dei Ranaldi, quali custodi della Vaticana, cfr. G. MERCATI, Opere minori, III (1907-1916), Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 78), pp. 256-262; A. DI SANTE – A. MANFREDI, I Vaticani latini: dinamiche di organizzazione e di accrescimento tra Cinque e Seicento, in La Vaticana nel Seicento cit., pp. 468-472. 10 13 agosto 1606. 11 28 maggio 1606. 12 Gli scriptores, in particolare; cfr. M. A. VISCEGLIA, La biblioteca tra Urbano VII (5-27 sett. 1590) e Urbano VIII (1623-1644): cardinali bibliotecari, custodi, scriptores, in La Vaticana nel Seicento cit., pp. 87-89. 13 È la parte più debole e fuorviante della citazione ai fini del reperimento dell’edizione. Ranaldi dava pochissime parole del titolo, che non erano nemmeno le prime e spesso lo cambiava totalmente.
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dove era custodito il volume. Questo primo tentativo sfociò nel Vat. lat. 6446 (Tav. I)14. In seguito15 Ranaldi si pentì, o ci furono rimostranze per un inventario dove le opere di uno stesso autore non erano contigue e che non doveva essere molto funzionale e decise o forse ricevette l’ordine di rifare il tutto. Compilò quindi un nuovo inventario, il Vat. lat. 14477 (Tav. II)16, dove l’ordine delle citazioni è alfabetico per nome di battesimo, in modo che le opere di uno stesso autore erano raggruppate insieme. Se Ranaldi si sottopose alla pena di riscrivere tutto il manoscritto con queste poche, ma dal punto di vista del reperimento e organizzativo essenziali, differenze, il problema dovette essere sentito come particolarmente evidente e sensibile. Il risultato è che i due manoscritti sono inesorabilmente vincolati, è quasi impossibile usare il primo senza verificare col secondo, anche perché le condizioni di conservazione del Vat. lat. 6446, che a tratti è appena decifrabile perché è svanito l’inchiostro, sono pessime, mentre il Vat. lat. 14477 è in ottime condizioni, con scrittura chiara e leggibile. Il Vat. lat. 6446, in fine, ai ff. 130r-140r, riporta l’elenco dei volumi dell biblioteca di Paolo V, circa 500 esemplari, dei quali viene data soltanto la citazione bibliografica priva di numero di collocazione e di indicazione di armadio. L’inventario del Ranaldi, peraltro, non doveva rappresentare tutta la collezione degli stampati presenti alla Vaticana intorno alla data della compilazione. Nella pianta degli armadi dove erano contenuti manoscritti e stampati offerta da Pierre Petitmengin17, nelle stanze al termine del Salone Sistino18, oltre ai quattro armadi presi in considerazione da Alessandro Ranaldi (nella “camera prima secreta” il terzo e quarto della parte destra e il terzo e quarto della parte sinistra)19, è infatti indicato un altro armadio contenente stampati, il nono dalla parte destra della “camera ultima secreta”, che insieme al settimo e all’ottavo ospitavano la biblioteca di Fulvio Orsini giunta alla Vaticana il 18 maggio 160020. Alcune delle maggiori 14
Presenta sulla seconda carta di guardia prove di scrittura, tra le quali un’apparente firma di Andronico Spinelli. Restaurato con copertura di velina, è pressoché illeggibile per gran parte. Sul Vat. lat. 6446, cfr. PESENTI, Gli stampati cit., pp. 566-567. 15 Tra il 1609 e il 1610 secondo PESENTI, Gli stampati cit., p. 567. 16 Sul Vat. lat. 14477 cfr. PESENTI, Gli stampati p. 567. 17 P. PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation de la Bibliothèque Vaticane à l’époque des Ranaldi (1547-1645), in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de l’École Française de Rome 2 (1963), tableau 3, riproposto in CERESA, Acquisizioni cit., fig. 2. 18 Per un’accurata descrizione degli ambienti, cfr. PETITMENGIN, Recherches cit., pp. 600601; PESENTI, Gli stampati cit., p. 567. 19 Questi ultimi nella pianta suddetta hanno i numeri 24 e 25. 20 Alcuni volumi nell’inventario del Ranaldi, peraltro, risultano appartenuti a Fulvio Orsini, anche se Petitmengin riteneva che non vi fossero stati inseriti (PETITMENGIN, Recherches cit., p. 603; così anche PESENTI, Gli stampati cit., p. 566).
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edizioni, inoltre, volumi stampati su pergamena21, incunaboli22 e volumi di particolare fattura ed origine23, erano insieme ai manoscritti negli armadi ad essi dedicati. Il loro numero, peraltro, non sembra molto elevato24. La revisione del Vat. lat. 6446, il Vat. lat. 14477, compilato da Alessandro Ranaldi, riporta sulla copertina: “Indice alfa[be]tico dei libri stampati de la I Raccolta rispondente all’inventario di Ranaldi A. Vat. lat. 6446 in migliore ordine alfabetico che il Vat. lat. 6446”, oltre alla nota “Scritto prima del anno 1608”25. La mano che ha scritto i due inventari è di Alessandro Ranaldi stesso26: nonostante le molte imprecisioni, lacune ed errori, in complesso i due inventari risultano affidabili e più orientati a evidenziare aspetti filologici (i commentatori, le note manoscritte), mentre le note sulla fattura degli esemplari (legatura), sono assenti o ridotte al minimo. Le citazioni del Ranaldi sono strumentali al reperimento delle opere, come d’altra parte si richiedeva a un inventario del posseduto di una biblioteca come la Vaticana, lasciando ad altri di sviluppare gli aspetti bibliologici. È anche opportuno notare che si tratta di un lavoro formidabile, pur con i suoi difetti, inevitabili in un’impresa di tale difficoltà ed enormità, apparentemente condotta da una sola persona, una vera pietra miliare nell’inventariazione degli stampati della Vaticana. La lingua dell’inventario è il latino, anche se i libri in volgare vengono riportati nel medesimo e di quelli in altre lingue Ranaldi traduce il titolo in italiano, specificando la lingua dell’originale. Questo rende difficile l’identificazione di tali titoli, mentre la traduzione latina dei titoli greci risulta ancora più fuorviante. Assai complicata l’identificazione dei nomi degli autori arabi. Spesso le uniche coordinate di ricerca rimangono il nome di battesimo dell’autore e la data di edizione. 21 Tra questi una copia della Bibbia Complutense, stampata in 5 volumi ad Alcalà de Henares negli anni 1514-1517, allora Vat. lat. 2-7, ora Membr. I.7-12; una delle Bibbie quadrilingue stampata ad Anversa in 8 volumi tra il 1569 e il 1571, allora Vat. lat. 8-16, ora Membr. S. 1-9; la Translatio S. Hieronymi epistulae cum praefatione Ioannis Andreae, Romae 1468, allora Vat. lat. 233, ora Membr. S.18-19; Paolo Cortesi, Quatuor libri sententiarum ad Iulium II Pont. Max., Romae 1504, allora Vat. lat. 1103, ora Membr. II.13. 22 Eusebii praeparationes evangelicae libros I-XIV, interprete Georgio Trapezunzio, Venezia 1470, allora Vat. lat. 233, ora Inc. II.7; il Repertorium juris di Giovanni Bertacchini, Roma 1481, allora Vat. lat. 2354-2356, ora Inc. S.22-24. 23 I Vat. lat. 3771 e 7772, Historia idiomate ac caractheribus Cinae. Ex corticibus more Cinensium liber impressus, ora R. I III.332 e R. I III.333; i Vat. lat. 3800 e 3801, due copie della Guia do peccador liber inscriptus litteris Japonicis stampata nel Collegio Nipponico di Macao, ora R. I III.340-341. 24 Circa trenta volumi a una prima scorsa degli inventari. 25 Che dovrebbe fare riferimento al Vat. lat. 6446. 26 Da un confronto con due suoi autografi in Arch. Bibl. 29, ff. 207r, 208r (ricevute).
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NOTE SUI PRIMI INVENTARI DEI LIBRI STAMPATI DELLA VATICANA
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Il cognome, o ciò che segue il nome di battesimo, rimane ancora incerto e spesso non rintracciabile, se non dopo accurate ricerche. L’ordine alfabetico scelto da Alessandro Ranaldi è quindi per nome di battesimo, sebbene per alcuni autori si verifichino rari rimandi incrociati per cognome. All’interno della sequenza alfabetica dei vari nomi, nel Vat. lat. 14477 l’ordine è per cognome. Peraltro, nel medesimo manoscritto, dove la citazione è in italiano si verificano inserzioni dei nomi in luoghi differenti rispetto alle citazioni latine. L’esempio più evidente è “Girolamo – Hieronymus”, confermato da altri esempi simili27. Inoltre Ranaldi a volte fa confusione tra autori omonimi, attribuendo allo stesso autore con un “eiusdem” opere in realtà di autori diversi. La maggior parte dei volumi esaminati nei due inventari ha finito per confluire nella Raccolta Prima, erede della Prima Raccolta. Allo stato attuale delle ricerche, dall’esame degli esemplari e dalle serie costanti di segnature che s’incontrano nei fogli di guardia, copertine e frontespizi di essi, si può ipotizzare con un certo margine di certezza che gli esemplari dell’inventario con attuale segnatura di Raccolta Prima siano gli stessi che aveva collazionato il Ranaldi. La collezione, infatti, ereditò direttamente i volumi della Prima Raccolta, creata alcuni decenni dopo l’inventario del Ranaldi. L’antica segnatura di Prima Raccolta, rintracciabile negli esemplari, sia sul dorso che nella prima carta di guardia, prevedeva un semplice numero arabo progressivo: la Raccolta venne in seguito (nella seconda metà dell’Ottocento) riorganizzata per formato, espresso in numero romano, e per numeri arabi progressivi all’interno del formato, andando a formare la Raccolta Prima. Le segnature reperite negli esemplari esaminati citati nei due inventari rispecchiano l’andamento cronologico delle vicende inventariali della Vaticana nel Seicento. Manca negli esemplari, tranne rarissime eccezioni, il numero dei due inventari, vigente al tempo di Alessandro Ranaldi, che probabilmente non era riportato nei volumi28. È presente molto spesso il numero conferito da Andronico Spinelli negli inventari degli stampati da lui compilati intorno al 1620: esattamente come Alessandro Ranaldi, Spinelli redasse un primo inventario, il Vat. lat. 1447629, per poi rivederlo 27 Adriano-Hadrianus; Agostino-Augustinus; Aloysius-Luigi; Filippo-Philippus; GiulioJulius; Giuseppe-Josephus. 28 Se non forse in forma di cartigli volanti. 29 Andronico Spinelli, prima del 1620. L’ordine alfabetico è per autori e titoli, ma piuttosto confuso: all’interno della stessa lettera l’ordine è per numero di collocazione, ma non continuo, con l’indicazione degli armadi. Le segnature arrivano a 5041. Vi sono indicazioni di camera, così si capisce che nella prima camera vi erano 10 armadi contenenti stampati, nella seconda 14 e in un’altra stanza, forse la seconda Paolina, 6. In tutto si passa a 30 armadi, dai quattro dove erano contenuti i volumi registrati da Alessandro Ranaldi.
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e riordinare il tutto in ordine alfabetico nel Vat. lat. 1447830. Eppure Spinelli deve aver avuto davanti agli occhi l’esperienza precedente dell’altro, oltre al fatto che i due erano colleghi e avranno sicuramente comunicato sul modo di procedere con un nuovo inventario. Il numero di collocazione degli inventari dello Spinelli era apposto nei volumi con un’etichetta in testa al dorso dei volumi, di cm 4,5 × 2,4, con motivi lignei nerastri su fondo bianco, all’interno della quale il numero di collocazione fu scritto in colore rosso. Spesso tale etichetta si è staccata, ma se ne vedono ancora le tracce sul dorso delle copertine di pergamena. A volte sull’etichetta rimasta si trova una numerazione successiva, sovrascritta in inchiostro nero sul numero in rosso di Spinelli, quella di I Raccolta. Tale numero, confermato definitivamente nei Vat. lat. 14748-14749 compilati nel 1696 dal custode Giorgio Grippari, è presente quasi sempre a penna sul dorso del volume e sempre, a parte rare eccezioni, nella prima carta di guardia, spesso barrato. Infine, in testa al frontespizio dei volumi sono presenti, scritti a penna, i numeri di una divisione dei volumi in sacri e profani eseguita dal custode Alessandro Pellegrini nel 1651-165231, che peraltro, si può dire fortunatamente, non ebbe l’effetto di una totale riorganizzazione dei volumi secondo tali numeri. Tale numero è costantemente barrato. Numerosi esemplari presentano l’attuale segnatura Aldine. Un confronto tra gli elenchi del Vat. lat. 7121, che riporta la lista dei libri selezionati per la Vaticana dalla biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane e i due manoscritti che riportano l’inventario, ha dimostrato che erano stati quasi tutti accessionati e inseriti negli armadi, con l’eccezione di un gruppo di volumi di carattere giuridico (ff. 30v-31r). Il numero degli esemplari elencati raggiunge la cifra di 400932, che però non corrisponde al numero reale delle unità bibliografiche, perché 350 numeri fanno riferimento a miscellanee, prevalentemente composte di 2 o 3 interni, ma in alcuni casi con un maggior numero, fino a una di 15 interni33. Gli esemplari compresi nelle miscellanee sono 63434, che fanno 30
Andronico Spinelli, prima del 1620. Ristabilisce l’ordine alfabetico. I volumi salgono a 5544 e si aggiungono 2 armadi, che così divengono 32. Nel catalogo vengono identificati i doppi, indicati con una croce o un tratto di sanguigna. 31 Vat. lat. 14485. 32 Nel Vat. lat. 14477; nel Vat. lat. 6446 risultano 4006 numeri. 33 Le miscellanee erano raccolte secondo formati e argomenti. Il n. 200, ad es., comprendeva sette interni stampati in folio, tutti riguardanti visioni mistiche, tre delle quali di donne; il n. 788 comprendeva ben 15 interni, in folio, riguardanti sacramenti e uffici divini; il n. 1047 aveva 9 interni in 4°, riguardanti pronostici e profezie; il n. 1354 aveva 8 interni in 4°, riguardanti principato, repubblica e governo. 34 Escluso il primo, segnalato con citazione completa nell’inventario.
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salire a 4643 il numero delle unità bibliografiche descritte da Alessandro Ranaldi35. Per gli interni di miscellanea, ma forse sarebbe meglio dire per opere legate insieme, sono presenti citazioni per nome di autore, o per titolo, con rimandi al numero di collocazione e al primo interno della miscellanea (Tav. III). Per tali opere Alessandro Ranaldi decise di non inserire mai, tranne poche eccezioni, le note tipografiche: evidentemente riteneva che, ai fini del reperimento, fosse sufficiente offrire le coordinate bibliografiche del primo interno, del quale viene data la citazione completa. Questo rende assai difficile l’identificazione degli altri interni, anche per la tendenza costante del Ranaldi ad alterare e abbreviare i titoli al minimo indispensabile. Così spesso tali citazioni presentano un autore, un titolo breve, poche volte il formato e raramente il luogo e l’anno di edizione, insieme al rimando al primo interno della miscellanea e al suo numero. Le coordinate offerte sono spesso insufficienti ad identificare l’edizione, per non parlare dell’esemplare vaticano. Allo stesso modo, contrariamente alle altre citazioni, manca l’indicazione dell’armadio dove si trovavano i vari interni di miscellanea36. I libri si trovavano, come detto, in quattro armadi, ognuno dei quali conteneva tra 700 a 1240 numeri37. Difficile immaginare la grandezza degli armadi, che forse si estendevano in altezza oltre che in lunghezza. Il Ranaldi indica costantemente, in fine di citazione, l’armadio dove si trovava l’esemplare, tranne che, come detto, per quelli inseriti in miscellanee. Al f. 34 del Vat. lat. 14477, n. 2374, dopo l’indicazione di “armadio 3, a sinistra” in fine di citazione si trova un’indicazione “in libreria varia”. Gli incunaboli identificati nell’inventario38 sono al momento 18039, un numero piuttosto ridotto e con gravi mancanze, anche se alcuni incunaboli, come detto, si trovavano insieme ai manoscritti, pur in numero assai limitato. Gli incunaboli presenti nell’inventario non sembrano oggetto di particolare cura bibliografica e spesso sono inseriti in miscellanee. La grande maggioranza dei volumi era scritta in lingua latina o greca (4050 esemplari circa); dei volumi in lingua vernacola, l’italiano natural35
Il catalogo a stampa della Bodleiana stampato qualche anno prima, tra il 1598 e il 1605, elenca 8700 volumi stampati, quasi il doppio della Vaticana. 36 Che peraltro è facilmente identificabile dal numero dell’esemplare. 37 Armadio 3, destra, 1-700; armadio 4, destra, 701-1669 (968 numeri); armadio 3, sinistra, 1670-2910 (1240 numeri); armadio 4, sinistra, 2911-4009 (1098 numeri). 38 Considerando ancora valido il limite del 1500 come anno di stampa, per pura questione di metodo. 39 Dato che la trascrizione dei due inventari non è ancora terminata è probabile che tale numero salga ancora di qualche unità.
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mente guida con circa 570 volumi, mentre i volumi in altre lingue sono veramente pochi: diciassette circa i francesi, undici gli spagnoli, due sono in lingue slave, uno solo in lingua tedesca, apparentemente nessuno in lingua inglese. Difficile capire se vi fossero volumi in lingua ebraica, l’inventario non lo mostra chiaramente: forse erano custoditi altrove. Detto già dell’acquisizione di intere collezioni, per lo più mancano nei volumi esaminati note di provenienza, soprattutto nelle cinquecentine, mentre gli incunaboli offrono maggiori notizie sui possessori40. Almeno un volume presenta la nota di provenienza dalla collezione del card. Ferry de Clugny, risalente al 148341. Per quanto riguarda le raccolte maggiori acquisite dalla Vaticana, l’inventario comprende alcuni volumi della biblioteca di Fulvio Orsini, soprattutto incunaboli42. Con tale raccolta, in via indiretta, giunsero alla Vaticana le collezioni di altri illustri possessori, raccolte dall’Orsini, tra i quali soprattutto Scipione Forteguerri43. Alcune citazioni occasionali, accompagnate da numeri relativi, rimandano a volumi di Marcello Cervini, che alla metà del Cinquecento, da cardinale bibliotecario, aveva ordinato una completa riorganizzazione del materiale, con liste di acquisto relative ai soli stampati44. Si registrano poi le note di possesso di alcuni volumi singoli, prevalentemente incunaboli, tra le quali si distinguono per numero quelli appartenuti ad Angelo Colocci45, e varie provenienze46. Il n. 2311, le Tabulae di Alfonso X, re di Castiglia 40 In una eventuale edizione saranno segnalate le possibili provenienze dalle raccolte di Aldo Manuzio il giovane e di Alonso Chacón, desunte da un confronto tra gli elenchi che le riportano, di cui alle note 3 e 6, con i Vat. lat. 6446 e 14477. 41 Il n. 180, lo Speculum aureum del francescano Hendrik Herp, Magonza 1474, ora Inc. II.294. 42 La completa catalogazione degli incunaboli, terminata recentemente dal progetto BAVIC con i dati inseriti nel catalogo online, guida e illumina su provenienze, antiche collocazioni, stato di conservazione dei volumi, legature, bibliografia. 43 Per gli incunaboli provenienti da tale collezione, cfr. F. SCHENA, Gli incunaboli di Scipione Carteromaco nella Biblioteca Apostolica Vaticana: un primo censimento, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXI, Città del Vaticano 2015 (Studi e testi, 496), pp. 403434. 44 Nel Vat. lat. 14477, f. 7v, il n. 940 dell’inventario, un’opera di Ambrogio Leone, è aggiunto in nota a matita, sulla destra, il numero della collezione del Cervini (“2172”); lo stesso al f. 13, n. 73, per un’opera di Arnobio (“Cervini 156”); al f. 25v, n. 967, un’opera di Cristoforo Marcello (“Cervini 2204”). 45 Il n. 1664, Laurentii Vallae viri disertissimi de Romani sermonis elegantia liber primus, stampato a Roma da Arnold Pannartz il 2 luglio 1475, ora Inc. II.259, era appartenuto ad Angelo Colocci. Il n. 1674, Rhetorica assertiva dialectica est, con testi sulla retorica di Aristotele, di al-Farabi e altri, ora Inc. II.114, Venetiis per magistrum Venetum 22 giugno 1481, era appartenuto al Colocci. 46 Il n. 2351, un esemplare del Liber de sole et numine, di Marsilio Ficino, stampato a Firenze da Antonio Miscomini nel 1493, presenta una nota di possesso della biblioteca di S. Maria in Traspontina di Roma.
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e León, stampate a Venezia da Erhard Rathold il 4 luglio 1483, denuncia un’antica provenienza dal Sant’Uffizio, un uso che nel corso degli anni si sarebbe intensificato e sarebbe divenuto un regolare e consistente afflusso di esemplari alla Vaticana. Al n. 30 dell’inventario, l’edizione delle Lettere di Paolo col commento di Teofilatto di Ocrida (o di Bulgaria), a cura del bibliotecario della Vaticana Cristoforo Persona, Roma, Ulrich Han, 1477, è riportato un esemplare, che dovrebbe corrispondere a uno dei due incunaboli presenti ora alla Vaticana: Inc. II.25, che ha una nota di provenienza del Collegio Capranica di Roma47; oppure Inc. II.343, che testimonia un antico possesso della chiesa di S. Maria della Pace48. Le opere erano collocate negli armadi per gruppi secondo il formato49. I volumi in 8° erano quelli in maggior numero, cui seguivano quelli in 4°, quelli in folio, mentre i volumi in 16° erano poco più di un centinaio. È evidente un’attenzione filologica, forse derivata dall’uso di catalogare manoscritti. Ranaldi dovette scorrere anche le pagine dei libri, perché nota quasi sempre i commenti all’opera, spesso identificandone l’autore. Le note tipografiche delle citazioni riportano la città e l’anno di edizione. Il Ranaldi non ritenne di dover inserire il tipografo, forse giudicando sufficienti le precedenti informazioni o secondo lo stile inventariale corrente. In alcuni casi, però, inserisce soltanto il tipografo e non il luogo, evidentemente ritenendolo di tale fama da non essere necessario inserire la città: si tratta di Aldo Manuzio50 e di Henry e Robert Estienne51. Ginevra, la città dove si trasferirono e stamparono a lungo gli Estiennes, non è mai nominata nelle note tipografiche, seguendo l’uso degli stessi Estiennes52, ma creando in tal modo confusioni con alcune opere che i tipografi stamparono invece a Parigi53. Tra le città, il numero di edizioni rispetta grosso modo l’andamento della storia della stampa nel Cinquecento. Il primato assoluto è di Venezia, con 890 edizioni circa, un quinto del totale, segue Parigi, con 612 edizioni circa; al terzo posto è Roma con 505 edizioni circa, che non corrisponde all’importanza della città nel mondo tipografico del Cinquecento, ma 47 “Hic liber fuit recuperatus et collegio tradditus per venerabilem virum dominum Inocentium Summaripam, presbyterum Veronensem et cappellanum dicti collegij Capranicensis de Urbe, die secunda iulij 1516”. 48 “Ad usum Sanctae Mariae Pacis de Urbe”. 49 Folio, 4°, 8°, 16°. 50 La formula consueta è: “apud Aldum”. 51 La formula qui è: “apud Henricum Stephanum” e “apud Robertum Stephanum”. 52 I quali non la inserivano nelle note tipografiche dei frontespizi, temendo che la fama riformatrice della città facesse calare le vendite. 53 Degli Estiennes, peraltro, i due inventari rappresentano bene anche l’attività editoriale di tipo scientifico, con la loro frequente comparsa come autori o commentatori.
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corrisponde invece a varie disposizioni dei Papi nel corso del secolo volte ad ottenere un esemplare di ogni edizione romana stampata, una sorta d’esemplare d’obbligo che confluiva alla Vaticana. Le altre città rappresentate corrispondono invece alla loro importanza tipografica nel corso del Cinquecento: Basilea (348 edizioni circa), Anversa (251 edizioni circa), Colonia (224 edizioni circa), Lione (180 edizioni circa). Tra le città italiane seguono Roma per importanza Firenze (113 edizioni circa), Bologna (87), Milano (55), Napoli (47), Brescia (29), Padova (25), Ferrara (23), Verona (21), mentre quasi tutti i centri tipografici, anche minori, sono rappresentati. Lo stesso per i molti centri tipografici tedeschi, tra i quali, dopo Colonia si segnala Frankfurt am Main (55 edizioni). Come mancano libri in lingua inglese, così Londra è presente soltanto con 5 edizioni. Si nota un pensiero classificatore dietro la disposizione dei libri, o perlomeno un’attenzione in quel senso. Ad es., “Numismata” di Costanzo Landi è posto tra i libri di numismatica (Vat. lat. 6446, f. 20v, n. 2185), ma la successiva opera del Landi “Numismatum explicationes” (ibid., f. 23r, n. 3434) è posta tra le vite, evidentemente perché più pertinente alla materia. A volte le opere dello stesso autore sono raggruppate insieme in numeri vicini negli armadi (Albert Krantz, nn. 3049-3052; Alphonsus de Castro, nn. 364-366, Pietro Vittori, nn. 1730-1736), ma solo se il medesimo formato lo permetteva. Di tanto in tanto si scorgono i tentativi di tenere vicine le opere dello stesso tema: al f. 64r del Vat. lat. 14477 (nn. 1907-1911) vi sono 5 raccolte di lettere. La collezione inizia, con l’armadio 3 a destra54, con la Sacra Scrittura, in particolare con la grande Bibbia Regia poliglotta, stampata da Christophe Plantin (n. 1), cui seguono altre dodici edizioni della Bibbia. Ai nn. 2-220 seguono volumi in folio, concordanze e commenti biblici, edizioni dei padri della Chiesa55, letteratura religiosa; dal n. 221 al n. 344, volumi in 4°, rappresentanti prevalentemente, nell’ordine: commenti biblici, letteratura religiosa, patristica, controversie religiose, sermoni, teologia; dal n. 349 al 698, volumi in 8°, rappresentanti nell’ordine: letteratura religiosa, controversie religiose, sermoni, commenti biblici, letteratura religiosa ebraica e araba; sacramenti, concili. Quindi l’intero armadio terzo a destra era dedicato a volumi riguardanti la religione. Nell’armadio sono inseriti anche testi delle altre religioni, la giudaica e la musulmana. L’armadio quarto a destra era di carattere misto: la letteratura religiosa 54 Viene qui precisata con aggiunte la descrizione degli armadi che si trova in CERESA, Acquisizioni cit., pp. 98-99. 55 Una lista delle maggiori edizioni patristiche si trova in CERESA, Acquisizioni cit., p. 98, Scheda 5.
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è ancora presente in massa, ma è affiancata soprattutto da opere di filosofia e classici greci. Dal n. 701 al n. 914 vi erano volumi in folio, riguardanti prevalentemente, nell’ordine: patristica, letteratura religiosa, liturgia, teologia, concili, filosofia, classici greci e alcune opere di bibliografia; dal n. 915 al n. 935 è presente un breve tratto di volumi in 4°, riguardanti classici greci; dal n. 936 al n. 1029 riprendono i volumi in folio, e si tratta quasi esclusivamente di volumi di filosofia; dal n. 1030 al n. 1389 vi erano volumi in 4° rappresentanti prevalentemente letteratura religiosa varia fino al n. 1308, filosofia dal n. 1309 al 1389, con alcuni pochi volumi riguardanti scienze o eventi naturali tra il n. 1367 e il n. 1380. Tra il n. 1390 e il n. 1402 vi era un’alternanza di volumi in 4° e in 8°, prevalentemente opere greche antiche. Dal n. 1403 al n. 1508 vi erano volumi in 8° rappresentanti opere greche antiche e letteratura religiosa varia. Dal n. 1509 al n. 1571 vi erano opere in 16° riguardanti letteratura religiosa varia. Dal n. 1572 al n. 1647 vi erano opere in 8° greche varie (classici, padri della Chiesa). L’armadio terzo a sinistra era anch’esso di carattere misto, ma la letteratura religiosa scompare, mentre erano presenti dizionari, volumi di retorica, genere epistolare, letteratura umanistica, oratoria, filologia e critica, diritto, numismatica, filosofia, educazione e vi erano anche raccolti tutti i volumi riguardanti le scienze: medicina, astrologia, matematica, arte militare, pesi e misure, geometria, meccanica. Al f. 34 del Vat. lat. 14477, n. 2374, si riscontra un’ulteriore precisazione, dopo “ar[m.] 3.sin”, “in lib[reria] varia”, che rispecchia il carattere dei volumi presenti in quell’armadio, vario e senza un soggetto predominante. Dal n. 1653 al n. 1891 vi erano volumi in folio, rappresentanti nell’ordine: dizionari, retorica, genere epistolare, letteratura umanistica, medicina, filosofia, commenti ai classici, classici latini, fortificazioni e macchine, bibliografia, un volume di stampe, astrologia, matematica, pesi e misure, diritto, arte militare. Dal n. 1892 al n. 2419 vi era un lungo tratto di volumi in 4°, con le materie più varie, tra le quali, nell’ordine, si evidenziavano: dizionari, genere epistolare, oratoria, grammatica, memoria artificiale, educazione, indici di libri proibiti, filologia e critica, letteratura umanistica, poesia, epigrammi, numismatica, arte militare, agricoltura, medicina, cronologia, matematica, astronomia, geometria, meccanica. Dal n. 2420 al n. 2885 vi era un largo tratto di volumi in 8°, rappresentanti, nell’ordine: classici latini, letteratura umanistica, genere epistolare, filologia e critica, letteratura italiana, dialettica, medicina, astronomia, filosofia, educazione. Per chiudere con un breve tratto di pochi libri in 16°, dal n. 2887 al n. 2908, degli argomenti più vari. L’armadio quarto a sinistra, infine, era quasi totalmente dedicato alla
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storia e alle vite, con alcuni volumi di geografia, descrizioni e viaggi, archeologia. Dopo un breve tratto dal n. 2909 al n. 2919 con volumi in 16° e in 8°, dal n. 2919 al n. 3199 vi erano volumi in folio riguardanti soprattutto la storia e a seguire le vite. Dal n. 3201 al n. 3601 vi era un tratto di volumi in 4° dedicati soprattutto alla storia e alle vite, con qualche breve sezione di libri di geografia e archeologia e alcuni volumi dedicati alla bibliografia. Seguiva, dal n. 3602 al n. 3880, una sezione in 8° dedicata soprattutto alla storia, con qualche libro di descrizioni e viaggi e di archeologia. Dal n. 3881 al n. 3904 vi era una sezione di volumi in 16° riguardanti prevalentemente la storia. Dal n. 3905 al n. 3900 una sezioni di volumi in 8° totalmente miscellanei e senza materie prevalenti e, infine, una piccola sezione dal n. 3993 al n. 4009, con volumi in 4°, anch’essa totalmente miscellanea. La collezione dei concili è abbastanza corposa, con 20 esemplari (Vat. lat. 14477, ff. 23v-24r)56 e così quella dei sinodi (28 esemplari, ff. 93v-94). Per quanto riguarda gli autori singoli, da segnalare dodici opere di Dionigi il certosino (Denis le Chartreux o Dionysius van Rijkel), (nn. 87-99), cui vanno aggiunte altre 8 nel resto della collezione. Tra gli umanisti, sono presenti otto opere di Francesco Filelfo (f. 34r); di Lorenzo Valla sono presenti otto esemplari, rappresentanti in genere edizioni piuttosto rare e tra di esse quella riguardante la falsa donazione di Costantino, mal citata57 e difficilmente identificabile (f. 63r). Undici le opere presenti di Justus Lipsius (f. 61v)58, ma nessuna oggi presente nella Raccolta Prima e tutte invece in collezioni giunte nei secoli successivi, denotando quindi probabilmente la scomparsa degli esemplari citati dal Ranaldi. Sono presenti quattordici opere di Paolo Giovio (f. 77v, n. 3535), più una al f. 72v e un’altra di commento a una sua opera (f. 9r, n. 3542). È presente Leon Battista Alberti con alcune delle sue opere più significative (f. 64r, nn. 1891, 1972). Il poligrafo Ludovico Dolce con tre opere (f. 66r, nn. 2101, 2666, 3617). È presente la prima edizione del Libro de natura de amore di Mario Equicola, che ebbe notevole fortuna e numerose ristampe fino al Seicento (f. 69r, n. 2033). Al f. 78r del Vat. lat. 14477 sono presenti opere di Paolo Manuzio. Tra i religiosi è presente l’Epitome sacramentorum del religioso di Cologna Veneta Lorenzo Pezzi (f. 63r, n. 1571), un volumetto di meno di 100 pagine che conobbe una grande fortuna tra il 1567 e il 1594, con 13 edizioni, che ora risultano tutte piuttosto rare. È inoltre evidente la tendenza 56 Di qui in poi si fa riferimento al Vat. lat. 14477, dove gli autori hanno le loro opere raggruppate insieme. 57 Forse volutamente? 58 Un’opera nel Vat. lat. 14477, f. 41v, è inserita sotto “Giusto” e non “Justus”, essendo scritta in italiano.
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a raccogliere opere e autori antagonisti al luteranesimo, come l’autorevole teologo tedesco Johann Dobneck (Johannes Cochlaeus), con nove opere (f. 52v-53r); sempre nel Vat. lat. 14477 al f. 59v sono presenti ben diciassette opere del teologo polemista antiluterano Josse van Clichtove, bibliotecario della Sorbona; ai ff. 53v-54r sono presenti sette opere di Johannes Eck, protagonista di un pubblico dibattito con Lutero nel 1519 e infine dodici opere di Tommaso Caetani di Vio, incaricato dal papa di trattare direttamente con Lutero (Augsburg,12-14 ottobre 1518), al f. 96r. Sono presenti tre edizioni della fortunatissima Vita Christi del certosino Ludolph von Saxen, che, dopo un incunabolo stampato a Norimberga da Anton Koberger il 20 dic. 1478, ebbe numerosissime edizioni nel corso del Cinquecento (f. 65v, nn. 215, 216). Con ben 11 opere è rappresentato Juan Ginés de Sepulveda (f. 58v), l’instancabile apologista della guerra per la conquista delle Americhe da parte della Spagna. Ma si rintracciano anche opere di personaggi discussi e di vita non limpida, come il predicatore Lorenzo Davidico59 (f. 64v, n. 661). Non trascurabile la sezione bibliografica. Tra i f. 56v-57 del Vat. lat. 14477 sono presenti nove opere di Tritemio, bibliografiche e non, oltre alla Bibliotheca Universalis di Conrad Gesner, con le Pandectae (f. 23v, nn. 1829-1830) e la continuazione del suo epigono Josias Simler (nn. 18311834); di quest’ultimo è presente anche la descrizione delle Alpi con i primi precisi accenni alle nevi permanenti nei ghiacciai (f. 60v, n. 3864). Non manca la Bibliotheca selecta del Possevino (f. 11r, n. 782). Inoltre sono presenti la maggior parte degli autori identificati come organizzatori di conoscenze nella Storia della Bibliografia di Alfredo Serrai60. Si segnalano ancora per numero di opere (undici) Angelo Rocca, coinvolto da Sisto V nella realizzazione del nuovo edificio per la Vaticana e fondatore della Biblioteca Angelica di Roma (f. 8v-9r; f. 15r); lo storico Carlo Sigonio (quindici opere: f. 20v); il filosofo Agostino Nifo (undici opere: f. 14v); l’umanista Guillaume Budé (f. 43r, undici opere). È rappresentata, ovviamente, la produzione dei bibliotecari vaticani: sono presenti esemplari di cinque edizioni del De vitis Pontificum di Bartolomeo Platina, bibliotecario vaticano del Quattrocento (f. 15v); otto opere del bibliotecario vaticano del Cinquecento Agostino Steuco (f. 14v) e di altri illustri bibliotecari vaticani dello stesso secolo, come Filippo Beroaldo junior (f. 82v, nn. 1938, 2161, 2411) e Guglielmo Sirleto (prima edizione, greca e latina, della liturgia dell’apostolo Marco, f. 67v, n. 623), oltre a un’opera del “revisore” Gabriele Faerno (f. 37r, n. 2123) e una del corret59 60
Cfr. C. VON FLÜE, Davidico, Lorenzo, in DBI, 33, Roma 1987, pp. 157-160. 11 voll., Roma 1988-2001.
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tore greco Matteo Devaris (f. 70r, n. 1897); ai ff. 75r-v, sempre del Vat. lat. 14477, sono presenti dieci opere di Onofrio Panvinio, che nel 1565, seppure per meno di un anno, fu corrector e revisore di manoscritti presso la Biblioteca Vaticana; sono ovviamente presenti gli Annali del Baronio, quasi contemporanei all’inventario e preparati prevalentemente nella Vaticana stessa (f. 15v). Sono presenti tre esemplari di edizioni della Commedia di Dante (f. 26v), tra i quali l’incunabolo con il commento del Landino (Firenze 1481, n. 1802) e cinque di opere di Petrarca (f. 35r). Se l’Inghilterra è poco presente come luoghi di stampa e lingua, non lo è affatto come autori: tra gli altri, sono rappresentati il francescano Guglielmo di Ockham (f. 43v, nn. 1365, 1382); del vescovo inglese John Fisher, difensore delle fede cattolica, sono presenti due operette comprese in miscellanee (f. 54r, entrambe al n. 234, essendo incluse nella stessa miscellanea); un incunabolo rappresentante un’edizione del filosofo William Heytesbury (f. 43r, n. 951); un’opera dello storico inglese del XII sec. William of Newburgh (f. 43v, n. 3725), mentre tra le poche opere stampate a Londra è presente l’Assertio septem sacramentorum di Enrico VIII (f. 44v, n. 243). Tra i libri costituiti soprattutto di incisioni, sono presenti esemplari di un’edizione di Dürer (Norimberga 1534: f. 5r, n. 141), di due edizioni di Enea Vico (f. 30v, nn. 3357, 3409), di una di Onofrio Panvinio con immagini dei pontefici (f. 75r, n. 3129), oltre al Liber antiquae Urbis Romae cum regionibus Simulachrum (f. 9r, n. 3138). È presente un’opera sui vestiti degli antichi e sull’arte della navigazione dell’abate francese Lazare de Baïf, consigliere al parlamento di Parigi, maestro delle suppliche e ambasciatore del re di Francia Francesco I presso la repubblica di Venezia, che conobbe 16 edizioni, tutte francesi, tra il 1530 e il 1553 (f. 63r, n. 1942). La descrizione dell’impero ottomano dello storico veneto Lazzaro Soranzo, che conobbe una rapida fortuna tra il 1598 e il 1607 (f. 63, n. 3685). Sono presenti 5 opere del domenicano bolognese Leandro Alberti, delle quali soprattutto la descrizione dell’Italia ebbe notevole fortuna e 13 ristampe tra il 1550 e il 1596 (f. 63). È presente una edizione dei fortunati Dialogi de amore di Juda ben Isaac Abrabanel, medico ebreo convertito, che ebbero un notevole numero di edizioni nella seconda metà del Cinquecento (f. 64, n. 2859). Al f. 60v del Vat. lat. 14477 sono segnalati due esemplari delle edizioni dei due maggiori itinerari di viaggi dell’antichità, il romano Itinerarium Antonini Augusti degli inizi del 3° sec., nella sua versione originale e il cristiano Itinerarium a Burdigala Hierusalem usque scritto da un anonimo pellegrino nel 333-344.
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Non mancano opere di intrattenimento, come l’arte del cucinare di Bartolomeo Scappi, cuoco delle cucine Vaticane sotto Pio IV e Pio V e grande organizzatore di banchetti rinascimentali (f. 16v, n. 2257); un’opera riguardante giochi di strategia (f. 66v, n. 2052); o opere di genere come le Difese delle donne del pistoiese Domenico Bruni (f. 29r, n. 2818). Vi erano duplicati per opere di particolare pregio, come l’illustratissimo Discorso sopra le medaglie di Antonio Agustín, di cui la Vaticana possedeva un esemplare dell’edizione in folio (f. 9v, n. 3193) e uno di quella in 4° (f. 9v, n. 3355). Si registrano casi nei quali i duplicati venivano collocati secondo la materia. Il Theatrum conversionis gentium totius orbis, sive Chronologia de vocatione omnium populorum di Arnold Mermannius è presente in due copie, una (f. 13r, n. 377) nella parte dedicata ai libri di polemica religiosa e un’altra (f. 13r, n. 3644) nella parte dove venivano raccolte opere sugli usi e costumi. Si riscontrano anche casi nei quali la Vaticana aveva due o tre copie della stessa opera (f. 11v, nn. 2940-2942); (il commento di Pietro Candido Decembrio ad Appiano Alessandrino (f. 13v, nn. 866-867). Di un’opera di Agostino Steuco, De perenni philosophia, viene segnalata l’edizione cartacea (f. 14v, n. 722) e quella in pergamena (f. 14v, n. 723). In fondo alle liste alfabetiche, per ogni lettera sono aggiunti alcuni volumi stampati nel 1609-1610, senza indicazione di armadio di appartenenza, ma con numero progressivo, in scrittura diversa da quella di Alessandro Ranaldi. Alcuni di tali volumi facevano parte o vennero integrati in miscellanee. Anche se sarebbero state colmate nei secoli successivi, sembra d’obbligo segnalare alcune singolari assenze nell’inventario, sempre mantenendo la riserva e il dubbio che fossero conservate altrove. Non sono citate nell’inventario le maggiori imprese tipografiche della Tipografia Vaticana fondata da Sisto V: la Bibbia sistina del 1590, le opere di S. Gregorio Magno61 e quelle di S. Bonaventura62. Ma forse non erano conservate negli armadi oggetto dell’inventario. Tra gli incunaboli, non è citato, nell’inventario, il Lattanzio stampato a Subiaco da Schweynheim e Pannartz nel 1465; il De civitate Dei stampato dagli stessi nel 1467; la Defensio Platonis di Bessarione, fatta stampare da Schweynheim e Pannartz nel 1469; il Plutarco fatto stampare da Giannantonio Campano da Ulrich Han nel 1470; il De sanguine Christi di Sisto IV stampato da Giovanni Filippo De Lignamine (dopo il 10 agosto 1471); la 61 62
Roma, Tipographia Vaticana 1588-1593. Roma, Tipographia Vaticana 1588-1596.
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traduzione omerica di Niccolò Della Valle, con l’aiuto di Teodoro Gaza (1474). Manca la Bibbia di Gutenberg e la Biblia Latina stampata da Fust e Schoeffer a Mainz nel 1462. È presente una sola edizione italiana della Geografia di Tolomeo. Manca quindi l’edizione di Basilea del 1545 con il commento di Willibald Pirckheymer e le tavole di Sebastian Munster che sarebbe stata acquisita nel corso del ’600 ed è presente nell’inventario Vat. lat. 14749, f. 55v, come I Racc. 6673, per poi divenire R. I II.64. Non sembrano essere presenti opere standard legali di consultazione come i Flores legum, il Modus legendi abbreviaturas in utroque iure o lo Speculum Juris. Tra le opere storiche sembra mancare il Liber chronicarum di Hartmann Schedel, della quale invece sarà segnalata la presenza verso la fine del Seicento63. Mancano opere del francescano Pierre Doré, il più popolare scrittore religioso della Francia nel Cinquecento. Singolare l’apparente assenza dei maggiori best-sellers religiosi in assoluto del secolo precedente, quello degli incunaboli, e delle loro edizioni successive: l’Imitatio Christi di Thomas da Kempis, la Legenda aurea di Jacopo da Varazze. Dei grandi teologi della scolastica manca Petrus de Palude. Sono presenti sei esemplari di edizioni di Erasmo, ma manca l’Institutio principis christiani, testo di consigli per il futuro imperatore Carlo V stampato nel 1516; manca anche l’Elogio della follia, stampato per la prima volta nel 1511. L’Enchiridion militis christiani è presente, non nella prima edizione del 1503 ma in una di Venezia del 1523. Degli Adagia è presente soltanto un esemplare dell’edizione curata da Paolo Manuzio nel 1575, e Alessandro Ranaldi non la inserì sotto l’autore, ma sotto il titolo. Peraltro, la presenza di Erasmo si moltiplica nei due inventari con le opere da lui edite o commentate (f. 7r, n. 3980; f. 26r, n. 3985; f. 60r, n. 2998; f. 64v, n. 2375; f. 91v, n. 3509; f. 92v, n. 3078) e con le opere polemiche contro di lui (f. 5r, n. 733; f. 13v, n. 416; f. 49v, nn. 252, 3564; f. 56v, n. 306; f. 80r, n. 1190). Manca l’Asino d’oro di Apuleio, del quale è invece presente il famoso incunabolo delle Metamorfosi stampato da Schweynheim e Pannartz nel 1469. Non è presente alcuna opera di Boccaccio. È totalmente assente l’Ariosto, così come il Pulci e il Boiardo. Manca il Libro del Cortigiano di Baldassarre Castiglione. Manca il De regimine principum di Egidio Romano. 63
Inventario di Giorgio Grippari, Vat. lat. 14749, f. 71.
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È presente una sola opera di Niccolò Machiavelli. Manca forse la più importante opera astronomica del XVI sec., l’Astronomicum Caesareum (1540) dell’astronomo tedesco Petrus Apianus. Alla data dell’inventario, quindi, la raccolta Vaticana dei libri stampati è una collezione di media grandezza, nell’ambito delle grandi biblioteche, che si pone nel solco delle ricerche religiose e filologiche tradizionali della Vaticana sin dalla sua fondazione come biblioteca di ricerca da parte di Niccolò V e presenta un panorama molto più variegato di quanto si potesse supporre dopo gli eventi della Riforma, della Controriforma e la nascita degli indici dei libri proibiti. Ad esempio, rispetto a una grande collezione contemporanea come quella di Guglielmo Sirleto, tutta improntata a studi religiosi, sono presenti molti più edizioni di classici, opere all’indice e volumi scientifici. La raccolta, forte negli studi di patristica, commenti biblici, polemica religiosa, soprattutto volta a combattere il luteranesimo, sermoni, filosofia, classici greci e latini, filologia e critica, storia e vite, non era priva di libri scientifici, soprattutto di medicina, ma anche di matematica, fisica, meccanica, astronomia, mentre appare veramente debole soltanto per il diritto canonico e civile.
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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 6446, f. 1r.
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 14477, f. 4r.
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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 14477, f. 4v.
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FIRMATO PITRA 1. Jean-Baptiste François Pitra, prima prete diocesano, quindi monaco dell’abbazia di Solesmes, si pone in linea di continuità con la grande tradizione di studio e di ricerca filologica dell’ordine di san Benedetto. Quando nasce, nel 1812, la congregazione dei Padri maurini, alla quale erano appartenuti i padri fondatori della scienza paleografica, Jean Mabillon (1632-1707) e Bernard de Montfaucon (1655-1741), era stata soppressa da trent’anni (1792) e mai più i monaci avrebbero fatto ritorno tra le mura dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés di Parigi, sede della Casa generalizia. Stessa sorte era toccata all’abbazia benedettina di Solesmes, la cui storia che durava da circa ottocento anni era stata bruscamente interrotta anch’essa dalla folata rivoluzionaria che aveva messo fuori legge tutti gli ordini religiosi. Nel 1833, quando l’antica abbazia tornò ad essere abitata per iniziativa dom Prosper Guéranger (1805-1875), Jean-Baptiste frequentava il terzo anno del seminario maggiore di Autun e i più di quattrocento chilometri che separano le due regioni della Loira e della Borgogna potevano sembrare due realtà ancora troppo lontane, se non si fosse insinuato in Pitra, proprio negli anni della sua formazione, il dubbio di non essere adatto a far parte del clero secolare, «di non sentirsi idoneo per il santo ministero», avvertendo «l’impossibilità di vivere nel mondo» e al contempo il bisogno «di una vita fuori dal mondo, una vita solitaria, una esistenza da studioso, nel silenzio e nell’impegno». Sembrava che stesse pensando proprio alla figura di un monaco benedettino, ipotesi questa tanto più avvalorata se si pensa alla circostanza, da lui stesso messa in evidenza, che scriveva queste righe l’11 ottobre 1833, «tre mesi dopo quell’11 luglio in cui Solesmes rinasceva dalle sue rovine»1. 2. Intanto nel seminario maggiore la vocazione allo studio gli fu subito riconosciuta tanto che, non appena ebbe ricevuta l’ordinazione a diacono (13.6.1835; l’ordinazione sacerdotale risale all’anno successivo, il 17.12.1836), gli venne anche conferito l’incarico di insegnare prima storia e poi retorica nel seminario minore. Venivano così palesemente ammesse le sue doti di studioso e le sue qualità intellettuali che di lì a poco si sareb1 Souvernir du Noviziat, citato in A. BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra. Évêque de Porto. Bibliothécaire de la Sainte Église, Paris, Sauvaitre Libraire-Éditeur, 1893, p. 70.
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 53-71.
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bero manifestate concretamente nella traduzione della cosiddetta “Iscrizione d’Autun”. Si trattava di una lastra marmorea della misura di cm 50x52 che Pitra decifrò in una notte, la stessa della scoperta (il 24.6.1839), e che rivelò al mondo degli specialisti le capacità del giovane professore2. Malgrado questo importante successo, seguendo l’ispirazione che da tempo covava dentro di lui, neanche un anno dopo l’abate Pitra scrive una lettera a dom Guéranger in cui gli chiede «di accogliere un giovane prete, insoddisfatto del mondo [qui cherche en vain autour de lui], in cerca di fratellanza, pace e lavoro» (Lettera del 17.4.1840)3. Il travaglio di questo momento, dover lasciare Autun, gli impegni già presi, amici e conoscenti, trova la sua espressione nella decisione, comunicata solo al suo direttore spirituale, di andare via e di farlo in segreto, durante un viaggio progettato ad agosto per Poitiers dal quale avrebbe proseguito per Solesmes. Nessun altro annuncio, secondo un piano che aveva comunicato a dom Guéranger e una lettera, affidata allo stesso, da inviare alla Sacra Penitenzieria in cui si chiedeva se a fronte del diniego dei superiori diocesani un prete poteva entrare in un monastero. La partenza per Poitiers avvenne il 6 agosto 1840: anziché recarsi a Parigi, prese la deviazione per l’abbazia di Saint-Pierre dove arrivò la sera del 14 agosto. 3. Pax et amor in arduis era l’antico motto dei padri maurini con il quale egli interpretava questo momento di passaggio e di trasformazione. Da una parte infatti la crisi, dall’altra il modo con cui reagire e affrontarla: pax et amor, «pazienza e generosità», com’egli traduceva queste due parole dei figli di san Benedetto (Lettera del 21.5.1840)4. La lettera di risposta della Sacra Penitenzieria arrivò il 24.8.1840. In essa si ribadiva il diritto di un prete a prendere la via di un monastero anche in presenza di un rifiuto dei superiori diocesani. Solo sulla base di questa conferma Jean-Baptiste si decise a comunicare per iscritto la sua decisione di farsi monaco al vescovo d’Autun, mons. D’Héricourt. Il motivo del suo comportamento, quasi a voler chiedere perdono a una persona che lui sentiva come un secondo padre, lo spiega nella stessa missiva: «Io avrei dovuto, senza dubbio, chiederlo a viva voce ma dalla pena che provo a sollecitare da lontano una separazione così dolorosa avverto che le forze mi sarebbero mancate. Ero troppo commosso al momento della mia partenza, al momento in cui mi avrebbe chiesto se avessi ceduto alla tentazione di farmi benedettino» (Lettera del 24.8.1840)5. La risposta di sua eccellenza non lasciava trasparire 2 Per il testo di questo epitaffio cfr. De inscriptione augustodunensi, in Spicilegium Solesmense (= Spic. Sol.) I, 554-564 (il testo stabilito da Pitra è a p. 557). 3 BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 72. 4 Ibid., p. 75. 5 Ibid., p. 81.
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nessun rancore o animosità verso una scelta di coscienza. L’unica cosa che il vescovo gli chiedeva era di fare ancora un anno di insegnamento nel seminario di Autun. Alla fine di questo servizio, nel settembre del 1841, egli poté lasciare la città della Borgogna non come l’anno precedente, quasi fuggendo e di nascosto, ma alla luce del sole, con la benedizione del vescovo, i saluti degli amici e, cosa non indifferente, i suoi amati libri. Giunto a Solesmes, dopo un breve postulantato, si avviò a compiere il suo anno di noviziato, compreso in due date importanti del calendario benedettino, l’11.1.1842 (festa di san Mauro, il monaco che, secondo una tradizione diffusasi nel IX sec., aveva introdotto la Regola benedettina in Francia) e il 10.2.1843 (festa di santa Scolastica). Pitra avrebbe ricordato questo tempo come il periodo più sereno della sua vita e i fatti successivi avrebbero pienamente giustificato questa affermazione. 4. Durante il periodo del postulantato dom Guéranger aveva fondato il Priorato di Parigi con l’obiettivo di creare un punto di riferimento di monaci benedettini nella capitale, favorire l’azione della Chiesa e procurarsi nuove vocazioni. Senonché la nuova fondazione di Saint-Germain fu presto sommersa dai debiti per la cattiva amministrazione del suo economo. Dopo essere stato in carica per diciotto mesi, il primo priore di Parigi, dom Paul Piolin, rimise il suo mandato nelle mani dell’abate di Solesmes. Bisognava dunque trovare un sostituto e la scelta cadde proprio su dom Pitra che da poco aveva emesso la sua professione monastica (13.2.1843). Il neofita non se la sentì di non accettare, venendo meno così al rapporto fiduciario che si era creato con l’abate cosicché, appena dieci giorni dopo essere diventato monaco, il 23.2.1843, egli partì per la capitale e nel mese di marzo fu insediato come priore. Non era certo la vita che avrebbe voluto, fatta di studio, di ricerca e di preghiera, quella che si apriva davanti a sé. Ancora in arduis, nelle difficoltà, sulle spine, come era stato tre anni prima, quando aveva deciso di lasciare Autun. Stavolta però i grattacapo erano di ordine finanziario. La nuova casa infatti aveva un debito enorme e chiuderla era l’unico modo per venire a capo della crisi in cui versava. Nel 1845 si arrivò alla sua liquidazione; un comitato di benefattori si era fatto carico del debito da saldare in parte con la vendita degli immobili e in parte con il reperimento di nuovi fondi attraverso elemosine e offerte. Il soggiorno di Parigi è tuttavia rilevante nella vita di dom Pitra anche per un altro motivo. È in questo periodo che avvenne l’incontro con l’abbé Jacques-Paul Migne (1800-1875), un uomo intraprendente, un giovane editore che già aveva alle spalle i venticinque volumi (1838-1840) dello Scripturae Sacrae cursus completus e i venticinque volumi (1840-1842) del Theologiae cursus completus e che coltivava il sogno della Patrologia, un’opera nella quale — come è scritto (forse per mano dello stesso Pitra) nell’incipit del
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primo volume — «venissero stampati, con il favore di Dio e la benevolenza della Vergine Deipara, tutti i Padri e gli scrittori ecclesiastici» (PL 1,9). Già in precedenza, nel biennio 1841-18436, c’erano stati contatti tra Migne e dom Guéranger per definire le linee dell’impresa, ma con con l’arrivo di dom Pitra a Parigi la progettazione ricevette un impulso decisivo perché all’editore instancabile e al volgarizzatore eccellente si aggiungeva un erudito e un assiduo ricercatore. 5. È lo stesso Migne a tessere l’elogio di questo giovane monaco: «Io ammiro — scrive — la sua immensa erudizione patristica» e «ringrazio il cielo di aver potuto fare la sua conoscenza» (Lettera a dom Guéranger del 2.3.1855)7. E il neo-priore di Saint-Germain lo ricambia da par suo, elaborando un Prospectus delle opere e delle edizioni degli autori latini dalle origini fino a Innocenzo III da dare alle stampe. Pitra era arrivato a Parigi alla fine di febbraio del 1843 e si vuole che egli abbia redatto questo schema, che costituisce l’impianto della Patrologia latina, «nel giro di tre giorni»8. In verità proprio così non doveva essere perché nel maggio successivo lo studioso scriveva a dom Guéranger che la stesura del piano «gli aveva causato pene infinite di redazione e di correzione (Lettera del 14.5.1843)9. A ogni modo il primo volume della Series latina, costituito dal Tomus primus delle opere di Tertulliano, per la cura di dom Pitra, uscì nel 1844. Per una particolare coincidenza questo è anche l’anno di edizione del citato Prospectus, che porta la data del 30.9.1844, nel quale si forniva l’index S.S.Patrum, doctorum scriptorumque Ecclesiae latinae10. Si tratta di un lavoro preliminare «divenuto estremamente raro e — confessa Hamman — tutte le nostre ricerche per ritrovarlo sono risultate ad oggi infruttuose»11. È tuttavia possibile cogliere un riflesso di questo documento in una lettera di Jean-Baptiste Malou (1809-1864), un altro importante collaboratore di Migne, cui si deve il conspecuts per gli ultimi sessanta autori della patrologia greca in base «al contratto oggi ritrovato» tra lui e l’abbé Migne12. Il professore di teologia di Lovanio e dal 1848 fino alla morte vescovo di 6
Cfr. L. SOLTNER, Migne, dom Guéranger et dom Pitra. La collaboration solesmienne aux entreprises de Migne, in Migne et le renouveau des études patristiques. Actes du colloque de Saint-Flour, 7-8 juillet 1975, édités par A. Mandouze et J. Fouilheron, Paris, Beauchesne, 1985, p. 199. 7 A. HAMMAN, Les principaux collaborateurs des deux patrologies de Migne, in Migne et le renouveau des études patristiques. Actes du colloque de Saint-Flour, 7-8 juillet 1975, édités par A. Mandouze et J. Fouilheron, Paris, Beauchesne, 1985, p. 181. 8 F. CABROL, Histoire du Cardinal Pitra, Paris, V. Retaux et fils, 1893, p. 111. 9 SOLTNER, Migne, dom Guéranger et dom Pitra cit., p. 202. 10 CABROL, Histoire du Cardinal Pitra cit., p. 111. 11 HAMMAN, Les principaux collaborateurs des deux patrologies de Migne cit., p. 181 nota 9. 12 Ibid., p. 184.
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Bruges aveva ricevuto il conspectus il 3.8.184313 e in una lettera indirizzata a Migne del 7 novembre 1843 egli esamina a una a una le scelte di Pitra fornendo importanti precisazioni bibliografiche ed editoriali14. 6. A questo punto si tocca un altro problema spinoso e arduo: qual è stato il peso di dom Pitra nell’iniziativa editoriale della Patrologia? Sicuramente nel periodo parigino la collaborazione fu molto stretta e si concretizzò nell’uscita dei primi 4 volumi di PL comprendenti le opere di Tertulliano (in due tomi), Minucio Felice e Cipriano15. Negli indici viene riconosciuta al benedettino la direzione dell’edizione dell’autore dell’Apologeticum. Si può leggere infatti che la prefazione è degli editori, «les PP. Bénédictins des Solesmes, sous la direction de dom Pitra» (PL 218,9). E ancora, stavolta nell’Index XI scriptorum recentiorum (PL 218,307ss), dove vengono segnati i nomi dei curatori, degli annotatori e dei commentatori delle opere dei Padri, gli editori benedettini vengono nuovamente citati con una lunga serie di contributi (PL 218,338-339) e in questo caso a dom Pitra viene riservata una speciale menzione («inter quos [sc. editores Patrologiae] R. P. Pitra ordinis S. Benedicti», PL 218,338). Questo indice riporta anche la voce «Pitra» nella quale si ricorda la prefazione all’opera di Tertulliano e si dà il riferimento a solo altri due contributi in PL 185,1798 e 1817 (PL 218,384-385)16. Non molto, se si pensa al lavoro svolto dal monaco benedettino. La collaborazione di dom Pitra all’opera per la Series latina era proseguita fino a Innocenzo III (voll. 214-217 del 1855) e a Fozio per la Series graeca (voll. 101-104 del 1860)17. In ogni caso una risposta a questa carenza di informazione si può trovare nel contratto tra Migne e i padri di Solesmes. Esso infatti, mentre riconosceva a «dom Guéranger e a dom Pitra la direzione esclusiva per la parte intellettuale dell’opera» e allo stesso Migne «la direzione esclusiva della parte materiale [edizione e commercializzazione]» (art.1)18, non prevedeva che figurassero i nomi dei benedettini. Così infatti recita il successivo art. 3: «Il nome dei R.R. P.P. non sarà messo da nessuna parte né individualmente né collettivamente, né nei prospetti né negli annunci, né nei titoli né nei frontespizi del volumi. Il nome di Migne invece potrà figurare dovunque egli lo riterrà opportuno
13
Cfr. Ibid., p. 185. Cfr. Ibid., pp. 187-188. 15 Cfr. SOLTNER, Migne, dom Guéranger et dom Pitra cit., p. 207. 16 Va aggiunta l’edizione nel 1851 delle Collectiones in epistolas et evangelia de tempore et de sanctis di Smaragdo (IX sec.) (PL 102,13-552) e le relative Notae in Commentarium Smaragdi (PL 102,1111-1132). 17 CABROL, Histoire du Cardinal Pitra cit., p. 112. 18 Testo in SOLTNER, Migne, dom Guéranger et dom Pitra cit., p. 203. 14
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eccezion fatta delle note che gli editori si riservano di fare intervenendo con una particolare indicazione»19. 7. Risulta evidente già in questo passaggio un tratto della personalità di Migne, un temperamento forte e geniale, con tratti di egocentrismo, che presto avrebbe trovato nel più riservato, ma nello stesso tempo non meno tenace Pitra, delle resistenze sul modo di intendere l’opera che avrebbero finito per portare alla rottura con l’editore. Le discordanze erano sui titoli da dare ai volumi troppo roboanti, «stravaganti» e «commerciali» per il monaco20, che invita il suo abate a chiudere la collaborazione con la pubblicazione dei primi quattro volumi di PL. Inoltre il monaco avrebbe voluto che il contributo dato dai padri benedettini — «de la Préface de Tertullien à la table de st Cyprien» — fosse esplicitamente indicato nell’opera (Lettera a dom Guéranger del 29.3.1844)21. Per quanto riguarda i titoli dei volumi Migne avrebbe risposto che ciò sarebbe stato possibile a condizione che i benedettini si fossero accollati le spese per le modifiche tipografiche. Era la fine della collaborazione prima maniera, cioè con il concorso dei padri di Solesmes all’edizione. Pitra nota soltanto con freddezza che gli sarebbero mancati i volumi «delle edizioni scelte dei Padri che arrivavano da tutte le parti e riempivano i vuoti della biblioteca». Non era tuttavia un divorzio. Infatti la collaborazione andò avanti tanto che in un passaggio dello Spicilegium egli, dopo aver ricordato di aver preparato l’elenchus di tutti i tomi che la costituivano fino al secolo tredicesimo, rammenta che era quasi vent’anni che si dedicava a questo lavoro di cui già, al momento in cui scriveva (era il 1852), erano usciti 115 volumi con autori che arrivavano fino al IX sec.22. 8. Si trattava dunque di una continuità che viene ribadita più tardi, in corso d’opera, in un articolo apparso nel 1858 su L’Univers, un quotidiano fondato dall’abbé Migne nel 1833, nel quale afferma con la consueta modestia che il suo contributo consisteva nel fornire «notizie sugli autori, indicazioni e consigli sui brani e le edizioni» (L’Univers 5.2.1858 p. 3). Egli inoltre notava che mai gli erano state fatte mancare «osservazioni minuziose sull’insieme e sui dettagli dell’esecuzione, avendo sempre sotto gli occhi 19 Testo in A. HAMMAN, Jacques-Paul Migne. Le retour aux Pères de l’Église, Paris, Beauchesne, 1975, p. 184. 20 Cfr. Lettera a dom Guéranger del 29.3.1844; SOLTNER, Migne, dom Guéranger et dom Pitra cit., p. 206. 21 Ibid., p. 206. 22 «Sic omnes tomos praevio elencho ad saeculum rei patristicae decimum tertium paraverim, omniumque auctorum ecclesiasticorum singula quae extant opera sic evolverim, ut jam priora novem saecula ad quindecim usque centumque tomos typis editos accreverint» (Spic. Sol. 1, p. LXXVI, 1852).
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il piano completo [dell’opera]», e al contempo gli confermava «l’appoggio decisivo per il completamento di quanto iniziato». Che non fosse tutto affidato alle mani del singolo monaco e che l’iniziativa era condivisa dalla comunità di Solesmes è dimostrato da quanto dice, non senza un po’ di orgoglio, dom Delatte (1848-1937), terzo abate del cenobio francese dopo la sua rifondazione: «Questa collezione sarà ancora a lungo lo strumento preferito degli studiosi. Ad essa appartiene l’onore di aver raccolto in un unico corpo tutte le voci della tradizione della Chiesa cattolica e tutti i documenti della sua storia dalle origini fino a Innocenzo III e al cardinale Bessarione»23. 9. Alla data del citato articolo de L’Univers era stata completata l’edizione dei Padri latini e stava per uscire il n. 50 della Series graeca, ricorda lo stesso Pitra, il quale sentiva così suo il progetto da difendere la pubblicazione anche dalle accuse che potevano sembrare secondarie, quali la presenza di refusi: «Per restare nel giusto e nel vero occorre dichiarare che in ogni confronto fatto a diverse riprese e su vasta scala la Patrologia risulta per correttezza superiore ad altre edizioni». E quanto critiche di questo tipo fossero ingenerose lo dimostra anche il fatto che, quando si parla di errori di stampa, e lo scrive uno che di libri se ne intendeva, «aucun édition ne resisterait a une critique de détails». La condivisione del progetto si fa ancora più evidente allorché tesse le lodi del suo ideatore dicendo che era «un uomo che si era dato il compito che nessuna corporazione, nessuna società letteraria, nessun governo, aveva osato affrontare; un uomo che senza l’aiuto manifesto di nessun notabile dell’amministrazione e della finanza e malgrado la crisi europea del ’48 aveva potuto realizzare quasi interamente un’opera in disaccordo con la moda, la fantasia, le passioni, le speculazioni dell’epoca, una specie di anacronismo bizzarro nel mezzo della letteratura facile, della vita molle, degli studi fiacchi, della teologia comoda e superficiale». L’elogio di Migne trova in questo articolo un complemento molto poetico in un passaggio in cui il benedettino parla della compagnia che questi volumi avrebbero fatto ai curati dei villaggi più sperduti, i quali avrebbero potuto condividere i tomi acquistati e «dare vita a un corso di patrologia ambulante nella pace dei campi e durante le pause del ministero». E se ci sono dei refusi nei suoi libri, scrive dom Pitra, «è perché molto ha fatto; ma molto gli sarà perdonato perché molto ha amato la Chiesa». 10. La vicenda di Saint-Germain, con lo strascico di conti sospesi da saldare che aveva lasciato dietro di sé, la parallela vicenda della Patrologia che si era aggiunta in quei poco più di due anni che era stato a Parigi avrebbero 23 P. DELATTE, Dom Guéranger abbé de Solesmes, 2 voll., Paris, Plon-Nourrit; G. Oudin, 1909, I, p. 328.
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cambiato nuovamente l’esistenza di dom Pitra. Egli aveva desiderato la vita del cenobio. Ducam eum in solitudinem et loquar ad cor eius, aveva letto una volta, quando era bambino a Cuisery, sul breviario del vecchio padre benedettino dom Tessier, che era anche il curato di quel paese. Una frase che si era rivelata profetica e che aveva costituito come refrain spirituale negli anni che lo avevano portato a lasciare il clero secolare e ad abbracciare la vita monastica. Adesso invece le cose si erano messe diversamente. La solitudine così agognata e desiderata continuava a sfuggirgli tanto più in quel momento in cui a dom Guéranger era venuta in mente l’idea, per onorare i debiti, di organizzare una raccolta di fondi attraverso l’istituzione di un’opera di carità. Fu così che dom Pitra, che aveva lasciato Parigi con tanta amarezza nel cuore la sera del 31 luglio 1845, sarebbe tornato ancora una volta protagonista perché gli sarebbe stato richiesto nuovamente il suo impegno ma stavolta proprio in quel settore dove era più portato, lo studio e i libri. Si trattava infatti di avviare una questua che non si limitava solo alla raccolta di fondi ma che vincolava il benedettino a una missione intellettuale in cui, a fronte della beneficenza ricevuta, si impegnava nel tenere discorsi, a predicare sermoni e fare conferenze e nel contempo a ricercare nelle diverse biblioteche che visitava materiali che potessero tornare utili non solo agli studi patristici e alla continuazione della pubblicazione della Patrologia ma alla storia della Chiesa in generale. In questo modo dom Pitra si trasforma in un moine-voyager per usare una bella espressone con cui Soltner lo descrive24. 11. È su queste premesse che cominciarono le sue peregrinazioni letterarie prima in Francia25 e poi all’estero nelle quali poté fare importanti rinvenimenti. Per esempio giunto nella biblioteca di Strasburgo, dopo «aver girato qua e là secondo diverse deviazioni di cose e di itinerario [hac illac per varia rerum et itinerum diverticula peregrinatus]»26 ha modo di imbattersi nel manoscritto della Clavis Melitonia, un libro che offre la chiave per interpretare il simbolismo cristiano [«Clavis dictus quod allegorica Scripturae sacrae arcana reserat propemodum universa»]27. A questo punto non si può non cedere a un po’ di aneddotica. Nel maggio del 1846, giunto presso la biblioteca del monastero di Nostra Signora degli Eremiti a Einsiedeln in Svizzera, il padre bibliotecario si dimenticò che c’era lui dentro ed egli dovette passare tutta la notte chiuso nelle stanze della sezione dei manoscritti. E sempre di notte, nella biblioteca di sir Thomas Phillipps (179224
SOLTNER, Migne, dom Guéranger et dom Pitra cit., p. 208. Battandier fornisce un elenco dei viaggi di Pitra dell’anno 1846 che non può non impressionare il lettore (pp. 143-144 nota 1). 26 Spic. Sol. 2, p. 16. 27 Spic. Sol. 2, p. I. 25
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1872), nel castello di Middle Hill (Mediomontanus), presso Broadway nel Worcestershire, riuscì a esaminare più di duecento manoscritti, per lo più sconosciuti e non catalogati, che il bibliofilo «aveva raccolto con incredibile diligenza e la munificenza degna di un re»28. 12. Avrebbe voluto la pace del chiostro, ma fin dal 1845, quando ancora era priore di Saint-Germain, dom Pitra cominciò la serie dei viaggi all’estero, prima in Inghilterra (dicembre-gennaio 1845) poi, sulla via del ritorno, in Belgio presso i Bollandisti di Anversa e l’Università di Lovanio, dove fece la conoscenza diretta dell’abbé Malou. Poi gli spostamenti per raccogliere fondi per l’opera di san Benedetto ideata da dom Guéranger. Nel 1847 fece ritorno in Belgio e si recò in Olanda29, in un viaggio che durò un intero anno. Nel 1849 su mandato del governo della Repubblica compì la seconda missione in Inghilterra con lo scopo di occuparsi «della continuazione dei volumi della Gallia Christiana e in seguito fare delle ricerche su molti punti interessanti della storia di Francia»30. Aveva desiderato la solitudine e il silenzio di Solesmes e invece da quando aveva indossato l’abito benedettino (febbraio 1843) solo impegni, doveri, pensieri e poi viaggi per terra e per mare. Era diventato un «monaco errante [moine errant]», come si definisce nella sua Autobiographie31, e sembrava essersi dissolta nel trambusto di diligenze, stazioni di posta, ferrovie, battelli e scali portuali l’aspirazione alla vita solitaria che era stato il richiamo più forte dell’antica chiamata a entrare nell’O.S.B. Un monaco certosino, Guigo I, quinto priore della Gran Certosa, per rimanere nel campo proprio di dom Pitra, aveva detto una volta che trascrivere codici equivaleva a pregare32. Una preghiera fatta con le dita e non con le parole, ma si trattava ugualmente di un gesto religioso e sacro. Allo stesso modo pensava anche il padre-filologo che nella confusione dei trasferimenti e nella concitazione della ricerca scientifica, nello straniamento delle località dove si veniva a trovare e anche nell’isolamento rispetto alle tradizioni e alle fedi che incontrava, ancora sentiva come il
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Spic. Sol. 1, p. XVII; per la descrizione di questa biblioteca cfr. anche il rapporto del 15.11.1849 inviato al Ministro dell’Istruzione Pubblica, cfr. BATTANDIER, Le cardinal JeanBaptiste Pitra cit., p. 222. Sulla storia della formazione e della dispersione della più grande raccolta privata di manoscritti cfr. A. N. L. MUNBY, Phillipps studies, rist. in due volumi dell’edizione che ne comprendeva cinque (1951-1960), London, Sotheby Parke-Bernet Publications, 1971. 29 Per l’itinerario del viaggio in Olanda cfr. BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 183 nota 1. 30 Ibid., p. 224. 31 Ibid., p. 178. 32 Guigo I, Consuetudines 28.3; PL 153,693.
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basso continuo di una litania quella voce che lo aveva guidato fin da bambino nelle sue scelte decisive: Ducam eum in solitudinem33. 13. I risultati di questi viaggi letterari confluirono, oltre che nei consigli sulle Patrologie, nello Spicilegium Solesmense e corrispondono al periodo 1850-1858, relativamente più tranquillo rispetto al decennio precedente. L’idea dello Spicilegium risaliva al 1848 ed era stato immaginato come una raccolta dove prendevano posto i materiali inediti che man mano il monaco scopriva nelle biblioteche che visitava durante i suoi viaggi letterari. Nel decennio successivo la pubblicazione si completò in un’edizione in quattro volumi apparsi negli anni 1852-1858. Il primo (1852), per il quale il padre di Solesmes ricevette le congratulazioni del pontefice Pio IX34, e il quarto (1858) presentavano una miscellanea di scritti inediti di padri latini e greci, mentre il secondo e il terzo (entrambi usciti nel 1855) erano costituiti da una Somma simbolica e da una raccolta delle testimonianze della tradizione relativamente alla Clavis Melitonia, un glossario che interpreta il simbolismo biblico, attribuibile al vescovo greco Melitone di Sardi35. Inoltre l’uscita del quarto volume dello Spicilegium sarebbe coincisa, proprio mentre erano in corso le stampe, con il suo viaggio a Roma, dove era stato chiamato su desiderio di papa Pio IX che, come si è visto, già aveva avuto modo di apprezzarne il lavoro intellettuale. 14. La partenza da Solesmes per Roma avvenne il 5 aprile 1858, l’arrivo nell’Urbe il 15 aprile, dopo essersi imbarcato a Marsiglia il 12 alla volta di Civitavecchia. Il 21 aprile ci fu l’udienza con il pontefice che senza preamboli e con franchezza gli illustrò il desiderio di prestare ascolto alle popolazioni orientali che tendevano le braccia alla chiesa cattolica e che aveva pensato a lui per una missione in quelle regioni, anche sulla base del fatto 33 Così egli descrive questo complesso momento della sua vita: «Non mi resta che riprendere la strada della questua in paesi stranieri. Io non so più dire in dettaglio i luoghi i cui nomi spesso colpivano in modo imperfetto le mie orecchie. Il fatto di essere lontani poteva dare più ardimento, diminuire la vergogna, fare sparire la persona, ma la difficoltà restava opprimente di stare insieme a stranieri indifferenti, senza una lingua in comune e con una irritazione generale contro la povera Francia. L’solamento poteva diventare crudele: neppure un amico, neppure un fratello nella fede, in paesi protestanti neppure un cattolico. Io ho dovuto, mai come allora, tornare alla devozione dell’infanzia per il mio angelo custode e crearmi una solitudine in mezzo a folle anonime e nello straniamento delle grandi città: Ducam eum in solitudinem» (Autobiographie, citato in BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 179) 34 Breve del 28 aprile 1852, che dom Pitra inserisce all’inizio del secondo volume dello Spicilegium, nel quale il pontefice lo incitava a proseguire il lavoro: «Fatti coraggio, caro figlio, nel sostenere con ardore il lavoro cominciato e continua a far conoscere documenti così preziosi. Sarà un di più di gloria per la Congregazione [benedettina] e la nostra stima per essa diventerà ancora più grande». 35 BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., pp. 291-292.
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che nel 1857 erano apparsi alcuni articoli36 del religioso benedettino sulle collezioni canoniche della Chiesa greca e questi interessi erano sembrati utili per portare avanti il confronto con la Chiesa d’Oriente in particolare al cardinale de Reisach che nella Curia romana si occupava di questi affari. Il desiderio del pontefice si concretizzò nel progetto di un viaggio in Russia per visitare le biblioteche sinodali di San Pietroburgo e di Mosca assai importanti per la storia del diritto canonico bizantino nonché altre biblioteche pubbliche e private di quelle città. Nel frattempo, in vista della missione, per prepararsi adeguatamente avrebbe preso visione di quanto sull’argomento ci fosse nelle biblioteche e negli archivi romani. Così in quel mese di maggio del 1858 dom Pitra entrava per la prima volta nella Vaticana, allargando le sue ricerche anche alla Vallicelliana, all’Angelica, alla Casantense. Tuttavia era nelle sale della Vaticana che egli passava la maggior parte del suo tempo. Così descrive una sua giornata in quella biblioteca: «Sveglia alle cinque. Celebrazione della santa messa tra le 6 e le 7. Colazione alle 8. Alle 8,30 spostamento alla Vaticana. Alle nove in punto inizio del lavoro. Intorno a mezzogiorno breve interruzione per un caffè e due pagnottine37, quindi ritorno in biblioteca fino a che la chiusura definitiva alle 15,30 non lo obbligava ad uscire»38. 15. Ciò che è interessante notare è che il progetto di una missione diplomatica si trasforma nella mente di dom Pitra in una occasione per visitare nuove biblioteche. I libri e la struttura che li custodiva sarebbero stati sempre l’orizzonte di tutta la sua vita. Perciò le sue ricerche proseguite fino al 15 agosto 1858 a Roma ebbero un’appendice italiana. Infatti il 17 lasciata la città, per fare ritorno a Solesmes, intraprese un vero e proprio Iter italicum nel quale toccò diverse biblioteche; a Firenze la Laurenziana, a Modena l’Estense e quindi, passando per Mantova e Verona, si recò alla Marciana di Venezia e alla biblioteca dei padri Mekhitaristi dell’isola di san Lazzaro. Tappa successiva dell’itinerario italiano fu Milano che dom Pitra raggiunse in treno con un viaggio iniziatosi alle nove di sera e terminatosi alle sei del mattino. Dopo aver visitato le biblioteche della città ambrosiana prese la via di Vercelli e quindi di Torino e infine il passo del Moncenisio che lo avrebbe riportato in Francia. Il 25 ottobre era a Solesmes. Otto mesi dopo, in data 15 maggio 1859, partì per la Russia con passaporto diplomatico francese con lo scopo di «studiare i manoscritti canonici e liturgici 36 Si trattava di una serie di tre articoli, Collection des Canons de l’Église grecque, apparsi su l’Univers del 4, 17 e 21 novembre 1857; ristampati nel volume: J.-B. PITRA, Des canons et des collections canoniques de l’Église grecque, Paris, Librairie De A. Durand, 1858. 37 In italiano nel testo. 38 BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 328.
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dei Greci»39; attraversò il Belgio, la Germania (a Berlino arrivò il 1° luglio) quindi, imbarcatosi a Stettino, fece scalo a San Pietroburgo il 12 luglio; il 2 agosto era a Mosca dove, dal 21 settembre fino al 15 gennaio del 1860, poté svolgere le sue ricerche nella Biblioteca del Sinodo della capitale. Il modo di lavorare era sempre lo stesso dalla mattina alla sera in biblioteca, fatta salva la pausa per il pranzo. Dopo cena in privato continuava il lavoro iniziato durante il giorno. Ancora una volta una testimonianza della passione e dell’amore per i libri che lo incatenava alle biblioteche e che, fin da quando era un giovane professore del seminario minore, aveva testimoniato con parole molto eloquenti: «A quei tempi [nel medioevo] i volumi erano disposti nei santuari. La biblioteca era chiamata l’arsenale; i libri l’alimento dei monaci. Un abate morente fece giurare, davanti a Dio, a tutti i suoi discepoli che avrebbero conservato la sua magnifica biblioteca. In qualche monastero si esigeva che un religioso portasse al suo arrivo un libro raro e prezioso e si metteva un’imposta su chi viveva nel cenobio per alimentare la biblioteca. Per farla breve si fece della cultura del libro un dovere sacro prescritto dalle regole monastiche ai monaci»40. 16. Nel 1861 dom Pitra fu chiamato di nuovo a Roma (dove arrivò i primi di ottobre) per perfezionare i suoi studi eruditi e con l’incarico ufficiale di Consultore della S. Congregazione speciale per gli affari di rito orientale. La sua attività alla Vaticana procedeva ai ritmi soliti. Mattina e pomeriggio al lavoro, breve pausa per il pranzo, quindi rientro all’abbazia di san Paolo fuori le mura dove aveva la sua cella. In una lettera a dom Guéranger, del 21.12.1861 egli dà un fermo-immagine d’altri tempi della sua attività di studioso: «Solo in una sala immensa e non riscaldata della Vaticana, la testa avvolta in una sciarpa, sotto i piedi un asse di legno per proteggermi dal freddo». Fu così che lo poté vedere, intirizzito tra libri e carte, Pio IX mentre attraversava con il suo corteo le sale della biblioteca, ciò che rese possibile che il giorno dopo gli venisse portato da parte del papa uno spesso tappeto e la sala fosse riscaldata in maniera confortevole. Parallelamente in questi anni si andava completando il progetto della Patrologia. Procedeva infatti regolarmente la pubblicazione della Series graeca (18571866). Il Conspectus di p. Pitra arrivava fino a Fozio e invano l’abbé Migne gli aveva chiesto la continuazione di questo elenco da Fozio fino al Concilio di Firenze (1439)41. Con i quattro volumi del patriarca costantinopolitano (PG 101-104), usciti nel 1860, terminava di fatto il contributo del monaco 39
Diario del viaggio in Russia, citato in BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 360. 40 Ibid., p. 41. 41 Lettere del 27.11.1857; 20.12.1860; 4.10.1864.
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benedettino all’opera dell’editore di Montrouge. Dal n. 105, con il volume dedicato a Niceta David diviene responsabile dell’edizione J.-B. Malou il quale era già intervenuto decisamente sui tomi foziani scrivendo tra l’altro l’introduzione generale, che viene rubricata genericamente come: Patrologiae Editorum Praefatio (PG 101,I-X), anche se alla fine viene indicato piuttosto cripticamente il luogo (Bruges), la data e apposta la firma puntata: B*****, 8 decembris 1860 J.-B.M. Con Migne la firma era sempre un problema. La collaborazione del vescovo di Bruges durò fino alla morte avvenuta nel 1864. Tuttavia egli era riuscito a completare il progetto di pubblicare i padri greci fino a Bessarione (uscito nel 1866, PG 161), aveva anche approntato il volume 162 con gli indici nel 1864 (anno in cui il patrologo sarebbe venuto a mancare) ma, come scrive con grande rammarico lo stesso Migne in una lettera a dom Pitra, questi materiali non avrebbero mai visto la luce per via dell’incendio del 186842 divampato quando il n. 162 era in stampa43. 17. Dom Pitra fu creato cardinale nel concistoro del 16 marzo 1863 e il 19 marzo ottenne la berretta cardinalizia e il titolo di cardinale presbitero di san Tommaso in Parione44. La sera di quello stesso giorno il neo-porporato «riceveva un biglietto della Segreteria di Stato che lo informava che il Santo Padre gli assegnava le seguenti congregazioni: Propaganda e congregazione speciale per gli affari di rito orientale. Esame dei vescovi. Studi. Sullo stato dei regolari»45. Avrebbe alloggiato nel palazzo di san Callisto. Per il resto continuava la sua frequentazione a ritmo serrato della Vaticana: dalle nove alle tre tutti i giorni e poi rientro a casa, dove consumava il suo unico pasto della giornata, quindi, dopo un’oretta di riposo, nuovamente al lavoro (fatto salvo un saluto ai domestici verso le nove) fino a mezzanotte o all’una. La sveglia normalmente era alle cinque. Frutto di questa attività fu la pubblicazione del primo volume della collezione dei canoni greci nel 186446. Nondimeno quello restò un anno molto triste, come tiene lo stesso Pitra a ricordare in una pagina del suo diario perché, proprio mentre era in corso la pubblicazione del libro, «nel mese di maggio era spirato il suo amico J.-B. Malou, santo e saggio vescovo di Bruges, consumato da un cancro che lo aveva colpito negli ultimi due anni. […] Il vuoto — aggiunge 42 Cfr. H. R. BLOCH, Il plagiario di Dio, prefazione di Umberto Eco, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002, p. 134. 43 Cfr. Lettera a dom Pitra del 19.4.1864; HAMMAN, Les principaux collaborateurs des deux patrologies de Migne cit., p. 191. 44 Dal 1866 ottenne il titolo di cardinale presbitero di san Callisto. 45 BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 479. 46 Iuris ecclesiastici graecorum historia et monumenta, vol. 1: a primo p.C.n. ad 6. saeculum, curante I. B. PITRA, Romae, Typis Collegii Urbani, 1864.
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— si fa attorno a me, io resto e mi dissecco, trasportato così bruscamente sulla cima della montagna sotto il sole ardente...». 18. Gli anni che seguirono, oltre che nel lavoro presso le Congregazioni a cui era stato assegnato dell’Indice e dei Riti, videro Pitra impegnato nella redazione del secondo volume della collezione dei canoni greci dedicato alla storia del diritto ecclesiastico greco che sarebbe stato pubblicato nel 186847. L’anno successivo (1869) fu quello della nomina a Bibliotecario di Santa Romana Chiesa e protettore della Biblioteca Vaticana48, al posto del cardinale Antonio Tosti (1776-1866), già pro-tesoriere e quindi tesoriere generale della Camera Apostolica, un ruolo, quello di amministratore generale delle rendite e dei beni dello Stato, che certamente aveva più attinenza con la scienza delle finanze che con il sapere dei libri e delle biblioteche49. Il 1869 è anche l’anno della convocazione del Concilio Vaticano I (8.12.186920.10.1870). Quasi presentendo quanto sarebbe accaduto appena dopo, già nel 1867 il cardinale-bibliotecario aveva immaginato un’edizione completa dei Concili e come editore aveva pensato proprio all’abbé Migne. Tuttavia il troppo breve tempo che c’era dall’assise conciliare e l’occupazione post1870 gli fecero abbandonare ogni progetto editoriale. Del concilio dom Pitra tenne un diario: «Diarium Concilii Vaticani» dove «inserì oltre ai nomi di tutti i oratori, il riassunto dei discorsi pronunciati e la narrazione di diversi fatti che erano avvenuti»50. Durante i lavori egli prese la parola due volte a proposito degli ultimi due capitoli della Costituzione De Ecclesia per parlare del valore e della natura del primato del pontefice romano nei documenti delle Chiese orientali51. Il 18 luglio 1870 scoppiò la guerra tra Francia e Germania e due mesi dopo, con la sconfitta dei francesi a Sedan (2.9.1870), le truppe italiane entravano a Roma attraverso Porta Pia (20.9.1870). 19. Nella nuova situazione politica che si era venuta a creare a Roma, (la città era diventata capitale del Regno d’Italia il 21.1.1871) il card. Pitra continuò a lavorare nelle diverse Congregazioni di cui faceva parte ma i progetti editoriali ebbero una battuta d’arresto per via del clima d’incertezza generale che si respirava, determinato dall’occupazione piemontese. 47
Iuris ecclesiastici graecorum historia et monumenta, vol. 2: a 6. ad 9. saeculum, curante I. B. PITRA, Romae, typis S. Congregationis de Propaganda Fide, 1868. Da ricordare anche lo studio, pubblicato l’anno prima, sull’innografia greca: JEAN BAPTISTE PITRA, Hymnographie de l’Église grecque, dissertation accompagnée des offices du 16 janvier, des 29 et 30 juin en l’honneur de s. Pierre et des apôtres, Rome, Imprimerie de la Civiltà cattolica, 1867. 48 Rescritto del 16.1.1869. 49 Cfr. BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 772. 50 Ibid., p. 549. 51 Congregazione LXX del 13.6.1870 e Congregazione LXXIII del 18.6.1870.
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Tuttavia nella confusione del momento storico il Bibliotecario di Santa Romana Chiesa non aveva cambiato le sue abitudini. Alle nove, puntualmente, entrava nella Vaticana. Alle dodici, come sempre, recita dell’Angelus e consumazione di un po’ di pane secco, quindi ripresa del lavoro fino alle 15.30. Ritorno a san Callisto verso le quattro. Pranzo frugale e ancora ore e ore di studio in vista della continuazione dello Spicilegium Solesmense. Come fa notare Battandier, «questa regola di studi sembra essere la copia della precedente […], a dimostrazione della continuità e dell’impegno accanito, e dà ragione della incrollabile produzione scientifica del cardinale»52. Erano anni davvero difficili. Nel dare alle stampe il primo volume degli Analecta sacra53, pensato come continuazione dello Spicilegium, che raccoglie opere di vari scrittori melodi, il cardinale non manca di accennare alla difficile contingenza storica. Scrive, infatti, all’inizio del volume, che si stavano attraversando «tempi turbati da somme e gravissime cure [tempora maximis gravissimisque vexata curis]»54. I tormenti della guerra non avevano risparmiato neppure i libri e a questo si deve anche aggiungere l’inondazione del Tevere tanto che, arriva a scrivere Pitra, «sia il fuoco sia l’acqua avevano reso il libro impossibile [Infaustus liber igne et aqua interdicebatur]»55. In questo contesto già molto complicato si aggiunse la notizia della morte di dom Guéranger il 30 gennaio del 1875. Avvenimento questo che, in una lettera dello stesso giorno indirizzata all’abate di Solesmes, dom Couturier, commenta in questo modo: «Come finirà quest’anno che è cominciato con un lutto così grande?»56, quasi presagisse un’altra scomparsa. Infatti il 24 ottobre dello stesso anno sarebbe mancato anche l’abbé Jacques-Paul Migne, l’editore con il quale dom Pitra tanti progetti aveva condiviso e tanti libri realizzato. 20. Nel giro di pochi mesi, il 7 febbraio 1878, era venuto a mancare anche Pio IX, dal quale dom Pitra aveva ricevuto non solo la porpora cardinalizia ma anche, e ancora prima di conferirgli quella dignità, apprezzamento e stima per i suoi studi e lavori. Il nuovo pontefice Leone XIII coltivò il disegno, nel mutato contesto politico e sociale, di sviluppare gli studi storici «con il preciso obiettivo di far apparire ciò che è autenticamente vero e di confutare con dottrina le ingiurie criminose che ormai troppo 52
BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 566 nota 1. Analecta sacra Spicilegio solesmensi parata 1, edidit Joannes Baptista card. Pitra, Romae, Typis Tusculanis, 1875; ristampa identica a quella del 1875: Analecta sacra Spicilegio solesmensi parata 1, Parisiis, a Jouby et Roger, Bibliopolis, 1876, dalle quale sono tratte le citazioni. 54 Ibid., Prolegomena p. I. 55 Ibid., Prolegomena p. II. 56 BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 577. 53
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a lungo sono state accumulate contro i Pontefici romani». È quanto egli scrive in una lettera, Saepenumero considerantes, del 18.8.1883 indirizzata ai tre cardinali De Luca, vice Cancelliere di Santa Romana Chiesa, Pitra, bibliotecario di Santa Romana Chiesa ed Hergenröther, prefetto degli Archivi Vaticani57, per sottolineare come la storia del papato è anche la storia dei benefici che esso ha recato al mondo. Fu perciò creata una Commissione di studi storici, composta dai tre porporati che accogliesse e sviluppasse l’appello del Santo Padre ad approfondire e a indagare con verità l’operato della Chiesa nei secoli. Inoltre nel periodo in cui dom Pitra fu impegnato nel lavori della Commissione uscirono, a sue spese, anche nei volumi IIIV degli Analecta sacra contenenti testi e scritti dei Padri anteniceni58. Nel quinquennio 1879-1884 Pitra era stato nominato Cardinale vescovo di Frascati e proprio in questa sede riuscì a fondare, seguendo il suo istinto per i libri e l’editoria, una tipografia presso la quale diede alle stampe il terzo volume degli Anelecta sacra e i due volumi degli Analecta novissima, dedicati rispettivamente alle lettere dei papi fino a Bonifacio VIII e agli scritti di quattro suoi predecessori sulla cattedra di Tuscolo in epoca medievale59. 21. Era questo volume, scrive lo stesso Pitra nella prefazione, un omaggio a chi lo aveva preceduto e «un ricordo di cinque anni passati insieme a un popolo cristiano» (p. V). Infatti nel marzo 1884, essendosi resa disponibile per la morte del titolare, Pitra aveva dovuto lasciare Frascati per prendere possesso della sede vescovile di Porto e Santa Rufina, che era collegata alla dignità di cardinale sottodecano del collegio cardinalizio. Proprio nella Préface al primo volume dei Novissima è possibile rinvenire un passaggio dal tono molto personale. Egli infatti parla «dei passi lenti e del respiro corto della vecchiaia e del peso degli anni» (p. V). Quasi un presagio sulle sue condizioni di salute. Nel febbraio infatti del 1885 una flussione di petto aveva fatto cominciare a temere per la sua persona. Il 1885 si sarebbe dimostrato un anno difficile nella vita dom Pitra. A preoccuparlo erano non solo queste prime avvisaglie del male ma anche l’incidente della lettera da lui scritta a Brouwers, un sacerdote che dirigeva il quotidiano cattolico olandese Amstelbode60. L’articolo ricevette il biasimo 57 https://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/letters/documents/hf_l-xiii_let_18830818_saepenumero-considerantes.html 58 JOHANNES BAPTISTA PITRA, Analecta sacra Spicilegio solesmensi parata, vol. II, Typis tusculanis, 1884; vol. III, e typographeo veneto Mechitaristarum sancti Lazari, 1883; vol. IV, Parisiis, ex publico Galliarum typographeo, 1884. 59 Analecta novissima Spicilegii solesmensis, altera continuatio, disseruit Joannes Baptista Cardinalis Pitra, vol. 1: De epistolis et registris Romanorum Pontificum, Parisiis, Roger et Chernowitz Bibliopolis [poi] Typis Tuscolanis, 1885; vol. 2: Tusculana, Typis Tusculanis, 1888. 60 CABROL, Histoire du Cardinal Pitra cit., p. 353.
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del pontefice e lo pose al centro di una campagna di stampa contro la sua persona con «l’accusa di essere scismatico ed eretico», dalla quale egli si difese rinnovando sempre le attestazioni «di sottomissione, di rispetto e di filiale obbedienza»61 nei confronti del papa. 22. Malgrado questo episodio doloroso e una salute che andava facendosi malferma, la sua attività editoriale non aveva conosciuto soluzione di continuità; anzi si era intensificata: Motus in fine celerior... In linea infatti con la ricerca sugli studi storici e bibliografici, caldeggiata da Leone XIII, nel 1885 sarebbe uscito sotto la sua direzione («praeside J.-B. Pitra») il volume relativo ai manoscritti greci del fondo palatino della Vaticana, nel 1886 quello dei manoscritti latini e nel 1888 quello dei manoscritti greci della regina Cristina di Svezia e Pio II62. E sempre nello stesso anno, che è quello che precede la morte, il quinto volume degli Analecta sacra, gli Analecta sacra et classica63. E qui ancora l’accenno al cattivo stato di salute si fa più marcato. Così si rivolge nella Prefazione al suo pubblico: «Se abbiamo dei lettori, essi saranno indulgenti nei confronti di un lavoratore affaticato, la cui vista bassa e il cui ardore si spengono in una vecchiaia malaticcia la quale, una volta che ha preso la sua preda, non la lascia più fino alla fine»64. Era più di un presentimento. Il sesto volume degli Analecta infatti sarebbe uscito postumo65, e lo studioso francese aveva già pensato a una nuova serie di raccolte, i Novissima verba, nella quale — «come se si stesse preparando al grande viaggio», aggiunge il suo segretario66, — aveva intenzione di riportare le parole dei santi alla fine della loro vita e i loro testamenti spirituali. 23. Jean-Baptiste Pitra si spense la sera del 9 febbraio 1889. Durante la 61
Ibid., p. 354. Sotto il titolo generale di Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti: 1. Codices manuscripti Palatini Graeci Bibliothecae Vaticanae, Romae, ex Typographeo vaticano, 1885; 2. Codices palatini latini Bibliothecae Vaticanae, Romae, ex Typographeo Vaticano, 1886; 3. Codices manuscripti Graeci Reginae Svecorum et Pii PP. 2. Bibliothecae Vaticanae, Romae, ex Typographeo Vaticano, 1888. 63 Si tratta del V volume della serie degli Analecta sacra in due tomi: 1. pt. l. Analecta sacra [comprendenti scritti di vari autori cristiani greci e latini]; pt. 2. Analecta classica [comprendenti scritti di Proclus Lycius, Hermes Trismegistus, Harpocration, Aristides, Romanus Rhetor e altri], Parisiis, apud Roger et Chernowitz Bibliopolas, 1888. 64 Analecta sacra et classica cit. Préface, p. XXXI. 65 Nel 1891 fu pubblicato postumo il volume VI degli Analecta sacra: Juris ecclesiastici graecorum selecta paralipomena, Parisiis, apud Roger et Chernowirz Bibliopolas; Romae, ex Officina Libraria Philippi Cuggiani, 1891. La serie nell’idea di Pitra dove comprendere 8 volumi, nel 1882 era stato pubblicato il vol. VIII dedicato a santa Ildegarda di Bingen: Analecta sanctae Hildegardis opera, typis Sacri Montis Casinensis. Il vol. VII, che doveva essere un grande trattato sull’innografia greca, non vide mai la luce. 66 BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 765. 62
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sua ultima visita a Solesmes, nell’estate del 1875, e sicuramente ispirato dalla scomparsa del suo priore, dom Prosper Guéranger, il padre benedettino aveva annotato questo pensiero sulla morte che potrebbe essere apposto anche a suggello della sua vita: «Tutto può passare e tutto passa necessariamente. Lasciamo fare e lasciamo passare. Colui che guida questo grande convoglio sa meglio di noi dove bisogna portarci. Che ne sarebbe di noi se ci prendesse sulla parola e si desse la briga di portarci dove vogliamo. Ne saremmo spaventati e a ragione. No, vada lui davanti e a noi basti di tenere la sua mano»67. Ma forse le più belle parole per rendere onore al defunto sono quelle scritte da Battandier alla fine della sua biografia e con esse si può anche chiudere questo breve profilo del monaco di Solesmes divenuto Bibliotecario di Santa Romana Chiesa: «I libri del cardinal Pitra non hanno solo onorato la Chiesa, ma le sono stati anche di grande aiuto, perché hanno fornito delle armi potenti a tutti quelli che vogliono prendere parte alla grande lotta del bene contro il male»68.
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Ibid., p. 604. Ibid., p. 908.
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ELENCO DELLE OPERE DI J.-B.PITRA Histoire de saint Léger, évêque d’Autun et martyr, et de l’Église des Francs au septième siècle, Paris, Waille, 1846. La Hollande catholique, Paris, aux bureaux de la Bibliothèque nouvelle, 1850. Études sur la collection des Actes des saints par les RR. PP. Jésuites Bollandistes, Paris, J. Lecoffre, 1850. Spicilegium Solesmense complectens sanctorum Patrum scriptorumque ecclesiasticorum anecdota hactenus opera selecta e graecis orientalibusque et latinis codicibus, 4 voll., Parisiis, apud Firmin Didot, 1852-1858. Notice sur M. Libermann, Paris, Bailly et Divry, 1852. Des Canons et des collections canoniques de l’Église grecque d’après l’édition de M.G.A. Rhalli président de l’aréopage, Paris, Librairie De A. Durand, 1858. Iuris ecclesiastici graecorum historia et monumenta iussu Pii IX pont., 2 voll., Romae, Typis Collegii Urbani [poi typis S. Congregationis de Propagande Fide], 1864-1868. Hymnographie de l’Église grecque. Dissertation accompagnée des offices du 16 janvier, des 29 et 30 juin en l’honneur de S. Pierre et des apôtres, Rome, Imprimerie de la Civiltà cattolica, 1867. Analecta sacra Spicilegio Solesmensi parata, 7 voll. [in realtà la numerazione è Tomi I-VIII, ma il numero VII non è mai stato pubblicato], [con diversi luoghi di pubblicazione ed editori; per la descrizione cfr. supra le note ad essi inerenti], 1875-1891. Analecta novissima spicilegii solesmensis altera continuatio, 2 voll. [con diversi luoghi di pubblicazione ed editori; per la descrizione cfr. supra le note ad essi inerenti], 1885-88. Codices manuscripti Palatini Graeci Bibliothecae Vaticanae, Romae, ex Typographeo vaticano, 1885. Codices Palatini latini Bibliothecae Vaticanae descripti, praeside I. B. Cardinali Pitra, recensuit et digessit Henricus Stevenson iunior; recognovit I. B. De Rossi, Romae, ex Typographeo vaticano, 1886. Codices manuscripti graeci reginae suecorum et PII PP. II Bibliothecae vaticanae descripti, recensuit et digessit Henricus Stevenson, praeside I.B. Pitra, Romae, ex Typographeo vaticano, 1888.
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A PROPOSITO DELLE “FIAMMELLE INQUARTATE CON LE LETTERE FD” DI FEDERICO DA MONTEFELTRO NEI CODICI URBINATI I manoscritti che costituirono la collezione di Federico da Montefeltro (1422-1482), custodita dal 1657 in Biblioteca Vaticana, sono notoriamente impreziositi da raffinate e sfarzose miniature di artisti tra i più importanti dell’epoca1: fra gli elementi decorativi che incorniciano e ornano le pagine dei codici campeggiano gli stemmi feltreschi nella loro evoluzione diacronica — bandato e inquartato, poi incrementato del palo della Chiesa dopo la nomina a gonfaloniere2 — e le diverse imprese araldiche adottate da Federico, prima conte (dal 1444) e poi duca di Urbino (dal 1474). 1 In Vaticana, la collezione federiciana e i successivi accrescimenti furono suddivisi secondo un criterio alfabetico in tre fondi: Urbinati latini, Urbinati greci, Urbinati ebraici; sei manoscritti arabi furono inseriti nel fondo arabo aperto (Vat. ar. 155, 212, 216, 221, 228, 229; cfr. Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, I, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 538-553, con ampia bibliografia). In questa sede ci si limita a fornire coordinate bibliografiche essenziali sulla biblioteca urbinate, con particolare riferimento al nucleo originario di Federico: Federico di Montefeltro. Lo Stato, le arti, la cultura, a cura di G. CERBONI BAIARDI – G. CHITTOLINI – P. FLORIANI, I-III, Roma 1986 («Europa delle Corti». Biblioteca del Cinquecento, 30); Federico da Montefeltro and His Library [Exhibition Catalogue: New York, The Morgan Library and Museum, June 8 – September 30, 2007], edited by M. SIMONETTA, preface by J. J. G. ALEXANDER, Milano – Città del Vaticano 2007; Ornatissimo codice. La biblioteca di Federico di Montefeltro [catalogo di mostra: Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 15 marzo – 27 luglio 2008], a cura di M. PERUZZI, con la collaborazione di C. CALDARI, L. MOCHI ONORI, Città del Vaticano – Milano 2008; M. PERUZZI, «Lectissima politissimaque volumina»: i fondi urbinati, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, III: La Vaticana nel Seicento (1590-1700): una biblioteca di biblioteche, a cura di C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2014, pp. 337-394. Si segnala inoltre il percorso tematico La biblioteca di un ‘principe umanista’: Federico da Montefeltro e i suoi manoscritti / The Library of a ‘Humanist prince’: Federico da Montefeltro and his Manuscripts, a cura di chi scrive, proposto dalla Biblioteca Vaticana e sostenuto dalla Andrew W. Mellon Foundation, consultabile al sito https://spotlight.vatlib.it (le caratteristiche principali della collezione sono ripercorse attraverso la descrizione di una trentina di manoscritti rappresentativi, offerta con le immagini digitali opportunamente annotate); cfr. infra l’articolo di Paola Manoni (pp. 265-281). 2 Gli stemmi sono quelli identificativi della famiglia Montefeltro: bandato (d’azzurro e d’oro all’aquila di nero sulla prima banda d’oro) e inquartato (nel I e nel IV d’oro all’aquila di nero coronata del campo, nel II e nel III bandato d’azzurro e d’oro all’aquila di nero sulla prima banda d’oro). Quest’ultimo, dopo il conferimento da parte di Sisto IV a Federico nel 1474
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 73-98.
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Nei codici per lui realizzati è quindi possibile individuare un vero repertorio araldico, con un preciso programma figurativo e puntuali riprese iconografiche, che anima in modo straordinariamente ricco le pagine manoscritte, impreziosendo fregi, medaglioni, iniziali istoriate, piccoli e grandi riquadri miniati, al fine di celebrarne il possessore. Alcuni degli emblemi — presenti non solo nei codici, ma anche in ambienti di palazzo, medaglie o pitture3 — sono legati ad onorificenze ottenute, come la Giarrettiera e l’Ermellino: nel 1474, annus mirabilis per Federico, egli ottenne l’ambito titolo ducale e quello di gonfaloniere della Chiesa, ma fu anche insignito di due dei più importanti titoli onorifici del tempo, l’Ordine della Giarrettiera e l’Ordine equestre del Collare dell’Ermellino. L’investitura del supremo Ordine cavalleresco inglese, ricevuta da Edoardo IV d’Inghilterra, è rappresentata da una giarrettiera di velluto azzurro scuro listato d’oro, con fibbia e puntale d’oro, che — portata dai cavalieri sotto il ginocchio della gamba sinistra — reca il motto in francese antico Honni soit qui mal y pense (con varianti di forma per la prima parola — honi, honny), ovvero sia svergognato colui che pensa male, in lettere d’oro; la sua presenza nei codici è sicuro terminus post quem per la datazione4. della dignità ducale e del titolo di gonfaloniere della Chiesa, fu incrementato del palo della Chiesa, caricato delle insegne pontificie, le chiavi di san Pietro — una d’oro e l’altra d’argento, legate con una corda rossa e con gli ingegni volti verso l’alto, disposte in croce di sant’Andrea — e sopra di esse la tiara papale da cui pendono le due infule. La presenza di tale stemma è dunque un certo elemento post quem per la datazione del manoscritto (esclusi i casi in cui esso fu aggiunto, come spesso accade in codici non direttamente commissionati da Federico, ma realizzati anche secoli prima e solo successivamente acquisiti dal signore di Urbino, come nel caso, ad esempio, dell’Urb. gr. 2, sec. XII, f. 3v). Lo stemma è spesso affiancato dalle iniziali in lettere capitali FD o talvolta da FE DUX, per Federicus Dux (in sostituzione di quelle usate fino ad allora, FC per Federicus Comes); può anche essere sormontato dalla corona ducale (cfr. Urb. lat. 1, f. 201r; Urb. lat. 324, f. 1r; Urb. lat. 326, f. 1r; Urb. lat. 337, f. 1r). Sullo stemma ducale e sul suo uso da parte del figlio di Federico, Guidobaldo, cfr. C. H. CLOUGH – A. CONTI, Guidobaldo da Montefeltro: fu mai Gonfaloniere di Sancta Romana Ecclesia?, in Studi Montefeltrani 27 (2006), pp. 115-136. In generale, per una sintesi sui principali elementi dell’araldica federiciana, stemmi ed emblemi, si segnala il percorso tematico La biblioteca di un principe umanista cit., con bibliografia precedente. 3 In particolare, molti emblemi presenti nei manoscritti trovano posto anche nelle tarsie lignee che impreziosiscono sia lo Studiolo del Palazzo Ducale di Urbino, sia quello di Gubbio, per i quali si vedano almeno L. CHELES, Lo Studiolo di Urbino. Iconografia di un microcosmo principesco, Ferrara – Modena 1991, in particolare pp. 55-90 e Lo studiolo di Federico da Montefeltro, edizione italiana a cura di G. BENAZZI, Milano 2007, I: O. RAGGIO, Lo Studiolo di Federico da Montefeltro; II: A. M. WILMERING, Le tarsie rinascimentali e il restauro dello Studiolo di Gubbio. 4 Federico è raffigurato con indosso la giarrettiera nel famoso dipinto che lo ritrae insieme al figlio Guidobaldo, custodito nel Palazzo di Urbino e attribuito a Giusto di Gand o a Pedro Berruguete (cfr. A. MARCHI, Pedro Berruguete, Federico da Montefeltro con il figlio Guidubaldo bambino (Doppio ritratto), in Lo Studiolo del Duca. Il ritorno degli Uomini Illustri alla Corte di Urbino [catalogo di mostra, Urbino, Palazzo Ducale, Galleria nazionale delle Marche,
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Diversamente, l’emblema dell’ermellino, attestato anche in decorazioni antecedenti l’onorificenza concessa a Federico da Ferdinando I d’Aragona5, non è necessariamente legato ad essa, ma può avere altresì un più generale valore allegorico, simboleggiando tradizionalmente purezza e incorruttibilità: circondato da un cerchio di sudiciume, esso preferisce morire anziché imbrattare il candore della propria pelliccia, come l’uomo onesto vuole sempre mantenere la propria purezza intatta anche a prezzo della morte (fig. 1). Il motto che anima la figura allegorica, non mai o numquam, allude proprio all’impossibilità di trascurare il perseguimento di onestà e virtù; l’emblema si può trovare accompagnato anche da un altro motto, decorum, citato all’interno dello statuto dell’Ordine dell’Ermellino6. La presenza dell’emblema non costituisce dunque un certo riferimento per la datazione. Le imprese — immagini che esaltano allegoricamente un aspetto del carattere o un avvenimento che ha contraddistinto la vita del personaggio che le adotta — celebrano le virtù del signore di Urbino in due ambiti: esaltano le qualità dell’uomo d’armi — come la tenacia, la risolutezza e il coraggio necessari al valoroso condottiero — e quelle del cultore delle humanae litterae, come la purezza e la rettitudine morale. Si tratta dunque di simboli, che si caricano di un importante valore semantico al fine di esaltare l’autorità e il potere del signore feltresco. Il loro significato è reso più esplicito dal motto che li accompagna. Secondo Paolo Giovio (1483-1552), che con 14 marzo – 4 luglio 2015], a cura di A. MARCHI, Milano 2015, pp. 120-121; M. SIMONETTA, Double Portrait of Federico da Montefeltro and his Son Guidobaldo, in Federico da Montefeltro and His Library cit., pp. 102-109). 5 L’emblema si trova scolpito, ad esempio, in una delle sale del cosiddetto appartamento della Jole, all’interno del Palazzo Ducale, risalente alla metà del Quattrocento, o anche in una medaglia realizzata dall’incisore Paolo da Ragusa nei primi anni Cinquanta almeno, sul cui dritto è raffigurato Federico — appellato Comes nella legenda (Federicus Comes Montis Feretri Urbini Durantisque) — di profilo, ancora privo della caratteristica forma aquilina acquisita dopo l’incidente occorso nel 1451, mentre sul rovescio si trova un ermellino preceduto dalla dicitura «Regius Capitaneus generalis» (cfr. G. F. HILL, A corpus of Italian medals of the Renaissance before Cellini, I-II, London 1930, p. 14 nr. 47, tav. 12). Alcuni hanno voluto collegare l’adozione di questo simbolo al tentativo da parte del conte di Urbino di discolparsi dall’accusa di aver voluto l’assassinio del fratellastro Oddantonio, morto nel 1444 (cfr. A. CONTI, L’Ordine napoletano dell’Ermellino e l’iconografia di Federico da Montefeltro, in Nobiltà 16 (2009), pp. 199-220, in particolare pp. 204-205 e nt. 25). 6 Cfr. I Capitoli dell’Ordine dell’Armellino, messi a stampa con note da Giuseppe Maria Fusco, Napoli 1845, pp. 17, 33, 34; T. DE MARINIS, La biblioteca napoletana dei re d’Aragona, I, Milano 1952, p. 134; CONTI, L’ordine napoletano dell’ermellino cit., pp. 205, 212-213. Entrambi i motti che accompagnano l’emblema nei codici, volutamente concisi, alludono al più esplicito Malo mori quam foedari (preferisco morire che sporcarmi) citato da uno dei primi codificatori delle imprese, Paolo Giovio, nel Dialogo dell’imprese militari et amorose, composto nel 1551 ma pubblicato nel 1555; cfr. P. GIOVIO, Dialogo dell’imprese militari et amorose, a cura di M. L. DOGLIO, Roma 1978 (Biblioteca del Cinquecento, 4), p. 56.
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il Dialogo dell’imprese militari et amorose ne fu il primo codificatore, esse dovevano essere velate e misteriose per non renderne troppo immediata l’interpretazione, ma non indecifrabili; il motto doveva essere breve, ma mai ambiguo. Tuttavia, alcune tra le figure utilizzate sono talmente artificiose da richiedere un’interpretazione a più livelli. Tra le imprese più note e ricorrenti del repertorio federiciano si ricordano: lo struzzo, tradizionale esempio di determinazione e operosità, che tiene nel becco un cartiglio con iscritto il motto I can verdait en crocisen (anche nelle varianti ich anvor dait en crocisem o ih anvorda an crucisem), in falso tedesco antico o piuttosto in una mescolanza ortograficamente errata di antico tedesco e antico inglese, verosimilmente riconducibile alla frase Ich kann verdauen ein grosses eisen, ovvero io posso ingoiare un grosso ferro, quindi digerirlo (fig. 1)7; la gru, antico simbolo di vigilanza e prudenza, che veglia su un’unica zampa, trattenendo con l’altra una pietra affinché la sua caduta, in caso di sonnolenza, la possa risvegliare immediatamente (a ciò si riferisce il motto officium natura docet inscritto nel cartiglio che solitamente l’accompagna)8; la bombarda rovesciata ed esplodente, che allude alle abilità militari del signore di Urbino, talvolta accompagnata dal motto ardet ut feriat, riferito alla violenza dello scoppio che distrugge quanto si trova intorno (fig. 1)9; freni e scopetta, simboli complementari che rinviano alla sfera del comando, che deve essere esercitato con equilibrio, modulando la coercizione rappresentata dal freno usato con i cavalli e la
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Antico simbolo già presente in Plinio (Naturalis Historia, X, 58-59; cfr. anche F. PICIMondo simbolico o sia università d’imprese, scelte, spiegate ed illustrate con sentenze ed eruditioni sacre e profane, Milano 1653, pp. 139-140), è una delle imprese più utilizzate da Federico, già presente sul coperchio del sarcofago del conte Antonio da Montefeltro (1348-1404; cfr. L. NARDINI, Le imprese o figure simboliche dei Montefeltro e dei Della Rovere, Urbino 1931, pp. 8-9; F. V. LOMBARDI, I simboli di Federico di Montefeltro, in Piero e Urbino. Piero e le Corti rinascimentali [catalogo di mostra, Urbino, Palazzo Ducale e Oratorio di S. Giovanni Battista, 24 luglio – 31 ottobre 1992], Venezia 1992, pp. 135-141, in particolare p. 138). 8 Cfr. M. A. GINANNI, L’arte del blasone dichiarata per alfabeto, Venezia 1756, p. 95; C. RIPA, Iconologia, edizione pratica a cura di P. BUSCAROLI, prefazione di M. PRAZ, Milano 1992, pp. 466-467; L. CECCARELLI, “Non mai”. Le “imprese” araldiche dei Duchi d’Urbino, gesta e vicende familiari tratte dalla corrispondenza privata, a cura di G. MURANO, Urbino 2002, pp. 54-55. 9 La simbologia della bombarda (o granata) esplodente si collega alle abilità militari del signore di Urbino, che — addestrato da uno dei più importanti condottieri del secolo XV, Niccolò Piccinino — fu a capo di uno dei più potenti e moderni eserciti dell’epoca, aggiornato nell’uso delle più recenti tecniche militari e strumenti di guerra, quali la granata. Secondo l’interpretazione di Nardini, generalmente accolta, essa alluderebbe al concetto di pax armata di derivazione aristotelica ovvero ad una politica di guerra difensiva, necessaria per tutelare l’ordine e la pace: la bomba esplode solo se innescata e al momento voluto (cfr. NARDINI, Le imprese cit., p. 12). NELLI,
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cura verso gli animali docili e obbedienti, lisciati con la spazzola10; l’ulivo, tradizionale simbolo di pace. Immagine frequente all’interno dei codici è anche quella delle cosiddette fiammelle (o lingue di fuoco) inquartate con le lettere FD — così sono state lette finora le lettere presenti al loro interno11. Esse costituiscono l’emblema più controverso dell’araldica federiciana. Nonostante sia molto rappresentato, anche in altre forme di espressione artistica12, la sua decifrazione è risultata criptica, per entrambe le sue componenti: fiammelle e lettere. È stato messo in evidenza che, per la sua composizione, esso possa essere considerato uno stemma: è inquartato, nel secondo e nel terzo quarto si trovano le lettere in scrittura gotica, nel primo e nell’ultimo quarto si trovano lingue di fuoco ondeggianti in numero variabile — compaiono in numero di tre, cinque, sette o nove (a volte, tuttavia, le lettere si trovano nel primo e nell’ultimo quarto e le fiammelle nel secondo e terzo quarto; cfr., ad esempio, le figg. 4, 8, 9, 19, 20, 21, 23). Bascapé ne offre la seguente descrizione araldica: «uno scudo inquartato: d’argento a 5 fiamme di rosso, e di verde alle lettere F(edericus) D(ux) d’argento»13. Una descrizione simile propone Michelini Tocci: «uno scudo inquartato, al 1° e al 4° d’argento a 10 La raffigurazione stilizzata dei due freni a spirale, detti moraglie (collegati al morso e alle redini del cavallo), ne ha reso per certo tempo difficile la definizione (sono state spesso genericamente descritte con l’espressione «spire gemelle»; cfr. NARDINI, Le imprese cit., pp. 18-19) e l’interpretazione; si trovano anche citati con la definizione «morsi del cavallo». Il motto belli fulgor et pacis auctor sottolinea il significato allegorico dello strumento di comando che l’uomo di governo deve esercitare con misura. Il motto della scopetta è scopis mundata, che alluderebbe al desiderio di purezza morale, da alcuni messo in rapporto con la cancellazione della “macchia” della nascita di Federico non legittima ma legittimata. Entrambi gli emblemi furono mutuati da Francesco Sforza, duca di Milano (m. 1466; cfr. LOMBARDI, I simboli cit., p. 139). 11 Nardini la definì «Sigla del duca Federico con tre fiammelle ascendenti» (NARDINI, Le imprese cit., p. 16); Ceccarelli, nell’ambito delle imprese di Federico, le definisce «“divisa” del duca Federico con tre fiammelle ascendenti» (CECCARELLI, “Non mai” cit., pp. 51-53); Fenucci parla di «Device with Duke Federico’s monogram and three ascending tongues of fire» (F. FENUCCI, Notes on Federico da Montefeltro’s Emblems, in Federico da Montefeltro and his Library cit., pp. 81-87, in particolare p. 82), Caldari di «impresa con le fiammelle ascendenti e, inquartate, le iniziali del duca» (C. CALDARI, Emblemi, imprese, onorificenze: Federico di Montefeltro letterato, condottiero e mecenate, in Ornatissimo codice cit., pp. 101-111, in particolare p. 106). 12 Le fiammelle inquartate sono presenti nel soffitto e nelle tarsie lignee dello Studiolo di Urbino, tradizionalmente datato al 1476 (cfr. CHELES, Lo Studiolo di Urbino cit., pp. 71, 72,73, 75, 91 e figg. 49, 65, 66, 73), e nello Studiolo di Gubbio (realizzato tra il 1474 e il 1482; cfr. ibidem fig. 90 e RAGGIO, Lo Studiolo di Federico cit., p. 108 fig. 5-49, p. 119 fig. 5-69, ma si veda anche p. 62 fig. 4-25). 13 G. C. BASCAPÈ – M. DEL PIAZZO, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medievale e moderna, Roma 1999 (Pubblicazioni degli archivi di Stato. Sussidi, 11), p. 65 nt. 8, in rife-
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tre o più fiamme rosse, al 2° e al 3° di verde, o di azzurro, alle lettere gotiche monogrammate F D», riprendendo Stornajolo, che ugualmente utilizzava la definizione «scutum», sottolineando che l’immagine delle fiammelle rivolte verso l’alto alludesse al fatto che Federico si era sempre adoperato per fini superiori14. Secondo una delle varie ipotesi di interpretazione formulate per le fiammelle, l’adozione di questo simbolo sarebbe da ricondurre infatti alle virtù che elevano lo spirito, alla pratica di supremi ideali e di vasti interessi culturali. Altri vi hanno voluto vedere un’allusione alle tre grandi onorificenze ricevute dal signore di Urbino nel 1474 (Ordine della Giarrettiera, titolo di gonfaloniere della Chiesa, Ordine dell’Ermellino), seguendo un’ipotesi avanzata da Nardini, il quale ugualmente afferma che «questa impresa potrebbe dirsi uno stemma dal modo come essa è figurata». Lo studioso la definisce «sigla del duca Federico con tre fiammelle ascendenti» e, rilevando la differenza nella realizzazione delle fiammelle, talvolta ascendenti talvolta discendenti, evidenzia come sia necessario «considerarle nella forma di quelle che si vedono riprodotte nell’artistico soffitto dello Studiolo del duca Federico che forma documento, ove tutte le fiammelle si vedono ascendenti, come debbono essere per quello che esse significano»15. Tuttavia, come si è già visto, le fiammelle sono rappresentate anche in numero maggiore di tre. Diversa l’ipotesi formulata da Lombardi, secondo il quale le lingue di fuoco sarebbero da mettere in relazione con l’adesione di Federico — mentre, molto giovane, si trovava ostaggio a Venezia per garantire la seconda pace di Ferrara —, alla cosiddetta Compagnia della Calza, una società di giovani aristocratici ispirati da ideali cortesi noti con il nome di Accesi, poiché avevano come simbolo delle fiamme d’amore16. L’ipotesi è stata confutata per motivi cronologici da Pier Luigi Bagatin, il quale ha osservato che gli Accesi si costituirono in Compagnia dopo il 153317. È da rilevare che le fiammelle compaiono anche come elemento indirimento alla descrizione dell’Urb. lat. 10, f. 10r; talvolta la miniatura è realizzata a risparmio sulla pergamena. 14 Cfr. L. MICHELINI TOCCI, Poggio Fiorentino e Federico da Montefeltro, in Miscellanea Augusto Campana, II, Padova 1981, pp. 505-536, in particolare p. 253; C. STORNAJOLO, Codices Urbinates Latini, I: Codices 1-500, Romae 1902 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti), pp. XIII-XIV. Cfr. anche NARDINI, Le imprese cit., p. 16; F. CAPPELLINI, Araldica Feretrana, in Emblemata. Revista aragonesa de emblematica 3 (1997), pp. 67-102, in particolare p. 84; CECCARELLI, “Non mai” cit., p. 51; FENUCCI, Notes cit., pp. 82-83. 15 NARDINI, Le imprese cit., pp. 16-18. 16 Cfr. LOMBARDI, I simboli cit., p. 140; lo studioso si sofferma sul simbolo delle fiammelle, registrandole tra le divise o livree, indipendentemente dall’inquartamento con le lettere. 17 Cfr. P. L. BAGATIN, Le tarsie dello Studiolo d’Urbino, Trieste 1993, p. 26.
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pendente e autonomo — non inquartato — in diversi contesti, come ad esempio sui capitelli delle lesene frontali dell’alcova di Federico o nella volta della biblioteca di Urbino, dove si irraggiano da un clipeo centrale con all’interno l’aquila nera feltresca su fondo oro: vi è stato attribuito un valore di sapienza, di «Pentecoste profana, una delle più forti affermazioni che il Rinascimento abbia prodotto»18. L’attenzione degli studi, pur non giungendo ad una interpretazione univoca e certa, si è dunque finora concentrata sull’elemento delle fiammelle. È tuttavia da constatare che le varianti con cui l’emblema è realizzato non riguardano solo il numero e la direzione delle lingue di fuoco, ma anche le lettere, che costituiscono un elemento ulteriormente controverso sul quale ci si vuole qui soffermare. Le lettere che si trovano all’interno dell’emblema, solitamente nel secondo e nel terzo quarto, sono state finora lette per lo più FD e considerate iniziali di Federicus Dux, alla stregua delle iniziali FD che si trovano spesso affiancate allo stemma (come prima dell’acquisizione del titolo ducale si trovava FC, per Federicus Comes)19. Questa interpretazione ha una conseguenza importante: la presenza del titolo porterebbe a datare gli oggetti 18 Cfr. P. DAL POGGETTO, Nuova lettura di ambienti federiciani e il bagno cosiddetto «della duchessa» e la biblioteca del duca Federico, in Federico di Montefeltro. Lo Stato, le arti, la cultura cit., II, p. 117; cfr. anche LOMBARDI, I simboli cit., figg. alle pp. 138 e 140. Il tema araldico delle fiammelle, indipendente dall’inquartamento con le lettere, è presente in diverse forme artistiche all’interno del Palazzo di Urbino, come nello stemma erratico in pietra retto da due genietti alati, conservato nell’appartamento della Jole, realizzato negli anni 1459-1460 — il che dimostrerebbe che già in quegli anni le fiammelle facevano parte della tematica araldica di Federico (cfr. CECCARELLI, “Non mai” cit., pp. 51-53; CALDARI, Emblemi cit., pp. 106-108); sulle lesene dell’alcova, realizzata da Bartolomeo Corradini, detto Fra’ Carnevale, con l’aiuto di collaboratori intorno al 1459-1460, sono presenti sia le fiammelle sia le lettere gotiche, ma ciascuno rappresentato autonomamente, su diversi capitelli (cfr. ntt. 24 e 31). Le fiammelle sono riprodotte insieme a stemmi feltreschi anche nelle travature del soffitto del portico superiore di Palazzo Odasi, della famiglia di cui faceva parte il precettore di Guidubaldo, Ludovico Odasi (cfr. CECCARELLI, “Non mai” cit., p. 52; CALDARI, Emblemi cit., p. 111 nt. 36). Esse sono inoltre rappresentate anche sulla bardatura del cavallo di Federico nel ritratto equestre presente sul rovescio della medaglia realizzata da Sperandio Mantovano (cfr. F. VANNEL – G. TODERI, Medaglie italiane del Museo nazionale del Bargello, I, Firenze 2003, p. 19); secondo Lombardi sono «inquartate con la sigla F. D. (in origine F. C.) a lettere gotiche», ma bisogna dire che le lettere, anche per la loro dimensione, sono davvero difficilmente visibili (cfr. LOMBARDI, I simboli cit., p. 140). Le sole fiammelle (discendenti, su fondo a risparmio), all’interno di un tondo collocato lungo il fregio che incornicia la pagina di incipit, si trovano al f. 1r dell’Urb. lat. 1384; in altri tondi si trovano altri emblemi — la bombarda rovesciata, l’ermellino, la scopetta. 19 Per le lettere FD si vedano, ad esempio, i manoscritti Urb. lat. 1, f. 207r (dove vi è anche la corona ducale); Urb. lat. 2, ff. 1v, 89r; Urb. lat. 324, f. 1r; Urb. lat. 427, f. 2r. Per le lettere FC si vedano, ad esempio, gli Urb. lat. 281, f. 5r, e Urb. lat. 1221, f. 2r.
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artistici che ne sono fregiati dopo il conferimento di tale carica, ovvero post 1474. Almeno in un caso è stato già messo in rilievo che tale datazione porrebbe dei problemi poiché l’emblema compare anche in codici databili al periodo in cui Federico era ancora conte, come l’Urb. lat. 491, che Luigi Michelini Tocci ha datato ante 147420. Il codice è il famoso e raffinatissimo esemplare di dedica delle Historiae Florentinae di Poggio Bracciolini, offerto in dono a Federico dal figlio dell’umanista, Jacopo, che lo commissionò alla bottega di Vespasiano da Bisticci dopo aver rivisto l’opera paterna, interrotta alla morte dell’autore, aggiungendovi una lettera di dedica in cui descrive il proprio intervento editoriale21. Lo studioso sottolinea come Jacopo nella lettera dedicatoria ricordi la presa della città di Volterra (in rivolta nella primavera del 1472 e arresasi il 18 giugno) dicendola avvenuta nell’anno in cui egli scrive («Cumque hoc anno tua virtute Volaterrani [...] imperio nostro rebelles sub iugum venerint», f. 3v); rileva inoltre che la decorazione del manoscritto è strettamente legata a quella vittoriosa campagna militare, a seguito della quale Federico fu accolto a Firenze con onori trionfali che lo consacrarono principe condottiero per antonomasia. Celebre è la miniatura in cui il signore di Urbino è ritratto a cavallo con alle spalle la città vinta (f. IIv). Michelini Tocci ritiene dunque che la realizzazione del codice di dedica non possa essere lontana da quell’evento; a conferma di tale datazione si rileva che mancano lo stemma con il palo della Chiesa e l’emblema della giarrettiera, elementi che certificherebbero una realizzazione del manoscritto successiva al 1474. La maggior parte degli studi concorda con queste riflessioni e con la conseguente datazione22; solo 20
MICHELINI TOCCI, Poggio Fiorentino e Federico di Montefeltro cit., pp. 533-536. Oltre ad essere editore e prefatore del testo, Jacopo ne curò anche la traduzione in volgare, che fu pubblicata a Venezia nel 1476 (IGI 7940; ISTC ip00873000), sempre preceduta dalla lettera dedicatoria a Federico da Montefeltro. L’edizione del testo latino, di cui è latore il codice, vide invece la luce solo nel 1715 a Venezia, anch’essa preceduta dalla lettera di dedica; a riguardo cfr. O. MERISALO, Jacopo di Poggio Bracciolini (1442-1478) editore e traduttore, in Du côté des langues romanes. Mélanges en l’honneur de Juhani Härmä, eds. E. HAVU – M. HELKKULA – U. TUOMARLA, Helsinki 2009 (Mémoires de la Société Néophilologique de Helsinki, 77), pp. 215-219. Un altro codice urbinate (Urb. lat. 1198, f. 81r) contiene la lettera di ringraziamento di Federico a Jacopo per il preziosissimo e gradito dono (edita in P. ALATRI, Lettere di stato e d’arte (1470-1480), Roma 1949 (Storia e letteratura, 21), pp. 105-106), in cui si accenna a un’epistola d’accompagnamento del codice inviata da Jacopo; la lettera non è purtroppo datata, ma non può essere troppo lontana dal momento del dono stesso. 22 Cfr. A. C. DE LA MARE, New Research on Humanistic Scribes in Florence, in Miniatura fiorentina del Rinascimento, pp. 352-399, in particolare pp. 462, 503-504; A. LABRIOLA, Poggio Bracciolini, Historia Florentina (scheda nr. 7), in Federico da Montefeltro and his Library cit., pp. 153-161; EAD., Repertorio dei miniatori fiorentini, in Ornatissimo codice cit., p. 234; cfr. anche Il Dante Urbinate della Biblioteca Vaticana (codice Urbinate latino 365), I: Introduzione di L. MICHELINI TOCCI (…), [Città del Vaticano] 1965 (Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi, 29), tav. VI. 21
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Stornajolo, sulla base della presenza dell’emblema dell’ermellino (f. 1r) e delle fiammelle inquartate con le lettere FD (ff. 1r, 5r), considerate iniziali di Federicus Dux, aveva proposto una datazione del codice posteriore all’agosto 147423. La presenza dell’ermellino, come si è visto, non è necessariamente legata all’onorificenza ottenuta nel 1474, ma può anche essere impresa che allude allegoricamente alla purezza morale. La presenza dell’emblema inquartato con le lettere FD, intese in riferimento al titolo ducale, è invece risultata un problema per la datazione proposta da Michelini Tocci24. Anche l’erudito cinquecentesco Giovanni Andrea Palazzi, circa un secolo dopo l’investitura ducale del signore di Urbino, nei suoi Discorsi sopra l’imprese recitati nell’Accademia di Urbino, leggeva FD interpretando Federicus Dux: «Si fanno le Divise, o le Livree di colori soli; di colori, et di figure; di colori, et di lettere; di colori, di lettere, et di figure; di colori, di figure, et di motti […]. Di colori, di figure et di lettere fu quella del signor Duca Federico di gloriosa memoria, di cui vedut’ho molti ritratti in molti libri 23
Cfr. I ritratti e le gesta dei duchi d’Urbino nelle miniature dei codici Vaticano-Urbinati, descritti da C. STORNAJOLO, Roma 1913 (Collezione Paleografica Vaticana, 2), p. 19 (nel catalogo dei manoscritti urbinati dello stesso autore il codice è genericamente datato al sec. XV: STORNAJOLO, Codices Urbinates Latini, I, cit., p. 497). 24 In generale, in altri contesti, non specificamente relativi al manoscritto in questione, ma per oggetti artistici o architettonici caratterizzati dalla presenza delle fiammelle inquartate per i quali altri elementi riconducono ad una datazione anteriore al 1474, è stata avanzata l’ipotesi che la D possa essere il frutto di una correzione da C (per comes), avvenuta dopo la concessione del titolo. Lombardi, osservando l’emblema sulla bardatura del cavallo nella medaglia di Sperandio Mantovano (cfr. nt. 18), afferma che le fiammelle siano «inquartate con la sigla F.D. (in origine F.C.) a lettere gotiche, ciò vuol dire che la loro radice risaliva a tempi in cui ancora non erano state rivivificate le belle lettere rinascimentali di antica matrice romana» (LOMBARDI, I simboli cit., p. 140). Ugualmente la Caldari afferma: «L’uso di desuete lettere gotiche fa risalire il simbolo allegorico ai primi tempi della vita pubblica di Federico, quando ancora era in uso tale scrittura, facendo supporre la facile correzione della lettera c di comes in d di dux soprattutto in quei codici anteriori al 1474 per la mancanza di insegne ducali, ma nei quali le fiammelle inquartate con la sigla fd presuppongono un ritocco successivo. Parimenti nell’alcova, dove sul fregio esterno le fiammelle compaiono da sole, pur con le consuete imprese anteriori al 1474, che fanno ugualmente pensare a una modifica delle iniziali FD, poste sui capitelli delle lesene frontali, in lettere gotiche minuscole, da un precedente monogramma FC; sempre che la sigla non si debba invece intendere, come già il Nardini, Federicus feltrius, che oggettivamente appare più plausibile anche in rapporto ai vicini emblemi appartenuti a Federico prima della sua investitura a duca» (CALDARI, Emblemi cit., pp. 106-107). Per le sigle FC e FD come elementi di datazione all’interno del Palazzo urbinate si veda P. ROTONDI, Il Palazzo Ducale di Urbino, I, Urbino 1950-1951, pp. 113-118. Nel caso dei manoscritti presi in esame, l’emblema è stato analizzato al microscopio presso il Laboratorio di restauro della Biblioteca Vaticana, ma non sono emerse correzioni nel tratteggio delle lettere; ringrazio Angela Nuñez Gaitan, responsabile del Laboratorio di Restauro, e Marta Grimaccia, restauratrice della Vaticana, per il competente aiuto offerto nell’analisi.
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della bellissima libraria di S. E. fatta pur’à quartieri; avendo in una parte fiamme di fuoco in campo bianco, nell’altra due lettere, F. D. che voglian dire Federicus Dux, in campo verde»25. Tuttavia è proprio la lettura delle lettere a non essere così scontata. La frequente presenza delle lettere FD (certamente iniziali di Federicus Dux) poste ai lati degli stemmi feltreschi — sia nei codici, sia in altri oggetti artistici e in ambienti di palazzo —, può avere influenzato l’interpretazione delle lettere inserite all’interno dell’emblema delle fiammelle inquartate; bisogna tuttavia rilevare che qui esse sono in caratteri gotici e non in capitale (come nell’altro caso) e sono l’una accanto all’altra, anche con tratti in contatto tra loro o in nesso, e non separate (come nel caso dello stemma, che si trova tra le due lettere, distanziandole). Michelini Tocci, già nel 1958, segnalava come ad Augusto Campana, osservando l’emblema all’interno del Palazzo Ducale di Urbino, parve di vedere accanto alle lettere FD una terza lettera «e precisamente una seconda F dopo la D, legata strettamente con questa», sicché le lettere sarebbero state FDF; lo studioso fece sua l’ipotesi affermando che «realmente, a destra della D vi sono alcuni elementi in più, che non servono alla D e che corrispondono ad una seconda F monogrammata con la D»26. L’ultima F fu interpretata come iniziale di Feltrius, con qualche dubbio suscitato dalla singolarità della sigla, poiché, come si è già accennato, dopo il 1474, al posto delle lettere FC (per Federicus Comes), furono utilizzate le lettere FD (per Federicus Dux), o, in alcuni casi, l’espressione abbreviata FE DUX. Riprendendo nuovamente la questione più di vent’anni dopo, e soffermandosi sul significato delle iniziali, Michelini Tocci constata che «la seconda lettera del monogramma è una d gotica minuscola, che talora è aperta e molto vicina ad una r minuscola, e che la terza lettera, che in certi casi sembra un F maiuscola, in altri (come nel codice del quale stiamo parlando [Urb. lat. 491]) manca del trattino orizzontale al centro, talché deve essere letta come una C maiuscola. Abbiamo così quattro possibili letture del monogramma, formule tutte attestate nell’epigrafia e nell’araldica di Federico di Montefeltro prima del ducato», ovvero FdF per F(e)d(ericus) F(eltrius), FrF per Fr(idericus) 25 I discorsi di M. Gio. Andrea Palazzi, Bologna 1575, pp. 55-57. Si segnala inoltre che nel Palazzo Ducale di Gubbio, realizzato dopo il 1474, quando dunque Federico era ormai diventato duca, l’emblema delle fiammelle inquartate si trova con un’ulteriore significativa variante in una formella di terracotta: le lettere poste nel terzo quarto sono FE chiaramente leggibili, non più in gotica, ma in capitale; nel secondo quarto si trova invece la parola DUX scritta per esteso con le lettere l’una inserita dentro l’altra (cfr. C. BUDINICH, Il Palazzo Ducale di Urbino, Trieste 1904, p. 136 fig. 52), come talvolta accade nei codici, ad esempio nell’Urb. lat. 227, f. 2r. 26 L. MICHELINI TOCCI, I due manoscritti urbinati dei privilegi dei Montefeltro, con una Appendice Lauranesca, in La bibliofilia 60 (1958), pp. 206-257, in particolare p. 235 nt. 1.
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Fig. 1 – Urb. lat. 491, f. 1r.
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F(eltrius), FdC per F(e)d(ericus) C(omes), FrC per Fr(idericus) C(omes)»27. In effetti, le lettere, pur realizzate sempre in scrittura gotica, presentano delle differenze nel tratteggio soprattutto nella parte finale, spesso arricchita da tratti calligrafici apparentemente ornamentali, non sempre uguali a loro stessi, a volte alquanto artificiosi, altre volte più semplificati. A differenza di quanto accade per gli altri emblemi federiciani, gli artisti che rappresentarono le fiammelle inquartate non sempre lo fecero secondo le medesime modalità, andando anche oltre la libertà di rappresentazione artistica personale e lo stile proprio, ma realizzando delle effettive varianti, anche sostanziali, forse senza averne pienamente coscienza. La percezione che se ne ha è infatti quella di modalità interpretative che variano come se gli artisti non fossero sempre del tutto consapevoli del significato di ciò che stavano rappresentando28. L’alfabeto maiuscolo gotico, che fu usato dal secolo XIII fino a tutto il XVI, tra le sue caratteristiche, oltre all’esasperazione del contrasto tra pieni e filetti, presenta il prolungamento esagerato dei filetti ornamentali esterni alla singola lettera29. La base è costituita da un alfabeto misto di lettere capitali, onciali e minuscole con numerose varianti; comune a tutte le lettere è l’aggiunta alla terminazione dei tratti di sottili filetti ornamentali, che possono anche talvolta assumere forma di ricciolo. Nell’Urb. lat. 491 le fiammelle inquartate compaiono due volte, al f. 1r (figg. 1 e 2) e al f. 5r (fig. 3), in entrambi i casi all’interno di piccoli clipei posti lungo il fregio che orna la pagina di incipit, rispettivamente della prefazione dedicatoria e del testo di Poggio. Le lettere sono realizzate secondo un tratteggio simile, ma non uguale. La F maiuscola si distingue chiaramente, caratterizzata da un’ampia forcellatura alla base dell’asta verticale e dall’aggiunta di filetti ornamentali lungo gli altri tratti; di seguito la D, di forma minuscola, è aperta (ricordando nel suo primo tratto una r minusco27
Cfr. MICHELINI TOCCI, Poggio Fiorentino e Federico da Montefeltro cit., p. 535. Varianti o veri e propri errori, dovuti a esigenze artistiche o a imprecisioni dei decoratori, si possono rilevare in alcuni manoscritti anche nella realizzazione degli stemmi: nell’Urb. lat. 9, ad esempio, al f. 1r, lo stemma inquartato presenta nel II e III la prima banda d’oro priva dell’aquila e nel I e IV l’aquila in campo d’oro senza corona; ugualmente, al f. 2v dell’Urb. lat. 350 nel II e III la prima banda d’oro non è caricata dell’aquila, mentre lo è al f. 46v; nell’Urb. lat. 52, ai ff. 1v e 2r, nel I e IV l’aquila non è coronata; nell’Urb. lat. 420, nei tre stemmi presenti al f. 1r, uno bandato e due inquartati, l’ordine delle bande è invertito (oro-azzurro e non azzurro-oro) rispetto al vero stemma, con conseguente variazione della posizione dell’aquila, caricata sulla prima o sulla seconda banda d’oro, e addirittura due volte nello scudo bandato. Il caso delle varianti nella rappresentazione delle fiammelle inquartate presenta tuttavia delle peculiarità proprie. 29 Cfr. P. CHERUBINI – A. PRATESI, Paleografia latina. L’avventura grafica del mondo occidentale, Città del Vaticano 2010 (Littera antiqua, 16), pp. 511-514. A questo riguardo desidero ringraziare il prof. Marco Palma per i preziosi spunti offerti alle riflessioni qui esposte e per l’attenta lettura di questo articolo. 28
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Fig. 2 – Urb. lat. 491, f. 1r.
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Fig. 3 – Urb. lat. 491, f. 5r.
la) con l’asta inclinata (anch’essa forcellata), da cui si dipartono due tratti realizzati in modo leggermente diverso nel secondo quarto (dove potrebbero sembrare una C in nesso) e nel terzo quarto (dove i tratti realizzati con un tratteggio più sinuoso, potrebbero anche sembrare solo ornamentali). Manca il tratto sottoscritto alle lettere, che solitamente caratterizza il monogramma. Abbiamo osservato l’emblema anche in altri manoscritti urbinati, constatando molteplici differenze nel tratteggio delle lettere, in alcuni casi alquanto significative. Nella pagina di incipit dell’Urb. lat. 74, anche qui in un piccolo clipeo all’interno del fregio che incornicia f. 1r (fig. 4), sembra di poter leggere FDC, laddove la D è chiusa e la C si può individuare in nesso con la D; il tratto infrascritto è invece diventato un ricciolo che si diparte dalla D. Nel caso dell’Urb. lat. 324, al f. 1r (fig. 5), sempre all’interno del fregio
Fig. 4 – Urb. lat. 74, f. 1r.
Fig. 5 – Urb. lat. 324, f. 1r.
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della pagina di incipit, accanto alle fiammelle sono visibili le lettere FD, arricchite da sottili e leggeri tratti ornamentali curvilinei (tali da far somigliare la F iniziale ad una E) che potrebbero anch’essi far pensare ad una C di seguito alla D.
Fig. 6 – Urb. lat. 52, f. 1v.
Fig. 7 – Urb. lat. 52, f. 2r.
Varianti nella realizzazione delle lettere si possono talvolta riscontrare anche nello stesso manoscritto, come accade ad esempio nell’Urb. lat. 52, dove le fiammelle inquartate si trovano sia in un clipeo dell’antiporta (f. 1v; fig. 6), sia nella pagina di incipit lungo il fregio che incornicia il f. 2r (fig. 7). In quest’ultimo caso si distinguono distintamente le lettere F e D, alla quale seguono tratti simili a quelli visti negli esempi precedenti, tali da suggerire una C. Al f. 1v invece la D è aperta, quasi difficilmente riconoscibile, e alla sua destra sembra di poter vedere in nesso una terza lettera costituita dall’asta della D con due tratti orizzontali che la fanno somigliare ad una F, simmetricamente simile a quella iniziale. Anche nella Bibbia Urbinate, in entrambi i volumi (Urb. lat. 1-2), le fiammelle inquartate sono rappresentate diverse volte e non sempre allo stesso modo: nella pagina di incipit del libro Fig. 8 – Urb. lat. 2, f. 161r.
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A PROPOSITO DELLE “FIAMMELLE INQUARTATE CON LE LETTERE FD”
Fig. 9 – Urb. lat. 1, f. 6v.
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Fig. 10 – Urb. lat. 1, f. 2r.
del profeta Michea (Urb. lat. 2, f. 161r; fig. 8) il tratteggio è molto simile a quello osservato nell’Urb. lat. 74 (fig. 4) e anche qui sembra di poter vedere una lettera C finale; simile è anche nel frontespizio che precede la pagina di incipit della Genesi (Urb. lat. 1, f. 6v; fig. 9). Al f. 2r (fig. 10), nel pur piccolo clipeo realizzato all’interno del fregio che incornicia la pagina, è chiaramente visibile un tratto mediano che si diparte dall’asta della D, tale da creare in nesso con essa una E; sembra dunque possibile leggere FDE. Ai ff. 174v e 283r dell’Urb. lat. 2 (figg. 11 e 12), sembra di nuovo di poter intravedere una F finale in nesso con la D; in entrambi i casi l’ultima lettera è seguita da esili filetti e il tratto sottoscritto è eseguito a guisa di cartiglio. Altra particolarità è qui il fatto che le fiammelle inquartate siano inserite
Fig. 11 – Urb. lat. 2, f. 174v.
Fig. 12 – Urb. lat. 2, f. 283r.
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MARIA GABRIELLA CRITELLI
Fig. 13 – Urb. lat. 325, f. 1r.
Fig. 14 – Urb. lat. 1, f. 207r.
non in un clipeo tondo ma piuttosto in una cornice quadrata30. Sempre all’interno della Bibbia, in altri casi, il tratteggio delle lettere può cambiare ulteriormente: mentre la prima lettera rimane chiaramente una F, la D risulta aperta verso il basso, quasi difficilmente riconoscibile, e di seguito sembra di poter riconoscere una F — come nell’Urb. lat. 1, f. 207r (fig. 14) e nell’Urb. lat. 2, f. 2r (fig. 15) —, in alcuni casi caratterizzata dalla presenza di elementi romboidali anche rubricati, come al f. 31v dell’Urb. lat. 2 (fig. 16).
Fig. 15 – Urb. lat. 2, f. 2r.
Fig. 16 – Urb. lat. 2, f. 31v.
30 La cornice è quadrata anche, ad esempio, nell’Urb. lat. 1, al f. 207r, e nell’Urb. lat. 2, al f. 31v; vi sono anche occorrenze in cui l’emblema si trova all’interno di un scudo a forma di testa di cavallo, come all’interno del fregio che incornicia la pagina di incipit dell’Urb. lat. 325, f. 1r (fig. 13). Per i leggeri filetti che si dipartono dalla D realizzati quali racemi ornamentali, si vedano anche le fiammelle inquartate presenti nelle tarsie lignee dello Studiolo di Urbino e di quello di Gubbio (cfr. RAGGIO, Lo Studiolo di Federico cit., p. 119 fig. 5-69).
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A PROPOSITO DELLE “FIAMMELLE INQUARTATE CON LE LETTERE FD”
Fig. 17 – Urb. lat. 141, f. 1r.
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Fig. 18 – Urb. lat. 365, f. 12r.
In una forma sostanzialmente simile appare anche nell’Urb. lat. 141, al f. 1r (fig. 17), con tratti meno raffinati, e al f. 12r dell’Urb. lat. 365 (fig. 18), il Dante Urbinate31. In molti di questi casi il tratto infrascritto — che, come si è visto, non è sempre presente — è rappresentato a guisa di cartiglio e appare del tutto esornativo. Sostanzialmente le lettere FD sembrano essere quasi sempre riconoscibili, mentre l’oscillazione riguarda dunque principalmente l’ultima lettera, che a volte sembra mancare, altre volte sembra essere una C, altre volte ancora una F o una E (a seconda della presenza o meno del trattino orizzontale al centro). Vi sono tuttavia casi Fig. 19 – Urb. lat. 441, f. 2r. in cui la D è completamente assente, 31 Un tratteggio simile a questo è presente sui capitelli delle lesene frontali dell’alcova di Federico (cfr. ntt. 18 e 24). Arnaldo Bruschi, nella voce relativa al suo artefice Bernardo Corradini nel Dizionario Biografico Italiano, già rilevava l’incongruenza tra le iniziali del monogramma e la relativa possibile datazione, definendolo «monogramma ducale in caratteri gotici di problematica lettura ma senza le insegne, nelle decorazioni, delle onorificenze cavalleresche ricevute nel 1474 quando fu fatto duca e quindi forse anteriore a tale data» (A. BRUSCHI, Corradini, Bartolomeo, detto fra’ Carnevale, in DBI, XXIX, Roma 1983, pp. 332-335, in particolare p. 334).
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MARIA GABRIELLA CRITELLI
Fig. 20 – Urb. lat. 441, f. 8r.
Fig. 21 – Urb. lat. 357, f. IIv.
come nell’Urb. lat. 441, dove sono chiaramente presenti due lettere: FE al f. 2r (fig. 19), FE (nel primo quarto) e FC (nell’ultimo quarto) al f. 8r (fig. 20). L’antiporta dell’Urb. lat. 357, al f. IIv (fig. 21), propone una variante del tutto anomala, in cui neanche la F è più individuabile, e che sembra suggerire la non comprensione di quanto veniva riprodotto all’interno del clipeo da parte del miniatore, che certamente poteva avere a disposizione diversi modelli. Le oscillazioni nella realizzazione dell’emblema non sono dunque poche e riguardano principalmente la rappresentazione dei suoi elementi costitutivi, fiammelle e lettere, ma anche la loro posizione al suo interno, che può essere variabile anche nello stesso manoscritto; il tratteggio delle lettere può anzi variare anche all’interno dei diversi quarti della medesima raffigurazione. L’Urb. lat. 129 offre in una pagina di incipit, al f. 12r (fig. 22), una particolarissima rappresentazione dell’emblema, a sua volta inquartato con l’impresa della bombarda rovesciata, all’interno di una cornice irregolare listata d’oro. Nel secondo quarto le lettere sembrano corrispondere a FDC, ma nel terzo Fig. 22 – Urb. lat. 129, f. 12r. quarto — dove il tratto solitamente
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A PROPOSITO DELLE “FIAMMELLE INQUARTATE CON LE LETTERE FD”
Fig. 23 – Urb. lat. 427, f. 2r.
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Fig. 24 – Urb. lat. 400, f. 2r.
infrascritto si trova sovrascritto — in un tratteggio simile, ma non uguale, sembra di intravedere una E. FDE sono chiaramente visibili al f. 2r dell’Urb. lat. 427 (fig. 23) e al f. 2r dell’Urb. lat. 400 (fig. 24), seppur realizzati con tratteggi diversi. Ad un attento esame delle lettere, gli elementi giudicati ad un primo sguardo ornamentali prendono dunque la forma di tratti e nessi che rendono possibile l’individuazione di qualcosa in più delle sole lettere FD, di un terzo elemento, come già aveva ipotizzato Michelini Tocci. Le sue considerazioni si basavano, oltre che sull’emblema miniato nei codici, anche sugli elementi decorativi di due legature originali urbinati, le uniche note che rechino traccia dell’uso di ferri certamente di Urbino. I due volumi sono attualmente conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano: si tratta dell’unico registro della cancelleria di Urbino giunto fino a noi, latore di una raccolta di vari Privilegi concessi in vari tempi ai Montefeltro (Arm. LX, 21), e di una sua copia calligrafica (A.A. Arm. E 123)32. Il primo fu «scritto da varie mani e a più riprese, a cominciare dagli anni che precedono il 1465 fino al 1481», ma prevalentemente dal notaio urbinate Biagio Martinucci. La copia fu realizzata con una veste più curata, 32 I manoscritti non giunsero a Roma insieme alla biblioteca urbinate, ma già parecchi anni prima insieme alle carte ufficiali della cancelleria ducale, dopo la morte dell’ultimo duca Francesco Maria II Della Rovere (cfr. MICHELINI TOCCI, I due manoscritti urbinati cit., pp. 206-226). Il registro contiene documenti compresi tra il 1267 e il 1481; sull’ultimo foglio del manoscritto è stato trascritto nel 1510 un documento da Federico Veterani (copista di Federico, nonché bibliotecario della collezione urbinate), che si sottoscrive («Federicus Veteranus mandato trascrip(sit)») e postilla marginalmente il codice (al f. 1v verga un epigramma, edito in MICHELINI TOCCI, I due manoscritti urbinati cit., p. 233).
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certamente per far parte della biblioteca federiciana; il codice è stato infatti identificato con il numero 426 dell’Indice vecchio, il più antico inventario noto della collezione urbinate — compilato nella sua prima stesura poco dopo la morte di Federico, intorno al 1487 —, che ne fornisce questa descrizione: «Privilegia quaedam hinc Inde excerpta Illustrium Comitum Montfeltriorum et in unum redacta a Federico Gallo Illustrissimi Ducis Urbini Federici Feretrii Scriba. In Rubro»33. Nella rubrica iniziale si legge: «principi et excellenti domino d(omi)no Federico Montisferetri Durantis Urbiniq(ue) comiti ac serenissime lige capitaneo generali sevus Federicus Gallus foelicitatem»; il codice fu dunque offerto a Federico, ancora conte, dal committente Federico Galli (m. 1478), che fu lettore alla sua tavola34. Il manoscritto, simile nella confezione a tanti altri codici appartenuti alla collezione federiciana, presenta la pagina di incipit ornata da un fregio a bianchi girari che la incornicia su tre lati e lo stemma bandato feltresco e con accanto le iniziali FC (per Federicus Comes); il codice è dunque databile ante 1474. La precede un’antiporta in cui, all’interno di una cornice rettangolare, si trova scritto in lettere capitali alternatamente rosse e azzurre: «In hoc codice continentur quedam privilegia hinc inde reperta comitum ill. familiae monfeltriae». La mano scrive in una minuscola umanistica dal gusto cancelleresco35. La legatura del manoscritto AA. Arm. E. 123 reca tra gli elementi impressi a secco che impreziosiscono i piatti «oltre i soliti piccoli ferri intrecciati ai tondini […] un ferro originale e certamente urbinate: un rettangolo con due fiamme sopra un fondo di puntini in rilievo, che ripetuto in serie forma un’ampia cornice […] queste fiamme sono un elemento di un’“impresa” araldica di Federico di Montefeltro»36 (fig. 25).
33 Urb. lat. 1761, f. 62r. L’Indice vecchio è edito in Codices Urbinates Graeci Bibliothecae Vaticanae, recensuit C. STORNAJOLO, Accedit Index vetus Bibliothecae Urbinatis nunc primum editus, Romae 1895 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manuscripti recensiti), pp. LIX-CLXXV (nr. 426: p. CXIII); su di esso cfr. L. MICHELINI TOCCI, Agapito, bibliotecario «docto, acorto et diligente» della biblioteca urbinate alla fine del Quattrocento, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita, II, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 220), pp. 245-280. 34 Cfr. MICHELINI TOCCI, I due manoscritti urbinati cit., pp. 215-220. 35 Per un prospetto dei documenti presenti nei due volumi cfr. MICHELINI TOCCI, I due manoscritti urbinati cit., pp. 244-257. 36 Cfr. MICHELINI TOCCI, I due manoscritti urbinati cit., pp. 212-214 e fig. 5, dove si precisa che la «legatura è antica, anche se probabilmente non è l’originale, e corrisponde a quella in rubro descritta nell’Indice Vecchio, ma è stata rimontata, piatti e dorso, in un restauro radicale che deve essere stato fatto alla fine del secolo scorso. Si sono conservate anche parti di due fermagli costituite da conchiglie in ottone sbalzato». Una simile descrizione della legatura è offerta in DE MARINIS, La legatura artistica, p. 86 nr. 959 bis.
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A PROPOSITO DELLE “FIAMMELLE INQUARTATE CON LE LETTERE FD”
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Fig. 25 – ASV, A.A. Arm. E 123, legatura.
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Fig. 26 – ASV, AA. Arm. LX, 21, legatura.
Lo stesso ferro compare anche nella legatura dell’altro manoscritto (Arm. LX, 21, il registro originale; fig. 26) — anch’essa oggetto di un radicale restauro che ha risparmiato solo i piatti, pur ampiamente rifilati — accanto ad un altro ferro certamente urbinate: «Oltre i segni di quattro borchie agli angoli, i piatti di cuoio marrone recano varie impressioni a secco
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simili a quelle di tante altre legature del tempo, ed una cornice formata dallo stesso ferro che abbiamo veduto nella legatura del codice [A.A. Arm. E 123], accoppiato, e le coppie alternate con un ferro che mostra le lettere gotiche minuscole F e D legate in monogramma sopra un fondo di puntini rilevati […]. Le fiamme serpeggianti e il monogramma sono gli elementi di un’“impresa” di Federico di Montefeltro, consistente in uno Fig. 27 – BAV, Mt. It. Urbino 1. scudo inquartato, il 1° e il 4° d’argento a 3 o più fiamme di rosso, il 2°e il 3° di azzurro, o di verde, al monogramma FD d’argento. Questa legatura e quella del codice sono, a quanto io sappia, le sole giunte fino a noi che rechino ferri originali della officina di Urbino» (fig. 26)37. Nel suo studio del 1958 Michelini Tocci lesse dunque FD, riportando però il parere di Campana, che ipotizzava la lettura FDF, ripreso due anni dopo da De Marinis, il quale parlava di un «ferro con le fiamme […] nitidamente impresso su fondo criblè e qui alternato con altro ferro anch’esso rettangolare, recante le lettere gotiche minuscole FDF (Federicus Dux Feltrius) legate in monogramma, sul medesimo fondo criblè»38. Ritornando sull’argomento più di vent’anni dopo, come si è già visto, Michelini Tocci accolse l’interpretazione di Campana, aggiungendo anche l’ipotesi di una possibile lettura FDC. Entrambe le legature presentano dunque il tema araldico federiciano delle fiammelle. In entrambi i manoscritti è stato utilizzato un ferro co37 MICHELINI TOCCI, I due manoscritti urbinati cit., pp. 234-235 e fig. 9; l’interpretazione di FD come Federicus Dux ha portato a datare la legatura post 1474: «La legatura è più tarda di quella originaria in assicelle coperte di cuoio rossiccio che il Martinucci descrive nella sua autenticazione […]. È stata eseguita infatti dopo l’assunzione di Federico di Montefeltro al ducato, cioè dopo l’agosto del 1474». 38 DE MARINIS, La legatura artistica, p. 86 nr. 959 ter, dove ugualmente si data post 1474: «Legatura fatta dopo l’assunzione di Federico al Ducato, cioè dopo l’agosto del 1474. Essa subì un restauro ancora più radicale del volume precedente che ha risparmiato soltanto i piatti, e rifilato abbondantemente anche questi. Cuoio rossiccio su assi; decorazione a secco».
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stituito da un rettangolo con due fiamme sopra un fondo di puntini in rilievo che, ripetuto più volte, forma un’ampia cornice su entrambi i piatti del manoscritto AA. Arm. E. 123; nell’altra legatura (Arm. LX, 21) il ferro con le fiammelle, ripetuto due volte in modo da formare quattro fiamme, si alterna ad un altro ferro che sopra un fondo di puntini rilevati mostra alcune lettere gotiche legate in monogramma. La legatura in questione costituisce quindi un unicum di grande interesse, poiché tra le varie impressioni a secco che ornano la legatura, sono dunque ben visibili un ferro che raffigura le fiammelle serpeggianti e l’altro che rappresenta il monogramma con le lettere gotiche — ovvero i due elementi che, inquartati, costituiscono l’emblema di Federico. Rispetto all’emblema miniato nei manoscritti e ai fini dell’interpretazione delle lettere in esso contenute, è dunque importante notare le analogie tra i tratti che seguono le lettere FD nelle miniature e nel ferro utilizzato per la decorazione di queste legature e certamente urbinate, che, in quanto strumento deputato a replicare ripetute volte il medesimo simbolo, è da considerare con particolare rilevanza rispetto alle varianti miniate nei codici. A noi pare che le lettere, meglio visibili sul lato che corre lungo il dorso del piatto anteriore (sul lato inferiore della cornice appaiono rovesciate), si possano leggere FDE, con D ed E in nesso. Si tratterebbe dunque di un monogramma, ovvero di un unico segno grafico costituito dall’insieme di lettere congiunte o sovrapposte in nesso fra loro (con uno o più tratti di una lettera fusi con quelli di un’altra, in modo da risultare comuni ad entrambe), che indica l’abbreviazione di una parola intera, solitamente un nome proprio di persona. Il monogramma, in effetti, risulta molto simile a quello presente all’interno delle fiammelle inquartate rappresentate nelle tarsie lignee dello Studiolo di Urbino, nonché in quello di Gubbio, dove predominano le lettere FD, alle quali l’occhio è già abituato, ma in cui sono pur visibili i tratti orizzontali della E finale39. Nonostante le significative analogie, si è ritenuto opportuno cercare altri riscontri e testimonianze anche in diversi contesti. Come è noto, il monogramma è elemento spesso presente nelle monete. Ulteriori ricerche da noi condotte in tal senso hanno portato all’individuazione di un picciolo sicuramente coniato a Urbino ante 1474, poiché sul dritto nella legenda si legge «FEDERICVS CO(mes)»; nel campo è presente il monogramma FDE, 39
Cfr. CHELES, Lo Studiolo di Urbino cit., figg. 49, 66, 90; RAGGIO, Lo Studiolo di Federico cit., p. 119 fig. 5-69; WILMERING, Le tarsie rinascimentali cit., p. 109 fig. 2-67. L’emblema inquartato compare anche nella decorazione del soffitto dello Studiolo di Urbino, inserito nei lacunari ottogonali posti agli angoli, accanto alle altre imprese (cfr. CHELES, Lo Studiolo di Urbino cit., pp. 91-92 e fig. 73); qui la D risulta aperta, come in altri esempi esaminati.
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in una forma molto simile a quella impressa sulla legatura urbinate del ms. Arm. LX, 21 (fig. 26). Nel Corpus Nummorum Italicorum è offerta la seguente descrizione della moneta: «Dritto/ FEDERICVS CO (croce), intorno. Monogramma di Federico; contorno perlinato. Rovescio/ Aquiletta VR VI NI, intorno. Scudo semiovale di Montefeltro accostato da 3 globetti: uno in cima e uno per parte ai lati; contorno perlinato» (mm 17,00; g. 0,62)40; lo stemma sul rovescio è quello bandato. La moneta ha dunque un valore probante. In essa sono compresenti il titolo comitale di Federico e le lettere in scrittura gotica (definite monogramma di Federico) FDE: esse non si possono dunque riferire al titolo ducale ottenuto nel 1474, non sono cioè iniziali di parola (per Federicus Dux), ma costituiscono invece un monogramma in cui le lettere, legate in nesso, significano Federicus. La presenza del monogramma in un documento ufficiale come quello numismatico, coniato dalla zecca urbinate, è inoltre prova incontrovertibile del fatto che la forma in cui esso compare nella moneta è quella controllata e autorizzata dall’autorità emittente. Il fatto inoltre che le lettere FDE impresse sulla legatura del volume proveniente dalla cancelleria urbinate siano così simili a quelle presenti sulla moneta pare rafforzare l’idea che il monogramma miniato nei codici potesse essere condizionato dallo stile e forse dall’interpretazione dell’artista. Si può infine affermare che il monogramma miniato all’interno delle fiammelle inquartate non è collegato all’ambita dignità ducale e che dunque la sua presenza nei manoscritti non costituisce un terminus post quem rispetto all’anno del suo conseguimento.
40
CNI, XIII: Marche, Roma 1932, p. 500, n. 2. Ringrazio la dott.ssa Eleonora Giampiccolo, direttrice del Gabinetto Numismatico della Biblioteca Vaticana, per aver condiviso le osservazioni qui esposte.
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DIEGO D’ELIA
SU UNA INEDITA TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE DE UNA PARTITA A SCACCHI DI GIUSEPPE GIACOSA (PATETTA 839) A Gloria, che nel rigore delle nevi mi ha illustrato la beltà delle rose.
La sera del 30 aprile 1873, nell’Accademia Filarmonica di Napoli, venne rappresentato per la prima volta il dramma storico Una partita a scacchi, del drammaturgo piemontese Giuseppe Giacosa1, con la direzione scenica del commediografo napoletano Achille Torelli, (1841-1922)2. Opera teatrale in versi martelliani, strutturata su un solo atto, questa pièce venne composta nel 1871, ispirata da un celebre passo del cantare cavalleresco Huon de Bordeaux, databile al XIII secolo3, allorquando il cavaliere Huon, protagonista del romanzo, dopo aver vantato una serie di valentie, viene obbligato a giocare una partita a scacchi contro la figlia dell’Imperatore Yvorin, ludus nel quale la ragazza eccelleva. La posta era costituita, in caso di vittoria, dalla possibilità di giacere per una notte con la giovane, oltre a 1
Su Giuseppe Giacosa, (1847-1906), drammaturgo e celebre librettista, cfr. la notizia biografica a cura di G. TAFFON, Giacosa, Giacomo, in DBI, 54, Roma 2000, pp. 252-253. 2 Nel 1892 questa pièce verrà musicata dal compositore, organista e critico musicale piemontese Pietro Abbà-Cornaglia (1851-1894): Una Partita a Scacchi. Leggenda medioevale in un atto del Commendatore Giuseppe Giacosa, musicata sugli stessi versi martelliani dal Maestro Cavaliere Pietro Abbà-Cornaglia, Alessandria [1892]. 3 Su questo romanzo epico rimando alle due edizioni critiche più recenti, Huon de Bordeaux, a cura di P. RUELLE, Bruxelles – Paris 1960 (Travaux de la Faculté de Philosophie et Lettres, Université Libre de Bruxelles, 20), e Huon de Bordeaux, chanson de geste du XIIIe siècle, publiée d’après le manuscrit de Paris BNF fr. 22555 (P). Édition bilingue établie, traduite, présentée par William W. Kibler et François Suard, Paris 2003 (Champion Classiques. Moyen Âge, 7). Si vedano anche Le Huon de Bordeaux en prose du XVème siècle, a cura di M. J. RABY, New York 1998, quindi M. ROSSI, Huon de Bordeaux et l’évolution du genre épique au XIIIème siècle, Paris 1975 (Nouvelle Bibliothèque du Moyen Age, 2) e Storia di Huon di Bordeaux e di Auberon re delle fate. Canzone di gesta, a cura di G. AGRATI – M. L. MAGINI, Parma [1991]. Sull’episodio della partita a scacchi quale fonte di ispirazione del Giacosa cfr. S. CERULLO, Una partita a scacchi di Giuseppe Giacosa: un episodio di Huon de Bordeaux nel teatro lirico italiano tra Otto e Novecento, in Medioevo all’opera. Temi, personaggi e immagini del Medioevo nel teatro lirico otto-novecentesco. Atti del convegno, Padova, 12-13 novembre 2010, in attesa di pubblicazione Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 99-121.
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DIEGO D’ELIA
un premio in denaro, la morte in caso di sconfitta: durante lo svolgimento della partita, tuttavia, che si stava concludendo con la netta sconfitta di Huon, la ragazza si innamorò perdutamente del suo avversario, e si lasciò intenzionalmente sconfiggere4. Giacosa colse l’elemento romantico di questa vicenda, riproponendo il tema della partita a scacchi, e ambientando la scena in un castello del XIV secolo, sito in un luogo imprecisato della Valle d’Aosta, con una trama invero molto semplice: Il conte Renato, ormai vedovo, vive tormentato dal fatto che Iolanda, la sua unica figlia, fosse ancora nubile, avendo rifiutato tutti i partiti che si erano fino ad allora offerti. Un giorno Oliviero, conte di Fombrone, compagno d’arme e amico di vecchia data di Renato, si presenta al suo castello per rendergli l’omaggio di una visita. Oliviero è accompagnato dal paggio Fernando, un giovane di bell’aspetto, rimasto orfano dei genitori e riscattatosi alla vita con le sue sole forze, che durante il viaggio, dimostrando non comune coraggio, aveva salvato Oliviero e il suo seguito da un gruppo di predatori, uccidendone alcuni e costringendo i superstiti alla fuga. Il racconto dell’episodio suscita l’ammirazione di Renato per questo ragazzo, del quale però biasima il vivo orgoglio e l’indomita fierezza con la quale questi gli risponde. Irritato dal tenore ardito di Fernando, Renato decide di metterlo alla prova sullo stesso terreno di sfida arrogantemente proposto dal ragazzo: una partita a scacchi, che avrebbe giocato contro sua figlia, eccellente scacchista, fissando quale posta la mano di Iolanda nel caso in cui Fernando avesse vinto, la sua morte in caso contrario. Fernando, conquistato dall’avvenenza di Iolanda, accetta senz’altro la proposta, ma di fronte all’andamento palesemente negativo del gioco Renato, turbato dalla funesta conseguenza che ormai chiaramente ne sarebbe derivata per suo stesso volere, cerca di dissuaderlo dal continuare la partita, incontrando però il fermo rifiuto del ragazzo, disposto a subire la morte per amore. Iolanda tuttavia, affascinata dalla bellezza e dal coraggio del paggio, e invero all’oscuro della scommessa segretamente stretta tra suo padre e Fernando, se ne innamora, e dopo uno scambio di reciproci complimenti, esegue lei stessa una mossa al posto di Fernando, guidandogli la mano sulla scacchiera, in tal modo autoinfliggendosi lo scacco matto, ed ottenendo quindi di diventare sua sposa, tra la soddisfazione di tutti.
Apprezzabile per la perfezione formale dei versi, e particolarmente cu4 L’esito tuttavia non è scontato come potrebbe sembrare: Huon, seppur vittorioso, rifiutò l’offerta di Yvorin di trascorrere la notte con sua figlia, preferendo il solo premio in denaro per poi andarsene per sempre, così ottenendo l’apprezzamento del re, ma anche — comprensibilmente — l’ira acre della ragazza. Da un punto di vista letterario questo episodio, che richiama da vicino altri simili (come ad esempio quello del romanzo Garin de Montglane), individua una metafora molto comune in epoca bassomedievale, che vedeva nel gioco degli scacchi, tra i molteplici altri valori iconologici, sia un espediente per incontri galanti sia una metafora della potenza mascolina.
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rata per l’ambientazione bassomedievale che Giacosa seppe ricostruire con attenzione e perizia, basata sull’attento studio del dipinto di Federico Pastoris I signori di Challant, olio su tela realizzato nel 18655, Una partita a scacchi, pubblicata nel 18726, fu la prima opera di fama del drammaturgo piemontese, nonché primo e più luminoso esempio della cosiddetta “fase romantica”7 della sua produzione artistica. Malgrado le critiche di letterati e studiosi, tra le quali anche quelle, particolarmente aspre benché certamente non infondate, di Giosuè Carducci8, alle quali però fece da contraltare l’apprezzamento espresso da Benedetto Croce9, questo componimento fu caratterizzato da un successo di pubblico di straordinaria vastità, al punto da associare in modo molto intenso questa pièce al nome del suo autore e vice versa e, in generale, all’ideale del coronamento del sentimento d’amore inteso nella sua essenza più immediata. Ancora, se da un quadro Giacosa trasse l’ispirazione per questo suo componimento, ad un altro quadro egli dovette la raffigurazione iconografica di questa partita a scacchi, divenuta universale: nel 1881 il pittore Gerolamo Induno (1825-1890) si ispirò a questo dramma per realizzare il magnifico olio su tela Partita a scacchi10, opera di raffinata ricercatezza 5
Oggi custodito nella Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Senza dubbio la sua opera più nota, questo quadro di Pastoris fu l’esito di una visita al castello di Issogne, e suscitò l’apprezzamento del magistrato e poeta Giovanni Camerana, suo intimo amico, che nel 1867 dedicò a quest’opera la poesia “I signori di Challant”, e dello stesso Giacosa, che amava considerare questo suo componimento come il corrispettivo letterario del dipinto, al punto da ritenere di chiamare Renato il tuo canuto castellano e Iolanda la sua bella e pietosa figliuola: cfr. G. GIACOSA, Teatro, a cura di P. NARDI, vol. 2, Milano 1968, qui vol. I, p. 53. 6 Nel periodico Nuova Antologia 19 (1872), pp. 613-632, senza alcuna nota introduttiva né dedica. A partire dalle edizioni torinesi del 1875, per i tipi di Francesco Casanova, compare invece la dedica al conte Federigo Pastoris, pittore, nella quale Giacosa fa un parallelo tra il quadro I signori di Challant, e i personaggi della sua commedia, appunto dedicandogliela. 7 Alla quale farà seguito, con viva preferenza, la fase verista, che segnerà una svolta radicale nella produzione letteraria di questo artista. In realtà, la critica ancora si dibatte tra la visione di una netta separazione, nella produzione letteraria del Giacosa, in due fasi completamente distinte tra loro, una cosiddetta “romantica” e una “verista”, e quella invece di una convivenza di queste due anime del poeta piemontese, che di volta in volta scelse una linea poetica anziché l’altra a seconda dell’ispirazione o, secondo altri, dei gusti del pubblico. La sintesi che ritengo più puntuale in merito, e ancora insuperata, è individuabile nella monografia di M. RUMOR, Giuseppe Giacosa. Saggio, Padova 1940. 8 Carducci non lesinò l’arma della più tagliente ironia per criticare negativamente l’opera poetica del Giacosa, definendola seccamente un confettare in poesia un medio evo accademico alla Marchangy: cfr. G. CARDUCCI, Studi, saggi e discorsi, Bologna 1898, pp. 39-42 (qui p. 39). 9 Cfr. B. CROCE, Note sulla letteratura italiana nella seconda metà del secolo XIX. XXIV. Giuseppe Giacosa, in La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce 6 (1908), pp. 1-17, qui in particolare pp. 3-6. 10 Questo quadro è custodito a Milano, presso la Galleria d’Arte Moderna. Per alcuni anni è stato ospitato nei locali dello Prefettura di quella città. Nella Fondazione Museo Francesco
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stilistica che evidenzia la massima attenzione per la rappresentazione scenica, curata fin nei minimi dettagli11. La scena ritrae Fernando e Iolanda impegnati nello svolgimento della partita12, attentamente osservati da Renato e Oliviero, con il paggio incantato di fronte alla bellezza della ragazza, e questi che — si intuisce — gli rivolge la domanda cristallizzata nel più celebre verso di questo componimento: «Che hai, paggio Fernando? Non giuochi e non favelli», cui il ragazzo risponde, in realtà piuttosto ingenuamente, «Io?... Ti guardo negli occhi che sono tanto belli». L’ultimo ventennio del XIX secolo e il primo del secolo successivo videro il più ampio trionfo di pubblico per questa fiaba lirica, un successo che si estrinsecò di pari passo, oltre che con le innumerevoli repliche in tutti i teatri d’Italia e all’estero, anche nell’acquisizione, da parte del consesso artistico dell’epoca, del tema connotante, che venne riproposto in una immensa produzione spontanea di oggetti di ogni genere, che associarono in modo ormai definitivo il testo dell’opera con l’immagine del quadro dell’Induno. L’entità di tale produzione fu eccezionale: dalla coniazione di medaglie13 alla fusione di eleganti bassorilievi bronzei, da porcellane magistralmente dipinte a raffinati objet de vertu, da numerose tirature di stampe Borgogna — Casa-Museo e Pinacoteca, a Vercelli, è invece custodita una copia di questo quadro, realizzata dallo stesso Induno, ma con dei piccoli particolari diversi (che indicano quindi la deliberata scelta di Induno di raffigurare due momenti diversi di questa pièce teatrale), i più notevoli dei quali — e che ne permettono l’immediato riconoscimento — sono il braccio destro di Fernando, in questa copia appoggiato alla gamba e con in mano il Cavallo che Iolanda intenzionalmente gli ha lasciato prendere (nella prima versione il braccio è appoggiato, con la mano aperta, allo sgabello sul quale è seduto), e il braccio sinistro, in questa versione appoggiato al tavolo (mentre nella prima versione è alzato, sospeso in un gesto atto a indicare il tentativo di sottrarsi alla domanda della ragazza circa il perché che egli non stesse giocando). 11 Su questo quadro cfr. R. BOSSAGLIA, L’arredo della “Partita a scacchi” e la falsificazione neogotica, in Il Neogotico nel XIX e XX secolo. Atti del convegno (Pavia, 25-28 settembre 1985), a cura di R. BOSSAGLIA – V. TERRAROLI, Milano, 1898, II, pp. 439-442. Una curiosità: malgrado la grande acribia applicata, Induno raffigurò i pezzi di gioco secondo una foggia ottocentesca, che richiama le serie francesi modello Régence, e certamente non i pezzi tipici dell’epoca bassomedievale, che avevano una forma, sia nel caso dei pezzi dai lineamenti astratti che di quelli antropomorfi, completamente diversa. 12 Tale fu l’entusiasmo per questa fiaba che venne tentata finanche la ricostruzione delle mosse di questa partita, in realtà in modo piuttosto forzato, sia perché Giacosa non indica con precisione i tratti giocati (come invece accade in altri classici, come ad esempio Boccaccio, Vida e Marino), sia perché le regole del movimento dei pezzi con le quali è stata proposta questa ricostruzione sono quelle nostre contemporanee, mentre quelle in uso nel XIV secolo, allorquando cioè questa partita sarebbe stata giocata, differivano notevolmente: cfr. A. DOLCI, La ‘Partita a scacchi’ di Giuseppe Giacosa, in Rivista Scacchistica Italiana. Organo ufficiale dell’Unione e dell’Accademia di Scacchi di Firenze e del Circolo scacchistico della Meridiana di Torino 7 (1907), pp. 209-216. 13 Oggi vere rarità numismatiche, nella maggior parte degli esemplari censiti utilizzate quali premi per tornei scacchistici.
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calcografiche alle decine di edizioni di cartoline14, fino all’esemplazione di molteplici copie manoscritte di quest’opera15, elemento questo che a mio vedere più di tutto, se lo si considera alla luce dello straordinario numero di edizioni a stampa che si susseguirono costantemente fino alla prima metà del Novecento16, dà la misura della popolarità raggiunta da questo componimento17. Le motivazioni di tale non comune successo sono individuabili nella predilezione, nell’ambito del teatro borghese, delle tematiche familiari, quali, in primis, il matrimonio, ma anche le difficoltà della quotidianità e del lavoro18 unite al tema della leggenda medievale19, magistralmente 14 Dalle più semplici a quelle più raffinate impresse in policromia, talvolta arricchite da alcuni versi, fino a quella, semplicissima nell’economia iconografica, ma assolutamente efficace nel messaggio iconologico, raffigurante una giovane donna stesa a letto, persa nei suoi pensieri con sguardo sognante, che tiene nelle mani un libro, sul cui piatto anteriore si legge il titolo Giacosa – Una partita a scacchi. 15 La cura stessa, molto ricercata, con la quale questi manoscritti sono stati esemplati è indice della grande attenzione e del notevole interesse per quest’opera, come nel caso di un esemplare legato in velluto, oppure un altro ingentilito da un elegante disegno al tratto a soggetto scacchistico, oggi entrambi in collezioni private. 16 E in realtà anche oltre. Sono infatti al momento note più di un centinaio tra edizioni monografiche, miscellanee e ristampe, da quelle più raffinate dal punto di vista editoriale, come ad esempio le edizioni curate da Francesco Casanova, stampate a Torino nel 1876, nel 1878, nel 1881, nel 1883, nel 1885, nel 1886 e nel 1890, alle più semplici e economiche, come ad esempio quelle milanesi edite dalla casa editrice Biblioteca Bertelli, ancorché, da un punto di vista bibliofilico, aggraziate dalle immagini presenti sui piatti anteriori, che variano in ciascuna edizione. Una curiosità: ancora negli anni Cinquanta del Novecento questo componimento è stato tradotto in dialetto romanesco da U. CÒPPARI, La partita a scacchi. Versi romaneschi, Roma 1956. 17 Nell’ambito della quale non mancarono finanche le parodie, come quelle ad esempio apparsa nel «Guerin Meschino» del 28 agosto 1892, dove il titolo di questo componimento nonché il celeberrimo scambio di battute tra Fernando e Iolanda sono modificati al fine di ironizzare sulla produzione giornalistica dell’epoca, divenendo rispettivamente “Il trionfo del giornalismo ovvero Una partita di bale”, e i versi “Che hai, paggio Fernando, che dormi e non favelli? / Sto leggendo i giornali che sono tanto belli”, quando invece essi venivano usati soltanto per farsi aria e per cacciare le mosche, oppure, in seguito, come la caricatura del quadro di Induno disegnata da Aurelio Bertiglia e pubblicata in una rara cartolina, oppure ancora l’utilizzo in disegni pubblicitari di prodotti vari, fino ai calendari da barbiere, et alia. Si vedano anche gli esempi in merito addotti da P. DI SIMONE nel recente saggio «Gioca, Fernando». La partita a scacchi come metafora amorosa: parole e immagini tra Medioevo e Ottocento, in L’art medieval en joc, a cura di R. ALCOY, Barcelona [2016], pp. 341-356, contributo che si segnala anche per l’importante corredo iconografico che lo connota. 18 In merito cfr. F. LAUTIZI, Interni familiari nel teatro di Giuseppe Giacosa, in La letteratura degli italiani 4. I letterati e la scena, Atti del XVI Congresso Nazionale Adi, Sassari-Alghero, 19-22 settembre 2012, a cura di G. BALDASSARRI, V. DI IASIO, P. PECCI, E. PIETROBON e F. TOMASI, Roma 2014 (Url = http://www.italianisti.it/Atti-di-Congresso?pg=cms&ext=p&cms_ codsec=14&cms_codcms=397 [ultima consultazione: 19/12/2018]). 19 Cfr. P. CORSI, Il Medioevo a teatro con Giuseppe Giacosa, in Quaderni Medievali 38 (1994), pp. 120-140.
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proposte da Giacosa con un linguaggio semplice e per questo accattivante, accessibile al più grande pubblico che, come con precisione indicato da Croce20, non cercava tanto la raffinatezza superlativa del verso, quanto invece la manifestazione dell’ispirazione, che viene qui da chiunque facilmente colta e ampiamente condivisa21. La fama de Una partita a scacchi in breve tempo valicò i confini nazionali, venendo tradotta in francese, in tedesco, in spagnolo, in inglese e finanche in svedese, segni palesi, tutti questi, di una ricezione senz’altro positiva anche in ambiti culturali molto diversi da quelli dell’autore e al suo contesto meno prossimi22. Le traduzioni in lingua francese, le più numerose, furono cinque, la prima a firma di Fernando Scarampi, pubblicata a Torino nel 187723, seguita, alcuni anni dopo, da quella curata dal poeta francese Emile d’Audiffret (1850- ?), impressa a Parigi nel 188624, quindi dall’adaption — che Giacosa a bien voulu applaudir — dello scrittore svizzero Auguste Blondel (18541922), impressa a Ginevra, da Eggimann, nel 189525, poi dalla traduzione a cura di M. Garnault26, pubblicata nella stampa periodica nel 189927, e infine da quella a cura di Hector Lacoche, letterato francese già traduttore dell’Ariosto e del Carducci, stampata a Rennes nel 191228. Due le traduzioni in tedesco29, pubblicate una in Germania e una in Austria, a distanza di appena un anno l’una dall’altra, la prima delle quali 20
Cfr. CROCE, Note sulla letteratura italiana cit., p. 4. Alcuni cenni interessanti in merito in G. DEABATE, La fortuna di una leggenda drammatica nel cinquantenario della «Partita a scacchi», in La lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera 22 (1923), pp. 278-282. 22 A titolo di curiosità, rammento che di quest’opera è stata curata dai fratelli Pietro e Rinaldo Padulli una traduzione in esperanto: cfr. G. GIACOSA, Ŝ akludado. Itale: una partita a scacchi. Esperantigis verse fratoj P. kaj R. Padulli, S. Vito al Tagliamento 1920. 23 Cfr. G. GIACOSA, Le triomphe de l’amour, Une partie d’echecs, traduzione in versi francesi del marchese Fernando Scarampi di Villanova, Torino 1877. 24 Cfr. G. GIACOSA, Une partie d’échecs, légende dramatique en un acte, traduit en vers français par Emile d’Audiffret. Poésis détachées de Émile D’Audiffret, Paris 1886, l’unica registrata in Les traductions de l’italien en français au XIX siècle. En collaboration avec la Bibliothèque nationale de France, cura di G. DOTOLI – V. CASTIGLIONE MINISCHETTI – R. MUSNIK – M. T. PULEIO – F. SCHIROSI, Fasano – Paris 2004 (Biblioteca della ricerca. Bibliographica 5), p. 402. 25 Cfr. A. BLONDEL, Échec à la Reine. Légende dramatique d’après l’italien de G. Giacosa, Geneve 1895. 26 Su Garnault non sono al momento noti elementi biografici. 27 Cfr. G. GIACOSA, Une partie d’échecs, légende dramatique traduit de l’italien par M. Garnault, in La Revue bleue del 18 febbraio 1899, pp. 209-216. 28 Cfr. G. GIACOSA, Le Triomphe d’amour, légende dramatique en 2 actes. Une partie d’échecs, légende dramatique en 1 acte. Traduites par Hector Lacoche, Rennes 1912. 29 Sulla ricezione di Giacosa in Germania cfr. L. GEDDA, Giuseppe Giacosa commediografo e narratore, Torino 2000, p. 38. 21
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spicca per l’eccezionalità del traduttore: lo storico, giurista ed epigrafista Theodor Mommsen (1817-1903). Ottimo conoscitore dell’Italia e della lingua italiana, Mommsen rimase profondamente affascinato da questa leggenda drammatica, al punto tale da decidere di curarne personalmente una traduzione in tedesco, in versi, che intese offrire quale regalo di nozze per la sua primogenita, Marie (1855-1936), con Ulrich von WilamowitzMoellendorf (1848-1931), celebrate il 20 settembre 187830. Stampata in pochissimi esemplari e destinata a una circolazione privata, limitata cioè ai soli amici e invitati, e realizzata ad insaputa di Giacosa (che ne verrà informato, dallo stesso Mommsen, solo una volta impressa31) questa edizione32, che tace l’anno di stampa e il nome del traduttore, conservando invece a fronte il testo originale italiano33, costituisce oggi una superlativa rarità bibliografica e senza dubbio una delle traduzioni del Giacosa più ricercate34. La grandissima rarità di questa edizione germanica, unitamente al notevole successo che Una partita a scacchi riscosse anche in Austria, costituirono le basi per la seconda traduzione in lingua tedesca, curata dal drammaturgo, regista e critico teatrale austriaco Alfred Freiherrn von Ber30 In merito cfr. F. LAUTIZI, Giuseppe Giacosa in viaggio dal Romanticismo al Verismo (Una Partita a Scacchi, Il trionfo d’amore, Tristi amori), in La Letteratura degli Italiani. Rotte, confini, passaggi, Associazione degli Italianisti – XIV Congresso Nazionale – Genova, 15-18 settembre 2010, a cura di A. BENISCELLI – Q. MARINI – L. SURDICH, Novi Ligure 2012, (Url = http://www.italianisti.it/upload/userfiles/files/Lautizi%20Federica_1.pdf [ultima consultazione: 19/12/2018]), passim. Ricordo anche che Mommsen con suo genero U. von WilamowitzMoellendorff tradusse in tedesco dieci Odi barbare di Giosuè Carducci (Berlin 1879): R. BERTOZZI, Paul Heyse: le traduzioni di Giosuè Carducci e il carteggio con Giuseppe Chiarini, in Studi germanici n.s., 35 (1997), pp. 133-150; V. LA MONACA, Aggiornamenti epigrafici e traduzioni carducciane in una lettera inedita di Theodor Mommsen a Pietro Sgulmero, in Studi in memoria di Adriano Rigotti, a cura di M. ALLEGRI, Rovereto (TN) 2006, pp. 83-95; A. M. VOCI, Agli esordi della fortuna di Carducci in Germania, in L’Acropoli 12 (2011), pp. 563-588. 31 Cfr. il carteggio epistolare custodito a Colleretto Giacosa, in provincia di Torino, nell’archivio privato sito presso la casa di questo drammaturgo, busta 82, fascicolo XV, lettere pubblicate nella monumentale edizione a cura di M. BUONOCORE, Lettere di Theodor Mommsen agli Italiani, voll. 2, Città del Vaticano 2017 (Studi e Testi, 519-520), qui vol. II, p. 1152, lettera n. 854, e p. 1171, lettera n. 878. 32 Cfr. Theodor Mommsen als Schriftsteller. Ein Verzeichnis seiner Schriften von K. ZANGEMEISTER. Im Auftrage der Königlichen Bibliothek bearbeitet und fortgesetzt von E. JACOBS. Neu bearbeitet von ST. REBENICH, Hildesheim 2000, p. 104 n. 781. 33 Cfr. G. GIACOSA, Una partita a scacchi. Leggenda drammatica in un atto in versi di Giuseppe Giacosa. Rappresentata per la prima volta all’Accademia Filarmonica di Napoli, la sera del 30 Aprile 1873. Eine Schachpartie. Dramatisches Gedicht in einem Act von Giuseppe Giacosa. Aufgeführt am 18. September 1878 in Berlin, Berlin [1878]. A stampare questa placchetta fu la Druck von W. Büxenstein. 34 Mi sia permesso esprimere qui un ringraziamento al Prof. Dr. Eef Overgaauw, Leiter der Handschriftenabteilung della Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, per l’ausilio fornitomi per il reperimento di questo testo.
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ger (1853-1912), che venne stampata a Vienna nel 188835, ultima in questa lingua pubblicata nell’Ottocento. La traduzione in svedese36, curata da Göran Björkman (1860-1923), poliglotta, uno dei massimi traduttori svedesi del suo tempo, venne pubblicata a Stoccolma nel 1891, e costituisce anch’essa una notevole rarità bibliografica37, mentre in spagnolo sono note le traduzioni del poeta, drammaturgo e scrittore andaluso Francisco Villaespesa (1877-1936), stampata a Madrid nel 191538, seguita l’anno successivo da due altre edizioni, una di nuovo impressa a Madrid39 e l’altra a Barcellona40, mentre nel 1936 questo componimento venne tradotto e pubblicato per la prima volta nell’America del Sud, a Bogotà, dall’ingegnere e poeta colombiano Victor Eduardo Caro (1877-1944)41. A fronte del grande successo in diverse culture, una sola è la traduzione pubblicata in lingua inglese finora nota, curata dello storico e critico letterario Barrett H. Clark (1890-1953), che venne stampata a New York nel 191442; merita infine una segnalazione l’edizione del testo italiano curata dalla poetessa Ruth Shepard Phelps (1876-1949), Associate Professor di Lingue e Letterature Romanze presso l’Università del Minnesota, pubblicata sia negli Stati Uniti che a Londra nel 192143, nella quale, in assenza di una traduzione, è presente un apparato critico nel quale vengono tradotti molteplici versi nonché il corredo di un vocabolario con la traduzione dei lemmi italiani presenti nel testo. *
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Cfr. G. GIACOSA, Eine Schachpartie. Dramatisches Gedicht in einem Act. Von Giuseppe Giacosa übers, von Alfred Freiherrn v. Berger, Wien 1888. 36 Sulla fortuna del teatro di Giacosa in Svezia cfr. F. PERRELLI, La fortuna di Giuseppe Giacosa in Scandinavia, in R. ALONGE (a cura di), Giacosa e le seduzioni della scena. Fra teatro e opera lirica, Bari 2008, pp. 13-29. 37 Cfr. G. GIACOSA, Ett parti schack. Dramatisk legend på vers i en akt, öfversatt af Göran Björkman, Stockholm 1891. Di questa tiratura, venticinque esemplari numerati sono stati stampati su carta cinese: cfr. p. [2], 25 numrerade exemplar äro tryckta på kinesiskt papper. 38 Cfr. G. GIACOSA, Una partida de ajedrez. Leyenda dramática en un acto, Madrid 1915. 39 Cfr. G. GIACOSA, Una partida de ajedrez. Leyenda dramática en un acto, Madrid 1916 (unitamente a Era el. Poema en un acto). 40 Cfr. G. GIACOSA, Una partida de ajedrez. Leyenda dramática en un acto, Barcelona 1916. 41 Cfr. G. GIACOSA, Una Partida de Ajedrez. Leyenda dramática en un acto, traducida en verso por Víctor E. Caro, in R. MCDOUALL – V. E. CARO (a cura di), Traducciones teatrales, Bogotá 1936 (Biblioteca aldeana de Colombia, 96). 42 Cfr. G. GIACOSA, The Wager: a Poetic Comedy in One Act: by Giuseppe Giacosa. Translated by Barrett H. Clark, New York – London 1914. 43 Cfr. G. GIACOSA, Una partita a scacchi, edited by Ruth Shepard Phelps, The Heat-Chicago Italian Series, Boston, New York, Chicago, London, etc. 1921.
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Questa panoramica bibliografica è ora arricchita da una “nuova” traduzione in lingua inglese, rimasta inedita, custodita nella Raccolta Patetta44 della Biblioteca Apostolica Vaticana, da me ritrovata nel corso dei miei studi presso quell’Istituto. 1. Descrizione del codice Il codice Patetta 839 è un manoscritto cartaceo, mutilo, intitolato A Game of Chess in one act, di mm 212 × 155, consistente di 32 ff. complessivi, databile ai primi anni del Novecento. È presente una cartulazione coeva in numeri arabi, apposta dalla stessa mano che ha vergato questa traduzione, sita in alto a destra sul recto di ciascuna carta. Il testo è presente solo sul recto delle carte, mentre il verso è lasciato bianco, chiaramente al fine di ricevere eventuali correzioni, variazioni o aggiunte, come infatti accade nel f. 16v e nel f. 31v. Questo codice, che nella porzione giuntaci si presenta in discrete condizioni generali, è costituito da un quaderno di scuola. La legatura, in carta, evidenzia segni di usura al dorso; sul piatto anteriore è presente, in alto a sinistra, l’etichetta del Fondo Patetta, mentre al centro sono visibili i dati bibliografici di questo documento: A | “Game of Chess” | in one act, | by | G. Giacosa. | (Reduced into English by E. D. Berry) | (Permament address:) | E. D. Berry. | c/o T. Montague Handley Esq. | Banker, | 81 Piazza di Spagna | Rome | Italy. Lungo il margine esterno, inserito probabilmente in un secondo momento, ma dalla stessa mano che ha vergato questo manoscritto, è presente il nome Dunne Barr, ripetuto, incolonnato, quattro volte. Sono presenti delle rigature proprie del tipo di supporto scrittorio utilizzato, e sono assenti i rimandi; il testo è disposto su un’unica colonna, al 44 La Raccolta Patetta è costituita da una collezione di manoscritti, pergamene, documenti e autografi che coprono un arco cronologico che va dal XVI al XIX secolo. Realizzata dal celebre storico del diritto Federico Patetta, questa collezione entrò nei fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana nel 1945, a seguito di volontà testamentaria. In merito cfr., oltre a J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de José Ruysschaert, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi 272), p. 277, nt. nr. 62, M. BUONOCORE, Francesco Foucault di Daugnon e la sua Raccolta alla Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 16 (2009) (Studi e testi, 458), pp. 7-8; Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, I, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 481-488; I. AURORA, Le pergamene del legato Patetta. Ricostruzione delle modalità di formazione della raccolta e prime indagini sulla consistenza e la tipologia documentaria: alcuni esempi da Padova, Vercelli, Siena, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 24 (2018) (Studi e testi, 529), pp. 19-45; M. BUONOCORE, Federico Patetta e il ‘Lascito’ alla Biblioteca Apostolica Vaticana: bilanci e prospettive, in Federico Patetta: 150 anni dalla nascita. Convegno di studi, Torino, 6 aprile 2017 (in corso di stampa).
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centro di ciascuna pagina, ma gli interventi dei vari personaggi nei dialoghi sono indicati con un trattino sporgente sul lato sinistro. La mise en page è sommaria (ancorché il librarius abbia avuto la cura di inserire sempre il titolo corrente, Game of Chess, in alto al centro del recto di ogni carta) denotando chiaramente che questo manoscritto era un brogliaccio, una copia di lavoro destinata a essere rimaneggiata più volte, in attesa di una futura stesura in mundum. 2. Provenienza Questo manoscritto è stato chiaramente redatto nel contesto della comunità britannica residente a Roma, nell’ambito del fervore della positiva ricezione de Una partita a scacchi e venne acquisito in data imprecisata da Federico Patetta, probabilmente mosso da curiosità intellettuale e interesse per gli aspetti letterari di questo documento, e che forse non rimase indifferente a tale componimento. 3. Errori e correzioni Trattandosi di un brogliaccio, questo manoscritto presenta molteplici correzioni e ripensamenti, a partire dal titolo stesso, A Game of Chess, dapprima tradotto con l’articolo determinativo the (The Game …), in seguito sostituito con l’indeterminativo a — molto più corretto secondo le regole della grammatica inglese — anche se sorprende l’utilizzo della preposizione of invece della più appropriata at, esito probabilmente della scelta di Berry di indicare la specificità di questa partita a scacchi, cioè della partita tra Fernando e Iolanda, indicandola fin dal titolo come evento particolare45. Dall’analisi del ductus che connota questo manoscritto, poi, appare verosimile che la traduzione sia stata effettuata di getto, e che le correzioni, presenti in tutto il documento, e in particolare i molti ripensamenti e le integrazioni con la proposta di altre possibili versioni, segno di una costante ricerca di miglioramenti lessicali e stilistici, visibili ai ff. 18r e 19r, fino alle biffature presenti al f. 20r, e ancora gli interventi di cui ai ff. 28r, 29r e 32r, siano l’esito di tentativi di miglioramenti stilistici e lessicali che confermerebbero con puntualità l’iniziale immediatezza della traduzione. Questo testo, in ogni caso, manifesta palesemente la necessità di ulteriori revisioni, che per motivi che rimangono ignoti non sono più state effettuate. 45 Elemento, questo, che si perde completamente nella traduzione di Clark, sopra citata, che viene intitolata The wager, cioè “La scommessa”, o “La puntata”, invero smarrendo l’eco evocativa del gioco degli scacchi quale espressione genuina e tipica del (basso) medioevo, e che fu infatti il soggetto stesso dell’ispirazione del Giacosa per questo componimento.
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4. Il traduttore Nulla allo stato delle ricerche è emerso circa la figura di E. D. Berry, che dallo stile lessicale adottato si intuisce essere di probabile origine britannica. Il soggiorno di Berry a Roma, che, come si evince dalla lezione del piatto anteriore del manoscritto in esame, soggiornò in Piazza di Spagna, presso l’abitazione di un suo amico, il banchiere Montague Handley, si inquadra con facilità nell’ambito della presenza nella Città Eterna, per ragioni di studio o di vacanza culturale, di una folta comunità anglofona. Con ogni verosimiglianza, infine, Berry deve essere stato una persona di buon livello culturale, capace di apprezzare l’opera italiana, e di restituirla con intensa vivacità ad un potenziale pubblico anglofono. 5. Il testo Il testo trasmesso da questo manoscritto è la traduzione in prosa, con adattamenti, de Una partita a scacchi del Giacosa. In questa traduzione, la sovrapposizione, o meglio la convivenza del mondo fiabesco con quello reale, genuino elemento di forza dell’opera giacosiana, è resa da Berry con discernimento e concretezza, da una parte senza mai scivolare in ricostruzioni fantastiche forse di grande efficacia nello stimolare l’immaginazione, ma invero che si sarebbero rivelate di scarso rilievo, se non proprio di inciampo nell’economia semplice e incalzante della narrazione originale, e dall’altra cercando di conservare le voci e le sembianze del testo originale. I personaggi mantengono infatti l’equilibrio che Giacosa magistralmente seppe conferire loro, sono e rimangono “italiani” pur muovendosi nell’amore, nell’ardimento, nella tristezza e nel romanticismo secondo il ductus di una lingua forte, essenziale, a tratti finanche dura, come quella inglese, sempre aderendo con ottima resa all’ambientazione e alle immagini dell’intimo tormento che caratterizza ciascuno di loro, avendo coniugato Berry abilmente nei dialoghi aggraziata evanescenza a una ben calibrata tonalità lirica. Al di là delle inevitabili differenze proprie di qualsiasi traduzione, l’elemento che emerge con immediata chiarezza è la grande cura che il Traduttore applicò nel descrivere i movimenti e le ubicazioni dei personaggi durante lo svolgimento delle scene46 così come nell’indicare i gesti che avrebbero dovuto compiere47, particolari questi non sempre presenti nel testo originale: appare cioè molto verosimile che Berry abbia inteso stilare non 46 Ad esempio, nella scena I, f. 6r, viene suggerito viene suggerito: Yolanda sits at his feet [scil.: del padre]. 47 Ibidem alla nota precedente, dove qui all’attore che interpreta Rinaldo viene suggerito: Takes her face in his hands, oppure, al f. 8r, Yolanda (smiling): I\’ll / build a convent, and be it’s
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solo e non tanto la traduzione di questo componimento, quanto invece, probabilmente, la bozza per una rappresentazione teatrale di quest’opera. Finanche la foggia degli abiti di scena è indicata con acribia, chiaramente sulla scorta dell’impostazione del Giacosa stesso, ma in realtà facendola sua e ampliandola; nella scena seconda Berry inserisce infatti (f. 12r), inframmezzata alle battute dei personaggi presenti, una minuziosa descrizione del modo in cui i personaggi si devono presentare, indicando perfino da dove prendere spunto per la migliore ricostruzione della fattezze: Fernando is dressed elegantly, but not richly. The elegance of his costume must not depend on the material, but on it’s [sic] design and colours. No moustaches, no fanciful caps. See the pictures, tapestries, statues, etc. of the period. No moustaches are seen in them. No bright cuirass – or \ entire armour/ [arms] of any kind. No leather cuirass, no pumps, boots, etc.
Da un punto di vista linguistico, pur preferendo la prosa ai versi Berry scelse uno stile linguistico arcaizzante, tipico d’altro canto della produzione letteraria (e religiosa) anglofona, che si riconosce dall’utilizzo del pronome personale thou, e, coerentemente, dal pronome thee come complemento diretto, e dal pronome possessivo thine (cioè thine children per your childern), così come dall’aggettivo possessivo thy, nonché accogliendo delle forme verbali irregolari con desinenza in –t (si avrà dunque thou art per you are); ancora, quando thou regge una voce verbale coniugata al presente indicativo, si ha la desinenza –est (o nella forma contratta –’st)48, mentre la coniugazione al futuro è talvolta resa con il lemma wilt anziché la forma moderna will, regola questa invero non sempre rispettata nel corso della stesura49; ancora, il verbo to have viene generalmente rispettato nella forma moderna, anche se non manca l’utilizzo occasionale della forma arcaica hast per la seconda persona singolare dell’indicativo presente50. Anche la scelta di alcuni lemmi arcaici o esponenti una apprezzabile ricercatezza letteraria rispecchia questa cura: ne sono esempi emblematici la parola ruffians, che rende con efficacia l’idea della spregevolezza dei personaggi — i briganti che tentarono di rapinare Oliviero e il suo seguito — ai quali Abbadess, oppure ancora, al f. 9r, Yolanda (kissing him), oppure nella scena II, (f. 13r), dove viene indicato che Servants exit, and bring in wine, in silver jars, and goblets. Then exit again. 48 Si veda, ad esempio, una delle frasi del dialogo tra Rinaldo e Iolanda (scena prima, f. 10r): Rinaldo. Then thou wouldst continue to live as thou dost now. Thy sole amusements, the distaff, needle and a chess-board. 49 A conferma del fatto che questo manoscritto è un brogliaccio, vergato di getto, traducendo, si direbbe, all’impronta: un documento prezioso, ma che è rimasto privo delle revisioni finali. 50 Ad esempio al f. 11r, quando Renato chiede a Iolanda: Hast, perchance, a secret love?
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è riferita, o la parola steed, per indicare il destriero cavalcato da Fernando, oppure il verbo to err, che è declinato, al f. 25r, al past participle (erred), raffinata forma colta per rendere il concetto della commissione di un errore. Anche nella terminologia scacchistica, infine, Berry utilizza un arcaismo: il lemma castle per indicare la Torre, (f. 24r), parola che esprime anche una notevole forza evocativa, dato il contesto medievaleggiante dell’ambientazione, anziché il termine rook, di consolidato uso nel linguaggio comune per indicare quella figura del gioco degli scacchi. Questa traduzione tende, in linea di massima, a essere quanto più possibile fedele all’originale italiano51, anche se si notano delle divergenze tra le due versioni: in questo documento sono infatti omesse la dedica al pittore Federico Pastoris e soprattutto, per intero, il Prologo; è invece conservata, con alcuni adattamenti, la nota introduttiva (f. 3r), nella quale, a conclusione della descrizione della scena, Berry aggiunge una precisazione sull’importanza della cura dei dettagli nell’allestimento, non presente nell’originale e qui inserita forse in vista di una rappresentazione teatrale di questa leggenda: The decorations and furniture of this scene | are of great importance, as any detail of | dress, or accessories of the scene, not | according to the period would spoil the | whole character of the play.
I nomi dei personaggi a volte differiscono dall’originale, a volte, al contrario, ne conservano immutata la lezione: il conte Renato è qui chiamato Rinaldo (in Clark è francesizzato in René), probabilmente quale eco di più facile riconoscibilità per un pubblico anglofono del paladino omonimo del ciclo carolingio52, mentre Fernando rimane tale (in Clark è invece anch’esso francesizzato in Fernand), Oliviero, Conte di Frombone, è reso con Oliver (è Olivier in Clark), ma verrà sempre indicato semplicemente come Count [scil.: of Frombone], e Iolanda è in Berry Yolanda, in Clark Yolande; infine, all’ultimo personaggio dell’elenco degli Interlocutori, come vengono 51 In questa sede per il testo italiano ho utilizzato la prima edizione, edita nella Nuova Antologia 19 (marzo 1872), pp. 613-632, già citata supra, collazionata e integrata con il testo pubblicato nella seconda edizione, e confermato nella terza (e successive), entrambe edite a Torino, da F. Casanova, rispettivamente nel 1875 e nel 1876, e con l’edizione a cura di P. NARDI, Teatro di Giuseppe Giacosa, voll. 2, Verona 1948, qui vol. I, pp. 51-88. 52 Oppure, al contrario, quale vivida espressione di un personaggio celebre della più alta letteratura italiana, come il Rinaldo signore di Montalbano, cugino di Orlando, protagonista di diversi cantari del XIV secolo, nome che compare poi nell’Orlando Furioso dell’Ariosto, o nel Morgante del Pulci. Ancora, un Rinaldo è presente in Matteo Boiardo, e Torquato Tasso chiamò Rinaldo uno degli eroi principali della Gerusalemme liberata, per di più reso famigliare a un uditorio anglofono dalla celebre opera omonima di Georg Friedrich Händel: un nome dunque forse adatto a essere recepito più facilmente rispetto all’originale Renato.
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indicati nell’edizione originale, un valletto, e poi, nel testo, servo — che rimane anonimo — viene qui invece attribuito un nome proprio: Lupo (a servant)53. In generale, per rendere appieno la solennità e il pathos dell’eloquio dei personaggi Berry si prende delle inevitabili libertà nella traduzione, riformulando alcune frasi ma sempre mantenendo inalterato il senso originale dei dialoghi54. A fronte comunque del tentativo di conservare il più possibile la lezione originale, non mancano delle differenze dovute a necessità di resa concettuale e di comprensione del testo da parte di un lettore straniero, come ad esempio, nella scena prima, al f. 4r, la soppressione del nome de La Becca, tipico termine valdostano per indicare una cima, qui una montagna sita vicina al castello sede degli eventi, e che Rinaldo indica alla figlia come già coperta dalle nubi, foriere di tempo nevoso, che viene reso da un più generico The Hills (“le Colline”), oppure, più oltre, l’eliminazione di alcuni versi che, ritengo, avrebbero imposto una contestualizzazione forse meno agevole nell’economia della traduzione55, o che semplicemente sono stati recepiti come ridondanti, come ad esempio al f. 10r, quando la frase di Renato No, lasciami finire. / Tanto non ci riesco; con te non son destro; / l’allieva ha superato di gran lunga il maestro. / Tu sei come la rocca di Bard, la non si piglia: / aggiungo questa gloria a quelle di famiglia. / Dunque, il Duca di Rosalba…?
viene resa con il più conciso e generico No, no, let me finish. Besides, I always lose now. The pupil has become stronger than the master. Therefore, the Duke of Rosalba.
e ancora, poco oltre, quando Renato si lamenta: È vero, e, contro gli usi de’ miei pari, ti voglio / signora più assoluta che una regina in soglio. / So che più d’un mi biasima sommessamente, ed io / che chiamo di mie gesta solo giudice Iddio, / penso che la tua scelta sarebbe arra sicura / di 53 Un nome piuttosto raro, soprattutto se paragonato al più comune Lapo, di ambito toscano. In ogni caso, un nome “italiano”, che connota ulteriormente l’ambientazione degli eventi narrati. 54 Ad esempio, la delicata riflessione di Iolanda sugli alberi spezzati dalla furia della tempesta, che pure in passato furono fieri e solenni e che finiranno arsi nel camino, viene brillantemente resa da Berry con una frase finale non presente nel testo italiano, ma che ne racchiude appieno il senso: Dear, good trees… (f. 5r). Non così invece in Clark, che modifica completamente, pur conservandone il senso, i dialoghi inziali tra Renato e Iolanda. 55 Si tratta degli ultimi tre versi di una battuta di Iolanda, quando suggerisce al padre, intirizzito dal freddo, a sedersi vicino al camino, con l’invito: Mi direte le vostre gesta di cavaliero / oppur la bella fiaba di Aroldo e il suo corsiero. / Chiameremo a compagni Cristoforo e Martino.
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nome senza macchia, di cuor senza paura. / Ma fra tutti i signori che alle mie corti aduno, / io non t’ho fatta libera di non sceglier nessuno. / Ami forse in segreto?
che viene adattato, eccedendo forse nell’indicare come “debolezza” la scelta di Renato di non imporre alla figlia un marito, a mio vedere caricando quindi con un connotato negativo questa scelta rispetto al senso del testo originale, in una prosa asciutta: True. It is against the custom of our kind, but I wish thee to be more mistress of thyself, than a Queen. I know, that many blame me for this weakness. But Heaven alone is my Judge. I think, however, that thy choice will fall on a spotless name, and a fearless heart. Is it possible, that of all the noble Lords, who have sought thy hand, not one has pleased thee?
a cui segue la secca replica di Iolanda, Not one.
In altre occasioni invece, Berry tocca punte stilistiche con eco lirica degne di nota. Nella scena prima, ad esempio, l’amaro palesamento di Iolanda, che replica al desiderio del padre di vederla maritata e con figli ammettendo di sognare di vivere una storia d’amore, Iolanda: Ebbene, veniamo al serio. Anch’io / quando mi trovo sola meco stessa e con Dio / sogno talora i gaudi dell’amore e mi sento / addormentarsi l’anima tutta in un rapimento. / E fingo che il mio fato conduca un forte e bello / a superar la fossa del mio patrio castello; / lo ascolto in tuon sommesso mormorarmi parole / più ardenti e più feconde che la luce del sole, / e lo guardo negli occhi che divampano fuoco, / e mi cullo in visioni celesti… e a poco a poco / mi risveglio… e le sale del mio patrio castello / non suonan mai dei passi di questo forte e bello.
viene ottimamente reso, benché certamente semplificato ma non per questo meno drammatico, anche grazie al delicato espediente del bacio d’affetto al padre che introduce la confidenza (come suddetto non presente nell’originale italiano), e dall’indicazione della mutazione del tono di voce da adottare in sede scenica, con delle frasi toccanti che trasmettono con intensità il tormento e l’amarezza provati — e tenuti finora celati — dalla ragazza: Yolanda (kissing him): No, no, I will be serious. I too, when alone with my Creator, do dream at times of love, and then, my soul is filled with a strange gladness. At times, also, [?] I see a noble youth enter our castle gate, and murmur words to me, which yet I’ve never heard… Words, that burn into my heart, like Summer Sun… and… I look into his eyes, which shine as bright as the stars above…! But, when I awake from my dream… I find myself alone… [lightly] and
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no knightly footsteps re-echoes in the Castle Hall.
Anche nella scena seconda56 non mancano luoghi di garbata resa stilistica, come ad esempio quando Berry riesce a rendere in modo suggestivo l’ammirata espressione di stupore del conte di Frombone per la bellezza di Iolanda (f. 13r): Renato: La mia figlia Iolanda. Oliviero: Dio lega opposte cose, / il rigor delle nevi, la beltà delle rose.
che è reso dalla bella espressione Rinaldo (takes Yolanda’s hand, and presents her to Count): My daughter, Yolanda… Count: Nature has united two things here: Winter snows without, and the beauty of a Summer Rose within...
slancio che però viene moderato nei complimenti di Oliviero al suo ospite, Oliviero (sedendo accanto al fuoco): Per Dio, ti giuro il vero / la tua figliuola è bella, e forte è il tuo maniero.
che sono resi in modo piuttosto semplice, perdendo il vibrante ardore che esprimono nel testo italiano; la variazione dell’oggetto dell’apprezzamento, tuttavia, che dal castello passa a Renato stesso, compensa mirabilmente la perdita dello slancio originale: Count (sitting by fire): Thy daughter is marvellously fair… and thou, art as hale and strong as ever.
Un sapiente intervento di Berry è poi individuabile nella narrazione di Oliviero della tentata rapina subita, che viene arricchita, (f. 15r), inserendo una citazione di carattere storico che doveva certamente suonare romantica e affascinante soprattutto al pubblico anglofono residente a Roma: Iolanda: Fu [Fernando] raggiunto dai cinque [rapinatori]? Oliviero: Poco tratto di via / percorso egli si volse, e al branco che venia / sorridendo con volto nobilmente sdegnoso, / volse dell’armi audaci lo slancio impetuoso. / Era solo, piantato come un Centauro antico / sul dorso flessuoso del corsiero. Il nemico / gli faccia ressa intorno urlando a tutto possa.
viene tradotto come 56
Rammento che nella traduzione di Clark le due scene sono fuse in un’unica narrazione.
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Yolanda: Did the Ruffians reach him? Count (smiling): Yes, but not all together. It was the repetition of the Horatii and Curiatii fight! After having ridden some time, he turned suddenly on his assaillants [sic], who rode up one by one, on their tired horses. Towards stood alone, in the centre of the road, planted, like an ancient Centaur on the back of his brave steed.
In un caso, poi, Berry evidenzia con un semplice ma efficace tocco, al f. 16r, il coinvolgimento di Iolanda nell’ascolto della narrazione da parte di Oliviero dell’episodio che vide Fernando protagonista, inserendo cioè una espressione di spavento, o comunque di preoccupazione della ragazza alla notizia che il paggio rimase ferito in quel combattimento, ancorché lievemente: Iolanda: E non foste ferito? Oliviero: Io no. Fernando al seno / ebbe una scalfittura, ch’oggi e saldata, è vero? Fernando: Sì, conte.
dialogo piuttosto freddo, quasi formale, nell’originale italiano, che in questa traduzione diventa invece molto più appassionante, con Fernando stesso che orgogliosamente minimizza l’accaduto, ma in realtà in tal modo assurgendo a centro focale di tutta la scena: Yolanda: You were not hurt? Count: No. But Fernando received a wound, in full breast. Yolanda: Oh! Fernando: A mere scratch… already healed.
Poco oltre, al f. 21r, Berry preferisce una delle varianti al testo suggerite dallo stesso Giacosa nelle Avvertenze per la recitazione che corredano le edizioni dalla seconda in poi57: viene cioè modificato l’ordine degli argomenti addotti da Fernando nella sua fiera risposta a Renato, facendo concludere al Paggio il proprio discorso, ottenendo invero una notevole efficacia, con uno degli elementi che nell’originale è esposto verso la metà di questa battuta. Nel testo primitivo, cioè, la prospettiva di diventare presto cavaliere spinge Fernando a parlare con ardore e marcata disinvoltura finanche a 57 Come noto, infatti, Giacosa non aveva composto questa leggenda drammatica per la rappresentazione teatrale, ma solo per la lettura personale. La trasposizione nella realtà di scena ha evidenziato qualche difficoltà nel rispetto dei dialoghi originali, che quindi, invero solo in pochissimi luoghi, sono stati leggermente riadattati.
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persone di rango a lui superiore, fino al punto di rischiare, nel fare questo, la sua stessa vita. Questa serie di battute, pur molto forti nel contenuto, è allocata però quale momento quasi di secondario rilievo nella struttura del discorso, mentre in questa traduzione ne diviene la parte finale, raggiungendo così una forza espressiva di gran lunga maggiore: Fernando: […] Ed ora che, me volente, s’appiana il mio sentiero, / or che son fatto paggio e diventerò scudiero, / or che, mercé maggiore d’ogni maggior tesoro, / sono presso al battesimo degli speroni d’oro, / vuoi ch’io sappia frenarmi e rimanermi muto? / No, no, no, non lo posso, per tanti anni ho taciuto! […]. Fernando: […] And now, that my path is becoming easier, now that I am Page, and shall be knight and win the golden spurs, wouldn’t have me curb my brow, and be silent? No, no, no, I will \ cannot / not. I have kept \ been silence / silent too long.
Lo stesso si verifica subito dopo, accogliendo il traduttore l’altra variante ai versi immediatamente successivi, anch’essa proposta dal Giacosa, allorquando Fernando, notata la scacchiera, propone quel ludus come elemento di sfida: Fernando: E poi venga la prova: non vi chieggo di più. / Per studiare a tentarli ed a schermir gli attacchi, / appresi le difficili movenze degli scacchi, / e nessuno mi supera …
che viene sostituita, accogliendo la variante, con il più facile espediente scenico che vede Fernando notare la scacchiera presente in sala: Fernando: Sir, I fear a thousand swords or more (sees the chess board), than a game of Chess.
Si giunge così al momento più significativo di questa leggenda drammatica: la decisione di Renato di mettere alla prova l’arrogante giovane tramite una partita a scacchi, che viene introdotta con una battuta di sottile ironia che Berry fa dire a Renato, modificando il testo originale: Renato: Dacché ne porgi il destro, / noi ti vedremo all’opera, o d’ogni arte maestro. / A te, figliuola, insegnali, né sarà poca gloria, / come si faccia a vincere senza gridar vittoria.
che diventa Rinaldo: Don’t hear, Yolanda? Wilt enter the list [scil.: degli avversari che hai sconfitto] with this brave warrior? Thou canst teach him, at least to win with modesty…
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rendendo poi molto bene, si direbbe quasi meglio del testo originale, che si affida qui alla descrizione della reazione più che alla forza dell’espressione, la sorpresa di Renato nel rendersi conto che spontaneamente egli si era augurato la vittoria del ragazzo, avendo dimenticato che tale esito avrebbe comportato il fatto di dargli in sposa la figlia, semplicemente — ma efficacemente — aggiungendo una esclamazione: Renato: Vorrei che avesse a vincere. Oliviero: Per sposare tua figlia? Renato (colpito e crucciato): È vero!
che è tradotto Rinaldo: I hope, he’ll win! Count: To give him thy daughter? Rinaldo: True… I had forgot…!
oppure, poco oltre, l’ira a stento repressa da Renato di fronte al caparbio rifiuto di Fernando di abbandonare la partita, lasciando quindi cadere nel nulla la terribile scommessa, Renato: Tu perdi; me l’hai detto tu stesso. Fernando: E non consento, / perdente, a grazia alcuna; ché, vincitore, avrei / altamente vantati tutti i diritti miei. Renato: Bada a tentar la sorte, paggio, bada!
che viene resa nel testo in inglese di nuovo con sottile ironia, appellando Renato sarcasticamente con il titolo di sir Fernando, che, essendo un paggio, quindi di ben più modesto livello sociale, non ne aveva assolutamente diritto: Rinaldo: Thou losest. Thou sayst so thyself. Fernando: And losing, I consent to no mercy, as winning, I should have openly demanded my rights. Rinaldo: Beware! Do not tempt fate too much, Sir Page!
Nel prosieguo della descrizione della partita la traduzione segue con maggior rigore il testo originale, ferme restando occasionali differenze che di fatto non alterano i dialoghi, conservandone immutata la forza descrittiva. Sciolto dagli obblighi imposti dalla versificazione, Berry di nuovo risolve molto bene quello che nel testo italiano in realtà si perde nell’affetta-
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zione romantica: Iolanda, dopo aver colto che Fernando aveva interrotto bruscamente Renato che era in procinto di accennare al funesto esito che avrebbe avuto per il ragazzo la perdita della partita, nota che il paggio, anche se si dichiarava contento per la prossima vittoria della sua avversaria le si rivolgeva con afflizione, pur ripetendo la celebre frase di incantata ammirazione con la quale aprì il gioco, e gliene chiede dunque conto. Qui questa traduzione rende molto bene lo stato d’animo di Fernando, chiaramente intristito non tanto per l’ormai certa perdita della vita, quanto invece per la conseguente, inevitabile privazione della possibilità di vivere il suo amore per Iolanda: Fernando: Bella Iolanda, allegrati, sarà mia la sconfitta. Iolanda: Oh! Perché con sì tristi presagi ti martelli? Fernando: Io? Ti guardo negli occhi, che son tanto belli!
che viene resa Fernando: Fear not, fair Yolanda, I shall lose… Yolanda: Why do you say that so sadly? \Why?/ Fernando: I…? I’m dreaming in thine eyes, they are so beautiful!
Poco oltre il testo si interrompe a causa della mutilazione del supporto scrittorio, ma l’esito della partita è noto: Fernando si dichiara, Iolanda, anch’essa innamorata, guidando alfine la mano del ragazzo nell’eseguire la mossa per lui vincente si lascia sconfiggere, e l’amore dei due giovani viene finalmente benedetto da Renato. *
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La linearità di questa traduzione, che proprio per questo evidenzia genuinità e naturalezza, costituisce l’elemento di maggior valore del documento: Berry ha saputo comprendere appieno il senso profondo di quest’opera giacosiana, dimostrandosi capace di adattare, con coerenza e continuità, il messaggio drammatico e quello lirico della leggenda, indirizzando con adeguatezza gli echi italici verso un consesso anglosassone, con una resa nella quale ognuno dei personaggi conserva quel quid nostalgico e nello stesso tempo sempre presente, riuscendo così a esprimere con armonia i significati perenni che sottendono questa leggenda. Seppure presumibile nello svolgimento della trama, le figure e le voci dei personaggi de Una partita a scacchi rispondono infatti perfettamente alla coscienza fiabesca dell’umanità stessa, in una prospettiva etica di
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verità ideale nella quale dissenso e consenso, speranze e realtà, fatalità e desideri, certamente comuni ma non per questo scontati, si incontrano e si risolvono nella sintesi di trama e di pensiero che dialogano tra loro in modo diretto, coinvolgendo con spontaneità gli spettatori di qualsiasi provenienza culturale e linguistica. L’eco antica, poi, di terre lontane, dai tratti esotici, tra l’altro ricordate con nostalgico ardore da Fernando stesso, l’atmosfera romantica, senz’altro aggraziata e perfettamente associabile, nel sentimento comune, con l’Italia e con le sue espressioni più tipiche, qui viste e colte in ambito letterario, devono aver affascinato E. D. Berry, muovendolo nell’opera di traduzione qui in esame, che si individua dunque come la prima in lingua inglese, e per molti aspetti stilistici e linguistici anche superiore a quella di Clark. Vicende purtroppo sconosciute ne hanno decretato per molti anni il silenzio, ma non l’oblio: acquisita con meritoria sensibilità culturale nella collezione di manoscritti di Federico Patetta, questa traduzione costituisce una ulteriore testimonianza del grande successo che Una partita a scacchi riscosse anche negli ambiti culturali stranieri, e restituisce intatta, e talvolta anche ingentilita in alcune esigenze estetiche nel difficile contesto di trasposizione in un’altra lingua, la delicatezza immortale di una storia d’amore che, nella sua semplicità, trova la ragione e l’essenza stessa di quell’universalità che la rende sempre attuale, al di là dei confini di luogo e di tempo.
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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Patetta 839, f. 1r.
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Patetta 839, f. 2r.
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HISTORIAS CONTADAS CON LA PIEL. ESTUDIO CODICOLÓGICO COMPARATIVO DE LOS CÓDICES PREHISPÁNICOS DE LA BIBLIOTECA APOSTÓLICA VATICANA Resumen: Este artículo tiene por objetivo mostrar los resultados obtenidos del estudio codicológico realizado a los dos códices prehispánicos del centro de México que se encuentran en la Biblioteca Apostólica Vaticana. Conocidos como los códices Vaticano B (Vat. lat. 3773) y Borgia (Borg. Mess. 1), son los únicos ejemplares prehispánicos que presentan coincidencias en más de la mitad de su contenido. Sin embargo, el análisis que a continuación se presenta muestra que ambos códices obtuvieron su forma actual por vías muy diferentes. Así, al sacar a la luz nuevos datos sobre la manufactura de estos dos ejemplares busco rastrear las huellas dejadas por los pintores/autores para poder explicar las lógicas de acción que permitieron a estos dos códices adquirir su forma actual. Sirva esta exposición para ofrecer al lector una reconstrucción hipotética de la historia de estos dos artefactos. La información obtenida de este análisis permitirá ampliar el conocimiento de los códices prehispánicos, revelando claves hasta ahora desconocidas sobre su complejo proceso de creación, uso y reutilización, a lo largo del tiempo. Palabras clave: Codex Borgia (Borg. Mess. 1); Codex Vaticano B (Vat. lat. 3773); códices prehispánicos; estudio codicológico.
Introducción Uno de los aspectos que más ha llamado la atención sobre los grupos originarios del México prehispánico es el desarrollo de lo que se ha reconocido como una cultura literaria. Las fuentes escritas del siglo XVI ya reportan la producción de libros con pinturas y jeroglíficos entre los habitantes de esta porción continental1. Lamentablemente, sólo una pequeña muestra de estos objetos ha sobrevivido, y actualmente los ejemplares conocidos se reducen a menos de quince2. Tres de estos códices provienen del área maya * Instituto de Investigaciones Estéticas, UNAM. Cátedra Especial Miguel León-Portilla 2019, Instituto de Investigaciones Históricas, UNAM. 1 J. de ACOSTA, Historia Natural y Moral de las Yndias, México 1962, pp. 322-323; T. DE BENAVENTE (Motolinía), Historia de los indios desta Nueva España. México 1969, p. 2.; D. VALADÉS, Rhetorica Christiana. México 1989, pp. 93; L. ALBERTI, Historie di Bologna, 14791543. Bologna 2006, pp. 629-630; Véase también: D. DOMENICI, “Códices Mesoamericanos en la Italia de la primera edad moderna: historia y recepción”, en Códices y cultura indígena en México. Homenaje a Alfonso Lacadea García-Gallo, coordinado por J. J. BATALLA, J. L. DE ROJAS y L. PÉREZ, Madrid 2018, pp. 351-375. 2 Por orden alfabético: códices Borgia, Colombino/Becker 1, Cospi, Dresde, Fejérváry-MaMiscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 123-163.
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y el resto fueron elaborados por los grupos de la amplia zona central de México, principalmente mixtecos, zapotecos y nahuas — también conocidos como aztecas3 —. Los especialistas clasifican los códices del centro de México en dos grupos, según su temática: (1) los códices históricos y (2) los códices calendárico-religiosos, o adivinatorios (antes considerados mítico-astronómicos). A este último subgrupo pertenecen los códices que conforman la base del llamado grupo Borgia, donde se ubican los dos ejemplares que aquí se analizan4. Los códices que componen el grupo Borgia presentan diferencias formales y de contenido, pero todos ellos toman como hilo conductor el registro de una cuenta del tiempo sui generis, desarrollada antes de nuestra era: el tonalpohualli, por su nombre en náhuatl. Este término se refiere a un sistema cronológico muy particular que no toma como base el cómputo de la duración del año solar, ni ningún otro ciclo astronómico. Se trata de un registro de 260 fechas que combina trece numerales y veinte signos jeroglíficos (13 × 20 = 260), generando una serie de combinación algebraica. Cada uno de estos elementos se identificaba con una entidad (deidad, potencia), que le atribuía su personalidad a la fecha en que caía. En consecuencia, la combinatoria de numerales y signos generaba un sistema que aportaba diferentes cualidades a cada día. Por esta razón se le ha descrito como un calendario antinatural, que cumple con una función predictiva o adivinatoria, equivalente a la astrología judiciaria5. No es el objetivo de este artículo ahondar en el funcionamiento de estos códices, ni del sistema cronológico, yer, Laud, Nuttall, Madrid, Ms. Aubin 20 de París, Vaticano B, Vindobonensis, reverso del Porfirio Díaz y los recientemente descubiertos fragmentos del Códice San Bartolo Yautepec. El origen prehispánico/colonial de otros códices, como el Tonalamatl Aubin y el Borbónico aún se discute. 3 Nahuas es el término más adecuado para referirse a los grupos que habitaron el México central entre los siglos XV-XVI, aunque aztecas es el concepto más empleado en la literatura anglófona y de divulgación. Nahua refiere a los hablantes históricos de la lengua náhuatl. Azteca es el gentilicio que identifica a los habitantes de Aztlán, el origen de las migraciones que reconfiguraron la geopolítica del centro de México en el Posclásico tardío (ca. 1350-1521). Para el siglo XVI Aztlán había desaparecido, quedando sólo su recuerdo en las historias. 4 Eduard Seler propuso que los códices Borgia, Cospi, Fejérváry-Mayer, Laud y Vaticano B formaban un grupo, denominado Borgia en honor al códice homónimo. Posteriormente se agregaron el MS. Aubin No. 20 y el reverso del Códice Porfirío Díaz. E. SELER, “Codex Borgia and Allied Aztec picture Writing”, en Collected Works in Mesoamerican Linguistics and Archaeology, editado por S. THOMPSON y F. RICHARDSON, Culver City 1990, p. 39. 5 Desde el siglo XVI se ha discutido la esencia de este sistema, ya sea que se acepte su función como un calendario real, o que se le niegue su vínculo con todo orden natural. Estas posturas encontradas provocaron una discusión que llegó al tribunal eclesiástico. Véase: G. BAUDOT, “Fray Toribio de Motolinía denunciado ante la inquisición por fray Bernardino de Sahagún en 1572”, en Estudios de Cultura Náhuatl 21 (1991), pp. 127-132. El tema lo retoma
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por lo que me limitaré a hacer algunos señalamientos pertinentes para nuestra argumentación antes de entrar en materia. Metodológicamente hablando, hasta hace un par de décadas los estudios aplicados a los códices prehispánicos se limitaban a abordar dos fenómenos: la forma y el contenido. La pregunta por la forma resulta muy pertinente, porque en la tradición historiográfica mesoamericanista la definición de estilos es la pauta que permite delimitar los periodos histórico-arqueológicos (Preclásico, Clásico, Posclásico), así como identificar rasgos culturales de las sociedades prehispánicas (olmecas, mayas, teotihuacanos, mixtecos). Éste es uno de los principales criterios que permite ubicar en el tiempo y el espacio a los productores de los códices prehispánicos. Con respecto al contenido, ya se ha mencionado que el criterio que permite unificar a los códices del grupo Borgia dentro de una misma familia consiste en que los ejemplares comparten una temática general. Eso no significa que éstos reproduzcan secuencias idénticas (aunque algunas secciones sí aparecen plasmadas en más de un ejemplar), sino que todos los registros se rigen bajo una misma lógica compositiva. Ésta podría resumirse así: los códices se organizan en secciones (capítulos) de distinta extensión, que conforman unidades autónomas. En ellas, las fechas de tonalpohualli aparecen subdivididas en módulos de distinta duración (4, 5, 7, 9, 13, 20, 52 días), dispuestos dentro de casillas delineadas con rojo. Las casillas también incorporan otros elementos, como personajes y objetos. Las líneas rojas delimitan el espacio pictórico, reproduciendo un arreglo similar al de los tableros de juegos de mesa. Así, los códices que analizaré están compuestos por diferentes secciones, autónomas pero relacionadas, que registran diferentes divisiones y arreglos de la cuenta del tonalpohualli. Éstos se acompañan de escenas en las que se representan deidades patronas de particulares unidades de tiempo, junto con signos mánticos de diferente índole, todo ello codificando la información mántica que descifraba e interpretaba el especialista ritual, o tonalpouhqui, en náhuatl6.
A. DÍAZ, “Tlapohualli, la cuenta de las cosas. Reflexiones en torno a la reconstrucción de los calendarios nahuas”, en Estudios de Cultura Náhuatl 46 (2013), pp. 159-197. 6 Dos obras de referencia para abordar este tema son: K. NOWOTNY, Tlacuilolli, Norman 2005; E. BOONE, Cycles of Time and Meaning in the Mexican Books of Fate, Austin 2007. Para los códices que ocupan este studio véase también: F. ANDERS, M. JANSEN y L. REYES GARCÍA, Los templos del cielo y de la obscuridad; oráculos y liturgia: Libro explicativo del llamado Códice Borgia, México 1993; F. ANDERS Y M. JANSEN, Manual del adivino. Libro explicativo del códice Vaticano B, México 1993.
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Fig. 1 – Vista de un códice prehispánico abierto. Códice Laud, edición facsimilar. Fotografía de Ana Díaz.
De la muestra de códices prehispánicos hoy conocidos sólo existen dos ejemplares que registran una coincidencia mayor a un 50% en su contenido. Ambos códices están resguardados en el mismo repositorio, la Biblioteca Apostólica Vaticana (BAV), y por lo tanto pudieron ser analizados de manera simultánea. Se trata de los códices Vaticano B (Vat. lat. 3773) y Borgia (Borg. mess. 1). Contrariamente a lo que se esperaba dada la similitud de su contenido, el estudio reveló diferencias importantes en el proceso técnico de manufactura de ambos objetos. En consecuencia, el análisis comparativo de estos ejemplares permitirá comprender mejor la lógica compositiva de los códices prehispánicos y ampliar nuestro conocimiento en torno a la creación, el uso y reutilización de estos artefactos. Así, el presente estudio se inserta dentro de una tercera línea de abordaje de los códices prehispánicos, relativamente nueva, que abarca los estudios materiales y técnicos, poniendo énfasis en la codicología y el análisis de pigmentos7. 7
Los estudios codicológicos han sido impulsados por Batalla desde su obra J. J. BATALCódice Tudela, Madrid 2002. Véanse también J. J. BATALLA, “Estudio codicológico de la sección del xiuhpohualli del Códice Telleriano-Remensis”, en Revista Española de Antropología Americana 36, 2 (2006), pp. 69-87; A DÍAZ, “El códice Dehesa: reflexiones en torno a un documento mixteco colonial a partir de su análisis codicológico”, en Revista Española de Antropología Americana 40, 2 (2010), pp. 149-165; G. MONTORO, “Estudio codicológico del códice Telleriano-Remensis”, en Revista Española de Antropología Americana 40, 2 (2010), pp. 167-187; K. MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B basado en su estudio codicológico”, en Revista Española de Antropología Americana 45 (2015), pp. LA,
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El antecedente directo del presente estudio fue publicado por Katarzyna Mikulska en 20158. En él se ofrece un estudio preliminar que compara la manufactura de los códices Borgia y Vaticano B, pero con un enfoque en la técnica de producción de las imágenes. En este espacio ofrezco una versión complementaria que se centra en el estudio de las huellas dejadas en la piel que les da soporte: el cuerpo mismo de los códices. Me interesa reconstruir la historia de manufactura de estos objetos para comprender las lógicas de acción que les permitieron adquirir su forma actual. Cabe señalar que muchos de los escenarios planteados tienen un carácter hipotético, por lo que esta reconstrucción ofrece más un ejercicio para repensar la complejidad de la práctica de pintar libros en la antigua América que una respuesta absoluta y certera a los problemas que surgieron a lo largo del análisis. Cabe mencionar que parte del presente análisis se enriqueció con las conversaciones sostenidas con Mikulska en nuestra visita a la BAV en
167-192. Los estudios de materiales se han desarrollado en las últimas décadas en trabajos como: L. LAURENCICH, G. GASPAROTTO y G. VALDRÉ, “Notes about the Painting Techniques and the Morphological, Chemical and Structural Characterizations of the Writing Surface of the Prehispanic Mexican Codex Cospi”, en Journal de la Société des Américanistes 79 (1993), pp. 203-207; D. MAGALONI, “Painters of the New World: The Process of Making the Florentine Codex”, en Colors Between Two Worlds. The Florentine Codex of Bernardino de Sahagún, editado por G. WOLF y J. CONNORS, Florencia 2011, pp. 47-76; C. MILIANI, D. DOMENICI, C. CLEMENTI et al., “Colouring Materials of Pre-Columbian Codices: Non-invasive in Situ Spectroscopic Analysis of the Codex Cospi”, en Journal of Archaeological Science 39 (2012), pp. 672-679; D. BUTI, D. DOMENICI, C. MILIANI, C. GARCÍA SÁIZ et al., “Non-invasive Investigation of a Pre-Hispanic Maya Screenfold Book: the Madrid Codex”, en Journal of Archaeological Science 42 (2014), pp. 166-178; S. ZETINA, J. RUVALCABA, T. FALCÓN et al., “Material Study of the Codex Colombino”, en Science and Art. The Painting Surface, editado por A. SGAMELOTTI, B. G. BRUNETTI y C. MILANI, Londres 2014, pp. 120-146; E. DUPEY, “The Materiality of Color in Pre-Columbian Codices: Insights from Cultural History”, en Ancient Mesoamerica 28 (2017), pp. 21-40; D. BUTI, D. DOMENICI, CH. GRAZIA, J. OSTAPKOWICZ, S. WATTS, A. ROMANI, F. PRESCIUTTI, B. G. BRUNETTI, A. SGAMELLOTTI, C. MILIANI, “Further insight into the Mesoamerican paint technology: Unveiling the colour palette of pre-Columbian Codex Fejérváry-Mayer by means of non-invasive análisis”, en Archaeometry 60, 4 (2018), pp. 797-814; D. DOMENICI, C. MILIANI, y A. SGAMELLOTTI, “Cultural and historical implications of non-destructive analyses on Mesoamerican codices in the Bodleian Libraries”, en Mesoamerican Manuscripts: New scientific approaches and interpretations, editado por M. JANSEN, V. LLADO-BUISÁN y L. SNIJDERS, Leiden 2019, pp. 160-174; CH. GRAZIA, D. BUTI, L. CARTECHINI, F. ROSI, F. GABRIELI, V. LLADO-BUISÁN, D. DOMENICI, A. SGAMELLOTTI y C. MILIANI, “Exploring the materiality of Mesoamerican manuscripts by non-invasive spectroscopic methods: Codex Laud, Bodley, Selden, Mendoza and Selden Roll at the Bodleian Library”, en Mesoamerican Manuscripts: New scientific approaches and interpretations editado por M. JANSEN, V. LLADO-BUISÁN y L. SNIJDERS, Leiden 2019, pp. 134-159. 8 MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B” cit.
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2018, así como con nuestras reflexiones plasmadas en otra obra, donde realizamos el estudio material del Códice Vaticano B 9. La historia de los códices en la Biblioteca Apostólica Vaticana El punto de partida de esta narrativa es la llegada de los códices a la Biblioteca Vaticana. ¿Cómo, cuándo y en que condiciones llegaron a Europa?, ¿cuál es su lugar de procedencia? Aún no es posible responder estas interrogantes, sin embargo, varios autores han hecho aportaciones que permiten reconstruir, aunque sea parcialmente, esta historia10. Aquí retomo la hipótesis propuesta recientemente por Domenici, por ser la más actualizada y mejor documentada11. El informe más temprano del Códice Vaticano B aparece en el inventario de la Biblioteca Vaticana redactada por Rainaldi entre 1596-1600. Sobre su llegada al repositorio no se tienen referencias directas, pero Domenici y Laurencich sugieren que pudo haber sido fray Domingo de Betanzos quien lo trajera a Roma, junto con los otros códices prehispánicos que hoy se conservan en la región (códices Borgia y Cospi)12. En contraste, las primeras referencias al Códice Borgia son más tardías (1795-1805). En éstas destaca la anécdota registrada por Alexander von Humboldt en 1805, quien menciona que el cardenal Stefano Borgia salvó el códice de los niños de la familia Giustiniani, quienes ya le habían prendido fuego13. Davide Domenici ofrece una hipótesis muy sugerente que rastrea el ingreso del manuscrito en Italia a finales del siglo XVI, basado en dos datos. El primero consiste en la referencia a un “libro de jeroglíficos indianos” que
9
A. DÍAZ y K. MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B. Composición, estructura, y recursos técnicos de manufactura”, en Nuevo comentario al Códice Vaticano B (Vat. Lat. 3773), editado por K. MIKULSKA, s.f. 10 A. HUMBOLDT, Aportaciones a la antropología mexicana, México 1986, p. 109; ANDERS, JANSEN y REYES GARCÍA, Los templos del cielo y de la obscuridad cit., pp. 15-18, 35-40; J. J. BATALLA, Codex Borgia, Madrid 2008; D. DOMENICI, “Cose dell’altro mondo: nuovi dati sul collezionismo italiano di oggetti messicani tra XVI e XVII secolo”, en L’Impero e le Hispaniae. Da Traiano a Carlo V. Classicismo e potere nell’arte spagnola, coordinado por S. DE MARÍA y M. PARADA LÓPEZ DE CORSELAS, Bologna 2014, pp. 471-483; D. DOMENICI y L. LAURENCICH, “Domingo de Betanzos’ Gifts to Pope Clement VII in 1532-1533: Tracking the Early History of Some Mexican Objects and Codices in Italy”, en Estudios de Cultura Náhuatl 47 (2014), pp. 169-209; D. DOMENICI, “Nuovi dati per una storia dei codici messicani della Biblioteca Apostolica Vaticana”, en Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 22 (2016), pp. 341-362; ID., “Códices Mesoamericanos en la Italia de la primera edad moderna” cit. 11 DOMENICI, “Códices Mesoamericanos en la Italia de la primera edad moderna” cit. 12 DOMENICI y LAURENCICH, “Domingo de Betanzos’ Gifts to Pope Clement VII” cit. 13 HUMBOLDT, Aportaciones a la antropología mexicana cit.
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encontró en los inventarios de la familia Giustiniani (ca. 1600)14. El vínculo con esta casa se puede remontar a 1558-1570, cuando Vicenzo Giustiniani era general de la Orden de Predicadores en el Convento de Santa Maria Sopra Minerva. En dicho convento residió en 1533 fray Domingo de Betanzos, fundador de la orden de los dominicos en la Nueva España, quien en marzo de ese año le regaló a Clemente VII una serie de objetos (entre ellos “libros”) traídos del Nuevo Mundo15. El segundo dato que refiere Domenici consiste en la identificación de una glosa escrita un italiano incorrecto en la lámina 68 del Códice Borgia, con caligrafía del siglo XVI16. De aquí se infiere que un español pudo escribir las anotaciones pensando en un lector de habla italiana en una fecha temprana. Aunque aún es hipotética la atribución a Domingo de Betanzos de ser quien trajera a Roma el Códice Borgia (junto con el Vaticano B, el Cospi y posiblemente otros ejemplares hoy perdidos), la reconstrucción que ofrece Domenici aporta buenos argumentos para ubicar la llegada de estos códices a Italia en la primera mitad del siglo XVI, abriendo la posibilidad de que incluso hayan llegado en el mismo viaje. Sin embargo, es preciso señalar que ambos manuscritos estuvieron en diferentes colecciones hasta el siglo XX, pues el Códice Borgia ingresó en la Biblioteca Vaticana en 190217. Este dato es importante porque nos alerta que las historias de ambos códices sólo se vinculan dentro de un mismo repositorio muy recientemente. Lo anterior nos permite distinguir que, a lo largo de tres siglos, los códices pudieron ser objeto de diferentes prácticas por parte de sus respectivos dueños y usuarios. CÓDICE VATICANO B (VAT. LAT. 3737) El análisis pormenorizado de la conformación de este artefacto se presenta en otra publicación, en coautoría con Mikulska18. Aquí me centraré 14
DOMENICI, “Códices Mesoamericanos en la Italia de la primera edad moderna” cit., pp. 354-355; Véase también DOMENICI y LAURENCICH, “Domingo de Betanzos’ Gifts to Pope Clement VII” cit. 15 Ibid. 16 Esta glosa en italiano defectuoso fue identificada anteriormente por ANDERS, JANSEN y REYES GARCÍA, Los templos del cielo y de la obscuridad cit., pp. 38. 17 Al morir el cardenal Borgia en 1804, dejó parte de su herencia a la Congregazione di Propaganda Fide, que conformó un museo borgiano. El 21 de abril de 1902 la sección de manuscritos del Museo se trasladó a la BAV para formar el “Fondo Borgiano”. ANDERS, JANSEN y REYES GARCÍA, Los templos del cielo y de la obscurida cit., pp. 35-36. 18 DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit. La interpretación de los datos obtenidos del estudio del ejemplar presentan algunas diferencias con respecto a las ofrecidas en un estudio anterior: F. DEL PASO Y TRONCOSO, Los libros del Anáhuac [Il Manu-
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en señalar, resumidamente, las características más relevantes de la materialidad y composición del códice, para contrastar esta información con los datos obtenidos del análisis del Códice Borgia. 1. El soporte, o cuerpo El Códice Vaticano B es un objeto elaborado en piel con acabado similar a la gamuza. Consta de diez tiras unidas para formar una sola banda, que se dobla a manera de biombo para generar 96 láminas (1-48 en el lado A, 49-96 en el lado B, además de las cubiertas de madera). El espesor del códice cerrado es de aproximadamente 5.9 cm, y al abrirse alcanza una extensión de cerca de 7.24 metros de largo. En ambas caras cuenta con tapas de madera que presentan un terminado ligeramente cóncavo, facilitando su manipulación. Esto se confirma al sostener el ejemplar, pues las cubiertas tienen una medida equivalente al tamaño de una mano pequeña de adulto abierta. Así, el tamaño de las tapas, junto con su acabado cóncavo, facilitan una adecuada sujeción al momento de abrir y cerrar el objeto. Además, el tamaño del códice permite también su fácil transporte. La intención de generar un objeto resistente y manipulable se nota también en el tratamiento técnico de la piel. En principio, el material de soporte fue minuciosamente seleccionado. No presenta agujeros ni remiendos y su tratamiento es impecable, pues mantiene un espesor estable a lo largo de todo el códice, aún en las uniones. Para lograrlo, se rebajaron los extremos de las tiras, con el objetivo de que el grosor de la piel no presentara engrosamientos. Esta técnica contrasta notablemente con la empleada en el Códice Borgia, cuya piel presenta cortes irregulares, y otros defectos; además de utilizar trozos de piel de diferente espesor. Respecto a su consistencia, las tiras de piel del Códice Vaticano B presentan cierta rigidez que permite que al manipular el códice éste no se deforme. Al mismo tiempo, ofrecen cierta flexibilidad, permitiendo que el códice vuelva a su estado original al cerrarlo. Ambas cualidades le permiten guardar una “memoria corporal”, que impide que pierda su forma a pesar de la constante manipulación. Finalmente, es de notar la excelente técnica de pegado de las tiras que conforman el ejemplar, pues además del pegamento empleado para empalmarlas, los pintores rebajaron los extremos y posteriormente se valieron de la aplicación de una base de preparación que refuerza las uniones19. scritto Messicano Vaticano 3773 7 / Die Anáhuacschen Handscriften], comentario a la edición del Códice Vaticano B del Duque de Loubat, Roma 1896. 19 El proceso de empalme incluye el adelgazamiento de los extremos de las bandas de piel, con el objetivo de lograr una superficie más uniforme, sin abultamientos en las uniones.
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En consecuencia, el Vaticano B es un artefacto de diseño ergonómico, flexible pero resistente, lo que facilita su manipulación sin necesidad de apoyarse sobre una superficie al momento de realizar la lectura del contenido — de hecho, la posición más cómoda para manipular el códice es sosteniéndolo sobre las manos delante del pecho, como si fuera un acordeón musical —.
Fig. 2 – Vistas del códice Vaticano B cerrado. Frente y lateral. Fotografía de la Biblioteca Apostólica Vaticana.
Técnicas de empalme de las tiras de piel El análisis de las técnicas de empalme de las tiras que conforman este códice permitirá comprender su lógica de composición. Para alcanzar este objetivo, más allá de buscar la exactitud en las medidas de los fragmentos de piel que conforman el manuscrito, me interesa identificar las posibles tendencias que se revelan en los procesos de manufactura. Es decir, el énfasis está en identificar los criterios de selección de los materiales de soporte (textura, dureza, tamaño), así como en la técnica empleada para unir, o empalmar, los fragmentos de piel (véase figura 3). El códice está formado por diez tiras de piel, nueve de ellas miden entre 73 y 79 cm y la última sólo 60 cm (los cortes de la piel no son simétricos). Los seis centímetros de diferencia entre las nueve primeras tiras no son Esta técnica fue identificada por Batalla en comunicación personal citada en: MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B” cit., p. 171.
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relevantes, pues éstos se compensan con los dobleces del biombo y en las zonas donde se empalman las bandas de piel. Así, las nueve primeras tiras abarcan la misma extensión: cinco láminas. Cada lámina mide alrededor de 14.5 cm de largo y 12.5 cm de alto, de modo que la última banda, la más pequeña, contiene cuatro láminas en lugar de cinco. En consecuencia, las tiras seleccionadas conservan un grosor similar, presentan una superficie homogénea y comparten una longitud relativamente equivalente, en tanto que abarcan cinco láminas y un pequeño fragmento — de dimensiones variables —, que cumplirá la función de servir como pestañas para generar el empalme entre tiras contiguas. En el caso de la décima tira, es muy probable que para ésta se haya seguido el mismo criterio de selección que las tiras anteriores, pero al final se pudo haber eliminado el sobrante de piel (una lámina) para ajustar el tamaño del códice al contenido que se deseaba registrar. Este proceso revela una planeación en el diseño del objeto con bandas de piel muy similares. Las uniones de las diez tiras de piel se realizaron a través del empalme generado entre una pestaña y la superficie de la siguiente tira. Aunque la extensión de las pestañas es diferente en cada banda, pueden notarse dos tendencias generales para realizar las uniones (cf. tabla 1 y figuras 3 y 4). En el primer caso, las pestañas son relativamente angostas y embonan con la lámina contigua exactamente en el borde donde inicia la tira “anterior” (como sucede en las uniones de las tiras: 1-2, 2-3, 3-4, 6-7, 7-8, 8-9 y 9-10). En el segundo caso, las uniones de las tiras 4-5 y 5-6 se desplazaron lige-
Fig. 3 – Reconstrucción del estudio codicológico del códice Vaticano B. Vista lateral del desplegado de las tiras de piel. Dibujo Ana Díaz. Información de Ana Díaz y Katarzyna Mikulska.
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ramente, desfasando los empalmes hacia el interior de la tira “posterior”. En la unión de las tiras 5-6 se encuentra la pestaña más grande (casi 20 cm mayor que el resto). En esta zona se encuentra la única zona de deterioro del soporte, generado por un mal doblez que, al desfasarse, debilita la estructura del códice en este punto, generando cuarteaduras en la capa pictórica, pero no su desprendimiento total. Al observar las características de las uniones, producto de la selección de las tiras y la técnica para realizar sus empalmes, es posible argumentar que al ubicar las pestañas sobre el borde de la tira posterior se protege la
Fig. 4 – Reconstrucción del estudio codicológico del códice Vaticano B. Vista anteroposterior del desplegado de las tiras de piel. Dibujo Ana Díaz. Información de Ana Díaz y Katarzyna Mikulska.
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unión de ambas bandas y se evita que se mueva la zona del doblez. Así, la dimensión de las pestañas puede variar dentro de un rango, porque lo que importa no es el tamaño exacto de éstas, sino la adecuada técnica de ajuste. El pegado se refuerza con la aplicación de la base de preparación blanca, que crea una capa protectora que sella las uniones. Para finalizar este apartado señalaré una serie de marcas que aparecen en el cuerpo de las tiras 4 a 6. Se trata de una serie de grietas verticales que parecen remitir a dobleces que no corresponden con los pliegues actuales de las láminas del códice. Estas marcas de “pliegues” aparecen en el primer tercio de las láminas que conforman la tira 4 principalmente por la cara A (16A, 17A, 19A y 67B) y se van desfasando sobre la tira 5 (láminas 23A y 24A/71B, 25A/72B) y la 6 (27A/74B, 28A, 29A/76B y 30A/77B). En opinión de Katarzyna Mikulska y Ana Díaz, estos dobleces dejaron la marca de un proceso anterior de doblar el códice20. Una posible respuesta a este fenómeno sería que se hayan reutilizado en este fragmento tiras de otro códice. Esta explicación es hipotética, pero lo importante es señalar que estas bandas de piel mantuvieron la memoria de un doblez anterior, aunque aparentemente se incorporaron al códice junto con las otras tiras de piel, en el mismo proceso de diseño y ejecución. Cubiertas o tapas de madera El último paso en la confección del material de soporte consistió en la adición de cubiertas o tapas de madera. Ambas presentan un barniz de tono obscuro y marcas de incrustaciones, de las que sólo se conserva una pequeña cuenta de turquesa. Las tablas fueron pegadas a la piel con un adhesivo que recubre por completo la superficie de la piel, generando una adhesión muy sólida entre éstas. El pegamento conserva un color grisáceo, pero también se observan restos de una sustancia rojiza, aún no identificada, que podrían ser restos de pintura de una etapa anterior. No es posible asegurar en qué momento fueron colocadas. El uso de cubiertas protectoras forma parte de una práctica prehispánica, como se observa en el Códice Vindobonensis, cuyas tapas son muy similares a las del Vaticano B, o en imágenes pintadas en vasijas mayas donde aparecen códices con tapas de piel de jaguar21. A pesar de que no 20
DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit. Ludo Snijders encontró evidencia del uso de la piel de la cabeza de un jaguar en la elaboración de las tapas del Códice Laud. L. SNIJDERS, “Seeing spots: Identification of a codex cover”, en Mexicon 36 (2014), pp. 13-14. La similitud entre las cubiertas de madera de los códices Vindobonensis y Vaticano B fue apreciada por F. ANDERS, M. JANSEN y A. PÉREZ, Libro explicativo del llamado códice Vindobonensis, México 1992, pp. 17. 21
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todos los códices prehispánicos conocidos presentan estas cubiertas, todos ellos dejan libres sus caras externas — en caso de no contar con tapas, las láminas externas se recubren con el enlucido, y se dejan en blanco —. Esto posiblemente responde a la necesidad de proteger el contenido del códice, dejando libres de pintura las partes más expuestas a la intemperie y a la manipulación. Ya se ha señalado que la forma y textura de las cubiertas del Vaticano B facilitan la sujeción del códice en las palmas de la mano al momento de abrirlo, lo que añadiría otra ventaja al uso de estos apéndices. Aunque las tapas del Códice Vaticano B parecen haber sido colocadas por maestros indígenas, éstas presentan algunas marcas que nos permiten inferir que pudieron ser modificadas en Europa22. Se trata de unas huellas circulares, de distinto diámetro, esgrafiadas en una de las tapas. Mikulska considera que se trata de la huella de una agarradera, mientras Díaz opina que pudo ser una incrustación de ornato. En la otra tapa del códice se pegaron los sellos de la biblioteca. El último ex libris se colocó después de 197223. En resumen, la inspección física revela una serie de intervenciones que no es posible fechar con certeza (como la colocación de apéndices de ornato). También abre la posibilidad de plantear la reutilización y transformación del códice como producto de distintos agentes, empezando por los creadores que pudieron reciclar materiales, hasta los bibliotecarios del Vaticano. Esta dinámica también se observa en el uso de los pigmentos, pues como lo refieren Davide Domenici, Davide Buti, y otros autores que participan en le Laboratorio MOLAB, algunos de los pigmentos parecen haberse incorporado a partir del siglo XIX24. A continuación se aborda este tema. 2. La base de preparación y la(s) capa(s) pictórica(s) Los códices mesoamericanos se distinguen por presentar una base de recubrimiento color blanco. Estas capas, que sirven de base de preparación, también refuerzan las uniones de las tiras de piel, otorgándole una superficie homogénea que permite la adhesión de las bandas y da estabili22 Véanse las respectivas hipótesis planteadas por Díaz y Mikulska en el “Estudio material del Códice Vaticano B” cit. El único reporte de intervención registrado en la BAV refiere que entre octubre y noviembre de 1962 las cubiertas de madera recibieron un tratamiento de restauración, no invasivo. Comunicación personal de de Ángela Nuñez (febrero de 2019). 23 MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B” cit., pp. 169. 24 D. DOMENICI, D. BUTI, Ch. GRAZIA, E. DUPEY GARCÍA A. ROMANI, L.CARTECHINI, A. SGAMELLOTTI y C. MILIANI, “Non-invasive chemical characterization of painting materials of Mesoamerican codices Borgia (Borg. mess. 1) and Vaticanus B (Vat. lat. 3773) of the Biblioteca Apostolica Vaticana”, vd. infra, pp. 201-228.
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dad al cuerpo del códice. Ya se ha mencionado que la textura de la piel de este manuscrito es similar a la gamuza, por lo que la base blanca parece tener una consistencia de lechada, que fuera aplicada en varias capas dando como resultado una superficie blanca. Esta textura difiere del enlucido aplicado en el Códice Borgia, donde la base de preparación crea una capa lisa y compacta, de estructura similar a un cascarón de huevo, que se llega a desprender del soporte como si fuera una escama blanca. En contraste, en el Códice Vaticano B la base de preparación permanece adherida a la piel casi en la totalidad de la superficie. Así, aunque en los pliegues del códice producidos por los dobleces de las láminas es posible encontrar desgaste de la imprimatura blanca, ésta no se desprende por completo. Aun en el fragmento que ocupa las láminas 15-16A/63-62B — que presenta el mayor deterioro del soporte, producto de un mal doblez y de una pestaña muy larga que desestabiliza la unión —, es posible observar que la base blanca se cuartea, pero no se cae como en el Borgia. Respecto a la composición química de la capa de enlucido del Vaticano B, los análisis realizados reportan una situación inesperada, pues encontraron que esta capa está conformado por carbonato de calcio y caolín. El caolín no se ha encontrado en otro códice, mientras el carbotao de calcio sólo se había identificado en los códices mayas conocidos, categoría que no corresponde al Códice Vaticano B. Además, encontraron la presencia de cinco diferentes capas de enlucido blanco, tres de ellas con distinta composición25. Esta información no se puede apreciar al realizar la inspección visual del manuscrito, aunque sí es posible identificar las diferencias entre la textura y el color de la base de preparación de algunas láminas, haciendo evidente la intervención de diferentes pintores en su preparación y la presencia de palimpsestos. A diferencia de lo que se observa en otros códices, una de las características distintivas del Códice Vaticano B consiste en la gran heterogeneidad que presenta su capa pictórica, lo que permite distinguir diferentes repintes e intervenciones. Este dato se confirma con los estudios de laboratorio, que ubicaron cinco diferentes paletas cromáticas para la ejecución de las imágenes, cuya cronología aún es difícil de establecer. A esta dificultad para reconstruir la historia de la elaboración de las imágenes, se suma el problema de la identificación del número y origen de sus pintores, pues en las diferentes secciones que componen el manuscrito se aprecia una diferencia estilístico-regional, sugiriendo que sus autores pudieron prove25
DOMENICI, BUTI, GRAZIA et al., “Non-invasive chemical characterization” cit. Para un resumen de las técnicas de pintura empleadas en códices prehispánicos, véase: DUPEY, “The Materiality of Color” cit.
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nir de diferentes contextos étnico-culturales. Por ejemplo, la mayoría de las secciones emplean un estilo asociado con los grupos nahuas, pero los palimpsestos de las láminas 12A, 20A, 72B, 95B y 95B se acercan más a la tradición mixteca26. Esta situación se complica al tratar de reconstruir el proceso de pintado de las diferentes secciones del códice, pues en la mayoría de los casos no fue posible identificar el número preciso de pintores que intervinieron en ellas. Por ejemplo, Mikulska identificó que en el formato que abarca las ocho láminas del lado A de este manuscrito, existe una gran variedad de estilos y trazos, mientras que las láminas finales ya parecen haber sido pintadas de manera más regular27. Aunque los resultados obtenidos no permitieron alcanzar uno de nuestros objetivos iniciales — reconocer e identificar las influencias de diferentes pintores en el manuscrito, tema de principal interés para Mikulska —, sí fue posible identificar una dinámica de producción a lo largo del códice. Pero ésta contrasta con la lógica de composición y la elaboración de manuscritos medievales — tradición con la que varios autores han comparado la producción de códices prehispánicos —. El Códice Vaticano B es un manuscrito que en todo momento revela una heterogeneidad en su composición, mostrando una intervención colectiva que no parece responder a un mismo patrón. Por esta razón resulta muy complicado reconstruir su historia como si fuera una pieza cuya ejecución se puede atribuir a un solo autor, cuya composición se enmarca en un proceso de diseño-creación cerrado. Nos encontramos ante un objeto que revela una historia de desplazamientos en el tiempo y el espacio entre diferentes usuarios. Un objeto que va tomando diferente forma a lo largo de su historia28. A pesar de la complejidad que se revela en esta obra, ha sido posible identificar dos tipos de lógica en las intervenciones pictóricas. (1) En principio, algunos de los repintes muestran la intención de modificar el contenido de una sección con uno nuevo. En este caso generalmente se coloca una capa de enlucido blanco que cubre la composición anterior 26 DUPEY, “The Materiality of Color” cit.; DOMENICI, BUTI, GRAZIA et al., supra. Véase también la discusión sobre la identificación estilística en estos textos, y compárese con el de DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit.; E. DUPEY GARCÍA, J. E. FORDE y S. YANAGISAWA, “Los palimpsestos del Códice Vaticano B”, en Nuevo comentario al Códice Vaticano B (Vat. Lat. 3773), editado por K. MIKULSKA, s.f. 27 El problema de las pinturas ha sido trtado en: K. MIKULSKA, “Tres componentes de codificación en el cóice Vaticano B”, en Nuevo comentario al Códice Vaticano B (Vat. Lat. 3773), editado por K. MIKULSKA, s.f; DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit. 28 DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit. Véase también: DOMENICI, BUTI, GRAZIA et al., “Non-invasive chemical characterization” cit.
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y se pinta un nuevo repertorio para sustituir el anterior (p.e. láms. 12A, 71B-72B, 95B-96B, entre otras)29. (2) Una segunda dinámica tiene por objetivo retocar ciertos detalles que se encontraban muy deteriorados (por ejemplo, añadir color donde se había desprendido), o hacer modificaciones menores, respetando el repertorio anterior, o mayores, modificando partes completas de las láminas. Un ejemplo aparece en la lámina 20A, donde se repintó la deidad que aparecía representada en el cuadrante inferior derecho para sustituirla con una nueva (véase figura 5)30. Esta lógica también explicaría el aparente caos en las ejecuciones de las láminas 1-8A, arriba referidas, así como en otras partes del manuscrito. En consecuencia, los usuarios que tuvieron en su posesión el códice pudieron realizar diferentes intervenciones, respondiendo a las necesidades concretas que se iban presentando a los distintos usarios/pintores. Los análisis de la paleta cromática permitieron a Domenici et al. propo-
Fig. 5 – Repinte del cuadrante inferior derecho. Códice Vaticano B, lám 20. Biblioteca Apostólica Vaticana. 29 Este fenómeno también fue observado por quienes tuvieron contacto con el códice en ocasiones anteriores, como A. CASSIDY, Divination by Image: the Borgia Group of pre-Hispanic Mexican Manuscripts, tesis doctoral, Columbia University, 2004, pp. 121-137; véase también: DUPEY GARCÍA, FORDE y YANAGISAWA, “Los palimpsestos del Códice Vaticano B” cit. 30 Véanse las propuestas de: DUPEY, “The Materiality of Color” cit.; DÍAZ y MIKULSKA supra; DOMENICI, BUTI, GRAZIA et al., “Non-invasive chemical characterization” cit.; DUPEY GARCÍA, FORDE y YANAGISAWA supra; MIKULSKA, “Tres componentes de codificación en el códice Vaticano B” cit.
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ner una reconstrucción hipotética de los momentos de elaboración del códice. Los autores ubicaron que cuatro de las paletas cromáticas siguen las convenciones técnicas propias de los códices prehispánicos — aunque el manuscrito se distingue por la innovación tecnológica en el uso del color, con respecto a otros códices —. También encontraron intervenciones que muestran la influencia de prácticas coloniales en el uso de los pigmentos. Finalmente, la historia de las intervenciones pictóricas dentro del códice, parece haberse continuado dentro de la Biblioteca Vaticana entre los siglos XIX-XX, como lo revelan repintes realizados con Azul de Prusia, Amarillo de Cadmio y otros pigmentos31. Para concluir este apartado es preciso referir la presencia de una serie de elementos añadidos a la superficie del códice, mismos que se interpretan como huellas de uso. El primer dato que salta a la vista es la presencia de una pátina negra en los bordes de las láminas blancas del códice. Éstas son manchas o marcas de suciedad, que pudieron haberse producido por la manipulación del mismo. Dichas huellas aparecen en el tercio exterior de las láminas, exactamente a la altura de los dedos si se sostiene el ejemplar ente las manos. También fue posible observar la presencia de una ligera capa negruzca, muy difuminada, que se concentra en los bordes exteriores del códice, diluyéndose a lo largo de las láminas conforme se acerca al centro. Se trata de una pátina muy fina que pudo haber sido producida por la presencia de humo, mismo que debió quedar impregnando a la superficie pictórica como resultado del uso de sahumerios y otros objetos de uso ritual. Entre otros ejemplos de este tipo, podemos referir una mancha que parece ser un escurrimiento de cera, descubierta por Mikulska (lám. 24A)32. Estas huellas nos recuerdan una de las principales funciones de los códices prehispánicos que registraban la cuenta del tonalpohualli (entre los que se encuentran los ejemplares del grupo Borgia). Éstos no eran propiamente libros, pues no permitían una lectura lineal para reconstruir narrativas. Su función estaba más cercana a los tableros de juegos de mesa, o a los libros de las suertes de tradición oracular en occidente33. Los arte31 Nuevamente refiero al estudio de DOMENICI, BUTI, GRAZIA et al., “Non-invasive chemical characterization” cit. 32 Una mejor reconstrucción de estos detalles aparece en DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit. Cassidy también refirió la importancia de las manchas de los dedos para reconstruir la historia del uso de este manuscrito: CASSIDY, Divination by Image cit., pp. 133-135. 33 Véase: M. PEÑA, “Introducción”, en Libro del juego de las Suertes nuevamente impreso (Oráculo de Lorenzo Spiritu), rescate documental, edición e introducción de M. PEÑA, México 2002.
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factos permitían diagnosticar enfermedades, y generar diferentes tipos de pronósticos (matrimonio, guerra, predicción climatológica, entre otras), razón por la cual es posible reconstruir la historia de este códice como la de un instrumento de consulta que pasó por las manos de distintos médicos (o especialistas en la determinación del tonalli), a lo largo de varias generaciones. Esta explicación nos permite comprender mejor la complejidad de nuestro objeto de estudio: un manual que tuvo un uso constante a lo largo de varias generaciones. CÓDICE BORGIA (BORG. MESS. 1) 1. El soporte, o cuerpo El Códice Borgia también está elaborado en piel, pero a diferencia del Vaticano B, éste presenta un acabado más liso y rígido, similar al pergamino y no a la gamuza. Su textura resulta del tratamiento que recibió la piel y de la superposición de capas de base blanca, que al irse acumulando generan un acabado similar al cascarón de huevo — aunque la superficie del códice no es homogénea, por las plastas de enlucido que se colocaron para resanar las imperfecciones de la piel y para cubrir errores del dibujo —. El códice consta de quince tiras de tegumento, de diferente grosor y consistencia, que al unirse forman una sola banda34. Esta se dobla a manera de biombo, generando 76 laminas (1-38 en el lado A; 39-76 en el lado B, además de las cubiertas que no tienen tapas). La altura de las láminas es de aproximadamente 27 cm. Al abrirse, el ejemplar alcanza una extensión de entre 10.30-10.35 m de longitud. El espesor del códice cerrado es asimétrico, pues de un extremo mide cerca de 5 cm, y del otro 6 cm. Esta breve descripción nos permite identificar las primeras diferencias en la composición de nuestros dos objetos de estudio. Iniciaré subrayando el tamaño de los ejemplares. El Códice Vaticano B es un objeto portátil (pequeño, ligero, de fácil manipulación, cuya técnica de elaboración permitió que estuviera en uso por varios siglos, sufriendo deterioros sólo en la capa pictórica por el uso o el repinte) de estructura sólida y resistente, aunque flexible, permitiendo su lectura sobre las palmas de las manos. En 34
La identificación de los fragmentos y sus medidas, así como la reconstrucción de la técnica de empalme que aquí se ofrecen, presentan sutiles pero importantes diferencias con respecto a los datos — y sobre todo a las lógicas de composición — encontradas por César Olmos, quien sirvió de fuente para la reconstrucción codicológica de BATALLA, Codex Borgia cit. y MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B” cit. También difiero con la identificación de 14 fragmentos de piel propuesta por ANDERS, JANSEN y REYES GARCÍA, en Los templos del cielo y de la obscuridad cit., p. 39.
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contraste, el Códice Borgia es un objeto cuya fragilidad se hace evidente durante la manipulación. Sus láminas de gran formato deben voltearse con mucho cuidado, manteniendo el códice en posición horizontal sobre una superficie plana. Este dato nos permite entrever una diferencia en el tipo de uso destinado a ambos ejemplares. Haciendo una comparación con nuestro universo material, el Vaticano B sería una edición de bolsillo, y el Borgia un manuscrito de lujo de gran formato (véase figura 6).
Fig. 6 – Vista lateral del Códice Borgia. Frente y lateral. Fotografía de la Biblioteca Apostólica Vaticana.
Esta situación explica algunas huellas observables en la superficie. Es ampliamente conocido el episodio que relata cómo el códice fue rescatado de las llamas por el cardenal Stefano Borgia. Este dato se confirma al observar el daño sufrido en uno de los extremos del códice (cubierta A, láms. 1A y 2A y sus contrapartes 76B, 75B y 74B), pero poco se ha referido la presencia de otras marcas. La primera consiste en la deformación que genera una concavidad en el cuerpo del manuscrito, produciendo el desajuste de la simetría bilateral del objeto al permanecer cerrado. Mikulska lo atribuye a la posible colocación de un objeto pesado sobre el códice, produciendo así la deformación35. Díaz también lo considera, y supone que el Borgia debió mantenerse guardado en posición horizontal durante un periodo de tiempo considerable. La hipótesis se confirma con la presencia de una 35
MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B” cit., p. 169.
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serie de huellas de humedad ubicadas en la cara interna de los pliegues de las láminas 5-6A; 7-8A; 9-10A, y sus respectivas contrapartes en el lado B. Estas marcas se distinguen por dejar una pátina obscura sobre la superficie del códice, sin alterar la superficie pictórica. El trazo de las marcas permite suponer que éstas se produjeron como parte de un proceso largo y constante de acumulación de humedad que se filtró lentamente estando el códice colocado en posición horizontal. Su extremo formado por las dos primeras tiras de piel (láms. 1-10), debió estar en contacto directo con una fuente de humedad que se pudo filtrar de manera lenta y constante. Estas huellas contrastan con otras localizadas en la parte inferior del códice, que también fueron producidas por agua, pero en este caso se trató de un proceso más destructivo que llegó a desprender segmentos de la base de preparación blanca como si fuera un cascarón. Estas últimas lesiones se presentan en todas las láminas del códice, lo que nos lleva a sugerir que en un segundo momento el manuscrito estuvo colocado en posición vertical sobre una superficie mojada con una fuente más agresiva (¿un estante en una biblioteca, una caja en un barco?). Así, dichas marcas muestran que el códice estuvo expuesto a diferentes procesos de humedad a lo largo de su historia — además del proceso de deterioro causado por la humedad ambiental en las salas de la Congregazione36. Es posible confirmar que, a diferencia del Códice Vaticano B, que estuvo en uso por muchos años entre especialistas rituales incluso de distintas generaciones y culturas, el Códice Borgia fue un objeto de prestigio que estuvo guardado por lapsos amplios de tiempo. Posiblemente estuvo en un entierro, en un templo, o un palacio. También es probable que algunas de las lesiones se hayan producido en el traslado a Europa, o ya dentro de los repositorios donde estuvo guardado en su historia más reciente — aunque parecen haberse generado antes de recibir las cubiertas de madera que le fueron clavadas en Europa antes de ingresar a la Biblioteca Vaticana —. Además, la inspección del original permitió observar una serie de defectos en la piel, como agujeros de pequeñas y grandes dimensiones (p.e. láms. 3A, 5A, 24A, 25A, 73B) — algunos corregidos con la capa de enlucido —, cortes irregulares en los segmentos (lám. 22) y otros accidentes referidos 36 Este último proceso fue obervado por Anders y otros autores, al comparar las fotografías del facsimilar de los noventa con los dibujos elaborados en la primera edición del códice (1831-1848), realizada antes de ingresar al BAV. ANDERS, JANSEN y REYES GARCÍA, Los templos del cielo y de la obscuridad cit., p. 40. Ann Cassidy observó que estas lesiones se parecían a las del Códice Cospi, por lo que señaló que pudieron haber llegado en el mismo barco a Europa CASSIDY, Divination by Image cit., pp. 146-147. La coincidencia entre la hipótesis de Davide y de Cassidy sobre el arribo de ambos códices a Europa lo observaron M. JANSEN y A. PÉREZ, Time and the Ancestors. Aztec and Mixtec Ritual Art, Leiden 2004, p. 229.
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en otras publicaciones que no son fundamentales para los argumentos de este artículo, por lo que no se entrará aquí en detalle37. Técnicas de empalme de las tiras de piel Al igual que se procedió con el Códice Vaticano B, buscaré identificar las tendencias que se revelan en el proceso de manufactura del Borgia38. El manuscrito está formado por quince tiras de piel de diferente longitud y espesor. A diferencia del Códice Vaticano B, donde la extensión promedio de las tiras de piel era de 77 cm, en el Borgia las láminas son más altas, y por consiguiente los maestros tuvieron que aprovechar todo el material disponible, aun las partes de la piel donde aparecen defectos, como los posibles agujeros redondos dejados por las armas de los cazadores, o por los ganchos que sirvieron para extender la piel en bastidores39. En lo que refiere a la longitud de las láminas, es posible encontrar un patrón relativamente estable a lo largo de todo el ejemplar: una tira de piel abarca tres láminas, más un fragmento extra de extensión variable, con el que se elaboran las pestañas (las láminas miden entre 73-87.5 cm de longitud, más tres fragmentos notablemente más cortos). En total, el códice cuenta con 39 láminas de cada lado, incluyendo las cubiertas. Si
Fig. 7 – Reconstrucción del estudio codicológico del Códice Borgia. Vista lateral del desplegado de las tiras de piel. Dibujo e información de Ana Díaz. 37
MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B” cit., pp. 183-187; DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit., nt. 2, 3, 8 y 12. 38 Mikulska ofrece otros datos sobre las técnicas de emplame, que complementan los referidos en este estudio porque refiere que el pegado de las tiras se hace en ambas caras del códice: MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B” cit., p. 171. Este fenómeno se oberva en las figuras 7 y 8. 39 Batalla comparte la idea de las huellas de cacería (comunicación personal a Mikulska en 2014).
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la técnica de empalme fuera tan homogénea como la encontrada en el Códice Vaticano B, bastarían 13 láminas para abarcar la extensión total del códice (13 × 3 = 39), pero no es el caso. Al analizar el espesor y la técnica de empalme empleada en todo el ejemplar, es posible identificar por lo menos dos “cuerpos” diferentes que fueron producidos por separado, y posteriormente se añadieron al códice con parches y extensiones, otorgándole su forma actual. Aunque es posible identificar la autonomía de estos fragmentos, no se puede fechar su elaboración. Esto significa que pudieron elaborarse al mismo tiempo, pero por distintos maestros; o también pudieron haberse producido en diferentes momentos, por artistas que compartían una técnica pictórica y estilística muy similar. Los análisis de materiales y estilísticos pueden aportar información complementaria para dilucidar este asunto, pero aquí me enfocaré en describir la composición de los segmentos que surgieron del análisis codicológico realizado en 2018. Véanse las figuras 7 y 8, y la tabla 2.
Fig. 8a-c – Reconstrucción del estudio codicológico del códice Borgia. Vista anteroposterior del desplegado de las tiras de piel. Dibujo e información de Ana Díaz.
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Segmento 1. Tiras 1-3 (Cubierta A, láms. 1-8A / 68-76B) La notable homogeneidad en la consistencia de las bandas de piel empleadas, así como en la técnica de empalme, hace que considere a este fragmento uno de los más homogéneos de todo el códice. Éste está conformado por las tres tiras de piel más gruesas del ejemplar, y como dato adicional, algunas partes presentan una serie de agujeros que en varios casos fueron resanados con la capa de enlucido (láms. 5A/71B, 6A/70B, 31A/45B, 6A/70B, 3A/73B). No es posible saber si los que no cuentan con capa de resane perdieron esta protección, o si se dejaron descubiertos deliberadamente. Como se ha señalado anteriormente, tanto Juan José Batalla, como Mikulska, y la autora de este texto, pensamos que se puede tratar de huellas de instrumentos de caza, o lesiones producidas al estirar la piel en bastidores. Se ha comentado arriba que en esta parte del códice también se ubican unas manchas obscuras que refieren la concentración de humedad estando el códice en posición horizontal. Aunque este fenómeno no produjo desprendimiento de la capa pictórica, sí produjo escurrimientos en algunos de los bordes de las láminas (p.e. láms. 5-6A). Aquí también se encuentran las quemaduras que abarcan casi una cuarta parte de la cubierta del lado A y las láms. 1 y 2A/74 – 76B. Respecto a la técnica de empalme, las pestañas de este fragmento presentan entre 5 y 8 cm de espesor, y las uniones se colocaron en el borde de una de las láminas, reforzando así la zona de la unión con el pliegue generado por el biombo — como sucede en gran parte del Códice Vaticano B —. Cabe señalar que, como resultado de la intrusión de humedad en el borde inferior del códice — posiblemente aunado a la contracción de la piel por la quemadura — se despegó un fragmento de la pestaña que une las láminas 5 y 6 (láms. 70 y 71B). Gracias a este accidente fue posible observar parte del proceso de confección del ejemplar, pues las partes despegadas presentan una capa blanca. Así, es posible que las bandas de piel se cubrieran con una primera capa de enlucido blanco antes de pegarse. Posteriormente se unían y se colocaban otras capas de base de preparación para homogeneizar la superficie pictórica. Después se pintaban las figuras. Finalmente, como revelan algunas zonas del Borgia, se podía colocar otra capa de la base de preparación para corregir los errores de la pintura y resanar los agujeros y otros accidentes. Segmento 2. Tiras 4-6 (láms. 9-16A/ 59-67B) A partir de la lámina 9A/67B se observan algunos cambios, tanto en la estructura física del soporte, como en la técnica de empalme de la piel. En
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cuanto al espesor, estas tiras de piel son significativamente más delgadas que las del primer segmento (láms. 1-8), pero más gruesas que las del segmento 3. En lo que se refiere a la técnica, los cambios son más importantes. A diferencia de las pestañas de la sección anterior, la pestaña de la tira 4 que se pega sobre la tira 3, aumentó su extensión (véanse figuras 7, 8 y tabla 2). Este sutil ajuste tuvo como consecuencia que se desfasara la posición de la pestaña hacia el centro de la lámina, en lugar de hacerla coincidir con el pliegue. Así, como indica la figura 8, a partir de este punto las pestañas serán mucho más amplias que en el segmento anterior, y se ubicarán más al centro de las láminas. Este fenómeno, aunado a la disminución del calibre de las tiras de piel empleadas en estos tramos, daría como resultado empalmes más frágiles, por esa razón se tuvieron que aumentar las dimensiones de las pestañas, para así reforzar las uniones. Otro dato interesante consiste en la presencia de una serie de marcas verticales que aparecen en el centro de algunas láminas de las tiras 4 y 5 (9, 11, 12 y 13A), algunas de ellas fueron resanadas con capas gruesas de la cobertura blanca. Estas marcas parecen indicar dobleces anteriores de las pieles que, dada la distancia que los separa (30 cm del borde), parecen indicar que se trata de una tira de piel reciclada que se usó en un códice de dimensiones similares al Borgia. Este fenómeno se repite en la siguiente tira (véase tabla 2)40. Aunque considero que las tiras 4-6 formaron parte del mismo proceso de manufactura iniciado en las tiras 1-3, es posible observar sutiles cambios en su conformación. Dichas modificaciones pudieron responder a la necesidad de adaptarse a la consistencia de los nuevos fragmentos de piel empleados que, al ser más delgados, y al traer una serie de dobleces marcados, llevó a los maestros a adaptar la técnica de empalme. También es posible que este códice lo hayan pintado diferentes autores en partes, todos formados en la misma tradición pictórica y estilística. En este caso, se dejarían sin pintar los extremos de las tiras de piel — como si fueran sus cubiertas —, para pintarse una vez que se hubieran pegado las nuevas partes, en caso de ser necesario. De este modo, se podría extender la extensión de un solo manuscrito en diferentes momentos. Este razonamiento se comprueba en la composición de los siguientes segmentos. Segmento 3. Tiras 7-8 (láms. 17-21A/ 59-55B) Las tiras que conforman esta sección son sensiblemente más delgadas que las del segmento anterior, aunque la técnica de empalme empleada en 40 En el estudio del códice Vaticano B también notamos que unas tiras de piel presentan estos extraños pliegues. DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit.
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ambos es muy similar. Es decir, el criterio para subdividir el segmento 2 (T4-T6) del 3 (T7 y T8) no responde a la técnica de manufactura de esta porción del códice, sino a la distribución del contenido pintado en las láminas. Este tema se abordará más adelante, en el apartado dedicado a la reconstrucción de la historia del ejemplar. Segmento 4. Tiras 8-11 (láms. 21-26A/ 50-55B) Como se observa en las figuras 7 y 8, en esta sección del códice ocurrió un fenómeno peculiar: la colocación de uno o dos parches en la parte central del códice, con la intención de incluir nuevos contenidos. La identificación de este fragmento se reporta en 2008, en el estudio de Batalla41. Posteriormente, Mikulska intentó reconstruir una vista de este fragmento, ambos tomando como referencia las medidas tomadas por César Olmos42. Sin embargo, es preciso corroborar la información ahí brindada, porque la técnica empleada para realizar los empalmes en este segmento del códice es tan compleja que sólo se entiende su lógica en una vista de perfil, como la que se reproduce en la figura 7. Por esta razón, el número de tiras que se presentan en este estudio no corresponde con el número de tiras de piel presentadas por Olmos, quien identifica una tira de más. Esta confusión se explica al observar el caos en el empalme que abarca los parches de este cuarto segmento, que se sobreponen sobre las láminas, generando una lámina doble (lám 22A/54B). Me atrevo a decir que las tiras T9 y T10 son parches por la manera en que fueron embonadas en el códice, pues la técnica rompe con la lógica de armado presente en el resto del manuscrito (el diseño de las pestañas). Esto responde a que, como se observa en la reconstrucción de la figura 7, las tiras 9 y 10 se sobrepusieron a la superficie de las tiras contiguas de manera caótica. Además de que estos fragmentos cuentan con una extensión menor al resto de las bandas. Aunado a su extensión, otro dato que permite confirmar que la tira 9 (y posiblemente la10) sea un parche, es su estructura. En esta porción la banda de piel presenta una curvatura en el corte, junto con otras irregularidades que serán tratadas en otro trabajo43. Es decir, la piel empleada en este extraño fragmento rompe con las tendencias observadas a lo largo del códice. Para finalizar la descripción de este segmento llegamos a la tira 11, cuyas propiedades físicas son muy similares a las de las tiras 7 y 8. Esta 41
BATALLA, Codex Borgia cit., pp. 379-381. MIKULSKA, “El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B” cit., fig. 3. 43 Mikulska y la autora de este artículo trabajamos en una futura publicación que tendrá información complementaria. 42
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parte presenta una serie de agujeros redondos en la parte superior, que actualmente no presentan capa de resanado. Segmento 5. Tiras 12-15 (láms. 27-38A/ cubierta B, 39-49B) Al igual que sucede con el primer segmento del Códice Borgia, la porción que abarca las últimas cuatro tiras de piel presenta una homogeneidad estructural que hace pensar que esta parte del códice se realizó de manera independiente, y posteriormente se añadió al cuerpo del manuscrito. En principio, hay que subrayar la calidad tan uniforme de la piel seleccionada para este segmento, pues su espesor es notablemente delgado. Esta cualidad en la selección del material de soporte se proyecta también en la técnica de empalme de las tiras. Las pestañas son más estrechas y finas que en el resto del manuscrito (3.5-5 cm), y se colocan en los bordes de las láminas, generando uniones que son difícilmente perceptibles a primera vista. La técnica de confección subraya una delicadeza que no se aprecia en el resto del códice (ni en el Vaticano B), abriendo la posibilidad de que este fragmento haya sido creado por un grupo o taller diferente. La delicadeza en el manejo de la piel se proyecta también en la ejecución de las imágenes, pues en la sección que reproduce lo que parece ser una narrativa mítico-ritual (láms. 29-46) los personajes fueron pintados de menores dimensiones y sus partes sonstitutivas se representaron con gran precisión. Tomando en cuenta estas cualidades, los autores de este segmento pueden identificarse como los “maestros del detalle fino”. Como es de esperarse, la consistencia tan delgada de las tiras de piel produjo una serie de desgastes y pérdidas de continuidad en el soporte, por lo que fue necesario recurrir a una serie de composturas. Al igual que en otras partes, los agujeros de la piel fueron resanados colocando capas de base blanca. También se encontraron rupturas ubicadas en los pliegues superior e inferior de las láminas, mismos que fueron cubiertos con diminutos parches de piel, que posteriormente se incorporaron con la capa de enlucido (véase la porción inferior del pliegue ente las láminas 31A y 32A). Otra compostura aparece en el cuerpo de la lámina 36A/40B, donde es posible apreciar una costura muy fina, realizada con mecate. La técnica de restauración es tan delicada que apenas alcanza a percibirse. Así, este segmento ofrece un rico muestrario de técnicas prehispánicas de reparación de códices. Cubiertas o tapas A diferencia del Códice Vaticano B, el Borgia no presenta tapas añadidas a sus extremos, aunque los maestros dejaron en blanco estas partes,
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probablemente por protección. En ellas la base de enlucido presenta una consistencia lisa y brillosa, similar a un barniz que con el tiempo adquirió un tono ligeramente grisáceo44. En la cubierta A actualmente se asienta el sello de la biblioteca y se colocó un parche a la medida para restaurar la quemadura de este segmento45. Finalmente, en ambos extremos del códice se aprecian las huellas de óxido que corresponden a pequeños clavos que fueron colocados al ejemplar para fijarlo a unas cubiertas de madera. Estos apéndices le fueron colocados en algún momento de su historia italiana — según Anders, Jansen y Reyes, en tiempos en que Lino Fábrega realizó su estudio —, pues el códice llegó a la BAV con estos apéndices montados46. Dado que las huellas de óxido de los clavos son uniformes en todo el manuscrito y no presentan alteraciones derivadas del contacto con la fuente de humedad que afectó la parte inferior del códice, levantando la capa de enlucido, es factible argumentar que estas tapas se colocaron después de que el ejemplar haya estado expuesto a dicha agresión. 2. La base de preparación y la capa pictórica Los estudios que analizan la composición de los pigmentos del códice aparecen publicados en este mismo número47. Por ello prefiero ofrecer aquí algunas conclusiones que resultaron de la inspección visual del original, abordando aspectos complementarios a dicho estudio. Lo más notable es la diferencia en la consistencia de la capa de enlucido blanco, que genera una capa lisa sobre el códice. Su espesor es variable, pues como observa Mikulska en su artículo de 2015, esta cobertura blanca se utilizó también para corregir y resanar texturas, diseños y fallas en las imágenes. Por ello 44 Anders, Jansen y Reyes consideran que el códice pudo tener cubiertas de madera originales por sugerencia de Fábrega (1899) quien considera que las últimas láminas quedaban vacías “a fin de ser unidas al forro”. ANDERS, JANSEN y REYES GARCÍA, Los templos del cielo y de la obscuridad cit., p. 40. Sin embargo, esta situación no parece viable, ya que como revela la técnica de pegado de las tapas en el Códice Vaticano B, el pegamento genera una adhesión extremadamente fuerte y cubre por completo las superficies de contacto, por lo que para desprender los apéndices de madera prácticamente habría que destruir la piel que les da soporte. Finalmente, no se observan huellas de adhesivo en ninguna de las cubiertas del Borgia. 45 Nuevamente, la restauradora Ángela Nuñez compartió información de los archivos, logrando fechar entre enero y febrero de 1962 las restauraciones que dotaron de los actuales parches de piel al manuscrito (información personal, febrero de 2019). 46 ANDERS, JANSEN y REYES GARCÍA, Los templos del cielo y de la obscuridad, p. 40. Véase el estudio de J. L. FÁBREGA, “Interpretación del códice Borgiano”, en Anales del Museo Nacional de México, tomo V (1899). Véase también la descripción de Nowotny, “Die Membran des Codex”, en Codices e Vaticanis selecti, Vol. XXXIV, Austria 1976, pp. 13-15. 47 DOMENICI, BUTI, GRAZIA et al., “Non-invasive chemical characterization” cit.
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Fig. 9 – Ejemplos de diferentes manos de ejecutantes del signo Ollin (movimiento): a) Códice Borgia, lám. 4, detalle; b) Códice Borgia, lám. 71, detalle. Fotografías de la Biblioteca Apostólica Vaticana.
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c Fig. 10 – Ejemplos de diferentes manos ejecutando la máscara de Tláloc: a) Códice Borgia, lám. 17, detalle; b) Códice Borgia, lám. 25, detalle; c) Códice Borgia, lám. 28, detalle. Fotografías de la Biblioteca Apostólica Vaticana.
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me limito a tocar un aspecto que complementa la información obtenida de la inspección del material de soporte. La técnica pictórica es muy uniforme, pero no parece indicar la autoría de un mismo pintor/pintores, sino la colaboración de diversos especialistas forjados en la misma tradición técnica, así como estilística-formal48. Es decir, los pintores debieron trabajar con modelos y patrones prestablecidos, que les permitirían crear nuevos repertorios siguiendo principios formales básicos. Esto explicaría la homogeneidad encontrada en el tratamiento de las imágenes (a diferencia de lo que sucede en el Códice Vaticano B). Aunque es posible proponer algunas hipótesis sobre la identificación de pintores a lo largo del manuscrito, dejaré esa reflexión para un futuro trabajo. Ahora me centraré en señalar algunos casos que permiten ejemplificar la intervención de diferentes pintores en el proceso de manufactura: (a) las dos variantes en el registro del signo Ollin; (b) algunos ejemplos de rostros Tláloc que reciben diferente tratamiento; (c) el remarcado de líneas de contorno negras que parecen ser posteriores a la pintura original; (d) algunas manchas que parecen indicar la presencia de pintura anterior bajo la actual superficie (figuras 9-10). Propuesta de reconstrucción. Una ventana en el tiempo A pesar de la gran similitud del contenido registrado en ambos ejemplares, el estudio de la composición material de los códices Borgia y Vaticano B mostró diferencias tan importantes entre ellos, que llevan a plantear un nuevo escenario en torno a la historia de su confección. A continuación, ofrezco una propuesta que busca reconstruir algunos fragmentos de estas historias. Para seguir los argumentos, véanse las figuras 3-4 y 7-8. Homogeneidad estructural, heterogeneidad pictórica El Códice Vaticano B muestra un diseño que contemplaba su configuración estructural desde un inicio como un objeto portátil, manejable y resistente, de extensión cercana al centenar de láminas (96 láminas). Esta intención se observa en la selección, tratamiento y unión de las tiras piel, así como en la colocación de las tapas, que además de facilitar la manipulación del ejemplar, impidieron que éste modificara su tamaño y estructura original. Sin embargo, como resultado de pasar por las manos de distintos especialistas a lo largo de varias generaciones y regiones, el códice requirió la adaptación y actualización de sus contenidos. Para ello, se modificó la 48 Ibid. Como observan los autores del estudio de pigmentos, los pintores de este códice utilizan una paleta muy uniforme desde el punto de vista de la elaboración de los pigmentos.
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superficie pictórica en múltiples ocasiones. Así, el códice sufrió distintos repintes, que abarcaban desde el sutil remarcado de pequeños detalles, hasta la sustitución de elementos mayores (lám. 20, véase figura 5) y la creación de nuevos repertorios, a través de la generación de palimpsestos (p.e. láms. 95-96)49. Incluso es posible encontrar diversas intervenciones anacrónicas en una misma sección. Esta dinámica explica la reconfiguración de secuencias gráficas que ejecutaron los pintores en el códice, pues tuvieron que aprovechar la superficie pictórica al máximo. Así, los maestros que fueron pintando el códice en intervenciones tardías tuvieron que adaptar la extensión de algunas secciones para que cupieran en el espacio disponible. Por citar un ejemplo, el repertorio expuesto en las láminas 27 y 28 dentro del Códice Borgia se resumió en la lámina 69 del pequeño manual (Vaticano B)50. Como lo indican algunas de sus marcas — manchas de mugre en la superficie, el desgaste de pintura en algunas zonas, las huellas de humo en sus bordes y la posible marca de cera en la lámina 24A —, este ejemplar estuvo en operación durante un amplio periodo de tiempo, viajando a través de diferentes regiones para continuar brindando apoyo a los especialistas expertos en la cuenta de los días. La historia de sus transformaciones continuó aún después de su ingreso a la BAV, donde según los estudios de Domenici y otros autores, siguió recibiendo retoques de pintura51. Es posible que también hayan sufrido modificaciones las cubiertas, como sugieren las muescas grabadas en una de las caras. Heterogeneidad estructural, homogeneidad pictórica En contraste, el Códice Borgia es un manuscrito de lujo, delicado, de uso más restringido. Permaneció cerrado en una misma posición en por lo menos dos ocasiones, como revelan las marcas de humedad que refieren dos procesos que pudieron afectar su integridad en diferentes épocas: estando guardado en posición horizontal, y luego en vertical. Esto permite plantear
49 DUPEY GARCÍA, FORDE y YANAGISAWA, “Los palimpsestos del Códice Vaticano B” cit.; véase también: D. DOMENICI, E. DUPET, D. BUTI, CH. GRAZIA, A. ROMANI, L. CARTECHINI, A. SGAMELOTTI y C. MILIANI, “Los materiales pictóricos del Códice Vaticano B”, en Nuevo comentario al Códice Vaticano B (Vat. Lat. 3773), editado por K. MIKULSKA, s.f.; DÍAZ y MIKULSKA, “Estudio material del Códice Vaticano B” cit. 50 Como se verá más adelante, la misma estrategia de condensación de contenido para adaptarse al espacio disponible se presenta en los fragmentos del Códice Borgia, que se fueron repintando con el tiempo al momento de incluir las extensiones de piel. 51 DOMENICI, BUTI, GRAZIA et al., “Non-invasive chemical characterization” cit.
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que haya estado resguardado en un templo, en un palacio, o una tumba, o en varios de estos sitios en distintos momentos, Además, el códice muestra un desarrollo paralelo en la elaboración de sus distintos fragmentos, que se integraron para dar forma al actual manuscrito — aunque su temporalidad no se puede identificar con el presente estudio —. Es importante señalar que se aprecia la intervención de diferentes manos a lo largo del códice, aunque existe una gran similitud en el estilo y el lenguaje formal empleado, así como desde el punto de vista tecnológico, por lo que los pintores pueden asociarse dentro de una misma tradición (taller, escuela o genealogía, en caso de haber sido intervenido en diferentes tiempos). Al tomar en cuenta el estudio de la técnica de manufactura, integrado con el análisis de contenido, propongo el siguiente escenario de reconstrucción: 1. El primer segmento, o manuscrito abarca las actuales seis primeras tiras de piel del códice (T1-T6). En ellas se ofrece un desplegado de los componentes esenciales del tonalpohualli, con sus principales divisiones y regentes. La primera parte de la cara A, que inicia después de la cubierta, muestra un tonalpohualli in extenso (láms. 1-8A, ver fig. 8), que en nuestra tradición gráfica, sería equivalente a una tabla periódica de los elementos, donde se despliegan todos los componentes organizados en un sistema en columnas y renglones que les asignan valores numérico-posicionales. Después de esta cuenta se registraron las principales series calendáricas del tonalpohualli, que consisten en diferentes grupos de deidades que rigen, o acompañan, a los 260 elementos del sistema: los señores de los 20 signos de los días (láms. 9-13A) y los nueve señores (lám. 14A). Esta última sección abarca una sola lámina de la T6 del códice, dejando libres las láminas 15A y 16A. Cabe la posibilidad de que éstas se dejaran en blanco para continuar posteriormente la expansión del códice (como sucede en el Códice Cospi). Complementariamente, en el lado B, la lámina 60, lado B, pudo conformar la cubierta que se dejó blanca en ese lado del manuscrito. A continuación, a partir de la lámina 61 se registró otra serie completa del tonalpohualli, pero esta vez dividida en sus veinte series básicas, las trecenas (láms. 6170B), acompañadas por sus regentes. Luego aparece la serie de los trece volátiles (lám. 71B). Posteriormente una sección donde el tonalpohualli se divide en cuatro cuartos, cada uno asociado a una serpiente y un rumbo cardinal (lám. 72B), continúa una cuenta extraña, de 25 signos, regida por Ehecatl y Mictlantecuhtli (73B). Le sigue el nacimiento de los días (74B) y finalmente, en las últimas láminas (75-76B) una cuenta del tonalpohualli dividida en cuatro trecenas (subdivididas a su vez en 6 y 7 días, con sus respectivos regentes).
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Así, este primer manuscrito incluye todas aquellas secciones que despliegan los componentes y las divisiones básicas del tonalpohualli, generando un corpus que podría considerarse la versión universal, o el manual básico de este sistema cronológico. En las siguientes láminas, esta información se complementará con secciones que presentan un contenido más específico. 2. El segundo segmento, o manuscrito se ubica en las últimas tiras del códice (T12-T15). No es posible establecer el momento de su producción, pero esta porción aparece en el segundo lugar de esta lista porque se trata de un manuscrito homogéneo, técnica y temáticamente, que parece haberse realizado por separado para integrarse a la porción anterior del códice. Aquí se pintaron una serie de capítulos que refieren tres grandes temas: (1) el primero muestra una secuencia que distingue los aspectos de Tláloc, el dios de la lluvia, y su influencia en ciertas fechas (láms. 27-28A); (2) posteriormente aparece una narrativa de creación, que muestra una serie de acciones rituales que dan inicio a la cuenta del tiempo y la instauración de los sacrificios (láms. 29-38A; cubierta B, 39-46B)52; (3) finalmente se registra una secuencia que refiere el arribo de las cihuateteo y los tonaleque, y cuenta como estas criaturas se reparten las trecenas del tonalpohualli que se asocian, ellos con el sur y ellas con el poniente. La lámina 49B pudo haber sido la cubierta en blanco de este lado del manuscrito antes de integrarse al resto del códice. 3. Segmento intermedio y parches. La reconstrucción del resto del documento es muy complicada porque no puede reconstruirse de manera lineal, ya que esta porción está formada por varios fragmentos que se fueron incorporando al centro del códice en distintos momentos — lo que contrasta con la uniformidad de la paleta —. Iniciaré ubicando la que considero es la primera extensión del códice. Ésta se pudo realizar añadiendo las tiras T7 y T8 al primer manuscrito (T1-T6). La adición permitió incorporar dos nuevas secciones en la cara A de este fragmento. Una de ellas abarcaría de la lámina 15 a la 17, y la segunda de la 18 a la 21; ambas muestran ejemplos de la aplicación de la cuenta del tonalpohualli en la ejecución de dos tipos diferentes de rituales — rompiendo con la unidad de los temas universales registrados en el primer manuscrito —. La lámina 21 se ubica en la primera porción de la tira 8, cuyo tamaño es menor a las anteriores porque aquí se pegó el parche de la T9. Por lo tanto, las imágenes que ahora se aprecian 52 Sin entrar en polémica sobre el contenido registrado en estas láminas, sigo la propuesta de Boone, quien identifica una narrativa de origen: BOONE, Cycles of Time and Meaning cit. Ésta se puede complementar con la propuesta de Nowotny, quien observa una serie de escenas rituales: NOWOTNY, Tlacuilolli cit.
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en el segmento T8-T10 pueden estar cubriendo un repertorio pictórico anterior. En el lado B de este fragmento (unión de T6 y T7) se pintaron dos secciones que parecen representar pronósticos de matrimonio (láms. 5860B), y detrás de las tiras T7-T8, por la cara B del documento, se pintaron cuatro secciones, cada una de una lámina de extensión. Este dato es importante, pues revela la necesidad de los pintores de aprovechar el espacio disponible dejado por la incorporación de los parches en esta zona en el lado B, adaptando ahí secciones de extensión reducida. En consecuencia, estas imágenes se pudieron pintar después de pegar el parche de T9-T10, e iban llenando los espacios vacíos. Las tiras 10 y 11 contienen una misma sección por su cara B — que inicia en la lámina 49B —. Como se mencionó antes, ésta pudo ser la cubierta del segundo manuscrito del códice (tiras T12-T15). De este modo, los pintores que pegaron las bandas donde estaba registrada la narrativa ritual, o el segundo manuscrito (tiras T12-T15), emplearon dos tiras de piel (T11 y T12) como extensiones para hacer la conexión e integrar todo el códice. En el lado B de este fragmento pintaron un capítulo largo, que muestra la división del mundo en cuatro regiones cardinales, más un centro (láms. 49-53B) y arriba los portadores del cielo. La secuencia inicia en 49B (la an-
Fig. 11 – Reconstrucción del proceso de manufactura del códice Borgia. a) Rojo: Manuscrito 1 (T1-T6), contiene un manual con el desplegado de todos los elementos que conforman el sistema cronológico universal del tonalpohualli. b) Azul: manuscrito 2 (T11-T15), contenido más específico que incluye una sección narrativa. c) Verde: zona de parches realizados en distintas intervenciones para integrar manuales para realizar rituales específicos. d) Naranja: parches más tardíos, donde aparecen las secciones relacionadas con rituales de flechamiento. e) Amarillo: Inserción de la sección que despliega las cuatro regiones cardinales y los portadores del cielo en el lado B del códice (láms. 49-53).
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terior cubierta de T12), y continúa en 50 y 51B (T11), 52 y 53B (tira 10). Es interesante observar el uso del espacio en esta última lámina, ya que en ella confluyen tres capítulos: (1) el final de la secuencia de las cuatro regiones arriba descritas; (2) una imagen de un venado que muestra los 20 signos asociados a distintas partes de su cuerpo; (3) y finalmente en el cuadrante inferior izquierdo de la lámina 53B aparece el primer registro de los cinco que componen la serie de los flechadores — que continúa y finaliza en la lámina 54B —. Esta sección se ubica en el parche T9, en cuya cara A están pintados los venados flechados. Así, el parche contiene escenas de rituales asociados con el flechamiento. Finalmente, por el lado B de la tira 11 se pintaron dos pequeñas secciones, de una lámina de extensión cada una. Éstas parecen registrar contenidos muy específicos asociados con rituales, pronósticos o historias hoy desconocidas. En consecuencia, estos registros pudieron servir para rellenar el espacio dejado en la cara A de las láminas 25 y 26, el segmento donde se unían el parche y el antiguo manuscrito 2. Conclusión El estudio aquí presentado pone de relieve la complejidad material de los códices prehispánicos. Éstos se revelan como objetos dinámicos, que permanecían abiertos a la transformación y la actualización de contenidos. Aunque estos dos ejemplares coinciden en el contenido registrado, el seguimiento de sus técnicas de producción reveló que en un principio ambos ejemplares tuvieron poco en común, pero con el tiempo fueron adquiriendo su forma actual. El Códice Vaticano B podría resumirse en un proyecto técnico que ostenta homogeneidad estructural y heterogeneidad pictórica, mientras el Códice Borgia se distingue por su heterogeneidad estructural y su homogeneidad pictórica. En el primer caso los usuarios repintan las láminas existentes, en el segundo van añadiendo tiras de piel — mas lo que posiblemente eran otros manuscritos completos —, para ampliar el contenido del códice. El presente análisis permitió identificar una lógica de operación, no lineal, en la que las secciones de los contenidos en ambos códices se van adaptando al espacio pictórico dejado por los pintores anteriores. Así, las secciones o capítulos de menor extensión (una o dos láminas) parecen ubicarse en los extremos de los segmentos del Códice Borgia que con el tiempo se fueron integrando, o bien en las láminas palimpsestas más tardías del Códice Vaticano B; aunque ésta no es una regla. Esta lógica nos permite proponer un primer paso para identificar una técnica de datación de las partes, que tome en cuenta la información derivada del estudio codicológico, complementando otros estudios, como los de pigmentos.
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Agradecimientos Agradezco al Dr. Paolo Vian su apoyo y generosidad, fundamentales para la realización de este estudio. Gracias a la Dra. Angela Núñez Gaitán, responsable del Laboratorio de Restauración, y a todo personal de la sala de Manuscritos de la Biblioteca Apostólica Vaticana, por todas las atenciones recibidas. Agradezco a Katarzyna Mikulska por las enriquecedoras discusiones que nutrieron este trabajo; a Juan José Batalla, mi maestro en el arte de la codicología. Gracias a Davide Domenici por sus valiosos comentarios y por compartir información esencial que permitió integrar la versión final de este estudio. Gracias a Sergio Botta y Alessandro Lupo. Agradezco al Instituto de Investigaciones Estéticas de la UNAM por su apoyo para realizar esta investigación.
APÉNDICES Tabla 1. Longitud y composición de las tiras de piel del Códice Vaticano B Tira Extensión
Láminas que abarca
Secciones que abarca
Longitud Comentarios aproximada
T1
5 láminas (ca. 15 cm c/ una)
A: 1-5 B: tapa, 49-52
A: 1 sección y tapa B: 1 sección
79 cm
Es la primera del códice; determina la estructura del resto.
T2
5 láminas (ca. 15 cm c/ una)
A: 6-10 B: 53-57
A: 2 secciones B: 1 sección (cont.)
76 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior.
T3
5 láminas (ca. 15 cm c/ una)
A: 11-15 (doblez A: 4 secciones maltratado en la B: 1 sección unión con T4) (cont.) B: 58-62
73/73.5 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior. Aquí está el doblez que parece alterar las tiras 4 a 6.
T4
5 láminas (ca. 15 cm c/ una)
A: 16-20 (doblez A: 3 secciones maltratado en la B: 1 sección unión con T3) (cont.) B: 63 a 67
77 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior. Aquí inicia el desfase en los dobleces que aparecen al centro de las láminas.
T5
5 láminas (ca. 15 cm c/ una)
A: 21 a 25 A: 3 secciones B: 68-72* B: 4 secciones *palimpsestos -dobleces -mancha de cera
79 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior. Inician los palimpsestos en lado B. Dobleces extraños.
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Tira Extensión
Láminas que abarca
Secciones que abarca
Longitud Comentarios aproximada
T6
A: 26 a 30 B: 73-77
A: 2 secciones B: 6 secciones
78 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior. Aquí terminan los dobleces raros. En esta tira el lado B comienza a desplegar secciones muy cortas, de una lámina de extensión.
5 láminas (ca. 15 cm c/ una)
-dobleces
T7
5 láminas A: 31-35 (ca. 15 cm c/ B: 78-82 una)
A: 3 secciones B: 2 secciones
77.5 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior.
T8
5 láminas (ca. 15 cm c/ una)
A: 36-40 B: 83-87
A: 1 sección B: 3 secciones
77.5 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior.
T9
5 láminas (ca. 15 cms. c/una)
A: 41-45 B: 88-92
A: 2 secciones B: 1 sección (cont.)
77.5 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior.
A: 46-48 y tapa B: 93-96* *Palimpsestos
A: 1 sección B: 3 secciones y tapa
60 cm
Dimensión y espesor similares a las de la tira anterior, pero falta una lámina.
T10 4 láminas (ca. 15 cm c/ una)
Tabla 2. Longitud y composición de las tiras de piel del Códice Borgia Tira Extensión
Láminas que abarca
Secciones que abarca
Longitud Comentarios aproximada
T1
A: cubierta, 1, 2 B: 74-76
A: 1 sección B:2 secciones
Tira: 85 cm Espesor grueso, similar (incluye a las tiras T2 y T3. pestaña de Accidentes: 7 cm) 1.Manchas de humedad La pestaña de dos tipos: se adhiere a) manchas obscuras sobre T2. por posición horizontal; b) desgaste en la parte inferior estando en posición vertical. 2.Quemaduras (hoy restauradas con parches).
3 láminas (ca. 26 cm por lámina)
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Tira Extensión
Láminas que abarca
Secciones que abarca
Longitud Comentarios aproximada
T2
3 láminas (ca. 26 cm por lámina).
A: 3-5 B: 71-73
A: 1 sección (continua de la anterior) B: 3 secciones
Tira: 83 cm Espesor grueso, similar a las tiras T1 y T3. (incluye pestaña de Accidentes: 5 cm) 1.Agujeros redondos. La pestaña 2.Manchas de humedad se adhiere de dos tipos: a) manchas obscuras sobre T3. por posición horizontal. b) desgaste en la parte inferior estando en posición vertical. 3. Quemaduras.
T3
3 láminas (ca. 26 cm por lámina).
A: 6-8 B: 68-70
A: 1 secc. (cont.) B: 1 sección nueva
Tira: 79 cm Espesor grueso, similar (sin pesta- a las tiras T1 y T3. ñas) Accidentes: 1.Agujeros redondos resanados. 2.Manchas de humedad de dos tipos: a) manchas obscuras por posición horizontal; b) desgaste en la parte inferior estando en posición vertical. 3. Quemaduras.
T4
3 láminas (ca. 26 cm por lámina).
A: 9-11 B: 65-67
A: 1 sección nueva B: 1 sección (cont.)
Tira: 81 cm (incluye dos pestañas) Pestaña 1: 10 cm, se adhiere sobre T3 (lám 68B). Pestaña 2: 18 cm, va sobre T5 (lám 65B).
Espesor medio. En esta parte se empiezan a desfasar los empalmes del borde de la lámina hacia el centro. Accidentes: Pliegue vertical al centro de la lámina 9A/67B, 30 cm después del borde que conforma la pestaña 1. La extensión indica que puede tratarse de una tira reciclada. *Desgaste en parte inferior.
T5
3/4 láminas (ca. 26 cm por lámina).
A: 11-14 B: 62-65
A: 1 sección (cont.) y 1 sección nueva. B: 1 sección (cont.)
Tira: 81 cm Espesor medio, similar al de la T4. (incluye dos pestañas)
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Tira Extensión
Láminas que abarca
Secciones que abarca
Longitud Comentarios aproximada Pestaña 1: 20 cm, se adhiere sobre T4 (lám 11A). Pestaña 2: 17 cm sobre T6 (lám 14).
Accidentes: 2 pliegues verticales: a) al centro de la lámina 12A/64B, 31 cm después del borde que conforma la pestaña 1. b) 27 cm después del pliegue anterior, al centro de la lám 13A/63B. Ambos pliegues están separados por la medida aproximada de una lámina, lo que pude indicar el uso de una tira reciclada. *Desgaste en parte inferior.
T6
3/4 láminas
A: 14-17 B: 59-62
*Posible primer manuscrito: T1-T6
T7
3 láminas incompletas
A: 17-19 B: 57-59
A: 1 sección (cont.) y 1 sección nueva completa. B: 1 sección (cont.) y 1 sección nueva completa.
Tira: 82.5 cm (incluye dos pestañas)
A: 1 sección (fin) y 1 sección nueva. B: 3 secciones, una por lámina.
Tira: 77 cm (incluye una pestaña de 25.5 cm que se adhiere sobre T6, lám 17).
Pestaña 1: 20 cm, se adhiere Aquí finalizan sobre T5 las secciones (lám 62B). de ambos Pestaña 2: lados del 10 cm sohipotético ma- bre T7 (lám nuscrito 1. 59B).
Espesor medio, similar al de la T4 y T5. Sin accidentes notables. *Desgaste en parte inferior.
Espesor medio, más delgado que las tiras anteriores. Su longitud es menor al promedio empleado en el códice. Es notable la amplitud de la pestaña que se colocó sobre la lám. 17, pues tiene un grosor de casi una lámina. *Desgaste en parte inferior.
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Tira Extensión
Láminas que abarca
Secciones que abarca
Longitud Comentarios aproximada
T8
A: 19-22 B: 54-57
A: 1 sección (cont.) y 1 sección nueva. B: 4 secciones, una por lámina.
Tira: 73 cm (incluye dos pestañas)
Esta tira se distingue por la irregularidad de sus bordes, junto con otros accidentes.
Pestaña 1: 11 cm, se adhiere sobre T7 (lám 19A). Pestaña 2: 10 cm sobre T9 (lám. 22A).
*Desgaste en parte inferior.
T9
2 láminas y 2 pestañas amplias
Parche de A: 21-22 dos láminas B: 54-55 de extensión
A: 2 secciones ca. 35 cm. B: 2 secciones Se encuentra envuelta por las T8 y T10.
Parche de dos láminas de longitud. Corte irregular. Espesor medio. Su razón para incluirse en este sitio parece responder a la necesidad de incorporar la sección de los venados y los flechadores. La sección pintada en la lám. 22 está incompleta. *Desgaste en parte inferior.
T10 1 a 3 láminas (1 completa más dos pestañas)
A: 22-24 B: 52-54
T11 2 a 3 láminas
A: 24-26 B: 50-52
A: 2 secciones (una se registró incompleta) B: 4 secciones, 3 empalmadas en una lámina.
Ca. 47 cm. Incluye una pestaña de 19 cm colocada sobre T11, lám. 24.
A: 1 sección Tira: 67 cm (cont.) y 2 secciones nuevas (incluye completas. una pestaña de 15 B: 1 sección cm que se nueva. adhiere sobre T10, lám. 52).
Otro posible parche. Espesor medio. *Desgaste en parte inferior.
Algunas correcciones en la capa de cobertura blanca. Alteraciones extrañas en la pintura de la lám. 51 parte superior, como si la pintura se descamara. *Desgaste en parte inferior.
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HISTORIAS CONTADAS CON LA PIEL
Tira Extensión
Láminas que abarca
Secciones que abarca
Longitud Comentarios aproximada
T12 3 láms.
A: 27-29 B: 47-49
A: 1 sección completa y 1 sección nueva B: 1 sección (cont.) y 1 sección nueva completa.
Tira: 86 cm (incluye pestaña de 7.5 cm). La pestaña se adhiere sobre el borde de la T11.
En este punto el códice vuelve a tomar la homogeneidad que se observa en las primeras 3 tiras. Una de las principales características de esta parte es que el espesor de la piel es notablemente delgado. Por esta razón se encuentran rupturas en diferentes partes, algunos de los accidentes fueron restaurados en época precolombina.
T13 3 láms.
A: 30-32 B: 44-46
A: continúa una sección narrativa, que se continúa por el lado B del códice.
Tira: 83 cm Las características (incluye pestaña de físicas de esta tira concuerdan con las de las 5 cm) T12, T14 y T15. La pestaña se adhiere Presenta un parche colocado en época sobre el borde de la prehispánica entre los pliegues de la lámina T12, lám. 31 y 32. 47.
T14 3 láms.
A: 33-35 B: 41-43
A: continúa la sección narrativa, que se extiende por el lado B del códice.
Tira: 83 cm Las características (incluye pestaña de físicas de esta tira concuerdan con las de las 5 cm) T12, T13 y T15. La pestaña se adhiere sobre el borde de la T13, lám. 32A.
T15 3 láms.
A: 36-38 B: Cubierta B, 39, 40.
A: continúa la sección narrativa, que se extiende por el lado B del códice, interrumpiéndose en la cubierta B.
Tira: 83 cm (incluye pestaña de 6 cm)
Las características físicas de esta tira concuerdan con las de las T12, T13 y T14.
La pestaña se adhiere sobre el borde de la T14, lám. 41B.
Accidentes: Presenta una fina restauración realizada con mecate en época prehispánica. Se observan los clavos con los que se fijaron las tapas de madera que se le colocaron en Europa.
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DE ESSENTIA ET NATURA LACRIMARUM: CLASSIFICATION OF TEARS IN MANUSCRIPT BAV, VAT. LAT. 10380* The lion’s share of the manuscript Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10380 (s. XI-XIII; henceforth B) is dedicated to a late eleventh-century copy of Gregory the Great’s Homiliarum in euangelia libri duo, which occupies pp. 7-384, with the life and miracles of Gregory written by the same hand after the homilies, on pp. 384-397 and pp. 397-401 respectively1. It seems that in the fifteenth century the codex belonged to the Ligurian Abbey of St. Andrew (Badia di Sant’Andrea de Sexto), a Cistercian foundation located in Sestri Ponente, now an industrial suburb of Genoa2. The Gregory core is flanked on both sides by some noteworthy texts. For example, at the front, in addition to some fragments from the lives of St. Prosper of Reggio and St. Martin of Tours (pp. 3-5), there is an unedited poem on the nature of the earthquake (p. 6)3, while at the back we find two compositions added in the late twelfth-early thirteenth century probably as space fillers (pp. 401-404). Vattasso and Carusi describe these later anonymous accretions as sermones duo, and although this identification might be correct for the first text, De lacrimis mulieris peccatricis, which starts imperfectly on p. 401 and ends with Amen on p. 402, the second text’s
* I would like to thank Piroska Nagy, Laura Napran, and David Arthur who provided invaluable help in the preparation of this article. All preliminary work was supported by an Insight Grant from the Social Sciences and Humanities Research Council (SSHRC) of Canada. 1 For a cursory description of the manuscript, see M. VATTASSO – H. CARUSI, Codices Vaticani Latini, Cod. 10301-10700, Roma 1920, pp. 66-67, where this section of the manuscript is dated to the eleventh century. For the precise arrangement of the homilies in this codex, see R. ÉTAIX, Répertoire des manuscrits des homélies sur l’Evangile de saint Grégoire le Grand, in Sacris Erudiri 36 (1996), pp. 107-145, at 122 and 138. 2 The upper margin of B, p. 7, contains the following attribution: “Iste liber est Sancti Andree de Sexsto.” See A. LUBIN, Abbatiarum Italiae brevis notitia, Romae, Typis Jo. Jacobi Komarek Boëmi 1693, cols. 366-377 (mentioned in Vattasso and Carusi’s catalogue, p. 67). The abbey was founded in 1131 and abandoned by the Cistercians in 1570; eventually, it was transformed into a private villa. 3 The poem, 29 rhymed hexameters in total, is unedited. Inc: “Si terraemotus penitus fieret michi notus, || De motu terrae tunc possem uera refferre.” This composition does not seem to be preserved in any other manuscript witness. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 165-180.
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connection to preaching is harder to justify (pp. 402-404)4. This second composition, entitled De essentia et natura lacrimarum, is the focus of the present article, which offers a brief discussion of the contents of the text as well as its first edition. I. Length The text begins on p. 402 of B with the somewhat cryptic sentence: “Quoniam de lacrimis mulieris5 peccatricis aliquantulum Deo donante tractauimus, sumpta exinde occasione de essentia et natura lacrimarum aliquid tractare Domino inspirante disponimus” — “Because, with God’s blessing we talked a bit about the tears of the sinful woman, next seizing the opportunity, we undertake with our Lord’s inspiration to talk briefly about the essence and nature of tears.” This opening suggests that the De essentia et natura lacrimarum was composed as a further elaboration on another text dealing with the tears of the arch-sinner Mary Magdalene. However, since the phrase contains the word “aliquantulum”, it is not unreasonable to suspect that the author of the De essentia is simply referring to the sermon immediately preceding it in B rather than to a text that was preserved in a different context. In fact, the sermon before the De essentia ends in the following suggestive manner: Sequere igitur non Iudam insipientem, sed hanc6 mulierem sapientem que lacrimando ad pedes Iesu accessit et cui Dominus peccata dimisit7, ut per gratiam suam dimittat et tibi peccata tua Dominus Iesus Christus qui cum Patre et Spiritu Sancto uiuit et regnat Deus in secula seculorum. Amen. Thus, do not follow the foolish Judah but that wise woman who, while weeping, placed herself close to Jesus’s feet and whose sins the Lord absolved, 4 The titles of the two texts as provided in the catalogue are not preserved in the manuscript, and in the case of the De lacrimis mulieris peccatricis the heading is also slightly misleading. The sermon mentions only briefly Mary’s crying at Christ’s feet, while the main concern of the anonymous author is seen in the discussion of the proper behaviour of the good priest who should reprimand the sinner as a teacher and rejoice with the penitent as a father: “Boni enim sacerdotis est proprium et more magistri indignari delinquenti et affectu patris congaudere penitenti. Boni sacerdotis est proprium more pastoris de perdita oue dolere et de inuenta gaudere” (B, p. 401). In contrast, the phrase De essentia et natura lacrimarum is taken directly from the first sentence of the second text and thus captures its tenor well; accordingly, it is also adopted here. 5 On the rest of the line, after “mulieris” there is a text that is erased but legible: “Inmisit dominus soporem in ad …”; this quotation from Gen. 2:21 does not seem to belong to the text on tears. 6 hanc] anc B 7 dimisit] dimsit B
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so that through his grace our Lord Jesus Christ might also absolve your sins, he who lives with the Father and the Holy Spirit and reigns as God in eternity. Amen.
At the same time, even though the suggested connection between the two “sermons” in B is probable, it cannot be proven with absolute certainty that the De essentia does not constitute an excerpt from a longer, so-far unidentified, composition. As seen in B, the legible portion of the text comprises only 956 words. Where and how the text ends is also uncertain. At present, p. 404 in B is so damaged that even with a UV-lamp it is impossible to read what was originally written on it after the first two lines. The damage seems to have occurred during the Middle Ages when the folio was probably glued to the board of the binding. Thus, it is unclear whether the remaining illegible text on p. 404 belonged to the De essentia or not. However, at a later date a reader writing in humanistic script has drawn a simple table representing the different types of tears on top of the damaged section of the page, evidently after the damage had already occurred. It seems that this later user could not read the rest of the page either and used it as a blank spot for his drawing (see the image at the end of this article). With the exception of the two lines on p. 404, the De essentia et natura lacrimarum occupies two thirds of p. 402 and the entire p. 403. However, the irregular and crammed appearance of these pages makes it evident that this text was copied here as an afterthought and with disregard for the original ruling of the page. For example, five additional lines are crowded into the bottom margin of p. 402, three additional lines are entered in the upper margin of p. 403, and a further four lines are squeezed into its lower margin. Text is also added in the outer margin of p. 403, while the last ten lines on the page are progressively longer than the ones above them. It is obvious that great effort was spent to fit the text of the De essentia into these cramped quarters, even though some lines — at least two, if not more — clearly had to go to the following page. II. Contents After the introductory sentence quoted above, the text continues with the statement that since one learns better about something if one knows how it divides into species and partes, the author wishes to present to the reader a typology of tears (lacrimarum subdiuisio) so that he can become better acquainted with the topic. This is paragraph 1 in the edition. Paragraph 2 represents the fulfillment of the promise made in the first paragraph. It offers a clear, distinction-like classification of human tears
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by first dividing them into two large categories: real tears (larcime uere) and false ones (lacrime ficte). The true tears themselves comprise two types: tears rooted in natural causes (lacrime naturales) and tears brought forth by other reasons, such as, for example, pain or joy (lacrime casuales). The tears of pain and joy can be shed either for one self (pro se) or for somebody else (pro aliis), and when we cry for ourselves we cry either spiritually or carnally (lacrime spirituales and carnales). The spiritual tears can be caused by pain or joy, and finally, fear and desire bring forth the tears of pain, while hope and fulfillment are the reasons behind the tears of joy. This elaborate scheme represents a hidden mnemonic device invoking a diagrammatic tree-structure that was probably meant to be visualized in the reader’s mind. This is precisely that the already-mentioned later reader did on p. 404 of the manuscript. Here I offer my own visualization of the described relationships between the various types of tears:
Not all types of tears are of equal importance to the author of the De essentia et natura lacrimarum, so at the first four levels of his genealogical tree of weeping, he disregards, first, the main category of lacrime ficte; second, the subdivision of lacrime vere covering the natural tears; third, the subdivision of lacrime casuales which is concerned with crying on somebody else’s behalf; and finally the subdivision of lacrime pro se which represents carnal weeping (these categories are circled in the diagram). As a result, it becomes apparent that the De essentia will concentrate on discussing the true tears which we shed for ourselves and which are caused by spiritual pain and joy. Thus, the divisions offered by the author do not represent a true classification, since one side of the typological tree is always
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left unexplained. It is unclear whether, similarly to their counterparts, the fake tears should also be divided into naturales and casuales, whether the natural tears might also be shed pro se and pro aliis, and whether the carnal tears could also be caused by dolor and gaudium. On the one hand, this seems perfectly logical and acceptable, but on the other, the author could have had in mind completely different subdivisions for the categories he omits from his discussion. Whatever the case, one thing is certain: the main interest of the author lies in exploring the essence and nature of true spiritual tears, in both their sorrowful and joyful outpouring. He justifies his decision to treat these tears as more meaningful than fake carnal ones because through God’s plan uere lacrime spirituales fill not only the eyes of the body but also the eyes of the heart. The rest of the treatise explores various contexts in which the meaning of true spiritual tears can be understood. Paragraph 3 discusses lacrime spirituales doloris. As already mentioned, these tears can be rooted either in fear (timor) or desire (desiderium). The tears of fear and desire are similar because both are bitter and turbulent (amare et turbulente). At the same time they are not absolutely identical because, even if they are equally bitter, they are not equally turbulent. Those caused by fear are turbulent through and through (ex omni parte), while the ones caused by desire are partially turbulent, partially filled with sparks of brightness (sublucide). The tears resulting from fear fall heavily and abundantly (grauiter et abundanter), while those stemming from desire arrive pleasantly and thus cannot be equally abundant (suauiter ueniunt and sic abundare non queunt). In paragraph 4 a similar comparison is presented for the subdivisions of lacrime spirituales gaudii, namely for tears caused by hope (spes) and for those caused by fulfillment (perfruicio). Again the two types are both similar and dissimilar; they are similar because they are both clear and sweet (lucide et dulces), but if they are bright in equal measure they are not equally sweet. Tears of fulfillment are sweeter; they start with force and abundance but then decrease and stop; in addition, their beginning is more delightful and pleasing than their end. Tears of hope are just the opposite: they start falling slowly but then increase and flow in abundance; also, their end is more delightful and pleasing than their beginning. Paragraphs 3 and 4 illustrate the first context in which spiritual tears and their subdivisions are examined in the De essentia. Here the author describes their physical attributes, such as taste (amare or dulces), appearance (turbulente or lucide), quantity (abundanter or tepide), and how their flow and impact on the person can change in the process of weeping (crescunt or decrescunt; finis delectabilior or principium delectabilius).
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The subsequent paragraph, no. 5, moves the discussion in a new direction. Here the author explores the effects of shedding lacrime spirituales on the human body, mind, and soul (caro, mens, and anima). In the case of the body, he first mentions the heart which is reached by spiritual tears from two opposite directions, namely, lacrime doloris ascend to it from below and lacrime gaudii descend to it from above — although what is meant by this statement is not immediately apparent. Second, he talks about the impact of tears on the eyes and sight. Thus, when tears of pain flow for a long time, they damage the eyes and cause blindness; in contrast, tears of joy purify the affected eyes and clear the vision. This statement could refer to both the eyes of the heart and the eyes of the body which the author mentioned in paragraph 2. Finally, tears of pain weaken the man and desiccate the flesh, whereas tears of joy make him stronger by nourishing the flesh. In the case of the mind, the lacrime doloris and the lacrime gaudii are also complete opposites: tears of pain anchor man in the external world, making him anxious and aware of himself. In general, they pull the human back to the heart and thus belong to the realm of uita actiua. Tears of joy cannot be more different: they remove the weeper from worldly concerns, calm him down, and help him forget himself. Thus he is able to transgress the mind, and because of this reason the tears of joy are associated with the uita contemplatiua. The paragraph continues with the statement that tears of pain are red like blood, while tears of joy are white like milk, an analogy which the author expands further by saying that some fisici postulate that tears can be seen as the blood of the soul (lacrimas esse quasi sanguinem animae). It is unclear who are the natural philosophers the author has in mind here but this memorable description of the tears is found, for example, in a homily of Gregory the Great (d. 604)8 and, even more pertinently, in Rupert of Deutz’s treatise De Trinitate et operibus eius written around 1112-11169. The author adopts the analogy but clarifies that in his opinion no tear can 8 See GREGORIUS MAGNUS, XL homiliarum in Evangelia duo, Homilia XX, in PL 76, col. 1166D: “Sicque mentem dolore compunctionis perforant, ut ab eorum oculis, quasi quidam sanguis animae, lacrymae decurrant.” This homily is inspired by Luc. 3:1-11, so the phrase about the tears appears in the context of Christ’s preaching baptism and repentance in the region around Jordan. 9 See RUPERTUS TUITIENSIS, De sancta trinitate et operibus eius, lib. 34-42: De operibus spiritus sancti 9, 4, in Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis 24, ed. H. HAAKE, Turnhout 1972, p. 2103.99-101: “Hoc autem utriusque commune est, quod uterque animam pungit, et quasi sanguinem animae lacrimas per oculos emittit, diuersis tamen causis agentibus.” Book 9 of Rupert’s On the works of the Holy Spirit deals with the gift of timor, a concept that is very important for the author of the De essentia and one which he explores in more detail in paragraph 8 of the work.
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be considered beneficial unless it originates from the soul. This statement corroborates his declaration in paragraph 2 that he is not interested in talking about either lacrime naturales or lacrime carnales which are generated by natural causes in the flesh. After this psychosomatic section, paragraph 6 poses a new question: What is the relationship between tears of pain and tears of joy? It is normal, the author says, for lacrime doloris to change into lacrime gaudii; however, the opposite is not the case. Within the tears of joy themselves, tears of hope can become tears of fulfillment, while tears of fulfillment are not likely to turn into tears of hope. This “one-way only” directional link is not detected in the subdivisions of tears of pain, where lacrime timoris and lacrime desiderii can easily transform into one another. The reason for this permeability lies in the nature of dolor which not only causes fear and desire but is also one of the characteristics of these complex emotional states. Here for the first time the author mentions the person who is actually crying, namely, the sinner (peccator homo) who is torn between different emotions as he weeps in penance for his wrongdoings. The following paragraph, no. 7, proceeds in addressing the important issue of what makes lacrime spirituales effective in God’s eyes. Not surprisingly, the author insists that the power (uirtus) of the tears depends not on their external but on their internal effusion. Abundance is of no consequence here; rather, what matters is the reason (gratia) behind the weeping, for God considers a few tears to be as powerful as many. In the final paragraph, no. 8, the author explains from where the spiritual tears are born. He links their origin to the inner fons et flumen Spiritus Sancti which flows in seven invisible springs symbolizing the seven gifts of the Holy Spirit enumerated in the well-known and often cited passage in Isaiah 11:2-3. Each spring/gift produces its own specific type of lacrime spirituales, as can be seen in the following table: Dona Spiritus Sancti
Lacrime que ex donis Spiritus Sancti nascuntur
timor
lacrime doloris
sapiencia
lacrime gaudii perfruicionis
pietas
lacrime desiderii
intellectus
lacrime spei
sciencia
lacrime timoris et desiderii
fortitudo
lacrime spei et perfruicionis
consilium
lacrime tam timoris et desiderii quam spei et perfruicionis
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This is an ingenious way of linking spiritual gifts with spiritual tears, even though the author was not able to execute this scheme perfectly because timor is both a gift of the Holy Spirit and a subtype of lacrime doloris. He deals with this problem by stating that the gift of timor simply causes lacrime doloris rather than lacrime doloris timoris, which would have been the parallel to lacrime gaudii perfruicionis brought forth by the gift of sapiencia. Thus, fear causes tears of pain, while tears of pain themselves can be shed as tears of fear. There is a high level of spiritual anxiety in this equation. Another interesting observation can be made in regard to the gift of consilium which comes as last on the list and which is capable of engendering all types of spiritual tears, from those of fear and desire to those of hope and fulfillment. In consequence, it seems that in the context of crying and tear shedding the gift of consilium is of greatest importance, which is not the case for Isaiah who presents the dona Spiritus Sancti in a different order than our text and who starts his list with sapientia and ends it with timor, with consilium holding a third and somewhat inconspicuous position. Here the text of the De essentia et natura lacrimarum ends. As already mentioned, it is unclear whether there were further considerations included in the manuscript or whether this was everything the author wanted to say. Even as it stands, the composition is well structured, so it is conceivable that nothing is actually missing from it. The argument moves logically from offering a general classification of all tears to explaining that the work will focus only on the true spiritual ones which are in fact the only tears that matter. These are then examined in various contexts: first, their physical characteristics are presented; then, how they affect the human body and soul is explained; and finally, their power and connections to the gifts of the Holy Spirit are discussed. This is a fine exercise in scholastic reasoning and knowledge organization, offering an original interpretation of a topic of great importance: what kind of tears should the penitent shed and where should these tears come from10.
10 For broader discussion on the different aspects of crying in the Middle Ages, see P. NAGY, Le don des larmes au Moyen âge: un instrument spirituel en quête d’institution (VeXIIIe siècle), Paris 2000; and various essays included in the compilations Lachrymae. Mito e metafora del pianto nel Medioevo, ed. F. MOSETTI CASARETTO, Alexandria 2011; and Crying in the Middle Ages. Tears in History, ed. E. GERTSMAN, New York – London 2012 (Routledge Studies in Medieval Religion and Culture 10).
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III. Editorial Principles At present the only known manuscript of the De essentia et natura lacrimarum is Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10380 (B). Still, even though we are dealing with a single witness, the edition presented below is not a diplomatic one. In fact various changes have been introduced in order to make the text useful to the modern reader: 1) The De essentia is copied continuously in B. However, in the edition the text is divided into paragraphs which make it easier to follow the author’s arguments. 2) As already mentioned, the De essentia sparked the interest of at least one later reader who left traces in B in three ways: first, by drawing on p. 404 a table of the types of tears based on paragraph 2; this table is not included in the edition because it does not significantly advance our understanding of the text (instead, this article contains a more useful modern diagram); second, by offering two important additions in paragraphs 2 and 7 which have been adopted in the edition11 in contrast to additions that are unnecessary and have thus not been adopted12; and, third, by correcting some of the orthography of the original, mostly by adding the missing “h” at the beginning of words or by expanding some of the collapsed “ae” diphthongs. Neither of these orthographical interventions was done thoroughly. Since the use of the “ae” diphthong in the original copy of the De essentia is inconsistent, I have not adopted the later corrections of diphthongs, thus presenting what is in B, even though the original scribe himself oscillates between orthographical conventions. However, the situation with the added “h” is different — the original scribe, probably of Italian origin, wrote some strange looking forms, such as “ec” for “hec”, “oc” for “hoc”, and “omo” for “homo”. The later reader corrected all of these, and I have followed suit, merely for the reader’s convenience. Still, all the corrections (accepted or rejected) are recorded in the notes to the edition. Further obvious scribal errors have also been corrected and included in the notes. Edition of the De essentia et natura lacrimarum (B, pp. 402-404) Quoniam de lacrimis mulieris13 peccatricis aliquantulum Deo donante tractauimus, sumpta exinde occasione de essentia et natura lacrimarum aliquid tractare Domino inspirante disponimus. Sed quia genus 11
See below, notes 12, 22, and 43. See below, notes 18, 19, 20, and 41. 13 On the rest of the line, slightly erased: “… misit dominus soporem in ac…”; it does not seem to belong to the text on tears. 12
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et totum melius semper cognoscitur, quando illut per species et hoc per partes subdiuiditur, uolumus lacrimarum quandam facere subdiuisionem, ut per eam lector maiorem earum14 habeat cognitionem. Lacrimarum igitur alie sunt uere, alie ficte. Vere lacrime alie sunt naturales, alie causales. Causales autem eas uocamus quae preter naturam habent aliquam causam, a qua nascuntur, sicut quae nascuntur a dolore uel gaudio. Causales uero lacrime alie fiunt pro se, alie fiunt pro aliis. Quae autem fiunt pro se, alie sunt spirituales, alie carnales. Spirituales uero alie sunt doloris, alie gaudii. Lacrime quoque doloris alie sunt timoris, alie desiderii. Item lacrime gaudii alie sunt spei, alie perfruicionis. Omittamus uero fictas et carnales lacrimas, sed neque de naturalibus oportet ut aliquid loquamur. De ueris autem et spiritualibus lacrimis, quae fiunt pro se, Deo adiuuante tractemus et de eis15 quae fiunt pro aliis interim pretermittamus. Illas fictas et carnales lacrimas longe faciat Deus a cordibus nostris. Has autem ueras et spirituales infundat Deus cottidie oculis cordis16 nostri et oculis corporis nostri. Sciendum itaque est quod uere et spirituales17 lacrime aut procedunt a dolore aut procedunt a gaudio. Quae uero a dolore procedunt aut exeunt a timore aut a desiderio. Et notandum quod iste quae ueniunt tam a timore quam a desiderio amare sunt et turbulente18, sed amare sunt aequaliter, turbulente non equaliter. Magis19 turbulente sunt in sui natura lacrime doloris et timoris quam lacrime doloris et desiderii. Ille20 ex omni parte turbulente sunt, iste autem ex una parte sunt turbulente et ex altera sublucide. Et ille quidem grauiter exeunt et abundanter fluunt, iste uero suauiter ueniunt et sic abundare non queunt21. Item sciendum est quod lacrime spiritualis gaudii aut sunt spei aut perfruicionis. Notandum uero est quod et ille quaeque sunt spei et iste quaeque sunt perfruicionis lucide sunt et dulces. Sed lucide aequaliter, dulces non equaliter. Dulciores enim uero sunt22 lacrime gaudii quo iam perfruimur quam lacrime gaudii quod adhuc23 speramus et iste quidem perfruicionis cum quodam impetu et quadam abundantia incipiunt, sed 14
earum] aearum B de eis] deis B 16 cordis] add. B sup.l. alia manu 17 spirituales] spuales B 18 turbulente] non equaliter add. B sup.l. alia manu 19 magis] enim add. B sup.l. alia manu 20 ille] enim add. B sup.l alia manu 21 queunt] quaeunt B 22 uero sunt] add. B sup.l alia manu 23 adhuc] aduc B a.c. alia manu 15
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subito paulatim decrescunt atque deficiunt. Ille autem spei tepide quidem incipiunt, sed subito crescunt et abundanter fluunt. Harum uidelicet || (p. 403) perfruicionis principium delectabilius et iocundius est quam finis, illarum uero finis delectabilior et iocundior est quam principium. Preterea et hoc24 intelligendum est quod lacrime doloris quasi ab imo ad cor ascendunt. Lacrime25 uero gaudii quasi ab alto in cor descendunt. Ille quidem si longo tempore exeant, acies oculorum perturbant et lumen interdum auferunt, iste uero turbatos oculos purificant et lumen clarius faciunt. Ille quoque hominem debilitant et humorem carnis exsiccant, iste uero quodam modo hominem roborant et carnem nutriunt. Ille aliquando paciuntur fastidium, iste uero semper habent26 delectamentum. Et ille quidem faciunt hominem27 in rebus exterioribus caute esse sollicitum, iste uero a curis secularibus faciunt hominem esse alienum. Ille faciunt hominem28 pro se anxium, iste autem faciunt in se quietum. Per illas reuocatur homo29 ad sui cognitionem, per istas uero transit homo30 in sui obliuionem. Per illas homo ad cor redit, per istas uero mente excedit. Ille quidem actiue uite31 sunt proprie, iste uero uitae contemplatiuae32 sunt socie. Ille interdum rubescunt similes sanguini, iste aliquando albescunt similes lacti. Fuerunt33 quidam fisici qui dixerunt lacrimas esse quasi sanguinem anime34. Nos uero scimus et dicimus quia non est utilis lacrima que35 quodam modo non generatur ab anima. Inter hec36 autem est aliquid quod ignorare non expedit, quia lacrime doloris naturaliter in lacrimas gaudii conuertuntur, lacrime uero gaudii ad lacrimas doloris non reuertuntur. Similiter et lacrime37 spei naturaliter in lacrimas perfruicionis transeunt, lacrime uero perfruicionis ad lacrimas spei naturaliter non redeunt. Hoc autem intellegi non potest 24
hoc] oc B a.c. alia manu lacrime] lacri B a.c. 26 habent] abent B a.c. alia manu 27 hominem] ominem B a.c. alia manu 28 hominem] ominem B a.c. alia manu 29 homo] omo B a.c. alia manu 30 homo] omo B a.c. alia manu 31 actiue uite] actiuae uitae B p.c. alia manu 32 contemplatiue] contemplatiuae B p.c. alia manu 33 fuerunt] furunt B a.c. alia manu 34 anime] animae B p.c. alia manu; cfr GREGORIUS MAGNUS, XL homiliarum in Evangelia duo, Homilia XX, PL 76, col. 1166D; and RUPERTUS TUITIENSIS, De sancta trinitate et operibus eius, lib. 34-42: De operibus spiritus sancti 9, 4, in CCCM 24, p. 2103.99-101. 35 que] quae B p.c. alia manu 36 hec] ec B a.c. alia manu 37 lacrime] lacrimae B p.c. alia manu 25
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de lacrimis timoris et desiderii. Ille enim naturaliter in se ipsas inuicem conuertuntur, quoniam peccator homo38 sepe et naturaliter de lacrimis timoris ad lacrimas desiderii ascendit et de lacrimis desiderii in lacrimas timoris descendit. Hoc uero fit ex natura doloris que39 est in utrisque. Vtreque enim iste lacrime, sicut supra dictum est, a dolore nascuntur. Doloris autem natura haec40 est, ut presens dolor semper uelit a dolente mutari aut in gaudium aut in dolorem alium. Preterea sciendum est41 quod uirtus spiritualium lacrimarum non est in exteriori effusione et abundancia, sed in interiori infusione et gratia. Tanta enim est semper uirtus earum quanta est gratia a qua infunduntur et non tanta semper est quanta est habundantia42 qua effunduntur. Sepe enim contingit ut aput Deum pauciores lacrime uirtutem et effectum multarum lacrimarum obtineant et multe lacrime43 non amplius quam pauciores proficiant. Intus est enim fons et flumen spiritus sancti, a quo fluunt lacrime uiue. De hoc44 fonte dicit Dominus in Euangelio: Fiet in eo fons aque45 salientis in uitam eternam46. Fons iste quamuis in seipso sit indiuisibilis, tamen in septem fontes47 quodam modo diuiditur. De eis48 fontibus in psalmo49 sic inuenitur: Qui emitis fontes in conuallibus50. Emittit enim Deus “fontes in conuallibus”, quia dona Sancti Spiritus largitur51 humilibus52. Isti itaque septem fontes septem sunt sancti spiritus dona que53 propheta enumerat dicens: Spiritus sapiencie et intellectus, spiritus consilii et fortitidinis, spiritus sciencie54 et pietatis, et repleuit eum spiritus timoris Do-
38
homo] omo B a.c. alia manu que] quae B p.c. alia manu 40 haec] ec B a.c. alia manu 41 est] nimis honoris add. B in marg. alia manu 42 habundantia] abundantia B a.c. alia manu 43 pauciores lacrime] cancelauit, pauciores lacrime uirtutem … obtineant et multe lacrime add. B in marg. alia manu 44 hoc] oc B a.c. alia manu 45 aque] aquae B p.c. alia manu 46 Ioh. 4:14 47 fontes] B p.c. 48 de eis] deis B 49 psalmo] spalmo B 50 Ps. 103:10. 51 largitur] gi B sup.l. 52 humilibus] umilibus B a.c. alia manu 53 que] quae B p.c. alia manu 54 sciencie] scienciae B p.c. alia manu 39
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mini55. Ab his septem spiritibus tamquam a septem fontibus omnes riui spiritualium lacrimarum procedunt non omnes ab omnibus, sed alii ab aliis et alii ab aliis56. Qui autem a quibus nascantur, eodem spiritu sancto docente desideramus ostendere. A fonte enim et spiritu timoris naturaliter nascuntur lacrime simplicis57 doloris sicut a fonte et spiritu sapiencie nascuntur naturaliter lacrime gaudii perfruicionis. A fonte et spiritu pietatis nascuntur lacrime desiderii sicut a fonte et spiritu intellectus nascuntur lacrime spei. A fonte uero sciencie procedunt pariter lacrime timoris58 || (p. 404) et desiderii sicut a fonte fortitudinis procedunt pariter lacrime spei et perfruicionis. A fonte consilii nascuntur tam lacrime timoris et desiderii quam lacrime spei et perfruicionis.
55
Is. 11:2-3. aliis] alis B a.c. 57 simplicis] simplici B 58 timoris] timo add. B sub l. 56
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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10380, p. 402.
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10380, p. 403.
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GRETI DINKOVA-BRUUN
Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10380, p. 404.
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DANIELA DI PINTO
NOTIZIE PRELIMINARI SUL FONDO DELLA CURIA DI FRASCATI CONSERVATO NELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA* Vicende storiche L’archivio della Curia di Frascati entrò in Biblioteca Vaticana tra il 2 e l’11 marzo del 1944 insieme al prezioso patrimonio librario della biblioteca del Seminario di Frascati, fondata dal cardinale Enrico Benedetto Maria Clemente Stuart duca di York (Roma, 6 marzo 1725 – Roma, 13 luglio 1807). I libri e i documenti furono trasferiti per la loro tutela a seguito dei bombardamenti che colpirono la città di Frascati (allora sede del comando superiore germanico retto dal feldmaresciallo Albert Kesserling), che ne avevano compromesso la conservazione presso la sede originaria1. Figura importante in questo particolare periodo fu il Bibliotecario e Archivista di S.R.C., il cardinale Giovanni Mercati (1866-1957)2 «interprete della sollecitudine di Papa Pio XII, a questo riguardo e animatore alacre e illuminato di tutta questa molteplice e perseverante azione»3. Il 1 novembre del 1942 trasmise una lettera ai vescovi italiani per avviare un censimento degli archivi e delle biblioteche ecclesiastiche4. * Questo articolo presenta i primi risultati e gli studi avviati sul fondo della Curia di Frascati fino a oggi inesplorato. Il progetto avviato nel 2017 è articolato in più fasi: il riordinamento della documentazione, la riorganizzazione delle serie originarie, l’elenco di consistenza, l’inventario analitico informatizzato e gli indici. Il presente articolo illustra i primi dati sul lavoro iniziale della prima e della seconda fase. Ringrazio il direttore della Sezione Archivi Marco Buonocore, per aver donato parte del materiale da lui raccolto in occasione della pubblicazione dei suoi studi sulla Biblioteca del Cardinale di York. 1 Sulle vicende belliche che hanno colpito la città di Frascati oltre ai manuali di storia generale si vd. Frascati 8 settembre 1943 – 4 giugno 1944, Frascati 1977; R. DEL NERO, L’8 settembre 1943 a Frascati: sessanta anni dopo, Roma 2003; L. DE FELICI, 8 settembre 1943 – 8 settembre 2015: 70 anniversario del bombardamento di Frascati, Frascati 2013 (Collana saggi e documenti, 10); V. MARCON, Il ruolo del clero e delle comunità religiose di Frascati dopo l’8 settembre 1943, Frascati 2013; G. ALVAREZ, Tra le macerie di Frascati: ricordi personali, Frascati 2013. 2 Si rimanda essenzialmente a P. VIAN, Mercati, Giovanni, in DBI, 73, Roma 2009, pp. 599-603. 3 N. VIAN, La biblioteca del Cardinale di York ricuperata fra le rovine di Frascati a opera della Biblioteca Vaticana, in Ecclesia 3 (1944), p. 24. 4 Cfr. G. BATTELLI, Il censimento degli archivi ecclesiastici d’Italia e la loro tutela durante Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 181-199.
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DANIELA DI PINTO
Nel novembre 1943, quando le operazioni belliche arrivarono in Campania, la Santa Sede ritenne opportuno adottare misure per la salvaguardia del patrimonio storico5, dal momento che il pericolo era rappresentato non solo dagli attacchi da terra ma anche dalla continua minaccia aerea6. Dalla Segreteria di Stato furono inviati ai vescovi di Lazio, Abruzzo, Marche, Umbria e Toscana, istruzioni al fine di assicurare la tutela dei beni presso le loro sedi o di coordinare il successivo trasporto temporaneo presso la Santa Sede7. In questa impresa Mercati fu coadiuvato dal fratello Angelo8, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, e per la parte pratica, da Giulio Battelli, archivista e delegato della Segreteria di Stato, nonché dalle autorità tedesche e poi da quelle alleate. Si avviò così l’opera di salvaguardia degli archivi ecclesiastici tramite l’Archivio Segreto, che si attuò tra il 1939 e il 1945, poi descritta in maniera dettagliata nei saggi di Giulio Battelli9, e quella di vigilanza sugli archivi ecclesiastici diventò più intensa e capillare fra il gennaio del 1943 e il maggio del 1944. Battelli svolse i sopralluoghi in trentasette località e successivamente vi ritornò per prendere in consegna documenti, manoscritti e oggetti quando si decise di trasferirli per la loro momentanea protezione a Roma10. Il cardinale Segretario di Stato Luigi Maglione, a partire dal dicembre del 1943, provvide a inviare ai presuli, presso i quali si recavano le la guerra, in Rivista di storia della chiesa in Italia 1 (1947), pp. 113-116 ora in G. BATTELLI, Scritti scelti. Codici, documenti, archivi, Roma 1975, pp. 85-90. Per il testo della lettera cfr. BAV, Arch. Bibl. 211, infra f. 67r-70v. Per il censimento degli archivi ecclesiastici si vd. S. PAGANO – G. VENDITTI, Il censimento degli archivi ecclesiastici d’Italia del 1942, [v. 8] LazioCampania-Beneventana-Lucania e Salernitano, Città del Vaticano 2011 (Collectanea Archivi Vaticani, 80), pp. 7-12. 5 Per una descrizione dei danni rilevati negli archivi ecclesiastici durante la guerra si rimanda essenzialmente a: G. BATTELLI, Gli archivi ecclesiastici d’Italia danneggiati dalla guerra, in Rivista di storia della chiesa in Italia 1 (1947), pp. 306-308 ora in BATTELLI, Scritti scelti cit., pp. 93-95. 6 Biblioteche ospiti della Vaticana nella Seconda Guerra Mondiale, col catalogo dei cimeli esposti nel Salone Sistino, Città del Vaticano 1945, pp. 17-18, 32-34, 49-53 nn. 72-107 [= Libraries guests of the Vaticana during the Second World War: with the catalogue of the exhibition, Vatican City 1945, pp. 17-18, 32-34, 49-53 nn. 72-107], p. 5. 7 Ibid. 8 Si rimanda essenzialmente a P. VIAN, Mercati, Angelo, in DBI, 73, Roma 2009, pp. 596599. 9 Per un approfondimento della descrizione di questa complessa operazione si rimanda a E. LAVAGNINO, Diario di un salvataggio artistico, in Nuova Antologia, agosto (1974), pp. 509547 (pp. 514, 519, 521, 528-530, 538-539, 541, 543); G. BATTELLI, Archivi, biblioteche e opere d’arte. Ricordi del tempo di guerra (1943-46), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 7 (2000) (Studi e testi, 396), pp. 53-104. 10 G. BATTELLI, Per la tutela del patrimonio storico e archivistico, in Ecclesia 4 (1945), pp. 118-121 ora in BATTELLI, Scritti scelti cit., pp. 65-72.
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missioni vaticane, una lettera in cui si «invitava a considerare l’opportunità di trasferire immediatamente in luogo sicuro i cimeli storico-bibliografici ed artistici conservati presso gli Enti ecclesiastici di codesta diocesi»11. Mercati fece recapitare il 23 giugno del 1944 una lettera ai parroci del Lazio inferiore e della Campania invitando, pur nelle difficoltà belliche «al diligente ricupero, sia dalle rovine, sia dai rifugi, sia dai privati … delle carte degli archivi ecclesiastici, degli arredi sacri e di ogni altra proprietà della chiesa»12 e a riferire sullo stato degli archivi e delle biblioteche. Durante i bombardamenti che colpirono più volte Frascati (i maggiori danni avvennero il giorno 8 settembre 1943), gravi ingiurie subirono la rocca e il seminario, che andò quasi completamente distrutto. Le preoccupazioni sulle sorti dello stato dei beni e sul prezioso patrimonio della biblioteca del cardinale Duca di York insorsero subito dopo e la direzione della Biblioteca Vaticana optò immediatamente per un sopralluogo, effettuato nel dicembre del 1943 dal prefetto della Biblioteca Vaticana, padre Anselmo Albareda13 accompagnato da mons. Biagio Budelacci14, vescovo di Frascati15. Nonostante i gravi danni, fu subito possibile ritenere che, se si fosse agito in fretta spostando il materiale, questo si sarebbe potuto salvare prima dell’arrivo di nuove e deleterie azione belliche; vennero così predisposte le operazioni necessarie, quali stabilire la mole del materiale da spostare e scegliere la via per il trasporto. L’urgenza dell’intervento, che avrebbe necessitato di non poco personale per la preparazione degli imballaggi, consigliò di usufruire della disponibilità dei monaci che dimoravano nel vicino eremo camaldolese. Furono trasferite numerose casse di libri dal Seminario vescovile, compreso il prezioso posseduto librario del cardinale Duca di York. Il prefetto ricevette in consegna alcuni oggetti d’arte del duomo e della villa di Mondragone e trattò anche con il principe Aldobrandini: infatti il ricco archivio della famiglia fu poi trasferito all’Archivio Segreto il 25 maggio del 194416. 11 S. PAGANO, «Scrinium Tutum»: l’Archivio Segreto Vaticano rifugio di tesori d’arte e di storia durante l’ultima guerra (1940-1945), in Miscellanea in honorem C. Kecskeméti, Archives et Bibliothèques de Belgique 1998, pp. 377-406, p. 384. 12 Per il testo completo della lettera si vd. BAV, Arch. Bibl. 211, f. 71rv. 13 PAGANO, «Scrinium Tutum» cit., pp. 390-391. 14 Biagio Budelacci (18 giugno 1888 – 27 agosto 1973), vescovo ausiliario emerito di Frascati dal 1936 al 1962, cittadino onorario di Frascati e di Rocca Priora, venne decorato con la medaglia d’argento al valore civile per il coraggio e la dedizione dimostrati durante il bombardamento di Frascati dell’8 settembre 1943: Annuario Pontificio 1939, Città del Vaticano 1939, p. 444. 15 Per una descrizione dettagliata del sopralluogo cfr. Biblioteche ospiti della Vaticana cit., pp. 32-34. 16 Così PAGANO, «Scrinium Tutum» cit., p. 391: ASV, Archivio della Prefettura, diari di
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Ma i trasferimenti, presso la Biblioteca Vaticana, riguardarono anche altri importanti centri culturali minacciati dalla presenza militare come Montecassino, Grottaferrata, Ariccia, Poggio Nativo, Ponticelli e Roma stessa17. Completato il trasferimento da tutte le città18, molte di queste opere furono esposte in una mostra allestita appositamente nella Biblioteca Vaticana, visitata anche da Pio XII l’11 aprile del 194419, il quale espresse le sue congratulazioni e il suo compiacimento per l’opera di recupero svolta da Mercati nonché dai prefetti della Biblioteca Vaticana e dell’Archivio Segreto20 e dai loro collaboratori. Da Frascati pervennero la biblioteca del Seminario vescovile formata da manoscritti e stampati, la biblioteca dell’Episcopio, l’archivio diocesano, l’archivio Aldobrandini21 e la biblioteca del cardinale York costituita da circa 15000 volumi22. Da segnalare anche la presenza di due porte scolpite, quattrocentesche, appartenute alla famiglia Della Rovere che si trovavano nell’episcopio di Frascati. Di tale operazione si conservano presso l’archivio della BAV due lettere del febbraio e dell’aprile del 1944, inviate per organizzare il trasporto dei libri e dei documenti23: «29 febbraio 1944 Illustrissimo Sig. Ingegnere, mons. Angelo Mercati, II; p. 123: “Il 25 maggio del 1944 fu qui depositato dal principe Aldobrandini l’archivio della sua Casa, trasportato da Frascati: si stabilirà il da farsi”. 17 Per l’elenco completo delle istituzioni appartenenti alle località indicate cfr. Biblioteche ospiti della Vaticana cit., pp. 11-12. Per le notizie dei trasferimenti delle biblioteche presso la BAV si vd. Il regno d’Italia, 29 febbraio (1944); Il Corriere di Roma, 23 giugno (1944), Il popolo, n. 74, 28 marzo (1945), p. 2; Il Quotidiano, n. 86, 15 aprile (1945), p. 1; L’Osservatore romano, n. 15, 15 aprile (1945), pp. 4-5, foto p. 1. 18 Sulle vicende del trasferimento della biblioteca del seminario di Frascati e dell’archivio della Curia di Frascati presso la BAV si vedano essenzialmente L’Osservatore Romano, 13 e 16 aprile (1944), p. 8; VIAN, La biblioteca del Cardinale di York cit., pp. 24-26; Biblioteche ospiti della Vaticana cit., pp. 17-18, 32-34, 49-53; BATTELLI, Gli archivi ecclesiastici cit., p. 308 ora in BATTELLI, Scritti scelti cit., p. 95; G. GRAGLIA, The Vatican Library during the War, in The Library Quateternely 17 (1947), p. 221; P. BINDELLI, Enrico Stuart Cardinale Duca di York, Frascati 1982, pp. 123-137; PAGANO, «Scrinium Tutum» cit., pp. 390-391; BATTELLI, Archivi, biblioteche e opere d’arte cit., p. 59. 19 Cfr. Biblioteche ospiti della Vaticana cit., p. 6. Per la cronaca dell’evento cfr. Il giornale d’Italia 12 e 14 aprile (1944); Il Messaggero 12 aprile (1944); L’Osservatore Romano 13 aprile (1944), La Tribuna 13 aprile (1944). 20 Cfr. L’Osservatore romano, n. 91, 16 aprile (1944), p. 8. 21 Biblioteche ospiti della Vaticana cit., p. 11; PAGANO, «Scrinium Tutum» cit., pp. 390-391. 22 Una raccolta delle foto di alcuni libri e documenti esposti sono conservati nell’archivio della BAV in particolare le foto del libro d’ore della Biblioteca del seminario (BAV, Arch. Bibl. 211, ff. 141-142) e degli stemmi degli Stuart (BAV, Arch. Bibl. 211, ff. 129-130). 23 I documenti relativi al trasferimento e all’arrivo delle casse presso la BAV fanno parte dell’Archivio della Biblioteca Apostolica Vaticana.
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A nome di Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Bibliotecario di S.R.C, La prego di voler dare le disposizioni necessarie perché un autotreno della Città del Vaticano possa recarsi, giovedì 2 marzo, in mattinata, a ritirare la preziosissima biblioteca del Cardinale Duca di York (di un peso di circa 80 quintali) rimasta finora a Frascati e soggetta ad imminenti pericoli. Sono stati già presi gli accordi opportuni con Sua Eccellenza Mons. Vescovo Ausiliare di Frascati, il quale, alle 8 a.m. del predetto giorno, si troverà sul posto con gli uomini necessari per effettuare rapidamente il carico dell’autotreno. Ringraziamo vivissimamente per quanto Ella vorrà fare. La prego Ill.mo Signor Ingegnere, di gradire l’espressione del mio migliore ossequio. Ill.mo Signore Cav. di Gr.Cr. Ing. Enrico. P. Galeazzi Direttore Generale dei Servizi Tecnici ed Economici dello Stato della Città del Vaticano»24.
Nella seconda lettera del 29 aprile 1944 si richiede di continuare il sopralluogo presso le altre località della diocesi di Frascati: «29 aprile 1944 Illustrissimo Sig. Ingegnere, La prego vivamente di voler mettere una macchina a mia diposizione per la giornata del prossimo martedì 2 maggio, dovendo io eseguire un sopraluogo a Grottaferrata, Rocca di Papa, Frascati, Montecompatri e Rocca Priora, per il ricupero di diversi libri preziosi ed opere d’arte. Ringraziando in anticipo, Le rinnovo i più distinti saluti. Prefetto Ill.mo Signore Cav. di Gr. Cr. Ing. Enrico. P. Galeazzi Direttore Generale dei Servizi Tecnici ed Economici Città del Vaticano»25.
Secondo le stime, sarebbero stati necessari per il trasporto dei libri quattro camion in un’unica giornata. Tuttavia, fu adoperato un unico camion, il solo disponibile in quel momento, contrassegnato “S.C.V 188”26 e le operazioni di trasporto si svolsero in più giorni. I seguenti documenti riportano la cronaca dell’arrivo del materiale dalla città di Frascati e dalle altre località27: 24
BAV, Arch. Bibl. 211, f. 80r. Ibid., f. 83r. 26 Biblioteche ospiti della Vaticana cit., p. 33. 27 BAV, Arch. Bibl. 211, f. 7rv: il documento elenca anche le altre biblioteche oggetto del 25
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«Cronaca: […] Frascati 1 e 2 arrivo 1944 marzo 2 Frascati 3 arrivo 1944 marzo 3 Frascati 4 arrivo 1944 marzo 11 (C. York. Arch. Vescovile, Bibl. Vescovile)»28. «29 febbraio 1944 – Sopraluogo ore 10-12 a Frascati per Biblioteca de York 2 marzo 1944 ore 6 1/2 partenza per Frascati, caricata parte della Biblioteca del Card. de York con aiuto dei Padri Camaldonesi, ritorno in Vaticano alle ore 12.30 scaricati libri nella sala delle stampe. Alle ore 13.30 ripartiti per Frascati e caricati altri volumi: ritorno in Vaticano ore 18. 3 marzo. Partenza ore 14 per Frascati ove caricata rimanenza biblioteca de York e parte dell’archivio della Curia Vescovile. Ritorno in Vaticano ore 19. 11 marzo 1944. Partenza per 7: caricati i rimanenti volumi dell’Archivio della Curia Vescovile e la scelta della Biblioteca della Curia medesima; ritorno in Vaticano ore 15.30. – Scaricato materiale ai Quattro Cancelli. Tutti e quattro i viaggi sono stati compiti con camion S.C.V. 188»29. «Nei giorni 2-3. III. 1944 venne ricuperata, dall’edificio colpito, e trasportata in Vaticano, la Biblioteca del cardinale di York conservata presso il Seminario Vescovile di Frascati (circa 15000 stampati e i diversi manoscritti, alcuni dei quali preziosi). Dalla medesima città, il 3 e 11.III, furono portati l’Archivio e parte della Biblioteca della Curia Vescovile, inoltre due preziose porte lignee quattrocentesche, appartenute ai della Rovere»30.
Il cardinale Duca di York Enrico Benedetto Maria Clemente Stuart Duca di York, nacque a Roma il 6 marzo 1725 da Giacomo III (1688-1766) e da Maria Clementina Sobieski (1702-1735), fratello minore di Carlo Eduardo (1720-1788) quarto pretendente della linea cattolica degli Stuart, al trono d’Inghilterra, Scozia e Irlanda31. A soli ventidue anni nel concistoro del 3 luglio 1747 fu nominato cardinale da papa Benedetto XII. trasferimento presso la Santa Sede: l’Accademia Polacca, le Biblioteche di Roma, Montecassino, Steinmann, Grottaferrata, S. Girolamo, Poggio Nativo-Ponticelli, l’Archivio Chigi. 28 Ibid., f. 7r. 29 Ibid., f. 8r. 30 Ibid., f. 89r. 31 Per le informazioni bibliografiche sul cardinale, da integrare con le numerose voci presenti nei Dizionari bibliografici italiani e stranieri, fondamentali rimangono: A. SHIELD, Henry Stuart cardinal of York and his times. With an introduction by Andrew Lang, London – New York 1908; P. BINDELLI, Enrico Stuart Cardinale cit. Vd. anche A. ATTI, Il cardinale duca di York, vescovo della citta e diocesi di Frascati: cenni storici …, Roma 1868; B. W. KELLY, Life of Henry Benedict Stuart, Cardinal Duke of York. With a Notice of Rome in his time, London
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Ebbe una prestigiosa carriera che lo vide ricoprire cariche di prim’ordine, tra le quali, nel 175132, quelle di arciprete della basilica Vaticana, di camerlengo di Santa Romana Chiesa, di arcivescovo titolare di Corinto; fu nominato vescovo della diocesi suburbicaria di Frascati da papa Clemente XIII il 13 luglio del 1761, facendovi poi ingresso il giorno 19, carica che ricoprì fino al 1803, quando venne nominato vescovo della diocesi suburbicaria di Ostia e Velletri il 26 settembre 1803. Il 24 gennaio del 1763 era stato nominato vicecancelliere di Santa Romana Chiesa ricevendo in commendam la chiesa di San Lorenzo in Damaso (negli atti si conserva un registro denominato “Cancelleria e San Lorenzo in Damaso”33). Morì il 13 luglio del 1807 nella sua amata Frascati, dove aveva richiesto di poter continuare a dimorare anche dopo la nomina alla diocesi di Ostia e il suo corpo, insieme a quello del fratello Carlo Eduardo, che in un primo momento era stato ospitato nella cattedrale di Frascati, fu sepolto nella Basilica Vaticana. Nel 1815 Antonio Canova ebbe l’incarico di redigere il cenotafio ancora oggi presente, addossato al primo pilastro della navata meridionale della basilica di San Pietro in Vaticano34. Durante il papato di Pio IX, dopo la 1899; S. BORGIA, Letters from the Cardinal Borgia and the cardinal of York MDCCXCIX-MDCCC, London 1800; H. M. VAUGHAN, The last of the royal Stuarts: Henry Stuarts, Cardinal Duke of York, [London] 1906; A. TAYLER, The Stuart papers at Windsor: being selections from hitherto unprinted royal archives, London 1939; I. S. MUNRO, Books and Henry Stuart, cardinal Duke of York, in Book handbook (December 1951 – March 1952), pp. 191-205; R. U. MONTINI, Il Cardinale duca di York, in Studi Romani 3 (1955), pp. 152-174; B. FOTHERGILL, The cardinal King, London 1958; C. PETRIE, Gli Stuart, Milano 1964; L. RAZZA, La Rocca di Frascati ed il cardinal Duca di York, in Casali e castelli a Roma e nel Lazio. Storia e leggende, Roma 1977 (Lunario Romano, 6), pp. 341-375; P. FERRARIS, Il Cardinale Duca di York e Frascati, in L’arte per i papi e per i principi nella campagna romana, grande pittura del ’600 e del ’700. Catalogo della Mostra: Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 8 marzo – 13 maggio 1990, Roma 1990, pp. 323-340; S. CABRAS, La cattedrale del Duca di York, in Il Consulente RE, 12, 6 (2003), pp. 34-37; T. DE JULIIS, A duecento anni dalla morte del Cardinale Duca di York (1807-2007), Frascati 2007, pp. 9-26; D. REZZA – M. STOCCHI, Il Capitolo di San Pietro in Vaticano dalle origini al XX secolo, I: la storia e le persone, Padova 2008, pp. 236-238, cfr. infra, nt. 62 e contesto. 32 Su questa nomina cfr. CITTÀ DEL VATICANO, Archivio del Capitolo di S. Pietro, Diari della Basilica Vaticana 9/2.30b, 1750-1758, ff. 66-67, 21 ottobre 1751 «Furono eletti dal rev. mo Capitolo quattro canonici deputati per andare a supplicare il Papa per la provvista del nuovo arciprete, e dopo pochi giorni fu da Sua Santità dichiarato Arciprete il Sig. Cardinale Enrico duca di York figlio del Re Giacomo d’Inghilterra, dopo la qual dichiarazione andarono li quattro canonici deputati a ringraziare il Papa, et a rallegrarsi a nome di tutto il Capitolo con Sua Altezza Reale e poi passarono ancora in tale ufficio con il Sud. Re Giacomo suo Padre […]». 33 BAV, Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.14, Registro della «Cancelleria di San Lorenzo in Damaso»,1779-1807, f. [61]. Si fa presente che la numerazione del Fondo della Curia di Frascati è ancora provvisoria. 34 Cfr. Roma sacra: guida alle chiese della città eterna [a cura di Soprintendenza per i beni
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richiesta del cardinale Pacelli nel 1938 e su commissione di re Giorgio VI, si accolse la proposta di dare più degna sepoltura ai tre appartenenti alla famiglia Stuart nelle grotte vaticane. Così le loro spoglie vennero riesumate e collocate in un loculo nella navata meridionale. L’anno seguente fu realizzato il sarcofago in travertino nella navata sinistra delle grotte vaticane, sul quale si riportò lo stesso titulus presente sul monumento di Canova: IACOBI III | IACOBI II MAGNAE BRIT(anniae) REGIS FILIO | KAROLO EDVARDO | ET HENRICO DECANO PATRVM CARDINALIVM | IACOBI III FILIIS | REGIAE STIRPIS STVARDIAE POSTREMIS | ANNO MDCCCXIX35. Per approfondire la figura del duca sono ancora da studiare i documenti nell’archivio Chigi conservato nella BAV, come già segnalato da Buonocore, i numerosi fondi manoscritti delle biblioteche inglesi, ove è raccolta la documentazione sul cardinale, i documenti del fondo notarile conservato presso la sede distaccata dell’archivio di Stato di Roma36 nonché gli importanti diari dell’archivio del Capitolo di San Pietro37. Il Seminario vescovile di Frascati e la sua biblioteca Dopo la sua inaugurazione avvenuta il 23 ottobre del 1775, il 3 dicembre dell’anno successivo il cardinale donò la sua preziosa biblioteca al Seminario38 (che aveva dotato dei servizi necessari, di una cappella affrescata dal pittore polacco Taddeo Kuntze e di una moderna tipografia nel 178439), come riportato nell’atto notarile redatto dal notaio Francesco Grilli at-
artistici e storici di Roma], Itinerari 21-22: San Pietro in Vaticano, Napoli 2001, p. 125; A. CESAREO, «He lives in princely splendor, patronizing the arts and entertaining lavishly…», in La Biblioteca del Cardinale. Enrico Benedetto Clemente Stuart Duca di York a Frascati 17611803, [Catalogo della mostra: Frascati, Scuderie Aldobrandini per l’arte, 13 dicembre 2008-18 gennaio 2009], a cura di M. BUONOCORE e G. CAPPELLI, Roma 2008 (Quaderni delle Scuderie Aldobrandini, 6), pp. 140-142. 35 Cfr. Roma sacra: guida alle chiese della città eterna [a cura di Soprintendenza per i beni artistici e storici di Roma], Itinerari 26-27: Le Grotte Vaticane, Roma-Napoli 2003, pp. 105106. 36 M. BUONOCORE, La biblioteca del cardinale Henry Stuart duca di York dal codice Vaticano latino 15169, Città del Vaticano 2007 (Studi e testi, 440), pp. 11-12. 37 Cfr. CITTÀ DEL VATICANO, Archivio del Capitolo di San Pietro, Diari della Basilica Vaticana 9/2.30a (1750 tomo I), 9/2.30b (1750-1758), 9/2.31 (1774-1793), 9/2.32 (1794-1799), 9/2.33 (1800-1811). Ringrazio il Prefetto dell’Archivio del Capitolo di San Pietro Mons. Mauro Ugolini per aver autorizzato la consultazione della documentazione e la disponibilità dell’archvista dott. Vincenzo Piacquadio. 38 Per approfondimenti sulla storia del seminario di Frascati si vd. in particolare ATTI, Il cardinale duca di York cit., in particolare Il cardinale duca di York e il Seminario Tuscolano, pp. 44-62; BINDELLI, Enrico Stuart Cardinale cit., pp. 106-123. 39 ATTI, Il cardinale duca di York cit., p. 19.
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tualmente conservato presso l’Archivio di Stato di Roma40 e trascritto da Buonocore41. Il catalogo della biblioteca, che costituisce il codice Vat. lat. 15169 è ampiamente descritto dallo stesso autore insieme ai manoscritti Vat. lat. 14948 contenente il catalogo alfabetico della biblioteca e Vat. lat. 14949 catalogo per materie del 184342. La sezione manoscritti della biblioteca del cardinale è stata inserita nei fondi Vaticani latini (Vat. lat. 12901, 12907, 13052, 13254-13255, 14935-14938, 14948-14949, 15120-15169)43 e Vaticani musicali (Vat. mus. 583)44; i due incunaboli hanno l’attuale segnatura Inc. York 2-345; all’imponente sezione degli stampati (la cui consistenza nel 1964 era di 9360 volumi46) è riservata la segnatura York47. Il 12 febbraio del 1770 papa Clemente XIV, pur non eliminando definitivamente l’unione del Seminario e delle scuole pubbliche con il collegio dei Gesuiti, sostituì al collegio il Seminario48 e lo stesso passò alla diretta dipendenza del vescovo tuscolano. Lo stesso pontefice, affinché gli studenti avessero un luogo degno per le sacre funzioni, il 10 novembre del 1772 concesse al Seminario la chiesa della Compagnia di Gesù con i suoi beni mobili e immobili, ragione e privilegi, con l’obbligo di adempiere a tutti gli oneri. Di questo importante passaggio conserviamo due volumi rilegati: nel primo si riporta il documento del 1 settembre 1770, successivo al breve di 40
Archivio di Stato di Roma, (sede succursale di via Galla Placidia), busta 401, Notaio Francesco Grilli 1776-1777, fondo Archivio Notarile di Frascati, ff. 258r-260v, 318r-319v. Copia dell’atto è trascritto ai ff. 154v-155v [pp. 305-308] del manoscritto BAV, Vat. lat. 15169. 41 Cfr. M. BUONOCORE, Nella Biblioteca del Cardinale, in La Biblioteca del Cardinale cit., pp. 24-27. 42 Per un ampia e accurata descrizione dei manoscritti della biblioteca del cardinale con l’indice dei manoscritti e stampati redatto nel 1776 si rimanda a BUONOCORE, La biblioteca del cardinale cit., passim. 43 Cfr. La Biblioteca del Cardinale cit., p. 32. Per i codici Vat. lat. 12901, 12907, 13052, 13254-13255 si veda l’inventario dattiloscritto di H. LAURENT, Inventario dei codici Vaticani Latini 12848-13725, Città del Vaticano 1957 (Cat. mss. 316); pp. 15, 80-81. Per i codici Vat. lat. 14935-14938, 14948-14949, 15120-15169 si veda A. M. PIAZZONI – P. VIAN, Manoscritti vaticani latini 14666-15203: catalogo sommario, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 332), pp. XVI, 136-137, 140-141, 219-234. 44 Per un approfondimento sul manoscritto vd. ora L. POLIDORO, Un Magnificat a otto voci composto da Nicola Porpora per il Cardinale Enrico Stuart Duca di York (Vat. mus. 583), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 24 (2018), (Studi e testi, 529), pp. 587-604. 45 Cfr. Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, II, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 467), p. 826. 46 Cfr. BAV, Arch. Bibl., 282 «Feastibility Study: Inventary and survey of the collections at the Vatican Library, Biblioteca del Seminario di Frascati», f. 36; «Fondi manoscritti Curia di Frascati, si rilevano 577 buste», f. 19. 47 Tra gli anni 1970-1980 si era cominciata ad avviare secondo le norme catalografiche della Biblioteca Vaticana la necessaria descrizione, poi ripresa agli inizi del 2000. 48 Cfr. ATTI, Il cardinale duca di York cit., pp. 47-48.
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papa Clemente XIV del 12 febbraio, in cui il Duca di York, avendo ormai ottenuto la piena giurisdizione sul seminario, obbliga tutti i sacerdoti diocesani a compiere gli studi presso il seminario di Frascati. «Enrico per divina misericordia vescovo di Frascati Card. Duca di York della S.R.C. Vice cancelliere, Arciprete della Basilica di S. Pietro di Roma e della chiesa di San Lorenzo in Damaso commendatario. Sebbene con altro nostro editto pubblicato il 1 maggio del corrente anno siasi ordinato che restando questo nostro Seminario di Frascati insieme colle pubbliche scuole intimamente soggetto alla nostra giurisdizione cura, ed amministrazione in virtù del breve ottenuto dalla Santità di nostro santità felicemente regnante i chierici specialmente di questa città e diocesi si portino ad attendere sotto i propri nostri occhi agli studi in questo medesime scuole nelle quali verranno ammaestrati nelle scienze […] Ci siamo indotti in atto della S. Visita di ridurla a memoria col presente editto a fine di togliere qualunque pretesto d’ignoranza, che si potesse allegare in contrario e per ovviare a qualunque sinistra interpretazione, dubbio, equivoco che potesse nascere su del predetto editto […] tutti i chierici che siano alla nostra giurisdizione siano tenuti a portarsi in Frascati per compiere i lori studi nelle pubbliche scuole di questo nostro seminario […] 1 settembre 1770 Enrico Cardinale Vescovo»49.
Si conserva il manifesto dell’editto pubblicato nella stamperia della camera apostolica in cui si rende noto il passaggio della chiesa e dei beni del Seminario di Frascati al vescovo tuscolano: «Editto. Essendosi degnata la Santità di nostro Signore papa Clemente XIV, felicemente regnante con suo apostolico Breve del 13 agosto corrente deputare una particolare Congregazione, alla cui giurisdizione tutti restassero sottoposti i beni stabili, mobili, semoventi, azioni e ragioni che in qualunque maniera appartenevano, o abbiano potuto appartenere all’estinta, e soppressa Compagnia di Gesù […]. E similmente inerendo come sopra, ordiniamo, e comandiamo che niuna delle sopra individuate persone ardisca sottraere, occultare e fare, e prestare, […] ed appartenere alla suddetta già estinta, ed abolita Società.[…] Come pure non ardisca di occultare, e ritenere le suddette cose anche prima della medesima suppressione, e rispettiva pubblicazione del presente Editto sottrarre, occultare, e ritenute, poiché contro i trasgressori, oltre la pena della scomunica ad incorrersi ipso facto, si procederà all’imposizione ancora delle pene Corporali anche gravissime a Nostro arbitrio secondo le qualità dei casi […]. Avverta pertanto ognuno di prontamente obbedire, mentre in caso contrario si procederà irremissibilmente contro i trasgressori […] Dato in Roma dal nostro palazzo questo di 26 agosto 1773 […]»50. 49 BAV, Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York n. 18.14, Registro della «Cancelleria di San Lorenzo in Damaso», 1779-1807, f. [61]. 50 Ibid., n. 18.4.
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Il secondo volume, che raccoglie la documentazione degli anni 17721773, riporta gli elenchi dei beni mobili, di competenza del Collegio passati al Seminario tra cui: la «nota delle stampe, et altro consegnate dal S. Giovan Battista Cataldi come procuratore del venerabile Seminario Vescovile di Frascati che disse ricevute dal P. Manzoni procuratore del Collegio Romano come appresso […] una immagine della B.V. dipinta in tavola nella quale sta scritto al di dietro che si adopera di Pietro Perugino, in fede 11 gennaio 1773»51; nonché l’inventario dei libri presenti nella biblioteca. Di essi è allegata una descrizione minuziosa in cui, per ogni scansia, sono descritti i titoli dei libri dei vari ripiani con il numero complessivo; ad esempio: «Scanzia prima Concionatores et Catechiste, ordine primo-ottavo; Scanzia terza con titolo Philosophia et mathematici, Scanzia quarta col titolo medici et juristi, Scanzia quinta mistici ascetici et appendix, Scanzia sesta Morales et Canoniste, canoniste et liturgici, Scanzia settima Scholastici et dogmatici, Scanzia ottava Biblio Patres interpretes»52. La relazione continua indicando anche la presenza nell’ultima stanza nel «credenzino chiuso a chiave a man sinistra della libreria, sotto il titolo Medici et Juristi si consegnano i seguenti libri proibiti53 […]». Nello stesso registro è inoltre conservato il documento «delle case spettanti al seminario vescovile di Frascati che si fa da me sottoposto per ordine di sua di Sua Ema il sig. cardinale Duca di York, vescovo della medesima città, con la individuazione delle contrade, confini, numero di stanze e loro rispettivi annessi, e piggioni con la relazione dello stato in cui le ho ritrovate»54. All’epoca della reggenza del Seminario da parte del vescovo Sebastiano Antonio Tanara era prevista una retta di 25 scudi; il Duca di York non solo diminuì la quota elaborando una speciale graduatoria, per cui nel primo anno si dovevano pagare venti scudi, nel secondo quindici, nel terzo dieci, ma fece anche fronte alla differenza della retta annuale e istituì rendite gratuite per sei posti. È possibile rilevare tutti gli aspetti della gestione, dai quali si evince uno spaccato della sua vita interna, la situazione amministrativa e patrimoniale e la direzione che il vescovo attuò. Tra i numerosi documenti del Seminario segnaliamo anche quello nella quarta visita del 1771 «Dichiarazione del cerimoniale da praticare nell’occasione di Visite pastorali o altre funzioni simili dal clero della Chiesa del Venerabile Seminario e dall’altre persone addette al Servizio del medesimo 51
Ibid., n. 18.13. Ibid. 53 Ibid. 54 Ibid. 52
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e che in esso convivono»55, e quello «Regole che di devono far osservare tanto dal Sig. Rettore, sig. Vice Rettore quanto dal Ministro Economico, Esattore, e Computista ed altri Ministri subalterni per il buon Regolamento del Seminario Vescovile di Frascati e la sua Chiesa annessa come appresso»56. Nella visita dell’11 maggio 1776 emana un altro decreto riguardante lo ius sepeliendi57 nella chiesa del Seminario di Frascati. L’archivio della Curia di Frascati e le visite pastorali L’archivio risulta ad oggi inesplorato, in quanto non inventariato. L’unica citazione compare in uno studio di Annibale Ilari58 e nella prefazione di una monografia di Giuseppe Maria Croce59. Ilari poté vedere l’archivio una volta trasferito in Vaticana, custodito negli armadi del corridoio della galleria che dai Musei Vaticani immette nella Cappella Sistina; dal sommario esame delle carte, emerse che i documenti non avevano attinenza con lo statuto cinquecentesco colonnese avendo una datazione risalente al XVII secolo; l’unico documento cinquecentesco rinvenuto fu un registro privo di coperta originale, che sul frontespizio reca la dicitura Acta criminalia ab anno 1534 ad annum 158960. L’archivio risulta privo di qualsiasi mezzo di corredo e di elenco di consistenza61, né di un elenco di versamento relativamente al suo trasferimento presso la Santa Sede e necessita in gran parte di un intervento di disinfestazione e di restauro. Si presenta composto da oltre 500 faldoni; circa la metà di questi sono registri rilegati con coperte originali in pergamena che conservano l’antica denominazione originaria; altri sono in filze, raggruppate seguendo un criterio di omogeneità della documentazione. Trattandosi di un archivio non ordinato, si è proceduto inizialmente con alcuni saggi sulla documentazione. Le filze sono state aperte per capire la tipologia documentaria, gli estremi cronologici e ricollocate secondo la successione 55
Ibid., n. 18.4. Ibid. 57 «Avendo già la chiesa di Nostro V. Seminario il jus sepeliendi, e godendo altresì il privilegio, che chiunque venisse a morire dei convittori, o siano Alunni, o qualunque modo abitanti in detto Seminario, debbano essere seppelliti in detta Chiesa, ad esclusione di qualunque altra salvis juribis Parocchialibus a tenore di Rescritto della S.M. Di Clemente XIV sotto il di n.7 Febraro 1773 […]» Ibid., n. 18.5. 58 A. ILARI, Frascati tra medioevo e rinascimento: con gli statuti esemplati nel 1515 e altri documenti, Roma 1965. 59 G. M. CROCE, La badia greca di Grottaferrata e la rivista “Roma e l’Oriente”. Cattolicesimo e ortodossia fra unionismo ed ecumenismo (1799-1923): con appendice di documenti inediti I, Città del Vaticano 1990 (Storia e attualità, 12), pp. XVIII, 49. 60 ILARI, Frascati cit., p. 121. 61 Guida ai fondi manoscritti I cit., p. 705. 56
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temporale della serie di appartenenza. Un’altra minima parte (circa trenta buste) è in completo disordine. Pertanto, considerata la situazione di partenza, si è deciso di procedere con la necessaria fase del riordino del materiale, per permettere di ricostruire le serie originarie dell’antico archivio. In questa prima laboriosa e lunga fase finalizzata alla individuazione della tipologia e alla identificazione delle serie, sono stati riscontrati otto volumi appartenenti all’archivio Salviati, probabilmente accorpati nella fase del trasferimento della documentazione. Si sta procedendo, quindi, all’accorpamento per serie omogenee seguendo un ordinamento di tipo cronologico, che porterà alla realizzazione di un dettagliato elenco di consistenza. Dall’esame sulla consistenza dell’archivio sono state rilevate trenta serie archivistiche, che comprendono l’arco cronologico compreso tra i secoli XVI al XX. Se ne riporta l’elenco delle principali: Manuale actorum, Matrimonalia, Criminalia, Visite Pastorali, Decreti di volontaria giurisdizione, Iura privata, Patrimonio, Benefici erectiones, Benefici possessiones, Erectiones beneficorum, Atti di licitazione, Requisisti ordinandorum, Atti civili, Liber testium, Stati delle anime, Rendiconti dei luoghi pii, Editti, Liber accusatorum. Le serie più consistenti per l’esteso periodo temporale e il numero delle buste sono le seguenti: Manuale actorum, n. 123 unità, dal 1623 al 1796; Matrimonalia, n. 106 unità, dal 1616 al 1902; Criminalia, n. 120 unità, dal 1534 al XIX sec., Visite pastorali, n. 15 unità, dal XVI al XX sec. Si conservano anche i registri delle visite pastorali di trentadue vescovi a partire dal 1520 fino al 1904. Il primo volume copre un arco cronologico che va dal 1520 al 1620 con la documentazione della visita del vescovo Giovanni Evangelista Pallotta (24 gennaio 1611 – 6 aprile 1620). Di seguito l’elenco dei vescovi: Giovanni Deti (2 marzo 1626 – 7 settembre 1626), Andrea Peretti (14 aprile 1627 – 3 agosto 1629), Marcello Lante Della Rovere (8 ottobre 1629 – 28 marzo 1639), Giulio Roma (13 luglio 1644 – 23 ottobre 1645), Antonio Barberini (11 ottobre 1655 – 21 novembre 1661), Giovanni Battista Pallotta (11 ottobre 1666 – 22 gennaio 1668), Pietro Ottoboni (15 febbraio 1683 – 10 novembre 1687) (Papa Alessandro VIII), Giacomo Franzoni (10 novembre 1687 – 28 settembre 1693), Vincenzo Maria Orsini (3 gennaio 1701 – 18 marzo 1715) (Papa Benedetto XIII), Sebastiano Antonio Tanara (1 aprile 1715 – 3 marzo 1721), Francesco Pignatelli (12 giugno 1724 – 19 novembre 1725), Lorenzo Corsini (17 novembre 1725 – 12 luglio 1730) (Papa Clemente XII), Pietro Ottoboni (24 luglio 1730 – 15 dicembre 1734), Pier Marcellino Corradini (15 dicembre 1734 – 8 febbraio 1743), Giuseppe Accoramboni (11 marzo 1743 – 21 marzo 1747), Giovanni Antonio Guadagni (23 febbraio 1750 – 12 gennaio 1756), Camillo Paolucci (Merlini) (22 novembre 1758 – 13 luglio 1761), Henry Benedict Mary
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Clement Stuart of York (13 luglio 1761 – 26 settembre 1803), Giuseppe Maria Doria Pamphili (26 settembre 1803-26 settembre 1814), Giulio Maria Della Somaglia (26 settembre 1814 – 21 dicembre 1818), Bartolomeo Pacca (21 dicembre 1818 – 13 agosto 1821), Francesco Saverio Castiglioni (13 agosto 1821 – 31 marzo 1829) (Papa Pio VIII), Emanuele De Gregorio (18 maggio 1829 – 2 ottobre 1837), Ludovico Micara (2 ottobre 1837 – 17 giugno 1844), Mario Mattei (17 giugno 1844 – 23 giugno 1854), Antonio Maria Cagiano de Azevedo (23 giugno 1854 – 13 gennaio 1867), Nicola Clarelli Paracciani (22 febbraio 1867-7 luglio 1872), Filippo Maria Guidi (29 luglio 1872 – 27 febbraio 1879), Jean-Baptiste-François Pitra (12 maggio 1879 – 24 marzo 1884), Edward Howard (24 marzo 1884 – 16 settembre 1892), Serafini Vannutelli (12 giugno 1893 – 22 giugno 1903), Francesco Satolli (22 giugno 1903 – 8 gennaio 1910).
Il Duca di York, come anticipato, prese possesso della diocesi di Frascati il 19 luglio 1761, all’età di trentasei anni62. In quell’occasione donò alla cattedrale due pregiate e ricche pianete in seta laminata, l’una di color rosso, l’altra bianca. Al termine del suo mandato, il capitolo della cattedrale fece incidere la lapide che si trova nella sagrestia: «In onore di Enrico, figlio di Giacomo III re di Gran Bretagna, vescovo Tuscolano, detto cardinale Duca di York il quale aumentò il capitolo di due canonici e di altrettanti beneficiati, fece più bello il coro con apparati in seta, con tappezzerie decorò l’Altare Maggiore con statue d’argento e paliotto vari rifornì la sagrestia abbondantemente di doni specie di sacri paramenti e l’arricchì di vistose rendite, affinché non venisse meno la memoria di si munifico 62
Per i riferimenti sull’episcopato del Duca di York a Frascati cfr. Horae diurnae cum psalterio romano ad usum cleri basilicae Vaticanae, cura Henrici S.R.E. presbyteri cardinalis ducis Eboracensis … archipresbyteri editae, Romae, typis Generosi Salomoni, 1756; Lettera pastorale ai reverendi arcipreti, curati, e sotto-curati della città e diocesi di Frascati, Roma, per Generoso Salomoni, 1762; Avvertimenti di s. Carlo Borromeo per li confessori nuovamente impressi per ordine di S. A. R. ema il sig. card. Duca d’York …, Roma, Barbiellini, 1771; Statuti della Congregazione del soccorso de’ poveri della parrocchia di S. Lorenzo in Damaso dedicati a sua Altezza Reale Eminentissima il signor cardinale Enrico Duca d’York vescovo di Frascati, Roma, nella stamperia della rev. Camera apostolica, 1774; P. N. CAPOCCI, Nel fausto ritorno di … Enrico cardinale duca di York … alla sua chiesa vescovile di Frascati … Canzone …, Roma, Cracas,1775; C. FELICI, Orazione pe’ solenni funerali di S.A.R. il Sig. cardinale Errico Benedetto, denominato duca di York …recitata il dì 14 agosto 1807 nella chiesa del Seminario vescovile di Frascati da D. Carlo Felici …, Roma 1807; M. MASTROFINI, Orazione per la morte di Errico, cardinale denominato duca di York, decano del Sacro Collegio, protettore e già vescovo di Frascati … recitata il dì 20 luglio 1807 … da D. Marco Mastrofini, Roma 1807; P. MASCHERUCCI, Orazione per la morte di Enrico Cardinale denominato Duca di York, Decano del Sacro Collegio, Protettore e già vescovo di Frascati, Roma 1807; E. ORLANDI, Notizie istoriche della miracolosa immagine di Maria Santissima portata nella citta di Frascati da s. Giuseppe Calasanzio ed ivi venerata nelle chiesa de’ padri delle Scuole Pie dedicate a S.A.R. Ema il Sig. Cardinale Enrico Duca di York vescovo e protettore di detta città, Roma 1851; ATTI, Il cardinale duca di York cit., cfr. supra, nt. 31 e contesto, infra nt. 71, 72, 74.
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principe, le dignità, i canonici, i re, i beneficiati con grato animo posero nell’anno 1803»63. Svolse numerose attività benefiche investendo molte delle sue rendite in favore dei poveri e per le istituzioni sociali, tra le quali l’ospedale di San Sebastiano Martire, il Monte di Pietà, il monastero di Santa Flavia Domitilla, il conservatorio delle orfane povere detta delle zitelle e l’eremo di Camaldoli. Il cardinale, si legge, «abbassava la regal sua maestra arrecandosi in mezzo ai fanciulli radunati nelle chiese delle città, o delle diocesi per ammaestrarli nel catechismo e lodarli e premiarli del loro profitto64». Grande attenzione è posta al Conservatorio del rifugio e scuola annessa della città di Frascati, di cui in occasione della seconda visita nel 1767 emanò le Regole65. Esse sono suddivise in dieci capitoli: Delle zittelle orfane, Degl’offizi dell’orfane in commune, Degli offizi dell’orfane in particolare, Delle educande, Delle scuole, Dei deputati del conservatorio, Dell’Economo dell Conservatorio, Della Superiora, Delle Maestre Pie, Oratorio della Scuola Publica e vacanze della medesima. Le visite pastorali del Duca di York conservate nell’archivio della Curia di Frascati sono tredici e abbracciano gli anni 1761-1803. Il riordinamento della serie ha fatto emergere due visite inedite rispetto a quelle fin qui conosciute, la dodicesima con inizio nel 1795 e la tredicesima con inizio nel 1800. Nell’Archivio Diocesano di Frascati si conservano i registri delle visite del Duca di York: si tratta di nove volumi che riportano undici visite dal 1761 al 1794. Il Bindelli66, così come il De Juliis67 riporta, citando gli atti curiali, undici visite, dal 1761 al 1794. La prima sacra visita fu indetta il 13 settembre del 1761, e durò venti-
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DE JULIIS, A duecento anni cit., pp. 23-24. ATTI, Il cardinale duca di York cit., pp. 32-33. 65 «Enrico per Divina Misericordia vescovo di Frascati Cardinale Duca di York della S.R.C Vice cancelliere, Arciprete della Basilica di San Pietro di Roma e della Basilica di San Lorenzo e Damaso Commendatario ecc. Siccome nel corpo umano suole accadere che qualora i membri che lo compongono non eseguiscano i loro uffizii per necessità la macchina tutta se ne duole e vi sente così nella comunità parimente avviene tutta volta che le persone le quali le compongono con attenzione, e diligenza non soddisfano agli impieghi loro addossati. Che però affinché tanto non si abbia a vedere nel Nostro Conservatorio delle orfane di Frascati, e Scuola Pubblica ad esso addetta a favore del quale non abbiamo mancato d’impiegare dei temporali nostri sussidij nelle Fabriche, o erette di nuovo, o accresciute come anche nella cospicua annua rendita di cui l’abbiamo perpetuamente adottato […]. Che però dando a queste Regole tutta quella autorità che possiamo in qualità tanto di vescovo nell’atto della Sagra Visita quanto anche in qualità di Fondatore del Suddetto Conservatorio […]» BAV, Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.2. 66 BINDELLI, Enrico Stuart Cardinale cit., p. 94. 67 DE JULIIS, A duecento anni cit., p. 17. 64
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sette mesi68. Le successive visite avvennero con una scansione temporale di tre anni l’una dall’altra, iniziando tutte nel mese di settembre e terminando nel mese di dicembre. 1° sacra visita 2° sacra visita 3° sacra visita 4° sacra visita 5° sacra visita 6° sacra visita 7° sacra visita 8° sacra visita 9° sacra visita 10° sacra visita 11° sacra visita 12° sacra visita 13° sacra visita
13 settembre 1761 – 19 novembre 1764 9 settembre 1765 – 19 novembre 1767 8 settembre 1768 – 30 dicembre 1769 29 agosto 1771 – 30 dicembre 1773 28 agosto 1774 – 31 dicembre 1776 28 agosto 1777 – 31 dicembre 1779 5 agosto 1780 – 31 dicembre 1782 31 agosto 1783 – 31 dicembre 1785 8 settembre 1786 – 31 dicembre 1788 8 dicembre 1789 – 31 dicembre 1791 7 settembre 1792 – 31 dicembre 1794 8 gennaio 1795 – 19 dicembre 1798 8 ottobre 1800 – 13 luglio 1803.
Si evince la sua volontà di improntare le visite, che si concludevano con lettere di ringraziamento dei fedeli al vescovo, secondo un metodo preciso e puntuale e lasciare un segno tangibile al suo episcopato. Volle ispezionare personalmente tutti gli angoli, anche i più lontani e i meno importanti della diocesi, non demandando ad altri visitatori, come era consuetudine a quell’epoca e come avevano fatto spesso i suoi predecessori. Uno degli scopi di ogni visita era il controllo degli immobili e degli edifici presenti su tutto il territorio diocesano, delle loro dotazioni, delle suppellettili, dei paramenti sacri, dello stato delle celebrazioni eseguite e delle regole. Sono molto puntuali le descrizioni di ogni chiesa con l’elenco di tutto ciò che si conservava all’interno e ogni relazione termina con le disposizioni del vescovo relative ai cambiamenti o al restauro da approntare. Molto tempo era impiegato dal cardinale di York nel visitare le cappelle e le dimore gentilizie, le cappelle private e altre legate al culto popolare. Le visite si dividono in fascicoli per ogni località della diocesi con numerazione romana: Cattedrale e S. Rocco, Monastero, Conservatorio, Ospedale, Adunanze, Seminario, Monte Vescovile, Cappelle rurali, Grottaferrata e Cappelle adiacenti, Rocca Priora, Rocca di Papa, Monte Compatri, Colonna, Monte Porzio, Lunghezza, Torre Nuova. A queste si aggiungono (qui riportate per alcuni esempi) altre cappelle private o gentilizie, confraternite, oratori come: villa Rufinella, l’oratorio della confraternita del SS. Sacramento, l’oratorio del Gonfalone e l’ospedale, l’oratorio della Madonna della Neve, la cappella di villa Aldobrandini, la cappella di S. Michele 68
BINDELLI, Enrico Stuart Cardinale cit., p. 93.
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Arcangelo, la cappella de’ sig. Mariscotti, la cappella della Madonna di Sciaddonna, la cappella detta dell’Immagine Nuova, la cancelleria e l’archivio episcopale, la congregazione del Soccorso dei Poveri, la cappella rurale de’ sig. Cavalieri, la cappella delle carceri della curia vescovile, il Monte di Pietà Communitativo. All’interno dei fascicoli si conservano i decreti generali, gli atti, i quesiti inviati ai parroci o ai rettori e le relative risposte, gli stati attivi e passivi, i benefici, i censi e i canoni, i brevi papali, le norme, i legati testamentari, gli statuti, i regolamenti, gli inventari dei beni, la corrispondenza, il carteggio ecc. Nella sesta visita pastorale del 1777, dal decreto si evincono, ad esempio, le motivazioni di tale indizione: «Enrico per la Divina misericordia Vescovo di Frascati Cardinale Duca di York, della S.R.C. Vice Cancelliere, Arciprete della Basilica di San Pietro di Roma, e della Chiesa di S. Lorenzo in Damaso Commendatario Ci Commandano li Sig. Canoni, ed il Sacrosanto Concilio di Trento, che visitiamo ogni anno, o almeno dentro il termine di ogni due abbiamo finito di visitare tutta la nostra città, e diocesi affine di assolvere le Anime dei Defunti, de quali in pace riposano nel sepolcri de luoghi, ed affine di sapere e veder con i nostri propri occhi, come le chiese siano spiritualmente e temporalmente governate, come siano adorne, come si amministrano e Sagramenti e si celebrano li Divini Officii, qual servizio di presti di esse, quale sia la vita de Ministri del Santuario, quale quella del popolo, acciocché se vi è qualche cosa da correggere e da emendare l’emendiamo, e togliamo li scandali con punire i pubblici peccatori, dove li parochi delle chiese non bastano à rimediare […]. Volendo Noi adempire anche in questa parte l’obbligo nostro, facciamo noto à tutti, e singoli fedeli alla nostra giurisdizione soggetti, ed à chi vi là interesse, che con Visita generale, locale e personale di nostra ordinaria, ed ancora delegata autorità visiteremo tutte, e ciascune Chiese di questa città, e Diocesi di Frascati, e Cappelle, Oratorij, li Ospedali, Collegij, Confraternite, Adunanze, li Monasterij, Conventi Case, Ospizij, di Monache, e di Religiosi, che in vigore dei decreti apostolici siano a Noi soggetti, li Conservatorij, Scuole di Fanciulle, e maestre pie, li Monti di Pietà, ed altri luoghi pij, il Capitolo della Cattedrale, e della Colleggiate, e del loro persone, e tutti i sacerdoti, Confessori, chierici, priori, Sindici, Monistro dei SS. Monti, Ospedali, Confraternite, ed alti luoghi pij suddetti […]»69.
Il decreto continua: «[…] il giorno giovedì 28 agosto 1777 cominceremo la Sacra Visita nella Chiesa Cattedrale con animo, e disegno di procurare à tutto nostro potere, 69
BAV, Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.6.
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mediante la divina grazia, l’accrescimento del culto divino, il buono Stati della Chiesa, la riforma dei costumi, e della disciplina del Clero, e del Popolo, e tutto ciò insomma, che conduce alla salute delle Anime […]»70.
Tra i decreti generali che indìce per ogni visita nomina i revisori dei conti per ogni comune della diocesi; sono indicati, così, tutti i documenti che i parroci o i rettori erano obbligati a preparare dal giorno dopo l’emanazione del decreto ed esibire e consegnare agli stessi revisori nominati dal vescovo il giorno della visita. Durante il suo episcopato indisse due sinodi diocesani: nel 1765 (8-11 settembre)71 e nel 1776 (1-3 settembre)72. Nella prima visita pastorale del 1761, il 31 ottobre durante la visita della cattedrale istituì la Congregazione della dottrina cristiana73 e il 30 dicembre la nuova Costituzione della cattedrale di Frascati74. Di fondamentale importanza è la correlazione già avviata con i documenti depositati presso l’Archivio Diocesano di Frascati75, dove si conservano i registri delle visite pastorali76. Per quanto riguarda la documenta70
Ibid. Cfr. Appendix ad Tusculanam synodum a celsitudine regia eminentissima Henrici episcopi Tusculani S.R.E. vice-cancellarii cardinalis ducis Eboracensis in Tusculano templo cathedrali apostolorum principis S. Petri celebratam diebus VIII, IX, X, et XI Septembris A.D.MDCCLXIII, Romae, Generosus Salomoni, episcopii typographus, 1764; Index rerum quae continentur in Tusculana Synodo a celsitudine regia eminentissima Henrici episcopi Tusculani S.R.E. vicecancellarii cardinalis ducis Eboracensis in Tusculano cathedrali templo apostolorum principis S. Petri celebrata diebus VIII, IX, X, et XI Septembris A.D.MDCCLXIII, Romae 1766. 72 Cfr. Synodus Tusculana secunda, seu Nova appendix ad Synodum Tusculanam a celsitudine regia eminentissima Henrici episcopi Tusculani S.R.E. vice-cancellarii cardinalis ducis Eboracensis in cathedrali Tusculano templo apostolorum principis S. Petri celebrata diebus I, II, III Septembris anno Domini MDCC, Romae, typis Salomoni episcopii typographi, 1777. 73 BAV, Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.1. 74 Cfr. Constitutiones S. Cathedralis Ecclesiae Tuscolanae, Romae, Typis generosi Salomoni, 1762. 75 Per le informazioni sull’archivio Diocesano di Frascati cfr. http://www.anagrafebbcc. chiesacattolica.it/anagraficaCEIBib/public/VisualizzaScheda.do (dicembre 2018); Guida degli Archivi diocesani d’Italia (GADI), a cura di V. MONACHINO – E. BOAGA – L. OSBAT – S. PALESE, Città del Vaticano 1998, III, pp. 148-150; Confrater sum: la lunga tradizione dell’associazionismo laico-religioso in Italia: i tesori delle Biblioteche, degli Archivi e dei Musei, [a cura] di A. RIGOLI; con la collaborazione di A. MANODORI SAGREDO e N. LA ROSA, [Palermo] 2004 (Sodalitates, 2), p. 10; Del culto e della cultura: archivi biblioteche e musei ecclesiastici in Italia, a cura dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della CEI, Roma 2015, pp. 208-209. 76 Ho effettuato alcuni sopralluoghi presso l’Archivio Diocesano di Frascati. Ringrazio il vescovo mons. Raffaello Martinelli per aver concesso la consultazione, mons. Francesco Torelli, direttore dell’Ufficio beni Culturali, il dott. Valentino Marcon per la grande disponibilità dimostrata. La Curia di Frascati ha inviato presso la BAV copia digitale degli atti relativi alle visite pastorali in loro possesso per uno scambio della documentazione tra le istituzioni. 71
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zione correlata indichiamo le relazioni ad limina77. La straordinaria importanza di questa documentazione permetterà di approfondire e conoscere meglio la realtà religiosa, la demografia, l’urbanistica, la storia dell’arte, l’economia della diocesi di Frascati.
77
Per le relatio ad limina di Frascati si vd. Cfr. M. CHIABÒ – C. RANIERI – L. ROBERTI, Le diocesi suburbicarie nelle «Visitae ad limina» dell’Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 1988 (Collectanea Archivi Vaticani, 22), pp. 289-362.
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DAVIDE DOMENICI , DAVID BUTI , CHIARA GRAZIA , 5 3,4 3 ÉLODIE DUPEY GARCÍA , ALDO ROMANI , LAURA CARTECHINI , 3,4 3 ANTONIO SGAMELLOTTI , COSTANZA MILIANI
NON-INVASIVE CHEMICAL CHARACTERIZATION OF PAINTING MATERIALS OF MESOAMERICAN CODICES BORGIA (BORG. MESS. 1) AND VATICANUS B (VAT. LAT. 3773) OF THE BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA* Introduction As part of an ongoing interdisciplinary project, aimed at disclosing pre-Hispanic Mesoamerican codex painting technologies, a set of non-invasive analyses has been carried out by the MOLAB European mobile facility on the two pre-Hispanic codices today held by the Biblioteca Apostolica Vaticana, commonly known among Mesoamericanists as Codex Borgia (Borg. mess. 1) and Codex Vaticanus B (Vat. lat. 3773).1 * The authors want to express their gratitude to Dr. Paolo Vian, former Director of the Manuscript Section of the Biblioteca Apostolica Vaticana, for his invaluable help in organizing the analytical campaign reported herein. 1
Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Università di Bologna, Italy. CATS–SMK (Centre for Art Technological Studies and Conservation, Statens Museum for Kunst), Copenhagen, Denmark. 3 CNR–ISTM (Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari), Perugia, Italy. 4 Centro di Eccellenza SMAArt (Scientific Methodologies applied to Archaeology and Art), Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie, Università di Perugia, Italy. 5 Instituto de Investigaciones Históricas, Universidad Nacional Autónoma de México, Mexico City, Mexico. 2
1 During the same campaign a third Mexican manuscript, the colonial Codex Vaticanus A (Vat. lat. 3738) was also measured, but the results will be reported elsewhere. For general synthesis of the previous project’s results see: D. DOMENICI, D. BUTI, C. MILIANI, B. G. BRUNETTI, and A. SGAMELLOTTI, The colours of indigenous memory: non-invasive analyses of preHispanic Mesoamerican codices, in Science and art: the painted surface, edited by A. SGAMELLOTTI, B. G. BRUNETTI, and C. MILIANI, Cambridge 2014, pp. 94-119; D. DOMENICI, C. MILIANI, D. BUTI, B. G. BRUNETTI, and A. SGAMELLOTTI, Coloring materials, technological practices, and painting traditions. Cultural and historical implications of non-destructive chemical analyses of pre-Hispanic Mesoamerican codices, in Painting the skin. Pigments on bodies and codices in pre-Columbian Mesoamerica, edited by É. DUPEY GARCÍA and M. L. VÁZQUEZ DE ÁGREDOS PASCUAL, Tucson 2019, forthcoming; D. DOMENICI, C. MILIANI, and A., SGAMELLOTTI, Cultural and historical implications of non-destructive analyses on Mesoamerican codices in the Bodleian Libraries, in Mesoamerican manuscripts: new scientific approaches and interpretations, edited by M. JANSEN, V. M. LLADO-BUISÁN, and L. SNIJDERS, Leiden 2019, pp. 160-174;
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 201-228.
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According to recent research, Codex Borgia could have been brought to Italy in 1532-1533 by the Dominican friar Domingo de Betanzos, soon ending in the collection of the Giustiniani family, in whose inventories “a tree-bark book, with various coloured drawings and Indian works” was recorded since 1600-1611; toward the end of the 18th century the codex was acquired by Cardinal Stefano Borgia and, after a long controversy that followed his death (1804), the manuscript finally entered the Biblioteca Apostolica Vaticana in 1902. On the other hand, Codex Vaticanus B was first recorded in the Rainaldi inventory of the Vatican Library in 1596: how it entered the library is unknown and it is possible that the manuscript had arrived in Italy together with Codex Borgia.2 Codex Borgia is a manuscript made of a large band of animal hide (10,30 m × 27 cm), which was screen-folded to create 39 pages. These pages are painted on both sides excepting the first two of the obverse and the reverse, resulting in a total of 76 painted pages. Codex Vaticanus B is also painted on a band of animal hide (7,24 m × 12,5 cm) that was similarly folded in order to obtain 49 pages, which were illuminated on both sides, generating 96 painted pages.3 Again, the first and last pages are not painted and, in this case, they are glued since pre-Hispanic times on two wooden covers — one of which is still inlaid with turquoise —, hence allowing us an exceptional access to a complete Mesoamerican book. On both manuscripts, the pictorial layers were applied on white backgrounds that were first extended on the skin supports. The whole Codex Borgia was painted D. DOMENICI, D. BUTI, C. MILIANI, and A. SGAMELLOTTI, Changing colours in a changing world. The technology of codex painting in early colonial Mexico, in Materia americana. The “body” of Spanish American images (16th to mid-19th centuries), edited by G. SIRACUSANO, Mexico City – Los Angeles 2019, forthcoming. Further references to the specific manuscripts will be provided below. For a comparison between the project’s scientific results and the information contained in colonial historical sources see É. DUPEY GARCÍA, The materiality of color in pre-Columbian codices: insights from cultural history, in Ancient Mesoamerica 28 (2017), pp. 21-40; É. DUPEY GARCÍA, Making and using colors in the manufacture of Nahua codices. Aesthetic standards, symbolic purposes, in Painting the skin. Pigments on bodies and codices in pre-Columbian Mesoamerica, edited by É. DUPEY GARCÍA and M. L. VÁZQUEZ DE ÁGREDOS PASCUAL, Tucson 2019, forthcoming. 2 D. DOMENICI, Nuovi dati per una storia dei codici messicani della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae XXII, Città del Vaticano 2016, pp. 341-362. 3 F. ANDERS and M. JANSEN, Manual del adivino. Libro explicativo del llamado Códice Vaticano B, Mexico City 1993, p. 16; F. ANDERS, M. JANSEN, and L. REYES GARCÍA, Los templos del cielo y de la oscuridad. Oráculos y liturgia: libro explicativo del llamado Códice Borgia, Mexico City 1993, p. 39; J. J. BATALLA ROSADO, El Códice Borgia. Una guía para un viaje alucinante por el inframundo, Madrid, Biblioteca Apostólica Vaticana, 2008, pp. 313-314; K. MIKULSKA, El proceso de la elaboración de los códices Borgia y Vaticano B basado en su estudio codicológico, in Revista española de antropología americana 45 (2015), pp. 167-192.
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with a fairly stable chromatic palette, which includes a black, a light and a dark grey, a red, a pink, a flesh tone, a yellow that can appear in lighter or darker tones, an orange, as well as a brownish orange, a greyish blue and a brownish green; the distinctive feature of the last three colours is that their tonality and saturation is heterogeneous, even in the same page or figure. The chromatic palette of the Vaticanus B is far more complex, for six pages of the manuscript — specifically, pages 12, 20, 71, 72, 95, and 96 — were repainted in antiquity with ranges of pigments different from the original.4 Codex Borgia and Codex Vaticanus B belong to the so-called Borgia Group, a set of seven pictorial manuscripts whose core members are the Codex Borgia — after which the whole corpus is named —, the Codex Cospi, the Codex Fejérváry-Mayer, the Codex Lsaud, and the Codex Vaticanus B.5 Most scholars recognize the pre-Hispanic origin of these documents and agree that, from the perspective of contents and iconography, grouping them together is making sense. In fact, these five codices are characterized by a similar iconographic “vocabulary,” using a common set of symbols, representations of deities and human beings, and calendrical conventions.6 Furthermore, they share several series of parallel passages and, more largely, they all deal with religious matters, as they include almanacs for divination, prescriptions and protocols for rituals, and other registers of sacred information related with the pre-Hispanic gods as well as cosmological and cosmogonic beliefs.7 4 É. DUPEY GARCÍA, and M. I. ÁLVAREZ ICAZA LONGORIA, Convergence and difference in the Borgia Group chromatic palettes, in Painting the skin. Pigments on bodies and codices in pre-Columbian Mesoamerica, edited by É. DUPEY GARCÍA and M. L. VÁZQUEZ DE ÁGREDOS PASCUAL, Tucson 2019, forthcoming. For a detailed codicological study of both Codex Borgia and Codex Vaticanus B, see Díaz, this volume (pp. 123-163). It is worth mentioning that the scientific campaign described in this chapter was carried out before Díaz’s codicological study, so that our analytical strategy has not been designed to verify Díaz’s hypotheses, in particular the one related with the composition of Codex Borgia. 5 E. SELER, The Codex Borgia and allied Aztec picture writing, in Collected works in Mesoamerican linguistics and archaeology, 2nd ed., Culver City 1990-1998 [1887], vol. 1, pp. 39-44; E. SELER, Comentarios al Códice Borgia, Mexico City 1963 [1904-1906], vol. 1, p. 10. 6 E. H. BOONE and M. E. SMITH, Postclassic international styles and symbol sets, in The Postclassic Mesoamerican world, edited by M. E. SMITH and F. F. BERDAN, Salt Lake City 2003, pp. 186-193; P. ESCALANTE, Los códices mesoamericanos antes y después de la conquista española. Historia de un lenguaje pictográfico, Mexico City 2010. 7 See, for example, E. H. BOONE, Cycles of time and meaning in the Mexican books of fate, Austin 2007; K. A. NOWOTNY, Tlacuilolli. Style and contents of the Mexican pictorial manuscripts with a catalog of the Borgia Group, Norman 2005 [1961]; E. SELER, Codex Fejérváry Mayer. An old Mexican picture manuscript in the Liverpool free public museums (12014/M) […], Berlin – London 1901-1902; E. SELER, Codex Vaticanus n° 3773. An old Mexican pictorial manuscript in the Vatican Library […], 2 vols., Berlin – London 1902-1903; E. SELER, Comentarios al Códice Borgia, 3 vols., Mexico City 1963 [1904-1906].
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In contrast, the questions of their respective zones of manufacture, ethnic origin, and date of creation have given rise to considerable debate. This is due to the fact that we have no clue regarding these documents history before they made their ways into collections in Europe, and also because the style of these five manuscripts can be markedly distinct, suggesting that they could have been created in different regions and at different times. Nevertheless, over a century of scholarly research has demonstrated that, despite their unknown precise origin and stylistic differences, these codices probably pertained to the Nahua civilization that thrived throughout Late Postclassic central Mexico (A.D. 1200-1521). In particular, comparisons with polychrome murals, ceramics, as well as other pre-Columbian and colonial documents indicate that Codex Borgia and the obverse of Codex Cospi were probably painted in the Puebla-Tlaxcala area, whereas the Laud and the Fejérváry-Mayer might have come from the Tehuacan Valley or, more broadly, from the border between the Nahua and Mixtec regions.8 The complexity of the Vaticanus B has long disconcerted scholars, who have pointed out his similarity of contents with Codex Borgia but its difference, and even its uniqueness, in terms of style and chromatic palettes.9 Consequently, no hypothesis regarding its provenience is commonly accepted by a majority of scholars. In situ analytical campaign of the mobile laboratory MOLAB MOLAB (Mobile Laboratory) is a unique collection of integrated instruments based on non-invasive spectroscopic methods exploiting light from mid-infrared to X-ray and working in point or scanning/imaging mode.10 8
M. I. ÁLVAREZ ICAZA LONGORIA, The Codex Laud and the problem of its provenance, in Mesoamerican manuscripts: new scientific approaches and interpretations, edited by M. JANSEN, V. M. LLADO-BUISÁN, and L. SNIJDERS, Leiden 2019, pp. 175-219; BOONE, Cycles of time cit.; H. B. NICHOLSON, The problem of the provenience of the members of the “Codex Borgia Group”: a Summary, in Summa anthropologica en homenaje a Roberto J. Weitlaner, edited by A. POMPA y POMPA, Mexico City 1966, pp. 145-158; E. B. SISSON, 1983, Recent work on the Borgia Group codices, in Current anthropology 24 (1983), pp. 653-656. 9 E. H. BOONE, The painting styles of the manuscripts of the Borgia Group, in Circumpacifica: Festschrift für Thomas S. Barthel, edited by B. ILLIUS and M. LAUBSCHER, Frankfurt am Main, v. 1, pp. 35-54; BOONE, Cycles of time cit.; DUPEY GARCÍA, and ÁLVAREZ ICAZA LONGORIA, Convergence and difference cit. 10 C. MILIANI, F. ROSI, B. G. BRUNETTI, and A. SGAMELLOTTI, In situ non-invasive study of artworks: The MOLAB multi-technique approach, in Accounts of Chemical Research 43 (2010), pp. 728-738 and references therein. B. BRUNETTI, C. MILIANI, F. ROSI, B. DOHERTY, L. MONICO, A. ROMANI, A. SGAMELLOTTI, Non-invasive investigations of paintings by portable instrumentation: The MOLAB experience, in Topics in current chemistry 374 (2016), p. 10 and references therein. B. BRUNETTI, C. MILIANI, and A. SGAMELLOTTI (eds.), MOLAB: growth, aims and results, in Technè 43 (2016), and references therein.
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Specific motivation for a mobile laboratory arises from the fact that a large number of historical European patrimony consists of monuments, sculptures, buildings that cannot be moved from their location implying that non-invasive material studies on these objects must be necessarily carried out in-situ, through portable instrumentation. In addition, even in the case of movable patrimony (as for manuscripts) it can be often quite difficult, if not impossible, to move such works to a laboratory, due to the high risks and costs connected with their transportation and often fragile state. Through a collaboration among the Department of History and Cultures of the University of Bologna, several European libraries and museums hosting the manuscripts and the MOLAB team based in Perugia, Italy (CNR and
Fig. 1 – Composite image showing the different set-ups employed for the in situ analyses and the mobile techniques at the Biblioteca Apostolica Vaticana: (a) XRF, (b) reflection midFTIR, (c) UV-Vis-NIR reflectance and fluorescence, (d) digital microscopy.
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Center SMAArt), it has been possible to exploit state of the art non-invasive analytical methods for shedding light on the materiality of pre-Hispanic Mesoamerican codices. Specifically, in what follows the identification of painting materials is discussed merging the results obtained by complementary spectroscopic methods. Namely, X-ray fluorescence spectroscopy (XRF) is exploited as a first screening method to acquire information on the elemental composition of the targeted area; reflection spectroscopy in the range UV-Vis-NIR (fiber optic reflection spectroscopy, FORS) and mid-near infrared (Fourier transform infrared spectroscopy, FTIR) are informative on the molecular composition of a variety of coloured (pigments and dyes) and uncoloured (fillers and supports) materials; Raman spectroscopy is used to resolve specific questions related to materials not identifiable with the previous methods; UV-Vis fluorescence is used to get insight on the presence of dyestuff components whose precise molecular identification is still very challenging using non-invasive methods. Instrumental set-ups and experimental methods employed at the Biblioteca Apostolica Vaticana can be considered consistent with those of the other recent analytical campaigns (e.g. at the Bodleian Library in Oxford).11 Images captured in situ during the diagnostic campaign are shown in figure 1. Analytical results: discussion, interpretation and comparisons Codex Borgia The integration of XRF and FTIR analyses showed that the white background covering the animal hide pages is made of dihydrate calcium sulphate, that is gypsum, containing low amounts of iron (Fe) (Fig. 2a, b). The composition of the background resulted identical in all the measured pages (on the basis of the analytical results achieved non-invasively), even in the corrections made by the scribe(s) in some of them. Thus, the different textures that can be appreciated by close visual inspection in the original background and the pentimenti are to be attributed to variations in the preparation practices rather than to substantial differences in the inorganic constituent of the background (variation of the organic components could be present, but are not appreciable by the methods employed). This result fits the general pattern so far revealed by previous analyses on Central Mexi11
C. GRAZIA, D. BUTI, L. CARTECHINI, F. ROSI, F. GABRIELI, V. M. LLADÓ-BUISÁN, D. DOMEA. SGAMELLOTTI, A. ROMANI, and C. MILIANI, Exploring the materiality of Mesoamerican manuscripts by non-invasive spectroscopic methods: Codex Laud, Bodley, Selden, Mendoza and Selden Roll at the Bodleian Library, in Mesoamerican manuscripts: new scientific approaches and interpretations, edited by M. JANSEN, V. M. LLADÓ-BUISÁN, and L. SNIJDERS, Leiden 2019, pp. 134-159. NICI,
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Fig. 2 – XRF (a) and FTIR (b) spectra of a white area on page 5 recto of Codex Borgia. The FTIR spectrum is compared with a reference spectrum of dihydrate calcium sulphate (blue line). The ν3 antisymmetric stretching band of SO4= at 1150 cm-1 and the ν4 antisymmetric bending bands of SO4= between 600 and 700 cm-1 (dash and dotted rectangles) appear distorted but they are compatible with the reference spectrum.12 The OH bending signals of the hydrous form are located at 1623 and 1687 cm-1 while the stretching ones are visible in the range 3250-3550 cm-1.13 In the 2000-2500 cm-1 spectral range, gypsum combination and overtone bands occur.14
can and Oaxacan pre-Hispanic manuscripts, which are almost always composed of some forms of calcium sulphate. Gypsum has been detected on the codices Cospi, Nuttall, Bodley, and Colombino; a slightly different composition, specifically a mixture of gypsum and anhydrite (anhydrous calcium sulphate), has been identified on the codices Fejérváry-Mayer and Laud.15 12
V. C. FARMER, Infrared spectra of minerals, London 1974. P. S. R. PRASAD, V. KRISHNA CHAITANYA, K. SHIVA PRASAD, and D. NARAYANA RAO, Direct formation of the γ-CaSO4 phase in dehydration process of gypsum: in situ FTIR study, in American mineralogist 90 (2005), pp. 672-678. 14 F. ROSI, A. DAVERI, B. DOHERTY, S. NAZZARENI, B. G. BRUNETTI, A. SGAMELLOTTI, and C. MILIANI, On the use of overtone and combination bands for the analysis of the CaSO4-H2O system by Mid-Infrared Reflection Spectroscopy, in Applied spectroscopy 64 (2010), pp. 956-963. 15 C. MILIANI, D. DOMENICI, C. CLEMENTI, F. PRESCIUTTI, F. ROSI, D. BUTI, A. ROMANI, L. LAURENCICH MINELLI, and A. SGAMELLOTTI, Colouring materials of pre-Columbian codices: non-invasive in situ spectroscopic analysis of the Codex Cospi, in Journal of archaeological science 39 (2012), pp. 672-679; C. HIGGITT, Molab user report [on Codex Nuttall], London 2013; C. GRAZIA et al., Exploring the materiality cit.; S. ZETINA, J. L. RUVALCABA, T. FALCÓN, J. ALATORRE ARENAS, S. YANAGISAWA, M. I. ÁLVAREZ ICAZA LONGORIA, and E. HERNÁNDEZ, Material study of the Codex Colombino, in Science and art: the painted surface, edited by A. SGAMELLOTTI, B. G. BRUNETTI, and C. MILIANI, Cambridge 2014, pp. 120-146; D. BUTI, D. DOMENICI, C. GRAZIA, J. OSTAPKOWICZ, S. WATTS, A. ROMANI, F. PRESCIUTTI, B. G. BRUNETTI, A. SGAMELLOTTI, and C. MILIANI, Further insight into the Mesoamerican paint technology: unveiling the colour palette of pre-Columbian Codex Fejérváry-Mayer by means of non-invasive analysis, in Archaeometry 60 (2018), pp. 797-814. 13
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Quite surprisingly, the only measured black area (p. 11) shows the presence of higher amounts of silicon (Si), potassium (K) and iron (Fe) than the white background, as well as of a silicate band centred at 1015 cm-1 and a derivative band at 873 cm-1, respectively indicating the possible presence of a clay and calcium carbonate (Fig. 3a, b).
Fig. 3 – XRF (a) and FTIR (b) spectra of a black area on page 11 recto of Codex Borgia. The XRF spectrum is compared with the white background (red line).
The same result was obtained measuring a green area, where visual inspection indicates that the colour was obtained by superimposing a black layer on a yellow one; this apparently suggests that most of the mentioned unusual signals could derive from the black colour (yellow areas on the same page contain non-negligible amounts of K). These results are so far unique, since in all the codices previously submitted to analyses the black and grey colours were always painted with vegetal carbon black, a veritable pan-Mesoamerican painting material known as tlilli (“black”), ocotlilli (“pine black”), or contlilli (“pot’s black”) in Nahuatl. Actually, in another black area, Raman analysis detected two broad bands positioned at 1320 and 1578 cm-1 (D and G bands) indicating the presence of a carbon-based black pigment, while the absence of a specific band in FTIR spectrum (at 2010 cm-1) give the indication of its vegetal origin.16 Furthermore, the usage of vegetal carbon black has been also hypothesized in a grey area of the Codex Borgia (p. 11) — due to the lack of key elements and specific FTIR bands. These findings confirm the use of this material, too, on this manuscript. By contrast, we are unable for now to properly explain the unusual 16
I. M. BELL, R. J. H. CLARK, and P. J. GIBBS, Raman spectroscopic library of natural and synthetic pigments (pre- 1850 AD), in Spectrochimica acta part A: molecular and biomolecular spectroscopy 53 (1997), pp. 2159-2179.
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Fig. 4 – XRF (a), FORS (b) and FTIR (c) spectra collected on red and pink areas of Codex Borgia compared with spectra of the white background (a, c) and a reference spectrum of carmine lake (Al-Ca-carminic acid complex) dispersed in barium sulphate (b).
chemical composition of the black area analysed, and further studies will be performed in order to ascertain if other black areas in the codex show the same characteristics. All the measured red and pink areas on Codex Borgia revealed the use of an insect-derived anthraquinone lake pigment probably prepared with cochineal and potassium alum (KAl(SO4)2∙12H2O), as suggested by the detection of K (Fig. 4a) and then evidenced by FORS profiles which show two characteristic minima at around 520 and 560 nm (Fig. 4b).17 All the red areas also show silicate bands around 1000 cm-1 suggesting the presence 17 J. KIRBY, A spectrophotometric method for the identification of lake pigment dyestuffs, in The National Gallery technical bulletin 1 (1977), pp. 35-47.
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of a clay (Fig. 4c). It is worth to report that given the presence of a silicate the increase of XRF signal of potassium cannot be uniquely ascribed to the use of alum. The silicate signal has not been detected in the pink areas, but this could be due to the dilution of the lake to obtain a pink colour; a procedure that could have made the clay not detectable to our instruments. While the cochineal lake is an almost ubiquitous material in Central Mexican and Oaxacan pre-Hispanic manuscripts, a similar mixture of cochineal lake and clay has been so far detected on Codex Laud (with sepiolite clay) and in a single area on page 34v of Codex Fejérvary-Mayer. The same mixture has also been identified on Codex Bodley (where the clay could be part of a yellow organic-inorganic pigment mixed with a red lake in order to obtain a brown hue) and Codex Selden, where it shows precisely the same behaviour than in Codex Borgia, the clay being not detectable in the pink areas. A mixture of cochineal and an inorganic component, that the analyses could not precisely identify but that could be a clay (or alum), has been recently detected on Códice Maya de México (formerly Codex Grolier).18 Apparently, a mixture of cochineal and clay was also applied on the first part of Codex Borbonicus and on the maps attached to the Relaciones geográficas of Ameca, Atlatlauca, and Cholula.19 The reason for mixing a cochineal lake with a clay is not clear. We suggest that since cochineal is not apt to produce proper hybrid organic-inorganic pigments — where an organic dye is incorporated in an inorganic framework, such as a porous clay —, the clay could have been added either to change the hue of the red pigment or, more probably, as a filler to reduce the liquid texture of the lake. Similarly, XRF analysis on yellow, orange and brownish orange areas has not unveiled any key element characteristic of inorganic materials 18 G. GUTIÉRREZ, and M. PYE, Estudio de la paleta de colores del Códice Maya de México a través de imágenes multiespectrales y espectrómetro de reflectancia, in El Códice Maya de México, antes Grolier, edited by S. MARTÍNEZ DEL CAMPO LANZ, Mexico City 2018, pp. 221-222. 19 D. DOMENICI, C. GRAZIA, D. BUTI, A. ROMANI, C. MILIANI, and A. SGAMELLOTTI, La cochinilla en la pintura de códices prehispánicos y coloniales, in Rojo mexicano. La grana cochinilla en el arte, edited by M. A. FERNÁNDEZ FÉLIX, Mexico City 2017, pp. 88-99; GRAZIA et al., Exploring the materiality cit.; BUTI et al., Further insights cit.; F. POTTIER, A. MICHELIN, A. GENACHTE-LE BAIL, A. TOURNIÉ, C. ANDRAUD, F. GOUBARD, H. AYMERIC, and B. LAVÉDRINE, Preliminary investigation on the Codex Borbonicus: macroscopic examination and coloring material characterization, in Painting the skin. Pigments on bodies and codices in pre-Columbian Mesoamerica, edited by É. DUPEY GARCÍA and M. L. VÁZQUEZ DE ÁGREDOS PASCUAL, Tucson 2019, forthcoming; E. HAUDE, Identification of colorants on maps from early colonial period of New Spain (Mexico), in Journal of the American Institute for Conservation 37 (1998), pp. 240-270. As previously mentioned, a mixture of cochineal and an inorganic component has been recently detected on the Códice Maya de México; see GUTIÉRREZ and PYE, Estudio de la paleta cit.
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(apart from K which is not present in the white background), while infrared investigations (Fig. 5a) provide evidence for the possible presence of silicates, indicated by a weak inverted band around 1000 cm-1. This suggests that in all three cases we are facing organic-inorganic painting materials, made of an inorganic base (a non-identified clay) and an organic dye, not necessarily in the form of a hybrid pigment. The presence of organic dyes is supported by the detection of fluorescence bands (although very weak) with maxima at 575 ± 5 nm on yellow areas and at 610 ± 5 nm on orange (except the one on page 5r) and brownish orange areas (Fig. 5b).
Fig. 5 – FTIR (a) and fluorescence (b) spectra collected on yellow, orange and brownish orange areas of Codex Borgia. The specific identification of the dyes has not been possible on the basis of UV-Vis fluorescence spectra; however, since the observed spectral shift is not removed by the K-M correction,20 the use of at least two different organic dyes is tentatively suggested.
The use of analogous yellow/orange organic-inorganic materials has been detected on the codices Cospi recto (yellow and orange), Fejérváry-Mayer (light orange and, maybe, bright orange and reddish orange), Nuttall verso (three different yellow hues), and Bodley (yellow and orange), suggesting that it is a trait shared by both Nahua and Mixtec pre-Hispanic codices.21 A restricted persistence of this technological tradition into colonial times is witnessed by the presence of a similar yellow in Codex Selden, a manuscript that, even if colonial in date, shows a very “conservative” palette that completely matches the pre-Hispanic ones. On the other hand, no 20 C. CLEMENTI, C. MILIANI, G. VERRI, S. SOTIROPOULOU, A. ROMANI, B. G. BRUNETTI, and A. SGAMELLOTTI, Application of the Kubelka-Munk correction for self-absorption of fluorescence emission in carmine lake paint layers, in Applied Spectroscopy 63 (2009), pp. 1323-1330. 21 MILIANI et al., Colouring materials cit.; BUTI et al., Further insights cit.; HIGGITT, Molab user report; GRAZIA et al., Exploring the materiality cit.
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other colonial manuscript has so far revealed the use of similar yellow/ orange organic-inorganic materials, suggesting a rapid abandonment of the production of this kind of pigments in colonial times, maybe induced by the increasingly common use of orpiment and ochres in the painting of manuscripts. A last element to be highlighted about yellow areas is that, in various instances, our analyses revealed the presence of zinc oxide or of chrome (Cr) and lead (Pb), clearly indicating late alterations made to the manuscript with modern yellow pigments. As for the blue colour, the combined use of FORS and FTIR analysis revealed that the painter(s) of Codex Borgia used the famous hybrid pigment known as Maya Blue, with indigo as chromophore; in all instances, the indigo was based on palygorskite clay. Notably, analyses also revealed the possible presence of another clay, namely sepiolite. At a closer look the representative selection of FORS spectra collected on both blue and greyish blue areas (labelled as grey in Fig. 6a-b) is indeed characterized by an absorption band at 655 ± 5 nm, located in an intermediate position with respect to a palygorskite-based and a sepiolite-based Maya blue reference samples. The FTIR results support the hypotheses made by the FORS analyses (Fig. 6b). In comparison with palygorskite and sepiolite reference spectra in transmission mode (black and red lines), the reflection profiles are characterized by intermediate wavenumbers position for the Si-O stretching bands between 976-986 and 1008-1032 cm-1. In the Si-O bending region, the band at ca. 474 cm-1 is in common between both clays while the ones at ca. 430 and 511 cm-1 are respectively attributed to sepiolite and palygorskite.
Fig. 6 – FORS (a) and FTIR (b) spectra collected on blue and greyish blue areas of Codex Borgia compared with reference spectra of palygorkite-based and sepiolite-based hybrid pigments (a) and of the clays (b).
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The presence of palygorskite and sepiolite in Maya Blue has been previously recognized both in the Maya area and in Nahua regions, as shown, for example, by some artefacts excavated in the Templo Mayor of Tenochtitlan, which display different palygorskite/sepiolite ratios.22 On the other hand, the joint use of palygorskite and sepiolite in Maya blue is so far unique on codices: while the blue areas of codices Cospi, Laud, Fejérváry-Mayer, Nuttall and Colombino (as well as some limited corrections on Codex Bodley) were painted with a indigo + palygorskite Maya Blue, organic-inorganic materials based on different, unidentified clays, and with Commelina sp. as chromophore, where identified on the codices Bodley and Selden.23 Proper indigo + palygorskite Maya Blue is also common on colonial Central Mexican codices such as the Borbonicus, the Mendoza, the Beinecke Map, and the Florentine Codex.24 The reason why the painter(s) of Codex Borgia used a mixture of palygorskite and sepiolite both in blue and in some greyish blue areas is difficult to ascertain, but it could have been the result of some kind of experimentation, maybe aimed at avoiding the use of palygorskite, a rare clay that had to be imported from the Maya area. However, not even the hypothesis of naturally occurring mixture of palygorskite and sepiolite can be discarded. Codex Borgia also shows the use of two different green colours, which are considered green for semantic reasons — they serve to paint elements that were conceived as green by the ancient Nahua (i.e. jade, quetzal feathers, the crocodile and snake calendrical glyphs, etc.) — but which, from a chromatic point of view, look more yellow, orange, and brown than green. 22
L. LÓPEZ LUJÁN, G. CHIARI, A. LÓPEZ AUSTIN, and F. CARRIZOSA, Línea y color en Tenochtitlan: Escultura policromada y pintura mural en el recinto sagrado de la capital mexica, in Estudios de Cultura Náhuatl 36 (2005), pp. 14-45; L. LÓPEZ LUJÁN and G. CHIARI, Color in monumental Mexica sculpture, in Res. Anthropology and Aesthetics 61-62 (2012), pp. 330-342. 23 MILIANI et al., Colouring materials cit.; BUTI et al., Further insights cit.; HIGGITT, Molab user report; GRAZIA et al., Exploring the materiality cit.; ZETINA et al., Material study cit. 24 POTTIER et al., Preliminary investigation cit.; GRAZIA et al., Exploring the materiality cit.; D. DOMENICI, C. GRAZIA, D. BUTI, L. CARTECHINI, F. ROSI, F. GABRIELI, V. M. LLADÓ-BUISÁN, A. ROMANI, A. SGAMELLOTTI, and C. MILIANI, The painting materials of Codex Mendoza, in El Códice Mendoza. Edición facsimilar, edited by J. GÓMEZ TEJADA, Quito 2019, forthcoming; R. R. NEWMAN and M. DERRICK, Analytical report of the pigments and binding materials used on the Beinecke Map, in Painting a map of sixteenth-century Mexico City: Land, writing, and native rule, edited by M. E. MILLER and B. E. MUNDY, New Haven – London 2012, pp. 91-100; D. MAGALONI KERPEL, The traces of the creative process: pictorial materials and techniques in the Beinecke Map, in Painting a map of sixteenth-century Mexico City. Land, writing, and native rule, edited by M. E. MILLER and B. E. MUNDY, New Haven – London 2012, pp. 75-90; D. MAGALONI KERPEL, Painters of the New World. The process of making the Florentine Codex, in Colors between two worlds. The Florentine Codex of Bernardino de Sahagún, edited by G. WOLF and J. CONNORS, Firenze 2011, pp. 46-76; D. MAGALONI KERPEL, The colors of the New World. Artists, materials, and the creation of the Florentine Codex, Los Angeles 2014.
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On the basis of visual observations, both of them seem to be the result of the superimposition of a dark colour on top of a yellow colour. This pattern is quite clear in Green 1, where the yellow was covered with a layer of the abovementioned black colour (with the unusual K, Fe and silicate signals). Green 2, on the other hand, seems to be the result of the superposition of indigo (whose presence is tentatively suggested by the FORS analysis) on a yellow layer. Both greens show the presence of silicates suggesting the presence of a clay (which is neither palygorskite nor sepiolite); at the moment it is hard to state if the silicate derives from the yellow or from the blue or black component. The greens of the Codex Borgia, with their distinctive yellowish/brownish hues, can be compared with similar “not green-looking greens” used on a restricted number of pre-Hispanic manuscripts, where the green value of such colour areas also relies on semantic reasons rather than on chromatic ones. The stronger similarity has to be seen with the greens used on the codices Laud, Fejérváry-Mayer and Vaticanus B, while a weaker resemblance is perceived with those employed on the Mixtec codices Bodley and Selden. Codex Laud’s “mustard green” contains a clay (possibly sepiolite), a yellow dye and a blue dye (maybe indigo, but not associated, however, with a clay substrate as in a proper hybrid pigment); Codex Fejérváry-Mayer’s one is an organic-inorganic pigment composed of clay and one or more non-identified organic dyes, not including indigo. On the Codex Vaticanus B, two different brownish greens were detected, one composed by a brownish/ yellowish dye (Green 1) and the other one by pure indigo superimposed on a layer of yellow or of Green 1 (Green 2) (see infra). On both the Bodley and Selden manuscripts, on the other hand, the brownish looking greens revealed the presence of an organic-inorganic blue composed by Commelina sp. and a non-identified silicate mixed with a yellow dye.25 Unfortunately, the analyses carried out on the Codex Colombino failed to characterize a brownish-green which is part of the manuscript’s Palette 2.26 It is clear, then, that the visual similarity of Codex Borgia’s mustard greens with those employed on other Borgia Group manuscripts is also matched by compositional data. However, macroscopic inspection suggests that while on the codices Borgia and Vaticanus B these greens could be obtained superimposing blue/black and yellow colours, on the codices Laud and Fejérváry-Mayer the two components were mixed. In most cases, the specific association of silicates and dyes is hard to define, but it is possible that the silicates were associated with the yellow component 25 26
BUTI et al., Further Insights cit.; GRAZIA et al., Exploring the Materiality cit. ZETINA et al., Material Study cit.
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of the green rather than with the blue one. This contrasts with most of the green-looking greens detected so far on pre-Hispanic codices, usually composed by a blue hybrid pigment and a yellow dye. In fact, the actual presence of a blue component in the brown-looking greens is sometimes doubtful, so that the mustard hue could be tentatively attributed either to the use of a non-blue dark component (black/grey, etc.) or to the degradation of a volatile blue dye, as sometimes suggested by the detection of oxalates. Codex Vaticanus B As already mentioned, various pages of Codex Vaticanus B were repainted in late pre-Columbian or early colonial times, so that the manu Palette 1 (original) White Back- Calcite + kaground olinite
Palette 2 (pag. 12)
Palette 3 (pag. 20)
Aragonite + ka- Calcite + kaoolinite linite
Palette 4 (pags. 71-72)
Palette 5 (pags. 95-96)
Aragonite + ka- Aragonite + kaolinite olinite
Black
Vegetal carbon Vegetal carbon black black
Vegetal carbon Vegetal carbon Vegetal carbon black black black
Red
Alum-based Alum-based co- Alum-based Alum-based co- Alum-based cocochineal lake* chineal lake* cochineal lake* chineal lake* chineal lake*
Blue
Hybrid (indigo Hybrid (indigo + sepiolite). + sepiolite)
Pure indigo
a) Pure indigo b) Pure indigo
a) Hybrid (indigo + sepiolite) b) Pure indigo
Yellow
Dye (lake?)
Pure dye
Pure dye
Pure dye
Pure dye
Fleshy brown
Pure dye
Ochre + cochineal lake*
_
Pure dye
Ochre + cochineal lake*
Brownish orange
Pure dye
_
Ochre
_
Ochre + cochineal lake*
Brown
_
_
_
_
Dye
Green
a) Dye
Blue hybrid (in- Blue hybrid b) Indigo + yel- digo + sepiolite) (indigo + sepiolite) + yellow + yellow dye low dye dye
a) Indigo + dye a) Indigo-based b) Indigo-based pigment with pigment with unidentified inorganic comunidentified inorganic com- ponent + yellow ponent (kaolin- dye ite?) + yellow dye
b) Blue hybrid (indigo + sepiolite) + yellow dye
Table 1. Synthesis of the materials that compound the five chromatic palettes of the Codex Vaticanus B. * UV-Vis reflectance spectra identify an insect-based anthraquinone lake pigment. Distinction between the insect sources cannot be achieved; cochineal lake is indicated by taking into account the historical period and the geographical provenance of the codex.
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Fig. 7 – XRF (a) and FTIR (b, c) spectra of the white background in the five palettes. FTIR spectra of palette 1 and 3 (b); palette 2, 4 and 5 (c). FTIR spectra are translated vertically for clarity and compared with the reference spectra of calcite/aragonite in reflection mode (red line), and kaolinite in transmission mode (grey line). XRF profiles recorded on white areas are all characterized by high amounts of Ca together with medium amounts of Si and aluminium (Al), which indicate the presence of calcium-based compounds and silicates. FTIR analyses identified unequivocally the two compounds. The infrared spectrum of calcite (pure calcium carbonate) shows absorption bands of CO3 = moiety — distorted by reststrahlen effect — between 1412 and 1526 cm-1 (ν3 antisymmetric stretching), at 877 cm-1 (ν2 out-of plane bending), and at 711 cm-1 (ν4 in-plane bending). In addition, the signals sited at 1795, 1960 and 2515 cm-1 can be ascribed, respectively, to ν1+ν4, ν1+ν2, and ν1+ν3 combination bands.27 Kaolinite, instead, is characterized by infrared bands at 468, 536, 1005, 1032 (Si-O bending, the first two, and stretching modes, the latter), 3620 and 3694 cm-1 (O-H stretching vibrations).28 27 FARMER, Infrared cit.; C. MILIANI, F. ROSI, A. DAVERI, and B. G. BRUNETTI, Reflection infrared spectroscopy for the non-invasive in situ study of artists’ pigments, in Journal of Applied Physics A 106 (2012), pp. 295-307. 28 R. L. FROST, P. M. FREDERICKS, and J. R. BARTLETT, Fourier transform Raman spec-
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script is actually a complex palimpsest.29 Visual inspections then corroborated by scientific analyses revealed that the ancient painters employed five different palettes, including the original one, so that their constituent materials are better visualized by means of a table (table 1). In the following synthesis, we will start discussing the original palette (Palette 1), then passing to the four palettes employed in the repainted pages (Palettes 2-5). One of the most striking aspects of Codex Vaticanus B’s original palette is the white background, which according to FTIR and XRF analysis of different white areas is composed of a mixture of calcite (a polymorph of calcium carbonate) and kaolinite (Fig. 7a, b). It is not possible to state if the kaolinite was purposely added to the calcite or if the two minerals occurred together in a natural deposit. This result is surprising because, as already said, all the Central Mexican and Oaxacan manuscripts analysed so far display backgrounds composed by some form of calcium sulphate, while calcium carbonate (calcite and/or aragonite) is the main component of the background of Postclassic Maya codices from Yucatan.30 The use of vegetal carbon black (for black Fig. 8 – FORS spectra of the red areas in the five palettes of the Vaticanus B showing the absorption bands and grey areas) was expectat about 520 and 560 nm, characteristic of insectable, as well as that of an derived anthraquinone lake pigments (see note 17 above). alum-based cochineal lake troscopy of kandite clays, in Spectrochimica Acta Part A: Molecular Spectroscopy 49 (1993), pp. 667-674. 29 On this topic, see E. DUPEY GARCÍA, J. E. FORDE, S. YANAGISAWA, Los palimpsestos del Códice Vaticano B, in Comentario al Códice Vaticano B (3773), edited by K. MIKULSKA, Mexico City 2019, forthcoming. 30 R. SCHWEDE, Über das papier der Maya-Codices und einiger altmexikanischer Bilderhandschriften, Dresden 1912; D. BUTI, D. DOMENICI, C. MILIANI, C. GARCÍA SÁIZ, T. GÓMEZ ESPINOZA, F. JÍMENEZ VILLALBA, A. VERDE CASANOVA, A. SABÍA DE LA MATA, A. ROMANI, F. PRESCIUTTI, B. DOHERTY, B. G. BRUNETTI, and A. SGAMELLOTTI, Non-invasive investigation of a pre-Hispanic Maya screenfold book: the Madrid Codex, in Journal of Archaeological Science 42 (2014), pp. 166-178.
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(for red and pink colours, Fig. 8), for these are two of the commonest colouring materials in pre-Hispanic codices. On the other hand, a rather surprising result concerns the blue tones of the original palette, which are based on an indigo + sepiolite hybrid pigment. Indeed, UV-Vis reflectance profiles (Fig. 9a) resemble that of the reference sepiolite-based Maya blue pigment — on pages 43r and 56v, for instance — showing the characteristic absorption bands at 292 ± 2 and 647 ± 3 nm. Consistently, signals related to sepiolite, attributed after comparison with a reference spectrum in transmission mode, were detected on the same areas by FTIR (Fig. 9b). As previously commented, the most common blue pigments previously detected on pre-Hispanic manuscripts are those composed either by indigo + palygorskite (codices Cospi, Laud, Fejérváry-Mayer, Nuttall, Colombino, corrections on Codex Bodley, as well as all known Maya manuscripts) or by Commelina sp. + silicates (codices Bodley and Selden), with Codex Borgia’s association of palygorskite and sepiolite as the inorganic base of an indigo-based hybrid pigment representing a unique variant. As already mentioned, sepiolite was also tentatively identified in a mustard green area of Codex Laud together with signals showing the possible presence of indigo; but, the blue colorant was not in association with the clay substrate.31 In such a context, the indigo + sepiolite blue hybrid employed on Codex Vaticanus B represents, so far, another unique blue hybrid employed on pre-Hispanic manuscripts. Interesting enough, many blue areas of the Codex Vaticanus B’s original palette show extensive detachments of the blue pigment from the background. In some instances, punctual retouches were made on these areas: on page 2r UV-Vis analysis highlights the presence of indigo not intercalated in a clay matrix (Fig. 9c, d), while mid-FTIR analysis reveals bands ascribable to indigo (at 1171, 1199, 1297.1318 and 1390 cm-1)32 and the absence of signals attributed to an inorganic substrate. On the other hand, on page 43r, a small “restauration” was performed with a blue paint which is an organic-inorganic pigment composed by indigo and kaolinite, as shown by FORS profile and FTIR spectrum (Fig. 9c). In this case, we cannot use the term “hybrid” because kaolinite is not a fibrous clay, thus lacking the tubular molecular structure required to obtain proper hybrid pigments. Although kaolinite is one of the components of the preparatory layer of the codex, the stronger signals detected on some blue areas allow for the hypothesis of the higher amount of the clay in mixture with the blue dye 31
GRAZIA et al., Exploring the materiality cit. A. AMAT, F. ROSI, C. MILIANI, A. SGAMELLOTTI, and S. FANTACCI, Theoretical and experimental investigation on the spectroscopic properties of indigo dye, in Journal of Molecular Structure 993 (2011), pp. 43-51. 32
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to be done (Fig. 9d). The FTIR spectrum is characterized by signals at ca. 468, 530, 1004, 1032 (Si-O stretching and bending modes), 3622 and 3695 cm-1 (O-H vibrations) which are sometimes distorted when compared with the spectrum in transmission mode of kaolinite. 33 As we will see in a moment, the materials employed for these punctual “restaurations” of the blue areas of the original codex suggest that they were made in antiquity, when some specific pages of the manuscript were fully repainted. In a much later intervention, some of the degraded blue areas were also repainted with modern blue pigments such as Prussian Blue (discovered in the 18th century) and Thenard’s Blue (invented in 1804).
Fig. 9 – FORS (a, c) and FTIR (b, d) spectra of different types of blue paints employed on the Codex Vaticanus B. Palette 1 is characterized by a blue hybrid pigment made of indigo and sepiolite (43r, 56v) as indicated by the reflectance profile compatible with the sepiolite-based Maya blue standard (a) and confirmed by the presence of sepiolite clay after comparison with a reference spectrum in transmission mode (b). A repainted point of the original pages (page 2r) shows the presence of a blue paint made of pure indigo as suggested by the reflectance profile resembling the one of indigo (c) and by FTIR signals ascribed to the blue dye (d). Another possible restoration intervention is present on page 43r where a blue paint made of indigo and kaolinite has been detected. In this latter case, the FORS profile is similar to the one of pure indigo, (c) while the FTIR spectrum shows higher amount of kaolinite than in the white background. 33
FROST et al., Fourier transform cit.
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The combined use of FORS and XRF analysis on yellow, fleshy brown and brownish orange areas revealed the presence of organic dyes (an example of UV-Vis reflectance spectrum is reported in figure 10, black line), with no evidence of the use of clay to produce organic-inorganic pigments by FTIR spectroscopy; a strong similarity between the results from the analysis of the last two colours raises the possibility that a same dye was used, but we cannot tell for sure. Potassium (K) has been detected only in some of the yellow areas, so that it is not clear if the yellow dye was part of an alum lake or was used as a pure dye; no potassium was ever detected in the fleshy brown and brownish orange areas. Moreover, in contrast with Codex Borgia, the weak signals detected with the fluorescence analysis were removed by the Kubelka-Munk correction, indicating that they are more likely apparent fluorescence signals from the coloured layer (possibly related to reflection or scattering of the excitation source, or fluorescence of the white substrate), as frequently encountered when collecting photoluminescence profiles of low emitting fluorophores in reflection mode.34
Fig. 10 – Representative FORS spectra of brownish orange and fleshy brown areas. Typically, the identification of yellow/orange/brown organic dyes through UV-Vis reflection spectroscopy is particularly difficult because of the absence of specific features, as exemplified by the profile collected on page 20r (Palette 1). On the contrary, this technique allowed for the identification of an iron-based pigment35 (as confirmed by increase of XRF signal of iron, not shown) on the brownish orange and fleshy brown areas on page 20r (Palette 3), 96v (Palette 5) and 12r (Palette2). Moreover, the spectra collected on page 96v (Palette 5) and 12r (Palette 2) display the spectral markers of a cochineal lake (see note 17 above). 34 G. VERRI, C. CLEMENTI, D. COMELLI, S. CATHER, and F. PIQUÉ, Correction of ultravioletinduced fluorescence spectra for the examination of polychromy, in Applied Spectroscopy, 62 (2008), pp. 1295-1302. 35 E. CLOUTIS, A. MACKAY, L. NORMAN, and D. GOLTZ, Identification of historic artists’ pigments using spectral reflectance and X-ray diffraction properties I. Iron oxide and oxy-hydroxide-rich pigments, in Journal of Near Infrared Spectroscopy 24 (2016), p. 27.
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A yellow lake in Palette 1 of the Vaticanus B would match the analogous orange and flesh lakes detected on Codex Laud, as well as the yellow and orange ones applied on Codex Colombino.36 On the other hand, the use of pure dyes is quite unique, since we have no clear evidence of their use in other pre-Hispanic manuscripts; nevertheless, as we will see, pure dyes were often used in yellow areas of the Codex Vaticanus B’s repainted pages. Two different greens were part of the original pictorial layer of Codex Vaticanus B. Green 1a, with a distinctive mustard tone, is one of the above-mentioned “not green-looking greens”, in this case most probably composed of a yellow dye (Fig. 11a, b). As it occurs with other similar “greens”, no blue component has been identified. Also, it must be stressed that Codex Vaticanus B is the only manuscript where the “mustard green” does not contain a clay, again representing a green colour unique in its kind. The second green of the original palette, a darker, brownish green (Green 1b) has been characterized as pure indigo possibly superimposed on a layer of yellow or of Green 1a as suggested by the macroscopic examination of the codex (Fig. 11a, b). The superposition of pure indigo on yellow recalls Codex Borgia’s Green 2, but in that case the yellow colour is a clay-containing organic-inorganic pigment. As already stated, some pages of the Codex Vaticanus B (12, 20, 71-72, 95-96) were partially or fully repainted in one or more painting sessions. We were able to identify four different palettes used on these repainted pages, namely Palette 2 (page 12), Palette 3 (page 20), Palette 4 (pages 71-72) and Palette 5 (pages 95-96), each of them synthetically described herein. Palette 2, employed on the fully repainted page 12, displays a so far unique white background composed by a mixture of aragonite and kaolinite (Fig. 7a, c). Aragonite is another polymorph of calcium carbonate which can be found in gypsum deposits, in marine muds (it is the main component of mollusc shells), as well as in caves’ speleothemes. Being a polymorph, aragonite shows infrared profiles similar to calcite, with frequencies slightly shifted to the calcite ones but with the same attributions.37 The spectrum and the bands position can be seen in figure 7c. Palette 2 also includes vegetal carbon black, a cochineal lake (Fig. 8), a blue hybrid pigment made of indigo + sepiolite, a pure yellow dye, a fleshy brown pigment, possibly obtained by mixing a cochineal lake with an ochre (Fig. 10), and a green pigment, which is a mixture of the blue hybrid and a yellow dye (Fig. 11), possibly the one employed in the same 36 37
GRAZIA et al., Exploring the materiality cit.; ZETINA et al., Material study cit. FARMER, Infrared cit.
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Fig. 11 – FORS (a) and FTIR (b) spectra of the different types of green paints employed on Codex Vaticanus B. Green 1a (2r-1b) has a reflectance spectrum that lacks spectral markers, while Green 1b (2r-1a) shows a reflectance profile compatible with that of pure indigo (a). In both cases FTIR profiles have a shape resembling the one of the white background. A hybrid pigment made of indigo and sepiolite has been found on palette 2, 3 and 5 and two examples (12r, 96v) are reported above showing the similarities with the reflectance spectrum of the sepiolite-based Maya blue standard and the FTIR spectra showing bands peculiar of sepiolite after comparison with a spectrum in transmission mode. The third type of green paint shows the presence of an indigo-based pigment whose FORS shape profile (72v) is intermediate between those of pure indigo and the hybrid with sepiolite. In this case the FTIR spectrum looks like the one of the white background.
palette. The use of an ochre mixed with cochineal must be stressed, as it is a unique occurrence in the corpus of pre-Hispanic manuscripts measured so far (see infra for the use of similar mixtures in Palette 5). Palette 3 was used to repaint the lower right quadrant of page 20. The original pictorial layer was covered with a white background composed of a mixture of calcite and kaolinite (Fig. 7a, b); again, we cannot tell if the two components were naturally occurring together or if they were mixed on purpose. Then, new paintings were executed employing vegetal carbon black, a cochineal lake (Fig. 8), pure indigo in the blue areas, a pure yellow dye, a brownish orange ochre (as revealed by FORS, Fig. 9), as well as a green pigment, which was made with a blue hybrid of indigo + sepiolite possibly mixed with an unidentified yellow component. Two striking elements of Palette 3 deserve further comments. First, the use of an ochre for the brownish orange colour is the only known occurrence of a pure ochre (i.e. not mixed with other elements) in a (supposedly) pre-Hispanic
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manuscript. Second, the presence of pure indigo in the blue areas is, again, a unique trait, not seen in any pre-Hispanic codex until now (except for the small retouches on Codex Vaticanus B’s original pages). Interestingly enough, the green material of Palette 3 is prepared with a hybrid of indigo + sepiolite, which indicates that the painter(s) of the palimpsest of page 20 had access to a blue hybrid pigment, but for some reason he (they) decided not to use it to paint the blue areas. Palette 4, employed to fully repaint pages 71-72, includes an aragonite + kaolinite white background (with a strong kaolinite signal) (Fig. 7a, c), similar to that of Palette 2 (page 12), vegetal carbon black, a cochineal lake (similar to that of Palette 2), a pure indigo blue (appearing both in a lighter and a darker tone, the latter similar to the one employed for the “restauration” of the original pages), a pure yellow dye (similar to that of Palette 1), a pure fleshy brown dye, and two different greens. The first is characterized by a greyish tone and contains pure indigo; it was possibly obtained by adding an unidentified yellow component. The second is an indigo-based pigment with an inorganic component, perhaps kaolinite, whose clear characterization is impeded by the strong kaolinite signal of the white background; the FORS profile of this blue colour has an intermediate shape between pure indigo and indigo intercalated in a clay matrix (Fig. 11a). Despite the doubts on the precise identification of the blue pigment included in the green colour, it is interesting to note that the painter(s) of pages 71-72 chose not to employ it in the blue areas, apparently painted with pure indigo. Finally, Palette 5 was employed to completely repaint pages 95-96. It includes an aragonite + kaolinite white background (similar to those of Palettes 2 and 4, applied on pages 12 and 71-72) (Fig. 7a, c), vegetal carbon black, two different red hues coming from a cochineal lake (one of them being visually similar to the reds employed in Palettes 2 and 4) (Fig. 8), two different blues — a pure indigo similar to that of Palette 4 and an hybrid pigment made of indigo + sepiolite similar to that of Palette 2 —, a pure yellow dye, a pure brown dye, two brownish hues (fleshy brown and brownish orange) that are combinations of ochre and cochineal lake (Fig. 10), as well as two greens (Fig. 11a, b). The first green is a mixture of indigo and maybe a silicate (not easily detectable for the above-mentioned reasons). The second green contains a blue hybrid of indigo + sepiolite, while its yellow component (most probably a pure yellow dye) has not been identified. A last, modern, intervention on various pages of Codex Vaticanus B, is witnessed by the detection of alterations realized with colours such as Prussian Blue, Thenard’s Blue and Cadmium Yellow.
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Discussion The analyses performed on the codices Borgia and Vaticanus B greatly expand our knowledge of pre-Hispanic Mesoamerican codex painting technologies and traditions in many ways, that we try to sketch in the following concluding discussion. First and foremost, the analyses of the two manuscripts complete the study of the so-called Borgia Group, since the other three core members of this corpus of manuscripts, the codices Cospi, Laud, and Fejérváry-Mayer, have been previously studied by our team. The results of the previous analyses suggested the existence of two main subgroups, one so far composed only by Codex Cospi recto, the other one by the “twin” codices Laud and Fejérváry-Mayer and by Codex Cospi verso. The analysis of Codex Borgia, on the one hand, reveals material features shared by all the Borgia Group manuscripts (and, in part, by the Mixtec ones), such as the use of a calcium sulphate-based white background, of yellow/orange organic-inorganic pigments, of a form of Maya Blue, as well as of a clay-containing cochineal lake. On the other hand, Codex Borgia also shows more peculiar traits that — as expected in view of their similarity on the stylistic ground — relate it to Codex Cospi recto. These traits are: the use of a gypsum background (vs. the gypsum + anhydrite backgrounds of the codices Laud and Fejérváry-Mayer), and the absence of orpiment (vs. its ample use on the codices Laud, Fejérváry-Mayer and Cospi verso). Two elements that, finally, distinguish Codex Borgia from Codex Cospi are the use of a clay-containing cochineal lake and of a “mustard green”, most probably an organic-inorganic pigment devoid of any blue component; two traits that the Borgia shared, in this case, with codices Laud and Fejérváry-Mayer. As it always occurs, Codex Borgia also shows some unique features, confirming the low degree of standardization of the pre-Hispanic codices in terms of chromatic palettes (so far, not even two codices employ identical palettes). The most striking aspect is the use of a complex (and at the moment poorly understood) black colour containing potassium, iron and silicates. Another of Codex Borgia unique trait is the use of a Maya Blue whose inorganic component is composed by both palygorskite and sepiolite. At first sight, one gets the impression that Codex Borgia stands “in between” the two abovementioned subgroups of the Borgia Group: Cospi recto vs. Laud/Fejérváry-Mayer/Cospi verso. Actually, a more proper description would be that of a corpus of manuscripts sharing a polythetic group of technological practices dedicated to pigments production, many of them related with the manufacture of yellow, orange, brown, blue and green
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organic-inorganic pigments. Most of these traits are represented on Codex Borgia, which thus appears as the “paradigmatic” Borgia Group manuscript. The codices Laud, Fejérváry-Mayer, and Cospi verso, rather, could represent a specific, most probably late, offshoot within the Borgia Group, mainly defined by the presence of gypsum + anhydrite backgrounds and the use of orpiment. Stating where Codex Vaticanus B, or at least its original palette, fits within the situation sketched before is a hard task. Its material characteristics make this codex so unique within the Borgia Group that it seems to represent a third subgroup by itself, technologically quite removed from the core manuscripts. Interestingly enough, this impression is reinforced by the long-noticed strong stylistic distinctiveness of Codex Vaticanus B. Actually, the only technological traits it shares with the other Borgia Group members are extremely common ones, also shared by the Mixtec codices, such as the use of vegetal carbon black and of cochineal lakes. For the rest, the original palette of Codex Vaticanus B is highly unique. The calcium carbonate and kaolinite background has no parallels in other known Mesoamerican manuscripts, among which calcium carbonate-based backgrounds are only used on three of the Maya codices (Madrid, Dresden, and Paris). Thematic parallels between sections in Codex Vaticanus B and the Maya codices are currently studied by G. Vail and É. Dupey García,38 although it is possible that the use of calcium carbonate on the Vaticanus B, rather than illustrating connections with the Maya area, reflects the geological characteristics of the area where the manuscript was created, possibly a karstic region rich in limestones. On the other hand, the so far unique blue hybrid pigment made of indigo + sepiolite clearly distinguishes Codex Vaticanus B from the other Borgia Group members, even if it recalls, in some ways, the use of sepiolite (mixed with palygorskite) in Codex Borgia’s blue hybrid. Also unique is the extensive use of pure yellow(?), fleshy brown and brownish orange dyes, a pattern not matched by other pre-Hispanic codices, but quite common in colonial manuscripts such as the codices Selden, Mendoza, Badianus, Azoyu I, the Beinecke Map, the Selden Roll, and the Florentine Codex.39 Such an extensive use of pure dyes 38 G. VAIL and É. DUPEY GARCÍA, Cultural Interactions in Late Postclassic Mesoamerica: Exploring the Repainted Pages of the Codex Vaticanus B and Cognate Almanacs of the Maya Madrid Codex, paper presented at the College Art Association’s 107th Annual Conference, session Painted Books of Pre-Hispanic Mexico: New Discoveries, New York, 14th February 2019. 39 GRAZIA et al., Exploring the materiality cit.; NEWMAN and DERRICK, Analytical report cit.; S. ZETINA, T. FALCÓN, E. ARROYO, and J. L. RUVALCABA, The encoded language of herbs: material insights into the De la Cruz-Badiano Codex, in Colors between two worlds. The Florentine Codex of Bernardino de Sahagún, edited by G. WOLF and J. CONNORS, Firenze 2011,
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in Codex Vaticanus B original pages is mirrored by the complete lack of non-blue hybrid pigments, a trait that distinguishes this manuscript from the other members of the Borgia Group where (except for Codex Laud), the use of clays to produce yellow, orange and brown hybrids was extremely common. Even if each of the palettes of the repainted pages of the Vaticanus B shows distinctive features, they also share elements that testify certain continuity with the original palette and that allow grouping these new palettes in two different subgroups. The proximity with the original palette is witnessed by traits such as the calcium carbonate-based backgrounds including kaolinite, as well as the use (in Palettes 2, 3, and 5) of blue hybrid pigments made of indigo + sepiolite and the recurrence of pure yellow dyes; the use of pure dyes is especially notable in Palette 4, which also includes a fleshy brown and a green pigment made of indigo + a yellow dye. Palettes 2, 4, and 5 (pages 12, 71-72, 95-96) show telling similarities, such as the aragonite + kaolinite background, comparable cochineal lakes, and very similar yellow dyes. Palettes 4 and 5 also share the use of a green whose blue component is a mixture of indigo and an inorganic component. The surprising use of ochres characterizes Palettes 3 (brownish orange made of ochre), Palette 2 and 5 (brownish orange mixtures made of ochre and cochineal). Palette 3 (page 20), on the other hand, is unique because of its calcite + kaolinite background, at the same time that it shares with the other palettes traits such as the use of pure indigo (as Palette 4) and of a green whose blue component is a hybrid made of indigo + sepiolite. The elements so far summarized suggest that the repainted pages of Codex Vaticanus B were the work of artists who belonged to the same or to a very close technological tradition than the artists who painted the original pages, and that their interventions could be divided in two phases, whose mutual chronological relationship is hard to define: in one phase, a quadrant of page 20 was repainted with Palette 3, while in another phase (but in different painting sessions corresponding to palettes 2, 4, and 5) pages 12, 70-71, and 95-96 were completely reworked. Within this same phase, we can probably distinguish two different sub-phases, since the high level pp. 221-255; S. ZETINA, J. L. RUVALCABA, T. FALCÓN, E. HERNÁNDEZ, C. GONZÁLEZ, E. ARROYO, and M. LÓPEZ CÁCERES, Painting syncretism: a non-destructive analysis of the Badiano Codex, in 9th International Conference on NDT of Art, Jerusalem 2008; S. ZETINA, J. L. RUVALCABA, M. LÓPEZ CÁCERES, T. FALCÓN, E. HERNÁNDEZ, C. GONZÁLEZ, and E. ARROYO, Non destructive in situ study of Mexican codices: methodology and first results of materials analysis for the Colombino and Azoyu Codices, in Proceedings of the 37th International Symposium on Archaeometry, edited by I. TURBANTI-MEMMI, Heidelberg – Berlin 2011, pp. 349-354; MAGALONI KERPEL, The traces of the creative process cit.; MAGALONI KERPEL, Painters of the New World cit.; MAGALONI KERPEL, The colors of the New World cit.
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of kaolinite measured on the background of pages 71-72 (Palette 4) distinguishes it from the similar backgrounds, but with a lower content of kaolinite, of pages 12 (Palette 2) and 95-96 (Palette 5), which are almost identical and were thus possibly painted in the same sub-phase. The fact that the “restorations” of the flaked blue areas of the original pages were made with pure indigo (used in Palettes 3 and 4) and (at least in a single case, on page 43r) with a mixture of indigo and kaolinite, that is, the same blue pigment used in Palettes 4 and 5, suggests that the “restoration” process took place when some of the pages were fully repainted, most probably when Palette 4 was employed. The eccentric position of Codex Vaticanus B within the Borgia Group could be due both to geographical, cultural, and chronological reasons. The use of calcium carbonate-based backgrounds in the original pages and the palimpsests suggests that this object could have been created in a karstic region, rich in limestones, while the use of sepiolite to produce blue hybrid pigments could reflect the need to overcome difficulties in obtaining the palygorskite clay from the Maya area. The total absence of palygorskite in Codex Vaticanus B recalls some technologies employed in Mixtec codices such as Bodley and Selden, where a non-identified silicate — that is, not palygorskite — was used to produce blue organic-inorganic materials with Commelina sp. as a chromophore. This technological connection with the Mixtec codex painting tradition seems coherent with the presence in Codex Vaticanus B, especially in its repainted pages, of iconographic elements that suggest a certain proximity with Codex Vindobonensis as well as manuscripts from the areas of Coixtlahuaca, Cuicatlán, and Tehuacán.40 As a working hypothesis to be tested in future studies, we suggest that Codex Vaticanus B, both in its original form and its palimpsests, could have been painted in the region of southeastern Puebla and northwestern Oaxaca, a karstic area well known for having been, in the Postclassic period, the theatre of sustained interactions between numerous different ethnic groups, among which Nahua and Mixtecs. Even if material analyses of the kind reported here do not have direct chronological implications, they could nevertheless provide interesting hints. For instance, it should be stress that already in its original form, Codex Vaticanus B shows a feature so far only detected in colonial codices, namely the use of pure dyes (i.e. not used as components of organic-inorganic pigments and lakes). This pattern is much more evident in the repainted palettes where, beside the extensive use of pure dyes, another innovative element typical of colonial manuscripts is represented by the use 40
DUPEY GARCÍA et al., Los palimpsestos cit.
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of ochres.41 With due caution, we thus underline that various technological traits suggest that the palimpsests were perhaps painted in early colonial times; regarding the original pages the evidence (limited to the use of pure dyes) is more tenuous, but we can say that they were painted, if not in colonial times, at least with modes anticipating those that would become common in the decades following the Spanish conquest. Obviously, in lack of any firm evidence, such suggestions about the chronology of the various painting phases of Codex Vaticanus B must be considered as no more than educated guesses. As we have seen, the production of unusual blue organic-inorganic pigments or mixtures of colouring materials in both Vatican codices created paints that degraded over time, resulting in an extensive flaking of the paint in the blue areas, which, in the case of Codex Vaticanus B, induced some spot “restorations” in ancient times. Apparently, the degradation (also including flaking and lack of colour in the yellow areas) continued during the following centuries, leading to the last — and totally unexpected before our analyses — interventions on the manuscripts. In a moment that we cannot date precisely, but surely after the beginning of the 19th century, both codices suffered another painting campaign — probably meant also as a “restoration” — which employed modern pigments such as Prussian Blue, Thenard’s Blue, Cadmium yellow and Zinc Oxide. These modern alterations represent the last step in the life history of the two precious Vatican manuscripts, whose details are being revealed by the scientific analyses reported herein.
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DOMENICI et al., Changing Colours in a Changing World cit.
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I LIBRI DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE NELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA: IL PROGETTO BAV-ALDVS* «La virtù nô hà bisogno di mezzo, mà da se stessa si apre la strada.»1
Nel marzo del 2017, la Sezione Libri Antichi della Biblioteca Apostolica Vaticana concludeva la catalogazione analitica degli incunaboli tra cui trentacinque edizioni impresse dai torchi di Aldo Pio Manuzio2. Tale traguardo fu seguito dalla catalogazione di un secondo nucleo di celebri edizioni note con il nome di aldine. Il progetto, denominato BAV-ALDVS, si è unito alla ininterrotta scia di eventi, italiani e stranieri, dedicati alla figura di Aldo Pio Manuzio di cui nell’anno 2015 si è celebrato il V centenario della morte3. L’obiettivo è stato il censimento catalografico analitico dell’intera galassia aldina custodita tra i fondi antichi della Biblioteca dei papi4. L’attenta analisi delle edizioni, e degli esemplari corrispondenti, ha * Sono grata al Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, don Cesare Pasini e al Capo Sezione Libri Antichi, dottor Timothy Janz, per aver autorizzato l’iniziativa. BAV-ALDVS è stato reso possibile grazie all’amichevole interessamento di Fredrik Vahlquist, ambasciatore di Svezia presso la Santa Sede, e alla generosa partecipazione di S. E. Åke Bonnier, vescovo luterano di Skara. 1 Si rinvia alla lettera indirizzata al cardinale Girolamo Della Rovere, in A. MANUZIO, Lettere volgari, Roma, Santi & C., 1592, p. 78 (Stamp. Cappon. IV.624). 2 Il progetto BAVIC (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Incunabulorum Catalogus) ha inteso catalogare gli incunaboli custoditi nella Biblioteca dei papi (5.880 edizioni). Per approfondimenti, si rinvia a L. LALLI, La collezione degli incunaboli della Biblioteca Apostolica Vaticana e il Progetto Bavic, in La stampa romana nella città dei papi e in Europa, a cura di C. DONDI, A. RITA, A. ROTH, M. VENIER, Città del Vaticano 2016, pp. 87-106. 3 Per approfondimenti, si rinvia a L. LALLI Aldo Manuzio, il giovane: autore e editore nella Biblioteca Apostolica Vaticana (1558-1592), in Per Aldo, 1515-2015, scritti di bibliografia e bibliofilia. Atti del convegno tenuto a Venezia, Convento di San Francesco alla Vigna, 17-19 aprile 2014, a cura di A. SCARSELLA, Venezia 2015, pp. 103-133; Ancora per Aldo Manuzio. Ai margini del V Centenario, contributi e ricerche interdisciplinari, a cura di A. SCARSELLA e M. MENATO, Venezia 2018 (Libreria antiquaria drogheria, 28); Five centuries later: Aldus Manutius, culture, typography and philology, a cura di N. VACALEBRE, Firenze 2018 (Biblioteca di bibliografia, 207). 4 Sono grata al lavoro di catalogazione eseguito dalle dottoresse Mara Mincione e Francesca Schena. Il loro impegno ha contribuito pienamente alla conclusione, anticipata rispetto ai tempi previsti, dell’intero progetto. La catalogazione ha adottato la normativa RDA Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 229-245.
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evidenziato l’importanza della collezione sia dal punto di vista della innovazione tecnico-tipografica sia riguardo allo sviluppo umanistico-culturale promosso dai rappresentanti della famiglia: Aldo Manuzio, il vecchio (c. 1450-1515), Paolo Manuzio (1512-1574) e Aldo Manuzio, il giovane (15471597)5. La produzione tipografica ed erudita dei Manuzio è ampiamente rappresentata in BAV-ALDVS a partire dai preziosi testimoni vaticani delle edizioni coincidenti già censite nelle Serie compilate dagli studiosi Antonio Cesare Burgassi, Jacopo Morelli e Antoine Auguste Renouard6. Il progetto ha identificato anche le edizioni contraffatte in Svizzera e in Lione, per conto di Baldassarre Gabiano, stampate nel primo decennio del Cinquecento. Il fondo dal quale ha preso avvio la catalogazione analitica, denominato Aldine, è una porzione libraria proveniente dalla sua collezione privata confluita in Biblioteca Vaticana tra il 1598 e il 16037. È necessaria, quindi, una breve narrazione del contesto culturale ed erudito nel quale egli visse per dare conto dell’ingresso di parte dei celebri volumi nella Biblioteca dei papi. Nella introduzione al monumentale contributo sulla storia della biblioteca di Aldo il giovane, Alfredo Serrai puntualizza l’idea che le biblioteche private, a differenza di quelle pubbliche, non sottostanno a vincoli formali, impersonali e legislativi ma si distinguono per avere un carattere peculiar(Resource Description and Access). Alcune aldine sono fruibili on line nella Digital Vatican Library Collection (DVL) che consente di visualizzare le unità editoriali, alcune per intero e altre in parti, selezionate sulla base delle particolarità riscontrate nel corso della catalogazione analitica. Per approfondimenti, si rinvia al link DVL https://digi.vatlib.it/stp/Aldine. Sono grata alle colleghe del Coordinamento informatico, Paola Manoni e Rosanna Mancusi, per l’ausilio tecnico in corso d’opera. 5 BAV-ALDVS registra tre tipologie: le edizioni stampate per i torchi dei Manuzio a partire dal 1495 fino al 1597, anno di morte di Aldo il giovane (739 edizioni); le edizioni che rappresentano la fortuna dei Manuzio, in qualità di autori, stampate da tipografi italiani e stranieri dal 1597 fino al 1711 (61 edizioni); le contraffazioni (15 edizioni). Le edizioni contraffatte sono collocate nei fondi Aldine A. e Rossiano. Per la voce Gabiano, Baldassarre, si rinvia a M. INFELISE, in DBI, 51, Roma 1998, pp. 24-26. La vastità numerica degli stampati antichi, custoditi in Biblioteca Vaticana, è tale da non escludere che, in futuro, possa comprendere altre aldine che amplieranno l’universo BAV-ALDVS e saranno messe a disposizione degli studiosi di tutto il mondo. 6 Si rinvia a A. C. BURGASSI, Serie dell’edizioni Aldine per ordine cronologico ed alfabetico, Firenze 1803; J. MORELLI, Aldi Pii Manutii Scripta tria longe rarissima, Bassano 1806 e A. A. RENOUARD, Annali delle edizioni aldine, Bologna 1953. 7 Si rinvia a M. CERESA, Acquisizioni e ordinamenti degli stampati nel corso del Cinquecento, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2), pp. 91-104; T. PESENTI, Gli stampati: la formazione della “Prima Raccolta” e i suoi cataloghi, in La Vaticana nel Seicento (1590-1700). Una biblioteca di biblioteche, a cura di C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2014 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 3), pp. 543597 e alla voce Ranaldi, a cura di G. BRUNELLI, in DBI, 86, Roma 2016, pp. 371-374.
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I LIBRI DI ALDO MANUZIO IL GIOVANE
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mente personale e di imprevedibilità assoluta8. Il tratto che distinse la sua collezione fu segnato dalla sua personalità e dal suo vissuto sia in qualità di incauto editore sia in qualità di instancabile autore ma anche e soprattutto di appassionato bibliofilo. Nipote di Aldo Pio e figlio di Paolo Manuzio, Aldo il giovane fu l’ultimo erede della illustre dinastia che visse l’epilogo della prestigiosa attività. In una lettera, scritta nel 1592, indirizzata a Silvio Antoniano egli si definì «Aldus, reliquum Familiae Manuciae» a conferma della consapevolezza del triste destino che lo attendeva sia riguardo alle vicende personali sia riguardo alla attività editoriale la quale, sotto la sua direzione, fu suggellata da un declino definitivo9. La figura di Aldo il giovane fu piuttosto discussa. L’amara consapevolezza, perfino rispecchiata nella descrizione di un aspetto fisico trasfigurato, fu rinnovata circa mezzo secolo dopo nel saggio di Giano Nicio Eritreo dal titolo Pinacotheca: «Fuit pedibus praeter modum enormibus, capite magno, facie oblonga, ore illepido & invenusto, barba horrida, cujusmodi in statuis philosophorum antiquis & imaginibus cernimus»10. A proposito dei commenti all’opera di Cicerone, Rossi aggiunse: «Nulla Ciceronis operum pars est, qua mille commentariis vel notis non illustrarit»11. Circa un secolo dopo, Apostolo Zeno sostenne una rivalutazione della controversa figura. In una estesa nota introduttiva alle Epistole famigliari di Cicerone, stampate a Venezia nel 1736, egli delineò una breve biografia dei componenti della storica famiglia. La nota era completa di un albero genealogico e della riproduzione delle marche di bottega con le varianti dell’áncora e il delfino12. A proposito di Aldo il giovane, Zeno dichiarò un fermo apprezzamento della produzione intellettuale e della complicata direzione della tipografia ereditata, alla morte del padre, nel 1574.13 8
Per approfondimenti, si rinvia a A. SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane, Milano 2007, pp. 133-143 (Biblioteche private) e alla voce Manuzio, Aldo, il Giovane a cura di E. RUSSO in DBI, 69, Roma 2007, pp. 245-250. 9 Per la citazione, si rinvia a Silvio Antoniano, Clementis IIX. Pont. Max. cubiculi praefecto, Aldus, reliquum familiae Manuciae, S.D. Venezia, 1592, carta A1r. 10 Si rinvia a GIANO NICIO ERITREO, Pinacotheca imaginum illustrium, doctrinae vel ingenii laude, virorum, qui, auctore superstite, diem suum obierunt, Colonia [id est Amsterdam], Cornelius von Egmont, 1643, pp. 184-185. 11 Si rinvia a ERITREO, Pinacotheca cit., p. 185. 12 Riguardo alle marche tipografiche degli Aldi, Antonio Cesare Burgassi sintetizza la parabola tipografica utilizzando i marchi per descrivere la qualità dei prodotti editoriali nel corso del secolo. Le pubblicazioni con l’àncora coronata di Aldo il giovane corrispondono, ad esempio, al periodo peggiore di fioritura di errori. A tal proposito, si rinvia a BURGASSI, Serie dell’edizioni Aldine cit., pp. I-VI. Si aggiunge la nutrita bibliografia in merito indicata nel repertorio Le marche tipografiche italiane nella Biblioteca Apostolica Vaticana: 1480-1515, a cura di M. MINCIONE, Città del Vaticano 2019 [n.d.r. in corso di pubblicazione]. 13 Si rinvia a Le Epistole famigliari di Cicerone, già tradotte, & hora in molti luoghi cor-
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La collezione libraria rifletteva una duplice anima di editore poco interessato e di autore fecondo come dimostrato dal nutrito elenco di edizioni a lui attribuite, molte delle quali catalogate nel progetto14. Aldo il giovane, principalmente erudito e filologo, matura la sua formazione culturale nell’ambito del secondo Umanesimo posteriore alla stagione caratterizzata da figure come Pietro Vettori e dal padre Paolo Manuzio. Nel 1561, egli pubblicò l’Ortographiae ratio, con una dedica indirizzata a Francesco Sirena Morando, ove spiega il suo interesse per l’epigrafia e il classicismo «In hoc libello consuetudinem antiquorum indicavi, ut eos in scribendo liceat ~ testimonio. imitari. usus sum lapidum, nummorum, veterumq´. Libroru 15 etymologiae rationem ostendi […].» . La fortuna dell’opera è trasmessa dalle ristampe veneziane del 1566, del 1591 e dall’edizione lionese del 1580 apud Alexandrum Marsilium Lucensem16. Negli anni successivi, per ampliare i contenuti dell’Ortographia, egli alimentò la ri-scoperta dello studio delle iscrizioni latine. Tale interesse è documentato dagli originali appunti, disegni, bozzetti e ritagli di stampa raccolti nei venti codici vaticani latini
rette da Aldo Manutio Con gli argomenti a ciascuna epistola, & esplicationi de luoghi difficili, Venezia, Francesco Piacentini, 1736, pp. I-LXXI. Zeno sottolineò, in particolar modo, l’evento doloroso della morte del padre Paolo: «Ognuno può figurarsi il grave senso cagionatogli dalla perdita di un padre; che oltre all’essere naturale, aveagli anche dato il buon essere, onde potea dir con ragione, che gli era debitor di due vite» in Epistole famigliari cit., p. XLII (1574). Nel 1577, Aldo il giovane affidò la gestione dell’attività a Nicolò Manassi ma ne conservò la proprietà. Si trattava di un accordo quinquennale rinnovato, nel 1584, per un altro decennio: il contratto includeva un prezioso inventario della biblioteca dei Manuzio, presente fino alla metà degli anni Ottanta, e altri registri sulla vendita dei libri nel decennio precedente. Numerose edizioni pubblicate da Aldo il giovane, tra il 1579 e il 1595, presentano una appendice con il catalogo di vendita «Libri di stampa d’Aldo nella Libraria di Venetia […]» oppure «Libri di Stampa d’Aldo, che si trovano al presente». Altra documentazione riguardante le giacenze di magazzino, si trova in ASV, Giudici del proprio, Mobili, reg. 99, c. 82e e segg. Alla data 1 dicembre 1597. In fine, sulle vicende della tipografia manuziana, si rinvia a A. CATALDI PALAU, Gian Francesco d’Asola e la tipografia aldina, Genova 1998; E. RUSSO, Un contratto nel registro di bottega di Aldo Manuzio il Giovane in Accademie e biblioteche d’Italia 66 (1998), pp. 5-20; E. RUSSO, Il mercato dei classici: la letteratura italiana nella bottega di Aldo Manuzio il Giovane, in Nuovi Annali della scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari 15 (2001), pp. 21-54. 14 Ad oggi, BAV-ALDVS registra 70 edizioni di Aldo il giovane come autore e 141 come editore-tipografo. 15 Si rinvia a A. MANUZIO, Ortographiae ratio, Venezia, 1561, carta A3r (Aldine A.III.240, Stamp. Ferr. V.3029, Stamp. Ross. 6123). 16 Per l’edizione del 1561, si rinvia ai seguenti esemplari: Aldine A.III.240, Stamp. Ferr. V.3029, Stamp. Ross. 6123. Per l’edizione del 1566, si rinvia ai seguenti esemplari Aldine III.236, Stamp. Barb. CCC.I.33, Stamp. Ross. 6161. Per l’edizione del 1591, si rinvia ai seguenti esemplari Aldine A.III.339, Stamp. Barb. CCC.I.3. Per l’edizione lionese del 1580, si rinvia all’esemplare Stamp. Barb. Y.VIII.107. Si segnala anche l’edizione A. MANUZIO, Ratio ortographiae, Douai, B. Bellére, 1610 (Stamp. Barb. Y.VIII.108).
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intitolati Inscriptiones veteres variae17. Nel 1563, si licenziò la pubblicazione dell’opera di Sallustio Coniuratio Catilinae, et Bellum Iugurthinum come primo numero di una collana di titoli di autori classici seguita da aggiornamenti e ristampe18. Nel 1567, a Venezia, venne alla luce il Terzo Libro Delle lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, et eccellentissimi ingegni a cura di Aldo il giovane. L’opera fu il completamento dei precedenti epistolari stampati dal padre (Venezia, 1560, 1564)19. Il Terzo Libro conteneva corrispondenze di personaggi che contribuirono alla fama dei Manuzio, tra cui alcune epistole indirizzate al padre Paolo da Antonio da Feltro (p. 193), dall’arcivescovo Scipione Ammirato (pp. 110-113), da Francesco Greco (p. 140), da Francesco della Torre (pp. 33, 36), da Gabriele Zerbi (pp. 165, 169), da Silvestro Aldobrandini (p. 136) e dal vescovo di Pola Antonio Elio (p. 145)20. Nel 1571 a Venezia, i torchi manuziani si attivarono per la stampa dei libri della Historia Romana di Velleio Patercolo ab Aldo Manutio, Paulli f. Aldi n. emendati, et scholiis illustrati21. Mentre nel 1573 proseguì la cu17 Si rinvia ai manoscritti Vat. lat. 5234-5253: si tratta di codici miscellanei con annotazioni autografe, disegni, frammenti a stampa. In particolare, si rinvia al frammento della rara edizione A. MANUZIO, De veterum notarum explanatione quae in antiquis monumentis occurrunt, Venezia, Paolo Manuzio, 1566 di cui la biblioteca possiede solo i due fascicoli + e ++ (Vat. lat. 5234, ff. 80-81). I manoscritti giunsero in Biblioteca Vaticana, assieme agli stampati, dopo la morte di Aldo il giovane. Si rinvia a A. CAMPANA, Contributi alla biblioteca del Poliziano, in Il Poliziano e il suo tempo. Atti del IV Convegno internazionale di studi sul Rinascimento (Firenze, Palazzo Strozzi, 23-26 settembre 1954), Firenze 1957 (Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, 208 nt. 919; W. STENHOUSE, Reading Inscriptions and Writing Ancient History. Historical Scholarship in the late Renaissance, in Bulletin of the Institute of Classical Studies. Suppl. 86, London 2005; M. BUONOCORE, Profili bio-bibliografici dei personaggi citati nelle lettere, in Lettere di Theodor Mommsen agli italiani, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 519-520), p. 226. 18 Si rinvia a G. SALLUSTIUS CRISPUS, Coniuratio Catilinae, et Bellum Iugurthinvm, Venezia, Paolo Manuzio, 1564 (Stamp. Ross. 5873). 19 Delle lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, et eccellentissimi ingegni scritte in diverse materie, Libro Terzo, Venezia, 1567 (Aldine A.III.284-285(1-3), Aldine III.239-240 (1-3), Aldine III.241-242 (1-3), Stamp. Barb. CCC.I.14 (3), Stamp. Ross. 6766-6767 (1-3), Stamp. De Luca V.40077 (1-2), Stamp. De.Luca. V.40082 (3)). Riguardo alle Lettere pubblicate da Paolo Manuzio, si rinvia a P.A. TOSI, Lettere di Paolo Manuzio copiate sugli autografi esistenti nella Biblioteca ambrosiana, Parigi 1834 e al contributo di F. LONGONI, Le edizioni aldine delle epistole di Paolo Manuzio, in, Wuz, La rivista del collezionista di libri, n. 4 2003, pp. 58-64. 20 Si rinvia a P. DE NOLHAC, Les correspondants d’Alde Manuce: materiaux nouveaux d’histoire litteraire (1483-1514), in Studi e documenti di storia e diritto 8 (1887), pp. 247-299; 9. (1888) e al saggio di E. PASTORELLO, Inedita manuziana: 1502-1597, Venezia – Roma 1960 (Civiltà veneziana. Studi, 10). Si segnalano i manoscritti: Barb. lat. 2096, f. 18; Vat. lat. 3433; Vat. lat. 6192, f. 508; Vat. lat. 6194, f. 374; Vat. lat. 6195, f. 374; Vat. lat. 6411, ff. 249-250; Vat. lat. 6412, f. 88; Vat. lat. 6611, f. 178; Vat. lat. 6792, f. 82; 21 L’edizione corrisponde ai seguenti esemplari: Aldine III.257 (int. 1), Stamp. Barb. CCC. II.32, Stamp. De Luca V.30444.
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ratela delle Locutioni dell’epistole di Cicerone già affrontata dal padre22. La fortuna di tale opera si procrastinò nelle successive edizioni impresse a Como da Girolamo Frova nel 1597 e, ancora nel 1601, a Venezia per i torchi di Pietro Ricciardi23. Nel 1576 sempre a Venezia, fu autore di una esegesi dell’Ars poetica oraziana e, al contempo, curò un secondo epistolario dal titolo De quaesitis per epistolam; una raccolta di questioni erudite, d’argomento archeologico ed epigrafico, disquisite e illustrate sotto forma di lettera, indirizzate ad amici e sodali, tra cui Jean Antoine Muret De epistolis24, Carlo Sigonio De Etesijs, Vincenzo Pinelli De Drachmis, ma anche autorità ecclesiastiche tra cui i cardinali Guglielmo Sirleto De Metonis anno25 e Alessandro Farnese De ratione interkalandi26. Nel costante ricordo dei suoi avi, il frontespizio dell’edizione fu decorato da un profilo inciso del nonno, magister Aldo Pio; l’opera fu dedicata al principe veneziano Luigi Mocenigo, doge dal 1570 al 157727. La produzione editoriale, sebbene concentrata a perpetuare l’amore per gli autori classici, non escluse la letteratura a lui coeva. Nel 1581, egli licenziò l’editio princeps dell’Aminta e delle Rime non senza polemiche da parte dell’autore Torquato Tasso28. In una lettera di Tasso, scritta a Ferrara il 10 22 La Biblioteca Vaticana possiede le seguenti edizioni: Locutioni dell’epistole di Cicerone scielte da Aldo Mannucci, Venezia 1582 (Aldine A.III.324, R.G. Classici V.2191 (int. 2)); edizione del 1597 (Stamp. De Luca VI.2624); edizione del 1601 (R.G. Classici V.152). 23 Como, 1597 (Stamp. De Luca VI.2624); Venezia 1601 (R.G. Classici V.152). 24 Ad oggi BAV-ALDVS registra 40 esemplari appartenuti a Marc Antoine Muret. In particolare, si segnala l’esemplare Aldine A.III.263 dell’edizione C. Iulii Caesaris Commentariorum De Bello Gallico, libri VIII, Venezia, Paolo Manuzio, 1564 che presenta sul frontespizio le note ad inchiostro: «Coll. Rom. Soc. Jesu cat. insc. Bibl. Mureti» e «M. Antonij Mureti dono Aldi Manutij». 25 Riguardo alle epistole di Aldo il giovane al cardinale Guglielmo Sirleto, si rinvia ai seguenti codici: Reg. lat. 2023, ff. 224-225, Vat. lat. 6192, f. 508, Vat. lat. 6194, f. 374, Vat. lat. 6195, f. 374, Vat. lat. 6792, f. 82. 26 Si rinvia a A. MANUZIO, In Q. Horatii Flacci Venusini librum De arte poetica, Venezia 1576 (Aldine A.II.95, Aldine II.99, Stamp. De Luca IV.4001); A. MANUZIO, De quaesitis per epistolam libri III, Venezia 1576, pp. 47, 73, 1, (Aldine A.III.316, Aldine III.216 (int. 3), Aldine III.264bis, R.G. Miscell. J.3 (int. 3), Stamp. Barb. CCC.I.24 (int. 1), Stamp. Ferr. V.3038, Stamp. Ross. 5985). 27 Nel 1577 egli sarà assunto nell’Ordine dei segretari della Repubblica come notaio e lettore della Cancelleria. Si segnala l’edizione dal titolo Discorso intorno alla eccellenza delle republiche, [Venezia?, 1584-1597] (Stamp. Barb. Y.X.110). Al 1580 risale il progetto della Descrittione d’Italia che non vide mai la luce della stampa. A tale progetto, si legò la stesura della Manfrediorum historia di Aldo il giovane (Chigi G.V.36). 28 Si rinvia a T. TASSO, Aminta favola boscareccia, Venezia, 1581 (Aldine A.III.321, Aldine III.272, Stamp. Ross. 6736). La Biblioteca Vaticana custodisce anche l’edizione del 1590 (Aldine II.116, Stamp. Ross. 4635) e le Rime del signor Torquato Tasso. Parte prima. Insieme con altri componimenti del medesimo, Venezia 1581 (Aldine A.III.322, Stamp. De Luca VI.2600). Per approfondimenti sugli esemplari posseduti da Torquato Tasso, e custoditi in
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marzo del 1581, si legge: «Mi sono questa mattina state portate le mie rime fatte stampare da V.S. […]. Mi è stato detto che son piene di molti errori. Prego V.S. che non le lasci in alcun modo vedere, che presto gliele manderò riconcie, e riordinate, con la compagna d’altre nuove con gli argomenti»29. Nondimeno nella lettera del 18 marzo del 1581 si legge «Fra le rime che ha fatte stampar V.S. ve ne sono alcune, che non sono mie, ed alcune ch’io non avrei mai fatto stampare»30. L’attività editoriale proseguì, tra il 1582 e il 1583, con la pubblicazione dei commenti all’opera di Cicerone, catalogati anche nel progetto BAV-ALDVS, dal titolo M. Tullius Cicero Mannucciorum commentariis illustratus antiquaeq. lectioni restitutus, In M. Tullii Ciceronis De philosophia volumen primum [-secundum] e In M. Tullii Ciceronis De Rhetorica volumen primum31. La parallela produzione intellettuale non preservò Aldo il giovane da un sentimento di sdegno mostrato da non pochi accademici della Crusca32. Un segno di discredito si palesò, ad esempio, in una lettera scritta il 10 febbraio del 1584 da Leonardo Salviati a Francesco I de’ Medici. Nella epistola, Salviati sottolineava l’ingiusta attribuzione ad Aldo il giovane di «gentilhuomo Venetiano» che, nondimeno, appariva Biblioteca Vaticana, si rinvia a M. CERESA, Stampati Barberini. Credenzino del Tasso, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, II: Dipartimento Stampati, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 467), pp. 796-804. Riguardo alle annotazioni di mano di Aldo il giovane, si segnala anche l’esemplare Aldine III.219 (int. 1-3): una miscellanea di opere di Cicerone, Frontino e Aldo stampata a Venezia dal padre Paolo tra il 1560 e il 1564. Preziose annotazioni di Aldo su testi tassiani si trovano oggi conservati presso la British Library (C.45.E.22). 29 Si veda, inoltre, le Cinque lettere inedite di Torquato Tasso ad Aldo Manuzio, Innsbruck 1887, p. 26 ed E. RUSSO, Una lettera di Torquato Tasso sull’ordine, in, La Cultura. Rivista di filosofia, letteratura e storia 36 (1998), pp. 449-68. 30 Si rinvia a Cinque lettere inedite di Torquato Tasso cit., p. 29. 31 Si rinvia a M. Tullius Cicero Mannucciorum commentariis illustratvs antiquaeq. lectioni restitutus, Venezia 1582-1583 (Prop. Fide IV.229 (int. 2:4), Stamp. Barb. CCC.VI.9-13, Stamp. Ross. 2899-2908, Aldine A.I.99-108, Aldine I.139-149 (int. 2), Prop. Fide IV.230 (int. 2:2), Prop. Fide IV.231 (int. 2:7)); In M. Tullii Ciceronis De philosophia volumen primum [-secundum] Aldi Mannuccij commentarius, Venezia, 1583 (Prop. Fide IV.232); In M. Tullii Ciceronis De Rhetorica volumen primum Aldi Mannuccij commentarius, Venezia, 1583 (Prop. Fide IV.230 (int. 1)). 32 «In quella biblioteca di uno studioso poco stimato — com’era purtroppo Aldo il giovane — vibrava, tuttavia, uno spirito di curiosità, di apertura indagativa, di esplorazione cognitiva, di libertà intellettuale, e di cosmopolitismo disinibito che non incontreremo in nessuno dei protagonisti bibliotecari dell’epoca», in A. SERRAI, Considerazioni ed elaborazioni statistico-bibliometriche intorno alle edizioni ed alle opere del secolo XVI valutate in base alle presenze librarie nella Biblioteca di Aldo Manuzio, in Bibliotheca, Rivista di studi bibliografici, n. 1 2007, pp. 38-42. Si veda anche A. SERRAI, Le biblioteche private quale paradigma bibliografico (La biblioteca di Aldo Manuzio il giovane), in Le biblioteche private come paradigma bibliografico. Atti del convegno internazionale, Roma, Tempio di Adriano, 10-12 ottobre 2007, a cura di F. SABBA, Roma 2008, p. 25.
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nella intestazione di un’altra lettera da parte del poeta Johannes Khuen al medesimo33. Di contro, nello stesso anno, egli esplicitava pubblicamente l’intima profonda aspirazione ad un riconoscimento accademico e sociale dando alla luce il saggio dal titolo Il perfetto gentil’huomo34. Nel 1586, a Bologna, licenziò l’opera dal titolo De laudibus vitae rusticae35 e, sempre a Bologna grazie all’appannaggio di Cosimo I de’ Medici, egli volle fissare la straordinaria personalità nella narrazione della Vita di Cosimo de’ Medici, primo gran duca di Toscana36. Nel 1588, a seguito dell’assegnazione della cattedra di studi classici, si trasferì a Roma regnante Sisto V. Egli intese proseguire i rapporti con i sacri palazzi già favoriti dal padre ai tempi della nomina a direttore della Stamperia pontificia37. La sua abitazione era situata a Borgo Pio: appartamento che custodì la sua biblioteca fino al sequestro postumo di una parte38. Con un ennesimo scritto celebrativo, un anno dopo, egli volle elogiare l’operato del pontefice: l’Oratio fu stampata 33 Si rinvia a PASTORELLO, Inedita manuziana cit., pp. 528-529. Aldo il giovane dedicherà a Francesco I de’ Medici l’Oratio de Francisci Medices magni Etruriae Ducis laudibus, Firenze, Giorgio Marescotti, 1587 di cui BAV-ALDVS non registra esemplari (EDIT16 CNCE 50783). 34 Si rinvia a A. MANUZIO, Il perfetto gentil’huomo, Venezia 1584 (Aldine II.108, Stamp. Barb. CCC.III.24, Stamp. Ross. 6443). Per la pubblicazione di questa opera, egli fu accusato di plagio ai danni di Bernardino Tomitano. Maria Teresa Girardi parla di uno spirito di «classicismo nazionalistico», in M. T. GIRARDI, Il sapere e le lettere in Bernardino Tomitano. Milano 1995, pp. 31-33, 35, 64, 154, 187. Si veda anche E. RUSSO, «Materia […] da altri assai bene discorsa». Machiavelli negli scritti di Aldo Manuzio il giovane, in Italianistica. Rivista di letteratura italiana 30 (2001), pp. 241-272. 35 Si rinvia a A. MANUZIO, De laudibus vitae rusticae. Ode Horatii Epodon., Bologna 1586 (Aldine II.113, Stamp. Barb. CCC.III.29 (int. 1), Stamp. Ferr. IV.4038, R.G. Miscell. A.39 (int. 8)). 36 Si rinvia a A. MANUZIO, Vita di Cosimo de’ Medici, primo gran duca di Toscana, Bologna 1586 (Aldine I.151, R.G. Vite II.232, Stamp. Barb. CCC.IV.40, Stamp. Ross. 2994, Stamp. Ross. 2994bis). Si veda V. BRAMANTI, Per la genesi di due biografie di Cosimo I Filippo Cavriani e Aldo Manuzio il Giovane in Rinascimento. Rivista dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, s. 2º, 32 (1992), pp. 291-309. 37 Sulla direzione di Paolo Manuzio tra il 1560 e il 1568, si rinvia a F. BARBERI, P. M. e la Stamperia del Popolo romano (1561-1570), Roma 1942; A. M. GIORGETTI VICHI, Annali della Stamperia del Popolo romano (1570-1598), Roma 1959; L. BALDACCHINI, Il mercato e la corte: P. M. e la Stamperia del Popolo romano, in Il libro a corte. Atti del Convegno, Ferrara… 1989, a cura di A. QUONDAM, Roma 1994, pp. 285-293; L. LALLI, In aedibus Populi Romani, in Strenna dei Romanisti, Roma, 2013, pp. 395-405; L. LALLI, Variarum linguarum alphabeta et inventores: witnesses of the history of Vatican Typography from the 15th to the 16th century, in The 500th anniversary of the Belarusian and East Slavic book-printing National Library, Minsk 2017, pp. 220-229. 38 Si rinvia a SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane cit., p. 139. Nel 1588, egli pubblica due opere: A. MANUZIO, Lepidi Comici veteri Philodoxios fabula ex antiquitate, Lucca, Francesco Coattino, 1588 di cui BAV-ALDVS non registra esemplari (EDIT16 CNCE 728) e A. MANUZIO, Asinii Cornelii Galli Elegia nunc primum e tenebris, Firenze, Giorgio Marescotti, 1588 (R. I VI.241 (int. 4)).
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a Bologna per i torchi di Giovanni Rossi39. L’ossequio per la persona del pontefice fu replicato in una lettera, scritta a Pisa, indirizzata al cardinale Angelo Rocca, datata 4 novembre 1588, con l’incipit «Io pur vengo à Roma, & pur vengo à goder il mio gentilissimo P. Rocca & pur vengo à servire à Sisto V per lo cui solo servigio dovrebbero ognuno tralasciare qualunque apparente utile, ò commodità, poi che, se commodità, od utile, può essere in servire ad un Pontefice, commodità, & utile maggiore, non può essere, che in servir à Sisto»40. Nel 1590, sempre per volere del pontefice, egli partecipò, in qualità di revisore, alla cura delle edizioni della Bibbia sistina ancora una volta al fianco del cardinale Rocca41. Al contempo, continuò a scrivere per suo conto e, per gli eredi di Giovanni Gigliotti, licenziò una biografia commissionata dal politico lucchese Bernardino degli Antelminelli dal titolo Le attioni di Castruccio Castracane de gli Antelminelli42. Si era appena concluso il trasloco della Biblioteca dei papi nella nuova sede, voluta dal pontefice Sisto V con l’edificazione di un braccio trasversale fra i corridori paralleli del Cortile del Belvedere realizzato da Domenico Fontana43. I nuovi locali ospitarono alcune tra le più celebri raccolte librarie. Nel saggio dal titolo Della Libraria Vaticana ragionamenti, Muzio Pansa narrava la storia della Biblioteca dei papi ivi comprese le «Librarie famose e celebri nel mondo»44: le collezioni del Collegio Capranica, del cardinale 39 Si rinvia a Ad Sixtum V. pont. opt. max. oratio Aldi Mannuccij, habita in Academia Bononiensi [MD]XXCV. prid. Id. Maij, Bologna, Giovanni Rossi, 1585 (Stamp. Barb. V.VII.111 (int. 23), Stamp. Barb. V.VII.112 (int. 4)). 40 Si rinvia a Lettere volgari cit., pp. 236-237. 41 Egli curò le due seguenti edizioni: Biblia sacra vulgatae editionis, Roma, Tipografia Apostolica Vaticana, 1592 (Aldine I.153; R. I S.64; Stamp. Barb. A.X.42; Stamp. Ross. 2610); Roma, Tipografia Apostolica Vaticana, 1593 (Aldine II.124; Aldine II.125; Aldine II.126-127; R.G. Bibbia III.624; R.G. Bibbia IV.607; R.G. Bibbia IV.608; R.G. Bibbia IV.616; R.G. Bibbia IV.618; Stamp. Barb. A.VIII.4; Stamp. Chig. IV.96; Stamp. Ross. 3838). 42 Si rinvia a A. MANUZIO, Le attioni di Castruccio Castracane de gli Antelminelli, signore di Lucca. Con la genealogia della famiglia estratte: dalla Nuova discrittione d’Italia, Roma, eredi di Giovanni Gigliotti, 1590 (Aldine A.II.102, Aldine II.117, Stamp. Barb. Z.V.122, Stamp. Chig. IV.1839, Stamp. Ferr. IV.3995, Stamp. Ross. 4526, Stamp. De Luca IV.5895). 43 Per approfondimenti, si rinvia a J. RUYSSCHAERT, La Biblioteca vaticana di Sisto V nelle testimonianze coeve, in Sisto V: Roma e il Lazio, a cura di M. FAGIOLO e M. L. MADONNA, Roma 1992, pp. 329-338; G. DE LOGU, L’architettura italiana del Seicento e del Settecento, Bari 1993, p. 36; M. BEVILACQUA, Domenico Fontana e la costruzione del nuovo edificio, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica cit., pp. 305-332. 44 Si rinvia a M. PANSA, Della libraria Vaticana ragionamenti, Roma, Giovanni Martinelli, 1590. In Italia, tra le maggiori raccolte librarie private, si richiamava la raccolta del cardinale Guglielmo Sirleto (1514-1585). Serrai afferma: «Probabilmente soltanto quella del cardinale Guglielmo Sirleto, forte di oltre 20.000 volumi fra impressi e manoscritti, acquistata nel 1588 dal cardinale Ascanio Colonna, e poi rivenduta dagli eredi nel 1611, al duca Giovanni Angelo Altemps, aveva dimensione maggiore», in SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il
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Sirleto, di Prospero Podiani e la libraria di Aldo il giovane45. Il totale delle unità librarie della raccolta spiccava per i citati ottanta mila volumi46. Si tratta di una cifra irreale che, tuttavia, ne avvalorava la fama: «Sopra tutto per priuata Libraria è degna veramente di memoria quella di Aldo Manutio, huomo celebratissimo, si per la fama di Aldo e Paolo suoi magiori: come anco per merito di proprio studio, il quale essendo condotto dalla santità di Sisto V à legger lettere humane nello studio di Roma, con tanta grande aspettatione de tutti, vi porto ottantamila pezzi di libri in ogni sorta di professione…»47. Nel saggio dal titolo Bibliotheca apostolica Vaticana, il cardinale Rocca scriveva: «Haec de Aldina Bibliotheca, tribusq. Manutianis, nec non de insignoribus Bibliothecis, quae hac nostra extant aetate. Nu[n]c reliquum est, ut ad alia pertinentia ad Bibliothecas accedamus»48. La responsabilità dell’attività tipografica non impedì la produzione incessante di opere in qualità di autore. Nel 1592 licenziò un terzo epistolario dal titolo Lettere volgari49. Si trattava di una cronologia di rapporti familiari con amici, autorità laiche ed ecclesiastiche che ripercorrevano anche le vicissitudini dei suoi trasferimenti, accompagnato dalla ingente biblioteca, fino all’arrivo a Roma. Il 18 maggio del 1595, Clemente VIII ufficializzò l’incarico di correttore della Stamperia Vaticana, al posto del cardinale Rocca50. Nella tipografia si trovò per una seconda volta a collaborare con il direttore Domenico Basa51. Nel 1597, un anno dopo la morte di Basa, Giovane cit., pp. 133 (nota 53), 134-137 ma anche F. RUSSO, La Biblioteca del Card. Sirleto, in II Card. Guglielmo Sirleto (1514-1585). Atti del Convegno di studio nel IV centenario della morte (Guardavalle, etc. 5-7 ott. 1986), pp. 156-259 e A. RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento, in Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1), pp. 237-308; S. LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica cit., pp. 145-188. 45 Si rinvia a PANSA, Della libraria Vaticana ragionamenti, cit., pp. 327-329. 46 Lo studio analitico di Alfredo Serrai calcola un numero complessivo di 13.424 stampati e 412 manoscritti. Si rinvia a SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane cit., p. 143. 47 Si rinvia a PANSA, Della libraria Vaticana ragionamenti cit., p. 329. 48 Si rinvia a A. ROCCA, Bibliotheca apostolica Vaticana, Roma, Typographia Apostolica Vaticana, 1591, p. 402. Si veda anche la lista delle edizioni aldine custodite, in origine, negli armadi Arm. 375 e Arm. 377 in Arch. Bibl. 292, ff. 106r-141v. 49 Si rinvia a A. MANUZIO, Lettere volgari, Roma, 1592 (Stamp. Cappon. IV.624, Stamp. Ferr. IV.1559, Stamp. De Luca IV.6239). 50 Una copia della nomina a correttore è custodita in Arch. Bibl. 228, ff. 2r, 3v-4r esemplata su Arch. Vat. Sec., Brev. 227, f. 163. 51 Già dal 1568 la stamperia fu affidata da Paolo Manuzio in affitto a Domenico Basa con un contratto quinquennale che concedeva a Basa l’uso della marca aldina ed esonerava Paolo dagli impegni concreti di gestione, lasciando a suo carico la correzione dei testi demandata peraltro anche al figlio. Per approfondimenti, si rinvia a P. MANUZIO, Lettere volgari, Venezia 1560, passim; Lettere di Paolo Manuzio copiate sugli autografi, Parigi 1834, passim. Nel 1596,
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il pontefice rinnovò la stima nei suoi confronti con la nomina a direttore della Stamperia Vaticana. Ad ottobre dello stesso anno, egli fu colto da morte improvvisa52. Un forte debito contratto con le autorità ecclesiastiche e laiche superava i 500 scudi53. I creditori romani, assieme ad alcuni rivendicatori del diritto di proprietà della Serenissima, convinsero Clemente VIII a dare ordine di sequestrare una parte del ricco patrimonio librario come risarcimento. Il pontefice accettò e autorizzò la Camera Apostolica ad avviare il sequestro. Una sezione della collezione fu annessa agli altri fondi della Biblioteca Vaticana tra il 1598 ed il 1603. Il resto della collezione fu lasciato agli eredi che ne decisero l’alienazione sul mercato librario. Nel 1598, come consuetudine dettava, le autorità ecclesiastiche inviarono il secondo custode della Biblioteca, all’epoca Marino Ranaldi, nell’appartamento di Borgo Pio a compiere la selezione del materiale da sequestrare54. Marino Ranaldi, in quella carica dal 1576 al 1602, fece prelevare 65 casse contenenti 342 codici e 1.564 stampati (Tav. I)55. In funzione dei frequenti un anno dopo la conferma della sua nomina, a Venezia stampa l’opera dal titolo Calligenia. Fabella mellita incerti scriptoris ab Aldo Manucio e tenebris eruta, Venezia 1596 di cui BAVALDVS non registra alcun esemplare (EDIT16 CNCE008496). 52 Egli muore il 24 ottobre 1597. Nel 1601 i nipoti Onori, figli della sorella, celebreranno la figura dello zio con la pubblicazione postuma A. MANUZIO, Venticinque discorsi politici sopra Liuio, della seconda gverra cartaginese, Roma, Guglielmo Facciotti, 1601 (Aldine A.III.346, Stamp. Cappon. V.523 (int. 3), Stamp. Ross. 6029). 53 Si rinvia alla nota di Marino Ranaldi, in Vat. lat. 7121, f. 63v «Monta ogni cosa fra libri stampati et manuscritti scudi cinquecento cinquanta v 550 et se ne è fatto il mandato e dato al Commissario n’ha poi riceuuto due Casse piene et un sacco pieno e più un’altra cassa piena che fa per .2. casse». 54 BAV-ALDVS registra alcuni esemplari che presentano correzioni di bottega tra cui: GREGORIUS NAZIANZENUS, Orationes lectissimae XVI, Venezia, Aldo Pio Manuzio & Andrea Torresano, 1516 (La segnatura di carta 193 e di carta 195 è corretta a mano in Aldine III.56, Aldine III.57, Aldine III.58, Aldine A.III.33, Stamp. Barb. CCC.II.14, Stamp. Barb. CCC.II.23, Stamp. Ross. 7320); P. MANUZIO, Antiquitatum Romanarum,Venezia 1557 (I bozza corretta a mano a carta I2r e C2v in Aldine I.93 (int. 3), Stamp. Barb. CCC.IV.25, Stamp. Ross. 3028; II bozza corretta a stampa in Aldine A.I.88); E. VICO, Ex libris XXIII commentariorum in vetera Imperatorum Romanorum, Venezia, Paolo Manuzio, 1560 (l’Errata è completata a mano in Aldine II.68, Aldine A.II.76, Stamp. Barb. CCC.IV.6); IOHANNES CHRYSOSTOMUS, De virginitate liber, Venezia, Paolo Manuzio, 1562 (correzioni ed Errata cancellata in Aldine II.72); P. REGINALD, De concilio liber, Roma, Paolo Manuzio, 1562 (a carta 64r, la prima voce nell’Errata è depennata in Aldine A.II.80 (int. 1), R. I IV.1625 (int. 1), Stamp. Barb. CCC.III.51 (int. 1), Stamp. Chig. IV.666 (int. 1), Stamp. Ross. 4306, Stamp. Ross. 4307 (int. 1)); Catechismus romanus, Roma, Paolo Manuzio, 1566 (correzioni a mano in Aldine I.105 (int. 1-2), Aldine I.121); R. STREIN VON SCHWARTZENAU, De gentib. et familiis Romanorum, Venezia, Aldo Manuzio il giovane, 1571 (a carta *1v correzione a mano della penultima riga in Aldine II.92, Stamp. Ross. 4776, Stamp. Ross. 4776bis); M. T. CICERO, Opere, Venezia, Aldo Manuzio il giovane, 1582-1583 (correzioni a mano in Aldine I.139-149 (int. 2)). 55 Federico Ranaldi (m. 1590), primo custode dal 1559, compilò insieme al fratello Marino (m. 1606) un inventario dei codici greci e, assieme al cardinale Guglielmo Sirleto, alcuni
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traslochi tra Venezia, Bologna e Roma, la maggior parte delle unità librarie sequestrate, come confermato dalle evidenze fisiche delle unità indicate nel progetto, fu rilegata in pergamena floscia o mezza pergamena e cartoncino56. Lo studio storico-analitico della biblioteca di Aldo il giovane, oltre alle informazioni tratte dai saggi citati di Pansa e Rocca, non poteva trascurare i due inventari pubblicati da Serrai57. Si tratta del catalogo manoscritto Ambr. I. 100 inf. «Index librorum bibliothecae Aldi Manutij P.[auli] F.[ilii] A.[ldi] N.[epotis]» che segnala circa 8.410 titoli in 100 casse e del codice Vat. lat.7121 «Libri ex bibliotheca ALDI MANVCII in Vaticanam translati»58. Il codice vaticano è composto come segue: «Indice dei libri presi per ordine di N.S.re Clemente Papa Ottauo dalla libraria di Aldo Manutio» (carte 1r8r, 342 manoscritti); «Libri in Foglio stampati», «in 4°», «in 8°», «Libri sciolti» (carte 8r-48v, circa 1.700 titoli su 1.564 impressi)59; «Die 18 Martij 1600. Indice de libri presi per ordine di N.S.re Clemente Papa Ottauo dalla libraria di Aldo Manutio» (carte 51r-108v, 2.500 titoli); «Monta ogni cosa fra libri stampati et manuscritti scudi cinquecento cinquanta v 550 et se ne è fatto il mandato e dato al Commissario n’ha poi riceuuto due Casse piene et un sacco pieno e più un’altra cassa piena che fa per .2. casse» (carta 63v)60. I prezzi, corrispondenti alle unità, sono dichiarati in scudi e indici copie di regesti e di altri documenti d’archivio. Riguardo al lavoro svolto dai Ranaldi, si rinvia anche a Notitia historica de statu Bibliothecae Vaticanae (Roma, Biblioteca Vallicelliana, Mss., Q.6, cc. 596r-599v) autografo di Marino Ranaldi. Riguardo ai documenti d’archivio interno alla Biblioteca Vaticana, relativi al sequestro, si rinvia a: Arch. Bibl. 12, ff. 75r-82r Index nonnull. Lib: Manuscr. Bibliot. Aldi Manutij; Arch. Bibl. 12, f. 86rv Capsa 78; Arch. Bibl. 260 (int. V), ff. 1r-23r Lista stampati dagli Aldi duplicati. 56 BAVIC e BAV-ALDVS registrano la presenza della legatura “alla greca” in rari esemplari di incunaboli e aldine. Per approfondimenti, si rinvia a C. FEDERICI – K. HOULIS, Legature bizantine vaticane, Roma 1988 e C. FEDERICI, Le legature dei libri di Aldo in Aldo Manuzio: la costruzione del mito, a cura di M. INFELISE, Venezia 2016, pp. 198-225. 57 Si veda SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane cit., p. 143, 156-361, 362-390. 58 Bignami-Odier ipotizza la confluenza dei codici manuziani nel fondo dei Vaticani latini, prima del gruppo Cabrera (Vat. lat., 5009-5042), mentre altri si collocano a seguire, fino al Vat. lat. 5400, si rinvia a J. BIGNAMI-ODIER, La Bibliothéque Vaticane de Sixte IV à Pie XI: recherches sur l’histoire des collections de manuscrits avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), pp. 81, 95, 101, 119. Si rinvia, inoltre, alla Dichiarazione di Alessandro Casetti, procuratore dell’erede di Aldo Manuzio [il giovane], relativa alle 48 casse di libri datata 10 dicembre 1611 in Arch. Bibl. 29, f. 111r e ad un Registro di bottega, anteriore al 1574, nel manoscritto Vat. lat. 7129. 59 «Sulla base di riscontri effettuati a campione, le opere elencate nella prima lista si trovano ancora oggi presenti nelle raccolte vaticane, segnatamente — se non esclusivamente — nel fondo contrassegnato Raccolta I», in SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane cit., p. 139. 60 Si rinvia a SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane cit., pp. 156-353; pp. 362399.
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baiocchi. Dall’analisi dell’intera documentazione si deduce che il prelievo delle unità librarie, per mandato delle autorità ecclesiastiche, fu effettuato in due momenti distinti61. Riguardo alla porzione di volumi a stampa sequestrati, a partire dal Seicento, prese avvio una sistemazione operata da Alessandro Ranaldi, nipote di Marino, nominato secondo custode il 23 novembre del 160262. Proseguendo il lavoro d’inventariazione dei codici manoscritti, iniziato dai suoi predecessori tra il 1608 e il 1610, Alessandro Ranaldi si concentrò sulla conclusione della redazione del primo catalogo degli stampati custoditi nella Biblioteca dei papi. Il catalogo censiva 4.006 titoli. Nel 1616 costui organizzò la classificazione delle unità librarie nello specifico fondo denominato Aldine assegnando le nuove collocazioni63. I due manoscritti, l’Ambrosiano e il Vaticano, racchiudono l’intera collezione di famiglia sedimentata e amplificata dalla bibliofilia di Aldo il giovane; una pluralità di tematiche che si configuravano come un unicum bibliografico di edizioni italiane e straniere, un paradigma dell’intero universo rinascimentale: grammatica, retorica, dialettica, oratoria, poetica; epistolari, avvisi da terre straniere; religione, vite di santi, calendari, lunari, araldica, letteratura; morale, educazione, etica, giochi; antichità, epigrafia, astronomia, astrologia, cosmografia, matematica, aritmetica, agraria, medicina, anatomia, erbari, armi64. Tale patrimonio, che come scrive Serrai ammontava realmente a tredicimila titoli, rappresentò non solo un vanto di tipo culturale ma anche una fonte di spesa insostenibile sulla base delle magre finanze di cui egli poteva disporre peraltro già indebolite da una se61 Una prima parte di libri fu sottratta precedentemente la stesura del catalogo Ambrosiano perché alcuni titoli presenti in Biblioteca Vaticana non vi figurano. Una seconda parte giunse successivamente la stesura del catalogo. Si rinvia a SERRAI, La biblioteca di Aldo Manuzio il Giovane cit., pp. 140-141. 62 Alessandro Ranaldi (c. 1581-1649) completò i tomi VI e VII dell’inventario e lavorò all’indice dei codici Palatini, confluiti in Biblioteca Vaticana nel 1623, nonché dei cataloghi di stampati. Si rinvia all’Index totius Bibliothecae Vaticanae (Vat. lat. 13190) che suo cugino Domenico Ranaldi (c. 1555-1606) compilò dal 1597 al 1601. Si rinvia, inoltre, alla documentazione relativa alla ricevuta di vendita di libri, stampati da Aldo Manuzio, da Alessandro Casetti ad Alessandro Ranaldi datata «Adì 28 febraro 1616» (Arch. Bibl. 15 (int. A), f. 144r) e alla dichiarazione di Alessandro Casetti, procuratore dell’erede di Aldo il giovane, relativa alle 48 casse di libri del 10 dicembre 1611 (Arch. Bibl. 29, f. 111r). 63 Si segnala che nel fondo Aldine compaiono due edizioni stampate nel Seicento: Biblia vulgata, Roma, Andrea Fei, 1618 (Aldine II.130, R.G. Bibbia IV.436) e Frid. Taubmani Humaniorum Litterarum Professoris Dissertatio De Lingua Latina, Wittenberg 1606 (Aldine III.111 (int. 1)). 64 Si rinvia a SERRAI, Le biblioteche private quale paradigma bibliografico (La biblioteca di Aldo Manuzio il giovane) cit., p. 24. Nel 1586, mosso dall’auspicio di ottenere una protezione che gli consentisse di seguire i suoi interessi intellettuali, egli offriva a Francesco Maria II della Rovere, duca di Urbino, la preziosa collezione libraria.
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parazione familiare e da una imprudente gestione dell’attività tipograficoeditoriale ormai in fase di declino65. Un libro non è solo testimonianza dell’esistenza di una edizione letteraria e quindi agente di alfabetizzazione. Esso è anche documento che, nel caso delle aldine vaticane, custodisce preziose tracce d’uso relative agli antichi possessori che si sono incrociati con i Manuzio e la loro fortuna (Tav. II)66. Il progetto BAV-ALDVS ha coinvolto anche gli esemplari distribuiti negli antichi blocchi di provenienza67. Alla sezione iniziale del fondo Aldine (510)68, si sono aggiunte le unità librarie del fondo denominato Aldine A. (471)69. Gli altri fondi storici inclusi nel progetto sono elencati di seguito in ordine alfabetico: Archivio del Capitolo di san Pietro (2), Barberini (216), Capponi (3), Chigi (77)70, Cicognara (3), De Luca (130), Drammi Allacci (5), De Marinis (48), Ferraioli (98), Incunaboli (30), Loreto (4), Mai (2), Membranacei (2)71, Patetta (1), Propaganda Fide (52), Raccolta I (10)72, Raccolte Generali (56), Rossiano (437), Steinmann (1). Il progetto censisce 65 Sulle vicende familiari, si rinvia a A. PILOT, Il divorzio di Aldo Manuzio il giovane, Venezia 1904 e F. PITACCO, La repromissione di dote di Francesca Lucrezia Giunti e la bottega veneziana di Aldo Manuzio il giovane, in Miscellanea Marciana 16 (2001), pp. 217-238. 66 BAV-ALDVS registra che nell’esemplare Aldine II.113, dell’edizione De laudibus vitae rusticae Ode Horatii Epodon., Bologna, 1586, si legge a fine testo l’annotazione «Heredes Aldi Manutij dono deder. mihi Marino Raynaldo» (Tav. II). 67 Si veda anche la lista dei «Libri stampati degli Aldi che nella Biblioteca Vaticana si trovano raddoppiati», in Arch. Bibl. 189 (int. E), f. 38rv. BAV-ALDVS registra 61 edizioni, elencate nel documento, stampate dagli Aldi tra il 1495 e il 1593. 68 I numeri in parentesi tonde sono aggiornati rispetto a quelli indicati nella Guida ai fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., p. 786. 69 Il fondo Aldine A. proveniente dal Collegio Romano fece il suo ingresso in Biblioteca Vaticana nel 1912. Si rinvia alla Guida ai fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., pp. 786-787. 70 Si veda anche i «Chigiani aldine duplicati», in Arch. Bibl. 192 (int. E), f. 181rv. 71 BAV-ALDVS registra due edizioni incluse nel fondo dei membranacei: i Pharsalia di Lucano, Venezia, Aldo Manuzio, il Vecchio, 1502 (Membr. V.6) e un secondo esemplare dell’edizione Canones et decreta sacrosancti oecvmenici et generalis Concilii Tridentini, Roma, Paolo Manuzio, 1564 (Membr. II.14). Due edizioni stampate su pergamena provengono dal fondo del Capitolo di san Pietro: Breviarium romanum, ex decreto sacrosancti Concilii Tridentini restitutum, Pii V. Pont. Max. iussu editum, Roma, Paolo Manuzio, 1568 (Stamp. Arch. Cap. S. Pietro A.48 (int. 2); Breviarium romanum, ex decreto sacrosancti Concilii Tridentini restitutum, Pii V. Pont. Max. iussu editum, Roma, Paolo Manuzio, 1570 (Stamp. Arch. Cap. S. Pietro A.48 (int. 1). Tra le particolarità emerse, si segnalano cinque emissioni su carta azzurra: Petrarcha, Venezia, eredi di Aldo Manuzio, il Vecchio, 1521 (Stamp. Ross. 6731, da p. 104); P. SCALA, De consilio sapient […], Venezia, Paolo Manuzio, 1560 (Stamp. Ross. 4221); M. T. CICERO, Epistolae familiares, Venezia, Paolo Manuzio, 1571 (Aldine III.255 (int. 1)); Scholia in Ciceronis epistolas,.Venezia, Aldo Manuzio il giovane, 1572 (Aldine III.255 (int. 2)); G. FIAMMA, De optimi pastoris munere oratio, Venezia, Aldo Manuzio il giovane, 1578 (Aldine II.102). 72 Si rinvia alla Guida ai fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., pp. 858-859.
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tre codici nel fondo degli ottoboniani latini: G. Donato, Ad christianiss. Ac invictiss. Gallorum regem oratio, Venezia, 1501 (Ott. lat. 1889); Vergilius, Opera, Venezia, 1514-1524 (Ott. lat. 2894 (int. 1)), l’Appendix Vergiliana, Venezia, 1517 (Ott. lat. 2894 (int. 2)) e i Canones et decreta sacrosancti oecvmenici et generalis Concilii Tridentini, Roma, 1564 (Ott. lat. 2333). I preziosi esemplari, custoditi nelle raccolte vaticane, sono testimoni del collezionismo aldino fiorente già a partire dal Cinquecento, ma ancora vivo ai nostri giorni, e stimolo continuo nell’ambito dello studio storico della stampa del Cinquecento e della bibliologia tout court73.
73 Si segnalano alcune corrispondenze, relative al fondo Aldine, risalenti al secolo XIX e custodite nell’archivio interno della Biblioteca: Arch. Bibl. 13, ff. 329r-330v (ricevute di cambio di tre aldine avvenuto tra gli anni 1843-1844); Arch. Bibl. 206, f. 70r (Frottis Aldine III.26); Arch. Bibl. 206, 71r (corrispondenza Tammaro De Marinis-Luigi Michelini Tocci sull’edizione Euripide, Tragedie, 1503, l’esemplare Aldine III.26 di provenienza Orsini); Arch. Bibl. 221 (int. A), ff. 30r-31v (lettera del bibliotecario Léon Dorez a Franz Ehrle, del 12 novembre 1896, relativa ad un codice di Aldo Manuzio pubblicato in L. Dorez, Études Aldines, Rennes 1896. Si veda inoltre L. Dorez, Un élève de Paul Manuce: Romolo Cervini, Paris 1895). Il progetto BAVALDVS ha registrato 59 edizioni i cui esemplari appartenuti a Fulvio Orsini. A tal riguardo, Federica Matteini scrive: «Nel 1582 dopo una lunga trattativa accettò di lasciare alla Biblioteca apostolica Vaticana, dopo la sua morte, la sua collezione di libri e manoscritti che, con l’acquisizione delle raccolte di importanti eruditi come Scipione Carteromaco, Pietro Bembo, Achille Stazio, e di volumi postillati ‘da uomini dotti’, quali Poliziano, Faerno, Pantagato e Panvinio, era divenuta una delle più ragguardevoli del tempo.», in Orsini, Fulvio voce a cura di F. MATTEINI, in DBI, 79, Roma 2013, pp. 649-653; si segnala anche G. BELTRANI, I libri di F. O. nella Biblioteca Vaticana, Roma 1886 e M. MANFREDINI, Su alcune aldine di Plutarco, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, s. 3º, 14, 1 (1984), pp. 1-12. Per un approfondimento sul collezionismo aldino italiano, si rinvia al progetto Aldo Manuzio: dieci intermezzi tipografici (Biblioteca Nazionale Marciana: https://marciana. venezia.sbn.it/mostre-virtuali/aldo-manuzio-dieci-intermezzi-tipografici/mostra-virtuale-didieci-aldine-della. Risorsa elettronica, ultima consultazione 11 dicembre 2018); Sul collezionismo aldino straniero, si rinvia ai progetti Aldine Collection (Stanford Libraries: https:// library.stanford.edu/collections/aldine-collection. Risorsa elettronica, ultima consultazione 11 dicembre 2018); Rylands Aldine Collection (University Manchester Library: http://www. library.manchester.ac.uk/search-resources/special-collections/guide-to-special-collections/ atoz/aldine-collection/. Risorsa elettronica, ultima consultazione 11 dicembre 2018); Aldus Manutius at UCLA (UCLA Library Department of Special Collections: https://web.archive. org/web/20111229155739/http://unitproj.library.ucla.edu/special/misc/aldexhibit.htm. Risorsa elettronica, ultima consultazione 11 dicembre 2018). Si rinvia anche ai saggi di M. LOWRY, Magni nominis Umbra? L’editoria classica da Aldo Manuzio vecchio ad Aldo Giovane in La stampa in Italia nel Cinqucento. I: atti del Convegno, Roma, 11-21 ottobre 1989 a cura di Marco Santoro. Roma 1992, pp. 237-253 e al recente contributo The Afterlife of Aldus: postumous fame, collectors and the book trade, edited by J. KRAYE and P. SACHET, London 2018 (Warburg Institute Colloquia, 32).
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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Bibl. 189 (int. E), f. 38r.
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Aldine II.113, carta G4v.
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GIANLUCA MANDATORI
«REVERENDISSIMO PADRE ED AMICO». LE LETTERE INEDITE DEL CARTEGGIO TRA GIOVANNI BATTISTA DE ROSSI E LEOPOLDO MARIA DE FEIS* Nel 1988, S.E. Sergio Pagano pubblicava un dotto e documentato contributo sui rapporti epistolari intercorsi tra Giovanni Battista de Rossi e i suoi corrispondenti barnabiti1. Oltre al noto vincolo di stima intellettuale e di fraterna amicizia che legava il fondatore della moderna archeologia cristiana a padre Luigi Bruzza2, l’articolo metteva in luce i carteggi — e con * Un ringraziamento sincero va a Marco Buonocore della Biblioteca Apostolica Vaticana, a Massimiliano Ghilardi dell’Istituto Nazionale di Studi Romani e a padre Filippo Lovison, Direttore del Centro di Studi Storici dei Padri Barnabiti, per aver sostenuto, seguito e agevolato le ricerche che hanno reso possibile la stesura della presente nota. Dedico queste pagine alla memoria di Letizia Ermini Pani, donna e studiosa di straordinario profilo, con la quale ho avuto il piacere e l’opportunità di confrontarmi spesso sui temi a lei cari delle antichità cristiane e medievali. 1 S. PAGANO, Barnabiti corrispondenti di Giovanni Battista De Rossi, in Barnabiti Studi 5 (1988), pp. 273-314. Per la biografia di Giovanni Battista de Rossi, si rimanda a P. M. BAUMGARTEN, Giovanni Battista de Rossi fondatore della scienza di Archeologia Sacra. Cenni biografici, versione dal tedesco del P. Giuseppe Bonavenia d.C.d.G., Roma 1892; O. MARUCCHI, Giovanni Battista de Rossi, Roma 1901; G. FERRETTO, Note storico-bibliografiche di archeologia cristiana, Città del Vaticano 1942, pp. 318-345; H. LECLERCQ, de Rossi (Jean Baptiste), in Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et de Liturgie, XV, 1, Paris 1950, pp. 18-100; N. PARISE, De Rossi, Giovanni Battista, in DBI, 39, Roma 1991, pp. 201-205; A. BARUFFA, Giovanni Battista de Rossi. L’archeologo esploratore delle catacombe, Città del Vaticano 1994; R. GIULIANI, Giovanni Battista de Rossi e le catacombe romane, Città del Vaticano 1994; S. HEID, Giovanni Battista de Rossi, in Personenlexikon zur Christlichen Archäologie. Forscher und Persönlichkeiten vom 16. bis 21. Jahrhundert, I, a cura di S. HEID, M. DENNERT, Regensburg 2012, pp. 400-405. Dettagli utili per tratteggiare il profilo del de Rossi possono essere colti scorrendo le centinaia di lettere che gli indirizzò il collega e amico Theodor Mommsen, pubblicate in M. BUONOCORE, Theodor Mommsen e gli studi sul mondo antico. Dalle sue lettere conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Napoli 2003 (Pubblicazioni dell’Istituto di Diritto Romano e dei Diritti dell’Oriente mediterraneo, 79); ID., Lettere di Theodor Mommsen agli Italiani, I-II, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 519-520). 2 Per il carteggio tra padre Luigi Bruzza e il de Rossi, si rimanda a S. PAGANO, «Nobili palme in questi bellissimi studi». Saggio dall’epistolario Bruzza-De Rossi alla Biblioteca Vaticana, in Atti del Convegno di studi nel Centenario della morte di Luigi Bruzza 1883-1983, Vercelli 1987, pp. 355-385. Sulla figura del Bruzza, si vedano V. M. COLCIAGO, Il padre Luigi M. Bruzza barnabita storico ed archeologo (1813-1883), Roma 1940; N. PARISE, Bruzza, Luigi Maria, in DBI, 14, Roma 1972, pp. 739-742; S. PAGANO, Luigi Maria Bruzza, in Personenlexikon cit., I, pp. 237-238. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 247-263.
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essi i contatti — poco noti, ma non per questo meno interessanti, che il de Rossi intrattenne con diversi padri dell’Ordine3. In alcuni casi si trattava di semplici scritti di cortesia, che non proseguivano oltre lo scambio di due o tre biglietti, mentre più consistente risulta la corrispondenza con quei religiosi che coltivavano interessi archeologici o antiquari, tra i quali vanno indubbiamente segnalati Paolo Savi, Giuseppe Granniello, Carlo Vercellone — che gli introdusse padre Bruzza — e Leopoldo Maria De Feis4. Quest’ultimo, presentato al de Rossi dal Bruzza, fu in contatto con lo studioso dal giugno del 1892 al maggio del 1894, scrivendogli spesso per chiedergli suggerimenti editoriali o segnalargli reperti notevoli perché ne curasse l’edizione; nel Fondo de Rossi della Biblioteca Apostolica Vaticana — meticolosamente ordinato all’inizio del secolo scorso nei mss. Vat. lat. 14238-14298 dal benedettino francese Henri Quentin — si contano trentacinque missive del barnabita, escludendo i biglietti da visita siglati per cortesia o come ricevuta di qualche spedizione5. Sul finire del giugno del 2017, sono state recuperate dal mercato antiquario diciassette lettere indirizzate dal de Rossi a padre De Feis: forse dimenticati per decenni tra le carte d’archivio del Collegio “Alla Querce”, dove il barnabita esercitò la docenza e soggiornò, a periodi alterni, fino al 1908, quando l’aggravarsi della malattia lo costrinse a trasferirsi nella colonia marina di Ardenza, i biglietti finirono tra i cimeli di un antiquario fiorentino, alla morte del quale vennero acquisiti da uno studio bibliografico della città e, da ultimo, entrarono a far parte di una collezione privata. Di seguito, si presenta un compendio delle diciassette lettere, facendo riferimento — quando vi sia un rimando diretto e chiaramente riconoscibile — a quelle già edite dal Pagano. Il primo contatto epistolare del de Rossi con padre De Feis è affidato a un cartoncino rettangolare, accluso a una lettera che padre Bruzza — pri3
In PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., il carteggio con il Bruzza viene soltanto menzionato, mentre vengono censiti e compendiati i carteggi con i pp.bb. Paolo Savi, Leopoldo De Feis, Giuseppe Granniello, Carlo Vercellone, Ignazio Pica, Alessandro Baravelli, Giovanni Semeria, Giuseppe Colombo, Luigi Bilio, Luigi Cacciari, Francesco Denza, Alessandro Ghignoni e Cesare Tondini. 4 Per un sintetico profilo biografico di padre Savi, cfr. G. TONIOLO, S. TALAMO, Cenni commemorativi. P. Paolo Savi, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie 3 (1893), pp. 330-332; sul Granniello, si veda G. M. CROCE, Granniello, Giuseppe Maria, in DBI, 58, Roma 2002, pp. 545-546; per padre Vercellone, si rimanda a G. M. SERGIO, Notizie intorno alla vita e agli scritti del P. C. Vercellone, Roma 1869; per padre De Feis, cfr. A. GABUCCI, De Feis, Leopoldo, in DBI, 33, Roma 1987, pp. 681-682; S. PAGANO, Leopoldo Maria De Feis, in Personenlexikon cit., I, p. 370. 5 Un compendio dettagliato del carteggio De Feis-de Rossi, è in PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., pp. 284-292.
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mo intermediario tra i due — invia al confratello il 18 giugno 1882. Il testo è ancora piuttosto formale, ma non di circostanza: l’archeologo ringrazia sentitamente il religioso per il dono della monografia sulla statuetta della c.d. Pallade Coronefora6, complimentandosi «dell’eletta dottrina filologica, antiquaria, critica che splende in tutti gli scritti di chi fa al pubblico grata edizione». Per circa un anno non sono documentati ulteriori contatti tra i due: la corrispondenza riprende con un biglietto che il de Rossi spedisce da Albano Laziale il 28 agosto 1883, per ringraziare il barnabita dell’invio di un contributo sugli enigmatici dadi eburnei, rinvenuti nel febbraio del 1848 da Carlo, Domenico e Secondiano Campanari in un sepolcro etrusco nei pressi di Toscanella, l’odierna Tuscania7: gli dichiara di aver apprezzato particolarmente l’acuta esposizione sul sistema numerico impiegato e le considerazioni sulla ricomparsa nel latino cristiano di taluni esiti linguistici, propri della lingua arcaica, dei quali egli stesso si era occupato8. Nella lettera elogia il giovane Giovanni Pansa, allievo del Collegio fiorentino, e si offre di seguirlo personalmente9; in chiusura, informa il religioso di aver allegato alla lettera «una memorietta epigrafica in segno di gratitudine e di stima sincera». Il De Feis, che all’epoca si trovava destinato al Regio Collegio “Carlo Alberto” di Moncalieri, gli risponderà il 2 settembre, ringraziandolo per gli estratti fattigli recapitare e per le parole di apprezzamento espresse nei riguardi delle sue pubblicazioni10: la lettera in questione, pur non essendo 6
Si tratta di una piccola statuetta in bronzo, alta appena cm 16, raffigurante la dea Atena in atto di camminare, con una cornacchia posata sulla mano destra, donde il De Feis trae l’epiteto di Coronefora. Il reperto, rinvenuto in un non meglio identificato contesto senese, venne donato al padre barnabita nel 1875 dal marchese Carlo Strozzi; originariamente conservato nella collezione del Collegio “Alla Querce”, si trova oggi a Napoli, presso il Museo Archeologico Etrusco “Leopoldo De Feis”. Il religioso ne fece un’erudita descrizione in L. DE FEIS, Pallade Coronefora, in Giornale ligustico di Archeologia, Storia e Letteratura 9 (1882), pp. 226-234. 7 L. DE FEIS, I dadi scritti di Toscanella ed i numeri etruschi, in Giornale ligustico di Archeologia, Storia e Letteratura, 10 (1883), pp. 241-255. 8 Cfr. G. B. DE ROSSI, Il Tusculo, le ville tusculane e le loro antiche memorie cristiane, in Bullettino di Archeologia Cristiana, serie II, anno II, 3 (1872), pp. 85-121; ID., Podgoriza in Albania — Insigne tazza vitrea figurata, ibid., serie II, anno V, 4 (1874), pp. 153-155; ID., L’insigne piatto vitreo di Podgoritza oggi nel Museo Basilewsky in Parigi, ibid., serie III, anno II, 2 (1877), pp. 77-85. 9 Cenni biografici in G. SABATINI, Pansa, Giovanni, in DBI, 80, Roma 2014, pp. 831-834. 10 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 284, nr. 1; Vat. lat. 14270, f. 3rv, nr. 474. Dalla lettera è possibile desumere i titoli dei contributi che il de Rossi gli aveva spedito il precedente 28 agosto: G. B. DE ROSSI, La villa di Silio Italico ed il collegio salutare nel Tuscolo, in Notizie degli scavi di antichità, 1882, pp. 141-148; ID., Di una bolla plumbea papale del secolo in circa decimo, scoperta nel foro romano. Lettera al Comm. G. Fiorelli, ibid., pp. 266-270.
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certamente la prima del barnabita all’archeologo, è la prima conservata nel Fondo de Rossi. Nelle settimane che seguirono la morte di padre Bruzza, occorsa il 6 novembre 1883, il de Rossi deve aver indirizzato al barnabita una lettera — oggi non conservata — con la quale gli trasmetteva un opuscolo in ricordo del religioso scomparso11. È lo stesso De Feis a darcene conferma nella missiva di ringraziamento che indirizza all’archeologo il giorno 8 dicembre12: «La ringrazio — scrive il barnabita — della memoria che conserva di me, avendomi voluto onorare dell’opuscolo che ha dato alla luce in commemorazione del P. Bruzza, e di ciò che ha operato e sta facendo per ricordare e onorare i meriti del compianto padre». Il de Rossi gli risponde due giorni dopo — il 10 dicembre — da Albano Laziale, informandolo di aver ricevuto i saluti trasmessigli per il tramite di padre Giuseppe Colombo, al quale è grato per una piccola cortesia personale13. Dal proseguo della lettera emerge come la stima e il sostegno dell’archeologo nei confronti dell’amico siano sinceri e concreti: lo mette al corrente di aver espresso al Colombo il desiderio, già riferito al Preposito Generale dell’Ordine, padre Luigi Ferrari, che venisse chiamato a Roma «a continuare le gloriose tradizioni del compianto nostro p. Bruzza», augurandosi, inoltre, di vederlo di persona alle Conferenze della Società dei Cultori della Cristiana Archeologia, le quali — forse per interessamento dello stesso de Rossi14 — continuavano a svolgersi regolarmente nel complesso di San Biagio e Carlo ai Catinari. 11 L’opuscolo in questione è con ogni probabilità quello dato alle stampe in G. B. DE Rossi, Commemorazione del P. Luigi Bruzza presidente della società dei cultori della cristiana archeologia, in Bullettino di Archeologia Cristiana, serie IV, anno II, 1-2 (1883), pp. 66-71. 12 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 285, nr. 2; Vat. lat. 14270, f. 175r, nr. 612. 13 Quale fosse tale favore lo si apprende dalla lettera che padre Colombo gli spedisce da Moncalieri il 7 dicembre 1883, in PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 283, nr. 2; Vat. lat. 14270, ff. 296r-297r, nr. 709: il de Rossi — appreso che le carte del Bruzza si trovavano ora in suo possesso — gli aveva domandato a quando risalisse la prima missiva che aveva indirizzato al defunto padre. Il Colombo, di buon grado, lo informa di aver raccolto venti sue lettere: la prima inviata a Vercelli il 16 febbraio 1850 e le ultime risalenti al 1880. Per un profilo biografico di padre Colombo, cfr. V. PROMIS, Brevi cenni sulla vita e sugli scritti del P. Giuseppe Colombo Barnabita, membro della R. Deputazione di Storia Patria, Torino 1884; L. LEVI MOMIGLIANO, Padre Giuseppe Colombo: l’insegnamento della storia nel Real Collegio, in C. BERTOLOTTO, Il Real Collegio e i Barnabiti a Moncalieri. Educazione e custodia delle memorie, Torino 2002, pp. 187-192. 14 «Godo, e l’attribuisco alla sua efficace cooperazione, che l’Accademia dei Cultori di Cristiana Archeologia sia rimasta in S. Carlo ai Catinari», aveva scritto il De Feis nella lettera dell’8 dicembre. In una missiva inedita del 25 novembre 1883, padre Ignazio Pica — futuro Provinciale della Provincia franco-belga e Preposito Generale dell’Ordine dal 1907 al 1910 — aveva già scritto al De Feis: «Dopo la morte del buon P. Bruzza credo che Lei sia il solo in Congregazione che si occupi di studi archeologici, mi sembra dunque bene d’informarla che
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L’epistolario fiorentino registra, a questo punto, una consistente interruzione: mancano le lettere spedite dal de Rossi tra il 1884 e il 1889, anni in cui padre De Feis alternava alla residenza toscana periodi di soggiorno a Moncalieri e a Roma; proprio nel corso di questi spostamenti le missive potrebbero essere andate smarrite. Tuttavia, anche le lettere del De Feis all’amico romano mostrano una contrazione nell’arco degli stessi anni: per il 1884 il vuoto sembrerebbe essere totale, mentre per il 1885, anno in cui il barnabita, chiamato a far parte del Collegium Cultorum Martyrum e nominato Vicario del Preposto Generale, si trovava a Roma, si possiedono quattro biglietti da visita, testimoni di una frequentazione diretta con il de Rossi15. Del 1886 sopravvivono due biglietti da visita entrambi annotati16, e due lettere: la prima inviata da Roma l’11 agosto e la seconda da Firenze il 30 ottobre17. Ugualmente esigui i documenti relativi ai contatti che i due intrattennero nell’anno 1887: oltre a un biglietto da visita con un cenno di auguri, si conservano due lettere, spedite entrambe da Firenze, datate 25 luglio e 25 novembre18. È poco probabile che nel biennio successivo i rapporti si siano interrotti, eppure per il 1888 si possiede un solo biglietto da visita, annotato per ringraziamento e auguri, e nessun documento per il 1889. Il carteggio riprende con una lettera scritta da padre De Feis il 7 febbraio 1890 da Firenze19. Dopo aver ringraziato il de Rossi per l’invio del Bullettino e della Miscellanea di notizie bibliografiche e critiche per la topografia e la storia dei monumenti di Roma20, in poche righe, cariche di entusiasmo, gli riferisce di aver visto nel Museo Civico di Paletnologia, Archeologia e l’Accademia d’Archeologia Sacra che si soleva tenere nel nostro Collegio continuerà ancora presso di noi le sue sedute il che varrà molto bene per informare un pochino i nostri studenti a questi studi». 15 Due di questi, latori di messaggi più estesi dei semplici ringraziamenti, vengono pubblicati in PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 285, nrr. 4-5; rispettivamente, Vat. lat. 14274, f. 407r, nr. 910 e Vat. lat. 14274, f. 416r, nr. 993. 16 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., pp. 285-286, nr. 8; Vat. lat. 14276, f. 396r, nr. 847 e — non presente nel compendio del Pagano — il biglietto Vat. lat. 14276, f. 396r, nr. 848. 17 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 285, nr. 6 e 7; rispettivamente, Vat. lat. 14276, f. 47r, nr. 440 e Vat. lat. 14276, ff. 192r-193r, nr. 550. 18 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 286, nr. 9 e 10; rispettivamente, Vat. lat. 14278, ff. 103r-104v, nr. 394 e Vat. lat. 14279, f. 13rv, nr. 612. 19 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., pp. 286-287, nr. 11; Vat. lat. 14284, ff. 104r-105v, nr. 92. 20 G. B. DE ROSSI, G. GATTI, Miscellanea di notizie bibliografiche e critiche per la topografia e la storia dei monumenti di Roma, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, serie III, anno XIV, 1-3 (1886), pp. 345-356.
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Numismatica di Livorno un reperto che ha attirato la sua attenzione: «In secondo luogo Le dirò che nelle vacanze autunnali trovandomi a Livorno, vidi nel Museo Comunale un monumento d’avorio cristiano, che credo un cofanetto, non più moderno del secolo IV. È, a quanto mi rammento, di forma esagonale e sopra ciascuna faccia ha una rappresentazione relativa alla moltiplicazione dei pani, alla cena, e ad altro che non ricordo. Mi fu detto che provenisse da Cartagine, e lo credo, ché a fianco gli fu posta una bella epigrafe punica»21. Gli segnala, inoltre, un’epigrafe ercolanese, riportante il nome di Flavia Domitilla22, conservata nel Museo Nazionale di Napoli, non essendo certo che sia tra quelle comprese nel Corpus, che da soli sette anni era stato dato alle stampe. L’argomento principale della lettera, tuttavia, è un altro e il barnabita ne fa presto menzione: «ho posto mano e fine ad un mio lavoro del secolo IV, che mi è piaciuto intitolare Storia di Liberio Papa e dello Scisma dei Semiariani […] Perché tutto questo discorso? Perché, avendo Ella profondamente studiato la materia, sarebbe per me il solo capace di darne un giudizio, e se non le dispiacesse io le manderei il manoscritto prima che altra persona anche dei miei confratelli, ne sapesse nulla, per conoscere che cosa se ne debba fare. Forse non vorrà né potrà prendersi un tanto impiccio, ma io non pretendo sì gran sacrifizio, qual è quello di mettersi a leggere una materia poco o punto dilettevole, solo la pregherei di dare un’occhiata generale all’insieme dell’opera, e leggere più particolarmente qualche capo. Spero non vorrà negarmi un tanto favore e mi risponderà di sì»23. 21 Il reperto segnalato è la c.d. pisside di Livorno. La storia della pisside prende avvio a Tunisi, nel 1875, quando il muratore livornese Pietro Rosellini la consegna al commendatore Enrico Chiellini, fondatore e conservatore del Museo Civico di Paletnologia, Archeologia e Numismatica di Livorno, mentre questi stava per imbarcarsi per l’Italia. Lo stesso Rosellini, cinque anni più tardi, farà avere al Chiellini l’iscrizione punica CIS 2075, con dedica a Tanith e Baal Ammon. Il Chiellini, nel febbraio del 1890, segnala la capsella al De Feis, che prontamente la sottopone al più esperto amico: si tratta di una pisside in avorio, originariamente frammentata in sei pezzi, del diametro di cm 9 e alta 7, interamente decorata a rilievo con una complessa scena raffigurante la fractio panis, al cui centro campeggia l’immagine di Cristo seduto in trono, fra due cesti posti ai suoi piedi. Il reperto — attualmente conservato nella “Collezione Chiellini”, presso il Museo Civico di Livorno “Giovanni Fattori” — verrà pubblicato in G. B. DE ROSSI, Pisside eburnea Cartaginese, sulla quale è effigiato Gesù Cristo distribuente i pani moltiplicati, in Bullettino di Archeologia Cristiana, serie V, anno II, 2 (1891), pp. 47-54. 22 CIL X, 1419. 23 Il testo si rivelerà tra i meglio riusciti di padre De Feis e verrà pubblicato a più riprese — tra il 1891 e il 1894 — sul periodico dell’Accademia di Conferenze Storico-Giuridiche: L. DE FEIS, Storia di Liberio Papa e dello scisma dei semiariani, in Studi e Documenti di Storia e Diritto 12 (1891), pp. 345-378; ID., Storia di Liberio cit., ibid. 14 (1893), pp. 191-237, 411-466; ID., Storia di Liberio cit., ibid. 15 (1894), pp. 135-188, 369-397. L’opera sarà ripubblicata in un unico volume, senza variazioni, per i tipi della Tipografia Poliglotta della Sacra Congrega-
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La notizia del reperto livornese deve aver incuriosito il de Rossi, poiché il 12 febbraio il De Feis — rispondendo a una sua lettera non conservata — scrive24: «A giorni le manderò il manoscritto. Riguardo al cofanetto o pisside di Livorno ho scritto io medesimo al Direttore del Museo». Una settimana dopo — il 19 febbraio — il barnabita invia all’amico il manoscritto della Storia di Liberio Papa e chiede notizie circa un’iscrizione cipriota, pubblicata da Alessandro Palma di Cesnola25. Nella settimana seguente deve essersi verificato qualche disguido postale, poiché il De Feis riceve una lettera del de Rossi, ma questi non gli fornisce ancora conferma della ricezione del manoscritto, almeno stando a quanto sembrerebbe emergere dalla cartolina postale che il De Feis spedisce a Roma il 25 febbraio, per fornirgli ragguagli in merito al reperto livornese26: «Ho ricevuto in questo momento le due copie della preziosissima Capsella ecc. che leggerò con sommo piacere e profitto, e gliene rendo le più sincere grazie. Contemporaneamente ho ricevuto lettere da Livorno riguardanti il cofanetto o pisside di cui in un’altra mia le feci parola, e mi si promette un disegno in fotografia. Se di qui a qualche settimana non veggo nulla tempesterò ancora. Mercoledì 19 le feci la spedizione per mezzo di un pacco postale di quel tal pasticcio manoscritto che Ella conosce e spero che non sia andato smarrito». Il de Rossi risponde il 28 dello stesso mese con una cartolina postale, per rassicurarlo riguardo al manoscritto: il plico è giunto a Roma in ottimo stato, tuttavia, trovandosi gravato dagli impegni, gli chiede un poco di tempo per esaminarlo. Un periodo di silenzio, questa volta probabilmente reale e non suggerito dalla dispersione dei documenti, si registra dalla fine di febbraio al 1° giugno 1890, quando il de Rossi, dimenticando di aver già risposto all’amico, replica alla lettera del 19 febbraio, scusandosi per il lungo silenzio intercorso tra la ricezione del manoscritto e la conferma della stessa. A causa degli impegni che vanno accumulandosi — scrive il de Rossi — «il manozione de Propaganda Fide in L. DE FEIS, Storia di Liberio Papa e dello scisma dei semiariani, Roma 1894. 24 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 287, nr. 12; Vat. lat. 14284, f. 116r, nr. 101. 25 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 287, nr. 13; Vat. lat. 14284, f. 132r, nr. 120. Si tratta dell’iscrizione pubblicata in J. POUILLOUX, P. ROESCH, J. MARCILLET JAUBERT, Salamine de Chypre, 13. Testimonia Salaminia, 2, Paris 1987, p. 49, nr. 105. Il De Feis la leggeva in A. PALMA DI CESNOLA, Salamina (Cipro). Storia, tesori e antichità de Salamina nell’isola di Cipro, Torino 1887, pp. 117-118 e fig. 118. 26 La lettera non è presente nel censimento del Pagano, per cui si rimanda direttamente al ms. Vat. lat. 14284, f. 153rv, nr. 140. Il volumetto al quale si fa riferimento è G. B. DE ROSSI, La capsella argentea Africana offerta al sommo pontefice Leone XIII dall’emo Sig. Card. Lavigerie, Roma 1889.
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scritto giace sotto un cumulo sempre crescente di carte, che tutte volevano visione». Con grande familiarità e un velo di simpatica ironia — menziona l’incipit dell’atto penitenziale e chiede di essere assolto — rinnova le proprie scuse e promette di rimandargli l’originale dopo averlo attentamente esaminato: «non solo il ms. integro e senza macchia sta sul mio tavolo; ma è stato tutto percorso e mi ha fatto buonissima impressione. Quando lo avrò letto con la penna in mano passo a passo, ne potrò dare giudizio meglio informato». Infine, dopo aver chiesto ancora una volta ragguagli sulla capsella di Livorno, sigla il biglietto con un’affabile e spiritosa chiusura: «gradisca i sensi di contrizione e di distintissima stima coi quali mi segno Suo negligentissimo amico G. B. de Rossi». Rapida — il giorno seguente — giunge la risposta di padre De Feis27: «Non è vero che Ella non mi abbia avvisato del manoscritto; ché puntualmente me ne diede notizia, ed io mene vivevo tranquillo. Quindi anziché perdono, Le debbo rendere grazie infinite e le più vive per la penitenza che ha fatto e vuol fare intorno a quella mole indigesta che ardii raccomandare al suo dotto esame». Riguardo alla pisside lo informa di aver interessato padre Filippo Villa28, tuttavia non esclude la possibilità, qualora ve ne fosse bisogno, di portarsi personalmente a Livorno per esaminare di persona il reperto. Il 15 giugno, il barnabita torna a scrivere all’amico29: padre Villa ha saputo dal custode del Museo che il direttore Pio Mantovani ha fatto eseguire alcune fotografie della pisside e provvederà a fargliele pervenirne o a inviarle direttamente al de Rossi. Questi risponde con una cartolina, datata 19 giugno, con la quale lamenta di non aver ancora ricevuto la fotografia promessagli: il ricevimento della stessa gli verrà comunicato con un biglietto da visita, siglato per ringraziamento. L’archeologo continua, dichiarando la falsità dell’iscrizione cipriota: «La mia memoria tanto labile per le cose fresche (come Ella ne ha prove recenti) non mi dice se Le ho risposto al quesito circa un monumento epigrafico di Cipro. È senza dubbio falso». Lo rassicura, infine, 27
PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., pp. 287-288, nr. 14; Vat. lat. 14285, f. 13r, nr. 312. Su padre Filippo Villa, cfr. G. BOFFITO, Biblioteca barnabitica illustrata coi fregi delle opere stesse barnabitiche. Scrittori barnabiti o della Congregazione dei Chierici regolari di San Paolo (1533-1933). Biografia, bibliografia, iconografia, IV, Firenze 1937, p. 189. Merita di essere segnalata un’appassionata lettera che padre Villa — anche a nome dei giovani del Circolo Educativo, da lui stesso fondato presso la Chiesa livornese di San Sebastiano — indirizzò il 30 gennaio 1890 al filosofo e pedagogista Augusto Conti, perché si recasse a Livorno per tenere un discorso in memoria del principe Amedeo d’Aosta, scomparso il 18 dello stesso mese. Il testo della missiva e la risposta del professore sono entrambi riportati in Per il duca d’Aosta, a cura di P. M. SALVAGO, M. DA PASSANO, in La Rassegna nazionale 51 (1890), pp. 549-551. 29 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 288, nr. 15; Vat. lat. 14285, f. 49r, nr. 345. 28
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sull’imminente invio delle correzioni a margine del manoscritto della Storia di Liberio Papa. Tra gli ultimi giorni di giugno e i primi di luglio del 1890 i due devono essersi scambiati non meno di una lettera a testa: la lacuna sembrerebbe confermata da un biglietto spedito il 6 luglio 1890 da Ardenza, nel quale padre De Feis fa riferimento alla fotografia della pisside, evidentemente arrivata a Roma30: «Ricevo la sua pregiatissima e rispondo subito. Il monumento cartaginese è veramente guasto e di non chiaro significato. Le difficoltà che si trovano nella fotografia si trovano ancora nell’originale». Nella lettera perduta il de Rossi, oltre a lamentare la cattiva qualità dell’immagine inviatagli, probabilmente aveva riportato anche un primo parere sul manoscritto della Storia di Liberio Papa, dal momento che il barnabita continua scrivendo: «Intorno al mio libro non so più che cosa abbia mai scritto. So solo che non volli fare una vita del medesimo né poteva farla, né una storia vera dei suoi tempi, ma solo trattar le principali questioni, che intorno ad un sì gran Papa si aggirano, e chiarirle. Questo è l’unico mio scopo. Secondo ciò che Ella dice intorno alla difficoltà e durezza della lettura è ragionevole, né so se altrui, come fa Ella, voglia prendersi la briga di leggerlo non dico tutto, ma una parte sola per intero. Quindi ogni suo consiglio per me sarà un tesoro inestimabile». È probabile che il De Feis, approfittando della permanenza nella colonia marina di Ardenza, si fosse già recato al Museo di Livorno e ne avesse informato il de Rossi; nel proseguo della lettera, infatti, scrive: «Per tornare alla Pysis cartaginese, se ha altri dubbii dopo aver ben studiato sulla fotografia, mi scriva subito, che potendo, domenica, unico giorno in cui possa vedere il museo, mi porterò di nuovo sul luogo e le descriverò di nuovo ciò che desidera le sia chiarito». Lunedì 4 agosto il religioso si trova ancora a Livorno e vi sarebbe rimasto tutta la settimana: da qui invia all’amico nuove fotografie, fornendogli una dettagliata descrizione del reperto31. Il giorno seguente, con una lettera significativamente datata «Roma, ded. s. Mariae in Esquiliis sub Liberio 1890», il de Rossi informa il barnabita che la sua missiva lo ha raggiunto mentre era intento a correggere il manoscritto. Emerge un de Rossi pungente, che, quasi contrariato dalle scelte editoriali dell’amico, non gli risparmia benevoli strali: «La Sua pregiata mi giunge mentre sono tutto immerso nel Suo Liberio; o piuttosto mentre sto col filo d’Arianna attento a non smarrirmi in quel labirinto. Ella ha voluto raccogliere tutto e dire tutto; tutto discutere e giudicare. Eroico consiglio! ma la lettura di sì intricato percorso diviene ardua al sommo; 30 31
PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 288, nr. 16; Vat. lat. 14285, f. 113rv, nr. 456. PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 288, nr. 17; Vat. lat. 14285, f. 17rv, nr. 520.
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e temo che pochi lettori avranno il coraggio di sostenere fino all’ultimo il peso colla debita attenzione». Congedandosi, ringrazia il De Feis per le fotografie e la descrizione della pisside, ma lo esorta a segnalargli meglio le decorazioni raffiguranti i pani e i pesci, sulle quali aveva diffusamente scritto nella lettera del precedente 6 luglio, dal momento che «cotanti pani e pesci nella fotografia punto non si discernono». Il barnabita, rientrato a Firenze, gli risponderà il 15 agosto, fornendogli una lunga descrizione della pisside32: domenica 10 si è recato nuovamente al Museo e ha potuto esaminare attentamente il reperto, riconoscendo la figura del Cristo e l’episodio della miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci. L’archeologo gli risponderà il 7 settembre da Albano, dove si trovava per cercare sollievo ai fastidi della calura estiva, comunicandogli di aver rimesso a Giuseppe Gatti, suo strettissimo collaboratore e fidato segretario33, il manoscritto con le correzioni, perché lo consegnasse a una persona di sua fiducia, incaricata di recuperarlo. La missiva è composta da tre biglietti, fitti di suggerimenti: nel primo fornisce consigli di carattere generale per semplificare «la complicazione di tante contradditorie notizie od opinioni, l’aridità e sovente l’oscurità delle sottigliezze e cavillose professioni di fede e discussioni teologiche, di che è intessuta la storia degli Ariani e Semi-ariani del periodo liberiano, le molte ipotesi ed opinioni congetturali proposte per sciogliere i punti dubbiosi e difficili» che rendono faticosa la lettura. Segue una lista di quelli che il de Rossi stesso definisce «espedienti» per agevolare la comprensione del lettore, come espungere le citazioni inutili e ridurre i testi riferiti per esteso. Soprattutto raccomanda di rinunciare ai confronti con le vicende contemporanee: «So bene, che cotante allusioni danno un poco di piccante, e talvolta molto a proposito, a tutto il ragionare e discutere. Ma gli studiosi di critica storica tosto s’ingannano, quando veggono lo scrittore di cose antiche volgere lo sguardo alle moderne e cercare tra le une e le altre confronti audaci o frizzanti. Tosto giudicano, che lo scritto sia ispirato da un parti pris: gli negano fede od almeno ne hanno forte sospetto. Laonde io credo, che per quanto giusti e talvolta lampanti siano quei confronti, si guadagni più che non si perda a farne il sacrificio sull’ara della fredda imparzialità». Cambiando discorso, l’arche32 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 288, nr. 18; Vat. lat. 14285, ff. 247r-248r, nr. 542. 33 Notizie generali su Giuseppe Gatti in D. PALOMBI, Gatti, Giuseppe, in DBI, 52, Roma 1999, pp. 577-580. Ora vd. anche M. BUONOCORE, Giuseppe Gatti, Angelo Silvagni e le schede ICR di Giovanni Battista de Rossi: nuovi tasselli per la storia della loro “acquisizione”, in Marmoribus vestita. Miscellanea in onore di Federico Guidobaldi, a cura di PH. PERGOLA, O. BRANDT, Città del Vaticano 2011 (Studi di antichità cristiana, 63), pp. 305-329.
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ologo dedica un paio di righe alla pisside di Livorno, che dichiara essere un vero enigma, sul quale sospende il giudizio e l’edizione. Nel secondo biglietto — indicato con la numerazione romana II sulla prima pagina — lo studioso riporta un elenco di errori, sviste, citazioni inopportune ed equivoci, di volta in volta seguito da quelle che, a suo avviso, sarebbero le correzioni da apportare o le posizioni da assumere. Nel terzo allegato — anche in questo caso contrassegnato dal numero romano sul primo foglio — il de Rossi suggerisce all’amico di integrare l’apparato delle fonti con la lettera di papa Anastasio I, erroneamente attribuita ad Anastasio II dal Cardinale Jean Baptiste François Pitra34, nella quale papa Liberio viene celebrato come un testimone della fede nicena, usando espressioni assai simili a quelle impiegate nel carme sepolcrale che, recentemente scoperto nelle catacombe di Priscilla, lui stesso aveva riferito a Liberio35. Il religioso gli darà risposta due giorni dopo, ringraziandolo per i consigli e avvisandolo che scriverà direttamente al Gatti per farsi spedire il manoscritto36. Dopo essere tornato brevemente sull’interpretazione allegorica delle figure che decorano la pisside ed essersi affettuosamente congedato, in postilla aggiunge: «Non si potrebbe col tempo pubblicare il mio Liberio negli Studi e Documenti ecc.? Così rivedrei il manoscritto con più comodo e non andrei incontro a mille noie»37. Probabilmente il de Rossi non gli aveva ancora risposto quando il 16 settembre, padre De Feis lo avvisa dell’avvenuta restituzione del manoscritto38: «Il Prof. Gatti in seguito a un mio desiderio manifestatogli mi ha già spedito il ms. per pacco postale. Dentro vi ho trovato due memorie di V.S. che ho subito lette e divorate, il Praepositus, cioè, de Via Flaminia e la Campana di Canino, di che Le rendo infinite grazie»39. 34 J. B. F. PITRA, Analecta novissima. Spicilegii Solesmensis, altera continuatio, I, Parisiis 1885, pp. 462-464. 35 G. B. DE ROSSI, Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, II, Romae 1857-1888, pp. 83-84. Si vedano anche G. B. DE ROSSI, Elogio anonimo d’un papa nella silloge epigrafica del codice di Pietroburgo, in Bullettino di Archeologia Cristiana, serie IV, anno II, 1-2 (1883), pp. 5-59; ID., Dell’elogio metrico attribuito al papa Liberio, ibid., serie V, anno I, 4 (1890), pp. 123-139; L. DE FEIS, Nuove osservazioni sul carme sepolcrale di Liberio Papa per il P. Leopoldo de Feis barnabita, Roma 1897. 36 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 289, nr. 19; Vat. lat. 14285, f. 309rv, nr. 594. 37 Il barnabita fa riferimento alla pubblicazione periodica Studi e Documenti di Storia e Diritto, edita dal 1880 al 1904 dall’Accademia di Conferenze Storico-Giuridiche. 38 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 289, nr. 20; Vat. lat. 14286, f. 9r, nr. 609. 39 Si tratta, rispettivamente, degli articoli G. B. DE ROSSI, Del praepositus de Via Flaminia, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, serie III, anno XV, 7 (1888), pp. 157-262 e ID., Campana con epigrafe dedicatoria del secolo in circa ottavo o nono trovata presso Canino, in Bullettino di Archeologia Cristiana, serie IV, anno V (1887), pp. 8289.
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A una lettera perduta del de Rossi, con allegato un fascicolo del Bullettino, seguono, il 18 dicembre, i ringraziamenti del De Feis40. Il giorno successivo l’archeologo formula all’amico gli auguri per le imminenti festività natalizie, anche a nome del fratello Stefano Michele, al quale il De Feis aveva indirizzato un cenno di saluto; dalle parole dell’archeologo traspare tutta la preoccupazione per la grave malattia dell’amato nipote Carlo Felice41, causa del ritardo nella stampa degli indici del Bullettino. In chiusura, si dice lieto che l’Accademia di Conferenze Storico-Giuridiche — certamente grazie a un suo interessamento42 — avesse accettato la pubblicazione della Storia di Liberio Papa. Con il dicembre del 1890 il carteggio si interrompe nuovamente, per riprendere il 23 agosto 1891, con una lettera che il De Feis spedisce all’amico da Firenze, per assicurargli l’invio di un buon disegno della pisside43: il barnabita, ancora intento allo studio del reperto, deve avere nel frattempo raggiunto una certa confidenza con l’anima del Museo di Livorno, il commendatore Enrico Chiellini, tanto che questi gli consegna le riproduzioni fotografiche e litografiche «di alcuni singolarissimi monumenti trovati a Turrita e con diffidenza da alcuni guardati», perché vengano sottoposte all’attenzione del de Rossi e dei membri della Giunta Archeologica44. L’archeologo, il 26 agosto, indirizza all’amico un biglietto con il quale gli conferma la positiva ricezione di tutto il materiale, ma lo avverte che, poiché la Giunta non si riunirà prima del successivo ottobre, inizierà egli stesso a visionare le riproduzioni inviategli. Dopo avergli anticipato la spedizione del quarto fascicolo del Bulletino, contenente un contributo sull’elogio metrico di papa Liberio45, si augura che dal nuovo disegno promessogli sia possibile ricavare informazioni utili a chiarire la natura della pisside. Il disegno non tarda a venire — il De Feis lo allega alla sua lettera del 27 40
PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 289, nr. 21; Vat. lat. 14286, f. 170r, nr. 755. Carlo Felice de Rossi, il maggiore dei figli di Stefano Michele, morirà a 26 anni di tubercolosi, il 26 dicembre 1891. Commovente il ricordo dello zio, in G. B. DE ROSSI, Commemorazione funebre, in Bullettino di Archeologia Cristiana, serie V, anno I, 2-3 (1890), pp. 49-53. Vd. anche BUONOCORE, Theodor Mommsen cit., pp. 6-7. 42 Il de Rossi non fa menzione di un suo intervento diretto, forse per non imbarazzare l’amico, che tuttavia doveva esserne al corrente, poiché nella lettera che gli aveva indirizzato il giorno precedente si legge: «Le sono doppiamente tenuto e per il Bull. che si degna mandarmi e per ciò che ha fatto per me all’Acc. Stor. Giur.». 43 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 289, nr. 22; Vat. lat. 14288, f. 33rv, nr. 647. 44 Il De Feis, assieme alle fotografie e alle litografie, rimette all’amico anche una lunga lettera del Chiellini — datata Livorno, 21 agosto 1891 — per la quale si veda il ms. Vat. lat. 14288, ff. 328r-330v, nr. 646. 45 DE ROSSI, Dell’elogio metrico cit. 41
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agosto46 — e questa volta sembrerebbe essere realmente di buona qualità: a realizzarlo è stato il giovane marchese anconetano Giovanni Nembrini Gonzaga, convittore del Collegio “Alla Querce”, che per la sua opera meriterà di essere ringraziato pubblicamente nel Bullettino47. Il de Rossi risponderà all’amico il giorno seguente, riferendogli come, grazie al disegno, sia riuscito a scorgere i minimi dettagli del reperto; soltanto le figure dei pesci ancora non lo convincono e potrebbero essere confuse con dei pani oblunghi. In chiusura della lettera, si dichiara disponibile a pubblicare il reperto, ma chiede — se possibile — di ottenerne un calco in gesso. Alla fine dell’estate il carteggio si fa più problematico: il 3 settembre padre De Feis informa il de Rossi di non aver ancora ricevuto nessuna risposta dal Chiellini — gravemente ammalato — circa la possibilità di realizzare un calco della pisside48; il 9 settembre gli trasmette il contenuto della risposta del Chiellini49: questi, appena potrà alzarsi dal letto, provvederà a spedirgli a Roma il reperto originale, perché lo studi con maggior contezza; il 23 dello stesso mese — in risposta a una lettera del de Rossi non conservata — ringrazia l’amico per l’invio del Bullettino e de Les dernières découvertes faites au cimitière de Priscille50. Le missive del de Rossi conservate nell’epistolario fiorentino riprendono il 24 ottobre, quando, con una cartolina postale spedita da Roma, l’archeologo informa l’amico di aver ricevuto dal Chiellini la pisside, imballata in una cassa di legno, e con essa l’autorizzazione a realizzarne un calco in gesso51: ora che lo può esaminare dal vivo, si rende conto di trovarsi di fronte a un reperto di grande importanza. Nella medesima lettera si 46
PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., pp. 289-290, nr. 23; Vat. lat. 14291, f. 34r, nr. 538. Per qualche cenno biografico sul marchese Giovanni Nembrini Gonzaga, si veda G. CAGNI, Enciclopedia querciolina, Firenze 1986, p. 437. Il de Rossi lo menziona in DE ROSSI, Pisside eburnea cit., p. 47. 48 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 290, nr. 24; Vat. lat. 14288, f. 341r, nr. 655. 49 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 290, nr. 25; Vat. lat. 14288, f. 346r, nr. 662. 50 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 290, nr. 26; Vat. lat. 14288, f. 370r, nr. 679. L’opuscolo in questione è G. B. DE ROSSI, Les dernières découvertes faites au cimitière de Priscille, Paris 1891 (= in Compte rendu du Congrès scientifique international des Catholiques tenu a Paris du 1er au 6 avril 1891. Cinquième section. Sciences historiques, Paris 1891, pp. 52-57). 51 La spedizione era accompagnata da una lettera — datata Livorno, 23 ottobre 1891 — conservata nel ms. Vat. lat. 14289, ff. 40r-42v, nr.733. Unitamente alla pisside, il Chiellini aveva inviato a Roma una seconda cassetta, contenente diversi reperti, rinvenuti nell’insediamento romano di Turrita, perché venissero sottoposti all’attenzione della Giunta Consultiva di Archeologia, in vista della loro pubblicazione, commissionata dal Municipio di Livorno al professor Pio Mantovani. Il catalogo verrà effettivamente dato alle stampe l’anno successivo, per cui cfr. P. MANTOVANI, Il museo archeologico e numismatico di Livorno illustrato dal prof. Pio Mantovani, Livorno 1892. 47
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congratula per l’inizio della pubblicazione della Storia di Liberio Papa e, in chiusura, prima dei saluti di rito, con un certo compiacimento, afferma: «Parmi che il mio bullettino renda inutile l’invio del Bulletin critique». Il 22 novembre è ancora padre De Feis a scrivere all’amico per sollecitare un giudizio sui reperti di Turrita, sottopostigli dal Chiellini52: «Se non è tardi, vegga di risponderli qualche cosa, e se le notizie sono cattive faccia in modo di dagliele un po’ addolcite. Dico questo perché il povero uomo è molto martoriato fisicamente e moralmente». Gli ultimi mesi del 1891 trascorrono senza che vi siano contatti epistolari documentati. La corrispondenza deve essere comunque continuata regolarmente se il 13 marzo 1892 il De Feis ringrazia l’amico per l’invio dell’ultimo fascicolo del Bullettino e del Panorama circolare di Roma53. Manca la missiva di risposta del de Rossi, alla quale erano allegati l’ultimo fascicolo del Bullettino e l’estratto del Collare di servo fuggitivo novellamente scoperto54: padre De Feis lo ringrazierà di questi due omaggi, scrivendogli il 2 giugno una lunga lettera55. Il de Rossi replica il 4 giugno, rallegrandosi che l’ultimo fascicolo del Bullettino sia riuscito di particolare gradimento al Chiellini: questi, benché gravemente ammalato, gli aveva già spedito due biglietti carichi di sincera riconoscenza56. In riferimento alle due pissidi donate da Louis Carrand al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, che il De Feis gli aveva segnalato perché le confrontasse con il reperto di Livorno, riconosce nell’esemplare raffigurante il mito di Orfeo quello descritto da padre Raffaele Garrucci nell’Adunanza dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica del 30 dicembre 1860, da lui stesso visionato quarant’anni prima nella Cattedrale di Veroli57; il secondo, con Artemide e Atteone affiancati da un’aquila, gli sembra effettivamente utile per un raffronto con l’esemplare livornese, tuttavia ne esclude il riuso sacro, suggerito dal barnabita. Ringrazia, inoltre, il padre per avergli segnalato due schede di Anton Francesco Gori sul Cod. 52
PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 290, nr. 27; Vat. lat. 14289, f. 117r, nr. 801. PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., pp. 290-291, nr. 28; Vat. lat. 14290, f. 256r, nr. 241. L’estratto menzionato dal barnabita è G. B. DE ROSSI, Panorama circolare di Roma delineato nel 1534 da Martino Heemskerck pittore olandese, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, serie IV, anno XIX, 10-12 (1891), pp. 330-340. 54 G. B. DE ROSSI, Collare di servo fuggitivo novellamente scoperto, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, serie IV, anno XX, 1 (1892), pp. 11-18. 55 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 291, nr. 29; Vat. lat. 14291, ff. 171r-172v, nr. 681. 56 Le due missive sono state spedite da Livorno, rispettivamente, il 30 maggio (Vat. lat. 14291, f. 171r.v, nr. 669) e il 2 giugno (Vat. lat. 14291, f. 176r, nr. 685). 57 R. GARRUCCI, Adunanze dell’Instituto. Decembre 30, in Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica 1-2 (1830), p. 5. 53
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Marucell. A X, relative a un collare di un servo fuggitivo, conservato presso il Museo Sacro Vaticano58. Dopo averlo ringraziato per i voti affettuosi e per l’augurio rivoltogli in occasione dei festeggiamenti svoltisi in suo onore, lo rassicura circa la disposizione d’animo del Gatti nei suoi confronti, riguardo alla quale il De Feis aveva mostrato una certa preoccupazione59: «Benché la scrittura della mano, alla quale io detto la presente, Le possa sembrare quella del prof. G. Gatti, pure Le posso dare assicurazione, che in questo caso l’apparenza inganna. Perciò detto con ogni semplicità e libertà, che il predetto nostro amico da me interrogato mi ha detto non intendere a che Ella voglia alludere, temendo che vi sia qualche cosa spiacente occorsa nella loro corrispondenza epistolare. Egli teme piuttosto, che Le possa avere recato dispiacere il vedere interrotta la stampa del trattato sul papa Liberio». Emergono così, in maniera indiretta, le prime informazioni sullo stato di salute dell’archeologo, che, nel precedente mese di maggio, era stato colto da un’emiplegia della parte destra. In chiusura, chiarisce come i rallentamenti nell’edizione della Storia di Liberio Papa fossero dovuti non a un qualche malinteso con il Gatti, ma alla linea editoriale di Studi e Documenti di Storia e di Diritto, che prevedeva l’edizione di testi non eccessivamente estesi. Il carteggio vaticano e quello fiorentino registrano, ancora una volta, un’estesa lacuna: la corrispondenza riprenderà il 15 luglio 1893. Durante la permanenza nel Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, il de Rossi indirizza all’amico una cartolina postale, in risposta a una sua missiva, non conservata nel fondo vaticano, per chiedergli ragguagli sulla salute del giovane e promettente padre Savi, alle cui preghiere affida la propria, ancorché noti un leggero e lento miglioramento. Proseguendo, riferisce all’amico di aver ricevuto l’opuscolo che gli aveva spedito: con ogni probabilità, sebbene non venga menzionato il titolo, si trattava del volumetto sul mosaico pompeiano della Casa del Fauno, raffigurante la battaglia di Isso, che il De Feis aveva dato alle stampe in quell’anno per sostenere come la scena rappresentasse, in realtà, lo scontro tra Ciro e Artaserse II, nei pressi di Cunassa60. Il decorso della malattia continua e il de Rossi è vieppiù costretto a dettare la propria corrispondenza: sugli scritti di questi anni l’indicazione aliena 58
Pubblicato in G. B. DE ROSSI, Dei collari dei servi fuggitivi e d’una piastra di bronzo opistografa che fu appesa ad un siffatto collare testè rinvenuta, in Bullettino di Archeologia Cristiana, serie II, anno V, 2 (1874), pp. 41-67. 59 In chiusura della già menzionata lettera del 2 giugno 1892, il De Feis aveva scritto: «Temo che il Prof. Gatti abbia qualche cosa contro di me, forse per qualche espressione poco corretta o rispettosa uscitami dalla penna scrivendo. Ella faccia il piacere d’informarsene senza dire di essere stata spinta da me e se così è gli dica che ritratto tutto e sia pace tra noi». 60 L. DE FEIS, La battaglia di Cunassa in un mosaico pompeiano, Firenze 1893.
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manu ricorre con frequenza, anche più volte nella medesima lettera, quasi a volersi scusare per la perdita della piena efficienza fisica. Il De Feis risponde al de Rossi il 16 luglio, rassicurandolo sulle condizioni di salute del confratello e facendo voti al Signore perché l’aria salubre di Castel Gandolfo lo ridoni presto e in pieno vigore all’affetto degli amici61. Due giorni dopo — il 18 luglio — l’archeologo gli scriverà per ringraziarlo, ma ancor più per chiedergli di consegnare a padre Savi la lettera che ha fra le mani: questi gli ha scritto, ma egli non sa a quale indirizzo debba rispondergli62. La consolazione di uno sperato miglioramento va svanendo e, mentre si rallegra per la buona salute del giovane barnabita, si dichiara scoraggiato per la propria, nonostante i medici lo animino ancora a nutrire buone speranze: è ormai avvilito dalla malattia e — da credente — non esita a rimettersi alle preghiere degli amici. In postilla, scrive come anche la moglie sia grata al Savi per la sua lettera ed esprime la speranza che questi possa mettersi in contatto con l’abate Louis Duchesne. Tra il luglio del 1892 e il luglio del 1893 i contatti tra l’archeologo e il religioso sono testimoniati da un solo biglietto di ringraziamento con testo a stampa, datato 24 giugno 1893, ma corretto a mano in 30 dicembre: «Iohannes Baptista de Rossi facultate scribendi destitutus gratias agit. Romae, die 24 m. Iunii 30 Dec. 1893». Il 15 aprile 1894, padre De Feis indirizza all’archeologo una cartolina postale per ringraziarlo della spedizione del Bullettino63: in particolare, ha molto gradito la breve nota in memoria di padre Savi, venuto a mancare — appena ventiseienne — il 30 settembre del precedente anno64. Probabilmente il de Rossi non dà nessuna risposta — né ve ne sarebbe stato bisogno — e il barnabita torna a scrivergli il 26 aprile, per segnalargli due vetri cimiteriali, posti in vendita da un negoziante fiorentino65. Il de Rossi risponderà il giorno seguente, anche in questo caso aliena manu, ringraziando affettuosamente l’amico per la cartolina e informandolo sulle proprie condizioni di salute: «Pur troppo sono assai lungi dalla 61
PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 291, nr. 30; Vat. lat. 14294, f. 66r, nr. 332. Della cartolina di padre Savi, spedita non più tardi del 17 luglio 1893, non c’è traccia nel carteggio vaticano, come pure irreperibile è una seconda missiva che il barnabita — nella lettera inviata al de Rossi il 23 luglio da Bagni della Porretta (Vat. Lat. 14294, f. 76r-v, nr. 337) — riferisce di avergli spedito. Il mancato recapito della posta è spiegato dallo stesso Savi nella lettera del 23 luglio: le due missive erano indirizzate a Roma, anziché a Castel Gandolfo. 63 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 291, nr. 31; Vat. lat. 14295, f. 121r, nr. 112. 64 O. MARUCCHI, Conferenze di Archeologia Cristiana (anno XVIII 1892-1893). 4 decembre 1892, in Bullettino di Archeologia Cristiana, serie V, anno IV, 1-2 (1894), pp. 41-61, nel dettaglio, p. 41, nota 1, a firma di G. B. de Rossi. 65 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., pp. 291-292, nr. 32; Vat. lat. 14295, f. 134r-v, nr. s123. 62
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desiderata guarigione: e la paralisi non cede alle cure, per quanto ciò mi si faccia sperare dai medici. La mente però è chiara e posso dettare come ho fatto pel Bullettino». I due vetri decorati non lo convincono e riferisce chiaramente le proprie perplessità: «I vetri in piano graffiti su foglia d’oro saldata a fuoco tra due piastre possono essere genuini, ma non si può giudicarne se non de visu. Se il prezzo è ragionevole Ella può rischiare la compra. Ma io temo molto che si tratti di lavoro moderno sul disegno del Boldetti»66. Congedandosi, trasmette all’amico i saluti del Gatti e, probabilmente sapendolo in apprensione per questo, gli riferisce come il volume di Studi e Documenti di Storia e di Diritto del 1894 non sia ancora stato stampato. Quella del 27 aprile 1894 è l’ultima lettera nota del de Rossi a padre De Feis. Questi gli risponderà da Firenze il 19 maggio, con una cartolina postale67: scusandosi per non avergli scritto prima, come pure avrebbe voluto, lo informa di aver acquistato i due vetri e conferma i suoi sospetti: «Ebbi per poco quei due vetri cimiteriali. Dallo studio fatto in camera e con pace ho potuto vedere che sono copie di quelli del Boldetti l’uno, e l’altro non so di quale». Negli ultimi mesi di vita — prima del fatale 20 settembre — tutti i rapporti epistolari del de Rossi si fanno più radi, forse perché i suoi corrispondenti abituali non volevano gravarlo della fatica di dover dettare una risposta. Salvo che non affiorassero nuovi documenti, non è dato sapere con esattezza quando si sia interrotto il carteggio tra l’archeologo e il barnabita; a dispetto di tale insignificante dettaglio, che poco aggiungerebbe alla storia degli studi, chi si trovasse a sfogliare il loro decennale epistolario, non potrebbe fare a meno di considerare ammirato la vivacità scientifica e la profondità d’animo di due studiosi, due uomini — ciascuno a suo modo — di fede e di scienza, che avevano fatto delle antichità cristiane la loro più alta ragione di vita.
66 Si riferisce ai reperti riprodotti sulle tavole che illustrano M. BOLDETTI, Osservazioni sopra i cimiterj de’ Santi Martiri, ed antichi cristiani di Roma, I-III, Romae 1720. 67 PAGANO, Barnabiti corrispondenti cit., p. 292, nr. 32; Vat. lat. 14295, f. 160r, nr. 147.
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PAOLA MANONI
THE MELLON PROJECT AT THE VATICAN LIBRARY: WEB THEMATIC PATHWAYS OF MEDIEVAL MANUSCRIPTS FROM THE VATICAN COLLECTIONS USING INTERNATIONAL IMAGE INTEROPERABILITY FRAMEWORK 1. Introduction In 1953, in a preface to a catalog of an exhibition of Medieval and Renaissance Italian manuscripts at the Morgan Library, the great art historian Bernard Berenson wrote: Illuminated manuscripts are not easily accessible to the public and for good reasons. Most of them are still in codices and can be shown only two pages at a time. There is no other way unless the leaves are extracted and exhibited separately. This is not recommendable as it takes away from their character as book illustration and besides makes them liable either to lose or change color or to fade away from permanent exposure to light. Moreover many of them are too fragile, indeed so fragile that most keepers of illuminated manuscripts would prefer to keep them like houris in a harem. Not infrequently they bar access to their treasures by exacting from the common art lover a written declaration of where and when he means to publish the manuscripts he wishes simply to look at. The only compromise is to show them as best one can under glass, and only for a short time1.
Of course technology has changed all this in ways that Berenson could not have foreseen. Digital imaging now allows for remote display of entire books with a clarity that rivals or even surpasses the experience which a viewer could have in situ. Many libraries now offer digital access to selected items from their collections so that they can be seen outside the confines of the manuscript reading room. Finally the world has access to these long “sequestered” treasures, not only the spectacular illuminations, but also the many more ordinary hand written texts. But Berenson goes on to make one further point. He notes that: 1 M. HARRSEN – G. K. BOYCE [eds], Medieval and Renaissance Manuscripts in the Pierpont Morgan Library, New York, 1953, p. 2
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 265-281.
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Students of manuscripts live in a world apart and have developed a vocabulary, a phraseology, and nomenclature, a mode of reference by number which outsiders cannot easily follow2.
Since permission to view manuscripts has always been subject to severe restrictions, only specialists really had access and knew what to do when access was given. It required a knowledge of cataloguing and classification that were very specific to particular libraries and collecting traditions. Even today, digital delivery of manuscript material is organized by these somewhat “arcane” cataloguing codes that serve to identify a particular page, leaf, or whole bound book. But manuscripts at the time of their production were set in a larger context that we could call “pre-print culture”. They were the vehicle by which human knowledge was transmitted from generation to generation. This has been written about, but to see how it was manifest in the production of manuscript volumes has been difficult due to the barriers Berenson mentioned. If technology can deliver copies of individual manuscripts, can technology then assemble these images in ways that provide for the scholarly public a “window” into this “pre-print world”? Clearly, any such window will need to offer a view into one of the world’s more substantial collections of manuscripts; and it would be difficult to imagine a better starting point than the Vatican Library: more than 80,000 manuscripts, hand-written between the 4th and the 16th centuries to digitize. The scope of the ongoing digitization project at the Vatican Library is twofold: it renders the manuscripts accessible online to everyone at no cost and it preserves the original manuscripts in their best conditions for future generations, by reducing the necessity for on-site consultation. The implementation of the web platform of the digital library is available at https://www.digi.vatlib.it. This service is openly accessible and interoperable via International Image Interoperability Framework (IIIF): a technology that defines several application programming interfaces to better provide a standardized method of describing and delivering images and data over the web. This new innovative online resource, bringing together the digitization at the Library, was launched on May 2016. Given scholarly needs and the opportunities presented by IIIF, and given the growing number of repositories interested in IIIF, the Library has considered the result achieved as the basis for participating in the evolu2
Ibid.
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tion towards more advanced tools able to offer scholars new perspectives into the world of Medieval manuscripts using IIIF technologies. This contribute aims to present the researches that the Library, in conjunction with Stanford University Libraries has promoted thanks to a three-year project funded by The Andrew W. Mellon Foundation. The project aims to demonstrate, among the advantages of the IIIF for manuscripts, how the annotation level is a fundamental innovation for the study of contents: transcriptions, comments, comparative analysis of texts and images. Thanks to the funds received, the Library has implemented a workflow to enrich the digital delivery of these materials by annotating some exemplary manuscripts with scholarly analysis in order to tell scholarly narratives, that provide interpretation for the individual works and illustrate important aspects of the world’s pre-print culture. The resulting web-based historiography of a selection of the Library’s most significant manuscripts, ones heavily consulted and objects of scholarly attention over the centuries, will provide new insights and new stimuli for further engagement by scholars and students everywhere. The Library intends to engage the visitors to its website on the possibilities for using these annotated manuscripts in IIIF, according to specific thematic pathways, by providing tools for discovering and comparing digital materials. The deep analysis of contents of manuscripts entails the understanding of the “pre-print” world in which the manuscript is born. This implies a knowledge pertaining to the history of the manuscript, its origin, provenance as well as other circumstances of the production of a manuscript; identifications of dates, places, scribes, artists; discussions about the intellectual content and descriptive discussion on paleographic matters. In its essential lines, a thematic pathway is composed by three different kinds of information: 1) A general description (introduction, historical information, etc.) of the chosen theme, it represents the “Story”; 2) Descriptive and structural metadata and a curatorial narratives for each manuscript; 3) Annotations, comments, in-depth analysis about detailed parts of a manuscript (e.g. texts, comments, illuminations, etc.) and transcriptions of units of information. The first four thematic pathways, examined in the three-year research, are available at: https://spotlight.vatlib.it.
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2. The four thematic pathways 2.1 Courses in Paleography (Greek and Latin, from antiquity to the Renaissance) (edited by T. Janz – A.M. Piazzoni) Every civilization leaves some traces, but civilizations which used writing have left traces that can be understood with greater clarity. Language is an integral part of the culture that uses it, and so is writing, which is the graphical representation of that language. This also applies to the very long period during which the Greek and Latin languages were used (and written) as a means of communication between people belonging to one of the most interesting civilizations, the Greco-Roman one, from which modern Western civilization is largely derived. The rich collection of manuscripts preserved in the Library makes it possible to follow the evolution of the Greek and Latin scripts all the way from antiquity to the Renaissance. A careful selection of images of manuscripts, accompanied by transcriptions and comments, could be very useful as teaching material for a course in Greek or Latin paleography.
The availability of on-line images of manuscripts, together with the possibilities offered by the IIIF APIs, allows a complete transformation of teaching practice in this field, which is nowadays still based on photocopies taken from the various collections of black & white plates of varying (and often rather poor) quality which were assembled during the last century to serve precisely this purpose. These collections have generally been well chosen by their editors3 so as to illustrate the important developments in the history of Greek and Latin script; but in and of themselves they il3
E.g. N. G. WILSON, Mediaeval Greek Bookhands, Cambridge, MA, 1973.
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lustrate nothing, being mere pictures of pages. In addition, by assembling single-page samples from each of the chosen manuscripts, they seriously misrepresent the nature of the source objects, each of which is a book produced in its own cultural context with the purpose of being read for its own sake, not in the dismembered state in which the paleography student encounters it. Of course, nowadays teachers also have the possibility of using some on-line materials which have been made available by libraries, including high-definition, browsable color images of entire manuscripts. However, the available on-line materials have not been chosen to illustrate the history of Greek and Latin script, and in fact they are generally not very appropriate for this purpose. In addition, they lack even the rudimentary paleographical annotations which accompanied some of the traditional collections of plates, so that, far from exploiting the potential added value of the interactive digital medium, they actually represent a step backwards, at least from the point of view of the teacher of paleography. By supplying color images of entire manuscripts with the appropriate metadata and annotation, and presenting them within a linked framework of explanatory materials, the images can be made into a tool for paleography instructors which is immeasurably superior to the materials which are currently available. The explanatory materials (“Story”) which frames this unit can be thought of as a sort of textbook, but one which has distinct advantages over traditional print textbooks, in that the features being described can be immediately illustrated with links to the specific images and, more importantly, to the specific parts of images which best illustrate the points at hand, all the while maintaining the presentation of the depicted object as an actual book, rather than an assembly of bits of pages depicted in black & white to illustrate a specific point. In addition, the presence of the illustrative images makes it relatively easy to make this textbook appropriate for self-study, so that the Greek and Latin paleography can now venture outside the halls of graduate schools, and the ability to read original Greek and Latin manuscripts can be made accessible to any interested person with an internet connection. For each of the sections (Greek and Latin) of this thematic path, a set of complete digitized manuscripts, chosen to illustrate the phases in the development of the script from the fourth to the sixteenth century, is provided. From each manuscript, chosen pages with a paleographical and codicological description and a diplomatic transcription is also made available. All of the above elements are framed by (and linked to) a “Story” composed of web pages corresponding to individual “lessons” or “chapters”.
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2.2 The evolution and transmission of texts of specific works: Latin Classics (edited by M. Buonocore) The Vatican Library owns one of the most important collections of manuscripts with texts by Classical Latin authors, many of them richly illustrated. It is possible to follow the fortune of a given author from Late Antiquity all the way down to the Renaissance: for example, Virgil, whose oldest extant manuscripts include the Vat. lat. 3225 and 3867; Terence (Vat. lat. 3868); Seneca, whose tragedies were very popular in the Middle Ages; and many others. The aim of this pathways is to describe 81 manuscripts directly from the original codices: metadata and annotations pertaining to the study of texts and illuminations have been provided. The work throws light not only on the illustrations of the texts but especially on the relationship between text, illuminations, comment and the gloss. The analysis focuses on the interdependence between text and image aiming at: — Grouping the most representative authors of the Classical world dealing with several literary genres. Less well-known but richly illustrated authors have been considered too; — Emphasizing the iconographic features of the manuscripts. It has been possible to point out the uniqueness of the iconographic programs and
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at the same time to notice the adoption of some common figurative solutions over time; — Stressing the diachronic thematic path in order to highlight the changes of styles and lay-out through the illuminations from late antiquity to the Gothic and Renaissance periods. The importance of this project lies in the remarkable variety of genres of the Classical world from epic, lyric and elegists to dramatic, philosophical, historic and declamatory. For instance, thanks to the many manuscripts of Seneca’s tragedies it is possible to show the development of different figurative models over time (Ott. lat. 1420, Pal. lat. 1671, Pal. lat. 1677, Reg. lat. 1500, Urb. lat. 356, Vat. lat. 1645, Vat. lat. 1647, Vat. lat. 7319). However a comparison with other manuscripts from other libraries has been necessary and useful (for example, Seneca’s Tragedies are also found in Basel (Universitätsbibliothek, F V 30), Cambridge, UK (Fitzwilliam Museum, Mc Clean 161), Cologny-Genève (Bibliothèque Bodmer, 152), Glasgow (Univer-
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sity Library, Hunter 205, Hunter 322), Innsbruck (Universitätsbibliothek, 87), London (British Library, Harley 2483, Harley 4937, Add. 11986, Add. 14811), Oxford (Bodleian Library, Auct. F I 14, Canonici Class. Lat. 86, Canonici Class. Lat. 90, D’Orville 21, Lincoln 92, All Souls 83), Paris (Bibliothèque Nationale, Lat. 8024, Lat. 8026, Lat. 8028, Lat. 8032, Lat. 8055, ff. 179-456, Lat. 16242), Prague (Stadny Knihovna, Lobkovicianus 271), Sevilla (Biblioteca Columbina, V 5.32), Vienna (Nationalbibliothek, 122). The project deals with these variety of genres by analyzing a group of 81 manuscripts. This group has never been analyzed and described systematically. Each manuscript has been selected in order to reconstruct the figurative imagery of the Classics, from papyrus style (the miniatures are set within the text column) to historiated initials. In addition, these selected manuscripts present particularly interesting textual and historical characteristics, because the classical authors continue, even today, to provide paradigmatic images and concepts. Classical authors, in fact, have always received special attention due to their ageless modernity and the project thus has considered the development of images and their meanings in different contexts according to the historical period in which they are realized. The objectives, coupled with the variety of the genres, draws an overview of the Latin Classical illustrated manuscripts from the beginning until the early Renaissance, enhancing the cultural heritage of the Vatican Library. Metadata and annotations have been developed with a detailed commentary. The outcome meets different research needs, including those of experts in different fields (Paleography, Philology, Codicology, Art history). Therefore it provides an exploration of all aspects of the manuscripts: not just the texts they contain, but also the materials, the choice of contents, the layout and arrangement of the page, the type of script, the use of marginal annotations, the hierarchy of decorations and the illustrations. 2.3 Vatican Palimpsests: Digital Recovery of Erased Identities (edited by A. Nemeth) The Vatican Library has identified more than 380 manuscripts in its own collections, which include palimpsests, erased and then recycled parchment folios. This pathway intends to present this rich and scarcely explored material to the public by making an in-depth archaeological research on the palimpsests of 24 select manuscripts and recover their lost identities with the help of IIIF technology. In the selection of 24 manuscripts, practical aspects were carefully pondered as well as the benefit this pathway potentially gives to specialists and
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to the general public. This selection intends to make an optimal use of the digital images of palimpsests the Photographic Laboratory of the Vatican Library has accumulated with tremendous effort and by the investment of thousands of hours in the last ca. 9 years. Making accessible hardly legible images to the public is a challenging task because the actual method of publication has been designed to typical objects. Thus publishing online atypical objects requires creative solutions and improvements of the actual routine. By the pathway, digital reconstruction makes four palimpsests accessible both by their upper and lower scripts, a condition which the actual conservation of these manuscripts and the normal method of publication do not allow. These manuscripts include, for example, the only surviving text of Cicero’s Republic (4th/5th century), and the earliest but so far neglected manuscript (9th century) of Philo of Alexandria, who combined Greek and Jewish philosophy in Augustus’ time. The other twenty manuscripts represent ca. 58 lost identities. From these manuscripts, one image per erased identity has been published with explanations. The lost identities of the select manuscripts cover the history of Latin and Greek scripts from the 4th-5th century and embrace a wide range of literary genres and cultural contexts before the twelfth century, mostly of the Byzantine world, and shed light on the history of textual scholarship with them. Just to mention a few, the erased pages selected for publication include biblical, liturgical, hagiographical, philosophical, rhetorical, grammatical, literary, medical, and scientific texts; a portion of
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them still awaits for accurate identification. The superimposed identities (texts copied over palimpsests) include also poetry, historiography in addition to the previous genres. The pathway of these multiple identities of the select manuscripts guides readers through some cornerstones of Latin and especially Greek literacy, in many cases the earliest and most authoritative texts each erased identity represents. In addition, the select pieces inform the reader about the history of scientific practices with erased texts as well as restoration and reproduction of hardly legible manuscripts. No single publication exists in which readers would be able to access accurate information on Vatican palimpsests, the results scholars have accumulated in the last two hundred years through a variety of often hardly accessible channels. The online publication of these data could serve as a basis of further research on palimpsests, which the digital technology will enable in a growing scale in the future. Erased texts are often very old and significant witnesses of a lost past but they are difficult to access for the naked eye. They need an expert interpreter and highly special photographic and post-processing technologies and especially the flexibility of presentation offered by IIIF APls which can turn erased texts more accessible online than in their physical existence. The pathway uncovers multiple dimensions of each erased identity. These dimensions include the lost physical aspects of each erased text (e.g. order of the leaves and location of the actual piece within its lost entirety), the role each erased identity played in the history of the text it carries, the cultural context in which each erased identity was produced and used, and the scholarly methods of combining partially legible details, visually linked, into a more complex picture in each case. Thus the pathway provides explanatory metadata, and trains readers to apply the archeology of complex manuscripts to scholarly work. Earlier methods to recover a lost identity such as the use of Gallic acid ink often led to destruction the superimposed identity. IIIF APIs, however, tolerate multiple identities without preferring one to other(s) and are able to conserve and present simultaneously multiple – in reality often conflicting – cultural layers of the same objects. By doing so, the pathway creates an innovative method of presenting palimpsests of the Vatican Library, compared to the actual routine of digital presentation of Vatican manuscripts and to the online presentation of the palimpsests elsewhere. By making more than one identity of the same object available, this pathway could be used as a model to present online atypical objects other than palimpsests. It will remain applicable to the digital reconstruction of a single identity that has scattered over history as well as to the visualization of physical changes that ancient objects often underwent over time or
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to presenting simultaneously alternative contexts of documents (e.g., the historical classification of documents excludes alternative classifications and grouping of objects, letters or composite manuscripts). The pathway in addition would encourage collaborative future projects between libraries in Italy and Europe, which hold other parts of the Vatican palimpsests to unify these lost identities with a joint effort between philology and digital technology. 2.4 The Library of a ‘Humanist prince’: Federico da Montefeltro and his Manuscripts (edited by M. G. Critelli) The library of Federico da Montefeltro (1422-1482), Duke of Urbino (since 1474), is known as a typical humanist collection, modeled in respect of the standard developed by Tommaso Parentucelli (later Pope, taking as his name Nicholas V, 1447-1455), but open to the contemporary world. Well represented sectors include Scripture, patristics, theology, classics, contemporary technical and scientific works, and contemporary literature. The most common language is Latin, but Greek and Hebrew are also represented (currently the Latin collection comprises 1779 volumes, the Greek 65, the Hebrew 59). The collection was outstanding not only for its substance (the amount of volumes as well as the quality, in relation with other libraries of that age), but for the value of each manuscript partly acquired from antique market, many commissioned by Federico and realized by refined copyists and greater artists of that time. The manuscripts were produced in two main locations: Florence and Urbino. In the first years, Federico preferred to buy or order manuscripts in Florence (both in writing and in illumination), later he preferred Ferrara or Paduan artists and scribes active in Urbino. This pathway points out the characteristics of the two schools, very different in style, and the most important artists (half of the chosen manuscripts is representative of the Florentine school while the other half of the Ferrara and Paduan Schools). The analysis focuses as follows: — Description of contents: focus on the contents of the individual texts of each manuscript; — Codicological and palaeographical description: information about writing supports (parchment or paper), number of sheets, foliation, lining, catchwords, eventual notes, colophon, information about scribes; — Historical-artistic annotation: analysis of illuminations and information related to the artist (if identified) or to the workshop (in comparison with other illuminations by the same artist); — History and acquisition: focus on the provenance of manuscripts.
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The scholarly narrative focuses on the main characteristics of Federico da Montefeltro’s humanistic library, which represents the core of the Urbinati collection (later expanded by his successors). The project intends to attract an audience of scholars in various research fields, such as Italian humanism, history of libraries, art history, and various aspects of manuscript studies (e.g., paleography and codicology). The pathway guides the reader through Federico’s collection as a specimen of a humanistic library, describing the contents and the form of the selected manuscripts and providing a global view of the library itself.
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3. Technical work Stanford University Libraries has partnered with the Vatican Library for technology development supporting both the creation of the four thematic pathways and their delivery to the public via a web-based platform. The technical work has focused on support for three main areas critical to the project: manuscript analysis and scholarly annotation; internal discovery and presentation of project work; and digital publication of curated exhibits. The technical approach has focused on adapting and integrating existing pieces of open source software, and introducing enhancements for the Library’s needs. These softwares in use are: — Mirador for analysis and annotation; — Annotot for annotation store; — Spotlight for discovery, presentation and curated exhibits of the thematic pathways. 3.1 Mirador4 Mirador is a configurable, extensible, and easy-to-integrate image viewer, which enables image annotation and comparison of images from repositories dispersed around the world. Mirador has been optimized to display resources from repositories that support the International Image Interoperability Framework (IIIF) APIs. It provides a tiling windowed environment for comparing multiple image-based resources, synchronized structural and visual navigation of content using OpenSeadragon, Open Annotation compliant annotation creation and viewing on deep-zoomable canvases, metadata display, book reading, bookmarking and more. Mirador is developed as an active, open source project that regularly receives contributions from software developers around the world. Several large projects, sponsored by peer cultural heritage institutions, regularly meet and coordinate the development of new features and releases that benefit not only their individual projects and institutions, but also the community more broadly. Mirador development for this project has contributed to and benefited from this community development effort. Throughout the course of this project, Stanford’s technical team has actively engaged in Mirador’s community-based development process, which includes extensive use of an open code repository in GitHub, an open email list in Google Groups, biweekly teleconferences and (typically quarterly) face-to-face meetings of core developers to coordinate architecture, fea4
Cfr.
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tures and releases. This has ensured development work for the Vatican Library dovetails with (and does not duplicate or compete with) enhancements planned by other parties, and that features for the Library has been integrated into the core code base (and correspondingly maintained by the community at large, an important sustainability strategy). For the purpose of the thematic pathways’ project, Mirador’s functionality has been enhanced to support better scholarly mark-up. Desired features for creating and editing annotations during the scholarly analysis of the project manuscripts have been grouped into extensions of annotation creation capabilities, and extensions of a user’s ability to work effectively with the body of annotations once they have been created. For the extension of annotation creation capabilities, specific areas of development have included: — The ability to create right-to-left, left-to-right, vertical, and multi-directional annotations in order to respond to various linguistic and lay-out needs in the corpus of manuscripts to be analyzed; — Support for left-to-right, right-to-left, and vertical navigation of manuscript materials in the viewing windows of Mirador; — A stable platform for the creation of annotations on complex regions of interest; — A stable platform for the editing and deleting of existing annotations; — The ability to credit an author or group of authors for each annotation; — Ability to provide layout formats within the body of an annotation to support footnotes and bibliographical citations; — Support for all unicode characters in the body of the annotations. For the agile development process which we have envisioned for this effort, the development team has started with the above pool of desired features. These features have then been assessed based on technical complexity. The pool of features has also been sorted in priority order by the scholarly team. The feature enhancements have then been carried out in short development “sprints”: 1 to 2 week iterations culminating in the release of usable, incrementally enhanced software. The focus for each sprint has been set by a combined meeting of representatives from scholarly and technical teams. This iterative process of “plan-do-assess” on short time cycles has helped to ensure that the features being developed align most closely to the editorial needs of the scholarly team, and has allowed the scholarly teams to exercise the software as it is produced. This development methodology has mitigated the risk inherent in software development in multiple ways. Highest value features can be delivered and used early; with frequent releases, the team can track and control for unexpected complex-
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ity or schedule delays by adjusting the focus of later sprints; and early use by scholar-editors uncovers bugs, validates the original requirements, and reduces the risk of building the wrong tool because of an incomplete or out-dated understanding of the actual need. 3.2 Spotlight5 Spotlight is an open source software that enables librarians, curators, and other content experts to easily build feature-rich websites that showcase collections and objects from a digital repository, uploaded items, or a combination of the two. Specifically, Spotlight is intended to be: — Full-featured – Using Spotlight, a curator can produce a feature-rich website focusing on a digital collection, with curatorial descriptions and features, about pages, full metadata records for objects, and robust searching and browsing of the collection; — Self-service – A Spotlight exhibit can be created by librarians, curators, archivists and others who are not web developers; — Integrated – Spotlight can interoperate directly with the digital repository, enabling seamless population of the exhibit with digital objects and their metadata; — Interactive – Spotlight can contain embedded Mirador instances that give users access, through Mirador, to a rich body of IIIF annotations; — Flexible – Spotlight exhibits can vary greatly in size and complexity; the curator can customize an exhibit site appropriately for a given collection and the goals for presenting it. Spotlight is a plug-in for Blacklight, an open source, Ruby on Rails Engine6 that provides a rich discovery interface for searching an Apache Solr index. 3.3 Annotot7 Stanford has developed a new component, specifically created for the IIIF ecosystem of the Vatican Library: a Ruby On Rails gem for adding IIIF annotation management to Rails projects. Annotot allows Mirador to read and write directly to Spotlight, allowing Spotlight to be aware of all additions and edits to the project annotations. These annotations are added to the Spotlight SOLR index, and are updated in place as changes occur, 5
Cfr. Cfr. 7 Cfr. 6
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making it so that data does not need to be migrated between components over the course of the project. BAV Editing and Published Pathway Architecture Mirador Pathways
Spotlight
Annotot
Final “Published” Enivronment
4. Participants Curators: Marco Buonocore, Maria Gabriella Critelli, Timothy Janz, Andras Nemeth, Ambrogio M. Piazzoni Editors: Anna Berloco, Ilaria Maggiulli, Lola Massolo, Eva Ponzi, Domenico Surace Project Management: Benjamin Albritton, Paola Manoni IT management: Erin Fahy, Gary Geisler, Domenico Izzo, Sean Martin, Riccardo Moroni, Jack Reed Coordinaton (editors): Anna Berloco Transalations: sr Maria Panagía Miola 5. Bibliography C. BOGEN, Image Open Access: Implementing IIIF in CONTENTdm, OCLC Developer Network. 23 (2017), M. W. BOLTON – C. ASTER, Spotlight at Stanford, Duraspace, 2018,
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T. CRAMER, The International Image Interoperability Framework (IIIF): Laying the Foundation for Common Services, Integrated Resources and a Marketplace of Tools for Scholars Worldwide in Coalition for Networked Information. 13 (2011),
T. CRANE, An Introduction to IIIF, Digirati, 2017, G. GAISLER, Projectblacklight: Spotlight, 2015, A. SALARELLI, International Image Interoperability Framework (IIIF): a panoramic view in JLIS 8, 1 (2017),
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
THE INTERSECTION OF ANGLO-FRENCH CULTURE AND ANGEVIN ILLUMINATION IN A FOURTEENTHCENTURY ARS NOVA MISCELLANY: A NEW DATING FOR BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, BARB. LAT. 307 AND SANKT PAUL IM LAVANTTAL, ARCHIV DES BENEDIKTINERSTIFTES, MS. 135/6* Introduction (Francesca Manzari, Jason Stoessel) The aim of the present article is to re-examine the Barberini music theory miscellany now divided between the libraries of the Vatican and the southern Austrian abbey of Sankt Paul im Lavanttal. We take this opportunity to provide a fresh appraisal of this unusual manuscript’s codicological, paleographical, musico-theoretic and art-historic features with a view to shedding new light on its origin, date and earliest function. A consideration of the manuscript as a physical object and its study from a multidisciplinary viewpoint has led to a better understanding of all these features. The revised dating we suggest, moreover, allows new insights in the spread of Anglo-French music culture in fourteenth-century Italy. 1. The removal of the quire now in Sankt Paul im Lavanttal The miscellany of writings about music in manuscript Barb. lat. 307 in the Vatican Library (Pl. I-II, IVa) is missing a central gathering of eight leaves1. The gathering (originally foliated 17-24) was removed from the * We wish to warmly thank the following people for the role they had in bringing this study to fruition: Marco Buonocore, Christine Grafinger and Paolo Vian at the Biblioteca Apostolica Vaticana, Cristina Targa at the Museo internazionale e Biblioteca della musica of Bologna, and also Antonio Addamiano, Christina Glaßner, Lola Massolo and Maria Theisen. For welcoming us at Sankt Paul abbey: Dr Rudolf Freisitzer, Pater Gerfried Sitar, Pater Petrus Tschreppitsch and Christine Ottowitz. We would also like to thank Alison Stones who first introduced us. The first paragraph and sections 1 and 4 in this article are written in collaboration by the authors. Section 2 is by Jason Stoessel and section 3 is by Francesca Manzari. 1 Biblioteca Apostolica Vaticana [from now BAV], Barb. lat. 307, is entirely digitised and can be consulted online: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Barb.lat.307. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 283-331.
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manuscript in the eighteenth century and is now kept in Sankt Paul im Lavanttal (Archiv des Benediktinerstiftes, Ms. 135/6) (Pl. III, IVb)2. Despite Gilbert Reaney mistakenly believing that the whole manuscript was originally housed at Martin Gerbert’s monastery of St Blasien, it was already in the Barberini collection in the seventeenth century3. The first catalogue of the Barberini Library prepared by Carlo Moroni between 1637 and 1661 lists this book under the old shelf number of 841, complete with a short list of authors4. Even this entry’s incomplete list of authors demonstrates that the Sankt Paul gathering was part of the Barberini manuscript. In 1995, Lawrence Gushee noted that the gathering was apparently still in its place when the Bolognese scholar Giovanni Battista Martini had asked Girolamo Chiti to have a copy of the manuscript made in 17565. Gushee put forward the hypothesis that Padre Martini had borrowed the gathering containing complicated diagrams so that it could be copied in Bologna. He further suggested that the Benedictine abbot Martin Gerbert had been given the gathering during a visit to Bologna in 1762. Gerbert would have taken the gathering to Sankt Blasien, and, following a fire in this monastery in 1768, the leaves would have been taken to Sankt Paul6. Christine Grafinger, however, has connected the loss of the gathering to the removal of various other fragments from Vatican manuscripts by Gerbert himself when in Rome. Grafinger ascertained that during one of his visits to the Vatican Library, in 1762 and 1770, Gerbert also removed fourteen leaves from ms. Pal. lat. 574 and others from mss. Pal. 1342 and Pal. lat. 1344. Grafinger thinks that Gerbert must also have taken the fragment of the music theory miscellany while visiting the Barberini library during one of those visits to Rome7. Furthermore, she links the move of the manuscripts from St. Blasien to Sankt Paul with the Napoleonic secu-
2 Throughout this study, unless otherwise indicated, we will refer to the red foliation found in the Barberini miscellany in its original form (1-39, unnumbered 40, 62). The Répertoire International des Sources Musicales (RISM) sigla for these sources are respectively V-CVbav Barb. lat. 307 and A-SPL, Cod. 135/6. 3 G. REANEY, The Question of Authorship in the Medieval Treatises on Music, in Musica Disciplina 18 (1964), pp. 7-18; pp. 15-17. 4 Città del Vaticano, BAV, Barb. lat. 3159, f. 49r. 5 The original shelfmark “841” is still visible on a label on the inner board of the binding. 6 L. GUSHEE, The Tabula Monochordi of Magister Nicolaus De Luduno, in In Essays on Medieval Music in Honor of David G. Hughes, edited by G.M. BOONE, Cambridge (Mass.) 1995, pp. 117-152: pp. 118, 126-128. 7 C. GRAFINGER, Straying Hither and Thither: Wanderings of Carolingian Manuscripts to and from the Vatican Library, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 9 (2002), pp. 237-244: pp. 240-244.
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larizations in 1806-18078. Certainly, in any case, the Barberini manuscript was still intact in 1756 and the removal of the gathering was connected with the dubious activities of Martin Gerbert, who was the first to reproduce in print part of an illuminated page from one of the missing leaves (f. 18v, now Sankt Paul, f. 2v) as a frontispiece to his Scriptores Ecclesiastici de musica sacra in 17849. One final piece of circumstantial evidence in support of Grafinger’s conclusions can be noted. In June 2018, Stoessel located hand-drawn facsimiles of diagrams from the Barberini miscellany among Martini’s manuscripts in the Museo internazionale e Biblioteca della musica of Bologna, now shelved as Allegato A.47. These included diagrams from both the Vatican and Sankt Paul portions of the Barberini miscellany10. Because all diagrams were copied on the same paper using the same coloured inks, it seems an inescapable conclusion that they were produced at the Barberini Library in Rome when the miscellany was still integral. Possibly these copies were commissioned shortly after Martini’s visit to Rome in 1747 since they were originally appended to copies of other music treatises that Martini himself had made in 1753 (Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica, A.32 [olim cod. 32]) and not with copies of treatises from Barb. lat. 307 made by Father Maestro Pietro Antonio Sangiorgi in 1756 or later that survive in Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica, A.47 (olim cod. 39). This may shed further light on Chiti’s letter dated 8 March 1756 to Martini in which he reports that the custodian of the Barberini library, Abbot Simone Ballerini (†1772)11, was uncertain as to how much of the Barberini miscellany Martini had already had copied, including “le figure gerogifliche (recte geroglifiche) d’Alberi, Torri, Circoli, Rote, etc.”12. Lastly, Gushee’s assumption that the death of Sangiorgi in 1756 brought the copying project in Rome to an abrupt end is incorrect: Sangiorgi lived for several more decades13. 8
GRAFINGER, Straying Hither and Thither cit., pp. 240-244. M. GERBERT, Scriptores ecclesiastici de musica sacra, Sankt Blasien 1784, III, pl. III: reproduced in GUSHEE, The Tabula Monochordi cit., pl. I. 10 Namely, those from ff. 8r-9r (Vatican), 17v-22r (Sankt Paul). 11 V. FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e d’altri edificii di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, vol. 9, Rome 1877, p. 542 (no. 1063). 12 Quoted in GUSHEE, The Tabula Monochordi cit., p. 127. 13 Ibid., p. 127. Three letters among Martini’s correspondence from Sangiorgi are dated 1763, 1764 and 1771: Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica, I.030.004, I.030.005, I.027.211 (Schnoebelen nos. 4898, 4899, 4900). Sangiorgi seems to be the same Franciscan who was appointed confessor to Pope Clement XIV in 1769; G. DE NOVAES, Elementi della storia de’ sommi pontefici da S. Pietro sino al felicemente regnante Pio Papa VII, vol. 15, Siena 1807, p. 158. 9
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2. Reconsidering codicological evidence, scribes and chronologies of Ars nova music theory (Jason Stoessel) The proposed dating and origin of the Barberini music theory miscellany has varied in musicological literature. In her recent book, Karen Desmond accepts the view that it was copied ca. 140014. Reaney dated the bulk of the manuscript to “about 1400” while acknowledging later additions dated 1431 and 143215. Pieter Fischer accepted a dating for the main part of the manuscript in the last quarter of the fourteenth century16. Conversely, Christian Meyer asserted a dating in the first third of the fifteenth century17. Fred Hammond consulted Millard Meiss who suggested that the decoration was by a later fourteenth-century Umbrian or Neapolitan artist18. Gushee did not consider art historical evidence further but proposed that the manuscript might be dated rather widely to thirty years either side of 140019. Furthermore, he favoured a Neapolitan origin, a hypothesis that has attracted further attention from Carla Vivarelli in her studies reviving Nino Pirrotta’s hypothesis of a Naples “school” of music that rivalled other Italian centres during the fourteenth century20. The Barberini source is a miscellany of music treatises that codify predominantly but not exclusively the innovations in mensural music theory in the second and third quarters of the fourteenth century. Judgements of just how late in the fourteenth century some of its treatises were authored have largely been based on a small number of assumed signposts in the development of music and music theory in this period. We take this opportunity to review these conclusions in light of recent findings that have begun to alter the chronology of musical theory during the fourteenth century. The core of our argument is that dating this manuscript to ca. 1400 is too 14 K. DESMOND, Music and the moderni, 1300-1350: The Ars nova in Theory and Practice, Cambridge 2018, p. 133. 15 REANEY, The Question of Authorship cit., pp. 15-17. 16 The Theory of Music from the Carolingian Era up to 1400, edited by P. FISCHER, MunichDuisburg 1968 (Répertoire international des sources musicales, BIII2), pp. 102-104. 17 The Theory of Music, Volume 6: Manuscripts from the Carolingian Era up to c.1500, Addenda, Corrigenda, edited by C. MEYER; G. DI BACCO; P. ERNSTBRUNNER; A. RAUSCH; C. RUINI, Munich 2003 (Répertoire international des sources musicales, BIII6), p. 573. Meyer corrects the shelf number for the Sankt Paul fascicle. 18 JOHANNES VETULUS DE ANAGNIA, Liber de Musica, edited by F. HAMMOND, Neuhausen – Stuttgart 1977 (Corpus scriptorum de musica, 27), pp. 15-16. 19 GUSHEE, The Tabula Monochordi cit., p. 126. 20 C. VIVARELLI, “Di una pretesa scuola napoletana”: Sowing the Seeds of the Ars nova at the Court of Robert of Anjou, in The Journal of Musicology 24 (2007), pp. 272-296; EAD., “Ars cantus mensurabilis mensurata per modos iuris”: Un trattato napoletano di Ars subtilior?, in L’Ars Nova Italiana del Trecento VII: “Dolce nuove note”, edited by F. ZIMEI, Lucca 2009, pp. 103-142.
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late when we look closer at conceptual ideas contained therein, and links between the several of its treatises and their relation to other external treatises on which they depend or directly reference. Rather, the contents of this manuscript witness developments that occurred in music theory from ca. 1320 to ca. 1360, or 1365 at the very latest. Furthermore, the possibility that one of the authors contained in this manuscript was responsible, whether directly or indirectly, for its formation points to an earlier rather than later date of copying in the second half of the fourteenth century. Structure, Preparation and Scribes A brief overview of the structure and scribal hands helps to contextualise the genesis of this manuscript and provides a relative chronology for its layers of copying. In this discussion we will follow Gushee’s reconstruction of the manuscript that includes the removed Sankt Paul gathering21. The reconstructed manuscript consists of three quaternarios (gatherings 1, 2, 3) followed by three ternarios (gatherings 4, 5, 6) and a single leaf (see Table 1). Gathering 5 does not follow Gregory’s rule, though there is no obvious reason for this since copying is contiguous for ff. 32v-33r (fleshhair). The last ternario (6) has had its last two folios excised at some point of time so that only stubs remain. The leaf at the end is foliated “62”, indicating that in total twenty-one folios were lost at some stage before the manuscript entered the Barberini library in the seventeenth century. There are clear signs that the manuscript has been restitched at some point of time: old, now unused stitching holes are clearly visible. Table 1 Structure and Contents of the Barberini Miscellany V = Vatican gathering; SP = Sankt Paul im Lavanttal gathering
Gatherings
Folios
Contents
1 (V)
1r-8v
Johannes Vetulus de Anagnia, Liber de musica
2 (V)
9r-16v
Liber de musica, cont.
3 (SP)
17r
Imbert de Francia, Regulae de mensurabili musica
17v 18r
Rota compositionis monochordi Turris quem totum comprehendit rerum originem creaturarum Nicolaus de Luduno, Tabula monochordi Marchettus de Padua, Lucidarium, IV.1 (in marg.)
18v-22 21v
21
GUSHEE, The Tabula Monochordi cit., pp. 122-125.
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22r 22v-24 24r 23v-24 24r-24v 24v
Extracts: Ait philosophus; Guido de Arezzo, Micrologus Jehan Des Murs, Compendium musicae practicae Jehan Des Murs, Conclusiones (abbreviated) Philipoctus Andrea? Tractatus versificatus de contrapuncto (in marg.) Anonymous, De discantu Anonymous, Tractatus de musica mensurabili
4 (V)
25r-28v 29r-30v
Pseudo-Vitry, Compendium artis vetae et novae Anonymous, Omnis ars sive doctrina (Pseudo-Theodonus)
5 (V)
31r-35a Omnis ars, cont. 35ra Quomodo musica derivatur a moys 35rb-36r Isidore of Seville, De Musica
6 (V)
37r
— 7 (V)
37r-37v 37v-38r 38r-38v 39r-39v 39v 40r-40v
Isidore, cont. Extract: Aurelian de Réôme, Musica disciplina Anonymous, De musis Anonymous, Ars et modus pulsandi organa Theodonus de Caprio, Regulae contrapuncti Anonymous, De proportionibus Extract: Jehan Des Murs? Libellus cantus mensurabilis [empty ruled pages]
41-61
lost
62v
Rota paschalis et dominicalis. Drawing of an angel in drypoint
The writing area and the number of lines per page varies across gatherings: gatherings 1 and 2 use the same writing area (ca. 190 × ca. 145 mm) with 43 lines per page; except for its first recto, gathering 3 shifts in its layout and number of lines per page22; and gatherings 4 onwards have a same writing area (ca. 185 × ca. 145 mm) and between 38 and 40 lines per page, depending on whether the upper or lower lines are used. Exceptions to the latter are ff. 38-40 which all differ from one another in their use of writing space and number of lines per page, symptomatic of the addition of material subsequent to the main phases of copying23. Spaces for initials are more frequently in gatherings 1 and 2, though the size of these initials (and the one found on the first recto of gathering 3), is smaller than that left for 22 f. 17r uses double columns of 42 lines in a 193 × 145 mm writing area; 17v and 18r are filled with diagrams; for ff. 18v-22r each opening is ruled across almost complete with 42 lines; and ff. 22v-24v use double columns with 36-37 lines per page in double columns; cfr. The Theory of Music, Volume 6 cit., p. 53. 23 Although our measurements vary, they confirm the differences in layout previously noted in T. SILVERSTEIN, Medieval Latin Scientific Writings in the Barberini Collection, Chicago 1957, p. 90.
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initials occurring from f. 18v onwards24. Space for these larger initials only occurs at the beginning of a treatise or extract, and thus serves to delineate major sections rather than chapters as in gatherings 1 and 2. Non-contiguity or contiguity of texts across gatherings provides further support for recognising at least three layers of copying in the main body of the manuscript: gatherings 1-2 contain the Liber de musica of Johannes Vetulus de Anagnia; the contents of gathering 3 are independent of surrounding gatherings; the anonymous Omnis ars sive doctrina (Pseudo-Theodonus de Caprio, formerly Pseudo Theodoricus de Campo) spans gatherings 4 and 525; and the chapter on music from Isidore of Seville’s Etymologies extends from the end of gathering 5 to the beginning of gathering 6 (see Table 1). Fresh paleographical analysis points to several layers of copying in this manuscript (see Table 2). There are at least three music hands. Music Hand 1 uses a writing implement with a two-millimetre nib in gatherings 1 and 2. From gathering 3, Music Hand 2 uses a slightly narrower writing implement. Music Hand 1 has a more perpendicular ductus compared the Music Hand 2 whose minim stems slope to the right, while Music Hand 2 is less consistent in the formation of notes compared the Music Hand 1. Music Hand 3, possibly that of Theodonus de Caprio, appears on f. 39v using a writing implement with a three-millimetre nib. The original red foliation is in the hand of the rubricator as demonstrated by comparison with the numerals in the tower diagram on f. 18r (Pl. IIIb). The same analysis reveals more text hands in this source than previously proposed. Text Hand A1 is the principal scribe responsible for copying the bulk of texts in the oldest layers of the manuscript, that is ff. 1r-37v and f. 62, using an Italian littera rotunda written in dark brown ink. Text Hand A2, which probably belongs to the same principal scribe, adds rubrics and annotations in green-grey ink in a similar rotunda script. Dating a rotunda with precision is a difficult task given that this script was commonly used in Italy from the late thirteenth century to the fifteenth century or even later, especially in conservative monastic contexts26. Text Hand B, 24 Large initials are found on ff. 18v, 22v, 25r, 29r. Manzari explores the implications of these pages in terms of their decoration below. 25 Casimiri correctly identified Theodonus de Caprio in records of the Montevergine order and revealed Coussemaker’s error had arisen from G.B. Martini’s copy of this treatise which was misattributed to a completely fictitious Theodoricus; R. CASIMIRI, Teodono de Caprio, non Teodorico de Campo, Teorico musicale italiano del sec. XV, in Note d’archivio per la storia musicale 19 (1942), pp. 38-43 and 93-101. 26 See, for example, J. STOESSEL, The Making of Louise Hanson-Dyer Collection Manuscript 244 (LHD 244), in Musica Disciplina 60 (2015), pp. 67-92; pp. 80-82.
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which might also belong to Scribe A, is responsible for copying the Ars et modus pulsandi organa (f. 37v) in a larger rotunda script using darker, almost black, brown ink. Text Hand C is responsible for adding an extract from Marchettus’s Lucidarium. Text Hand D is more than likely the hand of Theodonus de Caprio, a littera cancelleresca tending to a semihybrida typical of the first half of the fifteenth century. It occupies ff. 38r-v and 39v and is used for an annotation on f. 10v “sequitur de diminucione”, and excerpts of texts on ff. 22r (bottom margin) and 24v (left-hand margin). Text Hand E also uses a rotunda script but with several defining characteristics such as a long final -s, fondness for an elongated -us abbreviation, and a characteristic -ur abbreviation that distinguish it from other hands. Aside from copying the content of f. 39r, this hand adds text in the margins of ff. 23v-24r. Finally, there is a somewhat later thin cursive hand (seventeenth century?), Text Hand Z, which we might call the Spanish annotator on account of annotations that point to this scribe and reader of this manuscript being a speaker of Spanish27. The findings from the analysis of physical and paleographical data is that the bulk of the manuscript was copied in three closely successive campaigns by a principal scribe, but additions continued to be made by other scribes as late as 1432. Moreover, there is abundant evidence for two or more reader-annotators of this manuscript, including Theodonus de Caprio and the Spanish annotator. The Spanish annotator does not necessarily indicate that this manuscript found its way to Spain. The Aragonese Kingdom of Naples and Spanish Habsburg period provide numerous opportunities for this book being read by a Spaniard on Italian soil. Table 2 Music and Text Hands in the Barberini miscellany Hands
Folios (old numbering)
Description
Music Hand 1
1r-24v
2 mm pen nib; perpendicular ductus, vertical stems
Music Hand 2
25r-35r
> 2 mm pen nib; slopping ductus, slopping stems
Music Hand 3 39v Theodonus de Caprio
3 mm pen nib
27
Annotations are found on ff. 1v, 2v, 4r, 6r, 10r, 10v, 11r, 11v, 12r, 12v, 13r, 13v, 14r, 14v, 15r, 15v, 16r, 24v (retracing author’s name), etc. These do not include various other crosses and crossed-out text. Spanish annotations are found on ff. 12r, 13r, 22v.
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Text Hand A1 Principal scribe
1r-37v
Littera rotunda; dark drown ink
Text Hand A2 Principal scribe
In marg. 2r, 2r, 4v, 5r, 6v, 7r, 9r, etc.
Littera rotunda; black/grey-green ink
Text Hand B
37v-38r
Littera rotunda; medium size; darker brown ink
Text Hand C 10v “sequitur de Cancelleresca/Semihybrida; blackTheodonus de Caprio diminucione” (in brown ink marg.), 22r (in lower marg.), 24v (in left marg.) 38r-38v; 39v Text Hand D
21v (Marchettus, Littera rotunda; black ink Lucidarium, extract)
Text Hand E 23v-24r (in marg. Littera rotunda; abbreviations –us (9) Theodonus de Caprio? inf.), 39r-39v and –ur more elongated than A/B Text Hand Z “Spanish Annotator”
In marg.: 1v, 2v, 4r, 6r, 10r, 10v, 11r, 11v, 12r, 12v, 13r, 13v, 14r, 14v, 15r, 15v, 16r, 22v, 24v, etc.
Cursive; dark brown ink; crosses and crossed-our text; Spanish words (ff. 12r, 13r, 22v)
A Mid Fourteenth-Century Intersection of Anglo-French and Italian Music Theory The Barberini miscellany witnesses the reception of English and French music theory by native Italian scribes and authors (see Table 1). Evidence for the reception of English music theory stems from the use of terminology that is rarely found outside English authors by Italian authors. Johannes Vetulus de Anagnia is perhaps the most innovative of Italian authors in his Liber de musica, which occupies the manuscript’s first sixteen folios. The anonymous Omnis ars sive doctrina is clearly also by an Italian writing after Vetulus and is concerned with synthesising English and French music theory with recent developments in Italian polyphony. Small excerpts from Marchettus de Padua’s Lucidarium (IV.1) and portions of a versified treatise on counterpoint that is elsewhere attributed to Philipoctus Andrea are also scattered through the manuscript. The Regulae contrapuncti compiled by another Italian, Theodonus de Caprio, is one of the final items added to
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the miscellany. At the same time there are ample witnesses to French music theory from the first half of the fourteenth century: Jehan Des Murs’s Compendium musicae practicae (with parts of his Conclusiones appended), an excerpt from the Libellus cantus mensurabilis (also likely by Des Murs), and the Vitriacan corpus of music theory are augmented with the unique but brief Regulae of Imbert of France and several additions that look back to music theory from earlier decades rather than forward to new musical developments. The Tabula monochordi of Nicolaus de Luduno, whose toponym suggests that he originated in a French city, represents the most ambitious and forward looking “treatise”28. A review of the chronology of the treatises contained in the Barberini manuscript is crucial for providing collateral evidence in support of the new dating being proposed herein. Aside from extracts from Isidore of Seville’s chapter on music in his Etymologies and Aurelian of Réôme’s Musica disciplina, texts by Marchettus de Padua and Jehan Des Murs are the earliest datable ones in this source’s fourteenth-century corpus of music theory. The discovery of new archival evidence for Marchettus’s residency in Naples in the court of King Robert leaves little doubt that the Lucidarium was completed in 131829. Moreover, Karen Desmond has recently proposed several new precisions in the dating of Jehan Des Murs’s early writings on music. Desmond reports the discovery of an explicit in a manuscript of the Notitia artis musicae that gives the year 1319, and proposes that Des Murs’s Conclusiones, found at the end of the Notitia (Book 2, Chapter 8), were written after the Notitia, possibly closer in time to the same author’s Compendium musicae practicae30. While Des Murs’s Notitia does not appear in the Barberini manuscript, an abbreviation of his Conclusiones was added at the end of his Compendium musicae practicae. Desmond dates the Compendium to 1326 or later31. Unsurprisingly, given its lasting appeal and relevance to mensural music, Theodonus de Caprio copied in 1432 a portion of the most recent Murisian Libellus cantus mensurabilis — which Desmond dates to the 1340s due to its shift in terminology and new concepts — into the Barberini manuscript. For some time, the treatise found on ff. 25-28v was considered to be the Ars nova by the French composer, music theorist, statesman and prelate Philippe de Vitry (1291-1361). Indeed the “explicit ars nova magistri philip28 See GUSHEE, The Tabula Monochordi cit., p. 137, for a discussion of toponym “de Luduno”. 29 VIVARELLI, “Di una pretesa scuola napoletana” cit., pp. 284-294. 30 DESMOND, Music and the moderni cit., pp. 29-31. 31 Ibid., p. 33.
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pi de vetri” seemed to confirm this for the editors of the Ars nova, who used Barb. lat. 307 as the basis for their edition32. Sarah Fuller argued in a landmark article that a multitude of discrepancies are manifest in the early manuscript tradition of the so-called Ars nova treatise33. Fuller accordingly questioned whether Vitry’s treatise had ever existed as a distinct archetype, though she conceded that the surviving traditions might represent orally transmitted teachings originating with Vitry. Recently, Desmond has challenged Fuller’s conclusion by arguing that the author of the Speculum Musicae, Jacobus, refers to chapters of a written treatise on the ars vetus and ars nova by a certain doctor modernus34. Desmond argues that the chapters of this treatise corresponded to chapters that are preserved in the Vitriacan corpus. The radical departures of the doctor modernus from the concepts and terminology of Jehan Des Murs prompts Desmond to date this Ars vetus et nova to the late 1320s and to shift the dating of Jacobus’s Speculum musicae to ca. 1330 or later. In the context of the present article, Desmond’s conclusions need to be tempered by the observation that the uniquely transmitted first half of the Vitriacan treatise in Barb. lat. 307 has little to do with the ars vetus; rather it shows close affinity with parts of Book 1 of the Speculum musicae, Lambertus and earlier authors. The second half of the Barberini Vitriacan treatise, starting with the chapter that begins “Sex minimae possunt poni pro tempore imperfecto”, contains some parallels with Parisian sources, one almost contemporaneous with the Barberini manuscript (Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7378A, ff. 61va-62b)35 and another a copy from the fifteenth century (Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 14741, ff. II-IV)36. Yet there are some significant differences which Stoessel has foreshadowed elsewhere that point to the scribal reception and modification of an earlier textual tradition37. In short, the treatise in the Barberini manuscript both looks back to the Vitriacan tradition of the late 1320s 32 PHILIPPUS DE VITRIACO, Ars Nova, edited by G. REANEY, A. GILLES and J. MAILLARD, s.l. 1964 (Corpus Scriptorum de Musica, 8). 33 S. FULLER, A Phantom Treatise of the Fourteenth Century? The “Ars nova”, in The Journal of Musicology 4 (1985-86), pp. 23-50. 34 K. DESMOND, Did Vitry Write an Ars vetus et nova?, in The Journal of Musicology 32 (2015), pp. 441-493. 35 Based upon an explicit on f. 14r, Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7378A has been dated to 1362; vid. JOHANNES DE MURIS, Notitia artis musicae et Compendium musicae practicae, edited by U. MICHELS, Rome (?) 1972 (Corpus scriptorum de musica, 17), pp. 24-25. 36 The Theory of Music, Volume 6 cit., pp. 220-222. 37 J. STOESSEL, Philippe de Vitry: Inventor of ars nova? Paper presented as part of the session “Ars Nova in Flux” at The 81st Annual Meeting of the American Musicological So-
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(according to Desmond’s chronology), but also contains accretions of new ideas that occurred in the subsequent years, some of them possibly in the context of the development of northern music theory by Italian authors. Staying for a moment with French music theory, the extraordinary schemata of the Turris quem totum comprehendit rerum originem creaturarum (f. 18r; pl. IIIb) and Imbert of France’s short Regule (f. 17r; pl. IVb) both draw on the terminology and concepts of Des Murs’s Notitia, especially note names in Book 2, Chapter 538. Notably the Turris and Notitia share note names parva, minor, minima for semibreves, and longissima, longior and longa. Neither demonstrates the impact of the revision of note names in the Vitriacan corpus nor the Libellus. Similarly, the equally brief Tractatus de musica mensurabili (f. 24v) makes use of the term larga found in English music theory from the second quarter of the fourteenth century and in Jacobus39, but lacks references to notes smaller than a semibreve. As such, I find little that requires these items to be dated after 1350 or even 1340. This downwards pressure on the relative chronology of items in the Barberini manuscript can also be extended to its most significant and longest treatise, Johannes Vetulus de Anagnia’s Liber de musica40. Alberto Gallo dated it to ca. 135041, though more recently Marco Gozzi has suggested it dates “two or three decades later”42. Unfortunately neither author offers a rationale for their dating, although Gallo sees it as a successor to the Rubrices breves, which he dates to ca. 1340. There are several pieces of evidence that can nonetheless be adduced in favour of a mid-century dating or earlier. Again, Vetulus uses the term larga to label the longest note in Italian mensural notation, as well as the equally English term semilarga43. Interestingly, the section of his treatise on the three types of larga — with ciety, Louisville, Kentucky, 12-15 November 2015. Available at https://www.academia.edu/ 18598039/Philippe_de_Vitry_Inventor_of_ars_nova. 38 See Table 2 in DESMOND, Did Vitry Write an Ars vetus et nova? cit., p. 446; cfr. REANEY, The Question of Authorship cit., p. 16, where the Notitia is referred as the Musica practica. 39 On the uncommon use of larga among continental theorists with special reference to Anonymous Tractatus de musica mensurabili, Vetulus’s Liber de musica, and the Anonymous Omnis ars sive doctrina, see P. M. LEFFERTS, An Anonymous Treatise of the Theory of Frater Robertus de Brunham, in Quellen und Studien zur Musiktheorie des Mittelalters, III, ed. M. BERNHARD, Munich 2001 (Veröffentlichungen der Musikhistorischen Kommission, 15), pp. 238-243. Lefferts notes Jacobus’s unfavourable views about the larga. 40 JOHANNES VETULUS DE ANAGNIA, Liber de Musica cit. 41 F. A. GALLO, La teoria della notazione in Italia dalla fine del XIII all’inizio del XV secolo, Bologna 1966, p. 66. 42 M. GOZZI, New Light on Italian Trecento Notation, Part 1: Sections I-IV.1, in Recercare 13 (2001), pp. 5-78; p. 17. 43 LEFFERTS, An Anonymous Treatise cit., p. 239.
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its trinitarian, angelic and liturgical justifications — was crossed out by a subsequent reader of the manuscript, possibly under the influence of Murisian theory. Vetulus also describes several plicated notes, a practice that does not survive much after the mid century. He does not use the term semiminima, but in his very last chapter he describes the use of a minor minima, which is drawn just like a semiminima. This note would be known as the minima imperfecta in music theory in the second half of the fourteenth century. There is one final point regarding Vetulus. Gallo proposed that this theorist might be identified with, or a kinsman of, a notary of the same name that appears in a document from Frosinone dated 1374 (not 1372 as reported by Gallo)44. While this hypothesis is attractive, no further evidence has emerged to suggest that this individual was our music theorist. Indeed Vetulus’s subsequent reputation indicates that he was a religious and a music teacher. The singular archival document needs to be put to one side, though it offers some evidence for the presence of the Vetulus family in south Lazio. The anonymous Omnis ars sive doctrina presents the most advanced mensural notation theory in this manuscript. Desmond dates this treatise to “[s]ome years before the copying date” of the Barberini miscellany, which she accepts as ca. 140045. The editor of the Omnis ars sive doctrina, Cecily Sweeney situated it in the last quarter of the fourteenth century on the basis of its discussion of semiminim (which presents two graphemes for this note, one with a flagged stem, the other with a hooked stem) (f. 31v) and its relationship with the Quatuor principalia46. Yet, there is little to support a dating of this treatise much later than ca. 1360, especially given recently revised chronologies for the semiminim47 and dating of the John of Tewkesbury’s Quatuor principalia to 135148. In providing a compilation drawing on Franco, Marchettus, the Vitriacan corpus, and the shadowy figure of Johannes de Ypra, the author refers to Philippe de Vitry as magister vero Philippus, flos et gemma cantorum and Johannes
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GALLO, La teoria della notazione cit., p. 66, citing G. B. A. CAETANI, Regesta chartarum: regesto delle pergamene dell’Archivio Caetani, III, San Casciano Val di Pesa 1928, pp. 20-21. 45 DESMOND, Music and the moderni cit., p. 133. 46 De musica mensurabili and De semibrevis caudatis, edited by C. SWEENEY and A. GILLES, s.l. 1971 (Corpus Scriptorum de Musica, 13), p. 41. 47 K. M. COOK, Theoretical Treatments of the Semiminim in a Changing Notational World c.1315-c.1440, PhD dissertation, Duke University, 2012. 48 L. F. ALUAS, The Quatuor principalia musicae: A Critical Edition and Translation, with Introduction and Commentary, PhD dissertation, Indiana University, 1996, p. 148.
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Vetulus as reverendus magister et musicae doctor49. Again, older plicated longs and breves are described. The author follows in Vetulus’s footsteps by borrowing terms liberally from early fourteenth-century English music theory50. Desmond notes that this theorist’s explanation for realising undifferentiated semibreves (a practice attributed to veteres musici) is more detailed in its application of the newer ars nova terms of the semibrevis imperfecta and minima alterata51. Similarly, the same theorist describes two additional notes that are elsewhere called the semibrevis caudata and the dragma, reporting that old musicians had used them52. That those old musicians are named as Magister Johannes de Ypra, Magister Petrus de Cruce, and Magister Franco suggests that the author considers this a much older form of notation from earlier in the century. In this light, the absence of the notational complexities of special note shapes associated with the late Trecento and the ars subtilior styles is noteworthy. A remarkable chapter towards the end of the Omnis ars sive doctrina includes further discussion of the naming of semiminims (Diffinito semiminimarum) that revisits the oft-used pseudo-Aristotelian maxim “non est dare minimum minimo”53. Peter Lefferts is the only scholar to date to have traced the genealogy of this maxim in music theory and other sources, including a possible model in Aristotle’s Metaphysics54. The maxim is invoked for the first time in Des Murs’s Notitia to assert the indivisibility of the minim55, a trend followed by several authors ranging from Petrus de Sancto Dionysio (fl.1317-1332) to Thomas Walsingham (fl. ca. 1380-1422)56. Yet, 49 On Johannes de Ypre, cfr. VIVARELLI, “Ars cantus mensurabilis mensurata per modos iuris” cit., p. 138. 50 LEFFERTS, An Anonymous Treatise cit., pp. 241-242 51 DESMOND, Music and the moderni cit., p. 133. 52 f. 30r: At quidam musici antiqui praedictas appropriaverint a parte inferiori, ut hic: [semibreve caudata on two-line staff] et deorsum et desursum, ut hic: [dragma on two-line staff]. Quae per multas rationes per totum vacant; Barberini manuscript; De musica mensurabili and De semibrevis caudatis cit., p. 33; cfr. DESMOND, Music and the moderni cit., p. 140, nt. 70, but only on descending stems. 53 ff. 33v-34v; JOHANNES VETULUS DE ANAGNIA, Liber de musica cit., Appendix 1, p. 51. 54 Robertus de Handlo Regule and Johannes Hanboys Summa, edited by P. M. LEFFERTS, Lincoln and London 1991 (Greek and Latin Music Series, 7), pp. 189-193, nt. 15; cfr. p. 49. 55 JOHANNES DE MURIS, Notitia artis musicae cit., p. 102. 56 Tellingly, the Augustinian monk and music theorist Petrus de Sancto Dionysio was at the Neapolitan court of King Robert from 1317-1319 (with Marchetto from 1318), after which time he travelled with Robert to Avignon; in 1324 he returned to France; see VIVARELLI, “Di una pretesa scuola napoletana” cit., pp. 284-292. On Walsingham, monk of St Albans, Oxford, see A. HUGHES, Grove Music Online, s.v. Walsingham, Thomas. https://doi.org/10.1093/ gmo/9781561592630.article.29861; J. G. CLARK, Thomas Walsingham Reconsidered: Books and Learning at Late-Medieval St. Albans, in Speculum 77 (2002), pp. 832-860.
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it is clear that the author of the Omnis ars has Jacobus’s discussion of the name of the semiminim in mind, not just the impossibility of dividing the smallest duration. This is made clear by his response: whatever its name, the smallest note that can be played or sung is still the smallest in practice. Another group of treatises (or treatise fragments) on counterpoint offer varying pieces of evidence for establishing their chronology. A portion of Tractatus versificatus de contrapuncto, ascribed (probably falsely) in another source to Philipoctus Andrea, was added to the manuscript by the same text hand responsible for copying the De proportione treatise towards the end of the manuscript. De proportione is sandwiched between Theodonus’s own Regulae contrapuncti and an extract from Des Murs’s Libellus also copied by Theodonus. In the former, Theodonus reuses part of the De discantu (“Sex sunt species discantus per quas”), which was copied by the principal scribe into gathering 3 (f. 24r-v) at the end of an abbreviation of Des Murs’s Conclusiones. Klaus-Jürgen Sachs has noted parallels between the De discantu and the Ars contrapunctus “compiled by Philippe de Vitry” (“Sex sunt species principales”)57. Pointedly, the Vitriacan counterpoint treatise is also found in Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7378A, which has been dated to 136258. Last and not least there are two items (which cannot be called treatises as such since they are largely schematic representations) on the division of medieval pitch space according the monochord. The Rota compositionis monochordi (f. 17v) is a completely unique representation in circular form of the medieval gamut and its division (Pl. IIIa). The result is an extended gamut with hexachords on C, D, F, G and B flat. An even more advanced concept of musical space appears in Nicolaus de Luduno’s Tabula monochordi, which consists of three components: a twenty-four-line staff laid out as a chromatic division of the gamut and decorated with various types of black and red notes, including semiminims; an octosyllabic double Latin ballade Ut pateat evidenter; and a tabula numerorum that gives detailed (and mostly correct) calculations for the division of an extended relative pitch space. Significantly, the same Latin ballade appears in an English manuscript with a two-part composition using hexachords beyond the standard three on C, F and G in the medieval gamut. Lefferts dates the song to the third quarter of the fourteenth century. Both it and Ut pateat evidenter were added to Oxford, Bodleian Library, Bodley 842 not long after 57 K.-J. SACHS, Der Contrapunctus im 14. und 15. Jahrhundert: Untersuchungen zum Terminus, zur Lehre und zu den Quellen, Wiesbaden 1974 (Beihefte zum Archiv für Musikwissenschaft, 13), p. 69; cfr. PHILIPPUS DE VITRIACO, Ars Nova cit., p. 55. 58 JOHANNES DE MURIS, Notitia artis musicae cit., pp. 24-25.
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137259. The congruence between Nicolaus’s Tabula monochordi and the hexachordal song in Bodley 842 offers a glimpse of the development of tonal spaces around ca. 1360, or “just a few strides beyond the positions staked out in the Musica (1357) of Johannes Boen”60. The chronology of the contents of the Barberini miscellany sketched out here supports re-dating this source to the third quarter of the fourteenth, with little to recommend a dating after ca. 1365. Further questions remain around where in Italy the manuscript might have been copied. Arguments have already been rehearsed in the literature on this book’s limited influence, particularly in terms of some of its most novel elements such as the Turris, Rota compositionis monochordi and Nicolaus’s Tabula monochordi61. The manuscript appears to have readily found its way it the hands of Theodonus de Caprio from Sant’ Agata de’ Goti in the Kingdom of Naples, a Benedictine monk and prior of the monastery of the Montevergine order at Capua, who augmented its contents a few years before his death in 143462. Gushee was already tempted by the proximity of Capua to Naples, although little is known about Theodonus’s earlier life and travels. In the following section, Francesca Manzari offers provocative new art-historical evidence for this manuscript’s origin and dating. 3. The Barberini miscellany’s decoration in the context of fourteenth-century illumination: Abruzzi illuminators in Rome, Avignon and Naples (Francesca Manzari) The Barberini music theory miscellany has been dated to the late fourteenth or early fifteenth centuries63, yet a fresh look at the style of its decoration has led to a significantly earlier dating. The manuscript’s illuminations can be securely placed in the third quarter of the Trecento, most probably in the 1350-1360s, as numerous comparisons can be found with the central Italian decorative culture, with French features, which spread in the Angevin Kingdom in the mid-fourteenth century64. The early dissemination of French manuscripts brought to new monastic foundations by 59 P. M. LEFFERTS, A Riddle and a Song: Playing with Signs in a Fourteenth-Century Ballade, in Early Music History 26 (2007), pp. 121-179. 60 ibid., p. 174. 61 GUSHEE, The Tabula Monochordi cit., p. 151. 62 CASIMIRI, Teodono de Caprio cit., p. 42. 63 See the summary in the preceding section. 64 This fits with Millard Meiss’s suggestion to Fred Hammond that the manuscript might have been of Umbrian or Neapolitan origin (GUSHEE, The Tabula Monochordi cit., p. 126), as these components are part of the Abruzzi artistic culture and the book’s main illuminator may have been active in Naples.
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Charles I of Anjou in the second half of the thirteenth century determined a strong presence of French decorative and stylistic elements, particularly in the Abruzzi. The surviving manuscripts from this region, dating from later decades, display marginal figures deriving from drôleries and a re-elaboration of the more pictorial Umbrian culture, favouring flat layers of tempera in contrasting colours emphasised by thick black outlines65. The decorative repertory used throughout the manuscript is based on this artistic culture, which spread across the Abruzzi in the 1330-1340s66, reaching not only Naples, the capital of the Angevin Kingdom in Southern Italy, but also Rome and Avignon, the other main centres of the Mediterranean gothic art, in the central decades of the fourteenth century67. An artistic culture from the Abruzzi is already documented in Rome in 1337, when the illuminator Guglielmo di Berardo da Gessopalena dated the Gradual he had started to decorate for the Canons of St. Peter’s (Città del Vaticano, BAV, Capp. Giulia XII.2, f. 1r)68. Yet, the stable production of illuminated books in Rome is only evident from the outbreak of the Schism in 1378, a date which seems too late for the Barberini miscellany’s illuminations. The artists working in Rome for Popes Urban VI (1378-1389) and Boniface IX (1389-1404) echo the decorative repertory employed in the miscellany, but their style is updated with models taken from late fourteenth-century Florentine illumination and northern late-gothic art, which are totally absent in the Barberini manuscript69. Its decoration must therefore be placed elsewhere. 65
F. MANZARI, Contributi sulla miniatura abruzzese del Trecento: il Graduale miniato da Guglielmo di Berardo da Gessopalena e la produzione della prima metà del secolo, in L’Abruzzo in età angioina. Arte di frontiera tra Medioevo e Rinascimento Proceedings (Chieti, 1-2 April 2004), a cura di D. BENATI e A. TOMEI, Cinisello Balsamo 2005, pp. 181-199; EAD., La miniatura abruzzese di epoca gotica e tardogotica, in Illuminare l’Abruzzo. Codici miniati tra Medioevo e Rinascimento, cat. della mostra (Chieti, 10 maggio-31 agosto 2013), a cura di G. CURZI, F. MANZARI, F. TENTARELLI, A. TOMEI, Pescara 2012, pp. 58-88. 66 As far as we know, particularly in Teramo and Guardiagrele, but also at L’Aquila in the 1350s: MANZARI, La miniatura abruzzese cit., pp. 62-68. 67 For contacts with Naples: F. MANZARI, Miniatori napoletani e dell’Italia centrale del Trecento nei frammenti di corali certosini raccolti da Vittorio Giovardi (Veroli, Bibl. Giovardiana, Ms. 10), in Rivista di storia della miniatura 14 (2010), pp. 116-138 and EAD., La miniatura abruzzese cit., pp. 62-63. For new findings in Avignon: F. MANZARI, Manuscrits liturgiques réalisés à Avignon dans la première moitié du XIVe siècle. Nouvelles découvertes dans les collections du Vatican, in Culture religieuse méridionale. Les manuscrits et leur contexte artistique, dirigé par M. FOURNIÉ, D. LE BLEVEC, A. STONES, Toulouse 2016 (Cahiers de Fanjeaux, 51), pp. 215-245. 68 MANZARI, Contributi sulla miniatura abruzzese cit., pp. 181-199. 69 On illumination in Rome during the Schism: F. MANZARI, The International Context of Boniface IX’s Court and the Marginal Drawings in the Chantilly Codex (Bibliothèque du Château, Ms. 564), in Recercare XXII (2010), 1-2, pp. 11-33; F. AVRIL, Stephanus de Aquila, in Illumi-
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The Different Layers in the Miscellany’s Illuminations Although it lacks a narrative program of illustrations, the Barberini manuscript displays a richly varied decorative project, highlighting the different texts that form this miscellany of music treatises. Apart from the decorated initials painted in tempera and the marginal decorations (Pl. IV), the book’s most characteristic features are its remarkable diagrams (Pl. II-III), partly drawn by the penwork artist and partly by the illuminator70. The decorative repertory frequently includes figurative details, in particular small faces incorporated in the coils of the acanthus borders and small marginal figures. A historiated initial emphasises the incipit of the first treatise (f. 1r), by Johannes Vetulus de Anagnia (Pl. Ia)71. The letter contains a bearded redclad figure, with a blue cloak, hitting a hammer on a bell that hangs from the middle of three bell towers72. The buildings are represented three-dimensionally and the bell overlaps the letter containing the musician, suggesting an illusionistic space. This is quite exceptional, since an interest in spatial representation does not appear elsewhere in the manuscript. Furthermore, this is the only leaf with a frame running along all margins: it is filled with alternatively pink and lilac bands, decorated with scrolls of small leaves and circular motifs at the centre of each margin. The same kind of three-dimensional button appears in the centre of the quadrilobed medallion that fills the last decorated letter in the manuscript (Pl. Ib). The incipit of this treatise (Omnis ars), on f. 29r, is the only one lacking marginal decoration, but the pigments match the rest of the ornamental repertory. The same circular motif, furthermore, appeared in the marginal decoration of f. 8v, in the bottom left corner, though it is now barely visible (Pl. IIa). This permits the conclusion that the first and last illuminations, despite being different from the rest of the decoration, were not made by another nare l’Abruzzo cit., pp. 51-57; MANZARI, La miniatura abruzzese cit., pp. 73-78; EAD., La ripresa della miniatura a Roma durante lo Scisma. Miniatori, copisti e calligrafi attivi tra fine Trecento e inizio Quattrocento, in Il codice miniato in Europa. Libri per la chiesa, per la città, per la corte, a cura di G. MARIANI CANOVA e A. PERRICCIOLI SAGGESE, Padova 2014, pp. 401-423. 70 See below, pp. 307-309. 71 A second illuminated letter containing a stylised bust-length portrait of the composer Nicolaus de Luduno, however, introduces the ballad Ut pateat, in his Tabula monochordi (f. 18v). 72 This is a fitting iconography for the illustration of a music treatise, as David is frequently represented playing bells, as are Boethius and the personification of Music: M. CLOUZOT, Musica, in Enciclopedia dell’arte medievale, VIII, Roma 1997, pp. 615-619: p. 617; J. STOESSEL, The Harmonious Blacksmith, Lady Music and Minerva: The Iconography of Secular Song in the Late Middle Ages, in Music, Myth, and Story in Medieval and Early Modern Europe, edited by S. BASSLER and K. BUTLER, Woodbridge 2019, pp. 63-86: p. 69.
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artist (Pl. Ia-b). Rather, the main illuminator probably painted them either in a different stage or just using different models. There are additional features that suggest various stages in the manuscript’s decoration; one is the presence of a different kind of penwork initial on f. 35r. This letter was probably used to replace an initial planned to be painted in tempera, since the space left by the scribe is the same as that for the decorated letter on f. 29r. It is the largest penwork initial in the book and it is also the only decoration in which gold was added to fill in the spaces in the puzzle-initial. Elsewhere in the manuscript mosaic gold always appears in place of the precious metal in illuminations. Other elements also suggest differences between the plan of the first treatise (gatherings 1-2) and the texts copied in the last three treatises. Stoessel has noticed that the dimensions of the decorated letters increase from eight to eleven or fourteen lines on ff. 18v, 22v, 25r, 29r, and 35r, if we consider the last was originally planned as a tempera letter73. Furthermore, while the first treatise comprises smaller decorated letters at the beginning of every minor division, in the last gatherings, these are introduced by simple penwork initials. This probably reveals that the second part of the manuscript was planned in a different stage from the original design. Possibly at the beginning of the book’s decoration, space was left on the main incipit page of the manuscript (f. 1r). This leaf and the last illuminated letter (on f. 29r) might represent the third and last stage in the completion of the tempera illuminations in the book (Pl. Ia-b)74. The latter hypothesis is supported by the book’s use as a work in progress, indicated by the marginal drawings that will be discussed below. This sequence of stages, all closely interrelated, would also correspond to the presence of different hands, which according to Stoessel can be distinguished in variations of script, possibly pertaining to a single scribe working in different phases75. The Models of the Tempera Illuminations and the Artist’s Training The models employed in elaborating the frame on the opening page of the Barberini miscellany can be found in illuminated manuscripts made in 73 The first treatise (Liber de Musica by Johannes Vetulus) displays various illuminated letters at the incipits of its chapters. The other texts, highlighted by tempera initials at the beginning while the different chapters are introduced only by penwork initials, are the Regulae by Imbert de Francia, the Tabula monochordi by Nicolaus de Luduno, the Compendium musicae by Jehan Des Murs, the Compendium artis by Pseudo-Vitry and the anonymous treatise Omnis ars (ff. 17r, 18v 22v, 25r, 29r, 35r). 74 The choice to introduce different decorative features, nonetheless, might be connected with the importance of the opening leaf in the manuscript: for this the illuminator might have adopted an ornamental repertory different from the one employed elsewhere. 75 See above, Table 2.
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Naples just after the mid-fourteenth century. The monochrome blue leaves in the frames find comparisons in the similar but multicoloured leaves employed in those of the Bible moralisée (Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 9561), currently dated between the 1340s and 1360s, and illuminated in Naples for a member of the Anjou family (Pl. Va-b)76. The sort of steeple termination characterising the bell-towers in the historiated letter can also be compared with the Bible moralisée. The same kind of decorative frames are used to enclose the full-page Crucifixion in a Neapolitan Missal from the mid-1360s (Avignon, Bibliothèque municipale, Ms. 135, f. 150v)77. This supports dating the leaf-motif to this decade. Furthermore, the elegant ivy-shaped leaves in the pink bands in the frames — another decoration deriving from French models — can be found in the lower portion of a beautifully historiated letter in an Antiphonary illuminated in L’Aquila around the 1350s for the church of Santa Maria Paganica (A.5), certainly linked to the Anjou, as shown by the lilies in the upper portion of the letter (Pl. Vc)78. The possibility of placing the incipit leaf of the Barberini miscellany in the mid-1360s is not in conflict with that of dating the main part of the decorative project to the 1350s, since, as argued above, the first page could have been decorated last. This would not be an unusual procedure79 and the same artist, using models meant to highlight the beginning of the book, might have carried out the later completion80. Although this manuscript, for the moment, remains an unicum since no other illuminated book by the same artist is known, all the main decorative features can be connected precisely to models which point to an origin within the Angevin Kingdom, either in its northern area, the Abruzzi, or in the capital, Naples. All elements are drawn from this ornamental repertory, which were used in Guardiagrele in the 1330-1340s and in the area of Teramo in the 1340s and which spread to Naples in the 1340s-1350s81. 76 For a resumé of the different datings see: M. BESSEYRE, Entry 133, in Giotto e il Trecento. “Il più sovrano maestro stato in dipintura”. Le opere, cat. della mostra (Roma, 6 marzo – 29 giugno 2009), a cura di A. TOMEI, Milano 2009, pp. 298-299. I would suggest different stages in the production of this manuscript, possibly starting from the 1340s/1350s, but certainly reaching the mid-1360s. 77 F. MANZARI, Entry 135, in Giotto e il Trecento cit., pp. 303-305. 78 EAD., La miniatura abruzzese cit., p. 68. 79 The incipit-page in a manuscript sometimes remained incomplete, as in the Missal produced for Boniface IX: MANZARI, The International Context cit., pp. 13-14. 80 In cases such as this a scientific analysis of the pigments would prove useful. 81 At least as far as the surviving material allows us to presume; the exchanges between the two areas of the Kingdom, nonetheless, must have been more numerous and also going both ways.
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The production of illuminated manuscripts in Teramo is well known thanks to the surviving leaves from Berardo da Teramo’s Antiphonary for San Benedetto a Gabiano, near Giulianova (now dispersed among the Fondazione Cini in Venice (22084-22090, 22185) and other collections)82 and to the richly illustrated Bible by another illuminator, Mutius Francisci Cambii de Teramo, who left his name on its incipit page (Città del Vaticano, BAV, Vat. lat. 10220, f. 1r)83. In this context we find the models both for the acanthus scrolls, including the way they are organised in the margins, and for the decorated bands enriched by knots, geometrical motifs and little birds, sitting or hanging from the decorative borders in the lower margins (Pl. VIa-c)84. The Abruzzi was one of the first regions in Italy in which illumination displayed a combination of the late thirteenth-century styles deriving from Bologna and from France. The margins of manuscripts produced in the Teramo area are filled with motifs deriving from French drôleries85, and the layout of the leaves in the Barberini miscellany seems to be a re-elaboration of these patterns. These decorations find the closest comparisons in a manuscript that can be assigned to Teramo (Pl. VIIa-b), but possibly at a slightly later date, around the third quarter of the fourteenth century (Città del Vaticano, BAV, Arch. Cap. S. Pietro B.85, ff. 7r and 7v)86. This Psalter-Hymnary displays acanthus borders deriving from the Teramo tradition, enriched by strawberries, faces in the curls of the foliage and marginal hybrids (f. 7r-v), all of which can be related to the decorations in the Barberini manuscript (for example on f. 5r and 16v). Still, the colours employed in the Barberini miscellany, although difficult to evaluate because the pigments have darkened, appear quite different from the brilliant reds, blues and dark greens usual in Teramo illumination. The predominant light pinks, oranges, light blues, pale greens and lilacs in the Barberini manuscript have antecedents in other areas in the Abruzzi, such as the manuscripts produced in Guardiagrele in the 1330s 82 F. MANZARI, Entry 67a-h, in Le miniature della Fondazione Giorgio Cini. Pagine, ritagli, manoscritti, a cura di M. MEDICA e F. TONIOLO, Cinisello Balsamo 2016, pp. 229-239. 83 M. BUONOCORE, Bibbia, in Illuminare l’Abruzzo cit., pp. 197-198; L. MASSOLO, Il ciclo illustrativo della Biblia aprutina (Vat. lat. 10220): una proposta di lettura iconografica contestuale, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 21 (2015), pp. 259-279. 84 See for example Barb. lat. 307, ff. 3r, 7r, 11r. Also, f. 6r shows a layout similar to that on f. 181v in the Bible. 85 MANZARI, La miniatura abruzzese cit., pp. 65-68. 86 F. MANZARI, Presenze di miniatori e codici miniati nella Roma del Trecento, in Il libro miniato a Roma nel Duecento. Riflessioni e proposte, a cura di S. MADDALO, I, Roma 2016, pp. 615-646: p. 644. The production for Teramo is confirmed by the presence of Saint Berardo in the text.
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and 1340s87 and the 1337 Gradual illuminated by Guglielmo di Berardo da Gessopalena88. Nonetheless, the paler colours and the jagged outlines of the acanthus in the music theory miscellany find their closest parallels in manuscripts illuminated in Naples by the artist I have named Master of the Casanatense Solomon (Pl. VIIIa-c)89. The work of the Master of the Casanatense Solomon can be traced in manuscripts made in Naples and closely connected to the Angevin court, but the artist’s origins are — I suspect — linked with a training in the Abruzzi, in the context of the important centre of production in the city of Guardiagrele90. His works comprise the Treatise on the Song of Songs, from which the artist takes his name (Rome, Biblioteca Casanatense, Ms. 970); the fragmentary Antiphonary for the Charterhouse of Saint Martin in Naples (Veroli, Biblioteca Giovardiana, Ms. 10; Providence, Brown University, Hay Library, acc. num. A28904, 3.1-3.19); a splendid copy of the De balneis puteolanis (Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 8161); a miscellany of historical texts (Città del Vaticano, BAV, Vat. lat. 1860); and a richly illuminated Psalter, in collaboration with other illuminators (Geneva, Bibliothèque publique et universitaire, Comites Latentes 15)91. This artist frequently worked together with the foremost illuminator active in Naples for the Angevin court, Cristoforo Orimina92, like in the Vatican historical miscellany, in the Psalter, and also in a breviary (Madrid, Biblioteca Nacional de España, Vit. 21-6). This contributes to dating his activity in Naples in the 1340s and 1350s93. 87 G. CORSO, Miniature per una collegiata abruzzese. I corali medievali di Guardiagrele alla luce dei recenti ritrovamenti, Pescara 2010; EAD., Entry 14, in Illuminare l’Abruzzo cit., pp. 184-187. 88 At least in the first stage of completion: BAV, Capp. Giulia XVII.2, ff. 1r, 5r, 8r, 11r, 222r: MANZARI, Contributi sulla miniatura abruzzese cit., pp. 189-191; EAD., Entry 15, in Illuminare l’Abruzzo cit., pp. 188-190. 89 EAD., Miniatori napoletani cit., p. 132. 90 EAD., La miniatura abruzzese cit., pp. 62-63. 91 EAD., Un libro di storia miniato a Napoli (Vat. lat. 1860) e l’attività del Maestro del Salomone della Casanatense nella capitale angioina, in Boccaccio e Napoli. Nuovi materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento, Proceedings (Napoli – Salerno, 23-25 October 2013), a cura di G. ALFANO et al., Firenze 2014, pp. 405-416. 92 For the historiography on this artist see: A. PERRICCIOLI SAGGESE, Orimina, Cristoforo, in Dizionario biografico dei miniatori italiani, a cura di M. BOLLATI, Milano 2004, pp. 838-840; F. MANZARI, Un nuovo foglio miniato della bottega Orimina, un Graduale smembrato e la figura di un anonimo miniatore napoletano del Trecento, in Storie di Artisti. Storie di Libri. L’Editore che inseguiva la Bellezza. Scritti in onore di Franco Cosimo Panini, Roma 2008, pp. 293-312; A. PERRICCIOLI SAGGESE, Orimina, Cristoforo, in Dizionario biografico degli italiani, Roma 2013, LXXIX, pp. 494-497. 93 The artist does not appear in any of Orimina’s projects dating from the first half of the 1360s: MANZARI, Un libro di storia miniato a Napoli cit., pp. 412-413.
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The Master of the Casanatense Solomon’s work plays a significant role among the models employed in the elaboration of the decorative culture displayed in the Barberini manuscript. The type of foliage, the colour range, the faces and busts inserted in the acanthus borders all find comparisons in the ornamental repertory used by this artist. The Master of the Casanatense Solomon was undoubtedly active in Naples, but he clearly shows Central Italian roots, based on Abruzzi illumination and on the closely related fourteenth-century production in Umbria. For example, he frequently adopts a type of foliage peculiar to Umbrian illumination, composed of small blue leaves on pink ground, used as an in-fill for his decorated letters (Rome, Biblioteca Casanatense, Ms. 970, f. 273r). This motif appears in the Barberini manuscript (for example on f. 6r), together with the other characteristic features in the Casanatense Solomon Master’s ornamental repertory. These include the zigzag ribbons connecting the decorative elements, a vase with two handles and a characteristic blue flower inserted in the acanthus foliage. Furthermore, a similar way of framing the letters with blue decorative backgrounds, following the shape of the letter and partly incorporating the foliage around the letter, is another motif of Umbrian origin (Pl. VIIIa-c)94. All these comparisons confirm that the Barberini artist’s training was rooted in central Italian illumination of the central decades of the fourteenth century. He must have been educated in this context, therefore probably around mid-century, and either in Naples or in the Abruzzi. If trained in Naples, however, his work shows no trace of a contact with Cristoforo Orimina and hardly any interest in pictorial representation. This would seem to point to the Abruzzi rather than to the more refined and multicultural artistic context in Naples. Nonetheless, although we can suppose that the decorative project was carried out sometime between the mid-1350s and the mid-1360s, establishing where the artist’s activity took place proves more difficult95. It is now well known that illuminators from the Abruzzi were active in Rome throughout the fourteenth century, even during the absence of the papacy, and their links with illuminated manuscripts produced in Naples
94 Some of the features which characterize this artist are shared by a wider group of collaborators, whose training is also traceable to central Italy, visible in various leaves of this fragmentary Antiphonary (Veroli, Biblioteca Giovardiana, Ms. 10, ff. 19r, 22r): MANZARI, Miniatori napoletani e dell’Italia centrale cit., pp. 132-133, figg. 13-14. 95 This is often the case, as the analysis of a book’s decoration produces clues on the artist’s training and main area of work, but does not indicate where the illuminator was working in that particular instance, especially in the highly itinerant context of the later Middle Ages.
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are even more obvious96. Moreover, that the artistic culture originating from the Abruzzi also reached Avignon in the years close to the mid-fourteenth century has only just been recognised. This is shown by a recently discovered Gospel Lectionary (Città del Vaticano, BAV, Arch. Cap. S. Pietro B.74), made for the Italian cardinal and archpriest of St. Peter’s basilica, Annibaldo Caetani da Ceccano, by a French artist from Toulouse working with an Italian artist closely linked to the Teramo tradition97. The type of foliage and the geometrical motifs employed by the Abruzzi illuminator in Annibaldo’s Lectionary, presumably made as a gift for St. Peter’s around 1348, are very close to those in the Barberini miscellany (Pl. IXa-b). This does not mean that the Barberini manuscript can be connected with Avignon, since it does not comprise any of the specific multicultural traits that help identify illuminated books made there in the first half of the fourteenth century. It nonetheless serves to highlight the itinerancy of illuminators with Abruzzi training and to emphasise how difficult it is to place the Barberini manuscript in one or the other of the centres of the Mediterranean gothic culture, in which artists moved around extensively98. The decorative project in Barberini miscellany, however eclectic, seems to have been carried out by one illuminator, unless we consider ff. 1r and 29r to be by a different hand. The decoration is fairly uniform, although it might be possible to further differentiate an artist drawing with greater accuracy and lighter colours, as on ff. 3r or 14r, from another, responsibile for the more roughly sketched faces in the decoration on f. 25r. This might simply be a question of speed in execution, since the same slanting eyes reappear throughout the decorative program, as for example in the faces in the roundels formed by the leaves around the circular diagram (f. 17v). These are, moreover, one of the elements connecting the illuminator to the models of the Casanatense Solomon Master, showing that, notwithstanding his taste for bidimensional painting with flat colours, the artist working in the Barberini miscellany derived his style from Giottesque models. 96
MANZARI, La miniatura abruzzese cit., pp. 58-78. 97 EAD., Manuscrits liturgiques réalisés à Avignon cit., pp. 222-225. 98 Echoes of the same decorative motifs, for example the roundels
with geometrical motifs in the decorative borders, can still be found in illuminations from workshops active in Rome for the popes in the last quarter of the fourteenth and in the very first years of the fifteenth century, during the Great Western Schism. See, for example in the margins of the Missal started for Pope Boniface IX (Saint Petersburg, Hermitage, Ms. OR-r 23), probably left incomplete at his death in 1404. The similarities are overshadowed by the difference in the treatment of the acanthus leaves, which is clearly richer and more complex, showing the contacts of the illuminators working for the pope with models by Florentine illuminators active in the last decade of the fourteenth century: MANZARI, La ripresa della miniatura a Roma cit., pp. 418-419.
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The Penwork Artist and the Tree Diagrams Even if the tempera illuminations can be ascribed to a single artist, the manuscript’s secondary decoration displays the work of a second craftsman, who carried out the pen-flourished initials. Although it might be tempting to consider the Barberini miscellany in the light of a personal book, written and illustrated by a musician, possibly working as a scribe and artist, this does not seem to be the case, because at least the pen-flourished decoration and the illuminations were carried out by two different hands. The penwork artist however might coincide with the principal scribe. This craftsman displays a less professionally trained hand, with a command in tracing the decoration that is not as firm as the illuminator’s. The pen-flourished repertory might support the hypothesis that this is a book written and at least partly decorated by its owner. Furthermore, the tree-shaped diagrams on ff. 8r, 8v and 9r have certainly been drawn by the penwork artist, as confirmed by the wobbly lines composing the scalloped decoration around the bases of the trees (Pl. IIa-b). This is the same motif used in the penwork initials to decorate the tendrils that run down the margins and intercolumnia, as a comparison of the two elements that are adjacent on f. 9r clearly shows (Pl. IIb). It is reasonable to conclude that these complex tree diagrams were made by the principal scribe, since they entailed careful planning and a sound command of their musical content. The colours used to highlight these are restricted to brown, lilac, red, blue and green inks, also marking the difference from the wider range of pigments used in the tempera illuminations. The person who drew the tree diagrams also carried out the penwork decoration throughout the book, while a different professional artist was engaged for the tempera illuminations; this illuminator also painted the borders in the margins of the leaves featuring the tree diagrams (Pl. IIa-b). The other two full-page diagrams (Pl. IIIa-b) were entrusted to the main illuminator, who carried them out in close contact with the scribe/ penwork decorator, who may have inserted the captions and numbers99. The planning of these diagrams must have involved a close collaboration with a musician dictating the contents or providing a visual model and the illuminator carrying out the diagrams, since the figurative, architectural and decorative motifs in them correspond to the rest of the decorative project100. 99 Stoessel has identified the same hand in the tower diagram and in the original numbering in red ink on the upper margin of the leaves. 100 On diagrams in illumination: J. HAMBURGER, “Haec figura demonstrant”: Diagrams
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Additions, Exercises and Doodles: Marginal Drawings as Part of a Work in Progress or as Records in a Model Book One further feature in the Barberini miscellany leaves open various questions on the book’s possible use as either a work in progress, which continued to be enriched after the completion of the main decorative project, or as a repository in which to store models for future use. Its margins are filled with drawings of different kinds: a few have obviously been added at a later date by hands of owners who did not have an artistic training, as for example a lioness on f. 11r. Most of them, however, have been drawn by the artist who carried out the painted illumination, such as the two on f. 6v, where a figure pointing to the text (probably with the function of a manicula) displays the slanting eyes typical of this illuminator’s style, also visible in the small bearded head and in the deer on f. 6r. Even more significantly, in the upper margin of f. 6v the artist has added a portion of border leafage, with a face in the upper curl, and the small hooded head (Pl. Xa). The latter drawings may have been sketched with the intention of completing them with tempera. Indeed, some of the marginal decorations in the first treatise (in gatherings 1 and 2) were painted on leaves that are not emphasised with one of the decorated tempera initials (ff. 3r, 5r, 7r, 8v, 9r). These too may have been added in a second campaign to highlight certain parts of the text. Among other elements that may have been inserted to enrich the decorative program is the bird drawn in the upper margin of f. 11v, copied from one of those painted on 7r. Other drawings can be considered exercises, like the boar on f. 2v, the cat on f. 5r, or the lioness and crow on f. 11r. (The other lioness above was clearly drawn by a later and more uncertain hand.) These details have no apparent function and they can be interpreted as the recording of motifs to be used again on future occasions, like in a model book. The distinctive compositions with multiple heads connected together, employed in the decorations on f. 22v and on f. 25r, are repeatedly drawn on the last leaves, which correspond to an undecorated part of the manuscript (on f. 30v, where they are also used as the catchword decoration, and on ff. 31r-v, 32v, 33r-v). The queen portrayed in the upper margin of f. 31r precisely echoes the female faces in the lower roundel of the circular diagram on f. 17r and in the decorative motif in the centre of the left in an Early-Thirteenth Century Parisian Copy of Lothar de Segni’s “De missarum mysteriis”, in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte 58 (2009), pp. 7-76; The Tree: Symbol, Allegory, and Mnemonic Device in Medieval Art and Thought, edited by P. SALONIUS, A. WORM, Turnhout 2014; P. GUERRINI, Gioacchino da Fiore e la conservazione del sapere nel Medioevo: diagrammi e figure da Boezio a Raimondo Lullo, Spoleto 2016.
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margin of f. 25r (Pl. Xb-e)101. Drawings by the main illuminator are also present in the Sankt Paul fragment, like the manicula/figure pointing in the right margin and the small head with the typically slanting eyes in the intercolumnium of f. 17r. Finally, the angel painted in the lower margin of the last illuminated leaf in the Sankt Paul fragment (f. 22v) was copied in dry point on the last flyleaf in Barb. lat. 307, although it is barely visible, except under certain light102. 4. Conclusions: The Miscellany’s Patron, Artists and Possible Use (Jason Stoessel, Francesca Manzari) The multiple pieces of evidence presented here regarding the nature of the contents, production, decoration, cultural orbit and dating of the Barberini music theory miscellany point to a patron who was interested in assembling over time a finely decorated but modestly dimensioned manuscript that collected writings about music witnessing developments in English, French and Italian music theory in the middle two quarters of the fourteenth century. The prominence of Johannes Vetulus de Anagnia’s Liber de musica, both in terms of its position in the manuscript and its decorative program, suggests that this Italian author held considerable significance for the patron. Without doubt, the patron had a strong interest in current trends in music of his day, especially the polyphonic music of the ars nova that matured in the second quarter of fourteenth century. Yet, it would be rash to suggest that the patron was Vetulus himself. Perhaps more tantalising is Manzari’s argument that Vetulus’s Liber de musica and the Omnis ars sive doctrina were possibly both decorated together and last by the manuscript’s illuminator. One might speculate that the anonymous author of the Omnis ars sive doctrina, who evidently held Vetulus in high repute, was closely connected to the patron, if not the patron himself. Given the limited diffusion of Vetulus’s writings, the author of the Omnis ars sive doctrina may have indeed been a student of Vetulus103. Nothing less than humility would have dictated that his work appear towards the end of the collection, with the work of the venerable master Vetulus given pride of place. To suggest that the patron, if not the principal scribe himself, was also a teacher of music is in keeping with the patterns
101
On f. 12r in Barb. lat. 307 they are drawn by a later unskilled hand. The author of the copy changed the position of the wings and the outline of the head. 103 That the Omnis ars sive doctrina is the work of a single author, see LEFFERTS, An Anonymous Treatise cit., p. 242. 102
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of preparation, copying and decoration observed in the Barberini music theory miscellany. The decorative project employed in the Barberini music theory miscellany was expensive enough to make the manuscript stand out from books for everyday use. Not only did its patron decide to lavish a considerable sum on incipit pages richly illuminated in tempera but he commissioned several diagrams to emphasise and explain its musical and textual contents. This is a fairly small book, nonetheless, so it seems to have been conceived for limited use, possibly by the holders of a musical office, such as cantor, succentor or master (magister puerorum/noviciorum), who were also responsible for musical instruction. The tempera illuminator and the scribe/penwork artist certainly shared the same context, since the book evidently remained available to the illuminator, who continued to record decorative elements in it and also to provide figurative pointers (maniculae) even after the completion of the main decorative project. This conclusion would not clash with the composition of family workshops, as we know them in the Abruzzi, for example in the city of Teramo, renowned for its significant production of liturgical music books104. Less is known about the composition of workshops in Naples, where most of the surviving illuminated books seem to have been connected with the court105. 104 As in the case of Muzio di Francesco di Cambio and his father Francesco di Cambio: MANZARI, La miniatura abruzzese cit., p. 67; L. MASSOLO, Nuovi materiali per la miniatura teramana del Trecento. Il progetto illustrativo delle Decretali di Monaco, in Rivista di storia della miniatura 20 (2016), pp. 87-102. It has also been suggested that the illuminator Berardo da Teramo may have been related to Antonio di Berardo, known as Zacara da Teramo. The date of the latter’s death falls between 1413 and 1416, while his date of birth is unknown but is estimated to be around 1350. Zacara’s activity in the papal chancery dates to the last decade of the fourteenth century, but he was already an established artist. This is documented by the fact that the hospital of Santo Spirito in Sassia ordered an illuminated Antiphonary to be written, decorated and notated by him in 1390. He was well paid for this, showing that he was an artist at an advanced stage in his career. If his date of birth was ca. 1350, this seems to make the Barberini miscellany too early to be connected with him, although his multiple careers as composer, musician, papal scribe, and illuminator would have suggested him as an ideal owner of this manuscript. On Zacara see: Antonio Zacara da Teramo e il suo tempo, Proceedings (Teramo, 6-8 December 2002), a cura di F. ZIMEI, Lucca 2004, where a papal bull written by Antonio da Teramo is published. I have identified three further papal litterae solemnes written by Antonio da Teramo and I have suggested that they might be connected with two different scribes active at the time of the Schism in the papal chancery: F. MANZARI, Scribes, Pen-flourishers and Illuminators in Papal Charters from the Great Western Schism to the Age of the Councils (1378-1447), in Illuminierte Urkunden. Beiträge aus Diplomatik, Kunstgeschichte und Digital Humanities. Illuminated Charters. Essays from Diplomatic, Art History and Digital Humanities, herausgegeben G. BARTZ, M. GNEISS, Köln – Wiemar 2019, pp. 153-178. 105 See A. TOMEI, Libri miniati tra Roma, Napoli e Avignone, in Roma, Napoli, Avignone.
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The apparent distance of its decorative program from that of court artists may instead point to the book’s use in a monastic or ecclesiastical context. Despite not fitting in with relevant examples of courtly production, especially considering the almost complete lack of gold among the employed materials, the Barberini miscellany displays an exceptional decorative project, which contributes in placing it in the third quarter of the fourteenth century, probably ca. 1350-1365, a much earlier date than ever suggested before. A close analysis has also revealed at least two different decorative craftsmen at work in the book, respectively in the penwork initials and in the main illuminated decoration painted in tempera. It is also possible that the book was made in different stages, increasing the miscellany’s contents in various phases, with slight changes in the project and in the models chosen as references for the decoration. The presence of marginal drawings, and particularly of pointers (maniculae) drawn by the illuminator himself, indicates a prolonged collaboration with the patron, providing new insights into this music miscellany and the context of its production and use.
Arte di curia, arte di corte. 1300-1377, a cura di A. TOMEI, Torino 1996, pp. 177-199; A. BRÄM, Neapolitanische Bilderbibeln des Trecento. Anjou-Buchmalerei von Robert dem Weisen bis zu Johanna I, 2 voll., Wiesbaden 2007.
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Pl. Ia – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 1r.
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Pl. Ib – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 21r (once f. 29r).
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Pl. IIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 8v.
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Pl. IIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 9r.
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
Pl. IIIa – Sankt Paul, Archiv des Benediktinerstiftes, Ms. 135/6, f. 1v (once f. 17v).
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Pl. IIIb – Sankt Paul, Archiv des Benediktinerstiftes, Ms. 135/6, f. 2r (once f. 18r).
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
Pl. IVa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 16v.
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Pl. IVb – Sankt Paul, Archiv des Benediktinerstiftes, Ms. 135/6, f. 1r (once f. 17r).
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
Pl. Va – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 1r.
Pl. Vc – L’Aquila, Santa Maria Paganica, A.5, f. 2r.
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Pl. Vb – Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 9561, f. 5v.
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
Pl. VIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10220, f. 1r.
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Pl. VIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 7r.
Pl. VIc – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 11r.
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
Pl. VIIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro B.85, f. 5r.
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Pl. VIIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro B.85, f. 7v.
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
Pl. VIIIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 15r.
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Pl. VIIIb – Geneva, Bibliothèque publique et universitaire, Comites Latentes 15, f. 24r.
Pl. VIIIc – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1860, f. 1r.
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
Pl. IXa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 15v.
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Pl. IXb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro B.74, f. 73v.
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FRANCESCA MANZARI – JASON STOESSEL
Pl. Xa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 6v.
Pl. Xc – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 22v (once f. 30v).
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Pl. Xb – Sankt Paul, Archiv des Benediktinerstiftes, Ms. 135/6, f. 6 v (once f. 22v).
Pl. Xd – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 23r (once f. 30v).
Pl. Xe – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 307, f. 17r (once f. 25r).
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GIOVANNA MURANO
OPERE DI ELIA DEL MEDIGO NELLA BIBLIOTECA DI GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA* Et ho deliberato de fare restare un pocho el nostro prete, perché spero di fare chosa sarà grata alla V. S., se non in tucto, in parte. Tamen se havessi cognoscuto che la V. S. al presente ha gran bisogno de ello l’averia rimandato. Con lui o con altri venuti con lui farò rescrivere quelle poche chiose dissi alla V. S. aver notate, perché non mi parve conveniente a tenere l’huomo e ’l chavallo in sulla spesa, che è grande per questo1.
Con questo postscriptum si chiude la lunga lettera di Elia del Medigo indirizzata a Giovanni Pico della Mirandola e conservata nel Paris, BnF, lat. 6508, ai ff. 71r-76v, un manoscritto appartenuto a Pico (e in seguito a Domenico Grimani) e registrato, come vedremo, in entrambi gli inventari della sua biblioteca. Le piegature verticali ancora visibili e l’indirizzo «Dignissimo Comiti, doctissimoque | philosopho D(omi)no D. Johanni Mirandulano D.S. | Rome» sull’attuale f. 76v provano che si tratta di un originale e non di una copia. Scritta in risposta a più missive di Pico che purtroppo non ci sono pervenute, parte in italiano, parte in latino, la lettera illumina sui rapporti tra l’ebreo cretese Elia del Medigo e il filosofo mirandolano. Scoperta e resa nota nel 1875 da Jules Dukas2, parzialmente pubblicata da Eugenio Garin nel 19423, la lettera è stata edita integralmente, pur con * Le ricerche sulla biblioteca di Giovanni Pico della Mirandola sono finanziate dal Progetto Lamemoli / Accademia di Finlandia e Università di Jyväskylä n° 307635 (2017-2021, https://staff.jyu.fi/Members/merisalo/lamemoli). Ringrazio Giovanni Licata per gli utili suggerimenti. 1 Cfr. G. LICATA, «Magno in secta peripatetica». Una nuova edizione commentata della lettera di Elia del Medigo a Giovanni Pico della Mirandola (Paris, BnF, ms. lat. 6508), in Schede Medievali. Rassegna dell’Officina di Studi Medievali 55 (2017), pp. 103-143: p. 125, §28. Pur essendomi basata sulla recente edizione di Licata, mi sono distanziata in alcuni casi dalla trascrizione, consultando la lettera sul microfilm prima (disponibile online a: http://gallica. bnf.fr/ark:/12148/btv1b9080876d) e in seguito direttamente sull’originale. 2 J. DUKAS, Recherches sur l’histoire littéraire du XVe siècle. Laurent Maioli, Pic de la Mirandole, Elie del Medigo, Paris 1876 (già pubblicata nel 1875 nel «Bulletin du Bibliophile et du Bibliothécaire»). 3 GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA, De hominis dignitate, Heptaplus. De ente et uno e scritti vari, a cura di E. GARIN, Firenze 1942, pp. 67-72, con una riproduzione di f. 75r del manoscritto parigino dopo la p. 112. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 333-370.
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GIOVANNA MURANO
qualche errore, da Bohdan Kieszkowski4 e recentemente, con un ampio commento, da Giovanni Licata5. La tradizione manoscritta delle opere di Elia del Medigo (1455/601492/936) è esilissima e legata, in gran parte, alla biblioteca del conte della Mirandola e alle successive cure del cardinale Domenico Grimani7 e del protonotaio apostolico Antonio Pizzamano8. Oltre al Paris, BnF, lat. 6508, sono appartenuti a Pico i mss. Vat. lat. 4549, 4550, 4552 e 4553, testimoni unici del lavoro di traduzione ed interpretazione di Averroè realizzato dal Cretese tra il 1481 ed il 1486, tutti registrati nell’inventario della biblioteca di Pico curato da Pizzamano ed oggetto di una prima, ampia, segnalazione di Giovanni Mercati9. Elencati da Paul Oskar Kristeller10, sono stati descritti e analizzati nel 1993 da Alberto Bartòla11. Erroneamente ritenuti autografi, la trascrizione di questi manoscritti, come vedremo, si deve ad un segretario di Pico, il ‘prete’ menzionato da Elia nel postscriptum, e ad almeno due altri scriptores, anch’essi alle dipendenze di Pico. Anche la mano di Elia è presente, ma in poche, rare, additiones e ciò prova che i manoscritti furono approntati e corretti, in massima parte, sotto il diretto controllo e la sorveglianza dell’autore. Pico, oltre ad essere intervenuto direttamente nella copia di uno dei quattro manoscritti attualmente conservati in Biblioteca Vaticana, sulla maggior parte di essi appose note, postille e lasciò il suo consueto segno di memoria, un frego verticale, leggermente ondulato, sormontato da puntini. 4 B. KIESZKOWSKI, Les rapports entre Elie del Medigo et Pic de la Mirandole (d’après le ms. lat. 6508 de la Bibliothèque Nationale), in Rinascimento, s. 2º, 4 (1964), pp. 41-91. 5 LICATA, Una nuova edizione cit. Anche la lettera anonima indirizzata a Pico tràdita nell’importante raccolta del ms. Cappon. 235, ai ff. 69v-71v è stata ricondotta dallo studioso a Elia del Medigo, cfr. G. LICATA, An unpublished letter of Elijah del Medigo to Giovanni Pico della Mirandola: ‘De nervis et sensu tactus’, in Rinascimento 54 (2014), pp. 175-183. L’ipotesi che fosse di del Medigo era già stata avanzata, pur con qualche dubbio, da E. GARIN, La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Milano 1961, p. 260 nt. 3. 6 Le date di nascita e del decesso proposte dagli storiografi sono discordanti. Per quelle qui indicate si veda G. LICATA, La via della ragione. Elia del Medigo e l’averroismo di Spinoza, Macerata 2013, pp. 47-50. 7 Per un contributo aggiornato su Domenico Grimani si veda A. DILLER, H. D. SAFFREY, L. G. WESTERINK, Bibliotheca Graeca Manuscripta Cardinalis Dominici Grimani (1461-1523), Venezia 2003 (Biblioteca Nazionale Marciana. Collana di Studi, 1). 8 U. PISTOIA, Pizzamano, Antonio, in DBI, 84, Roma 2015, pp. 333-335. 9 G. MERCATI, Codici latini Pico Grimani Pio e di altra biblioteca ignota del sec. XVI esistenti nell’Ottoboniana e i codici greci Pio di Modena con una digressione dei codici di S. Pietro in Vaticano, Città del Vaticano 1938 (Studi e testi, 75). 10 P. O. KRISTELLER, Giovanni Pico della Mirandola and his Sources, in L’opera e il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola nella storia dell’Umanesimo. Convegno internazionale, Mirandola, 15-18 settembre 1963, Firenze 1965, pp. 35-133. 11 A. BARTÒLA, Eliyhau del Medigo e Giovanni Pico della Mirandola. La testimonianza dei Codici Vaticani, in Rinascimento, s. 2º, 33 (1993), pp. 253-278.
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OPERE DI ELIA DEL MEDIGO NELLA BIBLIOTECA DI PICO DELLA MIRANDOLA
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La biblioteca di Giovanni Pico Le vicende della biblioteca di Giovanni Pico sono note. Il 1° settembre 1493 il conte della Mirandola roga il proprio testamento a Firenze, presente, tra gli altri, Angelo Poliziano, e nomina suo erede il fratello Antonio Maria autorizzandolo a vendere la sua biblioteca ad una fondazione di chierici regolari che fosse stata in grado di pagare 500 o più ducati, oppure nel caso di un secolare 1.000 ducati12. Nel 1493 Pico aveva soltanto 30 anni ed è possibile ipotizzare che siano stati la morte di Lorenzo il Magnifico e quella tragica di Pierleone da Spoleto ad indurlo a redigere il proprio testamento13. Ma un anno più tardi, il 17 novembre 1494, dopo una breve e misteriosa malattia (probabilmente avvelenato), Pico muore e nell’attesa di un compratore, l’intera biblioteca, raccolta in alcune casse, viene depositata nel convento fiorentino di San Marco. L’inventario rapidamente redatto nell’occasione, da uno o forse due frati14 che non conoscevano l’ebraico e non erano neppure in grado di distinguere i caratteri ebraici, omette di se12
C. MILANESI, Testamento olografo e codicillo di Giovanni Pico dei conti della Mirandola e regesto delle carte Mirandolane che si conservano nell’Archivio Diplomatico di Firenze, in Giornale storico degli Archivi Toscani 1 (1857), pp. 85-100, in part. p. 88 da: Firenze, Archivio di Stato, Diplomatico, Badia di Firenze, 1493 settembre 1° (Lunghe); al testamento Pico aggiunse un codicillo il 12 novembre 1494 (Firenze, Archivio di Stato, Notarile antecosimiano 13188, già M237, ff. 68r-70) e il giorno prima della morte, il 16 novembre 1494 (Firenze, Archivio di Stato, Diplomatico, Sant’Orsola, alla data). Un ulteriore codicillo, registrato nel Notarile Antecosimiano, Jacopo di Martino Martini, Firenze, 13195, 1482-1513 è stato edito da A. PALESATI, L’inedito testamento di Giovanni Pico della Mirandola e le disposizioni per i suoi altare e cappella, in Rivista di Ascetica e Mistica (2011), pp. 709-714. 13 Su Pierleone da Spoleto (1445 ca.-1492) si vedano almeno: L. FRATI, La morte di Lorenzo de’ Medici e il suicidio di Pier Leoni, in Archivio Storico Italiano, s. V, 4 (1889), pp. 255-259; A. DELLA TORRE, Storia dell’Accademia Platonica di Firenze, Firenze 1902, pp. 783-788; L. GUERRA-COPPIOLI, M.° Pierleone da Spoleto, medico e filosofo. Notizie biografiche con commenti inediti, in Bollettino della R. Deputazione di storia patria per l’Umbria 21 (1915), pp. 387431; T. PESENTI, Professori e promotori di medicina nello Studio di Padova dal 1405 al 1509. Repertorio bio-bibliografico, Sarmeola di Rubano 1984, pp. 127-130; M. ROTZOLL, Pierleone da Spoleto: Vita e opere di un medico del Rinascimento, Firenze 2000 (Accademia toscana di scienze e lettere «La Colombaria», 187); F. BACCHELLI, Giovanni Pico e Pier Leone da Spoleto, Firenze 2001 (Quaderni di Rinascimento, 39). Per la sua biblioteca: L. DOREZ, Recherches sur la bibliothèque de Pier Leoni, médecin de Laurent de Médicis, in Revue des bibliothèques 7 (1897), pp. 81-106; J. RUYSSCHAERT, Nouvelles recherches au sujet de la bibliothèque de Pier Leoni, médecin de Laurent Le Magnifique, in Académie royale de Belgique. Bulletin de la Classe des lettres et des sciences morales et politiques, 5 série, 46 (1960), pp. 37-65; G. RADETTI, Un’aggiunta alla biblioteca di Pierleone Leoni da Spoleto, in Rinascimento, s. II, 5 (1965), pp. 87-99; R. E. LERNER, The prophetic manuscripts of the Renaissance magus Pierleone of Spoleto, in Il profetismo gioachimita tra Quattrocento e Cinquecento. Atti del III Congresso Internazionale di Studi Gioachimiti, S. Giovanni in Fiore, 17-21 settembre 1989, a cura di G. L. POTESTÀ, Genova 1991, pp. 97-116. 14 H. WALTER, Per la biblioteca di Giovanni Pico della Mirandola. L’inventario anonimo nel cod. vat. lat. 3436, foll. 263r-296v, in Studi umanistici Piceni 24 (2004), pp. 119-128.
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GIOVANNA MURANO
gnalare molti volumi in questa lingua appartenuti a Pico, oltre a materiale trovato sfascicolato e sine numero, ovvero privo della segnatura pichiana15. Questo inventario, di cui si conserva una copia nel ms. Vat. lat. 3436, ff. 263r-284r, edito nel 1936 da Pearl Kibre16, presenta la biblioteca del giovane filosofo nel più assoluto disordine, senza alcun ordinamento per materie, lingua, o alfabetico. Tra i vari sottoscrittori del testamento compare anche Roberto Ubaldini da Gagliano, l’annalista del convento di San Marco, ma considerata la quantità di errori attestata è poco probabile che sia stato uno dei frati incaricato di redigere l’inventario. Anche l’ipotesi che la copia vaticana sia stata rivista dall’umanista tedesco Jakob Questenberg (1460-1527), attivo a Roma ed autore di numerose trascrizioni di codici greci e latini17, non è confermata dal confronto con le attestazioni certe della mano dell’umanista18. Nel 1498, mentre Firenze «è in gran combustione» e Cristoforo di Casalmaggiore (uomo di fiducia e factotum di Pico), arrestato e torturato, dichiara di aver avvelenato il giovane Conte, il cardinale veneziano Domenico Grimani acquista la biblioteca di Pico e per l’occasione incarica il suo segretario, Antonio Pizzamano, della stesura dell’inventario. Grimani e Pizzamano avevano conosciuto Pico nel 148919 ed il timore che la sua 15
Sulla segnatura pichiana: WALTER, Per la biblioteca cit., p. 121; G. MURANO, Inspecting Inventories. Miscellanies and Composite Volumes in Pico’s Library, in Collecting, Organizing and Transmitting Knowledge. Miscellanies in Late Medieval Europe, a cura di S. CORBELLINI, G. MURANO, G. SIGNORE, Turnhout 2018, pp. 163-176. 16 P. KIBRE, The library of Pico della Mirandola, New York 1936. Una copia del testimone vaticano è tradita nel ms. Milano, Ambr. I. 110 inf., ff. 109v-135. Pearl Kibre elenca, numerandoli, 1697 item, ma a Pico sono appartenuti i volumi dal n. 1 al n. 1132, mentre i restanti — come ha provato Aubrey Diller — elencano la raccolta libraria del veneziano Ermolao Barbaro (e del nonno di questi Francesco Barbaro): A. DILLER, The Library of Francesco and Ermolao Barbaro, in Italia medioevale e umanistica 6 (1963), pp. 253-262. 17 Per la figura di Questenberg si veda: D. GIONTA, Il Claudiano di Pomponio Leto, in Filologia umanistica. Per Gianvito Resta, a cura di V. FERA – G. FERRAÙ, Padova 1997, pp. 9871032, in part. pp. 1021-23 e EAD., Un Apuleio postillato da Giacomo Aurelio Questenberg, in I classici e l’Università umanistica. Atti del Convegno di Pavia, 22-24 novembre 2001, a cura di L. GARGAN e M. P. MUSSINI SACCHI, Messina 2006, pp. 261-304. 18 Un esempio della mano di Jakob Questenberg si trova anche in J. WARDROP, The script of Humanism. Some Aspects of Humanistic Script 1460-1560, Oxford 1963, p. 29 (dall’Ott. lat. 2989). Come evidenzia la riproduzione, Questenberg si avvale dello stesso segno di memoria di Pico, ovvero un frego coronato da tre puntini. Si distingue da quello di Pico perché più breve e per l’inclinatura a destra. 19 È datata 9 luglio 1489 la lettera di Pico (Nihil tota mihi fuit iucundius) ad Antonio Pizzamano (e Domenico Grimani) per la quale si veda ora GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA, Lettere, ed. critica a cura di F. BORGHESI, Firenze, 2018, pp. 144-145 n. 45 (da correggere il nome del destinatario indicato come ‘Pinzamanno’), tràdita nella prima parte del ms. Cappon. 235, alle pp. 36-37.
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OPERE DI ELIA DEL MEDIGO NELLA BIBLIOTECA DI PICO DELLA MIRANDOLA
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straordinaria biblioteca potesse andare perduta ne accelerò verosimilmente l’acquisto. Edito nel 189720, ma con lacune ed errori, l’inventario ora conservato a Modena, oltre a li nomi di tuti i libri (autore e/o titolo) precisa la lingua (quando diversa dal latino, ma non sempre), se l’esemplare è manoscritto o a stampa, se formato da fascicoli sciolti o privo di legatura; è indicata la materia scrittoria, talvolta sono offerti dettagli sulle dimensioni o sulla bellezza del manoscritto. Giovanni Pico e Elia del Medigo Dopo aver studiato a Bologna per un biennio (1477-79) e a Ferrara nel 1479-80, il 9 ottobre 1480, da Mirandola, in procinto di «andare a Padoa in studio», Pico si era rivolto a Federigo Gonzaga chiedendogli un mandato affinché «liberamente senza alcun impaccio possano passare dicte mie robbe»21. Il giovane ricevette le patenti ducali con il conferimento delle prerogative spettanti agli studenti dello Studium patavino il 16 dicembre 148022, ed è verosimile che l’incontro con Elia del Medigo sia avvenuto nell’inverno del 1480-81. A conferma di ciò il prologo della quaestio ‘De primo motore’ — databile tra il 1480 e il 1481 — dove Elia del Medigo ricorda di aver discusso, in hoc studio patavino, di filosofia con Girolamo Donato (1457-1511)23, ma non menziona Pico24. 20 F. CALORI CESIS, Giovanni Pico della Mirandola detto la Fenice degli Ingegni: cenni biografici con documentazione ed appendice, Mirandola 1897. 21 PICO DELLA MIRANDOLA, Lettere cit., pp. 160-161 n. 60. 22 DELLA TORRE, Storia dell’Accademia Platonica cit., p. 752. 23 Nobile veneziano, dotto in greco e latino, tradusse Alessandro d’Afrodisia. Fu amico, tra gli altri, oltre che di Pico, del Poliziano. Ebbe familiarità con Ermolao Barbaro e aiutò Lorenzo il Magnifico nella ricerca di alcuni manoscritti. 24 «Movit me insuper nobilitas magnifici et generosi doctoris dignissimi domini Hieronymi Donati filii magnifici et illustris militis patritii veneti domini Antonii qui olim in hoc studio patavino questionem hanc publice optime disseruit, cuius quidem mandato questiones has compilare volui»: IOHANNES DE JANDUNO, Quaestiones in libros Physicorum Aristotelis. Rev: Helias Cretensis. Add: HELIAS CRETENSIS, De primo motore (c. 147vB); Quaestio ‘Utrum mundus sit effectus’ (c. 159rA [160], in fine: «Finis huius opusculi factum est Venetiis in .1480. secundum numerum latinorum»); De esse et essentia (c. 162v); Annotationes (c. 164v). Venezia: Girolamo de’ Sanctis e Iohann Lucilius Santritter per Pietro Benzon e Piero di Piasi, 1488.XI.20 (ISTC ij00355000). Ho consultato l’esemplare Firenze, BNC, Magl. I.4.19 postillato, nella sezione contenente l’opera di Jandun, da più mani. Un esemplare digitalizzato può essere consultato online all’indirizzo: http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0005/ bsb00054286/images/. Pizzamano registrò nell’inventario di Pico un «Quinternus unus de primo motore ms.» che descrive la Quaestio ‘De primo motore’ di Elia del Medigo, inc. «Sicut habetur a philosopho 4° Ethicorum tractatu 2° qui de magnanimitate sermonem faciens». La quaestio, preceduta dalla rubrica «Philosophi acutissimi Helie hebrei cretensis De primo motore utrum immediate primum mobile moveat singularis quaestio hic non inutiliter subnectitur», si legge nell’edizione pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1488 in appendice
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A Padova Pico ebbe modo di ascoltare le lezioni di Nicoletto Vernia, ordinario di filosofia naturale già dal 146825, e iniziò ad acquistare copie dei commentari averroistici latini pubblicati in quegli anni26. Nel frattempo si rivolse ad Elia del Medigo per ottenere la traduzione di opere e commenti di Averroè non ancora disponibili in lingua latina. Su richiesta del Conte Elia del Medigo ha tradotto la Parafrasi della Repubblica di Platone27, il Compendio dei Meteorologica, estratti del Compendio del De Anima, il commento al De partibus animalium. La collaborazione tra i due era ormai consolidata tra il 1485 ed il 1486 quando del Medigo seguì Pico a Firenze e, per un breve periodo a Perugia28. A questi anni risalgono alcuni quesiti di Averroè sugli Analitici Primi, le Adnotationes super libros Physicorum (terminate nel luglio del 1485) e l’Expositio al De substantia orbis di Averroè. Dalle opere, dalle traduzioni e dalle discussioni avute con il Cretese dipenderanno in gran parte le Conclusiones secondo Averroè enunciate nel 148629. alle Quaestiones in libros physicorum Aristotelis di Jean de Jandun, alle cc. 148rb-159r[=160r]. Se questo testimone manoscritto è sopravvissuto, non mi risulta che sia stato ancora identificato. 25 E. P. MAHONEY, Giovanni Pico della Mirandola and Elia del Medigo, Nicoletto Vernia and Agostino Nifo, in Giovanni Pico della Mirandola. Convegno internazionale di studi nel cinquecentesimo anniversario della morte (1494-1994). Mirandola, 4-8 ottobre 1994, a cura di G. C. GARFAGNINI, Firenze, 1997, pp. 127-156. 26 F. E. CRANZ, Editions of the Latin Aristotle accompanied by the commentary of Averroes, in Philosophy and Humanism. Renaissance Essays in Honor of Paul Oskar Kristeller, ed. by E. P. MAHONEY, New York 1976, pp. 116-128. 27 Il testo — scoperto da Kristeller nel ms. Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, G.VII.32, ff. 158r-188v — è stato edito in AVERROÈ, Parafrasi della «Repubblica» nella traduzione latina di Elia del Medigo, a cura di A. CIVIELLO e P. E. FORNACIARI, Firenze 1992. Sulla traduzione si vedano inoltre P. E. FORNACIARI, Le chiose alla traduzione latina di Elia del Medigo alla Parafrasi della Repubblica di Platone di Averroè, in Bulletin de philosophie médiéval 36 (1994), pp. 56-62; A. MELAMED, Elia del Medigo and the Platonic Political Tradition in the Renaissance (ebr.), in Italia 11 (1994), pp. 57-76. 28 Lo ricorda nell’incipit della Quaestio ‘De esse et essentia’: «Cum essem Perusiis cum doctissimo comiti magnifico domino Ioanni mirandolano philosopho clarissimo multa de esse et essentia et uno diximus» edita in: IOHANNES DE JANDUNO, Quaestiones in libros Physicorum Aristotelis cit., c. 162vA. 29 Iohannes PICUS DE MIRANDULA, Conclusiones DCCCC publice disputandae. Roma: Eucharius Silber, 7.XII.1486 (ISTC io00639200). Consulto l’esemplare BAV, Stamp. Barb. BBB. III.11, disponibile in formato digitale https://digi.vatlib.it/view/Stamp.Barb.BBB.III.11. Sulle tesi si veda S. A. FARMER, Syncretism in the West: Pico’s 900 Theses (1486). The Evolution of Traditional Religious and Philosophical System. With Text, Translation, and Commentary, Tempe (Arizona) 1998. Secondo KIESZKOWSKI, Les rapports cit., p. 53: «Que Pic de la Mirandole dans la composition des ses Conclusions dépend entièrement des sources et des textes traduits et exposés pour lui par Elie del Medigo, cela résulte déjà clairement de le lettre». Su ciò si vd. inoltre S. FELLINA, Giovanni Pico della Mirandola e l’insegnamento averroistico di
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Marsilio Ficino in una lettera a Domenico Benivieni, datata intorno al 1485, scrive che l’abitazione fiorentina di Pico è frequentata oltre che da del Medigo, da Abraam ebreo e da Guglielmo siculo ovvero Flavio Mitridate, quest’ultimo incaricato di tradurre la sua biblioteca cabbalistica: Interfuisti et tu disputationibus, quae in aedibus Ioannis Pici Mirandulensis ante alios admirandi, saepe tractatae sunt atque tractantur, ubi Helias et Abraam hebrei medici atque peripatetici adversus Guilielmum Siculum disserunt30.
Oltre a questi dotti ebrei (Mitridate era un convertito31), intorno a Pico si muove un nutrito gruppo di scrivani, segretari e famuli che a vario titolo lo coadiuva ad allestire una delle più straordinare biblioteche della sua epoca. Le Annotationes seu quaestiones (Paris, BnF, lat. 6508, ff. 7v-66r) La lettera di Elia del Medigo conservata nel Paris, BnF, lat. 6508, ff. 7v66r scaturisce da precise richieste di Pico di chiarimenti su brani di commenti di Averroè: Vidi le difficultà che la V. S. dimanda, et è a me più difficile de leggiere le Vostre lettere benedette, che non è a dare le risposte. Tamen, infino a qui, parte di quelle so leggere, et molto son contento et allegro, aricordandomi le
Elia del Medigo: note su alcune fonti delle Conclusiones Nongentae (1486), in Schifanoia. Notizie dell’Istituto di studi rinascimentali di Ferrara 53/53 (2017), pp. 117-144. 30 MARSILII FICINI FLORENTINI insignis Philosophi Platonici, Medici, atque Theologi clarissimi […], Opera […], Basileae, ex officina Henricopetrina, 1576, p. 873 (disponibile all’indirizzo: https://www.e-rara.ch/bau_1/content/titleinfo/959121); rist. anast. MARSILIO FICINO, Opera Omnia, con una lettera introduttiva di P. O. Kristeller, I, Torino 1959 [19622]. 31 Su questo siciliano di Caltabellotta si vedano almeno: S. CAMPANINI, “Pici Mirandulensis bibliotheca cabbalistica latina”. Sulle traduzioni latine di opere cabbalistiche eseguite da Flavio Mitridate per Pico della Mirandola, in Materia giudaica 7 (2002), pp. 90-96; Guglielmo Raimondo Moncada alias Flavio Mitridate: un ebreo converso siciliano. Atti del Convegno Internazionale, Caltabellotta (Agrigento) 23-24 ottobre 2004, ed. M. PERANI, Palermo 2008 (Machina philosophorum, 13); G. BARTOLUCCI, Il “De christiana religione” di Marsilio Ficino e le “prime traduzioni” di Flavio Mitridate, in Rinascimento 46 (2006), pp. 345-355; Flavio Mitridate mediatore fra culture nel contesto dell’ebraismo siciliano del XV secolo. Atti del convegno internazionale di studi, Caltabellotta, 30 giugno – 1 luglio 2008, ed. a cura di M. PERANI – G. CORAZZOL, Palermo 2012 (Machina philosophorum, 35); Gersonide. Commento al “Cantico dei cantici” nella traduzione ebraico-latina di Flavio Mitridate: edizione e commento del ms. Vat. lat. 4473 (cc. 5r-54r), ed. M. ANDREATTA (Firenze 2009); G. BUSI, Toward a new Evaluation of Pico’s Kabbalistic Sources, in Rinascimento 48 (2009), pp. 165-183.
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speculationi (grande et difficile materia), che haviamo visto in Prioribus et in Posterioribus, et quasi in omnibus partibus scientie naturalis et divine32.
La scrittura di Pico è generalmente poco leggibile33, ma nelle esecuzioni più rapide diviene inintellegibile anche per un occhio esercitato quale poteva essere quello di Elia o dei suoi segretari e collaboratori34. Il Cretese al principio della lettera ricorda le ‘speculazioni’ tra i due, ovvero le discussioni sugli Analitici priori e posteriori «et quasi in omnibus partibus scientie naturalis et divine» e risponde alla richiesta di Pico di mettere in scritto tali discussioni: et tanto più che la memoria è labile, et non si può tenere a mente tutte le chose che si dice, maxime in queste difficil materie, et voglando vedere molte cose in poco tempo.
La prima parte della lettera termina con l’invio di un ‘dono’: Tamen adesso35 deliberato ho di fare uno [71v] dono alla V.S. circa alla Priora in la conversione propositionum, ubi dicitur quod necessaria et inventa, quando convertuntur, sunt eiusdem nature, scilicet, quod conversa necessarie 32
Cfr. LICATA, Una nuova edizione cit., p. 111, §1. Da f. 71r. Esempi della mano di Pico in: I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana, Codici Vaticani latini 3964, 3966 a cura di M. BERTÒLA, Città del Vaticano 1932, pp. 79-80 e tav. 65*; MERCATI, Codici latini cit., tav. II; GARIN, Pico cit., p. 32 [bis], 96 [bis]; S. GENTILE, Pico, Poliziano e l’umanesimo di fine Quattrocento (Biblioteca Medicea Laurenziana, 4 novembre – 31 dicembre 1994), catalogo a cura di P. VITI, Firenze 1994 (Studi Pichiani, 2), tav. 27 (dal ms. Firenze, BNC, Conv. Soppr. E. I. 2562), tav. 28 (dal ms. Firenze, BNC, II. III. 48) e tav. 29 (dal ms. Roma, Biblioteca Vallicelliana, F 20); Umanesimo e Padri della Chiesa. Manoscritti e Padri della Chiesa da Francesco Petrarca al primo Cinquecento. Biblioteca Medicea Laurenziana 5 febbraio – 9 agosto 1997, a cura di S. GENTILE, Roma, 1997, pp. 369370 n° 103 (ma non appartengono alla mano di Pico né la postilla, né i segni presenti nel ms. Firenze, Bibl. Laur., Fies. 53 descritto al n° 104); J. HANKINS, The Study of the «Timaeus» in Early Renaissance Italy, in Natural Particulars. Nature and the Disciplines in Renaissance Europe, ed. by A. GRAFTON, N. SIRAISI, Cambridge (Mass.), London 1999, pp. 77-119: 94-99; L. MEROLLA, Il codice 32 di San Michele di Murano già di Pico della Mirandola e di Domenico Grimani, in Nuovi annali della scuola speciale per archivisti e bibliotecari 13 (1999), pp. 4158; S. TOUSSAINT, Pic, Hiéroclès et Pythagore. La conclusion cabbalistique 56 selon l’opinion personnelle de Pic de la Mirandole, in Accademia 16 (2014), pp. 111-120; G. MURANO, Il manoscritto della ‘Destructio destructionum’ di Averroè appartenuto a Giovanni Pico della Mirandola (ms. Napoli, Biblioteca Nazionale, VIII E 31), in Bulletin de philosophie médiévale 60 (2018), pp. 67-80. 34 In considerazione di ciò, l’aggettivo benedette, come chiarisce anche il resto della frase, è evidentemente antifrastico, come già sottolineato da LICATA, Una nuova edizione cit., p. 126. 35 L’ultima riga di f. 71r è stata trascritta nell’estremo margine inferiore che ha subito danni a causa dell’usura. A adesso segue una parola (letta dagli editori come clare) che tuttavia è stata espunta. 33
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est necessaria, et invente inventa, ubi Avicenna arguit contra Ari. Et Aver fecit questionem in hoc defendendo Arilem, quam quaestionem iam habetis, et bene eam intellexistis, quando fui Florentie36.
Nell’inventario modenese sono registrate le «Annotationes seu Questiones hulie ms. in pap. n. 26937» e la prima parte dell’item è presente anche nell’inventario vaticano «Annotationes seu quaestiones» ma senza l’indicazione della segnatura38. Il manoscritto cartaceo descritto in entrambi gli inventari è il Paris, BnF, lat. 6508, contenente, oltre a due lettere, la prima, già ricordata, indirizzata a Pico, ed una seconda a Domenico Grimani, le Annotationes seu quaestiones di Elia del Medigo, oltre ad altro materiale39. Per definire la tipologia del testo, che leggiamo in appendice all’edizione veneziana del 1488 delle Quaestiones in libros Physicorum Aristotelis di Jean de Jandun40, Elia adopera il termine recollectae: Io aggiunto certe cose nelle recollette della Physica, et qualche cosa in De substantia orbis41 (f. 73v).
Il termine appartiene al lessico universitario e indica appunti presi nel corso di lezioni. Caratteristica precipua delle recollectae è quella di essere materiale raccolto da uno o più uditori e di non provenire direttamente dalla penna dell’autore. Piuttosto che durante corsi ufficiali — di cui non rimane traccia nella documentazione42 — il testo tràdito nel codice sembra derivare dalle discussioni che avevano avuto luogo nell’abitazione di Pico e alle quali erano presenti anche scriptores al suo servizio. Nel Parigino all’ultimo paragrafo delle Annotationes «In commento 83° ubi dicit Et etiam mutat se ab eo quod movet illam secundum finem .i. ab appetibili et vide commentum 17m», segue: 36
Cfr. LICATA, Una nuova edizione cit., p. 112, §3. CALORI-CESIS, Giovanni Pico cit., p. 57, ma la lettura delle ultime due cifre è incerta. 38 KIBRE, The Library cit., n. 1041. 39 Le Annotationes al Commento grande di Averroè alla Fisica sono tràdite ai ff. 7v-66r. È in preparazione da parte di Giovanni Licata e di chi scrive uno studio interamente dedicato al Paris, BnF, lat. 6508. 40 IOHANNES DE JANDUNO, Quaestiones cit., cc. 164vA-185rB. 41 LICATA, Una nuova edizione cit., p. 116, §8. 42 Secondo LICATA, La via della ragione cit., p. 59: «Elia del Medigo dovette avere un qualche ruolo presso l’università di Padova» ma, come ricorda lo stesso studioso, nella documentazione non vi è alcun cenno del cretese (p. 60). Concordo con la conclusione di Licata che «più verosimile è supporre che il filosofo candiota, non potendo ottenere una cattedra pubblica di insegnamento a causa della giurisdizione del tempo, abbia impartito lezioni senza riconoscimento ufficiale e in forma privata, parallelamente ai corsi ordinari per gli studenti cristiani immatricolati all’Università» (ivi, p. 60). 37
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Hec sunt visa mihia, ad presens congregare secundum quod occurrit mihi. Hec tamen dicta presupponunt dicta aliquorum. Et forte sunt obscura et brevia. Intellectui tamen tuo lucida et amplab. Quare ex te hec et similia invenire potes et illa que allias (!) notavi circa hancc phycam miramd (f. 66r). a
add. Heliae cretensi giunta da altra mano
b
ampa ante corr.
c
hanc add. in interlinea
d
et illa – miram ag-
Nell’edizione a stampa (c. 185rB), invece, compare la subscriptio «Hoc opusculum annotationum et c. finitum fuit anno latinorum 1485 in fine Iulii Florentiae»; assente nel Parigino, probabilmente deriva dal testimone utilizzato in tipografia che non pare sopravvissuto. La mano principale che nel Paris, BnF, lat. 6508 trascrive il testo delle recollectae sulla Fisica di Averroè (passate alla stampa con il titolo di Annotationes) è la stessa che copia insieme a Pico il primo fascicolo del ms. Vat. lat. 4552. Le Quaestiones in librum Priorum Aristotelis (Vat. lat. 4552) Al tempo della lettera del Medigo aveva già tradotto alcune Quaestiones in librum Priorum Aristotelis di Averroè e Pico ne possedeva una copia. La traduzione latina basata sulla traduzione ebraica di Shemuel ben Jehuda di Marsiglia è tràdita nel ms. Vat. lat. 4552, approntato nel luglio del 1485 a Firenze, come precisa l’inscriptio premessa all’incipit della prima quaestio: «Quaestio Averois in librum priorum traducta per Heliam hebreum die XV Iulii 1485 Florentiae». Il manoscritto è registrato nei due inventari della biblioteca di Pico, senza tuttavia recare indicazione del nome di Elia: Questiones Averois (KIBRE n. 1019) Questiones Averois ms. in pap. (CALORI CESIS, p. 45)
Per l’assenza della segnatura è probabile che sia stato trovato nelle capsae ancora sfascicolato43. Sul manoscritto è intervenuto Pico, sia nella fase di trascrizione, sia, in seguito, lungo i margini, in particolare nel primo fascicolo. (ff. 1r-6v, lin. 5) Rubr. Quaestio Averois in librum priorum traducta per Heliam hebreum die xv Julii 1485 Florentiae. Inc. Intentio in hoc sermone est investigare de propositione quae vocatur inventa in actu et abta que propositio sit illa, et quid opinio Arilis de hoc. Nam expositores diversificati sunt 43
Cart., ff. V+IV, 30 (num. ant. 1-27, bianchi gli ultimi 3 ff.), V’; 300 × 218 = 28 [210] 62 × 52 [110] 56; fasc. I-III10. Sul ms. MERCATI, Codici latini cit., pp. 35-36; KRISTELLER, Giovanni Pico cit., p. 120; BARTÒLA, Eliyhau del Medigo cit., pp. 267-270.
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de hoc; expl. et similiter proponis universalis polis et ex ho puto quod accidit error huic (hnic ed.) homini et deus scit.
Le Quaestiones in Analytica Priora Aristotelis tradotte da Elia del Medigo sono state stampate nel 1497 da Aldo Manuzio in appendice alle Epiphyllides in dialecticis di Lorenzo Maioli44. Il Vat. lat. 4552 non presenta tracce di un possibile uso in tipografia ma è probabile che ne sia stata approntata una copia (prima del 1494?) poi utilizzata da Manuzio45. A f. 1r, lin. 6, ad esempio, di seguito a una earum est opinio Herminii et Themistii Pico aggiunge in margine & Theophrasti e questa integrazione è confluita nell’edizione. Come noto tra il 1495 ed il 1498 Manuzio pubblica la monumentale edizione dell’Aristotele greco in cinque volumi e nella lettera di dedica ad Alberto Pio, signore di Carpi, di cui Manuzio era stato precettore nei primi anni Ottanta46, il genovese Lorenzo Maioli è ricordato tra i collaboratori47. Nella prima quaestio (ff. 1r-6v, lin. 5) il copista interrompe la trascrizione a f. 3v, dopo tre righe di testo (Tav. II). secundum plurimum et inventae secundum paucum transducuntura seb mutantur a polic. Sed inventa secundum plurimum traduciturd ab illa que 44 Laurentius MAIOLUS, Epiphyllides in dialecticis (cc. aii-g[ix]). — De conversione propositionum cuiuscumque generis secundum peripatericos (cc. aii-i[viii]). AVERROES, Quaestiones in Analytica Priora Aristotelis, trad. lat. di Elias Cretensis Hebraeus (cc. a-D[vii]). Venezia: Aldus Manutius, 1497.VII (ISTC im00083000; esemplare consultato: BAV, Inc. IV.197 (1-2) (rilegato insieme a De gradibus medicinarum). Un esemplare digitalizzato si può consultare al seguente indirizzo: http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0003/bsb00030781/images/. La quaestio si legge alle cc. a[i]r-Aiiiiv = cc. 123r-126v dell’esemplare consultato. Sull’edizione vd. CRANZ, Editions cit., p. 121. 45 Dei rapporti intercorsi tra Pico e Manuzio rimane la lettera dell’11 febbraio 1490 [1491 s.c.] che accompagnava l’invio da parte di Pico di un volume di Omero, cfr. PICO DELLA MIRANDOLA, Lettere cit., p. 111 n. 6. 46 Alberto Pio era figlio di Caterina, sorella di Giovanni Pico. Importanti precisazioni su questi anni di Manuzio in S. PAGLIAROLI, Gli anni bui di Aldo Manuzio, in Archivum mentis 6 (2017), pp. 121-153, in part. pp. 130-131. 47 «Id ita sit necne, sunt mihi gravissimi testes in tota fere Italia, et praecipue Venetiis Thomas Anglicus homo et Graece et Latine peritissimus, praecellens in doctrinarum omnium disciplinis, et Gabriel meus, Brassicellae natus, vir impense doctus ac rei litterariae censor acerrimus, alterque Quintilius; Iustinus etiam Corcyraeus miro ingenio adolescens, Graeceque saneque eruditus; Ferrariae vero Nicolaus Leonicenus et Laurentius Maiolus Genuensis, quorum alter philosophorum aetatis nostrae medicorumque omnium facile princeps, librorum Aristotelis quos ipse haberet mihi copiam humanissime fecit, alter praestanti vir ingenio et maturo iudicio, ac omnibus bonis artibus praeditus, omnes prope Aristotelis libros summa cura summoque studio contulit cum libris Leoniceni nostri meo rogatu»: Aldo Manuzio editore: dediche, prefazioni, note ai testi. Introduzione di C. Dionisotti, testo latino con traduzione e note a cura di G. ORLANDI, Milano 1975, I, pp. 14-17 (traduzione italiana e note: vol. II, pp. 205-207, 323-424). Per la storia dell’edizione ed i collaboratori vd. M. SICHERL, Handschrifliche Vorlagen der «Editio princeps» des Aristoteles, Mainz 1976.
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est polise in maiori parte temporisf. [ed. aiiir, ll. 22-24] a transducuntur] traducuntur ed. b a se segue una correzione e una parola cancellata c poli omesso il segno abbreviativo d traducitur] tra(n)scutitur ante corr., il segno abbreviativo superfluo è rimasto e poli omesso il segno abbreviativo f a temporis segue una parola cancellata e Alexer espunto.
Gli errori, i segni abbreviativi superflui, le cancellature testimoniano la stanchezza del copista ed è a motivo di ciò che Pico interviene direttamente nella trascrizione, riprendendo laddove l’altro si è interrotto: hoc ergo vel fuit occultum Alexandro, vel fuit occultum hoc hominibus48 ex sermone Alexandri. Et erraverunt in hoc et putaverunt quod ipse voluit hanc invectam secundum paucum…
Pico prosegue la copia fino a f. 5r, lin. 9: Et tertius quod sit preditum inventum in subiecto de necessitate dum subiectum est appropriatum per ipsum sicut dicendo omnis color albus est color de necessitate
La trascrizione di queste ultime linee di testo non è esente da errori: a dum infatti segue pre|dicatum atribuitur, le due parole sono state espunte e sostituite con S(u)biectum (S maiuscola, il resto della parola è di lettura molto incerta). Pico interrompe così la copia e a partire da lin. 10 cede nuovamente la penna allo scriba: dum continuatur subiectum quod hoc attribuatur ei. Quartus quod sit etc. etc.
che prosegue la trascrizione fino al termine della prima quaestio, a f. 6v, lin. 5. Qui Pico riprende in mano la penna ed inizia a trascrivere la seconda quaestio: Quaestio Averrois de conversione proponum49. Avicenna dubitat contra sapientem cum dixit quod particularis…
Copia il testo fino a f. 8v, lin. 15 quando interviene nuovamente il primo 48
Da notare l’identica abbreviazione nel manoscritto e nell’edizione a stampa: ho(min)i-
bus. 49 Il 5 maggio 1485 Ermolao Barbaro invia una lettera a Elia del Medigo (Ex litteris tuis, quae mihi profecto gratissimae fuerunt) nella quale discute dell’opuscolo, cfr. ERMOLAO BARBARO, Epistolae, Orationes et Carmina, ed. critica a cura di V. BRANCA, Firenze 1943 (Nuova Collezione di testi umanistici inediti e rari, 5), I, pp. 87-90; II, pp. 144-145.
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copista da Alpharabius autem respondet de hoc (ed. 127v, lin. 1) e giunge a f. 10r, lin. 8: loqui autem de illo quod iam completum est, est superfluum. In un momento successivo e senza rispettare la prevista mise en page, Pico aggiunge una integrazione trasmessagli da Elia del Medigo nella già menzionata lettera conservata nel Paris, BnF, lat. 6508: Nunc volo, quod Dominatio vestra addat in fine illius quaestionis hec verba: Inquit Helias: Quamvis haec responsio bona sit et valde subtilis…
Questa l’integrazione di mano di Pico (Tav. III): Inquit Helias: Quamvis haec responsio bona sit et valde subtilis, tamen credo quod responsio vera in hoc sita, quodb propositionem necessariamc intelligit Aristoteles propositionem cuius termini sunt necessarii, .s. subiectum et predicatum inter quos teros est hado necessaria, vel unus necessario remotur ab alio. Et per inventam cuius termini vel terminus est inventus, .s. de natura possibili, que iam exivit in actu secundum doctrinam Averois in questionibus de mixtione de speciebus inventarumd. Intelldo autem sic dictum Aristotelis, manifestum est quod si una est necessaria etiam sua conversa est necessaria, et si una est inventa, etiam sua conversa est inventa. Et huic multum bene est applicabilis probatio universalis quam facit Aristoteles, in hoc secundum doctrinam Comis, et per hoc cessant omnes Cavillationes Avicennae. Sicut enim haec est inventa ‘Aliquis homo scribit’, ita haec est inventa ‘aliquis scribens est homo’. Nam lye ‘scribens’ quamvis contineat in se terminum seu rem necessariam, tamen principaliter dicit actualiter scribere et ief est terus inventus seu significans naturam inventam. [ed. c. 128v] a in hoc vera sit Paris b quod per Paris c in ed. segue in hoc transduxi e li Paris, ed. f ie MS, iste Paris, ideo ed.
d
in Paris segue quam vobis
Ai ff. 11r-27r del Vat. lat. 4552 sono state copiate altre quaestiones da un diverso copista, sul quale torneremo tra breve. (ff. 11r-27r) . Inc. Intentio in hoc sermone est investigare quid esta dici de omni quod diffinivitb Aristoteles in principio sui libri priorum, et posuit ipsum fundamentum pro quodc cognoscitur sermo concludens a non concludente; expl. [f. 27r, lin. 25] quia negativa in ipso non convertitur semper, igitur non est sylogismus. a quid est agg. nel margine sup. su corr. di .i. [id est?] interlinea.
b
definivit ed.
c
pro quod agg. in
Non compare alcuna rubrica iniziale e in fine è annotato:
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Has nobilissimas questiones divini Averois in librum Priorum, ego Helias Cretensis hebreus de hebraico in latino transduxi Domino Iohanni Pico Mirandulano dignissimo comiti […]50.
Il testo è stato oggetto di diversi interventi correttori e integrativi e l’edizione a stampa non segue il manoscritto51. La mano di Elia del Medigo e gli scriptores di Giovanni Pico I ff. 1r-3v, lin. 3 del Vat. lat. 4552 sono in una umanistica corsiva dal tratto sottile, inclinata a destra, ariosa e con aste molto sviluppate. Da notare l’impiego della d diritta, del nesso carolino & per et, ma anche la nota tachigrafica 7, di r diritta, di s in fine parola sia diritta, sia tonda; q e f terminanti con una leggera incurvatura o con un puntino piuttosto marcato, h in un solo tempo con tratto finale che oltrepassa di poco il rigo di scrittura; e terminante con un trattino di stacco piuttosto prolungato; i sempre individuata tramite l’impiego di un puntino. Nel sistema delle maiuscole la A è formata da un occhiello piuttosto piccolo sormontato da una lunga asta trasversale. Sebbene di esecuzione più rapida e di modulo più ampio è da escludere che la mano che trascrive i ff. 5r, lin. 10 – 6v lin. 5 appartenga ad un diverso copista52: il tratteggio, infatti, è sostanzialmente lo stesso della mano che esegue i ff. 1r-3v, lin. 3. In breve si tratta di una mano professionale, bene esercitata a scrivere in lingua latina. A parere di Giovanni Mercati: «Il ms. è di certo l’originale. Le prime carte (ff. 1-3v, lin. 3; 5r, lin.10-6v, lin. 5; 8v, l. 15-10r, lin. 8) sono in scrittura più bella e larga, del tipo stesso del poscritto alla dedica del Vat. lat. 4550, ma il resto (ff. 11-27r) è in scrittura fitta e corrente, con molte correzioni evidentemente di autore»53. Mercati non indica se le due scritture appartengono alla stessa mano ma nella tavola allegata (Tav. IV), sotto l’indicazione «Autografi di Elia del Medigo», è stato riprodotto al n. 1 un excerptum del f. 6r del Vat. lat. 4552 e al n. 2 un excerptum dal Vat. lat. 4553, f. 3v (De substantia orbis): due mani evidentemente diverse. Bartòla non ha riscontrato alcuna differenza tra le mani che hanno trascritto il Vat. lat. 4552, attribuendo a Elia del Medigo tutte le sezioni non 50 Per la subscriptio completa si vd. l’ed. D[viii]v (= c. 152 dell’ed. cons.) e BARTÒLA, Eliyhau del Medigo cit., p. 268 (dal Vat. lat. 4552). 51 BARTÒLA, Eliyhau del Medigo cit., p. 269 ha proposto una concordanza tra il codice e le pagine della seguente edizione giuntina: Egidius super Priora […], Venetiis, Giunta, 1522 dove sono state pubblicate le Quaestiones in librum Priorum tradotte da Elia del Medigo. 52 Così A. TURA, Un incunabolo Grimani e due codici pichensi nella Bibliothèque Nationale di Parigi, in La Bibliofilia 94 (1997), p. 188. 53 MERCATI, Codici latini cit., p. 35.
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copiate da Pico54. Analizzando le riproduzioni fotografiche che corredano lo studio di Giovanni Mercati, Adolfo Tura ha attribuito la mano riprodotta nella tav. IV, 1, ovvero dal Vat. lat. 4552, f. 6r ad un «copista domestico» di Pico, mentre ha considerato autografa di del Medigo la mano riprodotta dal ms. Vat. lat. 455355. Sebastiano Gentile confrontando le tavv. II, 2 (tratta dall’Ott. lat. 607, f. 50v56) e IV, 1 del volume di Giovanni Mercati ha ritenuto di identificare la mano di Elia del Medigo nel ms. Vat. lat. 4530, anch’esso appartenuto a Pico e registrato nei due inventari della sua biblioteca57. Lungo i margini del Vat. lat. 4530, codex unicus della traduzione ficiniana di Teone di Smirne (ff. 119r-151r), e testimone della traduzione dei Iamblici Calcidei libri de Pytagorica secta (ff. 3r-118v)58 sono intervenuti Pico, Pierleone da Spoleto59 e lo stesso copista del testo. In corrispondenza delle parti omesse da Ficino il copista ha lasciato spazi bianchi più o meno ampi60 e dalla variazione del modulo di scrittura e del colore dell’inchiostro 54
A parere di BARTÒLA, Eliyhau del Medigo cit., p. 267 la suddivisione del lavoro di trascrizione attestata nel manoscritto sarebbe la seguente: «ff. 1r-3v (fino alla linea 3): mano di Elia con note marginali di Pico; ff. 3v-5r (fino alla linea 9): mano di Pico con note marginali dello stesso; ff. 5r-6v (fino alla linea 5): mano di Elia con note marginali di Pico; ff. 6v-8v (fino alla linea 15) mano di Pico con note marginali dello stesso anche in inchiostro rosso; ff. 8v-10r (fino alla linea 8) mano di Elia con una nota di Pico al f. 9r; f. 10r (a partire dalla linea 8): aggiunta di Pico al testo di Elia; 11r-27r: mano di Eliyhau con lunghe note e postille di Pico». 55 TURA, Un incunabolo Grimani cit., p. 188. 56 Appositamente realizzato per Pico con margini amplissimi destinati ad accogliere i suoi commenti e le sue correzioni, corrisponde all’item «P. Iob secundum translationem Mitridatis. n. 46 [capsa] 1» (KIBRE n. 434). Sul ms. C. WIRSZUSKI, Giovanni Pico’s Book of Job, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 32 (1969), pp. 171-199. 57 «Iamblicus et Theon. n. 956 [capsa] 10» (KIBRE n. 844) e «Iambrici Calcidei de Pythagorica secta ms. in pap. n. 956» (CALORI CESIS, p. 58). Sul ms. Vat. lat. 4530 vd. S. GENTILE, Sulle prime traduzioni dal greco di Marsilio Ficino, in Rinascimento, II s., 40 (1990), pp. 57104, a p. 73 con una riproduzione di f. 3r a p. 83. Vd. anche BACCHELLI, Giovanni Pico e Pier Leone da Spoleto cit., p. 3 nt. 10. 58 La traduzione dei Iamblici Calcidei libri de Pytagorica secta è testimoniata anche nel Vat. lat. 5953, copiato in cancelleresca all’antica da Luca Fabiani, uno dei copisti di Marsilio Ficino. Il ms. è appartenuto a Pierleone da Spoleto che ha annotato un indice del contenuto nel verso di f. I. Sul recto dello stesso f. si legge: «Emptus ex libris ill.mi D. Lelii Ruini episcopi Balneoregiens. an. 1623». Postille, schemi e segni di memoria di mano di Pierleone compaiono ai ff. 6rb, 6va, 7rb-vb, 8rb-va, 9rb-vb, 10r, etc. Il medico inoltre ha corretto le partizioni del testo aggiungendo il segno di paragrafo e richiamandolo in margine con una doppia barra obliqua (cfr. f. 11r). Per una descrizione del ms. vd. MARSILIO FICINO, Lettere. I. Epistolarum familiarium liber I, a cura di S. GENTILE, Firenze 1990, pp. LXXVIII-LXXIX. 59 Per la presenza della mano di Pierleone RUYSSCHAERT, Nouvelles recherches cit., p. 53 ha ritenuto che il manoscritto provenisse dalla biblioteca di quest’ultimo. 60 Cf. a f. 5r circa metà pagina, a f. 5v uno spazio corrispondente ad almeno sei/sette righe di testo; due spazi eguamente ampi sono presenti a f. 6r; etc. La traduzione del cap. XXI
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alcuni brani risultano essere stati aggiunti in un secondo tempo (cfr. f. 37v, lin. 7-9, f. 38r, lin. 16-18, f. 56r con due lemmi in greco nel margine). Mentre Pico e Pierleone si sono limitati a brevi note o ad apporre qualche segno di memoria61, al copista appartengono ampie annotazioni marginali che spiegano alcuni simboli pitagorici, già edite da Kristeller62. Nel testo sono presenti lemmi in greco63 che diventano veri e propri brani con il procedere dell’opera (cfr. f. 94r) (Tav. IV). Appartengono alla mano del copista che ha trascritto il testo latino e l’assenza di variazioni nel colore dell’inchiostro ne testimonia il perfetto digrafismo. La traduzione del De Pythagorica secta è, secondo Sebastiano Gentile, anteriore all’agosto del 146464, ma la copia del Vat. lat. 4530 risale agli anni Ottanta, ovvero dopo che ha avuto inizio la frequentazione tra Pico e Ficino. Come si spiega la trascrizione di una traduzione non finita di un testo greco, interrotta da almeno un ventennio, da parte di un medico e filosofo ebreo? Una spiegazione plausibile è che la mano non sia quella di Elia del Medigo e che Pico abbia affidato la trascrizione del volume ad un suo copista di fiducia, che ben conosceva il greco e che era in grado di intervenire in modo critico sul testo. Colette Sirat in un suo recente contributo ha attribuito a Elia del Medigo le note in una scrittura «raide et maladroite» attestata in alcune integrazioni marginali del Paris, BnF, lat. 650865. Inelegante e destrutturata, questa mano esegue al tratto un alfabeto della scrittura umanistica. La s è diritta, eseguita in due tempi, di grande modulo, non oltrepassa la linea di scrittura; la L maiuscola con funzione di minuscola è adoperata anche all’interno delle parole; la r è diritta, la i non sempre è contrassegnata con era stata appena abbozzata da Ficino come attestano i ff. 41v-42v nei quali gli spazi bianchi superano quelli delle sezioni scritte. 61 Alla mano di Pico si devono poche annotazioni ai ff. 3ra, 3va, 8va. La lettura di Pierleone, invece, ha lasciato tracce maggiori, ai ff. 9rb (frego con tre puntini e barra verticale), 12va, 13va, 14r, 15r, 15va, 17vb (frego con tre puntini e barra verticale); 19rb (frego con tre puntini e barra verticale); 19vb; 38va, 40va, etc. Piuttosto ampia la postilla a f. 49v (Genera ipsorum absoluta…) nel terzo libro di Giamblico; appartengono alla mano del medico spoletino anche gli schemi tracciati a f. 61v. A f. 73rb ha adoperato ben tre diversi segni di memoria (barra, frego con tre puntini e Noa) per sottolineare un passaggio particolarmente rilevante: Purificatio enim est immortalis anime. Pico e Pierleone non sono invece intervenuti sulla traduzione di Teone che presenta schemi, diagrammi e postille di mano del copista. 62 P. O. KRISTELLER, Supplementum Ficinianum. Volumen alterum, Firenze 1937, pp. 98-100. 63 Cf. f. 78v, nel titolo, f. 79r, nel margine, per segnalare una variante, f. 80r etc. 64 GENTILE, Sulle prime traduzioni cit., p. 76. 65 C. SIRAT, Elie del Medigo averroiste envers et contre tous, in Portraits de maîtres offerts à Olga Weijers, ed. par C. ANGOTTI, M. BRÎNZEI, M. TEEUWEN, Porto 2012 (Textes et études du moyen âge, 65), pp. 127-140, a p. 139 fig. 1 dal Paris, BnF, lat. 6508, f. 56v e fig. 2, da f. 59r.
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un puntino. Dietro le scritture elementari si celano realtà grafiche molto diverse; un livello di competenza molto basso è, in genere, l’espressione di un primo stadio dell’apprendimento della scrittura, ma si riscontra anche in uomini e donne dotati di una buona cultura. Un livello grafico elementare può anche indicare un apprendimento tardivo, avvenuto in età adulta. La mano individuata da Colette Sirat appartiene a questa categoria di scriventi. Alcuni interventi sono preceduti da segni di integrazione, ma non di rado questa mano interviene di seguito al copista, nello specchio di scrittura, per poi proseguire nel margine (a f. 28v, ad esempio). Non siamo in presenza di postille ma di vere e proprie aggiunte testuali, additiones, e come tali sono state intese dal primo editore dell’opera, pubblicata ancora vivente l’autore e certamente sotto la sua supervisione. Il primo intervento ascrivibile a questa mano si legge nel margine superiore di f. 8r, ovvero al principio dell’opera. Ne offro di seguito una trascrizione diplomatica66 per meglio illustrarne le abitudini grafiche, e a lato lo stesso testo edito nel 1488: Annotationes quedam Helie cretensis in librum de phisico auditu super quibusdam dictis commentatoris et aliis rebus ad declarationem et confirmationem demonstrationum Aristotelis et commentatoris in eodem libro. Cu(m) volu(er)it comes iluris dominus Ioannes de laa Mirla h(abe)re | aliqua quaeb circa libru(m) Phirum mihi a
parent hoc | nulo m(od)o neguarec potui. Ip(s)e enim vere e(st) virtuosisimusd, | naturalit(er) dispositus ad recte phylosopha(n)du(m) ymoe iam | dig(ni)simus existit phys et hocf fuit causa ut aliquid | de eisg scribere. Qua(m)vis eni(m) pauca brevia et forte obscura | sint ip(s)e suo clarisimo i(n)teltu hec et obscuriora | inteligit. Sih quis eni(m) ex se inteligere p(otes)t ymoi i(n)venire | aliorum dicta facilime
um voluerit comes illustris dominus Ioannes de la Mirandula habere aliqua que circa librum Phisicorum mihi apparent hoc nullo modo negare potui. Ipse enim vere est virtuosissimus, naturaliter dispositus ad recte phylosophandum imo iam dignissimus existit phs et hec fuit causa ut aliquid de eis scribere. Quamvis enim pauca brevia et forte obscura sint ipse suo clarissimo intellectu hec et obscuriora intelligit. Si quis enim ex se intelligere potest imo invenire aliorum dicta facillime
66
Nella trascrizione che segue le lettere o le parole omesse nel manoscritto sono inserite tra uncinate < >; le abbreviature sono sciolte tra parentesi tonde ( ). Gli errori non sono stati corretti.
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cog(no)scit. Et i(de)o ego Helias ebreus | cretensis volui hec agreguarel, hec t(ame)n quide(m) no(n) su(n)t | bona n(isi) sibi et eis qui ei asimila(n)tur qui pauci su(n)t.| P(re)sup
onu(n)tm t(ame)n multa dicta modernorum que t(ame)n o(mn)ia clara | ei sunt.
cognoscit. Et ideo ego Helias ebreus cretensis volui hec aggregare, hec tamen quidem non sunt bona nisi sibi et eis qui ei assimilantur qui pauci sunt. Presupponendo tamen multa dicta modernorum que tamen omnia clara sunt ei. Que omnia debent ordinate videri aliter erit quedam confusio, in istis tamen omnibus loquor ut phs non aliter, via tamen legis que firmior est, et alia et c.
a la mirla aggiunto in interlinea b leg. que c leg. negare d virtuosimus ante corr, si aggiunto (da altra mano?) in interlinea e leg. imo f hec ed. g deis ante corr. h i aggiunta (da altra mano?) i leg. imo l leg. aggregare m Presupponendo ed.
L’edizione delle Annotationes, stampate nel 1488 in appendice alle Quaestiones in libros Physicorum Aristotelis di Jean de Jandun, non deriva direttamente dal Parigino ma da un testimone intermedio contenente una versione aggiornata, ampliata e — soprattutto — corretta. Mentre le additiones nel manoscritto rivelano una scarsa dimestichezza con l’ortografia latina, nell’edizione il testo risulta essere stato sottoposto ad una accurata revisione. Dalla mancata percezione dell’intensità delle consonanti è scaturito l’errore più frequente, quello relativo alle geminate: ilustris per illustris, aparent per apparent, inteligit per intelligit, etc. È imputabile ad una errata percezione anche agreguare per aggregare e neguare per negare. La scrittura non è riconducibile ad un copista di professione, ma l’impiego particolarmente esteso dei segni abbreviativi (non sempre pertinenti) indica che nonostante gli errori non siamo in presenza di un illetterato. Le incertezze grammaticali svelano tuttavia che lo scrivente aveva scarsa dimestichezza con la lingua latina. Gli errori ortografici e, dal punto di vista paleografico, l’utilizzo della L maiuscola con funzione di minuscola anche all’interno delle parole, lo collocano in area veneta. Elia del Medigo era un ebreo nato e formatosi a Creta, giunto solo in età adulta a Venezia67. Oltre all’ebraico (utilizzato per lo scritto), conosceva il 67 Tra quanti si sono occupati della figura e dell’opera di del Medigo oltre al già menzionato LICATA, La via della ragione cit., ricordo: P. RAGNISCO, Documenti inediti e rari intorno alla vita e agli scritti di Nicoletto Vernia e di Elia del Medigo, in Atti e Memorie della R. Accademia di Scienze Lettere ed Arti in Padova n.s., 7 (1891), pp. 275-302; U. CASSUTO, Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, Firenze 1918, pp. 282-299; D. GEFFEN, Insights into the Life and Thought of Elija Medigo Based on his Published and Unpublished Works, in Proceedings
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veneziano che adoperava per la comunicazione quotidiana come evidenzia anche la lettera. Considerata l’endemica ostilità con la popolazione di lingua greca, è poco probabile che conoscesse la loro lingua ad un livello di competenza tale da poter trascrivere interi codici. Verosimilmente apprese se non a leggere, sicuramente a scrivere in latino solo in età adulta, con difficoltà, considerato che al momento della stesura della lettera risiedeva in Italia da oltre cinque anni. Di questo limite (certo non piccolo per un traduttore) del Medigo era perfettamente consapevole come attesta il prologo della Summa Averrois in libro Metheororum: Quamquam hoc opus difficile atque indignum mihi esse reputo, dignius enim aliquid est ex dictis philosophorum, et si sit parum declarare vel intelligere quam de una lingua in aliam libros transferre. Difficile autem propter paucam exercitationem in latina lingua68 et maxime in hoc libro Metheororum ubi de multis et variis rebus tractatur, quarum terminos proprios non habeo69, et precipue cum nomina que inveniuntur in hebraica lingua circa ea que pertinent ad mathematicos sint multum equivoca et per translationem posita...70.
Nessuna fonte, inoltre, ne ricorda l’attività di scriba e, soprattutto, nella lettera oltre a menzionare il ‘prete’ a cui intende far riscrivere alcune chiose, si scusa dicendo Io no poti scriver tanto per caxon de la scabie che ò eredità de la V. S.71 Il nome del copista delle Adnotationes è ricordato da Elia del Medigo nella lettera a Pico: Item in libro 7° in declaratione comenti 20, ubi dico: sed querita hic quare tacuit etc. In fine sui sermonis de his dicit: et forte etc., idest et videtur quod similis sit dispositio in potentiis naturalibus, s quod ipse sequntur complexiones, et complexiones sequntur transmutationem passibilem, ita quod in eis et alteratio; ideo in potentiis non est motus. Ita est corrigendus liber, quia male scripsi Thomas, ut in multis. Immo etiam in VI libro in comento 7 in fine quasi verborum meorum, ubi debebat facere: et sic in nulla parte magnitudinis, fecit: in una (f. 74r)72. a
queritur ed.
of the American Academy for Jewish Research, 41/42 (1973-74), pp. 69-86; A. BARTÒLA, Delmedigo, Elia, in DBI, 38 Roma 1990, pp. 117-121; M. ENGEL, Elijah del Medigo and Paduan Aristotelianism. Investigating the Human Intellect, London 2016. 68 Corsivo nostro. 69 Corsivo nostro. 70 Vat. lat. 4550, f. 1r. 71 Mi è difficile pensare ad un Pico con la scabbia; è probabile che qui Elia intendesse scrivere da, ovvero ‘quanto ero da voi’. 72 LICATA, Una nuova edizione cit., p. 118, §11. Come osservato dallo studioso ibid., p. 131
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Il copista chiamato in causa è, nonostante quanto scrive Elia, uno dei collaboratori più attivi di Pico. Oltre ad essere il principale copista delle Adnotationes (ovvero dell’attuale Paris, BnF, lat. 6508, ff. 8r-66r), è di sua mano il già ricordato ms. Vat. lat. 4530, testimone importante in quanto prova che il nostro scriptor era in grado di scrivere sia in latino che in greco. Come Luca Fabiani, Sebastiano Salvini, e ‘the scribe of Durazzo (Genova) B III 3 (Ficino)’ (Bartolomeo Paoli) attivi nello scriptorium di Ficino73, Thomas lavora a strettissimo contatto con Pico, tanto che, nel Vat. lat. 4552, quest’ultimo interviene addirittura nella trascrizione quando lo scriba mostra evidenti segni di stanchezza. Oltre alla mano di Thomas e alle integrazioni di Elia, le Annotationes del Parigino presentano numerose integrazioni di una terza mano, la cui cultura grafica ne denuncia l’appartenenza agli ambienti notarili. Il suo primo intervento è a f. 7v: Circa prohemium ubi dicit quod quedam scientie speve sunt propter exercitium etc. Si textus est rectus sic intelligitur quod quedam scientie speve sunt quasi spropter exercitationem intellectus .s. ut intellectus exercitetur et aquirita (acquirat ed.) habilitatem intelligendi [...] a
acquirat ed.
Si tratta dell’incipit vero e proprio delle Adnotationes, come attesta il segno di integrazione posto nel margine destro di f. 8r, tra la fine del proemio di mano di Elia e l’inizio della trascrizione di Thomas, e come prova l’edizione a stampa. il secondo brano citato si legge a f. 37v, lin. 2 del Paris, BnF, lat. 6508 e l’abbreviazione impiegata dal copista (nua) è da intendersi nulla, piuttosto che una. 73 Sui copisti di Marsilio Ficino vd. A. DE LA MARE, New Research on Humanistic Scribes in Florence, in Miniatura fiorentina del Rinascimento 1440-1525. Un primo censimento, a cura di A. GARZELLI, I, Firenze 1985, pp. 464-466, 489, 511-512, 544-545; P. O. KRISTELLER, Sebastiano Salvini, a Florentine Humanist and Theologian, and a Member of Marsilio Ficinor’s Platonic Academy, in Didascaliae. Studies in Honor of Anselm M. Albareda, ed. S. Prete, New York 1961, pp. 205-243, poi in ID., Studies in Renaissance Thought and Letters, III, Roma 1993, pp. 173-206; S. GENTILE, Nello «scriptorium» ficiniano: Luca Fabiani, Ficino Ficini e un inedito, in Marsilio Ficino. Fonti. Testi. Fortuna, Atti del Convegno di Firenze (1-3 ottobre 1999), a cura di S. GENTILE e S. TOUSSAINT, Roma 2006, pp. 145-182. Il copista designato da Albinia de la Mare come ‘the scribe of Durazzo (Genova) B III 3 (Ficino)’ è stato identificato da S. GENTILE, Nuove considerazioni sullo «scrittoio» di Marsilio Ficino: tra paleografia e filologia, in Palaegraphy, Manuscript Illumination and Humanism in Renaissance Italy: Studies in Memory of A.C. de la Mare, ed. by R. BLACK, J. KRAYE, L. NUVOLONI, London 2016 (Warburg Institute Colloquia, 28), pp. 387-421 con il notaio Bartolomeo Paoli. Alla mano di questo scriba si deve oltre all’Ott. lat. 338, già identificato da GENTILE, Nuove considerazioni cit., p. 388 e n. 21, il ms. Napoli, Bibl. Naz., VIII E 29 (Calcidio) entrambi appartenuti a Pico e espressamente commissionati da lui.
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La mano che integra a f. 7v e numerosi altri brani nelle Adnotationes è la stessa che ha copiato le quaestiones ai ff. 11r-27r del Vat. lat. 4552 ed è la stessa che ha scritto la lettera di Elia indirizzata a Pico tràdita nel Paris, BnF, lat. 6508. Curata e ben leggibile, la scrittura richiama l’ambito documentario, piuttosto che quello librario. Tracciata currenti calamo, questa scrittura generalmente è utilizzata nelle copie d’uso personale, non nei manoscritti destinati ad una diffusione esterna allo scrittoio nel quale sono stati redatti. Piuttosto che ad un copista di professione, questa mano potrebbe essere quella di un segretario. Poiché è intervenuta direttamente nella copia delle Adnotationes (ai ff. 46v, lin. 4-47v), ha lavorato a stretto contatto con Thomas. Nel postscriptum della lettera, Elia parla del «nostro prete» e Kieszkowski ha ricordato ser Duccio da Prato, il cappellano menzionato da Pico nel testamento edito da Milanesi74. Nel codicillo registrato nel Notarile Antecosimiano, Jacopo di Martino Martini, Firenze, 13195 (1482-1513) ser Duccio Bartholomei di Prato, presbitero cappellano, riceve un legato per far reperire l’altare e la cappella di proprietà del testatore per celebrare le messe in favore della sua anima75. Tra i numerosi famuli a cui Pico lascia legati, il nome di Duccio è il solo preceduto da ser, titolo, in genere, utilizzato per i notai. La formazione notarile dello scriptor che integra il testo delle Adnotationes pare confermata dalla scrittura e l’ipotesi che il prete ricordato da Elia sia ser Duccio Bartolomei da Prato mi pare più che probabile76. Nessun Thomas o Tommaso è invece nominato nei testamenti di Pico ed è probabile che già nel 1493 non lavorasse più alle sue dipendenze, perché deceduto o perché impegnato con altri. In breve. Le mani professionali che partecipano alla stesura delle opere tràdite nel Paris, BnF, lat. 6508 sono le stesse che hanno copiato le Quaestiones in librum Priorum Aristotelis nel Vat. lat. 4552 e che si sono suddivise il lavoro come segue: 74 MILANESI, Testamento olografo cit., p. 89: «Item, volo quod det infra tempus unius anni a die mortis meae ser Duccio de Prato capellano meo ducatos quinquaginta». Nello stesso testamento sono citati numerosi famuli (Martino e Cristoforo di Casal Maggiore, Niccolò Boiardo, un parente da parte della madre, Antonio da Ponte, Lancillotto Abriano, Benedetto da Cesena, Bernardino de Grinzolini de Carpo già deceduto al tempo del testamento, Antonio Maria Cavedoni), alcuni dei quali verosimilmente impiegati anche come copisti. 75 PALESATI, L’inedito testamento cit, pp. 711, 714. 76 Gli esempi di preti-notai non mancano. E. BARILE, Littera antiqua e scritture alla greca. Notai e cancellieri copisti a Venezia nei primi decenni del Quattrocento, Venezia 1994 (Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Memorie classe di scienze morali, lettere ed arti, 51), pp. 1317, ad esempio, ha presentato il caso di Ruggero Cataldo, allievo, corrispondente e amico di Guarino Veronese e in relazione con Francesco Barbaro; era un sacerdote et artium professor e sacre pagine magister il già ricordato Bastiano Salvini.
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Vat. lat. 4552 Quaestio [I] Averois in librum priorum traducta per Heliam hebreum die xv julii 1485 Florentiae
1r-3v, lin. 3
[Thomas]
3v, lin. 4-5r, lin.9
Pico
5r, lin. 10-6v, lin. 5
[Thomas]
Quaestio Averrois de conversione propositionum
6v, lin. 6-8v, lin. 15
Pico
8v-lin.15-10r, lin. 8
[Thomas]
[integrazione 10r]
Pico
17r-27r
[ser Duccio Bartolomei da Prato, presbitero]
Questiones Averois in librum Priorum
Il De substantia orbis (Vat. lat. 4553) Nella stessa annotazione dove ricorda di aver aggiunto ‘certe cose’ alle ‘recollette’ della Physica, Elia del Medigo menziona il De substantia orbis, ovvero l’Expositio in librum de substantia orbis Averrois. Il Discorso sulla sostanza della sfera celeste (Ma’amar be-‘esem ha-galgal, secondo il titolo della traduzione ebraica) è una raccolta avente per oggetto la cosmologia e la metafisica composta da Averroè intorno al 1178 a Marrakesh77. L’interesse di Pico verso quest’opera è, ancora una volta, provato dalla sua raccolta libraria. Il De substantia orbis, inc. (comm.) Dixit Alexander quia sua intentio in hac arte, chiude il volume edito da Lorenzo Canozi (Genesini) da Lendinara dei Parva naturalia con il commento di Averroè, stampato nel 147378. Negli inventari della biblioteca di Pico il volume è celato dietro l’item «P. Armeritus et parva metheora. n. 684 [capsa] 14» (KIBRE n. 438). L’edizione patavina è priva di rubriche e Pico nella sua copia con ogni probabilità vi aveva apposto un titolo che fu letto in modo errato. Conosceva inoltre la traduzione latina direttamente dall’arabo, probabilmente di Michele Scoto, grazie all’edizione dell’Opera di Aristotele stam77 Sull’opera: G. LICATA, Il «De substantia orbis» nell’averroismo ebraico (Isaac Albalag, Moshè Narboni, Elia del Medigo), in Tradizione e illuminismo in Uriel da Costa, a cura di O. PROIETTI e G. LICATA, Macerata 2016, pp. 75-103. 78 Padova: Laurentius Canozius, de Lendenaria, per Johannes Philippus Aurelianus et Fratres, 30.I.1473. A c. [v]14r colophon: «Nove translationi librorum metaphysice & veteri ab Averoi Cordubensi commentate ... Nobilis vincentini Joannisphilippi Aureliani & fratrum impensa. Opera vero atq[ue] i[n]genio Laurentii Canozii Lendenarie[n]sis Impresse Patavii Anno Christi optimi M.cccc.iii. & lxx.iii kalendas Februarii» (dall’inc. BAV, Stamp. Ross. 634). Su questa edizione vd. CRANZ, Editions cit., pp. 117-118.
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pata a Venezia nel 1482 registrata sine numero nei due inventari della sua biblioteca79 e il commento alla stessa di Jean de Jandun (c. 1285-1328)80. La versione latina di Elia dell’Expositio è tràdita nel Vat. lat. 455381, registrato in entrambi gli inventari pichiani e integrazioni alla stessa opera si leggono nel Paris, BnF, lat. 6508 ai ff. 95v-98v: Expositio Averois de substantia orbis (KIBRE n. 1109) Expositio Averois de substantia orbis facta per Eliam ebreum et manu sua scripta in pap. (CALORI CESIS, p. 32).
Privo di una inscriptio o di una rubrica iniziale, il Vat. lat. 4553 reca a f. 52v, per il resto bianco, le seguenti annotazioni parzialmente cancellate: «Expositio averois de substantia orbis», e sotto «magistri helie summi philosophi | magni magistri helie». Considerato lo stile elogiativo, è improbabile siano di mano dell’autore. L’opera inizia: Iam sepe hunc nobilem libellum, quod dicitur De substantia orbis Averoisa, principis philosophorum post Aristotelem exponereb cogitavi. Hoc tamen dimisi, quia videbatur apud me est quasi per se clarum apud quemlibet philosophum qui se profundavit aliqualiter in opinionibus philosophorum etc radicibus eorum… a Averois add. post. espunto
b
cogitavi (espunto) exponere
c a et
segue opinionibus opinionibus
In fine, a f. 51r, si legge: et complevi hanc expositionem in terra Bassani quinta die octobris MCCCCLXXXVI secundum numerum latinorum, et incepi ipsam postquam recessi a nobili domini dictoa moranti tunc in Florentie magna civitate die iiii septembris anno predicto, nam ibidem promixi ei hoc componere (Tav. Vc). a
segue et ex espunto
79 «Opera Aristotelis de naturali philosophia» (KIBRE n. 1094); «Liber physicorum Aristotelis et de celo et mundo et metheororum et alia impr. n.» (CALORI CESIS, p. 56). 80 Cfr. «P. Laudonus n. 568 [capsa] 27» (KIBRE n. 309); «Iandolus de substantia orbis impr. n. 568» (CALORI CESIS, p. 33). Il commento è stampato in appendice a: GAETANUS DE THIENIS, Quaestiones de sensu agente, de sensibilibus communibus et de intellectu. Venezia: Antonius de Strata, de Cremona, 22.X.1481 (ISTC ig00032000) e a: GAETANUS DE THIENIS, Expositio in Aristotelem De anima. De sensu agente. Vicenza: Henricus de Sancto Ursio, Zenus, 21.IX.1486; 16.X.1486 (ISTC ig00026000). 81 Cart.; ff. V (mod.), 52, V’ (mod.); 294 × 215 = 20 [240] 34 × 50 [120] 45; fasc. I12; II-V10, con richiami. Sul ms. MERCATI, Codici latini cit., p. 36; BARTÒLA, Eliyhau del Medigo cit., pp. 270-272.
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La data indicata nella subscriptio del Vat. lat. 4553 è di mano del copista principale del testo. Secondo Steinschneider «die Abschrift hat hinter V eine feine Linie, die nicht ein J sein Kann, da 1486 in keiner Weise stimmt» ovvero «la linea sottile dopo il V non può essere una j perché il 1486 non torna assolutamente» e sulla base di questa considerazione ha corretto la data al «1485»82. La datazione proposta da Steinschneider è stata accolta da Kieszkowski83, Geffen84, Busi85, Licata86 e Engel87 mentre Mercati88, Kristeller89, Bartòla90 e Mahoney91 hanno ritenuto la subscriptio degna di fede e pertanto hanno datato il codice al 1486. Nonostante l’evidenza paleografica, è poco probabile che la traduzione latina92 del commento sia stata approntata a ridosso della stesura delle Conclusiones, e verosimilmente — come ritengono quanti hanno seguito l’interpretazione di Steinschneider — la datazione deve essere anticipata al 4 settembre 148593. Per la presenza di correzioni, di interventi inter scribendum, di integrazioni, il testimone vaticano è senza dubbio un codice di lavoro. L’inventario modenese precisa che è di mano di Elia del Medigo, e alla mano del Cretese lo hanno attribuito quanti lo hanno descritto o semplicemente citato. Ma il ms. Vat. lat. 4553 è stato copiato da più mani. Il primo scriba, a cui si devono i ff. 1r-5v, lin. 22, è lo stesso che ha copiato i ff. 11r-27v del Vat. lat. 4552 e che ha integrato le Adnotationes presenti nel Paris, BnF, lat. 6508, ovvero, con ogni probabilità, ser Duccio da Prato. Come di consueto inizia a trascrivere il testo senza lasciare alcuno spazio per la rubrica e omette eventuali spazi destinati alle iniziali. Le due linee di inquadramento verticali della mise en page sono state ottenute 82 M. STEINSCHNEIDER, Elia del Medigo, in Hebraische Bibliographie 21 (1881), pp. 60-71 a p. 71 e riproposta dallo stesso M. STEINSCHNEIDER, Die hebraischen Übersetzungen des Mittelalters und die Juden als Dolmetscher, Berlin 1893, p. 183 § 92. 83 KIESZKOWSKI, Le rapports cit., p. 45. 84 GEFFEN, Insights into the Life cit., p. 75. 85 G. BUSI, Chi non ammirerà il nostro camaleonte? La biblioteca cabbalistica di Giovanni Pico della Mirandola, in ID., L’enigma dell’ebraico nel Rinascimento, Torino 2007, pp. 29-30 n. 18. 86 LICATA, Il «De substantia orbis» cit., p. 88. 87 ENGEL, Elijah del Medigo cit., p. 124. 88 MERCATI, Codici latini cit., p. 36. 89 KRISTELLER, Giovanni Pico and his sources cit., p. 120. 90 BARTÒLA, Eliyhau del Medigo cit., p. 271. 91 MAHONEY, Giovanni Pico cit., p. 132 nota 28. 92 Esula dal presente studio investigare i rapporti tra la versione ebraica completata il 5 Marhesvan 5246 [ovvero il 14 ottobre 1485] e tràdita nel ms. Paris, BnF, hebr. 968, ff. 1v-74v e la versione latina. 93 Sui problemi che solleva questa datazione rinvio a LICATA, La via della ragione cit., p. 70.
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mediante semplice piegatura dei fogli (lungo la linea centrale), ma il limite del margine destro di sovente non è rispettato. Il secondo copista inizia dalla stessa lin. 22 di f. 5v e prosegue fino al termine di f. 7r. Nel verso dello stesso foglio riprende la trascrizione il primo copista e prosegue fino all’ultima pagina: Vat. lat. 4553 Expositio Averois De substantia orbis
1r-5v, lin. 22 5v, lin. 22 – 7r 7v-51r
[ser Duccio da Prato] scriptor γ [ser Duccio da Prato]
Gli stessi copisti si sono alternati nella lettura, correggendo ed intervenendo in numerose sezioni del testo. La mano di Elia del Medigo, già identificata nel Paris, BnF, lat. 6508, si riconosce nel ms. Vat. lat. 4553 in poche, sparse, integrazioni marginali, generalmente precedute dal tipico segno a forma di v rovesciata, a f. 1ra (integra si enim e poi espunge enim), f. 1va (phylosophus onorabilis), f. 2ra (et quibusdam…), f. 7ra, f. 9rb (et de hoc loquutus est…); f. 21r (celum autem non habet…) (Tav. Va), f. 27r (et si non esset…), f. 36va (et quod voluntas…), f. 39rb (sed quidam dicunt…); f. 44ra (.i. illa posita); f. 47va (et iam dixi in questionibus de primo motorie (!) quod scientia…). Per la presenza di queste integrazioni è indubbio che il codice è stato approntato sotto la sorveglianza del Cretese. Pico ha letto l’opera come prova la presenza del lungo frego con due puntini lungo i margini, ma è intervenuto con poche postille, generalmente scritte in forma particolarmente contratta come a f. 3va dove annota Poa m(ateri)ae94. Alla mano di Pico si devono anche alcune integrazioni e correzioni (a f. 30v, ad esempio, e a f. 31ra dove aggiunge in margine in hora eclipsi, altre ai ff. 38va, 39va, 40rb, 50rb) e non è improbabile che sia stato presente anche durante la fase (o le diverse fasi) di rilettura del testo. Nella lettera tràdita nel Paris, BnF, lat. 6508 Elia scrive: In libello De substantia orbis, circa medietatem primi quinterni, ubi dico: parvum autem et magnum non sunt de predicamento quantitatis, ut declaratum est in Predicamentis, et dato quod ita esset, debet poni: ut etiam dicitur V Methaphisice commento 18. Et considera illic verba Philosophi et Comentatoris. Sequitur: tamen non sunt species diverse, in eo quod sunt quantitas continua, debet poni: seu quantitates continue. Et tutte queste cose metta la V. S. manu propria, pregone, accioché non falla qualche ignorante95.
94 Per la mano di Pico vd. i ff. 3v, 4r-v, 5r-v, 7v, 9r, 10v, 11v, 14r-v, 17v, 22v, 23v, 24r-v, 25r-v, 27r, 28r, 29r-v, 30v, 31r-v, 32r-v, 33r, 34r, 35r, 38r, 39r, 50rb. 95 LICATA, Una nuova edizione cit., p. 123 §25.
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Il brano citato si trova nel Vat. lat. 4553, f. 7r lin. 13, ma Pico non vi ha apposto l’aggiunta suggerita da Elia del Medigo. Evidentemente quando ricevette la lettera era già impegnato in altre ricerche. Il Tractatus de intellectu speculativo (Vat. lat. 4549, ff. 11r-18r) In entrambi gli inventari pichiani è registrato un Tractatus de intellectu speculativo e in quello curato da Antonio Pizzamano è precisato che l’opera è contenuta in un solo quaterno: Tractatus de intellectu speculativo (KIBRE n. 1015) Tractatus de intellectu speculativo ms. quinternus (CALORI CESIS, p. 65)
L’opera, un estratto del Compendio del De Anima di Averroè tradotto da Elia del Medigo per Pico, è tràdita nel ms. Vat. lat. 4549 ai ff. 11r-18r96. Il fascicolo è di dimensioni leggermente più piccole (305 × 210) rispetto ai restanti (I, III etc.: 310 × 220); una ampia macchia nel margine inferiore, assente nei restanti fascicoli, prova che ha circolato per qualche tempo autonomamente. Il nome di Elia del Medigo non compare in alcun luogo e ciò spiega perché l’opera è anepigrafa nelle due descrizioni inventariali: (ff. 11r-18r) Praef. Tractatus de intellectua speculativo a Summa Comentatoris in 3° De anima, qui quasi totus vel maior pars est contra sua principia et est secundum dicta aliorum, que ipse [sc. Averroes] postea destruxit, et maxime secundum opinionem Avenpace, ut ipse dicet in fine huius, {ipse tamen Cor bene cognovit dificultates accidentes in his rebus, ut videbis hic}b. Tamen quia tua Dominatio desiderabat videre fundamenta opinionis Avempace, et multotiens a me petebat, hoc volui transducere, {et cave a confusione. Et multa bona que hic dicit, declaravi in Questionibus de intelectu, et nunc videbis quantum feci in ipsis}c. Inc. Sed sermo de speculativod indiget declaratione nobiliorie. In ipso enim diversificati sunt Peripatetici a tempore Platonis; expl. procedit secundum sermonem dubitabile in via Ari, nam Ari scripsit quod intellectus naturalis est eternus97. a intellectus ante corr. b ipse-hic integrato in margine c et cave-in ipsis integrazione marginale d’altra mano d segue hoc espunto e nobiliore ante corr.
96 È il capitolo De anima, 429 a 31 – 430 b 31, relativo all’intelletto, presente nel Compendio del De anima, tradotto dalla versione ebraica di Moshè ben Tibbon (sec. XIII med.). Su questo testo: STEINSCHNEIDER, Die hebraischen Übersetzungen cit., pp. 146-147; BARTÒLA, Eliyahau del Medigo cit., pp. 262-267; LICATA, La via della ragione cit., p. 97; LICATA, Una nuova edizione cit., p. 140. 97 Per una trascrizione di questo testo vd. J. PUIG MONTADA, Eliahu del Medigo, traductor del epítome de Averroes Acerca del Alma, in La Ciudad de Dios 219 (2006), pp. 713-729.
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A questo testo fa riferimento Elia nella lettera a Pico quando scrive: Quella parte dell’Anima che mi scrivesti tradurre de opinione Avempace98, non potei, perché non ho qui el libro, et in verità mandai el famiglio di V.S. a Basciano per portarmi el libro, et mio figlo non lo cognobbe e me ne mandò un altro. Tamen, se Idio vorrà, col vostro prete mandarò quello et altre cose, se la fortuna mi sarà prospera99 (f. 75v).
Elia mantenne evidentemente la promessa e la presenza delle due integrazioni di sua mano nelle prime otto linee di testo, ovvero: «ipse tamen Cor bene cognovit dificultates accidentes in his rebus, ut videbis hic» e «et cave a confusione. Et multa bona que hic dicit, declaravi in Questionibus de intelectu, et nunc videbis quantum feci in ipsis», conferma che ne sorvegliò anche la trascrizione (Tav. VI). Il resto del fascicolo è di mano dello stesso segretario che ha copiato la maggior parte del Vat. lat. 4553, ovvero, se l’identificazione proposta è corretta, ser Duccio da Prato. I margini non recano tracce della mano di Pico. Il De partibus animalium di Averroè (Vat. lat. 4549, ff. 21-57) Nello stesso Vat. lat. 4549 oltre al Tractatus de intellectu speculativo sono stati rilegati quattro fascicoli contenenti la traduzione latina di Elia del Medigo del De partibus animalium di Averroè (Prol., XII, XIII, XIV princ.)100. Copiata dalla mano dello stesso copista del fascicolo che precede, l’opera è adespota ed anepigrafa. Nell’inventario modenese corrisponde con ogni probabilità al seguente item: Quinterni 2 sine p(rincipi)o et fine in phi(losophiam) et credo quod sint Elie ebrei (CALORI CESIS, p. 33).
La traduzione è stata copiata in quattro fascicoli ma soltanto due sono muniti di richiamo in fine101 e ciò potrebbe aver provocato l’errore nella registrazione inventariale. La traduzione, inoltre, non è sine principio ma è assente la rubrica iniziale (come di consueto nei codici approntati da questo copista). Per quanto riguarda il sine fine, l’indicazione è corretta: il testo si interrompe dopo poche righe di testo subito dopo l’inizio del 98
Ibn Bâjja († 1139). LICATA, Una nuova edizione cit., p. 123 §25. 100 MERCATI, Codici cit., pp. 36-37; BARTOLA, Eliyhau del Medigo cit., pp. 262-267; LICATA, La via della ragione cit., pp. 97-98; MURANO, Inspecting inventories cit., p. 175. 101 ff. 21-57 = I-III10; IV6. Richiami a f. 30v e a f. 50v; il richiamo di f. 40v con ogni probabilità è stato rifilato. 99
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trattato XIV102. Nel primo inventario il solo possibile item che potrebbe corrispondere a quello registrato da Pizzamano è il seguente: P. Helias de anima n. 301 [capsa] 7 (KIBRE n. 437).
Nell’inventario vaticano gli errori di lettura sono molto frequenti e dunque non sorprende che la parola animalibus, probabilmente molto contratta, sia stata letta solo in parte. Sorprende, invece, la presenza di una segnatura «301 [capsa] 7» che nell’inventario modenese non compare. Se il titolo dell’opera e la segnatura erano stati registrati sulla legatura, è possibile che con la perdita di quest’ultima siano andate perdute anche queste informazioni. Pico ha letto la traduzione soffermandosi soprattutto sulla sezione iniziale. Testimoniano la sua lettura i consueti freghi muniti, in questo caso, di due puntini (21ra, 21vb, 22r, etc.), la doppia barra obliqua (21ra, 21va, 22ra, etc.) e le brevi postille (21v, 22v, 23r-v, etc.). In questo codice Pico adopera un inchiostro di colore nero (generalmente ne adopera uno di colore bruno, in altri di colore rosso/rosato) e grazie a ciò è possibile riconoscere anche i suoi interventi che consistono nell’inserimento di parentesi tonde per scandire il testo. La prima si incontra a f. 21r, lin. 6 (prima di Secundum autem), quella successiva a lin. 8 (precede 3a autem). In altri casi adopera un vero e proprio segno di paragrafo (f. 21v, lin. 2), spesso accompagnato da due barre oblique nel margine (f. 21v, lin. 17). Oltre ai segni di paragrafo, Pico richiama nei margini le scansioni del testo o eventuali altri numeri. A f. 21r, ad esempio, annota «3 q» in corrispondenza di «continet tres questiones»; «2» in corrispondenza di secundus, «3» in corrispondenza di «3° autem». Nel primo fascicolo dello stesso manoscritto incontriamo il Liber de proprietatibus elementorum pseudo aristotelico103. Non risale a Elia del Medigo e non è identificabile negli inventari probabilmente perché celato tra i numerosi item anonimi. Il copista è lo stesso e presenta i consueti segni di memoria lasciati da Pico. In libros Metheororum (Vat. lat. 4550, ff. 1v-52r) Nell’inventario modenese incontriamo per ben tre volte registrato un volume segnato 293: 102 Per una puntuale analisi del contenuto si vd. BARTOLA, Eliyhau del Medigo cit., pp. 263-265. 103 STEINSCHNEIDER, Die hebraischen Übersetzungen cit., pp. 232-234; BARTÒLA, Eliyahau del Medigo cit., p. 262; LICATA, La via della ragione cit., p. 97.
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Traductio Averois in librum metha(urarum) per Eliam ebr. ms. in pap. n. 293 Suma Averois in librum methaurorum et aliqua alia simul in pap. ms. n. 293 (CALORI CESIS, p. 32) Libro uno el quale era signato nela Capsa n. 4 di fora di rosso el quale se dimanda Averois in membrana. n. 293 (CALORI CESIS, p. 75).
Il primo item è stato depennato ed è seguito da un secondo con la stessa segnatura. Il numero 293 è registrato anche di seguito ad un terzo item ma descrive un volume membranaceo mentre nei primi due il volume è cartaceo. Se l’indicazione della materia scrittoria è errata l’item potrebbe essere riferito al manoscritto già descritto, ma se è errata la segnatura l’item potrebbe descrivere un diverso manoscritto contenente anch’esso un’opera di Averroè. Purtroppo l’inventario vaticano non si soccorre per risolvere il dubbio in quanto registra semplicemente: Averrois a penna104 n. 293 [capsa] 14 (KIBRE n. 920)
I primi due item dell’inventario modenese descrivono il ms. Vat. lat. 4550, ff. 1v-52r contenente la traduzione di Elia del Medigo della Summa Averrois in libro Metheororum105. (ff. 1v-52r) Summa Averrois in libro Metheororum. Prol. uamquam hoc opus difficile atque indignum mihi esse reputo, dignius enim aliquid est ex dictis philosophorum, et si sit parum declarare vel intelligere quam de una lingua in aliam libros transferre. Difficile autem propter paucam exercitationem in lingua latina et maxime in hoc libro Metheororum ubi de multis et variis rebus tractatur, quarum terminos proprios non habeo; inc. Incepit in hoc libro narrare intentionem cuiuslibet libri ex libris preteritis; expl. Et in hoc completus est sermo in aggregatione sermonum scientificorum ex quatuor libris Aristotelis ut promisimus. Gloria deo nostro. Et in hoc completur summa Averois in libro metheororum.
L’opera è stata stampata a Venezia da Andrea Torresano il 21 agosto 1488106 insieme al Tractatus cui inscribitur littera L, seu Lamda ex Libro 104
apen(n)a MS. MERCATI, Codici cit., pp. 34-35; BARTÒLA, Eliyhau del Medigo cit., pp. 259-261; LICATA, La via della ragione cit, pp. 93-94. La copia digitale del manoscritto può essere consultata online all’indirizzo: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.4550. 106 AVERROES, In meteorologica Aristotelis. Tr. Helias Cretensis Hebraeus. Add. Tractatus cui inscribitur littera L, seu Lamda ex libro Metaphysicae. Venezia: Andreas Torresanus, de Asula, 21.VIII.1488 (ISTC ia01413000; http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0003/bsb 00030777/images/); sull’edizione: CRANZ, Editions cit., pp. 119-120. Anche nell’Omnia Aristotelis opera cum commento Averrois stampata a Venezia da Bernardino Stagnino nel 1489 fu inclusa la nuova traduzione del commento ai Meteorologia di Elia del Medigo, cfr. CRANZ, Editions cit., p. 120. 105
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Metaphysicae, tràdito manoscritto nel Paris, BnF, lat. 6508 ai ff. 78r-81r. Il secondo item dell’inventario modenese segnala la presenza di più opere e, di seguito alla Summa in libro Metheororum, nel Vat. lat. 4550 troviamo il Sermo de cometis ex sua media expositione circa primum librum Methaurorum (ff. 53r-54r), seguito da stralci dal Commento Medio ai Meteorologica e relativi alla via lattea, al mare, i venti, i luoghi abitabili, l’arcobaleno107. Anche queste traduzioni sono state riprodotte nell’edizione veneziana del 1488: (ff. 53r-61v). Tit. Sermo de cometis ex sua media expositione circa primum librum Methaurorum. Inc. Dicamus quod quidam philosophi, ut Anaçagoras et Democritus, dixerunt quod stella comata est stelle multe agregate mote; expl. et magis verisimile est, ut sit causa in albedine eius debilitas luminis lune et dealbatio luminis yridis.
Bartòla ha riconosciuto nel manoscritto due mani, una «regolare che lascia in ogni carta ampi margini», mentre attribuisce a Elia del Medigo «tutta la seconda parte». Il prologo (ff. 1v-2r, lin. 6) è stato scritto in una bastarda su base cancelleresca, di modulo ampio, leggermente inclinata a destra. Anche il testo (ff. 2r-52r) è stato trascritto dalla stessa mano ma il copista ha accentuato l’inclinazione a destra pur mantenendo la stessa s maiuscola a forma di 8 e la stessa d, il tratto ascendente di l ripiega a sinistra o si chiude con un puntino. I ff. 53r-61v, invece, sono di mano del solito copista (Duccio?) che si avvale della sua consueta scrittura notarile di piccolo modulo già incontrata in altri manoscritti. La lettera conservata nel Paris, BnF, lat. 6508, ai ff. 71r-76v — da cui è partito l’esame dei volumi contenenti opere di Elia del Medigo custoditi in Biblioteca Vaticana — non è datata. Come ricorda il postscriptum, insieme alle richieste di nuove traduzioni e precisazioni sulle traduzioni già eseguite, Pico aveva inviato i propri ‘famigli’ ovvero i copisti del suo scrittoio, tra cui ‘il nostro prete’, affinché affiancassero il Cretese nell’opera di trascrizione. Poiché Elia li aveva trattenuti oltre il previsto, Pico ne aveva sollecitato il ritorno. Tra i manoscritti vaticani la sola datazione certa è quella registrata al principio della prima Quaestio in librum priorum (Vat. lat. 4552, f. 1r) che ricorda che la traduzione è stata approntata il 15 luglio 1485. Alla stesura del manoscritto, come abbiamo visto, ha partecipato lo stesso Pico. Elia, come testimonia la lettera di Ermolao Barbaro, si trovava già da qualche mese a Firenze. Sempre a luglio (se è degno di fede il colophon registrato 107
FELLINA, Insegnamento averroistico cit., pp. 121-122.
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nell’edizione a stampa) del Medigo e gli scriptores al servizio di Pico avevano portano a termine le Adnotationes sulla Fisica (o meglio la stesura definitiva dell’opera poi andata in stampa). Il De substantia orbis nel Vat. lat. 4553 è datato «quinta die octobris MCCCLXXXVI», ma questa datazione deve essere — con ogni probabilità — corretta e l’opera potrebbe essere stata redatta in latino nell’ottobre del 1485 a Bassano, ovvero dopo che, a settembre, del Medigo aveva lasciato Firenze. Secondo alcuni studiosi la lettera con le integrazioni e le aggiunte alle diverse traduzioni è stata scritta tra novembre e dicembre del 1486, quindi a ridosso della preparazione delle Conclusiones. Tuttavia se il De substantia orbis risale al 1485 la lettera — considerati i riferimenti interni — potrebbe essere stata scritta tra ottobre 1485 e marzo-aprile 1486108, ovvero in prossimità della prima stesura delle traduzioni di Averroè, quando l’interesse di Pico non era ancora totalmente rivolto alla cabala e alle traduzioni che in quei mesi Mitridate stava approntando su sua richiesta.
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BUSI, Chi non ammirerà cit., p. 29; LICATA, La via della ragione cit., pp. 70-71.
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GIOVANNA MURANO
Tav. I – Paris, BnF, lat. 6508, f. 36r, part. (testo di mano del copista qui identificato con Thomas e integrazione di mano di Elia del Medigo, completata dal copista qui identificato con ser Duccio da Prato).
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4552, ff. 3v-4r (Pico).
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GIOVANNA MURANO
Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4552, f. 10r (Pico).
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Tav. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4530, f. 49v (mano del copista qui identificato con Thomas e postilla di Pierleone da Spoleto); f. 94r (mano latina e greca del copista qui identificato con Thomas).
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GIOVANNA MURANO
Tav. Va-b – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4553, f. 21r (integrazioni di Elia del Medigo), f. 29v (testo e integrazioni di mano del copista qui identificato con ser Duccio; nel margine interno integrazione di mano di Pico).
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Tav. Vc – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4553, f. 51r (colophon).
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GIOVANNA MURANO
Tav. VI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4549, f. 11r (mano del copista qui identificato con ser Duccio da Prato e integrazioni di Elia del Medigo).
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CESARE PASINI
LA NOMINA DI PIO XI E LA BODLEIAN LIBRARY (E I PRECEDENTI CONTATTI OXONIENSI DI FRANZ EHRLE E DI ACHILLE RATTI) In Archivio Segreto Vaticano1 si conserva la lettera di felicitazioni inviata nel 1922 dalla Bodleian Library di Oxford al neoeletto papa Pio XI, insieme alla bozza della lettera di risposta inviata dal Pontefice; e analoga corrispettiva documentazione è conservata a Oxford nella Bodleian Library2. La decisione della Bodleian di scrivere a Pio XI si ricollega esplicitamente alla visita che Achille Ratti aveva fatto a quella biblioteca nel 1914, quando era vice prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana; e si inserisce nel positivo rapporto fra le due Istituzioni creatosi già con Franz Ehrle grazie al convegno di San Gallo del 1898 sul restauro dei codici e proseguito nel 1899 con il conferimento a lui del dottorato honoris causa da parte della stessa Università di Oxford. Con questo contributo desidero ripercorrere le tappe3 che, dal 1898, hanno condotto a un rapporto sempre più vivo e proficuo fra la Biblioteca Apostolica Vaticana e la Bodleian Library, culminato con le lettere scambiate in occasione dell’elezione di Achille Ratti al soglio pontificio4. 1
ASV, Segr. Stato, Morte di Pontefici e Conclavi, fasc. 20, ff. 191-195. Ringrazio vivamente Stephen Hebron, della Bodleiana, che ha gentilmente reperito tale documentazione e me ne ha fornito le riproduzioni. Solo per una parte di essa possono essere fornite le collocazioni specifiche (precisamente quelle alle segnature MS. Autogr. c. 15 e MS. Autogr. c. 16); per le altre invece, tutte conservate in un volume non foliato, rimanderò genericamente alla segnatura Bodleian Library Records e.606. 3 Ho ristretto la ricerca agli episodi elencati, senza addentrarmi a indagare altri contatti minori fra le due Istituzioni, e altrettanto cosciente di aver utilizzato solo la documentazione più immediatamente accessibile in Biblioteca Vaticana, salvo per l’episodio principale inerente la nomina di Pio XI, per il quale ho utilizzato, come accennato, il materiale archivistico conservato nell’Archivio Segreto Vaticano e nella Bodleian Library. 4 La ricerca, di cui presento ora i risultati, ha preso avvio alcuni anni fa, quando le due biblioteche, Vaticana e Bodleiana, si sono trovate unite in un progetto di digitalizzazione di manoscritti e incunaboli sostenuto dalla Polonsky Foundation. Questa felice collaborazione — culminata nel convegno The future of the past tenutosi il 30 maggio 2018 presso l’Istituto patristico Augustinianum [cfr. C. PASINI, Il futuro del passato. In un convegno promosso dalla Biblioteca vaticana e dalla Bodleian Library, in L’osservatore romano 158/nr. 119 (27 maggio 2018), p. 4] — costituisce un’ideale continuazione e una significativa conferma del felice rapporto instauratosi già alla fine del XIX secolo. Su questa recente collaborazione mi permetto rinviare a C. PASINI, Avanti col digitale. La Polonsky Foudantion sostiene un progetto 2
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 371-398.
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CESARE PASINI
1. Franz Ehrle e la Bodleian Library al Convegno di San Gallo (1898) Nel 1898 Franz Ehrle (1845-1934), da tre anni prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana5, organizzò a San Gallo in Svizzera una conferenza sul restauro dei manoscritti, che si tenne nei giorni 30 settembre e 1° ottobre6. Desideroso di conoscere anche in altre biblioteche europee la situazione conservativa dei manoscritti e in particolare lo stato precario dei più fragili, ma soprattutto le misure e le tecniche adottate in quelle istituzioni, nell’estate del 1897 si era recato anche alla Bodleian Library7. A questa visita allude una lettera di Edward Williams Byron Nicholson (1849-1912), della Biblioteca Apostolica Vaticana e della Bodleian di Oxford, in L’osservatore romano 152/nr. 85 (12 aprile 2012), p. 4; I. SCHULER, I progetti di digitalizzazione della Biblioteca Apostolica Vaticana. All’alba di grandi imprese, in Studi in onore del Cardinale Raffaele Farina, a cura di A. M. PIAZZONI, II. Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 478), pp. 1067-1092: 1088-1091; C. PASINI, La digitalizzazione dei manoscritti presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, in DigItalia 9 (2014), n° 2 (Atti del Convegno “Manuscript digitization and on line accessibility. What’s going on?” International workshop, Roma, Biblioteca Vallicelliana, 23 ottobre 2014), a cura di E. CALDELLI, M. MANIACI, S. ZAMPONI), pp. 10-16: 13. 5 Originario del Württemberg, Ehrle fu prefetto della Vaticana dal 1895 al 1914 e cardinale bibliotecario dal 1929 alla morte: cfr. M. BATLLORI, El pare Ehrle, prefecte de la Vaticana. En la seva correspondència amb el cardenal Rampolla, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita, I, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 219), pp. 75-117; riedito in ID., Cultura e finanze. Studi sulla storia dei Gesuiti da s. Ignazio al Vaticano II, Roma 1983 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 158), pp. 367-413; e poi in ID., Obra completa, XVI: Del Vuit-Cents al Nou-Cents: Balmes, Ehrle, Costa i Llobera, Casanovas, Edició a cura d’E. DURAN (dir.) i J. SOLERVICENS (coord.), Pròleg de R. CORTS, València 2002 (Biblioteca d’estudis i investigacions, 33), pp. 153-209; G. DE GREGORI – S. BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani del XX secolo. Dizionario bio-bibliografico 1900-1990, Roma 1999, pp. 76-77; R. S. GERLICH, Ehrle, Franz, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús, II, Roma – Madrid 2001, pp. 1221-1223; R. FARINA, «Splendore veritatis gaudet ecclesia». Leone XIII e la Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 21 (2004) (Studi e testi, 423), pp. 285-370: 306-310; J. MEJÍA – C. GRAFINGER – B. JATTA, I cardinali bibliotecari di Santa Romana Chiesa. La quadreria nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2006 (Documenti e riproduzioni, 7), pp. 317-321; Á. NÚÑEZ GAITÁN, Los albores del Laboratorio de “Restauración de códices” de la Biblioteca Vaticana. Franz Ehrle y sus colaboradores (1895-1914), in Studi in onore del cardinale Raffaele Farina cit. (nt. 4), pp. 789-809. 6 Cfr. La Conferenza internazionale di S. Gallo per il restauro degli antichi codici, in L’osservatore romano 38/nr. 230 (11-12 ottobre 1898), pp. 2-3; e 38/nr. 231 (12-13 ottobre 1898), pp. 2-3; riprodotto in La Conferenza internazionale di S. Gallo per il restauro degli antichi codici, in Rivista delle biblioteche e degli archivi 9 (1898), pp. 168-171; BATLLORI, El pare Ehrle cit. (nt. 5), p. 96 (pp. 390-391 della prima riedizione e p. 177 della seconda riedizione); P. FURIA, Storia del restauro librario, Milano 1992 (Addenda, 1), pp. 47-49; M. BUONOCORE, Theodor Mommsen a San Gallo, in Mediterraneo antico 13 (2010), pp. 73-120; NUÑEZ GAITÁN, Los albores del Laboratorio de Restauración cit. (nt. 5), pp. 793-794. 7 Ehrle ne fece cenno in un annesso inserito nel Registro dei Proc.ssi Verbali del Congresso (con riferimento all’Adunanza 103 del 20 ottobre 1897: Arch. Bibl. 163, f. 181r-v), nel quale vengono nominate le biblioteche «di Parigi, del Museo Britannico, la Bodleiana di Oxford, di Berlino, Vienna, Verona e l’Ambrosiana di Milano».
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Bodley’s Librarian dal 18828, inviata a Ehrle il 29 luglio 18989, nella quale si scusava di non essere stato presente in quell’occasione. In ogni caso si mostrava molto interessato alla conferenza di San Gallo, alla quale intendeva partecipare già dal 30 settembre, anche se aveva impegni istituzionali a Oxford il precedente giorno 2910. Concludendo la lettera, poneva a Ehrle alcune questioni, che dimostravano tutto l’interesse per l’argomento e per la conferenza: domandava anzitutto dove potesse acquistare una piccola quantità della crépeline usata in Vaticana, per fare alcuni esperimenti in Bodleian, si informava inoltre se la conferenza si sarebbe protratta oltre 8
Cfr. M. CLAPINSON, Nicholson, Edward Williams Byron, in Oxford Dictionary of National Biography (d’ora innanzi: ODNB), XL, Oxford 2004, pp. 809-811. 9 Conservata in Arch. Bibl. 245, ff. 247-248. Prima di questa lettera giunsero da Oxford a Ehrle almeno tre lettere, tutte conservate in Arch. Bibl. 245. Esse sono scritte dal classicista Ingram Bywater (1840-1914), che dal 1879 al 1880 era stato per alcuni mesi sub-librarian e dal 1884 era membro del board of curators della biblioteca (cfr. W.W. JACKSON, Ingram Bywater. The memoir of an Oxford scholar. 1840-1914, Oxford 1917, pp. 85-89, 112; R.W. CHAPMAN – R. T. STEARN, Bywater, Ingram, in ODNB, IX, Oxford 2004, pp. 375-377). Nella prima, datata 14 maggio 1898 (ff. 241-242), Bywater riferiva di una lettera di Ehrle inviata l’8 maggio con la proposta di partecipare alla conferenza di San Gallo e assicurava che avrebbe fatto del suo meglio affinché, nella prevista riunione dei Curators della Bodleian, essi fossero consapevoli della «importance of the conference» e della «desiderability of Oxford being represented at it»; nella seconda, datata 3 giugno 1898 (ff. 245-246), Bywater informava ufficialmente che «the Curators of the Bodleian would wish the Library to be represented at St Gallen by the Bodleian Librarian», Edward Williams Byron Nicholson, e suggerivano a Ehrle di mandargli un invito formale; nella terza, scritta alla stessa data ma qualificata come «Private» (ff. 243244), lo stesso Bywater informava confidenzialmente di non sapere se Nicholson avrebbe potuto partecipare alla conferenza e suggeriva di scrivere nell’invito a Nicholson di sperare che egli potesse partecipare ma di aggiungere la possibile alternativa di Falconer Madan (1851-1935: cfr. R. J. ROBERTS, Madan, Falconer, in ODNB, XXXVI, Oxford 2004, pp. 56-57; Madan dal 1880 era sub-librarian e nel 1912 sarebbe succeduto a Nicholson come librarian): alludendo alla situazione, che riteneva sufficientemente nota a Ehrle, del contrasto fra i due, aggiungeva che «The Curators solved the difficulty by giving leave to both Mr Nicholson and Mr Madan to be absent to attend the Congress», ma — rimarcava — «they forget that a second representative from Oxford was out of the question and in fact excluded by the terms of your original letter to me» (nella lettera si chiedeva di essere «able to attend on the 14th» e della possibilità di lasciare Oxford «in the middle of June»: infatti una prima data prevista per la conferenza era stata il 14 giugno 1898, come asseriva lo stesso Ehrle in F. EHRLE, Die internationale Konferenz in St. Gallen am 30. September und 1. Oktober 1898 zur Beratung über die Erhaltung und Ausbesserung alter Handschriften, in Centralblatt für Bibliothekswäsen 16 (1899) pp. 27-51: 29. 10 «September 29th. is one of our four financial ‘quarter days’, and there are additional reasons which make the particular date chosen an extremely difficult one for me. But the entire direction of the binding and repair of MSS. is in my hands. Mr Madan has nothing to do with it. And, as I should be guided by my own experience and my own observation in forming an opinion as to any different methods which might be advocated by any librarians attending at St. Gallen, I will, failing accident, present myself there on Sept. 30». A proposito di Falconer Madan si veda quanto indicato nella nt. prec.
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il 30 settembre e in quale lingua sarebbe stato opportuno che egli facesse un intervento sulle esperienze compiute, infine chiedeva se si prevedesse di stampare gli interventi, dal momento che non avrebbe voluto perdere nulla di quanto sarebbe stato esposto dai relatori nelle differenti lingue11. Di fatto, come risulta dal resoconto della conferenza fatto dallo stesso Ehrle in Centralblatt für Bibliothekswäsen, Nicholson fu presente e partecipò attivamente a quelle giornate12. 2. Il dottorato honoris causa dell’Università di Oxford a Franz Ehrle (1899) Il 21 giugno 1899, nella solennità accademica degli Encænia, Ehrle ricevette il dottorato honoris causa in diritto civile dell’Università di Oxford13, in una cerimonia nello Sheldonian Theatre: assieme a Ehrle, unico straniero a ricevere l’onorificenza, furono insigniti del dottorato onorario sette personalità14, fra le quali spiccavano: Victor Alexander Bruce (1849-1917), conte di Elgin, viceré delle Indie15; Horatio Herbert Kitchener (1850-1916), 11
«1. Where I can buy a small quantity of the same kind of crépeline which you use? I should like to make a few experiments with it. Our binder cannot obtain any so fine. / 2. How long the conference at St. Gallen is likely to last? Will it extend beyond the 30th? Or beyond the 31th [sic]? / 3. I should probably wish to state some experiences of my own as briefly as possible: in what language should I prepare them so as to be understood by the greatest number present? / 4. Will any provision be made for reporting the proceedings and obtaining a printed record of them? I hope so, for it would be impossible for me at any rate to take sufficiently full and accurate note of everything said in the different languages». 12 Cfr. EHRLE, Die internationale Konferenz in St. Gallen cit. (nt. 9), pp. 31 (Nicholson ha presentato alla conferenza alcune fotografie di frammenti di manoscritti greci e copti del V e VI secolo da poco acquistati in Egitto), 35-36 (contenuti della relazione di Nicholson), 45 (Nicholson nell’elenco dei partecipanti al primo giorno della conferenza, 30 settembre), 47 (sintesi della relazione di Nicholson, il 1° ottobre), 49 (suoi ringraziamenti conclusivi), 50-51 (riassunto, in inglese, delle osservazioni di Nicholson sull’uso della carta trasparente); cfr. anche La Conferenza internazionale di S. Gallo cit. (nt. 6). 13 Nel 1905 avrebbe ricevuto anche il dottorato onorario (in Lettere) dall’Università di Cambridge: cfr. Istituti scientifici a cui fu ascritto il card. Ehrle nell’ordine cronologico della nomina, in Miscellanea Francesco Ehrle. Album, Roma 1924 (Studi e testi, 42), pp. 16-17: 16. 14 Oltre ai tre ricordati nel testo, ricevettero il dottorato onorario: Charles Hubert Hastings Parry (1848-1918), un eminente musicista, docente all’Exeter College e direttore del Royal College of Music [cfr. J. DIBBLE, Parry, Sir (Charles) Hubert Hastings, in ODNB, XLII, Oxford 2004, pp. 874-878]; Frederic William Maitland (1850-1906), studioso della Facoltà di Diritto del Trinity College di Cambridge (cfr. S. F. C. MILSON, Maitland, Frederic William, in ODNB, XXXVI, Oxford 2004, pp. 204-210); Frederick DuCane Godman (1834-1919), profondo studioso di storia naturale, amministratore del British Museum (cfr. Alumni Cantabrigienses. A biographical list of all known students, graduates and holders of office at the University of Cambridge, from the earliest times to 1900, vol. II: From 1752 to 1900, part 3, edited by J. VENN and J. A. VENN, Cambridge 2011, p. 71); James George Frazer (1854-1941), autore di The Golden Bough, docente al Trinity College di Cambridge (cfr. R. ACKERMAN, Frazer, Sir James George, in ODNB, XX, Oxford 2004, pp. 892-893). 15 Cfr. R. HYAM, Bruce, Victor Alexander, ninth earl of Elgin, in ODNB, VIII, Oxford 2004, pp. 331-333.
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il vincitore di Khartum16; e Cecil John Rhodes (1853-1902), il promotore dell’espansionismo britannico in Africa17. La stampa diede notevole risalto all’avvenimento, anche per la rinomanza dei principali insigniti del dottorato onorario18, in ogni caso ricordando padre Ehrle accanto agli altri. Si distinguono due articoli che con maggior ampiezza riportano le motivazioni del candidati, che vennero esposte da Charles Lancelot Shadwell (1840-1919)19 di Oriel College. Egli come scrive l’articolista del London Evening Standard20, affermò che «Father Ehrle, Librarian of the Vatican, was known to many students among them for his services in the library, and his unfailing kindness and courtesy to English visitors». Ancora più esteso fu il resoconto del Glasgow Herald21: The heroes of the occasion were Lord Kitchener and Mr Rhodes, whose appearance was received with the most tumultuous applause, and Father Ehrle, whose magnificent bearing and distinguished appearance at once marked him out for special notice. The Prefect of the Vatican Library has deserved well at the hands of British scholars, as, among many other, Mr Moore22, of Dante fame, and the Bishop of Salisbury23, could abundantly certify. It is under his regime that the unexplored treasures of the library at Vatican have been freely and generously placed at disposal of all accredited students and investigators. I believe Father Ehrle is the first Roman Catholic priest who has received the distinction of an Oxford honorary degree since the case of Dr Dollinger (sic)24, 16
Cfr. K. NEILSON, Kitchener, Horatio Herbert, earl Kitchener of Khartoum, in ODNB, XXXI, Oxford 2004, pp. 828-836. 17 Cfr. Sh. MARKS – St. TRAPIDO, Rhodes, Cecil John, in ODNB, XLVI, Oxford 2004, pp. 592-603. 18 Attraverso il sito on line di The British Newspaper Archive (http://www.britishnewspaperarchive.co.uk) ho individuato, oltre ai due articoli citati nel testo, anche i seguenti: Commemoration at Oxford. Lord Kitchener and Mr Rhodes, in Morning Post, 22 giugno 1899, p. 5; Honours Day at Oxford. Degree for Lord Elgin, Students and Mr Rhodes, in Dundee Courier, 22 giugno 1899, p. 5; Oxford Commemoration. Duke and Duchess of York at the Encænia. The honorary Degrees. Lord Kitchener and Mr Cecil Rhodes. Enthusiastic Scenes, in London Daily News, 22 giugno 1899, p. 4; The Encænia, in Oxford Journal, 24 giugno 1899, p. 8. 19 Cfr. M. C. CURTHOYS, Shadwell, Charles Lancelot, in ODNB, XLIX, Oxford 2004, p. 920. 20 The Oxford Encænia. Lord Kitchener’s Reception. A Welcome to Mr Rhodes, in London Evening Standard, 22 giugno 1899, p. 3. 21 Oxford Degrees, in Glasgow Herald, 22 giugno 1899, p. 7. 22 Edward Moore (1835-1916): cfr. P. J. TOYNBEE – M. C. CURTHOYS, Moore, Edward, in ODNB, XXXVIII, Oxford 2004, pp. 924-925. 23 John Wordsworth (1843-1911): cfr. E. W. WATSON – S. AGNEW, Wordsworth, John, in ODNB, LX, Oxford 2004, pp. 311-312. 24 Johann Joseph Ignaz von Döllinger (1799-1890): cfr. B. MOELLER, Döllinger, Johann Joseph Ignaz von, in Deutsche Biographische Enzyklopädie (DBE), II, München 2005, pp. 665666. Döllinger non accolse la definizione dell’infallibilità pontificia sancita dal Concilio ecumenico Vaticano I (1870) e diede quindi origine al movimento dei Vecchi Cattolici.
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but that great ecclesiastic, it must in fairness be admitted, was really singled out in respect of his having severed himself from the Roman allegiance, and his establishment of the “Old Catholic” party.
Il resoconto che ne fece L’osservatore romano di alcuni giorni dopo25, conferma la narrazione della stampa inglese, sottolineando in aggiunta che il dottorato onorario conferito a Ehrle era inteso quale omaggio anche a papa Leone XIII. Ne cito la parte principale, che si conclude con schiette espressioni di ammirazione per l’Università di Oxford: Parlando dell’illustre Prefetto della Vaticana, l’oratore26, dopo aver accennato ai suoi vari lavori storici, dichiarava che uno dei motivi speciali che avevano deciso la scelta, era la cortesia e l’aiuto efficace che i membri dell’Università avevano trovato nella Biblioteca Vaticana. Di più egli dichiarava formalmente che, onorando il Prefetto della Vaticana, l’Università intendeva fare omaggio al Sommo Pontefice, mostrandogli la più sincera gratitudine per la munifica e sempre più crescente ospitalità, colla quale nella sua Biblioteca Vaticana accoglie gli scienziati, senza distinzione della loro nazionalità od accettazione di persone27. È forse la prima volta dopo la riforma che gli onori del dottorato siano stati solennemente conferiti ad un sacerdote cattolico; ed ancora è forse la prima volta dopo la riforma che il nome del Sommo Pontefice sia stato solennemente pronunziato innanzi a tutti i membri dell’Università, ed onorato con parole di lode e di riconoscenza. È questo per fermo, un insigne trionfo di quella politica larga e generosa che il Sommo Pontefice, penetrato dei bisogni dei nostri tempi nel campo scientifico internazionale con tanta perspicacia ha iniziato. Non possiamo terminare senza esprimere la nostra ammirazione verso l’illustre Università, per il modo con cui ha proceduto in quest’occasione. La gratitudine è sempre la manifestazione d’un animo nobile. In questo caso speciale, però, noi crediamo che l’Università di Oxford siasi resa benemerita verso tutti gli altri istituti scientifici, plaudendo sempre più, per mezzo di questa manifestazione di lode e riconoscenza all’animo del Sommo Pontefice per le sue disposizioni, già tanto favorevoli al progresso degli studi e della scienza.
Sulla presenza degli studiosi in Vaticana in quegli anni ci informano i registri degli studiosi ammessi in biblioteca28. Negli anni dal 1878, dal qua25 L’evento è descritto in un articolo non firmato: L’Università di Oxford e la Biblioteca Vaticana, in L’osservatore romano 39/nr. 151 (4-5 luglio 1899), p. 1 (trafiletto conservato anche in Arch. Bibl. 115, pt. A, f. 17r); cfr. C. T’SERCLAES, Le pape Léon XIII. Sa vie, son action religieuse, politique et sociale, III, Lille 1906, p. 455; Istituti scientifici a cui fu ascritto il card. Ehrle cit. (nt. 13), p. 16; FARINA, «Splendore veritatis gaudet ecclesia» cit. (nt. 5), p. 320. 26 Charles Lancelot Shadwell. 27 Da intendere: senza accezione di persona, quindi senza alcuna indebita parzialità. 28 Registro degli estranei ammessi allo studio nella Biblioteca Vaticana: ottobre 1885 a giu-
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le prende avvio la documentazione, sino al 1899, quando Ehrle ricevette il dottorato onorario, sono in tutto registrati 2713 studiosi di provenienza soprattutto europea, ma anche americana, africana e asiatica29: fra essi sono qualificati come provenienti dalla Gran Bretagna 105 studiosi30. L’oratore oxoniense si riferiva evidentemente alla decisione di papa Leone XIII di ridare vigore agli studi promuovendo il rinnovamento della Vaticana31 (insieme all’apertura alla libera consultazione dell’Archivio Segreto Vaticano). Simbolo di tale rinnovamento era stata l’apertura a servizio degli studiosi della nuova biblioteca Leonina, e in essa di una Sala di consultazione, al piano sottostante il Salone Sistino dove in precedenza era ubicata l’armeria pontificia. La Sala venne inaugurata il 23 novembre 1892, alla presenza dei direttori degli istituti scientifici presenti in Roma32. Sette anni dopo, quindi, l’Università di Oxford, constatando i frutti che gno 1895 e (…): ottobre 1895 a giugno 1907 (ma di fatto con documentazione sino al 1903), conservati in Arch. Bibl., senza segnatura. Su tali registri e sui dati da essi desumibili (donde ricavo le informazioni date nel testo), cfr. le Appendici IV [Ammissioni di studiosi in Biblioteca Vaticana durante il pontificato leonino (1878-1903). Stime numeriche per anni e per nazionalità], V [Ammissioni di studiosi in Biblioteca Vaticana durante il pontificato leonino (18781903). Stime numeriche per anni] e VI [Ammissioni di studiosi in Biblioteca Vaticana durante il pontificato leonino (1878-1903). Stime numeriche per nazionalità], in FARINA, «Splendore veritatis gaudet ecclesia» cit. (nt. 5), rispettivamente pp. 351-363, 364 e 365-367. 29 Il numero è ottenuto dalla somma degli studiosi registrati per ciascun anno: di fatto, in assoluto, essi furono in numero minore, poiché alcuni di essi si registrarono per più di un anno. Segnalo, per completezza, le nazionalità registrate: Europa (Alsazia, Austria-Ungheria, Belgio, Boemia, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Romania, Russia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia), Africa (Egitto), Americhe (Canada, Ecuador, Messico, Nuova Scozia, Stati Uniti), Asia (Armenia, Siria). Ho omesso le nazionalità di Giappone, Libano, Serbia e Slovenia, registrate negli elenchi citati ma solo a partire dal 1899-1900. 30 Come segnalato in FARINA, «Splendore veritatis gaudet ecclesia» cit. (nt. 5), p. 351, «la Gran Bretagna raccoglie le indicazioni relative all’Inghilterra ma anche alla Scozia». Quanto al numero, come indicato nella nota precedente, esso è ottenuto dalla somma degli studiosi registrati per ciascun anno, senza rilevare quando uno stesso studioso sia registrato in più di un anno. Per completezza do il numero di studiosi registrati, anno per anno, come provenienti dalla Gran Bretagna: 0 (1878), 2 (1878-1879), 0 (1879-1880), 3 (1880-1881), 3 (1881-1882), 1 (1882-1883), 2 (1883-1884), 4 (1884-1885), 7 (1885-1886), 8 (1886-1887), 5 (1887-1888), 8 (1888-1889), 5 (1889-1890), 3 (1890-1891), 4 (1891-1892), 11 (1892-1893), 6 (1893-1894), 8 (1894-1895), 5 (1895-1896), 7 (1896-1897), 6 (1897-1898), 7 (1898-1899). 31 Un’articolata indagine su questo argomento è fornita in FARINA, «Splendore veritatis gaudet ecclesia» cit. (nt. 5); cfr. anche A. RITA, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi all’inizio del terzo millennio, Città del Vaticano 2011, pp. 70-123: 98-105. 32 L’evento è descritto in un articolo non firmato: La biblioteca di consultazione in Vaticano, in L’osservatore romano 32/nr. 269 (24 novembre 1892), p. 1; cfr. M. UGOLINI, La nuova biblioteca Leonina nel Vaticano, Roma 1893; A. SACCO, Le nuove sale della biblioteca Leonina
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tale apertura aveva comportato agli studiosi di svariati paesi, esprimeva un particolare apprezzamento per la decisione di papa Leone XIII, conferendo un’onorificenza al prefetto Ehrle, ponendo nel contempo la stessa Bodleian Library in una singolare cordiale vicinanza alla Biblioteca Vaticana. 3. Ratti alle celebrazioni baconiane (1914) Dopo i contatti descritti, che coinvolsero personalmente il prefetto Ehrle, la Biblioteca Vaticana ebbe occasione di essere presente a Oxford nella persona del vice prefetto Achille Ratti il 10 giugno 1914. Questi era in quegli anni, dal 1907, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano33, ma già dal 1912 si prendeva cura anche della Vaticana, appunto in qualità di vice prefetto accanto al prefetto Franz Ehrle34. Il motivo di quella presenza a Oxford erano le celebrazioni in onore di Ruggero Bacone (1214-1292), filosofo e scienziato francescano, in occasione del VII centenario della sua nascita35. Era stato invitato Ehrle ma, per
in Vaticano, Roma 1893; FARINA, «Splendore veritatis gaudet ecclesia» cit. (nt. 5), p. 317 (e in genere pp. 310-320). 33 Segnalo, per completezza, che a Oxford, Bodleian Library, MS. Autogr. c. 16, f. 1, si conserva una lettera datata 10 giugno 1912, scritta in francese da Achille Ratti come prefetto dell’Ambrosiana, nella quale si indica l’impossibilità a inviare un manoscritto (che non ho potuto identificare), «étant defendu par nos Constitutions», ma si segnala altresì che non vi sono difficoltà a inviare fotografie in bianco e nero, in tutto 66 scatti. 34 Su Ratti bibliotecario, in Ambrosiana e in Vaticana (e sul suo passaggio dall’una all’altra Istituzione), cfr. N. VIAN, Una illustre successione alla Biblioteca Vaticana: Achille Ratti, in Mélanges Eugène Tisserant, VII, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 237), pp. 373-439; riedito in ID., Figure della Vaticana e altri scritti. Uomini, libri e biblioteche, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 424), pp. [135-203]; C. PASINI, Il Collegio dei Dottori e gli studi all’Ambrosiana sotto i Prefetti Ceriani e Ratti, in Storia dell’Ambrosiana. L’Ottocento, Milano 2001, pp. 77-127: 100-106, 114-119; ID., Achille Ratti bibliotecario, in 1929-2009. Ottanta anni dello Stato della Città del Vaticano, a cura di B. JATTA, Città del Vaticano 2009 (Studi e documenti per la storia del Palazzo apostolico vaticano, 7), pp. 49-62; ID., Un foglietto di istruzioni di Achille Ratti Nunzio in Polonia e il suo addio agli studi, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 16 (2009) (Studi e testi, 458), pp. 325-367; P. VIAN, «Una cambiale scontata prima di presentarsi ufficialmente allo sportello»? Achille Ratti prefetto della Biblioteca Vaticana (1914-1918), ibid., 18 (2011) (Studi e testi, 469), pp. 801-870; ID., Il diario di Achille Ratti viceprefetto e prefetto della Biblioteca Vaticana (13 ottobre 1913 – 8 aprile 1918), ibid., 23 (2017) (Studi e testi, 516), pp. 673-724; C. PASINI, Giovanni Mercati tra Biblioteca Ambrosiana e Biblioteca Vaticana (1893-1919), in I fratelli Mercati nella storia, in corso di stampa nella collana Studi e testi, par. 7 (Il passaggio di Ratti alla Vaticana e l’avvio di Mercati a una maggiore responsabilità). 35 Cfr. G. GALBIATI, Bio-bibliografia di Achille Ratti dal 1857 al 1932, in ID., Papa Pio XI evocato, Milano 1939 (Fontes ambrosiani, 4), pp. 312-313; N. VIAN, Una illustre successione cit. (nt. 34), p. 437 (p. [199] della riedizione); P. VIAN, «Una cambiale scontata cit. (nt. 34), p. 822 e nt. 85; ID., Il diario di Achille Ratti cit. (nt. 34), pp. 683-684 nt. 41.
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motivi di salute36, lo sostituì Ratti. Così infatti riporta il verbale dell’adunanza del congresso direttivo del 23 maggio 191437: In fine il Prefetto comunica che la Biblioteca Vaticana è stata ufficialmente invitata, insieme con la Nazionale di Parigi, alla solenne inaugurazione della statua di R. Bacone ad Oxford il 10 giugno, centenario della nascita del grande filosofo. Non potendo per ragione di salute il P. Ehrle, andrà, rappresentante della Bibl. Apostolica, il vice-Prefetto Mons. Ratti38.
Come descrive diffusamente un articolo, anonimo ma verosimilmente di mano dello stesso Ratti, pubblicato su L’osservatore romano il 19 giugno successivo39, l’inaugurazione della statua si inseriva in una più ampia serie di iniziative: […] l’Accademia Reale di Londra (Royal Society of Sciences) ricorrendo quest’anno (10 giugno) il settimo centenario della nascita del glorioso figlio di S. Francesco [Ruggero Bacone], ne deliberava di fare eseguire una bella statua e di offrirla all’Università di Oxford, affinché questa la collocasse nel suo Museo, dove già tanti luminari della scienza inglese sono effigiati. Si è inoltre pensato e provveduto alla pubblicazione di un volume di saggi scientifici e letterari intorno a R. Bacone ed all’opera sua, nonché alla preparazione di un più vasto programma inteso niente meno che alla pubblicazione a stampa di tutte le opere edite ed inedite di R. Bacone, previa, ben s’intende, la ricerca e lo studio di quanti codici manoscritti le hanno conservate fino a noi sparsi nelle diverse biblioteche d’Europa. Per tutte queste cose si costituiva un Comitato generale sotto la presidenza di Lord Curzon40, cancelliere dell’Università di Oxford, un Comitato esecutivo sotto quello di Sir Archibald Geikie41, presidente della Royal Society of Sciences, e nel seno del secondo comitato una Commissione Editoriale. […] 36 Per questo motivo, il 3 giugno 1914 Ehrle presentò le dimissioni al cardinale bibliotecario Cassetta; il 17 seguente ricevette comunicazione che il Papa aveva accettato (anche se le dimissioni non furono formalizzate e, a causa della morte di Pio X il 20 agosto successivo, furono rimandate al settembre successivo, dopo la nomina di Benedetto XV): cfr. N. VIAN, Una illustre successione cit. (nt. 34), pp. 437-438 (p. [199]-[200] della riedizione). 37 Arch. Bibl. 162, f. 127r-v (la citazione al f. 127v). 38 Il verbale della successiva adunanza del 26 gennaio 1915 (Arch. Bibl. 162, f. 129r-132v: la citazione al f. 130v) riporta, fra i temi del precedente verbale ripresi dal neo-prefetto Ratti, anche il seguente: «A Oxford, in occasione delle solennità centenarie per R. Bacone, l’inviato della Biblioteca Mons. Ratti ebbe accoglienze veramente onorifiche e cordiali». 39 Il settimo centenario della nascita di Ruggero Bacone ad Oxford (10 giugno 1914), in L’osservatore romano 54/nr. 165 (19 giugno 1914), p. 1. 40 George Nathaniel Curzon (1859-1925): cfr. D. GILMOUR, Curzon, George Nathaniel, Marquess Curzon of Kedleston, in ODNB, XIV, Oxford 2004, pp. 792-802. 41 Archibald Geikie (1835-1924): cfr. D. OLDROYD, Geikie, Sir Archibald, in ODNB, XXI, Oxford 2004, pp. 721-723.
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L’articolo descrive poi gli interventi, nel Museo dell’Università, e la cerimonia dell’inaugurazione della statua, opera dello scultore Henry Richard Hope Pinker (1850-1927)42: intervennero Archibald Geikie, nell’atto di scoprire la statua e di consegnarla, poi Lord Curzon, nel prendere in consegna il monumento, infine Alfred Denis Godley (1856-1925)43, Academiae orator publicus, «richiamando in un bello e breve e chiaro discorso latino gli alti meriti del festeggiato». Come ci informa una lettera scritta da Henry Marriott Bannister (18541919)44 a padre Ehrle il 25 maggio 191445, era stato suggerito di preparare un indirizzo di saluto in latino per la celebrazione del 10 giugno: Dear Fr. Ehrle, I have today seen Mr. Madan46, who tells me that he knows that several of the Delegates to the Roger Bacon Commemoration on June 10th will bring with them Latin addresses from the University or Society to which they belong. It is not compulsory but would, and the University of Oxford would esteem kindly the possession of any such address. The Vatican Library handed me in on the Centenary of the Bodleian Library. I leave the matter entirely in your hands. Your sincerely H. M. Bannister
In quell’occasione Ratti dovette quindi esprimere un indirizzo di saluto in latino, sui cui contenuti tornerò più oltre. Qui è opportuno segnalare una successiva lettera di Bannister a Ehrle, datata 5 giugno47, nella quale descriveva il programma delle giornate inglesi di Ratti, rammaricandosi 42 Cfr. la pagina on line: Henry Richard Hope-Pinker, in Mapping the Practice and Profession of Sculpture in Britain and Ireland 1851-1951, University of Glasgow History of Art and HATII, online database 2011 (http://sculpture.gla.ac.uk/view/person.php?id=msib2_1203021577, consultato il 28 agosto 2018). La statua, spiega l’articolo de L’osservatore romano, «rappresenta il geniale francescano con tra le mani una sfera armillare, mentre un raggio tra di soddisfazione e di sorpresa gli illumina il volto improntato a carattere e ad intelligenza». 43 Cfr. E. C. GODLEY – R. SMAIL, Godley, Alfred Denis, in ODNB, XXII, Oxford 2004, pp. 581-582. 44 Fu studioso di paleografia musicale e magister artium a Oxford; nel 1917 divenne sublibrarian della Bodleian Library: cfr. M.-H. LAURENT, L’abbé Paul Liebaert scriptor honoraire adj. de la Vaticane. Sa vie et ses œuvres (1883-1915), in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 220), pp. 1-132: 14 nt. 2; U. TADDAY – (B. STÄBLEIN), Bannister, Henry Marriott, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, II, Basel 1999, coll. 154-155. 45 Arch. Bibl. 221, pt. A, I, ff. 102-103. 46 Su Falconer Madan cfr. nt. 9 supra. 47 Arch. Bibl. 221, pt. A, I, ff. 107-108.
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di non poter godere della presenza dello stesso Ehrle: «Of course I wish you were coming instead, but basta». Quelle giornate — aggiungeva — sarebbero state per Ratti molto intense, visto che aveva voluto restringere la sua permanenza da lunedì 8 giugno, quando Bannister l’avrebbe accolto a Londra alla stazione ferroviaria di Charing Cross, a venerdì 12, quando l’avrebbe accompagnato a prendere il treno per Milano delle 2 del pomeriggio. Ma, nonostante il poco tempo, Bannister riconosceva l’importanza degli incontri che Ratti avrebbe fatto: «It is, I fear, a very hurried visit but he will be able to make the acquaintance of many Oxford men who owe a deep debt of gratitude to the Vatican Library». Nella lettera accennava ad alcuni degli incontri previsti: giungendo a Oxford, la sera di martedì 9, dopo aver visitato al mattino il British Museum, Ratti sarebbe stato accolto da John Wickham Legg (1843-1921), studioso di medicina e, poi, di liturgia48, che l’avrebbe ospitato durante la sua permanenza a Oxford. La giornata centrale, come previsto, era fissata per mercoledì 10 e avrebbe comportato, fra l’altro, la cerimonia al Museo dell’Università, il pranzo al Merton College, una conferenza allo Sheldonian Theatre, la cena al Magdalen College con Arthur Ernest Cowley (1861-1931)49. Per giovedì 11 era previsto che potesse dedicare del tempo per una visita di studio in Bodleian50. Quanto previsto da Bannister si realizzò pienamente. L’articolo de L’osservatore romano lo riconosce infatti con gratitudine: Sappiamo che al delegato della Biblioteca Vaticana vennero fatte accoglienze ed usati riguardi che maggiori non avrebbero potuto essere né più cordiali nei varii momenti e nelle varie parti scientifiche e, diciamo così, convivali (sic) della commemorazione.
Ratti, inoltre, colse l’occasione per fare un annuncio di grande significato culturale ed emotivo in quel contesto: la recente scoperta, cioè, di una seconda sezione di un trattato di Bacone in due manoscritti della Vaticana. Ecco il racconto, che possiamo fissare al 10 giugno51, appunto al solenne pranzo al Merton College previsto dal programma di Bannsiter: 48 Cfr. S. L. OLLARD – G. M. MURPHY, Legg, John Wickham, in ODNB, XXXIII, Oxford 2004, pp. 181-182. 49 Cowley, orientalista, fu sub-librarian dal 1899 e Bodley’s librarian dal 1919 al 1931: cfr. St. TOMLINSON, Cowley, Sir Arthur Ernest, in ODNB, XIII, Oxford 2004, pp. 791-793. 50 Alla Bodleian Library si è conservata la richiesta di ammissione alla biblioteca (MS.Autogr. c. 16, f. 4), in data 10 giugno 1914: Ratti vi si sottoscrive come “Prefetto dell’Ambrosiana” e “Vicepref. della Vaticana” e segnala come soggetto principale dei suoi studi “Patristica, Liturgica”; Bannister è indicato come “Recommender’s name”. 51 Il 10 giugno Ratti ricevette un volume, conservato in Biblioteca Ambrosiana alla segnatura S.P.II.12, contenente una raccolta di studi pubblicati per l’occasione: Roger Bacon.
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Con vera gioia di tutti gli invitati al «lunch to Delegates» nel Collegio di Merton venne salutato il cenno ch’egli dava della scoperta di due manoscritti vaticani della seconda parte di un trattato Baconiano finora invano desiderata; scoperta che proprio negli ultimi giorni del passato maggio facevano gli Scrittori della Biblioteca Vaticana, Comm. Nogara52 e Dott. Pelzer53, attendendo alla catalogazione generale dei manoscritti. Il testo così opportunamente ritrovato verrà presto pubblicato: gli intervenuti alla Commemorazione di Oxford poterono vederlo riprodotto in fotografia insieme ai manoscritti baconiani della Bodleiana che esposti in bella mostra nell’antica e veneranda biblioteca Oxoniense costituivano uno dei numeri più attraenti della commemorazione stessa.
Unendo le informazioni, l’indirizzo di saluto in latino, richiesto nella prima lettera di Bannister a Ehrle, e la comunicazione della scoperta al pranzo Merton College sembrano poter coincidere o, più precisamente, l’annuncio della scoperta dovette essere inserito nell’indirizzo in latino richiesto dagli organizzatori. Ci induce a questa soluzione l’affermazione di Giovanni Galbiati (1881-1966), allora dottore dell’Ambrosiana54, che, Essays contributed by various writers on the occasion of the commemoration of the seventh century of his birth, collected and edited by A. G. LITTLE, Oxford 1914. Sull’antiporta del volume, infatti, è scritto, di mano del Ratti: «A. Ratti – Oxford 10/6». Sul recto del foglio di guardia, di mano di Giovanni Galbiati (prefetto dell’Ambrosiana dal 1924 al 1951), è scritto: «Per donazione da parte del Card. Giov. Mercati, Bibliotecario di S.R.C., 31 Ott. ’40 – XIX [dell’era fascista], G. Galbiati». Debbo questa informazione all’abituale cortesia dell’amico Massimo Rodella. 52 Bartolomeo Nogara (1868-1954), archeologo classicista e storico dell’arte, nella sua giovinezza aveva frequentato l’Ambrosiana; il 17 luglio 1900 fu nominato scriptor Latinus della Vaticana e direttore speciale del Museo Gregoriano etrusco, il 23 novembre 1903 conservatore del Museo profano e nell’ottobre 1920 direttore generale dei Musei e delle gallerie pontificie: cfr. A. CALDERINI, Bartolomeo Nogara, in Rivista archeologica dell’antica provincia e diocesi di Como 137 (1954-1955), pp. 85-100; F. MAGI, Commemorazione di Bartolomeo Nogara, in Rendiconti della Pontificia accademia romana di archeologia s. 3, 28 (1954-1955), pp. 109-132; J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sexte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), pp. 257, 268 nt. 11; N. VIAN, Figure della Vaticana, in L’Urbe 49 (1986), pp. 104-124: 114; riedito in ID., Figure della Vaticana e altri scritti cit. (nt. 34), pp. [331-355]: [345]; F. VISTOLI, Nogara, Bartolomeo, in DBI, 78, Roma 2013, pp. 663-665. 53 Auguste Pelzer (1876-1958), entrato in Vaticana senza titolo ufficiale nel novembre 1907, il 12 settembre 1910 fu nominato scrittore onorario aggiunto e nel 1915 scriptor Latinus, sino al 1949: cfr. L. NOËL, Hommage à Mgr Pelzer, in Mélanges Auguste Pelzer, Louvain 1947 (Recueil de travaux d’histoire et de philologie, III, 26), pp. 1-6; F. VAN STEENBERGEN, L’œuvre scientifique de Mgr Pelzer, ibid., pp. 7-21; ID., In memoriam Monseigneur A. Pelzer, in Revue philosophique de Louvain 56 (1958), pp. 136-143; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit. (nt. 52), p. 269 nt. 14; N. VIAN, Figure della Vaticana cit. (nt. 52), p. 106 (p. [333] della riedizione). 54 Cfr. P.F. FUMAGALLI, Galbiati, Giovanni, in DBI, 51, Roma 1998, pp. 371-373; F. BUZZI,
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nella Bio-bibliografia di Achille Ratti dal 1857 al 1932, in riferimento all’intervento di Ratti a Oxford il 10 giugno, afferma di aver avuto «l’onore di rivedere d’anticipo nel testo latino» quella comunicazione «sulla scoperta fatta nella Vaticana dagli scrittori Nogara e Pelzer della seconda parte manoscritta di un trattato baconiano»55. Nasce tuttavia un’incertezza perché l’unico testo sinora noto di quell’intervento, conservato in Ambrosiana fra la Corrispondenza di mons. Achille Ratti56, non contiene alcun riferimento alla scoperta ma esprime semplicemente un’alta considerazione per le ricerche di Ruggero Bacone e un plauso all’Università di Oxford, che lo formò negli studi. L’ipotesi più plausibile è che il testo che si riferiva alla scoperta, probabilmente composto in fretta dopo la compilazione dell’altro testo di circostanza, sia stato smarrito o comunque si sia conservato autonomamente rispetto a quello contenente solo l’indirizzo di saluto. Resta il rammarico per il fatto che il testo baconiano, pur promesso da Pelzer nel 1919, non sia stato mai edito57. Un ultimo cenno da fare riguarda l’eco che si ebbe nella stampa ingle58 se in merito alle celebrazioni in onore di Ruggero Bacone. Evidentemente esse furono ricordate ma, a differenza di quanto avvenuto per Ehrle, non venne rimarcata la presenza di Achille Ratti (e, per il vero, neppure quella degli altri ospiti illustri di provenienza straniera). La notizia del dono e dell’inaugurazione della statua viene data dal Western Daily Press dell’11 giugno59 e, con un testo identico, dal Banbury Guardian del 18 giugno60. Il Collegio dei Dottori e gli studi all’Ambrosiana sotto i prefetti Luigi Gramatica e Giovanni Galbiati, in Storia dell’Ambrosiana. Il Novecento, Milano 2002, pp. 17-53: 26-46. 55 GALBIATI, Bio-bibliografia cit. (nt. 35), p. 312. 56 Milano, Biblioteca Ambrosiana, S.P.II.293, nr. 5. Il testo è stato edito (e tradotto) in Lettere di Achille Ratti [1882-1922]. Secondo volume, a cura di F. CAJANI, Besana Brianza 2006, pp. 382-383. 57 Cfr. A. PELZER, Une source inconnue de Roger Bacon. Alfred de Sareshel commentateur des Météorologiques d’Aristote, in Archivum franciscanum historicum 12 (1919), pp. 44-67: 45 e nt. 2; riedito in ID., Études d’histoire littéraire sur la scolastique médiévale. Recueil d’articles mis à jour à l’aide des notes de l’auteur par A. PATTIN et E. VAN DE VYVER, Louvain – Paris 1964 (Philosophes médiévaux, 8), pp. 241-271: 242 e nt. 2. Il testo rinvenuto nel 1914 era in ogni caso differente da quello della cui scoperta fu data notizia a papa Benedetto XV il 29 luglio 1915, in occasione della sua visita in Biblioteca Vaticana: Pelzer infatti, riferisce il Diario di Achille Ratti a quella data, «proprio il giorno prima aveva identificato un autografo di Rog. Bacon con la 4a parte finora irreperita dello Opus Maius»: cfr. P. VIAN, Il diario di Achille Ratti cit. (nt. 34), p. 683. 58 Anche in questo caso (cfr. nt. 18 supra) ho consultato il sito on line di The British Newspaper Archive. 59 Roger Bacon. A statue at Oxford University, in Western Daily Press, 11 giugno 1914, p. 4; cfr. anche Roger Bacon celebrations, in Western Daily Press, 11 giugno 1914, p. 7. 60 Oxford. Roger Bacon’s statue presented to the University, in Banbury Guardian, 18 giugno 1914, p. 3.
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Essi terminano con l’affermazione generica riguardo ai rappresentanti di Istituzioni straniere: «In addition to the number of distinguished members of the University present, there was large gathering of foreign delegates». Un ricordo esplicito, ma motivato da ben altro momento — siamo infatti all’indomani dell’elezione di Ratti a pontefice! —, fu riservato invece da un articolo apparso su The Sphere dell’11 marzo 192261. Benché in esso i contenuti riguardo alla consegna della statua a Oxford ripetano notizie ben note, è interessante raccogliere alcune informazioni non pervenute per altra via. Dopo aver fatto riferimento a un banchetto — identificabile con quello al Merton College, di cui ho appena detto — e dopo aver indicato espressamente che «at the banquet Monsignor Ratti was given the place of honour between Lord Curzon, Chancellor of the University, and the ViceChancellor», l’articolista continua: He seems to have carried away with him a very strange and curious impression of this country, for on his return to Italy he is reported to have professed his enthusiasm for England because, said he to his friends, “You should see how scholars are respected in England.” Not millionaires, mark you, but scholars-men of learning, that is. “The English,” said the future Pope, “merit the position they occupy in the world especially on account of their respect for learning, and they have conquered the world because they have cultivated learning, and are even superior to the Germans, who often lose themselves in pedantic details.” Was there ever a more amazing conclusion?
Non abbiamo modo di controllare la veridicità di queste citazioni, ma ci sembrano verosimili e, in ogni caso, di buon gusto. 4. La Bodleian Library e l’elezione di Pio XI Dal 1914 al 1922 i contatti fra Ratti e la Bodleian Library dovettero essere limitati a qualche lettera di routine62. Ma l’evento dell’elezione pon61 E. HUTTON, Popes who have been in England. The visit of Monsignor Ratti (now Pope Pius XI.) to Oxford, in The Sphere, 11 marzo 1922, p. 16. Altri articoli scritti nel 1922 in occasione dell’elezione del nuovo papa, rievocano la sua presenza a Oxford per le celebrazioni baconiane nel 1914. Ben documentato è il breve articolo Pius XI.’s Visit to Oxford, in Pall Mall Gazette, 14 febbraio 1922, p. 6 (individuato attraverso il sito on line di The British Newspaper Archive, come indicato a nt. 18 supra): «Pius XI. paid a visit to Oxford shortly before the war to take part, in the Roger Bacon celebrations. He was escorted to the luncheon at Merton College and the garden party at Wadham College by his special friend, the late Dr. H. M. Bannister, of Pembroke College. The Pope was privately entertained by Dr. Cowley, the Bodleian Librarian, and Dr. Poole, the Keeper of the Archives». Altri due periodici ne fanno ugualmente cenno — pur con minore articolazione — (l’uno da Durrant’s Press Cuttings, l’altro da The British Newspaper Archive): The new Pope and Oxford, in Oxford Magazine, 9 febbraio 1922; Pius XI.’s Visit to Oxford, in Pall Mall Gazette, 14 febbraio 1922, p. 6. 62 Alla Bodleian Library si conservano, tutte a firma di Ratti: anzitutto una cartolina po-
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tificia di Achille Ratti, il 6 febbraio 1922, indusse l’università di Oxford a inviare al nuovo papa, Pio XI, una lettera di felicitazioni alla quale egli fece rispondere con una calorosa lettera di ringraziamento. Come accennato, la documentazione è conservata in parte alla Bodleian Library63 e in parte all’Archivio Segreto Vaticano. In quest’ultimo64 è conservata la lettera della Bodleian a Pio XI, datata “V Idus Mart.” (Tav. I): 11 marzo; è scritta in latino, su pergamena, in carattere maiuscoletto; in essa la prima lettera (B) è intarsiata a colori (rosso, verde, violaceo, su sfondo bianco) e le iniziali maiuscole delle parole sono tutte empite di colore rosso. A Oxford si conservano le bozze preparatorie, in tre esemplari non datati65 ma facilmente collocabili in successione cronologica: il primo esemplare (1.) è scritto a mano su carta intestata del Corpus Christi College. Oxford (in esso è stata cancellata un’intera frase66), il secondo (2.) è a macchina in copia da carta carbone, con testo identico a 1. (salvo l’omissione della frase già cancellata in 1.), il terzo (3.) è ugualmente a macchina in copia da carta carbone, con testo identico a 2. (ma con correzioni a matita accolte poi nel testo definitivo). Su quest’ultima bozza è stata posta l’annotazione a matita, che colloca la trascrizione della lettera al 16 marzo («Transcribed by S. G. 16/3/12»), quindi dopo la data dell’11 marzo scritta nella lettera. Le iniziali «S. G.» (la cui grafia non è peraltro facilmente identificabile) si riferiscono verosimilmente a Strickland Gibson, segretario di Cowley, Bodley’s Librarian: ne ricavo il nome da una serie di brevi articoli di quotidiani, molto simili fra loro, verosimilmente dipendenti da una stessa fonstale a Bannister, datata 23 ottobre 1916 (MS. Autogr. c. 16, f. 3), in risposta a una richiesta di Frederick Cornwallis Conybeare (1856-1924) per la riproduzione di un manoscritto; poi una lettera, forse a Bannister ma con l’indicazione “For F(rancis) M(adan), datata 6 aprile 1918 (MS. Autogr. c. 16, f. 7), nella quale anzitutto esprime «il più sincero e profondo dolore» per «il male toccato al diletto nipote suo», poi assicura di aver indicato, in una terza pagina non pervenuta, «gli incipit ed explicit desiderati dall’amico suo» (verosimilmente Madan), elenca alcuni nuovi cataloghi usciti in Vaticana e, evidentemente riferendosi al periodo bellico in corso, rileva: «Nulla di nuovo qui dentro: continua sempre il deserto e la solitudine quasi completa: in compenso si riesce a fare qualche buon lavoro di interno»; infine un lettera formale di ringraziamento, datata 16 aprile 1918 (MS. Autogr. c. 16, ff. 8-9), per l’invio del volume (ricevuto in scambio): S. BARONIAN – F. C. CONYBEARE, Catalogue of the armenian manuscripts in the Bodleian Library, Oxford 1918 (Catalogi codicum manuscriptorum Bibliothecae Bodleianae, 14). 63 Come anticipavo in nt. 2 supra, ringrazio in particolare Stephen Hebron, che ha individuato i documenti e me ne ha gentilmente procurato una riproduzione. 64 ASV, Segr. Stato, Morte di Pontefici e Conclavi, fasc. 20, f. 195. 65 In Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli). 66 Si veda il testo di questa frase (e ogni altra indicazione testuale relativa a queste bozze) infra, nell’apparato all’edizione della lettera.
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te o più semplicemente dai primi pubblicati, i quali danno notizia della lettera accennandone al contenuto. Ma, prima di soffermarmi su di essi, riporto una trascrizione della lettera, utilizzando il testo inviato al Papa67 e segnalando in nota le varianti di ciascuna delle bozze, identificate con i numeri che le contraddistinguono: Beatissime Pater, Quoniam id quod numquam antea evenerat nunc factum est, ut is Pontifex Romanus crearetur qui et Oxoniam vidit et in Bibliothecaa Bodleiana studiis operam dedit, nos supradictae Bibliothecae Curatores, id quod numquam antea usu venit, nunc facere audemus ut Sanctitati vestrae gratulationes nostras observantiae plenasb per has litteras offeramus. Cum nullos fines noverit scientia, et virorum doctorum in omni orbe terrae una sit societas, hi profecto, quantum facere possunt, id agere debent, ut consuetudines interruptas sarciant et vulneribus inter bella et dissensiones impositis aliqua ex parte medeantur. Vehementer cupimus, Beatissime Pater, ut Deo adiuvante, id vestri Pontificatus grandec argumentum et opus sit, ut doctrina augeatur et non solum inter populos Christianos sed inter omnes ubique gentes sodalitas quaedam et concordia confirmetur.d Divinam potentiame exoramus ut vestram Sanctitatem salvam et incolumem in tempora longiora conservet. D(atum) Oxoniae V Idus Mart(ii) Anno Domini MCMXXII.f _____________ a Bibliotheca: Bibliohteca 3. (qui postea recte transponit) b observantiae plenas: cum fraternas tum filiales 1. 2. / plumbo delet et supra lineam observantiae plenas substituit 3. c grande: addit supra lineam 2. d Utinam per multos annos vos Deus nobis conservet add. et delet 1. e potentiam: potetiam addens n supra lineam 2. f D. Oxoniae V Idus Mart. Anno Domini MCMXXII. omittunt 1. 2. / D. Oxoniae V Idus Mart. Anno Domini 1922 plumbo addit 3.
Le variazioni dal primo testo a quello definitivo sono sostanzialmente due: l’omissione della frase, proposta solo in 1. (e poi cancellata: cfr. nota d): «Utinam per multos annos vos Deus nobis conservet», forse ritenuta persino esagerata, nonostante il tono generale fortemente celebrativo; e la variazione da «gratulationes nostras cum fraternas tum filiales», presente in tutte e tre le bozze, a «gratulationes nostras observantiae plenas», secondo una correzione a matita apposta sulla bozza 3., forse per togliere un’apparente eccessiva confidenzialità. Il contenuto è molto lineare: nel primo periodo si fa presente il caso singolare, mai verificato sin allora, di uno studioso della Bodleian Library68 67 Benché scritta in maiuscoletto, come indicato, trascrivo tuttavia in forma normale, distinguendo fra loro le lettere “v” e “u”, che nel maiuscoletto sono invece rese con forma identica. 68 L’espressione della lettera a questo proposito è comprensibilmente enfatizzata: Ratti
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elevato alla dignità di Pontefice Romano, e se ne trae motivo per porgere le più vive congratulazioni da parte della Biblioteca; nel secondo periodo, rimarcando come la ricerca scientifica non conosca barriere e gli studiosi nel mondo costituiscano una comunità, se ne trae la conseguenza che essi debbano fare quanto in loro potere per ristabilire i rapporti interrotti e per risanare i contrasti (si ricordi che la Grande Guerra mondiale, cui la lettera accennava, si era conclusa da pochi anni): per questo motivo si esprime il vivo desiderio che il pontificato di Pio XI possa contribuire a costruire fraternità e concordia non solo fra i cristiani ma anche fra tutti i popoli. La lettera si conclude con l’augurio al Papa per un lungo pontificato. Nell’originale seguono le firme autografe dei curatores della Biblioteca, che si concludono con quella del Bodley’s Librarian, Arthur Ernest Cowley: Ludovicus R. Farnell69 David L. Chapman70 Albertus C. Clark71 Franciscus de Zulueta72 Riginaldus L. Poole73 Georgius A. Cooke74 Arturus C. Headlam75 Franciscus Pember76 Arturus B. Poynton77
— come sappiamo — fu a Oxford nel 1914 per alcuni giorni e in Bodleian forse un giorno solo… 69 Lewis Richard Farnell (1856-1934), classicista e vice cancelliere: cfr. E. A. BARBER – R. C. T. PARKER, Farnell, Lewis Richard, in ODNB, XIX, Oxford 2004, pp. 74-75. 70 David Leonard Chapman (1869-1958), chimico e fisico: cfr. E. J. BOWEN – K. J. LAIDLER, Chapman, David Leonard, in ODNB, XI, Oxford 2004, pp. 37-38. 71 Albert Curtis Clark (1859-1937), classicista: cfr. H. E. BUTLER – R. SMAIL, Clark, Albert Curtis, in ODNB, XI, Oxford 2004, pp. 778-779. 72 Francis [Francisco Maria José] de Zulueta (1853-1958), giurista: cfr. F. H. LAWSON, Zulueta, Francis de, in ODNB, LX, Oxford 2004, pp. 1021-1022. 73 Reginald Lane Poole (1857-1939), storico e curatore degli archivi dell’università di Oxford: cfr. S. BAILEY, Poole, Reginald Lane, in ODNB, XLIV, Oxford 2004, pp. 845-847. 74 George Albert Cooke (1865-1939), biblista ed ecclesiastico della Chiesa d’Inghilterra: cfr. H. DANEY – G. LAW, Cooke, George Albert, in ODNB, XIII, Oxford 2004, pp. 145-146. 75 Arthur Cayley Headlam (1862-1947), teologo (dal 1923 vescovo di Gloucester): cfr. M. GRIMLEY, Headlam, Arthur Cayley, in ODNB, XXVI, Oxford 2004, pp. 124-125. 76 Francis William Pember (1862-1954), figlio di Edward Henry (1833-1911), riguardo al quale cfr. J. B. ATLAY – E. METCALFE, Pember, Francis William, in ODNB, XLIII, Oxford 2004, p. 501 (ivi un cenno a Edward Henry, «his eldest and only surviving son Francis William»). 77 Arthyr Blackburne Poynton (1867-1944), classicista, padre di Arthur Hilton (19051996), riguardo al quale cfr. S. R. ASHTON, Poynton, Sir Arthur Hilton, in ODNB, XLV, Oxford 2004, pp. 192-193 (a p. 192 un cenno ad Arthur Blackburne).
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Reginaldus H. Weaver78 Gilbertus Murray79 Percy S. Allen80 Henricus A. Wilson81 Arturus E. Cowley, praefectus Bibliothecae82
Gli articoli a cui accennavo, che danno notizia della lettera, si susseguono numerosi a partire dal 25 marzo, quando sull’Evening Standard uscì il primo di essi, intitolato Oxford and the Pope83. Ne do qui una trascrizione: The curators and chief officials of the Bodleian Library at Oxford, which includes the vice-chancellor and some eminent professors, are presenting the Pope with a letter of congratulation on his appointment, which is to take the form of an illuminated address. This presentation is being made to record the fact that, for the first time in the history of the Pontificate, a Pope is enthroned who studied at the University of Oxford and enjoyed the privileges of the Bodleian Library. The address, which is in Latin, is inscribed on vellum, and has a rich silk covering. The illuminating is the work of Mr. Strickland Gibson, who is secretary to Dr. A. E. Cowley, Bodley’s librarian.
Gli altri articoli, in ordine cronologico, furono: Oxford and the Pope. Presentation as an Old Student, in Morning Post del 27 marzo; Oxford letter to Pope. Congratulates the Only Pontiff who Used the Bodleian, in The Daily Chronicle dello stesso 27 marzo; Oxford and the Pope. Bodleian Library Address, in The Times del 28 marzo; Oxford and the Pope, in Evening News 78 Forse identificabile con lo storico John Reginald Homer Weaver (1882-1965), che curò l’edizione di The Chronicle of John of Worcester, 1118-1140, being the continuation of the Chronicon ex chronicis of Florence of Worcester. Edited from a manuscript in the Library of Corpus Christi College, Oxford, by J. R. H. WEAVER, Oxford 1908 (Anecdota Oxoniensia, Mediaeval and modern series, 13) e di due supplementi (Supplement 1912-1921 e Supplement 1922-1930) di The dictionary of national biography, Oxford 1927 e 1937. 79 George Gilbert Aimé Murray (1866-1957), classicista (docente di greco): cfr. Chr. STRAY, Murray, (George) Gilbert Aimé, in ODNB, XXXIX, Oxford 2004, pp. 912-918. 80 Percy Stafford Allen (1869-1933), studioso di Erasmo: cfr. J. B. TRAPP, Allen, Percy Stafford, in ODNB, I, Oxford 2004, pp. 809-811. 81 Henry Austin Wilson (1854-1927), liturgista: cfr. R. W. PFAFF, Wilson, Henry Austin, in ODNB, LIX, Oxford 2004, p. 559. Fra le lettere conservate in Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli), una, datata 22 marzo 1922 e indirizzata da Wilson a Cowley, autorizza quest’ultimo ad aggiungere il proprio nome: «Many thanks for your letter and its welcome. Please add my name as you suggest» (di fatto la grafia della firma di Wilson è la stessa utilizzata da Cowley per la propria firma). 82 Su Arthur Ernest Cowley cfr. nt. 49 supra. 83 Insieme agli altri citati di seguito, fa parte del gruppo raccolto da Durrant’s Press Cuttings, conservato in Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli).
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del 29 marzo; articolo senza titolo, in Tablet del 1° aprile84; articolo senza titolo, in South Wales Argus del 4 aprile. Si è anche conservata una lettera, inviata il 27 marzo al Bodley’s Librarian Cowley dal settimanale illustrato The Sphere (che l’11 marzo aveva pubblicato il bell’articolo già ricordato85), nella quale viene inoltrata la richiesta di poter riprodurre la busta o una porzione della lettera: la proposta rimane molto significativa, anche se la risposta fu negativa, evidentemente per un senso di rispetto per l’illustre destinatario86. Accanto a queste reazioni, molto positive, dobbiamo rilevare che non dovette mancare qualche voce di dissenso: di una, in particolare, abbiamo testimonianza nella lettera di protesta, datata 29 marzo 1922, a firma di Alfred Porcelli, conservata negli archivi della Bodleian Library87: lo scrivente dice di aver letto l’articolo di The Times del giorno prima (qui sopra citato) e di esserne stato sconvolto: «on opening “The Times”, yesterday, I was shocked to read that the Curators and Chief Official of the Bodleian Library are sending an illuminated address to the Pope congratulating him on his appointment!». Nel frattempo, da Oxford dovettero scrivere a Roma per accertarsi sul modo più opportuno per inviare la lettera. Fu scelto come interlocutore un inglese, il cardinale londinese (anche se di origine provenzale) Francis Neil (benedettino con il nome di Aidan) Gasquet (1845-1929), allora bibliotecario di S.R.C.88. In prima battuta dovette scrivergli uno dei curatori, Francis de Zulueta89, poiché a lui rispose il cardinale con una lettera datata 27 84 In aggiunta, rispetto al contenuto standard degli altri, l’articolo del Tablet rimarca che «It is a signal illustration of the comity of scholarship; and the Holy Father will see in this message of congratulation that Oxford, like Rome and Milan, rejoices in the thought of a successor of St. Peter who is no stranger to its books». 85 Cfr. nt. 61 supra e contesto. 86 In Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli). Nella lettera venivano poste le seguenti domande: «Would it be possible for us to get the cover of the address photographed? or perhaps a portion of the initial letter, or the whole frontispiece of the address? We would gladly have it photographed at our expense, and supply you with prints from the negative». A matita sulla lettera è stata posta una nota, che decifrerei: «an(swere)d 28.3.22 / NO»; la risposta dovette essere quindi negativa. 87 In Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli). 88 Era diventato bibliotecario il 9 maggio 1919: cfr. MEJÍA – GRAFINGER – JATTA, I cardinali Bibliotecari cit., pp. 311-315; D. A. BELLENGER, Gasquet, Francis Nail, in ODNB, XXI, Oxford 2004, pp. 614-616. Nel 1914, nell’anno in cui fu creato cardinale da papa Pio X, partecipò con un saggio su Roger Bacon and the Latin Vulgate (con evidente connessione al suo ruolo, che rivestiva dal 1907, di presidente della Commissione per la revisione della Vulgata) al volume in collaborazione organizzato per celebrare i settecento anni dalla nascita di Bacone: Roger Bacon. Essays cit. (nt. 51), pp. 89-99 e ricevuto in dono in quell’occasione da Achille Ratti (cfr. nt. 51 supra). 89 Cfr. nt. 72 supra.
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marzo90: in essa il cardinale si dichiarava ben lieto di far da tramite per la consegna di una lettera della Bodleian Library al Santo Padre, e si diceva sicuro che l’avrebbe ricevuta con piacere91. A seguito di questa risposta, dovette essere lo stesso Bodley’s Librarian Cowley a scrivere al cardinale, poiché questi, in una lettera dell’11 aprile rispose a lui92, informandolo di aver ricevuto la sua lettera due giorni prima, non invece il pacchetto raccomandato contenente evidentemente la lettera per il Papa (il ritardo, spiegava, era dovuto al gran tempo che richiedono tali spedizioni in Italia); ripeté anche a Cowley di essere ben lieto di consegnare la lettera al Papa, anzi asserì di avergliene già parlato e di essere certo che l’avrebbe accolta con piacere; assicurava infine che gli avrebbe fatto sapere non appena il Papa avesse avuto la lettera nelle sue mani93. Mentre avvenivano questi contatti e la lettera stava percorrendo il tragitto da Oxford a Roma, il 4 aprile avvenne un furto di sacchi postali nel tratto ferroviario fra Parigi e Laroche94, del quale diede notizia la stampa95. Nei giorni successivi, negli ambienti della Bodleian, si collegò a quel furto 90 In Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli), su carta con stemma e intestazione: Palazzo San Calisto (Trastevere) Roma. 91 «I shall be glad to be the mean of conveying to the Holy Father the address the Curators of Bodley’s Library propose to send to him. I am sure that he will receive it with pleasure». 92 In Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli), come la lettera precedente su carta con stemma e intestazione: Palazzo San Calisto (Trastevere) Roma. 93 «Your letter reached me two days ago, but so far I have no news of the registered packet. Here in Italy postal packets generally take a long time. So I write a line to say that I shall be pleased to present it to the Pope. I have already told him that it has coming. I am sure he will be pleased. I will let you know when it has been placed in his hands». 94 Si tratta verosimilmente della stazione di Laroche-Migennes, circa a 160 km a sud-est di Parigi, sulla linea ferroviaria che dalla capitale conduce a Lione. 95 Cito un articolo, individuato grazie al sito on line di The British Newspaper Archive (cfr. nt. 18 supra), siglato dall’agenzia Reuter: Paris Mail train Robbed. British Official Papers to Italy Taken, in Belfast News-Letter, 6 aprile 1922, p. 5: l’articolo, scritto da Parigi il mercoledì (quindi il 5 aprile), attestava: «The Paris-Mediterranean mail train was held up by thieves between Paris and Laroche last night, and thirty mail bags containing mails from England to Italy were stolen from one of the vans. There were two first-class carriages, attached to the mail vans, and one theory is that the robbers took their seats in one of these, clambered along the footboard, and carried out the robbery while the express was in motion. A second theory is that the robbers jumped on to train as it was leaving the station. The robbed van was padlocked and sealed, but there was no guard inside. The robbery was discovered when the train stopped at Laroche. According to to-night’s “La Presse,” the only van rifled contained the English diplomatic mail». La notizia ritornava in altri articoli (reperiti in The British Newspaper Archive), ad es.: British letters for Italy stolen, in Pall Mall Gazette, 5 aprile 1922, p. 5 (breve cenno); British mails stolen. Diplomatic papers also missing?, in Pall Mall Gazette, 6 aprile 1922, p. 9; British diplomatic letters stolen. Van locked but no guard inside, in Dundee Courier, 6 aprile 1922, p. 5.
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il ritardo nella consegna del pacchetto raccomandato con la lettera a Pio XI (e almeno due articoli, usciti l’11 aprile, ne davano informazione)96. La spedizione della lettera procedeva tuttavia regolarmente e il plico arrivò a Roma la mattina del 20 aprile, come il cardinal Gasquet si premurava di scrivere a Cowley quello stesso giorno97: «I write a line to say that this morning the Bodleian Address reached me and I at once went to the Vatican to present it to the Pope. So it is now in his hands and no doubt you will be having a reply in due course». Nei giorni seguenti la stampa inglese prese atto che la lettera non era stata rubata98. Il 28 aprile uscì anche un ampio articolo nel settimanale Universe and Catholic Weekly99, intitolato Oxford’s Address to the Pope, dai cui dettagli si rileva che l’estensore (o il suo informatore) ebbe fra mano il testo completo della lettera, di cui infatti riferiva ampiamente i contenuti, citando anzi alcune espressioni latine di essa, e l’elenco dei firmatari; conosceva anche il fatto che la lettera era stata fatta pervenire a Roma al cardinal Gasquet. È molto probabile che proprio questi fosse stato tramite delle dettagliate notizie al settimanale cattolico, anche perché quell’articolo informava altresì che il cardinale aveva ricevuto nel contempo un’altra lettera, inviatagli da Henry Martin (1852-1928)100, presidente dell’Association des bibliothécaires françaises e amministratore della biblioteca dell’Arsenal a Parigi. A nome dell’Association, Martin pregava Gasquet di far pervenire al Papa un messaggio di felicitazioni, che l’articolo riportava integralmente e che — pur estraneo alla tematica specifica di questo contributo — ritengo opportuno citare: Les Bibliothécaires de France, ayant éprouvé pendant de longues années, l’inépuisable bienveillance et la grande érudition de Celui qui, après avoir présidé d’une façon si remarquable aux destinées de la Bibliothèque Ambrosienne et de la Bibliothèque Vaticane, est élevé aujourd’hui au Suprême Pontificat,
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Ambedue da Durrant’s Press Cuttings: Oxford Letter to Pope Stolen, in The Daily Chronicle, 11 aprile 1922 («At the Bodleian Library, Oxford, it is feared that the letter of congratulation sent to the Pope has been stolen with the 30 mail bags recently secured by bandits»); Memorial stolen? Oxford’s letter to the Pope, in The Westminster Gazette, 11 aprile 1922. 97 In Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli), come le due lettere precedenti su carta con stemma e intestazione: Palazzo San Calisto (Trastevere) Roma. 98 Si vedano, ad es., fra gli articoli raccolti da Durrant’s Press Cuttings: Oxford greets the Pope. Bodleian Address reaches the Vatican safely, in Evening News, 27 aprile 1922; Bodleian Congratulations to the Pope, in Oxford Times, 28 aprile 1922. 99 Anch’esso fra gli articoli raccolti da Durrant’s Press Cuttings. 100 Entrato a l’Arsenal nel 1975 e divenuto sotto-bibliotecario nel 1879, fu nominato amministratore nel 1906: cfr. F. FUNCK-BRENTANO, Henry Martin, in Bibliothèque de l’École de chartes 88 (1927), pp. 374-376.
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sont particulièrement fiers et heureux du choix du dernier Conclave : ils ont pensé que personne mieux que Votre Éminence ne saurait exprimer au Saint Père tous leurs sentiments de respectueuse gratitude et de profonde satisfaction.
In base alla documentazione raccolta, solo il 31 maggio101 la Bodleian Library informò di aver ricevuto la lettera di risposta di Pio XI e, nel contempo, anche il testo della propria lettera al Pontefice: ne trovo testimonianza in una pagina a stampa, contenente ambedue i testi, corredata da indicazioni a mano sia della data (appunto il 31 maggio) sia dell’abbreviazione O.U.G., corrispondente a Oxford University Gazette102. Il materiale preparatorio della risposta di Pio XI, conservato nell’Archivio Segreto Vaticano, non permette di seguire articolatamente le fasi della preparazione del testo. Sono stati tuttavia conservati alcuni importanti documenti: anzitutto un interessante foglio interamente occupato da una scritta a matita blu: «Sta molto a cuore del S(anto) Pad(re) / una / Lettera bellissima / di / risposta / in latino»103 (Tav. II); poi la minuta della lettera (datata 10 maggio), a mano, con varie correzioni a penna, su un foglio scritto sulle due facciate, con il nome «Silvestrini» (verosimilmente Fernando Silvestrini, uno degli scrittori della Segreteria di Stato)104 in matita rossa, di traverso, in uno spazio libero del recto105; infine la minuta della lettera accompagnatoria del cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri106, datata 23 maggio, con l’indicazione «Urg(ente)» in matita blu nella parte libera del margine superiore107. 101
Ancora il 26 maggio un breve trafiletto, senza titolo, in Oxford Times (fra gli articoli raccolti da Durrant’s Press Cuttings), asseriva che «No official reply has been received from the Pope to the letter of congratulation forwarded to him by the curators of the Bodleian Library». 102 In Bodleian Library Records e.606 (senza numerazione dei fogli). Già il citato articolo in Oxford Times del 28 aprile (cfr. nt. 98 supra) preannunciava la pubblicazione della lettera sull’Oxford University Gazette: «The reply, when received, will be taken before the Bodleian Board, which only meets twice a term, and the text and reply, if the Curators assent, will be published in the “University Gazette”». 103 ASV, Segr. Stato, Morte di Pontefici e Conclavi, fasc. 20, f. 192. 104 È elencato fra gli Scrittori nell’Annuario Pontificio per l’anno 1922. Pubblicazione ufficiale, Roma 1922, p. 677. 105 ASV, Segr. Stato, Morte di Pontefici e Conclavi, fasc. 20, f. 194. 106 R. ASTORRI – C. FANTAPPIÈ, Gasparri, Pietro, in Dizionario biografico degli Italiani, LII, Roma 1998, pp. 500-507. 107 ASV, Segr. Stato, Morte di Pontefici e Conclavi, fasc. 20, f. 193. Sul foglio, scritto su una sola pagina, compare anche una scritta in matita rossa, che non so decifrare (probabilmente un nome abbreviato).
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LA NOMINA DI PIO XI E LA BODLEIAN LIBRARY
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L’originale della lettera è conservato presso la Bodleian Library108 (Tavv. III-IV) insieme alla lettera accompagnatoria del cardinale Segretario di Stato109 e alla busta che le conteneva110. Trascrivo la lettera del Papa111: Illustrissimis Viris Arcturo E. Cowley Praefecto Bibliothecae Bodleianae ceterisque eiusdem Curatoribus. Pius PP. XI. Illustrissimi Viri, Quoniam suavissima haeret in Nostro animo Bibliothecae istius memoria, ubi egregiam humanitatem vestram simulque sapientem sollertiam Ipsi experiendo novimus, idcirco gratum sane habuimus earum litterarum officium, quibus vos, hanc Nobis dignitatem summam gratulati, felicia et salutaria omnia precabamini. Equidem paterno studio hanc amoris significationem rependimus, lectissima quaeque vicissim vestra causa cupientes. Sed alia causa est cur laetemur vobis vehementer; ille scilicet consensus animorum mutuus, non modo in veritate inquirenda, sed etiam in iis urgendis propositis quae ad sanationem pertinent publicorum malorum. Profecto illud imprimis Nostrum erit, cum bonis omnibus, eniti atque contendere ut, per caritatem Christi pax tandem afflictatis populis restituatur: in quo non parum certe conferent studiosi omnes, ea praesertim principia aeterna inculcando quibus solum, tamquam fundamento nititur ac viget humana societas. Ceterum Deum Omnipotentem rogamus ut communibus his optatis favere vosque perfecta Nobiscum caritate coniungere benigne velit. Datum Romae apud Sanctum Petrum, die X mensis Maii MCMXXII, Pontificatus Nostri anno primo. PIUS PP. XI.
Rivolgendosi a Cowley e ai curatori della Bodleian Library, Pio XI rievocava la diretta esperienza che aveva avuto della Biblioteca e ringraziava per la lettera di augurio che gli avevano inviato per la sua recente nomina. Si rallegrava, in particolare, per il comune intento non solo nel ricercare la verità ma anche nel perseguire il risanamento dei mali pubblici (ricordiamo ancora che da pochi anni si era conclusa la Grande Guerra mondiale). 108
Bodleian Library, Ms. Autogr. c. 15, ff. 2-3. Bodleian Library, Ms. Autogr. c. 15, ff. 4-5: «Compio il gradito incarico di rimettere, qui unito, alla S(ignoria) V(ostra) Ill(ustrissi)ma il venerato Autografo che l’Augusto Pontefice si è degnato destinare ai Bibliotecari Bodleiani, in risposta al devoto indirizzo da loro testé umiliatogli; e profitto volentieri dell’incontro per raffermarmi con sensi di distinta stima». 110 Bodleian Library, Ms. Autogr. c. 15, f. 6. 111 A differenza di quanto compiuto per la lettera della Bodleian Library al Papa, non segnalo alcun confronto con la bozza conservata nell’Archivio Segreto Vaticano: la redazione presente in essa è infatti identica a quella trascritta e, per altro verso, è frutto di svariate correzioni, molte delle quali compiute in scribendo, di fatto di difficile (e meno utile) identificazione e indicazione. 109
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In unione a tutti i buoni, sarebbe stato impegno del Pontefice adoprarsi con tutti i buoni a ristabilire la pace per mezzo dell’amore di Cristo tra i popoli afflitti. A questo scopo tutti gli studiosi avrebbe potuto contribuire non poco, trasfondendo nella società quei principi eterni che solo costituiscono il fondamento su cui si fonda l’umana società. Il Papa concludeva invocando Dio perché sostenesse questi desideri e unisca con lui nell’amore i suoi destinatari. Con questo risposta — con la quale papa Ratti dialogava cordialmente con gli esponenti della Bodleian Library accogliendo e confermando le più autentiche aspirazioni del mondo della cultura a superare le divisioni e a costruire la pace — raggiungono un singolare vertice i contatti, iniziati a fine Ottocento, fra Bodleian Library e Università di Oxford da un lato e Biblioteca Apostolica Vaticana e Santa Sede dall’altro112.
112
Per i contatti successivi aggiungo a quelli più recenti, già rievocati in nt. 4 supra, anche due documenti prodotti ancora sotto il pontificato di Pio XI. Anzitutto, nell’anno stesso della sua elezione, il 10 ottobre 1922, il Papa inviò una lettera ai partecipanti a un convegno su Ruggero Bacone (Bodleian Library, Ms. Autogr. c. 16, ff. 7-8, e f. 9 la busta); inoltre, nel 1932, il 25 agosto, il cardinale Eugenio Pacelli, Segretario di Stato, inviò una lettera, a nome del Papa, a Sidney Herbert Scott (Bodleian Library, Ms. Autogr. c. 16, f. 22), in ringraziamento al volume intitolato The eastern Churches and the Papacy, London 1928, che quegli aveva scritto e inviato al Papa. A proposito di questo volume, annoto che esso è conservato in Vaticana in due esemplari: uno (R.G. Storia IV.6253) è l’esemplare inviato al Papa (vi si legge infatti la dedica, datata 9 agosto 1932: «Beatissimo Patri pape Pio XI. Sidneus Herbertus Scott, presbyter anglicanus, orationibus ad Deum, voce, scripto, magnis desideriis enitens ut fratres anglicani, qui fidem et baptismum a S. Gregorio pontifice maximo acceperunt cum universo Christi grege denuo unum sint, humiliter D(ono) D(edit)»), l’altro (R.G. Storia IV.16460), verosimilmente donato dall’autore alla Biblioteca, reca trascritte sulle prime pagine, apparentemente dallo stesso autore, sia la dedica a Pio XI sia la risposta del cardinal Pacelli.
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LA NOMINA DI PIO XI E LA BODLEIAN LIBRARY
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Tav. I – Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Segr. Stato, Morte di Pontefici e Conclavi, fasc. 20, f. 195 = lettera della Bodleian Library a Pio XI, 11 marzo 1922.
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CESARE PASINI
Tav. II – Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Segr. Stato, Morte di Pontefici e Conclavi, fasc. 20, f. 192 = indicazione della segreteria per la preparazione della risposta di Pio XI.
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LA NOMINA DI PIO XI E LA BODLEIAN LIBRARY
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Tav. III – Oxford, Bodleian Library, Ms. Autogr. c. 15, f. 2r = lettera di Pio XI alla Bodleian Library, 5 maggio 1922, prima pagina.
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CESARE PASINI
Tav. IV – Oxford, Bodleian Library, Ms. Autogr. c. 15, f. 2v = lettera di Pio XI alla Bodleian Library, 5 maggio 1922, seconda pagina.
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PAOLA PIACENTINI
APPUNTI SU CODICI CERVINIANI DI AMBIENTE BOLOGNESE Come è noto, il Vat. lat. 8185, pt. 2, ff. 258r-330v contiene l’inventario della biblioteca di Marcello Cervini (papa Marcello II, 1555), biblioteca costituita da edizioni a stampa e da manoscritti latini, greci e orientali, suddivisa fra Roma e Montepulciano — città d’origine della sua famiglia — fatta catalogare dal nipote Erennio che nel 1574 aveva ricevuto 2000 scudi per i manoscritti. Nel 1574 infatti Guglielmo Sirleto, allora cardinale bibliotecario, era stato incaricato da Gregorio XIII di acquistare la raccolta, di riunire a Roma le due collezioni di libri e di depositarle nella Biblioteca Vaticana: i volumi furono consegnati a Sirleto e presso Sirleto rimasero — come ipotizza Giovanni Mercati — «nell’attesa che si decidesse e si eseguisse l’ampliamento, ormai divenuto necessario, della biblioteca pontificia». La biblioteca di Cervini/Sirleto (m. 1585), acquistata nel 1588 da Ascanio Colonna, il 16 agosto 1611 passò (per 13.000 scudi) a Giovanni Angelo Altemps, a eccezione di 84 manoscritti (48 latini e 36 greci) fatti comprare da Paolo V per la Vaticana nel 1612, e infine nel 1690 venne acquistata da Pietro Ottoboni (Alessandro VIII). Il catalogo dei codici sirletiani è oggi nel Vat. lat. 6163, e vi si ritrovano molti dei titoli presenti nell’inventario di Cervini1. Un gruppo abbastanza numeroso di testi suggerisce un’origine bolognese, anche se non è sicuro che tutti abbiano fatto parte della raccolta 1
Non era raro che i curiali trasferiti a Roma — come per esempio i Maffei studiati da José Ruysschaert — possedessero due raccolte librarie, una nel luogo di origine e un’altra a Roma, per poter avere a portata di mano i libri necessari. G. MERCATI, Sulla venuta dei codici del Cervini nella Vaticana e la numerazione loro, in ID., Per la storia dei manoscritti greci di Genova, di varie badie basiliane d’Italia e di Patmo, Città del Vaticano 1935 (Studi e testi, 68), p. 187; F. RUSSO, La biblioteca del Card. Sirleto, in Il Card. Guglielmo Sirleto (1514-1585). Atti del Convegno di studio nel IV centenario della morte (Guardavalle…, 5-6-7 ottobre 1986), a cura di L. CALABRETTA e G. SINATORA, Catanzaro-Squillace 1989, pp. 219-299 (da ora RUSSO); P. PIACENTINI, La biblioteca di Marcello II Cervini. Una ricostruzione dalle carte di Jeanne Bignami Odier. I libri a stampa, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 404); EAD., Marcello Cervini (Marcello II). La Biblioteca Vaticana e la biblioteca personale, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012, pp. 126-133; S. LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana, ivi, pp. 146-188. Non prendo qui in considerazione gli altri due inventari parziali conservati nei fondi vaticani, cioè l’Arch. Bibl. 15, pt. A, e il Chig. R.II.62. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 399-431.
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PAOLA PIACENTINI
cerviniana: presumibilmente Marcello II se li era procurati quando si trovava a Bologna per il concilio (1547-1549), poi erano stati collocati nella biblioteca rimasta a Montepulciano e di qui inviati a Roma dove, come la maggior parte dei manoscritti Cervini/Sirleto, erano infine entrati nella Biblioteca Vaticana, nel fondo Ottoboniano. Solo quattro codici si trovano in altre biblioteche e sono privi di qualsiasi elemento che li possa ricollegare al cardinale di S. Croce, ma non conosciamo la loro storia pregressa. Nell’inventario del Vat. lat. 8185, pt. 2, si trovano per lo più fra i Libri latini manuscripti ex Biblioteca Cervina e Monte Politiano Romam missi, sia fra i codici in folio (ff. 278r-279r), sia fra quelli in quarto (ff. 279r-281r)2. I volumi, per lo più cartacei, non particolarmente eleganti, databili intorno alla metà del Quattrocento, recano la nota di possesso di tre personaggi abbastanza noti: Alberto Parisi (m. 1477), Bartolomeo Ghisilardi (1436-1505) e Giovanni Garzoni (1419/1429-1505), tutti e tre impegnati nella vita politica e sociale della seconda metà del Quattrocento, nel periodo di maggiore splendore del governo dei Bentivoglio — una delle principali famiglie che con alterne vicende aveva avuto un ruolo notevole nella storia della città3 —, ma anche presenti nell’ambiente accademico e lettera2 F. FOSSIER, Premières recherches sur les manuscrits latins du cardinal Marcello Cervini, in Mélanges de l’Ecole Française de Rome, Moyen Age-Temps modernes 91 (1979), pp. 393-396 = Vat. lat. 8185, pt. 2, ff. 278r-281r; pp. 439-444 identificazioni dei manoscritti spediti da Montepulciano a Roma nel 1574. Per le indicazioni relative ai codici mi servo anche della revisione del lavoro di Fossier, iniziata da J. Bignami Odier e ripresa da me tempo fa. Alcuni manoscritti sono stati digitalizzati e si trovano sui siti ufficiali delle diverse biblioteche. Ne ho dato qui solo una descrizione sintetica riportando unicamente gli elementi essenziali; non ho per esempio esaminato in dettaglio le filigrane della carta che potrebbero in effetti confermare la realizzazione bolognese dei codici ma molte delle quali non sono decifrabili, come ho potuto constatare e come specificato in Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, Catalogue établi par É. PELLEGRIN [et al.], I, Paris 1975; altra indagine che andrebbe effettuata è quella sulle scritture, per stabilire se possibile un rapporto fra i diversi scriventi e per controllare i notabilia e le glosse marginali, in genere di mano diversa da quella del testo. Per esempio, numerosi notabilia e una aggiunta in fine dell’Historia tripartita di Poggio (Ott. lat. 1196, f. 304r) sembrano dello stesso scrivente dell’orazione di Pio II del 26 sett. 1459 (Ott. lat. 1170, f. 291r). 3 Mi limito a dare alcune sommarie notizie sulla storia politica e culturale bolognese del periodo, rinviando per maggiori informazioni alla bibliografia specifica; a parte le singole voci del Dizionario biografico degli Italiani (DBI; alcune delle quali ormai un po’ “invecchiate”), e alle indicazioni dell’Iter Italicum di P. O. KRISTELLER, vedi i saggi di C. ADY, The Bentivoglio of Bologna. A study in despotism, London 1937, trad. it. Varese 1967; Bentivolorum Magnificentia. Principe e cultura a Bologna nel Rinascimento, a cura di B. BASILE, Roma 1984; E. RAIMONDI, Codro e l’Umanesimo a Bologna, Bologna 1987, p. 129 ss.; ivi notizie anche su altri umanisti bolognesi contemporanei; i numerosi lavori di L. CHINES sull’umanesimo bolognese fra cui (a cura di) I lettori di retorica e humanae litterae allo Studio di Bologna nei secoli XV-XVI, Bologna 1992; EAD., La parola degli antichi. Umanesimo emiliano tra scuola e poesia, Roma 1998 (con abbondante bibliografia); gli importanti studi di M. REGOLIOSI a partire dal fondamentale Nel cantiere del Valla. Elaborazione e montaggio delle «Elegantie», Roma 1993;
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APPUNTI SU CODICI CERVINIANI DI AMBIENTE BOLOGNESE
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rio bolognese, lettori e possessori di libri, in alcuni casi copisti o scrittori, come risulta dall’esame della loro biografia e dei loro manoscritti che mettono in luce le reti di conoscenze e amicizie, le polemiche, le dichiarazioni di ammirazione o disprezzo che appassionavano i circoli letterari dell’epoca. Parisi e Ghisilardi, insieme con Bornio da Sala e Benedetto Morandi (spesso ricordati con parole di stima e affetto — fra gli altri da Poggio — nella corrispondenza di quegli anni) avrebbero fatto parte di quella “élite” di giuristi bolognesi che avevano cercato negli autori antichi «modelli di bello scrivere e retto pensare, piuttosto che un’occasione per allargare conoscenze e mettere in discussione metodi filologici e tecniche euristiche»4. Quella dei Bentivoglio viene considerata una “signoria atipica” che dura poco più di mezzo secolo e deve continuamente confrontarsi non solo con le due grandi realtà presenti in città, la Chiesa e l’Università, ma anche con altre famiglie nobili, in particolare i Canetoli. La loro fortuna aveva avuto inizio con Giovanni I proclamatosi nel 1401 signore di Bologna, ma in seguito avevano subito diversi rovesci, molti erano stati uccisi o costretti all’esilio, fino a quando, nel 1446, era stato chiamato da Firenze il nipote di Giovanni I, Sante Bentivoglio. Sante e soprattutto Giovanni II che gli succede nel 1462, non “signori” ma membri di una “famiglia egemone” (non dissimile dalla “dinastia” dei Medici a Firenze), erano riusciti a collocarsi al centro di un gruppo oligarchico che governava la città insieme con il legato pontificio e nello stesso tempo avevano ottenuto anche un largo consenso popolare. Nonostante i rapporti non sempre facili con il papa e con i suoi legati — più di una volta Bologna si era ribellata alla Chiesa — e i capitoli, accettati anche dai papi successivi, concordati nell’agosto del 1447 fra le magistrature cittadine e papa Niccolò V (compromesso che andava man A. L. TROMBETTI BUDRIESI, Alessandro VI e i Bentivoglio, in La fortuna dei Borgia. Atti del convegno (Bologna, 29-31 ottobre 2000), a cura di O. CAPITANI – M. CHIABÒ – M. C. DE MATTEIS – A. M. OLIVA, Roma 2005, pp. 87-114; B. PIO, Aspetti politico-istituzionali di Bologna all’epoca di Alessandro VI, ivi, pp. 115-129; Lorenzo Valla e l’umanesimo bolognese. Atti del Convegno internazionale, Comitato nazionale VI centenario della nascita di Lorenzo Valla (Bologna 2526 gennaio 2008), a cura di G. M. ANSELMI – M. GUERRA, Bologna 2009; A. MANTOVANI, Introduzione a Giovanni Garzoni, Historiae Bononienses, edizione critica a cura di A. MANTOVANI, Bologna 2010, ripreso in A. MANTOVANI, Giovanni Garzoni. Uno scolaro del Valla alla corte dei Bentivoglio, in Lorenzo Valla e l’umanesimo bolognese cit. sopra; G. M. ANSELMI, Letteratura e civiltà tra Medioevo e Umanesimo, Roma 2011, in particolare pp. 173-212; A. SEVERI, Valla tra eruditio e phantasia nell’elogio di Niccolò Volpe, in Nel cantiere degli Umanisti. Per Mariangela Regoliosi, a cura di L. BERTOLINI – D. COPPINI – C. MARSICO, 3 vol., Firenze 2014, III, pp. 11731196; L. QUAQUARELLI, Il Quattrocento dei copisti. Bologna, Bologna 2014. 4 Qualche dubbio circa l’interpretazione di A. SEVERI, Perotti e Morandi nella disputa Valla-Bracciolini: umanesimo bolognese tra nuove e vecchie tendenze, in Lorenzo Valla e l’umanesimo bolognese cit., pp. 99-114.
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PAOLA PIACENTINI
mano perdendo di valore in favore delle famiglie più potenti e in particolare dei Bentivoglio), la città, grazie all’accorta politica nei confronti degli altri Stati e all’amore per le arti dei suoi signori, poté godere di un periodo di relativa tranquillità e di splendore finché la “politica del consenso” si era trasformata in “politica del terrore”. Catastrofi naturali, fatti di sangue spesso dovuti anche al carattere violento e vendicativo dei figli di Giovanni, considerato ormai quasi un tiranno, la dura repressione che aveva fatto seguito nel 1488 alla congiura dei Malvezzi — una delle principali famiglie bolognesi che aspiravano ad eliminare dal potere la famiglia rivale — e nel 1501 la strage dei Marescotti — altra importante famiglia sostenitrice poi avversaria dei Bentivoglio — alienarono a questi ultimi la simpatia dei concittadini. Dopo gli inutili tentativi di Cesare Borgia di creare un suo principato in Romagna e di conquistare Bologna, prima aiutata poi abbandonata da Luigi XII di Francia (nel 1502 viene stipulata a Imola la pace fra il Valentino e Giovanni II), nel novembre del 1506 il Bentivoglio abbandona la sua città, e dieci giorni dopo papa Giulio II, deciso a riconquistare le terre soggette alla Chiesa, entra in Bologna5. Lo splendido palazzo di famiglia, uno dei maggiori esempi dell’architettura bolognese della seconda metà del Quattrocento, viene distrutto dalla furia del popolo. Durante il governo Bentivoglio avevano preso nuovo impulso le arti, l’architettura e soprattutto l’università, rinomata per la sua scuola di diritto (vi studiano fra gli altri Tommaso Parentucelli/Niccolò V e nel 1455-1456 Rodrigo Borgia, poi Alessandro VI). La Bologna quattrocentesca, erede di una tradizione letteraria “autoctona”, si presenta «come realtà “di confine” particolarmente ricca e multiforme, crocevia tra le aree culturali più vivaci e fervide del tempo (da quella veneta e padana a quella toscana e marchigiana) nonché meta ambita di umanisti celebri e uomini di cultura in genere che nell’Alma Mater Studiorum insegnano, si muovono, stringono contatti»6. 5
Sui rapporti Bologna-Papato vd. A. DE BENEDICTIS, Il papa «desiderava de havere Bologna libera»: libero dominio papale e libertà cittadina tra Martino V e Niccolò V, in Lorenzo Valla e l’umanesimo bolognese cit., pp. 185-199. La presa di Bologna da parte del papa è stata celebrata dai poeti contemporanei: vd. Historia come papa Iulio secondo ha prese la cita de Bologna, in Guerre in ottava rima. II. Guerre d’Italia (1483-1527), a cura di M. BEER – D. DIAMANTI – C. IVALDI, Modena 1989, pp. 219-224, cit. in I. PANTANI, La poesia volgare a Roma negli anni di Giulio II, in Metafore di un pontificato. Giulio II (1503-1513), Roma, 2-4 dicembre 2008, a cura di F. CANTATORE [et al.], Roma 2010 (Roma nel Rinascimento inedita, 44 saggi); o i versi del bolognese Floriano Zanchin cit. in O. NICCOLI, Cantari e profezie popolari dei tempi di Giulio II, in Giulio II. La cultura non classicista, in Metafore cit. sopra, Viterbo, S. Maria in Gradi, 13 maggio 2009, a cura di P. PROCACCIOLI, con la collab. di M. CHIABÒ – A. MODIGLIANI, Roma 2010, p. 116. 6 CHINES, La parola degli antichi cit., p. 77; e passim per i letterati qui citati infra sui quali mi limito a dare sommarie indicazioni bibliografiche.
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APPUNTI SU CODICI CERVINIANI DI AMBIENTE BOLOGNESE
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Nel XV secolo, in particolare durante gli anni della legazione di Bessarione (1450-1455)7 e di Angelo Capranica (1458-1467), si assiste a una “rinascita culturale” in senso umanistico grazie ai contatti con le principali università italiane, all’apertura delle scuole conventuali e soprattutto ad opera dello Studio, riformato dalla bolla di Niccolò V del 25 luglio 1450: a Bologna, dove avevano predominato gli studi di diritto e medicina, si moltiplicano gli insegnamenti, sono avviati corsi di ebraico, musica, astronomia, matematica, si sviluppano la passione per gli studi letterari e per le scoperte di nuovi autori, l’esame dei testi antichi e, grazie alla presenza di Bessarione e sotto lo stimolo di Tortelli — che aveva vissuto alcuni anni a Costantinopoli — Niccolò Volpe, Lianoro Lianori, Niccolò Perotti, l’interesse per il greco. Viene arricchita la biblioteca dello Studio e aumentano le biblioteche, private e religiose, in cui confluivano — come documenta Fabio Vigili nel 1511 — le raccolte librarie dei docenti8. Nell’ultimo quarto del secolo nascono le prime tipografie fra le quali famose quelle di Baldassarre Azzoguidi (dal 1470), Francesco Benedetti detto Platone, Benedetto Faelli, i fratelli Bazalieri9. Membri delle famiglie principali, amministratori pubblici, ambasciatori, giuristi si formano in una università dove spesso tornano come insegnanti e in cui sono presenti molti fra i maggiori intellettuali dell’epoca10, come — per citare i più celebri — Gasparino Barzizza per un biennio e dopo molte difficoltà (1426-1428), il cui De elocutione è copiato da Giovanni Garzoni in un codice della Biblioteca Universitaria di Bologna (da ora BUB: vd. oltre); i Filelfo (per pochi mesi Francesco nel 1428 e nel 1438, dal 7 Sarebbe interessante poter verificare un episodio relativo a Stefano Porcari, confinato a Bologna nel 1451-1452 sotto la tutela di Bessarione. Alla fine del 1452 Porcari si incontra davanti a S. Domenico con cittadini romani e uomini di legge, con il proposito di tornare a Roma: chi sa se fra questi “doctores et iurisperiti” erano anche i nostri personaggi, dei quali non sappiamo nulla per quanto riguarda gli orientamenti politici ? Vd. A. MODIGLIANI, Congiurare all’antica. Stefano Porcari, Niccolò V, Roma 1453. Con l’edizione delle fonti, Roma 2013, pp. 37, 160-162 (relazione di un anonimo curtisanus). 8 M.-H. LAURENT, Fabio Vigili et les bibliothèques de Bologne au début di XVIe siècle d’après le ms. Barb. lat. 3185, Città del Vaticano 1943 (Studi e testi, 105), p. XVII ss. Un accenno in P. TINTI, Valla nelle biblioteche bolognesi di età umanistica, in Lorenzo Valla e l’umanesimo bolognese cit., pp. 285-299: 296-297. 9 Vd. oltre per l’edizione di Ovidio e L. SIGHINOLFI, Francesco Puteolano e le origini della stampa in Bologna e in Parma, in La Bibliofilia 15 (1913-1914), pp. 331-344; A. SORBELLI, Storia della stampa in Bologna, a cura di M. G. TAVONI, Bologna 2003. Uno dei primi libri stampati è l’Oratio de laudibus legum di Giovanni Garzoni (Caligola Bazalieri, tra 1488 e 1496: ISTC ig00109100). Anche fra gli stampati di Marcello II erano diverse edizioni di Platone de’ Benedetti e dei Faelli: PIACENTINI, La biblioteca di Marcello II Cervini cit., ad indicem. 10 Vd., in generale, U. DALLARI, Rotuli dei lettori, legisti ed artisti dello Studio bolognese, Bologna 1891.
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1461 al 1463 il figlio Giovanni Mario)11; Giovanni Tortelli, giunto nel 1441 a Bologna dove studia e prende la laurea in teologia (1441-1445) e dove lavora attivamente alla prima parte dell’Orthographia12; il giurista siciliano Andrea Barbazza, collaboratore di Bessarione, addottorato in diritto a Bologna nel 1439 e docente di diritto canonico (1439-1444)13; Giovanni Lamola (1435-1446 circa) dopo essersi spostato da una città all’altra in cerca di una sistemazione o per sfuggire alle epidemie di peste che avevano fra l’altro causato la morte del suo primogenito; Niccolò Perotti, giunto a Bologna al seguito del cardinale Niceno, che succede al Lamola e su incarico del cardinale dal 1451 al 1455 affianca il vicentino Niccolò Volpe (1439-1460) nell’insegnamento di poesia e retorica14; il medico padovano Giovanni Marcanova lettore di filosofia ordinaria (1452-1467); Lianoro Lianori, uno dei tanti corrispondenti e amici di Tortelli, lettore di greco e di filosofia morale dal 1455 al 1459, che oltre all’insegnamento riceve numerosi benefici ed è incaricato dai diversi pontefici di missioni diplomatiche in Italia e all’estero; Andronico Callisto, originario di Costantinopoli, amico di Francesco Filelfo e parente di Teodoro Gaza (1458-1466 con un intervallo fra 1459 e 1462), che succede a Lianoro nell’insegnamento di lettere greche e filosofia morale; Antonio Tridentone copista e forse miniatore, nato a Parma, allievo di Lianoro Lianori, lettore di retorica e poesia (1454-1456) 11
Vedi le esaustive voci di P. VITI, Filelfo, Francesco, in DBI, 47, Roma 1997, pp. 613-626; F. PIGNATTI, Filelfo, Giovanni Mario, ibid., pp. 626-631. 12 M. REGOLIOSI, Nuove ricerche intorno a Giovanni Tortelli. 2. La vita di Giovanni Tortelli, in Italia medioevale e umanistica 12 (1969), pp. 129-196; M. D. RINALDI, Fortuna e diffusione del «De orthographia» di Giovanni Tortelli, ivi, 16 (1973), pp. 227-236; su Tortelli e l’Orthographia vd. i lavori di P. TOMÈ e, sulla corrispondenza con Niccolò Volpe relativa all’opera, A. ONORATO, Gli amici bolognesi di Giovanni Tortelli, Messina 2003 e G. DONATI, L’Orthographia di Giovanni Tortelli, Messina 2006 (Percorsi dei Classici, 11; recensione di G. NOTARLOBERTI in RRroma nel rinascimento, 2008, pp. 37-42); infine i diversi articoli raccolti in Giovanni Tortelli primo bibliotecario della Vaticana. Miscellanea di studi, a cura di A. MANFREDI – C. MARSICO – M. REGOLIOSI, Città del Vaticano 2016 (Studi e testi, 499), fra cui M. REGOLIOSI, Ritratto di Giovanni Tortelli Aretino, pp. 17-57; A. ONORATO, Dal carteggio bolognese di Tortelli: Lianori, Perotti e il progetto di Niccolò V di latinizzazione dei classici greci, pp. 445-477. 13 F. LIOTTA, Barbazza, Andrea, in DBI, 6, Roma 1964, pp. 146-148; C. BIANCA, Note su Andrea Barbazza e il cardinale Bessarione, in Res Publica Litterarum 6 (1983), pp. 43-58. 14 Niccolò Volpe, come molti dei docenti, teneva anche corsi privati, anche di greco, possedeva una buona biblioteca, era stato amico fra gli altri di Tortelli, Perotti e Antonio Tridentone — di cui si era anche avvalso come copista per alcuni manoscritti classici — e in rapporti diretti ed epistolari con molti degli umanisti bolognesi dell’epoca: L. FRATI, Di Niccolò Volpe (Appunti biografici), in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna 9 (1926), pp. 201-212; D. CANFORA, L’elegia di Niccolò Volpe ad Alberto Enoch Zancari, in Poesia umanistica latina in distici elegiaci. Atti del Convegno internazionale (Assisi 15-17 maggio 1998), a cura di G. CATANZARO – F. SANTUCCI, Assisi 1999, p. 199 e n. 1; ONORATO, Gli amici bolognesi cit.; CHINES, La parola degli antichi cit., p. 109 (sull’edizione di Ovidio); EAD., Valla e la grande pratica del commento a Bologna, in Lorenzo Valla e l’umanesimo bolognese cit., p. 17 ss.
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prima di trasferirsi a Roma con l’incarico di notaio della cancelleria apostolica (1460/1461-1470)15; Francesco Dal Pozzo o Puteolano (1467-1478), esperto filologo, interessato alle imprese tipografiche degli editori e dei lettori emiliano-lombardi, che collabora all’edizione delle opere di Ovidio, il primo volume stampato a Bologna dall’Azzoguidi nel 147116, precettore fra l’altro dei giovani Bentivoglio; Filippo Beroaldo senior (1472-1505); Antonio Urceo Codro (Antonio Cortesi: 1482-1500), allontanatosi da Forlì dopo la caduta degli Ordelaffi e la presa di potere di Girolamo Riario. Bologna è anche interessata agli scambi letterari e alle dispute sull’uso della lingua parlata dagli antichi Romani che appassionavano umanisti di diversa formazione — latino o volgare, quale latino, sermo litterarius o sermo rusticus, lingua artificiale, lingua parlata, lingua colta — sull’importanza data al modello ciceroniano e sul recupero della lingua latina classica iniziato a partire dal Petrarca; dibattiti, spesso così accesi da sfociare in violente polemiche, che avevano visto contrapposti Leonardo Bruni e Biondo Flavio, con il quale si erano schierati Poggio Bracciolini e la vecchia generazione da un lato, mentre dall’altro si trovavano Lorenzo Valla e i “giovani” (fra gli altri Perotti, Tortelli, Volpe e il nostro Garzoni) attratti dal pensiero e dalla metodologia dell’umanista romano17. *
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Vedi anche Ott. lat. 1194 e 1252 infra. Cfr. I. AFFÒ, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, Parma 1789, pp. 259-263; W. VON HOFMANN, Forschungen zur Geschichte der kurialen Behörden von Schisma bis zur Reformation, Rom 1914, II, pp. 73, 79; Repertorium officiorum Romanae Curiae (RORC), s.v. Antonius Tridentorii (Tridento), on line http://www. phil.uni-passau.de; R. AVESANI, Epaeneticorum ad Pium II Pont. Max. libri V, in Enea Silvio Piccolomini papa Pio II, Atti del Convegno per il quinto centenario della morte e altri scritti raccolti da D. MAFFEI, Siena 1968, pp. 49-50 e passim; ONORATO, Gli amici bolognesi cit., p. 22; R. LASAGNI, Dizionario biografico dei Parmigiani, IV, Parma 1999, p. 621; E. CALDELLI, Copisti a Roma nel Quattrocento, Roma 2006, p. 99 (non cita l’Ott. lat. 1194); G. BARBERO, L’Orthographia di Gasparino Barzizza. I. Catalogo dei manoscritti, Messina 2008 (Percorsi dei classici, 12), p. 168 n. 1; J. RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romains» à Naples, in T. DE MARINIS, La biblioteca napoletana dei re d’Aragona, Supplem. I, Verona 1969, pp. 270-271 (sull’attività di Tridentone come miniaturista). 16 A. CIONI, Azzoguidi, Baldassarre, in DBI, 4, Roma 1962, pp. 765-766: sarebbe incerta la priorità fra l’edizione bolognese di Azzoguidi e Puteolano (ISTC io00126000) e quella romana di Sweynheym e Pannartz ( ISTC io00127000). 17 Sulla polemiche relative alla lingua latina oltre all’abbondante bibliografia recente vedi alcuni titoli esemplificativi a partire dal vecchio ma tuttora valido R. SABBADINI, Storia del Ciceronianismo, Torino-Firenze-Roma 1885; M. REGOLIOSI, L’ideologia linguistica del Valla, in Les Cahiers de l’Humanisme 2 (2001), pp. 155-175; S. RIZZO, Il dibattito umanistico sulla lingua parlata a Roma antica; Valla e l’eredità medievale, in EAD., Ricerche sul latino umanistico, Roma 2002 (Storia e letteratura, 213), pp. 75-85, 87-121 e passim; Sul latino degli umanisti. Studi raccolti a cura di F. TATEO, Bari 2006; Lorenzo Valla. La riforma della lingua e della logica. Atti del convegno del Comitato Nazionale VI centenario della nascita di Lorenzo
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Come premesso, i codici che ci interessano sono databili per lo più intorno alla metà del Quattrocento; alcuni recano la sottoscrizione del copista, come l’Ott. lat. 1252 scritto da Antonio Tridentone nel 1447, l’Ott. lat. 1263 da Giovanni Garzoni nel 1452, l’Ott. lat. 1170, composito, copiato in parte da Tommaso Leone nel 1470; altri presentano una data forse aggiunta in un secondo tempo (Ott. lat. 2134: 1450); per altri ancora si può ricavare una data post quem esaminando le opere trascritte, come per il già citato Ott. lat. 1170, l’Ott. lat. 1507 che riporta il De fortuna Romanorum di Plutarco tradotto da Perotti nel 1452, o forse l’Ott. lat. 1196 con le Elegantiolae di Agostino Dati, stampate per la prima volta nel 1470 e l’Ott. lat. 1152 che narra la spedizione di Carlo VIII in Italia del 1494, presente anche nel codice di Bologna, BU 733 (425) con note autografe dell’autore Giovanni Garzoni. Ott. lat. 1138: sec. XV, cart., mm 308 × 210, ff. [201], VII, iniziale miniata di tipo bolognese a f. 2r, scritto in umanistica semicorsiva discontinua: lo scrivente, che alterna linee in caratteri più grandi con altre in caratteri più piccoli (per es. f. 2r), doveva conoscere bene anche il greco perché le parti in caratteri greci sono inserite correttamente e senza interruzioni nel testo latino (uguale è anche il colore dell’inchiostro)18. Contiene (f. 1v) Lattanzio, Divinae institutiones, De opificio Dei, De ira; (f. 180r) Agostino, De spiritu et anima. Era stato di Alberto Parisi, il cui nome eraso (f. VIIIv = [208v]) è leggibile con la lampada di Wood; poi di Bartolomeo Ghisilardi: «Bartholomeus Ghisilardus me emit et possidet». Mancano le segnature di Cervini e Sirleto, ma potrebbe essere il nr. 8 dei libri in folio mandati da Montepulciano a Roma (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 278r; FOSSIER, pp. 393, 440 con punto interrogativo)19: Lattantii Firmiani Valla. Prato 4-7 giugno 2008, a cura di M. REGOLIOSI, Firenze 2010; Valla e Quintiliano, in Quintilien: ancien et moderne. Etudes réunies par P. GALAND HALLYN – F. HALLYN – C. LÉVY – W.VERBAAL, Turnhout 2010, pp. 233-278; G. ABBAMONTE, Diligentissimi vocabulorum perscrutatores. Lessicografia ed esegesi dei testi classici nell’Umanesimo romano di XV secolo, Pisa 2012; per un quadro d’insieme, anche L. CHINES, La parola degli antichi cit. 18 Sull’importanza di Bologna per la traduzione e la diffusione di testi greci cfr. per esempio ONORATO, Dal carteggio bolognese di Tortelli cit. Ringrazio Santo Lucà e Francesco D’Aiuto che hanno confermato la mia ipotesi sulle parti greche del codice aggiungendo che il copista era sicuramente un occidentale. Vd. anche l’Ott. lat. 1170 infra. 19 Il numero, indicato come numerus indicis, è sull’inventario; lo stesso è per i numeri sirletiani. Cfr. PIACENTINI, La biblioteca di Marcello II Cervini cit., p. XXIII. Un altro Lattanzio è fra i libri della biblioteca di Montepulciano (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 317); potrebbe essere l’attuale Clm 84, appartenuto, secondo Bauer Eberhardt, ad una famiglia Tebaldi di cui lo stemma a f. 1r (mezzo asino di nero su fondo azzurro scuro), poi a Marcello II (f. Ir) e infine (post 1539) a Hans Jakob Fugger: vd. G. MERCATI, Sulla venuta dei codici del Cervini nella Vaticana e la numerazione loro cit., p. 198 n. 2; U. BAUER EBERHARDT, Die illuminierten
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opera in corame; forse Sirleto theol. 401 (Vat. lat. 6163, f. 282v; RUSSO, pp. 254, 258: indica due esemplari di Lattanzio, ambedue identificati con questo Ottoboniano). Ott. lat. 1152: sec. XV, cart., mm 308 × 210, ff. 59, scrittura umanistica semicorsiva, iniziali a girari; f. 1r sul margine inferiore stemma della famiglia Garzoni (vd. oltre e Tav. I); codice di lavoro con notabilia marginali, numerose aggiunte e correzioni in piccola corsiva: testo e note sono probabilmente autografi di Giovanni Garzoni. Contiene: Giovanni Garzoni, De adventu in Italiam Caroli Octavi (corr. su VII) Francorum regis. Nr. 28 dei libri mandati a Roma (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 279r; FOSSIER, pp. 394, 441): Ioannis Garzonis de aventu in Italiam Caroli ottavi Francorum Regis in tabula; Sirleto hist. proph. 23 (Vat. lat. 6163, f. 325v; RUSSO, p. 287). Ott. lat. 1170: sec. XV, cart., mm 210 × 152, ff. 396, manoscritto composito20; raccolta di varie opere; scritture più o meno corsive; i ff. 101r136r sono copiati dal bolognese Tommaso Leone («Finis laus Deo per me Tho. L. die 17 octobris 1470», f. 136r) che lascia uno spazio in bianco per le parole greche21. Contiene: I, ff. 1-100: Ermete Trismegisto, Corpus herHandschriften italienischer Herkunft in der Bayerischen Staatsbibliothek. 2. Von der Mitte des 14. Jahrhunderts bis um 1450, Wiesbaden 2014, pp. 250-251, tav. 421. Nel repertorio di Crollalanza (G. B. DI CROLLALANZA, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Bologna 1965, III) sono registrate tre famiglie Tebaldi, una delle quali di Bologna, ma nessuna ha stemma analogo a quello del codice; comunque anche i Tebaldi erano famiglia bolognese di antica nobiltà: G. FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi, IX, aggiunte e correzioni, Bologna 1794, p. 77. 20 L’Ott. lat. 1170 in parte è copiato da Leone nel 1470, ma un’altra indicazione cronologica (1465) è data dall’orazione di Giovanni Antonio Campano e dalla lettera di Iacopo Ammannati per l’anniversario della morte di Pio II; i diversi testi sono forse stati assemblati dallo stesso Ghisilardi, perché il contenuto corrisponde a quello indicato nel catalogo Cervini; la rilegatura molto stretta rende difficile a volte distinguere le diverse unità codicologiche, se non facendo riferimento al cambio di mano. 21 I codici latini datati della Biblioteca Apostolica Vaticana. I. Sotto la direzione di J. RUYSSCHAERT. A cura di A. MARUCCHI. Con la collaborazione di A. C. DE LA MARE, Città del Vaticano 1997, pp. 145-146, nr. 330. Nei BÉNÉDICTINS DU BOUVERET, Colophons de manuscrits occidentaux des origines au XVIe siècle, V, Fribourg 1979, nrr. 17952-17953, sono segnalati due codici scritti da Leone e conservati nella Biblioteca Universitaria di Bologna: It. 958 (1450), Fazio degli Uberti, Dittamondo, datato 1471; It. 530 (696), Vita di S. Petronio; Fiore di virtù, datato 1475; un altro codice si trova nella Biblioteca Nazionale di Roma, Vitt. Em. 483, Sacre rappresentazioni per la Compagnia di S. Giacomo di Bologna, datato 1482, su cui Catalogo dei manoscritti in scrittura latina datati o databili per indicazione di anno, di luogo e di copista. I. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, a cura di V. JEMOLO, Torino 1971, pp. 103-104, nr. 86, tavv. CLII-CLIII; vd. anche QUAQUARELLI, Il Quattrocento dei copisti cit., pp. 187-189. Un altro Tommaso di Giacomo Leoni, forse parente del nostro, è attivo a Bologna nel 1430.
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meticum: Pimander (tr. e argomento di Marsilio Ficino, 1463; ff. 1r-65r), Asclepius (ff. 65v-98v); II, ff. 101-140: Censorino, De die natali; ps. Censorino, frammento (ff. 101r-136r); III, ff. 141-210: Pio II, De contentione divini sanguinis inter Minores et Predicatores coram se habita (ff. 141r-203v); IV, ff. 211-290: ID., Epistola ad Mahumetem (ff. 212r-287v: scritto da due mani diverse con numerosi notabilia e correzioni forse in parte della seconda mano); V, ff. 291-306: ID., Oratio habita in concilium Mantuae (dat. 26 sett. 1459: ff. 291r-306r); VI, ff. 307-312: Francesco Filelfo, Oratio ad Pium II habita Mantuae pro Francisco duce Mediolani ibidem presente (dat. 19 sett. 1459: ff. 307v-312v); VII, ff. 313-325: Pio II, risposta a Francesco Sforza (ff. 313r-315r); ID., lettera a Gaspari Volaterrano notario nostro (ff. 316r316v); risposta e giuramento del protonotario Gaspare (ff. 316v-318v)22; Pio II, Oratio de absentia Friderici III Romanorum imperatoris e rassegna degli oratori presenti (ff. 319v-324r); ps. Plutarco, Epistula ad Traianum (Institutio Traiani: ff. 324r-324v); VIII, ff. 326-350: Pio II, Oratio Mantue habita responsiva ad oratores Gallorum (ff. 327r-349r); IX, ff. 351-368: ID., (Eneas episcopus), Epistola ad Leonardum senensem23 (ff. 351r-355r); Giorgio Trapezunzio, Oratio ad Nicolaum V (ff. 357r-365r); X, ff. 369-[397]: Giovanni Antonio Campano, Oratio funebris habita Senae in exequiis Pii II (ff. 369r-394r); Iacopo Ammannati, Epistola ad Campanum de oratione in funere Pii II (post 15 ag. 1465: ff. 394r-395v)24. Nota di possesso f. [398]v «Liber Bartholomei Ghisilardi Bononiensis». Nr. [58] dei libri in quarto mandati a Roma (Vat. lat. 8185, pt. 2, ff. 279v280r; FOSSIER, pp. 395, 443): Marsilii Phicini in librum Mercurii Trismegisti 22 Probabilmente si tratta di Gaspare Zacchi da Volterra, segretario di Bessarione, protonotario dal 1450, vescovo di Osimo (1460); non è registrato da T. FRENZ, Die Kanzlei der Päpste der Hochrenaissance (1471-1527), Tübingen 1986, ma vd. IACOPO AMMANNATI PICCOLOMINI, Lettere (1444-1479), a cura di P. CHERUBINI, Roma 1997 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Fonti XXV), I, p. 335 n. 1. Anche C. BIANCA, I possessori, in Lorenzo Valla. Orazione per l’inaugurazione dell’anno accademico 1455-56, Atti di un seminario di filologia umanistica, a cura di S. RIZZO, Roma 1994 (Roma nel Rinascimento inedita, 8 saggi), p. 151 ss. 23 Forse Leonardo Benvoglienti, che fra l’altro aveva partecipato alla dieta di Mantova; cfr. A PRUNAI, Benvoglienti, Leonardo, in DBI, 8, Roma 1966, pp. 703-705; IACOPO AMMANNATI PICCOLOMINI, Lettere cit., II, p. 808 n. 2; L. BERTALOT, Initia humanistica latina. Initienverzeichnis lateinischer Prosa und Poesie aus der Zeit des 14. bis 16. Jahrhunderts, bearb. U. JAITNER HAHNER, II/1: Prosa A-M, Tübingen 1990, nr. 1016. 24 Per alcuni testi contenuti nel codice cfr. Les manuscrits classiques cit., p. 462. I) P. O. KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, Firenze 1987, p. XLIV. III) G. CUGNONI, Aeneae Silvii Piccolomini Senensis qui postea fuit Pius II Pont. Max. Opera inedita, Roma 1883, pp. 299-336. V),VIII) G. D. MANSI, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XXXII, Parigi 1902, pp. 207-221, 230-251; e vedi oltre. VII) S. DESIDERI, La “Institutio Traiani”, Tivoli 1958; BERTALOT, Initia cit., nr. 12192. X) IACOPO AMMANNATI PICCOLOMINI, Lettere cit., II, pp. 799-802.
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/ Item Cesorius èques romanus ad Cereles (?) Patritium / Pii II Pont. Max. de contentione divini sanguinis inter Minores et Predicatores / Eiusdem Epistola ad Maumettum Turcarum Principem / Eiusdem oratio habita in conuentu Mantue / Eiusdem oratio Mantue habita in qua respondet ad petita per Gallos / Francisci Philelfi oratio ad Pium II / Pii II responsio haec praedicta / Gergii (sic) Trapezzuntii ad Niccolaum V oratio / Oratio in morte Pii II in tabula; Sirleto (f. 1r) philos. 69 + human.+ theol. (Vat. lat. 6163, ff. 337r, 324r, 300r; RUSSO, p. 298). Ott. lat. 1194: sec. XV, cart., mm 238 × 168, ff. 157, II, iniziali a bianchi girari, nell’iniziale di f. 1v sono inseriti due puttini; copiato da Antonio Tridento o Tridentone che si sottoscrive a f. 1r («… Scripsit eum Antonius Tridento Parmensis»); forse imparentato con un codice appartenuto a Niccolò Volpe. Contiene l’Orthographia di Gasparino Barzizza25. Nota di possesso di Ghisilardi f. 1r: «Quem ego Bartholomèus Ghisilardus emi et possideo. Laus sit pio et èterno Deo». Nessun segno di appartenenza a Cervini o Sirleto26. Ott. lat. 1196: sec. XV (1470 ca.), cart., mm 208 × 155, ff. I, 386, scritture umanistiche in parte corsive; composito di varie parti riunite già in antico (vedi l’indice a f. 386v) con opere classiche, patristiche e umanistiche; sulla rilegatura originale in tavole è lo stemma degli Altemps. Contiene: I, ff. 1-52: Cicerone, De legibus (ff. 1r-52v); II, ff. 53-64: ID., Academica Posteriora (ff. 53r-63v); III, ff. 65-88: ID., Topica (ff. 65r-87r); IV, ff. 89-98: Nicolosa Sanuti, Oratio ad Bessarionem ut matronis ornamenta restituantur (ff. 89r25 Esistono «una situazione testuale complessa» e «diversi stadi formativi» dell’Orthographia: cfr. G. MARTELLOTTI, Barzizza, Gasperino, in DBI, 7, Roma 1970, p. 36; G. BARBERO, Appunti sui manoscritti dell’Orthographia di Gasparino Barzizza, in Gasparino Barzizza e la rinascita degli studi classici: fra continuità e rinnovamento, Atti del Seminario di studi NapoliPalazzo Sforza, 11 aprile 1997, a cura di L. GUALDO ROSA, Napoli 1999 (A.I.O.N., 21, 1999), pp. 159, 176-178; EAD., L’Orthographia di Gasparino Barzizza cit., introduzione e pp. 166-173; ivi, pp. 168-169 n. 5, un elenco di codici appartenuti a Ghisilardi, fra i quali gli Ottoboniani 1194 (Va7) e 1263 (Va8), ma nessuno dei due ha segnature di Cervini o Sirleto; EAD., Riflessioni su Gasparino Barzizza tra ortografia umanistica e «usus», in Le strade di Ercole. Itinerari umanistici e altri percorsi. Seminario internazionale per i centenari di Coluccio Salutati e Lorenzo Valla (Bergamo, 25-26 ottobre 2007), a cura di L. C. ROSSI, Firenze 2010, p. 262. 26 Fra i libri di Montepulciano mandati a Roma sono presenti due copie dell’Orthographia: nr. 27 fra i libri in folio: Gasparrini Bergomensis ortografia in tabula; nr. 50 fra i libri in quarto: Guasparrini Barzii Bergomensis de ortografia in corame: Vat. lat. 8185, pt. 2, ff. 279r, 279v; FOSSIER, Premières recherches cit. pp. 394, 395, 441, 442 identifica il nr. 27 con l’Ott. lat. 1263 (per il quale vedi oltre) e il nr. 50 — con punto interrogativo — con l’Ott. lat. 2295 (in ottavo, mancano segnature Cervini e Sirleto) su cui le note di possesso di Bernardino Pontecarolo (f. 1r, XV sec.) e Cesare Pontecarali o Pontecaralo (f. 84v, XVI sec.). Un’altra Orthographia è fra i manoscritti in quarto della biblioteca di Montepulciano (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 317r).
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96r); V, ff. 99-192: Matteo Bosso, Oratio ad Bessarionem ne foeminis Bononiensibus ornamenta restituantur (ff. 99r-139r)27; ps. Virgilio, Epistola ad Maecenatem (f. 143r); ps. Apollonio retore, Epistola in laudem Ciceronis (ff. 143v-144r); Venanzio Fortunato (ps. Lattanzio), De resurrectione Iesu (ff. 144r-146r); ps. Cipriano, De ligno crucis (ff. 146r-150r)28; Francesco Petrarca, De morte Magonis (Africa, VI; ff. 150r-152r); Onorio Augustodunense, Imago mundi (estratto; ff. 152v-191v); VI, ff. 193r-252r: Ditti Cretese, Ephemeris belli Troiani («Belli troiani hystoria a Gnosio Cretensi descripta… traducta per Septimium»; scritto da due mani diverse); VII, ff. 253-266: Poggio Bracciolini, Invectiva in Felicem antipapam («Poggii florentini in Infelicem [sic] Antipapam»; ff. 254r-265v)29; VIII, ff. 267-305: ID., Historia tripartita disceptativa convivalis («Poggii florentini Dialogus»; ff. 267r304r)30; IX, ff. 306-346: Agostino Dati, Elegantiolae («Quaedam regulae et normae in arte dicendi secundum Laurentium Vallam»; ff. 306r-344v)31; Guarino Veronese, Epistola ad Leonellum de studendi ordine (ff. 345r346v)32; X, ff. 347-386: Plutarco, Vita Galbae; Vita Othonis (tr. Francesco Filelfo; ff. 347r-368v; 369r-385r); f. 386v indice del manoscritto (stessa mano dell’orazione di Nicolosa?), completato da una seconda mano. Una 27 Nicolosa, moglie di Niccolò Sanuti e amante di Sante Bentivoglio. L’orazione di Nicolosa contro le leggi suntuarie, emanate da Bessarione nel 1453 quando era legato a Bologna, è spesso attribuita a Francesco Filelfo (vedi anche l’indice di f. 386v) ma a quanto pare non fu recitata da Nicolosa bensì dettata, probabilmente ad un uomo. Cfr. C. BIANCA, “Auctoritas” e “veritas”: il Filelfo e le dispute tra platonici e aristotelici, in Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte, Atti del XVII Convegno di studi maceratesi (Tolentino, 27-30 settembre 1981), Padova 1986 (Medioevo e Umanesimo, 58), pp. 235-236 e n. 133 (sembrerebbe da correggere l’attribuzione a Bosso che è invece l’autore dell’orazione che segue); C. KOVESI KILLERBY, “Heralds of a well-instructed mind”: Nicolosa Sanuti’s defence of women and their clothes, in Renaissance Studies 13 (1999), pp. 255-282: 261-263. Vd. anche le ipotesi proposte da G. LOMBARDI (in parte smentite da ricerche successive), Traduzione, imitazione, plagio (Nicolosa Sanuti, Albrecht von Eyb, Niclas von Wyle), in Furto e plagio nella letteratura del classicismo, a cura di R. GIGLIUCCI, Roma 1988, pp. 103-138 (rist. Roma 2003, Roma nel Rinascimento inedita, 30 saggi, pp. 242-252). 28 Cfr. E. DEKKERS – E. GAAR, Clavis patrum latinorum (Corpus Christianorum. Series Latina), Steenbrugis 1995, nr. 1458. 29 Poggio aveva promesso di inviare l’invettiva a Parisi e Ghisilardi: vedi oltre. 30 Una nota aggiunta a f. 288v prima dell’Historia convivalis disceptatio III scritta nel 1450, precisa «Questio si Romani utebantur latina lingua vel alia». Per i dibattiti sul latino vedi sopra. 31 L’opera, con il titolo Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus, fu diffusa a stampa nel 1470 (Köln, Ulrich Zell), 1471 (Ferrara, André Belfort), ma quando era stata composta? cfr. H 5967-5968; P. VITI, Dati, Agostino, in DBI, 33, Roma 1987, p. 18; BERTALOT, Initia cit., nr. 2771. 32 Nel manoscritto è riportata la seconda parte della lettera del 1434 a Leonello d’Este, cfr. R. SABBADINI, Epistolario di Guarino Veronese, 3 vol., Venezia 1915-1919. II (R. Deputazione Veneta di Storia Patria, Miscellanea di storia veneta ser. 3, 11), pp. 269-271, nr. 679.
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nota a f. Ir avverte che gli antichi fogli di guardia sono stati spostati nel Vat. lat. 10645, ff. 7-8 (frammento di Missale votivum, sec. XI-XII): a f. 7v sul margine superiore la nota di possesso «Liber Bartholomei Ghisilardi»; f. 8r numero Sirleto “222”33. Nr. 61 dei libri in quarto mandati a Roma (Vat. lat. 8185, pt. 2, ff. 280r280v; FOSSIER, pp. 396, 443): M. T. C. de legibus / M. T. C. Topica / F. Philelfi opus iscriptum ad dominum B. Card. Nicenum nomine nobilissime matrone Niccolosiè Sanute petentis ornatum vestium restitui / Fratris Mattei Veronensis ne mulieribus reddantur luxuriosa ornamenta vestium et iocalium / Virgilii epistola ad Mecenatem / Apollonii philosofi Greci de Ciceronis sententia / Lattantii Firmiani de rexurettione Iesu / Opus incipiens creatio Mundi quinque modis describitur / Gnosii Cretensis Historia belli troiani per Settimium traducta / Poggii Florentini in Felicem Antipapam / Poggii dialogus / Laurentii Valle quèdam regulè in arte dicendi / F. Philelfi Galbe Cesaris Vita, ex Plutarco traducta / Otonis vita traducta a Francisco Philelfo ex Plutarco; Sirleto human. 222+ theol.+ hist. proph. (Vat. lat. 6163, ff. 320v, 298v, 330r; RUSSO, p. 285). Ott. lat. 1252: a. 1447, cart., mm 307 × 204, ff. I+200, iniziali a bianchi girari, glosse marginali in parte di mano di Ghisilardi, terminato di scrivere da Antonio Tridentone il 25 febbraio 1447 (f. 199v: «… explicit.VI hora noctis V kal. mar. 1447. Scripsit A. Tridento»)34. Contiene: Diogene Laerzio, De vitis philosophorum (tr. Ambrogio Traversari); f. 199v «Emit Bartholomeus Ghisilardus Bononiensis». Nessun segno di appartenenza a Cervini ma potrebbe essere il nr. 30 dei libri mandati a Roma (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 279r) indentificato però da FOSSIER (pp. 394, 441), con punto interrogativo, con l’Ott. lat. 1724: Laertii Diogenis vitae Philosoforum frate Ambrosio interprete in tabula; Sirleto hist. proph. 14 (Vat. lat. 6163, f. 325r; RUSSO, p. 286 per l’Ott. lat. 1724 che comunque non presenta segnature di Cervini o Sirleto). Ott. lat. 1263: a. 1452, cart., mm 291 × 209, ff. II (membr.), 95, iniziali decorate marrone e viola su verde oliva. Contiene l’Orthographia di Gasparino Barzizza, in versione differente da quella dell’Ott. lat. 1194; scritto e 33 Les manuscrits classiques cit., pp. 473-474 (da correggere l’indicazione “Academica Priora”). 34 RUYSSCHAERT, Miniaturistes cit., pp. 270, 271 n. 1; secondo CALDELLI, Copisti a Roma cit., p. 169, e I codici latini datati cit., p. 152, nr. 346, il codice sarebbe stato scritto a Roma, dove si sarebbe trovato Tridentone dal 1445 al 1470; in realtà, se nel 1448 prendeva lezioni di greco da Lianori a Bologna, è probabile che nel 1447 non si fosse ancora allontanato dalla città: vd. lettera di Volpe a Tortelli del 15 aprile 1448 cit. da F. BACCHELLI, Lianori, Lianoro, DBI, 65, Roma 2005, pp. 9-12.
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annotato da Giovanni Garzoni (f. 93v): «Explicit orthographia Gasparini Pergomensis scripta per me Iohannem Garzonum 1452 die 29 (?) aprilis»; da Garzoni lo acquista Bartolomeo Ghisilardi il 25 novembre dello stesso anno: «Quam ego Bartholomèus Ghisilardus ab ipso Iohanne Garzono pro iusto pretio emi die 25 novembris MCCCCLII», «Huius libri possessor est Bartholomeus Ghisilardus» (ff. 93v, 94v; Tav. II)35. Nessun segno di appartenenza a Cervini o Sirleto: potrebbe essere il nr. 27 dei libri mandati a Roma (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 279r); FOSSIER, pp. 394, 441 Gasparrini Bergomensis ortografia in tabula; forse Sirleto gramm. 16 (Vat. lat. 6163, f. 311r; manca in RUSSO); vedi supra la nota relativa all’Ott. lat. 1196. Ott. lat. 1507: sec. XV (post 1452), cart., mm 235 × 165, ff. III, 115, I, scrittura umanistica tonda con elementi corsivi36, iniziali decorate, indice f. IIr. Contiene Ditti Cretese, Ephemeris belli Troiani (ff. 1r-51v); ps. Aurelio Vittore, Libellus de vita et moribus imperatorum (ff. 52r-71r); Giovanni da Sacrobosco, Algorismus (ff. 72r-82v); Pompeo grammatico, Commentum artis Donati (ff. 85r-102r); Plutarco, De fortuna Romanorum (tr. Niccolò Perotti; ff. 103r-114r)37. Era stato del giurista cremonese Giustiniano Cavitelli (f. 115v) e del bolognese Giovanni di Bartolomeo Mondini (f. 115v: «Liber mei Iohannis Mundini filii magistri (?) Bartolomei Mundini»)38, poi lo acquista Ghisilardi (f. 114r «Bartholomeus Ghisilardus me emit et possidet»). 35 I codici latini datati cit., pp. 153-154, nr. 349, tav. LX. Non c’è la data topica, ma nel 1452 Garzoni e Ghisilardi erano forse a Roma (vd. oltre). 36 Forse scritto in varie riprese: la scrittura dei ff. 103-114 è leggermente più alta e “calligrafica”, ma molto simile nella forma delle lettere e nelle abbreviazioni a quella della prima parte del codice. Les manuscrits classiques cit., pp. 594-595. 37 Sulla data della traduzione del De fortuna Romanorum (1451-estate 1452) vd. le ricerche di F. STOCK e in particolare Perotti traduttore di Plutarco: il De fortuna Romanorum, in Studi umanistici Piceni 31 (2011), pp. 29-44; Traduzioni cinquecentesche del De fortuna Romanorum di Plutarco, ivi, 32 (2012), pp. 285-302. 38 Cavitelli (1425 ca.-1484) si era laureato a Bologna in diritto civile nel 1452 e qui forse aveva conosciuto i colleghi bolognesi; cfr. O. RUFFINO, Cavitelli, Giustiniano, in DBI, 23, Roma 1979, pp. 113-114. La nota di possesso di Giovanni Mondini è erasa; sono state lasciate le parole Liber mei di mano di Cavitelli. I Mondini erano famiglia bolognese: un Iohannes Mundinus bononiensis civis sottoscrive nel 1449 il ms. BUB 2800 (1489) lasciato al Monastero di S. Salvatore; un Bartolomeo Mondini aveva fatto parte degli Anziani fra il 1464 e il 1538 ma la scrittura della nota erasa non sembra così tarda; cfr. G. N. ALIDOSI, I Signori anziani, consoli e gonfalonieri di giustizia della città di Bologna, dall’anno 1456, accresciuti sino al 1670, Bologna 1670; L. FRATI, Indice dei codici latini conservati nella R. Biblioteca Universitaria di Bologna, in Studi italiani di filologia classica 16 (1908), 17 (1909): 1909, p. 109; BÉNÉDICTINS DU BOUVERET, Colophons cit., nr. 10712; QUAQUARELLI, Il Quattrocento dei copisti cit., pp. 138-139.
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Nr. 64 dei libri in quarto mandati a Roma (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 281r; FOSSIER, pp. 396, 443, con punto interrogativo): Liber Dictis Gnosii Creten[sis] Historiè troiano (sic) traductus per Settimium / De moribus et vita imperatorum Romanorum libellus excerptus et breviatus ex libris Sexti Aurelii Victoris a Cesare Augusto usque ad Theodosium / Algorismus id est Ars numerandi / Pompeius de Barbarismo et reliquis gramaticè vitiis / Niccolai Perotti poete laureati ad summum pontificem Niccolaum quintum traductio libelli Plutarci de contentione fortunae virtutisve Romanorum in tabula; Sirleto (f. IIr) hist. proph. 37+ mathem. (Vat. lat. 6163, ff. 326r, 333v; RUSSO, p. 287). Ott. lat. 1751: sec. XV in., cart., mm 310 × 215, ff. III, 142, III, scrittura gotico-umanistica, iniziali decorate, numerose glosse marginali forse della mano del testo e di altre mani corsive. Contiene Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia. A f. [145v] la nota di possesso di Alberto Parisi: «Hic liber est Alberti Parisii ab eo e[mpt]us (?) libr. (libras?) XII 1445» (Tav. III). Manca la segnatura di Cervini ma forse nr. 11 dei libri in folio mandati a Roma: Valerii Maximi factorum et dictorum memorabilium in corame (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 278v; FOSSIER, p. 393); Sirleto (f. Ir) hist. proph. 5 (Vat. lat. 6163, f. 324v; RUSSO, p. 286)39. Ott. lat. 2134: sec. XV (1450), membr., mm 250 × 170, ff. I, 105, scrittura umanistica tonda, forse di Giovanni di Pietro da Stia, iniziali a bianchi girari, f. 1r una corona di alloro sorretta da due putti alati racchiude uno stemma d’azzurro a due bande di rosso, che sembrerebbe aggiunto40, alcu39 Les manuscrits classiques cit., pp. 669-670. FOSSIER, Premières recherches cit., p. 440, assegna alla biblioteca cerviniana (ma con punto interrogativo) un altro Valerio Massimo, oggi Ott. lat. 1752, che però contiene anche Cicerone, De officiis (Sirleto, hist. proph. 8; Vat. lat. 6163, f. 324v) per il quale vd. I codici latini datati cit., p. 172, nr. 390. Vedi anche l’Ott. lat. 1195, con numero Sirleto f. Ir (hist. proph. 123). 40 Il copista (attivo a Firenze intorno alla metà del ’400: vd. Firenze, Laurenz. S. Marco 366 dat. 1449) è identificato da A. C. DE LA MARE, New research on humanistic scribes in Florence, in A. GARZELLI, La miniatura fiorentina del Rinascimento, 1440-1525. Un primo censimento, Firenze 1985, I, p. 500, nr. 32 (ivi anche per il miniatore Giovanni d’Antonio Varnucci); vd. anche I codici latini datati cit., p. 190, nr. 429. Erroneamente Fossier indica come possessore del codice Niccolò V ma lo stemma corrisponde, semplificato, a quello descritto in CROLLALANZA, Dizionario storico-blasonico cit., I, p. 472 (Ghislardi di Bologna) e presente sulla cappella di famiglia in S. Domenico a Bologna (non identificato da Adriana MARUCCHI, Elenco di stemmi riprodotti in manoscritti [manoscritto, Biblioteca Vaticana, Sala consultazione manoscritti 563 rosso]. Ma come era giunto a Ghisilardi un codice realizzato a Firenze forse nel 1450? Era stato un dono di Bracciolini? Il De varietate fortunae era stato scritto e pubblicato a Roma nel 1448 (vd. lettera al Panormita del 28 febbraio 1448: Epp. fam. II, 9) dove Poggio è ancora nel 1450?; nel 1453 Poggio si trasferisce a Firenze e la conoscenza del bolognese con Bracciolini sembra essere di un anno dopo, del 1454 quando Ghisilardi e
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ni notabilia in piccola corsiva potrebbero essere autografi di Ghisilardi; la data 1450 è aggiunta al colophon di f. 132v «Poggii florentini de varietate fortune liber ultimus explicit 1450», forse dalla stessa mano del testo. Contiene Poggio Bracciolini, De varietate fortunae. F. 102v la nota di possesso «Bartholomèus Ghisilardus Bononiensis me emit». Nr. 45 dei libri mandati a Roma: Poggii florentini de varietate fortunè in membranis in corame (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 279v; FOSSIER, pp. 395, 442); Sirleto (f. Ir) philos. 31 (Vat. lat. 6163, f. 335v; RUSSO, p. 296). Milano, Biblioteca Ambrosiana, L 21 sup.41: sec. XV, membr., mm 190 × 125, ff. I, 101, II, scrittura corsiva forse di mani diverse; iniziali a ff. 1r, 46r decorate con racemi a inchiostro, alcune note e probationes calami. Contiene Cicerone, Orator e Brutus42. Appartenuto a Bartolomeo Ghisilardi: «Bartholomèus Ghisilardus me possidet etc(etera)» (f. 41r), «Bartholomeus Ghisilardus me emit etc(etera)» (f. 101r). Nessun segno di appartenenza a Cervini o Sirleto. Oxford, Bodleian Library, Canon. Class. lat. 207: sec. XV, membr., in 4° min., ff. 98, scrittura umanistica, alcune glosse, iniziali a girari di tipo bolognese con bordura a fiori e palline auree raggiate. Contiene Cicerone, De inventione rhetorica. F. 97v nota di possesso di Bartolomeo Ghisilardi43. Roma, Biblioteca Vallicelliana, C 77: sec. XV, cart., mm 211 × 150, ff. III, 251, I, scrittura umanistica corsiva, numerose glosse marginali e interlineari. Contiene le Epistulae ad familiares di Cicerone. Nota di possesso di Alberto Parisi «Liber Alberthi Parisii» (f. 250v) dal quale lo compera Ghisilardi: «quem Bartholomeus Ghisilardus emit»; «Bartholomeus Parisi dovevano essere a Bologna, ma non è escluso che si fossero già incontrati poiché in una lettera di Poggio a Ghisilardi del febbraio-marzo 1454 si accenna ad un viaggio a Firenze (v. oltre) (Epp. fam. V, 17). 41 Non ho visto il manoscritto; ringrazio Gianluca Battioni per avermene mandato una dettagliata descrizione; indicazioni nell’Inventario Ceruti dei manoscritti della Biblioteca Ambrosiana, a cura di A. PAREDI, IV, Trezzano s.N. 1978 (Fontes Ambrosianae, 60), pp. 9-10; P. O. KRISTELLER, Iter Italicum. A Finding List of Uncatalogued Or Incompletely Catalogued Humanistic Manuscripts of the Renaissance, VI, London – Leiden 1992, p. 42. 42 Le due opere facevano parte del “vetustissimo” codice ciceroniano scoperto a Lodi da Gerardo Landriani (1421) e di cui poco dopo circolavano copie parziali ad opera dei principali umanisti, fra cui Aurispa, Guarino, Poggio, Traversari. Cfr. P. SCARCIA PIACENTINI, La tradizione Laudense di Cicerone ed un inesplorato manoscritto della Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 3237), in Revue d’histoire des textes 11 (1981), pp. 123-145. 43 Non ho visto il manoscritto: cfr. H. O. COXE, Catalogi codicum manuscriptorum Bibliothecae Bodleianae, III, Codices graecos et latinos Canonicianos complectens, Oxonii 1854, p. 200; O. PÄCHT – J. J. G. ALEXANDER, Illuminated manuscripts in the Bodleian Library Oxford, Oxford 1970, II, p. 67, nr. 661.
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Ghisilardus bononiensis me possidet»; era poi stato dell’erudito bolognese Vincenzo Badalocchi (Bologna 1529 – Roma 1593; f. 1r)44. Nessun segno di appartenenza a Cervini o Sirleto, anche se fra i libri mandati a Roma è registrato al nr. 65 M.T.C. Epistole familiare [sic] in tabula (Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 281r), identificato da FOSSIER (pp. 396, 443), con punto interrogativo, con l’Ott. lat. 129545. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 841 [Theol. 667]: sec. XV2, membr., mm 200 × 140, ff. 79, forse scritto a Bologna da un Giovanni «Johannes hunc librum scripsit»46; iniziali oro con fregio marginale ornato con palline auree raggiate e uccelli. Contiene Basilio Magno, Epistula ad adolescentes (tr. Leonardo Bruni; ff. 1r-16v); Luciano, Dialogorum mortuorum duodecimus (tr. Giovanni Aurispa; ff. 17r-20v); Platone, Phaedon (tr. Leonardo Bruni; ff. 20v-70v). Appartenuto a Ghisilardi («Bartolomèus Ghisilardus me emit et possidet»: ff. 16v, 78v) e successivamente a Giovanni Sambuco (f. 1r)47. *
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Come già accennato, i tre personaggi di cui ci stiamo occupando sono Alberto Parisi, Bartolomeo Ghisilardi e Giovanni Garzoni, tipico rappresentante, quest’ultimo, del nuovo clima culturale bolognese in cui si intersecano «in un fitto reticolo di reciproci scambi» le esperienze dei commentatori, degli eruditi, degli artisti: «una delle figure più rappresentative
44 A f. 250v è anche un terzo nome «Lepontii Suiceri [Sinceri ?]». Vincenzo Badalocchi è sepolto nella chiesa di S. Maria in Vallicella; la sua biblioteca di circa 500 stampati e 13 manoscritti lasciata alla Congregazione dell’Oratorio costituisce uno dei fondi della Vallicelliana; vd. P. PIACENTINI, Elementi “romani” nei codici classici (e non solo) della Biblioteca Vallicelliana, in RRroma nel rinascimento, 2016, p. 328. 45 Due copie delle Epistolae ad familiares di Cicerone sono anche nella cassa 7 (FOSSIER, p. 403, nrr. 914, 175) e fra i libri di Sirleto, human. 204, 205 (Vat. lat. 6163, f. 320r). 46 Questo Johannes non è stato identificato ma Giovanni è un nome molto comune e negli anni ’40 del secolo altri copisti con questo nome erano attivi a Bologna: cfr. QUAQUARELLI, Il Quattrocento dei copisti cit., pp. 110-111. 47 La descrizione del manoscritto e della decorazione sono tratte da H. J. HERMANN, Die Handschriften und Inkunabeln der italienischen Renaissance, 1. Oberitalien: Genua, Lombardei, Emilia, Romagna, Leipzig 1930, pp. 141-142, tav. LVIII, 2; F. UNTERKIRCHER, Inventar der illuminierten Handschriften, Inkunabeln und Frühdrucke der Österreichische Nationalbibliothek, I, Wien 1957, p. 27; PÄCHT – ALEXANDER, Illuminated manuscripts cit. Giovanni Sambuco, medico e letterato ungherese (1531-1584), era passato da Bologna nel 1562 e durante un soggiorno a Napoli aveva acquistato numerosi manoscritti, entrati poi nella biblioteca imperiale di Vienna: notizie in C. VECCE, Gli zibaldoni di Iacopo Sannazaro, Messina 1998, p. 11 ss. (ivi bibliografia).
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dell’ambiente», quindi, «per la molteplicità degli interessi attestata dalla sua fecondità di poligrafo enciclopedico»48. Anche i Garzoni erano famiglia nobile: il loro stemma, inquadrato da due girari terminanti con teste di drago, d’azzurro scuro con tre “sgarzi” o fiori di cardo emergenti da un monte di tre cime (vaso stilizzato?) d’oro, è miniato sul margine inferiore di f. 1r dell’Ott. lat. 115249 (Tav. I). Bernardo de Garzonibus, padre di Giovanni, era nato agli inizi del XV sec.50; laureatosi nel 1420 era stato professore di medicina all’università, fino al 1448; divenuto archiatra di Niccolò V era morto di peste nel 1455/1456 a Roma dove, insieme con il medico — e lettore nello studio di Bologna — Baverio Bonetti (Baverio de Baveriis), aveva assistito il pontefice nella sua ultima malattia (m. 24 marzo 1455)51. Era stato anche letterato e appassionato di libri che raccoglieva e talvolta copiava e postillava, come il BUB 920 (519), testo di logica datato 1417 («Bernardus Garzo-
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Le citazioni da ANSELMI, Letteratura e civiltà cit., p. 201. CROLLALANZA, Dizionario storico-blasonico cit., I, p. 459; non catalogato in A. MARUCCHI, Elenco di stemmi cit. Non è chiaro quale fosse l’origine della famiglia Garzoni; forse si erano trasferiti a Venezia nel XIII secolo dividendosi poi in due rami: FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi cit., IV, pp. 75-77 (correggendo G. N. PASQUALI ALIDOSI, Dottori bolognesi di teologia, filosofia, medicina, e d’arti liberali, dall’anno 1000, per tutto marzo del 1623, Bologna 1623, p. 29) afferma l’origine bolognese di Bernardo di Pietro. Era tuttavia esistito un Johannes de Garzionibus de Veneciis (Venezia 1353 ca. – 1427/28), e un Iohannes Garzonus Venetus sottoscrive (transcripsi, correxi atque emendavi) il 12 dicembre 1450 il codice BUB 1619 (840): Pietro Ispano (Giovanni XXI), epigrammi di Giovanni Lamola fra cui uno a Garzoni, lettere di Guarino e Francesco Filelfo ad Alberto Parisi: vista la data e il contenuto del manoscritto dovrebbe trattarsi del nostro Giovanni (ma perché veneto?; stessa formula in BUB 468, dat. 1476, ma Garzoni non si dice veneto); nel BUB 1619, f. 292v è un elenco di libri appartenuti a Garzoni, fra cui l’”Ortographia gasparini”: vd. G. MANFRÉ, La biblioteca dell’umanista bolognese Giovanni Garzoni (1419-1505), in Accademie e Biblioteche d’Italia 27, n.s. 10 (1959), pp. 249-278; 28, n.s. 11 (1960), pp. 17-72: 1960, p. 60. Vd. anche BÉNÉDICTINS DU BOUVERET, Colophons cit., nrr. 2071 (Bernardo), 9793-9795 (Giovanni); QUAQUARELLI, Il Quattrocento dei copisti cit., p. 56; a p. 240 codici copiati per Giovanni Garzoni. 50 Sui Garzoni oltre alla bibliografia riportata da R. RIDOLFI, Garzoni, Giovanni, in DBI, 52, Roma 1999, pp. 438-440, cfr. MANFRÉ, La biblioteca dell’umanista bolognese cit.; ancora FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi cit., IV, Bologna 1784, pp. 78-100; MAZZETTI, Repertorio di tutti i professori cit., p. 142; DALLARI, Rotuli dei lettori cit., II, ad indicem; P. KIBRE, Giovanni Garzoni of Bologna (1419-1505), Professor of Medicine and Defender of Astrology, in Isis 58 (1967), pp. 504-514; L. R. LIND, The letters of Giovanni Garzoni Bolognese Humanist and Physician (1419-1505), Atlanta, Georgia, 1992 (le lettere comprendono gli anni 1466-1505; pp. 572-575 la lista dei corrispondenti in cui però non compaiono Ghisilardi e Parisi); MANTOVANI, Introduzione a Giovanni Garzoni, Historiae Bononienses cit., pp. 9-23; L. CHINES, Il dominio della parola tra filologia, poesia e immagine nell’umanesimo bolognese, in Crocevia e capitale della migrazione artistica: forestieri a Bologna e bolognesi nel mondo (secoli XV e XVI), a cura di S. FROMMEL, Bologna 2010, pp. 24-36. 51 Un accenno in G. MARINI, Degli archiatri pontifici, Roma 1784, I, p. 147. 49
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nus… scripsit ac perfecit»)52 o il BUB 876 (500), un Giovenale, a quanto pare scritto e glossato da Bernardo nel marzo-aprile 1432 a Parma («… incepi scribere die III marcii 1432 … qua die Serenissimus Sigismondus Romanorum Rex applicuit Parmam… postea incepi glosare … et finivi die ultimo aprilis 1432 in Parma …»), collazionato con un antico esemplare a Modena nell’agosto-settembre 1433, passato poi a Giovanni che annota «Audivi hunc librum ego I[o. Garzonus]--- a disertissimo omnium Veronensium Guarino preceptore meo solle vertente sub annis domini 1449»53. Giovanni era nato probabilmente nel 142954; aveva seguito la professione paterna come per lo più avveniva per i medici, i dottori in legge o altri “professionisti”, che potevano così usufruire di una clientela già formata, dell’esperienza e di una eventuale biblioteca del padre (anche i discendenti del nostro Garzoni sarebbero stati medici), ma aveva dimostrato anche una grande passione per la cultura, le arti, la letteratura; autore di numerosissime opere era stato in buoni rapporti con signori, umanisti e letterati. Durante un soggiorno a Firenze (1441 ca.) aveva conosciuto Bruni, Biondo, Trapezunzio; secondo la nota del già citato BUB 876 (500) Giovanni nel 1449 doveva trovarsi a Ferrara dove aveva assistito a un corso di Guarino sulle Satirae del poeta latino55; intorno agli anni Cinquanta aveva seguito il padre a Roma, e a Roma, per un quadriennio (circa 1453-1457), si era dedicato agli studia humanitatis alla scuola di Lorenzo Valla che — stando ad una lettera di Poggio a Bartolomeo Ghisilardi — nell’anno accademico 1452-1453 leggeva Virgilio e la Rhetorica ad Herennium (Epp. fam. V, 26) e che forse, proprio in quegli anni, gli aveva donato un suo 52 A Bernardo era appartenuto anche il Cicerone BUB 473 (284) comprato a Bologna nel 1436. Cfr. FRATI, Indice dei codici latini cit., 16 (1908), pp. 279, 284, 219; MANFRÉ, La biblioteca dell’umanista bolognese cit., 1960, pp. 52-53, 29. La storia della biblioteca dei Garzoni è stata ampiamente studiata da MANFRÉ, La biblioteca dell’umanista bolognese cit., 1959, p. 258 ss.: passata a Marcello, figlio di Giovanni, e successivamente al nipote Fabrizio e ai suoi discendenti, era restata in famiglia fino al 1716, quando il canonico Giovanni Garzoni la aveva donata all’Istituto dell’Accademia delle Scienze di Bologna; vd. anche L. AVELLINI, Eloquenza e committenza. Prosa encomiastica e agiografica di Giovanni Garzoni, in Bentivolorum magnificentia cit., p. 138 n. 8. 53 La lettura delle note in SABBADINI, Epistolario di Guarino Veronese cit., III, p. 438. Il riferimento a Sigismondo di Lussemburgo, sceso in Italia nel 1431 per farsi incoronare imperatore, passando per Milano, Piacenza, Parma, Lucca e Siena prima di giungere a Roma (31 maggio 1433) suggerisce una presenza di Bernardo alla corte imperiale. 54 MANTOVANI, Introduzione a Giovanni Garzoni, Historiae Bononienses cit., pp. 9-13, mette in discussione e rettifica la tradizionale data di nascita di Garzoni che MANFRÉ, La biblioteca dell’umanista bolognese cit., 1959, p. 250, colloca (ma con qualche dubbio) nel 1419 sulla base di precedenti biografie che lo dicono morto a 86 anni nel 1505. 55 Sulle lezioni a Ferrara SABBADINI, Epistolario di Guarino Veronese cit., II, p. 551, nr. 832; III, pp. 436-438.
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codice con orazioni di Cicerone56. Tornato a Bologna si era addottorato in medicina (1466), diventando poi lettore di medicina pratica nello Studio bolognese; forse teneva anche corsi privati di filosofia e retorica. Acceso sostenitore dei Bentivoglio, medico privato di Giovanni II, scrive una storia e diverse orazioni in onore della famiglia; dal 1477 è medico degli Agostiniani di S. Giacomo, partecipa come Anziano e tribuno della plebe alla vita pubblica e politica della sua città, spesso incaricato di missioni diplomatiche. Muore nel 1505 durante un’epidemia ed è sepolto nel chiostro di S. Domenico a Bologna. La sua cultura vasta ed eclettica, la sua “sincera religiosità”, lo portano a interessarsi allo studio dei classici, alla morale e alla religione («vero cortigiano» ma anche «medico che condivide gli interessi degli umanisti»), a scrivere opere di storia, medicina, agiografia, orazioni e lettere. La sua raccolta libraria, ricca di circa 75 volumi manoscritti (gli stampati erano andati «smarriti nel corso dei secoli»), comprendeva soprattutto opere di autori classici latini (pochi i contemporanei, quasi assenti gli scrittori in volgare), libri di grammatica e retorica, di storia, di filosofia, di agiografia, di medicina. Era anche un buon “copista” e “filologo” e molti libri — per lo più cartacei, testi di studio, alcuni dei quali ereditati dal padre Bernardo — sono di sua mano o annotati da lui: oltre all’Ott. lat. 1263 con l’Orthographia di Barzizza (1452), uno dei manoscritti acquistati da Bartolomeo Ghisilardi, molti codici oggi nella Biblioteca Universitaria di Bologna recano l’indice o alcuni fogli di sua mano o sue note autografe; altri la sua sottoscrizione, come i BUB 468 (279), Cicerone, datato 27 aprile 1476; BUB 921(520) con testi di logica scritto in parte il 27 dicembre 1470 (ma altre date di altre mani si riferiscono agli anni 1432 [incepimus] e 1458); BUB 747 (71), Avicenna, l’autore su cui si basavano le letture di Garzoni allo Studio, datato 1 maggio 1471; o i BUB 731 (423, I-III) ancora con testi di medicina e di Avicenna, scritti fra il 1466 e il 148457. A Bartolomeo Ghisilardi è dedicata una delle sue opere, l’Expugnatio urbis Granatae sive Historia de bello Mauritano, oggi BUB 732 (424), a Parisi la Petri Cossolini Historia (BUB 753)58. È uno dei corrispondenti di 56
Cfr. L. GARGAN, Per la biblioteca di Lorenzo Valla, in Le strade di Ercole cit., p. 246, per il manoscritto donato da Valla, ma la nota citata («In codice Laurentii Vallensis sic reperi») non mi sembra indichi necessariamente un possesso. 57 I dati relativi ai codici bolognesi sono tratti dai repertori di Frati e Manfré cit. sopra. 58 Pietro Cossolini, un artigiano, nel 1411-1412 aveva effettuato un colpo di stato di breve durata, instaurando a Bologna un governo popolare e scacciando il legato pontificio; domata rapidamente la rivolta era stato imprigionato, poi liberato su invito del cardinale, era morto poco dopo. MANTOVANI, Introduzione a Giovanni Garzoni, Historiae Bononienses cit., pp. 176-177, 198 e passim; ivi, pp. 77-90 la descrizione del principale testimone, BUB 753 (445), che inizia con la storia di Giovanni Bentivoglio I e di Cossolini; FRATI, Indice dei codici latini
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Filelfo, di Pomponio Leto, di Poliziano, di Giovan Battista Pio, di Leandro Alberti; scorrendo il suo epistolario troviamo nomi noti e meno noti, politici e letterati, possiamo ravvisare la varietà e la vastità dei suoi interessi, il suo amore per lo studio e per i libri, gli insegnamenti mai dimenticati di Valla che spesso riaffiorano nelle lettere, con allusioni alle polemiche che avevano coinvolto il suo maestro. Conosceva Quintiliano, anche se non ne possedeva l’opera, del quale parla nel suo De elocutione59; la sua ammirazione per Valla e per Cicerone sono testimoniati, alla fine del secolo, dallo scambio di lettere con Urceo Codro, in parte pubblicate nei Sermones del più anziano amico. Il De proprio Ciceronis imitandi studio (BUB 732 /424) è testimonianza del suo convinto ciceronianismo che lo spinge a raccomandare ai suoi discepoli di studiare e imitare lo scrittore latino; l’interesse per Cicerone — uno degli autori più presenti nella sua biblioteca — e per Livio («è nello spirito del Valla che Garzoni può discorrere di eloquenza e di modelli eccellenti accostando al nome di Cicerone quello di Livio»), la lettura appassionata degli storici antichi, di Cesare e Sallustio sono tutti elementi che si evidenziano nella redazione definitiva delle Historiae Bononienses in cui assembla e rielabora testi scritti in anni precedenti, relativi ai diversi momenti della storia della città60. Di poco più anziani di Garzoni erano Bartolomeo Ghisilardi e Alberto Parisi, i giovani amici di Poggio Bracciolini con i quali nei mesi estivi del 1454 il vecchio maestro, quando è ancora a Firenze come cancelliere della Repubblica, intrattiene un vivace scambio epistolare61: dal testo di una lettera di Bracciolini a Ghisilardi «Letor te Florentiam accessisse… amicitia tua est mihi grata, et gratissimum fecisti quod ad tuam Alberti cit., 16 (1908), p. 263; MANFRÉ, La biblioteca dell’umanista bolognese cit., 1960, p. 49. Vedi anche il Vat. lat. 7185 (MANTOVANI cit. sopra pp. 90-91) che contiene le stesse opere: a f. 2r è accennata una decorazione a penna e uno stemma con due leoni rampanti affrontati (il capo è illeggibile). 59 Sul De elocutione BUB 232 cfr. MANFRÉ, La biblioteca dell’umanista bolognese cit., 1960, p. 20; KRISTELLER, Iter Italicum cit., I, p. 23. 60 La citazione in MANTOVANI, Giovanni Garzoni cit., pp. 75 e 70. Per la corrispondenza con Codro (gli Epistolarum familiarium libri X sono tuttora inediti) cfr. CHINES, Valla e la grande pratica del commento cit., p. 28; G. FORNI, Valla, Codro e i «miseri philologi», in Lorenzo Valla e l’umanesimo bolognese cit., pp. 44-57. 61 Sembra che in un secondo momento si siano interrotti i rapporti con gli amici bolognesi; solo una lettera a Parisi, in cui si accenna a lettere speditegli dall’amico, è datata, ma con punto interrogativo, alla primavera del 1457 (IX, 26); per la corrispondenza con Ghisilardi e Parisi (spesso incaricati di salutare Bornio da Sala, come si è detto amico e corrispondente di Poggio e Parisi), cfr. E. HARTH, Introduzione all’Epistolario (POGGIO BRACCIOLINI, Lettere, a c. di E. Harth), I, Firenze 1984, pp. XVII-XVIII, XX n. 20, XXII n. 25 sulla seconda silloge epistolare; III, Epistolarum familiarium libri, Firenze 1987, ad indicem; SEVERI, Perotti e Morandi nella disputa Valla-Bracciolini cit., pp. 93-107.
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quoque amicitiam addidisti» (febbraio-marzo 1454; Epp. fam. V, 17) sembra che sia stato Ghisilardi a presentare a Poggio l’amico, ma in realtà non sappiamo quando si erano conosciuti, anche perché non si hanno notizie sulla giovinezza di Bartolomeo; forse a Roma, forse durante un soggiorno a Firenze. Nelle epistole ai due amici bolognesi Poggio li saluta con affetto, accenna a lettere che gli avrebbero inviato, parla degli errori di Bartolomeo Facio nello scrivere la vita di Alfonso d’Aragona, delle critiche rivoltegli da un “certo” Volpe («… nescio quam Vulpem, non enim novi, suppeditare sibi contra me animos… »: V, 26), della disputa con quel Volpe, Niccolò, amico e maestro di Perotti, da lui difeso nella polemica antipoggiana (VI,1), delle aspre controversie che lo avevano visto protagonista (il tono delle ultime missive è però più disteso) e in particolare si scaglia contro Niccolò Perotti, nequissimus, asellus petulantissimus; scrive a Perotti di aver consegnato al giovane Ghisilardi le sue orazioni in lode [sic] di Valla (V, 14; 19), anche se, in una lettera a Parisi, afferma che non esiste nulla di più stolto e inelegante delle sue opere nelle quali si permette di criticare Tito Livio, Aristotele, Boezio e perfino Agostino e Girolamo (VI, 23); promette di inviare appena possibile l’orazione contro Amedeo di Savoia/Felice V (VI, 23; 24), parla a Bartolomeo dell’invettiva di Perotti e della sua risposta (V, 17-18), accenna ancora alla polemica con Valla e Bartolomeo Facio (V, 26; 28), descrive la riconciliazione con il sipontino dopo l’intervento della Signoria di Firenze e di Bessarione legato pontificio in Bologna (VI, 12-13); a Girolamo Guarini ricorda di aver mandato ad Alberto Parisi “cancellarium Bononiensem” un volume con le sue lettere e orazioni divise in dieci libri, cioè la ‘seconda raccolta’ (inverno 1454/1455; VI, 23, 34). E Parisi scrive da Bologna a Poggio descrivendo con parole di scherno lo smarrimento di Perotti dopo la lettura dell’invettiva a lui indirizzata: («Itaque pallidulo vultu, oculis subtristibus, incessu vario, verbis ambiguis testatur egritudinem cordis») e la gioia dei cittadini che mal sopportavano «insolentiam huius putiduli animalis» (VI, 25)62. Di Bracciolini Ghisilardi possedeva il De varietate fortunae, dialogo fra Fortuna e Virtù relativo al potere della Fortuna sugli uomini, in cui è famosa la descrizione di una Roma in rovina al termine dello scisma d’Occidente (1448; Ott. lat. 2134), l’Historia tripartita o Historiae convivalis disceptatio, in cui è affrontato l’argomento della differenza fra lingua letteraria e 62 Tutto questo si ricollega alla polemica fra il ciceroniano Poggio, e Volpe e Perotti sostenitori delle teorie valliane; d’altra parte lo stesso Perotti insulta il vecchio Bracciolini considerandolo ormai un demente; espressioni analoghe vengono usate da Poggio anche nei confronti di Filelfo e di altri a lui sgraditi.
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lingua parlata (1450; Ott. lat. 1196), l’Invectiva in Felicem antipapam (1447; Ott. lat. 1196). Bartolomeo di Niccolò Ghisilardi (o Ghiselardi o Ghislardi), il possessore dei codici fin qui esaminati, la maggior parte dei quali era poi entrata nella biblioteca di Marcello Cervini, apparteneva a un’importante famiglia bolognese i cui membri, in massima parte notai, avevano fatto parte degli Anziani, erano stati cancellieri poi senatori del comune63. Niccolò, nato verso il 1400, notaio, legum doctor, docente allo Studio, era stato membro del Collegio degli Anziani e ambasciatore; era morto a Venezia nel 1444, quasi sicuramente durante una missione; era stato comunque sepolto a Bologna in S. Maria dei Servi, ma l’epitaffio scritto da Girolamo Guarini era stato causa di una polemica fra quest’ultimo e il Tridentone per l’uso dell’esametro, considerato un verso “inadatto”64. Ser Bartolomeo di Niccolò, che nel 1454 Poggio chiamerà optimus adolescens, era probabilmente nato nei primi decenni del Quattrocento, e più precisamente nel 1436, secondo i dati riportati nell’epigrafe collocata nella cappella funebre; giurista come il padre, doctor utriusque, durante il governo di Sante e Giovanni II Bentivoglio aveva ricoperto importanti cariche pubbliche fra cui quella di notaio-cancelliere dei Sedici Riformatori dello Stato di Libertà — il principale organo di governo della città (1455) — e di cancelliere del Senato. Fra il 1483 e il 1491 aveva fatto costruire in via Galliera (poi Manzoni) un importante palazzo — oggi Museo Civico Medievale — dotato di orto, giardino e scuderie, che aveva inglobato resti di antiche mura e una torre, detta torre dei Conoscenti dai primi proprietari; era morto nel 1505, a quanto sembra per lo spavento dovuto a un terremoto che aveva colpito la città e che aveva provocato la caduta di alcuni calcinacci sul letto in cui dormiva. Nel testamento, rogato l’11 marzo 1500, aveva affidato al figlio Ludovico (m. 1531) l’incarico, in mancanza di eredi legittimi, di destinare il palazzo di famiglia a ospizio per i poveri; tuttavia Ludovico, con il consenso di Clemente VII, aveva ottenuto di conservare il palazzo impegnandosi in cambio ad erigere nella basilica di S. Domenico una cappella di famiglia il cui progetto, ispirato a modelli antichi, era sta63 Su Niccolò, Bartolomeo e Ludovico Ghisilardi cfr. P. A. ORLANDI, Notizie degli scrittori bolognesi e dell’opere loro stampate e manoscritte, Bologna 1714, pp. 69, 193, 216; FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi cit., VI, Bologna 1788, pp. 141-142; L. FRATI, Amici bolognesi di umanisti (Alberto Enoch Zancari, Bartolomeo Ghiselardi, Alberto Parisi), in Giornale storico della letteratura italiana 97 (1931), pp. 286-290; DALLARI, Rotuli dei lettori cit., II, ad indicem; C. PIANA, Nuove ricerche su le Università di Bologna e di Parma, Quaracchi 1966 (Spicilegium Bonaventurianum, 2), pp. 228-229, 258; ivi, p. 326 n. 4, su Niccolò Volpe; pp. 214, 218, 224 su Giovanni Garzoni; G. TAMBA, Ghislardi, Niccolò, in DBI, 54, Roma 2000, pp. 51-53. 64 Per la polemica Guarini-Tridentone anche R. SABBADINI, La scuola e gli studi di Guarino Guarini Veronese, Catania 1896, p. 37.
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to studiato da Baldassarre Peruzzi che dal dicembre 1521 all’aprile 1523 aveva soggiornato a Bologna dove gli erano state affidate numerose commissioni architettoniche e pittoriche65. Mentre Niccolò Ghisilardi e il suo primogenito Ghisilardo erano stati ambedue docenti nello Studio bolognese (di Niccolò si sa che scrisse due commentari al Digesto nuovo) non sappiamo se Bartolomeo aveva scritto qualcosa o, a parte le poche lettere scambiate con Poggio, era stato in contatto con altri umanisti; probabilmente non aveva neanche insegnato. Eppure, sia Bartolomeo che il figlio Ludovico erano considerati dai contemporanei degli uomini colti, tanto che Giovanni Garzoni dedica all’amico l’Historia de bello Mauritano (BUB 732/ 424)66, e di Ludovico si conosce un distico in risposta a Urceo Codro che esaltava le sue doti letterarie. Gli interessi di Bartolomeo sono comunque dimostrati dai manoscritti — fino ad oggi individuati — della sua piccola raccolta libraria, forse ispirata dagli studi fatti o dall’amicizia con Poggio; raccolta verosimilmente passata al figlio come spesso avveniva per le biblioteche private degli umanisti67. I titoli 65
Per il terremoto che aveva provocato molti danni — ma poche vittime — C. GHIRARDella Historia di Bologna, a cura di A. SORBELLI, Città di Castello 1916 (RIS2 33, I), p. 334. Sulla famiglia Ghisilardi, l’ambiente bolognese, il palazzo poi Ghisilardi Fava (acquistato a metà Cinquecento dai Fava proprietari del palazzo adiacente), il testamento e la cappella cfr. G. TAMBA, La società dei notai di Bologna, Roma 1988 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Strumenti, CIII), pp. 240, 244; S. BETTINI, Baldassarre Peruzzi e la Cappella Ghisilardi. Origine, occultamento e recupero di un’opera nella Basilica di S. Domenico a Bologna, introduzione di H. BURNS, Reggio Emilia 2003; ID., Qualche aggiunta sulla Cappella Ghisilardi dopo il recente restauro, in Baldassarre Peruzzi (1481-1536). Atti del XX Seminario internazionale di storia dell’architettura (Roma, Siena, Bologna, Carpi, Vicenza, 17-23 maggio 2001), a cura di CH. L. FROMMEL – A. BRUSCHI – H. BURNS – F. P. FIORE – P. N. PAGLIARA, Venezia 2005, in partic. pp. 34-81; ID., Palazzo Ghisilardi. Il sogno rinascimentale di un notaio bolognese, introduzione di R. J. TUTTLE, con un saggio di G. BENEVOLO, Bologna 2004; QUAQUARELLI, Il Quattrocento dei copisti cit., pp. 51-53. Vd. anche P. D’ANCONA-E. AESCHLIMANN, Dictionnaire des miniaturistes du Moyen Age et de la Renaissance…, Milano 1949, p. 85: nel 1459 Bartolomeo sarebbe stato copista e miniatore del comune. 66 FRATI, Indice dei codici latini cit., 16 (1908), p. 255. 67 Al momento sono stati rintracciati solo manoscritti; forse possedeva anche libri a stampa (per le tipografie attive a Bologna vedi sopra) e non è escluso che qualche esemplare fosse anche fra i libri di Cervini nel cui inventario sono presenti anche edizioni bolognesi; edizioni che, a differenza dei manoscritti appartenuti al papa, non è possibile identificare con i reali esemplari di cui è ignota la sorte. La differenza fra le note di possesso sui volumi (me emit et possidet o Liber Bartholomei Ghisilardi), è forse riferibile a due differenti momenti di acquisizione, che si aggirava comunque intorno alla metà del ’400 come indicherebbero le poche date dei colophon e quelle ricavabili dal momento di pubblicazione delle opere copiate. Sul passaggio delle raccolte librarie di padre in figlio anche C. BIANCA, Dal privato al pubblico: donazioni di raccolte librarie tra XV e XVI secolo, in Le biblioteche private come paradigma bibliografico. Atti del convegno internazionale Roma, Tempio di Adriano, 10-12 ottobre 2007, a cura di F. SABBA, Roma 2008, p. 453 ss. DACCI,
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indicano la sua preferenza per le opere di letteratura e storia, di autori cristiani, latini, greci in traduzione latina, che lo stesso Bartolomeo comprava, leggeva e qualche volta annotava: Ditti Cretese, lo ps. Aurelio Vittore, Plutarco tradotto da Filelfo (Ott. lat. 1196) e da Perotti (Ott. lat. 1507), Luciano, Platone tradotto da Leonardo Bruni e Basilio Magno nel codice ora a Vienna, Diogene Laerzio tradotto da Traversari (Ott. lat. 1252); più di un manoscritto contiene testi di Cicerone, l’unico “classico” latino della raccolta (Ott. lat. 1196; Vall. C 77; Ambros. L 21 sup.; Bodl. Canon. Class. lat. 207); Bologna è rappresentata dalle orazioni di Nicolosa Sanuti e Matteo Bosso sulle leggi suntuarie (Ott. lat. 1196), gli autori cristiani da Lattanzio, Agostino (Ott. lat. 1138), lo ps. Lattanzio e lo ps. Cipriano (Ott. lat. 1196). Sono scarsi i contemporanei, a parte le opere di Poggio (Ott. lat. 2134) e gli scritti concernenti gli ultimi anni di Pio II, il papa che aveva dato più volte un giudizio decisamente negativo su Bologna (Ott. lat. 1170: alla fine del fascicolo VII è trascritta anche l’Institutio Traiani che però non si riferisce al papa), sui quali è forse interessante soffermarci anche per capire, se è possibile, le ragioni che avevano spinto a riunirli Bartolomeo Ghisilardi che, membro delle magistrature cittadine, poteva aver conosciuto il pontefice al momento della sua sosta nella città emiliana (9-16 maggio 1459) durante il viaggio verso Mantova dove era stata convocata una dieta con lo scopo di esortare le potenze dell’occidente cristiano a partecipare ad una crociata contro l’avanzata dei Turchi guidati dal sultano Maometto II. A Bologna Pio II aveva incontrato le autorità e aveva assistito alle orazioni recitate da Bornio da Sala, orazioni in cui alle lodi per il papa, invitato a prendersi cura della sua città, si erano accompagnate — dicono i Commentarii — le invettive contro i suoi concittadini avidi e violenti e contro il regime tirannico di Sante Bentivoglio. La dieta si era aperta «in un clima fatto di cautele, di sospetti, di dilazioni e attese»68, ma non voleva essere soltanto un invito alla crociata: come lo stesso Pio II aveva suggerito, si è voluta interpretare come un tentativo di consolidare il ruolo del papato come guida della politica italiana ed europea davanti ai particolarismi e ai tentennamenti delle potenze italiane, ai tentativi autonomistici, soprattutto della Francia, dei principi tedeschi e dell’Impero, riluttanti ad accettare il potere temporale della Chiesa, alle prese di posizione della corte pontificia e delle diverse chiese. Lo dimostrerebbero fra l’altro i tre documenti conclusivi, e cioè l’Instrumentum in causa defensionis fidei (affermazione dell’autorità papale), la bolla Ecclesiam 68 B. BALDI, Pio II e le trasformazioni dell’Europa cristiana (1457-1464), Milano, Edizioni Unicopli, 2006: la citazione a p. 161; E. TINELLI, Pio II e la dieta di Mantova nella Gratulatio pro felici ac secundo reditu di Girolamo Aliotti, in Roma, Napoli e altri viaggi. Per Mauro de Nichilo, a cura di D. CANFORA – C. CORFIATI, Bari 2017, p. 407 ss.
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Christi (proclama della crociata), la bolla Execrabilis (contro l’appello a un concilio). Questi mancano nel codice dove sono invece trascritte alcune orazioni recitate al congresso69: quella di “apertura” del 26 settembre 1459 con la richiesta di intervenire contro i Turchi, quella in cui Pio II recrimina l’assenza dell’imperatore Federico III e quella rivolta agli oratori del re di Francia, e ancora l’orazione recitata il 18 settembre (19 settembre nel manoscritto) da Francesco Filelfo, da tempo al servizio dei Visconti e degli Sforza, in nome di Francesco Sforza giunto finalmente a Mantova con grande apparato il 17 settembre, seguita dalla risposta del papa70. Ai documenti relativi alla dieta si aggiungono la lettera al senese Leonardo Benvoglienti, conosciuto dal papa in gioventù, lo scambio di missive fra il volterrano Gaspare Zacchi e il pontefice, il dialogo relativo alla disputa tra francescani e domenicani de sanguine Christi (1462 ca.), la famosa e discussa lettera a Maometto II (1461ex. – 1462 in.) — «testo unico, sconcertante, che appare ancora oggi difficile da interpretare e comprendere»71, che voleva forse essere anche un messaggio ai principi che, spinti da interessi finanziari e commerciali, avevano dimostrato uno scarso interesse per la guerra. Riguarda ancora Pio II l’orazione funebre in suo ricordo composta da Giovanni Antonio Campano seguita dal commento di Iacopo Ammannati (post 15 ag. 1465). Alcuni dei testi raccolti rivelano anche un interesse di Bartolomeo, amico di Barzizza e di Poggio, per i dibattiti sull’uso della lingua; troviamo infatti opere di grammatica, retorica, storia della lingua, scritti di Cicerone, l’Epistola in laudem Ciceronis dello ps. Apollonio retore (Ott. lat. 1196), l’erudito Censorino — anche se il De die natali è piuttosto un testo “filosofico” e sono andate perdute le opere grammaticali a lui attribuite (Ott. lat. 1170) — due copie dell’Orthographia di Barzizza, «uno dei maggiori responsabili 69
Per le orazioni recitate a Mantova cfr. nota 24; G. D. MANSI, Pii II P.M. olim Aeneae Sylvii Piccolominei Senensis Orationes politicae et ecclesiasticae, II, Lucae 1757; Orationes Philelphi cum aliis opusculis, Venezia, Filippo Pinzi, 1496, c. XXIIv; i diversi contributi in Il sogno di Pio II e il viaggio da Roma a Mantova. Atti del Convegno internazionale (Mantova. 13-15 aprile 2000), a cura di A. CALZONA – F. P. FIORE – A. TENENTI – C. VASOLI, Firenze 2003, fra cui M. SIMONETTA, Il duca alla Dieta: Francesco Sforza e Pio II, pp. 247-286; e, per un esame critico dell’atteggiamento di Piccolomini nei confronti di Bologna, A. I. PINI, «Non tam studiorum mater quam seditionum altrix»: Pio II e Bologna. Pio II a Bologna, ivi, pp. 179-201; Pini (pp. 196-197) esprime i suoi dubbi anche sull’orazione di Bornio, della quale si ha notizia solo attraverso i Commentarii; Paracleto Malvezzi da Corneto Bucolicum Carmen ad Pium II papam, a cura di C. CORFIATI, Roma 2016, Roma nel Rinascimento, inedita, 70 saggi). Vd. anche la bibliografia citata sopra nelle note al codice. 70 Filelfo, che aveva vissuto sette anni a Costantinopoli e aveva sposato una figlia di Emanuele Crisolora, aveva ripetutamente scritto lettere e orazioni per sollecitare un’offensiva contro i Turchi, proponendosi anche come intermediario ed “esperto” di questioni ottomane. 71 La citazione in BALDI, Pio II cit., p. 198.
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del “ciceronianismo” umanistico»72 (Ott. lat. 1194, Ott. lat. 1263), le Elegantiolae di Agostino Dati; stranamente mancano (o non sono state rintracciate) opere di Valla, i lavori sull’“ortografia” di Perotti e Tortelli, l’Institutio oratoria di Quintiliano, uno dei testi più studiati e utilizzati, accanto a Cicerone, nelle controversie sulla lingua. Amico e collega, coetaneo di Bartolomeo Ghisilardi è Alberto di Pietro Parisi (m. 1477), anch’egli cancelliere del Senato bolognese e dei Sedici Riformatori; nel 1454 Poggio si congratula per le sue nozze (Epp. fam. VI, 11); nel 1473 ser Albertus de Parisiis risulta console della Società dei Notai, cancelliere degli Anziani. Non sembra che si fosse dedicato anche all’insegnamento73 ma, colto e appassionato di argomenti letterari, era in corrispondenza con numerosi umanisti: Aurispa, Filelfo, Coluccio Salutati, Battista Pallavicino per la tradizione di Celso; Bracciolini lo qualifica vir doctissimus, gli invia copia della sua seconda silloge epistolare (Epp. fam. VI,23; VI,34), promette di spedire le orazioni contro Amedeo di Savoia e contro il nequissimus Niccolò Perotti (Epp. fam. V, 17), Guarino gli scrive nel gennaio del 1450 rimpiangendo la morte di Giovanni Lamola74, Marsilio Ficino gli invia copia del De christiana religione; Lianoro Lianori gli dedica la traduzione dal greco della lettera di Isidoro di Kiev a Bessarione sulla caduta di Costantinopoli (1453-1454), Giovanni Garzoni gli dedica la Petri Cossolini Historia75; Galeotto Marzio da Narni, docente allo studio bolognese, lo coinvolge nella polemica relativa alla Sphortias di Francesco Filelfo giudicata sfavorevolmente dai contemporanei (1463-64) e lo stesso Filelfo — che nell’epistolario accenna alla richiesta da parte di Alberto di un esemplare della traduzione delle due Vite plutarchee — gli invia numerose lettere in risposta a questioni di carattere letterario-grammaticale, fra cui una «epistola-trattato» (Epist. 24,1) in cui confuta le accuse rivoltegli 72
Vd. MARTELLOTTI in DBI cit., p. 37. FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi cit., VI, pp. 291-294; FRATI, Amici bolognesi cit., pp. 291-295; TAMBA, La società dei notai cit., p. 236; non risulta nei Rotuli dei lettori pubblicati da Dallari (cit. supra) né in S. MAZZETTI, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università … di Bologna, Bologna 1847. Sembrerebbe errata l’indicazione di C. COLOMBO, Quattro lettere inedite di Guarino, in Italia medioevale e umanistica 8 (1965), p. 217 n. 18 che lo dice cancelliere del comune di Firenze. 74 Per ragioni cronologiche l’Alberto al quale Guarino nel 1433-34 manda un quinterno con una parte del suo epistolario e promette di far copiare una vita di Platone deve essere Alberto Enoch Zancari. Cfr. FRATI, Amici bolognesi cit.; SABBADINI, Epistolario di Guarino Veronese cit., II, nrr. 653-654; III, pp. 313-314. Ivi, II, nr. 832; III, pp. 435-439 la lettera in morte di Lamola (m. a Bologna dic. 1449); epitaffi in BUB 1619 (840). A. PEROSA, Studi di filologia umanistica. III. Umanesimo italiano, a cura di P. VITI, Roma 2000 (Studi e testi del Rinascimento europeo, 3), p. 92. 75 Vedi sopra. 73
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da Marzio a proposito della Sphortias e chiarisce le ragioni grammaticali, metriche e linguistiche che lo avevano guidato76. Anche Parisi doveva avere raccolto alcuni libri: suoi erano stati l’Ott. lat. 1138 con le opere di Lattanzio e il De spiritu et anima di Agostino, e il Vallicell. C 77 con le Epistulae ad familiares di Cicerone, acquistati poi da Ghisilardi; la sua nota di possesso, datata 1445, è sull’Ott. lat. 1751 con i Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo, e a quanto pare gli appartenne anche un altro codice, il famoso Firenze, Laur. 73,1 della seconda metà del IX secolo, con diversi testi di medicina fra cui Cornelio Celso, scoperto da Giovanni Lamola nella basilica di S. Ambrogio (1427), utilizzato da Guarino e successivamente da Bartolomeo Fonzio per l’editio princeps (1478), passato attraverso numerosi possessori e studiosi fra i quali il nostro bolognese che nel 1465 lo presta al vescovo di Reggio Emilia Battista Pallavicino che desidera collazionarlo con il proprio esemplare77. Sono invece oscure le ragioni che lo avevano spinto a vendere alcuni suoi libri a Bartolomeo Ghisilardi, che addirittura cancella il suo nome sull’Ott. lat. 1138, quando, come per il Celso, era normale consuetudine che gli studiosi si prestassero i codici — incrementando così la circolazione libraria — nonostante il rischio di non riaverli indietro, o ne condividessero l’utilizzo, indicando nelle note di possesso “sibi et amicorum” o “amicis aeque ac sibi”. Uno dei tanti esempi è quello di Poggio Bracciolini che — come si evince dal suo epistolario — aveva dovuto richiedere ripetutamente a Niccoli i manoscritti che gli aveva prestato, o di Valla, che 76 Cfr. FRANCESCO FILELFO. Collected Letters. Epistolarum Libri XLVIII, Critical edition by J. DE KEYSER, 4 vol., Alessandria 1915, II, pp. 1061-1077 (ep. 24.1, 31 ott. 1464); L. JUHÁSZ, Galeottus Martius. Invectivae in Franciscum Philelphum, Lipsiae 1932; L. CHINES, La parola degli antichi cit., p. 107 ss.; Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte cit.; PEROSA, Studi di filologia umanistica cit., pp. 92-94 e n. 18; S. FIASCHI, Filelfo e i “diritti” del traduttore. L’auctoritas dell’interprete e il problema delle attribuzioni, in Tradurre dal greco in età umanistica. Metodi e strumenti, Atti del seminario di studio, Firenze, Certosa del Galluzzo, 9 settembre 2005, a cura di M. CORTESI, Firenze 2007, pp. 121-124; G. DE BLASI – A. DE VINCENTIIS, Un’età di invettive, in Atlante della letteratura italiana, I, Torino 2010, pp. 356-363; V. DADÀ, L’epistolario e lo scrittoio. I Carmina di Filelfo e la lettera ad Alberto Parisi (Epist. 24.1), in Nuovi territori della lettera tra XV e XVI secolo. Atti del Convegno internazionale FIRB 2012, Venezia, 11-12 novembre 2014, a cura di F. BOGNINI, Venezia 2016, p. 91 ss.; J. DE KEYSER, Francesco Filelfo and Francesco Sforza. Critical Edition of Filelfo’s Sphortias, De Genuensium deditione, Oratio parentalis, and his Polemical Exchange with Galeotto Marzio, Hildesheim 2015, pp. 301-370 (ed.). 77 Per Celso cfr. R. SABBADINI, Sui codici della medicina di Cornelio Celso, in Studi italiani di filologia classica 8 (1900), pp. 2-4, 15-18 e passim; ried. in Storia e critica di testi latini, Padova 1971 (Medioevo e umanesimo, 11), pp. 216-217, 227, 231; COLOMBO, Quattro lettere inedite cit., passim; A. BECCARIA, I codici di medicina del periodo presalernitano (secoli IX, X e XI), Roma 1956 (Storia e letteratura, 53), pp. 277-278; S. BRICOUT, La connaissance du De medicina de Celse au tournant du Xe siècle, in Revue d’Histoire des Textes 4 (2009) p. 292 e n. 20.
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oltre a possedere una sua biblioteca utilizzava libri presi in prestito nelle città in cui si trovava a vivere e dava volentieri ad altri i propri libri; ma non era l’unico caso, se anche Francesco Filelfo scrive a Francesco Aleardi (1455-1456) e poi ad Alberto Parisi (10 marzo 1458) lamentando la mancata restituzione, dopo un anno, delle Vite di Ottone e Galba tradotte dal greco: «Quae amicis communia esse debent … At Vitas Galbae et Othonis quas e graeco traduxeram et tibi poscenti commodaram in mensem, iam annum ita possides … Itaque rogo te ut memineris eas ad te isse commodato, non dono …»78. In definitiva, la necessità di passare in rassegna molti manoscritti e molte edizioni, in questo caso nel tentativo di identificare i volumi posseduti da Marcello II — in parte già di proprietà del padre Ricciardo —, ha permesso di iniziare interessanti ricerche sulle persone e sulle istituzioni cui erano appartenuti prima di entrare nella raccolta cerviniana e di rintracciare notizie su umanisti poco conosciuti o studiati solo marginalmente; lavoro già delineato, per i codici greci, da Robert Devreesse, e per quelli latini — ma limitatamente ai codici inglesi — da Neil R. Ker, e infine da François Fossier79. Mi permetto quindi di riferire il caso di un umanista poco noto, di cui mi sono recentemente occupata, fino ad oggi conosciuto in quanto professore di greco allo Studium Urbis e quindi nominato nel ruolo del 1514 all’epoca di Leone X: l’erudito Augusto Patavinus o Augusto Valdo, proprietario dell’attuale Inc. II 145, ex II 292, della Biblioteca Vaticana, edizione della Naturalis Historia di Plinio (Treviso, Michele Manzolo, 1479) curata dal trevigiano Girolamo Bologni, probabilmente studiata da Angelo Colocci, che già possedeva due esemplari di Plinio scampati al Sacco di Roma, il Vat. lat. 3861 e il R. I II. 999, e acquistata da Cervini nel 154280. Ma fra i possessori si trovano anche ordini religiosi e conventi, come i romani S. Maria sopra Minerva, l’Ara Coeli, S. Maria Nuova (S. Francesca Romana), prelati come Marino Grimani cardinale di Aquileia 78 Per le vite di Ottone e Galba vd. anche Ott. lat. 1196 sopra; FRANCESCO FILELFO. Collected Letters cit., II, epp. 12. 61; 13.19; 14.24. 79 R. DEVREESSE, Les manuscrits grecs de Cervini, in Scriptorium 22 (1968), pp. 250-270; N. R. KER, Cardinal Cervini’s manuscripts from the Cambridge Friars, in Xenia Medii Aevi historiam illustrantia oblata Thomae Kaeppeli O.P., Roma 1978, pp. 51-71; FOSSIER, Premières recherches cit., pp. 385-386 e note 18-22; un elenco di possessori in PIACENTINI, Marcello Cervini (Marcello II) cit., pp. 126-136. 80 P. PIACENTINI, Augusto Valdo († 1527) e un Plinio appartenuto a Marcello Cervini (inc. II. 145), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 20 (2014) (Studi e testi, 484), pp. 621-656; M. BERNARDI, Colocci e Tabaldeo di fronte al Sacco di Roma (1527): le liste f e g e un nuovo documento epistolare, ivi, 23 (2017) (Studi e testi, 516), p. 66. Ringrazio M. D. Reeve che mi ha cortesemente messo a conoscenza di un suo lavoro, ancora in fieri, sulla Naturalis Historia, di cui si era già ripetutamente occupato in passato.
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che aveva ereditato dallo zio Domenico parte della biblioteca di Pico della Mirandola, Francesco Todeschini Piccolomini (futuro Pio III), Domenico Dominici vescovo di Torcello, Angelo Fasolo vescovo di Cattaro, Pietro Lippomano vescovo di Bergamo, Pietro Riario; importanti famiglie romane come i Savelli e i Mattei; umanisti come Giacomo di Benedetto Corradetti da Apiro (Camerino), Vincenzo Franco da Benevento, Biondo Flavio e il nipote Paolo figlio di Francesco, lo spagnolo Iacopo Gil (Egidius) magister sacri Palatii, il tedesco Andreas Coner della diocesi di Bamberga, studioso di matematica e astronomia. Solo per citare alcuni esempi.
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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 1152, f. 1r: stemma della famiglia Garzoni.
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 1263, f. 93v: note di possesso di Giovanni Garzoni e Bartolomeo Ghisilardi.
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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 1751, f. 145v: nota di possesso di Alberto Parisi.
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FELICIA TOSCANO
LA SCRITTURA LATINA E GRECA DI ANTONIO COSTANZI DA FANO, CON OSSERVAZIONI SUL MANOSCRITTO VAT. LAT. 3630* Antonio Costanzi da Fano (Fano 1436-1490) seppe felicemente conciliare l’attività di magister scholarum, esegeta, poeta e politico1. Autore di numerose opere, Costanzi è ricordato soprattutto per il suo commento ai Fasti di Ovidio, che vide due diverse stesure, costituite dal ms. BAV Urb. lat. 360 (datato al 1480) e dall’editio princeps del 1489. A queste vanno accostate le note marginali al testo dei Fasti, contenute nel ms. BAV Chig. H.VI.204, che testimoniano la lettura dell’opera da parte dell’umanista, antecedente alla stesura del commentario2. Con il presente contributo s’intende prendere in esame la scrittura latina e greca di Costanzi e, contestualmente, far luce sulla storia dei codi* Questo articolo nasce dalla rielaborazione di alcune sezioni della mia tesi di dottorato L’edizione critica del commento di A. Costanzi ai Fasti di Ovidio. Libri I-III, discussa presso l’Università degli Studi di Salerno nel gennaio del 2017. Ringrazio Giancarlo Abbamonte per i fruttuosi suggerimenti ricevuti durante la stesura di questo contributo. La riflessione da me condotta sugli argomenti trattati in questa sede, inoltre, è stata arricchita di preziosi elementi e spunti grazie alla frequentazione dei corsi di Paleografia Latina e Codicologia di Paolo Cherubini e Paolo D’Alessandro, presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, così come dalle conversazioni con Marco Buonocore, a cui si deve l’idea del presente lavoro. A tutti loro va la mia sincera gratitudine; la responsabilità del testo sarà tuttavia da ascrivere unicamente a chi scrive. Infine, con le sigle ISTC e CNCE si farà riferimento ai repertori on-line rispettivamente della British Library (Incunabula Short Title Catalogue) e di Edit16 (Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo). 1 Tralasciando i lavori più datati, un prezioso contributo alla conoscenza delle vicende biografiche e, soprattutto, dell’attività letteraria del Fanese è venuto dai lavori di Campana (A. CAMPANA, Scritture di Umanisti, in Rinascimento 1 (1950), pp. 227-256 [riedito in Scritti II (Biblioteche, codici, epigrafi), 1, a cura di R. AVESANI – M. FEO – E. PRUCCOLI, Roma 2017 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi 241), pp. 113-136] e, successivamente, di Sesto Prete (S. PRETE, Antonio Costanzi: la sua vita, le sue opere, in Umanesimo fanese nel Quattrocento. Atti del Convegno di Studi nel V centenario della morte di Antonio Costanzi (Fano 21 giugno 1991), Fano, Istituto Internazionale di Studi Piceni, 1993, pp. 45-67). Per una sintetica, ma esaustiva, biografia vd. G. FORMICHETTI, Costanzi, Antonio, in DBI, 30, Roma 1984, pp. 370374, cui si rimanda per una più ampia bibliografia. 2 Per i mss. Urb. lat. 360 e Chig. H.VI.204 vd. infra. L’editio princeps fu realizzata a Roma presso la tipografia di Eucario Silber (ISTC io00175000). Per la vicenda redazionale dell’opera si rimanda a F. TOSCANO, Il commento di Antonio Costanzi da Fano ai Fasti di Ovidio. Edizione critica del commento a Fast. I-III, Tesi di Dottorato, Salerno 2017, pp. 144-174. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 433-467.
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FELICIA TOSCANO
ci che ne recano testimonianza, al fine di tracciare il cursus grafico dell’umanista e di approfondire la conoscenza delle sue vicende intellettuali e biografiche. A occuparsi per la prima volta, in maniera organica, della grafia dell’umanista di Fano fu Augusto Campana, nel 19503: per primo riconobbe il ms. Urb. lat. 360 come autografo di Costanzi e a questo accostò, quali ulteriori testimonianze certe della mano del Fanese, alcune note marginali del ms. Chig. H.VI.204 e l’ultima parte del testo del Bellum Hispaniense contenuta nel ms. Vat. lat. 33244. Merita di essere menzionato anche il ms. BAV Vat. lat. 3630, unico testimone ad oggi conosciuto del rifacimento ad opera di Costanzi del De obsidione Anconae di Boncompagno da Signa (Signa, 1170 ca. – Firenze, 1250): pur riconoscendo l’alterità della scrittura di questo codice da quella dell’Urbinate, Campana sosteneva che la sola differenza d’aspetto non bastasse ad escluderne l’attribuzione ad un Costanzi forse giovanissimo5. Senza dubbio, il testimone più significativo, per ampiezza e varietà di testimonianze scrittorie costanziane, è il codice Urb. lat. 360. Il manoscritto, contenente il commentario di Costanzi ai Fasti di Ovidio nella sua prima redazione, entrò a far parte della Biblioteca Apostolica Vaticana, presso cui è ancora oggi conservato, nel 1658, insieme agli altri codici e volumi a stampa che costituivano la biblioteca dei duchi di Montefeltro6. 3
Cfr. CAMPANA, Scritture cit., pp. 227-368. Il ms. Vat. lat. 3324 è un Cesare completo (Bellum Gallicum con il libro VIII di Irzio, Bellum civile e Bellum Alexandrinum, Africum, Hispaniense) del sec. XI-XII, che presenta l’ultima parte (ff. 110v-111v) del Bellum Hispaniense integrata, in una scrittura più piccola e più rapida di quella nota, dalla mano di Costanzi, oltre a supplementi e correzioni nel testo e nei margini sempre di mano del Fanese (sul codice cfr. CAMPANA, Scritture cit., pp. 250-253, con relativa bibliografia). Prima di Campana, G. I. Montanari, donatore alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro del cod. 1012, lo ritenne di mano di Costanzi e con lui Saviotti e Castaldi (A. SAVIOTTI, Pandolfo Collenuccio, umanista pesarese del sec. XV: studi e ricerche, Pisa 1888, p. 25; G. CASTALDI, Un letterato del Quattrocento (A. C. da Fano), in Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei s. 5°, 25 (1916), p. 255): Campana, dopo aver visionato il manoscritto, ne negò l’attribuzione all’umanista di Fano (cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 238, nt. 2). Quanto al ms. Ravenna, Biblioteca Classense, 74, contenente orazioni ed epigrammi dell’umanista, non visionato da Campana né da alcuno dopo di lui (se si eccettua il lavoro di M. Uguccioni [M. UGUCCIONI, Scritti inediti (e rari) di Antonio Costanzi dal Codice Ravennate 74, in Nuovi Studi Fanesi 12 (1998), pp. 7-64], il quale non si è tuttavia occupato dell’aspetto paleografico) non è possibile al momento formulare ipotesi sulla paternità della scrittura. 5 Cfr. CAMPANA, Scritture cit., pp. 255-256. Sul codice vd. infra. 6 Il manoscritto Urbinate è descritto da C. STORNAJOLO, Codices Urbinates Latini Bibliothecae Vaticanae, I: Codices 1-500, Roma 1902, pp. 331-332 e CAMPANA, Scritture cit., pp. 245250; una più sintetica descrizione con un’esaustiva rassegna bibliografica è in M. BUONOCORE, Aetas ovidiana. La fortuna di Ovidio nei codici della Biblioteca Apostolica Vaticana, Sulmona 1994, p. 165 e ID., I codici di Ovidio presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, in 4
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Il commentario di Costanzi risulta registrato già nell’Index vetus (ms. Urb. lat. 1761), l’inventario del primo nucleo della raccolta libraria dei duchi, stilato fra 1482 e 1487 dal bibliotecario d’allora, Agapito, e dunque posteriormente alla morte di Federico (10 settembre 1482). Nell’Index vetus, pubblicato nel 1895 da Cosimo Stornajolo nei Prolegomena al catalogo dei manoscritti del fondo Urbinate, si legge: «Antonii Fanensis Commentarii In Fastos Ovidii Invictissimo Principi Federico Urbinatium Duci Illustrissimo. In Azurro cum Seraturis Argenteis»7. L’item è senza alcun dubbio da identificare con il ms. Urb. lat. 360, che all’epoca recava dunque una legatura in azzurro con serratura d’argento. Come si apprende dalla sottoscrizione («Finis anno MCCCCLXXX»), presente a f. 198v del manoscritto Urbinate, la trascrizione del testo fu portata a termine dallo stesso Costanzi nel 1480: se questo sia l’anno d’invio del codice al Duca non è possibile stabilirlo. Si potrà tuttavia circoscrivere l’allestimento e il conseguente dono dell’Urbinate al dedicatario a un periodo compreso fra 1480 e la data d’invio da parte di Costanzi della lettera a Zagarello Gambitelli (14 giugno 1482), in cui l’umanista afferma che il codice giaceva ormai da tempo nella biblioteca dei duchi d’Urbino8. Campana fornisce una dettagliata descrizione del manoscritto9: È un manoscritto di lusso scritto su pergamena di prima scelta e sobriamente decorato; la prima pagina della dedica ha il titolo in rosso, un fregio miniato nel margine sinistro e lo stemma ducale nel margine inferiore (almeno lo stemma deve essere stato aggiunto ad Urbino); ogni libro ha inizio con una nuova pagina destra10 e con una semplice iniziale aurea, nel margine. All’inizio dei libri II-VI (ff. 53r, 84r, 111r, 146r, 168r) Costanzi stesso aggiunse, in un secondo tempo, il rispettivo numero in lettere greche «.Li. .β.». Manca il testo ovidiano: gli scolii sono scritti tutti di seguito; il lemma di ogni scolio è preceduto da un doppio trattino inclinato e seguito da un punto11.
Rivista di cultura classica e medioevale 37 (1995), p. 37. Aveva notizia del codice già CASTALDI, Un letterato cit., p. 335, il quale tuttavia non lo visionò. 7 C. STORNAJOLO, Codices Urbinates Graeci Bibliothecae Vaticanae, Roma 1895, p. CXXXI n. 588. 8 L’epistola si trova ai ff. XVIv-XVIIr dell’editio princeps del commento ai Fasti di Costanzi. 9 Mm 320 × 210, ff. I, 198 (+ 1bis), in 20 quinterni regolari, l’ultimo dei quali ha perduto l’ultimo foglio; è scritto a 32 linee per pagina; non presenta richiami, segnature dei fascicoli, né numerazione antica. La legatura attuale risale alla fine del Seicento, la doratura del taglio al XV secolo. Cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 249 nt. 2. 10 Tuttavia, né la prefazione (f. 1bisv), né il libro I (f. 3v) cominciano a nuova pagina e soltanto la prefazione ha l’iniziale aurea. Cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 249 nt. 3. 11 CAMPANA, Scritture cit., p. 249.
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Inoltre, a f. 1r, a essere in rosso e in capitale è l’intero protocollo (inscriptio, intitulatio e titulus «praefatio in commentarios Fastorum Nasonis») dell’epistola prefatoria al Duca di Urbino e l’iniziale e il fregio sono decorati a bianchi girari (a tralci bianchi su fondo colorato) con putti e piccoli animali (Tav. I). In inchiostro più chiaro sono alcune correzioni e aggiunte ai ff. 7r, 9r, 40v, 69v, 75r, 108r, 113v, 156r, 186r, 187v, così come l’ultima pagina del libro VI (f. 198rv)12. La scrittura è un’umanistica molto regolare con poche peculiarità e vergata con cura: ogni particolare concorre a restituire l’immagine di un manufatto allestito con il fine di incontrare i gusti del Duca, bibliofilo di fama13. Costanzi, piuttosto che affidarsi a un calligrafo, preferì scrivere di suo pugno l’esemplare di dedica del suo opus magnum, benché questo fosse destinato a una biblioteca prestigiosa come quella ducale. Come già anticipato in apertura, l’ipotesi dell’autografia è formulata da Campana sulla base del confronto con i mss. Vat. lat. 3324 e Chig. H.VI.204: in entrambi si rinvengono prove certe dell’appartenenza a Costanzi e, seppur in più esigue testimonianze, la stessa mano che trascrive con cura il commentario ai Fasti nell’Urbinate14. 1. La scrittura latina: la minuscola (Tavv. I, II, III, VIIa) Elementi di carattere generale La scrittura di Costanzi, come è possibile rilevare dall’esame dei tre testimoni sopraelencati, risulta un bell’esempio di umanistica, di cui il 12
Da «tu autem, Federice» sino alla sottoscrizione. Cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 249
nt. 3.
13
Sulla bibliofilia di Federico e sui suoi presunti canoni estetici codicologici cfr. L. MITOCCI, Agapito, bibliotecario ‘docto, accorto et diligente’ della biblioteca urbinate alla fine del Quattrocento, in Collectanea Vaticana in Honorem Anselmi M. Card. Albareda, II, Città del Vaticano 1962, pp. 267 ss.; ID., La formazione della biblioteca di Federico da Montefeltro: codici contemporanei e libri a stampa, in Federico di Montefeltro: lo stato, le arti, la cultura, a cura di G. CERBONI BAIARDI – G. CHITTOLINI – P. FORIANI, Roma 1986, p. 15; M. PERUZZI, Cultura, potere, immagine. La biblioteca di Federico di Montefeltro, Urbino 2005, pp. 62-74; Ornatissimo codice. La biblioteca di Federico di Montefeltro (catalogo di mostra: Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 15 marzo – 27 luglio 2008), a cura di M. PERUZZI, con la collaborazione di C.CALDARI, L. MOCHI ONORI, Città del Vaticano – Milano 2008; M. PERUZZI, La Biblioteca di Federico di Montefeltro, in Principi e signori. Le biblioteche nella seconda metà del Quattrocento. Atti del Convegno di Urbino, 5-6 giugno 2008, a cura di G.ARBIZZONI, C. BIANCA, M. PERUZZI, Urbino 2010 (Studi e testi, 25), pp. 265-304. 14 Per la storia del Chig. H.VI.204 vd. infra. A ulteriore prova dell’appartenenza a Costanzi del ms. Vat. lat. 3324 Campana adduce il rinvenimento nel commento ai Fasti (VI 567, Costanzi 1489, f. uvir) di uno dei passi cesariani che l’umanista aveva aggiunto di suo pugno nel codice Vaticano: cfr. CAMPANA, Scritture cit., pp. 251-252. CHELINI
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codice Urbinate preserva la versione più posata15. Essa è inclinata verso destra, i tratti sono uniformi e di medio spessore (se si eccettua la curva della sezione superiore della seconda asta di n e la curva di u, leggermente più filiformi); i corpi delle lettere, dal disegno arrotondato, sono di modulo medio e uniforme; le aste, sia ascendenti che discendenti, sono moderatamente lunghe. Quali tratti supplementari si rilevano: il tratto orizzontale di e, che si prolunga per creare legamento con la lettera successiva o quando si trova in fine di parola (fig. 1a); il tratto d’attacco che parte dall’occhiello di g per consentirne il legamento con la lettera successiva (fig. 1b); la voluta in forma di uncino di f ed s (fig. 1c); il bottone, che talora diviene una piccola grazia, a metà dell’asta della I e della s minuscola e che, quando occorre, permette il legamento di queste lettere con quella precedente, diversamente, permane come elemento costitutivo del disegno della lettera (fig. 1c); l’elemento d’attacco del primo tratto di m, n, r, anche in questo caso talvolta funzionale alla legatura con le lettere precedenti; il leggero e progressivo ingrossamento dal basso verso l’alto delle aste (clavatura) di b, d, h, i, l/L, p (la cui asta si prolunga oltre l’occhiello), del tratto verticale di t, dei due tratti di U/V acuta e del primo di u/v, talvolta dei tratti di x: più raramente e in alternativa alla clavatura, questi tratti sono desinenti a chiodo o con un piccolo trattino d’attacco; il, seppur lieve, ripiegamento e prolungamento verso destra della parte inferiore del tratto con cui è resa la schiena di a, talvolta dell’asta di d (nella variante dritta), di l e, meno frequentemente, di quella di r, dell’ultimo tratto di n, m e u.
,
, a
b
,
,
c Fig. 1
Legature e nessi La scrittura si presenta inoltre legata in misura media: oltre alle già menzionate legature derivanti dal prolungamento dei tratti di e, f, g, i, m, n, r, s, si rileva la tendenza a legare con la lettera successiva di f, tramite il prolungamento del tratto mediano e di t, tramite il prolungamento di quello orizzontale; la legatura et, impiegata solo quando questa stia ad indicare la congiunzione e mai nel corpo di parola (fig. 2a); i legamenti ct e st; la 15 Per un aggiornato quadro d’insieme sulla scrittura umanistica e sulla relativa bibliografia si rimanda a S. ZAMPONI, La scrittura umanistica, in Archiv für Diplomatik 50 (2004), pp. 467-504 e P. CHERUBINI – A. PRATESI, Paleografia Latina. L’avventura grafica del mondo occidentale, Città del Vaticano 2010, pp. 561-582.
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sistematica elisione della testa delle lettere tracciate dall’alto con appoggio di penna (i, m, n, p, r, t, u) nel caso in cui esse siano precedute da lettere che abbiano l’ultimo tratto che termina sulla linea mediana superiore dell’ideale sistema quadrilineare (c, e, f, g, r, t) (fig. 2b). A ciò si aggiunga che, nel caso di due f o due s consecutive la prima, nel legarsi alla seconda, perde la parte finale della voluta (fig. 2c); talvolta due l e, più raramente, due i consecutive (la seconda delle quali si allunga al di sotto del rigo) risultano tra loro connesse da sottili filetti (fig. 2d)16. Nel complesso la scrittura si presenta slanciata e ariosa, compatta ma non serrata. , a
,
,
,
b
,
, c
, d
Fig. 2
Peculiarità nel disegno delle lettere Per quanto riguarda il disegno delle lettere si distinguono, come peculiari: a minuscola corsiva chiusa (fig. 3a); c eseguita dal basso verso l’alto e in unico tempo, che lega sistematicamente con la lettera successiva tramite la parte superiore della linea semicircolare con cui è resa (fig. 3b), d nella maggioranza dei casi nella variante dritta, più raramente in quella con asta inclinata; E in tre varianti: in forma onciale, di epsilon e più raramente capitale (fig. 3c); G con il tratto diacritico introcluso o, più raramente, dal disegno squadrato (fig. 3d); g con piccolo occhiello inferiore, generalmente chiuso, connesso al primo tramite una linea ondulata (con convessità a sinistra) (fig. 3c); h con la curva del secondo tratto orientata verso destra e tendente a prolungarsi brevemente sotto il rigo verso sinistra (fig. 3e); L, K ed R (con l’ultimo tratto particolarmente sinuoso) impiegate come minuscole all’interno di parola; l talvolta dal disegno sinuoso; M con la prima e l’ultima gamba sensibilmente divaricate (fig. 3f), Q con lunga coda orizzontale (o leggermente obliqua) (fig. 3g); s di forma generalmente minuscola (raramente maiuscola in fine di parola); t, quando non è in legamento con la lettera precedente, con il tratto orizzontale sviluppato solo a destra; U/V iniziale di parola di tipo angolare, aperta o chiusa, con tratto di sinistra alto sul rigo (fig. 3h); x con il tratto discendente da destra a sinistra che si prolunga di poco al di sotto del rigo. 16
Interessante, infine, la particolare legatura utilizzata da Costanzi unicamente per la preposizione vernacolare di, che si ritrova nella notazione, relativa alla nascita del figlio Giacomo, a f. 77v del manoscritto Chigiano.
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, a
b
,
,
,
c
,
, c
e
f
g
h
Fig. 3
Abbreviazioni Quanto alle abbreviazioni, si rileva l’omissione quasi sistematica delle nasali nel corpo di parola, la cui assenza è segnalata dalla comune lineetta soprascritta posta sulla vocale che precede la nasale; in fine di parola, talvolta, la lineetta soprascritta è sostituita, sempre per indicare l’assenza di nasale (generalmente m), con il comune segno in forma di piccolo ȝ17; fra i compendi sillabici, sono inoltre impiegati quelli relativi a p e q secondo i modi delle notae iuris e quelli per le desinenze -ur e -er (lineetta ondulata su t18), -us (comma in legatura con la b delle desinenze del dativo e ablativo plurale della terza, quarta e quinta declinazione o un piccolo ricciolo in esponente negli altri casi), -rum (r nella comune forma di due, intersecata nel tratto orizzontale da una lineetta verticale); h con l’asta tagliata da un tratto orizzontale segnala l’assenza di -ab- nel corpo di parola, la i soprascritta del gruppo -ri-. Pure presenti sono i troncamenti dell’ultima o delle ultime due lettere di parola, la cui assenza è sempre indicata con il generico trattino soprascritto. Infine, si segnala l’abbreviazione per contrazione del sostantivo omnis, in tutta la sua declinazione, con omissione nel compendio non soltanto di n ma anche di m (os per omnes, oi per omni, ecc…)19, e ed ee con lineetta soprascritta rispettivamente per est e per esse, .i. per id est, .n. per enim. Sistema interpuntivo e segni diacritici Il sistema interpuntivo consta dei seguenti segni: — punctus: indica pausa generica o è utilizzato come ‘segno di rispetto’ per segnalare nomi e titoli di vario genere (anche i lemmi sono seguiti dal punto); — punctus elevatus: in forma di due punti, più raramente di un punto 17
Lo stesso segno è impiegato anche per -ed in sed e per -ue nell’enclitica -que. Nel ms. Chig. H.VI.204, in una delle note di collazione sicuramente attribuibile alla mano di Costanzi (f. 20r), -er è reso invece con un piccolo ricciolo in esponente alla t. 19 Si tratta di un fenomeno che va sotto il nome di ‘denasalizzazione’ e che concerne la declinazione di omnis, homo e vocaboli composti e analoghi, la cui origine è da collocare in ambito beneventano-cassinese, intorno al sec. XI. Cfr. F. NEWTON, The scriptorium and Library at Monte Cassino, 1058-1105, Cambridge 1999, p. 171 e CHERUBINI – PRATESI, L’avventura cit., p. 320. 18
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sormontato da un tratto obliquo, indica una pausa media di durata, e comunque inferiore a quella del punctus, talvolta serve a separare una frase principale da quella secondaria; — punctus interrogativus: un punto sormontato da una lineetta ondulata orientata verso destra (vd. fig. 4a); — un segno costituito dai due punti seguiti da un tratto ondulato in forma di tilde, comunemente impiegato per indicare la fine di una sezione di un testo (vd. fig. 4b). A ciò si aggiungano i due sottili tratti obliqui e paralleli orientati verso destra che precedono, segnalandolo, ciascun lemma del commento. In ultimo, quali segni di richiamo al testo Costanzi utilizza per le sostituzioni/correzioni di parole i due punti disposti in orizzontale soprascritti alla parola da sostituire, le integrazioni sono segnalate nel testo con un segno in forma di v acuta capovolta (vd. fig. 4c).
a
b
c
Fig. 4
2. La scrittura latina: la capitale e i modelli epigrafici (Tavv. II, V, VI) Il sistema grafico di Costanzi, tuttavia, risulta più articolato se alla scrittura di testo latina, si associano la capitale impiegata dall’umanista per le sezioni notevoli di testo (scrittura distintiva) e per la trascrizione delle iscrizioni della porta monumentale di Fanum Fortunae (CIL XI, 62186219), a proposito di Fast. 4,952-95320, e la grafia greca con cui sono vergati, nel corpo del commento, i termini e le espressioni greche. Per quanto concerne la capitale, e quale scrittura distintiva e nel caso della trascrizione delle iscrizioni della porta monumentale di Fanum Fortunae, l’impressione generale è quella di un’incerta imitazione delle forme classiche ed evidente è l’influenza delle coeve capitali librarie che imitavano le capitali epigrafiche d’età imperiale21. 20 In una capitale di modulo minore sono state vergate anche le lettere della prima parola della praefatio («VERAM») e alcune delle prime lettere della prima parola dell’argumentum e dei lemmi con cui si apre il commento a ciascuno dei sei libri. 21 Sull’imitazione delle lettere epigrafiche d’età imperiale nell’Umanesimo, cfr. M. MEISS, Toward a more comprehensive Renaissance Paleography, in The Art Bulletin 42 (1960), pp. 97-112; E. CASAMASSIMA, Lettere antiche. Note per la storia della riforma grafica umanistica, in Gutenberg-Jahrbuch 39 (1964), pp. 13-26; CHERUBINI – PRATESI, L’avventura cit., pp. 593598; M. BUONOCORE, Dal codice al monumento: l’epigrafia dell’Umanesimo e del Rinascimento,
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Peculiari di questo stile e, dunque, delle capitali dell’umanista fanese sono, a fronte di un tratteggio prevalentemente non ombreggiato, il chiaroscuro prodotto dall’alternanza dei tratti grossi e di quelli sottili nelle lettere M e N, caratteristica che in Costanzi si riscontra non sistematicamente (e, in particolare, nel tratteggio di M piuttosto che di N); l’occhiello aperto in basso di P; l’ultimo tratto di R lungo e sinuoso; la presenza, anche in questo caso non sistematica nella scrittura di Costanzi, di coronamenti dei tratti verticali e di alcuni orizzontali delle lettere (C, E, F, G, S, T). Va inoltre ricordato che contribuì, fra gli altri, alla formazione di questa capitale libraria d’imitazione epigrafica Ciriaco d’Ancona, appassionato epigrafista, nonché conterraneo di Costanzi22, il quale, fra l’altro, per primo nel Rinascimento trascrisse l’epigrafe dell’arco durante i suoi due soggiorni a Fano. È lo stesso Costanzi a far menzione di uno dei soggiorni fanesi di Ciriaco nel già menzionato commento a Fast. 4,952-95323. La notizia, riportata da Castaldi, secondo cui Antonio ebbe quale suo primo maestro Ciriaco de’ Pizzicolli, presso il quale sarebbe stato, ad Anin Veleia. Revista de Prehistoria, Historia Antigua, Arqueologia y Filologia clasicas 29 (2012), pp. 209-227. 22 Sulla capitale di Ciriaco cfr. MEISS, Renaissance Paleography, pp. 97-112; J. WARDROP, The Script of Humanism. Some Aspects of Humanistic Script 1460–1560, Oxford 1963, pp. 1318; CHERUBINI – PRATESI, L’avventura cit., p. 596. 23 «Eius (scil. Augusti) portae titulum hic subiicimus, ne forte nos quispiam existimet fabulari, quem olym Cyriacus ille Anconites, uir inclytus et uetustarum rerum solertissimus indagator, magno Fanensium ciuium conuentu legit, nobis pueris, atque interpretatus est, cum exultaret maiorem in modum, perinde ac eius opera semisepulta Fanensium gloria reuixisset [Costanzi 1489, f. 145v]». Lo stesso Ciriaco fa menzione della sua sosta a Fano e della visita della città, nel 1423, nella lettera inviata da Rimini all’anconetano Pietro di Liborio de Bonarellis (cfr. F. Scalamonti, Vita viri clarissimi et famosissimi Kyriaci Anconitani, edd. C. MITCHELL – E. W. BODNAR, Philadelphia 1996, pp. 167, 176) e nella lunga missiva inviata al pontefice Eugenio IV intorno al 1441 (cfr. L. MEHUS, Kyriaci Anconitani Itinerarium, Florentiae 1742, p. 36), ma se si presta fede a quanto scrive nel suo commento Costanzi, l’Anconitano si recò anche una seconda volta a Fanum Fortunae. Ad ogni modo, l’umanista anconitano lesse, interpretò e poi trascrisse le epigrafi, divenendone il più importante testimone. Le trascrizioni ciriacane infatti, testimoniate da tre copie non autografe di tre sillogi epigrafiche (ms. Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. XIV.124 [4044], ff. 142r e 159v; ms. BAV, Vat. lat. 6875, ff. 68v e 91r), sono le uniche a contenere la prima linea dell’iscrizione costantiniana («[Divo] Augusto [Pio Constantino patri dominorum]»), che andò poi distrutta nel 1463 sotto i tiri dell’artiglieria delle truppe pontificie di Federico di Montefeltro, venuto a liberare Fano dal dominio malatestiano. La notizia di una seconda sosta a Fano di Ciriaco, desumibile dal commentario ai Fasti, permette di arricchire la biografia ciriacana, ma non di datare con certezza questo viaggio, che potrà al più essere collocato posteriormente al 1436, anno di nascita di Costanzi. Per la storia rinascimentale dell’Arco di Augusto a Fano si rimanda a R. WEISS, L’Arco d’Augusto di Fano nel Rinascimento, Padova 1965 e G. VAGENHEIM, Antonio Costanzi, Jacopo e Lelio Torelli, Vincenzio Borghini e la cultura antiquaria a Fano tra Quattro e Cinquecento, in Studi Umanistici Piceni 24 (2004), pp. 61-91 con relativa bibliografia.
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cona, intorno al 144924, è stata contestata da Castellani25: la supposizione di Castaldi dipendeva infatti dall’erronea interpretazione del commento a Fast. 4,952-953 dell’umanista. Dalla lettura dello scolio nulla si apprende delle lezioni ricevute dall’Anconitano, ma si deduce soltanto che l’umanista, ancora ragazzo, ebbe forse modo di assistere, o quanto meno ebbe notizia, della lectio magistralis tenuta da Ciriaco a Fano sulle iscrizioni della porta della città. Nell’impossibilità di stabilire con certezza se Costanzi abbia avuto modo di visionare le trascrizioni dell’Anconitano dell’arco di Augusto26 e se sia stato influenzato, nella formazione del suo alfabeto capitale, dallo stile grafico di Ciriaco, si potrà almeno rilevare il vezzo, di ascendenza ciriacana, di trascrivere le capitali epigrafiche con inchiostri colorati (in oro l’iscrizione augustea, in giallo-bruno quella costantiniana). Ciò testimonia quello che Campana definisce lo «scrupolo di esattezza»27 dell’umanista che sulla pagina cerca di riproporre, più o meno fedelmente, quanto era inciso sulla pietra. E, d’altra parte, la riproduzione quasi facsimilare dell’epigrafe è preceduta, nel commento da una altrettanto precisa descrizione della stessa:
24 Cfr. CASTALDI, Un letterato cit., pp. 276. Anche Fritsen dà per certo che Costanzi sia stato allievo di Ciriaco d’Ancona: cfr. A. FRITSEN, Antiquarian Voices: The Roman Academy and the Commentary Tradition on Ovid’s ‘Fasti’. Text and Context, Columbus (Ohio) 2015, pp. 42, 52. 25 Cfr. G. CASTELLANI, Antonio Costanzi, in Gazzettino di Fano 24 (1917), pp. 9-10. 26 Il testo delle epigrafi riportato da Costanzi nel commento risulta mutilo della prima parte dell’iscrizione costantiniana e questo indurrebbe a credere che, benché fosse a conoscenza dell’interesse di Ciriaco per tali iscrizioni e probabilmente delle copie da questi realizzate, l’umanista fanese non ebbe modo di visionarle o, diversamente, preferì riportare nella sua opera unicamente ciò che all’epoca era possibile leggere sulla porta. Questa spiegazione, tuttavia, non darebbe ragione di un errore di lettura e scioglimento di un sintagma presente nell’iscrizione del fregio della prima trabeazione («[…] tribuniciae potest(atis)» in luogo del corretto «[…] tribunicia potest(ate)»), comune a Ciriaco e a Costanzi (sulla tradizione delle due epigrafi cfr. VAGENHEIM, Antonio cit., pp. 62-65, 68-70): potrebbe trattarsi di un errore comune e casuale o della prova di un’effettiva dipendenza del testo di Costanzi da quello di Ciriaco, se l’omissione da parte del Fanese della prima linea dell’iscrizione costantiniana viene letta come la conseguenza di una ponderata decisione. Pur escludendo, infatti, sulla base delle ragionevoli conclusioni di Castellani, il rapporto di discepolato Ciriaco-Costanzi, non è escluso che l’umanista fanese abbia potuto visionare le trascrizioni dell’Anconitano, che, come si è visto (nt. 23), circolavano in più di una copia nel corpo di sillogi epigrafiche. Il fregio dell’attico su cui essa era stata incisa, infatti, fu distrutto proprio dall’artiglieria delle truppe pontificie di Federico di Monfeltro, cui il commento ai Fasti era dedicato e che Costanzi aveva premura di far apparire come mecenate delle arti ed energico condottiero, e non distruttore delle vestigia dell’antichità. Sul valore politico della trascrizione di Costanzi cfr. FRITSEN, Antiquarian Voices cit., pp. 178-182. 27 Cfr. CAMPANA, Scritture cit. p. 250.
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Erant enim aereae litterae atque auratae, pedali altitudine, ac tanti imperatoris maiestati atque operis congruentes28. [Costanzi 1489, f. qiiv]
Va tuttavia almeno ricordato che l’idea di trascrivere le capitali epigrafiche con inchiostri colorati fu poi ripresa e perfezionata, dopo Ciraco, dall’umanista veronese Felice Feliciano, autore, fra l’altro, di una serie di trattati sulla costruzione geometrica delle capitali (databili alla seconda metà del s. XV), di cui non è escluso che Costanzi possa essere stato a conoscenza29. Qualche elemento utile, seppur non risolutivo, allo scioglimento di questo dubbio può venire dal già menzionato ms. Vat. lat. 3630, unico testimone a oggi conosciuto del rifacimento a opera di Costanzi del De obsidione Anconae di Boncompagno da Signa, nonché il più antico testimone noto di quest’opera30. Si tratta di un manoscritto membranaceo, di buona fattura, databile, 28
Il testo della descrizione dell’epigrafe presente nell’editio princeps diverge da quella dell’Urbinate: «Erant enim aeneae litterae atque auratae, pedali fere altitudine […]» [Urb. lat. 360, f. 145v]. 29 Sulle capitali in inchiostri colorati di Ciriaco e su Felice Feliciano e i trattati sulla costruzione geometrica delle capitali cfr. G. MARDESTEIG, Felice Feliciano Veronese, Milano 1987 (e l’introduzione di Avesani al volume); S. ZAMPONI, Il paradigma e la fine della scrittura: l’Ercole senofontio del Feliciano, in La maestà della lettera antica. L’Ercole senofontio di Felice Feliciano (Padova, Biblioteca Civica, B.P. 1099), a cura di G. P. MANTOVANI, Padova 2006, pp. 21-27; CHERUBINI – PRATESI, L’avventura cit., pp. 596-598, con relativa bibliografia. 30 Il De obsidione Anconae di Boncompagno da Signa è la fonte principale per la vicenda della resistenza vittoriosa di Ancona all’assedio subìto nel 1173 dalle truppe comandate dall’arcivescovo Cristiano di Magonza, vicario di Federico Barbarossa, e dalla flotta veneziana. Per l’edizione, la storia della tradizione e l’analisi contenutistica del testo del De obsidione si rimanda a P. GARBINI (ed.), Boncompagno da Signa, L’assedio di Ancona. Liber de obsidione Ancone, Roma 1999. Garbini definisce efficacemente il rifacimento costanziano una «rassettatura stilistica» (GARBINI, L’assedio cit., p. 99) dell’opera di Boncompagno. L’attribuzione del rifacimento a Costanzi è data dall’epistola prefatoria agli Anconetani premessa al testo dell’opuscolo costanziano: vd. nt. 32. Sul codice Vat. lat. 3630 cfr. G. MERCATI, Per la storia dell’urna di S. Dasio Martire, in Opere minori, IV, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi 79), pp. 318-334; CAMPANA, Scritture cit., pp. 238-239, 255-256; ID., Giannozzo Manetti, Ciriaco e l’arco di Traiano ad Ancona, in IMU 2 (1959), pp. 483-504 [riedito in Scritti I (Ricerche medievali e umanistiche), 1, a cura di R. AVESANI – M. FEO – E. PRUCCOLI, Roma 2008 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi 240), pp. 557-583]; P. O. KRISTELLER, Iter Italicum. A finding list of uncatalogued or incompletely catalogued humanistic manuscripts of the Renaissance in Italian and other libraries, II, London-Leiden 1967, pp. 321-322; ID., ivi, VI, 1992, p. 333; C. M. MONTI, Un frammento ritrovato del codice Bancroft (University of California, Berkeley 145), in IMU 29 (1986), pp. 110-111; P. CECCHINI, Per un’edizione critica dei carmina di Giannantonio Campano, in Giannantonio Campano. Studi sulla produzione poetica, Urbino 1995, p. 13; I. PIERINI, Carlo Marsuppini. Carmi latini. Edizione critica, traduzione e commento, Premio ricerca “Città di Firenze”, 38, 2014, pp. 46-47; GARBINI, L’assedio cit., pp. 88-89. Sull’opuscolo
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su base paleografica, al sec. XV31. Il contenuto del manoscritto fa propendere per un’origine marchigiana del codice. Si tratta infatti di un volume miscellaneo, ma organizzato, che contiene esclusivamente opere relative a eventi anconitani: — ff. 1r-12r: il rifacimento costanziano del De obsidione Anconae di Boncompagno da Signa32; — f. 12r: la voce Ancona del De orthographia di Giovanni Tortelli (ms. Vat. lat. 1478, f. 66v-67r)33; — f. 12v: un excerptum sul Piceno del Fons memorabilium universi di Domenico Bandini (Liber De prouinciis)34; — ff. 13r-14v: un’orazione gratulatoria di Coluccio Salutati agli Anconetani35; — ff. 15r-17r: i capitoli VI e VII dei Dialogi di Gregorio Magno (PL 77, col. 177 C – 181 B) e la lettera dello stesso Gregorio al vescovo di Ancona, Giovanni (PL 14, col. 1313 A-B – 1314 A-B); — ff. 21r-37r: il De obsidione Anconae di Boncompagno da Signa, acefalo; — f. 37r: l’epigramma III 27 (De Ancona) di Giovanni Antonio Campano (ed. Roma 1495, ISTC ic00073000, f. Cv);
di Costanzi cfr. CASTALDI, Un letterato cit., pp. 312-326; CASTELLANI, Antonio cit., pp. 6, 13-14; GARBINI, L’assedio cit., pp. 97-99. 31 Mm 231 × 154, di ff. I, 61, II, formato da 5 quinterni e 2 ternioni (fascicoli IV e VII) regolari, talora con richiami di mano dei copisti; sono presenti due numerazioni: una ad inchiostro, saltuaria, nel margine superiore esterno, una, più recente, stampigliata nel margine inferiore esterno. Bianchi i ff.18r-20r, 37v, 42v-46v. 32 Nel codice «Chronica Anconitana». Il testo della Chronica è preceduto dalla Praefatio al Senato anconitano «Magnificis ac potentibus dominis [dominis] ancianis [sic!] ac regulatoribus nec non et cunctis senatoribus magnifice civitatis Ancone Antonius Constantius Phanestris se commendat». 33 Nel codice «Iohannis Arretini commentariorum grammaticorum de orthographia». In assenza di un’edizione critica di riferimento, mi attengo al testo del ms. Vat. lat. 1478, rivisto dall’autore e probabile copia di dedica a Niccolò V. 34 Il Fons Memorabilium Universi è tramandato unicamente da testimoni manoscritti. Per le edizioni parziali dell’opera cfr. E. BERTIN, Per il censimento dei manoscritti di Domenico Bandini, “Fons memorabilium Universi”, in IMU 47 (2006), p. 291 nt. 3, alla cui recensio vanno aggiunte quella di E. MERENDA, Dominicus Bandinus. Fons memorabilium universi libri XIIXIII, Città del Vaticano 2015 (Studi e testi 490) e di M. BERTÉ, Domenico di Bandino, De viris claris: Dantes, in Dante Alighieri, Le opere, VII: Opere di dubbia attribuzione e altri documenti danteschi, t. IV: Le Vite di Dante dal XIV al XVI secolo, a cura di M. BERTÉ – M. FIORILLA – S. CHIODO – I. VALENTE, Roma 2017, pp. 196-211. 35 Nel codice «Congratulatio florentissime ciuitatis Florentiae ad fidos Anconitanos de expugnatione fortissime ac dure sue arcis et libertatis restitutione a Colutio uiro eloquentissimo et illorum apocrisario edita». Il testo dell’orazione è riportata nelle Croniche anconitane di Lazzaro Bernabei (Ancona 1430/1440 – 1497). Cfr. Collezione di documenti storici antichi inediti ed editi rari delle città e terre marchigiane, eseguita da una società di studiosi ed eruditi coadiuvata e sussidiata dalla Commissione conservatrice dei Monumenti nelle Marche, I, a cura di C. CIAVARINI, Ancona 1870, pp. 145-147.
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— ff. 38r-39v: l’«Oratio praesidis urbis Anconae»36 di Boncambio Boncambi; — ff. 39v-42r: i carmi VI e VII di Carlo Marsuppini (ed. Pierini 2014)37; — ff. 47r-55r: la Anconitana Illyricaque laus et Anconitanorum Raguseorumque foedus di Ciriaco de’ Pizzicolli38; — f. 55r: una differente redazione dell’epigramma VI di Giovanni Antonio Campano39 (ed. Pierini 2014); — ff. 55v-61v: l’«Oratio fratris Gregorii Siculi Siracusani sacrarum litterarum bachalarii Paduani predicatorum ordinis habita Anconi [sic!] in ecclesia cathedrali sexto Kal. Iunias Mo CCCCo LV tempore capituli ad laudem»40.
Il tema principale è la storia di Ancona e l’intentio di chi ha allestito il codice sembra quella di riunire in un unico volume testi in prosa e in versi, medievali e umanistici, legati alla storia di questa città delle Marche. D’altra parte, la presenza, a f. 1r, del motto e dello stemma civico di Ancona avvalora ulteriormente questa ipotesi e, parallelamente, la presenza dell’elegante, seppur discreta, decorazione prova l’intenzione di allestimento di un esemplare di rappresentanza41. Mercati ipotizza possa trattarsi della copia di dedica dell’opuscolo di Costanzi al Senato Anconitano42. La presenza di numerosi fogli bianchi tra alcune delle opere dà l’impressione, tenendo conto anche delle mani diverse che si alternano nel codice, di una silloge allestita nel corso del tempo, inserendo progressivamente le opere e i testi raccolti. 36
È il titolo presente nel codice, a f. 38r. Si tratta di un’orazione di cui il codice Vat. lat. 3630 è l’unico testimone, indirizzata da Boncambi agli anziani di Ancona per ringraziarli del dono di un vessillo ricevuto come riconoscimento della sua opera di preside in quella città. Cfr. la voce redazionale Boncambi, Boncambio, in DBI, 10, Roma 1969, pp. 665-667. 37 Nel codice rispettivamente «Elegia Caroli Aretini ad Poggium de Mercurio sibi misso a Ciriaco Anconitano» (f. 39v) e «Ad Ciriacum eundem Carolus Aretinus» (f. 41r). 38 Il testo è integralmente edito in G. PRAGA, Indagini e studi sull’umanesimo in Dalmazia, in Archivio Storico per la Dalmazia 13 (1932-33), pp. 270-278. 39 Nel codice: «Campanus de Ancona uersus». 40 Il titolo dell’orazione è desunto dal f. 61v. Cfr. MERCATI, Per la storia cit., p. 323. 41 La decorazione è eseguita in maniera accurata. A f. 1 si rinvengono una bella iniziale decorata e un fregio entrambi con elementi fitomorfi in oro, verde, blu e fucsia; il fregio corre lungo i margini superiore, interno e inferiore; in quest’ultimo vi sono due corone d’alloro, fra loro connesse da un fiocco rosso, recanti quella di sinistra il motto civico della città di Ancona «Ancon Dorica civitas fidei», quella di destra lo stemma civico della stessa città. Sono inoltre presenti iniziali semplici e pie’ di mosca in rosso e blu e titoli rubricati. Ai f. 14v-36v si rilevano invece iniziali filigranate in rosso e blu e lettere toccate di rosso. Dal f. 38r, la decorazione si semplifica e si rinvengono esclusivamente iniziali semplici e titoli rubricati; in rosso anche i notabilia dal f. 48r e talora il testo delle epigrafi dal f. 50v. In rosso anche la sottoscrizione di f. 61v. 42 Cfr. MERCATI, Per la storia cit., p. 334. Sulla scorta di Mercati, GARBINI, L’assedio cit., p. 89.
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Quanto alla scrittura, come si è anticipato, si rinvengono mani differenti, ma tutte riconducibili al sec. XV43. Se Mercati escludeva la paternità costanziana della scrittura dei ff. 1r12r44, Campana, pur riconoscendo l’alterità di questa grafia da quella certamente attribuita al Fanese, lasciava tuttavia aperta l’ipotesi dell’autografia: si sarebbe trattato di un giovanissimo Costanzi (anni ’60 del Quattrocento)45. Le due mani che trascrivono i testi dei ff. 12r-17r preservano ancora qualche movenza di ascendenza semigotica; a partire dal f. 21r si rinvengono invece begli esempi di umanistica, fra cui spicca quella con cui sono trascritti Anconitana Illyricaque laus et Anconitanorum Raguseorumque foedus di Ciriaco (ff. 47r-55r): notevole l’operazione di mimesi del copista della scrittura dell’Anconitano46, un tributo grafico a Ciriaco, non solo nel contenuto, ma anche nella forma47. Mercati e Campana, riflettendo sulle peculiarità del codice, ipotizzavano che questo fosse il risultato dell’assemblamento, avvenuto in un contesto municipale ad Ancona, di più manoscritti di esigua consistenza, fra i quali era anche quello contenente l’operetta costanziana48. Diversamente, se questo codice è da ricondurre a Costanzi o al suo circolo intellettuale e se i testi presenti nell’ultima parte del manoscritto furono trascritti in seno alla cerchia costanziana, in questa dovevano essere note non soltanto le opere, ma anche la scrittura di Ciriaco49. L’ipotesi, se veritiera, convalide43 Si rinvengono, ad una prima analisi, otto mani: A (ff. 1r-12r); B (f. 12r: l’excerptum del De orthographia di Tortelli); C (13r-17r); D (21r-37r); E (38r-39v); F (39v-42r); G (47r-61v; 55v-61v); H (55r). 44 Cfr. MERCATI, Per la storia cit., p. 321, nt. 11. 45 La scrittura dei ff. 1r-12r è caratterizzata dal particolare disegno di alcune lettere (f, s) e da distintivi e inusuali nessi, che non si rinvengono nella grafia del ms. Urb. lat. 360 (ar, ar(um), as, at, qui, sp). Cfr. anche Campana (CAMPANA, Scritture cit., p. 256), che, tuttavia, accostava il disegno di v e s a quello delle scritture dei manoscritti Urbinate e Chigiano. 46 Già MERCATI, Per la storia cit., pp. 327 nt. 29, 333 notava il tentativo di imitazione della scrittura ciriacana da parte del copista dei ff. 47r-55r. 47 Per la scrittura latina di Ciriaco si rimanda a D. FAVA, La scrittura libraria di Ciriaco d’Ancona, in Scritti di Paleografia e diplomatica in onore di Vincenzo Federici, Firenze 1944, pp. 295–305; WARDROP, The Script cit., pp. 15-16; E. CASAMASSIMA, Literulae Latinae. Nota paleografica, in S. CAROTI – S. ZAMPONI, Lo scrittorio di Bartolomeo Fonzio umanista fiorentino, Documenti sulle arti del libro 10, Milano 1974, pp. XVIII–XIX; T. DE ROBERTIS, Motivi classici nella scrittura del primo Quattrocento, in, L’ideale classico a Ferrara e in Italia nel Rinascimento, a cura di P. CASTELLI, Firenze 1998, pp. 74-76; ZAMPONI, La scrittura cit., pp. 479-481. 48 Cfr. MERCATI, Per la storia cit., p. 74; CAMPANA, Giannozzo cit., p. 487. 49 Va almeno notata l’attenzione di Costanzi per la storia e la politica anconetana (prova ne è il rifacimento stesso del De obsidione). L’umanista d’altra parte nella Praefatio al Senato anconitano che precede l’opera manifesta la sua ammirazione per la città e per i suoi abitanti — atteggiamento che, tuttavia, in parte rientra nei topoi delle dedicatorie: «[…] dici non
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rebbe il ragionamento precedentemente condotto sulla scrittura epigrafica di Costanzi, nonché sulla circolazione di testi di Ciriaco, anche autografi, nel suo circolo. 3. La scrittura greca di A. Costanzi (Tav. III) Il manoscritto Urbinate non offre solo un’importante testimonianza della scrittura latina dell’umanista marchigiano, ma costituisce anche l’unico testimone di quella greca dello stesso: il tessuto linguistico e grafico latino del commentario è infatti talora interrotto da alcuni termini o brevi espressioni in lingua e lettere dell’alfabeto greco. E ciò si verifica generalmente in corrispondenza di notazioni di tipo etimologico, in cui si rende necessaria l’inserzione di Graeca, la cui attribuzione alla mano dello stesso Costanzi appare soluzione economica e ragionevole. L’analisi di questi sintagmi grafici e sintattici introduce la questione dell’apprendimento della lingua e della scrittura greca da parte dell’umanista fanese: come si acquisisce dall’orazione funebre per l’umanista scritta e pronunciata dal suo allievo Francesco di Ottavio (noto con lo pseudonimo di Cleofilo), Costanzi fu allievo di Guarino Veronese a Ferrara dal 1450 circa sino a qualche anno prima della morte del maestro (1460)50 e, probabilmente, si accostò allo studio della lingua greca proprio sotto l’egida di Guarino. Il Fanese ne divenne poi discreto conoscitore, come è testimoniato dalla sua attività di traduttore di epigrammi dell’Anthologia Palatina51. potest quantum me et pulcherrimus urbis situs et edificiorum pompa et singularis quaedam dominationum uestrarum atque uniuerse ciuitatis humanitas oblectarit, ita ut mihi non magis illam admirari quam diligere et amare coacto incredibilis iam diu cupiditas iniecta fuerit ciuitatis uestrae gloriam quantum imbecillis ingenii uires poterunt dilatandi […]» (CASTALDI, Un letterato cit., pp. 311-312). Parallelamente, l’interesse del Fanese per l’ambiente dalmata è testimoniato dalle sue vicende biografiche: egli diede infatti inizio, intorno al 1460, alla sua carriera di magister scholarum ad Arbe, piccola isola situata sulle coste della Croazia, e qui vi ritornò più tardi, quando, a causa dell’insofferenza per Sigismondo Pandolfo Malatesta, preferì l’insegnamento nell’isoletta dalmata, piuttosto che nella nativa Fano. Cfr. CASTALDI, Un letterato cit., pp. 279-280; FORMICHETTI, Costanzi cit., p. 371; PRETE, Antonio Costanzi cit., 1993, p. 46. 50 «[…] ut primum adoleuit, Antonius missus est ab Iacopo Costantio patre Ferrariam ad studia optimarum artium, ubi sub praeceptore Guarino, homine doctissimo, breui tempore ita Graecis atque Latinis litteris claruit, ut iam eius phama ad barbaros usque penetraret [Sonc. f. 1ir]». L’Oratio ad Senatum Fanensem Antonii laudes continens si trova nel volume delle opere di Costanzi stampato postumo da Girolamo Soncino nel 1502 (In hoc uolumine contenta haec sunt Antonii Constantii Epigrammatum libellus ... Iacobi Constantii epigrammata quaedam. Eiusdem epicedion in Tadaeam matrem, CNCE 13634), ai ff. lir – mivr. D’altra parte, nel corpo del commento ai Fasti l’umanista più volte fa riferimento agli anni ferraresi presso Guarino e alla lettura del testo stesso dei Fasti nel corso delle lezioni (in Fast. 1,315316) o ancora nell’epistola a Giovanni Battista Almadiano, pubblicata ai ff. cir-civr, dell’edizione sonciniana. Cfr. Fritsen 2015, pp. 42, 55. 51 Le traduzioni degli epigrammi occupano i ff. b r – b ii ii [=iii]v dell’edizione sonciniana.
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Sempre dal Cleofilo apprendiamo che Costanzi forniva ai suoi studenti anche i rudimenti del greco, riservandosi tuttavia di indirizzarli altrove, per uno studio più approfondito della lingua52. La scrittura dell’umanista fanese, di cui i Graeca del manoscritto Urbinate costituiscono una, seppur esigua e graficamente frammentata, testimonianza, s’inserisce nell’alveo della tradizione tricliniana, assai prolifica nel sec. XV: com’è noto, tramite di questa tradizione grafica in Occidente fu Manuele Crisolora e dopo di lui i suoi allievi, fra cui vi fu lo stesso Guarino53. La grafia di Costanzi mostra in alcuni tratti una certa vicinanza alla mano greca del Veronese, ma va tenuto presente che alcune delle peculiarità grafiche guariniane rientrano fra quelle comunemente rinvenibili in tanta parte delle mani greche di derivazione crisolorina di sec. XV: la scrittura modello potrebbe essere stata quella di Guarino, ma alla definizione dello stile scrittorio di Costanzi, evidente frutto di una personale elaborazione e selezione, avrà contribuito certamente il contatto con i modelli librari di cui Costanzi fu senza dubbio in possesso, come d’altra parte testimonia la sua attività di traduttore dal greco al latino. Alcune sporadiche similarità della grafia del Fanese con l’esuberante pastiche grafico di Ciriaco d’Ancona, a fronte tuttavia di una evidente e generale diversità nel tratteggio e nel disegno delle lettere, andranno forse plausibilmente spiegate come una casuale ripresa di elementi ormai costituenti un repertorio di forme comuni, piuttosto che con la frequentazione dell’Anconitano o della produzione manoscritta di questi. La drastica semplificazione delle forme, la riduzione delle legature e delle abbreviazioni, l’andamento prevalentemente bilineare delle lettere, tutte caratteristiche d’insieme già rilevabili dunque per la scrittura di Crisolora e poi di Guarino, si riscontrano, anzi si amplificano, in quella di Costanzi54. Purtroppo, l’assenza di testimonianze a piena pagina della grafia greca dell’umanista non consente di avere un quadro esaustivo delle sue peculiaSulle versioni latine di Costanzi dei componimenti dell’Anthologia Palatina cfr. A. DAL ZOTTO, Contributo al testo critico di sessanta epigrammi greci, Feltre 1912; J. HUTTON, The Greek Anthology in Italy to the year 1800, Ithaca – London 1935 (Cornell Studies in English, 23), pp. 111-112.; J.-L. Charlet, Traductions en vers latins d’épigrammes de l’Anthologie Grecque: Niccolò Perotti, Antonio et Giacomo Costanzi, in Humanistica 6,1 (2011), pp. 20-23. 52 «[…] Graecis lectionibus tantum utebatur, quantum Latinas litteras cupienti satis esse cognosceret. Maiora maioribus gymnasiis relinquebat [Sonc. f. 1iiv]». 53 Sull’argomento si rimanda ad A. ROLLO, Mimetismo grafico alla scuola di Manuele Crisolora, in, I luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca agli albori dell’età moderna. Arezzo, 8-11 ottobre 2003, a cura di C. TRISTANO – M. TALLERI – L. MAGIONAMI, Spoleto 2006, pp. 85-108, con relativa bibliografia. 54 Sulla scrittura greca di Guarino vd. A. ROLLO, Sulle tracce di Antonio Corbinelli, in Studi medievali e umanistici 2 (2004), pp. 55-58 e ID., Mimetismo cit., pp. 97-100.
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rità. Tuttavia, oltre a quanto precedentemente rilevato, si possono segnalare diversi elementi di ascendenza guariniana: — — — —
β con gli occhielli distanziati e con quello inferiore prominente55; δ con l’ansa particolarmente pronunciata e l’occhiello piccolo; le legature ει e ου56; la foggia, già crisolorina, di alcune lettere: Γ e Κ maiuscoli (in funzione di minuscole), θ aperto (in Costanzi normalmente chiuso ma aperto in legamento con la lettera precedente, in particolare σ), τ in due tempi, ω aperto.57585960
A. Costanzi Lettere57 (ms. Urb. lat. 360)
α
Ciriaco d’Ancona59 (ms. Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbersitz, Graec. quart. 89)
,
,
β γ
Guarino Veronese58 (ms. Laur. Conv. Soppr. 112)
,
Glossatore principale del ms. Chig. H.VI.204
, //
,
60
,
//
55 In realtà nell’Urbinate si rinviene un unico esempio, in cui l’occhiello inferiore è soltanto leggermente prominente rispetto a quello superiore, mentre del tutto assente è la variante di β “a cuore”. 56 Come si può osservare dalla tabella il tratto verticale risultante dalla fusione del tratto orizzontale di ε e dall’asta di ι è dritto, diversamente da quanto si rileva nella legatura guariniana, dove i tratti delle due lettere sono distintamente percepibili. 57 Nella presente tabella è stata presa in esame unicamente la serie delle lettere minuscole, in quanto nei Graeca del manoscritto Urbinate sono assenti lettere maiuscole, ad eccezione di quelle impiegate in funzione di minuscole. 58 Le riproduzioni delle lettere sono tratte dall’unica testimonianza a piena pagina della scrittura di Guarino: un foglio di restauro del codice di Senofonte Laur. Conv. Soppr. 112. Cfr. ROLLO, Sulle tracce cit., pp. 55-58 e tav. XVIII (da cui provengono le riproduzioni delle lettere presenti nella tabella). 59 Le riproduzioni delle lettere sono tratte dal f. 22r del ms. Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbersitz, Graec. quart. 89, databile al 1436 e contenente note, trascrizioni e appunti relativi al viaggio di Ciriaco in Illiria, Epiro e Grecia. Cfr. P. ELEUTERI – P. CANART, Scrittura greca nell’Umanesimo italiano, Milano 1991, p. 191, tav. LXXX (da cui provengono le riproduzioni delle lettere presenti nella tabella); per la descrizione e la storia del codice si rimanda a A. PONTANI, I Graeca di Ciriaco d’Ancona (con due disegni autografi inediti e una notizia su Cristoforo da Rieti), in Thesaurismata 24 (1994), pp. 61-72. 60 Maiuscola con funzione di minuscola, qui come per Guarino, Ciriaco e il glossatore del Chigiano.
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FELICIA TOSCANO
Lettere
A. Costanzi
δ
Guarino Veronese
,
Ciriaco d’Ancona
,
Gloss. principale
,
δι 61
ε
,
,
,
,
,
62
ει ζ
//
η θ
, ,
,
,
//
κ λ μ ν
63
,
ξ 616263 61
Si tratta dell’ε lunato impiegato in legamento con ν ( Si tratta dell’ε lunato impiegato in legamento con ν ( 63 Maiuscola con funzione di minuscola. 62
). ).
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Lettere
π
A. Costanzi
,
Guarino Veronese
Ciriaco d’Ancona
Gloss. principale
,
ρ σ , ς
,
64
,
στ τ65
,
υ , ου
φ
66
,
,
, ,
//
χ ψ
//
ω 646566
64
È usata sia nel corpo che in fine di parola. Sia nella scrittura di Costanzi che in quella di Guarino e Ciriaco compare talvolta una variante di τ alta, che si erge sulle altre lettere. 66 Questo tipo di υ, dal calice molto largo, è usato ad inizio di parola. 65
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FELICIA TOSCANO
4. Le note del ms. Chig. H.VI.204 (Tav. VII) A questo punto, meritano una disamina più attenta la storia e la scrittura dei marginalia dell’altro controverso testimone della scrittura dell’umanista fanese, il ms. Chig. H.VI.204, al fine di avere un quadro più completo e più definito dell’esperienza grafica di Costanzi. Il Chigiano è un manoscritto membranaceo, di buona fattura, contenente i Fasti di Ovidio, vergati in una scrittura umanistica della metà del sec. XV67. La pergamena è accuratamente rigata a secco, sono lasciati gli spazi per i titoli dei libri e per le iniziali, anch’esse non eseguite, a eccezione della B del libro III (f. 24v), disegnata a punta di metallo con accanto una figurina di Marte a cavallo. Sempre a punta di metallo, nel margine di f. 23r, fu abbozzata la figura di una lucretia. La legatura, pure attribuibile alla metà del sec. XV, è in assi ricoperte di pelle, decorata sui piatti da una doppia cornice dorata a intrecci, con filettature a secco; il taglio è dorato. Quanto ai possessori del codice, sono in gioco i migliori cognomi fanesi: Gabrielli, Martinozzi, Pili, Costanzi68. La storia del codice prende le mosse nella prima metà del sec. XV, in cui una mano non identificata esempla il testo dei Fasti. Intorno agli anni ’60 del Quattrocento il libro è nelle mani del copista e illustratore fanese Giovanni de Castaldis: ne sono prova la nota di possesso a f. 74v [«Mei … Nicolai de Fano»], uno dei due fogli originariamente posti sotto la pergamena del contropiatto anteriore69, successivamente numerati I e II, contenente una lunga lettera di «Petrus Marcus de Castaldis de Fano», scritta il 12 maggio 1460 a Perugia e indirizzata al fratello «Nobili et generoso viro ser Iohanni de Castaldis de Fano, fratri suo cordialissimo»70, e uno dei due fogli posti sotto la pergamena del contropiatto posteriore (f. 80), 67 Mm 270 × 170, di ff. IV + 80, formato da 6 quinterni e 2 quaderni regolari, con i richiami di mano del copista; sono presenti due numerazioni: la numerazione antica segna I l’attuale f. IV, 4-80 gli attuali ff. 1-77. Per la descrizione e la storia del codice si rimanda soprattutto a CAMPANA, Scritture cit., pp. 238-245; BUONOCORE, Aetas cit., pp. 84-85, con relativa bibliografia; ID., Un nuovo codice dei Fasti di Ovidio: il Vaticano Latino 13682 (aggiornamento al catalogo di Alton – Wormell – Courtney), in Aevum, 69 (1995), pp. 102-103, con relativa bibliografia; J. RUYSSCHAERT – A. C. DE LA MARE – A. MARUCCHI, Codici latini datati della Biblioteca Apostolica Vaticana, I: Nei fondi archivio S. Pietro, Barberini, Boncompagni, Borghese, Borgia, Capponi, Chigi, Ferrajoli, Ottoboni, Città del Vaticano 1997, p. 158. 68 Sulla storia di queste famiglie e sul legame di queste con il Chigiano vd. infra. 69 Campana richiede nel maggio del 1940 il distaccamento di quattro carte che si trovavano sotto i fogli membranacei aderenti alla legatura, posti probabilmente dal legatore per livellare il piano dei contropiatti, reso ineguale dai risvolti della pelle. Sul processo di distaccamento e sul contenuto dei fogli cfr. CAMPANA, Scritture cit., pp. 241-242. 70 L’indirizzo dell’epistola è sul verso.
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LA SCRITTURA LATINA E GRECA DI ANTONIO COSTANZI DA FANO
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che risulta essere la metà inferiore di un foglio scritto a due colonne, in scrittura umanistica dritta e recante nel recto e sul verso passi illustrati dell’Epitome historiarum Trogi Pompeii di Giustino71. Gli attuali ff. II e 80, congiuntamente alla nota di possesso abrasa, riconducono a Giovanni de Castaldis, copista e illustratore del ms. BAV Ott. lat. 1417, contenente l’opera di Giustino72. Si spiegherebbe in questo modo la presenza all’interno del codice della lettera del fratello di Giovanni, Pietro, così come degli excerpta illustrati del testo di Giustino: la mano che trascrive e illustra il testo dell’Epitome a f. 80 è, come si evince sin da un primo sguardo, quella del copista e illustratore dell’Ottoboniano73. Alla luce di ciò e dal confronto con la subscriptio del ms. Ottoboniano («Explicit compilatio IUSTINI qui fuit abreviator XLIIII Librorum Trogi Pompei scripta per me Iohannem Ser Nicolai de Castaldis de Fano sub annis Domini M.CCCC.LX XVIII. junii»), la lacuna presente nella nota di possesso del Chigiano potrà essere plausibilmente integrata come segue: «Mei Iohannis Ser Nicolai de Fano»74. Della mano dell’illustratore fanese potrebbero essere i titoli correnti del codice75. A una seconda fase, circoscrivibile agli anni Settanta-Ottanta del ’400 e 71
F. 80r: Iust. epit. 9,6,2-4 («-gnitudine … luctu»), il passo in cui Giustino narra dell’uccisione di Filippo di Macedonia da parte di Pausania; la scena è abbozzata sul foglio, a metà della colonna di scrittura (la seconda è stata lasciata bianca), prima con il piombo o con la punta di metallo, poi tracciata a penna. Sul verso dello stesso foglio, della stessa mano, è stato trascritto Iust. epit. 9,4,1-7 («aut unguenta …occu-») e 4,5,1-7. Nell’intercolumnio è stato appena abbozzato un viso, probabilmente maschile. 72 Sul calligrafo e miniatore Nicola de Castaldis, attivo nel terzo quarto del sec. XV, e sul manoscritto ottoboniano cfr. D. J. A. ROSS, An Unrecorded Follower of Piero della Francesca, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 17 (1954), pp. 174-181; E. PELLEGRIN – J. FOHLEN – C. JEUDY – Y.-F. RIOU – A. MARUCCHI, Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, I: Fonds Archivio San Pietro à Ottoboni, Paris-Rome 1975, pp. 556-557; R. SCARCIA, Giustino, Epitoma historiarum Philippicarum Pompei Trogi, Codice Ottob. Lat. 1529, in Vedere i Classici. L’illustrazione libraria dei testi antichi dall’età romana al tardo medioevo, Catalogo dell’esposizione tenuta nel Salone Sistino-Musei Vaticani, 9 ottobre 1996 – 19 aprile 1997, a cura di M. BUONOCORE, Roma 1996, pp. 415-417; G. M. FACHECHI, Giovanni di Ser Niccolò Castaldi da Fano, in Dizionario Biografico dei Miniatori Italiani. Secoli IX-XVI, Milano 2004, pp. 294-295. 73 Il bozzetto della morte di Filippo è molto simile all’illustrazione della stessa scena presente nell’Ottoboniano e sembra costituirne quasi una disegno preparatorio. L’attuale f. 80 sembra inoltre essere il risultato del dimezzamento, nella larghezza, di un carta, originariamente di dimensioni maggiori e molto probabilmente dovette esser parte di un codice di lavoro, in cui il copista fanese tentava forse un accordo fra il testo dell’epitome e le illustrazioni. 74 Il nome «Iohannes», «Iohannis» al genitivo richiesto da «Mei», era già stato postulato, seppur dubbiosamente, da Campana e accettatto dalla Marucchi. Cfr. CAMPANA, Scritture cit., pp. 240 nt. 3. 75 Marucchi (RUYSSCHAERT – MARUCCHI – DE LA MARE, Codici cit., p. 158) ritiene che tutti i marginalia al testo siano da attribuire a Giovanni de Castaldis. Per Campana (CAMPANA,
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dunque successiva alla lectura di Giovanni de Castaldis, sono da ascrivere le altre note in umanistica che circondano i versi ovidiani e l’explicit in inchiostro rosso, che precede la nota di possesso, a f. 74v: più precisamente, si rinvengono due differenti mani, di cui una è senza dubbio quella dell’umanista Antonio Costanzi. Attribuibili all’umanista di Fano sono infatti alcune correzioni e piccole note marginali al testo ovidiano e precisamente quelle ai ff. 13v, 47v, 56r, 57v, 61r, 62v, 73r-74v, oltre ad alcune annotazioni che si leggono nei fogli di guardia del codice (ff. 77v-78r)76. È possibile affermare con certezza che il codice sia appartenuto a Costanzi, sulla base dell’evidenza paleografica, ovvero del confronto delle succitate annotazioni con il manoscritto autografo Urb. lat. 360, sia dal contenuto di queste note, databili per la presenza di riferimenti cronologici intorno al 1480 e opera di un fanese di buona cultura che aveva un figlio di nome Jacopo, come risulta dalla lettura della nota a f. 77v77: [A dì] 8 de septembre [14..] a hore 19 o circa nacque Iacopo, mio figliolo, e a quella hora e dì nacque Mario, figliolo de mo Anto da Monte Novo. Dicto Iacopo nacque in Fano in el studiolo che usai io alcuni anni.
A ciò si aggiunga che il primo dei due fogli, originariamente posti sotto la pergamena del contropiatto anteriore, attualmente numerato I, potrebbe, con buona probabilità, essere appartenuto a Costanzi: in una scrittura cancelleresca molto rapida sono infatti state annotate varie pratiche riconducibili ad un ufficio giudiziario. Esse recano nomi di luoghi e personaggi Scritture cit., pp. 240-241) l’autore della nota di possesso, poi identificato con il miniatore fanese, potrebbe addirittura essere il copista del testo dei Fasti. 76 Cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 243. 77 Questa annotazione era preceduta da altre due poi abrase e ad oggi illegibili: che fossero in tutto tre annotazioni è d’altra parte dimostrato dai doppi trattini, rimasti nel margine di ciascuna delle note: cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 243. La nota su Giacomo è particolarmente significativa ai fini della ricostruzione della sua biografia, precisamente del giorno e del luogo di nascita, l’indicazione dell’anno è purtroppo abrasa. Fondandosi principalmente sul fatto che il matrimonio d’Antonio avvenne nel 1471 e che Giacomo era terzogenito dopo le sorelle Lucrezia e Camilla, Campana (CAMPANA, Scritture cit., p. 244), in disaccordo con il primo biografo di Giacomo (S. TOMANI AMIANI, Memorie biografiche di Giacomo Costanzi, Fano 1850, p. 10), ritiene che «la data di nascita va forse portata qualche anno più giù del 1473», mentre Castaldi (CASTALDI, Un letterato cit., p. 276) la colloca nel 1477. A f. 78r si trova una nota di registrazione, di mano di Costanzi, delle entrate e/o delle uscite (la trascrizione che si fornisce di seguito diverge da quella di Campana nell’indicazione dell’importo: cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 243): «Angelus habuit ex elemosina facienda in dispensationem duorum votorum que constant duc. 8 monete pro parte dicte elemosine usque ad diem 23 iunii 1480 – di(nari)1 – 200 s(oldi). Item mense novembris 1480 salmam unam grani – di(nari) 0 – s(oldi) 360».
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fanesi, la cui attività è da collocare nella seconda metà del sec. XV78. Non è escluso che possa trattarsi degli appunti, o più propriamente, della minuta del verbale di un consiglio cittadino e, se così fosse, non sarebbe azzardato credere che la carta possa essere appartenuta a Costanzi, più volte priore e gonfaloniere della sua città e come tale partecipante alle assemblee tenute dai vari consigli79. Alla fine del codice, inoltre, è stata trascritta, da una mano apparentemente diversa da quella del Costanzi che aveva vergato le precedenti note, l’epistola del 12 novembre del 1471 che l’umanista invia a Giovanni Battista Almadiano (ff. 76v-77v)80. Alla mano che trascrive questa lettera sono attribuibili tutti gli altri marginalia del manoscritto81. Nelle conclusioni del suo lavoro Campana riconosce, senza tuttavia esserne certo, nella scrittura di queste notazioni e in quella dell’epistola all’Almadiano quella di un giovane Costanzi (anni ’70 del Quattrocento), una grafia dunque diversa da quella della maturità dell’umanista (anni 1480-1490), ovvero quella delle note del Chigiano certamente attribuibili al Fanese e quella del manoscritto Urbinate82. Si tratta di un’umanistica, che effettivamente ricorda molto la scrittura del manoscritto Urbinate: è tuttavia, in confronto a questa, meno inclinata verso destra (quasi dritta), dal tratteggio più fine e uniforme, ma meno fluido; il disegno delle lettere, di modulo ovviamente minuto, trattandosi di glosse, è leggermente meno arrotondato, con qualche asperità in partico78 È, ad esempio, menzionato in un documento, datato 1471, relativo a uno dei primi capitoli del Monte di Pietà di Fano, il «Dominus Nicolaus Andreaea Lanceis» che compare anche nella nostra carta di guardia. Cfr. L. MASETTI, I primitivi capitoli del Monte di Pietà di Fano, in Archivio Storico Marchigiano 1 (1879), pp. 696-697. Sul recto del foglio si leggono: «domini Nicolai Andree a Lanceis», «Caregnano»; sul verso: «Cart(oce)to». 79 Sull’attività politica di Costanzi si rimanda a TOSCANO, Il commento cit., pp. 42-45, con relativa bibliografia. 80 Sull’epistola vd. nt. 50. 81 Non attribuibili a questa mano, oltre ai già menzionati interventi di Castaldis e di Costanzi, sono due scolii in rosso che contengono anche parole greche ai ff. 38v e 44r; a un’altra mano ancora appartengono alcune note a f. 10r. Per Campana è del secolo XVIin. la scritta, a f. IVr, «Amor patricius (?) hic iacet» preceduta da manicula. Infine, evidentemente di mano tardo cinquecentesca è la nota a f. 1r. Cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 254 nt. 1. 82 «[…] a primo aspetto, questa scrittura umanistica dritta è tutta diversa da quella che conosciamo […] però se si prescinda dalla fondamentale differenza tra una scrittura dritta e una inclinata, se si immagini, per dir così, di inclinare la prima e di accostarla alla seconda, non mi sembra di scorgere obiezioni di grande rilievo a una identificazione che può essere suggerita dalla storia e dal contenuto del codice». CAMPANA, Scritture cit., pp. 254-255. Per Campana, una notazione del Chigiano in particolare sembra dar prova della paternità costanziana della scrittura o, meglio, della progressiva evoluzione della scrittura stessa: si tratta dello scolio a f. 72r, che per l’andamento inclinato dei segni si avvicina molto alla scrittura del Costanzi maturo (cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 255, nt. 1).
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lare nelle due volute di m, nel calice di u. Questa scrittura presenta inoltre alcune lettere peculiari e diverse nel disegno rispetto alla scrittura dell’Urbinate: la a talvolta dalla schiena più sviluppata (e con evidente prolungamento verso destra della parte inferiore) e dalla pancia più schiacciata (fig. 5a); la D maiuscola in forma di delta83 (fig. 5b); g dall’occhiello inferiore ampio (fig. 5c); h con la curva del secondo tratto che termina dritta sul rigo, senza prolungarsi al di sotto di esso (fig. 5d); P con la curva che forma l’occhiello che si prolunga verso sinistra (fig. 5e); Q con la coda obliqua che si prolunga al di sotto del rigo (fig. 5f); r con il secondo tratto lungo e con punto d’attacco basso, in forma quasi di Y (fig. 5g); s finale molto spesso nella forma “a sigma” (fig. 5h). A ciò si aggiunga un uso più assiduo di S ad inizio e all’interno di parola; l’alternanza del sintagma grafico in cui la prima di due s (minuscole) consecutive, nel legarsi alla seconda, perde la parte finale della voluta, con la sequenza grafica in cui la prima delle due s è minuscola e la seconda maiuscola (non sempre in legamento fra loro) (fig. 5i); il disegno del legamento et che, rispetto a quello impiegato nell’Urbinate, risulta ruotato di circa 30º (fig. 5l); il nesso NT, in fine di parola e VT, ad inizio di parola (fig. 5m), l’incostante uso del punto e virgola e del comma per segnalare l’assenza del gruppo –ueI.
a
B
c
d
e
F
g
h
,
i
l
, m
Fig. 5
Quanto alla scrittura greca, di cui un’esigua testimonianza è possibile ricavare dai radi Graeca presenti nelle notazioni, essa ripropone la stessa situazione di quella latina: una scrittura simile, ma non uguale a quella di Costanzi. Anche in questo caso si tratta di una grafia di matrice crisolorina, tuttavia dal disegno più sinuoso rispetto a quello dell’umanista fanese (vd. tabella). Nel caso in cui non si volesse attribuire la paternità di queste notazioni a Costanzi si farebbe fatica a spiegare la trascrizione della lettera indirizzata dall’umanista all’Almadiano, di cui è ignota una circolazione manoscritta e che fu accessibile ai più solo con la sua pubblicazione in appendice alla raccolta di opere di Costanzi stampata nel 1502 presso il Soncino, ad opera del figlio Giacomo84. Alla luce di ciò, o si dovrebbe collocare l’intervento 83 Già Campana notava questa peculiarità, insieme al nesso NT e alla u/v interna di parola: cfr. CAMPANA, Scritture cit., p. 254. 84 Vd. nt. 50.
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del glossatore posteriormente alla pubblicazione della silloge sonciniana (egli avrebbe dunque ricopiato dall’edizione a stampa il testo dell’epistola) o, più plausibilmente e convenendo con la perizia paleografica di Campana (che datava al Quattrocento la scrittura delle glosse), si potrà ipotizzare che il chiosatore possa aver fatto parte della cerchia familiare o intellettuale di Costanzi e questo giustificherebbe l’accesso a materiali privati o che circolavano in un ambiente ristretto, come l’epistola all’Almadiano. A voler restringere il campo, si potrà collocare l’attività esegetica del glossatore posteriormente al 1471, anno di invio dell’epistola85; un più attento esame della stratificazione degli interventi sul f. 77v, in cui sono presenti l’ultima parte della summenzionata lettera e le notazioni certamente di mano di Costanzi, permette inoltre di rilevare che queste ultime iniziano là dove termina l’epistola, senza che fra i due testi vi sia quasi spazio. Ciò indurrebbe a credere che le notazioni di Costanzi siano state scritte posteriormente alla stesura della lettera. Come si ricorderà, l’ultima nota, nonché l’unica leggibile, riporta con estrema precisione i dati della nascita di Giacomo: nel caso in cui questa fosse stata scritta proprio in occasione di tale avvenimento (1473/1477)86, l’attività esegetica del glossatore potrebbe essere circoscritta agli anni 1471-1477. L’analisi contenutistica degli scolii ha inoltre messo in luce delle notazioni distanti da quelle che si ritroveranno nel commentario di Costanzi, ma in cui non mancano significativi punti di contatto, e non si può escludere che si tratti di un primo e meno consapevole approccio al testo da parte dell’umanista87. Non è dirimente nella risoluzione di questa problematica questione neppure la definizione del rapporto intercorrente fra testo dei Fasti del Chigiano, o meglio delle integrazioni e correzioni al testo del glossatore principale, e il testo dei Fasti restituito dai lemmi del commento. Costanzi sembrerebbe aver tenuto conto in alcuni casi, all’atto della constitutio textus dei lemmi (e degli scolii) del commento, di tali lectiones, ma l’impiego, testimoniato dalle stesse parole dell’umanista, di più esemplari di collazione (che è possibile recassero anche alcune delle varianti attestate anche 85
Va segnalato che il testo dell’epistola contentuto nel codice Chigiano diverge da quello della stampa per una variante che potrebbe tuttavia considerarsi non necessariamente riconducibile alla volontà dell’autore, in quanto relativa ad una parte del testo, la datatio, facilmente soggetta nella tradizione a modifiche formali (perché non considerata parte effettiva dell’epistola, ma mera indicazione cronologica ad esso esterna): nel Chigiano essa è così espressa: «Phani die .XII. novembris 1471»; diversamente nell’edizione del 1502 (f. c4r) si legge: «Fani pridie idus novembris .MCCCCLXXI.». 86 Sulla problematica cronologia della vita di G. Costanzi vd. nt. 77. 87 Per l’analisi contenutistica degli scolii e l’edizione delle note relative a Fast. I-III si rimanda a TOSCANO, Il commento cit., pp 160-173, 603-622.
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dal chiosatore del Chigiano) rende impossibile avere un quadro chiaro e univoco della vicenda88. In ogni caso, qualora Costanzi fosse intervenuto sul manoscritto posteriormente alla copia della lettera, se la mano che trascrive l’epistola non è sua, dovrà necessariamente essere di qualcuno a lui molto vicino, a cui fu accessibile il testo dell’epistola e a cui fu concesso di annotare il manoscritto: senza dubbio si tratta di un umanista con interessi storico-antiquari (e come tale interessato ai Fasti ovidiani) e con un orizzonte di conoscenze, seppure più acerbe — e una prova tangibile è costituita dalla minore cura ortografica con cui sono vergati i Graeca — molto vicino a quelle di Costanzi. Per tornare alla storia del codice, il patrimonio librario di Antonio passò in eredità al figlio Giacomo, che vide poi distrutta la sua casa con la ricca biblioteca (in cui era confluita la silloge libraria paterna) durante l’assedio delle truppe di Lorenzo de’ Medici a Mondolfo, dove Giacomo si era ritirato, portando con sé i suoi libri, nel 1517, a pochi mesi dalla sua morte89. Il Chigiano, come testimoniano le note di possesso di f. 78r giunge così, nella metà del sec. XVI, nelle mani di Pietro Martinozzi, membro di una famiglia con cui i Costanzi e i discendenti di questi, i Torelli, erano da sempre in ottimi rapporti90, o direttamente tramite Antonio o Giacomo (prima della distruzione della casa di Mondolfo) o, al più tardi, tramite i Torelli91. 88 Sulle scelte ecdotiche, relativamente al testo dei Fasti, desumibili dai lemmi, e sull’impiego da parte dell’umanista di testimoni diversi (di rami differenti della tradizione e/o di editiones variorum) del testo ovidiano e sulle conseguenti ricadute sul dettato scoliastico si rimanda a TOSCANO, Il commento cit., pp. 153-160. 89 La notizia della distruzione della casa di Mondolfo è nel De litteratorum infelicitate dell’umanista Pietro Valeriano (Piero Valeriano, L’infelicità dei letterati, a cura di B. BASILE – A. DI MAURO, Napoli 2010, pp. 154-155), ma per la natura dell’opera (nella quale spesso la realtà è piegata a fini letterari) essa andrebbe verificata e sostanziata da fonti certe. 90 La familiarità fra le famiglie Costanzi e Martinozzi sembra attestata, già all’epoca di Antonio, dagli epigrammi da questi dedicati ad un Martinozzi: cfr. gli epigrammi Ad Jo. Baptistam Martinotium Fanensem dell’edizione sonciniana delle opere di Costanzi (ff. a1r, a3v, a8r, a9r). 91 A f. 78r si rileva la nota, di mano cinquecentesca, «P. O. Nasonis fastorum libri sex mihi petro mar. Fa. dono dati a Paulo Pilio»: di nuovo lo studioso romagnolo, sciogliendo l’abbreviatura per troncamento «mar.» in «Martinotio» e la più perspicua «Fa.» in «Fanestri», identifica il latore del dono nel fanese Pietro Martinozzi, ricordato da Amiani per il 1579, e nel ricevente Paolo Pili, consigliere di Fano per il 1550. Cfr. CAMPANA, Scritture cit. p. 240, nt. 2 e P. M. AMIANI, Memorie Istoriche della città di Fano, II, Fano 1751, p. 218 (per Martinozzi) e p. 165 (per Pili). La lettura di Campana risulta d’altra parte confermata dalle successive ricerche di Ginette Vagenheim (cfr. VAGENHEIM, Antonio cit., pp. 61-91): la studiosa, nell’occuparsi delle iscrizioni dell’arco di Augusto a Fano e, in particolare, dell’interesse da queste suscitato fra gli intellettuali fanesi fra Quattrocento e Cinquecento, menziona un Pietro Martinozzi, il quale su richiesta di Lelio e Jacopo Torelli (figli di Giovanni Antonio Torelli e di Camilla, figlia di Costanzi), aiuta il loro nipote, tale Bartolomeo, nella trascrizione dell’epigrafe dell’arco. La vicenda della richiesta di copia dell’epigrafe è testimoniata da
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L’ultimo possessore noto del codice, prima dell’ingresso nella biblioteca Vaticana92, è, con buona probabilità, il padre geuita Ludovico Gabrielli, come si deduce dalla nota di possesso seicentesca di f. IVr93. Volendo trarre qualche conclusione, si potrà rilevare che l’analisi paleografica condotta sulla scrittura latina e greca di Antonio Costanzi permette di definire le caratteristiche distintive dell’una e dell’altra, e, attraverso queste, di ricostruire l’ambiente intellettuale e grafico, nonché di acquisire ulteriori informazioni (o conferme) sul cursus studiorum, sulla formazione grafica, sugli interessi di studio e ricerca di questo umanista. L’impressione generale è quella di un intellettuale educato alla scrittura umanistica, di cui, come si evince dall’esame dei mss. Vat. lat. 3324 e Urb. lat. 360, è abile esecutore, ma potrebbe aver raggiunto questo livello di padronanza nell’esecuzione a seguito di un fruttuoso tirocinio, se la scrittura del ms. Vat. lat. 3630 è effettivamente da attribuire a un giovane Costanzi. Dal lato opposto, seppure il Fanese non avesse scritto di sua mano l’opuscolo sull’assedio di Ancona, ma avesse soltanto pianificato o commissionato l’allestimento del codice in cui esso è contenuto, il manoscritto, per la presenza di mani e scritture diverse, darebbe prova di un eterogeneo contesto grafico, in cui non mancano anche tentativi di sperimentazione, come nel caso della mimesi dell’originalissima grafia di Ciriaco di Ancona (ff. 47r-55r); parallelamente, alcuni elementi, filologici e paleografici, relativi alla trascrizione dell’epigrafe dell’Arco di Augusto a Fano, presente nel commento costanziano ai Fasti, lascerebbero pensare a una ricezione della lezione grafica (ed epigrafica) di Ciriaco da parte dell’umanista. L’interesse di Costanzi per l’antiquaria, già manifestato nella trattazione della un’epistola, inviata da Bartolomeo a Jacopo Torelli e datata al 18 febbraio 1576 (il testo della lettera, contenuta nel codice nel cod. Magliab. XXVIII.29, ff. 24-25, è in VAGENHEIM, Antonio cit., p. 76): nel testo è menzionato anche Pietro Martinozzi, che insieme ad altri eruditi fanesi avrebbe aiutato Bartolomeo a soddisfare al meglio le richieste formulate nella lettera (non pervenuta) di Jacopo. Il rapporto di amicizia o, quanto meno, la provata conoscenza fra alcuni membri della famiglia Costanzi-Torelli e Pietro Martinozzi porta ad identificare quel «mar.» con il summenzionato collaboratore di Bartolomeo, nonché membro di un circolo erudito dagli interessi antiquarii. 92 Al f. 79v del ms. BAV Chig. R.II.67, l’inventario settecentesco della biblioteca Chigiana, così come nel margine superiore del f. IIIv dello stesso Chig. H.VI.204, poco al di sotto della segnatura attuale del codice (apposta all’atto dell’entrata del manoscritto nella Biblioteca Vaticana), si trova solo il secondo dei due numeri d’entrata con cui di norma risultano registrati nell’inventario summenzionato i codici della collezione Chigi. 93 A f. IVr, nel margine inferiore destro, si legge la nota di possesso, vergata in scrittura del secolo XVII: «Lodouicus Gabriel. Fanestris». Campana identifica, seppur con qualche riserva, questo personaggio con il padre gesuita Ludovico Gabrielli, la cui vita e attività Amiani colloca, nelle Memorie istoriche della città di Fano, tra la prima e la seconda metà del secolo XVII. Cfr. AMIANI, Memorie, p. CVI e CAMPANA, Scritture cit., p. 240, nt. 1.
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materia dei Fasti, è così, anche graficamente, evidenziato dall’attenzione, nell’Urbinate, per la scrittura epigrafica. Quanto alla scrittura greca, l’influenza crisolorina-guariniana, è evidente, seppur nella frammentarietà dei Graeca che costellano gli scoli dell’Urbinate. In definitiva, la grafia di Costanzi racconta la storia intellettuale di Costanzi, recando traccia evidente del suo cursus studiorum, dei suoi maestri, diretti e indiretti, dei suoi interessi, della sua vita. Ancora permane tuttavia, l’ombra del dubbio, gettata da Campana negli anni ’50 del Novecento, sull’autografia delle chiose ai Fasti del manoscritto Chigiano e del rifacimento del De obsidione Anconae del Vat. lat. 3630, lasciando aperta, nella speranza di nuovi ritrovamenti, la strada alla ricerca sulla scrittura costanziana.
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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 360, f. 1r.
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 360, f. 145v.
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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 360, ff. 5r (a), 8v (b), 10r (c), 14r (d), 21v (e), 25v (f), 29v (g): Graeca.
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FELICIA TOSCANO
Tav. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3324, f. 111r.
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Tav. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3630, f. 1r.
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FELICIA TOSCANO
Tav. VI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3630, f. 48v.
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d Tav. VII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. H.VI.204, ff. 77v (a), 66r (b), 20r (c), 76v (d).
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FABIO TRONCARELLI
FECIT ADALGAUDO LEUTALDUS: IL LUNGO VIAGGIO DI DUE CODICI DI ORLÉANS (VAT. LAT. 3363 E OTT. LAT. 35) Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, piena di esperienze e di avventure. C. Kavafis
Nel 1977, in un articolo brillante e originale, Bernhard Bischoff segnalò, con una nota sibillina, che il Vat. lat. 3363 e la prima parte dell’Ott. lat. 35 (ff. 1r-35r) della Biblioteca Apostolica Vaticana, del primo trentennio del IX secolo, erano attribuibili allo stesso scriptorium “in Loire-Gebiets”1, senza tuttavia pronunciarsi sulla provenienza delle numerose glosse disseminate nei due codici, di mani non molto più tarde, che usano una scrittura insulare caratteristica. Ad ogni modo, la grafia delle note era definita “keltish” e il termine non era casuale: infatti, come lo stesso Bischoff ha precisato altrove, riferendosi proprio al Vat. lat. 3363, quest’espressione designa la scrittura di un amanuense “forse gallese o della Cornovaglia”2. Lo studioso tedesco non ritornò più sull’argomento, ma alcuni di coloro che si sono occupati dei due manoscritti hanno fatto tesoro delle sue osservazioni e hanno cercato di svilupparle, aggiungendo qualche elemento in più al quadro che era stato schizzato, attraverso un’analisi più approfondita dei codici e una loro valutazione sul piano filologico. A proposito dell’Ott. lat. 35 è stato suggerito che possa essere appartenuto all’abbazia di Saint Denis a Parigi, dove l’aveva acquistato Paul Petau e che successivamente sarebbe stato comperato dalla Regina di Svezia, insieme a gli altri volumi di quella collezione3. A proposito del Vat. lat. 3363, uno dei più antichi testimoni della Consolatio di Boezio, è stato osservato che la sua struttura codicologica riflette 1
B. BISCHOFF, Irische Schreiber im Karolingerreich, in Jean Scot Érigène et l‘histoire de la philosophie, a cura di R. ROQUES et alii, Paris 1977, pp. 47-58, ristampato in ID., Mittelaterliche Studien: Ausgewählte Aufsätze zur Schriftkunde und Literaturgeschichte, III, Stuttgart 1981, p. 40, nota 3. 2 “Möglicherweise für walishish oder cornish” citato in F. TRONCARELLI, L’ombra di Boezio. Memoria e destino di un filosofo senza dogmi, Napoli 2013 (Nuovo Medioevo, 95), p. 245. 3 M. MOSTERT, The Library of Fleury: a Provisional list Manuscripts, Hilversun 1989, p. 254, n° 1326. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 469-524.
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FABIO TRONCARELLI
un originale tardoantico4; che il testo di Boezio era unito nel IX secolo alla Psychomachia di Prudenzio5; che nei suoi margini ci sono annotazioni autografe di San Dunstan († 988) ed altre note insulari più antiche6 “contemporary with Asser”7 († 909). Tali annotazioni riprendono brani dei cosidetti commenti dell’Anonimo di San Gallo e a Remigio d’Auxerre8, mescolando in modo eclettico fonti diverse, un amalgama che è confluito, incorporato al testo boeziano, nella traduzione della Consolatio attribuita tradizionalmente ad Alfredo il Grande9, che sarebbe stato aiutato in questa impresa da un commento alla Consolatio redatto da Asser come testimonia Guglielmo di Malmesbury10. Quest’ultimo punto ha suscitato, com’è naturale, un notevole interesse, poiché ha permesso di comprendere meglio le dinamiche culturali che sono alle spalle della traduzione della Consolatio attribuita di solito ad Alfredo il Grande o all’ambiente della sua corte11. E tuttavia non è mancato qualcuno che ha mostrato una notevole immaginazione indossando la maschera di un’aprioristico scetticismo, non solo nei confronti di quelle che erano state presentate come ipotesi che potevano e dovevano essere discusse, ma anche nei confronti dell’attendibilità delle testimonianze stesse di cui ci occupiamo. È stata messa in dubbio, infatti, perfino l’esistenza del commento di Asser, nonostante due esplicite attestazioni di Guglielmo di Malmesbury, come se credere alle parole di un ingenuo storico medievale sia sconveniente per lo studioso politically correct che recita la parte dell’uomo serio, diffidente, per partito preso, verso ogni testimonianza che non rientri nel letto di Procuste di edificanti e rassicuranti ricostruzioni del passato12. 4 M. PARKES, Pause and effects. An Introduction to the History of Punctuation in the West, Aldershot 1992 p. 291, tav. 7. 5 F. TRONCARELLI, Tradizioni perdute. La Consolatio Philosophiae” nell’Alto Medioevo, Padova 1981 (Medioevo e umanesimo, 53), p. 140. 6 Ibid., pp. 142-143. 7 M. PARKES, Copies of Boethius in Anglo-Saxon England: a note on Vatican, Bibl. Apost., MS Vat. Lat. 3363, in ID., Scribes, scripts and readers: studies in the communication, presentation and dissemination of medieval text, London 1991, p. 261. 8 F. TRONCARELLI, Per una ricerca sui commenti altomedievali del De Consolatione Philosophiae di Boezio, in Miscellanea in memoria di Giorgio Cencetti, Torino, 1973, pp. 363-380. 9 M. GODDEN – S. IRVINE, The Old English Boethius. An Edition of the Old English Versions of Boethius’s De Consolatione Philosophiae, Oxford 2009, pp. 54-58. 10 WILLIAM OF MALMESBURY, Gesta Pontificum Angliae, a cura di N. S. E. Hamilton, London, 1870 (Rolls Series, 52), II, 4, p. 122. 11 Per un quadro riassuntivo dei diversi interventi su questo tema si veda M. GODDEN, Alfred, Asser and Boethius, in Latin learning and English lore Studies in Anglo-Saxon literature for Michael Lapidge, a cura di K. B. O’KEEFFE – A. ORCHARD, Toronto 2005, I, pp. 326-348. 12 TRONCARELLI, L’ombra di Boezio cit., pp. 226-244.
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Possiamo confermare che non vi sono ragioni di preferire l’immaginazione ai documenti. Riprendendo in mano le fila del problema dopo tanti anni e tenendoci saldamente ancorati ai fatti, possiamo raggiungere qualche risultato nuovo, grazie all’identificazione di alcune sottoscrizioni nei margini di ambedue i volumi, alcune attribuibili all’epoca della loro trascrizione e alcune successive, che convalidano in modo evidente ciò che era stato già osservato e ciò che era stato congetturato. Prima di esaminare queste testimonianze è comunque opportuno dare una breve descrizione dei codici che le riportano. Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 35 Membr.; s. IX (primo trentennio); mm 230 × 140; ff. VIII+81+ V; 32 righe a foglio. I) ff. 1r-3v: Sedulio, Epistola a Macedonio (ed. Panagl, pp. 1-13) f. 3v: Asterio, Epigramma in onore di Sedulio (ed. Panagl, p. 307) f. 3v: Breve prefazione a Sedulio (Inc.: “Sedulius epistola Macedonio praemissa…”) ff. 3v-4v: Sedulio, Hymnus II (ed. Panagl, pp. 163-168) ff. 4v-33r: Sedulio, Carmen Paschale ff. 33r-v: Sedulio, Hymnus I (ed. Panagl, pp. 155-162) f. 33r-v: Bellesarius, Poema acrostico in lode di Sedulio (poema n° II: ed. Panagl, pp. 309-310) f. 33r Glosse su Sedulio (Inc.: “Incipit ars Sedulii poetae…”) f. 33v Incipit glosa de prosa Sedulii (Inc.:” Dominus dictus est quod dominetur…”) II) f. 36r: Enigma (PL, XIX, coll. 39-40) di mano del X secolo f. 36r: Prove di penna in rapporto con Prudenzio Psychomachia, vv. 1-2, di mano del IX secolo ff. 36v-81r: Giovenco, Evangeliorum libri quattuor f. 81v: Frammento di glossario greco-latino (X secolo) Rigatura a secco, incisa sulla carne, con due linee verticali di guida sul margine esterno. Molte mani. Molte glosse del IX e del X secolo, la maggioranza delle quali è in una scrittura carolina con influenze insulari. Diverse note di possesso, esaminate nelle pagine seguenti. Fascicoli (prima parte): 3+4; quaternio; 3+3; 5+6 e un foglio aggiunto; (seconda parte): cinque quaternioni+ 4+3 (da un originario quaternione). Numerazione dei fogli moderna, con timbro a secco, nel margine inferiore destro di ogni foglio, sul recto. Come mostreremo nelle pagine seguenti, la prima parte del codice è appartenuta a diversi proprietari tra IX e XVIII secolo. Rilegatura in cuoio rosso con filettature d’oro, con lo stemma di Pio IX sul dorso13. 13
Del codice si sono occupati B. DE MONTFAUCON, Bibliotheca Bibliothecarum, Parisii 1734, I, p. 45 (ristampato in J. BIGNAMI ODIER, Les manuscrits de la reine de Suède, Città del Vaticano 1964 [Studi e testi, 238], p. 80); F. ARÉVALO, C. Vetii Aquilini Iuuenci Presbyteri
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Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 336314 Membr.; s. IX: (primo trentennio); mm 281 × 184 (270 × 175); ff. II + 60 + II; 27-9 righe a foglio. f. 1r: Boezio, [Philosophiae Consolatio]. L’inizio manca; una mano del XIV-XV secolo ha aggiunto la parte mancante, ma in modo incompleto, per cui c’è una lacuna tra l’explicit della mano più tarda e l’incipit del IX secolo (libro I, c. 2, v. 15, c. 2). È stato eraso il testo nella c. 2r per farlo combaciare con quello del XIV-XV secolo. f. 60r: “Explicit feliciter. incipiunt glosae huius libri” (di mano coeva). Il glossario, che continua anche alla c. 60v, non si riferisce a Boezio, ma a Prudenzio, Psychomachia, (vv. 2-18115). Tre mani: la prima ha scritto il primo libro. La seconda il resto tranne poche righe alla c. 27r (dalla parola “Quod igitur” alla riga 21 alla parola “potentiae”, alla riga 28). Incipit ed explicit in capitale in rosso, argento e nero. I versi sono scritti interamente in un’onciale simile a quella della Bibbia di Teodulfo (CLA, VI, Hispani Historiae Evangelicae libri IV. Eiusdem carmina dubia aut supposita, Roma 1792 (ripreso in PL, XIX, coll. 10-346), pp. 5, 138, 146, 169, 200, 258, 278, 290, 375; I. HUEMER, De Sedulii poeta, vita et scripta commentatio, Wien 1878, p. 32; Gai Vetti Aquilini Iuvenci Evangeliorum libri quattuor, a cura di I. HUEMER, Pragae 1891 (CSEL, 24), p. XXXIII, [XLV]; Tatuini Opera omnia: Variae collectiones aenigmatum Merovingicae aetatis, a cura di M. DE MARCO, Turnhout 1968 (CSSL, 133), pp. 164 e 362; V. M. LAGORIO, Aldhelm’s Aenigmata in Codex Vaticanus Palatinus Latinus 1719, in Manuscripta. A Journal for Manuscript Research 15 (1971), p. 25; P. TIROT, Histoire des prières d’offertoire dans la liturgie romaine du VIIe au XVIe siècle (II), in Ephemerides Liturgicae 98 (1984), p. 382; C. P. E. SPRINGER, The Manuscripts of Sedulius: A Provisional Handlist, Philadelphia 1995 (Transactions of the American Philosophical Society, 5, 5), pp. 9; 104; E. COLOMBI, Iuvenciana I, in Vetera Christianorum 37 (2000), pp. 243-269; B. VICTOR, Simultaneous Copying of Classical Texts 800-1100: Techniques and their Consequences, in La collaboration dans la production de l’écrit médiéval. Actes du XIIIe Colloque du Comité international de paléographie latine, a cura di H. SPILLING, Paris 2003, p. 357; Sedulii Opera omnia: una cum excerptis ex Remigii expositione in Sedulii Paschale Carmen, a cura di I. HUEMER, editio altera supplementis aucta curante V. PANAGL, Vindobonae 2007 (CSEL, 10), p. XX. 14 Riprendiamo e in parte aggiorniamo e rielaboriamo la descrizione di questo codice che abbiamo pubblicato in F. TRONCARELLI, Cogitatio mentis. L’eredità di Boezio nell’alto medioevo, Napoli 2005 (Storie e testi, 16), pp. 243-244. 15 Le glosse sul f. 60r-v, ancora parzialmente leggibili con la lampada a raggi ultravioletti, sono queste: “Incipiunt glosae huius libri. CLUIS: illuminans (Psych. v. 2); LUENDA: protegenda (ibid., v. 9); EXERTA: nudata (ibid., v. 23); LABEFACTAT: facit cadere (ibid., v. 31); PARTA: parata (ibid., v. 38); PUDIBUNDA: modesta (ibid., v. 44); INCESTUS: illicitus (ibid., v. 63); DIVA: dea vel sancta (ibid., v. 76); LUTULENTA: immunda (ibid., v. 87); POTIS: potens (ibid., v. 88); ABDE: absconde (ibid., v. 91); PROSTIPULUM: domum meretricum (ibid., v. 92); MANES: deus inferni (ibid., v. 92); SCABROSA: rubriginosa (ibid., v. 106); PILIS: telis (ibid., v. 111); CRISTAS: summitas galee (ibid., v. 117); NOTHUS: ventus (ibid., v. 122); ADAMANS: lapis durissimus (ibid., v. 125); TRILICEM: triplicem loricam (ibid., v. 125); TORACHAM: loricam (ibid., v. 125); STOMACHANDO: irascendo (ibid., v. 132); CALIBEM: massam ferream (ibid., v. 143); CA[SSI]S: galea (ibid., v. 140); IUBIS: comis vel crinis (ibid., v. 181).
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769). Moltissime glosse marginali e interlineari in in scrittura carolina, coeva o di poco successiva al testo, ed in scrittura insulare della fine del IX secolo e della prima metà del X (tra questa la mano di san Dunstan (TRONCARELLI, Tradizioni cit., pp. 142-143, tav. XVII). Glosse più tarde di mano del XIV-XV secolo. Tutte le iniziali sono state ripassate e rese maiuscole da mano insulare. Moli fogli sono stati ripassati dalla stessa mano, che ha aggiunto i ff. 1r-v e 2r-v. Al f. 6v neumi inglesi del X-XI secolo; al f. 26r, neumi francesi del secolo X. Il testo presenta molte rasure e correzioni. Rigatura a secco, incidendo il lato carne, con doppia linea verticale sul margine esterno. Fascicoli: 7 quaternioni + 4 cc. Numerazione dei fascicoli inesatta (forse la mano di G. Assemani). Numerazione dei fogli della stessa mano con caratteri romani Come mostriamo nelle pagine seguenti, la prima parte del codice è appartenuta a diversi proprietari tra IX e XVI secolo secolo. Fogli di guardia: 2 cartacei all’inizio e alla fine (filigrana n. 7629, Briquet: carta usata in Italia, in provincia di Roma, nell’anno 1566). Rilegatura in legno ricoperto di cuoio rosso decorato con filetti d’oro del s. XVI (di ambiente bolognese secondo T. DE MARINIS, La legatura artistica in Italia nei secoli XV e XVI. Notizie ed elenchi, II, Firenze 1960, p. 24, n. 1370). Tracce di fermagli. Nella rilegatura, frammenti di un testo del XIV secolo)16.
Dilecto suo Leotaldo L’individuazione delle annotazioni a cui abbiamo accennato è piuttosto ardua: le parole che le compongono sono in genere poco leggibili, sia perché l’inchiostro troppo pallido con sui sono state scritte è svanito, sia perché sono state a volte cancellate, ripassandole con inchiostro. Ma a parte questo, ci sono altre difficoltà che non è agevole superare: le parole sono spesso compendiate con abbreviazioni in forma di contrazione o in forma di troncamento, che richiedono un certo sforzo interpretativo. Inoltre esse possono essere scritte in varie forme e disposte in vario modo sul rigo: 16
Gli studi più importanti dedicati a questo manoscritto sono: A. M. S. BOETHIUS, Philosophiae Consolatio, a cura di W. WEINBERGER, Vindobonae 1934 (CSEL, 57), p. XXI; P. COURCELLE, Etude critique sur les commentaires de la Consolation de Boèce (IXe-XVe siècles), in Archives d’Histoire Littéraire et Doctrinale du Moyen Age 14 (1939), pp. 5-14, in particolare pp. 45-46, 51, 121; A. M. S. BOETHIUS, Philosophiae Consolatio, a cura di L. BIELER, Turnhout 1957 (CCSL, 94), p. XXVII; P. COURCELLE, La Consolation de Boèce dans la tradition littéraire. Antécédents et postérité de Boèce, Paris, 1967, pp. 269-270; TRONCARELLI, Per una ricerca cit., pp. 363-380; ID., Tradizioni perdute cit., pp. 137-196 (con bibliografia); M. MOSTERT, The Library of Fleury, p. 252: “May be this copy of Boethius was written at Fleury”; PARKES, Copies of Boethius cit., pp. 260-61; ID., Pause and effects cit., p. 291, tav. 7; Codices boethiani Italy and the Vatican City: A Conspectus of Manuscripts of the Works of Boethius, 3, a cura di M. PASSALACQUA – L. SMITH, III, London – Torino 2001, pp. 554-556; A. M. S. BOETHIUS, Philosophiae Consolatio, a cura di C. MORESCHINI, München – Leipzig 2005, pp. XV-XVI; XVIII; A. CAMPANA, [Scheda catalografica del Vat. Lat. 3363], in Vat. lat. 15321, pp. 107-109.
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possono presentarsi, cioè, nella veste di monogrammi17, ambigrammi18, anagrammi e sono disseminate in ogni direzione, non solo in orizzontale in modo da essere leggibili da sinistra verso destra, ma anche in senso verticale; oppure in senso obliquo; oppure in alto e in basso contemporaneamente, collocate sopra e sotto la riga su cui dovrebbe essere tracciata la parola19. A volte, le lettere sono rovesciate oppure scritte al contrario, in modo che siano percebili solo leggendole da sinistra verso destra20. Questo genere di artifizi è frequente nelle sottoscrizioni e nelle note di possesso in epoca altomedievale21, spesso per motivi apotropaici22 e costituisce una 17
V. GARDTHAUSEN, Das alte Monogramm, Leipzig 1924. D. R. HOFSTADTER, Ambigrammi. Un microcosmo ideale per lo studio della creatività, Firenze 1987. 19 Sulle infinite applicazioni di questo principio e di altri simili effetti ottici in campo grafico si veda G. POZZI, La parola dipinta, Milano 1981; Lettere come simboli. Aspetti ideologici della scrittura tra passato e presente, a cura di P. DEGNI, Udine 2012 (Libri e Biblioteche, 29). 20 Nel medioevo troviamo molti casi di scrittura “capovolta” o rovesciata: l’esempio più celebre è quello degli “exultet” dell’Italia meridionale nei quali il fenomeno nasce da esigenze rituali, ma esistono molti altri casi di nomi capovolti o di frasi capovolte, per motivi magicoreligiosi di antichissima origine. Si vedano, per i nomi capovolti in Irlanda e Inghilterra: A. S. MACALISTER, The History and Antiquities of Inis Cealtra, in Proceedings of the Royal Irish Academy 33 (1916), pp. 93-174, in particolare p. 153, pl. XX; ID., The “Druides” Inscription at Killeen Cormac, County Kildare, in Proceedings of the Royal Irish Academy, Section C: Archaeology, Celtic Studies, History, Linguistics, Literature, 32 (1914-1916), pp. 227-238; ID., Corpus Inscriptionum Insularum Celticarum, II, Dublin, 1949, pl. XXXVIII; D. MCMANUS, A Guide to Ogam, Maynooth 1991 (Maynooth Monographs, 4), p. 61; G. PETRIE, Christian Inscriptions in the Irish Language, Cambridge 2015, pp. 40-41; C. A. GRESHAM, Medieval stone carving in North Wales: sepulchral slabs and effigies, Cardiff 1968, pp. 106 e 146. Si vedano per le frasi capovolte: A. FARAONE – A. KOPP, Inversion, adversion and perversion as strategies in Latin curse tablets, in Magical practice in the Latin West. Papers from the international conference held at the University of Zaragoza, 30 Sept.-1 Oct. 2005, a cura di R. L. GORDON – F. M. SIMÓN, Leiden – Boston 2010, pp. 381-398; A. WILBURN, Materia Magica: The Archaeology of Magic in Roman Egypt, Cyprus, and Spain, Ann Arbor Mich. 2012, pp. 219-253. 21 B. BISCHOFF, Paleografia latina: antichità e medioevo, Padova 1992 (Medioevo e umanesimo, 81), p. 253. Vedi anche A. R. NATALE, Note paleografiche. Singula littera: Le origini sacrali dell’abbreviazioni per sigla, in Aevum 24 (1950), pp. 1-9; D. A. KING, The Ciphers of the Monks: A Forgotten Number-notation of the Middle Ages, Stuttgart 2001; N. GIOVÈ MARCHIOLI, “Scriptus per me”. Copisti, sottoscrizioni e scritture nei manoscritti della Biblioteca Antoniana, in Il Santo. Rivista francescana di storia, dottrina e arte, ser. 2°, 43 (2003) pp. 671-69; EAD., Rispettare, modificare, ignorare. Sull’uso dei nomina sacra nel documento italiano altomedievale, in Lettere come simboli cit., pp. 95-118; F. TRONCARELLI, L’antica fiamma. Boezio e la memoria del sapere antico nell’alto medioevo, Roma 2017 (Temi e testi, 162), pp. 132-149; Material History of Medieval and Early Modern Ciphers: Cryptography and Early Modern Ciphers, a cura di K. ELLISON – S. KIM, New York 2018. 22 A proposito di simili abbreviazioni speciali Andrea Piras ha parlato giustamente di “cifrature, non solo grafiche ma ideografiche … segni evocativi o espedienti talismanici per siglare i nomi di persona a fini apotropaici: dall’antichità classica, mediterranea e orientale, al medioevo, si rinvengono usi criptici, esorcistici e scaramantici delle abbreviazioni, per 18
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sorta di contrassegno in forma crittografica dell’identità di coloro che volevano sottolineare la loro presenza nei manoscritti in modo discreto e comprensibile solo a pochi. Siamo di fronte ad annotazioni che non sono semplici da intendere e che esigono un impegno notevole da parte di chi cerchi di comprenderle. E tuttavia uno sforzo in questo senso deve essere fatto, a meno di non chiudere volontariamente gli occhi di fronte a testimonianze preziose: una reazione diffidente o scettica davanti a simili enigmi non è certo la più adeguata e dimostra solo l’incompetenza e la superficialità di chi si arresta alla banale costatazione che certe parole non sono leggibili per il profano. I paleografi23 e i diplomatisti24 sono abituati a cimentarsi con questo genere di problemi, che, peraltro, riguardano direttamente anche gli storici della cultura: infatti molti autori in età tardoantica e carolingia si sono dedicati alla creazione di tali enigmi, mettendo a dura prova le capacità del lettore25. Non c’è bisogno di soffermarci a lungo su fenomeni ben conosciuti: ci basta solo evocarli sullo sfondo dei problemi che siamo costretti ad affrontare nelle pagine seguenti, specificando — ammesso che sia necessario — che le interpretazioni proposte non sono arbitrarie e poggiano il loro fondamento sui metodi largamente utilizzati dagli studiosi di storia della scrittura, sia di carattere strettamente paleografico, sia di carattere tecnico, come ad esempio gli ingrandimenti di dettagli fotografati a raggi ultravioletti o proteggere l’identità del nome”. A. PIRAS, Recensione a: Lettere come simboli cit., in Litterae caelestes 5-6 (2013), p. 216. 23 Tra i numerosi studi su simili temi ricordiamo B. BISCHOFF, Elementarunterricht und probationes pennae in der ersten Hälfte des Mittelalters, in Mittelalterliche Studien, 1, Stuttgart 1966, pp. 74-87; ID., Übersicht über die nichtdiplomatische Geheimschriften des Mittelalters, ibid., 3, Stuttgart 1981, pp. 120-148. 24 Segnaliamo su simili temi due articoli recenti con aggiornata bibliografia: F. SANTONI, Un monogramma antico e una formula nuova: note intorno alle carte ravennati di XI-XII secolo, in Virtute et labore. Studi offerti a Giuseppe Avarucci per i suoi settant’anni, a cura di R. M. BORRACCINI – G. BORRI, Spoleto 2008, pp. 43-76, in particolare pp. 15-16; A. GHIGNOLI, Segni di notai. Scrivere per note e per segni in testi di chartae pisane dei secoli VIII-XI, in Bullettino dell’Istituto Storico italiano per il Medioevo 115 (2013), pp. 45-95. 25 Publilii Optatiani Porfyrii Carmina, a cura di G. POLARA, I-II, Torino 1973. Sull’argomento vedi: C. DEROUX, The Carmina of Publilius Optatianus Porphyrius and the creative process, in Studies in Latin Literature and Roman History, a cura di C. DEROUX, 12, Bruxelles 2005, pp. 447-466; I. ERNST, Carmen figuratum. Geschichte des Figurengedichts von den antiken Ursprüngen bis zum Ausgang des Mittelalters, Köln 1991; Graphische Symbole in mittelalterlichen Urkunde, a cura di P. RÜCK, Stuttgart 1996; C. CHAZELLE, The Crucified God in the Carolingian Era: Theology and Art of Christ’s Passion, Cambridge 2001; M. J. PERRIN, La poésie de cour carolingienne, les contacts entre Alcuin et Hraban Maur et les indices de l’influence d’Alcuin sur l’In honorem sanctae crucis, in Annales de Bretagne et des Pays de l’Ouest 111 (2004), pp. 333-351; I. H. GARIPZANOV, The Symbolic Language of Royal Authority in the Carolingian World (c. 751-877), Leiden – Boston 2008, pp. 157-202.
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infrarossi26, riprodotti con alto contrasto, che permettono di leggere quello che ad occhio nudo sfugge. Applicando con scrupolo tali accorgimenti si possono ottenere risultati plausibili, che devono poi, naturalmente, essere corroborati da altre controprove. Ad esempio, se certe annotazioni o certe parole e certe lettere si ripetono più volte, sia nel contesto dei codici che esaminiamo, sia in altre testimonianze coeve, possiamo avere un elemento di supporto alla prima ipotesi di lettura. Allo stesso modo, se le note che si riescono a leggere, si rimandano l’una con l’altra, ripetendo nomi, qualifiche e singole parole, è possibile confermare l’identificazione di lettere a volte ai limiti della comprensibilità. A parte ciò, è evidente che ogni proposta di lettura di testi difficili va correlata con una serie di informazioni di altro tipo che rendono credibile l’ipotesi che viene presentata. Valga per tutti l’esempio dell’Ott. lat. 35, di cui ci occuperemo più avanti, annotato presumibilmente a Glastonbury nella prima metà del X secolo, che riporta la nota di possesso dell’abbazia di Montblandin nelle Fiandre, databile nella seconda metà del X secolo, che non solo è poco leggibile, ma è anche inattesa e apparentemente enigmatica: in realtà il testo della nota è plausibile, poiché Dunstan, abate di Glastonbury, fu esule proprio presso l’abbazia di Montblandin nel 957. Tenendo presente questi orientamenti, procederemo nell’analisi delle annotazioni. Le prime note da considerare sono quelle che riguardano un personaggio che dovrebbe chiamarsi Leutaldus, variante di Leotaldus27: a questo nome, infatti, rimanda una serie di testimonianze convergenti, costituite da sigle, compendi o da anagrammi dello stesso nome, scritte nella stessa epoca (a giudicare dalla forma delle lettere ancora leggibili) e successivamente cancellate o erase, disseminate nei margini del Vat. lat. 3363 e dell’Ott. lat. 35. A prima vista si direbbe che siano vere e proprie sottoscrizioni autografe, ma questa valutazione, probabile, non può essere adeguatamente comprovata, poiché quasi sempre le note sono state cancellate, ripassandole con inchiostro o addiritura erase: è, dunque, difficile distinguere la forma originale delle lettere. In ogni caso, va osservato che alcune di esse, pur sfigurate dall’inchiostro, sembrano appartenere alla 26 Su questo tema si veda l’illuminante contributo degli esperti tecnici, attivi nel laboratorio fotografico della Biblioteca Apostolica Vaticana, che hanno realizzato anche la maggioranza delle foto pubblicate in questo articolo: I. SCHULER – C. FONTANA – E. FALCIONI, Oltre il visibile: tecniche fotografiche multispettrali per il recupero di materiale manoscritto, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 23 (2017), pp. 569-610. 27 Nell’alto mediovo una simile oscillazione ortografica è normale, perfino nelle sottoscrizioni degli stessi personaggi: Recueil des chartes de l’abbaye de Cluny, a cura di A. BERNARD – A. BRUEL, Paris 1876-1903, I, p. 582 (n° 625): “Leutaldus et uxor mea Berta”, Marzo 943; ibid, I, pp. 609-610 (n° 655): “ego Leotaldus et uxor mea Berta,” Febbraio 944; ibid, I, p. 633 (n° 680): “ego Leutoldus et uxor mea Berta,” Marzo 946.
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stessa mano, certamente contemporanea a quelle che copiano i due codici che consideriamo. La nota più ricca di informazioni è stata tracciata nell’Ott. lat. 35, sul margine destro del f. 28r, nella parte inferiore, disponendo le parole in senso verticale lungo il bordo della pagina, una sull’altra. Il testo che possiamo ricavare è il seguente: LEUALUS CLS CUTOS AEUNE Se non andiamo errati, i quattro gruppi di lettere corrisponderebbero a quattro parole in forma di normale abbreviazione per contrazione, ma nell’ultima ci sarebbe oltre che l’abbreviazione, anche l’inversione di due lettere. Il testo si potrebbe leggere così: LEU(T)al(d)us CL(ericu)s Cu(s)ToS AU(r)E(lia)ne(nsis) (Tav. Ia-b). Nell’Ott. lat. 35 troviamo almeno altre due note della stessa natura: a f. 37v, sul margine destro, metà inferiore, ce n’è una simile, cancellata e resa quasi quasi indecifrabile, nella quale si leggono lettere come “L”, “U” ed “S”; a f. 21r, nel margine superiore, si distingue chiaramente “LUAUS” che può essere letto come “L(e)U(t)A(ld)US”. Anche nel Vat. lat. 3363 ritroviamo simili gruppi di lettere: l’annotazione più interessante si legge ancora con l’ausilo della lampada a raggi ultravioletti nel margine inferiore di f. 6v, dove si vedono, con difficoltà, alcuni gruppi di lettere disposte irregolarmente sul rigo: FE ADLS LeuTALdvs È possibile che vi sia qualche altra lettera scarsamente visibile (come una “I” dopo “Fe”). In ogni caso, le lettere visibili si possono ricomporre in un insieme, partendo dall’idea che alcune di esse siano disposte in forma di monogramma e vadano invertite o disposte diversamente, come avviene di frequente nelle sottoscrizioni e nelle sigle di documenti medievali. Se non ci inganniamo si può ricavare questo testo: Fe(cit) Ad(a)lg(audo) Leutaldus (Tav. II)28. 28 Le annotazioni e i nomi che abbiamo ricordato ci rimandano ad altri manoscritti coevi, attribuiti dagli studiosi a Fleury o alla regione della Loira. La formula “Fecit Adalgaudo
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Il nome di un personaggio che si chiama Adalgaudo in un codice che Bischoff ed altri studiosi hanno concordemente datato al primo trentennio del IX secolo e attribuito alla regione della Loira ci rimanda a quello dell’omonimo abate di Fleury, che occupò questa carica tra 818 e 833, ma poi ritornò nella condizione di semplice monaco e visse almeno fino all’841: fratello e corrispondente di Lupo di Ferrières29, Adalgaudo aveva un forte interesse nei confronti di Boezio, l’autore tràdito dal Vat. lat. 3363, e compose un commento (perduto) a una sua opera imprecisata, ricordato con accenti di ammirazione da Lupo30. Anche Leutaldus/Leotaldus è stato un corrispondente di Lupo di Ferrières e, dovunque fosse nato, era “un personnage de la région orléanaise”31 che, intorno all’840-841, era spiritualmente e concretamente vicino a Lupo e Adalgaudo, visto che ne condivideva l’attiva e non certo prudente opposizione nei confronti del potente Agio di Orléans, che cercava di impadronirsi di possedimenti dell’abbazia di Ferrières32. Identificare questo corrispondente dell’abate di Ferrières con quello citato nelle annotazioni ai codici che abbiamo ricordato è dunque estremamente plausibile: depongono in questo senso in modo determinante la presenza del suo nome e quello di Adalgaudo nell’epistolario di Lupo e la sua appartenenza a una cerchia ristretta di personaggi della regione di Orléans, ostili al vescovo Agio. Non è chiaro a quale “ecclesia” appartenesse Leotaldo, ma in ogni caso la qualifica di custos ecclesiae è del tutto compatibile con la sua funzione di scriba o piuttosto di capo di una piccola officina scrittoria (visto che i Leutaldus” richiama espressioni come “Theotildis abbatissa fieri ordinavit, Agambertus fecit” del Valenciennes 59, scritto a Fleury nell’8061 cfr. J. MANGEART, Catalogue descriptif et raisonné des manuscrits de la Bibliothèque de Valenciennes, Paris 1860, pp. 50-52; L. DELISLE, Recension au Catalogue descriptif et raisonné des manuscrits de la Bibliothèque de Valenciennes, in Journal des Savants, Juin-Sept. 1860, pp. 1-22; B. BISCHOFF, The Court Library of Charlemagne, in Manuscripts and libraries in the age of Charlemagne, a cura di M. GORMAN, Cambridge 1994, pp. 93-114, in particolare p. 32, n. 53. 29 A. RICCIARDI, L’Epistolario di Lupo di Ferrières. Intellettuali, relazioni culturali e politica nell’età di Carlo il Calvo, Spoleto 2005 (Istituzioni e società, 7), p. 23, n. 67. 30 LUPUS FERRARIENSIS, Epistolae, a cura di P. K. MARSHALL, Leipzig 1994, n. 8, pp. 17-19. Non si conosce quale fosse l’opera di Boezio commentata da Adalgaudo: qualche studioso ha avanzato l’ipotesi che si trattasse dell’esposizione del commento boeziano dei Topica di Cicerone, menzionati in un’altra lettera di Lupo, ma questa congettura non è basata su nessun elemento concreto. In ogni caso, è evidente dalla lettera di Lupo che l’interesse di Adalgaudo per le opere di Boezio non era occasionale: come l’abate di Ferrières, egli si interessava alle opere di Boezio con metodo ed impegno. 31 “Adalgaud est, d’après la lettre [6 et 8 de Loup] un personnage de la région orléanaise” (Loup de Ferrières, Correspondance, a cura DI L. LÉVILLAIN, Paris 1927, p. 107, n. 6). 32 Ricciardi, L’epistolario cit., pp. 136-141.
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due codici di cui ci occupiamo sono opera di diverse mani). La sua figura è simile a quella di altri personaggi che ricoprivano le stesse funzioni nel IX secolo e che hanno lasciato ricordo della loro attività di amanuensi o di coordinatori di amanuensi, come ad esempio il Lotharius custos (o sacrista) della chiesa dell’abbazia di Saint Amand († 828), lodato da Alcuino, che trascrisse o fece trascrivere molti volumi, “augens … bibliothecam”33. Il custos (o sacrista) di una chiesa aveva a disposizione lo spazio adatto e i mezzi necessari per riprodurre o far riprodurre codici. Infatti tra i suoi compiti c’era anche quello di custode dei libri della sacrestia, che servivano alle funzioni ecclesiastiche: doveva dunque provvedere a sostituirli con nuove copie, in caso di necessità e rifornire la biblioteca della sacrestia con volumi giudicati opportuni. Qualora egli avesse goduto di una certa autonomia e autorevolezza, come il Lotharius apprezzato da Alcuino, è evidente che poteva permettersi il lusso di realizzare qualche volume un po’ speciale, come il Boezio del Vat. lat. 3363. E di un manoscritto davvero speciale si trattava. Infatti esso derivava da un codice tardoantico molto particolare, certamente all’altezza delle due copie più autorevoli della Consolatio che circolavano negli stessi anni nella stessa regione: l’Orléans, Méd. 270, scritto per il vescovo Giona di Orléans intorno all’826, a partire da un originale tardoantico (o da una sua copia fedele) che veniva da Verona34 e il Firenze Biblioteca Laurenziana, plut. 14, 15, commissionato da Lupo di Ferrières intorno all’829 a quell’Albinus che lavorò anche per Adalgaudo, che riproduceva un altro antigrafo certamente tardoantico35. Rispetto a questi due codici, nei quali si coglie ancora visivamente l’ombra degli archetipi tardoantichi, il volume preparato da Leotaldo regge il confronto e mostra una sua identità inconfondibile. Non solo perché ricalca, al pari di quella degli altri due, la struttura codicologica caratteristica dell’edizione tardoantica della Consolatio, ma anche e soprattutto perché presenta un aspetto davvero singolare, che si spiega, come ha detto Parkes, solo facendo riferimento al suo modello antico: la disposizione in alcuni carmi di due versi sullo stesso rigo, separati da un punto. Questa caratteristica configurazione della struttura della pagina ha precedenti antichi, come ad esempio il frammento di papiro della Biblioteca Laurenziana, Pap. P. S. I. 142 (CLA, III, 298) datato al V secolo d. C.36 e ha avuto una sua 33 Delisle, Recension cit., p. 10. Cfr. Annales Elnonens maiores, a cura di G. H. PERTZ, in MGH, Scriptores, V, Hannoverae 1844, p. 11; Bénédictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux des origines au XVIe siècle, Colophons signés L-O, Fribourg 1976 (Spicilegii Friburgensis subsidia, 4), p. 63. 34 TRONCARELLI, L’antica fiamma cit., pp. 173-175. 35 ID., Cogitatio mentis cit., pp. 38-40. 36 R. SEIDER, Paläographie der lateinischen Papyri, I, 1, Stuttgart 1978, pp. 150-152.
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voga solo tra XII e XIV secolo, per influsso di diversi fattori, a cominciare da quello esercitato dalla disposizione sul rigo dei versi dei Salmi37. Nel nostro caso, tuttavia, va fatta un’osservazione supplementare che integra ciò che gli studiosi hanno già notato: la pratica di disporre due esametri su un rigo viene utilizzata per una ragione speciale e serve per indicare carmi con una metrica variabile, non i carmi con esametri. Infatti i componimenti trascritti in questo modo sono tutti dimetri o multipli di un dimetro38: e cioè poemetti formati da coppie di versi identificabili immediatamente da chi conosce le regole della prosodia, siano essi disposti su un rigo o su due righe. La strategia grafico-estetica dell’archetipo presuppone la conoscenza della metrica antica e si rivolge a un lettore capace di scandire i versi in modo appropriato, come poteva avvenire solo nel VI secolo39. Leotaldo, evidentemente ispirato da Adalgaudo, provetto ricercatore di codici antichi rarissimi40, trascrisse un esemplare tardoantico certamente prestigioso, riproducendone le forme in una minuscola carolina elegante e scorrevole, alternata alla bella onciale di imitazione tipica delle Bibbie di Teodulfo e a una splendida capitale libraria, usando minio ripassato di argento. Fecit Leutaldus A conferma delle proposte che abbiamo fatto segnaliamo al lettore che sia nei codici di cui ci occupiamo, sia in altri manoscritti che provengono da Fleury o comunque dalla regione di Oléans, ritroviamo sia il nome di Leotaldo, sia quello di Adalgaudo, a volte insieme, a volte separatamente. 37
PARKES, Pause and effects cit., p. 291. Troviamo due versi in una sola riga ai ff. 6v-7r: I, c. 5 (dimetro anapestico catalettico); 7v-8r: I, c. 6 (gliconeo); 8v-9r: I, c. 7 (adonio); 12r-v: II, c. 3 (saffico e gliconeo); 14r: II, c. 4 (dimetro giambico catalettico); 16r: II, c. 5 (paremiaco); 17v: II, c. 6 (saffico); 20r: II, c. 8 (gliconeo); 22r-v: III, c. 2 (dimetro anapestico catalettico); 25r-v: III, c. 5 (paremiaco); 27r-v: III, c. 8 (asclepiadeo minore e dimetri giambici); 35v-36r: III, c. 12 (gliconeo); 41r: IV, c. 3 (gliconeo); 48r: IV, c. 6 (dimetro anapestico catalettico); 49v: IV, c. 7 (saffico); 53v: V, c. 3 (dimetro anapestico acatelettico). In un solo caso (f. 41v: V, c. 2) c’è un tetrametro dattilico che può comunque essere agevolmente scisso in due dimetri consecutivi. 39 Ci sarà qualche eco in codici più tardi di Boezio per es. nel Cambridge, Trinity College, O. 3. 7. 40 Valga per tutti l’esempio del rarissimo e autorevole codice di Macrobio, ricordato da Lupo, conservato a Londra, British Library, Harley 2736: cfr. B. MUNK OLSEN, L’Étude des auteurs classiques latins aux XIe et XIIe siècles, I, Paris 1982, p. 214 no. B. 247; M. WINTERBOTTOM, Cicero: Rhetorical Works: De oratore, Orator, Brutus, in Texts and Transmission: A Survey of the Latin Classics, a cura di L. D. REYNOLDS, Oxford 1983, pp. 103-0; BISCHOFF, Mittelalterliche Studien cit., pp. 123-124, 144. 38
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Nel Vat. lat. 3363 ci sono altre annotazioni che riportano gli stessi nomi. Sempre sul foglio 6v, a sinistra delle parole che abbiamo cercato di intendere in precedenza, troviamo infatti le lettere: “F, L, U, ∂” che possono essere interpretate come “F(ecit) Leu(tal)d(us)” (Tav. IIIa). Poco più sotto ci sono le lettere: “L, A” e poi “A, S”, che a loro volta possono valere per “Le(ut)a(ldus)” e come “A(dalgaudu)s” (Tav. IIIb). Lo scioglimento delle abbreviazioni che proponiamo è congruente con i metodi usuali con i quali si possono abbreviare le parole, per contrazione e per troncamento; ed è soprattutto congruente con quello che abbiamo segnalato in precedenza e che possiamo vedere in altri codici coevi della stessa regione. Non è strano infatti proporre di leggere “Le+S” come contrazione per “Leutaldus” visto che abbiamo trovato già nella stessa pagina del Vat. lat. 3363 questo stesso nome scritto per esteso. E non è strano neppure proporre di sciogliere la contrazione “A+S” con “Adalgaudus” visto che sulla stessa pagina troviamo una contrazione dello stesso nome con un maggior numero di lettere e visto che, in seguito, questo nome ritornerà di nuovo, ripetutamente, a volte per esteso, a volte in forma contratta, nello stesso manoscritto e in altri esemplari della stessa epoca e dello stesso ambiente. A questo proposito, segnaliamo che a f. 58r del Vat. lat. 3363, sono state graffiate a secco nel margine inferiore le lettere “FI” e “LEU” che rimandano all’annotazione di f. 6v e si possono leggere: “FE(cit) LEU(taldus)”. Lo stesso nome rievocano le lettere “L”, “E”, “U”, “T”, “D” “U”, che ancora si leggono nel margine destro inferiore di f. 7r nonostante il tentativo di cancellarle. A Leotaldo deve riferirsi anche il monogramma parzialmente cancellato con l’inchiostro, visibile nel margine inferiore di f. 7r, costituito dalle lettere “LU” che si può leggere “L(eotald)U(s)” (Tav. IIIc). Un altro monogramma interpretabile come “Leotaldus” è quello che si trova nel margine superiore di f. 54v formato dalle lettere “L”, “A”, “U”, “S” (Tav. IVa). La presenza di Adalgaudo nel Vat. lat. 3363 è a sua volta confermata da più di un’annotazione. Ne segnaliamo qualcuna, come ad esempio a f. 9r, dove sono state graffiate a secco nel margine destro inferiore tre gruppi di lettere: “A D G ᴧ L G A u ∀G u ᔕ”. È facile osservare che si tratta di combinazioni diverse del nome “Adalgaudus” che si ricompongono in questo modo: “a d ᴧ (l) g(audus)” “A (a)L G(a)u(dus)” “A (da)LG(a)u(d)us” (Tav. IVb).
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Più articolata è la nota nel margine destro, in basso, del f. 18r, cancellata con inchiostro, ma ancora parzialmente visibile, nella quale si leggono diverse lettere, disposte disordinatamente su tre righe: nella prima ci sono “a L G u” e poi “A, ∂, u, Á, S”. nella riga sotto ci sono le lettere “FL LO” e in quella successiva “LE EM, ME LE”. L’insieme risulta a prima vista enigmatico, ma se non ci inganniamo può essere ricostruito confrontandolo con un caso simile, scritto da una mano del IX secolo nei margini di un codice appartenuto verosimilmente ad Adalgaudo41 e comunque proveniente dalla sua abbazia, il già ricordato Orléans Méd. 270, in cui figura un’altra volta il nome di Adalgaudo e una frase costruita nello stesso modo, con uno stesso gioco di parole che esprime un concetto analogo. Nel codice vaticano le lettere su tre righe che abbiamo esaminato potrebbero essere infatti contrazioni di nomi e di parole, a volte disposte normalmente, a volte anagrammate, com’è frequente in un gran numero di sottoscrizioni medievali42. Se la nostra interpretazione è giusta potrebbero essere intese in questo modo: “A(da)LG(a)U(dus) A(bbas) FL(oriacensis) LO(ci)43 Le(git) EM = ME, Me Le(git) (Tav. Va). Questa frase è simile a quella che possiamo ricostruire a partire dalle abbreviazioni scritte da una mano del IX secolo, disseminate sulla p. 230 del codice Orléans, Méd., 270, in cui troviamo “AD(al)G(a)U(dus) LE(git) HO(c), HO(c) LE(git)” (Tav. Vb). L’abate Adalgaudo aveva la tendenza a ripetere più volte il suo nome nei margini dei manoscritti che possedeva, utilizzando diversi tipi di monogrammi o abbreviazioni, ma a volte ripetendo addirittura le stesse clausole, le stesse formule. Ne ritroviamo traccia in altri codici di Fleury, attribuibili al primo trentennio del IX secolo, come il Paris BNF, lat. 5763 (ff. 44r e 99v: Tav. VIa-b) e l’Orléans, Méd. 27044, nei margini dei quali ricorre spesso, abbreviato o per esteso, il suo nome. 41
TRONCARELLI, L’antica fiamma cit., p. 175. A puro titolo d’esempio ricordiamo un acuto articolo su simili forme di sottoscrizioni o di parole scritte al contrario o anagrammate: BISCHOFF, Mittelalterliche cit., pp. 122, 157. 43 Questo modo di designare l’abbazia di Fleury era normale per i monaci di questo cenobio: cfr. “Arnulfus … prelatos huius Floriacensis loci dilexit”, AMOINUS, De miraculis S. Benedicti, Recueil des historiens des Gaules et de la France, 9, a cura di L. DELISLE, Paris 1874, lib. I, p. 142: “Arnaldus, post eum Floriacensis loci rector constitutus, nobiliter eumdem locum biennio rexit”, ANDREAE FLORIACENSIS Vita Gauzlini, in Quellenbuch zur Kunstgeschichte des abendländischen Mittelalters, a cura di J. VON SCHLOSSER, Wien 1896, p. 187 (ibid., p. 189: “melioratione Floriacensi loci”). 44 L’identità di mano del copista della prima parte del codice di Orléans e dei primi fogli di quello di Parigi è stata sottolineata più di una volta da Bischoff e ribadita anche da altri studiosi: si veda B. BISCHOFF, Katalog der festländischen Handschriften des neunten Jahrhun42
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Tra queste annotazioni sono degne di attenzione quelle che troviamo in un codice di opere boeziane, che testimonia ancora una volta l’attrazione di Adalgaudo per Boezio attestata da Lupo di Ferrières e conferma indirettamente il suo possibile interesse per il Vat. lat. 3363. Ci riferiamo ai compendi del suo nome sul foglio di guardia e sul foglio 1v di un manoscritto attribubile a Fleury, datato alla prima metà del IX secolo, che contiene l’allora rara traduzione boeziana del Περὶ ἑρμηνείας di Aristotele45 (Philadelphia, Kislak center, Rare Book and Manuscript Library University of Pennsylvania, LJS 101: Tav. VII). In loco, qui dicitur Aethelingaeg Il Vat. lat. 3363 fu verosimilmente conservato a Fleury, dove Adalgaudo era abate. È probabile che egli lo abbia commissionato a un personaggio come Leotaldo, un chierico che operava al di fuori dell’abbazia, perché voleva possederne una copia privata, da custodire nella sua piccola biblioteca personale, distinta da quella del monastero. Non era un’iniziativa inconsueta. Più meno negli stessi anni, l’abate Grimoaldo di San Gallo ha una copia personale della Consolatio di Boezio, diversa da quelle che sono nella biblioteca del suo cenobio. Possiamo dire lo stesso anche di Lupo di Ferrières e della copia della Consolatio che egli affidò inizialmente al chierico Albinus, esterno alla sua abbazia, che in seguito fu terminata a Fulda dove era stata portata ancora non finita dallo stesso Lupo, insieme al suo antigrafo46. In seguito, Adalgaudo riuscì a procurarsi il codice della Consolatio che era appartenuta al vescovo Giona di Orléans morto nell’842, il già menzionato Orléans, Méd., 27047. Questo esemplare, dopo essere stato nelle mani di Adalgaudo, fu utilizzato dai monaci di Fluery, come mostrano le numerose glosse attribuibili a mani floriacensi coeve che troviamo nei margini48. Sembra plausibile pensare che la biblioteca personale di Adalgaudo confluisse in quella principale del monastero dopo la sua morte, che non può essere molto più tarda della metà del IX secolo: in questa fase anche i confratelli di Adalgaudo ebbero modo di leggere la Consolatio e di riflettere sul suo contenuto, e postillarono con una fitta trama di note l’Orléans, Méd. derts (mit Ausnahme der wisigotischen), III, Wiesbaden 2014, p. 115 (“wohl Fleury”); MOSTERT, The library of Fleury cit., p. 214. 45 TRONCARELLI, L’antica fiamma cit., pp. 97-152. 46 E. K. RAND, Pricking in a Manuscript of Orléans, in Transactions and Proceedings of the American Philological Association 70 (1939), pp. 327-241; E. J. DALY, An early ninth century manuscript of Boethius, in Scriptorium, 4 (1950), pp. 205-219. 47 TRONCARELLI, L’antica fiamma cit., p. 175. 48 ID., L’ombra di Boezio cit., p. 254.
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270, forse riportando molte di quelle che Adalgaudo stesso aveva scritto, se il già ricordato commento a Boezio, menzionato in una lettera di Lupo, era — com’è possibile — un commento alla Consolatio. Quanto alla prima parte dell’Ott. lat. 35, non è impossibile immaginare che abbia avuto uno stesso destino. Le poesie di Sedulio sono stato molto spesso associate nel Medioevo alla Consolatio e alla Psychomachia che precedeva la Consolatio all’inizio del Vat. lat. 336349. Dal momento che, come si è detto, questo codice proviene dal piccolo scriptorium di Leotaldo che trascriveva Boezio e Prudenzio per conto di Adalgaudo, si può pensare che il chierico di Orléans rifornisse abitualmente l’abate di Fleury o altri dotti personaggi di codici di autori congruenti tra loro: opere non molto estese, facili da copiare, che ispiravano un’onesta saggezza e una virtù vigorosa, occupando un posto a sé stante nelle letture degli uomini colti di età carolingia. Ben presto comunque i due codici furono portati in Inghilterra. Lo testimoniano quelle glosse nei loro margini che costituivano un piccolo enigma per Bischoff e che sono scritte quasi tutte in grafie ibride che mescolano in vario modo carolina e minuscola insulare. Come si è detto all’inizio alcune di tali annotazioni nel Vat. lat. 3363 sono attribuibili alla mano di san Dunstan, coadiuvato da qualche collaboratore, con grafie che ritroveremo (come vedremo più avanti) anche nell’Ott. lat. 35: ma prima di esaminarle, vale la pena soffermarsi sulla maggioranza delle postille più antiche, databili all’epoca di Asser, con abbreviazioni tipiche del Galles e della Cornovaglia (in un caso c’è addirittura la traduzione di un termine latino con una parola in «late ninth-century Cornish»50). Esse sono talmente numerose, fitte, continue e sistematiche da rendere inverosimile l’ipotesi che possano essere state scritte sul continente, per la improvvisa ispirazione di un isolato scriba itinerante che proveniva dall’Inghilterra51 o che siano state scritte da amanuensi inglesi che usano una scrittura gallese di imitazione52. È logico invece ritenere che tutte queste note debbano essere attribuite all’attività sistematica di glossatori interessati a Boezio in un’area che comprende il Galles e la Cornovaglia53 e siano state apposte in una fondazione che si trova in questa zona geografica, che abbia avuto rapporti significativi con la Francia, da dove i due codici provenivano. Ci aiuta ad identificare tale istituzione una nota di possesso semican49 ID., Cogitatio mentis cit., p. 106. 50 P. SIMS-WILLIAMS, A new Brittonnic
gloss on Boethius: ud rocashaas, in Cambrian Medieval Celtic Studies 50 (2005), pp. 76-86. 51 Si veda su questa ipotesi peregrina TRONCARELLI, L’ombra di Boezio cit., pp. 231-232. 52 SIMS-WILLIAMS, A new Brittonic cit., pp. 76-77. 53 Ibid., p. 77.
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cellata sul margine destro del f. 33r, parzialmente sfigurata dalla rifilatura delle pagine al momento della legatura, ma ancora perfettamente leggibile. Vergando le parole parallelamente al bordo del foglio, una mano dell’IX secolo ha scritto: “de aitny” (Tav. VIIIa). A nostro parere questa abbreviazione per contrazione si può leggere: “de Ait(hel)n(e)y” e si dovrebbe riferire alla celebre abbazia di Athelney nel Somerset, che nelle carte medievali è chiamata così da epoca antica54. A questa nota di possesso fa riscontro una seconda annotazione parzialmente cancellata ed erasa, scritta al f. 36v: una mano più o meno coeva, a quella precedente, ha vergato in una piccola e irregolare capitale rustica ˇ ” che dovrebbe significare “AIT(h)ALN(AY)”, corrispondente alla “AITALN forma “Athalnay” che ricorre nei documenti medievali55 (Tav. VIIIb). L’esistenza di codici continentali in tale abbazia è perfettamente comprensibile: è noto infatti che in questa fondazione voluta da Alfredo il Grande dopo l’87856 furono chiamati monaci “quamplures gentis … Gallicae”57. Il primo abate di questo monastero veniva a sua volta dal continente e si chiamava Giovanni Scoto, di stirpe “Eald-Saxon”58: è forse proprio a lui che dobbiamo attribuire il monogramma, parzialmente cancellato, che distinguiamo con un certo sforzo sul foglio 35v dell’Ott. lat. 35, dove c’è la nota di possesso: una “I H S”, nel margine alto, in capitale, che viene 54 Two Cartularies of the Benedictine Abbeys of Muchelney and Athelney in the County of Somerset, a cura di E. H. BATES, London 1899 (Somerset Record Society, 14), pp. 129-132. 55 Ibid., p. 156. 56 D. KNOWLES, The monastic order in England: A history of its development from the times …, pp. 2-3. Vedi anche W. DUGDALE, Monasticon Anglicanum or The history of the abbeis, and other monasteries, hospital, freiries and cathedral and collegiate churches in England and Wales, London 1819, p. 402. 57 ASSER DE SHERBORNE, Histoire du roi Alfred. Une source majeure de l’histoire de l’Angleterre au IXe siècle, a cura di A. GAUTIER, Paris 2013 (Classique de l’Histoire du Moyen Ages, 52), capp. 92 e 94, pp. 158-161:“Duo monasteria construi imperavit: unum monachorum in loco, qui dicitur Aethelingaeg, quod permaxima gronna paludosissima et intransmeabili et aquis undique circumcingitur, ad quod nullo modo aliquis accedere potest nisi cauticis, aut etiam per unum pontem, qui inter duas arces operosa protelatione constructus est: in cuius pontis occidentali limite arx munitissima praefati regis imperio pulcherrima operatione condita est; in quo monasterio diversi generis monachos undique congregavit et in eodem collocavit… Primitus Iohannem, presbyterum monachum, scilicet Eald-saxonum genere, abbatem constituit; deinde ultramarinos presbyteros quosdam et diaconos. Ex quibus, cum nec adhuc tantum numerum, quantum vellet, haberet, comparavit etiam quamplurimos eiusdem gentis Gallicae, ex quibus quosdam infantes in eodem monasterio edoceri imperavit, et subsequenti tempore ad monachicum habitum sublevari. In quo etiam monasterio unum paganicae gentis edoctum in monachico habitu degentem, iuvenem admodum, vidimus, non ultimum scilicet eorum”. 58 Su questo personaggio si veda M. LAPIDGE, John the Old Saxon, in Oxford Dictionary of National Biography, 30, Oxford 1960, p. 204.
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ripetuto nel margine a sinistra da un’altra mano meno raffinata in forma di abbreviazione “JHS”. Schiarendo la foto a raggi X di questo dettaglio, si riesce a leggere sotto lo strato più superficiale dell’inchiostro con cui le lettere sono state ripassate per cancellarle. Si distinguono così altre lettere che si ricompongono in queso modo:” I H S c t u s”. Ricomponendo le lettere si può leggere: “I(o)h(annes) Sc(o)tus” (Tav. IX). È dunque verosimile che l’Ott. lat. 35 sia giunto nel sud dell’Inghilterra alla fine del IX secolo grazie all’impulso di Alfredo il Grande teso a importare uomini e libri dal continente per arricchire la vita spirituale del suo paese. Non ci sembra temerario pensare che anche il Vat. lat. 3363, copiato nello stesso scriptorium e proveniente dalla stessa area geografica abbia subito la medesima sorte nell’ambito di una fitta e costante trama di relazioni tra le istituzioni culturali della valle della Loira e in particolare Fleury con l’Inghilterra tra X e XI secolo59. Asser episcopus La possibile presenza simultanea dei due codici di cui ci occupiamo nell’abbazia di Athelney nell’ultimo quarto del IX secolo è un’ipotesi ragionevole: è invece una certezza la loro comparsa a Sherborne, distante pochi chilometri, tra la fine del IX e gli inizi del X secolo. Sappiamo che la vita dell’abate Giovanni fu travagliata e che i suoi monaci tentarono di assassinarlo: è possibile che egli si sia trasferito altrove e abbia abbandonato i suoi preziosi codici continentali, che avranno destato l’interesse di persone consapevoli. Ma anche se questo non fosse vero, in ogni caso un simile interesse emerse comunque a Sherbone, dopo l’elezione a vescovo di Asser, il dotto consigliere e biografo di Alfredo, un uomo di grande cultura, impegnato a preparare un commento della Consolatio di Boezio per agevolare la traduzione dell’opera da parte del re e del suo entourage. Fiumi di inchiostro sono stati versati su questo argomento e sul problema della effettiva paternità della versione in volgare di Boezio, tradizionalmente attribuita ad Alfredo: risparmiamo al lettore la citazione dettagliata di una letteratura scientifica che a volte è di alto livello, a volte non brilla per lucidità, nonostante gli indubbi progressi degli ultimi tempi, che hanno portato, tra le altre cose, alla nuova, monumentale edizione critica della traduzione boeziana60. 59 M. MOSTERT, Relations between Fleury and England, in England and the Continent in the Tenth Century: Studies in Honour of Wilhelm Levison (1876-1947), a cura di D. ROLLASON – C. LEYSER – H. WILLIAMS, Turnhout 2010, pp. 185-208. 60 GODDEN – IRVINE, The Old English Boethius cit.
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Senza entrare nel merito di temi che non sono di nostra competenza, ci limitiamo ad attenerci alle testimonianze scritte. Come avevamo detto all’inizio il Vat. lat. 3363 presenta molte annotazioni di mano insulare dell’epoca e della cerchia del gallese Asser, nelle quali non è illogico pensare che vi possa essere traccia del suo commento perduto all’opera di Boezio, senza per questo dover affermare che tali annotazioni coincidono in tutto e per tutto con tale commento. Tale ipotetica presenza di Asser, segnalata nel 1981, viene ribadita oggi con nuovi argomenti, grazie alla lettura di una sua sottoscrizione, mai individuata fino ad ora, scritta capovolta nel margine inferiore del f. 20r, in caratteri minuscoli poi cancellati con inchiostro. In essa si distinguono le lettere: “Aeˉr”, abbreviazione per contrazione di “Asser” e la frase “Asser hoc le...” che significa “Asser hoc le[git]” (Tav. Xa-b). La mano che ha vergato l’annotazione è estremamente simile a quella di origine “gallese” che ha fittamente postillato i margini e l’interlinea del codice61: tipica di questa scrittura è la “A” di forma arcaica, con vistoso innalzamento del tratto verticale62. Nel codice di cui ci occupiamo almeno un’altra attestazione esplicita Asser: si tratta di una nota graffiata a secco sul margine superiore del f. 8r, leggibile con difficoltà solo con la lampada a raggi ultravioletti. L’annotazione, vergata in una grafia ibrida che alterna lettere della minuscola carolina del X secolo e della capitale rustica, recita “Asser M.” che significa “Asser mortuus” (Tav. XIa) e somiglia a osservazioni dello stesso tenore che troviamo nelle cronache altomedievali63. È presumibile che l’Ott. lat. 35 sia rimasto a Sherborne dopo la morte di Asser (909), come mostra una nota di possesso scritta da una mano databile nella prima metà del X secolo64, nel margine destro del f. 33r e poi 61
Forse con l’aiuto di un collaboratore. Cfr. TRONCARELLI, L’ombra cit., pp. 230-231. Si veda ad esempio la “a” della parola “alio” nella terza nota sul margine destro a f. 19v; quella della parola “adversam” nella quinta nota sullo stesso foglio; quella di “alcmanicum” nella prima nota sul margine destro a f. 40r. 63 Annales Cambriae (444 – 1288), a cura di J. WILLIAMS, London 1860, anno 909: “Asser defunctus est”; The Anglo-Saxon chronicle: The annals of St Neots with Vita prima Sancti Neoti, a cura di di D. DUMVILLE – S. KEYNE – M. LAPIDGE, Cambridge 1984 (The Anglosaxon Chronicle, 17), p. 505, anno 909: “Asser, episcopus Scireburnensis, obiit; et Frithestanus suscepit episcopatum Uuintonie.”. Secondo Mathew Parker, che curò un’edizione cinquecentesca delle Gesta Alfredi, in calce al codice che consultava era ricordata la morte di Asser (“Vetustus enim anonymus in calce libri Asseri De Ælfredi rebus gestis scribit “Asserum A (nno). D.(omini)Dcccix obiisse” London, 1574 p. 96). La notizia è però giudicata un’interpolazione del Parker da parte degli editori moderni del testo. Il codice, che riportava il testo di Asser, è stato distrutto nel 1731. 64 La scrittura è una tipica “English Caroline Minuscule” della prima metà del X secolo (si vedano gli esempi selezionati nella raccolta di T. A. BISHOP, English Caroline Minuscule, 62
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cancellata con l’inchiostro. Con l’aiuto della lampada a raggi ultravioletti possiamo leggere: “Ad aedeˉ Eíghuele m p’ cie q’ rec Euˉll” che si legge “Ad aede(s) Eighuel(lensis) m(onasterii), p(ost) ci(vitat)e(m) q(uam) rec(ludit) Eu(e)ll” e cioè “Presso la sede del monastero Eiwellense [= sul fiume Euell], dopo la città racchiusa dall’Euell” (Tav. XIb). Siamo, dunque, a Sherborne65, la città “racchiusa” dal fiume Euell, chiamato spesso nelle fonti Ewell o Ivel (grafia medievale del fiume che oggi si chiama per apocope Yeo66), che significa “fiume che si biforca” (infatti lo Ivel, detto oggi Yeo, si biforca all’altezza di Langport) e che bagna effettivamente il lato est, il lato nord e il lato ovest dell’area geografica entro cui è situata la città, formando una specie di “U” di una trentina di chilometri di perimetro (Tav. XIIa). Appena al di fuori dell’abitato altomedievale67, sin dall’VIII secolo, esisteva un monastero di monaci regolari agostiniani che nel secolo divenne un’abbazia benedettina68. Il convento era nella parte ovest, esattamente “dopo” il nucleo centrale delle abitazioni di epoca altomedievale, venendo da est: a partire cioè dalla zona dell’antico castello che sovrasta il fiume e la città, l’area senza dubbio più antica dell’abitato, popolata almeno dall’età paleocristiana69 (Tav. XIIb). Dunque, l’Ott. lat. 35 è giunto a Sherborne70 contemporaneamente al Oxford 1971, tavv. 1-11. La “e” alta sul rigo e simile a una “e” maiuscola si trova frequentemente nei codici che riportano testi in Old English del X secolo. 65 H. P. R. FINBERG, Sherborne, Glastonbury, and the Expansion of Wessex, Lusern – London, 1964, pp. 95-115. Vedi anche F. WORMALD, The Sherborne “Chartulary”’, in Fritz Saxl: a Volume of Memorial Essays, a cura di D. J. GORDON, London, 1957, pp. 101-119. 66 J. INSLEY, Gifle, in Reallexikon der germanischen Altertumskunde, a cura di H. BECK – H. STEUER – D. TIMPE, 12, Berlin – New York 1998, pp. 87-88: “The river name Ivel is etymologically identical with the Somerset river name Yeo [on] Gifle (946/951 a. C.) … or … Yevel (878 a. C.)… It would seem better to associate the river names Ivel and Yeo, the places name Yeovil and the tribal name Gifle, with an unrecorded Old English cognate of German Giebel, “gable, gable end”, from Old High German Gibil, from Germanic Jivbla here with the sense of “fork, bifurcations, formed by two or more rivers, apex of a triangular piece of land, situated between two or more rivers.”. Vedi anche J. S. HILL, Names of Places in Somerset, Bristol 1914, pp. 9-10; A. D. MILLS, A Dictionary of British Place-Names. Oxford 2003, sub voce Yeovil. 67 Sherborne: Historic Urban Caracterization, 1-2, Sherborne 2011. 68 Questo monastero è l’unico che sia esistito nei pressi del fiume Yeo/Ivel nell’alto medioevo. A Yeovil ci fu una filiazione dell’abbazia di Bermondsey, ma essa risale al XII secolo. Altre fondazioni negli immediati dintorni sono di epoca più tarda. Un poco più distanti da questa area geografica sono esistite antiche ed importanti abbazie, e come Muchelney ed Athelney, ma esse, pur essendo non lontane da Sherborne, non sono comunque sul fiume Yeo (cfr. per un rapido riepilogo The annals of West Coker cit., pp. 29-30). 69 Sherborne: Historic, 5,1, pp. 27-28. 70 Forse un’ulteriore testimonianza di tale trasferimento è in una nota poco leggibile a f. 35r, nel margine destro, in una epoca difficile da determinare: si intravedono le lettere “De
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Vat. lat. 3363: pochi anni dopo, come vedremo, ambedue i codici saranno traferiti a Glastonbury. Quest’ulteriore indizio, che si aggiunge a quelli che abbiamo segnalato fino a questo momento, lascia intuire che i due volumi hanno probabilmente avuto un destino comune, perché erano considerati parte di un piccolo gruppo di manoscritti che è stato sempre percepito come un insieme a sé stante: del resto essi erano nati in uno stesso scriptorium, riportavano autori che hanno circolato unitariamente nel Medioevo ed erano appartenuti, uno sicuramente e l’altro probabilmente, all’abbazia di Fleury. Planioribus verbis elucidavit È dunque estremamente verosimile che le glosse vaticane siano almeno in parte autografe del vescovo di Sherborne o che in alternativa vadano attribuite a qualcuno che scrive esattamente come lui e lavora al suo fianco. Ciò significa automaticamente che esse riportino il perduto commento di Asser alla Consolatio? Non credo che sia giusto fare una simile affermazione. Avevamo osservato, sin dal 1981, che il testo delle annotazioni «si presenta spesso abbreviato, come riassunto, a volte sino all’incomprensibilità» e questo ci aveva spinto a sostenere che «non possiamo stabilire se l’eclettismo e la sommarietà siano stati caratteri propri dell’opera stessa di Asser o siano da attribuire piuttosto ai copisti»71 e a concludere che le note erano probabilmente “derivate” dal commento di Asser, ma non riportavano la versione compiuta e definitiva di tale commento72. Una simile valutazione resta valida, anche accettando la possibile autografia delle note vaticane o di parte di esse: il tenore di queste glosse schematiche e frettolose, scritte disordinatamente con diversi inchiostri a distanza di tempo, mostra che esse sono degli appunti che si accumulano nel corso degli anni. A conferma di ciò sta un fatto evidente: la presenza di note alternative e perfino in conflitto reciproco sullo stesso argomento. Ad esempio, a f. 10v troviamo un lungo aneddoto su Ciro e Creso che non ha rapporto col testo di Boezio, mentre al f. 11r compare una nota che deriva dai cosiddetti Mitografi, diffusa nei codici carolingi della Consolatio73. Al f. 19r c’è una lunga nota su Fabrizio, solo parzialmente leggibile, in cui il console romano viene giudicato negativamente e finisce come Crasso, mentre al f. 19v viene riportata una nota che deriva da Servio (In Aen. VI, 884) nella Cy.. Her” (ma la lettura non è sicura) che potrebbero forse significare “De Cy[reburnense] her[editate]”. 71 TRONCARELLI, Tradizioni cit., p. 149. 72 ID., L’ombra cit., p. 235. 73 Scriptores rerum myticarum, a cura di G. H. BODE, Cellis 1834, I, 196, pp. 59-60.
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quale Fabrizio è presentato come esempio di virtù. Allo stesso modo le Tre Parche sono anche contemporaneamente le tre Furie, un errore che verrà ripreso in manoscritti di età successiva, ma che non è molto comune nel IX secolo74 e che, a prescindere da chi l’abbia commesso per primo, non viene comunque corretto. D’altro canto, anche se è vero che ci sono glosse contraddittorie, è altrettanto vero che mancano glosse che ci si aspetterebbe di trovare, perché il loro contenuto viene ripreso nella traduzione di Alfredo: valga per tutti l’esempio della interpretazione della Filosofia come Sapientia, a tal punto significativa nella traduzione attribuita al re che il nome stesso della Filosofia è tradotto Wisdom. Eppure, a ben guardare, nelle annotazioni vaticane non manca un accenno significativo a questa interpretazione, ma esso non si trova, come ci si aspetterebbe, in una glossa marginale, estesa e articolata, ma solo incidentalmente in una nota interlineare a f. 2v, dove la mano che potrebbe essere quella di Asser ha scritto sopra le parole “Haec dixit”, nella penultima riga, la parola “Sapientia”75. Altrove, come ad esempio a f. 20v, riga 12, nell’interlinea la stessa mano scrive “Philosophia” per definire l’interlocutrice di Boezio. Riassumendo, nel Vat. lat. 3363 capita di incontrare note alternative, di non trovare note che dovremmo trovare e di cogliere spunti che devono essere ancora sviluppati e che invece ritorneranno in una forma più compiuta nella traduzione attribuita ad Alfredo. Ciò significa che nelle glosse vaticane c’è il continuo rimuginare dell’autore, la sua insoddisfazione, la sua rielaborazione di un testo mai finito del tutto, di un’opera che deve ancora trovare il suo assetto. Del resto, questo carattere di work in progress non è esclusivo delle postille a Boezio, ma è caratteristico di tutto il metodo di lavoro di Asser come egli stesso ci racconta: anzi, si direbbe che sia stato caratteristico anche del modo di rielaborare i problemi da parte di Alfredo. La base del progetto del sovrano di tradurre o far tradurre opere latine significative in sassone poggerebbe infatti proprio su questo continuo rimuginare: sulla reiterata riflessione e sulla costante rielaborazione di idee che nascono confrontandosi con testi complessi, difficili da intendere e da far intendere agli altri. È Asser stesso a ricordarcelo in pagine molto belle, inspiegabilmente trascurate da coloro che si sono occupati del problema della paternità delle traduzioni alfrediane. Lasciamo la parola al vescovo di Sherborne: «Eodem quoque anno saepe memoratus Aelfred, Angulsaxonum rex, divino instinctu legere et interpretari simul uno eodemque die primitus inchoavit. 74
TRONCARELLI, L’ombra cit., pp. 238-239. Le prime due lettere sono state ripassate da un’altra mano, perché l’inchiostro era troppo pallido e si leggevano male. 75
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Sed, ut apertius ignorantibus pateat, causam huius tardae inchoationis expedire curabo. Nam cum quodam die ambo in regia cambra resideremus, undecunque, sicut solito, colloquia habentes, ex quodam quoddam testimonium libro illi evenit ut recitarem. Quod cum intentus utrisque auribus audisset et intima mente sollicite perscrutaretur, subito ostendens libellum, quem in sinum suum sedulo portabat, in quo diurnus cursus et psalmi quidam atque orationes quaedam, quas ille in iuventute sua legerat, scripti habebantur, imperavit, quod illud testimonium in eodem libello literis mandarem. Quod ego audiens et ingeniosam benevolentiam illius ex parte, atque etiam tam devotam erga studium divinae sapientiae voluntatem eius cognoscens, immensas Omnipotenti Deo grates, extensis ad aethera volis, tacitus quamvis, persolvi. Qui tantam erga studium sapientiae devotionem in regio corde inseruerat. Sed, cum nullum locum vacuum in eodem libello reperirem, in quo tale testimonium scribere possem — erat enim omnino multis ex causis refertus — aliquantisper distuli, et maxime quia tam elegans regis ingenium ad maiorem divinorum testimoniorum scientiam provocare studebam. Cui, cum me, ut quanto citius illud scriberem, urgeret, inquam: ‘placetne tibi, quod illud testimonium in aliqua foliuncula segregatim scribam? Incognitum est enim, si aliquando aliquod taliter aut plura reperiamus, quae tibi placuerint, testimonia; quod si inopinate evenerit, segregasse gaudebimus’. Quod ille audiens, ‘ratum esse consilium’ inquit. Quod ego audiens et gaudens festinus quaternionem promptum paravi, in cuius principio illud non iniussus scripsi, ac in illa eadem die non minus quam tria alia sibi placabilia testimonia, illo imperante, in eodem quaternione, ut praedixeram, scripsi. Ac deinde cotidie inter nos sermocinando, ad haec investigando aliis inventis aeque placabilibus testimoniis, quaternio ille refertus succrevit, nec immerito, sicut scriptum est ‘super modicum fundamentum aedificat iustus et paulatim ad maiora defluit’, velut apis fertilissima longe lateque gronnios interrogando discurrens, multimodos divinae scripturae flosculos inhianter et incessabiliter congregavit, quis praecordii sui cellulas densatim replevit. Nam primo illo testimonio scripto, confestim legere et in Saxonica lingua interpretari, atque inde perplures instituere studuit, ac veluti de illo felici latrone cautum est, Dominum Iesum Christum, Dominum suum, immoque omnium, iuxta se in venerabili sanctae Crucis patibulo pendentem cognoscente; quo subnixis precibus, inclinatis solummodo corporalibus oculis, quia aliter non poterat, erat enim totus confixus clavis, submissa voce clamaret: ‘Memento mei, cum veneris in regnum tuum, Christe,’ qui Christianae fidei rudimenta in gabulo primitus inchoavit discere. Hic aut aliter, quamvis dissimili modo, in regia potestate sanctae rudimenta scripturae, divinitus instinctus, praesumpsit incipere in venerabili Martini solemnitate. Quos flosculos undecunque collectos a quibuslibet magistris discere et in corpore unius libelli, mixtim quamvis, sicut tunc suppetebat, redigere, usque adeo protelavit quousque propemodum ad magnitudinem unius psalterii perveniret. Quem enchiridion suum, id est manualem librum, nominari voluit, eo quod ad manum illum die noctuque soler-
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tissime habebat; in quo non mediocre, sicut tunc aiebat, habebat solatium»76.
Dunque, per esplicita attestazione di Asser, il processo generale di traduzione da parte del re, quello che il vescovo definisce “in Saxonica lingua interpretari”, è stato stimolato, sin dall’origine, dal dialogo e dallo scambio di idee su problemi spirituali e dal chiarimento dei problemi suscitati da singoli argomenti, fatto giorno per giorno da parte del re e del suo consigliere77. Insomma, è proprio quello che Asser chiama il “cotidie inter nos sermocinando, ad haec investigando” che è alla base del processo di traduzione: un processo che è già in sé una sorta di “trasferimento”, nel senso che è una trasposizione di idee da un contesto a un altro, un processo che si basa sul riscrivere parole difficili con parole più semplici, quelle che si usano “cotidie sermocinando”. Lasciamo agli specialisti la valutazione di questo problema di interpretazione delle fonti e ritorniamo alla evidenza dei fatti, ricordando al lettore che in ogni caso è bene sbarazzarsi di obiezioni infondate che a volte godono di una fama immeritata. Abbiamo già ricordato quella, sconcertante, secondo la quale il commento di Asser non sarebbe esistito e le affermazioni di Guglielmo di Malmesbury siano, chissà perché, pura fantasia. Una seconda obiezione, apparentemente più seria, è questa: se Asser ha preparato, come dice Guglielmo di Malmesbury, un commento a Boezio planioribus verbis, tuttavia «the glosses in Vat. lat. 3363 do not remotely resemble an explanation of the text in simpler terms»78. Per risolvere il problema penso sia necessario soffermarci più di quanto non sia stato fatto sulla testimonianza di Guglielmo. Lo storico ricorda per ben due volte il lavoro di Asser e lo descrive con parole simili che bisogna vagliare attentamente. La prima volta egli dice: «(Asser) sensum librorum Boetii de Consolatione Philosophie planioribus verbis enodavit, quos ipse rex in anglicam linguam convertit»79. La seconda volta Guglielmo afferma: «Asser … non … contempnendae scientiae fuit, qui librum Boetii de Consolatione Philosophiae planioribus verbis elucidavit, labore illis diebus necessario, nostris ridiculo. Sed enim iussu regis factum est, ut levius ab eodem in anglicum transferretur sermonem»80. 76
ASSER DE SHERBORNE, Histoire du roi Alfred cit., cc. 87-89, pp. 145-151. O, se vogliamo, dei suoi consiglieri, visto che come viene ricordato esplicitamente nel prologo della traduzione di Gregorio Magno anche altri hanno aiutato il sovrano nello stesso modo. 78 GODDEN – IRVINE, The Old English Boethius cit., I, p. 60. 79 WILLIAM OF MALMESBURY, Gesta Pontificum, II, 4, p. 122. 80 Ibid., II, 24, p. 177. 77
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Bisogna chiedersi che cosa significhino esattamente le parole di Guglielmo. Nel passato gli studiosi hanno pensato che Guglielmo alludesse a un commento di Asser, ma oggi la maggioranza degli studiosi intende piuttosto che Asser abbia preparato una parafrasi del testo di Boezio per aiutare Alfredo (a prescindere dal fatto che poi la sua testimonianza sia giusta o sbagliata)81. A nostro parere è impossibile intendere così le parole di Asser: nella tradizione esegetica medievale elucidare o enodare significano costantemente “spiegare”’, “interpretare”, “scrivere note”82. Un autore del XIII secolo avrebbe trovato piuttosto bizzarro usare addirittura due verbi che di solito indicano un commento vero e proprio, per alludere invece a una parafrasi. Anche il significato letterale di planioribus verbis esclude l’idea della parafrasi: un sermo planus non significa “un riassunto” e neppure un discorso “‘elementare”, “schematico”, “semplicissimo”. Negli autori medievali l’allusione ai plana verba indica il fatto che chi prende la parola parla senza giri di frase e senza artifici: ma non indica affatto che, chi parla, parli come un ignorante83. Allo stesso modo nei documenti medievali il richiamo al planum verbum indica che non c’è bisogno di sottigliezze da legulei e che ci si fida delle parole dell’altro, senza bisogno di formule di rito in linguaggio astruso. Ma ciò non significa affatto che le parole pronunciate plano verbo siano facili, perché spesso con questa for81
Citiamo, tra gli altri, a titolo di esempio D. A. BULLOUGH, Carolingian renewal: sources and heritage, Manchester – New York, 1991, p. 300: «Verbis elucidavit suggest to me that William had reason for believing — on grounds that we do not now know — that the Welsh scholar prepared a simplified version of passages to help the king in his-self imposed task of translation for which his Latin was still inadequate». Anche Godden, che pure discute l’eventualità dell’esistenza di un commento da parte di Asser, finisce poi per parlare di: «a symplified paraphrase prepared…by Asser» (GODDEN – IRVINE, The Old English Boethius cit., I, p. 140). 82 Si vedano per esempio: GERHOH, De aedificio Dei seu de studio et cura disciplinae ecclesiasticae, c. IV, in PL CXCIV, 1206C (si veda 1209B): «Augustinus … sanctae socialis vitae regular in Apostolorum Acribus breviter conscriptam sic elucidavit»; GUIDO DA PISA, Expositiones et Glose super Comediam Dantis, a cura di V. CIOFFARI, Albany, New York 1974, Inferno IV, vv. 142-144: «Fuit enim iste Avicenna in scientia naturali peritissimus, nec non et in medicinali probatissimus, nam omnes Galieni libros elucidavit»; M. TULLIUS CICERO, De Legibus, a cura di K. ZIEGLER, Heidelberg, 1950 (Heidelberger Texte, Lat. Reihe, 20), I, par. 21-3: «Obscuras nec satis intellegentias enodavit, quasi fundamenta quaedam scientiae»; CASSIODORUS, Institutiones, 1, 1: «Item sanctus Ambrosius de Patriarchis septem libros edidit, qui multa loca Veteris Testamenti factis quaestionibus suaviter enodavit». 83 GREGORIUS MAGNUS, Moralia in Job, XIII, 36, 41: «Caligavit ad indignationem oculus meus, verbis planioribus aperit, adjungens: Stupebunt justi super hoc, et innocens contra hypocritam suscitabitur»; ibid., XVI, 26, 31: «Inordinata consolatio dolorem auget. More suo beatus Job planioribus verbis inchoat, sed dicta sua alta mysterii prosecutione consummat».
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mula si intendono complicate cessioni di diritti, elencati minuziosamente, comprensibili solo a chi conosce la legge84. Insomma il planum verbum significa che non ci comportiamo come un Azzeccagarbugli, ma non indica che parliamo come analfabeti. “Piano” si potrebbe tradurre “semplice e chiaro”: ma “semplice” non vuol dire “semplificato”, né “banalizzato”. Se dunque escludiamo che il testo cui allude Asser fosse una parafrasi per ignoranti scritta in modo semplificato, adatta ad un semialfabeta e intendiamo invece, come anche altri studiosi del passato, che Guglielmo alluda invece a un vero e proprio commento, sia pure scritto in modo non sofisticato, cade del tutto l’obiezione sulle glosse del Vat. lat. 3363. Esse sono scritte infatti in modo “semplice” e perfino rozzo e sgrammaticato a volte: ma non sono annotazioni semplificate per ignoranti. La loro qualità di glosse “alla buona”, adatte per i tempi di Alfredo, ma ridicole al tempo di Guglielmo, nasce dal fatto che esse spiegano in modo non complesso questioni complesse: ad esempio, per spiegare che cosa è l’Anima mundi cui Boezio allude nel canto IX del libro III, le postille vaticane, in accordo con l’Anonimo di San Gallo, identificano la complessa entità platonica con il Sole. Ma questa spiegazione, ben lontana da Boezio, nell’età di Guglielmo di Malmesbury (e cioè nell’età di Guglielmo di Conches) non poteva che risultare ingenua: anzi, a dire il vero, poteva risultare ingenua anche agli inizi del X secolo ad autori come Bovo di Corvey o Adaboldo di Utrecht, che commentano con maggior profondità il canto nono del libro terzo della Consolatio. Asser può aver preparato, con l’aiuto dei suoi collaboratori un “set” di glosse, alcune originali, altre copiate da fonti diverse, cucendo insieme postille di diversa origine, con lo scopo di preparare un commento ad usum delphini. In esso venivano amalgamate e abbreviate alcune note personali del vescovo, annotazioni dell’Anonimo di San Gallo e altre chiose che figurano nelle diverse redazioni del commento di Remigio, ricavando da questi diversi ‘nuclei genetici’ un’opera adatta alle necessità di chi l’avrebbe consultata: un agglomerato non sistematico di glosse che può aver aiutato 84 Solo per fare qualche esempio di una formula molto diffusa citeremo un atto del 13 ottobre 1264: «Tuo plano verbo, sic quod nullo jure, causa vel ratione possim me in predictis deffendere vel excusare. (Barcellona, Arxiu de la Catedral, Diversorum C, carpeta 5, 4019); un atto del 4 giugno 1262: «Credamini vestro plano verbo sine testibus et instrumento. Et donamus vobis fidanciam salvitatis ad forum» (Madrid, AHN Montearagón, Carp. 646 num 14); e un atto del 5 marzo 1310: «De bonis nostris sine omni malo placito et diffugio, simpliciter et de plano, sine strepitu iudiciario, prout melius, utilius et salubrius ad salutem anime nostre eis videbitur faciendum, ad que omnia facienda et explicanda astringimus et obligamus et assignamus omnia bona nostra, mobilia et immobilia et iura ubicumque sint ad nos spectancia quoquomodo» (Girona, A. RC, ff 111r-113r, Testament del bisbe Bernat de Vilamar).
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chi ha fatto la traduzione di Boezio, che sia stato Alfredo o che sia stato, come è certo verosimile, qualcuno della sua corte. Dunstanus memet clemens rogo Christe Il rapido trasferimento alla non lontana Glastonbury del Vat. lat. 3363, solo pochi anni dopo la morte di Asser, non deve destare meraviglia: l’energico e colto Dunstan cercò infatti di riportare all’antica gloria questo monastero, devastato dai vichinghi nel IX secolo85, procurandosi tutti i mezzi necessari allo scopo, compresi i codici più importanti che poteva trovare nelle vicinanze. In tal modo pervennero nelle sue mani volumi come la Consolatio postillata a Sherborne, che Dunstan a sua volta annoterà, ma anche come l’Ott. lat. 35. Lo sappiamo non solo perché nei margini di questo manoscritto ci sono annotazioni di mani estremamente simili a quelle che possiamo attribuire ai collaboratori di Dunstan (Tav. XIIIa), ma anche e soprattutto perché possiamo comprendere le peripezie del codice attraverso note di possesso semicancellate. Sul margine superiore del f. 1r si vede infatti una nota, di una mano non insulare del X secolo, il cui inchiostro è quasi svanito: “Opidˉ m BL [...]” che si legge: “Op(p)id(um) m(ons) Bl(an)d(ini) [...]” (Tav. XIIIb) e si riferisce alla cittadina di Mons Blandinus, oggi Mont Blandin o Blandijnberg, nei pressi di Gand. Della sua importante abbazia benedettina fu ospite Dunstan tra 955 e 957, esule dall’Inghilterra. Evidentemente l’abate di Glastonbury portò con sé alcuni libri che rimasero a Mont Blandin dopo il suo ritorno in Inghilterra nel 957, entrando a far parte del patrimonio librario dell’abbazia, come ci ricorda la nota di possesso nel margine dell’Ott. lat. 35. È interessante osservare che a questo periodo si riferisca anche una nota vergata sul margine superiore del primo foglio della seconda parte del volume, attualmente f. 36r, che potrebbe a sua volta aver fatto parte dei libri di Dunstan. Una mano non insulare del X secolo ha infatti scritto: “Arnulfus badelarius infans”, che significa “Arnolfo spadacorta il piccolo”, alludendo sarcasticamente (se non ci inganniamo) ad Arnolfo I, conte delle Fiandre († 965), definito con disprezzo “spadacorta” perché aveva fatto assassinare proditoriamente il duca di Normandia Guglielmo soprannominato “Spadalunga” nel 94286.
85 D. DALES, Dunstan: Saint and Statesman, Cambridge 1988; N. RAMSAY, St Dunstan: his Life, Times, and Cult, Woodbridge – New York 1992. 86 D. NICHOLAS, Medieval Flanders, London 1992, p. 40.
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Ipse levi calamo A questo punto della storia che abbiamo ricostruito, siamo costretti ad ammettere l’esistenza di una lacuna che ci impedisce di seguire le sorti dei due manoscritti che abbiamo potuto ricostruire fino ad ora. Tutto ciò che possiamo fare è cercare di formulare ipotesi sulla strada che hanno percorso successivamente i due codici servendoci delle note di possesso ancora leggibili. Per quanto riguarda l’ottoboniano, sappiamo che in epoca imprecisata divenne proprietà dell’abbazia di Saint Denis a Parigi87 e che molti dei libri dell’abbazia furono acquistati successivamente da Paul Petau: l’ottoboniano era uno di questi, come mostra la nota di possesso autografa di questo celebre collezionista, semillegibile sul f. 1r, nel margine alto: “P. Pet[av]ius” e come mostrano al f. 4r, sul margine destro: due “P” accompagnate da qualche lettera cancellata e dal monogramma “PEU = “Pe(ta)u” o “Pe(ta)u(ius)”. Un gran numero di libri del Petau furono venduti nel 1650 dal figlio Alessandro alla Regina Cristina di Svezia, attraverso la mediazione di Isaac Vossius e l’ottoboniano, che non figura nel catalogo dei codici della Regina precedente alla vendita88, faceva parte evidentemente di questa transazione. A conferma di ciò, sul foglio di guardia IIIv, una mano del sec. XVII ha scritto: “Ex bibliotheca Serenissima Regina, num. 1396”. Ben più difficile è seguire o immaginare le peripezie del Vat. lat. 3363. Il codice era in Italia nel XIV secolo, come mostrano le note sull’ultimo foglio. Se riusciamo a districarci in un labirinto di lettere, di monogrammi e di frasi scritte da diverse mani89 potremo isolare qualche informazione interessante. Trascuriamo le frasi o le parole che non ci danno informazioni rilevanti e concentriamoci sui quelle significative sul verso dell’ultimo foglio (Tav. XIV). Degna di nota è una mano che scrive sul f. 60v, usando una capitale che arieggia le forme di certe epigrafi del XIII-XIV secolo. Questa mano ripete più volte gli stessi gruppi di lettere: da un lato ricorrono spesso “A” oppure 87
Su quest’importante biblioteca si veda D. NEBBIAI-DALLA GUARDIA, La bibliothèque de l’abbaye de Saint-Denis en France du IXe au XVIIIe siècle, Paris 1985. 88 Catalogus codicum manu scriptorum Bibliothecae regiae Holmiensis circa annum MDCL ductu et auspicio Isaac Vossii conscriptus, a cura di C. CALLMER, Stockholm 1971 (Acta Bibliothecae Regiae Stockholmiensis, 11). 89 Nelle pagine che seguono esamineremo alcune note interessanti, evitando di soffermarci su parole meno significative o semplicemente meno comprensibili, scritte da diverse mani di difficile datazione, come ad esempio alcuni vocaboli sul f. 60v, una data abbreviata in modo poco chiaro (“anno domini mill. dus. Lii”: forse “millesimo ducentesimo LII” ?), un nome isolato (Ordricus, sec. XIV?).
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“A, N” oppure “A, V” e un monogramma formato dalle lettere “A, N, I” e “V”; dall’altro troviamo “M, G”. Le lettere sono disposte in vario modo, a volte in verticale, a volte in orizzontale, a volte in ordine poco chiaro. Anche le lettere staccate “A, N” (o in forma anagrammata “N, A”) e “V, G “ ci sembrano le iniziali di monogrammi (Tav. XVa). Prima di cercare di interpretare il significato di questi monogrammi vanno considerati altri monogrammi accanto ai primi, scritti da una mano molto simile alla prima, ma assai più elegante, con un inchiostro vicino a quello usato nelle prime annotazioni, ma meno brillante: un monogramma formato dalle lettere maiuscole “I, H”; due monogrammi costituiti dalle lettere maiuscole” I, H, A”, tracciate in forme leggermente diverse l’una dall’altra; un monogramma formato dalle lettere maiuscole “G, I, A” e dalle lettere “V, L”; un monogramma formato dalle lettere minuscole, elegantemente allungate: “M, G” (Tav. XVb). Nel margine sinistro dell’ultimo foglio è possibile scorgere, con difficoltà, una sorta di croce graffiata a secco90, costituita da lettere maiuscole disposte in senso orizzontale e verticale formando almeno una colonna91: riusciamo a distinguere in alto le lettere “I U M” in senso orizzontale e poi sotto la “U “ in verticale “IRGÁ”. L’insieme si ricompone così: IUM I R G I Á Ci sembra che questa scritta in croce possa essere letta: I(ohannis) Uirgil(ius) M(agister) o anche I(ohannis) Uirgil(ii) M(agister) (Tav. XVc). Alla luce di questa testimonianza, che attesta inequivocabilmente la parola “Virgilius” o “Virgi(lii)” associata al nome proprio “I(ohannis)”, ci permettiamo di proporre un’interpretazione complessiva di quello che abbiamo letto, che è naturalmente solo un’ipotesi e non ha valore definitivo: forse le diverse sigle e i diversi monogrammi scritti da mani simili, con un inchiostro simile e con un gusto per il monogramma dello stesso tipo, 90 La difficile leggibilità dell’annotazione rende impossibile un confronto della mano che l’ha tracciata con quelle che hanno scritto i monogrammi che abbiamo analizzato: si tratta comunque certamente di una mano coeva alle altre, come mostra la forma della “M” e della “G”, tipica di certe testimonianze in gotica libraria. 91 Ce n’è forse un’altra di difficile lettura e qualche lettera staccata di non facile interpretazione.
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appartengono a due personaggi molto vicini tra loro, che hanno lo stesso cognome “Virgilius” o “Virgilii” e sono ambedue qualificati come “M” o “MG” che può essere l’abbreviazione per “magister”. La prima serie di monogrammi in cui ricorrono le lettere “A, N” e “V” potrebbe essere una forma abbreviata del nome An(tonius) e di un cognome che, alla luce della testimonianza esplicita della seconda mano, potrebbe essere V(ir)g(ilii) o V(ir)g(ilius) e le lettere “M, G” possono significare “M(a)g(ister)”. Se si accetta quest’ipotesi allora il nome intero si potrebbe forse leggere “Antonius Virgilii magister”. La seconda serie di monogrammi con le lettere “I, H” ed “I, H, A” indicherebbe, in latino, “I(o)HA(nnis)”, lo stesso nome tradotto in italiano a cui rimanda l’altro monogramma “G, I, A “ che corrisponde a “GI(ov)A(NNI)” e le annotazioni con sigle come “De m I” andrebbero intese come De m(agistro) I(ohannis). Questo magister porterebbe il cognome “Virgil(ius)” o “Virgil(ii)”. Possiamo identificare gli autori e di queste annotazioni databili tra XIII e XIV secolo? Sappiamo che è esistito un personaggio che nel 1321 era chiamato “quondam magistri Antonii”, ed era padre di un altro personaggio Giovanni del Virgilio, celebre per i suoi rapporti con Dante. Secondo alcuni studiosi il cognome Del Virgilio (in latino “Virgilii”) sarebbe stato un soprannome92 e se questo fosse vero non dovremmo attribuirlo anche nel 92 Quest’ipotesi è stata accettata da più di uno studioso ed è basata fondamentalmente sull’autorità del Kristeller (P. O. KRISTELLER, Un’«ars dictaminis» di Giovanni del Virgilio, in Italia Medioevale e Umanistica 4 (1961), pp. 181-200, ristampato in ID., Studies in Renaissance. Thoughts and Letters, III, Roma 1993 (Studi e testi, 158), pp. 487-507, in particolare p. 488) che dava fiducia a una sola testimonianza nella quale si affermava che colui che era stato conosciuto come “magister Johannes”” fu successivamente chiamato Del Virgilio (“magistri Johannis, qui postea dictus est De Virgilio”). Questo è infatti ciò che afferma l’incipit del codice del Diaffonus, corrispondenza poetica di Giovanni col marchigiano ser Nuzio da Tolentino, conservataci dal codice vaticano Ross. 1007 del 1386 (A. Campana), più tardo di una sessantina d’anni dei documenti bolognesi che citano nome e cognome di Giovanni Del Virgilio negli anni venti del Trecento (sull’argomento si vedano G. BRUNETTI, Le egloghe di Dante in un’ignota biblioteca del Trecento, in L’Ellisse; studi storici di letteratura italiana 1 (2006), pp. 9-36). Senza voler nulla togliere alla grande autorità ed esperienza di studiosi come Kristeller e senza nessuna pretesa di fare affermazioni fondate in un campo di studi cui sono estraneo, vorrei far notare che essere chiamati prima in un modo e poi in un altro non siginifica automaticamente che la prima volta si venga chiamati col nome e la seconda col soprannome. Molti artisti sono stati universalmente noti tra i contemporanei con il solo nome e solo col tempo ci si è abituati a chiamarli con nome e cognome: basta pensare a Dante, a Raffaello, a Michelangelo, a Tiziano. Può capitare, infatti, che un autore sia chiamato con il solo nome di battesimo perché egli è “per antonomasia” l’unico che meriti di essere ricordato con questo nome, ma poi, col passare del tempo, il suo nome perde questo carattere antonomastico, perché altri personaggi famosi portano nomi simili e diviene necessario specificare il cognome di ciascuno per distimguerli tra loro. Dante parla dello “uno e l’altro Guido” perché secondo
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padre. Tuttavia non si ha nessuna certezza che si tratti di un soprannome e anzi è accertato che è esistito più di un personaggio nella Bologna del XIV secolo con il cognome “Virgilii”, a volte sospettato di essere parente del più celebre Giovanni Del Virgilio93. Ci sembra, in altri termini, che le diverse testimonianze dello stesso nome: “Iohannis magister” possono confermare le altre che indicavano “Antonius Virgilii magister” e che l’insieme dei nomi ricostruiti ben si adattano alla testimonianza del 16 novembre 1321 che recita tutt’intera: “Magister Johannes, quondam magistri Antonii, qui dicitur de Vergillio”94. Prospera fortuna Ammesso che la nostra ipotesi sia vera, è lecito chiedersi se il volume abbia circolato tra gli allievi di Giovanni Del Virgilio95, come quel Pietro lui nella sua epoca di celebri poeti con questo nome ce ne potevano essere solo due, ma col tempo, diverrà necessario specificare che uno era Guido Guinizelli e l’altro Guido Cavalcanti e questo faranno i commenti alla Commedia più celebri da Pietro di Dante a Benvenuto, al Lana, a Francesco da Buti. Neppure è sensato affermare, come invece è stato fatto, che la testimonianza del Diaffonus significa che Giovanni “non aveva ancora” il nome Del Virgilio quando compose i versi di questa raccolta: la rubrica afferma solo che colui che era noto come Giovanni fu noto “dopo” (postea) come Del Virgilio, ma non specifica dopo quanto tempo ciò avvenne e perché. Visto che il codice che riporta la testimonianza è del 1386 e che colui che ha scritto l’incipit è lontano dagli eventi di cui parla da almeno due generazioni, si può legittimamente pensare che egli riferisca solo qualcosa che ha sentito dire, una notizia generica, una vox populi secondo la quale colui che una volta tutti chiamavano il “maestro Giovanni” per antonomasia è stato invece chiamato, a distanza di tempo e per distinguerlo da altri personaggi simili, con nome e cognome. 93 A Bologna è esistita una dinastia Virgilii nel notariato locale nel Trecento: si veda N. RODOLICO, Siciliani nello Studio di Bologna nel Medioevo, in Archivio Storico Siciliano 20 (1895), pp. 89-228: 106 e 163. 94 G. ALBINI, La corrispondenza poetica di Dante e Giovanni del Virgilio e l’ecloga di Giovanni al Mussato, nuova edizione a cura di G. B. PIGHI, Bologna 1965, p. 131. 95 G. INDIZIO, Giovanni del Virgilio maestro e dantista minore, in ID., Problemi di biografia dantesca, Ravenna 2013, pp. 449-470 (con accurata bibliografia). Si vedano comunque i contributi datati, ma fondamentali di G. LIVI, Dante, suoi primi cultori, sua gente in Bologna, Bologna 1918; e ID., Dante e Bologna. Nuovi studi e documenti, Bologna 1921; G. ALBINI, La corrispondenza poetica di Dante e Giovanni del Virgilio e l’ecloga di Giovanni al Mussato, nuova edizione a cura di G. B. PIGHI, Bologna 1965; G. BILLANOVICH, Giovanni del Virgilio, Pietro da Moglio, Francesco da Fiano, in Italia Medioevale e Umanistica 6 (1963), pp. 203-34; G. MARTELLOTTI, Giovanni del Virgilio, in Enciclopedia Dantesca, III, Roma 1971, pp. 193-194; E. PASQUINI, Del Virgilio, Giovanni, in DBI, 38, Roma 1990, pp. 404-409. Per la biografia di Giovanni, oltre ai documenti d’archivio bolognesi sono fondamentali le notizie che si trovano in due codici autorevoli: Firenze, Bibl. Laur., Plut. XXIX 8, di mano del giovane Boccaccio che riprende materiali di uno studioso bolognese, molto vicino a Giovanni del Virgilio; e il manoscritto, chiamato Oratoriano, MCF I 16, della biblioteca dei Gerolamini di Napoli copiato da Simone Sorrentino (6 luglio 1489), che riporta glosse che derivano probabilmente dagli stessi ambienti bolognesi dell’altro, nate nella scuola di Pietro da Moglio allievo di Giovanni
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da Moglio96, amico di Petrarca e di Boccaccio, autore di un commento alla Consolatio Philosophiae97, che insegnava insieme ad Alessandro di Ciglio da Casentino intorno al 1355, che a sua volta possedeva una copia della Consolatio col commento di Treveth, l’Ott. lat. 2026, nel quale, sull’ultimo foglio e sul foglio di guardia, una serie di allievi del maestro ha lasciato il ricordo del proprio nome o del proprio estro personale, alternando un aforisma a una ricetta di cucina, una poesia d’amore a un’osservazione meschina. A qualcosa di simile fanno pensare tre note sull’ultimo foglio, al recto e al verso, databili nel XIII-XIV secolo, attribuibili a una mano che scrive in una disinvolta minuscola cancelleresca piena di abbreviazioni di non facile lettura. Sul f. 60r si legge parzialmente98: “De XI somme e meça de vinu c[...] Jacovus verum debet la folia99; la somma n’abi libre LXIII et solidi V. Antonius de Nantu cuoinde (= quoinde) III libre et I solidus verum oportet. Item Alberto Scipu solidi XVI. Resta da Jacovu a me[...]. Item rendette el dictu Jacovu somme VII e meça de[...]. De la Soccia de l[a] quale somma res[ta] [....]”. Sul verso, della stessa mano, con un altro inchiostro: “Die XXVIIII Januari dixit Floratie debuisse XXX pro vinis” (Tav. XVIa). Con un inchiostro leggermente diverso, la stessa mano ha aggiunto una citazione da Boezio, Cons. Phil. II, 8, 3: “Etenim plus hominibus reor adversum quam prospera prodesse fortuna”. Una seconda mano databile più o meno negli stessi anni ha lasciato ricordo di sé scrivendo in una semigotica corsiva di modulo molto piccolo sull’ultimo foglio e su altri fogli del codice. Si tratta di Francesco da Fiano, allievo di Pietro da Moglio, scriptor apostolicus, che occupava una posizione di spicco nella Cancelleria pontificia100, come si vede dal confronto con Del Virgilio. Per questi testi si vedano ALBINI, La corrispondenza poetica cit. e BILLANOVICH, Giovanni del Virgilio cit. 96 L. QUAQUARELLI, Per un profilo aggiornato di Pietro da Moglio, in Schede umanistiche 23(2009), pp. 33-55; ID., Pietro da Moglio, in DBI, 75, Roma 2011, coll. 267-273. 97 G. FEDERICI VESCOVINI, Due commenti inediti del XIV secolo al «De consolatione philosophiae» di Boezio, in Rivista critica di storia della filosofia 13 (1958), pp. 384-394, 398, 407-409. 98 La nota che pubblichiamo rappresenta la versione riveduta e corretta di quella già edita in TRONCARELLI, Cogitatio cit., p. 244. 99 La “foglietta” era un’antica misura utilizzata nell’Italia centro-meridionale corrispondente a circa mezzo litro. La parola proviene dal provenzale Folheta che a sua volta si può collegare al tardo greco Phyélê con il senso di “vaso, fiala”. 100 I. TAÙ, Il «Contra oblocutores et detractores poetarum» di Francesco da Fiano. Con appendice di documenti biografici, in Archivio italiano per la storia della pietà 4 (1965) 254-350; BILLANOVICH, Giovanni Del Virgilio cit.; C. M. MONTI, Una raccolta di “exempla epistolarum”, I, Lettere e carmi di Francesco da Fiano, in Italia medioevale e umanistica 27 (1984), pp. 121160; L. MUNZI, Esilio del poeta, esilio dell’umanista in una lettera di Francesco da Fiano, in XVI
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altri esempi della sua scrittura101 (Tav. XVIb-c). Alla sua mano vanno attribuite molte glosse marginali a Boezio, scritte disordinatamente in una semigotica corsiva. Francesco usava due tipi di scrittura: una cancelleresca che arieggia quella delle lettere dell’amico Petrarca, per i testi e una semigotica di modulo estremamente piccolo, anch’essa alla lontana ispirata a quella di Petrarca, per le note. Tuttavia questa seconda grafia ha un aspetto mutevole, più calligrafica e ordinata se è posata; più disordinata, piena di legature e con varianti alfabetiche se è corsiva. È quest’ultima che ritroviamo nelle note alla Consolatio. L’analisi di queste annotazioni ci porterebbe lontano e siamo costretti a rimandarla ad un’altra occasione: in ogni caso si può dire, sbrigativamente, che in esse troviamo, com’è ovvio, idee e opinioni consonanti con quelle espresse in altri passi attribuibili allo stesso autore. Valga per tutte quella di “participatio” al Sommo Bene. Nel Contra oblocutores essa viene esplicitamente attribuita a Boezio, che la espone in Cons. Phil. III, 10, 23, con queste parole: «Theologi nostri non negant partecipationis divinae bonitatis. Quod autem divina participatio bonitatis homines mortales efficiat deos, illud Boeti Severini vulgatum est»102. Nel codice vaticano, al passo corrisponente al f. 30v, nel margine destro inferiore, troviamo questa nota: «DIVINITATIS ADEPTIONE BEATOS FIERI: Quam adipiscuntur non sic quod sint essentialiter dii, sed per quandam participationem, cum et beatitudo, quae est deus essentia, est deus essentialiter. Adipiscuntur partecipationem paucam per quandam ‹as›similationem, quia est d‹e›us qui essentialiter est beatitudo»103. Congresso Internazionale di Studi Umanistici Piceni. Grammatici e lingua nell’Umanesimo = Studi umanistici piceni Sassoferrato (Ancona), 16 (1996), pp. 73-85; F. BACCHELLI, Francesco da Fiano, in DBI, 49, Roma 1997, pp. 747-750. 101 Sul verso dell’ultimo foglio si intravede ancora l’inizio della minuta di una lettera, rivolta ad un Ludovico, che potrebbe essere Ludovico da Fabriano amico e corrispondente di Francesco da Fiano (BACCHELLI, Francesco da Fiano cit., p. 747). L’incipit della brutta copia della lettera, senza dubbio di difficile lettura, dovrebbe essere: «Au(g)u(ustus) Ludovicus, vale»cui è stata aggiunta una variante alternativa «Ludo(vic)us vale». Il testo non corrisponde al quello di nessun’altra lettera conosciuta di Francesco da Fiano. 102 TAÙ, Il Contra obluctatores cit., p. 315. 103 Prima di congedarci da Francesco da Fiano vale la pena ricordare una sua curiosa annotazione, al centro dello spazio bianco sul verso dell’ultimo foglio, nella quale sono elencate alcune “strane” parole di cui viene proposta un’approssimativa traduzione. L’annotazione recita:“ Diis (dus?) — erbras — vel athethan quod est convellere — vel atheloin quod est ardere — vel atheasce quod est considerare” Le parole che vengono ricordate e le loro traduzioni fanno pensare a vocaboli tipici del Gaelico come “dis” (da un’ipotetica nota: “heu: dis”: Consolatio Philosophiae I, m 1, 2: “heu, mestos … modos”; dis = miserabile (miserable): Contributions to a Dictionary of the Irish Language, a cura di A. O’SULLIVAN – E. G. QUIN et alii, Dublin 1913-1975, D, p. 144) o come “athloiscnec” (da un’ipotetica glossa “[ardere] vel athloiscnec”: Consolatio Philosophiae I, I, 1: “ardentibus oculibus”[“atheloin” = athloiscnec
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Canonicus beneventanus Dalla biblioteca personale di Francesco da Fiano il Vat. lat. 3363 pervenne a quella di un personaggio che ebbe tra la mani diversi suoi codici che riempì di annotazioni: le fonti lo ricordano come Jacobus Porfidus, Jacobus de Porfidis, Jacobus Perphida, Jacobus Cavaline o Jacobus de Cavallina, ma si chiamava in realtà Giacomo Contelli, ispanizzato dalla burocrazia aragonese in Contillo, come risulta da un atto di Ferdinando IV del 1464, sfuggito agli studiosi contemporanei, ma ricordato dal De Stefano nel 1840104. Non si sa nulla della sua giovinezza: è chiamato “romanus” dall’Ughelli e dopo la metà del XV secolo fu vicino alla corona di Aragona, gravitando nell’area del potentissimo Iñigo de Guevara105. Per questo, verosimilmente, divenne canonico-abate nella cattedrale di Santa Sofia di Benevento prima del 1452106; fu abate, per poco tempo, dell’abbazia benedettina di Sant’Angelo di Orsara in Puglia107 nel 1464; fu eletto vescovo di (= ath+ loiscnec) = ardere (to burn): Contributions, L, p. 190]. Dello stesso parere è l’amico prof. Dáibhí Ó Cróinín che ringrazio per la sua valutazione. Visto che, come abbiamo già detto in precedenza, nel codice vaticano ci sono le glosse del IX-X secolo del gallese Asser e che in almeno un caso è stata trovata a f. 37v una nota coeva, di altra mano, che spiega Boezio con una piccola frase in “Brittonic” (verosimilmente nel Gaelico della Cornovaglia), si potrebbe pensare che esistessero altre note in idioma gaelico e che Francesco le abbia elencate alla fine sul foglio rimasto in bianco (dove già altri nel IX secolo avevano riportato le glosse a Prudenzio) facendosi aiutare nella traduzione da qualche clerico della curia pontificia di origine celtica. È verosimile che tali anomale annotazioni fossero sul primo foglio, oggi perduto, del volume, rimpiazzato nel XV secolo da una mano che scrive in un’ordinata semigotica. In effetti, le parole elencate da Francesco sembrano riferirsi alle prime pagine della Consolatio, Le parole più o meno deformate delle note fanno pensare al Gaelico dell’Irlanda. Ci si può chiedere come mai un irlandese possa leggere il codice di Boezio che più o meno nello stesso momento è in mano ad Asser e ai suoi seguaci. Il problema è solo apparente. Tra la fine del IX e gli inizi del X esistevano numerose fondazioni di monaci irlandesi in Cornovaglia che avevano una fitta rete di scambi cuturali con altri monasteri o istituzioni nel sud dell’Inghilterra. Ma esistevano anche scambi diretti tra eminenti centri di cultura in Irlanda e la cerchia dei collaboratori di di Alfredo il Grande (The Anglo-Saxon Chronicle, a cura di M. L. SWANTON, New York 1998, p. 82. Sull’argomento si veda D. Ó CROININ, Early Medieval Ireland, 400-1200, London – New York 19974, pp. 222-224). 104 Troia, Archivio Arc., Doc. Cap. VI; VII, 4; G. C. DE STEFANO, Per la collegialità della Chiesa di Sant’Angelo del comune di Orsara in Capitanata, Napoli 1840, p. 16. Sull’argomento vedi anche L. COTUGNO, Orsara di Puglia. Notizie storiche, Troia 1996; ID., Orsara di Puglia nella storia del preappennino dauno-irpino, Milano 2008. 105 VITALE, Storia della regia città di Ariano cit., p. 402. 106 “Il titolo … di abate … diverrà consueto per i canonici della cattedrale” (CAMPANA, Per la storia cit., p. 213). 107 Sull’abbazia vedi: A. CASORIA, Ursariensis Historiae Fragmenta “L’abbazia della SS. Trinità, detta, poi, dell’Angelo e di Santa Maria dell’Annunziata”, Troia 1999; G. VITOLO, Comunità monastiche e pellegrini nel mezzogiorno Medievale: l’Abbazia Spagnola di Sant’Angelo di Orsara, in Archivio storico per le province napoletane 18 (2000), pp. 1-9.
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Lacedonia nel 1452108 e di Ariano Irpino nel 1463109. In questa città si adoperò molto, realizzando opere ricordate dagli storici: contribuì ai costosi restauri della cattedrale; commissionò una pala della Vergine col bambino in trono, che fece disporre sulla porta della tesoreria arcivescovile e che fu considerata miracolosa e venerata nei secoli110. Nel 1480 terminò la sua lunga esistenza ad Ariano, lasciando un buon ricordo del suo episcopato111. Il Contelli ha lasciato memoria di sé nel primo foglio del Vat. lat. 3363112, scrivendo con una penna a punta molto fine in una minuscola corsiva dal modulo piccolissimo, il proprio nome sul margine alto. La nota si legge solo rovesciando il volume, ed è in caratteri piccolissimi. Si distingue “gm” e sotto “Gm Cont ais”, che dovrebbe significare “G(iaco)m(o)” e successivamente “G(iaco)m(o) Cont(elli) a(nt)i(stes)” (Tav. XVIIa). La mano del Contelli, poco calligrafica e disordinata, si può ritrovare in alcune annotazioni della prima pagina, scritte con la stessa penna e la corsiva di modulo piccolissimo usata nelle postille che disseminò nei margini di altri codici di Francesco da Fiano, come l’Oratio contra obluctores oggi conservata, insieme ad altre opere che aveva raccolto, nell’Ott. lat. 1438113 (Tav. XVIIb). Si può arguire da un piccolo indizio che forse egli avesse cominciato la sua carriera, giovanissimo, come abbreviatore apostolico114 108
F. UGHELLI, Italia sacra, VIII, Venetiis 1721, col. 218. Ibid., VI, col. 839. 110 T. VITALE, Storia della regia città di Ariano e sua diocesi, Roma 1794, p. 224. 111 K. EUBEL, Hierarchia Catholica medii aevi ab anno 1431 usque ad annum 1503 perducta. Editio altera, II, Münster 1913, pp. 94, 172. 112 È probabile che risalga a lui l’iniziativa di sostituire il primo foglio originale del codice con un nuovo foglio riscritto in semigotica: la scrittura usata rimanda infatti al XV secolo ed il foglio è stato aggiunto dopo le annotazioni di Francesco da Fiano sulle parole in gaelico. Sulla datazione al XV secolo della scrittura del primo foglio concorda anche CAMPANA, Scheda cit., p. 109. 113 P. O. KRISTELLER, Iter italicum, VI, London – New York – Köln 1993, p. 379; Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, a cura di E. PELLEGRIN – J. FOHLEN – C. JEUDY – Y.-F. RIOU, I, Paris 1975, pp. 564-566; ANGELUS DE GRASSIS, Oratio panigerica dicta domino Alfonso, a cura di F. DELLE DONNE, Roma 2006 (Antiquitates, 27). Vedi anche D. MAZZUCONI, Per una sistemazione dell’epistolario di Gasparino Barzizza, in Italia medioevale e umanistica 20 (1977), pp. 203; 229; I codici latini datati della Biblioteca Apostolica Vaticana, I, Nei fondi Archivio S. Pietro, Barberini, Boncompagni, Borghese, Borgia, Capponi, Chigi, Ferrajoli, Ottoboni, sotto la direzione di J. RUYSSCHAERT; a cura di A. MARUCCHI; con la collaborazione di A. C. DE LA MARE, Città del Vaticano 1997, pp. 158-159; L. QUACQUARELLI, Il Quattrocento dei copisti, Bologna 2014, p. 173. 114 Nell’Ott. lat. 1438 il Castelli ricorda la sua attività di “editore” dello Scriptum super Rhetoricam ad Herennium di Bartolinus de Benincasa, affermando che il testo è stato “redactum editumque in hoc breve” (f. 77v). Definire una “edizione” un “breve” presuppone che il testo sia stato “edito” come venivano “editi” quei testi pontifici che erano compendiati e ridotti nella foma di “brevia” dagli abbreviatores apostolici. Se il nome “de Cavallina” che le fonti attrbuiscono al Contelli sottolineasse la sua parentela con la famiglia romana dei Cavallini 109
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e che per questo motivo avesse conosciuto Francesco da Fiano nella Cancelleria. In ogni caso, qualunque sia stato il rapporto con il vecchio allievo di Pietro da Moglio, egli ebbe la sua Consolatio e la postillò con la sua caratteristica, sgraziata minuscola corsiva. Il gruppetto di testi raccolti dal Contelli riflette interessi retorico-grammaticali e letterari115 consoni a quelli che erano stati coltivati, una generazione prima, da personaggi come Francesco di Fiano e altri suoi più giovani colleghi nella Cancelleria, come Poggio Bracciolini o Leonardo Bruni e che furono ben visti nella Napoli di Alfonso d’Aragona. Tuttavia non erano immediatamente compatibili con quelli che animavano in quel periodo gli uomini di cultura attivi a Benevento o ad Ariano Irpino: negli stessi anni in cui Contelli fu canonico beneventano, un altro celebre canonico beneventano, il Feoli (o Theuli) compilava il catalogo dei manoscritti della Biblioteca Capitolare di Benevento116, tra i quali non figura alcun volume riconducibile agli orientamenti culturali del futuro vescovo di Ariano. Dopo la sua morte i suoi codici potrebbero essere rimasti ad Ariano Irpino117, da cui sarebbero stati riportati in qualche modo nella Roma cinquecentesca. L’Ott. lat. 1438 viene dalla biblioteca di Girolamo Sirleto118. Se ciò testimoniasse che anche gli altri volumi della piccola bilioteca del Castelli sono stati acquisiti dal cardinale o da uno dei suoi agenti si spie-
dei Cerroni, andrebbe ricordato che un celebre esponente di tale famiglia, chiamato Giovanni, fu scriptor apostolicus di una certa fama nella prima metà del XIV secolo e che questo precedente avrebbe potuto facilitare l’accesso alla Cancelleria a un altro esponente della stessa famiglia (cfr. M. PALMA, Giovanni Cavallini dei Cerroni, in DBI, 22, Roma 1979, pp. 785-787; IOANNIS CABALLINI DE CERRONIBUS Polistoria de virtutibus et dotibus romanorum, a cura di M. LAUREYS, Leipzig 1995). 115 Nell’Ott. lat. 1438 figurano il panegirico per Alfonso d’Aragona del vescovo di Ariano Irpino Andrea de Grassis, ispirato ai Panegyrici latini da poco scoperti a Magonza in un codice antichissimo; il commento a Cicerone di Bartolinus de Benincasa; la Pro Marcello e altri estratti di Cicerone; le Exornationes di Gasparino Barsizza; la lettera di Alfonso d’Aragona a Pietro di Campofregoso. 116 A. CAMPANA, Scritti. II. Biblioteche, codici, epigrafi, a cura di R. AVESANI – M. FEO – E. PRUCCOLI, Roma 2017 (Storia e Letteratura, 241), 1, pp. 425-494. Vedi anche: A. ZAZO, L’«inventario dei libri antichi» della Biblioteca Capitolare di Benevento, in Samnium (1935), pp. 5-25; J. MALLET – A. THIBAUT, Les manuscrits en écriture bénéventaine de la Bibliothèque Capitulaire de Bénévent, Paris 1984. 117 Ben poco è rimasto della biblioteca diocesana che conta comunque allo stato attuale circa 10.000 volumi e conserva l’archivio della Curia vescovile: si veda L. GRILLO, L’archivio della Curia vescovile di Ariano Irpino: ordinamento e mostra documentaria, in Documenti e ricerche, 2, 1986, pp. 233-237. Nella biblioteca comunale P. S. Mancini, costituita nel 1870, sono confluiti volumi e stampe custoditi nei Conventi Francescani e Scolopi di Ariano, nella Biblioteca dei Francescani di S. Giovanni del Palco a Lauro, dai Francescani di Montecalvo e Casalbore e dagli Alcantarini di Mirabella Eclano. 118 Les manuscrits classiques cit., p. 566; I codici latini datati cit., p. 159.
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gherebbe facilmente il passaggio successivo del Vat. lat. 3363 nella raccolta dell’Orsini119. Longa peregrinatio Quando ci si trova di fronte a lacune nella documentazione è giusto tentare ogni strada per cercare di colmarle. In ogni caso le ipotesi sono solo ipotesi. Tornando ancora una volta ai fatti e ai documenti, che invece danno informazioni sicure, dobbiamo dire che nel XVI secolo il Vat. lat. 3363 fu posseduto da Fulvio Orsini: nel catalogo dei suoi libri figura al numero 35 ed è così descritto: “Boethio De Consolatione, d’antichità di mille anni, in cipresso coperto di corame rosso”120. Questa definizione fu ripresa da G. Assemani al momento dell’acquisizione della biblioteca dell’Orsini in Vaticana121, che scrisse sul primo foglio di guardia: “Boezio De Consolatione, d’antichità di mille anni. Ful. Urs.”. Quanto al volume di Sedulio che prenderà il numero 35 del fondo ottoboniano latino, dobbiamo osservare che le due parti che costituiscono il codice non erano ancora riunite nella collezione di Cristina di Svezia all’epoca del catalogo di Montfaucon, che menziona solo il testo di Sedulio122. L’unione del codice con le poesie di questo autore con quello che riportava Giovenco fu fatta in seguito, nel XVIII secolo, poiché sul margine alto del verso del terzo foglio di guardia (IIIv) c’è scritto, di mano settecentesca: “Sedulius, Juvencus super Evangelia versibus explicita”123.
119
Per i rapporti tra Sirleto ed Orsini si vedano: P. DE NOLHAC, La Bibliothèque de Fulvio Orsini: contributions à l’histoire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissane, Paris 1887, pp. 176-177; G. MERCATI, Per la storia dei manoscritti greci di Genova, di varie badie basiliane d’Italia e di Patmo, Città del Vaticano 1935 (Studi e testi, 68), p. 192; J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Recherches sur l’histoire des collections des manuscrits, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), pp. 47-48; 64; 66; 78; 325; S. LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio, a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2), pp. 145-188. 120 DE NOLHAC, La Bibliothèque de Fulvio Orsini cit., p. 361. 121 Guida ai fondi manocritti, numismatici, a stampa della biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, I, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 447, 551-552. 122 MONTFAUCON, Bibliotheca, I, p. 45; BIGNAMI ODIER, Les manuscrits, p. 80. 123 Al centro dello stesso foglio, di mano ottocentesca: «Sedulius et Juvencus ambos magni pretii, codices ad Bibliothecam Reginensis Suecorum pertinere dicendum est. Huic quippe Montfoconium (sic!) in sua Bibliotheca Bibliothecarum attribuit notatos illum n° 1395 cum aliis eodem volumine codicibus, hunc n° 1396». Sul primo foglio di guardia, nel margine alto, di mano ottocentesca: «Codex admodum antiquus ante annum circiter 700, E. I. 15». In alto, depennato, di mano ottocentesca: «V. 336». In basso, scritto con una penna novecentesca: “35 Otto.”.
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Dalla biblioteca di Cristina di Svezia il manoscritto passò a quella dell’Ottoboni e da lì giunse alla Biblioteca Vaticana124. Si concludono così le vicissitudini dei due codici usciti dallo stesso scriptorium che, alla fine delle loro peripezie, sono nuovamente uniti in una stessa biblioteca, confermando un destino che li ha accomunati sin dalle origini, trascinandoli in un lungo viaggio al termine del quale, paradossalmente e forse ironicamente, ci si ritrova al punto di partenza.
124
Guida cit., I, pp. 446-450.
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Tav. Ia – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 35, f. 28r, margine destro inferiore (particolare).
Tav. Ib – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 35, f. 28r, margine destro inferiore (particolare).
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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 6v, margine inferiore (particolari).
Tav. IIIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 6v, margine inferiore (particolari).
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Tav. IIIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 6v, margine inferiore (particolari).
Tav. IIIc – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 7r, margine inferiore (particolari).
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Tav. IVa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 54v, margine superiore (particolare).
Tav. IVb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 9r, margine destro inferiore (particolari).
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Tav. Va – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 18r, margine destro inferiore (particolari).
Tav. Vb – Orléans, Médiathèque, 270, p. 230.
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Tav. VIa – Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 5763, f. 44r.
Tav. VIb – Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 5763, f. 99v.
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Tav. VII – Philadelphia, Kislak center, Rare Book and Manuscript Library University of Pennsylvania, LJS 101, f. 1v.
Tav. VIIIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 35, f. 33r, margine destro superiore (particolare).
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Tav. VIIIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 35, f. 35v, metà superiore (particolare).
Tav. IX – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 35, f. 35v, margine sinistro superiore (particolare).
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Tav. Xa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 20r, margine inferiore (particolari).
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Tav. Xb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 20r, margine inferiore (particolari).
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Tav. XIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 8r, margine superiore (particolari).
Tav. XIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 35, f. 33r, margine destro (particolari).
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FABIO TRONCARELLI
Tav. XIIa – Il corso del fiume Yeo.
Tav. XIIb – Sherborne tra VIII e X secolo (da Sherborne: Historic Urban Caracterization, Sherborne 2011, fig. 6).
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FECIT ADALGAUDO LEUTALDUS
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Tav. XIIIa – Cambridge, University Library, Ee, 2, 4, f. 161v (particolare); BAV, Ott. lat. 35, f. 28r (particolari).
Tav. XIIIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. Lat. 35, f. 1r, margine superiore (particolare).
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FABIO TRONCARELLI
Tav. XIV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 60v.
Tav. XVa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 60v (particolari).
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FECIT ADALGAUDO LEUTALDUS
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Tav. XVb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 60v (particolari).
Tav. XVc – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 60v (particolari).
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FABIO TRONCARELLI
Tav. XVIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 60v (particolare).
Tav. XVIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 1438, f. 142r; Vat. lat. 3363, f. 30r (particolari).
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FECIT ADALGAUDO LEUTALDUS
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Tav. XVIc – Milano, Bibl. Nazionale Braidense, A g IX, f. 40v; BAV, Vat. lat. 3363, f. 29v (particolari).
Tav. XVIIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3363, f. 1r, margine superiore (particolari).
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FABIO TRONCARELLI
Tav. XVIIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 1438, f. 142r; Vat. lat. 3363, f. 1r (particolari).
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PAOLO VIAN
UN EBREO TRA I MONSIGNORI. GIORGIO LEVI DELLA VIDA IN BIBLIOTECA VATICANA (1931-1939) Thyraze Keres 1. Fantasmi ritrovati (1966). – 2. Le Note autobiografiche (1958). – 3. Un ebreo tra i monsignori. – 4. Lettere di Eugène Tisserant a Levi Della Vida (1930-1966). – 5. Un osservatore lucido e consapevole.
1. Fantasmi ritrovati (1966) Nella primavera del 1966 Giorgio Levi Della Vida1 pubblicò Fantasmi ritrovati, «il suo capolavoro di letterato e memorialista, il suo libro di confessioni e modello di prosa»2. La festa ateniese degli Anthesteria, nella quale si credeva che per tre giorni le anime dei morti lasciassero la loro dimora 1 Su Giorgio Levi Della Vida (1886-1967), F. GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida, in Rivista degli studi orientali 42 (1967), pp. 281-295; S. MOSCATI, Ricordo di Giorgio Levi Della Vida, con una bibliografia degli scritti a cura di M. G. GUZZO AMADASI, Roma 1968 (Orientis Antiqui Collectio, 7); M. NALLINO, Giorgio Levi Della Vida (1886-1967). L’Uomo e il Maestro, in Oriente moderno 48 (1968), pp. 305-321; Giorgio Levi Della Vida. Discorsi commemorativi pronunciati dai Lincei F. GABRIELI, S. MOSCATI, A. SCHIAFFINI, L. SALVATORELLI nella seduta a classi riunite del 14 dicembre 1968, Roma 1969 (Accademia Nazionale dei Lincei. Celebrazioni lincee, 18); F. TESSITORE, Giorgio Levi Della Vida nella storiografia italiana tra Otto e Novecento, in G. LEVI DELLA VIDA, Arabi ed ebrei nella storia, a cura di F. GABRIELI – F. TESSITORE, Napoli 1984 (Biblioteca di saggistica, 17), pp. 9-48; F. GABRIELI – S. MOSCATI, Giorgio Levi Della Vida. Commemorazione tenuta il 14 marzo 1987 in occasione del ventennale della scomparsa, Roma 1987 (Problemi attuali di scienza e cultura, 262); F. GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida arabista, ibid., pp. 6-7; Giorgio Levi Della Vida nel centenario della nascita (1886-1967), a cura di G. GARBINI, Roma 1988 (Studi semitici, n.s., 4), con contributi di R. CONTINI su Gli studi siriaci, pp. 25-40; M. G. AMADASI GUZZO su L’epigrafista, pp. 41-51; R. TRAINI, L’arabista, pp. 53-66; M.G.A.G. [= M. G. AMADASI GUZZO], Cenni biografici, in G. LEVI DELLA VIDA, Visita a Tamerlano. Saggi di storia e letteratura, Napoli 1988 (Collana di storia, 1), pp. 23-40; B. SORAVIA, Levi Della Vida, Giorgio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXIV, Roma 2005, pp. 807-811; Giorgio Levi Della Vida, Milano, 19 maggio 2008, a cura di E. I. RAMBALDI – G. ROTA, Milano 2010 (Istituto Lombardo – Accademia di Scienze e Lettere. Incontro di studio, 52). G. ROTA, «Un Ebreo tra i modernisti». Il caso di Giorgio Levi Della Vida, in Intellettuali ebrei italiani del XX secolo, a cura di E. I. RAMBALDI, Milano 2018, pp. 67-81. La bibliografia è raccolta in Bibliografia degli scritti, a cura di M. G. GUZZO AMADASI, in MOSCATI, Ricordo di Giorgio Levi Della Vida, pp. 23-46; e aggiornata in Giorgio Levi Della Vida nel centenario della nascita, pp. 67-81. 2 G. LEVI DELLA VIDA, Fantasmi ritrovati, Vicenza 1966. La definizione è di A. SCHIAFFINI, Giorgio Levi Della Vida letterato, in Giorgio Levi Della Vida. Discorsi commemorativi cit., pp. 21-25: 25.
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 525-590.
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PAOLO VIAN
sotterranea per aggirarsi tra i vivi, fu il punto di partenza per un lungo viaggio della memoria. Nel Preludio, datato al novembre 1965, l’autore ne spiegò la genesi: Anche a me (…) appaiono di tanto in tanto, e non soltanto per tre giorni all’anno, ma assai più spesso, e in questi ultimi tempi con frequenza crescente, spiriti venuti su dalla penombra dell’Ade, spiriti che una volta furono uomini accanto ai quali mi è avvenuto di passare in tempi lontani, trattenendomi a lungo presso taluni e stringendo con essi vincoli di affetto, soffermandomi soltanto per poco presso altri e procedendo poi per il mio cammino, come essi per il loro3.
I «miei fantasmi — proseguiva Levi Della Vida — vengono e vanno a loro talento»: Io so del resto che cosa vogliono da me: vogliono che io racconti ai vivi di oggi le loro storie di ieri e di ierlaltro delle quali sono stato testimone. Già da vari anni avrei dovuto accontentarli; anzi, a dire il vero, avevo già cominciato a metter qualcosa in carta, ma sempre dopo poche righe ho smesso4.
Fra i motivi della riluttanza a scrivere i suoi ricordi Levi Della Vida poneva la domanda sull’utilità per la comunità di «queste memorie», dichiarando la sua avversione per il genere autobiografico, ritenuto di nessun interesse per lettori che non si sarebbero curati di quello che io potessi aver fatto, detto, pensato durante una lunga vita che si è svolta, in complesso, senza vicende drammatiche e sopra tutto, ahimè, senza risultati di una qualche importanza. Se al genio è consentita l’impudicizia dello spogliarello autobiografico, i mediocri debbono rassegnarsi a non rivelare le nudità degli eventi della loro vita palese e della problematica della loro vita intima e a provvedere invece a ricoprire gli uni e l’altra coll’uniformità di una tuta da fatica o di un abito scuro da pomeriggio. C’è chi preferisce la livrea. So anche troppo bene di non essere un grand’uomo e di non aver fatto proprio nulla di veramente buono, anche se, come del resto capita a tanti, abbia avuto da giovane l’ambizione di diventare una celebrità e mi sia illuso di avere ali abbastanza vigorose da levarmi a volo al di sopra della mediocrità. Sia detto a mio onore: mi sono accorto per tempo che l’ambizione era sbagliata e l’illusione era illusione5.
Alla fine, però, Levi Della Vida aveva superato remore, riluttanze, impedimenti: 3
Ibid., p. 13. Ibid., p. 15. Cfr. anche pp. 214-215: «(...) se non che tra i fantasmi che vanno volandomi intorno e chiedono che la loro inquietudine venga pacata mediante la pubblicità data alle loro storie (...)». 5 Ibid., pp. 15, 16-17. Lo stesso concetto a p. 215: «(...) la convinzione, che ho ben salda e ho manifestata ripetutamente, che i miei fatti privati non interessano proprio nessuno». 4
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UN EBREO TRA I MONSIGNORI
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(…) mi è sembrato che possa non dispiacere a qualcuno della generazione dei giovani sentir parlare delle gioie e dei dolori, delle speranze e delle delusioni di un’età che le formidabili trasformazioni tecniche, politiche, sociali, spirituali degli ultimi anni fanno parere anche più lontana di quanto realmente sia. Finalmente per un sentimento di reverente e affettuosa pietà verso i fantasmi che ho fermati, i quali tutti, con una sola eccezione, forse con due, al massimo con due e mezza, furono dei falliti, intendo dire degli uomini di buona volontà che diedero tutti se stessi, con impegno e con sacrificio, alla lotta per un ideale, e non lo raggiunsero, e vissero incompresi e combattuti, e morirono, se non nella disperazione, certo nella malinconia del successo mancato. E per questo meritano di essere ricordati con simpatia6.
Nacque così Fantasmi ritrovati: nei quattro capitoli sfilavano Leone Caetani, Ernesto Buonaiuti, Giovanni Gentile, ma anche Giovanni Genocchi, Giovanni Semeria, Salvatore Minocchi, Claudio Treves, Benedetto Croce e tante altre figure di mondi scomparsi, sino all’epilogo dei «colloqui» del giugno 1924, alla vigilia di quella tragica avventura che finì per travolgere il paese nel disastro della dittatura fascista e della guerra, e alla conclusiva rievocazione dei rapporti col «collega Gentile», prima che tingesse «del suo sangue i lastrici di una via di Firenze, atterrato dal piombo di un ignoto (...), togliendo se stesso da una situazione penosa e l’Italia postfascista dall’imbarazzo di doverlo condannare, salvo poi a riabilitarlo, come è avvenuto per tanti altri»7. 2. Le Note autobiografiche (1958) Otto anni prima della pubblicazione di Fantasmi ritrovati, fra il gennaio e il maggio 1958, Levi Della Vida aveva scritto, in verità, una sorta di autobiografia, mai però pubblicata e rimasta dattiloscritta nelle mani dei familiari, ai quali era destinata, come una lettera indirizzata ai figli Giorgina, Carlo e Giuliana8. L’avversione per l’autobiografia pubblica non era 6
Ibid., p. 17. Ibid., p. 213. 8 Il testo intitolato Note autobiografiche fu redatto fra gennaio e maggio 1958 e «finito di copiare» (probabilmente dattiloscritto) il 26 giugno 1958. L’autore fece alcune aggiunte dattiloscritte e apportò qualche piccola correzione e aggiornamento, manoscritti, con note interlineari e marginali, almeno sino al 1965. Il testo si compone di cinque capitoli (I. La mia famiglia, pp. 1-24; II. 1886-1904, pp. 25-54; III. 1904-1919, pp. 55-117; IV. 1920-1939, pp. 118184; V. 1939-1957, pp. 185-248) e si apre (pp. III-IV) con una lettera ai tre figli. Nel testo, infatti, l’autore si rivolge ripetutamente ai figli, quasi in un colloquio. Alle Note fanno riferimento NALLINO, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 305 nt. 2, che ne cita alcuni brani; AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 23*; F. M.-T. [= F. MICHELINI TOCCI], Giorgio Levi Della Vida «elzevirista», in LEVI DELLA VIDA, Visita a Tamerlano cit., pp. 7-22: 9 e passim; SORAVIA, Levi Della Vida, Giorgio cit., p. 811; vi accenna velatamente GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 294. 7
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dunque tradita ma confermata. Il senso della morte che si avvicinava aveva spinto l’arabista a scrivere per i figli «alcuni dati relativi alla mia vita e alla nostra famiglia»; non «mosso da orgoglio genealogico» ma solo per lasciare elementi per una «memoria, spero, affettuosa, non certo di vanto né tanto meno di esempio». Non «un’autobiografia compiuta ed esauriente» né tanto meno una «confessione»: «ambizioni, speranze, delusioni, rimpianti, errori, colpe, pentimenti, rimorsi. Tutto questo, se non ha assunto attualità di opere o non sa trasfigurarsi in espressione d’arte, non merita di sopravvivere a chi ne ha fatto l’esperienza, la quale si ripete, eguale e diversa, per ogni creatura umana». I temi del Preludio di Fantasmi ritrovati erano già nitidamente chiari nella mente dell’autore. Per la grande cortesia di Maria Giulia Amadasi Guzzo e Paola Piacentini, nipoti di Levi Della Vida perché rispettivamente figlie di Giorgina (primogenita di Giorgio) e di Marcella (primogenita del fratello di Giorgio, Mario), è stato possibile consultare queste Note autobiografiche — forse con eccessivo understatement definite dall’autore «quasi soltanto un nudo elenco di fatti e di date»9 — e, col loro permesso, selezionare le pagine dedicate agli anni fra il 1931 e il 1939, quando Levi Della Vida, persa la cattedra universitaria in Italia, fu accolto in Biblioteca Vaticana. Di quegli anni Levi Della Vida non scrisse in Fantasmi ritrovati, quasi che la loro rievocazione per lui non avesse rilevanza se non per un contesto familiare, nella ricostruzione del suo itinerario personale. Eppure le pagine sulla Vaticana degli anni Trenta descritta da un osservatore lucido e consapevole meritano di essere conosciute perché travalicano un’ottica puramente privata illuminando un periodo importante nel percorso umano e scientifico di Levi Della Vida ma anche un momento saliente delle ricerche orientalistiche nella biblioteca dei papi10. 9
LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. IV. La presenza e l’opera in Vaticana di Levi Della Vida vengono ricordate da molti; fra questi: GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida cit., pp. 283, 293; L. MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana, in L’osservatore romano, 3 dicembre 1967, pp. 3, 8; F. GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida, in Giorgio Levi Della Vida. Discorsi commemorativi cit., pp. 5-14: 7, 11; MOSCATI, Ricordo di Giorgio Levi Della Vida cit., pp. 10, 15-16; NALLINO, Giorgio Levi Della Vida cit., pp. 310-312; J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), pp. 262, 275 nt. 51; N. VIAN, Figure della Vaticana, in L’urbe 49 (1986), pp. 104-124 [rist. in ID., Figure della Vaticana e altri scritti. Uomini, libri e biblioteche, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 424), pp. 331-355]: 116-117 [347-348]; AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., pp. 33-35; H. GOETZ, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze 2000 (Biblioteca di storia, 83), p. 60; P. VIAN, «Non tam ferro quam calamo, non tam sanguine quam atramento». Un ricordo del card. Giovanni Mercati, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 396), pp. 393-459: 427, 428 nt. 90; G. BOATTI, Preferirei di no. La 10
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UN EBREO TRA I MONSIGNORI
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3. Un ebreo tra i monsignori Ecco dunque il testo che, riprendendo e adattando il titolo del secondo e più ampio capitolo di Fantasmi ritrovati11, si potrebbe intitolare Un ebreo tra i monsignori: un confronto ove la radicale diversità originaria dei mondi culturali dei protagonisti divenne preziosa premessa per un’intelligente scoperta reciproca. La narrazione incomincia dalla perdita della cattedra in Italia e dalla «provvidenziale» accoglienza di Levi Della Vida in Biblioteca Vaticana, per iniziativa di Eugène Tisserant12: Per fortuna, vorrei anzi quasi dire per le vie misteriose della provvidenza, mi venne inaspettata una fonte di guadagno che mi diede da vivere per quasi otto anni. Fin dall’estate del 1931, essendo andato alla Biblioteca Vaticana per esaminarvi un manoscritto arabo per conto del p. Anastasio13, un arabo e arabista di Bagdad, e avendovi trovato il prof. Georg Graf14 occupato nel preparare il catalogo dei mastoria dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino 2001 (Gli struzzi, 527), p. 129; É. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant (1884-1972). Une biographie, Paris 2011, pp. 180, 426; G. ROTA, «Un’oncia di buonsenso». Giorgio Levi Della Vida e il fascismo, in Giorgio Levi Della Vida, Milano, 19 maggio 2008 cit., pp. 95-153: 152-153; F. ISRAEL, Giorgio Levi Della Vida: dall’adolescenza all’orientalista antifascista, ibid., pp. 155-185: 168-171. 11 LEVI DELLA VIDA, Fantasmi ritrovati cit., pp. 73-166 (Un ebreo tra i modernisti). 12 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., pp. 155-166. Per i criteri di trascrizione: si è cercato di riprodurre con la massima fedeltà l’originale, nella punteggiatura e nell’uso di maiuscole/minuscole; solo i titoli delle opere, che Levi Della Vida indica in tondo fra virgolette, sono qui espressi in corsivo. In alcuni casi vengono normalizzati gli accenti (nè in né; sicchè in sicché; giacchè in giacché; perchè in perché). Si conservano anche le abbreviazioni sia per contrazione sia per troncamento (quella per contrazione, Mgr./Mgr, coesiste con Monsignor per esteso). Per agevolare la lettura del testo, si rinuncia a dare notizia delle piccole correzioni manoscritte (per esempio, parole o lettere aggiunte nell’interlineo perché omesse nella dattilografia; inserimento di trattini per parole attaccate), mentre si segnalano eventuali refusi o ripetizioni correggendoli nel testo. Si registrano poi interventi manoscritti sul dattiloscritto solo se significativi (per esempio, aggiunte nei margini, segno di una rilettura del testo da parte dell’autore negli anni successivi alla prima stesura, occasione nella quale vennero apposte le correzioni). 13 Non ho individuato notizie sul personaggio. 14 Georg Graf, nato a Munzingen il 15 marzo 1875 e morto a Dillingen an der Donau il 18 settembre 1955; sacerdote (23 luglio 1898), fu parroco a Obergessertshausen (dal 1905) e a Donaualtheim (dal 1912); fu collaboratore scientifico della Biblioteca Vaticana dal 1° febbraio 1930 al settembre 1937; riprese poi il lavoro dopo la fine del secondo conflitto mondiale, ospite prima del P. Collegio Etiopico, poi del Collegio Teutonico; specialista della letteratura arabo-cristiana, ne pubblicò nella collana «Studi e testi» una Geschichte fra il 1944 e il 1953; intraprese un catalogo dei manoscritti arabo-cristiani, di cui stese le prime ottanta descrizioni; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 262, 275 nt. 50; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; N. MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace. The History, Impact, and Influence of their Collaboration (1927-1947), Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 455), p. 718 (s.v. in indice); Graf, Georg, hrsg. von F. W. BAUTZ, in Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon, II, Hamm 1990, col. 282; S. K. SAMIR, Georg Graf (1875-1955), sa bibliographie et son rôle dans le renouveau des
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noscritti arabi cristiani, il proprefetto Mgr Eugenio Tisserant, valente orientalista che conoscevo da molti anni, mi domandò vagamente se avrei voluto occuparmi del catalogo dei manoscritti arabi musulmani; avendogli io risposto che forse l’avrei fatto, si stabilì di riparlarne nell’autunno. Venuto il momento, gli parlai del decreto sul giuramento, della mia intenzione di ricusarlo, della mia possibile destituzione15, e gli domandai di dirmi francamente se non temesse eventuali imbarazzi per la Santa Sede, le cui relazioni col fascismo, anche dopo la Conciliazione, erano esposte a dissidii pericolosi16. Si mostrò dapprima incredulo sulla possibilità che le cose andassero avanti fino all’estremo, e m’invitò a cominciare comunque, che si sarebbe veduto in seguito. Così, verso la metà di novembre (il 16, se non ricordo male), cominciai a lavorare al catalogo: quando mi fu notificata la destituzione, ne informai subito Tisserant, al quale ripetei che non volevo essere causa di difficoltà; mi disse di continuare, aggiungendo testualmente: «Conosco la mente del S. Padre al proposito»; col che voleva dire che aveva consultato il Papa e che questi gli aveva detto di tenermi17. Così assunsi in Vaticana la qualità, non d’impiegato, études arabes chrétiennes, in Oriens christianus 84 (2000), pp. 77-100 (con la bibliografia di Graf, pp. 83-99, e su Graf, pp. 99-100). 15 Dopo la promulgazione del decreto (28 agosto 1931) che imponeva ai docenti universitari il giuramento di fedeltà al regime fascista (dunque non più solo «alla patria»), Levi Della Vida appartenne a quella dozzina di insegnanti che rifiutarono la loro adesione, decadendo così dall’insegnamento e dalle altre cariche istituzionali e perdendo la sicurezza economica di cui sino a quel momento avevano goduto (fra essi erano Ernesto Buonaiuti e Gaetano De Sanctis); cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 33; GOETZ, Il giuramento rifiutato cit., pp. 27 e nt. 79, 31 nt. 92, 50-61, 64, 65, 67 e nt. 84, 73 e nt. 110, 135 e nt. 385, 134 nt. 390, 207, 237, 277 e nt. 263; BOATTI, Preferirei di no cit., pp. 94-100, 116-121, 126-129 e passim (s.v. in indice, p. 330); SORAVIA, Levi Della Vida, Giorgio cit., p. 808; ROTA, «Un Ebreo tra i modernisti» cit., pp. 99-100. Levi Della Vida proseguì però, sino al 1937, la sua collaborazione all’Enciclopedia italiana. Sulla destituzione dalla cattedra, cfr. LEVI DELLA VIDA, Fantasmi ritrovati cit., pp. 238-244. 16 Dopo gli accordi del Laterano (11 febbraio 1929), nel corso del 1931 i rapporti fra Chiesa cattolica e regime vissero un’acuta crisi per il tentativo da parte fascista di eliminare o addomesticare le organizzazioni di Azione Cattolica. Il 29 giugno 1931 Pio XI pubblicò l’enciclica Non abbiamo bisogno, denunciando i tentativi «di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre di più caro al nostro cuore di Padre e Pastore di anime». L’inizio della collaborazione di Levi Della Vida si collocava dunque in un momento particolarmente difficile per i rapporti fra la Santa Sede e il regime: «Il gesto (scil. l’accoglienza in Biblioteca Vaticana) suscitò certo più che disappunto al di là del Tevere, in un momento per giunta di faticosa rappezzatura del primo conflitto dopo la Conciliazione del ’29. E l’“ebreo tra i modernisti” (...) poteva ridestare qualche perplessità anche entro le mura Leonine. Va riconosciuto che si passò sopra a entrambe le aporie, e l’eminente arabista, che mantenne il suo illuminismo laico, restò quotidiano frequentatore della Vaticana, con gl’intermezzi delle assenze da Roma, per trentacinque anni», VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 117 [348]. 17 Per quanto riguarda i tempi: la notizia del giuramento si era già diffusa nel settembre 1931. Il 3 novembre una circolare del rettore dell’ateneo romano, Pietro De Francisci, annunciò che tutti i docenti ordinari e incaricati avrebbero dovuto giurare; il 17 novembre venne inviato a Levi Della Vida l’invito a presentarsi il giorno 20 novembre in rettorato; il 19 novembre Levi Della Vida comunicò che in coscienza non poteva giurare; il 31 dicembre il rettore, su incarico del Ministero, gli comunicò che era dispensato dal servizio a partire dal
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ma di «collaboratore», una figura non precisata, senza alcun impegno né scritto né verbale, con pagamento commisurato alle ore di lavoro18 (ritornavo così, dopo vent’anni precisi, al sistema adoperato con Caetani!)19. Il compenso era di dieci lire l’ora, che poi fu elevato a sedici qualche anno dopo, e ancora più tardi, mi pare nel 1936, fu consolidato in uno stipendio di milleseicento lire mensili, circa la metà di quanto sarebbe stato il mio stipendio universitario20. Si sparse la voce (me lo disse un certo comm. Vallarini21, capodivisione al ministero dell’Istruzione, che conoscevo da molti anni) che il Papa, saputo della mia destituzione, mi aveva invitato a entrare nel personale della biblioteca offrendomi uno stipendio favoloso, e molti m’invidiarono... Così nascono le leggende22. 1° gennaio 1932; cfr. GOETZ, Il giuramento rifiutato cit., pp. 57-59 (per la reazione di Gentile, informato del fatto ai primi di dicembre da Carlo Alberto Nallino, ibid., pp. 59-60). 18 Sulla figura dei «collaboratori scientifici», un profilo nuovo e inedito che si afferma nel primo Novecento (uno fra i primi fu Henry Marriott Bannister, studioso inglese di manoscritti liturgici), cfr. VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 115 [346]. Un primo elenco di nominativi in BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 406. 19 Leone Caetani (1869-1935), «uno dei massimi orientalisti europei del Novecento»; primogenito di Onorato, principe di Teano e poi duca di Sermoneta, e di Ada Bootle Wilbraham; per la sua opera più celebre, Annali dell’Islam (I-IX, 1905-1926, ma redatta sino al 1915), si avvalse della collaborazione di giovani studiosi, fra i quali, oltre a Levi Della Vida, che incontrò per la prima volta nel giugno 1911, Giuseppe Gabrieli e Michelangelo Guidi. Fu deputato per il quarto collegio di Roma, con indirizzo radicale e anticlericale. Dopo la guerra (alla quale partecipò) e l’avvento del fascismo (che avversò sin dagli inizi), anche in seguito a una crisi personale e familiare (aveva sposato, nel 1901, Vittoria Colonna), lasciò per sempre Roma e l’Italia (fra il 1926 e il 1927), trasferendosi in Canada, ove si dedicò a lavori manuali. Leone Caetani è il protagonista del primo capitolo di Fantasmi ritrovati cit.: La soffitta delle Botteghe oscure, pp. 19-72; F. GABRIELI, Caetani, Leone, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, Roma 1973, pp. 185-188. Cfr. anche G. LEVI DELLA VIDA – L. SALVATORELLI, La pazienza della storia. Carteggio (1906-1966), a cura di M. MARTIRANO, Roma 2013 (Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Memorie, ser. IX, vol. 31, fasc. 3), s.v. in indice, p. 862. 20 Nel 1931 Levi Della Vida percepiva uno stipendio annuale di 27.000 lire; non avendo raggiunto i venti anni di servizio ricevette solo una liquidazione di lire 24.166, cfr. GOETZ, Il giuramento rifiutato cit., p. 59. 21 Funzionario ministeriale non meglio identificato. 22 Della modestia dell’emolumento vaticano Levi Della Vida scrisse all’amico Salvatorelli: «Così ora sono ridotto a quello che mi passa l’Enciclopedia e a quello che prendo dalla Vaticana per il catalogo dei mss. arabi. Quest’ultimo emolumento è veramente ridicolo e assolutamente sproporzionato alla fatica e all’importanza del lavoro (la Curia romana, si sa, ama piuttosto prendere che dare), ma ha il vantaggio di consentirmi un’occupazione di carattere scientifico, e la pubblicazione, quando avverrà, mi darà anche un po’ (chiamiamola così...) di gloria» (26 marzo 1932); «Del mio lavoro alla Vaticana sono molto soddisfatto dal punto di vista scientifico, perché vado trovando del materiale di qualità superiore a quanto mi sarei aspettato, e potrei anche giovarmene, se ne avessi il tempo, per lavori personali; soltanto il rendimento economico non è molto» (Roma, 24 dicembre 1932); «Dal punto di vista economico non posso lagnarmi: i tre lavori che meno di fronte (Vaticano, Enciclopedia, Pastor) sono sufficienti, se non a vivere nello sfarzo, almeno a tenere in piedi il bilancio. Il primo è di gran lunga il più interessante, ma anche il più faticoso e il meno remunerativo; il secondo
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Certamente lo stipendio non era alto, e benché riducessi le spese al minimo necessario, difficilmente avrei potuto tirare avanti senza l’aiuto indiretto di mia madre23; dirò anzi che dall’ottobre del 1932 all’ottobre del 1933 arrotondai i guadagni colla traduzione dal tedesco di un volume e mezzo della Storia dei Papi di Pastor24, che usciva sotto il nome di un certo Monsignor Pio Cenci25, ma di fatto era opera di traduttori anonimi, costretti su per giù come me a far quattrini alla chetichella: Salvatorelli26 (che fu anzi lui a suggerire il mio nome all’editore), è noioso quanto mai e direi quasi umiliante (si riduce ormai a una correzione meccanica di bozze), ma mi occupa pochissimo e mi è pagato bene, in confronto alla scarsa fatica che mi dà. Il terzo, finalmente, l’ho terminato in questi giorni» (Roma, 9 aprile 1933); «Il mio lavoro alla Vaticana mi dà molta soddisfazione, e non domanderei altro, se mi procurasse un po’ di quattrini» (Roma, 22 dicembre 1933); «Continuo la solita vita, che mi dà molte soddisfazioni, ma scarso guadagno, per quanto riguarda la Vaticana, nessuna soddisfazione e guadagno non abbondante, ma immeritato, per quanto riguarda l’Enciclopedia» (Solda [Bolzano], 18 agosto 1934]; in LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., pp. 795, 798, 800, 806, 809. Il «Pastor» è la traduzione della Storia dei papi, alla quale Levi Della Vida collaborò nel 1932-1933, cfr. P. VIAN, Il miglior «discepolo» di Ranke. Prime indagini sulla ricezione in Italia della Storia dei papi di Ludwig von Pastor, in questo volume, pp. 591-687: 630-631, 671-673. Cfr. anche infra. 23 La madre di Levi Della Vida, Amelia Scandiani, come il padre Ettore, che fu dirigente di banca, apparteneva a «famiglia ebraica assimilata non osservante», AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 23: SORAVIA, Levi Della Vida, Giorgio cit., p. 807. 24 Dopo la traduzione italiana da parte di Angelo Mercati dei primi otto volumi (19081924) della celebre Storia dei papi dalla fine del medio evo di Ludwig von Pastor, la responsabilità della traduzione fu assunta dall’archivista vaticano Pio Cenci (cfr. infra), che si avvalse della collaborazione di diversi traduttori anonimi. 25 Pio Cenci (1876-1955), di Gubbio, sacerdote dal 1898, dopo alcuni incarichi nella diocesi di origine, fu assunto in Archivio Vaticano nel 1918 e vi rimase sino al 1° aprile 1941; autore di opere di storia umbra ed eugubina, fu traduttore di alcuni volumi della Storia dei papi di Ludwig von Pastor, coordinando però anche il lavoro di altri traduttori anonimi (cfr. supra, nt. 24); S. PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati (19251955) con notizie d’ufficio dai suoi Diari, in Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, V, Città del Vaticano 2011 (Collectanea Archivi Vaticani, 84), pp. 3-155. 26 Luigi Salvatorelli (1886-1974), dopo l’insegnamento di Storia della Chiesa nell’Università di Napoli (1916-1921), divenne condirettore de La stampa di Torino (1921-1925), ove si segnalò per un’aperta opposizione al fascismo; aderì a Giustizia e Libertà e partecipò alla fondazione del Partito d’Azione (1942-1943); diresse il periodico La nuova Europa (1944-1946); fu socio nazionale (1947) dell’Accademia dei Lincei; dopo l’esperienza del giornalismo politico si dedicò alla stesura di saggi e ricerche sulla storia italiana (Storia d’Italia nel periodo fascista, con G. Mira, 1956), sulla storia del cristianesimo (Vita di san Francesco d’Assisi, 1926; S. Benedetto e l’Italia del suo tempo, 1929), pubblicando anche fortunate sintesi divulgative (Sommario della storia d’Italia, 1938; Profilo della storia d’Europa, 1948); A. D’ORSI, Luigi Salvatorelli, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Storia e politica, Roma 2013, pp. 640645. Salvatorelli fu profondamente influenzato dal pensiero di Alfred Loisy ed ebbe intensi rapporti con Ernesto Buonaiuti, cfr. D. CESARINI, Un discepolo di A. Loisy: Luigi Salvatorelli; Lettere di Ernesto Buonaiuti a Luigi Salvatorelli, in ID., Tra storia e mistica. Studi e documenti sul modernismo cattolico, Assisi 2008 (Convivium Assisiense. Studia, 6), pp. 129-154; 239-362. Per i rapporti con Levi Della Vida, cfr. LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit.; e quanto scrisse lo stesso L. SALVATORELLI, L’amico, in Giorgio Levi Della Vida.
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De Gasperi27... Se non fosse troppo lungo, e se non implicasse particolari troppo tecnici, racconterei la comica storia di una polemica sorta tra gesuiti e francescani a proposito della traduzione di un passo del volume relativo a Clemente XIV28, in cui fu messa in dubbio la mia onestà di traduttore, senza che il mio nome venisse fuori, s’intende; onestà che peraltro risultò assoluta: De Gasperi, che naturalmente Discorsi commemorativi cit., pp. 27-31. A Salvatorelli, «fraterno amico per sessantadue anni / facili e difficili», è dedicato Fantasmi ritrovati. 27 Alcide De Gasperi, di Amedeo e Maria Morandini; nato a Pieve Tesino il 3 aprile 1881 e morto a Borgo Valsugana il 19 agosto 1954; coniugato con Francesca Romani, dalla quale ebbe le figlie Maria Romana (1923), Lucia (1929), Cecilia (1930) e Paola (1933); dopo l’esperienza del carcere (1927-1928), presentato a Giovanni Mercati da Giovanni Maria Longinotti e Filippo Meda, divenne soprannumerario in Biblioteca Vaticana dal 1° aprile 1929 e incominciò a lavorare nella Segreteria della Biblioteca dal 1936; fu assunto nei ruoli e nell’incarico di segretario il 1° giugno 1939, succedendo ad Emanuele Musso; assente e poi in aspettativa dal luglio 1943, fu distaccato presso l’Archivio di Propaganda Fide dal 1° aprile 1944 e fu collocato in pensione il 1° luglio 1944; N. VIAN, Ritratto morale di Alcide De Gasperi, in Studium 52 (1956), pp. 225-243 (ripubblicato in M. R. DE GASPERI, Mio caro padre, con otto testimonianze, Brescia 1979, pp. 169-188): 232-234 [177-179]; N. VIAN, Un quarto di secolo alla Vaticana, in Almanacco dei bibliotecari italiani, [XII], 1963, Roma 1963, pp. 13-20 (rist. in VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 269-276): 15-16 [271-272]; A. MELLONI, Alcide De Gasperi alla Biblioteca Vaticana (1929-1943), in Alcide De Gasperi: un percorso europeo, a cura E. CONZE, G. CORNI, P. POMBENI, Bologna 2005 (Quaderni dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Quaderni, 65), pp. 141-168 (pp. 149-150, 153, per la traduzione di Pastor); MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 715 (s.v. in indice). Per una presentazione complessiva della figura, P. CRAVERI, De Gasperi, Alcide, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXVI, Roma 1988, pp. 79-114. Sul rapporto fra Levi Della Vida e De Gasperi, R. PERTICI, La politica delle sottolineature, in L’osservatore romano, 19-20 agosto 2013, pp. 4-5. Per gli anni della sua presenza in Vaticana (in realtà con scarse indicazioni sulla vita della Biblioteca) cfr. ora A. DE GASPERI, Diario, 1930-1943, a cura di M. L. SERGIO, Bologna 2018. 28 In margine alla traduzione italiana della parte II del XVI volume della Storia dei papi, dalla primavera 1934, si aprì una polemica, soprattutto fra gesuiti e francescani conventuali, sulla paternità dei giudizi contenuti nell’opera relativi a Clemente XIV Ganganelli e alla soppressione della Compagnia di Gesù (1773), se cioè essi fossero da ricondurre allo stesso Pastor o ai suoi collaboratori, in parte gesuiti, che avevano, sulla base di prime stesure, note e appunti dello storico, portato a termine il lavoro dopo la morte dell’autore, nel 1928. Per espressioni della polemica cfr. L. CICCHITTO, Il pontefice Clemente XIV nel vol. XVI, p. 2a, della «Storia dei papi» di L. von Pastor, in Miscellanea francescana 34 (1934), pp. 189-231; P. LETURIA, Ancora intorno al «Clemente XIV» del barone von Pastor, in La civiltà cattolica 85 (1934), vol. IV, quad. 2025, pp. 225-240; L. CICCHITTO, Ancora intorno al «Clemente XIV» del barone von Pastor, in Miscellanea francescana 34 (1934), pp. 312-321; W. KRATZ – P. LETURIA, Intorno al «Clemente XIV» del barone von Pastor. I. Sull’opera del Pastor; II. Sulla paternità del volume, Roma 1935. Numerosi riferimenti al lavoro di traduzione, assunto con poco entusiasmo, per puri motivi economici, in alcune lettere fra Levi Della Vida e Salvatorelli, cfr. LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., pp. 798-799 (Levi Della Vida, Roma, 24 dicembre 1932; fu Salvatorelli a indicare il nome di Levi Della Vida, che accettò la proposta di tradurre il volume XVI), 800-801 (Levi Della Vida, Roma, 9 aprile 1933), 801 (Salvatorelli, Torino, 12 aprile 1933), 803 (Levi Della Vida, Roma, 15 agosto 1933), 804-805 (Salvatorelli, Viù [Torino], 20 agosto 1933), 806-807 (Levi Della Vida, Roma, 22 dicembre 1933), 808 (Salvatorelli, Torino, 1° gennaio 1934).
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conosceva l’identità del traduttore, si divertiva un mondo a seguire la vicenda della polemica e a comunicarmene l’andamento. Gli otto anni quasi completi — dal novembre del 1931 al settembre del 1939 — che ho passati come collaboratore nella Vaticana contano tra i più placidi e i più fecondi della mia vita, tanto da giustificare la risposta scherzosa che diedi a Tisserant quando, compiuto che ebbi il catalogo, mi domandò se intendevo dedicarlo a qualcuno: «Vorrei» gli dissi, «ma temo che non accetterebbe la dedica, dedicarlo a Mussolini, senza il quale non l’avrei mai fatto». Dopo il catalogo, che uscì nel settembre del 193529, feci un altro grosso volume (e questo lo dedicai a Tisserant, il quale nel frattempo era diventato cardinale)30, oltre ad altri lavori minori31, ed ebbi modo d’imparare una quantità di cose alle quali fino allora non avevo rivolto se non scarsa attenzione. Ogni mattina, dalle otto (mi alzavo regolarmente alle sei e mezza) alle dodici e mezza lavoravo tranquillamente, con solo una pausa a metà mattina per un caffè al bar vaticano (fu poi purtroppo soppresso)32 e un paio di sigarette (ricevevo una razione settimanale di «Turmac»33 a prezzo esente di tassa); qualche volta ritornavo in biblioteca nel pomeriggio sia per terminare qualcosa lasciato interrotto sia per studio privato; altrimenti restavo a casa, anche la domenica e le feste, naturalmente, avendo soppresso non solo le poche visite che tuttora facevo ma anche le gite domenicali. Non avevo obblighi di orario salvo quelli che m’imponevo da me, non sorveglianza del mio lavoro, nessuna responsabilità, nessun vincolo. La tenue aureola di «martire» che mi cingeva, forse anche la franchezza disinvolta con cui, pur nell’ossequio che mostravo alle 29
G. LEVI DELLA VIDA, Elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana. Vaticani, Barberiniani, Borgiani, Rossiani, Città del Vaticano 1935 (Studi e testi, 67). Nella Prefazione, pp. VII-XVII, datata «Roma, 24 agosto 1935», si presentava la storia del lavoro, dal suo inizio, il 16 novembre 1931, sino alla conclusione e si ricordava in apertura e in conclusione (pp. VII, XVI-XVII) il ruolo decisivo svolto da Tisserant, «promotore e patrono» dell’opera. Inizialmente Levi Della Vida aveva pensato a un catalogo analitico; ma presto si era reso conto della necessità preliminare di una «conoscenza preventiva dell’intero materiale manoscritto arabo islamico, posseduto dalla Vaticana (...)». Cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 34; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 592, 593 nt. 47. 30 G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1939 (Studi e testi, 92). Il volume si apre con la dedica a Tisserant: «All’Eminentissimo e Reverendissimo signor cardinale / Eugenio Tisserant / segretario della S. Congregazione per la Chiesa Orientale / membro dell’Istituto di Francia / già proprefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana / è rispettosamente e affettuosamente dedicato / questo libro / che da lui si sarebbe dovuto scrivere / e a lui deve d’essere stato scritto» (p. III); Tisserant veniva ricordato anche nell’Avvertenza (pp. VII-VIII) come promotore dell’opera. Cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 34. 31 Per articoli, recensioni, voci enciclopediche dopo il 1935, cfr. GUZZO AMADASI, Bibliografia degli scritti cit. 32 Il bar al quale si fa riferimento si trovava al di fuori della Biblioteca ove, in base agli austeri costumi allora vigenti, solo molto più tardi venne introdotto un distributore automatico di caffè; il bar, oggi esistente, fu inaugurato nell’ultima fase della prefettura (1971-1984) di Alfons M. Stickler. 33 Le sigarette Turmac erano particolarmente diffuse nell’Italia degli anni Trenta, spesso vendute in una caratteristica scatola di latta.
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gerarchie ecclesiastiche, mettevo in evidenza la mia indipendenza mi rendevano, credo, stimato e simpatico; e non posso dire abbastanza quanta affettuosa gentilezza abbia trovata presso il personale tutto, dal prefetto (col cardinale bibliotecario, il venerando Ehrle che avevo conosciuto prefetto nel 190734 e che morì quasi novantenne nel marzo del 193435, non ebbi rapporti) all’ultimo inserviente36. Vorrei menzionare tutti i miei compagni di lavoro, ma temo di aver perduto, definitivamente o temporaneamente, la memoria di qualcuno. Col prefetto Mgr. Giovanni Mercati37, morto cardinale a quasi novantun anni il 22 agosto 1957, avevo avuto fino allora rapporti scarsi e superficiali, e anche dopo entrato al servizio della biblioteca ne ebbi pochi prima di metter mano al mio secondo libro38: invece durante la composizione di questo ebbi da lui frequenti suggerimenti relativi alla storia della Vaticana e degli studi umanistici, che conosceva meravigliosamente; e diventammo amici. Anche dopo la sua nomina a cardinal bibliotecario nel 1936 34
Il primo ingresso di Levi Della Vida risale al 5 febbraio 1908; si presentò, insieme al fraterno amico Michelangelo Guidi, come «studente» di «Filologia orientale»; abitava allora a Piazza Cavour, 19; Biblioteca Vaticana, Arch. Bibl., Registri di ammissione allo studio 3 (ottobre 1907-agosto 1915), f.n.n., an. 1907-1908, nr. 176. Levi Della Vida era stato incaricato da Ignazio Guidi dello studio di un manoscritto siriaco, cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 27. 35 Franz Ehrle (1845-1934), prefetto della Biblioteca Vaticana dal 29 gennaio 1895 al 22 luglio 1914; cardinale Bibliotecario e Archivista dal 17 aprile 1929 alla morte (31 marzo 1934); M.-H. LAURENT, L’abbé Paul Liebaert scriptor honoraire adj. de la Vaticane. Sa vie et ses oeuvres (1883-1915), in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita, II, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 220), pp. 1-132: 2 nt. 2; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 252 nt. 94, 414 (s.v. in indice); MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 716 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 700 (s.v. in indice); PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 40 nt. 71; Le cardinal Franz Ehrle (1845-1934), jésuite, historien et préfet de la Bibliothèque Vaticane. (…) Actes du colloque de Rome (19-20 février 2015). (…) Études réunies par A. SOHN – J. VERGER (…), Rome 2018 (Collection de l’École française de Rome, 551). 36 Il brano «Gli otto anni quasi completi (...) ultimo inserviente» è citato, ma con ampie omissioni, da NALLINO, Giorgio Levi Della Vida cit., pp. 310-311. 37 Giovanni Mercati (1866-1957), scriptor per il greco dal 14 ottobre 1898, pro-prefetto della Biblioteca Vaticana dal maggio 1918, prefetto dal 23 ottobre 1919 al 15 giugno 1936, cardinale Bibliotecario e Archivista dal 15 giugno 1936 alla morte (22 agosto 1957); LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 11 nt. 5; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 271 nt. 29, 435 (s.v. in indice); P. VIAN, Mercati, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIII, Roma 2009, pp. 599-603; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 725 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 705 (s.v. in indice). Cfr. anche DE GASPERI, Diario cit., pp. 191, 224. Un riferimento alla sua creazione cardinalizia nella lettera di Levi Della Vida a Salvatorelli, Pocol (Cortina d’Ampezzo), 24 agosto 1936, in LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 827. 38 LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione cit. Nell’Avvertenza Levi Della Vida ricordò «tutte le occasioni nelle quali ho avuto ricorso, e non mai invano, alla sconfinata dottrina e all’inesauribile amabilità del Bibliotecario e Archivista di S.R.C., l’Eminentissimo e Reverendissimo signor cardinale Giovanni Mercati, al quale esprimo qui, in una sola volta, la molteplice e profonda riconoscenza per i ripetuti aiuti che egli mi ha largiti con paziente benevolenza» (pp. VII-VIII).
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entravo spesso nel suo studio39, dove accoglieva tutti senza cerimonie, e durante l’estate, quando la biblioteca era chiusa al pubblico40, talvolta si alzava per andare a prendermi un codice o uno stampato che mi occorreva; era di un’umiltà e41 di una cordialità esemplari, e mi era sinceramente affezionato; i suoi subordinati lamentavano certe sue durezze e impuntature, e di certo non era una mente molto larga, e la sua stessa immensa produzione, prodigiosa di erudizione, non rivela capacità di vedere le cose in grande42. Tisserant43 era tutt’altro tipo, e alle qualità di scien39 Lo «stanzone» occupato per decenni dal cardinale in Biblioteca Vaticana, definito anche la «stanza del cardinale», era di fronte alla prefettura, negli spazi ora occupati dall’ufficio del viceprefetto. In quello «stanzone» era collocata parte delle scaffalature della biblioteca Barberini (l’altra parte era nella contigua «Sala Barberini», ove sino agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso erano conservati i cataloghi, gli inventari e gli indici dei fondi manoscritti, in uno spazio direttamente comunicante con la Sala Manoscritti). La scaffalatura lignea della biblioteca Barberini è stata ricomposta fra gli anni Novanta e i primi anni Duemila al primo piano della Biblioteca, in una sala parallela alla Sala di consultazione dei periodici, cfr. Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, I: Dipartimento Manoscritti, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), p. 339. Allo «stanzone» fa riferimento N. VIAN, Abbozzo di ritratto del cardinale Mercati, in Almanacco dei bibliotecari italiani, [VII], 1958, Roma 1958, pp. 117-126 [rist. in VIAN, Figure della Vaticana e altri scritti cit., pp. 211-220]: 117 [211]: «A scrivere di lui, anche morto, si è presi ancora dal ritegno con il quale si entrava nella sala incupita dalla massiccia scaffalatura secentesca della Barberiniana e rischiarata avaramente per l’unico finestrone, dal fondo della quale s’alzava il grande Vecchio, imponente nella tonaca nera e logora non meno di quanto sarebbe stato sotto l’acceso fulgore della sua porpora romana». Nella sua stanza di lavoro il cardinale sequestrava talvolta per anni un numero incalcolabile di manoscritti, stampati, fascicoli, ma era prontissimo a restituirli, se richiesti, ibid., p. 124. Sotto la finestra della stanza è ritratto il cardinale nella fotografia pubblicata sotto l’articolo di G. MARTUCCI, Semplice e buono come un fanciullo, in L’osservatore della domenica, 22 settembre 1957, p. 4, insieme al bambino Cesare Giovanni, «al quale era particolarmente affezionato». Cfr. anche P. VIAN, Introduzione, in Carteggi del card. Giovanni Mercati, I: 1889-1936, introduzione, inventario e indici a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 413; Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti, 7), pp. V-XXVIII: XII. Un’altra, rara fotografia del cardinale, intento allo studio, al tavolo di lavoro nella sua stanza è pubblicata in C. PIGOZZI – G. M. VIAN, Les photos secrètes du Vatican, Paris 2017, p. 90. 40 Negli anni Trenta la chiusura estiva della Biblioteca corrispondeva a quella attuale e andava dalla metà del mese di luglio alla metà del mese di settembre. 41 Nell’originale, e e. 42 Il giudizio può apparire parziale e si potrebbe discutere: Mercati certamente aborriva le sintesi perché sentiva principalmente sua la vocazione all’approfondimento di aspetti e problemi della tradizione dei testi e della storia delle collezioni manoscritte; ma non era privo e incapace di visioni d’insieme, come mostrò per esempio nel lavoro su Bobbio; talvolta le sue visioni sintetiche appaiono, quasi malgré lui, nell’ambito di lavori particolari. 43 Eugène Tisserant (1884-1972), scriptor per le lingue orientali dal 22 ottobre 1908, diretto collaboratore del prefetto Mercati dal 1919 al 1930, pro-prefetto della Biblioteca Vaticana dal 1° dicembre 1930 al 15 giugno 1936; quindi segretario (18 giugno 1936) della Congregazione per la Chiesa Orientale (sino all’11 novembre 1959); dal 24 settembre 1957 al 20 marzo 1971 cardinale Bibliotecario e Archivista; LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 13 nt. 2; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 733-736 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit.; PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati
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ziato, meno versatile ma più intelligente di Mercati, univa quelle di uomo d’azione, che ha rivelato tanto da bibliotecario quanto anche più da cardinale, e aveva anche alquanta ambizione, mentre Mercati ne era interamente privo44. Lavoratore di forza, metodicità e tenacia formidabili, molto esigente dai suoi subordinati, di umore variabile e spesso burbero e fin maleducato, era tuttavia non soltanto eccellente organizzatore e direttore (dopo che ebbe lasciato la biblioteca le cose non sono più andate così bene) ma aveva un giudizio sicuro degli uomini ed era, anzi è, capace di una bontà tanto maggiore quanto meno ostentata45. E con me è stato molto buono, non dico tanto per avermi sostenuto durante il mio «esilio in patria», ché questo si potrebbe dire che fosse stato fatto nell’interesse della biblioteca, quanto per aver sempre apprezzato il mio lavoro, avermi aumentato spontaneamente il non lauto stipendio, avermi concesso, o anzi costretto a prendere un mese di vacanza pagato che non mi spettava, aver accolto paternamente la Mamma46 avanti e durante la mia assenza (so che lei gli fece delle confidenze e che lui avrebbe molto desiderato condurmi alla fede, ma non me ne parlò mai direttamente): alla morte della Mamma mi scrisse delle parole commoventi47. Fino alla sua nomina a cardinale, che fu contemporanea a quella di Mercati, lo vedevo tutti i giorni, discutevo con lui sia del mio lavoro sia di altri lavori che si compievano sotto la sua sorveglianza sia di ogni sorta di argomenti; dopo l’ho veduto più di rado, e anzi temo di essere stato poco cortese con lui, secondo la mia abitudine di tenermi lontano dagli amici saliti a posizioni elevate, non andando a trovarlo più spesso: gli ho però reso testimonianza della mia stima e del mio affetto scrivendo l’introduzione alla raccolta dei suoi scritti, nel 1955, in cui ho presentato e valutato la sua opera scientifica, del che mi è stato molto grato48. Gli successe, appunto nel maggio del 1936, o piuttosto successe cit., p. 65 nt. 170; DE GASPERI, Diario cit., pp. 122, 126, 191, 193, 215, 223, 229, 250-252, 257258, 258-259. 44 La comparazione in questo caso appare perfetta e penetrante. 45 Anche queste pennellate a proposito della personalità di Tisserant appaiono acute e capaci di cogliere nel segno. 46 Il 7 ottobre 1911 Levi Della Vida sposò Adelaide (Mimì) Campanari, dei marchesi di Castelmassimo di Veroli, nata il 18 marzo 1888; AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 29; SORAVIA, Levi Della Vida, Giorgio cit., p. 808. Cfr. anche LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., s.v. in indice, p. 866. La famiglia era di nobiltà autentica, ma non molto antica; il predicato nobiliare fu, pare, conferito a uno Stefano Campanari, giudice, verso la fine del secolo XVI; fu lui a costruire a Veroli il palazzo che reca sulla porta un’iscrizione con l’anno 1612; il titolo marchionale fu conferito da Pio VII e in quell’occasione i Campanari furono ascritti alla nobiltà di Viterbo; il titolo di Castelmassimo deriva dal nome di una tenuta sulla strada per Frosinone; LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., pp. 79-80. Un ricco archivio della famiglia è conservato presso la Biblioteca Giovardiana di Veroli. Sulla famiglia, cfr. V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana (...), II, Milano 1929, p. 257 (con notizie parzialmente diverse da quelle indicate da Levi Della Vida). 47 Evidentemente in un messaggio non conservato nel gruppo di lettere pubblicate infra. 48 G. LEVI DELLA VIDA, L’activité scientifique du Cardinal Tisserant, in Recueil Cardinal Eugène Tisserant «Ab Oriente et Occidente», I, publié par S. POP, avec la collaboration de G. LEVI DELLA VIDA, G. GARITTE et O. BÂRLEA, Louvain [1956] (Travaux publiés par le Centre International de Dialectologie Générale près l’Université Catholique de Louvain, 1), pp. 1-11.
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a Mercati come prefetto, il p. Anselmo Albareda49, un benedettino catalano signorile e cortese, molto inferiore a Mercati e a Tisserant dal punto di vista scientifico, e che secondo me non ha diretto nel modo migliore la biblioteca, concentrando tutta la sua attività nelle pubblicazioni e nell’officina fotografica50; la sua grande ambizione, quella di esser fatto cardinale, non è stata finora esaudita51. Con me è stato sempre di una gentilezza e di una cordialità straordinarie. Per vari anni la carica di proprefetto rimase vacante, e soltanto dopo che avevo lasciato la biblioteca vi fu nominato lo «scrittore» Mgr Devreesse52, grecista di talento, tagliente, mordace 49 Anselm M. Albareda i Ramoneda (1892-1966), di Barcelona, dal 1904 monaco dell’abbazia catalana di Montserrat (al secolo Joaquín); dopo gli studi a S. Anselmo a Roma e a Freiburg, fu ordinato sacerdote nel 1915, divenendo quindi archivista del monastero (19151936); fu prefetto della Biblioteca Vaticana dal 18 giugno 1936 al 19 marzo 1962; autore di ricerche sulla storia monastica e di collezioni librarie, fu dotato di notevoli capacità tecniche e sviluppò in modo particolare i laboratori fotografico e di restauro; VIAN, Un quarto di secolo cit.; J. MASSOT I MUNTANER, El cardenal Albareda, in Estudios Lulianos 12 (1968), pp. 217228 (con la bibliografia); BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 260, 261, 271 nt. 31, 277 nt. 58, 347 e 384 (s.v. in indice); MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 703 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 175, 190, 200, 225, 292, 378, 541 (il nome di Albareda per la successione del 1936 fu individuato da Tisserant, che lo aveva conosciuto a Montserrat nel maggio 1934; Tisserant durante la guerra fu ospite nell’appartamento vaticano di Albareda); PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 129 nt. 467. Levi Della Vida partecipò nel 1962 ai Collectanea Vaticana (per il venticinquesimo di prefettura e per l’ascesa al cardinalato del benedettino) con un articolo sui manoscritti arabi di origine spagnola in Vaticana (cfr. infra, nt. 142). Per i rapporti con De Gasperi, cfr. DE GASPERI, Diario cit., pp. 209-210, 223. A proposito dei rapporti fra Albareda e Levi Della Vida, Michelini Tocci ricorda: «Il prefetto, p. Albareda, in generale riservato, aveva per lui (scil. Levi Della Vida), oltre che ammirazione, vera amicizia, e faceva di tutto perché il professore si sentisse completamente a suo agio», MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 8. Al momento della nomina del benedettino, Levi Della Vida scrisse il 24 agosto 1936 da Pocol (Cortina d’Ampezzo) all’amico Salvatorelli: «il nuovo prefetto, longa manus di Tisserant, sembra un’ottima persona», LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 827. 50 Per lo sviluppo delle pubblicazioni e del laboratorio fotografico durante la prefettura di Albareda e per un giudizio più equo sul lungo mandato (ventisei anni; dunque il più lungo del Novecento e in assoluto uno dei più lunghi nella storia dell’istituzione), cfr. VIAN, Un quarto di secolo cit. Una dettagliata relazione sui primi cinque anni della sua prefettura in Arch. Bibl. 120. 51 Nel margine interno della p. 160, sono aggiunte alcune parole manoscritte, non decifrate. Albareda fu creato cardinale diacono da Giovanni XXIII nel concistoro del 19 marzo 1962; ricevette la berretta rossa e la diaconia il 22 marzo. Eletto arcivescovo titolare di Gissaria (5 aprile 1962), fu consacrato il 19 aprile 1962 da Giovanni XXIII nella basilica di S. Giovanni in Laterano. Dal 5 maggio 1950 era abate titolare di S. Maria di Ripoll. 52 Robert Devreesse, di Arthur e Marie Bouvier; nato a Cisai Saint-Aubin (Orne) il 20 maggio 1894 e morto a Orville il 16 agosto 1978; sacerdote (15 aprile 1922), scriptor greco aggiunto il 12 settembre 1926, effettivo il 29 ottobre 1927, fu viceprefetto dal 24 gennaio 1946 al 1° settembre 1950; dopo il ritiro, tornò in Francia e si stabilì ad Asnières (Hauts-de-Seine), compiendo periodici soggiorni a Roma; fu autore dei cataloghi dei Vat. gr. 330-603 (1937) e dei Vat. gr. 604-866 (1950) e di otto volumi nella collana «Studi e testi», con edizioni di testi (Pelagio diacono della Chiesa romana, Teodoro di Mopsuestia) e ricerche sui manoscritti
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e tirannico come sono talvolta i francesi (con me tuttavia, forse perché non fui mai suo sottoposto, è stato sempre amabile e cortese), che si rese poco accetto e fu presto allontanato; gli fu sostituito il canonico Arnold Van Lantschoot53, belga, studioso di cose orientali e specialmente di copto, e come tale mio grande amico: un tipo fiammingo grasso e rubicondo, amante dello scherzo, più dedito ai propri lavori che al buon andamento della biblioteca, col quale siamo in intimità da oltre vent’anni (prima di diventare scrittore, che fu dopo il cardinalato di Tisserant, era aiuto del vecchio Mgr Hebbelynck54 nella redazione del catalogo dei manoscritti copti55). greci dell’Italia meridionale, sui commentatori greci dell’Ottateuco, dei Re e dei Salmi, sul fondo Vaticano greco dalle origini a Paolo V; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 262, 347, 413 (s.v. in indice); J. RUYSSCHAERT, Mons. Robert Devreesse della Biblioteca Vaticana, in L’osservatore romano, 13 settembre 1978, p. 5; M. QUERUEL, Un savant méconnu. Monseigneur Robert Devreesse, s.l., s.a.; J. RUYSSCHAERT, A 50 ans du premier catalogue vatican de Mgr Robert Devreesse. Note bio-bibliographique, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, I, Città del Vaticano 1987 (Studi e testi, 329), pp. 117-125; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 108-109 [335-336]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 715 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 140, 145, 324. 53 Arnold van Lantschoot, di Pierre e Mathilde van Lierde; nato a Ursel (Belgio), nelle Fiandre orientali, il 24 aprile 1889, morto a Roma il 23 febbraio 1969; canonico premonstratense, col nome di religione di André, nell’Abbaye du Parc, Louvain, in diocesi di Malines (9 ottobre 1907); sacerdote dal 4 agosto 1913; collaboratore della Biblioteca Vaticana dal settembre 1929, scriptor orientalis dal 1° agosto 1936, viceprefetto dal 1° febbraio 1951 al 30 maggio 1965, fu autore del catalogo dei manoscritti copti (I, 1937, con Adolphe Hebbelynck; II, 1947) e dell’inventario dei manoscritti siriaci nei fondi Vaticano siriaco (460-631), Barberiniano orientale e Neofiti; R. DRAGUET, André-Arnold van Lantschoot († 23 février 1969), Vicepréfet émérite de la Bibliothèque Vaticane, in Byzantion 38 (1968), pp. 620-630; B. N. WAMBACQ, Il P. Andrea A. Van Lantschoot Viceprefetto della Biblioteca Vaticana, in L’osservatore romano, 28 marzo 1969, p. 4; R. DRAGUET, In memoriam Reverendissimi D. A.A. van Lantschoot canonici Parcensis († 23 februarii 1969), in Analecta Praemonstratensia 45 (1969), pp. 108-116 (con il discorso funebre tenuto da Draguet il 1° marzo 1969); la bibliografia è raccolta, a cura di G. Garitte, in Le Muséon 82 (1969), pp. 249-264; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 262, 274 nt. 43, 315, 347; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 118, 119 [349, 350]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 722 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 257. Van Lantschoot collaborò alla miscellanea in onore di Levi Della Vida per i suoi settant’anni: Ein fogel sang eim bruder ccc. iar, in Studi orientalistici in onore di Giorgio Levi Della Vida, I, Roma 1956 (Pubblicazioni dell’Istituto per l’Oriente, 52), pp. 1-13. 54 Adolphe Hebbelynck, nato a Meirelbeke-lez-Gand il 2 ottobre 1859, morto a Roma l’11 gennaio 1939; fu rettore dell’Università Cattolica di Lovanio (1898-1909), ove fu iniziatore degli studi di egittologia e copti; ritiratosi a Roma nel 1909, per motivi di salute, divenne collaboratore scientifico della Vaticana dal novembre 1910; fu autore di un inventario sommario dei manoscritti copti della Vaticana (1924) e nel 1937, in collaborazione con Arnold van Lantschoot, del primo volume del catalogo dei codici copti; LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 123 nt. 4; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 262, 274 nt. 46; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 115, 118 [346, 349]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 719 (s.v. in indice). 55 Codices coptici Vaticani Barberiniani Borgiani Rossiani, I: Codices coptici Vaticani, recensuerunt A. HEBBELYNCK – A. VAN LANTSCHOOT, in Bibliotheca Vaticana 1937 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti). La prima parte del secondo volume,
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Degli «scrittori» che erano in Biblioteca al mio tempo (di quelli entrativi dopo il 1939 non è il caso che parli)56 parecchi sono morti: tali Monsignor Gino Borghezio57 (bell’uomo aitante e brillante, morto presto, si disse suicida, che ho conosciuto superficialmente e che doveva esser travagliato da dubbi teorici o da problemi di vita); Monsignor Carusi58, abruzzese amico di Croce59, piccolissimo, amabile e relativa ai Barb. or. 2 e 17 e ai Borg. copt. 1-108, uscì nel 1947, a cura solo di van Lantschoot. A proposito dei rapporti fra van Lantschoot e Levi Della Vida, Michelini Tocci ricorda: «Il can. Van Lantschoot, suo amico fin dagli anni lontani, era divenuto viceprefetto, e dalla cattedra della sala dei manoscritti era in continuo contatto con lui. Mi pare ancora di rivedere la figura “irsuta e un po’ curva” che Levi aveva sempre avuta fin dalla prima giovinezza, come ce l’ha descritta Trompeo, curvarsi ancor più verso la bianca tonaca del canonico, e mi pare di udire il sussurro delle loro “sorrise parolette brevi”», MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 8. 56 Fra il 1939 (quando Levi Della Vida lasciò la Vaticana) e il 1958 (quando scrisse le Note autobiografiche cit.) furono nominati quattro scriptores: Marie-Hyacinthe Laurent (1949), José Ruysschaert (1949), Paul Künzle (1951), Paul Canart (1957). Il 1° dicembre 1958 fu nominato Joseph-Marie Sauget (ma probabilmente dopo il termine della stesura delle Note), P. VIAN, Il Dipartimento dei Manoscritti, in La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi. Atti del convegno, Roma, 11-13 novembre 2010, a cura di M. BUONOCORE – A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 468), pp. 351-394: 390-394. 57 Gino (Luigi) Borghezio, nato a Rivoli nel 1889, morto a Torino il 27 luglio 1938; «scrittore» aggiunto dal 10 gennaio 1922, effettivo dal 1˚ gennaio 1925; specialista di storia piemontese, di diplomatica e di storia della musica, lavorò sulla serie dei Vat. lat. 1135-1460, le cui descrizioni furono riprese e perfezionate per i Vat. lat. 1135-1266 da Marie-Hyacinthe Laurent; autore della voce sulla Biblioteca Vaticana nell’Enciclopedia italiana e di note di cronaca sulla Biblioteca ne La bibliofilia, fu editore con Marco Vattasso della Cronica del suo tempo di Giovanni di M. Pedrino depintore (Studi e testi, 50, 62; 1929-1934); N.V. [= N. VIAN], Gino Borghezio, in Aevum 12 (1938), pp. 661-664; LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 117 nt. 3; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 262, 273 nt. 40; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 107-108 [334-335]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 709 (s.v. in indice). 58 Enrico Carusi, di Filippo e Gaetanina Giuliani; nato a Pollutri (Chieti) il 1° febbraio 1878 e morto a Roma il 14 dicembre 1945; sacerdote e canonico di S. Eustachio; presente in Vaticana dal 1904, fu «scrittore» aggiunto il 16 novembre 1907 ed effettivo l’8 luglio 1909; autore con Marco Vattasso dei cataloghi dei Vat. lat. 9852-10300 (1914) e dei Vat. lat. 10301-10700 (1920), preparò in parte le descrizioni dei Vat. lat. 11414-11709, riprese da José Ruysschaert (1959); pubblicò la corrispondenza di Gaetano Marini (1916-1940) e curò, con W. M. Lindsay, i Monumenti paleografici veronesi (1929-1934); specialista di storia abruzzese, dal 1919 ebbe la presidenza della Commissione di Studi Vinciani; L. BERRA, Enrico Carusi scrittore della Vaticana, in L’osservatore romano, 13 gennaio 1946, p. 3; M. PELAEZ, Mons. Enrico Carusi (con la bibliografia degli scritti, 1901-1948, a cura di A. Campana), in Archivio della Società Romana di Storia Patria 70 (1947), pp. 171-184; N. VIAN, Ricordo di Pio Franchi de’ Cavalieri, in Aevum 35 (1961), pp. 123-130 (rist. in ID., Figure della Vaticana e altri scritti cit., pp. 235-242): 130 [242]; LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 12 nt. 2; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 257, 268 nt. 13, 401 (s.v. in indice); A. PETRUCCI, Carusi, Enrico, in Dizionario biografico degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 817-819; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 105-106 [332-333]; G. DE GREGORI – S. BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani del XX secolo. Dizionario bio-bibliografico 1900-1990, con la collaborazione di G. ZAGRA, Roma 1999, pp. 53-54; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 712 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 165, 179. 59 L’amicizia fra Carusi e Croce si spiega forse con le comuni origini abruzzesi. Carusi,
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colto, specialista di studi rinascimentali; i belgi Mgr. Stanislao Le Grelle60, squilibrato quasi al limite della pazzia (aveva la mania della radioestesia e della medicina empirica), ma profondo conoscitore dei vecchi fondi della biblioteca, simpaticamente familiare, francescanamente caritatevole (è morto ottantenne nel 1957) e Mgr Augusto Pelzer61, anche lui morto più che ottantenne nel febbraio di quest’anno 195862, medievalista eminente, sordo e burbero, di grande bontà, sempre pronto ad aiutare altri in ricerche bibliografiche: fu il primo a scrivermi in America nel 194463, appena furono ristabilite le comunicazioni postali; e ancora altri due, non d’altra parte, era frequentatore «di accademie e istituti culturali al di là del Tevere» e, nel suo posto in fondo alla Sala Leonina, alla scrivania usata un tempo da Giovanni Battista De Rossi, «accoglieva con cortesia i visitatori, in specie gli italiani, dai quali era più conosciuto», VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 106 [333]. 60 Stanislas Le Grelle, di Stanislas e Adelaide de Villegas de Saint-Pierre Jette; nato ad Antwerpen il 2 giugno 1874, morto a Roma il 16 maggio 1957; «scrittore» aggiunto onorario dal 24 gennaio 1903; pubblicò l’introduzione al catalogo di Camillo Serafini Le monete (...) del Medagliere Vaticano, Milano 1910, e l’introduzione al terzo volume (1921) del catalogo degli Urbinati latini di Cosimo Stornaiolo, con la concordanza fra i diversi ordinamenti della collezione; LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 12 nt. 4; S. NEGRO, Roma, non basta una vita, Venezia 1962, pp. 375-377; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 257, 268 nt. 12, 427 (s.v. in indice); VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 106-107 [333-334]; B. LAI, Il «mio» Vaticano. Diario tra pontefici e cardinali, Soveria Mannelli 2006, pp. 24-26, 34, 50-51, 63, 72, 86-87, 96-99, 113; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 206, 365. 61 Auguste Pelzer, di Auguste e Marie Joseph de Moulins; nato ad Aachen (ma da genitori belgi) il 28 dicembre 1876, morto a Roma il 4 gennaio 1958; sacerdote dall’aprile 1901, in Vaticana dal novembre 1907, fu «scrittore» onorario aggiunto il 12 settembre 1910 ed effettivo per la lingua latina dal 16 dicembre 1915 al 1° luglio 1949; fu autore del catalogo dei Vat. lat. 679-1134 (I-II, 1931-1933), degli Addenda et emendanda ad Francisci Ehrle Historiam Bibliothecae Romanorum Pontificum (1947), ma anche di studi sull’aristotelismo e sulla scolastica medievale; numerosi scritti sono stati raccolti in A. PELZER, Études d’histoire littéraire sur la scolastique médiévale. Recueil d’articles mis à jour à l’aide des notes de l’auteur par A. PATTIN O.M.I. et E. VAN DE VYVER O.S.B., Louvain – Paris 1964 (Philosophes médiévaux, 8); cfr. L. NOËL. Hommage à Mgr Pelzer, in Mélanges Auguste Pelzer, Louvain 1947 (Université de Louvain. Recueil de travaux d’histoire et de philologie, III, 26), pp. 1-26; L. BERRA, Augusto Pelzer scrittore onorario emerito della Biblioteca Vaticana, in L’osservatore romano, 4 agosto 1957, p. 3; F. VAN STEENBERGHEN, In memoriam Monseigneur Auguste Pelzer, in Revue philosophique de Louvain 56 (1958), pp. 136-143 (con complementi alla bibliografia, 1947-1958); LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 13 nt. 1; J. RUYSSCHAERT, L’opera di un insigne medievalista della Biblioteca Vaticana Monsignor Augusto Pelzer, in L’osservatore romano, 4 luglio 1965, p. 6; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 269 nt. 14; J. RUYSSCHAERT, Auguste Pelzer «Scriptor» della Vaticana, in L’osservatore romano, 5 gennaio 1983, p. 3; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 106, 107, 120 [333, 334, 351]; DE GREGORI – BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani cit., p. 142; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 383, 473, 476 nt. 76, 493 nt. 126. 62 Da rilevare la data, come termine post quem per la stesura delle Note. 63 L’entrata in vigore delle leggi razziali in Italia indusse Levi Della Vida a trasferirsi, nel 1939, negli Stati Uniti, senza portare con sé la famiglia che, considerata «ariana», poté restare senza fastidi in patria. Levi Della Vida assunse quindi l’insegnamento della Semitistica all’University of Pennsylvania di Philadelphia ma senza considerare questo soggiorno come definitivo: «Nonostante gli intensi rapporti di collaborazione scientifica e di amicizia stretti
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scrittori ma assistenti, che ho conosciuti bene ma senza intimità: l’ultraottantenne, microscopico Baronci64, laico, che credo fosse stato archivista di casa Barberini (o Chigi?) il cui archivio è passato alla Vaticana65, e il veneto Mgr Giuseppe Mazzini66, scervellato ma buon diavolo, morto di recente. E ancora Mgr Enrico Benedetti67, all’interno della comunità orientalistica statunitense, all’epoca rifugio di numerosi illustri espatriati europei, e nonostante la sua presenza nei circoli e associazioni degli esuli italiani (s’iscrisse, nel 1940, alla Mazzini Society), il L. non intendeva restare negli Stati Uniti e fin dal 1943, all’indomani dell’armistizio, cercò di rientrare in Italia per ricongiungersi alla famiglia. Vi riuscì nel 1945 e fu subito reintegrato nell’insegnamento e negli incarichi precedenti (...)», SORAVIA, Levi Della Vida, Giorgio cit., p. 809. Deluso dal clima politico italiano dell’immediato dopoguerra, tornò con la moglie negli Stati Uniti fra il 1946 e il 1948, quando rientrò definitivamente in Italia, ibid. 64 Giuseppe Baronci, di Giovanni ed Elena Cagiati; nato a Roma il 1° novembre 1857, morto a Roma l’11 giugno 1949; coniugato con Maria Kraus, dalla quale ebbe un figlio, Giovanni (1904); laureato in giurisprudenza; ammesso in Biblioteca Vaticana, ad personam, come direttore della biblioteca Chigiana, il 1° febbraio 1923, contemporaneamente all’acquisizione della biblioteca da parte della Vaticana, ma con anzianità dal 1918 (data dell’acquisto della biblioteca da parte dello Stato italiano); dall’inventario dei manoscritti Chigiani, da lui redatto e trascritto, in sei volumi, prima dell’entrata della biblioteca in Vaticana, trasse l’indice in 54 volumi, di 13.600 schede (1923-1926); dal 1929 al 1941 redasse anche indici e inventari dei manoscritti musicali Barberiniani e Chigiani, degli allora Vaticani latini musicali 14501-14912 (poi divenuti Vaticani musicali), dei manoscritti della Cappella Sistina, ma anche degli stampati musicali in R.G. Musica, della Miscellanea degli Stampati Chigiani e degli Opuscoli Chigiani; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 110 [337]. 65 L’Archivio Chigi giunse alla Vaticana, insieme a una raccolta di disegni di Gian Lorenzo Bernini, «nel maggio del 1944, nei giorni delle ultime battaglie intorno a Roma, per essere messo al riparo dalle distruzioni belliche. L’archivio e i disegni provenivano dal palazzo baronale dei Chigi ad Ariccia, dove erano stati trasportati dal romano Palazzo Chigi in seguito alla vendita di quest’ultimo, nel 1916, alla Banca Italiana di Sconto, cui subentrò nel 1917 il governo italiano». Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale i Chigi lasciarono in perpetuo l’archivio alla Vaticana, Guida ai fondi, I, cit., pp. 688-691. 66 Giovanni Antonio Mazzini, di Giuseppe Luigi e Giuseppina Vio, nato a Venezia il 4 ottobre 1880, morto il 26 gennaio 1954; ordinato sacerdote dal patriarca di Venezia card. Aristide Cavallari il 26 luglio 1904, laureato in filologia classica nell’Università di Padova, divenne assistente della Biblioteca Vaticana il 1° novembre 1921 (prendendo il posto di Francesco Torriani); si occupò, dal 1926 al 1933, della catalogazione degli stampati Palatini; fu canonico di S. Anastasia (maggio 1924) e accademico arcade; in pensione il 31 gennaio 1954; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 113 [344]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 463, 485; L. ORLANDI, «Salpammo alla volta dell’America». Lettera di un bibliotecario della Vaticana in missione alla Library of Congress (7 ottobre 1927), in Studi in onore del cardinale Raffaele Farina, II, a cura di A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 478), pp. 811-827: 821 nt. 33. 67 Enrico Benedetti, nato a Roma nel 1874, morto il 10 marzo 1941; sacerdote nel 1897, dal luglio 1904 minutante nella Congregazione di Propaganda Fide per gli affari del rito orientale, passando poi alla neo-costituita Congregazione per la Chiesa Orientale (1917); dopo una «disgrazia» relativa, in realtà, all’inserimento del nome di un vescovo nell’Annuario pontificio, passò in Biblioteca Vaticana (1924) ove lavorò per diversi anni, recandosi negli Stati Uniti (1927-1928) per gli studi di biblioteconomia; nel 1931 era divenuto «straordinario»; ORLANDI, «Salpammo alla volta dell’America» cit. (a p. 815 nt. 16 dettagliata narrazione
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che aveva funzioni non ben definite in biblioteca, dove lo avevano relegato quasi in esilio dopo un infortunio politico capitatogli durante una missione diplomatica in Romania: arrabbiato antifascista, e in quanto tale mio grande ammiratore; fu lui a regalarmi quell’idoletto sardo di bronzo che conservo; fui molto dolente di non ritrovarlo più in vita al mio ritorno dall’America. È vivo ancora, quasi novantenne e quasi cieco, lo scrittore onorario Pio Franchi dei Cavalieri68, studioso di agiografia di fama internazionale, vice gran balì dell’Ordine di Malta, della famiglia verolana69 che credo conosciate: con lui, riservato e ombroso, non ho mai avuto relazioni molto strette, pur avendolo conosciuto fin dal mio primo ingresso in Vaticana nel 1907, ma so che diceva un gran bene di me. Degli altri scrittori ancora in funzione il solo ecclesiastico è don G. B. Borino70, salesiano, dotto e simpatico, insofferente di dell’incidente che portò alla defenestrazione di Benedetti dalla Congregazione per la Chiesa Orientale); cfr. anche MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 705 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 161. 68 Pio Franchi de’ Cavalieri, di Giovanni Andrea e Polissena Borgogelli; nato a Veroli il 31 agosto 1869, morto a Roma il 6 agosto 1960; «scrittore» aggiunto onorario della Biblioteca Vaticana dal 25 settembre 1896, balì del S. M. Ordine di Malta, fu anche conservatore del Museo Sacro; specialista dell’agiografia greca e romana, pubblicò cataloghi dei manoscritti agiografici greci della Biblioteca Vaticana (1899) e dei manoscritti greci dei fondi Borgia e Chigi (1927); collaborò con Marco Vattasso al primo catalogo dei Vaticani latini (1-678, 1902) e con Giovanni Mercati al primo catalogo dei Vaticani greci (1-329, 1923); fu autore di introduzioni scientifiche a diversi volumi di riproduzioni fototipiche e di dodici volumi nella collana «Studi e testi» (1900-1953); gli scritti agiografici, dal 1893 al 1946, sono stati raccolti nei volumi 221-222 di «Studi e testi» (1962), con gli indici curati da P. Künzle, V. Peri e J. Ruysschaert; J. RUYSSCHAERT, Commemorazione del socio Pio Franchi de’ Cavalieri, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti 33 (1960-1961), pp. 61-69; VIAN, Ricordo di Pio Franchi de’ Cavalieri cit.; LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 3 nt. 1; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 257, 267 nt. 9; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 105-106, 107 [332-333, 334]. 69 I Franchi de’ Cavalieri erano una delle famiglie nobili di Veroli; nel 1810 il cognome e lo stemma de’ Cavalieri furono aggiunti per eredità al ramo primogenito; nel 1836 vennero riconosciuti nella nobiltà verolana con breve di Gregorio XVI; nel 1868, Giovanni Andrea, figlio di Giovanni Battista Franchi e di Maria Luisa Curti, ottenne il patriziato romano, in surrogazione della famiglia comitale dei Curti, estintasi con Maria Luisa; cfr. V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana (...), III, Milano 1930, pp. 257-258. Come si ricorderà, la moglie di Levi Della Vida apparteneva a una famiglia anch’essa verolana, cfr. supra, nt. 46. 70 Giovanni Battista Borino, di Vincenzo e Maria Facchini; nato a Palestro (Pavia) l’8 dicembre 1881, morto a Roma il 3 aprile 1966; salesiano, prestò la sua opera in Biblioteca Vaticana come avventizio dal 1° ottobre 1916; «scrittore» effettivo il 29 ottobre 1919, lasciò la Biblioteca nel 1961; pubblicò i cataloghi a stampa dei Vat. lat. 10701-10875, 10876-11000, mentre rimasero allo stadio di bozze di stampa le catalogazioni dei Vat. lat. 11001-11086, 11087-11112, 11113-11150 (1969); Romeo De Maio utilizzò le schede di Borino per l’inventario dattiloscritto dei Vat. lat. 11151-11265 (1969); specialista di Gregorio VII e dell’età della riforma della Chiesa, Borino promosse dal 1947 la pubblicazione degli Studi gregoriani; L. BERRA, Don Giovanni Battista Borino, in L’osservatore romano, 4 maggio 1966, p. 5; P. BREZZI, Giovanni Battista Borino, in Studi romani 14 (1966), pp. 443-444; O. CAPITANI, Giovanni Battista Borino (1881-1966), in Rivista di storia della Chiesa in Italia 21 (1967), pp. 286-289; O. BERTOLINI, Borino, Giovanni Battista, in Dizionario biografico degli Italiani, XII, Roma 1970, pp. 785-791; ID., Giovanni Battista Borino, in Studi gregoriani 9 (1972), pp. 1-15 (ver-
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disciplina; laici sono Luigi Berra71, piemontese, antifascista dichiarato e cattolico con tendenze fortemente democratiche e anticurialistiche, mio grande ammiratore, e Augusto Campana72, romagnolo, eruditissimo conoscitore del Rinascimento. E finalmente miei grandi amici, o piuttosto «famuli» perché, molto più giovani di me, li avevo conosciuti studenti nei primi tempi del mio insegnamento romano, i due scrittori per il greco Ciro Giannelli73 e Valentino Capocci74, ambedue laici, il primo oggi professore di filologia e storia bizantina nell’università di Roma, il sione ampliata della voce sul Dizionario biografico); BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 261-262, 273 nt. 39, 397 (s.v. in indice); VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 107, 108 [334, 335]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 709 (s.v. in indice). 71 Francesco Luigi Berra, di Francesco e Maddalena Crosetti; nato a Bastia di Mondovì (Cuneo) il 29 dicembre 1888, morto il 3 maggio 1982; coniugato con Emma Nicola, dalla quale ebbe i figli Clotilde (1924), Laura (1926) e Francesco (1928); in Biblioteca Vaticana come scriptor soprannumerario nel luglio 1929, effettivo il 1° luglio 1931; in servizio sino al 31 dicembre 1960; redasse le Norme per il catalogo dei manoscritti (1938), curò la catalogazione dei manoscritti Ferraioli (I-III, 1939-1960), si occupò dei manoscritti e degli autografi Patetta; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 262; (n.v.) [= N. VIAN], Due della Vaticana, in L’osservatore romano, 31 dicembre 1982, p. 3; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 108 [335]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 705 (s.v. in indice). Borino e Berra erano fra loro molto legati e non ebbero facili rapporti con il prefetto Albareda. 72 Augusto Campana, di Augusto e Felicità Protti; nato a Santarcangelo di Romagna il 22 maggio 1906, ivi morto il 7 aprile 1995; coniugato con Rosa Fabi, dalla quale ebbe i figli Augusto Maria (1934), Giovanna (1937) e Benedetta (1946); in Biblioteca Vaticana come soprannumerario il 1° aprile 1935, fu assunto come «scrittore» in sostituzione di Gino Borghezio il 1° settembre 1938 e lavorò al catalogo dei manoscritti di Fulvio Orsini (Vat. lat. 3195-3453); lasciò la Vaticana il 31 dicembre 1959, insegnando poi nelle università di Urbino (1959-1965) e di Roma (1965-1976); M. BUONOCORE, Augusto Campana e la Biblioteca Apostolica Vaticana, in Rubiconia Accademia dei Filopatridi, Quaderno 18, Savignano sul Rubicone 1996, pp. 23-47. 73 Nel margine interno della p. 161, è aggiunta l’indicazione manoscritta «morto d’infarto il 3 dicembre». Ciro Giannelli, di Guglielmo e Ida Rossi: nato a Roma il 29 maggio 1905, morto a La Spezia il 3 dicembre 1959; allievo di Nicola Festa e di Silvio Giuseppe Mercati, laureato nel 1927, fu in Biblioteca Vaticana «scrittore» soprannumerario dal 2 gennaio 1929, effettivo per la lingua greca dal 1° gennaio 1931; fu collocato a riposo nel 1955, quando assunse la cattedra di Letteratura bizantina nell’Università di Roma; autore dei cataloghi dei Vat. gr. 1485-1683 (1950) e dei Vat. gr. 1684-1744 (1961, con addenda e indici curati da Paul Canart); la sua bibliografia fu raccolta da Enrica Follieri in Byzantion 29-30 (1959-1960), pp. VII-X; N. VIAN, Ciro Giannelli della Biblioteca Vaticana, in L’osservatore romano, 5-6 dicembre 1960, p. 5; BIGNAMI ODIER, La Biblothèque Vaticane cit., pp. 262, 273 nt. 41, 418 (s.v. in indice); VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 109-110 [336-337]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 718 (s.v. in indice). 74 Valentino Capocci, di Tomaso ed Enrica Guasco; nato a Roma il 10 marzo 1901, ivi morto il 21 novembre 1969; in Biblioteca Vaticana quale collaboratore per l’indice alfabetico dei manoscritti dal 1° aprile 1928, «scrittore» dal 1° gennaio 1931; colpito agli inizi degli anni Quaranta da una malattia che progressivamente lo costrinse all’immobilità, venne collocato a riposo il 1° gennaio 1954; catalogò i Barb. gr. 1-163 (1958) e fu autore di ricerche di storia del diritto romano; E. JOSI, Ricordo di Valentino Capocci, in L’osservatore romano, 21 novembre 1970, p. 4; G. LOMBARDI, Ricordo di Valentino Capocci (1901-1969), in Studia et documenta historiae et iuris 36 (1970), pp. 1-19; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 262, 273
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secondo, studioso egregio di diritto romano, colpito qualche anno fa da un’inguaribile artrite è pensionato; con loro m’intrattenevo familiarmente scherzando e motteggiando, fingendo indignazione per le loro irriverenti malignità sul conto di prefetto e proprefetto, volendo loro bene quasi come a figlioli e, se non m’illudo, essendo amato da loro quasi come padre75. C’è ancora, e c’era già allora, quel curioso tipo di Lamberto Donati76, che non so bene quale ufficio abbia, specialista dottissimo di incisioni, chiuso e riservato e che ho assai poco frequentato ma che deve volermi bene perché insistette, lui non orientalista, per collaborare nella raccolta di scritti che mi è stata offerta77. Non ci sono più, invece, due tedeschi profughi del nazismo: Stephan Kuttner78, che conoscete bene, studioso insigne di storia del nt. 42, 400 (s.v. in indice); VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 109, 110 [336, 337]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 710-711 (s.v. in indice). 75 «[Levi Della Vida] Aveva sviluppatissimo il senso del ridicolo. La sua intelligenza, prontissima a cogliere i particolari più caratteristici, gli suggeriva talvolta giudizi sferzanti e crudeli, battute folgoranti, capaci di distruggere un uomo per sempre, ma di questa sua terribile arma non faceva uso quasi mai, e, se l’usava, sapeva subito attenuarne l’effetto con un’altra battuta che distraeva dalla prima, o addirittura con una lode che la neutralizzava. Godeva i giuochi di parole di cui, da buon bizantinista, si compiaceva Giannelli, o i feroci e divertenti epigrammi composti da un altro collega della Vaticana, Capocci, in un latino elegantissimo», MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 8. «Venezianamente conversevole, suggestivo per la scienza del passato e i vivaci interessi del presente, anche politici, trovò interlocutori e amici nella composita biblioteca del tempo», VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 117 [348]. 76 Lamberto Donati, di Ormisda e Virginia Pagnoncelli, nato a Roma l’8 luglio 1890, morto il 16 luglio 1982; coniugato con Ada Grazioli, dalla quale ebbe le figlie Donatella (1929), Gemma (1932) e Licia (1936); laureato in lettere, ebbe l’11 maggio 1921 in Biblioteca Vaticana l’incarico, ad personam e presuntivamente non rinnovabile, di catalogare le stampe e le legature artistiche; fu anche docente nella Scuola di Biblioteconomia; andò in pensione dal 1° agosto 1960; (n.v.), Due della Vaticana cit.; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 112-113 [339, 344]. 77 Studi orientalistici in onore di Giorgio Levi Della Vida, I-II, Roma 1956 (cfr. supra, nt. 53). Donati collaborò alla Festschrift con l’articolo Due immagini ignote di Solimano I (1494-1566), ibid., I, pp. 219-233. 78 Stephan Kuttner, di Georg e Gertrud Schocken; nato a Bonn il 24 marzo 1907, morto a Berkeley il 12 agosto 1996; coniugato con Eva Illch, dalla quale ebbe sette figli; di origine ebraica, convertito al cattolicesimo, lasciò la Germania dopo l’avvento del nazismo e divenne collaboratore della Vaticana dal 1° aprile 1934, per la «preparazione di un Corpus glossarum al Decreto di Graziano»; dopo l’introduzione delle leggi razziali in Italia (1938), partì per Lisbona con un passaporto vaticano (29 maggio 1940) e di lì si recò negli Stati Uniti, ove divenne docente di Storia del diritto canonico nella Catholic University of America a Washington; alla morte di Enrico Carusi, nel 1946, gli venne offerto un posto come «scrittore» latino ma Kuttner declinò l’invito (già il 30 aprile 1941 Albareda, considerata la precarietà dei tempi, lo aveva consigliato di non lasciarsi sfuggire l’occasione di una sistemazione negli U.S.A.); VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 117-118 [348-349]; P. VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati per gli studiosi perseguitati per motivi razziali. L’appello alle università americane (15 dicembre 1938), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 427-500: 476-478 e passim; L. SCHMUGGE, Der Kirchenrechtler Stephan
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diritto canonico e oggi professore illustre nella Catholic University di Washington, allora giovanissimo, infantile di aspetto e soavemente gentile di animo; Fritz Vollbach79 [sic], che era stato messo a riordinare il museo cristiano annesso alla biblioteca, studioso di alto valore, ma vero tipo di tedesco maleducato e bohême [sic]: sguaiato, donnaiolo e sventato; simpatico per un po’, alla lunga veniva a noia. E non voglio dimenticare gli impiegati al catalogo: Graglia80, signorile e corretto; Nello Vian81, ora segretario, discepolo e biografo di Giulio Salvadori82, il «sataniKuttner zwischen Deutschland und Rom bis zur Emigration in die USA (1930-1940), in Orte der Zuflucht und personeller Netzwerke. Der Campo Santo Teutonico und der Vatikan 1933-1955, hrsg. von M. MATHEUS – S. HEID, Freiburg – Basel – Wien 2015 (Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte. Supplementband, 63), pp. 76-93. 79 Wolfgang Fritz Volbach, di Fritz e Katharina Ginsberg; nato a Mainz il 28 agosto 1892, ivi morto nel 1988; figlio di madre ebrea, dopo l’avvento del nazismo in Germania (1933) fu congedato dalla Sammlung von Bildwerken und Abgüssen der christlichen Zeitalters nello Staatliches Museum di Berlino, ove aveva lavorato per quasi vent’anni; accolto in Biblioteca Vaticana, inizialmente pagato con sussidi personali di Pio XI e di Mercati, divenne addetto soprannumerario al Museo Cristiano (1° febbraio 1934) e rimase in servizio sino al 30 novembre 1947; tornato in Germania, lavorò presso il Römisches-germanisches Museum di Mainz (1950-1958); fu autore di ricerche sull’arte bizantina nel medioevo (1935), sulla Croce nell’oreficeria sacra (1938), sul tesoro della cappella Sancta Sanctorum (1941), sui tessuti (1942), sugli avori (1942) e sulle stoffe medievali (1943) del Museo Sacro, di cui pubblicò anche una Guida, tradotta in diverse lingue (1938-1944); MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 554 nt. 66. 80 Giuseppe Graglia, di Bartolomeo e Carolina Ortolano; nato a Morimondo Torinese il 7 giugno 1900, morto in data non precisata; dopo la laurea in filologia romanza con Giulio Bertoni sull’inizio della poesia lirica in Italia (17 dicembre 1923) e dopo un soggiorno di studi di biblioteconomia negli Stati Uniti (1931-1932), divenne, il 1° settembre 1932, assistente della Biblioteca Vaticana; docente nella Scuola di Biblioteconomia, fu dal 1° novembre 1949 direttore del catalogo degli stampati; per problemi di vista, andò anticipatamente in pensione, nel 1959; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 718 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 161. 81 Gaetano (Nello) Vian, di Agostino e Giuseppina Castagna; nato a Vicenza il 28 maggio 1907, morto a Roma il 18 gennaio 2000; coniugato con Cesarina Ghioldi, dalla quale ebbe i figli Giovanni Maria (1952), Lorenzo (1954) e Paolo (1957); dopo la laurea all’Università Cattolica di Milano (1930), fu inviato (1931) in Biblioteca Vaticana per apprendere le nozioni biblioteconomiche necessarie all’impianto della biblioteca della Cattolica; dopo un soggiorno di studi negli Stati Uniti (1932-1933), divenne assistente della Biblioteca Vaticana il 1° gennaio 1934 e fu, con Igino Giordani, fra i primi insegnanti della Scuola di Biblioteconomia (1934); segretario incaricato il 1° ottobre 1944, ebbe la nomina effettiva il 1° novembre 1949 e rimase in servizio sino al 31 dicembre 1976; fu editore, con Giovanni Incisa della Rocchetta e Carlo Gasbarri, nella collana «Studi e testi», degli atti del primo processo per s. Filippo Neri nel Vat. lat. 3798 (1957-1963); Atti della commemorazione nel primo anniversario della morte di Nello Vian (Città del Vaticano, 19 gennaio 2001). Testimonianze e corrispondenza con Giovanni Battista Montini – Paolo VI (1932-1975), Brescia – Roma 2004 (Quaderni dell’Istituto Paolo VI, 22); MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 748 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 161; ORLANDI, «Salpammo alla volta dell’America» cit., p. 821 nt. 34. 82 Fra le molteplici pubblicazioni di Vian dedicate a Salvadori, cfr. N. VIAN, La giovinezza di Giulio Salvadori. Dalla stagione bizantina al rinnovamento, prefazione di B. TECCHI, Roma
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co» dannunziano convertitosi a un cattolicesimo francescano (che ho conosciuto di persona); Matta83, morbosamente timido, fervido di fede e di carità; Iginio [sic] Giordani84, ora deputato democristiano; Gerardo Bruni85, che ebbe un quarto d’ora di notorietà come capo dei cristiano-sociali e fu deputato alla Costituente, poi caduto nell’ombra dopo la condanna ecclesiastica e lo scioglimento del suo mo-
1962 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 89); ID., Amicizie e incontri di Giulio Salvadori, Roma 1962; e l’edizione, in due volumi, delle Lettere (1976). 83 Riccardo Matta, di Lorenzo e Anna Menzio; nato a Castelnuovo don Bosco (Alessandria) il 6 gennaio 1902, morto il 2 marzo 1981 (dopo essere stato investito e travolto per la strada il 23 gennaio); dopo la laurea in lettere all’Università di Torino (16 dicembre 1925), ove fu allievo di Gaetano De Sanctis, e dopo un soggiorno di studi biblioteconomici negli Stati Uniti (1929-1930), divenne assistente della Biblioteca Vaticana il 1° settembre 1930; docente nella Scuola di Biblioteconomia, svolse anche le funzioni di «gentiluomo» del card. Tisserant; fu collocato anticipatamente in pensione, nel 1959, su sua richiesta, per assistere la madre, anziana e ammalata; (n.v.) [= N. VIAN], Due gentiluomini fra i manoscritti, in L’osservatore romano, 13 marzo 1981, p. 4; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 724 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 161; DE GASPERI, Diario cit., p. 193. 84 Igino Giordani, di Mariano e Orsola Antonelli; nato a Tivoli (Roma) il 24 settembre 1894, morto a Rocca di Papa (Roma) il 18 aprile 1980; coniugato con Mya Salvati, dalla quale ebbe i figli Mario (1926), Sergio (1929), Ildebrando (1931) e Bonizza (1937); dopo studi di biblioteconomia negli Stati Uniti (1927-1928), divenne assistente della Biblioteca Vaticana il 1° luglio 1928; fra i primi docenti della Scuola di Biblioteconomia, divenne capo del Servizio del catalogo degli stampati e direttore della Scuola di Biblioteconomia il 1° aprile 1936; fu posto in aspettativa, per assumere la direzione del giornale Il quotidiano, nel luglio 1944; lasciò quindi la Biblioteca e venne eletto deputato per la Democrazia Cristiana alla Costituente (1946) e al Parlamento (1948); F. MOLINARI, Giordani, Igino, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, 1860-1980, II: I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 240-243; S. TRINCHESE, Giordani, Igino, in Dizionario biografico degli Italiani, LV, Roma 2001, pp. 207212; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 718 (s.v. in indice); PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 51 nt. 115; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 161, 180, 251, 340; ORLANDI, «Salpammo alla volta dell’America» cit., p. 817 nt. 24 e passim; T. SORGI, Igino Giordani. Storia dell’uomo che divenne Foco, Roma 2014, pp. 130-144 e passim. Riferimenti al suo periodo in Vaticana anche in I. GIORDANI, Memorie d’un cristiano ingenuo, Roma 1981, in particolare pp. 77-82, 93-98; e in ID., Daily Notes. Note quotidiane, Marino 2012 (per gli anni dal 1927 al 1951). 85 Gerardo Bruni, di Pietro e Francesca Fagotti; nato a Cascia (Perugia) il 30 giugno 1896, morto a Roma il 10 dicembre 1975; laureato in filosofia al Seminario Romano (1917) e in lettere all’Università di Roma (1922); dopo studi biblioteconomici negli Stati Uniti (1927-1928), fu assunto in Biblioteca Vaticana dal 1° luglio 1928 quale assistente; dopo il licenziamento dalla Biblioteca (1° luglio 1947) per l’incompatibilità del ruolo con il suo impegno politico (fu il principale esponente del Partito Cristiano Sociale e deputato all’Assemblea Costituente), si dedicò all’insegnamento nei licei, ottenendo anche la libera docenza in Storia della filosofia medievale; A. PARISELLA, Bruni, Gerardo, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, II, cit., pp. 56-58; ID., Bruni, Giraldo (Gerardo), in Dizionario biografico degli Italiani, XXXIV, Roma 1988, pp. 535-538; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 709 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 161; ORLANDI, «Salpammo alla volta dell’America» cit., p. 817 nt. 25 e passim; DE GASPERI, Diario cit., pp. 142, 194, 231-232.
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vimento; e ancora Del Re86, Bevilacqua87, Gout88, altri dei quali ho dimenticato i nomi. E finalmente De Gasperi, la cui posizione somigliava un po’ alla mia, colla differenza che era assai più «di casa» di me in quanto cattolico, e viceversa, non avendo nessuna preparazione specifica, le sue mansioni erano molto più umili delle mie: al catalogo prima, fu poi segretario del prefetto p. Albareda, e come tale è stato spesso visitato dalla Mamma durante la guerra; per quanto non si sia mai diventati intimi, si discorreva spesso insieme sia per la nostra comune qualità di «vittime» del fascismo, sia per il lavoro simile che facevamo colla storia dei Papi di Pastor sia per altri motivi; e ho ammirato molto la semplicità e la disinvoltura colle quali accettava la sua caduta in disgrazia, senza recriminazioni né atteggiamenti eroici: un bell’esempio di serenità e di misura, quale del resto ha continuato a dare anche dopo esser salito in alto89. 86 Achille Del Re, di Nicola e Luigia Seni; nato a Roma il 31 ottobre 1881, morto nel 1962; coniugato con Elisabetta Polzella, dalla quale ebbe i figli Nicolò (1914-2005, che fu, dal 1° novembre 1949, assistente della Biblioteca Vaticana, poi, nel 1964, direttore del catalogo degli stampati e quindi, nel 1968, incaricato della sezione delle stampe incisioni; in pensione il 1° settembre 1984) e Lucia (1920); custode dal 1° ottobre 1912, assistente per le accessioni dal 1° luglio 1929, poi capo dello stesso servizio; in pensione nel dicembre 1949, continuò a collaborare sino al febbraio 1953; tradusse poesie dallo spagnolo e nel 1958 pubblicò José María de Heredia: poeta e patriota cubano (1803-1839). Cfr. P. VIAN, «Una cambiale scontata prima di presentarsi ufficialmente allo sportello»? Achille Ratti prefetto della Biblioteca Vaticana (1914-1918), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XVIII, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 469), pp. 801-870: 814 nt. 55, 862, 865; ID., Il diario di Achille Ratti viceprefetto e prefetto della Biblioteca Vaticana (13 ottobre 1913-8 aprile 1918), ibid., XXIII, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 516), pp. 673-724: 697 e nt. 101, 698 nt. 105. 87 Mario Bevilacqua, di Ettore e Anna Marini; nato ad Ancona l’8 settembre 1898, morto a Roma il 17 marzo 1988; coniugato con Iole Petragnani (morta il 19 novembre 1946, all’età di 41 anni), dalla quale ebbe i figli Ettore (1933), Carlo (1934), Franco (1937), Maria Giovanna (1939), Lilia (1942), Ugo (1944) e Ivo (1946); custode il 1° gennaio 1924, vice-assistente il 1° aprile 1936, assistente il 1° ottobre 1959, in pensione dal 1° giugno 1964; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 705 (s.v. in indice). Ricordi del padre, della famiglia e di figure di colleghi del padre in Vaticana (Bruni, De Gasperi) in F. BEVILACQUA, CorpoOtto. Scelte di carattere. Giornali giornalisti antiche storie e altri incontri scritti e disegnati, Roma 2009, in particolare pp. 7-12. 88 Mario Gout, di Eugenio e Fernanda Mele; nato a Napoli il 16 luglio 1905, morto il 14 aprile 1980; coniugato con Maria Carolina Martini; laureato in pedagogia e filosofia; in Biblioteca Vaticana quale custode il 1° ottobre 1930, vice-assistente il 1° aprile 1936, assistente il 1° ottobre 1959, direttore del catalogo degli stampati il 1° novembre 1968, in pensione dal 1° agosto 1975; si occupò, fra l’altro, della bibliografia dei manoscritti; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 718 (s.v. in indice). 89 Negli stessi termini Levi Della Vida si esprimerà nel 1954, in un articolo in memoria dello statista trentino: «Ciò che l’orientalista ammirava di più nel collega era la dignitosa e signorile semplicità di ogni gesto e di ogni parola. Gli sarebbe stata facile tentazione — a lui che era stato tra i protagonisti sulla scena politica italiana, che era stato in procinto di diventar ministro, che aveva avuto l’onore di speciali persecuzioni e aveva assaporato il carcere per molti mesi e la miseria per molti anni — gli sarebbe stato facile atteggiarsi a martire dell’idea, recitare la parte dell’eroe prostrato ma non domo dal fato, accettare le umili mansioni assegnategli colla superbia contenuta ma non rassegnata di Pegaso attaccato alla carretta. Ma
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Neppure voglio dimenticare il personale d’ordine: buona gente, per lo più romani di Roma o addirittura borghigiani, venuti su all’ombra del Vaticano nella tradizione ecclesiastica più ortodossa, ma per lo più segretamente antifascisti, qualcuno anche animato da quello spirito di anticlericalismo, o vogliam dire di anticurialismo, che alligna proprio negli ambienti più cattolici. Sia come sia, mi volevano tutti un gran bene: dal burbero e fegatoso Rossi90, custode dell’ingresso, al brontolone Volpi91, capo dei distributori, al soave, zelante, intelligente Facchini92, distributore degli stampati, a Magliocchetti93, capo-restauratore: morti i primi due, pensionati De Gasperi non ostentava le grandezze del passato né lamentava le strettezze del presente. Rispettoso dei superiori senza finto ossequio, cordialmente affiatato coi colleghi senza pencolare né verso il sussiego né verso la familiarità, attendeva al suo ufficio colla scrupolosa e disciplinata puntualità cui doveva essersi assuefatto nelle scuole austriache: e di quella che era stata la sua vita e la sua azione politica non faceva mai parola», G. LEVI DELLA VIDA, Un cimelio da rintracciare negli scaffali della Vaticana, in Corriere della sera, 21 agosto 1954, articolo uscito all’indomani della morte di De Gasperi; ripubblicato in ID., Visita a Tamerlano cit., pp. 135-139; e in L’osservatore romano, 19-20 agosto 2013, p. 4. 90 Luigi Rossi, di Michele e Maria Rulli; nato a Roma il 27 agosto 1873, morto il 7 (o l’8) gennaio 1945; coniugato con Emilia Ruggieri, dalla quale ebbe i figli Alvaro (1897), Fernando (1902), Ernesto (morto a ventuno anni) e Maria (1913); in Biblioteca Vaticana quale bidello dal 29 novembre 1901, divenne vice-capo custode il 29 dicembre 1923; in pensione dal 1° febbraio 1941. Da non confondere con Alceste Rossi (1911-1997), attivo dal 1938 presso il Laboratorio fotografico, di cui fu anche responsabile, andando in pensione il 1° luglio 1974. Cfr. VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 123 [354]; VIAN, «Una cambiale scontata» cit., pp. 814 nt. 55, 861, 865. 91 Augusto Volpi, di Alessandro e Carolina Celsi; nato a Roma il 10 agosto 1868 (secondo il «ricordino» funebre l’8 agosto), morto il 7 gennaio 1954; coniugato con Palmira Svienna; in Biblioteca Vaticana quale custode dal 1° marzo 1907; in pensione dal 31 dicembre 1952 («avendo da lungo tempo superati i limiti di età previsti dal nuovo Regolamento»); VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 123 [354]; VIAN, «Una cambiale scontata» cit., pp. 814 nt. 55, 861, 865. 92 Amedeo Facchini, di Egisto e Francesca Baldassarri; nato a Lugo di Romagna il 13 marzo 1884, morto l’8 gennaio 1972; coniugato con Rosina Poggiolini, dalla quale ebbe i figli Francesco (1914), Giovanni (1916-1942) ed Enrico (1920); in Biblioteca Vaticana quale custode dal 1° febbraio 1918; secondo la documentazione interna era «ex segretario del Bessarione (scil. la rivista pubblicata a Roma dal 1896 al 1923, per cura dei fratelli Marini, dedicata agli «studi orientali»), sa copiare anche il greco colle abbreviazioni delle stampe antiche, sa il francese»; capo custode dal giugno 1938 (in sostituzione di Paolo Federici); in pensione dal 1° settembre 1955, continuò a offrire la sua collaborazione alla Vaticana anche dopo questa data; era fratello di mons. Domenico Facchini, beneficiato della basilica di S. Pietro. Cfr. VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 123-124 [354-355]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 619; VIAN, «Una cambiale scontata» cit., pp. 866, 700. 93 Arbo Magliocchetti, di Benedetto e Maria Castellani; nato a Roma il 7 giugno 1882, morto in data non precisata; coniugato con Rosa Cecconi, dalla quale ebbe i figli Gina (1911), Elsa (1916) e Gabriella (1929); presentato dal gesuita Carlo Bricarelli, della Civiltà cattolica, cominciò a lavorare in Biblioteca Vaticana il 5 febbraio 1917, nelle ore pomeridiane, come restauratore dei codici (prestando la sua opera anche in Archivio Vaticano); per un ventennio, dagli inizi degli anni Trenta, fu direttore del Laboratorio di restauro e andò in pensione il 29 febbraio 1952.
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i due ultimi. E tra quelli che ci sono ancora, Valeri94 e Vanzetto95 (questi un veneto pieno di umorismo e di buon senso politico) e Frati96, addetti alla distribuzione e spolveratura dei codici; e Gino Tiburzi97, che ho veduto venir su da ragazzo distributore a custode dell’ingresso, e anche marito infelice; a Ciocci98, anche lui salito da distributore ai fastigi dell’economato, attivo nelle organizzazioni cattoliche e propenso a dir male delle alte gerarchie; ed Ernesto99, nipote di Volpi, che alternava 94 Virgilio Valeri, di Vittorio e Annunziata Secchi; nato a Roma l’11 maggio 1900, morto in data non precisata; presentato da Mario Bevilacqua, Igino Giordani, Serafino Majerotto e Luigi Fogar, già vescovo di Trieste, fu assunto in Biblioteca Vaticana come custode dal 1° dicembre 1941; fu addetto alle sale di consultazione degli stampati e dei manoscritti; in pensione dal 1° giugno 1970, continuò a prestare servizio a ore sino al giugno 1980; attivo nell’Azione Cattolica della sua parrocchia, S. Giuseppe al Trionfale, ha lasciato memoria di uomo pio e devoto. 95 Giovanni Vanzetto, di Zeffirino e Candida Rizatto; nato a Zero Branco (Treviso) il 29 ottobre 1897, morto a Roma il 26 gennaio 1981; coniugato con la bavarese Rosina Merther; entrato nella Gendarmeria pontificia il 1° giugno 1923, passò alla Biblioteca Vaticana dal 28 aprile 1925 (il passaggio, che riguardò anche un altro gendarme, fu richiesto dalla Vaticana, per rinforzare la sorveglianza, dopo la sottrazione dalle «gallerie» nella primavera 1925 del Vat. lat. 3781, poi recuperato); vice-capo custode dal 1° gennaio 1953, capo custode il 1° gennaio 1956, fu a lungo addetto al deposito dei manoscritti; in pensione dal 1° dicembre 1967; (n.v.), Due gentiluomini fra i manoscritti cit.; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 124 [355]. 96 Augusto Frati, di Pietro e Teresa Ceccarelli, nato a Roma l’8 maggio 1894, morto in data non precisata; coniugato con Giovanna Bevitori, dalla quale ebbe il figlio Mario (1922); un documento (1925) presente nella documentazione interna indica che il padre, Pietro, «da oltre 30 anni è occupato quale assistente di arte muraria in Vaticano»; in Biblioteca Vaticana quale custode dal 31 maggio 1921 (in sostituzione di Achille Bizzarri); si occupò della distribuzione dei manoscritti e di servizio al catalogo degli stampati. 97 Gino Tiburzi, di Orazio e Cleofe Frati; nato a Roma il 20 luglio 1906, morto nel luglio 1972; coniugato con Lidia Ceccarelli, dalla quale ebbe i figli Alessandro (1935), Massimo (1937), Giancarlo (1944) e Luciano (1946); si separò legalmente dalla moglie nel 1947; «uomo di fatica» dall’8 febbraio 1925, effettivo dal 1° marzo 1928, usciere il 1° maggio 1936, custode il 1° settembre 1966; lavorò al Servizio Accessioni e chiese di essere messo in aspettativa, nel 1950, per un certo periodo; in pensione il 1° marzo 1968. Il cugino, Arturo, era l’autista di Tisserant, FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 199, 522; ORLANDI, «Salpammo alla volta dell’America» cit., p. 821 nt. 35. 98 Carlo Ciocci, di Giulio e Assunta Brandi; nato a Roma il 12 settembre 1903, morto a Roma l’11 gennaio 1974; coniugato con Maria Rita Miozzi, dalla quale ebbe i figli Alessandro (1929), Franca (1930), Carlo Alberto (1932), Paola (1937) e Antonio (1942); in Biblioteca Vaticana quale custode dal 1° ottobre 1929 (prendendo il posto di Giuseppe Faggiani), si occupò di servizi al catalogo degli stampati e della distribuzione dei manoscritti; dal 1946 divenne collaboratore dell’Economato, con mansioni contabili, ottenendo il 1° giugno 1964 il titolo di protocollista; in pensione dal gennaio 1970; nel 1943 fu tra i fondatori della Società di mutuo soccorso fra i dipendenti della Biblioteca; attivo sin dalla giovinezza nell’Azione Cattolica, iscritto al Terz’Ordine carmelitano, fu particolarmente legato alla chiesa romana di S. Maria in Traspontina; cfr. Carlo Ciocci. Un testimone di vita cristiana e civile, [Roma, s.d.] (in particolare, N. VIAN, Carlo Ciocci nella Biblioteca Vaticana, pp. 40-42). 99 Ernesto D’Amico, di Umberto Giovanni e Palmira Svienna (era dunque «figliastro» di Augusto Volpi, cfr. supra, nt. 91, che aveva sposato in seconde nozze la madre); nato a Roma il 31 maggio 1905, morto nel febbraio 1976; coniugato con Rosa Capriccioni, dalla quale ebbe
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l’ufficio di distributore con quello di cameriere del cardinal Mercati nelle cerimonie (da gentiluomo fungeva Matta); e parecchi altri dei quali mi sono presenti le fisonomie ma mi sfuggono i nomi. Per quanto separato dalla biblioteca, l’Archivio segreto comunica con essa, ed ebbi occasione di lavorarvi, specialmente durante la preparazione del mio secondo volume100. Il prefetto Monsignor Angelo Mercati101, fratello del cardinale, mi voleva molto bene, e spesso mi aiutò nelle mie ricerche; e strinsi relazione anche col timido e gentile Monsignor Giusti102, che successe a Mercati dopo la sua morte nel 1955, con Pietro Sella103, nipote di Quintino104, laico e vecchio celibe, un po’ incartapecorito e intontito, ma bravo e cordiale, col giovane (allora!) e valente paleografo Battelli105, che sposò una delle ragazze delle quali dirò subito. i figli Maria Pia (1940), Umberto (1941) e Massimo (1944); ammesso come «familiare» del card. Giovanni Mercati il 15 giugno 1936, fu assunto in Biblioteca Vaticana come custode il 1° febbraio 1938 (ma i suoi rapporti con la Vaticana sembrano risalire al novembre 1931); protetto da mons. Enrico Benedetti, svolse diversi servizi, anche nella sala di consultazione degli stampati; divenne vice-capo custode il 1° gennaio 1956 e capo custode il 1° gennaio 1968; in pensione dal 1° giugno 1971. 100 Si tratta di LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione cit. 101 Angelo Mercati (1870-1955), sacerdote dal 1893, dopo l’insegnamento nei seminari di Marola e Reggio Emilia, divenne «scrittore» della Biblioteca Vaticana (28 giugno 1911); il 12 dicembre 1918 fu nominato primo custode dell’Archivio Vaticano, di cui divenne successivamente viceprefetto (11 novembre 1920) e infine prefetto (14 giugno 1925); LAURENT, L’abbé Paul Liebaert cit., p. 12 nt. 1; P. VIAN, Mercati, Angelo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIII, Roma 2009, pp. 596-599; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 81, 486, 561; PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit. 102 Martino (Attilio Marte Domenico) Giusti, nato il 15 ottobre 1905 a Montpellier da genitori lucchesi, sacerdote il 2 giugno 1928 per la diocesi di Lucca; al servizio dell’Archivio Vaticano dal maggio 1932, ne divenne archivista nel 1941, viceprefetto nel 1949, prefetto dal 4 gennaio 1956 al 24 maggio 1984, quando fu eletto arcivescovo titolare di Are di Numidia; morì a Lucca il 1° dicembre 1987; fu studioso dei registri papali e di storia ecclesiastica lucchese; PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 66 nt. 173. 103 Pietro Sella (1882-1971), di Biella, dal maggio 1934 in Archivio Vaticano ove fu successivamente «scrittore» (8 maggio 1941) e archivista (7 aprile 1953); restò in servizio sino al 1° marzo 1958; si occupò delle bolle d’oro e del patrimonio sigillografico dell’Archivio Vaticano (Le bolle d’oro dell’Archivio Vaticano, 1934; I sigilli dell’Archivio Vaticano, I-III, 19371964); ricordato come temperamento asciutto e laconico, lesinava le parole anche riducendo a poche righe le prefazioni ad alcuni volumi di edizioni delle Rationes decimarum e di glossari latini regionali; VIAN, Figure della Vaticana cit., pp. 121-122 [352-353]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 732 (s.v. in indice); PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 54 nt. 125. 104 Quintino Sella (1827-1884), più volte ministro delle finanze, cercò in ogni modo di raggiungere il pareggio di bilancio, anche ricorrendo a misure impopolari. Tra i fautori della presa di Roma, fu tra gli ispiratori della legge delle guarentigie. Restauratore dell’Accademia dei Lincei, alpinista e mineralogo, nutrì anche interessi umanistici, occupandosi persino di archivi e diplomi, soprattutto piemontesi. 105 Giulio Battelli (1904-2005), romano, alunno di Pietro Fedele, dal novembre 1927 (prima ancora della laurea) in servizio nell’Archivio Vaticano, di cui fu successivamente «scrittore» (29 dicembre 1927) e archivista. Dal 1932 al 1974 fu docente nella Scuola Vaticana di Paleografia, insegnandovi oltre alla Paleografia anche la Diplomatica, la Storia della miniatura e l’Archivistica; fu docente di Paleografia anche nell’Ateneo Lateranense (1934-1966) e
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Ragazze, o giovani signore, che allora lavoravano a un grande schedario a soggetto che avrebbe dovuto raccogliere tutta la materia dei manoscritti latini e di lingue moderne che in massima parte non erano, e non sono tuttora, catalogati106. L’utilissimo lavoro (che era diretto da Ottorino Bertolini107, magro, allampanato, carico di figli e scarso di quattrini, eternamente piagnucolante miseria; ha poi conquistato una cattedra universitaria e si è un po’ rimpannucciato) era molto caro a Tisserant, che aveva ottenuto i fondi per compierlo dalla Fondazione Carnegie, e poi anche da quella Rockefeller; fu interrotto colla venuta del p. Albareda, che non voleva donne al servizio della biblioteca. Queste signore e signorine erano una decina, e due le conoscevo già da prima: Jeanne Bignami Odier108 della quale ho già parlato109 nelle università di Macerata (1967-1969) e Roma (1970-1978), P. PAVAN, Giulio Battelli, in Archivio della Società Romana di Storia Patria 128 (2005), pp. 189-204; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 705 (s.v. in indice); PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 31 nt. 38. 106 Sull’indice alfabetico a schede per i manoscritti greci e latini intrapreso su suggerimento (1927) del bibliotecario americano William Warner Bishop (1871-1955) e proseguito sino alla fine degli anni Trenta, Guida ai fondi, I, cit., pp. 328-329; ma soprattutto MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., passim. 107 Ottorino Bertolini, di Annibale e Luigia Locatelli; nato a Udine il 10 novembre 1892, morto a Roma il 26 luglio 1977; coniugato con Francesca Da Villa, dalla quale ebbe otto figli; allievo di Pietro Fedele a Torino, si trasferì a Roma nel 1924; collaboratore per l’indice alfabetico dei manoscritti, in un primo momento compilò schede e poi ebbe solo il compito di rivederle, contribuendo alla redazione delle regole di composizione; ebbe il titolo di «collaboratore scientifico» della Biblioteca Vaticana almeno sino al 1964; da medievista, si occupò della storia altomedievale di Roma e dei ducati della Longobardia minore; succeduto a Fedele sulla cattedra romana a partire dal 1942-1943, insegnò Storia medievale a Pisa (1948-1963); VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; C. VIOLANTE, Bertolini, Ottorino, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXIV, Primo supplemento: A-C, Roma 1988, pp. 390-393; N. VIAN, Barbadirame, bibliotecario vaticano. Un ricordo del card. Eugène Tisserant, in Strenna dei Romanisti, [LXI], Roma 2000, pp. 607-618 (rist. in ID., Figure della Vaticana e altri scritti cit., pp. 319-330): 613 [325]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 705 (s.v. in indice). 108 Jeanne Bignami, di Georges e Audrie de la Croix; nata a Parigi il 30 ottobre 1902, morta a Roma il 19 gennaio 1989; dopo gli studi all’Ecole des Chartes, fu membro dell’École Française de Rome (1925-1927); in Biblioteca Vaticana fu la prima a essere assunta fra le collaboratrici per l’indice alfabetico dei manoscritti (ottobre 1929) e collaborò all’impresa sino al 1939; nel 1929 sposò il medico Francesco Bignami dal quale ebbe tre figli (Amico, Giorgio, Marta); collaborò con André Wilmart nella catalogazione dei Reg. lat. 1-500 (I-II, 1937-1945) e pubblicò nel 1973 la prima e unica storia novecentesca della Biblioteca Vaticana; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; B. NEVEU, Jeanne Bignami Odier (1902-1989), in Bibliothèque de l’Ecole des Chartes 147 (1989), pp. 675-678; J. RUYSSCHAERT, Jeanne Bignami Odier: storica della Biblioteca Vaticana, in L’osservatore romano, 5 febbraio 1989, p. 4; ID., Jeanne Bignami Odier, historienne de la Vaticane (1902-1989), in L’osservatore romano, édition hebdomadaire française, 14 febbraio 1989, p. 5; VIAN, Barbadirame, bibliotecario vaticano cit., p. 613 [325]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 706 (s.v. in indice); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 142, 157. 109 Levi Della Vida conobbe Jeanne Odier e Jeanne Vielliard, dell’École Française de Rome, nel giugno 1926, in occasione di un viaggio in Sardegna, con Guido Calza, al quale presero parte molti membri di scuole straniere di Roma; LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., pp. 138-139.
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ed Elena Vecchi Pinto110, sorella di Olga111; delle altre ricordo la Bertòla112, di una bruttezza e un sudiciume incredibili, ma non solo bravissima ma anche santa per fede e carità; Maria Ausenda113, brutta ma provocante, che, fidanzata a un fascista
110 Elena Pinto, di Michele e Olga Trappe, nata ad Avzianopetrovsk, in Russia, il 28 febbraio 1908; coniugata con Dante Vecchi, dal quale ebbe il figlio Giorgio; laureata in lettere, diplomata in biblioteconomia e paleografia all’Università di Roma, fu ammessa in Biblioteca Vaticana come collaboratrice per lo schedario alfabetico dei manoscritti il 2 marzo 1933 e fu attiva almeno sino al luglio 1940; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 748 (s.v. in indice). 111 Olga Pinto, nata ad Avzianopetrovsk il 18 settembre 1903, morta a Roma nel 1970; laureata in orientalistica all’Università di Roma, entrò nel 1933 nel ruolo del personale delle biblioteche statali e prestò servizio alla Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma, ove diresse il Centro Nazionale di Informazioni Bibliografiche; nel 1948 fu nominata direttrice della Biblioteca dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, ove restò sino al collocamento a riposo; libera docente in Bibliografia e biblioteconomia, tenne corsi all’Università di Roma dal 1935 al 1957; fu autrice di numerose pubblicazioni (fra le quali, postumo, Nuptialia. Saggio di bibliografia di scritti italiani pubblicati per nozze dal 1484 al 1799, 1971); cfr. DE GREGORI – BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani cit., p. 145; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 615 nt. 6. La Pinto fu ringraziata in LEVI DELLA VIDA, Elenco dei manoscritti cit., p. XVI; insieme, Pinto e Levi Della Vida, pubblicarono uno studio sul primo califfo umayyade: Il califfo Mu’âwiya I secondo il «Kitâb Ansâb al-ašrâf» di al-Balâdurí. Traduzione annotata del testo arabo inedito di O. PINTO e G. LEVI DELLA VIDA, Roma 1938. La Pinto collaborò con un articolo alla miscellanea per i settant’anni di Levi Della Vida: Alcuni opuscoli arabistici «per nozze», in Studi orientalistici in onore di Giorgio Levi Della Vida, II, cit., pp. 365-370. Le sorelle Pinto così vennero descritte da Francesco Gabrieli nel 1971: «Negli anni Venti, studiava all’Università di Roma un trio di brave e graziose figliuole, mezze italiane e mezze russe, e dalla Russia riparate fortunosamente in Italia dopo la rivoluzione (l’innata grazia e gentilezza, e un pizzico di fascino slavo, commossero allora per quelle fanciulle più di un giovane cuore). Il padre ingegnere era anche un appassionato bibliologo, e fors’anche per effetto di quella secondaria vocazione paterna due di quelle figliuole, e poi ancora una terza, ma quarta nell’ordine, che era allora bambina, sono poi divenute bibliotecarie, ricoprendo con onore un ufficio, cui anche il sottoscritto per cara eredità paterna si sente almeno sentimentalmente legato», F. GABRIELI, Ricordo di Olga Pinto (1903-1970), in Almanacco dei bibliotecari italiani, [XX] 1971, Roma [1971], pp. 77-78: 77. Cfr. anche AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 34. 112 Maria Bertòla, di Clemente ed Emilia Salomone; nata a Torino il 15 febbraio 1897, morta a Roma il 2 ottobre 1976; laureata in filologia romanza a Torino (1928) e abilitata per l’insegnamento delle lingue inglese e spagnola e della paleografia; collaboratrice, in Biblioteca Vaticana, per lo schedario alfabetico dei manoscritti dal 1° gennaio 1931; fu autrice de I due primi Registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana: codici Vaticani latini 3964 e 3966 (1942) e di articoli sugli incunaboli in Vaticana nel secolo XV (nei Miscellanea Giovanni Mercati, 1946) e sui codici latini di Niccolò V perduti o dispersi (nei Mélanges Eugène Tisserant, 1964); dopo il lavoro in Vaticana, fu insegnante nella scuola; cfr. La scomparsa di Maria Bertola, in L’osservatore romano, 6 ottobre 1976, p. 2; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 705 (s.v. in indice). 113 Maria Renata Ausenda, attiva in Biblioteca Vaticana nel gruppo dell’indice alfabetico dei manoscritti a partire dal 1931; lasciò l’incaricò nel 1936, quando il marito (cfr. infra, nt. 114) divenne prefetto di Cuneo; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 704 (s.v. in indice).
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militante (un tale Vezio Orazi114, poi divenuto prefetto e ucciso non so bene né quando né come a Zara, mi pare), aveva avuto da lui la proibizione di trattarmi, ma viceversa divenne mia grande amica; Noemi Scipioni Crostarosa115, moglie di uno di quei numerosissimi fratelli Crostarosa116 che la Mamma conosceva; Maria Morselletto117, ora bibliotecaria nell’Istituto di archeologia; delle altre non rammento i nomi118. Naturalmente mi ammiravano o no a seconda delle loro opinioni politiche, ma tutte mi guardavano con curiosità. Oltre a questi che potrei chiamare i personaggi stabili della scena vaticana molti e molti altri conobbi in quegli anni: alcuni venivano per lunghi soggiorni e in anni consecutivi, e lavoravano ai cataloghi di manoscritti per conto della biblioteca: tali il benedettino francese Dom Wilmart119, famoso medievalista, sordo e scontroso; 114 Vezio Orazi, nato a Roma il 1° novembre 1904, avvocato; dopo la partecipazione alla conquista dell’Etiopia (ove fu federale di Addis Abeba), divenne prefetto di Cuneo (16 novembre 1936-10 maggio 1937) e poi di Gorizia (10 maggio 1937-20 marzo 1939); nominato direttore generale della cinematografia presso il Ministero della cultura popolare, divenne infine (26 ottobre 1941) prefetto «a disposizione» di Zara, nel Governatorato della Dalmazia; fu ucciso, con altri, il 26 maggio 1942, nei pressi di Zara, in un attentato di partigiani titini, che provocò una rappresaglia; M. MISSORI, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d’Italia, Roma 1989 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Sussidi, 2), pp. 466, 486, 631; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 619 nt. 14. 115 Noemi Scipioni, di Scipione e di Adele Cianci Sanseverino; nata a Firenze il 15 agosto 1899, morta in data non precisata; coniugata con Mario Crostarosa; laureata in giurisprudenza presso l’Università di Roma nel luglio 1922, diplomata presso la Scuola di Paleografia dell’Archivio Segreto Vaticano nel giugno 1926; collaboratrice in Biblioteca Vaticana nel gruppo dell’indice alfabetico dei manoscritti dal 1° giugno 1932, fu attiva almeno sino al giugno 1940; cfr. Cento anni di cammino. Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica (1884-1984). Atti delle manifestazioni per il Centenario della Scuola con documentazione relativa alla sua storia, a cura di T. NATALINI, Città del Vaticano 1986, p. 250 (ma registrata con l’errato cognome «Costarosa-Scipioni»); VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 715 (s.v. in indice). 116 Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, mons. Pietro Crostarosa fu autore di numerose pubblicazioni sulla storia artistica e architettonica di Roma cristiana; ambito perlustrato anche da F. Crostarosa. Più o meno negli stessi anni erano attivi a Roma i fratelli Pietro e Giorgio Crostarosa, finanzieri, che ebbero fra l’altro un ruolo nelle origini dell’Associazione Sportiva Roma (1927). Forse alla famiglia apparteneva Giulia Crostarosa (in religione, Maria Celeste del Santissimo Redentore, 1696-1755), di famiglia abruzzese, fondatrice dell’Ordine del Santissimo Redentore, beatificata il 18 giugno 2016, cfr. J.-M. SALLMANN, Crostarosa, Maria Celeste, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXI, Roma 1985, pp. 243-246. 117 Maria Morseletto, in Biblioteca Vaticana dal 1931 fra le collaboratrici dell’indice alfabetico dei manoscritti, fu attiva almeno sino al luglio 1940; fu autrice dell’inventario dei manoscritti Borgiani latini: Inventarium codicum manu scriptorum Borgianorum, Maria MORSELETTO confecit, 1965-1971; con due volumi di indici: Index nominum et rerum, I-II, 1975 [dattiloscritti; Biblioteca Vaticana, Sala Cons. Mss., 423 (1-6) rosso; 219 (1-2) rosso]; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 726 (s.v. in indice). 118 Per i nomi delle altre giovani studiose impegnate, cfr. VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 116 [347]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., in indice. 119 André Wilmart, nato a Orléans il 28 gennaio 1876, morto a Parigi il 21 aprile 1941;
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l’altro benedettino americano Strittmatter120, fine e signorile, che ho riveduto in America e che una volta venne al tè a casa nostra; l’italianista tedesco Bertalot121, patologicamente bizzarro; l’ebraista tedesco Friedmann122; l’etiopista francese Mgr benedettino dell’abbazia di Farnborough, collaboratore scientifico della Biblioteca Vaticana dal 1° gennaio 1929, fu autore del catalogo dei primi cinquecento Reginensi latini (19371945; il secondo volume, postumo, fu curato da Jeanne Bignami Odier) e, dalle ricerche per il catalogo, del volume Analecta Reginensia. Extraits des manuscrits latins de la reine Christine au Vatican (1933); fra i massimi conoscitori della letteratura latina medievale e di quella monastica; parte delle sue carte erudite sono conservate in Biblioteca Vaticana; A. P. FRUTAZ, Wilmart, André, in Enciclopedia cattolica, XII, Città del Vaticano 1953, coll. 1687-1689; Bibliographie sommaire des travaux du père André Wilmart, editée par J. BIGNAMI ODIER, L. BROU, A. VERNET, Roma 1953 (Sussidi eruditi, 5); N. VIAN, Il Cardinale Bibliotecario all’Accademia di Francia, in Almanacco dei bibliotecari italiani, [XI], 1962, Roma 1962, pp. 65-73 (rist. in VIAN, Figure della Vaticana e altri scritti cit., pp. 309-317): 71 [315]; A. WILMART, Lettres de jeunesse et lettres d’amitié, éd. par G. DE LUCA et M.-L. BAUD, Roma 1963 (Uomini e dottrine, 6); BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 274 nt. 48, 262; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 115 [346]; L. SOLTNER, Wilmart (André), in Dictionnaire de spiritualité. Ascétique et mystique. Doctrine et histoire, XVI, Paris 1994, coll. 1450-1452; G. MATHON, Wilmart (Dom André), in Catholicisme hier aujourd’hui demain, XV, Paris 2000, coll. 1443-1444; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 748-749 (s.v. in indice); Guida ai fondi, I, cit., pp. 665-666. Amico di Tisserant (col quale pubblicò un articolo, nel 1913, su frammenti greci e latini del Vangelo di Bartolomeo), Wilmart compì con lui itinera eruditi già nel 1909-1910, fra Londra e Montecassino; lavorando insieme su un messale gregoriano dell’VIII secolo, Tisserant si appassionò per la prima volta allo studio dei palinsesti; cfr. Principales publications de Son Éminence le Cardinal Eugène Tisserant (1907-1955), in Recueil Cardinal Eugène Tisserant, I, cit., pp. 13-21: 14; S. POP, Études et missions scientifiques du Cardinal Eugène Tisserant, ibid., II, (...), Louvain [1956] (Travaux publiés par le Centre International de Dialectologie Générale près l’Université Catholique de Louvain, 2), pp. 725-807: 745; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 85, 86, 101, 140. 120 Anselm Strittmatter (1894-1978), sacerdote nel 1929, monaco benedettino nella St Anselm’s Abbey, Washington, fu specialista di storia della liturgia bizantina e occidentale; fra gli anni Venti e Trenta, insegnò alla Columbia University di New York e alla Catholic University of America e al Trinity College di Washington; si occupò dell’edizione dell’Eucologio Barberini (Barb. gr. 336) e fu impegnato nell’Istituto Liturgico costituito a Roma presso l’Ateneo S. Anselmo nel 1950. 121 Ludwig Bertalot, di Karl e Mathilde Désor; nato a Frankfurt a. M. il 28 novembre 1884, morto il 27 agosto 1960; studioso dell’umanesimo italiano e tedesco, editore del De vulgari eloquentia (1917, 19202) e della Monarchia (1918, 19202) danteschi, si dedicò in seguito all’edizione dell’epistolario di Leonardo Bruni e a un repertorio di initia della letteratura umanistica; fu collaboratore della Biblioteca Vaticana, per la catalogazione dei Vat. lat. 20602230, dal 1° marzo 1929 al 31 dicembre 1944; P. O. KRISTELLER, Ludwig Bertalot (1884-1960), in Scriptorium 16 (1962), pp. 102-104 (con la bibliografia); W. T. ELWERT, Bertalot, Ludwig, in Enciclopedia dantesca, I, Roma 1970, p. 607; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 262, 275 nt. 49 (con ulteriore bibliografia); VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 115 [346]; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 705 (s.v. in indice). 122 Forse da identificare con Aaron Freimann (1871-1948); dopo gli studi all’Università di Berlino, dal 1897 fu a capo del Dipartimento Ebraico della Stadtbibliothek Frankfurt. Con l’avvento del nazismo (1933), lasciò la Germania e approdò negli Stati Uniti ove, dal 1939 al 1945, fu consulente bibliografico per la New York Public Library (1939-1945); M. SCHMELZER, Freimann, Aron, in Encyclopaedia Judaica, VII, Detroit 20072, pp. 237-238. Nell’Archi-
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Sylvain Grébaut123; e più che tutti il caro Georg Graf che ho già menzionato, occupato per molti anni nel preparare il catalogo dei manoscritti arabi cristiani, col quale avevamo molteplici interessi comuni, ma al quale mi affezionai sopra tutto per la sua natura mite, cordiale, candida di buon parroco bavarese (tale era stato per quasi tutta la vita, pur mandando avanti gli studi e il lavoro scientifico). Purtroppo non l’ho più rivisto dopo la guerra (tornò a Roma nel 1947 mentre io ero nuovamente in America), ed è morto, ottantenne, nel settembre del 1956. Altri erano studiosi laici ed ecclesiastici, che compivano ricerche personali, sia che vivessero a Roma (ricordo tra gli altri il buon p. Vosté124, domenicano belga, siriacista di valore, col quale strinsi grande amicizia e che è morto qualche anno fa) sia che venissero da città italiane o dall’estero. Proprio in Vaticana, e in quegli anni, feci la conoscenza di Ugo Monneret de Villard125. Strinsi amicizia con una strana ragazza americana, Adele Kibre126, che per anni e anni (già da prima del mio ingresso in biblioteca) atvio della Biblioteca non sono stati individuati documenti sulla sua presenza in Vaticana ma Freimann dovette lavorarvi per un certo periodo, come testimoniano gli Appunti sui Vaticani ebraici 30-605 e sugli Urbinati ebraici, I-VI [fotocopie dell’originale manoscritto in Biblioteca Vaticana, Sala Cons. Mss., 578 (1-6) rosso], stilati fra gli anni Dieci e Trenta del Novecento, Guida ai fondi, I, cit., pp. 548-549, 579; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 412, 518. 123 Sylvain Grébaut, nato il 28 ottobre 1889, morto il 26 novembre 1955; dopo gli studi all’École Biblique di Gerusalemme (1904-1905), fu docente di etiopico all’Institut Catholique di Parigi; fu collaboratore scientifico della Vaticana dal 1927 al 1933 e per la Biblioteca raccolse manoscritti etiopici con viaggi anche in Etiopia; fu autore, con Eugène Tisserant, del catalogo dei manoscritti etiopici della Vaticana (Vat. et., Borg. et., Barb. or. 2, Ross. 865; I-II, 1935-1936); BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 262, 266, 276 nt. 55; MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 718 (s.v. in indice); J. TUBIANA, Aethiops – Aethiopica – Aethiops: 1922-1938. Sylvain Grébaut à la tâche, in Aethiopica, I, s.l. 2013, pp. 7-26. 124 Jacques-Marie Vosté (1883-1949), belga, domenicano (dal 1900), sacerdote (dal 1906), studiò prima a Lovanio, poi all’École Biblique di Gerusalemme. A Roma insegnò al Pontificio Ateneo Angelicum; prima consultore, poi (dal 1939) segretario della Pontificia Commissione Biblica, fu studioso del cristianesimo siriaco. Pubblicò, fra l’altro, cataloghi dei manoscritti siriaci di biblioteche di Alqosh e Kirkouk; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 711 (s.v. in indice). 125 Ugo Monneret de Villard (1881-1954), di famiglia borgognona trasferitasi in Italia al tempo della Rivoluzione francese, dopo la laurea in ingegneria (1904), manifestò i suoi interessi per l’architettura e per l’arte collaborando a riviste letterarie del primo Novecento; in seguito si dedicò sempre più a ricerche storico-archeologiche in cui l’Oriente ebbe un crescente spazio, occupandosi di monumenti cristiani e di architettura medievale islamica (anche in Italia); nel 1944, nella collana «Studi e testi» pubblicò Lo studio dell’Islam in Europa nel XII e XIII secolo; non ebbe riconoscimenti accademici e solo nel 1950, per interessamento di Levi Della Vida, divenne socio linceo; Levi Della Vida ne scrisse il necrologio e ne raccolse la bibliografia: G. LEVI DELLA VIDA, Ugo Monneret de Villard (1881-1954), in Rivista degli studi orientali 30 (1955), pp. 172-188 [la bibliografia alle pp. 182-188; integrazioni alla bibliografia in A. M. PIEMONTESE, Bibliografia delle opere di Ugo Monneret de Villard (1881-1954), ibid. 58 (1984), pp. 1-12] (ripreso, ma senza la bibliografia, in G. LEVI DELLA VIDA, Aneddoti e svaghi arabi e non arabi, Milano – Napoli 1959, pp. 310-320); S. ARMANDO, Monneret de Villard, Ugo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXV, Roma 2011, pp. 698-701; VIAN, Figure della Vaticana cit., p. 121 [352]. 126 Adele Kibre, sorella di Pearl (cfr. infra, nt. 128), classicista, con un dottorato del Dipartimento di Lingua e letteratura latina dell’Università di Chicago, rimase una studiosa in-
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tese a difficili lavori di paleografia latina: brutta e spaventosamente magra, era allegra, simpatica, e aveva una fenomenale capacità di concentrazione e di resistenza; per mezzo di lei conobbi un tipo originale di americano, Casey Wood127, oculista arricchito e ritirato che a modo suo s’interessava di studi e talvolta mi consultò. La sorella di Adele, Pearl128, che conobbi in biblioteca e rividi spesso a New York dove è professoressa al Hunter College, ha lavorato in campi affini ma con maggiori risultati. Anche mentre stavo in biblioteca venne a vedermi, nell’autunno del 1932, Richard Walzer129 (che avete conosciuto, con sua moglie figlia del famoso editore berlinese Cassierer130) che aiutai parecchio nei suoi lavori sulle traduzioni arabe di filosofi greci, che si stabilì a Roma dopo l’avvento del nazismo e a Oxford, dove si trova tuttora, dopo la persecuzione fascista degli ebrei. Sicché, in conclusione, non che esser tagliato fuori dalla vita scientifica, direi che essa fu più intensa e più varia che quando ero professore, per quanto su un piano diverso; non mi venne meno, in un certo senso, neppure l’attività didattica, giacché vari giovani, per lo più preti stranieri, venivano a chiedermi suggerimenti e consigli per loro lavori: ricordo il francese Jean Charles131, il gesuita austriaco Köbert132, ora professore nell’Istitudipendente, collaborando con la sorella e trascorrendo lunghi periodi in Europa; si occupò di letteratura latina medievale e di manoscritti; E. WHITNEY – I. A. KELTER, Pearl Kibre (19001985). Manuscript Hunter and Historian of Medieval Science and the Universities, in Women Medievalists and the Academy, ed. by J. CHANCE, Madison, Wisconsin 2005, pp. 541-551: 541. 127 Casey Albert Wood, studioso di ornitologia e zoologia, di storia della medicina e dell’oculistica, si occupò fra l’altro del De arte venandi cum avibus di Federico II e del De oculis eorumque egritudinibus et curis di Benvenuto Grasso di Gerusalemme. 128 Pearl Kibre (1900-1985), allieva alla Columbia University di Lynn Thorndike, insegnò a lungo all’Hunter College (1937-1971); si occupò della biblioteca di Giovanni Pico della Mirandola (1936), di incipit di scritti scientifici in latino (1937; 1963), di storia della scienza e delle università medievali, della tradizione latina di Ippocrate; R. DOVIAK, Pearl Kibre: BioBibliography, in Manuscripta 20 (1976), pp. 244-250; E. GRANT – A. L. GABRIEL, Pearl Kibre, in Speculum 61 (1986), pp. 761-763 [ripubblicato in P. O. KRISTELLER, Studies in Renaissance Thought and Letters, IV, Roma 1996 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 193), pp. 538-541]; WHITNEY – KELTER, Pearl Kibre cit. 129 Richard Rudolf Walzer (1900-1975), grecista e filologo, fu costretto a lasciare la Germania all’avvento del nazismo (1933); aiutato da Giovanni Mercati, insegnò all’Università di Roma (1933-1938) ma con la promulgazione delle leggi razziali in Italia (1938) si trasferì a Oxford; si occupò della tradizione della filosofia greca nelle culture araba ed ebraica; fra i soggetti dei suoi studi ed edizioni, Eraclito, Aristotele, Galeno, al-Kindi e al-Farabi. Walzer collaborò alla miscellanea per i settant’anni di Levi Della Vida: R. WALZER, Some aspects of Miskawaih’s Tahdhíb al-Akhlâq, in Studi orientalistici in onore di Giorgio Levi Della Vida, II, cit., pp. 603-621; cfr. VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 485-486; ID., I fratelli Mercati e il mondo scientifico di lingua tedesca, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014 (Studi e testi, 484), pp. 771-827: 780-781. 130 Bruno Cassirer (1872-1941), di famiglia ebraica, editore e gallerista; particolarmente interessato alle espressioni dell’arte contemporanea, nel 1938 emigrò in Gran Bretagna ove a Oxford proseguì l’esperienza editoriale intrapresa in Germania, cfr. Deutsche biographische Enzyklopädie, hrsg. von R. VIERHAUS, II, München 20052, p. 304. 131 Personaggio non meglio identificato. 132 Raymund Köbert (1903-1987), biblista e docente al Pontificio Istituto Biblico di
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to biblico, l’egiziano Khouzam133... Voglio anche registrare, finalmente, l’incontro con Croce (che non ho mai più riveduto) nel febbraio del 1933, quando capitò una mattina presto in Biblioteca e conversò a lungo con me e con De Gasperi134; ne ho parlato del resto in un articolo nel Corriere della Sera in occasione appunto della morte di De Gasperi135.
Fra il 1932 e il 1939 nella vita di Levi Della Vida si segnalano pochi avvenimenti di rilievo (lui stesso scriverà che «quegli anni furono per me molto poco movimentati»)136, oltre alla collaborazione all’Enciclopedia Italiana, interrotta alla fine del 1937 o al principio del 1938 per volontà di Gentile, e all’Encyclopédie de l’Islam. Nella primavera 1934 Levi Della Vida poté recarsi a Milano, un viaggio finanziato dalla Vaticana, e nell’estate dello stesso anno, per insistenza di Tisserant, poté fruire di un mese di vacanze retribuito137: Roma, autore di Textus et paradigmatica syriaca (1952) e di un Vocabularium syriacum (1956), entrambi editi dal Biblico; fra i suoi lavori, nel 1941 vide la luce il volumetto Bayan Muskil al-Ahadit des Ibn Furak: Auswahl nach den Handschriften in Leipzig, Leiden, London und dem Vatikan; aveva studiato lingua e letteratura araba e filologia semitica in diverse università tedesche; «studioso dotato di una grande sensibilità, meticoloso e piuttosto complicato, nell’Istituto insegnò l’arabo e il siriaco dal 1938 al 1983 (...)», cfr. M. GILBERT, Il Pontificio Istituto Biblico. Cento anni di storia (1909-2009), Roma 2009, pp. 112, 127, 132, 143, 153, 169, 175, 206, 257, 274. 133 Il riferimento è al prete copto-cattolico Michel Salib Khouzam, che nel 1941 difese la sua tesi di dottorato presso l’Università Gregoriana di Roma sul tema: «L’illumination des intelligences dans la science des fondements. Synthèse de l’enseignement de la théologie copto-arabe sur la révélation chrétienne aux XIIIe et XIVe siècles d’après les écrits d’Abu ‘lKhair ibn at-Tayyib et Abu ‘l-Barakat ibn Kabar». Tisserant stese una prefazione alla tesi che fu utilizzata da Levi Della Vida nella stesura dell’articolo sull’attività scientifica di Tisserant per il primo volume del Recueil Cardinal Eugène Tisserant (cfr. infra); FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 52 nt. 40, 311. Viene ricordato anche in LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 231. 134 A proposito dell’incontro fra Croce, De Gasperi e Levi Della Vida, con Maria Ortiz, avvenuto in Biblioteca Vaticana, cfr. PERTICI, La politica delle sottolineature cit. Come ha precisato Pertici, l’incontro avvenne il 28 aprile 1933, cfr. B. CROCE, Taccuini di lavoro, III: 1927-1936, Napoli 1987, p. 371. Croce era in Vaticana per controlli sui manoscritti dell’umanista Elisio Calenzio. 135 LEVI DELLA VIDA, Un cimelio da rintracciare cit. Durante l’incontro, a pochi mesi dalla presa del potere di Hitler in Germania, Croce assunse, con una «facezia pungente», una paradossale posizione a proposito della «fortuna» che l’evento rappresentava per «noi italiani»: «Vi ricordate, quando eravamo più giovani, come ci seccavano con le continue esortazioni ad andare a scuola dai tedeschi per la scienza, per il metodo, per l’organizzazione... Ora, grazie al cielo, sono i tedeschi a imparare da noi! E vedete quanto siamo fortunati; quando eravamo noi a imparare da loro, s’imparava dai migliori dei loro; loro, sono venuti a imparare dai peggiori dei nostri». Sull’articolo, PERTICI, La politica delle sottolineature cit. 136 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 167. 137 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 167. Cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 34. Del viaggio milanese Levi Della Vida scrisse a Salvatorelli da Solda (Bolzano)
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Nella primavera del 1934 passai due settimane a Milano, a spese della Vaticana, per studiarvi i manoscritti arabi provenienti dal Yemen che si trovano nell’Ambrosiana e che sono strettamente imparentati con un gruppo di manoscritti della Vaticana138; lavorai molto intensamente, distraendomi colla conversazione del prefetto, Monsignor Giovanni Galbiati139, perfetto tipo meneghino, arguto, astuto e più che un tantino maledico. Nell’estate, come ho già detto, Tisserant insistette perché mi prendessi un mese di vacanza (non ne avevo preso né nel ’32 né nel ’33 per non rinunziare al pagamento orario) e mi disse che me l’avrebbe pagato secondo la media delle mie ore lavorative, che erano su per giù di egual numero ogni mese: del pensiero gentile gli serbo viva riconoscenza. Così andai a Solda140, rimanendo la Mamma a Veroli per ragioni di economia, e portai con me Giorgina e Giuliana141, come ricordano certamente; temo che a loro il soggiorno sia piaciuto poco, mentre a me l’alta montagna (Solda è a 1900 m. sul mare) fece bene.
Ancora Tisserant nel maggio 1935 invitò Levi Della Vida in Spagna per assistere, a titolo privato, a un congresso internazionale di bibliografia a Madrid e a Barcelona, al quale il pro-prefetto della Vaticana partecipò in rappresentanza della Biblioteca. Levi Della Vida tenne al congresso una coil 18 agosto 1934: «Nell’aprile scorso fui per una quindicina di giorni a Milano per fare sui manoscritti dell’Ambrosiana ricerche relative a mss. della Vaticana connessi con quelli per origine e per contenuto», LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 809. 138 Nel 1922 fu offerto a Pio XI il resto dei manoscritti raccolti nello Yemen da Giuseppe Caprotti, la maggior parte dei quali era stata acquistata fra il 1909 e il 1910 dalla Biblioteca Ambrosiana; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 266, 281 nt. 108; P. F. FUMAGALLI, Raccolte significative di manoscritti: Mosè Lattes, fondo Trotti, Giuseppe Caprotti, in Storia dell’Ambrosiana. L’Ottocento, Milano 2001, pp. 167-211: 194, 195, 199-205. Per il soggiorno di due settimane a Milano nell’aprile 1934 e per ringraziamenti a Giovanni Galbiati, cfr. LEVI DELLA VIDA, Elenco dei manoscritti cit., p. XV. 139 Giovanni Galbiati (1881-1966), allievo nei seminari milanesi di Antonio M. Ceriani, sacerdote nel 1905, dottore della Biblioteca Ambrosiana nel 1910, si impadronì della conoscenza di molteplici lingue (in particolare il tedesco) con numerosi soggiorni all’estero; prefetto dell’Ambrosiana dal 1924 al 1951, ne ampliò e ristrutturò l’edificio, ne promosse l’operosità scientifica e si dedicò al reperimento di fondi per la ricostruzione dopo il bombardamento del 15 agosto 1943; orientalista e semitista, dettò numerose epigrafi italiane e latine e si dedicò anche a studi su Leonardo; N. VIAN, Giovanni Galbiati umanista bibliotecario, in Almanacco dei bibliotecari italiani, [XVI], 1967, Roma [1967], pp. 13-19 [rist. in ID., Figure della Vaticana e altri scritti cit., pp. 277-283; e in F. GALLO, Erudizione e bellezza. Le epigrafi del prefetto Giovanni Galbiati nella Pinacoteca Ambrosiana, Milano – Roma 2013 (Accademia Ambrosiana. Classe di studi greci e latini. Fonti e studi, 19), pp. 99-103]; P. F. FUMAGALLI, Galbiati, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, LI, Roma 1998, pp. 371-373; DE GREGORI – BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani cit., pp. 93-94. 140 Solda (Sulden, in tedesco), frazione del comune di Stelvio, in Val Venosta, in provincia di Bolzano, a oltre 1.900 m di altezza. 141 Giorgina era la primogenita di Levi Della Vida, nata il 15 settembre 1912; avrebbe sposato il 2 ottobre 1937 Vittorio Amadasi; dal matrimonio nacquero i figli Claudio, Maria Giulia e Giorgio. Giuliana era la terzogenita, nata il 20 maggio 1919; avrebbe sposato il 28 agosto 1948 Agostino Rossetti; dal matrimonio nacquero i figli Filippo e Carlo.
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municazione sui manoscritti arabi vaticani di origine spagnola142 e alcune conferenze a Granada, su invito di Emilio García Gómez143: Tornato a Roma al principio di giugno, diedi gli ultimi tocchi al catalogo (lo intitolai modestamente «Elenco», avendolo redatto in forma estremamente stringata) che fu pronto nel settembre144. Vigeva allora nella Vaticana il costume che la prima copia di ogni opera pubblicata dalla biblioteca veniva offerta dall’autore al Papa in udienza privata145: Pio XII poi abolì l’uso. A Tisserant che mi propose di domandare udienza per me risposi che volentierissimo sarei andato dal Papa, ma avrei voluto evitare la genuflessione di rito; non che le attribuissi grande importanza, ma vo142 L’articolo fu redatto alcuni anni dopo: G. LEVI DELLA VIDA, Manoscritti arabi di origine spagnola nella Biblioteca Vaticana, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda, II, cit., pp. 133-189. 143 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., pp. 170-171. Cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., pp. 34-35. Il viaggio fu annunciato a Salvatorelli in lettera di Levi Della Vida del 15 maggio 1935: «Sai che dopodomani parto per la Spagna? È un viaggio di 18 giorni col pretesto di una comunicazione (naturalmente intorno ai mss. vaticani) al congresso internazionale di biblioteche e bibliografia; ma al tempo stesso mi hanno domandato di fare tre conferenze alla Scuola di Studi arabi e all’Università di Granata. Mi pagano poco ma ci rifarò almeno le spese di viaggio e una visita alla Spagna, sia pure rapidissima, era una tentazione troppo forte. Al mio ritorno ti dirò le mie impressioni: saranno, temo, alquanto generiche, dato il poco tempo di cui disporrò per vedere “Land und Leute”», LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 818. Le impressioni, sull’arte gotica e barocca e soprattutto sulla pittura, «vere rivelazioni di un mondo cupo e profondo, che penetra nell’intimo del mistero con una tragicità violenta», nella lettera di Levi Della Vida, Roma, 26 luglio 1935, ibid., p. 819. 144 Il riferimento è a LEVI DELLA VIDA, Elenco dei manoscritti cit. Del lavoro Levi Della Vida scrisse a Salvatorelli: «Avrei, oltre a lavori più grossi progettati in passato e che non finirò mai, molto altro materiale vaticano da sfruttare, ma non posso dedicarci gran tempo. Sto preparando ora un “Elenco” dei mss. vaticani, prodromo al più solenne catalogo, che sarà opera annosa, e conterrà, per le esigenze del sistema conformemente usato nella descrizione dei codici vaticani, una quantità di [illeggibile] inutile. Questo elenco invece, più svelto e riguardante soltanto la parte letteraria e non quella paleografica, conterrà molte notizie nuove e costituirà (se l’affetto paterno non mi acceca) un avvenimento sensazionale! Scherzi a parte, è un lavoro che promette bene e mi interessa» (Roma, 22 dicembre 1933); «Ho quasi finito il mio “Elenco dei mss. arabi islamici della Bibl. Vaticana” che si è cominciato a stampare e che (“Bardi favente”, perché si pubblica negli “Studi e testi” da lui stampati) dovrebbero uscire nell’estate. È un lavoro che mi è costato una fatica enorme che non risulta se non a un esame attento di specialisti, perché si concreta in sigle e cifre; ma per parte mia ne sono soddisfatto, e penso che forse quella del compilatore di cataloghi è la mia vera vocazione» (Roma, 17 marzo 1935); «Io sono pieno di lavoro, perché ho l’intenzione di far uscire per il Congresso internazionale degli Orientalisti, che si terrà a Roma in settembre, il mio “Elenco dei mss. arabi islamici della biblioteca vaticana”. Il testo è già tutto tutto composto, ma non ho ancora compiuto la redazione degli indici, il che mi tiene l’animo alquanto sospeso» (Roma, 26 luglio 1935); in LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., pp. 807, 816, 819. Cfr. anche infra, nt. 147. 145 L’uso si giustificava col particolare rapporto di Pio XI con la Biblioteca, della quale era stato prefetto e che seguì sempre con attenzione. Non a caso venne meno con il successore.
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levo evitare il sospetto di farisaismo e di ostentazione di sentimenti che non avevo allo scopo d’ingraziarmi coloro che mi davano da vivere; egli m’informò che la mia qualità di acattolico me ne dispensava, e così Pio XI mi ricevette a Castelgandolfo, dove fui portato da una macchina del Vaticano; mi accolse con grande cordialità e, da bibliotecario, mi parlò quasi soltanto dei suoi lontani ricordi dell’Ambrosiana e degli orientalisti che vi aveva conosciuti; congedandomi, gli chiesi la benedizione per mia moglie e i miei figlioli146, e lui, alzatosi con agilità giovanile, andò a un armadietto dal quale tirò fuori una scatoletta d’argento con sopra le armi papali contenente un rosario pure d’argento e me la diede dicendomi familiarmente: «La dia alla Sua signora da parte mia». Del che non soltanto la Mamma fu felice (vi ricordate che portava sempre il rosario e la scatoletta nella borsetta, e ora una di voi li conserva), ma la notizia, sparsasi tra le donne di servizio, che io avevo portato a casa «il rosario del Papa» mi conferì una larga popolarità147.
Dopo un altro viaggio all’estero, nella seconda metà del 1935, questa volta a Zurigo, per conferenze (che servivano evidentemente anche per aumentare le entrate economiche familiari), nella primavera 1937 Levi Della Vida si recò a Bruxelles148 e in ottobre partì per un impegnativo e importante viaggio organizzato da Olga Pinto, «la quale, andata a studiare l’or146 Oltre a Giorgina e Giuliana, dal matrimonio era nato il 29 aprile 1914, Carlo, che sposò il 14 gennaio 1954 Donatella Malcangi; dal matrimonio nacquero i figli Fabio e Giovannella. 147 Dell’udienza Levi Della Vida scrisse anche all’amico Salvatorelli, 1° novembre 1935: «Il mio “Elenco dei mss. arabi islamici della Biblioteca Vaticana” è uscito giusto in tempo per il congresso internaz. degli Orientalisti. Lo ho perfino presentato al Papa, che mi ha accolto con molta gentilezza, parlandomi peraltro esclusivamente di cose di studio. Non mi ha fatto un’impressione particolarmente spiccata», LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 820. Altri ricordi di incontri con Pio XI (ve ne dovettero dunque essere diversi) Levi Della Vida narrò ad Antonio Barolini, che ne scrisse all’indomani della morte nel Corriere della sera, 16 dicembre 1968 (Ricordo di Levi Della Vida. Un maestro): «Il Santo Padre in quelle occasioni mi riceveva alla buona. Pretendeva conversassi con lui liberamente intorno agli studi e alle ricerche condotte, al materiale esplorato o da esplorare. Si finiva col divagare e poiché io titubavo a interloquire, mi sollecitava a farlo. “Dica, dica, qui siamo due privati studiosi”», BOATTI, Preferirei di no cit., p. 129. Dopo la morte del papa, commentando un volume di Salvatorelli, Levi Della Vida formulò all’amico un giudizio sul pontificato: «A me sembra che fin d’ora, almeno in via provvisoria, possa dirsi che gli ultimi anni del suo pontificato hanno riflettuto i primi, i quali, almeno a mio parere, sono stati tutt’altro che gloriosi per la dignità religiosa della cattedra di Pietro. A parte l’esito finale il regno di Pio XI ricorda quello di Pio VI: troppa acquiescenza al potere terreno in principio; nobili, ma sterili proteste alla fine. Inutile dire che sono pienamente d’accordo con te intorno al motivo preponderante dell’acquiescenza di Pio XI, nella prima parte del suo pontificato ma anche, a tratti fino all’ultimo della sua vita, nei confronti degli stati. Del resto la paura del comunismo è la chiave di volta di tutta quanta la politica mondiale degli ultimi vent’anni», Levi Della Vida a Salvatorelli, Roma, 3 maggio 1939; in LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 838. 148 AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 35; accenni al viaggio in lettera di Levi Della Vida a Salvatorelli, 28 aprile 1937; in LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 831.
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ganizzazione delle biblioteche americane con una borsa della Rockefeller Foundation, si ritrovò a Chicago con Ignace Gelb, suo antico compagno di università, e insieme studiarono un piano per farmi fare delle conferenze negli Stati Uniti. Il bravo Gelb si diede un gran da fare e riuscì a trovarmi abbastanza inviti da ripagarmi le spese di viaggio e di soggiorno»149. Fu il primo incontro con la realtà americana ed ebbe per tappe Yale, Hartford, Harvard (ove Levi Della Vida fu ospite di Giorgio La Piana), Chicago, Washington (ove Levi Della Vida dovette frettolosamente preparare, per iniziativa di Henry Hyvernat, una conferenza sulla Biblioteca Vaticana), Princeton, New York. Più che dalla «civiltà meccanizzata» Levi Della Vida fu impressionato dalla natura «molto più monotona della nostra ma grandiosa e tenera a un tempo»150; ma soprattutto si confrontò con quella realtà accademica, nella quale incontrò molti ebrei fuggiti dal minaccioso scenario europeo e molti italiani, da Giuseppe Prezzolini a Giuseppe Antonio Borgese: in quel mondo sarebbe vissuto a lungo in futuro. Rientrato in Italia il 22 dicembre 1937 e dopo un nuovo viaggio, nell’aprile 1938, a Parigi, per conferenze alla Fondation Michonis151, Levi Della Vida affrontò così l’anno cruciale per l’ebraismo italiano. L’alleanza sempre più stretta fra nazismo e fascismo (quando Hitler visitò Roma, nel maggio 1938, Levi Della Vida si ritirò per alcuni giorni a Veroli), la crescente insistenza sull’ideologia razzista, la campagna antiebraica sfociata nelle leggi razziali provocarono in lui un profondo «disgusto della permanenza in Italia e il desiderio irresistibile di evadere»152. Dove? Fu l’angoscioso interrogativo dell’autunno-inverno 1938-1939, con prime risposte negative agli iniziali sondaggi dagli Stati Uniti e dall’Argentina. Poi, il 31 maggio, giunse, inaspettata, la conferma telegrafica della nomina come «visiting professor» di Semitistica per due anni all’Università della Pennsylvania. Proprio durante i preparativi per la partenza, mentre in Europa scoppiava la guerra e l’Italia dichiarava la sua non belligeranza vide la luce il secondo volume «vaticano» di Levi Della Vida, le Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana153: 149
LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 175. Prima del viaggio Salvatorelli scrisse da Torino a Levi Della Vida il 16 settembre 1937, cfr. LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., pp. 833-834. 150 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 178. 151 AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 35. Le conferenze furono pubblicate nel 1938 e ristampate anastaticamente nel 2017: G. LEVI DELLA VIDA, Les sémites et leur rôle dans l’histoire religieuse. Trois leçons au Collège de France, a cura di M. G. AMADASI GUZZO, Roma 2017 (Fondazione Leone Caetani. Testi di storia e storiografia, 4). 152 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 181. 153 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 184. Per il primo soggiorno americano, AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., pp. 35-36.
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Intanto il mio secondo volume «vaticano»154 fu finito di stampare (la coincidenza fu fortunata) e il quindici settembre fui ricevuto dal Papa a Castelgandolfo, con mia sorpresa, giacché pensavo che le preoccupazioni politiche non gli lasciassero tempo né voglia per udienze: Pio XII mi fece maggior impressione che il suo predecessore; specialmente i suoi occhi nerissimi e quasi vellutati sembravano rivelare una profonda vita interiore. Mi trattenne tre quarti d’ora (con stupore dei cerimonieri che all’uscita mi dissero che non si era mai vista un’udienza così lunga) e si parlò di tutto un po’: di politica, di Buonaiuti155 e del modernismo156, perfino del 154 Il riferimento è a LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione cit.; è considerato «il libro più importante e più bello tra quelli scritti per la Vaticana», MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 3. Del volume Levi Della Vida scrisse all’amico Salvatorelli: «Sto occupandomi da vari mesi della storia del fondo più antico dei mss. orientali della Vaticana: ne verrà fuori un volume degli Studi e Testi, probabilmente noioso a leggersi, e il cui più cospicuo risultato sarà quello di mostrare che, fino al principio del sec. XVIII, i papi non hanno mostrato il menomo interesse per l’acquisto di mss. orientali. Quelli che sono entrati in biblioteca prima di quel tempo, non molti né molto importanti, vi sono giunti per puro caso» (Pocol [Cortina d’Ampezzo], 24 agosto 1936); «Ho finito in questi giorni lo studio della formazione delle prime collezioni dei mss. orientali vaticani, a cui lavoravo da tre anni. È venuto fuori un grosso volume, zeppo di minuzie; in fondo il tipico prodotto di un’erudizione sterile. Forse un certo interesse potrà averlo per la storia degli Arabi orientali e per quella delle relazioni della Chiesa Romana colle chiese d’Oriente dal XV al XVII sec. Spero che sia stampato verso la metà dell’anno prossimo» (Roma, 1° dicembre 1938); «Ho finito, finalmente, il libro sulla storia dei msi. orientali della Vaticana e se si stamperà (Bardi lo ha in lavoro colla solita esasperante lentezza, e dato il vulcano sul quale viviamo, chi può prevedere che lui o io arriveremo a vederne la fine?) te lo manderò, perché forse ci troverai, in mezzo a un profluire di roba, magari qualche notizia culturale o di storia della chiesa che potrà interessarti. Sono diventato uno specialista intorno alla politica orientale di Gregorio XIII!» (21 marzo 1939); «Sto correggendo le bozze delle “Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana”, un titolo lungo per un lunghissimo, e noiosissimo, libro» (Roma, 3 maggio 1939); in LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., pp. 827, 837, 838. 155 Ernesto Buonaiuti (1881-1946), il maggiore esponente del modernismo italiano; nel 1931, come Levi Della Vida, perdette la cattedra universitaria per non aver giurato fedeltà al regime fascista; V. VINAY, Ernesto Buonaiuti e l’Italia religiosa del suo tempo, Torre Pellice 1956; F. PARENTE, Ernesto Buonaiuti, Roma 1971; F. PARENTE, Buonaiuti, Ernesto, in Dizionario biografico degli Italiani, XV, Roma 1972, pp. 112-122; BOATTI, Preferirei di no cit., pp. 220-224, 227-244, 246-248, 251-258, 266-270, 276-280 e passim (cfr. s.v. in indice, p. 325); Modernism 3 (2016), pp. 5-347 [Atti del convegno «Ernesto Buonaiuti nella cultura europea del Novecento», Roma, 30-31 ottobre 2015]. Per i rapporti con Levi Della Vida, cfr. LEVI DELLA VIDA, Fantasmi ritrovati cit., pp. 127-154; ma anche ID., Ernesto Buonaiuti, in Ricerche religiose 1 (1947), pp. 1-17 (ripreso in ID., Aneddoti e svaghi cit., pp. 347-361); e Buonaiuti [articolo del 28 novembre 1953], ripreso in LEVI DELLA VIDA, Visita a Tamerlano cit., pp. 111116. Cfr. anche LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., s.v. in indice, p. 862; ROTA, «Un Ebreo tra i modernisti» cit., pp. 88-90. 156 Per i rapporti di Levi Della Vida con il modernismo cattolico, cfr. LEVI DELLA VIDA, Fantasmi ritrovati cit., pp. 73-166, capitolo centrato sulla figura di Buonaiuti ma con ricordi anche di Giovanni Semeria (conosciuto a Genova negli anni 1902-1903, quando Levi Della Vida frequentava la seconda liceo), Giovanni Genocchi (avvicinato a Roma negli anni universitari, nella casa dei Missionari del Sacro Cuore in via della Sapienza; gli fu presentato
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problema dell’immanenza e della trascendenza, tanto che a un certo punto mi parve (e gliene domandai scusa) di esser io a far lezione di teologia al Papa... Quando mi congedò chiesi anche a lui la benedizione per i miei, ed egli aggiunse che benediva anche me; di che gli fui molto grato157.
Il 22 settembre 1939, una settimana dopo l’udienza con Pio XII, Levi Della Vida prese il treno per Napoli, «accompagnato col solito affetto fraterno da Michelangelo Guidi (...) che salì con me a bordo del Vulcania e mi tenne compagnia sino al momento della partenza»158. Poco dopo l’arrivo, il 3 novembre 1939, da Philadelphia, Levi Della Vida scrisse a Giovanni Mercati, per narrare le sue prime esperienze americane ed esprimere nostalgica riconoscenza per il mondo vaticano: La novità dell’ambiente e delle occupazioni (il tornare all’insegnamento, e in una lingua straniera, dopo otto anni d’intervallo, mi costa abbastanza fatica) mi hanno distolto finora dal compiere il più gradito dei doveri: quello di dare le mie notizie all’Em. V. e di ripeterLe la profonda e incancellabile riconoscenza per le infinite prove d’indulgente benevolenza da Lei datemi durante otto anni: grande mortalis aevi spatium, ma che mi è passato così rapido che quasi crederei fosse stato un breve episodio della mia vita ormai lunga. Con quanta nostalgia ripenso all’incomparabile tranquillità del mio lavoro alla Vaticana! Se mi fosse stato possibile non varcarne mai le soglie, se avessi potuto dimenticare che al di là di esse si per motivi bibliografici da Ignazio Guidi), Salvatore Minocchi, Nicola Turchi e altri. Fu nella casa romana dei Barnabiti, in Via dei Chiavari, ove nel dicembre 1909 Levi Della Vida si era recato a trovare Semeria di passaggio nell’Urbe, che avvenne la conoscenza con Buonaiuti, di cui Levi Della Vida fu amico sino alla fine. Ma cfr. anche «Teologia nuova», modernismo e ortodossia; Apologie religiose; Pio X Ernesto Nathan e i «libri rossi» di Loisy, in LEVI DELLA VIDA, Aneddoti e svaghi cit., pp. 328-332, 333-341, 342-346. Cfr. anche AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., pp. 25, 27, le riflessioni di TESSITORE, Giorgio Levi Della Vida cit., pp. 39-41, e ROTA, «Un Ebreo tra i modernisti» cit., pp. 86-94. 157 Da notare la differenza fra l’atteggiamento di Pio XII e quello di Pio XI, che forse per una forma di rispetto si limitò a benedire la moglie e i figli. Il brano «con mia sorpresa (...) di che gli fui molto grato» è citato da NALLINO, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 312. Anche dell’incontro con Pio XII e della libertà con la quale in esso poté esprimersi Levi Della Vida parlò con Antonio Barolini, che ne riferì (cfr. supra, nt. 147). Dell’udienza con papa Pacelli Levi Della Vida scrisse all’amico Salvatorelli alla vigilia della partenza per gli Stati Uniti, Porto di Genova, 21 settembre 1939: «Prima di partire (precisamente il 15) sono stato ricevuto dal mio supremo “superiore”, al quale ho offerto il mio libro, che si era finito di stampare allora allora (te ne manderò una copia, per quanto sia roba di scarso interesse per te). Visita interessante e insolitamente lunga (quasi 40 minuti), donde ho riportato un’impressione di simpatia e di signorilità, soprattutto di una sincera e molto umana religiosità; non però (almeno a quanto mi è parso) di vera genialità. Si è parlato a lungo (e sostanzialmente senza troppi disaccordi)... del modernismo!», LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 839. 158 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 184. Cfr. GOETZ, Il giuramento rifiutato cit., pp. 60-61. Anche dell’imminente viaggio americano Levi Della Vida scrisse a Salvatorelli dal porto di Genova il 21 settembre 1939, cfr. LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 839; cfr. supra, nt. 157.
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apriva un mondo torbido e ostile, tanto diverso dal tempio della scienza quanto la Città terrena dalla Città di Dio, non avrei mai pensato ad abbandonare quell’asilo di pace, dove ho passato tante ore felici. Voglia Iddio che mi sia dato di ritornarvi, non so se «con altra voce e con altro vello», ma certo collo stesso immutato animo col quale vi ho dimorato a lungo. E nella speranza di venirvi a riverire nuovamente l’Em. V., La prego di non dimenticarmi e di rivolgere qualche volta il Suo pensiero al Suo devoto ammiratore e (se la parola non suoni poco rispettosa) al suo affezionato amico. Della riconoscenza che ho per V. Em. preferisco non parlare: ogni espressione riuscirebbe inadeguata sia alla quantità e alla qualità delle Sue benemerenze sia al grato ricordo che ne serbo. Voglia l’Em. V. compiacersi di ricordarmi devotamente a Mgr. Angelo, che anch’egli ha tanti titoli alla mia riconoscenza, e amichevolmente al caro Silvio Giuseppe, e voglia credere alla costante e rispettosa devozione del Suo (...)159.
Il soggiorno americano, inizialmente previsto per un biennio, si estese nel tempo e avrebbe potuto divenire definitivo. Ma anche per ricongiungersi alla famiglia Levi Della Vida tornò in Italia. Il 12 ottobre 1945 rientrò a Roma e, fra i primi incontri, volle, come aveva auspicato sei anni prima, rivedere la Vaticana160: Dopo le prime effusioni, i racconti, gl’incontri coi parenti e gli amici più intimi, pensai a prendere contatto coll’ambiente ufficiale: la mia prima visita fu al ministro dell’Istruzione, il mio vecchio amico Arangio-Ruiz161, la seconda al rettore Caronia162 (che aveva profittato di un incidente professionale per atteggiarsi a vittima del fascismo); andai poi da De Gasperi, ministro degli Esteri e non ancora Presidente del consiglio163, e naturalmente in Vaticana, dove il buon Cardinal Mercati e 159
Il testo è pubblicato da VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., p. 484. LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., pp. 217-218. Cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., pp. 36-37; GOETZ, Il giuramento rifiutato cit., p. 61. 161 Vincenzo Arangio-Ruiz (1884-1964), dopo aver insegnato Storia e istituzioni di diritto romano in diverse università, fu chiamato (1945) alla Sapienza di Roma. Antifascista e liberale (nel 1925, fu tra i firmatari del manifesto Croce), fu ministro di Grazia e giustizia nel secondo governo Badoglio (1944), dell’Istruzione nel terzo governo Bonomi (1944) e nel governo Parri (1945); fu presidente (1952-1953) e vicepresidente (1958-1964) dell’Accademia dei Lincei; M. TALAMANCA, Arangio-Ruiz, Vincenzo, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXIV, Primo supplemento: A-C, cit., pp. 158-162. 162 Giuseppe Caronia (1884-1977), medico, amico di Luigi Sturzo, fu rettore dell’Università di Roma (1944-1948); alla Costituente fu eletto nelle liste della Democrazia Cristiana e, per lo stesso partito, fu deputato nella prima e nella seconda legislatura (1948-1958). Per aver protetto alcuni ebrei negli anni delle persecuzioni, nel 1998 fu decorato dell’onorificenza «Giusto fra le nazioni»; A. PAVAN, Caronia, Giuseppe, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXIV, Primo supplemento: A-C, cit., pp. 664-666. 163 Prima di divenire presidente del Consiglio per otto volte, fra il 10 dicembre 1945 e il 17 agosto 1953 (il primo governo De Gasperi fu l’ultimo del Regno d’Italia), De Gasperi fu ministro degli esteri per quattro volte: nel secondo governo presieduto da Ivanoe Bonomi (18 giugno-10 dicembre 1944), nel terzo governo Bonomi (10 dicembre 1944-19 giugno 1945), nel 160
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tutto il personale mi fecero grandi feste164. Quando, pochi giorni dopo, intervenni a una seduta di facoltà mi si affollarono intorno i vecchi colleghi (compreso qualcuno che quando ero in disgrazia si era dimenticato di me); era preside Cardinali165, che teneva la carica da innumerevoli anni (già, come ho detto, al tempo della mia destituzione), e il suo saluto ufficiale fu quanto di più freddo e scolorito possa immaginarsi: mi accomunò nel bentornato con due che erano stati sospesi per colpe fasciste e poi riammessi, non fece il menomo accenno al motivo della mia lunga assenza (forse a lui pareva poco onorevole). Chi invece volle farmi pubblicamente onore fu Angelo Monteverdi166, professore di filologia romanza, che, si noti, non avevo mai veduto prima di allora; come presidente dell’associazione dei professori universitari venne a invitarmi a fare una conferenza, che effettivamente feci nel dicembre, prima della quale mi presentò con parole commoventi.
Dopo il ritorno in Vaticana nell’autunno 1945, la Biblioteca come ambiente scompare dalle Note autobiografiche167. Ma non vengono meno le governo presieduto da Ferruccio Parri (21 giugno-10 dicembre 1945), nel primo governo De Gasperi (10 dicembre 1945-1° luglio 1946); cfr. MISSORI, Governi cit., p. 190. 164 Il brano «Dopo le prime effusioni (...) mi fecero grandi feste» è pubblicato, con un’omissione, da NALLINO, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 314. 165 Giuseppe Cardinali (1879-1955), allievo di Karl Julius Beloch, docente (dal 1907) di Storia antica nelle università di Genova, Bologna e Roma, di cui fu anche rettore (19481953); senatore del Regno (1939), socio linceo (1946), presidente dell’Istituto Italiano per la Storia Antica (1937-1944, 1952-1954), si occupò soprattutto del periodo ellenistico e dell’età dei Gracchi, con concessioni frequenti al «clima fascista» negli scritti dell’epoca; P. TREVES, Cardinali, Giuseppe, in Dizionario biografico degli Italiani, XIX, Roma 1976, pp. 784-786. Levi Della Vida gli riservò parole critiche anche in Fantasmi ritrovati cit., pp. 233-234, 243: «(...) nella seduta del Consiglio di Facoltà del gennaio 1932 (...) lesse, senza una parola di commento, la comunicazione ministeriale dell’avvenuta dispensa dal servizio, a partire dal primo dell’anno, di Buonaiuti, di De Sanctis e di me» (p. 243), per non aver giurato fedeltà al regime fascista. 166 Angelo Monteverdi (1886-1967), dal 1922 docente di Filologia romanza a Friburgo, poi a Milano (1942) e infine a Roma (1943); allievo di Francesco Novati, ne derivò l’attenzione ai dati documentari e all’esplorazione sistematica dei fondi manoscritti; socio linceo (1954), fu presidente dell’Accademia dal 1964 alla morte; R. ANTONELLI, Monteverdi, Angelo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVI, Roma 2012, pp. 179-182. 167 Levi Della Vida non ricorda il lavoro, dal 1° maggio 1946, per la «pubblicazione dei frammenti cufici donati recentemente alla Biblioteca Vaticana da T. de Marinis» [G. LEVI DELLA VIDA, Frammenti coranici in carattere cufico nella Biblioteca Vaticana (codici Vaticani arabi 1605, 1606), Città del Vaticano 1947 (Studi e testi, 132)]. Né il volume dedicato ai Documenti intorno alle relazioni delle Chiese orientali con la S. Sede durante il pontificato di Gregorio XIII. Appendice: Aggiunte a «Studi e testi», 92, Città del Vaticano 1948 (Studi e testi, 143), dedicato «al suo grande discepolo ed amico Enrico Cerulli, ambasciatore e orientalista famoso, “in rei publicae negotiis in literarum otiis nulli secundo”. E, nell’avvertenza, ricordava ancora una volta il patronato e la protezione del cardinale Tisserant “in anni procellosi”», MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 8. A proposito del ritorno nell’autunno 1945 ancora Michelini Tocci ricorda: «Alla Vaticana venne subito, appena tornato, per salutare gli amici, per riceverne il compiacimento sincero, per rivedere il posto e l’oasi. Credo che, fin dal primo giorno, egli chiedesse al cardinal Mercati e al prefetto Albareda di poter
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sue figure, in primis Tisserant, incontrato negli Stati Uniti, a Princeton, «nel maggio, o ai primi di giugno» 1947, in occasione del conferimento di una laurea ad honorem al cardinale e di nuovo, nel dicembre 1950, al Cairo168. Qualche anno dopo, nel 1957, sobria è la notazione relativa alla morte di Mercati, accostata a quella di Gaetano De Sanctis169: La morte di Gaetano De Sanctis il 9 aprile e quella di Giovanni Mercati il 22 agosto mi rattristarono; ma né l’una né l’altra può dirsi che fossero premature, giacché il primo aveva quasi ottantasett’anni e il secondo più di novanta: tuttavia anche con loro sono passati dall’altra parte della barriera taluni che hanno percorso con me una parte del cammino.
Gli ultimi anni e, di riflesso, le ultime pagine sono segnati da un progressivo «distacco dal mondo», accentuato dalla morte della moglie e alimentato dalla «ferma convinzione che i vecchi devono cercare di non intralciare la vita ai giovani»170. Ma il dovere della memoria è vissuto proprio come un viatico per quanti seguiranno. 4. Lettere di Eugène Tisserant a Levi Della Vida (1930-1966) L’«ebreo tra i monsignori» non sarebbe mai divenuto tale senza l’intuizione e la proposta di Tisserant, che inaugurarono per Levi Della Vida uno dei periodi «tra i più placidi e i più fecondi della mia vita». La peculiarità di questo rapporto, di stima, di apprezzamento, di amicizia, emerge da un gruppo di lettere scritte da Tisserant a Levi Della Vida fra il 1930 e il 1966. Senza rappresentare la totalità delle lettere inviate dal primo al secondo,
riprendere il lavoro, interrotto sei anni prima. E lo riprese, infatti, forse con un’assiduità un po’ minore, dati gli altri impegni, ma con un’attività altrettanto fervida», ibid. 168 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., pp. 223, 231. Per il secondo soggiorno americano di Levi Della Vida, cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., p. 37. Per il viaggio di Tisserant negli Stati Uniti (aprile-giugno 1947) e per la missione in Egitto (26 dicembre 195012 gennaio 1951), POP, Études et missions scientifiques cit., pp. 725-807: 760-762, 783-785. Cfr. anche FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 397. 169 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 247. 170 LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 242. «Nel 1955 egli aveva avuto un dolore che l’aveva colpito al centro stesso dell’essere, aveva perduto la moglie, la compagna della sua vita, la madre dei suoi figli. Per la prima volta forse, si sentì menomato e veramente solo. (...) Levi non venne mai meno, neppure in quella occasione tristissima, al suo riserbo, ma chi gli era più vicino si accorse che quella ferita era profonda e non si sarebbe più risanata. Ancora il lavoro, tenace, instancabile, consolatore, all’Università, all’Istituto per l’Oriente, alla Vaticana. Poi l’insegnamento cessa, per i limiti di età, e da quel momento la Vaticana torna ad essere, come negli anni lontani, la sua meta quotidiana», MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 8.
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esse rappresentano un legame che andò al di là del semplice rapporto fra studiosi171. 1. Un foglio, scritto nel recto e nel verso; su carta intestata: Eug. Tisserant / Vaticano. Roma 13. li 25 gennaio 1930 Illustre Signor Professore, La ringrazio delle informazioni che Ella mi manda nella Sua lettera del 22 m.c. Non sapevo che l’articolo del Lagumina fosse uscito nel Bollettino italiano di studi orientali di Firenze172. Non esiste alla Vaticana, ma credo che si troverà al Cairo alla Società di Geografia. Le iscrizioni di Propaganda sono state portate in Vaticano, secondo quel che mi dissero alla direzione dei musei173. Avevo spogliato pure io il Notiziario174 e trovato secondo quello che Ella mi dice. Gradisca di nuovo, Illustrissimo Professore, i miei ringraziamenti e mi creda Suo devotissimo Eugenio Tisserant
2. Un foglio (su carta intestata con stemma pontificio: Biblioteca Apostolica Vaticana; al di sotto è dattiloscritto il numero di protocollo: 375/P), dattiloscritto nel recto, con firma autografa. In calce, indicazione dattiloscritta: Si prega d’indirizzare la corrispondenza a: Mons. Pro-prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana. Città del Vaticano. [Città del Vaticano, li] 23 aprile [193]1 Illustrissimo Signor Professore, Mi scusi di non aver risposto ieri alla sua lettera, ma avevo udienza del S. Padre e mi trovai nell’obbligo di prepararmi su diverse questioni proprio all’ultimo 171 Anche per il permesso di pubblicare il testo di queste lettere si ringrazia Maria Giulia Amadasi Guzzo e Paola Piacentini. 172 Come precisato immediatamente dopo, il riferimento dovrebbe essere allo scritto di B. LAGUMINA, Le iscrizioni sepolcrali del Collegio di Propaganda Fide. Edizione, traduzione e illustrazione, pubblicato nel 1881. A Lagumina Levi Della Vida aveva dedicato una voce, nel 1933, nel XX volume dell’Enciclopedia italiana (cfr. GUZZO AMADASI, Bibliografia degli scritti cit., p. 37, nr. 328). 173 G. FILIPPI, Raccolta Epigrafica 1929-2009 / 2. Conservazione, ordinamento, incremento, in I Musei Vaticani nell’80° anniversario della firma dei Patti Lateranensi, 1929-2009, a cura di A. PAOLUCCI – C. PANTANELLA, Città del Vaticano 2009, pp. 136-145: 137, accenna, negli anni 1927-1930, a un «incremento del Lapidario Profano e di quello Cristiano per iscrizioni donate e calchi di gesso, tra cui una tegola con iscrizione siriana dipinta dal Museo Borgiano». 174 Non si sa precisare a quale «Notiziario» si faccia riferimento.
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momento175. Ella potrà perfettamente venire al pomeriggio nei suoi giorni liberi, passando dal solito ingresso176, dalle 2 e mezza in poi, con facoltà di restare fino al calo della luce. I fogli del codice sono 51 e la loro misura è tale da permettere la fotografia di due pagine insieme in un 18 × 24177. Avrò piacere di vederLa e La prego di credermi col più cordiale ossequio suo devotissimo Eugenio Tisserant
3. [cartolina da Dakar, 8 febbraio 1936; soggetto illustrato: Afrique Occidentale Française – 55. Sénégal – Ile de Gorée178; solo la firma]. 4. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab Oriente et Occidente, scritto nel recto. li 28 luglio 1937 Illustre e caro Professore, Ecco le bozze delle pagine 89-102179. Se Ella le può correggere e mi vuol salutare, mi troverà a casa fra le 18,30 e le 19,00. Domani mattina andrò in Vaticano e potrei allora dare ordini alla Tipografia180. Le mando pure i fogli stampati. RingraziandoLa per tutto quello che Ella fa per questo catalogo, La saluto cordialmente devotissimo Eugenio Card. Tisserant
175 Note di Tisserant per udienze col papa fra il 30 maggio 1930 e il 6 maggio 1936 in Arch. Bibl. 152. 176 Trattandosi di un accesso alla Biblioteca nel pomeriggio, si può ipotizzare che esso non avvenisse dall’ingresso, ordinario, nel Cortile del Belvedere, inaugurato nel dicembre 1928, ma dalla porta sulla Galleria lapidaria. 177 Non si sa precisare a quale codice si faccia riferimento. 178 Sul viaggio di Tisserant a Dakar (gennaio-febbraio 1936), come assistente del card. Jean Verdier in missione per la consacrazione della cattedrale di Dakar, POP, Études et missions scientifiques cit., pp. 772-773. 179 Potrebbe trattarsi, per motivi cronologici, di Codices Coptici Vaticani Barberiniani Borgiani Rossiani, I (cfr. supra, nt. 55), di cui forse Levi Della Vida rivedeva le bozze. A meno che, anche alla luce di quanto scritto da Tisserant nella lettera del 2 agosto 1937 (cfr. infra, testo e nt. 182), non si tratti di una tranche del catalogo dei manoscritti arabo-cristiani che stava preparando Georg Graf e che non vide mai la luce (cfr. supra, testo e nt. 14). 180 Probabilmente sempre per la stampa del primo volume del catalogo dei manoscritti copti; o delle descrizioni del catalogo di Graf.
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5. Un bifoglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, di cui sono scritte le prime tre facciate. In calce al testo tre righe e mezzo con saluti a Levi Della Vida in francese, con firma non interpretata (forse un membro della famiglia Tisserant). Nancy (5, rue Sainte-Cécile), li 2 agosto 1937 Illustre e caro Professore, L’assessore della S.C. pro Ecclesia Orientali, S.E. Mons. Cesarini181, che ho incaricato del servizio della mia posta, mi scrive che ha ricevuto dal Prof. Graf un pacco di bozze. Si tratta di prime bozze di una parte che ho riveduta sull’originale suo. Penso che servirebbe bene il progresso del catalogo, se Ella potesse rivederle e magari anche farle impaginare prima del 23182. Avendo di già studiato i codici, non credo di aver nulla a modificare od aggiungere. In tanto, anche se Ella giudicasse prematura l’impaginazione, una revisione sua sui codici sarebbe molto opportuna. Scrivo al R.P. Albareda affinché le permetta di andare in Biblioteca, è per il vantaggio della medesima. Ho fatto buon viaggio ed ho trovato bel tempo, assai temperato183. Le auguro di riposarsi in modo conveniente e La prego di gradire i sensi del mio più cordiale ossequio devotissimo Eugenio card. Tisserant di altra mano, in calce: C’est un plaisir, Monsieur le Professeur, que je saisis cette occasion de vous présenter mon respectueux souvenir et l’expression de mes sentiments les meilleurs. [firma non letta]
6. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto, con minimi interventi correttivi manoscritti e firma autografa. 2 settembre 1948 Illustrissimo e caro Professore, Ho ricevuto con piacere i diversi estratti che Ella mi ha tanto gentilmente mandati a testimonianza della Sua attività americana184. Ne ho letto subito diversi, 181 Giuseppe Cesarini fu assessore della Congregazione per la Chiesa orientale fra il 1933 e il 1941. 182 Levi Della Vida aiutava dunque Tisserant anche nella revisione del lavoro di Graf di catalogazione dei manoscritti arabo-cristiani. 183 Si tratta del viaggio da Roma a Nancy. 184 Per gli articoli di Levi Della Vida durante il periodo americano, cfr. GUZZO AMADASI, Bibliografia degli scritti cit., pp. 28-29.
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in particolare quello sull’Arabia pre-islamica185, un soggetto che mi ha da tempo interessato, tanto che avevo cominciato la preparazione di un indice del volume del Glaser sulla geografia dell’Arabia meridionale186 e tentai di rendere più utile la pubblicazione del giornale di Huber col calcolo dei dati geografico-astronomici che vi sono contenuti187. Ero giovane allora e credevo tutto possibile! Sotto il pretesto che altro articolo nel volume deve trattare della parte avuta dal giudaismo e dal cristianesimo nella nascita dell’Islam, Ella non dice niente della parte che ebbe il giudaismo nello sviluppo della civiltà e cultura dell’Arabia preislamica188. Anzi, Ella esclude una tale influenza, quando parla dei Nabatei189. Mi rassegno difficilmente a tale divisamento, perché penso che le colonie ebraiche in terra araba dovevano risalire a tempi antichi, forse più secoli prima di Cristo, come le colonie d’Egitto. Avrebbero dovuto avere quindi influenza sulla vita e la cultura di tribù che erano meno spinte in materia di civiltà. Ella dice che Muhammad riuscì a legare i beduini all’Islam190; debbo dire che, dai contatti che ebbi con Beduini in Transgiordania e Alta Gezireh191, son rimasto persuaso che tali Beduini erano mussulmani soltanto di nome, nelle statistiche ufficiali, ma pieni di superstizioni pagane, con tracce di culto astrale. Se non sarà così nel centro della penisola, non sarà dovuto all’influenza recente del movimento wahabita192? Quando penso ai principî dell’Islam, mi pare che gli avvenimenti recenti, come il successo del nazismo e del bolscevismo, aiutano a capire come sorse e riuscì l’Islam193. Muhammad mi appare sempre più come il fondatore di un partito assai 185 G. LEVI DELLA VIDA, Pre-islamic Arabia, in The Arab Heritage, ed. by N. A. FARIS, Princeton 1946, pp. 26-57. 186 E. GLASER, Skizze der Geschichte und Geographie Arabiens von den ältesten Zeiten bis zum Propheten Muüammad nebst einem Anhange zur Beleuchtung der Geschichte Abessyniens im 3. und 4. Jahrhundert n. Chr. Auf Grund der Inschriften, der Angaben der alten Autoren und der Bibel, II, Berlin 1890. 187 Ch. HUBER, Journal d’un voyage en Arabie (1883-1884), publié par la Société Asiatique et la Société de Géographie, sous les auspices du Ministère de l’Instruction Publique avec Atlas, Paris 1891. L’autore, assassinato il 29 luglio 1884 nei pressi di Djeddah, dal 1874 aveva fatto dell’Arabia «la province de son choix», Avertissment, p. VII. Fornito di alcuni indici di termini tecnici, il volume non presenta un indice di luoghi. 188 Ma Levi Della Vida aveva già riconosciuto il ruolo svolto dagli influssi di comunità giudaiche e cristiane nelle origini dell’islam nella voce pubblicata nel 1929 nel terzo volume dell’Enciclopedia italiana e ripubblicata in LEVI DELLA VIDA, Arabi ed ebrei nella storia cit., pp. 239-324: 278-279. 189 LEVI DELLA VIDA, Pre-islamic Arabia cit., p. 54. 190 LEVI DELLA VIDA, Pre-islamic Arabia cit., p. 56. 191 Durante il servizio militare in Oriente (1914-1919), POP, Études et missions scientifiques cit., pp. 749-752; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 107-132. 192 Movimento di riforma religiosa, all’interno della comunità sunnita, inaugurato nel secolo XVIII da Muüammad ibn ‘Abd al-Wahhâb. Si caratterizza per una rigida interpretazione letterale del Corano. Per secoli dominante nella penisola arabica, è ora egemone nell’Arabia saudita. 193 Il paragone Maometto-Hitler è la sostanza di tre interventi pubblicati fra gennaio e marzo 1940 da Tisserant ne La croix (siglati: E.G. = Eugène Gabriel); i testi sono ripresentati
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più che di una religione, con una preferenza per i cittadini, nello stesso modo che il bolscevismo a [sic] una preferenza per gli operai delle officine. L’entusiasmo degli Arabi per l’Islam non fu probabilmente molto diverso da quello dei Russi per il bolscevismo: sbalorditi dal successo di un partito poco numeroso, piegati per la forza e la fame, a momenti contenti per i vantaggi che procurarono loro vittorie e riforme, a momenti scontenti, ma incapaci di rompere il cerchio194. Le acchiudo una conferenza fatta a Notre-Dame195, non ho saputo niente della stampa delle mie conferenze a Princeton e Dumbarton Oaks196. Ed anche un articolo uscito nella Miscellanea Mercati197. Gradisca, Illustrissimo e caro Professore, i sensi del mio più cordiale ossequio, devotissimo Suo + Eugenio Card. Tisserant Vescovo di Porto e S. Rufina
7. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, scritto nel recto; con busta indirizzata all’«Illustrissimo Signor Prof. Giorgio Levi Della Vida. Via Po, 9. S.P.M.»; dunque consegnata a mano, come mostra anche l’assenza del francobollo. 24 dicembre 1948 Illustrissimo Signor Professore, La ringrazio vivamente per i Suoi auguri. Veramente in questi giorni ho avuto un programma più complesso e più carico che mai. Onde mio fratello, che non
in Recueil Cardinal Eugène Tisserant, I, cit., pp. 329-337 (Adolphe Hitler à l’école de Mahomet); cfr. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 438-440. 194 L’idea che l’islam fosse un partito politico prima ancora che una religione era cara a Tisserant, che nel secondo dopoguerra insistette molto anche sul parallelismo fra gli esordi dell’islam e i primi sviluppi del bolscevismo, FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 467-469. In questa interpretazione, Tisserant non era lontano dal maestro di Levi Della Vida, Leone Caetani, che valutò l’opera di Maometto «in chiave politica assai più che religiosa» ravvisando «nella rapida diffusione dell’Islam non già l’effetto dell’entusiasmo dei credenti bensì quello di forze economiche e sociali», LEVI DELLA VIDA, Fantasmi ritrovati cit., pp. 32-33. Cfr. ROTA, «Un Ebreo tra i modernisti» cit., p 74. 195 E. TISSERANT, The Holy See and the Byzantine Church and Empire, in The Review of Politics 9 (1947), nr. 3, pp. 275-283 (testo del discorso pronunciato a Notre Dame, 7 maggio 1947); ripubblicato in Recueil Cardinal Eugène Tisserant, II, cit., pp. 473-481; cfr. Principales publications cit., pp. 13-21: 16. 196 Sul viaggio di Tisserant negli Stati Uniti e in Canada (aprile-giugno 1947), POP, Études et missions scientifiques cit., pp. 760-762. Il testo di una delle due conferenze potrebbe essere l’articolo The Work of Catholic Librarians and the Development of an International outlook, in The Catholic Library World 19 (1947), pp. 51-55; segnalato in Principales publications cit., p. 16. 197 E. TISSERANT, Lettres de Constantin von Tischendorf à Carlo Vercellone, in Miscellanea Giovanni Mercati, VI: Paleografia – Bibliografia – Varia, Città del Vaticano 1946 (Studi e testi,
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sapeva esattamente chi telefonava, ha creduto far bene rimandandoLa alla S. Congregazione198. La prego intanto di voler porgere alla Signora Levi Della Vida i sensi del mio profondo ossequio ed i miei auguri per le SS. Feste Natalizie. Il Signore vi dia a tutti felicità ed ogni bene! Gradisca, Illustrissimo Signor Professore, i miei più cordiali saluti devotissimo Suo + Eugenio Card. Tisserant Vesc. di Porto e S. Rufina
8. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto, con firma autografa. Roma, Via Po 25 C 2 giugno 1952 Illustrissimo e caro Signor Professore, Non so come ringraziarLa per il microfilm del manoscritto mozarabico dei Vangeli di Fez199. Dal 1938 avevo tentato con tanti mezzi di ottenerlo. Vorrei sperare che adesso, avendo il microfilm, saprò trovare anche il tempo per lo studio che vagheggiavo. Forse i mesi estivi mi procureranno un po’ più di tranquillità200. Ma Le debbo un «grazie» più cordiale ancora per le gentili parole, con le quali ha voluto accompagnare la consegna del microfilm. Mi hanno rammentato circostanze lontane, ma molto vicine per il piacere che risento ancora di essere stato utile a Lei, e ad altri, quando più ne risentivano il bisogno201. Voglia presentare alla Signora Levi Della Vida l’omaggio del mio rispetto e gradire con i miei ringraziamenti l’espressione dei miei sensi più cordiali devotissimo + Eugenio Card. Tisserant Vesc. di Ostia, Porto e S. Rufina 126), pp. 479-498. Ai Miscellanea aveva collaborato anche Levi Della Vida con un articolo Sulla versione araba di Giovanni Mosco e di Pseudo-Anastasio Sinaita secondo alcuni codici vaticani (III, pp. 104-115). 198 Evidentemente Levi Della Vida aveva cercato telefonicamente Tisserant a casa e il fratello del cardinale, Charles (cfr. infra, nt. 241), per proteggerlo e difenderlo, lo aveva rinviato alla Congregazione. 199 Il manoscritto mozarabico dei Vangeli fu esaminato da Tisserant nella biblioteca della moschea di Karaouine di Fez nell’aprile 1938, quando si trovava in vacanza nella città marocchina presso un nipote. Sul viaggio nell’Africa del Nord, FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 206, 208-209. 200 Tisserant si occupò del soggetto: E. TISSERANT, Sur un manuscrit mozarabe de Fès, in Miscellanea Biblica B. Ubach, Montserrat 1953 (Scripta et documenta, 1), pp. 15-26; cfr. Principales publications cit., p. 17. 201 Da rilevare l’elegante understatement col quale Tisserant accenna all’aiuto prestato a Levi Della Vida «e ad altri» negli anni difficili della dittatura e delle discriminazioni.
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9. Biglietto da visita (Il Cardinale Tisserant) con data (28 marzo 1954) e parole autografe (con vivi ringraziamenti); busta indirizzata all’«Illustrissimo Signor Prof. G. Levi Della Vida / Via Po 9 / S.P.M.». 10. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto, con firma autografa. Roma, 17 agosto 1955 Illustrissimo e caro Professore, Ecco la mia copia del volume in onore della Greene202, che Ella potrà così consultare con agio. Ecco pure la mia ultima copia dei pochi estratti che ebbi dell’articolo sulla Chiesa siro-malabarica203, che Ella potrà conservare, ed una copia dell’articolo di Suor Luella sulla mia vita e la mia attività come bibliotecario204. Non credo che Ella abbia ricevuto da me quell’articolo, che avrà forse visto nella rivista. Se qualche articolo di quelli che figurano sulla lista delle mie opere205 può esserLe utile, non abbia paura di domandarmelo. Ho ancora copie di diversi dei miei vecchi articoli ed ho poche occasioni di distribuirne206. Scusandomi ancora di essere l’occasione per Lei di tanto lavoro, La prego di gradire i sensi del mio più cordiale ossequio. + Eugenio Card. Tisserant Vesc. di Ostia, Porto e S. Rufina
11. Un biglietto, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, scritto nel recto. Illustre e caro Professore,
Roma, 20 agosto 1955
202
Studies in Art and Literature for Belle da Costa Greene, ed. by D. MINER, Princeton 1954. Nel volume era pubblicato un articolo di Tisserant, Some Aspects of the Orient on the Eve of its Evangelization, pp. 30-36. 203 E. TISSERANT, Syro-Malabare (Église), in Dictionnaire de théologie catholique, XIV, Paris 1941, coll. 3089-3162; ripubblicato in Recueil Cardinal Eugène Tisserant, II, cit., pp. 343437. 204 M. LUELLA, Eugène cardinal Tisserant, in The Library Quarterly 22 (1952), nr. 3, pp. 214-222. 205 Tisserant stava probabilmente mettendo a punto l’elenco delle sue pubblicazioni che avrebbe pubblicato l’anno successivo nel primo volume del Recueil Cardinal Eugène Tisserant, Principales publications cit., e reca la data «Rome, 30 août 1955». 206 Si colga l’accenno alle poche occasioni di contatti scientifici che il segretario della Congregazione per la Chiesa Orientale aveva; sembra di cogliere un silenzioso, implicito senso di sofferenza.
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Ecco un altro po’ delle mie pubblicazioni207. Non è tutto... Non ho messo le recensioni nella Rivista per gli Studi Orientali – recensioni per lo più di libri di assiriologia, quando insegnavo i cuneiformi208. Non si creda obbligato di leggere tutto! Oggi, altri lavori209! devotissimo + Eugenio Card. Tisserant Vesc. di Ostia, Porto e S. Rufina
12. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto e nel verso, con firma autografa. Roma (Via Po 25/C), li 9 settembre 1955 Illustre e caro Professore, Il Prof. Pop210 mi ha comunicato (suppongo che sia d’accordo con Lei) il Suo articolo sulla mia attività scientifica211. Son rimasto confuso nel vedere quanti elogi mi fa. E poi, direi che mi ha fatto impressione il pensare che Ella tanto tempo ha dovuto dedicare alla mia misera persona per poter dire tante cose e dirle esatte. Debbo tuttavia segnalarLe un errore che dovrebbe essere corretto212. Nel principio del secondo paragrafo della pag. 2, Ella esordisce dicendo che «Il avait déjà étudié à fond l’hébreu au collège»213. In Francia non c’era studio dell’ebraico nei 207 Dunque Levi Della Vida aveva colto l’invito di Tisserant e gli aveva chiesto un certo numero di sue pubblicazioni. Proprio in quelle settimane stava scrivendo l’articolo L’activité scientifique du Cardinal Tisserant, che sarebbe stato pubblicato in Recueil Cardinal Eugène Tisserant, I, cit., pp. 1-11 (datato: «Rome, août 1955»)», e aveva dunque necessità di ripercorrere le principali pubblicazioni del cardinale. Levi Della Vida aveva anche raccolto notizie dalla prefazione stesa da Tisserant alla tesi del 1941 di Michel Khouzam (cfr. supra, nt. 133). 208 Otto recensioni di Tisserant nella Rivista degli studi orientali, venute alla luce fra il 1910 e il 1913, sono registrate in Principales publications cit., p. 18. A esse accenna LEVI DELLA VIDA, L’activité scientifique cit., p. 3. Quando si stabilì a Roma nell’ottobre 1908, Tisserant ebbe la duplice funzione di docente di Assiriologia nell’Università dell’Apollinare e di «scriptor» per le lingue orientali nella Biblioteca Vaticana, ibid., p. 2. 209 Anche qui un accenno, pudicamente sofferto, di Tisserant ai così diversi impegni nei quali era coinvolto, estranei e lontani dagli studi. 210 Sever Pop (1901-1961), il principale artefice del Recueil Cardinal Eugène Tisserant. Si occupò di linguistica e dialettologia, con particolare riguardo all’area romena; cfr. Sever Pop (1901-1961). Curriculum, in S. POP, Recueil posthume de linguistique et dialectologie, Roma 1966 (Acta philologica. Societas Academica Dacoromana, 4), pp. 1-9. 211 LEVI DELLA VIDA, L’activité scientifique cit. 212 La frase rivela un atteggiamento tipico di Tisserant: anche ringraziando per un impegno in suo favore, non si sentiva, per amore dell’esattezza, di tralasciare qualche piccola rettifica, pur consapevole del rischio di mortificare l’interlocutore che «tanto tempo ha dovuto dedicare alla mia misera persona». 213 Levi Della Vida tenne conto dell’osservazione e nella versione poi pubblicata rettificò l’affermazione originaria utilizzando i dati comunicati da Tisserant: «Il avait déjà étudié à
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licei, come era in Germania negli ultimi anni del secolo passato, almeno come materia libera. Ho cominciato lo studio dell’ebraico appena entrato in Seminario maggiore, quindi nell’ottobre del 1900214. L’imparai da solo, con la piccola e povera grammatica di Mons. Chabot (non il Chabot dell’Accademia) e col piccolo dizionario del Leopoldt215. Cominciai lo studio della lingua siriaca soltanto tre semestri dopo, cioè nel Febbraio del 1902. Anche qui, studiai da solo. Non ebbi l’aiuto di un professore, per i miei studi di lingue semitiche, essendo nel Seminario di Nancy, che quando cominciai con la lingua assira, nell’anno del mio insegnamento della fisica ai filosofi, ossia nell’ottobre, o piuttosto novembre del 1903216. Mi prese allora due volte alla settimana, fra le ore 21 e 22, il Clamer217 arrivato da poco come professore di Sacra Scrittura in sostituzione del Mangenot218, chiamato all’Istituto Cattolico di Parigi. fond l’hébreu tout seul, pendant son séminaire, et il aborda l’étude des autres langues sémitiques dès sa première année de séminaire; le syriaque, il a commencé à l’apprendre dans le cours du mois de février 1902», LEVI DELLA VIDA, L’activitè scientifique cit., p. 2. Sugli studi in Seminario e per gli inizi degli studi orientali, FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 43-55. Tisserant ricorderà gli stessi fatti (Chabot, Leopold) in altri scritti pubblici, FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 52. 214 Sull’ingresso di Tisserant nel «Grand Séminaire» di Nancy (1900), POP, Études et missions scientifiques cit., pp. 728-729; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 37. 215 A. CHABOT, Grammaire hébraïque élémentaire, che ebbe diverse edizioni (una seconda nel 1881, una terza nel 1889); Alphonse Chabot, «curé de Pithiviers» († 1921), non andava confuso con il più celebre Jean-Baptiste Chabot (1860-1948), maestro degli studi siriaci e uno dei fondatori del «Corpus scriptorum christianorum orientalium» (1903), ma anche studioso di epigrafia aramaica, fenicio-punica e di libico, redattore in gran parte del Corpus Inscriptionum Semiticarum e iniziatore del Répertoire d’épigraphie sémitique e del Recueil des inscriptions libyques [C. CONTI ROSSINI, Jean-Baptiste Chabot, in Rassegna degli studi etiopici 6 (1947), pp. 209-211; G. BARDY, Chabot, (Jean-Baptiste), in Catholicisme hier aujourd’hui demain, II, Paris 1949, col. 855; I. ORTIZ DE URBINA, Chabot, Jean-Baptiste, in Enciclopedia cattolica, III, Città del Vaticano 1949, col. 1367]; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 52, 423. Il «piccolo dizionario del Leopoldt» potrebbe essere una delle numerose edizioni del fortunato Lexikon hebraicum et chaldaicum in libros Veteris Testamenti, ordine etymologico compositum in usum scholarum, edidit E. F. LEOPOLD, Lipsiae 1832. 216 Sui primi studi orientali in Seminario cfr. le affermazioni di Tisserant in lettera all’esegeta domenicano Pierre Benoit, 24 gennaio 1969, FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 54-55. 217 Albert Clamer (1877-1963), biblista, editore della cosiddetta «Bible Pirot-Clamer», in dodici volumi, pubblicati a Parigi fra il 1935 e il 1961 (La Sainte Bible. Texte latin et traduction française d’après les textes originaux avec un commentarire exégètique et théologique, commencée sous la direction de L. Pirot, continuée sous la direction d’A. Clamer); collaboratore del Dictionnaire de théologie catholique; cfr. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 48, 53, 54. 218 Il biblista Joseph-Eugène Mangenot (1856-1922) assunse dal 1901, dopo la morte del suo maestro Alfred Vacant, la direzione del Dictionnaire de théologie catholique, che guidò sino alla morte; dal marzo 1903 docente di esegesi all’Institut Catholique di Parigi; T. DE MOREMBERT, Mangenot (Joseph-Eugène), in Catholicisme hier aujourd’hui demain, VIII, Paris 1979, col. 303; P. DE AMBROGGI, Mangenot, Joseph-Eugène, in Enciclopedia cattolica, VII, Città del Vaticano 1951, col. 1958; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 48, 53, 237, 423.
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Studiai allora gli Assyrische Lesestücke del Prof. Friedrich Delitzsch219. Ella disse bene quando nota che terminai il mio libro L’Ascension d’Isaïe quando ero appena ventiquattrenne220. In una lettera del 22 Marzo 1908 ai miei genitori, dicevo che avevo messo il punto finale all’annotazione del libro. Naturalmente perfezionai alquanto nella fine del medesimo anno, quando trovai nuovo materiale alla Biblioteca Vaticana221. Una collaborazione anonima, di notevole importanza, fu la revisione ed annotazione del Sinassario armeno, pubblicato dal Bayan nella Patrologia Orientalis. I due primi mesi erano stati riveduti dal principe Massimiliano di Sassonia. Il mio lavoro cominciò col tomo XV, fasc. 3, stampato nel 1920. Gli ultimi sei fascicoli formano il vol. XXI, stampato fra il 1927 ed il 1930222. Ma, basta con me. RingraziandoLa per la Sua troppa benevolenza, La prego di gradire anche i sensi della mia stima e del mio cordiale ossequio. devotissimo Suo + Eugenio Card. Tisserant Vesc. di Porto e S. Rufina
13. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto e nel verso, con firma autografa. Roma (Via Giovanni Prati, 4), 6 giugno 1957 Illustrissimo e caro Signor Professore, Grazie per il gentile ricordo. Non essendo a Roma il 2 Giugno, è soltanto il 4 che ho portato all’altare il ricordo della Sua Estinta223. Ogni giorno, commemoro 219 F. DELITZSCH, Assyrische Lesestücke. Einführung in die assyrische und babylonische Keilschriftlitteratur bis hinauf zu Hammurabi für akademischen Gebrauch und Selbstunterricht: I. Mit den Elementen der Grammatik und vollständigen Glossar; II. Mit grammatischen Tabellen und vollständigen Glossar; con numerose edizioni (nel 1912 era alla quinta). Cfr. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 55. 220 Ascension d’Isaïe. Traduction de la version éthiopienne avec les principales variantes des versions grecque, latines et slave, introduction et notes par E. TISSERANT, Paris 1909 (Documents pour l’étude de la Bible); Principales publications cit., p. 13; LEVI DELLA VIDA, L’activité scientifique cit., p. 2; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 87. 221 Tisserant giunse in Biblioteca Vaticana nell’ottobre 1908, LEVI DELLA VIDA, L’activité scientifique cit., p. 2; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 75-89. Si noterà la precisione dei riferimenti (anche precedenti), che sottintendono una documentazione raccolta, conservata e consultata sulle tappe della sua vita. 222 Georges Bayan pubblicò e tradusse, col concorso del principe Massimiliano di Sassonia (1870-1951) per i primi due mesi, Le synaxaire arménien de Ter Israël, a partire dal tomo V della Patrologia Orientalis; proseguì nel VI (1911), XV (1927), XVI (1922), XVIII (1924), XIX (1926), XXI (1930); cfr. Principales publications cit., p. 20. 223 La moglie di Levi Della Vida, Adelaide (Mimì), era morta il 2 giugno 1955, all’età di sessantasette anni, dopo breve malattia manifestatasi in febbraio; fu deposta nel cimitero di Veroli. Nelle Note autobiografiche, quasi come un pudico bilancio, Levi Della Vida accennò appena alla «sua inesauribile bontà spinta fino all’oblio di se stessa», all’«infinita capacità
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i defunti dei quali ho notato i nomi su schede, imitando l’uso antico dei diptici224. Mi rammento le visite della Sua cara Signora nelle ore oscure del regime fascista. In Corsica, dove sono stato a visitare la parrocchia greca di Cargese225, in coincidenza con festeggiamenti per il Giubileo Sacerdotale del Vescovo di Ajaccio226, ho vissuto presso uno dei miei protetti dell’altro brutto momento, che scorse dal settembre 1943 al giugno 1944, il Senatore Alessandro Musso, portato via dalla Corsica dalle truppe fasciste, scappato fortunatamente mentre attraversava le vie di Piombino, mentre il gruppo di prigionieri al quale apparteneva era diretto verso un campo della Germania227. Ritornando dalla Corsica lunedì sera, non son più andato vicino a Lei, perché dal 2 Aprile mi trovo in una nuova residenza, quella di cui figura l’indirizzo alla prima linea della presente lettera228. La Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale ha venduto la nostra casa di Via Po229, facendo fabbricare due altri stabili. In quello della via Giovanni Prati230, disponendo di più spazio, dovrei trovarmi meglio, anche per la tranquillità della zona. Siamo sulla falda di Monte Verde Vecchio, vicino alla stazione di Trastevere. La distanza per andare al Vaticano è identica a quella che avevo prima, ma si fà più di rinunzia compiuta con letizia», alla «serenità ed eguaglianza di umore che toglieva ogni ombra e ogni peso alla convivenza con lei», LEVI DELLA VIDA, Note autobiografiche cit., p. 241. 224 F. OPPENHEIM, Dittico. II. Liturgia, in Enciclopedia cattolica, IV, Città del Vaticano 1950, coll. 1761-1763. 225 Piccolo centro nel dipartimento della Corsica del Sud, ove dalla seconda metà del Settecento si erano insediate numerose famiglie originarie di Oitylo, nel Pelopponeso meridionale, fuggite dalla dominazione turca nella seconda metà del Seicento. 226 Vescovo di Ajaccio, dal 14 settembre 1938, era Jean-Baptiste-Adrien Llosa (18841975), che si sarebbe ritirato il 26 luglio 1966; era stato ordinato sacerdote il 21 settembre 1907. 227 Alexandre Musso (1884-1968), antico console del principato di Monaco, senatore della Corsica dal 1937 al 1939; preso prigioniero dagli Italiani e condotto nell’isola dell’Elba, si salvò attraversando Piombino ed evitando così la deportazione in campi di prigionia tedeschi; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 336 (ibid., p. 336 nt. 192, rinvio alla lettera del 6 giugno 1957). 228 Tisserant aveva dunque cambiato abitazione, lasciando Via Po (ove abitava dal giugno 1942 ed era vicino a Levi Della Vida) e trasferendosi in Via Giovanni Prati. Interessante, come indizio di carattere, che Tisserant non si volga indietro pensando nostalgicamente alla casa che lasciava e in cui aveva vissuto per molti anni ma enumeri i molteplici vantaggi della nuova sistemazione. In realtà, l’appartamento di Via Po era considerato piccolo; quello in Via Prati più spazioso ma poco comodo perché articolato su diversi livelli. Il primo alloggio fuori del Vaticano era stato in Via Mercadante, 24; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 199, 324, 521. 229 Via Po è una lunga arteria che collega Corso d’Italia a Piazza Buenos Aires (altrimenti nota come «Piazza Quadrata», per la sua forma geometrica), fra il quartiere Pinciano e quello Salario. 230 Non lontana dalla Stazione Trastevere, quasi al termine di Viale di Trastevere, Via Giovanni Prati è una strada che sale verso Monte Verde e sbocca in Via Vincenzo Monti, nel quartiere Gianicolense; è fiancheggiata da costruzioni piuttosto recenti; al numero civico 4 vi è un grande edificio che si sviluppa su diversi piani.
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presto perché non c’è da traversare il centro della città. Sono poi più vicino a gran parte delle mie parrocchie, quelle che si trovano sulla via Portuense o sull’Aurelia231. Ella, da buon Romano, mi ha presentato auguri per il giorno di un Santo, che non è il mio celeste patrono232. I miei genitori, all’atto del Battesimo mi hanno dato come protettore un semplice Vescovo di Cartagine, morto in Francia, ove era stato mandato per effetto della persecuzione vandalica233. Con i miei ringraziamenti, voglia gradire, Illustrissimo e caro Signor Professore, i miei migliori auguri per la Sua salute e per la Sua attività scientifica, insieme ai sensi del mio più cordiale ossequio devotissimo Suo + Eugenio Card. Tisserant Vesc. di Ostia, Porto e S. Rufina
14. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto, con firma autografa. Roma (Via Giovanni Prati, 4), 12 giugno 1958 Illustrissimo e caro Signor Professore, Sono stato commosso, più che non potrei dire, leggendo la Sua lettera del 10 Giugno. Ho imparato a stimare l’Accademia dei Lincei234 dal giorno che ho conosciuto uno dei suoi più celebri membri, il compianto Ignazio Guidi235, di cui ebbi 231 Tisserant era, dal 10 febbraio 1946, vescovo della diocesi suburbicaria di Porto e S. Rufina e, divenuto decano del Sacro Collegio, dal 13 gennaio 1951 anche vescovo della diocesi suburbicaria di Ostia; per il suo impegno nelle diocesi, O. BÂRLEA, L’activité du Cardinal Eugène Tisserant dans les diocèses d’Ostie, de Porto et Santa Rufina, in Recueil Cardinal Eugène Tisserant, II, cit., pp. 653-723; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 475-515. 232 Evidentemente Levi Della Vida aveva formulato auguri onomastici per la festa di s. Eugenio I, papa, la cui memoria liturgica ricorreva (e ancora ricorre) il 2 giugno, nel giorno della morte avvenuta nel 657; il carattere pontificale del santo spiega l’accenno agli auguri formulati «da buon romano»; P. BURCHI, Eugenio I, papa, santo, in Bibliotheca sanctorum, V, Roma 1964, coll. 194-195. Anche qui, nuovamente, si notano il gusto e l’amore della precisione e dell’esattezza, anche a costo di correggere chi compie un atto gentile; come era già avvenuto a proposito di altre notazioni di Levi Della Vida, corrette da Tisserant; cfr. supra, nt. 212. 233 Eugenio, vescovo di Cartagine, «una delle più importanti figure dell’episcopato africano durante l’ultimo periodo della persecuzione vandalica», morto nel 505, secondo una tradizione ad Albi, in Gallia, ove era stato esiliato dal re Unnerico; secondo altra tradizione, sarebbe morto, in esilio, in Corsica; la sua festa cadeva il 13 luglio; G. LUCCHESI, Eugenio, vescovo di Cartagine, e compagni, santi martiri, in Bibliotheca sanctorum, V, Roma 1964, coll. 186-189. 234 Tisserant fu cooptato come socio straniero nella classe di Scienze morali dell’Accademia dei Lincei nelle elezioni del luglio 1958, con decorrenza dal 22 agosto 1958, cfr. Annuario della Accademia Nazionale dei Lincei 1959 CCCLVI dalla sua fondazione, Roma 1959, pp. 107, 255. 235 Ignazio Guidi (1844-1935), dal 1873 al 1876 custode del Gabinetto numismatico della Biblioteca Vaticana, dal 1876 al 1914 insegnò ebraico, lingue semitiche e lingue dell’Abissinia
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l’onore di accompagnare il carro funebre e di cui dobbiamo purtroppo ricordare in questi giorni la scomparsa del figlio, il caro Michelangelo236. Sarà per me un grande onore essere ricevuto in quell’Accademia. E mi farà piacere trovarmi a Lei vicino in si famosa Compagnia. È peccato che non possa più occuparmi, come mi piacerebbe, degli alti studi. Confesso tuttavia che dalla mia nomina a Bibliotecario ed Archivista di Santa Romana Chiesa237 ho cercato a riprendere certi contatti e a mettermi un po’ più al corrente di ciò che si fà nel mondo dei Dotti. Alludevo alla morte di Michelangelo Guidi238. Non ho mancato di commemorare il 2 Giugno nel celebrare la Santa Messa, la Sua Venerata Consorte239. Voglia gradire, Illustrissimo e caro Signor Professore, i miei vivi ringraziamenti per la gentile comunicazione ed i sensi del mio più cordiale ossequio. devotissimo Suo + Eugenio Card. Tisserant Vesc. di Ostia, Porto e S. Rufina nell’Università di Roma; diresse dalle origini la Rivista degli studi orientali, che contribuì a fondare; socio linceo (1878) e senatore del Regno (1914); Levi Della Vida definì la sua bibliografia «imponente per mole, stupefacente per la varietà degli argomenti trattati, tipicamente monografica, severamente e rigorosamente tecnica, non agevole quindi a essere intesa ed apprezzata, se non da specialisti»; maestro della scuola romana di studi orientali e di molti semitisti italiani, editore di testi, catalogatore di manoscritti arabi, copti, persiani, siriaci e turchi delle biblioteche romane (Vittorio Emanuele, Angelica e Alessandrina), si dedicò sia alle letterature cristiane orientali (in particolare quella etiopica) sia a quella arabo-islamica; G. LEVI DELLA VIDA, L’opera orientalistica di Ignazio Guidi, in L’oriente moderno 15 (1935), pp. 236-248 (ripreso in ID., Aneddoti e svaghi cit., pp. 232-249); ID., Ignazio Guidi, in Al-Andalus 3 (1935), pp. 200-204; B. SORAVIA, Guidi, Ignazio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXI, Roma 2003, pp. 272-275. Cfr. anche LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., s.v. in indice, p. 865. 236 Michelangelo Guidi (1886-1946), figlio di Ignazio, collaborò per qualche tempo agli Annali dell’Islam di Leone Caetani; insegnò Lingua e letteratura araba e Storia delle istituzioni musulmane nell’Università di Roma (1919-1946); dal 1932 alla morte diresse la Rivista degli studi orientali; socio dell’Accademia dei Lincei (1945); si occupò, fra l’altro, della lotta fra l’Islam e il manicheismo e degli Yazidi; profondamente credente, inserì il fenomeno musulmano in una personale teologia della storia; a differenza del padre, di cui pur ripercorse le orme, fu portato alle sintesi; postumo uscì Storia e cultura degli Arabi (1951), per le cure della moglie Laura e di Levi Della Vida; G. LEVI DELLA VIDA, Michelangelo Guidi (19 marzo 188615 giugno 1946), in Rivista degli studi orientali 21 (1946), pp. 257-270 (con la bibliografia, pp. 265-270; ripreso, ma senza la bibliografia, in ID., Aneddoti e svaghi cit., pp. 278-288); ID., Michelangelo Guidi, in Al-Andalus 11 (1946), pp. 489-490; B. SORAVIA, Guidi, Michelangelo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXI, cit., pp. 283-285. Cfr. anche LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., s.v. in indice, p. 865. 237 Tisserant era stato nominato Bibliotecario e Archivista di S. Romana Chiesa il 24 settembre 1957, BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 346. 238 Michelangelo Guidi era morto, all’età di sessant’anni, il 15 giugno 1946, «stroncato da un ictus a un anno di distanza dalla prima manifestazione dello stesso male»; stava lavorando alla stesura della sua opera più ambiziosa, la Storia e cultura degli Arabi (cfr. supra, nt. 236), SORAVIA, Guidi, Michelangelo cit., p. 284. 239 Cfr. supra, ntt. 170, 223.
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15. Un biglietto con intestazione (Il Cardinale Eugenio Tisserant / Vescovo Suburbicario di Ostia, Porto e S. Rufina / Decano del Sacro Collegio / Prefetto della S.C. Cerimoniale / Bibliotecario ed Archivista di S.R. Chiesa) con parole autografe (ringrazia per gli auguri di buon Natale ed auspica un felice e fecondo 1961). 16. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto, con firma autografa. Roma (4, Via Giovanni Prati), 24 giugno 1961 Caro Signor Professore, Voglia ricevere i miei più sentiti ringraziamenti per il telegramma di congratulazioni mandatomi in occasione del mio 25° di Cardinalato e della mia elezione ad Accademico di Francia240. Sono troppo favorito dalla Provvidenza. Debbo molta riconoscenza a Dio e agli uomini. Con il mio più cordiale ossequio devotissimo + Eugenio Card. Tisserant
17. Un biglietto da visita (Il Cardinale Tisserant) con parole autografe (2 novembre 1962. Nel trigesimo del funerale del compianto fratello241, ringrazia vivamente per le condoglianze tanto gentilmente espresse). 18. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto, con firma autografa. Roma (4, Via Giovanni Prati), 10 luglio 1963 Illustrissimo e caro Signor Professore, Ho lasciato senza risposta la Sua lettera del 4 Giugno, mentre avrei dovuto subito ringraziarLa per i sentimenti espressivi. 240 Tisserant era stato accolto all’Académie française il 23 giugno 1962, cfr. VIAN, Il Cardinale Bibliotecario all’Accademia di Francia cit.; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 549, 587-588. 241 Il fratello Charles, nato il 14 agosto 1886, missionario nella congregazione dei Pères du Saint-Esprit, botanico, etnologo e linguista, era morto il 28 settembre 1962, FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., p. 625 (su di lui, cfr. ibid., p. 710, s.v. in indice).
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Ma Lei sa quanto ho dovuto lavorare durante la vacanza della Sede. Spero che il nostro Eletto sarà un grande e Santo Pontefice242. A questa lettera accludo il testo del mio discorso di investitura alla Accademia Francese243, che credo di non averglielo ancora presentato. Il mio discorso alla Accademia dei Lincei è stampato244. Suppongo che sarà presto distribuito. Ella non dovrebbe tardare ad averlo nelle mani. Ho avuto ieri la mia prima Udienza del nuovo Papa. Egli si è interessato gentilmente alla Biblioteca, ove veniva a lavorare quando era giovane Prelato245. Avendo domandato a Pio XI di poter mettere l’illuminazione elettrica nei locali della Biblioteca, dissi che desideravo facilitare ai Prelati della Curia la consultazione dei nostri libri. Pio XI mi fece osservare che non venivano e potei opporgli i due nomi di Tardini e Montini246. Le auguro buone vacanze. Mi assenterò dal 27 corrente mese fino ai primi di Settembre dovendo essere il 28 Agosto a Fatima donde tornerò direttamente a Roma247. Voglia gradire, Illustrissimo e Caro Professore, i sensi del mio più distinto e cordiale ossequio devotissimo + Eugenio Card. Tisserant 242 Il card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, era stato eletto papa il 21 giugno 1963, assumendo il nome di Paolo VI. 243 Discours prononcés dans la séance publique tenue par l’Académie française pour la réception du cardinal Tisserant le samedi 23 juin 1962, Paris 1962, ove sono pubblicati i discorsi di Tisserant e di Wladimir d’Ormesson. 244 Dovrebbe trattarsi di E. TISSERANT, Giovanni Mercati, 1866-1957 [Commemorazione tenuta nella seduta a classi riunite dell’11 maggio 1963], Roma 1963 (Problemi attuali di scienza e cultura, 63). 245 Per i rapporti di mons. Montini e poi di Paolo VI con la Biblioteca Vaticana (e con Giovanni Mercati), (n.v.) [= N. VIAN], Paolo VI e la Biblioteca Vaticana, in Notiziario dell’Istituto Paolo VI, nr. 8, maggio 1984, pp. 131-133; Gli Autografi Paolo VI. Introduzione, inventario e indici a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 393; Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti, 6), p. XXIX nt. 86; P. VIAN, Giovanni Mercati cardinale bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa, in corso di stampa nel volume I fratelli Mercati e la cultura italiana del Novecento. 246 Interessante e gustoso l’aneddoto narrato da Tisserant, anche per la simpatica schermaglia fra il pro-prefetto della Vaticana e il suo antico prefetto e per gli argomenti in essa utilizzati. Che il clero romano e quello curiale avessero fama di non frequentare la Biblioteca Vaticana era stato già notato da Franz Ehrle, incontrando agli inizi degli anni Venti il giovane don Giuseppe De Luca, e da Giovanni Mercati agli inizi degli anni Cinquanta incontrando mons. Giovanni Antonazzi, cfr. G. DE LUCA, La ragione di questo libro e di queste onoranze, in A. VACCARI, Scritti di erudizione e di filologia, I: Filologia biblica e patristica, Roma 1952 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 42), pp. VII-XIX: IX; G. ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca uomo cristiano e prete (1898-1962), Brescia 1992, p. 136 nt. 181; ID., Nomine e discussioni; Smentite, in ID., Dietro il sipario. Sprazzi di vita ecclesiastica romana, Genova 1997 (Collana di saggistica, 74), pp. 60-65: 63; 199-201: 199. 247 A Fatima Tisserant sarebbe tornato con Paolo VI il 13 maggio 1967; fra il 3 e il 5 luglio 1953 Tisserant si era invece recato a Lourdes e vi sarebbe ancora tornato fra il 3 e il 5 otto-
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19. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto, con firma autografa. Roma (4, Via Giovanni Prati), 12 febbraio 1964 Illustrissimo e caro Signor Professore, Mi ero proposto di andare all’adunanza dell’Accademia dei Lincei sabato scorso, ma ne sono stato impedito. Avrei voluto incontrarmi con Lei per dirLe con quale piacere avevo sentito il 10 Gennaio nella lettura del verbale della seduta precedente, che Ella è stata nominata Socio Estero della nostra Accademia di Iscrizioni e Belle Lettere248. La nomina del collega Lugli due settimane dopo è stata per me un altro piacere249. Tutte e due eravate degni da molto tempo di questa elezione onorifica. Le auguro ogni bene, Illustrissimo e Caro Signor Professore, e La prego di gradire i sensi del mio più cordiale ossequio. devotissimo + Eugenio Card. Tisserant
20. Un biglietto da visita (Il Cardinale Eugenio Tisserant / Vescovo suburbicario di Ostia, Porto e S. Rufina / Decano del Sacro Collegio / Prefetto della S.C. Cerimoniale / Bibliotecario ed Archivista di S.R. Chiesa) con parole dattiloscritte ([...] ossequia il caro Sign. Prof. Giorgio Levi Della Vida e si bre 1971, POP, Études et missions scientifiques cit., pp. 792-793; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 672-673. 248 Nella seduta del 20 dicembre 1963 Levi Della Vida era stato eletto «associé étranger» dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, cfr. Académie des Inscriptions & Belles-Lettres. Comptes rendus des séances de l’année 1963, Paris 1964, p. 377. 249 Qualche settimana dopo la cooptazione di Levi Della Vida, il 24 gennaio 1964, anche Giuseppe Lugli (1890-1967) era divenuto «associé étranger» dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, cfr. Académie des Inscriptions & Belles-Lettres. Comptes rendus des séances de l’année 1964, Paris 1965, p. 15. Nel 1964 Levi Della Vida partecipò al secondo volume dei Mélanges Eugène Tisserant con un articolo su «Il conforto delle tristezze» di Elia al-Óawharí (Vat. ar. 1492). Al termine di esso Levi Della Vida espresse ancora la sua gratitudine per Tisserant: «Sia consentito a chi scrive rammentare con dolce commozione che al tempo del “recupero” del manoscritto (...) febbraio 1936, egli era intento da oltre quattro anni a lavorare regolarmente nella e per la Biblioteca Apostolica sotto il patrocinio e la direzione del proprefetto mgr. Eugenio Tisserant, il quale appena quattro mesi più tardi l’avrebbe lasciata per avviarsi, insignito della porpora cardinalizia, verso più alti destini. Non sembri dunque inopportuno che un minuscolo frutto di quel lavoro — che fu veramente conforto, sostanziale e soprasostanziale, delle tristezze del tempo — sia dedicato con devota riconoscenza, a quasi trent’anni di distanza, all’Eminentissimo e Reverendissimo Decano del Sacro Collegio, Archivista e Bibliotecario di S.R.C.» (Mélanges Eugène Tisserant, II: Orient chrétien. Première partie, Città del Vaticano 1964 [Studi e testi, 232], pp. 345-397: 353); cfr. MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 8.
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congratula con Lui per il prezioso «Secondo elenco» ricco di 313 numeri meravigliosamente studiati250. 2 novembre 1965) e firma autografa; con busta indirizzata all’«Illustrissimo Signor Prof. Giorgio Levi Della Vida. S.P.M.». 21. Un foglio, con stemma cardinalizio e motto Ab oriente et occidente, dattiloscritto nel recto, con firma autografa; con busta affrancata indirizzata all’«Illustrissimo Signor Prof. Giorgio Levi Della Vida / Via Po, 9 / Roma». Roma (4, Via Giovanni Prati), 31 dicembre 1965 Illustrissimo e caro Signor Professore, Mi rincresce che il mio biglietto del 2 Novembre Le sia stato consegnato il 16 Dicembre e mi dispiace che ciò sia stato dovuto a disturbi di salute che l’hanno fatta soffrire al principio della stagione fredda. La ringrazio vivamente per gli auguri espressimi e per gli articoli che dimostrano la Sua attività251. La mia salute è buona e ne ringrazio il Signore ma mi dispiace assai che non posso più studiare né quasi leggere le materie che mi piacerebbero. Con i miei ringraziamenti e i miei auguri voglia gradire, Illustrissimo e Caro Signor Professore, i sensi del mio più cordiale ossequio. devotissimo Suo + Eugenio Card. Tisserant
22. Un biglietto con intestazione (Il Cardinale Eugenio Tisserant / Vescovo suburbicario di Ostia, Porto e S. Rufina / Decano del Sacro Collegio / Prefetto della S.C. Cerimoniale / Bibliotecario ed Archivista di S.R. Chiesa), con parole dattiloscritte ([...] ringrazia vivamente per gli articoli mandati in omaggio252, si congratula con il caro Prof. Levi Della Vida per la Sua attività e porge auguri di ogni bene. Roma, 19 febbraio 1966) e firma autografa; con busta affrancata indirizzata all’«Illustrissimo Signor Prof. Giorgio Levi Della Vida / Via Po, 9 / Roma» (ma il rapporto col biglietto non è sicuro perché non si distingue la data del timbro).
250
G. LEVI DELLA VIDA, Secondo elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1965 (Studi e testi, 242). Cfr. AMADASI GUZZO, Cenni biografici cit., pp. 38-39. 251 Per articoli di Levi Della Vida fra il 1962 e il 1966, cfr. GUZZO AMADASI, Bibliografia degli scritti cit., pp. 32-34. 252 Cfr. supra, nt. 251.
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5. Un osservatore lucido e consapevole La testimonianza delle Note autobiografiche per quanto riguarda la Biblioteca Vaticana è interessante e preziosa. Levi Della Vida, «uno studioso antifascista che consumava nell’augusta biblioteca apostolica vaticana gli ozi, procuratigli dal regime coll’averlo rimosso dal suo posto d’insegnante, e si guadagnava un pane sostanziale e soprasostanziale scartabellando vecchi manoscritti orientali»253, si rivela un osservatore lucido e consapevole del mondo nel quale si trovò inopinatamente proiettato. Lo considerò con curiosità, con rispetto, con gratitudine, anche se, come era prevedibile, non poté mai identificarsi completamente con esso; ma fu proprio la prossimità / distanza a permettere notazioni che risultano oggi utili. Scrisse della Biblioteca, non del Vaticano, quasi che l’ambito della sua esperienza fosse stato limitato al luogo di lavoro e non si sia mai allargato a uno scenario più vasto. Si ammira la capacità di narrare e di ricostruire dell’autore di Fantasmi ritrovati254, probabilmente sulla base di note e appunti presi precedentemente, tale è la precisione di alcune notazioni. Interessante, per esempio, il confronto operato fra le figure di Mercati e Tisserant, con una visione forse riduttiva, certo non celebrativa, del primo. Nelle Note autobiografiche non si accennò minimamente a rivalità e contrasti fra i due. Il fatto va sottolineato perché sono ben conosciute, fondamentalmente dalla parte di Tisserant, le acute sofferenze, i prolungati malesseri, persino la rabbia da lui provati nella collaborazione con il prefetto Mercati che, fedele all’impostazione monocratica di governo praticata da Ehrle dopo la confusa stagione leonina, non sembrava disposto a condivi253
LEVI DELLA VIDA, Un cimelio da rintracciare cit. «Scrittore di razza, scrittore, direi, malgrado se stesso, sentiva da autentico uomo di scienza una vera repulsione per la “letteratura” fine a se stessa, per l’enfasi, per la retorica. Il suo stile sobrio, talora asciutto fino alla secchezza, raggiungeva spesso una personalissima efficacia. Egli, curiosamente, non aveva mai creduto a questa sua facoltà, o, forse meglio, non vi aveva attribuito mai alcuna importanza. Fu il successo degli Aneddoti e svaghi arabi e non arabi [1959] a rivelarlo scrittore anche a se stesso. E il primo libro che scrisse con questa piena consapevolezza, lo scrisse a ottant’anni, e fu un libro stupendo. Ad uno che per complimentarsi con lui dei Fantasmi ritrovati [1966], gli ripeteva l’abusata citazione di Verdi che compone in vecchiaia i suoi capolavori, rispose col suo tagliente sorriso: “Già, ma ho cominciato troppo tardi. All’età in cui Verdi scriveva Falstaff, io ho scritto l’Oberto di San Bonifacio!», MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 8. «Dalle pagine di Fantasmi ritrovati, Giorgio Levi Della Vida emerge come un grande scrittore (...). Possedeva una penetrazione psicologica affinata e disincantata, una rara capacità di giudizio autonomo e anticonformistico, uno stile vigoroso e brillante. S’era educato alle esperienze letterarie e culturali più diverse, confermando quella verità troppo spesso dimenticata per cui gli studiosi davvero grandi sono coloro che sanno superare i limiti della propria disciplina», S. MOSCATI, Giorgio Levi Della Vida semitista, in GABRIELI – MOSCATI, Giorgio Levi Della Vida cit., pp. 9-15: 12. 254
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dere la sua responsabilità di governo con colui che era il suo più diretto e stretto collaboratore255. Levi Della Vida non accennò minimamente a tali difficoltà: segno che il gravissimo problema avvertito da Tisserant era così ben «governato» non solo da non esplodere in un contrasto pubblico ma nemmeno da venire alla superficie. È però anche vero che la fase più acuta di questo contrasto, meglio di questa difficoltà di rapporti risale agli anni Venti; con la nomina di Tisserant a pro-prefetto il 1° dicembre 1930 la situazione sembra essere migliorata anche se il problema non deve essere stato completamente risolto. Quando, nell’autunno 1931, Levi Della Vida giunse in Vaticana i momenti più critici erano dunque alle spalle. Ma sono interessanti le diverse valutazioni dei personaggi: Mercati più erudito e del tutto privo di ambizioni, Tisserant più intelligente e più bibliotecario, ma anche consapevole delle sue doti e delle sue capacità e desideroso di vederle riconosciute. Nei suoi ricordi, Levi Della Vida non registra neanche le «crisi» dell’istituzione, il tragico crollo del 22 dicembre 1931, col suo carico di sei morti e il rischio del posto per Tisserant256, oppure il «caso Politi», che al tramonto del pontificato di Pio XI comportò la rimozione del segretario-economo Emanuele Musso257, protegé di papa Ratti, e l’ascesa alla segreteria (scorporata dall’economato) di Alcide De Gasperi ma minacciò anche la stessa prefettura di Albareda, almeno sulla base di voci allora circolanti raccolte e riferite da Pio Paschini258. In realtà a Levi Della Vida interessa meno l’isti255 H. GAIGNARD, La vie spirituelle du cardinal Eugène Tisserant. Entre perfection et sainteté (1908-1945), Paris 2009 (Institut Catholique de Toulouse. Histoire et théologie, 3), pp. 39-40, 79-83, 92-95, 97; FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant cit., pp. 163-169 e passim; P. VIAN, La Biblioteca Vaticana nelle memorie (1935) del sotto-foriere dei Palazzi Apostolici Federico Mannucci, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXII, Città del Vaticano 2016 (Studi e testi, 501), pp. 761-868: 810 nt. 142, 811 nt. 146. 256 VIAN, La Biblioteca Vaticana nelle memorie cit., pp. 814-827, 860. 257 VIAN, La Biblioteca Vaticana nelle memorie cit., pp. 802, 813, 842 nt. 217, 843. 258 «Alla Biblioteca Vaticana si dice che ci potranno essere delle novità: che il padre Albareda se ne abbia ad andare; non so quanto ci sia di vero. Monsignor Carusi ha intanto preso posto stabile nella cattedra della sala dei manoscritti. Albareda era stato portato da Tisserant, ma il favore non pare ci sia più. Non so se sai, ma in queste settimane passate fu condannato in Vaticano un tale Politi impiegato nella amministrazione del cardinale Mariani (scil. card. Domenico Mariani, 1863-1939, segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica; cardinale dal 16 dicembre 1935), figlio dell’autista del Papa. Costui s’era pappato 600.000 lire vivendo lussuosamente etiam cum meretricibus o quasi — denaro cavato a forza di imbrogli; ne andò di mezzo anche la Biblioteca Vaticana e si rimproverano i preposti di una crassa dabbenaggine; il professor Musso, che forse conoscerai, che fungeva da economo fu messo in disparte e sostituito con De Gasperi. Questo è quello che so; alla Vaticana andai solo qualche giorno fa per la prima volta e non ho potuto tabaccare nulla di più; ma, si sa, sono cose delicate», Pio Paschini a Giuseppe Vale, 16 gennaio 1939, in L’epistolario di Pio Paschini (1898-1962), a cura di M. GIORGIUTTI, prefazione di S. PIUSSI, I, Regesti (cd-rom),
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tuzione nel suo sviluppo storico e più gli uomini che in essa operavano. Ancora una volta, una scelta di umanità. Molti altri sarebbero gli spunti da rilevare: dal confronto fra le due figure pontificali di Pio XI e di Pio XII, che curiosamente fece forse più impressione su Levi Della Vida del predecessore, erudito e bibliotecario, alla registrazione delle motivazioni che portarono al tramonto dello «schedario Bishop». La narrazione è precisa, ricca di particolari. Le «figure della Vaticana» sono ritratte con pennellate rapide, veloci, essenziali, ma proprio per questo di grande incisività e indiscutibile capacità intuitiva ed evocativa259. Secondo la migliore tradizione, l’istituzione è colta organicamente come un insieme cha va dal cardinale Bibliotecario al più umile custode (è interessante che Levi Della Vida ne ricordi molti, nominandoli uno per uno, con notazioni di caratteri e inclinazioni): sino a quel «personale d’ordine» costituito da «buona gente, per lo più romani di Roma o addirittura borghigiani, venuti su all’ombra del Vaticano nella tradizione ecclesiastica più ortodossa, ma per lo più segretamente antifascisti, qualcuno anche animato da quello spirito di anticlericalismo, o vogliam dire di anticurialismo, che alligna proprio negli ambienti più cattolici». Da tutti Levi Della Vida si sentì non solo accolto ma anche, con parola impegnativa, amato («Sia come sia, mi volevano tutti un gran bene»). Al di là di qualche appunto che fa capolino qui e là, si noterà una sostanziale estraneità alla dimensione politica, quella stessa estraneità che Levi Della Vida ricordò a proposito dei suoi rapporti con De Gasperi: Di politica non si parlava mai. Pareva quasi che nell’austero ambiente di studio l’uno e l’altro dei due amici avessero dimenticato di avere un tempo militato, l’uno da condottiero e l’altro da gregario, in una lotta che ambedue si dolevano di aver perduta, ma non si pentivano d’aver combattuta260.
Dalle pagine «vaticane» delle Note autobiografiche risulta poi confermato il legame profondo e la stima reciproca fra Levi Della Vida e Tisserant. Fu Tisserant a volere la presenza di Levi Della Vida in Vaticana; fu lui a Udine 2018 (Fonti per la storia della Chiesa in Friuli. Serie moderna e contemporanea, 2), p. 508. Sulla questione Paschini tornò anche nella successiva lettera a Vale, 28 gennaio 1939: «(...) pensavo di averti già prima scritto sull’affare Politi; sul padre Albareda nulla di nuovo, ch’io sappia — staremo a vedere quello che sarà. Tanto per la storia (intima) l’avvocato Corsanego (scil. Camillo Corsanego, 1891-1963) che difendeva il reo lo scusò dicendo ch’era giovane ed essendo al corrente di altre porcherie, commesse nell’ambiente e in corso di esecuzione, era un poco scusabile se s’era lasciato commuovere dal cattivo esempio», ibid., p. 510. 259 Levi Della Vida era un «ritrattista e medaglista di felicissima vena, dalla incisiva linea caratterizzante», GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 294. 260 LEVI DELLA VIDA, Un cimelio da rintracciare cit.
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favorirlo, come quando nel 1934 insistette perché fruisse di un mese di vacanza retribuito. Era un segno dell’apprezzamento per l’opera che Levi Della Vida andava svolgendo, non solo per lo specifico incarico a lui assegnato ma anche per le collaborazioni ad altre imprese orientalistiche allora in corso in Vaticana, come la catalogazione dei manoscritti arabo-cristiani da parte di Georg Graf. Fu una prova di intelligenza e di tempismo, da parte di Tisserant, aver proposto a Levi Della Vida il rifugio operoso in Vaticana, garantendo in questo modo alla Biblioteca un eccellente acquisto e facendo al tempo stesso un’opera di carità che non conosceva pregiudizi confessionali o razziali. Era la stessa logica, dalla duplice finalità, che mosse Mercati, negli stessi anni, ad accogliere studiosi «ostracizzati» dal loro paese. Sopra entrambi Pio XI, attento e vigile, approvava l’atto generoso di carità e il gesto accorto di intelligenza. Il legame fra Levi Della Vida e l’ecclesiastico francese, che non fece mancare l’espressione della sua vicinanza affettuosa nei momenti più gravi e solenni (come la scomparsa della moglie di Levi Della Vida nel giugno 1955), viene ulteriormente ribadito dalle lettere di Tisserant, probabilmente parte di un insieme più vasto. Anche se ridotto a una sola voce, il confronto fra i due uomini si intesse di note erudite, di comunicazioni scientifiche, di valutazioni storiche ma soprattutto s’impronta di umanità, nel segno «della cordiale amicizia che per lunghi anni» strinse i due esperti cultori degli stessi studi261. «Stima» e «affetto», dunque, anche se la carriera ecclesiastica dell’erudito francese, dopo il 1936, fece sì che, per l’abitudine di Levi Della Vida «di tenermi lontano dagli amici saliti a posizioni elevate», non si moltiplicassero gli incontri262. Si noteranno però la discrezione e il rispetto di Tisserant, solitamente descritto come drastico e imperioso, «che avrebbe molto desiderato condurmi alla fede, ma non me ne parlò mai direttamente». Forse questi delicati e rispettosi silenzi giovarono molto di più di espliciti e invadenti interventi. Levi Della Vida molto dovette a Tisserant e alla Vaticana, che gli offrirono un sostegno in anni difficili. Come scrisse nel 1935 il protagonista della vicenda, esprimendo la sua riconoscenza, «memore e commossa, all’intero personale della Biblioteca Vaticana, il quale tutto, dal prefetto all’ultimo inserviente, colla cordiale simpatia dimostratami, colle affettuose premure usatemi in ogni circostanza, mi ha reso il massiccio edificio eretto da Sisto V un porto di sicura tranquillità, un’oasi di refrigerio ristoratore, dove durante quasi quattro anni ho trascorso le ore più placide e più serene della 261
LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione cit., p. VII. Francesco Gabrieli, ricordando Levi Della Vida, ne sottolineò «l’ascetica noncuranza degli onori e l’umiltà di fronte al mistero», GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 284. 262
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mia vita di studioso»263. In questo modo «(...) l’antica esperienza della soffitta Caetani» si rinnovò in «quella della nobile Biblioteca, ed ebbero vita le intense indagini sulla formazione dei fondi orientali affiancate dai preziosi cataloghi, in una serie di volumi che dovevano vedere la luce a intervalli attraverso gli anni»264. La biblioteca dei papi, che aveva accolto l’esiliato in patria e che fu per lui «un luogo di libertà»265, ricevette in cambio dall’orientalista alcune opere fondamentali, che ancora oggi continuano a rendere un servizio prezioso agli studi e alle ricerche266, rappresentando «una miniera inesauribile di dottrina», frutto di «altrettanto inesauribile pazienza, acribia che raramente si combinò in maniera tanto armonica col genio vigoroso (...) dello storico delle idee»267. Come scrisse Francesco Gabrieli, In questa serie di opere, lo storico di Ebrei ed Arabi, il filologo e il letterato di franciano gusto seppero mutarsi, o piuttosto completarsi, nel bibliografo, paleografo ed erudito della più stretta osservanza, dando luogo ad opere che son divenute indispensabile strumento di lavoro per generazioni di studiosi non soltanto arabisti. Il primo Elenco, sia pure in forma sommaria di inventario, rende finalmente utilizzabili alla scienza moderna i tesori manoscritti arabi islamici della Vaticana, così parzialmente e difettosamente catalogati nel Settecento dagli Assemani (un totale oggi di circa 1200 pezzi, cui vanno aggiunti i 276 del Secondo elenco integrativo, in gran parte dovuti alle donazioni del card. Tappouni). Le eruditissime Ricerche 263
LEVI DELLA VIDA, Elenco dei manoscritti cit., p. XVII. Anche Francesco Gabrieli sottolineò come la Vaticana, «provvido surrogato alla perduta cattedra», rimase poi sempre per Levi Della Vida «rifugio prediletto di lavoro e di quiete dello spirito», GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 293. In un’intervista a Indro Montanelli, raccolta in volume nel 1955, Levi Della Vida definì gli anni trascorsi in Vaticana «una pausa di serenità», ROTA, «Un Ebreo tra i modernisti» cit., p. 100. 264 MOSCATI, Ricordo di Giorgio Levi Della Vida cit., p. 10. 265 ISRAEL, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 169. Israel nota giustamente che in Vaticana Levi Della Vida poté avere accesso alla stampa estera (spesso censurata dal fascismo), mantenere la propria corrispondenza al riparo dalla sorveglianza fascista, compiere viaggi all’estero per partecipare a convegni, entrare in contatto con altri intellettuali discriminati. Si trattò insomma di un periodo fruttuoso non solo da un punto di vista scientifico, ma anche umano. 266 «(...) questa sua attività di “chalkènteros” sui peregrini tesori orientali della Vaticana; questi suoi cataloghi e studi hanno aperto la via a lavori di altri colleghi (gli Elenchi dei manoscritti Vaticani persiani e turchi di Ettore Rossi), e offrono tuttora ricca materia di lavoro a futuri studiosi», GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida arabista cit., p. 7. 267 MOSCATI, Ricordo di Giorgio Levi Della Vida cit., pp. 15-16. Anche Francesco Gabrieli sottolinea il vantaggioso scambio allora avvenuto: Pio XI, Tisserant, Albareda «assicurarono in quella occasione alla Vaticana un eminente collaboratore, che seppe rendere largamente, in opulenti frutti scientifici, l’aiuto così liberalmente ricevuto», GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 293. Anche Michelini Tocci notò lo scambio, sottolineando però i maggiori vantaggi per la Biblioteca: «Così, da gran signore, Levi si sdebitava, donando forse più di quanto aveva ricevuto», MICHELINI TOCCI, Levi Della Vida e la Biblioteca Vaticana cit., p. 3.
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disegnano un capitolo fra i più interessanti sulla formazione di questi e altri fondi orientalistici della Biblioteca Apostolica, allargandosi da storia della Vaticana a storia dell’Umanesimo, dell’orientalismo italiano e romano, e della cultura in genere tra il Cinquecento e il Settecento. Tutto il blocco di queste opere «vaticane» mostra la qualità dell’ingegno e anche del carattere di questo studioso di eccezione che sapeva congiungere il vigore del pensiero critico con la pazienza e la diligenza del certosino268.
L’«ebreo tra i monsignori» recò così un contributo fondamentale in una delle stagioni più felici e fortunate per le ricerche orientalistiche nella Biblioteca Vaticana269.
268
GABRIELI, Giorgio Levi Della Vida cit., p. 293. Sull’identità ebraica di Levi Della Vida, in realtà sostanzialmente negata dal protagonista che si definiva «un libero credente (o miscredente) di discendenza ebraica», ROTA, «Un Ebreo tra i modernisti» cit., pp. 95-101. Sulla «religiosità aconfessionale» di Levi Della Vida, «religioso senza nulla religione, oppure religioso della religione (e di nessuna in particolare)» (secondo Eugenio Montale), «uno spirito profondamente religioso, ma, proprio per religiosità, di nessuna confessione» (secondo Luigi Salvatorelli), ibid., pp. 69, 71. 269
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IL MIGLIOR «DISCEPOLO» DI RANKE. PRIME INDAGINI SULLA RICEZIONE IN ITALIA DELLA STORIA DEI PAPI DI LUDWIG VON PASTOR Alla memoria di Pál Arató S.I. (1914-1993), bibliografo espertissimo della storia dei pontefici romani 1. La prima traduzione: Clemente Benetti (1890-1896). – 2. Paolo Luotto e la polemica su Savonarola (1897-1900). – 3. Unanimità di lodi. – 4. Il rapporto con Leone XIII e con l’apertura dell’Archivio Vaticano. – 5. Le critiche: da Oreste Tommasini a Gioacchino Volpe. – 6. La nuova traduzione (1908-1934): Angelo Mercati (1908-1924) e Pio Cenci (1925-1934). – 7. Nella stagione del modernismo. – 8. Traduttori, traditori? – 9. Popolarità e diffusione dell’opera. Il rapporto con Giovanni Battista De Rossi. – 10. La strumentalizzazione politica: Pastor fra Sisto V e Benito Mussolini. – 11. Il 1934 e le nuove polemiche: Sem Benelli e Clemente XIV. – 12. Riconsiderazioni e ridimensionamenti: dagli anni Trenta al Duemila. – 13. Le ragioni di una fortuna: la forza nella debolezza.
Più che in altri paesi, la ricezione in Italia della Geschichte der Päpste di Ludwig von Pastor è intrecciata alle vicende politiche e culturali del giovane Stato unitario1. Quando, nel marzo 1886, uscì il primo volume dell’edizione originale, da più di quindici anni si era aperta la lancinante ferita della «questione romana» e si discuteva animatamente sul ruolo del 1 Una versione notevolmente abbreviata del presente contributo vede la luce negli atti del colloquio «Ludwig von Pastor (1854-1928). Universitätsprofessor, Historiker der Päpste, Direktor des Österreichischen Instituts in Rom und Diplomat / professeur, historien des papes, directeur de l’Institut historique autrichien de Rome et diplomate», promosso da Andreas Sohn e Jacques Verger e svoltosi a Roma, presso il Römisches Institut der Görres-Gesellschaft e l’École française de Rome, nei giorni 22-23 febbraio 2018. L’articolo qui pubblicato si fonda largamente, ma non esclusivamente, sulla documentazione radunata dallo stesso Pastor che, per mezzo di una vasta rassegna stampa internazionale, ha raccolto numerosi articoli di giornali e periodici relativi alle recensioni e presentazioni dei volumi della Geschichte der Päpste, nell’edizione originale e nelle varie traduzioni. Questa documentazione, che talvolta reca segni di lettura, occupa i volumi 55-70 del Lascito Pastor in Biblioteca Vaticana, cfr. Lascito L. von Pastor. Collezione M.-D. Sire. Carte Stefani. Inventari riediti a cura di S. BONTEMPI, 1977 [dattiloscritto: Biblioteca Vaticana, Sala Cons. Mss., 449 (1) rosso, ff. 1-19, relativo a Lasc. Pastor 1-189]. Ogni volume è dedicato a un diverso volume dell’opera; l’ultimo, Lasc. Pastor 70, all’opera nel suo complesso. Nel presente contributo le indicazioni degli articoli recano quindi spesso, in conclusione, il riferimento al ritaglio o all’estratto conservati nel Lasc. Pastor, con il relativo numero. Sul Lascito Pastor in Biblioteca Vaticana, sui tempi e sui modi della sua creazione e del suo accrescimento, cfr. Ch. M. GRAFINGER, Lascito Pastor, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, I: Dipartimento Manoscritti, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 478-479.
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 591-687.
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papato nella storia italiana, fra rivendicazioni e nostalgie, accuse e polemiche. La singolarità unica della presenza storica del papato nelle vicende italiane rende la fortuna dell’opera nella penisola non solo un soggetto storiografico ma anche un tema politico e di confronto ideale, senza paragoni con quanto accade in Francia, in Inghilterra e nei paesi anglofoni, in Spagna2. Ne consegue che la ricezione del Pastor in Italia non si gioca solo nelle riviste e negli ambiti accademici ma coinvolge quotidiani e periodici di cultura, maggiori e minori, ben al di là dell’hortus conclusus degli addetti ai lavori. 1. La prima traduzione: Clemente Benetti (1890-1896) La prima ricezione dell’opera in Italia avvenne non casualmente in un ambito contiguo al mondo di lingua tedesca. Docente nel «collegio principesco vescovile» di Trento e traduttore dal tedesco di altre opere di cultura religiosa, il sacerdote Clemente Benetti pubblicò nella città sull’Adige fra il 1890 e il 1896 la traduzione dei primi tre volumi della Storia dei papi, per i tipi della Tipografia editrice degli Artigianelli dei Figli di Maria3. Destinatario privilegiato dell’operazione era il clero, al punto che per promuovere la diffusione dei volumi l’editrice, evidentemente non dominata da considerazioni contabili, era disposta a ricevere in cambio l’assicurazione di celebrazioni di messe4. Ma il principe-vescovo di Trento, Eugenio Carlo 2 La prima traduzione fu quella francese; edita da Plon-Nourrit & C.ie, vide la luce in sedici volumi fra il 1888 e il 1934, a cura di Furcy Raynaud (I-VI), Alfred Poizat (VII-XIV), Poizat e W. Berteval (XV-XVI). Più lunga e complessa appare la traduzione inglese, pubblicata a cura di quattro traduttori diversi da tre differenti editori, fra il 1891 e il 1953 (I-VI, ed. by Frederick Ignatius Antrobus; VII-XXIV, ed. by Ralph Francis Kerr; XXV-XXXIV, ed. by Ernest Graf; XXXV-XL, ed. by E. F. Peeler; I-II: London, J. Hodges; III-XXXV: London, K. Paul, Trench, Trübner; XXXVI-XL: London, Routledge and K. Paul). La traduzione spagnola vide la luce in trentasette volumi, fra il 1910 e il 1937, a cura di due Gesuiti, Ramón Ruíz Amado e José Monserrat, per i tipi di Gustavo Gili. La traduzione olandese riguardò solo la parte relativa ad Adriano VI e vide la luce nel 1908 a cura di D. Huurdeman. Per le diverse traduzioni dell’opera, cfr. L. von PASTOR, Tagebücher – Briefe – Erinnerungen, hrsg. von W. WÜHR, Heidelberg 1950, pp. 911-915. 3 L. von PASTOR, Storia dei papi dalla fine del medio evo con l’aiuto dell’Archivio segreto pontificio e di molti altri archivi, traduzione italiana del sac. C. BENETTI, I-III, Trento 18901896. Il primo volume vide la luce nel 1890, il secondo nel 1891, il terzo nel 1896. Benetti fu traduttore di numerose opere di cultura religiosa dal tedesco: l’Apologia del cristianesimo in ordine al costume e alla cultura di Albert Maria Weiss, I-V (1894-1908); l’Aurea Bibbia classica. Storia della rivelazione divina nell’Antico e nel Nuovo Testamento di Stanislav Sykora, I-II (1898-1900); la Storia sacra dell’Antico e Nuovo Testamento di Johann Panholzer (1917). Nato a Borgo Valsugana il 21 settembre 1839, Benetti morì a Trento il 28 marzo 1907, cfr. L. von PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo (...), XVII: Indici della versione italiana, presentazione di A. P. FRUTAZ, Roma 1963, p. V. Cfr. PASTOR, Tagebücher cit., pp. 228, 235, 250. 4 Fra un libro e l’altro, in Verona fedele, 14 febbraio 1891, avvisava che per gli ecclesiastici
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Valussi, in una lettera pubblicata all’inizio del secondo volume, auspicava la conoscenza dell’opera anche da parte del laicato cattolico, elogiando un impegno che non aveva altro «proposito che di mettere in luce la verità», «la verità netta e pretta» dei fatti: Mi ha fatto piacere la notizia che sta per uscire dal torchio il II Volume della Storia dei papi del prof. Pastor. La traduzione fattane da Lei è meritevole di gran lode, perché alla esattezza fedele accoppia un fare disinvolto ed una bontà di lingua come rare volte accade di trovare in simili lavori. Per riguardo all’opera del Pastor, essa non ha bisogno di raccomandazioni, tanto fu unanime l’applauso con cui fu accolta, si può dire, in tutta Europa. Più tosto è da esprimere un desiderio, che cioè essa sia letta da moltissimi del laicato5. Si contano a bizzeffe le storie che arieggiano a romanzi, e dove l’apparato dell’erudizione è un orpello destinato a cuoprire i pregiudizî e la passione, o un amminicolo onde puntellare tesi fallaci coniate a priori; talché non si sa dire quanto faccia bene una storia che, ricca di erudizione ed uscita dal crogiuolo della critica la più sincera, specchia e rende gli uomini e le cose quali furono realmente, senz’altro proposito che di mettere in luce la verità. Io perciò fo’ voti che l’opera del Pastor, resa da Lei accessibile a quanti parlano italiano, trovi lettori magari innumerevoli, i quali collo studio d’un libro degno e spassionato com’è codesto, recheranno onore e giovamento a sé stessi. In questa età, in cui tanti dalla mente poltrona e scarica si pascono di baje e si aggirano nella nebbia di spropositi succiati dalle gazzette e imparati a memoria, fa prova di senno e giova a sé stesso chiunque legge per imparar a pensare ed ha cuore di cercare la verità netta e pretta6.
Lo stesso Benetti aveva fatto precedere la traduzione del primo e del secondo volume da alcune significative riflessioni, sottolineando il felice paradosso di un’opera, «che ottenne gli elogi degli stessi avversarî»7. L’esemplarità dello sforzo era stata infatti riconosciuta da voci certo non benevole il direttore dei Figli di Maria in Trento cedeva ogni volume «verso la celebrazione di Messe numero 7» (Biblioteca Vaticana, Lasc. Pastor 55, nr. 77; sul volume II, italiano). 5 Le parole «essa sia letta (...) laicato» sono evidenziate nella stampa con una spaziatura maggiore. 6 PASTOR, Storia dei papi, II (1891), cit., p. XI. La lettera è datata «Trento, 1° dicembre 1890». Eugenio Carlo Valussi (1837-1903), prete (1860) della diocesi di Gorizia e Gradisca, fu deputato al Parlamento di Vienna (1873-1886) e vescovo di Trento, dal 1886 alla morte. Su di lui cfr. i contributi di R. TIRELLI (famiglia e ambiente), L. TAVANO (esponente del clero goriziano), I. ROGGER (vescovo di Trento), F. TASSIN (carteggio con Leonardo Stagni), in Figure e problemi dell’Ottocento goriziano. Studi raccolti per i quindici anni dell’Istituto (1982-1997), Gorizia 1998, rispettivamente alle pp. 153-163, 165-205, 207-217 (214-215, a proposito delle prese di posizione anti-rosminiane e sull’orientamento filo-gesuitico), 219-240; I. SANTEUSANIO, Arcidiocesi di Gorizia, in Gli alunni del Litorale austriaco nel Frintaneum di Vienna, in Quaderni giuliani di storia 28 (2007), pp. 285-366: 289-327: 308-310. 7 C. BENETTI, Ai lettori, in PASTOR, Storia dei papi, I (1890), cit., pp. IX-X (il testo è datato «Trento, 25 marzo 1890»); ID., Ai lettori, ibid., II (1891), cit., pp. IX-X (il testo è datato «Trento, Festa dell’Immacolata 1890»).
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verso la Chiesa cattolica. Rivolgendosi a Giovanni Battista De Rossi, Ruggero Bonghi aveva detto che «se i dotti cattolici lavorano come il Pastor, devesi a tutta ragione apprendere da loro». E lo storico protestante Burckhardt aveva notato che «l’opera del Pastor è indispensabile per la scienza». La traduzione di Benetti, che nasceva dunque sotto il segno della moderazione e dell’equilibrio, fu subito salutata con favore8. Un giornale trentino notò come l’impegno di Pastor e della sua traduzione italiana nasceva dalla volontà di restituire la verità nella ricostruzione dei fatti. L’umanità non poteva essere tratta in errore da «continue apologie» ma nemmeno poteva essere deviata dalla calunnia. I papi dei secoli XV e XVI «rimasero uomini anche sulla Cattedra di Pietro, e come tali in tutto ciò che non riguarda il santo deposito della fede, poterono errare». Ma i loro errori furono piccola cosa rispetto a quelli dei principi italiani del tempo. Uno storico coscienzioso non doveva tacere tali errori ma non doveva nemmeno esagerarli. Non si poteva mentire per scrivere una storia con finalità diverse dalla comprensione dei fatti9. Presentando la traduzione italiana del secondo volume (il primo era stato illustrato il 26 agosto 1890), Verona fedele del 14 febbraio 189110 esprimeva valutazioni decisamente positive: «questa importantissima Storia, la quale reputiamo la più compita ed accertata di quante finora ne sieno state scritte»; «Ordine, chiarezza, verità scrupolosa, un’erudizione senza pari, una sollecitudine affettuosa di mettere in evidenza le geste gloriose dei Pontefici, uno studio indefesso di documenti irrefragabili, un acume profondo a scrutare le vere condizioni dei tempi rendono questo secondo volume, se pur fosse possibile, assai più notabile ed importante del primo». Tutti avevano riservato lodi all’opera, dotti, ecclesiastici, laici, cattolici e protestanti, con un’unanimità che mostrava come all’estero i laici si occupassero felicemente di questi argomenti mentre in Italia dominava anche nei buoni una riprovevole indifferenza. La Storia dei papi veniva quindi raccomandata a tutte le famiglie cattoliche e si ricordava il breve e la commenda dell’Ordine piano conferita al Pastor da Leone XIII. Di fronte a questi gesti del pontefice e alle lodi dei dotti «vaniscono come lieve nebbia gli appunti sciocchi e le stridule voci di vecchi cattolici (chiamali eretici); perché tra il lodar tutto nei Pontefici romani che sono sempre uomini e quindi possono aver avuto alcuni i loro difetti, onde più luminosa si paja l’opera di Dio sul governo della sua Chiesa, e tutto biasimare tacendo il bene, siccome è vezzo degli avversari, sta di mezzo il racconto del chiarissimo Autore, che seppe raccontare con rispettosa [nell’originale, per refuso, dispettosa], ma franca parola di verità e il bene ed il male, se mai ve ne fu. Onde si rende più 8 S. SARULLO, I papi e la storia del Dottor Pastor, in La Sicilia cattolica (la data non si deduce dal ritaglio; Lasc. Pastor 70, nr. 111). 9 Il popolo trentino, s.d. (ma, forse, gennaio 1891) (Lasc. Pastor 55, nr. 79; sul volume II, italiano). 10 Fra un libro e l’altro cit.
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manifesto il valore dell’Onorificenza che gli venne conferita dal Sommo Pontefice il quale aborrendo egualmente dalla adulazione e dalla vituperosa contumelia mostra di apprezzare degnamente i suoi dal vero non timidi amici». Altri apprezzamenti, con lodi particolari a Benetti, giunsero da Il popolo trentino (nr. 46 del 1890), da La voce cattolica (nr. 41 del 1890), da L’osservatore cattolico (1° maggio 1890), da La difesa (Venezia) (17 maggio 1890), dal Corriere della domenica (Milano) (25 maggio 1890)11.
2. Paolo Luotto e la polemica su Savonarola (1897-1900) Per motivi che restano da appurare, e si possono forse ricondurre alla difficoltà di sostenere un’impresa sicuramente impegnativa con criteri così poco economici, la traduzione di Benetti si fermò al terzo volume (ne doveva comprendere sette) ma l’auspicio di Valussi per un’ampia diffusione dell’opera nel laicato cattolico fu raccolto. Fu infatti un giovane laico cattolico, Paolo Luotto, allievo a Torino di Carlo Cipolla e insegnante in licei di varie regioni, a innescare la prima polemica. Nato a Villafranca d’Asti il 13 novembre 1855 in una famiglia contadina, Luotto ottenne nel 1871 una borsa di studio dell’Opera Pia Sant’Elena e poté così frequentare le scuole medie e superiori laureandosi a Torino con Carlo Cipolla nel 1884. Divenuto docente nelle scuole, Luotto insegnò nei licei di Lecce (1886-1891), Cesena (1891-1894), Faenza (1894-1897) ma si segnalò anche con pubblicazioni su Genio e fede12, su Dante13, sullo studio della Scrittura secondo Girolamo Savonarola e la Providentissimus Deus di Leone XIII14. Luotto aveva incominciato a coltivare lo studio di Savonarola su ispirazione di Augusto Conti e col sostegno del domenicano Vincenzo Marchese. In pochi anni divenne espertissimo conoscitore delle opere del domenicano. Morì il 19 dicembre 1897.
Nel luglio 1897, pochi mesi prima della sua morte e un anno dopo l’uscita della traduzione del terzo volume della Storia di Pastor, Luotto diede alle stampe Il vero Savonarola e il Savonarola di L. Pastor15, opera che ebbe 11
Un’antologia di giudizi della stampa è pubblicata in un bifoglio, di natura pubblicitaria, stampato dalla Tipografia degli Artigianelli e conservato in Lasc. Pastor 70, nr. 44. 12 P. LUOTTO, Genio e fede o la creazione e la redenzione nelle scienze, nelle lettere e nelle arti, Torino 1886. 13 P. LUOTTO, Una parola di Dante Alighieri, Torino 1894. A proposito di Inf. III, 111. 14 P. LUOTTO, Dello studio della Scrittura secondo Girolamo Savonarola e Leone XIII, con riguardi a Padri e a Dottori della Chiesa, Torino 1896. Più legato all’attività didattica è L’insegnamento agrario elementare nelle scuole rurali. Discorso pronunciato il 24 giugno 1892, Cesena 1892. 15 P. LUOTTO, Il vero Savonarola e il Savonarola di L. Pastor, Firenze 1897; Firenze 19002; la seconda edizione è stata ristampata anastaticamente: Firenze 1998 (Millennio medievale, 9; Reprints, 1). Sulla figura di Luotto, cfr. C. LEONARDI, Premessa alla ristampa anastatica della seconda edizione, ibid., pp. V*-VI*; ID., In difesa del Savonarola, in 30 giorni nella Chiesa
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peraltro scarsissima fortuna. Come altri, Luotto auspicava un’edizione completa delle opere di Savonarola, anche per riscattarle dall’inclusione nell’Indice dei libri proibiti. All’iniziativa si contrapponeva però l’autorevole giudizio di Pastor, che andava dunque confutato. Nasce così il volume che già nel titolo mostrava la sostanza del discorso: il Savonarola di Pastor non corrispondeva al vero e anzi era in parte semplicemente immaginario16. Pastor (che Luotto, non conoscendo il tedesco, leggeva solo nella traduzione di Benetti) non aveva attinto alle opere originali del domenicano ma dipendeva da una letteratura secondaria, per giunta faziosamente critica17. Se per Pastor la predicazione del domenicano era eccessiva, imprudente, espressione di un frate che non sapeva parlare del mondo senza disprezzarlo, denunciarlo e condannarlo, Luotto vi riconosceva lo zelo di un «animo infuocato d’amore divino», per il rinnovamento della Chiesa e per la riforma della società18. Sottolineando lo stretto rapporto di Savonarola con la teologia di Tommaso d’Aquino19, Luotto ne riscattava anche la dimensione profetica20. Non frutto di sovreccitazione nervosa di un religioso irretito da visioni e da sogni ma lucido giudizio sulla storia che non andava confuso con il millenarismo di matrice gioachimita. Pastor era stato severamente critico con Alessandro VI, con la sua vita privata e con le modalità della sua elezione, ma non accettava la disobbedienza savonaroliana a papa Borgia. Anche su questo punto Luotto contestò la legittimità della scomunica e quanto ne era seguito21. La morte prematura di Luotto non impedì che la polemica (che fra i due protagonisti assunse toni anche piuttosto accesi) divampasse22, con replica di Pastor e interventi di diversi storici italiani a favore del giovane insegnante piemontese, spesso secondo lo schema «Italia versus mondo germanico» che negli anni Novanta poteva colorarsi anche di aspetti politici. La replica di e nel mondo, 2000, nr. 9, pp. 110-112; F. LUOTTO – P. LUOTTO, Paolo Luotto nel centenario della morte, in Itinerari savonaroliani in Toscana, a cura di T. S. CENTI, Bologna 1997 (Savonarola. Quaderni del quinto centenario, 1498-1998, 4), pp. 37-69. 16 LUOTTO, Il vero Savonarola cit., p. V. 17 Ibid., pp. 8-16 (cap. II). 18 Ibid., pp. 17-26 (cap. III), 68-131 (capp. VIII-XI). 19 Ibid., pp. 39-45, 63, 103, 162-163, 166, 169, 215, 237, 258, 275, 299, 302-304, 306, 328, 331, 377-378, 381-382, 387-390, 393, 399-403, 407, 426-428, 432, 435-436, 601. La sottolineatura del rapporto fra Savonarola e Tommaso assumeva, durante il pontificato di Leone XIII, in un’epoca di neo-tomismo imperante, un significato particolare. 20 Ibid., pp. 291-335 (cap. XVIII). 21 Ibid., pp. 370-497 (cap. XXII-XXX), 526-544 (cap. XXXII). 22 Nel gennaio 1897 Cipolla scrisse a Luotto che egli attaccava Pastor «come si assale un nemico inferocito», LUOTTO – LUOTTO, Paolo Luotto cit., p. 46 nt. 17. Anche in altre occasioni Cipolla cercò di mitigare l’entusiasmo filo-piagnone del suo interlocutore.
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Pastor e gli interventi di diversi storici italiani e non, raccolti in una più ampia antologia su Savonarola e la critica tedesca, furono tradotti, ancora da Benetti, fra il 1898 e il 190023. In Italia Pastor fu difeso, fra altri, da Cesare Paoli e contrastato da Pasquale Villari, pur con atteggiamento nobile e per quanto possibile al di sopra delle parti24. Gli schieramenti tradizionali (cattolici transigenti e intransigenti, laici, massoni, liberali) saltavano e si ricomponevano in curiose alchimie. In realtà, sia in Germania 23 L. PASTOR, Appunti critici da servire al giudizio di Girolamo Savonarola († 1498), versione del sac. C. BENETTI, Trento 1898 (il volume, prontamente tradotto anche in francese nel 1898 da Furcy Raynaud, fu pubblicato dagli Artigianelli); Il Savonarola e la critica tedesca, traduzioni di A. GIORGETTI e C. BENETTI, con prefazione di P. VILLARI ed introduzione di F. TOCCO, Firenze 1900. Il volume raccoglieva contributi di J. Schnitzer, H. Grauert, Spectator e M. Brosch e ripresentava, nella traduzione di Benetti, la sezione della Storia di Pastor dedicata a Savonarola e Alessandro VI. Nella prefazione Villari notava: «Uomo di molto ingegno, di grande dottrina, di vaste letture e di maravigliosa operosità, il Pastor, nella sua Storia dei Papi, aveva posto tutte queste sue rare qualità a difesa delle loro stesse idee (scil. dei Gesuiti), che erano anche le sue, facendo del Savonarola e dei suoi ammiratori la più crudele, la più inesorabile critica» (p. VII). La raccolta dei diversi interventi mirava invece «a far giudicare con sempre più sicuro criterio il valore storico, teologico e morale del Savonarola» (p. VIII). Al volume fiorentino del 1900, filo-savonaroliano e favorevole a Luotto, si contrapposero valutazioni diverse, come quella di Michele Rosi che criticò l’opera di Luotto per i suoi «preconcetti» e per lo «spirito polemico che domina in ogni pagina», Archivio della Società Romana di Storia Patria 20 (1897), pp. 495-505. Naturalmente già la rivista dei Gesuiti italiani aveva sostenuto le posizioni di Pastor: Fra Girolamo Savonarola e la risposta di Lodovico Pastor ai suoi critici, in La civiltà cattolica 49 (1898), ser. XVII, vol. I, fasc. 1141, 1° gennaio 1898, pp. 577-594. All’articolo «poco favorevole» della rivista gesuita fece riferimento Luotto scrivendo a Cipolla l’11 settembre 1897, LUOTTO – LUOTTO, Paolo Luotto cit., pp. 48-49. Una recensione favorevole del volume di Luotto, ricca soprattutto di simpatia umana per l’autore, pubblicò invece Alessandro Gherardi nell’Archivio storico italiano, ser. V, 20 (1897), pp. 408-412, definendo il lavoro «una vera e propria opera, onesta, d’arte e di scienza» (p. 409) e manifestando la preoccupazione che nell’imminente centenario del domenicano ferrarese «altri vessilli che non sien quelli della religione cattolica e dell’ordine possano alzarsi sul nome suo» (ibid.). Sul Gherardi (1844-1908), che fu archivista nell’Archivio di Stato di Firenze, di cui fu anche direttore (1902-1908), cfr. F. CONTI, Gherardi, Alessandro, in Dizionario biografico degli Italiani [d’ora in poi: DBI], LIII, Roma 2000, pp. 536-537; Repertorio del personale degli Archivi di Stato, I: (1861-1918), a cura di M. CASSETTI, con saggio storico-archivistico di E. LODOLINI, Roma 2008, pp. 338-341. 24 Per la posizione di Villari, cfr. P. VILLARI, Girolamo Savonarola e l’ora presente [discorso pronunciato a Firenze il 10 giugno 1897] e Sulla questione Savonaroliana. Lettera al direttore dell’Archivio storico italiano (scil. Cesare Paoli), in P. VILLARI, Discussioni critiche e discorsi, Bologna 1905, pp. 29-65, 67-82. Pubblicando il secondo testo, Paoli, pur apprezzando l’autore, aveva disapprovato «certi metodi inspirati piuttosto da devota sentimentalità che da libera critica». Su Paoli (1840-1902), archivista negli Archivi di Stato di Firenze e Siena, dal 1886 ordinario di Paleografia latina e Diplomatica nel R. Istituto di Studi Superiori di Firenze, cfr. Repertorio del personale, I, cit., p. 741; M. MORETTI, Paoli, Cesare, in DBI, LXXXI, Roma 2014, pp. 67-69; su Villari (1827-1917), M. MORETTI, Pasquale Villari, in Enciclopedia Italiana (...). Ottava appendice. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia, Roma 2012, pp. 490-498.
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che in Italia, la disputa non era puramente storiografica. In gioco era l’immagine di Savonarola come «santo dei modernisti», «un eroe soprattutto politico — un frate democratico e repubblicano, che quattro secoli prima aveva tentato di rinnovare la Chiesa, aveva sostenuto il binomio di religione e libertà e saputo patire il martirio nel nome di Dio e della patria, facendosi precorritore di idee moderne e banditore di libertà civili — sembrava assurgere nei suoi ammiratori a modello di resistenza ai potenti di Roma, a bandiera di quella battaglia politico-religiosa proprio allora particolarmente sentita soprattutto in Germania. Gli ammiratori del frate ferrarese rivendicavano al cattolico l’obbligo di obbedire più a Dio, infallibile, che agli uomini, fallibili, e cercavano di portare il cattolicesimo al passo coi tempi tendendo di conciliare scienza e fede per rispondere ai nuovi dubbi sorti nel credente col progresso della civiltà». Dall’altra parte, sul fronte opposto, gli avversari del frate (o, meglio, della sua mitizzazione) scorgevano «in quel movimento per il Savonarola “tribuno del popolo” (“Volksführer”) null’altro che un sintomo di quelle “false tendenze democratiche” caratteristiche del loro tempo inconciliabili col carattere monarchico della Chiesa»25.
La polemica degli anni 1897-1900 mostrò sin dall’inizio della fortuna di Pastor in Italia come il nodo del papato rinascimentale e di uno dei suoi apici fosse uno dei punti più problematici e divisivi dell’opera (l’altro, verso la fine della Storia, sarà la figura di Clemente XIV), toccando un nervo che rimarrà a lungo scoperto e forse lo rimane ancora. Sempre in ambito cattolico, su Alessandro VI e sulla natura simoniaca della sua elezione dibatteranno ancora alla fine degli anni Cinquanta del Novecento Giovanni Battista Picotti, dell’Università di Pisa, e Giovanni Soranzo, dell’Università Cattolica di Milano, interprete della linea istituzionale di padre Gemelli26. 3. Unanimità di lodi Al di là del caso particolare e circoscritto della critica di Luotto, sin dalle prime reazioni all’edizione tedesca i periodici e la stampa italiani furono piuttosto unanimi nell’apprezzamento dell’opera, sfiorando nel corso degli anni quasi la monotonia e la ripetitività. Si trattò di una valutazione sostanzialmente trasversale, che unì quasi all’unisono voci cattoliche e laiche, giornali quotidiani e riviste accademiche, fogli popolari e periodici di alta cultura. In ambito laico elogiarono l’opera di Pastor l’Archivio storico italiano27 e il Giornale storico della letteratura italia25 «Un anello ideale» fra Germania e Italia. Corrispondenze di Pasquale Villari con storici tedeschi, a cura di A. M. VOCI, Roma 2006 (Biblioteca scientifica, ser. II, Fonti, 94), p. 61; cfr. ibid., pp. 60-62, 92-93, 145, 317, 412-413, 473-475, 477-491. 26 G. M. VARANINI, Picotti, Giovanni Battista, in DBI, LXXXIII, Roma 2015, pp. 281284: 283. 27 Per gli interventi della rivista, cfr. Archivio storico italiano. Indice 1842-1941, a cura di E. ROSSI, II: M-Z, Firenze 1945, pp. 665-666.
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na28. Già nel 1886 Alceste Giorgetti, recensendo con grande tempestività il primo volume dell’edizione tedesca, riconobbe a Pastor uno sforzo di oggettività, che non comportava una pur minima rinuncia alle sue convinzioni29. Giorgetti riconosceva a Pastor uno sforzo di oggettività, «usando massima oculatezza nell’apprezzamento delle fonti e delle testimonianze storiche, e moderando con molta temperanza i suoi giudizi. Ma, quando occorre, non tralascia di esporre francamente l’animo suo, come sempre deve fare chiunque abbia profonde convinzioni, e senta nobilmente l’alto ufficio di storico. Per tal modo alcune sue pagine sembreranno a taluni scritte con soverchia benevolenza verso i Pontefici; ad altri invece certe sue sentenze intorno ai medesimi sembreranno forse un po’ troppo dure». Si apprezzava poi l’imparzialità di Pastor che, a proposito di Martino V, dopo averne segnalato i limiti, esponeva ragioni e circostanze «che, se non valgono a scusare, spiegano pure queste sue debolezze». Si riservava poi particolare attenzione ai nuovi documenti portati alla luce e, dopo la rassegna della trattazione dei diversi pontificati, si notava infine la «consueta diligenza de’ libri tedeschi» per gli ottimi indici.
Il crociato, di Udine, nel 1902, in margine alla quarta edizione dell’edizione tedesca della Geschichte der Päpste, sottolineò che lo storico, senza fare l’apologista di professione, finiva per fare la «vera apologia allargando il dominio della verità, rendendo quanto meno cercati tanto più preziosi servizî alla causa della Chiesa e del papato»30. Il trafiletto era breve ma di tono entusiastico: «Le aggiunte notevoli che vi ha fatto il grande storico del Papato fanno fede del suo studio continuo, intento nella ricerca della verità storica, della sua attività intellettuale meravigliosa nell’esame di documenti, di opere e monografie pubblicate recentemente in Italia e fuori. La nuova edizione della Storia dei Papi rivela nel Pastor il grande e vero storico della Chiesa che, senza fare l’apologista di professione, fa della vera apologia, allargando il dominio della verità, rendendo quanto meno cercati tanto più preziosi servizi alla causa della Chiesa e del Papato. La sua coscienza e lealtà di cristiano gli vietano di 28 La Storia dei papi, in Verona fedele, 6 dicembre 1910 (Lasc. Pastor 55, nr. 87; sul volume II, italiano), sottolineava l’unanimità delle lodi che univa, singolarmente, La civiltà cattolica all’Archivio storico italiano e al Giornale storico della letteratura italiana. Segnalando la terza e quarta edizione del secondo volume tedesco (Freiburg 1904), il Giornale storico della letteratura italiana 43 (1904), p. 474, registrava il «cammino veramente trionfale» della Geschichte der Päpste (Lasc. Pastor 55, nr. 107). 29 A. GIORGETTI, in Archivio storico italiano, ser. IV, 18 (1886), pp. 410-417 (Lasc. Pastor 54, nr. 9; sul volume I, tedesco). Secondo BENETTI, Ai lettori (1890), cit., p. X, Giorgetti fu forse il primo in Italia a occuparsi della Storia dei papi. Per i suoi rapporti con Pastor cfr. PASTOR, Tagebücher cit., pp. 195, 266, 407. Su Alceste Giorgetti (1852-1930), archivista nell’Archivio di Stato di Firenze e direttore (1911-1913) in quello di Massa, cfr. Repertorio del personale, I, cit., pp. 349-351. 30 prof. a.g., Portogruaro, in Il Crociato (Udine), 1902, nr. 89 (Lasc. Pastor 54, nr. 60).
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dissimulare o tacere fatti ormai accertati da una critica serena, inesorabile che non teme più le diffidenze di qualche pauroso conservatorista, che si fa il segno di croce davanti a un libro moderno di critica storica e sorride ancora stupidamente su quella ch’egli chiama ipercritica tedesca. La verità, la sola verità e sempre la verità, ecco la regola costante del Pastor, secondo la frase di Leone XIII, che aprendo a tutti gli Archivi Vaticani ricorda la stupenda sentenza di Cicerone, troppo dimenticata da tanti nostri storici à sensation: Prima regola della storia esser questa ch’essa non osi dire nulla di falso e non osi dire nulla fuorché il vero».
Con malcelata soddisfazione Il popolo trentino ricordò le lodi del liberale e laicista Ruggero Bonghi e del protestante Jacob Burckhardt, già richiamate da Benetti31. Verona fedele, nel 1910, presentando il secondo volume nella traduzione di Angelo Mercati, ravvisava nell’«unanime consenso di uomini di fede diversa» la diretta conseguenza e la prova migliore dell’«obiettività ed imparzialità grande, con le quali [l’opera] è scritta»32. Non spirito polemico, non preoccupazioni apologetiche, ma ricerca serena della verità che era poi, secondo Pasquale Villari, il supremo scopo di chi si accingeva a narrare la storia. Il giornale veronese sottolineava l’universale apprezzamento per l’opera da parti diverse, della Civiltà cattolica, «il cui nome significa la più pura ortodossia, che ne rilevò la profondità della critica, la serena lealtà, l’uso quanto più largo e giudizioso delle fonti storiche», ma anche di riviste «ove è il pensiero dei più celebri professori delle nostre Università», come l’Archivio storico italiano e il Giornale storico della letteratura italiana. Né erano mancate lodi all’estero, da accademici protestanti. L’«unanime consenso di uomini di fede diversa» fu reso possibile dall’«obiettività ed imparzialità grande, con le quali [l’opera] è scritta». «Il lavoro del Pastor non ha né spirito polemico, né tendenze apologetiche: esso rappresenta la ricerca serena della verità, che deve essere il supremo scopo di chi si accinge a narrare la storia», come aveva sostenuto Pasquale Villari. Si sarebbe potuto dissentire «in qualche conclusione o in qualche giudizio» dall’autore, ma non si sarebbe potuto negare che le sue ricerche erano state diligenti, acute e profonde. Pastor non nascondeva gli errori politici e le debolezze umane dei pontefici e degli uomini di Chiesa, convinto che ciò nulla detraeva alla santità dell’istituzione. Dopo aver sottolineato l’ampiezza delle fonti utilizzate e della bibliografia consultata e la pubblicazione di documenti inediti, si notava nella valutazione del nepotismo dei papi una «tranquilla equanimità di giudizio, la quale costituisce uno dei maggiori pregi dell’opera». Dalle pagine di Pastor il papato emergeva non solo come autorità religiosa ma come faro di civiltà umana e di progresso sociale. Tutti avrebbero quindi potuto 31 Ruggero Bonghi rivolgendosi a De Rossi aveva detto: «Se i dotti cattolici lavorano come il Pastor, devesi a tutta ragione apprendere da loro». Non diversamente si era espresso lo storico protestante Burckhardt: «L’opera del Pastor è indispensabile per la scienza», Il popolo trentino, s.d. (ma, forse, gennaio 1891) (Lasc. Pastor 55, nr. 79; sul volume II, italiano). 32 La Storia dei papi, in Verona fedele, 6 dicembre 1910 (Lasc. Pastor 55, nr. 87).
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giovarsi dell’opera, in particolare «il giovane clero, che ha bisogno di agguerrirsi e di conoscere ampiamente e completamente la storia del papato».
Nel campo cattolico l’unanimità è ancora più significativa se si pone mente alla polarizzazione, dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento, fra intransigentismo e apertura, soprattutto a proposito dell’atteggiamento da assumere nei confronti dello Stato unitario e della «questione romana». In Italia non si verificò un aperto dissenso come quello dei vetero-cattolici in Germania che costrinse Pastor a una dura replica nel secondo volume che, per il suo stretto legame alla situazione dei paesi di lingua tedesca, non fu ripresa nell’edizione italiana33. Nel febbraio 1896 il gesuita Pieter Albers34, uno dei maggiori storici della Compagnia di Gesù, presentando il terzo volume dell’edizione tedesca notò anzi, sulla Civiltà cattolica, la felice congiunzione nell’opera di tendenze che altri non sapevano coniugare: «una santa libertà» unita a «profonda venerazione ai rappresentanti della divina autorità sulla terra», la «critica sagace ed imparziale» a proposito della vita privata di Alessandro VI e al tempo stesso la condanna di Savonarola, caparbio e disobbediente. Secondo Albers, era già stata questa la linea illuminata di padre Giuseppe Brunengo che nel 1873 aveva biasimato «certe difese mal consigliate» che non giovavano al papato ma anzi lo danneggiavano35. Segnalati gli apprezzamenti unanimi per i primi due volumi e le traduzioni in diverse lingue, lo storico gesuita descriveva le caratteristiche salienti dell’opera: «Metodo strettamente critico, meravigliosa padronanza del soggetto, cognizione profonda della ricchissima bibliografia, documenti presso che senza numero, rintracciati la prima volta con proprie ricerche negli archivii, una maniera di narrare al tutto attraente, lingua e stile nobile che dipingono piuttosto che descrivono gli 33
BENETTI, Ai lettori (1891), cit., p. IX. E. LAMALLE, Albers, Pieter, in Enciclopedia cattolica, I, Città del Vaticano 1949, coll. 672-673. 35 P. ALBERS, in La civiltà cattolica 47 (1896), ser. XVI, vol. V, fasc. 1097, 7 marzo 1896, pp. 591-597 (Lasc. Pastor 56, nr. 27; sul volume III, tedesco). Non avendo ricevuto dall’editore tedesco i primi due volumi, la rivista gesuita si era limitata a segnalare, ibid. 41 (1890), ser. XIV, vol. VII, fasc. 963, 2 agosto 1890, pp. 342-343, la traduzione italiana (si tratta della prima segnalazione dell’edizione italiana nella traduzione di Benetti): «una delle più insigni tra le moderne produzioni cattoliche della dotta Germania»; alla documentazione, che per primo poté esplorare, Pastor «dié una forma egregia d’esposizione, ordinata, luminosa, piena di vita, e governata sempre da soda critica e da una rettitudine ed imparzialità maravigliosa di giudizii, che ottenne gli elogii anche degli avversarii». L’analisi di Albers dell’opera di Pastor proseguiva nel quaderno successivo, La civiltà cattolica 47 (1896), ser. XVI, vol. V, fasc. 1098, 21 marzo 1896, pp. 710-720 (Lasc. Pastor 56, nr. 50), ove fu segnalato anche il terzo volume della traduzione di Benetti, ribadendo le lodi e riprendendo essenzialmente quanto scritto da Albers. 34
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avvenimenti, una santa libertà unita in istretto connubio con profonda venerazione ai rappresentanti della divina autorità sulla terra» (p. 591). Nel terzo volume Pastor aveva modo di «procedere in modo severamente critico, senza giudizii di parte e con amore al tutto filiale ed ossequioso al Vicario di G. Cristo» (ibid.). Riprendendo nella presentazione accurata e analitica del volume la distinzione fra una parte sana e una falsa del Rinascimento, Albers notava che non fu la Curia a guastare l’Italia, ma l’Italia a guastare la Curia. Formulava quindi un giudizio durissimo su Machiavelli, nel cui Principe «il rinascimento pagano tocca l’apice di sua nefanda perfezione» (p. 597). Nel quaderno successivo, proseguiva la presentazione dell’opera e venivano passate in rassegna le vite dei quattro pontefici esaminati nel volume. L’elezione simoniaca di Alessandro VI spiegava a sufficienza come fosse stato eletto un uomo simile. Lucrezia Borgia non era immacolata, come pensava Gregorovius. A proposito della vita intima di Alessandro VI, si lodava la «critica sagace ed imparziale» (p. 711) di Pastor, che biasimava e condannava Savonarola, caparbio e disobbediente. In futuro sarebbe stato impossibile difendere papa Alessandro per quanto riguardava i costumi. D’altra parte già il gesuita Brunengo nel 1873 aveva sostenuto la medesima tesi, dell’indegnità di papa Borgia quanto ai costumi personali, e aveva biasimato «certe difese mal consigliate» che non giovavano al papato ma anzi lo danneggiavano36. Se la condanna per i costumi personali di Alessandro era inappellabile, il papa non poteva però essere biasimato. Lo sforzo di distinzione era riservato anche per Giulio II, a proposito del quale si mostrava comprensione per gli sforzi bellici («Certo non merita lode, quando armato di tutto punto, si pone alla testa della rischiosa campagna contro Mirandola e molto meno quando non sa moderare gl’impeti violenti di collera; ma difendere con tutta la forza di sua potenza le temporali ragioni della Chiesa, fu in lui impresa altamente lodevole», p. 717). In conclusione Albers scriveva: «il Pastor colle sue diuturne fatiche ha altamente meritato della verità della storia e contribuito non poco a rendere sempre più gloriosa la Chiesa ed il Papato. Lo ripetiamo, ci gode sommamente l’animo di ritrovare in questa classica opera uno spirito di ricerca che difficilmente potrà venire agguagliata, una costante diligenza, una critica sagace senza intemperanza, una esposizione chiara ed elegante; ma soprattutto, ciò che tanto onora l’ill. Autore, un profondo amore alla nostra santa Madre Chiesa, un sentire schiettamente cattolico e una alta venerazione al Vicario di Cristo sopra la terra» (p. 720).
L’intervento di padre Albers fu solo il primo di una lunga e puntuale serie di articoli, più o meno estesi e impegnativi, ma sempre costanti nell’apprezzamento dell’opera. A dimostrazione del fatto che anche in Italia la Compagnia di Gesù fu, sin dagli inizi, la grande propagatrice e sostenitrice della Storia dei papi di Pastor, come mostrerà, al termine dell’opera, la polemica sul volume relativo a Clemente XIV. 36 L’intervento di Brunengo era in una recensione a L. N. CITTADELLA, Saggio d’albero genealogico e di memorie su la famiglia Borgia, specialmente in relazione a Ferrara, Torino 1872, in La civiltà cattolica 24 (1873), ser. VIII, vol. IX, fasc. 546, 7 marzo 1873, pp. 718-732. Sulla figura di Brunengo, cfr. B. GENERO, Brunengo, Giuseppe, in DBI, XIV, Roma 1972, pp. 565-566.
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La rivista tornò a scrivere dell’opera recensendo il terzo volume, tedesco, nella terza e quarta edizione (1899)37. Il periodo dall’elezione di Innocenzo VIII alla morte di Giulio II appariva «intricato e scabroso quant’altro mai, e sovra ogni altro interessante per conto dell’arte italiana del rinascimento, che toccò allora con Raffaello e Michelangelo l’apogeo del suo splendore». Della «facilità, della critica severa, giudiziosa, e riverente insieme, onde il ch. Autore sa conciliare la esposizione della intera verità storica coi giudizi inesorabili che conseguitano» (p. 601), si era già parlato presentando la prima e la seconda edizione (quaderni 1097-1098, 7-21 marzo 1896). Nella nuova edizione, «nella questione del Savonarola in particolare, ponderati i nuovi recenti tentativi d’una piena apologia di quell’uomo singolare, egli, giustamente, conferma i giudizii già esposti nelle precedenti edizioni e nel suo studio pubblicato nel 1898: «Zur Beurtheilung Savonarolas» e in ciò procede deliberatamente con tanto maggior calma e serenità, quanto più accesa incontrò la passione in alcuni difensori dell’infelice frate riformatore» (p. 601). Corretta appariva l’attenzione particolare per l’arte, la cui influenza continuava sino ai nostri giorni, «mentre che sono perduti omai e cancellati gli effetti e la memoria di tante contese di confini e di dominio, di tanti intrighi di corte, che pure solevano e sogliono tuttora costituire quasi interamente i programmi dell’insegnamento della storia. Dalla via seguita dal Pastor e da altri profondi storici moderni non è possibile tornare addietro: e verrà un giorno che, riguardando il passato, ci stupiremo come fosse possibile concepire la storia del genere umano, restringendola quasi alla narrazione delle guerre esclusivamente» (p. 601). Pastor operava dunque un riscatto dell’arte cristiana del Rinascimento, smentendo l’impostazione che riteneva l’arte cristiana monopolio del medioevo (Reichensperger). Si concludeva: «La narrazione splendida e attraente, l’amore schietto del vero, lo spirito sintetico che la regge, ne fanno una guida preziosa e necessaria (...): opera che non ha l’uguale, e non dovrebbe mancare nella biblioteca di niuna persona colta» (p. 602). Recensendo il volume IV, 1-2, tedesco38, si notava che Pastor scriveva una «storia vera» (p. 82); non delineava un quadro d’impressione e di effetto, non era guastato dall’odium papae. Pastor era nella linea di Leone XIII, che non aveva paura della verità dei documenti. Ma era anche sempre cattolico, intimamente cattolico; e si notava il suo rammarico quando doveva essere severo con alcuni papi e invece la sua gioia quando poteva rimuovere calunnie e leggende nere. Pastor manteneva in linea di principio la legittimità dello Stato della Chiesa ed era lontanissimo dalle «declamazioni (...) di un Gregorovius, contro il potere temporale, dettate sempre da cieco fanatismo partigiano!» (p. 83). Si trattava, insomma, di una «storia impareggiabile» (p. 87). Nella presentazione del volume V, tedesco39, relativo al pontificato di Paolo III, e quindi alla fondazione della Compagnia di Gesù, l’autore (che era uno specialista 37
La civiltà cattolica 51 (1900), ser. XVII, vol. IX, quad. 1193, pp. 600-602 (Lasc. Pastor 56, nr. 124; sul volume III, tedesco). 38 La «Storia de’ Papi» di Lodovico Pastor, in La civiltà cattolica 59 (1908), vol. I, quad. 1381, 4 gennaio 1908, pp. 82-87 (Lasc. Pastor 57, nr. 17; sul volume IV, 1, tedesco). 39 [P. TACCHI VENTURI], Il Pontificato di Paolo III, in La civiltà cattolica 60 (1909), vol. IV, quad. 1428, 18 dicembre 1909, pp. 712-715 (Lasc. Pastor 58, nr. 21; sul volume V, tedesco).
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del soggetto, Pietro Tacchi Venturi) notava che «I principii ed il metodo dei quali [Pastor] si valse sono naturalmente i medesimi cui si attenne nei volumi già pubblicati. A riepilogarli in breve può dirsi che tutti si assommano nella lealtà di non tacere parte almeno di vero, così pel bene come pel male, e nell’uso al possibile compiuto delle fonti vagliate a dovere secondo quel grado di credibilità che loro compete. Un’opera così condotta non può non rispondere all’idea che del genere storico hanno e propugnano i critici moderni, secondo la schietta tradizione antica, specie quando nell’autore abbondino le doti d’ingegno richieste a disporre ordinatamente la materia, a penetrare la mutua connessione tra le cause e gli effetti, a descrivere i fatti col debito stile» (p. 713). A proposito del capitolo su Ignazio di Loyola e sugli inizi della Compagnia di Gesù l’esplicito apprezzamento era appena mitigato da qualche modesto appunto: «Uno scrittore cresciuto in mezzo allo studio delle numerose fonti gesuitiche, così delle già edite anticamente che delle più recenti, venute in luce negli ultimi tempi, non avrebbe potuto mostrarsi né più informato, né più esatto, anche in ragguagli di breve importanza, né più sicuro nei suoi giudizii. Probabilmente verrà notato il chiaro autore per ciò che questa parte dell’opera, quantunque in se stessa lodevolissima, tuttavia non guari armonizza colle proporzioni del tutto. Quanto a noi non oseremmo dire in tutto infondata la critica» (p. 714). L’opera dunque procedeva e notevolmente si accrescevano i meriti dell’autore nei confronti della Chiesa, «cui tanto riesce utile la piena storica verità, come il S. Padre Pio X si degnava affermare all’autore la primavera dell’anno testé decorso» (p. 715).
Gli apprezzamenti non coinvolsero soltanto riviste e giornali che erano espressione della linea più ortodossa e vicina alla Santa Sede, da La civiltà cattolica40 a L’osservatore romano41. Lodi della Storia dei papi, sin dal 1890, comparvero nel più celebre organo dell’intransigentismo cattolico, L’unità cattolica di Firenze42, sino al 1887 diretto da don Giacomo Margotti, che L’indicazione dell’autore, aggiunta a penna nell’esemplare dell’estratto nel Lasc. Pastor e ribadita nella tabella dattiloscritta ricapitolativa posta all’inizio del volume, è confermata da La Civiltà cattolica. Indice analitico delle annate 1904-1910 (...), Roma 1911, p. 254. 40 Per gli interventi della rivista, cfr. Indice generale della Civiltà cattolica (aprile 1850-decembre 1903) compilato da G. DEL CHIARO, Roma 1904, p. 188; La Civiltà cattolica. Indice analitico delle annate 1904-1910 (...), cit., p. 254; (...) Indice analitico delle annate 1911-1925 (...), Roma 1926, p. 520; (...) Indice analitico delle annate 1926-1930 (...), Roma 1931, pp. 182183; (...) Indice analitico delle annate 1931-1940, Roma 1942, p. 244. 41 La prima segnalazione (almeno da me individuata) da parte de L’osservatore romano, con valutazioni estremamente positive, è del 13 gennaio 1891: Bibliografia, in L’osservatore romano, 13 gennaio 1891, p. 3 (Lasc. Pastor 55, nr. 78; sul volume II, italiano): «siamo d’avviso che questi documenti, con tanto discernimento e con tanta diligenza raccolti, formino del Papato e dei Papi una eloquente apologia, quale per avventura non hanno costituito tanti storici e tante Storie della Chiesa cattolica e del romano Pontificato». 42 I papi dalla fine del Medio Evo e il dott. Ludovico Pastor d’Innsbruck, in L’unità cattolica, 12 giugno 1890 (Lasc. Pastor 70, nr. 71). Dopo aver ricordato gli apprezzamenti riscossi da parti diverse dai volumi sinora apparsi, si concludeva che «l’Opera del Pastor starebbe bene in tutte le biblioteche dei Seminari d’Italia, e non solo in queste, ma nelle pubbliche librerie
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proseguiva con accenti più miti ma senza deviazioni considerevoli il discorso intrapreso da L’armonia della religione con la civiltà43. Nel 1907 uno storico laico, cresciuto nel clima della «scuola storica» e nella pratica del metodo storico-critico, che mostrò costante attenzione per l’opera di Pastor, attinta spesso nell’originale tedesco, Alessandro Luzio, contrappose alla becera trivialità di Heinrich Denifle la serena equanimità di Pastor44. delle nostre città, le quali quanto ridondano di libri storici, in cui la verità è manipolata dalle esigenze dei partiti e delle rivoluzioni, altrettanto difettano di Opere serie, scritte con imparzialità e con ispirito favorevole alla Chiesa Romana». Ma cfr. anche V. PAPA, La Storia dei papi dalla fine dell’età media, in L’unità cattolica, 21 gennaio 1892 (Lasc. Pastor 70, nr. 63), con entusiastiche valutazioni, sull’ampiezza, sulla profondità, sull’accuratezza dell’esame, di prima mano, sulle fonti utilizzate con «retto e imparziale giudizio degli uomini e delle cose»; insomma, «un capolavoro di scienza, di critica e d’arte». In Italia si contrapponevano due scuole: quella della «retorica pomposa» e quella, moderna, dei «topi di biblioteca», «che reputano di aver compiuto un pregiabile lavoro storico, quando con facile e nojosa erudizione, con lingua imbarbarita, e con istanchevole scipitezza di stile, hanno rimpinzato moltissime pagine di documenti inediti intorno a fatti di picciolo rilievo, e le hanno, poi, affittite di lunghe e pedantesche note». Pastor «co’ suoi due splendidi volumi ci richiama, in iscambio, alle grandi tradizioni della storia». «Bene, tre volte bene a Lodovico Pastor e a Clemente Benetti. Dicendo del Pontificato Romano la verità, tutta e sola la verità, essi ci porgono una splendida riprova storica di ciò che magistralmente scriveva Pio II, nella Bolla Vocavit nos del 16 ottobre 1458: “Fluctuat saepe numero Apostolica navis, sed non demergitur; concutitur, sed non frangitur; oppugnatur, sed non expugnatur. Tentari sinit Deus electos suos, vinci non sinit”». Ancora il 20 giugno 1929 Mikros (cioè il direttore, Ernesto Calligari) dedicava all’opera, sul giornale fiorentino ormai alla vigilia del tramonto, calorosi apprezzamenti ripresi da Per l’XI volume della Storia dei Papi del Pastor, in L’osservatore romano, 21 giugno 1929, p. 2 (Lasc. Pastor 64, nr. 40). Sul Calligari, direttore del giornale dall’autunno 1917, cfr. A. G. RONCALLI – GIOVANNI XXIII, Nelle mani di Dio a servizio dell’uomo. I diari di don Roncalli, 1905-1925, edizione critica e annotazione a cura di L. BUTTURINI, Bologna 2008 (Edizione nazionale dei diari di Angelo Giuseppe Roncalli – Giovanni XXIII, 2), p. 342 nt. 119. 43 G. LUPI, Margotti, Giacomo, in DBI, LXX, Roma 2008, pp. 176-180. 44 A. LUZIO, Due documenti mantovani sul conclave di Adriano VI, in Archivio della Società Romana di Storia Patria 29 (1906), pp. 379-396 (Lasc. Pastor 57, nr. 8; sul volume IV, tedesco). A proposito dell’opera di Pastor Luzio interverrà ripetutamente; cfr. Sisto V, in Corriere della sera, 2 novembre 1926 (Lasc. Pastor 63, nr. 40; sul volume X, tedesco); Sisto V, in La lettura (rivista mensile del Corriere della sera), an. 27, nr. 4, 1° aprile 1927, pp. 241-250 (Lasc. Pastor 63, nr. 3; sul volume X, tedesco, rinviando a una contemporanea nota, a firma anche di G. SELLA, su Sisto V e Carlo Emanuele I, in Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino 62 (1927), pp. 48-86; Lasc. Pastor 63, nr. 4; questo secondo articolo non è una recensione ma una ricerca che prende spunto dal X volume); Paolo V e la storia del Pastor, in Corriere della sera, 20 agosto 1927 (Lasc. Pastor 65, nr. 18; sul volume XII, tedesco); Ludwig von Pastor e la sua opera postuma, in Corriere della sera, 29 novembre 1928 (Lasc. Pastor 66, nr. 64; sul volume XIII, 1, tedesco); Fra Paolo Sarpi, in Rivista storica italiana 45 (1928), pp. 1-23, con un’«indebita esaltazione del Sarpi tentata, con uno zelo e una erudizione degna di miglior causa», alla quale risponderà A. MERCATI, Intorno a fra Paolo Sarpi, ne La civiltà cattolica 79 (1928), vol. II, quad. 1872, 16 giugno 1928, pp. 527-532 (Lasc. Pastor 64, nr. 17); Il processo di Galileo, in Corriere della sera, 3 maggio 1929 (Lasc. Pastor 66, nr. 67; sul volume XIII, 2, tede-
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Luzio riconosceva a Pastor «ampiezza di ricerche, vastità meravigliosa di erudizione, limpidezza narrativa attraentissima, imparzialità di giudizi»; e contrapponeva Lutero e il luteranesimo di Denifle alla Storia di Pastor: «Chi abbia letto p.e. il Lutero e Luteranesimo del compianto Denifle, e sia rimasto profondamente turbato dal vedere tanta dottrina, tanta acutezza e genialità critica oscurate da virulenza plebea, da intolleranza fanatica, non potrà che sentirsi maggiormente compreso di ammirazione e simpatia per il Pastor: a cui le convinzioni rigidamente cattoliche non tolgono né scemano punto la serenità e la pacatezza dello scienziato e del gentiluomo; e che perciò impone rispetto e riconoscenza per le sue grandi benemerenze verso la storia, anche a quanti dissentono da’ concetti cardinali della sua Geschichte». Una serenità e una pacatezza che si mostravano nella severità di giudizio sui «papi politici» del Rinascimento e su Leone X.
L’anno prima, sempre Luzio, pur formulando ampie riserve sull’inevitabile tendenziosità di un’opera di un autore cattolico dominato da concetti informatori assai controversi, riconosceva che Pastor era immune da intolleranza fanatica: «scrupoloso della verità, si astiene da ogni travisamento partigiano, né indulge mai a quelle abitudini di villana polemica, da cui non sanno liberarsi troppi altri sedicenti storici cattolici. Il Pastor si mantiene sempre scienziato e gentiluomo correttissimo», rivelandosi addirittura meno benevolo nei confronti di Leone X di «eminenti storici liberali», come Nitti e Masi45. «Alla Geschichte der Päpste del Pastor, opera insigne che onora l’erudizione tedesca, avevano spianato la via e quasi segnato la traccia il Reumont e il Gregorovius, alle cui orme s’attiene: ma non resta per ciò meno meravigliosa nel nuovo storico de’ Papi la vastità delle ricerche, né meno straordinaria l’abilità di composizione. Quei battaglioni (...) di documenti scovati in ogni dove, quei reggimenti di citazioni di quanto mai s’è pubblicato sull’argomento sono allineati e fatti manovrare dal Pastor con ordine e precisione tedesca. Né egli ci offre soltanto emporî inestimabili di materiale, ma presenta anche quadri storici completi in una esposizione limpida, attraente... ed anche imparziale, fin dove può esserlo uno scrittore rigidamente cattolico, la cui opera è dominata da concetti generali informatori, assai controversi. Ma pur facendo ampie riserve per l’inevitabile tendenziosità di questa storia dei Papi è doveroso riconoscere che il Pastor è affatto immune da intolleranza fanatica; scrupoloso della verità, si astiene da ogni travisamento partigiano, né indulge mai a quelle abitudini di villana polemica, da cui non sanno liberarsi troppi altri sedicenti storici cattolici. Il Pastor si mantiene sempre scienziato e gentiluomo correttissimo», e nutre sincere simpatie per l’Italia. Pastor era agli antipodi dallo «sperticato sco). Sulla figura dello storico (1857-1946), che fu archivista negli Archivi di Stato di Mantova e Torino, di cui fu anche direttore (1899-1918, 1918-1931), cfr. R. PERTICI, Luzio, Alessandro, in DBI, LXVI, Roma 2006, pp. 708-712; Repertorio del personale, I, cit., pp. 539-541. 45 A. LUZIO, Un nuovo storico di Leone X, in Corriere della sera, 14 ottobre 1906 (Lasc. Pastor 57, nr. 35; sul volume IV, 1, tedesco).
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panegirico di Leone X» intessuto dal Roscoe e a proposito del papa mediceo e della sua politica si rivelava perfino meno benevolo di «eminenti scrittori liberali», come Francesco Nitti ed Ernesto Masi. Per lui il pontificato fu «verhängnisvoll», nefasto. «Anche se molto migliori della lor fama, Papi epicurei, intriganti e nepotisti, col portare interessi mondani sul seggio di San Pietro, s’eran tolti la forza e l’autorità morale di fronteggiare i grandi movimenti delle coscienze, contro cui si può solo reagire con purezza di vita e di costumi, profonda sincerità di spirito religioso. Oggi il Papato, spoglio dell’infausta dote di Costantino, vede cresciuto il suo prestigio morale di quanto è diminuito lo splendore esterno: per pochi palmi di terra ceduti, si è rimesso in condizione di riprendere più sicuro dominio sulle anime sitibonde di fede».
Come già si è visto, nella valutazione dell’opera di Pastor sono ricorrenti i confronti con altri storici. L’accostamento è più frequentemente per contrapposizione che per analogia. Si oppose spesso, scontatamente, Pastor a Ranke e Gregorovius ma in alcuni casi vennero evocati anche altri nomi. Oltre agli autori già ricordati, confronti operarono, fra gli altri, Umberto Silvagni nel 191046 e nel 191447, Paolo Negri nel 192448, Paolo Pantaleo nel 46
U. SILVAGNI, Ludovico Pastor e la sua Storia dei Papi, in La nazione, 26 ottobre 1910 (Lasc. Pastor 70, nr. 99). Confronto con Grisar. 47 U. SILVAGNI, Una storia monumentale dei Papi, in Gazzetta di Venezia, s.d. [la data non si ricava dal ritaglio] (Lasc. Pastor 70, nr. 124). Silvagni mostrava la continuità fra le opere di Grisar, «che ha compiuto opera mirabile di critica e di analisi», e di Pastor. «Tutto ciò (scil. quanto dimostrato da Grisar, compreso «il riconoscimento della legge dell’evoluzione considerata e condannata finora come “empia dottrina”») non è novità per i cultori della Storia. Quel che Hartmann Grisar afferma e dimostra fu già detto e provato dalla scuola liberale storica, che fu tacciata di menzogna e di calunnia. È notevole, è importantissimo che il dotto gesuita tedesco lo dica e lo dimostri in modo inoppugnabile, che egli rivendichi così la lealtà e la verità dei nostri scrittori. (...) Il Pastor può invece continuare con plauso del Vaticano l’opera storica cominciata dal suo predecessore tedesco. Egli è più ortodosso del Gesuita nella parte religiosa; egualmente imparziale in quella politica». Dopo aver stigmatizzato la permanente inaccessibilità degli archivi del Sant’Uffizio («Se l’odierna Congregazione del Sant’Uffizio tiene ancora fermo al sistema, quasi universalmente abbandonato altrove, di tenere assolutamente segreti atti storici che sono vecchi più di tre secoli e mezzo, essa danneggia così non solo la Storia, ma ancor più se stessa perché come per lo addietro si continuerà da innumerevoli a ritenere vere tutte, anche le peggiori accuse contro l’istituto della romana Inquisizione»), Silvagni concludeva: «Ho dato così prove sufficienti dell’amore del vero e della imparzialità storica di Lodovico Pastor, le quali doti, insieme alla ricerca diligente e alla dottrina, formano il grande merito dello Storico dei papi moderni e dell’opera sua». Umberto Silvagni (1862-1941) fu giornalista, uomo politico, autore di fortunate e diffuse opere di carattere storico; segretario particolare (1894-1896) di Antonio di Rudinì, liberale di stampo conservatore, fautore del Risorgimento e di Roma capitale, nazionalista e poi fascista, sostenne la bonifica dell’agro pontino e le opere degli Italiani nel mondo; senatore dal 1939 (cfr. le notizie a lui relative nel sito del Senato della Repubblica); cfr. M. MISSIROLI – G. PREZZOLINI, Carteggio, 1906-1974, a cura di A. BOTTI, Roma 1992, p. 94 nt. 2. 48 P. NEGRI, «Pio IV» di L. Pastor, in Nuova rivista storica 8 (1924), pp. 535-544 (Lasc.
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192849, Gioacchino Volpe nel 192850, Michele Faloci Pulignani nel 193051 e Alessandro Cutolo nel 193452.
Nel 1906 Paolo Piccolomini notò, in margine al volume IV, 1, che il guelfo Pastor si dimostrava spesso più obiettivo del ghibellino Gregorovius53. Segnalate le indagini bibliografiche «larghe ed accurate», che permettevano di valutare il lavoro, da questo punto di vista, quasi perfetto, si notava una minore fortuna nella ricerca dell’inedito, anche se frutti non erano mancati. «L’A. non nasconPastor 60, nr. 3; sul volume VII, italiano). «Così è nata un’opera ricca, nutritissima, organica; che supera di assai, per serenità e larghezza di concezione, l’opera affine del Gregorovius su la Storia di Roma nel Medio Evo, e che è ormai indispensabile elemento di cultura ad ogni serio studioso. Non è dunque la solita storia aneddotica, apologetica, moralistica, tirata giù a tesi prestabilite; indigesta mole di documenti o accumulazione di dense e peregrine citazioni bibliografiche» (p. 536). 49 P. PANTALEO, La figura di Sisto V vista da Ludovico Pastor, in Il regime fascista, 12 aprile 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 29; sul volume X, italiano). Gregorovius e Ranke non avevano avuto accesso ai documenti esaminati da Pastor e quindi erano stati talvolta parziali nei giudizi. 50 G. VOLPE, Un grande Papa: Sisto V, in Corriere della sera, 23 giugno 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 49; sul volume X, italiano). «Il Pastor spesso corregge i suoi predecessori. Né mancano gli spunti polemici, specie contro il protestante Ranke. E tuttavia, l’opera del Pastor, che pure ci porta più innanzi nelle conoscenze, non fa dimenticare la mirabile Storia del Papato di Leopoldo Ranke, opera di scienza e opera d’arte. Tedeschi l’uno e l’altro. Quando un italiano si cimenterà nella stessa impresa?». 51 M. FALOCI PULIGNANI, La grande «Storia dei Papi» di Ludovico Pastor, in Augustea, 15 luglio 1930, pp. 399-401 (Lasc. Pastor 65, nr. 24); ripubblicato con lo stesso titolo, in Il lunedì dell’Unione (Cagliari), 28 luglio 1930 (Lasc. Pastor 65, nr. 16; i riferimenti, anche nelle note successive, sono alla ripresa del testo nel giornale). Pastor, nella linea di De Rossi e Grisar, spesso demoliva Gregorovius, senza nominarlo. Lui, non Gregorovius, avrebbe dovuto divenire cittadino onorario di Roma. 52 A. CUTOLO, L’ultima pietra, in Roma (Napoli), 5 maggio 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 119; sul volume XVI, 2-3, italiano). Confronto con Ranke e Gregorovius. Su Alessandro Cutolo (1899-1995), cfr. Repertorio del personale degli Archivi di Stato, II: (1919-1946), a cura di M. CASSETTI, U. FALCONE e M.T. PIANO MORTARI, con saggio storico di E. LODOLINI, Roma 2012, pp. 386-392. 53 P. PICCOLOMINI, in Archivio storico italiano, ser. V, 38 (1906), pp. 479-489 (Lasc. Pastor 57, nr. 20; sul volume IV, 1, tedesco). La recensione di Piccolomini al volume IV, 2, tedesco, è ibid., ser. V, 41 (1908), pp. 433-448. In essa si notava che «se nulla di essenzialmente sconosciuto, di straordinariamente importante emerge dal materiale inedito presentatoci dal Pastor, ne deriva un’analisi del periodo da lui studiato più compiuta e più interessante che finora non avessimo avuta; d’onde, un progresso innegabile pur nella sintesi ed un pascolo gradito non soltanto per gli scienziati, ma ancora per le menti culte e di buon gusto in generale» (p. 435). Ma ibid., per una valutazione su Adriano VI vs. i popoli romanzi, anche un rimprovero a Pastor per il suo chauvinisme, non raro in Germania né altrove «ma che uno storico come l’A. non dovrebbe assolutamente concedersi mai». Nel complesso però, accanto a qualche giudizio non condivisibile e a qualche incompiutezza, si lodava «una narrazione storica nell’assieme veramente degna di questo nome, cioè ben fondata, diligente e ricca di pregevoli notizie» (pp. 447-448).
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de il sentimento che lo inspira. La sua storia di Leone X è l’opera di un credente; egli, in certo modo, manifesta la propria fede già nella dedica del libro, intitolato ad un principe caldissimo per la religione de’ suoi padri, l’arciduca Francesco Ferdinando di Austria-Este. Ma le opinioni del cristiano, del cattolico fervente non forzano la mano allo storico coscienzioso; questo guelfo si mantiene, in fondo, più obiettivo del ghibellino Gregorovius, al quale è certo inferiore dal lato della forma letteraria. Tuttavia se, come stilista, il Nostro è alquanto compassato e disadorno, merita ogni elogio per l’ordine e per la chiarezza dell’esposizione» (p. 481). Di fronte al giudizio durissimo su Leone X come pontefice, Piccolomini riteneva che si sarebbe dovuto concedere qualche circostanza attenuante (era il corpo a essere largamente infetto). Ma nel ritratto di Leone X, secondo Piccolomini, Pastor coglieva nel segno. Si esprimeva consenso anche sulla valutazione di fondo: fu un papato fatale per la Chiesa54. La depravazione morale fu più grave sotto Alessandro VI ma la fine mondanità di Leone X fu più pericolosa. «Narrando la storia di Leone X, il Pastor si è mantenuto fedele alla sua nobile divisa. Vitam impendere vero; auguro al suo libro di essere letto come è stato scritto: onestamente. Questo è il mio giudizio complessivo; le obiezioni che ho dovuto muovere riguardo a qualche particolare dell’opera non possono modificarlo» (p. 489).
Nel 1922 Diego Angeli sottolineò che, «austriaco e cattolico», Pastor giudicava il papato senza le passioni polemiche degli anni che vanno «dai chassepots di Mentana alle cannonate del generale Cadorna. Il tempo e le mutate condizioni degli uomini hanno fatto dimenticare molte cose e la polemica appassionata dei partiti ha lasciato il posto all’esame sereno degli storici»55. «Opera monumentale (...) e definitiva», opera di sintesi, di fronte alla quale non si poteva non esprimere il rammarico che non sia stata scritta da un italiano. Pastor, cattolico e laico, «aveva cioè la mentalità religiosa di comprendere la grandezza del papato e la libertà di giudicarne gli atti all’infuori di ogni restrizione sacerdotale». Pastor non aveva i pregiudizi protestanti di Gregorovius, «che nella grande lotta del papato contro l’Impero non vedeva altro se non una ribellione allo spirito dominatore della sua razza e una influenza della corruzione latina contro l’azione purificatrice della razza germanica», e Ranke, «il quale, pur riconoscendo 54 Recensendo il volume IV, 1, italiano, I., Il Pontificato di Leone X narrato dal prof. Pastor, in L’osservatore romano, 23 maggio 1908, pp. 1-2 (Lasc. Pastor 57, nr. 33), prendeva atto del giudizio di Pastor sulla fatalità del pontificato del papa mediceo per la Chiesa ma, segnalata la vita privata irreprensibile di Leone X, non prendeva posizione né per approvare né per dissentire; e diplomaticamente concludeva: «Il moltissimo bene che si è scritto attraverso le apologie o le critiche di Leone X, e il moltissimo male, testimoniano in ogni modo che non fu uomo comune». 55 D. ANGELI, La storia dei Papi, in Il giornale d’Italia, 10 febbraio 1922, p. 3 (Lasc. Pastor 59, nr. 24; sul volume VI, italiano). Su Diego Angeli (1869-1937), D. VENERUSO, Angeli, Diego (pseud. Dieli), in DBI, III, Roma 1961, pp. 195-196; V. ORAZI, Al tempo di «Roma sentimentale». Ricordo di Diego Angeli: 1869-1969, in Strenna dei Romanisti 30 (1969), pp. 307-311.
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che cinquant’anni dopo la Riforma la Chiesa cattolica aveva saputo riguadagnare tutto il suo prestigio nel mondo, non poteva esimersi dal manifestare il suo mal celato rammarico per questa grande vittoria». «Austriaco e cattolico», poteva studiare i documenti dell’Archivio Vaticano, e, «nel continuo contatto della Curia, l’illustre ambasciatore della repubblica austriaca si era fatto uno spirito romano tale da permettergli di giudicare le azioni dei pontefici con quella chiarezza che agli altri era mancata». Seguiva un’osservazione particolarmente interessante: «i tempi sono cambiati e (...) oggi — a mezzo secolo dalle lotte politiche determinanti la caduta del potere temporale — un giudizio più sereno e più imparziale era ben maggiormente facile. Nessuno oggi può giudicare il Papato con gli stessi criterii coi quali doveva necessariamente giudicarlo uno storico, coinvolto da quelle passioni politiche che ardevano gli animi di quelli anni che vanno dai chassepots di Mentana alle cannonate del generale Cadorna. Il tempo e le mutate condizioni degli uomini hanno fatto dimenticare molte cose e la polemica appassionata dei partiti ha lasciato il posto all’esame sereno degli storici». Il volume di Pastor era dunque «di straordinario interesse e di straordinaria importanza».
Lodi e apprezzamenti accompagnarono comunque l’opera durante tutto l’arco della pubblicazione, nella versione originale e in quella italiana. Eccone alcuni esempi, in anni differenti e da parti diverse: Il Giornale storico della letteratura italiana, nel 1890: «L’opera del Pastor è condotta con spirito ed intendimenti strettamente cattolici; ma s’ingannerebbe chi credesse che la partigianeria avesse condotto questo scrittore, come avvenne a tanti altri, a forzare o alterare o nascondere i fatti. Il P. è troppo valente e coscienzioso storico per far questo. Si potrà non accordarsi con i suoi apprezzamenti, ma bisogna riconoscere che egli maneggia il suo materiale con la massima onestà ed abilità, e che è riuscito a poter disporre di una quantità di documenti così enorme, quale nessun altro storico aveva avuto opportunità di vedere. (...) Nella sua considerazione storica, l’A. non si ferma grettamente alla storia politica (ciò che sarebbe fallo imperdonabile trattando del rinascimento), ma abbraccia anche la storia artistica e letteraria, mostrandosi accuratamente informato di tutto, e portando più di una volta notizie nuove anche in questi campi per lui laterali. Si tratta insomma d’un’opera che nessun studioso del rinascimento potrà d’ora innanzi esimersi dal consultare»56. Lo stesso periodico, nel 1895: «La scrupolosità d’erudito con cui il P. procede in questa sua opera è veramente ammiranda. (...) Per quanto tendenzioso possa essere lo spirito del libro, noi non cesseremo di raccomandarlo vivamente, perché è condotto con onestà, con metodo rigorosamente scientifico, e con informazione meravigliosa»57. 56
Giornale storico della letteratura italiana 15 (1890), pp. 466-467 (sul volume I, italiano). Ibid. 25 (1895), pp. 179-180 (sulla seconda edizione del volume II, tedesco). Altre brevi segnalazioni anonime ibid. 17 (1891), p. 455 (sul volume II, italiano); 18 (1891), p. 454 (sulla seconda edizione del volume I, tedesco). 57
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La stampa, nel 190958: in occasione della ristampa del volume I dell’edizione italiana, si sottolineava «l’iniziativa liberale del Vaticano». L’opera conteneva giudizi documentati molto duri, «veramente acerbi», su alcuni pontefici, con valutazioni crude sul periodo avignonese. Eppure Pio X aveva incoraggiato l’opera, dimostrando di non temere che fosse fatta luce «sulle vicende di quel grande edificio spirituale che è il papato»59. Implicitamente, col permesso da lui accordato, Pio X condannava «certi sistemi di governo dei suoi predecessori». Il papato appariva immobile e immutabile per ciò che riguardava la costituzione dei suoi fondamentali principi spirituali, ma non per questo sosteneva incondizionatamente gli atti dei suoi supremi rappresentanti. «È un atto di opportunità accortissimo questo del Pontefice che mette fine d’un tratto a certe campagne unilaterali, le quali tendono a gettare ogni istante e sotto ogni pretesto, sulla cattedra di San Pietro, il manto sanguigno di Alessandro VI e il capestro di Torquemada». Umberto Silvagni, nel 191060: dopo essersi soffermato sull’assenza in Italia di una coscienza storica e quindi di una coscienza nazionale e sui motivi di tale assenza, l’autore presentava le opere di Grisar e di Pastor. Quella del «prussiano di nascita e austriaco di adozione, fervente cattolico e papista», era davvero, come aveva affermato l’autore, «“definitiva, per quanto ciò può dirsi della storia”; definitiva, cioè, rispetto ai fatti, i soli pei quali uno storico onesto può e deve essere imparziale». Certo vi erano nelle valutazioni diversità di assunti preliminari: «Rispetto ai giudizi è chiaro, logico, necessario, che essi debbano essere differenti, anzi diversi, a seconda delle persone che scrivono di storia e dello spirito onde sono guidate. L’amatore ardente di libertà e colui che l’odia, il fervido credente e il materialista, il figlio devoto della chiesa cattolica e il partigiano zelante di quella calvinista o presbiteriana, dovranno necessariamente giudicare in modo opposto la storia del Papato e i singoli pontefici, e trarranno, quindi, talvolta, da un medesimo documento conseguenze differenti. Ma se tutti costoro saranno onesti, cioè coscienziosi, essi nel trovarsi agli antipodi nel giudicare il Papato religioso, potranno avvicinarsi di molto nel giudicare il Papato politico. Perciò noi, oggi, possiamo avere finalmente una storia dei Papi esatta, precisa, vera: storia politica s’intende, la quale, del resto, rappresenta le tre quarte parti della Storia del Pontificato, come i dotti volumi 58 La storia dei Papi di Lodovico Pastor (Dal nostro corrispondente del Vaticano), in La stampa, 21 dicembre 1909 (Lasc. Pastor 70, nr. 42). 59 A Pio X è dedicato il volume II, cfr. L. von PASTOR, Storia dei papi (...), II, Roma 1911, p. III. 60 SILVAGNI, Ludovico Pastor e la sua Storia dei Papi cit. Di Silvagni cfr. anche Una storia monumentale dei Papi cit., con apprezzamenti significativi perché provenienti da parte laica e liberale: «L’opera davvero monumentale di Lodovico Pastor (...) è, rispetto ai fatti e ai documenti, (...) definitiva ed esauriente. (...). Sarà (...) difficile che i fatti narrati nell’opera del Pastor possano essere modificati o anche soltanto accresciuti di numero. Il Pastor, nella raccolta dei documenti, non ha omesso nulla di quel che hanno scritto gli avversari religiosi e politici della Chiesa. Egli dice la verità sulle persone dei papi e sull’opera loro; nulla nasconde, non tace neppure. (...) Lodovico Pastor, prussiano di nascita, austriaco per adozione, per le cattedre e gli uffici, clericale di sentimenti, nulla nasconde dei difetti, dei vizi, delle colpe dei papi e ancor meno cerca di far credere che il tempo del potere teocratico fosse quello del rispetto e della devozione verso il papato, della tranquillità e della felicità dei papi».
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del Pastor dimostrano e comprovano. La lunga durata dell’unione del pastorale con la spada fece preponderare troppo questa su quello, com’era ineluttabile che avvenisse. Ora appunto nel giudicare gli effetti delle due potestà, riunite per tanti secoli nel pontefice romano, deve accadere una netta divisione negli storici. Ma oggi che la sola retorica non è stimata più sufficiente da alcuno per iscrivere la storia e per risolvere, con gli impeti lirici o tragici, e con gli apriorismi, le questioni politiche, oggi che l’esercizio della libertà ha insegnato a tutti quante concessioni, quanti palleggiamenti e quanta astuta mutevolezza siano necessari per governare senza incorrere nell’accusa di tirannide e senza farsi sbalzare di seggio, oggi necessariamente gli storici coscienziosi di qualsiasi fede religiosa e politica debbono distinguere nettamente lo spirituale dal temporale nel giudicare di Pontificato e i pontefici. E se ai credenti sembrerà ognora divina l’opera dei successori di San Pietro, e sempre guidato dallo spirito del Vangelo lo svolgimento del Cattolicesimo, e agli acattolici, ai materialisti e ai miscredenti parrà che lo spirito evangelico sia andato smarrito o rinnegato per parecchi secoli, a tutti gli storici, comunque pensino così di religione come di politica, deve apparir chiaro, oggi, che il Papato politico fu... quello che doveva essere. Cioè esso non fu né migliore né peggiore degli altri reggimenti d’Italia e di Europa: non fu più colpevole delle nostre secolari divisioni e del servaggio straniero di quel che lo fossero le signorie di Milano, la Repubblica veneta, quella genovese e tutti gli Italiani: non fu, come governo, né più umano né più feroce di quel che fossero le monarchie, le repubbliche e le tirannidi minori dei medesimi tempi, ed ebbe, rispetto alle Lettere, alle Arti e alla Civiltà, parecchie benemerenze grandi e indubitabili». Se vi potevano essere diversità nel giudicare il papato religioso, sarebbe dunque stato possibile avvicinare le differenti prospettive nel giudizio del papato politico. Questa storia politica del papato era stata scritta da Pastor ed «è davvero la storia migliore del Papato nei tempi moderni. Noi liberali non possiamo pretendere che il Pastor condanni il potere temporale e ancor meno che ripeta le dicerie di scrittori anche insigni sui singoli pontefici: a noi basta che l’Autore, attingendo in una immensa miniera di documenti, ne usi in modo imparziale, e ch’egli riconosca francamente le debolezze e le colpe degli uomini». Pastor condannava e biasimava nepotismo, distruzione di monumenti antichi, insensibilità agli aspetti religiosi. Di questo i liberali dovevano essere paghi, senza «esigere ch’egli giudichi il Papato e i papi con criteri di uno storico liberale e ancor meno con quelli d’un materialista. Perciò non esito a dire che l’opera del Pastor è davvero magistrale e forma un modello di storia dei papi difficilmente superabile». In conclusione venivano formulati alcuni lievi appunti di merito, in particolare a proposito di Stefano Porcari e di alcune omissioni nella ricostruzione di Pastor. La Nuova antologia, nel 191161: tutta la storiografia sui papi era gravata dalla mancanza di serenità di giudizio, fra esaltazioni o condanne, originate da pregiudizi antireligiosi o apologetici. Era impossibile riassumere un’opera simile ma si poteva ben dire che essa era «inspirata al più alto concetto di onestà scientifica». L’autore era guidato «da un profondo senso storico». L’imparzialità di Pastor si 61
NEMI, Tra libri e riviste. «La storia dei Papi» di L. Pastor, in Nuova antologia, ser. V, novembre-dicembre 1911 [vol. 156, della raccolta 240], pp. 155-170 (Lasc. Pastor 70, nr. 23): 166-168.
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rivelava maggiormente nel primo e nel quarto volume. Si ripercorrevano quindi i giudizi su Alessandro VI, Leone X, Giulio II; si concludeva che l’«opera eminentemente sincera» era «uno dei più solidi contributi alla storiografia dei papi». Giuseppe Faraoni, nel 191262: «Ludovico Pastor è uno dei pochi storici moderni che abbiano esposto l’opera dei papi conservandone la grandezza e la solennità e nello stesso tempo, seguendo, con libertà di animo schietto e obiettivo e col rigore del metodo scientifico storico, la verità quale apparisce al sincero investigatore e interrogatore delle testimonianze». Pastor era il migliore interprete della lezione di Leone XIII nel campo degli studi storici, «che la verità è la migliore apologia della verità, vale a dire, che la conoscenza completa ed esatta degli avvenimenti non oscura, avvilisce, dinanzi agli occhi di chi ben vede e considera (dei miopi e dei pusilli non può tenersi conto), la verità, la grandezza del cristianesimo e della Chiesa, ma li dà più risalti sullo sfondo delle stesse misere vicende umane. Papi fallibili, deboli, fragili e persino indegni per quanto riguarda la loro vita privata o la parte disciplinare, politica, amministrativa della loro attività pubblica, son papi, certo, che stonano rispetto all’ideale che, cristiani amanti della nostra Chiesa, noi vorremmo sempre realizzato nei successori di S. Pietro; ma anche questa stonatura è un male, da cui mirabilmente il grande Dominatore della storia umana sa trarre un gran bene. Le colpe di papi e di altri ministri indegni della Chiesa sono il fuoco che esperimenta e dimostra l’incorruttibilità di una fede e di un’istituzione divina: del cristianesimo, della Chiesa Cattolica». L’oggettività di Pastor lo induceva a biasimare e condannare alcune azioni dei papi ma ancora di più lo induceva a lodarne ed elogiarne altre. «L’opera del celebre storico tedesco, per quanto perfettibile, come lo è facilmente ogni lavoro di questo genere, è un esempio mirabile di vera arte storica, uno dei mezzi più preziosi per approfondire una dell’età più turbinose e critiche, nel pensiero e nell’azione, della Chiesa cattolica, e, a chi ben sa leggerla, una densa miniera di valori apologetici». La Rivista storica italiana, nel 191363, riprendeva il giudizio del protestante Friedensburg, a proposito del quinto volume e segnalava la conoscenza della letteratura, che non ignorava il minimo particolare; «e, se non la piena oggettività, appare però l’evidente studio d’essere giusto anche rispetto agli avversari, di apprezzare i loro motivi, di comprendere i loro modi di agire, mentre su quelle parti che godono le simpatie dell’autore, le larghe e profonde ombre non vengono assolutamente spazzate via». Giovanni Battista Mondada, nel 191464: «Fra gli storici cattolici contemporanei il dottor Lodovico Pastor tiene indubbiamente il primissimo posto: non si erre62 G. FARAONI, La verità storica che insegna. A proposito della Storia dei Papi di L. Pastor, in La settimana sociale (Firenze), 2 marzo 1912 (Lasc. Pastor 70, nr. 100). Giuseppe Faraoni (1888-1933), prete in Badia a Ripoli, poi canonico del Duomo di Firenze; fu direttore del settimanale La bandiera del popolo e assistente del circolo universitario cattolico, fr. D. GIULIOTTI – G. PAPINI, Carteggio, I: 1913-1927, a cura di N. VIAN, Roma 1984, p. 109 nt. 1; G. DE LUCA – F. MINELLI, Carteggio, II: 1935-1939, a cura di M. RONCALLI, Roma 2000, p. 239 nt. 3. 63 R. S., in Rivista storica italiana 31 (1914), pp. 179-180 (Lasc. Pastor 59, nr. 30; sul volume VI, tedesco). 64 G. B. MONDADA, Una gloria della scienza e della fede. Il dott. Lodovico Pastor, in Corriere d’Italia, 5 febbraio 1914 (Lasc. Pastor 70, nr. 93).
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rebbe anzi assegnandogli senz’altro il primo assolutamente fra gli storici senza distinzione di colore religioso o politico. Egli è una gloria della Chiesa ed una gloria della scienza». L’Archivio della Società Romana di Storia Patria, nel 192065: «la vastità singolare delle ricerche erudite, l’ordine e la diligenza esemplari, la rigida coscienziosità», già notati nei precedenti volumi, venivano confermati nei volumi VII-VIII, prova della «infaticabile fibra dell’insigne studioso». Ancora la Rivista storica italiana, nel 192066, fra le diverse caratteristiche notava che «lo spirito informatore dell’opera, per quanto ortodosso, non assume intonazione apologetica, cercando l’obiettività risultante dai documenti» (p. 219). L’osservatore romano, nel 192167: «I pregi della “Storia dei Papi” sono talmente noti ed ammessi anche dalla più rigorosa critica e dagli avversari protestanti, che ci si può dispensare dal fare speciali lodi di questo volume, veramente degno dei precedenti. Anche qui troviamo il continuo uso di copiosa e ben scelta letteratura, la padronanza della materia, l’accuratezza nella compilazione, l’arte della presentazione, l’esatto ed imparziale giudizio. Notasi poi l’abbondanza di documenti inediti».
65
G. Z. [= G. ZUCCHETTI], in Archivio della Società Romana di Storia patria 43 (1920), pp. 440-442 (Lasc. Pastor 60, nr. 22; breve segnalazione sui volumi VII-VIII, tedeschi). Un’ampia segnalazione dell’opera (per il volume II, tedesco) nell’Archivio fu dovuta a Francesco Nitti, Archivio della Società Romana di Storia Patria 15 (1892), pp. 522-537, con alcuni accenti critici: «Il modo indulgentemente ambiguo, col quale (...) il Pastor giudica Sisto IV ci offre la prova più caratteristica dei varii difetti, che turbano talvolta (...) la sua obiettività. Se, qui ed altrove, il giudizio suo fosse stato determinato da una giusta valutazione dei risultati della sua propria analisi, noi crediamo che esso sarebbe stato notevolmente diverso da quello dato. Ma nella bontà e larghezza dell’indagine il libro porta da se stesso spesso il rimedio al parziale difetto di criterio e di forza sintetica. L’Autore è ancora al principio della lunga ed aspra via, per la quale s’è incamminato. Il nostro sincero augurio è: che l’opera sua, già ora per molti rispetti pregevole, possa raggiungere, nei volumi che verranno, un grado di serenità di discussione e di obbiettività di giudizi, che corrisponda alla grandezza del soggetto della sua storia» (l’«acuta recensione» di Nitti fu segnalata nel 1905 da Benedetto Croce: in essa, «criticando lo storico tedesco e cattolico, [Nitti] delinea in modo magistrale le figure di Pio II, Paolo II e Sisto IV», cfr. B. CROCE, Francesco Nitti, in F. NITTI, Machiavelli nella vita e nelle dottrine, a cura di S. PALMIERI e G. SASSO, I, Bologna 1991 [Istituto Italiano per gli Studi Storici. Ristampe anastatiche, 1], pp. IX-XII: XII). In seguito la Storia dei papi fu recensita nell’Archivio da Pio Paschini, in linea di massima con apprezzamenti: Archivio della Società Romana di Storia Patria 50 (1927), pp. 405-416 (sul volume XII, tedesco); 51 (1928), pp. 358365 (sul volume XIII, tedesco); 53-55 (1930-1932), pp. 413-419 (sul volume XV, tedesco); 61 (1938), pp. 293-300 (sul volume XVI, 1-3, tedesco). In sede di bilancio, nell’ultima recensione, Paschini notò che nell’«opera di mole imponente» «la parte migliore è indubbiamente quella che tratta il periodo del Rinascimento» (ibid., p. 300). 66 R. S. in Rivista storica italiana 38 (1921), pp. 219-221 (Lasc. Pastor 60, nr. 10; sui volumi VII-VIII, tedeschi). 67 La Storia dei Papi di L. Pastor. Il Pontificato di Pio V, L’osservatore romano, 27 gennaio 1921, p. 2 (Lasc. Pastor 61, nr. 14; sul volume VIII, tedesco).
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D. C. Bordoni, nel 192268: «Il prof. von Pastor è stato l’uomo adatto, lo storico imparziale ed oggettivo che si richiedeva, e l’opera sua ha riscosso e riscuote il plauso di tutti i dotti, perché ha elaborato una storia documentata e non un’apologia dei Papi (...). Egli è andato innanzi senza preconcetti frugando per tutti gli archivi e attingendo copia immensa di preziosi documenti nell’Archivio segreto del Vaticano aperto agli studiosi da Leone XIII. È andato innanzi senza badare agli uomini stessi della Chiesa, sapendo distinguere ciò che è e può esser l’uomo e ciò che è l’istituzione; sicuro che se i difetti degli uomini possono, per un momento, offuscare l’Istituto che rappresentano, non possono però comprometterne la natura o l’essenza che non può venir meno. Il fatto d’esser cattolico non solo non ha recato nocumento alle ricerche e alle conclusioni dello storico, ma gli ha giovato, perché se gli storici anticattolici giudicano col preconcetto che la Chiesa sia quello che sono gli uomini che la dirigono, il Pastor distingue gli uomini dal Ministero, i maestri dalla dottrina, le azioni delle persone dalla incorruttibilità del Vangelo, di cui sono come le guardie pretoriane... (...). Pur sempre con storica parsimonia, il Pastor non tace rimproveri e non lesina lodi, e così fa vedere quali furono l’opera, l’influenza, la condotta del Papato durante il movimentato periodo del “Rinascimento”, rendendo visibile a chi vuole vederlo quel filo conduttore, quella energia intima, per cui il Papato non poté soccombere, e riuscì vittorioso. Ed un pregio, tra gli altri, va notato nell’opera del Pastor: a differenza di tante altre opere storiche, che riescono noiose e pesanti, la Storia dei Papi dalla fine del medio evo si legge tutta d’un fiato (...) perché, come ebbe ad esprimersi quel chiaro intelletto del card. Parocchi, “la storia del Pastor è piacevole e scorrevole come un romanzo, mentre è un lavoro profondamente storico, scientificamente inoppugnabile”»69. Giuseppe Petrocchi, nel 192270: «La visione storica sorge dal dato, o da una serie di dati diligentemente raccolti e criticamente sceverati, o il colorito del fatto individuale e del quadro d’insieme, purtuttavia, sobrio e pacato, sorge dalla stessa essenza, dalla stessa significazione intima del dato e dell’avvenimento». «Insomma Ludovico Pastor, tra gli storici contemporanei, è uno di quelli che sanno più leggere nel documento, è uno di quelli che più squisitamente hanno il senso dei tempi. Questa sua ultima opera ne è una conferma esemplare». 68 D. C. BORDONI, I Papi del «Rinascimento», forse ne L’osservatore romano, sicuramente nel 1922 (Lasc. Pastor 70, nr. 46; sul VI volume, italiano). 69 Lucido Maria Parocchi (1833-1903) fu arcivescovo di Bologna e cardinale (dal 1877); dal 1884 vicario per la città di Roma; componente della Commissione cardinalizia per gli Studi Storici fondata da Leone XIII, si rivelò di vedute illuminate, cfr. B. WACHÉ, Monseigneur Louis Duchesne (1843-1922), historien de l’Église, directeur de l’École française de Rome, Rome 1992 (Collection de l’École française de Rome, 167), pp. 502, 506-507, 539; P. VIAN, Giuseppe Toniolo e la Società Cattolica Italiana per gli Studi Storici. I rapporti con gli eruditi ambrosiani e vaticani (Ehrle, Mercati, Ratti: 1897-1900), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIX, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 474), pp. 569-637: 594 nt. 99. Cfr. anche PASTOR, Tagebücher cit., pp. 251, 313, 332, 367, 375, 400, 419. 70 G. PETROCCHI, Il VI volume della Storia dei Papi di Ludovico Pastor, in Corriere d’Italia, 8 gennaio 1922 (Lasc. Pastor 59, nr. 15; sul volume VI, italiano). Su un aspetto particolare del volume, cfr. C. LAZZERI, Giulio III in Ludovico Pastor, in Atti e memorie della R. Accademia Petrarca di lettere arti e scienze, n.s., 10 (1931), pp. 41-51.
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Paolo Negri, nel 192471, in realtà anche con qualche osservazione critica: Pastor non si perdeva mai nel troppo e nel vano perché «una viva, vigile e costante preoccupazione spirituale tende a penetrare e ad animare il documento, a conferirgli (...) luce e vita, e a contenerlo nei suoi limiti d’importanza e di significato. Talora questo pregio può apparire, o è realmente, un difetto. Sotto la narrazione precisa, esatta, documentata di questo dotto tedesco, noi sentiamo un inespresso potente conflitto d’anime. Altra volta la rigidità dello schema sembra impoverire la molteplicità e la ricchezza delle psicologie in contrasto, o conduce a ripetizioni e a frequenti richiami; accanto a superbe riproduzioni d’arte e di vita, che si sprigionano da’ raffronti, uscenti dalla solita nostra visione nazionale per comporsi nella complessa concordia discors della storia europea, ci sorprendono a disagio certe incomprensioni dell’anima latina che vigoreggia e fiorisce nel papato universale. Le stesse limitazioni che l’A. si è a ragione imposte, per l’economia dell’opera divisa in pontificati, ci appaiono come angustianti strettoie; e ameremmo allora veder la narrazione scuotere quei vincoli innaturali e abbandonarsi al logico svolgimento del racconto. Tanto più questo nostro desiderio ci preme, in quanto, col passare degli anni, il nostro concetto di storia e storiografia si è allargato e approfondito. Si aggiunga che, avvicinandosi il racconto all’età più propriamente nostra, e intensificandosi la complessità e la molteplicità dei problemi e, in conseguenza, del materiale informativo, l’A. può essere tratto ad alleggerire la sua opera, pur di portarla a compimento. Non si tratta che di fugaci impressioni, come verremo mostrando; pur augurandoci che l’esposizione dei successivi volumi chiarisca vani i nostri dubbi» (p. 537). Angelo Novelli, nel 192472: «la più luminosa e salda apologia del Papato contro le calunnie o le malignità di storici ostili alla Chiesa», fornita di un apparato critico che impressionava; si era quasi increduli che un uomo solo potesse raccogliere, vagliare, coordinare tanti documenti in una «narrazione minuta sì, informatissima su ogni particolare d’una certa importanza, eppure limpida e spigliata, colorita tanto da potersi paragonare ad una delle squisite pitture fiamminghe, dove la preziosità degli infiniti particolari armonizzano stupendamente nell’assieme». Renato La Valle, nel 192573: Pastor, «pur non avendo pregiudiziali apologetiche, ha concepito la sua grandiosa ricostruzione con non nascosta deferenza di cattolico. Senonché la severa obiettività di metodo con cui ha esaminati, vagliati e controllati i documenti messi a sua disposizione danno al suo lavoro un’autorità, che la sua qualità di cattolico e la sua deferenza all’Istituto, quasi due volte millenario del quale ricostruisce la storia e i fasti, non riescono ad infirmare». Il giornale d’Italia, nel 192574: l’opera del Pastor era considerata la «storia universale della cultura religiosa e civile del mondo, durante il periodo di uno o di un 71
NEGRI, «Pio IV» di L. Pastor cit. A. NOVELLI, Un riformatore, in Pro familia. Rivista settimanale illustrata (Milano), 25, nr. 32, 10 agosto 1924 (Lasc. Pastor 61, nr. 18; sul volume VIII, italiano). 73 R. LA VALLE, La storia dei Papi e il Calendario di Gregorio XIII, in La patria degli Italiani, 13 dicembre 1925 (Lasc. Pastor 62, nr. 21; sul volume IX, italiano). 74 U. B., Gregorio XIII, in Il giornale d’Italia, 27 novembre 1925, p. 5 (Lasc. Pastor 62, nr. 20; sul volume IX, italiano). 72
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altro pontificato». «E sorprende la erudizione farraginosa, ma ordinata e saggia, che questo ricercatore sapiente sottopone all’apprezzamento del lettore, il quale non ha dinanzi a sé un’arida storia, ma una vera enciclopedia distribuita in centinaia di dissertazioni eruditissime». Si segnalavano in modo particolare il metodo insuperato e insuperabile di raccontare la storia e la vastità della materia trattata: «la storia dei papi è la storia della civiltà, è la storia del mondo». Si trattava di volumi che potevano soddisfare i devoti, i dotti, i giovani studiosi, soprattutto nei seminari. Pastor «è uno studioso credente, ma a lui il lume della fede non fa arrestare le indagini, non suggerisce pietosi silenzi, non indulgenze ingiustificate. Fra mille inciampi egli procede maestoso, sicuro: rende alla Chiesa un vero servigio, rende alla storia, alla critica, l’ossequio dovuto». Alessandro Luzio, nel 192675: «l’immenso materiale si disnoda in armonica narrazione, mirabile per lucidezza, obbiettività, documentazione». Luigi Carcereri, nel 192776: per quanto riguarda il lato religioso e morale, il lavoro di Pastor era ritenuto esauriente, mentre non altrettanto si poteva affermare della trattazione del lato politico. Ma il giudizio sul Pastor era decisamente positivo: «rispettoso sempre della sua fede, non tradisce mai la veridicità dello storico e (...) delle cose narrate adduce immancabilmente i documenti e le prove, per modo che ogni lettore può formarsi un giudizio suo proprio» (p. 55). Francesco Aquilanti, nel 192877: presentando il volume X, su Sisto V, «anello nella catena aurea dei volumi del Pastor», notava che la Chiesa non era avversa alla scienza quando fosse vera scienza, degna di questo nome. «Fa piacere leggere un lavoro storico nel quale le considerazioni filosofiche ed ideali non si sovrappongono ai fatti dal di fuori o addirittura li sostituiscano, ma ne sono quasi il commento e l’anima interiore. Troppe volte oggi si pone la retorica al luogo della storia e le divagazioni al posto dei fatti». Aquilanti aveva conosciuto Pastor a Tuscania, in occasione di una conferenza che Aquilanti aveva tenuto sul card. Consalvi. Invitato a prendere la parola, Pastor aveva ricusato e Aquilanti commentò: «Contrappongo la nostra facilità oratoria, talvolta così vana e prolissa, al pudore della parola degli scienziati veri». Anche Aquilanti, come vedremo molti altri, in sede di bilancio, notava che «qualità di energia, di decisione, di volontà (scil. di Sisto V), (...) lo fanno quasi per certi aspetti comparire un nostro contemporaneo». Giulio Castelli, nel 192878: le pagine del Pastor, «semplici e chiare, che hanno ora lo stile del fedele diarista, ora i colori smaglianti di Tucidide e di Sallustio». Paolo Pantaleo, nel 192879: «Ludovico Pastor — pur essendo credente e cattolico praticante — ha saputo mantenersi anche in questa biografia, come nelle altre 75
A. LUZIO, Sisto V, in Corriere della sera, 2 novembre 1926 (Lasc. Pastor 63, nr. 40; sul volume X, tedesco). 76 L. CARCERERI, in Rivista storica italiana 44 (1927), pp. 52-55 (Lasc. Pastor 62, nr. 12; sul volume IX, tedesco, e sulla sua traduzione italiana). 77 F. AQUILANTI, Sisto V il Grande, in L’avvenire d’Italia, 21 febbraio 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 37, sul volume X, italiano). 78 G. CASTELLI, Sisto V «l’eroe del papato rinnovato», in Il mattino, 4-5 marzo 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 20; sul volume X, italiano). 79 PANTALEO, La figura di Sisto V vista da Ludovico Pastor cit.
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di precedenti pontefici, storico leale, onesto ed oggettivo»; «lo scrittore con animo tranquillo può ben attendere il giudizio della critica, che non potrà non essere imparziale, appunto perché constata che la fede non ha fatto velo al credente e non ha impedito al pensiero dello storico di essere onestamente libero e oggettivo». L’Italia, nel 192880: a proposito del volume X, su Sisto V, notava che la trattazione era condotta «con quella imparzialità che gli (scil. a Pastor) è propria e che gli fa rilevare anche le ombre e le penombre che sono pure nel quadro più luminoso»; «col consueto, geloso amore della verità». Michele Faloci Pulignani, nel 193081: «i suoi (scil. di Pastor) dodici volumi della versione italiana, datici dalla Casa Desclée, sono forse il monumento storico più grandioso che sia stato innalzato mai dalla scienza. a tempo nostro, in prestigio della Chiesa di Roma, che è la Chiesa di Cristo». Luigi Bellotti, nel 193482: «[Pastor] Nulla ha nascosto. Con freddo e analitico metodo scientifico elenca ed illustra pregi e difetti di tutti con una inesorabile imparzialità. E quando si dice tutti, si parla di uomini come un Alessandro VI, un Leone X, un Clemente VII, un Savonarola, ecc. ecc.; si parla di Rinascimento paganeggiante, di Inquisizione, di Riforma e di Controriforma. Ma attraverso a questi fatti, a queste grandiose epoche della storia, malgrado l’azione degli uomini, balza luminosa la mano della Provvidenza che guida la Chiesa, ed è per questo che Pio XI ha magistralmente definita l’opera un monumento di Fede. Oggi la Chiesa — per opera del Pastor — guarda serena al passato burrascoso e nessuno più la può toccare, perché il verdetto della storia conferma il suo divino mandato aggiungendovi, inoltre, novelli titoli di gloria».
4. Il rapporto con Leone XIII e con l’apertura dell’Archivio Vaticano Furono in molti a segnalare lo stretto legame fra l’apertura agli studiosi dell’Archivio Vaticano da parte di Leone XIII e l’opera di Pastor. Si tratta di un fatto costantemente segnalato. Senza i documenti vaticani la Storia dei papi sarebbe stata impensabile, come d’altronde si indicava già nel frontespizio che sottolineava il particolare e privilegiato rapporto con l’Archivio Vaticano. Oltre ad autori già citati, segnalarono il rapporto dell’opera con l’Archivio Vaticano, fra gli altri, L’unità cattolica nel 189083, Gaetano Capasso nel 189184, V. Papa 80
m., Sisto V, in L’Italia, 12 aprile 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 50; sul volume X, italiano). FALOCI PULIGNANI, La grande «Storia dei Papi» di Ludovico Pastor cit. 82 L. BELLOTTI, Ludovico Von Pastor, in La gazzetta di Alba, 18 gennaio 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 109). 83 I papi dalla fine del Medio Evo e il dott. Ludovico Pastor d’Innsbruck cit. L’articolo evocava la lettera di Leone XIII ai tre cardinali (Pitra, De Luca, Hergenröther) e l’apertura agli studiosi dell’Archivio Vaticano; tutte le nazioni si valsero della munificenza del papa, perché, secondo la frase di Pertz, «le chiavi di Pietro sono tuttodì le chiavi del medio evo». 84 G. CAPASSO, La Storia dei Papi (A proposito di alcune recenti pubblicazioni), in Rivista storica italiana 8 (1891), pp. 689-712 (Lasc. Pastor 70, nr. 16). 81
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nel 189285, Pieter Albers86 e Angelo Mercati87 nel 1896, Paolo Campello della Spina nel 190688, La civiltà cattolica nel 190889, La stampa nel 190990, Umberto Silvagni nel 191091, la Nuova antologia nel 191192, Giuseppe Faraoni nel 191293, Giovanni Battista Mondada nel 191494, La tribuna nel 192195, Paolo Negri96 e Angelo Novelli97 90
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PAPA, La Storia dei papi dalla fine dell’età media cit. P. ALBERS, in La civiltà cattolica, ser. XVI, vol. V, fasc. 1097, 7 marzo 1896, pp. 591-597 (Lasc. Pastor 56, nr. 27). 87 A. MERCATI, in Rivista bibliografica italiana 1 (1896), nr. 6, pp. 84-86 (Lasc. Pastor 56, nrr. 24, 142; sul volume III, tedesco). Il papa aveva autorizzato l’apertura dell’Archivio Vaticano al Pastor ad personam. 88 P. CAMPELLO DELLA SPINA, Lodovico Pastor, Geschichte der Päpste, IV. Band. I. Abteilung, in Corriere d’Italia, 28 dicembre 1906, pp. 1-2 (Lasc. Pastor 57, nr. 130; sul volume IV, 1, tedesco). Pastor, cattolico convinto, si era rivelato fedele agli intendimenti di Leone XIII: la verità non può nuocere se presentata interamente. Proprio quando il papato viveva i momenti più bui, si moltiplicavano i santi: «le colpe degli uomini non possono recare altri danni che passeggeri, dappoiché la provvidenza ha disposto un’alternativa tra pontificato, clero e fedeli, affinché vi sia sempre una delle categorie che ricompensi le temporarie deficenze delle altre. Le epoche più funeste pel papato furono quelle in cui si ebbero i santi più zelanti e gloriosi». Sui rapporti fra Pastor e Campello cfr. PASTOR, Tagebücher cit., pp. 376, 420, 456-458, 478, 481, 562, 635-636. Sul Campello (1829-1917), cfr. F. MALGERI, Campello, Paolo, in DBI, XVII, Roma 1974, pp. 483-485. 89 La «Storia de’ Papi» di Lodovico Pastor, in La civiltà cattolica 59 (1908), vol. I, quad. 1381, 4 gennaio 1908, pp. 82-87: 82 (Lasc. Pastor 57, nr. 17; sul volume IV, 1-2, tedesco). Pastor era nella linea di Leone XIII, che non aveva paura della verità dei documenti. 90 La storia dei Papi di Lodovico Pastor (Dal nostro corrispondente del Vaticano) cit. 91 SILVAGNI, Ludovico Pastor e la sua Storia dei Papi cit. 92 NEMI, Tra libri e riviste. «La storia dei Papi» di L. Pastor cit., pp. 166-168. 93 FARAONI, La verità storica che insegna cit. Pastor era il migliore interprete della lezione di Leone XIII nel campo degli studi storici, secondo la quale «la verità è la migliore apologia della verità, vale a dire, che la conoscenza completa ed esatta degli avvenimenti non oscura, avvilisce, dinanzi agli occhi di chi ben vede e considera (dei miopi e dei pusilli non può tenersi conto), la verità, la grandezza del cristianesimo e della Chiesa, ma li dà più risalti sullo sfondo delle stesse misere vicende umane». Cfr. supra, testo e nt. 62. 94 MONDADA, Una gloria della scienza e della fede. Il dott. Lodovico Pastor cit. 95 Roma alla fine del Rinascimento ne «La Storia dei Papi» di Ludovico Pastor, in La tribuna, 5 novembre 1921, p. 3 (Lasc. Pastor 59, nr. 16). 96 NEGRI, «Pio IV» di L. Pastor cit. Nella Storia dei papi regnava sempre «la stessa mente vigile e dominatrice di un materiale ricchissimo e molteplice; e, quel ch’è più, sempre l’onesto sforzo di rintracciar la verità, anche se ciò costi talvolta aggravio di colpe, rivelazioni e conferme di scandali. L’opera del dotto direttore dell’Istituto storico austriaco di Roma corrisponde quindi sostanzialmente alla intenzione con la quale Leone XIII aperse liberalmente agli studiosi i tesori degli archivi vaticani. La storia di una vasta potente e secolare istituzione, qual’è la Chiesa romana, non ha nulla a temere da indagini approfondite e severe» (p. 536). 97 NOVELLI, Un riformatore cit. «Essa (scil. la Storia dei papi) tiene il suo massimo pregio da ciò, che intorno al grande argomento storico è condotta rigorosamente su fonti di primissimo ordine prima sconosciute, perché custodite dal secreto impenetrabile di archivi riservati del Vaticano. Il Pastor è stato dei primi che s’è giovato della liberalità con la quale l’immortale Leone XIII ha aperto alle esplorazioni dei dotti quegli archivi; e fu pensiero geniale quello del Papa, perché da quelle investigazioni uscì per la penna di un principe della storia, come appunto è il Pastor, la più luminosa e salda apologia del Papato contro le calunnie o le malignità di storici ostili alla Chiesa». 86
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nel 1924, Renato La Valle nel 192598, Alessandro Luzio nel 192799, Francesco Aquilanti100 e Paolo Pantaleo nel 1928101, Luigi Bellotti102 e Alessandro Cutolo nel 1934103. 98 LA VALLE, La storia dei Papi e il Calendario di Gregorio XIII cit. «Sino al pontificato di Leone XIII l’Archivio segreto vaticano era severamente chiuso agli studiosi e conseguentemente ad ogni indagine critica su le fonti dirette della storia dei papi. Papa Pecci dissiggillò le porte fino allora vietate aprendole ai profani e mettendo a disposizione degli studiosi un materiale di cui è superfluo illustrare la imponente importanza. Che se poi codesto materiale sia stato offerto alla erudita curiosità indagatrice degli studiosi nella sua interezza, oppure gl’immanenti delicati interessi universali della Chiesa abbiano consigliato il Vaticano a dimenticar di aprire qualche stanza o qualche scaffale del suo colossale serbatoio storico, è questione controversa, su cui è più facile intuire che conoscere la verità. Ma pur con questa riserva, è certo che l’illuminata iniziativa di Leone XIII ha offerto un prezioso contributo di incalcolabile importanza alla critica storica moderna, concorrendo a risolvere, fra l’altro, non pochi complicati problemi storici, di cui si era smarrita la esatta comprensione sia a traverso le troppe interessate apologie dei difensori che a traverso le accuse settarie dei detrattori. Fra gli uni e gli altri sembra abbia voluto eleggersi arbitro il barone Ludovico von Pastor, con la sua monumentale “Storia dei Papi”». 99 LUZIO, Paolo V e la storia del Pastor cit. Luzio notava che «motus in fine velocior»: in poco più di un anno erano usciti tre densi volumi dedicati a Sisto V, Clemente VIII, Paolo V. Si poteva presumere che entro poco tempo potessero uscire gli ultimi quattro volumi, completando la monumentale storia. La trattazione era fra le meglio riuscite «perché un sentimento particolare di profonda riconoscenza guidò la sempre sicura e signorile sua penna». Fu infatti Paolo V, uno dei soggetti del volume, il vero fondatore dell’Archivio Vaticano, sulla base della sua esperienza di giurista che sapeva bene quanto fosse importante per il governo la conservazione ordinata dei documenti. E sulla base dell’Archivio Vaticano Pastor aveva principalmente costruito la sua Storia. Dopo aver narrato particolari sulle modalità di accesso da parte di Pastor ai documenti dell’Archivio Vaticano a partire dal gennaio 1879 (all’inizio non vi erano spazi per la consultazione in Archivio e i manoscritti dell’Archivio vennero trasferiti in Biblioteca, per permettere la consultazione), Luzio notava: «La concessione di Leone XIII ebbe per effetto di abbattere le barriere, che anche presso altri archivi d’Europa ostacolavano la libera indagine storica; e la Chiesa ne trasse immenso beneficio morale, come col suo intuito di uomo superiore aveva previsto il Pontefice nel Breve del 13 agosto 1883 (scil. Saepenumero considerantes, 18 agosto 1883). La preferenza accordata al Pastor si mostrò pienamente giustificata: dacché questi con l’infaticabile attività, con la maestria dell’esposizione, con l’equanimità de’ giudizi, sa conciliarsi fiducia e consenso; in ogni caso il rispetto di chi dissenta». Le pagine su Sarpi provocavano, in verità, riserve «precise e recise» ma il XII volume era di attraente lettura e di grande interesse, in particolare per gli storici dell’arte. 100 AQUILANTI, Sisto V il Grande cit. 101 PANTALEO, La figura di Sisto V vista da Ludovico Pastor cit. «La colpa (scil. della parzialità di taluni giudizi di Gregorovius e Ranke) non è loro, che pure sono stati storici di indiscutibile valore, ma, piuttosto, di chi temeva che dagli Archivi segreti del Vaticano qualcosa di non desiderabile potesse venire alla luce. Leone XIII, il pontefice umanista, non è stato di questo parere»; «lo scrittore con animo tranquillo può ben attendere il giudizio della critica, che non potrà non essere imparziale, appunto perché constata che la fede non ha fatto velo al credente e non ha impedito al pensiero dello storico di essere onestamente libero e oggettivo». 102 BELLOTTI, Ludovico Von Pastor cit. 103 CUTOLO, L’ultima pietra cit. Era necessario un lavoro serio, sereno, approfondito sulle
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Anche Romeo Ricci, nel 1928, notò che all’origine di tutto vi era Leone XIII, ma con un’acuta riflessione supplementare104. Pur creando cardinali oratori insigni come lo Schiaffino, l’Alimonda, il Capecelatro, papa Pecci, «spirito vigile ed attentissimo alle correnti spirituali e scientifiche del suo tempo», aveva compreso e apprezzato le ragioni del metodo storico. «Se il metodo storico si prefiggeva la ricerca spregiudicata ed oggettiva della verità negli avvenimenti umani, egli pensava che la religione della Verità non dovesse menomamente preoccuparsene. Tutto quello che di riprovevole poteva venire alla luce non era imputabile che ai rappresentanti umani di un’istituzione divina. “Nulla dire di falso; nulla tacere della verità” era il suo programma e si potrebbe dire la divisa del perfetto storico. Molti si misero con entusiasmo per questa via dietro le intuizioni e le rivelazioni prodigiose del De Rossi». Distante dalla storiografia romantica, Pastor era però superiore a Burckhardt, a Gregorovius, a Ranke, non tanto nel «vantaggio di aver potuto utilizzare i documenti inediti dell’archivio segreto pontificio, quanto nello spirito di superiore equilibrio in cui li sa ricomporre»105. La presentazione di Ricci era interessante anche per il confronto di Pastor con Duchesne e Grisar, che utilizzava una nomenclatura di carattere politico e parlamentare. Vi era «una estrema sinistra», rappresentata da Duchesne. «La Storia della Chiesa Antica del Duchesne levò un clamore memorabile. Anche trattando il periodo eroico nel Cristianesimo primitivo l’abate Duchesne si compiaceva di rilevarne i caratteri umani e quotidiani, il giuoco degl’interessi, delle ambizioni e del calcolo: su quella vasta tragedia di bontà e di martirio stillava il suo spirito ironico disincantato e diversivo che faceva ripensare al Girolamo Coignard di franciana memoria. All’ala opposta era il Grisar, lo storico del Medio-Evo, dottissimo e coscienziosissimo, ma ortodosso fino allo scrupolo. Tra gli uni e gli altri il Pastor, lo storico del Rinascimento. Erudizione sconfinata, indipendenza e serenità di giudizio, analisi sottile dei particolari, organicità di sintesi e solidità e chiarezza di narratore hanno fatto di lui lo storico ideale dei papi». Pastor, d’altra parte, non aveva atteso nella sua vita che alla Storia dei papi. «Ha costruito il suo edificio, pietra su pietra, con una costanza sempre uguale, accumulando e ordinando un materiale immenso su un piano preordinato che dovrà dare il quadro completo di una grande epoca. I suoi grossi volumi hanno il passo fermo e sicuro di chi è abituato alle fonti. Pastor ottenne per questo aiuto e sostegno da Leone XIII, che gli permise la consultazione dei documenti dell’Archivio Vaticano, negati a Gregorovius e Ranke. 104 R. RICCI, Lo storico dei papi, in Il regime fascista, 21 gennaio 1928 (Lasc. Pastor 59, nr. 23; 70, nr. 120). Ricci ancora osservava: «La Storia del Pastor è certo la storia scritta da un cattolico. Ma quale serena, olimpica, rigida imparzialità! I problemi che ha incontrato nella sua via sono fra i più imponenti e delicati: potere temporale dei Papi, paganesimo del Rinascimento, Alessandro VI e Savonarola, Clemente VII e i Gesuiti, l’Inquisizione. Il Pastor non arretra di fronte a Torquemada e non ha bisogno di scusare né di esaltare Gregorio XIII». 105 Ibid.
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grandi distanze, hanno il respiro ampio, calmo e regolare e la linea solenne e robusta di chi lavora a un edificio secolare. Non facili generalizzazioni, non abbandoni lirici, non pagine di colore». In questo modo lo storico di Aquisgrana marcava la sua distanza dagli storici che diremmo romantici (Michelet, Carlyle, Castelar), nei quali «non sappiamo mai con certezza dove finisca la storia propriamente detta e dove cominci l’intuizione, l’immaginazione, l’estro e (...) la fantasia dello scrittore» e ai quali si doveva riservare, «passati gli entusiasmi giovanili», «una ragionevole diffidenza» e «la nostra circospezione critica»: largo credito artistico, pochissimo scientifico. Pastor era agli antipodi da tutto ciò. Ricci segnalava inoltre la centralità riconosciuta nell’opera a Roma, dimenticata da «certa storia che si ispirava più ai modelli tedeschi che alle tradizioni patrie, più ai propri risentimenti di parte che alla verità storica», ma invece percepita da «questo storico straniero di nascita ma profondamente italiano e romano di sentimenti»106. La Chiesa appariva così l’unica intermediaria nel contatto e nel contrasto fra spirito romano e spirito germanico, fra l’individualismo dell’uno e la vigoria accentratrice e organizzatrice dell’altro. «La superiorità del Pastor di fronte per esempio al Burckhardt, al Gregorovius, e allo stesso Ranke (considerati come puri storici) non è tanto nel vantaggio di aver potuto utilizzare i documenti inediti dell’archivio segreto pontificio, quanto nello spirito di superiore equilibrio in cui li sa ricomporre. Basterebbe un solo esempio. Il Ranke, protestante e dunque non sospetto di soverchia tenerezza pel Cattolicismo, inclinava ad attribuire le origini dell’Inquisizione all’autorità politica. Il Pastor non esita a riconoscere che l’Inquisizione è una istituzione ecclesiastica».
5. Le critiche: da Oreste Tommasini a Gioacchino Volpe In un quadro di sostanziale e unanime apprezzamento le critiche, in ambito laico e in misura minore cattolico, furono limitate e circoscritte e si possono quasi contare sulla punta di una mano. Al di là di specifiche critiche di merito, come quella di Ottorino Montenovesi a proposito di Beatrice Cenci107, o di impostazione, come quella di Gaetano Capasso sullo spazio 106 Anche F. MASTRIGLI, Sisto V nel volume X della Storia dei Papi del barone Ludovico Von Pastor, in L’impero, 6 marzo 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 24; sul volume X, italiano), sottolineava il legame del papato con la storia di Roma, con la quale finiva per identificarsi, e apprezzava la sensibilità di Pastor al tema. Forse è ancora Mastrigli (f.m.) a considerare Pastor «sempre misurato e documentatissimo» in Un mostro nelle acque del Tevere durante la piena del 1496, in Il lavoro fascista (Roma), 28 dicembre 1933 (Lasc. Pastor 69, nr. 104; sul volume III, italiano). Sul legame fra la storia dei papi e la storia di Roma, che Mussolini stava rinnovando, insiste ancora F. MASTRIGLI, Cinque secoli della storia di Roma nella compiuta opera di Ludovico von Pastor, in Il lavoro fascista (Roma), 7 aprile 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 144). Federico Mastrigli (1872-1947), capocronista del Lavoro fascista, fu figura molto nota del giornalismo romano, cfr. Romanisti di ieri. Sommario di notizie bio-bibliografiche dei Soci scomparsi fino al 2002, a cura di M. BARBERITO, U. MARIOTTI BIANCHI, A. MARTINI e A. RAVAGLIOLI, Roma 2002, p. 87. 107 O. MONTENOVESI, Il sepolcro di Beatrice Cenci, in Rassegna nazionale 52 (1930) [= ser. III, 9], pp. 118-122: 118 nt. 1 (Lasc. Pastor 64, nr. 29). Montenovesi rimproverava Pastor di aver ignorato il suo Beatrice Cenci davanti alla giustizia dei suoi tempi e della storia, Roma
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eccessivo riservato alla storia dell’arte108, quattro nomi in particolare uscirono dal coro più o meno unanime delle lodi. Il primo fu quello di Oreste Tommasini che nel 1887 pubblicò nell’Archivio della Società Romana di Storia Patria una severa recensione del primo volume tedesco, con critiche che investivano anche l’ambito ideologico e politico109. Si trattò di una delle prime recensioni italiane della Geschichte der Päpste. 1929, nel quale confutava la tesi di Beatrice come donna depravata (ma l’edizione tedesca del volume del Pastor era uscita nel 1927). Dall’appunto di merito passava poi a criticare frontalmente la stessa imparzialità di Pastor. «La partigianeria del Pastor non può mettersi in dubbio»; d’altra parte, trattava di Beatrice e della sua famiglia basandosi su «due scrittori non imparziali» (Bertolotti e Rinieri). «Con molta disinvoltura afferma che l’Opera di Corrado Ricci (Beatrice Cenci), composta tutta in base allo studio del processo, “dice poco di nuovo” (pag. 625-626 nota), che la condanna a morte di Beatrice fu “meritata” (pag. 628), che niente di male bisogna vedere nell’assegnazione agli Aldobrandini di parte dei beni dei Cenci (pag. 629). (...) Del resto, come chiedere imparzialità a Ludovico Pastor? Poco prima di morire egli incaricò un suo collega di far sapere al Santo Padre che “gli ultimi palpiti del suo cuore erano per la Chiesa e per il Papa”. Orbene, chi scrive la storia deve avere un solo palpito, la verità. In teoria, è anche possibile nutrire sentimenti profondi di rispetto e di simpatia verso un Ente o una Istituzione, e discorrere di loro con imparzialità. Ma in pratica la cosa è assai difficile, e lo stesso Pastor ne è la prova evidente» (p. 119 nt. 1). Sempre Montenovesi criticò il volume di Pastor dedicato a Clemente XIV, ritenendolo malevole e parziale, O. MONTENOVESI, Il papa Clemente XIV, in Rassegna nazionale 57 (ser. III, 22) (1935), pp. 370-378. Sulla malattia e sulla morte del papa tornò con un articolo l’anno successivo: O. MONTENOVESI, La malattia e la morte di Clemente XIV, ibid. 58 (ser. III, 24) (1936), pp. 291-295. Ma cfr. anche O. MONTENOVESI, Un pontificato da riabilitare: il papa Clemente XIV e il volume a lui dedicato da L. von Pastor, in Archivi. Archivi d’Italia e rassegna internazionale degli archivi, ser. II, 8 (1941), pp. 98-121. Autore di un volume su Il campo santo di Roma: storia e descrizione (1915), Montenovesi (1884-1961) fu prolifico autore di ricerche storiche, spesso focalizzate su figure e momenti di storia emiliana e romagnola, su chiese e monasteri romani, sull’Archivio di Stato di Roma; archivista negli Archivi di Stato di Venezia e di Roma, fu poi direttore di quest’ultimo (1947-1950), divenendo anche nello stesso periodo soprintendente ad interim per il Lazio, l’Umbria e le Marche in Roma, raggiungendo infine (1950-1952) la pienezza del titolo, cfr. Repertorio del personale, I, pp. 608-614. 108 G. CAPASSO, in Rivista storica italiana 18 (1901), pp. 142-143 (Lasc. Pastor 56, nr. 108). Segnalando il terzo volume, tedesco, nella terza e quarta edizione (Freiburg 1899) e accennando alle polemiche relative a Savonarola e alla larga parte fatta alla storia dell’arte e alle relazioni con i letterati, Capasso notava (in evidente contrapposizione a quanto affermato da La civiltà cattolica): «Ma, con tutto il rispetto e l’ammirazione per il Pastor e per gli uomini illustri sopra menzionati (scil. Burckhardt, Müntz, Steinemann), a noi pare che l’A. in questo non sia rimasto in giusti confini, anzi che abbia alquanto alterato la euritmia del lavoro troppo, abbondando nella trattazione di un argomento, per quanto bello ed attraente, pur sempre di secondaria importanza». 109 O. T. [= O. TOMMASINI], in Archivio della Società Romana di Storia Patria 10 (1887), pp. 337-341 (sul volume I, tedesco). Su Oreste Tommasini (1844-1919), allora nel primo mandato di presidente della Società Romana, socio linceo (1884), senatore del Regno (dal 1905), più volte consigliere comunale e dal 1885 al 1889 assessore per la pubblica istruzione di Roma, autore di una monografia su Machiavelli (1883-1911) ed editore (1890) del Diario di Stefano Infessura, cfr. A. FORNI, L’Istituto Storico Italiano, in Speculum mundi. Roma centro internazionale di ricerche umanistiche, a cura di P. VIAN, Roma 1992, pp. 599-654: 604, 608,
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Dopo alcuni apprezzamenti iniziali sul volume (che «si presenta, per dire la verità, assai bene istrutto e provvisto, come nave che si aspetti di trovar nuovo passo tra ghiacci polari», p. 337) e sull’autore (cui non facevano «difetto o la preparazione o la pazienza della ricerca», ibid.), si notava che Pastor aveva potuto fruire dei documenti dell’Archivio Vaticano, inaccessibili agli storici precedenti, di molti archivi pubblici e privati e di rarità bibliografiche, delle ricerche che sui diversi soggetti erano già state pubblicate. Ma, alla fine, con quale utilità? «Il P., oculato e imparziale nella maggior parte delle particolari questioni, contempla la vasta università del mondo riducendola entro all’orizzonte volontariamente ristretto e determinato secondo ogni ragione della scuola cattolica; per la quale non v’è tanto una carità da esercitare e una vita morale da edificare, quanto una tradizione politica da seguire, un indirizzo scientifico e artistico da limitare, una vita sociale da puntellare con determinati artificî, e non v’è mondo altrove» (p. 338). Ma i tempi erano mutati e «ormai ogni Italiano che non sia digiuno della storia del suo paese, e abbia assaporato il bene della libertà non esita a “farsi parte per sé stesso”, secondo la sublime espressione dantesca [cfr. Pd. 17, 69], che è insieme così acconciamente cristiana; e non crede facilmente a chi voglia dargli ad intendere ch’alcuno è necessitato a scegliere fra la patria e l’anima. E quella parte d’Europa che dalla formale unità del cattolicismo si è distaccata da un pezzo, giudica pure la Chiesa cattolica con quella benevolenza riconoscente con cui gli uomini ripensano la loro famiglia avita che la morte irrevocabilmente recise da ogni comunanza coll’esser loro, e di cui forse i discendenti più prossimi attenuarono ingiustamente i meriti o esagerarono le mende» (pp. 338-339). Il volume di Pastor quindi «non produrrà rivolgimento né d’animi né di cose in Italia, dove quel che sia a pensare del pontificato romano, rispetto alla storia della nazione, gl’Italiani lo seppero anche prima del Valla e del Machiavelli» (p. 339). In realtà «l’A. non prescinde da certe insinuazioni che paiono opportune a solleticare le odierne tendenze accademiche di politica ecclesiastica» (p. 339). «Della nazionalità l’A. pensa come può a mala pena chi crebbe in seno alle tramutazioni dell’Austria moderna; a quella guisa stessa che potrebbe parlare del sentimento di famiglia chi non ne conobbe» (p. 340). Dopo altre osservazioni, Tommasini concludeva: «l’ortodossia del Reumont è più simpatica della sua (scil. di Pastor), troppo impaniata negli attuali preconcetti dogmatici e politici della Curia» (p. 341). E in fondo anche i documenti inediti utilizzati non erano di tale valore da far dimenticare i lavori dello storico inglese Mandell Creighton sullo stesso periodo della storia ecclesiastica110.
609 e nt. 54, 610 e nt. 58, 613 e nt. 76, 615, 616 e ntt. 90-92, 617, 622 e nt. 120, 624 e nt. 130, 626, 629, 630, 632 nt. 170; G. BATTELLI, La Società Romana di Storia Patria, ibid., pp. 733-766: 738, 740, 741, 742 nt. 38, 743 e ntt. 40 e 45, 745, 752, 758. Un necrologio, di A. S. [= A. SILVAGNI], in Archivio della Società Romana di Storia Patria 42 (1919), pp. 615-620. Gli Scritti di storia e critica (1891) sono stati ristampati anastaticamente nel 1994. 110 Un confronto fra i lavori di Pastor e di Creighton in P. CENCI (Il traduttore), Il barone Ludovico von Pastor, in PASTOR, Storia dei papi, XI, cit., pp. IX-XXX: XXIV; ripresentato, con alcune variazioni e aggiunte, in ID., Cenni biografici sul barone Ludovico von Pastor, in L. VON PASTOR, Storia dei papi (...), I, nuova edizione italiana interamente rifatta sull’ultima edizione tedesca, Roma 1931, pp. VII-XXVII: XXII.
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Più di quarant’anni dopo, Camillo Manfroni, commemorando nel 1929 all’Accademia dei Lincei Pastor, ricordò ancora la recensione di Tommasini, «le cui opinioni liberali sono ben note», tacciandola di «una certa tendenziosità»111. Di carattere diverso furono le osservazioni di Vittorio Cian che, nel 1901 e nel 1902, criticò Pastor per l’uso di appellativi come «cristiano/pagano», «vero/falso» coi quali lo storico tedesco aveva designato, distinto e quasi classificato le vicende intellettuali del Rinascimento112. Per Cian «vero» e «falso» non erano solo espressioni troppo assolute, ma addirittura «antiscientifiche ed acritiche». La storia culturale e letteraria andava giudicata secondo criteri puramente storici, letterari o estetici, non secondo categorie teologiche o morali. Secondo Cian, era dunque in gioco una questione di metodo: alcuni giudizi di Pastor avevano la loro radice «in certi suoi rispettabili convincimenti morali e religiosi», che però nulla avevano a che fare con la storia. Cian dedicò alla Storia dei papi una costante e vigile attenzione. Nel 1900 Cian presentò la ristampa in Germania del terzo volume, con accrescimenti, ritocchi e migliorie113. Pastor aveva recepito molte osservazioni a proposito di «fatti concreti»; ma «si mantiene tenacemente fedele a certe sue opinioni, a certi giudizî già da lui enunciati e difesi, che furono discussi e sono, a dir vero, assai discutibili, ma che hanno la loro radice e molti addentellati in certi suoi rispettabili convincimenti morali e religiosi» (p. 213). Non era mutata la valutazione di «falso» e «vero» Rinascimento e alle molteplici obiezioni mosse Pastor non aveva dato risposta. Cian credeva invece che molti «drappeggiamenti pagani, naturalistici, irriverenti od osceni» fossero «in gran parte più ostentazioni di mestieranti e ambiziosi seguaci della moda, fautori delle novità, disposti a solleticare i peggiori istinti del pubblico, che non effetto di vere convinzioni morali e religiose, per quanto accennassero ad uno stato delle coscienze che, nell’altro, s’andavano fatalmente modificando da un canto verso l’indifferentismo, dall’altro verso il libero esame» (pp. 213-214). Pastor aveva mantenuto sostanzialmente intatte anche le sue idee sul patriottismo di Machiavelli e le sue opinioni su Savonarola, «mostrandosi troppo duro verso il compianto prof. Luotto e varcando, ci sembra, i limiti della critica serena quando continua a scrivere, sia pure d’accordo col protestante Armstrong, che la monografia del Villari è un panegirico ed un’apologia» (p. 214; si rinviava a P. VILLARI, G. Savonarola e l’ora presente, in Rivista d’Italia, an. I, 1898, fasc. 7, pp. 411 sgg., ritenuto discorso «sereno e lucido (...) dove, senza ombra di polemica, la questione savonaroliana è posta nei suoi veri termini»). Cian operava poi una distinzione fra 111 C. MANFRONI, Commemorazione di Lodovico Pastor, in Rendiconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche, ser. VI, vol. V, fasc. 1-2 (seduta del 20 gennaio 1929), pp. 19-26: 22. 112 V. CIAN, in Giornale storico della letteratura italiana 41 (1901), pp. 140-141. Su Cian (1862-1951), P. TREVES, Cian, Vittorio, in DBI, XXV, Roma 1981, pp. 155-160. 113 V. CI. [= V. CIAN], in Giornale storico della letteratura italiana 36 (1900), pp. 213-217 (Lasc. Pastor 56, nr. 1; sul volume IV, 1, tedesco).
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il mecenatismo passivo di Alessandro VI e quello attivo di Giulio II e si soffermava su alcuni aspetti letterari delle vicende. In conclusione, Cian sottolineava di credere che Giulio II si fosse macchiato del peccato contro natura, mentre Pastor negò fede a questa accusa sia nella prima edizione che in quella attuale. Così anche Marco Vattasso, che riteneva si trattasse di calunnie. «Dal mio canto chiuderò volentieri l’incresciosa controversia. Per l’ammirazione che sento verso il grande pontefice e per quell’amore, ancor più grande, che ho alla moralità umana, vorrei essere dalla parte del torto, ma temo assai, confesso, d’essere dalla parte della ragione» (p. 216). Nel 1901, recensendo la terza e quarta ristampa del primo volume, a sedici anni dalla prima edizione (1886) e a dieci dalla seconda (1891), Cian notò che l’opera non aveva paragoni e aveva goduto di una meritata fortuna, anche se a essa vi potevano aver concorso, «oltre al valore intrinseco, certe cause estranee agli studi e alla scienza propriamente detta»114. Pur affermando di non volere risollevare la questione, Cian si ricollegava a quanto scritto in precedenza115, intorno agli appellativi di «cristiano» e «pagano», di «vero» e di «falso» coi quali Pastor aveva designato, distinto e quasi classificato le vicende intellettuali del Rinascimento. Pastor, che citava le critiche, persisteva nella sua posizione sostenendo che si trattava di una differenza di parole, non di sostanza. In realtà, secondo Cian, i punti di vista dai quali si osservava il periodo storico erano diversi; di qui derivavano le diverse valutazioni. «L’accordo o l’intesa sarebbe stata, cionostante, più facile e forse più proficua, se il P. si fosse indotto a sopprimere i due epiteti di vero e di falso che, in tal caso, non soltanto sono espressioni troppo assolute, ma addirittura antiscientifiche ed acritiche. Sta il fatto che nella schiera numerosa degli umanisti, come fra gli uomini politici e i politicanti d’oggi, v’era un’estrema destra, un centro ed un’estrema sinistra, e che per l’A. solo la prima sarebbe stata la vera. Che diremmo d’uno storico della politica odierna, il quale s’arrogasse di dare un analogo giudizio, e in quella forma, delle parti militanti e agitanti nella nostra vita pubblica? Eppure di fronte alla critica la storia politica non differisce dalla storia letteraria; e sì l’una che l’altra vanno apprezzate secondo un criterio puramente storico o letterario ed estetico, e non secondo uno esclusivamente teologico o morale. Dunque si tratta d’una questione sotto la quale si cela anche una diversità di criteri e di metodo, che non sarà mai un’oziosa disputa di parole» (p. 140). Per il resto, come sui temi principali, anche nelle vicende particolari Pastor serbava inalterati i propri giudizi e mutava raramente parere. Nella recensione, del 1906, del volume IV, 1, tedesco116, Cian osservò che Pastor era stato giudice benevolo di Giulio II, ma severo con Leone X. Di fronte al rimpianto manifestato da qualcuno nei confronti di Gregorovius, Cian notava: «Quanto poi al Gregorovius, che spesso ci si rivela geniale spirito di poeta in veste di storico, il confronto della sua Storia con questa del P. io non lo credo odioso, né l’avvicina114
V. CI. [= V. CIAN], in Giornale storico della letteratura italiana 41 (1901), pp. 140-141 (Lasc. Pastor 54, nr. 149, sul volume I, tedesco). 115 V. CIAN, in Giornale storico della letteratura italiana 29 (1897), pp. 403-452 (sul volume III, tedesco). 116 V. CIAN, in Giornale storico della letteratura italiana 48 (1906), pp. 416-426 (Lasc. Pastor 57, nr. 31; sul volume IV, 1, tedesco).
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mento delle due opere dannoso. Anzi esse, rivelandoci due temperamenti dissimigliantissimi, e due metodi diversi di concepire e di esporre la materia storica, con i loro pregi e coi loro difetti, vengono ad integrarsi e a lumeggiarsi a vicenda» (p. 424). Cian segnalava infine una «crescente temperanza ed obiettività che lo storico tedesco reca nei suoi giudizî» (ibid.); «La gloria luminosa di Leone X non lo abbaglia»: per il pontefice «che tanto accrebbe le magnificenze della Chiesa alleata al Rinascimento» «non ha soverchia tenerezza, ma neppure severità ingiuste» (ibid.). Recensendo i volumi VII e VIII, tedeschi, dalla prima alla quarta edizione (1920)117, Cian notava che il Giornale storico della letteratura italiana si era già occupato dell’opera, con maggiore o minore ampiezza, in ragione dello spazio riservato alle vicende letterarie. I nuovi volumi avevano la stessa impostazione di quelli precedenti, con un’introduzione «lucida e abbastanza serena», e affrontavano la Riforma cattolica, «riforma e insieme reazione, nel senso buono e nel senso men buono della parola, agli eccessi del Rinascimento sulla Chiesa, che culmina nel grande fatto del Concilio di Trento. Riandando con una guida così coscienziosa quegli avvenimenti d’importanza mondiale, mentre ferve intorno a noi la battaglia politica alla quale partecipano anche certe milizie della grande famiglia cattolica, attratte da antiche e pericolose tentazioni e illusioni, fermiamo subito l’attenzione nostra sopra un documento» (p. 158). Cian si soffermava infatti su un documento particolare, relativo alla sospensione dalla messa e dalla predicazione, da parte di Pio V, di un cappuccino che si voleva occupare del governo delle realtà temporali; e commentava: «E chi non approva l’energia ed il franco agire di quel pontefice e non s’augura ch’egli trovi imitatori?» (ibid.). Cian notava poi che Pastor avrebbe dovuto riservare maggiore attenzione a Silvio Antoniano e Ippolito Capilupi e riteneva che «la difesa che il P. tenta di fare di questo atteggiamento reazionario di Pio V, anche nel campo della coltura e dell’arte (pp. 81-4), non mi sembra sufficiente» (p. 163). Cian considerava la dismissione delle opere d’arte pagane, parzialmente operata da Pio V, «un vero sperpero, anzi un repulisti che sa di barbarico!» (ibid.). Stigmatizzando il «vero spirito ciecamente regressivo di Pio V» (ibid.), accennava a pagine «d’uno squallore desolante» (p. 164) che trattano dei rapporti di Pio V con la letteratura contemporanea. «Con lodevole imparzialità il P. conferma quanto io ebbi a dimostrare in questo Giornale, 9, 456, circa le restrizioni gravissime che quel papa imponeva agli studiosi nell’uso della Biblioteca Vaticana» (ibid.). Il senso di squallore che si provava leggendo le pagine relative alla storia della cultura nella Roma papale del tempo era reso ancora più grave da alcune omissioni in cui Pastor era caduto, volontariamente o meno. Si notava poi il «silenzio assoluto e inesplicabile» (p. 165) dello storico tedesco su Torquato Tasso e sul suo poema. Pastor avrebbe dovuto riservare maggiore attenzione alla vita intellettuale di Roma del tempo e a «certe superstiti manifestazioni dello spirito della Rinascita e della cultura profana» (ibid.); e considerare il carteggio tra Fulvio Orsini e Piero Vettori.
Nel 1912 alle critiche di Cian fece eco Pio Spezi, figlio dell’antico scriptor della Biblioteca Vaticana Giuseppe, romanista, cultore di Giuseppe 117 V. CIAN, in Giornale storico della letteratura italiana 78 (1921), pp. 157-166 (Lasc. Pastor 60, nr. 1; sui volumi VII-VIII, tedeschi).
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Gioachino Belli e amico di Paul Heyse, notando che l’unilaterale difesa del papato rischiava di essere una sotterranea e implicita passione, una di quelle che Pastor era pronto a stigmatizzare negli altri118. Presentando di volumi I-III, IV, nella traduzione di Mercati, si notava che la Storia di Pastor «riesce molto utile e autorevole nell’apologia del papato» (p. 181). «Se non che a noi sembra che appunto questa continua, prestabilita, proclamata difesa del papato possa attenuare il merito assoluto di questa opera e offuscargli il miglior pregio d’una storia che è quello della più oggettiva ricerca del vero. Quest’obbligato desiderio di difesa può facilmente deviare il sereno giudizio dei fatti; e basti l’esempio caratteristico che talora s’incontra in quest’opera (e più spesso nelle note polemiche) nel veder che il Pastor è pronto a bollare di passionato l’opera o la persona di chi giudichi diverso o contrariamente da lui; mentre il calore delle sue affermazioni, o conclusioni non differisce molto da quella passione ch’egli condanna in altri. Non che il Pastor in generale non cerchi d’esser sereno, anzi molto spesso vi riesce; ma questo unilaterale sistema di difesa, per quanto lealmente sostenuto, finisce col rendere l’opera di lui da alcuni incondizionatamente ammirata, da altri sospettata con diffidente timore: mentre noi vorremmo che tanta erudizione, tanta pazienza e tanta fatica attirassero subito un consenso unanime di stima fiduciosa di ogni parte di lettori» (ibid.).
La parzialità dei presupposti da cui muoveva Pastor fu messa in evidenza, nel 1923, anche da Alceste Giorgetti, che seguiva con attenzione di amico la Geschichte der Päpste dal 1886119. Pastor teneva conto di tutti lavori della critica storica dei vari paesi e poiché la storia dei vari paesi appariva intrecciata con quella del papato la Geschichte del Pastor diveniva una «vera e propria storia universale» (p. 292). Sottolineata l’«ampiezza e scrupolosità di ricerche» (p. 312) che erano riuscite a valersi anche dell’archivio Boncompagni, risultato inaccessibile a Paul Fridolin Kehr, si notava: «Ma nonostante questa abbondanza di documentazione e di notizie che l’A. ci offre, è certo che non tutti converranno nel suo modo di esporre e di giudicare certi fatti, come vi dissentiranno apertamente coloro i quali, o negano qualunque valore 118 P. SPEZI, in Rivista storica italiana 29 (1912), pp. 177-183 (Lasc. Pastor 57, nr. 78). Su Pio Spezi (1861-1940), cfr. C. COSTA, Profilo bio-bibliografico di Pio Spezi (1861-1940); ID., Pio Spezi, passione e tenacia di uno studioso di Roma; ID., Bibliografia speziana, in Il carteggio Paul Heyse – Pio Spezi. Un’amicizia intellettuale italo-tedesca tra Otto e Novecento, a cura di I. M. BATTAFARANO – C. COSTA, Roma 2009 (Quaderni della Biblioteca Vittorio Emanuele, 14), pp. 45-48, 89-110, 293-313. 119 A. GIORGETTI, in Archivio storico italiano 81 (1923), pp. 286-316 (Lasc. Pastor 61, nr. 26; sui volumi VII-IX, tedeschi). Sempre di Giorgetti la recensione del volume XI, tedesco, ibid., ser. VII, 8 (1927), pp. 102-107. Vi si notava, fra l’altro, che solo l’acquisto dell’Archivio Aldobrandini da parte di Leone XIII per l’Archivio Vaticano aveva permesso a Pastor di consultare per la prima volta, per la ricostruzione del pontificato di Clemente VIII, una documentazione che la famiglia aveva sino allora gelosamente conservato impedendone la fruizione.
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alla religione e all’ufficio che essa compie tra gli uomini o la considerano da un punto di vista diverso da quello cattolico, a cui il Pastor strettamente si attiene. In ogni giudizio infatti, specie in tali ordini di idee, oltre le vedute oggettive entrano anche quelle personali. E per quanti sforzi faccia lo storico per raggiungere un’obbiettività assoluta, non potrà mai sottrarsi a questa legge del suo pensiero. Tali considerazioni varranno poi specialmente per quei punti di questa storia in cui si viene a difendere la memoria di papa Gregorio da certe accuse che gli mossero alcuni storici» (p. 313). A proposito delle congiure «che si fecero o si dissero fatte» in Inghilterra da cattolici contro la regina Elisabetta e della strage della notte di s. Bartolomeo le posizioni di Pastor erano però ritenute plausibili da Giorgetti: «Ora tutte queste difese e le altre simili che l’A. fa di papa Gregorio, considerate specialmente le opinioni personali da cui si parte, mi pare che si possano dire giuste ed anche bene riuscite» (p. 316).
Nel 1928, in uno degli anni di maggiore popolarità dell’opera e a proposito di un volume di cui si parlò a lungo, quello su Sisto V, Gioacchino Volpe lamentò l’«esposizione troppo diffusa», il «cumulo dei particolari», la «fiacca, slegata sistemazione della materia»120. Dopo aver riconosciuto la «dottrina larghissima, ricerca infaticabile, materiali da tutti gli archivi, la varia attività di Sisto diffusamente narrata», Volpe notava: «Di questo Papa così fatto, il libro del Pastor ci offre tutti i necessari elementi. Peccato che essi un po’ si perdano (…) nella esposizione troppo diffusa, nel cumulo dei particolari, nella fiacca, slegata sistemazione della materia. Per ogni attività del Papa, un capitolo. E in ogni capitolo, tutto il “curriculum vitae” di Sisto pontefice. Linee parallele, laddove noi cercheremmo un ordinato intreccio, una complessa rappresentazione, e il protagonista sempre presente nella sua organica unità. Il Pastor spesso corregge i suoi predecessori. Né mancano gli spunti polemici, specie contro il protestante Ranke. E tuttavia, l’opera del Pastor, che pure ci porta più innanzi nelle conoscenze, non fa dimenticare la mirabile Storia del Papato di Leopoldo Ranke, opera di scienza e opera d’arte. Tedeschi l’uno e l’altro. Quando un italiano si cimenterà nella stessa impresa? La storia del Papato nel secolo XVI è, pur nella sua restaurata cattolicità, storia di Italiani. Essi non si raccolsero attorno a uno Stato nazionale; ma, forse appunto per questo, attorno al Papato, si sentirono uniti in esso, lo difesero contro protestanti e contro cattolici minaccianti scisma, sperarono da esso indipendenza da stranieri, in esso trovarono motivi di orgoglio. La storia del Papato nel XVI secolo è forse la storia d’Italia nel XVI secolo...».
6. La nuova traduzione (1908-1934): Angelo Mercati (1908-1924) e Pio Cenci (1925-1934) Dodici anni dopo l’arresto della traduzione di Benetti, nel 1908, vedeva 120
VOLPE, Un grande Papa: Sisto V cit. Il volume X, su Sisto V, papa francescano, era invece ritenuto «il capolavoro del Pastor» da Giuseppe Maria Palatucci, in Luce serafica 4 (1927), nr. 5 (in realtà uscito nel maggio 1928), pp. 159-160 (Lasc. Pastor 63, nrr. 9, 43).
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la luce in italiano la prima parte del quarto volume della Storia, primo di una nuova traduzione, edita da Desclée121. Ne era autore un sacerdote di Reggio Emilia, Angelo Mercati, che proseguì l’impresa sino all’ottavo volume, uscito nel 1924, ritraducendo anche i primi tre122. Nel 1911 era entrato in Biblioteca Vaticana per poi passare, nel 1918, in Archivio Vaticano123. Si stabiliva così un nesso fra il traduttore e la principale risorsa archivistica all’origine dell’opera, che sarebbe proseguito sino al completamento dell’edizione italiana. Dal nono volume, uscito nel 1925, il testimone fu infatti raccolto da Pio Cenci, un prete di Gubbio, biografo del card. Merry del Val, anche lui archivista vaticano, che, giovane sacerdote, aveva conosciuto Pastor a Spoleto, nella casa del conte Paolo Campello della Spina124. Di fatto però la traduzione pubblicata sotto il nome e sotto la responsabilità di Cenci fu opera di un pool di interpreti, fra i quali personalità poi divenute famose della cultura e della politica, allora in difficoltà e bisognose di aumentare gli introiti economici: fra questi Alcide De Gasperi, dal 1929 rifugiato in Biblioteca Vaticana dopo il carcere fascista, Giorgio Levi Della Vida, che nel 1931 aveva perso la cattedra per non aver giurato fedeltà al regime ed era divenuto collaboratore scientifico della Vaticana, e Luigi Sal121 L. von PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo compilata col sussidio dell’Archivio segreto pontificio e di molti altri archivi, IV, 1, Roma 1908. 122 I volumi uscirono nei seguenti anni (fra parentesi l’indicazione dell’anno di uscita dell’edizione tedesca utilizzata): I: 1910 (1901); II: 1911 (1904); III: 1912 (1899); IV, 1-2: 19081912 (1906-1907); V: 1914 (1909); VI: 1922 (1913); VII: 1923 (1920); VIII: 1924 (1920). La traduzione fu condotta sulla quarta edizione tedesca. Nel 1931 Mercati pubblicò un Supplemento ai volumi I e III secondo l’ultima edizione tedesca, cioè sulla base della V-VII edizione tedesca (I: 1925; III: 1924; ristampati come edizioni VIII-IX nel 1926). Il Supplemento, pubblicato separatamente, venne poi incorporato nella quarta edizione italiana dei due volumi. 123 P. VIAN, Mercati, Angelo, in DBI, LXXIII, Roma 2009, pp. 596-599. Per i suoi rapporti con Pastor cfr. PASTOR, Tagebücher cit., pp. 705, 715, 748 (ibid., pp. 748, 787, 834, a proposito del fratello Giovanni). 124 Su Pio Cenci (1876-1955), cfr. S. PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati (1925-1955), con notizie d’ufficio dai suoi Diari, in Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, V, Città del Vaticano 2011 (Collectanea Archivi Vaticani, 84), pp. 3-155: 55 nt. 129, 148; ID., Per la storia dell’Archivio Segreto Vaticano. I verbali dei «congressi» (1884-1922), ibid., VII, Città del Vaticano 2014 (Collectanea Archivi Vaticani, 96), pp. 165-260: 221 nt. 162. L’origine della conoscenza con Pastor è narrata in P. CENCI – M. CLAAR, Ludovico von Pastor, in Nuova rivista storica 12 (1928), pp. 609-612: 609. Cfr. PASTOR, Tagebücher cit., p. 887. Cenci svolse anche un ruolo come revisore di «voci» della Enciclopedia Italiana, probabilmente d’intesa e su commissione di padre Tacchi Venturi; fu, per esempio, critico, ma senza effetto, della «voce» di Raffaello Morghen dedicata a Paolo Sarpi, G. TURI, Il mecenate, il filosofo e il gesuita. L’«Enciclopedia Italiana», specchio della nazione, Bologna 2002 (Saggi, 561), p. 227. Una fotografia (1936) di Cenci, in compagnia di don Giuseppe De Luca e del fratello di questi, Luigi, è pubblicata in G. DE LUCA – G. B. MONTINI, Carteggio, 1930-1962, a cura di P. VIAN, Brescia-Roma 1992 (Quaderni dell’Istituto Paolo VI, 12), tav. 12.
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vatorelli125. Sotto il nome, autorevole e rassicurante, di Cenci la traduzione proseguì sino alla conclusione, nel 1934126. Già nel 1896 Angelo Mercati aveva recensito, nella Rivista bibliografica italiana di Salvatore Minocchi, il terzo volume dell’edizione tedesca (1895)127. Segnalato il favore dei dotti per i primi volumi e l’attesa che accompagnava l’uscita del terzo, per la trattazione del pontificato di Alessandro VI, il prete reggiano scriveva: «Il racconto è facile, oggettivo, minuto, e interessa per la riunione di tante notizie che trovansi sparse in centinaia di opere e per le non rare novità che l’Autore ha potuto rivelare in seguito a felicissime scoperte» (p. 85). «Vizi e virtù di papi e dei cardinali sono rilevati senza odiosità o timore» (p. 85), e severissimo era il giudizio su Alessandro VI come privato. D’altra parte, non si poteva più dubitare dell’elezione simoniaca di Innocenzo VIII, Alessandro VI e Giulio II né si poteva più affermare l’assoluta purezza di Lucrezia Borgia. Si notava che l’«opera [era] piena d’erudizione e di serenità di giudizio» e che sarebbe stata in futuro «indispensabile» per la conoscenza della storia d’Italia e di Roma tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. «Grande merito di questa Storia mi è sembrata l’imparzialità del giudizio che ad ogni pagina traspare: l’Autore non s’è formato in precedenza alcun idolo, ha incontrato nelle sue ricerche degli uomini, e avendone studiate le azioni, queste gli hanno dato i criteri per essere serenamente giudicati». In questo modo Pastor rettificava Tommasini nella sua edizione di Infessura, Villari nel suo Machiavelli e nel suo Savonarola, Gregorovius nella Lucrezia Borgia e nella Storia di Roma. Si registravano infine alcuni difetti, fra i quali le frequenti citazioni da altri storici e alcune lacune bibliografiche.
125
Sulla collaborazione di De Gasperi, Levi Della Vida e Salvatorelli alla traduzione della Storia dei papi, cfr. il brano delle Note autobiografiche di Levi Della Vida pubblicato infra. Per De Gasperi cfr. A. MELLONI, Alcide De Gasperi alla Biblioteca Vaticana (1929-1943), in Alcide De Gasperi: un percorso europeo, a cura di E. CONZE, G. CORNI, P. POMBENI, Bologna 2005 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Quaderni, 65), pp. 141-168: 149-150, 153. Numerosi riferimenti al lavoro di traduzione, assunto con poco entusiasmo, per puri motivi economici, in alcune lettere fra Levi Della Vida e Salvatorelli, cfr. G. LEVI DELLA VIDA – L. SALVATORELLI, La pazienza della storia. Carteggio (1906-1966), a cura di M. MARTIRANO, Roma 2013 (Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Memorie, ser. IX, vol. 31, fasc. 3), pp. 798-799 (Levi Della Vida, 24 dicembre 1932), 800-801 (Levi Della Vida, 9 aprile 1933), 801 (Salvatorelli, 12 aprile 1933), 803 (Levi Della Vida, 15 agosto 1933), 804-805 (Salvatorelli, 20 agosto 1933), 806-807 (Levi Della Vida, 22 dicembre 1933), 808 (Salvatorelli, 1° gennaio 1934). Cfr. anche infra. La collaborazione di altri alla traduzione è dunque certa dagli inizi degli anni Trenta ma si può ipotizzare che la prassi fosse anche anteriore. 126 I volumi tradotti da Cenci e dai suoi collaboratori videro la luce nei seguenti anni (fra parentesi l’indicazione dell’anno di uscita dell’edizione tedesca utilizzata): IX: 1925 (1923); X: 1928 (1926); XI: 1929 (1927); XII: 1930 (1927); XIII: 1931 (1928-1929); XIV, 1-2: 1932 (19291930); XV: 1933 (1930); XVI, 1-3: 1933-1934 (1931-1933). Il IX volume fu tradotto sulla I-IV edizione tedesca, i successivi sulla I-VII. 127 A. MERCATI, in Rivista bibliografica italiana 1 (1896), nr. 6, pp. 84-86 (Lasc. Pastor 56, nrr. 24, 142).
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Nel testo preliminare alla sua nuova versione, Mercati mostrava tutti gli scrupoli e le difficoltà che lo avevano accompagnato nel lavoro e l’assillo dell’aggiornamento che percorse e attraversò tutta l’impresa. Come già aveva fatto Benetti, evocò anche il nome di Pastor che non aveva fatto mancare la sua approvazione. Accennava inoltre alle difficili condizioni di isolamento e di arretratezza bibliografica nelle quali il lavoro era stato incominciato: Non senza trepidazione presento al colto pubblico italiano questa mia nuova fatica; la fama dell’opera imponeva particolari cure; la grande varietà della materia svolta, il molteplice linguaggio tecnico usato nell’esposizione, il dovere di riprodurre con fedeltà assoluta il pensiero d’uno scrittore, che gode molta autorità, su un periodo storico e su persone oggetto di profonde discussioni e del più vario giudizio, mi hanno messo più d’una volta di fronte a grandi difficoltà. Ma spero d’aver soddisfatto all’obbligo mio in modo che il lettore si possa appoggiare con piena sicurezza sulla versione come se si trattasse dell’originale. Le congratulazioni dell’Autore pel mio «lavoro tanto coscienzioso» (lettera del 23 aprile 1908)128 mi dànno tranquillità e mi compensano ad usura delle fatiche e noie provate, che scompariranno totalmente dalla mia memoria se, come mi lusingo, i miei connazionali faranno benigna accoglienza al volume presente. La stampa era già cominciata quando ricevetti il fascicolo delle giunte e correzioni, che nell’edizione tedesca occupa per la prima parte le pp. 769-774 della seconda. Quando potei, inserii al posto voluto, il resto ho riunito alla fine del volume, ove figura anche ciò, che rigorosamente parlando avrei potuto collocare nel testo, ma che, inseritovi, avrebbe nascosto il pensiero primitivo dell’Autore, sempre utile a conoscersi, oppure avrebbe obbligato a modificare sensibilmente il testo. Era mio desiderio tener conto pel lettore degli studi compiuti dopo la pubblicazione del testo originale e completare la bibliografia indicando almeno le pubblicazioni fatte fino a tutto il 1907. Ma l’illustre Autore, occupato in molteplici lavori, non ha potuto contentarmi ed io, parimente occupatissimo e per giunta vivente in un centro, che mi rendeva quasi impossibile il compimento del lavoro quale lo 128
La lettera di Pastor del 23 aprile 1908 rispondeva a una di Mercati, Reggio Emilia, 17 aprile 1908, nella quale il sacerdote reggiano fra l’altro scriveva: «perdoni se per l’ultima volta, come spero, pel vol. IV La importuno. Il lavoro è ormai finito e ripassandolo ho la tranquillità maggiore che io abbia mai provata nei tanti saggi dati di versione. Sarà questo anche il giudizio di Lei e del pubblico? Me l’auguro e Dio lo voglia. Intanto potrei pregarLa di due righe di prefazione? E potrei io aggiungere due parole? E non sarebbe possibile — dal momento che per far noto tutto il Suo pensiero ho introdotto nel testo soltanto qualche aggiunta che lo completasse, rimettendo all’appendice le altre cose che correggano e modificano — mettere in appendice altre aggiunte specialmente bibliografiche? Le sarebbe scaro interessarsi della cosa? Nella pagina qui in faccia Le faccio alcune domande, alle quali la esperimentata squisita cortesia di V. S. mi hanno incitato. Finito il IV, 1, metterò tosto — e con maggior rapidità — mano a IV, 2, che ho già scorso con grande interesse». Il testo è pubblicato in A. MERCATI, Lettere a L. von Pastor, in Card. Giovanni Mercati – Mons. Angelo Mercati. XXV anniversario della morte del Cardinale. Commemorazioni tenute il 23 aprile 1982, Reggio Emilia 1985, pp. 50-57: 54.
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avevo ideato, ho rinunziato subito al proposito, che rimane però insoddisfatto e tentatore in fondo all’animo mio. Pel Machiavelli e Savonarola del VILLARI129 e per la Storia di Roma del GREGOROVIUS ho sostituito alle citazioni riferentisi a edizioni tedesche quelle delle edizioni italiane, pel GREGOROVIUS scegliendo l’illustrata in 4 volumi della Società editrice nazionale130. Avrei potuto fare altrettanto per altre opere (ad es. accomodare alla seconda le citazioni della prima edizione della Storia d’Italia di mons. BALAN131), ma ciò avrebbe portato via troppo tempo e differita ancor più la pubblicazione di questo volume, che, lungamente e avidamente aspettato, si presenta ai lettori italiani fiducioso di tornar gradito e di rispondere alla legittima loro aspettativa132.
La costante preoccupazione dell’aggiornamento è evidente anche nelle parole introduttive al Supplemento ai volumi I e III secondo l’ultima edizione tedesca, pubblicato nel 1931. Nel paragrafo conclusivo Mercati ribadiva l’intenzione che aveva sostenuto la «veramente improba fatica»: Dei volumi I e III della sua giustamente celebrata e ammirata Storia dei Papi, dopo la quarta, sulla quale fu eseguita la seconda italiana, il compianto illustre barone von Pastor con amore e intelletto degni di lui preparò e pubblicò una nuova edizione introducendo tante e tali variazioni, correzioni ed aggiunte, che essa è indispensabile a chiunque si occupi del relativo periodo di storia e voglia seguire lo sviluppo e il progresso degli studi storici. Perciò la Casa editrice Desclée, che ha sempre considerato come un suo impegno d’onore l’edizione italiana del Pastor, ha deciso di rendere patrimonio comune degli italiani il tesoro scientifico accumulato nel testo e nelle note di quei due volumi nella nuova edizione originale, ma, non potendosi pensare a una nuova edizione italiana completamente rifusa e dovendosi d’altra parte tenere in considerazione i numerosi possessori dell’ultima edizione italiana e sue ristampe, s’è dovuto adottare un espediente, il quale, pur coi suoi difetti pratici, pare che risponda egregiamente allo scopo, quello cioè di seguire pagina per pagina, linea per linea il nuovo testo tedesco e notarne per l’italiano tutte le variazioni133, così che tenendo sempre 129 P. VILLARI, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, Firenze 1877 (con numerose edizioni); La storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi, I-II, Firenze 1859-1861 (con numerose edizioni). 130 F. GREGOROVIUS, Storia della città di Roma nel medio evo, illustrata nei luoghi, nelle persone, nei monumenti, I-IV, Roma 1900-1901. 131 P. BALAN, Storia d’Italia, I-VII, Modena 1875-1890 (sia in volumi sia in fascicoli). L’opera ebbe una seconda edizione, sia in volumi (I-X, con un volume XI di indici generali onomastici e toponomastici compilati da Ferdinando Rodolfi) sia in fascicoli, edita dalla Tipografia Pontificia e Arcivescovile dell’Immacolata Concezione, fra il 1894 e il 1899. 132 A. MERCATI, Prefazione del traduttore, in L. von PASTOR, Storia dei papi (...), IV, 1, nuova ristampa, Roma 1921, pp. VII-VIII. Il testo è datato «Seminario di Reggio Emilia, 29 aprile 1908». 133 Sul punto Mercati aggiungeva in nota una difesa della rettitudine scientifica e della scrupolosità di Pastor, da alcuni criticato in quanto ritenuto impermeabile alle critiche e alle ID.,
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presente e a mano questo supplemento è come se si avesse intiera una nuova edizione italiana sull’ultima tedesca col vantaggio di poter seguire, sotto illuminata ed espertissima guida, tutta l’attività scientifica d’un quarto di secolo relativa a determinati oggetti colle conclusioni, che il venerando storico ha creduto dovere derivarne. M’auguro che la veramente improba fatica durata nella compilazione di questo supplemento porti, specialmente nel clero italiano, quei frutti di formazione scientifica, di metodo e di cultura, che nascono da opere, che, come quella del Pastor, si possono dire umanamente perfette, per quanto lo permette la materia sulla quale vertono134.
7. Nella stagione del modernismo Traduttore di numerose opere storiche dal tedesco con l’intento di rendere più culturalmente consapevole e aggiornato il clero italiano, in contatto con Pastor135, Mercati si muoveva in uno spirito di «romanesimo assoluto»136, ma — come il fratello Giovanni — era anche espressione della primavera degli studi ecclesiastici fiorita fra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, sotto il pontificato di Leone XIII. Pur appartenendo ad altra stagione ed essendo espressione di un altro mondo, il successore di papa Pecci, Pio X apprezzò l’opera e, privatamente, incoraggiò il traduttore137. obiezioni: «Alcune di queste [variazioni] possono sembrare minime: attestano però in modo umile ma eloquente la scrupolosità dell’autore e il conto, che egli teneva delle osservazioni dei critici serii e degli storici oggettivi». Per riflessioni nello stesso senso di Camillo Manfroni, cfr. infra, nt. 214. 134 Ragione di questo supplemento, in L. von PASTOR, Storia dei papi (...). Supplemento ai volumi I e III secondo l’ultima edizione tedesca, a cura di A. MERCATI, Roma 1931, pp. V-VI. Il testo è datato «15 novembre 1930». 135 Il testo di sei lettere di Mercati a Pastor, conservate in Biblioteca Vaticana nel Lasc. Pastor, è pubblicato in MERCATI, Lettere a L. von Pastor cit. Le sei lettere pubblicate, dal 19 agosto 1906 all’11 ottobre 1909, sono importanti per gli intenti, il metodo e il lavoro del traduttore che teneva soprattutto a «una fedeltà assoluta pur cercando di dargli (scil. al testo) veste e colorito italiano». Una lettera di Pastor a Mercati, Roma, 23 aprile 1908, inedita, di risposta a quella di Mercati, pubblicata, del 17 aprile 1908, è conservata a Reggio Emilia, Archivio del Seminario, faldone 1, cartella 2, f.n.n. 136 VIAN, Mercati, Angelo cit., p. 597. 137 Mercati ricordò il compiacimento di Pio X per la sua opera in lettera al card. Francesco di Paola Cassetta, [Roma], 30 dicembre 1914, Biblioteca Vaticana, Arch. Bibl. 202, pt. 1, sezione D, ff. 1v-2r; ma cfr. anche la sua nota del 27 gennaio 1915, ibid., f. 12v. Effettivamente a Reggio Emilia, Archivio del Seminario, faldone 3, cart. 1, è conservata la lettera del sostituto della Segreteria di Stato Giacomo Della Chiesa, 12 novembre 1905, a Giovanni Mercati, per trasmettere ad Angelo un messaggio di compiacimento di Pio X per la traduzione dell’opera di Denifle su Lutero. Il 13 novembre mons. Della Chiesa scrisse ancora a Giovanni che il «Card. Segretario di Stato (scil. card. Rafael Merry del Val) non solo approva, ma encomia il suo prudente consiglio di raccomandare al fratello di tenere per sé la lettera pontificia», ibid., faldone 3, cart. 5, f.n.n.
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Le perplessità del cardinale vicentino Gaetano De Lai, espresse in lettera a Mercati del 26 maggio 1920, a proposito dell’«eccessivo studio di sincerità storica» su tante «piccole miserie dell’uomo», non divennero mai un’opposizione concretamente efficace né teoricamente espressa ed elaborata138. Nel passaggio da Pecci a Sarto, nel diverso clima del pontificato di Pio X, nella crisi modernista, si nota quindi ancora una sostanziale assenza di critiche dal fronte intransigente, dai fautori di una storia apologetica che in Italia aveva avuto un’espressione significativa nelle opere del veneto Pietro Balan, autore di una celebre Storia d’Italia (1875-1890) e di un’altrettanto diffusa Storia della Chiesa dall’elezione di Pio IX «ai giorni nostri» (1879-1886)139. Giova confrontare gli apprezzamenti alla Storia di Pastor di organi come La civiltà cattolica e L’osservatore romano con le vicende cronologicamente parallele della seconda traduzione italiana dell’Histoire ancienne de l’Église di Louis Duchesne, pubblicata dallo stesso editore della traduzione della Storia dei papi, Desclée, nel 1911, ma con ben diversi esiti: dall’immediato seguito delle vivacissime polemiche agli attacchi degli Appunti sereni (1911), alla condanna e alla messa all’Indice nel gennaio 1912140. Proprio L’unità cattolica, fra i più convinti sostenitori dell’opera di Pastor, fu invece 138
De Lai, allora segretario della Congregazione Concistoriale, invitava Mercati a moderare Pastor, che aveva chiesto di accedere ai documenti delle visite apostoliche avvenute sotto Pio V e Gregorio XIII. Secondo il cardinale vicentino, lo storico «per un eccessivo studio di sincerità storica ama di scendere ai più minuti dettagli, descrivendo le piccole miserie dell’uomo, rilevate dalle cronache, spesso malevoli e partigiane di qualche cortigiano e cerimoniere (...). Io credo che questi dettagli eccessivi sfigurano più che dare la figura piena della persona. Comunque quanto alle visite non so che vantaggio vi possa essere nel mettere in piazza una quantità di miserie, che certo vi erano e vi doveano essere a quell’epoca, che sono il retaggio di Adamo in ogni età, con la sola differenza del più e del meno. Quindi cautela e ne avverta il detto professore, Ministrum Reipublicae Austriacae!». La lettera di De Lai a Mercati è citata da S. PAGANO, Angelo Mercati viceprefetto e prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano (1920-1955), in corso di stampa nel volume I fratelli Mercati nella storia e nella cultura del Novecento (nella collana «Studi e testi» della Biblioteca Vaticana). Ringrazio mons. Pagano per il permesso di citare il passo. Su De Lai, cfr. R. CERRATO, De Lai, Gaetano, in DBI, XXXVI, Roma 1988, pp. 278-280 (p. 279, per le valutazioni negative dei lavori, oltre che di Pastor e Duchesne, anche di Lagrange, Blondel e Lanzoni); G. AZZOLIN, Gaetano De Lai, «l’uomo forte» di Pio X. Cultura e fede nel I Novecento nell’esperienza del cardinale vicentino, Vicenza 2003; sul suo atteggiamento nei confronti delle opere di Duchesne, WACHÉ, Monseigneur Louis Duchesne cit., pp. 560, 585-587, 592, 598-600, 602, 607-608, 656-657. Sui suoi rapporti con Pastor cfr. PASTOR, Tagebücher cit., pp. 574, 695-696, 716, 731. 139 P. SCOPPOLA, Balan, Pietro, in DBI, V, Roma 1963, pp. 308-311. 140 M. MACCARRONE, Monsignor Duchesne e la Curia Romana, in Monseigneur Duchesne et son temps. Actes du colloque organisé par l’École française de Rome, Palais Farnèse, 23-25 mai 1973, Rome 1975 (Collection de l’ École française de Rome, 23), pp. 401-494; ma cfr. anche É. POULAT, Mgr Duchesne et la crise moderniste, ibid., pp. 353-373; e P. SCOPPOLA, L’influsso di Duchesne sul risveglio culturale del cattolicesimo italiano nel primo Novecento, ibid., pp. 395400; M. I. PALAZZOLO, Gli editori del papa. Da Porta Pia ai Patti Lateranensi, Roma 2016 (La corte dei papi, 30), pp. 113-124.
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tra i più accesi e vivaci critici della traduzione italiana dell’Histoire di Duchesne141. Quali i motivi di così diversi destini? I soggetti di Pastor erano meno delicati e sensibili di quelli delle origini cristiane e dei primi secoli: riguardavano un organismo ormai formato e consolidato, non un assetto statu nascenti e in evoluzione. Nelle pagine di Pastor vi erano giudizi severi su comportamenti personali e vicende politiche, ma non vi erano minacciose implicazioni teologiche ed ecclesiologiche. Svolse poi sicuramente un ruolo la collocazione quasi ufficiale di Pastor, che agiva con l’incoraggiamento e il sostegno della Santa Sede. Come mostrò la vicenda dell’associazione cattolica scientifica internazionale sorta dopo l’enciclica Pascendi (1907), ove Pastor, segretario del sodalizio, sostenne una linea diversa da quella di Franz Ehrle, ottenendo l’appoggio e il plauso della gerarchia142. La profonda diversità dei destini delle opere di Duchesne e di Pastor sullo sfondo della crisi modernista è mostrata da altri due fatti. Michele Faloci Pulignani, il prete umbro che fu uno dei più severi critici della Vie de saint François d’Assise (1894) di Paul Sabatier, fu invece uno dei più entusiasti recensori e sostenitori della Storia dei papi143, che non fu invece oggetto di particolare interesse da parte di Ernesto Buonaiuti e di altri esponenti del modernismo italiano144. 141 M. TAGLIAFERRI, L’unità cattolica. Storia di una mentalità, Roma 1993 (Analecta Gregoriana, 284. Series Facultatis Theologiae, B: 36), pp. 161-172 e passim; F. MORES, Louis Duchesne. Alle origini del modernismo, Brescia 2015 (Storia, 66), pp. 137-188. Per le polemiche e per le condanne dell’opera di Duchesne, cfr. WACHÉ, Monseigneur Louis Duchesne cit., pp. 538-613. Sui rapporti personali fra Pastor e Duchesne, ibid., pp. 474-475. 142 R. AUBERT, Un projet avorté d’une Association scientifique internationale catholique au temps du modernisme, in Archivum historiae pontificiae 16 (1978), pp. 223-312. 143 Numerosi e sempre decisamente elogiativi gli interventi di Michele Faloci Pulignani a proposito della Storia dei papi: cfr. supra e infra. Sul prete umbro (1856-1940), G. FAGIOLI VERCELLONE, Faloci Pulignani, Michele, in DBI, XLIV, Roma 1994, pp. 489-492; ma cfr. anche PASTOR, Tagebücher cit., pp. 420, 458, 462; L. BEDESCHI, La Curia Romana durante la crisi modernista. Episodi e metodi di governo, Parma 1968, pp. 129-186 e passim; WACHÉ, Monseigneur Louis Duchesne cit., pp. 507, 545, 555, 558, 560, 583-584, 590. 144 Non una parola su Pastor in E. BUONAIUTI, Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo, a cura di M. NICCOLI, Bari 1964 (Biblioteca di cultura moderna, 604). Ma cfr. anche Bibliografia degli scritti di Ernesto Buonaiuti, a cura di M. RAVÀ, Firenze 1951, pp. 23 (nr. 409), 29 (nr. 489), 60 (nr. 1102). Il disinteresse fu comunque reciproco, come nota R. MANSELLI, Ludwig von Pastor storico dei papi. Tradizione storiografica cattolica e metodologia positivistica, in Studium 75 (1979), pp. 9-24 [in tedesco, col titolo Ludwig von Pastor. Der Historiker der Päpste. Katholische Tradition und positivistische Methodologie in der Geschichtsschreibung, in Römische historische Mitteilungen 21 (1979), pp. 111-126]: 21: «Di Loisy [Pastor] appena fa il nome, del Duchesne in sostanza diffida; di altri tace. Rimane perciò (...) perfettamente in linea con quella che è stata la sua formazione culturale, se pensiamo che del Möhler ricorda appena il nome, del Newman la figura fisica come cardinale, e che rifiuta ogni concetto di evoluzione storiografica da applicare alla Chiesa. In fondo, egli rimaneva fedele al suo con-
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Faloci Pulignani intervenne più volte sulla Storia dei papi. Nel 1908, recensendo il volume IV, 1, italiano, definì il volume «una delle più belle pubblicazioni italiane di quest’anno»145. Nel 1924, presentando il volume VIII, italiano, sottolineò, l’imparzialità di Pastor che se incontrava «qualche punto scabroso» procedeva comunque «con la tranquilla maestà di chi sa di raccontare la storia di un’istituzione divina che non trova occasi». Dopo aver segnalato la perfetta continuità, senza sorprese, fra il domenicano Michele Ghislieri, il cardinale Alessandrino, e Pio V, si lodava «la inarrivabile perizia» di Pastor «che ha frugato in tutto il mondo per penetrare nella conoscenza di tante particolarità, che forse furono ignote anche ai contemporanei del Pontefice», «la genialità con la quale scrive questo storico che ha delle pagine quasi poetiche, così agili, così vere, così limpide, che non si direbbero scritte da uno storico tedesco, sempre serio, grave e compassato». Il «sistema incensurabile» rivelava in Pastor il «più vero», il «più copioso», il «più geniale tra gli istorici del papato»146. Nel 1928, presentando il volume X, scriveva: «Fare elogi di questo scrittore è superfluo, ed omai è unanime il consenso dei dotti, che un libro scritto da lui non può essere che oggetto di plauso. Lasciamo dunque l’autore, il cui nome è sinonimo di cosa umanamente perfetta, e procuriamo di riassumere la vita operosa del grande Pontefice (scil. Sisto V), come ce la descrive questo scrittore con animo di cattolico, con coscienza di critico e, per me, anche con sentimento di Poeta». La «diligenza del Pastor» è «meravigliosa». Il racconto, «la parola alata del Pastor», assurge «quasi alla genialità di un romanzo, mentre è storia precisa». cetto di verità e alla sua trasposizione in termini di fatti e documenti da accertare e da collocare nel loro rapporto reciproco immobile, come immobile è, appunto, la verità». 145 M. FALOCI PULIGNANI, «Leone X» di L. Pastor, in Corriere d’Italia 1908 (Lasc. Pastor 57, nr. 34; sul volume IV, 1, italiano). In realtà il prete umbro andava oltre le posizioni di Pastor, «più entusiasta di Giulio II che di Leone X», finendo per intessere un’apologia di Roma (anche in chiave nazionale): «È vero che da ogni lato risuonava il grido della riforma nel capo e nelle membra, ma è singolare il fatto che la necessità della riforma nel Capo la vedessero meno i vicini, che erano testimoni oculari, e che erano al caso di giudicare direttamente delle cose, anziché i lontani, ai quali potea far velo qualche poco di sentimento nazionale, ed ai quali non poteano giungere notizie sicure e precise, come le aveano i Romani, gli Italiani, i popoli Latini, che dagli asserti vizi del Capo non trovarono ragioni sufficienti per separarsi da lui. Ed è non meno singolare che il grido di riforma nelle membra partisse a preferenza da quelle regioni, le quali alla vista di scandali invocavano purità di costumi, ma poi, separandosi da Roma, dettero il triste esempio di monaci simpatizzanti con Lutero, che finirono col gittar la cocolla e prender moglie. Gridiamo pure contro la poca spiritualità della Curia, contro la leggerezza di chi doveva insegnare la purità, contro la debolezza di chi non seppe troncare il male nelle radici, ma non diciamo che se la Germania e l’Inghilterra, se il Nord dell’Europa ruppero il vincolo millenario che le univa a Roma, Roma ne fu la causa, o l’occasione. Se ciò fosse stato vero, Roma e i popoli latini doveano separarsi per i primi come testimoni più competenti, più diretti e... più scandalizzati. (...) Tutto questo ci impone il dovere di non essere unilaterali, e di astenerci dal dare di un complesso così vario di uomini e di cose un giudizio assoluto. Per giudicare Leone X, non bisogna strapparlo dal tempo suo, e non bisogna astrarre dalle circostanze che a lui offuscarono la chiara visione delle cose, che noi, dopo quattro secoli, possiamo giudicare molto freddamente». 146 M. FALOCI PULIGNANI, San Pio V di L. Pastor, in Corriere d’Italia, 8 maggio 1924 (Lasc. Pastor 61, nr. 24; sul volume VIII, italiano).
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Peccato che l’opera non fosse illustrata, come quelle di Grisar, di Venturi e altri; l’edizione sarebbe costata di più ma il pregio sarebbe molto aumentato. Si concludeva confessando incertezza se ci si dovesse inchinare alla grandiosità di un papa o all’abilità di un fotografo come Pastor147. Nel 1930 Faloci Pulignani, tornando sul problema dell’obiettività dello storico, difese come un valore e come una necessità la «parzialità», da taluni rimproverata, di Pastor148: la Storia di Pastor aveva per fine «la difesa della verità, (...) l’apologia della Chiesa». Chi di questo si scandalizzava mostrava di avere una visione errata dell’obiettività storica. «E la debole concezione che essi hanno del vero li fa paurosi: è una mentalità fiacca. Essi, col proposito di studiare la storia obiettivamente, non mettono nelle cose loro un senso di vita, non hanno un sussulto di affetto per i grandi ideali, dei quali raccontano i fasti; e studiano freddi e ghiacci la storia dei Martiri, come studierebbero la storia dello Islam, e si divertono a tradurre libri sacri, con la stessa preparazione spirituale con la quale tradurrebbero un papiro egiziano. Non così il Pastor, ed è qui il principale merito suo. Chi più di lui obiettivo, severo, indagatore e distributore giudizioso di biasimi e di lodi? Ma nei suoi libri si sente palpitare un’anima cristiana, devota alla Chiesa, votata al suo prestigio, al suo trionfo, per nulla preoccupata se qualche nube, se qualche figura sembra fare ostacolo alle sempre nuove vittorie, al progressivo suo salire». Nessuno aveva potuto rimproverare Pastor per lealtà, correttezza, diligenza. La sua colpa era quella di Agostino, che concepì cristianamente la storia; la sua colpa era quella di Bossuet, che vide Dio a capo di tutto. Ai grandi storici della Chiesa, da Eusebio in poi, passando per Agostino, Baronio, Bolland, Mabillon, Muratori, Garrucci, Grisar, Wilpert e De Rossi, si aggiungeva ora Pastor che aveva il merito (rispetto ai nomi citati, escluso De Rossi) di essere un laico. Pastor fondeva insieme «apologia e storia, mettendo questa al servizio di quella, poiché quando si parla del cristianesimo, dei Papi, di Roma papale, è sempre vero quello che un secolo fa scrisse il Pertz, che la miglior difesa dei Papi è lo scoprimento del loro essere». «Gli storici antipapali di oltre Alpi, gli storici liberali d’Italia, hanno avuto tutto l’interesse per sconvolgere i massimi criteri e gli insegnamenti preziosi della storia, segnalando le vie tortuose dell’incidente, per abbandonare la via maestosa della verità. E nelle grandi imprese del Papato medioevale e moderno, invece di leggere il pensiero dei Papi, ognuno dei quali si sforzò di mantenere alla grande Roma il grado e l’onore di Metropoli del mondo intero, non videro grettamente che le meschine ambizioni di pretendenti ad un principato effimero e minuscolo. E non videro, i ciechi, che ciascun Papa dal Medio Evo ad oggi, e prima ancora, si sentì erede dell’Impero Romano, e che tutti si assisero proprio nel Palatino, perché di là partisse a tutto il mondo la parola e la legge della carità, d’onde prima era partita la legge della forza. Falsarono la storia, e non compresero più il Papato. Per gli storici italiani soprattutto, doveva essere sentimento e compiacimento di orgoglio nazionale, spiegare nel vero senso la missione universale dei Papi, con sede in Roma, mentre in essa non vollero vedere che la miseria di un feudo terreno, che spesso non andava oltre la vista del Tevere e dell’A147 M. FALOCI PULIGNANI, Sisto V secondo L. Pastor, in Corriere d’Italia, 23 maggio 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 11; sul volume X, italiano). 148 FALOCI PULIGNANI, La grande «Storia dei Papi» di Ludovico Pastor cit.
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niene». Pastor aveva richiamato l’attenzione generale su questa deviazione dalla verità. Ma rimaneva molto da fare. Alla base delle false opinioni di quanti libri, insegnanti e scuole vi erano i libri e i libelli di Bianchi Giovini, di Pianciani, dove non si sapeva se fosse maggiore la deficienza del valore storico o dell’onestà di chi li scrisse? Non si può parlare di «eccessi del papato medievale» o di «pornocrazia», come fecero storici tedeschi, oppure «quelli e questi» che «hanno aggredito la mole gigantesca del Pontificato romano, strappando da essa lo scandaluccio pettegolo, divulgandolo con lenti d’ingrandimento, affinché lo spettatore, illuso e distratto da quell’orpello, distogliesse il pensiero dalla realtà». «Ma il Pastor non indietreggia, non si disturba dinanzi alla petulanza di questi scioccherelli, e prende le macchie, e le innesta nel grande corpo dell’istituzione millenaria due volte, perché essa da quelle ombre risulti più viva, tanto da gridar alto lo splendore divino, l’insegnamento ortodosso, la costante predicazione della verità e della giustizia, in qualunque periodo della storia del Pontificato, ancorché a capo di questo fosse stato Alessandro VI». La scuola storica italiana (Sigonio, Baronio, Muratori, sino a Cantù e a Balan) sapeva che il papato vero non era rappresentato dalle pagine umane, spesso troppo umane, di alcuni suoi rappresentanti ma era costituito dalla maestà di un istituto che rappresentò la difesa della civiltà latina e greca contro l’Islam e contro mille minacce, che rappresentò la libertà italiana e romana, «la quale, ostinandosi a voler che Roma fosse “caput mundi”, non volle sul Tevere né Longobardi, né Tedeschi, né Spagnoli, né Francesi gridando per bocca del ferreo Giulio II “Fuori i barbari”. Guai se fra Napoli e Milano, a Roma non ci fosse stato il Papa, per impedire che le due città, che le due regioni, fossero unite e alla dipendenza di un solo Monarca. L’Italia, forse, sarebbe stata “una”, ma sarebbe stata o tutta spagnola, o tutta francese: italiana mai. Il Pastor fa conoscere che quei liberali, i quali fanno colpa al Papato di avere ostacolata l’unità nazionale della Penisola, dimenticano che allora le Nazioni erano rappresentate da Sovrani, i quali tutelavano sopratutto gli interessi delle dinastie, e non quelli delle popolazioni; le quali, specialmente in Italia, purtroppo ignoravano gli odierni concetti di unità nazionale. E non parliamo degli sforzi del Papato per ingentilire Roma col sorriso delle arti, col suono della poesia: non parliamo della saggezza con la quale respinse le duplici esagerazioni classiche ed anticlassiche della rinascita pagana e delle utopie savonaroliane. Ma è pur d’accennare ciò che il Pastor splendidamente dimostra, che cioè mai in Roma si coltivò il bello quanto allorché sui gradini del Trono di Pietro si affollavano Bramante e Michelangelo, Raffaello e Sansovino, ed altri sommi. Questo è il Papato il quale, come dimostra il Pastor, non ebbe mai macchia di una politica scorretta, di un insegnamento immorale, di una linea sola che si dilungasse dall’Evangelo». «Il Pastor sembra uno storico inspirato da questo sacro imperialismo. Leggiamo là, dove parla di Raffaello e delle sue pitture in Vaticano. Quella descrizione mirabile è una glorificazione del Papato, ed è quanto di più bello, di più grande, di più armonioso possa aver dettato uno storico. Non si possono leggere quelle pagine senza sentirsi pervasi da un’ammirazione profonda, verso quei grandi pontefici che, se talvolta furono uomini, rappresentavano il cosmopolitismo, l’enciclopedia, l’eternità della loro funzione, e chiamarono ad immortalare il pensiero cristiano in quelle pareti i più grandi pittori del mondo. Mettete insieme Londra e Parigi,
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Vienna e Berlino, mai troverete in esse quello che fecero i Papi nella sola Roma, sapendo di governare una città mondiale attorno alla quale lavorarono per secoli, onde tenerne lontane le preoccupazioni profane di litigi e di quisquilie politiche». «Sopprimete per ipotesi i Papi a Roma, e al loro posto mettete Arnaldo da Brescia, Cola di Rienzo, Stefano Porcari e poi... fate le vostre riflessioni, i vostri confronti». «E ciò anche a non esser credenti, poiché il fulgore del vero, del bello, del buono così sapientemente lumeggiato dal Pastor non può non suscitare in tutti una salutare influenza. Gli è che il Pontificato Romano, come opera divina, non può non divinamente operare, attrarre, persuadere, convincere». La rivisitazione dell’opera di Pastor diviene, in Faloci Pulignani, una rivendicazione della positività del ruolo del papato nella storia nazionale.
Buonaiuti nella sua Storia del Cristianesimo (1941) formulò un bel apprezzamento per il lavoro di Pastor, unito, però, a qualche perplessità: La grande opera di Ludovico Pastor, Storia dei Papi, dalla fine del Medioevo, ha bisogno di essere qui appena menzionata. Come è universalmente riconosciuto, è un’opera di erudizione e di esplorazione archivistica letteralmente formidabili, a cui si possono rimproverare, se si vuole, preconcetti nelle valutazioni e molti presupposti tendenziosi, ma la cui ricchezza di dati, la copia dei riferimenti, la utilizzazione sconfinata degli archivi, conferiscono un valore eccezionale e, diciamo pure, inconsumabile. Anche i riferimenti bibliografici possono sempre trovarsi lì minuti e vagliati149.
Anche riviste legate a Buonaiuti e al modernismo italiano non trascurarono l’opera di Pastor. Nel 1906 Studi religiosi espresse un plauso all’editrice Herder per aver pubblicato un’opera come questa, «che alla più viva fede cattolica unisce il più schietto amore alla verità storica»150. L’anno successivo le lodi vennero ribadite: «L’opera monumentale del Pastor non ha bisogno di elogi né di raccomandazioni, per imporsi alla considerazione e all’ammirazione dei lettori»151. Sostanzialmente priva di valutazioni e puramente espositiva fu la breve presentazione del volume X, nel 1928, da parte di Nicola Turchi152. Nell’aprile 1912, però, nella risposta del canonico torinese Giuseppe Piovano alle osservazioni de La scuola cattolica sul suo studio su La scuola lamennesiana, il nome di Pastor venne evocato come una tappa decisiva della riflessione storica sulla Chiesa. Dopo aver ricor149 E. BUONAIUTI, Storia del Cristianesimo, II: Evo Medio. Quarta edizione, Milano s.d., p. 669 (ed. originale: 1941). Cfr. anche ID., Ludovico Pastor, in Ricerche religiose 4 (1928), p. 565. 150 La Storia dei Papi di Lodovico Pastor, in Rivista di studi religiosi 6 (1906), pp. 771-772 (Lasc. Pastor 57, nr. 72; segnalazione del volume IV, 1, tedesco). 151 La Storia dei Papi di Lodovico Pastor, in Rivista di studi religiosi 7 (1907), p. 358 (Lasc. Pastor 57, nr. 72a; segnalazione del volume IV, 2, tedesco). 152 N. TURCHI, in L’Italia che scrive 11 (1928) (Lasc. Pastor 63, nr. 25; sul volume X, italiano). Su Turchi, WACHÉ, Monseigneur Louis Duchesne cit., pp. 536-537, 544-545, 551, 555.
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dato le forti parole di Leone XIII nell’enciclica Depuis le jour (8 settembre 1899) al clero francese, a proposito dello studio della storia ecclesiastica («Iddio non ha bisogno delle nostre menzogne»), Piovano proseguiva: Questo metodo seguirono scrupolosamente i Cardinali Baronio e Pallavicino: frutto di questo metodo è il «monumentum aere perennius» del prof. Pastor vo’ dire la sua Storia dei Papi. La storia della Chiesa scritta con siffatto metodo onora la religione; fatta con altri metodi, sotto pretesto di non scemare l’autorità e la dignità dei ministri di Gesù Cristo, attira la taccia di malafede o di ignoranza, taccia accompagnata e seguita dal disprezzo153.
8. Traduttori, traditori? «Ed il volume del Pastor uscirà presto in italiano? Sarà tradotto dal “solito” cagnescamente per non dire tedescamente?»154. La domanda, posta da Giuseppe Vale a Pio Paschini il 19 ottobre 1930, mostra come le traduzioni dei volumi della Storia dei papi abbiano dato luogo a valutazioni diverse e spesso contrastanti. Non si trattava solo di giudizi estetici o stilistici perché in gioco vi era talvolta la comprensione del testo originale e la sua resa fedele, senza tradimenti e alterazioni, in una lingua assai diversa da quella utilizzata da Pastor. Già Luotto, che non conosceva il tedesco e aveva letto la Storia dei papi solo nella traduzione di Benetti, aveva sottolineato in alcuni punti l’insufficienza della versione del sacerdote trentino: per essi aveva dovuto ricorrere anche all’aiuto di altri, fra i quali il suo maestro Cipolla155. Giovanni Battista De Rossi, scrivendo a Pastor il 29 agosto 1891, notò che «la traduzione italiana fatta in Trento mi sembra risentire un poco dell’origine semitedesca del luogo. Certo è che il nobilissimo dettato e contesto della Sua esposizione storica perde molto delle qualità originali in cotesta traduzione. Se non erro, la versione francese fa migliore impressione»156. 153 Antimodernismo piemontese, a cura di L. BEDESCHI, in Fonti e documenti [del] Centro Studi per la Storia del Modernismo, IX, Urbino 1980, pp. 7-140: 135-136. Sulla figura di Piovano (1851-1934), docente di Storia ecclesiastica nel Seminario arcivescovile di Torino ma anche figura di rilievo nel movimento sociale e democratico cristiano a Torino e sul suo «caso», cfr. ibid., pp. 96-140; G. TUNINETTI, I seminari diocesani di Torino. Dal Concilio di Trento (1536) al Concilio Vaticano II (1965) tra memoria e storia, Torino 2013 (Studia Taurinesia, 42), pp. 156-157. 154 L’epistolario di Pio Paschini (1898-1962), a cura di M. GIORGIUTTI, prefazione di S. PIUSSI, I (...), Udine 2018 (Istituto Pio Paschini. Fonti per la storia della Chiesa in Friuli. Serie moderna e contemporanea, 2), p. 274. Il volume al quale si fa riferimento potrebbe essere il XII, uscito nel 1930, oppure il XIII, 1-2, uscito nel 1931. 155 LUOTTO, Il vero Savonarola cit., pp. 121 nt. 1, 133 nt. 1, 159 ntt. 1-3, 161 nt. 2, 181 nt. 1, 415 nt. 1. A proposito della traduzione del primo volume Benetti aveva notato che «se forse taluno ne esagerò il merito, ebbe a farvi altresì degli appunti, de’ quali più che d’altro gli sono grato e mi studiai nel presente volume di approfittare», BENETTI, Ai lettori (1891), cit., p. IX. 156 De Rossi a Pastor, Roma, 29 agosto 1891; Lasc. Pastor 104, f. 344r.
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Altre voci manifestarono invece apprezzamento per lo sforzo di Benetti157, che non aveva avuto «altra pretesa che di avere colla maggior fedeltà e diligenza possibile interpretati i sentimenti dell’Autore, giovandomi anche di quelle aggiunte e correzioni, poste in fine alla edizione tedesca, e di quelle che durante la stampa egli mi venne suggerendo»158. Anche la traduzione di Mercati suscitò in linea di massima elogi e lodi159. Ma se Diego Angeli definì addirittura «mirabile» la traduzione del sacerdote emiliano160, critiche precise e appuntite giunsero da Pio Spezi, lo stesso che aveva manifestato perplessità per quella che a lui sembrava parzialità di Pastor161. 157
PAPA, La Storia dei papi dalla fine dell’età media cit., sottolineava che «Della traduzione italiana di Clemente Benetti, ove se ne tolgano alcune lievissime mende tipografiche di nomi e di costrutti sintattici, si debbe ripetere col Principe Vescovo di Trento, che all’“esattezza fedele accoppia un fare disinvolto e una bontà di lingua, come rare volte accade di trovare in simili lavori”». Anche La civiltà cattolica 48 (1897), ser. XVI, vol. IX, quad. 1117, 2 gennaio 1897, p. 98 (Lasc. Pastor 56, nr. 50; sul volume III, nella traduzione Benetti), notava che la traduzione italiana «è riuscita fedele e, tranne alcuni nèi, veramente italiana». Lodi già in precedenza: ibid. 41 (1890), ser. XIV, vol. VII, fasc. 963, 2 agosto 1890, p. 343. 158 BENETTI, Ai lettori (1890), cit., p. X. Benetti aveva ripreso dal testo originale «i passi di autori nostri (...) ogni volta che mi fu dato di potermene servire». Per agevolare i lettori italiani, nelle note erano stati tradotti anche i titoli delle opere tedesche citate nelle note, inserendo i titoli originali e completi in un elenco a parte. Rispetto all’edizione tedesca, nel primo volume erano state aggiunte le riproduzioni del monumento di Martino V e di medaglioni di Eugenio IV, Niccolò V e Callisto III, nel secondo volume le riproduzioni dell’affresco di Melozzo da Forlì e di medaglioni di Pio II, Paolo II, Sisto IV. Diversi appunti alla traduzione di Benetti formulò invece Paolo Angelo Ballerini nelle due recensioni in La scuola cattolica 19, 1 (1891), pp. 99-104: 104; 20, 1 (1892), pp. 471-476: 476. 159 «Fedelissima e bella» la traduzione di Mercati è definita da MONDADA, Una gloria della scienza e della fede. Il dott. Lodovico Pastor cit. B. NOGARA, La Storia dei Papi dalla fine del Medioevo di Lodovico von Pastor, in La scuola cattolica 43 (1915), ser. V, vol. IX, pp. 83-93: 93, contrappose Mercati a Benetti, lodando il primo e criticando il secondo: «La versione del Benetti lasciava alquanto a desiderare per proprietà di lingua e scorrevolezza di dettato: quella del Mercati è di gran lunga superiore, così che si ha spesso l’illusione di aver dinanzi non una traduzione, ma un’opera originale». Per i rapporti di Nogara con Pastor cfr. PASTOR, Tagebücher cit., p. 787. 160 ANGELI, La storia dei Papi cit. 161 P. SPEZI, in Rivista storica italiana 25 (1908), pp. 487-491 (Lasc. Pastor 57, nr. 21; sul volume IV, 1, italiano); ID., ibid. 29 (1912), pp. 177-183 (Lasc. Pastor 57, nr. 78; sui volumi I-IV, italiani). Critiche alla traduzione di Grisar aveva mosso anche Giorgio Stara-Tedde, recensendone la seconda edizione, in Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie 17 (1909), vol. 49, pp. 453-456: la traduzione era ritenuta «fedelissima all’originale, avendo il traduttore — come egli stesso, quasi a prevenire possibili osservazioni, dichiara — sacrificato alla fedeltà la forma italiana. Del che però, a voler esser schietti, non gli possiamo dar lode sembrandoci che in molti punti avrebbe potuto curare un po’ più la forma italiana, senza per questo tradire il pensiero dell’originale» (p. 455). In «bella forma italiana» era invece stata giudicata la traduzione di Mercati dello Schnürer da A. BANCI, San Francesco d’Assisi nella narrazione d’un suo recente biografo, ibid. 15 (1907), vol. 45, pp. 31-44: 30.
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A proposito della traduzione di Mercati, Spezi nel 1908 si richiamava a quanto già affermato a proposito del primo volume del Grisar tradotto dallo stesso Mercati. Il metodo rigido «della più scrupolosa riproduzione, in tutte le sue sfumature, del pensiero deposto nell’opera originale» appariva lodevole, «e crediamo che abbia incontrato simpatia generale». Ma in alcuni casi «questa rigidezza» recava «offesa o all’indole della nostra lingua o, peggio, al concetto dell’autore» (1908, p. 490). Seguivano alcuni esempi, che pur rappresentavano semplici «nei». Fra questi la traduzione della divisa assunta da Leone X al momento dell’elezione, tratta dal Salmo 119, 1: «“Chiamo al Signore quando sono in tribolazione...”; ora noi pensiamo che questo versetto dal papa preso a divisa, non poteva aver la forma tedesca, facilmente avrà avuto la forma latina; ma in tutti i casi la forma italiana non sarà stata “chiamo al Signore”» (ibid.). Nel 1912 Spezi insistette sull’esigenza di una «più corretta forma d’italianità»; si sperava «che le irregolarità di forma che qua e là (più spesso che non si vorrebbe) lamentiamo sieno derivate da improvvida fretta nello scrivere»; si lamentavano anche «ripetute irregolarità morfologiche» e «barbare costruzioni» a proposito della correlazione dei tempi verbali e si notava «talora il periodare non italiano». Dopo aver mostrato diversi esempi dal primo volume, Spezi con atteggiamento irenico concludeva: «Questi pochi cenni di esempi (...) non li abbiamo registrati perché se ne deduca che l’opera sia guasta di continua irregolarità linguistica; e certo sono esempi sporadici che in volumi di grossa mole si possono scusare come sviste (...) sfuggite ad uno scrivere affrettato. Ma poiché, già nel volume uscito quale primo saggio della traduzione e dal Mercati presentato coll’autorevole approvazione del Pastor, consimili inesattezze furono notate, il vedere che nei volumi successivi niente di meglio in fatto di forma italiana è venuto ci ha consigliato a richiamarne l’attenzione del volenteroso traduttore perché, se tempo e modo ancora vi sono, abbia maggior cura almeno della lingua, se non dello stile, in cui è volto il testo tedesco degli altri volumi che ancor sono da pubblicare» (1912, pp. 181-183).
Le critiche di Spezi non furono isolate. Anche Umberto Silvagni notò che la traduzione di Mercati mancava di «italianità» e la tacciò addirittura di indulgere a un «gergo levantino»162. Ai critici Mercati rispose, con la franchezza e la libertà che lo contraddistinguevano, nel gennaio 1924, accomiatandosi all’inizio del volume VIII dall’opera che lo aveva accompagnato per molti anni: 162
«Della traduzione dell’opera, lo stesso Autore ha lodato l’esattezza: ma io debbo dire che ogni opera storica, se è scientifica nella sostanza, deve essere essenzialmente letteraria nella forma, epperciò oso raccomandare soltanto una maggiore italianità nei termini e nello stile. Il Mercati infatti, sebbene professore e “scrittore della Biblioteca Vaticana”, si ostina, e me ne duole per lui, a tradurre l’opera del Pastor nel gergo levantino che oggi sostituisce l’idioma nazionale e lo condisce anche col frasario cosiddetto “burocratico”. Troppa negligenza!», SILVAGNI, Una storia monumentale dei Papi cit. Considerazioni analoghe nelle conclusioni di ID., Ludovico Pastor e la sua Storia dei Papi cit., ove però si affermava anche che la traduzione era condotta «con grande cura».
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Quando, al principio del 1899, pubblicai la mia prima versione dal tedesco (G. SCHNÜRER, L’origine dello Stato della Chiesa, Siena)163 ero lontanissimo dall’immaginarmi che quella del tradurre sarebbe stata poi l’occupazione, che per un quarto di secolo avrebbe assorbito la maggior parte del poco tempo lasciatomi libero dai miei doveri d’ufficio, a scapito di ricerche e studii personali, ai quali mi sentivo portato; ma vennero preghiere, insistenze rivelatrici d’una fiducia persino eccessiva e non seppi resistere. Andarono così succedendosi le traduzioni di svariate opere storiche164, che so essere state di grande vantaggio agli studii e agli studiosi, specialmente fra il clero. Agli autori, agli editori, ai lettori vanno le mie più cordiali grazie nel momento in cui abbandono questo campo d’attività. L’età, che comincia a farsi sentire165, le occupazioni non poche né leggiere d’ufficio166, il riguardo che debbo ai miei occhi usciti salvi da un grave pericolo, mi impongono di calare le vele e raccoglier le sarte167 e di affidare ad altri la continuazione di quel lavoro, che mi ha tenuto occupato in questi ultimi anni, la versione della Storia dei Papi del PASTOR. Al valente mio successore, Mgr Pio Cenci, archivista all’Archivio Vaticano, apprezzato illustratore della storia della sua Gubbio, auguro il favore che mi fu concesso e di fare meglio di me, specialmente per ciò che riguarda lo stile e la lingua. A questo proposito avverto che se non mi lasciai acciecare dalle lodi alla mirabile, impeccabile traduzione, nemmeno mi turbarono le ingiuste osservazioni di chi trovò da ridire per es. perché tradussi il drastisches del testo tedesco coll’unico termine possibile: drastico, o scrissi, traducendo il motto assunto da Leone X: «chiamo al Signore», come tante volte è stato scritto nel Trecento, o adoperai «mina» per «miniera», oppure — e sia detto con buona pace a un giornalista particolarmente violento contro di me in articoli pieni di molta pretesa ma riboccanti di inesattezze e spropositi e rilevanti l’orecchiante — usai volutamente la parola risalito, più pulita del pidocchio rifatto da lui suggerita, e adoperata già, nel preciso senso inteso da me, da FRANCESCO DA BARBERINO e, accompagnata da asino, dal CAVALCA. Per i difetti della mia traduzione non mi trincero dietro la difficoltà inerente a ogni versione dal tedesco, 163
G. SCHNÜRER, L’origine dello Stato della Chiesa, Roma 1899. Il volume era edito da
Pustet.
164 Dopo il volume di Schnürer Mercati tradusse altri volumi: H. GRISAR, Roma alla fine del mondo antico secondo le fonti scritte e i monumenti, traduzione dall’originale tedesco, I-II, Roma 1899 (volumi editi da Desclée; ne fu pubblicata una seconda edizione, ancora da Desclée, nel 1908; e una terza edizione, aggiornata e curata da A. Bartoli, sempre da Desclée, nel 1930); O. BARDENHEWER, Patrologia. Versione italiana sulla seconda edizione tedesca con aggiunte bibliografiche, I-III, Roma 1903 (volumi editi da Desclée); G. WILPERT, Le pitture delle catacombe romane, Roma 1903 (volume edito da Desclée); A. BAUMSTARK, Liturgia romana e liturgia dell’Esarcato, Roma 1904 (volume edito da Pustet); G. SCHMIDLIN, Papa Pio X, Roma 1904 (volume edito da Desclée); H. S. DENIFLE, Lutero e luteranesimo nel loro primo sviluppo, Roma 1905 (volume edito da Desclée); K. A. H. KELLNER, L’anno ecclesiastico e le feste dei Santi nel loro svolgimento storico, Roma 1906 (volume edito da Desclée); cfr. Scritti di Mons. Angelo Mercati, in Miscellanea archivistica Angelo Mercati, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 165), pp. IX-XXVII: XXVI-XXVII. 165 Nato nel 1870, Mercati aveva allora 54 anni. 166 Nel 1924 era (dall’11 novembre 1920) viceprefetto dell’Archivio Vaticano; ne sarebbe divenuto prefetto il 14 giugno 1925, cfr. VIAN, Mercati, Angelo cit., p. 597. 167 Inf. 27, 81.
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ma adduco come ragioni scusanti e attenuanti la mia cura rivolta a quel che più importa in lavori di questo genere, la fedeltà — ed io solo so quante ricerche in codici e opere stampate ho fatto per assicurarmi di colpire bene il pensiero dell’A. in certe pagine — e l’assoluta mancanza di tempo per rifondere precipuamente il lavoro uscito fuori dalla sollecitudine intesa precipuamente a dare una traduzione fedele. E qui mi sia concesso di presentare a S. E. il barone VON PASTOR, che vegliò con cuore paterno sulla mia traduzione, insieme colla espressione della mia devota gratitudine l’augurio di condurre a termine l’opera monumentale, che con tanto intelletto d’amore getta torrenti di luce sulla storia del Papato168.
Quello di Mercati fu effettivamente uno sforzo imponente (otto volumi in sedici anni, per più di 8.000 pagine complessive), compiuto da un uomo solo, impegnato in altro, che si preoccupò anche di integrare e precisare bibliograficamente molti dati dell’edizione originale. Comprensibile appare allora la domanda che avrebbe rivolto a bruciapelo a Cenci, al momento dell’avvicendamento nel compito della traduzione: «Si sente di faticare?»169. Forse più di quella di Mercati, la fatica di Cenci provocò critiche e osservazioni. Se Il mondo, nel 1925, lodò l’«accurata traduzione»170, se Giulio Castelli, nel 1928, scrisse della «scrupolosa fedeltà» di Cenci171, se la Rassegna nazionale giudicò «ottima» e «sempre pregiata» la traduzione italiana172, considerata «diligente e fedele» anche da Il messaggero nel 1934173, critiche puntuali e pungenti al sacerdote eugubino giunsero da parti diverse. Nel 1927 Luigi Carcereri notò che la traduzione riproduceva «fedelissimamente la sostanza del testo» ma che «la forma italiana risente troppo del costrutto tedesco»174. Era, in sostanza, la critica sottintesa alla valuta168 A. M. [= A. MERCATI], Congedo, in L. von PASTOR, Storia dei papi (...), VIII, Roma 1924, pp. IX-X. Il testo è datato al 31 gennaio 1924. 169 Cfr. infra. 170 Il Gregorio XIII del Pastor, in Il mondo, 26 settembre 1925 (Lasc. Pastor 62, nr. 24; sul volume IX, italiano). 171 CASTELLI, Sisto V «l’eroe del papato rinnovato» cit. 172 A. M., in Rassegna nazionale (Roma) (Lasc. Pastor 64, nr. 14; sul volume XI, italiano); a.m., ibid., febbraio 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 111; sul volume XI, italiano). 173 Roma cosmopolita alla fine del Settecento, in Il messaggero, 9 maggio 1934, p. 3 (Lasc. Pastor 69, nrr. 117, 121). Lodi al traduttore anche in COLLINE, Pio XI per una grande storia della Chiesa, in L’ora, 1°-2 marzo 1928 (Lasc. Pastor 63, nrr. 21, 46; sul volume X, italiano) e in CUTOLO, L’ultima pietra cit. (ma qui la valutazione riguarda genericamente «le bellissime traduzioni curate da profondi conoscitori della lingua tedesca» e comprende dunque anche quella di Mercati). 174 L. CARCERERI, in Rivista storica italiana 44 (1927), pp. 52-55 (Lasc. Pastor 62, nr. 12; sul volume IX, tedesco, e sulla sua traduzione italiana). Già nel 1925 Renato La Valle (La storia dei Papi e il Calendario di Gregorio XIII cit.) aveva considerato la traduzione di Cenci «accurata se non sempre elegante».
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zione di Vale nella lettera di Paschini ed era, di fatto, un’osservazione già mossa a Mercati. Gioacchino Volpe, nel 1928, definì senza mezzi termini «scolorita» la traduzione175 e nello stesso anno La civiltà cattolica formulò diversi appunti specifici176. Che problemi, nel rapporto con la lingua originale, esistessero è confermato dal giudizio di Pietro Egidi nella Rivista storica italiana che, sempre nel 1928, apprezzò il miglioramento della traduzione di Cenci che si andava progressivamente liberando dall’influsso delle costruzioni e locuzioni tedesche177. In realtà il problema della tempestività della pubblicazione dei volumi italiani ebbe un ruolo decisivo nei risultati qualitativi delle traduzioni. L’edizione italiana doveva seguire di pari passo la pubblicazione dei volumi tedeschi178. Nella traduzione di Mercati il décalage cronologico fra la pubblicazione dell’originale e quella della versione oscilla fra un minimo di due anni (per il volume IV, 1) e un massimo di tredici anni (per il volume III). Nella traduzione di Cenci i termini si abbreviano vistosamente, da un minimo di un anno (per il volume XVI, 3) a un massimo di tre anni (per il volume XII; ma la media è, in genere, sui due anni). Si può ipotizzare che il crescente successo e la diffusione dell’opera, l’impegno sempre più determinato di Desclée, le aspettative dei lettori abbiano creato una pressione tale da suggerire a Mercati, progressivamente impegnato in incarichi 175
VOLPE, Un grande papa: Sisto V cit. «Ma vorremmo che dalla traduzione italiana, pur sempre accurata, sparisse (p. 98) quell’attribuzione di “civetteria femminile” alla santa giovanetta (scil. Teresa d’Avila), non solo perché impropria, anche a pigliare a rigore le pie esagerazioni della sua narrazione, ma anche perché non era certo questo il pensiero del Pastor, quando usò, per esprimere quel difetto, il termine weibliche Gefallsucht. Non bastava femminile ambizione o, forse meglio, vanità femminile? Parlandosi di esattezza e fedeltà di traduzione noteremo che Seelsorge, tradotto con cura d’anime, in diversi luoghi della accurata edizione italiana (p. 6, ecc.), può dare occasione a un malinteso. Perché è uso nostro comune di adoperare il vocabolo di cura d’anime per esprimere quella pastorale, in senso canonico, come è la cura dei parroci. Molto diverso è il ministero a bene delle anime, esercitato, p. es., dai nuovi Ordini religiosi, p. 101. Cfr. 118 pei Carmelitani, e p. 169 per la Compagnia di Gesù, la quale così deve chiamarsi in nostra lingua, e non Società di Gesù come è detto a p. 105», Gli ultimi volumi della «Storia dei papi» del barone L. von Pastor (I), in La civiltà cattolica 79 (1928), vol. II, quad. 1868, 21 aprile 1928, pp. 158-162 (Lasc. Pastor 62, nr. 26; sul volume IX, tedesco e italiano): 160 e nt. 1; (...) (II), ibid., vol. II, quad. 1869, 5 maggio 1928, pp. 246-255 (Lasc. Pastor 63, nr. 39; sul volume X, italiano): 247 nt. 1. 177 «(...) questa traduzione italiana, che nel suo complesso fa ottima impressione. Il Cenci prosegue degnamente l’opera di A. Mercati, e, se non m’inganno, va acquistando nel tradurre sempre maggiore scioltezza ed efficacia, in modo che conservandosi fedelissimo al testo, più che nelle prime sue prove si libera dall’influsso delle costruzioni e delle locuzioni tedesche», P. E. [= P. EGIDI], in Rivista storica italiana 45 (1928), p. 219 (Lasc. Pastor 63, nr. 1; sul volume X, italiano). 178 I papi a Castelgandolfo. Il soggiorno nella villa di Clemente XIV, in Cronaca prealpina (Varese), 24 aprile 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 130). 176
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di responsabilità in Archivio Vaticano, di passare la mano. Si comprese allora che i ritmi richiesti erano insostenibili per un solo traduttore e si optò, come si è accennato, per la soluzione del pool di traduttori anonimi, nominalmente rappresentati dall’unica e autorevole figura dell’archivista vaticano. Fu ancora Cenci, come vedremo, nel suo Commiato del traduttore, a riconoscere l’esistenza di «mende» nella traduzione, dovute alla «soverchia pressione» dei lettori italiani che sapevano dell’esistenza dei volumi tedeschi179. L’osservatore romano il 15 aprile 1934, riprendendo queste parole, notò: Queste parole oneste ci consentono, a nostra volta, di sperare che l’animo più riposato e il tempo meno ristretto potranno, in una desiderabile revisione, dare alla prosa italiana maggior armonia e maggior eleganza, in omaggio alla nostra migliore tradizione storiografica ed anche all’illustre autore, che ha un tedesco fluido e colorito180.
Lo stesso, autorevole giornale, qualche giorno prima, aveva consigliato di abbandonare, in future edizioni, la «suddivisione impacciante e non necessaria» delle varie parti, talvolta molto cospicue, optando per la moltiplicazione dei volumi (come avvenne in alcune traduzioni diverse dall’italiana, che abbandonarono il rapporto con la partizione dell’edizione originale)181. Il suggerimento non venne raccolto. Certo è che la soluzione adottata dal 1925 della traduzione a più mani, se rispose all’esigenza della tempestività dell’uscita dei volumi italiani, provocò inevitabilmente problemi quanto all’omogeneità e alla felicità dei risultati. 9. Popolarità e diffusione dell’opera. Il rapporto con Giovanni Battista De Rossi La Storia dei papi fu, come si è visto, particolarmente e costantemente apprezzata nel mondo cattolico italiano, già a partire dalla traduzione di Benetti. Fra i primi, Giovanni Battista De Rossi ne lodò la solidità scienti179
Cfr. infra. F. [= Giuseppe FREDIANI], Clemente XIV e Pio VI, in L’osservatore romano, 15 aprile 1934, p. 3 (Lasc. Pastor 69, nr. 138). Giuseppe Frediani, sacerdote e giornalista, collaborò per molti anni a L’osservatore romano; fu poi canonico di S. Maria Maggiore; ricordato per polemiche con Giovanni Papini e con il gruppo de Il frontespizio; nel corso degli anni Trenta la sua posizione nel giornale fu progressivamente occupata da don Giuseppe De Luca, cfr. GIULIOTTI – PAPINI, Carteggio, I, cit., p. 223 nt. 1; G. DE LUCA – F. MINELLI, Carteggio, I: 19301934, a cura di M. RONCALLI, Roma 1999, pp. 234 e nt. 6, 374, 439, 455, 556-557. Cfr. anche Il 25° sacerdotale di mons. Frediani, in L’osservatore romano, 25-26 febbraio 1935, p. 7. 181 Carteggio tra Voltaire e Benedetto XIV, in L’osservatore romano, 9 aprile 1934, p. 3 (Lasc. Pastor 69, nrr. 147, 149; sul volume XVI: 2-3, italiano). 180
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fica dell’impianto, il desiderio di verità ma al tempo stesso la fedeltà alla Chiesa. Il maestro della Roma sotterranea fu senza dubbio uno più precoci ed entusiasti amici italiani di Pastor182. De Rossi e Pastor intrattennero un piccolo carteggio fra il 1888 e il 1893183. Per limitarsi agli accenni più interessanti, il 29 maggio 1888 De Rossi ringraziò Pastor dell’invio dei primi due tomi «della Sua pregevolissima opera» che avrebbe letto nella traduzione francese. Con gli apprezzamenti, De Rossi notò che «la censura di qualche nostra rivista italiana è improntata di tale e tanto spiccato carattere di partigianeria politica che ciò basta a toglierle l’autorità di giudizio imparziale»184. Il 19 gennaio 1890 De Rossi ancora scrisse: «L’imparzialità sua è all’altezza della Sua scienza, della sua critica e del sentimento sincero di dotto cattolico, il quale sa che la religione non indiget mendaciis. Dobbiamo avere il coraggio di mirare con occhio fermo la verità storica in faccia; né temere di fare il ritratto fedele, che la verità medesima esige. Ella di questo compito della nostra scienza è esemplare da proporre all’imitazione di tutti»185. La stima di De Rossi fu espressa anche pubblicamente. Nell’articolo, del 1890, sull’Accademia di Pomponio Leto186, De Rossi si ricollegò a quanto sostenuto da Pastor nell’introduzione al primo volume sulla duplice corrente che aveva attraversato il Rinascimento, una cristiana, l’altra paganeggiante, talvolta in strana mescolanza (come nel caso di Pomponio Leto): «D’ambedue coteste ha testé delineato con mano maestra le grandi linee, ed investigato le tracce il Pastor nella luminosa introduzione alla sua insigne opera storica (p. 93)». E soggiunse: «Del rimanente il sopra lodato illustre prof. Pastor, che ha esplorato tanti archivi e consultato documenti d’ogni maniera per la sua storia, quanti niun altro fino ad oggi, e con fedeltà di storico imparziale ne ha esibito per disteso i testi più importanti, né dalle testimonianze già note, né dalle nuove da lui scoperte e prodotte ha potuto raccogliere luce sufficiente per rischiarare l’oscurità, in che prima e dopo il processo rimase involta la difamata congiura» (pp. 93-94). Il 28 marzo 1891 De Rossi precisò a Pastor il senso del suo intervento: «Spero, che Le sarà gradita la menzione, che quivi ho fatto della Sua opera insigne. Naturalmente, non avendo io dettato una recensione bibliografica, ed avendo soltanto citato i documenti da Lei pubblicati ed accennato i dotti giudizi della sua storia, le mie parole non possono equivalere ad una vera e condegna lode dell’eccelso lavoro e del Suo autore. Ho però generalizzato la mia frase in modo che parmi potrà essere ripetuta come giudizio ed encomio giustissimo del valore di tutta l’opera e del ricco corredo di documenti, sui quali essa è fondata e della somma dottrina ed imparziale fedeltà 182 Per i rapporti di De Rossi con Pastor cfr. PASTOR, Tagebücher cit., pp. 11, 183, 193, 197, 206, 210-211, 215, 333, 383, 405, 532, 639, 759, 773, 866. 183 Le lettere di De Rossi a Pastor sono in Lasc. Pastor 104, ff. 333-351; quelle di Pastor a De Rossi sono in Biblioteca Vaticana, Vat. lat. 14280, ff. 379r-380v, 412r-413v; Vat. lat. 14281, f. 379r; Vat. lat. 14284, ff. 140r-141v; Vat. lat. 14287, ff. 188r-188bisr, 252r-252bisv. Del piccolo carteggio sto curando l’edizione. 184 De Rossi a Pastor, Roma, 29 maggio 1888; Lasc. Pastor 104, f. 336r. 185 De Rossi a Pastor, Roma, 19 gennaio 1890; Lasc. Pastor 104, ff. 341r-342v. 186 G. B. DE ROSSI, L’Accademia di Pomponio Leto e le sue memorie scritte sulle pareti delle catacombe romane, in Bullettino di archeologia cristiana, ser. V, 1 (1890), pp. 81-94: 92-94.
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dell’autore»187. Il 16 maggio 1892 De Rossi biasimò le critiche pregiudiziali mosse a Pastor da ambienti liberali: «Votre nome est désormais uni indissolublement à ceux de plus grands restaurateurs de l’histoire. Jouissez donc de ce magnifique succès, qui est celui de la verité et de l’apologie du Siège apostolique. Je suis très flatté de voir mon nom parmi ceux qui vous citez dans la préface de la seconde édition188. Mais ma compétence dans le champ si difficile de l’histoire du XV siècle a bien peu de titres; et votre autorité est si bien établie qu’elle n’a plus bésoin de suffrages. Vivez donc, continuez la grande entreprise, achévez le monumentum aere perennius! Voilà les voeux ardents de votre ami septuagénaire. (...) je ne laisse aucune occasion de proclamer votre mérite hors ligne, et de répandre ici la connaissance de votre lumineuse histoire. Elle fait una grande impression dont la preuve meilleure sont les défiances injustifiées que votre exposition, si solidement fondée, inspire aux liberaux italiens aveuglés par leurs passions politiques»189. Il 25 gennaio 1893, infine, De Rossi informò Pastor della pubblicazione della recensione di Nitti, che riteneva meno ostile di quella, pubblicata sempre nell’Archivio della Società Romana di Storia Patria, da Oreste Tommasini: «A proposito della Storia dei Papi, della quale godo veder venuta in luce la seconda accresciuta edizione, Ella non può aver dimenticato l’articolo di rivista scortese ed ingiusta pubblicato nell’Archivio della Società Romana di Storia Patria. Ora nel medesimo Archivio, vol. XV (a. 1892) p. 522 e segg. è venuta in luce un’altra recensione del secondo volume della Sua opera190. L’autore è il Nitti a Lei certamente noto per il libro sopra Leone X°191. La nuova recensione, benché naturalmente dissenziente dallo spirito che informa la sua bellissima storia, parmi però meno scortese della prima recensione pubblicata nel medesimo Archivio192. In ogni modo stimo utile che Ella prenda notizia dello scritto del Nitti». E concludeva dichiarandosi «sempre pieno di stima, di simpatia e dirò anzi di ammirazione per le immortali pagine dettate dalla S.V. e che tutti desiderano vedere continuate»193.
Anche la Rivista internazionale di scienze sociali, fondata da Giuseppe Toniolo, prestò attenzione ai volumi194, seguiti con interesse e partecipa187
De Rossi a Pastor, Roma, 28 marzo 1891; Lasc. Pastor 104, f. 348r-v. Al termine della Prefazione alla seconda edizione, datata «Innsbruck, 29 giugno 1891», Pastor aveva scritto: «È rimasta invariata la concezione generale delle correnti spirituali del tempo illustrata in questo volume, la quale ha incontrato l’approvazione di eminenti competenti come Burckhardt, Müntz e de Rossi», L. von PASTOR, Storia dei papi (...), I, Roma 1910, p. XVII. 189 De Rossi a Pastor, Roma, 16 maggio 1892; Lasc. Pastor 104, ff. 354r-355r. 190 Cfr. supra, nt. 65. 191 F. NITTI, Leone X e la sua politica secondo documenti e carteggi inediti, Firenze 1892, accompagnato da diversi articoli sempre sul papa Medici. Nitti (1851-1905) fu autore anche di una celebre opera su Machiavelli nella vita e nelle dottrine, con l’aiuto di documenti e carteggi inediti, pubblicato nel 1876. 192 Il riferimento è alla recensione (1887) di Tommasini. Cfr. supra, nt. 109. 193 De Rossi a Pastor, Roma, 25 gennaio 1893; Lasc. Pastor 104, ff. 352r-353r. 194 (V. B. C.) [= V. BIANCHI CAGLIESI], in Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie 30 (1922), vol. 94, p. 190 (sul volume VI, italiano: «Il prof. Pastor rifà, si può dire, 188
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zione anche fra gli universitari cattolici195, nei seminari milanesi196, nell’Università Cattolica di padre Gemelli197, nell’Opera Primaria della Preservazione della Fede e nel suo periodico Fides animato da Igino Giordani198. Gli esempi si potrebbero moltiplicare ma il successo dell’opera in realtà andò ben al di là dei confini cattolici. Fra gli anni Venti e Trenta la Storia divenne largamente popolare in molteplici e disparati ambienti: in primo luogo per la tempestività delle traduzioni che cercavano di seguire da vicino la pubblicazione dei volumi originali, ma anche grazie al dinamismo efficiente e pervasivo dell’ufficio stampa di Desclée animato dallo spirito di iniziativa di Augusto Zucconi199, direttore editoriale della filiale italiana con tutti i sussidi della critica storica, l’impresa titanica del Baronio e, senza propositi apologetici, sine ira et studio, contrappone il più generoso amore della verità alla critica sottile e velenosa degli storici protestanti, del Ranke sovra tutti»). Cfr. anche ibid. 31 (1923), vol. 95, pp. 392-393 (sul volume VII, italiano: «È storia rigidamente critica; e pure così varia e drammatica, trasportandoci da Roma in Francia, dalla Svizzera in Scozia, che si fa leggere con il diletto di un poema»); (V. B. C.) [= V. BIANCHI CAGLIESI], ibid. 33 (1924), vol. 98, p. 462 (sul volume VIII, italiano). L’attenzione pare però piuttosto tarda e non particolarmente specifica. 195 P. PASCHINI, Lodovico de Pastor, in Studium 24 (1928), pp. 581-582; i.g. [= I. GIORDANI], Segnalazioni, ibid. 30 (1934), pp. 567-569 (sul volume XVI, 2-3, italiano); M. BENDISCIOLI, I Papi del ’700, ibid., pp. 652-656 (sui volumi XV-XVI, italiani). Sei lettere (1921-1926) di Pastor a Paschini sono presenti nei Regesti de L’epistolario di Pio Paschini cit. 196 NOGARA, La Storia dei Papi dalla fine del Medioevo di Lodovico von Pastor cit. Già venticinque anni prima Nogara aveva recensito con grande favore il primo volume nella traduzione di Benetti nel Corriere della domenica, nr. 21, 25 maggio 1890, p. 9; nr. 33, 17 agosto 1890, p. 10 (cfr. ibid., p. 92 nt. 1). L’attenzione de La scuola cattolica, rivista nella quale era uscito nel 1915 l’articolo di Nogara, appare precoce e costante. I primi due volumi della traduzione di Benetti furono recensiti, con apprezzamenti, da Paolo Angelo Ballerini, in La scuola cattolica 19, 1 (1891), pp. 99-104; 20, 1 (1892), pp. 471-476 (cfr. supra, nt. 158). Il volume di Pastor Zur Beurtheilung Savonarolas. Kritische Streifzüge fu recensito da Angelo Nasoni, ibid. 26, 1 (1898), pp. 172-174 (schierandosi a favore di Pastor, contro Luotto). Cfr. La scuola cattolica (...). Indici generali 1873-1901, a cura di U. VALENTINI, [Varese 1964], pp. 182-183. L’interesse si prolungò nel tempo, cfr. La scuola cattolica (...). Indici generali 1902-1922, a cura di U. VALENTINI, [Varese 1968], p. 388; La scuola cattolica (...). Indici generali 1923-1947, a cura di U. VALENTINI, [Varese 1971], p. 395. 197 G. FARAONI, Lodovico von Pastor, in Vita e pensiero 10 (1924), pp. 193-198. Cfr. anche F. PIANTELLI, Lo storico dei papi: Luigi Pastor, ibid. 14 (1928), pp. 653-663. 198 La morte di un insigne servitore della Chiesa, in Fides. Bollettino mensile dell’Opera Primaria della Preservazione della fede 28 (1928), nr. 11, novembre, p. 10; I. GIORDANI, Per la vera storia della Riforma. Lutero, Pastor e... Lala, ibid. 29 (1929), pp. 340-344; 30 (1930), nr. 1, gennaio, pp. 20-22; ID., I papi e la guerra dei Trent’Anni, ibid. 31 (1931), pp. 364-368 (sul volume XIII, italiano); G. MASSIAS, Ludovico von Pastor, ibid. 32 (1932), pp. 130-132; g. [= I. GIORDANI], Giansenisti, gallicani e papi nel Settecento, ibid. 33 (1933), pp. 85-86 (sul volume XV, italiano); i.g. [= I. GIORDANI], Clemente XIV e Pio VI, ibid. 34 (1934), pp. 513-516 (sul volume XVI, 2-3, italiano). 199 Nato a Fossato di Vico (Perugia), Zucconi fu direttore della sede romana di Desclée dal 1892 al 1947 (la sede era nella Libreria di piazza Grazioli); morì nel 1948. Sulla figura di Zucconi, L. CAMILLI, Ricordo di Augusto Zucconi, in Strenna dei Romanisti 13 (1952), pp. 274-
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dell’editrice, che faceva pubblicare nei più svariati giornali e giornaletti l’annuncio dell’uscita dei volumi con l’anticipazione di brani su soggetti diversi, che mutavano secondo gli interessi delle testate ma erano più o meno costanti nei «cappelli» introduttivi. Anche così, forse soprattutto così si costruì la fortuna della Storia dei papi del Pastor in Italia, raggiungendo ampiamente anche ambiti di non addetti ai lavori. Per il volume III: La fine di un Papa, in Il progresso italo-americano (New York), 8 ottobre 1933 (Lasc. Pastor 69, nr. 88: annuncio della prossima pubblicazione della nuova edizione del III volume, con documenti inediti su Alessandro VI e con parere di un tossicologo sulla morte del papa). Per il volume VI: Roma alla fine del Rinascimento ne «La Storia dei Papi» di Ludovico Pastor, in La tribuna, 5 novembre 1921, p. 3 (Lasc. Pastor 59, nr. 16); Giulio III e Michelangelo, in L’epoca, 2 dicembre 1921, p. 3 (ibid., nr. 19); Beneficenza romana nel Rinascimento (Dalla «Storia dei Papi» di Ludovico Pastor), in L’osservatore romano, 3 dicembre 1921 (ibid., nr. 34); Paolo IV e la Riforma, in Corriere d’Italia, 4 dicembre 1921 (ibid., nr. 21); La «fontana segreta» di Papa Giulio, in Il giornale d’Italia, 4 dicembre 1921, p. 4 (ibid., nr. 18); Al conclave di Giulio III. La mancata elezione del cardinale Pole, in L’idea nazionale, 4 dicembre 1921 (ibid., nr. 20); Gli eccessi dell’Inquisizione romana sotto il pontificato di Paolo IV, in Il messaggero, [dicembre] 1921, p. 3 (ibid., nr. 17). Per il volume VII: San Carlo Borromeo segretario di Stato di Pio IV, in Il giornale di Roma, 14 gennaio 1923 (Lasc. Pastor 60, nr. 12). Per il volume VIII: La battaglia navale di Lepanto (7 ottobre 1571) celebrata dalla pietà e dalle arti, in Rivista di Roma, fasc. I, 1° aprile 1924 (Lasc. Pastor 61, nr. 1). Per il volume X: Le riforme di Sisto V. Giustizia e amministrazione – Approvvigionamenti e finanze, in Il messaggero, febbraio 1928, p. 3 (Lasc. Pastor 63, nr. 30a); La figura di Sisto V nella Storia del Pastor, in Corriere d’Italia, 11 febbraio 1928 (ibid., nr. 16); Sisto V, in L’osservatore romano, 11 febbraio 1928 (ibid., nr. 35); Ritratto di Sisto V, in La tribuna, 11 febbraio 1928 (ibid., nr. 32); Papa Sisto e la trasformazione edilizia di Roma, in Il messaggero, 12 febbraio 1928, p. 3 (ibid., nr. 30); L’Italia, 22 febbraio 1928 (ibid., nr. 22); La figura di un grande pontefice, in Il momento, 2 marzo 1928 (ibid., nr. 33); G. M., Sisto V e Venezia, in Gazzettino (Venezia), 10 marzo 1928 (ibid., nr. 13). Per il volume XI, il primo che vedeva la luce dopo la morte dell’autore: Il processo dei Cenci, in Corriere mercantile (Genova), 20 giugno 1929 (Lasc. Pastor 64, nr. 18); L’11° volume della Storia dei Papi del barone Ludovico Pastor, in Il nuovo cittadino (Genova), 12 giugno 1929 (ibid., nr. 9); Imminente pubblicazione dell’XI 275; MACCARRONE, Monsignor Duchesne e la Curia Romana cit., pp. 424-428 e passim; WACHÉ, Monseigneur Louis Duchesne cit., pp. 543-546, 551-562, 567, 574, 580, 582, 590-597, 612; PALAZZOLO, Gli editori del papa cit., pp. 25-26, 141 nt. 37 e passim (s.v. in indice, p. 162). Zucconi fu in intensa corrispondenza epistolare con Michele Faloci Pulignani (nella Biblioteca Comunale di Foligno, nel fondo Faloci Pulignani, sono conservate più di duecento lettere, dal 1902 al 1934, da lui scritte al prete umbro) ma anche con il card. Alfonso Capecelatro e con il card. Gaetano De Lai.
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volume della «Storia dei Papi» del Pastor, in Il telegrafo (Livorno), 12 giugno 1929 (ibid., nr. 42); L’agitato Conclave che elesse Clemente VIII, in La gazzetta del Mezzogiorno (Bari), 14 giugno 1929 (ibid., nr. 13); Clemente VIII e l’inondazione di Roma, in Piccolo della sera (Trieste), 18 giugno 1929 (ibid., nr. 12); Matteo Ricci, gesuita, in La tribuna (Roma), 20 giugno 1929 (ibid., nr. 11); Lo splendore di Roma sotto Clemente VIII, in Il messaggero, 14 luglio 1929 (ibid., nr. 15). Per il volume XII: Un importante contributo alla storia della Basilica di San Pietro, in Il solco fascista (Reggio Emilia), 31 luglio 1930 (Lasc. Pastor 65, nr. 5; si avvisava inoltre che Zucconi aveva presentato al papa la prima copia); La Basilica di San Pietro, in Cronaca prealpina (Varese), 31 luglio 1930 (ibid., nr. 6; sempre con l’avviso della presentazione al papa); Paolo V e la basilica di S. Pietro, in Il lavoro fascista (Roma), 31 luglio 1930 (ibid., nr. 26); Un importante contributo alla storia della Basilica di San Pietro, in Il popolo di Calabria (Reggio Calabria), 31 luglio-1° agosto 1930 (ibid., nr. 23; con l’avviso della presentazione al papa). Per il volume XIII: Le opere di S. Vincenzo de’ Paoli, in L’osservatore romano, 18 luglio 1929 (Lasc. Pastor 64, nr. 16; 66, nr. 99: con una traduzione redazionale di un brano che anticipava quella di Cenci); Paolo V, in L’Italia (Milano), 26 agosto 1930 (ibid. 65, nr. 25). Per il volume XVI, 1-3: La «Storia dei Papi» del Pastor ultimata, in La tribuna, 21 luglio [1933] (Lasc. Pastor 69, nr. 74); Benedetto XIV nell’ultimo volume del Pastor, in L’osservatore romano, 23 luglio 1933, p. 3 (ibid., nr. 75); Il Cardinale Lambertini, in Italiano (Rio de Janeiro), 22 ottobre 1933 (ibid., nr. 89); Le stragi di settembre e i casi dell’abate Salomon, in L’eco di Bergamo, 10 marzo 1934 (ibid., nr. 120); La Storia dei Papi del Pastor sta per essere compiuta, in Il popolo di Roma, 17 marzo 1934 (ibid., nr. 115); Sovrani e artisti a Roma durante il Pontificato di Pio VI, in Il popolo di Roma, 8 aprile 1934 (ibid., nr. 145); Pio VI e la bonifica delle Palude (sic) Pontine, in La tribuna (Roma), 8 aprile 1934 (ibid., nr. 146); Carteggio tra Voltaire e Benedetto XIV, in L’osservatore romano, 9 aprile 1934, p. 3 (ibid., nrr. 147, 149); Roma cosmopolita alla fine del Settecento, in Il messaggero, 9 maggio 1934, p. 3 (ibid., nrr. 117, 121); Le stragi di settembre e i casi dell’abate Salamon, in Il nuovo cittadino (Genova), 13 aprile 1934 (ibid., nr. 135); I francesi a Roma, in Gazzetta di Venezia (Venezia), 17 aprile 1934 (ibid., nr. 126); La rapina dei francesi, in Giornale di Genova (Genova), 19 aprile 1934 (ibid., nr. 128); I Papi a Castelgandolfo. Il soggiorno nella villa di Clemente XIV, in Cronaca prealpina (Varese), 24 aprile 1934 (ibid., nr. 130).
Non stupisce quindi vedere la Storia, nella traduzione di Mercati e poi di Cenci, nelle mani più diverse. Papa Ratti, che aveva ben conosciuto personalmente Pastor e all’inizio del secolo aveva avuto con lui una seria frizione per problemi di concorrenza nella pubblicazione di documenti, si faceva leggere dai segretari le pagine sulle morti dei papi, per un personale «apparecchio alla morte», da studioso di storia quale era200. D’altra parte, era sta200
C. CONFALONIERI, Pio XI visto da vicino. Nuova edizione con l’aggiunta di due appendici a cura di G. FRASSO, Cinisello Balsamo 19933 (Grandi biografie, 2), p. 212. Le letture, soprattutto serali, incominciarono il 30 dicembre 1936 e proseguirono per diversi mesi. Sulla
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to il suo immediato predecessore, Benedetto XV, a sostenere la traduzione italiana quando, nel primo dopoguerra, «la crisi minacciò d’interruzione l’iniziativa del Pastor italiano». Il papa «volle personalmente aiutarla ed elargì un larghissimo sussidio che ne permise la ripresa, l’avanzamento e il compimento»201. L’opera non mancò poi nei volumi di riferimento di due futuri papi italiani. Dal seminario di Bergamo alla missione in Bulgaria, Angelo Giuseppe Roncalli si procurava i volumi man mano che uscivano202, mentre il giovane Giovanni Battista Montini li poneva a fondamento presenza della Storia nella biblioteca di consultazione costituita dal papa nel palazzo apostolico, ibid., p. 153; Y. CHIRON, Pio XI. Il papa dei Patti Lateranensi e dell’opposizione ai totalitarismi, Cinisello Balsamo 2006 (ed. originale: 2014), pp. 72, 414. Sulla frizione fra Pastor e Ratti per la pubblicazione dei documenti relativi alla nunziatura di Melchiorre Biglia, cfr. P. VIAN, La «grossa guerra» fra Ludwig von Pastor e Achille Ratti (1902-1903). Una contesa archivistica fra uno storico dei papi e un futuro papa, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 353-377. La lettera di Pio XI a Pastor per il suo settantesimo compleanno, 8 gennaio 1924, celebrato nella chiesa romana di S. Maria dell’Anima, è pubblicata in PASTOR, Storia dei papi, VIII, cit., pp. VII-VIII. Al papa fu dedicato sia il volume VII dell’edizione italiana (1923), sia il volume IX dell’edizione tedesca (1923), L. von PASTOR, Storia dei papi (...), VII, Roma 1923, p. V («A Pio XI P.M. / degli studi storici / già cultore sapiente fecondo / oggi / per virtù mirabile di Provvidenza / dalla cattedra di Pietro / propulsore patrono munifico / questo VII volume / della Storia dei papi / va dedicato»); ID., Storia dei papi (...), IX, Roma 1925, p. V. 201 G. DE LUCA, La fortuna del Pastor in Italia, in L’osservatore romano, 5 maggio 1943, p. 3. Il fatto è ricordato anche da Roma alla fine del Rinascimento ne «La Storia dei Papi» di Ludovico Pastor cit.; CENCI, Cenni biografici cit., p. XVIII. Per tale motivo il volume VI dell’edizione italiana (1922) fu dedicato al papa (al quale era già stato dedicato il volume VIII dell’edizione tedesca, 1920), PASTOR, Storia dei papi, VIII, cit., p. III. Il testo della dedica del volume VI, italiano, a cura degli «Editori ossequenti e grati», così recita: «Benedetto XV P.M. / degli studi storici fautore munifico / questo VI volume / della Storia dei papi di L. Pastor / in veste italiana / volle alla luce / avviando l’opera insigne / a spedito e felice compimento», L. von PASTOR, Storia dei papi (...), VI, Roma 1922, p. V. L’aiuto del papa riguardò anche la ristampa del volume IV, 1, il primo pubblicato da Desclée nel 1908, nella nuova versione di Mercati: «Tirato a 2.000 esemplari, incontrò sì favorevole accoglienza che in non lungo volgere di tempo fu completamente esaurito mettendoci nella ingrata condizione di non poterne fornire copia neanche ai nuovi sottoscrittori dell’opera intiera». Per risolvere il «grave inconveniente» si pensò a una ristampa «ma l’enormità delle spese occorrenti ci obbligò altrettante volte a rinunciarvi». Fino a quando Benedetto XV offrì i mezzi per realizzarla, cfr. l’avvertenza preliminare in PASTOR, Storia dei papi, IV, 1, nuova ristampa, cit., p. V. 202 A. G. RONCALLI – GIOVANNI XXIII, Il Giornale dell’anima. Soliloqui, note e diari spirituali, edizione critica e annotazione a cura di A. MELLONI, Bologna 1987 (Edizione nazionale dei diari di Angelo Giuseppe Roncalli – Giovanni XXIII, 1), pp. 306 nt. 5, 479-480, 492 nt. 2; ID., Nelle mani di Dio a servizio dell’uomo cit., pp. 60 nt. 86, 98; ID., Tener da conto. Agendine di Bulgaria, edizione critica e annotazione a cura di M. FAGGIOLI, Bologna 2008 (Edizione nazionale [...], 3), pp. 92, 179; ID., La mia vita in Oriente. Agende del delegato apostolico, 1: 1935-1939, edizione critica e annotazione a cura di V. MARTANO, Bologna 2008 (Edizione nazionale [...], 4, 2), p. 655; ID., Anni di Francia, 1: Agende del nunzio, 1945-1948, edizione critica e annotazione a cura di É. FOUILLOUX, Bologna 2004 (Edizione nazionale [...], 5, 1),
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del suo corso sulla storia della diplomazia pontificia svolto fra il 1930 e il 1937 nel Pontificio Istituto Utriusque Iuris, nel Palazzo dell’Apollinare203. Si può anche ricordare che uno dei più stretti collaboratori di un altro papa italiano, Pio XII, il gesuita tedesco Robert Leiber, storico di formazione, aveva lavorato a Monaco di Baviera con Pastor e proprio nella città bavarese era stato conosciuto e apprezzato dal nunzio Pacelli che nel 1929 volle si trasferisse a Roma per prestare la sua opera a servizio della Santa Sede204. Una figura di punta della diplomazia vaticana della prima metà del Novecento, il card. Bonaventura Cerretti, aveva la Storia dei papi quale sua unica, frequente lettura205. Amico di Pastor, fu lui, che era stato delegato apostolico negli Stati Uniti, a reperire i fondi dai Cavalieri di Colombo per la pubblicazione della traduzione inglese dell’opera e per tale motivo a lui pp. 240, 473, 480 nt. 314; ID., Pater amabilis. Agende del pontefice, 1958-1963, edizione critica e annotazione a cura di M. VELATI, Bologna 2007 (Edizione nazionale [...], 7), p. 40. 203 G. B. MONTINI (PAOLO VI), Lettere ai familiari, 1919-1943, II: 1928-1943, a cura di N. VIAN, Brescia 1986 (Pubblicazioni dell’Istituto Paolo VI, 4: 2), pp. 730, 748. Cfr. G. L. MASETTI ZANNINI, Studi storici di mons. G. B. Montini sulla diplomazia pontificia, in Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1965, pp. 27-87: 45-50 (sui corsi sulla diplomazia pontificia); G. B. MONTINI, Scritti fucini (1925-1933), a cura di M. MARCOCCHI, Brescia-Roma 2004 (Quaderni dell’Istituto Paolo VI, 24), p. XLVII nt. 129 (l’introduzione è ripubblicata in M. MARCOCCHI, La FUCI di Montini e di Righetti, in ID., Cristianesimo e cultura nell’Italia del Novecento, Brescia 2008 [Storia, 31], pp. 79-156: 129 nt. 129); G. MONTINI – G. B. MONTINI, Affetti familiari, spiritualità e politica. Carteggio 1900-1942, a cura di L. PAZZAGLIA, Brescia-Roma 2009 (Quaderni dell’Istituto Paolo VI, 30), pp. 247, 484. Rivolgendosi il 3 giugno 1967 al Comité International des Sciences Historiques Paolo VI ricordò la Papstgeschichte di Pastor, insieme ai lavori di Hartmann Grisar, di Giovanni Battista De Rossi e all’Histoire de l’Église diretta da Fliche e Martin fra le «oeuvres de haute tenue historique» che avevano recato luce nella storia della Chiesa, contro errori, falsificazioni e leggende, cfr. Insegnamenti di Paolo VI, V: 1967, Città del Vaticano 1968, p. 281. Per la presenza di citazioni di Pastor nei discorsi milanesi cfr. G. B. MONTINI (arcivescovo di Milano), Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), IV: Appendice e Indici, a cura di R. PAPETTI – L. ALBERTELLI – G. CANOBBIO – E. MAESTRI – G. E. MANZONI, Brescia-Roma 1998, p. 201. 204 Ph. CHENAUX, Pio XII diplomatico e pastore, Cinisello Balsamo 2004 (ed. originale: Paris 2003), pp. 132-133; sul Leiber (1887-1967), cfr. ibid., p. 421 (s.v. in indice) e G. MARTINA, Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983), Brescia 2013, pp. 315-317. 205 «Non fu mai visto leggere un libro, a diporto o per istruirsi. Fuorché il Pastor, non si sa che negli ultimi anni leggesse nulla. Neppure nei primi, veramente. […] Pel Pastor no. Se lo leggicchiava quasi per intero. Si capisce: rimaneva nelle sue faccende. Lo sveltiva, lo incuriosiva, lo distraeva. Senza dire che dir Pastor, nella Curia di Roma, era dire un prodigio portentoso. Il Cerretti s’interessò del Pastor come del vecchio Marucchi: e si lagnò che non fosse possibile rimunerare questa povera gente di studio, mentre si nutrivano torme di parassiti, perché autori di ditirambi devoti e adulatorii», [G. DE LUCA], Il cardinale Bonaventura Cerretti. Memoria a cura di E. CERRETTI, Roma 1939, pp. 316-317; cfr. F. TORCHIANI, Mario Bendiscioli e la cultura cattolica tra le due guerre, Brescia 2016 (Studi e ricerche della Fondazione Pellegrino / Storia, 75), p. 218. Cfr. PASTOR, Tagebücher cit., pp. 680, 708, 731, 750, 785, 800, 809, 837, 839-840.
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fu dedicato l’XI volume206. Su un fronte diverso, inaspettatamente, Antonio Gramsci citò frequentemente Pastor nei Quaderni del carcere quale testimonianza alternativa a quella di Burckhardt su varie questioni di storia ecclesiastica. Nel quaderno IV fu proprio sulla base delle affermazioni di Pastor che Gramsci elaborò la sua duplice concezione del Rinascimento italiano, all’interno reazionario, all’estero cosmopolita e progressista207. La diffusione dai seminari208 si estese anche fra gli uomini di cultura. Un letterato emunctae naris come il francesista Pietro Paolo Trompeo conservava l’opera in fascicoli sciolti, per leggerla e rileggerla comodamente, anche in poltrona o a letto209. La morte di Pastor, il 30 settembre 1928, fu occasione per bilanci e per immediate assicurazioni che l’opera, completata dall’autore in ogni sua parte, tranne che negli indici, sarebbe continuata sino al predisposto termine (non si intendeva andare oltre il Settecento)210. Come si espresse in un’impegnata riflessione Alessandro Luzio211. Dopo aver condiviso le assicurazioni pervenute da Herder sulla completezza dell’opera, Luzio commentò: «Meraviglioso lavoratore metodico», Pastor aveva 206 [DE LUCA], Il cardinale Bonaventura Cerretti cit., p. 267 e nt. 1. Cfr. L. von PASTOR, Storia dei papi (...), XI, Roma 1929, p. V. 207 A. BALDAN, Gramsci come storico. Studio sulle fonti dei «Quaderni del carcere», Bari 1978 (Biblioteca Dedalo, 12), pp. 55, 75, 81. Gramsci però criticò Pastor per la sua difesa cattolica della Controriforma. L’identità sostenuta da Pastor, almeno inizialmente, tra fenomeno umanista e Chiesa cattolica aveva fatto ripromettere a Gramsci, una volta in libertà, la lettura completa e sistematica della Storia dei papi. Riferimenti espliciti a Pastor nei quaderni 7 e 17, cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, II: Quaderni 6-11. Edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. GERRATANA, Torino 1977, p. 905; III: Quaderni 12-29 (...), pp. 1909, 1919; IV: Apparato critico (...), p. 2969 (Nuova universale Einaudi, 164: 2-4). 208 La diffusione dell’opera nei seminari italiani dovette essere lenta ma progressivamente vasta. Manca ancora una ricerca sulla sua presenza nei programmi di insegnamento e nelle biblioteche. Non è mai citata in G. VIAN, La riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società. Le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d’Italia promosse durante il pontificato di Pio X (1903-1914), I-II, Roma 1998 (Italia sacra, 58-59). 209 N. VIAN, Il cardinale che sapeva leggere. Storie di libri e scritture, a cura di P. VIAN, Genova 2017 (Collana di saggistica, 142), p. 280. 210 Il lavoro fascista (Roma), 27 luglio 1930 (Lasc. Pastor 65, nr. 28), a tranquillità di quanti avevano acquistato l’opera e temevano che essa potesse rimanere incompiuta a causa della morte dell’autore, avvertiva «che l’Autore morendo aveva lasciato l’opera completa». Dell’edizione tedesca erano già usciti i volumi XII e XIII, 1-2; restavano manoscritti e completi (eccettuati gli indici) i tre ultimi volumi, XIV-XVI. Cfr. anche La «Storia dei Papi» sarà terminata nel 1933, in La tribuna, 4 gennaio 1933 (Lasc. Pastor 69, nr. 30). 211 LUZIO, Ludwig von Pastor e la sua opera postuma cit. A proposito del volume XIII, 1-2, tedesco, cfr. anche la recensione di R. QUAZZA, in Rivista storica italiana 49 (1932), pp. 79-86, con lodi allo stile: «Il severo metodo critico e l’accuratezza dell’indagine non tolsero a P. il senso artistico e permisero al suo stile, generalmente semplice e scevro di ornamenti, di aprirsi qua e là a sprazzi di sentimento e di colorirsi con pennellate efficaci» (ibid., p. 79).
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da tempo predisposto tutto il manoscritto che doveva portare la trattazione sino al termine prefisso alle soglie dell’Ottocento. «Qualunque eccezione si possa e si voglia formulare sul permanente valore di questa Storia de’ Papi, resterà certo memoranda sempre come impresa, che costituisce del pari la gloria d’un uomo e il trionfo d’un metodo. Schiettamente parlando, le doti del Pastor come pensatore, come storico e come scrittore erano insigni, ma non superlative, né di primissimo ordine. Egli ci ha offerto però la riprova di quanto affermava il giovane Gioberti sull’indicibile altezza a cui “si può pervenire quando si comincia dalla tenera giovinezza a comporre la vita propria e ordinare le proprie facoltà... mirando continuamente e con tutto il vigore dell’animo a un fine supremo abbracciato fin dal principio”. Fu il concentramento della sua attività verso una mèta scelta, si può dire, dall’adolescenza, fu la perseveranza eroica nello sforzo immane, che al Pastor assicurò il successo: a conseguire il quale lo assistettero circostanze propizie, ma contribuì, precipuo fattore, l’eccellenza d’un metodo, oggi troppo negletto in Italia», ove si prediligevano le sintesi ma senza il fondamento dei documenti; sintesi che dunque «non sono che arbitrarie, presuntuose costruzioni». «Il Pastor seguì la via regia: l’ascensione lenta e faticosa tra gli sterpi e i roveti dell’erudizione». Al credito della sua Storia giovarono i documenti dell’Archivio Vaticano, «abilmente sfruttati, con encomiabile probità, con un culto sincero e costante della verità, anche se non sempre superiore a pregiudizi di parte. Si potrà dunque discuterla e ne’ particolari e ne’ criteri informativi, ma verrà proficuamente consultata sempre come un arsenale ricchissimo, mirabilmente ordinato, di sicure nozioni di prima mano». Era impossibile fare qualcosa di simile fra noi? Senza appoggi del Vaticano Balan aveva preparato una «ragguardevole» Storia d’Italia; Tacchi Venturi aveva magistralmente incominciato (e poi interrotto per gli impegni di ufficio) una Storia della Compagnia di Gesù. Ai frutti maturi doveva concorrere l’humus dell’ambiente e Luzio si soffermava quindi sulle differenze per le ricerche storiche fra la situazione in Germania/Austria (brillante e organizzata) e in Italia (con forze individuali ben intenzionate e talvolta serie ma disperse e non appoggiate dalle istituzioni). Passava poi alla presentazione della prima parte del volume XIII, tedesco. Nella trattazione della politica di Richelieu, si avvertiva «il sentimento offeso del patriota germanico. C’è in quelle pagine un po’ l’eco della passione a cui, durante il conflitto mondiale, non poté neppure il Pastor sottrarsi». Ma Pastor «non trascese mai a invettive o denigrazioni verso il paese ospitale: ed è perciò che l’Accademia de’ Lincei lo volle, senza contrasti, suo socio». Dopo aver evocato la corrispondenza avuta con Pastor, dal 1890, Luzio concludeva riconoscendo allo storico tedesco «tenacia di lavoro», anche negli argomenti più scabrosi, e «misura e temperanza di giudizi», serbata signorilmente212. 212 Luzio presentò qualche mese dopo anche la seconda parte del volume XIII, tedesco, LUZIO, Il processo di Galileo cit. Il processo di Galileo appariva essere uno dei capitoli più spinosi del pontificato di Urbano VIII. Pastor lo aveva trattato «con la temperanza e l’abilità consuete». «Spogliato l’episodio delle esagerazioni leggendarie partigiane, l’ha ricollocato nel suo reale ambiente storico, mettendo in rilievo le molte circostanze attenuanti di quel gravissimo errore, ormai riconosciuto da tutti gli scrittori cattolici. La sua esposizione collima perfettamente con l’excursus di cui il cardinale Maffi ha arricchito la recente 5a edizione del magnifico libro Nei cieli» (scil. P. MAFFI, Nei cieli. Pagine di astronomia popolare, Torino 19285).
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Commemorazioni e ricordi significativi scrissero, fra gli altri, Pio Cenci213, Camillo Manfroni214, Angelo Mercati215, Emilio Re216. Nel 1934, alla conclusione dell’opera di traduzione italiana, Alessandro Cutolo tornò a sottolineare la contrapposizione di Pastor a Ranke e Gregorovius e il suo organico, strettissimo collegamento con la documentazione dell’Archivio Vaticano217. 213 P. CENCI, Dopo la morte del Pastor, Roma 1928 (forse opuscolo a sé stante, pubblicato da Desclée; un esemplare in Biblioteca Vaticana, R.G. Miscell. III.675 [int. 8]). 214 MANFRONI, Commemorazione di Lodovico Pastor cit.: «Quegli undici volumi, che portano il suo nome, sono eloquentissima prova della sua operosità, della sua scrupolosa coscienza, della sua genialità di ricostruttore, della sua perizia di critico arguto; e le successive edizioni dimostrano che egli non era pervicace sostenitore delle sue idee, ma pronto ad accogliere le critiche ragionevoli, i consigli di coloro, che di argomenti da lui trattati si erano occupati con serietà». A esempio veniva recata l’espunzione, in successive edizioni, dell’accusa a Venezia di essere «vile mercantessa» a proposito della guerra contro i Turchi sostenuta dalla Santa Sede. Così, ipotizzava Manfroni, avrebbe fatto Pastor riguardo all’accusa a Sarpi, «una delle più grandi figure italiane del secolo XVII», di aver voluto introdurre il protestantesimo a Venezia (pp. 25-26). Per riflessioni nello stesso senso di Angelo Mercati, cfr. supra, nt. 133. 215 A. MERCATI, Ludovico Pastor, in Rivista dei giovani, dicembre 1928, pp. 710-713 (due estratti in R.G. Miscell. III.653 [int. 10]; III.675 [int. 2]): «Costruita sulla ferma base di documenti contemporanei largamente raccolti e di fededegne relazioni, cementata da una erudizione veramente straordinaria, chiara nella saggiamente distribuita esposizione, che mette in rilievo una quantità enorme di particolari, serena nei giudizi, la Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo è un monumento scientifico che assicura all’autore una fama imperitura, ed è tale opera che per lungo volgere d’anni rimarrà indispensabile a chiunque debba o voglia occuparsi del periodo in essa trattato, e feconda suscitatrice di ulteriori ricerche atte a illuminare i dettagli sobriamente toccati. Ma essa è insieme l’opera d’un cristiano profondamente convinto, d’un figlio devotissimo della Chiesa e del Pontificato, espressione genuina dei nobili sentimenti che guidarono il barone von Pastor in tutta la sua vita» (p. 710). 216 E. RE, Ludovico Pastor, in Nuova antologia 63 (1928), fasc. 1359, 1° novembre 1928, pp. 96-102: «Verità e apologetica; ecco quello che richiedeva il momento: e la prima come parte e condizione della seconda, perché in tempi di libero contraddittorio sono inutili e peggio che inutili le affermazioni che non siano appoggiate a documenti e che offrano il fianco poi a una smentita. La mentalità del Pastor corrispondeva in modo perfetto a quella doppia esigenza: c’è infatti in lui un profondo bisogno di verità, che non proviene dal calcolo, ma dall’istinto d’uno spirito eminentemente probo, e, a lato, indivisibile, un amore non meno profondo della Chiesa di cui si sente e si professa figlio devoto» (p. 100). «Certo l’opera è figlia dei suoi tempi e non è esente da intenzioni apologetiche e da qualche preconcetto. Ma per riconciliarci con tutto ciò, bisogna anzitutto domandarsi qual’è l’opera storica che non dirò sia composta, ma sia solamente disegnata e pensata senza un anticipato punto di vista, senza cioè un preconcetto; e se sarebbe o sarà mai possibile fare altrimenti: non dimenticando che senza quel profondo amore — come di figlio alla madre — che professava alla Chiesa, egli non avrebbe trovato mai lo stimolo e la forza necessaria per condurre fino in fondo l’opera colossale» (p. 102). Su Emilio Re (1881-1967), archivista negli Archivi di Stato di Modena, Roma e Napoli, direttore a Napoli (1930-1934) e Roma (1934-1947), soprintendente archivistico ad interim per il Lazio, l’Umbria e le Marche (1940-1947), cfr. Repertorio del personale, I, cit., pp. 600-602. 217 CUTOLO, L’ultima pietra cit.
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La pubblicazione degli ultimi volumi della traduzione italiana costituivano «l’ultima pietra di un meraviglioso monumento letterario, innalzato dai nostri tempi alla memoria dei papi». Contro Ranke, Pastor comprese che era inutile contrapporre «a menzogne denigratrici inesattezze ampollose». Non scrisse un’altra delle tante apologie «che costituiscono il bagaglio inutile di quasi tutte le biblioteche italiane e straniere». Bisognava fare un lavoro serio, sereno, approfondito sulle fonti. Decisivi furono l’aiuto e il sostegno di Leone XIII, che aprì a Pastor i documenti dell’Archivio Vaticano, che erano stati negati a Gregorovius e Ranke. La storia dei papi diveniva così la storia d’Italia e storia del mondo conosciuto. «E fu appunto quest’opera di serena valutazione degli avvenimenti e degli individui, questo giudicare uomini e fatti da un piano più alto, che formò la vera imperitura grandezza di Ludovico von Pastor».
10. La strumentalizzazione politica: Pastor fra Sisto V e Benito Mussolini Il lato oscuro della vastissima popolarità conquistata, che fece definire la Storia di Pastor «l’opera scientifico-cattolica più letta e più ricercata d’Italia»218, fu la strumentalizzazione politica. Nel 1928 fu proprio il decimo volume, dedicato a Sisto V, quello che aveva suscitato le critiche di Gioacchino Volpe, a dare la stura a interpretazioni attualizzanti che miravano a stabilire confronti e identificazioni fra i pontefici di Pastor e figure e situazioni della fase politica italiana219. Un anno prima della Conciliazione, nel febbraio 1928, si incominciarono a stabilire parallelismi fra Sisto V, il «papa tosto», l’energico rinnovatore di Roma e dello Stato pontificio, e Benito Mussolini, che andava riplasmando il volto dell’Urbe e la vita degli 218 La definizione, che risaliva ad Augusto Zucconi (A. ZUCCONI, Parole di commiato degli editori, in L. von PASTOR, Storia dei papi [...], XVI, 3, Roma 1934, pp. V-VI: V), venne ripresa in un articolo di F. [= G. FREDIANI], Clemente XIV e Pio VI cit.; e comparirà con una certa frequenza; cfr., per esempio, I Papi a Castelgandolfo. Il soggiorno nella villa di Clemente XIV cit. 219 Nel giugno 1925, per iniziativa di Francesco Pistolesi, accompagnato da Carlo Sacconi, Pastor visitò i luoghi delle origini di Sisto V, Montalto, Fermo, Grottamare. Fu un’occasione per un’acclimatazione «italiana» di uno storico che da molti era stato percepito come marcatamente «austriaco» e «tedesco» e al tempo stesso per un’enfatizzazione del ruolo del papa marchigiano, del quale si facevano intuire i molti paralleli col corso politico italiano di quegli anni; cfr. la cronaca del viaggio in Il Ministro dell’Austria presso la S.S. in visita alla patria di Sisto V, in Corriere diplomatico e consolare, s.d. (ma agosto 1925) (Lasc. Pastor 63, nr. 27). Cfr. le notazioni di Pastor in PASTOR, Tagebücher cit., pp. 828-829. Per la lamentata, scarsa «italianità» di Pastor cfr. il giudizio di Pio Paschini: «si vede in lui lo straniero che non riesce sempre a cogliere lo spirito della vita, delle vicende e della coltura italiana; e che talvolta calca la mano nel giudizio di qualche personaggio più che non convenga, dimostrando preferenze non sempre giustificate», P. PASCHINI, Roma nel Rinascimento, Bologna 1940, p. 482; cfr. C. DIONISOTTI, Pio Paschini e la Chiesa di Roma nel Quattro e Cinquecento, in Atti del convegno di studio su Pio Paschini nel centenario della nascita, 1878-1978, Città del Vaticano [1979], pp. 146-157: 156. Per considerazioni, di segno contrario, di Diego Angeli e Federico Mastrigli, su Pastor «straniero di nascita ma profondamente italiano e romano di sentimenti», cfr. supra, testo e ntt. 55, 106.
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Italiani220. Con decisione senza precedenti e mai ripetuta, già nel 1922 la Tipografia Poliglotta Vaticana aveva pubblicato come volume autonomo, in una traduzione anticipata di Angelo Mercati, la parte relativa alla trasformazione edilizia e monumentale di Roma nel capitolo su papa Peretti del X volume della Storia221. Negli anni seguenti, nel volume su Pio VI si aggiornarono le indicazioni originali sulla bonifica delle paludi pontine alla luce di quanto operato in quegli anni dal regime222. Il direttore editoriale della filiale italiana di Desclée, Augusto Zucconi, autore di un opuscolo dall’inequivocabile titolo Sisto quinto e Benito Mussolini223, si preoccupò di presentare quasi contemporaneamente, con accorto e paritario tempismo, 220 Interamente giocato sul confronto e sul parallelismo delle due figure è l’articolo di A. Z. [= A. ZUCCONI], Intorno all’ultimo volume del Pastor. Maestri di energia, in Il messaggero, 14 febbraio 1928, p. 3 (Lasc. Pastor 63, nr. 7; sul volume X, italiano). Nel senso del parallelismo fra l’opera di Mussolini e quella di Sisto V si esprimevano anche le parole di presentazione di un estratto del volume, Le riforme di Sisto V. Giustizia e amministrazione – Approvvigionamenti e finanze, in Il messaggero, febbraio 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 30a): «ed è veramente interessante rilevare la modernità delle idee del Papa Peretti, e la rispondenza caratteristica della sua azione con quella che sta oggi rinnovando stupendamente la vita italiana e la magnificenza della Città eterna». Così anche le parole introduttive dell’estratto in Ritratto di Sisto V, in La tribuna, 11 febbraio 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 32): «la cui grande figura (scil. di Sisto V) è, diremmo, d’un’attualità così fresca, e offre al lettore raffronti così immediati, che non crediamo sia il caso di insistervi; ognuno può vederli da sé». Quasi controcorrente, Gli ultimi volumi della Storia dei papi del barone von Pastor (II), in La civiltà cattolica 79 (1928), vol. II, quad. 1869, 5 maggio 1928, pp. 246-255 (Lasc. Pastor 63, nr. 39; sul volume X, italiano), notò invece alcuni limiti del carattere del papa giustamente rilevati da Pastor: «Il Pastor tuttavia, secondo il costante suo criterio di obbiettività e imparzialità storica, non dissimula le ombre di questo splendido quadro storico, né i difetti e specialmente l’impetuosità e l’appassionatezza propria della tempra originale di Sisto V» (p. 254). 221 L. von PASTOR, Sisto V, il creatore della nuova Roma, Roma, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1922. Un esemplare della recensione di G. BORGHEZIO, Sisto V, il creatore della Roma nuova, in Il momento, 16 gennaio 1923, è conservato in Biblioteca Vaticana, R.G. Miscell. III.675 [dopo l’int. 13]. Una segnalazione di L. VENTURI, in Rivista storica italiana 40 (1923), p. 356, con critiche per la valutazione artistica. 222 Pio VI e la bonifica delle Palude (sic) Pontine, in La tribuna (Roma), 8 aprile 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 146; sul volume XVI, 2-3, italiano). Pastor aveva scritto: «La spesa complessiva salì a oltre un milione e mezzo di scudi: nonostante ciò si riuscì soltanto a restringere la zona paludosa: la trasformazione dell’intero territorio in terreno da coltura rimase allo stato di pio desiderio. Del resto nemmeno oggi, nonostante tutti i sussidi della tecnica moderna e i potenti mezzi finanziari dell’Italia contemporanea, si è riusciti ancora a condurre interamente a termine l’impresa». Presentando un brano sul soggetto, il giornale notava: «Così il Pastor, alcuni anni fa. Ma nella versione italiana uscita oggi l’editore naturalmente annota che la grandiosa opera è stata ripresa e condotta ammirabilmente a termine dalla volontà di Benito Mussolini». Cfr. PASTOR, Storia dei papi, XVI, 1, cit., p. 32 nt. 9 («La grandiosa opera sarebbe stata ripresa e condotta a termine un secolo e mezzo più tardi dal Governo nazionale di B. Mussolini [N. dell’editore]»). 223 A. Z. [= A. ZUCCONI], Sisto quinto e Benito Mussolini. Ritorni storici, Roma 1928 (Lasc. Pastor 69, nr. 137; con diverse edizioni sino al 1940). Sull’opuscolo, PALAZZOLO, Gli editori del
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a Pio XI e al duce224 i volumi via via che venivano pubblicati, dando e trovando enfatico spazio alla notizia sulla stampa (delle presentazioni al papa dava puntuale resoconto anche La civiltà cattolica), che anche in questo modo moltiplicava la notorietà e l’autorevolezza dell’opera. Per la presentazione del volume X: Un volume su Sisto Quinto offerto in omaggio al Duce, in Arena (Verona), 29 febbraio 1928 (Lasc. Pastor 63, nr. 8): il 28 febbraio Mussolini aveva ricevuto a Palazzo Chigi Augusto Zucconi, direttore della casa editrice Desclée, che gli ha recato in omaggio il X volume, dedicato a Sisto V. «L’on. Mussolini, che conosce e approva l’opera monumentale del pastore (sic) ricavata sopratutto dai documenti dell’Archivio segreto Vaticano, ha molto gradito il dono, ed ha rilevato come il grande Pontefice impresse allo Stato pontificio un carattere di grandezza nell’opera che si ammira a Roma, e nelle leggi tuttora ricche di insegnamenti, intese a migliorare le finanze pubbliche e l’agricoltura con la bonifica pontina. S.E. il Capo del Governo si è compiaciuto di donare una sua fotografia con dedica all’editore della “Storia dei Papi” esprimendo l’augurio che l’opera trovi molti lettori tra gli studiosi italiani»; Una copia della Storia dei papi offerta al Duce, in Il mattino (Napoli), 29 febbraio 1928 (ibid., nr. 48); Mussolini riceve l’editore della «Storia dei Papi», in Il resto del carlino, 29 febbraio 1928 (ibid., nr. 47); La «Storia dei Papi» del Pastor in omaggio a Mussolini, in La stampa (Torino), 29 febbraio 1928 (ibid., nr. 45); Colline, Pio XI per una grande storia della Chiesa, in L’ora, 1º-2 marzo 1928 (ibid., nrr. 21, 46: presentazione al papa, «che lo ha altamente lodato e ne ha incoraggiato la continuazione»). Per il volume XI: La voce di Roma, 6 luglio 1929 (Lasc. Pastor 64, nr. 7: presentazione al papa); L’Italia, 6 luglio 1929 (ibid., nr. 7: presentazione al papa); La Valsina, 6 luglio 1929 (ibid., nr. 6: presentazione al papa). Per il volume XII: Un importante contributo alla storia della Basilica di San Pietro, in Il solco fascista (Reggio Emilia), 31 luglio 1930 (Lasc. Pastor 65, nr. 5: presentazione al papa); La Basilica di San Pietro, in Cronaca prealpina (Varese), 31 luglio 1930 (ibid., nr. 6: presentazione al papa); Un importante contributo alla storia della Basilica di San Pietro, in Il popolo di Calabria, 31 luglio-1° agosto 1930 (ibid., nr. 23: presentazione al papa); Le udienze del capo del governo, in Sentinella d’Italia, 21 ottobre 1930 (ibid., nr. 27: presentazione al duce). Per il volume XVI, 1-3: Il XVI volume della Storia dei Papi presentato al Duce, in Il giornale d’Italia, 11 agosto 1933 (Lasc. Pastor 69, nr. 81: presentazione, «in edizione riccamente rilegata», al duce); Omaggio al Duce del 16° volume della «Storia dei Papi» di von Pastor, in La tribuna, 11 agosto 1933 (ibid., nr. 82: presentazione papa cit., p. 141 nt. 37. Sulle diverse traduzioni italiane dell’opera di Pastor (ma con alcune approssimazioni e inesattezze), ibid., pp. 37-38. 224 Una copia incompleta della Storia dei papi fu ritrovata nella ex-casermetta dei Carabinieri nella Rocca delle Caminate (castello in provincia di Forlì, che fu residenza estiva di Mussolini negli anni Venti e Trenta). Mussolini ricambiava i doni di Zucconi con sussidi per il comune di Fossato di Vico (ove era nato Zucconi, cfr. supra, nt. 199) e altre cortesie, C. M. MANCINI, Note sui libri di Benito Mussolini, in Annali della Fondazione Ugo La Malfa 27 (2012), pp. 269-278: 271 e nt. 21.
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al duce); I Papi a Castelgandolfo, in L’eco di Bergamo, 7 aprile 1934 (ibid., nr. 139; presentazione al papa); I Papi a Castelgandolfo nella villa di Clemente XIV, in Il resto del carlino (Bologna), 7 aprile 1934 (ibid., nr. 140: presentazione al papa); I Papi a Castelgandolfo, in Corriere adriatico, 7 aprile 1934 (ibid., nr. 142; presentazione al papa); Gli ultimi volumi della «Storia dei Papi» del Pastor offerti al Capo del Governo, in L’avvenire d’Italia, 12 aprile 1934 (ibid., nr. 148: presentazione al duce); Il Duce riceve a Palazzo Venezia l’ambasciatore conte Aldovrandi, in Il secolo XIX (Genova), 12 aprile 1934 (ibid., nr. 132; presentazione al duce; «Il Duce ha gradito l’omaggio e si è compiaciuto con la Casa editrice per il compimento della monumentale opera»); «La Storia dei Papi» del Pastor offerta in omaggio al Duce, in Il Tevere (Roma), 12 aprile 1934 (ibid., nr. 133; presentazione al duce); Dalla Città del Vaticano. Udienze, in Il Giornale d’Italia, 14 aprile 1934 (ibid., nr. 134; presentazione al papa); I francesi a Roma, in Gazzetta di Venezia (Venezia), 17 aprile 1934 (ibid., nr. 126: presentazioni al papa e al duce); La rapina dei francesi, in Giornale di Genova (Genova), 19 aprile 1934 (ibid., nr. 128: presentazione al duce); I Papi a Castelgandolfo. Il soggiorno nella villa di Clemente XIV, in Cronaca prealpina (Varese), 24 aprile 1934 (ibid., nr. 130; presentazione al papa).
Nella traduzione del volume XI, il primo a vedere la luce dopo la morte di Pastor, pubblicata nell’anno fatidico dei Patti Lateranensi, Desclée fece inserire una dedica che, celebrando l’evento, richiamava la riconciliazione di Enrico IV di Francia con Clemente VIII (1595): essa mostrava «al mondo come sempre il pontefice riabbracci con amore i figli che ritornano a lui»225. I giornali ripresero largamente la dedica226. Quelli più vicini al regime omisero però le ultime parole che in quel «ritorno» suggerivano una subordinazione troppo simile al pentimento di un altro Enrico IV, nella medievale e gelida Canossa, ai piedi di Gregorio VII227. 225 «Il grande avvenimento / degli accordi del Laterano / compiutosi l’undici febbraio MCMXXIX / per volontà / di / S.S. Pio XI e di S.M. Vittorio Emanuele III / auspici ed artefici / l’E.mo card. P. Gasparri e S.E. Benito Mussolini / per cui / si compone il diuturno dissidio fra la S. Sede e l’Italia / gli editori Desclée e C.i / vogliono ricordato in questo XI volume / della / Storia dei papi / che nella riconciliazione di Enrico IV di Francia / mostra al mondo / come sempre il pontefice / riabbracci con amore / i figli che ritornano a lui», PASTOR, Storia dei papi, XI, cit., p. VII. 226 Cfr., per esempio, L’11.o volume della Storia dei Papi del barone Ludovico Pastor, in Il nuovo cittadino (Genova), 12 giugno 1929 (Lasc. Pastor 64, nr. 9); Un volume della Storia dei papi dedicato alla Conciliazione, in Il quotidiano (Cuneo), 14 giugno 1929 (ibid., nr. 20; annuncio del volume XI, italiano); Matteo Ricci, gesuita, in La tribuna (Roma), 20 giugno 1929 (ibid., nr. 11; annuncio e anticipazione del volume XI, italiano). 227 Lo fece notare, a proposito del taglio operato dal Secolo-sera, Il corriere d’Italia, 7 luglio 1929, con un trafiletto intitolato Forbici e firmato da t. T., che ristabilì l’integrità del testo (Lasc. Pastor 64, nr. 8). Anche L’ultimo volume di von Pastor dedicato alla Conciliazione, in L’ordine (Como), 12 giugno 1929 (ibid., nr. 20), aveva offerto, forse inconsapevolmente perché dipendendo da dispacci di agenzie, la versione breve della dedica.
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11. Il 1934 e le nuove polemiche: Sem Benelli e Clemente XIV Nel 1934. con la pubblicazione della terza parte del volume XVI, arrivò alla conclusione l’edizione italiana. Il traguardo raggiunto offrì l’occasione a Zucconi per un soddisfatto bilancio ricapitolativo dell’impresa: Con questo volume la monumentale Storia dei Papi del Barone Ludovico von Pastor nella Versione Italiana è giunta al suo termine. Quando nel 1885 il giovane autore lanciava al mondo il primo volume di questo grandioso lavoro, e raccoglieva gli encomi dei dotti di ogni parte, sorsero subito le prime versioni nelle varie lingue. Fu nel 1910 dopo che i volumi I-III uscirono in una nuova edizione interamente rielaborati, che noi ci accingemmo alla nostra traduzione italiana, che fu poi proseguita senza arresti sino al presente volume228. Il faticoso lavoro cui si sono consacrati per oltre due decennî l’illustre Prefetto dell’Archivio Vaticano, Dott. Mons. Angelo Mercati e, quindi, l’attuale traduttore Dott. Mons. Pio Cenci, ci ha dato modo di poter seguire passo passo l’apparire dei volumi tedeschi, distanziandoci solo di quel tanto, che era indispensabile per l’esecuzione del lavoro. Da nostra parte in questi 24 anni abbiamo dedicato tutto il nostro zelo perché l’edizione italiana procedesse regolarmente, né fosse in nulla inferiore all’originale tedesco, anzi lo superasse, per la signorilità della stampa e per la tenuità del costo229. L’invito da noi fatto al clero e al popolo italiano per l’acquisto di questa Opera monumentale non è rimasto inascoltato. Gli abbonati e gli acquirenti isolati sono andati sempre più aumentando di numero, e si son dovute fare delle ristampe dei primi volumi ed aumentare la tiratura degli altri. Oggi possiamo dire che se la Storia dei Papi del Pastor è l’Opera più completa di Storia Ecclesiastica di quest’ultimo scorcio di secolo, è anche, mercé le nostre modeste cure, l’Opera scientificocattolica più letta e ricercata che abbiamo in Italia. I volumi del Pastor si trovano sul tavolo delle più alte Dignità Religiose e Civili e delle persone colte della nostra Nazione, ricercati e letti col più vivo interessamento. Nell’accomiatarci dai nostri benevoli lettori, mentre guardiamo soddisfatti al lungo cammino percorso, sentiamo il bisogno di ringraziare quanti ci hanno coa228 In realtà, come si è visto, il volume IV, 1, primo della nuova traduzione di Mercati, aveva visto la luce nel 1908. A partire dal 1910 erano stati ripubblicati i primi tre volumi, già precedentemente tradotti da Benetti (I: 1910; II: 1911; III: 1912); cfr. supra, nt. 122. Impreciso sembra anche il riferimento all’anno di uscita del primo volume dell’edizione tedesca, che fu il 1886, non il 1885. 229 Per offrire qualche dato, il volume XVI, 3, che sviluppava quasi 750 pp., fu messo in vendita a Roma a £ 75, nel Regno a £ 80 (corrispondenti oggi a poco meno di 95 euro). Sempre nel 1934 i due volumi di Roma alla fine del mondo antico di Hartmann Grisar si vendevano per £ 100 (nel 1936 un impiegato laureato di alto livello guadagnava mensilmente circa 800 £).
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diuvato alla ambita riuscita, e in modo speciale la Stampa periodica e quotidiana, che ci ha seguito con le più larghe simpatie. Vada il nostro ringraziamento ai molti Abbonati e Lettori che ci han sostenuto con la loro fiducia e a quanti hanno concorso a divulgare e a far conoscere questa Opera immortale. Prima fra le molteplici traduzioni questa italiana ha raggiunto il suo termine230: ciò è per noi una soddisfazione ben grande. Ci auguriamo che cresca il numero degli ammiratori della Storia dei Papi del Pastor, e che non si arresti l’acquisto di tale Opera; che se noi sapremo con generosa liberalità venir loro incontro, sapremo anche nelle successive ristampe tenerla scientificamente aggiornata onde essa non resti mai un’Opera morta, ma sia sempre viva e sempre piena di attualità231.
Anche Cenci scrisse alcune considerazioni conclusive: Il faticoso lavoro di versione della Storia dei Papi del Pastor con questo volume è giunto al suo termine. Quando l’esimio traduttore dei primi volumi, il Dott. Prof. Mons. Angelo Mercati, mi affidava la successione in quest’opera di traduzione, mi apostrofava con le parole: «Si sente di faticare?», io accettai, ma non nego che questi dieci anni, quanti son corsi dalla pubblicazione dell’VIII volume, sono stati dieci anni di intensa fatica. Fatica sì, ma alleggerita dalla soddisfazione di concorrere alla diffusione in Italia di un’Opera storica, di sommo valore scientifico e per ciò di ampio e indiscusso pregio apologetico. I molti volumi da me tradotti non mancano di mende: furono esse, per lo più, cagionate dalla soverchia pressione con cui i lettori affrettavano la versione italiana al primo apparire di un nuovo volume tedesco; in nuove ristampe esse potranno venire corrette; in ogni modo, non mi sembra orgoglio se mi lusingo di non essere riuscito immeritevole dell’aspettativa del pubblico. Nell’accomiatarmi faccio voti che quest’Opera così nutrita di verità e di dottrina venga ognor più letta e ricercata dal popolo italiano, onde dalla STORIA DEI PAPI, in uno dei periodi più tempestosi, esso apprenda a conoscere con quanto splendore di luce traspiri, attraverso le vicende del Papato, la divinità della Chiesa. L’unica amarezza che rattrista l’anima al termine di questo ultimo volume è che l’Autore, che tanto si interessava di questa versione, non ha potuto vederla compiuta. Ma anche l’edizione italiana della sua Storia concorre ad immortalarne il nome232.
Nonostante i bilanci decisamente positivi dell’editore e del traduttore, le polemiche, che con la critica di Luotto avevano accompagnato l’inizio 230
Anche qui Zucconi non sembra preciso; la traduzione italiana di Benetti aveva incominciato a vedere la luce nel 1890, quella di Mercati nel 1908, quella francese nel 1888 (cfr. supra, nt. 2). La traduzione italiana fu dunque la seconda. 231 ZUCCONI, Parole di commiato degli editori cit. 232 P. CENCI, Commiato del traduttore, ibid., p. VII. Il testo è datato «Roma, 10 marzo 1934».
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della diffusione dell’opera in Italia, ne segnarono anche la fine. Proprio nel 1934, scoppiò una polemica giornalistica a proposito di un dramma di Sem Benelli, «Caterina Sforza», che metteva in scena Sisto IV e Innocenzo VIII233. Richiamandosi a Pastor, il traduttore Cenci, con un ruolo quasi ufficiale derivante dalla sua funzione di interprete dell’opera e di archivista vaticano, biasimò il «sale scandalistico anticlericale» che viziava il sedicente dramma storico234. Il dramma di Benelli era stato riprovato da alte autorità ecclesiastiche. Nei quadri primo e quinto venivano messi in scena Sisto IV e Alessandro VI. L’autore aveva condito il suo dramma «di un forte sale scandalistico anticlericale, accreditandolo con le parole di “dramma storico”». Benelli si fondava sul giudizio calunnioso dell’Infessura su Sisto IV, ripreso da Gregorovius e da Pasolini nella Caterina Sforza235. Niccolò Cuneo, in un articolo del Lavoro, aveva affermato che a proposito di Sisto IV era necessario che la «Chiesa transiga» e che «il pubblico grosso conosca». Ma, prima di formulare simili affermazioni, le fonti andavano conosciute e vagliate. Cenci dunque presentava le valutazioni di Pastor, che analizzava i motivi della malevolenza di Infessura. D’altra parte già Reumont aveva osservato, a proposito di Infessura, che «i Liutprandi romani del secolo XV richiedono una critica tanto severa, quanto quelli del secolo X». E la critica mostrava come Infessura andasse utilizzato con la massima cautela. «E questo quadro, come il quinto, in cui lo stesso Alessandro VI con il duca Valentino, suo figlio, discute i piani di conquista, hanno una volgarità indicibile, volgarità che trova la sua caratteristica espressione quando Alessandro VI vuol dimostrare che, nonostante le sue colpe, la Chiesa resta pura. Per parlare della Chiesa che ama e perdona non ricorre al simbolo così bello, così naturale della madre; ma a quello infamante della donna perduta, esaltata dal Benelli in una frenesia retorica che diventa, per la santità dell’argomento, sacrilega profanazione».
A Cenci replicò il 31 marzo 1934 Niccolò Cuneo, già chiamato in causa da Cenci l’8 marzo per un precedente articolo sempre sul giornale genovese236. 233 La rappresentazione storica in tre parti e otto quadri «Caterina Sforza» fu messa in scena nel 1932 e nello stesso anno il testo fu pubblicato da Mondadori, cfr. F. MAROTTI, Benelli, Sem, in DBI, VIII, Roma 1966, pp. 472-476: 474. Per l’atteggiamento assunto dopo il delitto Matteotti, Benelli subì restrizioni e incontrò difficoltà, cfr. LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., p. 709. 234 P. CENCI, Sisto IV nella storia e nel dramma «Caterina Sforza» del Benelli, in L’avvenire d’Italia (Bologna), 8 marzo 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 114). 235 P. D. PASOLINI, Caterina Sforza, I-III, Roma 1893. 236 N. CUNEO, Sem Benelli e Sisto IV, in Il lavoro (Genova), 31 marzo 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 125). Scrittore, giornalista, patriota, allievo di Francesco Ruffini e di Giuseppe Rensi, in seguito aderente al Partito d’Azione, deportato e morto nel campo di concentramento di Gusen, Niccolò Cuneo fu autore di diversi volumi: La coquetterie della Chiesa (1929), Giuseppe Rensi (1929), Le Mexique et la question religieuse (1931), Il granducato dei poverelli (1932),
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Dopo aver definito Sisto IV «creatore elegantissimo del più sottile intrigo e del nepotismo politico più evidente», nella scia dei maggiori storici, da Machiavelli a Gregorovius, da Pasolini a Villari, Cuneo criticava apertamente l’articolo di Cenci, che invece di ricorrere ai documenti faceva riferimento al Pastor. Ci si levava il cappello davanti al Pastor ma «non gli si riconosce, come storico — per il solo fatto che il Pastor era gradito alla Santa Sede — un’autorità superiore a quella del Gregorovius né a quella del Pasolini né a quella del Villari». Per non parlare di Machiavelli. Cuneo attaccava quindi sia Pastor sia Cenci, l’autore e il traduttore. Non si poteva difendere Sisto IV attribuendone disinvoltamente le malefatte a Girolamo Riario. Del malvagio non si poteva mai valere un prete. Per Pastor, Sisto IV era ingenuo. La sua tolleranza nei confronti di Girolamo Riario si spiegherebbe invece meglio se egli fosse suo figlio, secondo una tesi respinta da Pastor e Cenci. Alcuni critici stentavano ad accettare la serenità e la prudenza dell’opera di Benelli. «C’è da credere quindi che a molti di loro prema poco la Chiesa e molto il Principato della Chiesa perché la discussione non tende più a dimostrare se Sisto IV fu un buon pastore — il che nella storia dei Papi non ha mai importanza — ma se fu un gran re od un principe pagano come i suoi contemporanei che non erano Papi, cioè come Benelli afferma sulla scorta dei maggiori storici. Questa accanita difesa del loro principe da parte di alcuni preti può essere inoltre istruttiva, perché tanta suscettibilità, sul Principato di ieri[,] rivela troppo la preoccupazione per il Principato di domani».
Il problema del potere temporale, ritenuto non solo questione del passato ma possibile oggetto di inconfessate nostalgie del presente e di speranze future, tornava così a imporsi nel dibattito intorno all’opera di Pastor. Cenci tornò a occuparsi del dramma di Benelli il 19 aprile 1934, affrontando la figura del secondo papa considerato, Alessandro VI237. L’Avvenire d’Italia aveva presentato una «precisa critica» alla prima rappresentazione romana del dramma «Caterina Sforza» di Sem Benelli. Nel precedente articolo Cenci aveva dimostrato come le accuse di immoralità mosse a Sisto IV fossero infondate. Nell’esecuzione del dramma a Roma, al teatro Quirino, il primo quadro era stato totalmente omesso. «Tutto questo non è stato che un puro atto di giustizia verso la storia». Al papa si poteva infatti rimproverare inesperienza della vita politica ma si doveva riconoscere integrità di vita; debolezza nei confronti dei nipoti ma intransigenza con se stesso. Non bisognava dare credito alle calunnie dell’Infessura. Diverso appariva il discorso per Alessandro VI. «Rodrico Borgia non è stato un casto e buon sacerdote, non è stato un virtuoso prelato, è salito al papato, in momenti torbidi, con intrighi e non meraviglia che egli sebbene nel più alto posto della Chiesa non abbia saputo farsi perdonare e cancellare il passato». Ma nella ricostruzione del dialogo fra Alessandro VI e il figlio Cesare nel quinto Spagna cattolica e rivoluzionaria (1934), Filosofia dell’imperialismo (1936), Sociologia di Voltaire (1938), Storia dell’emigrazione italiana in Argentina: 1810-1870 (1940). 237 P. CENCI, La figura di Alessandro VI nella realtà della storia e nella deformazione di un dramma, in L’avvenire d’Italia, 19 aprile 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 127).
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quadro si scendeva a «una trivialità brutale, da far ritenere Alessandro VI per un volgare degenerato». «Nel dramma “Caterina Sforza”, l’autore ha messo in luce due Papi della Rinascenza, Sisto IV ed Alessandro VI, per presentarceli come volgari usurpatori, viziosi, immorali. Quindi il papato nel dramma Sembenelliano viene conosciuto, sia pure per quel tempo, attraverso errori e colpe vere o suppositive. Ma è proprio questa la storia del Papato? è proprio questa la storia dei due papi indicati? Che forse rilevando solo gli errori si dà ai lettori la storicità di un personaggio che personificano (sic) una istituzione due volte millenaria? Che dire poi, se gli errori di uno dei due personaggi non esistono affatto? Se questi al contrario è stato sommamente benemerito della religione, della civiltà, della cultura? Se di fronte agli errori dell’altro, stanno distese le benemerenze di tutto l’“Istituto” glorioso delle più nobili e alte benemerenze e su la cui bandiera sta scritto Fede, Virtù, Carità? (...) Con ben diverso diritto, più saldo e più sicuro, deve lo storico levare la voce quando vede bistrattata la storia del Papato, dove immense sono le benemerenze, e solo minimi e rarissimi i difetti o le colpe. Se si vuole scrivere dei Papi la giustizia storica esige che non si defletta dalle leggi critiche seguite dal Pastor: mettere pure in luce i difetti degli uomini ma con essi presentare nel loro giusto valore i pregi e le alte benemerenze che essi hanno saputo acquistarsi. Altrimenti un libro che non si ispira a questa giustizia, si ammanti pure del titolo di “storico”, non è che un’ironia e un’offesa alla verità della storia». Dunque si concludeva che era stato giusto sopprimere nel dramma il quadro relativo a Sisto IV e «vari altri passaggi deplorevoli»; si doveva quindi fare altrettanto per il volume e quindi non solo a Roma.
Nata per ricondurre la riflessione sul papato in un’ottica storica, capace cioè di trattare il soggetto sine ira et studio, la Storia dei papi di Pastor si ritrovava in Italia invischiata e avviluppata nelle spire della polemica: di carattere diverso da quella, iniziale, di Luotto, che si era sviluppata in un quadro squisitamente cattolico, ma sempre polemica, che finiva per chiamare nuovamente in causa l’eterno problema del potere temporale, del passato e del futuro, perché per utilizzare le parole di Niccolò Cuneo la «suscettibilità sul Principato di ieri» finiva per rivelare «la preoccupazione per il Principato di domani». Benelli era notoriamente di spirito antifascista ed era stato firmatario del manifesto Croce (1925) in risposta agli intellettuali fascisti. La polemica con lui, agli inizi degli anni Trenta, poteva dunque assumere anche un valore politico (per i riferimenti anti-temporalistici). Quasi contemporaneamente alla polemica fra laici e cattolici sul dramma di Benelli si accese, questa volta in un orizzonte tutto ecclesiale, un duro confronto fra Ordini religiosi, Compagnia di Gesù da una parte e Francescani conventuali dall’altra, a proposito del giudizio su Clemente XIV, il papa che nel luglio 1773 aveva soppresso la Compagnia, nel secondo tomo del sedicesimo volume. La morte aveva infatti sorpreso Pastor prima della pubblicazione degli ultimi tre volumi, dal XIV al XVI, da Innocenzo X a Pio VI. Essi erano stati rifiniti, messi a punto e portati alla
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luce da collaboratori di Pastor238. L’autentica paternità di quelli che Pio Cenci definì efficacemente i «figli minorenni»239 dello storico di Innsbruck finì per costituire un serio problema che suscitò (o rianimò) contese fra Ordini religiosi ma soprattutto mise in discussione l’autorevolezza dell’opera e del suo autore. Della valutazione su papa Ganganelli era, dunque, autore Pastor o i suoi collaboratori, in buona parte Gesuiti, che ne avevano portato a termine l’opera? Quale era stato il loro ruolo? Esecutori fedeli di volontà espresse e puri redattori di note lasciate o creativi e veri e propri autori? Il contrasto fece scorrere l’inchiostro, chiamando anche in causa il Nachlass di Pastor da poco pervenuto alla Vaticana240. La controversia era nata nell’ambito di Ordini religiosi, Francescani conventuali versus Gesuiti, dunque in un quadro trans-nazionale, ma non casualmente assunse subito un profilo prevalentemente italiano, alla luce del profondo radicamento delle famiglie religiose nella penisola e della presenza a Roma delle curie generalizie degli Ordini, degli archivi, degli istituti storici e delle riviste a esse collegate. La miccia fu accesa, forse involontariamente, il 15 aprile 1934 da un articolo di Giuseppe Frediani ne L’osservatore romano241. Dopo un encomio per l’editore Desclée per la traduzione della Storia del Pastor e dopo aver segnalato l’aumento degli abbonamenti e degli acquisti dei volumi, le ristampe dei primi volumi e l’incremento delle tirature degli altri, l’articolista definiva la Storia dei papi, riprendendo una definizione di Zucconi, «l’opera scien238 Sui collaboratori di Pastor, CENCI, Il barone Ludovico von Pastor cit., p. XXVII; ID., Cenni biografici cit., p. XXIV. 239 CENCI, Il barone Ludovico von Pastor cit., p. XXI; ID., Cenni biografici cit., p. XIX. 240 A proposito del Lascito Pastor alla Biblioteca Vaticana cfr. CENCI, Cenni biografici cit., p. XXVII; GRAFINGER, Lascito Pastor cit. Per i tempi di trasmissione della documentazione cfr. infra, nt. 244. Paschini notò che nel XVI volume la parte relativa alle vicende della Compagnia aveva avuto uno «sviluppo eccezionale e non completamente in armonia col resto della materia», in Archivio della Società Romana di Storia Patria 61 (1938), p. 294. Una considerazione analoga, a proposito della trattazione sulle origini della Compagnia, nel quinto volume relativo al pontificato di Paolo III, aveva formulato nel 1909 padre Tacchi Venturi, cfr. supra, testo e nt. 39. 241 F. [= G. FREDIANI], Clemente XIV e Pio VI cit. Già alla fine del 1933 la rivista Fides, diretta da Igino Giordani, aveva richiamato l’attenzione sull’apporto dei collaboratori di Pastor ma senza intenti polemici: recensendo il volume XVI, 1, si notava che esso era «l’ultimo blocco d’una poderosa piramide, che durerà». L’autore non aveva potuto dare l’ultima mano al lavoro e aveva lasciato incompiuti diversi capitoli. Alcuni suoi collaboratori (venivano nominati Kneller, Wühr, Kratz e Schmidlin), con materiali in gran parte già raccolti da Pastor, hanno completato l’opera. Si riscontrava il «metodo noto e severo del Pastor, il quale così ha fatto della sua storia anche una sorta di miniera ricca e profonda di documentazione storica», i.g. [= I. GIORDANI], L’ultimo volume del Pastor, in Fides. Bollettino mensile dell’Opera Primaria della Preservazione della fede 33 (1933), pp. 562-564 (Lasc. Pastor 69, nr. 108; sul volume XVI, 1, italiano).
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tifico-cattolica più letta che abbiamo in Italia». Presentando poi le parti II e III del volume XVI, si soffermava sul giudizio del Pastor su Clemente XIV: «In conclusione, Clemente XIV rimane, nella lunga serie dei Papi, come uno dei più deboli e dei più infelici. Al tempo stesso egli è uno dei più degni di compassione, perché, malgrado le sue ottime intenzioni, quasi tutto gli riuscì male, essendo egli impari alla situazione, la quale era d’altra parte d’una difficoltà senza esempio». «Fedeli al nostro compito che, di fronte a questi insigni volumi, volle essere e fu sempre di semplici segnalatori, né sapendo d’altronde quanta parte diretta e personale abbia il compianto Autore in questo punto particolare, noi non vogliamo aggiunger parola. Tuttavia, ripensando a taluni echi, che già ebbe la comparsa del volume tedesco, chi scrive farà un rilievo, ed è questo. Quando una figura è ascesa alla Cattedra di S. Pietro, qualunque siano le sue origini, essa appartiene anzitutto, vorrei dire esclusivamente, alla Chiesa. Ogni parere e giudizio su lei, che non fosse ispirato alla più schietta verità e animato della più profonda devozione, offenderebbe anzitutto, si dica pure solamente, la Chiesa; giacché ogni altra offesa sarebbe già tutta contenuta in quella, in nessun modo perdonabile».
Il giornale ufficioso della Santa Sede faceva dunque notare che un giudizio negativo su Clemente XIV finiva per essere un giudizio negativo sulla Chiesa, alla quale la figura del papa indissolubilmente appartiene. Era possibile che un appunto simile potesse essere rivolto allo storico dei papi che si era segnalato negli anni per ben diverse prove? Non «sapendo d’altronde quanta parte diretta e personale abbia il compianto Autore in questo punto particolare, noi non vogliamo aggiunger parola». In realtà le parole già scritte erano sufficienti a provocare una risposta ferma e immediata della Compagnia, che si vedeva chiamata in causa su un duplice piano: perché vedeva minacciata l’onorabilità dei suoi membri che avevano collaborato con Pastor (considerati dunque falsificatori che attribuivano allo storico ciò che era invece frutto delle loro elaborazioni) ma anche, e forse ancora più gravemente, perché vedeva riaperta la ferita mai veramente rimarginata della soppressione del 1773: per giustificare il papa francescano, si voleva considerare in qualche modo necessario, opportuno, inevitabile il provvedimento di scioglimento. La polemica si mosse quindi costantemente su due piani, sempre intrecciati ma ben distinti: l’attualità (ruolo dei collaboratori gesuiti nella stesura degli ultimi volumi della Storia dei papi) e la storia (valutazione della misura di papa Ganganelli, soggetto sul quale già si erano confrontate diverse prospettive). All’articolo rispose, sulle colonne dello stesso quotidiano, t. (con ogni probabilità Pietro Tacchi Venturi), una settimana dopo, il 22 aprile 1934242. 242
t. (probabilmente Pietro Tacchi Venturi), Il Pastor e il suo XVI volume della Storia dei papi, in L’osservatore romano, 22 aprile 1934, p. 2 (Lasc. Pastor 69, nr. 129). Sul gesuita (18611956) cfr. G. MARTINA, La mancata nomina cardinalizia del p. Tacchi Venturi, in La civiltà
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Ai dubbi mossi alla paternità di Pastor per il XVI volume, si replicava con una frase dello stesso Pastor al padre Rudolph van Oppenraaij («Grazie a Dio ho terminato il mio lavoro su Clemente XIV. Se dovessi morire il mondo può ormai sapere ciò che ne ha pensato il Pastor»). L’editore aveva precisato nella sua introduzione quali pagine fossero precisamente dovute a Pastor e quali ai collaboratori, i gesuiti Karl Kneller (München), Wilhelm Kratz (Roma), il dottor Wilhelm Wühr (München) e il professor Joseph Schmidlin (Münster)243. Ma la diceria era sorta e s’era fatta strada anche tra i più prudenti e guardinghi. «Volta, non si sa bene, se a demolire almen l’ultima fatica del valoroso ricostruttore della verità durante uno dei più difficili e calunniati periodi di storia della Chiesa, o a porre in dubbio l’obbiettività delle risultanze e del giudizio sulle dolorose prove della Compagnia di Gesù che ne caratterizzarono la soppressione, la insinuazione meritava la più precisa smentita perché intorno ad un monumento storico che ha fatto giustizia di tante ingiustizie, un’altra ben odiosa, e per l’autorità del Pastor e per la coscienza dei suoi cooperatori e, quindi, per la storia stessa e per la verità, non dovesse propagarsi ed allignare». L’articolo precisava quindi quale fosse stata la ripartizione del lavoro fra Pastor e i suoi collaboratori gesuiti. E una conferma poteva giungere dai manoscritti e dattiloscritti raccolti nella Biblioteca Vaticana244. Si rinviava quindi a un cattolica 147 (1996), IV, quad. 3516, 21 dicembre 1996, pp. 568-579 (già sostanzialmente in Archivum historicum Societatis Iesu 65 [1996], pp. 101-109); G. FABRE, Un «accordo felicemente conchiuso», in Quaderni di storia 76 (2012), pp. 83-153: 84 nt. 2. Per i suoi rapporti con Pastor cfr. PASTOR, Tagebücher cit., pp. 367, 772, 845, 878. 243 Nell’Avvertenza, autunno 1929, al volume XIV, 1, si era ricordata l’opera e precisato il ruolo di Kneller, Schmidlin e Wühr, precisando peraltro che Pastor aveva condotto a termine l’opera sin nei minimi particolari (L. von PASTOR, Storia dei papi [...], XIV, 1, Roma 1932, pp. VII-VIII). Il fatto venne ribadito nell’Annotazione dell’editore tedesco, autunno 1930, in apertura del volume XV: per il pontificato di Clemente XI, Kneller aveva completato i capitoli VI e VII e la trattazione della questione dei riti cinesi; Wühr aveva ultimato la trattazione dei conclavi di Innocenzo XIII e Clemente XII; Schmidlin aveva curato i capitoli sulla storia delle missioni; la curatela generale era stata assicurata da Kneller e Wühr (L. von PASTOR, Storia dei papi [...], XV, Roma 1933, p. VII). Gli stessi studiosi erano intervenuti nel volume XVI, terminando i capitoli lasciati incompiuti dall’autore sulla base del materiale da lui raccolto: Kneller si era occupato dei «capitoli sulla vita interna della Chiesa, sulle missioni e sulla fine della questione per i riti cinesi»; Wühr si era occupato dei conclavi degli anni 1740, 1758, 1774-1775, dei capitoli sullo sviluppo della Chiesa nei paesi di lingua tedesca e in Polonia e dei tre capitoli finali del pontificato di Pio VI; Kratz si era occupato dei capitoli IV-VII del pontificato di Clemente XIII e di quello relativo al conclave del 1769, collaborando anche al capitolo sui precedenti di politica ecclesiastica sotto Pio VI. Per la storia delle missioni erano stati utilizzati materiali raccolti da Schmidlin, che aveva già raccolto molti dati per il volume V. La dedica dell’ultimo volume a s. Pietro era stata già decisa, nel febbraio 1923, da Pastor; in essa si ribadiva la sostanziale paternità di Pastor («[....] quod labore extremo extremum Ludovicus de Pastor absolvit») (Avvertenza dell’editore tedesco, autunno 1931, in PASTOR, Storia dei papi, XVI, 1, cit., p. VII). 244 Il 1° dicembre 1933 erano stati offerti a Pio XI, perché fossero conservati in Biblioteca Vaticana, i manoscritti e le edizioni delle opere di Pastor, con le carte e le corrispondenze dello storico, come L’osservatore romano aveva precisamente documentato: L’offerta al Santo Padre di preziosi cimeli dello storico insigne (occhiello: La memoria di Ludovico von Pastor nel-
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contemporaneo articolo di padre Leturia nell’Archivum Historicum Societatis Iesu sull’apporto di Pastor nella ricostruzione della soppressione della Compagnia nella Storia dei papi245. Pastor attingeva alla bibliografia raccolta anche dalla Compagnia ma essa naturalmente comprendeva anche le pubblicazioni avverse ai Gesuiti. Non si poteva insomma dubitare delle affermazioni di Pastor.
Fu l’inizio di una polemica che coinvolse da parte francescana conventuale la Miscellanea francescana246, da parte gesuita La civiltà cattolica247; e che si estese, ancora una volta, anche a una valutazione della fedeltà della traduzione italiana all’originale tedesco. Al dibattito parteciparono naturalmente anche altri, sostenendo le posizioni dei primi o dei secondi248. la Biblioteca Vaticana), in L’osservatore romano, 2 dicembre 1933, p. 1; ibid., 3 dicembre 1933, p. 1, con pubblicazione di fotografie della cerimonia (Lasc. Pastor 69, nrr. 93, 94). In anni successivi sarebbe pervenuta ulteriore documentazione. Il discorso di Pio XI nell’occasione anche in Discorsi di Pio XI. Edizione italiana a cura di D. BERTETTO, II: 1929-1933, Torino 1960, pp. 1014-1015. 245 P. de LETURIA, Quaenam Dr. Ludovicus von Pastor in Historiam Suppressionis Societatis Jesu conscribendam de penu suo protulerit, in Archivum historicum Societatis Iesu 3 (1934), pp. 187-190. 246 L. CICCHITTO, Il pontefice Clemente XIV nel volume XVI, p. 2a della «Storia dei papi» di L. von Pastor, in Miscellanea francescana 34 (1934), pp. 189-231; ID., Ancora intorno al «Clemente XIV» del barone von Pastor, ibid., pp. 312-321; ID., Le risultanze d’un dibattito sul «Clemente XIV» del Pastor, Gubbio 1935 (pro manuscripto, conservato a Roma nella Biblioteca di S. Francesco a Ripa). 247 [G. MARTEGANI], Ludovico von Pastor e la sua storia del Pontificato di Clemente XIV, in La civiltà cattolica 85 (1934), vol. II, quad. 2014, 19 maggio 1934, pp. 408-414; P. LETURIA, Ancora intorno al «Clemente XIV» del barone von Pastor, ibid., vol. IV, quad. 2025, 3 novembre 1934, pp. 225-240; E. ROSA, Intorno al pontificato di Clemente XIV, ibid. 86 (1935), vol. I, quad. 2029, 5 gennaio 1935, pp. 17-35; ID., Una «milizia in piena disfatta»?, ibid., quad. 2031, 2 febbraio 1935, pp. 250-270; W. KRATZ – P. de LETURIA, Intorno al «Clemente XIV» del barone von Pastor, Roma 1935 (in due capitoli, sull’opera del Pastor e sulla paternità del volume). Già anni prima Paul Maria Baumgarten aveva rimproverato l’autore della Storia dei papi di non aver nominato i suoi collaboratori; ne era nata una polemica sulla stampa quotidiana, che coinvolgeva anche il concetto di teologia e di Chiesa, con aspre reazioni di Pastor; cfr. H. JEDIN, Storia della mia vita, a cura di K. REPGEN, con un’appendice di documenti, Brescia 1987 (ed. originale: 1984), p. 93 e nt. 12. 248 Il biografo di Pio XI, Angelo Novelli, intervenne sull’argomento notando che la soppressione della Compagnia di Gesù fu «un errore fatale», che provocò danni spirituali incalcolabili. «Il Pastor è alquanto severo con lui (scil. Clemente XIV)... Forse io sono inesatto addebitando a lui quel che forse deve ascriversi agli editori che per comporre il libro hanno lavorato sui materiali approntati dall’insigne storico. Ho la impressione che gli sia stata forzata un poco la mano. Egli così devoto alla sacra persona del Pontefice, chiunque sia stato, forse anche per Clemente XIV avrebbe dato alla verità storica quell’accento particolare che il cuore d’ogni buon cattolico domanda», A. NOVELLI, Clemente XIV, in Pro familia (Milano), 6 maggio 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 116; sul volume XVI, 2, italiano). BENDISCIOLI, I Papi del ’700 cit., pp. 652-653, riteneva invece che l’opera dei collaboratori, naturale e inevitabile per l’ampiezza dell’opera e per il progressivo declinare delle forze dell’autore, non avesse alterato
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Della disputa sorrise, in alcune sue Note autobiografiche, Giorgio Levi Della Vida che, perduta la cattedra universitaria nel 1931 per aver rifiutato di prestare giuramento al regime fascista, aveva trovato rifugio in Biblioteca Vaticana per catalogare manoscritti arabi e per un anno (1932-1933) integrò lo stipendio con la traduzione di pagine del Pastor: Certamente lo stipendio non era alto, e benché riducessi le spese al minimo necessario, difficilmente avrei potuto tirare avanti senza l’aiuto indiretto di mia madre; dirò anzi che dall’ottobre del 1932 all’ottobre del 1933 arrotondai i guadagni colla traduzione dal tedesco di un volume e mezzo della Storia dei Papi di Pastor, che usciva sotto il nome di un certo Monsignor Pio Cenci, ma di fatto era opera di traduttori anonimi, costretti su per giù come me a far quattrini alla chetichella: Salvatorelli (che fu anzi lui a suggerire il mio nome all’editore), De Gasperi... Se non fosse troppo lungo, e se non implicasse particolari troppo tecnici, racconterei la comica storia di una polemica sorta tra gesuiti e francescani a proposito della traduzione di un passo del volume relativo a Clemente XIV, in cui fu messa in dubbio la mia onestà di traduttore, senza che il mio nome venisse fuori, s’intende; onestà che peraltro risultò assoluta: De Gasperi, che naturalmente conosceva l’identità del traduttore, si divertiva un mondo a seguire la vicenda della polemica e a comunicarmene l’andamento249.
Le polemiche rimasero vive per decenni e forse non sono anche adesso del tutto sopite. Ancora nel 1977 Giuseppe D’Arrigo notò che «dopo tanta letteratura partigiana intorno a papa Clemente XIV c’era da sperare qualche cosa di più sereno, se non ancora di definitivo, nella Storia del Pastor; invece non c’è stato nemmeno quel minimo di cristiana carità che era pure da attendersi da ogni buon cattolico nei riguardi d’un papa»250. Proprio gli ultimi volumi della traduzione diedero occasione a Levi Della Vida e Salvatorelli, traduttori poco entusiasti dell’opera (impegno assunto per puri motivi economici), di formulare una serie di giudizi durissimi sulla Storia dei papi e sul suo autore251. Si tratta forse dei giudizi lo spirito dell’opera; ma considerava il giudizio su Clemente XIV «particolarmente severo e parco a riconoscere le attenuanti che le difficoltà de’ tempi dovevano pur fargli concedere». 249 Il brano è pubblicato in P. VIAN, Un ebreo tra i monsignori. Giorgio Levi Della Vida in Biblioteca Vaticana (1931-1939), in questo volume, pp. 525-590: 532-534. All’articolo si rinvia per le note al testo. Per la polemica sulla traduzione di un passo, cfr. CICCHITTO, Ancora intorno cit., pp. 314-315. 250 G. D’ARRIGO, Il mistero della morte di Papa Ganganelli (Clemente XIV), in Strenna dei Romanisti 38 (1977), pp. 89-100: 94; con rinvio ad articolo di Pol., in Il messaggero, 8 gennaio 1935, e ad altre confutazioni delle affermazioni di Pastor. Interessante è quanto Pastor, quasi presago delle future polemiche, disse a Pio Cenci nel 1927, «di volere attendere ai volumi su Pio VI e Clemente XIV, perché altri non avrebbe saputo riprodurre bene il suo pensiero», CENCI, Il barone Ludovico von Pastor cit., p. XXI; ID., Cenni biografici cit., pp. XVIII-XIX. 251 Il 24 dicembre 1933 Levi Della Vida scrisse a Salvatorelli, che aveva indicato il nome
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più critici fra quelli sinora raccolti, paradossalmente formulati proprio dai traduttori, peraltro in sede privata e comunque espressione di una visione del mondo lontanissima da quella di Pastor: Levi Della Vida, 9 aprile 1933: «Non conoscevo, se non per qualche consultazione occasionale, gli altri volumi della “Storia dei Papi”: questo su Clemente XIV è quanto di più insulso possa immaginarsi. Non solo vi regna un filogesuitismo stomachevole (e facevano passare il Pastor per liberale!), ma la concezione della storia è di una ingenuità da far sorridere. Se la Francia non avesse diminuito il numero dei conventi con le sue leggi e decreti, la Rivoluzione non sarebbe scoppiata! La colpa della spartizione della Polonia è... del re Stanislao che non si oppose al dilagare dello spirito antiecclesiastico! Del resto, a quanto almeno mi pare, nemmeno lo sfruttamento del larghissimo materiale archivistico raccolto è stato fatto a dovere. Di quanto abbiano tentato di fare i Gesuiti per impedire la soppressione non è detto quasi nulla, pur avendo avuto l’autore a sua disposizione l’archivio della Compagnia. Silenzio intenzionale? A ogni modo, anche così ho imparato qualche cosa, e il lavoro non mi è riuscito troppo sgradevole, tanto più che ho constatato che posso compierlo abbastanza rapidamente»252. Salvatorelli, 12 aprile 1933: «Il tuo giudizio sul Pastor coincide col mio, salvo che in me è accompagnato forse da una più viva ripugnanza, dato l’interesse particolare che ho preso sempre a quegli argomenti. Tutta la miseria intellettuale e morale del clericalismo si rispecchia in quest’opera, e tanto più quanto più ha avanzato verso i tempi moderni, in cui il romanesimo cattolico — attorno al quale si aggira ancora, tra iracondo e venerabondo, il nostro amico Buonaiuti — si è svelato in tutta la sua contrarietà ai valori umani. Riguardo anche allo sfruttamento del materiale di archivio la tua osservazione è giustissima, e anch’io mi sono posto gli stessi quesiti. Ti dirò che nella parte tradotta da me il P. riferisce che al Ricci fu appunto rimproverato di avere assistito passivamente alla distruzione della Compagnia. Non per questo credo meno alla probabile esistenza di reticenze; mi augurerei, anzi, che qualcheduno, anzi parecchi, in base a questi regesti pastorali, prendessero in esame a fondo il materiale. Anche senza questo, in base solo ai volumi del P., una stroncatura sarebbe non difficile, e desiderabile. Io per me non posso pensarci, per più motivi»253. Levi Della Vida, 15 agosto 1933: «Il volume XVI del Pastor non mi va giù. Ne ho tradotto poco più di 150 pagine, e ora dovrei mettermi a corpo perduto a tradurre le altre 300, che dovrebbero essere consegnate entro settembre. Ma, almeno per la parte che ho fatto fin qui, questo volume supera in stupidaggine il precedente. La maniera con cui sono trattati i conflitti giurisdizionalistici e il movimento di Scipione dei Ricci (sto proprio a quel punto) è addirittura pietosa. Questi ultimi dell’amico come possibile traduttore, di avere accettato la proposta per il volume XVI, 2, che si estese poi al XVI, 3, Levi Della Vida a Salvatorelli, Roma, 24 dicembre 1932 e Roma, 9 aprile 1933; in LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., pp. 798-799, 800. 252 Levi Della Vida a Salvatorelli, Roma, 9 aprile 1933; ibid., pp. 800-801. 253 Salvatorelli a Levi Della Vida, Torino, 12 aprile 1933; ibid., p. 801.
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volumi (non so dei precedenti) non fanno davvero onore al livello intellettuale del Pastor»254. Salvatorelli, 20 agosto 1933: «(...) una paginetta quotidiana del Pastor, veramente scipito come tu dici. E veramente, se avessi a tradurre di questo ancora 300 pp. come te, invece di una semplice ventina, mi metterei le mani nei capelli. Il cervello dell’uomo è stato, credo, sempre quello, fin dai primi volumi; ma almeno, finché aveva per le mani i Papi della Rinascenza e della prima Controriforma, aveva da fare colla grande storia politica e culturale, e la materia lo salvava dal mostrarsi in tutta la sua miseria mentale e morale di papalino-gesuitico. Nelle pagine che ora traduco la “devozione del papa” — ultimo e splendido punto di arrivo del monoteismo cristiano-cattolico — ha tutto l’agio di manifestarsi a proposito delle ultime vicende di Pio VI. Non gli basta dire — come la sua fonte, riportata in nota — che, quando ci fu il terremoto a Siena, la sola camera dell’appartamento papale rimasta illesa fu quella di papa Braschi: no, si tratta dell’unica camera illesa “in tutto il convento”. Eppoi non era illesa, perché, dice lui, si crepacciò! Quando poi Pio VI monta in carrozza per andare dai pressi di Siena alla Certosa di Firenze, — viaggio compiuto in meno di una giornata —, crede necessario esaltare l’intrepidezza con cui il papa si accinse al viaggio! Bisogna dire, per verità, che il livello della produzione storica cattolica tedesca è superiore a quello del Pastor, che sta piuttosto, per il suo cervello e la sua coscienza morale, al livello della produzione cattolica italiana»255. Levi Della Vida, 22 dicembre 1933: «Quello (scil. lavoro) del Pastor l’ho finito per il 10 novembre, lavorando subito dopo la tua partenza come un negro. Non ti dico di essermi molto divertito, per quanto qualcosa abbia pur imparato, e specialmente, come puoi figurarti, il disgusto per le scioccherie del defunto barone (o dei suoi revisori postumi d.C.d.G.) è stato grande; ma, in sostanza, quei quattrini che ne ho ricavati mi hanno fatto molto comodo, e se mi offrissero qualche cosa di analogo non direi di no»256.
12. Riconsiderazioni e ridimensionamenti: dagli anni Trenta al Duemila Già nel 1933 Ferdinando La Torre aveva messo in discussione un’affermazione basilare del terzo volume della Storia dei papi, la natura simoniaca dell’elezione di Alessandro VI257. La morte dell’autore, la conclusione della 254
Levi Della Vida a Salvatorelli, Roma, 15 agosto 1933; ibid., p. 803. Salvatorelli a Levi Della Vida, Viù (Torino), 20 agosto 1933; ibid., pp. 804-805. Per i passi evocati da Salvatorelli cfr. PASTOR, Storia dei papi, XVI, 3, cit., pp. 653 e nt. 6, 654. 256 Levi Della Vida a Salvatorelli, Roma 22 dicembre 1933; in LEVI DELLA VIDA – SALVATORELLI, La pazienza della storia cit., pp. 806-807. Il 1° gennaio 1934 Salvatorelli scrisse all’amico di considerare la possibilità di assumersi (magari insieme a lui) la traduzione «della continuazione del Pastor»; ma il 24 ottobre l’ipotesi tramontò, ibid., pp. 808, 812. La Papstgeschichte der neuesten Zeit (1880-1939) di Joseph Schmidlin, pubblicata a München, da Kosel & Pustet, in quattro volumi, fra il 1933 e il 1939, non vide però mai la luce in italiano. 257 F. LA TORRE, Del conclave di Alessandro VI Papa Borgia, Firenze 1933; recensito da R. MURRI, Il conclave di Papa Borgia, in Il resto del carlino, 15 febbraio 1934 (Lasc. Pastor 69, 255
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traduzione italiana, le polemiche innescate dalla trattazione del pontificato di Clemente XIV inaugurarono una fase in qualche modo di revisione e di «demitizzazione» del grande monumento eretto, non senza incrinature, nei decenni precedenti. Ne è un indizio l’insofferenza di don Giuseppe De Luca, mista peraltro a viva ammirazione e a una vigorosa difesa dalle accuse di extra-scientificità mosse da Walter Goetz. L’atteggiamento di De Luca nei confronti di Pastor appare ambivalente. Da una parte, lo storico tedesco — che De Luca conobbe258 e che pose sul piano di Ehrle, Morin, Wilmart, Lindsay, Mercati, Lowe, nella «stagione dei giganti dell’erudizione» di cui egli fece in tempo a vedere solo gli estremi bagliori259 — gli apparve come il modello di un’esistenza interamente dedita al compimento di una sola opera, che lascerà un segno e si identificò con la vita stessa dell’autore260. Dall’altra parte, il «prete romano» mostrò a tratti insofferenza per la monumentalizzazione quasi agiografica del personaggio. Poco dopo la morte di Pastor (30 settembre 1928), il 3 ottobre De Luca commentò con Giovanni Papini: «E, in piccolo, la morte del Pastor sarebbe per me una bella morte: opera non finita, ma vita piena e piena di una scienza viva di un nr. 112). L’antico prete modernista scriveva: «Riflessioni giuste, benché si rischi, ispirando ad esse revisioni storiche e istruendo le prove di queste, di parer solleciti di minuzie erudite. L’agitato da Dio, il profeta, poteva condannare in blocco. Lo storico va più adagio. Egli deve ripartire equamente le responsabilità e, gli uomini, intenderli nel loro tempo e spiegarli con esso. Altri sarà poi severo verso quelli che avevano appunto l’ufficio e il dovere di non lasciarsi far dal costume, ma di far essi costume e storia. E c’è da ricordare anche che prelati e diplomatici e letterati del tempo e tutta, in genere, la società colta erano terribilmente avidi ed invidiosi e maligni ed amavano far dello spirito, mutar la frase e la penna in pugnale. Si esagerava anche quando non c’erano passioni politiche di mezzo; figurarsi con queste in corpo! Su papa Borgia, certamente, si è esagerato, anche se era difficile esagerare su suo figlio, il Valentino». Su molti episodi si potrà dunque precisare e magari mitigare il giudizio ma il giudizio complessivo della storia non potrà mutare. Sul volume intervenne anche POL., La pretesa elezione simoniaca di papa Alessandro VI, in Il messaggero, 7 aprile 1934 (Lasc. Pastor 69, nr. 143). Secondo l’articolo, il lavoro di La Torre non mirava a riabilitare Alessandro VI. Nessuna difesa avrebbe potuto cancellarne le colpe che veramente furono sue. Ma un esame più severo e un’analisi approfondita avrebbero rivelato di questo pontefice un’immagine più vicina alla realtà. Le fonti (non imparziali) dell’accusa erano costituite da Sannazzaro e Guicciardini. La licenziosità del Borgia in realtà non era maggiore di quella di altri porporati. Attraverso l’analisi della situazione politico-ecclesiastica e della dinamica degli scrutini, La Torre distruggeva la tesi dell’elezione simoniaca. 258 De Luca a Papini, Roma, 15 novembre [1929]; in G. DE LUCA – G. PAPINI, Carteggio, I: 1922-1929, a cura di M. PICCHI, Roma 1985, p. 320; cit. in G. ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca uomo cristiano e prete (1898-1962), Brescia 1992, p. 288. Ancora scrivendo a Papini, Roma, S. Francesco [4 ottobre] 1929, De Luca notò che il Pastor era di quei volumi che «sono (...) e restano l’inizio di ogni ricerca particolare», ibid., p. 298. 259 G. DE LUCA, La ragione di questo libro e di queste onoranze, in A. VACCARI, Scritti di erudizione e di filologia, I: Filologia biblica e patristica, Roma 1952 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 42), pp. VII-XIX: VIII; ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca cit., p. 356. 260 Sulla concentrazione di Pastor sull’obiettivo del lavoro, cfr. le parole di Clemens Bauer in JEDIN, Storia della mia vita cit., p. 93 nt. 12.
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grande amore, e un solo amore: Iddio»261. Ma l’8 novembre 1934, sempre a Papini, il prete romano scrisse: «Io ho gusto che su questo zuccone d’austriaco, di qui di là, dappertutto, s’incominci a picchiar sodo»262. L’ammirazione di De Luca per la dedizione di Pastor all’opera alla quale consacrò tutte le sue energie, paragonata alla tragica dispersività della sua esistenza, appare evidente anche in un accenno in lettera a Fausto Minelli del 24 giugno 1931. De Luca si era lamentato della «tragedia» della sua «povera vita», la mancata stesura di quella «Storia della pietà» che mai affrontò perché distratto da mille impegni che pur continuò ad assumere. Eppure pensava a «qualcosa come una dozzina di grossi volumi» e per essi «non vorrei fare altro nella mia vita»: «Come Pastor, la storia dei Papi»263. Già nel 1930 De Luca, con lo pseudonimo di Matteo Romito, aveva evocato sul Frontespizio il nome di Pastor contrapponendolo a quello di Guido De Ruggiero. Lo scritto di quest’ultimo su Rinascimento, Riforma, Controriforma era ritenuto un prodotto esemplare dell’impreparazione su argomenti religiosi da parte di studiosi che in altri campi dimostravano invece di possedere «i metodi di informazione, i piani di esposizione, gli elementi di giudizio». De Ruggiero mostrava di ignorare la bibliografia cattolica sugli argomenti da lui trattati, a cominciare da Pastor264. Due anni dopo De Luca difese Pastor (secondo la Mangoni «uno storico da lui non particolarmente amato») dalla critica di Walter Goetz che aveva mosso un’accusa di extra-scientificità alla concezione cattolica della storia di Pastor. De Luca non negò le premesse «non scientifiche» di Pastor ma rovesciò l’accusa su colui che l’aveva formulata: «È lecito condannare come non scientifica o extrascientifica un’opera, quando ha un fine che la supera e trascende? […] E se nel Pastor l’ossequio alla Chiesa non è “scientifico”, è poi scientifico, in tutta la storiografia tedesca dell’Ottocento — nel Niebuhr, nel Ranke, nel Mommsen, nel Sybel, nel Treitschke, per dir dei maggiori — l’esaltazione della “piccola Germania” protestante e illuminista, imperialista e prussiana, contro la Germania a noi più vicina, cattolica e romantica, idillica e latina? […] Chi conosca l’opera dei grandi storici tedeschi […] sa bene che nel Mommsen, per esempio, è visibilissimo il distacco tra il filologo, esatto e sicuro quant’altri mai, e lo storico, troppo spesso partigiano e fin sleale. Né ignora che la storia in Germania non fu la minor responsabile del mito imperiale della Prussia, e servì la causa nazionale né più né meno di quella storia che in Italia servì la causa del Risorgimento. Con questa differenza, tuttavia, che in Germania il lavoro filologico fu immenso (ed è quel che resta)». Con una stoccata anche a Croce: «Il concetto di storia, prevalente oggi nella storiografia tedesca e per opera del Croce in Italia, è già un elemento extrascientifico (…) perché implica una concezione fi261 De Luca a Papini, Roma, 3 ottobre 1928; in DE LUCA – PAPINI, Carteggio, I, cit., p. 210; ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca cit., p. 153. 262 ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca cit., p. 199 nt. 55. 263 De Luca a Fausto Minelli, Roma, 24 giugno 1931; in DE LUCA-MINELLI, Carteggio, I, cit., p. 126; ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca cit., p. 273; TORCHIANI, Mario Bendiscioli cit., pp. 221-222. 264 MATTEO ROMITO [= G. DE LUCA], Questione di cultura o di coscienza?, in Il frontespizio 2 (1930), nr. 4, aprile, p. 11; L. MANGONI, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Torino 1989 (Biblioteca di cultura storica, 178), p. 48 nt. 124.
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losofica preconcetta; c’è di più, implica una Weltanschauung laica; ed è noto come questa parola sia sinonimo, in partibus infidelium, di religione»265.
Di questa riconsiderazione dell’opera di Pastor nell’Italia degli anni Trenta è una prova, sul fronte della storiografia laica e liberale, il duro attacco di Benedetto Croce che nel 1932 denunciò la totale assenza di un pensiero storico in Pastor266. A proposito della seconda parte del volume XIV, Croce notava come della lotta contro il probabilismo e della controversia fra Bossuet e Fénelon sull’amore disinteressato, ma anche di giansenismo e quietismo, Pastor non avesse compreso il significato e non avesse fatto nulla per comprenderlo. Dopo aver individuato il «merito principale dell’opera del Pastor» nella «consueta abbondanza di notizie tratte da fonti archivistiche e da materiale inedito di biblioteche pubbliche e private», Croce notava che i «fini apologetici dell’autore» inducevano ad «adoprarlo (scil. il volume) con le opportune cautele», anche se poteva essere «di molta utilità allo storico» perché offriva una «trama cronachistica di notizie». Seguiva però un giudizio severo: «Ma di pensiero propriamente storico nel Pastor non c’è nulla», come dimostra la trattazione di «avvenimenti e processi di grande interesse per la storia dello spirito umano»: la lotta contro il probabilismo, la controversia tra Bossuet e Fénelon sull’amore disinteressato, il giansenismo, il quietismo. «Sembra che del significato di quei fatti egli non abbia compreso niente e non abbia fatto neppure lo sforzo per comprenderli. Egli se ne sta pago a narrare quel che la Chiesa fece ora per respingere quelle esigenze spirituali ora per accoglierle e accomodarsi con esse transigendo». La recensione si concludeva con alcune ironie sulla «mente» e sull’«animo» del Pastor, «privo (…) di intelligenza per la vita intellettuale», come si riflettevano nell’indicazione di alcune notizie.
Non risulta che La critica si sia occupata altre volte della Storia dei papi, ma il giudizio di Croce fece scuola e fu puntualmente riecheggiato nel 1935 265
G. DE LUCA, Storiografia o controversia?, in Fides 32 (1932), pp. 306-311; cit. in MANIn partibus infidelium cit., pp. 88, 123 nt. 183. Le accuse di extra-scientificità mosse a Pastor sono in W. GOETZ, Ludwig Pastor (1854-1928), in Historische Zeitschrift 145 (1932), pp. 550-563. Con implicito riferimento a Goetz intervenne anche L’osservatore romano: «Le critiche fatte all’insigne storico dei Papi dai protestanti tedeschi si comprendono benissimo, e si capisce anche che essi ne dichiarino il metodo “extra-scientifico”, semplicemente perché egli, pur raccontando con rigorosa obiettività, non ha dimenticato di essere figlio della Chiesa. Ma i cattolici e, con essi, quanti sono estimatori sereni — senza indugiarsi su taluni punti particolari discutibili e per i quali pure il Pastor reca le sue buone ragioni — ammirano la vastità della sua opera, la luce che egli porta su infinite questioni, la sua alta probità di giudizi e il suo decoro di narratore semplice e grande», Gli ultimi tre Papi del secolo XVII, in L’osservatore romano, 10 agosto 1932, pp. 1-2 (Lasc. Pastor 69, nr. 12; sul volume XIV, italiano). 266 B. CROCE, rec. alla versione italiana di L. von PASTOR, Storia dei papi, XIV, 2, Roma 1932, in La critica 30 (1932), pp. 456-457. GONI,
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da un suo discepolo, Carlo Antoni, in una sede autorevole e ufficiale, nella voce dedicata a Pastor nell’Enciclopedia Italiana, voce che pour cause non fu apprezzata dal gesuita Pietro Tacchi Venturi, revisore delle voci per le materie ecclesiastiche (si noterà, fatto ricorrente e costante, la incondizionata adesione dei membri della Compagnia di Gesù all’opera dello storico tedesco), che la modificò temperandone, come scrisse a Giovanni Gentile il 12 settembre 1935, «i giudizi troppo assoluti»267. Antoni sottolineò come l’abbondanza delle notizie e dei fatti tratti da documenti di archivi e biblioteche si accompagnasse a una superficialità di fondo, nell’assenza di una comprensione dei movimenti storici268: «Il merito principale della Storia — notava Antoni — consiste nell’abbondanza delle notizie generalmente ben vagliate che permette (…) di far prevalere negli studi un giudizio più equo (…)». Anche gli storici protestanti apprezzarono lo sforzo di «evitare di dare alla sua (scil. di Pastor) opera il tono di un’apologia a qualunque costo. Le luci però prevalgono sulle ombre nel suo quadro, e le critiche, sempre moderate e accompagnate spesso da attenuanti, colpiscono le persone private e non i pontefici come tali». Antoni sottolineava a questo punto la connotazione di parte e la superficialità dello storico di Aquisgrana, riprendendo senza citarlo il giudizio di Croce: «Di sentimenti perfettamente ortodossi, storico gradito alla Santa Sede, esaltatore della grandezza e maestà del papato, il P(astor). ha narrato ciò che i papi fecero per tenere testa ai movimenti intellettuali e politici del loro tempo, ma con una comprensione non profonda di questi movimenti. Di fronte alla politica degli stati e alle correnti di pensiero (anche religiose, anche cattoliche, che non fossero grate a Roma), il P(astor). rimane per lo più alla superficie», come avviene per la trattazione sul Rinascimento, «estesa quantitativamente ma priva di penetrazione psicologica e ideologica». Antoni notava poi la tendenza in Pastor a distinguere i pontefici dal loro ambiente romano e italiano e a scindere la storia del papato dalla storia italiana, che «questo tipico cattolico tedesco» «mostra di non amare».
Ma le critiche non giunsero solo dai laici. Ancora più radicalmente rispetto alle osservazioni di Croce e Antoni, il miglior conoscitore cattolico nella prima metà del Novecento del cattolicesimo tedesco, Mario Bendiscioli269, nel 1949 rimproverò a Pastor, «soprattutto un erudito 267
Antoni non aveva tenuto sufficientemente conto delle osservazioni di Enrico Carusi e Robert Leiber; cfr. G. TURI, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze 1995, p. 432; ID., Il mecenate cit., pp. 226-227; MARTINA, Storia della Compagnia di Gesù cit., p. 274. Per gli interventi di Tacchi Venturi nell’Enciclopedia Italiana, G. NISTICÒ, Oggetto e progetto: l’Enciclopedia Italiana e il suo archivio, in Rassegna degli archivi di Stato 54 (1994), pp. 358-378: 362-368. 268 C. ANTONI, Pastor, Ludwig von, in Enciclopedia Italiana, XXVI, Roma 1935, p. 480. 269 Su Bendiscioli (1903-1998), Mario Bendiscioli storico. Convegno di studio, Brescia, 17 marzo 2001, Brescia 2003; M. MARCOCCHI, P. PRODI, M. TACCOLINI, Mario Bendiscioli, intellettuale cristiano, a cura di F. GHISLERI, con testi inediti di Mario Bendiscioli, Brescia 2004 (Ce. Doc, n.s. Saggi biografici e storici, 1); TORCHIANI, Mario Bendiscioli cit.
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e un raccoglitore», un’incomprensione della vita intima della Chiesa270. Dopo aver esposto il piano dell’opera in sedici volumi, dopo aver ricordato che gli ultimi volumi, sui papi del Settecento, furono pubblicati postumi sulla base dei manoscritti donati dall’autore alla Biblioteca Vaticana e dopo aver richiamato le polemiche fra Gesuiti e Francescani conventuali a proposito del vero pensiero di Pastor in merito alla figura di Clemente XIV, il papa della soppressione della Compagnia di Gesù, Bendiscioli enunciava un giudizio complessivo: «Il fondamentale difetto di Pastor è in un eccessivo abbandono alla fonte che ha tra mano, fino a farne proprio il punto di vista: questo non di rado gli impedisce quel giudizio indipendente che solo la distanza prospettica e spirituale permette. Inoltre la molteplicità degli argomenti e la sua preoccupazione di controllare tutto, fonti e letteratura, lo hanno obbligato a valersi di collaboratori, in gran parte Gesuiti, i quali fatalmente hanno lasciato nelle parti da essi redatte, certo elaborate, l’impronta della loro personalità e delle loro preferenze. Pastor fu soprattutto un erudito e un raccoglitore, e l’opera rimane fedele fino al termine al suo programma e al suo metodo, combinando la franchezza della documentazione e del giudizio particolare con le finalità apologetiche dichiarate di esaltatore del Papato. Tutta la vita della Chiesa si riflette nei suoi volumi, per quanto vi sia più testimoniato ciò che fa rumore che quanto agisce in silenzio e raccoglimento. È forse questa la caratteristica negativa di tutta la Storia di Pastor: che vi è più la storia esteriore della Chiesa che quella interiore: più la storia diplomatica dell’azione papale che quella della progressiva espansione del fermento evangelico nelle anime. Nessun libro però dà meglio il senso dell’elemento umano in rapporto a quello divino nel Papato della Rinascenza in poi: nessun libro ha testimoniato lo sforzo gigantesco nel resistere alla crisi interiore del sec. XVI, nel riprendersi come dottrina, organizzazione ed espansione nei secoli successivi, in un mondo diffidente e ostile come fu quello della Restaurazione cattolica e dell’assolutismo».
Bendiscioli sembra in questa critica trasferire nel campo della storia della Chiesa quell’insofferenza per l’histoire-bataille che Marc Bloch, Lucien Febvre e tutta la scuola delle Annales andavano manifestando nell’ambito della storia tout court. Negli stessi anni De Luca, con la sua storia della pietà, la storia dell’amore di Dio nelle vicende degli uomini, cercava un’altra via di accesso alla storia della Chiesa271, che presto avrà ancora altre espressioni nella sociologia religiosa di Gabriel Le Bras272 e nella Nouvelle 270 M. BENDISCIOLI, La Storia dei Papi dalla fine del Medioevo [Geschichte der Päpste seit dem Ausgang des M. A.] di Ludwig von Pastor, in Dizionario letterario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature, VII, Opere: SR-Z, Milano 1949, pp. 50-52. 271 ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca cit., pp. 268-278, 421-426. 272 Sugli studi di Le Bras e sulla sua collana «Histoire du droit et des institutions de l’Église en Occident», cfr. l’accenno di P. PRODI, Il cristianesimo nell’età moderna, in Storia del cristianesimo. Bilanci e questioni aperte. Atti del seminario per il cinquantesimo del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, Città del Vaticano, 3-4 giugno 2005, a cura di G. M. VIAN, Città del Vaticano 2007 (Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Atti e documenti, 26), pp. 52-67: 55.
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histoire de l’Église di matrice francese273. In tutti i casi, la Storia dei papi di Pastor era ormai considerata superata; o perlomeno ritenuta espressione di un approccio datato e parziale alla realtà della Chiesa. Andrebbe però notato che lo storico di Innsbruck non intendeva comporre, propriamente parlando, una storia della Chiesa ma, più limitatamente, una storia dei papi. Sul titolo, che significava il soggetto, e sul periodo da affrontare, aveva riflettuto a lungo274 ed era ben consapevole di limiti e ampiezza del suo obiettivo. L’insofferenza, comunque, non era solo di Bendiscioli. Una considerazione critica dell’opera si riscontra, qualche anno dopo, anche in un altro storico cattolico, Francesco Cognasso, in una sede quasi ufficiosa quale l’Enciclopedia cattolica, per giunta guidata dai Gesuiti (caporedattore dell’opera fu il gesuita Celestino Testore)275. Dopo aver sottolineato che Pastor, nonostante il favore dei papi, «non fu mai storico ufficiale del papato come talvolta si volle insinuare» e aver segnalato i meriti dell’opera, Cognasso non ne nascondeva i difetti: «(…) nonostante la scrupolosa onestà ed imparzialità nel cercare di stabilire la verità storica, manca talora acutezza critica e profondità di concezione e di giudizio». Spesso i fatti analiticamente esposti impediscono a Pastor «di assurgere ad una visione storica di largo respiro», come appare negli apprezzamenti relativi al Rinascimento e alla Controriforma, «dove la polemica prende talora la mano allo storico». Queste «deficienze critiche» si spiegano però anche con «la stessa immensa mole di documenti» che gli archivi offrivano a Pastor, «per i quali troppo spesso non trovava l’appoggio di ricerche preparatorie che gli facilitassero la sintesi».
Il confronto più recente è ancora fra storici cattolici, curiosamente due medievisti, specialisti cioè di un periodo del quale Pastor si occupò solo marginalmente. Se nel 1979 Raoul Manselli individuò nell’opera di Pastor il felice connubio della tradizione storiografica cattolica con il metodo positivistico276, Claudio Leonardi nel 2000 prese le parti di Luotto a proposito di Savonarola, rimproverando a Pastor un’intenzione apologetica fonda273 Il riferimento è alla Nouvelle histoire de l’Église, pubblicata in cinque volumi, a Parigi, Éditions du Seuil, fra il 1963 e il 1975, sotto la direzione di M.-J. Rogier, R. Aubert e M. D. Knowles; e agli studi che di quella «nuova storia» (rispetto all’impostazione più tradizionale dell’opera diretta da Augustin Fliche e Victor Martin) furono espressione e origine. 274 CENCI, Il barone Ludovico von Pastor cit., p. XXII; ID., Cenni biografici cit., p. XIX. 275 F. COGNASSO, Pastor, Ludwig, von, in Enciclopedia cattolica, IX, Città del Vaticano 1952, coll. 925-928. Su Cognasso (1886-1986), G. TABACCO, Francesco Cognasso (Torino 1886 – Torino 1986), in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’alto medioevo, 3-9 aprile 1986, Spoleto 1988 (Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 34), pp. 15-27. 276 MANSELLI, Ludwig von Pastor storico dei papi cit. Su Raoul Manselli (1917-1984), D. QUAGLIONI, Manselli, Raoul, in DBI, LXIX, Roma 2007, pp. 142-144.
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mentalmente «papacentrica» e, soprattutto, una concezione ecclesiologica fondata sul sacro escludendo il mistico277. Nella ricostruzione di Manselli, Pastor appartiene, come «ultimo grande rappresentante», a una tradizione storiografica cattolica che ebbe un capostipite in Cesare Baronio e si batté, ben al di là della polemica anti-protestante, per «l’affermazione di una verità che nascesse dai documenti e per i documenti» (p. 10). Tale tradizione proseguì con i Bollandisti e con i Maurini. Nell’Ottocento il ritorno al documento fu professato, in ambito cattolico, da Ignaz von Döllinger e Johannes Janssen, anche in polemica con il successo dell’opera di Ranke, sentito da Pastor come «il grande antagonista». Ma, «per una delle tante paradossalità della storia», si potrebbe dire che, proprio nell’attenzione e nella fedeltà ai documenti, Pastor di Ranke «finì per essere forse il più attento discepolo, indiretto, ma sempre preoccupato per la sua incombente personalità» (p. 14). Così facendo Pastor si accostò e abbracciò progressivamente il positivismo storiografico, come metodologia, non come Weltanschauung. Il filo conduttore dei volumi I-III della Geschichte der Päpste è l’antitesi, fino all’esasperazione, di un rinascimento pagano e di uno cristiano: un’antitesi che, pur nell’adesione positivistica ai documenti, fu vissuta dallo storico tedesco «in termini moralistici» (p. 18). Pastor cioè non riuscì a storicizzare i documenti «in una dinamica di tesi e di antitesi, nell’evoluzione della coscienza europea, quale l’Italia, in prima linea, veniva maturando nel trapasso da un secolo all’altro» (ibid.). Tale impostazione «moralistica» è all’opera, da una parte e dall’altra, nella contrapposizione fra Pastor e i cosiddetti «piagnoni dell’Ottocento» (Manselli si sta riferendo, pur senza nominarlo, a Luotto e ai suoi sostenitori). Tali «piagnoni dell’Ottocento» «opponevano così al parere moralistico del Pastor un moralismo dello stesso tipo, ma, come si direbbe oggi, di segno contrario, pur essendo tutti buoni cattolici» (ibid.). La discussione, da una parte e dall’altra, si svolse però su un piano squisitamente positivistico, con ricorso a testi e documenti. E Pastor, per amore della verità dei documenti, non esitò ad affrontare, per i suoi giudizi su Alessandro VI e su Savonarola, l’ira e il malumore dei prelati di Curia e l’ostilità dei Domenicani. Allontanandosi dal Rinascimento Pastor avvertì sempre più l’importanza dei fattori politici, a discapito di quelli culturali, specialmente letterari. La sua, però, «è veramente storia di papi, con l’intenzione di offrire una storia globale» (p. 19). La metodologia positivistica sembrò accentuarsi «via via che dalla fine del Medio Evo [Pastor] scende verso l’Ottocento» e si accompagnò sempre al suo «moralismo», confrontandosi, più o meno consapevolmente, col problema «dell’importanza e del peso della personalità nella storia» (ibid.). Tale confronto non è stato abbastanza valutato nella considerazione dell’opera di Pastor, che fu invece profondamente attratto dal ruolo dell’individuo negli accadimenti storici. Sino alla fine, Pastor si concentrò così sulla sua opera, indefessamente, quasi indifferente agli avvenimenti contemporanei intorno a lui. La fede in Dio e nella Chiesa assorbiva, superava e trascendeva la sua stessa fede nei documenti. 277
LEONARDI, In difesa del Savonarola cit. Su Claudio Leonardi (1926-2010), F. SANTI, Claudio Leonardi, in Enciclopedia Italiana (...). Ottava appendice. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Storia e politica, Roma 2013, pp. 824-829.
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«Per il Pastor (...) il criterio di verità più alto non è il documento, ma la decisione della Chiesa. Qui cogliamo il suo rapporto con una tradizione lontana e, insieme, il limite di una sua capacità di comprensione storica, per la quale egli, in fondo, si distaccava, da una parte, dalla tradizione cattolica della storiografia tedesca, per rimanere aderente, appunto, alla tradizione rigidamente tridentina, dal Baronio in poi. In ciò dobbiamo avvertire il segno di contraddizione implicito nell’opera storica del Pastor, perché egli si oppose a tutto ciò che quella tradizione non accettasse e difendesse. La sua buona fede è al di sopra di ogni dubbio; la sua convinzione di essere nel vero è indiscutibile e la sua opera finisce per essere un’eccezionale sfida alla realtà quale dai documenti gli appariva. Ripeto: gli appariva, perché al Pastor è sfuggita quella che, proprio durante gli anni della sua maturità e poi vecchiaia, era stata l’evoluzione della metodologia, quale si era venuta maturando, ad opera del Meinecke, del Troeltsch, dello Heuss e, in Italia, del Croce. È singolare che nei suoi Tagebücher, appunto, non compaiano mai né il Troeltsch, né il Croce, e quest’ultimo neppure come erudito, che cose non trascurabili aveva scritto sulle vicende del Regno di Napoli e della cultura italiana del Cinquecento e del Seicento. Gli sfuggì (...) quella che era stata l’indicazione di questi nuovi studi e cioè il fatto che la verità di un documento emerge non dal documento stesso, ma dallo storico che lo legge, lo utilizza e l’inserisce nella sua problematica» (p. 22). Però «di fronte a un’opera così titanica (...) dobbiamo (...) apprezzare lo sforzo eroico di lavoro, il desiderio di verità, fosse anche la verità rivelata più che la sua verità. Dobbiamo evitare il facile elogio, come la critica ingenerosa, di avere accettato da altri, sia pure dall’autorità della Chiesa, il criterio della verità. L’importante è il riconoscergli che al suo ideale egli seppe davvero sacrificare una vita. Onorificenze, che gradì, responsabilità alte, che assolse con impegno e dedizione, affetti familiari che ebbe carissimi, tutto egli subordinò, con una fermezza che non conobbe mai esitazioni, al suo compito, ai suoi problemi di studioso, al suo lavoro di storico. In questo egli restò esempio di una serietà morale, senza oscillazioni». Il senso di Dio, che gli aveva affidato il lavoro storico come compito della sua esistenza, dominò l’opera di Pastor. «In questo, curiosamente, ma non paradossalmente, il Pastor finiva per essere, in realtà, assai più vicino, di quanto non sembri, ai suoi contemporanei Croce e Meinecke. In lui operava la razionalità di Dio come provvidenza; negli altri la razionalità dello spirito come realtà umana e sovrumana ad un tempo. Tutti, e ciò il avvicina, sentirono, nell’altissimo suo valore, la dignità suprema dello storico. Questa è l’ultima, più importante lezione che ci viene da Ludwig von Pastor» (p. 23). Dal canto suo Leonardi, dopo aver sottolineato che Pastor nel suo «privilegiare l’analisi» ne restava «in qualche misura un poco prigioniero» (p. 111), notava che nella trattazione del tema della disobbedienza del Savonarola ad Alessandro VI e della sua scomunica nel 1497 Pastor «svela (...), meglio che altrove, come la sua concezione storiografica, nonostante tutta l’obiettività dell’analisi e la cura documentaria, sia guidata da un’intenzione apologetica (non so se perfettamente cosciente), alla fine papista, “papacentrica”: o, detto forse meglio, una concezione ecclesiologica centrata totalmente sul sacro escludendo il mistico: voglio dire, con sacrale, quella concezione che, tenendo conto soprattutto della distanza e differenza tra l’uomo e Dio, ritiene che la mediazione tra i due sia indispensabile, e dunque
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innanzitutto sia necessaria la struttura ecclesiastica con tutte le sue “cerimonie”, come le chiama il Savonarola; mentre con mistico vorrei qualificare quella concezione che pensa che l’uomo sia sì del tutto diverso da Dio, ma possa, proprio da questo fondamento, mediante l’incarnazione e la crocifissione del Figlio, comunicare con Dio e unirsi a Lui. Il Pastor è evidentemente solo per il sacro, non pare conoscere i carismi e il loro ruolo nella Chiesa, e così costringe Savonarola in un quadro in cui non può rientrare, proprio perché Savonarola è un profeta, sente su di sé e dentro di sé una voce che lo guida e lo fa parlare. Così il Pastor sostiene che la scomunica, anche se ingiusta, va sempre rispettata, pena il rovesciamento di ogni ordine ecclesiastico. Il Luotto non è meno convinto cattolico del Pastor, ma ha una diversa concezione della fede e della Chiesa, insieme sacrale e mistica, e perciò una possibilità di comprensione più ampia e ricca del fenomeno religioso, e si rende perfettamente conto che Savonarola, sulla scorta di Tommaso d’Aquino, ancora una volta, è perfettamente ortodosso anche su questi delicati temi, e confuta il Pastor sia con argomenti teologici, sia sulla base dei canoni, per cui una scomunica è valida solo se sono vere le motivazioni per cui è stata emessa. Dunque, conclude Luotto, ricordando una frase di Pietro negli Atti degli apostoli (At 5, 29), si deve obbedire a Dio anziché agli uomini, e mette in parallelo con questa posizione una frase del Savonarola stesso, per cui se il papa ordina contro il Vangelo, o contro la carità, questa “non è più Chiesa romana”, si verifica una sorta di condizione di sede vacante. E infine il cristiano ha il dovere di disobbedire, se ciò corrisponde alla sua coscienza: il foro della coscienza rappresenta infatti un momento assoluto. Forse nel Pastor pesava il fatto che alcune e non secondarie tematiche di Savonarola erano poi le stesse tematiche che pochissimi anni dopo di lui avrebbe assunto Martin Lutero, che tuttavia le aveva risolte in direzione opposta a Savonarola. Luotto non ha queste preoccupazioni. È forse un po’ ingenuo, ma di libero giudizio, e di una schiettezza di cristiano autentico che sa apprezzare senza pregiudizi quello che trova nella storia, vede l’impegno della gerarchia cattolica per la verità, ma afferma anche la libertà del cristiano. Il suo è certamente un Savonarola più vero di quello di Pastor, e senza dubbio la storiografia nell’ultimo secolo, nonostante l’ipotesi diversa del Weinstein e l’opposizione quasi cieca del Cordero, ha dato ragione soprattutto a lui, al professore di Villafranca d’Asti» (p. 112).
Stupisce, nella posizione di Leonardi che rinverdisce in maniera inaspettata la tradizione dei «piagnoni» dell’Ottocento, la commistione di elementi misticheggianti e anti-istituzionali all’incomprensione, o almeno alla sottovalutazione, di ciò che Pastor realmente significò, in termini di indiscutibile e innegabile progresso, rispetto a una storiografia grettamente apologetica a lungo egemone in ambito cattolico e in particolare nelle ricerche sulla storia dei papi. È utile tener presente un passo dei diari di Pastor nel quale il 28 dicembre 1920 sintetizza bene il suo contrasto con la visione del card. De Lai, diffusissima fra ecclesiastici e mondo cattolico: Nach Rom zurück. Besuch des päpstlichen Geheimkämmerers Eisner v. Eisenhof. Er erzählte, dass Kardinal de Lai mit Pius X. noch viel mehr Konflikte
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gehabt als Kardinal Rampolla. Wie ich hörte, äusserte sich Kardinal de Lai über meinen 3. Band, er könne nicht vergeben, was ich über Alexander VI. gesagt habe. «Prima la carità e poi la verità anche nella storia». Wenn das richitg wäre, würde nach meiner Ansicht jede Geschichtsschreibung aufhören. Christus aber hat gesagt: «Ich bin die Wahrheit»278.
Dunque non certo Luotto, entusiasticamente devoto del suo Savonarola, ma Pastor fece progredire e prendere sul serio la storiografia cattolica nel confronto con la storiografia laica. Molto più lucida e storicamente corretta appare la valutazione di Manselli, del quale colpisce la constatazione che, per quanto Pastor abbia sentito Ranke come «il grande antagonista», «finì per essere forse» il suo «più attento discepolo, indiretto, ma sempre preoccupato per la sua incombente personalità»279. Non so se Manselli ne fosse consapevole (non lo si può escludere, alla luce delle sue vastissime, onnivore letture) ma la stessa osservazione era stata fatta, quasi un secolo prima, nel 1891, da un altro storico italiano, napoletano come Manselli, Gaetano Capasso che nella già ricordata recensione aveva acutamente osservato, fra Ranke e Pastor, un rapporto non di antitesi, come comunemente si crede, ma, paradossalmente, di discepolato, di continuità, proprio nella comune attenzione per il documento280. Secondo Capasso, Pastor poneva nella sua opera come «base inconcussa» della storia del papato la costituzione monarchica della Chiesa; ma considerava anche il potere temporale «come assolutamente necessario ai papi nel governo della Chiesa». In realtà, secondo lo storico napoletano, le generazioni future avrebbero ravvisato nella caduta del potere temporale dei papi «una delle più splendide conquiste della nostra età. E, se vi sono, o vi saranno tentativi di far risorgere quel cadavere quatriduano, ciò avverrà per ragioni ben diverse e ben più piccine ed egoistiche di quelle che inducono l’Autore a schierarsi tra i suoi fautori» (qui, in nota, Capasso segnalava, rinviando al Bonghi di Leone XIII e l’Italia, che «coloro i quali a ogni modo vogliono che i papi ritornino principi “irrigidiscono in una delle sue forme passeggiere una istituzione, il cui più maraviglioso carattere è stato l’attitudine ad acconciarsi a forme diversissime e alle più varie relazioni colla potestà laica”»). 278
PASTOR, Tagebücher cit., pp. 695-696. MANSELLI, Ludwig von Pastor storico dei papi cit., p. 14. Sul modello «negativo» di Ranke, all’origine dell’impegno di Pastor, cfr. D. CANTIMORI, Leopold von Ranke, in ID., Storici e storia, Torino 1971 (Paperbacks, 23), pp. 172-196 (presentazione dell’edizione italiana del 1959 della Storia dei papi di Ranke; cfr. infra, nt. 285): 188-189. Cfr. anche CENCI, Il barone Ludovico von Pastor cit., pp. XI, XIV, XV, XXIV; ID., Cenni biografici cit., pp. VIII, XI-XII, XXI-XXII. 280 CAPASSO, La Storia dei Papi (A proposito di alcune recenti pubblicazioni) cit. Nell’esemplare dell’estratto presente in Lasc. Pastor 70, nr. 16, i capoversi relativi a queste affermazioni sono segnalati con sottolineature e tratti verticali a matita blu. Il passo sul «cadavere quatriduano» e su Pastor discepolo di Ranke sono affiancati da punti esclamativi e interrogativi, plausibilmente vergati dallo stesso Pastor. 279
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La Storia di Pastor intendeva abbattere l’edificio costruito dagli storici antipapali. Ma la sua, in realtà, non era opera apologetica o polemica e l’autore non tendeva a giustificare tutte le azioni dei papi. Anzi si mostrava severissimo nel biasimo e nella condanna di alcuni comportamenti, «più severo ancora degli stessi storici protestanti. Ma egli vuol salvare quel che c’è di bene e, sceverandolo dal male, porlo nella sua vera luce. E a noi pare che vi riesca quasi sempre. Ma questa lode, che è la più bella, che si possa tributare all’opera del professore di Innsbruck, segna nello stesso tempo anche una bella conquista della scienza storica nel nostro secolo. Per potersi difendere dagli attacchi innumerevoli, che lo hanno battuto in breccia, sotto forma di ricerche archivistiche, di pubblicazioni documentate, di critica delle fonti e via dicendo, il papato ha dovuto riprendere per conto suo l’esame dei documenti, su cui si fonda la grande opposizione alle sue pretese, studiarli, criticarli, per così dire anatomizzarli, cercarne nuovi, assalire, difendersi, ma non più al modo antico, affermando cioè apoditticamente, imponendo coll’autorità la sua opinione, bensì discutendo, confutando, dimostrando, in una parola: scendendo nel campo della scienza laica e lottando colle stesse armi e gli stessi metodi di lotta dei suoi avversari. Così il Pastor, il quale, armato dei sussidi, che la sua dottrina e il papato gli possono somministrare, incoraggiato dalla benedizione papale e dagli aiuti e favori di una corte aulica, scrive un’opera per demolire il monumento innalzato dal Ranke, non fa altro in fondo che continuare l’opera del grande maestro, che affermarsene discepolo. Non si poteva desiderare di più»281.
Le coincidenti riflessioni di Capasso e Manselli su Pastor come il miglior «discepolo» di Ranke, cogliendo nell’opera dello storico tedesco la penetrazione nella storiografia cattolica sui papi del metodo critico e del 281
Capasso proseguiva poi con interessanti considerazioni sul diritto di esclusiva nei conclavi, generalmente considerato un esempio dell’influenza degli Stati laici sulle elezioni papali. Dopo aver sottolineato che andava ancora chiarito storicamente quando fosse incominciato l’uso del diritto di esclusiva, Capasso ricordò un’affermazione di Bonghi (il diritto di esclusiva appartiene al passato e va abbandonato), notando però che la circolare di Bismarck del 14 maggio 1872 era rimasta sterile di risultati. Secondo Capasso, se le relazioni fra Stati e Chiesa fossero state corrette, il diritto di esclusiva non sarebbe esistito (in altri termini, se il papato si fosse occupato solo della sfera spirituale, i governi laici non sarebbero intervenuti nelle elezioni papali). Dopo aver dunque rovesciato la prospettiva cattolica, affermando che il diritto di esclusiva era una forma di difesa dei governi laici dalle ingerenze ecclesiastiche (e non un’invasione dei poteri secolari nell’ambito ecclesiastico), Capasso notò che l’ultimo conclave (quello dal quale era uscito eletto Leone XIII, nel 1878) aveva dimostrato che nella capitale del Regno d’Italia i papi erano eletti con libertà e sicurezza. Ma, aggiungeva, le difficoltà della confusione degli ambiti potranno sussistere anche in futuro. Raffaele De Cesare, nell’articolo Il futuro conclave nella Nuova antologia del 1° ottobre 1891 (an. XXVI, ser. III, vol. XXXV, della raccolta vol. 119, pp. 428-445), aveva scritto: «Se nel Conclave da cui uscì eletto Gioacchino Pecci, nessuna potenza esercitò il diritto di veto, né alcuna influenza indiretta, altrettanto non potrebbe affermarsi riguardo al futuro conclave. Parrebbe certo il contrario», CAPASSO, La Storia dei Papi (A proposito di alcune recenti pubblicazioni) cit., pp. 710-712. Effettivamente, come si ricorda, nel conclave dal quale uscì eletto Pio X, l’AustriaUngheria esercitò per l’ultima volta il diritto di esclusiva.
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positivismo storiografico, sembrano essere la conclusione più acuta nella lunga e complessa ricezione della Storia dei papi in Italia. 13. Le ragioni di una fortuna: la forza nella debolezza Ricapitolando le alterne e complesse vicende della ricezione dell’opera in Italia si può rilevare che a una prima fase di sostanziale e trasversale apprezzamento, costellato appena da sporadiche critiche, fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento, subentrò dagli anni Trenta un periodo di assorbimento vasto e ramificato ma anche di ripensamento critico, che ebbe nelle valutazioni di Croce e Bendiscioli le espressioni più significative, rispettivamente nell’ambito laico e in quello cattolico. La fortuna della Storia dei papi in Italia sembra segnata da valutazioni contrastanti, fra quanti apprezzarono lo sforzo di oggettività, che non fece mai di Pastor un apologeta a tutti i costi, e quanti gli rimproverarono comunque dei «pregiudizi» e delle «precomprensioni», conseguenza di un’appartenenza, di un’adesione a una fede e a una Chiesa. In realtà, entrambi gli aspetti erano presenti. Come notò Manselli, per quanto attento al documento, Pastor non individuò mai in esso «il criterio di verità più alto», riconosciuto infine nella decisione della Chiesa. Di qui un effettivo limite nella sua comprensione storica, di qui un «segno di contraddizione implicito nella sua opera storica». Le «precomprensioni» però, come avvertirono Re e De Luca, sono in qualche modo connaturali a ogni ricerca storica, in quanto atto umano. Ciò che in essa conta è in ogni modo lo sforzo rigoroso e assoluto di oggettività, «il desiderio di verità», che in Pastor fu innegabile e gli fu riconosciuto anche dagli avversari più severi. Questo duplice aspetto, la compresenza di una mai negata identità cattolica e di un costante sforzo di oggettività, fu all’origine degli apprezzamenti convergenti per lo storico di Aquisgrana da parte dei cattolici intransigenti e di ambienti laici e liberali, in singolare e quasi paradossale concordia. E al tempo stesso fu il motivo di critiche provenienti da altri esponenti degli stessi ambienti e per opposti motivi. Pastor appare così quasi come un’erma di Giano bifronte, in grado di provocare calorosi apprezzamenti e al tempo stesso di suscitare critiche aspre e perplessità: dipende da quale faccia dell’erma si voglia considerare. Per tale ragione, pur nata e sviluppata con intenti di equanime giudizio storico, la Storia dei papi fu invischiata in polemiche, dall’inizio, con la critica di Luotto a proposito di Savonarola, alla fine, con il dibattito sul dramma storico di Benelli e l’aspro confronto fra Ordini religiosi a proposito del Clemente XIV raffigurato nell’opera. Quasi a dire che la serenità della riflessione e dell’analisi storica fu comunque sempre minacciata da passioni di parte, ben al di là degli intenti dell’autore.
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La debolezza della Storia, l’assenza in essa di un forte pensiero storico282 sono, a ben vedere, l’altra faccia della medaglia dello sforzo di imparziale oggettività che si esprime nella prevalenza della raccolta di dati eruditi sul giudizio. Tale caratteristica di opera nata e sviluppata in un orizzonte positivistico, segnalata e al tempo stesso lamentata da più voci283, finisce però per rappresentare paradossalmente anche la sua forza. Perché la Storia dei papi di Pastor fu e continua a essere una miniera di notizie e in quanto tale continua a essere viva e utilizzata, persino contestata. Come aveva acutamente previsto, nel 1928, Alessandro Luzio, quando aveva scritto di un «arsenale ricchissimo, mirabilmente ordinato, di sicure nozioni di prima mano», certo discutibile «ne’ particolari e ne’ criteri informativi» ma da consultarsi sempre con profitto284. Non è certo casuale che molti protagonisti della fortuna italiana di Pastor siano stati degli archivisti, da Giorgetti a Luzio, da Montenovesi a Re. D’altra parte, è già significativo che, a differenza di quella di Ranke, l’opera rechi nel frontespizio l’indicazione di un archivio «e di molti altri archivi» come fonti principali delle ricostruzioni. La Storia dei papi di Ranke, l’opera alla quale Pastor volle replicare, fu tradotta in Italia una prima volta nel 1862 e ripresentata dopo quasi un secolo, solo nel 1959285. Un destino neanche lontanamente paragonabile alla larga, capillare, continua e longeva diffusione garantita dalle molteplici edizioni, aggiornamenti e ristampe della Storia dei papi di Pastor, della quale ancora negli anni Sessanta, a più di settant’anni dalla prima traduzione, si pubblicavano gli indici cumulativi286, e che nel 1973 fu oggetto di una nuova edizione promossa dall’editore fiorentino Sanso282
«La grande ricchezza dei fatti, l’abbondanza del materiale e l’oggettività e semplicità è stata giudicata povertà d’idee», CENCI, Il barone Ludovico von Pastor cit., p. XXVI; ID., Cenni biografici cit., pp. XXIII-XXIV. 283 «Anche qui lo storico tedesco si rivela un poderoso elaboratore di fatti e di dati, meno convincente nella parte critica, che nella parte narrativa, e forse troppo preso dalla sua ortodossia, ma dotato di un corredo mirabile di notizie e di una chiarezza perspicua di esposizione», A. M., in Rassegna nazionale (Roma) (Lasc. Pastor 64, nr. 14; sul volume XI, italiano). 284 Cfr. supra, testo e nt. 211. 285 Tradotta in italiano da Emanuele Rocco e pubblicata per la prima volta in tre volumi a Napoli, Detken, nel 1862 [Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento (1801-1900), V: Autori: OGL-SAN, Milano 1991, p. 3831], la Storia dei papi di Ranke fu ripresentata, nella nuova traduzione di Claudio Cesa e con presentazione di Delio Cantimori solo nel 1959 da Sansoni (con successive edizioni). Più recentemente è stata ripubblicata dall’editore Ghibli, di Milano, nel 2013. Sulla condanna dell’opera da parte della Congregazione dell’Indice, nel 1841, PALAZZOLO, Gli editori del papa cit., p. 37. 286 PASTOR, Storia dei papi, XVII, cit. All’«influenza duratura [della rappresentazione di Pastor] e tuttora insostituibile per l’ampio uso di materiale di archivio» fa riferimento anche M. MATHEUS, La Chiesa nel medioevo, in Storia del cristianesimo. Bilanci e questioni aperte cit., pp. 32-51: 47.
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ni287. A testimonianza di un uso continuo e sempre fecondo dell’opera288, a conferma di un successo con pochi paragoni289. Di questo silenzioso assorbimento e persistente sfruttamento non vi è forse testimonianza migliore dell’affermazione di Paolo Prodi in una nota del suo Il sovrano pontefice (1982), un volume profondamente innovativo: Colgo l’occasione per far presente che se in questo e nei successivi capitoli sarà soltanto raramente o quasi mai citata la Storia dei papi del Pastor ciò non deriva da una sottovalutazione dello straordinario cumulo di informazioni da essa portato ma al contrario dal fatto che la sua lettura e rilettura è considerata uno dei fondamenti invisibili, ma sottostanti, al discorso che si cerca di sviluppare in queste pagine290.
287 L’8 marzo 1973 fu presentata a Paolo VI la nuova edizione della Storia dei papi promossa da Sansoni, «in quanto la precedente edizione della monumentale opera era ormai introvabile da molti anni sul normale mercato librario»; e il papa si felicitò con l’editore Federico Gentile, cfr. Insegnamenti di Paolo VI, XI: 1973, Città del Vaticano 1974, p. 246. Prova della persistente fortuna della Storia di Pastor è anche la recente confidenza di papa Francesco, nell’udienza all’Associazione Italiana di Professori di Storia della Chiesa (12 gennaio 2019), di avere letto tutti i 37 volumi dell’edizione spagnola, su suggerimento del gesuita Giacomo Martina (1924-2012), cfr. L’osservatore romano, 13 gennaio 2019, p. 8: «E mi ha fatto bene». Alla luce delle origini di Bergoglio e della nazionalità di Martina, il fatto può essere registrato come un ulteriore, piccolo tassello della fortuna italiana di Pastor. Cfr. anche Papa FRANCESCO con D. WOLTON, Dio è un poeta (…), Milano 2018 (ed. originale. 2017), p. 176. 288 Per l’uso continuo dell’opera anche in opere recenti, indico solo alcuni esempi: P. REDONDI, Galileo eretico, Bari 2009 (Biblioteca Universale Laterza, 624) (prima edizione: Torino 1983), pp. 168 nt. 1, 170 nt. 31, 219 ntt. 4-6, 340 ntt. 3-4, 7-9; I. FOSI, All’ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma barocca, Roma 1997 («Europa delle corti». Biblioteca del Cinquecento, 73), pp. 61 nt. 18, 100 nt. 14, 152 nt. 27, 160 nt. 41, 162 nt. 44, 170 nt. 61, 210 nt. 10, 212 nt. 14, 216 nt. 19, 228 nt. 45; G. FRAGNITO, Cinquecento italiano. Religione, cultura e potere dal Rinascimento alla Controriforma, a cura di E. BONORA – M. GOTOR, Bologna 2011 (Saggi, 762), pp. 141 nt. 3, 150 nt. 24, 158 nt. 46, 169 nt. 84, 171 nt. 94, 177 nt. 116, 221 nt. 236 (nessuna citazione di Ranke). 289 Della persistente fortuna italiana della Storia dei papi sono testimonianza anche i recenti volumi di B. DI MARTINO, Benedetto XIII nella «Storia dei papi» di Ludwig von Pastor, Benevento 2015 (piuttosto espositivo), e di A. CORVISIERI, Ludwig von Pastor. Tutt’altro che uno storico, Roma 2018 (che insiste, con parzialità, sull’assoluta infondatezza dell’opera). Quest’ultima, goffa, molto ideologica confutazione, più un pamphlet e un’invettiva che una ricerca storica, è forse la prova migliore della fecondità ancora viva e operante dell’opera. 290 P. PRODI, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna 1982, p. 91 nt. 13; ma cfr. anche pp. 96 (per gli interventi dei papi nel campo letterario e artistico, «dobbiamo ancora per lo più ricorrere alle vecchie miniere di materiale fornito dal Pastor, dal Rodocanachi, dal Müntz»), 337.
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DOCUMENTATION COMPLÉMENTAIRE AUX VATICANI LATINI 14969-14993 La réforme du psautier et des rubriques du bréviaire romain de 1911-1914 Une des multiples réformes réalisées sous la responsabilité de Pie X (Giuseppe Sarto, 1835-1914) a été celle du bréviaire romain. Les plaintes ininterrompues des siècles durant concernant la complexité et la longueur de la ‘prière’ du bréviaire avaient déjà provoqué plusieurs tentatives de réforme restées sans suite. Les timidités et les scrupules devant une réforme nécessaire avaient mené à une dégradation lente mais profonde de cette prière universelle de la chrétienté dans ses expressions variées et bigarrées en Orient et en Occident. Malgré tout, la flamme réformatrice ne s’est jamais éteinte. Au début du vingtième siècle, soudainement elle s’alimente au souffle puissant et persistant de Pietro Piacenza (18471919)1, protonotaire de la Congrégation des Rites, et grâce au «retto senso pratico liturgico»2 de Pie X. Le 2 juillet 1911, le pape instituait une Commission sous le nom de «Pontificia Commissio ad Psalterium Breviarii Romani reformandum» (Vat. lat. 14969, f. 45r-v)3. L’essentiel du travail a été réalisé par une petite équipe de rubricistes entre juillet et décembre 1911 et pendant des périodes plus brèves entre janvier 1912 et août 1914, date de la mort de Pie X. Le pape avait instruit dès le début sa Commission avec une recommandation impérieuse: «Se non si potesse ottenere questa riforma con questa aurea semplicità è meglio lasciare le cose come sono»4. La modeste Commission, qui travaillait sous la conduite du futur 1 H. VINCK, Pietro Piacenza et le mouvement liturgique, dans Ephemerides Liturgicae 87 (1973), pp. 473-500. 2 Lettre (copie carbone) de Piacenza à Bressan, sans lieu, sans date, Archives de la Province Romaine de la Congrégation de la Mission, Fonds Accademia liturgica, Papiers Piacenza, n. 204, p. 3. 3 En français: «Commission pontificale pour la réforme du psautier du bréviaire romain». Dans la suite j’y réfère comme: «la Commission» ou «la Commission de réforme». Voir texte et commentaire dans A. HÄUSSLING, Das Motu Proprio «Quod Patribus Concilii» Papst Pius’ X (1911). Der Beginn der Liturgiereformen des 20. Jahrhunderts, dans Archif für Liturgiewissenschaft 51 (2012), pp. 361-369. 4 Pie X dans une note autographe du 14 juillet 1911 à mons. Bressan, Vat. lat. 14969, f. 110r-v.
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXV, Città del Vaticano 2019, pp. 689-699.
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‘serviteur de Dieu’ Mgr Pietro La Fontaine (1860-1935)5, bouleversa des traditions séculaires par une nouvelle structure de l’office, par une nouvelle répartition des psaumes et par de nouvelles relations entre le sanctoral et le temporal, pour donner la priorité aux offices des dimanches et des féries. Cette réforme de l’office divin fut plus fondamentale que toutes celles qui l’avaient précédée. La Commission a produit tour à tour Divino Afflatu (1911), Abhinc Duos Annos (1913) et une nouvelle édition typique du psautier (1911) et du bréviaire (1914). Les actes de la Commission de réforme dans la Bibliothèque Vaticane Sous le titre De Reformatione Pii PP X, ont été déposés dans la Bibliothèque Apostolique Vaticane, à une date inconnue, vingt-cinq volumes, actuellement catalogués sous la cote Vat. lat. 14969-14993, contenant des manuscrits et imprimés entremêlés, des actes de la Commission de la réforme du psautier du bréviaire romain. Il s’agit de volumes de 34 × 27,5 × 7 cm, à l’intérieur desquelles sont collés en ordre principalement chronologique, les documents que la Commission de réforme a produits pendant l’entièreté de son existence6. Le titre à la première page du premier des 25 volumes, en écriture de Dom Henri Quentin7, nous informe sur son contenu: «Documenta originalia ad Reformationem Psalterii, Breviarii, Missalis Romani a s. m. Pio Papa X opera Commissionis Pontificiae ‘Pro novo ordine Psalterii’ annis 1911-1914 absolutam pertinentia iussu Excellentissimi ac Reverendissimi DD. Petri La Fontaine Patriarchae Venetiarum electi, S. Rit. Congr. Secretarii Commissionis Pont. Praesidis anno 1915 collecta». Le président de la Commission, Mgr Pietro La Fontaine, a été soucieux de la préservation des actes de la Commission. C’est pourquoi, dès le dé5 Pietro La Fontaine (1860-1935). En 1906 évêque de Cassano allo Ionio, Pie X l’appelle à Rome où il reçoit le 8 avril 1910 sa nomination de secrétaire de la Congrégation des Rites. Patriarche de Vénise en 1915 et cardinal en 1916. Décédé en 1935. Voir D. SPARPAGLIONE, Il Cardinale Pietro La Fontaine, Patriarca di Venezia, Alba 1951. 6 Description détaillée de ce fonds dans H. VINCK, Les réformes liturgiques de 1911-1914, Partie I, Paris 1972 (Thèse de doctorat à l’Institut catholique de Paris), pp. 12-19 et dans H. VINCK, Pie X et les réformes liturgiques de 1911-1914. Psautier, bréviaire, calendrier et rubriques, Münster 2014 (Liturgiewissenschaftliche Quellen und Forschungen, 102), pp. 21-28. 7 Henri Quentin, OSB, né à Saint-Thierry (diocèse de Reims) le 7 octobre 1872, décédé à Rome le 4 février 1934. Il est connu par ses études et publications sur le Martyrologe romain et par son appartenance à la Commission pour la révision de la Vulgate. Quentin était à Rome pendant de courtes périodes en 1913 et pour des périodes plus longues pendant les années 1914-1915. Notice biographique: C. MOHLBERG, Commemorazione dell’Abbate Dom Enrico Quentin, dans Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, ser. III, 11 (1935), pp. 13-39.
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but, il a instruit la Commission par une note du 5 décembre 1912: «Si conserveranno diligentemente tutte le scritture de’ Commissari fino a lavoro compiuto» (Vat. lat. 14979, f. 204r). En 1915 il demanda à un de ses proches collaborateurs, le moine bénédictin Henri Quentin, de réunir et d’ordonner le volumineux héritage documentaire. Une lettre de La Fontaine à Quentin nous informe de la méthode suivie: S. Giov. in Laterano 14 maggio 1915 Carissimo P. Quentin, Riguardo ai documenti da conservarsi relativamente alla Riforma del Breviario, credo opportuno, che non s’inseriscano nel volume i fogli, sul cui esterno io scrissi delle piccole relazioni per informare il S. Padre: le carte contenute in quei fogli le metterei tutte nel volume. Se qualcuna rimanesse oscura o inesplicabile per l’avvenire vi potrei in margine fare qualche accenno breve. Saluti. Dvs + P. La Fontaine8.
Quentin s’en acquitta entre mi-mai et la fin d’octobre 1915. La Fontaine avait prévu de déposer ce dossier dans les archives de la Congrégation des Rites selon la nota du 5 décembre 1912: «I fogli poi riassunti dall’epitomatore dovranno con le relative decisioni essere a tempo debito consegnati all’archivio della Cong.ne dei Riti»9. Pour des raisons non encore élucidées, les vingt-cinq volumes finissent par être entreposés dans la ‘riserva’ de la Bibliothèque Vaticane. Le 19 septembre 1978, ils sont enregistrés par Mgr José Ruysschaert, alors vice-préfet, sous la cote Vat. lat. 14969-14993. Pourquoi ne les a-t-on pas confiés aux archives de la Congrégation des Rites comme prévu et à quel moment ont-t-ils été entreposés dans les réserves de la Bibliothèque? On peut raisonnablement avancer quelques hypothèses qui peut-être nous aideront à aboutir un jour à une réponse documentée. Lors de mes recherches à Rome dans les années 1968-1969, j’ai rencontré, sur les conseils de Mgr Pierre Salmon, le cardinal Tisserant qui était déjà à Rome10 à l’époque de la réforme du bréviaire. Le cardinal ne 8 Archives de l’abbaye de San Girolamo in Urbe, papiers Quentin (En abrégé «Archives S. Girolamo, papiers Quentin»). Consultées en 1969. En 1983, les Bénédictins ont quitté l’endroit et les bâtiments attribués au Pontificium Institutum Musicae Sacrae. Les archives de S. Girolamo, papiers Quentin, citées ici, se trouvent maintenant probablement à un autre endroit. 9 Vat. lat. 14979, f. 204r. Allegatus 2-b, nr 6. 10 En 1908, Eugène Tisserant (1884-1972) était déjà attaché à la Bibliothèque Vaticane.
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répondit pas à ma question concernant la présence des actes de la Commission dans la Bibliothèque Vaticane, mais il m’admonesta de ne pas toucher à cette documentation, car le pape (Benoît XV ou Pie XI?) aurait voulu qu’elle reste secrète. Est-ce que cette assertion était basée sur une information formelle ou formulait-il une hypothèse? Avec la dissolution de la Commission de réforme vers le 19 février 1915, la responsabilité pour l’exécution de la réforme passait entièrement et exclusivement de la Commission pontificale à la Congrégation des Rites. La Fontaine, nommé patriarche de Venise, avait quitté Rome le 25 juin 1915. Il est plausible qu’il ait voulu mettre les documents de la Commission en sécurité, car, entretemps, avec la mort de Pie X en août 1914, la réforme, encore inachevée, se trouvait fragilisée et les contestataires auraient pu en abuser. Il avait des raisons pour être méfiant envers certains membres de la Congrégation des Rites, allergiques à la réforme. Mgr Benedetto Virili, par exemple, l’archiviste de la secrétairerie de la Congrégation des Rites, était parmi les contestataires. Au lieu de conserver ces documents dans les archives de la Congrégation des Rites où les agents d’exécution de la réforme auraient pu y avoir accès, la collection aurait été ‘mise en sécurité’ dans les réserves de la Bibliothèque Vaticane, de sorte qu’on ne pouvait plus dévoiler les méthodes et les intentions des réformateurs. Une autre hypothèse serait que Quentin ait travaillé à l’organisation des actes de la Commission de réforme quand il habitait déjà à San Callisto. Depuis 1907 la Commission pontificale pour la révision de la Vulgate, dont il était le président, s’était établie au Collège Sant’Anselmo sur l’Aventin. En 1914, cette Commission déménage vers le Palazzo di San Callisto in Trastevere. En 1915, au moment de la composition des 25 volumes, Quentin y habitait déjà11. On peut conjecturer que la collection y est restée lors de son absence imprévue entre novembre 1915 et 1918 où il les aurait retrouvés à son retour. A-t-il pris avec lui les 25 volumes quand en 1933 il est devenu le premier abbé de la nouvelle abbaye de San Girolamo in Urbe? Était-ce la dernière étape avant la mise en place définitive dans la Bibliothèque Vaticane? À plusieurs reprises des documents de l’héritage documentaire de Quentin provenant de cette abbaye y ont été transférés et il n’est pas exclu qu’à une telle occasion la collection y ait trouvé une En 1919, il devient le plus direct collaborateur du préfet Mercati et en 1930 pro-préfet. Cardinal en 1936. Bibliothécaire et archiviste de la Sainte Église Romaine de 1957 à 1971. 11 Indication sur une carte postale à son frère dans l’armée: «Rome. S. Callisto. 21 juin 15». Archives S. Girolamo, papiers Quentin. Pour les déménagements successifs de la Commission, voir A. WELD-BLUNDELL, The Revision of the Vulgate Bible, dans Scripture 2 (1947), 4, pp. 100-105. https://biblicalstudies.org.uk/pdf/scripture/02-4_100.pdf (Consulté le 29-122018).
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place12. Seulement à cette hypothèse s’oppose le fait qu’en 1968 Mgr Pierre Salmon, qui en 1935 avait succédé à Quentin comme abbé de San Girolamo in Urbe, n’en savait rien. Mgr Salmon ne savait rien mais Dom Olivier Rousseau les a vus dans la Bibliothèque Vaticane en 1965 pendant la quatrième session du Concile (14 septembre au 8 décembre 1965). À ma question sur la provenance des 25 volumes, il me répondait par lettre du 2 août 1968 : Je me suis en effet occupé une fois, durant le Concile — et je crois que c’était pour aider M. Haquin — de ces 25 volumes. Grace à Mgr Martimort, qui m’a renvoyé au Cardinal Tisserant, j’ai pu trouver le fameux paquet, à la Bibl. Vat., après avoir cherché partout dans les archives et ailleurs (Chancellerie, etc Congrégation des Rites). Le P. Raes13 s’est mis en frais durant une matinée, avec moi, dans tous les rayons, et finalement nous l’avons trouvé. Pie XI a fait transporter tout cela à la Bibliothèque Vaticane, où ce n’est pas la place. De qui sont-ils ? Il faut vous reporter à la Commission qui a travaillé. J’ai dû communiquer en son temps à M. Haquin les renseignements recueillis (durant la 4e session du Concile). […] Le Cardinal Tisserant en saura certainement plus.
Dom Rousseau mentionne le nom de Pie XI qui aurait «fait transporter tout cela à la Bibliothèque Vaticane». Mais à quelle date, et pourquoi? Était-ce à l’occasion de la mort de Quentin le 4 février 1934, craignant des indiscrétions après la mort du responsable? En 1967, j’ai parcouru le même chemin qu’Olivier Rousseau jusqu’au moment où Mgr Ferdinando Antonelli, alors secrétaire de la Congrégation des Rites, me ‘révèle’ l’endroit exact: la réserve de la Bibliothèque Vaticane. Mais la réponse à l’énigme est probablement plus prosaïque, comme on l’apprend d’un cas similaire contemporain. Le père Pietro Benedetti (1867-1930), des Missionnaires du Sacré Cœur, avait été le secrétaire de la Commission de la réforme du catéchisme, publié en 1912 sous le titre Catechismo della dottrina cristiana. Il conservait une partie importante de la documentation chez lui à la maison (Lungotevere Prati à Rome). En 1916, dans un livre sur ce catéchisme14, il raconte l’anecdote suivante quand il montrait un jour cette documentation au Père Ehrle: «Quel librone sformato — diceva il p. Ehrle, il dotto Prefetto della Biblioteca Vaticana — fra cinquant’anni avrà la sua importanza: sarà bene depositarlo in Biblioteca. 12
A. M. PIAZZONI – P. VIAN, Manoscritti Vaticani Latini 14666-15203. Catalogo sommario, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 332), pp. XIII et XIX; 113-114; 123-124. 13 Le jésuite Alphonse Raes (1896-1983), préfet de la Bibliothèque Vaticane de 1962 à 1971. 14 P. BENEDETTI, Intorno al catechismo. Lettere a un Parroco. Note e schiarimenti sul nuovo testo pubblicato in Roma nel 1913 per ordine del Sommo Pontefice Pio X, Roma 1916, p. 39.
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D. Giusto, che accarezza quel librone con l’occhio pensieroso […] mi disse che per far omaggio alla Biblioteca Vaticana consentirebbe a privarsene!». Ehrle a pu avoir un dialogue pareil avec La Fontaine ou avec Quentin. Pietro Benedetti évoque une deuxième fois l’évènement avec une argumentation plus significative encore. C’est son biographe, Mgr Gilla Gremigni (1891-1963), qui nous le rapporte à propos de la participation aux travaux de la Commission de réforme du catéchisme du poète Giulio Salvadori (1862-1928). L’auteur cite une lettre de Benedetti au Père Cordovani15 datée de la Pentecôte, le 19 mai 1929: Le nitidissime pagine nelle quali il Salvadori aveva notate le sue osservazioni, furono custodite da me, fino alla pubblicazione del Catechismo; poi, insieme con tutti gli altri manoscritti relativi alla redazione, osservazioni, studi e lettere, tra le quali ricordo una profondamente bella di Mons. Bonomelli16, passò alla Biblioteca Vaticana … Qualche piccolo topo di biblioteca, se ce ne saranno ancora nell’avvenire, potrà un giorno lontano raccontare l’insospettato studio fatto in qualche piccolo libro17.
Les tables des matières originales manquantes, retrouvées dans les Archives Secrètes du Vatican Les circonstances de l’arrivée des 25 volumes à la Bibliothèque Vaticane ne sont pas la seule énigme. Il y a encore le problème de l’absence de seize tables des matières. Quentin a dressé les tables des matières, écrites à la main, pour les seuls volumes I à IX (Vat. lat. 14969-14977). Les volumes X à XXV (Vat. lat. 14978-14993) n’en ont pas. Pourquoi Quentin n’a-t-il pas achevé le travail? A-t-il été appelé à d’autres tâches hors de Rome? Nous savons que, début novembre 191518, il a quitté Rome pour Paris, un peu à l’improviste pour des raisons familiales et qu’il n’y est revenu qu’en 191819. Il se peut que, lors de son retour, il ait eu bien d’autres soucis que d’insérer les dernières tables des matières, ou la collection ne se trouvait-elle plus là où il l’avait laissée? 15 Mariano Cordovani, o.p. (1883-1950), professeur de théologie dans plusieurs universités et instituts ecclésiastiques. De 1927 à 1932 il enseignait à la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum) à Rome. 16 Geremia Bonomelli (1831-1914), évêque de Crémona (1871-1914). 17 G. V. GREMIGNI, Cuore e testa: Mons. Pietro Benedetti missionario del Sacro Cuore, arcivescovo titolare di Tiro, Roma 1939, p. 251. 18 Lettre du 5-12-1915 à l’abbé Soulier (François Soulier, né en 1847, spécialiste en l’histoire du chant grégorien), Archives de S. Girolamo, papiers Quentin. 19 P. SALMON, Quentin, Henri, dans Enciclopedia Cattolica, X, Città del Vaticano 1953, coll. 391-392.
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Lors de mes recherches dans les Archives Secrètes du Vatican en octobre 2018, j’ai pu travailler sur des documents qui font partie d’un lot de neuf boîtes y transférées en 1998 en provenance de la Congrégation pour le Culte Divin et la Discipline des Sacrements. Trois de ces boîtes se réfèrent à la réforme du bréviaire sous Pie X20. Le regroupement de ces documents serait l’œuvre de Mgr Annibale Bugnini (1912-1982)21. De ces trois boîtes, la deuxième et la troisième ne contiennent que des épreuves d’imprimerie. La première boîte est libellée dans un inventaire sommaire comme «Elenchi di pratiche varie (Pontificato di Pio X). Materiale relativo alla riforma liturgica (1873-1930)» et, sur le dos de la boîte même, on lit «Culto Divino. Fondo Riti. Sect. Hist.1». Elle contient, sans inventaire quelconque, plusieurs dizaines de documents assemblés en fardes et chemises, et qui ont effectivement trait à la réforme du psautier de 1911-1914. Dans une farde au carton marbré se trouvent plusieurs chemises dont trois contiennent différentes versions des tables des matières des Vat. lat. 1496914993. Le nom de Quentin comme étant l’auteur de ces tables des matières ne se trouve nulle part sur les documents, mais son écriture est tellement caractéristique qu’il n’y a pas d’erreur possible. Les différentes rédactions des tables des matières et leurs relations mutuelles Il est certainement utile d’aligner les différentes versions des tables des matières originales dont on dispose actuellement et d’en esquisser les particularités et les relations. Une chemise avec l’inscription «Index. De Ref. P. Pio» contient 62 feuilles de dimensions variées avec la minute des tables des matières de tous les 25 volumes, en écriture de Quentin. Ce document est à la base de la version définitive. Une deuxième chemise, sans inscription sur la couverture, contient 43 feuilles de 21,5 x 28 cm de papier brunâtre et un peu grossier avec filigrane. Les caractéristiques physiques de ces feuilles et la disposition du texte sont semblables à celles insérées dans les volumes Vat. lat. 14969-14977. Le texte, en écriture très soignée, suit fidèlement celui de la minute mais avec les abréviations en toutes lettres. Les feuilles de ces tables des matières sont numérotées dans le coin supérieur droit en minuscule et recommencent à
20 A. M. DIEGUEZ, Gli archivi delle Congregazioni romane: nuove acquisizioni e ordinamenti, dans Religiosa Archivorum Custodia. IV Centenario della fondazione dell’Archivio Segreto Vaticano (1612-2012). Atti del convegno di studi, Città del Vaticano 17-18 aprile 2012, Città del Vaticano 2015 (Collectanea Archivi Vaticani, 98), pp. 305-334: 308 et 334. 21 DIEGUEZ, Gli archivi delle Congregazioni romane cit., p. 308.
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chaque volume. Il est évident que ces feuilles étaient destinées à être fixées à l’entête des volumes Vat. lat. 14978 à 1499322. Lors de mes recherches entre 1967 et 1971, j’ai composé ma propre table des matières23. Pour les volumes I à IX (Vaticani latini 14969-14977), j’ai repris littéralement les tables de Quentin toutefois complétées, clairement distinguées du texte de Quentin, avec les informations utiles trouvées sur le document même en question. Pour les volumes X à XXV (Vat. lat. 14978-14993), j’ai rédigé moi-même les tables des matières manquantes. Ambrogio Piazzoni et Paolo Vian ont publié en 1989 le Catalogo sommario des 25 volumes, selon leurs propres critères24. Il existe des copies digitalisées et des microfilmes de certaines parties essentielles des documents de la collection des 25 volumes25. Importance des tables des matières de Quentin Quelle est l’importance de ces tables des matières rédigées par Quentin ? L’instruction de La Fontaine dans sa lettre citée ci-dessus donne la réponse: «Se qualcuna rimanesse oscura o inesplicabile per l’avvenire vi potrei in margine fare qualche accenno breve». La Fontaine a effectivement ajouté quelques notes ou brefs pro-memoria en marge de certains documents et Quentin les a signalés dans sa table des matières26. Mais Quentin a lui aussi ajouté des annotations. Les titres des documents dans les tables des 22
Une troisième chemise contient une photocopie moderne des 62 feuilles de la minute, précédée de quatre feuilles avec une table des matières du précieux volume De Reformatione Kalendarii et Pascha fixa compilé également par Quentin. Ce volume contient les documents essentiels de la position de l’Église dans la discussion au début du vingtième siècle relative à la fixation de la date de Pâque. Il est probable que ce volume avec les tables originales est toujours conservé dans les archives de la Congrégation pour les Causes des Saints où je l’ai consulté en 1969. Voir H. VINCK, Une tentative de Pie X pour fixer la date de Pâques. Quelques documents inédits, dans Revue d’histoire ecclésiastique 70 (1975), pp. 462-468. 23 H. VINCK, Les réformes liturgiques de 1911-1914, Partie II, Paris 1972, pp. 1*-48*. 24 PIAZZONI – VIAN, Manoscritti Vaticani Latini 14666-15203 cit., pp. 149-174. Je remercie Monsieur Paolo Vian, responsable du Département des manuscrits de la Bibliothèque Vaticane, pour ses conseils et encouragements. 25 Des extraits des volumes Vat. lat. 14969-14975, 14979-14981 et 14990-14993 ont été microfilmés (films 35 mm), en 1967 et 1968 par la Bibliothèque Vaticane totalisant plus de mille vues. Les volumes Vat. lat. 14969, 14973, 14979, 14980 et 14991 ont été intégralement digitalisés en 2012 sur DVD par la Bibliothèque Vaticane. Microfilms et DVD sont conservés dans mes archives personnelles. 26 Par exemple: une note de La Fontaine relative à ses propres projets de réforme: Vat. lat. 14969, f. 28, signalée dans la table des matières du Vat. lat. 14969, après le titre de la note même. Encore en bas de la lettre de Piacenza à Bressan, du 10 juillet 1914, lettre annotée par le pape, La Fontaine note à propos des Mutationes de juin 1913: «E non avrebbero dovuto comparire nemmeno dopo; sono cose che col Salterio non hanno a che vedere e apparterrebbero alla grande riforma (nota del Presidente)» (Vat. lat. 14991, f. 199v).
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matières de Quentin sont de nature diverse: ils reprennent souvent littéralement les titres des documents mêmes, parfois ils sont explicatifs; quelquefois, ils ajoutent le nom de l’auteur ou une date pour un document où ces données font défaut sur l’original. Pour les lettres, il indique parfois les noms des correspondants ou quelques mots de l’argument. Les ajouts les plus importants sont les indications du chiffre ou de la lettre des allegati, et documenta et qui correspondent aux indications de Aristide Gasparri dans le texte des rapports des réunions de la première période (Vat. lat. 14969, ff. 47r-89r) et dans la marge des rapports de Vincenzo Maria Egidi pour la deuxième période (Vat. lat. 14979, ff. 192r-200r). Le catalogue de Piazzoni – Vian 1989, p. 149, n’a pas suivi les tables des matières de Quentin pour les volumes I à IX. Regardons de près la différence, bien que non essentielle, elle est tout de même parfois significative. Quentin, dans la table des matières de Vat. lat. 14969, f. i-recto, écrit: « Documentum C. Schema del Breve (o Bolla) per la costituzione della Commissione per la grande27 riforma del Breviario e del Messale cum ‘Placet’ autographo Ssmi d.n. Pii pp. X ». Sur le document même, on lit : « Schema del Breve o Bolla per la costituzione della Commissione per la grande riforma del Breviario e del Messale (Allegato C) ». Piazzoni – Vian 1989, p. 149, l’a libélé ainsi: «Schema del documento costitutivo la Commissione per la riforma del Breviario e del Messale, con placet autografo di Pio X». On omet l’adjectif grande, qui est dans l’original. Or, par le mot grande, nous savons que le document en question ne renvoie pas à la Commission de réforme de 19111914, mais à une minute d’un document à situer en mai 1913 (Vat. lat. 14969, ff. 17r-20r et 21r-11v) pour l’institution d’une nouvelle et ambitieuse commission dans le but de réaliser une grande [générale] réforme du Bréviaire et du Missel, d’ailleurs restée sans suite. Documents rapprochés des Vaticani Latini 14969-14993 dans les Archives Secrètes du Vatican, dans les Archives de la Congrégation des Rites (15881969) et dans les Archives de la Province Romaine de la Congrégation de la Mission Les Vaticani Latini 14969-14993 constituent le rapport officiel de la Commission Pontificale pour la Réforme du Psautier du Bréviaire Romain. Cependant ils se trouvent encore à d’autres endroits dans des archives ecclésiastiques à Rome des doubles et des compléments indispensables de certains documents de la collection officielle, ainsi dans différents fonds
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Cursives de l’auteur.
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des Archives secrètes du Vatican comme ceux déjà mentionnés ci-dessus et signalés dans les inventaires et études récemment publiés28. Également, dans les Archives de l’ancienne Congrégation des Rites, actuellement le siège de la Congrégation pour les Causes des Saints, se trouvaient, en 1969, trois grandes enveloppes non classées ou inventoriés comptant chacune plusieurs dizaines de documents apparemment rassemblés par Aristide Gasparri et directement liés à la réforme29. En 2018, j’ai retrouvé dans ces archives un bon nombre de ces mêmes documents, mentionnés dans un bref «Elencho». D’autres documents, non inclus dans mes recherches en 1968-1969, mais importants pour l’histoire du bréviaire romain, font maintenant partie de ce dossier et concernent les tentatives de correction du bréviaire sous Pie IX en 185630 et de la Commission Storico-liturgica de 190231. Les Archives de la Province Romaine de la Congrégation de la Mission (Lazaristes), Fonds Accademia liturgica32, Papiers Piacenza, sont particulièrement riches en documents liés à la réforme du psautier. Mgr Pietro Piacenza, membre le plus actif de la Commission de la réforme, habitait à partir de 1902 chez les Lazaristes au Monte Citorio, Via della Missione, pour déménager en 1913 avec eux au Palazzo di Sant’Apollinare. A sa mort en août 1919, ses papiers ont été heureusement préservés et ont suivi en 1920 le déménagement de la communauté des Lazaristes de l’Apollinare vers le Collegio Leoniano, Via Pompeo Magno 21, où ils se trouvent actuellement incorporés dans les Archives de la Province Romaine des Lazaristes. Une grande partie de l’héritage documentaire de Piacenza concerne la réforme du psautier. En 1969, j’ai pu identifier et, en 2012, photographier, de cet ensemble de matériaux, 254 documents directement liés à la réforme de 1911-191433. Plusieurs de ces documents sont des doubles de Vat. lat. 14969-14993, d’autres de précieux compléments originaux. 28 DIEGUEZ, Gli archivi delle Congregazioni romane cit., pp. 305-334; A. M. DIEGUEZ, Recenti recuperi su Pio X. dall’Archivio Segreto Vaticano, dans G. BRUGNOTTO – G. ROMANATO (éds.), Riforma del Cattolicesimo? Le attività e le scelte di Pio X, Città del Vaticano 2016, pp. 545-553. Je remercie Monsieur Alejandro Dieguez pour sa serviabilité durant mes recherches dans les Archives Secrètes du Vatican. 29 VINCK, Pie X et les réformes liturgiques cit., pp. 28 et 460-463. 30 VINCK, Pie X et les réformes liturgiques cit., pp. 44-46. 31 VINCK, Pie X et les réformes liturgiques cit., pp. 52-56. Je remercie Madame Simona Durante, des Archives de la Congrégation pour les Causes des Saints, pour son assistance efficace durant mes recherches. 32 G. B. AGNOLUCCI, L’Accademia Liturgica, dans Ephemerides Liturgicae 45 (1931), pp. 246-309. G. GUERRA, L’Accademia Liturgica Romana, manuscrit privé (2018), 7 pages. Je remercie le Père G. Guerra pour sa serviabilité à l’occasion de mes recherches dans les Archives de la Province Romaine de la Congrégation de la Mission. 33 VINCK, Pie X et les réformes liturgiques cit., pp. 26-28 et inventaire cit., pp. 451-459.
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Pie X: «Grande riformatore»34 Pie X avait pris sur lui d’exécuter le programme des réformes souhaitées par Vatican I. La réforme du bréviaire en faisait partie35 et la réforme de 1911-1914 a été présentée explicitement comme l’exécution de ce vœu. Le chirographe instituant la Commission de réforme commence avec la phrase programme : « Quod Patribus Concilii Vaticani fuit in votis ». Pie X a eu le mérite d’avoir saisi l’urgence du problème et d’avoir reconnu la valeur des arguments théologiques, liturgiques et spirituels, avancés avec insistance par les revues de théologie et de pastorale contemporaines et mis sur sa table par Pietro Piacenza. Avec le recul que nous avons aujourd’hui, la réforme du bréviaire peut être qualifiée d’intrépide, se situant en charnière entre le concile de Trente et celui de Vatican II. La restauration de l’office dominical et férial a eu une influence décisive sur le développement du mouvement liturgique36. Mais, comme toujours, cette réforme, patronnée avec conviction par Pie X, a été applaudie par les uns et vigoureusement contestée par d’autres37. A Mgr Pietro La Fontaine, l’honneur d’avoir voulu préserver scrupuleusement les témoins documentaires de la réforme, et, envers Dom Henri Quentin, notre reconnaissance pour avoir patiemment ordonné les 6649 feuilles des 25 volumes que nous connaissons aujourd’hui sous la cote Vat. lat. 14969-14993.
Dans mes publications antérieures, j’ai utilisé l’appellation «Archives Ephemerides Liturgicae» (en sigle «AEL»), les documents ayant été transférés temporairement à la bibliothèque associée à la revue Ephemerides Liturgicae au même endroit. En 2018 ils ont été remis à leur place originale dans le «fonds Accademia Liturgica». 34 G. VIAN, Pio X grande riformatore? La discutibile tesi di una recente pubblicazione, dans Cristianesimo nella storia 30 (2009), pp. 167-189. 35 H. VINCK, Vatican I et la réforme du bréviaire romain, dans Questions Liturgiques 56 (1975), pp. 113-126. 36 VINCK, Pietro Piacenza et le mouvement liturgique cit., pp. 473-500. 37 VINCK, Pie X et les réformes liturgiques cit., pp. 389-430.
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INDICE DEI MANOSCRITTI E DELLE FONTI ARCHIVISTICHE Avignon, Bibliothèque municipale ms. 23 13 ms. 121 13, 14 ms. 135 302 ms. 659 15-21, 26-28 tavv. VI-X Basel, Universitätsbibliothek F V 30
271
Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbersitz Graec. quart. 89 449 Bologna, Biblioteca Universitaria 232 419 468 (279) 416, 418 473 (284) 417 731 (423) 418 732 (424) 418-419, 422 733 (425) 406 747 (71) 418 753 (445) 418 876 (500) 416-417 920 (519) 416 921 (520) 418 1619 (840) 416, 425 2800 (1489) 412 4093 (Codice Cospi) 128, 129, 154, 203, 207, 211, 213, 218, 224, 225 It. 530 (696) 407 It. 958 (1450) 407 – Museo internazionale e Biblioteca della musica A.32 285 A.47 285 A.47 (allegato) 285 I.030.004 285 I.030.005 285 I.027.211 285 Cambridge, Fitzwilliam Museum Mc Clean 161 – University Library Ee, 2. 4
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519, tav. XIIIa
Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano A.A., Arm. E 123 91, 92, 93 (fig.), 96 Archivio della Prefettura, diari di mons. Angelo Mercati, II 183-184 Arm. LX, 21 91, 94, 96, 97 Cam. Ap., Collect. 490 9 Congr. Sacramenti, Fondo Riti, Sect. Hist. 1 695 Sec. Brev. 227 238 Segr. Stato, Morte di Pontefici e Conclavi, fasc. 20 371, 385, 392, 395 tav. I, 396 tav. II – Biblioteca Apostolica Vaticana Arch. Bibl. 12 240 Arch. Bibl. 13 242 Arch. Bibl. 15 241, 399 Arch. Bibl. 29 36, 240-241 Arch. Bibl. 115, pt. A 376 Arch. Bibl. 120 538 Arch. Bibl. 152 569 Arch. Bibl. 162 379 Arch. Bibl. 163 372 Arch. Bibl. 189 242 Arch. Bibl. 192 242 Arch. Bibl. 202, pt. 1 634 Arch. Bibl. 206 242 Arch. Bibl. 211 183-186 Arch. Bibl. 221 242, 380 Arch. Bibl. 228 238 Arch. Bibl. 245 373 Arch. Bibl. 260 240 Arch. Bibl. 282 189 Arch. Bibl. 292 238 Arch. Bibl. Registri di ammissione allo studio 3 535 Arch. Bibl. Registro degli estranei ammessi allo studio nella Biblioteca Vaticana: ottobre 1885 a giugno 1895 (senza segnatura) 376-377 Arch. Bibl. Registro degli estranei ammessi allo studio nella Biblioteca Vaticana: ottobre 1895 a giugno 1907 (senza segnatura) 376-377
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INDICE DEI MANOSCRITTI
Arch. Cap. S. Pietro B.74 306, 329 tav. IXb Arch. Cap. S. Pietro B.85 303, 325 tav. VIIb Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.1 prov. 198 Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.2 prov. 195 Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.4 prov. 191-192 Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.5 prov. 192 Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.6 prov. 197-198 Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.13 prov. 191 Arch. Frascati, Visite Pastorali, Visite Duca di York, n. 18.14 prov. 187, 190 Barb. gr. 1-163 544 Barb. gr. 336 555 Barb. lat. 307 283-311, 312 tav. Ia, 313 tav. Ib, 314 tav. IIa, 315 tav. IIb, 318 tav. IVa, 320 tav. Va, 323 tav. VIb-VIc, 324 tav. VIIa, 326 tav. VIIIa, 328 tav. IXa, 330 tav. Xa, Xc, 331 tav. Xd-Xe Barb. lat. 2096 233 Barb. lat. 3159 284 Barb. or. 2 539, 556 Barb. or. 17 539 Borg. copt. 1-108 539 Borg. mess. 1 (Codex Borgia) 123-129, 140-163, 201-228 Capp. Giulia XII.2 299 Cappon. 235 334, 336 Chig. G.V.36 234 Chig. H.VI.204 433, 436, 438-439, 446, 449-459, 467 tav. VII Chig. R.II.62 399 Chig. R.II.67 459 Lasc. Pastor 1-189 591 Lasc. Pastor 54 599, 626 Lasc. Pastor 55 592, 594, 599, 600, 604 Lasc. Pastor 55-70 591 Lasc. Pastor 56 601, 603, 619, 623, 625, 631, 642 Lasc. Pastor 57 603, 605, 606, 608, 609, 619, 626, 628, 637, 640, 642 Lasc. Pastor 58 603 Lasc. Pastor 59 609, 609, 613, 615, 619, 621, 651
Lasc. Pastor 60 Lasc. Pastor 61 Lasc. Pastor 62 Lasc. Pastor 63
607, 614, 627, 651 614, 616, 628, 637, 651 616, 617, 645, 646 605, 608, 617, 618, 622, 629, 638, 640, 645, 646, 651, 658, 659, 660 Lasc. Pastor 64 605, 622, 645, 651, 652, 660, 661, 686 Lasc. Pastor 65 605, 608, 652, 655, 660 Lasc. Pastor 66 605, 652 Lasc. Pastor 69 608, 618, 622, 645, 646, 647, 651, 652, 655, 659, 660, 661, 664, 665, 667, 668, 669, 673, 676 Lasc. Pastor 70 591, 594, 595, 604, 607, 611, 612, 613, 615, 618, 621, 683 Lasc. Pastor 104 641, 648, 649 Ott. lat. 35 469-506, 507 tavv. Ia-b, 513 tav. VIIIa, 514 tavv. VIIIb-IXa, 517 tav. XIb, 519 tav. XIIIb Ott. lat. 338 352 Ott. lat. 1138 406, 423, 426 Ott. lat. 1152 406-407, 416, 429 tav. I Ott. lat. 1170 400, 406-407, 423-424 Ott. lat. 1194 405, 409, 411, 425 Ott. lat. 1195 413 Ott. lat. 1196 400, 406, 409, 412, 421, 423-424, 427 Ott. lat. 1252 405-406, 411, 423 Ott. lat. 1263 406, 409, 411, 418, 425, 430 tav. II Ott. lat. 1295 415 Ott. lat. 1417 453 271 Ott. lat. 1420 Ott. lat. 1438 503, 504, 522 tav. XVIb, 524 tav. XVIIb Ott. lat. 1507 406, 412, 423 Ott. lat. 1724 411 Ott. lat. 1751 413, 426, 431 tav. III Ott. lat. 1752 413 Ott. lat. 1889 243 Ott. lat. 2026 500 Ott. lat. 2134 406, 413, 420, 423 Ott. lat. 2295 409 Ott. lat. 2333 243 Ott. lat. 2894 243 Ott. lat. 2989 336 Pal. lat. 24 271 Pal. lat. 574 284 Pal. lat. 1342 284
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INDICE DEI MANOSCRITTI
Pal. lat. 1344 284 Pal. lat. 1671 271 Pal. lat. 1677 271 Patetta 839 99-121, tavv. I-II Reg. lat. 1500 271 Reg. lat. 1988 271 Reg. lat. 2023 234 Ross. 865 556 Urb. gr. 2 74 Urb. lat. 1 74, 79, 86, 87, 88, 276 Urb. lat. 2 79, 86, 87, 88 Urb. lat. 9 84 Urb. lat. 10 78 Urb. lat. 52 84, 86 Urb. lat. 74 85, 87 Urb. lat. 129 90 Urb. lat. 141 89 Urb. lat. 227 82 Urb. lat. 281 79 Urb. lat. 324 74, 79, 85 Urb. lat. 325 88 Urb. lat. 326 74 Urb. lat. 337 74 Urb. lat. 350 84 Urb. lat. 355 271 Urb. lat. 356 271 Urb. lat. 357 90 Urb. lat. 360 433-443, 446-451, 454-456, 459-460, 461 tav. I, 462 tav. II, 463 tav. III Urb. lat. 365 89 Urb. lat. 400 91 Urb. lat. 420 84 Urb. lat. 427 79, 91 Urb. lat. 441 89 (fig.), 90 Urb. lat. 491 80, 82, 83 (fig.), 84, 85 (fig.) Urb. lat. 1198 80 Urb. lat. 1221 79 Urb. lat. 1761 92, 435 Urb. lat. 1384 79 Vat. ar. 155 73 Vat. ar. 212 73 Vat. ar. 216 73 Vat. ar. 221 73 Vat. ar. 228 73 Vat. ar. 229 73 Vat. ar. 1492 583 Vat. ar. 1605 566 Vat. ar. 1606 566 Vat. ebr. 30-605 555 Vat. gr. 1-329 543
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Vat. gr. 330-603 538 Vat. gr. 604-866 538 Vat. gr. 1485-1683 544 Vat. gr. 1684-1744 544 Vat. gr. 2290 268 Vat. lat. 1-678 543 Vat. lat. 679-1134 541 Vat. lat. 1135-1266 540 Vat. lat. 1135-1460 540 Vat. lat. 1472 7-21, 22-25 tavv. I-V, 27-28 tavv. VII-X, 29 tav. XII Vat. lat. 1473 10 Vat. lat. 1474 10 Vat. lat. 1478 444 Vat. lat. 1645 271 Vat. lat. 1647 271 Vat. lat. 1860 304, 327 tav. VIIIc Vat. lat. 2060-2230 555 Vat. lat. 3195-3453 544 Vat. lat. 3225 270 Vat. lat. 3324 434, 436, 464 tav. IV Vat. lat. 3363 469-506, 508-511 tavv. II-Va, 515-517 tavv. Xa-XIa, 520-523 tavv. XIV-XVIIa Vat. lat. 3433 233 Vat. lat. 3436 335, 336 Vat. lat. 3630 433-434, 443-447, 459-460, 465 tav. V, 466 tav. VI Vat. lat. 3715 271 Vat. lat. 3773 (Codex Vaticanus B) 123140, 157-163, 201-228 Vat. lat. 3781 550 Vat. lat. 3798 546 Vat. lat. 3861 427 Vat. lat. 3867 270 Vat. lat. 3868 270 Vat. lat. 3964 340, 553 Vat. lat. 3966 340, 553 Vat. lat. 4473 339 Vat. lat. 4530 347-348, 367 tav. IV Vat. lat. 4549 334, 358-360, 370 tav. VI Vat. lat. 4550 334, 346, 360-363 Vat. lat. 4552 334, 342-347, 352, 353, 354, 356, 362, 365 tav. II, 366 tav. III Vat. lat. 4553 334, 346, 347, 354-358, 359, 363, 368-369 tav. V Vat. lat. 5009-5042 240 Vat. lat. 5234-5253 233 Vat. lat. 5400 240
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INDICE DEI MANOSCRITTI
Vat. lat. 5953 347 Vat. lat. 6163 399, 407, 409, 411-415 Vat. lat. 6192 233-234 Vat. lat. 6194 233-234 Vat. lat. 6195 233-234 Vat. lat. 6411 233 Vat. lat. 6412 233 Vat. lat. 6446 33-49, tav. I Vat. lat. 6611 233 Vat. lat. 6792 233-234 Vat. lat. 6875 441 Vat. lat. 7121 33, 38, 239-240 Vat. lat. 7129 240 Vat. lat. 7185 419 Vat. lat. 7319 271 Vat. lat. 8185, pt. 2 33, 399-400, 406-409, 411-415 Vat. lat. 9852-10300 540 Vat. lat. 10220 303, 322 tav. VIa Vat. lat. 10301-10700 540 Vat. lat. 10380 165-177, 178-180, tavv. I-III Vat. lat. 10645 411 Vat. lat. 10701-10875 543 Vat. lat. 10876-11000 543 Vat. lat. 11001-11086 543 Vat. lat. 11087-11112 543 Vat. lat. 11113-11150 543 Vat. lat. 11151-11265 543 Vat. lat. 11414-11709 540 Vat. lat. 12901 189 Vat. lat. 12907 189 Vat. lat. 13052 189 Vat. lat. 13190 241 Vat. lat. 13254-13255 189 Vat. lat. 14270 249, 250 Vat. lat. 14274 251 Vat. lat. 14276 251 Vat. lat. 14278 251 Vat. lat. 14279 251 Vat. lat. 14280 648 Vat. lat. 14281 648 Vat. lat. 14284 251, 253, 648 Vat. lat. 14285 254, 255, 256, 257 Vat. lat. 14286 257, 258 Vat. lat. 14287 648 Vat. lat. 14288 258, 259 Vat. lat. 14289 259, 260 Vat. lat. 14290 260 Vat. lat. 14291 259, 260 Vat. lat. 14294 262
Vat. lat. 14295 Vat. lat. 14476 Vat. lat. 14477 Vat. lat. 14485 Vat. lat. 14748 Vat. lat. 14748-14749 Vat. lat. 14749 Vat. lat. 14935-14938 Vat. lat. 14948-14949 Vat. lat. 14969 Vat. lat. 14969-14975 Vat. lat. 14969-14977 Vat. lat. 14969-14993 Vat. lat. 14973 Vat. lat. 14978-14993 Vat. lat. 14979 Vat. lat. 14979-14981 Vat. lat. 14990-14993 Vat. lat. 14991 Vat. lat. 15120-15169 Vat. lat. 15321 Vat. mus. 583 Vat. sir. 460-631
262, 263 37 33-49, tav. II-III 38 38 38 48 189 189 689, 696, 697 696 694, 695 689-699 696 694. 696 696, 697 696 696 696 189 473 189 539
– Capitolo di San Pietro, Archivio Diari della Basilica Vaticana 9/2.30a 188 Diari della Basilica Vaticana 9/2.30b 187188 Diari della Basilica Vaticana 9/2.31 188 Diari della Basilica Vaticana 9/2.32 188 Diari della Basilica Vaticana 9/2.33 188 Ciudad de México, Biblioteca Nacional de Antropología e Historia Códice Azoyu I 225 Códice Colombino, n. 35-30 123-124, 207, 213, 214, 218, 221 Códice Maya de México (olim Códice Grolier) 123-124, 210 Cologny, Bibliothèque Bodmer 152
271
Fez, Maktaba óâmi‘a al-Qarawiyyín, Hizana al-Qarawiyyín s.n. (manoscritto mozarabico del Vangelo di Giovanni) 573 Firenze, Archivio di Stato Diplomatico, Badia di Firenze, 1493 sett. 1 (Lunghe) Diplomatico, Sant’Orsola, 1494 nov. 16
335 335
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INDICE DEI MANOSCRITTI
Notarile antecosimiano 13188 Notarile antecosimiano 13195
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335 335, 353
– Biblioteca Nazionale Braidense A g IX 523, tav. XVIc
– Biblioteca Medicea Laurenziana cod. m.p. 220 (Codice Fiorentino) 123124, 213, 225 Fies. 53 340 Pap. P. S. I. 142 (CLA III, 298) 479 plut. 14,15 479 plut. 73,1 426 San Marco 366 413
München, Bayerische Staatsbibliothek Clm 84 406
– Biblioteca Nazionale Centrale II. III. 48 Conv. Soppr. 112 Conv. Soppr. E. I. 2562 Magliab. XXVIII.29
340 449 340 459
Genève, Bibliothèque publique et universitaire Comites Latentes 15 304, 327 tav. VIIIb Glasgow, University Library Hunter 205 Hunter 322
272 272
Innsbruck, Universitätsbibliothek 87
272
L’Aquila, Santa Maria Paganica A.5 302, 320 tav. Vb Liverpool, World Museum M12014 (Codex Fejérváry-Mayer) 123124, 203, 207, 210, 211, 213, 214, 218, 224, 225 London, British Library Add. 11986 272 Add. 14811 272 Add. 39671 (Codex Zouche-Nuttall) 123-124 207, 211, 213, 218 Harley 2483 272 Harley 4937 272 Madrid, Biblioteca Nacional de España mss./19148 18, 30 tav. XIII mss./19149 19, 21, 29 tav. XII Vit. 21-6 304 Milano, Biblioteca Ambrosiana I 100 inf. I 110 inf. L 21 sup. S.P.II.293, nr. 5
240 336 414, 423 383
Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III VIII E 29 352 VIII E 31 340 New Haven, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University Beinecke Map (Codex Reese), WA MSS S-2533 123-124, 213, 225 Orléans, Médiathèque de la Ville 270 479, 482, 511 tav. Vb Oxford, Bodleian Libraries All Souls 83 272 Auct. F I 14 272 Bodley 842 297-298 Bodleian Library Records e.606 372, 385, 388-392 Canon. Class. lat. 86 272 Canon. Class. lat. 90 272 Canon. Class. lat. 207 414, 423 D’Orville 21 272 Lincoln 92 272 ms. Arch. Selden. A. 2 (Codex Selden) 123-124, 210, 211, 213, 214, 218, 225 ms. Arch. Selden. A. 1 (Codex Mendoza) 213, 225 ms. Arch. Selden. A. 72 (3) (Selden Roll) 225 ms. Autogr. c. 15 371, 393, 397 tav. III, 398 tav. IV ms. Autogr. c. 16 371, 378, 381, 384-385, 394 ms. Laud Misc. 678 (Codex Laud) 123-124, 126, 134, 203, 207, 210, 213, 214, 218, 221, 224, 225, 226 ms. Mex. d. 1 (Codex Bodley) 123-124, 207, 210, 211, 213, 214, 218 Padova, Pontificia Biblioteca Antoniana ms. 79
8
Paris, Bibliothèque de l’Assemblée nationale Codex Borbonicus, Y 120 123-124, 210, 213
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INDICE DEI MANOSCRITTI
– Bibliothèque nationale de France fr. 9561 302, 321 tav. Vb hebr. 968 356 lat. 5763 482, 512, tavv. VIa-b lat. 6508 333, 334, 339-342, 345, 348-350, 352, 353, 354, 355, 357, 364 tav. I lat. 7378A 293, 297 lat. 8024 272 lat. 8026 272 lat. 8028 272 lat. 8032 272 lat. 8055 272 lat. 8161 304 lat. 14741 293 lat. 16242 272 Pesaro, Biblioteca Oliveriana 1012
434
Philadelphia, Kislak Center, Rare Book and Manuscript Library University of Pennsylvania LJS 101 483, 513 tav. VII
– Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II Vitt. Em. 483 407 – Biblioteca Vallicelliana C 77 F 20
414, 423, 426 340
– Collegio Leoniano, Archivio Provincia Romana della Congregazione della Missione Accademia liturgica, Carte Piacenza, 204, 3 698 Sankt Paul im Lavanttal, Archiv des Benediktinerstiftes ms. 135/6 283-311, 316 tav. IIIa, 317 tav. IIIb, 319 tav. IVb, 331 tav. Xb Sankt-Peterburg, Gosudarstvennyj Muzej . Ermitaà ms. OR-r 23 306 Sevilla, Biblioteca Capitular y Colombina V 5.32 272
272
Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati G.VII.32 338
Providence, Brown University, Hay Library Acc. num. A28904, 3.1-3.19 304
Tortosa, Arxiu de la catedral ms. 182 17, 29 tav. XI
Ravenna, Biblioteca Classense 74
Toulouse, Bibliothèque municipale ms. 77 19, 20, 21
Praha, Stadny Knihovna Lobkovicianus 271
434
Reggio Emilia, Archivio del Seminario Faldone 1, cart. 2 634 Faldone 3, cart. 1 634 Faldone 3, cart. 5 634 Reims, Bibliothèque municipale ms. 729 18, 19, 21 Roma, olim Abbazia benedettina di San Girolamo in Urbe, Archivio Carte Quentin 691-694 – Archivio di Stato Archivio Notarile di Frascati, Notaio Francesco Grilli, b. 401 – Biblioteca Casanatense ms. 970
189
304-305
Valenciennes, Bibliothèque municipale 59 478 Venezia, Biblioteca Marciana Lat. XIV.124 [4044]
441
– Fondazione Cini 22084-22090 22185
303 303
Veroli, Biblioteca Giovardiana ms. 10
304-305
Wien, Österreichische Nationalbibliothek 122 272 841 [Theol. 667] 415 mex. 1 (Codex Vindobonensis Mexicanus I) 123-124, 134, 227
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INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Aldine I.93 239 Aldine I.105 239 Aldine I.121 239 Aldine I.139-149 235, 239 Aldine I.151 236 Aldine I.153 237 Aldine II.68 239 Aldine II.72 239 Aldine II.92 239 Aldine II.99 234 Aldine II.102 237 Aldine II.108 236 Aldine II.113 236 Aldine II.116 234 Aldine II.117 237 Aldine II.124 237 Aldine II.125 237 Aldine II.126-127 237 Aldine II.130 241 Aldine III.26 242 Aldine III.56 239 Aldine III.57 239 Aldine III.58 239 Aldine III.111 241 Aldine III.216 234 Aldine III.219 235 Aldine III.236 232 Aldine III.239-240 232-233 Aldine III.241-242 233 Aldine III.255 242 Aldine III.257 233 Aldine III.264bis 234 Aldine III.272 234 Aldine A.I.88 239 Aldine A.I.99-108 235 Aldine A.II.76 239 Aldine A.II.80 239 Aldine A.II.95 234 Aldine A.II.102 242 Aldine A.III.33 239 Aldine A.III.240 232 Aldine A.III.284-285 233
Aldine A.III.316 Aldine A.III.321 Aldine A.III.322 Aldine A.III.324 Aldine A.III.339 Aldine A.III.346 Inc. II.7 Inc. II.25 Inc. II.114 Inc. II.145 (olim II.292) Inc. II.259 Inc. II.294 Inc. II.343 Inc. IV.197 Inc. S.22-24 Inc. York 2-3 Membr. I.7-12 Membr. II.13 Membr. II.14 Membr. V.6 Membr. S.1-9 Membr. S.18-19 Prop. Fide IV.229 Prop. Fide IV.230 Prop. Fide IV.231 Prop. Fide IV.232 R. I II.64 R. I II. 999 R. I III.332 R. I III.333 R. I III.340-341 R. I IV.1625 R. I VI.241 R. I S.64 R.G. Bibbia III.624 R.G. Bibbia IV.436 R.G. Bibbia IV.607 R.G. Bibbia IV.608 R.G. Bibbia IV.616 R.G. Bibbia IV.618 R.G. Classici V.152 R.G. Classici V.2191 R.G. Miscell. A.39 R.G. Miscell. J.3
234 234 234 234 232 239 36 41 40 427 40 40 41 343 36 189 36 36 242 242 36 36 235 235 235 235 48 427 36 36 36 239 236 237 237 241 237 237 237 237 234 234 236 234
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INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA
R.G. Miscell. III.653 657 R.G. Miscell. III.675 657, 659 R.G. Storia IV.6253 394 R.G. Storia IV.16460 394 R.G. Vite II.232 236 Sala Cons. Mss., 219 (1-2) rosso 554 Sala Cons. Mss., 316 rosso 189 Sala Cons. Mss., 423 (1-6) rosso 554 Sala Cons. Mss., 449 (1) rosso 591 Sala Cons. Mss., 578 (1-6) rosso 555 Stamp. Arch. Cap. S. Pietro A.48 242 Stamp. Barb. A.VIII.4 237 Stamp. Barb. A.X.42 237 Stamp. Barb. V.VII.111 237 Stamp. Barb. V.VII.112 237 Stamp. Barb. Y.VIII.107 232 Stamp. Barb. Y.VIII.108 232 Stamp. Barb. Y.X.110 234 Stamp. Barb. Z.V.122 237 Stamp. Barb. BBB.III.11 338 Stamp. Barb. CCC.I.3 232 Stamp. Barb. CCC.I.14 233 Stamp. Barb. CCC.I.24 234 Stamp. Barb. CCC.I.33 232 Stamp. Barb. CCC.II.14 239 Stamp. Barb. CCC.II.23 239 Stamp. Barb. CCC.II.32 233 Stamp. Barb. CCC.III.24 236 Stamp. Barb. CCC.III.29 236 Stamp. Barb. CCC.III.51 239 Stamp. Barb. CCC.IV.6 239 Stamp. Barb. CCC.IV.25 239 Stamp. Barb. CCC.IV.40 236 Stamp. Barb. CCC.VI.9-13 235 Stamp. Cappon. IV.624 229, 238 Stamp. Cappon. V.523 239 Stamp. Chig. IV.96 237 Stamp. Chig. IV.666 239 Stamp. Chig. IV.1839 237 Stamp. De Luca IV.4001 234 Stamp. De Luca IV.5895 237
Stamp. De Luca IV.6239 Stamp. De Luca V.30444 Stamp. De Luca V.40077 Stamp. De Luca V.40082 Stamp. De Luca VI.2600 Stamp. De Luca VI.2624 Stamp. Ferr. IV.1559 Stamp. Ferr. IV.3995 Stamp. Ferr. IV.4038 Stamp. Ferr. V.3029 Stamp. Ferr. V.3038 Stamp. Ross. 634 Stamp. Ross. 2610 Stamp. Ross. 2899-2908 Stamp. Ross. 2994 Stamp. Ross. 2994bis Stamp. Ross. 3028 Stamp. Ross. 3838 Stamp. Ross. 4221 Stamp. Ross. 4306 Stamp. Ross. 4307 Stamp. Ross. 4526 Stamp. Ross. 4635 Stamp. Ross. 4776 Stamp. Ross. 4776bis Stamp. Ross. 5873 Stamp. Ross. 5985 Stamp. Ross. 6029 Stamp. Ross. 6123 Stamp. Ross. 6161 Stamp. Ross. 6443 Stamp. Ross. 6731 Stamp. Ross. 6736 Stamp. Ross. 6766-6767 Stamp. Ross. 7320
238 233 233 233 234 234 238 237 236 232 234 354 237 235 236 236 239 237 242 239 239 237 234 239 239 233 234 239 232 232 236 242 234 233 239
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale Magl. I.4.19 337 Milano, Biblioteca Ambrosiana S.P.II.12
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TIPOGRAFIA VATICANA
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