Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae [Vol. 20]
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MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE XX

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STUDI E TESTI ———————————— 484 ————————————

MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE XX

C I T T À D E L VAT I C A N O B I B L I O T E C A A P O S T O L I C A V AT I C A N A 2014

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Pubblicazione curata dalla Commissione per l’editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Marco Buonocore (Segretario) Eleonora Giampiccolo Timothy Janz Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni (Presidente) Delio V. Proverbio Adalbert Roth Paolo Vian

Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va

Stampato con il contributo dell’associazione American Friends of the Vatican Library

—————— Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2014 ISBN 978-88-210-0916-7

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SOMMARIO I. AURORA, Documenti originali di Clemente IV per le Clarisse di Mantova

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R. AVESANI, Un documento della cultura veronese nel Vat. lat. 3134: gli Epigrammata di Antonio da Legnago . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

47

M. BERNARDI, Gli elenchi bibliografici di Angelo Colocci: la lista A e l’Inventario Primo (Arch. Bibl. 15, pt. A) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

89

M. BERTRAM – G. DOLEZALEK, The Catalogue of Juridical Manuscripts in the Vatican Library: a Report on the Present State of an Uncompleted Project . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

155

D. BIANCONI, In margine al Vat. gr. 1. Una nota planudea . . . . . . . . . . . .

199

P. G. BORBONE, The Chaldean Business. The Beginnings of East Syriac Typography and the Profession of Faith of Patriarch Elias (Vat. ar. 83, ff. 117-126) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

211

M. BUONOCORE, L’interpretazione giocosa di una lapide scavata in Correggio di Giovanni Battista Dall’Olio (Autogr. Patetta 241, cart. 11, ff. 1-7v) .

259

F. CARBONI, Un glossarietto latino-romanesco di scuola pomponiana (Ott. lat. 251) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

275

G. CARDINALI, Le vicende vaticane del codice B della Bibbia dalle carte di Giovanni Mercati. I. La presenza negli inventari . . . . . . . . . . . . . . . .

331

S. CECCARELLI, Lorenzo Sinibaldi e l’Oratorio dei Santi Pietro e Paolo a Montefranco aggregato al Capitolo di San Pietro in Vaticano, opera di Carlo Marchionni (1702-1786) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

425

G. DINKOVA-BRUUN, Arca Noe diceris: a Previously Unknown Devotional Poem from Manuscript BAV, Vat. lat. 2867 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

473

F. LEPORE, Il Purgatorio ragionato di Francesco Longano (1729-1796). Storia ed edizione d’un trattato illuministico-massonico sulla purificazione ultraterrena (Vat. lat. 15366) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

493

R. LOKAJ, Falco Mantuanus de pictura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

577

E. MALASPINA – A. BORGNA – D. CASO – M. LUCCIANO – C. SENORE, I manoscritti del Lucullus di Cicerone in Vaticana: valore filologico e collocazione stemmatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

589

P. PIACENTINI, Augusto Valdo († 1527) e un Plinio appartenuto a Marcello Cervini (Inc. II. 145) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

621

S. PROSPERI VALENTI RODINÒ, Ghezzi e gli altri. Caricature di Salvator Rosa, Burrini, Mitelli, Maratti e Mola nei volumi di Pier Leone Ghezzi alla Biblioteca Apostolica Vaticana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

657

A. RITA, La versione latina di Cristoforo Persona del Contra Celsum di Origene nell’esemplare della Vaticana di Sisto IV . . . . . . . . . . . . . . .

679

R. S. STEFEC, Zwei fragmentarische Urkunden aus Vatikanischen Handschriften . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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SOMMARIO

M. VARVARO, Le ultime lettere del carteggio di Niebuhr e Mai (febbraio 1828 – gennaio 1829) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

707

P. VIAN, Per la storia del Virgilio Romano. Una lettera inedita di Angelo Battaglini a Marino Marini (gennaio 1816) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

739

P. VIAN, I fratelli Mercati e il mondo scientifico di lingua tedesca . . . . . .

771

Indice dei manoscritti e delle fonti archivistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

829

Indice degli esemplari a stampa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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ISABELLA AURORA

DOCUMENTI ORIGINALI DI CLEMENTE IV PER LE CLARISSE DI MANTOVA Il monastero di S. Francesco Il 9 luglio 1237 a Brescia alla presenza del vescovo Guala1, di alcuni frati dell’Ordine dei Predicatori, di Marco e dei magistri Nicola di Benevento e Nicola di S. Agata2, cappellani di Rainaldo da Ienne, cardinale vescovo di Ostia e Velletri3, e di Raimondo de Agalono di Mantova4, Zambonino di 1 Su Guala, vescovo dell’Ordine dei Predicatori cfr. C. VIOLANTE, La chiesa bresciana dall’inizio del secolo XIII al dominio veneto, in Storia di Brescia, I, Brescia 1963, pp. 1070, 10771078; G. ANDENNA, Guala, in Dizionario biografico degli italiani 60, Roma 2003, pp. 119-123; ID., I primi vescovi mendicanti, in Dal pulpito alla cattedra. I vescovi degli ordini mendicanti nel ’200 e nel primo ’300. Atti del XXVII convegno internazionale. Assisi, 14-16 ottobre 1999, Spoleto 2000 (Atti dei convegni della Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani, n.s. 10), pp. 59-73. Sulla carriera presso la curia romana e sulle delicate missioni che gli furono affidate in Italia settentrionale cfr. M. RAININI, Guala da Bergamo e la curia romana (1219-1230). Relazioni, incarichi e problemi di definizione, in Legati e delegati papali. Profili, ambiti d’azione e tipologie di intervento nei secoli XII-XIII, a cura di M. P. ALBERZONI – C. ZEY, Milano 2012, pp. 129-158. 2 Marco da Ferentino fu nominato il 23 agosto 1238 coadiutore del vescovo di Terracina; Nicola di Benevento è magister e cappellano cardinalizio e Nicola di S. Agata potrebbe identificarsi con quel Nicola magister e cappellano presente nel 1231 alla pubblicazione di una sentenza del vescovo di Ostia e Velletri; fanno tutti parte della familia cardinalizia di Rainaldo da Ienne. Cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia e familiae cardinalizie dal 1227 al 1254, Padova 1972 (Italia sacra, 18), I, pp. 57-58, nn. 16, 19, 21. 3 Rainaldo da Ienne cardinale vescovo di Ostia e Velletri, poi papa Alessandro IV, fu cardinale protettore dei Francescani e delle Clarisse; cfr. PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, pp. 41-53; R. MANSELLI, Alessandro IV, in Enciclopedia dei papi, II, Roma 2000, pp. 393-396. Si veda anche W. MALECZEK, Kardinalssiegel und andere Abbildungen von Kardinälen während des 13. Jahrhunderts, in Die Kardinäle des Mittelalters und der frühen Renaissance, a cura di J. DENDORFER – R. LÜTZELSCHWAB, con la collaborazione di J. NOWAK, Firenze 2013 (Millennio medievale, 95. Strumenti e studi, n.s. 33), pp. 229-264, in specie pp. 233, 260. In Eubel e in altra storiografia successiva è identificato come Rainaldo dei conti di Segni, cfr. C. EUBEL, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, sive summorum pontificum, S.R.E. cardinalium, ecclesiarum antistitum series, I: Ab anno 1198 usque ad annum 1431, Münster 19132, p. 34. 4 Raimondo de Agalono fu uomo molto vicino al vescovo di Mantova Pellizzario che nel luglio 1230 lo costituì suo vicario in temporalibus, e nel medesimo anno nel mese di giugno partecipò ad un arbitrato fra il vescovo e il monastero di S. Benedetto Polirone; cfr. C. CENCI, Le Clarisse a Mantova (sec. XIII-XIV) e il primo secolo dei frati minori, in Le Venezie France-

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ISABELLA AURORA

Rufino donò inter vivos nelle mani dello stesso Rainaldo legato apostolico, che riceveva per conto della Santa Sede5, tutti i beni, in parte ereditati e in parte acquisiti, in terre, case, boschi e pascoli posseduti nel territorio denominato Camposomario, affinché fosse edificata, in quello o in altro luogo della diocesi mantovana ritenuto idoneo, una casa per le pauperes mulieres ordinis S. Damiani de Assisio6. Fu infatti proprio durante la sua legazione, durata dal novembre 1236 all’ottobre 12377, che Rainaldo da Ienne si interessò alla fondazione mantovana e pose la prima pietra del monastero, come ricorda in un documento pontificio del 9 maggio 1257

scane. Rivista storico artistica letteraria illustrata 31 (1964), ma pubblicato nel 1967, pp. 3-92, in specie p. 5. Il 13 ottobre 1230 Raimondo fu accanto al vescovo Pellizzario con funzioni di sindaco e procuratore del vescovo e dell’episcopio in una vertenza che contrappose il vescovo al comune di Volta, cfr. P. TORELLI, L’archivio capitolare della cattedrale di Mantova fino alla caduta dei Bonacolsi, Mantova 1924, pp. 116-119, n. 89. Raimondo fu fra i testimoni del diploma con il quale il vescovo Giacomo il 5 luglio 1238 esentò il costruendo monastero clariano dalla giurisdizione dell’ordinario; cfr. Bullarium Franciscanum, I, a cura di G. SBARALEA – K. EUBEL, Roma 1759, pp. 331-332, n. 40. 5 La prassi di donare i terreni sui quali sarebbero sorti monasteri dell’Ordine di S. Damiano nelle mani del legato, che li riceveva a nome della Sede Apostolica, si era inaugurata con le donazioni fatte ad Ugolino d’Ostia dei terreni per edificare i monasteri di Monticelli a Firenze e di Monteluce a Perugia. Il legato infatti ottenne dal pontefice Onorio III l’autorizzazione a ricevere queste donazioni per la Chiesa di Roma e a creare monasteri direttamente sottoposti fin dalla fondazione alla Sede Apostolica. Questa decisione era finalizzata a garantire ai nascenti monasteri femminili la diretta dipendenza dalla Santa Sede al fine di ottenere un controllo migliore e diretto su queste nuove forme di vita religiosa; cfr. M. P. ALBERZONI, Papato e nuovi Ordini religiosi femminili, in Il papato duecentesco e gli ordini mendicanti. Atti del venticinquesimo convegno (Assisi, 13-14 febbraio 1998), Spoleto 1998 (Atti dei convegni della Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani, n.s. 8), pp. 207-261, in specie pp. 226-228. 6 Archivio di Stato di Milano, Pergamene per Fondi, Mantova S. Chiara, b. 224, n. 212. Edita in CENCI, Le Clarisse cit., pp. 43-45, n. 2. Zambonino si impegnò in seguito a riconfermare la sua donazione nel 1242, dopo la morte della moglie, e a fare in modo che il patrimonio donato alle monache venisse tutelato anche nei confronti delle eventuali pretese dei suoi eredi, cfr. ibid., pp. 9-10 e pp. 46-47, n. 4. I nipoti di Zambonino, figli del fratello Gabriele, vendettero in seguito alle monache alcuni terreni adiacenti al monastero nel momento in cui era badessa la loro sorella Gabriella, cfr. ibid., pp. 10-11. 7 Gregorio IX aveva affidato a Rainaldo e a Tommaso da Capua, cardinale prete di S. Sabina, l’incarico di mediare fra la Lombardia, la Marca Trevigiana, le Venezie e i rappresentanti di Milano con Federico II in modo da evitare una guerra, cfr. PARAVICI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, p. 51. Rainaldo giunse a Mantova nel giugno del 1237, cfr. G. BARONE, Rinaldo di Ostia, in Enciclopedia Federiciana, II, Roma 2006, pp. 559-560. Sul collegio cardinalizio in questo periodo si veda W. MALECZEK, Das Kardinalskollegium von der Mitte des 12. Jahrhunderts bis zur Mitte des 13. Jahrhunderts, in Pensiero e sperimentazioni istituzionali nella ‘Societas Christiana’ (1046-1250). Atti della sedicesima Settimana internazionale di studio, Mendola, 26-31 agosto 2004, a cura di G. ANDENNA, Milano 2007, pp. 237-263.

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DOCUMENTI DI CLEMENTE IV PER LE CLARISSE DI MANTOVA

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sottolineando forse la sua predilezione per questo monastero che aveva contribuito a far sorgere8. Il luogo donato da Zambonino non dovette rivelarsi idoneo per la costruzione del monastero. Da un documento dell’anno successivo infatti siamo a conoscenza che esso fu eretto nella zona del Teieto, nei pressi di un quartiere ancora oggi chiamato Migliarino, ubicato a sud a ridosso della città, dal quale prese la denominazione9. Il 5 luglio 1238 il piacentino Giacomo di Castell’Arquato, appartenente alla famiglia della Porta10, vescovo di Mantova, con un documento indirizzato a Zambonino, detto frater de vita poenitentium, concedeva la terra «Teheti super Dossum prope Meraretum» per la costruzione del monastero ad honorem beati Francisci de ordine pauperum inclusarum e lo esentava dall’autorità vescovile, riservandosi la benedizione della badessa e delle monache, la consacrazione della chiesa e degli altari e l’officiatura dei sacramenti in cambio del censo di una libbra di cera annua nella festa di S. Pietro ad agosto11. L’anno seguente, l’8 gennaio 1239, il legato pontificio Gregorio da Montelongo12, alla presenza del vescovo Giacomo, costituì il frater de poeni8 CENCI, Le Clarisse cit., p. 14. L’edizione del documento è in M. P. ALBERZONI, L’ordine di S. Damiano in Lombardia, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 49 (1995), pp. 1-41, in specie pp. 41-42, n. 3. 9 Le vicende costruttive del monastero e la sua storia architettonica sono delineate in A. CALZONA, I Francescani a Mantova. Le clarisse del Migliarino e il convento di San Francesco, in Storia della città. Rivista internazionale di storia urbana e territoriale 26/27 (1984), pp. 161176. 10 Il vescovo di Mantova Giacomo della Porta fu promosso cardinale e trasferito alla diocesi di Porto e S. Rufina nel 1251, cfr. EUBEL, Hierarcia Catholica cit., I, p. 325 che lo considera appartenente all’Ordine Cistercense. Il Volta nella sua storia di Mantova dice Giacomo della Porta originario di Castell’Arquato nel piacentino, canonico piacentino e nipote del cardinale di Preneste Giacomo da Pecorara; cfr. L. C. VOLTA, Compendio cronologico-critico della storia di Mantova dalla sua fondazione fino ai nostri tempi, I, Mantova 1807, p. 208; si vedano anche PARAVICI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, pp. 343-347; ALBERZONI, L’ordine di S. Damiano cit., p. 18, n. 91. 11 Il documento vescovile è conservato in originale nel fondo del monastero delle Clarisse, per esso si veda CENCI, Le Clarisse cit., p. 8, nt. 29. Esso è trascritto integralmente nella lettera pontificia del 7 maggio 1244 con cui Innocenzo IV conferma «abbatisse et sororibus inclusis Sancti Francisci Mantuanensis et Sancti Damiani» le esenzioni e le libertà concesse dal vescovo Giacomo; cfr. Bullarium Franciscanum cit., I, pp. 331-332, n. 40; P. 11374; È. BERGER, Les registres d’Innocent IV publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux du Vatican et de la Bibliothèque Nationale, I, Parigi 1884 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome), p. 114, n. 669; W. R. THOMSON, Checklist of papal letters relating to the Three Orders of St. Francis. – Innocent IIII – Alexander IV, in Archivum Franciscanum Historicum 64 (1971), pp. 367-580, in specie, p. 414, n. 625. 12 Gregorio da Montelongo si trovava a Mantova già nel dicembre dell’anno precedente quando aveva presieduto un processo inquisitorio del vescovo contro due persone tacciate di eresia; cfr. G. GARDONI, Governo della Chiesa e vita religiosa a Mantova nel secolo XIII, Verona

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ISABELLA AURORA

tentia Raimondo de Agalono, procuratore del monastero, conferendogli l’incarico di reggere e amministrare i beni delle monache e di ricevere sorores et confratres in ipsa domo secondo le possibilità di sostentamento della stessa13. Un gruppo di laici penitenti si fece quindi sostenitore e promotore del primo insediamento di Clarisse a Mantova e ne seguì i primi momenti di vita14: fondato e dotato da Zambonino, fu ulteriormente provvisto di beni 2008, p. 21. Egli era stato inviato come legato a latere in Lombardia nell’agosto 1238 per una legazione che univa finalità di carattere ecclesiastico a intenzioni meramente politiche. Il legato infatti per abilità diplomatica e organizzativa e acume politico svolse un ruolo di primaria importanza nella organizzazione della propaganda guelfa nell’Italia della prima metà del XIII secolo. Sull’operato di Gregorio cfr. J. C. MAIRE VIGUEUR, Religione e politica nella propaganda pontificia (Italia comunale, prima metà del XIII secolo), in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento. Relazioni tenute al Convegno internazionale organizzato dal Comitato di studi storici di Trieste, dall’École française de Rome e dal Dipartimento di storia dell’Università degli studi di Trieste, Trieste, 2-5 marzo 1993, a cura di P. CAMMAROSANO, Roma 1994 (Collection de l’École française de Roma, 201), pp. 63-85, in specie p. 75-80. Cfr. anche G. MARCHETTI LONGHI, Gregorio de Monte Longo legato apostolico in Lombardia (1238-1251), Roma 1965 (che riprende vari contributi già editi); M. P. ALBERZONI, Gregorio da Montelongo, in Dizionario biografico degli italiani 59, Roma 2002, pp. 268-275; EAD., Le armi del legato: Gregorio da Montelongo nello scontro tra Papato e Impero, in La propaganda politica nel basso Medioevo. Atti del XXXVIII convegno storico internazionale, Todi, 14-17 ottobre 2001, Spoleto 2002 (Centro italiano di studi sul basso medioevo – Accademia tudertina, 15), pp. 177-239. Sul significato di legato de latere e sulle sue funzioni cfr. R. C. FIGUEIRA, The classification of medieval papal legates in the “Liber Extra”, in Archivum historiae pontificiae 21 (1983), pp. 211228; A. TILATTI, Legati del papa e propaganda politica nel Duecento, in La propaganda politica nel basso Medioevo cit., pp. 145-175. 13 CENCI, Le Clarisse cit., pp. 45-46, n. 3; GARDONI, Governo della Chiesa cit., pp. 343-346, n. 5; ID., “Per notarios suos”. Vescovi e notai a Mantova tra XII e XIII secolo, in Archivio storico lombardo serie XII, 11 (2005-2006), pp. 149-192, in specie p. 191, n. 2 (entrambe con edizione anche della corrispondente imbreviatura). Si ribadisce così la volontà peculiare di Gregorio IX di conferire possedimenti a questi monasteri contrariamente all’ideale pauperistico di Chiara; cfr. R. RUSCONI, L’espansione del francescanesimo femminile nel secolo XIII, in Movimento religioso e francescanesimo nel secolo XIII, Assisi 1980 (Atti dei Convegni della Società internazionale di studi francescani, 7), pp. 286-289; M. BARTOLI, Chiara d’Assisi, Roma 1989 (Bibliotheca seraphico-capuccina, 37), pp. 103-128; G. CASAGRANDE, Le compagne di Chiara, in Chiara di Assisi. Atti del XX Convegno internazionale, Assisi, 15-17 ottobre 1992, Spoleto 1993 (Atti dei convegni della Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani, n.s. 3), pp. 383-425, in specie p. 400. 14 Sul movimento laico della penitenza molto è stato scritto in questi ultimi quarant’anni a cominciare dai classici studi di G. G. MEERSSEMAN, «Ordo fraternitatis». Confraternite e pietà dei laici nel medioevo, I, Roma 1977 (Italia sacra, 24), pp. 265-409. Cfr. anche G. CASAGRANDE, Il movimento penitenziale nel Medioevo, in Benedictina 27 (1980), pp. 695-709. Questi poenitentes, che il cardinale Ugolino aveva attivato nelle cittadine dell’Italia centro-settentrionale in cui aveva svolto la sua legazione, offrirono spesso sostegno al sorgere e al consolidarsi del movimento damianita ma anche all’incremento degli insediamenti minoritici, come accade ad esempio al monastero di S. Maria di Monticelli a Firenze assistito dal gruppo locale dei penitenti cfr. A. BENVENUTI, La fortuna del movimento damianita in Italia (sec. XIII): propo-

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da Vivaldo e amministrato da Raimondo15. I primi due, dopo la morte delle rispettive mogli, insieme ad altri penitenti benefattori delle Clarisse si organizzarono a vivere in vita comune nei pressi dello stesso monastero. L’1 luglio 1248 Vivaldo, appartenente alla nobile famiglia mantovana de Gambolinis16, e Nicola di Rainerio Malabiolca donarono alla badessa siti di un censimento da fare, in Chiara di Assisi cit., pp. 59-106, in specie pp. 65-66. Spesso questi fratres de poenitentia sono laici facoltosi che donano i terreni sui quali sorgono le case, provvedono all’acquisto di immobili e terre in favore del monastero o amministrano lasciti e donazioni; cfr. EAD., «In castro poenitentiae». Santità e società femminile nell’Italia medievale, Roma 1990 (Italia sacra, 45), pp. 17-49. 15 Zambonino de Rufino, ricco proprietario terriero, aveva donato i suoi beni in Camposomario quattordici anni prima, il 23 maggio 1223, ai canonici di S. Marco per la fondazione di un religiosus locus non altrimenti specificato. Il suo desiderio andò deserto e dopo molti anni con il propagarsi e il diffondersi del movimento penitenziale francescano egli dirottò la donazione verso la costruzione di un monastero di pauperes mulieres ordinis S. Damiani de Assisio; cfr. CENCI, Le Clarisse cit., pp. 42-43, n. 1. La congregazione canonicale di S. Marco era sorta all’origine come un’associazione di laici e chierici, uomini e donne che si dedicavano ad opere assistenziali e alla preghiera e aveva ricevuto l’approvazione pontificia da Innocenzo III nel 1207. Essa divenne poi centro di aggregazione per uomini e donne viventi nello stato della penitenza e sottomessi alla congregazione e insieme il punto di riferimento per un gruppo di laici devoti, anche coniugati, formato quasi sempre da esponenti di famiglie mantovane di spicco e con notevoli patrimoni economici, che vivevano nelle case vicino alla chiesa e si sottoponevano ad una medesima disciplina; cfr. M. MACCARRONE, Studi su Innocenzo III, Padova 1972 (Italia sacra, 17), pp. 291-297; G. GARDONI, «Pro fide et libertate Ecclesiae immolatus». Guidotto da Correggio vescovo di Mantova (1231-1235), in Il difficile mestiere di vescovo, Verona 2000 (Quaderni di storia religiosa, 7), pp. 131-187, in specie pp. 143-144; ID., Governo della chiesa cit., pp. 204-237. Si vedano anche G. CASAGRANDE, Religiosità penitenziale e città al tempo dei comuni, Roma 1995 (Bibliotheca seraphico-capuccina, 48), pp. 75-161; D. RANDO, «Laici religiosi», né laici, né religiosi, in EAD., Religione e politica nella Marca. Studi su Treviso e il suo territorio nei secoli XI-XV, Verona 1996, pp. 29-76. Zambonino e Vivaldo con ogni probabilità appartenevano a quel gruppo di laici devoti che ruotava intorno alla religio di S. Marco senza abbandonare lo status laicale, almeno fino alla morte delle rispettive mogli, benché a quel punto graviteranno ormai nell’orbita francescana; cfr. infra. Su questi penitenti stretti intorno ai canonici di S. Marco di Mantova cfr. A. RIGON, Penitenti e laici devoti fra mondo monastico-canonicale e ordini mendicanti: qualche esempio in area veneta e mantovana, in Ricerche di storia sociale e religiosa, n.s. 17-18 (1980), pp. 51-73, in specie pp. 55- 59 e 67-71; R. BRUNELLI, Diocesi di Mantova, Brescia 1986 (Storia religiosa della Lombardia, 8), p. 46; GARDONI, Governo della chiesa cit., pp. 238-263. 16 Vivaldo della nobile e ricca famiglia mantovana de Gambolinis possedeva un gran numero di terre in località Romanore e molti feudi vescovili in Isola di Revere. Il vescovo di Mantova infatti aveva cospicue proprietà lungo il fiume Po e la zona chiamata nelle fonti Insula Reveris, terreni che erano tenuti in feudo dai membri delle più potenti ed illustri famiglie della città e del contado. Il territorio di Insula Reveris è menzionato fra le proprietà del vescovo di Mantova nel diploma di Corrado II del 31 marzo 1037 (cfr. Liber privilegiorum comunis Mantue, a cura di R. NAVARRINI, Mantova 1988, pp. 360-363, n. 116, in specie p. 362; Monumenta Germaniae Historica, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, IV: Conradi II. Diplomata, a cura di H. BRESSLAU, Hannover – Leipzig 1909, pp. 319-322, n. 235), e in quello di Federico I del 21 febbraio 1160 che conferma al vescovo di Mantova, ricordando

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Illuminata pro remedio animarum et pro elemosina una terra con una casa ubicata nei pressi del monastero a condizione che entrambi, insieme a Zambonino de Rufino e a frate Giovanni di Alberto da Bagnolo, potessero abitare nella casa; inoltre assoggettarono se stessi e i loro servienti al visitatore o alla badessa. La donazione avvenne nel parlatorio del monastero alla presenza di frate Bonaventura d’Iseo, visitatore dello stesso monastero17. La scelta di Vivaldo e la sua frequentazione del monastero indirizzarono la vocazione delle due figlie, poiché esse divennero monache a S. Francesco, come si legge in una donazione del 19 agosto 1257, stilata poco dopo l’entrata in monastero delle figlie, e in un codicillo testamentario del 22 febbraio 126518. Il monastero S. Francisci de Teieto eretto durante il pontificato di Gregorio IX si aggiunse in questo periodo agli altri insediamenti damianiti di nuova fondazione nella marca Trevigiana, poi di S. Antonio, come quelli di Treviso, Venezia, Vicenza e Bressanone, implementando il numero dei monasteri damianiti che era elevato soprattutto nelle regioni centrali, luo-

quanto già concesso dalla contessa Matilde, beni e diritti elencandoli (cfr. Liber privilegiorum cit., pp. 357-360, n. 115, in specie p. 358; TORELLI, L’archivio capitolare cit., pp. 37-40, n. 24; Monumenta Germaniae Historica, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, X/II: Friderici I. Diplomata inde ab a. MCLVIII usque ad a. MCLXVII, a cura di H. APPELT, Hannover 1979, pp. 126-128, n. 309). Nella località Romanore Vivaldo aveva costruito una chiesa dedicata a S. Maria, nella quale si era riservato il diritto di patronato fino alla morte, affidata ad una comunità di canonici sotto la regola di s. Agostino, per i quali aveva elencato regole ben precise enunciate in un atto del 24 marzo 1250; il documento è parzialmente edito in CENCI, Le Clarisse cit., pp. 52-54, n. 9. La comunità, a causa di miseria e desolazione, fu unita nel 1286 alle Clarisse del Teieto; cfr. ibid., pp. 23-26, e pp. 58-60, nn. 12-13. Nella località Isola di Revere Vivaldo aveva cominciato nel 1245 la costruzione di una chiesa che in un primo momento era stata interrotta dal vescovo, ma in seguito portata a termine. Infatti benché non disponiamo di notizie dirette sul seguente coinvolgimento di Vivaldo nell’edificazione della chiesa e del convento dei Minori di S. Giovanni in Isola di Revere tuttavia quanto egli dispone nel suo testamento sembra denunciare una preoccupazione ed una protezione speciale nei confronti del convento posto sull’Isola di Revere, cfr. ibid., pp. 18-19. 17 Vivaldo stabilì inoltre che se qualcuno dei quattro confratelli fosse morto o avesse deciso di lasciare il luogo, questi avrebbe potuto essere sostituito con un’altra persona, purché non fosse mai superato il numero di quattro, e che nessuno di coloro che abitavano la domus avrebbe potuto avanzare alcun diritto sulla casa e la terra; cfr. CENCI, Le Clarisse cit., pp. 5051, n. 7. Anche in questo caso si tratta di una piccola comunità elitaria, infatti i Ruffino, i Gambolini e i de Bagnolo sono fra le più note famiglie vescovili mantovane. Su Bonaventura d’Iseo cfr. C. VASOLI, Bonaventura d’Iseo, in Dizionario biografico degli italiani 11, Roma 1969, pp. 635-637; A. CALUFETTI, Bonaventura d’Iseo, Ofm, in Studi Francescani 96 (1999), pp. 275285. 18 Prima della decisione delle figlie di monacarsi Vivaldo aveva stilato un testamento in cui aveva disposto il lascito di tutti i suoi beni, fatta eccezione di alcune terre che lasciava alle figlie, al monastero di S. Francesco ad alcune condizioni; cfr. CENCI, Le Clarisse cit., pp. 20-23.

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ghi fertili per lo sviluppo di realtà ispirate alla religiosità francescana19. Il proliferare di diverse esperienze, sganciate dal monachesimo tradizionale, in cui si indirizzava il fervore spirituale e religioso tipico del mondo urbano del XIII secolo, quali le numerose aggregazioni religiose femminili, denominate a vario titolo, che cercavano di soddisfare la pressante domanda di partecipazione alla vita religiosa da parte delle donne20, furono spesso convogliate verso questi loca sororum damianiti che assorbirono in parte il movimento laico della penitenza femminile21. Rainaldo da Ienne quindi aveva ricevuto a nome della Sede Apostolica la donazione di un terreno destinato alla fondazione del monastero, così 19

Sull’operato di Ugolino d’Ostia da cardinale e poi da pontefice si vedano fra i tanti: RUL’espansione del francescanesimo cit., pp. 285-289; M. P. ALBERZONI, Chiara e il papato, Milano 1995, pp. 63-96; EAD., Papato e nuovi Ordini religiosi femminili cit., pp. 224-255; B. ROEST, Order and disorder. The poor Clares between foundation and reform, Leiden 2013, pp. 11-21. Note sulla biografia e la carriera di Ugolino sono in W. MALECZEK, Papst und Kardinalskolleg von 1191 bis 1216. Die Kardinäle unter Coelestin III. und Innocenz III., Wien 1984 (Publikationen des Historischen Instituts beim Österreichischen Kulturinstitut in Rom, I, 6), pp. 126-133. 20 All’interno di una bibliografia corposa in proposito, si vedano come punti di partenza H. GRUNDMANN, Movimenti religiosi nel Medioevo. Ricerche sui nessi storici tra l’eresia, gli Ordini mendicanti e il movimento religioso femminile nel XII e XIII secolo e sui presupposti storici della mistica tedesca, Bologna 19802, pp. 169-293; M. SENSI, Incarcerate e recluse in Umbria nei secoli XIII e XIV: un bizzocaggio centro-italiano, in Il movimento religioso femminile in Umbria nei secoli XIII-XIV. Atti del convegno internazionale di studio nell’ambito delle celebrazioni per l’VIII centenario della nascita di S. Francesco d’Assisi (Città di Castello, 27-29 ottobre 1892), a cura di R. RUSCONI, Firenze – Perugia 1984 (Quaderni del Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici nell’Università di Perugia, 12), pp. 85-121; R. RUSCONI, L’espansione del francescanesimo femminile nel secolo XIII, in Movimento religioso e francescanesimo nel secolo XIII. Atti del VII convegno internazionale, Assisi, 11-13 ottobre 1979, Assisi 1980 (Atti dei Convegni della Società internazionale di studi francescani, 7), pp. 265-313; L. PELLEGRINI, Le donne negli Ordini religiosi dei secoli XII e XIII, in Chiara e il secondo Ordine. Il fenomeno francescano femminile nel Salento. Atti del convegno di studi in occasione dell’VIII centenario della nascita di S. Chiara, Nardò, 12-13 novembre 1993, a cura di G. ANDENNA – B. VETERE, Galatina 1997, pp. 9-22; BENVENUTI, «In castro poenitentiae» cit. 21 Cfr. BENVENUTI, La fortuna del movimento damianita cit., pp. 72-82. Per l’analisi della molteplicità delle denominazioni utilizzate per indicare la medesima realtà di donne che avevano compiuto una scelta di carattere penitenziale e/o avevano deciso di seguire l’esperienza di Chiara o che comunque, ispirandosi a Francesco e all’ideale della povertà assoluta, rifiutarono la clausura che Gregorio IX e i pontefici successivi cercarono di applicare rigidamente, e per le considerazioni sugli esordi del francescanesimo femminile cfr. M. P. ALBERZONI, Sorores minores e autorità ecclesiastica fino al pontificato di Urbano IV, in Chiara e la diffusione delle Clarisse nel secolo XIII. Atti del Convegno di studi in occasione dell’VIII centenario della nascita di santa Chiara, Manduria, 14-15 dicembre 1994, a cura di G. ANDENNA – B. VETERE, Galatina 1998, pp. 165-194. Sulla variegata composizione delle Damianite si veda EAD., L’ordine di San Damiano cit. Si veda anche G. MICCOLI, Chiesa, riforma, vangelo, povertà: un nodo nella storia religiosa del XII secolo, in ID., Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Torino 1991, pp. 3-32. SCONI,

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come altre volte era accaduto a Ugolino d’Ostia durante le sue legazioni, e infatti la fondazione del monastero mantovano si inserì perfettamente nella scia delle fondazioni ugoliniane. Anche le modalità di esenzione vescovile, con l’assenso concesso dal capitolo, rinviano al formulario utilizzato in caso di fondazione di un monastero che godeva di esenzione episcopale22. Egli fu il primo promotore dell’Ordine di S. Damiano e profuse il suo impegno nella regolamentazione delle forme di vita religiosa femminile23. La tradizione storiografica, accolta come probabile dal Wadding, vuole che s. Agnese, sorella di Chiara, fosse stata mandata nel monastero mantovano24, ma non si hanno testimonianze attendibili, benché Mariano da Firenze racconti che molte suore furono inviate in diversi monasteri «et maximo ad quello de Arcello fora Padua et ad quello di Mantova»25. Se accettiamo per veritiera la testimonianza quattrocentesca potremmo riconoscere nella badessa Illuminata nelle cui mani Zambonino rinnova la donazione dei suoi beni il 17 maggio 1242, in presenza del procuratore del monastero, di sei frati dell’Ordine dei Minori e di un serviente, una delle sorelle venute dal monastero madre di Assisi26. 22 Donazione dei beni ricevuti in dotazione nelle mani del cardinale che li accoglieva a nome della Chiesa di Roma ed esenzione dall’ordinario erano infatti le caratteristiche dei monasteri ugoliniani. Il formulario fu fatto inserire dal legato nei suoi registri, cfr. G. LEVI, Registri dei cardinali Ugolino d’Ostia e Ottaviano degli Ubaldini, Roma 1890 (Fonti per la storia d’Italia, 8), pp. 153-154, n. 125. L’esenzione vescovile costituiva una peculiarità dei monasteri denominati dell’Ordine di S. Damiano e molti vescovi effettuarono donazioni in favore dei nuovi monasteri sottoscrivendo documenti fra loro molto simili; cfr. le considerazioni a riguardo ed un elenco di atti emessi per i monasteri delle regioni padane in ALBERZONI, L’ordine di S. Damiano cit., pp. 17-21. La donazione dei beni alla Santa Sede salvaguardava da una parte il principio pauperistico di ispirazione delle religiose e dall’altro le rendeva dipendenti direttamente dalla Chiesa di Roma. Si veda in proposito a titolo di esempio EAD., Papato e nuovi ordini religiosi femminili cit., pp. 227-228. 23 Cfr. M. P. ALBERZONI, Servus vestrum et ancillarum Christi omnium. Gregorio IX e la vita religiosa femminile, in Franciscan Studies 64 (2006), pp. 145-178. Vedi anche W. MALECZEK, Papst und Kardinalskolleg cit., pp. 126-133. 24 I. DONESMONDI, Dell’istoria ecclesiastica di Mantova, Mantova 1612-1616, parte I, p. 281; L. WADDING, Annales minores seu trium ordinum a S. Francisco institutorum, 3 ed. a cura di J. M. FONSECA AB EBORA, Firenze 1931, III, p. 18. 25 MARIANO DA FIRENZE, Libro della degnità et excellentie del ordine della seraphica madre delle povere donne Sancta Chiara da Asisi, a cura di G. BOCCALI, Firenze 1986 (Biblioteca di studi francescani, 18), n. 51, 62-63. Le notizie desunte dalla tradizione storiografica francescana andrebbero in molti casi verificate criticamente, poiché esse appartengono solitamente ad un periodo storico, fra il XVI e il XVII secolo, in cui si cercava di ricollegare le origini di ogni fondazione francescana direttamente a Chiara o alle sue prime compagne. Di certo le compagne di Chiara furono presenti in molti monasteri, ma spesso in momenti successivi alla loro fondazione; cfr. le osservazioni a riguardo in RUSCONI, L’espansione del francescanesimo cit., pp. 267-268, pp. 274-277. 26 CENCI, Le Clarisse cit., pp. 46-47, n. 4.

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La comunità mantovana svolse poi un ruolo di centro propulsore, determinante a quanto pare nell’origine o forse nella riforma delle damianite di Ferrara nel 125727. La documentazione pontificia del XIII secolo Del 7 maggio 1244 è il primo documento pontificio per le Clarisse di Mantova. Innocenzo IV con privilegio «Religionis vestre meretur» confermava al monastero la terra del Teieto concessa dal vescovo per erigere il monastero e l’esenzione dall’ordinario28 e il 15 maggio emetteva un altro documento in cui ratificava la dotazione fatta da Zambonino dei suoi possedimenti in Camposomario29. La cancelleria di Innocenzo IV produsse altri sei documenti per il monastero di S. Francesco con i quali il papa si preoccupò di far fronte alle esigenze della nuova fondazione30. Il 18 ottobre 1246 egli affidava la cura delle monache al generale e al provinciale dei frati Minori di Mantova e il mese seguente, l’11 novembre, concedeva l’indulgenza a coloro che avrebbero sostenuto con elemosine le monache31. 27 C. ROMERI, Le Clarisse nel territorio della minoritica provincia veneta. Collana di notizie, in Le Venezie Francescane 20 (1953), pp. 7-143, in specie p. 23. Così come dalle Clarisse di Mantova, anche se probabilmente non dal monastero di S. Francesco, partirono le monache per riformare il monastero di Treviso, cfr. G. RANUCCI, Il monastero di Santa Chiara in Treviso. Memorie storiche, in Le Venezie francescane 29 (1962), pp. 26-54. A Mantova sorse più tardi anche il monastero di Clarisse del Corpo di Cristo detto di S. Paolo, fondato nel 1420 da Paola Malatesta moglie di Giovanni Francesco Gonzaga marchese di Mantova, la cui badessa Elisabetta chiese a Giovanni da Capestrano di spiegare alle monache la prima regola di s. Chiara, cfr. D. VAN ADRICHEM, Explicatio primae regulae S. Clarae auctore S. Iohanne Capistranensi (1445), in Archivum Franciscanum Historicum 22 (1929), pp. 336-357. Cfr. anche M. SENSI, Un regolamento di vita per il monastero di S. Chiara di Pesaro (sec. XV), in Revirescunt chartae codices documenta textus. Miscellanea in honorem fratris Caesaris Censi OFM, a cura di A. CACIOTTI – P. SELLA, Roma 2002, II, pp. 1184-1208, in specie p. 1184-1186. Sulla storia successiva dei monasteri di S. Francesco e del Corpo di Cristo cfr. CENCI, Le Clarisse cit., pp. 27-42. 28 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 8, n. 46; cfr. Bullarium Franciscanum cit. I, pp. 331-332, n. 40; A. POTTHAST, Regesta Pontificum Romanorum inde ab anno post Christum natum 1198 ad annum 1304, 2 voll., Berolini 1874-18751 ( d’ora in poi P.), 11374; BERGER, Les registres d’Innocent IV cit., I, p. 114, n. 669; THOMSON, Checklist cit., p. 414, n. 625. Il documento è anche in WADDING, Annales minores cit., III, pp. 487-488, n. 13. 29 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 8, n. 28. 30 L’archivio del monastero conserva anche altri documenti pontifici di Gregorio IX e di Innocenzo IV che riguardano l’Ordine in generale; si veda CENCI, Le Clarisse cit., p. 12, nt. 45. 31 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 9, n. 26 (ed. parziale in CENCI, Le Clarisse cit., pp. 48-49, n. 6), e n. 27. Con lettera «Quoties cordis oculos» del 14 dicembre 1227 Gregorio IX aveva affidato la cura dei monasteri pauperes moniales inclusae al ministro generale dell’Ordine dei frati Minori, benché questa disposizione valesse per i monasteri ugoliniani, cfr. Bullarium Franciscanum cit., I, pp. 36-37, n. 16; THOMSON, Checklist cit., p. 383, n. 58 che corregge la datazione. Riguardo l’evolversi delle relazioni fra ordini mendicanti e comunità

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Il 13 aprile 1250 le esentava dal pagamento di qualsiasi provvisione e il 26 seguente concedeva loro di ricevere l’ammontare del denaro necessario per il pellegrinaggio a Roma o a Compostella da parte di coloro che, appartenenti alla città e alla diocesi di Mantova, pur avendo emesso voto non potevano per vecchiaia, malattia o povertà affrontare il viaggio32. Il 9 maggio 1250 la cancelleria confezionava il privilegio «Religiosam vitam eligentibus» di conferma dei possedimenti del monastero e delle concessioni ricevute, che recava inserto ancora una volta il privilegio vescovile di esenzione33. Anche Rainaldo da Ienne una volta divenuto pontefice con il nome di Alessandro IV non si dimenticò della comunità mantovana alla cui costituzione e fondazione aveva presieduto ed emanò sei documenti. Il 31 luglio 1255 esentava le monache dal pagamento di dazi e collette; l’8 agosto confermava la dotazione di Zambonino e le immetteva nel diretto possesso dei beni, affidando loro la gestione degli stessi34. Con lettera del 9 maggio 1257 chiedeva al podestà e al comune di Mantova di non imporre oneri al monastero e di difenderlo da eventuali usurpatori. Il successivo 22 giugno concedeva l’indulgenza a coloro che avrebbero visitato la chiesa, il 5 agosto dava alle monache la possibilità di essere assolte dalla scomunica dal loro cappellano; e il 26 settembre dell’anno seguente proibiva a chiunque di colpire le monache con pene ecclesiastiche35. Clemente IV emise sei documenti ribadendo quanto i suoi predecessori avevano già disposto per il monastero di S. Francesco. Nel giro di pochi giorni la cancelleria inviò quattro documenti. I primi due sono datati 21 maggio 1266 e rinnovano atti già concessi da Alessandro IV. Con il primo «Cum a nobis petitur» il pontefice ricordava la donazione fatta da Zambonino e confermava quanto stabilito da Alessandro IV, trasferiva cioè alla badessa e alla comunità monastica la proprietà dei beni e il diritto di successione nelle proprietà: «possesiones easdem vobis et per vos eis qui femminili sorrette dall’azione del papato si veda ancora GRUNDMANN, Movimenti religiosi cit., pp. 193-293. 32 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 9a, nn. 9-10. Sempre del 26 aprile è un altro documento che permetteva ai parenti delle monache di assistere alle funzioni in tempo di interdetto nella chiesa del monastero, ibid., scat. 9a, n. 11. I documenti citati sono inediti, ma illustrati in CENCI, Le Clarisse cit., pp. 11-13. 33 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 9a, n. 12, ed. parziale in CENCI, Le Clarisse cit., pp. 54-56, n. 10. 34 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 12, nn. 20, 23 (originale; ibid., Pergamene per Fondi, Mantova S. Chiara, b. 226, n. 479, copia). 35 Ibid., Bolle e brevi, scat. 13, nn. 29 (edita in ALBERZONI, L’ordine di S. Damiano cit., pp. 41-42, n. 3), 31, 34, 38. I documenti sono sommariamente descritti in CENCI, Le Clarisse cit., pp. 13-14.

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vobis successerint auctoritate apostolica conferimus et donamus», rinnovando anche in questo caso un atto di Alessandro IV identico per incipit e tenore. Con il secondo «Cum dilectas in Christo» si rivolgeva al podestà e al comune di Mantova e li esortava a non gravare il monastero con oneri di alcun tipo, riproponendo un testo per incipit e tenore identico a quello emesso dal suo predecessore dieci anni prima36. Qualche giorno più tardi, il 25 maggio, esentava il monastero dal pagamento di qualsiasi genere di tassa su animali, biada, vino, lana, sale e tutto quanto era necessario alla comunità, facendo riferimento ad un provvedimento simile preso da Innocenzo IV37. Nel gruppo di documenti dei quali le religiose chiesero il rinnovo c’era anche l’antico documento di Innocenzo IV del 15 maggio 1244 che aveva per primo ratificato l’originaria donazione della dote del monastero. Subito dopo il 28 maggio con la lettera «Iustis petentium desideriis» Clemente IV confermava infatti la donazione fatta da Zambonino a Rainaldo da Ienne rinnovando il documento di Innocenzo IV ripreso per incipit e tenore38. L’11 giugno seguente Clemente IV con privilegio «Religiosam vitam eligentibus» confermava alle monache tutti i loro possedimenti, inserendo il testo del documento di esenzione del vescovo Giacomo39. Anche questo atto costituiva un rinnovo del privilegio di Innocenzo IV del 9 maggio 125040. L’ultimo documento originale tramandato è del 15 ottobre 1268. Con esso il pontefice interviene per fare osservare una sentenza emessa in favore delle monache contro il monastero di S. Maria di Portoregenzo41. L’archivio del monastero conserva anche tre documenti di Gregorio X. Il 5 agosto 1272 la cancelleria emise due documenti, uno è l’autorizzazione a costruire un mulino, l’altro l’ordine inviato a Pietrino de Saviola canonico di Mantova42 affinché faccia rispettare la sentenza emessa quat36

Biblioteca Apostolica Vaticana, Raccolta Patetta, b. 218, Papi, f. 1; Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, n. 38. Vedi Appendice, nn. 1-2. 37 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15. n. 39. Vedi Appendice, n. 3. 38 Ibid., scat. 15, n. 40. Vedi Appendice, n. 4. 39 Siamo a conoscenza del documento pontificio da una copia che è stata parzialmente pubblicata in Le Venezie Francescane 3, 1 (1934), pp. 51-52. 40 Cfr. supra nt. 33. 41 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, n. 50. Vedi Appendice, n. 5. 42 Pietrino de Saviola apparteneva ad una famiglia legata all’episcopio e insieme inserita nel governo del comune cittadino. È attestato fra i canonici della cattedrale di Mantova nel 1259 quando riceve la prebenda di S. Cassiano; cfr. TORELLI, L’archivio capitolare cit., pp. 221-222, n. 153. A lui fu affidata la composizione di alcune controversie in Mantova, infatti nel 1276 presiedeva un compromesso al termine di una controversia fra il monastero di S. Andrea e alcuni esponenti della famiglia Malvezzi, cfr. U. NICOLINI, L’archivio del monastero di S. Andrea di Mantova fino alla caduta dei Bonacolsi, Mantova 1959, pp. 239-249, nn. 222-226; P. TORELLI, Per un codice diplomatico mantovano, in Atti e memorie della reale Accademia vir-

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tro anni prima a favore delle monache contro il monastero di S. Maria di Portoregenzo. Il documento attesta quindi la continuità delle tensioni fra le Clarisse e il monastero di S. Maria sulla proprietà di alcuni beni, e trasmette il nome di Pietrino de Saviola, un uomo vicino alla curia pontificia. Il 23 agosto successivo il pontefice chiedeva al comune di Mantova di impedire a Brandano conte di Casaloldo e a suo figlio di molestare le monache in alcuni possedimenti che la monaca Chiara aveva portato al monastero al momento della sua professione di fede43. I documenti di Clemente IV Tra le pergamene collezionate da Federico Patetta è compreso un documento di Clemente IV indirizzato al monastero di S. Francesco, oggi di S. Chiara, di Mantova. La pergamena è ora conservata alla Biblioteca Vaticana, insieme a gran parte del materiale dello storico piemontese donato alla Biblioteca alla sua morte, ed è stata rinvenuta in un armadio in cui è custodita una parte della raccolta Pergamene Patetta non ancora inventariata e composta per la maggior parte da documenti che partono dal Cinquecento. Suppongo che essa non dovesse in origine far parte di quell’insieme di pergamene pensato dal collezionista come una serie della più ampia raccolta da lui denominata «Autografi e documenti raccolti da giliana di Mantova, n.s. 14-16 (1921-1923), pp. 167-221, in specie p. 204. A Pietrino de Saviola insieme ad altri con atto del 19 agosto 1278 Niccolò III affidò l’assoluzione dalla scomunica di alcuni Mantovani, cfr. M. J. GAY, Les registres de Nicolas III (1277-1280). Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux des Archives du Vatican, Parigi 1898-1932, p. 44, n. 134. Il 5 maggio 1291 Niccolò IV affidava a Pietrino de Saviola, suo cappellano e canonico di Mantova, l’incarico di citare preso la Santa Sede Pagano dell’Ordine dei Predicatori inquisitore in Lombardia e il suo vicario Viviano di Verona del medesimo Ordine che vessavano Bonaiunca di Mantova dell’Ordine dei Minori inquisitore nella marca Trevigiana; cfr. P. 23656; Bullarium Franciscanum cit., IV, Roma 1768, pp. 246-247, n. 459, cfr. anche ibid. pp. 289-290, n. 545; E. LANGLOIS, Les registres de Nicolas IV. Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux des Archives du Vatican, II, Parigi 1809-1893, pp. 721-723, n. 5179. Pietrino aveva agito nel 1278-1279 in qualità di vicario del preposito del capitolo di Mantova in alcuni documenti di refuta (TORELLI, L’archivio capitolare cit., pp. 280-282, n. 195-196); negli anni 1284-1286 come vicario del capitolo in nome delle chiese di S. Alessandro e di S. Egidio di Mantova (ibid., pp. 294-296, nn. 206-207; pp. 307-308, n. 217); e ancora nel 1285, nel 1288 e nel 1290-1291 come vicario del capitolo in atti di investitura (ibid., pp. 303-304, n. 214; pp. 318-319, n. 225; pp. 326-327, n. 233; pp. 329-330, n. 236). Pietrino de Saviola infatti fu uno dei vicari che ressero la diocesi di Mantova nel lungo periodo in cui essa rimase priva del suo vescovo Filippo di Casaloldo, bandito nel luglio 1272 da Pinamonte Bonacolsi, cfr. G. ANDENNA, Casaloldo, Filippo di, in Dizionario biografico degli italiani 21, Roma 1978, pp. 138-139. Il 26 gennaio 1292 egli stese un codicillo testamentario in favore della cattedrale mantovana, cfr. TORELLI, L’archivio capitolare cit., pp. 331-332, n. 238. 43 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, nn. 53-55.

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Federico Patetta», ma di un’altra serie della medesima raccolta intitolata «Papi»44. Federico Patetta acquistò il documento da Giovanni Larghi di Torino, poiché sul recto della pergamena in alto a destra è incollato un talloncino arancio, simile a quelli posti su molti altri documenti di proprietà di Patetta, che recita: Collezione di autografi e manoscritti di proprietà del dr. Giovanni Larghi, Torino, n. 85045. Il ritrovamento quindi di questo documento ha costituito la spinta a riconsiderare nel loro complesso anche gli altri atti emessi per il monastero dal pontefice. Si è pensato pertanto di analizzarli in relazione agli aspetti diplomatici e storici e di proporne l’edizione46. I documenti, sei in totale di cui uno in copia, riprendono, ad eccezione dell’ultimo, per incipit e tenore atti emessi in favore del monastero da Innocenzo IV e Alessandro IV. Furono quindi richiesti dalle stesse monache affinché il nuovo pontefice riconfermasse quanto già avevano disposto i 44

Federico Patetta aveva riunito tutto il materiale collezionato in una grande raccolta dal titolo «Autografi e documenti». Essa era composta da carte sciolte, da fascicoli e da archivi che lo studioso aveva acquisito, quali, per fare solo due esempi, l’Archivio Daugnon e l’Archivio Calori-Cesi. Tutto questo materiale era stato suddiviso in più serie, ad esempio l’insieme degli autografi costituiva la serie denominata «Scrittori». La raccolta entrò in Biblioteca senza essere accompagnata da un elenco di consistenza, inoltre l’archivio della Biblioteca non possiede documenti che possano rivelarci la originaria organizzazione del materiale. In Biblioteca si procedette ad un riordino del materiale, si mantennero alcune delle serie originali, si crearono serie nuove composte estrapolando i documenti da serie già esistenti, come accade per l’attuale serie Autografi e documenti; inoltre molte unità archivistiche vennero distratte dalla loro sede originaria per creare alcuni volumi di Manoscritti Patetta. Il documento di Clemente IV è stato attualmente collocato nella serie denominata «Papi». 45 Presumo che Patetta avesse acquistato una larga parte della collezione di Giovanni Larghi, poiché la Biblioteca possiede due registri di entrata denominati «Elenco dei documenti contenuti nella collezione di autografi del Sig. avvocato Larghi Giovanni» in cui nella prima colonna sono incollati in sequenza numerica i talloncini arancio gemelli di quelli posti sui documenti originali, nella seconda è scritto uno stringato sunto del documento e nella terza la data, cfr. Biblioteca Apostolica Vaticana, Dipartimento manoscritti, Sezione Archivi, s. n. Nel Registro II a f. 6v è annotato il documento di Clemente IV posseduto dalla Biblioteca. 46 Sono grata a Francesco Muscolino per avermi aiutata nel reperimento dei documenti presso l’Archivio di Stato di Milano e per avermi fornito una accurata documentazione fotografica degli stessi. Non mi è stato purtroppo possibile visionare di persona gli originali per motivi di ufficio. Questi documenti sono già conosciuti per la notizia in CENCI, Le Clarisse, che però non propone l’edizione critica. Inoltre vorrei precisare che non intendo ridisegnare in modo più approfondito, rispetto a quanto delineato da Cenci nel suo lavoro, la storia del monastero mantovano, ma esaminare solo i documenti di Clemente IV in relazione alla documentazione pontificia precedente e a ciò che da essi è possibile desumere. Le implicazioni che questi documenti avranno avuto nella vita del monastero saranno certamente meglio definibili alla luce dell’esame di quella cospicua parte dell’archivio monastico che è ancora inedito e che in questa sede non ho preso in considerazione.

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suoi predecessori e infatti, ad eccezione di uno, sono stati emessi tutti insieme nel giro di un mese fra maggio e giugno del 1266. Con ogni probabilità le monache avevano inviato a Roma i documenti originali dei precedenti pontefici, poiché nei registri pontifici non si ha traccia degli atti precedenti, e li avevano affidati ad un procuratore di curia Bonaspes di Assisi che si era adoperato per il rinnovo degli stessi. Le monache conservavano nel loro archivio un numero maggiore di documenti di Innocenzo IV e Alessandro IV, alcuni indirizzati direttamente a esse, altri che riguardavano più in generale l’Ordine al quale appartenevano, tuttavia chiesero il rinnovo solo di questi cinque atti. La scelta caduta su questi documenti non sarà stata casuale, ma rifletteva probabilmente una situazione di emergenza e disagio. Se guardiamo all’insieme dei documenti pontifici di proprietà dell’archivio del monastero (o almeno a quelli giunti fino a noi) notiamo che i cinque atti rinnovati rappresentano la totalità dei documenti che tutelavano il monastero nei suoi possedimenti e lo preservavano da oneri e vessazioni altrui. La pratica di confermare privilegi e concessioni dei predecessori era comune dopo l’elezione di un nuovo pontefice, pertanto accadeva che i documenti fossero rinnovati più di una volta. Nella maggioranza dei casi era naturale che si chiedesse conferma proprio degli atti che attestavano le proprietà e i privilegi delle istituzioni interessate47. Alcuni documenti lasciano intendere infatti di liti e contrasti fra le Clarisse e privati cittadini riguardo ai beni fondiari del monastero. Del luglio 1265 è il decreto del giudice Bartolomeo de Gaymariis, agente in nome del podestà di Mantova Ludovico di San Bonifacio48, che ordinava ai nipoti di Zambonino di non contrastare le monache nel possesso delle terre in Camposomario. Ancora nel febbraio 1266 le Clarisse furono coinvolte in una serie di liti riguardo alle proprietà del monastero a causa delle quali furono citate in giudizio di fronte al vescovo di Mantova; tuttavia le monache non si presentarono e inviarono invece il privilegio di Innocenzo IV del 7 maggio 1244 che attestava l’esenzione del monastero dalla giurisdizione dell’ordinario49. È possibile che la situazione economica del monastero fosse già incerta a partire dal pontificato di Alessandro IV. Forse il patrimonio ricevuto in dotazione e altre terre acquistate negli anni o ricevute in donazione 47

È singolare come i documenti più importanti che esse posseggono a riguardo e cioè i privilegi «Religiosam vitam eligentibus» di Innocenzo IV del 9 maggio 1250 e di Clemente IV dell’11 maggio 1266 non siano giunti a noi in originale ma solo in copia. 48 Per il podestà Ludovico di San Bonifacio si veda Liber privilegiorum cit., p. 73. 49 Archivio di Stato di Milano, Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 229, n. 964; b. 230, n. 1182. Cfr. CENCI, Le Clarisse cit., pp. 11-12, nt. 44.

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non fornivano una rendita sufficiente a garantire il sostentamento della comunità o, cosa più probabile visti i contrasti e le liti, le terre, in quanto contese, non permettevano una adeguata fonte di entrata. Lo stesso Alessandro IV preoccupato della povertà delle monache inviava loro il 31 luglio 1255 una lettera graziosa con la quale le esentava da ogni prestazione di procura, esazione, colletta e imposta da corrispondere ai legati della Sede Apostolica nello svolgimento del loro ufficio. Ancora il 9 maggio 1257 il pontefice chiedeva al podestà di Mantova di non gravare il monastero di alcun onere e inoltre lo raccomandava di prendersi cura della difesa delle monache da chiunque avesse tentato soprusi nei loro confronti50. A partire dagli anni cinquanta del XIII secolo infatti più di una comunità religiosa di Mantova aveva risentito della crisi economica prodotta dalle guerre51. Dall’inizio del secolo la città era stata tormentata da strenue lotte tra famiglie che nelle loro strategie per affermarsi all’interno del comune cittadino non esclusero uccisioni, vendette, violenze e conflitti armati, nonché da forti ostilità con le città limitrofe, quali Verona. Questi contrasti si inserirono poi all’interno del più vasto scenario politico dello scontro fra l’imperatore e i comuni52. Nel 1256 la città fu assediata da Ezzelino da Romano e dai suoi accoliti, e sebbene l’assedio non durasse a lungo i suoi armati distrussero terre e bruciarono i raccolti fino a giungere alla porta cittadina de Aquadrucio53. Intanto le discordie fra alcune famiglie cittadine continuavano e ancora negli anni Sessanta erano date alle fiamme torri e case54. A questa situazione di forte disagio e crisi economica cittadina si aggiunsero difficoltà proprie del monastero. Del 22 febbraio 1265 è il codicillo testamentario di Vivaldo Gambolini in cui anche i beni che egli in precedenza aveva lasciato al monastero dei Minori di S. Giovanni dell’Isola di 50 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 12, n. 20; scat. 13, n. 29, ed. in ALBERZONI, L’ordine di S. Damiano cit., pp. 41-42, n. 3. 51 Il podestà nel 1251 aveva esonerato per simili motivi la chiesa dei canonici di S. Marco dal pagamento dell’imposta; cfr. GARDONI, Governo della chiesa cit., p. 215. 52 Per il ruolo di Mantova in questi avvenimenti cfr. Mantova. La storia, I: Dalle origini a Gianfrancesco primo marchese, a cura di G. CONIGLIO, con prefazione di L. BULFERETTI, Mantova, 1958, pp. 151-177. 53 Nel 1248 Ezzelino aveva distrutto il territorio mantovano fino a Cipada e nel 1251 prese e saccheggiò Campitello, sempre in territorio mantovano, cfr. ibid., pp. 167-168; GARDONI, Governo della chiesa cit., pp. 214-215. 54 Mantova. La storia cit., p. 246-255. Sulla guerra fra due diversi schieramenti familiari nella Mantova del primo Duecento si veda G. GARDONI, Conflitti, vendette e aggregazioni familiari a Mantova, in Conflitti, paci e vendette nell’Italia comunale, a cura di A. ZORZI, Firenze 2009, pp. 43-104.

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Revere, in caso di estinzione del monastero, erano destinati alle Clarisse, modificando così quanto aveva disposto in precedenza55. Il testamento, stilato il 21 aprile 1250, è infatti interessante in quanto si offre ad alcune considerazioni. Vivaldo istituisce le figlie eredi di varie proprietà, che elenca, e il monastero clariano della parte restante dei suoi beni a una condizione che rivela un’inversione del principio ispiratore dei primi monasteri femminili dell’ordo S. Damiani votati alla povertà. Le monache di S. Francesco del Teieto infatti sono tenute a dare annualmente ai Minori di S. Giovanni quindici moggi di frumento, vino, legumi e somme stabilite di denari per acquistare gli indumenti e l’olio, e poi la cera, il formaggio, la legna e quattro libbre di imperiali pro expensis. Sono dunque le Clarisse che sostengono i frati Minori e forniscono loro il necessario per vivere56. D’altronde alla data di questo documento le Clarisse vivevano ormai in regime di stretta clausura e la proprietà comune era diventata indispensabile per il loro sostentamento oltre che per provvedere alla loro preparazione culturale e spirituale. Emerge infatti «dai documenti un rapporto inverso di proporzionalità tra il lento scomparire degli ideali di povertà, sostituiti dall’incoraggiamento a possedere in comune, ed il progressivo affermarsi della clausura, sempre più stretta e sempre più limitante»57. Tuttavia anche il monastero di Mantova, come altri, non doveva essere esente in questo periodo dalle tensioni riguardo al rispetto dell’originario principio di povertà a cui si era ispirata la prima esperienza di Chiara e delle sue sorelle, tanto che alla fine del testamento emerge la preoccupazione di Vivaldo che le monache possano desiderare in futuro di alienare tutti i loro beni volendo «in paupertate vivere», e pertanto nell’eventualità che ciò possa accadere stabilisce che in quel caso i beni saranno amministrati da religiosi a vantaggio del convento di S. Giovanni58. 55 Archivio di Stato di Milano, Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 223, n. 8; cfr. CENCI, Le Clarisse cit., p. 22. 56 Archivio di Stato di Milano, Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 223, n. 5. Fra i beneficiari del testamento anche la religio di S. Marco. Vivaldo, che stila il testamento nella chiesa di S. Marco, lascia legati a tutte le chiese mantovane della congregazione, cfr. GARDONI, Governo della chiesa cit., pp. 258-260. 57 Il passo citato è in G. ANDENNA, Urbano IV e l’Ordine delle Clarisse, in Chiara e la diffusione delle Clarisse cit., pp. 195-218, in specie p. 218. In relazione alla clausura si veda: J. LECLERCQ, Il monachesimo femminile nei secoli XII e XIII, in Movimento religioso femminile e francescanesimo nel secolo XIII. Atti del VII convegno internazionale, Assisi, 11-13 ottobre 1979, Assisi 1980, pp. 63-99, in specie pp. 83-87. 58 Alcuni monasteri abbandonarono presto la vocazione pauperistica delle origini ed accettarono beni come accade ad esempio al monastero di Monteluce di Perugia, cfr. Bullarium Franciscanum cit., I, Roma 1759, p. 73, n. 61; THOMSON, Checklist cit., p. 387, n. 133. All’interno di altri al contrario la seconda regola data da Innocenzo IV alle Clarisse il 6 agosto 1247 che permetteva loro di possedere in comune i beni e le rendite provocò forti dissensi fra

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Vivaldo quindi aveva modificato il testamento che tuttavia era già stato in un certo senso disatteso nel momento in cui nel 1257 aveva donato inter vivos i suoi beni alle due figlie divenute monache a S. Francesco, e ad un’altra istituzione religiosa cittadina, la chiesa di S. Maria di Portoregenzo59. Niente di più probabile che le Clarisse trovandosi intorno a quegli anni a doversi difendere con fermezza e dispendio di forze contro le contestazioni mosse al legittimo possesso del loro patrimonio e ad affrontare i problemi derivanti dalle citazioni in giudizio, sentano l’esigenza di procurarsi nuovi documenti pontifici di conferma che le tutelino nella proprietà dei loro possedimenti più cospicui, quelli a Camposomario, e dall’invasività e prepotenza di terzi. Come conferma delle cresciute preoccupazioni riguardo alla situazione economica potrebbe essere letta la richiesta di Clemente IV del 21 maggio 1266 al podestà di Mantova di non gravare le monache di qualsivoglia onere60. Il monastero dovette affrontare liti e cause per tutelare i suoi diritti di proprietà non solo contro privati cittadini ma anche contro altre istituzioni religiose mantovane in relazione ai beni donati nel corso della sua esistenza o lasciati in testamento da Vivaldo. Il documento di Clemente IV del 15 ottobre 1268 è l’ultimo atto di una serie di cause e ricorsi che avevano visto affrontarsi il monastero di S. Francesco e il priore e il convento di S. Maria di Portoregenzo dell’Isola di Revere61. Da esso veniamo a sapere che Filippo Fontana arcivescovo di Ravenna nelle sue funzioni di legato apostolico nella marca Trevigiamonache desiderose di mantenersi fedeli al principio di povertà assoluta e altre intenzionate ad accettare il possesso comune dei beni. Emblematico il caso delle Clarisse di Novara fra le quali si accesero discussioni violente riguardo alla regola e al possesso dei beni, cfr. G. ANDENNA, Le Clarisse nel novarese (1252-1300), in Archivum Franciscanum Historicum 67 (1974), pp. 183-267. 59 Archivio di Stato di Milano, Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 224, n. 215; cfr. CENCI, Le Clarisse cit., pp. 21-22. 60 Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, n. 38. Cfr. Appendice, n. 2. 61 Per i confini dell’Isola di Revere cfr. M. CALZOLARI, Il territorio di S. Benedetto di Polirone: idrografia e topografia nell’alto Medioevo, in Storia di S. Benedetto Polirone. Le origini (961-1125), a cura di P. GOLINELLI, Bologna 1998, pp. 1-33, in specie pp. 18-19. Nell’Isola di Revere nella località Portoregenzo esisteva un convento di Minori intitolato a S. Giovanni Battista e la chiesa di S. Maria con annesso convento per la quale nei documenti pontifici non si specifica l’ordine di appartenenza. In un atto di donazione di Vivaldo del 1251 fra i presenti sono nominati frate Corrado e frate Martino «de ordinis ecclesiae S. Marie de Portoreginzo» e subito dopo altri frati dei quali si specifica appartenere all’Ordine dei Minori, cfr. CENCI, Le Clarisse cit., p. 21. Forse si trattava di un gruppo di uomini che facevano vita in comune sotto l’egida e il controllo dei frati Minori, il che spiegherebbe non solo la contiguità fra le due chiese ma anche l’interessamento di Vivaldo per entrambe.

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na aveva demandato all’arciprete della pieve di Campitello di dirimere la questione fra la badessa di S. Francesco e il priore di Santa Maria di Portoregenzo sulla proprietà di alcune terre. L’arciprete aveva sentenziato in favore del monastero femminile che in seguito aveva chiesto al pontefice di ratificare la sentenza62. I documenti originali: considerazioni sulle note di cancelleria I più antichi documenti di Clemente IV tramandati in originale sono del maggio 1266 e in essi per la prima volta il monastero è detto appartenere all’ordo sanctae Clarae, a testimonianza che la regola di Urbano IV, stesa con la volontà di creare un testo normativo unico che rendesse omogenea la forma di vita per tutti quegli istituti religiosi femminili legati all’esperienza di Chiara, al movimento penitenziale e all’Ordine di S. Damiano, era stata accettata con celerità dal monastero mantovano63. Nell’archivio del monastero infatti è conservata la lettera del 13 dicembre 1263 di Giovanni Orsini diacono cardinale di S. Nicola in carcere Tulliano e protettore dell’Ordine indirizzata ai monasteri della marca Trevigiana che trasmette la Regola urbaniana e li invita a recepirla prontamente64. Le prime due lettere di Clemente IV, la lettera graziosa di conferma della proprietà dei possedimenti in Camposomario e il mandato per il comune di Mantova, sono entrambe del 21 maggio. Sono state emesse con-

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Cfr. Appendice, n. 5. L’ordine pontificio a quanto pare fu tuttavia ignorato e le liti fra le due istituzioni continuarono anche negli anni seguenti, a tal punto che il 5 agosto 1272 Gregorio X inviò una lettera al canonico mantovano Pietrino de Saviola con l’ordine di fare rispettare la sentenza emanata quattro anni prima; cfr. Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, n. 54. Le liti riguardo le proprietà tuttavia non dovettero essere poche. Il 23 del medesimo mese di agosto Gregorio X emanava un documento in cui chiedeva al podestà e al comune di Mantova di intervenire a favore del monastero nei confronti dell’invasività di alcuni nobili locali; cfr. ibid., scat. 15, n. 55. 63 Privilegio Beata Clara virtute del 18 ottobre 1263, cfr. Bullarium Franciscanum cit., II, Roma 1761, pp. 509-521, n. 98; M. J. GUIRAUD, Les registres d’Urbain IV (1261-1264). Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux du Vatican, II, Parigi 1900-1901, pp. 210-219, n. 449. Si veda l’analisi del privilegio e le considerazioni a riguardo in G. ANDENNA, Urbano IV e l’Ordine delle Clarisse cit., pp. 210-218. 64 Cfr. CENCI, Le Clarisse cit., p. 15, nt. 60. Il documento fu spedito identico ad altri monasteri; l’edizione del privilegio inviato alle Clarisse della Toscana è in Z. LAZZERI, Documenta controversiarum inter fratres Minores et Clarissas spectantia (1262-1297), in Archivum Franciscanum Historicum 4 (1911), 74-94, in specie pp. 70-80, n. 5. Del medesimo giorno è il documento indirizzato ai visitatori con l’ordine di fare accettare ai monasteri la Regola e di trasmettere in caso di rifiuto i nomi e le motivazioni delle monache renitenti, cfr. ibid., pp. 83-84, n. 7.

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testualmente e vergate dal medesimo scrittore N. Bobonis che è attestato in cancelleria nell’ufficio di scrittore dal 1259 al 128065. Il terzo documento datato quattro giorni dopo, il 25 maggio, esonerava la badessa e il monastero dal pagamento di qualsiasi tassa sui beni che necessitavano acquistare. In questo caso lo scrittore si firma Mart. p(ar) che è la sigla, meno usuale rispetto a quella m. p(ar) adoperata più comunemente, di Martinus natus Gerardi Ferrarii de Parma. Egli svolge in cancelleria sia la funzione di scrittore (1258-1273) sia quella di tassatore (1261-1274) ed ebbe una carriera molto lunga se teniamo conto che vergò documenti che coprono i pontificati da Alessandro IV a Gregorio X66. Martino era 65 Vedi Appendice, nn. 1-2. Cfr. G. F. NÜSKE, Untersuchungen über das Personal der päpstlichen Kanzlei, 1254-1304, in Archiv für Diplomatik 20 (1974), pp. 39-240; 21 (1975), pp. 249431, in specie p. 314, n. 196, B. BARBICHE, Les actes pontificaux originaux des Archives Nationales de Paris, 3 voll., Città del Vaticano 1975-1982 (Index Actorum Romanorum Pontificum ab Innocentio III ad Martinum V electum, 1-3), I, p. 428, II, p. 513; Schedario Baumgarten. Descrizione diplomatica di bolle e brevi originali da Innocenzo III a Pio IX, IV, a cura di S. PAGANO, Città del Vaticano 1986, p. 609; W. HILGER, Verzeichnis der Originale spätmittelalterlicher Papsturkunden in Österreich 1198-1304. Ein Beitrag zum Index Actorum Romanorum Pontificum ab Innocentio III ad Martinum V electum, Wien 1991 (Fontes Rerum Austriacarum. Diplomataria et acta, II, 83), p. 376; J.-E. SAYERS, Original papal documents in England and Wales from the Accession of Pope Innocent III to the death of pope Benedict XI (1198-1304), Oxford 1999, p. 519, n. 218; T. SCHMIDT, Die Originale der Papsturkunden in Baden-Württemberg, 1198-1417, 2 voll., Città del Vaticano 1993 (Index Actorum Romanorum Pontificum ab Innocentio III ad Martinum V electum, 6 / 1-2), II, p. 649; ID., Die Originale der Papsturkunden in Norddeutschland (Bremen, Hamburg, Mecklenburg-Vorpommern, Schleswig-Holstein), 11991415, Città del Vaticano 2003 (Index Actorum Romanorum Pontificum ab Innocentio III ad Martinum V electum, 7), p. 226; P. LINEHAN, Portugalia Pontificia: materials for the history of Portugal and the Papacy 1198-1417, 2 voll., Lisbona 2013, p. 652. Egli compare una sola volta in qualità di procuratore per Simon de Brion, cardinale presbitero del titolo di S. Cecilia, poi papa Martino IV. Si tratta in questo caso di un mandato di Gregorio X del 19 agosto 1274 in favore della monarchia francese alla quale concedeva la possibilità di riscuotere le decime e i sussidi, come era già stato concesso al re Luigi IX, anche dopo la morte del sovrano, cfr. BARBICHE, Les actes pontificaux cit., II, p. 199, n. 1534. Simon de Brion rivecette la lettera in qualità di legato, ma è utile ricordare che egli era molto vicino al defunto re di Francia che lo aveva in precedenza nominato cancelliere di Francia; cfr. S. CERRINI, Martino IV, in Dizionario biografico degli italiani 71, Roma 2008, pp. 74-77. 66 Vedi Appendice, n. 3. Per lo scrittore cfr. P. HERDE, Beiträge zum päpstlichen Kanzleiund Urkundenwesen im dreizehnten Jahrhundert, Kallmünz 19672 (Münchener Historische Studien. Abteilung Geschichtliche Hilfswissenschaften, 1), pp. 268, 274; A. LARGIADÈR, Die Papsturkunden der Schweiz von Innocenz III. bis Martin V. ohne Zürich. Ein Beitrag zum Censimentum Helveticum, 2 voll., Zürich 1968-1970, I, pp. 355-356; NÜSKE, Untersuchungen cit., pp. 302-303, n. 184; BARBICHE, Les actes pontificaux cit., I, p. 427, II, p. 511; Schedario Baumgarten cit., IV, p. 606; B. SCHWARZ, Die Originale von Papsturkunden in Niedersachsen 1199-1417, Città del Vaticano 1988 (Index Actorum Romanorum Pontificum ab Innocentio III ad Martinum V electum, 4), p. 222; HILGER, Verzeichnis cit., p. 376; SAYERS, Original papal documents cit., p. 516, n. 204; SCHMIDT, Die Originale der Papsturkunden in Baden-Württemberg cit., II, p. 647; T. GRABER, Die Papsturkunden des Hauptstaatsarchivs Dresden, I: Originale Überlieferung, 1:

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chierico del cappellano papale Ugo Rossi 67, nipote di Innocenzo IV, e possiamo ipotizzare che appartenesse alla famiglia parmense dei Ferrari legata da interessi politici ai Sanvitale e quindi agli stessi Fieschi68. Il quarto documento emesso il 28 maggio conferma al monastero di S. Francesco la donazione fatta da Zambonino e reca apposto sulla plica a destra il nome dello scrittore Gib(er)t(us) p(ar) da identificare con Gibertus [Petri Bertrami] archipresbiter de Noceto de Parma, che svolge in cancelleria la funzione di scrittore e quella di tassatore ed è attestato, per il momento, negli anni 1256-126769. Gibertus era cappellano del cardinale

1104-1303, Hannover 2009 (Codex Diplomaticus Saxoniae, Hauptteil III: Papsturkunden, 1), p. 263; LINEHAN, Portugalia Pontificia cit., II, p. 649. 67 È infatti detto chierico di Ugo Rossi nel documento del 9 ottobre 1257 che lo nomina scrittore pontificio; cfr. C. BOUREL DE LA RONCIÈRE, Les registres d’Alexandre IV. Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux des Archives du Vatican, II, Parigi 1917-1959, p. 690, n. 2242. Ugo Rossi compare come canonico di Parma il 12 marzo 1245; cfr. F. BERNINI, Innocenzo IV e il suo parentado, in Nuova rivista storica 24 (1940), pp. 178-199, in specie p. 185 e nt. 8. Ugo Rossi è citato come nipote di Innocenzo IV, arcidiacono di Parma, cappellano e suddiacono pontificio in un atto del 2 luglio 1254; cfr. BERGER, Les registres d’Innocent IV cit., III, p. 468, n. 7805. A lui era indirizzato un documento dello zio dell’8 giugno 1253 che gli ordinava di ricevere il giuramento da parte di coloro che entravano a fare parte del capitolo di Parma. Ugo prese personalmente il documento dalla cancelleria poiché il suo nome compare a tergo della pergamena, cfr. G. ZAROTTI, I documenti pontifici dell’Archivio Capitolare di Parma (1141-1417), Milano 1960, pp. 30-31, n. 37. Il 28 novembre 1286 Onorio IV ordinò di indagare sull’omicidio dell’amministratore del borgo di S. Donnino in diocesi di Parma, un familiare di Ugo Rossi al quale lo stesso Ugo aveva affidato l’amministrazione della chiesa di cui egli era il prevosto, cfr. M. PROU, Les registres d’Honorius IV. Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après le manuscrit original des Archives du Vatican, Parigi 1886-1888, I, coll. 488-489, n. 677. 68 Un notaio Gerardus Giberti Ferarii agiva come rappresentante del comune di Parma in atti rogati fra il 24 novembre 1244 e il 7 aprile 1245, cfr. Liber iurium communis Parmae, a cura di G. LA FERLA MORSELLI, Parma 1993 (Fonti e studi della deputazione di storia Patria per le antiche provincie parmensi, s. I, 15), pp. 128- 144, nn. 69-82. Un Gerardus Ferrarius de Castronovo è attestato in un giuramento di difesa della chiesa di Parma fatto il 22 febbraio 1198, e un Gerardus Ferarius appare in un breve del 1188-1193 come teste nel giuramento di alcuni vassalli della chiesa matrice al vescovo Guidotto, cfr. G. DREI, Le carte degli archivi parmensi del sec. XII, III, Parma 1950, pp. 598-604, n. 828, in specie p. 602; pp. 734-736, n. 77, in specie p. 734. 69 Vedi Appendice, n. 4. Per lo scrittore cfr. HERDE, Beiträge cit., pp. 269, 272; NÜSKE, Untersuchungen cit., pp. 223-224, n. 101; BARBICHE, Les actes pontificaux cit., II, p. 502; SCHMIDT, Die Originale der Papsturkunden in Baden-Württemberg cit., II, p. 631; Schedario Baumagarten cit., IV, p. 553; P. JUGIE, Cardinaux et chancelleries pendant la paupaté d’Avignon, in Offices et papauté (XIVe-XVIIe siècle). Charges, hommes, destins, a cura di A. JAMME – O. PONCET, Parigi 2005, pp. 651-739, in specie p. 695, n. 57. Di Noceto, terra nell’orbita della famiglia Rossi di Parma, si hanno notizie più certe a partire dal XIV secolo quando sappiamo che appartenne ai Sanvitale fino al 1345 e poi ai Rossi; cfr. L. MOLOSSI, Vocabolario topografico dei ducati di Parma e Piacenza, Parma 1832-1834, pp. 238-240; A. GAMBERINI, Il contado di fronte alla città,

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diacono di S. Adriano Ottobono Fieschi70, nipote di Innocenzo IV e futuro papa Adriano V, esponente di una delle famiglie cardinalizie più numerose, dotato di molte e ricche prebende, fra le quali annoverava prima del 1269 la commenda dell’abbazia di S. Andrea di Mantova71. Tutti i quattro documenti datati nel mese di maggio hanno ricevuto la nota di tassa apposta dallo stesso funzionario, che si firma con le sole iniziali G. M. Secondo Barbiche questo tassatore, non senza residui dubbi, potrebbe essere identificato con lo scrittore e suddiacono pontificio che si firma G. Mutin. e quindi con Gerardus de Mutina. Poiché entrambe le sigle si riscontrano sui documenti nello stesso torno di anni72, e per la perfetta in Storia di Parma, III,1: Parma medievale. Poteri ed istituzioni, a cura di R. GRECI, Parma 2010, pp. 169-211, in specie p. 193. 70 In una sentenza emessa da Ottobono diacono cardinale di S. Adriano il 4 febbraio 1256 è presente Gibertus archipresbiter de Noceto definito scrittore pontificio e suo cappellano, cfr. BOUREL DE LA RONCIÈRE, Les registres d’Alexandre IV cit., I, pp. 424-427, n. 1389, in specie p. 427; PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, p. 372. Giberto era canonico di Breslau, cfr. P. 17065; BOUREL DE LA RONCIÈRE, Reg. d’Alexandre IV cit., I, p. 298, n. 995 (9 agosto 1255); II, p. 809, n. 2625 (9 novembre 1257). 71 Su Ottobono di veda PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, p. 361; A. FISCHER, Kardinäle im Konklave. Die lange Sedisvakanz der Jahre 1268 bis 1271, Tübingen 2008 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 118), pp. 90-107. Sul monastero benedettino di S. Andrea di Mantova cfr. P. ZERBI, Monasteri cittadini in Lombardia, in Monasteri in Alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (secc. X-XII), XXXII Congresso storico subalpino, III Convegno di storia della Chiesa in Italia, Pinerolo 1964, Torino 1966, pp. 283-314; G. SUITNER, Il monastero benedettino di Sant’Andrea in Mantova: l’evoluzione dell’organismo ed il suo ruolo nella formazione della città medievale, in Il Sant’Andrea di Mantova e Leon Battista Alberti, Atti del Convegno, Mantova 1972, Mantova 1974, pp. 35-50; D. NICOLINI, Il ritrovamento e il restauro delle testimonianze architettoniche del monastero di Sant’Andrea in Mantova, in ibid., pp. 51-70; E. MARANI, Tre chiese di Sant’Andrea nella storia dello svolgimento urbanistico mantovano, in ibid., pp. 71-109; A. M. TAMASSIA, Mantova, in Archeologia urbana in Lombardia, Modena 1984, pp. 116-124. 72 G. M. è attestato in cancelleria negli anni 1245-1274, mentre Gerardus de Mutina negli anni 1255-1274, cfr. HERDE, Beiträge cit., pp. 268, 270; NÜSKE, Untersuchungen cit., pp. 210212, nn. 83, 85; HILGER, Verzeichnis cit., p. 373; LARGIADÈR, Die Papsturkunden der Schweiz cit., I, p. 216, n. 560, pp. 217-218, n. 564; BARBICHE, Les actes pontificaux cit., I, p. 423, II, p. 500; Schedario Baumgarten cit., IV, p. 554; SCHWARZ, Die Originale von Papsturkunden in Niedersachsen cit., p. 214; SCHMIDT, Die Originale der Papsturkunden in Baden-Württemberg cit., II, p, 629; ID., Die Originale der Papsturkunden in Norddeutschland cit., p. 216; GRABER, Die Papsturkunden cit., p. 259; LINEHAN, Portugalia Pontificia cit., II, p. 633. Gerardo di Modena era suddiacono, scrittore pontificio e collettore delle decime in Ungheria, Polonia e Dalmazia negli anni 1277-1278 (J. CADIER, Les registres de Jean XXI (1276-1277). Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux des Archives du Vatican, Parigi 1892, pp. 42-43, n. 138; GAY, Les registres de Nicolas III cit., p. 11, n. 42; p. 43, n. 131). Egli nel 1238 divenne vescovo di Caiazzo, in provincia di Caserta, cfr. L. ESPOSITO, Le pergamene dell’Archivio vescovile di Caiazzo: 1286-1309, Napoli 2009, pp. 5-9. Si veda anche il documento del 6 febbraio 1287 in cui a Gerardo, che è detto vescovo di Caiazzo e in precedenza suddiacono e scrittore del papa e collettore delle decime in Ungheria, Polonia e Dalmazia, fu chiesto

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sovrapponibilità delle iniziali del loro nome, è stato proposto di riferirle entrambe allo stesso funzionario. Per il momento tuttavia si hanno attestazioni di G. M. come scrittore e tassatore mentre di G. Mutin. solo in qualità di scrittore73. I quattro documenti richiesti ed emanati nel giro di un mese hanno nella nota del procuratore il nome di Bonaspes de Assisio. Egli fa parte di un cospicuo gruppo di procuratori di curia provenienti da Assisi durante il XIII secolo, uomini influenti che hanno molti clienti e lavorano a stretto contatto fra loro, a capo dei quali è Pietro, uno dei procuratori più attivi e autorevoli in curia in quegli anni74. La circostanza che provengano tutti da Assisi e che spesso i documenti sono segnati insieme da due di essi ha fatto pensare ad una collaborazione fra più procuratori, ad un’associazione di persone che lavoravano in comune, in sostanza ad una specie di società che assumeva l’onere di più rappresentanze e poi divideva il lavoro fra i suoi membri75. Bonaspes aveva prestato la sua opera per altre comunità dell’ordo S. Damiani. A lui si affidarono alcune delle più antiche fondazioni di Spagna. Il suo nome è infatti presente a tergo di documenti del 21 luglio 1256, del 27 gennaio 1262 e del 22 settembre 1266 per il monastero di S. Chiara di Barcellona, una comunità di sorores penitentes trasformatasi nella prima comunità monastica di Clarisse della Catalogna76; e di un gruppo di dieci di istruire nella procedura di raccolta delle decime Adam di Polonia, canonico di Cracovia, al quale il papa aveva affidato la riscossione delle decime nelle terre in cui aveva agito Gerardo; cfr. P. 22555; PROU, Les registres d’Honorius IV cit., col. 541, n. 765. 73 Anche HILGER, Verzeichnis cit., p. 373 associa i due nomi; al contrario NÜSKE, Untersuchungen cit., pp. 210-211, nn. 83, 85 lascia distinti i due funzionari. 74 Su Bonaspes si veda HERDE, Beiträge cit., pp. 89, 98. 75 Si vedano le considerazioni in R. BRENTANO, Two Churches. England and Italy in the thirteenth century, Princeton 1968, p. 31 e pp. 32-37, secondo cui anche il singolo nome apposto sulla pergamena potrebbe forse rimandare in alcuni casi all’ufficio piuttosto che al singolo procuratore. Questo gruppo di procuratori proveniente da Assisi lavorò insieme in curia per parecchio tempo, infatti la lista dei nomi delle persone coinvolte è abbastanza lunga. L’analisi dettagliata della nota procuratoria allargata, cioè quella che presenta due o più nomi associati, ha fatto supporre l’esistenza di collaborazioni più autonome di altre, benché non si sia riuscita ad individuare una certa specializzazione nel lavoro dei singoli collaboratori, cfr. W. STELZER, Beiträge zur Geschichte der Kurienprokuratoren im 13. Jahrhundert, in Archivum Historiae Pontificiae 8 (1970), pp. 113-138, in specie pp. 131-134. 76 P. LINEHAN, Proctors representing Spanish interests at the papal court, 1216-1303, in Archivum Historiae Pontificiae 17 (1979), pp. 69-123, in specie pp. 105-106, nn. 721, 735. Il monastero di S. Chiara fu fondato intorno al 1236, poiché del 18 febbraio di quell’anno è il documento di Gregorio IX che esorta la comunità cittadina a contribuire con elemosine per aiutare un gruppo di sorelle della penitenza ad edificare un monastero di donne recluse di S. Damiano; cfr. F. FITA, Fundación y primer periodo del monasterio de S. Clara de Barcelona. Bulas inéditas, in Boletín de la Real Academia de la Historia 27 (1895), pp. 273-314, 436-489;

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documenti emessi l’1, il 2 e il 20 dicembre 1257, il 3 gennaio 1258 e il 5 settembre 1278 per il monastero dell’Ordine di S. Damiano di Salamanca77. Per il monastero di S. Maria di Alcocer, località nei pressi di Guadalajara, in diocesi di Cuenca, Bonaspes ottenne il 27 marzo 1262 una lettera indirizzata al vescovo di Toledo, ai suoi suffraganei, agli abati, priori, prevosti e plebani della provincia toledana che ordinava loro di colpire con la scomunica o con l’interdetto coloro che si erano appropriati dei beni immobili del monastero78. Ugualmente il suo nome compare in un documento del 13 novembre 1281 per il monastero di Tudela79. È procuratore anche per il monastero di S. Caterina di Saragozza per un documento dell’1 giugno 1263 e per quello di S. Engracia di Pamplona del 5 febbraio 126680. È stato inoltre procuratore del monastero di S. Cecilia in Pfullingen dell’Ordine di S. Damiano nella diocesi di Costanza, per il quale ha firma-

N. JORNET BENITO, El monestir de Sant Antoni de Barcelona: l’origen i l’assentament del primer monestir de clarisses a Catalunya, Barcelona, Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 2007; EAD., Memoria, historia y archivo en el monasterio de Sant Antoni i Santa Clara de Barcelona, in Boletín des las Asociaciones de Archiveros, Bibliotecarios, Arqueólogos, Museólogos y Documentalistas 58, 4 (2008), pp. 297-305; ROEST, Order and disorder cit., p. 90. 77 Cfr. LINEHAN, Proctors cit., pp. 105-106, nn. 724, 726-728, 736. Il monastero di Salamanca fu fondato nel 1238 quando Gregorio IX scrisse a Ferdinando III il Santo di sostenere e proteggere un gruppo di donne penitenti che vivevano presso la chiesa di S. Maria e non molto tempo dopo concesse l’indulgenza a coloro che avessero offerto il loro aiuto per la costruzione del monastero delle Damianite. Del 18 settembre 1245 è il privilegio «Religiosam vitam eligentibus» con cui Innocenzo IV conferma al monastero i beni e il documento di esenzione vescovile; cfr. Bullarium Franciscanum cit., I, pp. 380-381, n. 95. Il monastero nel giro dei successivi vent’anni diventerà una ricca fondazione con beni sparsi in tre differenti diocesi; si vedano a riguardo I. VÁZQUEZ JANEIRO, Documentación pontificia medieval en Santa Clara de Salamanca. Un suplemento al “Bullarium Franciscanum”, in Studia historico-ecclesiastica. Festgabe für Prof. Luchesius G. Spätling OFM, a cura di I. VÁZQUEZ, Roma 1977, pp. 347-418; Á. PISÓN, El real convento de Santa Clara y su museo, Salamanca 1994; ROEST, Order and disorder cit., p. 91. 78 Cfr. SAYER, Original papal letters cit., p. 300, n. 667; LINEHAN, Proctors cit., p. 105, n. 733. Il monastero di S. Chiara di Alcocer fu fondato intorno al 1260, cfr. F. J. VILLALBA RUÍZ DE TOLEDO, El monasterio de Santa Clara de Alcocer y su conexión con la monarquía (siglos XIII-XV), in Wad-Al-Hayara 16 (1989), pp. 235-326. 79 Cfr. LINEHAN, Proctors cit., p. 106, n. 735ii. 80 Ringrazio Tilmann Schmidt che ha censito i documenti pontifici di larga parte della Spagna, di prossima pubblicazione nella collana dell’Index Actorum Romanorum Pontificum, per avermi segnalato le notizie. Il monastero di Saragozza fu fondato nel 1234 ad opera di una nobildonna desiderosa di creare un monastero che si ispirasse a S. Damiano di Assisi, come si ricava da un documento di Gregorio IX; cfr. J. RUIZ DE LARRINAGA, Las clarisas de Santa Catalina, de Zaragoza. Su gran antigüedad y riqueza diplomática, in Archivo Ibero-Americano 9 (1949), pp. 351-377. Del 12 aprile 1228 è il documento di Gregorio IX che concede al monastero di Pamplona la nuova forma di vita; cfr. ID., Las clarisas de Pamplona, in ibid. 5 (1945), pp. 242-277.

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to il privilegio «Religiosam vitam eligentibus» del 20 giugno 125681, delle monache di S. Afra di Senßlitz in Sassonia per una lettera graziosa del 15 maggio 127482, delle monache di Assisi nel 1277, del monastero dei SS. Cosma e Damiano di Roma nel 127283. Bonaspes aveva anche rappresentato comunità di Minori, come il convento di Altötting nella diocesi di Salisburgo, per il quale ottenne un documento il 18 marzo 126784, e aveva lavorato per i Frari di Venezia nel 127485. Ma un cospicuo numero di attestazioni proviene dal suo lavoro come procuratore per altre istituzioni, quali benedettini e cluniacensi86. L’ultimo atto di Clemente IV che possediamo in originale è invece di qualche anno più tardi, del 15 ottobre 1268, ed è il mandato inviato all’arciprete della pieve di Campitello nella diocesi mantovana affinché faccia osservare una sentenza emessa in favore delle Clarisse87. La pergamena 81

HILGER, Verzeichnis cit., pp. 175-176, n. 297. GRABER, Die Papsturkunden cit., pp. 198-199, n. 119. 83 BRENTANO, Two Churches cit., p. 31. Per il monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea cfr. ‘San Chosm’ e Damiano e ‘il suo bel monasterio …’: il complesso monumentale di San Cosimato ieri, oggi, domani, a cura di G. GUERRINI FERRI – J. BARCLAY LLOYD, in Testo e Senso, Quaderni 1 (2013) [rivista online]. 84 HERDE, Beiträge cit., p. 137. 85 BRENTANO, Two Churches cit., p. 31. 86 Cfr. ibid. Bonaspes è attestato come procuratore per il monastero benedettino di Schaffhausen in due documenti dell’8 maggio 1254 (LARGIADÈR, Die Papsturkunden der Schweiz cit., I, pp. 183-184, nn. 501-502), per il monastero di Cluny nella diocesi di Mâcon in un atto del 12 dicembre 1272 (ibid., pp. 257-258, nn. 627-628). Aveva lavorato per il monastero benedettino di Seeon in Baviera il 15 marzo e il 4 aprile 1267 (HERDE, Beiträge cit., p. 146); per i cluniacensi inglesi il 12 dicembre 1272 (SAYER, Original papal letters cit., pp. 336-337, n. 743), il 15 ottobre 1276 (ibid., p. 355, n. 786) e il 18 gennaio 1277 (ibid., p. 357, n. 791); per l’Ordine Cistercense inglese (EAD., Proctors representing British interests at the papal court, 1198-1415, in EAD., Law and records in medieval England, Studies on the medieval papacy, monasteries and records, London 1988, IV [pp. 143-163], p. 146). È anche attestato, con la qualifica di notaio, fra i testimoni di una sentenza emessa a Lione il 23 ottobre 1274 nella causa relativa al priorato della S. Trinità nella diocesi di York spettante al monastero benedettino di Tours, cfr. M. J. GUIRAUD, Les registres de Gregoire X (1272-1276). Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux du Vatican, Parigi 1892-1960, pp. 172-175, n. 435; pp. 407-411, n. 1055. 87 Vedi Appendice, n. 5. Campitello era una località soggetta alla signoria vescovile mantovana, dotata di un palazzo vescovile. Essa è menzionata fra le proprietà del vescovo nel diploma di Enrico III del 20 ottobre 1055 (TORELLI, L’archivo capitolare cit., pp. 5-6, n. 4), e in quello di Federico I del 21 febbraio 1160 (Liber privilegiorum cit., pp. 357-360, n. 115, in specie p. 358; TORELLI, L’archivio capitolare cit., pp. 37-4, n. 24). Si veda la designazione dei confini della corte di Campitello fatta il 6 marzo 1174 davanti al vescovo di Mantova che vi esercitava tutti i diritti, ed altri documenti ad essa relativi in Liber privilegiorum cit. pp. 368379, n. 120, e pp. 363-368, nn. 117-119; TORELLI, Per un codice diplomatico cit., pp. 180-182. Il vescovo Giacomo di Castell’Arquato nel gennaio del 1245 provvide alla nomina di ufficiali rurali di Campitello, cfr. G. GARDONI, I registri della chiesa vescovile di Mantova nel secolo XIII, in I registri vescovili dell’Italia settentrionale (secoli XII-XV). Atti del Convegno di studi 82

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ha subito alcuni danni con conseguente perdita di una parte della plica, pertanto è andato perso il nome dello scrittore del documento, mentre si è conservato il nome del tassatore Iacobus Alexii. Egli opera in cancelleria negli anni 1262-1272 come scrittore e tassatore, mentre nel 1262 ricopre anche la carica di distributore88. Tuttavia le attestazioni in qualità di tassatore per gli anni 1265-1266 sono di gran lunga più consistenti di quelle come scrittore89. A tergo il nome del procuratore magister Iohannes de Versellis90. (Monselice, 24-25 novembre 2000), a cura di A. BARTOLI LANGELI – A. RIGON, Roma 2003 (Italia sacra, 72), pp. 141-187, in specie p. 165. Sul feudo di Campitello cfr. anche TORELLI, Un comune cittadino in territorio ad economia agricola, I: Distribuzione della proprietà – sviluppo agricolo – contratti agrari, Mantova 1930 (Real Accademia virgiliana di Mantova. Serie Miscellanea, 7), pp. 58-59, 168-169. La pieve di Campitello, ora in comune di Marcaria, è attestata dalla metà dell’XI secolo e nel XIII secolo era retta da un arciprete e officiata da un piccolo collegio canonicale, cfr. E. MARANI, La medievale partizione plebana della diocesi di Mantova, in Atti e memorie dell’accademia virgiliana di Mantova, n.s. 45 (1977), pp. 87-146, in specie pp. 123-124, e p. 138, nt. 19. 88 HERDE, Beiträge cit., p. 270-273; LARGIADÈR, Die Papsturkunden der Schweiz cit., I, p. 361; NÜSKE, Untersuchungen cit., pp. 238-239, n. 119; BARBICHE, Les actes pontificaux cit., I, p. 505; Schedario Baumgarten cit., IV, p. 565; W. ZÖLLNER, Die jüngeren Papsturkunden des Staatsarchivs Magdeburg. Bestände Halberstadt, Quedlinburg und übrige Gebiete, Leipzig 1982, p. 250; SCHWARZ, Die Originale von Papsturkunden in Niedersachsen cit., p. 217; HILGER, Verzeichnis cit., pp. 374 e 379; SAYERS, Original papal letters cit., p. 510, n. 152; SCHMIDT, Die Originale der Papsturkunden in Baden-Württemberg cit., p. 636; ID., Die Originale der Papsturkunden in Norddeutschland cit., p. 220; GRABER, Die Papsturkunden cit., p. 261; LINEHAN, Portugalia Pontificia cit., II, p. 640. 89 Cfr. NÜSKE, Untersuchungen cit., pp. 238-239, n. 119. 90 La nota procuratoria è sbiadita soprattutto nella parte centrale, pertanto ho alcuni dubbi sulla lettura del nome proprio Iohannes. Se così fosse, potrebbe trattarsi di Iohannes de Monte Caprello che porta il titolo di magister, è canonico di Vercelli, scrittore pontificio e cappellano di Riccardo Annibaldi diacono cardinale di S. Angelo in Pescheria, come è detto in un documento del 1256; cfr. BOUREL DE LA RONCIÈRE, Les registres d’Alexandre IV cit., I, pp. 424-427, n. 1389 e anche NÜSKE, Untersuchungen cit., p. 280, n. 155; PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, p. 153, n. 17. Questa è l’unica attestazione a lui relativa. Negli stessi anni è presente nelle fonti un Iohannes de Vercellis, canonico di Beauvais e di Lincoln e suddiacono papale, citato nel 1251 in qualità di cappellano di Guglielmo Fieschi, diacono cardinale di S. Eustachio, nipote di Innocenzo IV; cfr. BERGER, Les registres d’Innocent IV cit., II, Parigi 1884-1887, p. 172, n. 4992; p. 173, nn. 4993, 4996-4998. Egli nel 1235, allora solo canonico di Beauvais, fu presente ad una sentenza emanata da Sinibaldo Fieschi presbitero cardinale del titolo di S. Lorenzo in Lucina (L. AUVRAY, Les registres de Grégoire IX, recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux du Vatican, I, Parigi 1890-1896, col. 1283, n. 2480; P. 9852), e nel 1264 è detto cappellano del papa (GUIRAUD, Les registres d’Urbain IV cit., I: Registre dit Caméral, Parigi 1899-1901, p. 153, n. 506). Cfr. anche PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, pp. 337-338. Tuttavia nei documenti che lo menzionano Giovanni non viene mai definito magister; inoltre le ultime attestazioni risalgono all’agosto 1264 e in quel momento egli risiedeva a Bologna sotto la protezione del vescovo perché accusato ingiustamente; cfr. GUIRAUD, Les registres d’Urbain IV cit., I: Registre dit Caméral, p. 153, nn. 506507; III, p. 456, n. 2718. Un documento di Urbano IV del 1264 invece menziona un magister

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Il monastero, l’episcopio, la curia pontificia Il nucleo dei documenti emessi dalla cancelleria di Clemente IV è scritto e tassato da persone provenienti da Parma e in qualche modo legate ai Fieschi o alle famiglie con questa imparentate. Sembra quasi che da Mantova si mobilitò per le Clarisse una rete di relazioni attraverso uomini che, accomunati da provenienza, legami familiari, conoscenze e frequentazione di un medesimo entourage, seguirono la produzione dei documenti per le monache e vigilarono su tutti gli stadi di composizione degli atti. Nella cancelleria pontificia vigeva una precisa distribuzione del lavoro fra gli scrittori ai quali veniva affidata la scrittura dei documenti. Essa rispettava principi di equità necessari a mantenere un equilibrio nelle sinergie fra i vari ufficiali poiché garantiva una distribuzione uniforme fra gli scrittori delle entrate derivanti dalle tasse di scrittura. Questa rigida ripartizione del lavoro fra gli scrittori si suppone già in uso a partire dal XIII secolo, benché un elenco di scrittori con relativi documenti grossati si abbia per il XIV secolo91. Tuttavia alcune volte la scelta dello scrittore era indotta da particolari richieste del petente o del suo procuratore. Poteva accadere che il beneficiario della lettera pontificia desiderava farla compilare da un ben preciso scrittore per ragioni quali potevano essere la fiducia nelle sue capacità scrittorie o semplicemente i buoni rapporti interpersonali92. Possiamo ipotizzare che il procuratore e forse altre persone con forti legami con la cancelleria e la curia papale abbiano dirottato i documenti per le monache mantovane verso ben precisi ufficiali, in modo da assicurarsi che l’iter di confezionamento degli atti giungesse a termine in breve tempo e senza impedimenti. Si ha infatti l’impressione che i Iohannes de Vercellis scriptor noster che suppongo possa identificarsi con Giovanni di Montecapriolo; cfr. Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 29, ff. 303v-304r, n. 1579. Si vedano anche GUIRAUD, Les registres d’Urbain IV cit., III, p. 426, n. 2527 (che legge erroneamente de Verallis); NÜSKE, Untersuchungen cit., p. 294, n. 169. Non si dispone di altre notizie che permettano di identificare con certezza il procuratore, tuttavia per entrambi si è in presenza di una persona legata ancora una volta alla famiglia Fieschi. Avvalorando infatti l’ipotesi che il procuratore sia Iohannes de Monte Caprello, egli apparteneva alla familia di Riccardo Annibaldi che svolse un ruolo importante nella politica temporale di Innocenzo IV e fu da questi nominato suo vicario in Roma; cfr. PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, pp. 141-149; D. WALEY, Annibaldi, Riccardo, in Dizionario biografico degli italiani 3, Roma 1961, pp. 348-351. A fronte di ciò, vorrei segnalare che mi è stato proposto di leggere nella nota procuratoria il nome Ioseph e in questo caso non sono riuscita a reperire testimonianze a riguardo. 91 B. SCHWARZ, Die Organisation kurialer Schreiberkollegien von ihrer Entstehung bis zur Mitte des 15. Jahrhunderts, Tübingen 1972 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 37), pp. 33-34 e nt. 47 e p. 263. 92 Su queste richieste che comportavano per essere realizzate un consenso da parte del distributore e dello scrittore cui spettava per avvicendamento del lavoro la scrittura dell’atto cfr. ibid., pp. 32-34 e p.114.

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documenti per le Clarisse siano stati commissionati attraverso un giro di conoscenze dovute a strette relazioni fra l’episcopio mantovano, la curia romana e alcuni notabili cittadini. Per comprendere meglio le relazioni possiamo partire dal documento del 5 luglio 1238 con cui il vescovo Giacomo di Castell’Arquato concede al monastero l’esenzione dall’ordinario. Il documento è redatto a partire da una imbreviatura93 del defunto notaio Buonomo di Zunta de Sarzenesco94 per autorità concessa dall’allora podestà cittadino Bernardo di Rolando Rossi. Questi è legato per via parentale ad Innocenzo IV, il pontefice che nel 1244 confermerà il diploma vescovile alle Clarisse. Il figlio Giacomo Rossi fu podestà nel 1263, e altri esponenti della famiglia ricoprirono cariche pubbliche in diversi comuni limitrofi e possedevano terre a Camposomario che permutarono proprio con i de Rufino95. Inoltre i Rossi, 93 L’episcopio di Mantova conserva una cospicua raccolta di registri vescovili che cominciano dai primi decenni del XIII secolo; la nomina del procuratore per le Clarisse da parte di Gregorio da Montelongo è trascritta in un registro vescovile, vedi supra nt. 13. Per la data del nostro documento è attestato un registro che copre gli anni 1237-1245. Questo non esclude che alcuni documenti emanati per volontà del vescovo potessero trovare posto nei protocolli notarili, o meglio nei registri di imbreviature. Un documento del vescovo Martino ad esempio è tratto dalle imbreviature di Lanfranco da Brescia, un notaio che presta la sua opera anche per il vescovo e redige una parte del registro vescovile 4, cfr. GARDONI, I registri della chiesa vescovile cit., pp. 154 e 171, nt. 92. Sui notai al servizio delle curie vescovili che rogano nello stesso tempo per il comune cittadino, per altre istituzioni ecclesiastiche e per i privati si vedano G. CHITTOLINI, “Episcopalis curie notarius”. Cenni sui notai di curie vescovili nell’Italia centro-settentrionale alla fine del medioevo, in Società, istituzioni, spiritualità. Studi in onore di Cinzio Violante, Spoleto 1994, pp. 221-232; G. G. FISSORE, Vescovi e notai: forme documentarie e rappresentazione del potere, in Storia della chiesa di Ivrea dalle origini al XV secolo, a cura di G. CRACCO, Roma 1998, pp. 867-923. 94 Sul notaio Buonomo del fu Zunta da Sarginesco (1229-1238), la cui attività per l’episcopio mantovano è attestata finora solo da questo documento, cfr. GARDONI, “Per notarios suos” cit., p. 178, n. 8. 95 Si vedano a riguardo: Annales Mantuani, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores 19, a cura di G. H. PERTZ, Honnoverae 1866, pp. 19-31, in specie p. 23. Esponenti della famiglia avevano fatto parte del consiglio cittadino; cfr. TORELLI, Un comune cittadino cit., II: Uomini e classi al potere, Mantova 1952 (Real Accademia virgiliana di Mantova. Serie miscellanea, 12), pp. 162-164; G. BANDIERI, I Rossi di Parma dalle origini alla metà del secolo XIII, in Archivio storico per le province parmensi, s. IV, 30 (1978), pp. 195-229, in specie pp. 216-229. Bernardo di Rolando Rossi di Parma, appartenente ad una delle famiglie della élite parmigiana, aveva sposato Maddalena Fieschi, figlia di Ugo Fieschi conte di Lavagna e sorella di Innocenzo IV. Cfr. SALIMBENE DE ADAM, Cronica, 1250-1287, a cura di G. SCALIA, 2 voll., Turnholt 1998-1999 (Corpus Christianorum. Continuatio Medievalis, 125-125 A), I, pp. 301-302, 304-305; O. GUYOTJEANNIN, Podestats d’Emile Centrale: Parme, Reggio et Modene (fin XIIe – milieu XVe siècle), in I podestà dell’Italia comunale. I: Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.- metà XIV sec.), Roma 2000 (Collection de l’École française de Rome, 268), I, pp. 349-403, in specie pp. 368-371; M. P. ALBERZONI, La chiesa cittadina, i monasteri e gli ordini mendicanti, in Storia di Parma cit., III, 1, pp. 261- 321, in specie p. 307.

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insieme ai Fieschi e ai Sanvitale avevano dato vita ad una specie di monopolio delle cariche ecclesiastiche e cittadine a Parma a cavallo del XIII secolo in concomitanza con l’elezione al soglio pontificio di Innocenzo IV96. Non sembra accidentale che la nomina di Raimondo de Agalono a procuratore delle monache sia avvenuta a poca distanza dal privilegio vescovile e da parte di Gregorio da Montelongo allora legato in Lombardia i cui stretti legami con Bernardo di Rolando Rossi sono ampiamente conosciuti nella lotta a sostegno della pars ecclesiae a Parma97. Da Parma proveniva anche il chierico Uberto canonico di S. Michele di Parma, destinato a ricoprire incarichi di primaria importanza nella chiesa mantovana nei decenni centrali del XIII secolo. Egli svolse più volte la funzione di vicario episcopale con i vescovi Guidotto da Correggio e Giacomo di Castell’Arquato che gli affidarono entrambi la gestione del tribunale ecclesiastico98. Bernardo era stato podestà di Mantova nel 1238 e aveva ricoperto l’ufficio podestarile in varie città. Su di lui e sulla sua carriera cfr. Annales Mantuani cit., p. 22; I. AFFÒ, Storia della città di Parma, III, Parma 1793, p. 122; G. MONTECCHI, Correggio, Gherardo da, in Dizionario biografico degli italiani 29, Roma 1983, pp. 437-438. T. BOESPFLUG, Amministrazione pontificia e magistrature comunali: gli scambi di personale nel Duecento, in I podestà dell’Italia comunale cit., II, pp. 877-894, in specie p. 885 e nt. 31 avanza l’ipotesi che Bernardo di Rolando potrebbe identificarsi con Bernardo di Parma attestato nel 1240 come giudice del cardinale Sinibaldo Fieschi allora rettore della Marca, benché per il momento sussistano molte incertezze su questa identificazione. 96 Si andò creando a Parma una sorta di monopolio fondato su un consorzio di famiglie parmensi congiunte alla famiglia Fieschi che si protrarrà ancora per molto dopo la morte di Innocenzo IV. I loro esponenti ricoprirono cariche podestarili e uffici comunali in varie città dell’Italia centrale, altri controllarono il capitolo cattedrale di Parma. Nel 1280 il capitolo cattedrale era formato da uomini delle famiglie Fieschi, Rossi e Sanvitale e il loro vescovo era Obizzo Sanvitale, cfr. P. SILANOS, Gerardo Bianchi da Parma († 1302): la biografia di un cardinale-legato duecentesco, prefazione di A. PARAVICINI BAGLIANI, Roma 2010 (Italia sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 84), pp. 64-65; M. P. ALBERZONI, La chiesa cittadina cit., in Storia di Parma cit., pp. 307-312. Sul potere ed influenza della famiglia Fieschi nella vita ecclesiastica di Parma cfr. M. RONZANI, Vescovi, capitolo e strategie famigliari nell’Italia comunale, in Chiesa e potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G. CHITTOLINI – M. MICCOLI, Torino 1986 (Storia d’Italia. Annali, 9), pp. 99-146; S. CAROCCI, Il nepotismo nel medioevo. Papi, cardinali e famiglie nobili, Roma 1999 (La corte dei papi, 4), pp. 118-121; P. SILANOS, Vice nostra. Vescovi di Parma con funzioni di legati e giudici delegati papali nei secoli XII e XIII, in Legati e delegati cit., pp. 53-105, in specie pp. 91-104. Si veda anche: R. PAVONI, L’ascesa dei Fieschi tra Genova e Federico II, in I Fieschi tra Papato e Federico II. Atti del convegno, Lavagna, 18 dicembre 1994, a cura di D. CALCAGNO, prefazione di G. AIRALDI, Lavagna 1997, pp. 3-44. 97 SALIMBENE DE ADAM, Cronica cit., I, pp. 294-295, 289; II, pp. 553; Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di G. BONAZZI, in Rerum Italicarum Scriptores IX,9, Città di Castello 1902-19042, p. 14. 98 Cfr. G. GARDONI, Un ‘officiale’ episcopale del primo Duecento: Uberto da Parma delegato e vicario dei vescovi di Mantova (1231-1241), in Chiesa, vita religiosa, società nel medioevo ita-

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Lo stesso vescovo Giacomo una volta eletto cardinale mantenne i suoi rapporti con la città di Mantova, portando con sé in curia uomini che erano stati al suo fianco durante gli anni di vescovado come il canonico mantovano Guido de Çena, suo chierico e cappellano99. Torniamo ora al periodo dei documenti qui esaminati. In quel momento vescovo di Mantova era il magister Martino100. Con lui, di origine parmense, si rinsaldano i legami già forti con questa città, e si rendono più dirette e vicine le relazioni con la curia pontificia. Martino, preposito della chiesa di Parma, proveniva dall’ambiente curiale romano, era infatti cappellano del papa e curie generali auditor causarum101. Era stato con ogni probabilità avviato alla carriera curiale dallo stesso Innocenzo IV che egli seguì al concilio di Lione102, e una volta messo a capo della diocesi di Mantova le sue relazioni con la curia romana non si affievolirono, poiché le fonti attestano i numerosi incarichi ricevuti dai pontefici e dal legato Ottaviano degli Ubaldini103. liano. Studi offerti a Giuseppina De Sandre Gasparini, a cura di M. C. ROSSI – G. M. VARANINI, Roma 2005 (Italia sacra, 80), pp. 399-413; ID., Governo della chiesa cit., pp. 110-115. 99 A lui e al nuovo vescovo mantovano Martino Giacomo affidò il compito di eseguire i suoi legati testamentari, cfr. PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, p. 348. 100 Egli è nominato il 31 maggio 1252, cfr. P. 14616; BERGER, Les registres d’Innocent IV cit., III, Parigi, 1890-1897, p. 55, n. 5721. 101 BERGER, Les registres d’Innocent IV cit., III, p. 55, n. 5721. Martino svolse la funzione di auditor in una questione del 13 ottobre 1247 riguardante la comunità di S. Giminiano de Cipata in diocesi di Mantova, cfr. ibid., I, p. 497, n. 3309. Per le attestazioni come uditore dal 1247 al 1251 cfr. ibid., II, p. 213, n. 5203, p. 250, n. 5364, p. 260, n. 5423; III, p. 415, n. 7530. Cfr. E. CERCHIARI, Capellani papae et apostolicae sedis auditores causarum sacrii palatii seu sacra Romana Rota ab origine usque ad diem 20 septembris 1870. Relatio historica-iuridica, Roma 1920, II, p. 11, III, pp. 30-31. Salimbene elogia la grandezza d’animo, la cortesia e la generosità di Martino: «fuit curialis homo, umilis et benignus et liberalis et largus», cfr. SALIMBENE DE ADAM, Cronica cit., II, p. 655. Vedi anche S. VECCHIO, Valori laici e valori francescani nella «Cronica» di Salimbene da Parma, in Salimbeniana. Atti del convegno per il VII centenario di fra Salimbene (Parma 1987-1989), Bologna 1991, pp. 254-265, in specie pp. 260-262. Cipata si estendeva sulla sponda sinistra del Mincio presso Frassine nel comune di S. Giorgio (Mantova); cfr. S. DAVARI, Notizie storico topografiche della città di Mantova nei secc. XIII-XIV-XV, Mantova 1903, p. 103. Sulla chiesa di S. Giminiano si veda MARANI, La medievale partizione plebana della diocesi di Mantova cit., pp. 125-126. 102 GARDONI, Governo della chiesa cit., pp. 23-24. 103 Ibid., pp. 24-26. A Martino fu affidato nel 1264 il negotium crucis in Lombardia, Marca Trevigiana e Romandiola, cfr. GUIRAUD, Les registres d’Urbain IV cit., II, p. 234, n. 472. Già in precedenza è attestata una collaborazione fra i vescovi di Mantova e i legati pontifici. Il vescovo Pellizzario aveva collaborato con il cardinale Goffredo Castiglioni, legato papale in Lombardia. Ma le relazioni con la curia romana divennero più intense con il vescovo Guidotto, egli infatti aveva svolto, già da quando era canonico a Bologna, vari incarichi per conto dei pontefici Onorio III e Gregorio IX, che lo avevano delegato in dispute e vertenze giudiziarie fra enti ecclesiastici e gli avevano affidato veri e propri incarichi politici, cfr. GARDONI, Governo della chiesa cit., pp. 14-18.

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Negli stessi anni di Martino era in curia Gerardo Bianchi di Parma, a quei tempi, come Martino, cappellano del papa e scrittore della cancelleria (1253-1273) e più tardi nel 1276 auditor litterarum contradictarum. Gerardo era nipote del notaio pontificio Alberto da Parma, la cui famiglia aveva intessuto stretti rapporti di amicizia con Obizzo Fieschi, vescovo di Parma nel primo ventennio del XIII secolo, e la sua presenza in cancelleria è attestata anche durante il pontificato di Clemente IV104. La chiesa di Mantova inoltre poteva contare sulla presenza in curia anche di Giovanni da Parma detto de Palaxano, canonico di Mantova, scrittore della cancelleria e familiare di Clemente IV105 e di quel Guido de Çena introdotto negli ambienti curiali dal vescovo, poi cardinale, Giacomo di Castell’Arquato. Guido infatti dopo la morte del cardinale viveva fra Mantova e la curia pontificia. A Mantova, dove era canonico e deteneva varie prebende, aveva costruito, per volontà di Giacomo, l’ospedale di S. Maria Vergine e fu presente più volte fra il 1263 e il 1269 per assolvere i legati testamentari del cardinale, per occuparsi dell’ospedale e per formulare ed emettere, insieme agli altri canonici, le costituzioni della chiesa mantovana106. Nel contempo si era inserito sempre meglio nell’ambiente curiale tanto da divenire familiare di Gregorio X, che gli aveva affidato vari incarichi di natura economica. Il pontefice infatti gli chiese di inquisire su beni, diritti e censi spettanti alla chiesa di Roma che erano stati alienati illecitamente dai rettori della marca Anconitana, del ducato di Spoleto, del comitato di Campania e della città di Benevento e del patrimonio di S. Pietro in Tuscia107. 104 Gerardo Bianchi fu eletto nel 1278 cardinale prete dei XII Apostoli e poi cardinale vescovo di S. Sabina. Su di lui cfr. P. HERDE, Gerardo Bianchi, in Dizionario biografico degli italiani 10, Roma 1968, pp. 96-101; NÜSKE, Untersuchungen cit., pp. 221-223, nt. 100; P. SILANOS, Gerardo Bianchi da Parma cit., in specie pp. 101-148 sulla sua attività di scrittore e di uditore. Lo scrittore pontificio Gibertus di Parma, che aveva scritto uno dei documenti per le Clarisse, era cappellano del cardinale Ottobono Fieschi e, attraverso la familia cui apparteneva, era nell’orbita di influenza di Gerardo, cfr. NÜSKE, Untersuchungen cit., p. 223. 105 M. E. JORDAN, Le registres de Clement IV (1265-1268), Parigi 1893-1945, p. 205, n. 599. Giovanni de Palaxano era nipote del cardinale Gerardo Bianchi, che seguì anche nel suo lavoro di uditore e del quale divenne cappellano; cfr. P. HERDE, Ein Formelbuch Gerhards von Parma mit Urkunden des Auditor litterarum contradictarum aus dem Jahre 1277, in Archiv für Diplomatik 13 (1967), pp. 225-312, in specie pp. 284-285, n. 41; NÜSKE, Untersuchungen cit., pp. 282-284, n. 157; SILANOS, Gerardo Bianchi da Parma cit., pp. 326-327. 106 TORELLI, L’archivio capitolare cit., pp. 208-210, n. 140; pp. 230-234, n. 161; pp. 262-263, n. 179; pp. 264-265, n. 181. Del 3 aprile 1264 è la conferma di una sentenza emessa in suo favore a proposito di alcune prebende mantovane; cfr. GUIRAUD, Les registres d’Urbain IV cit., III, Parigi 1904, pp. 27-29, n. 1028. 107 GUIRAUD, Les registres de Gregoire X cit., p. 76, nn. 201-202 (8 ottobre 1272). Forse è da mettere in relazione con questo incarico il lavoro che Guido de Zena svolgerà proprio insieme allo scrittore pontificio e canonico mantovano Giovanni da Parma nella città di Benevento;

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Il vescovo Martino proveniva quindi da una terra, Parma, e da un entourage, quello della curia pontificia, che gli avevano permesso di intrecciare, o di rinsaldare, relazioni molteplici con altri ufficiali suoi conterranei in grado, come lui, di muoversi agilmente negli ambienti curiali romani108. Queste relazioni, non interrotte con il trasferimento a Mantova, gli avevano assicurato appoggi e conoscenze ai quali potersi rivolgere in caso di bisogno. E la necessità sembra proprio verificarsi nel 1266 quando le monache di S. Francesco vollero il rinnovo di un gruppo di documenti pontifici, poiché gli uomini vicini alle sorores ordinis S. Damiani fin dalla fondazione del monastero risultano dalle fonti essere frequentatori di lungo tempo del palazzo episcopale e collaboratori del vescovo. Raimondo de Agalono è citato fra i presenti in atti di rilievo per la vita del monastero, a partire dal privilegio del vescovo Giacomo che esentava il monastero dalla giurisdizione dall’ordinario, inoltre nel 1239 era stato nominato «procurator, nuncius, actor ac defensor» del nuovo monastero dell’Ordine di S. Damiano «ad regendum et aministrandum ac gubernandum omnes res et bona ipsius domus et ad defendendum ipsam domus et res et possessiones … et ad recipiendum sorores et confratres». Tuttavia Raimondo, che era un giudice, prima ancora di abbracciare la vita penitente è attestato fra gli anni Venti e Trenta al fianco dei presuli. Aveva lavorato a stretto contatto con Pellizzario, che lo aveva investito di un feudo vescovile in Isola di Revere, e collaborato nel governo della cfr. Archivio Segreto Vaticano, Arm. XXXV, 105. Ringrazio Daniel Siegmund, che sta studiando e curando l’edizione critica di questa fonte, per avermi segnalato la notizia. In questo modo si spiega anche l’annotazione presente sulla licentia testandi concessa da Gregorio X a Guido il 25 ottobre 1272. Il documento originale è scritto da Giovanni da Parma e riporta la nota di altra mano: «extare memini magistri Io. qui pro negotiis ecclesie vadit cum domino G. de Zena»; cfr. TORELLI, L’archivio capitolare cit., p. 270, n. 187. 108 Durante l’episcopato di Martino erano giunti a Mantova uomini profondamente inseriti nella vita politica e religiosa del tempo. Alla metà del XIII secolo era a Mantova il frate Ugo penitenziere del papa; cfr. GARDONI, Governo della chiesa cit., pp. 93-94. Sul domenicano Ugo da Saint-Cher, cardinale prete di S. Sabina cfr. E. GÖLLER, Die Päpstlichen Pönitentiarie von ihrem Ursprung bis zu ihrer Umgestaltung unter Pius V., I,1, Roma 1907 (Bibliothek des königl. Preussischen Historischen Instituts in Rom, 3), pp. 86-88; PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia cit., I, pp. 256-265; Hugues de Saint-Cher († 1263), bibliste et théologien, a cura di L.-J. BATAILLON – G. DAHAN – P.-M. GY, Turnhout 2004 (Bibliothèque d’histoire culturelle du Moyen Âge, 1). Nel gennaio del 1259 era a Mantova in qualità di legato il diplomatico e giurista Enrico da Susa cardinale vescovo di Ostia e Velletri; cfr. TILATTI, Legati del papa cit., p. 158, nt. 62; FISCHER, Kardinäle im Konklave cit., pp. 210-224; ID., Die Kardinäle von 1216 bis 1304: zwischen eigenständigem Handeln und päpstlicher Autorität, in Geschichte des Kardinalats im Mittelalter, a cura di J. DENDORFER – R. LÜTZELSCHWAB, Stuttgart 2011 (Päpste und Papsttum, 39), pp. 201-204. Enrico nominò in seguito suo esecutore testamentario un membro della famiglia Fieschi, il cardinale Ottobono; cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, I testamenti dei cardinali nel duecento, Roma 1980 (Miscellanea della Società romana di Storia patria, 25), pp. 133-141, in specie p. 141.

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diocesi. Nel luglio 1230 infatti il vescovo, in procinto di allontanarsi da Mantova, lo aveva nominato suo vicario in temporalibus. A Raimondo fu quindi rimessa tutta l’amministrazione temporale, compresa la facoltà di concedere nuove investiture109. Anche in seguito la sua presenza accanto ai vescovi non venne meno; è citato nel 1252 fra coloro che ottennero dal vescovo Martino il rinnovo della loro investitura110. Egli era pertanto un uomo conosciuto e stimato dai vescovi e inoltre nel momento in cui aveva abbracciato la vita penitente era entrato a far parte di un gruppo di penitenti mantovani, composto nella gran parte da esponenti di famiglie notabili della città, che si distingueva proprio per la familiarità dei suoi membri con l’episcopio. Lo stesso Vivaldo de Gambolinis era un uomo unito da vincoli di più genere all’ambiente episcopale. La famiglia nobile mantovana alla quale apparteneva partecipava attivamente al governo della città attraverso alcuni esponenti presenti nel consiglio civico111. Vivaldo, come altri membri della sua famiglia, era anche feudatario del vescovo, del quale deteneva in feudo numerose terre in Isola di Revere112, e infatti era fra coloro incaricati di sovrintendere in quella località al rifacimento degli argini del Po113. Egli è inoltre presente come teste in molti documenti emessi dai vescovi già dai tempi di Giacomo di Castell’Arquato114. Zambonino, Vivaldo, Raimondo, laici devoti di elevata condizione sociale, avevano sempre frequentato l’ambiente vescovile, anche prima di scegliere lo stato penitenziale, e intessuto rapporti di stretta vicinanza con i canonici di S. Marco, ordine influente che svolse un ruolo decisivo per la chiesa locale soprattutto nell’indirizzare e guidare le iniziative religiose e assistenziali dei laici sotto la guida vigile del vescovo. Si potrebbe a questo punto pensare che la redazione dei documenti di Clemente IV per le Clarisse da parte di una serie di ufficiali della cancelleria uniti da relazioni di diversa natura all’ambiente mantovano e vescovile non sia stata un caso. 109

Cfr. supra nt. 4. GARDONI, Governo della chiesa cit., pp. 96-97. All’atto è presente Zuliano de Agalono, figlio di Raimondo, che agisce in nome del padre, cfr. ibid., pp. 243-245. 111 Vivaldo costituisce un cospicuo patrimonio fondiario comprando molti beni anche dal medesimo comune in una località di pertinenza comunale; cfr. TORELLI, Un comune cittadino cit., II, pp. 268-274. 112 Cfr. supra nt. 16. 113 Negli anni Trenta del Duecento si pose mano al rifacimento delle opere di arginamento del fiume a seguito delle numerose inondazioni e si procedette quindi al rilievo delle proprietà e di coloro che le detenevano a qualsiasi titolo. Fra di essi è menzionato Vivaldo de Gambolinis per i territori che aveva in Insula Reveris; cfr. a riguardo GARDONI, I registri della chiesa vescovile cit., pp. 149-150; TORELLI, Un comune cittadino cit., I, pp. 111-113. 114 Cfr. GARDONI, Governo della chiesa cit., p. 257. 110

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APPENDICE 1 Viterbo, 1266 maggio 21 Clemente IV conferma alla badessa e al monastero di S. Francesco di Mantova dell’Ordine di S. Chiara quanto Alessandro IV aveva disposto in precedenza rimettendo al monastero la proprietà dei beni ricevuti in dotazione da Zambonino de Rufino ubicati in Camposomario e nella diocesi di Mantova. Originale: Biblioteca Apostolica Vaticana, Raccolta Patetta, b. 218, Papi, f. 1 [A]; copia semplice della fine del XIII secolo1 in Archivio di Stato di Milano, Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 226, n. 479 [B]. Sul verso in calce, e in senso capovolto rispetto alla scrittura del testo, di mano del XIV secolo l’annotazione posta nell’archivio di conservazione: «Quomodo papa donavit possessiones de Campi Somario successoribus». La pergamena è in buono stato di conservazione. È presente il sigillo di piombo assicurato alla pergamena con fili di seta gialli e rossi. Sul recto nell’angolo superiore destro: «bo» (barrato da due linee oblique). Sulla plica a destra: «N. Bobo(n)is», sotto la plica a sinistra la tassa: due punti in linea (= II), al di sotto: «G. M.». Sul verso nell’angolo superiore sinistro: «J», al centro del margine superiore: «Bonaspes de Ass(isio)». **Clemens** * *

IV episcopus servus servorum Dei. Dilectis in Christo filiabus . . abbatisse et conventui monasterii pauperum dominarum | Sancti Francisci Mantuani ordinis sancte Clare, salutem et apostolicam benedictionem. Cum a nobis petitur quod iustum est et honestum, tam vigor | equitatis quam ordo exigit rationis, ut id per sollicitudinem officii nostri ad debitum perducatur effectum. Ex parte siquidem vestra | fuit propositum coram nobis quod, cum dilectus filius nobilis vir Iamboninus de Rufino civis Mantuanus felicis recordationis Alexandroa | pape predecessorib nostro, tunc in minori officio constituto, pro construendo monasterio possessiones quas habebat in Campo Somarioc | cumd omnibus aliis bonis suis in diocesi Mantuana pia et provida liberalitate donarit2, idemque predecessor, postmodum monasterium | vestrum intuitu predictarum possessionum construens, illas sibi duxerit retinendas, tandem ipse possessiones easdem vobis | et per vos eis que vobis successerint auctoritate apostolica contulit et donavit de gratia speciali3. Nos itaque vestris | supplicationibus inclinati, quod super hiis provide factum est ratum et firmum habentes, id auctoritate apostolica con|firmamus et presentis scripti patrocinio communimus. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre | confirmationis infringere vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc

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attemptare presumpserit, indignationem omnipotentis | Dei et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. Dat(e) Viterbii, XII kalendas iunii, | pontificatus nostri anno secundo. a -ro su rasura. b -i corr. da o erasa. c Segue rasura coperta da un segno con funzione di riempimento. d cum su rasura. 1 La copia trascrive la data: «XII kalendas iulii, pontificatus anno secundo», che corrisponde al 20 giugno 1266. Suppongo che ci sia stato un errore durante la trascrizione e che il copista abbia scritto iulii invece di iunii e quindi abbia copiato dal nostro documento e non da un altro documento identico per destinatario e tenore emanato solo un mese dopo. Sulla pergamena che riporta la copia sono trascritti tre documenti: la donazione di Zambonino nelle mani del cardinale Rainaldo da Ienne del 9 luglio 1237 (Archivio di Stato di Milano, Pergamene per Fondi, Mantova S. Chiara, b. 224, n. 212; cfr. CENCI, Le Clarisse cit., pp. 43-45, n. 2), il documento di Alessandro IV dell’8 agosto 1255 che trasferisce alla badessa e a coloro che le succederanno la proprietà dei beni donati da Zambonino (Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 12, n. 23) e il documento di Clemente IV con identico incipit e tenore del precedente. Si tratta quindi di un piccolo dossier che tiene uniti sul medesimo supporto membranaceo la donazione di Zambonino alle Clarisse mantovane e le due più antiche conferme pontificie del trasferimento della proprietà della stessa dotazione. A tergo della pergamena una mano del XIV secolo ha annotato: «Donatio monasterii terrarum de Campsomario per Zamboninum de Rufino | civi Mantuano ord(inis) de penitentia 1237 indictione decima». 2 Documento del 9 luglio 1237; edito in CENCI, Le Clarisse cit., pp. 43-45, n. 2. 3 Lettera dell’8 agosto 1255 «Cum a nobis»; cfr. Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 12, n. 23, originale; Archivio di Stato di Milano, Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 226, n. 479, copia semplice della fine del XIII secolo.

2 Viterbo, 1266 maggio 21 Clemente [IV] esorta il podestà, il consiglio e il comune di Mantova a non gravare con oneri di vario genere il monastero de Tegeto di Mantova dell’Ordine di S. Chiara, del quale aveva posto la prima pietra Alessandro IV all’epoca della sua legazione in Lombardia, e di difenderlo da eventuali oppressori. Originale: Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, n. 38 [A]. La pergamena è in discrete condizioni, presenta qualche macchia dovuta all’umidità e la caduta di un frammento di membrana lungo il margine laterale destro. Il sigillo di piombo che pendeva in origine cum filo canapis è oggi perduto. Sul recto, al centro del margine superiore un’annotazione erasa, sotto: «cor.», accanto di altra mano: «cor.». Sulla plica a destra: «N. de Bobo(n)is»; sotto la plica a sinistra

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è l’indicazione della tassa «I 1/2» rappresentata da un segno composto da un punto per l’unità e un comma per la frazione; al di sotto: «G. M.». Sul verso, nell’angolo superiore sinistro: «J» e al centro del margine superiore: «Bonaspes de Ass(isio)».

Clemens episcopus servus servorum Dei. Dilectis filiis . . potestati, consilio et comuni Mantuanis, salutem et apostolicam benedictionem. Cum | dilectas in Christo filias . . abbatissam et sorores monasterii de Tegeto Mantuani ordinis sancte Clare ad Romanam ecclesiam nullo | medio pertinentis ex eo specialius in Domino diligamus, quod felicis r[ecor]dationis Alexander papa predecessor noster, tunc in | minori officio constitutusa in partibus Lombardie apostolice sedis legatus, primarium lapidem in ecclesia mo|nasterii predicti posuit, ac per hoc bonum statum ipsius monasterii semper in melius dirigi affectemus, uni|versitatem vestram rogamus et hortamur attente per apostolica vobis scripta mandantes, quatinus eas propter Deum | et nostrarum precum obtentum habentes in Christi visceribus commendatas, ipsas aliquibus oneribus de cetero | non gravetis, set studeatis easb potius ab aliorum oppressionibus qu[antu]m vobis fue[ri]tc defensare, ita quod nos devotionem vestram exind[e] | merito commendantes, providere sibi super hoc aliter non cogamur. Dat(e) Viterbii, XII kalendas iunii, | pontificatus nostri anno secundo. a Seguono lettere erase. b eas aggiunto in un momento successivo nello spazio bianco fra le parole. c ab – fuerit su rasura.

3 Viterbo, 1266 maggio 25 Clemente IV conferma all’abbadessa e al monastero di S. Francesco di Mantova dell’Ordine di S. Chiara l’esenzione concessa da Innocenzo IV dal pagamento di qualsiasi tassa sugli animali, la biada, il vino, la lana, il sale e su tutto quanto acquisteranno per loro uso. Originale: Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, n. 39 [A]. Sul verso al centro della pagina di mano del XIV secolo la nota apposta nell’archivio di conservazione: «[Quod non t]eneantur solvere pedagia». La pergamena è in buono stato di conservazione; presenta qualche macchia dovuta all’umidità. È presente il sigillo di piombo assicurato alla pergamena con fili di seta gialli e rossi. Sul recto, nel margine superiore: «ad instar est ascult.». Sulla plica a destra: «Mart. p(ar)», sotto la plica a sinistra la tassa: due punti in linea (= II), al di sotto: «G. M.». Sul verso, nell’angolo superiore sinistro: «J», al centro del margine superiore: «Bonaspes de Ass(isio)».

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**Clemens** * *

IV episcopus servus servorum Dei. Dilectis in Christo filiabus . . abbatisse et conventui monasterii Sancti Francisci | Mantuani ordinis sancte Clare, salutem et apostolicam benedictionem. Solet annuere sedes apostolica piis votis et iustis pe|tentium desideriis favorem benivolum impertiri. Eapropter, dilecte in Christo filie, vestris iustis postulationibus | grato concurrentes assensu, ut de animalibus, blado, vino, lana, sale et aliis que aliquotiens pro vestris usibus eme|re vos contigerit nulli pedagia, wionagia, rotatica, traversa, roagia, pesagia, minagia, fortigia et alias exactio|nes que pro hiis a secularibus exiguntur solvere teneamini vobis ad instar felicis recordationis ***Innocentii*** IV pape pre|decessoris nostri1 auctoritate presentium indulgemus. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre | concessionis infringere vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptare presumpserit, indignationem om|nipotentis Dei et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. Dat(e) Viterbii, | VIII kalendas iunii, pontificatus nostri anno secundo. 1

Si desidera la lettera relativa.

4 Viterbo, 1266 maggio 28 Clemente [IV] conferma alla badessa e al monastero di S. Francesco di Mantova dell’Ordine di S. Chiara, su esempio di quanto già disposto da Innocenzo IV, la donazione di tutti i beni posseduti in Camposomario, al fine di costruire una domus dell’Ordine di S. Damiano, fatta da Zambonino de Rufino nelle mani di Alessandro IV, al tempo in cui questi era vescovo di Ostia e legato pontificio. Originale: Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, n. 40 [A]. Sul verso in basso di mano del XIV secolo la nota apposta nell’archivio di conservazione: «Quomodo dominus Çamboninus donavit teriotorium | Campsomarii ecclesie Romane». Nell’angolo inferiore sinistro è presente una figura composta da tre cerchi allineati orizzontalmente, dal primo e dal terzo partono due linee oblique che si uniscono in alto ad angolo acuto. La pergamena è in discreto stato di conservazione; presenta diffuse macchie e un leggero sbiadimento dell’inchiostro dovuti all’umidità. Il sigillo di piombo è andato perduto, ma è rimasto un lacerto di filo serico. Sul recto, nel margine superiore: «cor.» (barrato con due linee oblique), accanto: «ad instar est ascult. […]» («ascult.» barrato con due linee oblique); nell’angolo superiore destro: «bo» (barrato con due linee oblique). Sulla plica a destra: «Gib(er)t(us) p(ar)»; sotto la plica a

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sinistra la tassa: tre punti in linea (= III), al di sotto: «G. M.». Sul verso, nell’angolo superiore sinistro: «J»; al centro del margine superiore è presente un’annotazione erasa, al di sotto: «Bonasp[es]» e accanto un’altra annotazione erasa. **Clemens** * *

episcopus servus servorum Dei. Dilectis in Christo filiabus . . abbatisse et sororibus monasterii Sancti Francisci | Mantuani ordinis sancte Clare, salutem et apostolicam benedictionem. Iustis petentium desideriis dignum esta nos facilem plebereb consensum et vota, | que a rationis tramite non discordant, effectu prosequente complere. Exibita quidem nobisc vestra petitio continebat quod, quondam cumd Zombo|nus civis Mantuanus quendam locum qui Campuse Somarii vulgariter appellatur cum domibus, possessionibus, campis, pratis, silvis, ne|moribus, aquis, pascuis et omnibus iuribus ac pertinentiis suis necnon alia bona sua felicis recordationis Alexandro pape predecessori nostro, tunc | Ostiensi episcopo in partibus illis legationis fungenti officio, ad domum ibidem vel alibi in Mantuana diocesi pro anime sue remedio construendam, | in qua Sancti Damiani seu alterius religionis vel ordinis ad honorem divini nominis religiof plantaretur, ecclesie Romane nomine pia et pro|vida deliberatione donavit1. Quare, cum iam ibidem monasterium ad opus vestrum de licentia sedis apostolice ut asseritur sit constructum, nobis | humiliter supplicastis ut donationem huiusmodi confirmare de benignitate solita curaremus. Nos igitur, vestris supplicationibus annuentes, quod | super hoc provide factum est gratum habentes et ratum, id ad instar pie memorie ***Inocentii***g pape IV predecessoris nostri2, prout | in instrumento publico exinde confecto3 noscitur plenius contineri, auctoritate apostolica confirmamus et presentis scripti patrocinio com|munimus. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre confirmationis infringere vel ei ausu temerario contraire. Si quis | autem hoc attemptare presumpserit, indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. | Dat(e) Viterbii, V kalendas iunii, pontificatus nostri anno secundo.

a Segue rasura. b Così A, per prebere c Exibita – nobis su rasura. ra. e Segue rasura. f r- scritta su rasura. g Così A.

d cu(m) su rasu-

1

Documento del 9 luglio 1237 edito in CENCI, Le Clarisse cit., pp. 43-45, n. 2. Lettera del 15 maggio 1244 «Iustis petentium desideriis»; originale in Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 8, n. 28. 3 Cfr. nota 1. 2

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ISABELLA AURORA

5 Viterbo, 1268 ottobre 15 Clemente [IV] incarica l’arciprete della pieve di Campitello in diocesi di Mantova di fare osservare la sentenza definitiva emessa dall’arciprete della chiesa di Mantova, agente su mandato del vescovo di Ravenna legato apostolico in quelle terre, a favore della badessa e delle monache del monastero mantovano di S. Francesco de Tigeto dell’Ordine di S. Chiara nella causa che hanno avuto con il priore e il convento del monastero di S. Maria di Portoregenzo nell’Isola di Revere riguardo alla proprietà di alcune terre e possedimenti. Originale: Archivio di Stato di Milano, Bolle e brevi, scat. 15, n. 50 [A]. Sul verso al centro della pagina, capovolta rispetto alla scrittura del documento, di mano della fine del XIV secolo è l’annotazione apposta nell’archivio di conservazione: «Sententia commissa archipresbitero | de Campedellis de terris Reveri per papam». La pergamena presenta diffuse macchie causate dall’umidità e alcuni piccoli fori dovuti ad azione meccanica. La plica è in gran parte caduta e perduto è anche il sigillo di piombo che in origine pendeva cum filo canapis dalla membrana. Sul recto, al centro del margine superiore: «cor.» (barrato con due linee oblique). Sotto la plica a sinistra è l’indicazione della tassa «I 1/2» rappresentata da un segno composto da un punto per l’unità e un comma per la frazione; al di sotto: «Iac. Alexii». Sul verso, al centro del margine superiore, in inchiostro fortemente sbiadito, la nota: «Magister Iohannes de Versellis».

Clemens episcopus servus servorum Dei. Dilecto filio . . archipresbitero plebis de Campedellis1 Mantuane | diocesis, salutem et apostolicam bendictionem. Sua nobis dilecte in Christo filie . . abbatissa et sorores monasterii | Sancti Francisci de Tigeto Mantuani ordinis sancte Clare petitione monstrarunt quod, cum inter ipsas ex parte | una et . . priorem et conventum monasterii Sancte Marie de Portereghenço Insule Reveris2 Re|gine diocesis super quibusdam terris, possessionibus et rebus aliis ex altera coram . . archipresbitero Mantuano, auctoritate lit|terarum venerabilis fratris nostri . . Ravennatis archiepiscopi in illisa partibus apostolice sedis legati3, questio verteretur; idem archipresbiter | cognitis ipsius cause meritis et iuris ordine observato pro abbatissa et sororibus predictis diffinitivam sententiam promulgavit, | quam dicte abbatissa et sorores apostolico petierunt munimine roborari. Quocirca discretioni tue per apostolica scripta mandamus, | quatinus sententiam ipsam, sicut est iusta, facias per censuram ecclesiasticamb appellatione remota firmiter observari. Dat(e) Viterbii, | idus octobris, pontificatus nostri anno quarto.

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DOCUMENTI DI CLEMENTE IV PER LE CLARISSE DI MANTOVA

a il- corr. da n

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b per censuram ecclesiasticam su rasura.

1

Campitello è oggi una frazione del comune di Marcaria in provincia di Mantova. Comune di Revere in provincia di Mantova. 3 Non disponiamo del documento. Filippo Fontana arcivescovo di Ravenna è inviato nuovamente come legato nella marca Trevigiana a partire dall’8 luglio 1267; cfr. P. 20072, 20074; JORDAN, Les registres de Clement IV cit., p. 154, n. 487-488; HEUBEL, Hierarchia Catholica cit., I, p. 436, nt. 4. Filippo è attestato a Mantova in qualità di legato il 21 ottobre 1267 quando comminò la scomunica a Corradino di Svevia (cfr. Annales Mantuani cit., p. 25; J. F. BÖHMER – J. FICKLER – E. WINKELMANN, Regesta Imperii, V: Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV, Friedrich II, Heinrich (VII), Conrad IV, Heinrich Raspe, Wilhelm und Richard, 11981272, 2, 4: Päpst und Reichssachen, Innsbruck 1892, p. 2073, post n. 14362) e il 3 settembre 1268 quando concesse l’indulgenza a coloro che avrebbero visitato la chiesa mantovana dei SS. Cosma e Damiano (cfr. TORELLI, L’archivio capitolare cit., pp. 261-262). Cfr. anche G. ZANELLA, Filippo da Pistoia (Filippo Fontana), in Dizionario biografico degli italiani 47, Roma 1997, pp. 757-762. 2

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UN DOCUMENTO DELLA CULTURA VERONESE NEL VAT. LAT. 3134: GLI EPIGRAMMATA DI ANTONIO DA LEGNAGO È noto da tempo che documenti della cultura veronese figurano nel ms. Vat. lat. 3134, la grossa miscellanea che dalla fine del Trecento ai primi decenni del Quattrocento il modesto funzionario dei Gonzaga Ramo Ramedelli allestì per proprio conto, via via scrivendo su singoli fascicoli che poi legò insieme intitolando la sua raccolta Pandetta. Ed è per certo maggiormente noto che il Vat. lat. 3134 ha acquisito notorietà fra gli studiosi dopo che Augusto Campana vi aveva scoperto una nuova, bellissima lettera del Boccaccio a Donato degli Albanzani, e anche peraltro che, davanti ai non pochi testi umanistici pertinenti alle corti malatestiane di Rimini e Pesaro in buona parte rari o del tutto sconosciuti che lì sono raccolti, fiducioso di poterne scrivere egli stesso, e pur comunicando privatamente a Guido Martellotti e a Giuseppe Billanovich quanto avesse attinenza con le loro ricerche petrarchesche, solo nel 1969 Campana si risolse a comunicare la segnatura del manoscritto1. Qualche anno dopo, dal Vat. lat. 3134 Giuseppe Billanovich pubblicò l’epitaffio di Bonaventura da Santa Sofia cancelliere di Cangrande2, e nel 1 A. CAMPANA, Poesie umanistiche sul castello di Gradara, in Studi Romagnoli 20 (1969), pp. 501-520, ora in CAMPANA, Scritti, a cura di R. AVESANI – M. FEO – E. PRUCCOLI, I: Ricerche medievali e umanistiche, 2, Roma 2012, pp. 781-800: ibidem, pp. 1181-1188, è ristampata con un addendum dei curatori la lettera del Boccaccio; notizie sulla scoperta e un primo orientamento sul codice in R. AVESANI, La «Pandetta» di Ramo Ramedelli: livelli di cultura a Mantova fra Tre e Quattrocento, in Filologia, Papirologia, Storia dei testi. Giornate di studio in onore di Antonio Carlini. Udine, 9-10 dicembre 2005, Pisa – Roma 2008, pp. 131-173; una completa illustrazione del manoscritto, che Campana si prometteva di dare quando avesse pubblicato la lettera del Boccaccio senza poi poter raggiungere l’intento, ha fornito ora V. SANZOTTA, Una miscellanea umanistica mantovana: il Vat. lat. 3134 di Ramo Ramedelli. Tesi di dottorato. Tutor: prof. Sebastiano Gentile. Università degli Studi di Cassino, Facoltà di Lettere e Filosofia. A. a. 2008-2009, che si spera di vedere presto a stampa (ibidem, pp. 126-236, la tavola del codice), e vd. intanto, ID., Sulla Pandetta di Ramo Ramedelli (Vat. lat. 3134). Testi e florilegi a Mantova tra Medioevo e Umanesimo, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 19 (2012), pp. 475-499. 2 GIUS. BILLANOVICH, Terenzio, Ildemaro, Petrarca, in Italia medioevale e umanistica 17 (1974), pp. 1-60: pp. 9-10.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 47-87.

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RINO AVESANI

1976 lo scrivente segnalò gli Epigrammata di Antonio da Legnago3 (dei quali, come meglio si dirà a suo luogo, pubblicò in seguito quello su Uguccione della Faggiuola, come Agostino Sottili aveva pubblicato quello su Cangrande e Gian Paolo Marchi aveva pubblicato quello su Cansignorio). Sempre dal codice del Ramedelli è occorso a chi scrive di pubblicare anche una lettera inedita che da Verona Guarino inviò al giureconsulto veronese Galesio della Nichesola podestà di Mantova, della quale aveva dato notizia a stampa Campana4, nonché il testo di due epigrafi concernenti Iacopo Dal Verme e oggi scomparse, che il Ramedelli riteneva poste nella chiesa veronese di San Fermo mentre per certo erano in quella veronese di Sant’Eufemia5. Da uno spoglio del codice e da un controllo sulla tavola allestita da Sanzotta risulta che nel Vat. lat. 3134 provengono ancora da Verona due epitaffi scaligeri inediti e apparentemente non noti per altra via: un Epytaphyum domini Canisgrandis de la Scala che, nonostante il titolo, è in volgare (f. 291ra) e un Epytaphyum domini Fregnani de la Scala (f. 291va), «probabilmente il maggiore dei figli naturali di Mastino II»6. Può essere che il Ramedelli abbia avuto questi testi veronesi dal magistrato veronese Guglielmo della Pigna che nel 1416 era a Mantova come giudice vicario al seguito del suo concittadino Gian Nicola Salerno7, ma, considerati gli stretti rapporti tra Verona e Mantova, domandarsi come questi testi siano pervenuti al Ramedelli è sostanzialmente ozioso. Veniamo agli Epigrammata di Antonio da Legnago. Segnalati, dunque, rapidamente nel 1976 in un contributo sul Preuma3 R. AVESANI, Il Preumanesimo veronese, in Storia della cultura veneta. Il Trecento, Vicenza 1976, pp. 111-141: pp. 132-134. Non occorrerà ricordare che epigramma ha in primo luogo il significato di iscrizione (in particolare epitaffio) nel latino classico, di epigrafe e titolo (di un libro) nel latino umanistico: per il latino umanistico vd. S. RIZZO, Il lessico filologico degli umanisti, Roma 1973, p. 11; ma si intende che nel latino umanistico avrà anche, come nel latino classico, il significato di breve componimento poetico; nel nostro caso si tratta di brevi iscrizioni in prosa. 4 R. AVESANI, Guarino Veronese a Galesio della Nichesola e Angelo Lapi a Guarino: due integrazioni all’epistolario guariniano avviate da Augusto Campana, in Virtute et labore. Studi offerti a Giuseppe Avarucci per i suoi settant’anni, a cura di M. BORRACCINI e G. BORRI, Spoleto 2008, pp. 1049-1071; vd. anche SANZOTTA, Una miscellanea umanistica cit., pp. 82-83; ID., Sulla Pandetta cit., p. 496 nt. 88. 5 R. AVESANI, Minuzie su Luchino e Iacopo Dal Verme e su Cia Ubaldini. Le epigrafi di Iacopo nella chiesa veronese di Sant’Eufemia, in Magna Verona vale. Studi in onore di Pierpaolo Brugnoli, a cura di A. BRUGNOLI e G. M. VARANINI, Verona 2008, pp. 85-100; SANZOTTA, Sulla Pandetta cit., p. 496 nt. 88. 6 SANZOTTA, Una miscellanea umanistica cit., pp. 84, 172 e 176. 7 R. AVESANI, Uguccione della Faggiola a Vicenza in una iscrizione sconosciuta di Antonio da Legnago, in Uguccione della Faggiola nelle vicende storiche fra Due e Trecento. Atti del convegno Casteldelci, 6-7 settembre 1986 (Studi Montefeltrani 18, 1995), pp. 47-64: pp. 52-54; vd. pure SANZOTTA, Una miscellanea umanistica cit., p. 84.

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UN DOCUMENTO DELLA CULTURA VERONESE NEL VAT. LAT. 3134

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nesimo veronese, non hanno mancato di suscitare interventi soprattutto per la loro ipotetica connessione con la tarda decorazione pittorica dei palazzi scaligeri, di cui poco è pervenuto8, mentre Agostino Sottili li ha ricordati in un importante saggio sul Preumanesmo, in cui, come ho già detto, ha anche pubblicato l’epigramma su Cangrande, brevemente soffermandosi su qualcuno degli altri9. Che però gli Epigrammata abbiano anche ciascuno per sé qualche interesse può dedursi dal fatto che, appunto, l’epigramma su Cangrande, quello su Cansignorio e quello su Uguccione della Faggiuola sono stati pubblicati singolarmente. L’edizione della serie completa risponde anche, e anzitutto, all’auspicio con cui Carlo Salinari concludeva il profilo di Antonio da Legnago nel Dizionario biografico degli italiani: Questa singolare figura di letterato e di uomo politico meriterebbe di essere conosciuta più a fondo: non solo un uomo pubblico fortunato, che riuscì a raggiungere giovanissimo la massima carica della signoria al cui servizio era, ma un uomo politico imbevuto di umanesimo, che soccorreva poeti e grammatici, si commuoveva dinanzi al sepolcro di Dante, s’indignava per l’abbandono in cui erano tenuti i monumenti dell’antica Roma e riprendeva il filo del pensiero ghibellino e dell’utopia imperiale10. 8

Vd. intanto G. P. MARCHI. “Valore e cortesia”: l’immagine di Verona e della corte scaligera nella letteratura e nella memoria storica, in COMUNE DI VERONA, ASSESSORATO ALLA CULTURA, gli scaligeri, 1277-1387. Saggi e schede pubblicati in occasione della mostra storico-documentaria allestita dal Museo di Castelvecchio di Verona (giugno-novembre 1988) a cura di G. M. VARANINI, Verona 1988, pp. 485-496: p. 490; ID., Intorno a Gidino da Sommacampagna, in GIDINO DA SOMMACAMPAGNA, Trattato e arte deli rithimi volgari. Riproduzione fotografica del cod. CCCCXLIV della Biblioteca Capitolare di Verona. Testo critico a cura di G. P. CAPRETTINI, Introduzione e commentario di G. MILAN, con una prefazione di G. P. MARCHI e una nota musicologica di E. PAGANUZZI, Vago di Lavagno (Verona) 1993, pp. 9-34: pp. 20-22. G. M. VARANINI, Propaganda dei regimi signorili: le esperienze venete del Trecento, in Le forme della propaganda politica nel Due e Trecento. Relazioni tenute al convegno internazionale organizzato dal Comitato di studi storici di Trieste, dall’École française de Rome e dal Dipartimento di storia dell’Università degli studi di Trieste (Trieste, 2-5 marzo 1993), a cura di P. CAMMAROSANO, Rome 1994, pp. 311-343: p. 334 nt. 79; E. COZZI, Per un catalogo delle scritture esposte in affreschi medioevali dell’area italiana nord-orientale: itinerario essenziale, in «Visibile parlare». Le scritture esposte nei volgari italiani dal Medioevo al Rinascimento, a cura di C. CIOCIOLA, Napoli 1997, pp. 409-423: pp. 413-414, e J. RICHARDS, Altichiero. An artist and his patrons in the Italian Trecento, Cambridge 2000, pp. 54-58. 9 A. SOTTILI, Preumanesimo, in Die italienische Literatur im Zeitalter Dantes und am Übergang vom Mittelalter zur Renaissance, Banddirektor A. BUCK, II, Heidelberg 1989 (Grundriss der Romanischen Literaturen des Mittelaters, 10), pp. 255-285: pp. 277-278. 10 C. SALINARI, Antonio da Legnago, in Dizionario biografico degli italiani, III, Roma 1961, p. 553. La commozione di Antonio da Legnago dinanzi al sepolcro di Dante ha attirato l’attenzione anche di S. BELLOMO, «Parvi Florentia mater amoris». Gli epitafi sul sepolcro di Dante, in Vetustatis indagator. Scritti offerti a Filippo Di Benedetto, a cura di V. FERA e A. GUIDA, Messina 1999 (Percorsi dei classici, 1), pp. 19-33: p. 19, il quale così comincia il suo contributo: «”L’urne de’ forti […] bella | e santa fanno al peregrin la terra | che le ricetta”. Molto prima di Foscolo, avrebbe sottoscritto la massima Antonio di Giovanni da Legnago, cancelliere

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Aggiungo per la chiarezza e per quanto dirò in seguito che Antonio da Legnago nacque intorno alla metà del Trecento da Giovanni detto Gaio da Legnago e, benché di origini modeste, almeno dal 1369 era notaio e cancelliere di Cansignorio, il quale lo nominò membro del Consiglio di reggenza durante la minorità dei suoi figli, i ragazzi Bartolomeo e Antonio, ultimi signori Della Scala; morì assassinato il 30 marzo 138411. scaligero, il quale, in una lettera assegnabile al 1378 a un amico di Ravenna, affermava che questa città, da lui appena visitata, poteva essere paragonata nientemeno che alla Roma di Augusto solo perché vantava un monumento insigne: il sepolcro di Dante. Tra le itale glorie, Firenze non serbò mai le spoglie del suo maggiore poeta, le quali invece custodì gelosissimamente Ravenna, eludendo, con tutti i mezzi e fin con l’inganno, gli iterati tentativi dei Fiorentini di riguadagnarle alla patria»; e vd. anche p. 28. La lettera di Antonio da Legnago a Pietro Ravennate, come è noto, è edita da G. BIADEGO, Per la storia della cultura veronese nel XIV secolo. Antonio da Legnago e Rinaldo da Villafranca. Nuove ricerche, in Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti 62, 2 (1902-1903), pp. 587-621: pp. 588-589. 11 Anche per la bibliografia precedente, su Antonio da Legnago è d’obbligo il rinvio a L. LANZA, Antonius Gai de Leniaco, in C. A. L. M. A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), I, 3, Firenze 2001, p. 363. Qualche minima aggiunta: F. RIVA, Il Trecento volgare, in Verona e il suo territorio, III, 2, Verona 1969, pp. 83-166: pp. 112, 114, 120, 122, 160; S. GRAZZINI, La subscriptio del codice G di Catullo (Paris. Lat. 14137), in Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici 55 (2005), pp. 163-171, il quale, p. 167 nt. 16, ricorda che, dopo che Giuseppe Billanovich identificò in Antonio da Legnago il copista del codice G di Catullo (Paris. lat. 14137), Berthold Louis Ullman segnalò una probabile allusione catulliana nella lettera di Antonio a Pietro Ravennate e successivamente, a sostegno dell’ipotesi formulata dal fratello, altre allusioni catulliane nella stessa lettera e in quella a Venceslao di Lussemburgo segnalò Guido Billanovich (B. L. ULLMAN, The Transmission of the Text of Catullus, in Studi in onore di Luigi Castiglioni, II, Firenze 1960, pp. 1025-1057: pp. 1056-1057, e GUI. BILLANOVICH, Appunti per la diffusione di Seneca tragico e di Catullo, in Tra latino e volgare. Per Carlo Dionisotti, I, Padova 1974 [Medioevo e Umanesimo, 17], pp. 147-166: pp. 156157); in un ambito più strettamente veronese si colloca C. BOSCAGIN, Antonio da Legnago amico e consigliere degli scaligeri e due sue epistole inedite, in Vita veronese, giugno 1956, pp. 243-246, che ricordo qui non per il rigore scientifico (tra l’altro, le due lettere erano già state pubblicate dal Biadego) ma per la passione con cui l’autore, sacerdote, dal 1949 al 1982 cappellano all’Ospedale di Legnago, si dedicò alla storia locale giungendo anche a una fortunata Storia di Legnago: su di lui, A. FERRARESE, Boscagin Cirillo, in Dizionario biografico dei veronesi (secolo XX), a cura di G. F. VIVIANI, I, Verona 2006, p. 151. E un breve ma non banale profilo di Antonio da Legnago aveva scritto un altro dotto sacerdote veronese: G. TRECCA, Legnago fino al secolo XX. Parte Iª, dalle origini fino alla dedizione a Venezia, Verona 1900, p. 52, il quale dell’epitaffio di Antonio da Legnago allora attribuito a Rinaldo Cavalchini, 6 esametri rimati secondo un gusto largamente testimoniato in età scaligera, offrì una sua garbata traduzione in 6 endecasillabi, rimati due a due, che vale la pena riferire: «Per grandi offici celebre, qui giace / Antonio, alunno di giustizia e pace. / Consiglier de’ Scaligeri, il valore / A fortuna prepose e mente al core. / Lettere amò, vecchi volumi svolse; / Oh! Legnago qual fior Morte ti tolse!» (su don Trecca, L. ROGNINI, Trecca Giuseppe, in Dizionario biografico dei veronesi cit., II, pp. 828-829). Si può aggiungere che alla sua morte Antonio lasciò un figlio, Adoardo, di cui fu legitimus administrator Gaio, il padre di Antonio, e che nel 1397 Adoardo, fatto prigioniero dei mantovani, autorizzò la moglie Caterina a vendere un terreno per pagare il riscatto: C. CENCI, Verona minore ai tempi di Dante (Francescani, uomini di cultura, artisti, libri), in Le Venezie Francescane 33 (1966), pp. 3-44: p. 29 nt. 132.

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Pubblicando gli Epigrammata, conservo la grafia del manoscritto12 e quindi, tra l’altro, conservo le congiunzioni enclitiche -que e -ve staccate dal termine a cui si riferiscono ma, trattandosi di una copia, non di un autografo, intervengo sulle aplografie e dittografie che, certo, come scrive Giuseppe Billanovich «sono i peccati inevitabili, prima di Guarino, per un italiano del Nord»13, sicché è possibile, forse probabile, ma non certo che risalgano all’autore, mentre per la chiarezza riduco tacitamente alla grafia classica le forme ci e ti seguite da vocale (e.g. aties → acies, preciosissimum → pretiosissimum). Adeguo ai criteri moderni l’interpunzione e l’uso delle maiuscole e per facilitare i rinvii interni numero progressivamente i singoli testi. Non sarà inutile notare che nel ms. il titolo è decorato con un segno paragrafale iniziale in azzurro e che con un segno paragrafale iniziano i titoli dei singoli epigrammata. Segnalerò via via i pochissimi interventi di un lettore coevo o di poco posteriore14. Lungi da una pretesa di completezza, le note che corredano i singoli testi mirano solo a fornire qualche orientamento e qualche valutazione sul personaggio celebrato e su ciò che in suo onore Antonio da Legnago ha voluto ricordare. Epigrammata15 quorundam nobilium dominorum magnificorum regum et principum tunc temporis extantium vel de proximo defunctorum, eorum probitates, operationes et gesta brevi compendio declarantia, composita per egregium et facundum virum Antonium Gaii16, de Consilio dominorum de la Scala.

I De domino Francisco de Cararia veteri primo De industria et sollicitudine et prudentia eri huius memorare locupletiori harun12 Vat. Lat. 3134, ff. 92r-93r. Ha segnalato MARCHI, “Valore e cortesia” cit., p. 493 nt. 41, e Intorno a Gidino da Sommacampagna cit., p. 22 nt. 31, che l’epigramma su Cansignorio e quello sul card. Egidio Albornoz sono anche nel ms. Trivulziano 964, f. 14v, di cui per cortesia dello stesso Marchi ho visto una fotocopia e che quindi ho tenuto presente. 13 GIUS. BILLANOVICH, Dal Livio di Raterio (Laur. 63, 19) al Livio del Petrarca (B. M. Harl. 2493), nei suoi Itinera. Vicende di libri e di testi, I, a cura di M. CORTESI, Roma 2004, pp. 103175 (già in Italia medioevale e umanistica, 2, 1959, pp. 103-178): p. 163. 14 Negli ultimi anni 70 e i primi anni 80 gli Epigrammata sono stati oggetto di alcuni seminari volti alla costituzione del testo, e taluni amici, qualcuno non più tra noi, sono intervenuti con importanti contributi, come indicherò via via: ricordo in particolare Vincenzo Fera, che, dopo decenni, è ancora intervenuto con utili osservazioni e proposte, più numerose di quanto sarà qui occasionalmente ricordato; utili osservazioni devo anche a Valerio Sanzotta; gli Epigrammata sono anche stati oggetto di un corso universitario nell’anno accademico 1986-87, e mi è caro ricordare l’interesse dimostrato dagli studenti: a quegli amici e agli studenti di allora queste pagine sono dedicate. 15 Epigramata cod. 16 Gay cod. ID.,

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dine opus esset, sed Venetorum reliquias interroga17, quorum insolentiam summa cum diligentia ab excelso felicitatis fastigio detractam ad eas usque redegit erumnas18 ut libertatis vite que spe deposita defunctis etiam emulari non desinerent.

Di una disfatta dei veneziani tale da giustificare propriamente quanto scrive qui Antonio da Legnago non c’è notizia nell’articolo biografico che a Francesco da Carrara il Vecchio (1325-1393) ha dedicato Benjamin G. Kohl19, come nulla si evince dal molto elogiativo profilo di lui scritto da Giovanni Conversini20. Ma si può pensare alla sanguinosa battaglia narrata con grande immediatezza nella Cronaca dei Gatari, dove si legge che «fu dì sabado XIIII de mazo MCCCLXXIII» e sono anche in tre elenchi i nomi dei prigionieri: Il nome delli nobili veneziani che furono presi; I nomi delli prigioni veneziani di popolo sono questi qui sottoscritti; Li nomi di tutti li gentiluomini forestieri Contestabili e Caporali21. Non si può escludere, però, un’allusione alla vittoria padovana nel conflitto di Chioggia (1381), che Altichiero celebrò con la miniatura del toro, simbolo di Padova, che insegue il leone nel controfrontespizio (f. 1v) del ms. Lat. 6069G della Bibliothèque Nationale de France con il Compendium del De viris del Petrarca22. Scrivendo qualche decennio dopo che Francesco il Vecchio era morto prigioniero di Gian Galeazzo Visconti, sembra alludere a uno di questi scontri il Marzagaia, dove, a proposito dell’instabilità della fortuna scrive: «Quid diui Francisci potentia minitans, cuius aliquando memoriam gementes formidauerunt Venetie, dum amplos titulos lacrimantia perditos pectora suspirijs repleuerunt; cuius infelicissime tirannidis temeritatem infelicem, usus

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interoga cod. eronas cod. 19 B. G. KOHL, Carrara, Francesco da, il Vecchio, in Dizionario biografico degli italiani, XX, Roma 1977, pp. 649-656. 20 GIOVANNI DI CONVERSINO DA RAVENNA, Dragmalogia de Eligibili Vite Genere, Edited and Translated by H. LANNEAU EAKER, with Introduction and Notes by B. G. KOHL, The Renaissance Society of America, Lewisburg (PA) – London 1980, p. 128; Francesco il Vecchio aveva voluto il Conversini suo segretario e consigliere, ma per le invidie dei cortigiani il Conversini lasciò presto Padova per Venezia: B. G. KOHL, Conversini (Conversano, Conversino), Giovanni (Giovanni da Ravenna), in Dizionario biografico degli italiani, XXVIII, Roma 1983, pp. 574578: p. 575. 21 G. e B. GATARI, Cronaca carrarese confrontata con la redazione di Andrea Gatari [AA. 1318-1407], a cura di A. MEDIN e G. TOLOMEI (RIS 2ª ediz., XVII, I, 1), Città di Castello 1909, pp. 106-111. 22 C. GUARNIERI, Altichiero da Zevio, in Dizionario biografico dei miniatori italiani. Secoli IX-XVI. A cura di M. BOLLATI, Prefazione di M. BOSKOVITS, Milano 2004, pp. 4-9: p. 7; sul codice, E. PELLEGRIN, Manuscrits de Pétrarque dans les bibliothèques de France, Padova 1966 (Censimento dei codici petrarcheschi, 2), pp. (34)-(35) (già in Italia medioevale e umanistica 4, 1961, pp. 374-375). 18

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quoque importunatissimos, diuina Prouidentia benemeritis reconpensans, erumpnosis exitibus patere uoluit!»23. Con l’aggiunta di «primo» al nome del da Carrara Antonio da Legnago intende ovviamente distinguere il padre dall’omonimo figlio, Francesco Novello. II De domino Egidio cardinali Sabinensi24 Magna cum indignatione nature hunc, quem Hyberie arvus25 pepererat, sacerdotio fortuna prostituit. Non valuit tamen delicati contubernii virus vim innatam estinguere, siquidem legatus in Italia26 constitutus ingentem eius partem militari studio Ecclesie imperio adiecit.

Dunque, Egidio (Gil) de Albornoz, cardinale di S. Sabina (1303-1367), avrebbe abbracciato il sacerdozio per un perfido intervento della fortuna, tanto perfido da provocare l’indignazione della natura27. Ma il veleno insito nella delicata frequentazione clericale non annullò la sua nativa energia, sicché, quando Innocenzo VI lo nominò legato in Italia e vicario generale dei domini della Chiesa, egli, esperto nelle arti militari, poté svolgere quella azione di ‘riconquista’ a cui è dovuta principalmente la sua fama. La malignità della fortuna citata da Antonio da Legnago evoca Valerio Massimo (VI, 1, 1) che di Lucrezia scrive: «Dux Romanae pudicitiae Lucretia, cuius uirilis animus maligno errore fortunae muliebre corpus sortitus est […]»28. Inopinato l’aperto, amaro disprezzo per l’Ordine sacerdotale, e può essere che Antonio alluda all’ignoranza e corruzione del clero che mol23 MARZAGAIA, De modernis gestis, a cura di C. e F. CIPOLLA, in Antiche cronache veronesi, a cura di C. CIPOLLA, I, Venezia 1890, pp. 1-338: p. 18. 24 Sostanzialmente identico il titolo nel ms. Trivulziano 964, f. 14v: Dominus egidius cardinalis sabinensis. 25 Per arvus in luogo di arvum nel basso Medioevo vd. P. STOTZ, Formenlehre, Syntax und Stilstik (Handbuch zur lateinischen Sprache des Mittelalters, IV), München 1998, p. 152. 26 Ytalia ms. Triv. 27 Sull’Albornoz è da vedere da ultimo E. PETRUCCI, La Chiesa nell’azione del cardinale Egidio de Albornoz durante la campagna in Italia, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 65, 1 (gennaio-giugno 2011), pp. 57-99, il quale tra l’altro, p. 68, quanto alla data di nascita del cardinale, notoriamente incerta, propone la data che ho accolto nel testo. 28 Si può notare peraltro che maligna è di fatto anche la fortuna che priva Mastino II Della Scala delle sue conquiste (epigramma VII), e il pensiero va alla Fortuna maligna tanto presente negli scrittori medievali, contro la quale si scaglia Enrico da Settimello nella sua Elegia (ARRIGO DA SETTIMELLO, Elegia. Edizione critica, traduzione e commento di C. FOSSATI, Firenze 2011 [Edizione nazionale dei testi mediolatini, 26]), uno dei testi scolastici più diffusi e che, quindi, probabilmente anche Antonio conosceva.

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to impegnarono anche l’Albornoz29, ma viene anche spontaneo ricordare come, qualche decennio dopo, scrivendo sul sacco di Cesena perpetrato dal legato pontificio Roberto di Ginevra, poi antipapa Clemente VII, Marzagaia avesse parole durissime in particolare contro l’avarizia, «universa lues sacerdotum», parole che Carlo Cipolla commenta: «Lamenti somiglianti s’incontrano pur troppo ben di frequente negli scrittori di quell’età»30. Si può aggiungere che, ricordando l’energica attività dell’Albornoz, implicitamente considerata meritoria, Antonio da Legnago era in sintonia col giudizio in grande prevalenza positivo sul legato da parte delle cronache italiane del tempo31. III De domino Edoardo principe de Gaules Bellicosissimas victrices que acies tuas, prosternata exercitus32 adversarii vexilla, miserandam quoque Filippi Francorum regis captivitatem martia virtute tua paternis inclusi carceribus, sacratissime princeps, non usquam33 est qui ignoret. Notissima sunt porro ineffabilia magnificentie tue opera, que adeo omnium mirificorum exemplorum genere totum terrarum orbem replevit, ut emulantium etiam lingue tuis laudibus non deficiant. Tu enim ille es qui nunquam hostibus terga vertisti, qui tot e proceribus tuis prior semper in hostes tela torsisti, cuius intempestivus interitus numquid Anglie truculentior seu Francie mitior fuerit non facilem de se posteris questionem prebuit34.

Edoardo, più comunemente noto come il Principe nero, nacque il 15 giugno 1330, primogenito di Edoardo III e di Filippa di Hainault, fu creato Principe del Galles non ancora tredicenne il 12 maggio 1343 e morì l’8 luglio 1376, anno post quem si data dunque l’epigramma su di lui. Le lodi rivoltegli da Antonio da Legnago corrispondono a quelle dei contemporanei, ma Antonio fu male informato, perché a Poitiers, nel 1356, Edoardo 29 Su questa azione dell’Albornoz e, prima di lui, del card. Giovanni d’Abbeville e del card. Guillaume de Peyre de Godin, vd. PETRUCCI, La Chiesa cit., pp. 74-92. 30 CIPOLLA in MARZAGAIA, De modernis gestis, p. 164 (nt. in calce al § 11 Captio Cesene per Legatum Ecclesie) e vd. p. 163. 31 Vd. A. I. PINI, Il cardinale Albornoz nelle cronache bolognesi, in El cardenal Albornoz y el Colegio de España. Edición y prólogo de E. VERDERA Y TUELLS, I, Bolonia 1972 (Studia Albornotiana, 11), pp. 99-140; PETRUCCI, La Chiesa cit., p. 59, ma vd. anche p. 97. 32 Nel cod. segue tui cancellato con un tratto di penna. 33 usquam è scritto nel margine sinistro senza segno di richiamo, ma un segno di richiamo sormonta non, che sembra cancellato con un tratto di penna. 34 Cfr. nell’epigramma XI «Suorum tandem maiore mortuus damno quam suo» e nell’epigramma XIX «Quidnam eius imperatoris gesta aggredi non formidet, de quo incertum sit an ipse imperio, an imperium ipso vehementius egeat?».

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fece prigioniero non già Filippo VI contro cui aveva combattuto a Crécy nel 1346, ma suo figlio e successore Giovanni II il Buono35, e, a quanto si legge nelle cronache, la prigionia del re di Francia non fu miserevole come Antonio scrive: Giovanni, infatti, fu trattato dal vincitore con somma cortesia e, portato in Inghilterra, fu accolto con tutti gli onori, fu ospitato in due palazzi principeschi con piena libertà di movimento, libero di ricevere ospiti e di divagarsi con i passatempi preferiti36. Alla battaglia di Poitiers sembra alludere Marzagaia nel cap. De sagaci ultionum astutia del II libro scrivendo di Pietro IV d’Aragona, il quale, come spiega il Cipolla, chiamato in aiuto contro gli inglesi dal re di Francia, anziché combattere con lui, contribuì alla sua prigionia37. IV De domino Galeotto de Malatestis Nescio, Hercle, unde generosi proceris huius famosissimas laudes digne satis exordiar. Cuius virtuti ac moribus, et si universa applaudit38 Hesperia39, due splendidissime signanter urbes nunquam ingrate nunquam ve immemores liberas frontes induant: quarum Florentiam, profligatis prope Fassum40 Pisanorum aciebus, inimicorum exuviis triumphanter ornavit, Bononiam, vero, prevalida Bernabovis Vicecomitis obsidione oppressam et usque ad infelicissima41 componende deditio-

35 Vd. CH. T. WOOD, Edward the Black Prince (1330-1376), in Dictionary of the Middle Ages, IV, New York 1984, pp. 398-399. 36 Vd. Chronique des quatre premièrs Valois (1327-1393), publiée pour la première fois pour la Société de l’histoire de France par S. LUCE, Paris 1862, p. 65; J. FROISSART, Chroniques, publiées pour la Société de l’histoire de France par S. LUCE, V: 1356-1360, Paris 1874, pp. 79-84, e Les grandes chroniques de France. Chronique des Règnes de Jean II et de Charles V, publée pour la Société de l’histoire de France par R. DELACHENAL, I: 1350-1364, Paris 1910, p. 110; vd. anche il poema dell’araldo di John Chandos: D. B. TYSON, La Vie du Prince Noir by Chandos Herald. Edited from the manuscript in the University of London Library, Tübingen 1975 (Beihefte zür Zeitschrift für Romanische Philologie, 147), pp. 86-89 (vv. 1411-1516). 37 CIPOLLA, in MARZAGAIA, De modernis gestis, p. 131 nt. 2 al § 6. 38 aplaudit cod. 39 Si noti l’uso di Hesperia, denominazione amata dai poeti, che ritorna anche nel successivo epigramma su Castruccio Castracani e compare anche nella citata lettera a Venceslao di Lussemburgo (in BIADEGO, Per la storia della cultura veronese cit., p. 597). 40 Fassum è il nome latino di Cascio, frazione di Molazzana in provincia di Lucca (GRAESSE – BENEDICT – PLECHL, Orbis Latinus. Lexikon lateinischer geographischer Namen des Mittelalters und der Neuzeit. Großausgabe, bearbeitet und herausgegeben von H. PLECHL […] unter Mitarbeit von Dr. Med. S.-C. PLECHL, II, Braunsschweig 1972, p. 57). Come risulta dalle fonti che subito citerò, si tratta della battaglia di Cascina, e non sorprenderebbe che, data la somiglianza dei due nomi (Cascio, Cascina) e trattandosi di due località probabilmente da lui non conosciute, Antonio da Legnago sia caduto in un errore. 41 infellicissima cod.

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nis consilia iam redactam, superato iuxta Sanctum Rafaelem hostium exercitu, e mediis truculenti serpentis faucibus iocundissime restituit libertati.

Procedendo in ordine cronlogico, quanto a Bologna, si tratta ovviamente, come scrive Eugenio Dupré Theseider, della «bella vittoria di S. Ruffillo (20 giugno 1361), merito del capitano Galeotto Malatesta e di una sua magistrale astuzia tattica», una battaglia, aggiunge Anna Falcioni, «consumatasi con innumerevoli perdite di vite umane», che procurò al Malatesti «le insegne cavalleresche, l’immagine del condottiero indomabile, consacrandolo uno dei massimi uomini d’arme del tempo»42. Quanto a Firenze, si tratta della battaglia di Cascina, che, come scrive Marco Barsacchi, è ricordata soprattutto dagli storici dell’arte «perché costituisce l’avvenimento che Michelangelo prese a soggetto per un grande affresco nel Salone dei Cinquecento (Palazzo dela Signoria), commissionatogli nel 1504 dal gonfaloniere di Firenze Pier Soderini» (ma l’affresco non fu eseguito, perché Michelangelo partì per Roma e il ‘cartone’ preparatorio, divenuto famoso, non è giunto fino a noi)43. Ma non che la battaglia sia stata ignorata dalle cronache e qui basterà ricordare il Diario del fiorentino Monaldi: «Domenica a dì 28. di Luglio 1364. tra nona, e vespro furono sconfitti gli Pisani al Borgo di Cascina presso Pisa a sei miglia, e mai ebbero tale sconfitta. Domenica a dì 24. d’Agosto entrarono i prigioni, che furono sconfitti alla sconfitta di Pisa, e furono 327. prigioni, che vennero in su quarantadue carra, e quattro a cavallo di dietro»44. All’avvenimento Filippo Villani dedica due capitoli: Cap. XCVII Battaglia tra’ Fiorentini e’ Pisani fatta nel borgo di Cascina, nella quale i Fiorentini furono vincitori, e Cap. XCVIII Come furono assegnati i prigioni al comune da’ soldati, ed

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E. DUPRÉ THESEIDER, Albornoz, Egidio de, in Dizionario biografico degli italiani, II, Roma 1960, pp. 45-53: p. 50; A. FALCIONI, Malatesta (de Malatestis), Galeotto, in Dizionario biografico cit., LXVIII, Roma 2007, pp. 40-44: p. 42; sulla battaglia vd. anche G. EVANGELISTI, La battaglia di San Ruffillo, in El Cardenal Albornoz y el Colegio de España cit., IV, Bolonia 1979, (Studia Albornotiana, 35), pp. 103-118. 43 M. BARSACCHI, La battaglia di Cascina, in «Come l’orco della fiaba». Studi per Franco Cardini, a cura di M. MONTESANO, Firenze 2010, pp. 333-342: p. 333. 44 Istorie Pistolesi ovvero delle cose avvenute in Toscana dall’anno MCCC. al MCCCXLVIII. e Diario del Monaldi, Prato 1835, pp. 498-499. Persiste qualche sia pur minima incertezza sulla data della battaglia: 29 luglio secondo BARSACCHI, La battaglia di Cascina cit., p. 333. Quanto al nome proprio del Monaldi, l’editore, pp. XXIV-XXVI, congettura fondatamente che fosse Guido, nome accolto nell’Indice dell’Enciclopedia Treccani; su questo Diario si veda E. ARTIFONI, La consapevolezza di un nuovo aspetto politico-sociale nella cronistica italiana d’età avignonese: alcuni esempi fiorentini, in Aspetti culturali della società italiana nel periodo del papato avignonese, Todi 1981 (Convegni del Centro di studi sulla spiritualità medievale. Università degli studi di Perugia, 19), pp. 77-100: pp. 95-96.

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entrarono in Firenze in sulle carra45. La battaglia è ricordata anche da Luigi Tonini, il quale, citando «Diario Monaldi nelle Storie Pistolesi – Scheda Garampi», scrive che Galeotto Malatesti «a’ 29 Luglio [del 1364] era Capitano de’ Firentini (sic) e marciava contro Pisa, ove ottenne quella vittoria, per la quale condusse trionfalmente a Firenze, appunto in Settembre, 2000 prigioni»46: ma, quanto alla vittoria, secondo il Barsacchi Galeotto Malatesta guidò le operazioni in modo a dir poco singolare, sicché «più che artefice della vittoria, ne fu il beneficiario»47. IVa Predicti fuerunt uno eodemque tempore, ad quos Mars ita loquitur: «Hec mea vis sacra celebres facit undique fama».

L’esametro è scritto nel codice, come doveva essere nell’antigrafo, su una propria riga, quindi con qualche risalto. Anche per ciò, e perché non ne ho trovato l’autore, sono propenso a ritenere che sia stato composto dallo stesso Antonio: un’indiretta conferma potrebbe dedursi dal fatto che un esametro, «Roberti regis Apuli faustissima proles», di cui dirò a suo luogo, compare anche nelle prime righe del secondo epigramma su Carlo, duca di Calabria (nr. XVII). Che i quattro capitani siano vissuti nello stesso periodo è da intendere in maniera approssimativa, giacché Francesco da Carrara visse dal 1325 al 1393, l’Albornoz dall’ultimo decennio del sec. XIII al 1367, Edoardo principe di Galles dal 1330 al 1376, Galeotto Malatesti dai primi anni del sec. XIV al 1385: dunque, il primo e l’ultimo erano ancora in vita quando Antonio da Legnago morì, mentre del secondo e del terzo egli poteva ricordare bene la morte. Come anche si vedrà in seguito, non par dubbio che gli Epigrammata siano stati pensati per illustrare ciascuno la figura del personaggio celebrato: così la dicitura «ad quos Mars ita loquitur» sembra significare che subito dopo le immagini dei quattro capitani figurava, o, comunque, era prevista un’immagine di Marte munita probabilmente di un cartiglio con su scritto l’esametro che si immagina da lui pronunciato.

45 In Cronica di Matteo Villani a miglior lezione ridotta coll’aiuto de’ testi a penna, V, Firenze 1826, pp. 286-293 e 293-294. 46 L. TONINI, Rimini nella Signoria de’ Malatesti. Parte prima, che comprende il secolo XIV, ossia volume quarto della Storia civile e sacra riminese, Rimini 1880, p. 173. 47 BARSACCHI, La battaglia di Cascina cit., p. 340.

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V De domino Castrutio de Interminellis Castrucius Lucanus solidissimum militaris animi robur, humilem sortitus sedem, induit. Militie namque munere, quo inter pedites fungebatur, indignatus, magnanimi viri spiritus48 sublimiorem ad sortem aspirare cepit, eo que e media egestate contendere non dubitavit. Quo elatus, dum Pisane Lucane que urbium res publicas gubernaret, maximo Canigrandi de la Scala primo, qui tempestate illa suo tanto nomine totam Hesperiam conterrebat, ni voluntati sue obtemperasset minitanti protestanti que se Canem grandem vocari constanti vultu respondit49 et se Castrucium Castracanem nuncupari.

Nel Duecento (Castruccio nacque, come si ritiene, il 29 marzo 1281), i Castracani hanno però una solida attività commerciale e finanziaria, e già all’inizio del Trecento si riconoscono membri del nobile ceppo degli Antelminelli. Vero è che nel 1300 la famiglia fu esiliata, nel 1301 il padre di Castruccio morì e nell’esilio, estraniato dalle strutture economiche e sociali cittadine su cui erano fondate le fortune della famiglia, Castruccio intraprese la carriera delle armi. Nel primo decennio del Trecento fu a Verona al servizio degli Scaligeri ma non è certo che sia stato al servizio di Cangrande50. Concludendo la sua Vita di Castruccio Castracani, Niccolò Machiavelli scrive che Castruccio «era ancora mirabile nel rispondere e mordere, o acutamente o urbanamente; e come non perdonava in questo modo di parlare ad alcuno, così non si adirava quando non era perdonato a lui. Donde si truovono di molte cose dette da lui acutamente, e molte udite pazientemente» e riporta una nutrita serie di queste risposte, ma tra esse questa a Cangrande non figura51. Va anche detto che, dato il nome dell’uno e il cognome dell’altro, la risposta ha tutta l’aria di essere frutto di invenzione. Nel secolo scorso, nella seconda metà degli anni quaranta, l’ho sentita raccontare da mons. Giuseppe Turrini, Prefetto della Biblioteca Capitolare di Verona. 48 Cfr. «indignatus santissimi principis spiritus» nel secondo epigramma per Carlo di Calabria. 49 Cfr. Val. Max., III, 1, 2: «[M. Cato] a Q. Poppedio […] rogatus ut socios apud auunculum adiuuaret, constanti uultu non facturum se respondit», e VII, 2, Ext. 1 «[Socrates …] cum […] tristem de capite eius sententiam tulisset fortique animo et constanti uultu potionem ueneni e manu carnificis accepisset […]». 50 M. LUZZATI, Castracani degli Antelminelli, Castruccio, in Dizionario biografico degli italiani, XXII, Roma 1979, pp. 200-210: pp. 201-202. 51 N. MACHIAVELLI, La vita di Castruccio Castracani da Lucca, descritta da Niccolò Machiavelli e mandata a Zanobi Buondelmonti e a Luigi Alemanni suoi amicissimi, in N. MACHIAVELLI, Opere, III, Edizione a cura di S. BERTELLI per il cinquecentesimo anniversario della nascita dell’autore (1469-1969), Milano 1969, pp. 7-35: p. 32.

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Si può credere che scrivendo di Castruccio Castracani degli Antelminelli il quale, sdegnando la posizione in cui gli era toccato di nascere, aspirò con fattiva determinazione a un più nobile stato, Antonio da Legnago scrivesse qualcosa di sé. VI De domino Ludovico rege Ungarie Speciosissimos clarissimarum victoriarum triumphos, quos invictissimus rex iste ex cesorum milibus hostium regum que et principum subiugatione52 captorum fortunatam in patriam creberrime retulit, digno qui sermone perstringat alter non superest Titus Livius, cui porro non tenuem de se hystoriam prestitisset si immodesta regnorum cupiditate flagrasset silvarum que officia odisset. Non enim inferius ipso Alexandro Macedone dyadema gessisset. Sed consulte humanissimus princeps, iniusta nunqam indutus arma, ferarum se venatorem quam orbis predonem dici maluit.

Scrivendo un paio di decenni dopo Antonio da Legnago, Giovanni Conversini, il cui padre era stato medico del re, Luigi I d’Ungheria detto il Grande, a Buda, elogerà invece l’attività svolta dal sovrano per portare ordine nello stato in modo che acquisisse prestigio53. Si può ricordare che nella sua spedizione per invadere il Napoletano e vendicare la morte del fratello Andrea, il 4 dicembre 1347 il re era a Vicenza, dove andarono a incontrarlo Alberto II e Fregnano, figlio di Mastino II Della Scala, e il giorno successivo fu a Verona, dove si fermò fino all’8 dicembre, assicurandosi l’appoggio di Mastino54. 52 Il vocabolo manca nelle Derivationes di Uguccione e due sole attestazioni da documenti, che sicuramente Antonio da Legnago non conosceva, nel DU CANGE – FAVRE, Glossarium mediae et infimae Latinitatis, VI, Unveränderter Nachdruck der Ausgabe von 1883-1887, VII, Graz – Austria 1954, p. 630, ma vd. A. BLAISE, Dictionnaire latin-français des auteurs chrétiens. Revu spécialement pour le vocabulaire théologique par H. CHIRAT, Strasbourg 1954, p. 782. 53 GIOVANNI DI CONVERSINO DA RAVENNA, Dragmalogia cit., pp. 126-128; ma si veda anche come il Conversini ricorda il re nel suo Rationarium vite: GIOVANNI CONVERSINI DA RAVENNA, Rationarium vite. Introduzione, edizione, note a cura di V. NASON, Firenze 1986 (Accademia toscana di scienze e lettere ”La Colombaria”, “Studi”, 79), ad indicem. Sulla figura del re meno entusiasti di Antonio da Legnago A. BERZEVICZY, Luigi I il Grande, re d’Ungheria, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere e arti, XXI, Roma 1949 (= 1934), p. 633, e S. GAWLAS, L(udwig) I. d(er) Große (Nagy Lajos), in Lexikon des Mittelalters, V, Müchen und Zürich 1991, col. 2190-2191. 54 Il Petrarca, latore di una lettera riservata di Clemente VI per Mastino, con la quale il papa esortava lo Scaligero ad opporsi alla discesa di Luigi d’Ungheria, arrivando a Verona «trovò la situazione già pregiudicata, sicché non fu in tempo per potervi compiere efficacemente, se pur era possibile, la sua missione»: A. FORESTI, Aneddoti della vita di Francesco Petrarca. Nuova edizione corretta e ampliata dall’autore, a cura di A. TISSONI BENVENUTI, con una premessa di GIUS. BILLANOVICH, Padova 1977, p. 160; vd. anche P. RIGOLI, L’esibizione del

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Viene spontaneo connettere questa menzione di Livio con la circostanza che, come ha rivelato Giuseppe Billanovich leggendo una nota di possesso erasa, nel 1376 Antonio da Legnago ebbe in dono dai suoi signori Bartolomeo e Antonio Della Scala il Livio Laurenziano (Laur. 63,19), codice che una nota di possesso «lavata risolutamente» ma letta da Billanovich, indica esser stato prima della Biblioteca Capitolare di Verona55. VII De domino Mastino secundo de la Scala Munificentiam strenuitatem que ducis huius adhuc cantat Italia sue que magnanimitatis memoriam illi nequaquam licuit delere fortune, que tot egregia oppida56 tot splendidissimas civitates, quas bellorum asperitate devicerat, ab illius imperio non sua quippe, sed suorum defectione violenter extorsit57.

Antonio da Legnago non conobbe di persona Mastino II morto il 3 giugno 1351, ma a ricordare a corte la sua figura sarebbero bastate l’urna in cui egli era sepolto, da lui fatta costruire nell’area accanto alla chiesa di S. Maria Antica, dove anche aveva fatto erigere l’arca che accolse il corpo di Cangrande, e che per sua iniziativa divenne il cimitero famigliare dei Della potere. Curie e feste scaligere nelle fonti cronistiche, in gli scaligeri, 1277-1387 cit., pp. 149-156: p. 152; AVESANI, Petrarca e Verona, ibidem, pp. 505-510: p. 508; su questa sosta veronese di Luigi d’Ungheria è anche il carme anonimo pubblicato da C. CIPOLLA e F. PELLEGRINI, Poesie minori riguardanti gli Scaligeri, in Bullettino dell’Istituto storico italiano 24 (1902), pp. 5-206: pp. 107-109. 55 BILLANOVICH, Dal Livio di Raterio cit., pp. 157 e 132; qui, pp. 159-160, riferendosi alla nota di possesso di Antonio da Legnago sul Livio Laurenziano Billanovich commenta: «Questo ex-libris è l’alibi frettoloso e provocante del ministro prepotente che specula sullo sconquasso dei poteri pubblici e sull’incuria, i vizi e l’estrema giovinezza dei suoi signori; e anche sull’alleanza di famiglia che assoggettava il vescovado al castello, essendo vescovo, dal 1350 al 1387, Pietro, bastardo di Mastino II. Non solo vi si tace, naturalmente, da quale sacrario di pietà e di cultura il libro era stato rapito; addirittura vi si indicano come donatori i signori novelli Bartolomeo e Antonio, due ragazzi di sedici e di quattordici anni nel 1376!». Non condivide questo giudizio M. CARRARA, Gli scrittori latini dell’età scaligera, in Verona e il suo territorio, III, 2 cit., pp. 3-81: p. 50, né lo condivide G. SCHIZZEROTTO, Cultura e vita civile a Mantova fra ’300 e ’500, Firenze 1977, p. 86; alle argomentazioni dello Schizzerotto, con il rammarico di non averne parlato a suo tempo con il maestro e amico Billanovich, aggiungerei che le accuse di cui Antonio da Legnago fu fatto oggetto dopo il 1376, quando ebbe in dono il Livio, di per sé non bastano a motivare l’accusa di prepotenza e furto, senza dire che, per quanto si conosce, è anche difficile immaginare che allora a Verona qualcuno considerasse la Biblioteca Capitolare un «sacrario di pietà e di cultura». 56 opida cod. 57 Della malignità di questa fortuna che, pur non riuscendo a distruggere il ricordo della magnanimità e dell’attività instancabile di Mastino, servendovi di manchevolezze non sue, ma dei suoi, gli tolse importanti città e piazzeforti conquistate con aspre battaglie, ho fatto un cenno in nota all’epigramma II.

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Scala. Ma il fatto che questo epigramma sia collocato subito dopo quello su Luigi d’Ungheria può significare che a Verona si ricordava come nel 1347 il re si fosse fermato a Verona ottenendo l’appoggio del signore Della Scala. Giacché, come ricorda il Varanini, scrittori e cronisti contemporanei nei loro scritti furono generalmente ostili a Mastino58, non è arbitrario pensare che Antonio da Legnago abbia inteso difenderne la memoria e chiarire a chi si dovevano le perdite da lui subite. VIII De domino Karolo Calabrie duce, filio regis Roberti Princeps iste, universi paterni regni censor, inter alia celeberrime adolescentie59 opera eo usque iustitia floruit, ut eius acerbissimo funeri pretiosissimum regnicole monimentum60 statuerint, in quo subsculpti censoris pedibus lupus et agnus eodem in catino mira concordia epulantur: integerrime61 censure indicium efficax.

Un secondo epigramma su Carlo di Calabria, notevolmente più esteso, è più avanti, al nr. XVII. IX De domino Iohanne Boemie rege Iohannis serenissimi Boemie regis vitam an exitum insignioribus celebrem 62 titulis satis hesito. Vixit namque tam humaniter tamque viriliter liberalissimus princeps, ut plereque latine urbes, mirabile dictu, illius se potestati sponte subiecerint. Senectute autem et cecitate tortus, eo prelio quo Phylippus Francorum rex eius 63 cum Edoardo rege Anglie infeliciter dimicavit, in medias labantes acies duci se imperavit, ubi e vestigio trucidatus, pulcerrimam64 perpetue immortalitatis gloriam consequi meruit.

La vicenda italiana di Giovanni, conte di Lussemburgo e, sposata Elisabetta sorella di Venceslao III, chiamato al trono di Boemia, una «strana 58 G. M. VARANINI, Della Scala, Mastino, in Dizionario biografico degli italiani, XXXVII, Roma 1989, pp. 444-453: p. 451. 59 adoloscentie cod. 60 Nel mg. destro, resti di una parola scritta con un tracciato sottilissimo e lavata via, forse monu. 61 integerime cod. 62 glorie Scevola Mariotti; nel cod. spazio vuoto per circa 7 lettere. 63 socius è congettura quanto meno probabile, perché Giovanni di Boemia combatté a fianco del re di Francia Filippo VI di Valois nella battaglia di Crécy (26 agosto 1346), nella quale, appunto trovò la morte; nel cod. spazio vuoto come nel caso precedente; nel mg. sinistro, di mano coeva, con tracciato sottilissimo, una parola non leggibile: forse hivir o bivir (= hic require?). 64 pulcerimam cod.

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e passeggiera meteora», secondo Carlo Cipolla65, fu per lui, come è noto, meno soddisfacente di quanto possa sembrare da queste righe66. Ma corrisponde al vero che Giovanni, divenuto cieco, volle ugualmente partecipare alla battaglia di Crécy, si fece portare sul campo e lì fu ucciso, o, secondo alcuni, ferito a morte il 26 agosto 134667. Può essere che nulla di più fosse giunto alle orecchie di Antonio da Legnago, ma si intende che anche qualche decennio dopo la sua morte il ricordo di lui fosse ben vivo a Verona, anche perché, quando nel 1333 lasciò definitivamente l’Italia, Mastino «lo accolse nel suo stesso palazzo e lo ricolmò di doni»68. Metterà conto ricordare che Francesco di Praga, che non era tra gli apologeti del re, in sua memoria inserì nella sua Cronaca 12 esametri leonini anonimi che Pavel Spunar ha riconosciuto essere estratti da un componimento di 22 versi da lui fondatamente attribuito a Ješek-Jan, prevosto della cappella di Ognissanti nel castello di Praga e molto legato alla corte: versi non ineccepibili (e pubblicati senza interpunzione, tali quali lo studioso li ha trovati nel ms. M 130 della Biblioteca Capitolare di Praga). Notevole è che i primi 13 versi sono elogiativi, gli ultimi invece sono una preghiera che significativamente inizia in questo modo (vv. 14-16): «O Iesu Christe bono suo spiritu miserere / si quid excessit dum sceptra regalia gessit / hec sibi digneris sua crimina parcere Christe»69. X De domino Ugolino de Gonzaga Mantue Acerbissimam luctuosam que clarissimi Ugolini de Gonzaga necem apud etatis sue optimates abunde nec immerito deploratam esse constat, siquidem prestantis 65

C. CIPOLLA, La storia politica di Verona, riveduta dall’autore e da L. SIMEONI, a cura di O. PELLEGRINI, Verona 1954, p. 178. 66 Una rapida rassegna della vicenda italiana di Giovanni con particolare attenzione al coinvolgimento veronese, in L. CASTELLAZZI, Spinetta Malaspina (1281 c.-1352) e i Malaspina di Verona nel Trecento, in gli scaligeri cit., pp. 125-134: pp. 128-129 e J. RIEDMANN, Gli Scaligeri e il mondo germanico, in gli scaligeri cit., pp. 25-33: pp. 28 e 29; un particolare ricordo merita il Dictamen Gratioli de Bambaglolis super adventu regis Boemie in Lombardiam, un’epistola rivolta «Italicis universis vere pacis et sancte iustitie zelatoribus» con la quale il Bambaglioli, a sostegno dell’imprudente alleanza tra Giovanni XXII e il re di Boemia, mira a guadagnare alla causa imperiale le città che al re non avevano ancora dato il loro appoggio: L. C. ROSSI, Tre «dictamina» inediti di Graziolo Bambaglioli con una nota biografica, in Italia medioevale e umanistica 31 (1988), pp. 81-125: pp. 84, 86, 88, 90-92, 100-104 (testo), 123. 67 Si veda anche la voce Crécy, Battle of (Aug. 26, 1346), in The New Encyclopaedia Britannica, III, 15th Edition, Chicago, London ecc. 2005, p. 721. 68 CIPOLLA, La storia politica cit., p. 179; RIGOLI, L’esibizione del potere cit., p. 152. 69 P. SPUNAR, Versus de obitu regis Bohemiae, in Tradition und Wertung. Festschrift für Franz Brunhölzl zum 65. Geburtstag. Herausgegeben von G. BERNT – F. RÄDLE – G. SILAGI, Sigmaringen 1989, p. 277-280; a p. 280 i vv. citati.

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ingenii industria morum que venustate insignis, militari gloria magnopere iuventutem suam ornare studuit. Paucis enim legionibus profectus, adversus Vicecomitem Bernabovem equitare hostiliter non expavit, cuius, Mantuam regrediens, perpotentiorem70 exercitum, intercipiendi itineris gratia premissum, prope Montemclarum audacissime stravit.

Si tratta dell’importante vittoria che Ugolino Gonzaga, fatto capitano generale di tutto l’esercito messo insieme dai Gonzaga, dagli Estensi e da Giovanni da Oleggio, ottenne a Montichiari (Montechiaro fino al 1862) in provincia di Brescia nel marzo 135771. Ugolino Gonzaga ebbe certo con Verona significativi rapporti: non solo, infatti, l’8 febbraio 1340, nel corso di una fastosa magna curia, si unì in matrimonio con Verde di Alboino Della Scala (vero è che il matrimonio durò pochi mesi), ma nel 1354 insieme con il fratello Francesco, gli zii Feltrino e Federico e il cugino Guglielmo fu tra i sostenitori di Fregnano Della Scala nella congiura da lui ordita contro il fratello e nuovo signore di Verona Cangrande II72. Antonio da Legnago era verisimilmente fra i 10 e i 15 anni quando, il 14 ottobre 1362, Ugolino Gonzaga fu assassinato dai fratelli Ludovico e Francesco. XI De domino Cansignorio de la Scala73 Pacem, fidem, iustitiam pietatem que Cansignorium74 summopere coluisse constat. Bellum tamen acerrimum75 adversus Bernabovem Vicecomitem coactus

70 perpotentiorem cod. ed è facile pensare a correggere con il comparativo di prepotens, ma anche Scevola Mariotti e Giovanni Orlandi erano persuasi che non si debba intervenire (del resto, «Die Steigerung durch per- scheint mehr volkstümlich gewesen zu sein»: J. B. HOFMANN – A. SZANTYR, Lateinische Syntax und Stilistik, mit dem allgemeinen Teil der lateinischen Grammatik, II, München 1972, p. 164). 71 G. CONIGLIO, Mantova. La storia, I, Dalle origini a Gianfrancesco primo marchese, Mantova 1958, p. 374. 72 I. LAZZARINI, Gonzaga, Ugolino, in Dizionario biografico degli italiani, LVII, Roma 2001, pp. 857-860: pp. 857, 858; la curia per il matrimonio con Verde Della Scala è ricordata dal RIGOLI, L’esibizione del potere cit., p. 153. 73 Cansignoro cod. Come ho avvertito sopra, l’epigramma è anche nel ms. Triv. 964, f. 14v, dove il titolo è Dominus Cansignorius de Laschala. Dal Vat. lat. 3134 lo ha pubblicato MARCHI, Intorno a Gidino da Sommacampagna cit., pp. 21-22; ibidem, ntt. 29 e 31, interessanti indicazioni sui cicli degli «Uomini illustri». 74 Cansignorum cod. 75 acerimum cod.

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indixit76, a quo, nisi superatus clementia destitisset77, maximam regni illius portionem procul dubio defalcasset78. Idem etiam ab infestis Karoli79 quarti imperatoris Urbani que quinti pontificis totius ve ferme Italie80 viribus securus evasit. Suorum tandem maiore mortuus damno81 quam suo82.

L’elogio con cui ha inizio l’epigramma trova riscontro nell’epigrafe per la costruzione del ponte delle Navi, voluto da Cansignorio e ultimato nel 1375: l’epigrafe è costituita da 6 esametri caudati rimati due a due e negli ultimi due di Cansignorio si legge: «Hic pater est pacis, fidei, pietatis, et ultor / Nequicie, iurisque sacro moderamine cultor», e altrettanto si legge nella sua epigrafe sepolcrale, costituita di 4 esametri caudati rimati a due a due i cui ultimi due sono: «Ille ego sum gemine qui gentis sceptra tenebam / iusticiaque meos mista pietate regebam»83. Naturalmente, chi ricordi che Cansignorio diciannovenne, il 14 dic. 1359, uccise il fratello maggiore Cangrande II che aveva preso a favorire scopertamente i propri figli illegittimi Fregnanino, Tebaldo e Guglielmo, e che, per non dir altro, molti anni dopo, per spianare la successione ai suoi figli illegittimi Bartolomeo e Antonio, fece uccidere il fratello Paolo Alboino che per un decennio aveva trattenuto prigioniero nel castello di Peschiera, potrebbe avere qualche difficoltà a condividere questi elogi, anche se in queste sedi ovviamente non sorprendono. Con la menzione della «violentissima guerra» contro Bernabò Visconti, 76 indicit cod. Per quanto, come dirò, il nostro testo degli Epigrammata non rappresenti la redazione definitiva, mi sembra del tutto improbabile che Antonio da Legnago abbia usato il presente per un’azione del passato (di Cansignorio scrive esplicitamente che è morto), oltretutto contravvenendo in modo palese alla consecutio temporum; forse una traccia della lezione corretta è rappresentata da induxit (lettura incerta) del ms. Triv. 77 destitissem cod. 78 defalcasset ms. Triv.; difalcassem cod. Non conosco esempi di defalcare nel latino antico; col significato di «togliere» defalcare è però registrato nel DU CANGE – FAVRE, Glossarium mediae et infimae latinitatis cit., III, p. 36; d’altro canto, in italiano difalcare (di per sé forma secondaria dell’italiano «defalcare») pare attestato a partire da Luca Pacioli (1445-1510 c.): S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, IV, Torino 1971, p. 112. 79 Karuli ms. Triv. 80 Ytalie ms. Triv. 81 dampno ms. Triv. 82 Cfr. epigramma III «Tu enim ille es […] cuius intempestivus interitus numquid Anglie truculentior seu Francie mitior non facilem de se posteris questionem prebuit» e epigramma XIX «Quidnam eius imperatoris gesta aggredi non formidet, de quo incertum est an ipse imperio, an imperium ipso vehementer egeat?». 83 CIPOLLA e PELLEGRINI, Poesie minori riguardanti gli Scaligeri cit., pp. 144-146: devo l’accostamento a Paolo D’Alessandro, allora frequentante il corso universitario che ho ricordato sopra; sull’iscrizione per la costruzione del ponte delle Navi, anche D. MODENESI, Iscrizioni di epoca scaligera del Museo di Castelvecchio. Scipione Maffei e la riscoperta del Medioevo, in gli scaligeri cit., pp. 567-577: pp. 573-574.

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alla quale Cansignorio fu «costretto», Antonio alluderà al coinvolgimento dello scaligero nella dura lotta dell’Albornoz contro il signore milanese (1362)84. E si potrà notare che il giudizio sulla politica estera di Cansignorio, ovviamente celebrativo, sembra però riflettere la cautela, la prudenza, praticata da Cansignorio. D’altronde, come ho già ricordato, Cansignorio aveva voluto Antonio da Legnago suo consigliere e l’aveva nominato nel consiglio di reggenza dei suoi figli, in onore dei quali, alla fin fine, egli scriveva; e ci si potrebbe eventualmente domandare perché non sia qui ricordato il meraviglioso arricchimento edilizio voluto dal signore a Verona e fuori (Riva del Garda, Soave) e a cui in definitiva è rimasto legato il suo nome85. Cansignorio morì il 19 ott. 1375: l’ultima frase dell’epigramma fornisce dunque un sicuro terminus post quem per la sua composizione. XII De domino Ottone duce Bruxivcensi86 Sevissimorum Cesarum romane que rei publice imperatorum, qui ex nobilissima Bruxivcensi domo traxere originem, felicissime haud hoc nepote dedignentur87 umbre, cui et si regiam adhuc insolens lauream sors invidit, reginam saltem coniugem non negavit gloriosissimas que victorias e prosternatis creberrime88 hostibus non detraxit, digno prorsus non occupande Apulie magistratus sed gubernandi more maiorum imperii principatus.

L’epigramma è dunque posteriore al matrimonio di Ottone con Giovanna I di Napoli, che fu concluso dai procuratori di Giovanna I e di Ottone il 28 dicembre 1375 ad Avignone, fu confermato il 2 gennaio 1376 da Gregorio XI e il 25 marzo successivo furono celebrate le nozze a Napoli; è verosimilmente anteriore all’11 maggio 1380, quando Urbano VI depose Giovanna I. Non escluderei che Antonio da Legnago alluda ai patti nuziali che Ottone stipulò con Giovanna di Napoli il 18 dicembre 1375 accettando la proibizione di assumere il titolo regio e di farsi incoronare re di Sicilia, ricevendo in cambio la promessa che sarebbe stato investito del principato 84

Su cui vd. G. M. VARANINI, Della Scala, Cansignorio (Canisdominus, Cane; il vero nome era Canfrancesco), in Dizionario biografico degli italiani, XXXVII, Roma 1989, pp. 411-416: p. 412. 85 Vd. V. BERTOLINI, Cansignorio e la città marmorina, in gli scaligeri cit., pp. 255-260, il quale però ricorda anche che, diversamente da come taluno ha ritenuto o ritiene, a Verona la qualifica marmorina, o marmorea, è anteriore a Cansignorio. 86 Cfr. infra; Bruxivceri cod. 87 dedignetur cod. 88 creberime cod.

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di Taranto. Neppure di Ottone di Brunswick (ca. 1320-1399) si conoscono rapporti con Verona89, ma, seppure in maniera assai sfumata, si può avanzare l’ipotesi che Antonio da Legnago l’abbia incontrato, o abbia sentito parlare di lui nel 1378, quando fu a Roma in occasione dell’elezione di Urbano VI90. XIII De Ugutione de Faciola91 Recenseri quoque Ugutionis de Faciola iustissime secures92 expetunt, qui, cum Cymbriace urbi93 pro eodem Cane grande presideret, unicum nepotem suum, quod adverso equi impetu (quem ad infaustum pueriliter cursum affixis calcaribus incitaverat)94 obvium fortasse iuvenem inopinanter extinxit95, capite multandum censuit, gratissimi salutem nepotis rectissime severitati digne postponens.

Per fronteggiare più efficacemente le mire padovane, nel giugno 1317 Cangrande aveva nominato Uguccione della Faggiuola podestà di Vicenza in luogo di Bailardino Nogarola. Il dettato dell’epigramma pone qualche interrogativo, in primo luogo perché l’atroce condanna inflitta al nipote da Uguccione sorprende se si ricorda la provvisione da lui presa il 4 luglio 1319, con la quale decretava sì che chi si fosse macchiato di omicidio non potesse più arrivare a un accordo con gli eredi del defunto e, pagando un’ammenda, stabilire una tregua col Comune, ma dovesse a sua volta essere giustiziato, fatti salvi, però, i casi di legittima difesa, o il caso di coloro «qui interficerent aliquem bannitum pro homicidio», o, ancora, il caso di omicidio compiuto «casu fortuito et sine dolo», quale appunto era stato quello del nipote. Dell’episodio non ho trovato traccia nelle cronache 89

Su di lui basti qui rinviare a I. WALTER, Brunswick, Ottone di, in Dizionario biografico degli italiani, XIV, Roma 1972, pp. 672-678, e vd. A. KIESEWETTER, Giovanna I d’Angiò, regina di Sicilia, in Dizionario biografico degli italiani, LX, Roma 2000, pp. 455-477: p. 470. 90 Inviato a ossequiare il neoeletto pontefice secondo la fondata ipotesi del BIADEGO, Per la storia della cultura veronese cit., p. 593. 91 Correggendolo in un punto, riporto il testo e le necessarie osservazioni da AVESANI, Uguccione della Faggiola a Vicenza cit., pp. 48-49, 55 (testo dell’epigramma), 58. 92 secures Vincenzo Fera; soceres cod. 93 Risale a Ferreto Ferreti l’ipotesi delle origini «cimbriche» dei Vicentini: L. CRACCO RUGGINI, Storia totale di una piccola città: Vicenza romana, in Storia di Vicenza, I: Il territorio – La preistoria, l’età romana, a cura di A. BROGLIO e L. CRACCO RUGGINI, Vicenza 1987, pp. 205-303: p. 214 nt. 43 con bibliografia, e già C. CIPOLLA, Le opere di Ferreto de’ Ferreti vicentino, a cura di C. C., I, Roma 1908, p. 3 nt. 1, ricordava che «“Cymbria” è detta Vicenza nel sec. XIV». 94 incitaverat Giovanni Orlandi; invitaverat cod. 95 Così Mario De Nonno; extitit cod.

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contemporanee, e ciò poco sorprende, ma, in ogni caso, per ragioni cronologiche sembra da escludere che il malcapitato nipote fosse figlio di uno dei due figli di Uguccione; ignoro se si possa pensare al figlio d’uno dei suoi fratelli. Qualora il fatto sia realmente accaduto, si può ben immaginare che abbia lasciato un vivo ricordo nelle memoria dei vicentini e in questo caso Antonio poté venirne a conoscenza da suo padre che a Vicenza nel 1376 era stato capitano scaligero. Si può aggiungere che nei suoi Rerum memorandarum libri il Petrarca racconta come Uguccione fosse stato accolto con magnificenza e grande benevolenza da Cangrande, ma anche come una volta, a tavola, Pietro Nani gli avesse inflitto una feroce stoccata: Ugutio etate nostra multis actus fortune tempestatibus, ad aulam tandem memorati Canis Magni veronensis, velut in portum aliquem, fessus senex appulit; ubi magnifice exceptus — quod in illa domo precipuum erat — non hospitis sed parentis locum tenuit. Orta tamen, ut fit super mensas, semel edendi mentione, cum multi magni comestores referrentur ab aliis, expectantibus ut Ugutio ipse, qui inter maximos habebatur, de se aliquid loqueretur, cepissetque vir immensi corporis de esu suo in etate iuvenili quedam incredibilia narrare, Petrus Nanus, qui in eadem Canis aula sapientia celebris sed mordax habebatur, respondisse traditur: « Minime quidem miror hec que dicis, cum maiora sileas, que tamen scimus : Pisas ac Lucam uno prandio comedisti». Pungentis ioci cuspidem transfixisse senis animum reor: constans enim est opinio potuisse die illo quo de dictarum civitatum dominio pulsus erat vulgi tumultum comprimi si e convivio surrexisset96.

Come è noto, i Rerum memorandarum libri rimasero incompiuti e cominciarono a diffondersi solo dopo la morte dell’autore97 ed è quindi improbabile che Antonio da Legnago li abbia avuti tra le mani, ma non è improbabile che a corte fosse rimasta memoria dell’episodio e che, come è naturale, più che dell’ingegno acuto di Pietro Nani, si dicesse dell’attaccamento di Uguccione al mangiare e al bere, tanto smodato che lo indusse a perdere come uno stolido le due città. Di fatto, a discredito di Uguccione l’episodio fu ricordato ancora nel Cinquecento da Paolo Giovio e agli inizi del Seicento dall’erudito racanatese Francesco Angelita. Non si può escludere che, esaltandone la virtù integerrima, Antonio da Legnago intendesse riabilitare la memoria dell’uomo famoso che, combattendo e governando per Cangrande, aveva fino all’ultimo servito fedelmente il più grande dei signori Della Scala98. 96

F. PETRARCA, Rerum memorandarum libri, Edizione critica per cura di GIUS. BILLANOcon un ritratto e due tavole fuori testo, Firenze 1945, pp. 99-100; Avesani, Uguccione della Faggiola a Vicenza cit., p. 60. 97 BILLANOVICH, in PETRARCA, Rerum memorandarum libri cit., pp. XI-XVI. 98 AVESANI, Uguccione della Faggiola a Vicenza cit., pp. 61-62. Scrivono autorevolmente R. VICH,

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XIV De Simone de Spatis99 Simon de Spatis Parmensi urbe genitus, Bernabovis Vicecomitis instituto Riparie brixiensis pretor, 100 currentis equi impetu homicidam pari animadversione usus est: quem postea ceteros superstites natos paternam censuram fraterne necis acrimonia exosos alloqui recusasse constat. O fecundi genitoris celebranda orbitas, qui, dum publicam iustitiam private caritati supponere non sustinuit, hunc supplicio affectum, reliquos vero proprio obstinato101 silentio perdidit!

Della Riviera bresciana, come allora si diceva, Bernabò Visconti fu signore a partire dal 1354, ma dal 1377 alla sua morte, il 18 giugno 1384, lo fu di fatto sua moglie, Beatrice, detta poi Regina, figlia di Mastino Della Scala102. Di Simone Spada so solo che fu podestà di Brescia nel 1372103. Se, come scrive Antonio da Legnago, fu anche podestà della Riviera, non sappiamo quando ciò sia stato e, qualora l’episodio sia realmente accaduto, non è facile immaginare come Antonio da Legnago ne abbia avuto notizia: certo, si dovrebbero escludere i familiari di Regina Della Scala, ai quali in prima istanza si sarebbe portati a pensare. Scrive il Marchi: «Una cronaca trecentesca (Verona, Biblioteca Civica, ms. 1017, f. 77r) ricorda che Regina, figlia di Mastino II, dopo la morte del fratello Cansignorio (1375), rivendicò la sovranità su Verona e “cavalcò con Marcho suo fiolo in Bressana con uno exercito inextimabile contra li signori Schalieri, perché la pretendea che el stato de li signori Schalieri più partenesse a lei che a heredi che non fossino legittimi”, come appunto i figli di Cansignorio Bartolomeo e Antonio»104. E, infatti, anche le rivendicazioni di Regina Della PIATTOLI, Faggiuola, Uguccione della, in Enciclopedia Dantesca, II, Roma 1970, pp. 778-780: p. 779, e C. E. MEEK, Della Faggiuola, Uguccione, in Dizionario biografico degli italiani, XXXVI, Roma 1988, pp. 804-808: p. 807, che Uguccione fu sepolto a Verona nella chiesa di S. Anastasia dei frati predicatori, ma nulla che lo ricordi si legge nelle pur attente descrizioni della chiesa di L. SIMEONI, Verona. Guida storico-artisica della Città e Provincia, Verona 1909, pp. 47-64, e della Guida d’Italia del Touring Club italiano. Veneto (non compresa Venezia), Milano 1969, pp. 99-101. 99 Il titolo è scritto in caratteri minori sulla mezza riga rimasta vuota alla fine dell’epigramma su Uguccione della Faggiuola, evidentemente perché Antonio aveva dimenticato di scriverlo prima su una riga propria. 100 in filium (forse in gratissimum filium suum) è integrazione evidentemente necessaria. 101 obstinatos cod. 102 F. BETTONI, Storia della Riviera di Salò, II, Brescia 1880, pp. 57-60. 103 F. ODORICI, Storie bresciane dai primi tempi sino all’età nostra, VII, Brescia 1857, p. 204; A. VALENTINI, Il Liber poteris della città e del Comune di Brescia e la serie de’ suoi consoli e podestà dall’anno 969 al 1438, Brescia 1878, p. 201. 104 G. P. MARCHI, Dante e Petrarca nella Verona scaligera, in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona 181 (2004-2005, ma 2009), pp. 159-275: pp. 274-275, e già ID., La cultura veronese attorno a Dante, II, Gli Scaligeri, in «Per correr miglior acque…».

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Scala sono all’origine della guerra tra Bernabò Visconti e gli Scaligeri degli anni 1378-1379. Scrivendo «pari animadversione usus est» Antonio da Legnago evidentemente suppone che chi legge abbia letto immediatamente prima l’epigramma precedente, e ciò farebbe pensare che gli epigrammata fossero manoscritti l’uno di seguito all’altro: su ciò tornerò più avanti. XV De Paganino de Bizuziro Paganinum de Bizuziro Mediolani civem Parme que presidem ad equestrem usque ordinem adolescens insignis rigidum censorem potius quam pium patrem proprio cruore expertus est. Accusatus enim quod mulierculam vi adulterasset105, ea que questione convictus, horrendum ante tribunal, quo more maiorum genitor insidebat, capitalem in se sententiam ferri audivit, mox que perlecta, paterno damnatus imperio, obtruncandam detestando carnifici cervicem prebuit. Commendanda profecto eius patris discreta severitas, qui ne iustitie deesset filio non pepercit, pietati que ut ne aliqua ex parte sufficeret106, in seipsum animadvertit: post illud enim egregii adolescentis107 funus vini haustu minime uti voluit.

Dopo quello di Uguccione Della Faggiuola e quello di Simone Spada, abbiamo con Paganino Bizzozzero il terzo esempio di una crudele applicazione della legge. Dell’episodio non è cenno nell’articolo a lui dedicato nel Dizionario biografico degli italiani108. Nulla si ricava dalle lettere del Petrarca che nell’edizione nazionale sono rivolte a lui, tanto più che non mancano motivi per pensare che tutte o in parte fossero originariamente rivolte ad altri o addirittura composte al momento della raccolta per onorare l’amico da poco scomparso109. Quand’anche sia stata effettivamente rivolta a lui la Fam., III, 16, non si può escludere del tutto, ma neppure Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio. Atti del Convegno di Verona – Ravenna, 25-29 ottobre 1999, I, Roma 2001, pp. 393-413: p. 399. Sulla forte figura di Beatrice Regina Della Scala vd. G. SOLDI RONDINI, Della Scala, Beatrice, in Dizionario biografico degli italiani, XXXVII, Roma 1989, pp. 388-389 e, da ultimo, G. M. VARANINI, Donne e potere in Verona scaligera e nelle signorie trecentesche. Primi appunti, in Donne a Verona. Una storia della città dal medioevo ad oggi, a cura di P. LANARO e A. SMITH, Sommacampagna (Verona) 2012, pp. 46-68: pp. 62-64. 105 adulterassem cod. 106 Si noti la forma della finale, poco comune, ma ben attestata. 107 adoloscentis cod. 108 P. G. RICCI, Bizzozzero, Paganino (Paganino di Besozzo, da Besozzo, Besozzi), in Dizionario biografico degli italiani, X, Roma 1968, pp. 751-752. 109 Vd. V. ROSSI, Le lettere del Petrarca a Paganino, in Archivio storico per le province parmensi, n. s. 34 (1934), pp. 405-409, e C. FELISARI, Un amico del Petrarca: Paganino da Bizzozzero, in Studi petrarcheschi, n. s. 1 (1984), pp. 245-251.

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sembra probabile che il Petrarca alludesse alla perdita del figlio scrivendogli110: «O quam multa nunc ad literas tuas dici possunt! […] Magna est enim fortune vis, [… ] interim sane omnium que vel ex libris vel e media vita hominum occurrunt, que sunt multa et varia, hec summa est. Dura sunt, fateor, et gravia et inamena que pateris […]». XVI De Romeo de Pepolis111

Spectanda etiam Romei de Pepolis Bononiensis exiticii112 civitatis que Papie pretoris rectissima gravitas. Cui, cum Vicecomes Galeaz eiusdem urbis tirannus strictius imperasset ut quosdam obiecti criminis prorsus insontes ceu evidentissime reos ultimo supplicio plecteret, illud, inquit, se possidere tribunal in quo ratio iudicetur non affectus, proinde ne voluntati sue obsequi posse. Cumque iterum minacissimis urgeretur contumeliis ut tiranno obtemperaret, festinanter e pretorio descendit, testatus que illi est presidere se rostris nolle ubi violentos appetitus pro legibus observare cogeretur. Deposito concesse maiestatis baculo, ab urbe secessit. Sembra doversi escludere che la «rectissima gravitas» qui elogiata possa appartenere al facoltosissimo banchiere Romeo Pepoli, padre del più noto Taddeo signore di Bologna dal 1337 al 1347, e di cui si conosce la straordinaria attività economica con la quale agli inizi del Trecento giunse a condizionare la vita politica di Bologna, di cui non poté arrivare alla signoria113. Singolare, certo, la coincidenza per cui, come il suo omonimo elogiato da Antonio da Legnago, anche il banchiere bolognese conobbe l’esilio: temporaneamente agli inizi del 1316 e in maniera definitiva dopo che il 17 luglio 1321 fu cacciato violentemente dalla città, dove non fece 110

F. PETRARCA, Le Familiari. Edizione critica per cura di V. ROSSI, I, Firenze 1933,

p. 137. 111

Pepulis cod., ma vd. subito nel testo. exiticius, cioè exul, extorris: DU CANGE – FAVRE cit., III, p. 364. 113 Dopo F. PAPI, Romeo Pepoli e il Comune di Bologna dal 1310 al 1323, Orte 1907. Ristampa anastatica con Introduzione di M. GIANSANTE, Arnaldo Forni Editore 2011 (Testi per la storia di Bologna. Collana di novità e ristampe coordinata da G. Tomba, 2), e N. RODOLICO, Dal Comune alla Signoria. Saggio sul governo di Taddeo Pepoli in Bologna, con quattro tavole, Bologna 1898, pp. 35-37, importanti ricerche si devono a M. GIANSANTE, Patrimonio familiare e potere nel periodo tardo-comunale. Il progetto signorile di Romeo Pepoli banchiere bolognese (1250 c.-1322), Bologna 1991 (Università degli Studi di Bologna. Dipartimento di Paleografia e medievistica. Sezione di ricerca «Società economia territorio». Fonti e saggi di storia regionale. Quaderni, 1), e ID., Romeo Pepoli. Patrimonio e potere a Bologna fra Comune e Signoria, in Quaderni medievali 53 (2002), pp. 87-112; da ultimo G. ANTONIOLI, Conservator pacis et iustitie. La signoria di Taddeo Pepoli a Bologna (1337-1347), Bologna 2004, pp. 25-36. 112

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più ritorno114. Di questo Romeo Pepoli elogiato da Antonio da Legnago non conosco altre notizie115. XVII De domino Karolo duce Calabrie regis Roberti filio Prodeat iam ex eo in quo involutus est116 iustitie gremio Karolus Calabrie dux, Roberti regis Apuli faustissima proles117, quo itaque collatam universi regni administrante censuram, ne egregius quidem paternos inter milites humillime sortis agricolam vassallaticis suis inscriptum, quantum arbitrio suo licuit, impune verberibus affecit. Ab ipso enim, coram quo questuose118 vulnerati rustici lacrime emanarant, interrogatus119 cur ab eodem ille sic vapulasset, responso que dato suum id120 in honorem recte fieri potuisse, indignatus sanctissimi principis spiritus121 temerariam que licentiam violenta potestate quam ulla iuris sanctione quesitam saluberrime puniendam ratus, illum a regio lectulo, ad quem eius censoris terrore confugerat, captivum incunctanter abstraxit miserrimi agrestis iniuriam, nisi patris et regis occurrisset auctoritas122, summopere vindicaturus: quo sane iustissime severitatis exemplo insolentissimam cetere nobilitatis petulantiam penitus castigavit, securum que inter magnates convictum trepidanti vulgo prestitit. Cuius acerbissimo funeri pretiosissimum regnicole monimentum123 publice statuerunt, in quo subsculpti censoris pedibus lupus et agnus eodem in catino mira concordia

114 Dopo vari tentativi di rientrare, che si risolsero in insuccessi politici e diplomatici, oltre che militari, Romeo Pepoli cadde nelle mani del legato pontificio Bertrando del Poggetto, che su mandato di Giovanni XXII lo fece portare a Avignone dove verosimilmente morì nell’autunno del 1322: GIANSANTE, Patrimonio familiare e potere cit., p. 74 (pp. 65-66 l’esilio del 1316); ID., Romeo Pepoli cit., p. 107 (a p. 104 l’esilio del 1316). 115 Non escluderei che Antonio da Legnago sia incorso in qualche confusione, a ciò contribuendo la notizia che, come ricorda E. ROVEDA, Le istituzioni e la società in età visconteosforzesca, in SOCIETÀ PAVESE DI STORIA PATRIA, Storia di Pavia, III: Dal libero comune alla fine del principato indipendente, 1024-1535, 1, Società, istituzioni, religione nelle età dei comuni e della signoria, Milano 1992, pp. 55-115: p. 57, nel 1371 fu podestà a Pavia Taddeo Pepoli. 116 Segue gremio tra virgolette alte, con le quali, visto che la parola è ripetuta subito dopo, si sarà voluto indicare che va espunta, come per l’appunto deve essere. 117 Come mi fece notare S. Mariotti, il passo Roberti regis Apuli faustissima proles è un esametro (in cui, però, Fera nota giustamente l’allungamento in cesura della seconda sillaba di regis e la correptio della prima sillaba di Apuli, sicché lo ritiene «nato per caso»). 118 questuosus, querulus: DU CANGE – FAVRE cit., VI, p. 608. 119 Nominativo pendens suggerito da Mariotti; interrogato cod., 120 Scritto nel margine con segno di inserzione. 121 Cfr. nell’epigramma per Castruccio Castracani «Militie namque munere […] indignatus, magnanimi viri spiritus». 122 autoritas cod. 123 Nel mg. sinistro, di mano coeva o di poco posteriore, con tracciato sottilissimo, monu.

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epulantur: integerrime124 censure, qua sola paternos avitos que triumphos procul dubio superavit, indicium efficax125.

Scrive opportunamente il Richards che l’epigramma sembra doversi datare «in Cansignorio’s time, on the grounds of the kinship between Charles and Cansignorio’s wife Agnese da Durazzo»126, e in questo caso si può pensare che da Agnese da Durazzo o da qualcuno del suo seguito Antonio abbia avuto notizia di ciò che poi scrisse sul Duca di Calabria. E, però, si potrà anche ricordare che, come ha osservato Gian Paolo Marchi, indagando sull’identità del Bergamino di cui si legge nella settima novella della prima giornata del Decameron, nel maggio 1327, deterioratisi i suoi rapporti con l’impero, Cangrande inviò a Firenze Bergamino e Jacobello da Mantova a fare omaggio a Carlo di Calabria di un cavallo da giostra e di un cavallo da viaggio127. Non si può escludere che di quella vecchia cortesia rimanesse a Verona qualche memoria. Del lupo e dell’agnello scolpiti sul sepolcro in S. Chiara (il celebre sepolcro di Tino da Camaino, subito voluto da Roberto d’Angiò, l’addoloratissimo padre di Carlo) Antonio da Legnago aveva scritto già nella prima redazione dell’epigramma per Carlo di Calabria (nr. VIII), e può essere che a una seconda redazione egli abbia pensato quando anche ebbe notizia del particolare atto di giustizia compiuto dal duca128. Agli inizi del Seicento Cesare D’Engenio Caracciolo, ricordati il lupo e l’agnello del sepolcro, scriveva sul governo di Carlo in termini tali da rendere del tutto verisimile, quand’anche fosse stato inventato, l’atto di giustizia ricordato da Antonio da Legnago: «A destra dell’altar maggiore [della chiesa di S. Chiara] è il sepolcro di Carlo illustre Duca di Calabria figliuolo del re Roberto […]; fu questi ornato di tutte le virtù conuenienti ad vn Re, fu religiosissimo, giustissimo, clementissimo, et liberalissimo, amator de’ buoni, nemico de’ tristi, e di modo tal, che il Re suo padre nella giouentù gli diede il gouerno di tutt’il reame in mano129 et egli ogn’anno caualcaua per tutt’il Regno per 124

integerime cod. Come si è visto, su Carlo di Calabria un epigramma più breve è al nr. VIII. 126 RICHARDS, Altichiero cit., p. 56. 127 G. P. MARCHI, Una fontana d’argento per Cansignorio, in Atti e memorie della Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. VI, 39 (164 dell’intera collezione, 1987-88), pp. 273-284: p. 273; ID., Intorno a Bergamino e Cangrande, ibidem, pp. 285-307: pp. 289-290, 297, 298, 305 e ID., La cultura veronese attorno a Dante. II. Gli Scaligeri cit., p. 412. 128 Se ho visto bene, di questo intervento di Carlo di Calabria a favore del povero contadino picchiato dal suo signore non c’è notizia nel particolareggiatissimo R. CAGGESE, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze 1922 e 1930, che pure ricorda innumerevoli casi di attenzione del Duca alla salvaguardia della giustizia (vd. in particolare II, p. 86). 129 Fu nominato vicario del Regno nel maggio 1309, quand’era appena undicenne: G. 125

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riconoscer la tirannide de’ Baroni, e ministri del Re, e di questo modo tenne il Regno in grandissima pace e tranquillità, laonde nel suo sepolcro si vede egli sedente in maestà, tenendo vn vaso auante i piedi […], oue beue una pecora et un lupo pacificamente, simbolo della sua giustitia»130. Nulla di ciò nel pur lungo lamento per la morte di Carlo, dove naturalmente si legge (vv. 25-32): «Di senno e prodezza per ogni verso / il duca Carlo ben era compreso: / o alto Iddio, quant’è impar, diverso / tal dolore! / Ché di casa di Francia egli era il fiore / campion di di Santa Chiesa e difensore, / pien di giustizia, di pregio e d’onore / era per certo»131. A proposito di Carlo di Calabria ricorda l’Artifoni che, «dopo avere navigato senza troppi successi nella politica fiorentina per circa due anni», nel 1327 Carlo lasciò la città e Giovanni Villani annotò nella Cronica che egli lasciava ai cittadini, sono parole del Villani, «doglia e pesanza di sua partita» e il ricordo di essere stato, in fondo, un «dolce signore»132. Si aggiunga che, essendo a Firenze Carlo di Calabria e il legato pontificio Giovanni Caetani Orsini, dunque tra il 30 giugno 1326 e il 24 dicembre 1327, Ubaldo da Gubbio cominciò a scrivere il suo Liber de Teleutelogio e, pur dedicando l’opera al vescovo di Firenze Francesco dei Silvestri da Cingoli, così ne intitolò il primo libro: «Liber primus incipit editus ad felicissimi nominis gloriam invictissimi et illustris herois Domini Karoli Ducis Calabrie primogeniti Serenissimi Principis Domini Roberti Jerusalem et Sicilie incliti Regis»133. XVIII De Ecerino de Romano Iuvat Ecerini de Romano sacratissimam non preterire sententiam, que, quo CONIGLIO, Angiò, Carlo d’, detto l’Illustre, in Dizionario biografico degli italiani, III, Roma 1961, pp. 263-265: p. 263. 130 C. D’ENGENIO CARACCIOLO, Napoli sacra, Napoli, Per Ottauio Beltrano, 1624, p. 242 e, a p. 243, l’epitaffio. 131 Ed. N. SAPEGNO, Poeti minori del Trecento, Milano – Napoli 1952 (La letteratura italiana. Storia e testi, 10), pp. 975-980: p. 976. Secondo F. SABATINI, Napoli angioina. Cultura e società, Napoli 1975, p. 99, il Lamento «è tutto pieno di rispetto per i sovrani e si direbbe anche scritto a Napoli, poiché l’autore mostra una notevole conoscenza dell’ambiente dinastico e si sofferma sulla scena che si svolge nella città» (del Lamento il Sabatini riporta i vv. 85-113; ibidem, passim, notizie anche su due suoi codici francesi, e sulla sua andata a Firenze). 132 ARTIFONI, La consapevolezza cit., p. 91. 133 UBALDO DA GUBBIO, Teleutelogio, a cura di M. DONNINI, Scandicci (Firenze) e Perugia 1983 (Quaderni del “Centro per il Collegamento degli Studi Medievali e Umanistici nell’Università di Perugia”, 11), p. 1, e vd. anche pp. XV-XVIII; ibidem, p. XI, il Donnini spiega che il Sebastiano, a cui tradizionalmente il Liber de Teleutelogio veniva attribuito, non è l’autore ma suo padre; vd. anche SABATINI, Napoli angioina cit., p. 64.

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atrocioris134 tiranni ore prosiliit, vehementiorem admirandi se materiam affert. Huius enim voracissime crudelitatis familiaris quidam, obsequendi avidus augendi que penes eum status sui novo facinore occasionem135 auspicatus, eidem horribile teterrimum136 que ergastulum, quale numquam antea visum fuerat, Paduana urbe construxit. Cuius malignitatem tyrannus diligenter intuens, ea, quam meruerat operi suo, retribuendum mercede rite censuit. Ipsum namque, suo intrusum137 carcere, quam aliis necem paraverat primum experiri coegit.

L’episodio è narrato già da Rolandino, il quale così conclude (Cronaca, V, 10): «Hic, credo [colui che, come egli aveva scritto, aveva allestito “locum carceris et tormentum”], fuit illi scurre similis, qui suo regi et dompno complacere desiderans, querenti tormenti genus inusitatum, taurum fecit cupreum fabricari, in quo peccantes statuit concludendos, ut igne quoque circumposito et accenso rex audiret taurum miserabiliter ululantem. Set rex, in hoc iustissimus et omni dignus memoria, scurram ipsum sive artificem compulit esse primum, qui in tali bestia taliter ululavit»138. E che Antonio da Legnago dipenda da questo passo di Rolandino può dedursi dalla coincidenza nel giudizio sulla sentenza dell’uno e dell’altro tiranno (sacratissima sententia in Antonio, rex iustissimus in Rolandino), dal fatto che in Antonio il familiare di Ezzelino è «obsequendi avidus augendi que penes eum status sui novo facinore occasionem auspicatus» e in Rolandino lo scurra agiva «suo regi et dompno complacere desiderans» e infine il particolare che in Antonio si ha un «ergastulum quale numquam antea visum fuerat» e in Rolandino un «tormenti genus inusitatum». Che Antonio da Legnago avesse poi letto anche Valerio Massimo (9, 2, De crudelitate, Ext., 9), sembra attestare l’uso, sia da parte di Valerio Massimo, sia da parte di Antonio, si noti, in un testo breve, dei termini auspicatus e teterrimun139. 134

attrocioris cod. occaxionem cod. 136 teterimum cod. 137 Non attestato nel latino classico, intrudere è raro nel latino tardo (vd. Th. l. L., I, col. 86-87), ma naturalmente usato nel Medioevo (vd. e.g. UGUCCIONE DA PISA, Derivationes. Edizione critica princeps a cura di E. CECCHINI e di G. ARBIZZONI – S. LANCIOTTI – G. NONNI – M. G. SASSI – A. TONTINI, II, Firenze 2004, p. 1248). 138 ROLANDINO, Vita e morte di Ezzelino da Romano (Cronaca), a cura di F. FIORESE, Fondazione Lorenzo Valla 2004, pp. 238, 240 (con traduzione a fronte); nel commento, p. 608, il Fiorese ricorda naturalmente che Rolandino allude al toro costruito per Falaride, il tiranno di Agrigento, e che dell’episodio fanno menzione Ovidio, Trist., III, 11, 41-54 e Paolo Orosio, Hist., I, 20, 1-4, nonché Dante, Inf., XXVII, 7-12, ai quali, a proposito di Dante, A. M. CHIAVACCI LEONARDI, in DANTE ALIGHIERI, Commedia, con il commento di A. M. C. L., I, Inferno, Milano 1991, p. 804, aggiunge Ovidio, Ars amatoria, I, 653-656, e Valerio Massimo, IX, 2 Ext. 9. Nulla al riguardo in A. BONARDI, Leggende e storielle su Ezelino da Romano. Studio critico, Padova – Verona 1892. 139 Si aggiunga SOTTILI, Preumanesimo cit., p. 278: «Das Epigramm für Ezzelino ist in der 135

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Concludendo la sua accurata e acuta indagine sul poema De Scaligerorum origine, con cui il vicentino Ferreto Ferreti rispondeva polemicamente all’attacco che più di dieci anni prima Albertino Mussato aveva portato a Cangrande con la sua Ecerinis, Giovanna Maria Gianola ha scritto giustamente che «è abbastanza naturale che il mito positivo costruito da Ferreto intorno a Cangrande porti con sé almeno l’attenuarsi dei colori più foschi dell’immagine del tiranno della Marca, la cui caduta, nella macchina del poema, prepara e rende in un certo senso possibile la ascesa del protagonista. Questo atteggiamento nei confronti del da Romano sopravvive del resto negli ambienti filoscaligeri per tutto il Trecento» e cita per l’appunto il nostro epigramma e alcune righe del Marzagaia140. XIX De domino Henrico de Lucembur141 Romanorum imperatore Divine maiestatis tue, imperator augustissime, veniam simplex imploro, si sacratissimi nominis tui memorandissimas laudes sigillatim142 non amplector. Hinc enim ingenioli mei, illinc vero angustissimi loci parvitas ingratum iam calamum splendidissimos triumphos tuos insidiosa que nefandi principis pocula143 disserturum144 proposito abstinere coegit honestius que silere quam inepte loqui recte sanxit. Quisnam eius imperatoris gesta aggredi non formidet, de quo incertum sit an ipse imperio, an imperium ipso vehementius egeat145?

Tat eine kurze Geschichte, eine kleine Anekdote in der Art des Valerius Maximus oder der Rerum memorandarum libri Petrarcas». 140 G. M. GIANOLA, L’Ecerinide di Ferreto Ferreti: «De Scaligerorum origine» I, 119-455, in Studi medievali 3a serie, 25, 1 (1984), pp. 201-236: pp. 234-236 (cit. lett. p. 234); EAD., La fortuna letteraria. Ezzelino e i suoi nei “componimenti misti di storia e d’invenzione”, in Ezzelini. Signori della Marca nel cuore dell’Impero di Federico II, a cura di C. BERTELLI e G. MARCADELLA, Milano 2001, pp. 237-241: pp. 237-238; vd. anche A. DI SALVO, L’immagine di Cangrande della Scala nell’opera di Ferreto Ferreti, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano 94 (1988), pp. 123-153: pp. 139-143. Scrive A. T. Hankey che Riccobaldo da Ferrara delle atrocità di Ezzelino nel Compendium parla poco e, osservando che «questo desiderio di discolpare Ezzelino testimonia a favore di una permanenza di Riccobaldo alla corte di Cangrande», prosegue: «dove, come G. Arnaldi mi ha cortesemente fatto presente, si tendeva ad addolcire il giudizio sul da Romano» (RICOBALDI FERRARIENSIS Compendium Romanae historiae, a cura di A. T. HANKEY, I, Roma 1984, p. XXI). 141 Segue immediatamente, come ultima della parola, la lettera g poi cancellata. 142 L’avverbio è registrato in questa forma da AE. FORCELLINI, Totius Latinitatis lexicon […], V, Prati 1871, p. 499, e vd. anche p. 523, singillatim. 143 popula cod. 144 disserturum Giuseppe Broccia; diserturum cod. 145 Cfr. nell’epigramma III: «Tu enim ille es […] cuius intempestivus interitus numquid Anglie truculentior fuerit seu Francie mitior fuerit non facilem de se posteris questionem prebuit» e nell’epigramma XI «Quorum tandem maiore mortuus damno quam suo».

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«Ein Medaillon des Kaisers ist in der Galerie der ‘viri illustres’ eines ghibellinisch gesinnten Fürstenhauses nicht fehl am Platz», commenta Sottili146. Superfluo ricordare che Enrico VII di Lussemburgo, ricevuta la corona di ferro dei re Longobardi nel 1311, dovette combattere per entrare a Roma, dove fu coronato imperatore il 29 giugno 1312, non a S. Pietro, ma a S. Giovanni in Laterano; morì di malaria a Buonconvento il 24 agosto 1313, non senza che sulla sua morte si siano diffuse insistenti dicerie, una delle quali accolta anche da Antonio da Legnago147. L’accenno alla «angustissimi loci parvitas» induce ovviamente a pensare che l’iscrizione fosse destinata a uno spazio sotto o accanto a un’immagine dell’imperatore. XX De domino Cangrande148 primo de la Scala Eximia non sine reverentia Canis Grandis primi contemplanda est effigies, qui tanta liberalitate armorum que strenuitate micuit, ut diversarum regionum proceres ad sui familiaritatem velut publicum nobilitatis hospitale miranter149 allexerit. Huius adeo inter italos fama iam creverat, ut, ni fatorum occurrisset impietas, preter quinque, quas Verone subegerat, civitates, sceptra non desperaret altissima.

Ho già riferito che l’epigramma è stato pubblicato dal Sottili, il quale giustamente anche scrive: «Dieser Text gehört offensichtlich zu einem Bild: contemplanda est effigies heißt es ganz klar»150. Gian Paolo Marchi riporta l’ultima frase dell’epigramma e opportunamente prosegue: «concetto non dissimile da quello espresso nell’epitaffio delle arche scaligere (“Scaligeram qui laude domum super astra tulis-

146

SOTTILI, Preumanesimo cit., p. 278. O. CAPITANI, Enrico VII di Lussemburgo, imperatore, in Enciclopedia Dantesca, II, Roma 1970, pp. 682-688: p. 684; M. PARISSE, Enrico VII (1274-1313), in Dizionario enciclopedico del Medioevo. Direzione di A. VAUCHEZ. Con la collaborazione di C. VINCENT edizione italiana a cura di C. LEONARDI, I, Roma 19992, p. 645; ma H. THOMAS, H(einrich) VII, in Lexikon des Mittelalters, IV, München und Zürich 1989, coll. 2047-2049: col. 2049, scrive che l’imperatore «erlag am 24. Aug. 1313 der Malaria, nach hartnäckigen Gerüchten dem Giftmord eines Dominikaners». Quanto al nefandus princes, si può fare l’ipotesi che Antonio da Legnago alluda a Roberto d’Angiò, che il 26 aprile 1313 Enrico VII aveva dichiarato ribelle. 148 Cangrando cod. 149 Una sola attestazione di questo termine, in una lettera di Edoardo II d’Inghilterra del 1324, è registrata nel DU CANGE – FAVRE cit., V, p. 406. 150 SOTTILI, Preumanesimo cit., p. 278, il quale poco dopo annota: «Deutlich für ein Bild war ganz gewiß auch das Epigramm zur Lobpreisung von Kaiser Heinrich VII. bestimmt, anders wäre die Erwähnung der räumlichen Enge nicht verständlich». 147

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set, / maiores in luce moras si Parcha dedisset”) dettato da Rinaldo da Villafranca»151. Benché egli non ne faccia cenno, è forse probabile che Antonio da Legnago abbia collocato l’epigramma su Cangrande subito dopo quello di Enrico VII ricordando l’atteggiamento collaborativo di Cangrande e di suo fratello Alboino alla discesa in Italia dell’imperatore, che nel 1311 li nominò, «primi in Italia», vicarii imperiali. Non occorrerà ricordare che le cinque città conquistate da Cangrande sono Vicenza, Feltre, Belluno, Padova, Treviso152. Ha giustamente rilevato il Richards che il titolo della raccolta non fu scritto da Antonio da Legnago, perché, come lì si legge, si tratta di epigrammata in lode di nobili signori ecc. «tunc temporis extantium vel de proximo defunctorum», vivi allora, cioè, o morti da poco, quando Antonio da Legnago scriveva153. Si può aggiungere che, qualunque concetto Antonio avesse di sé, difficilmente avrebbe accompagnato il suo nome con le qualifiche che compaiono nel titolo. A chi il titolo si debba non sappiamo: il Richards e prima di lui Fabrizio Pietropoli propongono si debba a Ramo Ramedelli154, ma, considerando che Ramo Ramedelli scriveva a Mantova qualche decennio dopo la morte di Antonio, a me sembra più probabile che il titolo sia stato scritto a Verona da qualcuno che aveva conosciuto e stimato Antonio da Legnago, verosimilmente era stato suo amico, e qualche tempo dopo la morte di lui recuperò il testo degli Epigrammata e vi appose il titolo dichiarandone l’autore. Non è detto, ma non è escluso, che alla stessa persona si debba il recupero dei due epitaffi scaligeri ciascuno con il proprio titolo, che, come sopra ho ricordato, figurano nella Pandetta. Nulla di certo si può dedurre dagli errori del nostro manoscritto, ma almeno le due lacune nell’epigramma su Giovanni di Boemia segnalate dallo stesso Ramedelli con due ‘finestre’ sembrano indicare che il manoscritto da cui egli copiava presentava una scrittura non sempre sicuramente leggibile, forse con cancellature e correzioni, e perciò non si può del tutto escludere neppure che al Ramedelli sia pervenuto l’autografo. Comunque 151 MARCHI, La cultura veronese attorno a Dante cit., p. 405, e vd. anche ID., Dante e Petrarca nella Verona scaligera cit., pp. 268-269. 152 G. M. VARANINI, Della Scala, Cangrande, in Dizionario biografico degli italiani, XXXVII, Roma 1989, pp. 393-406; sulla staordinaria ospitalità di Cangrande basterà citare MARCHI, “Valore e cortesia” cit., pp. 485-496. 153 RICHARDS, Altichiero cit., p. 56. 154 RICHARDS, Altichiero cit., p. 56; F. P(IETROPOLI), I sottarchi dipinti da Altichiero nel palazzo di Cansignorio, in gli scaligeri cit., pp. 318-320: p. 319.

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sia, benché gli Epigrammata, soprattutto per l’uso frequente e talora ardito dell’iperbato, rivelino un notevole impegno letterario, il fatto che dell’epigramma su Carlo di Calabria abbiamo due redazioni, sembra prova evidente che alla nostra serie manca l’ultima mano, quanto meno l’ultima scelta. E giustamente Vincenzo Fera mi fa notare che con l’intervento di Marte dopo il IV epigramma si configura una sezione specifica, e ciò induce a pensare che altre sezioni analoghe dovessero seguire e invece non seguirono. Si può notare però che forse per una sezione in lode della giustizia furono raggruppati gli epigrammata XIII-XVIII, di cui dirò più avanti. Com’è noto, pesano sulla memoria di Antonio le parole di Conforto da Custozza, recuperate da Giuseppe Billanovich, il quale scrive: «Conforto da Custozza, fratello di Enrico Pulice, conoscente e corrispondente del Petrarca, maledicendo i funzionari di Antonio della Scala che smungevano i Vicentini, augurava a tutti loro di essere tagliati a pezzi come era appena toccato al peggiore, Antonio da Legnago: “Et o sic proveniat ceteris similibus ex consiliariis, ut evenit uni, super omnibus nequam, qui iugulatus ferro, divisus fuit in frusta, nomine Antonius de Leniatico, cancellarius curie”»155. Naturalmente non c’è cielo sotto cui gli esattori delle tasse, quand’anche onesti, siano benvoluti ed è noto che da Antonio Della Scala i sudditi erano gravati da tasse di ogni tipo. Non sarebbe strano che con questa mansione, forse anche con il suo personale comportamento, Antonio da Legnago abbia suscitato la rabbia e l’odio dei Vicentini. Ma, passati alcuni decenni, sulla morte di Antonio da Legnago altro è stato scritto. Marzagaia, anch’egli bandito da Verona dopo la morte di Antonio Della Scala, ma vissuto a corte e quindi maggiormente informato di quanto potesse essere Conforto da Custozza, nel secondo libro del De modernis gestis, capitolo Qui humili loco nati clari euaserunt, ha lasciato questo profilo di Antonio da Legnago: «Leniaticus patria Gaius Anthonius […] Cansignorio iuuenili etate gratissimus, post patris obitum, pupillorum bene gerende rei publice gubernator et regni patricius consultor relictus est etate uirili, qua truculente cedis acerbitate per aulicos et stimulis compunctos inuidie ultimum uite diem, in altissimo locatus fastigio, clausit infelix»156. E nella sua Cronica della città di Verona, raccogliendo una notizia con cui forse si alludeva a qualche fatto che era bene non ricordare in modo esplicito, ed errando nella data, Pier Zagata scrisse: «L’anno 1385 Adì 6 de Marzo fu morto Antonio dal Gaio andando a Montorio, et questo fu per un buffetto ch’el dete a Rafaello di Basavecchi quando Madona Samaritana vene a 155

BILLANOVICH, Dal Livio di Raterio cit., p. 158. MARZAGAIA, De modernis gestis cit., p. 103, cioè, come riassume il CIPOLLA, ibidem, § 8 nt. 2, «In età virile, dopo la morte di Cansignorio, rimase tutore dei pupilli […], ma dagli invidiosi cortigiani fu ucciso». 156

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marì»157. Ancora nel Quattrocento, poi, Giorgio Sommariva (neppur lui, però, uomo senza macchia) raccolse la notizia secondo cui Antonio da Legnago sarebbe stato tra gli uccisori di Bartolomeo Della Scala: ma a questa notizia il Biadego, con evidente simpatia per l’autore di cui scriveva, dava «valore ben piccolo», non potendo ritenere «supponibile che il fidato Consigliere dei figli di Cansignorio, l’alto ed eletto ingegno siasi prestato e avvilito a metter in esecuzione il truce proposito di Antonio della Scala», e aggiungeva che parecchi mesi dopo la morte di Antonio qualcuno fece dire per lui delle messe nella chiesa di Santa Maria della Scala158. Ho già fatto conoscere in altra sede un epitaffio di Antonio da Legnago scritto da qualcuno esperto di latino, il quale evidentemente non solo non lo odiava, ma lo ricordava con simpatia e con due distici elegiaci, alludendo, pare, a un assassinio per tradimento («celato cesus ab hoste»), ne riconobbe l’alta statura e immaginò che egli, dopo la morte, volesse far sapere che dei suoi signori era stato amico ma con gli occhi aperti, riconoscesse di essere stato eccessivamente duro ed esortasse il lettore a usare moderazione: Epitafium Anthonii Gai scribe dominorum de la Scala Anthonius Gai celato cesus ab hoste hic cubo, Scaligeris cautus amicus heris. Magnus eram durusque nimis: dulcescere, fratres, discite, dent vobis nostraque facta modum159.

Alle incertezze rimaste su alcuni degli Epigrammata, altre si aggiungono sulla loro destinazione, che evidentemente è in ogni caso quella di illustrare l’effigie del personaggio di cui sono di volta in volta elogiate le «probitates, operationes et gesta». All’ipotesi di una loro connessione con il comparti157 P. ZAGATA, Cronica della città di Verona, colla continuazione di JACOPO RIZZONI, ampliata e supplita da GIAMBATISTA BIANCOLINI […], II, 1, Verona, Per Dionigi Ramanzini Librajo a San Tomio, 1747, p. 4. 158 BIADEGO, Per la storia della cultura veronese cit., p. 606 ntt. 2 e 3. 159 AVESANI, Uguccione della Faggiola a Vicenza cit., p. 63. Un episodio di questa durezza potrebbe forse ravvisarsi nella lettera con cui Antonio rispose a tal Giacomino, da Marchi opportunamente identificato con il grammatico Giacomino Robazzi, il quale scriveva protestando per il furto, o il plagio di un suo libro: l’una e l’altra lettera, conservate nel ms. Trivulziano 964, sono pubblicate da G. P. MARCHI, Giacomino Robazzi e Antonio da Legnago, in Italia medioevale e umanistica 17 (1974), pp. 499-513 (pp. 499-503 importante presentazione del ms.). Per quanto non sia questo il luogo per discuterne, diversamente da Marchi non escluderei del tutto che la disputa sia meno aspra di quanto egli intende e che in particolare la lettera di Antonio da Legnago rifletta anche un intento giocoso: ciò spiegherebbe in modo piano che, come lo stesso MARCHI, p. 511, ricorda, proprio il Robazzi aggiunse due esametri con la datazione all’epitaffio Hic situs officiis celebrem se grandibus egit, che non è improbabile lo stesso Antonio da Legnago abbia composto per sé (sull’epitaffio e la ragionevole ipotesi che si tratti di un autoepitaffio, AVESANI, Il Preumanesimo veronese cit., p. 136).

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mento di medaglie che, come scrive il Vasari, Altichiero dipinse nella Sala Grande del palazzo scaligero, formulata dallo scrivente nell’occasione in cui ebbe a segnalarli, ha mosso una importante riserva l’amico Gian Maria Varanini, il quale, considerata la scelta degli uomini illustri elogiati da Antonio, scrive che «è molto difficile […] pensare che a un onesto podestà di carriera lombardo, come Paganino de Bizzozero (attivo nei decenni centrali del secolo, ma privo di rapporti, a quanto sinora consta, con Verona e con gli Scaligeri) sia stato riservato l’onore di una effigie, in una sede impegnativa che — si sarebbe indotti a pensare — dovrebbe ospitare un programma iconologico meditato e calibrato, tale da non lasciare nulla al caso: Il de Bizzozero, è vero, è un funzionario visconteo di un certo rilievo ed è noto anche per i suoi rapporti col Petrarca […]; ma neppure questo si può dire per il parmense (a me sconosciuto) Simone Spada, pure protagonista di una delle brevi composizioni del da Legnago. A mio avviso, è in conclusione abbastanza improbabile la connessione fra questi testi e la decorazione della Sala Grande»160. Non c’è dubbio che la riserva del Varanini sia importante e sulla scelta dei personaggi tornerò più avanti, ma non mi è chiara la successiva osservazione dello studioso. Proseguendo, egli scrive che «i due casi» in cui Antonio da Legnago «fa riferimento esplicito ad un’immagine sono proprio quelli di due personaggi la cui effigie Antonio da Legnago, vivendo nel palazzo scaligero, aveva sotto gli occhi: l’uno è Cangrande I, raffigurato nella celebre statua equestre contigua al palazzo, l’altro è Enrico VII di Lussemburgo, nell’epigramma del quale c’è un riferimento alla angustissimi loci parvitas che potrebbe adattarsi bene alla modesta sede della raffigurazione dell’imperatore (su una delle formelle dell’arca di Cangrande I)»161. Resta però da domandarsi quale fosse nella statua equestre e nella formella dell’arca lo spazio disponibile per l’iscrizione. È poi verosimile che, qualora avesse inteso riferirsi alla statua equestre, Antonio da Legnago avrebbe usato un altro termine (statua? signum? simulacrum?) e, comunque, un’espressione consona all’aspetto monumentale dell’immagine. Soprattutto, non c’è ragione di pensare che, pur mancando dichiarazioni esplicite, non debbano tutti gli epigrammata ritenersi scritti per accompagnare l’immagine della persona celebrata162. Non sappiamo se Antonio da Legnago abbia composto gli Epigrammata 160

VARANINI, Propaganda dei regimi signorili cit., p. 334 nt. 79. VARANINI, ibidem. 162 D’altronde, come scrive il RICHARDS, Altichiero cit., p. 57, «The nature of the texts themselves tends to confirm the idea that they were not intended to stand alone». E ciò perché «The epigrams cannot be described as brief lives, potted biographies, for they disseminate little concrete information». 161

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in occasioni diverse, distanziandoli nel tempo, o tutti in un’unica stesura. Scrive il Richards: «The inclusion of Cansignorio’s uncle, Francesco da Carrara tends to suggest a date for the compilation of this list no later than 1381, when relations between Francesco and the fratricidal Antonio della Scala became extremely strained. The distinction accorded to Francesco, architect and promoter of Cansignorio’s rule, of heading this group of uomini illustri also points to a date in Cansignorio’ lifetime for the gathering of this material together. The evidence of Cansignorio’s own epigram, implicity posthumous, suggests that the text of the epigrams as we have it now must have been written after 1375»163. Vero è, però, che nell’epigramma su Ludovico d’Ungheria sono usati i tempi del passato, come si scrive di chi non è più, e Ludovico morì l’11 settembre 1382164: ne consegue che Antonio compose almeno quest’ultimo epigramma, forse allestì il tutto, nei suoi ultimi anni di vita, tra la fine del 1382 e il 30 marzo 1384165. Considerando assolutamente improbabile che il partimento di medaglie sia stato dipinto da Altichiero in un tempo compatibile con la data degli Epigrammata, cioè all’incirca due decenni dopo che erano state decorate le pareti della Sala Grande (Altichiero risulta presente a Verona la prima volta nel 1369)166, e ignorando la riserva del Varanini, il Richards propone che essi rappresentino una sorta di guida per le medaglie167, ciò che, secondo un’opinione consolidata, rappresenta il Compendium de viris illustribus del Petrarca per la Sala dei Carraresi a Padova168. Ma, a parte il fatto che ora Paola De Capua nega fondatamente che il Compendium del Petrarca sia connesso, sia pure «come rapida ‘guida’», ai ritratti della sala di Padova169, quand’anche gli Epigrammata si riferissero alle medaglie dipinte da Altichiero, ciò che Varanini esclude, resterebbe curioso che ad allestire la piccola ‘guida’ si sia aspettato pressappoco un ventennio. In ogni caso, se la presenza di personaggi di scarso o nessun rilievo sul piano politico, 163

RICHARDS, Altichiero cit., p. 56. L’11 settembre secondo S. GAWLAS, L(udwig) I. d. Grosse, in Lexikon des Mittelalters, V, München und Zürich 1991, coll. 2190-2191: col. 2190, secondo altri, sempre in settembre, ma il 10 o il 12. 165 È così corretta la datazione proposta troppo rapidamente nel 1976 (AVESANI, Il Preumanesimo veronese cit., p. 132). 166 GUARNIERI, Altichiero da Zevio cit., p. 6. 167 RICHARDS, Altichiero cit., p. 55: «The scope of the Epigrammata’s subject matter relates them to a type of composition common in the Midle Ages and amongst early humanists: the collection of a series of lives of uomini illustri. The work’s scale, however, is in marked contrast with other examples of the genre, which all tend to encyclopaedic length. So brief is it that some special reason for its composition must be sought». 168 RICHARDS, Altichiero cit., p. 55. 169 P. DE CAPUA, Compendiare la storia, in Quaderni Petracheschi 15-16 (2005-2006), pp. 449-506: pp. 455-456. 164

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come ha rilevato Varanini, induce ad escludere che gli Epigrammata siano connessi alle medaglie dipinte da Altichiero, anche la proposta fornita dal Richards, tanto più considerando il ritardo con cui la ‘guida’ sarebbe stata allestita, viene a cadere. Quanto alla scelta dei personaggi, rileggiamo il Vasari: «[…] mostrò Aldigieri grande animo e giudizio, spartendo nelle facce di quella sala da ogni banda una storia, con un ornamento solo che la ricigne a torno a torno; nel quale ornamento posa dalla parte di sopra, quasi per fine, un partimento di medaglie, nella quali si crede che siano ritratti di naturale molti uomini segnalati di que’ tempi, et in particolare molti di que’ signori della Scala; ma perché non se ne sa il vero, non ne dirò altro»170. Anzitutto, dunque, nella Sala grande del palazzo scaligero è ignorato il modulo decorativo diffuso allora e più in seguito nei palazzi principeschi e signorili e nei palazzi pubblici, vale a dire il repertorio di exempla proposti dalla letteratura giullaresca di Francia da cui ebbe origine il canone famoso dei Neuf Preux, come è ignorato quello degli eroi romani, che verosimilmente negli stessi anni appariva a Padova nel palazzo dei Carraresi e tanta fortuna ebbe in seguito, e già con Altichiero, e questa è l’importate innovazione, la signoria si richiama ai grandi del suo tempo171. In secondo luogo, di nessuno di questi uomini conosciamo il nome e, per quanto anche quelli elogiati da Antonio da Legnago siano nella grande maggioranza «uomini segnalati di que’ tempi», non è detto che essi siano i medesimi di cui parla il Vasari. Considerando la nostra serie nel suo insieme, ha certamente ragione il Richards dove, avendo citato Bernabò Visconti a proposito di Ottone di Brunswick, prosegue: «The anti-Visconti context seems to seep into the text of the Epigrammata, which, pointedly (we may feel) omitting to give him his own epigram, nevertheless mentions Bernabò Visconti’s name in four of the epigrams, remarkable in a work which contains only four other 170 G. VASARI, Le vite de’ più eccelenti pittori scultori e architetti nelle redazioni del 1550 e 1568. Testo a cura di R. BETTARINI, commento secolare a cura di P. BAROCCHI, III, Firenze 1971, p. 620; AVESANI, Il Preumanesimo veronese cit., p. 133 ( ibidem, nt. 77, sono ricordati i tre ritratti di Scaligeri che lo Schlosser tende a considerare tarde copie dei medaglioni di Altichiero). 171 Vd. AVESANI, Uguccione della Faggiola a Vicenza cit., pp. 50-51; vd. anche RICHARDS. Altichiero cit., p. 57. Non occorrerà ricordare che il Petrarca dalla sua raccolta di uomini illustri escluse deliberatamente i moderni, come nel 1359 scrisse ad Agapito Colonna il Giovane (Fam, XX 8, 11, cit. da G. MARTELLOTTI, in PETRARCA, De viris illustribus. Edizione critica per cura di G. M., I, Firenze 1964 [Edizione nazionale delle opere di Francesco Petrarca, 2], p. CXXXIV nt.): «…si illustres evi nostri viros attigissem, non dicam te…at certe nec patruum nec patrem tuum silentio oppressurus fuerim. Nolui autem pro tam paucis nominibus claris tam procul tantasque per tenebras stilum ferre; ideoque…longe ante hoc seculum historie limtem statui ac defixi»; e vd. ibidem, p. XII; vd. anche MARCHI, Intorno a Gidino da Sommacampagna cit., p. 21.

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references to men not included in the list (Philip of France, Edward III of England, Pope Urban V and Charles IV)»172. In nota lo studioso precisa che gli epigrammata in cui è menzionato Bernabò Visconti sono quelli per «Galeotto Malatesta, Ugolino Gonzaga, Cansignorio della Scala and Uguccione da Faggiuola». Si dovrà espungere il nome di Uguccione, mentre si potrà osservare che nei primi due elogi Bernabò è citato in quanto viene sconfitto e nel terzo è citato per il «bellum acerrimum» che Cansignorio fu costretto a intraprendere contro di lui. E l’avversione non riguarda solo Bernabò173, perché nell’epigramma su Romeo Pepoli podestà di Pavia compare Galeazzo Visconti che esercita forti pressioni sul Pepoli perché condanni a morte alcuni innocenti. Però è anche chiaro che, a chi scorra la serie degli Epigrammata non può sfuggire come le iscrizioni su Uguccione della Faggiuola, Simone Spada, Paganino Bizzozzero, Romeo Pepoli, Carlo duca di Calabria, un gruppo in buona misura omogeneo e compatto (dal nr. XIII al nr. XVII), a cui si può aggiungere quella su Ezzelino da Romano (nr. XVIII), l’unico dei signori qui elogiati, si noti, vissuto nel Duecento, siano di fatto celebrazioni di particolari, durissimi o comunque non comuni atti di giustizia. Se si considera che la presenza di Paganino Bizzozzero e del ben poco noto Simone Spada non ha altra motivazione che la loro dolorosa applicazione della legge, quantunque non posta in rilievo all’inizio della serie, questa insistita celebrazione della giustizia sarà difficilmente casuale. Si noti che di Cansignorio, solo di lui tra i personaggi celebrati da Antonio da Legnago, è lodata esplicitamente anche la giustizia: «Pacem, fidem, iustitiam pietatem que Cansignorium summopere coluisse constat» e Antonio da Legnago ben sapeva che sul cartiglio metallico posto in mano alla statua di Madonna Verona Cansignorio volle il motto «Est iusti latrix urbs hec et laudis amatrix»: e l’iscrizione, scrive Marchi, «e la corona posta sulla statua romana, detta poi di Madonna Verona, ebbero fin da principio una forte carica nella simbologia politica cittadina» al punto che il Marzagaia «trasse infausti auspici dal fatto che al tempo di Antonio della Scala fosse da ignoti “confractum secrete et clandestine nocturno tempore” il breve con l’iscrizione della statua, già allora considerata simbolo della città, “Veronae simulacrum marmoreum”»174. L’insistita celebrazione della giustizia di cui si è detto si spiegherà con questo ricordo di Cansignorio? Rappresenterà un’iniziativa di Antonio da Legnago, una implicita dichiarazione di ciò a cui egli aspirava, o si dovrà a un suggerimento, o a una disposizione che 172

RICHARDS, Altichiero cit., p. 57, e vd. ibidim nt. 48 citata subito nel testo. Il quale, però, è anche ricordato come signore della Riviera bresciana nell’epigramma su Simone Spada. 174 MARCHI, “Valore e cortesia” cit., p. 491. 173

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dir si voglia, del giovane Antonio Della Scala che aveva da poco fatto assassinare il fratello? All’infuori di quello di Ezzelino da Romano, che colpiva la fantasia per il ricordo di Falaride, degli altri casi di giustizia estrema non ho trovato altre testimonianze: può essere mi siano sfuggite, ma, non sorprenderebbe che decisioni tanto personali siano sfuggite ai cronisti, o essi stessi non abbiano ritenuto di doverle ricordare. Perciò è naturale il dubbio se gli atti di giustizia celebrati in queste iscrizioni siano realmente accaduti o siano frutto di consapevoli o inconsapevoli invenzioni. Tuttavia, anche perché essi sono riferiti in forma circostanziata, con precisi particolari, escluderei che li abbia inventati Antonio da Legnago: possibile, e forse probabile, che si tratti di voci nate in seguito alla effettiva severità delle persone a cui questi atti di estrema severità vengono attribuiti. Non è arbitrario pensare che Antonio da Legnago di essi abbia scritto stimolato dal ricordo di antichi casi analoghi, come quello di Giunio Bruto, di cui si legge nel De viris illustribus urbis Romae dello pseudo Aurelio Vittore, 10, 4-5, o, meglio, trattandosi qui di ben tre casi di severità estrema nei confronti di un nipote o di un figlio (Uguccione della Faggiuola, Simone Spada, Paganino Bizzozzero), casi reali o voci che fossero, egli avesse in mente, per consapevole o inconsapevole intento di emulazione, il capitolo VIII del libro V De severitate patrum in liberos di Valerio Massimo, dove appunto si narra di padri che comminano ai figli la pena capitale. Ho segnalato via via occasionalmente qualche punto del testo in cui si avverte una quasi sicura o assai probabile eco di Valerio Massimo175. Che Antonio conoscesse Valerio Massimo si potrebbe immaginare già per il fatto che, come è noto, in quegli anni Marzagaia leggeva Valerio Massimo ad Antonio Della Scala, e si può ben credere che di quel testo si parlasse a corte. A parte ciò, qualche decennio fa nel ms. 303 della Biblioteca Comunale di Assisi è riemerso un commento ai primi due libri di Valerio Massimo, seguito da un compendio dei libri rimanenti, che nel codice è anonimo e anepigrafo, ma che indipendentemente l’uno dall’altro il p. Cesare Cenci e Dorothy M. Schullian hanno attribuito al Marzagaia. Presentando questo commento nel Calalogus translationum et commentariorum, la Schullian ne ha esaminato attentamente la dedica, che per lo stile dell’autore e per lo stato della tradizione è particolarmente oscura, rimanendo incerta anche sull’identificazione delle persone nominate lì e in una non meno oscura canzone che conclude il tutto. Con tutta la cautela che lo stato del testo richiede, a me sembra di dover capire che Marzagaia dedica il commento 175 A proposito dell’epigramma sul card. Albornoz (nr. II), di quelli su Castruccio Castracani (V) e su Ezzelino da Romano (XVIII).

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ad Antonio Della Scala e scrive di averlo sottoposto ad Antonio da Legnago perché lo correggesse176. Qualche ultima osservazione sulla destinazione degli Epigrammata. In aggiunta alla riserva del Varanini, a una loro connessione con il partimento di medaglie dipinto da Altichiero è difficile pensare anche perché, come a suo luogo ho notato, nell’epigramma su Simone Spada Antonio da Legnago scrive che verso il figlio, il quale andando a cavallo si era fatto omicida, Simone, nella sua veste di podestà, «pari animadversione usus est»: un riferimento chiaro per chi avesse appena letto di qualcuno che come lui non aveva perdonato a un colpevole a lui congiunto con legami di sangue. Per l’appunto, nella nostra serie l’epigramma su Simone Spada è immediatamente preceduto dall’epigramma su Uguccione della Faggiuola, il quale, perché colpevole allo stesso modo del figlio dello Spada, aveva condannato a morte «unicum nepotem suum». Qualora gli Epigrammata fossero realmente stati scritti su una parete, sarebbe stato assai difficile cogliere il significato della frase di cui si è detto. Si aggiunga che a ben vedere, non solo il secondo epigramma su Carlo di Calabria, che verosimilmente avrebbe dovuto sostituire il primo, ma quasi tutte le iscrizioni sono tanto estese che mal si sarebbe sopportato doverle scrivere e leggere su una parete. Acutamente il Richards ho osservato: «The length of some of the paragraphs, the unevenness of those lengths, and the wording of the texts, slipping at times into the first person, rules out the possibility that they simply record inscriptions written on frescoes themselves»177. Probabile sembrerebbe allora un’altra spiegazione, in certa misura parallela a quella fornita dal Richards e che a suo tempo, indipendentemente da queste osservazioni, ma con singolare intuizione fu proposta da Vincenzo Fera. Si potrebbe ritenere cioè che esse siano pensate per illustrare una serie di immagini non dipinte su una parete, ma miniate sulle pagine di un libro, per l’allestimento, insomma, di un codice miniato, in cui ogni miniatura fosse accompagnata dalla rispettiva iscrizione: un libro del tipo ben noto, seppure un po’ più tardi, che riguarda la traduzione del De viris petrarchesco eseguita da Donato degli Albanzani, come è tradita, e.g., nel ms. 101 della Hessische Landes- und Hochschulbibliothek di Darmstadt

176 AVESANI, Uguccione della Faggiola a Vicenza cit., pp. 58-59, e ID., Marzagaia, in Dizionario biografico degli italiani, LXXI, Roma 2008, pp. 429-433: p. 432 (dove erroneamente la morte di Antonio da Legnago è collocata nel 1385 anziché nel 1384). 177 RICHARDS, Altichiero cit., pp. 55-56. Si può pensare che, qualora queste iscrizioni fossero state dipinte accanto alle figure a cui si riferiscono, forse l’informatore del Vasari le avrebbe menzionate.

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allestito a Mantova nel 1400, e nell’edizione prodotta nel 1476 da Felice Feliciano con la collaborazione di Innocente Ziletti178. Qualche tempo fa Gian Paolo Marchi ha individuato nei mss. Vat. Pal. lat. 110 e Vat. Pal. lat. 112, entrambi riccamente miniati, lo stemma scaligero e nel primo anche il digramma di Antonio Della Scala (A a sinistra e N a destra del cimiero)179. E con dotte argomentazioni scriveva più tardi: «L’esistenza di uno scriptorium legato alla corte sembra del tutto probabile», naturalmente aggiungendo più avanti: «Sarà molto difficile tuttavia trovare manoscritti con note di possesso o stemmi scaligeri: molti andarono distrutti nel corso di incendi e saccheggi; in altri pervenuti fino a noi, la damnatio memoriae o la semplice obliterazione delle primitive note di possesso rende molto ardua la ricerca»180. Ma nello stesso contributo anche scriveva: «Un codice attribuibile con buona probabilità allo scriptorium scaligero è quello della Regula di santa Chiara, che si conserva nel monastero delle Clarisse Sacramentine di Novaglie (Verona). Il codice, splendidamente miniato, contiene una nota riferibile ai tempi della badessa Alboina della Scala, nipote di Cangrande, ed è ormai divenuto famoso per il fatto che ci tramanda il testo di una nuova lauda di san Francesco»181. Più recentemente Silvia Rizzo ha segnalato che senza ombra di dubbio fu commissionato dagli Scaligeri il ms. Vat. lat. 2193, un codice con ricca ed elegante decorazione, contenente Apuleio, Frontino, Vegezio e Palladio e forse eseguito come dono per Francesco Petrarca, alla cui biblioteca in ogni caso appartenne182. Che a corte si sia pensato a un codice come quello su accennato non dovrebbe dunque meravigliare. Le osservazioni svolte via via sembrano dunque suggerire che le nostre iscrizioni, scritte o completate da Antonio da Legnago tra la fine del 1382 e i primissimi mesi del 1384 costituiscano una serie in tutto o in parte diversa da quella delle medaglie dipinte da Altichiero e non fossero destinate a una parete, ma verosimilmente all’allestimento di un manoscritto riccamente miniato. Resta comunque il fatto che neppure sappiamo se la 178 Su questi libri figurati, o predisposti per ricevere figure, vd. ora DE CAPUA, Compendiare la storia cit., pp. 455-456. 179 G. P. MARCHI, Due codici miniati per Antonio della Scala, in Verona illustrata. Rivista del Museo di Castelvecchio 4 (1991), pp. 5-15, con 4 tavole a colori e 10 in bianco e nero, e ID., La cultura veronese attorno a Dante cit., pp. 403-404. Entrambi i codici contengono scritti di Nicolò da Lira: il primo la Postilla litteralis in quattuor Evangelia, il secondo il commento alle lettere degli apostoli e all’Apocalisse (MARCHI, Due codici miniati cit., pp. 11 e 12, e si vedano al riguardo le acute osservazioni dello studioso a pp. 14-15 nt. 1). 180 MARCHI, La cultura veronese attorno a Dante cit., pp. 401 e 403. 181 Ibidem, p. 402. 182 S. RIZZO, Un codice veronese del Petrarca, in L’Ellisse. Studi storici di letteratura italiana 1 (2006), pp. 37-44.

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redazione a noi nota sia mai stata rivista e portata alla forma definitiva, o sia rimasta come è giunta a noi, forse per la morte di Antonio, e quindi se il libro sia mai stato posto in essere183. In queste condizioni, mancando altre notizie, a poco gioverebbero altre ipotesi che si potrebbero fare: un libro riccamente miniato con cui a Samaritana da Polenta, con uno sfarzo strepitoso sposata nel luglio 1382184, Antonio Della Scala intendeva offrire una sua immagine della famiglia in cui era entrata? Perciò, come scriveva il Vasari, «perché non se ne sa il vero, non ne dirò altro»185.

183 Si ricordi che Ramo Ramedelli trascrive un testo che, oltre a non essere sempre facilmente leggibile, verosimilmente anche per la presenza di cancellature, dell’epigramma su Carlo di Calabria presenta un doppia redazione; del resto vari testi del Petrarca, vari testi di Moggio Moggi inseriti nella Pandetta risalgono a redazioni precanoniche: SANZOTTA, Sulla Pandetta di Ramo Ramedelli cit., pp. 492-494, e vd. anche il caso dei sonetti di Giovanni Quirini: SANZOTTA, Per Battista di Montefeltro Malatesti e Giovanni Quirini, in Archivio italiano per la storia della pietà 23 (2010), pp. 73-83: pp. 76-83. 184 RIGOLI, L’esibizione del potere cit., pp. 153-155; su Samaritana vd. da ultimo VARANINI, Donne e potere in Verona scaligera cit., pp. 58-61. 185 VASARI, Le vite cit., p. 620.

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GLI ELENCHI BIBLIOGRAFICI DI ANGELO COLOCCI: LA LISTA A E L’INVENTARIO PRIMO (ARCH. BIBL. 15, PT. A) A chi si accosta alla biblioteca di Angelo Colocci (Jesi 1474 – Roma 1549)1 nel tentativo di ricostruirne la concreta consistenza, essa si presenta — per parafrasare una felice espressione del biologo e poeta americano Robert Chute — come una trappola concepita in modo tale che, per uscirne, occorre averla compresa per intero2. Sono numerosi gli studiosi che vi si sono cimentati — ormai da quasi un secolo a questa parte — offrendo contributi che, pur coi limiti che un oggetto di studio tanto complesso implica, hanno via via illuminato zone più o meno ampie di questo labirinto bibliografico3. Tutti hanno però sottolineato l’importanza di una tale impresa: la biblioteca di Colocci infatti si rivela — come scrive 1 Sul personaggio si vedano almeno L. BERRA, Come il Colocci conseguì il Vescovato di Nocera, in Giornale Storico della Letteratura Italiana 89 (1927), pp. 304-16; F. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci. Edizione del testo originale italiano (Barb. lat. 4882), a cura di V. FANELLI, Città del Vaticano 1969 (Studi e testi, 256); Atti del Convegno di studi su Angelo Colocci. Jesi, 13-14 settembre 1969, Palazzo della Signoria, Jesi 1972; V. FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci e sulla Roma cinquecentesca, Introduzione e note addizionali di J. RUYSSCHAERT, Indici di G. BALLISTRERI, Città del Vaticano 1979 (Studi e testi, 283), e i recenti M. BERNARDI – C. BOLOGNA – C. PULSONI, Per la biblioteca e la biografia di Angelo Colocci: il ms. Vat. lat. 4787 della Biblioteca Vaticana, in Studii de Romanisticâ. Volum dedicat profesorului Lorenzo Renzi, a cura di F. D. MARGA, V. MOLDOVAN, D. FEURDEAN, Cluj-Napoca 2007, pp. 200-220; Angelo Colocci e gli studi romanzi, a cura di C. BOLOGNA e M. BERNARDI, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 449). Sia inoltre lecito rimandare almeno a M. BERNARDI., Lo zibaldone colocciano Vat. lat. 4831. Edizione e commento, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 454) e ID., Gli interessi culturali e il lavoro filologico di Angelo Colocci, in Estudos de edición crítica e lírica galego-portuguesa Edición crítica e lírica galego-portuguesa, edición ao coidado de M. ARBOR ALDEA, A. F. GUIADANES, Santiago de Compostela 2010 (Verba, Anuario galego de filoloxía, Anexo 67), pp. 337-352. 2 «To teach, I would build a trap such that, / to escape my students must learn» cfr. R. M. CHUTE, Environmental Insight, New York 1971, p. V. 3 Sulla biblitoeca sono fondamentali gli studi di S. LATTÈS, Recherches sur la Bibliothèque d’Angelo Colocci, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire, publiés par l’École Française de Rome 48 (1931), pp. 308-344; G. MERCATI, Il soggiorno del Virgilio Mediceo a Roma, in ID., Opere minori raccolte in occasione del settantesimo vitalizio, IV: (1917-1936), Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 79), pp. 524-545; V. FANELLI, Le lettere di Mons. Angelo Colocci nel Museo Britannico di Londra, in Rinascimento 6 (1959, ed. 1961), pp. 107-135, poi in ID., Ricerche su Angelo Colocci cit., pp. 45-90, L. MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa appartenuti al Colocci, in Atti del Convegno cit., pp. 77-96; R. BIANCHI, Per la Biblioteca di Angelo Colocci, in Rinascimen-

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 89-153.

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Corrado Bologna — il «più formidabile laboratorio culturale che il primo Cinquecento abbia conosciuto in Italia, e forse in Europa»4, specialmente in ragione della sua natura di crocevia in cui si intersecano linee di ricerca e di studio che si dipanano tra cultura classica e romanza, umanistica e scientifica, rinascimentale e medioevale. L’intreccio di queste linee emerge continuamente dai margini postillati dei libri che la costituiscono: al loro interno è facile imbattersi in frequenti e sistematici rinvii a qualche codice o stampato posseduto da un amico, un sodale, o all’opinione di qualche altro intellettuale5. I rari ex libris di Colocci talora restituiscono l’immagine di una biblioteca concepita non solo per sé, ma anche per gli amici6. Questa concezione affabile degli studi, basata sulla conversazione erudita e sulla condivisione e la circolazione dei libri e delle idee, gli permise di animare una delle stagioni più feconde per gli studi umanistici e antiquari, e di contribuire alla germinazione e allo sviluppo delle riflessioni intorno to 30 (1990), pp. 271-282, C. BOLOGNA, La biblioteca di Angelo Colocci, in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 1-20. 4 BOLOGNA, La biblioteca cit., p. 10, ma si vedano anche le riflessioni svolte in ID., Per una filologia degli scarti, dei dislivelli, delle fratture, in Testi e tradizioni. Le prospettive delle filologie. Atti del seminario – Alghero 7 giugno 2003, a cura di P. MANINCHEDDA, Cagliari 2004 (Centro di Studi filologici sardi – Studi, 1), pp. 49-79, pp. 76-79. 5 Sui rapporti di scambio librario e intellettuale che emergono dalle annotazioni e dai marginali colocciani si vedano, tra i fondamentali, S. DEBENEDETTI, Intorno ad alcune postille di Angelo Colocci, in Zeitschrift für Romanische Philologie 28 (1904), pp. 56-93, poi in ID., Studi filologici, a cura di C. SEGRE, Milano 1986, pp. 169-208; E. GONÇALVES, Quel da Ribera, in Cultura Neolatina 44 (1984), pp. 219-224; C. BOLOGNA, Giulio Camillo, il canzoniere provenzale N2 e un inedito commento al Petrarca, in Cultura Neolatina 47 (1987), pp. 71-97; ID., Sull’utilità di alcuni “descripti” umanistici di lirica volgare antica, in La filologia romanza e i codici. Atti del Convegno di Messina, Università degli Studi-Facoltà di Lettere, 19-22 dicembre 1991, a cura di S. GUIDA e F. LATELLA, Messina 1993, II, pp. 531-587 e M. CARERI, Bartolomeo Casassagia e il canzoniere provenzale M, ibid., pp. 743-52; C. BOLOGNA, La copia colocciana del Canzoniere Vaticano (Vat. lat. 4823), in I canzonieri della lirica italiana delle origini, IV: Studi critici, a cura di L. LEONARDI, Firenze 2001, pp. 105-52; C. PULSONI, Luigi Da Porto, Pietro Bembo: dal canzoniere provenzale E all’antologia trobadorica bembiana, in Cultura Neolatina 52 (1992), pp. 323-51; ID., Il De Vulgari Eloquentia tra Colocci e Bembo, in Angelo Colocci e gli studi Romanzi cit., pp. 449-471. 6 Di seguito ad una lista di possessori precedenti («Liber Angeli Fonticulani [aggiunta posteriore:] olim / nunc Fabiani Branchoni»), Colocci annota, per esempio: «Hodie A. Colotij / et amicorum» sul f. 1v del Vat. lat. 1546, membr., XI-XII sec., contenente il Somnium Scipionis seguito dal Commentarium di Macrobio; «Colotii et Amicorum» scrive anche a f. 151v di Vat. lat. 1708, un codice umanistico del De Oratore ciceroniano; asportata e ricollocata all’interno del codice su foglio di restauro, la stessa sequenza («A. Colotij et amicorum») compare anche al principio di Vat. lat. 3390 (MARCUS PORCIUS CATO, De re rustica, cart., XV s.) e la ritroviamo anche in Vat. lat. 3309 (M. TERENTIUS VARRO, De lingua latina; PORPHYRIO, Commentum in Horatium; tre epistole anonime tradotte dal greco; cart., XVI sec., con fdg. membr. del XIV, su cui è vergato l’ex libris); o, ancora, nel Vat. gr. 252, contenente opere di Aristotele, dichiara, ancora più esplicitamente, «A. Colotius amicis hunc paravit».

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alla questione della lingua italiana e alla cultura volgare romanza. La biblioteca di Colocci fu dunque, per così dire, il correlativo bibliografico di quella rete di relazioni e di scambio che l’umanista seppe tessere intorno a sé coinvolgendo gli intellettuali più brillanti della Roma di Giulio II, Leone X, Clemente VII e Paolo III7. Ultimo in ordine di tempo ad essermi occupato di questa ricca collezione libraria, ho tentato alcuni anni fa8 di fare il punto sulle acquisizioni fin’allora note in relazione ad essa, stabilendo un regesto dei codici e degli stampati che, sulla base della bibliografia disponibile e al netto di un esame completo e sistematico dei pezzi, erano stati attribuiti alla biblioteca del filologo jesino. Per ciascuno di essi, poi, fornivo una sintesi di tutte le notizie ricavabili dagli studi e saggi oggetto del mio spoglio. Ulteriori materiali e ricerche, di cui allora non mi era stato possibile tenere conto, mi si sono resi disponibili negli anni seguenti, sicché tale lista è ora passibile di alcune integrazioni9. 7 Ecco solo qualche nome alla rinfusa (informazioni più precise potranno essere rintracciate sfogliando ad indicem i volumi citati nella nota 1) dei personaggi con cui Colocci fu in amichevole relazione nella sua maturità: Pietro Bembo, Vincenzo Calmeta, Fabio Calvo, Giulio Camillo, Scipione Carteromaco, Battista Casali (m. 1525), Marcello Cervini, Giammatteo Giberti, Hans Goritz, Tommaso Inghirami, Giovanni Lascharis, Francesco Maria Molza, Blosio Palladio, Antonio Tebaldeo, Lattanzio Tolomei, Miguel de Silva, Giovan Giorgio Trissino, Pierio Valeriano; altri nomi esterni all’ambiente romano sono, per esempio, quelli di Traiano Calcia, Benedetto Gareth, Benedetto Lampridio, Mario Equicola, Pietro Summonte. Tra le personalità con cui entrò in contatto nell’infanzia e nella prima adolescenza si ricorderanno, oltre a Pomponio Leto, gli intellettuali della corte napoletana Jacopo Sannazzaro e Giovanni Pontano (sui rapporti di Colocci con questo ambiente sia lecito rimandare a M. BERNARDI, Angelo Colocci, la biblioteca e il “milieu” napoletano: nuovi interventi, qualche precisazione e un frammento inedito, in Roma nel Rinascimento [14] (2008), pp. 59-78, con i relativi rimandi bibliografici). 8 M. BERNARDI, Per la ricostruzione della biblioteca colocciana: lo stato dei lavori, in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 21-83. 9 Occorre aggiungere uno stampato sfuggitomi nello spoglio di MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa cit., p. 89, cioè Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (di qui in poi BAV), R. I. IV. 1394: PETRUS CONSENTIUS, MAGNUS AURELIUS CASSIODORUS, Disciplinarum liberalium orbis – LUCIUS APULEIUS MADAURENSIS, De syllogismo categorico – CENSORINUS, De die natali, Basilea, Johannis Bebelius, 1528. Sempre MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa cit., p. 87, faceva un po’ corsivamente riferimento ad un altro stampato colocciano trasmigrato però alla Biblioteca Ambrosiana di Milano (di qui in poi BAM), cioè FERNANDUS CORDUBENSIS, De iure medios exigendi fructus quos vulgo annatas dicunt, Roma, Georgius Herolt, ante 1484, in folio (per gli incunaboli di cui capiterà di far menzione si indicherà il codice alfanumerico che li individua nell’Incunabula Short Title Catalogue — per brevità: ISTC — della British Library, consultabile on-line all’indirizzo http://istc.bl.uk/; per il presente stampato il codice è if00103000), senza tuttavia indicare la segnatura ambrosiana: si dovrebbe trattare di Inc. 1813, unico esemplare dell’opera, posseduto dalla BAM: l’esame di questo volume non ha tuttavia rivelato tracce della mano di Colocci. Da integrare sono poi tre stampati individuati da J. RUYSSCHAERT, Fulvio Orsini et les élégiaques latins. Notes marginales à une bibliothèque

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Il presente contributo, dunque, si ricollega idealmente a tale prima ricognizione, tuttavia affrontando la questione della ricostruzione della biblioteca da un’altra prospettiva e cioè quella degli inventari che in maniera più o meno parziale o frammentaria ce ne restituiscono alcuni tratti fisiognomici. Esso si avvale inoltre di una disamina diretta di quasi tutti gli item di cui davo allora notizia, compiuta per la compilazione della scheda pertinente ai testi autografi e ai libri postillati da Angelo Colocci, contenuta nel secondo volume relativo al Cinquecento degli Autografi dei letterati italiani, curato da Matteo Motolese, Paolo Procaccioli ed Emilio Russo10. Naturalmente non occorre ricordare che la questione della ricostruzione di una biblioteca è cosa diversa da quella dell’allestimento di una lista di codici autografi o postillati da un autore, e la relazione tra le due non si risolve sempre in un semplice rapporto di inclusione: un umanista può aver posseduto libri che non postillò e, analogamente, può anche avere postillato volumi che non possedette, ma che ebbe a disposizione solo per qualche tempo. Sicché la presenza di tracce di una mano dovrebbe essere considerata — a stretto rigor di logica — condizione sufficiente, ma non du XVIe s. et à une biographie du XIXe, in Tradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa, a cura di R. CARDINI, E. GARIN, L. CESARINI MARTINELLI, G. PASCUCCI, Roma 1985, II, pp. 678-684, pp. 676-680, cioè Ald. III 7: LUCIUS ANNEUS LUCANUS, Pharsalia, Venezia, Aldo Manuzio, 1502; Ald. III 20: CAIUS VALERIUS CATULLUS, ALBIUS TIBULLUS, SEXTUS PROPERTIUS, Opera, Venezia, Aldo Manuzio, 1502; R. I. V. 2238: CAIUS VALERIUS CATULLUS, ALBIUS TIBULLUS, SEXTUS PROPERTIUS, [Opera] – CORNELIUS GALLUS [fragmenta], Lione, Sebastianus Gryphius, 1534. Altri due codici d’argomento grammaticale — Vat. lat. 1493 e 2793 — sono inoltre indicati come colocciani da R. BIANCHI – S. RIZZO, Manoscritti e opere grammaticali nella Roma di Niccolò V, in Manuscript and Tradition of Grammatical Texts from Antiquity to the Renaissance. Proceedings of a Conference held at Erice, 16-23 October 1997, edited by M. DE NONNO, P. DE PAOLIS, L. HOLTZ, Cassino 2000, pp. 587-653, pp. 618, 639. Ancora un manoscritto miscellaneo con opere di Aristotele, Alessandro Afrodisio e Sesto Empirico — il Vat. lat. 2990 — è individuato da D. GIONTA, Tra Questenberg e Colocci, in Studi Medievali e Umanistici 3 (2005), pp. 404-412, pp. 408-410; due stampati e un manoscritto vaticani segnala Massimo Danzi: Vat. lat. 3199 (che contiene la Commedia dantesca, ma che dovette passare solo per breve tempo nelle mani di Colocci, che di fatto non vi lasciò traccia di postille); R. I. II. 993 (SOSIPATRUS, Institutionum Gramaticarum libri quinque, Napoli, Johannes Sulsbacchius, 1532); R. I. III. 298 [1] (VITRUVIUS POLLIO, De architectura, Venezia, Giovanni Tacuino, 1511) per i quali vd. M. DANZI, La biblioteca del cardinal Pietro Bembo, Genève 2005, pp. 31, 59, 221, 223, 300, 387. Infine vanno aggiunti due stampati e un manoscritto da me identificati: Ald. I. 51 (GALENUS, Opera, Venezia, Aldo Manuzio, 1525); BAM, S. R. 226 (P. BEMBO, Prose della volgar lingua, Venezia, Giovanni Tacuino, 1525, su cui si veda M. BERNARDI, Il postillato colocciano delle ‘Prose della Volgar Lingua’: L’Ambrosiano S. R. 226 e il pensiero linguistico di Angelo Colocci, in L’Ellisse 4 [2009], pp. 65-86) e G. 33. inf., contenente lettere indirizzate a Colocci con sue annotazioni. 10 M. BERNARDI, Angelo Colocci, in Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, II, a cura di M. MOTOLESE, P. PROCACCIOLI, E. RUSSO, consulenza paleografica di A. CIARALLI, Roma 2013, pp. 75-110: a questo volume si rimanda anche per l’ampia bibliografia e per le riproduzioni fotografiche di mss. e stampati colocciani.

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necessaria della sola lettura di un libro (o piuttosto della sua porzione interessata da tali tracce) da parte di un umanista, e non per forza del suo possesso. Tuttavia, per lo meno nel caso di Colocci — e soprattutto per quei volumi che recano un carico di marginali cospicuo — se ne può considerare abbastanza probabile anche il possesso: specie in considerazione della scarsa cura, del disordine e dell’invadenza con cui l’umanista era solito bruttare i margini dei suoi volumi11. Laddove tracce autografe non soccorrano, però, altri devono essere i criteri che permettono di ricondurre un determinato manufatto alla raccolta colocciana. Qui diventa fondamentale l’apporto degli inventari e delle liste di libri della biblioteca di Colocci, redatti di suo pugno o da suoi collaboratori e da lui rivisti e annotati, oppure compilati posteriormente alla sua morte. Gli elenchi bibliografici finora noti sono una dozzina (altri potranno in futuro emergere da un esame più puntuale e accurato dell’abbondantissimo materiale autografo conservato). Corrado Bologna ne ha fornito una lista sintetica, designando ciascuno con una lettera dell’alfabeto: maiuscola per i cinque più «ampi e relativamente organici, alcuni […] assai ricchi», minuscola per gli altri. Si riporta dunque di seguito per chiarezza la lista di Bologna: «A: Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Bibl. 15, pt. A, ff. 44r-63r (databile entro il 1549) B: Vat. lat. 3963, ff. 4v-5v (databile al maggio-giugno 1549) C: Vat. lat. 3958, ff. 184r-196r (datato al 27 ottobre 1558) D: Vat. lat. 7205, ff. 1r-52r (del 1582 ca.: è l’Inventarium librorum Fulvii Ursini, contenente anche i libri colocciani confluiti in quel fondo) E: Vat. lat. 14065, ff. 50r-63r (del 1543-1549 ca., in parte autografo) […] a: Vat. lat. 2874, f. 112r b: Vat. lat. 3217, f. 329r-v (databile a dopo il 1526) c: Vat. lat. 3903, f. 199r-v d: Vat. lat. 3903, f. 206r-v 11

Cfr. MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa cit., p. 80-83. Più rispettoso appare infatti Colocci con libri non suoi, che pure probabilmente esaminò, com’è il caso dell’autografo petrarchescho Vat. lat. 3195, secondo quanto nota Bologna in BERNARDI – BOLOGNA – PULSONI, Per la biblioteca e la biografia cit., pp. 201-203 (e rimandi); o dell’autografo boccacciano codice Hamilton 90 della Staatsbibliothek di Berlino (cfr. G. BOCCACCIO, Decameron. Edizione critica secondo l’autografo Hamiltoniano, a cura di V. BRANCA, Firenze 1976, p. XXXVII, ma si veda in contrario M. BERNARDI, Una lettura cinquecentesca del Decameron: testimonianza indiretta di un affine dell’autografo Hamilton 90, in Dentro l’officina di Giovanni Boccaccio. Studi sugli autografi in volgare e su Boccaccio dantista, a cura di S. BERTELLI e D. CAPPI, Città del Vaticano (Studi e testi), in corso di stampa, o addirittura il Canzoniere Italiano Redi 9 della Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze, secondo la suggestiva e documentata ipotesi cautamente avanzata da F. COSTANTINI, Il “Libro Reale”, Colocci e il Canzoniere laurenziano, in Angelo Colocci e gli studi romanzi cit., pp. 267-306.

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e: f: g:

Vat. lat. 3903, ff. 222r-227v Vat. lat. 4817, f. 196r-v Vat. lat. 4817, ff. 210r-211v»12

I primi quattro sono già ben noti agli studiosi e sono quelli che hanno consentito di definire le prime solide linee relative alla storia della biblioteca colocciana, successiva alla morte del suo possessore. Tali linee sono state tracciate per la prima volta in maniera sicura — per quanto passibile di integrazioni — da Giovanni Mercati nel suo celebre articolo sul Virgilio Mediceo, in cui viene anche fornita l’edizione della lista B13. Le conclusioni dello studioso rimangono fondamentali, per cui ci si limita a rimandare al contributo in questione. L’unico altro inventario edito è quello della biblioteca di Fulvio Orsini (D), esemplarmente studiato da Pierre De Nolhac14. Gli inventari A e C, poi, sono stati tenuti presenti, oltre che dagli studiosi già citati, anche da Samy Lattès15 che fonda proprio su C le sue attribuzioni di numerosi manoscritti alla biblioteca di Colocci; tuttavia, nella maggior parte dei casi, egli non cita esplicitamente le voci dell’inventario corrispondenti ai codici da lui individuati come colocciani, sicché molte di queste identificazioni appaiono immotivate a chi non abbia diretta familiarità con la lista di Vat. lat. 3958. Più rigoroso in questo senso è Vittorio Fanelli che impiega sia A, sia C e li designa, appunto, con le espressioni Inventario primo e Inventario secondo16. Luigi Michelini Tocci, poi, fondandosi su queste liste e su D, restituiva nel 1972 un cospicuo numero di testi a stampa alla biblioteca dell’esinate17. Nel 1990, infine, Rossella Bianchi diede notizia per la prima volta dell’inventario E e, pur non editandolo per intero, ne citava un certo numero di item18. Pare tuttavia destino che tutto ciò che riguarda Colocci debba permanere fluttuante in uno stato di frammentarietà, dispersione, approssimazione 12

Questa lista e la citazione precedente provengono da BOLOGNA, La biblioteca cit., pp.

12-14. 13

Cfr. MERCATI, Il soggiorno del Virgilio Mediceo cit. (l’edizione della lista B è alle pp. 542-

544). 14

P. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini, contribution à l’histoire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissance, Paris 1887 (D è edito alle pp. 334-402). 15 LATTÈS, Recherches sur la Bibliothèque cit. 16 Cfr. FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci cit., pp. 48-49, ma si vedano ad indicem tanto questo volume, quanto UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci cit. 17 MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa cit. 18 In BIANCHI, Per la Biblioteca cit. si trova anche un’utile sintesi delle fasi di ingresso in BAV della biblioteca colocciana, con l’integrazione di alcune interessanti indicazioni desumibili dall’inventario E. La questione era stata ripresa, senza tuttavia modificarne le linee fondamentali, anche da J. RUYSSCHAERT, Introduzione a FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci cit., pp. 1-6.

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e incompiutezza. Sfortunatamente, infatti, nessuno di questi elenchi può considerarsi completo, né purtroppo si può ritenere che essi risultino fra loro organicamente complementari. Anzi, in molti casi è possibile individuare delle aree di sovrapposizione e degli item che ricorrono, talora con diciture leggermente differenti, dall’uno all’altro. Come è già stato da molti rilevato, poi, queste liste non forniscono che di rado indicazioni sufficienti per l’identificazione di un determinato libro e comunque non lo fanno in maniera costante e completa: anche in quelle liste in cui troviamo notizia del fatto che un volume sia, ad esempio, stampato, non possiamo essere certi che laddove tale indicazione manchi si abbia a che fare con un manoscritto (e viceversa). Alcuni volumi, inoltre, sono designati con il semplice nome dell’autore, altri con il solo titolo dell’opera che contengono (per lo più abbreviato nei modi più varî); di alcune viene suggerito — da tratti verticali che uniscono più item, come entro una parentesi — che si tratti di volumi miscellanei, ma poi gli stessi elementi del raggruppamento possono ricorrere isolati o in gruppi parziali, talora variati, in altre liste, o persino nella stessa. All’interno della stessa lista, infatti, non sono pochi gli elementi o le sequenze che ricorrono più di una volta, senza che i doppioni vengano necessariamente depennati. Occorrerà, perciò, allestire un’accurata sinossi che permetta un confronto incrociato tra le differenti voci di ciascuna lista, in modo da poter rilevare in modo sistematico le eventuali coincidenze certe, o quelle solo ipotizzabili, e accertare così le designazioni diverse che però definiscono uno stesso item. Si potrà poi tentare di determinare con più chiarezza — per esempio — il numero di copie della stessa opera, o di individuare e distinguere i titoli delle opere di uno stesso autore in quei casi in cui ciò non viene specificato. Il materiale così acquisito potrà poi essere posto a confronto con i numerosi altri rimandi reperibili all’interno di postille e annotazioni autografe, presenti negli zibaldoni dell’umanista che contengono rimandi a loci librari, o con le tavole lessicali eventualmente tratte da codici e stampati19. L’integrazione di tutte le informazioni recuperabili per questa via potrà forse consentire di riagglutinare informazioni pertinenti ad uno stesso item che fino a quel momento giacevano polverizzate e disperse, consentendo perciò di formulare più circostanziate ipotesi di iden-

19 Le linee metodologiche fondamentali per questa ricerca sono state fissate da BOLOGNA, La biblioteca cit., pp. 11-12, 18-20. Lo studioso mette anche in guardia a proposito di un ulteriore elemento di complessità: «Non tutte le liste bibliografiche, né tutte le voci di ciascuna lista, rappresentano effetive presenze negli scaffali della biblioteca colocciana; accanto ai molti libri posseduti figurano talora libri ottenuti in prestito, o dei quali lo studioso, venuto a conoscenza della loro esistenza, si riprometteva di chiedere la consultazione» (Ibid., p. 18).

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tificazione, che sistematici sondaggi sul materiale librario — specialmente, ma non solo, vaticano — consentiranno di sottoporre a verifica. Operazione previa a tutto ciò, naturalmente, non può che essere l’edizione degli inventari. Curiosamente gli studiosi che fino ad oggi se ne sono serviti, non ne hanno però fornito una trascrizione completa. Si può forse immaginare che essi siano stati indotti ad una più che comprensibile cautela, dalla leggibilità non sempre eccellente di questi documenti. Ritengo tuttavia che renderli disponibili per chi volesse tentare di fornire qualche nuovo tassello alla ricostruzione della biblioteca colocciana sia necessario. Nelle pagine che seguono dunque si fornisce la trascrizione dell’Inventario primo, come prima tappa in certa misura sperimentale e programmatica di questa operazione previa e necessaria. Prima, però, può essere utile offrire qualche notizia sugli elementi che consentono una collocazione cronologica (se non una datazione precisa) e una contestualizzazione biografica rispetto alla vicenda terrena del suo estensore (o, piuttosto, del committente di tale compilazione, visto che la mano di Colocci in A non compare che in alcuni punti). Già Rossella Bianchi aveva individuato alcuni elementi che consentivano di circoscrivere il periodo di compilazione del regesto A «entro l’ultimo decennio della vita di Angelo Colocci»20. Le sue conclusioni si fondavano sulla presenza in esso di un rimando a «Varone cor[e]cto p. Vittorio» (f. 62r [22]: adotto la mia trascrizione) che la studiosa identificava con la copia del De re rustica che Colocci mandò a Pier Vettori perché questi vi annotasse le varianti di un codice antico in suo possesso e gliela rimandasse. Le lettere che riguardano questo scambio sono del 1538 e il volume così annotato è stato individuato da Fanelli nello stampato vaticano R. I. IV. 89021. Il 1538 sarebbe dunque un valido terminus post quem per la datazione. L’esame sistematico degli altri item dell’elenco, tuttavia, permette forse qualche nuovo passo avanti. Tra le voci più interessanti per una datazione troviamo: «Opus de non mutando pascate» (f. 57v [52]) che dovrebbe corrispondere a Cyprianus Benet, Tractatus de non mutando pascate et contra servile pecus Judaeorum aculeus, Roma, Marcello Silber, 1515; «Luterus de servo arbitrio» (f. 58r [7]) che esce a Wittenberg nel 1525; «Sepulveda de re militari» (f. 57v [35]) che potrebbe corrispondere a Juan Ginés de Sepulveda, De convenientia militaris disciplinae cum christiana religione qui inscribitur Democrates: l’opera fu stampata per la prima volta a Roma presso il Blado nel 1535 (se si trattasse invece del Democrates Secundus ci si potrebbe spingere decisamente più in là con la datazione, perché il 20 21

Cfr. BIANCHI, Per la Biblioteca cit., p. 281. FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci cit., pp. 50-52, 56-71.

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trattato — che circolò manoscritto — fu completato solo nel 1548 e fu alla base della celebre disputa che due anni più tardi contrappose nella Dieta di Valladolid il suo autore a Bartolomé de Las Casas). Ma l’appunto più interessante in ordine alla datazione dell’elenco sembra essere una confusa annotazione che Colocci appone per ben due volte nell’inventario: a f. 57v [67] leggiamo infatti «Iledelmensis episcopi apologia» e a f. 58v [39], con una lezione forse più corretta, «Episcopi Ildesemensis apologia». Credo si possa plausibilmente identificare questo item con il trattatello che Valentin von Teutleben, vescovo di Hildesheim, scrisse e pubblicò nel 1540 contro i duchi di Braunschweig che minacciavano il territorio della sua diocesi, cioè l’Apologia et responsio […] Valentini episcopi Hildesemensis adversus confictas calumnias Erici, et Henrici ducum Brunsuicensium22, Roma, Antonius Bladus Asulanus, 1540. Questo dunque il nuovo terminus post quem che qui si propone per l’inventario. Ulteriori elementi di datazione sono deducibili dallo studio delle filigrane, sia pure con le incertezze che esse comportano (data l’inevitabile difficoltà di identificazione, soprattutto di quelle molto diffuse), e la conseguente cautela che ciò impone. In ogni caso, come si vedrà, gli indizi ricavabili per tale via si accordano con l’ipotesi di datazione appena formulata. Nelle pagine di A ho potuto rintracciare quattro filigrane che designerò con sigle, per comodità di richiamo:23 — Ag: Agnello inscritto entro due cerchi con vessillo e aureola; si trova nei ff. 44, 46, 47, 49, 52, 29, 60. Confrontabile con PICCARD, vol. XV/3, Tav. X, nr. 1794, datato 1541 (cfr. p. 3). — S: Sirena a due code entro un circolo; si trova nei ff. 45 e 58. Confrontabile con BRIQUET, vol. IV, nr. 13891, databile tra 1531 e 1535. 22 La dicitura completa del frontespizio dell’operetta è: Apologia et responsio reuerendi in Christo patris et domini Valentini episcopi Hildesemensis aduersus confictas calumnias Erici, et Henrici ducum Brunsuicensium per universam Germaniam sparsas, ac divulgatas, quibus eundem D. Valentinum episcopum et ipsius capitulum, ac ecclesiam suam Hildesemensem falso traducunt et eosdem in Sacrae Cesareae et Regiae Maiestatum et totius Sacri Romani Imperii invidiam vocare conantur, una cum clara et oculari ostensione, quod iidem duces sunt invasores, ac meri detentores et occupatores castrorum, et bonorum omnium dictae ecclesiae Hildesemensis, quibus eandem annis fere viginti de facto spoliarunt. Nelle pagine a seguire, per l’individuazione delle opere ci si servirà invece, prevalentemente, di titoli uniformi o comunque abbreviati (salvo che per mettere in luce quegli elementi che giustificano le identificazioni che si proporranno). 23 Nelle righe che seguono mi servirò dei seguenti repertori, richiamandoli sinteticamente attraverso il nome degli autori: G. PICCARD, Die Wasserzeichenkartei Piccard im Hauptstaatarchiv Suttgart, Findbuch, XV/3: Vierfüssler, Stuttgart 1987; C. M. BRIQUET, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier dès leur apparition vers 1282 jusqu’en 1600, edited by A. STEVENSON, 4 voll., Amsterdam 1968; Monumenta Chartae Papyraceae historiam illustrantia, general editor E. J. LABARRE, III: Zonghi’s Watermarks, Hilversum 1953.

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— Qsc: quadrupede sormontato da uno scudo entro un circolo; si trova a f. 61r. Confrontabile con ZONGHI, nr. 1760 (tav. 125), genericamente indicata come del XVI secolo. — Cl: cinque mezze lune («croissant») disposte all’interno di una croce greca inscritta in un cerchio, sormontato da una stella a sei punte; si trova a f. 63. Confrontabile con BRIQUET, vol. III, nr. 5379, databile al 1541: la filigrana riprodotta da Briquet, tuttavia, presenta una croce anziché una stella. Utile pare soffermarsi brevemente sulla presenza di queste filigrane in alcuni zibaldoni autografi di Colocci e soprattutto nei suoi epistolari, che possono garantire qualche più solido appiglio per una datazione24. Naturalmente non si darà notizia di ogni singola occorrenza di tali filigrane nei codici oggetto d’esame, ma si indicheranno genericamente i fascicoli o i bifogli (nel caso delle missive) in cui è possibile trovarle (salvo casi particolarmente significativi per la linea argomentativa che si sta qui svolgendo). Per il momento si lascerà da parte la filigrana Ag che, come si diceva, è la più presente in A, e ci si sofferma in primis sulle altre. La filigrana S caratterizza anche alcuni dei fogli del fascicolo di Vat. lat. 3903, che contengono la lista e (ff. 224 e 226). Tale marca si ritrova anche in numerose altre pagine di questo e di diversi altri zibaldoni e negli epistolari, ma si tratta di un tipo piuttosto comune, diffuso in un alto numero di varianti alternative che richiederebbero di essere perciò ben distinte, implicando verifiche più estese di quelle qui consentite. Dato però che, per la questione che qui interessa, tali indagini risulterebbero sostanzialmente inutili, visto che gli argomenti addotti da Bianchi — e confermati da altri indizi già qui in parte enunciati — mi paiono sufficientemente convinecenti per la collocazione di A oltre le date indicate da Briquet per questa filigrana, non mi soffermerò ulteriormente su di essa. La filigrana Qsc, si trova, invece, nei ff. 16 e 27 del Vat. lat. 4831, cioè all’interno del III fascicolo, la cui compilazione ho dimostrato altrove essere riconducibile approssimativamente agli anni 1537-153925. Essa può essere inoltre riscontrata nel f. 221 di Vat. lat. 3903 che, con f. 228, costituisce il bifoglio più esterno che avvolge il fascicolo contenente l’appena citata lista e26. Mi pare allora decisamente degno di nota rilevare che anche 24

Segnatamente gli zibaldoni autografi Vat. lat. 3903, 3217, 4817, 4818, 4831 e gli epistolari Vat. lat. 4103, 4104, 4105 e Reg. lat. 2023. 25 Cfr. BERNARDI, Lo zibaldone colocciano cit., pp. 113-114. 26 In Vat. lat. 3903 la filigrana si riscontra in numerosi fogli del primo fascicolo del codice (ff. 1-46) che contengono appunti linguistici e soprattutto epigrammi e versi latini disparati (si noti che il fascicolo immediatamente seguente — ff. 47-76 — mostra una filigrana

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il f. 210 di Vat. lat. 4817, che costituisce col f. seguente il bifoglio centrale di un fascicolo (probabilmente un quaterno, da f. 207 a f. 214, ma la legatura stretta non consente di determinarlo con certezza), è caratterizzato da questa filigrana, e i ff. 210r-211v contengono — come si ricorderà — la lista g27. Si potrà dunque fin da ora notare che questi pur modesti indizi sembrano invitare a cogliere uno stretto legame tra il progetto di registrazione libraria che si compie nei fogli di A e quello che riguarda almeno altre due liste bibliografiche colocciane (e e g). Qsc si trova poi ancora — all’interno degli epistolari colocciani — in corrispondenza di missive con datazioni piuttosto avanzate: in Vat. lat. 4104, f. 57 con un biglietto di Colocci verosimilmente indirizzato a Marcello Cervini, databile dopo il 1540; Ibid., bifoglio 59-60, lettera di Colocci a «Messer Endimio», databile a dopo il 153728; Vat. lat. 4105, bifoglio 128129, lettera di Marino Grimani a Colocci, datata 15 maggio 1538; Ibid., bifoglio 174-175, lettera di Varino Favorino a Colocci, datata 153429. Non trovo invece altrove (ma ovviamente la mia ricognizione non ha potuto che riguardare un numero limitato di codici colocciani, come si è

molto simile a Ag, come si dirà poco oltre) e nei ff. 386 e 387 che recano pochi appunti di lettura tratti da Plinio e si mostrano come fogli di recupero, visto che recano altri rimandi («Oribasius», «sabinianus») in scrittura rovesciata. 27 In Vat. lat. 4817 questa filigrana si riscontra ancora ai ff. 2, 3, 4 (contenenti appunti di comparazione linguistica), 33, 34, 38 (solo quest’ultimo reca traccia di scrittura: un elenco che sembra costituito da appunti di lettura da un testo a carattere storico, con rimandi di pagina). 28 Per le ragioni interne di queste due datazioni si veda BERNARDI, Lo zibaldone colocciano cit., pp. 34-35 (la lettera a «Messer Endimio» è edita alla p. 443 e il biglietto a p. 463, ma era già stato pubblicato da FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci cit., p. 87). Quanto alla datazione del biglietto, ritengo che il suo terminus post quem possa essere spostato al 1540 (anziché 1539, come sostenevo nel lavoro appena citato), perché in esso si fa cenno al Cardinale di Viseo, cioè Miguel da Silva, come di persona presente a Roma, con la quale l’estensore della risposta inviata a Colocci possa aver parlato direttamente («dice che lo ha a Venetia et non qui»). Il da Silva infatti tornò a Roma dal Portogallo (dove fu nominato vescovo di Viseu nel 1525) solo nel 1540 (sul personaggio si veda S. DESWARTE, Il« perfetto cortegiano» D. Miguel da Silva, Roma 1989 e, per le date qui indicate, pp. 2, 23). A questo si può aggiungere che lo scambio di questo biglietto deve essere avvenuto a Roma. A differenza delle lettere inviate tra località distanti, questo foglio non reca, appunto, data né indirizzo di nessuna delle due parti coinvolte, come se si trattasse di corrispondenza portata a mano da servitori entro un breve circuito cittadino ed entro un lasso di tempo non particolrmente ampio, visto che Colocci scrive «Et degnisi mandarmi il suo [una copia del De ponderibus et mensuris di Erone] de matina a buona hora». Se le cose stanno così, è verosimile che lo scambio sia avvenuto dopo il rientro di Colocci da Nocera, e cioè non prima del 1543 (anche se è probabile che il prelato possa aver fatto ritorno a Roma per brevi periodi anche durante il suo periodo nocerino, cioè tra il 1541 e il 1543). 29 Lettera edita in BERRA, Come il Colocci conseguì il Vescovato cit., p. 312.

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detto) la filigrana Cl, mentre assai diffusa è una forma ad essa simile, ma priva di stella a sei punte30. Infine la filigrana Ag — maggioritaria in questi appunti — è assente in tutti gli zibaldoni colocciani da me considerati in ordine al presente confronto, ad esclusione del solo Vat. lat. 3903: circostanza, mi pare, piuttosto significativa e che compare come un’ulteriore conferma della relazione che sembra connettere alcune parti di detto manoscritto ad A. Ag si riscontra dunque nei ff. 258, 264 (il primo contiene appunti su pesi e misure e sulle «latine urbes», il secondo è bianco) che fanno parte dello stesso senione (ff. 255-266); nel f. 342 che fa parte di un ternione (ff. 339-344) che mostra i segni di una differente destinazione d’uso precedente31, e nel f. 356, anch’esso parte di un ternione (ff. 351-356) con tracce di scrittura rovesciata. Questi ultimi due fogli, ora separati, dovevano in precedenza far parte di uno stesso nucleo di appunti: entrambi infatti ospitano liste di parole accompagnate da rimandi numerici a loci librari e recano l’intestazione «Cataneus» (il secondo in forma abbreviata)32. Negli epistolari ho invece 30

La si ritrova per esempio in numerosi fogli (ed è l’unica in essi presente, a testimoniare anche l’unitarietà del materiale ivi raccolto) dei fascicoli (due quaterni e tre ternioni) che occupano i ff. 267-300 di Vat. lat. 3903 (per le altre localizzazioni nel codice e per più dettagli relativi a queste, si veda la seconda colonna della tabella in BERNARDI, Lo zibaldone colocciano cit., pp. 33, dove, tra l’altro si segnala una svista: da tale colonna andrà eliminata la sequenza «Fasc. 295-300: f. 300»), cioè gli excerpta delle cronache di Gualdo Tadino di cui hanno scritto I. HEULLANT DONAT – E. IRACE, “Amici d’istorie”. La tradizione erudita delle cronache di Gualdo e la memoria urbana in Umbria tra Medioevo ed età moderna, in Quaderni storici n.s. 93 (1996), pp. 549-581. Questa stessa filigrana (come si diceva, leggermente differente da quella di A) si trova nei ff. 22 e 28 di Vat. lat. 4831, cioè sempre all’interno di quel III fascicolo riconducibile agli anni 1537-1539 di cui si è detto nelle note precedenti. Negli epistolari la troviamo in: Vat. lat. 4104, f. 58, biglietto autografo indirizzato a «Mattia greco» databile a dopo il 1534 (sulle ragioni vd. BERNARDI, Lo zibaldone colocciano cit., p. 35 e l’edizione del biglietto alle pp. 463-464); Vat. lat. 4105, f. 113, lettera di Giovan Francesco Alois da Napoli a Colocci del 6 novembre 1538 (edita in BERNARDI, Lo zibaldone colocciano cit., p. 449); infine la si ritrova nella celebre «memoria del Colotio quando s’era per morire», Vat. lat. 4105, bifoglio 176-177 (Ibid., p. 466). 31 Nel f. 339 troviamo, rovesciate, le tracce di una vecchia cartulazione — «178» — e una lettera «M» come se si trattasse dell’intestazione di una tavola alfabetica, mentre a f. 344 si legge, sempre rovesciata, una lista di natura non ben precisata. 32 Forse un’allusione a quel Giovanni Maria Cattaneo, novarese, amico dell’umanista, che MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa cit., p. 93, identifica con colui che trasse una tabula di lemmi dalla copia colocciana (BAV, R. I. V. 101) di LUCIUS ANNAEUS SENECA, Tragoediae, Firenze, Filippo Giunta, 1513, come testimonierebbe l’annotazione autografa («Catan tabula cum numero. Impresso») sul frontespizio dello stampato. Il Cattaneo faceva parte del sodalizio che si ritrovava intorno al Goritz, tuttavia in questa cerchia militava anche un frate Jacopo Cattaneo e un Giovan Battista Cattaneo di Imola (si veda in proposito, ad indicem, Coryciana, critice edidit, carminibus extravagantibus auxit, praefatione et annotationibus instruxit I. IJSEWIJN, Roma 1997, s.v. «Cataneus»). Forse gli elenchi di questi fogli di Vat. lat. 3903 andranno ricondotti alla tabula senecana, ma mi riservo di approfondire la questione in altra

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riscontrato Ag solo nel bifoglio 166-167 di Vat. lat. 4105 che contiene una lettera del vescovo di Casale, Bernardino Castellari, inviata a Colocci da Perugia il 20 aprile 1541. Una filigrana assai simile ad Ag (ma con un solo cerchio ad inscrivere l’agnello) si trova invece in vari punti di Vat. lat. 3903 (anche in corrispondenza delle altre due liste c e d) e in un cospicuo numero di lettere — databili ad anni tra il 1541 e il 1543 — relative a flussi di corrispondenza che hanno legato Colocci, nel suo periodo di residenza a Nocera (per le incombenze del suo episcopato), con altri prelati residenti in area umbra33. Lo studio delle filigrane rivela dunque, a quanto sembra, un sottile filamento che collega A con le altre due liste e e g, ma forse anche — sia pure carsicamente — con c e d34. Inoltre i nuovi indizi cronologici desumibili dai contenuti di A consentono una datazione dell’inventario un po’ più avanzasede. In A, come si vedrà (f. 63r [35]), si trova un’altro rimando ad un Cattaneo: in tal caso si tratta con certezza di Giovanni Maria. 33 Questa filigrana con l’agnello inscritto in un solo circolo caratterizza, in Vat. lat 3903, il f. 206 che contiene la lista d; tale foglio forma in realtà bifoglio con il f. 199 (entro un fascicolo abbastanza agevolmente distinguibile che si estende da f. 196 a f. 209), il quale ospita a sua volta una lista bibliografica, quella indicata con la lettera c. Verosimilmente dunque la lista c e la lista d costituivano in realtà un elenco unico, che poi spostamenti e rifascicolazioni del materiale contenuto nel codice hanno allontanato. Del resto la costituzione di questo volume deve essere avvenuta aggregando fascicoli sciolti, probabilmente dopo la morte di Colocci. Nel recto del f. non numerato che segue f. 400, troviamo infatti un cartiglio disegnato a penna (di mano non colocciana) che reca al suo interno l’indicazione: «Fragmenti raccolti del 6° armario di diverse materie, non di momento». Tornando alla filigrana delle liste c e d, si segnala che essa si ritrova anche in più fogli del II fascicolo di Vat. lat. 3903 (ff. 47-76, contenenti in parte versi latini e in parte appunti su pesi e misure) e infine a f. 398 che ospita appunti e rimandi bibliografici in latino, d’argomento medico. In Vat. lat. 4817 si trova nei ff. 176, 286, 288 (il primo con appunti linguistici, gli ultimi due con elenchi di voci provenienti dai testi poetici di Vat. lat. 4823) e in Vat. lat. 3217, nei ff. 309-311 (con appunti sulla poesia romanza). Quanto agli epistolari, la filigrana contraddistingue tutte le lettere inviate a Colocci a Nocera Umbra dal «Cardinale de Arimini» (cioè Ascanio Parisiani da Tolentino: cfr. Opere di monsignor Giovanni Guidiccioni, nuovamente raccolte e ordinate a cura di C. MINUTOLI, Firenze 1967, p. 196, nt. 1) da Perugia, tra il gennaio del 1542 e il gennaio del 1543 (le si trova tra i ff. 102 e 144 di Vat. lat. 4105). Si incontra la stessa filigrana anche tra le lettere inviate dal vescovo di Jesi all’umanista nel gennaio del 1542 (Vat. lat. 4105, ff. 149-150 e 152153), tra quelle del Cardinale di Casale (Bernardino Castellari: cfr. G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia 1845-1851, vol. XIV, p. 583), indirizzate a Colocci tra il settembre e il novembre del 1541 da Perugia (Vat. lat. 4105, ff. 164-165 e 145146) e anche in una lettera di Marcello Cervini (allora Cardinale di Santa Croce) spedita da Foligno al nostro il 23 ottobre 1541 (Vat. lat. 4104, ff. 15-16). Se ne deduce, se non altro, che tale filigrana sembra avere una prevalente circolazione in area umbra e, volendo spingere un po’ più in là le ipotesi riguardanti l’attività intellettuale di Colocci, che i fogli autografi (degli zibaldoni) che ne sono contrassegnati possano essere riconducibili agli anni di permanenza a Nocera. 34 Della connessione tra a e A si darà conto qui di seguito.

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ta, rispetto a quella suggerita da Rossella Bianchi, e dunque più sbilanciata verso gli anni del soggiorno nocerino di Colocci (1541-1543): evento con cui già la studiosa proponeva di riconnettere in qualche modo la redazione dell’Inventario Primo. Prima di avanzare altre ipotesi, sarà tuttavia utile fornire qualche informazione sull’altro documento di cui ci si occupa qui, cioè la breve lista a e quindi offrire l’edizione dei due documenti. La lista a: Vat. lat. 2874, f. 112r Un evidentissimo legame connette la cosiddetta lista a con A: come si mostrerà nelle note relative agli item della II colonna di f. 63r di A, a si rivela essere non un inventario di libri moderni, bensì l’indice relativo alla seconda parte (la chiameremo V2) di un manoscritto miscellaneo che probabilmente subì varie operazioni di agreggazione e spostamento del materiale che lo componeva. Il codice in questione è quello che contiene a stesso: il Vat. lat. 2874 (per comodità, V). La lista a costituiva dunque la tavola dei contenuti di V2, o piuttosto di una fase della sua storia, in cui esso era costituito, in parte da elementi che oggi non vi troviamo più (come la «Callimachi elegia» che compare cassata in a), in parte da elementi che oggi hanno un ordine leggermente diverso da quello indicato dalla tavola. Del resto proprio le cassature che si trovano in a rivelano la sua natura di indice provvisorio e molte pagine del codice hanno una duplice, se non triplice cartulazione. Oggi V, però, contiene testi che in a non sono menzionati, cioè tutti quelli che precedono il foglio di a (f. 112r). Questo può essere considerato segno del fatto che V è nato dall’aggregazione di almeno due macroelementi (a loro volta costituiti da parti minori variamente ricombinate nel corso del tempo): uno costituito dai ff. 5-111 (che indicheremo perciò con V1) e l’altro dai ff. 112-257 (V2). Quanto ai ff. 1-4, credo che corrispondessero alla prima parte di V2: a f. 1r leggiamo infatti, di mano di Colocci, il titolo «Diversorum», che è, appunto, la prima voce dell’elenco a (se si esclude la sequenza «S. DEL PACTOLO» di mano di copista, la cui presenza probabilmente dipende dal fatto che la lista è stata vergata su un foglio di recupero). Il duerno d’apertura del secondo macroelemento (V2) sarà dunque stato spostato in capo a V1 e conservato come fascicolo d’apertura generale del nuovo libro confezionato a partire dalla fusione di due unità originariamente distinte, mentre il primo foglio di V2 (oggi f. 112r)35, che conservava l’elenco dei suoi contenuti nell’ordine 35 Il foglio 112 reca una seconda numerazione («123») che rivela che esso, comunque, doveva già far parte di una raccolta diversamente composta: può darsi che anche tale indicazione di pagina vada ricondotta alla stessa fase a cui appartiene l’indicazione «S. DEL PACTOLO».

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che avevano in origine (a), avrà mantenuto la sua posizione in apertura del secondo macroelemento all’interno del nuovo codice V generato da V1 + V2. Quanto all’inventario A, come si accennava, gli elementi presenti nelle colonne da II a V di f. 63r mostrano di corrispondere ai contenuti di V. Come si vedrà, infatti, i testi corrispondenti agli elementi che ho indicato con i numeri dal [20] al [33] si ritrovano esattamente nella stessa sequenza nei ff. 5-111 di V (la parte cioè corrispondente a V1), con la sola eccezione delle voci [25]-[27] che però forse sono state annotate in un punto sbagliato in A (molto confuso in questa parte), visto che le si ritrova in a (e dunque dovrebbero far parte della seconda parte di V). Quanto alle annotazioni [34]-[49] di A, che dovrebbero corrispondere a V2 (e infatti esse coincidono quasi perfettamente con le voci di a), esse rivelano, per la seconda parte di V, una situazione assai più esposta a turbamenti. L’attuale ordine dei contenuti di V2, infatti, non sembra rispecchiata fedelmente né da a, né, dall’ordine degli item di A. Tuttavia, in questo secondo caso purtroppo, l’estremo disordine delle annotazioni (vi sono voci che si inseriscono tra le altre obliquamente, alcuni elementi sembrano recuperati dopo dimenticanza e annotati negli spazi che rimanevano disponibili: il che fa sì che la parte finale dell’elenco sia la più confusa) non consente di attribuire un’estrema affidabilità all’elenco in relazione alla successione dei testi. In ogni caso, per questa seconda parte, A e a sembrano, almeno a grandi linee coincidere (corrisponde piuttosto bene, ad esempio, la sequenza [35]-[43]). In relazione ad essa, invece, lo stato attuale di V mostra alcune modifiche nella posizione degli elementi, come l’inversione dell’ordine di successione dei due gruppi [38]-[39] e [40]-[43] e lo spostamento di Christias [35] dal principio al fondo, sicché la sequenza dei testi in V corrisponde attualmente a: [36]-[37], [40]-[43], [35]. Per tutto questo si rimanda dunque alle pagine in questione dell’edizione dell’elenco A, dove in nota si darà conto dei dettagli relativi alle conclusioni che qui si sono esposte. Infine, mi pare utile precisare che la trascrizione della lista a, che segue quella dell’Inventario primo, si dà come mero corredo all’edizione di quest’ultimo, per cui non ci si dilungherà nel commento dei suoi item36. Il fine principale di questo lavoro è, infatti, quello di porre le premesse per l’individuazione di materiale librario appartenuto a Colocci e di stabilire corrispondenze tra gli item dei suoi elenchi bibliografici e volumi concretamente esistenti. Obbiettivo che, con l’identificazione di V quale corrispettivo delle voci presenti in a (e dei nrr. [20]-[49] di f. 63r di A), ritengo, almeno per questi oggetti, raggiunto. Quanto ai criteri di edizione della lista, essi sono gli stessi adottati per A, per i quali si rimanda al paragrafo seguente. 36

Si vedano gli item corrispondenti in A (marcati da asterisco) per eventuali dettagli.

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L’Inventario Primo (A): criteri di edizione La decifrazione di A non è sempre agevole: in qualche punto infatti l’inchiostro ha corroso la parta e la grafia piuttosto affrettata dei compilatori si presta a qualche fraintendimento. I punti di dubbia lettura sono dunque segnalati da parentesi quadre con tre puntini ([…]); dove possibile, in tali casi, do notizia in nota delle sequenze di lettere che mi pare di poter distinguere, prescindendo dal senso. Ho sciolto le parole scritte sotto compendio senza particolari segnalazioni; nei casi incerti, tuttavia, ho posto tra parentesi tonde le lettere che ho ritenuto di poter integrare. Accenti e apostrofi eventuali sono stati introdotti secondo l’uso moderno. Si sono introdotte le maiuscole solo per i nomi propri. Le parti cassate nel testo sono state poste tra uncini introflessi >…271
d quadrantes< duplicato [4b] Quadrantes65 [5] Questemberg du.66 [6] De frenis (?) [7] Troiano et67 [8] De Alexandro et Jason (?) [9] Diodoro siculo a mano68 [10] >De Alexo< et Jason [11] Scipionis dup (?) [12]69 Erodoto Du. [13] Gelio in stampa grande70 dava notizia della presenza accanto all’item «Georgio agricola de ponderibus et mensuris, tocco dal Colotio, coperto di cartone» (nr. 78 degli stampati in D), di un’annotazione di Domenico Ranaldi (il bibliotecario della BAV che effettuò la ricognizione del fondo orisiniano, al momento del suo ingresso nella biblioteca, nel 1602) che rimandava ad un’edizione frobeniana del 1533; l’unica stampa frobeniana a me nota dell’opera, tuttavia, è più tarda: GEORGII AGRICOLAE medici Libri quinque De mensuris & ponderibus: in quibus pleraque a Budaeo et Portio parum animaduersa diligenter excutiuntur, Basilea, Hieronymus Frobenius e Nicolaus Episcopius, 1563, in foglio. Del 1535 è invece l’edizione di Venezia, Antonius de Sabio in ottavo. 65 Gli item [4a] e [4b] potrebbero corrispondere ai due fascicoli contigui che si trovano nel codice miscellaneo Vat. lat. 3353, intitolati rispettivamente De situ elementorum (ff. 268r289r; un’altra copia di questa operetta si trova in Vat. lat. 3436, ff. 71r-92r) e De quadrante (ff. 290r-297r; vd. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., pp. 35-36). 66 Tra i codici colocciani se ne trovano quattro che contengono un’operetta attributita a Jacobus Aurelius Questenberg, il De sestercio, dedicato «ad Episcopum Wormaciensem»: sono i Vat. lat. 3906 (ff. 1r-23r), 3436 (ff. 243r-252r, ma senza indicazione di titolo e autore, e accompagnato dalla annotazione colocciana «dupl.»), 3894 (ff. 30r-36r) e 5395 (ff. [IV]v-3v, di mano di Colocci): vd. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., pp. 39, 45-46, 48-49, 62. Alla mano di Questenberg va invece attribuito per intero il codice — esso pure colocciano — Vat. lat. 2990 (cfr. GIONTA, Tra Questenberg e Colocci cit.). 67 Potrebbe forse alludere ai contenuti del codice colocciano Vat. lat. 2957, contenente DITTI CRETESE, De bello troianorum efemerides (il codice è identificato da LATTÈS, Recherches sur la bibliothèque cit., p. 343; non ho potuto verificare l’eventuale presenza di segni di appartenenza a Colocci), 68 L’unico testo di Diodoro Siculo finora ricondotto alla biblioteca colocciana (cfr. MICHELINI TOCCI, I libri a stampa cit., p. 94) è un volume a stampa: BAV, Inc. II. 225: DIODORUS SICULUS, Historiarum priscarum liber, Venezia, Thomas De Blavis, 1481, in folio (ISTC nr id00212000). Il volume contiene l’opera diodorea nella traduzione di Poggio Bracciolini; Colocci ha aggiunto al volume una tavola alfabetica dei contenuti redatta da copista, ma moderatamente postillata da lui. 69 Tutti gli item che compaiono di seguito (da [12] a [25]) si ritrovano esattamente nello stesso ordine e con poche differenze nelle annotazioni che li costituiscono a f. 58r, da [(8)] a [(22)] (dove in più si trova un «Lucano in stampa grande» al nr. [21] che qui non è riportato): gli item di f. 58r sono stati tutti biffati da un tratto obliquo di penna, forse nel momento in cui sono stati ricopiati in questo foglio. 70 Qui si allude forse ad un’edizione in folio di AULUS GELLIUS, Noctes Atticae (princeps:

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[14] Prisciano triplicato [15] Plinio de Aleria71 [16] Plutarcho in stampa grande72 [17a] Silio tocho [17b] Teocrito et Hesiodo73 [18] >H< Silio tocho a mano [19] Virgilio, c°, Juvenilia tocho [20] Donato in Terentio [21] Isidoro in stampa trista74

Roma, «in domo Petri de Maximis» [Conradus Sweynheym e Arnoldus Pannartz], 1469, in folio (ISTC nr. ig00118000). Tra le edizioni cinquecentesche ne trovo almeno una decina in folio, mentre la maggior parte è in ottavo. Cfr. anche f. 58r [(9)]. 71 Questo item si riferisce con ogni probabilmente all’edizione di CAIUS PLINIUS SECUNDUS, Naturalis historia, Roma, Conradus Sweynheym e Arnoldus Pannartz, 1470, in folio, curata da Johannes Andreas [Bussi], vescovo di Aleria (ISTC nr. ip00787000; corrispondente probabilmente anche a f. 44r [8]: vd.). Cfr. f. 58r [(11)]. 72 Un’edizione di Plutarco appartenuta a Colocci è già stata identificata (si tratta di BAV, Ald. I. 23-25: PLUTARCHUS, Opera, Venezia, Aldo Manuzio, 1509 [in greco]: cfr. MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa cit., p. 88), tuttavia, trattandosi di un in quarto, difficilmente potrà corrispondere alla presente indicazione. Numerosissimi sono gli incunaboli in folio di Plutarco e altrettanto dicasi delle edizioni cinquecentesche. Mancando qualunque altra indicazione (come il titolo dell’opera, o se si tratti di edizione in greco o in latino) è sostanzialmente impossibile proporre ipotesi di identificazione. Troviamo un item forse confrontabile con il presente in C, f. 186v, nr. 23 della III cassa: «Vita Plutarchi impressa in Bamb». 73 I due elementi che costituiscono l’item [17] si ritrovano anche a f. 58r [(13a/b)], sotto cassatura, dove però si precisa, «in stampa grande tuti insieme». La prima edizione a stampa in folio («in stampa grande») di cui trovo notizia, che contenga Teocrito e Esiodo, è THEOCRITUS, Idyllia; THEOGNIS, DIONYSIUS, CATO, Sententiae septem sapientium; De invidia; HESIODUS, Opera et dies (in greco), Venezia, Aldo Manuzio, 1495-96 (ISTC nr. it001444000). Non trovo edizioni che contengano anche Silio Italico: si tratterà forse di un item fatto legare insieme agli altri due; del resto la specificazione — che compare solo qui nell’inventario A — «tuti insieme», potrebbe far pensare ad un volume un po’ eccentrico formato da materiale irrelato, ma legato tutto insieme. Si precisa inoltre che il fatto che l’espressione «in stampa grande» sia accostata a Teocrito e Esiodo, invita forse a supporre che essa debba essere riferita solo a questi ultimi due elementi. 74 L’espressione «in stampa trista» è spiegata da MICHELINI TOCCI, Dei libri a stampa cit., p. 80-81 come segue: «si riferisce probabilmente ad edizione più tarda, stampata su carta sottile, porosa, assorbente e giallastra come quelle svizzere, francesi e tedesche della prima metà del Cinquecento». Lo studioso dichiara di non essere riuscito ad identificare lo stampato, né mi ci arrischierò io. Mi limito a far presente che anche in E troviamo un item isidoriano, «Isidorus de temporibus» (f. 53r) e che un identico rimando compare anche nella lista d (Vat. lat. 3903, f. 206v). Se anche in A il rimando riguardasse quest’operetta, la ricerca potrebbe essere notevolmente circoscritta: almeno fino all’anno della morte di Colocci non trovo che due edizioni: ISISDORUS HISPALENSIS, opusculum de temporibus, Roma, Johannes Philippus de Lignamine, ca. 1473, in quarto (ISTC nr. ii00189500) e Roma [Stephan Planck], ca. 1488-1491, in quarto (ISTC nr. ii00090000).

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[f. 45v (42)]

[22] Ovidio metamor. in stampa grande75 [23] Tulii Epistole in stampa grande76 [24] Catuli commentum du:77 [25] Horatio in quarto78 [f. 46r (43)]

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LEGUM [1] Bertolius in digestum79 [2] Infortiato [3] Novella Jo: Andree80 [4] Instituta 75 Sappiamo del possesso da parte di Colocci dell’edizione PUBLIUS OVIDIUS NASO, Metamorphoseon Libri quindecim, Venezia, Aldo Manuzio, 1502 (BAV, Ald. III. 16: cfr. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., pp. 71-72, con postille anche di mano di Giovanni Giacomo Calandra), ma si tratta di un’edizione in ottavo. Numerose sono però le edizioni in folio quattrocentesche (a partire da quella di Milano, Philippus de Lavagnia, 1475). Più rare le in folio cinquecentesche: di solito contengono l’opera in traduzione volgare. Tra le latine in folio, invece, trovo PUBLIUS OVIDIUS NASO, Metamorphoseis per Aemilium Merulam diligentissime castigatæ, Milano, Angelo Scinzenzeler, 1503 e ID., Metamorphoseos libri 15. […] Raphaelis Regii luculentissime enarrationes […] Lactantii & Petri Lauinii commentarii, Venezia, «per Bernardinum de Bindonibus Mediolanensem», 1540. 76 Alla biblioteca di Colocci si sa che appartenne l’esemplare BAV, Inc. II. 115. MARCUS TULLIUS CICERO, Epistolae ad Brutum, ad Quintum fratrem, ad Atticum, Roma, Eucharius Silber, 1490, in folio (ISTC nr. ic00501000; cfr. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., p. 73). Il volume contiene postille di Colocci e di altre due mani, una delle quali riconducibile a Scipione Carteromaco. 77 Tre sono gli item catulliani noti riconducibili alla biblioteca di Colocci: il primo è BAV, Inc. II. 200 [2]: CAIUS VALERIUS CATULLUS, Carmina, Brescia, Boninus de Boninis, 1485-6, in folio; ISTC nr. ic00324000), che è corredato dal commento di Antonio Partenio; il secondo è Inc. III. 18: ALBIUS TIBULLUS, Elegiae; SEXTUS PROPERTIUS, Elegiae; CAIUS VALERIUS CATULLUS, Carmina; PUBLIUS OVIDIUS NASO, Epistola de morte Tibulli; GUARINO VERONESE, Hexastichum; GIROLAMO SQUARCIAFICO, Vitae Catulli, Tibulli, Propertii, Venezia, Vindelinus de Spira, 1472, in quarto (ISTC nr. it00366400); infine Ald. III. 19: CAIUS VALERIUS CATULLUS, ALBIUS TIBULLUS, SEXTUS PROPERTIUS, Opera, Venezia, Aldo Manuzio, 1502, in ottavo (vd. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., pp. 72-74). In corrispondenza dell’item cassato di f. 58r [20] si precisa che si tratta di un «Catullo con commento» e non di un semplice commento a Catullo (come il presente item inviterebbe a supporre): dunque se si può avanzare un’ipotesi di identificazione, essa riguarderà piuttosto Inc. II. 200 [2]. 78 Tra le copie dell’opera di Orazio riconducibili alla biblioteca colocciana ci sono i codici Vat. lat. 2770, 3257, 4252 e lo stampato BAV, Ald. III. 1 (QUINTUS HORATIUS FLACCUS, Opera, Venezia, Aldo Manuzio, 1501, in ottavo; cfr. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., pp. 29, 33, 52, 71). 79 Forse un commentario del giurista vercellese Lanfranco Bertoli (attivo prima del 1545). 80 Giovanni d’Andrea è autore di diversi Novella commentaria. I più celebri sono i Novella in quinque Decretalium libros commentaria, che ebbero un elevato numero di edizioni a stam-

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[5] Digesti [6] Digestum vetus [7] Domimio [sic] de Santo Geminiano in sexto volumen81 [8] Summa Gofredi in carta bona82 [9] Codex in texto e glosa a mano [10] Codex in stampa [11] A: Rosellus de potestate pape83 Item alterum [12] Rodorinus Zamorensis de potestate imperiali et regali84 [13] Margarita decreti85 [14] Statuta lucensia [15] Statuta mutinensia [16] Suplementum in jure [17] Constitutiones marchie [18] Stabilimenta radiorum item alterum [f. 46v (42)]

[19] Barbatia de excellentis cardinalium86 [20] Statuta Genue pa e un’ampia circolazione manoscritta. Il presente item può essere confrontato con C, VI cassa, nr. 36 (f. 190v): «Novelle Jo. Andreè». 81 DOMENICO MAINARDI DI SAN GIMIGNANO, Lectura super Sexto Decretalium: la prima parte di quest’opera fu stampata per la prima volta a Roma da Sixtus Riessinger anteriormente al 1470 (in folio); ISTC nr. id. 00307800) e la seconda l’anno seguente da Adam Rot, sempre a Roma (in folio; ISTC nr. id00308000). 82 GOFFREDO DA TRANI, Summa super titulis Decretalium, stampata per la prima volta a Colonia, Johann Guldenschaff, ca. 1480 (ISTC nr. it00423000). Ma il volume a cui qui si allude è probabilmente manoscritto, visto che risulta essere membranaceo. 83 Di Antonio Roselli, trovo due sole edizioni del Tractatus de potestate imperatoris ac pape, a cui qui si fa probabilmente riferimento, e cioè Venetiis, Hermannus Lichtenstein Coloniensis, 1487 (non registrato da ISTC) e Pavia, Bernardinus de Garaldis, 1517, entrambe in folio. Tuttavia l’item non precisa se si tratti di opera a stampa o manoscritta. Cfr. anche f. 59r [1b]. 84 Il «Rodorinus» sarà in realtà da identificare con Rodrigo Sanchez de Arevalo, vescovo di Zamora (cfr. anche f. 57r [6]). L’unica edizione a stampa del trattato di cui trovo notizia entro il 1549 è RODERICUS EPISCOPUS ZAMORENSIS, Liber de origine ac differentia principatus imperialis et regalis, Roma, Stephanus Guillereti, 1521, in folio. 85 Si tratterà verosimilmente di MARTINUS POLONUS, Margarita decreti seu Tabula Martiniana, di cui esistono numerosissime edizioni quattrocentesche (la princeps è Colonia, Johann Koelhoff, 1481, in folio; ISTC nr. im00318800). 86 Probabilmente si tratta di ANDREA BARBAZZA, Tractatus solemnis […] de prestantia cardinalium, Milano, Leonardus Pachel, 1508, in folio.

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[21] Liber decretalium [22] Ordinatione de mare et de mercantie87 [23] Monaldi summa in carta bona88 [24] Tractatus in jure in carta bona [f. 47r (44)]

272

PHILOSOPHIA [bianco] [f. 47v (44)] [bianco] [f. 48r (45)]

>273
275
276
265
279
Alphabetum Arabicum< [6] Thomè prima pars summè [7] Raimondi teologie naturalis164 [8] Jacobus Zopus de penitentiis et de an(atem)atis (?) [9] Thomas in Dionisium de divinis nominibus165 [10] Paulus de Venetiis in libro phisicorum166 [11] Aristotelis Aetica in carta bona [12] Augustinus de civitate [13] Isidori Epistole in carta bona [14] Evangelia in literis maiusculis [15] Thomas super Lucam in stampa grande [16] Thomas in evangelia in stampa grande167 [17] Alexandri Achillini de intelligentiis168 [18] Joanes duos in sententias [19] Egidius in sententias169 162 Probabilmente ANTONINUS FLORENTINUS (Antonio Pierozzi), Chronicon seu opus historiarum (princeps: Norimberga, Anton Koberger, 1484, in folio; ISTC nr. ia00778000); della conoscenza e della consultazione da parte di Colocci dell’opera storiografica di Sant’Antonino (fonte per molti appunti di Vat. lat. 4831) do notizia in BERNARDI, Lo zibaldone colocciano cit., ad indicem, s.v. «Pierozzi, Antonio». 163 Forse confrontabile con C, f. 186r, nr. 1 della III cassa: «arenghe coram legatis recitandis pro omni sposito et alia in perg. scrip.». 164 Proabilmente RAYMUNDUS SABUNDE HISPANUS (Ramon de Sabunde), Theologia naturalis siue liber creaturarum specialiter de homine et de natura eius (princeps: Deventer, Richardus Pafraet, 1484-1485, in folio; ISTC nr. ir00032000). A questa stessa opera si riferisce probabilmente anche l’item f. 58r [5] che è contrassegnato da un cerchietto, probabilmente ad indicare che l’item è ripetuto (cfr. anche sopra [1]). L’ulteriore specificazione che si legge a f. 58r («de homine») non fa che confermare l’ipotesi identificativa qui proposta. 165 Probabilmente è il trattato di San Tommaso d’Aquino sul De divinis nominibus dello Pseudo Dionigi Areopagita (a meno che non si tratti del trattato Super Dionysium de divinis nominibus di Sant’Alberto Magno che in alcuni manoscritti è falsamente attribuito all’aquinate). In ogni caso troviamo un item confrontabile con il presente in C, f. 185r, nr. 15 della II cassa: «Beatus Thomas super Dionisium de divinis nominibus in bamb. script.». 166 Forse PAULUS VENETUS, Expositio super octo libros physicorum Aristotelis et super comento Auerois cum dubiis eiusdem (princeps: Venezia, Gregorius de Gregoriis de Forlivio, 1499, in folio; ISTC nr. ip00217000). 167 Si tratta probabilmente di THOMAS AQUINAS, Catena aurea super quattuor evangelistas (princeps: Roma, Conradus Sweynheym e Arnoldus Pannartz, 1470, in folio; ISTC nr. it00225000); non trovo invece un’edizione del solo commento a Luca (cfr. [15]), ma potrebbe trattarsi di una parte di un’edizione smembrata. 168 Cfr. f. 50r [4a]. 169 AEGIDIUS COLUMNA ROMANUS, In Petri Lombardi sententiarum libri II commentum

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[f. 54v (51)]

[20] Gravanus(?) in sententias170 [21] Tronbetta contra Veroim171 [22] Pisanella172 [23] Arriminensis secundum [24] Evangellii in quarto in littera maiuscula item alter in carta bona item alter., item alter., item alter., item alter. [25] Historia ecclesiastica per Rufinum in carta bona173 [26] Palmarius de vitiis [27] Tabula summe Antonini [28] Mamotretus174 [29] Gregorii Dialogus in carta bona [30] Evangelli scrito a mano [31] Destructorium vitiorum. Item alter.175 [32] Regula de sto Benedeto vulgar.176 [33] Regula de monte carmello177 (princeps: Venezia, Peregrinus de Pasqualibus Bononiensis, 1492, in folio; ISTC nr. ia00083000). Cfr. anche f. 55v [24]. 170 La lettura del nome non è chiara. La forma «Gravanus» potrebbe corrispondere al nome «Galvanus», ma non trovo nulla che possa essere ricondotto ad un titolo come «in sententias», a meno di pensare a trattati d’argomento giuridico come quelli di Galvanus Salvianus di Bologna, Casus qui arbitrio iudicis relinquuntur (Milano, Antonius Zarotus, ca. 1491-1493), o Differentiae legum et canonum (Parigi, Louis Symonel, ca. 1475-1480), ma in questa sezione di A dovremmo trovare opere teologiche e non giuridiche. 171 Probabilmente si tratta di ANTONIO TROMBETTA, Tractatus singularis contra Auerroystas (princeps: Venezia, Bonetus Locatelli «per Octavianum Scotum Modoetiensem», 1498; non registrato da ISTC). 172 «Pisanella» è il nome con cui è nota la Summa casuum (o de casibus) conscientiae di Bartolomeo di San Concordio (princeps: Milano?, [tipografo della Summa di Bartolomeo di San Concordio], ca. 1473, in folio; ISTC nr. ib00170000). 173 Probabilmente si tratta di un manoscritto contenente RUFFINUS PRESBYTER AQUILEIENSIS, Ecclesiasticae historiae libri (si veda anche f. 57r [13]). 174 JOHANNES MARCHESINUS, Mammotrectus super bibliam (princeps: Mainz, Peter Schoeffer, 1470, in folio; ISTC nr. im00232000). 175 Forse ALEXANDER CARPENTARIUS, Destructorium vitiorum (princeps: Colonia, Heinrich Quentell, 1480, in folio; ISTC nr. ia00391000), oppure — forse più probabilmente visto che l’appunto di A non reca indicazione di un autore — il dialogo anonimo, Destructorium vitiorum ex similitudine creaturarum exemplorum (princeps: Ginevra, Jean Belot, 1500, in folio; ISTC nr. id00159500). 176 Tra i codici appartenuti a Colocci è stato identificato da MERCATI, Il soggiorno del Virgilio Mediceo cit., p. 543, il codice Vat. lat. 4841, contenente, appunto, la regola di San Benedetto in volgare. 177 Nell’inventario C a f. 184v troviamo — corrispondente al nr. 29 della I cassa — l’item «Regule fram(entum) Beate Marie de Monte Carmelo in perg.», verosimilmente confrontabile con il presente elemento di A.

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[34] Biblia in littera picola [35] Item verus (?)178 de cena Cipriani [36] Breviarii Monasterie[…]is [37] Vite sanctorum [38] Grisostomus de cordis conpunctione179 [39] Grisostomus super Joannem in stampa grande180 [40] Grisostomi sermones [41] De sanguine xpi [f. 55r (52)]

280

[1] O181 Gerardo de die natali (?) [2] Summa theologiè [3] Thomas de veritate fidei, in carta bona182 [4] O Paulus de Mindelburgo de die passionis183 [5] Ricardus de Media villa in sententias184 [6] Summa de casibus conscientie185 [7] Thoma contr[a] Gentilles186 [8] Tartare[..]i […] [9] Egidii Romani quaelibet187 [10] Versoris questiones188 178 Queste due prime parole sono di incerta lettura: risulta poco chiaro in che modo siano collegate al seguito della voce che sembra rimandare, appunto, alla celebre Coena Cypriani, messa per iscritto in latino da Rabano Mauro. 179 JOHANNES CHRYSOSTOMUS, De compunctione cordis (princeps: Urach, Conrad Fyner, 1483-1485, in folio; ISTC nr. ij00278000). 180 JOHANNES CHRYSOSTOMUS, Homiliae super Johannem (princeps: Roma, Georgius Lauer, 1470, in folio; ISTC nr. ij00286000). 181 Qui, come accanto all’item [4] è stato aggiunto, in un secondo tempo e con un inchiostro diverso da quello usato dal copista, un segno di richiamo (un cerchietto che si è reso appunto con il segno «O»). La qualità dell’inchiostro sembra la stessa delle annotazioni di mano di Colocci, per cui il segno è stato trascritto in neretto. Questi segni si trovano anche accanto agli item [2]-[7] di f. 58r e lì sembrano marcare item ripetuti in altri punti di A (cosa che sembra non avvenire per [1] e [4] di f. 55r. 182 THOMAS AQUINAS, Liber de veritate catholice fidei contra errores gentilium. 183 PAUL VON MIDDELBURG (1445-1534), De die passionis (lo trovo edito solo in PAULUS DE MIDDELBURG, Paulina de recta paschae celebratione et de die passionis Domini nostri Iesu Christi, Fossombrone, Octavianus Petrutius, 1513). 184 RICHARDUS DE MEDIA VILLA (Richard Middleton), Super quarto sententiarum Petri Lombardi (princips: Venezia, Christophorus Arnoldus, 1474, in folio; non registrato da ISTC). 185 Cfr. f. 54v [22]. 186 Cfr. qui sopra item [3] e f. 57r [23]. 187 AEGIDIUS COLUMNA ROMANUS, Quodlibeta (princeps: Bologna, Dominicus de Lapis, 1481, in folio; ISTC nr. ia00085000). 188 Il rimando è troppo sintetico per stabilire a quale dei trattati di Johannes Versoris corrisponda questo item.

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[11] L[…] Gerson pa pars189 [12] Martinus de temperantia190 [13] Durandus in sententias191 [14] Atanasius in Epistulas [15] Bona Ventura [16] Clipeus thomistarum192 [17] Petri de Bergamo tabula in opere sti Thome193 [18] Hisidorus de speculo vitè [19] Thomas in sententias194 [20] Sancti Facundi liber in carta bona195 [21] Bernardi originalia [22] Augustini Epistole alie196 [f. 55v (52)]

[23] Hadriani in sententia197 189 A f. 58r [3] troviamo un altro rimando gersoniano contrassegnato dal cerchietto («O») di cui si è detto (un terzo più generico si legge a f. 59r [1e]), e lì si specifica che l’opera in questione è il De imitatione Christi, che com’è noto è stato spesso attribuito Jean Gerson, diffuso in numerosissime copie manoscritte e edizioni a stampa. Qui invece si fa riferimento a una «p(rim)a pars». Verrebbe fatto di pensare che si tratti di un’allusione proprio al De imitatione Christi, che compare come primo elemento accanto al De meditatione cordis di Jean Gerson, in diverse edizioni. La prima che mi risulti in cui le due operette sono associate reca la seguente dicitura nel frontespizio: Incipit liber primus Joannis Gerson cangellarij parisiensis. De imitatione Christi et de contemptu omnium vanitatis mundi [titolo uniforme: De meditatione cordis], Venezia, Peregrinus de Pasqualibus et Dionysius Bertochus, 1485, in quarto (ISTC nr. ii00008000). Il cerchietto posto accanto all’item di f. 58r potrebbe dunque, come si accennava, forse segnalare una ripetizione nella registrazione dell’elemento. 190 Probabilmente, MARTIN LE MAISTRE, De temperantia Liber (princeps: MARTINUS MAGISTRI, Quaestiones morales de fortitudine et de temperantia, Parigi, Johannes Higman, 14891490, in folio; ISTC nr. im00023000). 191 Probabilmente, DURANDUS A SANCTO PORCIANO (Guillaume Durand de Saint Pourçain), In sententias theologicas Petri Lombardi Commentariorum libri quatuor. 192 PETRUS NIGER (Peter Schwartz), Clypeus Thomistarum sive quaestiones super arte veteri Aristotelis (princeps: Venezia, Reynaldus de Novimagio, 1481, in folio; ISTC nr. in00256000). 193 PIETRO DA BERGAMO, Tabula in libros opuscula et commentaria diui Thome de Aquino (princeps: Venezia, Johannes Rubeus Vercellensis, 1497, in folio; non registrata da ISTC). 194 THOMAS AQUINAS, Scriptum super sententiis. 195 Corrisponde forse al manoscritto Vat. lat. 4276 ricondotto alla biblioteca colocciana da MERCATI, Il soggiorno del Virgilio Mediceo cit., p. 543: il codice contiene FACUNDUS, Ad Iustinianum imperatorem (inc.: «Incipit prefatio Sancti Facundi Episcopi Hermianensis in Libro ad imperatorem Augustum»). 196 Cfr. f. 57v [55] e f. 58v [27]. 197 Si tratterà forse delle Quaestiones in quartum sententiarum presertim circa sacramenta, di Adriano Florenz, poi papa Adriano VI (princeps: Parigi, Jodocus Badius, 1516, in folio).

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GLI ELENCHI BIBLIOGRAFICI DI ANGELO COLOCCI

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[24] Egidius in sententias198 [25] Epistole fratris Robertis199 [26] Bonaventure tractatus [27] Ephren sermones200 [28] Gregorius pastoralis in carta bona [29] Apollogia fratrum sti Augustini [30] Ferrandi de An(…)atis201 et potestate papè [31] Salterium i[…] magna forma […]or. […] de mano i(n) carta bona [32] Liber in theologia in carta bona [33] Thomas in secundum sententiarum202 [34] Thome secunda, secunde203 [35] Petri Lombardi in sententias204 [36] Bona Ventura in sententias205 [37] Liber sententiarum in carta bona [38] Epistole Pauli a mano in carta bona cum glosis [39] Misse grècè per [..]eatinum [40] Alvanigonex(?) carmina de xpo206 [41] Evangelia, et Apocalipsis, et Epistole Pauli in carta bona [42] Ambrosii monachi translatio, puto Efren [43] Leonardo de Utino sermones super Mateum207 (?) 198

Cfr. f. 54r [19]. Un altro item menziona un frater Robertus (f. 57r [5]) che può forse essere identificato con Roberto Caracciolo, ma non trovo notizia di sue Epistolae (può darsi che si tratti qui di una raccolta manoscritta). 200 Probabilmente i Sermones di Sant’Efrem siro. 201 Non mi è chiaro lo scioglimento di questo compendio: sulla base delle lettere scritte in chiaro si dovrebbe pensare ad «anatematis», ma non trovo opere con un titolo coerente con gli indizi forniti dall’item. 202 Probabilmente un excerptum di un volume analogo a quello di cui all’item [19]. 203 L’item indica con ogni probabilità il secondo libro della seconda parte della Summa Theologica di Tommaso d’Aquino. La princeps ha nel frontespizio Incipit Secundus liber secunde partis beati Thome de Aquino ordinis predicatorum, Venezia, Franciscus de Hailbrun e Nicolaus de Frankfordia, 1475, in folio (ISTC nr. it00212000). 204 PETRUS LOMBARDUS, Sententiarum libri quattuor. 205 L’item alluderà ai Commentarii di San Bonaventura sui Libri Sententiarum di Pietro Lombardo (la princeps del commentario al primo libro uscì a Strasburgo, presso il tipografo dell’Henricus Ariminensis — forse da identificare con Georg Reyser —, tra 1474 e 1479, in folio; ISTC nr. ib00870000). 206 Si potrebbe pensare al Sibyllae carmen de Christo (numerose le edizioni quattro e cinquecentesche del testo, solitamente allegato alle opere di Esiodo e alle Sententiae di Teognide), ma la prima parola dell’item — la cui lettura è incerta — sfugge ad ogni mia interpretazione. 207 La lettura dell’item non è certissima. In ogni caso si dovrebbe trattare di Leonardo Mattei «de Utino», di cui tuttavia non trovo traccia di commenti o omelie sul vangelo di Mat199

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[44] Augustini de sanctis in littere maiuscule lonbarde208 [45] Guidonis summa209 [46] Evangeliste in carta bona in quarto [f. 56r (53)]

>276
277
Cursius in ErasmumTertullianusHerodato duplicatus [(9)] Gelio in stampa grande [(10)] Prisciano triplicato dui [(11)] Plinio in stampa daleri>e267
268
269
266
Callimachi elegia< Christias Alex. Cortes. epig. In Marullus Politian epigram Zenobius acciaiolus Falconis epig. Hier. Donati piscator[i]e Accij Nics Lelius Titus Strozza Albinus >Hier Donatj< B. Leonicus De Quinterno Io Mutinensis et ho Octavius 374 Probabilmente si tratta di un’allusione a Pacifico Massimi: due identici rimandi («Pacifici Maximi Poemata») a questo poeta si trovano anche nell’inventario C, f. 195r, nr. [20] e nr. [32] della IX cassa. Colocci promosse e finanziò l’edizione dei versi del Massimi: la sua copia di tale edizione è stata individuata da Fanelli nell’esemplare BAV, R.G. Neol. VI. 134, PACIFICO MASSIMI, Opera, Fano, Hiernoymus Soncinus, 1506, in ottavo in realtà dono dello stesso Fanelli alla Biblioteca Vaticana. Tuttavia non trovo tracce della mano di Colocci su tale esemplare (che reca un ex libris a timbro con sigla «AC», ma d’epoca decisamente più tarda: forse fu di Adriano Colocci). Angelo possedette invece nel codice Vat. lat. 2862 una ricca raccolta di versi del poeta sulla quale preparò la sua edizione; cinque fascicoli dispersi di tale codice si trovano ora tra i ff. 28-64 di Vat. lat. 7192 (per i necessari rimandi bibliografici vd. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., p. 30, 64, 76). 375 Tra i libri ascritti alla biblioteca di Colocci si trovano versi di Porcelio Pandonio nei Vat. lat. 1670, 2856, 2906 (cfr. BERNARDI, Per la ricostruzione cit., p. 28, 30, 31).

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Borgetti Car(dinal)is(?) Ad puerum eleg Jani Damiani senen Piso ad Goritium [II colonna] Henricus pertia(?) Erasm. ad Leonem Idem ad R[i]arium idem ad d[…]pium Selastatii laus Catanei Genua Senobii oratio Conclusioni Al termine di questa ricognizione si potranno avanzare alcune ipotesi relative alle circostanze di compilazione dell’Inventario primo. Non occorre precisare che esse sono porte solo dubitativamente, in attesa che altri documenti (lettere, appunti, documenti di archivio) si rendano disponibili o che una più sistematica disamina del materiale colocciano non consenta conferme, confutazioni e riformulazioni. Alcune osservazioni generali possono essere fatte in merito ai contenuti di A. Come si è visto, sono relativamente pochi i pezzi che possono essere messi a confronto con quelli contenuti in C: altri ne potranno emergere da confronti più serrati, ma l’impressione generale è che vi sia comunque una scarsa sovrapponibilità tra i due inventari. Poco numerosi sono anche i volumi elencati nell’Invenatrio primo che possano essere identificati con libri già noti come appartenenti alla collezione di Angelo Colocci. Si noterà, infine, che tra i libri di A la stragrande maggioranza è costituita da libri di teologia, sacra scrittura e filosofia, con un’interessante numero di testi che potevano tornar utili in tempi di lotta alla riforma luterana: un tema che, a quanto è finora noto, non sembra aver appassionato troppo il prelato jesino, ma di cui, evidentemente, l’incarico episcopale lo costrinse ad occuparsi. Mi sembra però improbabile che, a questo scopo, egli avesse immediatamente provveduto a procurarsi un così ampio numero di testi. Insomma si potrebbe pensare che non tutto il materiale elencato in A gli appartenesse. Si è detto che la lista fu redatta dopo il 1540 — cioè negli anni in cui Colocci risiedette prevalentemente a Nocera per le incombenze dell’episcopato — utilizzando carta di prevalente circolazione umbra. Volendo

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GLI ELENCHI BIBLIOGRAFICI DI ANGELO COLOCCI

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spingere più in là l’immaginazione, si potrebbe allora suggerire che in A confluiscano i riferimenti a libri che egli portò con sé da Roma (certamente quelli, registrati negli ultimi fogli, d’argomento astrologico, umanistico e forse i documenti personali contenuti nel «forziero de Gentilhono») e a quelli che egli trovò nella sua nuova sede vescovile, che prima era stata occupata da quel fine umanista che fu Guarino Favorino, benedettino, allievo di Poliziano ed ex precettore dei figli di Lorenzo de’Medici376. All’arrivo nella sua nuova diocesi, Colocci poté far redigere da un assistente (o forse dal figlio Marc’Antonio?)377 un inventario del materiale librario che qui trovava a sua disposizione, e quindi integrarlo con le proprie aggiunte. Forse al proprio ritorno a Roma Colocci portò con sé qualcuno di quei libri e ne lasciò invece la maggior parte, ragion per cui non risultano registrati in C378 e consequentemente non sono stati rintracciati nei fondi vaticani. Questa è, come si diceva, solo un’ipotesi, ma che forse può valere come richiamo alla cautela nell’interpretazione delle liste colocciane. Esse potrebbero, in taluni casi, anche rivlerasi non pertinenti a volumi concretamente posseduti dall’umanista. Al tempo stesso — e al contrario — la circostanza di una prolungata permanenza umbra di libri colocciani (o che per lo meno egli ebbe a disposizione per un tempo piuttosto cospicuo) potrebbe suggerire di allargare le ricerche anche ad altre biblioteche dell’Umbria e delle Marche. Il lavoro da compiere per la ricostruzione della biblioteca colocciana è ancora molto. Qui ci si augura almeno di aver reso disponibile — sia pure in maniera provvisoria e passibile di miglioramenti — un documento che costituisce un sussidio indispensabile a tale scopo. 376 Si precisa che secondo alcune fonti il Favorino studiò fisica a Padova con Gaetano da Thiene — lo zio del santo, che era canonico e professore in quella università —: come si ricorderà in A diversi item possono essere ricondotti all’opera di questo intellettuale (si vedano f. 48v [23], 49v [29a] e forse anche [26]). Altro dato interessante è che Guarino lasciò al Capitolo della Cattedrale di Nocera le sue suppellettili: dunque verosimilmente anche i suoi libri, che Colocci poté dunque avere a disposizione al momento del suo insediamento. Va da sé, tuttavia, che tutti i volumi a stampa posteriori al 1537 non possono certamente essere ricondotti a tale biblioteca, visto che in quell’anno il Favorino morì (per tutte queste informazioni si veda M. CERESA, Favorino, Guarino [Varino, Guerrino], in DBI, 45, Roma 1995, pp. 474477). 377 Occorrerebbe procedere ad un confronto tra la mano del copista di A e la testimonianza autografa della mano del giovane che si trova in due lettere degli anni 1536 e 1537 contenute nei ff. 102r -105v di Vat. lat. 14869. In futuro potrà essere opportuno intraprendere più precisi sondaggi per verificare l’eventuale presenza della mano di Marc’Antonio (un’umanistica tradizionale ma piuttosto chiara e abbastanza elegante) su altri codici ascritti alla biblioteca del padre. 378 Anche se come si ricorderà tale lista termina con due righe che lasciano supporre che un numero quasi equivalente di volumi non sia stato registrato («Sono in tucto libri 558 / li altri: 406» f. 196r).

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THE CATALOGUE OF JURIDICAL MANUSCRIPTS IN THE VATICAN LIBRARY: A REPORT ON THE PRESENT STATE OF AN UNCOMPLETED PROJECT The Biblioteca Apostolica Vaticana is renowned for housing a particularly rich stock of juridical manuscripts. The quantity and importance of this stock are solely surpassed by holdings of the Bibliothèque Nationale de France in Paris. In 1971 Stephan Kuttner1 drew up a far-sighted plan to provide better access to these rich source materials for legal-historical research. The plan envisaged that the many hundreds of juridical manuscripts at the Vatican should be systematically catalogued according to current standards of pertinent scholarly research. This was to be done by a team of young researchers at Berkeley under Kuttner’s guidance. In a first step, the team should analyse microfilms which the Vatican Library would provide. In a subsequent step the original manuscripts would be seen, in order to complement the descriptions with details which could not be ascertained in microfilm. The plan was partly brought into action. Two volumes of the envisaged catalogue were published in print2: S. KUTTNER – R. ELZE, A Catalogue of Canon and Roman Law Manuscripts in the Vatican Library.3 Volume I. Codices Vaticani latini 541-2299. Città del Vaticano 1986 (Studi e testi, 322). Volume II. Codices Vaticani latini 2300-2746. Città del Vaticano 1987 (Studi e testi, 328).

The two volumes covered 582 juridical manuscripts of the series Vaticani latini, up to Vaticanus latinus 2935. A third volume was meant to cover the remainder of that series. 1

S. KUTTNER, Annual Report, in Bulletin of Medieval Canon Law, New Series (henceforth abridged BMCL N.S.) 1 (1971), pp. 1-5 [p. 1]. And see the Catalogue mentioned in note 2, the preface to vol. I, p. x. 2 The volumes were compiled at the Institute of Medieval Canon Law, at that time located at Berkeley in the building of the School of Law of the University of California, under the direction of Stephan Kuttner, with the aid of the Deutsches Historisches Institut, Rom, at that time under the direction of Reinhard Elze. 3 Henceforth abridged as: Catalogue. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 155-198.

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Tentative galley proofs for parts of volume III were produced in instalments October 1988 to mid 1990, ranging from Vat. lat. 3137 to 11527. Work on pertinent correction and complementation had begun. However, activities stagnated after mid 1992 and came to a standstill in mid 1996. Hopes to get volume III ready for printing arose again in 2000 when Peter Landau, being the President of the Stephan-Kuttner-Institute of Medieval Canon Law at Munich (which held the rights),4 involved Gero Dolezalek in reviewing the Institute’s pertinent materials, because the latter had programmed and supervised the computer routines for the team.5 So he remembered the team’s working process and was thus in a state to distinguish the subsequent stages of its output. Details of the revision are reported below. Yet, activities had to be put on ice again in 2007 when the Vatican Library closed for several years because parts of the building threatened to collapse. Therefore, in order not to keep interested scholars waiting any longer, the galley proofs of volume III were provisionally uploaded on the internet6 (again with permission by Peter Landau). Hence the web site in question has frequently been accessed. The web site might also be used to publish updates and additional information. At present the authors of this report, after a thorough estimation of the remaining tasks, do not see themselves in a position to shoulder in person all the work which would still be needed — in their opinion — to get volume III ready for the printing press in a form to meet the standards of volumes I and II. For this reason they herewith report details from the history of the project and their views of what remains to be done, hoping that further progress may become possible in the future. At this point we would like to express our gratitude to Dr. Paolo Vian, Keeper of the Manuscript Department of the Biblioteca Apostolica Vati4 The Institute of Medieval Canon Law was named after Stephan Kuttner after he passed away, in August 1996. The Institute had been founded in 1955. Throughout the first 25 years of its existence it had been presided over by Stephan Kuttner. In 1991 Peter Landau, law professor at Munich, became President of the Institute. 5 September 1975 to August 1976, December 1979 to February 1980, again three months in 1981, and shorter periods in summer 1980 and in 1987: KUTTNER, Annual Report, in BMCL 5 (1975), pp. ix-xiv [p. ix]; ibidem, 9 (1979), pp. ix-xii [p. ix]; ibidem, 10 (1980), pp. ix-xviii [p. x]; ibidem, 11 (1981), pp. ix-xiii [p. ix]; ibidem, 17 (1987), pp. ix-xii [p. ix]. 6 http://www.uni-leipzig.de/~jurarom/manuscr/VaticanCatalogue/indexvatican.html. In the text, corrections and additions etc. were inserted in underlined characters. In origin, the files in question were uploaded on the server of the University of Aberdeen. Unfortunately G. Dolezalek’s facilities to maintain web pages on that server ended when he went into retirement in October 2009. The University of Leipzig kindly stepped in and granted gratuitous storage space on its own server.

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THE CATALOGUE OF JURIDICAL MANUSCRIPTS IN THE VATICAN LIBRARY

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cana, who suggested this report and guided us patiently through the printing process. I. History of the project (Gero Dolezalek) The following lines describe details and background of the cataloguing of Vatican manuscripts at Berkeley. It is the aim of this description to do justice to the dedication and assiduity of the staff involved in that undertaking. Considering the circumstances under which they worked they did a very good job. The project to create a catalogue of the Vatican Library’s holdings of juridical manuscripts started in 1970 with talks between the authorities of the Library and Stephan Kuttner. In these talks the latter acted in two different qualities — so to speak “with two different hats on.” Kuttner was President of the Institute of Medieval Canon Law, at the time seated at the School of Law (Boalt Hall) of the University of California, Berkeley, but at the same time he was also Director of the Robbins Collection, also housed at Boalt Hall. A final agreement, signed on February 15th 1971, conceded to the Robbins Collection facilities to acquire “complete microfilms of all the canon and civil law manuscripts of the Vatican Library.”1 In turn, the Institute of Medieval Canon Law engaged itself to prepare a catalogue of these manuscripts, to be published in the Vatican Library’s Studi e testi.2 It thus in effect came down to constituting the Vatican cataloguing project as a concomitance of the Institute, whereas the microfilms would become property of the Robbins Collection. The Vatican agreement of 1971 was understood by the parties in the sense that, in general, no manuscripts originating after 1543 (provisions to convene the Council of Trent 1545-1563) should be selected for the catalogue. It was left open, however, how widely the term “canon and civil law” should extend. As a matter of principle, Stephan Kuttner had always encompassed — in his views as a researcher — a very wide range of texts, inclusive of texts whose juridical traits were but marginal. His views also came to the fore in his plan for “a computerized general inventory of canon law manuscripts” 1234-1543, which he proposed to the Fourth International Congress of Me1 The agreement of 1971 was adapted in 1991 because the Institute moved to Munich and Peter Landau became its new President. The Prefect of the Vatican Library at the time, father Leonard E. Boyle O.P., accordingly permitted the Robbins Collection to copy for Munich all those Vatican films which were needed there for the ongoing cataloguing. 2 KUTTNER, Annual Report, in BMCL 1 (1971), p. 1.

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dieval Canon Law, Toronto 1972.3 Kuttner propagated the same plan at the subsequent meeting of the Advisory Board of the Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte in Frankfurt/Main.4 The undersigned remembers what Kuttner stated, on both occasions, about the extent of the “general inventory”: he said, the inventory should list all transmissions of papal letters (of any kind), popular literature, enumerations of rubrics from Corpus iuris civilis or Corpus iuris canonici, texts containing “juridified” precepts of moral theology (= forum internum), ecclesiology, writings on the competences of popes and ecumenical councils, and liturgical texts if they mention legislative rules on liturgy (= ius sacramentorum). Manuscripts which originated after 1543 should only be included if they dealt with projects to edit texts from before 1543.5 At the time the Max-Planck-Institute happened to be engaged in a project which partly overlapped with Kuttner’s Vatican catalogue: namely a Max-Planck team6 was working on a world-wide repertory of those manuscripts which transmitted literature on Roman law from the 12th and early 13th centuries7 — and this was also the case in 116 manuscripts of the Vatican Library.8 In 1973 it was therefore arranged between Kuttner and the Director of the Max-Planck-Institut, Helmut Coing, that the Berkeley cataloguers could postpone working on these 116 manuscripts because 3 ID., Annual Report, in BMCL 3 (1973), pp. ix-xiii [pp. xi and xv-xvi]. The round-table discussion at Toronto took place on August 25th, 1972. Both Martin Bertram and the undersigned took minutes and sent them to Stephan Kuttner. Kuttner filed both minutes in his folder for the Vatican cataloguing project (!), along with notes in his own handwriting which he had taken on that occasion. 4 In addition, a special meeting took place on that occasion, on April 5th, 1973: Stephan Kuttner, Linda Fowler, Carl Gerold Fürst, Hans van de Wouw, Hartmut Zapp. Minutes taken by the undersigned were again filed in Kuttner’s folder for the Vatican cataloguing project! 5 Thus delineated in the above-mentioned minutes (see note 3). In contrast, the final selection for the printed volumes went less far: see the preface to volume I of the Catalogue cit., p. x. 6 ”Arbeitsgruppe Legistik,” constituted for four years (1971-1974), consisting of Peter Weimar (director), Elena Dietz, Linda Fowler, Christine Messmer (secretary), Hans van de Wouw, and the undersigned. Peter Weimar had previously resided at Stephan Kuttner’s Institute, till February 1971: KUTTNER, Annual Report, in BMCL 1 (1971), pp. 1-5 [p. 3]. 7 In origin it was planned to publish the results in a book titled Repertorium der Legistik. The plan was put on ice, however, after Peter Weimar had been called to the Universität Zürich in 1975, because his workload there proved so strenuous that it prevented him from shouldering additional heavy burdens. The plan was last mentioned in the Max-Planck-Institut’s annual reports 1977 and 1978: Berichte und Mitteilungen, in Ius Commune 6 (1977), pp. 304-311 [p. 307]; ibidem, 7 (1978), pp. 359-367 [p. 362]. In 2012 the Max-Planck-Institut finally uploaded the project’s output onto the internet, in its data base “Manuscripta juridica”: http://manuscripts.rg.mpg.de. 8 57 Vaticani latini and 69 from the Fondi minori.

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they would obtain copies of the Max-Planck team’s expected output.9 The Max-Planck team’s analysis of Vatican manuscripts was regarded as a constituent component of Berkeley’s Vatican Project. Unfortunately, this time-saving arrangement was later not fully carried through,10 so that the cataloguers at Berkeley had in part to reiterate analysis tasks which had already been done at Frankfurt. In 1972, at the Toronto Congress and in its aftermath, Stephan Kuttner found volunteering scholars from all regions of Europe who promised to contribute to the “general inventory of canon law manuscripts” by providing data from catalogues or inventories in their region. Many did not deliver, however, and those who actually went to work never computerized their data. So their data were never pooled into the envisaged “general inventory.” Kuttner stated that his own contribution to the “general inventory” would consist in data from his cataloguing of Vatican manuscripts. In his eyes, the computerized general inventory of canon law manuscripts and the Vatican catalogue (equally to be computerized) were two interconnected undertakings. Kuttner, in his file cabinet, actually filed papers for both undertakings in the same folder! The idea of the computerized inventory of canon law manuscripts had sparked off from the publication (at the Toronto Congress) of a general inventory of Roman law manuscripts which had been put together at the Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte within a very short space of years, owing to massive facilitating of the task by using computer routines which the undersigned had programmed.11 This had raised the expectation that the inventory of canon law manuscripts could be brought into being equally fast. The above-mentioned Roman law inventory (which was meant to be emulated by the canon law inventory) was — so to speak — a cross-breed of data from catalogues with data from legal-historical literature. Consequently Stephan Kuttner also found volunteers who committed themselves to excerpting mentions of manuscripts from legal-historical literature. He 9 The agreement, but not expressly this specific point of it, is mentioned by KUTTNER, Annual Report, in BMCL 3 (1973), pp. iv-xvi [p. ix]. 10 The minutes of the Berkeley cataloguers’ staff meetings show that this point was discussed on 15th November 1976, May 1978, 9th September 1980 and 9th October 1980. Hopes to get the missing lot of manuscript descriptions from Frankfurt were finally abandoned on 23rd October 1980. 11 G. DOLEZALEK – H. van de WOUW, Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600, four volumes, Frankfurt am Main: Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte 1972.

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considered this to be a matter of prime importance which should be done without delay, and he took it that substantial parts of the data from legalhistorical literature would be readily available for use when his team at Berkeley would start cataloguing.12 This hope did not materialise, however, because the dimensions of the task had been heavily underestimated. Cataloguing started at Berkeley by the end of 1973. At this time, the work towards a “general inventory” had not yet fruited. This fact slowed the cataloguing down. The cataloguers could use Stephan Kuttner’s private cabinet of file cards on authors and works and their manuscripts, but these file cards mainly focussed on canon law literature of the period 1140-1250, and the ambit of the Vatican catalogue was much wider. The cataloguers thus had to create their own additional card file of legal-historical literature and of Vatican manuscripts mentioned therein. The definite format of bibliographical entries in this file was only decided in a staff meeting on 25th October 1980, and the general usage of bibliography in the Catalogue was still in discussion in March 1986. In a first step of bringing the Vatican agreement of 1971 into action, microfilms were acquired by the Robbins Collection. There existed a few posts for “Robbins Fellows” who should do tasks for the collection. Stephan Kuttner committed the ordering of films to them. They were not experienced in the field, however. Some important pertinent manuscripts escaped their attention, and others which were hardly pertinent were generously acquired. The Robbins Collection had no financial constraints in buying films since it was affluent. Pertinent statistics of films acquired for analysis are listed below in Appendix B. In the years 1972-1975 almost 1100 films of the series Vaticani latini were acquired.13 Compared to the total number of circa 15.000 manuscripts in the series Vaticani latini (which also included masses of manuscripts from recent centuries!), it meant that more than 7% of that total number had been categorised as originating (in general) before 1544 and being “juridical” or “potentially juridical.” Thereafter, in 1975-1977, about

12 Kuttner’s file also contains pertinent propositions by the undersigned (dated December 12th, 1972). The task of excerpting mentions of manuscripts in Germany was assigned to Hartmut Zapp in Freiburg because he was supposed to put the “general inventory” together for that country. He submitted bibliographical lists to Kuttner in 1974 and 1975. Mentions of manuscripts in BMCL and other periodicals were meant to be excerpted in Berkeley by John F. Kenney and Charles McCurry. The first left the Institute soon after, and the latter got ill and passed away in 1976. 13 Shelfmarks are listed in ID., Microfilms: new acquisitions, in BMCL 4 (1974), pp. 125127 and ibidem, 5 (1975), pp. 175-177 [p. 175].

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970 films from various series of Fondi minori were acquired.14 This meant that altogether more than 2000 microfilms of Vatican manuscripts were waiting to be analysed and possibly catalogued! German and Austrian statistics from the last decennia show that in average it took an experienced cataloguer four years per hundred medieval manuscripts, to produce a catalogue in book-form according to the current high standards of detail and quality. This means that the staff at Berkeley, even if each staff member had been fully qualified from the outset, would have needed eighty years for one person to catalogue 2000 manuscripts in the envisaged manner, less if more people shared the task. Stephan Kuttner heavily underestimated the dimensions which the project would take if his wide conceptions were fully applied. In addition, he himself had strenuous other workloads to shoulder15 and could thus hardly ever engage in the work himself. In particular he edited the Bulletin of Medieval Canon Law to which he supplied an excellent but vastly timeconsuming bibliographical survey each year, personally supervised until the volume for 1991 went to press, in December 1992, when Kuttner was almost 85 years old. Furthermore, he coordinated and checked in person all oncoming volumes of the series Monumenta Iuris Canonici which comprised sophisticated editions of texts from medieval manuscripts. These editions were difficult to control. In addition he also published his own research articles. Kuttner’s Berkeley team of cataloguers was thus — so to speak — kept on a loose leash. The Vatican Project went on for twenty years, always with only a few cataloguers at a time. In addition, the team members at Berkeley were not supposed to work for the project from morning to evening but were rightfully given leeway to do their own research, elaborating publications of articles or books so that they could later find work elsewhere. They only held “fellowships.” In academia, scholarships or “fellowships” are meant to secure young academics a modest livelihood outside social insurance during a transitory period of formation and training for a profession. A scholarship is not a substitute for paid employment. The Institute could not have put more cataloguers to work at any given time since it lacked funds to recruit more. The Institute as such was penniless. All its undertakings depended on sponsors and their grants. The grants which did come in16 did not suffice to maintain more than just a 14 See pertinent lists of shelfmarks: ID., Microfilms: new acquisitions, in BMCL 5 (1975), pp. 175-177 [pp. 176-177] and BMCL 7 (1977), pp. 169-161. 15 One merely needs to browse in his Annual Reports in BMCL to see this. 16 Listed in the Catalogue cit. vol. I p. xiv. See also KUTTNER, Annual Report, in BMCL 2 (1972), pp. 1-5 [p. 2] and reports in subsequent years.

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few persons at a time. Furthermore, Kuttner’s requests for grants clearly explained that only part of the money should be used for the young cataloguers. More than half of the money should instead be used for travel costs and lodging for senior scholars to come to Berkeley and do research towards an edition of some medieval text — in hopes that at Berkeley they might answer questions which the young cataloguers put to them. Kuttner could only sparingly appoint cataloguers to be “Robbins Fellows,” because this stood under a caveat which he explained to me in conversations which we had. The Robbins Collection’s deed of endowment directed the funds to be appropriated for the acquisition of literature on “religious and civil law” (thus: Jus-Commune-based law). While any sound reading of this wording implied that of course also some staff must be financed (because it is not possible to run a library and acquire books and other holdings if there is no staff), this wider interpretation could not be taken too far. The above-mentioned implied interpretation would necessarily encompass that “Robbins Fellows” also did some cataloguing. This thought could even be extended to the cataloguing of microfilms (at least on a level as customary in other libraries of the kind). However, it could only reluctantly be extended to research-driven cataloguing which met the high standards of the envisaged Vatican Catalogue. It thus followed that for a “Robbins Fellow,” participation in the Vatican Project could not be his or her main task. The composition of the Berkeley team of cataloguers changed frequently. Many young scholars participated for a few days or weeks or months in the work for the Catalogue.17 Not all of them could be listed in volume I and II of the Catalogue,18 and only some main protagonists who contributed to the work during many years can be mentioned here in the subsequent few lines. In September 1973 Steven F. Horwitz, one of the earliest members of the Berkeley team,19 was appointed to a post of full-time Assistant and “Editorial coordinator,” being in charge of assignments, controls, revision, and processing of all descriptions of manuscripts.20 In 1980, after seven successful years in this post, he left the team to become a bibliographer

17

Listings can be found in BMCL cit., in each year’s Annual Report. 26 staff members are listed in the Catalogue cit. vol. II p. viii, and most of them already in vol. I p. viii. Entries in the Institute’s pay roll, however, name altogether 43 staff members. 19 KUTTNER, Annual Report, in BMCL 4 (1974), pp. ix-xiii [p. x]. 20 ID., Annual Report, in BMCL 3 (1973), pp. ix-xiii [p. xi]. Catalogue cit., vol. I, pp. viii and xii. 18

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and research specialist for the Robbins Collection and served in this function until 1988.21 The function of “Editorial coordinator” was thereafter taken over by Elisabeth F. Vodola.22 She had been a member of the Berkeley team since September 1975.23 She held the team together until her post was discontinued at the end of August 198624 and continued thereafter as a cataloguer until April 1991.25 Stephanie A. Jefferis Tibbetts became the prime protagonist. She was a “Robbins Fellow” from September 197426 through August 1977 and remained thereafter on the Institute’s pay roll until June 1993.27 Aside from much cataloguing she functioned as “Associate Editorial Coordinator.” In this quality she standardised and assembled and processed the descriptions of manuscripts so that the first two volumes of the Catalogue could be published in print and large parts of oncoming volumes also got close to completion. Even after all grants for the Vatican Project had dried up she remained Stephan Kuttner’s sole aide, unpaid, and kept working for him, sporadically, until his death in 1996. Stephanie passed away in 2008. She is fondly remembered by many scholars who knew her.28 The function of being an “Associate Editorial Coordinator” at Berkeley was shared by Thomas Izbicki. He was a “Robbins Fellow” from autumn 197329 through August 1980.30 Thereafter he rejoined the team from September 198231 to autumn 198332 and again in 1984.33 Users of the Catalogue owe him thanks for the particularly large quantity of descriptions which he produced, especially of miscellaneous manuscripts of the 14th-16th centuries which were difficult and tedious to describe. Furthermore, he elaborated an analysis of the series Vaticani latini 4106-4193 and published it 21 ID., Annual 22 Ibidem.

Report, in BMCL 10 (1980), pp. ix-xviii [p. ix].

23 ID., 24 ID.,

Annual Report, in BMCL 5 (1975), pp. ix-xiv [p. ix]. Annual report, in BMCL 16 (1986), pp. ix-xiii [p. ix]. ID., preface to volume II of the Catalogue cit., p. ix. 25 Annual report, in BMCL 17 (1987), pp. ix-xii [p. ix], and data in the pay roll of the Institute. 26 ID., Annual Report, in BMCL 4 (1974), pp. ix-xiii [p. x]. 27 ID., Annual Report, in BMCL 7 (1977), pp. ix-xii [p. ix] and pay roll of the Institute. 28 Novellae. News of Medieval Canon Law 1 (Fall 2008), p. 1 (http://medieval.utoronto.ca/ icmac/novellae/Novellae%201.pdf) 29 KUTTNER, Annual Report, in BMCL 4 (1974), pp. ix-xiii [p. x]. 30 ID., Annual Report, in BMCL 10 (1980), pp. ix-xviii [p. ix]. 31 ID., Annual Report, in BMCL 12 (1982), pp. ix-xii [p. ix]. 32 ID., Annual Report, in BMCL 13 (1983), pp. x-xii [p. ix]. 33 ID., in volume II of the Catalogue cit., p. viii, and pay roll of the Institute.

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in this present periodical.34 In addition, an article he wrote on Bartolusmanuscripts in the Vatican Library is in print just now. Katherine Christensen was the last cataloguer who kept working for a substantially long series of years. She had started as a student helper for the Vatican Project, May to December 1980. In February 1984 she became a cataloguer,35 continued through 198636 and 1987 until July 1988 and added yet another time span from January to June 1989.37 Even afterwards, until she left Berkeley in the summer of 1991, she still kept contact with the project. The undersigned was integrated into the Berkeley team in 1975 to install and maintain on the university’s main frame computer an adapted version of the computer routines which he had programmed in 1971 at the Max-Planck-Institut for the general inventory of Roman law manuscripts.38 Descriptions of manuscripts were hence supposed to be written in a certain computer-identifiable structure. Each component of the description had to be earmarked by means of a key number (shelfmark, number of sheets, height, width, origin, fascicles, century, former possessors, scribes, foliation of first contained work, author, title, first words, last words, foliation of second contained work, etc. etc.). The computer would read the structured information and would couch it into pleasantly formatted Catalogue pages. Furthermore, the information could automatically be interspersed with commands to steer a laser typesetter which produced camera-ready pages for offset printing. Along with this, the computer would also compose pertinent index entries for the indexes of possessors, scribes, authors, titles, first words and last words. Subsequent computer programs would alphabetise and format the indexes. All this was absolute pioneer work at the time, because it was done decades before cataloguers elsewhere used computers to couch catalogue pages and compose indexes. In theory, the computer routines gave the cataloguers a vast advantage. They could at any time prompt the computer to deliver an intermediate catalogue at the latest state, assembled from all the material which had been uploaded so far, and equipped with convenient indexes. If cataloguers would browse in the alphabetised indexes, any mistyped or wrongly standardised keywords would easily catch the eye, and the input data could then 34

T. M. IZBICKI, A collection of ecclesiological manuscripts in the Vatican Library: Vat. lat. 4106-4193, in Miscellanea Bibliothecae Vaticanae 4 (1990), pp. 89-129. 35 KUTTNER, Annual Report, in BMCL 13 (1983), pp. ix-xii [p. ix]. 36 ID., Annual report, in BMCL 16 (1986), pp. ix-xiii [p. ix]. 37 ID., Annual report, in BMCL 17 (1987), pp. ix-xii [p. ix] and ibidem, 18 (1988), pp. ix-xvi [p. ix], and pay roll of the Institute. 38 See the preliminary remarks, note 5.

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be corrected by means of computerized commands to search and replace. If cataloguers were to run the programs once a month or so, they could watch their catalogue growing and getting ever better, in uniform style and homogeneous labelling of titles and authors’ names, and so on. In practice, things were not so easy, however. The Berkeley team had a huge backlog of descriptions from the years 1973-1974 which were only typewritten, and no money was available for student helpers to keypunch these into punch cards for uploading. Fortunately, the task got much easier in the 1980s when desktop computers had become affordable. Furthermore, in the 1970s the laser typesetter at the university’s computer centre was slow, and the centre demanded high fees for its use. Therefore, only samples from the uploaded descriptions could from time to time be typeset and shown to Stephan Kuttner. Kuttner found it difficult to come to decisions on what he wanted the Catalogue to look like. He got ever more perfect in this task, repeatedly changing his mind until he was satisfied with the result. Descriptions which had already been uploaded on the computer thus had to be redone and uploaded several times. A definite style sheet for descriptions of manuscripts was only discussed from October 1980 onward and decided upon in mid 1981. Complicating the situation, none of the cataloguers was really familiar with computer programming, and none was given paid leave to study it. This meant that any change in the computer centre’s machinery caused a standstill in the Vatican Project’s use of it, and uploading had then to wait till the undersigned returned once more to Berkeley and adapted his programs to the new machines. Because of these delays, the backlog of nonuploaded typewritten descriptions rose to about 1800 in 1980.39 The Vatican Project came to a turning-point in 1979. The task of collating the descriptions from Berkeley to the original manuscripts was taken over by the Deutsches Historisches Institut in Rom. Its Director (Reinhard Elze) and the President of its Advisory Board (Ludwig Schmugge) submitted — together with Stephan Kuttner — a request to the Stiftung Volkswagenwerk for major sums of money during the years 1980 to 1982. One phrase on page 15 of the request held out a prospect that within these three years “der Abschluss des Vorhabens angestrebt werden soll” (‘the termination of the project shall be striven for’), and on page 5 it was mentioned that this aim was facilitated by computer assistance, provided by

39 E. R. VODOLA, cited by KUTTNER in his Annual Report, in BMCL 10 (1980), pp. ix-xviii [p. xvi].

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the undersigned. The ensuing correspondence with the Stiftung showed that these two elements became decisive. The Stiftung wanted to be sure that the work would be completed.40 It asked the undersigned for his opinion, and he guaranteed that the descriptions which had been done so far could at any time be converted by computer into at least a provisional catalogue which could be published, and at the worst it could be published in form of reproductions of computer printouts — as it had been done in 1972 at the Max-Planck-Institut with the general inventory of Roman law manuscripts. Even if such a provisional catalogue would still leave many gaps, it would nevertheless prove very useful. The Stiftung was content with these answers and granted the money. So Kuttner, Elze and Schmugge met at Rome in February 1980 “to work out details of collaboration.”41 The Institute at Berkeley, however, did not resort to producing a provisional catalogue for the mean time when the three years were over and the work was not yet finished. It insisted instead on producing perfectly complete catalogue volumes for the entire lot of Vatican manuscripts. This made the project so complicated that its completion became unrealistic. Until 1980 the cataloguers had not aspired to produce a gapless series of descriptions for absolutely all the pertinent juridical manuscripts in the Vatican. At the outset no attempt had been made to constitute a complete list of manuscripts which contain pertinent texts. A tentatively comprehensive list of pertinent shelfmarks in Vat. lat. 1-5000 was only drafted in June 1977, by Stephanie Jefferis Tibbetts. Cataloguers simply used to pick microfilms for analysis which interested them, in random order. A first “definite” list of manuscripts to be included (but that list was still far from being complete) was compiled in summer 1980. While this was a good step forward, it nevertheless showed that a great number of Vaticani latini (to be described in the first volumes of the Catalogue) had not yet been analysed. It took until 1987 to fill the gaps for volumes I and II so that these volumes could be printed. Thereafter, five more years were spent filling 40 On July 18th, 1979 the Stiftung sought assurance from Ludwig Schmugge in how far “ein Abschluss des Vorhabens möglich ist” (= ‘a termination of the project is possible’), and it also asked to submit a list of volumes of the Catalogue which would be finished under the requested grant. On August 2nd, 1979, Schmugge assured: “Es ist unser erklärtes Ziel, mit Hilfe der beantragten Mittel den Abschluss des Vatikan-Projekts und die Drucklegung der Katalogbände in den nächsten drei Jahren zu erreichen” (= ‘It is our declared aim to reach, with the requested funds, the termination of the Vatican Project and the printing of the volumes of the catalogue within the next three years’). The wording shows that, obviously, Schmugge was not aware of the real state of the project at Berkeley. 41 KUTTNER, Annual Report, in BMCL 10 (1980), pp. ix-xviii [p. ix].

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gaps for volume III, but the work did not come to terms. At the time when Stephanie Jefferis Tibbetts extracted from the Computer galley proofs for volume III, in 18 instalments 1988-1990, she was sadly aware that many more descriptions of manuscripts had not yet been produced, or were still unfit for printing. The collations on behalf of the German institute at Rome were at first done by a Polish colleague, Madame Krystyna Bukowska-Gorgoni (1980 to mid 1985).42 Her activities were continued by Anne Kuttner from June to December 1985.43 In addition, Martin Bertram worked for the Vatican Project from July 1985 to March 199144 and remained involved in the project to date. From April 1991 to mid 1992 Emanuele Conte joined in. He, too, collated, corrected and complemented descriptions of manuscripts. On June 12th, 1981 Kuttner, Elze and Schmugge had met again in Rome to decide — very late — on limits for the Catalogue. The minutes of their meeting extended the time limit for works to be included (on Roman law) until 1600. Later, however, the printed Volume I of the Catalogue restricted the time limit of works on Roman law to 1500 and works on canon law to 1545.45 Furthermore, the meeting of 1981 excluded purely ecclesiological treatises from the Catalogue,46 as also letters of popes from times after the Decretum Gratiani. With these decisions in hand, the team at Berkeley now purged its existing descriptions of manuscripts: 197 descriptions were transferred to a folder “Discarded manuscripts.” Among them were some which had already been checked at Rome and uploaded. A definition that papal letters should only be included if they concern points of law was only decided by Kuttner in a staff meeting on 6th February 1986. In 1988 Stephan Kuttner, at age 81, experienced several periods of ill health. He retired from the direction of the Robbins Collection, and on July 1st Laurent Mayali became the new Director.47 He had previously been a member of the team of cataloguers.48 In his new function, however, he had 42

Ibidem.

43 ID., Annual Report 1984-1985, in BMCL 15 (1985), pp. xi-xxi [p.xi]. 44 Catalogue cit., volume II, p. xiii and correspondence of the Institute. 45

Catalogue cit., volume I, p. x. This exclusion is mentioned in the minutes by Schmugge, under the German term “publizistisch-literarische Streitschriften.” The cataloguers in Berkeley misunderstood this to mean global discarding of all treatises on competences of councils and papacy. In April 1989 Kuttner got aware of the misunderstanding and became very indignant — as reported in a letter by Stephanie Jefferis Tibbetts to Thomas Izbicki, 21st April 1989: “he said that was only when they” [the treatises] “were not based in law. When they were based in law, we were to take them. The example we were discussing was Franciscus Zabarella’s Tractatus.” 47 KUTTNER, Annual report, in BMCL 18 (1988), pp. ix-xvi [p. ix]. 48 ID., Annual report, in BMCL 17 (1987), pp. ix-xii [p. ix]; Catalogue cit., vol. II p. viii. 46

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to insist on the above-explained point that Robbins staff must work for aims of the Robbins Collection and must thus be capable to supervise book holdings in the entire fields of “religious and civil law.” Consequently, posts of “Robbins Fellows” could no longer be used for the Vatican Project. This created great problems for the project because by that time sponsors were no longer found as easily as before.49 This seems understandable if one reads the full series of expectations in the Institute’s reports.50 Laurent Mayali was on the pay roll of the Vatican Project from July 1980 to March 1981 and from January 1987 to May 1988. 49 Sponsors usually like to be sole promoters of successful projects, limited in time, onceoff. They tend to dislike projects which drag on for many years and have a long record of previous grantors. The last substantial grant which came in was awarded by the Gerda Henkel Stiftung for the years 1985-1986: ID., Annual report, in BMCL 16 (1986), pp. ix-xiii [p. x]. The award was made in the assumption that the grant would bring the complete Catalogue to the printing press. Again in this hope, the grant was prolonged for another two years, 1987-1988: ibidem, 17 (1987), pp. ix-xii [p. ix]; ibidem, 18 (1988), pp. ix-xvi [p. ix]. The Stiftung Volkswagenwerk already had this same vain hope when it awarded its grant for 1980-1982 and prolonged it for the years 1983-1984 (see above): ID., Annual report, in BMCL 13 (1983), pp. ix-xii [p. ix]. 50 ID., Annual report, in BMCL 10 (1980), pp. ix-xviii [p. xvi]: “Typescript analyses have been completed for about 1800 manuscripts, that is almost all those envisaged in the project. With this finished, the Fellows turned to the final editorial work necessary for their first volume, which will comprise about six hundred legal manuscripts in the Vaticani latini fond bearing shelfmarks between 1 and 3000. […] At the present moment we are preparing our first manuscript descriptions for entry into the computer.” ID., Annual report, in BMCL 11 (1981), pp. ix-xiii [p. x]: The volume for Vaticani latini below 3000 “is nearing completion.” Two graduate students were hired to enter descriptions into the computer. “It can be predicted that the computer-produced text of the catalogue will be ready for last corrections in the fall of 1982.” ID., Annual report, in BMCL 12 (1982), pp. ix-xii [p. x]: Editorial work for Vaticani latini below 3000 is completed. “A last revision for consistency in style, technical terms, etc. is underway before the material entered into the computer will be converted into typeset photoready pages for offset printing. At the same time, description of the remaining Vaticani latini and of the Fondi minori is proceeding apace.” ID., Annual report, in BMCL 13 (1983), pp. ix-xii [p. x]: “Contrary to earlier predictions, more editorial revision was needed on the material for the first volume […], in order to achieve complete uniformity of style for the entries, bibliographical references, etc. Computer typesetting […] has been postponed to next year. Description and computer programming of the remaining Vaticani latini has made further progress. Additional funding for completing the project will be needed after the end of 1984.” ID., Annual report 1984-1985, in BMCL 15 (1985), pp. xi-xxi [p. xviii]: “After further editorial revisions and some technical delays, typesetting by computer has been completed for the first volume which at this writing has gone to press” [= thus in 1986]. “For the remaining codices below the 3000 shelfmark the editorial process is almost complete; volume II will therefore likewise be ready for press in the course of 1986. Editorial work on the descriptions for the rest of the Vaticani latini and the Fondi minori is well in hand, though the problem of additional funding for bringing the project to an end remains to be solved.” ID., Annual report, in BMCL 16 (1986), pp. ix-xiii [p. x-xi]: “After some unforeseen techni-

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Stephan Kuttner’s health gradually continued to deteriorate. Thus on 9th February 1991 he also retired from the presidency of the Institute. The Board of Directors elected Peter Landau as the new President51 and thus transferred the Institute to Munich. Crates with the Institute’s property were shipped to Munich through the years 1991-1996.52 The Institute’s annual report for the year 1991 mentioned that the catalogue volumes for Fondi minori would henceforth be directed by Peter Landau.53 Readers could imply from this notice that the Vaticani latini, in contrast, should still be finished by Stephan Kuttner himself. Indeed: Stephanie Jefferis Tibbetts kept corresponding on Kuttner’s behalf in this sense, and it even appears that as late as 1992 Kuttner still felt a responsibility to also supervise the cataloguing of Fondi minori.54 He last an-

cal delays, A Catalogue […] Vol. I […] was published in the Fall of 1986. Work on the next volumes is well in hand. At this writing, over 100 pp. of Vol. II (Vat. lat. 2300-2973) are ready in type for photo-offset printing; the last revision and computer typesetting of the remaining pages will be completed in the summer of 1987, to be sent for printing to the Biblioteca Vaticana. A preliminary index for Vols. I-II will be made available at the Institute.” ID., Annual report, in BMCL 17 (1987), pp. ix-xii [p. xi]: “The second volume has been completed and printed: […]. At this writing, a good part of the next volume (III) is ready in type for photo-offset printing. A general index will not be published before the completion of the project, but information from the provisional computer entries for the index is available on request.” ID., Annual report, in BMCL 18 (1988), pp. ix-xvi [p. xv]: “The third volume of our Catalogue […], describing the pertinent manuscripts in Vaticani latini 3137-14868, is well in hand. 218 pages, or about one-third of the volume, have been entered in the computer and will be ready for photo-offset printing after final proofreading. Vol. IV will begin the catalogue of the Fondi minori, of which about three-fourths are already in preliminary typescript. This part of the catalogue will presumably comprise two volumes. As for the general index, let me repeat (see BMCL 17 p. xi) that information from the provisional computer entries is available upon request.” ID., Annual report 1989-1991, in BMCL 21 (1991), pp. ix-xiv [p. xiii]: “A third volume will cover the remainder of the Vaticani latini and is expected to be ready for press in 1993. … The next phase of the project will cover the Fondi minori of the library… The indices for the Vaticani latini are near completion and will be published soon after vol. 3.” 51 ID., Annual report, in BMCL 21 (1991), pp. ix-xiv [p. ix]; P. LANDAU, Annual report 19921996, in BMCL 22 (1998), p. 7. 52 LANDAU, ibidem. 53 KUTTNER, Annual Report 1989-1991, in BMCL 21 (1991), pp. ix-xiv [p. xiii]. 54 On October 23rd 1992, Stephanie Jefferis Tibbetts wrote to Peter Landau, on Kuttner’s behalf: “As a short note on volume 3, there is a first copy of the volume through Vat. lat. 11527 from the laser printer. A copy was sent to Rome for correction, and I am entering those corrections. All Tier 2 up through 11500 are also complete […]. The volume is already over 450 pages and will probably be at least 600 pages.” Furthermore, a supplement to this letter mentioned that some persons at Berkeley had still kept producing descriptions for Fondi minori throughout “the last three years.” Stephanie added regrets that, at Rome, both Emanuele

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nounced the publication of volume III, Vaticani latini, for the year 1993.55 In August 1996 Stephan Kuttner passed away at age 89. After some time Peter Landau announced that volume III should now be completed at Munich.56 He wrote to the Robbins Collection to ask whether it could provide films and other materials which might be used to finish volume III. The Robbins Collection, however, could only provide films, and it did so in 1997. In March 1999 Peter Landau discussed with Martin Bertram which descriptions for volume III might possibly be at large and had to be retrieved, and which other descriptions had not yet been done at all. It remained unclear, in particular, what had happened to the descriptions which had been corrected at Rome and sent back to Berkeley. At the end of the year 2000 the undersigned asked Peter Landau for permission to review the unprinted material of the Vatican Project. The main concern was, of course, to retrieve the electronic master file on which the entire project had hinged. The crates which were shipped from Berkeley to Munich, however, only contained a printout of computer-produced indexes, and they furthermore contained descriptions of manuscripts from the Fondi minori — handwritten or typewritten or computer-written, in various stages of elaboration. After months of futile investigations and correspondence it appeared to all parties on the European side that even at Berkeley no copy of the master file could be found. It was thus assumed that the electronically stored text was lost. In this desperate situation it proved very fortunate that Martin Bertram had in wise forethought preserved a photocopy of the galley proofs for volume III. This copy was covered with scribbles of additions, corrections and substitutions on the margins and inter lineas and overleaf. The Institute at Munich had a photocopy of this photocopy. So the undersigned undertook to re-digitise the text from there. Under his supervision, students at Leipzig partly scanned and partly re-typed the text. Martin Bertram, who was still in Rome, joined in the work. He organised proof-reading of the re-digitised text against his photocopy of the galley proofs. Thereafter Krystyna Bukowska-Gorgoni, also in Rome, inserted all the scribbles into the text. She had been familiar with the project since 1980 — as mentioned above. The Gerda Henkel Stiftung at Düsseldorf — which had last financed Conte and Martin Bertram had refused to correct these descriptions while the work on Vaticani latini was not yet finished. 55 KUTTNER, Annual Report 1989-1991, in BMCL 21 (1991), pp. ix-xiv [p. xiii]. 56 LANDAU, Annual report 1992-1996, in BMCL 22 (1998), p. 7.

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the work at Berkeley in the years 1985-1988 — now generously financed the re-digitising and the proof-reading. The undersigned used the remaining money from the awarded grant (with permission of the Stiftung) to let students at Leipzig excerpt information on juridical manuscripts from legal-historical periodicals and other pertinent literature57 in order to partly make up for the non-delivered bibliographical work which would have been needed for the Vatican Project at its outset, as mentioned above. As previously stated, the re-digitised version of galley proofs for volume III of the Vaticani latini has been uploaded on the internet58 with agreement by Peter Landau and by the Stiftung. Many passages in the internet version are a bit awkward to read because all the scribbles of the correctors were entered into the text in underlined characters, and among them there are many editorial remarks, at times even in German, such as (I translate): “Shall this item be described? It only comprises two lines” (Vat. lat. 7778), or “Bad photocopy, illegible” (Vat. lat. 7698), or “Manuscript not checked!” (Vat. lat. 4128-4174). And see Vat. lat. 3978 fol. 19rb: “Why all those details for the constitutions of Henry VIII, which are familiar to everybody, but only an insignificant incipit / explicit for the Manuale (fol. 19-38) which is much more important?” There still remain unpublished descriptions of manuscripts from the Berkeley team: namely there exist the many descriptions from Fondi minori which were shipped to Munich and also some leftover descriptions of Vaticani latini which have recently turned up on the Berkeley side. These materials should all be uploaded on the internet lest the community of scholars be kept waiting any longer. II. A checklist of additions to the Vaticani latini descriptions: texts originating from before 1400 ca. (Martin Bertram)159 As already explained in the first part of our report, the third volume of the Catalogue, which was to cover the rest of the Vaticani latini series, was never completed. Scanning the descriptions that are published on the web, any reader immediately will become aware that he is dealing with drafts in need of thorough revision and final redaction. Particularly demanding 57

In part made available on the internet: www.uni-leipzig.de/~jurarom/manuscr/Can& RomL/introduc.htm. 58 See the preliminary remarks, note 6. 1

My thanks for support and advice to Prof. Uta Renate Blumenthal (Hyattsville, MD), Prof. Martin Brett (Cambridge), Dr. Linda Fowler Magerl (Piesenkofen) and Prof. Andreas Meyer (Marburg).

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would be the task of updating the bibliography from the state of ca. 1990 requiring the review of over two decades of research in legal history. Unfortunately, we must leave these essential and inevitable tasks to others.2 1

Instead we provide a simple checklist of manuscripts which are missing in the published descriptions. Indeed, there are three areas not yet covered at all: — complete manuscripts with shelfmarks beyond Vat. lat. 11527 (which is the last description published on the web); — legal texts in non-legal manuscripts and fragments which have been described only for the range of volumes I and II of the Catalogue (up to Vat. lat. 2935), whereas this group is completely missing for the entire range of volume III; — additional complete manuscripts with shelfmarks lower than Vat. lat. 11527, which have not yet been included in the draft descriptions for volume III. Our list of desiderata results from a fresh review of the few printed catalogues and the many handwritten inventories which are available for the Vaticani latini series. Of course, the selection of manuscripts which should or could be added, was to be guided by the program for the Catalogue outlined by Stephan Kuttner in his preface to the first volume.3 This program was necessarily designed in generic terms. Since Kuttner felt that “the net had to be cast wide,” as he put it, “boundaries were sometimes difficult to draw.” As examples for areas with “difficult boundaries” he mentioned political tracts, manuals for confession and penance, collections of model letters and forms for contracts, last wills and other private documents. Equally ambiguous remained the chronological terms: whereas the Council of Trent should be the limit for “works of canon law,” and the end of the 16th century for “the civilian writings,” Kuttner nevertheless wanted to include the “endeavors of early modern scholarship” until “the eve of the French Revolution.” As Kuttner pointed out, the decision of including or rejecting a given manuscript has to be established by a thorough examination of every single text, e. g. whether a given political tract is “based on close legal or canoni2

For a few updating remarks regarding volume II see M. BERTRAM, in ZRG kan. Abt. 82 (1996), pp. 384-386. Further bibliographical research might rely on the useful volumes Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana; see the details in D’AIUTO – VIAN, Guida ai fondi, I, p. 31. 3

Catalogue I, p. X.

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cal argument,” or whether manuals for confession and penance “contain at least some elementary instruction on matters of canon law.” However, he might have underestimated the fact that manuscripts of semi-legal character — and therefore with questionable relevance for the Catalogue — are forbiddingly proliferating in the upper range of the Vaticani latini. The coherent blocks of medieval codices of clear legal character, which have been described in the first two volumes, are now followed by amorphic masses of late medieval and early modern manuscripts, often miscellanies mixing texts of very different character and therefore extremely challenging. Facing the twofold obstacle of a mass of manuscripts not only increasing in numbers but also much more difficult to select, we were compelled to reduce the materials, limiting the selection to texts originating before ca. 1400, including, of course, their transmission in later manuscripts. Within this chronological limit we applied furthermore a material selection along the guide lines traced by Kuttner excluding single manuscripts or entire groups which we consider rather irrelevant for the Catalogue.4 Of course, our list of desiderata is not closed. It has the character of a temporary checklist in the strict sense, a list that is intended to identify only a core of a vast amount of more or less relevant manuscripts, which can be continued and completed at any time and by anyone, according to various ideas of what should be considered a “juridical manuscript.” As in volume II of the Catalogue, legal texts in manuscripts containing mainly non-legal materials and manuscript fragments are marked by an asterisk (*),5 showing at once that this kind of transmission is tremendously proliferating in the higher range of the Vaticani latini. The indications of content are based on entries in the few printed catalogues and the many handwritten or typed inventories covering the Vaticani latini series. As far as suitable those entries are reproduced verbally. Following the description of contents we indicate for each manuscript the number of folios, the material and the age, the latter often in generic terms “antiquus” or “modernus” as found in the inventories 304-307 (up to Vat. lat. 6459). In the case of the asterisk-manuscripts the total of folios is included in round brackets together with a very rough description of the non-legal contents. Since the inventories were not made by specialists in legal history, the entries are in many cases not sufficient to determine whether a given manuscript is relevant for the Catalogue or not. Therefore, we checked modern 4 5

See the remarks about problems of selection at the end of the checklist. See Catalogue II, preliminary notes, pp. XVII-XVIII, and the separate section pp. 313-

364.

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research indicated in the volumes of the Bibliografia dei Fondi Manoscritti della Biblioteca Vaticana6 and also a certain amount of legal history publications as far as they are provided with manuscript registers. References to specialized manuscript research are strictly limited to information on the manuscript in question and not meant to provide a full up-to-date bibliography, but only to clarify incomplete or ambiguous descriptions in the inventories. Bibliographical details are reduced to the essentials, such as titles of reviews and collective works, skipping individual titles. Sigla and repeatedly cited literature BL = Berkeley list (for the section beyond Vat. lat. 11527): a handwritten provisional list, compiled in Berkeley before 1991, with a note at top: “Complete Shelfnumber List for Vatican project. Ist Tier“; a copy is in Deutsches Historisches Institut in Rome, Archiv, Vatican Project. See also the statistics appendix, note 4; Cat. with name of author(s) = published catalogue; Inv. = unpublished inventory or catalogue; available in the Sala consultazione manoscritti of the BAV manuscript departement, identified with current numbers on red tags (“rosso”) 302-318; for bibliographical details of Catalogues and Inventories see D’AIUTO – VIAN and/or KRISTELLER – KRÄMER; MB = checks of inventory indications and additional information by Martin Bertram.

For bibliographical details regarding the Catalogues and the Inventories cited in the list see: F. D’AIUTO – P. VIAN, Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, I: Dipartimento Manoscritti, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 623-640, 634-635 (for published catalogues), pp. 637-638 (for handwritten Inventories). P. O. KRISTELLER, Latin Manuscript Books before 1600. A List of the Printed Catalogues and Unpublished Inventories of Extant Collections; Fourth revised and enlarged Edition by S. KRÄMER, München 1993 (MGH Hilfsmittel), p. 866 (for printed catalogues) and 868 (for handwritten inventories): the data regarding Vatican manuscripts in general and especially the Vaticani latini series are now to be adjusted by the official data as indicated in the Guida ai fondi. BMCL: Bulletin of Medieval Canon Law. Proceedings II–XIII: Proceedings of the First – Thirteenth International Congress of Medieval Canon Law, Monumenta Iuris Canonici C 1 and 4-14, Città del Vaticano 1965-2008. QFIAB: Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken.

6

See nt. 1.

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ZRG Kan., Rom. Abt.: Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Kanonistische, Romanistische Abteilung. M. BERTRAM, I manoscritti delle opere di Rolandino conservati nelle biblioteche italiane e nella Biblioteca Vaticana, in G. TAMBA (cur.), Rolandino e l’ars notaria da Bologna all’Europa, Milano 2002, pp. 681-718. G. DOLEZALEK, Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani, Ius Commune Sonderhefte 23, 2 vols., Frankfurt M. 1985. L. FOWLER–MAGERL, Ordo iudiciorum vel ordo iudiciarius, Ius Commune. Sonderhefte 19, Frankfurt M. 1984. L. FOWLER-MAGERL, Clavis Canonum. Selected Canon Law Collections Before 1140. Access with data processing, MGH Hilfsmittel 21, Hannover 2005. TH. M. IZBICKI, A Collection of Ecclesiastical manuscripts in the Vatican Library: Vat. lat. 4106-4193, Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae IV, Città del Vaticano 1990, S. 89-129. TH. KAEPPELI, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, 4 vols., Romae 1970, 1975, 1980, 1993. L. KÉRY, Canonical Collections of the Early Middle Ages (ca. 400-1140). A Bibliographical Guide to the Manuscripts and Literature, History of Medieval Canon Law 1, Washington D.C. 1999. A. MEYER, Analysis of Vaticani latini containing Regulae cancellariae; unpublished manuscript generously provided by the author. R. REYNOLDS, Studies on Medieval Liturgical and Legal Manuscripts from Spain and Southern Italy, Collected Studies Series 927, Ashgate 2009.

*373 fol. 111(-140): Petrus de Monte, Prooemium Repertorii, inc. Inter multa preclara, expl. et in otio negotium invenire potuisse; (158 fols.: humanistic miscellany), chart., saec. XV. – Cat. VATTASSO – FRANCHI DE’CAVALIERI, p. 290. *1496 fol. Ir-v: Codex Iustiniani (3.24.1///3.26.11) cum aliquibus glossulis sparsis; (110 fols.: Iohannes de Bononia, Orthographia, saec. XV), fragm., 1 fol. (upper half), memb., saec. XIII.1, glosses saec. XIV/XV. – Cat. NOGARA, p. 28; DOLEZALEK, Repertorium, vol. I, p. 434. *2043 fol. 185(-196?): Bernardus Guidonis, Tractatus brevis de temporibus et annis generalium et particularium conciliorum; (196 fols.: Bernardus Guidonis, Opera historica), memb., saec. XV. – Cat. NOGARA, p. 427. *2392 fol. 1-2+99-100: Rolandinus Passagerii, Summa artis notariae; (100 fols.: Galenus), fragm., 4 fols., memb., saec. XIV.1. – Inv. 304; BERTRAM, I manoscritti, p. 709. *2585 fol. 43r-v: Stephanus Tornacensis, Summa, Praefatio; (115 fols.: Rufinus, Summa Decretorum), memb., saec. XII. – Inv. 304; KUTTNER, Repertorium, p. 135, not mentioned in the description Catalogue II, pp. 146-147.

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*2897 fol. 90v: Infortiatum (D.28.5.51.2); (89 fols.: Cicero, saec. XV), fragm., 1 fol., memb., saec. xx. – Inv. 304; DOLEZALEK, Verzeichnis. *2934 fol. 320r- 329r: Decretum unionis concilii Florentini; fol. 331r-398v: Lupoldus de Bebenburg, Libellus de zelo christiane religionis veterum principum Germanorum (essentialy historical); fol. 403r-416r: Tractatus de iuribus regni et imperii Romanorum; (606 fols.: humanistic miscellany), chart., saec. XVI.1. – Inv. 304; Catalogue II, p. 363; J. MIETHKE, CH. FLÜELER, Politische Schriften des Lupold von Bebenburg, MGH. Staatsschriften des Mittelalters IV, Hannover 2004, p. 215-218. End of printed volume II *3527 fol. 1: Aegidius Bellamera, Tractatus indulgentiarum; (89 fols.: 15th century political theory; Pius II, Orationes), chart., mod. – Inv. 304; H. GILLES, in Bibliothèque de l’École des Chartes 124 (1966), p. 393, mentioning the Tractatus, but not this MS. *3840 fol. I: Digestum Novum (50.16.230-237); (36 fols.: Figuralis historia), memb., saec. XIII/XIV; heavily cut down, hardly legible; MB. 3935: Acta legationis cardinalis Gentilis de Montefiore in regno Hungariae, 1307-1311, scripta per Philippum de Cingulo notarium; 42 fols., chart., saec. XIVin.; see also Vat. lat. 4013. – Inv. 305; Ed. L. FEJÉRPATAKY, in Monumenta Vaticana historiam regni Hungariae illustrantia I.2, Budapest 1885, ed. nova, Budapest 2000, pp. XXXVII-XXXVIII. 3936: Depositiones testium in causa inquisitionis contra filios Mathei de Vicecomitibus annis 1322-1324 agitata; 32 fols., chart., saec. XIV.1. – Inv. 305; F. BOCK, in QFIAB 26 (1935/36), pp. 50-52; see also web description of Vat. lat. 3937. 3939: Aegidius Albornoz, Constitutiones generales Marchiae Anconitanae (in volgare); 104 fols., memb., antiquus. – Inv. 305; T. SCHMIDT, in QFIAB 64 (1984), p. 375; see also Vat. lat. 6742, 11498. *3998 fol. 58r-v: Excerpta canonum, inc. Gregorius episcopis Gallie alio modo eo(!). Si anathema sunt, sanctificare possunt? …, expl. Pelagius Valeriano patricio. Non persequitur nisi qui ad malum cogit … et bonis premia iustitia suadente constituunt; fol. 65v-66r: Epistolae de quaestionibus inter canonicos Colonienses et S. Laurentii Leodiensis agitatis annis 1130-1136; (66 fols.: Letters of Ivo of Chartres), memb., ant. – Inv. 305; H. K. SCHÄFER, in QFIAB 9 (1906), pp. 185-192; MB. 4013: Acta legationis cardinalis Gentilis de Montefiore in regno Hungariae, 1307-1311, scripta per Vagnolum de Mevanea et Angelum de sancta Victoria notarios; 47 fols., chart., saec. XIVin. – Inv. 305; Ed. FEJÉRPATAKY, pp. XXXVIII-XXXIX; see also Vat. lat. 3935. 4039: Collection of 14th and 15th political theory writings by many authors;

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369 fols., memb., saec. XV (1452). – Inv. 305; J. MIETHKE, in QFIAB 60 (1980), pp. 289-290, 307-323. *4094 fol. I+IV: Rolandinus Passagerii, Summa artis notariae; (92 fols.: De interpretatione somniorum), fragm., 2 fols., memb., saec. XIV.1. – BERTRAM, I manoscritti, p. 709. *4129 fol. 103r-147v: Lapus de Castiglione, Allegationes iuris abbreviatae per Antonium de Butrio; (192 fols.: 15th c. political theory), chart., saec. XV. – Inv. 305; IZBICKI, p. 100. *4152 fol. 1r-82v: Aegidius Bellamera, Consilia duo; fol. 217r-219v: Formularium advocatorum de exceptionibus; (248 fols.: materials from council of Pisa, 15th c. political tracts), chart., ca. 1440. – Inv. 305; IZBICKI, pp. 109-110. 4159: Ansegisus, Collectio capitularium regum Francorum; 112 fols., memb., saec. IX.2. – Inv. 305; IZBICKI, p. 112; G. SCHMITZ (ed.), Die Kapitulariensammlung des Ansegis, MGH. Capitularia regum Francorum N.S. I, Hannover 1996, p. 170f. 4160 fol. 1v-50r: Collectio canonum in LXXIV titulos digesta; fol. 50-56: Excerpta canonica; 56 fols., memb., saec. XIex. – Inv. 305; IZBICKI, p. 112; KÉRY, p. 205. *4162 fol. 6-13v: Constitutum Constantini; fol. 35-37 (between fol. 33/34): Collectio canonum Hibernensis (excerptum); (61 fols.: miscellany of classical, patristic, and medieval texts), memb., saec. XII. – Inv. 305; IZBICKI, p. 113; R. REYNOLDS, in BMCL 5 (1975), pp. 3-4, ID., Studies nr. XIII, p. 23 nt. 13, 27, 36. 4166 fol. 1r-181r: Concilium Chalcedonense, 431; 187 fols., chart., saec. XV.2. – Inv. 305; IZBICKI, p. 114; E. SCHWARTZ, Acta conciliorum oecumenicorum II.3.1, Berlin-Leipzig 1935, p. XIV. *4167 fol. 1r-118v: Synodus Romana (Lateranensis), 649; (210 fols.: Rodericus Sancius de Arevalo, Petrus de Godis), chart., saec. XV (1453). – Inv. 305; IZBICKI, pp. 114-115; E. CASPAR, in Zeitschrift für Kirchengeschichte 51 (1931), pp. 76-77; C. SILVA-TAROUCA, Nuovi studi sulle antiche lettere dei papi, Roma 1932, p. 52 n. 1. 4168: Concilium Nicaenum II, 787: Septimae Synodi fragmentum Anastasio interprete ad Joannem papam; 27 fols., chart., saec. XV. – Inv. 305; IZBICKI, p. 115. *4245 fol. 90r-120v: Bernardus Parmensis, Summa decretalium; fol. 122r213r: Guilelmus Redonensis, Glossa super Summa Raymundi; (342 fols.: Augustinus, medieval theology), memb., saec. XIII. – Inv. 305; MB. *4260 fol. 85r-103r: Anselmus Lucensis, Collectio canonum, liber I with some additional canons inscribed to Anacletus, Alexander, Eleuterius, Victor, Anterius (cf. Pseudoisidor, ed. HINSCHIUS, pp. 75, 98, 125, 128, 152);

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fol. 167r-174r: Johannes XXII, Licet iuxta doctrinam apostoli (Mollat n. 42480); (219 fols.: miscellany: theological problems discussed with Greeks at council of Basel/Florence; Cyprian, selected letters; tracts against Wiclif, Hus, Waldenses), chart., saec. XV (ca. 1430-1450). – Inv. 305; MB. *4265 fol. 27r-30v: Benedictus papa XI, const. Inter cunctas; fol. 30v-39r: Iacobus de Roda, Glossa et quaestiones super const. Super cathedra; fol. 99r-162v: Manuale inquisitoris cuiusdam provinciae Maguntinae; (238 fols.: miscellany of theological, polemical and historical texts), chart., saec. XIV.2. – Inv. 305; MB. *4317 fol. 102v-103r: Epistola ad Leudefredum, Farfa form; (229 fols.: Liber multiloquiorum), memb., saec. XI/XII. – Inv. 305; R. REYNOLDS, in Medieval Studies 41 (1979), pp. 306-307. *4322 fol. 69v-83r: Atto Vercellensis, Collectio canonum; (112 fols.: other works of Atto), memb., saec. Xmed. – Inv. 305; R. POKORNY, in MGH Capitula episcoporum III, Hannover 1995, p. 259. *4325 fol. 47(-188): Guido de Monte Roterio, Manipulus curatorum; (188 fols.: Tract. de divinis officiis), chart., modernus. – Inv. 305; M. BERTRAM, in ZRG Kan. Abt. 69 (1983), p. 381 nt. 12; see also Vat. lat. 4410, 9331. 4361: Sententiae magistri A. – 146 fols., memb., saec. XII.1. – Inv. 305; KÉRY, p. 274; ed. P.H.J.Th. MAAS, The Liber Sententiarum Magistri A. Its place amidst the sentences collections of the first half of the 12th Century, Nijmegen 1995, pp. 47-48; see also Vat. lat. *4931. 4401 fol. 1va-5rb: Statuta Guidonis cardinalis tit. sancti Laurentii in Lucina ap. sedis legati, 1267; fol. 5rb-9va: Fredericus archiepiscopus Salisburgensis, Statuta concilii provincialis, 1274; fol. 9vb-12rb: Idem, Statuta concilii provincialis, 1281; 12rb-20va: Constitutiones Johannis episcopi Tusculani ap. sedis legati; (27 fols.: Vita s. Elisabeth), memb., saec. XIIIex. – Inv. 305; MB. 4410: Guido de Monte Roterio, Manipulus curatorum; 169 fols., memb., antiquus. – Inv. 305; see also Vat. lat. *4325, 9331. *4509 fol. 37r-51v: Tancredus, Summa de matrimonio, imperfecta; (60 fols.: humanistic and classical miscellany), chart., saec. XV. – Inv. 305; Berkeley information; see E. PELLEGRIN, Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane III.2, Paris 2010, p. 419. *4734 fol. 80r-84v: Breves notae de conciliis Lugdunensibus I et II; (84 fols.: Ordo Romanus XIX; psalms), chart., 1370-1378. – Inv. 305; S. KUTTNER, L’édition romaine des conciles généraux et les actes du premier Concile de Lyon, Roma 1940 (Miscellanea Historiae Pontificiae III.5), pp. 22-24. *4772 fol. 190v-194r: Ordo poenitentiae; fol. 194v-222r: Burchardus Wormatiensis, Decretum, liber XIX; (233 fols.: Sacramentarium), memb., saec.

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XI.1. – Inv. 305; H. J. SCHMITZ, Die Bussbücher und das kanonische Bussverfahren, Düsseldorf 1898, vol. II, pp. 387-390, 394-397, 403-467. 4790 fol. 1-119: Grand Coutumier de France; fol. 123(-155): Guilelmus Bucius, Tractatus de stilo Parlamenti; Ordinationes super artistis civitatis Paris.; 169 fols., memb., antiquus. – Inv. 305; O. MARTIN, in Nouvelle revue historique de droit français et étranger 30 (1906), pp. 630-668. *4847 fol. 164r-186r: Bartolus, Liber minoricarum; (266 fols.: Sermones, miscellany), chart., saec. XV. – Inv. 305; A. BARTOCCI, Ereditare in povertà, Napoli 2009, pp. 426. *4898 fol. 456: Concilium Romanum a. 745; (473 fols., post-Tridentine miscellany of church history, councils, political theory), chart., saec. XVI. – Inv. 306; Berkeley information; see JE after nr. 2273a; A. WERMINGHOFF, MGH Concilia 2.2.1, Hannover – Leipzig 1906, pp. 37-44; for the ms. depending from the Othlo collection of the letters of St. Boniface, see M. TANGL, Die Briefe des Hl. Bonifatius und Lullus, MGH Epistolae selectae I, Berlin 1916, pp. XXVI, XXX. 4908: Gregorius I, Registrum epistolarum; inc. Valde necessarium est; penultima ep. (fol. 450v-453r): Petro subdyacono Sicilie. Indicante romano defensore cognovi … in monasterio pretoriano reliquos tecum deferri (ed. II 38); ultima ep. (fol. 453r-455v): Felici episcopo Syrie. Caput nostrum quod est Christus … honoremque ceptum moribus servare concedat; Appendices (fol. 456r): Dicta Gregorii pape ex ratione sacrificii. Solet plane movere nonullos …; (fol. 457r): Epistola Pilati ad Tiberium Caesarem de morte Christi. De Iesu Christo quem tibi plane postremis meis declaraveram …; (fol. 457v): Eodem tempore fuit aque diluvium in finibus Venetiarum … in septimo omnes infantes et pauperes; 458 fols., memb., saec. XV (humanistica with elegant decoration). – Inv. 306; MB; not mentioned in editions EWALD-HARTMANN, MGH Epistulae and NORDEN, Corpus Christianorum 140; J. RUYSSCHAERT, in D. MAFFEI (cur.), Enea Silvio Piccolomini papa Pio II, Siena 1968, p. 262. *4924 fol. 17v-68r: Iacobus de Senis, Consilium pro Urbano VI contra Clementem VII; (68 fols.: Litterae cardinalium et Florentinorum pro Urbano VI), chart., saec. XV.1. – Inv. 306; W. BRANDMÜLLER, in Annuarium Historiae Conciliorum 6 (1964), pp. 116-117 nota. *4931: fol. 170-208: Tractatus de baptismo et de nuptiis secundum Sententias magistri A.; (208 fols.: theology, liturgy), memb., saec. XIII. – Inv. 306; MAAS, pp. 57-58; KÉRY, p. 274; see also Vat. lat. 4361. *4939 fol. 16r-22v: Collectio Beneventana; (215 fols.: Chartularium S. Sophiae), memb., saec. XIIin. – Inv. 306; O. BERTOLINI, in Studi e testi 219, Città del Vaticano 1962, pp. 119-137; KÉRY, pp. 288-289; FOWLER-MAGERL, Clavis, pp. 227-228. *4944 fol. Ir-v: Bartholomaeus Brixiensis, Quaestiones dominicales 19-22;

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(142 fols.: Annales of Genova), fragm., 1 fol., memb., saec. XIIIex. – Inv. 306; MB. *4954 fol. I-II: Johannes Faventinus, Summa Decretorum, Prooemium … D. 5 princ. v. hec que de privilegiis (fol. IA+II.B), D. 21 c. 1 … D. 23 d. p.c.9 v. Dalmaticis (fol. IIA+IB); (287 fols.: Augustinus), fragm., 2 fols., memb., saec. XIIIin. – Inv. 306; S. KUTTNER, Gratian and the Schools of Law 11401234, London 1983 (Collected Studies Series 185), Retractationes, p. 9; M. B. HACKETT, in Traditio 14 (1958), pp. 505-508; MB. *4959 fol Ir-v (front), Ir-v (back): Bernardus Compostellanus Iunior, Lectura Decretalium X 1.6.16 v. legitimam – 1.6.22 v. allegationes; (61 fols.: Joachim of Fiore), fragm., 2 fols., memb., saec. XIII.2. – Inv. 306; MB. *4986 fol. 85r-89v: Petrus Iohannis Olivi, Quaestio de renuntiatione papae; (156 fols.: Olivi, Quaestiones de perfectione evangelica), memb., saec. XIV. – Inv. 306; L. OLIGER, in Archivum Franciscanum Historicum 11 (1918), p. 329 (MS), pp. 340-366 (edition). *5001 fol. 132r-137v: Pactum Sicardi; 139r-140v: Glossarium legis Langobardorum; fol. 140v: De legibus Francorum, inc. Capitula legis saliche que constituit dominus Karolus imperator; 143v-147v: Divisio ducatus Beneventani; (162 fols.; Miscellanea historiae Langobardorum), memb., ca. 1300. – Inv. 306; ed. F. BLUHME, in MGH Leges IV, p. 216-221, 652-657; cf. W. POHL, Werkstätte der Erinnerung. Montecassino und die Gestaltung der langobardischen Vergangenheit, MIÖG Erg. Band 39, Wien – München 2001, p. 18-21; MB. *5077 fol. 1r-28v: Raimundus de Peñafort, Summa de poenitentia abbreviata; fol. 30r-49r: Id., Summa de matrimonio abbreviata (all legal references skipped) (77 fols.: Bernhard of Clairvaux, Isidor of Sevilla etc.), memb., saec. XIII med. – Inv. 306; MB. *5404 fol. 36v-137v: Miscellanea, inter alia: Iohannes XXII, Epistolae selectae; Arnaldus Bononiensis episcopus, Acta iudiciaria; (136 fols.: letter collection), memb., saec. XIV.1. – Inv. 306; H. M. SCHALLER, B. VOGEL, Handschriftenverzeichnis zur Briefsammlung des Petrus de Vinea, Hannover 2002, pp. 85-87. 5608: Miscellany of writings of various 14th and 15th authors (among others Bartolus, Baldus, Johannes de Legnano, Bartholomaeus de Saliceto) regarding the Great Schism; 368 fols., chart., saec. XV. – Inv. 306; N. DEL RE, in Studi e testi 219, Città del Vaticano 1962, pp. 213-263. *5612 fol. 1: Aegidius Romanus, De potestate ecclesiastica sive summi pontificis; 124 fols., chart., antiquus; fol. 74r-80r: Glossa ad Unam Sanctam (papal version); (124 fols.: alia opera Aegidii Romani), chart., antiquus. – Inv. 306; S. DI PAOLO, in Proceedings XII (2008), pp. 325, 326 nt. 40; see also *Vat. lat. 7125.

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*5633 fol. 199, 200: Accursius, Apparatus ad Codicem (4.38.12-4.46.3); (200 fols., Liber caerimoniarum, saec. XVex), fragm., 2 fols., memb., saec. XIII.2. – Inv. 306; Berkeley information; MB. *5708 fol. 30rb-58vb: Alanus ab Insulis, Liber poenitentialis, short version; (58 fols.: Alanus, Summa de arte praedicandi), memb., saec. XIII. – Inv. 306; MB; MS not considered in ed. J. LONGÈRE, Alain de Lille, Liber poenitentialis, Louvain – Lille 1965, vol. II, pp. 28-29, 237-240. *5752 fol. 199v-202r: Synodus Romana anno 595 celebrata, JE post nr. 1365; (202 fols.: Gregorius I, XL Homeliae in Evangelia), memb., saec. IX. – Inv. 306; A. REIFFERSCHEID, Bibliotheca patrum latinorum Italica I, Wien 1870, pp. 511-513; R. ÉTAIX, in Sacris Erudiris 36 (1996), pp. 122, 137; not considered by P. EWALD – L. HARTMANN, in MGH Epistolae I, pp. 362367 nr. V 57a, Epistolae II, pp. 365-367 nr. XIII.2, D. NORBERG, in Corpus Christianorum 140A. 5920: Antonio card. Carafa († 1591), Nova collectio canonum et decretorum ex conciliis generalibus et plurimarum constitutionum quae a diversis pontificibus post Clementem Quintum emanarunt, mandato Gregorii XIII sub congruis titulis ordinatae; praecedens epistula ispius Gregorii: Universis Christi fidelibus praesentes literas inspecturis s. et a. b. Emendationem decretorum locorumque a Gratiano collectorum …; with many corrections and additions from other hand (Lancellotti?); sent by Napoleone (Comitolo) Bishop of Perugia to Scipione Cobellucci; 11 fols. (not numbered) + 424 pp., chart., 340 × 250, saec. XVIex. – Inv. 306; MB. *6018 fol. 126r-128: Decretum Gelasianum de libris recipiendis; (131 fols.: miscellany, de grammatica, de significationibus rerum, theologica), perg., saec. IXin. – Inv. 306; Berkeley information; MB; see E. VON DOBSCHÜTZ, Das Decretum Gelasianum, Leipzig 1912, pp. 169-170; Codices Latini Antiquiores I, p. 16 nr. 50. 6165 fol. 1r-98r: Regulae Cancellariae Johannis XXII et successorum; (163 fols.: Acta Conc. Constant.), chart., saec. XV.1. – Inv. 307; MEYER, Analysis, nr. 94. *6194 fol. 341v-343v: Concilium Melfitanum, 1089; (583 fols.: miscellany, containing transcriptions of many papal texts), chart., saec. XVI. – R. SOMERVILLE – S. KUTTNER, Pope Urban II, the Collectio Britannica and the Council of Melfi (1089), Oxford 1996, p. 193. *6211 fol. 271r-316r: Aegidius Bellamera, Tractatus indulgentiarum; (409 fols.: theological miscellany), chart., saec. XV and XVI. – Inv. 307; Berkeley information; MB. 6420: Collectio litterarum variorum pontificum (from Leo III to Clement VIII); 647 fols., chart., saec. XVII. – Inv. 307 (with detailed index). *6531 fol. 70: Antonius Augustinus, Epistolae de emendatione Gratiani;

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fol. 71r-v, 67r-68v (this order): a) Gregorius I, epistolae XII 15, XIV 15-17; b) Beatus Gregorius ex ratione sacrificii. Solet plane nonnullos … impetrent a patre quodcumque placuerit. Amen (see Vat. lat. 4908); c) Vita Agapiti papae (BHL n. 123); d) Littera Innocentii II Uberto archiepiscopo necnon clericis Pisanis directa Quemadmodum sancta ecclesia, data Grosseti XVIII (!) kal. aprilis (anno 1137?, JL –, IP –); fol. 85r-v, 88r, 110r-v: Litterae Honorii III (Pressutti n. 133, 144, 152), Gregorii IX (Auvray n. 1599, 1878, 1879, 5134), Alexandri IV (Bourel n. 89, 489, 573); fol. 112: Excerptum ex libro Antonii Augustini de legibus; fol. 222: Libri manuscripti quibus card. Guilelmus Sirleto in restituendo Gratiani Decreto usus est; 228 fols. (miscellany mostly of historical texts and scholarly notes), chart., saec. XV et XVI. – Inv. 308; MB. 6586: Guilelmus de Cremona, Petrus Bertrandi, Petrus de Palude, Aegidius Carlerii, Durandus de Sancto Porciano, Hervaeus Natalis, Tractatus de potestate papae sive de iurisdictione ecclesiastica; 306 fols., chart., saec. XVII. – Inv. 308. 6742: Aegidius Albornoz, Constitutiones generales Marchiae Anconitanae; 162 fols., memb., saec. XIV. – Inv. 308; T. SCHMIDT, in QFIAB 64 (1984), p. 375; see also Vat. lat. 3939, 11498. 6772: Constitutiones paparum avenionensium, facultates legatorum, processus canonizationis, acta varia; 144 fols., memb., saec. XIV. – Inv. 308; selected documents edited or mentioned by J. PERARNAU, in Estudios Franciscanos 81 (1980), pp. 355-370; A. M. VOCI, in QFIAB 75 (1995), p. 180 nt. 7, p. 184 nt. 20, p. 188 nt. 34, pp. 217-226; MEYER, Analysis, nr. 278. *6808 fol. 113v-138v: Collectio canonum consuetudinibus Farfensibus adnecta; (167 fols.: Consuetudines Farfenses), memb., saec. XI. – Inv. 308; Th. KÖLZER, in BMCL 12 (1982), pp. 1-12; K. ZECHIEL-ECKES, Die Concordia Canonum des Cresconius. Studien und Edition, Frankfurt M. 1992, vol. I, p. 221. *7125 fol. 84r-93r: Bonifacius VIII, Unam Sanctam, with the papal gloss; (190 fols.: miscellanea di testi teologici), memb. et chart., saec. XV-XVII. – Inv. 309; S. DI PAOLO, in Proceedings XII (Washington), pp. 323-324; see also *Vat. lat. 5612. *7246 fol. 27r-38v: Durandus de S. Porciano, Quaestiones de origine potestatum et iurisdictionum; (189 fols., miscellany of theological, historical and philological texts), chart., saec. XV-XVII (Durandus saec. XVI). – Inv. 310; KAEPPELI nr. 943. *7701 fol. 59v-64v: Arno, archiepiscopus Salisburgensis, Capitulare ecclesiasticum (87 fols.: Pontificale); memb., saec. IX.3. – Inv. 310; H.SCHNEIDER, in Deutsches Archiv 63 (2007), pp. 469-496; H. MORDEK (†), K. ZECHIELECKES (†), M. GLATTHAAR, Die Admonitio generalis Karls des Großen, MGH

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Fontes iuris germanici antiqui in usum scholarum 16, Hannover 2012, p. 126. *7818 fol. 10r-v: Sermo based almost entirely on extracts from Collectio V librorum; (344 fols.: Pontificale), memb., saec. XI, XII. – Inv. 310; R. REYNOLDS, in Medieval Studies 47 (1985), pp. 438-444; ID., Studies, nr. XIII, p. 33. *7828 fol. 1r-12v: Small collection of canons, to be identified; no inscription, inc. mut. Ille qui provocavit hominem ad iurationem … iurare provocavit et suam (cf. C.22 q.5 c.5). Pius papa. Qui compulsus a Domino periurare se sciens … et legitimas ferias (cf. c.1). Pelagius papa. Si quis se periuraverit … similiter peniteant (cf. c.4: Gelasius). expl. De officiis mortuorum. Leo papa. Misse mortuorum absque gloria et alleluia seu pacis osculo celebrantur … indicium gaudii intermittitur. Officia mortuorum circa tertiam diem celebrius quam in ceteris diebus agimus … sed ad vitam eternam transferri sanctos, dapnabit vero in eternum impios; (73 fols.: Petrus Damiani), memb., saec. XIII. – Inv. 310; MB. *8078 fol. 5v-8r: Notabilia sive flos legum, inc. Nihil est quod magis; (107 fols., excerpts from classical authors, liber de virtutibus herbarum); memb., saec. XV. – Inv. 311; MB. *8100 fol. 1-5: Bulgarus, Tractatus de iudiciis; Commentum in regulas iuris; (32 fols.: Hieronymus, Seneca, Gregorius I), memb., saec. XII. – Inv. 311; ed. L. WAHRMUND, Quellen zur Geschichte des römisch-kanonischen Processes im Mittelalter IV.1, Innsbruck 1925; cf. L. FOWLER-MAGERL, Ordo iudiciorum, p. 35; G. TESKE, in F. NEISKE, D. POECK, M. SANDMANN (cur.), Vinculum Societatis. Joachim Wollasch zum 60. Geburtstag, Sigmaringendorf 1991, p. 306. 8444: Bullae et brevia Romanorum pontificum, privilegia et diplomata regum ac imperatorum, inter alios: Johannes III, Gregorius VII, Urbanus II, Clemens IV, Bonifacius VIII, Benedictus XII, Otto, Henricus IV et V, Fredericus II, Ludovicus imperatores, Johannes et Eduardus reges Anglorum; 525 fols., chart., saec. XVI. – Inv. 311 (with detailed index). *8468 I fol. 249r-256r: Iacobus de Arena, Tractatus de praeceptis iudicum; (259 fols.: miscellany), pap., saec. XVI/XVII. – Inv. 311; Th. IZBICKI in Studi Senesi 92 (1980), p. 487 Nr. 16. *8486: Deusdedit, Collectio canonum, excerpta; (263 fols.: Liber censuum, siglum C), memb., saec. XIII. – Inv. 312; V. W. VON GLANVELL, Die Kanonessammlung des Kardinals Deusdedit I, Paderborn 1905, p. XLI-XLII; KÉRY, p. 229; FOWLER-MAGERL, Clavis, p. 160. *8487 I fol. 59-84: Collectio canonum Farfensis; (1234 fols.: Regestum Farfense), memb., saec. XI ex./XIIin. – Inv. 312; TH. KÖLZER, in BMCL 7 (1977), pp. 94-100; ed. ID., Collectio canonum regesto Farfensi inserta, Città

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del Vaticano 1982, pp. 9-16; KÉRY, pp. 158, 265; FOWLER-MAGERL, Clavis, pp. 122-123, REYNOLDS, Studies, nr. XIII, pp. 32, 37. *9328 fol. 33-102v: Anonymus, Abbreviatio Summae Monaldinae, inc. Omnia fac cum consilio et post factum animo penitebis. Viri sapientis verba sunt ista, quare imitanda sunt et sequenda; expl. v. usurarius: … Tunc enim quia creditori ex eius stultitia periculum accidit ei est imputandum periculum. – Explicit summula Monaldina pro simplicibus fratribus exceptata … et exprimi possit lingua. Amen. Deo gratias. Amen (224 fols.: Dialogi contra tristitiam, Tract. de vitiis et virtutibus), memb., saec. XIV. – Inv. 313; MB. 9330: Antonius de Butrio, Lectura Decretalium liber I, inc. mut. in salutatione, expl. mut. in X 1.16.3 (ed. Venetiis 1578, repr. Torino 1967, vol. I, fol. 2vb nr. 21 – fol. 186rb nr. 12); 341 fols., chart., saec. XV.1. – Inv. 313; MB. 9331: Guido de Monte Roterio, Manipulus curatorum; 153 fols., chart., saec. XIV – Inv. 313; see also Vat. lat. *4325, 4410. 9432: Johannes Andreae, Additiones Speculi, inc. mut. in tit. de legato, expl. mut. in tit. de instrum. editione (ed. Basileae 1574, repr. Aalen 1975, p. 51b litt. n – p. 711b litt. u), cum annotatione peciarum; 122 fols., chart., saec. XV. – Inv. 313; MB 9500: Odardus Melly, Bullarum pontificiarum quae in Austriae tabulariis asservantur descriptio et collatio: papal letters from 12th to 15th c. from archives of Heiligenkreuz, Lilienfeld, Teutonic Knights, Sancti Hippolyti, Klosterneuburg, Melk, various Museums; 153 fols., chart., saec. XIX. – Inv. 314; MB. *10068 fol. 78: Supplementum Summulae iuris fratris Henrici de Merseburg, inc. Labia sacerdotum custodiunt scientiam; fol. 112: Bonaguida de Aretio, Tract. de dispensationibus, inc. Attendens ego Bonus Guido de Aretio; fol. 115v: Anonymus, Opusculum solutionum generalium contrariorum, inc.: Ad notitiam contrariorum nota solutiones generales et primo sic: Si duo iurant repugnantia; fol. 117v: Summula de positionibus, inc. Cum frequens et cottidianus; (313 fols.: Andreas de Escobar, Hugo de Sancto Caro, Anastasius Sinaita, Nicolaus de Dinkelsbühl, Miscellanea theologica, moralia, de confessione), chart., saec. XV. – Cat. VATTASSO – CARUSI, pp. 448-451. *10152 (olim 10171) fol. 179v(-186): Litterae Gregorii IX Tancredo archidiacono Bononiensi directae (Potthast 9259); Tancredi epistulae ad inquisitores Tholosanos et eorum epistula responsiva; (186 fols.: Theodoricus de Apoldia, Vita S. Dominici), chart., saec. XIV-XV. – Cat. VATTASSO – CARUSI, pp. 509-510. *10497 fol. 1: Iohannes de Neapoli, Quaestio de potestate papae; fol. 5: Thomas de Virago, Tract. de potestate papae et de comparitione eius ad concilium et e converso; fol. 11(- 54): Hervaeus Natalis, Tract. de potes-

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tate papae, de iurisdictione ecclesiastica, de exemptione; fol. 119ra-124vb: Guido Terreni, Confutatio errorum quorundam magistrorum (Marsilii de Padua); (126 fols.: theology); memb. et chart.; saec. XV. – Cat. VATTASSO – CARUSI, pp. 243-246; KAEPPELI nr. 2529; Th. TURLEY, in BMCL 12 (1982), p. 88 nt. 26. *10499 fol. 25r-30r: Henricus Casalorcii (de Cremona), Memorandum de potestate papae; fol. 30v-35v: Tholomaeus de Luca, Determinatio compendiosa; fol. 42(-54): Iacobus de Theramo, Belial; (54 fols.: Ludovicus Pontanus), chart., saec. XV. – Cat. VATTASSO – CARUSI, pp. 246-248; J. MIETHKE, in A. MAIERÙ – A. PARAVICINI BAGLIANI (cur.), Studi sul XIV secolo in memoria di Anneliese Maier, Roma 1981, pp. 427-428. *10754 fol. 83-85: Generalia (Brocarda) super aliquibus capitulis Decreti; (85 fols.: Summa theologica), memb., saec. XIII. – Cat. BORINO, pp. 203205; S. KUTTNER, in BMCL 4 (1974), p. 16. *10802 fol. 3v: Fragmentum Nonantulanum de potestate papae transferendi sedes episcoporum (8 fols.: Monasterii Nonantulani documenta), memb., saec. XIIin. – Cat. BORINO, p. 313f.; J. W. BUSCH, Der Liber de Honore Ecclesiae des Placidus von Nonantola, Sigmaringen 1990, passim (see Index p. 241). 10883: Litterae et bullae multorum Romanorum Pontificum ann. 12721586; 495 fols., chart., saec. XVI. – Cat. BORINO, pp. 67-79 (detailed analysis). *11190, back cover: Digestum Vetus (18.2.14.2-18.3.2); (192 fols.: Bernardus Senensis, Sermones); fragm. 1 fol., memb., saec. XIII/XIV – Cat. BORINO, p. 28; Berkeley information; MB. 11496 fol. 4-112: Iohannes de Legnano, Somnium; fol. 116-123v: Durandus de Sancto Porciano, Quaestiones de origine iurisdictionis; fol. 123v124: Petrus Bertrandi, Quarta quaestio; fol. 124r-v, Bonifacius VIII, Unam sanctam; fol. 124v-131v: Iohannes Monachus, Glossa super Unam sanctam; fol. 131r-v: Petrus Bertrandi, Additio ad dictam glossam; 134 fols., chart., saec. XV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 131-132; KAEPPELI nr. 943; J. MCCALL, in Traditio 23 (1967), p. 435; S. DI PAOLO, in Proceedings XII (2004), pp. 349-350. 11498: Aegidius Albornoz, Constitutiones generales Marchiae Anconitanae, cum additamentis suorum successorum usque ad annum 1459; 105 fols., chart., saec. XV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 138-141; T. SCHMIDT, in QFIAB 64 (1984), p. 375; see also Vat. lat. 3939, 6742. End of descriptions published on the web 11529 (SL): Bartholomaeus de Sancto Concordio, Summa de casibus conscientiae; 371 fols., chart., saec. XV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 261-262.

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MARTIN BERTRAM – GERO DOLEZALEK

*11548 (SL) fol. 8v-24v: Tractatus de materia officiorum, de iudicis officio, de materia securitatis, de materia in causa retractus; fol. 24v-48: Rubricae totius iuris civilis; fol. 48r-v: metra rubricarum decretalium, excerpta ex Gregorii IX decretalium libro III; (84 fols.), memb., saec. XV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 283-285 *11565 (SL) fol. 1-22: Quaestiones circa summam Raimundi, inc. Queritur circa summulam Raymundi primo utrum misse, orationes vel collecte facte pro defunctis valeant ad salutem animarum; (72 fols.: Varia anonyma, praesertim moralia), chart., saec. XV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 315-317. 11598 (SL): Codex Iustiniani I-IX cum nonnullis authenticis, Azzonis et Accursii apparatibus necnon anonymis vel signatis glossis; 235 fols., memb., saec. XIII. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 375-379; DOLEZALEK, Repertorium, pp. 436-438; G. PACE, La memoria del diritto comune, Roma 1994, pp. 208, 331-332. 11599 (SL): Codex Iustiniani I-IX cum nonnullis authenticis necnon glossis anonymis vel signatis; 134 fols., memb., saec. XII. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 380-383; DOLEZALEK, Repertorium, pp. 438-441; PACE, La memoria, pp. 208, 332. 11605 (SL): Variorum iurisconsultorum saec. XIII-XV allegationes, tractatus, quaestiones et consilia iuris canonici et civilis; 214 fols., chart., saec. XV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 391-408; DOLEZALEK, Verzeichni; E. CORTESE, in Per Francesco Calasso. Studi degli allievi, Roma 1978, p. 227; Th. IZBICKI, in Studi Senesi 92 (1980), pp. 482, 484, 485, 491. 11606 (SL): Antonius de Butrio, Repertorium iuris civilis, pars secunda (inde ab litt. L); 330 fols., chart., saec. XV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 408409. 11613 (SL): Paulus de Liazariis, Lectura super Clementinis; 61 fols., memb., saec. XIV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 421-422. 11615 (SL): Iohannes Calderini, Repertorium iuris; 429 fols., chart., saec. XV. – Cat. RUYSSCHAERT, pp. 422-423. 12570 (SL) (olim ASV Arm. XXXII 48): Collectio constitutionum et decretalium extravagantium; 140 fols., memb., saec. XV. – Inv. 315.6; J. BROWN, in J. BROWN – W. P. STONEMAN (edd.), A Distinct Voice. Medieval Studies in Honor of Leonard E. Boyle, O.P., Notre Dame Ind. 1997, pp. 380s, 400-403, 410s, 416s.; unpublished analysis of MB. 12571 (SL) (olim ASV Arm. XXXII 49): Collectio constitutionum et decretalium extravagantium; 773 fols., chart, saec. XV. – Inv. 315.6; BROWN, l. c.; unpublished analysis of MB. 12572 (SL) (olim ASV Arm. XXXII 50): Collectio constitutionum et decretalium extravagantium; 435 fols., chart., saec. XV. – Inv. 315.6; BROWN, l. c.; unpublished analysis of MB.

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12806 (SL): Raimundus Lullus, Ars brevis quae est de inventione iuris, inc. Quoniam scientia est longa, vita autem brevis; 89 fols., chart., saec. XVII. – Inv. 315.6; ed. A. MADRE, in Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis 38, Turnhout 1984, pp. 265-389. 12897 (SL): Decisiones Rotae Romanae Antiquae et Novae; Bertrandus de Arvassano, Ordinatio decisionum antiquarum; Wilhelmus Horborch, Conclusiones; 375 fols., saec. XIV-XV. – Inv. 316; G. DOLEZALEK, in ZRG Kan. Abt. 58 (1972), p. 81; A. SANTANGELO CORDANI, La giurisprudenza della Rota Romana nel secolo XIV, Milano 2001, pp. 114-115 nt. 290. 12900 (SL): Liber Sextus; 50 fols., memb., saec. XV. – Inv. 316. *12904 (SL): Formae litterarum poenitentiariae apostolicae?; fragment, inc. mut., first legible formula: De eodem promoto ad ordines ad titulum ecclesie quam symoniace obtinuit. Episcopo. Sua nobis vestre diocesis; expl. mut.: De layco qui occidit laycum et est penitens. Plebano. H. laycum parochianum vestrum lator presentium a reatu laycalis homicidi et aliis (peccatis Reklamant marg. inf.); 11 fols., chart., saec. XIV. – Inv. 316; MB. 12926 (olim ASV Miscell. Arm. III 96) (SL): Agostino Faustini, materials for an edition of and commentary on the Lombarda (“vulgata”, in three books, the lex Lotharii II incorporated as title III 41); 570 fols., chart.; dated 1630 (fol. 567r). – Inv. 316; cf. the rubrics ed. F. BLUHME, in MGH Leges IV, p. 623-638, and see ID., p. CXI: “Eodem fere tempore L. P. Augustinum Faustinum, virum mihi prorsus ignotum, de Lombarda denuo edenda cogitasse legimus.” The manuscript(s) used by Faustini remain to be identified; MB. *12944 fol. 237(-287): Iohannes Calderini, Tabula alphabetica auctoritatum (407 fols.: theological miscellany), saec. XIV-XV. – Inv. 316. *13091 (SL) fol. 46(-75): Iohannes de Legnano, Quaestio de pecunia civitatis Ianuae; (123 fols.: miscellany, among which Iohannes Gundisalvi, Tabula Decreti, theology), chart, saec. XV. – Inv. 316; A. MAIER, in Archivum Fratrum Praedicatorum 38 (1968), pp. 17-18. 13264 (SL): Constitutiones Clementinae cum apparatu Iohannis Andreae; 60 fols., memb., saec. XIV. – Inv. 316; J. TARRANT, in ZRG Kan. Abt. 71 (1985), pp. 124-125. 13265 (SL): Liber Sextus cum apparatu Iohannis Andreae; 104 fols., memb., saec. XIV. – Inv. 316. 13266 (SL): Constitutiones Clementinae cum apparatu Iohannis Andreae; 38 fols., memb., saec. XIV. – Inv. 316; TARRANT, l. c., p. 125. 13267 (SL): Constitutiones Clementinae cum apparatu Iohannis Andreae; 58 fols., memb., saec. XIV. – Inv. 316; TARRANT, l. c., p. 125. 13268 (SL): Liber Sextus cum apparatu Iohannis Andreae; 118 fols., memb., saec. XIV. – Inv. 316.

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MARTIN BERTRAM – GERO DOLEZALEK

*13393 fol. 30-33: Decretum Gratiani, D.78 c.1 – 85 c.1 cum Glossa Ordinaria; (35 fols: fragmenta diversa), fragm., 4 fols., severely damaged, memb., saec. XIII in. – Inv. 316; Berkeley information; MB. 13963 (SL): Guido de Baisio, Apparatus super Sexto libro Decretalium; 153 fols., memb., saec. XIV. – Inv. 317. 14094 I, II (SL): Collection of quaestiones, declarationes, allegationes of some 14th century authors including Johannes Calderini, Johannes de Legnano, Laurentius de Pinu, but mostly of XVth and early XVIth c. authors; many consilia, some sealed, delivered in the second half of XVth and early XVIth c. in Florence, Siena, Pisa, Piacenza etc.; 543 fols. (in two parts), chart., saec. XIV-XIX. – Inv. 317; a detailed analysis by Gero DOLEZALEK is available in http://manuscripts.rg.mpg.de 14164 (SL): Commenta, repetitiones, reportationes, quaestiones of many XIVth and XVth century authors including Baldus, Bartolomaeus de Saliceto, Bartolus, Guido de Baisio, Jacobus Butrigarii, Martinus Sillimanni, Mathaeus de Mathesilanis, Petrus Boherius and others. From fol. 164 a rich collection of original consilia, mostly sealed, delivered by scarcely known doctores legum from small places of Southern Tuscany, Umbria and Marca Anconitana; completely different from MS 14094 in origin, makeup, and contents, basically earlier; 344 fols., chart., saec. XIV et XV. – Inv. 317; MB. 14202 (SL) fol. 1r-167r: Rolandinus Passagerii, Aurora; fol. 167r-219r: Continuatio anonyma Aurorae; fol. 223r-276r: Rolandinus, Flos testamentorum; fol. 276v-299v: Tractatus formarum occurrentium in testamentis; 302 fols., chart., saec. XV (1477). – Inv. 317; BERTRAM, I manoscritti, pp. 705, 707. *14606 fol. 56r-100v: Fragmenta reportationum X 3.5.25-37, X 2.11-13, X 5.38.12 (c. Omnis utriusque), Clem. 1.7un. – 2.11.2; fol. 102r-107r, subscr.: Reportationes super secundo libro Decretalium collectae sub domino Iohanne de Legnano, 1366 sept. 11; (198 fols.: miscellany of biblical and juridical texts), chart., saec. XIV-XV. – Inv. 318; MB. 14727: Liber Extra (desinit mut. X 2.19.10) cum Glossa Ordinaria; Dinus de Mugello, Commentarius in regulis iuris Sexti (desinit mut. in reg. 89); 82 fols., memb., saec. XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, p. 29. 14731 (SL): Burchardus Wormatiensis, Decretum; 150 fols., memb., saec. XIex. (Beneventan script). – Cat. PIAZZONI – VIAN, p. 31. *14732 fol. 1-44: Regula canonicorum, inc.: Sub magno moderamine pastores ecclesie vel solvere studeant vel ligare …; (48 fols.: Isidor of Sevilla), memb., saec. XII. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 31-32. *14733: Fragmenta iuridica (5); (100 fols.), memb., saec. XII/XIII, XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 32 nr. 1, 2, 6, 7, 13.

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*14734 fol. 1r-49r: Hostiensis, Summa, excerpta de libris I-II et IV-V; (52 fols.), chart., saec. XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, p. 34 nr. 1. *14739: Fragmenta iuridica (12); 87 fols., memb., saec. XIII-XV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 36-37 nr. 1-12. *14760 fol. 4r-v, 5r-6v: Fragmenta iuridica (2); (22 fols.), memb., saec. XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, p. 47 nr. 4, 5 *14782 fol. 19r-44v: Casus ad Compilationes antiquas I-III; fol. 57r-76v: Bernardus Papiensis, Summa titulorum; fol. 77r-84r: Iohannes Hispanus Compostellanus (de Petesella), Summa titulorum (des. mut. X 1.6); fragmenta iuridica (8); 91 fols., memb., saec. XIII-XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 53-55. *14783: Fragmenta iuridica (5); 30 fols., memb., saec. XIII-XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 55-56 nr. 1-5. *14784: Fragmenta de variis scriptis super ordine iudiciario (10); 105 fols., memb., saec. XIII-XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 56-57 nr. 1-10. *14785 fol. 26r-29v: Fragmenta iuridica (3); (30 fols.), memb., saec. XIII/ XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, p. 58 nr. 8-10. *14808: Fragmenta de Corpore iuris civilis (34); 121 fols., memb., saec. XII-XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 67-69 nr. 1-34. *14838: Fragmenta de variis commentariis iuris civilis (28); 116 fols., memb./chart.; saec. XII-XVI. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 87-86 nn. 1-28. *14868: Fragmenta praesertim de Corpore iuris canonici; fol. 6r-v: tituli Constitutionum Apostolorum (saec. IX); fol. 7r-v: Compilatio Tertia cum glossis; 31 fols., memb.; saec. XII-XIV. – Cat. PIAZZONI – VIAN, pp. 101-102 nr. 1-19. *15204: Fragmenta iuridica offerta per Fredericum Patetta, fol. 1-2: Leo I., Epistola (JE 410), saec. X/XI; fol. 3-4: Cresconius; saec. X; (ed. ZECHIEL-ECKES [see Vat. lat. 6808], pp. 347-348); fol. 9: Lex Ribuaria, rubrica: xci. Ut iudices sive missi es freda non exigant prius quam faciponatur; 2 small strips, s. IX (ed. F. BEYERLE – R. BUCHNER, Lex Ribvaria, MGH Legum sectio I, tom. III pars II, Hannover 1954, p. 134: B-Text); fol. 10v-12r: handwritten transcription and identification by PATETTA; 12 fols., memb./chart.; saec. IX-XI; MB. Problems of selection As already mentioned, our selection basically follows the guidelines for the Catalogue as laid out by KUTTNER (Catalogue I. p. X). However, his general instructions were not conceived to provide a practical tool for selection. For certain areas he expressly required previous examination of every single manuscript.

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MARTIN BERTRAM – GERO DOLEZALEK

1) “Manuscripts containing papal letters or acts of major councils and synods were always to be described.” However, such an examination is simply impossible for the flood of late medieval papal documents which display a frightening variety of form, content and purpose. Therefore, with a few noteworthy exceptions (5404, 6531, 10152) we exclude the manuscript tradition of scattered bulls or letters or small sets of them, retaining only a few large and consistent collections of such materials which nevertheless need close examination (e. g. Vat. lat. 6420, 8444, 9500, 10883). “Acts of major councils and synods” are included only as far as transmitted in medieval manuscripts, e. g. Chalcedon (4166), Romanum 649 (4167), Nicaenum II (4168), Salzburg (4401), but not Constantinopolitanum IV (4169: saec. XVI; see nr. 8 below), Toletana XII-XVII (4170: saec. XVII), Southern France saec. XIII (7193: saec. XVII). 2) “Treatises on the relationship of secular and ecclesiastical governance, or of papal and conciliar power were always to be examined” whether “based on close legal or canonical argument.” This criterium actually depends on the requirement “close,” since virtually all writings of this genre draw on “legal or canonical argument.” On the other hand, the wholesale exclusion of all “purely ecclesiological treatises,” which reportedly was decided in 1981 (see Dolezalek, above at note 46), seems equally unsatisfying. Fortunately, for a large portion of these writings, concentrated in the section Vat. lat. 4106-4193, we can rely on the inventory of Thomas Izbicki. Adding the relatively few texts present among the Vaticani latini below and above this section may be welcome to interested scholars: see Vat. lat. *2934, *5612, 6586, *7246, *10497, *10499, 11496. 3) Pentitential literature containing “at least some elementary instruction on matters of canon law”; according to this criterium we keep Burchard’s Corrector und the 11th c. penitential in Vat. lat. 4772, the Summa M. in Vat. lat. 5077 and Alanus ab Insulis in Vat. lat. 5708, whereas we exclude genuine pastoral texts such as Odo de Ceritona (1042, saec. XIII/ XIV), Johannes Galensis, Breviloquium and Henricus de Odendorf super c. Omnis utriusque (*4302 fol. 1-138; interestingly the entire ms. has been written by the same scribe in 1388 [colophon fol. 61v] and 1419 [colophon fol. 158rb]), Anonymus, inc. Penitentiam agite, appropinquabit enim regnum celorum (Odo de Ceritona?; 4407 fol. 1-44, saec. XIV), Anonymus, inc. Queritur quid est penitentia (*4927 fol. 68r-82v, saec. XV), Anonymus, inc. Ad maiorem evidentiam eorum que dicenda sunt de confessione (*10807 fol. 7r-20r, saec. XIII). 4) Documents and law court proceedings were not considered in

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Kuttner’s outline, though obviously important evidence of canon and roman law in action and occurring more and more frequently in the later period. We include legatine acts (3935, 4013, 4401), the testimonies in the heresy process against the Visconti (3936, see the superficial web description of the complementary documentation in Vat. lat. 3937) and an important miscellany of documents concerning the Great Schisma (6772). We exclude: Nicolaus Minorita (4008-4010), Processus against the Templars in Pisa (4011), Libri condemnationum et absolutionum of the podestà of Perugia (10031-10033), the Appellatio maior of Michael de Cesena (10803), the so called Lataria (registers of fines inflicted by the secular court of Avignon: 14761-14780). 5) Local and regional law: included are two important law books for wider regions: the constitutions of Albornoz for the papal state (3939, 6742, 11498) and the Gran Coutumier de France (4790); excluded: statutes of Florence (2668 and 6338), Bologna (2669), Ferrara (12579: Collegium doctorum). 6) Excluded: Ordines de celebrando concilio; see H. SCHNEIDER, Die Konzilsordines des Früh- und Hochmittelalters, MGH Ordines de celebrando concilio, Hannover 1996, listing (p. 615-616) 32 Vaticani latini. Acta of canonization procedures; see Th. WETZSTEIN, Heilige vor Gericht. Das Kanonisationsverfahren im europäischen Spätmittelalter, Köln – Weimar – Wien 2004, listing (pp. 563-564) Vaticani latini for Thomas Cantilupe (4015), Leopold of Austria (4023, 4024), Charles of Blois (4025), Nicolaus of Tolentino (4028), Francesca Romana (6555), Giovanni da Capistrano (11761). 7) “Endeavors of early modern scholarship on ancient and medieval sources” are generally excluded: materials of the Correctores Romani for the edition of the General Councils (Vat. lat. 5627, 6168, 6201, 6418, 9227; see S. KUTTNER, L’édition romaine des conciles généraux et les actes du premier Concile de Lyon, Roma 1940, pp. 13-15, 22-27); Francisco Penya preparing his edition of the Directorium Inquisitionis of Nicolas Eimeric (Vat. lat. 7002, 7007, 7009); Antonio Carafa, Epistolae decretales, printed edition with handwritten additions and corrections by Pierre Coustant (98529852A); Coustant, draft and notes for his Epistolae Romanorum pontificum (9852B-9857); Jacques Sirmond, Concilia antiquae Galliae (9860, ptt. A-D); Benedictins of St. Maur, Concilia Galliae (9861-9875), all of them thoroughly analyzed in Cat. RUYSSCHAERT, pp. 1-92; Domenico Giorgi and Giuseppe Garampi for the Registers of Innocent III (12956, 12957). – But we retained the draft for a new official collection of Decretals by Antonio Carafa (5920: hitherto unnoticed), the materials of Antonio Agustín (6531)

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containing among others a letter of Innocent II not registered by JAFFÉ nor KEHR, and the Lombarda materials of Agostino Faustini (12926) mentioned as untraceable by BLUHME. 8) Early modern copies of pre-1400 texts are excluded, if the model has been identified: Humbert of Silva Candida (3843, from ed. CANISIUS, 1604); Conc. Constantinopolitanum IV (4169, from 4965; see C. LEONARDI, in: Studi Medievali 8.1, 1967, pp. 125, 145); Atto of Vercelli (4323, from 4322, see POKORNY l.c.); Gregorius VII, Register, Excerpt B (4579, from ASV, Reg. Vat. 3; see W. PEITZ, Das Originalregister Gregors VII., Wien 1911, pp. 114-115); Glossarium legis Langobardorum (5000 and 7137, from 5001); Concilia Ravennatensia a. 998 and 1014 (5834, from Vallicelliana MS A.5; see E. D. HEHL, Die Konzilien Deutschlands und Reichsitaliens 916-1001, MGH Concilia VI.1, Hannover 1987, p. 544) Deusdedit (6223, from 8486; see P. FABRE, Étude sur le Liber censuum de l’Église Romaine, Paris 1892, p. 171); Cresconius, excerpts (6263, probably from 1347); Raimundus Lullus, Ars iuris (6295, from ed. Rome 1516); Coll. Thessalonicensis (6339 and 6465?, from 5751; see C. SILVA-TAROUCA, Collectio Thessalonicensis ad fidem Cod. Vat. lat. 5751, Roma 1937, p. VIII); Gregorius VII, Regula canonicorum (7146, from 629; see Catalogue I, p. 19, erroneously referring to 7646); Coll. Beneventana (8950, from 4934); Laborans, Compilatio Decretorum, excerpts (9026, from Archivio S. Pietro C.110); Ivonian preface (9571 fol. 77, Angelo Mai from Reg. lat. 973); Paulus de Liazariis, Commentarius super Clementinis (11780, ex variis codicibus qui notantur); Collectio Decretalium, Index and selected texts (12924, from 12571). Last not least the reader must keep in mind our radical chronological limitation to materials originating from before ca. 1400. This admittedly awkward decision has been imposed by the frightening suspicion that all the problems mentioned above are immensely increasing when we are dealing with materials from the 15th century. Manuscripts mentioned in sections 1-8 (1-8 in) = included, see main section for details; (1-8 ex) = excluded, no details; (8 mod) = models for excluded manuscripts. Vaticani latini: 629 (8 mod), 1042 (3 ex), 1347 (8 mod), 2668 (5 ex), 2669 (5 ex), 2934 (2 in), 3843 (8 ex), 3935 (4 in), 3936 (4 in), 3937 (4: on web), 3939 (5 in), 4008-4010 (4 ex), 4011 (4 ex), 4013 (4 in), 4015 (6 ex), 40234025 (6 ex), 4028 (6 ex), 4166 (1 in), 4167 (1 in), 4168 (1 in), 4169 (1 and 8 ex), 4170 (1 ex), 4302 (3 ex), 4322 (8 mod), 4323 (8 ex), 4401 (1 and 4 in),

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4407 (3 ex), 4579 (8 ex), 4772 (3 in), 4790 (5 in), 4927 (3 ex), 4934 (8 mod), 4965 (8 mod), 5000 (8 ex), 5001 (8 mod), 5077 (3 in), 5404 (1 in), 5612 (2 in), 5627 (7 ex), 5751 (8 mod), 5834 (8 ex), 5920 (7 in), 6168 (7 ex), 6201 (6 ex), 6223 (8 ex), 6263 (8 ex), 6295 (8 ex), 6338 (5 ex), 6339 (8 ex), 6418 (7 ex), 6420 (1 in), 6465 (8 ex), 6531 (1 and 7 in), 6555 (6 ex), 6586 (2 in), 6742 (5 in), 6772 (4 in), 7002 (7 ex), 7007 (7ex), 7009 (7 ex), 7137 (8ex), 7146 (8 ex), 7193 (1 ex), 7246 (2 in), 8444 (1 in), 8486 (8 mod), 8950 (8 ex), 9026 (8 ex), 9227 (7 ex), 9500 (1 in), 9571 (8 ex), 9852-9857 (7 ex), 9860, ptt. A-D (7 ex), 9861-9875 (7 ex), 10031-10033 (4 ex), 10152 (1 in), 10497 (2 in), 10499 (2 in), 10803 (4 ex), 10807 (3 ex), 10883 (1 in), 11496 (2 in), 11498 (5 in), 11761 (6 ex), 11780 (8 ex), 12571 (8 mod), 12579 (5 ex), 12924 (8 ex), 12926 (8 ex), 12956, 12957 (7 ex), 14761-14780 (4 ex). – Archivio S. Pietro C.110 (8 mod), Reginensis lat. 973 (8 mod), ASV Reg. Vat. 3 (8 mod), Bibl. Vallicelliana A.5 (8 mod).

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QUANTITIES AND DISTRIBUTION OF JURIDICAL MANUSCRIPTS IN THE VATICAN LIBRARY VATICANI LATINI Catalogue vol.

range of shelfmarks

number of MSS

I II III A2 III B3 TOTAL VATICANI LATINI

541-2299 2300-2746 (*2935) 3137-11527 3137-15204 834 + *175

236 260 + *931 283 55 + *82

FONDI MINORI4 Archivio S. Pietro Barberini Borghese Borgiano Capponi Chigi Ottoboni Palatini Patetta Reginenses5 Rossiani6 S. Maria Maggiore Urbinati

42 92 102 6 3 67 158 209 17 116 143 4 35

TOTAL FONDI MINORI 994 + *?7 1

This figure includes the 7 asterisk-manuscripts added in our checklist. Descriptions published on the web site: http://www.uni-leipzig.de/~jurarom/manuscr/ VaticanCatalogue/indexvatican.html. 3 Additional manuscripts listed in the present report. Note that this list covers only texts from before ca. 1400; therefore the total of manuscripts to be considered in volume III will be significantly higher. 4 According to the list of shelfmarks compiled in Berkeley before 1991 (see above, p. 174); the note “Ist tier” means that asterisk-manuscripts are not comprised in this list. Among others there are many juridical fragments in the Vaticani graeci manuscripts, carefully described in the printed catalogues of that series. 5 At the end of the Reginenses shelfmarks a tiny insert: “+ 19,” meaning “to be added”? 6 Many Rossiani shelfmarks with a stroke of unclear meaning: “done” or “to be eliminated”? 7 See note 4. 2

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JURIDICAL AUTHORS AND TEXTS MENTIONED IN THE CHECKLIST Accursius, Apparatus ad Codicem: 11598, fragm.: 5633 Aegidius Albornoz, Constitutiones Marchiae Anconitanae: 3939, 6742, 11498 Aegidius Bellamera, Tract. Indulgentiarum: *3527, *6211; Consilia: *4152 Aegidius Carlerii: 6586 Aegidius Romanus, De potestate ecclesiastica: *5612 Alanus ab Insulis, Liber poenitentialis: *5708 Alexander IV, Litterae: *6531 Ansegisus, Collectio capitularium regum Francorum: 4159 Anselmus Lucensis, Collectio canonum: *4260 Antonio Carafa, Nova collectio canonum et decretorum: 5920 Antonius Augustinus, Epistolae de emendatione Gratiani: *6531; Liber de legibus, excerptum: *3531 Antonius de Butrio, Lectura decretalium I: 9330; Repertorium in iure civili: 11606; → Lapus de Castiglione Arnaldus ep. Bonon., Acta iudiciaria: *5404 Arno, archiep. Salisburgen., Capitulare: *7701 Atto Vercellensis, Collectio canonum: *4322 Azzo, Apparatus ad Codicem: 11598 Baldus: 5608, 14164 Bartholomaeus Brixiensis, Quaestiones dominicales, fragm.: *4944 Bartholomaeus de Saliceto: 5608, 14164, Bartholomaeus de Sancto Concordio, Summa de casibus conscientiae: 11529 Bartolus: 5608, 14164, Liber minoricarum: *4847 Benedictus XI, Inter cunctas: *4265 Bernardus Compostellanus Iunior, Lectura decretalium, fragm.: *4959 Bernardus Guidonis, Tract. De temporibus conciliorum: *2043 Bernardus Papiensis, Summa titulorum: *14782 Bernardus Parmensis, Summa decretalium: *4245; Glossa ordinaria Decretalium: 14727

Bertrandus de Arvassano, Ordinatio decisionum antiquarum: 12897 Bonaguida de Aretio, Tract. de dispensationibus: *10068 Bonifacius VIII, Unam sanctam: *7125; 11496 Breves notae de conciliis Lugd. I, II: *4734 Bulgarus, Tract. de iudiciis, Commentum in regulas iuris: *8100 Burchardus Wormatiensis, Decretum: 14731; Decreti liber XIX: *4772 Casus ad Compilationes antiquas I-III: *14782 Codex Iustiniani: 11598, 11599; fragm.: *1496 Collectio V librorum, Sermo based on: *7818 Collectio canonum Beneventana: *4939 Collectio canonum Farfensis: *8487 I Collectio canonum consuetudinibus Farfensibus adnecta: *6808 Collectio canonum Hibernensis: *4162 Collectio canonum in LXXIV titulos digesta: 4160 Collectio canonum incerta: *7828 Collectio litterarum variorum pontificum: 6420 Collectiones constitutionum et decretalium extravagantium: 12570, 12571, 12572 Collection of quaestiones, declarationes, allegationes etc.: 14094 Commenta, repetitiones, reportationes, quaestiones variorum iurisconsultorum: 14164 Compilatio Tertia, fragmenta: *14868 Concilia – Chalcedonense: 4166 – Romanum a. 595: *5752, a. 649: *4167, a. 745: *4898 – Nicaenum II: 4168 – Melfitanum a. 1089: *6194 – Lugdunensia, I, II → Breves notae – Pisanum, materials: *4152 – Constantiense.: 6165 – Basel/Florence: *4260 – Florentinum, Decretum unionis: *2934 – Salisburgensia a. 1274, 1281: 4401 Consilia: 14094, 14164

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Constitutiones apostolorum, tituli: *14868 Constitutiones Clementinae: 13264, 13266, 13267 Constitutiones paparum avenionensium: 6772 Constitutum Constantini: *4162 Corpus iuris canonici, fragmenta: *14868 Corpus iuris civilis, fragmenta: *14808 Cresconius, fragm.: *15204 Decisiones Rotae Romanae Antiquae et Novae: 12897 Decretum Gelasianum: *6018 Decretum Gratiani, fragm.: *13393 Deusdedit, Collectio canonum, excerpta: *8486 Digestum, fragmenta, Vetus: *11190; Infortiatum: *2897; Novum: *3840 Dinus de Mugello super regulis iuris Sexti: 14727 Divisio ducatus Beneventani: *5001 Durandus de Sancto Porciano: 6586, *7246, 11496 Epistola ad Leudefredum: *4317 Epistolae de quaestionibus inter canonicos Colonienses et S. Laurentii Leodiensis: *3998 Excerpta canonum, canonica: *3998, 4160 Facultates legatorum: 6772 Formae litterarum poenitentiariae apostolicae?, fragm.: 12904 Formularium advocatorum: *4152 Fortini, Agostino, Lombarda materials: 12926 Fragmenta iuridica collecta: *14733, *14739, *14760, *14782, *14783, *14784, *14785, *14808, *14838, *14868, *15204 Fragmentum Nonantulanum: *10802 Fredericus archiep. Salisburg., Concilia provincialia: 4401 Generalia (Brocarda) super aliquibus capitulis Decreti: *10754 Gentilis de Montefiore, Acta legationis in regno Hungariae: 3935, 4013 Glossa ad bullam Unam sanctam: *5612, *7125 Glossarium legis Langobardorum: *5001 Grand coutumier de France: 4790 Gregorius I: *8100; Registrum epistolarum: 4908; Epistolae: *6531 Gregorius IX, Litterae: *6531, *10152

Guido card. S. Laurentii in Lucina legatus, Statuta: 4401 Guido de Baisio: 14164; Apparatus super Sexto: 13963 Guido de Monte Roterio, Manipulus curatorum: *4325, 4410, 9331 Guido Terreni, Confutatio errorum: *10497 Guilelmus Bucius, Tract. de stilo parlamenti: 4790 Guilelmus de Cremona: 6586 Guilelmus Horborch, Conclusiones decisionum Rotae: 12897 Guilelmus Redonensis, Glossa super Summa Raymundi: *4245 Henricus Casalorcii (de Cremona), Memorandum de potestate papae: *10499 Henricus de Merseburg, Supplementum summae: *10068 Hervaeus Natalis: 6586; Tract. de potestate papae, de iurisdictione ecclesiastica, de exemptione: *10497 Honorius III, Litterae: *6531 Hostiensis, Summa, excerpta: *14734 Innocentius II, Littera: *6531 Iacobus de Arena, Tract. de praeceptis iudicum: *8468 Iacobus Butrigarii: 14164 Iacobus de Roda, Glossa super const. Super cathedra: *4265 Iacobus de Senis, Consilium pro Urbano VI: *4924 Iacobus de Theramo, Belial: *10499 Iohannes XXII, Licet iuxta doctrinam apostoli: *4260; Epistolae selectae: *5404; Regulae cancellariae: 6165 Iohannes ep.Tusculanus legatus, Constitutiones: 4401 Iohannes Andreae, Additiones Speculi: 9432; Apparatus super Sexto: 13265, 13268; Apparatus super Clementinis: 13264, 13266, 13267 Iohannes Calderini: 11615, 12944, 14094 Iohannes Faventinus, Summa decretorum, fragm.: *4954 Iohannes Gundisalvi, Tabula Decreti: *13091 Iohannes Hispanus Compostellanus (de Petesella), Summa titulorum, fragm.: *14782 Iohannes de Legnano: 5608, 14094; Somnium: 11496; Quaestio de pecunia civitatis

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Ianuae: *13091; Reportationes super libris Decretalium: *14606 Iohannes Monachus, Glossa super Unam sanctam: 11496 Iohannes de Neapoli, Quaestio de potestate papae: *10497 Ius civile, commentaria, fragmenta: *14838 Lancellotti, Annotationes: 5920 Lapus de Castiglione, Allegationes iuris abbreviatae per Antonium de Butrio: *4129 Laurentius de Pinu: 14094 Leo I, Epistola: *15204 Lex ribuaria, fragm.: *15402 Lex salica, capitula: 5001 Liber Extra: 14727 Liber Sextus: 12900, 13265, 13268 Litterae cardinalium et Florentinorum pro Urbano VI: *4924 Lombarda materials → Fortini Ludovicus Pontanus: *10499 Lupoldus de Bebenburg, Libellus de zelo christianae religionis, Tract. De iuribus regni et imperii Romanorum: *2934 Manuale inquisitoris: *4265 Martinus Silimanni: 14164 Mathaeus de Mathesilanis: 14164 Metra rubricarum decretalium: *11548 Monaldus, Summa abbreviata: *9328 Notabilia sive flos legum: *8078 Odardus Melly, Collectio bullarum: 9500 Opusculum solutionum contrariorum: *10068 Ordinationes super artistis civitatis Paris.: 4790 Ordo iudiciarius, scripta varia, fragm.: *14784 Pactum Sicardi: *5001 Paulus de Liazariis, Lectura super Clementinis: 11613 Petrus Bertrandi: 6586, 11496 Petrus Boherius: 14164

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Petrus Iohannis Olivi, Quaestio de renuntiatione papae: *4986 Petrus de Monte, Prooemium Repertorii: *373 Petrus de Palude: 6586 Political theory: 4039, *4129, *4152, *4898 Pontifices Romani: Bullae, litterae, brevia: 6420, 8444, 9500, 10883; Canones: *4260; → Alexander IV, Benedictus XI, Bonifacius VIII, Gregorius I, Gregorius IX, Honorius III, Innocentius II, Iohannes XXII, Leo I Pseudoisidor: *4260 Quaestiones circa summam Raimundi: *11565 Reges et imperatores, Privilegia et diplomata: 8444 Regula canonicorum: *14732 Regulae cancellariae: 6165 Raimundus Lullus, Ars brevis: 12806 Raimundus de Peñafort, Summae de poenitentia et de matrimonio abbreviatae: *5077 Rolandinus Passagerii, Summa artis notariae, fragm.: *2392, *4094; Aurora cum continuatione anonyma: 14202; Flos testamentorum: 14202 Rubricae totius iuris civilis: *11548 Rufinus, Summa decretorum: *2585 Stephanus Tornacensis, Summa, praefatio: *2585 Sententiae magistri A.: 4361, *4931 Summula de positionibus: *10068 Tancredus, Summa de matrimonio: *4509; litterae ad inquisitores Tholosanos: *10152 Tholomaeus de Lucca, Determinatio compendiosa: *10499 Thomas de Virago, Tract. de potestate papae: *10497 Tractatus de baptismo, de nuptiis: *4931 Tractatus de materia officiorum, de iudicis officio etc.: *11548 Tractatus formarum occurrentium in testamentis: 14202

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MARTIN BERTRAM – GERO DOLEZALEK

EXCLUDED MANUSCRIPTS MENTIONED IN “PROBLEMS OF SELECTION” (numbers added in brackets refer to sections 1-8) Acta of canonization procedures: 4015 (6), 4023-4025 (6), 4028 (6), 6555 (6), 11761 (6) Atto of Vercelli: 4323 (8) Benedictines of St. Maur, Concilia Galliae: 9861-9875 (7) Carafa, Antonio, Epistolae decretales: 98529852A (7) Collectio Beneventana: 8950 (8) Collectio Decretalium: 12924 (8) Collectio Thessalonicensis: 6339, 6465 (8) Concilia Ravennatensia a. 998 and 1014: 5834 (8) Concilia Toletana XII-XVII: 4170 (1) Concilium Constantinopolitanum IV: 4169 (1, 8) Councils of Southern France s. XIII: 7193 (1) Coustant, Epistolae Romanorum pontificum: 9852B-9857 (7) Cresconius, excerpts: 6263 (8) Deusdedit: 6223 (8) Garampi and Giorgi, for the Registers of Innocent III: 12956, 12957 (7) General Councils: 5627, 6168, 6201, 6418, 9227 (7) Glossarium legis Langobardorum: *5000 (8) Gregorius VII, Register, excerpt: 4579 (8); Regula canonicorum: 7146 (8) Henricus de Odendorf super c. Omnis utriusque: *4302 (3)

Humbert of Silva Candida: 3843 (8) Iohannes Galensis, Breviloquium: *4302 (3) Laborans, Compilatio Decretorum: 9026 (8) Lataria (registers of fines), Avignon: 1476114780 (4) Libri condemnationum, Perugia: 100311033 (4) Ivo of Chartres, Praefatio: 9571 (8) Michael de Cesena, Appellatio maior: 10803 (4) Nicolaus Minorita: 4008-4010 (4) Odo de Ceritona: 1042, 4407? (3) Ordines de celebrando concilio: all mss. (6) Paulus de Liazariis, Lectura super Clementinis: 11780 (8) Penya, Francisco, Edition of Directorium inquisitionis: 7002, 7007, 7009 (7) Processus against the Templars in Pisa: 4011 (4) Raimundus Lullus, Ars iuris: 6295 (8) Sirmond, Jacques: Concilia antiquae Galliae: 9860A-D (7) Statutes of Florence: 2668, 6338 (5) Statutes of Bologna: 2669 (5) Statutes of Collegium doctorum, Ferrara: 12579 (5) Tractatus de poenitentia: 4407, *4927, *10807 (3)

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DANIELE BIANCONI

IN MARGINE AL VAT. GR. 1. UNA NOTA PLANUDEA* Si sarebbe detto che del celeberrimo Platone Vat. gr. 1 non restasse più molto da dire. L’attenzione sul codice, infatti, non ha praticamente conosciuto battute d’arresto per lo meno da quando, nel 1811, ancora a Parigi, esso venne esaminato da Immanuel Bekker, nella cui edizione è indicato con il siglum Ω1. Da un nuovo esame del manoscritto è però emerso un dettaglio finora rimasto ignoto, il quale, per contro, si rivela della massima importanza sia per delineare, attraverso la ricostruzione di un episodio di lettura di cui il codice fu oggetto, un momento significativo nella sua storia più antica, sia anche per confermare, su base materiale e quindi più certa, le relazioni stemmatiche che per il prezioso testimone sono state da altri ricostruite o anche solo ipotizzate per via filologica. Il Vat. gr. 1, mutilo all’inizio di ben 23 fascicoli e attualmente di 191 fogli in pergamena ben lavorata delle dimensioni di mm 360 × 253, rappresenta ciò che resta del secondo tomo di un’edizione di tutto Platone2. Insieme al * Il presente lavoro è stato condotto nell’ambito del Progetto FIRB – Futuro in Ricerca 2008 Codices Graeci Antiquiores. A Palaeographical Guide to Greek Manuscripts to the Year 900. 1 PLATONIS Scripta Graece Omnia, ed. I. BEKKER, I-IX, Berolini 1816-1818. Il manoscritto — poi indicato dai filologi come O — rientrò in Vaticana solo nel gennaio 1816 e ricevette poco dopo l’attuale segnatura dal cardinale Angelo Mai, rimanendo però di fatto nascosto finché non venne ‘riscoperto’ da H. RABE, Die Platon-Handschrift Ω, in Rheinisches Museum für Philologie n.F. 63 (1908), pp. 235-238: si veda ora S. LILLA, I manoscritti vaticani greci. Lineamenti di una storia del fondo, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 415), pp. 90-93, e ID., Vaticani greci, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, I-II, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466-467), I, pp. 584615, in particolare p. 604; sul recupero del manoscritto a Parigi, si veda anche P. VIAN, «Per le cose della patria nostra». Lettere inedite di Luigi Angeloni e Marino Marini sul recupero dei manoscritti Vaticani a Parigi, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae XVIII, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 469), pp. 693-799, in particolare p. 745 e nt. 221. Della sconfinata bibliografia esistente sul manoscritto e ora parzialmente consultabile sul sito internet della Biblioteca Apostolica Vaticana, si citeranno solo alcune voci funzionali al discorso che si sta conducendo. 2 La lacuna iniziale permette di ipotizzare che il Vat. gr. 1 cominciasse con la VII tetralogia. Si vedano J. IRIGOIN, Deux traditions dissymétriques: Platon et Aristote, in Annuaire du Collège de France 86 (1985-1986), pp. 683-698, in particolare pp. 688-690, rist. in ID., Tradition et critique des textes grecs, Paris 1997, pp. 149-169, in particolare pp. 157-159, e, per gli aspetti materiali e scrittori del codice, B. L. FONKIÇ, Scriptoria bizantini. Risultati e prospettive Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 199-209.

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Paris. gr. 1807 — il codice A della cosiddetta ‘collezione filosofica’ di cui O è copia a partire da Leges V 746b83 —, il Vat. gr. 1 è testimone primario per la IX tetralogia e gli spuri. Reca, infatti, il testo di Leges, Epinomis, Epistulae, Definitiones e Spuria vergati su 40 (talora 39) linee di scrittura di un’unica mano sciolta ma non priva di eleganza, da riferire all’ultimo quarto del IX secolo e nella quale si è voluta riconoscere una di quelle impegnate nella trascrizione di un altro prezioso libro profano del tempo, il Demostene Paris. gr. 29354. Tra le numerose mani di lettori ed eruditi intervenuti sul manoscritto fin da epoca antica, ha riscosso particolare interesse quella — indicata dagli editori come O4 — che, verso la metà dell’XI secolo o giù di lì, vi ha della ricerca, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici n.s. 17-19 (1980-1982), pp. 73-118, in particolare pp. 105-106, e L. PERRIA, Arethaea II. Impaginazione e scrittura nei codici di Areta, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici n.s. 27 (1990), pp. 55-87, in particolare pp. 72-75. 3 Così, tra gli altri, A. JORDAN, Zu den Handschriften des Plato, in Hermes 12 (1877) e 13 (1878), rispettivamente pp. 161-172 e 467-481, in particolare pp. 161-169, L. A. POST, The Vatican Plato and Its Relations, Middletown 1934 (Philological Monographs published by the American Philological Association, 4), passim, A. CARLINI, Studi sulla tradizione antica e medievale del Fedone, Roma 1972 (Bibliotheca Athena, 10), p. 79. Sul Paris. gr. 1807 e sulla cosiddetta ‘collezione filosofica’, basti ora il rimando a F. RONCONI, La collection brisée. La face cachée de la «collection philosophique»: les milieux socioculturels, in La face cachée de la littérature byzantine. Le texte en tant que message immédiat. Actes du colloque international. Paris, 5-6-7 juin 2008, sous la direction de P. ODORICO, Paris 2012 (Dossiers Byzantins, 11), pp. 137-166, e ID., La collection philosophique: un fantôme historique, in Scriptorium 67 (2013), pp. 119-140, con la bibliografia precedente. 4 Secondo l’opinione di N. G. WILSON, Some Palaeographical Notes, in Classical Quarterly N.S. 10 (1960), pp. 199-204, in particolare pp. 200-202, il copista del Platone Vaticano avrebbe copiato i ff. 27r-301v del Demostene Parigino e sarebbe da accostare alla produzione dei copisti di Areta; sull’ipotesi si è dimostrata scettica, da ultima, PERRIA, Arethaea II (cit. nt. 2), pp. 72-75. Rispetto alla tradizionale datazione tra la fine del IX e l’inizio del X — normalmente recepita dalla critica seppure variamente declinata tra la fine del IX secolo, l’inizio del X, e la fine del IX e l’inizio del successivo: cfr., ad esempio, le assai autorevoli opinioni di E. FOLLIERI, La minuscola libraria dei secoli IX e X, in La paléographie grecque et byzantine. Paris, 21-25 octobre 1974, Paris 1977 (Colloques Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique, 559), pp. 139-165, in particolare p. 140 nt. 3, rist. in EAD., Byzantina et Italograeca. Studi di filologia e paleografia, a cura di A. ACCONCIA LONGO, L. PERRIA, A. LUZZI, Roma 1997 (Storia e Letteratura, 195), nr. IX, pp. 205-248, in particolare p. 206 nt. 3 (da p. 205), FONKIÇ, Scriptoria bizantini (cit. nt. 2), pp. 105-106, e S. LUCÀ, Osservazioni codicologiche e paleografiche sul Vaticano Ottoboniano gr. 86, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata n.s. 37 (1983), pp. 105-146, in particolare pp. 108, 121, 129, 133-134, ID., Frammenti di codici greci in Umbria, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria 100/2 (2003), pp. 307-334, in particolare p. 329 —, la stessa L. PERRIA, A proposito del codice S di Demostene, in Rivista di Cultura Classica e Medievale 36 (1994) (= Scritti in memoria di Carlo Gallavotti), pp. 235-256, in particolare p. 237 ha proposto una datazione più bassa, entro il primo trentennio del X secolo, mentre una datazione leggermente più alta, proprio all’epoca, cioè, del Paris. gr. 1807, è stata infine avanzata da RONCONI, La collection brisée (cit. nt. 3), p. 151.

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apposto quasi quattrocento note di collazione, facendole precedere dalle formule, variamente abbreviate, ἀλλαχοῦ e ἀπ’ ὀρθώσεως, e dall’espressione, x ben più ambigua e problematica, τ(οῦ) π̅ρ̅ι̅ τὸ βι(βλίον)5. In quest’ultima — x è risaputo — a seconda di come si è sciolto il compendio π̅ρ̅ι̅ , si è di volta in volta riconosciuto come fonte delle aliae lectiones riportate a margine da O4 un ipotetico ‘libro del patriarca’ (πατριάρχου) o ‘del patriarcato’ (πατριαρχείου)6 o ancora, secondo una più recente ricostruzione, ‘del patrikios’ (πατρικίου)7. Di qui sono scaturiti scenari assai diversi: da un lato, infatti, si è guardato a Fozio, il patriarca per antonomasia: poiché, infatti, le varianti in questione corrispondono quasi sempre al testo del Paris. gr. 1807 anche quando questo è erroneo — tanto che il ‘libro del patriarca’ sembrerebbe poter essere il Parigino stesso o la sua fonte —, si è addirittura inferito un legame tra Fozio e la ‘collezione filosofica’8; dall’altro si è pensato che l’esemplare di collazione adoperato da O4 si conservasse in quel tempo alla biblioteca patriarcale9. Quanto all’ultima ipotesi, avanzata 5 Edizione in Scholia Platonica, ed. G. Ch. GREENE, Haverfordiae 1938 (Philological Monographs published by the American Philological Association, 8). Questi marginalia, che non vanno oltre Definitiones, sono tenuti in grande considerazione dagli editori: cfr., ad esempio, PLATON, Les Lois, I-II, éd. par É. DES PLACES, Paris 1951 e PLATO, Epistulae, ed. J. MOORE BLUNT, Leipzig 1985. Per gli scolii alle tetralogie I-VII, l’edizione di riferimento è, ora, Scholia Graeca in Platonem, I. Scholia ad dialogos tetralogiarum I-VII, ed. D. CUFALO, Roma 2007 (Pleiadi, 5/1). 6 Cfr., tra gli altri, O. IMMISCH, Philologische Studien zu Plato, II. De recensionis platonicae praesidiis atque rationibus, Lipsiae 1903, pp. 50-51; H. ERBSE, Überlieferungsgeschichte der griechischen klassischen und hellenistischen Literatur, in Geschichte der Textüberlieferung der antiken und mittelalterlichen Literatur, I. Antikes und mittelalterliches Buch- und Schriftwesen. Überlieferungsgeschichte der antiken Literatur, Zürich 1961, pp. 207-283, in particolare pp. 258-260; J. IRIGOIN, Survie et renouveau de la littérature antique à Constantinople, in Cahiers de Civilisation Médiévale 5 (1962), pp. 287-302, in particolare pp. 299-300, rist. in Griechische Kodikologie und Textüberlieferung, hrsg. von D. HARLFINGER, Darmstadt 1980, pp. 173-203, in particolare pp. 191-192, e in J. IRIGOIN, La tradition des textes grecs. Pour une critique historique, Paris 2003, nr. 10, pp. 197-232, in particolare p. 218; CARLINI, Studi sulla tradizione (cit. nt. 3), p. 90; IRIGOIN, Deux tradition dissymétriques (cit. nt. 2), p. 690, rist. in ID., Tradition et critique (cit. nt. 2), p. 159. 7 LUZZATTO, Emendare Platone nell’antichità. Il caso del Vaticanus gr. 1, in Quaderni di Storia 68 (2008), pp. 29-85, in particolare pp. 52-62. 8 Mi limito a rimandare, ora, anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, a RONCONI, La collection brisée (cit. nt. 3), pp. 139 e nt. 14 e 152-155, il quale tuttavia tende a ipotizzare un legame di Fozio solo con il cosiddetto ‘gruppo C’ della ‘collezione’. 9 Cfr., ad esempio, P. LEMERLE, Le premier humanisme byzantin. Notes et remarques sur enseignement et culture à Byzance des origines au Xe siècle, Paris 1971 (Bibliothèque Byzantine. Études, 6), p. 191 nt. 49, e N. G. WILSON, The Libraries of the Byzantine World, in Greek, Roman and Byzantine Studies 8 (1967), pp. 53-80, in particolare p. 59, rist. con qualche aggiunta in Griechische Kodikologie und Textüberlieferung (cit. nt. 6), pp. 276-309, in particolare p. 282, e tradotto in italiano con il titolo Le biblioteche nel mondo bizantino, in Le biblioteche

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pochi anni orsono da Maria Jagoda Luzzatto, la studiosa ha ritenuto che, contro una vulgata di quasi due secoli, il Vat. gr. 1 conservi in realtà la traccia, graficamente corrotta e deformata, di un’imponente attività diortotica condotta sul testo del filosofo in età antica e tardoantica: chiunque si nasconda dietro la dignità di patrikios — un personaggio anonimo o il famoso Menas patrikios autore del dialogo Περὶ πολιτικῆς ἐπιστήμης e profondo conoscitore di Platone — lo scioglimento πατρικίου sarebbe, secondo κ la Luzzato, certo10. La medesima abbreviazione π̅ρ̅ι̅ ma con il kappa in esponente (donde la lettura πατρικίου proposta dalla studiosa), si ritrova, non a caso, nel Laur. plut. 59.1, un altro celeberrimo esemplare platonico che per la IX tetralogia risale recta via al Vat. gr. 1 (del quale, dunque, è copia diretta)11. Il codice Laurenziano è però più tardo: esso venne copiato all’incirca verso la seconda decade del XIV secolo da due anonimi copisti legati, come è stato altrimenti dimostrato, alla figura e all’insegnamento di Massimo Planude12. Tutto ciò è ben noto. Nel solco dello stretto legame già riconosciuto tra il Vat. gr. 1, la sua copia d’età paleologa e chi ne deve essere considerato il vero nume ispiratore — quel Massimo Planude, cioè, già morto da qualche anno allorché due suoi allievi approntavano il monumentale Laur. plut. nel mondo antico e medievale, a cura di G. CAVALLO, Roma – Bari 1988, pp. 79-111, in particolare p. 87. 10 LUZZATTO, Emendare Platone nell’antichità (cit. nt. 7). 11 Sulla posizione stemmatica del Laur. plut. 59.1 si vedano POST, The Vatican Plato (cit. nt. 3), in particolare pp. 36-37 e ora, soprattutto, M. MENCHELLI, Appunti su manoscritti di Platone, Aristide e Dione di Prusa della prima età dei Paleologi. Tra Teodoro Metochite e Niceforo Gregora, in Studi Classici e Orientali 47 (2000), pp. 141-208, in particolare pp. 180-198, con ulteriore altra bibliografia. 12 Grosso modo, uno scriba A è responsabile della trascrizione del testo platonico e uno scriba B del materiale esegetico introduttivo, di quello intermedio e della porzione più consistente degli scolii. Sul milieu di produzione del Laur. plut. 59.1 si vedano MENCHELLI, Appunti su manoscritti di Platone (cit. nt. 11), pp. 180-198, che per prima ha avuto il merito di retrodatare il manoscritto, e D. BIANCONI, La biblioteca di Cora tra Massimo Planude e Niceforo Gregora. Una questioni di mani, in Segno e Testo 3 (2005), pp. 391-438, in particolare pp. 396-400 per la proposta di identificarne lo scriba B con Massimo Planude: l’ipotesi — accolta da LUZZATTO, Emendare Platone nell’antichità (cit. nt. 7), pp. 37-39 e nt. 24 — è stata a ragione confutata da I. PÉREZ MARTÍN, Estetica e ideologia nei manoscritti bizantini di Platone, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici n.s. 42 (2005) (= Ricordo di Lidia Perria, I), pp. 113-135, in particolare pp. 119-123, e, quindi, meglio dettagliata dallo stesso D. BIANCONI, Sui copisti del Platone Laur. Plut. 59.1. Tra paleografia e prosopografia, in Oltre la scrittura. Variazioni sul tema per Guglielmo Cavallo, a cura di D. BIANCONI – L. DEL CORSO, Paris 2008 (Dossiers Byzantins, 8), pp. 253-288, che ha attribuito a questo personaggio, ribattezzato ‘anonimo a’ (dal siglum che il codice Laurenziano ha nella tradizione platonica), alcuni altri manoscritti e ne ha proposto dubitativamente l’identificazione con un certo Giovanni Argiropulo; nuove attribuzioni alla sua mano saranno oggetto di un prossimo saggio.

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59.1 — vorrei qui proporre un nuovo, piccolo contributo alla storia del Vat. gr. 1 e del suo apografo trecentesco. Per far ciò non ci sposteremo dai margini del Vat. gr. 1, ma concentreremo la nostra attenzione su un’altra mano, la quale ha finora goduto di cure assai minori da parte degli studiosi. Mi riferisco a un’anonima m(anus) rec(entior), non altrimenti datata, intervenuta nel solo margine superiore del f. 2r per riportavi uno scolio a Leges I 627b1-2 τὸ μὲν τοίνυν εἴ ποτέ ἐστίν που τὸ χεῖρον κρεῖττον τοῦ ἀμείνονος, che qui offro in ‘trascrizione diplomatica’ (tavv. I-IIa): † ἐπειδὴ κρεῖττον οὐ μόν(ον) λέγεται τὸ βέλτιον. ἀλλὰ κ(αὶ) τὸ ἐπικρατέστερ(ον)· ἐπειδὰν τὸ χεῖρον νικᾶ, κ(αὶ) κρεῖττον ἐστὶν· ὃ κ(αὶ) αἰνίγμ(α)τι ἔοικ(εν)· εἶναι τὸ χεῖρ(ον) κρεῖττον· | ἀλλ’ ἔστι τὸ χεῖρ(ον) κρεῖττον, οὐχ ὡς βέλτιον· ἀλλ’ ὡς ἐπικρατέστερ(ον) ὂν τηνικαῦτα : –13.

Questo scolio è assente nel Paris. gr. 180714, sicché la sua trasmissione è affidata proprio ai margini del Vat. gr. 1 oltre che di quei manoscritti (ma non tutti) che vi furono esemplati dopo che la manus recentior ve lo aggiunse. Ma di chi si tratta? Prima, e per cercare, di rispondere a questa domanda, vale la pena di spendere qualche parola sul carattere stesso dello scolio. Questo, infatti, riguarda un paradossale caso di omonimia discusso nel testo platonico tra 13 Scholia Platonica (cit. nt. 5), p. 301 e apparato critico: «O m. rec.: non habet A». Lo scolio è preceduto da un piccolo segno di richiamo che rinvia, essendovi ripetuto, alla l. 5 del testo al di sopra di τὸ μέν. Sulla mano che ha trascritto lo scolio, la quale non ha nemmeno ricevuto un siglum dagli editori (se non quello genericamente collettivo «O m. rec.» corrispondente agli scholia Vaticana recentiora del Greene), non ho trovato particolari indicazioni bibliografiche; ne parla LUZZATTO, Emendare Platone nell’antichità (cit. nt. 7), p. 38 nt. 24 (da p. 37), che tuttavia la definisce «notevolmente più tarda» rispetto all’epoca del Laur. plut. 59.1, ma si veda più oltre. Notevolmente più tarda è, senza dubbio, la mano che nello stesso Vat. gr. 1 ne riscrive l’ultima parola, τηνικαῦτα, subito al di sotto di essa. 14 Questo manoscritto aveva allora già lasciato Costantinopoli: si vedano H. D. SAFFREY, Nouvelles observations sur le manuscrit Parisinus graecus 1807, in Studies in Plato and the Platonic Tradition. Essays presented to John Whittaker, ed. by M. JOYAL, Aldershot – Brookfield – Singapore – Sydney 1997, pp. 293-306, A. CARLINI, Vigilia greca normanna: il Platone di Enrico Aristippo, in Quaderni Petrarcheschi 12-13 (2002-2003) (= Petrarca e il mondo greco, I. Atti del Convegno internazionale di studi. Reggio Calabria, 26-30 novembre 2001, a cura di M. FEO, V. FERA, P. MEGNA, A. ROLLO, Firenze 2007), pp. 51-73 per la presenza del codice in Occidente — si tratterebbe del Platone di Petrarca —, nonché, ancora, H. D. SAFFREY, Retour sur le Parisinus graecus 1807, le manuscrit A de Platon, in The Libraries of the Neoplatonists. Proceedings of the Meeting of the European Science Foundation Network “Late Antique and Arabic Thought. Patterns in the Constitution of European Culture” held in Strasbourg, March 12-14, 2004, ed. by C. D’ANCONA, Leiden – Boston 2007 (Philosophia Antiqua. A Series of Studies on Ancient Philosophy, 107), pp. 3-28, anche per un eventuale, precedente e avventuroso passaggio del manoscritto in Armenia.

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Clinia e l’Ateniese, se, cioè, poiché nelle città capita talora che i peggiori prevalgano sui migliori, si possa arrivare alla conclusione che «ciò che è peggiore è superiore rispetto a ciò che è migliore», come nel lemma platonico. A differenza del relativo scholium vetus, che pure discute il passo, lo scolio qui in oggetto ha un carattere affatto personale. Lo scoliasta, infatti, per spiegare l’apparente ‘enigma’ platonico, ricorre a un’altra accezione di κρεῖττον (‘superiore’), non come βέλτιον (‘migliore’) ma come ἐπικρατέστερον (‘più potente’). Il suo commento suona, dunque, all’incirca così: Poiché viene detto κρεῖττον non solo ciò che migliore ma anche ciò che è più potente: quando ciò che è inferiore prevale, è anche superiore, cosa che sembra a tutti gli effetti un paradosso, ossia che ciò che è inferiore è superiore; ma ciò che è inferiore è superiore non in quanto migliore, ma in quanto più potente.

Lo scolio è tradito anche dal già citato Laur. plut. 59.1, accurato e fedele apografo — si ricorderà — del Vat. gr. 1. Lo si può leggere, di mano dello scriba B, nel margine esterno del f. 430v, dove è preceduto dalla sigla πλνδ, i.e. Πλ(α)ν(ού)δ(ης) o, più probabilmente, Πλ(α)ν(ού)δ(η) (tav. IIb). La cosa era stata già notata dalla Luzzatto che tuttavia — forse fuorviata dall’erronea identificazione tra lo scriba B del Laurenziano e Planude — aveva assegnato la scritturazione dello scolio allo stesso Planude che lo avrebbe firmato con la sigla πλνδ15. Quanto, poi, alla presenza dello scolio nel Vat. gr. 1, così scriveva la studiosa: «Una mano notevolmente più tarda, nella biblioteca in cui erano depositati sia il vetusto Vat. gr. 1 sia il nuovo Laur. 59.1 (probabilmente la biblioteca di Chora) ha poi aggiunto questo scolio recentissimo in corrispondenza del passo di Leggi sul Vat. gr. 1, omettendo però la paternità planudea»16. Le cose, però, a mio avviso non stanno così, ma all’esatto contrario. E, pur tuttavia, non ne esce affatto scalfita la paternità planudea dello scolio, anzi. La mano intervenuta nel margine superiore del f. 2r del Vat. gr. 1, infatti, non è notevolmente più tarda del Laur. plut. 59.1, bensì anteriore di qualche anno, giacché identificabile — come si cercherà di dimostrare qui di seguito — proprio con quella di Massimo Planude. La scrittura dello scolio, infatti, nel suo inframezzare a una catena grafica nel complesso minuta e compatta forme di modulo ingrandito — di chiara, ma si direbbe dosata e disciplinata, ascendenza Fettaugen — si attaglia perfettamente a quella del dotto monaco17. Singoli e più specifici tratteggi, poi, confermano, a mio 15

LUZZATTO, Emendare Platone nell’antichità (cit. nt. 7), p. 38 nt. 24 (da p. 37). LUZZATTO, Emendare Platone nell’antichità (cit. nt. 7), p. 38 nt. 24 (da p. 37). 17 In generale, sulla scrittura di Planude, si veda M. FORMENTIN, La grafia di Massimo Planude, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 32/4 (1982) (= XVI. Internationaler 16

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avviso, l’attribuzione. Si considerino, fra gli altri, il beta sovradimensionato e aperto in basso, lo iota alto, il grande kappa maiuscolo con il tratto verticale arcuato in basso e il secondo tratto obliquo ridotto, il ny minuscolo di forma moderna a mo’ di v latina; tra le legature, mi paiono dirimenti quella per epsilon-iota eseguita dal basso con, talora, l’accento circonflesso ripiegato verso il basso, e quella per il gruppo epsilon-pi-iota. Giusta l’attribuzione qui proposta, la linea tradizionale finora ricostruita per lo scolio va rovesciata. Esso, infatti, doveva già trovarsi, vergato dal suo ‘autore’, Massimo Planude, nel Vat. gr. 1 allorché ne venne tratto il Laur. plut. 59.1 il quale ne è copia fedele per il testo non solo di Leges (e, più in generale, della IX tetralogia), ma anche degli scholia, sia vetera che, fino a una certa altezza cronologica, recentiora. È anzi il Laurenziano a offrire prova sicura dell’autografia planudea dello scolio: la sigla πλνδ che nel codice di Firenze accompagna lo scolio dovrà a questo punto considerarsi non la firma dell’autore, ma il riconoscimento da parte dello scriba B del codice Laurenziano che a vergare lo scolio nel modello utilizzato — cioè il Vaticano che, allora ovviamente già provvisto di scolio, egli aveva sotto gli occhi — era stato proprio Planude. Il che costituisce una conferma ulteriore, ove ce ne fosse bisogno, non solo della discendenza recta via del Laur. plut. 59.1 dal Vat. gr. 1 ma anche del fatto che il primo fu copiato in un ambiente ancora intriso dell’insegnamento e della dottrina di Planude da due suoi allievi, dei quali almeno uno così intrinseco e devoto al maestro da riconoscerne, ove se ne presentasse l’occasione, la mano18. La lettura planudea del Vat. gr. 1 rientra, più in generale, in quel fenomeno di riscoperta, trascrizione e dunque ‘riattivazione’ di antichi esemplari Byzantinistenkongress. Wien, 4.-9. Oktober 1981, Akten, II/4), pp. 87-96; nuovi marginalia planudei sono stati di recente individuati da D. BIANCONI, Un altro Plutarco di Planude, in Segno e Testo 9 (2011), pp. 113-130, e da D. BIANCONI – P. CANART, De Constantinople en Crète (en passant par Éphèse?): L’Angelicanus gr. 48 et la première circulation des traductions de Planude, in Pour l’amour de Byzance. Hommage à Paolo Odorico, éd. par Chr. GASTGEBER, Ch. MESSIS, D. I. MURE‹AN, F. RONCONI, Frankfurt am Main 2013 (Eastern and Central European Studies, 3), pp. 28-52. 18 Si tratta di uno di quei casi, qui individuato come tale per la prima volta, di expertise paleografica d’età medievale, quali quelli, tra gli altri già segnalati, di Giovanni Cortasmeno in grado di identificare la scrittura di Teodoro II Lascari e quella di Niceforo Gregora, e dello stesso Gregora capace di riconoscere la ‘mano’ del maestro Teodoro Metochita: si vedano, rispettivamente, G. PRATO, Un autografo di Teodoro II Lascaris imperatore di Nicea?, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 30 (1981), pp. 249-258 e I. ŠEVÇENKO, Some Autographs of Nicephorus Gregoras, in Zbornik Radova Vizantološkog Instituta 8 (1964) (= Mélanges G. Ostrogorsky II), 435-450, in particolare p. 443, rist. in ID., Society and Intellectual Life in Late Byzantium, London 1981 (Variorum Collected Studies Series, 137), nr. XII. Ho raccolto per il mondo greco varia documentazione su queste analisi paleografiche ante litteram e ne darò conto in un prossimo lavoro.

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che è alla base di tante iniziative editoriali d’età tardobizantina, nell’ambito delle quali quelle promosse e coordinate dal dotto monaco occupano, è ben noto, un posto di assoluto primo piano19. E tuttavia nello specifico della tradizione platonica, il ruolo giocato da Planude sembra essere stato minore, in specie se confrontato con quello di altri eruditi del tempo20. La sua mano, a mia conoscenza, è stata individuata, insieme a quelle di Niceforo Moscopulo e di un certo Giovanni che con Planude lo copiarono, nel solo

19 Sul ruolo di Planude basti qui il rinvio a C. N. CONSTANTINIDES, Higher Education in Byzantium in the Thirteenth and Fourteenth Centuries (1204 – ca. 1310), Nicosia 1982 (Texts and Studies of the History of Cyprus, 11), pp. 66-89. Sul fenomeno della riscoperta in età paleologa di testimoni antiquiores si vedano, in generale, I. PÉREZ MARTÍN, La “escuela de Planudes”: notas paleográficas a una publicación reciente sobre los escolios euripideos, in Byzantinische Zeitschrift 90 (1997), pp. 73-96, EAD., Maxime Planude et le Diophantus Matritensis (Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 4678): un paradigme de la récuperation des textes anciens dans la “renaissance paléologue”, in Byzantion 86 (2006) (= Volume offert au professeur Edmond Voordeckers), pp. 433-462, D. BIANCONI, Erudizione e didattica nella tarda Bisanzio, in Libri di scuola e pratiche didattiche. Dall’Antichità al Rinascimento. Atti del Convegno Internazionale di Studi. Cassino, 7-10 maggio 2008, a cura di L. DEL CORSO – O. PECERE, I-II, Cassino 2010, II, pp. 475-512, ID., Il Laur. Plut. 28.26 ovvero la storia di Bisanzio nella storia di un codice, in Alethes philia. Studi in onore di Giancarlo Prato, a cura di M. D’AGOSTINO – P. DEGNI, I-II, Spoleto 2010 (Collectanea, 23), I, pp. 39-63, con bibliografia. 20 All’attività dispiegata da eruditi di età paleologa — su tutti Gregorio di Cipro, Niceforo Cumno, Niceforo Gregora, ma anche personaggi minori quali Giorgio Ineota e copisti-filologi più o meno anonimi — al testo di Platone, hanno dedicato in anni recenti lavori importanti Inmaculada Pérez Martín e Mariella Menchelli. Anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, si vedano, fra gli altri contributi delle due studiose, soprattutto I. PÉREZ MARTÍN, El patriarca Gregorio de Chipre (ca. 1240-1290) y la transmisión de los textos clásicos en Bizancio, Madrid 1996 (Nueva Roma, 1), EAD., El scriptorium de Cora: un modelo de acercamiento a los centros de copia bizantinos, in Ἐπίγειος Οὐρανός. El cielo en la tierra. Estudios sobre el monasterio bizantino, ed. por P. BÁDENAS, A. BRAVO, I. PÉREZ MARTÍN, Madrid 1997 (Nueva Roma, 3), pp. 203-223, MENCHELLI, Appunti su manoscritti di Platone (cit. nt. 11), PÉREZ MARTÍN, Estetica e ideologia (cit. nt. 12), M. MENCHELLI, Copisti e lettori di Platone: il Gorgia tra Einzelüberlieferung e codici di excerpta, in Würzburger Jahrbücher für die Altertumswissenschaft n.F. 30 (2006), pp. 197-221, EAD., L’Anonimo Γ del Laur. plut. 85, 6 (Flor) e il Vind. Suppl. gr. 39 (F). Appunti sul “gruppo ω” della tradizione manoscritta di Platone e su una “riscoperta” di età paleologa, in Medioevo Greco 7 (2007), pp. 159-182, EAD., Cerchie aristoteliche e letture platoniche (manoscritti di Platone, Aristotele e commentatori), in The Legacy of Bernard de Montfaucon: Three Hundred Years of Studies on Greek Handwriting. Proceedings of the Seventh International Colloquium of Greek Palaeography (Madrid – Salamanca, 15-20 September 2008), ed. by A. BRAVO GARCÍA – I. PÉREZ MARTÍN, with the Assistance of J. SIGNES CODOÑER, I-II, Turnhout 2010 (Bibliologia, 31A-B), I, pp. 493-502, II, pp. 891-897 (tavv. 1-5), EAD., Un nuovo codice di Gregorio di Cipro. Il codice di Venezia, BNM, gr. 194 con il Commento al Timeo e le letture platoniche del Patriarca tra Sinesio e Proclo, in Scriptorium 64 (2010), pp. 227-250, ed EAD., Giorgio Oinaiotes lettore di Platone. Osservazioni sulla raccolta epistolare del Laur. San Marco 356 e su alcuni manoscritti dei dialoghi platonici di XIII e XIV secolo, in Vie per Bisanzio. VIII Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Studi Bizantini. Venezia, 25-28 novembre 2009, a cura di A. RIGO, A. BABUIN, M. TRIZIO, I-II, Bari 2013 (Due Punti, 25), II, pp. 831-853.

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Vind. Phil. gr. 21 (Y), dal quale pure il Laur. plut. 59.1 sembra discendere21. L’attribuzione qui presentata, ove accolta, aggiunge dunque un piccolo ma significativo tassello a quell’attività di ricerca, raccolta, vaglio, lettura e trascrizione di testimoni antiquiores di Platone, la quale, ora lo sappiamo, vide cimentarsi anche Planude.

21 L’identificazione della mano di Planude nel codice di Vienna si deve ad A. TURYN, Dated Greek Manuscripts of the Thirteenth and Fourteenth Centuries in the Libraries of Italy, I-II, Urbana – Chicago – London 1972, I, p. 214, ma sul manoscritto si vedano soprattutto E. GAMILLSCHEG, Ein Platonhandschrift des Nikephoros Moschopulos (Vind. phil. gr. 21), in Byzantions. Festschrift für Herbert Hunger zum 70. Geburtstag. Dargebracht von Schülern und Mitarbeitern, hrsg. von W. HÖRANDNER, J. KODER, O. KRESTEN, E. TRAPP, Wien 1984, pp. 95100, rist. in ID., Manuscripta Graeca. Studien zur Geschichte des griechischen Buches in Mittelalter und Renaissance, Purkersdorf 2010 (Codices Manuscripti. Supplementum, 3), nr. VIII, pp. 86-96, e A. D’ACUNTO, Su un’edizione platonica di Niceforo Moscopulo e Massimo Planude: il Vindobonensis Phil. gr. 21 (Y), in Studi Classici e Orientali 45 (1995), pp. 261-279.

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1, f. 2r.

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Tav. IIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1, f. 2r, dettaglio.

Tav. IIb – Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. plut. 59.1, f. 430v, dettaglio.

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THE CHALDEAN BUSINESS. THE BEGINNINGS OF EAST SYRIAC TYPOGRAPHY AND THE PROFESSION OF FAITH OF PATRIARCH ELIAS (Vat. Ar. 83, ff. 117-126) 1. The beginnings of Syriac typography The onset of Syriac typography in Europe took place in the Renaissance, in relation to a scholarly interest in Oriental cultures.1 The first printed book in which Syriac types were used, Teseo Ambrogio degli Albonesi’s2 Introductio in Chaldaicam linguam, Syriacam, atque Armenicam, et decem alias linguas, appeared in Pavia in 1539.3 More famous is the editio princeps of the New Testament in Syriac published in Vienna in 1555 at the behest of humanists Johann Albrecht Widmanstetter and Guillaume Postel, with a crucial contribution from the Syriac-Orthodox «priest» Moses of Mardin.4 Postel was hoping to use Ambrogio degli Albonesi’s Syriac types, but they could not be found. Moses of Mardin in turn had secured a grant in Rome for the manufacture of Syriac characters, but there was no follow-up to his endeavours in Italy5; he subsequently left Rome (after 8th 1

Besides a brief synthesis by Werner Strothmann (STROTHMANN 1971), a recent book by Robert J. Wilkinson (WILKINSON 2007) must be mentioned among the works that provide a sense of the cultural climate in which an interest in Syriac studies — and consequently Syriac typography — arose. 2 WILKINSON 2007, pp. 11-27. 3 SMITSKAMP 1991, pp. 240-241. The Syriac and Armenian characters are well cut and clearly legible; other Oriental characters (Arabic, Ethiopian, Coptic) and Cyrillic («Macedonian», sic) for which types were unavailable were handwritten within spaces deliberately left blank when printing; a few Arabic passages are also in Syriac script (f. 25v: the first chapter of Luke’s Gospel; f. 83v: a brief Qur’anic citation). The design of the characters imitates the handwriting of a monk named Elias, the Maronite delegate at the fifth Lateran Council, known to Teseo and other Roman orientalists (COAKLEY 2006, pp. 28-30). As may be seen from the table reproduced in COAKLEY 2006, p. 28, the text is in serto but the first letter in each paragraph is in a larger estrangelo type. 4 Liber Sacrosanti Evangelii De Iesu Christo Domino & Deo nostro…Div. Ferdinandi rom. imperatoris designati iussu & liberalitate, characteribus & lingua Syra, Iesu Christo vernacula…, Michael Cymbermannus: in urbe Vienna, 1555. See description in DARLOW-MOULE 1903, pp. 1528-1530; see also SMITSKAMP 1983, pp. 100-102. 5 In the expenditure records of the Vatican Library, the entry for 3rd of December 1552 Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 211-258.

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June 1553) and — having come across Widmanstetter — moved to Vienna. There, his project finally enjoyed success: new Syriac punches were cut by Kaspar Kraft and the New Testament could be printed.6 A few years later, the French type designer and punchcutter Robert Granjon made Syriac punches for Christophe Plantin, who used them to print the New Testament in his 1570 polyglot Bible.7 Later, in Rome, Granjon would lend his cutting skills to the printing ventures sponsored by Pope Gregory XIII, including the polyglot printing house of Domenico Basa and the Tipografia (or Stamperia) Medicea Orientale, founded in Rome on 6th March, 1584.8 1.1. Serto and Estrangelo types The Syriac characters found in books printed between 1539 and the last decade of the sixteenth century reproduce only two of the three Syriac scripts — estrangelo and serto (or «West Syriac») — but not the East Syriac or «Nestorian» script. According to J. F. Coakley, who catalogued all known Syriac types from 1537 to 1958, seven serto typefaces (W, or «West Syriac» according to Coakley’s classification) were produced and used during the sixteenth century: — — — — — — —

W1: Teseo Ambrogio degli Albonesi, 1537; W2: Kaspar Kraft for M. Zimmermann, 1554; W3: Robert Granjon for Christophe Plantin, 1569; W4: Robert Granjon for Domenico Basa, 1580; W5: Leonhard Thurnysser, 1583; W6: Robert Granjon for the Tipografia Medicea Orientale, 1585; W7: Jean Cavaillon for the Tipografia Medicea Orientale, 1592.9

Additionally, five types of estrangelo (S in Coakley) would seem to have been used during the same period: — S1: Teseo Ambrogio degli Albonesi, 1537; — S2: Kaspar Kraft for M. Zimmermann, 1554; — S3: Robert Granjon for Christophe Plantin, 1569; concerns a payment mandate for 13 gold scudi to «Moses the Syrian» for printing books in the Syriac language for use in the library («Moyse soriano… per far la stampa da stampar libri in lingua soriana per uso della libraria»); explicit mention is also made of the money expended on punches for printing Syriac books («spesa fatta in polzoni per la stampa di libri soriani») see LEVI DELLA VIDA 1939, pp. 144-145; WILKINSON 2007, pp. 72-74. 6 As we will see, Leonardo Abel was of the opinion that nobody in the Levant (where he spent about four years) was willing to buy that book, because it was not printed in Rome. 7 COAKLEY 2006, pp. 34-38. 8 On the Tipografia Medicea Orientale, see TINTO 1987, FARINA – FANI 2012 (with extensive bibliography), and ROMANI 2012. 9 COAKLEY 2006, pp. 29-45.

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— S4: Leonhard Thurnysser, 1583; — S5: Giovanni Battista Sottile and Jean Cavaillon for the Tipografia Medicea, 1593.10

The names of the same punchcutters and printing ventures recur throughout both lists: this is because, in the sixteenth century, estrangelo was mostly employed for titles and tables of sample characters, as a kind of upper-case font, and therefore invariably accompanied the serto types with which the main text was printed.11 1.2. East Syriac types Regarding the East Syriac or «Nestorian» script, Coakley notes that «only a very small number of Eastern types (four!) were made before 1800, and perhaps only one of these (E3) was seriously intended to serve an actual readership of texts».12 No East Syriac types were produced in the sixteenth century, and Coakley only lists the following instances before the nineteenth century: — — — —

E1: Tipografia di Propaganda Fide, 1633 (in three versions: A, B, C); E2: G. A. Bresadola for the Tipografia del Seminario of Padua, 1685; E3: B. Berger for the Tipografia di Propaganda Fide, 1767; E4: Giambattista Bodoni, 1774.13

This lack of interest in the script of the Church of the East, also known as «Nestorian», seems obviously due to a parallel lack of interest in printing books for a «Nestorian» readership. On the other hand, contacts with the Church of the East began to intensify during the second half of the sixteenth century, when a part of it joined the Roman Church.14 The dearth 10

COAKLEY 2006, pp. 154-159. For example, in Ambrogio degli Albonesi’s Introductio in Chaldaicam linguam the text is in serto but the initial letter in each paragraph is in a larger estrangelo type (see table reproduced in COAKLEY 2006, p. 28). In the Vienna New Testament, headings are in estrangelo, as are the liturgical titles in the pericopes and the numbers on the outer margins (see reproduction of page 102 in HANEBUTT-BENZ – GLASS – ROPER – SMETS 2002, p. *47b). The estrangelo script is not, therefore, used independently in sixteenth-century Syriac printed texts. This is true even today: in the recent and graphically remarkable «New Testament according to the Mardin Peshitto» (’wnglywn qdyš’ dmrn yšw‘ mšyü’ lpwt pšyýt’ dmrdyn), edited at the Monastery of Mor Gabriel, Istanbul 2007, of Syriac-Orthodox milieu, estrangelo is used for the titles, serto for the text, and East Syriac for numerical references on the outer margins and headings. See also SMITSKAMP 1983, pp. 202-205. 12 COAKLEY 2006, pp. 191. 13 COAKLEY 2006, pp. 192-198; see also COAKLEY 1995, pp. 41-45. 14 BELTRAMI 1933 remains an important reference work, because of the documents collected and published by the author. Besides it, all recent histories of the Church of the East (e.g. TEULE 2008; WILMSHURST 2011) provide information and further bibliography. 11

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of «Nestorian» readership in the sixteenth century seems confirmed by the fact that apparently, as noted by Coakley, only one of the three known Eastern types made before 1800 — the one incised for Propaganda Fide in 1767 — was used for printing texts meant to circulate relatively widely. It was devised for the Chaldean Missal when that branch of the Church of the East joined the Roman Church, on the initiative of Joseph IV, Patriarch of Diyarbakır, then in Rome.15 Later, the type was often (though not exclusively) employed in the printing of liturgical texts; the most recent instance dates from 1890.16 The Propaganda Fide typography commissioned the cutting of a new type because the one previously employed for printing the Syriac version of Roberto Bellarmino’s Catechism in 1633 (repr. 1665) (E1 in Coakley’s classification) lent itself only with difficulty to the use of vowels,17 and was therefore inadequate for printing a missal. The case of E2 deserves further comments, because in our opinion its very existence, as a specific «Nestorian» font, is doubtful. Coakley’s specimen of E2 reproduces one of the two examples of Syriac types printed by G. Bellini18 together with other exotic scripts (Hebrew, Arabic, Samaritan, Coptic, Ethiopic, Rabbinic, Etruscan), under the title «‫[ בּבל‬babel] Alla rinfusa», i.e. higgledy-piggledy: the two examples do not reproduce a text, but consist of a random sequence of types. As Coakley points out, in the specimen only four letters have a decidedly Eastern shape (‫ ܬ‬,‫ ܪ‬,‫ ܗ‬,‫) ܓ‬, while the remaining ones recall serto and estrangelo. Coakley assigns this font to Giovanni Antonio Bresadola as «punchcutter», but all direct evidence about Bresadola’s work at the Tipografia del Seminario of Padua concurs that he was employed as a founder.19 While there is no archival evidence of any Syriac font cut for the Tipografia del Seminario,20 there is ample documentation on a donation to Cardinal Gregorio Barbarigo (1625-1697), who established the Padua typography, of Oriental punches and matrices once owned by the Biblioteca Ambrosiana (Milan) and — more specifically for Syriac — by the Tipografia Medicea. E2, that 15

For the frontispiece, see HANEBUTT-BENZ – GLASS – ROPER – SMETS 2002, p. *ii [104]. COAKLEY 2006, pp. 194-196. 17 The instance published by Coakley shows only one vocalized word (‫)ܕܒܢܘܢܬܘ‬, «from ݄ ݄݄ Benevento», obviously because the term would otherwise have been obscure for a reader unfamiliar with the Italian city’s name. But vowels are not positioned optimally, since one could equally well read «Benevneto». 18 BELLINI 1927, pp. 133-134; Coakley example is found on p. 134. 19 See BELLINI 1927, 1938; SERENA 1963, p. 110; CALLEGARI 1999; PEDANI 1999. 20 The fusion of Syriac types by Bresadola is well documented, see e.g. BELLINI 1938, pp. 44-45, n. 5: «Domandarono dalla Tipografia all’amico Indrich quanto costasse a Venezia fondere carattere siriano, perché volevano regolarsi come trattare Bresadola. Rispose non ‘aver pratica alcuna; ma son prezzi che sa meglio il lavorante che il padrone’». 16

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is Bellini’s specimen, would not seem to reproduce a single East Syriac font, being instead the result of a «higgledy-piggledy» — or «Babelic» — collection of various Syriac types of about the same size from the store of the Tipografia del seminario around 1927, when Bellini’s book appeared.21 These types were most probably made from Syriac matrices donated by Grand Duke Cosimo III Medici from among equipment of the Tipografia Medicea. The misunderstanding about Bresadola’s role (together with the spelling of his name as «Brasadola») seems to derive from James Mosley,22 whose acknowledged source is G. B. Bodoni. According to Bodoni (quoted by Mosley), «Il ven. Cardinale Barbadigo [sic]… fece incidere da certo Giovanni Antonio Brasadola di Ortizé i caratteri Arabi, Siriaci, Caldei, Greci, Armeni…» — but archival evidence contradicts Bodoni’s statement. The case deserves further study, as does the similar case of the serto W27, also ascribed by Coakley to Bresadola.23 E4, Bodoni’s font, according to Coakley, would seem to be derived from E1; but its design reveals Bodoni’s limited talent for Eastern scripts — his Hebrew characters similarly lack harmony and balance. Incidentally, Bodoni only employed the type — which he named «Caldeo» — for the printing of sample specimens, such as the Pater noster in various languages and scripts, and in the composition of texts in Judeo-Aramaic. Apparently, an urge to produce East Syriac types only arose with the printing of Bellarmino’s Catechism and the Chaldean Missal. But that only happened in the seventeenth and eighteenth centuries, respectively; in the sixteenth there were apparently no commissions for Syriac texts printed in the Eastern script. If there had been, the skills of estrangelo and serto carvers could equally well have been put to use on East Syriac. 1.2.1. Amira’s «Nestorian» font Nevertheless, the East Syriac script features in at least one sixteenth-century work: George Amira’s Grammatica Syriaca, printed in Rome in 1596.24 21 In the example (BELLINI 1927, p. 133) we see a large West Syriac vowel u printed amid letters of much smaller size. 22 MOSLEY 2001, p. 326 [= MOSLEY 2000, pp. 74-75]. 23 COAKLEY 2006, pp. 92-94. 24 Grammaýíqí suryâytâ aw kaldâytâ d-filosofâ w-teologos óewargís breh d-míka’êl men bet ‘amírâ ‘edínâyâ marunâyâ men ýurâ d-lebnân... Grammatica Syriaca sive Chaldaica, Georgij Michaelis Amirae Edeniensis è Libano, Philosophi, ac Theologi, Collegij Maronitarum Alumni…, Romae, in Typographia Linguarum externarum. Apud Jacobum Lunam. 1596. Superiorum permissu; see SMITSKAMP 1983, pp. 164-165; «Jacobum Lunam» was the Maronite Ya‘qub b. al-Hilâl, formerly a typesetter in the Tipografia Medicea Orientale; regardless, G. B. Raimondi (ca. 1536-1614), a mathematician and orientalist, head of the Tipografia Medicea

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Pages 2-3 contain six columns which illustrate the Syriac scripts, listing their individual characters (Tabella indicans singulas Chaldearum litterarum species, earumq. figuras, potestates, ac nomina): 1. Nomen [noun in Latin and vocalized Syriac — serto — characters]; 2. Potestas [phonetic value/transliteration]; 3. Simplex [= serýâ pšiýtâ]; 4. Duplicatus [outline estrangelo]; 5. Nestorianus; 6. Estranghelo [sic].25 The fifth column, «Nestorianus», illustrates the East Syriac script. The serto types found in the Grammatica were cut by Jean Cavaillon in 1590; Raimondi’s description reads: «Chaldean type according to the Maronites» — W7 in Coakley’s classification.26 These characters appear in the first and third columns. The estrangelo in the sixth column recalls S5 from 1593,27 which according to Raimondi is an «ancient Chaldean large upper-case character»28 and corresponds to the punches preserved in the Biblioteca Medicea Laurenziana in Florence, classified as «Siriaco n° 22». The design of this estrangelo is faithfully reproduced by the Duplicatus character (an outline estrangelo) in the fourth column.29 An examination of the fifth column reveals that the features of the East Syriac or «Nestorian» script are accurately reproduced, but it immediately strikes the eye that the letters dâlat and rêš are designed according to their shape in the serto script. This «Nestorian» script of Amira’s Grammatica is well known to Coakley, who mentions it as the «first appearance of the East Syriac script in a printed book. The letters might be printed from type; but the archival sources do not mention an East Syriac type, and I do not know that they ever appeared anywhere else».30 2.1. A new document A new document has emerged that might help clarify the issue. It is preserved in the Biblioteca Medicea Laurenziana in Florence, in a collection of fascicules and individual sheets bound together as a manuscript, with the shelfmark «Orientale 457». The spine of the full-parchment binding and its owner from April 1596 to 1610, was directly involved in the venture: see M. Farina in FARINA – FANI 2012, pp. 178-181. 25 The columns are reproduced in COAKLEY 1995, pp. 42; the individual characters are rearranged into two horizontal lines in SMITSKAMP 1983, p. 205. 26 COAKLEY 2006, pp. 43-45. 27 COAKLEY 2006, pp. 158-159. 28 «Carattere caldeo antico maiuscolo grande»: TINTO 1987, pp. 48-49. 29 The presence of this type, being nothing more than a graphic-decorative variant of estrangelo, is surprising in a didactic table. 30 COAKLEY 2006, p. 266.

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bears the title «Fragmenta Arabica, et Studia Ling. Oriental. Consegnati al Bibliot.o Can.co A. M. B. da S.A.R. questo di 8. Luglio 1771»; all the materials collected are from the archives of the cited Tipografia Medicea.31 Fascicule nr. 14, whose first sheet bears a note on the contents («Varie sorti di caratteri per la stampa»), comprises about forty individual sheets and smaller fascicules in no precise order: these include Arabic and Persian handwritten calligraphic specimens and sample prints of individual characters, mostly Arabic and Persian (in two instances on light blue paper32). Among them is a «mostra», that is, a printed specimen, of Robert Granjon’s Arabic characters, dated 1583, identical to the one reproduced by Vervliet and preserved in Florence, Archivio di Stato,33 but for the absence of the first four lines, because the upper portion of the sheet was cut off.34 An unknown hand inscribed the copy in the Medicea Laurenziana Library (ms. Or. 457, f. 533): «Evangeliu[m] S. Joannis In Principio». It is, indeed, the vocalized Arabic text of John 1:1-6. A few folios further into the same fascicule is another specimen which assembles Syriac and Arabic sample prints (Or. 457, f. 539; 19 × 12 cm), with an annotation by the same hand as in f. 533, identifying them respectively as «Evangeliu[m] S. Joannis Siriacu[m]» and «Idem arabicu[m]». There is neither a date nor printed information about the types — as one 31 A very cursory description of the contents may be found in VALERGA 1879; the Persian material is presented by PIEMONTESE 1989, pp. 96-98. Angelo Maria Bandini (1726-1803) was the librarian at the Laurenziana from 1756. 32 These leaves (f. 532v, 12,5 × 10,5 cm; f. 543v, 12,3 × 10 cm) contain a printing specimen bearing five lines on two columns reproducing an identical Persian text in nasta‘líq script. The use of light blue paper in the Tipografia Medicea Orientale is documented by the Arabic Gospel copy (Rome, 1590) preserved in the Biblioteca Apostolica Vaticana (Racc. I, I. 590), described and illustrated by Delio V. Proverbio (PROVERBIO 2000, pp. 420-422); another copy of the Arabic Gospel on light blue paper is preserved in Florence, Biblioteca nazionale centrale, Magl.11_3. One of the five known copies of the Kitâb al-bustân fí ‘aóâ’ib al-ar¬ wa albuldân («Book of the Garden of Marvels of the Earth and Countries») by Salâmis b. Kunduødí al-Úaliüí is similarly printed on light blue paper. The book is entirely in Arabic and, according to its frontispiece, was printed in Rome «by Robert Granjon from Paris [Rûbírtû al-Kranyâní al-Pârísiyyâní] in the year 1584 of the Incarnation»; but according to the final note in Latin «Ex Typographia Domenici Basae, 1585». Several clues point to G. B. Raimondi’s involvement in the printing process of this wholly secular cosmographic treatise (see P. G. Borbone, S. Fani and M. Farina in FARINA – FANI 2012, pp. 28, 188-189); the copy printed on light blue paper was recently discovered by Mario Vitalone (to whom we are indebted for the notice) in Florence, among the Oriental manuscripts in the Biblioteca Nazionale Centrale (ms. Pal. 22a.5.5). 33 Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, 4 (5), f. 10; VERVLIET 1981, p. 32. This is — according to Vervliet’s classification — a «2-line Great Primer Arabic (200 mm) », fully vocalized in this specimen. 34 The complete exemplar in the National Archives is entitled «Arabici Characteres | Gregorii XIII Pont. Opt. Max. | iussu. | Nunc primum Romae incisi. ».

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would expect in a «mostra». The lower portion of the specimen is decorated with an intricate oval design. The unvocalized Arabic typeface is easily recognized as the «2-lines English Arabic (180 mm)», which according to Vervliet was possibly carved by Granjon.35 It was employed by the Tipografia Medicea from 1592: in the table of contents of Idrisi’s Geography (1592) for the headings of the chapters of Avicenna’s Canon (1593) for a single line, on p. 62, in the Alphabetum Arabicum,36 and most notably for Euclid’s Elements in 1594.37 Another feature connects the specimen to the Tipografia Medicea and the editions of Euclid’s Elements: the same intricate decorative oval motif appears both in the specimen and in the Elements’ frontispiece (at the top, before the Arabic title).38 That Granjon cut decorative motifs for the Tipografia Medicea is testified by an entry in the typography’s book of accounts: «On 29 June [1585] Mr Robert [Granjon] received 16 scudi for 16 frieze- and flower-punches».39 To this we should add a note from 4th December 1587, and a notice referring specifically to the ornamentation of Euclid’s Elements.40 It is clear that the printed specimen originated in the milieu of the Tipografia Medicea, and a dating no earlier than 1585, by which time we know Granjon was carving decorative motifs for the Tipografia, is plausible. A rosette at the end of the Syriac text in the specimen probably comes from Granjon’s punches.41 The Syriac text is composed of two lines in large characters followed 35 Although there is no «explicit proof», «its cutting and finish are so perfect that an attribution to him leaves little in doubt» (VERVLIET 1981, p. 39). See also TINTO 1987, pp. 29-30, who connects a payment from Raimondi (on behalf of Domenico Basa) to Granjon with this font; the payment is dated December 1584. The typeface appears also in an undated specimen, possibly from 1583, preserved in the Biblioteca Vallicelliana in Rome (Ms. Val. K 17, f. 174). 36 VERVLIET 1967, pp. 177-231. 37 Naúír al-Dín al-Ýûsí [sic], Kitâb taürír uúûl li-Ûqlídis, Romae, ex Typographia Medicea; see S. Fani in FARINA – FANI 2012, pp. 184-185. 38 See the image in FARINA – FANI 2012, p. 185. 39 «A 29 giugno [1585] per 16 ponsoni di fregi et fiori ha havuto messer Roberto [Granjon] scudi 16»; Florence, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. I (cit. by TINTO 1987, pp. 41-42). 40 «E più dico haver fatto per l’ornamento delle formette da stampare ponsoni n.° 2 et haver recevuto per loro prezzo scudi 2» — as dictated by R. Granjon (Florence, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, ins. XII); «E più dico aver recivoto dal detto signore Giovanni Battista Graimondo [sic, for ‘Raimondi’] scudi 5 per n.° 12 de riche dopie de ottone le quale andò servito per lo hornamento delle formette per stampare leoclide [sic, for ‘l’Euclide’] in arabico» (Florence, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, ins. 14). 41 This rosette is a decorative type profusely used by the Tipografia Medicea, for instance

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by eight smaller lines. The first two lines are in estrangelo with Eastern vocalization; the script is completely different from the five sixteenth-century estrangelo types catalogued by Coakley. Particularly striking is the lack of resemblance with S5, seemingly the only estrangelo carved for the Tipografia Medicea (in 1593) and used also in the sixth column of Amira’s Grammatica. The eight lines of text are in a «Nestorian» script, neat and harmonious, significantly more successful than the East Syriac types catalogued by Coakley from 1633 to 1774, especially when compared to E1, the 1633 «Roman» font of Propaganda Fide. Whoever cut the types for this specimen (assuming both typefaces were carved by one and the same person) doubtlessly had an excellent grasp of, and ability to reproduce, the East Syriac graphic style. Obviously good models had also become available. The text is entirely vocalized and complete with diacritical marks. The possibility that the Syriac text was from woodblocks needs to be considered in both instances.42 However, the identical shape of repeating letters and the tiny gaps that occasionally appear at the juncture between two letters (see for example the last word in the fourth line) point to mobile types rather than woodblock. The position of the diacritical dot above dâlat and rêš, variable in thickness and placement, suggests that a basic, dotless character was cut (as in the initial letter of the third word in the fourth ݃ ̈ line: ‫)ܖܘ ݃ܚܢ ݄ܝܐ‬, which could be provided with dots if necessary. This would have allowed for an optimal addition of vowel points as well as diacritical marks (a case in point is the second letter of the penultimate word in the seventh line: ).43 As mentioned, this typeset does not resemble the later, seventeenth-century East Syriac fonts E1-E4 at all; but what is its relationship to the only other known example of sixteenth-century East Syriac script, namely, the

in the decoration of the Chaldean Missal printed for the Maronites (Missale Chaldaicum iuxta ritum ecclesiae nationis Maronitarum, Romae, in Typographia Medicea, 1594). 42 The traces of black ink over the first line of the text and on the right margin would require an explanation. The horizontal line could be due to a movement of the line spacing in the print form; the ink traces on the right seem more consistent with the hypothesis of a woodblock (thus Mr. Gianni Ottaviani, an expert printer, in his letter to the present writer dated 29th January 2013), but the shape of the trace over the first letter of the seventh line, similar to that over the rosette (eighth line, first character to the left) would support mobile types composition. 43 Syriac serto types of dâlat and rêš cut by Granjon and Cavaillon for the Tipografia Medicea have the dot cast onto; a dâlat/rêš punch with the two dots is visible in the collection of the Medicea Laurenziana Library: according to a common practice, punches of dotted (Hebrew, Syriac, Arabo-Persian) letters were incised with all the possible dots cast onto, and after fusion the types were finished by removing the unnecessary dots.

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fifth column in Amira’s Grammatica? The following table facilitates direct comparison. Column A reproduces letters from Amira, Grammatica, pp. 2-3, col. 5; column S letters from the specimen BML, Or. 457, f. 539. A

S

âlaf bêt gâmal



dâlat hê



waw zayn üêt ýêt yôd kâf

[ ]

lâmad mím nûn semkat ‘ê pe úade qôf rêš šín taw

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Even though the comparison is incomplete because the specimen does not contain all the Syriac letters and they mostly appear in their connected form, it is clear that the isolated «Nestorian» characters presented by Amira’s Grammatica belong, with some exceptions, to the same font as the specimen. The exceptions are interesting: as already remarked, in Amira’s column dâlat and rêš are in serto script. As previously noted, the East Syriac font did not comprise individual forms for the two letters, but only a basic type without diacritical marks ( ‫ ;)ܖ‬for some reason44 the composer was forced, or preferred, to use serto types.45 Furthermore, the basic form of dâlat / rêš in the font is erroneously given by Amira as an initial kâf. In the fifth column, the zayn is clearly identical to its counterpart in the serto column. Additionally, the ‘ê and possibly the yôd are serto. This would perhaps allow to infer that the font was incomplete in 1593-96, at the time of the composition and printing of the Grammatica.46 We thus have a new and more telling document on the first East Syriac font, previously known only through the table of Syriac scripts table in Amira’s Grammatica’s, as singled out by Coakley in an appendix to his catalogue. As this is earlier than the other East Syriac fonts catalogued by Coakley, we hereby propose to call it E1*. Besides it, we also have evidence of an estrangelo font, of which we lack any other example — let us call it from now on S?. The presence of East Syriac in a specimen containing an Arabic font carved by Robert Granjon, and a decoration most probably also carved by him, besides his documented collaboration with the Tipografia Medicea, could even be regarded as sufficient evidence in support of an attribution of the Syriac typeset to the French craftsman. Vervliet would perhaps add that the hypothesis is further supported by the quality of workmanship.47 44 One could suggest the loss or lack of the types cut for the dots, or simply the desire to avoid the complication of composing a letter with two types, in a table that was meant as a simple example. 45 A careful look at the third colum of Amira’s Grammatica shows that the serto dâlat and rêš do not correspond to the same serto letters in the «Nestorian» column: they pertain to two different fonts. 46 We know from a note by Raimondi that the first leaf of the Grammatica was printed on 19th October, 1593; the date 1596, given in the impressum, is the year when the work was completed (see M. Farina, in FARINA – FANI 2012, p. 179). Unfortunately the manuscript of the Grammatica, still preserved in the Biblioteca Medicea Laurenziana (Ms. Or. 458, ff. 541-760), is missing the initial pages, where the table of Syriac scripts would have been. 47 See note 35. Let us not forget that the excellent quality of Granjon’s work in Rome as cutter of Eastern characters owed much to G. B. Raimondi’s collaboration. Raimondi was capable of grasping the spirit, so-to-say, of Eastern scripts, and was a considerably skilled scribe of Arabic, Persian, Turkish, Syriac, Coptic. This is testified by numerous samples col-

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Nevertheless, as other punchcutters were employed by the Tipografia Medicea, before deciding in favour of an attribution to Granjon, a reflection on the specimen’s likely dating is necessary. The terminus post quem must, as mentioned, be situated after 1585; the appearance of the typeface in Amira’s Grammatica implies a terminus ante quem before 1596, the date of the Grammatica’s impressum, or better still earlier, 19th October 1593, when its first leaf was printed.48 3. Patriarch Elias’s profession of faith A more precise indication of dating may come from the Syriac text itself. It is not the incipit of John’s Gospel, as the anonymous who wrote the note would have us believe,49 but an entirely different text: the eight lines actually reproduce the incipit of the letter written to the Pope by the «Nestorian» Patriarch Elias to accompany his profession of faith, brought to Rome by the monk ‘Abd al-Masiü. The Syriac document is preserved in Rome, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ms. Vat. Ar. 83, ff. 117-126; its Arabic version is found in Ms. Vat. Ar. 141, ff. 1v-14v. Here is our translation of the specimen’s text, which faithfully corresponds to the beginning of the letter (Ms. Var. Ar. 83, f. 118v)50: In the name of the Father, the Son | and the Holy Spirit. To Jesus Christ’s good soldier, who announces righteously | the truthful word, watchful shepherd and guide, | our wise father and colleague, anointer of priests | and ordainer of the sacred spiritual orders, who holds the keys | to the kingdoms, bishop and head of bishops, Mar Papa | bishop patriarch. Your friend who rejoices over your | spiritual prosperity, the weak Elias of the East, servant of Jesus Christ, Our Lord our hope.

From this we evince that our specimen must date no earlier than the lected in mss. Or. 457 and Or. 458, besides others preserved in the Florence Archivio di Stato, where designs for isolated characters and sample texts abound, among which the studies for elaborate cover designs, precisely reproduced in Granjon’s fonts. 48 See note 46. The Grammatica incorporates decorative materials previously employed by the Tipographia Medicea in the printing of the Arabic Gospels in 1590/91, such as the impression from a decorative woodblock (possibly carved by Leonardo Parasole) found on p. 368 of the Arabic edition of the Gospels (reprod. in TINTO 1987, p. 88) and in the Grammatica, on the final page of the dedicatory introduction to Cardinal Caetani, unnumbered. 49 The hand, as we said, is the same that correctly recorded the contents of the specimen of Granjon’s Arabic of 1583 (Ms. Or. 457, f. 533). That it is G. B. Raimondi’s hand is extremely unlikely, because of the mistake in the identification of the Syriac text. 50 A translation into Latin of the complete text may be found in GIAMIL 1901, pp. 50-60.

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arrival in Rome of the «Nestorian» mission.51 Thus the terminus post quem must be set after Thursday, 18th June 1587, when Cardinal Giulio Antonio Santoro announced to Pope Sixtus V the presence in Rome of Patriarch Elias’s envoy.52 ‘Abd al-Masiü’s journey to Rome had been promoted and sponsored by Leonardo Abel (Malta 1541 – Rome 1605), bishop of Sidonia, who spent more than three years (16th July 1583 – February 1587) as apostolic visitor in the Levant, meeting representatives of the Eastern Churches to encourage them to join the Roman Church. Abel himself provides an account in his autograph relation, written in Italian and presented to Pope Sixtus V, dated 19th April 1587.53 Abel says that after having entrusted to a Venetian ship a priest, a deacon and a cleric sent by «li Caldei Assirii di Caramit» (the Assyrian Chaldeans of Diyarbakır, that is the branch of the Church of the East under the authority of Patriarch Simon Denha) to be educated and taught in the «Colleges erected in Rome for the spiritual benefit of the Eastern [Christians]», he entrusted to the same ship an envoy from the «heretic Patriarch» of the «Nestorians» who live in the region of «Mosul and Jazirah, in Babylon», being greater in number that those who live under the «catholic» Patriarch, that is, Simon Denha.54 The profession 51 The letter, both in the Syriac (Vat. Ar. 83, f. 125r) and the Arabic (Vat. Ar. 141, f. 15r) texts, is dated to the month of Kânon of the «year 1553 of the Ascension of Our Lord to the sky, according to the reckoning of the Greeks 1897» — which corresponds to December 1586 in the Ascension’s reckoning, but to 1585 in the Greeks’ computation. This discrepancy is reflected in the dating given by scholars (ASSEMANI 1725, p. 599: «… exarata mense Decembri anno Graecorum 1897. Christi 1586»; GIAMIL 1902, p. XXXIV: 1586; BELTRAMI 1933, pp. 82-83: 1585; LEVI DELLA VIDA 1939, p. 226: 1585). As we will see, the document reached Rome some time before 18th June 1587, so one would incline to accept December 1586 as the more plausible date, because a time interval of more than a year from writing to delivery may seem too long. Nevertheless, the delay could be explained by the fact that the promoter of the contacts with the «Nestorian» Patriarch, Leonardo Abel, intended to be present in Rome at the moment of the arrival of the envoy with the letter; in the following paragraphs more information is given about Abel’s initiative. 52 «[Udienza] con Nostro Signore [il papa], giovedì 18 di giugno 1587. Del Patriarcha di Muzal [= Mosul] e del suo messo» (KRAJCAR 1966, p. 94; see also BELTRAMI 1933, p. 84). 53 Ms. Rome, Archivio Segreto Vaticano, A.A. Arm. I-XVIII, 3095, antico Arm. IX, caps. 7 n. 7. See LEVI DELLA VIDA 1939, pp. 201-203. 54 «Li Caldei Assirii di Caramit, sudditi a questo patriarca, come devotissimi et obedienti alla Sede Apostolica, desiderosi di haver maestri per insegnare li loro figlioli le cose della fede, mandano per hora un prete, un diacono et un chierico per esser insegnati et instrutti nelli collegii eretti in Roma a beneficio spirituale delli Orientali, e li raccomandano con ogni affetto a V. Beatitudine, li quali non havendoli possuto condurre meco per via di Malta, li ho racommandati in una nave venetiana e provisto di viatico, e presto saranno in Roma» (BELTRAMI 1933, p. 80); «Questo patriarca non vi è memoria che altre volte egli abbia dato obedienza alla Sede Apostolica. Manda non di meno hora un frate con la sua professione di fede et lettere dirette a Vostra Santità per trovar modo di reconciliare et unirsi con la Santa Romana Chiesa; il qual frate sarà ancho presto in Roma insieme con li sudetti Assirii, havendolo io

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of faith, signed by Patriarch Elias and other bishops and clergymen, was read to Sixtus V — Pope Gregory XIII, to whom it was addressed, had died on the 10th of April, 1585, before the missive was even written. The Pope regarded it as too markedly Nestorian to be considered.55 As reprehensible as the content was theologically, the writing and page layout were wonderful: a brilliant example of East Syriac calligraphy, which inspired the punchcutter/s of E1* and S?, as a comparison of the specimen and Ms. Vat. Ar. 83, f. 118v immediately shows. The choice of an actual manuscript source for drawing characters and producing specimens was common practice; see for example Granjon’s specimen of W4, which reproduces Psalm 38:1-9, most probably from a Psalter that was already in the Biblioteca Vaticana.56 Besides, it is in keeping with Raimondi’s policy, aimed at reproducing the aesthetic of the Eastern manuscript book in the Tipografia Medicea’s editions. 4. Tipografia Medicea and its «Chaldean Business» Perhaps the beauty and elegance of the East Syriac calligraphy would not have been sufficient to justify a work as complex and expensive as the incision of punches and the preparation of a new font. Another reason, besides aesthetic appreciation, may perhaps more fully explain the production of E1* and S?. We find it in a document, now preserved in Florence, Archivio di Stato.57 It is a copy by Raimondi of an act by which the Grand Duke of Tuscany58 increased the profits of the Tipografia’s Congregation from 30%59 raccomandato su la stessa nave venetiana» (BELTRAMI 1933, p. 82). For a French translation of Abel’s report, see D’AVRIL 1866. 55 Sixus V’s reply is published in BELTRAMI 1933, pp. 225-229. The identification of the Patriarch with Elias VI bar Giwargis (1558/9 – 26 May 1591) is undisputed, as Beltrami has shown, on the basis of his gravestone inscription in the Rabban Hormizd monastery (BELTRAMI 1933, p. 81). Why David Wilmshurst still labels him «Eliya VII» is unclear to me (WILMSHURST 2011, pp. 319-321; see also MURRE-VAN DEN BERG 1999, pp. 243-244). 56 See COAKLEY 2006, pp. 38-39, and LEVI DELLA VIDA 1939, p. 135: the model Psalter could have been Ms. Vat. Syr. 9; the specimen of W4 is reproduced in VERVLIET 1981, p. 19 (Rome, Biblioteca Vallicelliana, Inc. 284-5). 57 Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, ins. 17; reproduced in TINTO 1987, pp. 99-100, and here in the Appendix. 58 That is, the ex-Cardinal Medici, now Ferdinand I of Tuscany, promotor and sponsor of the Tipografia Medicea. 59 As provided in the foundation act dated 6th March 1584 (Florence, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, doc. 1, reproduced in MARACCHI BIAGIARELLI 1971, pp. 88-89: «Ci siamo contenti concedere a tutta la Congregatione de sopra nominati [i.e. G. B. Raimondi, C. Saracinelli, D. dell’Antella, G. B. Britti] compresovi ancora il

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to 35%. This decision, on 8th August, 1588, followed an agreement («conventione») between the Congregation and «Abdel Mesichi», introduced by «monsignor vescovo di Sidonia», which had been signed in Rome on 22nd December, 1587, aiming at the production of three printed books — or kinds of books: Chaldean-Arabic dictionaries, Chaldean Gospels as well as prayer books («lexichi in chaldeo con l’espositione arabica, breviarij et Evangelij in chaldeo»). The Grand Duke declared the increased percentage to be limited to the three mentioned Chaldean books, and to other Chaldean prints, in case they followed; moreover, a portion of income provided for the Congregation had to be allocated to «monsignor vescovo di Sidonia», i.e. Leonardo Abel, who had introduced the Chaldean priest. The request for printed books in Syriac to be disseminated in the Levant was apparently the reason for the journey of Moses of Mardin from his country, where the lack of books was so lamentable among the Eastern Churches. Thus one is not surprised by the fact that ‘Abd al-Masiü in turn asked to participate in a similar enterprise, especially since the foundation of the Tipografia Medicea gave him much better opportunities. To be able to fulfill the agreement and print books for ‘Abd al-Masiü’s «Nestorian» Church, the Tipografia needed «Nestorian» types, for both text and titles; these were provided by faithfully reproducing the calligraphy of the profession of faith sent by Elias.60 The increase in the (expected) income for the Congregation is explicitly connected by the Grand Duke to the printing project agreed upon with ‘Abd al-Masiü, most probably because of the need to reward Leonardo Abel. I would be inclined to suggest that the fonts were produced in the time elapsed between the agreement (22nd December, 1587) and the Grand Duke’s act (8th August, 1588), because the Congregation had to show Ferdinand I that the project was feasible — probably he was made aware of the matter only after preparations had been made, and our specimen or a similar one could have had a part in the procedure. East Syriac and Arabic types were expected to be used, at least in the Chaldean-Arabic dictionary, so it makes sense that both are represented in the same specimen. However, the archival evidence related to the production of Syriac fonts (always called «Chaldean» in the relevant papers) for the Tipografia Medetto Mons. Patriarcha [i.e. Ignatius Na‘matallah], del utile che se ne conseguisse, difalcato le spese… una participatione di trenta per cento in tutto e fra tutti» — the distribution of the percentage among the members is specifyed in the following paragraphs of the document). 60 This East Syriac calligraphy, typical of Alqosh and the Rabban Hormizd monastery, has mantained a remarkable continuity until modern times, as testified by many Syriac Mss. from the region; see for instance the twentieth century handwriting reproduced in LEROY 1958, p. 227.

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dicea does not seem to support such a suggestion, because all of the documents are dated earlier (payments to Robert Granjon) or later (payments to G. B. Sottile and Jean Cavaillon).61 On the other hand, it is unlikely that all the documents have been preserved. But another important document helps us to better understand what happened. On 13th August, 1588 — five days after the Grand Duke had signed the previously cited act — G. B. Raimondi wrote a long reply to a letter by Belisario Vinta, secretary of the Grand Duke, dated 6th August 1588 (two days before the act; to our knowledge, the letter is not preserved), in which Vinta had expressed to Raimondi Ferdinand I’s intention to move the Tipografia from Rome to Florence.62 In his attempt to dissuade Ferdinand I, Raimondi lists several good reasons that, in his opinion, would not recommend such a relocation. This long document is rich in important details about the situation and the history of the Tipografia; in the following paragraphs we will mostly focus on the information directly related to our topic. At first Raimondi recalls that previously, when considering the possibility of moving the Tipografia to Florence, the main reason was «to carry away master Robert [Granjon]» from Rome, to prevent other printers from using his expertise in Arabic punchcutting; in which case, concurrent printers could have undermined the monopoly of the Tipografia Medicea in Arabic printing. On the other hand, moving from Rome to Florence would certainly imply the loss of the Oriental printing business («negotio»): the Pope and Cardinals protectors of the Oriental nations would immediately set up their own Oriental printing presses — indeed they were capable of that, as demonstrated by the fact that Arabic printing, funded by the Pope, was started by Domenico Basa and Granjon before the institution of the Tipografia Medicea. The foundation of the Tipografia had introduced a profitable change for the Pope: the «negotio» was conducted in the service of the Apostolic See, at the expenses of Cardinal Medici, protector of the Oriental Churches. As Raimondi remarks, in granting the Tipografia the privilegies for Oriental printing, the Apostolic See lost nothing, nor did he invest money, receiving only advantages. If the Cardinals now referred to the Tipografia for printing Oriental books of interest to them and the nations they «protected», it was because they were afraid to offend the Grand Duke, who as a faithful servant of the Apostolic See had taken charge of the business. But a transfer to Florence of the Tipografia would have meant 61

See TINTO 1987, pp. 32-34; 48-49; 52. Raimondi’s letter is preserved in Florence, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, ins. 18; it has been published in TINTO 1987, pp. 101-110, and is reproduced here in the Appendix. 62

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a breaking of the link with the Apostolic See, thus as the Pope and the Cardinals had types and people capable of doing the work in Rome, the business would be totally lost. As for the main technical issue, that is, the punchcutting of Oriental types, Raimondi says: «where money runs, no doubt several master Roberts arise, and other craftsmen also… If master Robert died — God forbid — I have here in Rome men to fulfill his job… but I keep them at a distance from that work, not to give them the opportunity to serve other [concurrent printers]». Thus, as Raimondi remarks in other passages of the letter, the preparation of Oriental types was no such a difficult and forbidding task to concurrents — and craftsmen other than Granjon would have been suitable for the purpose. Raimondi recalls that the Tipografia should accept to print books of scarce interest and of little or no profit (he mentions the case of the Maronite missal, promoted by Cardinal Carafa), just to preserve its monopoly of «Chaldean» printing. This policy of «serving the Apostolic See» would allow the Tipografia to proceed in his principal editorial interests: among them Raimondi mentions here «our primary Chaldean business» («il nostro negotio chaldeo principale»), and for the first time in the letter he introduces the «bishop of Sidonia», Leonardo Abel, as an intermediary in the printing business of the Tipografia. The bishop of Sidonia, says Raimondi, met in Rome some Melchites («certi chaldei della natione di Malchiti») looking for a printing press to print «about three hundred booklets of the Psalms» for them. The bishop advised them to turn to the Tipografia Medicea, as the best opportunity in Rome for their aim; although considering «such business… minimal and devoid of any usefulness» («questi negotii… minimi et di nulla utilità»),63 the bishop and Raimondi agreed that it was the path to follow to prevent people from turning to other printing presses, «where they could be easily served, and at very moderate prices» («dove facilmente potrebbono essere serviti et a bonissimo mercato»). The intermediary role of Leonardo Abel is explicitly recognized by Raimondi, in a passage which is crucial for our argument: Raimondi remarks on the diligence of the bishop of Sidonia, who, being in charge of all business related to the Christian nations of the Levant, usually directs those interested in printing their books to the Tipografia, as in the case of the «Chaldean business», from which, as the Grand Duke knows, much income is expected.64 This «Chaldean business» emerges as a strategic project for the Tipogra63 Knowing that the print run of the Tipografia was very high (e.g. 3500 copies for the Arabic-Latin Gospels, see S. Fani in FARINA – FANI 2012, pp. 74-75), such a small number would have seemed to Raimondi inconsiderable and ridiculous. 64 «… la bona diligentia del vescovo di Sidonia il quale trattando lui tutti li negotij di queste nationi, occorrendo loro di stampare qualche cosa, tutti l’indrizza nella nostra stam-

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fia’s Congregation, associated with Leonardo Abel who first promoted it — as may be inferred from the passage cited above. It is, of course, the same project mentioned in the act dated 8th August, 1588: the edition of Eastern Syriac books, to be sold among the «Nestorian» — and probably also Chaldean — Christians in North Mesopotamia. In his letter addressed to Vinta (but obviously meant for the Grand Duke’s eyes and attention) Raimondi speaks of this project through allusions, which, however, are highly transparent in the light of what we know from the act. Indeed he never explicitly mentions ‘Abd al-Masiü, who is nevertheless recognizable under the designation «Chaldean» («chaldeo»): people from the Levant — says Raimondi — «visit Rome for compulsory business, and then, they find that in the city it is easy to get everything they want printed, as happened with our Chaldean, and at a low cost».65 Arguing against the relocation of the Tipografia from Rome to Florence, Raimondi relates a misunderstanding that arose with Leonardo Abel. The rumors that the Tipografia would be moved to Florence66 disturbed Abel, and when a member of the Congregation, Cipriano Saracinelli, secretary of the “Protection” of the Patriarchs of Antioch and Alexandria, left Rome for a visit to Florence of about a month, he became suspicious and anxious, so that Raimondi had to use all his patience and effort to prevent him from «doing crazy things» («che non facesse delle pazzie»). The point was that Abel, since the «Chaldean business» and the Chaldean himself («detto negotio et il detto Chaldeo») depended upon him, had the power to give the «negotio» to the Tipografia or to other printing presses: he could decide on his own whom to entrust it to. Moreover, says Raimondi, everybody knows that it would be easy to find somebody willing to propose a lower cost67 for the «negotio», that is the printing of the books for ‘Abd al-Masiü. Thus we learn more about the terms of the agreement: according to Raimondi, the «negotio» would produce a relevant income for the enterprise involved in paria, sì come ha fatto ancora di questo negotio chaldeo, dal quale si spera tanta utilità, quanta Vostra Signoria sa». 65 «Tutte queste nationi, per altri interessi loro necessariamente capitano in Roma, dove ritrovando commodità di stampare tutto quello che vogliono, come è avvenuto al nostro chaldeo, et a bon mercato…». 66 These rumors arose the expectations of people (possibly Cardinals) who were already looking for breaking the monopoly of the Tipografia; when Raimondi replied to their inquiries that a move to Florence was not planned, maximum displeasure was apparent in their face, because the answer did non conform to their expectations («se li conosceva nel viso a tutti, et manifestamente, che li dispiaceva sommamente, et che la risposta non era conforme al desiderio loro»). 67 «… che si facci un poco di meglior mercato al chaldeo, et è cosa che si può fare commodamente come si sa».

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it, as the expected investment should not exceed one thousand scudi («con sborso di chi pigliarà l’impresa, di non più che milli scudi») and it was agreed with the people concerned (i.e. the Nestorians) that they would pay a good amount of money at the beginning of printing, then other payments would follow during the work.68 This information is in keeping with what Abel wrote in his report about the «Nestorians» of the region of Mosul and the Jazirah: they were the richest and most powerful among the people submitted to the «heretic» Patriarch — besides, they were also quite numerous.69 Thus the production of books for such a (relatively) big and rich «Nation» appeared to Abel, and to Raimondi, as a more convenient «negotio» in comparison to that with the Maronites: as already mentioned, the Cardinal Carafa was sponsoring the printing of a Missal for them, and Raimondi notes that he had commissioned no more than 500 copies, because the Maronites were few in number and poor, so that — in keeping with the policy of «service of the Apostolic See» — it was affordable to the Grand Duke to bear the cost of printing, calculated at about 400 scudi.70 Returning now to Raimondi’s letter: Raimondi remarks that Abel being then more conscious of the good economic outcome of the «Chaldean business» («è un poco più scorto del valore del negotio»), he could easily entrust it to other people (Raimondi never mentions a specific person or printing press), or even propose it as a great enterprise to the Pope; that is why the agreement was signed as soon as possible (on 22th December, 1587, as we know from the act); Raimondi calls as a witness «signor Donato», that is, Donato dell’Antella, treasurer of the Congregation.71 Thus the reasons for the decision to increase the percentage of income for the Congregation become clearer, as also the explicit provision for the intermediary, Leonardo Abel, in the act dated 8th August, 1588. Raimondi goes on with his argument, preparing to refute the possible objection of the availability of suitable (that is, East Syriac) types: such an objection is entirely meaningless, he says, because other people «could have them made in a shorter time than we employed to produce ours, and 68 «Quelli come è pattizato hanno da portare bona quantità di danari per incominciare a stampare et poi sequitare il pagamento da mano in mano». 69 Leonardo Abel, in D’AVRIL 1866, p. 31. 70 «Et non ne vol fare stampare più che 500 sì perché detta natione è di poco numero in tanto che questi 500 basteranno, sì ancora perché la spesa, per essere detta natione povera, bisogna che la facci Sua Signoria illustrissima la quale ascenderà alla summa di 400 scudi in circa». 71 About this important member of the Congregation see M. Farina in FARINA – FANI 2012, p. 46.

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the cost is so low, as signor Donato knows, that the bishop himself could have them made before the arrival of the Chaldean with the original, all the more so because he has in his hands the copy according to which our characters have been made; and I know that if would not be difficult to find somebody who could make them quite well».72 This is a confirmation that the East Syriac types E1*, designed according to Elias’s profession of faith, which was owned, or deposited, by Leonardo Abel,73 were ready in August 1588. Probably they had been paid for by Donato dell’Antella, who is called as a witness of the (low) cost of their production by Raimondi. Apparently, the Congregation was expecting some «original» to come to Rome with the Chaldean: probably, manuscript books to be used as the source in the business of Chaldean book printing. Raimondi does not mention explicitly who was responsible for cutting the punches — and he says that to his knowledge, several people could quite well fulfill that job. But in the next sentence he mentions Granjon: «I said that, if master Robert would fail in making the other upper-case Chaldean type, it would be no problem for me to find somebody in Rome capable of producing it — as signor Donato may remember –, and that above all because their production is not so difficult as that of the Arabic [types], and other [similar types] have been made by other craftsmen than master Robert».74 Again we find the argument that good punchcutters are not unavailable in Rome; Raimondi seems to believe that the Arabic punches needed much more skill than «other» types, and Granjon’s failure (Raimondi alludes to the advanced age, and to the illness of the French craftsman75) would not 72 «Et non si facci difficultà nelli caratteri di questa natione perché in minor tempo si faranno li loro di quello che sono fatti li nostri, et la spesa è tanta poca, come sa il signor Donato, che l’istesso vescovo li farebbe fare prima che venesse il chaldeo con lo originale, Masime che ha nelle mani sue l’esemplare da dove sono cavati li nostri, et non mancarebbe chi li facesse et bene, et questo lo so io». 73 Indeed both the Mss. Vat. Ar. 83 and Vat. Ar. 141, miscellaneous collections of Syriac, Arabic and Garshuni texts where the Syriac and Arabic professions of faith of Elias are preserved, contain fascicules and portion of works written by Leonardo Abel, or owned by him (LEVI DELLA VIDA 1939, cfr. the numerous references in the Index of cited Mss.). 74 «Et quando mancasse mastro Roberto per fare l’altro carattere chaldeo maiuscolo, disse io che non mi dava fastidio perché in Roma era chi lo potesse fare et di questo ancora si può ricordare il signor Donato, et Masime che non ci è quella difficultà che è nelli arabici et ne sono stati fatti da altri che mastro Roberto». 75 A Post Scriptum in margin to the letter informs the Grand Duke that Robert Granjon «fifteen days before [the 13th August, 1588]» suffered a second stroke (the first had occourred some twenty years before), so that it was from that time impossibile for him to work «for others». So possibly «the other upper-case Chaldean type» was never made, or at least not by Granjon.

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have stopped the «negotio». As this «failure» appears to be related to «the other upper-case Chaldean type», which apparently still had to be made, one may suggest that one type of the sort had already been cut, and this would be probably the estrangelo S?. Raimondi’s explanation of the situation allows to infer that Robert Granjon was indeed the punchcutter of E1* and S?. The letter goes on, with a long paragraph introducing in direct speech the argument of a suspicious Leonardo Abel (that we will summarize and paraphrase as much as possible — with the exception of an important sentence, which we will quote explicitly): I put in your hands this business; it was understood that the books had to be printed Rome, Florence or any other place were never mentioned; if the printing is not made in Rome I will be free from my promise; anyway, I want to attend to the censorship of the books, because I left all other trade, devoting myself to the study of Hebrew and Syriac, to be able to fully understand the content of the books written in those languages, so that nobody would blame me. And if the books are not printed in Rome, «I will ensure that they are not accepted, because, as the Chaldean said, and I know it very well because I was in these regions, the books that are not printed in Rome do not enjoy any authority there, and nobody buys them, as happened with the Syriac New Testament printed in Vienna, of which no copy was sold in all the Levant».76 In the end, I do not see any reason not to print the books in Rome, because they will surely be accepted by the readers, as the outcome of an authoritative enterprise, with the Pope’s satisfaction and honour for the Grand Duke; and also with the security of those involved in censorship. Leonardo Abel’s concerns are thus related also to the censorship («espurgatione») of the books: he claims full control on this important phase of editorial activity. This problem, and the relationship of the Tipografia with the Congregazione dell’Indice, are considered by Raimondi, but following his argument in this respect would distract us from our main point. Readers interested in this issue may refer to the complete document in the Appendix. In the end apparently Raimondi succeeded in clearing up Abel’s suspicions — showing himself in his turn suspiciuos of the bishop’s real aims: indeed, says Raimondi, if the Tipografia was transferred to Florence, 76 «Farò in modo io che non siano accettati, perché, diceva il chaldeo, et lo so io che sono stato in quelle bande, che li libri quali non sono stampati in Roma lì non sono di nulla autorità, né si comprano da nullo, sì come è intravenuto al Testamento Novo stampato in Vienna in lingua chaldea, che non se n’è venduto pur uno in tutto Levante». It is difficult to say if this evaluation of the commercial outcome of Widmanstetter’s editio princeps of the Syriac New Testament in the Levant represents true facts, or Abel’s personal opinion.

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Abel would certainly break the Chaldean business, «because he may have thought better of what he might have for him, and perhaps he was helped to think of it» («perché havrà pensato meglio a quello che ne potrebbe cavare per sé, et forse ci è stato aiutato al pensarci»). The story is related to the Grand Duke to convince him not to move the Tipografia to Florence; the good reasons to remain in Rome were many, and the «Chaldean business» being a strategic one for the Tipografia, it would have been unwise to lose it. We know that the Grand Duke decided not to move the printing press, and we also know that Raimondi had to look for other strategic projects, to be able to keep the Tipografia working,77 because the «Chaldean business» had no outcome. ‘Abd al-Masiü’s stay in Rome was perhaps longer than expected78; but when Raimondi wrote the letter to Vinta, he had already left Rome, after 30th March 1588.79 Probably the agreement he had with Raimondi, the Congregation of the Tipografia and Abel, signed on 22th December 1587, provided that he should come back to Rome with «original» material to be printed, as we read in Raimondi’s letter; but this never happened. Another envoy from the «Nestorian» Church went to Rome, sent by another Patriarch Elias, in spring 1611, and his stay lasted until 2nd June 1614. His name was Rabban Adam.80 He was housed at the Medici’s expense, and parchment was bought for him, to copy a «Chaldean» Bible, a work related perhaps to another project of the Tipografia Medicea, the Polyglot Bible.81 Although there is no direct evidence of interactions with 77

In August 1588 none of the important editions of the Stamperia Medicea had appeared, its first publications being the Arabic Gospels whose impressum bears the date 1590 and 1591. But the same letter by Raimondi informs us that the first two leafs of the Gospels were already printed before August 1588, ready to be shown to the Pope and to Cardinal Carafa as a result of the «service to the Apostolic See» that Cardinal Medici had undertaken. 78 Cardinal Santoro, in whose house ‘Abd al-Masiü was staying, mentions him in his report of the audience of 16th July 1587: «Con Nostro Signore, a dì 16 di luglio 1587, giovedì, dopo la Congregazione. Della fretta che mi da il Sangalletti per la speditione per l’ambasciatore del Patriarcha caldeo che sta in casa mia, che bisogna farlo istruire prima come si fa, et si attende alle cose sue, etc. — Che lo diceva credendo che quello facesse instantia di partirsene etc., ma che si faccia quello che pare a me» (KRAJCAR 1966, p. 94). 79 On 2nd February, 1988, ‘Abd al-Masiü seems ready for the journey back home (thus Cardinal Santoro: «Con Nostro Signore, martedì a 2 di febraro 1588. Della speditione di Abdal Mesich Chaldeo» [KRAJCAR 1966, p. 96]), but we find him still in Rome on 30th March, 1588, as Santoro remarks: «Cum SS.mo Domino Nostro, die 30 martii 1588, feria IV., in audientia consistoriali. Litterae (?) de pluviali et planeta pro Elia Patriarcha Chaldeorum et illius oratores, viaticum pro eodem, quae suggeratur ei, hodie non mandabit» (KRAJCAR 1966, p. 97; BELTRAMI 1933, 85). 80 See TISSERANT 1955, pp. 234-239. 81 BERTOLOTTI 1878, p. 248: «20 marzo 1614 alli heredi del q. Stefano Godier scudi 133 baj. 20 di moneta quali se li faranno pagare per carte N. 740 pecorine bianche da scrivere a

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Raimondi, it is unlikely that the two never met. At all events, Raimondi died in 1614, on 13th February; neither the «Chaldean business» and the Polyglot Bible project had an outcome. 5. Conclusions Thus we have found not only a specimen, but also archival sources on E1*, the East Syriac font previously known only through Amira’s Grammatica.82 Indeed we may consider the act by Ferdinand I, and Raimondi’s letter especially, as clear and plain evidence of the existence of the fonts, and that could be enough. It would be interesting to review the known evidence of the payments for cutting and founding Syriac characters for the Tipografia Medicea, but the documentation is definitely not complete and the terminology, both for the language and the scripts, is ambiguous and confused — at least so it appears to us now. Indeed the first occourrence of an apparently unambiguous label, «Nestorian», is found in a document that Coakley expressly decided to «disregard».83 According to this list, which is not dated but can be situated between May 1605 (because it mentions Pope Paul V84) and February 1614 (before Raimondi’s death, mentioned in a note written on the verso of the document),85 the Syriac typefaces of the Tipografia Medicea were six: one for the Maronites, anothragion di baj. 18 l’una che loro hanno dato al Padre Adamo Ambasciatore del Patriarca di Babilonia per scrivere una bibbia caldea». As Margherita Farina (Università per Stranieri di Siena) suggested to me, Adam is most probably the scribe of the Syriac Ms. Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana, Or. 47 (18 ff., Eusebian Canons and New Testament related short texts; without scribal notes), written in a neat East Syriac calligraphy close to that of Elias’ profession of faith on thin white parchment. 82 See note 30. 83 Florence, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, doc. 48; COAKLEY 2006, p. 41 n. 50; I cannot agree with Coakley, when he says that Tinto «also discounts this source»: Tinto points out that the date of this document is unknown (but most probably it can be dated after 1600), its orthography is often incorrect and discrepancies with other information concerning the types are many; but nevertheless Tinto considers it as the only recent list of the typefaces of the Stamperia Medicea, although it does not give the names of the punchcutters, and qualifies it as important because it was meant as the basic documentation for selling the Tipografia to the King of Spain (TINTO 1987, pp. 53-56). In our opinion, just because this list was meant for calculation of the economic value of the material, one would expect a good deal of precision in cataloguing the types — but not, of course, information about punchcutters etc., unnecessary and less interesting from this perspective. Anyway Coakley is wise in pointing out that claiming to be able to reconcile all the data of the various sources would be too much. 84 As Mario Casari (Università di Roma «La Sapienza») pointed out to me. 85 The complete document was published by MARACCHI BIAGIARELLI 1971, pp. 93-94 (TINTO 1987, pp. 53-56, in a translation and a paraphrase).

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er for the Jacobites, and a third one for the Nestorians; furthermore, three «square» typefaces, common to all three «Nations».86 If we disregard the orthographic mistakes (perhaps the list was written in Italian by a foreigner), and the fact that the information is sometimes contradictory in comparison with other preserved documents — which are mostly payment receipts, that could hardly give a complete report about the material owned by the Tipografia — we may wonder if it might not be fair to give some confidence to the ability of the anonymous writer in distinguishing the three different Syriac scripts, as his understanding of them seems correct. The label «Maronite» for a serto was already used by Raimondi. Only one estrangelo related to the Tipografia Medicea is known (S5, in two sizes, as Coakley remarks). The third one could be that prepared for the «Chaldean business». Another document deserves attention: it is a long list of Oriental matrices, punches and types stored in Florence, in the «general wardrobe» of the Grand Duke of Tuscany. Copy of it was made in Padua, on the order of Cardinal Barbarigo, in 169287; this is a useful document because its 53 pages reproduce in drawing all the listed types. On pp. 134-135 we have a list of matrices for a font labeled as «Caldeo Babilonico Garamone». The drawings of the letters recall E1* very closely, in the form it has in Amira’s Grammatica, that is, with serto rêš (significantly, dâlat is absent from the font list on p. 134). The reference to Babylon in the name of the font is appropriate for an East Syriac script. This important document deserves further study, which is best reserved for another occasion. What is established, is that an East Syriac typeface was cut between 1587 and 1588, perhaps by Robert Granjon, for the Tipografia Medicea. It was produced on the model of the calligraphy of scribes from the Rabban Hormizd monastery, in Northern Mesopotamia. The font had separate diacritical dots and Eastern vowels. An Eastern estrangelo was produced, on the same model. 86 «Sei Charattere della Lingua Caldaico e Seriaco uno per la natione Caldei Maroniti. Un autro per la natione di Jacobiti et un autro per la natione delli Nestoriali. Et tre Charattere quadrate antichi. Uno grande uno mesano et un autro picolo comuni a tutti tre queste natione». 87 Now preserved in Padua, Biblioteca del Seminario Vescovile, Archivio del Seminario, Tomo 122: p. 128: «Nota di Madri, e Punzoni, e Caratteri orientali che sono nella guardarobba g[e]n[er]ale di S.A.S. di Toscana cavati da un registro d’un libro ov’erano segnati inviato dalla sud[det]ta Altezza all’I[llustrissi]mo Barbarigo, e d’ordine di questi fattane copia da me D Gir[ola]mo Bianchi. L’anno 1692». I thank Rev. Riccardo Battocchio, Director of the Library, and Dr. Giovanna Bergantino, Librarian, for giving me an opportunity to study the document in the Library, and for providing digital images of it.

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The impulse was provided by the presence in Rome of an envoy of Patriarch Elias, whose travel had been sponsored and encouraged by Leonardo Abel, who also planned with him the printing of «Nestorian» books to be sold in the Levant. Since that project was aborted, the fonts were never used, but one of them, E1*, was still available in 1593/96, when Amira’s Grammatica was printed; probably some characters were lost by then, and/or the composer was not able to make correct use of the types. In fact, Amira’s fifth column still represents, in Coakley’s words, the «first appearance of the East Syriac script in a printed book». Besides it, all that remains of the first attempts at printing East Syriac books is a specimen, in which the types E1* and S? appear as among the finest East Syriac and estrangelo characters ever produced — at least in the highly subjective aesthetic evaluation of the present writer. The finding in Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana, of the East Syriac specimen Or. 457, f. 539, has enabled us to better understand the precise meaning of the «negotio chaldeo» mentioned in Raimondi’s letter to Belisario Vinta, and the role of «Abdel Mesichi» in the act of 8th August 1588; neither of which — at least to our knowledge — was fully appreciated in previous research on the Tipografia Medicea.

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APPENDIX

1) The profession of faith of Patriarch Elias — Biblioteca Apostolica Vaticana, Ms. Vat. Ar. 83, ff. 117-126; codicological description A quinion of polished oriental paper (no visible watermark); size: 270 × 150 mm; double numbering: right-to-left on the recto (upper left corner, 117-126) and left-to-right on the verso (lower left corner, 166-175). Writing frame 150 × 90 mm (a misýara was applied for framing and line ruling), delimited by a rectangle marked by two parallel lines in red ink (2 mm together); 18 lines per page (except at the beginning of the text [f. 118v: title, 2 lines; text, 15 lines], f. 119v [14 lines, 2 lines in estrangelo (the trisaghion)] and at the end of the text [125r: an extra line at the bottom, outside the red rectangle in the lower margin]). «Nestorian» stylized opening mark (‫ )ܞ‬on the recto and verso of the folios, upper right corner outside the rectangle (absent were there is no text [ff. 117, 125v, 126], in connection with a title [f. 118v] and in f. 119v). Text in black ink, East Syriac script and estrangelo for the title; almost fully Eastern vocalization. Decoration scarce and sober: f. 118v: red lines delimiting the title space, with the two side columns filled by black small connected crosses; f. 124r × with 4 red dots on the sides; f. 125r: black ∞ with 4 red dots on the sides; three vertical dots (red-black-red) Patriarchal seal impressed in the middle of f. 117v: a red square delimited by a double negative (paper colour) line, 45 × 45 mm; text also in negative estrangelo: From the Cell of the Patriarch prayers and benedictions are bestowed upon you

‫ܡܢ ܩܠܝܬܐ‬

‫ܦܛܪܝܪܟܝܬܐ‬ ̈ ‫ܨܠܘܬܐ‬ ̈ ‫ܘܒܘܖܟܬܐ‬ ‫ܡܫܬܟܢܢ ܠܟܘܢ‬

The use of a such a square red seal by the «Nestorian» Patriarch was introduced through a grant by the Mongol Grand Khan Möngke (1251-1259) to the catholicos of the Church of the East of a big seal (173 × 173 mm), a copy of which (made in Iran in 1298 by order of Ilkhan Ghazan, after the original had been stolen) produced the four red impressions visible on the letters sent by the catholicos Yahballaha to Popes Boniface VIII (1302) and Benedict IX (1304), preserved in the Archivio Segreto Vaticano; see HAMILTON 1972 and BOTTINI 1992.

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2) The act of the Grand Duke of Tuscany, 8th August 1588 From TINTO 1987, pp. 99-100 (the integrations and comments by Tinto are reproduced between [ ]; strikethrough words are deleted in the original). Florence, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, ins. 17. Copy by G. B. Raimondi of the act by which the Grand Duke of Tuscany increases the income of the Congregation of the Tipografia Medicea from 30% to 35%. Copia Havendo noi [empty space] fa deputato una congregazione per cagione d’una impresa di stampa in lingua arabica et chaldaica che ci fu proposta da messer Giovanni Battista Raimondo stata da esso trattata con il reverendissimo monsignor patriarca d’Antiochia, et concesso a detta congregazione una participatione dell’utile a ragione di trenta per cento da distribuirseli fra di loro a loro beneplacito, con dichiaratione che sì cosi mancassi, succedino li restanti et con altre dechiarationi contenute nella scrittura che per ciò fu fatta et da noi sottoscritta et firmata con il nostro solito sigillo sotto il di 6 di marzzo [sic] 1584 in Roma alla quale in tutto et per tutto ci rimettiamo referiamo, et di nuovo in ogni meglior modo detta scrittura confermiamo. Et essendo da poi occorso altra occasione per ricerca stata fatta alla congregazione da Abdel Mesichi sacerdoti dell’Ordine di san Basilio Chaldeo di Tabista nella Mesopotamia procuratore, come disse et a nome del suo reverendissimo monsignor patriarca Elia nel Mansulo in Babilonia introdotto da monsignor vescovo di Sidonia. Et compiaciuto da essa congregatione della sua ricerca che fu d’una quantità di tre sorte di libri da stamparsi, cioè lexichi in chaldeo con l’espositione arabica, breviarij et Evangelij in chaldeo, come per la conventione fra di loro seguita in Roma sotto il di 22 di decembre 1587, quale affermiamo essere ad intera nostra satisfattione et come ben fatta la confermiamo. Ci siamo contenuti et vogliamo et in virtù di questa in ogni meglior modo dichiariamo che la participatione delli utili della nova impresa in favore della congregatione sopradetta, cossì di detti tre libri, come per quanti altri di più occorressi stamparne in detta lingua chaldea in ogni tempo deva essere et sia con effetto a ragione di trentacinque per cento de quali possino a loro beneplacito liberissimamente disporre, et distribuirseli fra loro ad intera loro satisfattione come per l’altra scrittura fu detto ma in questa condicon conditione et obrigo che di tal participatione di trenta cinque per cento deva la congregatione dare conveniente satisfattione al sopradetto monsignor vescovo di Sidonia introduttore del sacerdote chaldeo, per li utili che si sperano dallo stampare li tre sopranominati libri. Et perché cossì è nostra volontà la presente sarà da noi sottoscritta et firmata con il nostro solito sigillo questo dì 8 d’agosto 1588. In Firenze. Copia f. Cardinale Gran duca di Toscana. locus sigilli

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3) Letter by G. B. Raimondi concerning the relocation of the Tipografia from Rome to Florence, 13th August 1588 From TINTO 1987, pp. 101-110 (the integrations and comments by Tinto are reproduced between [ ]; strikethrough words are deleted in the original). Florence, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, ins. 18. Letter by G. B. Raimondi to B. Vinta, secretary of the Grand Duke Ferdinand I. Molto illustrissimo et reverendissimo signor mio osservandissimo Mi comanda Vostra Signoria per la sua delli 6 di questo, che desiderando Sua Altezza Serenissima transportare questa stamparia in Firenza, io scriva subito a Vostra Signoria il modo con il quale mi pare che si possi fare. Credo ben, signor mio, che Sua Altezza Serenissima intenda in che modo si possi trasportare da Roma in Firenza il negotio dì stampare questi libri arabi et chaldei senza incorrere in periculo a fatto di perderlo tutto, o di ridurlo a tanta debolezza, con lassare campo in Roma ad altri di stampare ancora loro di detti libri, che fusse più presto pernitioso che lucroso. A questo, per obedire, rispondo et dico che altre volte già è stato trattato di questo qui in Roma, et si discorreva, da una parte, che sarebbe stato espediente di trasportare questo negotio in Firenza per alcune ragioni, delle quale quella che più dell’altre premeva era per levare di Roma mastro Roberto1 acciò non lavorasse per altri di questi ponsoni arabici, et ci riducesse, con haver compagni, il detto negotio a quella debolezza detta di sopra. Dall’altra parte si discorreva, che levando questo negotio di Roma sarebbe un volerlo perdere al sicuro, perché non è da dubitare, che il Papa et quelli cardinali quali hanno cura et protettione delle nationi orientali non voglino, insieme con l’altre stampe, questa arabica ancora; et l’esperientia già lo dimostra havendola loro già fatta fare tanto prima di noi et da mastro Roberto, et similmente l’esperientia n’ha demostrato che non solo la voleno, ma che l’affettano [sic] per tante persecutioni che per conto di questo solo n’hanno dato in questo negotio. Et si bene ma adesso pare che ci stanno, per è che havendo pigliato a fare Sua Altezza Serenissima questa impresa da molti anni sono per servitio della Sedia Apostolica come a protettore che era di questa lingua arabica, et perseverando di là et in Roma, non possono sotto questo pretesto istesso fare il medesimo loro senza manifesta offesa di Sua Altezza Serenissima Masime stando in possesso, con bona gratia di Sua Santità, del negotio tenendo la stampa qui in Roma per servitio della Sedia Apostolica sì come haveva dal principio incominciato. Onde se si levasse questa stamparia di Roma, senza dubio alcuno metteranno subito in ordine la loro, et questo si chiarisce ancora dalla tanta diligentia che hanno fatta per sapere se questa stampa era per andare a Firenza, o no, et essendoli sempre stato risposto che no, se li conosceva nel viso a tutti, et manifestamente, che li dispiaceva sommamente, et che la risposta non era conforme a quello che loro desideravano al desiderio loro; et ancora per la diligentia fatta in visitare la stamparia di mastro 1

Robert Granjon (1513-1590), type designer and punchutter.

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Domenico2 et dimandare, in particulare, delli caratteri arabici et chaldaici et loro gittature se erano in ordine per potere stampare quando bisognasse, tal che non è da dubitare niente che se si levasse di Roma questa si metterebe subito in ordine la loro, né in questo penseranno di punto offendere Sua Altezza Serenissima non potendo ragionevolmente, né in altro modo, pretendere Sua Altezza Serenissima che la Sedia A[postolica] in Roma non la possi fare ancora lei perché facendo li privilegij a noi oltra che non ha pregiudicato mai a se, ce li ha fatti perché questo resultava in servitio suo, havendo bisogno lei di questa stamperia in Roma per le cause dette et da dire appresso. Né bisogna dire che non havranno modo, essendoli levata la commodità di mastro Roberto, perché hanno già in poter loro [un ?] carattere arabico et un’altro chaldaico in ordine et con le loro gittature et ogni altra cosa necessaria; et si qualche ponsone li mancasse, facilmente lo potranno fare subito, et questi dui caratteri li basteranno per adesso per incominciare, et penseranno in tanto a far fare dell’altri, et non mancherà loro maestri che, a similitudine delli fatti, possino fare dell’altri o magiori o minori, come vogliono; né anco li mancheranno huomini che li servino, perché non sono più che sei mesi che li correttori delle stampe latine serveno nella stamparia di Sua Santità et già sono stati tutti riconosciuti, per adesso, di 200 scudi di Camera di beneficij per uno, con promessa di presto haver molto più per il che non è da maravegliare se alcuno de nostri recalcitri, et soccedendo, il che Dio non permetta, questo del che si dubita, ci accorgeriamo quanti huomini resterebono a noi che ci servissero. L’esperientia è pericolosa et dannosa, non potendosi rimediare poi se quello che si dice soccedesse si come soccederebbe, che io desiderarei che si facesse et ci ritrovariamo con la stamparia in Firenza et senza huomini, parlo di quelli senza li quali non si può fare cioè di quelli della congregatione non essendoci dell’altri. Et non si risponda che si ritrovarebe modo di condurli in Firenza con dar loro a bastanza perché si trattarebbe dell’impossibile sì come Vostra Signoria intenderà appresso. Seguitarebbe ancora questo che è detto, si occorrendo il caso, sì come hogi occorre, che lo dirò appresso, che Sua Santità o altri cardinali protettori di queste nationi orientali, per servitio della Sedia Apostolica et beneficio di dette nationi, volessero stampare qualche libro in lingua arabica o chaldaica, potendolo stampare in Roma sì come ne hanno da principio stampato uno in arabico nella stamparia loro et con caratteri loro, et dui in chaldeo nella stamparia di Sua Altezza Serenissima ma nelli caratteri loro, che vorrebbono mandarlo a stampa in Firenza? Non è da credere questo in nisciun modo, anzi si deve tenere per fermo che vorranno che si stampi in Roma, et che se ben non havessero questi caratteri in essere, sì come l’hanno, in tal caso li farebbono nascere. Et sappisi signor mio, et senza dubio alcuno, che dove corre il danaro, lì nascono delli messeri Roberti et d’ogni sorte d’artefici che fanno di bisogno, et questo lo dico per esperientia fatta in questo negotio et in questo particulare di fare ponsoni; che mancando mastro Roberto, che Dio non vogli, io ho qui in Roma huomini che ci servirebbono come mastro Roberto et, forse adesso che è mal sano et nella sua vecchiaia che poco più può fare, meglio di lui et più presto, ma li tengo lontano da questo concetto per non darli ardire di proponersi ad altri. Hora il caso che occorre è questo, che il padre 2

Domenico Basa (first decade of the sixteenth cent. – 1596), typographer.

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Battista giesuita3 il quale interviene nella congregatione mi ha detto da parte dell’illustrissimo cardinale Carrafa,4 qual è protettore della lingua chaldea et della natione di Marroniti, che vol fare stampare un messale in lingua chaldea per servitio della natione sopradetta di Marroniti, et non ne vol fare stampare più che 500 sì perché detta natione è di poco numero in tanto che questi 500 basteranno, sì ancora perché la spesa, per essere detta natione povera, bisogna che la facci Sua Signoria illustrissima la quale ascenderà alla summa di 400 scudi in circa; et quando io lo conferio con il signor Cipriano ci parse che in ogni modo questo signore si havesse a servire, sì per esequire quello del che si ha dato intentione, cioè che questa stamparia Sua Altezza Serenissima la fa fare per servitio della Sedia Apostolica, sì ancora per mantenerci in possesso di detta stamparia di libri chaldei per conto del nostro negotio chaldeo principale, et Masime che essendo il detto signor cardinale protettore di detta lingua et per questo in un certo modo padrone di queste lettere chaldee, si ben sono di mastro Domenico et adesso di Sua Santità; pur con tutto ciò è per essere venuto da noi per stampare questo libro, et se li fusse stato negato in ogni modo l’havrebe fatto stampare nella stamparia loro dove sono questi caratteri chaldei, et il negotio in questa parte sarebbe rotto (?) nella stamparia loro tanto più ci parse facile che il detto padre Battista disse che delli compositori et correttori n’havrebe havuto cura lui, tal che non sarrebe impedito il corso del stampare li nostri libri che havemo nelle mani et sotto il torculo. Di più il vescovo di Sidonia,5 molti giorni sono, mi disse da parte dell’illustrissimo cardinale Santa Severina6 che voleva far stampare in arabico et chaldeo la Professione della fede cattolica et certe altre cosette, et credo, se ben mi ricordo, che il detto signor cardinale ne parlasse con il signor Cipriano et per le medesime cause dette di sopra ci parse dirle, respondendo al detto vescovo et poi mandato messer Paulo al detto cardinale, che Sua Signoria illustrissima sarebbe stata servita perché questa era la intentione di Sua Altezza Serenissima et pochi giorni sono il cardinale domandò al detto vescovo se quelle cose erano stampate o vero si stampavano. Di più il detto vescovo di Sidonia dice che sono in Roma certi chaldei della natione di Malchiti, li quali vanno cercando di stampare da trecento libretti di Salmi in lingua chaldea, et il detto vescovo li ha dato parola di farce... stampare nella nostra stamparia, dicendoli che in Roma non... altra stamparia dove possino essere meglio serviti di questa, et non ostante che questi negotij siano minimi et di nulla utilità, puro al detto vescovo ha parso et pare che si debano accettare, et che vi si debba attendere, acciò ci manteniamo in possesso di queste stampe, et acciò non lassiamo aprire la strada di detti negotij ad altra stamparia, dove sono in essere detti caratteri et dove facilmente potrebbono essere serviti et a bonissimo mercato a... ilendoci il nostro negotio. Hora discorrasi adesso, et dicasi, si questa stamparia si levasse di Roma et si conducesse in Firenza per stampare questi sopradetti, et altri che bisognassero per servitio della Sedia Apostolica et commodità della Sedia Apostolica di dette nationi, si ha da credere che li mandassero a Firenza? Certo no, anzi vorranno per l’altre ragioni dette di 3

Giovanni Battista Eliano (1530-1589), jesuit theologian. Antonio Carafa (1538-1591), Cardinal. 5 Leonardo Abel (1541-1605). 6 Giulio Antonio Santoro (1532-1602), Cardinal. 4

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sopra che si stampino in Roma, et soccederebbe loro tutto quello che hanno desiderato et che desiderano, et cossì si aprirebbe il nostro negotio in Roma et in mano d’altri, et cossì necessariamente caderebbe dalle mani nostre, perché tutte queste nationi, per altri interessi loro necessariamente capitano in Roma, dove ritrovando commodità di stampare tutto quello che vogliono, come è avvenuto al nostro chaldeo, et a bon mercato, stampando loro ogni cosa mastro Domenico ad un baiocco il foglio, non vorranno venire altramente a Firenza, né in altro loco dove noi stessemo, quali pretendemo di farli gran mercato se li stampamo per un giulio il foglio quello che loro vogliono. Et li mer... turchi ancora subito che havessero notitia di sì buon mercato che si facesse in Roma li concorrebbono tutti et non a Firenza, et delli privilegij se ne riderebono. Dove per contrario adesso che questa stamparia è qui in Roma, tutti bisogna che per forzza [sic] venghino nelle mani nostre non havendo ardito nisciuno di aprire questo negotio nelle stampe loro rompendo li nostri privilegij sotto pretesto che le fa la Sedia Apostolica quale, come è detto, non ha mai pregiudicato a se, facendo li privilegij a noi, et ancora per la bona diligentia del vescovo di Sidonia il quale trattando lui tutti li negotij di queste nationi, occorrendo loro di stampare qualche cosa, tutti l’indrizza nella nostra stamparia, sì come ha fatto ancora di questo negotio chaldeo, dal quale si spera tanta utilità, quanta Vostra Signoria sa. Di più, stando in piede il mal concetto che si ha havuto di detta stampa per il male officio fatto per conto di quel libro già stampato, et la difficultà che hanno fatto ad alcuni altri libri che si hanno voluto stampare et non hanno voluto, non è da credere che se si trasportasse questa stamparia da Roma in altro loco che manchassi chi facesse intrar sospettione che levamo questa stamparia di Roma per l’impedimento che havemo in non potere stampare tutti quelli libri che volemo, et quasi che come in una macchia l’habiamo portata dove a noi è più commodo et sicuro di stampare ciò che volemo senza che habiamo l’occhi di superiori adesso che ci impediscano il stampar cose che non convengono. Et tanto più si darebbe sospitione, quanto che Sua Santità, per la revisione di detti libri da stamparsi in dette lingue, ha fatto breve che si habi da fare dalla Congregatione dell’illustrissimi cardinali quali intervengono nel fare l’Indice delli libri prohibiti; parerebbe dunque che noi fugissemo questa revisione che vuole il papa che si facci dalla detta Congregatione, et ciò sarrebbe senza gran sospetto di qualche male, et non mancare[bbe] instigatore o sollicitatore in questo, come si può concludere dalle cose passate per l’adietro, tal che senza nominare questi libri né altro con una sola clausula che mettesero [sic] nel’Indi[ce] de libri prohibiti che includesse questi stampati in questo modo o da stamparsi, venerebbono ad essere prohibiti et per consequentia il negotio ad essere perso a fatto, né si potrebe dolere nisciuno, perché in tal caso non vi è rimedio alcuno né querela, essendo fatta sotto pretesto d’espediente et necessaria per la nostra religione. Di più, il papa, come si sa, h[a] tentato con bona gratia di Sua Altezza Serenissima di havere questa stampa in Vaticano con unita con la sua, poi si è contentato che stia da per sé in casa di Sua Altezza Serenissima per servitio della Sedia Apostolica et di ciò... lodata molto et comendata Sua Altezza Serenissima che per servitio della Sedia Apostolica Sua Altezza Serenissima facci fare questa impresa, ma si bene disse che desiderava che stesse nel Giardino, che li pareva che cossì convenisse et tutto ciò disse al cardina-

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le Carrafa presente messer Paulo7 quando li mostrò li dui primi fogli delli Evangelij stampati; delli quali ebbe gran piacere et li lodò molto sì li Evangeli, come tutta l’impresa, dicendo che poi che Dio benedetto ha fatto tanta grazia a Sua Altezza Serenissima di darli tante ricchezze, giusta cosa era che lei dal canto suo facesse qualche cosa in servitio di Nostro Signore et della sua Santa Sede. Sa ancora et per detto del sopradetto cardinale Carrafa et del cardinale Paleotto8 che per la espurgatione et emendatione di questi libri da stamparsi in dette lingue tanto sacri quanto profani è una congregatione a posta, dove interviene il vescovo di Sidonia, il padre Battista giesuita, li padri Domenicani et li padri Franciscani et noi altri, del che è restato satisfatto, et non solo si è contentato che si facci et che si sequiti il negotio, ma ha promesso il suo favore dove bisognasse. Al cardinale Mattei,9 poi, ha detto che lui tiene per fermo che con questo negotio si può fare gran servitio alla Sedia Apostolica; per questo disse che voleva, non solo che si sequitasse, ma che s’ingrandisse quanto era possibile et che vedesse se nella religione di Zoccolanti erano d’altri frati intelligenti della lingua arabica, che li facesse venire in Roma per questo servitio, et che li facesse trattare bene che voleva che in ogni modo la Sedia Apostolica sequitasse questa impresa. Donde se si trasportasse questo negotio adesso da Roma si darebbe gran disgusto al papa, ma a questo rimediarebbe lui con farla sequitare in Roma in ogni modo, et nella sua stamparia, dove son ancora, come è detto, oltra tutti li caratteri delle lingue orientali, li arabici, et chaldaici, et quello che ne sequitasse a noi già è stato concluso di sopra, Masime vedendo che per la espurgatione di detti libri non solo parerebe che havessemo fugito la revisione della Congregatione dell’Indice, alla quale lui l’haveva rimessa, ma ancora l’intervento di quelli della nostra congregatione; et si non di tutti, della magior parte, perché il vescovo di Sidonia non non ci sarebbe, come Vostra Signoria udirà, né il padre Battista, il quale per tenere quieti li giesuiti è mezo potentissimo et necessariissimo, et forse, et forse senza forse, la congregatione si ridurrebbe a uno o a dui al più, con li quali soli et senza l’altri, dato che da per loro dui bast[asse]ro per ogni cosa, non si potrebe fare niente, non potendosi da[re] a loro dui soli fede di cosa tanto importante, oltra la suspi[tio]ne che si havrebbe data, come è detto di sopra, d’haver fugito l’intervento dell’altri. Né si dica che la congregatione10 si farà venire tutta o la magior parte, come è detto di sopra, perché è importante, et in questo metterò io la vita da perderla, et so quello che dico, né si dica ancora che a Firenza si p[uò] fare dalla congregatione l’espurgatione et emendatione di detti libri da stamparsi, et poi mandarla in Roma [che] sia vista dalla Congregatione dell’Indice. Perché ancor questo è importante et molto più, perché, oltra che, come è detto, non si potrebbe havere la congregatione a Firenza sarebe u[n] mandar al giorno del Giuditio la stampatura d’un libro solo, hor se qui in Roma dove semo tutti presenti si dura tanta fatica per havere un libro revisto dalla Congregatione dell’Indice, per le difficultà che occorreno loro per non intendere queste lingue, et bisogna che 7 Paolo Orsini, a member of the Congregation of the Tipografia born in Constantinople («di natione turco ma fatto christiano»). 8 Gabriele Paleotti (1522-1597), Cardinal. 9 Girolamo Mattei (1546-1603), Cardinal. 10 Tinto inserts here a negative particle: [non], which is in our opinion unnecessary.

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giorno per giorno sia uno di noi con messer Latino Latini,11 a chi è stato dato carrico dall’illustrissimo Colonna12 di questa rivisione, come si potrà fare stando noi in Firenza; questa mi pare, adesso che la provo, una difficultà insuperabile et da non potervisi dare rimedio. In particulare poi, per conto del negotio delli libri chaldei da stamparsi, si disse che sarebbe un volerlo perdere al sicuro, sì come l’occasione adesso n’ha dimostrato, perché, per la venuta del signor Cipriano13 in Firenza, si perturbò tanto et se insuspettìo tanto il vescovo di Sidonia, che io durai fatica grandissima et angonia [sic] in ratenerlo che non facesse delle pazzie per un mese, assicurandolo che in questo termine il signor Cipriano sarebbe ritornato in Roma, credeva lui, sì come mi disse dopo il ritorno del signor Cipriano, che appresso fra poco dovesse venire ancor io con la stamparia in Firenza. Si discorreva dunque dicendo che sì come al vescovo sopra detto era in mano di dar detto negotio a noi o ad altri per dipendere da lui il detto negotio et il detto chaldeo et la sua natione, cossì li era in mano ancora et sempre di ritirarlo et levarlo da noi con darlo a chi più li piacesse; et questo con fare che si facci un poco di meglior mercato al chaldeo, et è cosa che si può fare commodamente come si sa, et dire a chi lo volesse proponere, che questo negotio di tanto guadagno si può condure a fine, con sborso di chi pigliarà l’impresa, di non più che milli scudi, et questo è vero come anco si sa, perché quelli come è pattizato hanno da portare bona quantità di danari per incominciare a stampare et poi sequitare il pagamento da mano in mano; et di più il detto vescovo adesso che è un poco più scorto [sic] del valore del negotio si farebbe fare quella parte che li piacesse, et se lo proponesse al papa forse che n’havrebbe qualche cosa grande, et questo si considerò ancora et si concludeva che era fattibile, et si strense [sic] per questo solo il partito quanto prima alla conclusione, si come si può ricordare il signor Donato.14 Et non si facci difficultà nelli caratteri di questa natione perché in minor tempo si faranno li loro di quello che sono fatti li nostri, et la spesa è tanta poca, come sa il signor Donato, che l’istesso vescovo li farebbe fare prima che venesse il chaldeo con lo origin[ale], Masime che ha nelle mani sue l’esemplare da do[ve] sono cavati li nostri, et non mancarebbe chi li facesse et bene, et questo lo so io. Et quando mancasse mastro Ro[berto] per fare l’altro carattere chaldeo maiuscolo, disse io che non mi dava fastidio perché in Roma era che chi lo po[tes]se fare et di questo ancora si può ricordare il signor Donato, et Masime che non ci è quella difficultà che è nelli arabici et ne sono stati fatti da altri che mastro Ro[berto]. Se si trasportasse dunque questa stamparia da Roma a Firenza, non è da dubitare che ci intravenerrebbono tutte queste cose dette, et in particulare in questo negotio chaldeo, perché, diceva il vescovo in quella sua perturbazione, [«]io vi ho dato questo negotio nelle mani in Roma et in Roma s’intendeva che si havessero a stampare non essendo mai stata nominata Firenza né altro loco con patto, si come è scritto et firmato da tutti noi, che si habino a fare in Roma et mancando questa conditione, 11

Latino Latini (1513-1593), humanist. Probably Marcantonio Colonna (1523-1597), or Ascanio Colonna (1560-1608), both Cardinals. 13 Cipriano Saracinelli (?-1608), a member of the Congregation of the Tipografia. 14 Donato dell’Antella (1540-1617), a member of the Congregation of the Tipografia. 12

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sarò sciolto ancor io dalla promessa mia, et mi protesto che nella espurgatione et emendatione di questi libri voglio essere presente io, et per questo io havendo lassato ogn’altro negotio, ho fatto et faccio tanto studio nella lingua hebrea et chaldea acciò possi dormir sicuro che nell’avenire non n’habi a patire danno et dishonore; et facendosi altramente, farò in modo io che non siano accettati, perché, diceva il chaldeo, et lo so io che sono stato in quelle bande, che li libri quali non sono stampati in Roma lì non sono di nulla autorità, né si comprano da nullo, sì come è intravenuto al Testamento Novo stampato in Vienna in lingua chaldea, che non se n’è venduto pur uno in tutto Levante. Et questo per la causa detta di sopra, diceva appresso il venire io a Firenza è importante perché non voglio lassare li servitij di tanti anni fatti al mio padrone et alla Sedia Apostolica dalla quale dipendo et dalla quale spero assai et tirarmi adosso una inimicitia et persecutione da non terminarsi mai, con mio poco honore et con la mia ultima ruina, per andare a Firenza per la espurgatione di questi libri, li quali non vedo causa necessaria perché non si possino fare in Roma, et con sicurezza d’esserno [sic] accettati, et con magiore auttorità dell’impresa et con satifattione di Sua Santità et con honore di Sua Altezza et con sicurtà di chi interviene nell’espurgatione.[»] Queste et infinite altre cose diceva il vescovo con protestarsi sempre, tal che si conclude che in tale mutatione il detto vescovo sarrebbe atto et pronto a dare il crollo a questo negotio, et io lo credo, perché havrà pensato meglio a quello che ne potrebbe cavare per sé, et forse ci è stato aiutato al pensarci. Da tutte queste cose dette, et da molte altre che non scrivo per non fastidir più Vostra Signoria, mi pare poter cavare sicuramente il parere mio intorno questa dimanda che Vostra Signoria mi ha fatta; il quale parere mutarà sempre che il tempo et l’occasione faranno mutare le cose sopradette, et il parere mio è quello istesso che disse più volte al signor Donato a bocca et poi gli lo diedi in scritto, et è che mi pare che da Roma non si levi mai in tutto et per tutto questo negotio, perché al sicuro si perdirrebbe tutto, anzi adesso mi pare che la congregatione destinata per l’espurgatione et emendatione delli libri da stamparsi in queste lingue debba stare in Roma, sì per sollecitare l’espeditione dalla Congregatione dell’Indice, sì ancora per satisfattione delli superiori, et per la difficultà anzi impossibilità di condurla tutta in Firenza, senza la quale congregatione non è possibile fare nie[nte]. Mi pare ancora, che ne anco in parte per adesso si levi di [Roma], ma si aspetti un poco finché si dia satisfattione alli superio[ri] con la stampatura delli Evangelij che sono libri sacri, acciò si scordino del mal concetto fatto contra questa stamparia, et [in] tanto si avrà pigliato quasi possesso firmo di detto negotio et buon concetto delle cose che si stampano, d’essere tutte b[uone] et in tanto similmente noi attenderemo a fare dell’huo[mi]ni sì per la compositura come anco per la correttione delle stampe, et all’hora si potrà aprire una una piazza in Firenza o dove Sua Altezza Serenissima la volesse per sua satisfattione... stampare qualche libro et vedere che motivo si fa... se in Roma, et ritrovando che lassassero fare in ogn[i] loco, non potendo far niente loro per la stamparia che a[n]cora starrebbe in Roma et per li nostri privilegij, all’... si potrebbe ingrossare quella di Firenza et diminuire questa di Roma, o farle lavorare equalmente o come a Sua Altezza fusse di più satisfattione. Et facen[do] costoro alcuno motivo et mal officio a quella di F[iren]za, all’hora

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non accaderà che con scorno o poca ri[pu]tatione ritorniamo in Roma, perché già vi è la nos[tra] stamparia, et il loco non è occupato da altri. Et in questo modo il negotio si assicura in tutto et per tutto et non si può perdere mai, et Sua Altezza Serenissima havrà le sue satisfattioni che vorrà, in Firenza, et mostrarà sua magnificentia con tenerne un’altra in Roma per servitio della Sedia Apostolica, et questo non sarà di danno alcuno, anzi di molto giovamento perché quanto più si stamparà, tanto più si guadagnarà; in questo modo ancora si tenerà saldo il vescovo per conto del negotio chaldeo, et il tempo forse facilitarà detto negotio con l’occasione che giornalmente vengono et si potrà condure dove l’homo vole. Questo è, adunque, per adesso, il parere mio; desidero che Vostra Signoria insieme con le ragioni dette il referisca, quando ci sarà commodità, a Sua Altezza Serenissima et poi lo tenghi appresso di sé, acciò che facendosi altra mente et soccedendo qualche sinistro evento, del che Dio ci guardi, io sia escusato et non incolpato di non haver detto quanto conosceva intorno a questo negotio per servitio di Sua Altezza Serenissima. Perdonimi Vostra Signoria se son stato troppo lungo et inetto nel scrivere et habimi per escusato, si perché non so più, si ancora perché ho trattato di cose che mi premeno principalmente per servitio del Padrone Serenissimo et poi per interesse mio, perché se questo negotio andasse male io sarei rovinato non havendo altro, per la mia vecchiezza, che la speranza di questo negotio et quelli cento scudi di pensione che Sua Altezza Serenissima si è degnata di darmi, et quello che ancora ne posso sperare con che facendo fine resterò basando le mani di Vostra Signoria et pregandoli da Nostro Signor Dio ogni contento et felicità. Da Roma alli 13 di agosto 1588. Di Vostra Signoria molto illustrissima et reverendissima suo affezionatissimo Giovanni Battista Raimondo [Note on the left margin] Mastro Roberto quindici giorni sono, essendo per venti anni sono crepato da una banda di sotto, è crepato dall’altra tal che poco può lavorare, onde non è da temere che lavori per altri.

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Note After the article was submitted, on 24th July 2013 we found in Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana, two further prints of the E1* specimen. They are in Ms. «Orientale 459», containing (according to the title on its spine) «Fragmenta Arabica partim impressa, partim exarata manu. Consegnati al Bibliot.o Can.co A. M. B. da S.A.R. questo di 8. Lug. 1771». Just like Ms. Or. 457 – where the first, previously thought to be unique, specimen was found – Ms. Or. 459 consists of a large (608 folios) and varied collection of materials from the archives of the Tipografia Medicea, including inter alia corrected proofs of Avicenna’s Canon printed in 1593, printed fascicules of the Arabic Gospels (1590/1591) with corrections and an interlinear handwritten translation (by G.B. Raimondi), a partial translation into Italian of an Arabic furusiyya treatise, probably from the Ms. Vat Ar. 300 (LEVI DELLA VIDA 1939, pp. 221-222), two Persian letters from Shah ‘Abbas I to pope Clement VIII, and other materials in Persian attributable to the Dominican friar Thomas of Terracina (see A. M. PIEMONTESE, Catalogo dei manoscritti persiani conservati nelle biblioteche d’Italia, Roma 1989, pp. 98-99). In Ms. Or. 459, the large double-page opening numbered 575-576 shows two prints of the same typographical form as specimen Or. 457, f. 539; the print on f. 575v is rotated by 180° with respect to that on f. 576r; even though the inking is not uniform both are better readable than the first identified specimen, which has a tear on its right side. Therefore we are reproducing f. 576r (Fig. 5). A visit to the Biblioteca del Seminario arcivescovile in Padua, after completion of the present article, allowed us to identify the latest printed example of the font E1*. It consists of two lines found in the type specimen Saggio dei caratteri, fregi e vignette della Tipografia del Seminario di Padova, Padova 1876; the name given to the font is «Caldeo antico» (Old Chaldean). The spelling of the short sentence is incorrect, especially for the absence of a diacritical point to distinguish d from r. The same text is reproduced by BELLINI 1938, p. 176 (one line only), who quotes as his source an older type specimen, Saggio di caratteri della Stamperia del Seminario, Padova 1808, that we could not locate, even at the Library in Padua. Therefore, types from font E1* where still available to the Tipografia del Seminario in Padua in 1808/1876 (see Figg. VIII and IX). The font E1* was never used for the Syriac texts featured in publications by the Tipografia del Seminario (s. COAKLEY 2006, p. 93); but in quite a few cases the serto letter mím is actually a suitably carved eastern semkat, and instead of a gâmal an eastern ‘ê is employed: in both instances, the types are from E1*.

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— 1902 = S. GIAMIL, Genuinae relationes inter Sedem Apostolicam et Assyriorum Orientalium seu Chaldaeorum Ecclesiam nunc majori ex parte primum editae historicisque adnotationibus illustratae cura et studio abbatis Samuleis Giamil, Roma, Ermanno Loescher e C. 1902. HAMILTON 1972 = J. HAMILTON, Le texte turc en caractères syriaques du grand sceau cruciforme de mar Yahballaha III, «Journal Asiatique» 260, 1972, pp. 155-170. HANEBUTT-BENZ – GLASS – ROPER – SMETS 2002 = E. HANEBUTT-BENZ, D. GLASS – G. ROPER – T. SMETS (a c. di), Sprachen des Nahen Ostens und die Druckrevolution: eine interkulturelle Begegnung: Katalog und Begleitband zur Ausstellung / Middle Eastern Languages and the Print Revolution: a Cross-cultural Encounter: a catalogue and companion to the exhibition, Westhofen, Skulima, 2002. KRAJCAR 1966 = J. KRAJCAR, Cardinal Giulio Antonio Santoro and the Christian East. Santoro’s Audiences and Consistorial Acts, Rome, Pontificio Istituto Orientale, 1966. LEROY 1958 = J. LEROY, Moines et monastères du Proche-Orient, Paris, Horizons de France, 1958. LEVI DELLA VIDA 1939 = G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca vaticana, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1939. MARACCHI BIAGIARELLI 1971 = B. MARACCHI BIAGIARELLI, La Biblioteca Medicea Laurenziana. Una nuova sala per l’attrezzatura della Stamperia Orientale (sec. XVI), «Accademie e biblioteche d’Italia» 39 (22 N.S.), 1971, pp. 83-99. MOSLEY 2001 = J. MOSLEY, Sources for Italian typefounding, in Cento anni di Bibliofilía. Atti del convegno internazionale, Biblioteca nazionale, Firenze, 22-24 aprile 1999, Firenze, Leo S. Olschki 2001, pp. 299-354 (revised reprint of MOSLEY 2000 = J. MOSLEY, Sources for Italian typefounding, «La Bibliofilia» 102, 2000, pp. 56-102). MURRE-VAN DEN BERG 1999 = H. MURRE-VAN DEN BERG, The Patriarchs of the East from the Fifteenth to Eighteenth Century, «Hugoye» 2.2, 1999, pp. 235-264. PEDANI 1999 = M. P. PEDANI, Intorno alla questione della traduzione del Corano, in L. BILLANOVICH – P. GIOS (a c. di), Gregorio Barbarigo, patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697). Atti del Convegno di studi, Padova, 7-10 novembre 1996, Padova, Istituto per la storia ecclesiastica padovana, 1999, pp. 353-365. PROVERBIO 2000 = D. V. PROVERBIO, Tetravangelo. Arabo. (Roma, Stamperia Medicea Orientale, 1591), in F. D’AIUTO, G. MORELLO – A. M. PIAZZONI (a c. di), I Vangeli dei Popoli. La parola e l’immagine del Cristo nelle culture e nella storia, Roma, Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo – Biblioteca Apostolica Vaticana, 2000, pp. 420-422. ROMANI 2012 = V. ROMANI, Tipografie papali: la tipografia Vaticana, in M. CERESA (Ed.), Storia della Biblioteca Vaticana, Vol. II: La Biblioteca Vaticana tra Riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2012, pp. 261-279. SERENA 1963 = S. SERENA, S. Gregorio Barbarigo e la vita spirituale e culturale nel suo seminario di Padova I-II, Padova, Editrice Antenore, 1963.

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SMITSKAMP 1983 = R. SMITSKAMP, Philologia Orientalis. A description of books illustrating the study and printing of Oriental languages in Europe II. Seventeenth century, Leiden, E. J. Brill, 1983. — 1991 = R. SMITSKAMP, Philologia Orientalis. A description of books illustrating the study and printing of Oriental languages in Europe III. Sixteenth and seventeenth centuries, Leiden, E. J. Brill, 1991. STROTHMANN 1971 = W. STROTHMANN, Die Anfänge des Syrischen Studien in Europa, Wiesbaden, Harrassowitz, 1971. TEULE 2008 = H. G. TEULE, Les Assyro-Chaldéens. Chrétiens d’Irak, d’Iran et de Turquie, Turnhout, Brepols, 2008. TINTO 1987 = A. TINTO, La tipografia medicea orientale, Lucca, Pacini Fazzi, 1987. TISSERANT 1955 = E. TISSERANT, Église nestorienne, in S. POP (a c. di), Recueil cardinal Eugène Tisserant I, Louvain, Centre International de Dialectologie générale, 1955, pp. 139-317 (= ID., Église nestorienne, in Dictionnaire de théologie catholique XVII, pp. 449-525). VALERGA 1879 = P. VALERGA, Catalogo supplementare dei codici Orientali esistenti nella Biblioteca Medicea Laurenziana, 1879 (Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana, Sala studio). VERVLIET 1967 = H. D. VERVLIET, Robert Granjon à Rome (1578-1589). Notes préliminaires à une histoire de la typographie romaine à fin du XVIe siècle, «Bulletin de l’Institut Historique Belge à Rome» 38, 1967, pp. 177-231. — 1981 = H. D. VERVLIET, Cyrillic and Oriental Typography in Rome at the End of the Sixteenth Century. An Inquiry into the Later Work of Robert Granjon (157890), Berkeley, CA, Poltroon Press, 1981. WILKINSON 2007 = R. J. WILKINSON, Orientalism, Aramaic and Kabbalah in the Catholic Reformation. The First Printing of the Syriac New Testament, Leiden-Boston, E. J. Brill, 2007. WILMSHURST 2011 = D. WILMSHURST, The Martyred Church. A History of the Church of the East, London, East & West Publishing, 2011.

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Fig. I – Amira’s Grammatica, p. 2 (courtesy Bibliotheca Cathariniana, Pisa).

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Fig. II – Amira’s Grammatica, p. 3 (courtesy Bibliotheca Cathariniana, Pisa).

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PIER GIORGIO BORBONE

Fig. III – Vat. Ar. 83, f. 118v.

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Fig. IV – Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana, Or. 457, f. 539r (The images are the property of the Biblioteca Medicea Laurenziana, Florence. Courtesy of the “Ministero per i Beni e le Attività Culturali”; they may not be further reproduced by any means.)

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Fig. V – Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana, Or. 459, f. 576r (The images are the property of the Biblioteca Medicea Laurenziana, Florence. Courtesy of the “Ministero per i Beni e le Attività Culturali”; they may not be further reproduced by any means.)

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Fig. VI – Padua, Archivio del Seminario, Tomo 122, p. 134: font “Caldeo Babilonico Garamone” (courtesy Biblioteca del Seminario Vescovile, Padua).

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Fig. VII – Padua, Archivio del Seminario, Tomo 122, p. 135: font “Caldeo Babilonico Garamone” (courtesy Biblioteca del Seminario Vescovile, Padua).

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Fig. VIII – BELLINI 1938, p. 176: font “Caldeo antico”.

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Fig. IX – Saggio dei caratteri, fregi e vignette della Tipografia del Seminario di Padova, Padova 1876: font “Caldeo antico – Corpo 18”.

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L’INTERPRETAZIONE GIOCOSA DI UNA LAPIDE SCAVATA IN CORREGGIO DI GIOVANNI BATTISTA DALL’OLIO (AUTOGR. PATETTA 241, CART. 11, FF. 1-7v) Giovanni Battista Dall’Olio, nato nel 1739 a Sesso, vicino Reggio Emilia, si formò a Bologna, dove apprese anche la musica dal francescano conventuale bolognese Giovanni Battista Martini (1706-1784). Nominato nel 1764 maestro delle pubbliche scuole di Rubiera e organista della Collegiata, rivestì in seguito varie altre cariche, tra cui quella di cancelliere delle Opere Pie, per poi trasferirsi nel 1784 a Modena in qualità di ragioniere ducale. Ebbe rapporti con affermati scienziati, letterati e musicisti del tempo, come Paisiello, Ximenes, Lampredi, Paradisi, Venturi, Ceretti, Corti e Tiraboschi (con quest’ultimo collaborò alla stesura di alcune voci della Biblioteca Modenese) e scrisse saggi di matematica, cinque commedie (in parte rappresentate nei teatri di Modena e Parma), novelle e poesie, non disdegnando di occuparsi anche di archeologia, storia locale e scienze naturali. Socio di numerose accademie (Accademia Ducale dei Dissonanti di Modena, degli Ipocondriaci di Reggio, dei Teopneusti di Correggio, dei Quirini e degli Aborigeni di Roma, dei Georgofili di Firenze) fu anche membro della Società Agraria, della Società Italiana e dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena e nel 1815 incaricato di ordinare e catalogare la collezione di opere musicali della Biblioteca Estense1. Morì a Modena all’età di ottantacinque anni, quasi totalmente cieco, il 17 maggio 1823. Solenni funerali furono celebrati a Bologna il 7 giugno con il concorso dell’Accademia Filarmonica2. Di questa singolare personalità (“operoso impiegato, amorevol padre di famiglia, versatissimo scienziato, benemerito cittadino”) sono note almeno 23 opere a stampa di vario argomento letterario, tra cui: La musica. 1 C. MURATORI, I libretti per musica nella Raccolta Fontanelli e il Catalogo di Giovanni Battista Dall’Olio, in Gli ozi di un umanista. I libri di Alfonso Vincenzo Fontanelli alla Biblioteca Estense di Modena, a cura di G. MONTECCHI – A. R. VENTURI – A. CHIARELLI, Pisa 2008 (Quaderni di «Bibliologia», 2), pp. 69-108. 2 Vd. C. M[ALMUSI], Di Giambattista Dall’Olio reggiano notizie biografiche e letterarie con appendici, in L. CERRETTI, Notizie biografiche e letterarie con prose e versi mancanti nell’edizioni, I, Reggio 1833, pp. 321-348, 481-490.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 259-274.

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MARCO BUONOCORE

Poemetto preceduto da una erudita dedicatoria al Maestro Paisiello, Modena, Società Tipografica, 1794; Al cittadino Pompilio Pozzetti bibliotecario nazionale. Lettera sopra una croce di marmo del secolo duodecimo collocata nella sommità d’un pilastro d’un casino suburbano di Giambattista Dall’Olio situato nella villa di s. Agnese sotto Modena, Modena, presso la Società Tipografica, 1803; Pensieri sopra la vita letteraria e civile di Luigi Cerretti, Milano, Cairo e C., 1808; I pregi del Regio Palazzo di Modena, Modena, co’ tipi di G. Vincenzi e comp., 18113. Ma nel Catalogo dei suoi scritti, pubblicato in appendice alla biografia, figura anche un elenco di 36 “opere inedite”4, tra cui al n. 32 la seguente: Interpretazione giocosa di una Lapide scavata in Correggio. 18145. La Biblioteca Vaticana dispone di una ricchissima Autografoteca, denominata “Autografi e documenti Patetta”, ordinata in linea di massima alfabeticamente entro 1564 contenitori, di cui, al momento, esistono nove strumenti catalografici dattiloscritti che coprono la sequenza alfabetica A-Dallari (240 contenitori)6; per la parte restante, la più cospicua (1324 contenitori) si dispone di un indice parziale ad uso interno che spero nei prossimi anni di rendere fruibile con i necessari e doverosi miglioramenti7. Proprio durante questo paziente e quotidiano lavoro di regestazione, mi sono imbattuto nell’opera di cui in epigrafe, conservata nel contenitore n. 241, ora entro la cartella n. 11 foliata ai ff. 1r, 4r-7v (con l’antica segnatura Fascicolo DD.104)8. Nel testo di Dall’Olio è inserita una lettera (ff. 2r, 3r), datata Correggio 5 settembre 1814, scritta da N. Bergami a lui indirizzata, nella quale vengono chieste delucidazioni sulla interpretazione da dare ad una iscrizione latina

3

Ibid., pp. 346-347. Ibid., pp. 347-348. 5 Ibid., p. 348 n. 32. 6 Per cui vd. Inventario degli Autografi e Documenti Patetta, I-IX [dattiloscritto: BAV, Sala Cons. Mss. 440 (1-9) (rosso)]. 7 Su Federico Patetta (1867-1945) e sul fondo ora presso la Vaticana rimando al mio Francesco Foucault di Daugnon e la sua Raccolta alla Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, 16 (2009) (Studi e testi, 458), pp. 7-8. Ora anche Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, I, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 481-488. Su Patetta vd. anche G. ASTUTI, Federico Patetta (1867-1945) con bibliografia, in Studi Salentini 22 (1977), pp. 77-98 (ringrazio il collega dott. Gianfranco Armando dell’Archivio Segreto Vaticano per avermi indicato questa occorrenza bibliografica). 8 Senza successo, fino ad ora, sono stati i tentativi di poterla identificare. Ad esempio, questa segnatura — come mi comunica la dott.ssa Milena Ricci, che nuovamente ringrazio per la sua cortesia — non corrisponde a segnature in uso nella Biblioteca Estense Universitaria. 4

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L’INTERPRETAZIONE GIOCOSA DI UNA LAPIDE

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d’epoca romana recuperata “pochi giorni sono nello scavar terra in una cantina” di casa Taparelli. Si tratta di una comune iscrizione sepolcrale (cm 57 x 22), che, dopo il rinvenimento, fu prima collocata nel muro di facciata della chiesa cimiteriale della Madonna della Rosa di Correggio, quindi inserita nel muro di controfacciata della chiesa, dove ancora è visibile9. Regolarmente registrata da Eugen Bormann nel suo CIL XI al n. 1011, si dovrà leggere [Tav. I]:

5

L(ucius) Petronius L(uci) f(ilius) Capraius, Chrestis L(uci) l(iberta). M(onumentum) p(edes) q(uoqueversus) LX.

3-4 Capra[r]/ius, 4 in. l(iberta). L(ocus) m(onumenti) Cavedoni inde Bormann. “Lucio Petronio Capraio figlio di Lucio, Chrestis liberta di Lucio. Estensione del monumento 60 piedi per ciascun lato”.

Bormann l’aveva recuperata dall’opera di Carlo Malmusi del 1830 dedicata alla collezione epigrafica del Museo di Modena, che Malmusi allora dirigeva. Questi afferma che l’iscrizione, rinvenuta nel mese di agosto 1814 a Correggio, gli era stata trasmessa da ignoto: “epigrafe sepolcrale inedita, trovatasi in Correggio l’agosto del 1814 che pongo in nota tal quale a me fu descritta”10. Venne poi registrata da Celestino Cavedoni nel 184611. Tutti comunque non ebbero la possibilità di un confronto diretto con il testo. Nella lettera, invece, è offerto un disegno alquanto dettagliato del reperto e sono precisate modalità e data del recupero. Trascrivo, quindi, il testo di questa lettera inserita nell’opuscolo di Dall’Olio: Autogr. Patetta 241, cart. 11 ff. 2r, 3r: [f. 2r] Amico Carissimo, e pregiatissimo

Correggio 5°. Settembre 1814. Non avrei consegnato il gran plicco che avrete ricevuto ad un padrone se avessi saputo che Baraldi12 doveva in breve recarsi costì e se non avessi creduto che dovesse premervi d’esser presto aggiornato di quanto m’à fatto sapere da Reggio il Sig. 9 Una foto si può consultare sul sito http://www.comunecorreggio.info/cultura/linco/ cont/testi/A0006.htm Ritrovamenti epigrafici a Correggio a cura di E. GIAMPIETRI. 10 C. MALMUSI, Museo lapidario modenese, Modena 1830, p. 47 nota “a”. 11 C. CAVEDONI, in Rivista di scienze, 1846, p. 292; ID., Bull. dell’Instituto, 1846, p. 40. 12 Il sacerdote Giuseppe Baraldi (1778-1832).

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Pongileoni13 relativamente alla stampa della vostra parabola, la Fenice14. Intanto che col mezzo del ritorno del Baraldi sto attendendo vostri riscontri, soffrite ch’io vi accluda un foglio che porta la copia d’una lapide ritrovatasi in Correggio pochi giorni sono nello scavar terra in una cantina. Voi bravo intelligente in queste materie giudicherete della di lei antichità, e ne darete la spiegazione. Qui si va dicendo, chi una cosa chi un’altra, e si rinnova qualche sospiro per la morte d’Antonioli15 da cui si crede se n’avesse avuta la spiegazione senza ricorrere ai Schiassi16, né a chi so io. Volete sentirne una delle interpretazioni? Eccovela. Lucius Petronius Lucii Filius Caprarius o Capranius Christianis libertis et libertabus quiescentibus Monumentum Posuit An. LX. Attenderò con impazienza la vostra intanto che a null’altro dovendo servire la presente, mi rinnovo Tutto vostro N. Bergami. [f. 3r] Lapide in marmo trovata sotterra in una cantina di certo Paparelli nelle

vicinanze di S. Maria in Correggio, della lunghezza, o altezza di Braccia 1. once 1. larghezza once 5. grossezza once 4 [Tav. II]. 1. Essendo la lapide in quel luogo mancante, lascia però congeturare che la linea orizontale che vi si vede seguita da un punto, faccia parte d’una L. 2. Anche qui mancante ma un po meno, lascia vedere senza dubbio un C. 3. Anche in questo luogo o è logoro, e non si vede che vi sia alcuna lettera che essendovi potrebb’essere o una N. o un R. per dire Caprarius, o Capranius.

Oltre ai suoi interessi antiquari, la richiesta di Bergami non doveva risultare del tutto stravagante, in quanto proprio a Correggio ormai Dall’Olio spesso aveva occasione di dimorare, dal momento che l’1 giugno 1807 aveva sposato (nel settembre 1805 era venuta a mancare la prima moglie Maddalena Callegari con cui si era unito a Bologna) Giuseppina Corghi di Correggio. Era quindi naturale che simile documento antico potesse inte13

Luigi Pungileoni, O.F.M. Conv. (1762-1844). Di cui al momento non sono stato in grado di recuperare notizie. 15 Lo storiografo ed erudito Michele Antonioli, che alla storia della zecca e delle monete di Correggio (1569-1630) dedicò le prime ed organiche ricerche. Vd., ad esempio, Quattro lettere inedite di Girolamo Tiraboschi a Michele Antonioli di Correggio, a cura di G. TURRI, Reggio 1854. 16 Il sacerdote Filippo Schiassi (1763-1844), professore di Numismatica ed Antiquaria, dal 1815 di Archeologia presso l’Università di Bologna, nonché Reggente della stessa negli anni 1817-1824. Nel 1810 riaprì (pubblicandone la Guida nel 1814) il Museo Antiquario dell’Università che, erede della “Stanza delle Antichità” dell’Istituto delle Scienze, ebbe vita autonoma fino al 1878. Autore di numerose pubblicazioni su svariati argomenti di antiquaria, soprattutto romana, spesso incentrati su ritrovamenti archeologici recenti del territorio bolognese, deve la sua notorietà soprattutto al Lexicon epigraphicum Morcellianum, in tre volumi editi tra il 1835 e il 1838. 14

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ressare la curiositas del destinatario. Dall’Olio tre giorni dopo la richiesta di Bergami elabora in forma di lettera, secondo una prassi collaudata specie in quei tempi, un testo (Interpretazione giocosa di una Lapide scavata in Correggio) in cui offre la sua “spiegazione” al documento epigrafico17. Autogr. Patetta 241, cart. 11 ff. 1rv, ff. 4r-7v: [f. 1r] Interpretazione giocosa

d’una lapide ritrovata in Correggio nell’agosto del 1814 nello scavar terra in una cantina. [f. 4r] Soavissimo e prezioso amico,

Modena. 8 settembre 1814. Io vi son debitore dell’interpretazione della lapide correggesca, di cui m’avete trasmesso l’immagine con grazioso foglio del 5 del corrente. Eccomi a pagar il mio debito. Cosa significa codesta lapide? È l’insegna d’un’officina di gnocchi … Oh! non convien ridere anticipatamente. Sentitemi, e poi inarcherete le ciglia per maraviglia. Leggo l’iscrizione come segue. Lucius Petronius Lucii Filius Caprarius. Parte Prima. Chrestis (sbaglio del lapicida in vece di Chrestes) lingilabiales mille pro quadrantibus sexaginta. Parte seconda. Eccola in volgare: Lucio Petronio figlio di Lucio Caprario. Gnocchi leccalabbri mille per sessanta quattrini. Passo a farne il comento. Petronio significa che Lucio Gnocchista era bolognese, perché S. Petronio è il principal Protettore di Bologna. Caprario significa che era della Famiglia Caprari o Caprara oggidì estinta, o per meglio dire ripristinata da un modenese di Montecuccoli, il quale chiamato all’eredità Caprara ne prese anche il cognome abbandonandone il proprio. / [f. 4v] Ecco spiegata prefettamente bene la prima parte dell’iscrizione. Passo alla seconda. 17 Come mi comunica il dott. Gabriele Fabbrici, Direttore del Museo “Il Correggio”, che ringrazio per la sua disponibilità e competenza, esiste un’altra copia del documento, con minime varianti lessicali e grafiche, presso la Biblioteca “A. Panizzi” di Reggio Emilia, dal titolo Disquisizioni sopra una lapide romana scoperta in Correggio nell’agosto 1814, con la collocazione Mss. Turri B15/A/17. Si tratta di quattro carte sciolte provenienti dal Legato di Giuseppe Turri del 1879, su cui vd. G. FABBRICI, La lapide di Petronio Caprario tra storia e … gastronomia, in Correggio Produce, 2000, pp. 82-91. In questo caso il destinatario dello scritto di Dall’Olio è Ernesto Setti (1757-1824), medico e storiografo, autore di numerosi lavori, tra cui un manoscritto in quattro volumi Biografie illustri correggesi comprendenti duecento biografie (Biblioteca Comunale di Correggio “Giulio Einaudi”, ms. 27-30).

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In essa è stato soppresso Qui si vendono (Hic venales) come superfluo. In simil guisa quando vediamo oggigiorno sopra una bottega Candele di perfetta qualità, Vini d’ogni sorta, sapiamo che ivi si vendono candele, vini, sebbene ve ne manchi l’espressione. La voce chrestes si ha in un antichissimo frammento di Apicio18 recentemente trovato nella Casanatense19, e significa crescentine o gnocchi. Probabilmente deriva dalla voce greca Χρησος20 buono, soave, delizioso applicata per antonomasia ai gnocchi che sono sì buona cosa. Conviene che sappiate che v’erano più sorta di gnocchi, tutti però composti di farina di frumento, ma conditi in diverse maniere, per esempio. Chrestes mellitae: gnocchi conditi con mele. Chrestes palladiae: gnocchi conditi con olio d’uliva la quale era dedicata a Pallade. Chrestes bromiae: gnocchi conditi con vino inventato da Bacco sopranominato Bromio. Chrestes cariae: gnocchi conditi con agliata, che è un intingolo composto di aglio e di noce che in greco dicesi Καρυα21. Chrestes lingilabiales: gnocchi leccalabbri conditi con sapa, /[f. 5r] la quale umetta sì abbondantemente le labbra che fa d’uopo leccarsele fuori di misura quan18 Ma non mi pare che questo termine compaia nel testo di Apicio. Il solo riferimento che ho potuto rintracciare (TLL, III, 1909, col. 1027) è in Plinio: Cichorium … propter singularem salubritatem aliqui chreston appellant, alii pancration (nat. hist. 20, 74). Probabilmente la citazione di Dall’Olio sembra ex ingenio. 19 Così è scritto; presso la Casanatense di Roma non sono registrati codici di Apicio (lo conferma anche il dott. Valerio Sanzotta, di cui è in corso di stampa il volume I manoscritti classici latini della Biblioteca Casanatense di Roma per la collana Indici e Cataloghi). Mi chiedo se non sia da emendare “Cesenatense”: si tratterrebbe, allora, della odierna Biblioteca Malatestiana di Cesena, dove è conservato un Apicio del sec. XV/XVI (segnatura: ms. 167.154, ff. 66r-90v) su cui vd. M. E. MILHAM, Toward a stemma and fortuna of Apicius, in Ital. Med. Um. 10 (1967), pp. 259-320: Vd. anche L. BALDACCHINI, La Biblioteca Malatestiana di Cesena, in Le grandi biblioteche dell’Emilia-Romagna e del Montefeltro. I tesori di carta, a cura di G. ROVERSI e V. MONTANARI, Bologna 1991, p. 288. Come si sa la “Biblioteca Comunitativa” di Cesena si costituì in seguito alla soppressione napoleonica dei conventi, avvenuta all’inizio dell’Ottocento. I libri provenienti dalle raccolte dei vari ordini religiosi (Domenicani, Benedettini, Agostiniani, Carmelitani, Celestini) furono collocati presso la Malatestiana a formare la “Biblioteca Nuova”, poi “Comunitativa”, che venne inaugurata il 16 aprile 1807: Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Comunitativa finito di compilare il 12 marzo 1897, ms. presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena, 1897, ad n. Dal momento che Dall’Olio scrive nel 1814 e testualmente indica “un antichissimo frammento di Apicio recentemente trovato”, nulla vieta pensare a questo manoscritto di Apicio che da poco era entrato a far parte delle collezioni di Cesena. Sui codici di Apicio vd. anche C. GIARRATANO, I codici dei libri De re coquinaria di Celio, Napoli 1912 e Apicius. Cookery and dining in imperial Rome; a bibliography, critical review and translation of the ancient book known as Apicius de re coquinaria, now for the first time rendered into English by Joseph Dommers Vehling, with a dictionary of technical terms, many notes, facsimiles of originals, and views and sketches of ancient culinary objects made by the author. Introduction by Prof. F. Starr, Chicago 1936, pp. 253-256. Utili informazioni sui codici anche nelle classiche edizioni, tra cui segnalo, per la tradizione manoscritta, quella di A. MARSILI, De re coquinaria. Edizione critica, traduzione italiana e note, Pisa 1957. 20 Cioè χρηστός. 21 καρύα.

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do si mangiano gnocchi sì deliziosi22. Mi ricordo che quando ero ragazzo invocavo ardentemente la vigilia di Natale, perché si mangiavano in quella sera tortelli conditi con sapa in abbondante dose: e vi so ben dire io che mi leccavo le labbra illordate di sì soave manna, che mi faceva cader dagli occhi in abbondanza lagrime di dolcezza. Mi figuro che già avrete capito che lingilabiales è voce composta da lingere (leccare) e labium (labbro). Dunque Lucio Petronio Capraro bolognese aprì in Correggio una fabbrica di gnocchi leccalabbri: la cosa è della maggior evidenza. Conviene però sapere ulteriormente che tali gnocchi si vendevano a centinajo, il cui prezzo ordinario era di otto quadranti. La voce quadrans ha più significati, che è superfluo il qui descrivere; ma il più ovvio è quello di quattrino: ve ne darò qualche esempio. Quadrans mihi nullus in arca (Non ho nello scrigno neppur un quattrino) disse Marziale23. Quadrantaria Clytemnestra (dice Quintiliano) perché si lasciava godere per una vil moneta24. Seneca ci fa sapere che nei pubblici bagni si pagava un quadrante, ossia la quarta parte di /[f. 5v] un asse per bagnatura25. Se volete addottrinarvi sull’asse, legga leggete il Budeo, che n’ha scritto con molta ampiezza26: se non l’avete, ve l’impresterò io. Osservate una sottigliezza commerciale del Signor Lucio Petronio. Per dar più spaccio ai suoi gnocchi leccalabbri, disse: Signori Correggeschi amatori dei miei soavissimi gnocchi, che son solito di vendere a centinajo, vi farò star meglio, se li comprate a migliajo. Diminuerò il prezzo, il quale in regola di otto quadranti il centinajo monterebbe a ottanta, mi contento di soli sessanta. Così fu fatto: ed affinché la cosa prendesse celebrità ed anche autenticità, fece incidere in un marmo la sua benefica tariffa, e la inserì nel muro a fianco della porta di sua casa. Con sì fatto provvedimento ei divenne assai ricco: e poiché era un uomaccino bellino carino graziosino piccinino, era per vezzo chiamato Capretto. Se vogliamo attenerci alle analogie, e 22 La sapa o meglio saba è uno sciroppo d’uva che si ottiene dal mosto appena pronto, di uva bianca o rossa, da qui il suo nome anche di “mosto cotto”, “vino cotto” o “miele d’uva”. Il mosto viene versato in un paiolo di rame unitamente a circa sei noci non sgusciate che, rivoltandosi nel lento bollire, aiutano il mosto a non attaccarsi al fondo del recipiente. È pronto quando si sarà ridotta ad un terzo della sua quantità iniziale. I contadini erano solito utilizzare molto la saba, sia per i dolci casalinghi sia per dare più sapore a piatti poveri come la polenta o per intingervi altre pietanze, come, appunto, lo gnocco fritto. 23 MART. 2,44,9. 24 QUINT. inst. 8,6,53. 25 SEN. epist. 86,9: At olim et pauca erant balnea nec ullo cultu exornata: cur enim exornaretur res quadrantaria et in usum, non in oblectamentum reperta? 26 Cioè Guillame Budé (1468-1540), di cui tanta fortuna editoriale ebbe l’opera De asse et partibus eius libri V ad postremam authoris recognitionem accuratissime excusi. Praemisso indice rerum memorabilium non infoecundo, Basileae, apud Nic. Episcopium iuniorem, 1556 (Trattato delle monete e valuta loro, ridotte dal costume antico, all’uso moderno. Tradotto per M. GIOVAN BERNARDO GUALANDI, Fiorenza, appresso i Giunti, 1562); vd. anche Vocabula rei nummariae ponderum et mensurarum graeca, latina, ebraica quorum intellectus omnibus necessarius est, collecta ex BUDEI, IOACHIMI CAMERARIJ & PHILIP. MELANTH. annotationibus. Additae sunt appellationes quadrupedum, insectorum, volucrum, piscium collectae a PAULO EBERO & CASPARO PEUCERO, Witebergae [s.n.], 1552.

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alle probabilità, si può conchiudere che Lucio Petronio Capraro denominato Capretto bolognese, istitutore in Correggio d’una fonderia di gnocchi conditi colla sapa, è lo stipite di Casa Capretti oggiorno fiorente /[f. 6r] in Correggio. Divenuto ricco chiuse la fonderia, ne levò l’iscrizione, che resasi superflua fu da lui seppellita nella cantina di sua casa. Tocca ora a voi il provare che la casa, dove s’è trovata la lapide era, o è, di ragione della famiglia Capretti: e se vorrete coprire la carica di Storiografo di Correggio vaccata per la morte del Dottor Antonioli27, siate ben premuroso di metter ne’ Fasti Correggeschi la Fabbrica dei gnocchi conditi con sapa, che Dio vi lasci gustare per cento anni e più … Vi viene, me lo figuro, l‘acquolino in bocca … Fo dunque fine per lasciarvi l’acquolino a tutto vostro agio. Mi sovviene adesso che quarantun anni fa il Sig. Girolamo Colleoni28 mi trasmise una copia d’iscrizione scoperta allora in Fabbrico, affinché gliela spiegassi. Gliela spiegai, come potrete accertarvene leggendo la seconda delle due lettere, di cui vi trasmetto qui compiegato l’originale29. La mia interpretazione fu approvata da chiunque la vide, segnatamente da Tiraboschi30: e ci scommetto uno de’ vostri occhi che /[f. 6v] l’interpretazione presente della lapide correggesca del Signor Lucio Petronio Capretto bolognese di buona memoria, sarà universalmente gradita, in particolare dai Correggeschi. Sfido a duello lapidario il Signor Professore Schiassi: sebbene ei sia un Golia gigante nerboruto, ed io un Davide pastorello idiota, ciò non ostante non dubito della vittoria, decidendosi che la mia interpretazione è più sensata di quella ch’ei possa dare. Addio. Tutto vostro Gianni”.

Siamo di fronte ad una interpretazione “giocosa” per non dire “comica” di un testo epigrafico latino di almeno II sec. d.C., nella quale volutamente vengono travisate le parole e di conseguenza sconvolto, violato direi, tutto il messaggio epigrafico che acquista un significato del tutto diverso da quello che nella realtà aveva e sottendeva. Mi viene in mente il distico finale dell’Epitaphium Philaenis di Marziale (9,29), scil. Sit tibi terra levis mollique tegaris harena, / ne tua non possint eruere ossa canes, dove il poeta volutamente stravolge e ridicolizza il ben noto emistichio sit tibi terra levis 27 Michele Antonioli (1736-1814), erudito e storiografo, fu anche conservatore dell’Archivio di Memorie Patrie di Correggio e raccolse molte notizie intorno alla città e ai suoi principali personaggi. Si mantenne in costante relazione con Girolamo Tiraboschi. 28 Girolamo Colleoni (1742-1778), anch’egli corrispondente di Tiraboschi. Scrisse la Notizia degli scrittori più celebri che hanno illustrato la patria loro di Correggio, per ordine alfabetico disposti e colla breve indicazione de propri scritti, Guastalla, L. Allegri, 1776. 29 Manca. Si tratta dell’iscrizione CIL IX, 944 per cui vd. infra. 30 Il gesuita Girolamo Tiraboschi (1731-1794), il cui nome rimane ancora oggi legato alla monumentale Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, della Compagnia di Gesù, bibliotecario del serenissimo Duca di Modena, Modena, presso la Società tipografica, 1772-1782, in nove volumi poi riedita in 16 volumi, sempre a Modena per gli stessi tipi, negli anni 1787-1794.

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che nella prassi epigrafica rivestiva un significato religiosamente alto e pieno di delicatezza di pensiero verso i defunti. D’altronde lo stesso Marziale sapeva bene quale importanza rivestisse tale formula, come chiaramente indica, ad esempio, a conclusione della lirica dedicata alla piccola Erotion (5,34): Mollia non rigidus caespes tegat ossa nec illi / terra gravis fueris: non fuit illa tibi. Mi viene anche da citare quel singolare documento noto come lex Tappula, oggetto di approfonditi studi anche in passato: questa sottile lamina di bronzo (copia altoimperiale di un originale tardo-repubblicano), rinvenuta a Vercelli nel 1882, contiene la praescriptio di una parodia iocoso carmine di una lex convivalis nota attraverso un riferimento di Festo31, il quale ne attribuisce la redazione ad un tal Valerius Valentinus32. Il documento infatti, come ha correttamente visto Konrad, dovrebbe alludere in modo scherzoso alle leges frumentariae di fine II sec. a.C. conferendo così all’intero dettato, unitamente ad altri elementi, una specifica connotazione politica nata in ambito aristocratico in opposizione alla demagogia sottesa alle distribuzioni alimentarie33. Dalla biografia sappiamo che Dall’Olio fu un personaggio versatile, pieno di interessi e di vasta erudizione. Un passaggio conviene riportare34: Ma sommamente benemerito della Storia patria e dell’Archeologia si rese allora il Dall’Olio non tanto per avere scoperti i trascurati frammenti della famosa Lapide di Valeriano indicante la restaurazione del ponte antico di Secchia vi ignis consumptum, la quale è oggi uno de’ più splendidi ornamenti del Museo Lapidario nostro, come per le cure ch’ei si diede a ritornarla all’antico onore, tutti riunendone gli sparsi frantumi con mirabile pazienza, e corredandone di opportune sensatissime illustrazione la epigrafe la quale alla sue mercè si vide poscia adornare le pareti della D(ucale) Atestina Galleria delle Medaglie. Siffatto genere di gravi studi che suppone il concorso di vaste e severe cognizioni, fu passionatamente coltivato da lui, e ciò che a noi pervenne di tali lavori, mostra che non fu indegno del concetto che in materia di antiquaria si era procurato il suo nome. Il solo fra essi che sia alle stampe è una Lettera al P. Pozzetti sopra una croce di marmo del Secolo XII35, ove spiegò una erudizione forse soverchia, ma peraltro estranea del tutto all’argomento. Nel qual 31

Gloss. Lat. p. 363. Su questo singolare documento da ultima vd. S. GIORCELLI BERSANI, Vercellae – Inter Vercellas et Eporediam, in Suppl. Ital., n.s., 19, Roma 2002, pp. 295-296 ad n. PAIS 898. 33 CH. H. KONRAD, Questiones Tappulae, in Zeit. Pap. Epigr. 48 (1982), pp. 219-234. 34 M[ALMUSI], Di Giambattista Dall’Olio cit., p. 332 35 Al cittadino Pompilio Pozzetti bibliotecario nazionale. Lettera sopra una croce di marmo del secolo duodecimo collocata nella sommità d’un pilastro d’un casino suburbano di Giambattista Dall’Olio situato nella villa di s. Agnese sotto Modena, In Modena, presso la Società Tipografica, 1803. 32

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vizio facilissima cosa è lo inciampare ogni qualvolta da tenui soggetti vogliasi trovare materia di voluminose dicerie. Fra i manoscritti che io conservo è la Interpretazione di una Lapida di Aninia Liberta di Sesto scavata in Fabbrico nel 1773, intorno alla quale il Tiraboschi gli scriveva essere ‘un’amplissima prova del suo molto valore anche in questo genere di erudizione’ (23 maggio 1781); e l’altre di un cippo di Petronio figlio di Lucio disvelata nel 1814 in Correggio, da lui ingegnosamente travolta in senso giocoso (8 Settembre 1814).

Le due iscrizioni a cui si fa riferimento, recuperate e studiate da Dall’Olio, sono ben note. La prima (ora al Museo di Modena) fu registrata da Borman in CIL XI, 826 = ILS 539. Si tratta del famoso testo che ricorda il restauro del ponte sul fiume Secchia, a qualche km da Modena verso Reggio Emilia, fatto eseguire dagli Augusti Valerio e Gallieno e dal Cesare Salonino, molto probabilmente nel 259 d.C.36:

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Imp(erator) Caes(ar) P(ublius) Licinius Valerianus Pius Fel(ix) Aug(ustus) pon(tifex) max(imus), Germ(anicus) max(imus), trib(unicia) pot(estate) VII, co(n) s(ul) IIII, p(ater) p(atriae), proco(n)s(ul) et Imp(erator) Caes(ar) P(ublius) Licinius Gallienus Germ(anicus) Pius Fel(ix) Aug(ustus) pon(tifex) max(imus), trib(unicia) pot(estate) VII, co(n)s(ul) III, p(ater) p(atriae), proco(n)s(ul) et P(ublius) Cornelius Saloninus Valerianus nobiliss. Caes. (i.e. nobilissimus Caesar) pont(em) Secul(ae) vi ignis consumpt(um) indulg(entia) sua restitui curaverunt.

Nel corposo apparato dei fontes escussi, si ricorda: “Malmusi p. 84 n. lxiii, ex lapide, praeterea usus dissertatione mscr., quam misit dall’Olio ad P. Urbanum Piattoli, quamque ipse possedit.” Malmusi, infatti, conservava presso di sé questa dissertazione che “il colto signor Giambattista Dall’Olio” aveva trasmesso a padre Urbano Piattoli. Ne riassume il contenuto mettendendo in evidenza la cura di Dall’Olio verso le antichità del passato: Sino dal principio del secolo XVII. era stata questa lapide dissotterrata nel territorio di Rubiera, in prossimità alla chiesa di san Faustino, dove copiolla 36

Sul documento vd., tra i tanti, F. REBECCHI, Appunti per una storia di Modena nel tardoimpero: monumenti e contesto sociale, in MEFRA, 98 (1986), pp. 885-886, fig. 2. Per la titolatura cf. M. PEACHIN, Roman Imperial Titolature and Chronology. A. D. 235-284, Amsterdam 1990 (Studia Amstelodamensia ad epigraphicam, ius antiquum et papyrologicam pertinentia, 29), p. 359 n. 436.

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Fulvio Azzari accurato cronista reggiano di que’ tempi. Ne’ primi anni del secolo susseguente quel parroco in suo tristo consiglio si servì di essa, divisa in varii pezzi, per assodare le fondamenta di un colombaio ch’ei fece lì presso costruire; ma atterrato questo alcuni anni dopo dal parroco successore, vennero estratti i pezzi maggiori, ed impiegati a formare il selciato innanzi alla porta massima della chiesa mentovata, restando gli altri dimenticati fra le macerie del demolito edificio. Nel 1763 l’anzidetto signor Dall’Olio infaticabile amatore de’ buoni studi, stando colà impiegato, ebbe campo di far adunare con diligente cura i frammenti tutti di esso marmo con esito cotanto fortunato, che trasportati per ordine del serenissimo Francesco III. a Modena, fu vista quell’iscrizione, ritornata quasi alla primiera integrità, adornare le pareti del ducale Museo delle medaglie, da dove levata nel 1796, andò poscia unita agli altri marmi che nel 1808 si raccolsero alle B(elle) A(rti)37.

La seconda iscrizione (da poco recuperata in occasione di restauri a Villa Rovere di Correggio, sede degli Uffici della azienda Corghi)38 venne anch’essa regolarmente registrata in CIL XI, 94439, dove è annotato: “Litterae Io. Baptistae Dall’Olio d. 21 Febr. 1773 olim penes Malmusium et alterae d. 28 Mai. 1781 ad Tiraboschium datae, quae servantur in Estensi bibliotheca, citatae a Cavedonio”40. Si tratta della dedica, databile al I sec. d. C., della liberta Aninia Ge di un’ara e di un piccolo recinto alle Iunones, quelle divinità plurime femminili proprie della religiosità popolare dei territori con substrato celtico (come tutta la pianura padana), protettrici della fecondità naturale e umana41. Segue una vera e propria lex arae che regolava la fruizione del monumento, protetto da una sorta di inviolabilità. Nel diritto funerario romano il ius sepulchri è il diritto di compiere riti funebri 37

MALMUSI, Museo lapidario modenese cit., pp. 84-85. Così da comunicazione trasmessa alla prof.ssa Maria Giovanni Arrigoni Bertini (che nuovamente ringrazio per la sua attenzione verso questa mia ricerca) dalla dott.ssa Elena Giampietri. Vd. ora M. SEVERI, Un ritrovamento a Correggio, la lapide romana di Aninia Ge dedicata alle dee Giunoni, in Taccuini d’Arte 4 (2009), pp. 75-80 (sono grato alla dott.ssa Giampietri per avermi trasmesso il PDF di questo articolo). 39 Vd. anche M. CALZOLARI, Iscrizioni romane nel territorio carpigiano, in Ricerche archeologiche nel carpigiano, Carpi (MO) 1984, pp. 137-138; ID., CIL, XI, 944. Precisazioni sulla provenienza della lapide, in Epigraphica 46 (1984), pp. 219-225; R. MACELLARI, Preistoria ed evo antico, in Correggio: identità e storia di una città, a cura di V. MASONI, Prato 1991, pp. 30-51. 40 Sulla tradizione di queste lettere vd. CALZOLARI, CIL, XI, 944 cit., pp. 219-220 note 3-4; SEVERI, Un ritrovamento cit., p. 76 note 5-6. 41 Per cui si parta sempre dallo studio complessivo di F. LANDUCCI GATTINONI, Un culto celtico nella Gallia cisalpina: le matronae-Iunones a Sud delle Alpi, Milano 1986; anche A. SARTORI, Un viandante tra Iuno e le Iunones, in Epigraphica 57 (1995), pp. 235-237; C. ZACCARIA, Alla ricerca di divinità «celtiche» nell’Italia settentrionale in età romana. Revisione della documentazione per le Regiones IX, X, XI, in Veleia 18-19 (2001), pp. 129-164; C. BASSI, Una dedica alle Iunones da Riva del Garda (Trentino), in Dedicanti e Cultores nelle Religioni Celtiche (Atti VIII Workshop FERCAN), Milano 2008, pp. 43-59. 38

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su un terreno anche non di proprietà (si acquista il solo diritto di compiere i riti dal proprietario della terra). La donna, lì seppellita, concede anche ad estranei il diritto di compiere migliorie e di celebrare sacrifici, senza che ciò comporti una infrazione42.

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Aninia Sex(ti) l(iberta) Ge Iunonibus hanc aram locumque his legibus dedicavit. Si quis sarcire reficere ornar(e) coronar(e) volet licet Et si quit sacrifici quo volet ferre et ibi ubi volet uti sine scelere sine fraude lic[et].

4 quit pro quid. “Aninia Ge, liberta di Sesto Aninio, ha dedicato alle dee Giunoni questo altare e questo luogo secondo queste disposizioni: se qualcuno (li) vorrà restaurare, rifare, ornare, decorare, lo potrà fare; e se vorrà compiere qualche sacrificio, lo potrà fare, senza che ciò costituisca delitto e frode”.

Le testimonianze relative al luogo esatto del suo recupero sono discordanti, in quanto dovute, con ogni probabilità, a intenzionalità campanilistica di una fonte letteraria. Dall’Olio, infatti, scrive tra il 1773 e il 1781 una volta “lapide romana scavata in Fabbrico” un’altra volta “venuta in possesso di Girolamo Colleoni di Correggio”. L’erudito carpigiano Eustachio Cabassi asserisce di averla personalmente rinvenuta nel 1774 “nella possessione detta la Provenciana in Cibeno, un buon miglio sopra Carpi”. Si sa, prima di perderne traccia, che nel 1828 la lastra era ancora conservata a Carpi, tra i reperti del museo Meloni, dove la vide Cavedoni. In ogni caso mi preme sottolineare come anche in questo caso la lettura di Dall’Olio sia sostanzialmente corretta e le sue argomentazioni abbastanza precise, da inquadrarsi sempre in quel clima di erudizione tardo settecentesca ed in considerazione delle conoscenze dell’epoca in materia di diritto sepolcrale. Quindi il nostro autore possedeva un bagaglio culturale sufficientemente valido (si notino anche le citazioni “classiche” che offre) per poter commentare con agio e corretta esegesi il semplice testo sepolcrale di Petronius Capraius e della liberta Chrestis43. Derogando da ogni schema, invece, ci offre una Interpretazione giocosa che come “genere letterario”, a quanto mi 42 Vi veda il volume miscellaneo con i rimandi alla bibliografia specifica Libitina e dintorni. — Libitina e i luci sepolcrali. Le leges libitinariae campane. Iura sepulcrorum: vecchie e nuove iscrizioni. Atti dell’XI Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie, Roma 10-12 maggio 2002, Roma 2004 (Libitina, 3). 43 Sulla personalità di studioso di “cose antiche” vd. anche A. SOFFREDI, La cultura epigrafica a Reggio Emilia testimoniata dai codici superstiti presso la biblioteca, in Studi in onore di Ferrante Rittatore Vonwiller, Como 1980-1982, II, pp. 499-505.

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è dato sapere, non trova confronti. Si tratta di una rielaborazione del tutto innovativa in questo settore di studi e potrebbe dare ulteriori sviluppi a coloro che sono interessati a tracciare la storia degli studi di epigrafia. È naturale che simili “componimenti” potevano non essere dati alle stampe, in quanto, proprio per il loro contenuto, dovevano rimanere in ambito strettamente privato e circoscritto: se fossero circolati, avrebbero offerto il fianco a feroci censure e naturale dileggio da parte dei cultori della materia, che proprio nel secondo Settecento erano quanto mai agguerriti ed attenti a tutta la produzione di settore. Studiosi e letterati come Tiraboschi, ad esempio, cosa avrebbero potuto scrivere in merito a simile “interpretazione”? E poi: agli occhi di un Gaetano Marini, universalmente riconosciuto come il rappresentante più alto della cultura tra Settecento ed Ottocento, il nostro Dall’Olio avrebbe di certo dilapidato quel riconoscimento da lui acquisito almeno a livello locale. Si dovrà, pertanto, considerare questa inedita testimonianza come un puro e semplice “divertissement” letterario. E quantunque sia del tutto nuovo nel panorama degli studi di epigrafia (forse solo scrutinando il posseduto manoscritto di altre biblioteche od archivi si potrebbero recuperare composizioni di analogo tenore), Dall’Olio credo sia stato influenzato non poco da quel genere letterario, in voga ancora nel Settecento, della poesia leggera e giocosa, che secondo la tradizione retorica italiana era distinta da quella satirica. La poesia giocosa, che non aveva alcun intento morale, politico né tanto meno civile, doveva esclusivamente divertire e vedeva in Francesco Berni il primo autore (1497/1498-1535)44. Non dobbiamo dimenticare che proprio di Bologna era nativo quel poeta giocoso Giuseppe d’Ippolito Pozzi (1697-1752), che oltre ad essere stato medico e lettore di anatomia, ci ha lasciato nel 1736 il 4° canto del poema collettivo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno e le Rime piacevoli pubblicate postume nel 176445. D’altronde il Nostro era portato verso questo specifico genere letterario. “Plauto, Aristofane, Terenzio — scrive il biografo — furono fonti da cui attinse l’arte; e i festevoli modi, le arguzie del dire a lui famigliari, ed il talento di una ordinata fantasia guidarono la sua penna nella difficile imitazione della natura in quel semplice compendio con cui dee presentarsi 44 Su cui almeno vd. C. MUTINI, Berni, Francesco, in DBI, 9, Roma 1967, pp. 343-357; D. ROMEI, Berni e Berneschi del Cinquecento, Firenze 1984; A. DI BENEDETTO, L’«Orlando innamorato» di Francesco Berni, in Poesia e comportamento. Da Lorenzo il Magnifico a Campanella, Alessandria 2005², pp. 57-72. 45 In generale vd. Cum notibusse et comentaribusse. L’esegesi parodistica e giocosa del Cinquecento (Seminario di Letteratura Italiana. Viterbo, 23-24 novembre 2001), a cura di A. CORSARO – P. PROCACCIOLI, Manziana (VT), 2001. Ringrazio il prof. Cristiano Spila per avermi indicato questa pubblicazione.

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nella esposizione della Commedia”46; “Rammentasi ancora siccome ei rallegrasse con lepidi versi da lui bellamente recitati, le adunanze degli Accademici Dissonanti di Modena a cui era ascritto sino del 1784”47. Dall’Olio, fu “versatissimo scienziato” le cui “corrispondenze — come testimoniato dal necrologio apparso nel Messaggero Modenese del 28 maggio 1823 — coi principali letterati d’Europa, le non poche sue produzioni di una fina erudizione, per le quali ha spesso meritato le più lusinghiere testimonianze di pubblici scientifici fogli e la esimia coltura delle Belle Arti, renderanno sempre caro e stimato il suo nome”48. Per la nostra ricerca è sembrato utile portare all’attenzione questo eccentrico protagonista “minore” della cultura italiana di fine Settecento inizio Ottocento, perché ci ha trasmesso una pagina del tutto nuova e singolare della cultura epigrafica del tempo.

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M[ALMUSI], Di Giambattista Dall’Olio cit., p. 328. Ibid., p. 331. 48 Ibid., p. 345. 47

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Tav. I – Correggio, controfacciata della chiesa della Madonna della Rosa.

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Tav. II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Racc. Patetta. Autogr. 241, cart. 11, f. 3r.

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UN GLOSSARIETTO LATINO-ROMANESCO DI SCUOLA POMPONIANA (Ott. lat. 251)1 Il codice Ott. lat. 251 della Biblioteca Apostolica Vaticana è sostanzialmente ancora sconosciuto2 e potrebbe rivestire una notevole importanza per la storia della dialettologia italiana3 dal momento che su un paio di dozzine di foglietti tramanda un glossarietto latino con alcuni vocaboli “traslati di grammatica in volgare” romanesco di prima fase. La quasi totalità di questi fogli è stata “appuntata” negli anni ’70 del 1400 probabilmente da uno studente romano, forse allievo di un magister di ambito pomponiano, che correda i lemmi di scilicet o id est o significat, rispettando le abbreviature d’uso. Tre fogli, compilati dalla mano di un altro “vocabulista”, che aveva operato qualche decennio prima, sono stati inseriti nel glossario principale al momento dell’assemblamento del codice. Se, da una parte, per l’assunto che riguarda le persone degli scriventi, la conferma che si tratti di studenti potrebbe essere rappresentata dalla presenza di incertezze grafiche, di lemmi errati, a volte emendati (anche da altre mani), di significati non pertinenti di essi, e altre particolarità, quali la scrittura uscita dal calamo di svelte mani giovanili, dall’altra, per quanto riguarda il dialetto, pur essendo inconfutabile che si tratta di romanesco di prima fase, non è possibile delimitare i confini dell’area in cui era parlato, 1 Ringrazio Paolo Cherubini che mi ha confortato e indirizzato nella stesura della parte codicologico-paleografica di questo saggio, soprattutto perché ha messo a mia completa disposizione la sua amicizia, dedicandomi il suo tempo, il bene più prezioso e unico di cui dispongano gli uomini. 2 Descrizione sommaria del codice in Libri liturgici Bibliothecae apostolicae vaticanae, manu scripti, digessit et recensuit H. EHRENSBERGER, Friburgi Brisgoviae, Herder, 1897 (rist. Hildesheim-New York 1985), pp. 337-38 n. 16; successivo supplemento (1905) con fotografie del manoscritto a cura di H. M. BANNISTER, Inventarium codicum manu scriptorum Vaticanorum qui ad liturgicam rem spectant, c. 20r; P. SALMON, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, IV: Les livres de lectures de l’Office; Les livre de l’Office du Chapitre; Les livres de d’Heures, Città del Vaticano 1971 (Studi e testi, 267), p. 149 n. 465; descrizione mirata in F. CARBONI – A. ZIINO, Un elenco di composizioni musicali della seconda metà del Quattrocento, in MUSICA FRANCA. Essays in Honor of Franck A. D’Accone, ed. by I. ALM – A. MCLAMORE – C. REARDON (Festschrift Series, 18), New York 1997, pp. 425-487: 425-32. 3 Questo lavoro avrebbe dovuto essere completato e arricchito da un saggio linguistico dell’amico-collega Francesco Avolio, che qui ringrazio per i consigli e i chiarimenti comunque forniti, ma i suoi impegni accademici non si sono accordati con le scadenze editoriali.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 275-330.

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ossia se intra o extra Urbem4, dal momento che alcuni lemmi marcanti non risultano tràditi da nessun altro testimone. Di questi due glossarietti, unificati a suo tempo perché relatori di testi che svolgono un identico argomento (da questo momento citati al singolare), si deve anche sottolineare l’aspetto socio-culturale, per il fatto che sono state registrate sia voci della tradizione orale del “popolo minuto”, quindi volgarizzamenti del sermo cotidianus, sia termini colti presenti negli auctores, classici e cristiani. Alcuni lemmi sono addirittura desunti dalla tradizione greca, pur risultando, in parte, mal conosciuti e quindi mal tradotti. Dal versante codicologico il codicetto ha tutte le caratteristiche del prodotto d’uso, ottenuto mettendo insieme fogli che probabilmente avevano anche viaggiato nelle mani, o nella scarsella, di chi li utilizzava, come lasciano arguire le cattive condizioni in cui sono pervenuti. È composto di 68 fogli (II-65-I) di piccolo formato (mm 105 x 140)5 che, un paio di secoli or sono, dovevano essere forniti di unghiatura per poter essere legati, operazione che ha comportato la perdita di una eventuale fascicolazione originaria, così come l’ancor più intensa collatura successiva, applicata per effettuare la rilegatura, ha reso definitivamente impossibile la ricostruzione dei fascicoli originari. Alcuni fogli, inoltre, per il fatto che, come detto, versavano in un grave stato di deterioramento, devastati dagli insetti bibliofagi, lepismi e tarli (nonché dall’acqua e dall’incuria, ma non dalla “ruggine” dell’inchiostro, dal momento che è ricavato dal nero di seppia), furono sottoposti ad un racconciamento, piuttosto che ad un “restauro” ante litteram, che si può definire — mutuando gli aggettivi dallo stesso glossarietto — rudis, presentuosus e rapidus. Esso, infatti, è consistito nell’incollatura, sulle parti danneggiate, di strisce o, comunque, ritagli di carta intonsa di diversa e più pesante grammatura, la stessa dei fogli attaccati alla controcopertina di cartoncino allo scopo di tenere insieme manoscritto e rilegatura. Nel caso di questo glossarietto soni stati legati insieme fogli che molto probabilmente giacevano nelle capsae della “Libraria” dei Duchi di Altemps nel momento in cui entrarono a far parte della Biblioteca dei principi Ottoboni, piuttosto che di quella Apostolica Vaticana, alla quale la collezione libraria fu venduta al tempo di Pio IX Mastai Ferretti, quindi ben oltre la 4 Anche se, grazie ad elementi interni, è possibile tracciare, se non i confini di un “rione”, almeno un iter sommario che attraversa l’intera città. Esso si prefigura quasi come un percorso di pellegrinaggio, che comincia dal fiume Almone (Appia), prosegue con Porta Capena o S. Sebastiano, e passa accanto alla chiesa di S. Maria in Domnica, al Colosseo, a S. Pietro in Vincoli, al Circo Massimo, alla Piramide Cestia, terminando davanti alla Basilica di S. Pietro. 5 I fogli dovevano misurare originariamente mm 105 × 152, come i ff. 38 e 40 che sono rimasti integri; tutti gli altri sono stati ritagliati con le forbici per uniformarne le misure, eliminando ad un tempo le difformità sopravvenute con il tempo e con l’uso.

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morte del cardinale Pietro Ottoboni (1667-1740) a cui la raccolta in gran parte è dovuta6. A f. 1r si leggono, infatti, sia la nota di appartenenza “Ex codicibus Johannis Angeli Ducis ab Altaemps” (1587-1620)7, sia la vecchia segnatura (cancellata) “R X 4”, sia, infine, il titolo “Preces” che indica sommariamente il contenuto della prima delle due parti costituenti il codice. Poiché per scrivere queste poche parole è stato utilizzato un inchiostro ferrogallico, a causa dell’umidità il mordente ha impresso questi dati sulla pagina solidale prima di corrodere definitivamente il supporto in corrispondenza delle lettere iniziali x, ltaemps e

reces. Sempre a f. 1r, all’altezza dell’angolo esterno destro, si può leggere la segnatura attuale “Cod. Ottob. 251”, vergata da una mano settecentesca in parte sul supporto e in parte su una striscia di carta di rinforzo/restauro, incollata tutt’intorno al foglio. In basso a destra il timbro tondo a inchiostro della Biblioteca Apostolica, su una parte della carta in parte distrutta dagli insetti bibliofagi (tav. I); seguono due fogli risarciti sul margine inferiore e cinque tagliati con le forbici lungo il margine laterale; sui fogli iniziali si notano marcate tracce d’uso agli angoli inferiori esterni; sono altresì restaurati con le suddette striscioline di carta i ff. 11, 12, 34v, 62, 63, 64, 65. Il codice presenta due foliazioni del tutto corrispondenti, ma apposte da due differenti mani in anni vicini a quelli della legatura: la prima è aggiunta centralmente sul margine inferiore della carta e la seconda sul margine superiore esterno, a volte in sostituzione della prima che è andata perduta a causa della rifilatura. L’assunto sulla foliazione è reso possibile dal fatto che la numerazione di tutto il codice procede regolarmente in ordine crescente. Il libro, come già scritto, si compone di due parti: la prima, che inizia con le parole vergate con inchiostro rosso «Sabato ante primam domenicam de adventu ad vesperas sancte marie antiphona Missus est Gabriel angelus», tramanda testi latini e italiani di carattere liturgico o comunque religioso e qualche ricetta medica o di operatività pratica; la seconda, che inizia a f. 41r, tramanda un “vocabolario” con didascalia «Sub Lepido» al centro del margine superiore della carta iniziale (tav. III). La prima parte, nel suo insieme, è suddivisibile in tre sezioni: Ufficio della Vergine e orazioni da recitare prima e dopo la Messa (ff. 1r-4v), Ufficio dei Defunti (ff. 5r-16r) e infine Salmi penitenziali, Litanie, Preghiere e Salmi graduali (ff. 16v-40r). 6 L’encomiabile abitudine biblioteconomica, per evitare la deperdita di testi, di ricavare codici dall’assemblamento di carte di misura e provenienza diverse, risulta un modus operandi consolidato nel 1700 dal momento che risale almeno al secolo precedente. 7 Cf. A. SERRAI, La biblioteca Altempsiana. Le raccolte librarie di Marco Sittico e del nipote Giovanni Angelo Altemps, Roma 2008 (Il Bibliotecario, 22).

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Vergata per lo più da una sola mano, essa è introdotta ed evidenziata da titolature e capilettera scritti con inchiostro rosso secondo modalità in uso nel secolo precedente, la qual cosa lascia supporre che gli archetipi dai quali sono stati esemplati i testi possano risalire al secondo Trecento. Ai ff. 3v, 4r e 4v figurano scritti e ricette di altre mani, una delle quali è la stessa che ha trascritto i titoli o gli incipit dei componimenti per musica che si possono leggere a f. 34r. Aggiunte da diverse mani sulla marginatura inferiore ai ff. 12v, 13r e 22r preghiere e ai ff. 23v e 25r scritti di argomento religioso. A f. 9r, al termine di una invocazione a Dio, compare la data «1408 adi 21 de novembrio» e a f. 23r sul margine superiore la data mutila, per ingerenza di un tarlo, «140…». Sul margine inferiore del f. 29v è trascritta una ricetta per curare il «mal del fianco»; a f. 33r si legge un’altra ricetta in volgare «A far una colla perfecta»; infine, a f. 33v, una paginetta di sottrazioni che danno come risultato sempre il numero 7, ma con errori! A f. 34r, come accennato, figura un elenco di incipit o titoli di componimenti per musica e danza, tutti, tranne due, abbreviati o ridotti a parola chiave. L’elenco è trascritto a mo’ di componimento formato di sei distici, ai quali si deve aggiungere un “verso” isolato e due capoversi di chiusura8. Sul margine inferiore è presente una scritta erasa con tanta determinazione da provocare la perdita del supporto, ma restano ugualmente leggibili la data “del 1452” e il giorno “adi 25 de lujo”9 (tav. II). Seguono da f. 34v a f. 35v preghiere e ricette mediche in volgare redatte da differenti mani. Ai ff. 36r-37v figurano ancora preghiere in latino e spiegazioni in volgare del significato simbolico dei paramenti sacri indossati dal sacerdote durante la messa, assegnabili alla mano dell’estensore iniziale. A f. 37v, alla fine di una «Recepta contro la peste bona e abrobata», scritta dalla stessa mano di f. 34r, si legge che è opera «magistri antonij de cermij», medico non identificato, ma che, unitamente alla marca della filigrana, chiarisce al lettore l’origine settentrionale di questa parte del codice (vedi oltre); seguono ancora preghiere e ricette, in latino e volgare, opera di diverse mani, fino a f. 40v dove, a metà foglio, si incontrano altri titoli di brani musicali preceduti dal titulus “cancti”. In questa prima parte è ben visibile a occhio nudo un’unica marca di 8 Cf. n. 2. Per meglio chiarire l’aspetto grafico di questo elenco bisogna aggiungere che gli incipit dai quali è ricavato ogni singolo verso sono inquadrati meticolosamente e separati l’uno dall’altro, all’interno del foglio, da un segno grafico esclusivo, simile a quello convenzionale utilizzato nel XV secolo per designare l’oncia, mentre nell’ultimo distico e nel verso isolato il segno di separazione è costituito dal semplice punto fermo. I due incipit di chiusura a loro volta sono fissati da due punti fermi situati rispettivamente uno all’inizio e uno alla fine. 9 Dell’intera legenda non si riesce a distinguere altro a causa della fierissima abrasione alla quale è stata sottoposta; in ogni caso si trascrive il sommario risultato: «del 1452 < > fio ch< > adi 25 de lujo < > /e/ < >s< >bono li< >bj < >».

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filigrana rappresentata da una testa di bue sormontata da uno stelo che termina con un fiore a cinque petali e collegata inferiormente a un triangolo che racchiude un altro triangolo con tre cerchietti. Una marca simile è presente nel catalogo di Piccard che la ha trovata in documenti scritti principalmente a Bolzano e Innsbruck nel 1469 e 1470-72. Varianti di questo motivo sono però presenti anche in Briquet e in Mazzoldi, individuate in carte usate negli anni 1434-45 e 1457-98 in Italia, e segnatamente a Brescia.10 La seconda parte del codice (ff. 41-65) tramanda i due glossarietti, uno prevalentemente latino-latino con qualche lemma tradotto in volgare (ff. 41-42 e 46-65) e uno, costituito dai ff. 43-45, prevalentemente latino-volgare11: il vernacolo, nell’un caso e nell’altro, è sempre romanesco di prima fase12. La grafia e i precisi riferimenti a chiese e monumenti antichi dell’Urbe confermano comunque che sono entrambi frutto di un ambiente culturale fortemente condizionato dalla personalità dell’umanista Pomponio Leto13. In particolare i monumenti citati14 sono: il Colosseo (f. 49v); l’Obelisco vaticano, chiamato agugla (f. 43r)15; la Piramide, eretta dal septemviro Caio 10 G. PICCARD, Die Ochsenkopf-Wasserzeichen, Findbuch II,3, Stuttgard, 1966, 647 nn. 859 e 862 del XII gruppo; CH.-M. BRIQUET, Les Filigranes, 4 voll., Paris 1907 (n. e.: Amsterdam 1968), IV, nn. 14871-72; L. MAZZOLDI, Filigrane di cartiere bresciane, voll. 2, Brescia, Ateneo di Scienze Lettere ed Arti, 1990-1991: I, p. 183 n. 438 (anno 1470). Queste datazioni, però, non concordano con quelle, aggiunte da altre mani sul margine di tre fogli, che riportano le date del 1408, 140.. e 1452 e con la grafia che potrebbe essere ricondotta al primo quarto del XV secolo. 11 Questa parte è riconoscibile anche dal fatto che sopra ad ognuno dei tre fogli campeggia il nome di Gesù sia in forma di monogramma “yhs” con tratto abbreviativo, sia scritto esplicitamente “yhesus marie filius”; inoltre sul taglio alto di due fogli sono forse ricostruibili due maniculae, dal momento che il supporto è stato rifilato. Sia i monogrammi, sia le maniculae sono segnalate nel testo. 12 Cf. M. MANCINI, Nuove prospettive sulla storia del romanesco, in «Effetto Roma». Romababilonia, Roma 1993, pp. 7-40. 13 Per la conoscenza della cultura romana durante il periodo in cui insegnò Pomponio Leto sono essenziali i due articoli di P. SCARCIA PIACENTINI, Note storico-paleografiche in margine all’Accademia Romana, in Le chiavi della memoria. Miscellanea in occasione del I Centenario della Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, a cura della Associazione degli ex-allievi, Città del Vaticano, Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, 1984, pp. 497-549 e in Pomponio Leto e la prima Accademia Romana. Giornata di Studi, Roma 2 dicembre 2005, a cura di C. CASSIANI – M. CHIABÒ, Roma, 2007 (Roma nel Rinascimento, Inedita, Saggi, 27), pp. 87-141 (con esempi di scrittura). 14 Cf. n. 4. 15 Cf. da ultima C. BARBIERI, Gli obelischi nel Rinascimento: iconografia e significati fra recupero antiquariale e simbolismo ermeutico, in Roma nella svolta tra Quattro e Cinquecento. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma 28-31 ottobre 1996, a cura di S. COLONNA, Roma 2004, pp. 539-552: 541.

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Cestio Epulone (f. 43r); le due chiese di Santa Maria in Domnica o alla Navicella sul Celio (f. 57v) e di S. Pietro in Vincoli sul Viminale (f. 54r); Porta Capena, nelle Mura Aureliane, che andò distrutta e fu sostituita da quella “adacia” (di stazionamento) di S. Sebastiano. Sono inoltre presenti citazioni che si richiamano alla topografia di Roma in modo più generico: il “fluvius” Almone (f. 50v)16; i carceres (f. 53v), ossia le postazioni di partenza dei carri nei Circhi17; infine le frasi «appulsus sum rome» (f. 51r), «appuli te rome» (f. 59v) e il richiamo al fondatore della città a f. 55v: «manipulo feni quo romulus pro singno usus est». Nello stesso foglio, però, risalta la citazione della città di Forlì, cosa che fa venire alla mente almeno una terna di personaggi famosi, tra cui due umanisti, che qui ebbero i natali e poi si trasferirono a Roma nel tardo Quattrocento. Uno è il pittore Melozzo (1438-1494) che arrivò in città nel 1475 e lasciò un famoso affresco su una porta della Biblioteca Apostolica, fondata un paio di decenni prima18, gli altri due sono rispettivamente Publio Fausto Andrelini (1462c.-1519) che fece parte dell’Accademia Romana e fu coronato poeta nel 1484 e Flavio Biondo (1392-1463) che, fra l’altro, fu amico di Guarino Veronese (1374-1460), il quale nel 1414 diresse a Venezia una scuola di cui fu allievo Vittorino da Feltre. Le voci dei due glossarietti sono riportate senza alcun ordine, non si seguono disposizioni né di alfabeto, né di argomento, né di testi relatori, né di frequenza/rarità d’impiego, né di destinazione didattica, ma, ad eccezione del glossarietto meno consistente, per aiutare il lettore ad individuare le voci, è introdotto il sistema delle “rubricelle”, lo stesso utilizzato dagli archivisti per trovare rapidamente le chiese e le diocesi di cui cercavano i documenti trascritti. Quest’ultimo particolare potrebbe, forse, indicare

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L’Almone era legato al culto di Cibele e tutti gli anni i sacerdoti vi portavano la statua della divinità per la “lavatio Mastris”. Già terzo fiume di Roma, dopo il Tevere e l’Aniene, ricco di acque minerali, nasce dalla sorgente Ferentina ai piedi di Marino nei Colli Albani e una volta sfociava nel Tevere all’altezza del quartiere Testaccio, ma dopo la seconda guerra mondiale, a causa della speculazione edilizia, è stato reso sotterraneo, è diventato inquinato e ingloriosamente riversato nel depuratore della Magliana. 17 Qui probabilmente il Circo di Nerone, su cui sorgerà la Basilica Vaticana e di cui si poteva vedere l’aguglia, cioè l’obelisco egizio che era stato innalzato al centro della spina del circo, intorno a cui ruotavano i carri durante le corse, unico ancora in piedi nella seconda metà del ’400. Sullo stesso foglio 49v sono probabilmente collegate a questo lemma le voci auriga “lo carrettieri”; plausus, applauso; apricum, esposto al sole; frenum, “lo morzo”; lora “le correye dello morzo”. 18 A proposito di Melozzo e della data della fondazione della Biblioteca Apostolica Vaticana cf. F. CARBONI, Per l’edizione del «Convivium scientiarum» in ANTONIO DE THOMEIS, Rime. Convivium scientiarum, In laudem Sixti Quarti Pontificis Maximi, a cura di F. CARBONI – A. MANFREDI, Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 394), pp. XIII-XXXIX: XXIX-XXXII.

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che l’estensore utilizzava volutamente una tecnica che veniva insegnata nei corsi di studio in utriusque. Su tutti i fogli sono presenti correzioni di più mani, ma sui fogli 62 e 63 si manifesta l’accanimento di un solo dotto revisore, pressoché coevo e dello stesso ambiente pomponiano romano, il quale utilizza un inchiostro ricavato forse dalla sinopia e come abbreviatura di est il segno “÷” (tav. IV). Per una precisa collocazione spazio-temporale di questa seconda parte del codice di nessuna utilità sono le filigrane. Si tratta di due marche non inscritte, la prima, della famiglia horn “cornetta da caccia”, ricorre quattro volte e la seconda, della famiglia flèche, variante “frecce incrociate”, una sola volta: tutte però sono distinguibili con molta difficoltà, anche con l’ausilio del Watermark reader e della Lampada di Wood. Due sono i motivi che concorrono a rendere le marche indistinguibili: la rifilatura dei fogli al momento della rilegatura e la riutilizzazione di un modulo molto consumato, come accadeva quando il supporto scrittorio usciva dai torchi di una cartiera locale, che quasi sempre metteva in commercio un prodotto qualitativamente scadente. Per chiarire, la marca delle “frecce” traspare appena a f. 45, mentre quella del “corno” si vede ai ff. 44, 47, 57 e 62, ma limitatamente a una minima parte della campana e del cordoncino. Per quest’ultima filigrana, peraltro molto comune, si potrebbe ipotizzare una affinità con i nn. 7693 e 7695 (Roma 1461-79 e Roma 1470-72) di Briquet e nn. VII 250, 254, 255 (Roma 1456-1461) di Piccard. L’analisi paleografica conforta queste ipotesi di collocazione spaziotemporale dal momento che il tipo di scrittura (ad eccezione dei fogli 4345) è quello che andava di moda nell’Urbe nell’ultimo quarto del XV secolo, essendo in uso nell’entourage di Leto, ovvero dell’Accademia Romana, dopo il 147019. 19 Si veda in particolare l’introduzione della “g” minuscola con occhiello superiore e inferiore aperti, inventata da Leto, la “et” a volte simile ad una “x” con esponente (°x), la “N” maiuscola ottenuta con un tratto unico di penna, e altri particolari che sono comuni a molti umanisti e uomini colti romani di quegli anni. La κοινή grafico-culturale romana dell’ultimo quarto del XV secolo è stata ben sottolineata anche dalla Supino: «che la G fosse diventata un “segno” dell’Accademia e dei suoi seguaci lo testimonia la presenza delle corsive oltre che di Antonio Settimuleio Campano e Marco Lucido Fazzini anche di Oliviero Palladio, di Partenio Minucio Pellini, di Paolo Emilio Boccabella, di Paolo Marsi, di Petreio, di Giovanni Battista Capranica, di Manilio Rallo e di allievi di Leto rimasti anonimi. Conferma della moda tutta accademica della G vengono, inoltre, direttamente dall’adozione che ne fece Domizio Calderini» (cf. P. SUPINO, La scrittura di Angelo Poliziano, in Agnolo Poliziano: poeta, scrittore, filologo. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Montepulciano, 3-6 nov. 1994), a cura di V. FERA – M. MARTELLI, Firenze 1998, pp. 223-244: 229). Per quanto riguarda la datazione della comparsa della G semionciale pomponiana Muzzioli propone il 1470 e riguardo all’origine di essa si pone la domanda retorica «Sarà stato proprio il celebre codice Virgiliano , con il fascino della sua veneranda antichità, a determinare la curiosa grafica pom-

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Sul nome “Lepido”, che appare all’inizio del glossario, quasi un titolo, si può, ancora una volta, formulare almeno una terna di ipotesi. La prima è quella che esso indichi un magister, la seconda un famoso umanista e la terza, la più percorribile, un letterato della cerchia pomponiana20. Il maestro potrebbe essere un Lepidus che risulta insegnare a Roma in Parione nel 1474 con un emolumento di 4 fiorini21; l’umanista potrebbe essere Leon Battista Alberti che in gioventù aveva composto la commedia latina Philodoxeos, dichiarando che la aveva ritrovata in un antico manoscritto, quale opera del “comicus” Lepidus22; il letterato potrebbe essere il poco conosciuto Antonio Lepido. Non si può comunque escludere che il primo e l’ultimo personaggio coincidano come identità. Per ora del magister non abbiamo altre notizie, di Alberti ne abbiamo invece in abbondanza23 e di Antonio Lepido sono giunti fino a noi solo tre ragguagli. Di quest’ultimo sappiamo, infatti, che ha curato l’edizione aquilana del De bello Italico adversus Gothos gesto di Leonardo Bruni Aretino per i tipi di Adam de Rottweil, ma fatta stampare da Mariano Camillo e Domenico de Montorio intorno al 148524; che è l’autore dei carmina tramanponiana?» (cf. G. MUZZIOLI, Due nuovi codici autografi di Pomponio Leto (Contributo allo studio della scrittura umanistica), in IMU 2 (1959), pp. 337-351: 351). 20 L’ambiente culturale romano che si sviluppò intorno all’umanista, il quale, giova ripeterlo, “inventò” una grafia adottata in seguito da diecine di personaggi più o meno noti (cf. E. CALDELLI, Copisti a Roma nel Quattrocento, Roma 2006, p. 72), è ben delineato nel sito Repertorium Pomponianum, anche se da un primo rapido riscontro sembra che vi sia qualche lacuna. Ad esempio non è citato un personaggio di un qualche rilievo come il romano Simone Bonadies, figlio di Giovanni del Rione Ponte e scriptor vaticanus, il quale nel 1477 prese in prestito dalla Biblioteca Apostolica alcuni codici. Di Simone sono pervenuti a noi autografi i testi delle schede dei prestiti e grazie a essi ho potuto collazionare la sua grafia con quella principale del glossario, scoprendo, sia che è di scuola pomponiana, sia che, per certi tratti, si avvicina a quella del codice ottoboniano (cf. I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana, codici vaticani latini 3964 e 3966, pubblicati in fototipia e in trascrizione, con note e indici, a cura di M. BERTÒLA, Città del Vaticano 1942, pp. 8 (trascr.) e 8r (ripr.). 21 Cf. A. BERTOLOTTI, Varietà archivistiche, in Il Bibliofilo 4, 6 (1883), pp. 89-91: 91 e M. C. DORATI DA EMPOLI, I lettori dello Studio e i maestri di grammatica a Roma da Sisto IV ad Alessandro VI, in Rassegna degli Archivi di Stato 40 (1980), pp. 98-147: 142. 22 Premesso che l’identificazione Lepidus/Alberti si conferma una ipotesi del terzo tipo, per quanto riguarda la fabula, o commedia latina, Philodoxeos, scritta da Alberti a Bologna tra il 1422 e il 1424, come scrive all’amico Poggio Bracciolini, e da lui dedicata a Lionello d’Este, discepolo di Guarini, posso asserire, pur essendovi diverse redazioni, che il glossario non è stato ricavato dal testo di essa. È interessante, comunque, il fatto che Alberti in età avanzata (morì nel 1472) volle far parte dell’Accademia Romana. 23 Mi limito a citare la voce del DBI, curata da Cecil Grayson, che, pur contando più di mezzo secolo e quindi da aggiornare per la bibliografia, è più che sufficiente in questa sede (cf. Dizionario Biografico degli Italiani, voll. I-, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1960-: vol. I, ad v.). 24 L’edizione titolata Leonardi Bruni de bello italico adversos gothos è priva del luogo e

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dati dal codice vaticano Urb. lat. 1193 ai ff. 175 e 193v con incipit: Si mihi fata darent sedes e Inclite Dux iterum cedunt25 e, infine, che ha vergato le tre lettere tramandate dal codice Riccardiano 834 ai ff. 206-207 (paginazione moderna 229-231), indirizzate a «Nicodemo Tranchedino de Pontremulo», senza indicazione dell’anno, ma molto probabilmente del 147226. La circostanza che Tranchedini sia autore del primo vocabolario latino-volgare italiano, tramandato dal codice autografo Riccardiano 1205, redatto nel terzo quarto del XV secolo,27 e che Antonio Lepido sia in corrispondenza con lui, induce ad ipotizzare un qualche collegamento, anche puramente letterario, tra i due. Si deve però consentire che possa trattarsi di un semplice e generico interesse da parte del secondo per gli studi glossografici, che, forse, potrebbe essersi materializzato nei fogli 41-65 del codice Ott. lat. 251. In realtà, però, il formato, la carta di qualità scadente, la grafia corsiva non sempre accurata, i frequenti errori e ripensamenti, anche dovuti a sbadataggine, le correzioni e le aggiunte di altre mani, fanno pensare che la raccolta di lemmi sia stata realizzata da un allievo di Lepido, come studio voluto e impostato dal maestro, nato per uso strettamente personale, ma poi utilizzato anche da altri utenti. Le ricerche per identificare l’autore di questo lavoro e le opere dalle quali ha desunto parte dei lemmi trascritti, pur essendo state lunghe e accurate (anche se non giustificate dallo “spessore” del testo), non hanno condotto ancora a un risultato apprezzabile. Non è stato possibile, né identificare l’autore, perché le grafie degli allievi e dei seguaci di Pomponio Leto, come detto, sono diecine e diecine; né tantomeno la fonte, o, meglio, le fonti letterarie, dal momento che i lemmi elencati ricorrono in molte dell’anno di stampa, ma nell’introduzione di «Ant: Lepidus» all’«Illustrissimo Francisco Aragonio Ferrandi regis Neapolitani Filio» sono nominati i due stampatori. 25 Cf. A. CINQUINI, Spigolature da codici manoscritti del XV secolo, in Classici e Neolatini 1 (1905), 1, pp. 12-25; 3, pp. 110-124; 4, pp. 147-172; 5, pp. 208-226; 2 (1906), 1, pp. 25-29; 2, pp. 114-129; 3-4, pp. 218-221; 3(1907), 1, pp. 68-86; 2, pp. 197-212; 4, pp. 553-569; 4 (1908), 2-3, pp. 249-263; 5 (1909), 1, pp. 106-120; 2-3, pp. 254-257; 4, pp. 347-360; 6 (1910), 1, pp. 25-32; 2-3, pp. 82-96; 7 (1911), 1, pp. 49-56; 2, pp. 173-200: 6,1 (1910), p. 29 e 7,1 (1911), pp. 49-55. 26 Le tre lettere si possono leggere ai ff. 206-207 (paginazione moderna 229-231) del cod. 834 della Biblioteca Riccardiana di Firenze (cf. Iter Italicum I, 205*). La datazione “1472” è resa possibile dal fatto che in una delle tre lettere (scritta il 23 agosto) Lepido fa cenno alla legazione di Bessarione a Mosca per le nozze di Sofia Paleologa con Ivan III la quale avvenne per l’appunto in quell’anno [cf. G. MERCATI, Per la cronologia della vita e degli scritti di Niccolò Perotti, arcivescovo di Siponto, Roma 1925 (Studi e testi 44), p. 82 n. 2]. 27 Il vocabolario è stato di recente stampato: N. TRANCHEDINI, Il vocabolario italiano-latino. Edizione del primo lessico dal volgare, a cura di F. PELLE, Firenze, Olschki, 2001. Allo stesso studioso si deve un approfondito studio sulla vita dell’umanista: F. PELLE, Per la biografia di Nicodemo Tranchedini, in Aevum 72 (1998), pp. 485-558.

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opere, anche di uno stesso auctor. Tra gli scrittori, comunque, prevalgono per occorrenze nell’ordine: Virgilio, Orazio, Ovidio, Cicerone, Terenzio, ovvero gli autori maggiormente utilizzati nella didattica dai “grammatici”, anche nel tardo umanesimo28. I lemmi latini si incontrano soprattutto nel Corpus Glossariorum Latinorum e in alcuni vocabolari manoscritti e a stampa tra cui hanno dignità di essere citati il Papias e il Du Cange29. Parte dei termini volgari si possono leggere soprattutto in Sella, in Gualdo e in Giuliani30. Ecco finalmente le regole sottese all’edizione semidiplomatica del glossarietto che sono state adattate al testo con l’intento di renderlo massimamente usufruibile:31 — L’intervento editoriale si limita alla separazione delle parole e allo scioglimento delle abbreviature, ma senza la relativa segnalazione, né con l’introduzione moderna del corsivo, né tantomeno con quella “antica” 28 I riscontri operati a sondaggio sui glossari, vocabolari, opere di differentiae verborum, di etimologie, etc., antiche e coeve al glossarietto, manoscritte o a stampa, o sui vocabolari e glossari moderni, non hanno fornito dati tali da permettere la formulazione di un qualsiasi assunto. 29 Cf. PAPIAS, In omnibus gentibus ideo prior est litterarum…, Mediolai per Dominicum de Vespolate, die XII mensis Decembris, 1476 (con versi al lettore di Bonino Mombrizio, 1427-1500) (= PAPIAS); CH. DU FRESNE DU CANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, conditum a CAROLO DUFRESNE DOMINO DU CANGE, NIORT, L. FAVRE-LONDRES, D. Nutt, 1884-1887 (= Du Cange); Corpus Glossariorum Latinorum, a G. LOEWE incohatum [...], composuit recensuit edidit G. GOETZ, voll. 7, Lipsiae 1899-1944 (= CGL); Thesaurus Glossarum Emendatarum, confecit G. GOETZ, [...] accedit index graecus G. HERAEI (voll. VI-VII), Lipsiae 1899-1901 (ed. fotot., Amsterdam, 1965). 30 Per una disamina dell’argomento si rimanda a M. ARCANGELI, La tradizione dei glossari latino-volgari (con un glossarietto inedito), in Contributi di filologia dell’Italia mediana 6 (1992), pp. 193-209 e ID., Due inventari inediti in romanesco del sec. xv. Con un saggio sul lessico degli inventari di notai romani tra ’400 e ’500, ibid. 8 (1994), pp. 93-123 e 9 (1995), pp. 83-116. Per quanto riguarda questo glossarietto ottoboniano si vedano in particolare (siglate rispettivamente “SELLA”, “GUALDO”, “GIULIANI”, “ERNST”, “MATTESINI” e “ACCAME”) le seguenti pubblicazioni: P. SELLA, Glossario latino-italiano. Stato della Chiesa-Veneto-Abruzzi, Città del Vaticano 1944 (Studi e testi, 109); R. GUALDO, Dal Papa allo “strazarolo”: Un inedito glossario latino-veneto (1450), in Studi di Filologia Italiana 23 (1997), pp. 180-218; V. GIULIANI, Il glossario inedito di Domenico Gallinella (Velletri 1486), Roma 20102; G. ERNST, Un ricettario di medicina popolare in romanesco del Quattrocento, in Studi Linguistici Italiani 6 (1966), pp. 138-175; E. MATTESINI, Il “Diario” in volgare quattrocentesco di Antonio Lotieri de Pisano notaio in Nepi, in Contributi di Dialettologia Umbra 3 (1985), pp. 318-542; M. ACCAME, I corsi di Pomponio Leto sul De lingua latina di Varrone, in Pomponio Leto cit., pp. 1-24: 11. 31 Esse rispettano in minima parte quelle enunciate da Tognetti dal momento che il testo pubblicato riproduce fedelmente la stesura originaria con il solo inserimento dei segni diacritici irrinunciabili [G. TOGNETTI, Criteri per la trascrizione di testi medievali latini e italiani, Roma 1982 (Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, 51)]. Questa scelta è stata dettata dalla volontà di avvicinare il più possibile il travaglio compositivo dello studente antico al travaglio interpretativo dello studioso moderno.

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e d’ambito archivistico delle parentesi tonde, perché questo intervento non è stato ritenuto fondamentale per gli scopi della pubblicazione e avrebbe appesantito la lettura del testo. Per rendere più agile la lettura, non sono state mantenute quelle abitudini grafiche, che sono comuni in ambito umanistico mediano tardoquattrocentesco, come ad esempio, la frequente utilizzazione anche all’interno di una parola delle lettere maiuscole (qui soprattutto A, C, M, R, V; rarissime volte B, G, L, O, N, Q, S) e dell’ε al posto della e, anche se sarebbe potuto rappresentare un fenomeno interessante per uno studio più approfondito del testo, volto all’identificazione dell’autore e alla collocazione spazio-temporale, sia del codice, sia del testo e per la marcatura socio-culturale di entrambi. È stato invece mantenuto l’uso indistinto della u e della v, consonante che viene utilizzata sempre come lettera iniziale di parola, dal momento che esso potrebbe rappresentare non un semplice vezzo grafico, ma quella attiguità e identificazione con il mondo classico alla base dell’Umanesimo. Non è fatto uso neppure dei segni interpuntivi e diacritici: pertanto quelli presenti sono stati desunti dal testo. Gli evidenti errori, i calchi dialettali nel latino, i refusi, e qualche altra sbadataggine del compilatore non sono stati segnalati con il solito “sic”, che infastidisce studiosi, in grado di avvertire senza difficoltà la presenza di tali anomalie. Sono stati invece riportati corretti in nota i termini latini errati che possono essere difficilmente ricostruibili. Sono altresì riscontrabili in nota gli interventi correttivi coevi al testo, siano stati essi effettuati o meno dall’estensore. La resa grafica della vocale i con j o y non è stata mantenuta, se non nei casi etimologici o quando è stata volutamente introdotta dai compilatori/correttori per meglio evidenziare gli interventi correttivi. Le glosse a volte sono annullate con una barratura doppia che sta ad indicare un intervento più deciso da parte dell’autore, o del correttore, ma il più delle volte con una barratura semplice accompagnata, per conferma e rafforzamento dell’intervento espuntivo, dalla formula esplicativa, aggiunta da mani diverse da quella dell’estensore, “vacat”, che viene segnalata nell’edizione in corsivo. Nei pochi casi in cui manca il vacat (nelle ultime carte) l’eccezione è segnalata in nota. Le integrazioni, o le lacune, sono segnalate con la parentesi aguzza, le espunzioni con quella quadrata. L’editore ha riportato il lemma chiosato con il carattere “grassetto”, il testo latino con il “tondo” e le parti in volgare con il “corsivo” allo scopo di diversificarli e quindi renderli

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più facilmente individuabili. Questo intervento a volte può essere errato, soprattutto nella identificazione delle forme verbali infinitive, dal momento che il lemma latino e quello volgare coincidono nella resa grafica. — Sono state mantenute le abbreviature “.i.” (id est), “.s.” (scilicet), “sin., sign., sing.” (significat). — Le parentesi graffe poste in colonna alla fine dei lemmi indicano che nel glossario essi sono collegati da un tratto concavo di penna laterale al centro del quale è riportato il significato unico di essi. — Non è stata introdotta la crux anche se la lettura di molte parti del codice è risultata particolarmente difficoltosa e con esiti non sempre accettabili, comunque, quando è stato possibile, anche operando qualche piccola forzatura, il testo è stato ricostruito. L’intervento critico, come si potrà vedere, rimane, però, estremamente contenuto.

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sub lepido Pruna32 sunt carbones ancensi carbones extinti uero Ianjitor33 est ille qui custodit jannuam Lanista dicuntitur ille qui nutrit gladiatores et postea uendit diuitibus qui edunt munus gladiatorum34. Munerarius dicitur ille qui edit ludos gladiatorios in teatro Insulsus ille qui salem non habet Vorago singnificat profunditatem Suburbanum singnificat uillam Predium uero singnificat posessionem ut domus agrum Tabes singnifajcat sangvuinem pudrefactum35 Bostar est spatium bouum Lar lo focolaro hoc Tuber lo teratrofolo36 hoc Suber lo suero hoc Iter lo cammino cioe como da qui a francia et a napoli hec Sera istrumentum quod adibetur ianuae37

que b p p p m a m r

Biblioteca singnificat repositorium libror38 Puer matrinus qui habet matrem Puer patrinus qui habebat patrem hic et hec et hoc inaers .s. ille qui est sine arte39 Mox .s. subito aduerbium est auspicium .s. aliquando principium Merum ri .s. vinum purum40 Res alternas .s. que fiunt alternatim 32

Corretto in Bruna d’altra mano con sovrapposizione della lettera. Probabilmente da un primitivo iangnetor, corr. in ianjtor e infine ianitor. Cf. GUALDO, p. 200: qui portas ecclesie custodit. 34 Vat. lat. 5144, f. 41v: laniste domini sunt gladiatorum qui < > gladiatorum vendunt ad pugnam in quis eorum coram perierit mercedem accipiunt. Cod. del sec. XV (1445), membr., ff. 130, con titolo: Ex multorum commentariis diferentie et proprietates per doctissimum virum Guarinum Veronensem incipiunt feliciter excerpte (poi Vocabularius Breviloquus [...] impressus Lugduni anno 1501), varie epistole, un elenco degli imperatori romani, un carmen, etc. Le glosse riportate sono molto simili a quelle di un altro glossario vaticano, il Vat. lat. 5203, ma differiscono da quello ottoboniano. 35 Le lettere barrate sono state sostituite con sovrascrittura da quelle trascritte a lato. Per il lemma cf. GIULIANI, L302, nota. 36 Diminutivo del gr. θεροτρόφος, che nutre gli animali selvatici. Cf. Vat. lat. 4486, f. 44v: teratufule; Vat. lat. 6266, f. 115r: terratufole; lat. mediev. territrufu. 37 Cf. DU CANGE: serra, chiave. 38 Cf. PAPIAS: librorum reconditio. 39 Cf. GUALDO, p. 199: pigro vel senza arte. 40 Cf. Vat. lat. 4482, f. 52v: bonum vinum. 33

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p hic puluinus et hoc puluinar .s. lo capezal dello lecto eodem ceruical idem est41 a Ager Ager dicitur ab agendo quia semper est in quid agatur b Bruma .s. iemem ab breuitate dierum c Cadus est uas .i. lo uarile stipes sunt pecuniae .i. l oferta42 m Miagicus43 est ille qui exercitat artem magicam m Maga est mulier quae exercitat arte magic cio.e. la fattochiaria s Stipes pis est pecuniam inde dicitur stipendium que datur militibus44 Stipes tis .s. truncum45 s Seculum li erat spacium co et XX annorum et dicitur a sequendo l Latium dicitur a latendo eo quo latet sub montibus apendinis

hydrus dri .s. serpentem46 Mora re .s. tardationem Mendacium .s. rem falsam .i. la mensongnia47 Fatidicus dicitur ille qui predicit fata Iugum .s. collem Pinetum ti .s. locum ubi sunt multa pinea ut cannetum vinetum querquetum etc. Fera dicitur a ferendo eo ferit se ubi uult Rudis .s. inpolitum Nectar .s. poculum deorum48 Notus ti .s. uentum Vmbraculum .s. tegmen capitis quod umbram facit .i. pileum Nemus bachi dicitur uinetum Roscidus dicitur humidus emitens rorem ut roscidum antrum Fosferus et lucifer idem est Laqueatus .s. cornatus Tofus fi .s. lapidem spongniosum49 Calceus .s. uinculum pedis Antrum dicitur speluncam Inprobum .s. presentuosum Temerarius dicitur ille qui agit aliquid non prudenter 41

Cf. GIULIANI, L270: cervical, lo cepezo; L547: pulvinar, lo capitale. Manca il vacat. GIULIANI, L105: la moneta. 43 Migicus è stato corretto in magicus con sovrascrittura. 44 Ovvero: stips-is. Testo aggiunto d’altra mano dopo que. 45 GIULIANI, L105, nota. 46 Cf. PAPIAS: aquatilis serpens. 47 GIULIANI, L131 e L297. 48 GIULIANI, L280: quello che vevono li dei. 49 Cf. PAPIAS: lapis cavernosus et mollis. 42

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Captatores dicebantur qui capere ereditates alior Vellus leris .s. lanam Sponda de .s. tabulam lecti Exta storum dicuntur intestina vacat50 [cf. f. 63r] Salingnus gi .s. ex salice51 Predo nis .s. ille qui predam facit deuius uia um locum .s. ubi non est uia et iuuenis deuius dicitur qui non uadit per uiam Armar .s. armare 52 Irritus .s. inuanum Forsitan .s. forte Linter tris .s. nauiculam .i. scifo Vigor .s. uiuacitatem Sum orbus patrem .i. emisi patrem vacat Pariter .s. simul Gena aliquando .s. pulbebram uacat Aueolus .s. lo scachieri 53 Auleus .s. scifum Alumnus dicitur tam his qui nutritur quam ille qui nutrit eodem modo alunna Mamma me .s. uberam54 Fecundus .s. habundantem

yhesus 55 hic obbiliscus est l agulgla et hec piramis dis fuit sepulcra anticorum quem surgendo paulatim acidentur56 hic erinacius ii .i. lo riccio57 hec icstrix cis .i. la spinosa hic marcis panis nis .i. lo marsapane hic piniuolus li .i. lo pingnolato hec posca sce .i. lo aquato 50

L’impersonale vacat sta ad indicare che quella accezione del termine non serve, è inu-

tile. 51

Cf. PAPIAS: de salice. Manca il vacat. 53 Ovvero: alveolus. 54 GIULIANI, L570: la zinna. 55 I ff. 43r-45v sono stati vergati da altra mano e tramandano, come detto, un glossario perlopiù latino-romanesco. 56 Piramide deriva dal gr. πϋραμίς che indica la parte terminale dell’obelisco il quale a sua volta deriva dal diminutivo del gr. ὀβελός, spiedo. Aguglia o guglia era il nome con cui a Roma si indicava un obelisco, ma in particolare quello vaticano, l’unico rimasto in piedi prima del 1500. 57 Cf. Maurus Servius Honoratus scoliaste di Virgilio del IV-V sec.; GIULIANI, L412: arenacius lo riccio. 52

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hec metreta rte .i. lo peticto hic ficulus li .i. quello che uosa58 hec mena ne .i. la tenca59 hec alosa se .i. l alaccia60 hec cespes dis .i. terra auulsa cum erba hec chiroteca tece .i. lo vanto et dicitur a chioros qui est manus et id est K chiragra .i. la palara et qdelle mano61 hec podagra gre .i. la palara delli pedi62

strorum63

t Trianstra numero multitudinis significant sedilia nauium Rostri rostrorum numero multitudinis64 r Rostrum stri lo chobecho dello cello et omne simile ut est rostrum canis, rostrum nauis etc. ua hoc uadumdum di .i. locus maris siue fluminis in quem quisquis sine periculo

58 Si tratta del figulus, il vasaio. Uosa è però una specie di calzare (stivale o gambale, anche ferreo o di stoffa, per uomini e animali), per cui è molto probabile possa trattarsi di un errore del compilatore in luogo di uasa con significato di “fabbrica i vasi”. 59 In realtà la maena (gr. μαινίς) è un pesce di mare poco pregiato della famiglia delle Menidi, la menola. 60 Si tratta della cheppia, detta anche allaccia, laccia, etc., una specie di sardone che sotto sale (salacca, saraca) veniva mangiato dalla popolazione più povera e servito nelle taverne, per stimolare il consumo di vino. 61 Et q è corretto d con sovrascrittura . Vi sono altre accezioni del termine: Palaris equivale a pellis in Charta Petri de Gasnachia e in Chartul. Fontis-Ebrardi (DU CANGE ad v.); a Roma nel Medioevo Pallara indicava il Palladium cioè il colle Palatino [Storie de Troja et de Roma, in P. TRIFONE, Roma e Lazio, p. 561; R. VALENTINI – GIUS. ZUCCHETTI, Codice topografico della città di Roma, voll. 4, Roma 1940-1942-1946-1953: II, p. 337 n. 2]: ma ivi era la chiesa di s. Apollinare in Pallara o Palmaria o Palma aurea per via delle ricche decorazioni dorate (cf. per questo il son. Roma le palme tue, che ‘n marmi, e ‘n oro, a f. 312v del Reg. lat. 1603]; inoltre, un’antichissima chiesa, ora s. Sebastiano sul Palatino, si chiamava S. Maria in Pallara o Pallaria, che secondo Hülsen significherebbe: del Palazzo, Palatino, ma che in realtà fu fondata da un certo “Petrus medicus” e quindi più che riferirsi al “Palladio” è probabile si riferisse alla “Pollagra” o Podagra (CH. HÜLSEN, Le Chiese di Roma nel Medio Evo. Cataloghi e Appunti, Firenze 1927, pp. 353355 n. 71). Per Isoldi nella Mesticanza il termine palarosi (p. 51,3) indica il paralitico (La mesticanza di Paolo di Lello Petrone, a cura di F. ISOLDI, Città di Castello, R.I.S., XXIV, p. II, Fascc. 85 e 105, 1910-1912); ID., in Vocabolarius Breviloquus [...] impressus Lugduni anno 1501 di Guarino Veronese: chiragra gre .i. manuum infermitas. Sicut podagra dicitur infirmitates pedum a chirus quod est manus dicitur chiragra et podagra dicitur a pos quod est pes [- - -]; PAPIAS: manum rigiditas. 62 Cf. GUALDO, p. 202: la gota deli pedi. 63 Cf. PAPIAS: ubi sedent remiges; Isidori Hispaliensis episcopi Etymologiarum sive Originum libri XX, recognovit brevisque adnotatione critica instruxit W. M. LINDSAY, Oxford 1911: ad v.; strorum: la prima r è stata aggiunta d’altra mano come abbreviatura. 64 Canc. con puntini sottoscritti.

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potest adcedere singnifacat etiam tutum esse. terentius. Onnis res iam est in uado etc.65 p Pronus na num .i. inchlinato et in imbucconi66 G Gaza est sermo particus67 et singnificat diuitias68 e hoc euum eui .i. aetas aetas quasi quae e uitas est quaae69 conponituruntur longneus et grandeus

Ihesus maria filius



hec uulua ue .i. natura mulieris s hec spura re idem significat De inde spurium .i. lo bastardo70 hic ligur ris .i. lo luntardo71 hic agricola le .i. lo lavoratore dello campo hec Artoclea eae .i. li pasteri torte canisconi72. hoc oblettamentum ti .i. lo piacere hic racenus ni .i. lo rampazzo della vua73 hec bactarus ri .i. lo fago74 hic cicnus ni75 .i. auis consacrata joui hec sedes dis .i. la stantia hoc rus ris hic ager gri lo campo hic canpus pi hoc aruum ui hoc uotum ti .i. desederium

}

yhesus



u hic uitulus li .i. lo uitello u hoc uitellum li .i. lo uiloccio dello ouo76 l hic leo nis .i. lo lione 65

Andria, V.II.4. Cf. PAPIAS: curvus subiectus humilis. 67 Corr. in particus. 68 Cf. Vat. lat. 5144, f. 31v: gazza, persicus sermo est…; Vat. lat. 5203, f. 43v; GIULIANI, L352. 69 La prima quae è da corr. di un originaria abbreviatura di quod; la seconda qua è scritta dapprima con la q tagliata e il dittongo ae abbreviato che è stato poi corretto con la q tagliata sulla quale è stata posta la a e la barratura del dittongo. 70 GIULIANI, L211: lo vastardo item spurius pater incerto matre vidua geminus. 71 GIULIANI, L203: lo mardo (basto); MATTESINI: il lombardo; PAPIAS: ligures longobardi fuerunt. 72 Gr. ἀρτοκρέας, focaccia di pane e carne; canischioni, gr. κανίσκιον, cestino; ma canicaearum crusca; Vat. lat. 4482, f. 27v: canicon. 73 GIULIANI, L362, nota: rampazzo; L555: racemus lo ciancarello dello rappaso. 74 Cf. Vat. lat. 5144, f. 27r: fagus arbor glandifera. 75 Cicnus corr. in cygnus con y in apice e g soprascritta a c. 76 ERNST, p. 173, Gloss.: viluocio; GUALDO, p. 207: el rosum de l’of. 66

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l hec leena ne77 .i. la leonessa d hic delfinus ni et i. piscis qui dicitur delfin78 d hic delfinim nis . } a hec auena ne .i. erba aliquando ponitur pro stilo m hic mons tis .i. lo monte hec silua ue et .i. la serva hic lugcus luci79 } 80 a hec aruina ne et a hoc abdomen nis et .i. lo grasso p hec pinguedo nis ca hic carnifex cis .i. lo maniuolto g hic grassator ris .i. lo derobatore Grassor .s. uado cum inpetu et malefaciendoj animo et inde grassatores81

}

Yhesus is82

hec fruges .i. la guadangna hec seges tis } hec frons dis .i. la fronde83 hec frons tis .i. la fronte84 hic fons tis .i. la fontana hoc flumen nis hic fluuius uii .i. lo fiume hic torrens tis hic amnis is hoc carmen is .i. lo verso hoc carmen is .i. la cansone hoc carmen is .i. la fattura e hic estus stus stui .i. estiusus85 calor86 m hoc malum li .i. lo melo m hoc malum aureum .i. lo menagolo87 hoc decus decoris .i. pulcritutdo88

}

77

La e di lena è scritta male ed è stata riscritta in esponente. GIULIANI, L84: lo pesce. 79 GIULIANI, L54. 80 GIULIANI, L19: lo grasso inter coro et pelle. 81 L’intero lemma è stato aggiunto d’altra mano. Malefaciendj corr. con sovrascrittura. 82 GIULIANI, L342: lo grano. 83 GIULIANI, L207. 84 GIULIANI, L208. 85 Correzione con sovrapposizione della lettera seguente. 86 GIULIANI, L373, nota. 87 Cf. I due sonetti in “lingua romanesca” del Burchiello, a cura di F. A. UGOLINI, Perugia 1985 (Contributi di Dialettologia Umbra, III, 2-3), p. 27. 88 Corr. con sovrapposizione della lettera seguente. 78

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hoc malum punicum .i. lo granato89

hoc dedecus coris .i. vituperium90 hec aura re .i. leuis uentus Vat. lat. 5144, f. 8r tetrumter tra trum .i. obscurus ra rum hec auris auris .i. la orechia hec aulea ee .i. lo trappito91 hec palpebra bre .i. le penazze dello ochio hoc calcar ris .i. lo sperone92 hec pupilala le93 .i. la luce dello occhio hec desxtra tre .i. la mano deritta hec desxtera re } s hec sinestra tre .i. la mano manca u hec vitis tis .i. la uite a hec arbor ris .i. lo arbore a hec arista ste .i. la spica dello grano a hic agellus li .i. lo campo piccholo l hoc linfapha ee .i. aqua94 f Hic fluctus tus tui .i. tempestas

d a t a a p c p d

flujujalis95

Vlua est erba illa Edes dis numero singulari .s. locum sacrum Edes edium numiero96 pluralis .s. domos nobilium Fulmen .s. sagittam Palmes tis sin. capud vitis Solum soli .sin. quidiquid sub est pedibus hominibus solum dicitur terram, piscibus equor, auibus aer. Concentus ti .sin. mistum cantum97 pratum ti dicitur quasi paratum Carmen dicitur a canendo uel a carminando .i. purgando Aruum est ager qui est tum paratum 89

GIULIANI, L382: lo mergranato. Cf. PAPIAS: vituperatio. 91 Cf. GIAMBATTISTA BASILE, Lo cunto de li cunti. Testo napoletano a fronte, a cura di M. RAK, Milano 2007: tappeto, tendone; Vat. lat. 5144, f. 7v. 92 GIULIANI, L68. 93 Sulla a dell’originario pupila è stato aggiunto la. 94 Hoc: e corr. hec; GIULIANI, L556. 95 L’autore ha cancellato la j, ha sovrascritto un’altra u ed ha continuato nella stesura del testo. L’alga è però generalmente palustre: Vat. lat. 5203: herba palustris; Vat. lat. 5144, f. 85v: herba palustris; PAPIAS: aerba palustris. 96 Corr. in numero con sovrascrittura. 97 Cf. Vat. lat. 5203, f. 19v; PAPIAS: cantus mixtus. 90

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Colonus ni .sin. nouum cultorem et agricolam Agricola est ille qui colit agros Arma sunt istrumenta cuntarum artium et ideo numero multitudinis declinatur98 hec torax .sin. la corazza Lictus dicitur alternis fluctibus Tura .s. lo incenso99 Baculus .s. hoc bacillum est diminuitum Augur dicitur a gesta uel a garitu auium Lituus est virga qua utebatur Janus

s a c n s l c I I p m c i p p s f t

Spata te .s. la fronde dello dactolo100 Altilis altilis et plurali altilia est omne auis qui nutritur domi Cors tis est locum ubi nutriunt aues domi Nucleum .s. lo merollo della noce Stipula le .s. la paglia o la restoppia Lamina ne dicitur argentum non singnatum aut ferrum non singnatum .i. vna piastrella101 hec Cupido .s. cupiditastem102 et appetitum Idropicus .s. lortropico vacat Idropici sunt qui tumescunt infuso humore in cutem et carnem Precijum103 dicitur a precibus et debet scribi p.c. Mos .sin. consuetudoinem104 Cutes tis .i. la pelle dello homo Imfusus sa sum .s. flatum Pecunia appellata fuit quando erat pecus in < > Priscus ca cum .s. antiquissimum Soboles est familia105 Falisci dicuntur uiterbienses106 Tartara rum sunt loca inferorum

Adnare .s. nauigando ire. Vexare .s. uementer turbare et uerere et uenita uego inplorare proprie est plorando petere aliquid et gemendo 98

Cf. Vat. lat. 5144, f. 6v. GIULIANI, L227, nota. 100 Cf. ACCAME, p. 11, “fructus cariotis” 101 Corr. su piastrelle. 102 Corr. di s in t per sovrascrittura. 103 I corr. in j con sovrascrittura. 104 Corr. per sovrascrittura. 105 La b è ridotta ad una macchia di inchiostro. GIULIANI, L350: la progenia. 106 Ma in PAPIAS: populi sunt verso campaniam. 99

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Fruor .s. capio uoluptatem humare .s. sepellire fundere .s. emittere et spargere in preterito fundi et fusus sum Terrere .s. perterrefacere Acumbere .s. iacere iscere .s. uesticare ut misce uinum Dissuere .s. scosire Exerere .s. nudare et ponere uestes udere est asinorum .i. ragliare vacat Disicio .s. pro gitare inducerse parte nfigo pro inficare ransito pro passare da banda i banda ondiueo107 connexi .s. claudere oculis industrie

Sternere .s. adequare ut mar stratum et sterne eq108 sterno nis pro aconciare lo cavallo vacant IAculor .s. proicere et mittere iaculando id e iac< > cioe lacdanrdo109 Ille meret stipendium cum rege quello fa facto d arm collo re cio sta con episcopo .i. Ille gerit bellum .s. quello fa la guerra Repetere memoria } .s. io me recordo Mente reuoluo Subire aliquando .s. in mentem uenire et iugnitur ablatiuo Caueo accusatiuo et ablatiuo iungnitur quando .s. io me guardo Caueo quando mihi .s. io me acuro et est uerbum acum et dicimus caueor a te .s. io so guardato da ti Inprecari est in malam partem damnum alterium precari ut inprecor tibi mortem Adrumpere .s. frangnere Foueo ues .s. couare ut gallina fouet houa Edere .s. emittere Abducere .s. remouere Esero .s. eleuare Superare .s. restare Incedere .s. ambulare more nobilium inde incessus Inponere .s. supra ponere

Irunpo .s. intus intrare Coscendo cum acusatiuo iungnitur 107

D’altra mano: ut go hoc Multis ConNiueo. Aggiunto successivamente sotto il vacat. 109 L’originario lacando è corr. in ladardo (= lo dardo) con sovrascrittura della prima d sulla c, la cancellazione della n e l’inserimento in esponente del segno abbreviativo della r. 108

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Ascendo cum acusatiuo et cum prepositione Recludere .s. aperire et euaginare ut reclude culticum Conspico .s. uidere Incubo .s. super iacere ut incubo licterire vacat Sinere .s. permittere ut deus sinat hoc inperterito diui vacat Absoluo te peccato Perago .s. preficere et finire Statuo .s. pro edificare .i. condere Obire .s. circundare et circuire pistare .s. iminere .i. supra esse Desero .s. relinquo vacat Concipere spem .s. sperare Consisto .s. firmo Secare fluctus est nauigare Emetior ris .s. mensurare Traiere est ducere per uim proprie Mugire est bouum vacat Acipere aliquando .s. intelliger110 Prestuo is .s. claudo111

Vvomere .s. emittere per hos Cadere .s. moriri nam illi dicuntur cadere qui moriuntur caduti ante die112 Plangnere .s. percutere .se se. Inmolare .s. sacrificare Baccor .s. incedere cum furore more bachi Pellicere est ducere in fraude ut mulier pellicet te Accedere aliquando .s. adiungnere inde acessio .i. adi< > Premo mis .s. costrengnere ut uirgili inproprio premit Agito as .s. frequenter agitoo ut ego agito mente .i. frequenter cogito mente Protegere .s. defendere Destinare proprie est in animo preponere Corripere .s. reprendere Assistere proprie est stare Percipere .s. intelligere aliquando Polluere .s. maculare Astare .s. iusta stare Inhorrescere .s. fieri aspera Iubere .s. precipere Incunbere .s. super iacere et iungnitur cum ablativo va Obliquare .s. torquere 110

L’integrazione è causata da una dimenticanza dello scrittore. Ovvero: praestruo. 112 Caduti corr. per sovrascrittura. Caduti… diem aggiunta successiva. 111

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Vouere .s. facere uotum

Socer dicitur pater uiris et pater uxoris Maritam .s. uxorem et maritum .s. uirum Pingnora aliquando .s. filos. Vter proprie est ubi mulieres concipiunt filgos Siluam inciduam .s. non cesam Etruria dicitur ea pars ubi est toscana Prostituta mulier dicitur que stat pro pretio et prostare .s. pro pretio stare ut illa prosta omnibus .i. stat pro pretio Preco conis dicitur ille qui manifestat aliquid .i. lo banditore Inuleus .s. paruum ceruum .i. lo cervatto113 Nomina que terminantur in ax .s. nimium superfluum ut audax .i. nimium audacem et mendax sequax Yreus qui .s. angulum oclu oculi Limus est terra illa et lutu quod est sub aqua Tonsila le est palus ubi alligantur naues funibus Torus ri .s. publbam114 Scintilla dicitur cu quando fauilla est acensa fauilla uero extinta Fomex cis .s. stipem .i. lo tizone115

Pistor .s. molitorem .i. lo molinaro Ripa fluminis dicimus Rupe uero montis Seps pis .s. spissitatem spinorum .i. la selua fracta Palmula .s. locum remi quod manu tenetur Emulus dicitur ille qui est eiusdem rei studiosus Plausus .s. collitionem manuum ad letiam116 Consessus appellamus multitudinem eorum qui sedent Claudus dicitur ille qui non potest incedere nisi vno ped Campus dicitur a capiendo Teatrum .s. locum spectaculi unde Anphiteatrum .s. lo colliseo Egregius dicitur ille qui est extra gregem Spicula le .s. acumen segetis quando est in erba et ponitur pro cala sagitta Bipennis .s. securim che a lo taglu da dui canti117 113

GIULIANI, L320: jnnulus lo cerballio. Corr. per sovrascrittura. Cf. Vat. lat. 5144 e 5203, f. 111v: thorus pulpa. 115 GIULIANI, L299: stips lo tizone. 116 Letiam errore dell’autore. 117 GIULIANI, L312, nota. Sulla sporadicità della –u finale cf. ARCANGELI Due inventari cit., VIII, pp. 112-113, n. 53. 114

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Falere rum dicuntur ornamenta equorum118 Teretis et hoc terere .s. longum et rotundum ut mulier habet digitos teretos119

Fibula le .s. la fibia della correia Manes dicuntur umbre mortuorum Stix gis est palus inferorum Testa ste .s. uasem ex greta .i. lo tiesto120 Focus est ubi ingnis fouetur Vnus quisque habet duos gemninos .i. angnelos dicitur121 apud n grecos Dies parentales dicuntur dies in quo fiunt parentalia Surbium122 dicitur uillam et predium quod quisquam habet extra urbem Bustum .s. sepulcrum quasi sub ustum Deformis .s. turpem Prodigium appellatur aliquid preter naturam quod protermit aliquid mali in longum Funus .s. popam illam quae sit inparentalia mortuorum vacat Vidua mulier dicitur tum est disiuncta a uiro et eodem modo uiduus uir Comare .s. ornare inde comatus .i. ornatus Calamistrum est uirga qua utuntur mulieres ad fiendum capillos crispos Matura puella dicitur que est apta uiro vacat Iuxta storum dicuntur sacrificia mortuorum dicta ita quam iustum et pium est parentare

Quodcunque iungnitur semper cum genetiuo vacat Coriletum locus est ubi sunt multi corili123 ut cannetum Almo nis fluuius est quem euntes diui pauli traseun in quo romani singulis annis lauabant cibalem deam ut lauant almone cibel< >124 Innocuus dicitur ille qui nulli nocet Mitis .s. benignum Sertum .s. coronam Solidus da dum .s. firmum et spissum Canestrum .s. lo canestro. hoc125. Candidus non tam refertur ad corpus quam ad animum vir candidus dicitur qui caret inuidia et liuore 118

I. e. phalerae, gr. φάλαρον. Vat. lat. 4482, f. 74r: teretis greci dicunt agada. 120 Lemma volgare aggiunto d’altra mano. 121 L’incomprensibile corr. geminos geninos è ottenuta con una barretta che elimina una gamba della m. 122 Surbium errore dell’autore. 123 GIULIANI, L212: lo nochieto. 124 Da ut aggiunta d’altra mano. 125 Hoc è aggiunto da altra mano. 119

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Suetula le .s. paruuam126 suem .i. la porchetta Vicinium .s. lo vicinato et regionem L litigiosus .s. illum qui plenus est litis et litis est in uerbis Ammitio nis .s. cupiditatem honorum et laudem vnde Ammitiosus .s. cupidus honorum et laudum Ammitio est in actu in animo Amicus in actu Letum .s. mortem V hoc Vectical .s. la gabella Publicanus dicitur ille qui exigit vecticalia

Prelaxare .s. aperire Exerere .s. denudare + vacat127 Fungor proprie .s. finere ut fungor uita Dare corpus sonno .s. predormitum Preferre .s. ante ferre Captare .s. studere capere ut capto amore illius et beneuolentiam Transuere .s. transmittere Armor .s. armare Occurrere .s. preouiare Detraere .s. extra traere Facere dictum dicitur facere illud quod dixit Indolere .s. intus dolere Edere .s. emittere et in lucem dare ut edo128 pueoros vacat Necare non proprie ferro sed aliqua uioelentia Plangere .s. percutere se se Prodere aliquem .s. facere Disirere .s. finire Vagire est emittere uagitum et est proprie puerorum Appello .s. aducere ut appuli nauem .i. aduxi unde appellor appulsus ut appulsus sum rome Deficere .s. decrescere et pertinet ad sustantiam

Blandiri est adulari et adulari et est canum ut canis blanditur domino et canis domino blanditur129 Procubuere .s. proicere supliciter ut domus procubui Esecare est incidere Prostare .s. pro pretio stare ut illa prostat omnibus .i. stat pro pretio 126

Paruua è corr. con la cancellazione della a e l’aggiunta del segno abbreviativo della m

finale. 127

D’altra mano. D’altra mano, riferito al lemma edo canc. 129 Et adulari e et… blanditur sono aggiunti d’altra mano. 128

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Promere .s. manifestare ut prome uinum Єxplodo .s. aliquem eicere per risionem ut ego explodo te uvlgo dicitur fare la cacia130 Aduela ingnem .i. coperi lo foco Cudo .s. bactere vt cudores cudent unde qui singnant pecunias dicuntur cudere ab hoc uerbo conponitur ex cudo Excudere .s. extraere cudendo nam cudere .s. ferire ut cudo argentum et aurum Reserare .s. aperire ut resera ianuam Annuere dicitur se facere ut tu annuis .i. dicis dice de si Decidere .s. deorsum cedere Lugere .s. esse in merore et in tristitia ut luges ob mortem quod sic Euanoescere .s. statim spargere ud ut deus euanescit .i. statim recessit nemine uidente

roys131

Coniector est ille qui interpretatum in sonnia Aves pronutius lucis dicitur gallus qui pronutiat diem et iungnitur genetiuo Actonitus .s. stupefactum Comiter .s. benigne et aduerbium est Quantum semper iungnitur genetiuo ut quantum erroris in e< > inscius .s. ignarum et iungnitur cum genetiuo ut iscius greamatice132 pudicus .s. castum infestus dicitur ille qui est plus quam innimicus eodem modo infensus ut tu es mihi infestus et infensus vacat Mine ne .s. la menacia Adulter dicitur ille qui 133 ad aliam accedit quam ad uxorem Grandeus dicitur ille qui est grandis eui hoc est senex Amictum .s. quodcumque coperit te hac per hoc uestem Aduerbia primo secundo tertio quarto quinto etc. .s. ordinem: bis ter semel quater etc. .s. numerum ut ille uenit ad me ter et primo dixit ut afferem tibi librum secundo quod tu legas tertio quod scribas Genitor poeticum uocabulum est. Semi animis .s. semi mortuus Ex et dicitur p 134

Eaxanimis .s. mortuum vacat Exanimatus uero spu stupefactum } exanimus anima mum potest dici 130

Vulgo… cacia è scritto d’altra mano con inchiostro nero. Corr. per sovrascrittura. 132 Gramatice è corretto su un precedente grece. 133 Qui è aggiunto d’altra mano con la q tagliata. 134 Scrittura framm. d’altra mano. 131

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Romani dicti sunt quirites a curibi oppido sabin uel ab hasta quiri135 Linter tris .s. nauiculam Alea est euentus uniusque quiusque etsi et finis ut alea bell illud euentus belli136 EVentus tus tui et euenta euentorum eteroclitum e Del hyrundo .s. auem137 harundo .s. calamum138 hereo et hesito aliquando singnificant dubitare Infensus dicitur ille qui est plus quam inimicus ut tu e mihi con< > Infestus dicitur qui contra nos uenit ut tela infesta tu < > Lippitudo nis .s. lo male delli ochi .s. infirmitatem ocu Lippus pi dicitur ille qui semper istillant oculis .i. che sempre li colano l ochi L139 hoc lirium .s. la schiavonia Turma me .s. coortem et aciem iuuenum: et puerorum Єcus bicolor dicitur lo cavallo pomato .i. bicolor maculis140 Extremus .s. ultimum, etc.

Mos ris .s. consuetudinem vacat Cedes dis .s. occisionem Credulus dicitur ille qui facile credit Perinanis .s. uacuum ut aer perinanis .i. uacuus Veru est indeclinabile in numero vnius et in plurari dicitur uerua rum sunt istrumenta in quo fingunt carnes .i. li spiti141 Iannua dicitur a iano Delubrum bri .s. templum a diluendo dicitur eo quod diluant peccata Statio nis locus est ubi stant naues Lucus appellatur silua a non lucendo Bidens tis .s. pecudem Demens .s. deorsum a mente Sero .s. tarde aduerbium est Iam pride .s. ante longum tempus vacat Optimates et principes sunt illi qui curant ciuitatem Rima me .s. fixuram Domus aliquando .s. familiam et presertim quando facit genetiuum in Vs Gentilis .s. his qui est eiusdem gentis Generosus est ille qui habet longum genus ac pro homo nobilis

135

Aggiunta d’altra mano da vel. Ma in ARCANGELI, La tradizione cit., p. 204: la tavola che se zoga. 137 GIULIANI, L378, nota. 138 GIULIANI, L379, nota. 139 D’altra mano. 140 .i. bicolor maculis d’altra mano. 141 Cf. ARCANGELI Due inventari cit., IX, p. 102, ma con il tradizionale significato di “spiedo”. 136

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Miles dicitur ille qui exercet militiam Stratogemata dicitur insidia militaris Virgultum .s. uimen Torens dicitur fluuius ad tempus quod fit ex aquis hib Margo .s. omnem estramitatem Fiducia142 accipitur in bonam partem confidentia in m< > Conpago nis .s. iunturam143 Laxus quando scribitur per x .sin. apertum quando scribitur per duplex .ss. singnificat fatigatum Carcer ris nomero vnius .s. locum ubi ponuntur nox< > quando numero multitudinis carceres .sin. loca ubi erupiunt144 equi .i. le mosse Auriga ge .s. lo carrettieri145 Plausus .sin. collitionem manuum ad letitiam Mergus est auis marinus146 Apricusm locusm147 dicitur qui soli est expositus et apricum ser< > dicimus qui sole gaudet unde apricari .s. exponere sese ad solem Frenum .s. lo morzo Lora .s. le correye dello morzo Festum somlemne dicitur qui fit semel in anno Viui fontes dicuntur que numquam siccantur Grossus si .s. ficum non maturam et acerbam

Cune narum est istrumentum ubi nutriuntur pueri .i. la cola Solus locus dicitur ubi nemo est Boletus ti .s. lo fongno148 fungum Bulbus Ingnis edax quasi omnia edit Єxquoquere .s. purgando cocere Stiua pars est in aratro quo manu tenetur Vulcares puelle dicitur que prostant et eddem149 m professe mulieres Collis Viminalis est ille mons ubi est sedes sancti petri in uincula Magister Vici .s. lo caporione dicitur uulgo150 lo caporione 142

Corretto in fyducia. tabula etc: d’altra mano. 144 Ovvero: erunpunt. 145 GIULIANI, L431: lo caractero. 146 Si tratta probabilmente dello smergo. 147 Le correzioni dal maschile al neutro sono state effettuate barrando le s e inserendo il segno abbreviativo della nasale. 148 La barratura non è accompagnata dal vacat. 149 Chiaro errore per eodem. 150 La barratura non è accompagnata dal vacat e vulgo è corretto in vulco. 143

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Edilis dicitur ille qui Curat edes Eruca ce dicitur vulgo la mangnacozza151 Grabatus ti .s. lectulum .i. pannum lectum Luteus tea teum .s. rubicundum u lutea aurora vac. Repente aduerbium etc. .s. statim Tonsa se .s. remitiuum152 remum Animi morum .s. animositatem

T.iro nis dicitur ille qui est primus in arte Sues setigeri dicuntur quando ferunt setas Preter aliquando .s. iusta Clangor uocem ansxerum et arpiarum et uolucrum singnificat Passim aduerbium est et .s. ubique eus et diuus hoc distat deus dicitur qui nascitur deus et ex natura est deus Diuus uocatur qui nascitur ex corpore umano postea relatum est intra deos ut dius caesar et diuus augustus Calumnia .s. falza accusatio ut ille affecit me calumni Calundior .s. falzo accusare ut ille calumniatus est me .i. falzo accusauit me Curulis .s. sellam jn pretorum et senatorum et fiebant ex ebure Offentionis ¤r passiue dicitur ut timeo offentionem .i. timeo ne offendare Offenza nomine actiue dicitur ut timeo offenzam .i. timeo Cedrum .s. arborem .i. lo cetro 153l arbore dello cetro Argutus ta tum .i. stridulum et canorum ut arguto p< >tine perrurrit tela Inacessus sa sum .s. locum ubi nemo accedere potest Serus ra rum .s. tardum ut sera nox .i. darda

Paulisper .s. aliquem diu ad tempus Tantisper ut maneas mecum tantisper donec uadat154 ponarme ad cauponam Num semper negat ut num fecisti hoc Inermis et hoc inerme .s. ille qui est sine arme Vrna ne .s. uasem fictilem ex greta Languidus dicitur ille qui non potest se substinere ut tu surgis languidus Barba est cum pilis mentum sine pilis155 Amentum .s. ligurtam quae mititur iaculo .i. la strenga che se mecte nello dardo Collapsus .s. non hornatus Patruus .s. fratrem patris 151 Corr. in magnjacozza (attestato a Roma nel 1285: magnacocia, cf. Dizionario Etimologico Italiano, 2316). 152 Cf. sopra nn. 68 e 69. 153 Cf. sopra n. 68 e sgg. 154 Corr. in vadjt. 155 GIULIANI, L224.

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Strupum .s. adulterium Recessus appellamus locum abditum et remotum ut est recessus pecoris Tene156 Singnum et uexillum .s. lo stanardo Manipulum dicitur eo quod manu capi posse .i. re manipulum foeni

Manipularis miles dicebatur qui manipulum ferebat Manipuli dicuntur minima pars exercitus que vnum singnum sequitur a manipulo feni quo romulus pro singno usus est Indocilis dicitur ille qui facile non docetur Lustrum .s. spatium quinque annorum Mestis .s. tristis Flamen dicitur sacerdos et dicitur quasi filamen Laurea re .s. coronam ex lauro Regia gie quando ponitur absolute .s. domusm157 regis Iugerum ri .s. spatium terre quantum vno die potest arare unum par bouum forum livie .s. frolino158 F omentum ti159 .s. lo inpaiasto 160 Lentus dicitur ille qui non mouetur aliquo affectu Excubie .s. vigilie

Como mis .s. ornare inde comatus ornatus Corpora santa sepulcris dicuntur que sepellite sunt Obsuere .s. insere Adeo des .s. accedere et iugnitur accusatiuo Intumescere .s. inflare pre ira et per dolore Tac161 Silere est contrarium loqui: Dicere et tacere contraria sunt Defodio .s. demictere Minuere lingua dicitur cum frangnis linguam Irraitare162 .s. prouocare ut tu irritas me Irrito quando habet .j. breuem .s. uanum facere Porrigo xi extendere Spectare .s. manere et uidere Fauere linguis .s. loqui Commoueor .s. corrociare ut ille commotus est 156

Canc. con i puntini sottoscritti, perché probabilmente voleva scrivere tenea per taenia. Corr. attuata con il segno abbreviativo della nasale. 158 Ovvero: Forum Livii .s. Frolivo (Forlivo). 159 La F maiuscola iniziale è stata riscritta d’altra mano, perché quella originale è stata coperta da una macchia di inchiostro. 160 Corr. per sovrascrizio ne della i. 161 Il compilatore probabilmente voleva scrivere Tacere. 162 Corretto per sovrapposizione di i. 157

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Referre pedes est redire ut refero pedes domum .i. redo Abesse .s. longne esse Audere est in malam partem eodem modo audax vacat Cingnere latus ense .s. acomodare ensem lateri rorum. Conscendere equm .s. montare a ccauallo

Ino nis .s. intrare163 Deprendere .s. inuenire aliquid quod lateat ut ego deprendi te in furto .i. inuenito in furto Peribere testimonium dicitur facere tistimonium Consistere .s. firmare Euocare .s. per aliquem uocare vacat Reticere .s. nihil dicere Indicare .s. manifestare uerbis164 vacat Desistere .s. cessare Dissimulare .s. occultare rem ueram Simulare est fingnere rem falsam ut brutus dissimulat uirtutem et simulat stultitiam etc. Probare .s. laudare ut probo hanc rem .i. laudo Efferre .s. portare ad sepulcrum ut illi efferunt cadauer .i. portant ad sepulcrum Facio inuidiam tibi .s. ut omnes habeant tibi inuidiam facio mihi invidiam .i. ut omnes habeant mihi inuidiam Restare .s. supra esse

yhesus

}

Stolidus di dicitur ille qui est ebes ingenimy .i. grosso de ingengno Morio nis est ille qui mouet risum stoliditate ingenii Scurra re est ille qui mouet risu arte quadam Istrio nis est ille qui effingnit certas personas Mimmus mi dicitur ille qui effingnit omnes personas165 Ferus dicitur ille qui uiuit more ferarum Feritas habitus ferarum dicitur Trux dicitur ille qui est crudelis in aspectu et ita toruus et ita atrox ut urit atrox juno166 Alias .s. alio tempore .i. una altra volta et est aduerbium Muscus sci .s. erbam uiridera in fonte Vestis odora dicitur illa que per se olet Odorata uestis dicitur uestis que non olet per se sed aliquam cau Sopitum hominem uino sonno et similarum 163

Ovvero: ineo, inis. uerbis aggiunto d’altra mano. 165 Sul codice questo gruppo di lemmi è evidenziato da una sola grande parentesi graffa. 166 D’altra mano da et ita. 164

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Stix palus in ferorum infernalis per quem non licet diis pere

Laqueus laquei s. uinculum .i. lo capestro ut ille emisit uitam laqueo Mons Celius dicitur ubi est edes diue marie de nauicula Cesaries .s. comam hominis Ancile .s. palmam rotundam .i. la rotella 167 Cepa pe .s. la cipolla Solium solii .s. sedem regis Coniarium est publicum munus a principis datum populo dictum conio mensura Strena ne erat pecunia a populo publice principi< > kalendis ianuariis Munificus dicitur ille qui munera facit et liberalis et costruitur cum genetiuo ut munificus sum illius rei Ictericus dicitur ille qui avo lo male dello fecato Hei semper iungnitur datiuo: Heu semper acusatiuo Hic Abagus ci .s. la credensa .i. quella tavola dove sta la credensa168

Discerniculum .s. pecten Rumor et fama eodem .s. rumor est latinum fama grecum Vindex dicitur ille qui uindictam facit de aliqua re Inbellis dicitur ille qui non est aptus bello Incola dicitur ille qui aliquem locum colit Accola dicitur ille qui habitat iusta aliquem loc Funda de .s. la fionda Nauita et nauta .s. ille169 qui nauigant Coma aqua dicitur quando est spumosa Mulcra est vas quo mulgentur pecudes Fiscella uasculum ex uiminum .i. dove se fa la recott Bustum .s. sepulcrum Serum seri .s. lo sielro170 Salax .s. luxuriosum et salire .s. luxuriare Camella est uas pastorale

Nilnon .s. multum Sanguiolentus .s. perfusa sanguine Dama animal timidissimum est .i. lo sdamo171 167 Cf. ARCANGELI, Due inventari, IX, p. 113; ANONIMO ROMANO, Cronica, a cura di G. PORTA, Milano 1979. 168 GIULIANI, L354: abax est mensa credenze. 169 Ille è co rretto illi con sovrapposizione di lettera. 170 Sopra la e è stato posto un segno che potrebbe rappresentare una l. 171 Corr. in losdama. La sdama designava il gioco della dama: siamo di fronte perciò ad

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Corniger dicitur ille qui habet cornua Sedulitas tis .s. diligentiam et studium Sedulus li .s. diligens et studens Mitra .s. ornamentum capitis Probrum .s. obscenum Oprobrus bra brum .s. 172 Comis .s. beningnum Primitie rum sunt primis fructiis173 Cinnamum est album Cassia dicitur lo cennamo174 Tinnitus est sonitus qui fui fit ex aere Pandus appellamus incuruus ut pan asselli S Sca cabrones sunt apes inutiles Milia semper iungnimus cum genitiuo

Malo lis mauult .s. potius uelle ut ego malo esse regem Conserere manus .s. pungnare Succo .s. siccare ut succa uestem Manare .s. abundare ut manant aquae Ingnoscere .s. dare ueniam Peierare .s. falso iurare Conflagare .s. simul ardere Elicere .s. extraere et euocare ut elicio uerba ab ore illius .i. io l aio cachiate parole de boccha Cedo dis di sum .s. incidere inde fieri incido Cedo dis si .s. discedere Parere .s. obedire Destituere et deserere .s. derelinquere Adorare .s. frlectere genua et aliquando .s. ualde dorare Permulceo .s. mitigare

Subsidere175 .s. deorsum sedere ut unde subsidunt Furatus sum tibi hanc uestem Inire consilium .s. capere consilium Tendere insidias .s. insidiari Persoluere .s. redere aliquod promissum un errore dell’autore che confonde il gioco con l’animale. 172 Manca la definizione. 173 Corr. in primos fructus con sovrapposizione di lettere. 174 Gr. κασία. Il Vat. lat. 5369 a f. 4r spiega come stanno le cose: Cinnamum est quod appellatur cannella fina; pseudo cinnamum est quod appellatur cannellam spadam et valet sicuti casia. 175 La b di subsidere è limitata all’anello di base.

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Sidera uariant coelum .i. nox Dedolere .s. ualde dolere Balare est pecudum vacat ant. Increpare est uerbis reprendere proprie Appellere .s. aducere et est uerbum actiuum ut apulsus sum uento176 rome et apuli te rome et apulsus sum a te Oculere ocultare Dissidere .s. discordare Redimire .s. ornare Coiere et coere .s. concubere ut puelle coeunt facere verba .s. loqui ut feci uerba cum illo Coire .s. simul ire

Claudicare .s. incedere non firmis passibus .i. zopicare Linere et inlinere .s. inungere Colus est plena conso .i. la conochia e pina177 Densare .s. spissare Ludere aliquando .s. describere Spolio te hac dingnitate Sicco crines rorantes Cicurare .s. mansuefare feras ut cicurat leones Venio tibi ouius et ouiam Las Ni fallor .i. decipior Assurexit mihi .i. se levo et fecemo honore Iacio fundamentum et fundamina Dede neci .i. interfice Vendicare .s. sibi atribuere ut uendico ni178 hanc laudem uendicare liberare .s. ut uendico te a seruitute et aliquando facerem uendictam

Concrescere et coperire uulnus et ducere cicatricem idem est .i. sanare la feruta Sum alieni animi a te .i. alienatus a te et alieno animo a te } Strepere et obstrepere est bedibus insonare Mirari tam cum accusatiuo quam cum ablatiuo iungnitur ut miror te et de te Admirari .uero. cum accusatiuo ut admiror illam rem Calumniari .s. falzo accusari ut ille calunniatu est me .i. falzo acusauit me Succedere .s. intrare ut fluuio succedit opaco Mulcere .s. mitigare ut aues mulcebant aeteram cum < > 176

Davanti a vento d’altra mano è scritto vacat. GIULIANI, L168, nota. 178 Refuso per mi. 177

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Rubescere .s. fieri ruebeum179 ut mare rubescebat sp< >dore aurore Tendere iter uelis .s. nauigare Aspirare .s. foeliciter flare ut aspirant aure in nocte Ille non premit sudore .i. non siluit Repetere uerba .s. recordari [cf. 47v repetere memoria] Cogere .s. costringere Moliri .s. edificare Vestigare .s. pro uestigia querere Istaurare .s. in pristinum statum reparare Statuere .s. ordinare

Tartarum ri .s. la rasina [franc. rasier] Notus ti .s. lo bastardo180 Senectus multitudinem senum senecta .vero. etatem senilem Iuuentus multitudinem iuuenum iuuenta etate iuuenile Sindus est singum181 ubi sunt plures stelle phedus182 .s. partum et dicitur a feda porche Iustum quando est substatiuum .sin. iustitiam ut ille est amator iusti et iustitie Fessus uenit a fatiscor .i. defatigato Sopor .sin. somnum .i. proprie quietem Seus183aliquando .s. mangus et aliquando crudelis s Appellationem pecudis intelligimus omnia animalia hec dumus .s. spinum pietas est amor quando afficiamur erga deos uel erga parentes Rus .s. villam Appellationem auium intelligimus omnem qui uolat Cura dicitur illud quod cor urat aestussus tus tui .s. omnem bultionem184

c p n p a p

Carbasus est quodam h genus lini tenuissimi ponitur aliquando pro uelo nauis puppis est pars posterior nauis aliquando ponitur per totam nauem185 Naute dicuntur illi qui nauigant perfidus est ille qui fidem non seruat Aditus .s. accessus aut introitum pergama morum sunt muri troye 179

Un originario rue è corretto in rub con sovrascrizione della lettera. Gr. νόθος. 181 Ovvero: sidus est signum. 182 Corretto in pheTus con sovrascrizione della T. Ovvero: Fetus. 183 Ovvero: Saevus. 184 Ovvero: aestus tus tui .s. omnem bullitionem. 185 GIULIANI, L313 nota. 180

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a s s i i p v c

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Annosi dicuntur illej186 qui habent multos annos senectus .s. multitudinem senum } vacat senecta est etas senilem iuuentus est multitudo iuuenum } iuuenta est etate iuuenile pullus li .s. lo polletro Vetrex187 .s. omnem summitatem vnde verticem hominem appellamus Coniugium .s. matrimonium

inde sericeus

sericum ci .s. la seta .i. cosa de s hoc hostrum .s. lo velluto hostrum vero .s. piscis cui s ant lo sangue dello pesce p se tengneva la seta et deinde tractum est ostrusm id est antiqui purpuram tingebant188 Examina .s. multitudines apum Compos Conscius dicitur ille qui aliquid scit quod pauci sciunt189et acipitur sepe numero in malam parte et aliquando in bonam infandus dicitur ille qui de quo190 non est loquendum propter scelera Terminus eret fixus .s. finis hic et hec et hoc exterris dicitur ille qui fugatus est extra patriam191 Auulsus .s. δdispuntus funus aliquando ponitur pro morte Vlctor dicitur ille qui uendictam facit et ulciscitur Corimbus proprie .s. le uacarelle bacha baccas ederarum et ponitur pro omnibus similibus192 Pandus da dum .s. incurus ua um193 INGVEN singnificat membrum uirilem194 Nemus moris sunt siylve condsite ad uoluptatem195

186

Corr. per sovrascrittura. Le consonanti tr (metatesi: rt) sono cancellate da una macchia di inchiostro. 188 Cui s. in esponente è aggiunto d’altra mano forse per integrare la parola antj (antiqui) mutila perché scritta nell’angolo del foglio andato perduto già in epoca antica appunto; aggiunto d’altra mano antiqui… tingebant. 189 La cancell. iniziale d’altra mano sta a indicare, probabilmente, che l’estensore voleva scrivere compos suizx. 190 Corr. d’altra mano. 191 L’acc. è ottenuto con il segno abbreviativo della nasale aggiunto d’altra mano. 192 Il pl. baccas è ottenuto con l’aggiunta d’altra mano della s; similibus è corr. su similis. 193 Refuso per incuruus. 194 Corr. d’altra mano. Il termine è probabilmente preso dall’Ambubaiarum collegia in HOR., Serm. 2, 1, 2, 26. 195 Corr. d’altra mano: silve è corr. in sylve per sovrascrittura e condite è corr. consitae per cancell. 187

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< > pars posterior tibie et cosse .s. lo prombone della gamma pulpa illa196 < >a pedum .s. calcia sunt ipsi calcei197 equitia est libido et dicitur a nequeundo Nictus tus tui est signum illud quod fit cum oculis cioe in singno amoris illo et ad amorem pertinet198 f fastus stus tui .s. superbiam f faustus sta stum .s. felicem L lusus sus sui .s. iocum quod fit tantum uoluptatis gratia Ludus quando est in re // cioe quando uno ioca a ben avere hoc est cum quis ludit serio199 Acer .s. arborem P plenus iungnitum cum genetiuo intempestiuus200 ua uum est quando aliquid non uenit ad tempus ut poma intempestiua etc Facilis dicitur ille dea 201 quo possumus inpetrare quidquid uolumus Difficilis dicitur ille dea 202 quo nihil possumus inpetrare Rapidus da dum .s. uelox Turbo nis .s. procella uentorum Stipendium .s. lo salario che se da alli homini d arme salarium quod datur militibus203

Putibundus da dum .s. quidquid male olet Rogums gi .sin. congnieriegnorum < > atiqui combmurebantu pira re idem singnificat204 Nota te .sin. omnes singnum Plrores .s. familiam Plores familiam .s.205 Exta dicitur index intestina index dicitur ille qui aperit et manifestat aliqua Spitacus est coniux iunturis psitacus est avis quae vulgo dicitur papagallo206 196 D’altra mano la canc. e l’aggiunta: Pulpa illa. Il “piombone” è la parte che si stanca presto, pigra della gamba: polpaccio e/o coscia. 197 Canc. e corr. d’altra mano. 198 D’altra mano la cancell. e la corr.: et... pertinet. La glossa è segnalata da una manicula. 199 D’altra mano la cancell. e la corr.: hoc... serio. 200 La seconda u a forma di v è aggiunta d’altra mano. 201 a in esponente d’altra mano. 202 Ut supra. 203 D’altra mano la cancell. e la corr.: salarium… militibus. 204 Le consonanti in apice sono state inserite d’altra mano come correzioni. 205 D’altra mano: la barratura, la tilde per r al posto di l in proles e la correzione complessiva: proles familiam .s. 206 D’altra mano da psitacus. La cancellazione è errata dal momento che il greco ψίττακος

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Anser .s. l oca Quo minus .s. ut207 non aduerbium est Lanx cis .s. patellam Crista ae .s. la crista ut crista galline Vigil generis omnis est et .s. rem que uigilat Postera lux .s. quinto idus ianuarias .i. media hiens208 Discrinen .s. differentiam Ast rum .s. semel coniutio Diuus ua um .s. cosa de dio .i. res deorum209 Coniux est generis communis et .s. // lo marito et la moglie uirum et uxorem210 Pretura .s. l oficio che fa lo senatore .s. magistratum quem gerit pretor211 Pretor dicitur lo senatore Magistratus .s. omnem offitium Pretorium domum ubi est pretor

Trepid< > Acie cei acis .s. multitudinem et ali multitudinem milit et aliquando < >cumen ocelorum Interfusus sa sum .s. sparsum Gena e .s. partem illam que est sub oculis .i. le mascell Furibundus da dum .s. uersum in furore Notus ta tum .s. congnita ut hec res est nota mihi Cubile .s. lectum et dicitur a cubando Paulum et paululum .s. aliquantulum Nouissimus sima simum .s. ultimus tima um Exuuie dicuntur uestes et spolia quae ab hostibus aufer< >212 Preclarus refertur ad animum et ad uirtutes fFretum ti .sin. mare procellosum Viriliter .i. more uirorum aduerbium est Longna213 mora .s. longna tardatio Solum li .s. terram et quid pedibus subest vacat214 Fortis dicitur ille qui est mang< >rtrano Trouus .s. crudelem215 vacat indica un tipo di calzatura femminile, mentre ψιττακός il pappagallo. Cf. GUALDO, pp. 205 e 216, n. 254: his syticus lo papagaio. 207 Aggiunto in esponente d’altra mano. 208 Manca il vacat. 209 Ut supra. 210 D’altra mano. 211 D’altra mano da .s. magistratum. 212 D’altra mano da et spolia. 213 Corr. d’altra mano. 214 D’altra mano: et quid pedibus subest e ancora d’altra mano: vacat. 215 Ovvero: Torvus.

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Emetior ris .s. mensurare216

Iubba proprie .s. p Plaustruum tri .s. curr Porta Capena est qua < > ad eclesiam sancti Sebastiani .i. porta dacia217 Moretum est genus cibis ex erbis Index dicitur ille qui indicat tibi aliquam rem Equi uentosi dicitur equi uelocissimi ut uento Calatus ti est uas quo utuntur mulieres < > alta erba est que florem ducit similem uiolis marantus est flos qui uulgo dicitur fiore de paradiso 218 Melelotis est erba que ducit flores similes croco219 Inops mentis .i. stultus Pro uices .i. uicissim Morum ri est pomum ex pruinis .i. lo moriche Ruobetum220 locus est ubi sunt multi spini Eger et egrotum uirum utrumque ad corpus referuntur

Adamas lapis durissimus et < > ullis uir< > nisi s< >uius Radius est nauicula illa nitur< > quando texunt pannos li Follones dicuntur illi qui tingunt pann Mancus dicitur illi qui non utitur off< > mancino Molle hominem .i. lasciuium et< > non ad lasciuiam refertur Protinus .s. Subito post Erutus .i. euulsus Tamen semper abice in carminibus udus .s. humidum Sata torum dicitur semina Saltus tus tui .s. campum Collum marmoreum et genas < > candida tamque marmurum Redimiculum .s. ornament

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Manca il vacat, ma il significato del lemma è corretto. Da adacium, stazionamento. Nei campi fuori della porta stazionavano i carriagi e gli animali da macello che avevano percorso la via Appia e che non potevano entrare in città per via di un divieto papale. 218 Con questo nome, chiaramente generico per sottolinearne la soavità, sono chiamati da sempre un gran numero di fiori tra cui, ad esempio, il melograno, la calla, l’aquilegia, la genziana minima, la strelitzia, il gelsomino, il frangipane o plumeria, etc. 219 Il melilotus, forse la varietà italica. 220 Corr. in robetum per sovrascrittura. 217

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Latex .s. onnem humorem a latendo dicitur aqua latex dicitur quia latet in vuis venis terre / vinum quia latet in vuis Diponnium .s. mezo peso cioe mezza libra Precox et precocus ca cum .s. omne quod maturescit ante tempus ut poma precoqua .i. poma que maturescunt ante tempus Cella pinaria .s. ub locum ubi seruantur obsonia .i. pane et carne et altre cose da mangnare PRocus et proci corum sunt dicuntur illi compntores uxores vnde illud ouidiy in eroides rba ruunt in me luxuriosa proci221 iues iungnitur cum genetiuo ut tu es diues denariorum ille est diues etc. bige garum .s. caurrum duarum rotarum Quatrige garum est currus quatuor rotarum Callus li est durissima cutis .i. lo tar222 Callidus di .i. illo ch e astuto et mloso

utoritas dicitur illa dingnitas in homi< > que facit credere ea que uera non s lustris dicitur ille qui suis rebus gestis famam consequitur refertum tam n bonam quam in malam partem rea ee .s. iustitia

respicax est uir qui omnia uidet et acut

osteri dicuntur illi qui ueniunt post nos

osteritas est etas que uenit post nos euus va veum s. sinistrum duus .s altum ut altuus mons ntis .s. nauem bulus dicitur ille qui libenter bibit ingnus .s. pro lo figlastro < > ri est lo ubi ferunt res ut feruntur < > a ferendo dicitur < >ram inc< > po < > bar< >m longa < ij dici < > ubi < > quem asen< > camminando

221 Cf. Publii Ovidii Nasonis Epistulae Heroidum quas HENRICUS DÖRRIE Hannoveranus ad fidem codicum edidit, Berolini et Novae Eboraci 1971: I, 88. 222 GIULIANI, L61: lo talpo della mano.

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GLOSSARIO ORDINATO < >a pedum, f. 62v. < > alta, f. 64r. < >ri, f. 65v. Abagus ci, f. 57v. abdomen nis, f. 44v. Abducere, f. 47v. Abesse, f. 56r. Absolvo te peccato, f. 48r. Accedere, f. 48v. Accola, f. 58r. Acer, f. 62v. Acie cei acis, f. 63v. Acipere, f. 48r. aconciare lo cavallo, f. 47v. Actonitus, f. 52r. Acumbere, f. 47r. Acuro (io me), f. 47v. Adamas, f. 64v. Adeo des, f. 56r. Aditus, f. 61v. Admirari, f. 60v. Adnare, f. 47r. Adorare, f. 59r. Adrumpere, f. 47v. adulari, f. 51v. Adulter, f. 52r. Advela ingnem, f. 51v. aestussus tus tui, f. 61r. agellus li, f. 45v. ager gri, f. 44r. Ager, 41v. Agito as, f. 48v. agricola le, f. 44r. Agricola, f. 46r. Agulgla (l), f. 43r. alaccia (l), f. 43r. Alea, f. 52v. Alias, f. 57r. alieni animi (sum) a te, f. 60v. alieno animo (sum) a te, f. 60v. Almo nis, f. 50v. alosa se, f. 43r. altilia, f. 46v. Altilis altilis, f. 46v.

Alumnus, f. 42v. alunna, f. 42v. alveolus v. aveolus Amarantus, f. 64r. Amb… v. amm… Amentum, f. 55r. Amictum, f. 52r. Amicus, f. 50v. Ammitio nis, f. 50v. Ammitio, f. 50v. Ammitiosus, f. 50v. amnis is, f. 45r. Ancile, f. 57v. angnelos, f. 50r. Animi morum, f. 54r. Annosi, f. 61v. Annuere, f. 51v. Anphiteatrum, f. 49v. Anser, f. 63r. Antrum, f. 42r. Appellere, f. 59v. Appello, f. 51r. appellor, f. 51r. apricari, f. 53v. Apricum, f. 53v. aquato (lo), f. 43r. arbor ris, f. 45v. arbore (lo), f. 45v. arbore dello cetro (l), f. 54v. arduus, f. 65v. Argutus ta tum, f. 54v. arista ste, f. 45v. Arma, f. 46r. Armar, f. 42v. armare, f. 51r. Artoclea ee, f. 44r. arvina ne, f. 44v. arvum vi, f. 44r. Arvum, f. 46r. Ascendo, f. 48r. Aspirare, f. 60v. Assistere, f. 48v. Assurexit mihi, f. 60r. Ast rum, f. 63r.

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Astare, f. 48v. astrea ee, f. 65v. Astuto et mloso (illo ch e), f. 65r. Audere, f. 56r. Augur, f. 46r. aulea ee, f. 45v. Auleus, f. 42v. aura re, f. 45v. Auriga ge, f. 53v. auris auris, f. 45v. auspicium, 41v. autoritas, f. 65v. avena ne, f. 44v. Aveolus, f. 42v. avium, f. 61r. Avulsus, f. 62r. Baccor, f. 48v. bactarus ri, f. 44r. Baculus, f. 46r. Balare, f. 59v. Banditore (lo), f. 49r. Barba, f. 55r. bastardo (lo), f. 44r. Bastardo (lo), f. 61r. becho dello cello (lo), f. 43v. belare v. balare Biblioteca, 41v. bibulus, f. 65v. Bidens tis, f. 53r. bige garum, f. 65r. Bipennis .s. securim che a lo taglu da dui canti, f. 49v. Blandiri, f. 51v. Boletus ti, f. 54r. Bostar, f. 41r. Bruma, 41v. Bruna v. Pruna Bulbus, f. 54r. Bustum, f. 50r. Bustum, f. 58r. Cachiate (io l aio) parole de boccha, f. 59r. Cadere, f. 48v. Cadus, 41v. Calamistrum, f. 50r.

Calatus ti, f. 64r. calcar ris, f. 45v. Calceus, f. 42r. calcia, f. 62v. Callidus di, f. 65r. Callus li, f. 65r. Calumnia, f. 54v. Calumniari, f. 60v. calumniatus est (ille), f. 54v. Calundior, f. 54v. Camella, f. 58r. Cammino (lo), f. 41r. campo (lo), f. 44r. campo piccholo (lo), f. 45v. Campus, f. 49v. Candidus, f. 50v. Canestro (lo), f. 50v. Canestrum, f. 50v. canisconi, f. 44r. canpus pi, f. 44r. cansone (la), f. 45r. Capestro (lo), f. 57v. capezal dello lecto (lo), 41v. Caporione (lo), f. 54r. Captare, f. 51r. Captatores, f. 42v. Carbasus, f. 61v. Carcer ris, f. 53v. carceres, f. 53v. carmen is, f. 45r. carmen is, f. 45r. carmen is, f. 45r. Carmen, f. 46r. carnifex cis, f. 44v. Carrettieri (lo), f. 53v. Cassia, f. 58v. cavallo pomato (lo), f. 52v. Caveo mihi, f. 47v. Caveo, f. 47v. caveor a te, f. 47v. Cedes dis, f. 53r. Cedo dis di sum, f. 59r. Cedo dis si, f. 59r. Cedrum, f. 54v. Cella pinaria, f. 65r. Cennamo (lo), f. 58v.

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Cepa pe, f. 57v. Cervatto (lo), f. 49r. cervical, 41v. Cesaries, f. 57v. cespes dis, f. 43r. cetro (lo) v. arbore dello cetro (l) chioros, f. 43r. chiragra, f. 43r. chiroteca tece, f. 43r. cicnus ni, f. 44r. Cicurare, f. 60r. Cignere latus ense, f. 56r. Cinnamum, f. 58v. Cipolla (la), f. 57v. Clangor, f. 54v. Claudicare, f. 60r. Claudus, f. 49v. coere, f. 59v. Cogere, f. 60v. Coiere, f. 59v. Coire, f. 59v. Cola (la), f. 54r. Colano (che sempre li) l ochi, f. 52v. Collapsus, f. 55r. Collis Viminalis, f. 54r. Colliseo (lo), f. 49v. Collum marmoreum et genas < > candida tamque marmurum, f. 64v. Colonus ni, f. 46r. Colus est plena, f. 60r. Coma aqua, f. 58r. Comare, f. 50r. comatus, f. 50r. Comis, f. 58v. Comiter, f. 52r. Commoveor, f. 56r. Como mis, f. 56r. Concentus ti, f. 46r. Concipere spem, f. 48r. Concrescere, f. 60v. Conflagare, f. 59r. Coniarium, f. 57v. Coniector rys, f. 52r. Coniugium, f. 61v. Coniux, f. 63r. coniveo connexi, f. 47r.

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Conochia (la) e pina, f. 60r. Conpago nis, f. 53v. Conscendere equm, f. 56r. Conscius, f. 62r. Conserere manus, f. 59r. Consessus, f. 49v. Consistere, f. 56v. Consisto, f. 48r. Conspico, f. 48r. coperi lo foco, f. 51v. coperire vulnus, f. 60v. corazza (la), f. 46r. Coriletum, f. 50v. Corimbus, f. 62r. Corniger, f. 58v. Corpora santa, f. 56r. correye dello morzo (le), f. 53v. Corripere, f. 48v. Corrociare, f. 56r. Cors tis, f. 46v. cosa de dio, f. 63r. cosa de s, f. 62r. Coscendo, f. 48r. costrengnere, f. 48v. costringere, f. 60v. covare, f. 47v. credensa (la), f. 57v. Credulus, f. 53r. crista (la), f. 63r. Crista ae, f. 63r. Cubile, f. 63v. cudere, f. 51v. Cudo, f. 51v. Cune narum, f. 54r. Cupido, f. 46v. Cura, f. 61r. Curulis, f. 54v. Cutes tis, f. 46v. Dama, f. 58v. darda, f. 54v. dardo (lo), f. 47v. Dare corpus sonno, f. 51r. Decidere, f. 51v. decus decoris, f. 45r. Dede neci, f. 60r. dedecus coris, f. 45v.

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Dedolere, f. 59v. defatigato, f. 61r. Deficere, f. 51r. Defodio, f. 56r. Deformis, f. 50r. delfin, f. 44v. delfinim nis, f. 44v. delfinus ni, f. 44v. Delubrum bri, f. 53r. Demens, f. 53r. Densare, f. 60r. Deprendere, f. 56v. derobatore (lo), f. 44v. deserere, f. 59r. Desero, f. 48r. Desistere, f. 56v. Destinare, f. 48v. Destituere, f. 59r. Detraere, f. 51r. deus evanescit, f. 51v. Deus, f. 54v. devius via um locum, f. 42v. dextera re, f. 45v. dextra tre, f. 45v. dice de si, f. 51v. Dicere, f. 56r. Dies parentales, f. 50r. Difficilis, f. 62v. Diponnium, f. 65r. Discerniculum, f. 58r. discordare, f. 59v. Discrinen, f. 63r. Disicio, f. 47r. Disirere, f. 51r. Dissidere, f. 59v. Dissimulare, f. 56v. Dissuere, f. 47r. Dives, f. 65r. Divus va um, f. 63r. Divus, f. 54v. Domus, f. 53r. ducere cicatricem, f. 60v. dumus, f. 61r. Ecus bicolor, f. 52v. Edere, f. 47v. Edere, f. 51r.

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Edes dis, f. 46r. Edes edium, f. 46r. edificare, f. 60v. Edilis, f. 54r. Efferre, f. 56v. Eger, f. 64r. Egregius, f. 49v. egrotum, f. 64r. Elicere, f. 59r. Emetior ris, f. 48r. Emetior ris, f. 63v. Emulus, f. 49v. Equi ventosi, f. 64r. Equus v. ecus erinacius ii, f. 43r. Eruca ce, f. 54r. Erutus, f. 64v. Esecare, f. 51v. Esero, f. 47v. estus stus stui, f. 45r. Etruria, f. 49r. Evanoescere, f. 51v. eventa eventorum, f. 52v. EVentus tus tui, f. 52v. Evocare, f. 56v. evum evi, f. 43v. Examina, f. 62r. Exanimatus, f. 52v. Exanimis, f. 52v. exanimus, f. 52v. Excubie, f. 55v. Excudere, f. 51v. Exerere, f. 47r. Exerere, f. 51r. explodo te, f. 51v. Explodo, f. 51v. Exquoquere, f. 54r. Exta storum, f. 42v [cf. f. 63r]. Exta, f. 63r. exterris, f. 62r. Extremus, f. 52v. Exuvie, f. 63v. Facere dictum, f. 51r. facere verba, f. 59v. Facilis, f. 62v. Facio invidiam tibi, f. 56v.

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facio mihi invidiam, f. 56v. facto d arm (quello fa) collo re cio sta con episcopo, f. 47v. fago (lo), f. 44r. Falere rum, f. 49v. Falisci, f. 46v. falzo accusare, f. 54v. falzo accusari, f. 60v. fama, f. 58r. fare la cacia, f. 51v. fastus stus tui, f. 62v. Fatidicus, f. 42r. fattochiaria (la), 41v. fattura (la), f. 45r. faustus sta stum, f. 62v. Favere linguis, f. 56r. favilla, f. 49r. Fecundus, f. 42v. Fera, f. 42r. Feritas, f. 57r. Ferus, f. 57r. Fessus, f. 61r. Festum somlemne, f. 53v. fibia della correia (la), f. 50r. Fibula le, f. 50r. ficulus li, f. 43r. Fiducia, f. 53v. figlastro (lo), f. 65v. Fionda (la), f. 58r. fiore de paradiso, f. 64r. Fiscella, f. 58r. fiume (lo), f. 45r. Flamen, f. 55v. fluctus tus tui, f. 45v. flumen nis, f. 45r. fluvius vii, f. 45r. Focolaro (lo), f. 41r. Focus, f. 50r. Follones, f. 64v. Fomentum ti, f. 55v. Fomex cis, f. 49r. Fongno (lo), f. 54r. fons tis, f. 45r. fontana (la), f. 45r. Forsitan, f. 42v. Fortis, f. 63v.

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forum livie, f. 55v. Fosferus, f. 42r. Foveo ves, f. 47v. fracta, f. 49v. frangnere, f. 47v. Frenum, f. 53v. Fretum ti, f. 63v. frolino, f. 55v. fronde (la), f. 45r. fronde dello dactolo (la), f. 46v. frons dis, f. 45r. frons tis, f. 45r. fronte (la), f. 45r. fruges is, f. 45r. Fruor, f. 47r. Fulmen, f. 46r. Funda de, f. 58r. fundere, f. 47r. Fungor, f. 51r. Funus, f. 50r. funus, f. 62r. Furatus sum tibi hanc vestem, f. 59v. Furibundus da dum, f. 63v. Gabella (la), f. 50v. gallus, f. 52r. Gaza, f. 43v. geminos, f. 50r. Gena e, f. 63v. Gena, f. 42v. Generosus, f. 53r. Genitor, f. 52r. Gentilis, f. 53r. Gerit (Ille) bellum, f. 47v. gitare, f. 47r. Grabatus ti, f. 54r. granato (lo), f. 45r. Grandeus, f. 52r. grassator ris, f. 44v. grassatores, f. 44v. grasso (lo), f. 44v. Grassor, f. 44v. grosso de ingengno, f. 57r. Grossus si, f. 53v. guadangna (la), f. 45r. guardato (io so) da ti, f. 47v. guardo (io me), f. 47v.

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guerra (quello fa la), f. 47v. harundo, f. 52v. Hei, f. 57v. hereo, f. 52v. hesito, f. 52v. Heu, f. 57v. hostrum, f. 62r. hostrum, f. 62r. humare, f. 47r. hydrus dri, f. 42r. hyrundo, f. 52v. Iacio, f. 60r. Iaculor, f. 47v. Iam pride, f. 53r. Ianitor, f. 41r. Iannua, f. 53r. Ictericus, f. 57v. Idropici, f. 46v. Idropicus, f. 46v. illustris, f. 65v. Imfusus sa sum, f. 46v. Inacessus sa sum, f. 54v. Inbellis, f. 58r. Incedere, f. 47v. Incenso (lo), f. 46r. incessus, f. 47v. inchlinato et in imbucconi, f. 43v. Incola, f. 58r. Increpare, f. 59v. Incubo, f. 48r. Incunbere, f. 48v. index, f. 63r. Index, f. 64r. Indicare, f. 56v. Indocilis, f. 55v. Indolere, f. 51r. inducerse parte, f. 47r. Inerme, f. 55r. Inermis, f. 55r. iners, 41v. Infandus, f. 62r. Infensus, f. 52v. infestus, f. 52r. Infestus, f. 52v. inficare, f. 47r. infigo, f. 47r.

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Ingnis edax, f. 54r. Ingnoscere, f. 59r. INGVEN, f. 62r. Inhorrescere, f. 48v. Inire consilium, f. 59v. inlinere, f. 60r. Inmolare, f. 48v. Innocuus, f. 50v. Ino nis, f. 56v. Inops mentis, f. 64r. inpiasto (lo), f. 55v. Inplorare, f. 47r. Inponere, f. 47v. Inprecari, f. 47v. Inprobum, f. 42r. inscius, f. 52r. Insulsus, f. 41r. intempestivus va vum, f. 62v. Interfusus sa sum, f. 63v. intrare, f. 56v. Intumescere, f. 56r. Invleus, f. 49r. ioca (quando uno ) a ben avere, f. 62v. Irritare, f. 56r. Irrito, f. 56r. Irritus, f. 42v. Irunpo, f. 48r. Istaurare, f. 60v. Istrio nis, f. 57r. istrix cis, f. 43r. Iter, f. 41r. Iubba, f. 64r. Iubere, f. 48v. Iugerum ri, f. 55v. Iugum, f. 42r. Iustum, f. 61r. iuvenis devius, f. 42v. iuventa, f. 61r. iuventa, f. 61v. Iuventus, f. 61r. iuventus, f. 61v. Iuxta storum, f. 50r. Lamina ne, f. 46v. Languidus, f. 55r. Lanista, f. 41r. Lanx cis, f. 63r.

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UN GLOSSARIETTO LATINO-ROMANESCO

Laqueatus, f. 42r. Laqueus laquei, f. 57v. Lar, f. 41r. Lassus, f. 53v. Latex, f. 65r. Latium, 41v. Laurea re, f. 55v. lavoratore dello campo (lo), f. 44r. Laxus, f. 53v. lena ne, f. 44v. Lentus, f. 55v. leo nis, f. 44v. leonessa (la), f. 44v. Letum, f. 50v. levo (se) et fecemo honore, f. 60r. levus va veum, f. 65v. Lictus, f. 46r. ligur ris, f. 44r. Limus, f. 49r. Linere, f. 60r. linpha ee, f. 45v. Linter tris, f. 42v. Linter tris, f. 52v. lione (lo), f. 44v. Lippitudo nis, f. 52v. Lippus pi, f. 52v. lirium, f. 52v. litigiosus, f. 50v. Lituus, f. 46r. Longa mora, f. 63v. Lora, f. 53v. luce dello occhio (la), f. 45v. lucus luci, f. 44v. Lucus, f. 53r. Ludere, f. 60r. Ludus, f. 62v. Lugere, f. 51v. luntardo (lo), f. 44r. Lustrum, f. 55v. lusus sus sui, f. 62v. Luteus tea teum, f. 54r. lutu, f. 49r. Maga, 41v. Magicus, 41v. Magister Vici, f. 54r. Magistratus, f. 63r.

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male delli ochi (lo), f. 52v. Male dello fecato (avo lo), f. 57v. Malo lis mavult, f. 59r. malum aureum, f. 45r. malum li, f. 45r. malum punicum, f. 45r. Mamma me, f. 42v. Manare, f. 59r. mancino, f. 64v. Mancus, f. 64v. Manes, f. 50r. Mangnacozza (la), f. 54r. Manipularis, f. 55v. Manipuli, f. 55v. Manipulum, f. 55r. manivolto (lo), f. 44v. mano deritta (la), f. 45v. mano manca (la), f. 45v. marcipanis nis, f. 43r. Margo, f. 53v. Maritam, f. 49r. marito (lo) et la moglie, f. 63r. marsapane (lo), f. 43r. mascell (le), f. 63v. Matura puella, f. 50r. Melelotis, f. 64r. melo (lo), f. 45r. mena ne, f. 43r. Menacia (la), f. 52r. menagolo (lo), f. 45r. Mendacium, f. 42r. Mensongnia (la), f. 42r. Mente revolvo, f. 47v. mentum, f. 55r. meret (Ille) stipendium cum rege, f. 47v. Mergus, f. 53v. merollo della noce (lo), f. 46v. Merum ri, 41v. Mestis, f. 55v. metreta te, f. 43r. Miles, f. 53v. Milia, f. 58v. Mimmus mi, f. 57r. Mine ne, f. 52r. Minuere lingua, f. 56r.

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Mirari, f. 60v. miscere, f. 47r. Mitis, f. 50v. Mitra, f. 58v. Molinaro (lo), f. 49v. Moliri, f. 60v. Molle hominem, f. 64v. Mons Celius, f. 57v. mons tis, f. 44v. montare a ccavallo, f. 56r. monte (lo), f. 44v. Mora re, f. 42r. Moretum, f. 64r. Moriche (lo), f. 64r. Morio nis, f. 57r. Morum ri, f. 64r. Morzo (lo), f. 53v. Mos ris, f. 53r. Mos, f. 46v. mosse (le), f. 53v. Mox, 41v. Mugire, f. 48r. Mulcere, f. 60v. Mulcra, f. 58r. Munerarius, f. 41r. Munificus, f. 57v. Muscus sci, f. 57r. nauta, f. 58r. Naute, f. 61v. navigare, f. 60v. Navita, f. 58r. Necare, f. 51r. Nectar, f. 42r. Nemus bachi, f. 42r. Nemus moris, f. 62r. Nequitia, f. 62v. Ni fallor, f. 60r. Nictus tus tui, f. 62v. Nilnon, f. 58v. Nota te, f. 63r. Notus ta tum, f. 63v. Notus ti, f. 42r. Notus ti, f. 61r. Novissimus sima simum, f. 63v. Nucleum, f. 46v. Num, f. 55r.

FABIO CARBONI

Obbiliscus, f. 43r. Obire, f. 48r. oblettamentum ti, f. 44r. Obliquare, f. 48v. obstrepere, f. 60v. Obsuere, f. 56r. Oca (l), f. 63r. Occurrere, f. 51r. Oculere, f. 59v. ocultare, f. 59v. Odorata vestis, f. 57r. oferta (l), 41v. Offentionis, f. 54v. Offenza, f. 54v. Oficio (l) che fa lo senatore, f. 63r. Oprobrus bra brum, f. 58v. Optimates, f. 53r. orbus patrem (sum), f. 42v. ordinare, f. 60v. orechia (la), f. 45v. ornare, f. 59v. ortropico (l), f. 46v. paglia (la), f. 46v. palara delle mano (la), f. 43r. palara delli pedi (la), f. 43r. Palmes tis, f. 46r. Palmula, f. 49v. palpebra bre, f. 45v. Pandus da dum, f. 62r. Pandus, f. 58v. pane et carne et altre cose da mangnare, f. 65r. papagallo, f. 63r. Parere, f. 59r. Pariter, f. 42v. passare da banda i banda, f. 47r. Passim, f. 54v. Pasteri (li), f. 44r. Patruus, f. 55r. Paulisper, f. 55r. Paulum et paululum, f. 63v. pecudis, f. 61r. Pecunia, f. 46v. Peierare, f. 59r. pelle dello homo (la), f. 46v. Pellicere, f. 48v.

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penazze dello ochio (le), f. 45v. Perago, f. 48r. Percipere, f. 48v. perfidus, f. 61v. pergama morum, f. 61v. Peribere testimonium, f. 56v. Perinanis, f. 53r. Permulceo, f. 59r. Persolvere, f. 59v. Perspicax v. prespicax peso (mezo) cioe mezza libra, f. 65r. peticto (lo), f. 43r. phedus, f. 61r. piacere (lo), f. 44r. Piastrella (una), f. 46v. pietas, f. 61r. Pignora, f. 49r. Pinetum ti, f. 42r. pingnolato (lo), f. 43r. pinguedo nis, f. 44v. pinivolus li, f. 43r. pira re, f. 63r. piramis dis, f. 43r. pistare, f. 48r. Pistor, f. 49v. Plangere, f. 51r. Plangnere, f. 48v. Plaustruum tri, f. 64r. Plausus, f. 49v. Plausus, f. 53v. plenus, f. 62v. podagra gre, f. 43r. polletro (lo), f. 61v. Polluere, f. 48v. pontis, f. 65v. Porchetta (la), f. 50v. Porrigo xi, f. 56r. porta dacia, f. 64r. Porta Capena, f. 64r. posca sce, f. 43r. Postera lux, f. 63r. posteri, f. 65v. posteritas, f. 65v. pratum ti, f. 46r. Precjum, f. 46v. Preclarus, f. 63v.

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Preco conis, f. 49r. precocus ca cum, f. 65r. Precox, f. 65r. Predium, f. 41r. Predo nis, f. 42v. Preferre, f. 51r. Prelaxare, f. 51r. premit (Ille non) sudore, f. 60v. Premo mis, f. 48v. prespicax, f. 65v. Prestuo is, f. 48r. Preter, f. 54v. Pretor, f. 63r. Pretorium, f. 63r. Pretura, f. 63r. previngnus, f. 65v. Primitie rum, f. 58v. principes, f. 53r. Priscus ca cum, f. 46v. Pro vices, f. 64r. Probare, f. 56v. Probrum, f. 58v. Procubuere, f. 51v. Procus et proci corum, f. 65r. Prodere aliquem, f. 51r. Prodigium, f. 50r. Proles v. prores Prombone (lo) della gamma, f. 62v. Promere, f. 51v. Pronus na num, f. 43v. Prores, f. 63r. prostare, f. 49r. Prostare, f. 51v. Prostituta, f. 49r. Protegere, f. 48v. Protinus, f. 64v. Pruna, f. 41r. Psittacus v. spitacus Publicanus, f. 50v. pudicus, f. 52r. Puer matrinus, 41v. Puer patrinus, 41v. pullus li, f. 61v. pulvinar, 41v. pulvinus, 41v. pupilla le, f. 45v.

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puppis, f. 61v. Putibundus da dum, f. 63r. Quantum, f. 52r. Quatrige garum, f. 65r. quirites, f. 52v. Quo minus, f. 63r. Quodcunque, f. 50v. racenus ni, f. 44r. Radius, f. 64v. ragliare, f. 47r. rampazzo della uva (lo), f. 44r. Rapidus da dum, f. 62v. Rasina (la), f. 61r. Recessus, f. 55r. Recludere, f. 48r. recordo (io me), f. 47v. recott (la) dove se fa, f. 58r. Redimiculum, f. 64v. Redimire, f. 59v. Referre pedes, f. 56r. Regia gie, f. 55v. Repente, f. 54r. Repetere memoria, f. 47v. Repetere verba, f. 60v. reprendere, f. 48v. Res alternas, 41v. Reserare, f. 51v. Restare, f. 56v. restoppia (la), f. 46v. Reticere, f. 56v. riccio (lo), f. 43r. Rima me, f. 53r. Ripa, f. 49v. Robetum, f. 64r. Rogus gi, f. 63r. Romani, f. 52v. Roscidus, f. 42r. Rostri rostrorum, f. 43v. Rostrum stri, f. 43v. rotella (la), f. 57v. Rubescere, f. 60v. rudere, f. 47r. Rudis, f. 42r. Rumor, f. 58r. Rupe, f. 49v. rus ris, f. 44r.

FABIO CARBONI

Rus, f. 61r. Saevus v. seus Salario (lo) che se da alli homini d arme, f. 62v. Salax, f. 58r. Salingnus gi, f. 42v. salire, f. 58r. Saltus tus tui, f. 64v. sanare la feruta, f. 60v. sangue (lo) dello pesce se tengneva la seta, f. 62r. Sanguiolentus, f. 58v. Sata torum, f. 64v. Scabrones, f. 58v. scachieri (lo), f. 42v. schiavonia (la), f. 52v. scifo, f. 42v. Scintilla, f. 49r. scosire, f. 47r. Scurra re, f. 57r. sdamo (lo), f. 58v. Secare fluctus, f. 48r. Seculum li, 41v. securim cf. Bipennis sedes dis, f. 44r. Sedulitas tis, f. 58v. Sedulus li, f. 58v. seges tis, f. 45r. Selva (la), f. 49v. Semi animis, f. 52r. semina, f. 64v. senatore (lo), f. 63r. senecta, f. 61r. senecta, f. 61v. Senectus, f. 61r. senectus, f. 61v. sepellire, f. 47r. Seps pis, f. 49v. Sera, f. 41r. sericeus, f. 62r. sericum ci, f. 62r. Sero, f. 53r. Sertum, f. 50v. Serum seri, f. 58r. Serus ra rum, f. 54v. serva (la), f. 44v.

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UN GLOSSARIETTO LATINO-ROMANESCO

seta (la), f. 62r. Seus, f. 61r. Sicco crines rorantes, f. 60r. Sidera variant coelum, f. 59v. Siero (lo), f. 58r. signum illud quod fit cum oculis, f. 62v. Silere, f. 56r. silva ve, f. 44v. Silvam inciduam, f. 49r. Simulare, f. 56v. Sindus, f. 61r. Sinere, f. 48r. sinestra tre, f. 45v. Singnum, f. 55r. Soboles, f. 46v. Socer, f. 49r. Solidus da dum, f. 50v. Solium solii, f. 57v. Solum li, f. 63v. Solum soli, f. 46r. Solus locus, f. 54r. somnum, f. 61r. Sopitum, f. 57r. Sopor, f. 61r. Spata te, f. 46v. Spectare, f. 56r. sperone (lo), f. 45v. spica dello grano (la), f. 45v. Spicula le, f. 49v. spinosa (la), f. 43r. spissare, f. 60r. Spitacus, f. 63r. spiti (li), f. 53r. Spolio te hac dingnitate, f. 60r. Sponda de, f. 42v. spura re, f. 44r. spurium, f. 44r. stanardo (lo), f. 55r. stantia (la), f. 44r. Statio nis, f. 53r. Statuere, f. 60v. Statuo, f. 48r. Sternere, f. 47v. sterno nis, f. 47v. Stipendium, f. 62v. Stipes pis, 41v.

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Stipes tis, 41v. stipes, 41v. Stipula le, f. 46v. Stiva, f. 54r. Stix gis, f. 50r. Stix, f. 57r. Stolidus di, f. 57r. Stratogemata, f. 53v. Strena ne, f. 57v. Strenga (la) che se mecte nello dardo, f. 55r. Strepere, f. 60v. Strupum, f. 55r. Surbium, f. 50r. Suber, f. 41r. Subire, f. 47v. subito, 41v. Subsidere, f. 59v. Suburbanum, f. 41r. Succedere, f. 60v. Succo, f. 59r. Suero (lo), f. 41r. Sues setigeri, f. 54v. Suetula le, f. 50v. Superare, f. 47v. Tabes, f. 41r. tacere, f. 56r. Tamen, f. 64v. Tantisper, f. 55r. tar (lo), f. 65r. Tarda v. darda Tartara rum, f. 46v. Tartarum ri, f. 61r. tavola (quella) dove sta la credensa, f. 57v. Teatrum, f. 49v. Temerarius, f. 42r. tenca (la), f. 43r. Tendere insidias, f. 59v. Tendere iter velis, f. 60v. Teratrofolo (lo), f. 41r. terere, f. 49v. Teretis, f. 49v. Terminus, f. 62r. Terrere, f. 47r. Testa ste, f. 50r.

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teter tra trum, f. 45v. Tiesto (lo), f. 50r. Tinnitus, f. 58v. Tiro nis, f. 54v. Tizone (lo), f. 49r. Tofus fi, f. 42r. Tonsa se, f. 54r. Tonsila le, f. 49r. torax, f. 46r. Torens, f. 53v. torrens tis, f. 45r. Torte, f. 44r. Torus ri, f. 49r. toscana, f. 49r. Traiere, f. 48r. transito, f. 47r. Transuere, f. 51r. trappito (lo), f. 45v. Trepid< >, f. 63v. Trianstra strorum, f. 43v. Trovus, f. 63v. Trux, f. 57r. Tuber, f. 41r. Tura, f. 46r. Turbo nis, f. 62v. Turma me, f. 52v. Uasa cf. uosa udus, f. 64v. Ulctor, f. 62r. Ulva, f. 46r. Umbraculum, f. 42r. uosa [uasa?] (quello che), f. 43r. Urna ne, f. 55r. Uter, f. 49r. vacarelle (le), f. 62r. vadum di, f. 43v. Vagire, f. 51r. vanto (lo), f. 43r. Varile (lo), 41v. Vectical, f. 50v.

FABIO CARBONI

Vellus leris, f. 42v. velluto (lo), f. 62r. vendicare, f. 60r. Vendicare, f. 60r. Venio tibi ovius et oviam, f. 60r. verso (lo), f. 45r. Veru, f. 53r. verua rum, f. 53r. vesticare, f. 47r. Vestigare, f. 60v. Vestis odora, f. 57r. Vetrex, f. 61v. Vexare, f. 47r. vexillum, f. 55r. Vicinato (lo), f. 50v. Vicinium, f. 50v. Vidua, f. 50r. viduus, f. 50r. Vigil, f. 63r. Vigor, f. 42v. viloccio dello ovo (lo), f. 44v. Vindex, f. 58r. Virgultum, f. 53v. Viriliter, f. 63v. vite (la), f. 45v. vitello (lo), f. 44v. vitellum li, f. 44v. vitis tis, f. 45v. vitulus li, f. 44v. Vivi fontes, f. 53v. volta (una altra), f. 57r. Vomere, f. 48v. Vorago, f. 41r. votum ti, f. 44r. Vovere, f. 48v. Vulcares puelle, f. 54r. vulva ve, f. 44r. Yreus, f. 49r. zopicare, f. 60r.

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UN GLOSSARIETTO LATINO-ROMANESCO

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Tav. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 251, f. 1r.

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FABIO CARBONI

Tav. II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 251, f. 34r.

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UN GLOSSARIETTO LATINO-ROMANESCO

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Tav. III – Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 251, f. 41r.

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FABIO CARBONI

Tav. IV – Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 251, f. 63r.

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GIACOMO CARDINALI

LE VICENDE VATICANE DEL CODICE B DELLA BIBBIA DALLE CARTE DI GIOVANNI MERCATI1 I. LA PRESENZA NEGLI INVENTARI … finché il frutto di varie ricerche preziose rimarrà chiuso negli scrigni degli studiosi, potranno dirsi e ripetersi sempre le più strane opinioni. Giovanni Mercati2

Sotto la segnatura Carte Mercati 123 la Biblioteca Apostolica Vaticana custodisce un faldone di carte appartenute a Giovanni Mercati (1866-1957), che della Vaticana fu scriptor Graecus (1898-1918), pro-prefetto (19181919), prefetto (1919-1936) e, dal 1936 al 1957, cardinale bibliotecario. Mancando ancora una catalogazione del fondo3, presento qui una descrizione sommaria del faldone. I.

Rubrica alfabetica, cartacea (310 × 110 mm), con coperta di cartone rivestito di carta e dorso in pergamena, una guardia iniziale e una finale, 52 pagine non numerate, in cui Mercati annota ad ogni lettera notizie bibliografiche ed erudite relative a personaggi o codici.

II. Cartella con 39 fogli non numerati; l’ultimo f. bianco; incipit I Indicum Bibliothecae Vaticanae de B testimonia, explicit (1) Ed. in Ellis Bentleii critica sacra (1862) 124; e 20 fogli non numerati uniti insieme da graffa metallica, cui va aggiunto 1 foglio sciolto non numerato; il primo e l’ultimo foglio bianchi; incipit III De codice B extra bybliothecam credito testimonia; explicit non che l’Apoc.! 1

Devo la possibilità di questa ricerca al cardinale Carlo Maria Martini e al dottor Paolo Vian; terminatane qui la prima parte, la dedico alla memoria del primo e alla benevolenza, fin troppo fiduciosa, del secondo. Un ringraziamento affettuoso devo al dottor Antonio Manfredi e una menzione alla disponibilità di Antonio Schiavi ed Elena Guerra. 2 G. MERCATI, recensione a E. NESTLE, Septuagintastudien II, in Rivista Bibliografica Italiana 1 (1896), pp. 281-282, poi in ID., Opere minori, I: 1891-1897, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 76), pp. 438-439. 3 P. VIAN, Carte del card. Giovanni Mercati, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, I: Dipartimento manoscritti, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 438-440. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 331-424.

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III. Cartella con 62 fogli non numerati; incipit Ab anno Chr. 1475, explicit Griesenbach f. 34; i primi cinque sono uniti da una spilla metallica, ne seguono quattro sciolti e poi 50 legati da una spilla metallica e un ultimo foglio sciolto. IV. Cartella con 97 fogli non numerati; incipit Iulius Bartoloccius; explicit omissa, et ita porro; si tratta di una lettera e due biglietti di Alfons Raes a Carlo Maria Martini; 25 fogli numerati dattiloscritti ad opera di Giovanni Morello, accompagnati da lettera di Raes a Martini, che spiega trattarsi della trascrizione degli otto fogli di Mercati fatti seguire immediatamente e uniti da graffa metallica, cui ne seguono altri numerati da 1 a 26 e altri da 1 a 11. V. Cartella con 95 fogli dattiloscritti, numerati in cifre arabe tra parentesi tonde poste al centro del margine inferiore del recto di ogni foglio; la trascrizione è opera di Morello a partire dalle carte di Mercati; una mano successiva, quella di Paul Canart, ha aggiunto con penna blu le parti in greco e quei segni impossibili a realizzarsi mediante la macchina per scrivere; il testo è diviso in: I. Indicum Bibliothecae Vaticanae de B testimonia (ff. 1-51). II. De variis libris (sic) tegumentis (ff. 52-61). III. De codice B extra bibliothecam credito testimonia (ff. 62-95). VI. Cartella con 109 fogli dattiloscritti, numerati in cifre arabe tra parentesi tonde poste al centro del margine inferiore del recto di ogni foglio; opera di Morello e Canart, e divisa in: I. Storia del Codice – Dall’edizione di Erasmo alla Collazione del Maiorano (ff. 1-109). VII. Cartella con 105 fogli dattiloscritti, numerati in cifre romane tra parentesi tonde poste al centro del margine inferiore del recto di ogni foglio; opera di Morello e Canart, divisa in: I. De novi testamenti graeci editione a Paulo V incepta. A. 1615 (ff. IXXIX; XXV-CV; deest f. VIII). II. sine titulo (ff. XXX-XXXVIII). VIII. Cartella con 9 fogli dattiloscritti, numerati da 30 a 38, mediante cifre romane tra parentesi tonde poste al centro del margine inferiore del recto di ogni foglio, opera di Morello e Canart; incipit 12° Congregationibus; explicit et ita porro. IX. Cartella in plastica contenente 5 ff.: tre manoscritti e due dattiloscritti, contenenti l’indice della storia del codice, redatta da Mercati. Se si escludono la rubrica (I) e le trascrizioni dattiloscritte (V-IX), il faldone custodisce lo studio di Mercati sulla vicenda del Vat. gr. 1209, me-

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glio noto come codice B della Bibbia, che conserva il testo dei Settanta in una redazione assai autorevole ed è stato scritto e allestito a metà del IV secolo4. La vicenda della trascrizione dattiloscritta è illuminata da due lettere e da due biglietti, indirizzati da Alfons Raes s.j. a Carlo Maria Martini s.j. Ne emerge che essa fu approntata tra l’autunno del 1965 e i primi mesi del 1966, dietro mandato di Raes, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana dal 1962 al 1971, che la commissionò a Giovanni Morello. Incaricato di riunire e ordinare le pagine di Mercati in vista della trascrizione fu Paul Canart, scriptor Graecus della Biblioteca. Nella mente del prefetto era l’intenzione di «fare uscire un volume postumo del card. Mercati nel 1966, centenario della sua nascita»5. Destinatario della copia era Martini, che avrebbe lavorato all’edizione del testo di Mercati «per la Vaticana». A lui si demandava il compito, non solo di inserire a penna nella trascrizione le parti in greco e tutti quei segni non riproducibili mediante la macchina da scrivere (che poi avrebbe provveduto a inserire Canart), ma anche di «sottolineare ogni menzione di qualunque manoscritto che si trovi in Vaticana o altrove»6 e di «controllare tutte le referenze del Mercati, anche i nomi delle persone, i titoli dei libri e articoli citati, perché li scriveva spesso da memoria, contando sulle prime bozze per eseguire il controllo»7. Come si è detto, le Carte Mercati 123 non presentano al loro interno indicazioni di data e la loro stesura, stando alle variazioni del modulo della scrittura, occupò lo studioso per molti anni, inframmezzati da numerosi intervalli. La loro collocazione cronologica va, dunque, ricavata dalle prove interne al testo, a partire dalle frequenti allusioni a questo lavoro che Mercati fece nell’ambito di altri studi pubblicati nel frattempo8. 4

Ultimo titolo di una bibliografia sterminata è Le manuscrit B de la Bible (Vaticanus graecus 1209), édité par P. ANDRIST, Lausanne 2009 (Histoire du texte biblique, 7). Ma si vedano, almeno, H. J. MILNE – T. C. SKEAT, Scribes and Correctors of the Codex Sinaiticus, London 1938; C. M. MARTINI, Il problema della recensionalità del codice B alla luce del papiro Bodmer XIV, Roma 1966 (Analecta biblica, 26); P. CANART, Notice paléographique et codicologique, in Prolegomena all’edizione fac-simile del Codex Vaticanus B, Roma 1999, pp. 1-6; J. ŠAGI, Problema historiae codicis B, in Divus Thomas. Commentarium de philosophia et theologia 75 (1972), pp. 3-29; T. C. SKEAT, The Codex Vaticanus in the Fifteenth Century, in Journal of Theological Studies 35 (1984), pp. 454-465 e B. M. METZGER, Il testo del Nuovo Testamento. Trasmissione, corruzione e restituzione, Brescia 1996 [ed. orig. Oxford 1992], ad indicem; e T. C. SKEAT, The Codex Sinaiticus, the Codex Vaticanus and Constantine, in Journal of Theological Studies 50 (1999), pp. 583-625. 5 Carte Mercati 123. 6 Carte Mercati 123. 7 Carte Mercati 123. 8 S. PISANO, L’histoire du Codex Vaticanus B pendant quatre siècles. Les notes inédites du cardinal Mercati, in Le manuscrit B de la Bible cit., pp. 105-118.

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Lasciando da parte due articoli del 18969, in cui, pur toccando la questione del codice B, non compare alcuna indicazione circa una ricerca in proposito, è in cinque altri casi10 che Mercati accenna allo studio che sta conducendo sul Vat. gr. 1209, arrivando ad annunciarne come prossima la pubblicazione. Due di essi, un articolo del 1898 e uno del 190111, non permettono di arguire nulla di più preciso circa la cronologia del lavoro. Che nel 1905 stesse studiando la vicenda vaticana di B è provato, già nel titolo, da una contributo per la Revue biblique12, da cui pare che la ricerca verta sulle glosse presenti nel codice. Nel 1906 Mercati era talmente assorbito dall’indagine, che nel presentare una storia della festa liturgica dello Sposalizio della Vergine, annotando come questa ricorrenza fosse stata soppressa da Paolo IV Carafa per timore di eresia, annota ironicamente a piè di pagina: «Oggidì a una simile paura si sorriderebbe, né sapremmo darcene una spiegazione, anche solo apparentemente ragionevole; come stentiamo a spiegarci perché allora taluni — troppo ascoltati — stimarono pericoloso il pubblicare le varianti della Bibbia greca Vaticana, così apprezzate invece dai veri saggi. Ma forse che i posteri non sorrideranno e si meraviglieranno di certe nostre paure?»13. Sempre allo stesso anno, 1906, risale un’altra traccia del lavoro su B, riscontrabile nella recensione al Novae Patrum bibliothecae ab A. card. Maio collectae tomus decimus di Giuseppe Cozza-Luzi, in cui si porta l’attenzione su alcuni elementi per la storia settecentesca del codice14. 9 G. MERCATI, Antonio Ceriani e ID., rec. a NESTLE, Septuagintastudien cit., ambedue in Rivista Bibliografica Italiana 1 (1896), rispettivamente pp. 91-94 e 281-282; poi in ID., Opere minori, I, cit., rispettivamente pp. 399-403, segnatamente p. 402, e pp. 438-439. 10 E non sei come risulta da G. MERCATI, Opere minori, V, Città del Vaticano 1941 (Studi e testi, 80), p. 182, dal momento che è il Vat. gr. 1208 e non il Vat. gr. 1209 a essere oggetto di studio in G. MERCATI, I mss. biblici greci donati da Carlotta di Lusignano ad Innocenzo VIII, in Miscellanea di storia e cultura ecclesiastica 4 1906, pp. 337-338; poi in ID., Opere minori, II: 1897-1906, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 77), pp. 480-481. 11 G. MERCATI, I nuovi frammenti della versione greca di Aquila, in Rivista Bibliografica Italiana 3 (1898), pp. 108-113; poi in ID., Opere minori, II, cit., pp. 124-129 e G. MERCATI, Per la storia esterna dei codici Marchaliano e Claromontano, in Revue biblique 10 (1901), pp. 580583; poi in ID., Opere minori, II, cit., pp. 287-289. 12 G. MERCATI, Due glosse all’Esodo nel codice Vaticano, in Revue biblique, n.s. 2 (1905), pp. 555-556; poi in ID., Opere minori, II, cit., pp. 424-425. 13 G. MERCATI, Per la storia della festa dello Sposalizio, in Rassegna Gregoriana 5 (1906), coll. 253-258; poi in ID., Opere minori, II, cit., pp. 492-496, segnatamente p. 492 nt. 1. Il recupero, in un contesto di studio di per sé del tutto estraneo alla vicenda di B, di una fase della storia del codice rappresenta quasi il segno di una memoria scripturarum, che rivela come la ricerca sul manoscritto biblico occupasse la mente e i pensieri di Mercati nel corso del primo decennio del XX secolo, anche quando era intento ad altre ricerche. 14 G. MERCATI, Ein neuer Band der Nova Patrum bibliotheca, in Theologische Revue 5 (1906), coll. 265-270; poi in ID., Opere minori, II, cit., pp. 528-534, segnatamente p, 533.

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Ma è da alcune note poste ad articoli e recensioni pubblicati tra 1907 e 1910 che si scopre che Mercati, non solo lavorava alacremente alla vicenda del Vat. gr. 1209 e all’analisi degli scolii, ma ne dava per certa l’edizione tra il 1910 e il 1911. Nel 1907 annuncia una sua «introduzione al codice Vaticano 1209 della bibbia greca»15, due anni dopo, recensisce uno studio sulle annotazioni di Sirleto al Nuovo Testamento16, che chiaramente lo aveva interessato per i suoi lavori su B, e nel 1910 Mercati parla di una sua «storia del codice B»17, in cui si sarebbe occupato anche dell’edizione romana della LXX voluta da Sisto V Peretti. Nello stesso 1910 Mercati annuncia l’imminente pubblicazione della “sua” storia del Vat. gr. 1209, che dovrebbe avvenire nel 1911, o forse addirittura entro lo stesso 191018. L’ultima menzione esplicita dello studio sul codice B, apparsa in un contributo del 1910, non fa più riferimento alla storia del codice, ma a un capitolo, ancora inedito, sulle glosse di B19, che doveva essere il compimento di quello studio avviato da tempo e annunciato cinque anni prima sulla Revue biblique. Da questa data e per tutto il resto della produzione di Mercati (non solo quella poi confluita nelle Opere minori) non è più possibile rinvenire accenni o rimandi agli studi sul codice biblico, nemmeno quando gli capiterà di alludere direttamente al Vat. gr. 120920. 15 G. MERCATI, Eusthatianum, in Rheinisches Museum 61 (1907), p 482; poi in ID., Opere minori, III: 1907-1916, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 78), p. 51: «Del Majorano (vivo ancora nel 1582) e degli scritti di lui dirò sommariamente nell’introduzione al codice Vaticano 1209 della bibbia greca, di cui egli tra i primi raccolse le lezioni». 16 G. MERCATI, Ergänzungen und Berichtigungen zu «Kard. W. Sirlet Annotationen zum Neuen Testament» von P. Höpfl O.S.B., in Theologische Revue 8 (1909), coll. 60-63; poi in ID., Opere minori, III, cit., pp. 116-121. 17 G. MERCATI, Il testo dell’Aldina, in Biblische Zeitschrift 8 (1910), pp. 337-338; poi in ID., Opere minori, III, cit., pp. 122-123, segnatamente p. 123: «Che per l’edizione romana dei LXX si usò anche mss. del Bessarione, non furono già i codici stessi mandati a Roma, come suppone il Dahse a p. 184, ma le varianti sole, secondo che proverò nella storia del codice B colle lettere di chi fece le collazioni». 18 G. MERCATI, Due supposte spogliazioni della biblioteca di Montecassino, in Miscellanea di studi in onore di Attilio Hortis, Trieste 1910, pp. 967-980; poi in ID., Opere minori, III, cit., pp. 159-174, segnatamente p. 172 nt. 1: «Le ragioni per distinguere bene le due Congregazioni della stampa e della Vulgata e per assegnare la nomina di quella al 10 marzo 1561 e di questa fra il 5 e il 12 marzo 1569 ho raccolto ed esposto nella mia storia del codice Vaticano B, che uscirà, spero, nel prossimo anno, se non prima». 19 G. MERCATI, Appunti sul palinsesto Vat. gr. 1456, in Rheinisches Museum 65 (1910), pp. 331-338; poi in ID., Opere minori, III, cit., pp. 186-193, segnatamente p. 191 nt. 2: «Per questo rimando a un capitolo già scritto, ma non pubblicato ancora sulle glosse del codice B della Bibbia greca». 20 Si vedano G. MERCATI, Zu den neuen liturgischen Fragmenten von Dêr Balyzeh, in Theologische Revue 9 (1910), col. 222; poi in ID., Opere minori, III, cit., p. 196; G. MERCATI, Per la

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Questa serie di indizi cronologici, che datano le carte tra 1905 e 1911, pone, almeno all’origine, lo studio del codice B in stretta concomitanza con il progetto dell’edizione fototipica del Vat. gr. 1209, che, curata da Mercati stesso, uscì tra 1904 e 190721. Mercati, dunque, ha avviato e condotto il suo studio in vista della stesura di prolegomeni all’edizione fototipica del codice, secondo una consuetudine che in Vaticana era diffusa ormai da tempo e che aveva nelle introduzioni di Franz Ehrle un modello di riferimento22. L’analisi delle carte, poi, permette di affermare che lo studio di Mercati era arrivato in fase molto avanzata, presentando frequentemente indicazioni al tipografo per l’impaginazione, aggiunte da Mercati stesso con annotazioni a matita colorata blu o rossa. Non si tratta, dunque, di semplici brogliacci di studio, fogli di appunti o stesure provvisorie, ma di un vero e proprio testo, giunto a un livello di completezza e maturazione, da poter essere consegnato per la stampa. Non è da considerarsi elemento contrastante con questa ricostruzione il fatto che il testo manchi di molte note o siano frequenti i passaggi in cui Mercati non completa il discorso e lascia pendere citazioni e rimandi, dal momento che — come si è già visto — era sua prassi abituale quella di integrare il testo, anche in parti ampie e significative, in fase di correzione di bozze. Per ragioni che restano al momento ignote — e che meriterebbero un’indagine particolare — il testo dei prolegomeni a B, sebbene pressoché completo e pronto per essere inviato allo stampatore, non venne edito, ma rimase in un cassetto del tavolo da lavoro dello scriptor Graecus Mercati. Se si passa dall’analisi delle allusioni alla ricerca sul codice B a quella delle carte stesse e, in particolare, alla datazione dei testi e degli studi che storia della biblioteca apostolica, bibliotecario Cesare Baronio, in Per Cesare Baronio. Scritti vari nel terzo centenario della sua morte, Roma [1913, pp. 85-178]; poi in ID., Opere minori, III, cit., pp. 201-274, segnatamente p. 224 nt. 3 e G. MERCATI, On the non-Greek origin of the Codex Bezae, in Journal of Theological Studies 15 (1914), pp. 448-451; poi in ID., Opere minori, III, cit., pp. 332-336, segnatamente pp. 332-334. Ultime due menzioni del codice in G. MERCATI, Frammenti antichissimi ravennati della Volgata, in Alcuni scritti e brevi saggi di studi sulla Volgata pubblicati in occasione del cinquantenario monastico di Sua Eminenza il Cardinale Gasquet, Roma 1917, pp. 50-53; poi in ID., Opere minori, IV: 1917-1936, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 79), pp. 1-6, segnatamente p. 3 nt. 2 e G. MERCATI, Un paio di appunti sopra il codice purpureo Veronese dei Vangeli, in Revue biblique 34 (1925), pp. 396-400; poi in ID., Opere minori, IV, cit., pp. 287-291, segnatamente p. 290. 21 Il Nuovo Testamento uscì in un tomo nel 1904, mentre l’Antico fu diviso in tre tomi, apparsi rispettivamente nel 1905, 1906 e 1907. Ne furono stampati cento esemplari numerati, come attesta I libri editi dalla Biblioteca Vaticana MDCCCLXXXV-MCMXXXXVII. Catalogo ragionato e illustrato, Città del Vaticano 1947, p. 119. Così anche P. VIAN, Mercati, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, 73, Roma 2009, pp. 599-603, segnatamente p. 601. 22 Si veda infra, pp. 338-339.

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Mercati cita in nota alle sue pagine, si può aggiungere che, se la gran parte della bibliografia è precedente il 1911, non mancano tuttavia riferimenti a contributi successivi, come quello a un articolo apparso sugli Zoologische Annalen o a un altro su The Journal of Theological Studies, ambedue del 1912. Non solo, ma non mancano tracce di una revisione più tarda, in cui vengono aggiunti contributi bibliografici, apparsi addirittura al principio degli anni Quaranta, come l’edizione dei due registri di prestito della Vaticana23 e un articolo di Sebastian Tromp24. Nel 1936, infatti, Mercati aveva ricevuto il cappello cardinalizio e, come risulta da alcune sue affermazioni, pensava di abbandonare gli studi sull’Umanesimo25, che avevano caratterizzato tanta parte dei suoi anni da prefetto, per tornare alla Patristica e alle ricerche in campo biblico26. Si può, addirittura, arrivare a ipotizzare che Mercati, tra la fine degli anni Quaranta e, soprattutto, il principio degli anni Cinquanta, pensasse a riprendere in mano e pubblicare la ricerca sul codice B, avviata quarant’anni prima, in concomitanza con il suo rinnovato interesse per gli studi di carattere patristico e, soprattutto, biblico. La prova si trova in una brevissima allusione posta in nota a un contributo di filologia biblica del 195327: «Sul Cortasmeno e la nota cancellata di B forse pubblicherò una vecchia nota». L’accenno alla «vecchia nota» si trova in un articolo del 1916, ossia databile ai primi anni in cui Mercati aveva lasciato da parte lo studio del Vat. gr. 1209, in cui scriveva di aver discusso una questione attinente a Ignazio Cortasmeno (personaggio che egli riteneva implicato nella vicenda del codice B) in un «lavoro ancora inedito»28. Ne consegue che attorno al 1953 il quasi novantenne Mercati pensasse a pubblicare almeno una sezione della sua antica ricerca sul codice biblico, che tuttavia non vide mai la luce. 23 I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana. Codici Vaticani latini 3964, 3966, a cura di M. BERTÒLA, Città del Vaticano 1942 (Codices Vaticani selecti, 27). 24 S. TROMP, De revisione textus Novi Testamenti facta Romae a Commissione Pontificia circa a. 1617 praeside S. R. Bellarmino, in Biblia 22 (1941), pp. 303-306. 25 Significativo è già il titolo dello studio con cui Mercati intendeva chiudere la lunga stagione dei suoi studi sull’Umanesimo: G. MERCATI, Ultimi contributi alla storia degli umanisti, I: Traversariana, Città del Vaticano 1939 (Studi e testi, 90). 26 Significativa, a questo proposito, è l’introduzione al volume G. MERCATI, Nuove note di letteratura biblica e cristiana antica, Città del Vaticano 1941 (Studi e testi, 95), pp. VI-VI. 27 G. MERCATI, Postille del codice Q a Geremia tratte dal commento dello pseudo Crisostomo, in Miscellanea biblica B. Ubach, Montisserrati 1953, pp. 27-30, poi in ID., Opere minori, VI: 1937-1957, Città del Vaticano 1984 (Studi e testi, 296), pp. 392-395, specie pp. 393-394 nt. 1. 28 G. MERCATI, Lettere di un Isidoro Metropolita di Monembasia e non di Kiev, in Bessarione 30 (1916), pp. 200-207, poi in ID., Opere minori, III, cit., pp. 513-519, specie p. 515 nt. 2.

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Se si esamina più da vicino la stutturazione data alla materia dall’autore, si nota che essa è ripartita così: I. Storia del codice: storia vaticana di B a partire dalle collazioni e dalle edizioni che del codice vennero fatte, da Erasmo da Rotterdam fino alle edizioni fototipiche della fine del XIX secolo. Il materiale è organizzato in una trentina di capitoli, dalla numerazione non del tutto chiara e spesso contraddittoria. II. Indicum Bibliothecae Vaticanae de B testimonia: storia vaticana di B a partire dalla consultazione degli inventari e indici alfabetici superstiti della Biblioteca, da quello del 1455 alle spoliazioni napoleoniche. La ricostruzione è articolata in 23 capitoli e conclusa da una tavola cronologica sintetica. III. De variis libri tegumentis: storia vaticana di B a partire dalle testimonianze superstiti circa i cambiamenti di legatura e coperta cui andò soggetto dalla metà del Quattrocento in poi. Le fonti principali sono ancora gli inventari vaticani e i materiali conservati nel fondo Archivio della Biblioteca. La trattazione è articolata in 7 capitoli. IV. De codice B extra bybliothecam credito testimonia: storia vaticana di B a partire dalle testimonianze circa i prestiti esterni, che ne vennero fatti, attestati dai due registri vaticani, ma anche dalle fonti più diverse. La sezione è articolata in 11 capitoli, cui va aggiunto un parergon al capitolo I. L’impianto dato da Mercati è dunque quello di una storia del codice, della sua consultazione e dell’uso che ne venne fatto dall’ingresso in Vaticana alle fototipiche apparse tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, seguita da tre appendici, destinate ad accogliere ciascuna l’elenco ragionato delle fonti, tratte rispettivamente dagli inventari vaticani, da materiale del fondo Archivio della Biblioteca e dalle ricevute di prestito e altri documenti riguardanti la vicenda di B, conservati perlopiù in vari fondi della Vaticana. Lo schema, sebbene dilatato a dismisura dall’importanza del codice e dalle complicate vicende di cui fu testimone, è — come si è già accennato — quello in uso in Vaticana tra fine Ottocento e inizi Novecento per la presentazione di riproduzioni di codici della Biblioteca. Un esempio cronologicamente prossimo è l’introduzione di Ehrle a Il manoscritto Messicano Vaticano 3738, detto il codice Rios, apparso a Roma nel 1900, che Mercati cita a più riprese nel suo studio29. Anche in questo caso, nell’introduzione all’edizione del codice, compariva, dopo una Origine dei codici messicani interpretati, una Storia del codice Rios, ricostruita a partire dall’esame de29

Il manoscritto Messicano Vaticano 3738, detto il codice Rios, riprodotto in fotocromografia a spese di Sua Eccellenza il duca di Loubat, per cura della BIBLIOTECA VATICANA, Roma 1900.

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gli antichi cataloghi della Biblioteca Vaticana, di cui — come farà anche Mercati nella prima appendix documentaria — venivano riprodotti ampi stralci, conservandone l’impaginato originale. Chiudeva la presentazione una terza sezione, dedicata alla descrizione del codice e articolata in Esterno del codice e Il contenuto del codice. Proprio questo precedente illumina, da un lato, l’impostazione data da Mercati alla sua ricerca e, dall’altro, lascia aperto il dubbio sulla eventuale presenza di ulteriori sezioni del suo lavoro, dedicate all’origine del codice B e alla sua descrizione esterna e interna, che non compaiono nelle Carte Mercati 123 e, ad oggi, non risultano conservate. Desiderando presentare al pubblico, a quasi un secolo di distanza dalla sua stesura, il testo di Mercati sulla storia del codice B, si è deciso di pubblicare il testo latino originale, così come si trova nelle Carte Mercati 123, senza procedere a una sua revisione, integrazione o ripulitura. Il fatto stesso che Mercati era abituato a terminare la scrittura, o a rivedere a fondo i suoi testi, in fase di correzione di bozze impedisce di intervenire in maniera sicura e decisa a colmare le lacune del testo o a integrarne le parti mancanti, fossero anche semplici indicazioni bibliografiche, come quando si opera su un testo giunto a una forma quasi definitiva. La presentazione del nudo testo latino permetterà anche di avere fra le mani, per la prima volta, uno scritto di Mercati in forma non pulita, così da permettere l’ingresso nel suo laboratorio di studio30. Tuttavia, il testo non poteva essere ripresentato così come si trova, e per più di una ragione. Anzitutto perché, nel secolo trascorso tra la redazione dello studio di Mercati e la pubblicazione che se ne avvia con questo intervento, sono apparsi fondamentali ricerche sulla storia e il funzionamento della biblioteca, pubblicazioni di nuovi documenti e dati storici, risultati di nuove indagini sul codice e fondamentali aggiornamenti bibliografici. Le carte di Mercati non sono state sconvolte da questa ondata di studi e approfondimenti, ma anzi resistono all’urto, dimostrando la loro attuale validità. Pur insuperate per molti aspetti, andavano comunque riviste sulla base della bibliografia recente e, dove necessario, aggiornate. Inoltre, la semplice riproposizione del testo originale, date la competenza e la vasta e minuziosa conoscenza delle fonti documentarie e della vicenda storica della Vaticana presupposte da Mercati, sarebbe risultata quasi illeggibile a un lettore che, pur competente, non abbia la stessa di30

L’unico contributo finora dedicato a Mercati studioso è di S. PRETE, Il cardinale Giovanni Mercati e gli studi classici, in Il cardinale Giovanni Mercati Bibliotecario Archivista di Santa Romana Chiesa, Sassoferrato 1988, pp. 33-50.

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mestichezza con secoli di storia della biblioteca e non padroneggi il suo sistema di fonti. Le tre appendici documentarie, in modo particolare, sono costituite da brevi capitoli, dedicato ognuno all’inventario o al documento d’archivio preso in esame, senza quasi far cenno alla storia dell’istituzione con le sue date, i suoi personaggi e le sue circostanze. La tendenza, tipica di Mercati, a fornire nudi dati e a imperniare la sua ricerca su una loro presentazione sintetica, raggiunge in questo studio uno dei suoi vertici, al punto da render necessaria una riscrittura “ad extra”, che ne permetta una lettura scorrevole e piana31. Paradossalmente è sembrato necessario quasi riscrivere i contenuti di Mercati, per apprezzarli appieno32. Si è proceduto, dunque, a una traduzione e revisione delle carte, che ha dato luogo a una riscrittura aggiornata e corretta, scandita in maniera diversa dall’originale, ossia per capitoli aderenti alle grandi tappe di sviluppo della storia della Vaticana, così da avere una narrazione meno sintetica. In questo primo contributo si presentano le prime due appendici documentarie, dedicate rispettivamente alla consultazione degli inventari vaticani e alle differenti legature del Vat. gr. 1209, rimandando a un secondo momento la presentazione della terza appendice, incentrata sui prestiti del codice, e a un terzo la ricostruzione della Storia del codice. I. Testimonianze degli inventari della Biblioteca Vaticana a proposito di B Riprendendo e completando lo schema di lavoro e i dati offerti dal testo di Mercati, si presenta qui una storia del codice B a partire dalla testimonianza degli inventari della collezione greca della Vaticana dalla fondazione ai giorni nostri33. Sia quelli redatti dal personale interno della Biblioteca34 sia quelli dovuti a visitatori che, ricevuto il permesso d’ingresso e consultazione dei codici, ne fecero un censimento personale. 31 P. VIAN, Mercati, Giovanni cit., p. 600 e A. CAMPANA, Giovanni Mercati, in ID., Profili e ricordi, Padova 1996 (Medioevo e Umanesimo, 92), pp. 48-77. 32 Che una simile ricostruzione possa andare incontro all’aspettativa degli studiosi moderni, lo attesta già ŠAGI, Problema historiae cit., p. 5: «Testimonia directa historiam codicis B illustrantia quasi nulla hucusque nota sunt. Inquisitionem eorum systematicam instituere perdifficile esset, cum, si ea omnino existant, labor immensus et a fortuna sola forsan dependens esse possit». 33 Per una vicenda del fondo Vaticano greco si veda S. LILLA, I manoscritti Vaticani greci. Lineamenti di una storia del fondo, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 415) e ID., Vaticani greci, in Guida ai fondi, I, cit., pp. 584-615. 34 Una panoramica, che supera l’ambito di questa ricerca, in P. VIAN, Dal Platina al Bi-

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Da questo spoglio si possono dedurre informazioni sulla presenza del codice nella collezione papale, sulla sua collocazione nelle sale niccoline prima e sistine poi, sui prestiti cui andò soggetto e su altre vicissitudini, che non sempre lasciarono una traccia sul codice stesso. Va premesso che, negli inventari delle biblioteche papali di età medievale e fino alla fondazione della Vaticana ad opera di Niccolò V Parentucelli (1447-1455) e della sua ristrutturazione voluta da Sisto IV della Rovere (1471-1484), il codice B non risulta in possesso dei papi. Mercati, di conseguenza, non prende in considerazione la serie di sette inventari, che vanno dall’epoca di Bonifacio VIII Caetani (1294-1303) a quella di Eugenio IV Condulmer (1431-1447), che ora elencheremo per completezza35. La loro consultazione, infatti, se da un lato conferma l’assenza del Vat. gr. 1209 dalla collezione pontificia fino a tutto il XIV secolo, offre anche la possibilità di valutare l’eventuale presenza nelle biblioteche papali pre-niccoline di manoscritti che riportassero la Scrittura nella versione dei Settanta, e di aver presente il numero e la tipologia di eventuali codici greci in possesso dei papi. 1. Le collezioni papali tra la fine del Medioevo e il primo Umanesimo Il codice B non compare nel più antico inventario superstite di una biblioteca papale, ossia in quello redatto nel 1295 per ordine di Bonifacio VIII, appena eletto al soglio di Pietro36. Scorrendo le sezioni in cui l’elenco shop: esperienze di indicizzazione in Biblioteca Vaticana fra XV e XX secolo, in Fabula in tabula. Una storia degli indici dal manoscritto al testo elettronico. Atti del Convegno di studi, Certosa del Galluzzo, 21-22 ottobre 1994, a cura di C. LEONARDI, M. MORELLI, F. SANTI, Spoleto 1995 (Quaderni di cultura mediolatina, 13), pp. 245-299. 35 Una sintesi in LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 3. 36 ASV, Ind. 4 [= Arm. LVI, nr. 45]. A proposito di questo inventario si vedano F. EHRLE, Zur Geschichte des Schatzes, der Bibliothek und des Archiv der Päpste im vierzehnten Jahrhundert, in Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters I (1885), pp. 24-41, specie 40-41, nrr. 420-442; ID., Historia Bibliothecae Romanorum pontificum tum Bonifatianae tum avenionensis enarrata et antiquis earum indicibus aliisque documentis illustrata, I, Romae 1890, pp. 5-8; A. PELZER, Addenda et emendanda ad Francisci Ehrle Bibliothecae romanorum pontificum tum bonifatianae tum avenionensis tomus primus, E Civitate Vaticana 1947, pp. 4-24, specie 23-24, nrr. 420-442; R. DEVREESSE, Pour l’histoire des manuscrits du fonds Vatican grec, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. cardinalis Albareda a Bibliotheca Apostolica edita, I, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 219), pp. 315-336, segnatamente, p. 316; R. DEVREESSE, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane dès origines à Paul V, Città del Vaticano 1965 (Studi e testi, 244), p. 3; J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), pp. 2-3; Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon, I, publiés par D. WILLIMAN, Paris 1980 (Documents, études et répertoires, 23.1), p. 19; M.-H. JULLIEN DE POMMEROL, La bibliothèque de Boniface

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è strutturato, e che vanno dalla teologia al diritto, sia civile che canonico, dalla medicina alla liturgia et multi alii, non si trova traccia del Vat. gr. 1209. L’inventario bonifaciano contava oltre cinquecento volumi37, di cui ventotto scripti de littera greca, due dei quali sono ancora oggi conservati nella collezione pontificia, ossia i Vat. gr. 204 e 37038. La sezione di testi in lingua greca era tutta dedicata alla filosofia e alla scienza, ad eccezione di due soli codici con scritti di Dionigi Areopagita e Cirillo di Alessandria, mentre non si ha traccia di manoscritti biblici greci né completi né contenenti solo alcuni libri della Scrittura. Una simile assenza trova la sua spiegazione nel diverso approccio che si aveva alla Scrittura, secondo il metodo di studio universitario, che vedeva al primo corso proprio lo studio della Sacra Pagina39. L’assenza persiste anche nel secondo inventario, redatto nel 1311 a Perugia, dove era depositato il tesoro papale, essendo questa la sede in cui si era svolto il conclave che elesse Clemente V de Got (1305-1314)40. Stabilendo la sede ad Avignone, il nuovo papa lasciò gran parte del tesoro in Italia, pur curando di trasferirlo in una sede più sicura, che fu individuata in Assisi, mentre una parte sarebbe stata trasferita ad Avignone. In vista di questo passaggio, la biblioteca fu censita, appunto, a Perugia nel maggio

VIII, in Libri, lettori e biblioteche dell’Italia medievale (secoli IX-XV). Fonti, testi, utilizzazione del libri, a cura di G. LOMBARDI e D. NEBBIAI DALLA GUARDA, Paris – Roma 2000, pp. 487-505 e A. PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale nel Duecento e nel Trecento, in Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1), pp. 73-108, segnatamente pp. 79-84. 37 EHRLE, Zur Geschichte cit., p. 41 conta 443 codici; DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 2 scrive di 23 codici greci; JULLIEN DE POMMEROL, La bibliothèque de Boniface VIII cit., p. 492 indica la cifra in almeno 567, seguita da PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale cit., pp. 79-80. 38 DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 3 ne indica 23; JULLIEN DE POMMEROL, La bibliothèque de Boniface VIII cit., p. 492 ne segnala 28. Si veda anche A. PARAVICINI BAGLIANI, La provenienza ‘angioina’ dei codici greci della Biblioteca di Bonifacio VIII. Una revisione ‘critica’, in Italia medioevale e umanistica 26 (1983), pp. 27-69 e ID., La biblioteca papale cit., pp. 95-99, dove peraltro si indica la presenza di 26 codici greci. 39 Si vedano Le Moyen Age et la Bible, sous la direction de P. RICHÉ et G. LOBRICHON, Paris 1984 (Bible de tous les temps, 4) e Le temps des Réformes et la Bible, sous la direction de G. BÉDOUELLE et B. ROUSSEL, Paris 1989 (Bible de tous les temps, 5), oltre a S. CAMPOREALE, Lorenzo Valla. Adnotationes in Novum Testamentum et Encomion S. Thomae. Alle orgini della “teologia umanistica” nel primo ‘400, in Memorie Domenicane 31 (2000), pp. 71-84 e, da ultimo, A. MANFREDI, Manoscritti biblici nelle biblioteche umanistiche tra Roma e Firenze. Una prima ricognizione, in Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia, a cura di P. CHERUBINI, Città del Vaticano 2005 (Littera antiqua, 13), pp. 459-501. 40 Bibliothèques ecclésiastiques cit., p. 20. Un’efficace valutazione in VIAN, Dal Platina al Bishop cit., p. 247.

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131141. Fra gli oltre seicento42 codici il numero di quelli greci è aumentato di più di dieci unità, essendo i manoscritti passati a trentatre, tanto più che quattro presenti nell’inventario precedente risultano qui assenti43. Tra questi, tuttavia, non v’è traccia di alcuna Bibbia nella versione dei Settanta44. La situazione non subisce mutazioni nemmeno in seguito, stando ai risultati delle due successive inventariazioni, che ebbero luogo ad Assisi nel 132745 e nel 133946. Nel primo caso, i trentatre manoscritti greci, conservati in due casse (XLV e LVII) e cresciuti di una unità rispetto all’inventario precedente, non furono censiti, mentre nell’inventario del 1339 delle settantotto casse di libri (più di 496 in tutto), i codici greci sono registrati e occupano ancora due intere casse, sebbene numerate in maniera diversa (LXII e LXIII). Nel piccolo fondo greco non compaiono ancora testi biblici né Bibbie complete. Come è stato affermato, quella pontificia era la «più ricca collezione di manoscritti greci che l’Occidente avesse avuto a sua disposizione nel Medio Evo prima del Quattrocento»47, caratterizzata in maniera molto decisa ed omogenea non in senso biblico e nemmeno patristico, ma piuttosto teologico, scientifico, canonistico e filosofico, centrata su commenti ai trattati aristotelici e testi di autori scientifici greci e alessandrini. L’inventario successivo è quello della biblioteca posta nel palazzo della nuova sede di Avignone, dapprima nella Tesoreria alta, sopra la camera 41 ASV, Reg. Av. 65, ff. 452-538. Si vedano EHRLE, Historia cit., pp. 26-100, specie 95-99, nrr. 597-629; DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 316; ID., Le fonds grec cit., p. 3; JULLIEN DE POMMEROL, La bibliothèque de Boniface VIII cit., pp. 492-493 e PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale cit., pp. 88-94. 42 Anche in questo caso si registrano differenze nei conteggi, JULLIEN DE POMMEROL, La bibliothèque de Boniface VIII cit., p. 492 indica 612 manoscritti, PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale cit., p. 88, invece, 645. 43 Quattro sono i codici scomparsi nel 1311 rispetto all’inventario bonifaciano (nn. 4, 5, 8, 15 della lista a p. 3, corrispondenti nell’inventario completo del 1295 ai nn. 423, 424, 427 e 434). Più della metà dei mss. greci di questo indice presenta la sigla “And” o “Aud” che Auguste Pelzer ha letto “Andegavensis”: sarebbero stati donati al papa da Carlo d’Angiò nel 1266, ma si veda la revisione critica di PARAVICINI BAGLIANI, La provenienza ‘angioina’ cit. e ID., La biblioteca papale cit., p. 95. 44 Ancora parte delle collezioni pontificie sono gli attuali Vat. gr. 204, 370 e 1605. 45 ASV, A.A. Arm. C, 10. Si veda EHRLE, Zur Geschichte cit., pp. 307-324, specie 317, nrr. XLV e LVII; PELZER, Addenda et emendanda cit., pp. 25-37, specie 34-35, nrr. XLV e LVII; Bibliothèques ecclésiastiques cit., p. 24; JULLIEN DE POMMEROL, La bibliothèque de Boniface VIII cit., p. 493 e PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale cit., p. 94. 46 ASV, Coll. 468, ff. 3r-15r. Si veda EHRLE, Zur Geschichte cit., pp. 324-364, specie 362, nrr. LXII-LXIII; PELZER, Addenda et emendanda cit., pp. 38-66, specie 64, nrr. LXII-LXIII; Bibliothèques ecclésiastiques cit., p. 29; JULLIEN DE POMMEROL, La bibliothèque de Boniface VIII cit., p. 493 e PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale cit., p. 94. 47 PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale cit., p. 95, n. 72.

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del pontefice, e poi in stanze attigue all’appartamento papale. Quella avignonese era una biblioteca nuova, fatta allestire appositamente dai papi francesi mediante copie, acquisti, donativi e accessioni per diritto di spoglio, rinunciando al trasferimento di quella rimasta ad Assisi, e nemmeno in essa è dato di riconoscere il codice biblico48. L’assenza persiste anche nell’inventario fatto stilare nel 1369 da Urbano V, che era deciso a riportare la sede papale a Roma49. Degli oltre 2000 volumi, che si trovavano sparsi nelle stanze e nelle raccolte del palazzo, 930 erano quelli raccolti nella biblioteca papale propriamente detta. I codici greci erano soltanto tre, ben trenta in meno di quelli precedentemente registrati, nessuno dei quali peraltro oggi in Vaticana né nemmeno avvicinabile al Vat. gr. 1209. La breve riga che li descrive, infatti, sebbene generica e, almeno in due casi su tre, senza alcun riferimento al contenuto del codice, esclude tuttavia ogni possibilità di identificazione col codice B. Il n. 1183 è indicato come «Item quidem magnus liber papireus de littera greca, coopertus corio viridi»; il n. 1512 «Item quinque libri de litera greca, quorum quatuor sunt papirei et quintus de pergameno» e, infine, il 2007 «Item liber auctoritatum diversorum sanctorum, in latino e greco scriptus, coopertus corio rubeo». Rispetto al Vat. gr. 1209 nei primi due casi non coincide il supporto scrittorio, essendo i codici avignonesi papirei, ossia cartacei, mentre B è pergamenaceo; nel terzo caso, invece, a escludere ogni possibile identificazione è il contenuto stesso del codice. Non identificabile in nessuno degli inventari delle biblioteche delle varie sedi in cui il grande scisma d’Occidente vide installarsi papi delle tre diverse obbedienze50, si può anche escludere che il Vat. gr. 1209 sia entrato a far parte delle collezioni pontificie al momento del rientro della sede papale a Roma. Lo prova l’assenza di qualsiasi codice greco biblico nell’inventario della biblioteca di Gregorio XII Correr (1406-1415), steso tra il 1411 e il 141251. La mezza dozzina di manoscritti che figurava come 48

Bibliothèques ecclésiastiques cit., p. 35. ASV, Reg. Av. 468, ff. 1r-106v. Si vedano M. FAUCON, La librairie des papes d’Avignon, sa formation, sa composition, ses catalogues (1316-1429), d’après les registres de comptes et d’inventaires des Archives Vaticanes, I, Paris 1886 (Bibliothèques des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 43), pp. 26-100 EHRLE, Historia cit., pp. 277-437, specie 376, nr. 1183; 398 nr. 1512; 429 nr. 2007; DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 317 n. 3 e ID., Le fonds grec cit., p. 4 n. 20[a]; Bibliothèques ecclésiastiques cit., p. 64; M.-H. JULLIEN DE POMMEROL – J. MONFRIN, La bibliothèque à Avignon au XIVe siècle, in Histoire des bibliothèques françaises, I: Les bibliothèques médiévales, du IVe siècle à 1530, sous la direction de A. VERNET, Paris 1989, pp. 147-169; IID., La Bibliothèque pontificale à Avignon et à Peñiscola pendant le grand schisme d’Occident et sa dispersion, Rome 1991 (Collection de l’École française de Rome, 141); PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale cit., pp. 99-103. 50 PARAVICINI BAGLIANI, La biblioteca papale cit., pp. 103-105. 51 ASV, Indici 5, ff. 1r-10v. Si vedano A. MERCATI, La biblioteca privata e gli arredi di cappella di Gregorio XII, in Miscellanea Francesco Ehrle, V, Roma 1924 (Studi e testi, 41), pp. 49

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greca, infatti, non era altro che una raccolta di opere sì greche, ma in traduzione latina52. L’ultimo inventario redatto prima della fondazione della Vaticana è quello dei 351 libri di Eugenio IV, redatto nel 144353. Di questi volumi, 224 sono stati riscontrati negli attuali fondi Vaticano latino e greco, ma nel secondo si trova oggi soltanto il Vat. gr. 32854. Si trattava, dunque, di «modesti esemplari in greco, ma di impronta occidentale»55. 2. Il codice B nell’antica sede niccolino-sistina della Vaticana a. Nella Vaticana di Niccolò V Non si trova traccia del Vat. gr. 1209 nemmeno nella collezione di codici greci allestita da Niccolò V Parentucelli (1447-1455), il papa cui si deve la fondazione della moderna Vaticana. La descrizione della collezione libraria niccolina è giunta tramite l’inventariazione fattane, per volontà del successore, Callisto III de Borja (1455-1458), dal suo datario, confessore e bibliotecario, l’agostiniano Cosimo di Montserrat56. 128-165, ristampato in ID., Saggi di storia e letteratura, Roma 1982 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 157), pp. 49-93; Bibliothèques ecclésiastiques cit., p. 77 e A. MANFREDI, La nascita della Vaticana in età umanistica da Niccolò V a Sisto IV, in Le origini della Biblioteca Vaticana cit., pp. 147-236, segnatamente pp. 150-154. 52 Una valutazione complessiva in MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., p. 150. 53 ASV, Coll. 490, ff. 1-29. Si vedano E. MÜNTZ – P. FABRE, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle. Contributions pour servir à l’histoire de l’humanisme d’après des documents inédits, Paris 1887 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 48) [réimp. anast., Amsterdam 1970], pp. 9-32, specie 20 e 30; nello stesso volume, p. 5 n. 3, è fatta menzione della lettera di Ambrogio Traversari del 3 marzo 1432, in cui il camaldolese dà conto di una visita alla biblioteca di Eugenio IV, dalla quale non si trae nulla circa la presenza di un codice biblico: «Pontificis bibliothecam ingressus, graeca volumina quaedam notavi. Novi nihil inveni, praeter quam Isaac Syri opuscula De perfectione vitae religiosae». Si vedano anche DEVREESSE, Pour l’histoire cit., pp. 320-321; ID., Le fonds grec cit., pp. 7-8; J. FOHLEN, La bibliothèque du pape Eugène IV (1431-1447). Contribution à l’histoire du fonds Vatican latin, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 452); LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 3-4 e MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., pp. 154-159. 54 LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 3-4 e MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., p. 159 riconoscono l’attuale Vat. gr. 81 nel psalterium partim in latino partim in greco, in pergameno, bona littera grossa, mentre DEVREESSE, Pour l’histoire cit., pp. 320-321 e ID., Le fonds grec cit., pp. 7-8 sosteneva che nella biblioteca di Eugenio IV fossero presenti anche altri codici ancora in Vaticana. 55 MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., p. 159. 56 A. M. ALBAREDA, Il bibliotecario di Callisto III, in Miscellanea Giovanni Mercati, IV, Città del Vaticano 1946 (Studi e testi, 124), pp. 178-208; MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., pp. 182-189 con la scheda biografica di CH. M. GRAFINGER, Cosimo di Montserrat, il secondo bibliotecario della Vaticana, p. 187.

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Cosimo nel 1455 censì i codici latini in una prima lista57, quelli greci in una seconda58, affidando a una terza l’inventariazione di quelli rimasti nel cubiculum di Niccolò V al momento della morte59. Ne risulta una biblioteca di oltre 1200 manoscritti, di cui 824 latini e 414 greci (353 presenti nel Palazzo Apostolico, gli altri in prestito: 30 e poi 21 a Isidoro di Kiev, 11 a Bessarione, 9 a Francesco Griffolini da Arezzo)60, che non aveva nessun termine di paragone con quelle precedentemente raccolte dai papi né per quantità di codici né per qualità e varietà di testi rappresentati. I volumi greci, descritti mediante l’indicazione di formato, dimensione, supporto scrittorio, colore e materia della coperta, e titolo dell’opera61, furono inventariati secondo una divisione in nove sezioni, intitolate a un autore di riferimento o a un ambito tematico o disciplinare: Opera sancti Grisostomi (codici 1-40); Opera sancti Basilii (41-59); Opera sancti Gregorii (60-75); Opera Metaphraste (76-92); Climax (93-97); Athanasii, con letteratura sacra, filosofia, diritto, storia (98-271); libri rethorices (272-304); libri gramatices (305-341); libri mathematici (342-353). Alla fine dell’inventario dei codici greci si trova quello dei volumi prestati ai cardinali Ruteno e Bessarione, e al Griffolini. Ebbene, nell’inventario dei codici greci di Niccolò V, che pure aveva avuto un ruolo essenziale nell’ampliare questa sezione mediante ricerche e acquisti mirati62, non compare alcuna voce che descriva una Bibbia nella versione dei Settanta. Numerosi sono ora i manoscritti che contengono i 57 La minuta in Vich, Museu Episcopal 201, ff. 36r-74v e la stesura definitiva in Vat. lat. 3959. La prima edizione in MÜNTZ – FABRE, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle cit., pp. 48-113, cui è seguita quella di A. MANFREDI, I codici latini di Niccolò V. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 359), pp. XLVIXLVII, XLVII-XLVIII e 5-497. 58 Vich, Museu Episcopal 201, ff. 3r-21r edito da MÜNTZ – FABRE, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle cit., pp. 316-343 e da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 11-42. 59 Edito da MANFREDI, I codici latini cit., pp. XC-XCII e 505-514. 60 Le liste di prestito di codici ai tre umanisti (Vich, Museu Episcopal 201, ff. 1r e 19r-21r) sono state edite da MÜNTZ – FABRE, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle cit., pp. 316-317 e 339-343 e da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 37-42; quella dei codici prestati a Isidoro da G. MERCATI, Scritti d’Isidoro il cardinale Ruteno e codici a lui appartenuti che si conservano nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma 1926 (Studi e testi, 46), pp. 79-82. 61 MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., p. 184. 62 Sotto il pontificato di Niccolò V, che spedì emissari in oriente per procurarsi manoscritti in greco e che ebbe per bibliotecario un grecista raffinato come Giovanni Tortelli, entrarono in Vaticana i codici greci di Cristoforo Garatone e, nel giugno 1453, tre codici di Ludovico da Strassoldo (gli attuali Vat. gr. 32, 365 e 492). Su queste vicende si vedano MERCATI, Scritti d’Isidoro cit., pp. 106-116 e ID., Intorno a Eugenio IV, Lorenzo Valla e fra Ludovico di Strassoldo, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 5 (1951), pp. 43-47; poi in ID., Opere minori, VI, cit., pp. 357-367; DEVREESSE, Pour l’histoire cit., pp. 321-322; ID., Le fonds grec cit., p. 9 e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 4.

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Vangeli, gli Atti degli Apostoli, l’Epistolario paolino o alcuni libri dell’Antico Testamento, soprattutto il Salterio, ma nessuna Biblia appare registrata63. Una conferma di questa assenza si ha dall’esame dei primi studi filologici sul testo della Bibbia, condotti da Lorenzo Valla64, e delle traduzioni commissionate da Niccolò V a Giannozzo Manetti65. In nessuna di queste opere si fa cenno a B, che dunque non fu mai a disposizione del gruppo di studiosi gravitanti attorno a papa Parentucelli e che utilizzavano i codici della nuova biblioteca. Il papa stesso e il suo bibliotecario, Giovanni Tortelli, sembrano orientati a uno studio della Bibbia diverso, attento al recupero di commenti greci sconosciuti in Occidente — come quelli di Giovanni Crisostomo — piuttosto che a una revisione critica del testo tràdito dalla Vulgata66. b. Nella Vaticana di Sisto IV Secondo Mercati è vent’anni dopo l’inventario di Cosimo che compare la prima traccia della presenza in Vaticana di B, riconosciuto in una voce dell’inventario redatto nel 1475 da Bartolomeo Sacchi67, detto Platina, bibliotecario di Sisto IV (1471-1484)68. In questo primo inventario sistino la sezione dei codici greci conta 770 manoscritti, cui, in corso d’opera, furono aggiunte ulteriori unità, sia dallo stesso Platina che da una mano contemporanea, probabilmente quella del custos Demetrio Guazzelli da Lucca, per un totale di 811 manoscritti. 63 Contro questa evidenza va ad urtare l’ipotesi di ŠAGI, Problema historiae cit., pp. 7-8, — avanzata peraltro senza alcuna prova documentaria — che il Vat. gr. 1209 sia stato acquisito al tempo e per volontà di Niccolò V, che lo avrebbe avuto «e monasterio quodam Graeco Italiae meridionalis». 64 L. VALLA, Collatio Novi Testamenti, redazione inedita a cura di A. PEROSA, Firenze 1970 (Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, Studi e testi, 1) e CAMPOREALE, Lorenzo Valla cit. 65 MANFREDI, Manoscritti biblici cit., pp. 488-495. 66 MANFREDI, Manoscritti biblici cit. 67 L’inventario è conservato sia nella copia di dedica, quella del Vat. lat. 3953, sia in quella d’uso, contenuta nel Vat. lat. 3954, ff. 1-55v (mss. latini) e 57-75v (mss. greci). Si veda A. DI SANTE, La biblioteca rinascimentale attraverso i suoi inventari, in Le origini della Biblioteca Vaticana cit., pp. 309-350, segnatamente p. 312. La sezione greca, che qui interessa, è stata edita da MÜNTZ – FABRE, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle cit., pp. 225-250 (mentre quella latina alle pp. 159-225) e da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 45-80. Ne è in corso una nuova edizione a cura di A. Manfredi, D. F. Jackson e di chi scrive. 68 Sulla figura e l’attività del Platina DEVREESSE, Pour l’histoire cit., pp. 324-325, ma soprattutto MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., pp. 209-228 con la scheda di CH. M. GRAFINGER, Bartolomeo Platina quarto, ovvero ‘primo’ bibliotecario della Vaticana, p. 208.

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Questi sono suddivisi in 12 sezioni, più numerose e meglio individuate di quelle adottate da Cosimo di Montserrat: Greca opera poetice et grammatice (codici 1-79); Greci historici (80-144); Greci oratores (145-215); Philosophi (216-312); Medici greci (313-327); Astrologi greci (328-376); Libri greci in iure civili et canonico (377-398); Interpretationes de latino in grecum (399411); Auctores clariores ecclesie (412-618); Officium commune ecclesie (619638); Testamentum antiquum et novum (639-696); Obscuriores quidam auctores ecclesie (697-816). Nella penultima sezione, dedicata al Testamentum antiquum et novum, si trova una voce (nr. 649), che descrive una Biblia ex membranis in rubeo, ossia l’intero testo sacro scritto su pergamena e con un rivestimento rosso69. In questa descrizione Mercati riconosce il Vat. gr. 1209, che effettivamente è una Biblia su pergamena, sebbene non sia conservata la sua coperta originaria. Un’individuazione questa tutt’altro che pacifica, se Robert Devreesse, editando l’inventario, pose a fianco dell’identificazione di Mercati un punto interrogativo, ad indicare un non esiguo residuo di perplessità70. In effetti, la voce che presenta il codice secondo il modello di descrizione predisposto da Platina è piuttosto sintetica e offre pochi riscontri diretti col manoscritto71. La proposta avanzata da Mercati poggia sul fatto che la Biblia descritta da Platina, che è anche l’unica presente nell’inventario, aveva una legatura in assi di legno rivestite di cuoio rosso, esattamente come quella che sarà descritta, sempre sotto Platina, nell’inventario seguente (1481), con una voce, che — quella sì — non lascerà dubbi circa l’identificazione con B. È esclusa così anche ogni possibilità di confusione con il secondo esemplare di Biblia greca che la Vaticana acquisirà entro il 1481, dal momento che i piatti della legatura avevano un rivestimento di colore nero (in nigro), come appare sempre dal secondo inventario di Platina72. Se si accetta la proposta avanzata da Mercati, si è portati a datare l’ingresso del codice B nella collezione papale in un lasso di tempo abbastanza circoscritto, che va dal 1455 al 1475, ossia in un ventennio che vide avvicendarsi quattro papi: Callisto III (1455-1458), Pio II Piccolomini (145869

Vat. lat. 3954, f. 71v e Vat. lat. 3953, f. 75r; DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 73. DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 73. D’accordo con l’identificazione avanzata da Mercati anche SKEAT, The Codex Vaticanus in the Fifteenth cit., p. 455. Contrario P. BATIFFOL, La Vaticane de Paul III à Paul V d’après des documents nouveaux, Paris 1890, p. 82: «On a dit qu’il figurait dans les anciens catalogues de la bibliothèque du Vatican de la fin du XVe et du XVIe siècle: c’est une erreur: je l’ai vainement cherché dans l’inventaire de Nicolas V, dans celui de Léon X et dans celui de Paul III». 71 DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., p. 313. 72 DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., p. 313. 70

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1464), Paolo II Barbo (1464-1471) e Sisto IV (1471-1484), sotto i quali sono documentate importanti acquisizioni a favore della biblioteca del Palazzo Apostolico. In particolare, sotto i pontificati di Paolo II e Sisto IV entrarono in Vaticana sei codici greci acquistati tramite Laudivio Zacchia73, almeno trenta volumi appartenuti a Isidoro di Kiev, il cardinale Ruteno, morto nel 146374, i manoscritti di Giorgio Scolario, patriarca di Costantinopoli dal 1454 col nome di Gennadio II e morto poco dopo il 147275, e, infine, quattro manoscritti del cardinale Bessarione di Trebisonda, deceduto nel 147276. In un periodo così ricco di acquisti, accessioni e spogli, ma al contempo così carente di documentazione storica, potrebbe esser collocato l’ingresso in Vaticana del codice B, a proposito del quale tuttavia Mercati non formula alcuna ipotesi. Lo studioso non riconnette esplicitamente né lascia intendere di ritenere l’arrivo del Vat. gr. 1209 legato alle eredità di Isidoro Ruteno, di Bessarione77, di Scolario o a specifici lotti di codici che dall’Oriente iniziavano a fluire in Occidente e a Roma per il tramite di intermediari appositamente incaricati. Due dei tre cardinali appena citati, ossia Isidoro e Bessarione, facevano parte della delegazione greca che accompagnò l’imperatore Giovanni VIII Paleologo al Concilio di Firenze nel 1438-39 ai tempi di Eugenio IV. Questa circostanza ha spinto ad ipotizzare che il prezioso codice fosse tra i donativi che le due delegazioni si scambiarono78. Sarebbe stato in quella circostanza che esso avrebbe subìto un veloce restauro che ne avrebbe 73 DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 323; ID., Le fonds grec cit., p. 42 e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 5. 74 MERCATI, Scritti d’Isidoro cit.; DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 323; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 14; LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 5; MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., pp. 194 e 198. 75 G. MERCATI, Appunti scolariani, in Bessarione 36 (1920), pp. 109-143, poi in ID., Opere minori, IV, cit., pp. 72-97, 174-175 e 178-180, specie pp. 81, 84-85, 89-93; DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 323; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 14 e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 6. 76 DEVREESSE, Pour l’histoire cit., pp. 323-324, ID., Le fonds grec cit., pp. 68 nr. 552, 89 nr. 164, 102 nr. 458, 110 nr. 651, BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 14 e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 6. 77 Come invece già BATIFFOL, La Vaticane de Paul III cit., p. 82. 78 Si vedano i due volumi Firenze e il Concilio del 1439. Convegno di Studi, Firenze, 29 novembre – 2 dicembre 1989, a cura di P. VITI, Firenze 1994 (Biblioteca Storica Toscana, 29). Inoltre, SKEAT, The Codex Vaticanus cit., p. 463, seppure con cautele, riprese e ampliate da P. CANART, Le Vaticanus graecus 1209: notice paléographique et codicologique, in Le manuscrit B de la Bible cit., pp. 19-45, segnatamente p. 27. Tuttavia nel 1999 SKEAT, The Codex Sinaiticus, the Codex Vaticanus cit., pp. 620-623, è tornato ad avanzare con vigore l’ipotesi del donativo al papa. Si veda, da ultimo, A. M. PIAZZONI, Cenni storici sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana, in A. M. PIAZZONI – A. MANFREDI – D. FRASCARELLI – A. ZUCCARI – P.

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reintegrato le parti mancanti all’inizio, al centro e alla fine mediante supplementi vergati in corsivo, che l’analisi paleografica data effettivamente alla prima metà del Quattrocento79. Un altro elemento interessante è il fatto che Bessarione fece fare una copia del codice B, ancora oggi conservata tra i suoi volumi, che egli volle destinare a una erigenda biblioteca pubblica in Venezia, ossia il Marcianus gr. 680. Tuttavia, se il cardinale potrebbe plausibilmente aver fatto eseguire la copia81, avendo trovato il codice in Vaticana, avrebbe potuto fare altrettanto, se fosse stato lui il possessore o un amico del possessore del codice, prima che esso entrasse a far parte della collezione papale82. Il che fondamentalmente dimostra che il manoscritto almeno fino agli anni Settanta del XV secolo circolò in ambiente greco, e non latino: qui fu curato il restauro delle parti cadute e la copia bessarionea. Solo successivamente, quando la prima generazione di dotti greci legati al mondo latino venne meno, il volume passò, forse con una delle loro collezioni, in una raccolta latina, la più importante: quella del papa. Per la vicenda del codice B prima della comparsa nella collezione papale sono state formulate, dunque, soltanto delle ipotesi, per quanto basate su dati plausibili83. Da ricordare soprattutto quella avanzata da Carlo Maria Mazzucchi, secondo il quale i codici Vat. gr. 1209, Vat. gr. 2125 (o codex

VIAN, La Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano – Milano 2012 (Monumenta Vaticana selecta), p. 14. 79 CANART, Le Vaticanus graecus 1209 cit., p. 26, le cui conclusioni aveva anticipate a ŠAGI, Problema historiae cit., p. 6. Mercati non sembra avere alcuna certezza circa la datazione dei due supplementi al codice, ma, come si vedrà, cerca di trarre elementi utili dall’analisi dei vari inventari. Ancora valido ŠAGI, Problema historiae cit., p. 29, che: «Scriptura supplementorum codicis B non correspondet scripturis scribarum notorum saec. XV». 80 ŠAGI, Problema historiae cit., p. 9 e CANART, Le Vaticanus graecus 1209 cit., p. 26. 81 L’ipotesi che la mano del copista che lavorava per Bessarione sia quella di Demetrios Sgouropoulos, a servizio del dotto greco sin dagli anni a Mistra, ossia dal 1431 al 1436, e che la copia del codice B possa esser dunque datata agli anni Trenta del XV secolo e localizzata nella zona di Mistra, rimane tuttora poco plausibile e condivisa, come dimostra, da ultimo, P. ANDRIST, Le milieu de production du Vaticanus graecus 1209 et son histoire postérieure: le canon d’Eusèbe, les listes du IVe siècle des livres canoniques, les distigmai et les manuscrits connexes, in Le manuscrit B de la Bible cit., pp. 227-256, segnatamente pp. 249. 82 Si vedano anche ŠAGI, Problema historiae cit., pp. 7-8, che conclude: «valde dubia videtur hypotesis proponens codicem B per Bessarionem in Bibliothecam Vaticanam intravisse», ma anche pp. 11-12, e SKEAT, The Codex Sinaiticus, the Codex Vaticanus cit., pp. 619-622. 83 Una rassegna delle principali ipotesi e delle obiezioni, che sono state loro mosse, in ŠAGI, Problema historiae cit., pp. 5-7, dove vengono discusse le tesi di P. Batiffol, J. H. Ropes, A. Turyn, E. Fabiani e G. Cozza-Luzi, e dello stesso MERCATI, Postille del codice Q cit., p. 28, n. 2.

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Marchalianus) e Paris. gr. 2934 «si trovarono, alla fine del XII secolo, nelle mani del medesimo studioso, che è forse possibile identificare»84. Secondo Mazzucchi, dopo un passaggio nell’Italia del sud, e probabilmente a Reggio Calabria, attorno al X secolo, quando assieme al Marchalianus ricevette una completa ripassatura delle lettere, un aumento della punteggiatura e il corredo integrale di spiriti e accenti85, il Vat. gr. 1209 sarebbe stato riportato in Oriente per salvarlo dalla conquista normanna. Qui sarebbe poi finito in mano a Giovanni Camatero86, legato alla famiglia imperiale e patriarca della sede di Costantinopoli tra la fine del XII secolo e i primi mesi del 1206, quando morì, esiliato a seguito della conquista latina di Costantinopoli (1204). Al patriarca sarebbe da ricondurre parte del materiale esegetico presente sul codice, mentre ai monaci le poco significative annotazioni che si trovano in vari punti, e che confermano il trasferimento del volume nel monastero e mausoleo imperiale di Sosandra, presso Magnesia, dove sarebbe stato messo al riparo alla morte di Camatero. Al soggiorno a Sosandra Mazzucchi riconduce anche le segnalazioni di perdita di fogli e colonne, che dunque dovevano essere già avvenute a quella data e che saranno reintegrate due secoli dopo, nella prima metà del XV secolo, mediante inserzioni di testo in minuscola, che restituiranno al codice biblico la sua integrità87. Proprio dal testo delle integrazioni del codice B ha preso le mosse una ricerca che ha portato nuovi elementi alla storia del Vat. gr. 1209 negli anni precedenti l’ingresso in Vaticana. È dall’analisi del testo della Genesi che si è potuto stabilire che il primo supplemento quattrocentesco di B è stato copiato a partire da un antigrafo 84 C. M. MAZZUCCHI, Per la storia medievale dei codici B e Q, del Demostene Par. gr. 2934, del Cassio Dione Vat. gr. 1288 e dell’Ilias picta ambrosiana, in A. BRAVO GARCÍA – I. PEREZ MARTIN, The legacy of Bernard de Montfaucon: three hundred years of studies on Greek handwriting. Proceedings of the Seventh International Colloquium of Greek Paleography (Madrid – Salamanca, 15-20 September 2008), edited with the assistance of J. SIGNES CODOÑER, Turnhout 2010 (Bibliologia: elementa ad librorum studia pertinentia, 31 A-B), pp. 133-141, segnatamente p. 133. 85 MAZZUCCHI, Per la storia medievale cit., pp. 136-140. Questa ipotesi era già stata avanzata da Antonio Ceriani e ripresa da MERCATI, Postille del codice Q cit., pp. 392-393. 86 MAZZUCCHI, Per la storia medievale cit., p. 135, e P. VERSACE, Alcune note marginali in minuscola del codice B: l’esegesi di un lettore bizantino della seconda metà del XII secolo, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 18 (2011), pp. 639-691, segnatamente pp. 675682. 87 ŠAGI, Problema historiae cit., p. 13: «Tria grandia supplementa in codice B, scil. Gen 1, 1-46, 28 ηρωων (pp. 1-40), Ps 105, 27-137, 6 εφορα (pp. 695-704) et Hebr. 9, 14 καθα/ριει – 13, 25 – Apoc (pp. 1519-1536), communi opinione, prouti dictum est, saec. XV, et quidem ab eadem manu, scripta sunt», e poi: «E quibus vero codicibus, a quo scriba, quo loco et circa quem annum exactius suppletio haec facta sit, non est omnino clarum».

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ben preciso, il Chigiano R IV 3888, manoscritto del XII secolo che nel XV secolo (alla metà o forse dopo) passò nella collezione di Agostino Patrizi Piccolomini89. Questi, infatti, appose sul suo codice una nota di possesso, in cui si dichiara vescovo di Pienza, diocesi di cui fu investito nel 148490. Ne consegue che l’antigrafo del primo dei supplementi di B si trovava in Italia già a quella data e che l’opera di restauro avvenne entro la fine del XV secolo. A parte questo aspetto, la scoperta dell’antigrafo Chigiano R IV 38 solleva più problemi e domande di quanti non ne risolva. Anzitutto, il Chigiano non è l’unico antigrafo da cui furono tratti gli interventi di integrazione a B, dal momento che, contenendo soltanto, e nemmeno completamente, l’Antico Testamento, il supplemento del Nuovo Testamento dovette esser derivato da un altro codice. In secondo luogo, non è possibile determinare se la trascrizione del supplemento sia avvenuta prima o dopo che Patrizi Piccolomini entrò in possesso del Chigiano R IV 38. Se l’integrazione avvenne quando Patrizi era proprietario del codice, allora se ne dovrebbe concludere che essa ebbe luogo per iniziativa della Vaticana, dal momento che il Vat. gr. 1209 si trovava nel primo banco della sala graeca publica almeno dal 1481, se non dal 1475. Mentre se l’operazione fu fatta prima dell’ingresso del codice in Vaticana, allora l’antigrafo non era ancora in possesso del Patrizi e seguire le tracce del prelato senese rischierebbe di depistare l’indagine. Quanto al Patrizi, è noto che aveva cominciato da giovane a riunire codici greci, proprio a partire da testi biblici, desideroso di diventare competente anche in questa lingua, sebbene la sezione greca della sua biblioteca fu quella meno utilizzata per i suoi studi91. 88 Si vedano J. W. WEVERS, Text History of the Greek Genesis, in Mitteilungen des Septuaginta-Unternehmens 11; Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften in Göttingen 92, 1974, pp. 9 e 13; ŠAGI, Problema historiae cit., pp. 13-17 e P.-M. BOGAERT, Le Vaticanus graecus 1209 témoin du texte grec de l’Ancien Testament, in Le manuscrit B de la Bible cit., pp. 4776, segnatamente p. 62 e ANDRIST, Le milieu de production cit., p. 248. 89 R. AVESANI, Per la biblioteca di Agostino Patrizi Piccolomini, vescovo di Pienza, in Mélanges Eugène Tisserant, VI: Bibliothèque Vaticane, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 236), pp. 1-87, che descrive il codice a p. 38 n. 5. 90 Nato a Siena entro la prima metà del Quattrocento, Agostino Patrizi era legato a Enea Silvio Piccolomini, di cui, eletto papa nel 1458, era divenuto copista privato, lettore, supervisore e revisore alla copiatura dei codici; in seguito Pio II lo nominò abbreviatore. Passato al servizio del cardinal Todeschini e recuperato il favore del nuovo papa Paolo II, nel 1466 divenne Maestro delle Cerimonie pontificie. Legato d’amicizia a Pomponio Leto, ne frequentò il circolo, ma senza lasciarsi trascinare nella congiura contro papa Barbo. Sebbene fosse stato eletto, il 19 gennaio 1484, vescovo di Pienza e Montalcino, tra il 24 dicembre 1485 e il 31 maggio 1489 fu di nuovo chiamato in Vaticano come Cerimoniere pontificio. 91 AVESANI, Per la biblioteca di Agostino Patrizi cit., pp. 4 e, soprattutto, 32. Alla morte del

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Fu Mercati a notare che nella collezione chigiana, e in quella del Patrizi Piccolomini lì confluita, erano annoverati codici greci che, provenienti dalle ricerche fatte in Oriente da Cristoforo Garatone92, erano passati in Vaticana. Almeno in un caso pare molto più che probabile che a favorire la fuoriuscita dalla biblioteca papale fu un prestito a Isidoro di Kiev, concesso probabilmente negli ultimi anni di Niccolò V o nei primi di Callisto III. In questo modo si potrebbe pensare a un legame personale e a uno scambio di codici tra Isidoro e Agostino Patrizi Piccolomini, nell’ambito del quale non sarebbe del tutto improbabile collocare il restauro del Vat. gr. 1209 con l’aggiunta dei supplementi tratti da un codice in possesso del Patrizi. È bene, tuttavia, ricordare che mancano prove documentarie a questa ipotesi. Ma, se anche la vicenda dell’antigrafo del primo supplemento di B, dovesse rivelarsi poco significativa, la presenza del codice in Italia già prima del 1475 è, tuttavia, confermata dal particolare, già ricordato, della copia che ne fece trarre Bessarione. Se l’analisi della mano che ha vergato la copia di B ad uso del cardinale greco è ancora questione controversa, l’analisi delle filigrane della copia rimanda con quasi assoluta certezza all’ambito italiano della fine del XV secolo93. Anche se va tenuto conto del fatto che nel Quattrocento il mondo greco si forniva quasi esclusivamente di carta di fabbricazione italiana. Tutto questo, se non illumina chiaramente l’ultima tappa della vicenda del codice prima del suo approdo alla collezione papale, contribuisce tuttavia a far luce su quanto accadde dopo la penultima tappa nota, ossia quella del soggiorno del codice nei dintorni di Magnesia e, prima ancora, nella capitale imperiale. Non è ancora possibile determinare chi, come e quando abbia portato con sé il Vat. gr. 1209 e l’abbia fatto confluire nella collezione papale. Non resta che tornare alla serie degli inventari vaticani. *

*

*

Se Devreesse mostra di non ritenere certa la presenza di B nel 1475, nessuna esitazione rivela nel riconoscere il codice a partire dall’inventariazione successiva, cui le collezioni vaticane furono sottoposte. Patrizi, tutti i suoi codici greci e cento altri da scegliersi tra i rimanenti furono lasciati in legato al cardinal Todeschini Piccolomini, cioè il futuro Pio III (settembre-ottobre 1503). Passati nella libreria fatta costruire nella Sagrestia del Duomo di Siena, molti codici ne uscirono e circa 200 di essi furono acquistati da Fabio Chigi, poi papa Alessandro VII, che li lasciò alla famiglia. Venduti allo Stato Italiano, i codici Chigiani vennero aggregati alla Vaticana nel 1922. 92 Pochissime le note biografiche, raccolte da MERCATI, Scritti d’Isidoro cit., p. 106. 93 ANDRIST, Le milieu de production cit., p. 249 nt. 66.

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Nel 1481, infatti, ancora sotto Sisto IV, lo stesso Platina redigeva, con l’aiuto del custode Demetrio Guazzelli, un secondo inventario della biblioteca, terminato il 14 settembre di quell’anno, che presenta un notevole motivo di interesse per il fatto di essere il primo inventario topografico della Vaticana94. Mentre la compilazione di Cosimo di Montserrat e la prima di Platina censivano i volumi secondo un ordine tematico, ripartendo i codici sulla base del contenuto95, il secondo inventario di Platina dà conto dei codici in base alla loro disposizione nelle sale della biblioteca. Esso percorre l’intera collezione così come la si poteva trovare disposta nelle tre, e poi quattro stanze, in cui era strutturata la Vaticana, ciascuna coi suoi banchi, le scansie, le casse e gli armadi. Grazie a Platina e ai suoi collaboratori, i codici furono collocati dapprima (1475-1477) in tre sale, due pubbliche — la prima riservata ai codici latini, e detta latina publica, e la seconda ai greci, chiamata graeca publica — e una secreta (poi detta parva secreta), dall’accesso riservato al personale della Biblioteca. Successivamente, tra il 1477 e il 1481 venne aperta una quarta sala, la bibliotheca nova, poi detta pontificia o magna secreta, anche questa con accesso riservato ai custodi96. Dall’inventariazione del 1481 si apprende che chi fosse entrato nella seconda sala della Vaticana, dedicata alla collezione greca, avrebbe trovato davanti a sé collocati uno dopo l’altro otto banchi in cui erano stati disposti i codici secondo un preciso ordine per facultates o materie, che si sviluppava da quelle sacre a quelle profane: in primo banco stava il testamentum vetus et novum, cui seguivano in secundo, tertio et quarto banco gli auctores clariores e, in quinto banco, lo ius civile et canonicum. Nel sexto banco si trovavano i manoscritti in philosophia, nel settimo gli oratores et rhetores, mentre nell’ultimo gli historici, poetae et grammatici. 94

Dell’inventario possediamo la copia di dedica nel Vat. lat. 3947 e quella d’uso nel Vat. lat. 3952, scritto su carta e che sarà utilizzato dai custodi con scopi diversi fino al novembre 1512. La copia contenuta nell’Ott. lat. 1904, ff. 31-41 e 82-91v, è invece una sorta di adattamento dell’inventario del 1481 con quello che sarà poi redatto nel 1484. La sezione greca dell’inventario è stata edita da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 82-120, ma se ne sta preparando una nuova edizione a cura di A. Manfredi, D. F. Jackson e di chi scrive. Sul valore documentario di questo inventario per la storia della Vaticana, si veda MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., pp. 217-225 e DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., pp. 316-317. 95 Dall’inventario del 1455 si poteva dedurre soltanto che i codici latini erano conservati in otto armadi, posti sei a sinistra e due a destra di un’unica sala, mentre quanto a quelli greci non si dice nulla circa l’ubicazione e la modalità di custodia. Si veda A. MANFREDI, L’antica sede della Biblioteca Vaticana, in PIAZZONI – MANFREDI – FRASCARELLI – ZUCCARI – VIAN, La Biblioteca Apostolica cit., pp. 152-153. 96 MANFREDI, L’antica sede cit., p. 153.

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Nel primo banco, legata da una catena metallica, come tutti gli altri codici delle due sale publicae, stava, in terza posizione, una Biblia in tribus columnis, ex membranis in rubeo97, in cui Mercati, e Devreesse dopo di lui, riconoscono il codice B. La voce stesa da Platina, questa volta, indica inequivocabilmente il Vat. gr. 1209 per via di quell’in tribus columnis98, che si attaglia perfettamente e coglie l’aspetto più significativo e vistoso dell’impaginato del codice, che presenta perlopiù il testo su tre colonne99. Un’aggiunta che si era probabilmente resa necessaria per il fatto che in quest’epoca la collezione pontificia aveva acquisito una seconda copia del testo biblico nella versione dei Settanta, che poteva esser confusa con quella già in possesso. In realtà, se l’attuale codice B era rivestito di rosso, la coperta dell’altro codice, l’attuale Vat. gr. 330100, era in nigro, ma il fatto che il dato del colore della coperta fosse instabile, a causa di eventuali nuove rilegature, indusse probabilmente gli estensori dell’inventario a inserire nella voce un’annotazione che richiamasse l’impaginato del testo. Un dettaglio tutt’altro che trascurabile, dal momento che negli inventari redatti in biblioteca non si era soliti fare cenno a elementi simili. Si tenga anche conto che ad un occhio latino, abituato anche per i libri greci a impaginazioni a piena pagina o su due colonne di testo, questo codice risultava davvero inusuale. Di norma, la voce era concepita come una descrizione del codice, tale da permettere di individuarlo tra gli altri poggiati sul banco o sulla scansia sottostante, senza bisogno di aprirlo o, tanto meno, di sfogliarlo. Essa, infatti, conteneva tre elementi che rimandavano ad aspetti esterni del codice 97 Vat. lat. 3947, f. 24v; Vat. lat. 3952, f. 50v; Ott. lat. 1904, f. 31v; Hannover, XLII 1845, f. 26v. Si veda DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 82. 98 Mercati precisa che l’annotazione in tribus columnis compare per la prima volta in questo inventario (1481) e non già nel precedente (1475), come asserirono per errore C. VERCELLONE nella sua introduzione a Η ΠΑΛΑΙΑ ΚΑΙ Η ΚΑΙΝΗ ΔΙΑΘΗΚΗ. Vetus et Novum Testamentum, ex antiquissimo codice Vaticano, edidit A. MAIUS, S.R.E. Card., I, Romae MDCCCLVII, pp. III-IV, n. 1, I p., III sq. e ID., Dissertazioni accademiche di vario argomento, Roma 1864, p. 116; e I. CARINI, La Biblioteca Vaticana proprietà della Sede Apostolica, Roma 1893, p. 49. L’errore, che trasse in inganno molti, tra cui Gebhardt, fu riconosciuto e corretto da P. FABRE, La Vaticane de Sixte IV, in Mélanges d’archéologie et d’histoire 15 (1895), pp. 455-483, segnatamente p. 472. 99 Il testo biblico è disposto nel Vat. gr. 1209 su tre colonne, ad eccezione dei libri sapienziali, presentati su due colonne soltanto. 100 Mercati, pur notando che l’inventario del 1481 presenta il codice come Biblia, ex membranis in nigro (DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 82), mentre l’attuale Vat. gr. 330 è un codice cartaceo e non membranaceo, ribadisce la sua proposta di individuazione, ritenendo l’ex membranis un errore per ex papyro, sulla base di un’annotazione apposta da una mano interna alla biblioteca sulla copia d’uso (Vat. lat. 3952, f. 50r), che segnala come fosse questo il codice biblico dato in prestito al cardinal Ximenes per la Poliglotta Complutense. Fu proprio il Vat. gr. 330 ad essere inviato in Spagna da Leone X per questo scopo.

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o passibili di esser riscontrati, appena sollevato il piatto anteriore: colore della coperta, supporto scrittorio e trascrizione del lemma. Il lemma era una strisciolina, di pergamena o di carta, incollata sul piatto anteriore del codice o, in alternativa, sul dorso, sulla quale era scritto il nome dell’autore e/o il titolo della prima opera contenuta o riconosciuta nel codice o di quella ritenuta più importante. La recente scoperta101 di una fedele trascrizione di quasi tutti i lemmata presenti sui codici vaticani attorno al primo decennio del XVI secolo ha permesso di riscontrare come le informazioni contenute sul lemma coincidessero con le voci degli inventari interni, così che chi avesse scorso l’inventario e trovata la descrizione del codice, potesse recarsi al banco indicato e riconoscervi agevolmente quel che cercava, mediante due indicazioni efficaci già dal solo punto di vista visivo, come il colore della coperta e il tipo di supporto scrittorio, alle quali era unita, a riscontro, l’indicazione dell’autore e dell’opera principale del codice. Data questa prassi, il fatto che Platina abbia composto una voce più ampia del solito e specificato che il testo era in tribus columnis appare non solo elemento probante per l’identificazione con il Vat. gr. 1209, ma anche segno di una qualche consapevolezza della specificità del manoscritto e della modalità con la quale il testo vi era disposto. La copia d’uso di questo inventario, inoltre, permette di aggiungere che il codice era abitualmente incatenato in modo che stesse sul leggìo, ossia sul ripiano superiore del banco. La mano di un custode della Biblioteca, infatti, ha apposto a fianco della voce in questione (come anche di altre, precedenti o successive) l’indicazione supra. Essendo i banchi della sala graeca publica composti di un piano superiore o leggìo (indicato come supra) e di una scansia inferiore (indicata come infra), così da contenere ad ogni postazione due codici, che si potevano spostare da un ripiano all’altro grazie all’agio che permetteva la catena che li vincolava al banco, è evidente che B doveva trovarsi abitualmente sul leggìo del banco, sebbene potesse esser spostato infra, nel caso in cui un lettore avesse avuto necessità di consultare il codice che abitualmente era riposto in basso. Il fatto che B, al momento del suo arrivo in Vaticana, sia stato collocato nella graeca publica, e non in una sala secreta, è già di per sé un elemento, che permette di dedurre come esso venisse considerato dai custodi. La publica conservava e offriva agli studiosi una copia dei testi più significativi di un determinato ambito tematico o facultas, mentre nelle sale riservate, trovavano posto, in armadi senza il vincolo della catena, sia i testi di maggior pregio sia i doppioni, per i quali si concedeva più facilmente il prestito, 101 Inventari di manoscritti greci della Vaticana sotto il pontificato di Giulio II, a cura di G. CARDINALI, di prossima pubblicazione nella collana Studi e testi.

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sia, infine, i volumi malconci o troppo delicati, spesso lì collocati in attesa di restauro. Il Vat. gr. 1209, essendo uno dei due codici biblici greci completi e trovandosi in condizioni di conservazione buone, doveva apparire, a un tempo, necessario alla completezza della collezione della graeca publica e non troppo prezioso o delicato, da richiedere di essere conservato a parte o sottratto alla consultazione diretta dei frequentatori della Vaticana. È necessario ora fare un passo indietro di tre o quattro anni e tornare dalla biblioteca del 1481, descritta dal secondo inventario di Platina, a quella che era ancora nel pieno dei lavori di ampliamento, promossi dallo stesso Platina, per l’apertura della quarta sala e il completamento delle tre già in funzione. Forti delle informazioni topografiche del 1481, è possibile tornare a un curioso inventario delle sale publicae e della parva secreta, steso tra 1477 e 1478 da un visitatore esterno: Antonio de Thomeis102. La sua è una compilazione in versi, tesa a magnificare una delle opere più importanti del pontificato di Sisto IV, che fu appunto la ripresa e il compimento del progetto niccolino di una moderna biblioteca papale. Mercati non cita questo inventario, perché effettivamente non vi si trova traccia del Vat. gr. 1209103. Sebbene di due o tre anni successivo al primo inventario di Platina, de Thomeis non registra la presenza nella graeca publica del codice B. Descrivendone i banchi in senso contrario a quello adottato negli inventari interni, e dunque iniziando dall’ottavo, dedicato ai classici greci e aperto dal Tucidide Vat. gr. 127, per risalire al primo, consacrato alla Scrittura e alla teologia, de Thomeis, giunto al banco del Testamentum vetus et novum, non descrive, ai vv. 1370-1371, che una sola Bibbia greca, presentata come Bibia (…) istoriata di storie degne / di figur d’oro104. Una voce che in alcun modo può attagliarsi al Vat. gr. 1209, privo di miniature e non istoriato, e che ha fatto supporre che: «probabilmente il de Thomeis si riferisce ad un altro codice biblico spostato altrove e sostituito con il Vat. gr. 1209 tra il 1478 e il 1481»105. Questa assenza del Vat. gr. 1209 dall’inventario di de Thomeis è un elemento che merita di essere considerato in tutte le sue implicazioni. Da un lato, il fatto che de Thomeis, in Vaticana tra 1477 e 1478, sem102 Vat. lat. 4832, edito in ANTONIO DE THOMEIS, Rime. Convivium scientiarum — In laudem Sixti Quarti Pontificis Maximi, a cura di F. CARBONI e A. MANFREDI, Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 394). 103 Nessun riferimento al de Thomeis in DEVREESSE, Le fonds grec cit., la prima presentazione del testo in GRAZIANO DI S. TERESA (Bruno Maioli) OCD, Un inventario inedito in terza rima sulla Biblioteca Vaticana di Sisto IV, in Ecclesia 18, 1 (1959), pp. 18-25. 104 DE THOMEIS, Rime cit., p. 255. 105 DE THOMEIS, Rime cit., p. 255.

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bri non aver visto il codice potrebbe deporre contro l’identificazione di B nell’inventario del 1475, operata da Mercati, andando a rafforzare le perplessità di quanti, come Devreesse, non considerano che la voce di Platina si attagli inconfutabilmente al Vat. gr. 1209. In questa prospettiva, il silenzio di de Thomeis su B assurgerebbe a smentita definitiva della presenza del codice in Vaticana nel 1475, spostandone l’ingresso a un periodo successivo, da porre tra il 1478 e il 1481. Ossia tra la visita di de Thomeis e la stesura del secondo inventario di Platina. Dall’altro lato, si potrebbe obiettare che de Thomeis non è Fabio Vigili, ossia è un curioso notaio romano con la passione per la poesia encomiastica, e non un raffinato e dotto bibliofilo, tanto colto quanto attento ed esaustivo nelle descrizioni dei codici, come sarà l’erudito Spoletino, che entrerà in biblioteca per la sua inventariazione sotto Giulio II della Rovere. Si potrebbe, dunque, supporre che il codice fosse al suo posto, incatenato al primo banco, ma che de Thomeis non ne abbia fatto menzione, perché non lo vide o perché, letto il lemma con la semplice indicazione biblia, aprì il codice, ma non lo trovò così interessante da registrarlo. Il de Thomeis non era certo un grecista e il Vat. gr. 1209 non presenta elementi paleografici o codicologici per attirare l’attenzione di un profano. c. Nella Vaticana di Innocenzo VIII La presenza di B nel primo banco della graeca publica continua ad essere attestata nel terzo inventario ufficiale106, steso nel 1484 sotto Innocenzo VIII Cybo (1484-1492), proprio mentre ai vertici dell’istituzione il nuovo papa si liberava del bibliotecario Bartolomeo Manfredi, nominato da Sisto IV, e vi poneva il dotto monaco guglielmita Cristoforo Persona107. Il nuovo inventario, condotto come una revisione e un aggiornamento del precedente lavoro di Platina, registra una lieve flessione dei codici gre106 Vat. lat. 3949, ff. 41-52 e 117-131, edito da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 122-151 (sala publica graeca) e 136-151 (parva secreta), ma di cui si sta preparando una nuova edizione da parte di A. Manfredi, D. F. Jackson e di chi scrive. Si veda anche DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., p. 320. 107 Sulle figure di Bartolomeo Manfredi e Cristoforo Persona, si vedano DEVREESSE, Pour l’histoire cit., pp. 325-326, e A. RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento, in Le origini della Biblioteca Vaticana cit., pp. 237-307, segnatamente pp. 239-250, con la scheda, a p. 240, di CH. M. GRAFINGER, Bartolomeo Aristofilo Manfredi e Cristoforo Persona, i successori immediati del Platina. Una nuova presentazione di questi due personaggi e delle loro vicende è ora offerta da F. D’AIUTO, Nuovi manoscritti di Nicola Calligrafo, copista del «Menologio imperiale di Mosca» (con qualche osservazione sugli inventari della Biblioteca Vaticana del 1481 e del 1484), in Studi in onore del cardinale Raffaele Farina, a cura di A. M. PIAZZONI, I, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 477), pp. 303-401, segnatamente pp. 354-401

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ci, che passano da 879 a 853, tra i quali si trovano sedici nuovi pezzi, alcuni dei quali provenienti dalla dozzina di manoscritti acquistati da Giovanni Argiropulo per ordine del bibliotecario Manfredi (1481-1484). Al pontificato di Innocenzo VIII sono poi da ricondurre due accessioni importanti. Dapprima i due lussuosissimi codici biblici offerti al papa dalla regina di Cipro Carlotta di Lusignano, morta a Roma nel 1487, e poi il versamento di otto codici greci appartenuti a Bartholomeus de Columnis108. Fatta eccezione per queste novità, nulla sembra mutato nella graeca publica e nulla è mutato quanto al codice B, ancora al terzo posto del primo banco con una voce leggermente più povera delle precedenti, sebbene non ambigua: Biblia in tribus columnis109. È illuminante, tuttavia, circa la considerazione in cui B era tenuto dai responsabili della biblioteca, il fatto che venisse esposto al pubblico, sebbene vincolato dalla catena, mentre i codici della regina di Cipro (Vat. gr. 1158 e 1208), sebbene assai più tardi e meno preziosi quanto al testo tràdito, ma elegantissimi e dalle ricche decorazioni e crisografie, venissero subito posti al riparo dalla consultazione e dallo studio, in una capsa ferrea, sotto lo stretto controllo del bibliotecario110. d. Nella Vaticana di Giulio II Dal 1484 al 1503, ossia dall’inizio del pontificato di Innocenzo VIII a tutto quello di Alessandro VI de Borja (1492-1503) fino al primo anno di regno di Giulio II della Rovere (1503-1513), non disponiamo più di alcun nuovo inventario né di documentazione direttamente concernente i codici papali e le loro vicende, fatta eccezione per i due registri di prestito, di cui si parlerà in seguito. Del resto, soprattutto quello di papa Borja appare come un periodo di opacità e negligenza nella gestione della Biblioteca,

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DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 326, e A. CAMPANA, Chi era lo stampatore Bartolomeo de Colunnis di Chio?, in Studi e ricerche sulla storia della stampa del Quattrocento. Omaggio dell’Italia a Giovanni Gutenberg nel V centenario della sua scoperta, Milano 1942, pp. 1-32, poi ristampato in ID., Chi era lo stampatore Bartolomeo de Colunnis di Chio, in A. CAMPANA, Scritti, a cura di R. AVESANI, M. FEO, E. PRUCCOLI, I: Ricerche medievale e umanistiche, t. I, Roma 2008 (Storia e letteratura, 240), pp. 137-177. 109 Vat. lat. 3949, f. 41, DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 122. A questo proposito Mercati ricorda la citazione di VERCELLONE nell’introduzione a Η ΠΑΛΑΙΑ cit., p. IV, n. 1 e registra l’assenza di ogni testimonianza anteriore all’inventario del 1533 in W. SANDAY – A. C. HEADLAM, A Critical and Exegetical Commentary on the Epistle to the Romans, Edinburgh 1902, p. LXIII. 110 Vedi infra, pp. 373-374.

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considerata più come un beneficio che come un’istituzione a servizio del ministero petrino111. Manca, dunque, ogni informazione sulla vicenda di B, che per quasi un ventennio, dal 1484 agli inizi del Cinquecento, pare tuttavia non aver subìto vicissitudini particolari, se lo si ritrova ancora in terza posizione nel primo banco della graeca publica nell’inventario conservato nel Vat. lat. 3960, ff. 69-93 (olim 1-28). Sconosciuto a Devreesse e a Di Sante, questo documento, ritrovato tra le carte di Angelo Colocci da Iesi112, costituisce il secondo inventario redatto da un visitatore esterno dopo de Thomeis. Il testo non è né firmato né datato, ma è possibile ricondurlo con buona probabilità all’erudito e traduttore salentino Bartolomeo Picerni da Montesardo, di cui erano finora note le retroversioni latine del Costituto di Costantino e del Contra Alcoranum di Ricoldo da Montecroce, tratte ambedue dalla versione greca di Demetrio Cidone113. I due testi, i cui originali greci Picerni aveva rinvenuto in Vaticana, furono rispettivamente dedicati a Giulio II e Ferdinando d’Aragona. L’opera di traduzione e soprattutto di redazione dell’inventario è databile al biennio 1503-1505, ossia ai primi due anni di pontificato di Giulio II114. Avendo avuto il permesso di ingresso nella biblioteca papale e la facoltà di perlustrarne la sala greca, redigendone un inventario, Picerni la percorse nel senso inverso rispetto a quello presupposto dagli inventari interni, ossia partendo dall’ultimo banco, quello degli autori classici, e risalendo fino a quello biblico, denominando come primo quello che si apriva col Tucidide Vat. gr. 127 e considerando come ottavo quello in cui, almeno dal 1481, si trovava il codice B. Trattandosi, poi, di un inventario ad uso personale, il testo di Picerni si differenzia da quelli redatti all’interno della Vaticana, non facendo quasi mai menzione del supporto scrittorio, né del colore e del tipo di coperta dei volumi, né individuando il contenuto del codice mediante il lemma. Da salentino assai più a suo agio col greco, egli scorre ogni codice, annotando i nomi degli autori e i titoli delle opere più significative o interessanti, elencandoli uno sotto l’altro e riunendoli con una graffa laterale e l’indicazione in uno libro/volumine. Arrivato al primo banco della sala graeca publica, che per lui è l’ottavo, Picerni nota, senza mai distinguere tra supra e infra, sempre in terza po111

RITA, Per la storia della Vaticana cit., pp. 253-260. Inventari di manoscritti greci cit. 113 Inventari di manoscritti greci cit. 114 Inventari di manoscritti greci cit. 112

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sizione, un volume contenente: Biblia / Psalterium / Prophetiè / Epistolae Pauli115. Questa di Picerni segna un progresso nella descrizione del codice, che è qui dilatata oltre un primo e generico Biblia — derivato in tutta evidenza dalla trascrizione del lemma — ad includere alcuni dei contenuti più importanti o evidenti del codice, ossia il Salterio, i libri profetici e le lettere paoline116. Effettivamente, la voce redatta da Picerni presenta caratteri anomali. Pare partire dalla trascrizione del lemma (Biblia) e allargarsi successivamente, quasi per un’improvvisa volontà di maggior precisione, ma registrando libri o gruppi di libri biblici senza un apparente criterio. L’Antico Testamento viene articolato mediante l’aggiunta al generico Biblia del Salterio e dei libri dei Profeti, senza alcuna menzione di una eventuale mancanza dei primi fogli, che rendevano incompleto il codice. Ancor più incompleta la descrizione del Nuovo Testamento, limitata alle lettere paoline, che peraltro il codice non conteneva più integralmente nella sua parte originale117. Purtroppo non è possibile ricavare informazioni supplementari o chiarimenti dall’inventario che venne redatto appena qualche anno dopo quello di Picerni ad opera di Fabio Vigili da Spoleto, che pure ci ha consegnato la ricognizione più ricca, completa e dettagliata dei fondi latino, greco e orientale della Vaticana dalla sua fondazione a tutto il Cinquecento118. Avendo avuto, presumibilmente dal bibliotecario Inghirami, il permesso non solo di prendere in prestito dei codici, ma anche di stendere un loro censimento, Vigili visitò non solo le due sale pubbliche, ma poté entrare anche nelle due secretae. L’inventariazione che ne seguì è la più completa e corretta, dal momento che Vigili era un uomo dotto e versato tanto in greco quanto in latino, oltre che conoscitore di lingue orientali119. 115

Vat. lat. 3960, f. 93v, che sarà edito in Inventari di manoscritti greci cit. Mercati ritiene che questa voce, distinctior, non tamen sic apta et plena, non può essere utilizzata per dimostrare che il Vat. gr. 1209, ancora agli inizi del Cinquecento, era mancante dei fogli iniziali e finali e non era stato reintegrato delle parti mancanti mediante i due supplementi esterni, che ancora oggi lo completano, riportando il primo Genesi 1-46, 27 e il secondo Ebrei 9, 14-13, 24 e tutta l’Apocalisse, e mediante il supplemento che reintegra Salmi 105, 27-137, 6. Nel Vat. gr. 1209 non compaiono inoltre Maccabei, Lettera a Filemone, Prima e Seconda lettera a Timoteo e Lettera a Tito. Si veda da ultimo VERSACE, Alcune note marginali cit., p. 640 nt. 5. 117 Come si è detto Vat. gr. 1209 non contiene, del Nuovo Testamento, Lettera a Filemone, Prima e Seconda lettera a Timoteo e Lettera a Tito. 118 Edito in maniera incompleta da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 153-180, e presentato da DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., pp. 321-322, l’inventario vigiliano della sala graeca publica sarà riedito in Inventari di manoscritti greci cit. 119 Inventari di manoscritti greci cit. 116

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Il testo dell’inventario che Vigili redasse della graeca publica sul finire del primo decennio del Cinquecento è contenuto nel Vat. lat. 7135, ff. 78-164. I 408 codici greci visionati sono descritti a partire dal banco dei classici, aperto dal Tucidide Vat. gr. 127, che egli numera come ottavo, per risalire al primo, che era quello destinato ai codici biblici e teologici. Egli, dunque, segue la stessa numerazione dei banchi degli inventari interni, ma procede a ritroso dai classici alla Scrittura, così come aveva fatto Picerni. Vigili è però il primo a segnalare per ogni singolo banco la distinzione tra supra e infra, ossia tra il leggìo e il vano inferiore, in cui erano posti due codici diversi, sebbene interscambiabili. Come Picerni, anche Vigili era interessato non ai dati esteriori del codice, come la coperta, il supporto e il lemma (a quest’ultimo elemento riservò un’inventariazione a parte, che è anche quella che ci ha permesso di conoscerne i testi, essendo ormai quasi completamente perse le etichette originali)120. Ciò che il suo inventario trasmette è la trascrizione precisa e ordinata di quasi tutti i testi che i singoli codici contenevano, oltre ad eventuali informazioni di carattere storico, paleografico e codicologico che i manoscritti potevano presentare. Giunto In primo scamno (ossia bancho) supra, Vigili trova e descrive, questa volta in seconda posizione, l’attuale Vat. gr. 1209: Biblia tota et completa cum Pentateucho, Prophetis omnibus, Sapientiis et Actibus apostolorum etc.121. La voce di Vigili è più dettagliata e competente di quella di Picerni. L’Antico Testamento vi è, infatti, scandito nelle sue tre parti fondamentali (Pentateuco, libri profetici e sapienziali), sebbene le ultime due siano invertite, ma, quanto al Nuovo, la descrizione si limita ai soli Atti degli Apostoli, cui segue un segno di ecceterazione. Questo, se riconnesso all’esordio della descrizione (Biblia tota et completa) e alla abituale perizia di Vigili, fa pensare che l’erudito avesse sotto gli occhi un codice biblico completo, ossia già dotato dei due supplementi corsivi che ne reintegravano le parti mancanti122.

120

Considerato, anche da Mercati, un altro inventario più succinto o una sintesi di quello più ampio, l’elenco dei lemmata del Vat. lat. 7135, ff. 1r-68v è stato riconosciuto come tale e sarà edito in Inventari di manoscritti greci cit. 121 Vat. lat. 7135, f. 82 v, ora in Inventari di manoscritti greci cit. 122 Mercati, rilevando che l’autore nel descrivere il codice ha dato prova di negligenza e trascuratezza, posponendo i libri profetici ai sapienziali, omettendo molti dettagli e fornendo talora descrizioni inesatte o errate, ritiene improprio usare la descrizione vigiliana a sostegno del fatto che B avesse già ricevuto i tre supplementi corsivi.

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e. Nella Vaticana di Leone X Il primo inventario ufficiale redatto dopo la visita in Vaticana di Vigili è quello che tra 1518 e 1521 venne stilato nell’ambito della rinnovata attenzione alla biblioteca da parte di Leone X de’ Medici (1513-1521). Già nel 1513, appena eletto, il papa aveva emanato un documento col quale intendeva dare nuovo lustro alla biblioteca di palazzo e una gestione più rigorosa ed efficiente (Cum pleraque)123. A questa intenzione corrispose anche la nomina dei due bibliotecari d’età leonina, individuati nell’entourage del papa, di alta levatura e preparazione culturale : nel 1517 venne posto a capo della Vaticana Filippo Beroaldo il giovane, antico segretario del cardinale Giovanni de’ Medici, e, alla sua morte (1518), il domenicano fiorentino Zanobi Acciaioli, che rimase in carica fino alla morte (27 luglio 1519)124. Proprio a seguito della nomina di Acciaioli venne intrapresa una nuova inventariazione, che produsse uno strumento che sostituiva i vecchi inventari di Platina ancora in uso125. I criteri seguiti nell’operazione sono gli stessi che aveva fissato Platina, sia quanto alla descrizione della sala sia quanto a quella del singolo codice. Solo la parva secreta ebbe un’attenzione speciale e descrizioni assai più dettagliate, specie per i codici greci. Ma questo fatto è da imputare agli interessi e all’impegno diretto dell’Acciaioli. Ai due custodes Lorenzo Parmenio da San Ginesio e Romolo Mammacini da Arezzo si deve il resto del lavoro, sebbene sotto la supervisione del bibliotecario. L’inventario della graeca publica registra il Vat. gr. 1209 tra i suoi 449 codici, posto nel primo banco in terza posizione. Quel che muta, rispetto agli inventari del 1481 e 1484, è soltanto un errore nella descrizione del codice, che è presentato come: Biblia in tribus voluminibus, ex membranis in rubro126. È evidente che l’in tribus voluminibus non ha senso in sé e non 123

RITA, Per la storia della Vaticana cit., p. 278. RITA, Per la storia della Vaticana cit., pp. 280-284, quanto a Beroaldo, con la scheda di CH. M. GRAFINGER, Filippo Beroaldo il Giovane, il primo dei tre bibliotecari di Leone X, e pp. 284-287 quanto all’Acciaioli con la scheda di CH. M. GRAFINGER, Il secondo bibliotecario di Leone X: Zanobi Acciaioli. 125 Dell’inventario possediamo sia la copia d’uso (Vat. lat. 3955, di mano di Lorenzo Parmenio, a sua volta copiata nel Vat. lat. 3950) sia l’esemplare di dedica al papa (Vat. lat. 3948). Un indice generale di questo inventario si trova nel Vat. lat. 8185, pt. 2, ff. 403-485. Si veda DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., pp. 322-324. Una prima edizione della sezione greca dell’inventario in DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 186-206 (publica graeca) e pp. 206-235 (parva secreta), che ne aveva anticipato la descrizione in ID., Pour l’histroire cit., pp. 326-327, mentre più recente è quella in Index seu inventarium Bibliothecae Vaticanae divi Leonis Pontificis Optimi. Anno 1518 c. Series graeca, a cura di M. L. SOSOWER – D. F. JACKSON – A. MANFREDI, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 427). 126 Vat. lat. 3955, f. 26r; Vat. lat. 3950, f. 23r e Vat. lat. 3948, f. 21v; Index seu inventarium cit., p. 5. Nell’indice del Vat. lat. 8185, pt. 2, il codice è al f. 416r. 124

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è altro che un errore di trascrizione per in tribus columnis, come il codice era stato descritto nel 1481127. Questo particolare è peraltro illuminante circa la modalità di redazione dell’inventario di Parmenio e Mammacini, che dovettero procedere a una trascrizione rivista e aggiornata in loco dell’inventario del 1481, che era ancora quello in uso in Vaticana. Il codice B, dunque, rimaneva incatenato al suo posto, dove lo registra il quarto inventario della sala greca dovuto a un visitatore esterno, ossia quello redatto da un Giovanni famiglio di un Girolamo, che Devreesse identifica con Giovanni Severo da Sparta, che operò tra il 1517-1518 e il 1519-1521128, ossia durante gli ultimi anni di Leone X129. Erudito greco legato a Girolamo Aleandro, che nel luglio 1517, alla morte di Acciaioli, il papa aveva voluto a capo della Vaticana130, Severo ottenne facilmente il permesso di visitare la sala greca. Egli ne stilò un inventario nella sua lingua natale e procedette, nell’esame dei banchi, esattamente come Vigili, distinguendo tra leggìo (ἐπί) e vano inferiore (ὐπὸ), e iniziando dall’ottavo banco, quello degli autori classici, per risalire al primo, dedicato alla Scrittura e alla teologia131. Facilitato dalla conoscenza del greco, Severo poté redigere un inventario molto dettagliato, ricavando le notizie dai sommari e dalle rubriche dei codici o elaborandole personalmente a partire da un esame diretto del manoscritto. Nella sezione intitolata Τῶν ἐπὶ τῆς πρώτης τραπέζης, si trova, nel leggìo in terza posizione, il codice B, descritto come 394 γ ʹ Περιέχον (βιβλίον) πᾶσαν παλαιάν τε καὶ νέαν γραφήν. Ἔστιν δʼ ἄνευ ἐξηγήσεως132. Il codice B è indicato questa volta mediante una descrizione, che è tratta da un’iscrizione apposta sul codice stesso a grandi lettere (f. 1r): βιβλίον περιέχον πᾶσαν τὴν παλαιὰν γραφήν καὶ τὴν νέαν. Mercati ne trae la prova che almeno nel 1519 il Vat. gr. 1209 aveva certamente acquisito i due supplementi in corsivo, dal momento che sarebbe

127 Mercati imputa a questa svista degli inventariatori leonini e alla loro espressione in tribus voluminibus il fatto che VERCELLONE nell’introduzione a Η ΚΑΙΝΕ cit., p. IV, n. 1, non abbia riconosciuto in questa descrizione il Vat. gr. 1209 e abbia potuto affermare che non se trovava traccia nell’inventario del 1518. 128 Questa la datazione fissata da MERCATI, Carte Mercati 123. Si vedano anche BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 31-32, e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 10-11; nulla in DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit. 129 Vat. gr. 1483, ff. 3. 15-151, edito da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 237-263. 130 RITA, Per la storia della Vaticana cit., pp. 292-298, con a p. 292 la scheda di CH. M. GRAFINGER, Il terzo bibliotecario di Leone X: Girolamo Aleandro. 131 Edito parzialmente da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 313-360. 132 Vat. gr. 1483, f. 136, DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 260.

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assurda l’ipotesi contraria, ossia che l’iscrizione apposta al f. 1r del codice, il cui dettato coincide con quello dell’inventario di Severo, fosse stata tratta da questo e ricopiata sul codice appena dotato di supplemento. Giunti al termine del pontificato di Leone X, è possibile affermare che il codice B per i primi cinquant’anni dalla sua comparsa in Vaticana (14751525) rimase stabilmente collocato al suo posto, incatenato al primo banco della graeca publica, in terza posizione sul leggìo. Non solo, ma in questa posizione rimase e superò indenne quell’evento che pochi anni dopo segnò nella vita della Vaticana un punto di svolta e l’occasione per una nuova inventariazione, ossia il Sacco di Roma del 1527. f. Nella Vaticana tra Clemente VII e Paolo III Sebbene meno rovinoso di quanto le fonti coeve potessero far pensare, il Sacco toccò anche la Vaticana, produsse danni e causò la sparizione di alcuni codici133. Il Vat. gr. 1209, tuttavia, non venne toccato né sottratto, tanto che lo si ritrova al suo posto nell’inventario redatto sei anni dopo, nel 1533, per valutare le perdite subite dalla biblioteca e fissare il nuovo ordine dato ai codici134.

133 Si vedano G. MERCATI, Cenni di A. del Monte e G. Lascaris sulle perdite della Biblioteca Vaticana nel sacco del 1527. Seguono alcune lettere del Lascaris, in Miscellanea Ceriani, Milano 1910, pp. 607-632, poi in ID., Opere minori, III, cit., pp. 130-153, e BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 30-31, e DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., pp. 339-347. Nelle Carte Mercati 123 è citata una lettera in cui si echeggia la vicenda del Sacco del 1527, edita da G. PRZYCHOKI, Richard Croke’s search for patristic mss in connexion with the divorce of Catherine, in Journal of Theological Studies 13 (1912), pp. 285-295, segnatamente p. 292. 134 La sala greca è censita nel Vat. lat. 3951, ff. 73-102, edito da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 266-312, e nuovamente in Librorum graecorum Bibliothecae Vaticanae index a Nicolao De Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno 1533, a cura di M. R. DILTS – M. L. SOSOWER – A. MANFREDI, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 384), pp. 3-102. Si vedano anche DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 327; LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 9-10; RITA, Per la storia della Vaticana cit., p. 298; DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., pp. 324-328; P. PETITMENGIN, con la collaborazione di J. FOHLEN, I manoscritti latini della Vaticana. Uso, acquisizioni, classificazioni, in La Biblioteca Vaticana tra Riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2), pp. 43-90, segnatamente p. 44.

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I custodi Niccolò Maiorano135 e Fausto Sabeo136 lavorarono a riallestire le sale e riordinare i codici, ma non mutarono di posto B, che risulta ancora rivestito in rosso e incatenato al primo banco: Biblia ex membranis in rubro137. Se la descrizione è succinta e riecheggia quella del 1475, l’identificazione del codice è inequivocabile, poiché i custodes apposero a fianco di ogni voce la parola con cui terminava il recto del terzo foglio del rispettivo codice. Nel caso di B la parola-guida apposta è ἐβδόμη, che infatti si trova al f. 2r del Vat. gr. 1209. Mercati nota che, siccome la parola-chiave utilizzata dai custodes nell’inventario del 1533 si trova nel supplemento in minuscola inserito a completare la parte iniziale del codice, si dispone di una conferma inequivocabile che a questa altezza cronologica il manoscritto aveva già subìto il processo di reintegrazione delle parti iniziali, centrali e finali mancanti. In ultimo, la copertura in rubro lascia supporre che il codice non solo rimase al suo posto, ma non subì nemmeno danni materiali o cambi di legatura in seguito al Sacco. Cinque o dieci anni dopo il censimento di Maiorano e Sabeo, i codici greci vennero di nuovo scorsi e inventariati138, e da questa operazione venne tratto un indice di mano di Michele Rosaitos (†1544)139, databile tra il 1538 e il 1544, come vedremo tra poco. Il 24 ottobre 1538 papa Paolo III Farnese (1534-1549) aveva nominato 135

P. PASCHINI, Un ellenista del Cinquecento: Nicolò Majorano, in Atti dell’Accademia degli Arcadi 11 (1927), pp. 47-62, ristampato in volume dalla Tipografia Poliglotta Vaticana nel 1928 e poi in ID., Cinquecento romano e riforma cattolica. Scritti raccolti in occasione dell’ottantesimo compleanno dell’autore, in Lateranum, n.s. 24 (1957), pp. 219-236; M. CERESA, Maiorano, Niccolò, in Dizionario biografico degli Italiani, LXVII, Roma 2006, pp. 660-663; D. MURATORE, La biblioteca del cardinale Niccolò Ridolfi, Alessandria 2009 (Hellenica, 9), I, p. 72 n. 58; RITA, Per la storia della Vaticana cit., pp. 297-298 con la scheda di CH. M. GRAFINGER, Due nuovi custodi a sostituire Parmenio e Mammacini: Fausto Sabeo e Niccolò Maiorano; PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., pp. 44-46 e, da ultimo, CH. M. GRAFINGER, Servizi al pubblico e personale, in La Biblioteca Vaticana cit., pp. 217-236, segnatamente p. 219. 136 RITA, Per la storia della Vaticana cit., pp. 294-296, con la scheda di GRAFINGER, Due nuovi custodi cit. e, da ultimo, GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., p. 219. 137 Vat. lat. 3951, ff. 73r, 107v, ora in Librorum graecorum Bibliothecae Vaticanae cit., p. 3. 138 Edito da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 314-360, sul quale si vedano anche BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 56, nt. 6 e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 10-11. 139 La data di morte al 1544 è ricavata da una lettera di Antonio Eparco a Cervini, datata 24 ottobre 1544 ed edita da L. DOREZ, Antoine Eparque. Recherches sur le commerce des mss. grecs en Italie au XVIe siècle, in Mélanges d’archéologie et d’histoire 13, 3 (1893), pp. 281-364, segnatamente p. 308. Sul personaggio, oltre a Bibliographie hellénique ou description raisonnée des ouvrages publiés par des Grecs aux XVe e XVIe siècle, par É. LEGRAND, I, Paris 1885, pp. CCX-CCXXVII, si vedano E. GAMILLSCHEG, Repertorium der griechischen Kopisten 800-1600.

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bibliotecario Agostino Steuco da Gubbio, vescovo di Kissamos a Creta140, che poteva avvalersi dell’opera del giovane Marcello Cervini141, che sarebbe poi divenuto il primo cardinale bibliotecario e, in seguito, papa col nome di Marcello II. Presso Cervini nel 1540 si era stabilito Guglielmo Sirleto142, appena giunto dalla Calabria. Nel 1548, alla morte di Steuco, sarà Cervini stesso ad assumere la direzione della biblioteca per volontà del papa. È questo un periodo in cui la Vaticana conosce un notevole sviluppo e lo studio del greco vi diviene più diffuso, come rivela la presenza di dotti uomini greci, che vi ebbero anche incarichi ufficialmente riconosciuti e retribuiti: Matteo Devarìs da Corfù fu librorum graecorum corrector dal 1541 al 1581, Giovanni Onorio da Maglie instaurator librorum graecorum dal 1535 al 1555, Emanuele Provataris lavorò in Vaticana tra 1546 e 1571, mentre Francesco Syropulos è ricordato nel 1566 come scriptor Graecus143. A questo periodo risale l’inventario con l’indice di Rosaitos, appena citato, che si inserisce in una serie di inventariazioni e censimenti di codici, attestati da vari documenti, che ancora attendono uno studio e una ricostruzione d’insieme adeguati144. Opera di un érudit inconnu, certamente greco, dal momento che stila il suo inventario in quella lingua (il secondo dopo quello di Severo), il censimento, redatto attorno al 1539, passa in rassegna 744 codici della graeca publica, rispettando la divisione in otto banchi, partendo da quello dei classici considerato come primo, fino a quello dei testi biblici, numerato come 3. Teil, Handschriften aus Bibliotheken Roms mit dem Vatikan, Wien 1997, A. Verzeichnis der Kopisten, p. 173, nr. 467, e GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., p. 220. 140 T. FREUDENBERGER, Augustinus Steuchus aus Gubio, Augustinerchorherr und päpstlicher Bibliothekar (1497-1548) und sein literarisches Lebenswerk, Münster 1935 (Reformationsgeschichtliche Studien und Texte, 64/65), pp. 108-111; E. MÜNTZ, La Bibliothèque Vaticane au XVIe siècle, Paris 1886 (réimpr. Amsterdam 1970), p. 91; DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 328 e ID., Le fonds grec cit., pp. 313-314, 360-361; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 44, e ora PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., pp. 47-49 e GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., pp. 219-220. 141 P. PIACENTINI, Marcello Cervini (Marcello II). La Biblioteca Vaticana e la biblioteca personale, in La Biblioteca Vaticana cit., pp. 105-143, con bibliografia aggiornata. Si veda pure P. PIACENTINI, La biblioteca di Marcello II Cervini. Una ricostruzione dalle carte di Jeanne Bignami Odier. I libri a stampa, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 404). 142 S. LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana, in La Biblioteca Vaticana cit., pp. 145-188. 143 BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 45 n. 16, e GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., p. 227. 144 L’inventario dei codici greci vaticani sotto Paolo III si compone di tre unità: un inventario degli otto banchi della sala graeca publica (all’ottavo banco furono censiti anche codici riposti nella parva secreta), una sua versione incompleta e un indice alfabetico dovuto a Michele Rosaitos. Si vedano DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 328; LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 10-11; PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., pp. 49-50 e GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., p. 220.

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ottavo. L’ottavo è però così ricco di testi, da far pensare che in quella sede siano stati inventariati anche i codici greci che si trovavano negli armadi della parva secreta145. Questa opera di inventariazione, di cui esiste anche una traduzione in latino, conobbe una buona diffusione in tutta Europa, come attestano le copie che ne furono tratte146. Il codice B vi figura al solito posto, nel banco contenente il Testamentum Vetus et Novum, considerato qui come ottavo, descritto con una voce che trascrive ancora l’iscrizione del f. 1r: βιβλίον περιέχον πᾶσαν τὴν παλαιὰν γραφὴν καὶ τὴν νέαν147. Da questo inventario, come si anticipava, Rosaitos stese nel Vat. gr. 1482A148, su mandato papale149 ottenuto per tramite di Steuco150, un catalogo πάντων τῶν ἑλληνικῶν βιβλίων τῆς βιβλιοθήκης τοῦ παλατίου κατʼ ἀλφά­ βητον. A questo periodo risale anche un inventario dovuto a un visitatore, che tra la fine della primavera e l’estate del 1545 entrò in Vaticana e censì la bibliotheca publica Graeca Vaticana e parte di quella secreta, firmandosi Ioannes Metellus Sequanus151. Si tratta di Jean Matal, segretario di Anto145

L’inventario è stato edito una prima volta da F. HAASE, Ein altes Verzeichnis der griechischen Handschriften in der Vatikana, in Serapeum 12 (1851), pp. 129-143, 145-172, 177189, 193-201, 209-217, 235-236, 241-251, 257-261 (a partire da una copia appartenuta a Th. R. Rehdinger, Breslau Rehdinger gr. 186) e poi da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 313-360. 146 Si deve a P. PETITMENGIN, recensione a DEVREESSE, Le fonds grec cit., in Bibliothèque de l’École des Chartes 125 (1967), pp. 457-463, segnatamente p. 459, la presentazione delle copie tratte dalle differenti inventariazioni dell’epoca di Paolo III. Inventario topografico completo: Monacensis gr. 138; Mutinensis gr. 232; Bodleian. Auct. F. inf. 1.13; Arch. Selden B. 6. fol. 72-135v; Auct. T. 5. 31 e Vat. lat. 7764, ff. 267-382 (in greco, e che Mercati ritiene tratto dal Vat. gr. 1484B). A queste Mercati aggiunge anche Bodleian. Miscell. gr. 299 e Ambros. Q 111 sup., oltre che Amstelodam. Universit. 15. Inventario topografico incompleto: Parisinus gr. 3063; Bononiensis 3645; Gudianus gr. 34. Indice alfabetico: Vallicellianus F. 7; estratti nel Parisinus gr. 3062, ff. 70-73; Scorialensis Ω-I-2 e Vat. gr. 1482B. Si veda anche PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., p. 49. In ultimo, Petitmengin non considera il testo, pur segnalato da Mercati, dei Vat. gr. 1482A, Regin. gr. 171 e Neapol. gr. III A 8. 147 DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 340. 148 Una copia si trova nel Reg. gr. 171. Si veda anche G. MERCATI, Uno scambio strano di qualche interesse per tre grandi biblioteche, in Miscellanea di scritti di bibliografia ed erudizione in memoria di Luigi Ferrari, Firenze 1952, pp. 17-26. 149 Vat. gr. 1482A f. 1v. 150 Paris. gr. 3062, f. 20. È questa la copia dell’inventario donata da Steuco al cardinale Ippolito d’Este, dal 1549 legato alla Corte di Francia. Un’altra copia, di mano di Ioannes Mauromates da Corfù, presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (Neapol. gr. III A 8). 151 Il Vat. lat. 7132, ff. 1-23, edito da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 360-379, non è completo, ma è una copia parziale. Il testo delle annotazioni vaticane di Matal attende ancora adeguato studio e un’edizione completa. Si vedano anche DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 328; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 56; LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 11; ma soprattutto PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., p. 50 e GRAFINGER, Servizi al

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nio Agustín, che con lui era giunto in Italia, dove si era appassionato alle biblioteche e ai loro tesori, e aveva iniziato a prenderne nota e, dopo quello della biblioteca di San Marco a Firenze, stilò l’inventario dei codici greci della sala publica della Vaticana, mentre di quelli della parva secreta diede l’inventariazione di una metà, costretto ad interrompere i suoi lavori152. Sfortunatamente, il Vat. gr. 1209 non si trova nell’inventario confectus à Metello Calend. Septembris M. D. XLV., che pure fu particolarmente attento ai codici di carattere sacro e religioso. Mercati, che conosce solo la copia parziale dell’inventario, conservata nel Vat. lat. 7132, ff. 1r-23v, e limitata ai banchi I-IV della graeca publica153, spiega l’assenza di B, ipotizzando che potesse esser stato spostato in uno dei banchi non censiti da Matal. In realtà, l’inventario originale di Matal è conservato integralmente in un codice di Cambridge154, dal quale emerge che il Vat. gr. 1209 nel settembre 1545 non risultava non solo in nessuno degli otto banchi della publica graeca, ma nemmeno nelle secretae, che Matal visitò e censì. Tale assenza coincide perfettamente con quanto sappiamo circa i prestiti cui B andò soggetto. Come si vedrà meglio nel prossimo contributo che dedicheremo alla storia di B, il codice biblico fu concesso a Costanzo Sebastiano (Vat. lat. 3966, f. 15v)155 e poi a Basilio Zanchi156 in un periodo che va dal 1540 al 1546. Mercati rimpiange la mancata descrizione da parte di Matal, «uomo dotto e particolarmente interessato alla paleografia», che avrebbe fatto luce sulla presenza delle integrazioni, sulle condizioni di conservazione o altri elementi paleografici e codicologici. pubblico cit., p. 220. A proposito di Jean Matal si vedano A. HOBSON, The iter italicum of Jean Matal, in Studies in the Book Trade in honour of Graham Pollard, Oxford 1975 (Oxford Bibliographical Society Publication, n.s. 18), pp. 33-61; P. A. HEUSER, Jean Matal: Humanistischer Jurist und europäischer Friedensdenker (um 1517-1597), Köln 2003 e P. PETITMENGIN – L. CICCOLINI, Jean Matal et la bibliothèque de Saint-Marc de Florence (1545), in Italia Medioevale e Umanistica 45 (2005), pp. 207-374. 152 Si veda la sottoscrizione autografa dell’esemplare di Cambridge, Add. 565, citata da PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., p. 81 nt. 61. 153 Così DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 360-379, e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 11. 154 Cambridge, University Library, Add. 565, descritto e illustrato da HOBSON, The iter italicum cit., pp. 33-61. 155 Come risulta dal Vat. lat. 3966, f. 15v, edito in I due primi registri di prestito cit., p. 59. 156 In una lettera di Guglielmo Sirleto a Marcello Cervini, datata 12 maggio 1546 e conservata nel Vat. lat. 6177, f. 88r, si legge infatti, con chiaro riferimento al Vat. gr. 1209: «Quella bibia scritta in lettere maiuscule che è in libraria di N. S. con la quale io et don Basilio [scil. Zanchi] una volta riscontravamo la stampata, legge in quel modo che lege la nostra latina dico l’antiqua…».

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Come si è anticipato, nell’ottobre 1548 Paolo III affidava la cura della Vaticana a Cervini, che, legato alla Biblioteca da almeno dieci anni, ne diveniva ufficialmente protector et curator157. Due anni dopo, il 24 febbraio 1550, il nuovo papa Giulio III Ciocchi del Monte (1550-1555) nominava Cervini cardinale bibliotecario158. Segno ed effetto della cura del cardinale per la biblioteca fu, già prima della nomina, nell’aprile 1548, l’incarico affidato a Niccolò Maiorano e a Guglielmo Sirleto di passare in rassegna alla collezione greca e di stilarne un nuovo inventario, il settimo della graeca publica159. Ne risultò l’inventariazione tramandata dal Vat. lat. 13236160, che censisce 512 codici, ai quali fu anche assegnata — per la prima volta — una segnatura a numeri progressivi161. Questo catalogo, opera di Maiorano e Sirleto, fu ricopiato e semplificato più tardi da Marino Ranaldi162. Mercati esamina sia un frammento di quest’inventariazione che anche l’inventario vero e proprio. Nel primo caso, si è di fronte a un brevissimo indice di codici greci, redatto da Maiorano e Sirleto tra aprile e maggio 1548163, in cui al f. 10

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Un primo bilancio in L. DOREZ, Le registre des dépenses de la Bibliothèque Vaticane de 1548 à 1555, in Fasciculus Ioanni Willis Clark dicatus, Cantabrigiae 1909, pp. 142-185. Si veda anche LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 11. 158 BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 45; PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., p. 50 e GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., pp. 220-221. 159 Altre misure furono, oltre alla catalogazione del fondo latino ad opera di Ruano (Vat. lat. 3967, 3968, 3969 con indice nel Vat. lat. 3946), il recupero di codici prestati e non restituiti, ceduti o trattenuti indebitamente e la decisione di far cessare i prestiti esterni alla Vaticana, praticati ininterrottamente dai tempi di Sisto IV, secondo quanto testimoniato da I due primi registri di prestito cit. Si vedano P. PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation de la Bibliothèque Vaticane à l’époque des Ranaldi (1547-1645), in Mélanges d’histoire et d’archéologie de l’École française de Rome 75 (1964), pp. 561-628, segnatamente pp. 564-567; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 45; PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., pp. 50-51 e GRAFINGER, Servizi al pubbico cit., p. 221. 160 Vat. lat. 13236, ff. 25r-104v, con copia calligrafica parziale (fino al nr. 237) nello stesso codice ai ff. 107-221. L’inventario è datato 13 novembre 1548 ed è stato edito, in modo incompleto, da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 382-416. Si vedano anche BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 45, e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 11, ma soprattutto PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., pp. 567-570. 161 DOREZ, Le registre des dépenses cit., pp. 154-155, e BATIFFOL, La Vaticane cit., pp. 1921; DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 329; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 45, e ora PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., pp. 50-51. 162 Vat. lat. 3957, ff. 1-37, su cui DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 329 n. 4, e ID., Le fonds grec cit., 381. 163 La datazione dell’indice è avanzata da Mercati sulla base delle lettere di Sirleto a Cervini dell’11 e 25 aprile e del 9 maggio, contenute nel codice Vat. lat. 6177, ff. 118r-119v (cui ha largamente attinto BATIFFOL, La Vaticane cit., p. 11ss.), 121r-v, 123r, 125r e soprattutto f. 133r e 138r.

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(olim f. 24) si trova censito, col numero d’ordine 52, un Vetus et Novum testamentum literis maiusculis scriptum. Il codice B è qui per la prima volta descritto e identificato mediante l’indicazione literis maiusculis, che coglie uno dei suoi caratteri più propri e vistosi, ossia il fatto di essere composto — nella sua parte originale — in quella che ora si suole chiamare maiuscola biblica164. Ma quel che più conta è che la voce, che tra i codici vaticani dell’epoca non può che riferirsi al Vat. gr. 1209, lo rileva non più nel primo banco della sala graeca publica, ma tra i Libri additi in 5° pluteo. Inferius165. Si tratta, dunque, della prima testimonianza che permette di affermare che, almeno nell’ambito dell’opera di riordino della collezione promossa da Paolo III e affidata da Cervini al custos Maiorano e al fido grecista Sirleto, B venne spostato dalla sua originaria collocazione, dove era stato sistemato all’arrivo in Vaticana nel XV secolo e dove era rimasto per quasi cento anni, venendo traslato dal primo al quinto banco della graeca publica. Che la manovra sia avvenuta nell’ambito dell’operazione di revisione e censimento del fondo, lo dimostra il fatto che il foglio in esame era uno di quelli aggiunti successivamente all’inventario166. Una conferma dello spostamento del Vat. gr. 1209 e ulteriori informazioni sul codice si trovano nella minuta dell’inventario completo di Maiorano e Sirleto167, ossia l’Index librorum graecorum Bibliothecae magnae Vaticanae, datato 13 novembre 1548. Se il codice vi ricorre registrato tra quelli In eodem banco in parte inferiori168, ossia nel quinto banco, va notato che esso inizialmente presentava il numero d’ordine 294, poi corretto in 295. La correzione del numero con l’aumento di una unità, che parte dal codice 32 in poi a reintegrare un manoscritto inizialmente sfuggito, era datato da Mercati a dopo il 1552, dal momento che nel febbraio di quell’anno il custos Sabeo indicava due codici di Dionigi Areopagita e Demostene ancora mediante la numerazione antica 181 e 350 e non con quella recenziore169. La terza informazione conservata dall’inventario di Maiorano e Sirleto è data dalla descrizione del codice, mediante la quale esso viene individuato non solo con i soliti elementi ormai noti, ma anche grazie a un’espansio164 È ancora sufficiente limitarsi a rinviare al lavoro di G. CAVALLO, Ricerche sulla maiuscola biblica, Firenze 1967 (Studi e testi di papirologia, 2). 165 DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 403. 166 Mercati nota che il foglio in questione è tra quelli inseriti tra gli originari ff. 9 e 12 167 Mercati notava che la sezione di questo indice in cui sono censiti i codici greci posti in quarto Bancho Bibliothecae secretae si trova nel Vat. lat. 7131, ff. 143-157, sul quale si veda PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., p. 568. 168 Vat. lat. 7131, f. 60r. 169 Vat. lat. 3965 f. 28v.

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ne mai incontrata finora: Biblia literis maiusculis scripta, in extremo libri Geneseos annotatum est, hanc editionem esse secundum septuaginta interpretes, ex membrana in rubro. Il codice è descritto mediante una sottoscrizione posta al termine del libro della Genesi, che attirerà l’attenzione e la discussione anche degli editori della Bibbia greca Sistina. In ultimo, una mano, diversa da quella degli estensori ha annotato sotto il numero 295 (olim 294): in arm. L’inventario del 1548, dunque, non solo conferma il primo spostamento del codice dal primo banco supra al quinto infra della graeca publica, ma reca traccia anche di una successiva traslazione del codice dalla sala greca a un armarium della parva secreta. L’annotazione è certamente successiva alla redazione dell’inventario e da attibuirsi ad un altro impiegato della biblioteca, che non ha ritenuto di specificare di quale armadio si trattasse né in quale sala questo si trovasse. Mercati, sulla base dell’inventario conservato nel Vat. lat. 7131, ff. 158-190170, avanza la proposta che possa trattarsi del quarto armadio della parva secreta, ma non esclude che si tratti del cosiddetto armarium Virgilii, di cui si parlerà in seguito e dove censiranno il codice alcuni inventari successivi. Quel che conta al momento è che B, dopo quasi un secolo dal suo arrivo in Vaticana, uscì dalla sala dove era sempre stato conservato per essere spostato in una di quelle riservate. Sul senso di un simile spostamento si rifletterà in seguito, dal momento che ancora nell’inventario allestito dopo il febbraio 1552 il Vat. gr. 1209 risulta al V banco della sala greca pubblica171. Nella serie degli indici sintetici tratti dall’inventariazione dei fondi vaticani promossa da Paolo III ed eseguita, per i codici greci, da Maiorano e Sirleto e, per i latini, da Ferdinando Ruano da Bajadoz172, quelli conservati nel Vat. lat. 3957173, sebbene stilati dopo la correzione della numerazione 170

Per il quale, si veda infra, p. 373. Al 1553 risale un inventario conservato dal Vindob. lat. 9699, ignoto a Mercati e a Devreesse, edito da H. GERSTINGER, Ein bisher unbeachtetes Verzeichnis griechischer Handschriften der Vaticana aus dem Jahre 1553 (Cod. lat. 9699 der Nationalbibliothek zu Wien), in Festschrift Georg Leyh 1877-1937, Leipzig 1937, pp. 11-19. Tuttavia, questo inventario non recensisce B né al primo né al quinto banco. 172 Sull’uomo e la sua «prodezza catalografica», si vedano almeno PETITMENGIN, I manoscritti latini cit., pp. 50-61, e GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., p. 221. 173 Ff. 20-21. Il codice fu erroneamente attribuito al tempo di Leone X da MÜNTZ, La Bibliothèque Vaticane au XVIe cit., p. 52. Rispetto alla correzione dei numeri, risultano posteriori sia l’esemplare dell’indice più ampio (1548), unito allo stesso indice, sia l’indice ancora più ampio compilato ex novo, oggi a Berlino Phillipps 1894, a proposito del quale: Verzeichniss der Lateinischen Handschriften der Koniglichen Bibliothek zu Berlin von V. ROSE, Erster Band, Berlin 1893, p. 479. Mercati data l’indice a dopo il 1561. In nessuno dei due inventari, tuttavia, ricorre B, poiché il primo, quanto al pluteo quarto, manca dal codice 237 in poi, mentre il secondo non procede oltre il 79 del secondo pluteo. 171

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con l’aggiunta di un’unità, di cui si è già detto, continuano a registrare il Vat. gr. 1209 nel quinto banco, indicandolo come Biblia. La prima attestazione dello spostamento di B dalla publica graeca a un armarium della parva secreta, anticipato dall’annotazione recenziore all’inventario di Maiorano e Sirleto, si trova in alcuni fogli rilegati nel Vat. lat. 7131, ff. 158-190174, contenenti un inventario, mutilo, redatto a metà Cinquecento da una mano che Mercati individua in quella di Viviano Brunori175, che era diventato scriptor Graecus nel 1563 per volontà di Pio IV Medici (1560-1565), in sostituzione del greco Giorgio Placidi, a sua volta subentrato a Giovanni Onorio da Maglie176. Nell’inventario, che sarebbe, dunque, da datare a dopo il 1563, sono inizialmente censiti i 135 codici del quinto armadio e poi (f. 171) quelli del quarto, numerati progressivamente da 1 a 159177. Nel quarto armadio della parva secreta178, consultabile solo con particolari autorizzazioni179, era stata posta la Biblia manuscripta literis maiusculis in principio minutis literis ex membranis in rub., che, contrassegnata dal numero 81, occupava il posto immediatamente seguente al 79, Quatuor evangelia ex membranis in auro, e all’80, ossia gli Actus Apostolorum, Iacobi epistola, Petri epistolae duae, Ioannis epistolae tres, Iudae epistola, Pauli epistolae 14, ex membranis in auro. Il fatto che il Vat. gr. 1209 sia stato spostato nell’armarium che conteneva questi due codici è rivelatore. Con i numeri 79 e 80, infatti, erano stati contrassegnati i Vat. gr. 1158 e 1208, donati a Innocenzo VIII dalla regina di Cipro, che, a partire almeno dall’epoca di Leone X, proprio in virtù del loro valore e della ricchezza delle decorazioni in oro, erano conservati in 174

Ff. 158-190, segnatamente f. 171. Un breve profilo in GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., pp. 226-227. Si vedano anche R. DE MAIO, La Biblioteca Apostolica Vaticana sotto Paolo IV e Pio IV (1555-1565), in Collectanea Vaticana in honorem cit., I, pp. 265-313, segnatamente pp. 300-302 e BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 47. 176 DE MAIO, La Biblioteca Apostolica cit., p. 269. Mercati basa l’attribuzione sul confronto tra la scrittura dell’inventario e quella in Arch. Bibl. 40, f. 20v, sebbene questa sia assai più accurata della prima. Alla mano di Viviano, scriptor Graecus dal 29 ottobre 1563, attribuisce anche il Vat. gr. 693 sulla base di una sua attestazione in Arch. Bibl. 40, cui ora GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., p. 235 n. 86 aggiunge anche i Vat. gr. 217, 273, 484 e 627. 177 Vat. lat. 7131, f. 171. 178 Vat. lat. 7131, f. 184v. 179 J. B. CARDONA, De regia S. Laurentii bibliotheca, Tarracone 1587, p. 10: «Ubi etiam custodiri ea oportebit quaecumque iurisdictionem, et ius Hispanum complectentur; seu sint ea Hispaniae totius communia, seu provinciae, et partis propria alicuius; sed et Pontificum privilegia hic concludentur. Quae quidem omnia non patebunt cuivis; sed iis, quibus permiserit bibliothecae praefectus, quod Romae fieri vidimus in Vaticana» e MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., pp. 239-240. 175

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capsa ferrea quam tenet bibliothecarius180. L’esser associato, dunque, ai due preziosi codici costituisce una prova della considerazione di cui il Vat. gr. 1209 cominciava a godere alla metà del XVI secolo, in contrasto con il sospetto circa l’autenticità del codice, avanzato attorno al 1561, e subito ritirato, dall’ormai custos Guglielmo Sirleto181. La traslazione dalla sala pubblica, in cui, sebbene vincolato dalla catena, era tuttavia a disposizione dei visitatori, a un armadio cui aveva accesso solo il personale, che poteva prelevarlo dietro indicazione dei superiori, aveva evidentemente lo scopo di mettere al riparo da un facile e libero accesso un codice importante e delicato, che iniziava ad apparire come qualcosa di più prezioso del semplice primo esemplare biblico integrale posseduto dalla Vaticana. g. Nella Vaticana all’inizio del «siècle des Ranaldi»182 Se il 1563 può essere considerato, tra molte cautele, il terminus post quem dello spostamento di B, quello ante quem era inizialmente posto da Mercati agli anni 1569 o 1570, sulla base della testimonianza di Giulio Gabrielli da Gubbio, che attesta che in quella data il vetustissimum codice biblico maiusculis litteris maiori ex parte conscriptum era conservato in Vaticana secretiore in loco183. In realtà, Mercati è propenso a ricondurre tale spostamento alle misure prese da Cervini a tutela del patrimonio librario papale. Al 1554 risale, infatti, l’esortazione ai custodi Sabeo e Maiorano perché proteggessero i codici più preziosi, trasferendoli nelle sale secretae della biblioteca e sottraendoli così alla consultazione pubblica e indiscriminata: «Questa ladroncellaria ce ammonisce, che saria forse bene di levar tutti li libri migliori, scritti a mano, dalle stanze publice, et conservarli in quelle che stanno serrati, mettendo in cambio loro delli stampati: accioche perdendosi, ne fusse manco danno»184. Si è così giunti a quella fase della vicenda vaticana di B, che coincide con l’epoca in cui la gestione della biblioteca fu in mano ad alcuni espo180

G. MERCATI, I mss. biblici greci donati cit., pp. 480-481. Mercati rimanda a un suo lavoro mediante una citazione incompleta, che non sono riuscito a rintracciare. 182 La definizione è di PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., p. 562. 183 Non mi è riuscito di ritrovare il passo da cui Mercati traeva la citazione di Gabrielli in IVLII GABRIELII / EVGVBINI ORATIONVM, ET EPISTOLARVM, PARTIM SVO, PARTIM ALIORVM / NOMINE SCRIPTARVM / Libri duo. / Epistola de rebus Indicis a quodam societatis / Iesv Presbytero Italice scripta, & nunc / primum in latinum conuersa a Iu= / lio Gabrielio Eugubino / […] / Venetiis, Ex officina Francisci Zileti. 1569. 184 Lettera spedita da Gubbio il 14 ottobre 1554, conservata nel Vat. lat. 6178, ff. 37r-38r, citata da MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., p. 243 nt. 3. 181

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nenti della famiglia Ranaldi: «Dal tempo di Marcello Cervini, quando la Vaticana fu messa sotto la protezione dei cardinali bibliotecarii, alla morte del Baronio, i due uffici di custode furono come due feudi delle famiglie Sirleto e Ranaldi»185. Si tratta di un’epoca che va dal 1547, anno in cui inizia a lavorare in biblioteca come scrittore soprannumerario Federico Ranaldi186, al 1645, quando cessa dal servizio Alessandro Ranaldi187. Tra Federico e Alessandro, va segnalata la presenza e l’attività, oltre che di Giuseppe, anche di Marino, fratello del primo che venne chiamato in Vaticana nel 1565 e vi lavorò fino al 1602188. Alla gestione dei Ranaldi va attribuito il lavoro dell’ultima sistemazione della vecchia sede niccolino-sistina, come anche quello del trasferimento dei volumi e dell’allestimento della nuova biblioteca voluta da Sisto V (1585-1590) e progettata da Domenico Fontana. Alla prima fase del lavoro dei Ranaldi, quando ancora la Vaticana si trovava nelle sale niccolino-sistine, databile a un decennio prima del trasferimento nella sede di Fontana, risale una nuova, e più complessa, informazione circa il codice B, che si trova nel nuovo inventario dei codici greci, concluso da Federico Ranaldi. Che quest’inventariazione rimonti a Paolo IV Carafa (1555-1559), cui si deve pure «la definitiva struttura ai quadri del personale della Vaticana»189 e che promosse anche, verso la fine del pontificato, un’opera di riordino e ampliamento della bibliotheca secreta, specialmente in rapporto ai codici greci lì custoditi, o che il riordino sia stato commissionato da Gregorio XIII

185 MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., p. 253, che, dopo un efficace quadro della situazione vaticana, conclude: «Non infausto nepotismo questo allorquando né scuole né libri si avea per formare bibliotecarii». 186 Federico Ranaldi, originario di Raiano (Sulmona), che collaborava con la Vaticana dal 1547 come scrittore soprannumerario, dal 1552 divenne coadiutore di Fausto Sabeo, cui successe il 30 giugno 1557, sebbene la nomina venne ufficializzata solo dopo la morte di Sabeo il 15 ottobre 1559. Federico muore il 2 settembre 1590. GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., p. 222, che rimanda anche a G. CELIDONIO, I Ranalli di Rajano, del Circondario di Sulmona, Bibliotecarii ed Archivisti della Biblioteca Vaticana ne’ secoli XVI e XVII, in Rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti 27, 5 (1912), pp. 272-277. Si vedano anche MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., pp. 259-260; DE MAIO, La Biblioteca Apostolica cit., pp. 282-285, e BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 47-49. 187 MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., pp. 261-262. 188 Marino Ranaldi, chiamato in Vaticana da Gregorio XIII a collaborare col fratello Federico, fu promosso a custode il 4 febbraio 1576, morto Girolamo Sirleto, e confermato il 15 marzo 1591. Rinunciò all’incarico nel giugno 1602 e morì il 28 maggio 1605. GRAFINGER, Servizi al pubblico cit., p. 228. 189 DE MAIO, La Biblioteca Apostolica cit., p. 266.

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Boncompagni (1572-1585)190, è certo che la redazione del nuovo inventario, cui lavorarono anche Provataris e Girolamo Sirleto, fratello del bibliotecario Guglielmo191, fu portata a termine da Federico Ranaldi nel 1582192. Censendo insieme i codici della graeca publica (inventariati l’ultima volta da Guglielmo Sirleto nel 1548) e della parva secreta, l’inventario conteneva la descrizione di 1056 volumi. Questo numero aumentò, mentre era in corso l’inventariazione, che Ranaldi concluse nel 1582, arrivando al numero 1104193. Questa rassegna riveste un’importanza particolare per via del fatto che essa è la prima in cui ai codici greci è assegnata una segnatura progressiva da 1 a 1104, senza distinzione in serie autonome legata alla collocazione fisica dei codici nella publica graeca e nelle due secretae194. L’operazione di numerazione e censimento era poi completata dalla realizzazione di tavole pergamenacee, una per armadio, che ne indicavano i ripiani e i codici con una loro breve descrizione e il nuovo numero d’ordine195. Entambi questi due elementi erano poi trascritti a riscontro sul verso del piatto superiore della legatura di ciascun codice196. Si tratta cioè di quel sistema per «index, tablettes e plaquettes», che fece di questo inventario il

190

PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., p. 579. PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., p. 568. Mercati non fa cenno alla collaborazione di Provataris e di Sirleto junior all’opera di inventariazione, ma indica Niccolò Maiorano. 192 L’inventario ranaldiano dei codici greci Vat. lat. 13191 fu scoperto da Mercati il 5 gennaio 1908 e da lui datato a prima del 1581, sulla base del fatto che vi mancano sia il Vat. gr. 360, donato a Sisto V da Aldo Manuzio, figlio di Paolo, sia i volumi legati alla Vaticana dal cardinale Antonio Carafa nel 1591. Mercati attribuiva l’inventario ad Alessandro Ranaldi sulla base della relazione del 1597, che egli stesso stesso pubblicò (MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., pp. 227-236). Che l’opera sia di Federico Ranaldi e dati attorno al 1582 ha dimostrato PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., pp. 579-580, ripreso poi da DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 473, e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 16. L’inventario rimase in uso per tutto il pontificato di Paolo V Borghese (1605-1621), come attestato al f. 4r: Vetus nec modo in usu 1670. Erat in usu temporibus Pauli V. Si vedano MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., p. 231, n. 4; DEVREESSE, Pour l’histoire cit., p. 332, e Le fonds grec cit., pp. 471-473. 193 Vat. lat. 13191, a proposito del quale si veda DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 470472. 194 Mercati annota come facessero riferimento alla nuova numerazione ranaldiana sia Gerard Voss in SANCTI PATRIS / EPHRAEM SYRI / SCRIPTORIS ECCLESIAE / ANTIQUISSIMI ET DIGNISSIMI / OPERA OMNIA / […] / ANTVERPIAE, / Apud IOANNEM KEERBERGIVM. / ANNO M. DC. XIX., p. 8 e passim, sia, già prima di lui, Achille Estaço († 22 IX 1581) nel codice Vallicell. A 1, f. 27r. 195 Una tabella superstite è oggi il f. 29r del Reg. lat. 1899. 196 LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 17. 191

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«Ruano dei codici greci», ossia un formidabile ed efficientissimo strumento di riordino e consultazione dell’intera collezione197. In questo censimento dei 1104 volumi greci, si trova menzione del codice B tra quelli del quartus armarius bibliothecae parvae secretae198. Dunque, nel quarto armadio della terza sala della Vaticana, contrassegnata dal numero d’ordine 907, è registrata una Biblia literis maiusculis ex membranis in rubeo, seguita dalla descrizione degli attuali Vat. gr. 1208 e 1158 numerati come 908 e 909, ossia i codici donati dalla regina di Cipro. La voce che identifica B presenta il tenore consueto e non offre nuovi elementi, ma sul margine sinistro una mano, in cui Mercati riconosce quella del giovane Alessandro Ranaldi (1578-1645)199, annotò in arm. e poi il nuovo numero d’ordine 1209. Allo stesso modo, prima del numero d’ordine 908 la stessa mano apponeva 866200, e prima del numero 909 la nota in armario Virgilii sub numero 266 e in seguito, più sopra, 1158201. Queste annotazioni manoscritte attestano, dunque, un nuovo spostamento del Vat. gr. 1209, il terzo dal suo ingresso in Vaticana, dopo quello che lo aveva portato dalla primitiva collocazione nella graeca publica al quarto armarium della parva secreta. Alla stessa serie di manovre nella parva secreta è da riconnettere il trasferimento ad altra sede e la conseguente espunzione dall’inventario del codice 908 della collezione, che venne estratto dal quarto armadio della sala e riposto in altra sede, dove poteva esser meglio custodito, ma anche preso per la consultazione e la mostra in ragione della splendida crisografia202. Mercati nota che l’indicazione in arm., apposta in margine a un codice della parva secreta, non poteva riferirsi a uno degli armadi che si trovavano in quella sala, che erano peraltro numerati. È più plausibile che l’indicazione alludesse a un armadio speciale e diverso dagli altri, individuabile con il semplice appellativo di armarium, proprio come l’armarium Virgilii. Come si vedrà in seguito, nella nuova sede sistina aveva trovato posto un armadio destinato ai codici di maggior pregio, che ne favoriva la con197 PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., p. 579. Si veda anche MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., p. 213. 198 Vat. lat. 13191, f. 86v (olim 518). 199 Alla sua mano Mercati riconduce anche l’elenco, posto alla fine del documento, dei codici Vat. gr. 1143-1146 donati alla Vaticana da papa Paolo V Borghese (1605-1621) in Arch. Bibl. 10, f. 17r. 200 Vat. lat. 13191, f. 86v. 201 Vat. lat. 13191, f. 87r. 202 Eliminata la descrizione del volume 908, quella dell’altro libro, ora Vat. gr. 866, fu aggiunta in parte dalla stessa mano, in parte da quella di un estraneo, probabilmente il gesuita Jacques Sirmond (1559-1651), come Mercati ipotizza a partire dalla collazione coll’autografo in Arch. Bibl. 30, f. 345r.

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servazione e l’eventuale mostra ai visitatori. Esso prese il nome da uno dei codici di più ampia rinomanza, ossia il Virgilius Romanus, oggi Vat. lat. 3867, divenendo così l’armarium Virgilii. Frequentemente citato già nell’inventario ranaldiano del Vat. lat. 13191203, l’armadio del Virgilio Romano, o un suo prototipo, dovettero presumibilmente ospitare il Vat. gr. 1209 già nella vecchia sede niccolinosistina, a meno che non si ammetta — con Mercati — che l’annotazione in arm. risalga a un periodo successivo al trasferimento della Vaticana nella nuova sede e indichi proprio l’armarium Virgilii. Dall’inventariazione dei codici greci dovuta a Federico Ranaldi furono tratti anche due agili indici alfabetici: uno in calce allo stesso inventario (Vat. lat. 13191, ff. 117r-150r), l’altro ora conservato nel tomo XII dell’Archivio della Biblioteca (Arch. Bibl. 12, ff. 4r-24v). Un terzo indice, più ampio dei primi due, si trova nel Vat. lat. 7132, ff. 111r-211r. Il primo elenco, intitolato Index librorum graecorum ordine alphabetico Bibliothecae Vaticanae, censisce il codice nella sezione B ante I, semplicemente come Biblia col numero d’ordine 907204, così come il secondo indice (Index librorum Graecorum ordine alphabetico Bibliothecae Vaticanae)205, mentre nel terzo il Vat. gr. 1209 è indicato come 907 Biblia in litteris maiusculis ex membranis in rubro206, dove però l’indicazione del supporto scrittorio e del colore della coperta sono state cancellate, segno del cambiamento di copertina del codice, di cui si parlerà in seguito. Con l’inventario di Federico appena considerato si giunge a un punto di svolta non solo nella vicenda del Vat. gr. 1209, ma anche in quella della Vaticana, in quanto quell’inventario è l’ultimo che dà testimonianza del patrimonio librario e della sua sistemazione nella “libraria vecchia”, approntata da Niccolò V e aperta agli studiosi da Sisto IV. Ma prima di abbandonare la biblioteca niccolino-sistina, per averne un ultimo sguardo d’insieme, basta compiere un passo indietro di qualche anno, tornando al 6 marzo 1581. In quella data, infatti, visitava la biblioteca dei Pontefici Michel Eyquem seigneur de Montaigne207. Tra i dieci “tesori” visti e descritti da Montaigne non c’è il Vat. gr. 1209, ma egli dovette sfiorarlo, se l’ultimo codice ricordato è l’attuale Vat. gr. 203 Vat. lat. 13191, ff. 86r (Hic liber adest in armario 13, seu Virgilii); 86v (In armario Virgilii); 87v e 110v (Hic liber est repositus in armario 13 seu Virgilii). 204 Vat. lat. 13191, f. 120v. 205 Arch. Bibl. 12, f. 6r. 206 Vat. lat. 7132, f. 136v. 207 Sull’episodio si veda, da ultimo e con bibliografia retrospettiva, F. RIGOLOT, 6 marzo 1581: Montaigne visita la Vaticana, in La Biblioteca Vaticana cit., pp. 281-303, segnatamente pp. 283-284.

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1208, ossia uno dei due codici di Carlotta di Lusignano, che sappiamo esser conservato attiguo a B. Non è improbabile che Montaigne abbia avuto sotto gli occhi e magari aperto e sfogliato il Vat. gr. 1209, ma senza esserne impressionato né averne compreso il valore e l’antichità. Assai poco versato in paleografia e scienze del codice, il viaggiatore francese veniva maggiormente attratto dagli aspetti decorativi dei manoscritti greci, che non fossero quelli dei suoi autori preferiti. Ne è prova anche la modalità con cui presenta ed elogia il Vat. gr. 1208, impressionato dai caratteri più vistosi del manoscritto208. 3. Il codice B nella nuova sede sistina della Vaticana a. Nella Vaticana di Sisto V Sotto il pontificato di Sisto V (1585-1590) fu presa e attuata la decisione di dare alla collezione libraria papale una sede più ampia e confacente rispetto a quella di Niccolò V e Sisto IV, ormai inadeguata209. Distrutto lo scenografico scalone di Bramante e il giardino che lo sovrastava nel Cortile del Belvedere, considerato “il più bel teatro di tutto il mondo”, il papa diede mandato a Domenico Fontana di costruire un braccio che legasse assieme gli edifici che si trovavano affrontati sul Cortile, unendoli perpendicolarmente e dividendo in due l’ampio cortile precedente210. Qui sarebbero state allestite e decorate adeguatamente le sale deputate a raccogliere e mettere a disposizione degli studiosi l’immenso patrimonio di codici manoscritti e volumi a stampa che i papi avevano raccolto e che, sul finire del XVI secolo, venivano riscoperti in chiave apologetica e controriformista. I lavori di costruzione iniziarono nel maggio 1587 e terminarono nel settembre dell’anno successivo, con ulteriori aggiunte e modifiche, che furono portate a termine entro il 1589. La struttura, arricchita da un ampio e complesso programma iconografico211, era pronta ad accogliere codici e

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RIGOLOT, 6 marzo 1581 cit., p. 298. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 70-75; LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 17 e A. RITA, La Biblioteca Vaticana nelle sue strutture. Un disegno storico, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi all’inizio del terzo millennio, Città del Vaticano 2011, pp. 70-123. 210 D. FRASCARELLI, Gli affreschi sistini: il programma iconografico, in La Biblioteca Apostolica Vaticana cit., pp. 178-264. 211 Oltre a FRASCARELLI, Gli affreschi sistini cit., si veda anche A. ZUCCARI, Una babele pittorica ben composta. Gli affreschi sistini della Biblioteca Apostolica Vaticana, in La Biblioteca Apostolica Vaticana cit., pp. 266-307. 209

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stampati che avrebbero trovato posto nei saloni a partire da quello sistino, cui si accedeva dal vestibulum. Questo, oggi noto anche come Sala degli Scrittori, costituiva l’ingresso alla nuova biblioteca, dal quale si aveva accesso all’enorme sala di consultazione aperta al pubblico, ossia il celeberrimo salone sistino. Qui erano contenuti i testi della biblioteca pubblica o comune, destinati anche al prestito, mentre i volumi della biblioteca secreta trovarono posto in due sale, dette anche stantie acresciute, che furono terminate nel 1589, ossia appena un anno dopo. In un primo tempo le nuove sale vennero munite del mobilio proveniente dalla vecchia biblioteca: banchi, spalliere, casse e tavoli vennero riadattati o modificati sulla base dei nuovi spazi e delle nuove esigenze, mentre solo molti anni dopo si provvide alla costruzione di un arredo nuovo, studiato appositamente per la nuova sede. Tra il 1590 e il 1591, quando ormai la struttura era pronta, in 157 giorni di lavoro ebbe luogo il trasferimento dei volumi da un lato all’altro del Cortile del Belvedere. A coordinare il delicato trasloco provvidero i due custodes Federico Ranaldi, che morì il 2 settembre 1590, e suo fratello Marino. È tuttavia immaginabile che non sia rimasto estraneo ai lavori anche il resto del personale, ossia due correttori latini, due scriptores latini e uno greco (Giovanni di Santamaura)212, un restauratore e uno “scopatore”, incarico quest’ultimo istituito nel 1555 da Paolo IV213. Non dovettero rimanere indifferenti nemmeno eruditi e studiosi legati alla biblioteca, come Fulvio Orsini, che dal 29 giugno 1581 era correttore greco della Vaticana. Durante il trasferimento della Vaticana nella nuova sede avvenne, per giunta, un cambio alla sua guida, dal momento che il 13 gennaio 1591 moriva il cardinale bibliotecario Antonio Carafa e il 14 febbraio veniva nominato Marco Antonio Colonna. Furono i Ranaldi, dunque, a gestire il cambio di sede e ad assicurare una continuità di gestione tra la vecchia e la nuova Vaticana. Domenico, in particolare, mise a punto con gli zii i termini e le modalità del cambio di sede214. A Domenico e a suo cugino Alessandro sono da ricondurre pure gli 212 Si vedano H. OMONT, Le dernier des copistes grecs en Italie: Jean de Sainte-Maure (15721612), in Revue des études grecques 1 (1888), pp. 177-191; C. PASINI, Giovanni Santa Maura e la Biblioteca Ambrosiana, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 42 (2005), pp. 223-281; D. ARNESANO, Un nuovo codice di Giovanni Santamaura (Galatinensis 25), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 13 (2006), pp. 7-25, segnatamente pp. 11-13, e M. D’AGOSTINO, Fonti documentarie per l’attività del copista greco Giovanni Santamaura a Roma, in Virtute et labore. Studi offerti a Giuseppe Avarucci per i suoi settant’anni, a cura di R. M. BORRACCINI e G. BORRI, Spoleto 2008 (Collectanea, 21), pp. 315-362. 213 DE MAIO, La Biblioteca Apostolica Vaticana cit., p. 311. Sul suo ruolo MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., p. 254. 214 PETITMENGIEN, Recherches sur l’organisation cit., pp. 580-602. Su Domenico Ranaldi

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inventari stilati in quest’epoca dietro mandato del nuovo cardinale bibliotecario, datato 2 settembre 1592215. Un’opera di inventariazione completa era necessaria per poter assicurare continuità e ordine nel ricollocamento, accessibilità e fruibilità alla nuova collocazione delle collezioni. Essa fu compiuta da Domenico Ranaldi, che nel corso degli anni Novanta lavorò al censimento di tutto il patrimonio librario in un “indice universale”, che diede ai codici una disposizione per materia e una nuova numerazione, che quasi sempre coincide con l’attuale. All’opera di Domenico si devono dunque sia l’inventario della sala grande della Vaticana, redatto tra il 1591 e il 1595, che è conservato incompleto nel Vat. lat. 7131, ff. 191-356, sia i quattro volumi di minute, redatte entro il 1596-97, ossia i Vat. lat. 6947 e 6948, che censiscono il salone sistino, il Vat. lat. 7123, che descrive i codici della prima secreta, e il Vat. lat. 6949, che contiene i codici della seconda secreta216. Culmine dell’operazione ranaldiana fu l’Index totius Bibliothecae Vaticanae del Vat. lat. 13190, che costituisce la rassegna topografica di tutti i codici della collezione papale217. Nella nuova sede il codice B giunge, dunque, tra il 1590 e il 1591, trasferito da un armadio della parva secreta niccolino-sistina a un armarium della seconda secreta. Prova della nuova collocazione del Vat. gr. 1209 è il fatto che esso compare nel Vat. lat. 6949, dedicato ai codici dell’ultima stanza. In questo elenco di codici B si trova collocato nel cosiddetto Armarium Virgilii218 e descritto, al numero 291, come: 291 Test.m vetus et novum, litteris maiusculis scrip.t incipit a cap. 47 Gen. 294 πόλιν εις etc. ex perg. in albo c. s. n. 1526 vet. pulch. in folio quadro In principio, in medio et in fine est scriptus arg va… …all…219.

Il fatto stesso che il Vat. gr. 1209 fu posto nella seconda secreta è indice dell’ormai stabile stima di cui il codice godeva all’interno della biblioteca. Se, infatti, la prescrizione del cardinal Colonna, per cui i codici delle due secretae della “libraria vecchia” dovevano esser posti nelle secretae della si veda MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., pp. 260-261, che lo definisce: «come custode il più benemerito della Vaticana da Sisto IV a Leone XIII». 215 MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., pp. 210 e 225-227; DEVREESSE, Le fonds grec cit., 473-474; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 89 e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 19. 216 Mercati data la stesura di questo ultimo gruppo di minute agli anni 1596-1600. LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 19-20. 217 LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 21. 218 Vat. lat. 6949, f. 204r (olim 269). 219 Vat. lat. 6949, f. 206v (olim 272).

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nuova Vaticana220, non venne sempre rispettata, il codice B è, però, tra quelli per i quali si applicò l’ordinanza, certamente a motivo del valore e della stima in cui era tenuto. Un codice, infatti, poteva finire in una delle due secretae o per il fatto di essere uno dei «doubles d’ouvrages exposés dans la Publique», cosa che non si addice alla prima Bibbia greca presente in Vaticana, o per essere uno di quei codici che «leur petite taille ne permettait pas d’enchaîner aux pupitres: d’où l’armoire des petits livres, ou se mêlent fraternellement les manuscrits latins, grecs, orientaux même, et les imprimés», cosa che non si attaglia al formato del Vat. gr. 1209, o per essere uno dei «livres suspects d’hérésie»221 — ma si tratta di una Bibbia! — oppure, infine per essere uno degli «ouvrages de prix, comme le Virgile romain (Vat. lat. 3867)»222. Considerato come uno dei «volumes très rares» della collezione, B trovò posto nell’armarium Virgilii, che era contrassegnato dal numero 13 e collocato nell’ultima delle due sale riservate, precisamente quella coll’affresco della Basilica Vaticana durante i lavori di Sisto V, contenente i manoscritti greci Palatini e Urbinati, ad dexteram ingredientium. Successivamente alla ricollocazione e alla nuova inventariazione, tuttavia, il Vat. gr. 1209, come gli altri codici contenuti tra i numeri 269 e 271 di questo elenco, venne espunto dalla lista e trasferito, secondo l’annotazione posta a margine da Alessandro Ranaldi: hi libri sunt inter alios graecos. Tornando, però, alla voce dell’inventario ranaldiano, si nota che, per la prima volta dal suo arrivo in Vaticana quasi un secolo e mezzo prima, il Vat. gr. 1209 è descritto come ricoperto in albo e non più in rubeo. Se ne deduce che avvenne un cambio di coperta tra il 1582 e il 1596/1600, ossia nell’ultimo ventennio del Cinquecento, proprio in concomitanza con il suo impiego per l’edizione dell’Antico Testamento greco iuxta Septuaginta, pubblicata ex auctoritate Sixti papae V, nel 1586-7. Il computo, poi, effettuato da Domenico Ranaldi, delle pagine del codice, che egli dichiara essere 1526, mentre sono in realtà 1536, risente dell’errore intervenuto nella numerazione dei fogli del volume a partire dal f. 1390, dove il numero è diminuito di una decina. Un fatto che attesta inequivocabilmente che l’inventariazione di Domenico Ranaldi è precedente alla correzione della numerazione del codice B. 220 «Che nella libraria secreta cioè l’ultima stanza, si mettano tutti li libri che stavano nella libraria secreta antica» in MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., p. 226. 221 «Che si facci una stanza separata per mettervi libri prohibiti, quali per molti casi occorrenti possono servire, così quelli, quali si trovino nel santo officio come in dogana nella stanza del Revisore», in MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., p. 235. 222 PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., pp. 598-600. Si veda anche MERCATI, Per la storia della biblioteca cit., p. 243.

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In ultimo, Mercati, esaminando la descrizione ranaldiana di B, ritiene la nota apposta prima del numero d’ordine 291 una aggiunta tardiva, ad indicare la collocazione del Vat. gr. 1209 nell’Armarium Virgilii, mentre quella che segue la voce sarebbe la copia di una nota più antica, apposta forse nel 1548 oppure tirata da un inventario perduto o da un foglio poi caduto del codice stesso223. Nell’inventario generale topografico o Index totius Bibliothecae Vaticanae, stilato da Domenico nel Vat. lat. 13190224, al f. 188r (olim 181r) è descritto il contenuto dell’Armarium septimum ad dexteram ingredientibus, qui Virgilii armarium dicitur, camerae ultimae secretae. Qui, contrassegnato dal numero d’ordine 291 (secondo la numerazione di Federico), si trovava il Testamentum vetus et novum graecum, alla cui descrizione erano stati aggiunti sul margine destro il numero 294 (ossia la nuova numerazione di Domenico) e nel rigo sottostante l’indicazione ex folio 272, con la quale Domenico indicava il foglio del Vat. lat. 6949, dal quale aveva tratto la sintesi della descrizione del codice. Tra la voce di descrizione e il numero 294 era poi stata apposta, da Alessandro, l’annotazione + inter graecos libros, che accompagnava pure la voce seguente, ossia quella degli Atti degli apostoli con crisografia, dono di Carlotta di Lusignano. Va notato che Domenico Ranaldi numerò e inventariò senza soluzione di continuità i codici dell’armarium Virgilii con quelli dell’armarium librorum parvorum, così che B, che era il trentatreesimo nell’armadio di Virgilio, risultò il duecentonovantunesimo della serie. A riprova di questa collocazione e ad integrazione delle scarne ed essenziali informazioni degli inventari ranaldiani, Mercati trascrive, nelle sue note sulla vicenda del codice B, le righe dedicate alla visita alla Vaticana e all’ispezione dell’Armarium Virgilii di Johann Heinrich von Pflaumern225, fiero di una descrizione che attestava «bene e la custodia attentissima

223 Mercati rinvia a F. EHRLE, Zur Geschichte der Katalogisierung der Vaticana, in Historisches Jahrbuch 11 (1890), pp. 718-721, segnatamente p. 721, e all’introduzione dello stesso Ehrle a Il manoscritto Messicano cit., p. 9. Rimanda poi al suo Per la storia della biblioteca cit., pp. 209-210, e a Il manoscritto Messicano Vaticano 3773 riprodotto in fotocromografia a spese di S. E. il Duca di Loubat, a cura della BIBLIOTECA VATICANA, Roma 1896, pp. 6-8. Segni simili erano apposti anche ai codici riposti nelle casse e negli armadi delle biblioteche dette segreta e piccola camera; in queste casse e armadi erano stati riposti tanto i libri antichi estratti dalle biblioteche pubbliche a miglior custodia, tanto quelli recentemente aggiunti, come quelli appartenuti al cardinale Carafa. 224 Mercati ritiene che Domenico abbia tratto, prima del 1604, questo suo index a partire dall’inventariazione del Vat. lat. 6949. 225 Mercurius Italicus, hospiti fidus per Italiae praecipuas regiones et urbes dux, indicans explicans quaecumque in iis sunt visu ac scitu digna, Lugduni 1629, pp. 269-270.

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dei libri nel luogo e negli armadi privati e la liberalità degli addetti nel mostrarlo»226. Sempre a Domenico è, infine, da ricondurre un ulteriore inventario dei codici greci, che, redatto nel 1604, presenta il nuovo ordinamento e la nuova numerazione impressi alla collezione pontificia227, e che, lasciato incompiuto alla descrizione del codice 1142, fu completato da Alessandro dopo la morte del fratello Domenico (13 agosto 1606) fino al numero 1457. In questo inventario il codice B è descritto come: 1209 Vetus, et novum testamentum literis maiusculis. 6. g ex perg. in fol. da farsi.

L’indicazione 6 g, apposta alla fine del primo rigo della descrizione è interpretata da Mercati come indicazione aggiunta «temporaneamente ad uso probabilmente degli inservienti illetterati che dovevano mostrare i codici». L’indicazione «da farsi», apposta ai codici 1168-1457228, è invece considerata come segnale del fatto che quei codici dovessero essere ancora descritti, verosimilmente nell’inventario greco, che nel frattempo andava stilando Giulio di Santamaura. Nel completare l’inventariazione dei codici greci del fratello Domenico, Alessandro non indicò però la collocazione, che in ogni caso non poteva più essere quella a cui si era arrestato Domenico, ossia la capsula B, che non poteva certo contenere tutti gli attuali Vat. gr. 1070-1457. Sebbene nulla possa esser detto in proposito, è comunque chiaro che il Vat. gr. 1209 continuò ad esser collocato subito dopo il Vat. gr. 1208, ricevendo la numerazione con la quale sono ancora conservati in Vaticana. Appare ora dunque chiaramente il motivo di una collocazione, e una conseguente numerazione, tanto distanti da quella degli altri codici biblici dell’antica Vaticana, ossia i Vat. gr. 330-369. La lontananza è da imputare alla diversa e più attenta conservazione di cui furono fatti oggetto i Vat. gr. 1208 e 1209, in ragione il primo della sua preziosa crisografia e il secondo della sua antichità e rarità, che ne determinarono lo spostamento dalla 226

Carte Mercati 123. I Vat. gr. 153-155 sono indicati in Arch. Bibl. 30, f. 337r, tanto con la vecchia numerazione tanto con la nuova, per dar conto del prestito che ne venne fatto al cardinale Baronio il 27 luglio, il 4 e il 9 agosto 1604. Solo con la nuova numerazione vengono, invece, designati i codici nel rescritto di Paolo V del 1615 ca. (Arch. Bibl. 26, f. 258v), di cui si dirà nella pubblicazione della seconda parte delle Carte Mercati 123. 228 Mercati nota che nell’indice di Giovanni Santamaura fino al codice 1166 i numeri nuovi fossero in gran parte scritti sopra quelli vecchi cancellati, mentre dal 1167 solo i nuovi venissero ascritti. Ne consegue che la redazione dell’inventario era iniziata già da molto tempo e si protrasse per più anni. 227

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primitiva collocazione ad armaria e a stanze dall’accesso assai più raro e regolato. L’aggiunta dei due codici al primitivo inventario di Domenico può inoltre esser datata all’aprile 1612, a motivo del fatto che sono preceduti nell’ordine dalla descrizione del Vat. gr. 1191, che fu Emptus Iuliis quindecim pro Bibliotheca Vaticana die 29 aprilis 1612229; ma non tuttavia molto dopo. A monte dell’Index totius Bibliothecae Vaticanae del Vat. lat. 13190 stanno anche gli studi e i lavori preparatori sui codici greci di Giovanni di Santamaura e di suo figlio Giulio, come le minute contenute nel Vat. gr. 2340C, dove compare anche per la prima volta la nuova e attuale classificazione continua dei codici greci230. b. Nella Vaticana di Paolo V Proprio Giovanni (1538-1614) e Giulio di Santamaura costituiscono assieme ai Ranaldi l’elemento di continuità nella gestione del patrimonio librario pontificio tra Sisto V e Paolo V, ossia tra il costruttore e organizzatore della “libraria nuova” e colui al quale si devono importanti iniziative per facilitarne il funzionamento231. Paolo V, promotore dell’inventariazione degli stampati della biblioteca, ad opera di Alessandro Ranaldi232, a cui fu affidato anche il prosieguo dell’inventariazione dei fondi latini e greci, fu anche il ristrutturatore dei nuovi saloni, che furono concessi in uso alla Vaticana e che comportarono, attorno al 1610, dei «profonds changements dans le classement de la bibliothèque». Nell’anno seguente (1611), poi, il papa soppresse le stanze secretae della biblioteca e ordinò la traslazione di una parte dei suoi contenuti nel nuovo Archivio Segreto Vaticano. Se i documenti pontifici passarono al neonato Archivio, il resto del patrimonio che era conservato nelle due stanze venne sistemato diversamente e «les manuscrits grecs et les imprimés que Domenico y avait placés sont rendu à leurs départements respectifs»233. 229

Vat. gr. 1191, f. 402v, nota di Alessandro Ranaldi, in BATIFFOL, La Vaticane cit., pp.

82-83. 230 PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., p. 601, e LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 20. Mercati, invece, considera le minute di Santamaura risalenti agli anni 1612-13. 231 Un aggiornato profilo biografico di Giovanni Santamaura in ARNESANO, Un nuovo codice cit., pp. 11-12. 232 Alessandro Ranaldi redasse entro il 1608 un inventario degli stampati nel Vat. lat. 6446 e il suo indice alfabetico nel Vat. lat. 14477. Il censimento non è tuttavia completo, mancandovi, tra gli altri, gli stampati di Fulvio Orsini. Si veda PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., pp. 602-603. 233 PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., p. 609.

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Proprio a cavallo di queste trasformazioni, tra 1605 e 1612 e oltre, Alessandro Ranaldi aveva ripreso l’inventariazione della collezione greca, che si era notevolmente arricchita grazie ai lasciti di Antonio Augustín, dei cardinali Carafa e Sirleto, di Fulvio Orsini e del duca d’Altemps. Al lavoro di Giovanni di Santamaura234 e di suo figlio Giulio si deve, invece, il catalogo dettagliato di tutto il fondo greco, conservato nel Vat. gr. 2340AB, steso tra 1609 e 1618, che tuttavia manca, come quello successivo steso da Leone Allacci, di ogni elemento topografico. Nell’inventario dei Santamaura si legge la descrizione di B, collocato, come d’abitudine, subito dopo gli Atti degli apostoli della regina Carlotta: 1209 — Παλαιὰ καὶ νέα διαθὴκη ἐν κεφαλαιώδεσϊ στοιχείοις γεγραμμένη235.

La stessa voce compare anche nell’indice dell’inventario che si trova nello stesso codice236, alla fine, col rimando alla p. 1025 (f. 97r). c. Nella Vaticana dopo il «siècle des Ranaldi» Al termine della lunga stagione dei Ranaldi e dell’esame degli inventari riconducibili direttamente a loro o a impiegati e studiosi attivi nella Vaticana dell’epoca, Mercati nota come debba ritenersi chiusa, quanto al Vat. gr. 1209, la disamina di simili strumenti di ricerca, dal momento che gli inventari non facevano più menzione del codice o non ne sono sopravvissuti di quelli che erano arrivati a censire la collezione greca oltre il primo migliaio di unità. L’inventario del Vat. lat. 7130 censisce solo gli attuali Vat. gr. 1-430, mentre quello, redatto in greco nel 1654, del Vat. lat. 7133 solo i primi 558 numeri del fondo. Dell’inventario stilato in greco da Leone Allacci237 e tra234 È sua la mano che ha steso l’indice greco, cui lavorò, stando ai bilanci di spesa (Arch. Bibl. 29, ff. 48r e 52v), nel novembre 1609, mentre completamente differente è la scrittura di Giulio, come risulta dagli autografi in Arch. Bibl. 9, ff. 51 sqq. A lui spetta soltanto la parte terminale dell’indice, per lo meno dal codice 1190, terminata dopo il mese di aprile del 1612. L’indice fu rilegato sotto Scipione Borghese cardinale bibliotecario, dunque prima del 17 febbraio dell’anno 1618. 235 Vat. gr. 2340B, f. 1025r. 236 Questa appendice, che contiene i codici recensiti da p. 833, mostra che questi furono aggiunti al corpo degli altri più tardi, come è confermato dal fatto che l’appendice inizia dai Vat. gr. 1143-1146 «donati da N. S. Paolo V», secondo l’attestazione di Alessandro Ranaldi. 237 Leone Allacci fu scriptor Graecus della Vaticana dal 1619, secundus custos dal 3 dicembre 1660 e primus custos dal 13 aprile 1661; morì il 19 gennaio 1669. A lui si deve un importante indice dei codici greci, come ricorda BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 109-110, 112 e 129.

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scritto da Lorenzo Porzio238, il terzo tomo, che conteneva la descrizione dei Vat. gr. 993-1486239, fu dato alle fiamme nel 1798240 e risulta inutile all’argomento che stiamo trattando l’autografo di Allacci conservato dal Barb. gr. 202, dal momento che questo non riporta la descrizione di B. Come risulta inutile il tentativo di integrazione e traduzione latina del terzo tomo di Allacci, intrapresa da Girolamo Amati attorno agli anni 1810-1813, che non poté vedere e descrivere i Vat. gr. 1208 e 1209, dal momento che da una dozzina d’anni erano stati trasferiti a Parigi a seguito delle vittorie napoleoniche, e dovette limitarsi all’amara annotazione: 1208 et 1209 desunt241. *

*

*

Mercati conclude la sua ricerca con la rassegna di alcuni piccoli elenchi, frequenti a partire dal XVII secolo, in cui i dipendenti della Vaticana annotavano, durante le verifiche, i codici che non rinvenivano al loro posto. La prima menzione di questo tipo del Vat. gr. 1209 si trova in un documento del 1701242, in cui, nell’ambito di una «Nota fatta dal Rev.mo de Miro nel suo ingresso in Biblioteca», si trova conferma del fatto che, ancora in quella data, B si trovava nell’Armarium Virgilii. In realtà, la collocazione del codice è paradossalmente provata dal fatto che a quell’epoca esso non si trovava dove avrebbe dovuto. La «Nota», infatti, registra che, tra i codices graeci nell’armadio numero 90 desunt codices 1209: 1228: 1236: sunt codices 84: omnes 1259 (ossia i Vat. gr. 1176-1259). Mercati riconosce in quella di Lorenzo Zaccagni243 la mano che sopra 238 L’inventario di Allacci era strutturato in tre tomi: il primo censiva i Vat. gr. 1-514, il secondo i Vat. gr. 515-992, mentre l’ultimo i Vat. gr. 993-1486. Un’efficace sinossi degli inventari di questo periodo in PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., p. 619. 239 Ne è testimone Allacci stesso in Arch. Bibl. 9, f. 3. 240 Michelangelo Lanci e Raffaele Scaramucci nella recensione dei plutei, condotta nel luglio 1813, all’altezza del Vat. gr. 1523 annotano: «È notato mancante dal Sig.re Girolamo Amati Scrittore di Lingua Greca, che al presente rifà un Tomo dell’Inventario abbruciato dallo Scopatore della Biblioteca Santoloni, in tempo della Repubblica Romana democratica» (Arch. Bibl. 59 f. 28). 241 L’aggiunte fatte alla citata annotazione di Amati: «1208 Πράξεις καὶ ἐπιστολαὶ τῶν ἅγιων ἀποστόλων Codex aureis descriptus litteris 1209 Codex celeberrimus Bibliorum Sacrorum Vet. et Novi Testamenti — descriptus unciali charactere», tradisce la mano di Giuseppe Cozza-Luzzi, del quale Mercati rimanda anche a Novae Patrum Bibliothecae ab Ang. card. Maio collectae, X, Romae 1905, p. III, p. 279. 242 Arch. Bibl. 15, pt. B, f. 485r. 243 Lorenzo Zaccagni, autore del catalogo della biblioteca del cardinal Girolamo Casanate (1620-1700), fu nominato in Vaticana dapprima secondo custode (22 gennaio 1684) e poi primo custode (25 gennaio 1698). Alla sua direzione sono da ricondurre, tra l’altro, il nuovo ordinamento dei codici Urbinati e il catalogo dei manoscritti greci ed ebraici Reginensi. Si veda BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 145-146.

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la descrizione del Vat. gr. 1209 — come anche del Vat. gr. 1613, Menologio di Basilio II — aveva dapprima tracciato una croce e poi, cancellatala, una linea sotto la voce e due numeri seguenti, ad indicare che i libri erano stati ritrovati. Una seconda lista di codici assenti dalla loro rispettiva collocazione nella quale si fa menzione del Vat. gr. 1209 si trova nello stesso volume dell’Archivio della Biblioteca, in duplice redazione latina (f. 498v) e italiana (f. 480v). Il documento non è datato, ma Mercati non lo ritiene più recente del precedente, e dunque risalente ai primi anni del XVIII secolo. Anche in questo caso si registra che, dei codici greci, mancano nell’armadio numero 90 i Vat. gr. 1198, 1202 e 1209244. L’ultimo elenco ritrovato nell’Archivio della Biblioteca risale al luglio 1798, quando ormai le autorità francesi avevano operato la prima e la seconda spoliazione delle collezioni papali, trasferendone a Parigi alcuni dei manoscritti più preziosi. Nel volume 56 dell’Archivio (p. 14) sta, infatti, l’elenco curato da Gaetano Marini dei codici asportati dai francesi e solo successivamente restituiti. Tra questi, mancante dalla scanzia 15, il Vat. gr. 1209, di cui però non è registrata la restituzione245. Dal confronto sinottico delle tre testimonianze si ricava che il Vat. gr. 1209 era conservato all’inizio del Settecento nell’armadio numero 90 della Vaticana, mentre sul finire del secolo subì uno spostamento nel numero 15. Si trattava, in ogni caso, di armadi destinati ai codici greci e, secondo Mercati, era assai probabile che si trattasse dello stesso e medesimo armadio, che venne numerato in modo diverso in occasioni diverse246. La conservazione nell’armadio 90 o 15, poi, non fu continuata, perché il codice, proprio in virtù della sua antichità e del suo pregio, fu spesso estratto e trasferito per i motivi più vari. Il Vat. gr. 1209, ritenuto «… insi244

Di queste parole nell’esemplare italiano sono cancellate a penna: «mancano i 1198,

1202». 245 Il tratto di penna posto sopra il numero del codice, che si trova in corrispondenza dei Vat. gr. 1197, 1209, 1263, 1264, 1306, 1302, 1279 indica che questi erano stati sottratti dai Francesi, mentre la presenza dell’annotazione ‘ritrovato’ indicava che il manoscritto era stato successivamente recuperato. 246 Mercati giunge a questa conclusione considerando che gli armadi del salone sistino, ridipinti sotto Pio IX, non recano più traccia della numerazione del XVIII e XIX secolo, e che gli armadi che contennero i codici greci fino al 1912 non sembrano affatto diversi — quanto ai numeri dei codici contenuti — dagli antichi armadi e, infine, che quell’armadio in cui B doveva esser riposto, conteneva i Vat. gr. 1186-1277, ossia più o meno quelli contenuti nell’armadio 90 nell’anno 1701 e nel 15 nell’anno 1798. Eventuali discrepanze nella numerazione di questi codici sarebbero da imputare a codici persi o trasferiti tra gli stampati (ad esempio, Vat. gr. antiq. 1-2) o recentemente divisi in più tomi contraddistinti dall’unico antico numero d’ordine.

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gni … annorum MCCCC vetustate atque praestantia»247, risultava spesso una delle attrazioni principali che portavano alla visita della Vaticana da parte di studiosi e curiosi. Per questo motivo era stato trasferito «nell’Armario de’ Codici che si mostrano a Forestieri»248, che, all’epoca di Pio IX Mastai Ferretti (1846-1878) venne sostituito con teche di vetro. Una di queste vetrine era destinata a ospitare il Vat. gr. 1209 (e, dal 1902, un solo foglio del codice) e il menologio di Basilio II, ed era collocata proprio vicino all’armadio un tempo numerato come 90, dove il codice era abitualmente riposto e poteva venir trasferito con agio e attenzione. Tra l’«armadio che si mostra a Forastieri» del tempo di Assemani e le teche di vetro della fine del XIX secolo, il codice venne spesso estratto e collocato in modo da esser visto dai visitatori, secondo l’esplicita volontà dei pontefici249, come dimostrava anche la già citata testimonianza di J. H. Pflaumern250. Simile sorte toccava, assieme a B, anche ad altri codici di pregio della collezione papale, provenienti dall’armarium Virgilii, che Mercati sospettava potesse essere lo stesso che in altri casi era denominato armarium ultimum251. 247

Così A. F. VEZZOSI, In novam editionem praefatio, in J. M. THOMASII Opera omnia, III, Romae 1748, p. XIII, e, di nuovo, in ID., De vita et scriptis venerabilis viri Josephi Mariae cardinalis Thomasii commentarius, Romae 1769, cap. XLIV: «ex vetustissimo praecipue mille et quadringentorum annorum codice, quem sub numerica nota 1209 servat Vaticani Bibliotheca, et se invisentibus monstrare solet ob insignem raramve antiquitatem». 248 Mercati attribuisce questa annotazione ad Assemani, datandola al 15 maggio 1751 e rimandando ad una segnatura errata, che mi è stato impossibile correggere: Arch. Bibl. 15 f. 496v, in cui si aggiungerebbe: «come è notato nella Cartella affissa nel med.o Armatio». Altre scansie simili nuove sono probabilmente indicate nella «Nota dei libri legati nella Bib. ca Vat. na nell’anno 1756» (Arch. Bibl. 15, pt. B, f. 407r-v): «Scamusci 4° cenerini per foderare le Scanzie dei libri che si mostrano e imbollettati e incollati li sud.ti sopra le tavole». 249 Mercati ricorda che Clemente XII Corsini, tra 1738 e 1739, stabilì che fossero deputati un armadio o più «ut longior mora in aperiendis occludendisque tot armariis, in quibus tam diversa codicum, librorum, rerumque pulcherrimarum copia recondita est, mora auferatur, et maior rerum ipsarum custodia habeatur» (Bibl. Corsin. 1173, f. 57v) e cita il breve Dignissimam regibus (24 agosto 1739): «Claves … sint penes utrumque custodem; exceptis clavibus eorum armariorum, in quibus solita vetustatis monumenta exteris hominibus inspicienda, admirandaque exhibentur. Hae quidem claves ad effectum huiusmodi, et eorundem hominum exterorum commodum conservatoribus, vulg. Scopatori, ad ipsorum custodum arbitrium tradi possunt. Verum, ut longior..., in unum, aut plura armaria conferantur recondanturque: ea scilicet, quae, ut praemittitur, spectanda sunt». Si veda BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 163 con bibliografia. 250 PFLAUMERN, Mercurius italicus cit., pp. 269-270, che ricordava come: «Pretiosissimi ac vetustissimi codices [tra i quali annovera B], separati a reliquo grege, ligneis armariis clausi asservantur, quae haud gravate recludunt custodes, et reconditum thesaurum litteratis hospitibus monstrant». 251 All’epoca di Urbano VIII erano posti nell’armarium ultimum molti codici recensiti nei

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Tra il XVII e il XVIII secolo la fama del codice B era talmente ampia e la sua datazione ritenuta così alta — posta abitualmente tra II e III secolo — che esso aveva finito per risultare noto ben oltre il circolo stretto dei biblisti e dei paleografi e giungere a ottenere un posto nelle più diffuse guide alla città di Roma e ai celebri mirabilia Urbis. Mercati cita, a questo proposito, le opere di Bellori252, Piazza253, Deseine254, Taja255, Pinaroli256 e Chattard257. d. Nella Vaticana all’epoca delle spoliazioni francesi La permanenza vaticana di B, iniziata nella seconda metà del XV secolo, venne interrotta temporaneamente dalle spoliazioni che i francesi praticarono a Roma, e in Vaticano, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Di questa complessa e ampia vicenda, ancora in corso di studio per tanti suoi aspetti258, Mercati cita un ampio brano della Descriptio codicum matomi V e VI dell’inventario, riuniti non oltre il 1633, che ancora all’inizio del secolo XIX erano «fra quelli che si mostrano». Così, infatti, Alessandro Ranaldi († 1645 ca.) annotava nello stesso luogo quanto ai codici 4216-4223, 5965-969: «Hic liber est in ult.o Armario», alle cui parole A. Battaglini aggiunse: «Fra quelli che si mostrano». Mercati si chiede se non sia un caso che numerosi codici dell’ultimo armadio sono stati in seguito trovati tra quelli che venivano mostrati. Il fatto poi che Ranaldi appose quelle parole anche ai codici 4336, 4472, 59275930, senza che però Battaglini aggiungesse nulla, sembra solo indicare che questi codici già da tempo avevano ceduto il posto a quelli, di gran lunga più preziosi, delle biblioteche Urbinate, Reginense, Ottoboniana e così via, introdotte successivamente. 252 G. P. BELLORI, Nota delli musei, librerie, galerie et ornamenti di statue e pitture ne’ palazzi, nelle case e ne’ giardini di Roma, In Roma: appresso Biagio Deversin e Felice Cesaretti, 1664, p. 39: «… una greca, con la versione de’ Settanta in caratteri maiuscoli in foglio quadrato, circa il secondo secolo». 253 G. B. PIAZZA, Ευσεβολογιον = Eusebologion romano, overo delle opere pie di Roma; accresciuto e ampliato secondo lo stato presente con due trattati delle accademie e librerie celebri di Roma, In Roma: a spese di Felice Cesaretti e Paribeni 1698, t. XIII, c. II, p. 103, che dipende da Bellori con lievi mutazioni, come quanto alla datazione di B, qui posta al III secolo. 254 F. J. DESEINE, Rome moderne, première ville d’Europe, avec toutes ses magnificences et ses délices […], A Leide: chez Pier Vander Aa, IV (1713), 1080 sq.: “écrite vers le second siècle”, probabilmente da Bellori. 255 A. M. TAJA, Descrizione del Palazzo apostolico vaticano, In Roma: appresso Niccolò e Marco Pagliarini, 1750. 256 G. P. PINAROLI, Traité des antiquitées de Rome […], A Roma: dans l’imprimérie de S. Michel a Ripe 1725. 257 G. P. CHATTARD, Nuova descrizione del Vaticano, o sia della sacrosanta Basilica di S. Pietro, In Roma: per gli eredi Barbiellini, 1762-1767. 258 BIGNAMI ODIER, La Biblioliothèque Vaticane cit., pp. 185-190; CH. M. GRAFINGER, Der Transport der vatikanischen Handschriften nach Paris im Jahre 1797. Promemoria zur Auswahl der klassischen Handschriften (La Porte du Theil, Niebuhr, Münter), in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 79 (1999), pp. 421-443; EAD., Le tre asportazio-

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nuscriptorum graecorum Vaticanorum Parisiis delatorum di C. B. Hase259, che si può leggere nell’appendice con il testo originale. Il notevole progresso degli studi su questo capitolo della vicenda vaticana permette di ampliare questa sezione dello studio mercatiano. Marino Marini, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, riassume la vicenda in questi termini: «La Biblioteca Vaticana, che in seguito del violento trattato di Tolentino, e delle due invasioni francesi, erasi veduta spogliata di ottocento quaranta sette manoscritti, che sebbene non tutti pregevolissimi, pure nella maggior parte preziosissimi ed unici, fu di tanta perdita ristorata in virtù del decreto delle Potenze Alleate di rendere tutto a tutti, colla ricupera di ottocento quaranta cinque»260. A seguito della conquista francese, il 19 febbraio 1797 fu siglato il Trattato di Tolentino, in base al quale doveva essere immediatamente eseguito l’articolo 8 dell’armistizio di Bologna del 23 giugno 1796, che prevedeva l’invio a Roma di appositi commissari francesi incaricati di requisire 500 manoscritti261. In questa prima spoliazione, avvenuta il 12 luglio 1797, vennero asportati ufficialmente 501 codici, ma in realtà il loro numero era ben inferiore, dal momento che alcuni di essi vennero conteggiati secondo il numero degli elementi che li componevano262. Il 13 luglio 1797 partiva dal Vaticano un convoglio con nove casse di manoscritti, che giunse a Parigi nel luglio dell’anno successivo. Dei 501 codici computati, ben 101 appartenevano all’attuale fondo Vaticani greci, ma tra questi non figurava il Vat. gr. 1209. ni francesi di manoscritti e incunaboli vaticani (1797-1813), in Ideologie e patrimonio storicoculturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica. A proposito del trattato di Tolentino. Atti del convegno, Tolentino, 18-21 settembre 1997, Roma 2000 (Pubblicazioni degli Archivi si Stato, 55), pp. 403-413; ma anche LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 87-89. Da ultimo P. VIAN, «Per le cose della patria nostra». Lettere inedite di Luigi Angeloni e Marino Marini sul recupero dei manoscritti vaticani a Parigi (1816-1819), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 18 (2011), pp. 693-799. 259 Il passo si trova nel codice Paris. Suppl. gr. 810, t. 2, ff. 290-293. 260 M. MARINI, Memorie storiche dell’occupazione, e restituzione degli Archivi della S. sede e del riacquisto de’ Codici e Museo Numismatico del Vaticano, e de’ manoscritti, e parte del Museo di Storia Naturale di Bologna; (…). MDCCCXVI, in VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., p. 744. Si veda anche l’ampio recente quadro di A. RITA, Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica. Cronologia e fonti romane, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 470), pp. 23-28. 261 Una cronologia essenziale degli eventi relativi alla requisizione e al recupero dei manoscritti vaticani (1796-1824 ca.) in VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., pp. 765-770. 262 Si veda in Arch. Bibl. 55, ff. 14v-24v la lista dei codici Vaticani greci della più ampia Recensio manuscriptorum codicum qui ex universa Bibliotheca Vaticana selecti iussu Domini Nostri Pii Sexti Pont. Maximi prid. Idus Iul. procuratoribus Gallorum iure belli seu pactarum induciarumque ergo et initae pacis traditi fuere. Un altro esemplare della recensio in Arch. Bibl. 100, ff. 1r-41r, in cui i codici greci sono elencati ai ff. 17v-31v.

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Il manoscritto biblico, infatti, fu requisito con una seconda spoliazione di beni vaticani e figura nella lista di 136 incunaboli e 5 codici manoscritti, sottoscritta il 13 maggio 1798. Dei pochi codici, infatti, due erano greci: gli attuali Vat. gr. 1209 e 1288 (il Cassio Dione Vaticano)263. Questa seconda sezione di beni requisiti giunse a Parigi il 24 luglio 1799. Un terzo lotto di 355 codici, insieme a documenti archivistici, sarà poi consegnato il 28 luglio 1813, ma il 19 aprile dell’anno seguente sarà emanato il decreto di restituzione di tutti i beni artistici e librari sottratti dai francesi a Roma. Ancora un anno e il 28 ottobre 1815 il barone di Ottenfels riconosce di aver ricevuto dai Francesi i manoscritti requisiti mediante il trattato di Tolentino e li riconsegna a Marino Marini. Alla fine del mese di ottobre del 1815 vengono spedite a Roma 700 casse con codici e documenti recuperati, tra i quali il Vat. gr. 1209. La «ricupera» dei codici, delle monete e delle opere d’arte trafugate avvenne ad opera di Antonio Canova, Marino Marini, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, e Luigi Angeloni. A Marini toccò la cura del recupero dei beni librari: «Fu eziando lo stesso Monsig. Marino Marini (col sussidio però di altri suoi compatrioti) sollecitator diligente della restituzione de’ codici vaticani, e de’ libri di antichissime e rarissime edizioni, e delle medaglie, e di altro»264. La «ricupera» avvenne tra il 6 e il 28 ottobre 1815 ed è Marini stesso a narrare la soddisfazione della riacquisizione dei codici più prestigiosi della collezione papale e il suo elenco inizia proprio dal codice B: «I famosi Manoscritti Vaticani erano già in mie mani: io mi vedea finalmente possessore della Bibbia Sistina del secolo V»265. Il codice B, dunque, fu in mano francese dal maggio 1798 all’ottobre 1815, per quasi diciassette anni in totale. Un marchio indelebile ne è il timbro a inchiostro rosso della Bibliothèque Nationale, che si trova ancora su alcuni fogli del codice266.

263 Dietro la scelta dei due codici greci è stata riconosciuta l’opera di François-JeanGabriel de la Porte du Theil, uno dei conservatori della Bibliothèque National, e dello storico Barthold Georg Niebuhr, come, da ultimo, afferma LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., p. 88. 264 L. ANGELONI, Dell’Italia, uscente il settembre 1818, citato da VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., pp. 726-727. 265 VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., p. 736. L’elenco di Marini prosegue con gli attuali Vat. sam. 2, Vat. pers. 61, Vat. gr. 1288, Pal. lat. 1631, Vat. lat. 3867. 266 Vat. gr. 1209, ff. 1r e 1536v.

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4. Tavola cronologica riassuntiva Dall’analisi degli inventari condotta fino a questo punto Mercati traeva una tabella cronologica nella quale fissava sinteticamente le tappe note e documentate delle vicende vaticane del codice B, considerate dal punto di vista del collocazione e conservazione del manoscritto all’interno delle sale della biblioteca niccolino-sistina prima e, dal 1590, sistina. Abbiamo creduto utile e doveroso mantenere questa presentazione sintetica. 1. 1475: il Vat. gr. 1209 compare nella sala graeca publica della Vaticana di Niccolò V e Sisto IV o “libraria vecchia”, nel I banco (Testamentum antiquum et novum), in undicesima posizione. 2. 1481-1548: il Vat. gr. 1209 rimane nella sala graeca publica, nel I banco (Testamentum antiquum et novum), generalmente in terza posizione, poggiato sul leggìo (supra). 3. aprile 1548: il Vat. gr. 1209, pur rimanendo nella graeca publica, è spostato dal I al V banco, in undicesima o dodicesima posizione, e posto nello scomparto inferiore (infra), corredato del numero d’ordine 52. 4. novembre 1548: nella numerazione continuata e progressiva dei codici greci, il Vat. gr. 1209 riceve il numero d’ordine 294, che — dopo il febbraio 1552 — viene aumentato di una unità: 295. 5. fine del 1554: il Vat. gr. 1209 viene trasferito dalla sala graeca publica al quarto armadio della parva secreta, dove riceve un nuovo numero d’ordine: 81. 6. ante 1581: col nuovo ordinamento della Biblioteca il Vat. gr. 1209 riceve un nuovo numero d’ordine: 907. 7. 1590-1591: il Vat. gr. 1209 viene trasferito dalla vecchia sede niccolinosistina alla nuova sede sistina, progettata da Fontana, e lì riposto con altri codici preziosi greci e latini nell’armarium Virgili, che stava nella seconda stanza, ossia nell’ultima secreta, ricevendo il numero d’ordine 291. Così protetto, veniva “haud gravate” mostrato ai visitatori. 8. fine 1612: il codice riceve la sua segnatura attuale: Vat. gr. 1209 (l’unica che abbia lasciato traccia sul codice stesso). 9. XVIII secolo: il Vat. gr. 1209 è conservato in un apposito armadio o banco. 10. 30 luglio 1796: il Vat. gr. 1209 è nascosto nell’Archivio Segreto Vaticano.

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11. luglio 1799 – ottobre 1815: il Vat. gr. 1209 è trasportato e conservato a Parigi. 12. novembre 1815-1819: il Vat. gr. 1209, rientrato in Vaticana, è conservato nelle stanze del custode. 13. pontificato di Pio IX (1846-1878): il Vat. gr. 1209 è conservato in una teca sotto vetro e così è mostrato ai visitatori. 14. secoli XIXex-XXin: il Vat. gr. 1209, sciolto per consentire le operazioni di riproduzione fototipica per le edizioni del 1889-1890 e del 19041907, è conservato diviso per bifogli, ognuno custodito in una cartella.

II. Le successive rilegature del codice B Terminata la rassegna sistematica degli inventari e degli elenchi redatti in varie circostanze della vicenda della collezione papale di codici greci, Mercati passa ad indagare la storia del codice B, affrontando la questione delle varie rilegature, che il Vat. gr. 1209 subì nel corso della sua permanenza nella biblioteca pontificia. Ne emerge una rassegna articolata in sette punti, ognuno dei quali contrassegnato da informazioni provenienti da uno spoglio, non solo e non tanto degli inventari della Biblioteca, ma del ricchissimo e poco conosciuto fondo dell’Archivio della Biblioteca267. Incrociando i dati degli inventari sopra esaminati e quelli provenienti dalle carte dell’Archivio, risulta la ricostruzione della vicenda B, per così dire, sub specie tegumenti. I successivi cambi di legatura e di coperta del codice divengono il filo conduttore di un’indagine sulle vicende del manoscritto, che ampliano il risultato di quelle ottenute dallo spoglio dei cataloghi e anticipano alcuni passaggi della terza ed ultima sezione dell’indagine, che Mercati centra sui prestiti e le consultazioni di cui il codice fu oggetto dalla fine del XV secolo, che presenteremo in una prossima pubblicazione. 1. La legatura «in rubro» del Vat. gr. 1209 Si è già notato come, a differenza di quelli redatti da visitatori esterni, 267 CH. M. GRAFINGER, Archivio della Biblioteca, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, II: Dipartimento Stampati-Dipartimento del Gabinetto Numismatico-Uffici della Prefettura. Archivio-Addenda, elenchi e prospetti, indici, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 467), pp. 913-916.

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gli inventari vaticani, opera del personale interno, nel descrivere il volume erano soliti indicare oltre all’autore e al titolo dell’opera di riferimento del codice, spesso trascrivendolo dal lemma, anche il tipo di supporto scrittorio e il colore dell’eventuale rivestimento dei piatti268. Ebbene tutti gli inventari redatti durante la permanenza delle collezioni vaticane nell’antica sede voluta da Niccolò V e terminata da Sisto IV descrivono il Vat. gr. 1209 come dotato di una coperta di colore rubeus o rubrus. Il codice è descritto come in rubeo dal Platina nel suo primo inventario (1475)269 e come in rubeo è censito nell’indice contenuto nel Vat. lat. 7132, che è datato attorno al 1590270, ossia all’epoca del trasferimento della Biblioteca Vaticana nelle nuove sale volute da Sisto V. Per quasi un secolo e mezzo, dalla sua prima attestazione nelle collezioni papali al trasferimento nella nuova sede, il Vat. gr. 1209 sembra non aver subìto cambi di legatura o sostituzioni dei piatti che lo proteggevano. Certamente non fu tra i codici greci che, sotto il mandato di Tommaso “Fedra” Inghirami (1510-1516), furono inviati al legatore per essere restaurati. Nell’elenco di questi 88 codici, infatti, non risulta alcuna voce in cui sia possibile riconoscere il codice B271; e questo spiega perché nelle Carte Mercati 123 non si faccia mai cenno a questo importante documento, che pure era ben noto a Mercati. Lo studioso credeva inoltre di trovare una traccia di questa primitiva legatura, che non è stata conservata e non si trova dunque nel fondo Legature della Vaticana272, nei frammenti di cuoio rosso incollati sul margine esterno dei ff. 961 e 962, al principio del libro del profeta Michea. Avvertendo gli studiosi che nell’edizione fototipica la traccia di cuoio rosso finiva per apparire come una macchia scura, Mercati rilevava tracce simili, sebbene assai più esigue e meno visibili, all’inizio di vari libri biblici presenti nel codice B. La causa di una simile presenza veniva individuata nell’abitudine dei legatori antichi di incrementare (nell’originale latino di Mercati: augere) i codici273 con aggiunte di cuoio simili a quello dello stesso rivestimento, come nel caso — sempre ricordato da Mercati — del manoscritto copto268

DI SANTE, La biblioteca rinascimentale cit., p. 313. DEVREESSE, Le fonds grec cit., p. 73. 270 Vat. lat. 7132, f. 136v. 271 Vat. lat. 3966, ff. 115v-117r, edito dapprima da DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 180184, e poi in appendice a Index seu Inventarium cit., pp. 123-132. Quanto alla datazione delle operazioni di rilegatura attestate dal documento, che è di mano di Romolo Mammacini, si veda, oltre alle due edizioni appena citate, anche le precisazioni apportate in Inventari di manoscritti greci cit. 272 F. D’AIUTO, Legature, in Guida ai fondi cit., I, pp. 433-434. 273 Mercati rinvia al classico V. GARDTHAUSEN, Griechische Palaeographie, I, Leipzig 19112. 269

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sahidico 4 della Pierpont Morgan Library, che conserva fortunosamente la sua coperta originale e ha permesso il raffronto decisivo tra questa e i frammenti di cuoio applicati su alcuni fogli interni. Da questa serie di riscontri Mercati ipotizza come cosa “non così lontana dal vero” che anche il codice B fosse già stato munito della copertura in rubro prima di esser portato a Roma274. Se si accetta, dunque, l’ipotesi di Mercati che il Vat. gr. 1209 sia giunto in Vaticano già munito della coperta in rubro, il primo intervento documentato sulla legatura del codice rimonta alla fine del XVI secolo, ossia negli stessi anni del trasferimento delle collezioni papali nella nuova sede sistina, dal lato opposto del cortile del Belvedere. Questo significa che non sono documentati cambi o restauri di legatura sul codice B per tutto il secolo e mezzo che passò ancorato al primo banco della graeca publica della biblioteca niccolino-sistina, passando indenne non solo attraverso decenni di consultazione, ma anche attraverso il Sacco di Roma del 1527. Ne consegue che la legatura in rubeo fu quella che venne applicata in concomitanza con il restauro del codice e l’inserimento dei fogli mancanti all’inizio, al centro e al fine del volume, di cui si è già detto sopra. 2. La legatura «in albo» del Vat. gr. 1209 La traccia del cambio di legatura è duplice: da un lato nel già citato indice conservato nel Vat. lat. 7132 (f. 136v), che risale al 1590 circa, l’originaria voce di descrizione del Vat. gr. 1209 (ex membranis in rubeo) è cancellata e, dall’altro, Domenico Ranaldi corregge quanto aveva scritto nel suo inventario, contenuto nel Vat. lat. 6949 e datato al 1596, registrando il codice come ex perg. in albo. Fissati questi due terminus per il cambio di legatura, post quem 1590 e ante quem 1596, non è difficile cogliere la coincidenza tra questa forbice cronologica e quella dei lavori per l’edizione dell’Antico Testamento greco, voluta da Sisto V, che durarono alcuni anni e che impiegarono anche, come si vedrà meglio in seguito, l’antichissimo codice vaticano. L’usura provocata dai lavori di studio e di edizione, unitamente alla considerazione sempre più grande di cui il codice andava godendo, man mano che aumentavano le indagini sul testo che trasmetteva e sui caratteri 274 Si sarebbe trattato così di una legatura bizantina, come quelle tutt’oggi conservate per alcuni codici del fondo antico della Vaticana, per le quali si vedano almeno C. FEDERICI – K. HOULIS, Legature bizantine vaticane, Roma 1998 e Legature Bizantine Vaticane e Marciane. Guida alla mostra a cura di A. DI FEBO, K. HOULIS, G. MAZZUCCO, S. J. VOICU, Roma 1989.

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paleografici, resero necessaria una nuova legatura, più efficace e più consona alle pagine che proteggeva e presentava. Mercati confessa di aver creduto di trovare una ulteriore prova documentaria di questo primo cambio di legatura in una ricevuta autografa del legatore Federico Maglioli, rinvenuta nell’Archivio della Biblioteca e da lui trascritta275. Tuttavia, Mercati stesso afferma che, sebbene a B convengano il modulo e la materia del codice greco indicato nella ricevuta e sebbene le due Bibbie rilegate contemporaneamente al codice siano verosimilmente l’esemplare, uno greco e l’altro latino, del Vecchio Testamento secondo la LXX, editi a Roma tra il 1586 e il 1588 a partire essenzialmente dal testo trasmesso da B, non senza qualche dubbio si sente di affermare che B sia stato rilegato in cuoio rosso da Maglioli. A motivare la sua riserva e la sua perplessità Mercati adduce sia la menzione del codice fatta in modo piuttosto generico sia la descrizione molto accurata di Domenico Ranaldi, che dopo pochi anni scrisse che B era in albo. Proprio quest’ultima discrepanza spinge Mercati a concludere che la Bibbia greca manoscritta rilegata prima dell’inizio dell’anno 1589 sia un’altra rispetto al Vat. gr. 1209. 3. Un’altra legatura per il Vat. gr. 1209 Un secondo cambio di coperta venne effettuato in Vaticana sul codice B nel corso degli anni Settanta del XVII secolo, ossia quasi cento anni dopo l’intervento di cui si è appena parlato. Nel margine interno del f. 1265, infatti, si trovano scritte dal basso verso l’alto le seguenti parole: Gregorio e Giovanni Andreoli, genovesi, rilegarono la presente Bibbia. Quelli di cui parla la nota sono due legatori celebri al loro tempo276 e vicini anche alla regina bibliofila, Cristina Alessandra di Svezia277, che lavoravano per conto della Biblioteca Vaticana: Gregorio dal

275

Mercati cita il documento come estratto da Arch. Bibl. 26, f. 33, mentre la segnatura corretta è Arch. Bibl. 29, f. 36r. 276 M. GIUSTINIANI, Gli scrittori liguri, Roma 1667, s.i.p. (ma p. 15): «Essendo poi tornato a Roma nel 1665. rinovai per mezzo di Gregorio, et Giovanni Andreoli, librari eccellenti». Si vedano anche BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 293, che segnala ulteriore documentazione e J. RUYSSCHAERT, Les frères Andreoli relieurs des Chigi, Città del Vaticano 1992 (Cataloghi di mostre, 46). 277 Mercati rinvia all’Ott. lat. 2543: «Inventario della libreria della Maestà della Regina di Svetia fatto di Giugno 1689 da Giovanni Andreoli» e L. DOREZ, Documents sur la bibliothèque de la reine Christine de Suède, in Revue des bibliothèques 2,3 (1892), pp. 129-140, segnatamente pp. 130 e 134, che tuttavia considera erroneamente Andreoli «libraire» della Vaticana.

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1654 e Giovanni dal 1675278. Era loro abitudine lasciar traccia non solo degli interventi sui codici279, ma anche su quelli da loro donati alla Biblioteca280, come risulta anche da altro materiale conservato in Vaticana. La ricostruzione dell’episodio da parte di Mercati non è completa, mancando di alcune indicazioni bibliografiche in nota e di alcune date, che avrebbero permesso di collocare cronologicamente con buona precisione l’intervento di restauro dei fratelli Andreoli. Disponendo oggi di maggiori informazioni possiamo concludere che, essendo i due Andreoli attivi insieme per la Vaticana dal 1675281, la nuova legatura del codice B va collocata successivamente a quella data. 4. La quarta legatura del Vat. gr. 1209 Nemmeno cento anni dopo quello dei fratelli Andreoli, la legatura del Vat. gr. 1209 subiva un nuovo intervento, il terzo di cui abbiamo notizia sicura dal suo ingresso in Vaticana. Questa volta non si trattò di un’operazione mirata e isolata, come le precedenti, dettata verosimilmente da un’analisi delle condizioni effettive in cui il codice versava. Nel 1756, infatti, il codice B venne fatto oggetto di una nuova legatura insieme ad altri codici di inestimabile valore che costituivano alcuni dei tesori di maggior pregio e fama della biblioteca del papa e come tali erano conservati insieme ed esposti ai visitatori. A riprova di questa operazione sta non solo il fatto che il Vat. gr. 1209 vi fu coinvolto assieme a molti degli altri manoscritti coi quali veniva conservato in un unico armadio, ma anche che tutti questi codici vennero dotati di un rivestimento, che, se doveva essere nuovo e più degno, si rivelò col tempo fragile, vittima dei tarli e di un uso troppo frequente, così da lacerarsi rapidamente, non senza danno di tutti gli stessi codici. Mercati a questo proposito inserisce nello studio la trascrizione del testo, tratto dal volume 15 (olim E), dell’Archivio della Biblioteca (f. 407r-v, 278 Si veda l’attestazone di A. L. Zaccagni in Arch. Bibl. 28, f. 69v. Da questa stessa fonte si apprende anche che Giovanni morì il 10 settembre 1699. Ulteriori informazioni in BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 293, che tuttavia data al 1665 la collaborazione ufficiale di Gregorio con la Vaticana. 279 In Arch. Bibl. 43, f. 1 è conservato un piccolo disco di pergamena staccato dal suo codice, sul quale è scritto: «Questa Biblia Sacra Hebraica della Libraria Vaticana fu legata in questa forma da Gregorio e Giovanni Andreoli fratelli genovesi, li XII Novembre in Roma MDCLXXVII». 280 Mercati cita l’iscrizione: «Ex dono Gregorii et Joannis Andreoli Bibliot. eiusdem compactor», apposta sul frontespizio del «Vecchio Testamento in lingua Spagnuola 538». 281 Documenti sull’attività di Gregorio Andreoli per conto della Biblioteca Apostolica Vaticana sono conservati in Arch. Bibl. 15, pt. B, ff. 253r-265r.

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olim 397r-v), dal quale emergevano i dettagli dell’operazione. Ne risulta che oltre a B, nel 1756, vennero rivestiti ex novo, tra gli altri, i Vat. lat. 3731282, 3804, 3805, 3807283, 5590, 5591, gli Urb. lat. 276, 413, 1764, 1765, 1767, gli Ott. lat. 2546, 3029, il Reg. lat. 886284, oltre all’Anthologia Palatina, oggi divisa tra Heidelberg e Parigi. 5. La quinta e la sesta legatura del Vat. gr. 1209 Il quarto intervento sulla legatura del Vat. gr. 1209 venne compiuto tra la fine del 1848 e il 1849, stando a una nuova attestazione contenuta nell’Archivio della Biblioteca. Qui285 si legge che il codice B fu fatto «riparare e rilegare» e la notizia è dovuta a Pio Martinucci286. Mercati riconduce la decisione all’iniziativa di Angelo Mai, sebbene il documento del Martinucci non ne faccia cenno diretto, basandosi su una affermazione di Giuseppe Cozza-Luzi, che nel 1905, annunciando il successivo intervento sulla legatura del codice — che avverrà all’inizio del 1867 — scriveva che: «Fu deliberato che ne fosse sciolta la rilegatura rifatta dal Mai»287. In una data che cade poco dopo la fine di luglio del 1881 la Vaticana decise di metter mano per la sesta volta alla legatura del Vat. gr. 1209: «per cura di Monsignor Ciccolini, primo custode, fu fatto il detto codice nobilmente rilegare dal Cristallini e collocare sotto le vetrine della Biblioteca, per essere esposto»288. 6. L’ultimo intervento sul Vat. gr. 1209 Il settimo e ultimo intervento sulla legatura del codice è concomitante e funzionale alla preparazione delle due editiones phototypicae, che vennero 282

Si tratta del Vat. lat. 3731, che ha conservato la legatura del 1756 e a proposito del quale Assemani (Arch. Bibl. 15, pt. B, f. 407v) nota che era tra quelli che «si mostrano a Forastieri». 283 Assemani nel 1751 annota (Arch. Bibl. 15, f. 407v) che era di quelli che: «si mostrano à Forastieri». 284 Ossia il Reg. lat. 886, a margine del quale Assemani nota (Arch. Bibl. 15, f. 407v) che era tra i manoscritti: «che si mostrano». 285 Arch. Bibl. 58, 140v. 286 Monsignor Pio Martinucci, Prefetto delle cerimonie dal 1834, venne nominato secondo custode della Vaticana il 17 dicembre 1850 e primo custode il 13 luglio 1876. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 231-232. 287 G. COZZA-LUZI, I grandi lavori del cardinale Angelo Mai, in Bessarione 10 (1905-1906), pp. 308-317, segnatamente p. 316. 288 Arch. Bibl. 61, f. 17r.

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pubblicate del Vat. gr. 1209 rispettivamente negli anni 1889-1890, a cura di Giuseppe Cozza-Luzi, e tra il 1904 e il 1907, a cura di Giovanni Mercati. Da quella data il codice B continua ad esser conservato sciolto con i singoli bifogli custoditi in una camicia di carta, in modo che, divisi e conservati singolarmente, si rovinino il meno possibile, nonostante fosse stata preparata una nuova rilegatura marcata con le insegne di Leone XIII Pecci (1878-1903) e del suo cardinale bibliotecario Jean-Baptiste Pitra (18691889), che avrebbe dovuto custodire il codice una volta terminati i lavori di allestimento della fototipica. Mercati attribuisce i sette interventi documentati sulla legatura che il Vat. gr. 1209 subì in trecento anni di soggiorno vaticano alla cura e al valore che prefetti e custodi attribuirono al manoscritto, ma vi riconobbe anche la causa per cui esso subì perdite e danni. I vari lavori di scioglimento, compressione, foratura, rifilatura assottigliarono progressivamente la pergamena, causarono la distruzione di antiche legature e determinarono la perdita o la caduta di antichissimi numeri di pagina, glosse, annotazioni e vari altri, seppur minimi, elementi grafici e codicologici che avrebbero apportato nuovi indizi alla ricostruzione della vicenda del preziosissimo codice. Una prova di questo Mercati fornisce citando uno scolio a Mt. 5, 25, oggi quasi pressoché illeggibile nel margine del foglio, ma che venne letto e trascritto da editori dei secoli precedenti289.

289 Lo scolio termina con le parole ἐις δικαστὰς ἀλλὰ καὶ ἐν τῇ ἐκ..., come edito in A. A. ELLIS, Bentleii critica sacra, Cambridge 1862, p. 124.

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APPENDICE I1

Indicum Bibliothecae Vaticanae de B testimonia Testimonia infra recitanda cum pleraque nondum vulgata fuerint eademque indicibus bibliothecae Vaticanae veteris insint, quorum plures, vix aut nullatenus antea cogniti2, discerpti, disiecti, sine nota temporis, auctorum nominibus etc. iacent, nonnulli praeterea levissime libros attingunt potius quam accurate describant; hinc eadem paullo cautius expendamus oportet, ne, exempli gratia, Biblia alia pro nostris obtrudantur; ne testimonia ipsa inopportuno tempore locove proferantur, aut tam decurtata, ut de libri sede etc. non constet. Hac ratione non solum libri vicissitudines ac variorum qui eum ex officio recensuerunt opiniones erunt compertae, sed ordinationum etiam et catalogorum bibliothecae Vaticanae veterum series quaedam, licet imperfecta, contexetur tum domesticis tum extraneis nonnihil in simili negotio profutura usque adeo donec iustum de huiusmodi re opus evulgabitur. Indices plerique sunt quos hodiedum i n v e n t a r i a dicimus, in quibus nempe codices describuntur ex ordine l o c i quem occupant in pluteis: perpauci tantum sunt indices a u c t o r u m ex ordine litterarum sive a l p h a b e t i c i , qui verius inventariorum indices erant utpote ex iis confecti. Quotquot indices sine addito dicimus, inventaria sunt. 1. Index an. 1475, Bartholomaeo Platina bibliothecario In codd. Vatt. latt. 3954, f. LXXIv et 3953, f. LXXV, inter “libros graecos” sub titulo “Testamentum antiquum et novum”, undecimo loco: “Biblia. Ex membr. in rubeo”. Ed. Müntz – Fabre o.c. 244; et cf. ib. 161. Biblia haec graeca, praeter quae in indice eodem alia nulla occurrunt, esse ipsa illa “biblia in tribus columnis ex memb. in rubro”, quae recensentur in indice sequenti anni 1481, videlicet nostra exinde apparet, quod ambo eiusdem coloris integumentum, i. e. “in rubeo”, habebant, e contra “in nigro” fuisse dicitur alterum Bibliorum exemplar interim bibliothecae comparatum. Cfr. n. 2. 2. Index an. 1481, B. Platina bibliothecario ac Demetrio Lucensi custode In Vatt. latt. 3947, f. 24v, 3952, f. 50v, Ottob. lat. 1904, f. 31v, Hannover XLII 1845, f. 26v: «In primo banco bibliothecae Graecae. 1 Presento qui la trascrizione del testo di Mercati. Ho conservato nella maniera più aderente possibile il dettato originale, limitandomi a porre in corsivo le segnature dei codici, così da renderle meglio perspicue. L’unico intervento di rilievo è stato quello di inserire due parentesi quadre con tre punti ([…]) ogniqualvolta Mercati lascia incompleto il testo, rimandandone — come era sua abitudine — il completamento e la verifica in sede di correzione di bozze. 2 Ut patet ex opere V. Gardthausen, Sammlungen und Kataloge griechischer Handschriften seu Byzantinisches Archiv 3 (1903), pp. 39-49.

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Testamentum Vetus et Novum3. Psalterium cum expositione et pictura ex membranis (Hann.) in serico salvatico4. Liber Genesis historiatus cum expositione ex memb. in pavonacio5. Biblia in tribus columnis ex membranis in rubeo. Biblia ex membranis in nigro6. Actus Apostolorum et Epistolae B. Pauli (+ apostoli Hann.) ex papyro in rubeo7. Genesis cum expositione et pictura ex membr. in nigro»8. Ad haec in marginibus Vat. lat. 3952 unus e bibliothecae ministris circa annos 1514-1518 libris 1-3, 6 adscripsit «supra», scilicet in ordine banchi superiore, libro autem quarto crucem praefixit et haec subiecit: «h(ab)uit Carlis Toletan. et est obligatus Archieps Baren Attavanti nots», quinto denique libro «infra». Verba «Biblia in tribus col. ex membrana» ceu ex inventario an. 1475 recitaverant C. Vercellone (qui fefellit Gebhardt aliosque) in ed. Maiana I p. III sq., item in Dissert. accad. 116. 408 et I. Carini La biblioteca Vaticana 49 atque in Centralblatt für Bibliothekswesen X 541, sed recte iam retulit ad inventarium an. 1481 P. Fabre La Vaticane de Sixte IV in Mélanges d’archéologie et d’histoire XV (1895) 4729. – Additionem «habuit…» ed. Vercellone ll. citt. Porro Biblia in tribus columnis et B unum et idem esse patet: qua re firmantur et dicta superius ad a. 1475 de B iam tunc praesente, et dicenda infra de eodem libro Ximenes primati Toletano minime commodato. Ergo inde ab a. 1481 B in bibliotheca graeca, banco primo, tertio loco erat, et quidem probabiliter ordine superiore, uti manu seriore indicatum est. 3. Index an. 1484 In Vat. lat. 3949, f. 41: «Bibliotheca Graeca. In primo Bancho… Biblia in tribus columnis ex memb. in rubeo», tertio loco, omnino ut supra. Meminit Vercellone in ed. Maiana I p. IV in nota.

3 Est titulus: quod quum nescio quis non intellexisset, adscripserat in margine Vat. lat. 3952 «deest» (ac si codex unus esset), sed postea delevit. 4 Scilicet Vat. gr. 752. Cfr. indices ann. 1509-1512, 1519. 5 Vat. gr. 747. Cfr. indicem a. 1533. 6 Ex additamento in Vat. lat. 3952 liquet Biblia haec, quamvis «ex memb.» dicantur, Vetus Testamentum fuisse nunc n° 330 inter codices Vaticanos graecos notatum ex papyro, Fr. Ximenes cardinali certissime commodatum (cfr. append. n. 2), ideoque verba «ex memb.» vel perperam exarata vel et ipsa (quod tamen minime probo) ad tegumentum designandum insolenter apposita. 7 Vat. gr. 369, ut puto. 8 Vat. gr. 746. 9 Nihilominus W. Sanday et A. C. Headlam in commentario on the Epistle to the Romans 5 (1902) p. LXIII nullum ante inventarium a. 1533 testimonium agnoscunt.

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4. Index saec. XVI ineuntis In Vat. lat. 3960, ff. 69-93 (olim 1-28) «Bibliothece Vaticane» tantummodo graecae indicem continente, f. 93v: «In octavo banco psalterium cum glosis sine nomine auctoris Actus apostolorum et epistolè pauli

in uno libro

in uno libro

biblia psalterium prophetiè epistolae pauli

[1 = Vat. gr. 752] [2 = Vat. gr. 369, f.]

[3 = Vat. gr. 1209]

epistolè diversorum auctorum theologicae liber geneseos cum interpretatione theodoriti figuratus [4 = Vat. gr. 747 vel 746 epistolè diversorum auctorum liber geneseos cum interpretatione theodoriti figuratus [5 = Vat. gr. 746 vel 747 Iob cum glosis diversorum auctorum olimpiodori diaconi Joannis chrisostomi didimi et apollinarii et aliorum [6 = Vat. gr. ? expositio quedam veteris testamenti sine nomine auctoris [7 = Vat. gr. ? liber regum historiatus cum figuris [8 = Vat. gr. 333 Iob cum expositione figuratus sine nomine auctoris [9 = Vat. gr. 751 expositio basilii super Isaiam Ioannes climax cum glosis sine nomine auctoris

[10 = Vat. gr. 410

biblia

[11 = Vat. gr. 330

Inprimis notandum non solum ordine mutato a classicis auctoribus ad sacros heic ut in sqq. indicibus 5, 7, 9 progressum fieri, sed etiam immutato numero bancum o c t a v u m dici qui p r i m u s in ceteris appellatur; cfr. infra n. 9. Notandum praeterea libros tum superioris tum inferioris ordinis permixte aeque ac in indicibus antiquioribus recenseri: ita libros 2, 7, 10 «infra» fuisse testantur additamenta codicis Vat. lat. 3952, et inventaria ann. 1511 c. et 1519. Iam B heic tertio ut in antiquioribus indicibus, non vero undecimo loco venire deprehenditur iisdem argumentis, quae infra, n. 5, exponemus. Est autem ipsa descriptio distinctior quidem, non tamen sic apta et plena, quae librum in epistolis Pauli revera desinentem, seu nondum supplemento perfectum ostendat. Index non ante, vel saltem non longe ante Julium II conscriptus est, nam ipsa prima manus in superiore f. 71v margine adnotavit: «bartholomei picerni de montearduo ad Julium II pontificem maximum prèfatio edictii (!) suue (?)»: de quo

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videris L. Pastor Gesch. d. Päpste III […]. Aderant autem tum cod. Vat. gr. 330, is est «Biblia» undecimo loco memorata, tum «in septimo banco» «proverbia salamonis cantica canticorum sapientia salamonis sapientia iesu filii syrach esdra in uno libro» (f. 92v), sive cod. Vat. gr. 346, qui ambo a. 1513 mense augusto Francisco cardinali Ximenis commodati nonnisi a. 1519 redditi sunt. 5. Index ann. 1509-1512 c. In principio codicis Vat. lat. 7135, f. 2v: «Graeca Bibliotheca potificia”, f. 11r: «In primo sca(m)no supra. 1. Liber sine lemmate: serico coopertus. – 2. Biblia. – 3. Liber Genesis historiatus. – 4. Genesis cum expositione. – 5. Iob cum glossis. – 6. Liber Regum historiatus. – 7. Iob cum expositione et pictura. – 8. Biblia». In fine eiusdem codicis Vat. lat. 7135, 82v sqq.: «In primo sca(m)no supra. 1. Cycli paschaliorum plurimi, et ἀπόκρεω etc. Psalterium cum expositione: et figuris ditissimis. – 2. Biblia tota et completa: cum pentateucho: prophetis omnibus: sapientiis: et actibus Apostolorum etc. – 3. Aristeae et Philocratem liber… Geneseos liber: et reliqui cum figuris: et expositione… – 4. Geneseos, et caeteri Pentatheuchi, et Bibliorum libri, cum figuris; et expositionibus praedictorum, penitus ut s. – 5. Job cum expositione Olympiodori diaconi… – 6. Libri regum quatuor: cum tabula. – 7. Job cum expositionibus eorumdem: et pictura. – 8. Biblia tota et completa». Idem in summa est uterque index; at prior quidem brevissimus, alter in recensendis scriptis prolixus, alicubi fere infinitus, qui nihilominus materiam scriptoriam integumentum huiusque modi cetera ne subindicat quidem. Secernuntur ordo librorum superior et inferior, ac praeterea cuiuslibet ordinis libri proprio quisque numero distinguuntur, quo an re vera praenotati fuerint ipsi dubitare licet: neque enim secus eorum successio tam facile commutari potuisset in sequentibus indicibus. – In bibliotheca graeca ab octavo s c a m n o (sic banchos appellat) ad primum progressio fit, ordine tenus inverso, non autem banchi quoque numero mutato: qua re numeros scamnis ipsis iam inscriptos diceres proptereaque retentos. At cfr. infra, n° 9. Ad B quod attinet, idem in primo scamno s u p r a , 2 loco, non vero tertio ut in praecedentibus indicibus, neque etiam infra 8 verbis utut aptis «Biblia tota et completa» descriptum fuisse evincitur partim ex indice cod. Vat. lat. 3952, sc. an. 1481 (supra, n° 2), qui eosdem libros recenset ordine parumper mutato, nempe 1. 3. 2. 8. 4. 5. 6. 7, partim ex eo quod in 8, nempe in codicem Vat. gr. 330, qui vetus tantum foedus complectitur, minime congruant vv. illa «et actibus apostolorum etc.» porro quum nihilominus etiam «8. Biblia tota et completa» dicatur esse, liquet ex indice nostro illud minime confici, B revera tunc «completum» seu novo supplemento iam perfectum fuisse; aliis verbis, liquet indicis auctorem hac in parte minus accurate versatum quae neglegentia, ut de 4 («Pentatheuchi, et Bibliorum libri») sileam, vel in B describendo apparet, in quo et complura praetermittuntur et Prophetis Sapientiae postponuntur. De indicis aetate conferantur Fabre in Mélanges d’archéol. et d’hist. XV 474 sqq. et Fr. Ehrle […], qui eum inter dies 25 mensis octobris an. 1508 et 11 mensis martii an. 1513 confectum ostenderunt, at ille quidem ann. 1511/1512 a Parmenio custode

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recente mavult exaratum, hic vero paullo ante, nimirum ann. 1508-1511. – Codicis pars, quae Bibliothecae graecae Mediceae pluriumque aliarum indices continet, repperitur in codice Vat. Barber. lat. 3185, de quo v. R. Sabbadini in R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Rendiconto 1905, 910-916. Is librum Barb. nesciens esse partem codicis Vat. eadem ratione ac Ehrle inter ann. 1508 et 1513 reposuit. 6. Index an. 1518, m. octobrio, Zenobio Acciaioli bibliothecario ac Laurentio Parmenio et Romulo Mammacino custodibus A . I n v e n t a r i u m in codd. Vatt. latt. 3955, manu L. Parmenii, f. 26r; 3950, f. et 3948, f. 21v: «Bibliotheca Graeca. In primo Bancho Testamentum vetus et novum. 1 Psalterium – salvatico. 2 Liber Genesis – pavonatio. 3 B i b l i a i n t r i b u s v o l u m i n i b u s E x m e m b r a n i s i n r u b r o . 4 Biblia ex membr. in nigro» etc. ut supra n. 2. In marg. ad 4 «Est in Hispania».

23r

B . I n d e x scriptorum graecorum a l p h a b e t i c u s ex Vat. lat. 3955 extractus, in fine (ff. 403-485) codicis Vat. lat. 8185, f. 416v sub littera B: «3 . B i b l i a i n t r i b u s v o l u m i n i b u s e x m e m b . 2 6 . 4. Biblia, ex memb. 26.» (nempe folio 26 Vat. lat. 3955). Iste index indicem anni 1481 heic referens nihil ad rem nostram notabile praebet nisi mirum illud voluminibus pro columnis; quo errore compilator indicis indicem antiquiorem potius quam ipsum B deprehenditur adhibuisse. Unde neque admodum mirabilis est indicis discrepantia a ceteris saeculi XVI ineuntis indicibus (nn. 4. 5. 7) ad ipsos libros denuo excussos redactis. Illo ipso compilatoris errore, ni fallor, Vercellone heic Biblia nostra minime agnovit, itaque perperam affirmavit eadem desiderari in indicibus anno 1518 confectis. Cfr. ed. Maian. I p. IV in nota. 7. Index graecus an. 1519(-1521?), Aleandro bibliothecario, Parmenio et Mammacino custodibus In cod. Vat. gr. 1483, Leone X p. m. et H. Aleandro bibliothecario, ideoque inter 27 iul. 1519 et 2 dec. 1521 exarato, in quo recensentur tantum libri graeci ἐν κοινῇ στοᾷ τῆς ἱερᾶς παλατίνης βιβλιοθήκης repositi, f. 136: «Τῶν ἐπὶ τῆς πρώτης τραπέζης. – βιβλίον πρῶτον. ψαλτήριον μεθʼ ὑπομνημάτων ἁνεπιγράφων: εισὶ δ’ ἐν ἀυτῶ ἐζωγραφησμένα10 πάντα τὰ τῶ δαβὶδ συμβάντα, ἔτι καὶ ὅσα περὶ χῡ προφητεύει ὁ δαβίδ. – βιβλίον βον ἡ θεία γραφή ἐξηγημένη παρὰ διαφόρων θείων ἀνδρῶν ἀριστέως…11 – βιβλίον γον περιέχον πᾶσαν παλαιὰν12 τε καὶ νέαν γραφήν: ἔστι δ’ ἄνευ ἐξηγήσεως. – βιβλίον τέταρτον ἡ θεία γραφὴ μετὰ τῶν ἀυτῶν ἐξηγήσεως ὧν καὶἐν τῶ δευτέρω βιβλίω εἴπομεν…», f. 145: «τέλος τῶν ἐπὶ τῆς πρώτης». seqq. «τῶν ὑπὸ τῆς πρώτης». Libros hosce prorsus eosdem esse ac libros 1. 2. 3. 6 in indice ann. 1481 et 10

Scripturam catalogi de more retinemus. Nempe Aristeae epistula etc. 12 Quae si vera omissionis caussa fuit, dicendum quod et cetera verisimilius est, nempe catalogum ipsum compositum esse anno 1519, Aleandro bibliothecario recens renuntiato. 11

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1518 vix dubium: ea quae apparet discrepantia evanescit si librum 4, qui Ximenio commodatus fuerat, loco suo nondum redditum13, ideoque praetermissum, librum autem 5 non «supra» ut illos, sed «infra» fuisse recolas, itaque primum τῶν ὑπὸ τῆς πρώτης evasisse (f. 145v) in indice praesenti qui singulos ordines seorsim recenset. Igitur βιβλίον γον περιέχον πᾶσαν παλαιὰν τε καὶ νέαν γραφὴν etc. B nostrum est: id quod vel titulo firmatur ex ipsa codicis superscriptione prouti solet fere ad verbum extracto, quae in B p. 1 talis litteris grandioribus prostat: βϊβλΐον περϊέχον πᾶσαν τὴν παλαιὰν γραφὴν καὶ τὴν νέαν; hinc rursus conficitur anno saltem 1519 librum quae amiserat supplemento recuperasse iam itaque o m n e vetus et novum testamentum continuisse prouti in indice legitur. Qui contra diceret, is nulla probabilitate comminisci adigeretur titulum ficticium minusque verum in catalogo positum fuisse indeque expiscatum ac traductum in codicem, quandocumque is supplemento perfectus est. 8. Index an. 1533, mense augusto, die 31, «Fausto Sabeo et Nicolao de Maioranis custodibus» In Vat. lat. 3951, I f. 73r; II f. 107v; III f. 1 (nam tria insunt exemplaria): «Bibliotheca Graeca in p° Bancho In fine pe pag. tertii folii: 1 2 3 4

Liber Genesis historiatus cum Exp.ne ex memb. in pavonatio. Biblia ex memb. in rub°. Liber regum historiatus ex m. in pavona. Iob cum exp.ne et pictura ex membra. in pavonat.

τρίτης ἑβδόμ κιβωτὸν τίθεται».

Verba de B recitavit Vercellone in ed. Maiana I p. […] atque in Dissert. accad. 116. 408. De indice ipso videris Müntz o.c. […]; Ehrle, Codices e Vatt. selecti II p. VI. Ergo codices Vaticani nunc 747. 1209. 333 — vel hodiedum notas «N. 3 pi plu.» manu scriptas referens — et 751 qui verbo τίθεται desinit in nona quidem pagina, non autem in quinta. — B iisdem quibus supra n. 1, anno 1475, describitur verbis, addito tamen indicio certissimo, verbo scilicet in quinta libri pagina supremo ἑβδόμης, quod cum e moderno, non vero ex antiquiore — si quidem unquam fuit — supplemento videatur expressum (nullus enim vel constantissimus librarius archetypi faciem tanta fide referre solitus est ut paginae paginis omnino respondeant eodemque verbo incipiant et desinant), confirmatur ipsum supplementum iam ante annum 1533 esse factum: id quod supra n°. 7 alio argumento coniecimus. Porro quum liber cooperimentum «in rubro», quale prius habuisse dicatur, eundem crediderim anno 1527 scelestissimas barbarorum urbis et vaticani direptorum (1) manus feliciter effugisse, vel ideo quia […].

13

Cfr. quae collegi in Miscellanea Ceriani (1910) 607 sqq. et adde gravissimum Aleandri testimonium nuper in The journal of theological Studies XIII (1912) 292 ex litteris […] Ghinucci prolatum.

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9. Index graecus duplex ann. 1538-1544 c., iisdem custodibus Michael ὁ Ρωσαΐτ(ης) graecus, † 154414, in pinace πάντων τῶν ἑλληνικῶν βιβλίων τῆς βιβλιοθήκης τοῦ παλατίου κατ’ ἀ λ φ ά βητο ν Paulo III p.m.15. Augustini Steuchi bibliothecarii (inde a 30 octobr. 1528) iussu16 graece confecto atque etiam latine reddito17 ac pluribus per Europam exemplaribus propagato sub littera B u n i c u m Bibliorum i n t e g r o r u m codicem recenset, nempe nostrum B, verbis ex i p s a libri s u p e r s c r i p t i o n e , non vero ex Aleandri indice, fideliter translatis: βιβλίον περιέχον πᾶσαν τὴν παλαιὰν γραφὴν καὶ τὴν νέαν. Codd. Vat. gr. 1482A f. 16v; 1482B f. 20v; Regin. gr. 171, f. 12v; Vallicell. F 7, f. 16v; Neapol. gr. III A 8; Paris. gr. 3062 f. 20; Oxon. Bodl. Miscell. 127; Scorial. Ω. I. 2. In alio pinace graeco πάντων τῶν βιβλίων τῆς βιβλιοθήκης per τραπέζας digesto, ex quo alphabeticus pinax compositus videtur, ac proinde paullo ante vel eadem fere aetate confecto nec minus late mox propagato, quem ex codice Vratislaviensi Rehdiger 186 edidit Haase in Serapeum X (a. 1851) 133 sqq. longe antiquiorem faciens, haec p. 22818: Τάδε ἔνεστιν ἐν τῇ ὀγδόῃ τραπέζῃ. [Haase 366] Ἑρμηνεία διαφόρων συγγραφέων ἐις τὴν γένεσιν τουτέστι τῆς

κοσμοποιίας καὶ τῆς ὅλης πεντατεύχου βίβλου καὶ Ἰεσοῦ τοῦ Ναυῆ καὶ περὶ τῶν κριτῶν.

[367] Μακκαβαίων βιβλία γ̄ καὶ ἕτερα βιβλία τοῦ φιλοχρίστου βασιλέως ἡμῶν κυροῦ Ἰωάννου τοῦ Καντακουζηνοῦ κατὰ Μωάμεθ λόγοι τέσσαροι. – Ἕτερον πόνημα τοῦ ἄνωθεν Ἰωάννου τοῦ Καντακουζηνοῦ.

[368] Κεφάλαια τῆς πρώτης τῶν βασιλειῶν ν�δ. – Τῆς δευτέρας τῶν ο�ς (sic!). – Τῆς

τρίτης τῶν βασιλειῶν ζ � (sic!). – Τῆς δης τῶν ἀυτῶν ν�ε [369] Βιβλίον περιέχον πᾶσαν τὴν παλαιὰν γραφὴν καὶ τὴν νέαν.

Heic rursus, ut in indice cod. Vat. lat. 3960, supra n.° 4, octava dicitur tabula quae aliis prima est. Ad hoc inter libros superioris et inferioris ordinis nulla fit distinctio, quare falleretur qui B in octavam tabulam translatum et quarto loco repositum putaret.

14 Eum demortuum esse nunciavit Marcello Cervino Antonius Eparchus in litteris 24 oct. 1544 datis, quas edidit L. Dorez in Mélanges d’archéol. et d’histoire XIII (1893) 308: «Messer Michele Rossato è morto andando al Zante». De homine cfr. E. Legrand, Bibliogr. Hellén… XVe et XVIe siècles I 258. 15 Vat. gr. 1482A f. 1v: Παῦλος ὁ τρίτος ἀρχιερεὺς… διὰ Μιχαὴλ τοῦ Ρωσαίτου Ἔλληνος ἀνδρὸς καὶ ἀυτοῦ ὀικείου τὰ σ υ γ κ ε χ υ μ έ ν α ταῦτα καὶ ἄ τ α κ τ α βιβλία ἐις τάξιν μετήνεγκεν. 16 Cod. Paris. gr. 3062 f. Δr: Ἀυγουστῖνος ϊ᾿ γουβῖνος ἐπίσκοπος καὶ βιβλιοθηκάριος τῆς βιβλιοθΐκης (sic) ἐν βατικάνῳ καὶ ἱερῷ παλατίῳ ἐκέλευσε καταλέξαι τουτονὶ τὸν ἔλεγχον…. 17 Cod. Scorial. Ω. I. 2. 18 Haec quidem habentur in inventario integro quale prostat in cod. Ambros. Q. III sup.; Atestin. Mutin. gr. 232; Amstelodam. Universit. 15; Oxon. Bodleian. Miscell. gr. 127 et 299; Monac. gr. 198; Guelferbit. Gudian. gr. 34 et Rehdig; desunt autem in ceteris, nempe Vat. gr. 1484B (unde Vat. lat. 7764, ff. 261-378); Bononiens. Universit. 3645; Paris. gr. 3063, in septima tabula deficientibus.

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N.B. In ampliore sed imperfecto indice «bibliothecae publicae Graecae Vaticanae confecto a (Ioanne) Metello (Sequano) Calend. Septembris M.D.XLV.» (cod. Vat. lat. 7132, init.; eius mentionem fecerunt De Rossi o.c. CXI, Carini 57, Müntz 81) B deest, sive quia commodatus bibliotheca tunc temporis afuerit, sive quia iam aliquem e sequentibus pluteis V-VIII fuerit translatus. Metelli viri plane docti ac rei palaeographicae peculiariter curiosi descriptionem desiderassem, praesertim quia postea a. 1562 idem Andreae Masio «praeclaras illas emendationes ex antiquo Vaticanae bibliothecae libro a Maiorano collectas… edendas» edixit19. 10. Index an. 1548, Sabeo et Maiorano custodibus In priore brevissimo codicum graecorum indice a Guilelmo Sirleto et Nicolao Maiorano mensibus aprili et maio20 accurate digesto, f. 10 (olim 24): «Libri a d d i t i in 5° pluteo. / Inferius. / 5221. V e t u s e t n o v u m t e s t a m e n t u m l i t e r i s m a i u s c u l i s s c r i p t u m . / 53. excerpta ex quatuor evangelistis quae recitantur per anni tempora literis maiusculis scripta». Quum folium hoc 10 libros a d d i t o s continens, utut eadem manu conscriptum ac reliqua, sit insiticium et unius eiusdemque folii 12i (ol. 25i) paginis, anticae et posticae numeris 9 et 12 primitus notatis interponendum, id tum scriptorum serie tum numeris paginarum aliisque signis monentibus, verisimilius idcirco est illud «Vetus et Novum testamentum literis maiusculis scriptum»tunc primum aliunde22 in inferiorem quinti plutei seriem illatum et a d d i t u m esse, cum index perficiebatur librorum novo interim ordine digestorum. Biblia autem illa Vaticana B esse certum est et clarissime ex sequentibus patebit. 11. Index ann. eiusdem 1548 exeunte, custodibus iisdem «Index librorum Graecorum Bibliothecae magnae Vaticanae»23 longe amplior «die 13 novembris 1548» ab iisdem, ut censeo, Maiorano et Sirleto institutus, qui bibliothecae graecae p u b l i c a e libros (aeque ac latinos in indice suo24 Ruanus) n u m e r i s tandem aliquando d i s t i n x e r u n t u n i c a m a 1 usque ad 511 seriem efficientibus, f. 60r: «In eodem (quinto) banco in parte inferiori» f. 62r: «293 [postea in «294» inmutatur] Dubitationes, et solutiones eorum quae scripsit Aristoteles de Natura, ex membrana in rubro. 294 [postea «295»] Biblia literis maiusculis scripta in extremo libri Geneseos annotatum est, hanc editionem esse sec u n d u m S e p t u a g i n t a I n t e r p r e t e s , ex membrana in rubro». Alia manu, infra numerum 294 (295): «in arm.». 19

Apud Lossen, Briefe von A. Masius und sciren Freunde 347. Cfr. Sirleti epistulas ad Cervinum dd. 11.25 apr., 9 mai datas in cod. Vat. lat. 6177, ff. 119 (unde Batiffol, La Vaticane etc. 18 sq.), 122, 124 etc. 21 «51. 50. (sic) Dubitationes physicè cum solutionibus». f. 12r fine. 22 Sive ex primo pluteo, ubi tamen Metellus B non recenset, sive ex alio quocumque, per me licet, idoneorum testium defectu. 23 Huius indicis pars qua recensentur codices graeci «in quarto Bancho Bibliothecae secretae» conditi exstat in cod. Vat. lat. 7131, f. 143-157. 24 In codd. Vatt. latt. 3967-3969, de quibus cfr. E. Müntz o.c. 81-85; […]. 20

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Heic B notissima illa Geneseos subscriptione, quae saeculo XVI B. Zanchium, edd. Romanos aliosque valde movit, praeclare designatur: numero praeterea notatur hucusque incognito, quem ad annum saltem 1552 retinuisse videtur, siquiem eodem anno mense februario F. Sabeus in cod. Vat. lat. 3965 f. 28r Dionysium Areopagitam et Demosthenem antiquioribus numeris 181 et 350, non autem serioribus 182 et 351 distinxit. Emendati posta numeri sunt inde a libro 32 qui praetermissus fuerat; at novum numerum 295 qui in indice sequenti apparet haud diu B servavit, teste additamento illo «in arm(ario)». Qua adnotatiuncula declaratum est librum 295 non amplius in quinto bibliothecae graecae publicae pluteo reservari, sed in armario quodam, nempe quarto bibliothecae parvae secretae, ut infra n.° 13 videbimus, nisi malis id accipere de tempore longe posteriore et de armario Vergilii, de quo cfr. nn.is 15. 17-18. 12. Index post m. februarium a. 1552 confectus In brevissimis codicum graecorum et latinorum indicibus ex praecedenti post numerorum emendationem atque ex Ruani indice, ut videtur, excerptis, qui in cod. Vat. lat. 395725, inmutatoque ordine, in cod. Marcian. XIV. 291 prostant: «Quinto Bancho / Inferius / … 294 Dub.nes et solut.nes eorum quae scripsit Arist. de natura. 295. Biblia» (Vat. ff. 20.21), qui titulus nonnisi dubitanter de B accipi potuit quamdiu indices anni 1548 latuerunt. N.B. Numerorum quam memoravimus emendatione posteriora quoque sunt tum exemplar indicis amplioris anni 1548 auctum et elenganter scriptum, quod eidem indici colligatum fuit, tum index vel amplior codicum graecorum a viro quodam plane docto de novo confectus hodieque Berolini in cod. Phillipps 189426 servatus. At in neutro B occurrit, quia illud quidem in pluteo quarto, codice 237 deficit, hic autem non ultra 79 librum plutei secundi procedit. 13. Index anno 1563 (?) posterior In codicis Vat. lat. 7131 ff. 158-190 superest index quidam, fortasse mutilus, post XVI saeculum medium a Viviano Brunoro ni fallor exaratus27, quo codices graeci primo quinti armarii centum triginta quinque, dein (f. 171) quarti centum quinquaginta novem seorsim recensentur ac numeris notantur ab uno denuo crescentibus. Stabant hi armari, ut ex in indice sequenti patebit, in bibliotheca parva secreta, quam extraneus nemo ingredi solus poterat28. Ibidem ergo f. 171r: «4 25

Eum perperam in Leonis X tempora coniecit Müntz o.c. 52. Vide sis V. Rose, Verzeichniss der Meerman Hss d. K. Bibliothek zu Berlin 478. Cfr. infra c. […] n. 11, ubi haud improbabili argumento coniciemus indicem post a. 1561. 27 Nam eius scriptura in t. 40 Archivi bibliothecae f. 20v, quamvis longe accuratior, omnino similis est praepore…ae indicis scripturae. Porro Vivianus, de quo cfr. Mazuchelli Scrittori d’Italia II […] factus est scriptor linguae graecae die 29 octobris a. 1563, uti me docuit St. Le Grelle conlega coniunctissimus. Scripsit autem Vivianus cod. Vat. gr. 693, uti constat ex confessione in t. Archivi cit. 28 Cfr. J. B. Cardona de bibliotheca regia S. Laurentii (Tarracone 1587) 10, et quae conlegi in La Biblioteca Apost. Vat. bibliotecario C. Baronio […]. 26

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Arm.s», f. 184r: «79 Quatuor Evangelia ex membranis in a u r o . 80 Actus Apostolorum Iacobi epistola Petri epistolae duae Ioannis epistolae tres Iudae epistola Pauli epistola 14 ex m in a u r o . 81 Biblia manuscripta literis maiusculis i n p r i n c i p i o m i n u t i s l i t e r i s ex m in rub.». Libri 79 et 80 nunc Vaticani graeci 1158 et 1208 esse videntur, Innocentio VIII a Carlotta Cypri etc. regina dono dati, qui Leone X pontifice max. cautissime — vel cautius quam praesentis indicis tempore — custodiebantur «in capsa ferrea quam tenet Bibliothecarius», utpote maximo habiti pretio, cfr. quae ex hoc ipso cod. Vat. lat. 7131 f. 32v recitavi in Miscellanea di storia e cultura eccles. V (1906) […]. Iis libris cum noster 1209 — qui codici 1208 p r i m u m heic deprehenditur c o n s o c i a t u s — in alterutra bibliotheca secreta adiectus sit, id testimonio esse potest opinionis de magno eiusdem pretio inde a saeculo XVI medio invalescentis magis quam suspicionis illius de libri sinceritate a Guilielmo Sirleto custode postea (circa a. 1561) conceptae ac mox depositae. cfr. Höpfl o.c. 39, n. 3. […] Translatus autem e quinto b a n c h o bibliothecae g r a e c a e p u b l i c a e in quartum p a r v a e s e c r e t a e a r m a r i u m liber iam fuerat anno 1569 vel 1570, nam eo fere tempore Iulius Gabrielius Eugubinus «vetustissimum illum» codicem «maiusculis litteris m a i o r i ex parte conscriptum» invenit «s e c r e t i o r e i n l o c o Vaticanae bibliothecae asservatum» cfr. […] n. […]. Imo longe antea, nempe circa finem anni 1554 factum id conicio; tunc enim Marcellus Cervinus cardinalis bibliothecarius Sabeum et Sirletum custodes monuerat ut libros pretiosiores universos, qui in publicis conclavibus praesto cuilibet erant, in secretis reconderent ad tutiorem custodiam. «Questa ladroncellaria ce ammonisce, che saria forse bene di levar tutti li libri migliori, scritti a mano, dalle stanze publice, et conservarli in quelle che stanno serrati, mettendo in cambio loro delli stampati: acciocche perdendosi, ne fusse manco danno». Epist. d. «A gubio», 14 oct. 1554, in cod. Vat. lat. 6178, f. 3729. Idem comprobatur errore illo Widmanstadii, quo a. 1555 codicem nostrum«a u r e i s m a i o r i b u s q u e l i t t e r i s » scriptum dixit30, cum aureo quodam codice nimirum proximo confundens, ni fallor, 1158 vel 1208, secus enim ille somniasset omnino. 14. Index anno 1581 anterior In indice codicum graecorum omnium (numero 1104) ante Sixtum V31, imo iam ante annum 1581, in unam seriem redactorum n o v i s que numeris distincto-

29

Nel terzo centenario cit., […]. Liber sacror. Evangelii (Syr.), Viennae 1562, in epist. d. praefixa a. 1555 data. Locus exscribetur infra […] n. 3. 31 Aberat enim codex Vat. gr. 360 anno 1585 Sixto V ab Aldo Manutio Pauli f. dono datus, ne dicam libros ab Antonio Carafa a. 1591 legatos etc. 30

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rum32, quem Friderici Ranaldi († 1590) indicem puto33, p. 433: «Quartus Armarius Bibliothecae parvae secretae». P. 518sq.: «907 [ex ‘917’] Biblia literis maiusculis ex m. in rub.° 908 [ex ‘918’] Actus Apostolorum… Pauli epistole quatuordecim ex m. in auro. 909 [ex ‘919’] Quatuor evangelia ex m. in auro». p. 533: «Quintus Armarius bibliothecae parvae secr.» etc. — Ad n. 907 in margine unus e iunioribus Ranaldis, ni fallor, Alexander34 (1578c-1645) adnotavit «in arm.o»: idem postea vel quivis alius adiecit «1209»; similiter ante n. 907 «in arm.° Virg. sub n°. 266», ac postea superius «1158». Libri autem 908 cancellata descriptione, alterius libri nunc Vat. gr. 866 descriptio adposita est partim ipsa manu p r i m a, partim exotici cuiusdam, fortasse Iacobi Sirmondi35: quae mutatio quum securitatis maioris causa non videatur facta (nam bibliothecae secretae tutiores erant), librum illum 908 ab anno saltem 1581 propter splendidam χρυσογραφίαν invisentibus ostendi solitum36, ideo conicio extractum (ac consequenter in indice sub n. 908 deletum) ut in armarium haud minus tutum quidem et magis conspicuum una cum aliis huiusmodi coemeliis reponeretur. Quo igitur tempore confectus est index, B et Charlottae reginae libri in eodem ac inde ab anno circiter 1555 (?) bibliothecae parvae secretae armaris permanebant, non eodem tamen ordine neque sub iisdem numeris, sed novis instructi ideo longe maioribus quod n o t a r u m s e r i e s a b i b l i o t h e c a e p u b l i c a e l i b r i s p r o f e c t a d e s i n e b a t i n s e c r e t i s . At armarium sane aliud verbis illis adiectis «in arm.°» innui patet, i. e. «armarium Virgilii», a celeberrimo Vergilio Romano inibi custodito dictum et clarius in aliis pluribus adnotationibus a Ranaldo memoratum hoc modo: «hic liber adest (vel «repositus est») in arm. 13 seu Virg. sub n° … (ad 894 et 1079); h. l. est in arm. ut sa … (895); in arm. Virg. sub n. … (904, 909); in eodem arm. …» (910-913). Quae nuncupatio quum circa saeculi XVII initium in commentario librorum Vaticanorum commodatorum37, imo paulo ante in novis Dominici Ranaldi indicibus38 occurrat, diceres eandem novo cuidam amplioris 32

His sane numeris signat codices Gerardus Vossius Operum omnium S. Ephraem Syri editor I (1589), p. XII. XX et alibi; imo non parum ante eum Achilles Statius († 22 sept. 1581), qui in libro Vallicell. A 1, f. 27r allegat: «libr vet. Vat. bibl. pluteo p° sacrorum libr., in quo Basilii multa n° 274», 142v: «Athanasius in oratione cuius titulus διακριτικὸς λόγος καὶ ἐις τὰς ἐντολὰς… quae est in Vat. bibl. num. 379». Cfr. Vat. lat. 7132 sub vv. Athanasius et Basilius, nam index noster mutilus heic est. 33 Meminit unus e Ranaldis in relatione anni 1597, quam ex codice Vallicell. […], f. […] edidi in op. Nel terzo centenario della morte di C. Baronio […]. 34 Idem profecto addidit in fine codices 1143-1146 a Paulo V Vaticanae dono datos. 35 Ut ex collatione cum autographo eiusdem in Archiv. Biblioth. 30, ff. 345-347 deprehendi. 36 Cfr. Montaigne, Journal du voyage etc. (ed. A. d’Ancona 1895), 275, qui plerosque libros recenset inde a saeculo XVII omnibus certe expositos. 37 Ex. gr. in commodatis annorum 1601. 1605. 1607 tomo 30 Archivi Bibliothecae, ff. 346. 339. 341, inscriptio. 38 Vat. lat. 6949, f. 204. 207.

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n o v a e bibliothecae armario inditam post annum 1590, ideoque plus minus seriora esse additamenta iunioris Ranaldi. De sede huius armarii videris infra, n° 18. 15. 16. Indices alphabetici duo anno 1590 (1589?) antiquiores In brevissimo scriptorum graecorum indice literarum ordine ex indice praecedenti digesto, qui tum in huius fine tum in duodecimo Archivi bibliothecae tomo servatur, sub litera B: «B an(te) J Biblia 907. B an. O» etc. In alio simili indice longe ampliore, qui codici Vat. lat. 7132 tertio loco insertus est, sib littera B: «907 Biblia in literis maiusculis ex m. in rub.°», sed verba suprema «ex m. in rub.°» cancellata sunt, ac serius in linea sequente additum est: «236. Biblia.» nempe Vat. gr. «330 Vetus Testamentum 236», ut in indice n. […] legitur. Cur verba illa cancellata sint, ex Appendice seq. n. 2 conicere est, nempe propter mutatum integumentum. – Uterque index habet: «908 Actus Apostolorum»; habet etiam scriptores in codice suffecto 908, nunc Vat. gr. 866 contentos, sed amplior quidem serius, marginibus vel inter lineas inscriptos, brevissimus autem alicubi in ipso contextu, unde tempore posterior deprehenditur, neque is tamen Sixti V tempore recentior est, cum eidem in cit. exemplari tomi 32 adiectus fuerit: «Indici (sic) de libri che Sisto V fece venire di Spagna dalla libraria di Ant.° Agostini, quali D. Antonio d’Aquino diedi al pr�e Cesare Baronio.», anno scilicet 158[…]. 17. Index an. 1596-1600, Marino et Dominico Ranaldis custodibus Dominicus Ranaldi († 1606) in priore librorum omnium manuscriptorum Vaticanorum indice, nunc cod. Vat. lat. 694939, f. 204r (olim p. 269) «Armarium Virgilii» f. 205v (olim p. 272): «291 Test.m vetus et novum l(ite)ris maiusculis scrip.t incipit à cap. 47 gen. 294.

πόλιν εις etc. ex perg. in albo c. s. n. 1526 vet. pulch. in folio quadro.

In princ.° in medio et in fine est scriptum atque additum ex manu valde (?) recenti Prophetiae declinationis Constantinopolitani imperii

*40

292 Actus Apost. in greco l(ite)ris aureis…

*.»

Codices hos et ceteros graecos in paginis praecedentibus 269-271 descriptos alia manus cancellavit, deque iisdem Alexander Ranaldus adnotavit: «hi libri sunt inter alios graecos» et similia. In hac descriptione omnium quotquot hucusque retulimus accuratissima animadvertendum est: 1° pro vv. «in rub°» adere illud «in albo», quo demonstratur B saeculo XVI ad finem vergente, verisimiliter post editionem Gregoriano-Sixtinam 39 Cfr. Ehrle in Historisches Jahrbuch XI (1890) 721; id., Il manoscritto Messicano Vaticano 3738, detto il codice di Rios (1900), pref., p. 9 et quae attigi Nel terzo centenario etc. […]. 40 Simile quid signum habuit Il Ms. Mess. Vat. 3733 (1896), 6. 8. — Huiusmodi signis distincti fuerunt codices etiam in capsas et armaria bibliothecarum quae dicebantur secretarum et camerarum parvarum congesti; in quas capsas et armaria repositi fuerant tum veteres e bibliothecis publicis ad tutiorem custodiam extracti tum libri recens adlati, v. gr. A. Caraffae.

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V. T. graeci, novo diversi coloris integumento munitum; 2° paginas scriptas, quae 1536 re vera extant, 1526 solummodo computari, non ideo quod totidem nec amplius fuerint tunc temporis, sed illi consequenter errori quo singulis inde a 1390ma paginis numerus decenario minor inscriptus fuerat: unde liquet indicem antequam emendarentur numeri confectum esse. Ex notis appositis illa quae praecedit «291» s… addita videtur, eaque liber in armario Vergilii mox distinguetur: altera subsequens «294» notam antiquiorem refert41 anno 1548 inditam vel ex deperdito quodam indice petitam vel quam forte codex praeferebat. Posteriores autem notae «295» et «907» consulto neglectae sunt a Dominico, qui bibliothecae universae novam ordinationem suam cum cerviniana pariter universa eademque, latinos codices quod spectat, etiam tum perstante42 conferre satis habuit iure merito. 18. Index an. 1604 anterior. «Index totius Biblioth. Vat.» compendiarius, ab eodem Dominico Ranaldo ex praecedenti, nisi fallor, ordine tamen in melius inmutato, sic digestus ut indici suo plenissimo, qui vel hodie solet adhiberi, pulchre describendo inserviret, p. 169: «14 Armarii librorum parvorum Cam.rae Ultimae Secretae. 1 Ant. Eparchos (sic) de Tyrannide…» — p. 181: «13 Arm: sept. ad (levam» delet.; supra) dextram ingredientium qui Virgilii Arm.m dicitur. Cam.re Ult.ae Secretè. 259 Catena greca…» – p. 182: «291 Tes. vetus et novum grecum ex fol. 272

[+ inter grecos libros] 294.

292 Acta Apostolorum (et Epistole» delet.) literis aureis [+inter grecos libros] ex fol. 272.»

0*

Quae uncis [] seclusi, serius adnotavit Alexander Ranaldi; ceterea scripserat ipse Dominicus, qui verbis «ex fol. 272» (nempe codicis Vat. lat. 6949, cfr. n. 17): unde librorum descriptiones repetendae essent indicavit. Hinc iam colligimus 1°) numero «13» tunc praenotatum fuisse armarium Virgilii, ubi B reconditum fuisse iam dicimus supra, n.° 14, ex duabus adnotationibus Alexandri; 2°) idem extitisse in camera ultima, vel secunda secreta, videlicet in illo conclavi quod templi Vaticani a Sixto V perficiendi pictura notissimum est ac libros mss. graecos palatinos et urbinates continet, «ad dexteram ingredientium» ex amplissima sixtina bibliotheca, iisque septimo inde loco, post primam secretam, occurrisse; 3°) eiusdem armarii libros non seorsim, sed cum libris «armarii librorum parvorum» iisque s o l i s continuata serie numeratos fuisse; qua re B, qui trigesimus tertius in armario Virgilii erat, 291us evasit et hoc numero notatus est. Quoad aetatem huius indicis per plures annos verisimilter continuati, certum illud est eum indici n° 19 ideoque anno saltem 1604 praecessisse. N.B. Per haec tempora, dum liber scilicet una cum Vergiliis antiquissimis et Terentio Bembino recens invecto asservabatur et invisentibus ostendebatur, eum vi41 42

Cfr. Il ms. Mess. Rios, 9 sqq. Histor. Jahrbuch XI […].

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dit Ioannes Herar, a Pflaumern JC43, cuius descriptio cum et librorum cautissimam in loco et forulis secretis custodiam et ministrorum in monstrando liberalitatem praeclare testatur digna est quae heic referatur: «Pretiosissimi ac Vetustissimi Codices, separati à reliquo grege, ligneis armariis clausi asservantur; quae haut gravate recludunt custodes, et reconditum thesaurum litteratis hospitibus monstrant: binos Virgilios in membranis amplius mille ante annos scriptos; eiusdem vetustatis Terentium, qui, ut memorant, Alexandro Severo imperante conscriptus, non ita pridem a Petro Bembo possessus, denique inter ceteros Fulvii Vrsini lectissimos libros Vaticanae Bibliothecae accessit. Monstrant item Acta Apostolorum Graecè aureis litteris diligentissime descripta: à Cypri Regina Innocentio VIII donata. Auro tunc et gemmis fulgebat liber: sed à Borbonianis militibus sedulo nudatus fuit. B i b l i a g r a e c a v e t u s t i s s i m a i n m e m b r a n i s e x a r a t a : Petrarchae epigrammata ipsiusmet manu scripta. Etiam in Sermonum quodam libro duobus locis monstrantur aliquot versus, quos D. Thomas Aquinas adscripsit. Ostendunt et Volumen, idest membranam crassiorem Hebraicis litteris conscriptam ac circumvolutam…. Haec pauca ex innumeris, quae in Vaticana Bibliotheca rara sunt et exquisita». 19. Index an. 1612 c. In breviore codicum graecorum indice, quem ordinatione numerisque novis inductis ab anno saltem 160444 vel hodiedum perseverantibus Dominicus Ranaldus instituit et ad codicem 1142 perduxit, Alexander frater post eius mortem (13 august. 1606) prosecutus est usque ad n. 1457, nn. […]. «1208. Acta Apostolorum et Epistolae B. Pauli literis aureis cum quibusdam figuris in principio. σ. p ex perg. in fol. parvo da farsi 1209. Vetus et novum testamentum literis maiusculis. ex per in fol.

σ. p da farsi»

Signa duo illa in fine linearum exprimere videntur signa quaedam in usum indoctorum forte famulorum codicibus monstrandis ad tempus adscripta, potius quam notam proprie dictam, qualis est numerus. Utcumque res sit, signum huiusmodi B non praebet idemque eum aliquando praetulisse nondum comperi illud autem «da farsi» (quod codicibus 1168-145745 adscriptum est) librum etiam 43

Mercurius italicus, ed. Lugdun. 1629 (in bibliotheca Ambrosiana sub notis Y. II. 8), 269 sqq. Editionem principem a. 1625, cuius meminit unius D’Ancona in M. Montaigne Journal etc. p. 263, nondum vidit. Auctor Romae fuisse videtur circa an. […]. De illo cfr. Veith, Bibliotheca Augustana […] (179). 44 Numeris enim tum veteribus tum novis notati sunt codices Vat. gr. 153-155 C. Baronio cardinali commodati diebus 27 iul., 4 et 9 august. an. 1604 in actis Archiv. bibliothecae, t. 30, f. 337. 45 Quod mirum est in sequenti indice n.° 20 usque ad codicem 1166 numeri novi deletis antiquis plerique superscripti sunt, a codice autem 1167 ii soli fuerunt adscripti. Unde liquet indicem iam longe ante inceptum et per annos complures protractum.

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tum describendum ostendit verisimiliter in graeco qui interea componebatur Iulii a Sancta Maura indice v. infra. — Libri sedem Alexander secus ac Dominicus solebat non indicat: nam fieri minime potuit ut «capsula 4» codices 1070-1457 contineret. Quicquid de loco sit, B tunc libro C h a r l o t t a e reginae rursum postpositus est, amboque numeros illos nacti sunt quibus toto orbe innotuerunt. Novo numero libros designat iam Paulus V in rescripto anni circiter 1615 edito infra in Append. […] n. 6. Sortiti porro sunt tam distantem a reliquis antiquae Vaticanae codicibus graecis biblicis, scilicet Vat. gr. 330-369, sedem, tam superiores numeros, propterea quod libri cautius in secretis asservati ceteris iam ordinatis ac notatis accesserant, non vero pro materiarum diversitate huc illuc intermixti fuerant. Cfr. supra, n°. 14. 20. Index graecus ann. 1612-1613 Ioannes a Sancta Maura († 1614)46, vel, ut L. Allatius tradit47, filius eius Iulius in indice codicum graecorum (numero 1489) graece, sed «confuse imperite»48 composito ac manu Ioannis exarato49, t. II, p. 1205: «1208 – Πράξεις τῶν ἀποστόλων μετὰ τῶν ἀποστολικῶν ἐπιστολῶν,

χρυσογραφεῖσαι πρόκεινται κατὰ τὴν ἀρχὴν τοῦ βιβλίου αἱ σημαῖαι τοῦ Πάπα Ἰννωκεντίου Ὀγδόου καὶ καρούλης λουσι­ νιανῆς τῆς Κυπρίων ῥηγίνης. 1209 – Παλαιὰ καὶ νέα διαθήκη ἐν κεφαλαιώδεσι στοιχείοις γεγραμ­ μένη.»

Idem versus finem, in indicis indice per ordinem alphabeti50, f. 97v: «Διαθήκαι παλαιαί τε, καὶ νέαι… p. 1025.9». — Hic quoque, pariter ac in proximo Allatii in-

dice, librorum sedes sive armaria minime indicantur, ea fortasse de caussa, quod numerus ad librum quemque facile reperiendum iam plane sufficiebat, iccirco novam libri nostri sedem aliis testimoniis cognoscamus oportet. Cfr. finem praesentis appendicis.

46 Sane scriptura notam eius manum prodit. Constat praeterea ea rationibus expensarum in Archiv. biblioth. t. 29 ff. 48r.52v eundem indici graeco vacasse mense novembri anni 1609. Allatium tamen erroris in hac re arguere non audeo. 47 Archiv. biblioth. t. 3, f. 3. 48 Allatius ib. Ita fere etiam F. Contilori in Relazione a. 1627 c. edita a G. Beltrani in Archivio della Società Rom. di storia patria II (1879) 192. 49 Iulii scriptura prorsus alia est in Archiv. biblioth. t. 9, ff. 51 sqq. Ad hoc pars indicis suprema, saltem inde a codice 1190, perfecta cum ut post mensem Aprilem a. 1612, uti supra animadvertimus, eam vix potuit exarare Iulius a mense Iulio eiusdem anni usque ad Aprilem anni 1614 et amplius in Hispania peregrinus, ut constat ex epistulis eius ib. servatis. — Index ipse compactus fuit Scipione Borghese card. bibliothecario, ergo ante dm 17 februario anni 1610. 50 Haec “Appendix” quae complectitur codices inde a p. 833 recensitos, manifeste ostendit hos codices ceterorum corpori serius accessisse. Firmatur hoc vel eo quod appendix orditur in p. 833 a codicibus 1143-1145 «donati da N. S. Paolo V», teste A. Ranaldo in continuatione indicum 14i et 19i.

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21. Indiculi codicum Vaticanorum proprio loco remotorum saec. XVIII Huc usque series catalogorum bibliothecae Vaticanae, qui ad rem nostram faciunt. Nam e posterioribus indicibus ii qui in codicibus Vat. lat. 7130 et 7133 (graece, an. 1654) supersunt, comprehendunt hic codices Vatt. gr. 1-558, ille 1-430 solummodo; eximii vero indicis a Leone Allatio graece compositi, cuius exemplum Laurentii Portii manu descriptum omnibus in bibliotheca praesto adest, tomus tertius codices Vatt. gr. 993-148651 complectens anno 1798 igni traditus est52, neque subplet eundem autographi Allatiani pars in codice Vat. Barb. gr. […] servata, quippe quae codicis nostri descriptionem non exhibet; in recentiore denique Hieronymi Amati tomum tertium Allatianum circa an. 1810/1813 latine restituere aggressi53 vix adnotari potuit: «1208 et 1209 desunt», utpote duodecim ante annis Parisios delati54. Quomodo Allatius B descripserit, tum ex perspecta indicis eius ratione tum ex illius «Auctorum et materiarum indice librorum Graecorum Mss. Bibl. Veteris Vatic. alphabetico ordine digesto», facile est conicere, sed non refert. E re potius est excitare indiculos, qui plures inde a saeculo XVII supersunt, librorum illorum, qui a recentibus custodibus in bibliothecae totius recensione loco suo quacumque de caussa repperti non fuerunt. Ex illis afferetur unus et alter, qui armarium libro nostro tunc temporis assignatum indicant; scilicet primo quidem illa: «Nota fatta dal Rev.mo de Miro nel suo ingresso in Biblioteca» (anno 1701) in t. 15 Archivi bibliothecae, f. 485r, ubi sic: «Codices Grèci… In armario 90°. Desunt codices 1209: 1228: 1236: sunt codices 84: omnes 1259», nempe codices 1176-1259; ubi mox Zaccagnius supra numerum 1209 — prorsus ac infra ad cod. 1613, sive ad Menologium Basilii imp. — crucem primo delineavit eaque postea deleta lineam infra eundem et duos sequentes numeros duxit, libros reppertos, nisi fallor, indicans. Deinde alter indiculus incerti anni, non tamen recentior, ib. f. 480v italice, f. 498v latine sic habens: «Graeci. In LXXXX desunt 1198, 1202 et 1209»; e quibus verbis italico exemplari stilo plumbeo cancellata videntur illa: «mancano i 1198, 1202». Tertius denique mens. iul. ann. 1798 post alteram gallicam spoliationem, de qua infra, Caietani Marini cura confectus in Archiv. bibliothecae t. 54 p. 14: «Mss. Greci Vaticani … scanzia 15. dal 1195 al 1310. Mancano 1197. 1208 (ritrov.). 1209. 1263. 1264. [1278» cancell.]. 1288 (ritrovato). 1306. [1302. 1279» cancell.]; in quo indiculo lineola superne adposita significatur

51

Allatio ipso teste in Archiv. bibliothecae Vat. t. 9, f. 3. Michael Ang. Lanci et Raph. Scaramucci in recensione pluteorum an. 1813 m. iulio peracta, ad cod. Vat. gr. 1523: «È notato mancante dal Sig.re Girolamo Amati Scrittore di Lingua Greca, che al presente rifà un Tomo dell’Inventario Abbruciato dallo Scopatore della Biblioteca Santoloni, in tempo della Repubblica Romana democratica». Ex Archiv. Biblioth. Vat. t. 59, f. 28. 53 Quae ibidem stilo plumbeo recens adscripta sunt: «1208. Πράξεις καὶ ἐπιστολαὶ τῶν αγιων αποστολων codex aureis descriptus litteris. 1209 Codex celeberrimus Bibliorum Sacrorum Vet. et Novi Testamenti — descriptus unciali charactere», manum produnt Josephi Cozza-Luzi, cuius cfr. Nov. Patrum biblioth.X, part. III, 279. Idem brevissimum indicem codd. Vatt. gr. 1500-23 […] graece digessit, qui nostra non interest. 54 Assemani Catalogus codd. mss. etc. I p. […]. 52

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codicem a Gallis extractum, verbo item superscripto «ritrovato», postea in ipsa bibliotheca reppertum fuisse. Hinc patet codicem nostrum saeculo XVIII ineunte pro suo numero assignatum fuisse armario 90, exeunte vero saeculo armario 15, indubie codicum graecorum, armariis per se computatis, quae in prioribus indiculis adnumerata fuerant armariis codicum latinorum etc. Porro, quamvis conclavis amplissimi Sixtini armaria nullo hodie numero distinguuntur praeterquam codicum in iisdem singulis per saeculum XIX reconditorum55, quamvis insuper ea quae codices graecos continuerunt usque ad an. 1912 (quo iidem cum ceteris universis codicibus in novum conclave coacti sunt) nonnihil discrepasse videntur — si numeros codicum reconditorum spectes– ab antiquis armariis. Nihilominus quia armarium illud in quo B pro suo numero reponendus erat, codices hucusque habuit 1186-1277 graecos, scilicet eosdem fere ac armarium 90m anno 1701 et 15m anno 1798, unum et idem videtur dicendum atque armaria haec, eorumque in codicum numero discrepantia exorta propter codices nonnullos sive amissos (Vatt. gr. […]) sive translatos inter impressos (ex gr., Vatt. gr. antiq. 1-2), sive nuper dispertitos — quod saepe factum est — in plures tomos uno numero vetere notatos, et ita porro. Quod autem saeculo XVIII ex Armario illo B iterum iterumque reppertus non fuerit suo loco, ceteri vero codices non sic, sed modo hi modo illi, neque ii pretii summi, propterea contigit quod hi fortasse tunc in usum studiosorum extracti fuerint ad tempus, B autem, teste A. F. Vezzosi. «pro insigni libri annorum MCCCC vetustate atque praestantia celebrem Vaticanam bibliothecam invistentibus»o s t e n d e b a t u r 56, ideoque repositus fuerat «nell’Armario de’ Codici che si mostrano a Forastieri»57, cuius nunc locum obtinent a Pii IX tempore capsae vitreae plures; quarum ea quae codicis nostri folium unum (non ipsum codicem ut ante an. 1902) et Basilii imp. menologium exhibet, proxima est Armario olim 90. Huiusmodi quidem armarium unum aut plura ad hoc deputari iussit Clemens XII pont. max. ann. 1738-1739, «ut longior mora in aperiendis occludendisque t o t armariis, in quibus tam diversa codicum, librorum, rerumque pulcherrimarum copia recondita est, m o r a a u f e r a t u r , et maior rerum ipsarum custodia habeatur»58; verum ne longe quidem antea quid simile deerat. Nam saltem ineunte 55 Armaria denuo picta sunt Pio IX pont. max. Numeri ergo inscripti declarant qui codices eo tempore servabantur in singulis. 56 Inter J. C. Thomasii Opera III (1748) XIII, et iterum in Commentario De vita et scriptis Ven. Card. Thomasii (1769) c. XLIV. 57 Assemanus die 15 m. mai an. 1751 in Archiv. bibliothecae Vat. t. 15, f. 496v, ubi additur: «come è notato nella Cartella affissa al med.° Armario». Alii probabiliter huiusmodi plutei novi indicantur in «Nota dei libri legati nella Bib.ca Vat.na nell’anno 1756» (v. infra, p. […]) verbis illis: «Scamusci 4° cenerini per foderare le scanzie dei libri che si mostrano e imbollettati e incollati li sud.ti sopra le tavole». 58 Anno quidem 1738 ex. in praeceptis lingua italica conscriptis, quae supersunt in codice Corsinianae bibliothecae 1173 f. 57v, anno vero 1739, m. augusto, die 24 in Brevi «Dignissimam regibus», ubi haec: «Claves… sint penes utrumque custodem; exceptis clavibus eorum armariorum, in quibus s o l i t a v e t u s t a t i s m o n u m e n t a e x t e r i s h o m i n i b u s i n s p i c i e n d a , a d m i r a n d a q u e e x h i b e n t u r . Hae quidem claves ad effectum huiusmodi, et

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saeculo XVII, teste J. H. Pflaumern: «pretiosissimi ac vetustissimi codices, [quos inter numerat B et plures alios vel hodiedum expositos] s e p a r a t i a r e l i q u o g r e g e , ligneis armariis clausi asservantur: quae haud gravate recludunt custodes»59; atque illius modi fuit «Armarium Virgilii», in quo B erat, uti vidimus, necnon — si aliud fuit — «armarium ultimum». Urbano VIII pont. max. plures codices in tomis V et VI inventarii non serius anno 1633 conpactis recensitos continens, qui vel initio saeculi XIX erant «fra quelli che si mostrano»60, adnotante Angelo Battaglini custode. Quicquid sit de hac re, ex eo quod B inter pretiosissimos ac vetustissimos codices ostentabatur, et saeculi II vel III testii dicebatur, illius fama vel inter indoctos permagna facta est, conferentibus in hoc iis quoque scriptoribus qui in gratiam peregrinorum «mirabilia (ut ita dicam) urbis Romae» invisenda inter eaque B recensuerunt, quemadmodum a Pflaumern, J. P. Bellorio61, C. Piazza62, Fr. Deseine63, A. Taja64, I. P. Pinaroli65, […] Chattard66 etc. 22. Index codicum Vaticanorum Parisios delatorum, an. 1806-1807 circ. Partem hanc haud piget concludere nonnullis excerptis a descriptione libri nostri ampliore, quam C. B. Hase inseruit egregiae suae «descriptionis codd. mss. graecorum Vaticanorum Parisiis delatorum»67 t. 2 (Cod. Paris. suppl. gr. 810), ff. 290-293: eorundem hominum exteriorum commodum conservatoribus, vulgo Scopatori, ad ipsorum custodum arbitrium tradi possunt. Verum, ut longior…, i n u n u m , a u t p l u r a armaria c o n f e r a n t u r recondanturque: ac scilicet, quae, ut praemittitur, spectanda sunt». Assemani Catal. I p. 41; Bullarium Rom. […] ed. Taurin. 59 Locum integrum v. supra, n.° 18. 60 Sic enim Alexander Ranaldi († 1645 circ.) ibidem adnotavit ad codices 4216-4223. 5965-5969: «Hic liber est in ult.° Armario», quibus verbis A. Battaglini adscripsit: «Fra quelli che si mostrano». Num fortuito codices ultimi armarii complures postea inter eos qui ostentabantur repperti sunt? Quod autem illa verba Ranaldus adposuit etiam ad codices 4336. 4472. 5927-5930, Battaglini nihil monente, hoc unum evincere videtur, hosce codices locum iamdiu cessisse libris longe pretiosioribus bibliothecarum Urbinatis, reginae Christinae, Ottobonianae etc. postea invectarum. 61 Nota delli Musei, Librerie, Galerie, et ornamenti di statue e pitture ne’ Palazzi, nelle case e ne’ Giardini di Roma, in Roma, appresso Biagio Deversin e Felice Cesaretti 1664 (in fine op. G. Lunadoro Relatione della corte di Roma etc.), p. 39: «…una greca, con la versione de’ Settanta in caratteri maiuscoli in foglio quadrato, circa il s e c o n d o secolo». 62 Ευσεβολογιον2 tract. XIII, c. II, p. CIII ex Bellorio, vix paucis mutatis, inter quae: «t e r z o secolo». 63 Rome moderne IV (1713) 1080 sq.: «écrite vers le second siècle», probabiliter ex Bellorio. 64 […]. 65 Trattato delle cose più memorabili di Roma (ital. et gallice) II (1725) 96: «La Bibbia delli Settantadue Interpretri (sic) è il più antico libro, che vi sia in questa libreria». 66 […]. 67 Codd. Paris. Suppl. gr. 809-811. 844 (Omont Inventaire somm. III 313. 316). Cfr. Hase in Notices et Extraits VIII (1810) II 311.

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«1209 Codex in folio quadrato membranaceus, paginis (non foliis) in summa 1536. Eius in catalogo ex urbe nobis misso non fit mentio68. Continentur in eo Scriptura Sacra Veteris et Novi Testamenti, exceptis libris Maccabaeorum epistolisque ad Titum, ad Philemonem et duabus ad Timotheum. Praefixus est index graecus recentis manus folio uno non numerato; postea succedunt Biblia hoc ordine: 1° Genesis. Titulus generalis literis rubris maximis… deinceps peculiaris, …. Inc. … In Genesi paginae XL priores recenti ac satis elegante manu restitutae sunt, legunturque in illis capita XLV priora cum parte quadragesimi sexti usque ad vocem συνανκῆσαι ἀυτῷ καθʼ ἡρώω (vers 28), incipitque vetus scriptura… 17° Psalmi CLI… a sequentibus vocibus, καὶ τοῦ καταλαβεῖν τὸ σπέρμα ἀυτῶν, pag. 695, secunda manus incipit, usque ad psalm. CXXXVII v. 6, καὶ τὰ ταπεινὰ ἐφορᾷ, pag. 704 ima: deinceps unum folium vacuum sequitur, nihil tamen deest. 67: eiusdem ad Hebreos, p. 1512-1522. Pagina 1518 extrema in verbis διὰ… καθα (capita IX v. 14) unciales literae desinunt, manusque secunda, de qua supra in primo art. meminimus, pergit pag. 1519 continuis verbis… Hic codex inter paucos mirabilis uncialibus litteris scriptus tribus columnis per singulas paginas lacera exigua parte folii pag. 355 et 356, in capite secundo libri secundi Regum, est liber ille Vaticanus, unde potissimum Vetus Testamentum iuxta Septuaginta ex auctoritate Sixti V P. M. Roma 1587 editum descriptumque est… [Posta alios plures auctores refert Galesinium: «nostrum codicem seculo septimo scriptum credidisse. At enim auctori praefationis ed. Romanae longe alia est sententia… refert itaque eum ad a. 386, ex quo tempore non arbitror ullum integrum librum scriptum extare praeter herculanenses. De Galesinii opinione nihil possum iudicare: erit enim quaestio de aetate Codicis ob hanc causam difficultatibus semper obstructa, quia secunda recentior manus t o t o libro, imo etiam t e r t i a passim, veteres literas iam evanescentes novo atramento diligenter retractavit; quod similiter celeberrimo Coisliniano codici no. 1… accidisse vides: itaque antiqui genuinique ductus ab his novellis penitus obscurantur. Tamen vel sic literae mira rotunditate sua cum charactere antiquissimi Codicis Regii olim 2245, nunc 107, epistolas S. Pauli continentis, Montefalc. Palaeogr. pag. 217, possunt comparari: nec multos codices vidisse puto (cum hoc dico, Dionis Cassii codicem excipio, de quo mox)69 qui tam admirabilem antiquitatis speciem prae se ferrent. Accentus et spiritus a secunda illa manu profectos puto: neque id ipsum de omnibus pro certo habeo. Puncta, virgulae, cola toto codice nusquam prorsus apparent». In summa, quoad varias libri sedes et notas attinet 1) anno 1475 B undecimus apparet inter libros graecos LVII ad «Testamentum antiquum et novum» pertinentes; 68

Sane in … […] B desideratur. Sic idem a. 1809 Hugio edixit, qui e contra Vaticanum antiquiorem esse contendit De ant. cod. Vat. 19, n. 10. 69

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2) ab anno 1481 ad 1548 exstitit in bibliotheca g r a e c a p u b l i c a (ἐν κοινῇ στοᾷ 7), bancho (scamno 5; τραπέζα 7. 9) p r i m o , aliis (4. 9) octavo, loco modo tertio (2-4. 6. 7), modo secundo (5. 8), modo 4 (9), s u p r a (22. 5. 7), idest in ordine superiore. 3) anno 1548 mense aprili «additus» fuit in q u i n t o pluteo (bancho 11. 12) eiusdem bibliothecae graecae i n f e r i u s (in parte inferiori 11) sub n.° 52. 4) eodem anno mense novembri, codicibus in unicam seriem redactis ac notatis, sortitus est ibidem numerum 294, dein (post febr. 1552) 295. 5) circa finem a. 1554 translatus est in q u a r t u m a r m a r i u m bibliothecae p a r v a e s e c r e t a e sub n. 81, qui in nova ante annum 1581 ordinatione (1416) 907 evasit. 6) anno 1590 exeunte vel paulo post convectus in novam bibliothecam reconditur cum aliis mss. pretiosioribus sive graecis sive latinis in camera secunda sive ultima secreta «in a r m a r i o V i r g i l i i » sub n. 291, ibique «haud gravate» invisentibus ostendebatur. 7) anno 1612 ex. nactus est numerum modernum 1209; quae u n a e tot notis in ipso codice superest, ceteris cum veteri aliquo tegumento forte proiectis. 8) inde a saeculo XVIII in apposito vel armario vel pluteo, a Pii IX autem aetate in capsa sub vitris bibliothecam invisentibus ostentatur (21). Quibus si addas ex sequentibus appendicibus 9) B anno 1796 die 30 m. iulii in archivum secretum celatum fuisse; 10) a mense iulio an. 1799 ad mensem octobrem anni 1815 Parisiis stetisse (append. […]); 11) postea usque ad a. saltem 1819 in conclavibus custodis artissime conclusum (append. […]); Addas praeterea religationes quinque (saec. XVI ex.; post a. 1675; ann. 1756. 1849. 1882 c.), commodationes decem (a. 1491. 1540. 1545 c. 1578-1586. 1615. 1669. 1833-1842. 1846-1848. 1849-1854. 1867-1881), collationes plurimas infra enarrandas, habebis compendio integram libri per quattuor postrema saecula historiam.

II DE VARIIS LIBRI TEGUMENTIS 1. Ann. 1475-15[…] In indicibus compluribus saeculi XV et XVI B ex membranis «in rub.°» compactus dicitur. Cfr. Appendix, supra nn. 1-3. 6. 8. 11. 13-15. Ex hoc integumento ni fallor supersunt signum e c o r i o r u b r o 70 margini paginarum 961 et 962 exteriori 70 In specimine phototypico id quod rubri coloris est nigrum, uti solet, evasit ad instar maculae.

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in principio Michaeae adglutinatum similisque signi vestigia manifesta passim in librorum initiis. Huiusmodi signis quia libros a compingentibus augeri olim vulgare erat71, adhoc, quia signa eiusdem omnino materiae et coloris ac in B supersunt in codice […] Pierpount Morgan copto-sahidico 4 vetustissimum integumentum hodiedum retinente, a vero prorsus dissimile non est B integumento illo «in rubro» iam munitum fuisse priusquam Romam adveheretur. 2. Ann. 1586?-1596 At iam in breviore indice circa an. 1590 vel paullo ante composito, quod exstat in cod. Vat. lat. 7132 (v. supra, n.° 16) verba «ex m. in rub.°» manus posterior delevit eorumque loco Dominicus Ranaldi in cod. Vat. lat. 6949, nempe in inventario suo circa a. 1596 exarato (v. supra, n.° 17), scripsit «ex perg. i n a l b o » ergo ante ann. 1596, probabiliter statim post absolutam LXX editionem liber perpetuo per septennium et amplius usu detritus pretiique iam incomparabilis habitus novo eoque nobiliore tegumento munitus est. Facti testimonium deprehendisse putabam in sequenti apocha, quae in t. 26, olim M, Archivi bibliothecae, f. 33 servatur: «Adi 18 di Marzo 1589 Io Federigo Maglioli ligatore di libri confesso havere ricevuto scudi dieci di moneta dal magnifico m. Federigo Rinaldi quali sono per ligatura di dui Biblie in f.° una greca l’altra latina et un altro libro in q u a r t o in carta p e c o r i n a manuscritto g r e c o ligato tutto dorato di corame rosso di levante et le biblie con il medesimo corame fatte a filetti luna alla greca laltra alla latina ligati tutti m o l t i giorni sono et in fede della verita ho fatto la presente di mia propria mano questo di è anno sopra detto. Io Federigo maglioli manu propria». Sed quamvis in B conveniant et modulus et materia codicis illius manu scripti graeci, illaque duo biblia cum codice simul conpacta verisimiliter sint exemplar unum graeci alterum latini Veteris Testamenti secundum LXX Romae annis 15861588 praecipue ex B vulgati; ne tamen indubie affirmem B corio rubro revera tunc a Maglioli contectum fuisse, efficit tum mentio codicis prorsus indistincte facta, tum potissimum accurata Dominici Ranaldi descriptio, qui paucis post annis scripsit B «in albo» fuisse. Qua re suspicor biblia graeca mss. anno 1589 ineunte conpacta alia a B fuisse. 3. An. 1675-16[…] In extremo margine interno paginae 1265 haec ab imo ad summum exarata sunt: «Gregorio e Giovanni Andreoli genovesi relegorno la presente Bibbia». Bibliopegae hi a M. Giustiniani laudati72 bibliothecae Vaticanae serviebant, Gregorio qui-

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Cfr. Gardthausen Griech. Palaeogr.2 I […]. Gli scrittori liguri (Roma 1667) in pagina sine numero quintadecima: «Essendo poi tornato a Roma nel 1665, rinovai per mezzo di Gregorio et di Giovanni Andreoli, librari eccellenti» ecc. 72

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dem inde ab a. 165473, Ioannes autem eius frater et subadiuva ab a. 167574: qui at in aliis libris a se compactis75, tum etiam — quod minus expectares — dono datis76 proprium nomen inscripserunt. Iidem libros complures bibliothecae compararunt, tantaque librorum venalium peritia aestimabantur, ut Ioannes a. 1689 Christinae Alexandrae reginae libris aestimandis electus fuerit77. Ergo B denuo compactus fuit inter a. 1675 et 16[…], quo Gregorius mortuus est. 4. An. 1756 Hoc anno e nobilioribus libris, qui in proprio armario expositi erant peregrinis conspiciendi, plerique, atque eos inter B, novis ac pro aetatis illius opinione magis dignis integumentis muniti sunt, quae tamen re ipsa infirmiora partim blattae partim usus brevi pessumdarunt, haud sine damno librorum ipsorum. Quare documentum integrum etsi longiusculum ex t. 15, olim E, Archivi bibliothecae, f. 397, vulgamus: «Note dei Libri legati nella Bib.ca Vat.na nell’anno 1756 Il Missale ms. in pergamena con miniature che si mostrano alli forestieri diviso in quattro volumi in foglio legati in Vitello con fregi d’oro e cartonata e carpo con arme del Papa e dell’Emo. Bibliot.rio78. Le vite dei Duchi d’Urbino divise in due Tomi in foglio fattegli li stucci in montone bianco ridotto alla Francese, e foderate di scamuscio rosso79. L’Evangeliario in foglio fatto il suo stuccio come sopra col suo crino dentro e cardoni di seta cremis colli suoi bottoni80. Li sermoni di Tommaso legati in vitello come sopra in 4°81.

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[…]. Prouti testatur A. L. Zaccagni in t. 28 Archivi bibliothecae, f. 69v. Ioannes obiit die 10 septembris a. 1699, ib. 75 In t. 43 Archivi bibliothecae f. 1 exstat parmula membranea e suo codice avulsa, quae haec refert: «Questa Biblia Sacra Hebraica della Libraria / Vaticana fu legata in questa forma / Da Gregorio e Giovanni Andreoli / Fratelli Genovesi: lì XII Novembre in / Roma MDCLXXVII». 76 «Ex dono Gregorii et Ioannis Andreoli Bibliot. eiusdem compactor»: ita in fronte libri «Vecchio Testamento in lingua spagnuola 538», nunc […]. 77 Cod. Ottob. lat. 2543: «Inventario della libreria della Maestà della Regina di Suetia fatto di Giugno 1689 da Giovannni Andreoli». Cfr. L. Dorez in Revue des bibliothèques II (1892) 130, 134. 78 Vat. lat. 3805, 3807*, 5590*, 5591. […] Asterisco notavi libros qui tegumentum an. 1756 retinent. Ceteri omnes novo contecti sunt per saeculum XIX. De cod. Vat. lat. 3807 Assemani in Archiv. Biblioth. t. 15, f. 397v, a. 1751: «Sta’ nell’Arm.rio de Codici che si mostrano à Forast. ri». 79 Urb. lat. 1764*, 1765*, de quibus cfr. C. Stornaiolo […]. 80 ? Cat. lat. …. Cfr. indicem Santoloni […]. 81 Vat. lat. 3804*: «tempore eiusdem S.mi Doctoris, eiusdemque manu pluribus in locis postillatus»; sic in inventario mss. — Olim «fra quelli che si mostrano»; Assemani l. c. 74

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Pietro Candido della natura degl’animali in vitello marmorato come sopra in 4°82. Henrico VIII de sacramentis in 4° in vitello marmorato e dorato come sopra83. Le lettere del med° ad Anna Bolena in vitello marmorato come sopra in 4°84. Tasso in 8° ms. in vitello Marmorato come sopra85. Castiglione in 4° in vitello marmorato come sopra86. Lutero in 4° in vitello marmorato come sopra87. La Bibia dei 70 in 4° in Vitello marmorato come sopra. Il codice Theodosiano in 4° in Vitello marmorato come sopra88. Iuramenta Civitatis Ferrariè in foglio grande in carta pecora e rappezzato tutto con cartapecora89. Ms. Palat. Graeco n. 33 in 4° Legato in Vitello90. Cartella una grande con pizzi e corpo di carta-pecora foderata di schizzata fatta per le carte geografiche del P. Antonio91. Scamusci 4° Cenerini per foderare le Scanzie dei libri che si mostrano e imbollettati e incollati li sud.ti sopra le tavole. MS.ti n.° 15 parte in foglio e parte in 4° legati in pergamena. E più due libri in foglio grande dell’opere del Cardinal Bona edite dal P. Sala. Pietro Penna librario». 5. An. 1849 circ. Anno 1848 ex. vel 1849 «… alla celebre Biblia greca dei LXX, quale fu dovuta riparare e rilegare» P. Martinucci in Archiv. biblioth. t. 58, f. 140v. Cfr. Appen. […] n. 7. – Cozza-Luzi in Bessarione 1905 p. 316: «Fu deliberato [a 1867 incipiente] che ne fosse sciolta la rilegatura rifatta dal Mai». 6. 7. Ann. c. 1882 et 1891 Ex Archiv. biblioth. t. 61, f. 17r: «Posteriormente (diei 31 m. iulii a. 1881) per 82

Urb. lat. 276*, de quo cfr. S. Killermann, Zoologischen Annalen VI (1912) 113-221. Vat. lat. 3731*, de quo Assemani l. c., f. 396v: «Sta nell’Armario de codici che si mostrano a Forastieri». 84 Vat. lat. 3731*. 85 Urb. lat. 413*. 86 Urb. lat. 1767. 87 Ottob. lat. 3029*. 88 Reg. lat. 886, de quo Assemani l. c.: «Nell’Arm.rio de codici che si mostrano». 89 Ottob. lat. 2546. 90 Anthologiae Palatinae codex celeberrimus, nunc partim Paris., partim Heidelbergensis. 91 Nempe Piaggio, de quo cfr. D. Bassi Il P. A. Piaggio e i primi tentativi per lo svolgimento dei papiri ercolanesi in Archivio storico per le province napoletane XXXII (1907). 83

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cura di M.r Ciccolini 1° custode fu fatto il detto codice nobilmente rilegare dal Cristallini e collocare sotto le vetrine della Biblioteca, per esser esposto». Sed mox iterum atque iterum liber resolutus in gratiam editionis utriusque «phototypicae» ann. 1889-189[…] et 190[…]-1907, hodieque tegumentum illud Leonis XIII et J. B. Pitra card. bibliothecarii insignibus notatum seorsim asservatur, fortasse numquam reponendum, ut folia, quae singula custodiae e charta spissiore sunt inclusa, laxa et plana iaceant, itaque conterantur quam minime. Igitur s e p t i e s minimum intra annos vix tercentenos bibliopegae fragilem librum dissolverunt, compresserunt, totonderunt etc.: quae res praeclaro sane testimonio est curarum a Vaticanae custodibus in eum conlatarum, sed in caussa etiam fuisse videtur, cur et membranae tenuissimae deperierint et tot vetustissimi foliorum numeri de angulis resecti fuerint, ac fortasse exciderint adnotationes si quae fuerunt antiquioris integumenti ad historiam libri nonnihil conferentes. Id certissimum est de scholio ad Matth. 9, 25; nam Abbas Rulotta, utut minus peritus, legit an. 1729 in eius fine vv. εἰς δικαστὰς ἀλλὰ καὶ ἐν τῇ ἐκ …92, quae modo penitus vel fere absunt.

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Ed. in Ellis Bentleii critica sacra (1862) 124.

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LORENZO SINIBALDI E L’ORATORIO DEI SANTI PIETRO E PAOLO A MONTEFRANCO AGGREGATO AL CAPITOLO DI SAN PIETRO IN VATICANO, OPERA DI CARLO MARCHIONNI (1702-1786) L’Oratorio dei Santi Pietro e Paolo Apostoli in località Montefranco, una cittadina umbra in provincia di Terni a pochi chilometri di distanza da Roma, è una chiesetta ad unica navata rettangolare con gli angoli smussati di raccordo fra i lati minori (tavv. I-II) e quelli maggiori. Il soffitto è voltato a botte tripartita da quattro archi trasversi — più due minori negli smussi angolari — che poggiano sulla cornice aggettante di sostegno della volta nel punto dove altrettante lesene lisce, con capitello e alto basamento di ordine tuscanico, suddividono le pareti laterali. La parte centrale del soffitto è la maggiore per dimensione e nel mezzo, in una cornice mistilinea un affresco raffigura un Coro di angeli; nella parete sottostante, a sinistra dell’altare, vi è l’ingresso che immette direttamente nella strada pubblica, mentre nell’opposta una porta conduce nella sagrestia. L’interno presenta decorazioni in stucco bianco: le lesene, i capitelli, gli archi, la trabeazione, le cornici modanate delle specchiature sulle superfici intermedie e le cornici delle finestre. Quattro finestre ovali sono inserite fra la volta e la trabeazione spezzando la continuità di quest’ultima: due poste di fianco all’ingresso sulla parete esterna della facciata illuminano l’ambiente (tavv. III-IV); la terza con inferriata, nei pressi dell’altare, oggi è murata; la quarta, di lato al coretto, è finta; «nella volta di d(ett)a Chiesola in mezzo una pittura di Serafini con sue Finestre ovate col loro Vetrate»1. Nella parete minore di fondo (tav. II) vi sono due ingressi murati, uno sopra al coretto, «un Coretto attaccato al Muro che corrisponde ad una Cammera di d(ett)o Appartamento di Legno, scorniciato, e verniciato d’argento velato dorato con sopra cinque Armi di Legno con Cornice intagliata, e sua Vernice indorata uno de q(ua)li figuranti de Monti e due Stelle»2, e l’altro in basso dove oggi c’è un incavo, questi passaggi anticamente per1 Archivio Storico Capitolino (= ASC), Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, f. 308v (Inventario dell’Oratorio, ff. 307v-312r). 2 Ibid., f. 308v. Non si capisce a quale famiglia si riferisce lo stemma così composto, oggi non più esistente.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 425-471.

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mettevano al proprietario di entrare nella chiesa direttamente dalla sua casa senza dover uscire sulla strada. L’Oratorio è munito di una «Campana per sonare alla Messa sopra il tetto due p(al)mi e mezzo altezza, e larghezza à propoz(ion)e con sua Cordicella», nel campanile «a ventola» ancora visibile, e di «un Campanello dentro a d(ett)a Chiesa attaccato al muro di altezza un p(al)mo, e Larghezza à proporz(ion)e»3, non più esistente di cui è rimasto unicamente il gancio di sostegno in alto al lato dell’ingresso alla sagrestia (tav. I). L’Oratorio non ha una vera e propria facciata ma una parete, semplicemente intonacata che prosegue quella delle abitazioni laterali compreso il «Casino» Sinibaldi (tav. III-IV); «in d(ett)a Chiesa sola vi è la Porta di Legno corrispond(en)te nella Strada con sua Serrat(ur)a e Chiave»4. All’esterno al di sopra della piccola porta d’ingresso un affresco ridipinto raffigura La consegna delle chiavi, esso è contornato da una cornice mistilinea e sormontato da uno spiovente aggettante e più elevata è la lapide marmorea con le insegne del Capitolo di San Pietro in Vaticano e con l’epigrafe di appartenenza (tav. V). Il progetto architettonico di tale lavoro è attribuibile al romano Carlo Marchionni5, ciò è avvalorato non solo da alcuni disegni autografi di questa chiesa, ma anche dallo stile inconfondibile dell’artista con cui quest’opera è stata eseguita. I disegni inseriti nel tomo Disegni di Carlo Marchionni Architetto, e Scultore Romano, 17596, ritrovato recentemente sul mercato antiquario, messi a confronto con la costruzione stessa eliminano ogni dubbio sull’autenticità dell’opera medesima. Gli elaborati quotati inerenti all’Oratorio di S. Pietro, eseguiti ad inchiostro acquerellato bruno, sono quattro con didascalia ai quali se ne aggiungono altri quattro schematici. Essi riguardano: una pianta, il prospetto dell’altare e di quello della controffaciata; un inginocchiatoio per la Sagrestia; tre «abbozzi» per l’altare e uno per la cornice delle finestre. 3

Ibid., f. 310r. Ibid., f. 310r. La porta di legno si suppone sia l’originale per fattura e per il tipo di cerniere e di traverse metalliche interne. 5 E. SINIBALDI, Montefranco. Le sue vicende storiche ed umane, Terni 2009, pp. 53-57. Per la biografia di Carlo Marchionni cfr. E. DEBENEDETTI, Marchionni, Carlo, in Architetti e ingegneri a confronto, II l’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di EAD., Roma 2007 (Studi sul Settecento Romano 23), pp. 149-156; S. CECCARELLI – E. DEBENEDETTI, Marchionni Carlo, in Dizionario Biografico degli Italiani 69, Roma 2007, pp. 701-706; S. CECCARELLI, Racconto biografico, in EAD. – E. DEBENEDETTI, Rossiano 619, le caricature di Carlo Marchionni e Filippo, prossima pubblicazione. 6 E. KIEVEN, Chiese e Cappelle. Un volume di progetti di Carlo Marchionni (1702-1786), Carlo Virgilio & C., Roma 18 novembre – 30 dicembre 2010, Roma 2010. 4

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L’icnografia a forma quadrata, di piccole dimensioni, è la Pianta di una Chiesina da farsi in Monte / Franco per il S.e Lorenzo Sinibaldi / non andata in opera7, difatti la chiesa sarà costruita più grande e con l’ingresso sul lato maggiore e non di fronte all’altare come è disegnato in questo foglio. Il secondo elaborato Chiesina per il S.e Lorenzo Sinibaldi (tav. IX)8, raffigura in scala l’alzato dell’area dell’altare con la pala, anche questo non corrisponde pienamente all’esecuzione in quanto l’altare, nel disegno, è sormontato da un’edicola con colonne. Tuttavia alcuni elementi sono affini. Eliminata l’edicola, il quadro con la medesima cornice arcuata è posto direttamente sul muro e incorniciato da un lavoro in stucco dove in alto figura un rilievo analogo a quello del disegno: la tiara con le chiavi decussate entro una raggiera e con testine di angeli. Simili sono anche le specchiature, le conchiglie nelle pareti smussate, la mensa, il paliotto e la predella (tavv. VIII, X) che l’autore rappresenterà in modo più dettagliato in un altro foglio. Un quadro dipinto in tela con sua cornice intagliata, e dorata di altezza p(al)mi 11 e mezzo e largh(ezz)a di piedi 5 e tre quarti e da capo ovato rapp(resentan)te la Concezzione SS. Pietro e Pavolo, e Lorenzo Martire incastrato al muro con sua Cornice di gesso indorata, e sopra l’Arme di S. Pietro di gesso indorato con sua testa di Angeli di gesso9 (tav. XI).

Il terzo, Chiesina per il S.e Lorenzo Sinibaldi10 è la controfacciata con il portale sormontato da una grande finestra con la cornice decorata con festoni pendenti e con teste di angioletti, ai lati dell’ingresso figurano due acquasantiere a forma di «lumaca» con testine e mensola a voluta. Nella realtà non esiste una vera e propria controfacciata poiché l’ingresso della chiesa è sulla parete attigua alle abitazioni e non vi è un finestrone, come precedentemente esaminato, ma due finestre ovali laterali al portale. E «Un acquasantiera fatta di marmo negro à Lumaca incastrata nel muro di un p(al)mo circa»11 priva di mensola è sita a destra dell’entrata (tav. VI), mentre due mensole d’«invenzione», che sostengono i piani posti nelle pareti laterali all’altare «due Pietre di marmo legate al muro una per parte di 7 Disegno ad inchiostro acquerellato bruno, 295 × 215 mm, in KIEVEN, Chiese e Cappelle cit., pp. 66-67, f. 26. 8 Disegno ad inchiostro acquerellato bruno, 294 × 216 mm, in KIEVEN, Chiese e Cappelle cit., pp. 64-65, f. 25. 9 ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, f. 308v. 10 Disegno ad inchiostro acquerellato bruno, 294 × 216 mm, in KIEVEN, Chiese e Cappelle cit., pp. 68-69, f. 27. 11 ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, f. 308v.

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d(ett)o Altare»12, sono ideate con una caratteristica fantasia: un intreccio raffinato tra conchiglie diverse, semplici e ondulate, con ciuffi d’erba e ghirlanda vegetale che fuoriescono da un cartiglio srotolato (tav. VII) Nel secondo (tav. IX) e nel terzo disegno Marchionni inserisce anche alcuni personaggi, figurine rese a tratti veloci e rappresentate in diversi atteggiamenti che con la loro presenza, oltre a rapportare proporzionalmente l’architettura, rendendo l’ambientazione vivace catturando l’interesse del committente. Non è una novità per Marchionni, egli nella maggior parte dei suoi progetti usa queste presenze e spesso inserisce se stesso abbigliato alla moda settecentesca, con tricorno sotto il braccio, parrucca con codino, spada e bastone13. Così nella controfacciata di questa chiesa si figura mentre invita una signora, con il gesto della mano, ad entrare nella chiesa e l’altro personaggio è forse Sinibaldi. Il gusto per la narrazione si rivela in Carlo Marchionni non solo nei disegni d’architettura, ma soprattutto nelle sue numerose caricature14. Il quarto è il prospetto di un Ginocchiatore ò Sia preparatorio / della Sagrestia della Chiesina del Sig.e Lorenzo Sinibaldi / in Monte Franco15. Un confessionale con le medesime misure, indicate nel disegno, era presente nella chiesa al momento che fu stipulato l’inventario il 19 febbraio 1774: «Un Confessionario portatile di legno incorniciato, e verniciato con sua vernice Caffè di altezza p(al)mi otto, e due p(al)mi e mezzo Larghezza»16. Nella «piccola Sagrestia» però ancora si ammira un antico mobile incassato nel vano della parete sinistra, che andrebbe restaurato, «un Cassone di Legno con Cornice, e vernice di Color Caffè con due Credenze con suo tiratore di altezza p(al)mi 10: e larghezza Sei e mezzo in circa» adatto a custodire i paramenti sacri e all’interno, scrive Sinibaldi nel suo testamen-

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Ibid., f. 308r. Cfr. S. CECCARELLI, Carlo Marchionni “Ingegnere della Sagra Congregazione delle Acque”, in Architetti e ingegneri a confronto, III, l’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 2008 (Studi sul Settecento Romano, 24), pp. 31-44. 14 Le caricature di Carlo Marchionni sono conservate sia in tomi legati sia in fogli sciolti e confluiti nelle più importanti collezioni: nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nel Museo di Roma, nella Biblioteca Palatina di Parma, nel Louvre a Parigi, nel Martin von Wagner di Würzburg e nel Cooper-Hewitt di New York. Cfr. CECCARELLI – DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit. 15 Disegno ad inchiostro acquerellato bruno, mm 288 × 202, in KIEVEN, Chiese e Cappelle cit., pp. 62-63, f. 24; A. ANTINORI, Carlo Marchionni in Santa Maria sopra Minerva: un inedito monumento in onore del beato Benedetto XI e i contratti per le sculture del sepolcro di Benedetto XIII, in Palazzi, chiese, arredi e scultura, I, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 2011 (Studi sul Settecento Romano, 27) pp. 140, 145 nt. 19, 152 fig. 5. 16 ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, ff. 308v-309r. Le misure nel disegno: «altezza palmi 8; larghezza palmi 3 e 3/8», in KIEVEN, Chiese e Cappelle cit., pp. 62-63, f. 24. 13

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to «debba ritenersi un Libro nel quale siano notate le Messe» (documento nr. 4). Nel foglio Altare per il S.e / Abbate Sinibaldi17 sono tracciati schizzi di diverse decorazioni: nel margine superiore, la sezione quotata di un altare rialzato su una pedana a gradini e sormontato da un’edicola — come quella analizzata nel secondo disegno —; una quantità di varianti ornamentali per il laterale e il frontale della mensa. Nel successivo (tav. X)18, il paliotto è meglio definito come oggi appare (tav. VIII): di legno dipinto ad imitazione di intasi marmorei di differenti colori; al centro è presente un cerchio con la croce d’oro raggiata; due conchiglie sui lati minori del paliotto interrompono la cornice rettangolare, il medesimo cartiglio disegnato è al di sotto della mensa aggettante ma privo di ghirlande; i lati, lievemente sporgenti, hanno un capitello decorato a fogliette e nella specchiatura sottostante una conchiglia e, in alternativa ai pendagli in rilievo dello schizzo, è dipinto un intarsio bislungo. La stessa decorazione figurata in grafia è ripresa anche nei lati corti dell’altare con le conchiglie che rappresentano l’elemento decorativo dominante all’interno della chiesa. L’altare di legno Pietreggiato con Croce indorata in mezzo con Otto Conchiglie indorate, incorniciate e Veniciate di color Verde, bianco, e di diversi altri colori di lunghezza dieci p(al)mi e mezzo in circa […]. Una Scalinata a due Ord(in)i di legno Pietreggiato con Cornice e Vernice di div(ers)i colori19.

Il settimo20 è un’altra idea per la mensa con gli schizzi della cornice di un quadro e di una pianta analoga a quella realizzata, con l’annotazione «Vano della Ferrata», la «Stanza della Ferrata contigua all’Oratorio»? Infine l’ottavo21 sembrerebbe lo studio ornamentale per le cornici delle finestre ovali. La tela Immacolata Concezione i Ss. Apostoli Pietro e Paolo e S. Lorenzo Martire (tav. XI)22, titolo che Sinibaldi aveva dato all’altare della chiesa dove insieme a Maria e agli Apostoli è presente San Lorenzo il suo santo protettore, è stata attribuita a Stefano Pozzi (1699-1768)23. L’artista iniziò 17

Ibid., pp. 24-25, f. 6. Ibid., pp. 26-27, f. 7. 19 ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, ff. 307v-308r. 20 KIEVEN, Chiese e Cappelle cit., pp. 30-31, f. 9. 21 Disegno ad inchiostro bruno acquerellato in grigio, 200 × 274 mm, in KIEVEN, Chiese e Cappelle cit., pp. 28-29, f. 8. 22 Pittura ad olio su tela, 250 × 138 mm, Archivio fotografico della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria (= SBSAEU), D. PERUCCI, scheda OA, Perugia 2009. 23 La data di nascita e di morte in S. TICOZZI, Dizionario degli architetti, pittori e scultori, di intagliatori in rame, in pietre preziose, in acciajo per medaglie, e per caratteri, niellatori, in18

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a dipingere sin dal 1727 a Roma in varie chiese e palazzi24 e per la Reverenda Fabbrica operò nel periodo durante il quale Sinibaldi era procuratore prima di assumere la nomina di Segretario sostituto: dal 1744 nella Cappella delle Reliquie nell’antica Sagrestia di San Pietro25 e dal 1747 nella stessa accanto a Carlo Marchionni26; e con quest’ultimo dal 1756 nella Cappella Gregoriana della Basilica insieme al fratello Giuseppe (1730-1765)27. Stefano Pozzi era un rinomato pittore di figure per la grazia e la purezza con cui definiva i personaggi raffigurati, egli sapeva usare un colorismo vibrante e luminoso di tipo rococò, prediligendo le tinte brillanti e le ombre colorate per il chiaroscuro, al posto dei neutri: le tonalità più ricorrenti nelle sue tele vanno dal rosso all’arancio, dai verdi all’azzurro insieme al bianco perlaceo trattato per accentuare la luminosità delle stesse28. Queste caratteristiche pittoriche si ritrovano nella pala di Montefranco e potremmo pensare a Stefano come autore dell’opera, poiché come dimostrato, l’artista conosceva bene sia Sinibaldi, il committente, sia l’architetto Marchionni29. La chiesetta ubicata fuori Porta Franca di Montefranco dedicata a San Pietro30 fu costruita nel Giubileo del 1750 per volontà di Lorenzo Sinibaldi nei pressi del suo «Casino» (tav. IV), come riporta un’epigrafe inserita all’interno della costruzione, posta in una parete della sagrestia: LAVRENTIVS SINIBAL/DI SAC(RAE) CONG(REGATION)IS R(EVERENDAE) FAB(RICAE) / S. PETRI SECRETARIVS / SVBSTITVTVS / AN(NO) IVB(ILAEO) MCDDL. Lorenzo Sinibaldi nacque nel 1701 a Montefranco dal Capitano Tomtarsiatori, musaicisti d’ogni età e di ogni nazione, t. 3, Milano 1832, p. 185; per l’attribuzione a Stefano Pozzi vd. V. CASALE, Pittura del Seicento e del Settecento: Ricerche in Umbria, 1, Treviso 1976, p. 46; PERUCCI, Scheda OA, SBSAEU cit.; SINIBALDI, Montefranco cit., p. 54. 24 M. GENEVIEVE, Stefano Pozzi, in I pittori bergamaschi – Il Settecento, 5.4, Bergamo 1996, pp. 21-58. 25 M. B. GUERRIERI BORSOI, L’attività di Stefano e Giuseppe Pozzi nella Basilica di S. Pietro, in Studi romani 39 (1991), pp. 262-256, cfr. inoltre GENEVIEVE, Stefano Pozzi cit., pp. 21-233. 26 Cfr. E. DEBENEDETTI, La filosofia degli architetti in una Babele di linguaggi, in Architetti e ingegneri a confronto, II: l’immagine di Roma fra Clemente XII e Pio VII, a cura di EAD., Roma 2007 (Studi sul Settecento Romano, 23), pp. 7, 129 tavv. 1-2; KIEVEN, Chiese e Cappelle cit., pp. 14-23. 27 TICOZZI, Dizionario degli architetti cit., p. 185. Per la Cappella Gregoriana cfr. CECCARELLI, Racconto biografico, in EAD. – E. DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit. 28 A. PACIA, Esotismo, cultura, archeologia e paesaggio negli affreschi di Palazzo Colonna, in Ville e palazzi, illusione scenica e miti archeologici, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 1987 (Studi sul Settecento Romano, 3) pp. 125-180, in part. pp. 134-135. 29 Nell’inventario dei beni in un cassetto è stato ritrovato «un mazzo di lettere di Commissari della Fabrica di San Pietro scritte al Defonto e diverse scritture di artisti fatte a favore dello Stesso Defonto», ma non conosciamo i nomi di questi artisti. 30 SINIBALDI, Montefranco cit., pp. 54-55.

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maso31, la storia della sua vita è in parte narrata dalla moglie Angela Capobassi e inserita come premessa nell’inventario dei beni redatto il 7 febbraio 177432, dopo la morte di Lorenzo avvenuta il 29 dicembre 177333 e prima dell’apertura del testamento, seguita il 29 dicembre 1774. Angela racconta che deceduto il padre Erminio Capobassi la madre Cesarea Mansueti si risposò il vedovo Filippo Mancini e lei con Lorenzo Mancini, figlio di prime nozze di Filippo, con il quale ebbe l’unica figlia Margherita, dimorarono insieme in casa Mancini arredandola in parte con i mobili, i quadri e altri oggetti della loro eredità Capobassi. Nel 1725 venne a mancare Lorenzo Mancini e Angela Capobassi si ricongiunse in matrimonio nel 1726 con Lorenzo Sinibaldi e risedette in un primo momento ancora in famiglia e con il secondo marito, ma quasi subito nacquero delle controverse con il suocero. Così Sinibaldi, poiché «Forestiero, e semplice Giovane di Curiale non aveva in Roma Casa p(ro)p(ri)a», andò ad abitare con la consorte dai coniugi De Rossi presso Piazza Fiammetta, poi affittò una casa nel Rione Banchi vicino alla dimora Mancini. Successivamente per «offici di Communi Amici» si riconciliò con il signor Filippo e in accordo presero in affitto una casa nella «Strada Papale di fronte al Palazzo del Governo Vecchio». Nel 1731 morì Filippo Mancini e la signora Cesarea Mansueti vedova Mancini fece stipulare dal notaio un inventario dei mobili dell’eredità CapobassiMancini di sua appartenenza e di quelli della figlia Angela34. Nel frattempo Margherita Mancini, figlia di Angela, si unì in matrimonio con il curiale Pier Sante Marroni35 ed almeno sin dal 1760 si ritroveranno a vivere insieme madre e figlia, con l’esclusione della nonna materna Cesarea ormai deceduta, in due appartamenti contigui in via della Cuccagna all’Isola di San Pantaleo, nel palazzo de Torres-Lancellotti36. 31 La data di nascita di Lorenzo si è ricavata dall’atto di morte che dice di anni settantadue. Il padre di Lorenzo, Tommaso Sinibaldi, con il titolo di Capitano, come risulta anche nei documenti dell’Archivio Storico del Vicariato di Roma (= ASVR), è citato in una lettera del 3 giugno 1714 dove si dichiara che insieme ad un certo Giovanni Mattiangeli si era recato a Spoleto per verificare al Catasto i beni che appartenevano alla Comunità di Montefranco, in Archivio Storico Comunale di Montefranco, carta sciolta. 32 ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, ff. 231r-276v. 33 ASVR, Parrocchia di S. Eustachio, libro dei morti, anno 1773, 29 dicembre, b. 22 (16931776), f. 794v. 34 ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, ff. 233r-235v. 35 Pier Sante Marroni dal 1764 diverrà sottosegretario di Lorenzo Sinibaldi alla Fabbrica di S. Pietro e lo sostituirà nell’incarico di Segretario Sostituto alla morte di questi, cfr. CECCARELLI scheda nr. 50/41 in EAD. – DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit. 36 ASVR, Parrocchia S. Eustachio, Stati delle Anime, b. 44, (1760), «Isola Lancellotti», f. 41v; ibid., b. 53 (1769), f. 54r; ibid., b. 55 (1771), f. 42v; ibid., b. 56 (1772), f. 44v.

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Con questa narrazione Angela Capobassi Sinibaldi sottolinea — sospettando che il marito si sarebbe appropriato dei beni della sua famiglia per obbligare gli eredi a mantenere il proprio Oratorio — che tutti i mobili e gli oggetti esistenti nel palazzo dove abitavano erano del padre Erminio, di Filippo e di Lorenzo Mancini e della madre Cesarea, di conseguenza per successione di sua proprietà e di quella della figlia Margherita Mancini. Nell’inventario vennero trascritti gli effetti personali e le cose di diretta appartenenza degli eredi e quando furono trovati «in denaro» scudi sessantatre e quarantacinque baiocchi e al Banco di San Spirito scudi ventiquattro, ossia la cifra corrispondente alla retribuzione bimestrale di Segretario sostituto della Fabbrica dello stesso Sinibaldi per mano di Pier Sante Marroni, quest’ultimo sostenne di essere creditore di trecento scudi promessigli dal defunto a titolo di dote, in occasione del suo matrimonio con Margarita e mai ricevuti, di altri scudi per aver pagato un semestre di pigione al principe Lancellotti e per le spese del funerale «e messe Celebrate, e da Celebrarsi per l’anima del Defonto anche in esecuzione della sua Testamentaria disposizione»37. Gli unici possedimenti di Lorenzo Sinibaldi erano quelli siti a Montefranco, oltre all’Oratorio di San Pietro, la costruzione adiacente e qualche terreno agricolo, ossia: Un appartamento di case posto fuori e vicino le mura castellane di Monte Franco in contrada strada della Fonte confinante con le Case di Carlo Viola e la Strada Publica […] parte più bassa 4 Stanze una ad uso di Cantina altre due ad uso di Legnara, ed altra ad uso di Magazzeno, e più in basso un Orticello con Cisterna ò sia Pozzo d’Aqua con terraro di ferro […]. Appartamento di mezzo à pian terreno dell’Entrata continente cinque Stanze una ad uso di Sala ed altre 4 ad uso di Cammere, e dal appartamento di Sopra, ed ultimo continente parimenti cinque Stanze una ad uso di Sala, altra ad uso di Cucina ed altre tre ad uso di Cammera38.

E nel territorio alcuni oliveti e vigneti verso Spoleto, che vennero trascritti nell’inventario ma non valutati, come non fu stimata la maggior parte dell’arredamento della casa d’abitazione. Pure nel documento inerente alle proprietà di Montefranco è inserita una carta del 22 febbraio 1774, firmata da «Angiolla Cappobassi» e da «M(argheri)ta Mancini Marroni», alla presenza del procuratore testamen-

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ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, ff. 268v e 269v. ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, ff. 271v-276v. L’inventario prosegue con la stima delle cose che si trovavano all’interno delle stanze; l’intero documento in ibid., ff. 229r-276v; 278r-312r. 38

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tario Enrico Parisi da Montefranco, parente di Sinibaldi al quale Lorenzo lascerà l’uso del suo «Casino», nella quale viene esplicitato quanto segue: Le sottoscritte Eredi Beneficiate usufruttaria, e rispettivamente proprietaria della bo:me Sig.re Lorenzo Sinibaldi in vigore del p(rese)nte Chirografo da valere facciamo, e deputiamo nostro speciale Procuratore il Sig.re Errico Parisi da Montefranco a potere per noi, ed in nostro nome fare il legitimo Inventario delli Beni Ereditarij del sudetto fù Sig.re Lorenzo Sinibaldi esistenti nella Terra, e Territorio di Montefranco Diocesi di Spoleto con dichiarazione però, che riguardo ai Mobili esistenti nella Casa Ereditaria da descriversi nel detto Inventario non si intenda approvata la pertinenza di essi Mobili alla sudetta Eredità, [di Montefranco] ma s’intendano bensì riservate le nostre ragioni per quella porzione di essi Mobili che dal medesimo fù Sig.re Lorenzo Sinibaldi venne alla detta sua Casa trasportata dalla Casa Ereditaria della bo:me: Sg.re Erminio Capobassi posta nella città di Orte. E per tale effetto diamo al med(esim)o Sig,re Errico Parisi nostro Procuratore le facoltà necessarie di fare tutto ciò che noi medesime potressimo fare, se a quest’atto fossimo personalmente presenti. Promettendo d’aver tutto grato, valido, e fermo rilevandolo non solo in questo ma in ogni altro miglior modo39.

Così anche i mobili nella costruzione della sua città natale non gli appartenevano, nonostante ciò riuscì a predisporre il «casino» di ogni arredo. La chiesa, poi, era completa di qualunque necessità e provveduta di diversi paramenti sacri. La casa era altresì guarnita di ogni cosa e alcune camere ornate di pitture sulle pareti e sui soffitti, ad esempio: Nella Stanza ad uso di Cam(er)a dipinta tutta, e Soffittata con tavole parm(iment)e dipinta di div(ers)i colori con varij animali Volatili e fiori e dà una parte figurante la Creaz(ion)e del Mondo, dall’altra la Creaz(ion)e dell’Uomo dall’altra la Trasgressione del peccato fatto dà Adamo ed Eva, e da altro l’Espolz(ion)e fatta dell’Angelo di Adamo, ed Eva del paradiso Terrestre40.

Oppure: Una Bussola di Legno inverniciato dipinta di diversi colori con cornice di Argento velato con sua vetrata, e tendina di Taffettano verde41.

L’attività di Lorenzo Sinibaldi, nel 1744 e nel 1745, era stata quella di procuratore della Fabbrica di San Pietro42, poi a gennaio 1746 assunse 39 Archivio di Stato di Roma (= ASR), Trenta notai capitolini, uff. 2, b. 604, notaio Hiromino Amedeo Paolotti, f. 176r-v. 40 ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, f. 304v. 41 Ibid., f. 305r. 42 Archivio Fabbrica di S. Pietro, Vaticano (= AFSP), Arm. 43, D, 85 (1744), f. 397r; ibid.,

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l’incarico di procuratore fiscale provvisionato «in luogo del Buttari»43; a febbraio del medesimo anno sarà Francesco Massajoli a succedere nella stessa carica a Sinibaldi e quest’ultimo al «Canonico Giuseppe Tosi deceduto», come Segretario sostituto, con una retribuzione di 12 scudi al mese44, fino al suo decesso. Sinibaldi entrò a far parte dei provvisionati della Fabbrica forse grazie al curiale, di cui ancora non si conosce il nome, al quale da giovane Lorenzo, quando venne a Roma, fungeva da assistente, come dichiarato dalla moglie nel suindicato inventario. Di certo Lorenzo senza una casa propria e con il suo stipendio non avrebbe potuto realizzare tutte queste opere se non con l’aiuto economico della moglie. La carica di «Segretario sostituto» o meglio primo sostituto della segreteria nell’istituzione della Fabbrica di San Pietro e provvisionato, era una nomina particolare affidata solitamente ad un laico che poteva assumere il titolo di abate, beneficio ecclesiastico che veniva concesso a chi faceva parte o che comunque aveva una carica retribuita all’interno di una costituzione religiosa, come nel caso di Sinibaldi e del suo amico, marito della figliastra Margherita e suo successore, Pier Sante Marroni45. Il titolo di Segretario sostituto era mantenuto per tutta la vita, con l’incarico di partecipare anche alle riunioni delle congregazioni particolari sugli interventi sulla Basilica46. Questo specifico ruolo, diverso da quello di segretario ed economo generale, e con questo spesso confuso, non è stato ancora opportunamente studiato, esso venne ricoperto, almeno fino al 1791 da un abate, da un canonico o da un avvocato incaricati a volte a sostituire il segretario generale negli affari fiscali47. Forse tale figura era presente già agli inizi del Seicento, anche quanArm. 43, D, 86 (1745), fasc. gennaio-marzo: Lorenzo Sinibaldi procuratore diverso (all’interno del fascicolo due lettere dello stesso con la richiesta di provvigione), ff. n. nrr. 43 AFSP, Arm. 43, E, 87 (1746), fasc. 1. 44 AFSP, Arm. 43, E, 87 (1746), fasc. 1, 13 aprile 1746, e segg.; ibid., Arm. 43, E, 88 (1747). 45 Cfr. CECCARELLI – DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit. 46 Per l’argomento cfr. R. SABENE, La Fabbrica di San Pietro in Vaticano. Dinamiche internazionali e dimensione locale, Roma 2012. 47 AFSP, Arm. 16, A, 170, f. 10v, 10 aprile 1752: «la Tassa delli Emolumenti, che de’ percepire Lorenzo Sinibaldi primo sostituto della segreteria e suoi successori pro tempore per le Patenti, che si danno, e si spediscono ai commissari, alli Procuratori fiscali, alli Cancellieri e Depositari in artibus e fu risoluto di unanime consenso che le Patenti che i danno alli nunzi di Spagna per pro tempore, Portogallo Napoli ed Inquisitore di Malta (…) e debba il primo sostituto prendere per sua mercede per ciascheduna Patente scudi 10 d’oro comprese in detta somma le mancia che soglionsi dare alle due anticamere e sale del Sig.e Cardinale Prefetto [Alessandro Albani] e Sig.e Economo [Giovanni Francesco Olivieri (1742-1752)] pro tempore, e le Patenti per altri commissari comuni, scudi diciassette per ciascheduna patente comprese le mance (…)» (10 aprile 1752); ibid., f. 126r: l’Avvocato Filippo Maria Renazzi Segretario sostituto (12 agosto 1791). Il 1791 è la data più recente consultata.

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do le funzioni di segretario ed economo erano ancora ben separate, poiché in un documento dell’epoca si legge che il chierico milanese Agostino Brascalomacci, prima di essere bibliotecario dell’Archivio della Fabbrica di San Pietro (1619), ricoprì la carica di «coadiutore dell’economo»48. A metà Settecento e precisamente nel 1747, tale nomina è riferita a Lorenzo Sinibaldi49, tuttavia riteniamo che i canonici risultanti nell’elenco dei provvisionati, senza alcun titolo trascritto di lato al loro nome, siano stati i segretari sostituti in quanto da febbraio 1746 Sinibaldi succederà al «Canonico Giuseppe Tosi deceduto», con la stessa provvisione di 12 scudi al mese — quella spettante al Segretario sostituto — e così verrà di seguito retribuito50. Durante questi anni Sinibaldi conoscerà Carlo Marchionni, l’architetto del cardinale Alessandro Albani (1692-1779) prefetto dal 1736 e suo protettore, che già nel 1739 in occasione del deposito in marmo di Benedetto XIII, nella cappella di San Domenico nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, il Diario di Roma riporta: già terminato di tutto punto, coll’esservi stato collocato ne’ giorni passati il nobilissimo Bassorilievo di marmo, rappresentante il Concilio Romano tenuto dallo stesso Sommo Pontefice; opera del Virtuoso Sig. Carlo Marchioni (sic) Architetto dell’E.mo Sig. Card. Alessandro Albani, il quale come si è fatto conoscere per un eccellente Architetto nell’aver disegnato un così nobile Deposito, in sito per altro limitato assai, ed angusto: così si è accreditato ancora per un eccellente Scultore nell’aver lavorato con tanta finezza, e perfezione il detto nobilissimo Bassorilievo, applaudito da tutta Roma51.

Il cardinale Albani incaricherà Marchionni, ancora giovane, a costruire la sua villa di Anzio tra il 1728 e il 1735, e poi tra il 1755 e 1762 quella più grande ed importante Villa Albani52 (oggi proprietà Torlonia) sulla 48 AFSP, Arm. 1, B, 3 (1592-1674), ff. 120r-415r. Agostino Brascalomacci per la prima volta incontrato in corso di inventariazione dell’Archivio; cfr. A. DI SANTE – S. TURRIZIANI L’Archivio Storico Generale della Fabbrica di San Pietro, in Magnificenze Vaticane. Tesori inediti dalla Fabbrica di San Pietro, a cura di A. M. PERGOLIZZI, Catalogo della mostra Roma, Palazzo Incontro, 12 marzo – 25 maggio 2008, Roma 2008, p. 190. 49 E non dal 1750, come scrive SABENE, La fabbrica cit., p. 116. AFSP, Arm. 16, A, 170, nella Congregazione particolare del 27 giugno 1747 si legge: «Lorenzo Sinibaldi sostituto R.P.D. segretario sostituto in primis», f. 5r. 50 Nelle Liste Mestrue, dell’AFSP la trascrizione della carica di lato al nome «segretario sostituto» appare nell’elenco dei provvisionati solo all’inizio del 1752, per poi essere sempre indicata di seguito al nome. 51 Cracas, n. 3365, 28.2.1739, p. 4. 52 S. A. MORCELLI – C. FEA – E. Q. VISCONTI, Descrizione della Villa Albani, Roma 1869; E. DEBENEDETTI, Committenza della famiglia Albani. Note sulla Villa Albani Torlonia, Roma

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via Salaria. Fra le opere di maggiore importanza l’architetto progetterà ed eseguirà, per volontà di Pio VI (1775-1799) la Sagrestia di San Pietro in Vaticano tra il 1776 e il 178653. Nel frattempo tra il 1739 e il 1750 Carlo Marchionni sarà l’architetto dei principi Ruspoli e per loro progetterà ed edificherà la cappella al Procoio Vecchio a Riano54 e nello stesso periodo Lorenzo Sinibaldi gli chiederà di realizzare il suo Oratorio a Montefranco che sarà terminato nel 1750, come riporta l’epigrafe inserita all’interno della chiesetta. L’artista, allievo di Filippo Barigioni (1672-1753) l’architetto sovrastante della Fabbrica, dal 1751 risulta revisore e coadiutore del suo maestro e a marzo 1773 diverrà lui stesso architetto sovrastante, dopo la morte di Luigi Vanvitelli (1700-1773) che era subentrato a Barigioni nel 1753. A chi poteva rivolgersi Sinibaldi se non al suo amico architetto della Fabbrica? Lorenzo Sinibaldi e Carlo Marchionni si conoscevano da tempo e la loro amicizia fu testimoniata più volte da Vanvitelli nelle lettere inviate da Caserta, dove si trovava per la costruzione della Reggia, indirizzate al fratello Urbano. L’architetto napoletano considerava compromettente questa intima relazione fra i due per la conclusione del suo lavoro nel porto di Ancona che nel frattempo era stato affidato al suo rivale e il 31 gennaio 1756 scrive: Già s’intende che ab Alto vienemi la maggior persecuzione, come già supposi; l’accorato Primario è il Subalterno Segretario Sinibaldi, In visceribus amico della Casa di Marchionne, ove tutti dì mattina e sera egli va, sichè guai saranno per ogni via; ma in vero me ne voglio mettere in pace55. 1985 (Studi sul Settecento Romano 1/2); EAD., Alessandro Albani patrono delle arti. Architettura pittura e collezionismo nella Roma del ‘700, Roma 1993 (Studi sul Settecento Romano 9); S. SPILA, Il tempio diruto di Villa Albani e il tema delle finte rovine nella Roma del Settecento, in Materiali e Strutture 5-6 (2006), pp. 104-139; E. DEBENEDETTI, Alessandro Albani patrono delle arte, in Giuseppe Piermarini tra barocco e neoclassico, Roma Napoli Caserta Foligno, a cura di F. FAGIOLO – M. TABARRINI, Catalogo mostra, Foligno, Palazzo Trinci, 5 giugno – 2 ottobre 2010, Perugia 2010, pp. 159-163. 53 S. CECCARELLI, Carlo Marchionni e la Sagrestia Vaticana, in Carlo Marchionni architettura, decorazione, e scenografia contemporanea a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 1988 (Studi sul Settecento romano, 4), pp. 57-134; S. BENEDETTI, La Sagrestia di San Pietro in Vaticano, in La Basilica di San Pietro, a cura di C. PIETRANGELI, Firenze 1989, pp. 247-255; B. TORRESI, La Sagrestia, in La Basilica di San Pietro in Vaticano, a cura di A. PINELLI, Modena 2000 (Mirabilia Italiae, 10) pp. 253-281; S. BENEDETTI – A. S. PERGOLIZZI, La Sagrestia della Basilica Vaticana, in Roma Sacra 23-24 (2001); N. MAFFIOLI, Disegni inediti per la sacrestia di S. Pietro in Vaticano, in Palladio, 21 (2009), pp. 27-54. 54 S. CECCARELLI, Archivio Ruspoli-Marescotti: Procoio Vecchio a Riano e l’architetto Carlo Marchionni (1702-1786), in Dall’Archivio Segreto Vaticano, Miscellanea di testi, saggi e inventari, VIII, Città del Vaticano 2014 (Collectanea Archivi Vaticani, 96), pp. 103-124. 55 F. STRAZZULLO, Le lettere di Luigi Valadier della Biblioteca Palatina di Caserta, voll. 3,

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La familiarità che legò, per molti anni, i due personaggi è sottolineata, inoltre, dallo stesso Marchionni e rimarcata nelle didascalie delle caricature dedicate all’amico e a una serie di personaggi conosciuti a Montefranco56 in occasione dell’invito del Segretario sostituto della Reverenda Fabbrica a trascorrere con lui la villeggiatura nella sua cittadina natale. I disegni con tali protagonisti sono allegati al primo tomo di caricature di Carlo Marchionni conservato a Roma nel Museo di Roma, e interpretano un quarto dell’intero volume57. In questi è presente l’effige di Sinibaldi: Il Barbiere di Monte Franco, il quale fa la barba non solo alle macchie, ma agl’uomini con tutta Leggerezza / ed infatti doppo essersi fatta la barba il Sig.e Lorenzo Sinibaldi stà Sentendo se ha più le ganasse (tav. XII)58. Nel foglio Marchionni ritrae confidenzialmente l’amico in un ambiente familiare, in un interno dove il barbiere ha un’aria compiaciuta del suo lavoro, mentre Sinibaldi, seduto con la testa coperta da un panno e con un telo poggiato sul petto, si tocca le guance con le mani per assicurarsi che tutto sia ancora intatto. Due gentiluomini, a sinistra, in attesa del loro turno, incuriositi e quasi divertiti, discutono indicando il protagonista. In basso in terra è presente un’ascia con la sigla dell’autore, CM, impressa sulla lama, la scure indica l’attributo del barbiere-boscaiolo o di un barbiere che usa il rasoio come una mannaia? Più pittorico che grafico, il disegno è eseguito ad inchiostro acquerellato, come la maggior parte dei fogli di caricature di Carlo Marchionni allegate nel primo tomo della collezione romana. L’alta qualità artistica nel raffigurare con poche e rapide linee a grafite e a inchiostro e con pennellate liquide i tratti particolari degli oggetti e dei soggetti rappresentati è propria dell’autore. L’artista esegue con lo stesso metodo grafico anche i progetti architettonici e di ingegneria e anch’essi li inserisce nei paesaggi con la presenza di figurine59 come quelli della nostra chiesetta. Galatina, Congedo 1976-1977, 1, p. 512, nr. 352. Anche in altre: «al Signore Marchionne (…) Sinibaldi, Segretario della Fabbrica (…) ed egli è suo Amico e Consigliero intimo del Marchionne», in ibid., p. 444, nr. 301; «Signor Sinibaldi Segretario et amico intimo del Marchionne», in ibid., p. 531, nr. 365; cfr. CECCARELLI – DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit. 56 Cfr. SINIBALDI, Montefranco cit., pp. 55-57 e figg. A pp. 137-138. 57 I tomi di caricature di Carlo Marchionni della collezione del Museo di Roma sono tre, ognuno dei quali contiene circa cento disegni. Altri tomi di caricature conosciuti dello stesso autore sono conservati: uno alla BAV, un altro a Parma e un ultimo al Louvre, cfr. CECCARELLI – DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit. 58 Gabinetto Comunale della Stampe, Roma (= GCS), Museo di Roma (= MR) 1508 nr. 96, mm 275 × 220, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno, cfr. R. BERLINER, Die Zeichnungen von Carlo und Filippo Marchionni, in Münchner Jahrbuch für bildende Kunst 9/10 (1958-1959), p. 321. 59 S. CECCARELLI, Gli Ingegneri dell’Acqua Paola. Disegni e documenti inediti di Carlo Fontana e di Carlo Marchionni, in Storia dell’Arte 120 (2008), p. 139 fig. 6, p. 141 fig. 1; EAD., Carlo Marchionni (2008) cit., pp. 31-44.

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Poi il Coriero che oltre a svolgere il suo mestiere era anche il servitore, l’addetto alla cucina, il giardiniere e il dispensiere di Sinibaldi: Il coriere di Monte Franco, il quale trasporta una grossa Pietra con dissinvoltura da un sito ad un altro nel giardino / del Sig.re Lorenzo Sinibaldi Segretario della Reverenda Fabbrica di S. Pietro, esistente in Monte Franco di lui Paese (tav. XIII)60, qui il protagonista è raffigurato all’aperto, in uno scorcio del giardino, come riporta la didascalia, quello della casa di Sinibaldi a Montefranco con l’orticello citato nell’inventario del testamento; Ecco il Coriero di Monte Franco di ritorno da Terni colle lettere, ed altre Commissioni diverse ricevute da / suoi Patriotti sembrando il di lui arrivo si carica di diverse specie di cose il Mulo del Procoio il tutto / portando con grandissima indifferenza61; Il Coriero di Monte Franco in altr’impiego di girare l’arrosto colle mani con tutta divozione nella / Cucina del sig.e Lorenzo Sinibaldi62, il disegno presenta la cucina che si trovava al piano superiore della casa e dalla finestra aperta s’intravedono parte della campagna e l’esterno delle mura di Montefranco con uno dei torrioni — non più esistenti — ossia quel paesaggio «reale» descritto nel testamento63 e raffigurato più volte in queste caricature. Lo Stesso Coriero, che con tutta confidenza porta in mano il coperchio della Cassetta da Commodo il quale / è bastantemente guarnito per pulirlo nel Giardinetto dello stesso Sig.r Lorenzo Sinibaldi in M.te Franco64 anche qui è presente una parte del giardino e Marchionni in questa caricatura mette l’accento sui servizi che il coriero prestava a Sinibaldi anche quelli più deprimenti ma necessari65. Il Coriero Stesso, il quale aspetta il Coco colli Polli alla mano avendo fatte tutte le altre faccende a Lui / spettanti e acceso il foco, e mess’all’ordine a Padella per le Caldaroste, e Graticela66, di nuovo la cucina raffigurata allo stesso modo del disegno precedente. Ecco il Coriero Stesso di riposo con tutte le Libbertà nel suo Cabinetto, guarnito di tutte le Galan60 GCS, MR 1508 – 13, mm 272 × 200, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno. 61 GCS, MR 1508 – 76, mm 275 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 323. 62 GCS, MR 1508 – 77, mm 270 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 324. 63 ASC, Sez. 14/prot. 91, 7 feb. 1774, f. 308v. 64 GCS, MR 1508 – 78, mm 270 × 197, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 324; I disegni della Biblioteca Palatina di Parma, a cura di G. CIRILLO – G. GODI, Parma 1991, p. 122. 65 La «Cassetta da comodo» è uno degli oggetti ricorrenti disegnati nelle caricature di Carlo Marchionni, per il significato dell’autore a questi elementi cfr. CECCARELLI – DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit. 66 GCS, MR 1508 – 79, mm 270 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 323.

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terie utili al Suo / Corpo, e alla sodisfazione della di lui Gola67, forse il suo Cabinetto, citato in modo ironico e ironicamente figurato, era il magazzino, una delle quattro stanze situate al piano interrato e ancora visibile con l’ampio ingresso arcuato a bugnato e con una porta a doppia anta. Infine, Lo Stesso Coriero, si rappresenta Stracco nel tornare da Terni per l’eccedente peso, onde prende un poco di fiato / avendo posato il Suo Carico per rabbia68. Al «nobile villano» sono riservati due disegni: Un Nobile Villano di Monte Franco uomo molto accorto a segno, che si ritrovò in un’Osteria in Terni sentì, che si / faceva ricerca di un Medico per una Sig.ra che sentivasi qualche incommodo si fece arditamente avanti, come Medico / Sentì li Polzi, le ordinò la dieta, e che prendesse dell’Acqua Triacale, la mattina fu guarita, fu molto ringraziato, ed / anche regalato di una Piastra, partì col suo compagno gloriosa d’aver fatta si bella cura, che si fece gran merito nella / Sua Patria, si rappresenta ora nella sua libreria quando fa la mozza, non avvedendosi col suo Studio, e colla sua / Malizia, chè i suoi compagni le diminuiscono l’uva de suoi Bigonzi dell’uva69, questo è fra i più belli disegni pittorici di Marchionni ma anche fra i più beffardi, i suoi compagni sono gli asini; il secondo, Lo stesso Nobile Villano di Monte Franco col suo compagno gobbo fra i Bigonzi, e suo consanguineo Stracce, che riposa70, mordace allo stesso modo del precedente, qui il suo «consanguineo» è un maiale. Altri personaggi sono alcuni gentiluomini: Uno dei veri Gentiluomini Benestanti di Monte Franco, il quale sta scaldandosi nella Cucina del Sig.e Lorenzo Sinibaldi / Segretario della Reverenda Fabrica di San Pietro71; Il Sig.r Francia benestante di Monte Franco, dilettantissimo della Caccia de Tordi, questo galantuomo era fratello / del Cognitissimo Sig.r Abbate Francia uomo amenissimo, il quale stava appresso, il Gran Prior Vaini e lui / medesimo Abbate nella Proibizione de Collarini a chi non era Sacerdote comparve per Roma, Vestito d’Abbate /ma con un Lungo Collaro, e con un Manicottone d’Orso, il quale fece ridere tutta la Città, il di lui naso era più Lungo del Frat(el)lo72; Il Sig.r Abbate Alberici di Monte Franco, il quale sapendo la grand’Amicizia che passava tra me, e / il Porco di S. Antonio si prendeva 67 GCS, MR 1508 – 80, mm 270 × 200, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno. 68 GCS, MR 1508 – 82, mm 270 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 323. 69 GCS, MR 1508 – 43, mm 275 × 200, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 319. 70 GCS, MR 1508 – 44, mm 275 × 200, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 322. 71 GCS, MR 1508 – 45, mm 270 × 200, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 385 nt. 12. 72 GCS, MR 1508 – 81, mm 272 × 220, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato

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piacere di portarmelo acciò le dessi la Janna, ma quando ritrovava la porta / di Casa aperta entrava con tutta confidenza, e mi veniva a ritrovare al letto, sapendo, che virra per Lui il regalo73. Fra i protagonisti di Montefranco figurano i fratelli Gobbi: Questo è uno dei Tre Gobbi di Monte Franco, veduto colà in tempo, che fui a villeggiare, invitato da S.e Lorenzo Sinibaldi74; Uno dei Tre Gobbi di Monte Franco, che va per l’Oliveti per vedere se vi sarà abbondanza di Olio per il Lume75; Uno dei Tre Gobbi di Monte Franco il più bello, con gli altri in Lontananza, che fanno la Spalliera76; Questo temerario Gobbo di Monte Franco per nome Jseppe mi mandò a Burla perché il Sig.e Lorenzo Sinibaldi / le disse, che le voleva fare la Caricatura, un tale avviso per altro datole mi fu taciuto, e soltanto naturalmente / commandato di Osservarlo, si ricordò dell’avviso datole, e senza perdere tempo, con tutta generosità, mi titolò; / negai al possibile dicendo essere Speziale, fu per altro incredulo; non desistei dall’incarico avuto, che ritornato / in Casa mi vendicai, che lo feci tale, e quale con le gambe a sciaboletta, e di più in lontananza vi unij gl’altri due Gobbi / del Paese in lontananza, che le facevano Campo, Lo lasciaj sul Tavolino, fu da tutti veduto, eccitò tal Sussurro / per il Paese, che Le giunse all’Orecchio, che incontrando me e il Seg.rio ci onorò di altri più Speciosi titoli, che promisi / contro questo sboccatissimo Gobbo vendicarmi con altra Caricatura77; Jseppe il Temerario Gobbo in Sua Casa Malato per aver mangiato troppe Castagne, il quale difficulta di / ricevere il Lavativo per spurgare il Corpaccio, tanto, che la Sua Sig.ra Consorte, e famiglia collo Speziale sono / inquietatissimi, ne vagliono le persuasive, che le gioverà, resta anche il Nero animale sotto la Lettiera malinconico78; La Madre dello Speziale, che guarda la Spezieria sin tanto, che torna d’aver fatto il Lavativo a Jseppe / avendo in tanto Cura dell’Impertinentissimo Nipotino79. bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 390 nt. 91. Cfr. CECCARELLI, Racconto biografico, in EAD. – E. DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit. 73 GCS, MR 1508 – 87, mm 270 × 220, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 387 nt. 28. 74 GCS, MR 1508 – 54, mm 270 × 220, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno. 75 GCS, MR 1508 – 66, mm 270 × 200, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno. 76 GCS, MR 1508 – 68, mm 270 × 200, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno. 77 GCS, MR 1508 – 74, mm 270 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 385 nt. 12. 78 GCS, MR 1508 – 83, mm 270 × 220, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 385 nt. 12. 79 GCS, MR 1508 – 84, mm 270 × 220, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 322.

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Seguono i fratelli falegnami: Il più Vecchio de Fratelli Falegnami di Monte Franco, che con somma paura si facevano credere Bravacci / L’ho rappresentato colla Recca (?) alla mano, che sfida a fuoco le vicine Capanne senza pericolo della Vita80; Eccone l’altro, che stà col suo istromento di Bottega volendo operare per la divisione del Legname81; Eccone guarnito uno di detti Falegnami alla Militare per dichiare (sic) la Guerra alla terra, e alle Macchie82; Ecco il Falegname di Monte Franco Trincerato, armato a tutta Guerra, con Fucile, e Pistola, non avvedendosi peraltro / che l’inimico cornuto le và al guadagno dell’arme certa punto curando la di lui Sognata, ò mal fondata braura83. Il Segretario pubblico: Il Segretario del Publico di Monte Franco, il quale va studiando fuori del Paese il Testamento del di Lui Nonno84. In ultimo: Un Giovinetto di Monte Franco, il quale con tutta sodezza v’a divertendosi con il ciufolo alla mano85; Fratello del passato Giovinetto, il quale va a spasso per l’Oliveti vicino a Monte Franco e Similm.te con il Ciufolo86. A differenza del tomo del Museo di Roma che vivacemente raffigura Montefranco e i suoi abitanti, in quello del Fondo Rossiano 619 della Biblioteca Apostolica Vaticana, Lorenzo Sinibaldi viene ricordato dopo il suo avvenuto decesso nella caricatura del: Sig(no)r Abbate Angelo Marroni bravissimo Curiale le Sue Scritture latine Sono eccellenti / al presente Seg(reta) rio della R(everenda) F(abbrica) A(postolica) per morte del S(igno)r Lorenzo Sinibaldi, dilettantissimo in Musica87. Ritorniamo alle vicende storiche dell’Oratorio. Lorenzo Sinibaldi dopo aver costruito l’edificio nel 1750, come riporta la targa nella sagrestia dove fra l’altro viene sottolineata la sua carica di «secretarius substitutus», chiese ai Canonici di San Pietro in Vaticano l’aggregazione al Capitolo del suo Oratorio in modo che da privato diventasse anche pubblico, ciò avrebbe 80 GCS, MR 1508 – 70, mm 275 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 319. 81 GCS, MR 1508 – 71, mm 270 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 319. 82 GCS, MR 1508 – 72, mm 275 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 319. 83 GCS, MR 1508 – 75, mm 275 × 195, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 319. 84 GCS, MR 1508 – 73, mm 275 × 200, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno. 85 GCS, MR 1508 – 85, mm 27 × 220, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 323. 86 GCS, MR 1508 – 86, mm 270 × 220, disegno su carta, matita e inchiostro acquerellato bruno; cfr. BERLINER, Die Zeichnungen cit., p. 323. 87 Cfr. CECCARELLI – DEBENEDETTI, Rossiano 619 cit., scheda nr. 50/41.

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facilitato i contadini che abitavano in campagna a partecipare alle funzioni religiose che in esso dovevano essere celebrate tutte le domeniche e nei giorni di precetto. La richiesta fu accettata e la chiesa ebbe oltre il privilegio di aggregazione, il beneficio delle indulgenze con decreto di papa Benedetto XIV (17401758) emesso il 6 aprile 1752, secondo la forma promulgata dal Concilio Tridentino al tempo di Clemente VIII (1592-1605), con il definitivo del 29 gennaio 1753: Aggregatio Eccle/siae sive Oratorii / Publici Sub invo/catione SS. Petri / et Pauli propri et / extra Castrum / Montis Franchi / Spoletanae Diocesis. Ad partecipationem Indulgentiarum n.re SS. Ba/silicae, vigore privilegii R.mi Cap(itu)li ag/gregata fuit Ecclesia, Sive Oratorium / publicum, propre, et extra Castrum / Montis Franchi Spoletanae Diocesis / Omnipotenti Deo, in Onorem SS. Pe/tri, et Paulii, dicata, exhibitis prius / litteris testimonialibus proprii Ordina/ rii Super celebritate eiusdem Eccle/siae, Sive Oratorii publici, nec non super / accomodatione consensus eiusdem Or/dinarii, circa talem aggregationem, / aliisque verificatis conditionibus / in instrutione a R.mis Can(oni)cis depu/tatis ad hunc effectum praeservit88.

Sempre nel medesimo giorno ed anno fu trascritto l’atto notarile da Francesco Maria Lorenzini89 (vedi documento nr. 1), con tutte le clausole che Lorenzo Sinibaldi doveva rispettare come quella di inserire sopra la porta principale della chiesa una lapide marmorea con l’iscrizione all’aggregazione e con l’insegna del Capitolo. Difatti sopra il portale d’ingresso (tav. V) figura un cerchio di bronzo decorato con raggi e con la tiara con due chiavi pendenti sostenute da corde, ossia lo stemma e simbolo del Capitolo di San Pietro in Vaticano inserito in alto ad una lapide con la scritta: ANNO DOMINI MDCCLIII ECCLESIA HAEC AGGREGATA FVIT SACROSANCTAE BASILICAE PRINCIPIS APOSTOLORVM DE VRBE ET AD PARTICIPATIONEM ILLIVS INDVLGENTIARVM AC PRIVILEGIORVM SPIRITVALIS ADMISSA ORDINARII TAMEN JURISD. SUBJECTA 88 Biblioteca Apostolica Vaticana (= BAV), Archivio del Capitolo di S. Pietro (= ACSP), Decreti, 25, 29 gennaio 1753, f. 64v. 89 BAV, ACSP, Priv. Att. Not., Francesco Maria Lorenzini, lib. IV, 86, (1753-1756), ff. 26r28v, 37r-39v.

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Il 21 settembre 1765, seguì la visita pastorale di monsignor Vincenzo dell’Acqua, Vescovo dell’Arcidiocesi di Spoleto: la chiesa sotto il titolo di San Pietro, spettante al Signor Lorenzo Sinibaldi, ha un solo altare e un ingresso mediante una porta aperta nella cantoria, essa è aggregata al Capitolo di San Pietro «de urbe», come si legge in una lapide posta sopra la porta della chiesa, sulla facciata esterna della casa dello stesso proprietario90. Passati quattordici anni dall’aggregazione al Capitolo di S. Pietro, il 21 novembre 1767 (documento nr. 2)91, Lorenzo Sinibaldi chiese a Clemente XIII (1758-1769), per organo della Sacra Congregazione del Concilio, l’opportunità di fondare nell’altare della sua chiesa una cappellania «o Pio Legato di Messe da celebrarsi all’ altare di d(ett)a Chiesa in Perpetuo in tutte le Domeniche, e giorni Festivi dell’Anno, e ciò anche in beneficio, e vantaggio del Popolo di d(ett)o Luogo, ove per lo più celebrandosi assai per tempo quelle poche Messe, che possano aversi, bene spesso accade, che le Persone abitanti fuori del Luogo addette alla Campagna, e dedite alla Caccia non possino, o trascurino di adempiere il Precetto della Chiesa»92. Questa richiesta fu fatta anche per il beneficio e suffragio dell’anima sua, dei suoi antenati e per avere l’autorizzazione a trasferire, dall’altare maggiore della chiesa della Madonna del Carmine di Montefranco a quello del suo Oratorio dedicato alla SS. Concezione, ai Ss. Pietro e Paolo Apostoli e a S. Lorenzo Martire, le messe da celebrare in suffragio del nonno Placido, figlio di Giacomo. Placido Sinibaldi nel testamento del 2 aprile 1715 redatto per atti di Agabito Tanchi93, notaio di Torreorsina (in provincia di Terni) aveva istituito come eredi i suoi tre figli Tommaso, Valerio e Domenico Massimo ordinando loro di far celebrare ogni anno quarantotto messe nella chiesa della Madonna del Carmine fuori Montefranco, e se uno dei figli non avesse seguito le sue volontà quella parte di eredità destinata a tal scopo sarebbe stata devoluta alla chiesa del Carmine: Cons(tat)o avanti di me Not(ai)o il Sig. Placido figlio del qm Giacomo Sinibaldi da Montefranco Diocesi di Spoleto […] quando la Sua Anima sarà separata dal corpo vuole, ordina, e comanda che il suo Cadavere sia sepolto 90 Archivio Storico Arcidiocesi Spoleto-Norcia (= ASASN), Visite pastorali, busta 17591767, vol. 2, f. 207r-v. 91 Archivio Segreto Vaticano (= ASV), Congr. Concilio Positiones busta 1117, ff. nn. 92 Ibid ff. nn.: Lorenzo Sinibaldi, 1768. 93 Archivio di Stato di Terni (= AST), Archivio notai Terni-Torreorsina, notaio Agabito Tanchi, busta 1798, anni 1716-1719, ff. 72r-78r; il testamento di Placido Sinibaldi, del 2 aprile 1715, aperto il 6 agosto 1716.

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nella Chiesa Parrochiale di S. Maria di Montefranco Sua Patria nella Sepoltura di Sua Casa, e famiglia alla quale lascia le ragioni di Sepoltura. Item per ragioni di legato, et in ogni altro miglior modo ordina vuole, e comanda. Che li Infra(scri)tti suoi Eredi siano tenuti et obbligati far celebrare messe numero quarantaotto, cioè Sedici messe per ciascuno di dd(detti) Eredi et ogn’Anno nell’Altare Maggiore posto, e situato nella Chiesa della Madonna Santissima del Carmine fuori della porta e Terra di Montefranco nel giorno di Sabbato da applicarsi d(ett)a messa per l’anima, e famiglia di d(ett)o Testatore, talm(en)te che vuole che ogni Sabbato inp(er)petuo vi sia celebrata in d(ett)a Chiesa la Santa Messa per l’Anima e defonti di d(ett)o Testatore e sua famiglia; e mancandosi ciò fare et adempire dalli suoi infra(scri)tti Eredi in tal caso vuole che nella sua Eredtà subentri la Madonna del Carmine sud(dett)a in quella parte però di quell’infra(scri)tto Suo Erede che mancherà di far celebrare dd.e (dette) Messe, e ciò dice di fare in beneficio dell’Anima Sua, e famiglia inp(er)petuo perché così gli piace di fare94.

Placido Sinibaldi lasciò al figlio Tommaso, padre di Lorenzo: Item per di prelegato, et in ogni altro miglior modo e lascia al Sig. Tommaso Suo figlio un pezzo di Terra Viti, et olivati con casa rurale in Voc(ato): la Costa di Calcinaro nel Territorio di Montefranco app(ress)o li beni del Sig.re Alessandro Butij da piedi, da Capo la strada publica, e da lato Domenico Viola salvi altri beni95.

Così, Lorenzo per adempiere alle volontà del nonno e come successore di Tommaso suo padre, e per non rinunciare alla parte dell’eredità di famiglia che comprendeva anche il terreno dove edificherà la chiesetta e la casa attigua che ristrutturerà, terreno che si potrebbe identificare con quello trascritto da Placido a favore del figlio Tommaso, chiese alla Sacra Congregazione del Concilio, che la sua chiesa fosse eretta in cappellania, tale beneficio gli venne concesso il 20 aprile 1768 (cfr. documento nr. 3)96. Una lapide, sulla parete all’interno della sagrestia della chiesetta, riporta la scritta: LE MESSE . CHE IN VIGORE DELLA TESTAMENTARIA DISPOSI / ZIONE DELLA BO. ME. PLACIDO SINIBALDI ROGATA DAL QM. / AGABITO TANCHI NOTARO DI TORORSINA [TORREORSINA] IL DI 2 . APRILE / 1715 . DOVEVANO CELEBRARSI NELLA VEN. CHIESA DELLA / MADONNA SS.MA DEL CARMINE DI QUESTA TERRA DI MONTE / ~ ~ FRANCO . CON AUTORITÁ APOSTOLICA, DA MONS.R ILL.MO E R.MO / VESCOVO DI SPOLETI . SONO STATE TRASFERITE IN QUE / 94

Ibid., f. 74r-v. Ibid., f. 74v. 96 ASV, Congr. Concilio, Positiones, busta 1117, ff. nn.: Lorenzo Sinibaldi, 1768. 95

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STA CHIESA DI S. PIETRO DA CELEBRARSI IN TUTTE LE DO / MENICHE . ED ALTRI GIORNI FESTIVI PERPETUAMENTE NELL’ / ALTARE DI ESSA CHIESA CIRCA IL MEZZO GIORNO . COME / COME IL TUTTO RISULTA DAGLI ATTI FATTI LI 28 . GIUGNO / 1768 . NELLA CANCELLERIA VESCOVILE DELLA STESSA / CITTÁ DI SPOLETI . ALLI QUALI &C97.

Ottenuta anche questa facoltà Sinibaldi fece, dopo pochi mesi il 26 maggio 176898, il suo testamento dove dichiarò di lasciare alla sua consorte Angela Capobassi l’intero usufrutto della sua eredità consistente in «tutte quelle poche gioje, argenti, Biancherie, abiti, mobili, suppellettili, stigli di Cocina e tutt’altro, che di mia raggione, e pertinenza esiste nella Casa, che comunemente viene da me abitata in Roma col Sig.e Pier Sante Marroni con tutto quel Denaro contante, che ritroverà in mio potere dopo la mia morte» e dopo la morte di questa a Margherita Mancini Marroni, figlia di Angela e sua figliastra, e a Pier Sante Marroni marito di Margherita affidando ai medesimi il «peso» di mantenere l’Oratorio (documento nr. 4). Le carte proseguono indicando il numero delle messe che dovevano essere celebrate, secondo le volontà testamentarie del nonno Placido e secondo le regole dettate dalla Sacra Congregazione del Concilio a sua istanza. L’eredità con gli stessi obblighi richiesti dovranno, poi, passere in seguito ai figli maschi, legittimi e naturali che nasceranno dalla Signora Margherita Mancini Marroni e i figli maschi dei figli maschi in infinitum. Se, poi, Margherita «mia amatissima Figliastra» non avrà figli maschi dal consorte Pier Sante Marroni: facerà chiudere con muri stabili la Porta che dalla Sala del primo Piano del mio Casino dà all’ingresso della Stanza con Ferrata che corrisponde nel Publico Oratorio, et la stessa clausura si faccia alle due Porte che dalla Sala e dall’altra Stanza del Secondo Piano di d(ett)o Casino corrispondono nella contigua stanza del Coretto […] si faccia aprire una Porticella, chè dalla publica Strada dia l’ingresso alla Stanza della Ferrata contigua all’Oratorio con farvi nella med(esim)a Stanza una scaletta come meglio si potrà, per salire alla stanza superiore corrispondente al Coretto, di modo che dal Casino non vi sia più comunicazione colle due Stanze contigue all’Oratorio, volendo, che le d(ett)e due Stanze siano aggiunte al med(esim)o Oratorio e destinate ad effetto di potere in esse custodire, e conservare le Sagre Suppellettili, ed altre Robbe destinate ad uso dell’Oratorio99. 97

Nell’ASASN non è stato rintracciato, fra gli atti della cancelleria, quanto dichiarato nella lapide. 98 Cfr. documento nr. 4, in questo stesso articolo. 99 ASR, Trenta Notai Capitolini, ufficio 2, busta 605, 29 dicembre 1774, f. 5v.

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Pier Sante nel 1785 all’età di sessantasei anni morì100 senza figli, Margherita a quel tempo ne aveva cinquantanove. D’altronde quando Sinibaldi nel 1768 trascrisse le sue ultime volontà Margherita aveva già quarantadue anni. Nel documento seguono le disposizioni del testatore, egli lasciò a Enrico Parisi, suo parente101, e ai successori maschi l’uso del suo casino «a riserva delle due Stanze come sopra, aggiunte all’Oratorio»102. Infine, come avevano presentito la moglie Angela e la figliastra Margherita, Sinibaldi si appropriò dei loro beni per il mantenimento del suo Oratorio, e scrisse: dopo la morte de miei Eredi usufruttuari / Si vendino quei mobili, che essi, secondo la volontà da / me confidatagli, dichiararanno. Ora poi aggiungo, che il / prezzo di detti mobili debba impiegarsi intieramente // in ornato dell’Oratorio e nella provista, e migliorazione delle Sagre Sup/pellettili tanto della Sagrestia, quanto dell’Altare ad arbitrio de miei / Esecutori Testamentarj103.

Nelle mappe di Montefranco, del catasto gregoriano, centri urbani Spoleto, del 1835 circa104, sono raffigurate le proprietà di Enrico Parisi di Paolo, forse un nipote con il medesimo nome del personaggio vissuto al tempo di Sinibaldi, così divise come stabilito nel testamento. Al nr. 428, del relativo brogliardo, Enrico Parisi di Paolo, in località denominata Borgo di S. Pietro, è proprietario di una casa di propria abitazione, l’edificio del «casino» Sinibaldi; al nr. 432, 2, Beneficio di S. Pietro di Monte Franco, jus patronato della casa Parisi, in Borgo di S. Pietro, chiesa pubblica sotto il titolo di San Pietro, l’Oratorio adiacente alla casa; al nr. 429, proprietà dello stesso Parisi, sempre al Borgo S. Pietro, è l’orto, l’area colorata di verde, ossia il giardino custodito dal Coriero delle caricature di Carlo Marchionni; al 100

ASVR, Parrocchia S. Eustachio, morti, b. 24 (1777-1800), 17 marzo 1785, f. 79v. Un certo Angelo Antonio Parisi figlio di «Enrigo da Monte Franco Commensale» dell’età di 28 anni viveva con Pier Sante Marroni nello stesso palazzo dove abitava Lorenzo Sinibaldi (ASVR, Parrocchia di S. Eustachio, Stati delle anime, busta 53, 1769, f. 45r). Già dal 1760 Sinibaldi ospitava il sacerdote Don Giuseppe Sforza di Montefranco (ibid., b. 44, f. 41v) e successivamente, nella casa di Marroni, dopo la sua morte, nel 1793 abitavano diverse persone di Montefranco: oltre ad Angelo Antonio Parisi adesso Abate e Curiale, un parente di questi «Abb.e Angelo Parisi figlio di qm Carlo Antonio», l’abate Sante Francia e il suo parente l’abate Francesco Francia e l’abate Francesco Argentieri, medico (ibid., b. 72, f. 101r). 102 Ibid., f. 6r. 103 ASR, Trenta notai capitolini uff. 2, busta 605, notaio Hieronimo Amedeo Paolotti. Apertura testamento 29 dicembre 1774. Testamento di Lorenzo Sinibaldi del 26 maggio 1768, ff. 3r-6v, 31r. 104 ASR, Presidenza generale del censo, Catasto gregoriano, Mappe e brogliardi, provincia di Spoleto mappa 20, Monte Franco, busta. 101

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nr. 433, 1, il medesimo proprietario ha una stalla al piano terreno a proprio uso e al 433, 2, «Beneficio di S. Pietro di Monte Franco, jus patronato della casa Parisi, Borgo di S. Pietro, Sagrestia superiore unita alla Chiesa pubblica di S. Pietro»105, ossia la stanzetta laterale all’Oratorio con la finestra verso la campagna; infine al nr. 426, 1, una stalla a piano terra a proprio uso, il magazzino, il Gabinetto del Coriero?, mentre al nr. 426, 2, il piano superiore della medesima area, risulta l’abitazione di un altro proprietario. La situazione attuale rispetto al catasto gregoriano non è poi cambiata molto: la chiesa è rimasta conforme all’antica, in Borgo San Pietro, oggi in via Giacomo Matteotti, nei pressi dell’antica Porta Franca, essa fu restaurata nel 2000 come riporta l’epigrafe affissa all’interno sulla parete verso la strada: NELL’ANNO DEL GRANDE GIUBILEO DEL MM / LA MUNIFICENZA DI BERNARDO TABARRINI / RESTAURÓ QUESTA CHIESA / IN MEMORIA DEL PADRE ASCANIO. Un recente riordino e pulizia hanno ridato lustro all’intera costruzione e rimesso in luce gli stucchi, le decorazioni delle mensole, l’acquasantiera e la cornice del quadro d’altare e l’altare stesso. La chiesetta di S. Pietro è officiata dal parroco di Montefranco.106 Il «casino», passato poi alla curia vescovile di Spoleto, fu acquistato dai marchesi Leoni, rivenduto attualmente è proprietà privata. Le ristrutturazioni eseguite nel tempo hanno di fatto mantenuto la struttura originale, ma non c’è traccia della porta d’ingresso che dalla strada doveva immettere alla «Stanza della Ferrata contigua all’Oratorio» e da questa la scaletta che doveva condurre al primo piano nella stanza corrispondente al «coretto», ai luoghi destinati a «custodire, e conservare le Sagre Suppellettili, ed altre Robbe destinate» all’uso della chiesa. Nondimeno, come desiderava Sinibaldi, sono state murate le tre aperture nell’Oratorio: la prima sulla parete del coretto (tav. II); la seconda al piano del coretto; la terza nella sagrestia, tutte quelle corrispondenti direttamente con il «casino». Al presente nell’androne del palazzetto — oltre la scala di accesso al piano superiore — sono presenti tre porte: una dalla parte della chiesa 105 Per «piano terreno» si deve intendere piano interrato in questo documento come nel testamento, mentre primo piano è quello che oggi si considera piano terra. * Colgo l’occasione per ringraziare Monsignor Cesare Pasini, Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana. Sono grata al Dottor Ambrogio M. Piazzoni, Vice Prefetto, a Marco Buonocore e a Luigi Cacciaglia per avermi sempre consigliata ed incoraggiata ai miei scritti. Ringrazio inoltre Don Nolberto Cardena, parroco di Montefranco per la sua disponibilità ed aiuto nel fotografare la chiesa di S. Pietro e Don Sandro Corradini per la sua assistenza e i preziosi consigli, Mirko Socchi per le informazioni fornitemi. Un particolare ringraziamento alla Galleria Carlo Virgilio & C., Roma, per avermi autorizzata a pubblicare i disegni di Carlo Marchionni. Sono grata, infine, a tutti i collaboratori degli archivi da me consultati per aver gentilmente favorito questa mia ricerca.

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conduce in un appartamento; l’altra di fronte al portone immette in un altro con un giardino, quel giardino disegnato da Marchionni e visibile nella tav. XIII; una terza, infine a destra dell’ingresso, accede al piano inferiore «alla stalla», quella segnata nr. 426 nel catasto gregoriano, al magazzino, al Gabinetto. DOCUMENTI Documento nr. 1 ACSP, Priv. Att. Not., nr. 86, Francesco Maria Lorenzini lib. IV (1753-1756), ff. 26r-28v; 37r-39v.

Aggregatio Ven. Ecclesiæ, Seu Oratorii publ(ici) SS. Petri et Pauli Apostolorum prope, et extra Castrum Montis Franchi Spoletanæ D(ioecesis). 1753 Eius(dem) Anno, Ind(ictio)ne, et Pont(ificat)u, quibus supra, die vero vigesima / nona Ianuarii. Henricus, Basilicæ SS. XII Apostolorum S.R.E. Presby/ter Cardinalis, Dux Eboracensis, Sacrosanctæ Basilicæ Prin/cipis Apostolorum de Urbe Archipresbyter, ac Ecclesiæ S. / Mariæ in Porticu Commendatarius / Nec Non / Capitulum, et Canonici eius(dem) Sacrosanctæ Basilicæ. Exhibita Nobis nuper ex parte dilecti Nobis in Christo Lau/rentii Sinibaldi Spoletanæ Dioecesis petitio continebat, quod / ipse prope, et extra Castrum Montis Franchi præd(ict)æ Dioe/cesis Ecclesiam, seu Oratorium publicum Omnipotenti Deo / in honorem SS. Petri, et Pauli Apostolorum ex auctorita/te Ordinarij ædificari, ornari, et dedicari fecit; Quodq(ue) / in hui(usm)o(d)i Ecclesia, seu Oratorio præter alia Pietatis Ope/ra ad Divinum cultum pertinentia, quæ ibi assidue exer/centur, sup(er) quibus eiusd(em) Ordinarij Testimoniales litte/ras Nobis exhibere fecit, Dominicæ Passionis memoria / singulis Sextis Ferijs Mensis Martij, nec non Natalis / dies præd(ictor)um SS. Apostolorum cum tota Octava, præterea / Festum vinculorum, ac utraque Cathedra præd(icti) Beati / Petri Apostolorum Principis, ac etiam conversio præfati / Beati Pauli Apostoli Doctoris Gentium peculiari cultu / celebrantur. Cumque ead(em) Ecclesia, seu Oratorium, / neque Regularium, neque Monialium Ecclesia Conven/tualis existat, nec ulli alteri Ecclesiæ, aut Ordini, // Religioni, Instituto, Archiconfraternitati, seu Congregationi, / a qua Indulgentiarum communicationem, seu participa/tionem pro omnibus Christifidelibus eam visitantibus / obtineant, aggregata sit, vel subiecta, Pred(ictu)s Laurentius / Nobis (h)umiliter supplicari fecerit, ut Ecclesiam ipsam, sive Ora/torium, ad hoc ut majori Fidelium devotione frequentetur / et tam Divinus Cultus cum Beatorum Ap(osto)lorum hono/re in ea augeatur, quam etiam Piorum Religio, et Spi/ritualis utilitas majora in dies suscipiat incrementa, / Sacrosanctæ huic Patriarcali Basilicæ Principis Ap(osto)lorum / in Vaticano, cui Deo favente ex Ap(osto)licæ Sedis Gratia

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/ deservimus, aggregare, et ad Spiritualium eiusd(em) Ba/silicæ Nostræ Privilegiorum Societatem et communi/cationem in vim facultatum, et Indultorum Nobis ab / ead(em) Ap(osto)lica Sede concessorum admittere, et recipe/re dignemur. Nos itaque qui, Omnipotentis Dei Gloria, ac debita erga / Sanctissimos Ecclesiæ Principes Venerationis obsequia / una cum Animarum progressibus fovere, ac promovere / tenemur, et impense cupimus, piarum, quas supra innui/mus exercitationum, usum in memoriam Dominicæ Pas/sionis, nec non specialem cultum eorund(em) Sanctorum / Ap(osto)lorum præd(ict)is diebus, in ead(em) Ecclesia, seu Oratorio / perpetuo retinend(um), atque etiam augend(um) fore spe/rantes, et quantum in Nobis est eorum Fidei, ad quos per/tinet, et pertinebit imposterum studiosissime commen//dantes, et magnopere suadentes, quum nullam aliam in / pr(ædic)to Castro Ecclesiam, seu Cappellam, Altare, Oratorium, Con/fraternitatem, aut Locum Pium Basilicæ Nostræ ag/gregatam, seu aggregatum habeamus, Predicti autem Ordi/narij consensus ad hoc ut ead(em) prefata Ecclesia, seu Ora/torium Basilicæ Nostræ aggregetur, in supradictis ipsius au/thenticis litteris Nobis exhibitis expressus accedat, huius/modi Istantiæ per Capitularem Decretum infra(scri)pta die con/ditum favorabiliter annuimus. Quare utentes faculta/tibus Nobis ab Ap(osto)lica Sede, et præsertim a SS.mo D(omino) / N(ost)ro Benedicto XIV, Pontifice Maximo, per suas Ap(osto)li/cas sub Plumbo litteras datas apud S(anctam) Mariam Majo/rem VI Kal. Aprilis MDCCLII, quarum initium / est Ad honorandum, et quarum tenorem pro eo, quod / pertinet ad huiusmodi facultates infra subjcimus, / concessis et impertitis, eiusdemque SS.mi D. N. necnon / fel(icis) Rec(ordationis) Clementis Papæ VIII alijsque circa hæc / Ap(osto)licis legibus, et ordinationibus per omnia inhærentes, / his Nostris Litteris, prædictam Ecclesiam, sive Oratorium / publicum sub invocatione Sanctorum Ap(osto)lorum Petri, et / Pauli prope, et extra Castrum Montis Franchi Spoleta/næ Dioecesis Nostræ SacroSanctæ Basilicæ Vaticanæ adiun/gimus, et aggregamus, necnon eid(em) Ecclesiæ, sive Orato/rio ac resp(ecti)ve omnibus, et singulis utriusque Sexus Chri/stifidelibus illam, seu illum, ut infra visitantibus, et inibi / iuxta præscriptum eiusd(em) SS.mi D. N., orantibus, infra(scri)ptas // Indulgentias, et Spirituales gratias Nobis ad huiusmodi effectum / Ap(osto)lica auctoritate concessas, et in Subiecta earundem lit/terarum Particula singillatim expressas, prævia tamen re/cognitione sæpedicti Ordinarij, eiusque Decreto ad formam / Sac. Concilij Tridentini debitis temporibus promulgandas / gratis omnino, et pro solo Dei Amore, et Christianæ Pie/tatis augendæ Studio dicta Ap(osto)lica aucthoritate largi/mur, et communicamus, et ad illam, seu illud, et illas resp(ecti)ve / extendimus et ampliamus. Tenor autem Particulæ dictarum Litterarum SS.mi D. N. Bene/dicti Papæ XIV sequitur de verbo ad verbum videlicet / Ad hæc animo perpendentes ex præteritorum temporum monu/mentis constare, prædictæ Vaticanæ Basilicæ Capitulum, et / Canonicos, Ap(osto)licos procul dubio Indultis munitos Indulgen/tias, ac Peccatorum, seu pœnarum remissiones, et relaxatio/nes; aliasque Spirituales gratias ex Ap(osto)lica Romanorum / Pontificum liberalitate eid(em) Basilicæ, videlicet eamdem vi/sitantibus ibique Divinam Majestatem orantibus, et Veneranti/bus concessas aliis quoque per Orbem Ecclesijs quoquomodo / sibi unitis, aut subiectis communicare, et ad eas extendere / consuevisse, Nos huiusmodi facultatum, qua etiam Di/lecti filij tam Capitulum, et Canonici Sa(n)cti Io(ann)is in La/terano, quam

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Capitulum etiam, et Canonici S. Mariæ Ma/ioris Patriarchalium Urbis Ecclesiarum ex Ap(osto)licis Privilegijs / actu vigentibus gaudere dignoscuntur, prædictorum quoque / Vaticanæ Basilicæ Capituli, et Canonicorum favore inno/vare, ac etiam ex integro præsentium tenore concedere, / et elargiri decrevimus. Itaque motu proprio, et ex certa / scientia eisd(em) Capitulo, et Canonicis quascumque Ec//clesias, Cappellas, Altaria, Oratoria, Confraternitates, / Hospitalia, aliaque Pia Loca tam erecta, quam erigenda, / et tam in locis ipsius Basilicæ, ac eorumd(em) Capituli, et / Canonicorum, quam etiam in alijs Civitatibus, et locis quo/rumcumque Ordinationem Iurisdictioni subiectis existentia, / ipsi Vaticanæ Basilicæ aggregandi, et ad Spiritualium dumta/xat eiusd(em) Basilicæ Privilegiorum Societatem, et Commu/nicationem admittendi, et recipiendi, ita ut in vim hui(usm)odi / Aggregationis, et receptionis infrascriptarum Indulgentiarum, / et relaxationum Thesauri ad ipsas Ecclesiæ, Cappellas, / Altaria, aliaque Præmissa, ex Nostra, et Ap(osto)licæ Sedjs / aucthoritate ampliati, et extensi creantur, amplam, et / Liberam facultatem sub infra(scri)ptis tamen conditionibus, / et non alias præsentium serie concedimus, et impertimur. / Volumus minimum, ut in singulis Civitatibus, Oppidis, vel / Locis, unam dumtaxat ex huiusmodi Ecclesijs, sue Cap/pellis, Altaribus, Oratorijs, Confraternitatibus, Hospita/libus, alijsque Locis Pijs quomodocumque nuncupatis, / huiusmodi aggregationis, et communicationis munire / ditare possint; dummodo Ecclesia, aut Oratorium sic ag/gregand(um), seu illa Ecclesia, in qua Cappella, vel Alta/re prædictum extiterit etiam si alias eurumd(em) Capituli, et / Canonicorum Iurisdictioni subesse dignoscatur Ecclesia / Conventualis Regolarium, aut Monialium non sit, nec / Ecclesia, Cappella, Altare, Oratorium, Pius locus, aut / Canfraternitas huiusmodi ulli alteri Ecclesiæ, aut ulli / Ordini, Religioni, Instituto, Archiconfraternitati, et / Congregationi, a qua Indulgentiarum communicationem, // seu participationem pro omnibus Christifidelibus Ecclesiam / ipsam, seu Oratorium visitantibus obtineat, aggregata sit, / aut subiecta, et dummodo Ordinarii Loci expressus ad id / consensus accedet, eiusdemque Oratorii Testimonialibus / Litteris huiusmodi Ecclesiæ Cappellæ, Altaris, seu Oratorii / celebritas, vel Confraternitatis, aut Loci Pii institutum, / et Christianæ Pietatis, et Charitatis Officia, quæ exer/cere consuevit apud eiusd(em) Capitulum, et Canonicos / commendaentur, neque vero per huiusmodi aggregationes / et receptiones, ullum omnino præiuditium, seu imminutio / eorumd(em) Ordinariorum Juris dictioni irrogari, vel aliqua / eisd(em) Ecclesijs, aut Locijs Piis alijsque præmessis exem/ptio, seu dictis Capitulo, et Canonicis in easd(em) Eccle/sias, vel Loca Pia, aliaque præmissa, seu in Personas / illarum, illorumque Regimini, administrationi, aut ser/vitijs deputatas ullum omnino Iurisdictionis, et auctori/tatis genus acquiri seu respective augeri censentur. Facul/tatem tamen indulgendi prout alias incertis casibus ab / Apostolica Sede benigne indulgeri consuevit, ut in una; / eademque Civitate, aut Oppido duabus Ecclesijs, seu / Cappellis, vel Altaribus, Oratorijs, Confraternitatibus, / aut Locis Pijs, ubi speciales id circumstantiæ suadeant / huiusmodi Indulgentiarum communicatio a dictis Cap(itu)lo, / et Canonicis concedi possit Congregationi Venerabilium / Fratrum Nostrorum S: R: E: Cardinalium Indulgentijs, et / Sac. Reliquijs præpositæ per p(ræse)ntes perpetuo tribuimus, // et impertimur. Nos autem omnibus utriusque sexus Christi/fidelibus qui huiusmodi Ecclesias, Cappellas, Oratoria, seu Altaria / eid(em) Vaticanæ Basilicæ servatis ut s(upr)a servandis,

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aggregata / in Epiphaniæ D. N. Jesu Christi, ac Dominicæ Pentecostes, / et Natalis SS. Apostolorum Petri, et Pauli, ac dedicationis / ipsius Vaticanæ Basilicæ diebus Festis a primis Vesperis usque / ad occasum solis dierum huiu(smod)i, nec non in una ex Sextis Fe/rijs Mensis Martij vere pænitentes, et confessi, ac Sacra / Communione refecti devote visitaverint, ibique pro Sanctæ / Matris Ecclesiæ exaltatione, hæresum extirpatione, et Chri/stianorum Principium concordia pias ad Deum præces effu/derint quolibet ex diebus prædictis, plenariam omnium Pecca/torum suorum indulgentiam, et remissionem misericordiater (/ in D(omi)no concedimus, et) / im/pertimur. Ijsvero, qui in Natalitijs Sanctorum Apostolorum / Andreæ germani Fratris eiusd(em) Beati Petri, necnon Simonis, /et Iudæ, quorum corpora in d(ict)a Vaticana Basilica / requiescunt, et in utraque Cathedra, nec non in die / octava Natalis eiusd(em) Beati Petri, ac in Festo ipsius / Vinculorum, item in Commemoratione S. Pauli Apostoli, / et eiusd(em) Conversione, ac in Festo S. Marci Evangelistæ, / nec non in reliquis Sextis Ferijs Mensis Martij, quibus / nimirum ad Sacra Domenicæ Passionis monumenta, quæ in d(ict)a / Basilica osservantur pie veneranda totius Urbis devotio con/currit vere pœnitentes, et confessi præmissa peregerint VII / Annos, et totid(em) quadragenas. Qui autem illas, et illa a / die Festo Ascentionis D: N: Jesu Christi usque ad Kal: // Augusti, quo tempore ipsa Vaticana Basilica in hono/rem Sanctorum Martyrum, quorum Corpora magno numero in / ea condita sunt, assiduo Christofidelium concursu fræquentan(tes) / vere poenitentes, et cum proposito, saltem confitendi, visi/taverint, inique ut supra oraverint; singulis dieb(u)s; qui(bu)s id / egerint, quatuor Annos, et totidem quatragenas, in reliquis / autem singulis Anni diebus, centum dies de iniunctis eis, / seu alias debitis pænitentijs in forma Ecclesiæ consueta / relaxamus. Denique ut ij, qui in diebus Stationum eiusd(em) Vaticanæ / Basilicæ in Missali Romano descriptis, nimirum Dominica / III Adventus, omnibus Sabathis Quatuor Temporum, / in Epiphania Domini, Dominica Quinquagesimæ, / Dominica Passionis Feria Secunda Resurrectionis Do/mini, in Festo S: Marci Evangelistæ, Feria quarta Ro/gationum, in Festo Ascentionis D(omini) N(ostri) Jesu Christi, ac / Dominica Pentecostes, aliquam ex dictis Ecclesijs, seu Cap/pellis, aliisque superius expressis cum d(ict)o pænitentiæ affe/ctu, et Confessionis proposito visitaverint, ibique ut præ/fertur Oraverint, Indulgentias Stationales, quas visitantes / d(ictam) Vaticanam Basilicam, iisque, diebus consequuntur, qui vero / duodecim vicibus, in quolibet Anno, totidem nempe diebus / ab Ordinario Loci semel tantum designandis septem Al/taria in qualibet ex diætis aggregatis Ecclesiis ab Ordi/nario similiter designanda ut præfertur dispositi, ac Deum / orantes visitaverint, easdem quoque Indulgentias, quæ vi//sitantibus septem designata Altaria / in eadem Basilica esistentia / concessaæ sunt, ipsi / quoque perinde ac si Basilicam ipsam, seu respective / Altaria huiusmodi in ea sita personaliter visitaverint, / consequi possint, et valeant similiter concedimus, et indul/gemus. Volumus autem ut huiusmodi Indulgentiæ, et gratiæ Spiri/tuales dictis aggregatis, seu aggregandis Ecclesijs, Cap/pellis, Altaribus, Oratorijs, Hospitalibus, Confraterni/tatibus, et Locis Pijs ab ijsd(em) Capitulo, et Canonicis / nominatim, et eum expressa mentione facultatis sibi / per præsentes a Nobis impertitæ, alijsque servatis, quæ in / Ap(osto)lica Constitutione Felicis Recordationis Præ/decessoris Nostri Clementis Pape VIII die Septima / Septembris Anni Domini MDCIV edita,

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quæ incipit, / Quæcumque à Sede Ap(osto)lica præsertim circa gratuitam / Litterarum Ap(osto)licarum expeditionem, iisque etiam, quæ in / Decretis à d(ict)a Congregatione Indulgentijs, et Sacris Reli/quijs præposita die 6 Martij Anni MDCVIII, et die / 10 Aprilis Anni MDCCXX = editis statuta sunt, et / non aliter communicari possint, et valeant. Ab illarum / vero, eorumque Rectoribus, Administratoribus, Offi/cialibus, et Ministris in earumdem Indulgentiarum / publicatione, nec non Eleemosynarum receptione, / et erogatione, aliæ similiter leges in Tridentini / Concilii Decretis, et in supradictis Clementis VIII // Litteris, aliique Romanorum Pontificum, et Aposto/licæ Sedis Constitutionibus, atque decretis præscriptæ / sub pœnis ibid(em) adversus Transgressores respective Statu/tis inviolabiliter serventur, et impleantur. Item = Ad hoc autem, ut eæd(em) p(ræse)ntes litteræ amplius inno/tescant, et de eis in singulis locis, inquibus forsan opus / erit, fides commode fieri possit, volumus, et ead(em) au/ctoritate decernimus, quod ipsarum transumptis etiam / impressis, manu Secretarii Capituli ipsius Basilicæ / P(ri)n(ci)pis Apostolorum, seu alicuius Notarij publici subscri/ptis, et sigillo, eiusd(em) Cap(itu)li, seu Personæ in Ecclesia/stica Dignitate constitutæ munitis ead(em) prorsus ubique / fides in Iudicio, et extra illud adhibeantur, quæ eisd(em) / præsentibus originalibus adhiberetur, si forent exhibitæ, / vel ostensæ. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc / paginam nostram Confirmationum, approbationum, / exemptionum, Concessionum, Indultorum, Statutorum, de/cretorum, Mandati, præcepti, derogationis, et volun/tatis infingere, vel ei ausu temerario contraire; / si quis autem hoc attentare præsumpserit, Indigna/tionem Omnipotentis Dei, ac Beatorum Petri, et Pauli / Apostolorum eius, se noverit incursurum. Datum Romæ apud Sanctam Mariam Majorem Anno In/carnationis Dominicæ MDCCLII Sexto Kalendas / Aprilis, Pon(tifica)tus Nostri Anno XII. Volumus autem, in signum p(ræse)ntis Aggregationis In/signia Nostræ Sanctæ Basilicæ marmoreo Lapide in/sculpta cum inscriptione p(ræse)ntis Aggregationis. Teste / supra ianuam p(ri)n(cipa)lem præ(fa)tæ Ecclesiæ in loco patente / apponantur, et perpetuo retineantur, ut quæ præmissarum // Indulgentiarum, et Spiritualium Gratiarum Elenchus intra / Ecclesiam omnium aspectui propositus etiam perpetuo retine/atur. Volumus quoque, ut si aliqua ex Conditionibus supe/rius enunciatis, et in præinserta Apostolicæ Costitutio/nis Particula requisitis deficere comperiatur, vel si pro / præsentis Gratiæ impetratione, aut expeditione quidquam, / vel minimum contra Apostolicæ, dictæque Sacræ Cong(regatio)nis de/creta à Personis Nobis subectis exactum, aut etiam sponte / oblatum à quocumque receptum fuerit. Ac denique si / aliqui eiusd(em) p(ræse)ntis Aggregationis obtentu à leg(iti)ma subiecti/one, seu Visitatione, et Correctione Ordinarii Loci, et / signanter in ijs, quæ pertinent ad Eleemosynarum receptio/nem, et erogationem contracitatæ Constitutionis Clemen/tis Papæ VIII, aliorumque Apostolicæ Sedis, et Tridentinæ Synodus decretorum sese eximere præsumpse/rint, pr(æsen)tes nullæ sint eo ipso; In quorum omnium fi/dem, ac etiam ut de præinsertæ Litterarum Ap(osto)licarum / Particulæ auc(torita)te ubique constet, p(ræse)ntes Nostras Litteras / à R(everendissi)mo D(omino) Can(oni)co Capituli Nostri Secretario subscri/ptas, ac Sigilli Capitularis impressione munitas per in/fra(scri)ptum Canc(ella)rium Nostrum expediri mandavimus; Datum Romæ ex d(ict)a Sacro Sancta Basilica, et ex /

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Loco Nostro solito Capitulari Anno à Nativita/te Domini N(ost)ri Jesu Cristi millesimo septingen/tesimo quinquagesimo Tertio, Ind(itio)ne P(ri)ma, Die vero / vigesima nona Mensis Januarii, Pontificatus / SS.mi in eod(em) Christo Patris, et D(omi)ni N(ostr)i D(omi)ni Be/nedicti Divina Providentia Papæ XIV Anno // Tertio Decimo. Loco + Sigilli // Philippus Amadei Can(oni)cus Se(creta)rius // Fran(cis)cus Maria Lorenzinus dicti R.mi Cap(itu)li Can(cellarius) Ita et Fran(cis)cus Maria Lorenzinus eiusdem R.mi Cap(itu)li No(tariu)s, et Cancellarius.

Documento nr. 2 ASV, Congr. Concilio Positiones 1117, f. s.n.

«Spoletana / Alla Sntà di N.ro Sig.re / PP. Clemente XIII / A Mons.r Seg.rio del Concilio, / che ne parli. / die 21 9bris 1767 / Per Lorenzo Sinibaldi». B(eatissi)mo Padre Nel suo ultimo testamento, col quale morì Placido Sinibaldi / da Montefranco Diocesi di Spoleto nell’Anno 1715per rogito di Aga/bito Tanchi Notaro publico di Torreorsina, avendo instituiti / Eredi li tre suoi figli Maschi Tommaso, Valerio, e Domenico Mas/simo frà le altre cose così dispose. Item per ragion di Legato, / ed in ogn’altro miglior modo Ordina, vuole, e comanda, che li tre / infrascritti suoi Eredi siano tenuti, ed obligati in perpetuo far / celebrare Messe num° Quarantotto, cioè Messe sedici per uno / di dd.i Eredi, ed ogn’Anno nell’Altar maggiore posto, e situa/to nella Chiesa della Madonna SSma del Carmine fuori della / Porta, e Terra di Montefranco nel giorno di Sabato, d’appli/carsi d(ett)a Messa per l’Anima, e Famiglia di d(ett)o Testatore, tal/menteche vuole, che ogni Sabato in perpetuo sia Celebrata / in d(ett)a Chiesa la S. Messa per l’Anima, e Defonti di esso Te/statore, e sua Famiglia. E mancandosi ciò fare, et adempiere / dai suoi infrascritti Eredi, in tal caso vuole, che nella sua / Eredità subbentri la Madonna SSma del Carmine sud(ett)a in / quella parte però di quello infrascritto suo Erede, che man//cherà far celebrare d(ett)a Messa, e ciò dice di fare in beneficio / dell’Anima sua, e Famiglia in perpetuo. Lorenzo Sinibaldi Nipote di d(ett)o Testatore come figlio di / Tommaso uno degli Eredi, come sopra, instituiti ha negl’/Anni scorsi a sue spese, e da fondamenti edificata in d(ett)o Luo/go di Montefranco una chiesa con altare dedicato alla B.ma / Vergine Immacolata Concetta, alli SS. Apostoli Pietro, e Paolo, / e S. Lorenzo Martire, ed ha con Privilegio di aggregazione / arricchita la med(esim)a Chiesa di tutte l’Indulgenze della Sacro/santa Basilica Vaticana. Desidera Ora il med(esim)o Lorenzo suddito, ed O(rato)re U(milissi)mo della S(a)n(ti)tà / V(ost)ra accrescere il culto di d(ett)a Chiesa, ed in essa fondare una / Cappellania, o Pio Legato Messe da celebrarsi all’Alta/re di d(ett)a Chiesa in Perpetuo in tutte le Domeniche e / giorni festivi dell’Anno; e ciò anche in beneficio e vantag/gio del Popolo di d(ett)o Luogo, ove per lo più celebrandosi as/sai per tempo quelle poche Messe, che possano aversi, bene / spesso accade, che le Persone abi-

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tanti fuori del Luogo ad//dette alla Campagna, e dedite alla Caccia non possino, o / trascurino di adempire il Precetto della Chiesa. E siccome la sua intenzione è di fondare questa pia Opera / per beneficio, e suffraggio dell’Anima sua, e de suoi Ante/nati, Congiunti, ed Affini, così brama di unire a questa / sua Opera il sud(ett)o Pio Legato già Ordinato da Placido suo / Avo accrescendo, ampliando, e trasferendo a tutti i gior/ni Festivi il med(esim)o Legato ristretto come sopra alli soli / giorni di Sabato. Non potendo però ciò effettuarsi senza la Suprema Auto/rità della S(a)n(ti)tà V(ost)ra mediante la commutazione della / Volontà di d(ett)o Placido Testatore, umilm(en)te perciò à V.B. / ricorre esso Lorenzo Sinibaldi O(rato)re supplicandola per/chè voglia degnarsi commutando la volontà del pre(dett)o / Q(uonda)m Placido, concedergli la grazia, che le Messe da Cele/brarsi secondo la di Lui disposizione all’Altare, e / Chiesa della Madonna SS.ma del Carmine siano trasfe-/rite all’Altare della SS.ma Concezzione, e SS. Pietro, e // Paolo in d(ett)a Chiesa dall’O(rato)re Edificata ed in vece di cele/brarsi secondo la disposizione di d(ett)o Placido in giorno di /Sabato possino celebrarsi ne giorni di Domenica e Festi/vi, ed in quel maggior numero, che il med(esim)o O(rato)re pensa di / accrescere, e per i seguenti motivi spera di esser esaudi/to. Primo. Perché a questa commutazione non repugna, anzi / presuntivamente favorisce la volontà dell’istesso Placi/do Testatore, il quale se avesse pensato, ho preveduto, / che un suo discendente fosse per edificare una Chiesa, / in questa più tosto, che in altra Chiesa avrebbe in/stituito il suo Pio Legato. Secondo. Perché si tratta / dare ed accrescere il culto ad una Nuova Chiesa, / alla quale manca finora altra pia fondazione, la / dove, e la Chiesa della madonna SS.ma del Carmine / si trovano instituite altre Cappellanie. Terzo. Per/chè si tratta di aumentare num° e la Celebrazio/ne delle Messe, ampliandole dai giorni di Sabato, a // tutte le Domeniche e giorni Fesivi. Quarto final/mente. Perché ciò ridonda in beneficio, e vantag/gio del Popolo, à cui col beneficio di una Messa / fissa da celebrarsi circa l’Ora del Mezzo Giorno / si dà miglior comodo di soddisfare ne giorni Festi/vi al Precetto della Chiesa. Che della grazia

Documento n. 3 E.mi, et Rev.mi DDni Colmi Ex Particula Testamenti conditi die 2a Aprilis 1715 à Placido Sinibaldi mihi exhibita, quamque EE.VV. (eminentissimi viri) hii / annexam transmitto, constat Testatorem Legasse tribus / filijs Haeredibus Suis, eorumque descendentibus, ut in / perpetuum celebrare facerent missam qualibet die Sab/bati in Ecclesia B. Mariae Virginis de Carmelo extra, et / prope Castrum Montis Franchi hujus Dioecesis […]. Cum antem paucis ab hinc Annis Laurentius Sinibaldi Testa/toris Nepos Ecclesiam intra ipsum Castrum à Fundamentis / eleganti forma construxerit, omnique Sacra Suppellectile / ditaverit, cupit propterea Hujusmodi missarum Legatum / transferri ab Eccl(es)ia B.M.V. de Carmelo ad alteram extra / Castrum ab Oratore

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aedificatam, et B.M.V. sine Labe / conceptae, Sanctisque Apostolis Petro, et Paulo dicatam, // neque amplius die Sabbati, sed omnibus diebus Dominicis, / et Festis adimpleri, aucta dote per eumdem Oratorem / pro ipso missarum augumento; Quod quidem cum / mihi videatur maxime utile Populo castri montis / Franchi, neque ullius praejudicij Eccl(esi)ae B.M.V. de Carmelo, / quae alia habet missarum Legata; Censerem propterea / benigne concedi posse Oratori petitam voluntatis com/mutationem, nisi aliter videatur EE.VV., quibus Sacram / Purpuram obsequentissime deosculor EE.VV. Spoleti 22 martij 1768. Vencentius (dell’Acqua) epus Spoletinus «Spoletana / Laurentius Sinibaldi / ex audietia SS.mi diei 20 Aprilis 1768».

Documento nr. 4 ASR, Trenta notai capitolini uff. 2, b. 605, notaio Hieronimo Amedeo Paolotti. Apertura testamento 29 dicembre 1774. Testamento di Lorenzo Sinibaldi del 26 maggio 1768, ff. 4r-6v, 31r.

Nel Nome di Dio Padre, Figliuolo, e Spirito Santo. Amen. Sapendo io infrascritto Lorenzo Sinibaldi Figlio della bo:me Tom/maso Sinibaldi di Montefranco Diocesi di Spoleto la certezza / della mia Morte, e essendo però incerto dell’ora, e tempo, in cui / a Dio piacerà di richiamarmi; Ora, che per la Dio grazia / mi ritrovo sano di Corpo, vista, udito, loquela, mente, e intelletto, / ho determinato di fare il presente mio Testamento, che scrit/to, e sottoscritto di mio proprio Carattere, verrà, chiuso, e sigil/lato, consegnato negli Atti di publico Notaro, per aprirsi, / publicarsi, ed eseguirsi dopo la mia Morte nel modo se/guente, cioè. E primieramente, incominciando dall’Anima, come più Nobile / del Corpo, quella ripongo nelle Braccia del Nostro Signor Gesù / Christo, che col suo preziosissimo Sangue l’ha redenta, ed / umilissimamente La raccomando alla Beatissima Vergine / Maria Madre di Dio, al Santo Angelo mio Custode, Glorio/sissimo Patriarca S. Giuseppe, alli Santi Apostoli Pietro, e / Paolo, a S. Lorenzo Martire, ed a S. Nicola di Tolentino miei / Avvocati, con tutti Li Santi, e Sante della Corte Celeste, acciò, / implorandomi da Sua Divina Maestà il perdono delle mie / gravissime Colpe conduchino, secondo il fine, per cui è sta/ta creata La mia Anima al godimento dell’eterna Gloria. Quando poi l’anima mia sarà separata dal Corpo, voglio, or/dino, e comando, che questo divenuto Cadavere sia traspor/tato alla Ven(eranda) chiesa di S. Teodoro in Campo Vaccino associa/ta alla Ven(erand)a Archiconfraternita del SS.mo Cuore di Gesù, in / cui mi trovo indegnamente ascritto, vestito col sacco della / med(esim)a; ed ivi Sepolto secondo lo stile degl’altri Confratelli / Defonti. // Per raggioni di legato pio, ed in ogni altro miglior modo / ordino, voglio, e comando, che dagl’infrascritti miei Eredi usufrut/tuarij si faccino celebrare per Suffragio dell’anima mia / dai Sacerdoti, e R.R.P.C. di S. Bernardino di Monte Franco scudi / trenta di messe, tutte però al mio publico Oratorio, ò sia Chie/sa contigua al mio Casino, e ciò debba farsi colla maggior pos/sibile sollecitudine.

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Item per raggione di legato, ed in ogni altro miglior modo la/scio alla Sig.ra Angiola Capobassi mia dilettatissima Consorte / tutte quelle poche gioje, argenti, Biancherie, abiti, mobili, suppellet/tili, stigli di Cocina e tutt’altro, che di mia raggione, e perti/nenza esiste nella Casa, che comunemente viene da / me abitata in Roma col Sig.e Pier Sante Marroni con tutto / quel Denaro contante, che ritroverà in mio potere dopo / la mia morte. Item per raggione di legato, ed in ogni altro miglior modo / lascio alla alla Sig. ra Margarita Mancini Marroni mia / amatissima Figliastra la mia mostra d’oro da saccoccia / con sua Catena di metallo dorato, e sigilli parimenti / d’oro, acciò abbia memoria di me nelle sue Orazioni, e / specialmente di visitare la Via Crucis qualche volta per /suffragio dell’Anima mia. Item per raggione di legato ed in ogni altro miglior modo la/scio alla nominata Sig.ra Angiola mia Consorte l’intiero usu/frutto della mia Eredità, e dopo la dilei morte, voglio, che / questo vada alla Sig.ra Margarita Mancini Marroni di lei / Figlia, e mia Figliastra, quale amo teneramente, et alla / med(esim)a sostituisco nel med(esim)o usufrutto il Sig.r Pier Sante Marro//ni di lei marito, e durante il d(ett)o loro rispettivo usufrutto ingiun/go, il peso ai med(esim)i, ed a ciascuno di essi di mantenere il mio / Oratorio di tutte le Sagre Suppellettili ed di ogni altra cosa, che / possa occorrere per il mantenimento, e conservazione del / med(esim)o; Come pure di far celebrare in tutte le Domeniche, ed / altre Feste di Precetto, e nel giorno della Commemorazione / ed Ottavario de’ Morti nel d(ett)o mio publico Oratorio la San/ta Messa in Suffragio tanto de’ miei Defonti, che mio, e de’ miei / Eredi usufruttarj; Con dichiarazione però, che il numero delle / Messe, che nel corso di ciascun anno perpetuamente, come / Sopra, si celebraranno in giorno di Domenica, cedino in so/disfazione del pio legato ordinato dal q.m Placido Sini/baldi mio Avo alla Chiesa della Madonna SS.ma del Carmine, / in conformità del di Lui Testamento rogato per gli Atti / del q.m Agabito Tanchi not(ar)o pub(li)co di Torre Orsina l’anno / 1715, se in luogo della qual Chiesa con special Rescritto / della S(a)n(ti)tà di N(ost)ro Sig.re Clemente XIII felicemente Regnan/te per organo della S. Cong(regazio)ne del Concilio a mia istanza / emanato sotto il dì 20 Aprile del Corrente Anno 1768 è stato / surrogato l’anzidetto mio Oratorio, e tutto il di più ceda / in adempimento, e soddisfazione della presente mia Disposi/zione, ed ultima volontà, e che ciascuna di d(ett)e Messe /si celebri all’ora del mezzo giorno, e non prima, acciò il Po/polo, e specialmente la Gente, che và in Campagna possin pren/dere le loro misure, e sian sicuri, che al mezzo giorno po/tranno ascoltare la Santa Messa. In tutti, e singoli miei Beni stabili, mobili, semoventi, crediti, azzioni, / Raggioni presenti, e future in qualsivoglia luogo posti, ed esistenti miei / Eredi universali voglio, che siano li Figli maschj legitimi, e natura/li, che nasceranno dalla Sig. ra Margarita Mancini Marroni mia Fi//gliastra, e i figli maschj di figli maschj de’ med(esim)i in infinitum, con / obligo ai med(esim)i di mantenere di tutto il bisognevole il mio publico Orato/rio, come si è detto di sopra rispetto ai miei Eredi usufruttuarij; Come / pure di far celebrare ogn’anno in perpetuo una messa in tutte le Do/meniche, e feste di Precetto all’ora del mezzo giorno. Nel caso poi / che d(ett)a Sig.ra Margarita morisse senza Figli maschj, in tal caso avendo io / tutto l’affetto al publico Oratorio da me fatto erigere sotto l’invoca/zione, e titolo dell’Immacolata

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Concezzione, de’ Gloriosi Santi Aposto/li Piero, e Paolo, e di S. Lorenzo Martire, sostituisco alla med(esim)a / Sig.ra Margarita il d(ett) o mio Oratorio, e voglio che l’esecutore, o Esecu/tori, che saranno in appresso da me nominati, seguita, che sarà la / morte di tutti li miei Eredi usufruttarijo, e specialmente di d(ett)a Sig.ra / Margarita Mancini senza Figli maschj, faccino solenne Inventario / di tutti li Beni stabili, mobili di Casa, e di tutt’altro, che si ritroverà / nella mia Casa di Montefranco: Come pure di tutte le Sagre Suppelletti/li del mio Oratorio, e vendino tutte quelle quantità de’ mobili, che speci/ficheranno prima di morire li d(ett)i miei Eredi usufruttuari, ai quali ho con/fidata la mia volontà; e il prezzo di essi dovrà impiegarsi, come si / dirà in appresso. Voglio di più, ordino, e comando, che dopo la morte delli detti / miei Eredi usufruttuari, e d(ett)a Sig.ra Margarita senza Figli maschj facerà / chiudere con muri stabili la Porta che dalla Sala del primo Piano del / mio Casino dà ‘ingresso alla Stanza con Ferrata, che corrisponde nel / Publico Oratorio; e la stessa clausura si faccia alle due Porte che dalla / Sala, e dall’altra Stanza del Secondo Piano di d(ett)o Casino corrisponde / nella contigua stanza del Coretto. E finalmente ordino, voglio, e Comando, che da detti miei Esecutori Testa/mentarj si faccia aprire una Porticella, che dalla publica Strada dia / l’ingresso nella Stanza della Ferrata contigua all’Oratorio, con fare / nella med(esim)a Stanza una Scaletta. Come meglio si potrà, per salire alla / Stanza Superiore corrispondente al Coretto, di modo che dal Casino / non vi sia più communicazione colle due Stanze contigue all’Ora/torio, volendo, che le d(ett)e due Stanze siano aggiunte al med(esim)o Oratorio, / e distinate ad effetto di potere in esse custodire, e conservare le / Sagre Suppellettili, ed altre Robbe destinate per uso dell’Oratorio. // Esecutore, o Esecutori di questa mia volontà nomino, e voglio che siano / (…) ai Figli nati, e da nascere per linea mascolina del / Sig.r Errico Parisi mio Parente, cioè li Primogeniti di d(ett)a Famiglia / e loro Figli maschj in infinito, ed in mancanza de’ Primogeniti, li / Secondi, Terzi, e Quartigeniti per Ordine successivo in infinito, ai quali / lascio l’uso e comodo del mio Casino, a riserva delle due Stanze, co/me sopra, aggiunte all’Oratorio, e alli med(esim)i similmente lascio il / Jus di far Celebrare le Messe da me come sopra ordinate, e di nomi/nare per tale effetto il Cappellano a di loro arbitrio amovibile ad mutare / il quale adempia la d(ett)a celebrazione. Ordino, comando, e voglio, che nella Sagrestia del sud(ett)o Oratorio debba ri/tenersi un Libro nel quale siano notate le Messe, che in adempi/mento di questa mia volontà verranno celebrate, qual Libro debba / provedersi, a quanto occorrerà a spese, e con i frutti delli Beni / che lascio. Similmente ordino, voglio, e comando, che delli Frutti de’ miei Beni siano / annualmente detratti scudi quattro, e questi nel giorno della SS.ma Con/cezzione vengano depositati, acciò siano secondo le occorrenze / impiegati in mantenimento, conservazione ed ornato del d(ett)o Orato/rio, e sue suppellettili. Questo deposito dovrà farsi dall’Amministra/tore pro tempore dalli detti miei Beni, voglio che si ponga in una / Cassetta da ritenersi nella Credenza della Sagrestia, e questa / Cassetta voglio che sia munita di due differenti chiavi, una delle / quali si ritenga dal mio Esecutore Testamentario, e l’altra / dall’Arciprete, o sia Curato pro tempore di Monte Franco, acciò coll’in/tervento d’ambidue venga il denaro in essa Cassetta riposto, e / da quella estratto, secondo le occorrenze, e le partite tanto delli / Depo-

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siti, quanto delle estrazzioni, ed impieghi del Denaro deb/bino sempre notarsi nello stesso Libro, in cui saranno notate le / Messe, e dovranno sempre sottoscriversi da quelli, che riterranno / le chiavi da me ordinate per la sicura custodia, e fedele impiego di / d(ett)o denaro. In caso che venisse ad estinguersi la linea mascolina del Sig.re Errico // Parisi alla quale ho riservato il Jus dell’amministrazione, co/me sopra, lascio alli sopra miei Eredi usufruttarj la facoltà, ed / arbitrio di sostituire quello o quelli à quali dovrà devolversi la / d(ett)a amministrazione, e Jus nominandi; E quando detti miei Eredi usu/fruttuarj, e ciascuno di essi mancassero senz’avere in vita, o in mor/te fatta tal dichiarazione, o sostituzione, in tal evento voglio, / che dopo estinta la linea mascolina del Sig.r Errico Parisi, il Jus / nominandi si devolva alla Communità di Montefranco et in tal / caso la chiave della Cassetta de’ Depositi riservata per li Primoge/niti Maschi discendenti dal Sig.r Errico Parisi dovrà ritenersi, / dal curato, ed Arciprete pro tempore di Montefranco / nella forma sopra disposta. E perché considero che i Terreni spettanti alla mia Eredità per poca at/tenzione, e cura de miei Esecutori Testamentarj, o de Cappellani / deputandi potranno talvolta andare in deteriorazione, e così / scemarsi il di loro fruttato in pregiudizio degli stessi Cappel/lani, e della Chiesa, perciò non solo a detti miei Amministra/tori raccomando la buona cultura, conservazione, e miglio/ramento di detti Beni, ma ancora alli miei Eredi usufruttarj, / ed alli successivi miei Esecutori Testamentarj lascio la / facoltà, se lo crederanno a proposito, e conveniente alle / circostanze, di potere detti Beni stabili commutare in tutto, / o parte, in una, o più volte in capitale fermo, e sicuro di Luo/ghi di Monte Camerali non vacabili; colla condizione però, / che, dovendosi in tal casi venire alla Commutazione, o alie/nazione de miei Stabili debba ciò farsi colla previa af/fissione degl’Editti publici, proibendo senza giusta cau/tela e solennità qualunque alienazione, perché cosi. Hò detto di sopra, che dopo la morte de miei Eredi usufruttuarj / Si vendino quei mobili, che essi, secondo la volontà da / me confidatagli, dichiararanno. Ora poi aggiungo, che il / prezzo di detti mobili debba impiegarsi intieramente // in ornato dell’Oratorio e nella provista, e migliorazione delle Sagre Sup/pellettili tanto della Sagrestia, quanto dell’Altare ad arbitrio de miei / Esecutori Testamentarj. Ho parimente disposto, che durante la linea mascolina del Sig.r Erri/co Parisi, e suoi Primogeniti, godano l’uso del mio Casino, ed ora ag/giungo, e dichiaro che dopo estinta la linea mascolina sud(etta); il med/esimo debba vendersi al migliore Oblatore, ed il prezzo di esso deb/ba rinvestirsi in aumento di Fondo del presente pio Legato, perché / così. E questo voglio che sia l’ultimo mio Testamento, e mia ultima volontà, / quale, quale se per raggione di Testamento non valesse, voglio che vaglia / per raggione di Codicillo, ò Donazione Causa mortis, o in qualunque altro mi/glior modo, Cassando, annullando, ed irritando l’altro Testam(ent)o da me / fatto molti anni addietro rogato per gli Atti del qm Francesco Orazj not(ar)o / pub(lic)o di Castel di Lago Diocesi di Spoleto. In fede di che ho li pre/senti Fogli scritti, e sottoscritti di mia propria mano: In Roma questo / dì 26 Maggio 1768. Io Lorenzo Sinibaldi ho disposto come sopra mano propria.

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Tav. I – Oratorio di S. Pietro, interno, Montefranco (Terni). Foto dell’autore.

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Tav. II – Oratorio di S. Pietro, parete opposta all’altare con coretto, Montefranco (Terni). Foto dell’autore.

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Tav. III – Oratorio di S. Pietro, esterno, Montefranco (Terni). Foto dell’autore.

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Tav. IV – Oratorio di S. Pietro e «Casino» Sinibaldi. Montefranco (Terni). Foto dell’autore.

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Tav. V – Oratorio di S. Pietro, esterno lapide e insegna del Capitolo. Montefranco (Terni). Foto dell’autore.

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Tav. VI – Oratorio di S. Pietro, acquasantiera, Montefranco (Terni). Foto dell’autore.

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Tav. VII – Oratorio di S. Pietro, mensola, Montefranco (Terni). Foto dell’autore.

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Tav. VIII – Oratorio di S. Pietro, altare, Montefranco (Terni). Foto dell’autore.

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Tav. IX – Carlo Marchionni, Chiesina per il S.r Lorenzo Sinibaldi (Chiese e Cappelle), f. 25, disegno 295 × 216 mm. Su gentile concessione della Galleria Carlo Virgilio &C., Roma.

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Tav. X – Carlo Marchionni, Schizzi per un altare (Chiese e Cappelle), f. 7, disegno 276 × 198 mm. Su gentile concessione della Galleria Carlo Virgilio & C., Roma.

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Tav. XI – Stefano Pozzi (attr.), Immacolata Concezione con i Ss. Pietro e Paolo Apostoli e S. Lorenzo Martire, 1752 ca. olio su tela 2500 × 1380 mm, Oratorio di S. Pietro, Montefranco (Terni). Foto della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria ©.

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Tav. XII – Carlo Marchionni, Caricatura del barbiere di Montefranco, 1750 ca., GCS, MR 1508 – 96 disegno 275 × 220 mm. Foto Roma, Museo di Roma, Gabinetto Comunale delle Stampe ©.

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Tav. XIII – Carlo Marchionni, Caricatura del corriere di Montefranco, 1750 ca., GCS, MR 1508 – 13 disegno 272 × 200 mm, foto Roma, Museo di Roma, Gabinetto Comunale delle Stampe ©.

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GRETI DINKOVA-BRUUN

ARCA NOE DICERIS: A PREVIOUSLY UNKNOWN DEVOTIONAL POEM FROM MANUSCRIPT BAV, VAT. LAT. 28671 Manuscript Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 2867 (henceforth V) is a thirteenth-century codex preserving Peter Riga’s Aurora in its incomplete, second medieval edition.2 In this otherwise unremarkable copy of Riga’s masterpiece, a previously unknown anonymous poem dedicated to Virgin Mary is added in the margins of ff. 89v-90r, in close proximity to the beginning of Riga’s versification of the Gospels (the significance of this placement will be discussed below). Moreover, a partial prose summary of Riga’s text is found in the margin of f. 91r, following the text of the devotional poem. Both marginal expansions are written in the same hand which is different from the one that wrote the Aurora. In addition to the lighter ink employed in the execution of these particular accretions, their script is characterized with some features that belong to a more rapid, chancery letter formation. A provenance, however, is difficult to postulate for either the entire codex or the later additions. With its 31 rhymed quatrains,3 the anonymous poem is rather sizable, compared to the prose paraphrase which is short and concise. These unusual compositions represent an excellent example of the variety of creative responses elicited by the Aurora in its medieval readers. From simple glosses and extensive commentaries to biblical versifications and devotion1 I owe a debt of gratitude to Professor Peter Stotz and Dr. Giles Gasper who read and commented on an earlier draft of this article. 2 For an introduction to the various editions and redactions of the Aurora, see P. BEICHNER, Aurora Petri Rigae Versificata, 2 vols. (Notre Dame 1965), vol. 1, pp. xvii-xxvii. Some intermediate stages between Beichner’s editions have been postulated in G. DINKOVA-BRUUN, The Story of Ezra: A Versification Added to Peter Riga’s ‘Aurora’, in Anglo-Latin and its Heritage: Essays in Honour of A. G. Rigg on his 64th Birthday, ed. Siân Echard and Gernot R. Wieland (Publications of The Journal of Medieval Latin 4, Turnhout 2001), pp. 163-188, esp. 164. 3 Three of the stanzas, i.e. 7, 17(27) and 26(23), contain five rather than four verses, with the extra verses added in two cases with a ‘+” sign preceding the lines (see below, notes 32 and 36). This further elaboration is not unusual for the pia dictamina, which is the genre to which the present poem belongs. At the same time it is also worth considering that the extra lines in stanzas 7, 17(27) and 26(23) could be alternative verses rather than additions.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 473-491.

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al poetry,4 the margins of the Aurora-manuscripts are filled with literary treasures waiting to be discovered. The present article presents an edition of both the Mary poem and the prose paraphrase of Riga’s text which are found in the margins of V. It also explores the scholarly and spiritual preoccupations exhibited in these compositions. The pium dictamen in V is written in Goliardic verse,5 exhibiting in the majority of its strophes the traditional Goliardic arrangement of four rhyming verses, aaaa, with some small variations in stanzas 16(19), 28 (25) and 22(28), where the rhyming schemes abba and aabb are found. In addition, in stanza 14, vv. 1-2, the presence of an internal rhyme (humiliter-uiliter) is worth mentioning.6 In most cases the rhyming patterns are observed perfectly, the exceptions being stanzas 6, 8, and 24(21) where a slight straining of the rhyme can be detected.7 All in all, the anonymous poet shows himself a skilled versifier, making only a few mistakes in the rhythmic structure of his verses.8 I. The Manuscript Manuscript V, measuring 250 × 145 mm, consists of 124 folios and one flyleaf of paper at the beginning; ff. 1 and 124 are blank singletons. The written space of the main text is 195 × 72 mm; occasionally, paragraph signs are added outside the writing frame. The Aurora is copied in one column, each of 53 lines, with top line above ruling. Each verse line is marked by a littera notabilior filled in red. The initials are also in red, as are the titles throughout the manuscript. The entire book is written in one small hand, the script being littera gothica textualis media, 1.5 or 2 mm high, probably French. Occasional interlinear and marginal glosses in various hands are seen throughout. 4 See for example G. DINKOVA-BRUUN, Peter Riga’s ‘Aurora’ and its Gloss from Salzburg, Stiftsbibliothek Sankt Peter, Ms. a.VII.6, in Insignis Sophiae arcator. Medieval Latin Studies in Honour of Michael W. Herren on his 65th Birthday, ed. G. R. WIELAND, C. RUFF, and R. G. ARTHUR (Publications of the Journal of Medieval Latin 6, Turnhout 2006), pp. 237-260. 5 For the structure and origin of Goliardic verse, see D. Norberg, An introduction to the Study of Medieval Latin Versification (Washington 2004), pp. 145-146 and 183-184. Different types of Goliardics are mentioned and exemplified in A. G. RIGG, A History of Anglo-Latin Literature 1066-1422 (Cambridge 1992), pp. 324-325. 6 See also the weaker internal rhymes in stanza 2, vv. 3-4 (peccatum-miserrimum); stanza 12, vv. 3-4 (filium-miserum); and stanza 31, vv. 3-4 (oleum-filium). 7 In stanzas 6 compareris is rhymed with Ebreis, reis and meis; in stanza 8 carceratis is rhymed with honestatis, eternitatis and libertatis; and in stanza 24(21) pauperasti is rhymed with transcendisti, prefuisti and genuisti. 8 See below, notes 26, 28, 33, 34, 35, and 39.

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The order of the books of the Aurora preserved in V is as follows: Peter Riga’s Preface,9 Octateuch, I-IV Regum, Tobias, Daniel, Iudith, Hester, Machabei, Euangelium, Recapitulationes. Missing from this version of the poem are the Actus Apostolorum, Liber Iob, and Cantica Canticorum, which all belong to the third and final redaction of the work. There is no sign of the later expansions and re-writings of Aegidius of Paris, the so-called corrector ultimus of Riga’s masterpiece.10 In addition to the devotional poem on ff. 89v-90r, which is discussed in this article, there are various other marginal supplements. Among them three prayers are copied in the margins of ff. 109r-v.11 They are written in a hand that is different from either the one that wrote the Aurora or the one that added the poem and the prose summary. The incipits for the three prayers are: (1) “Omnipotens sempiterne Deus, cuius proprium est misereri semper et parcere et qui adiutor es in oportunitatibus et tribulacione, te suppliciter et lacrimabiliter (miserabiliter a.c.) exoramus ut nobis in tante aduersitatis periculis constitutis dona spei, fidei uirtutem et munus amoris misericorditer largiaris, etc.” (2) “Domine Iesu Christe, saluator mundi, maiestatem tuam suppliciter et lacrimabiliter exoramus ut sicut transfixus per liuorem Ebreum humanum genus tuo precioso sanguine redimisti, sic nos quos inimicorum nostrorum inuidia carceris huius defixit in latebras, digneris ab ipso carcere mirabiliter liberare, etc.” (3) “Omnipotens sempiterne Deus, qui sperantes in te non deseris et qui non uis mentem peccatoris fieri ut conuertatur et uiuat,12 te suppliciter et lacrimabiliter exoramus ut sicut Ionam de uentre ceti, Susannam a falso crimine, Danielem de lacu leonum et tres pueros de camino ignis ardentis mirabiliter liberasti, sic nos quos inuidiosa detraccio carceri deputauit de tua misericordia que iniquitatibus nostris preponderat confidentes digneris ab ipso carcere mirabilius liberare, etc.” II. Contents and Exegetical Programme of the Devotional Poem The Marian pium dictamen in V presents an elaborate exegetical image of the Virgin. When examined more closely, it becomes apparent that this intricate imagery is borrowed almost entirely from a section in Ri9

See BEICHNER, Aurora, vol. 1, pp. 7-8, no. III. See BEICHNER, Aurora, vol. 1, pp. xxi-xxiv and G. DINKOVA-BRUUN, ‘Corrector Ultimus’: Aegidius of Paris and Peter Riga’s ‘Aurora’, in Modes of Authorship in the Middle Ages, ed. S. RANCOVIÒ (Toronto 2012), pp. 172-189. 11 The prayers are found in the margins opposite vv. 1945-1964 of the Aurora’s Evangetium (see BEICHNER, Aurora, vol. 2, p. 501). 12 This seems to be an echo of Ez. 33:11. 10

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ga’s Euangelium called De commendatione Beate Marie Virginis in eloquiis scripturarum,13 in the margins of which the anonymous poem is entered in V. Thus the presence of the anonymous poem in this location carries deep significance. In fact, we see here a reader who is actively engaging with Riga’s text by transforming it into an emotional plea to Mary to intercede for him with her divine son. Riga’s text that has inspired the anonymous author of the devotional verses comprises 66 lines, of which the first 16 simply state the biblical types from the Old Testament that prefigure Mary (Aurora, Euangelium, vv. 69-84), while as many as 40 lines explain the allegorical signification of the proposed typological connections (vv. 89-128). This juxtaposition of the literal (planum iter, v. 86) and the spiritual (ordo decorus, v. 87) exemplifies the approach exhibited in the entire text of the Aurora. The section ends with a comment by Riga on the loveliness of the Virgin which rivals the splendor of dawn and surpasses the beauty of nature (vv. 131-134). The verses from the Aurora that have a direct relationship with the pium dictamen read:

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13

Archa Maria fuit: semen seruatur in illa Et regit et seruat et tegit ista suos. Ipsa columba fuit: oculos imitata columbe, Simplex et mitis et sine felle mali. Hec rubus est Moysi: rubus est immunis ab igne, Virgineum tetigit nulla libido decus. Est uirgo uirga: sine germine protulit illa Flores, absque uiro protulit ista Deum. Hec est scala Iacob, prece cuius, munere cuius, Exemplis cuius scandis ad astra poli. Septupla spica Ioseph et cella simul fuit, almo Pneumate concipiens, panis alumpna sacri. Manna dat hec nubes, laticem petra, dum parit illum, Qui fuit esca poli fonsque perhennis aque. Pertica uirgo fuit, que serpentem tulit illum, Qui nos saluauit, nulla uenena gerens. Funda Dauid fudit, lapidem quo funditur hostis: Virgo Deum fudit, quo malus hostis obit. Hec est fons Bethleem, quem rex sitiit, quia panem Etheris in panis protulit ista domo. Concha fluens rore fuso de uellere spreto,

See BEICHNER, Aurora, vol. 2, pp. 427-430, vv. 69-134.

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Gaudet Iudea uirgo repleta Deo. Est thronus ex ebore Salomonis, cella pudoris Facta Dei sedes, candida sicut ebur. Est uas electri, nitet argento, rubet auro, Dum parit hunc unum, qui Deus est et homo. Ianua clausa manet, quia uir transire per illam Non ualuit: uirgo concipit absque uiro. Hec est, quam septem cingebant lumina lampas, Septeno Christi munere plena micans. Est et oliua uirens, quia lux est, esca, medela: Lux cecis, miseris esca, medela reis. Est et uirga decens, quia solis lumen et omnes Celi candelas uirgo decore premit. Terra creat uermem, siccans hederam, quia Christum Virgo parit, per quem flens synagoga perit. Sole nitens mulier, quam bis sex astra coronant: Bis sex discipulos astra fuisse reor. Virgo tam celebris, tam nobilis exit ad ortum, Cuius in exortu lux fuit orta reis. Nunc metra formare de forma uirginis opto; Ornet deformem uirgo decora stilum. Humanum speciem transcendit forma puelle, Excedens hominem numinis instar habet. Pauperat artificis nature dona, decori Certans aurore, splendidus oris honor.

When the anonymous poem in V is compared to these verses, it becomes obvious that its author follows closely not only the contents of Riga’s text, but also the order in which the prefigurative types are presented in it. This is especially true for the first ten types (i.e. from arca Noe to fons Bethleem), after which the sequence of the comparisons in the Aurora is abandoned for no apparent reason. The chaotic treatment of the material that ensues as a result suggests either that mistakes interfering with the original structure of the poem might have been introduced in the process of its being copied in the margins of the Vatican manuscript or that the version we see in V is a draft of the devotional work, recorded here before its final revision. This conclusion is of utmost importance, because it allows the editor to rearrange the typological stanzas of the anonymous work in a more sensible fashion using Riga’s verses as a guide. The following table will bear this out:

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Mary Compared to

Reference in Bible Verse in Riga Stanza in Poem

Arca Noe

Gen. 6-7

89-90

1-3

Columba Noe

Gen. 8:8-12

91-92

4

Rubus Moysi

Ex. 3:2

93-94

5

Virga Aaron

Num. 17:8

95-96

6-7

Scala Iacob

Gen. 28:12

97-98

8

Spica Ioseph

Gen. 41:5

99-100

9-10

Nubes pluens manna et petra dans undam

Ex. 16:14; 17:6

101-102

11

Pertica serpentis

Num. 21:8

103-104

12

Funda Dauid

I Reg. 17:49

105-106

13-14

Fons Bethleem

II Reg. 23:15

107-108

15

Concha fluens rore

Iud. 6:38

109-110

missing

Thronus Salomonis

III Reg. 10:18

111-112

16(19)14

Vas electri

Ezech. 1:4

113-114

17(27)

Ianua clausa

Ezech. 44:2

115-116

18(26)

Lampas refulgens

Zach. 4:2

117-118

19(16)

Oliua uirens

Ps. 51:10

119-120

20(17)

Amicta sole; corona bis sex stellarum

Apoc. 12:1

121-122; 125-126

21(18)

Terra creans uermem

Ionas 4:6

123-124

22(28)

(no type)

127-128

23 (20)

(no type)

131-132

24 (21)

14This

table shows clearly that stanza 24(21) is the last one that depends directly on Riga’s text. Seven more stanzas follow, i.e. 25 (22), 26 (23), 27 (24), 28 (25), 29, 30, and 31, in which the anonymous poet expresses his despair of being trapped in the oppressive prison of this world as well as his hope that the Virgin will effect a miraculous liberation from it. The last seven stanzas by themselves would have represented a perfectly acceptable composition, in which prayers for benevolence and feelings of gratitude are offered to the Mother of Christ.15 What is unusual here is that the poet expands the traditional devotional structure with a detailed exegetical pro14 The numbers is brackets refer to the place the stanza occupied in the original transcription of the poem. 15 See numerous examples of such poems in Analecta Hymnica medii aevi, vol. 32, ed. G.

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gramme dedicated to Mary. The two parts of the poem are not disjointed, however. The motif of breaking free from the prison of sin and worldliness runs through the entire composition. For example, in addition to the final stanzas, many of the ‘exegetical’ sections of the work express the same sentiment. In fact, the word carcer is repeated as many as eight times in the anonymous poem, often together with verbs, such as liberare (to free from), eruere (to tear out from), and reserare (to unlock).16 In addition, even when the poet does not explicitly use the word for prison, he conveys the desperate state of the wretched human race (miseri, misserrimi, suppositi seue potestatis) by using expressions that describe the human condition as a bottomless death, a tempestuous storm, a punishment, a great ruin, an immense squalor, a pit of many miseries, a lion’s tower.17 The poet inserts himself in this context of despair by stating that he is a most pitiable and unhappy sinner whose only hope is that the Virgin will shatter his fetters, wipe the stains of his transgressions, and dry his tears. Mary’s loveliness is presented in sharp contrast with the human abasement. The Mother of Christ is described in superlative terms both physically and spiritually. On the one hand, she is resplendent with ineffable comeliness and has the likeness of a heavenly goddess that transcends any human beauty,18 while on the other she is most pious and humble, pure and noble, radiating with every virtue and filled with divine grace.19 In addition, she is a fertile and beautiful mother (mater fecunda et pulchra) who has brought to the world its savior and who is in the unique position of being able to intercede with him on behalf of the Christian. Further characteristics of the Virgin are presented through the prefigurative types from the Old Testament that can be divided into three main groups. In the first group there are types that are connected to the miraculous conception of Christ, the second encompasses types that explain the meaning of the savior’s birth, while the third presents types that refer to Mary’s divine beauty. In the following, the types referring to these three main themes will be explicated: M. DREVES (Leipzig 1899), pp. 9-235, nos. 1-192 and vol. 46, ed. Cl. BLUME and G. M. DREVES (Leipzig 1905), pp. 117-220, nos. 73-175. 16 See stanzas 2, 3, 14, 15, 18(26), 21(18), 29, 30. In addition, in stanza 8, the poet refers to the people who need the Virgin’s help as carceratis. The verb liberare is found in stanzas 2, 14; the verb eruere in 3, 15, 30; and reserare in 18(26). 17 See mors profunda and tempestatis unda, stanza 10; in penis iacentem, stanza 12; tantum detrimentum, stanza 17(27); tantus squalor, stanza 19(16); puteus tot miseriarum, stanza 20(17); turris leonina, stanza 26(23). 18 See ineffabili resplendes decore, stanza 19(16); ad celestis numinis exemplar formata, stanza 23(20); and humanam speciem transcendisti and habens instar numinis, stanza 24(21). 19 See stanzas 4, 8, 23(20), 26(23).

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1) Miraculous conception [stanzas 1-3, 5-11] First and foremost, the womb of the Virgin is prefigured by Noah’s ark, since in the same way the ark contained all life, Mary’s womb nurtured Christ who is the alpha and omega of all existence. From here it is easy to see how the burning bush that is not destroyed by fire and Aaron’s staff that miraculously bursts into blossom and bears fruit are linked to Mary’s virginity that remains intact after her conception, which is effected by divine agency. Because she had conceived the savior, the Virgin is compared to Jacob’s ladder, which leads the faithful to the glory of eternity and to Joseph’s seven ears of grain, because the fruit of her womb is Christ, the heavenly food of all believers. The idea of Christ representing divine nourishment for all Christians furthers a natural link between the Virgin and the cloud that rains manna upon God’s people during their wandering in the desert. 2) Christ’s nativity [stanzas 12-15, 17(27), 22(28)] The cosmic significance of the birth of the redeemer cannot be expressed in simple terms, which is the reason for the numerous typological connections proposed in both Riga’s text and the dictamen between Mary and the impact her confinement had on human history. Christ frees the sinners from their crimes, defeats the perfidious Synagogue, nurtures his followers, and rearranges the world. Because of the feats of her son, Mary is compared to the pole on which Moses hangs the bronze serpent, to David’s sling, to the spring of water in Bethlehem, and to Ezekiel’s gleaming amber. 3) Mary’s splendor [stanzas 4, 16(19), 19(16), 20(17), 21(18)] To become the mother of Christ is an honour that could have only been bestowed on an exceptional individual, a woman who deserves to bring to the world its salvation in contrast to Eve who was the cause of its damnation. As already mentioned, the beauty of the Virgin is ineffable, and the comparisons borrowed from the Bible to demonstrate its splendor include the gentle-eyed dove that flies out of Noah’s ark to look for dry land, the ivory throne of Solomon that denotes both purity and highest nobility, the shiny seven-branched candlestick seen by the prophet Zacharias, the most resplendent olive tree mentioned repeatedly in the Bible, and the glorious woman of Revelation, whose dress is the sun and whose crown is made of twelve stars. This rich imagery is borrowed entirely from the Aurora, which provides not only the sequence in the presentation of the Marian typology, but more

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importantly also the explanation of its spiritual meaning. However, the poet of the devotional verses has skillfully transformed Riga’s rather matter of fact exegetical exposé into an emotional plea for salvation. This is not surprising; the highly personal devotional poetry is a literary medium that differs vastly from the more scholarly biblical versification. Even when exegetical typology is incorporated into a devotional composition, it is still in service of the main purpose of the piece, namely, to offer a song of praise to the divine in an attempt to bring the human closer to it. III. The Prose Summary The prose summary on f. 91r of V is rather different from the devotional poem by being mainly concerned with the exegetical examples offered in Riga’s text. However, it is not only a paraphrase of the Aurora. The anonymous author of the summary uses both the poem and Riga’a versification to create his short composition. His methods vary; some of his sentences are direct quotations from his sources, while others represent simplifications and paraphrases. The following table presents some of the most salient examples: Text in Summary and stanza number

Text in Riga and verse number

Text in Poem and stanza number

oculos etiam imitata columbe (4)

oculos imitata columbe (91)

oculos mitissimos eius imitata (4/2)

tocius simplicitatis et mansuetudinis, Domina, tocius fellice malicie aliena (4)

simplex et mitis et sine felle mali (92)

rubus est immunis ab igne (5)

rubus est immunis ab igne (93) Aaron uirge insuper, uirgo, compareris (6/1)

Aaron uirge insuper compararis (6-7) tua prece, tuo munere, tuis exemplis (8)

prece cuius, munere cuius, exemplis cuius (9798)

concipiens sacri panis alumpna (9-10)

concipiens panis alumpna sacri (100)

nubes manna pluens (11) nubes manna pluens (71) qui fuit esca poli fonsque qui fuit esca poli fonsque aque (11) perhennis aque (102)

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qui nos saluauit, nulla uenena gerens (12)

nulla uenena gerentem qui nos sanauit (104)

hec fudit lapidem quo prosternitur hostem (13)

fundens lapidem qui perculit hostem (73)

uirgo, fudisti Dominum (13)

uirgo Deum fudit (106)

misericordiam tuam humiliter deprecamur (14)

humiliter, uirgo, te precamur (14/1)

nos digneris a squalore carcere liberare (14)

liberes nos carcere (14/3)

quem omnipotens sitiit (15)

quem rex sitiit (107)

o lampas prerutilans lucernis septem uicina [19(16)]

lampas prerutilans septem uicina lucernis (79)

o uirens oliua quam Zacharias uidit [20 (17)]

quam Zacharias uidit, oliua uirens (80)

quia Christum, uirgo, peperisti per quem flens periit synagoga [22 (28)]

quia Christum uirgo parit per quem flens synagoga perit (124-125)

o solis amicta die, cuius caput bis sex stellarum corona decorat [21 (18)]

solis amicta die mulier, cuius caput ornat bis sex stellarum luce corona micans (83-84)

o lampas prerutilans [19(16)/1]

o uirgo Maria pia, cuius forma trascendit humanam speciem [2324 (20-21)]

humanamque speciem, uirgo, transcendisti [24(21)/1]

ad instar diuini numinis fabricata [23-24 (20-21)]

habens instar numinis [24(21)/3]

It is easy to see from this table that the summary on f. 91r of V is more complex than immediately apparent. Its textual fabric contains elements from both Riga’s text and the pium dictamen based on it, making it thus a prose paraphrase of two verse compositions. The author of the summary seems to be interested mainly in the typological contents of the Aurora (see for example his explicit expressions mistice similata and alegorice adaptata in the paraphrasing of stanzas 9-10 and 12 respectively), but some of the religious sentiments of the devotional poem are captured as well. In fact,

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the final section in the summary, i.e. stanzas 29-30, seems to be completely original and an expression of the author’s own personal plea to the Virgin on behalf of the human race which, albeit created sparkling and clean (argutos creatos), has now fallen deeply into the squalor of its worldly prison. IV. Conclusion In conclusion, even though none of the prefigurative types presented in the poem Arca Noe diceris is original by itself,20 the poem is still unique in its close dependence on Riga’s Aurora and its didactic tenor, while belonging to a long and rich tradition of Marian pia dictamina. In addition, the presence of the prose summary in conjunction with the devotional piece suggests that both marginal texts in manuscript BAV, Vat. Lat. 2867 could have been composed in a school milieu, the devotional poem as an exercise in poetic composition, the summary as an assignment in paraphrasing. This hypothesis can clearly not be proven with absolute certainty, but the fact that the Aurora was one of the major texts included the late medieval school curriculum makes the idea both plausible and attractive. Edition of the Anonymous Poem (ff. 89v-90r, margins) 1.

Arca Noe diceris, mater saluatoris. Hec seruauit semina cunti successoris: Tu portasti utero natum creatoris. Exaudi precamina mei peccatoris!

2.

Animantum germina illa21 reseruauit: Ex te natus Dominus cuntos liberauit, Quos peccatum hominis primi captiuauit. Libera miserimum quem carcer ligauit!

3.

Abscondit hec22 semina propter successores: Peperisti Dominum propter peccatores. Tu seruas et protegis tuos secutores, Erue nos carcere in te speratores!

20

See for example, Analecta Hymnica, vol. 26, p. 212, no. 166, stanzas 6 and 7, where many of the types found in the poem in V are mentioned as well, i.e. spica Ioseph, serpentis pertica, arca Noe, columba, scala Iacob, nubes manna pluens, and petra fluens. However, none of the poems in the Analecta Hymnica explains the significance of the proposed typology, as does the present poem. Normally, the types would simply be enumerated as characteristics rather than exegetical links. 21 illa] intellege arca 22 hec] intellege arca

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4.

Columbe pulcerrime tu assimilata, Oculos mitissimos eius immitata. Simplex et humillima, o glorificata, Esto nunc piissima nostri aduocata!

5.

Rubus Moysatica23 iure nuncupata.24 Hec ardore igneo non est inflammata: Sic tua uirginitas nullo maculata. Salua nos miserimos ad salutem data!

6.

Aaron uirge insuper, uirgo, compareris. Florem sine germine protulit Ebreis:25 Absque uiro Dominum protulisti reis. Prebe aures placidas precatibus meis!

7.

Vsque mirabiliter floris claritatem Dedit uirga sterilis, tu uirginitatem, Fecundam hominibus atque castitatem, Ostendisti, domina; sic captiuitatem Propter, queso, remoue tuam puritatem!

8.

Iacob scala diceris, o uas honestatis. Per te quidem scanditur ad eternitatis Gloriam, piissima, prebe carceratis Ascensum ad patriam nostre libertatis!

9.

Ioseph spica septupla iure declararis, Nam Christum concipiens panis predicaris Alumpna celestis, propter quod rogaris,26 Vt nobis subuenias per quos postularis.

10.

O spica, o fertilis, o mater fecunda, Libera miserrimos de morte profunda! Tua nobis gratia insuper abunda, Ne nos sic absorbeat tempestatis unda!

11.

Nubis tu simillima manna es pluentis Et27 petre largissima fluenta fundentis. Dum diceris genitrix escam largientis, Absterge nunc lacrimas miseri plangentis!

23

Moysatica] Moysatic Va.c. nuncupata] nuncupatus Va.c. 25 Ebreis] in rasura scripsit V 26 This verse is missing a syllable between celestis and propter. 27 et] aedi et V 24

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12.

Per serpentem eneum pertica pendentem Liberauit Moyses Ebraicam gentem. Perque tuum filium crucem pacientem Libera me miserum in penis iacentem!

13.

Vt funda Dauidica lapidem proiecit, Qui hostis proteruiam impii deiecit, Sic pater omnipotens ex te nasci fecit Iesum Christum Dominum qui mundum refecit.

14.

Propter quod humiliter, uirgo, te precamur Vt, antequam uiliter sic nos moriamur, Liberes nos carcere in quo maceramur Et confringes uincula quibus coartamur.

15.

O tu28 fons Bethinee, quem mater gustauit, Quia in Betheleem29 ex te generauit Virgo panem etheris per quem nos cibauit. Erue nos carcere qui nos sic artauit!30

16 (19).

O thronus31 ex ebore magni Salomonis, Candor pudicicie, o cella pudoris, O sedes altissimi, o sedes honoris, Da nobis remedium consolacionis!

17 (27).

Vas contextum diceris auro et argento Dans Deum et hominem nostro iuuamento. Precis nostre, quesumus, adsis complemento Liberando miseros tanto detrimento, Quatimur suppliciis ut arundo uento.32

18 (26).

Tua clausa ianua meruit creare33 Creatorem omnium, ergo reserare Digneris hunc carcerem et claustra laxare, Vt infelix iugiter possit te laudare.

19 (16).

O lampas prerutilans cum summo splendore, Lucernarum septuplo refulgens nitore, O que ineffabili resplendes decore, Libera miserimos a tanto squalore!

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28

tu] coni. Stotz, om. V Betheleem] domino add. Va.c., domo add. Vp.c. 30 Versum add. V signo ‘+’ 31 thronus] trhonus V 32 Versum add. V signo ‘+’ 33 creare] procreare V 29

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20 (17).

O palma pulcerrima uirens oliuarum, Erue nos puteo tot miseriarum Et absterge maculas nostrarum culparum Et desicca, quesumus, fontem lacrimarum!

21 (18).

Amictaque radio diceris solari Et bis sex stellarum uis34 sceptro decorari, Ne permittas miseros ultra macerari Nec angusto carcere, pia, coartari.

22 (28).

Te designant mistice terram generantem, Vermem, tunc inutilem ederam siccantem, Vidimus nam Dominum ex te procedentem Synagoge perfide uires subiactentem.

23 (20).

O uirgo tam celebris, tam nobilitata O uirgo uirtutibus cuntis radiata, Ad celestis numinis exemplar formata, Esto nobis miseris pia tu pacata!

24 (21).

Humanamque speciem, uirgo, trascendisti, Nature artificis dona pauperasti, Habens instar numinis cuntis prefuisti, Paca nobis Dominum quem tu genuisti!

25 (22).

Per te sunt ad aridam celi declinati, Per te Deus miscuit se humanitati. Libera suppositos seue potestati, Qui deuote seruiunt tue puritati!

26 (23).

Virgo mater glorie stella matutina, Excelsa in35 ethera uirginum regina,36 Plena namque diceris gracia diuina, Presidentum animos mitiga, inclina Ne turris nos teneat ultra leonina!

27 (24).

Sed a turris latebris ego liberatus Sim tibi perpetuo, mater, obligatus Pureque fideliter seruire paratus, Tibi dignos reddere possim famulatus.

28 (25).

Prebe lucem miseris, escam et medelam, Tui nobis luminis accende candelam Quam, dudum ammisimus per gulosam Euam, Dicam uerso nomine37 gratia te plenam.

34

uis] coni. Stotz, om. V in] super V 36 Versum add. V in marg. signo ‘+’ 37 The expression uerso nomine refers the connection commonly made by medieval au35

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29.

Seda ergo, quesumus, ualidos furores Per quos tantos patimur carceris squalores! Mitiga, piissima, hos nostros dolores, Vt nos semper statuas tuos seruitores!

30.

Omnes uoce canimus insimul sonora, Pulchra mater, domina, estas38 et decora. Tuum unigenitum poscas et exora, Eruat de carcere ut nos sine mora.

31.

Semper te deposcere minime cessamus, Vitem abundancie semper predicamus, Pietatis oleum pie imploramus, Pacti39 nobis filium in quo nos speramus.

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Edition of the Prose Summary on f. 91r (margin)40 1-3. Virgo gloriosa arche et columbe Noe non immerito comparata, quia sicut hec archa posteritatis singulorum animantium semina reseruauit sic, tu pia, deuotos tuos tua proteccione seruas et tegis. 4. Oculos etiam imitata columbe tocius simplicitatis et mansuetudinis, Domina, tocius fellice malicie aliena. 5. Rubus etiam dicta Moysi, quia sicut rubus est immunis ab igne, sic tuum decus uirgineum nulla libidine maculatur. 6-7. Aaron uirge insuper compararis, quia sicut illa flores absque germine protulit, sic tu absque uiro Deum creatorem omnium protulisti. 8. Scala Iacob dicta, quia tua prece, tuo munere, tuis exemplis ad astra poli scandit quisque fidelis. 9-10. Septuple spice Ioseph mistice similata, quia Christum spiritu sancto concipiens sacri panis alumpna fuisti. 11. Nubes manna pluens et petra larga fluenta refundens etiam nuncupata,41 dum illum peperisti qui fuit esca poli fonsque perempnis aque. 12. Illi necnon pertice serpentis allegorice adaptata, quia serpentem tulisti nulla uenena gerentem qui nos sanauit suoque redemit sanguine precioso. 13. Funda nihilominus Dauid dicta, quia sicut hec fudit lapidem quo prosternitur hostis, sic tu, preciosa uirgo, fudisti Dominum quo antiqui hostis proteruia est prostrata. 14. Misericordiam tuam humiliter deprecamur, ut per tot sanctissimas uirtutes, quibus prerutilas, digneris, nos captiuos infelicissimos ad unigeniti tui graciam thors between EVA (the name of the first woman) and AVE (the greeting with which the angel addresses Mary in Luke 1:28). 38 estas] intellege exstas 39 pacti] peracti V 40 The numbers refer to the stanzas of the poem. 41 nuncupata] nuncuparis Va.c.

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quam culpis nostris ammisimus reuocare et pro nobis afflictis intercedere, ut nos dignetur a squalore tanti carceris liberare. 15. O fons Betheleem, quem omnipotens sitiit, quia in Betheleem domo panem etheris, uirgo dulcissima, uirgo purissima protulisti. 19 (16). O lampas prerutilans lucernis septem uicina, 20 (17). o uirens oliua quam Zacharias uidit, 22 (28). o creatura creans uermem, siccantem ederam, quia Christum, uirgo, peperisti per quem flens periit synagoga, 21 (18). o solis amicta die, cuius caput bis sex stellarum corona decorat, 23-24 (20-21). o uirgo Maria pia, cuius forma trascendit humanam speciem ad instar diuini numinis fabricata, 29-30. o uirgo, cuius puritas celos flexit, digneris nos infelicissimos benignis auribus exaudiri et nos argutos et correptos in ira et furore unigeniti tui a squalore carceris liberare.

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ARCA NOE DICERIS

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Plate I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2867, 89v.

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Plate II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2867, 90r.

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ARCA NOE DICERIS

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Plate III – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2867, 91r.

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FRANCESCO LEPORE

IL PURGATORIO RAGIONATO DI FRANCESCO LONGANO (1729-1796). STORIA ED EDIZIONE D’UN TRATTATO ILLUMINISTICO-MASSONICO SULLA PURIFICAZIONE ULTRATERRENA (Vat. lat. 15366) Quando nel 1779 scrisse Il Purgatorio ragionato, il sacerdote Francesco Longano1 s’era già conquistato un nome come filosofo, economista e au1 Nato a Ripalimosani (CB) il 5 febbraio 1729 da Vito e Dorotea Gentile, Francesco Longano compì la sua prima formazione tra Boiano, Baranello, Lucito e Campobasso. Il desiderio di trasferirsi a Napoli, frustrato però «dalla strettezza delle cose domestiche», lo indusse a «incamminarsi nello stato sacerdotale» (F. LONGANO, Autobiografia, in Illuministi italiani, V: Riformatori napoletani, a cura di F. VENTURI, Milano – Napoli 1962, p. 348). Dopo l’ordinazione presbiterale (giugno 1751) poté portarsi nella capitale del Regno, dove fu allievo d’Antonio Genovesi. Su designazione dello stesso ne tenne ad interim la cattedra di commercio tra il ’60 e il ’69. Sempre avversato per l’arditezza delle idee, morì a Santopadre (FR) il 28 aprile 1796. Per le relative notizie bio-bibliografiche cfr. F. VENTURI, Nota introduttiva, in Illuministi italiani cit., pp. 333-346; G. A. ARENA, La rivolta di un abate. Francesco Longano, Napoli 1971, pp. 5-35; S. BORGNA, Francesco Longano, in Rivista di storia finanziaria 5 (luglio-dicembre 2000), pp. 23-30, 46-47; A. TRAMPUS, Longano, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXV, Roma 2005, pp. 621-624. Fonte primaria di riferimento resta pur sempre l’Autobiografia, che s’arresta al 1793. Essa fu edita per la prima volta in P. ALBINO, Biografie e ritratti degli uomini illustri della provincia di Molise, II: Distretto di Campobasso, Campobasso 1865, pp. 87-101, sulla scorta d’un «manoscritto che si conserva dal Sig. Nicolangelo Cannavina di Ripalimosani, dal quale mi fu cortesemente dato a prestito» (ibid., p. 87, nota non numerata). Il documento risultava però deperdito al tempo di Franco Venturi, che nel citato tomo Riformatori napoletani (pp. 347-367) riprodusse integralmente l’edizione ottocentesca, sia pur corredandola d’ulteriori preziose annotazioni. Per la data di nascita è fondamentale la notizia fornita dall’Autobiografia; divergenti sono però le opinioni di Arena e Borgna (al quale si accoda Trampus) che l’anticipano al 1728 sulla base del Libro III de’ Battezzati dal 1723 al 1732 [f. 84v] della parrocchia di S. Maria Assunta di Ripalimosani: «Oggi cinque di febbraio mille e settecento venti otto. Io don Carlo Gambiero sacerdote Partecip.te di questa Chiesa Arcipret.e sotto il tit.o della Assonta al Cielo ho battezzato ex lic.a Archip.ri uno infanto nato Vito di Fran.co Longano e Dorotea di Carlo Gentile Coniugi, e si è posto nome Fran. co e la madrina è stata Porzia Longano moglie di Gius.e Gambiero» (in ARENA, La rivolta cit., p. 194). Ai predetti studiosi sfugge, tuttavia, il particolare uso cronologico (tipico dei territori dell’ex principato longobardo di Benevento), per il quale il datum dell’anno è improntato allo stile dell’incarnazione secondo il computo veneto con inizio al 1° marzo; di riflesso l’anno 1728 ab incarnatione comportava, rispetto all’uso moderno, il ritardo d’un’unità numerica per i mesi di gennaio e febbraio. È quindi evidente che il 5 febbraio 1728 della registrazione battesimale coincide col dato autobiografico, computato secondo lo stile corrente. I rispettivi riferimenti sono: ARENA, La rivolta cit., p. 6 nt. 3; BORGNA, Francesco Longano cit., p. 23 nt. 2 (che mutua la notizia da Arena, senza citarlo); TRAMPUS, Longano cit., p. 621.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 493-575.

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tore d’opere controverse. Tra queste spiccava il trattato Dell’uomo naturale per le vivaci polemiche, che ne avevano accompagnato le due edizioni2. Quella del ’67 era stata reiteramente attaccata dalle Novelle letterarie di Giovanni Lami3 e dal teologo casanatense Tommaso Maria Mamachi4; quella del ’78, invece, aveva provocato la dura recensione dell’Efemeridi letterarie5. In quell’anno, d’altra parte, il settimanale romano era già sceso in campo contro Longano6, per criticarne la traduzione annotata dell’Essai politique sur le commerce di Jean-François Melon7. 2 Edito nel 1767 per i tipi napoletani di Giuseppe Raimondi, il trattato Dell’uomo naturale fu ripubblicato nel 1778 col luogo fittizio Cosmopoli e senza indicazioni tipografiche. 3 Cfr. Novelle letterarie, 12 agosto 1768, XXIX/33 (1768), coll. 520-525; ibid., 13 gennaio 1769, XXX/2 (1770), coll. 29-32, dove si finge una corrispondenza da Palermo «sotto dì 22 dicembre 1768». Si tenga in conto che Giovanni Lami, fondatore e direttore del periodico fiorentino, era deceduto il 6 febbraio 1770 dopo lunga malattia. Ciò spiega perché il tomo XXX, che raccoglie i numeri dell’annata ’69, fosse apparso solo l’anno seguente. Per un profilo bio-bibliografico dell’erudito toscano cfr. M. P. PAOLI, Lami, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXIII, Roma 2004, pp. 226-233. 4 [T.M. MAMACHI], Del diritto libero della Chiesa di acquistare, e di possedere beni temporali sì mobili, che stabili, III/2, [s. l.] 1770, pp. 96 nt. 1, 110-113 nt. 1. Il contenuto di queste critiche era ancora ignoto a Longano il 21 settembre del 1771, quando scrisse al camaldolese e massone Isidoro Bianchi: «Ho inteso, che il P. Mamachio mi abbia attaccato non so in che, e come. Se mai costà è capitato il suo libro, mi farebbe V. S. Ill.ma finezza collo scrivermi qualcosa» (Milano, Biblioteca Ambrosiana, T 130 sup., 37, f. 69r). Sul domenicano Tommaso M. Mamachi (1713-1792), che ebbe ruoli di rilievo nella Curia romana fino alla nomina di maestro del S. Palazzo, cfr. C. PRETI, Mamachi, Tommaso Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXVIII, Roma 2007, pp. 367-370. Sulla qualifica di “teologo a vento”, che gli fu attribuita dallo scolopio Martino Natali e lo accompagnò per tutto il ’700, cfr. P. STELLA, Il giansenismo in Italia, II: Il movimento giansenista e la produzione libraria, Roma 2006 (Raccolta di Studi e Testi, 228), pp. 39, 407 nt. 58. 5 Cfr. Efemeridi letterarie di Roma, 1 maggio 1779, 8/XVIII (1779), pp. 141-142. Al contrario la seconda serie delle Novelle letterarie presentò in termini elogiativi la seconda edizione de L’uomo naturale: cfr. Novelle letterarie, 12 marzo 1779, 10/11 (1779), coll. 170-176. Ciò rispondeva alla linea editoriale, particolarmente attenta ai temi economici e scientifici, che, a partire dal ’78, il nuovo direttore Marco Lastri aveva voluto dare al periodico: cfr. al riguardo M. P. PAOLI, Lastri, Marco, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXIII, Roma 2004, pp. 810813; S. CAPECCHI, Scrittura e coscienza autobiografica nel diario di Giuseppe Pelli, Roma 2006 (Biblioteca del XVIII secolo, 1), pp. 179-181. Forse per una svista, dunque, s’è parlato di attacchi «sulle pagine delle Novelle letterarie di Firenze a causa della pubblicazione della seconda edizione di Dell’uomo naturale» (TRAMPUS, Longano cit., p. 622). 6 Cfr. Efemeridi letterarie di Roma, 2 gennaio 1779, 8/I (1779), pp. 6-7. Sull’indirizzo del periodico cfr. M. CAFFIERO, Le «Efemeridi letterarie» di Roma (1772-1798). Reti intellettuali, evoluzione professionale e apprendistato politico, in Dall’erudizione alla politica. Giornali, giornalisti ed editori a Roma tra XVII e XX secolo, a cura di EAD. – G. MONSAGRATI, Milano 1997, pp. 103-126. 7 Si tratta del Saggio politico sul commercio tradotto dal franzese colle annotazioni dell’Ab. Longano, 2 voll., Napoli 1778. Anche in questo caso era comparsa una recensione positiva in Novelle letterarie, 29 gennaio 1779, 10/5 (1779) 75-80. Sulla traduzione dell’Essai di Melon e le relative annotazioni, fortemente influenzate dal pensiero di Mercier e Raynal, cfr. BORGNA, Francesco Longano cit., pp. 33-45; TRAMPUS, Longano cit., p. 622.

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Materialista, epicureo, incivile, sedicente moralista sono alcune delle tacce attribuite all’abate molisano, che da parte sua non risparmiò epiteti ingiuriosi ai suoi avversari8. Le accuse di materialismo ed epicureismo sono indubbiamente infondate. Lami, però, aveva rettamente giudicato nell’accomunare il concetto longaniano di Dio a quello di Rousseau9, ché ne L’uomo naturale il piano dell’antropologia è pur sempre concatenato a quello della teodicea. Ove poi se ne consideri lo sconfinamento nell’ambito delle religioni positive (con particolare riferimento al cattolicesimo) e, per di più, con forti accenti anticlericali, appaiono giustificati, in linea di fondo, i rilievi di Mamachi su taluni passi del trattato concernenti la mutazione sostanziale della Chiesa rispetto allo spirito del fondatore, la riduzione della morale cristiana al solo precetto dell’amore verso il prossimo, la critica alle penitenze esteriori. Che Longano, più in generale, potesse dare l’impressione d’aver talora divagato dal fine espresso nello stesso titolo de L’uomo naturale era stato già chiaro ad Antonio Genovesi10: in qualità di revisore regio, egli aveva 8

Contro «il vecchio Lama dementato» (LONGANO, Autobiografia cit., p. 354) il filosofo scrisse una violenta Apologia, leggibile oggigiorno, con paginazione a parte, in qualche esemplare dell’edizione cosmopolitana Dell’uomo naturale. In una lettera dell’8 dicembre 1768 il genovesiano marchese de Sterlich, che pur era amico di Longano, non esitò a definire l’Apologia «risposta assai acre, e che ha troppo del Napoletano» con la secca osservazione: «si val delle ingiurie, chi è povero di ragioni» (R. DE STERLICH, Lettere a G. Bianchi [1754-1775], a cura di G. F. DE TIBERIIS, I, Napoli 2006 [Frontiere d’Europa. Studi e Testi, 1], p. 341). Al riguardo, già il 15 settembre, il nobile chietino aveva informato il direttore delle Novelle, inoltrandogli anche una risentita lettera del «giovane di talento, e discepolo del Signor Abate Genovese» (R. DE STERLICH, Lettere a G. Lami (1750-1768), a cura di U. RUSSO – L. CEPPARRONE, Napoli 1994, p. 588). La missiva di Longano, che reca la data del 10 settembre, è stata edita da A. BORRELLI, Giovanni Lami e Napoli (in appendice lettere di Domenico Caracciolo, Raimondo di Sangro e Francesco Longano), in Giornale critico della filosofia italiana 85 (2006), p. 275. Dai toni dell’Apologia si può immaginare il tenore del perduto pamphlet Le cordonate di fra Zoccolo, con cui, «essendo stato censurato in Roma dagli effemeridisti, rispose loro convenientemente» (LONGANO, Autobiografia cit., p. 362). Su Sterlich (1712-1788) cfr. L. CEPPARRONE, De Sterlich, Romualdo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXIX, Roma 1991, pp. 450-452. 9 Cfr. Novelle letterarie, 12 agosto 1768, XXIX/33 (1768), col. 524. Sulla diffusione delle idee rousseauiane in Italia e sulla connessa ondata di reazione cfr. S. ROTA GHIRIBAUDI, La fortuna di Rousseau in Italia (1750-1815), Torino 1961. Con specifico riferimento a Napoli e al Regno cfr. R. DI MAIO, Società e vita religiosa a Napoli nell’età moderna, Napoli 1971 (Storia e Filologia, 1), pp. 317-318; G. GENTILE, La Repubblica virtuosa. Rousseau nel Settecento politico meridionale, Napoli 1989 (Nobiltà dello spirito. Nuova Serie, 19). 10 Su Antonio Genovesi (1713-1769), dalla cui scuola «tutto l’illuminismo napoletano, da Longano a Pagano, da Galanti a Filangieri, è direttamente o indirettamente uscito» (F. VENTURI, Settecento riformatore, I: Da Muratori a Beccaria [1730-1764], Torino 1998 [Biblioteca Einaudi, 37], p. 586), la bibliografia è enorme. Mi limito a rimandare al profilo prosopografico con annessa bibliografia di M. L. PERNA, Genovesi, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIII, Roma 2000, pp. 148-153.

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dato parere favorevole alla pubblicazione del trattato dell’allievo11, pur osservando che «delle volte gli esempj, ch’egli produce, pajano più tosto convenire all’uomo socievole; che Selvaggio»12. Da qui il suggerimento di «una rischiarante e accorta prefazione» sì da potersi «permettere la stampa»13. In realtà il pensiero di Longano finiva per sfuggire all’esatta valutazione dei contemporanei. Essi, infatti, ignoravano che dalla seconda metà degli anni ’60 il sacerdote molisano aveva aderito alla libera muratoria14 nonostante le condanne pontificie15 e l’editto proscrittivo di Carlo di Borbone per le Sicilie16. 11 Recante la data del 19 maggio 1767, la relazione favorevole di Genovesi fu pubblicata, insieme con le altre attestazioni necessarie per l’imprimatur, in F. LONGANO, Dell’uomo naturale, Napoli 1767, [pp. 261-262]. In termini entusiastici il revisore affermava: «ho trovato dappertutto un filosofo profondo, ragionante, e ben inteso della storia della natura umana» (ibid., [p. 261]). 12 Ibid. 13 Ibid. Longano vi si attenne con la premessa Al cortese leggitore, in cui dichiarò: «Il trattato adunque, ch’io ti presento, la considerazione contiene dell’uomo naturale, o sia come esce dalle mani della natura sua fabbriciera. In esso ho considerato l’umanità come una massa omogenea all’indefinito modificabile ne’ suoi componenti. Ma perché le azioni si valutano dagli effetti, alla rinfusa ho quelle meditato nell’uom selvaggio, barbaro, incivilito. Il perché seguita, che ’l mio uomo naturale non è quello, che comunemente si crede, ma è la considerazione astratta dei suoi componenti, e loro diverse modificazioni» (ibid., [p. 28]). 14 In data ottobre 1768 il nome di Longano compare sul piè di lista dell’officina La Parfaite Union, costituita, il 7 febbraio 1769, in loggia regolare dipendente dalla Grand Lodge of England. Si può però ipotizzare che il «professore di filosofia» fosse già stato iniziato alla massoneria sulla scorta d’una lettera di Johann Rudolf Passavant von Passenburg (22 ottobre 1768), fondatore de La Parfaite Union, che parla di diversi «orfans» (cioè di “fratelli” privi di loggia) in Napoli. Col grado di Maestro Scozzese (4°) il suo nominativo risulta, in data 30 settembre 1770, sul piè di lista della loggia L’Harmonie, anch’essa d’obbedienza “inglese”: cfr. E. STOLPER, La massoneria settecentesca nel Regno di Napoli, in Rivista massonica 66 (1975), pp. 420, 426; R. DI CASTIGLIONE, La massoneria nelle due Sicilie e i “fratelli meridionali” nel ’700, II: Città di Napoli, Roma 2008, pp. 203, 249 (con un profilo prosopografico in prospettiva latomica alle pp. 223-224). Tra il ’73 e il ’74, infine, il «letterato» Francesco Longano fu “iniziato” nella loggia Vittoria, dipendente dalla Gran Loggia Nazionale de’ Regni delle due Sicilie: il riferimento è nel relativo piè di lista, edito da B. FIORAVANTI, Nuovi documenti sulla Gran Loggia Nazionale di Napoli, in Hiram, fasc. 3 (2011), p. 65. Sull’intricata situazione delle logge partenopee nel XVIII secolo cfr. A. M. RAO, La massoneria nel Regno di Napoli, in La Massoneria, Torino 2006 (Storia d’Italia. Annali, 21), pp. 513-542. 15 Su la genesi, il contenuto e le conseguenze delle costituzioni apostoliche In eminenti (26 aprile 1738) e Providas Romanorum (18 maggio 1753), con cui Clemente XII e Benedetto XIV proibirono l’adesione alle «conventinculae de Liberi Muratori vulgo dictae» sotto pena di scomunica latae sententiae, cfr. J. A. FERRER BENIMELI, Les Archives secrètes du Vatican et de la Franc-maçonnerie. Histoire d’une condemnation pontificale, Paris 2002 [dove alle pp. 705-953 si riporta l’elenco di oltre 3000 ecclesiastici che, nel XVIII secolo, aderirono alla massoneria]. Pur volendo ritenere valide le conclusioni, cui perviene l’illustre storico gesuita, l’elevato numero di sacerdoti e regolari massoni nel ’700 dimostra almeno in quale considerazione essi tenessero gli atti magisteriali e quale valore dessero alle pene canoniche. 16 Sull’editto regio del 10 luglio 1751 — le cui misure sarebbro state ribadite in quello del

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La progressiva radicalizzazione delle istanze genovesiane, cui Longano informò costantemente i suoi scritti17, germinò dunque dalle molteplici suggestioni dei catechismi massonici e, più in generale, dall’indirizzo democratico, progressista e rivoluzionario delle logge d’appartenenza18. Consentanea allo status sociale di provenienza e all’altalenanti condizioni di quasi miseria, la peculiare esperienza latomica del filosofo molisano19 fece da chiave alla rinnovata lettura di autori come Montesquieu, Bayle, 12 settembre 1775, promulgato da Ferdinando IV — cfr. FERRER BENIMELI, Les Archives cit., pp. 457-467; RAO, La massoneria cit., pp. 519-521. 17 Dell’illustre maestro (sul cui rapporto di mutua stima cfr. supra, nt. 1) il sacerdote molisano lasciò il seguente ricordo: «L’ab. Genovesi era così ammirabile sulla cattedra, che nei suoi scritti non si riconosce. Oltre al sapere singolare, aveva ben anco un senso infinito di religiosità e di benevolenza universale. Morì idropico. Il medesimo per aver più letto, che pensato, fu più tosto compilatore che autore. Uomo degno d’altra patria e d’altra fortuna. Lo stato fece gran perdita in lui. Portò un’affezione particolare al Longano» (LONGANO, Autobiografia cit., p. 350 nt. 4). L’influsso genovesiano sul suo pensiero è stato illustrato da F. VENTURI, Nota introduttiva cit., pp. 334-336; E. NARCISO, Illuminismo e cultura cattolica sannita nel secolo XVIII, in Illuminismo meridionale e comunità locali, a cura d’ID., Napoli 1988, pp. 5457; E. CHIOSI, Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell’età dell’illuminismo, Napoli 1992 (Università di Napoli. Quaderni della Facoltà di Scienze Politiche, 39), pp. 197-198, 201-202, 206, che attribuisce a Venturi il merito d’aver rivelato Longano «come il discepolo che meglio di altri incarna il pensiero di Genovesi» (ibid., p. 197). 18 A differenza della Gran loggia nazionale Lo Zelo, che, pur seguendo «il sistema deviazionistico (romanzesco, mistico e occulto) della Stretta Osservanza, annoverava tra le sue fila principalmente elementi del ceto superiore della popolazione, cioè: nobili, alti ufficiali, alti prelati, ecc., i quali erano generalmente fedeli alla Casa Reale» (STOLPER, La massoneria cit., p. 407), i fratelli delle logge “inglesi” come La Parfaite Union e L’Harmonie erano soprattutto esponenti del ceto borghese ma, in ogni caso, «tutti “progressisti”, di idee moderne e rivoluzionarie. […] Ovviamente, l’attività “massonica” delle Logge “inglesi” costituì un vero pericolo per la Casa Reale» (ibid.). 19 Nell’ultimo decennio Longano aderì forse al sistema paramassonico degli Illuminati di Baviera, come farebbe pensare l’asserzione: «sono già anni nove ch’io, in ogni parte contento, esercito il gran mestiere dell’età dell’oro» (F. LONGANO, Discorso preliminare. Congetture sopra le maniere onde gli antichi popoli del Sannio cotanto prosperarono, in Viaggio dell’abate Longano per lo Contado di Molise “accresciuto e migliorato” dall’Autore nel 1796, a cura di R. Lalli, Campobasso 2009, p. 27). È da ricordare che durante il viaggio in Italia, «per propagandare l’Ordine degli Illuminati» (C. FRANCOVICH, Storia della massoneria italiana. Dalle origini alla Rivoluzione francese, Firenze 1989 [Strumenti. Ristampe anastatiche, 98], p. 384), il luterano danese Friedrich Münter fu più volte a Napoli tra l’84 e l’86, suscitando l’entusiasmo d’alcuni “fratelli” illustri come Mario Pagano, Donato Tommasi e Giuseppe Zurlo: cfr, al riguardo, DI MAIO, Società e vita cit., pp. 307-308; FRANCOVICH, Storia della massoneria cit., pp. 406-407, 417-426; STOLPER, La massoneria cit., pp. 408-410 (che corregge e precisa alcuni assunti di Francovich). Alla luce di questi elementi l’ipotesi d’un Longano “Illuminato” è apparsa verisimile a Elvira Chiosi (Lo spirito del secolo cit., p. 222 nt. 78) e ad Antonio Trampus (Longano cit., p. 623). Sarebbero d’altronde consentanee alle idee di Longano le rivoluzionarie teorie di riforma sociale e politica del movimento, sul quale cfr. R. LE FORESTIER, Les Illuminés de Bavière et la Franc-Maçonnerie allemande, Paris 1915; FRANCOVICH, Storia della massoneria cit., pp. 309-334.

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Mercier, Raynal, Robinet, Helvétius, Cumberland, Hobbes, che influirono variamente su di lui. Essa, soprattutto, andò di pari passo con la ricezione vieppiù meditata e convinta della lezione di Rousseau, trasfigurato ai suoi occhi quale «ultimo martire dell’umanità»20. Longano approdò così a una concezione dell’uomo improntata a marcato senso egualitario, laddove della religione finì per dare una lettura in chiave deistica e utilitaristica. In costante tensione tra concretezza progettuale e aneliti utopici questa duplice visione percorre l’intera produzione della maturità e caratterizza, nel caso specifico, Il Purgatorio ragionato. Nessun’opera di Longano conobbe destino tanto tristestemente singolare quanto il trattato del ’79. Alle censure dei revisori e al divieto di stampa tenne dietro l’umiliante beffa d’un’adespota refutazione (dovuta in realtà all’ex gesuita Francesco Antonio Zaccaria21), edita col titolo Lettere critiche per i tipi senesi di Francesco Rossi22. Mentre s’impediva la pubblicazione dell’opera, se ne legittimava così la stroncatura attraverso un sillabo di proposizioni, estrapolate ad arte e commentate nel loro carattere d’eversività. «Or chi poteva aver dritto di attaccarlo? — osservò giustamente, anni dopo, lo stesso Longano — Allora si acquista un tal dritto, quando il libro si è pubblicato»23. La vicenda lo segnò a tal punto da indurlo a parlarne diffusamente nelle memorie autobiografiche24. Da esse apprendiamo che l’opera gli fu com20

LONGANO, Dell’uomo naturale (1767), p. 244. Nato a Venezia il 27 marzo 1714, Francesco Antonio Zaccaria entrò nella Compagnia di Gesù il 18 ottobre 1731. Ordinato sacerdote nel 1740, ricoprì l’incarico di prefetto della biblioteca del duca di Modena dal 1754 al 1768. Poligrafo fecondo, campione dell’antigiansenismo e acceso sostenitore dell’infallibilità pontificia, legò il suo nome all’ideazione e direzione dei periodici Storia letteraria d’Italia e Annali letterarii. Dopo la soppressione dei gesuiti (21 luglio 1773) Pio VI gli affidò la direzione degli studi di storia nell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici e, nel 1785, lo nominò professore di storia della Chiesa presso l’ateneo romano della Sapienza. Morì a Roma il 10 ottobre 1795: cfr. A. DE BACKER (con revisione di C. SOMMERVOGEL), Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VIII, Bruxelles – Paris 1898 (rist. an. Louvain 1960), coll. 1381-1435; E. ROSA, La vita e le opere di Francesco Antonio Zaccaria, in Civiltà cattolica 81/1 (1930), pp. 339-351; ID., Nuovi documenti su la vita e le opere di Francesco Antonio Zaccaria, ibid., pp. 509-517; ID., Pubblicazioni e tribolazioni del P. Franc. Ant. Zaccaria, ibid. 81/3 (1930), pp. 27-40, 121-130; M. ZANFREDINI, Zaccaria, Francesco Antonio, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús. Biográfico-temático, IV, dir. C. E. O’NEILL – J. M. DOMINGUÉZ, Roma – Madrid 2001, pp. 4063-4064. 22 [F.A. ZACCARIA], Lettere critiche contro l’Autore di certo Purgatorio politico, Siena 1779. Il primo a rivelare la paternità dell’opuscolo fu Cesare Budardi, cui si deve l’Index chronologicus operum omnium, quae hactenus a FRANC. ANTONIO ZACCARIA prodierunt: esso fu inserto nel primo tomo delle dissertazioni e annotazioni, con cui Zaccaria illustrò l’edizione latina della Disciplina populi Dei ex scriptoribus sacris et profanis collecta a CLAUDIO FLEURY, Venetiis 1782, pp. 25-32 (il riferimento alle Lettere critiche è ibid., p. 28). 23 LONGANO, Autobiografia cit., p. 364. 24 Cfr. ibid., pp. 362-365. 21

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missionata da un «ricco libraio di Vienna colla corrisponsione di docati 70»25 e che, iniziata nel febbraio del ’79, fu portata a termine in meno d’un mese. Il manoscritto passò quindi al vaglio di Gianfrancesco Conforti26 e Alessandro Maria Calefati27, rispettivamente regio ed ecclesiastico revisore, in vista della concessione del doppio imprimatur. Da quanto è dato di capire, la stampa dell’opera (per un numero complessivo di 6.600 copie) fu avviata senza tener conto delle osservazioni dei censori deputati, che denunziarono l’accaduto al cappellano maggiore Matteo Gennaro Testa28. La situazione venne a precipitare tra agosto e settembre, allorquando si proibì la prosecuzione della stampa e i fogli già editi furono posti sotto sequestro29. A stento Longano riuscì a 25

Ibid., p. 362, dove s’afferma che l’anonimo commitente aveva anche richiesto «due altre opere, che gli sarebbero state pagate due oncie a foglio di stampa di formato in ottavo, di carattere filosofia». 26 Sull’illustre teologo di corte nativo di Calvanico (7 gennaio 1743), che dal regalismo approdò al giacobinismo, aderendo ai moti del ’99 e finendo sulla forca il 7 dicembre di quell’anno, cfr. P. VILLANI, Conforti, Gian Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXVII, Roma 1982, pp. 793-802; F. LOMONACO, L’anticurialismo di Gianfrancesco Conforti dalle riforme alla rivoluzione, in Napoli 1799 fra storia e storiografia. Atti del Convegno internazionale, Napoli, 21-24 gennaio 1999, a cura di A. M. RAO, Napoli 2002, pp. 167-200. 27 Nato a Bari il 25 giugno 1726, il canonico Alessandro M. Calefati (o Kalefati secondo una grecizzante grafia settecentesca) fu lettore di teologia presso la Regia Università di Napoli. Eletto alla diocesi d’Oria con regia nomina del 17 febbraio 1781 (confermata da Pio VI il 17 settembre), fu consacrato vescovo il 21 settembre dal card. de Zelada. Morì in sede il 30 dicembre 1793: cfr. R. RITZLER – P. SEFRIN, Hierarchia catholica Medii Aevi et Recentioris Aevi, sive Summorum Pontificum, S. R. E. Cardinalium, Ecclesiarum antistitum series e documentis tabularii praesertim vaticani collecta, digesta, edita, VI: A pontificatu Clementis PP. XII (1730) usque ad pontificatum Pii PP. VI (1799), Patavii 1958, p. 427. Celebrato ai suoi tempi come storico, linguista e archeologo, Calefati fu abile falsificatore di documenti diplomatici e cronachistici come la Translationis historia (o “Cronaca del prete Gregorio”): cfr. C. TEOFILATO, Sui falsi diplomatici di Monsignor Calefati vescovo di Oria, in Archivio storico pugliese 5 (1952), pp. 337-341; G. PINTO, La traslationis historia del prete Gregorio, in L’Odegitria della cattedrale. Storia, arte e culto, a cura di N. BUX, Bari 1995 (Per la storia della Chiesa di Bari. Studi e materiali, 11), pp. 69-90. 28 Cfr. LONGANO, Autobiografia cit., p. 363. Su Matteo Gennaro Testa Piccolomini (Napoli, 21 settembre 1708 – ivi, 6 aprile 1782), arcivescovo di Reggio Calabria dal 1761 al 1766, trasferito, il 22 dicembre 1766, alla sede titolare di Cartagine, cappellano maggiore dal ’74 alla morte, cfr. RITZLER – SEFRIN, Hierarchia catholica cit., pp. 150, 356; D. AMBRASI, Riformatori e ribelli a Napoli nella seconda metà del Settecento. Ricerche sul giansenismo napoletano, Napoli 1979 (Collana historica, 5), pp. 24, 76, 127-128; STELLA, Il giansenismo cit., pp. 231, 234. 29 Cfr. LONGANO, Autobiografia cit., p. 363. Da una relazione di Matteo Gennaro Testa, in data 13 novembre 1779, s’apprende che tutti i fogli stampati, una volta sequestrati, furono trasportati «in alcune stanze serrate dell’Università de’ Regi Studi» (Napoli, Archivio di Stato, Cappellano Maggiore, Relazioni 767, f. 137, in ARENA, La rivolta cit., p. 195). Il testo dell’intera relazione è edito ibid., pp. 195-196.

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evitare l’espulsione dal Regno e la revoca dell’insegnamento privato30. La pubblicazione delle Lettere critiche, l’invio d’una ventina d’esemplari alle massime autorità partenopee, l’infamante accusa d’aver «fatto imprimere nella Svizzera il suo Trattato del Purgatorio»31 (sollevata da un «foglio anonimo» a carico dell’autore e a discolpa del confutatore), la minaccia d’un risarcimento di 300 ducati32 furono gli ultimi atti della drammatica vicenda, che si concluse, nell’aprile 1780, con la formale ritrattazione dell’abate molisano. Dal sunto tratteggiato nell’Autobiografia è possibile farsi un’idea del contenuto di questa dichiarazione: A vista di tal foglio mons. Testa riferì alla Corte il contenuto e la pubblicazione delle Lettere critiche in confutazione del libro Sul Purgatorio, e gli fu rescritto che avesse udito il Longano. Questi chiamato, mons. Testa gli narrò tutto l’accaduto. Longano cercò di leggere il foglio della denunzia, mons. glielo lesse egli stesso, e dopo averglielo fatto sentire, disse al Longano che avesse pagato i doc. 300, al che costui rispose che mons. avesse indicato a chi si dovea fare 30

Tale era, a suo parere, l’intento di Testa «unitamente col Calefati (uomo senza religione e senza costume). Ma il Longano, aiutato dal suo amico d. Girolamo Vecchietti, ottenne un dispaccio che ordinava non fosse affatto molestato, e che volendo proseguire la stampa, avesse tenuto conto delle postille» (LONGANO, Autobiografia cit., p. 363). Su Vecchietti, funzionario della Segreteria dell’Ecclesiastico e celebre togato, che per il violento anticurialismo fu soprannominato Girolamo di Praga, cfr. AMBRASI, Riformatori e ribelli cit., pp. 202, 215; E. CHIOSI, Andrea Serrao. Apologia e crisi del regalismo nel Settecento napoletano, Napoli 1981, pp. 116, 322. 31 LONGANO, Autobiografia cit., p. 364. 32 Su questi avvenimenti cfr. ibid, p. 363, che data al marzo 1780 la consegna della lettera anonima al cappellano maggiore. Già il 7 febbraio, però, Testa informava Ferdinando IV d’aver ricevuto, oltre alle Lettere critiche, «un foglio senza soscrizione alcuna, in cui si trova scritto che uno de’ primi Signori di Vienna, vedendo sparsa in molte parti cattoliche della Germania una dottrina falsa contro l’esistenza del Purgatorio, come divoto delle anime purganti, volle per mezzo de’ torchi che si pubblicasse una opera, che la dottrina sana su tal punto contenesse. Essendogli perciò stato proposto l’abate Longano, fece con questi contratto, per cui esso Longano si obbligò fare detta opera in tre lingue, cioè toscana, latina e francese in quindici fogli di stampa, e si convenne altresì quanto doveasi dare a lui per la sua fatica, e tutto ciò che occorrea per la spesa della stampa, e a tal effetto trovavansi pagati ducati 300, cento de’ quali secondo la convenzione doveansi al Longano, e gli altri per la carta e la stampa suddetta. Si espongono in tal foglio le querele contro costui, perché non ha serbato i patti, e specialmente che invece di fare un’opera divota, se n’è veduta una empia composta, con gravissimo cordoglio del detto piissimo Signore e di tutt’i divoti delle anime del Purgatorio, tal quale sarebbe uscita da’ torchi di un paese eterodosso. Si commendano in detto foglio le risoluzioni prese in questa Capitale, con fermare la stampa del detto Purgatorio politico e si conchiude che sarà necessario al piissimo Signore di gettarsi ai piedi della sua Sovrana Imperatrice Teresa, perché ne scriva alla sua Figlia Regina di Napoli, per sapersi almeno se deve esser permesso al Longano di frodare denaro per scrivere empietà» (Napoli, Archivio di Stato, Cappellano Maggiore, Relazioni 767, f. 301, in ARENA, La rivolta cit., pp. 196-197, che offre l’edizione dell’intero documento).

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il pagamento, perché egli era pronto. Stordito il Testa di tale impensata risposta, fissò gli occhi a terra, e dopo alcuni minuti di meditazione, disse che di tale foglio non era da tenersene conto; e soggiunse che il Longano avesse risposto in scriptis come egli né colla copia stampata, né col manoscritto aveva contribuito alla ristampa del libro Sul Purgatorio. Di lì a quattro giorni andò il Longano a presentargli un foglio, nel quale sostenne dapprima che il detto libro non poteva essere ristampato nella Svizzera, né altrove, perché il luogo non s’indicava dall’autore delle Lettere critiche, né dall’autore del foglio anonimo. Secondariamente sostenne che nell’ipotesi che il libro Sul Purgatorio fosse stato ristampato, pure non si potea procedere contro chi ci aveva tenuto mano, perché mancava l’ingenere. Sostenne per terzo che dato anche che si fosse ristampato, e fosse esistente l’ingenere, ci avea potuto aver mano chi avea o la prima copia stampata, o il manoscritto. Con attestato dello stampatore fece conoscere che un solo esemplare n’avea ricevuto, e con altro attestato chiarì che quello stesso era stato mandato a Calefati. Ricordò quindi che l’unico manoscritto che avea Longano se l’avea ritirato mons. Testa, onde il Longano conchiuse che qualora il libro del Purgatorio fosse stato ristampato nella Svizzera, od altrove, o Calefati aveva somministrato l’esemplare stampato, o mons. Testa il manoscritto. Questa risposta nell’aprile dell’anno 1780 fu dal Longano consegnata a Testa33.

Longano era pienamente nel giusto, supponendo che del trattato non fosse comparsa edizione alcuna né in Svizzera né altrove. La notizia, in realtà, era stata inventata di sana pianta e propagandata34 per fini facilmente arguibili: garantire una motivazione valida alla pubblicazione delle Lettere critiche e tutelare chi ne aveva sollecitato la stesura. Sotto questo rispetto il dubbio si restringeva (e si restringe) a Testa o a Calefati, che soli avevano potuto trasmettere il testo longaniano da refutare; onde la necessità di tener celata il più possibile l’identità dell’autore delle Lettere35. Più d’un mero cliché letterario, detta volontà di tutela parrebbe spiegare, al contempo, l’insistenza con cui l’editore Francesco Rossi rilevava il carattere occasionale delle Lettere critiche: Non furono queste lettere scritte con intenzione, che si stampassero. L’amico, 33

LONGANO, Autobiografia cit., p. 365. Cfr. Efemeridi letterarie di Roma, 8 aprile 1780, 9/XV (1780), p. 116. Si tratta dell’elogiativa presentazione delle Lettere critiche, che interessa ibid., pp. 116-118. 35 È forse da considerarsi un voluto depistaggio l’attribuzione dell’opuscolo a «uno de’ più dotti soggetti, che abbia l’insigne Ordine Domenicano» (Efemeridi letterarie di Roma, 8 aprile 1780, cit., p. 116) Al riguardo cfr. la rettifica di BUDARDI, Index chronologicus cit., p. 28: «In Romanis Ephemeridibus, quae eas miris laudibus extollunt, doctissimo cuidam viro e Dominicana Familia falso tribuuntur; sed is non est inclytus Dominicanorum Ordo, qui alienis spoliis indigeat». 34

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che io pressai a dirmi il sincero suo sentimento, me le mandò, perché mi servissero a parlare più francamente contro il Purgatorio Politico, nel quale trovandoci l’irreligione il suo conto, molti trovavano ancora un motivo di farlo leggere, e di esaltarne le massime. Ma io ho creduto di prestare non solo alla Chiesa, ma ancora al principato un buon ufficio, pubblicandolo colle stampe. L’Autore, di cui ben conosco lo zelo, non si recherà, spero, ad onta questa mia risoluzione, benchè a lui taciuta, tanto più che persone intendentissime, alle quali ho fatta la confidenza di queste lettere, e del mio pensiero di darle a luce, mi hanno caldamente esortato a non ritardare più oltre la pubblicazione di esse come troppo necessarie a confondere i falsi politici, e i veri libertini, i quali come nell’Apologetico a Donnione si querelava S. Girolamo, per imperitorum circulos, muliercularumque συμπόσια magnificano i progetti del Purgatorio politico, perché sono a seconda delle loro passioni. Incolpi egli dunque la sua dottrina, e la sua modestia; la sua dottrina, se le lettere si fanno pubbliche; la sua modestia, se si fanno pubbliche senza sua saputa. Intanto goderà la Religione di una forte difesa, che non si dovea aspettare, se io fossi stato o meno importuno coll’amico per istrappargliela dalla penna, o più riguardato con esso lui in attendere l’assentimento della pubblicazione36.

Al di là dei contorni meschini dell’intera vicenda è indubbio che non si poté fare scelta migliore dell’abile ed erudito controversista veneziano, per confutare il trattato sul purgatorio. La scoperta del manoscritto longaniano, infatti, non solo riconsegna l’opera nella sua interezza ma comprova l’esatta valutazione di fondo datane dalle Lettere critiche e, per il loro tramite, da studiosi come Franco Venturi37 ed Elvira Chiosi38. Zaccaria dispiega solidità argomentativa non nei rilievi sulla lingua39 o sugli autori citati40 bensì in quelli sull’impianto de Il Purgatorio ragiona36 A’ leggitori, in [ZACCARIA], Lettere critiche cit., pp. 3-4. Rivolgendosi a sua volta all’editore, lo stesso Zaccaria introduceva la prima delle sei Lettere nei seguenti termini: «Voi siete l’uomo più ostinato del mondo. Vi siete fitto in capo, che io vi mandi un esame critico di codesto sguajato libro del Purgatorio politico, e per quante ve ne abbia scritte per non farne nulla, ogni posta siamo al sicut erat. Mi fareste proprio proprio uscire de’ gangheri. Ma parve egli, che l’autore di codesta stampita meriti una risposta?» (ibid., p. 7). 37 Cfr. VENTURI, Nota introduttiva cit., pp. 340-341. 38 Cfr. CHIOSI, Lo spirito del secolo cit., pp. 211-215. 39 Cfr. [ZACCARIA], Lettere critiche cit., p. 8: «senza grazia, senza nerbo, senza proprietà, senza sintassi Italiana: lo direste Italiano Gotico, ò Teutonico». 40 Cfr. ibid., p. 7: «Egli veramente va citando certi nomacci di Protestanti, di Grozio, di Seldeno, di Obbes (e di questo ci fa anche sapere, notate opera pia! che l’ha volgarizzato in nostra lingua, poi passo passo confutato) di Cumberland, di Bayle». Similmente l’illustre poligrafo si mostra scandalizzato della definizione longaniana di «evangelio della ragione» (F. LONGANO, Il Purgatorio ragionato, f. 23r [infra, p. 528]) in riferimento al De officiis di Cicerone: cfr. [ZACCARIA], Lettere critiche cit., p. 24. Colpita giustamente dall’ardita bellezza dell’espressione, Elvira Chiosi la scelse come titolo del suo eccellente studio sul pensiero reli-

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to. Su dieci capitoli, di cui si compone il trattato, il tema specifico viene affrontato solo a partire dal quinto; i primi quattro, invece, costituiscono un lungo preambolo sull’immortalità dell’anima e sulla vita ultraterrena, tra le cui prove, come se non bastasse, è addotta una sfilza di testi scritturali. Era più che legittima la perplessità di Zaccaria, portato a interrogarsi sui destinatari del trattato senza pervenire ad alcuna risposta convincente: se l’autore aveva scritto per i «buoni Cattolici», avrebbe potuto saltare a piè pari le questioni preliminari, non abbisognando quelli «di queste sue filastroccole»41; se, al contrario, s’era voluto rivolgere ai «Filosofi alla moderna, cioè materialisti, Deisti, Ecc.», sarebbe stato difficile scusarlo di «mellonaggine», giacché «un pensatore, che conosce costoro, avrebbe subito veduto, che ’l citare a questi le Scritture sarebbe un farsi sbertare»42. Il ricorso alla Scrittura e ai Padri quale ulteriore elementum probans non poteva non apparire un controsenso in chi, «nel distendere l’opera qualunque ch’io ti presento del Purgatorio»43, aveva ribadito: Ho portato l’argomento nel tribunale della ragione, nel quale soltanto voglio, che compariscano i miei oppositori. Ecco perchè tra i mezzi di suffragare ai Defonti io non ho fatto menzione di quelli, che la s. Chiesa propone à suoi Fedeli, e tra perchè si sanno da ogni uno, e perchè essi non entrano nel mio piano. La celeste dottrina cristiana è troppo superiore a miei talenti, perciò intatta è stata lasciata ai Teologi44.

D’altra parte quella di portare «l’argomento nel tribunale della ragione» sembrava un’impresa fallita in partenza, essendo la purificazione ultraterrena una verità di fede, che non può essere attinta dalla sola ragione. In Longano tutto s’inverte. L’esistenza del purgatorio è provata con un ennesimo ricorso alla celeste dottrina cristiana, che però finisce per essere

gioso di Longano, apparso su Rivista storica italiana 104 (1992) 155-182, e poi confluito, come sesto capitolo, nel citato volume Lo spirito del secolo (pp. 197-232). Ella, al pari di altri (a iniziare dallo stesso Zaccaria), sembra però ignorare che la definizione longaniana del De officiis (al di là di suggestioni meisleriano-voltairiane) non era poi così originale, essendo stata direttamente esemplata su quella di Evangile de la loi naturelle, ch’era stata coniata dal Journal des Savants (30 marzo 1665) e quindi rilanciata da P. BAYLE, Continuation des pensées diverses, écrites à un Docteur de Sorbonne, à l’occasion de la Comete qui parut au mois de Decembre 1680, ou Reponse à plusieurs dificultez que Monsieur*** a proposées à l’Auteur, I, Rotterdam 1705, p. 728. 41 [ZACCARIA], Lettere critiche cit., p. 11. 42 Ibid. 43 LONGANO, Il Purgatorio cit., f. 1r (infra, p. 509) 44 Ibid., ff. 1r-1v (infra, p. 509).

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confermativa e del tutto succedanea agli argomenti di ragione, di per sé in grado di dimostrare la necessità45 del purgatorio: siccome a punire gli estremi peccati si dà l’inferno, ed a premiare l’estreme virtù il Paradiso, bisogna nel luogo intermedio situare il Purgatorio, altrimente conviene dire, che i vizii e le virtù interposte sieno ugualmente quelli puniti e queste premiate, o pure che Iddio nè gli uni, nè gli altri cura. Il dire in primo luogo, che Iddio non cura tai termini intermedii, non dovrebbe adunque nemmeno curare i loro estremi. Il che è assurdo; dunque se cura gli estremi, conviene anche che curi gl’intermedi46.

L’abate molisano argomenta allo stesso modo in riferimento ai suffragi: si tratta di verità pratica che, pur soggetta a «rivoluzioni» nel corso del tempo, è «registrata nell’Eterno Codice della umana ragione, instillata ne’ nostri petti, e coesistente coll’istesso Dio»47 nonché fondata sui doveri dell’umana società48: Il quesito di soccorrere alle anime del Purgatorio abbraccia due punti, uno è quello di soccorrerle, l’altro il sapere come colà pervengono le nostre offerte. Il primo è chiaro dalle cose di gia dette, perché esse non restano dissociate da noi, perche tanto noi, che quelle siamo regolati dal medesimo piano di leggi, le quali anno per oggetto la felicità di tutti gli enti morali in qualunque loro

45 Il quinto capitolo, d’altronde, è inequivocabilmente intitolato Necessità del Purgatorio, o sia di un luogo intermedio fra i due estremi di gia posto: ibid., f. 43r (infra, p. 544). 46 Ibid., f. 46r (infra, p. 547). Al riguardo Zaccaria obiettava: «Sgangheratissimo argomento, siccome a punire gl’intermedi peccati ne deduce l’autore la necessità del Purgatorio; così a premiare le interposte virtù ci vorrebbe un luogo terzo, che non fosse il Paradiso. Dipoi che diammene intende costui per vizi interposti? O son peccati mortali, o son peccati veniali; e questi peccati sieno mortali, sieno veniali o son rimessi quanto alla colpa, o non lo sono; e sono rimessi quanto alla colpa, o sono anche rimessi quanto alla pena, o sono solo rimessi quanto alla colpa. Se ancora quanto alla pena, non v’è bisogno di Purgatorio. Se non sono rimessi quanto alla colpa, trattandosi di mortali peccati sieno interposti, o sieno estremi, vanno puniti coll’Inferno. Se poi sono peccati mortali rimessi quanto alla colpa, ma non quanto alla pena, o veniali neppur quanto alla colpa rimessi, eccoci alla vera necessità del Purgatorio, per cancellar questi peccati veniali, e per soddisfare alla pena sì a questi, che a’ mortali dovuta; ma non per la falsa ragione della diseguaglianza de’ peccati, e di essere questi peccati interposti» (Lettere critiche cit., pp. 30-31). 47 LONGANO, Il Purgatorio cit., f. 51v (infra, p. 552). 48 Similmente al titolo del quinto capitolo, quello del settimo è Sulla necessità di suffragare alle anime del Purgatorio: ibid., f. 51r (infra, p. 551). Zaccaria non solo obiettava che l’autore avrebbe dovuto parlare d’obbligazione e non di necessità in riferimento ai suffragi, ma aggiungeva che tale obbligazione «mal si fonda ne’ soli doveri dell’umana società. E certo questi doveri necessariamente hanno a supporre un qualche lume di religione […], anzi neppur si potrà mai bastevolmente provare, che i vincoli della società si stendano al mondo di là» (Lettere critiche cit., p. 44).

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situazione: non così il secondo perchè sorpassa gl’istessi limiti della nostra ragione49.

Indubbiamente il secondo punto del quesito mostrava nella formulazione tutta la sua debolezza. Esso, però, sgombrava il campo dalla disamina di tutte le questioni che, pur connesse al tema specifico, restavano appannaggio della riflessione dei teologi. A loro — cui Longano aveva lasciato intatta la celeste dottrina cristiana50 — era dunque demandato il compito d’illustrare quei suffragi che la Chiesa raccomandava a beneficio delle anime purganti: Sacrificio eucaristico, preghiera, elemosina, digiuno. È quanto avevano fatto, tra la prima e la seconda metà del ’700, Vincenzo Maria Orsini (Benedetto XIII)51, Domenico Bruno52, Vincenzo Lodovico Gotti53, Manoel de Azevedo54 e sant’Alfonso Maria de’ Liguori55, per citare i nomi più importanti d’un nutrito stuolo di autori che, sotto diverse prospettive, scrissero del purgatorio in opere o monografiche o generali. Negli ultimi tre capitoli Longano poteva finalmente incentrare l’attenzione sui suffragi noti alla ragione e coincidenti con «quelle più efficaci maniere, […] le quali nell’atto che procurano la felicità di quelli, formano benanco la tua»56. Siffatti “suffragi naturali” consistono nell’esercizio delle 49

LONGANO, Il Purgatorio cit., f. 57r (infra, p. 556). Cfr. supra, nt. 44. 51 V.M. ORSINI (BENEDETTO XIII), Sagri trigesimi de’ sermoni sopra il Purgatorio, composti, e recitati ne’ martedì della Quaresima nella città di Benevento, Roma 1728. Su Benedetto XIII (1649-1730) mi limito a rimandare a G. DE CARO, Benedetto XIII, in Dizionario Biografico degli Italiani, VIII, Roma 1966, pp. 384-393; F. LEPORE, Vincenzo M. Orsini (Benedetto XIII) e la Chiesa del suo tempo, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia 53/1 (2009), pp. 125-158. 52 D. BRUNO, Il Purgatorio aperto e chiuso. Opera, in cui denunziandosi alle Anime dabbene le gran Pene che lor soprastano nell’altro Mondo, se ne dà il modo di scamparle, 4 voll., Napoli 1730. Sul gesuita Domenico Bruno (1664-1730) cfr. DE BACKER, Bibliothèque de la Compagnie 50

cit., II, col. 256. 53 V. L. GOTTI, Theologia scholastico-dogmatica juxta mentem D. Thomae Aquinatis ad usum discipulorum ejusdem Angelicis praeceptoris accomodata, XVI, Bononiae 1735, pp. 2780. Sul celebre teologo e cardinale domenicano (1664-1742) cfr. D. BUSOLINI, Gotti, Vincenzo Lodovico, in Dizionario Biografico degli Italiani, LVIII, Roma 2002, pp. 155-157. 54 M DE AZEVEDO, De catholicae Ecclesiae pietate erga animas in Purgatorio degentes libri duo, Romae 1748. Sul gesuita portoghese (1713-1796), collaboratore di Benedetto XIV, che l’incaricò di tradurre in italiano le sue opere latine e di curare l’edizione dell’Opera omnia, cfr.

DE BACKER, Bibliothèque de la Compagnie cit., I, coll. 721-734; J. VAZ DE CARVALHO – J. ESCALERA, Azevedo, Manuel de, in Diccionario histórico de la Compañía cit., I, pp. 315-316. 55 A. M. DE LIGUORI, Dissertazioni teologiche-morali appartenenti alla vita eterna, Dissertazione II. Del Purgatorio, in Opere di Sant’Alfonso Maria de Liguori, VIII, Torino 1880, pp. 10221026. Su quest’opera, edita per la prima volta a Napoli nel 1776 per i tipi di Onofrio e Antonio Paci, cfr. T. REY-MERMET, Il Santo del secolo dei Lumi, Roma 1982, pp. 780-781. 56 LONGANO, Il Purgatorio cit., f. 58r (infra, p. 557).

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virtù civili o sociali. Esse sono in numero di nove e classificate nel seguente ordine: 1) fatica quale «fondamento di tutte le altre»57, 2) temperanza58, 3) educazione dei figli59, 4) beneficenza60, 5) prudenza61, 6) giustizia62, 7) fortezza63, 8) benevolenza64, 9) religiosità65. Modo di suffragare sì giovevole è però costantemente conculcato, anziché ispirato, da Preti messaiuoli, o Frati scorretti e ignoranti a’ quali per vivere nel seno del piacere e della poltroneria era necessario spandere il nero velo della superstizione e fare che i Popoli vivessero perpetuamente convolti in una profonda cecità66.

I consueti toni anticlericali (in particolare contro i regolari) si fanno più accesi nell’ultimo capitolo, dove Longano stende un piano per far rifiorire le virtù sociali. Visibilmente ispirate ai catechismi massonici67 e considerate i «preziosi prodotti» da «presentare al grande Architetto dell’universo»68, le virtù sociali sono dunque i principali mezzi di soccorrere i nostri antenati, tali spezie di vittime debbiansi immolare sugli ardenti altari de’ nostri cuori. A questo modo tutta la terra è un gran tempio, e ciascun uomo è un sagrificatore. Saranno così cresciuti i vittimari, cresciuti i sagrifizii, ed i nostri defonti maggiormente suffragati69.

In ultima analisi il tema del purgatorio non fu che un pretesto per Longano: il presentarne l’esistenza come una verità di ragione non fu mellonaggine di pensiero o buaffaggine veramente insigne (per utilizzare le pungenti parole di Francesco Antonio Zaccaria)70 bensì funzionale al raggiungimen-

57 Ibid., f. 64r (infra, p. 563). L’analisi della fatica quale virtù è ibid., ff. 63v-65v (infra, pp. 563-565). 58 Cfr. ibid., ff. 65v-66r (infra, p. 563). 59 Cfr. ibid., ff. 66r-67r (infra, pp. 565-566). 60 Cfr. ibid., ff. 67r-67v (infra, pp. 566-567). 61 Cfr. ibid., ff. 67v-69r (infra, pp. 567-568). 62 Cfr. ibid., ff. 69v-70r (infra, pp. 568-569). 63 Cfr. ibid., ff. 70r-71r (infra, p. 570). 64 Cfr. ibid., ff. 71r-71v (infra, pp. 570-571). 65 Cfr. ibid., ff. 71v-72r (infra, p. 571). 66 Ibid., ff. 56v-57r (infra, p. 556). 67 Dalla lettura dei passi longaniani, sia pur mediata attraverso le Lettere critiche, era pervenuta a quest’esatta valutazione CHIOSI, Lo spirito del secolo cit., p. 213. 68 LONGANO, Il Purgatorio cit., f. 72r (infra, p. 571). 69 Ibid. 70 [ZACCARIA], Lettere critiche cit., pp. 10-11.

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to del fine dell’opera, quello cioè «di rianimare gli uomini alla pratica delle virtù sociali»71. Poteva così concludere: Tale è il Purgatorio ragionato. Che se mai il suo Autore saprà, che il genere umano ne trarrà profitto, il medesimo promette anche morto, che caccerà la sua testa dalla polverosa tomba per tornare a benedire, e a ringraziare Dio che l’à destato cosi benefico pensiero72.

A ragione Elvira Chiosi ha potuto scrivere che il trattato longaniano, «modificando la geografia dell’aldilà, rivela una totale rivoluzione mentale. Esso rappresenta una meditazione sulla vita più che sulla morte ed esprime la decisa volontà di avviare subito, su questa terra, la realizzazione di una maggiore giustizia sociale, senza rinviare all’aldilà la speranza di veder finalmente corrette le diseguaglianze e le ingiustizie terrene»73. Un’ultima parola dev’essere riservata alla descrizione e presente edizione del Vat. lat. 15366. Il codice è un manoscritto cartaceo di mm. 245x175, composto di più fascicoli per un numero complessivo di ff. 78, così disposti: un foglio di guardia contenente una sommaria Introduzione74; frontespizio recante il titolo Il Purgatorio ragionato. 1779; ff. 75, privi di rigatura, con foliazione continua; un foglio di guardia. Coperta: piatti di cartone, rivestiti di normale carta da imballaggio del sec. XX. Sul piatto superiore di coperta: segnatura a matita «Vat. lat. 15366» e titolo, segnato con biro, «Il PURGATORIO RAGIONATO dell’abate Francesco Longano 1779» di mano novecentesca; altra segnatura a stampa su etichetta cartacea incollata alla controsguardia del piatto superiore di coperta. Il trattato è così strutturato: A chi legge l’autore del Purgatorio ragionato (ff. 1r-2r); Prospetto del Trattato (ff. 5v-7v); Cap. 1 Immortalità dello spirito umano (ff. 8r-16r); Cap. 2° Esistenza d’una legge eterna (ff. 16v-25r); Cap. 3 Esame, e confutazione delle obiezioni (ff. 25v-33v); 71

LONGANO, Il Purgatorio cit., f. 58r (infra, p. 557). Ibid., f. 75v (infra, p. 575). 73 CHIOSI, Lo spirito del secolo cit., pp. 213-214. 74 «La migliore azione, che può fare un uomo, è quella di migliorare, giusta sua possa, i di lui simili con renderli virtuosi. Tale è lo scopo del presente trattato. Quest’argomento di pura fede l’ho condotto nel tribunale della ragione, nel quale solo voglio essere esaminato, e confutato. E chiunque vorrà [….]stro che se i mezzi, ch’io propongo non gioveranno ai morti, praticati saranno almeno di sollievo ai vivi, che è quanto posso di meglio desiderare». 72

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Cap. 4 Esistenza dell’altra vita, suoi premi, e sue pene (ff. 34r-42v); Cap. V Necessità del Purgatorio, o sia di un luogo intermedio fra i due estremi di gia posti (ff. 43r-48r); Cap. VI Obiezioni e risposte (ff. 48v-50v); Cap° VII Sulla necessità di suffragare alle anime del Purgatorio (ff. 51r57v); Cap° VIII Della felicità degli enti morali. Delle virtù civili proprie a suffragare alle anime purganti (ff. 58r-62v); Cap. IX Delle virtù civili proprie a rendere felice la società degli enti morali (ff. 62v-72r); Cap° X Modi far fiorire le virtù sociali (ff. 72v-75v). Tra la premessa A chi legge e il Prospetto del Trattato è inserito l’Estratto di tutte le proposizioni notate dal Revisore Ecclesiastico nel manoscritto del Purgatorio (ff. 2v-5r). L’analisi del manoscritto, comparata col testo della citata lettera del 21 settembre ’71, rivela che anch’esso è autografo tanto nella prima redazione quanto nelle correzioni successivamente apportatevi. Non mancano tuttavia interventi posteriori d’altra mano, opportunatamente evidenziati nell’apparato a piè di pagina; l’ultimo di siffatti interventi è databile al 1807, come appunto si legge nell’ultimo foglio del trattato. Si può dunque ritenere che, in data imprecisata, Longano sia tornato in possesso del manoscritto sequestrato75. Il termine a quo è senz’altro posteriore alla morte del Cappellano Maggiore Gennaro Matteo Testa76; quello ad quem dev’essere anteriore al decesso d’Alessandro Maria Calefati77. Circa l’edizione è necessario notare che s’è scelto il titolo Il Purgatorio ragionato, perché è quello originariamente apposto al manoscritto78 e costantemente indicato dall’autore sia nel corso dell’opera sia nella chiusa della stessa. Di contro la nota variante Il Purgatorio politico altro non è che una fondata interpretazione del fine essenziale del trattato, quale fu colta da Francesco Antonio Zaccaria. La trascrizione, di tipo conservativo, è stata condotta nel rispetto più puntuale della grafia e della interpunzione originali. 75 Come si può evincere dal passo autobiografico riportato in precedenza (cfr. supra, nt. 33), «l’unico manoscritto che avea Longano se l’avea ritirato mons. Testa». Tenendo in conto che il Vat. lat. 15366 — come s’è detto — è autografo e che il manoscritto, prima d’essere acquisito dalla BAV nel 2005, era di proprietà d’un privato di Ripalimosani, si può ritenere che il sacerdote molisano ne dovette ritornare in possesso. 76 Cfr. supra, nota 28. 77 Ciò si deduce dall’annotazione «Postille di Calafati oggidì vescovo di Oria», apposta sul margine superiore sinistro del f. 2v. 78 Il frontespizio reca infatti, come s’è di sopra detto, il titolo Il Purgatorio ragionato 1779.

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APPENDICE IL PURGATORIO RAGIONATO 1779 Introduzione La migliore azione, che può fare un uomo, è quella di migliorare, giusta sua possa, i di lui simili con renderli virtuosi. Tale è lo scopo del presente trattato. Quest’argomento di pura fede l’ho condotto nel tribunale della ragione, nel quale solo voglio essere esaminato, e confutato. E chiunque vorrà […]ustare che se i mezzi, ch’io propongo non gioveranno ai morti, praticati saranno almeno di sollievo ai 5 vivi, che è quanto posso di meglio desiderare. (1r)

A chi legge l’autore del Purgatorio ragionato Tra le molte e varie maniere di presentare ai popoli la morale sì pubblica, che privata, emmi sempre paruta quella della religione come la più facile, la più ragionevole, la più d’ogni altra efficace. Perocchè a nome di quel eterno essere dal quale tu speri ogni futuro bene, e tu temi ogni futuro male, ti s’istillino e ti s’inculchino le sode massime di civiltà, non può non eccittarti a rispettarle e ad obbidirle, ecco perchè anche molti savi leggislatori per via più crescere nell’opinione degli uomini, e per via meglio accreditare i loro stabilimenti politici, sonosi infinti da qualche divino spirito afflati, ed a loro nome gli hanno a loro sudditi proposti. Questo medesimo è stato il mio pensiero nel distendere l’opera qualunque ch’io ti presento del Purgatorio, della quale la pratica, e la propagazione delle virtù sì monastiche, che sociali religiose ne formano il gran disegno. Ho creduto per tal modo ben fatto col prosperare i vivi, giovare anche ai morti. Ho portato l’argomento nel tribunale della ragione, nel quale soltanto voglio, che compariscano i miei oppositori. Ecco perché tra i mezzi di suffragare ai Defonti io non ho fatto menzione di quelli, che la s. Chiesa | (1v) propone à suoi Fedeli, e tra perché si sanno da ogni uno, e perchè essi non entrano nel mio piano. La celeste dottrina cristiana è troppo superiore a miei talenti, perciò intatta è stata lasciata ai Teologi. A che prò far parola in un libro filosofico di cose da tanti scrittori, e dotti e santi insieme insegnate, e dall’istesso volgo risapute? Chi mai non sa, tra nostri contadini, che le confessioni sacramentali, l’offerta del s. sacrifizio della messa, la limosina, ed altrettali opere sieno tutti

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10 come] agg. in margine 11-12 a nome … male] l’idea di quell’eterno essere, dal quale tu speri ogni futuro bene, e dal quale tu temi ogni futuro male, dove a suo nome pr. mano 19 religiose] agg. in interlineo 20 ho portato l’argomento] l’argomento finora stato trattato colla sola rivelazione, eccolo portato pr. mano 21 oppositori] oppugnatori pr. mano 22 ho fatto sec. mano in interlineo] fo pr. mano 23-25 e tra … Teologi] agg. in margine

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mezzi valevoli? E chi di loro non sa, che qualunque si voglia nostra azione ancorchè virtuosa non avvalorata dall’assistenza divina, di per se sia inefficace? Credi forse tu, che i leggenti prestarebbero più fede a me, che ai loro direttori di coscienza; o più a me che allo stesso spirito della chiesa loro madre, e loro guida? Che anzi l’aver io tenuta una nuova maniera e di provare, e di soffragare, non è da dubitare ch’io abbia meglio affortificata l’esistenza stessa del Purgatorio, e la via più ingrandita e più facilitata di soccorrere ai nostri già defonti maggiori. Aggiungasi ch’io non mi trovo in un secolo così insensato, nè tanto amico alle vere virtù, che abbiasi a riputare irreligioso e profano qualunque si sforzasse di scuotere i suoi simili per rianimarli alla fatica utile, all’educazione de’ propri figliuoli, alla temperanza, alla liberalità, | (2r) al patriotismo, alla prudenza, alla fortezza d’animo, alla giustizia, ed alla religione. Sicchè limitato a questo santo pensiero, io voglio essere e giudicato e condannato. Chiunque mi giudicherà altrimenti, l’avrò per un maligno interprete, e corrotto di lingua, di mente, e di cuore. (2v)

Estratto di tutte le proposizioni notate dal Revisore Ecclesiastico nel manoscritto del Purgatorio Cap. 2 5

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§ 42. Mostri morali vissero allora tra molti buoni. Fu certamente tale Tiberio, Caligola, Nerone, Domiziano, ma niuno metterà al paragone con questi un Vespasiano, un Tito, un Nerva, un Traiano, un Adriano, ed un Antonino Pio, il quale coll’adozione ci diede il buon M. Aurelio. Io non saprei se Marco avesse superato in bontà, e in buon governo. Tutti questi pregi si perdettero per la cattiva di lui moglie non ripresa. Questo oh! quanto, ch’egli teoreticamente scrivea. Questo ci dice la storia. § 43. Nel secolo XV la coltura, o sia eleganza; ma sin dal secolo XI erasi ripigliata la coltura scientifica, e solita. Dio buono, che uomini profondi vissero allora! La generalità superfiziale al presente, che ammaghi chi non dura la fatica sù que’ vecchioni, da’ quali si è preso da nipoti poco grati il bello, che risplende colla inverniciatura. § 45. O i ribelli della ragione furono temuti, e saranno da i ragionatori, ma non da ragionatori, i quali hanno per fondamento Cap. 3

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§ 4. Per mettere a ben operare gli uomini fissamente all’ordine naturale, non basta nello studio della natura corrotta, nella quale si sta del genere umano, l’equilibrio della ragione e degli appetiti. Vi vuole la grazia di Dio, cioè Iddio provvisore, che rischiasi lo Intelletto, e rinforzi la volontà. Per l’ordine poi sopranaturale assolutamente necessita la divina grazia. Enti | (3r) finiti, cioè difettosi per loro natura, 30 forse] agg. in interlineo 35 aggiungasi] Quanto più, grazie al cielo pr. mano 36 insensato] corrotto pr. mano 40 religione] religiosità pr. mano 40-42 io voglio … di cuore] discreto Leggitore, tu mi devi e giudicare e condannare, altrimenti non farai, che l’indole di maligno interprete mostrare, e quella d’uomo corrotto non che di lingua, ma anche di mente, e di cuore pr. mano 1-2 Nota in margine: Postille di Calafati oggidì vescovo di Oria Cap. 3, 19-20 non basta] non basta non basta cod.

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nello stato di natura corrotto non posson operare affatto per l’ordine sopranaturale da se soli. La cosa è in confessis presso di tutti. 25 § 8. Il Barbeirake prese dei granchi grossi assai. I primi padri anzi furono attaccati alla Filosofia Platonica, cio è chiaro chiarissimo a chi gli ha letto, ed altri all’Aristotelica. Di questo non si dubita più. Anzi questo soverchio attacco di alcuni alla Filosofia de’ Gentili li condusse tratto tratto ad alcune conseguenze pericolose. Veggasi Crisogoni, Tertulliano etc. 30 § 12. Risorgono altresì alla divina grazia, che viene a proteggere i buoni. § 14. L’uom malvaggio, e tanti e tanti non operano per fantasia riscaldata? La Educazione cattiva li guasta, la buona li migliora. Cap. 4 § 1. Il luogo, e condizione ai Teologi, che camminano per la rivelazione sono note queste cose per la parte, che necessita in questa vita. Se direte, che la tipografia del luogo, e tutte le circostanze della condizione, direte molto bene insegnando s. Paolo: nec oculis vidit1 per dire il quasi infinito godimento etc. Donde si cava l’opposto per i malvaggi. § 2. Cioè alcuni storici profani, mentre dei sacri la cosa è altra. § 4. Quì non si concedi tanto, perché si anderà molto avanti col raziocinio. § 5. Ci vuol di più assai nella corruzione. | (3v) § 6. Questa espressione va modificata. § 7. Si faccia miglior calcolo § 8. E non vi sono de’ dotti, che asseriscono, e provano ciò che il comune degli uomini? O saranno soli dotti quei, che negano? § 10. In carità i passi del nuovo Testamento sono infiniti, scegliete i migliori. § 11. Quì non posso affatto accordarmi, e compatitemi se vi priego a ridurre le cose alla Teologia rivelata. § 12. Questo è l’intero raziocinio da me fatto nella mia Teologia. Ma questo medesimo raziocinio dee portare naturalmente a conchiudere, che lo spirito stesso separato dal corpo vedrà l’ente infinitamente perfetto, e dalla vista della bellezza risultante la perfezione infinita, i buoni spiriti avranno godimento eterno; e i malvaggi eterna pena per la dissomiglianza delle brutture contratte co’ peccati, e della bellezza divine perfezioni. § 14. Caro D. Francesco non è possibile, che questo tratto passi. Altro è il modo di parlare, ed altro è l’intelligenza. § 15. Caro mio D. Francesco. Tutto questo va lavorato al torno cattolico anche col vostro raziocinio. I cattolici ne restarebbero scandalizzati da questi tratti liberi. Mi compatirete, che non posso passarli. Collo scarso raziocinio, al lume della rivelazione ho altrimenti ragionato, e molto più, e molto meglio di me potrete farlo voi. | (4r) § 16. Affatto affatto non può passare questo passo. Compatitemi, che la mia Cristiana Filosofia mi porta al raziocinio retto. I Cattolici hanno due giudizi; uno Cap. 4, 35-36 tipografia] così il cod. 1

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55-56 § 14 … l’intelligenza] agg. nel margine inferiore

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particolare per le azioni commesse per averne premio, o pena dopo; l’altro generale per fare a tutti operare la giustizia, e la rettitudine, la provvidenza dell’ente supremo. E dal vangelo questo è chiaro. § 17. Tutto va tolto per carità. Cap. 5

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§ 8. Direi anche mentali, perchè i mentali posson essere pravi, spezialmente a quelli a’ quali manca l’estrinsecarsi per difetto d’impotenza, e delle circostanze. Il non mœchaberis2 ... chi desidera l’altrui moglie, senza operare, è del vangelo, ibidem. Queste espressioni sono troppo generali per applicarsi sul fatto dell’inferno. Le desidero adunque tolte, o applicate soltanto sul proposito delle colpe leggieri. § 13. Del nuovo Testamento qualche testimonianza bisognarebbe portare. Quello si dice appresso spetta alla testimonianza de’ padri, alla tradizione, al rito sacro della Chiesa, e alle definizioni de’ Concili Generali, perché Burnet, ed altri fanno uso di tali armi. | (4v) Cap. 6

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§ 2. Quì ci bisogna di più per enervare la forza, che vigorosa si produce nell’obbiezione, e poco si rintuzza nella risposta. § 4. O non bisognava proporle, o proposte confutarle. Ibidem. Questo dare del moderato a Calvino nol passerà alcuno. § 5. Il tempio, e non già la Sinagoga. Ibidem. Non si neghi, che la voce Purgatorio sia caratterizzata per significare il luogo intermedio degli spiriti, che vi stanno. Cap. 7

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§ 4. Tutte le surriferite classi di creature operano per legge meccanica, ma l’uomo, che oltre il corpo, ha lo spirito ha da avere una ragione più positiva, e conducente alla società. § 6. Per accidente, non mai per ordine voluto dal Creatore, e col corpo sarà lo spirito dopo il risorgimento eterno. Direi adunque temporariamente per ora. § 7. Metterei un volontariamente. § 11. Oh Dio! Si tolgano questi abusi benchè talvolta veri, i quali vanno mal posti in questo bel raziocinio. Chi non sà, che questi tali abusi di alcuni non fanno pruova? § 14. La limosina, l’ospitalità, la cura degl’infermi, la preghiera, etc. sono ancora da annoverarsi. | (5r) Cap. 9

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§ 1. Qui si vuol burlare, se non si tratta della religione cristiana. Se di questa come si può dir distrutta, e soffogata? Dunque non ci è più cristianesimo. § 2. Sarà bene. Ciò per tutt’i Concionatori nò, perchè tra questi vi sono coloro, i quali intendono la materia. I sciocchi concionatori non si sapendo esprimere, 2

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inculcano sullo sradicare le passioni, ma i saggi inculcano il togliere la pravità. E ciò è secondo il vangelo. § 3. Nò caro D. Francesco. Voi parlate di virtù, come le potete scompagnare 105 dalla grazia, senza della quale è impossibile all’uomo praticarle. § 4. Non è vero ciò affatto. Nel vangelo s’inculca la fatica, e s. Paolo faticò. Il laboramus operantes manibus nostris3 è noto a tutti. Ma quì viene nel censo dell’uomo anche lo studio, il governo, l’accudenza degli affari, etc. Ibidem. Tra i mendicanti vi sono gli oziosi, come tra non mendicanti. 110 § 5. Guardi Iddio! Non fa bisogno d’illusione quando i due catechismi civico, e religioso sono bene istillati. § 6. È falso nell’uso, vero nell’abuso, ma universali in carità. Chi nol vede? Ill.mo. Canonico. Calafati. Censore. 115 (5v)

Prospetto del Trattato La più eroica azione, che mai può fare un uomo è di cercare, giusta sua possa, di migliorare la sua spezie con renderla più comoda, e più virtuosa. Tale è lo scopo del presente trattato, nel quale si è proceduto per tal modo. Nel capitolo primo, dopo proposte molte difficoltà d’intorno all’origine del nostro pensare, mediante una analisi dei più principali atti dell’uomo, è stato appieno provato, che la materia è incapace di pensare, di giudicare, di ragionare, di ricordarsi, e d’inventare. Oltre del corpo, necessita dunque riconoscere nell’uomo una seconda sostanza chiamata spirito, al quale solo tai atti convengono. Il che provato è stato in seguito fatto vedere, che tale sostanza è immortale, anche nel sentimento degli Epicurei, i quali insegnano la indistruttibilità della materia. Il quale assunto è stato altresì fortificato coll’autorità sì umana, che divina. Ma si può dare essere senza rapporti? o rapporti senza legge? Nel capitolo 2° adunque. Data una brievissima analisi delle più principali forze sì genetrici, che vitali della natura, e fattane una riduzione, le medesime non sono, che tante forze di moto. Di più queste medesime analizzate, tutte si riducono alla sola centripeta. Sicchè qualunque forza della natura sì fisica, | (6r) che morale di per se non è altro, che mera forza centripeta? Per ultimo indica altro, quest’unità di forze, che il fine della natura? il quale consiste nella conservazione del tutto, e d’ogni suo componente? Olà la vostra guida enti morali, bruti, veggetanti, e fossili stessi vivete sotto qualunque forma voi esseri materiali, sia qualsivoglia la vostra condizione, o spiriti, che sempre sarete sottoposti alla medesima. Interrogate il vostro istinto, le vostre sensazioni, il vostro senso morale, e la vostra ragione, mentre tali elateri non serviranno che a svilupparvela. Di quì la lunga catena di tanti movimenti nei fossili, e piante. Di quì la seria di tante sensazioni nei bruti, e di tanti atti nell’uomo. Di quì in somma l’armonia dell’universo, e di ciascuna sua parte. Ma

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3 con renderla … e più] per mezzo di farla pr. mano 7-8 di giudicare … d’inventare] agg. in margine 8 oltre … dunque] oltre dunque del corpo necessita pr. mano 24 serviranno] faranno pr. mano 3

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ci è stato mai errore senza del suo difensore, o verità la più evidente non attaccata da veruno? Che anzi la ragione umana essendo più capace di distruggere, che di edificare, perciò Nel cap. 3° sono state proposte, e confutate insieme le maggiori obbiezioni finora fatte all’esistenza della legge naturale umana, donde il nostro soggetto ha ricevuto a un tempo e lume, e forza maggiore. Confutati così i | (6v) ribelli della propria ragione, sono passato Nel capitolo 4° a provare l’esistenza dell’altra vita e dalla immortalità dello spirito umano, e dalla natura della divina giustizia. Di qui i suoi premi, e le sue pene. Di qui la necessità d’un luogo intermedio, chiamato Purgatorio. Onde è, che Nel capitolo 5° ho dedotto la sua esistenza 1° dall’ineguaglianza delle virtù, e de’ vizi, 2° dall’economia di Dio, 3° dalle autorità. Nel 6° si sono affacciate, e confutate insieme le maggiori difficoltà state finora proposte all’esistenza di tal luogo. Nel 7° tanto in forza di conformità di legge, quanto per rapporto all’istesso scopo della felicità, ed ai mezzi di conseguirla per mezzo delle virtù sì monastiche, che sociali, è stata provata l’esistenza d’una società di enti morali di sua natura indivisibile. Faccendo adunque i defonti, e i viventi un medesimo corpo è stato da ciò tirato l’obbligo indispensabile di suffragare ai morti. Sciolto così il nodo dell’opera, prima di entrare a proporre i mezzi, Nel capitolo 8° forse più del convenevole ho parlato della felicità di tali enti e chi la cagiona; ma perchè tanto la felicità presente, che futura | (7r) si dee al solo esercizio non mai interrotto di abiti virtuosi, a tal’effetto Nel 9° capitolo ho un dato piano di morale tanto pubblica, che privata. Olà il disegno del trattato, il pregio dell’opera, la buona volontà dell’autore. Olà apparenze, larve magiche, materiali imposture, alla fatica, se abbiate, o uomini senso di gratitudine per i vostri maggiori, alla temperanza, o figli del Cielo, se vogliate essere riconoscenti. Che! siate caritatevoli, prudenti nell’agire, e parlare, giusti, patriotici, religiosi, e diverrete tutti sacrificatori per i vostri antenati. Sull’altare de’ vostri cuori in quest’immensità di tempio tali vittime, e non altro ci si offerisce. Lavorate, e per me sarete sacrificatori; faticate e sarete onesti; siate temperanti, ed eccovi fatti sacerdoti della natura, e della Grazia. | (7v) Orsù, Leggislatori, Principi, Capi di Rep(ubbliche), di sette, Padri di famiglia, e Maestri di spirito, e di scuole in vostro potere è il sollevare i vostri già defonti maggiori. Il perchè vi conforto a ben istituire la gioventù, e abituarla a praticare le vere e sode virtù. Sicchè moderatori di stati, siate savi colle leggi, irreprensibili nella vita; amorosi padri, siete prudenti co’ vostri figli; e voi sacri, e profani Dot27 del suo] agg. in interlineo 28 essendo] è pr. mano 29 perciò] sicchè pr. mano 38 autorità] sacre e profane agg. pr. mano 45 stato scr.] stata cod. 45-46 tirato … indispensabile] tirata la necessità pr. mano 48 di tali enti] degli enti morali pr. mano 56 sull’] su nell’ pr. mano 57 Dopo offerisce è espunto il seguente passo di prima mano: Il perchè esecrabili poltroni nemici di Dio, e dell’uomo restatevi nel vostro lezzo disonorati, e non più turbate l’ordine ammirabile posto da Dio nella gran massa degli enti morali. Cessate deh cessate [………] di alterare la fantasia de’ semplici colle vostre virtù apparenti: non guastate il senso comune degli uomini

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tori proponete onoratezza, e fatica ai vostri allievi, e vedremo l’aspetto del genere 65 umano cambiato: abiterà l’onestà nelle capanne, e la pace nelle città. Si vedrà il Turco abbracciato col Cristiano, e l’europeo fratello dell’asiatico. La concordia de vivi influendo sulla prosperità dei defonti, e quelli e questi produrranno l’armonia di tutto il gran corpo degli enti morali dovumque dispersi. Tale è il metodo di far fiorire le virtù negli stati, il quale ha formato nonche la somma dell’ultimo capitolo, 70 ma il disegno ben anco del presente trattato. O la felicità della spezie umana presente, e già passata, dove questo piano venisse eseguito! Ma che, o figlio delle mie cure già ti veggo nell’istesse tue fascie da una rabbiosa folla d’impostori soffogato. Sicchè o non ti smarrire, o cangiati col tempo in altra forma. E così ti libererai dal furore d’avide [mani]. 75 (8r)

Cap. 1.

Immortalità dello spirito umano 1. Qualunque volte rientrato in me stesso l’universo contemplo, e ciascuno suo componente, la memoria subito mi arresta, ora mi arresta, ora la continuata catena di tante cagioni, ed effetti, ed ora la seria di tante forze, movimenti, e convulsioni politiche a specolare. Ammiro in quella, come pochi germi elementari della materia per un afflusso e riflusso successivo di loro ingenita attività coll’addensarsi insieme, o discomporsi presentarci a momento nuove viste, e costantissime produzioni. Osservo in questa i rozzi principi della forza morale, i suoi lenti progressi, e le sue periodiche rivoluzioni, tutti effetti miracolosi di quella passione primitiva, la quale nasce e muore coll’uomo. Mi apre la natura il suo artifizioso meccanismo in tanti animali, vegetanti, e fossili, e fa cononoscere la tessitura delle loro parti, qualità, ed usi. Che anzi niente gelosa de’ suoi più riposti arcani m’introduce a spiare le stesse sue viscere, e non solo me ne mostra l’ossame, ma i mezzi ben anche onde la medesima si nutrisce e vive. Mi rivolgo all’uomo, cioè a quest’essere sempre famelico, e a prima | (8v) vista si fa trovare ignudo, e cacciare i suoi pochi bisogni co’ frutti acerbi, o con carne, e pesci crudi. Indi come destato da un lungo letargo si unisce co’ suoi simili, comunica loro le sue indigenze, e sempre più spinge oltre le sue forze moltiplicate. Di qui nuovi desideri da bisogni nuovi. Si mette a cicurire ed a rinserrare gli animali, gli assoggetta alla fatica, profitta de’ loro prodotti, squarcia la terra, la bonifica, e la fa più fruttare. Ed ingentilendo così e piante e terra, ed animali chiama a suoi soccorsi gli stessi fuggitivi elementi. Di quì l’industria, le macchine, gli stromenti, le scienze, e i comodi maggiori della sua vita. Di quì l’ori-

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67-68 de vivi] di questi pr. mano 69 dovumque] così il cod. 71 disegno] gran disegno pr. mano | o la] qual pr. mano 73 delle mie cure] de’ miei pensieri pr. mano | tue] agg. in interlineo 74 col tempo] agg. in margine 75 e così … d’avide] agg. in margine | mani] integrazione congetturale. Cap. 1. 6 specolare] Segue postilla in margine, di sec. mano: Le qualità interiori, ancorchè provenienti da oggetti esterni, pure da questi assai diverse, ci somministrano un nuovo argomento per la immaterialità dello spirito. Inoltre i sistemi scientifici 18 comunica … sue] e comunicano le loro pr. mano 22-23 Nota d’altra mano, in margine: Preconizza il vapore elettrico

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gine de’ suoni articolati, e della scrittura colla quale è gionto a farsi intendere agli uomini i più lontani di tempi, e di luoghi. Di quì in somma le tante arti di guerra, e di pace. 2. Alienato così da’ sensi, dopo aver all’ingrosso, e con rapidità portato il pensiero, ora nelle parti fisiche, ora nelle morali della natura, come scosso da un lungo e profondissimo sonno ho dimandato a me stesso: Quella forza, la quale mi fa | (9r) osservare ed intendere tante e così misteriose cose dell’universo, ella è in me un mero effetto di materia, o di spirito? 3. Se di materia, dimando, sendo anche di per se energica quanto si vuole, come la medesima pensa, giudica, e ragiona? Come per suo mezzo l’intricato intreccio del mondo io comprendo in modo, che mi dà l’animo di determinare a capello le distanze, le orbite, i periodi, le abberrazioni, i passaggi, le grandezze, i ritorni, e gli ecclissi tanto visibili, che invisibili di tanti corpi celesti? 4. Se di materia, anche dimando, come per mezzo della medesima io pervengo ad esaminare tanti fenomeni, che l’atmosfera terrestre mi presenta? La forza, la quale anima i bruti, fa veggetare le piante, e petrifica innumerevoli corpicelli? E se in me tutto l’anzidetto è effetto di materia, e adunque m’inganna con un senso, e disinganna con un altro, mi fa calcolare falsamente, e mi fa conoscere ad un tempo gli sbagli, ora ad un modo, ed ora in un altro mi fa giudicare sull’istesso soggetto? Che più? Ora mi urta, ed ora mi ritarda ad agire, mi fa volere e disvolere in un istesso istante. Olà non mi fate sentir più delirare, o materialisti. 5. Ma è forse un effetto di sostanza incognita, la quale appellasi comunemente spirito? Sia. Ma chieggo altresì a me stesso, cosa | (9v) mai è questa sostanza? O deggio alla cieca attribuire tanti prodigiosi atti ad un essere al tutto a tutti ascoso? Essa è con Epicuro, Dicearco, Aristotile, Aristosseno, Asclepiade, Galieno una qualità, ovvero una sostanza? Dico inoltre a me stesso, i Filosofi ignorando egualmente l’essenza del corpo, e dello spirito, che importa, che ‘l pensare si attribuisca a quello, o a questo? Il non volere ammettere la materia pensante, non è forse un voler limitare l’onnipotenza divina? Finalmente dicea tra me. Li superstiziosi sono come i soldati codardi d’una armata, il cui timore panico da essi concepito, subito il propagano a tutti gli altri. Il nostro è un soggetto meramente filosofico. Che ne risentirebbe di male e la fede, e la rivelazione anche dopo, che si arrivasse a provare, che Iddio habbia comunicato la forza di pensare alla materia? Non ha forse il medesimo dato il moto ai corpi celesti, e la forza di riprodursi agli animali, e alle piante? E la mia mente quasichè riscaldata mai sempre molinando mi proponea di vantaggio. Ma se lo spirito esiste, dove egli è? Des Cartes l’ha situato nella glandola pineale4, Lancisi nel corpo calloso5, un terzo nel centro ovale, chi in tutta la testa, chi nel solo cuore, e chi in tutto il corpo. Di più, | (10r) quale è la sua origine? Viene forse a dirittura dal cielo? Chi gli ha dato la notizia, e l’ha indirizzato? È forse errante, e corre alla

4 Cfr R. DESCARTES, Le passioni dell’anima, I, art. 31, in ID., Opere, a cura di E. Garin, Bari 1967, II, p. 420. 5 Cfr G. M. LANCISI, De sede cogitantis animae, in ID., Opera quae hactenus prodierunt omnia, dissertationibus nonnullis adhuc dum ineditis locupletata & ab ipso auctore recognita atque emendata, accurante P. ASSALTO, II, Genevae 1718, pp. 314-315.

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forza dell’odore? Ma se mai ritrova il feto non all’intutto organizzato, indispettito forse si cerca sito migliore? E dell’embrione, che ne sarà? E se a un tempo ci è un afflusso di spiriti, chi di loro cede? Così non sò se farneticando, o con meco stesso discorrendo sono passato più ore da questo a quello, e da quello a questo dubbio. Ma essendomi altra volta posto a ripensare sullo stesso soggetto, venni veramente a conoscere, che in niuna maniera puossi attribuire al corpo la forza di pensare. Portiamo adunque nel gran Tribunale della ragione la nostra ricerca, perchè la venga con fino giudizio esaminata. 6. 2° Coll’urto degli oggetti esteriori l’uomo percepisce la loro esistenza, ed allontanatosi dai medesimi quasichè li legge con ammirabile distinzione nel suo cervello cò tutti que’ segni, che l’accompagnano. Tale atto o è figlio della materia, o d’altra sostanza differente. Se della materia, bisogna adunque che sia un effetto di meccanica di fibre, e di fluidi del cervello, sicchè conviene dare tale e tanto numero di corde, o di fibre, quante sono le diverse immagini, le quali ci si presentano. O pure bisogna dire, che le varie oscillazioni d’una medesima fibra cagionino in noi le idee. Se mi si danno | (10v) tante fibre, quante per l’appunto sono l’istesse idee, ed essendo queste pressochè infinite, è necessario dire, che le fibre ancorchè poche in numero, nondimeno come sempre divisibili in altre, e queste in altre potranno contenere il gran numero delle idee. Il che è falso. Inoltre le fibre, le quali possono ricevere le compressioni degli oggetti, devon essere soltanto quelle collocate nella superficie del cervello, altrimenti non può arrivare il moto alle fibre interne senza scuotere ad un tempo tutte le fibre interposte. Nel quale caso, non una sola idea avrebbesi da un solo oggetto, ma l’istessa sarebbe moltiplicata in tanto numero, quante sono le fibre intermedie. Il che ripugna al nostro intimo senso. Donde ne risulta primieramente, che le nostre idee non si possono attribuire al moto delle fibre, e tra perchè esse sono in piccolo numero, e perchè ripugna alla loro tessitura. Se poi dicesi, che una medesima fibra a guisa di corda, la quale produce in tempi diversi diversi tuoni, cosi essa riceve e rappresenta nell’atto stesso più idee. In tal caso, data una contrarietà d’idee come una medesima fibra le può ricevere e rappresentare a un tempo? Ma sia. Dimando questa urtata produce una, o più vibrazioni? Se una. Dunque una sola idea può ricevere. Se più. Sicchè la prima riceva | (11r) l’esistenza del mio calamaio, la seconda la sua configurazione, la terza la sua grandezza, la quarta la materia, la quinta il suo uso. Fermata la fibra dove restano impresse le idee? Ma dato per vero, che le nostre fibre ricevano e contengano tutte le immagini de’ corpi esteriori, anche rimane ad essere distrigata l’origine delle idee secondarie o astratte, le quali sono in maggior numero. Le percezioni adunque non sono effetto di sostanza corporea. 7. 2° Il giudizio è un confronto di due idee tra loro per conoscerne il rapporto della loro convenienza o disconvenienza. Dalchè subito apparisce, che non si può formare giudizio senza del movimento di due fibre, le quali devono muovere una terza rappresentatrice del loro rapporto. Ciò detto, o le due fibre sono vicine, o sono tra loro più, o meno lontane. Dimando alla prima per rappresentare, necessita che le fibre sieno in moto, ma chi mai le muove? 2° poste una volta in moto, chi l’arre-

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sta? Forse un altra, ma chi muove e ferma questa seconda? Peggio, se le fibre sono tra loro estremamente lontane, perché le medesime non si possono muovere, senza rendere mobili ad un tempo tutte le fibre intermedie. Dimando in tanto tumulto di fibre, di moto, e d’idee, come potrebbesi giudicare? Ma l’uomo effettivamente giudica, e niuno è consapevole di così fatto sconcerto. Il giudizio dunque non può essere un prodotto del corpo. | (11v) 3°. Dove dal semplice confronto di due idee non ci si rende nota la loro convenienza, o disconvenienza, confrontiamo le due ad una terza per dedurne la convenienza o disconvenienza delle due prime. Da tale artifizio si capisce, che a volere che si formi il raziocinio, si richiede il moto almeno di tre fibre del cervello. Se dalle cose discorse, non si può col semplice movimento di due fibre sviluppare la natura del giudizio, molto meno colle oscillazioni delle medesime si può distrigare il grande arcano del raziocinio. Ma l’uomo ragiona, ed ha con tal mezzo ritrovato un numero senza numero di verità. Perocchè egli ha conosciuto l’ordine del sistema mondano, le sue forze generatrici, i tanti esseri, i quali popolano la terra, e le leggi, che il rendono durevole ed armonico. Ripugna adunque che il corpo ragioni. 8. 4°. Ad uno ad uno s’ingannano tutt’i sensi, e ciascuno di loro ha per così dire una giurisdizione ristretta e limitata. L’occhio non fa, che rappresentarci i colori, i movimenti, le grandezze, e le configurazioni de’ corpi: all’orecchio non dobbiamo, che i suoni: all’odorato gli odori, e i fetori. I sapori appartengonsi al solo gusto, ed in fine al solo tatto tutte le sensazioni del freddo, del caldo, dell’asprezza, e morbidezza de’ corpi. Dalchè ne siegue | (12r) che uno senso non può conoscere le diffalte dell’altro, e niuno senso le idee astratte. L’occhio adunque non può correggere l’odorato, né questo il gusto, nè il gusto l’udito, e nè questo il tatto. Di vantaggio coi soli sensi materiali in che modo si possono conoscere le assurdità, e le contraddizioni ideali? Ma abbiamo fallaci idee, fallaci giudizi, e fallacissimi raziocini. E a momento avvertiamo le assurdità e le contraddizioni nostre, ed altrui. E non si potendo nè conoscere, e né emendare dai sensi materiali chi adunque le corregge? Di quì ne siegue, che nè la conoscenza dei nostri errori, e nè la loro correzione a patto alcuno può convenire al corpo. 9. 5°. Bastimi anche per poco, ch’io rientri in me medesimo, e mi metta a trascorrere il mondo portatile delle mie idee, subito mi si affaccia la spezie umana. Veggo in un tratto le vicende degl’Israeliti, de’ Medi, de’ Persiani, de’ Greci, e de’ Romani. Veggo l’immensa distesa dell’America, e la sua scarsa popolazione. Veggo l’uomo sempre in ceppi, e sempre tra catene lottare con seco stesso. Veggo pochi uomini scorrere da un capo all’altro della terra e predarsi a vicenda. Veggo le arti, le lingue, le religioni, e gli stessi falsi numi nascere, e morire. In uno istante io passo a ragionare della distanza del sole dalla terra; ed in un altro passo dall’idea dell’universo a quella d’un atomo, dall’essere al niente, dal corpo allo spirito, e dalle verità fisiche alle intellettuali. Passo così delle volte intere ore a questa ed a quella cosa pensando, che mi piace chi potrebbe | (12v) ardire di arrestarmi? Non è forse questo il senso comune di tutti gli uomini? Come tal facoltà potrebbesi attribuire 112 Dopo nota è espunta la seguente frase di pr. mano: la terza, la quale contiene il rapporto della | confrontiamo le due] le confrontiamo pr. mano 125 solo] in interlineo 128 le] ha tante pr. mano

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alla materia, la quale necessariamente agisce per una sola direzione? La libertà adunque di pensare non è figlia di sostanza corporea. 10. 7°. Qualunque volte io ripenso alle molestie, che la loro coscienza ha dato ad Alessandro Magno, a Nerone, ad Antigono, a Teodorico Re de’ Goti per la morte data a Boezio Simmaco, al Duca Valentino, a Carlo V, e ad Errigo III, al quale a malappena postosi in letto gli sembrava di vedere il Cardinal di Guisa, che con il calice in mano gli rimproverava il sacrilego attentato, ritrovo, che questo non è altro, che il rimorso, il quale s’ingenera in noi dalla riflessione di qualche disobbedienza di legge. La storia è piena di tali esempi memorandi, i quali tralascio perché risaputi. Ora io dimando, egli potrebbe mai essere questo rimorso effetto delle nostre medesime fibre? Chi causa tal conflitto di fibre con fibre, e di fluidi con fluidi? Chi irrita la sensazione presente colla passata, e questa colla futura? La sensazione corporea coll’idea astratta della sanzione penale? Olà materialisti, confesso ingenuamente, che voi siete troppo materiali nel voler ispiegare tutti gli atti umani colla sola energia delle vostre fibre. La coscienza adunque non è prodotta dal corpo. 11. 8°. Sono nell’uomo alcune propensioni, o molte, per la cui forza ei trascorre al di là de’ sensi, e del bisogno attuale, come la verità gli è cara, l’onestà gli piace, la virtù lo accende, la gloria lo infiamma, | (13r) l’ardire il solleva, il timore lo deprime, la speranza lo rincora, l’onore il punge, il premio lo rianima, e la felicità lo ravviva. Ora mi si dica, questi, ed altrettali atti possono convenire alla materia quantunque si voglia energica? Donde deducesi, che le tendenze umane non possono competere alla corporalità. 12. 9°. Spesso alienato da sensi fo una lunga seria di fatti contro mia voglia. Inoltre cerco il cappello, e prendo il bastone; devo scrivere una cosa, e mi trovo d’averne scritta un’altra; devo sommare, e sottraggo; e delle volte determinatomi ad uscire di casa, senza punto avvedermene, io mi seggo. Se il tutto fusse prodotto di materia, chi dunque scompagna l’interno dall’esterno. I miei voleri, e disvoleri, come tante sensazioni, ed effetti dovrebbero mai sempre andare uniti coi movimenti del mio corpo. Se poi mi si dice, che parte delle mie fibre causano il moto interno, e parte di loro il moto esterno del corpo, questo dovrebbe accader sempre. Di più, io desto la mia attenzione, ed ecco distrutta la contrarietà. Bene. Ma l’attenzione donde è prodotta? 13. 10. Finalmente la comunicazione dei pensieri massime astratti è un altro argomento. Imperocchè dove nell’uomo tutto fosse materia, ed il nostro medesimo pensiero un atomo, in che modo un uomo con parole, segni, e scrittura il potrebbe comunicare ad un altro. Che più? Delle volte io sono ilarissimo, e festevole ancorchè mi abbia il corpo malsano; ed al contrario v’ha delle volte, in cui sono dolentissimo, e non sento addolorato il | (13v) corpo. Ma diamo in ultimo luogo, che la sostanza pensante fusse una, o un’aggregato di monade. Se mai è una, donde poi

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151 ad Alessandro Magno] agg. in interlineo 151-152 a Teodorico … Simmaco] agg. in interlineo senza richiamo 156 perchè risaputi sec. mano in margine] per non parer erudito pr. mano 159 corporea] materiale pr. mano 167 ora mi si dica] mi si dica che pr. mano 170 da sensi] agg. in margine 176 se poi mi si dice] o pure dicesi pr. mano 182 pensiero] agg. in margine

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deriva la moltiplicità, la contrarietà, e la dubbiezza de nostri pensieri? Ma se poi sono molte, come se ne evitarebbe il loro perpetuo conflitto? 14. Conchiudasi adunque che il pensare a patto alcuno non possa convenire alla materia, per quanto la medesima venga sottilizzata, e cimentata, perchè le ripugna alla prima la percezione, il giudizio, il raziocinio, poi la conoscenza degli errori, la memoria, la libertà, poi la coscienza, le propensioni agli abiti morali, l’attività, le distrazioni, e finalmente la comunicazione de’ pensieri, e la loro contrarietà, e dubbiezza. Donde ad evidenza si fa manifesto, che nell’uomo oltre al corpo, necessita altresì, che siavi altra forza, ed un’altra sostanza detta spirito. Donde anche si fa manifesto, che sendo il corpo di sua natura esteso, palpabile, visibile, colorito, configurato, mobile, e partibile, bisogna al contrario giudicare, che lo spirito sia una sostanza indistesa, invisibile, intangibile. Di più, che la medesima non abbia né figura, nè colori, e nè parti, ma che sia semplice, ed attiva. Ma tutto ciò che di per se è semplice, ed attivo dee necessariamente essere anco immutevole. Ma l’immutevole è di sua natura immortale. Ne siegue, che lo spirito umano sia immortale, come da quel che siegue. 16. La morte di qualunque essere non è | (14r) altro, che la risoluzione de’ suoi componenti. Disciolgasi l’organizzazione di qualunque animante, d’una pianta, e d’una pietra. Ecco la loro morte. Nell’uomo appellasi morte la separazione dello spirito dal corpo, ch’egli informa. Ora in quanto alla materia, di cui si compone il corpo, ad occhio è a tutti noto, che la torni a pigliare altre modificazioni, e quasi rigenerandosi passa nuovamente ad esistere sotto altra forma. Ma rispetto allo spirito, dico, ch’ei senza punto alterarsi come di sua natura immodificabile avrà una durata all’infinito permanente. 17. 1. Quella sostanza è mortale, la quale è risolubile ne’ suoi componenti. Viceversa ogni sostanza semplice come al tutto sfornita di parti, non si potendo risolvere, non dee essere mortale. Ma è stato appieno mostrato, che lo spirito umano è di sua natura semplicissimo. Sicchè il medesimo dee essere immortale. 18. 2°. Dove mai le sostanze semplici fussero soggette a qualche risoluzione, esse non sarebbero semplici. Ma lo spirito umano è semplice. Non è adunque risolubile. Ma quel che non è risolubile, è immortale. Dunque lo spirito umano è immortale. 19. 3°. Ma per poco, io voglio essere cortese coi materialisti, e dico, che se la materia stessa è indestruttibile, come potrebbe poi essere annientabile lo spirito da i medesimi voluto semplice? Potrebbesi forse cambiare l’atto divino dal volere al disvolere? Non è egli di per se immutevole? A che prò distruggere per nuovamente creare? Al quale sentimento consuona l’istessa rivelazione. Tale è stato altresì il senso comune dei più dotti Filosofi, | (14v) e Padri tanto Greci, che Latini della nostra Chiesa. Lo spirito umano adunque è immortale. 21. 4°. Chi conosce l’uomo, vede bene, che tutte le sue linee, e l’intera tessitura de’ suoi pensieri collimano sul gran principio della sua esistenza, e di anticonoscere la durata successiva, e permanente della sua vita futura. Di quì i suoi travagli, le fatiche, i viaggi. Di quì lo stimolo di farsi riputato, e glorioso. Che se mai un uomo prossimo alla morte osservasi pallido, ed angoscioso, ciò nasce dall’incertezza della 230 alla morte] agg. in margine

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nuova stazione, dal riverbero della sua vita già menata, e da un certo attacco contratto in questo stato con amici, parenti, e vicini. Ma non così morirono Socrate il tipo dell’uomo cittadino, nè così Attilio, Catone, Bruto, Attico, ed altri. Il perchè Ciro il maggiore presso Senofonte a gran ragione sendo vicinissimo a morire così disse a suoi Figliuoli: Non pensate, ch’io nel partirmi da voi, all’ntutto sarò per finire. Ora nel modo, ch’io sono stato tra voi, e il mio animo non abbiate veduto, ma essere in questo corpo delle cose da me operate, intendevate, così per lo innanzi credetelo esistente, ancorchè non sarete per vederlo6. 22. 5°. Aggiungasi a tutto questo la quasi comune, e non mai interrotta credenza di tanti popoli sì antichi, che presenti. Sono note le venerazioni, rispetti, sacrifizi, pompe fumenti, offerte, solennità, e ceremonie in onore de’ loro defonti. Il che volentieri corrobborarei cogli esempi, dove i medesimi non fussero risaputi. [23. 6°. Per ultimo non si tenga conto di raziocini, | (f. 15r) nè di Filosofi, e nè di credenza popolare. Non abbiamo forse ne’ ss. libri sì del vecchio, che del nuovo Testamento le più aperte, e luminose pruove. Nel Gen. 37 sendo stata l’insanguinata veste di Giuseppe portata a Giacobbe, questi penetrato da vivo dolore, gridò: Lugens ibo in infernum7. Di più, ne’ Num. 24, ed in più luoghi de’ Salmi, massime nel 15, 35, 48, e ne’ libri Profetali. Ma con maggior nettezza, ed energia è stata questa dottrina e insegnata e inculcata dal nostro divino Maestro. Nel che per tal modo convengono i sacri cronisti nel riferirla, ch’essi adoprino le medesime parole. Nolite timere eos, qui occidunt corpus, animam autem occidere non possunt8. È chiaro adunque, che lo spirito umano è indestruttibile]. 24. Ma non ostante l’estrema chiarezza delle preallegate ragioni, pure quei della setta di Epicureo, così si sforzano non che di debilitarle, ma distruggerle. 1°. Dicon essi, non si fa impressione veruna nel corpo, che l’anima non la senta, e nè si desta pensiero in questa, che non si propaghi in quello. Il che non si può immaginare senza del contatto, e questo è solo de’ corpi. 2°. Ciò, che dicesi mente, e ragione nell’uomo, essa nasce, cresce, decresce, e siegue per appunto la costituzione del corpo. Di qui è, che la pargoleggia negl’infanti, è adulta nell’età virile, e debolissima ne’ vecchi. Inoltre osservasi furiosa ne’ matti, baccante negli ubbriachi, lieta ne’ sanguigni, mesta ne’ flemmatici, i quali effetti sono tutti fisici. Essendo adunque questi, ed altrettali atti | (15v) tutti prodotti di meccanismo, ne deducono, che lo spirito umano è corporeo, e conseguentemente anch’esso risolubile ne’ suoi componenti, e con ciò mortale. 25. Al che rispondendo, dico alla prima che le vicendevoli sensazioni di tali sostanze sono da ripetersi dalle leggi della loro incognita unione. E perchè s’ignori la natura del corpo, e quella dello spirito, s’ignora altresì come l’una parte, e si fa sentire dall’altra. Chi mai ha dimostrato, che la sensazione sia solamente del corpo. Chi mai ha finora il tutto distrigato in modo, che non abbiamo a riconoscere altre

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238 credetelo] credetemi pr. mano 243-252 Il § 23 è espunto 254 Epicureo] così il cod. 254-255 dicon essi] agg. in margine 266 incognita] agg. in margine 6

CIC., Cato maior, XXII, 79. Gen 37, 35. 8 Mt 10, 28. 7

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sostanze in natura, salvo che quelle, le quali si presentano ai nostri pochi, e debolissimi sensi. È stato, e sarà mio sentimento che tra Dio, e ‘l niente, cioè fra questi due estremi termini ci sia una infinità di essere intermedi, de’ quali non si conosce da noi, se non che il corpo. 26. Rispetto all’altra obiezione, ripiglio, che le accennate modificazioni non sono da attribuirsi allo spirito, come spirito, ma sì bene allo spirito come unito al corpo, delle cui affezioni per una incognita maniera quasiche quello s’intinge. Opera forse costantemente l’istessa medicina in diversi corpi. L’aria forse è dappertutto la medesima. E suona egualmente bene, e fa conoscere la sua eccellenza un maestro di cappella, tanto se tocchi un cembalo scordato, che armonico? Ed ecco dove si riduce | (16r) la gran forza di ragionare dei materialisti. Ed ecco anche affortificata, e stabilita l’immortalità dello spirito umano. 27. Da ciò derivò, che Socrate convinto di queste, e d’altrettali ragioni accusato non volle perorare la sua causa, ma col calice del veleno in mano disse, ch’ei non andava a morire, ma a salire al cielo. Da ciò è altresì nato, che eserciti interi, intere popolazioni allegri sono andati ad incontrare la morte. Ed un certo Eggesia seppe così bene animare gli uomini all’altra vita, ch’essi in folla concorrevano ad uccidersi, per cui dal Re Tolomeo gli fu proibita la scuola9. Donde si vede che lo spirito umano è stato creato per la futura, e non già per la presente stazione. Il perché Dante sensatamente cantò: Non v’accorgete voi, che noi siam vermi, Nati a formar l’angelica farfalla10.

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Da tutto ciò ancora si vede, che lo spirito umano partecipando della natura divina, Cicerone sensatamente scrisse, che il medico non è paragonabile, se non chè all’istesso Dio11. (16v)

Cap. 2°

Esistenza d’una legge eterna

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1. Quando ai tanti fenomeni della natura, quando alle sue tante forze genitrici, e quando all’unità e costanza delle sue leggi io medito, così mi sollevo al di sopra della materia, che quasi non sento più me stesso in me, e la fralezza disprezzo di questo corpo, il quale come a dispetto con velame impenetrabile l’istesso mio spirito mi occulta e nasconde. Guardo l’universo, ed ammiro le sue perpetue, e suc275 come] agg. in interlineo 284 a salire] ascendere pr. mano 285 Dopo popolazioni è espunta la seguente frase: e tanti milioni di martiri christiani 287 che] agg. in margine 293 Cicerone … che] agg. in margine Cap. 2, 1 Nota di mano seriore in margine: Vedi se è consono con l’idea di Vico o se diverga. Mi pare che Longano non esce dalla Legge naturale […..] sulle Nazioni 9

Cfr. CIC., Tusculanae disputationes, I, 34, 83. Purg., X, 124-125. 11 Cfr. IPPOCRATE, De decenti ornatu, § 5, in ID., Opera omnia graece & latine edita, et ad omnes alias editiones accomodata, accurante J. A. VAN DER LINDEN, I, Lugduni Batavorum, apud Danielem, Abrahamum & Adrianum a Gaasbeeck, 1665, p. 55: «Medicus enim philosophus est deo aequalis». 10

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cessive composizioni, e risoluzioni: considero la natura di queste, e non trovo, se non che diverse modificazioni di moto: analizzo le forze motrici, e tutte le rinvengo nella sola centripeta. Esamino per ultimo a che collima quest’unica forza cosmologica, e ritrovo, ch’ella comprende la conservazione di me, della mia spezie, degli altri esseri, e dell’istesso universo. Allora tra me dico, Ecco il fine architettonico di questa stupenda macchina mondana. Ecco il soggetto da confondere da una parte gli ateisti, e da obbligare dall’altra ogni uomo a render conto delle sue azioni al grand’Architetto dell’universo. Ecco la vostra regola enti morali. Olà il vasto soggetto, ch’io mi propongo quì a distrigare, e col più gran conato, perchè alla tua esistenza io devo, o divinissima legge l’immortalità del mio spirito; a te la sicurezza della mia attuale e futura felicità, tanto isolato, che compagnevole. 2. Primieramente quanto mai i Greci comprensero sotto dei loro famosi tre regni, e tutto | (17r) quello, che ci presenta a specolare il globo terrestre, ed esso è racchiuso in tante spezie, e spezie di specie di animali, di fossili, e di veggetanti. Ma spiati entro cotai esseri, i medesimi non sono, che tante circolazioni degli stessi germi elementari. Perocchè ad occhio osserviamo le particelle di piante risolute passare a formare, e a nutrire gli animali: i componenti di questi passare in quelli; e finalmente quelli e questi entrare nella composizione de’ fossili. Donde si fa manifesto, che le tante produzioni dell’universo richieggono altrettante risoluzioni, e si fa altresì manifesto, che sì quelle, che queste non sono altro, che vari combinamenti degli stessi principi genitali. Ma donde mai tante produzioni, e risoluzioni di tali primi principi? Senza uscire dalla Fisica, scorriamo con rapidità la meccanica del gran sistema mondano, e determiniamo le sue forze genitrici finora note. O forse si potrebbero dare le generazioni, e le corruzioni senza delle forze? Il che sendo assurdo, perché non si dà effetto senza d’una cagione proporzionale. Sicchè le forze vitali della natura devono necessariamente esistere. Ma quali sono? 3. Alla prima non è possibile il potersi dare formazione alcuna di corpo grande, o piccolo, senza che le particelle componenti si condenzino insieme per mezzo della forza di coesione, o attraente. Sicchè la prima forza vitale dell’universo è quella di attrazione interna, o di coesione. 4. Dove mai un essere qualunque non si opponesse alle impressioni esterne, e non resistesse | (17v) agli ostacoli, non si potrebbe affatto conservare. La reazione adunque è l’altra forza vitale. 5. Non puossi dare produzione di essere, senza darsi la risoluzione d’un altro. Questa richiede la divisione. Ma che sarebbe, dove questa si potesse portare all’infinito? Mancarebbero in tal caso i primi componenti, e senza di questi non ci sarebbero esseri composti. Sicchè la impenetrabilità anch’entra nella seria delle forze vitali. 6. Non si dà conservazione di essere, dove questi non tiri a se tutto il bisognevole analogo alla propria spezie, e propria costituzione: e non iscanzi, ed allontani da se tutto il notevole. L’uno di tai impeti dicesi amore, l’altro odio. Dunque e questi, e quelli entrano tra le forze vitali della natura. 7. Di vantaggio in qualunque si voglia parte della materia portato qualsivoglia 19 comprensero] così il cod.

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corpo, o che lasciasi sospeso in aria, o giacente sopra un piano, mai sempre esercita su di esso una forza premente. La gravità adunque è un altra forza vitale. 8. La vita è una sensazione dell’essere, che la gode. Ma si danno in natura esseri animati. Sicchè la forza sensiente è forza vitale. 9. La vegetazione è quella regolare azione de’ fluidi per i vasi della pianta, senza della quale circolazione, la pianta perirebbe. Ci sono in natura gli esseri veggetanti. La forza adunque di veggetazione è altresì forza vitale. 10. Per ultimo v’ha in tutti gli esseri sensitivi una interiore commozione o piacevole, o dispiacevole. Di quì i loro appetiti e passioni. Sicchè gli appetiti entrano anch’essi nella seria delle forze della natura. | (18r) Che più? Si danno nell’uomo alcune ingenite propensioni, come essere curioso, sapere la verità, essere onesto, distinguersi, ed altrettali molle ed elateri, i quali non sono figli dell’educazione, ma della medesima natura. Donde ne siegue, che tra le forze genitrici e vitali, conviene altresì annoverare le propensioni umane. Donde altresì ne siegue, che le più principali forze vitali della natura, almeno in quanto al senso, sono primieramente l’attrazione, la espulsione, e la reazione: poi la impenetrabilità, la gravità, la sensibilità; e poi la vegetazione, le passioni, le tendenze. Ma qualunque esamina ad una ad una tutte le preallegate forze, e ne voglia fare la riduzione, egli troverà altro, che moto? Alla pruova. 11. Sulla prima il moto è il passaggio, che fanno i corpi da un luogo in un altro. Di più nella natura non si dà produzione d’un essere, senza risoluzione d’un altro. Inoltre non può darsi nè generazione, e nè corruzione senza delle forze. Sicchè generalmente ogni forza vitale, o genitrice della natura è una forza di moto. Il che detto in generale, vengo a ciascuna delle anzidette in particolare. 12. 1°. Ripugna la generazione d’un essere, o il suo aumento, senza l’avvicinamento ed attacco di altri corpicelli. Ma questa unione non si può dare senza del moto. Sicchè la forza attraente è forza di moto. 13. 2°. Dato, che in natura ci sieno, come in effetto ci sono le riunioni di corpicelli, | (18v) necessita, che questi sieno stati allontanati da altri corpi. Ma tale allontanamento non si può concepire senza del moto. La forza adunque repellente è anch’ essa forza di moto. 14. 3. Niuna sostanza almeno a noi nota, puossi conservare, se la non si procuri tutt’i mezzi analoghi alla propria specie, e costituzione, e non rigetti le cose notevoli. Ma ciò non si può conseguire senza della propensione dell’amore, e dell’odio. Sicchè queste due forze sono forze motrici. 15. 4°. Ciascun essere è di per se tirato a conservarsi. Ma non si può conservare se non fassi resistenza a chi tende di distruggerlo. E nè può resistere senza scomporsi ed irritarsi. La reazione adunque è moto. 16. 5°. Dovunque si dà corruttibilità, deesi anche dare risoluzione di parti. Tutti gli esseri corporei sono corruttibili. Sono adunque tutti divisibili. Ma dove si dà divisione, si dà anche moto. Sicchè la partibilità di per se è moto. 17. 6°. Non si dà corpo in natura, il quale non gravita, venga questa da forza 70 corporei] agg. in margine

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intrinseca, o estrinseca. In ogni caso il suo effetto è sempre il moto. La forza di gravità è forza di moto. 18. 7°. Non si dà vivente, il quale non respira ed ispira. Così tutti gli animali, e tutt’i veggetabili. Ma dove ci è respirazione, ed ispirazione, bisogna che ci sia un perpetuo afflusso, e riflusso di particelle a loro analoghe. Il che non può darsi senza del moto. Sicchè la forza animante e veggetante sono forze motrici | (19r) 19. 8°. Per ultimo ogni essere vivente è altresì sensiente. Inoltre la sensazione è una mera reazione eccitata dagli urti degli oggetti prementi. Ma dalle cose anzidette la reazione consiste in un moto. La sensazione adunque è anch’essa forza di moto. Donde anco ne risulta, che tutte le passioni, e le tendenze umane non essendo che tante sensazioni, o loro effetti, devon essere tante forze di moto. 20. Tutto ciò dimostrato, se non appieno, almeno secondo il bisogno del presente trattato, che se in ultimo luogo, mi riuscirà analizzando le forze del moto ridurle tutte all’unica forza centripeta, io avrò su nuove traccie sciolto il gran problema proposto dell’esistenza della legge naturale. Al proposito. 21. Primieramente ogni forza della natura a noi finora nota è forza di moto. Questa o è semplice, o composta. Ogni moto adunque anch’esso, o è semplice, o composto. 22. 2°. Se la forza è semplice, sempre agisce direttamente. Se poi le forze sono molte, allora o le medesime sono cospiranti, o nò. Le cospiranti tendono ad un istesso scopo, altrimenti a diversi. Sicchè qualunque moto in natura o è diretto ad uno, o a più scopi. 23. 3°. Di vantaggio tai corpi, o sono mossi da forze proprie, o comunicate. Se da proprie forze, eccole centripete. Se da comunicate, esse in apparenza sono centrifughe, ma in effetto le medesime sono | (19v) centripete, perchè sono tirate da forze maggiori. È chiaro adunque che qualsivoglia movimento di corpo, o ch’egli sia semplice, o composto cospirante, o centrifugo, esso è mai sempre centripeto. Il che bastimi per lo moto diretto. 24. In quanto al curvo, o misto è prodotto da collisioni di forze egli non può essere, se non che circolare, parabolico, ellittico, cicloidale, o altro. Ora chi non sa, che tai movimenti sono effetti di conflitto di forze portate a centri diversi? E chi non sà, che le medesime analizzate non sieno tante forze semplici, e con ciò centripete? 25. Conchiudasi adunque dalle cose finora discorse, 1° che tutte le forze vitali della natura sono forze motrici; 2° che le motrici sono tutte centripete. Donde anco è da conchiudere, che tutte le forze vitali sono anch’esse centripete. Ma in fine cosa, che cosa mai in se stessa contiene questa unica forza cosmologica, se non che la legge di perpetuare la conservazione dell’universo, e di ciascuno suo componente tanto fisico, che morale in ogni loro stato. 26. Alla prima in tutte quelle cose, nelle quali la confusione massima, non è possibile il poterci rinvenire effetti stabili, successivi, e ordinati. Ora basta portare una occhiata anco rapida nella natura per osservarne la costanza puntuale dei ritorni

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degli stessi effetti, ancorchè vari, come è chiaro dalla fisica, ed astronomia. In essa adunque dee esserci ordine. | (20r) 27. In secondo luogo, sempre che le parti componenti l’universo sono così disposte tra loro, che in esse ci si ammirano vicendevoli avvicinamenti, e allontanamenti equabili, e misurati, bisogna, che le medesime abbiano ordine. Ma in effetto con misurate distanze, periodi, ed orbite passeggiano nell’immensità dello spazio mondano e pianeti, e stelle, e comete. Sicchè tutt’i corpi celesti, i quali sono tante parti dell’universo sono nell’ordine. 28. Per terzo l’ordine è figlio della precisa osservanza di tutt’i legami, e di tutte le leggi, onde la natura si conserva. Le quali tolte, essa si scompone, e si perturba. Essendo adunque la natura ordinata, necessita, ch’ella abbia le sue leggi. 29. Finalmente è stato dimostrato, che tutte le forze, e le leggi, onde la natura, ed ogni sua parte agisce, sono centripete. Inoltre la forza centripeta è forza di propria conservazione. Donde ad evidenza ne risulta, che la natura nel suo tutto insieme, e in ciascuno suo componente voglia conservarsi. Il che resta meglio affortificato dalla considerazione degli esseri particolari. 30. 1°. È troppo noto, ch’ogni sostanza tanto esiste, quanto la medesima si conserva una; e subito, che cessa di esser una, cessa anche di esistere almeno sotto di quella forma. Infatti a conservare la propria unità sono portati tutti gli esseri dell’universo. Ecco perché urtati, i medesimi riaggiscono, ed oppongono una resistenza infinita. Il che non si osserva solo ne’ corpi grandi, ma negli stessi principi genitali. E chi non sa, che la reazione in tutt’i corpi equivalga alla forza dell’azione? in ogni tempo, e luogo? Donde ne siegue, che tutti gli esseri amano la loro esistenza. Di vantaggio tutti gli esseri | (20v) animaleschi, veggetanti, e fossili costantemente si riproducono con leggi invariate. Donde altresì ne siegue, che in tutte le sostanze ci sono due forze primitive: una di conservare gl’individui, l’altra la propria specie. 31. Ed internandomi sempre più nel proposto soggetto, ch’io ho alle mani, dico che quella forza, la quale nelle piante, e ne’ fossili chiamasi reazione, ne’ bruti appellasi sensazione, ed irritazione, ed istinto. Ed il medesimo è così veemente, che per conservarsi, e difendersi dalle insidie i medesimi combattono a tutto sangue. Si osservino i loro viaggi, le loro società, le cautele, i pascoli, i ritiri, la scaltrezza. In fine il senso di riprodursi, e l’amore per i loro parti hanno la medesima forza. Quest’istesso è il senso comune di tutt’i volatili, pesci, ed animali sì terrestri, che aquatici tanto grossi, che microscopici. Sicchè è da conchiudere, che qualsivoglia essere della natura ama di esistere, e di moltiplicarsi. Ed in questa seria di sensazioni, e di bisogni entra altresì l’uomo, come animale. Vediamolo ora sotto il nobile aspetto della sua ragione, la quale ho mai sempre avuta per un raggio di lume celeste, il quale a guisa di fiaccola accesa, anche a traverso di tanti affetti, ed urti esterni, così ci conduce in questa vita, che possiamo nell’altra essere pienamente contenti. 32. Alla prima ogni uomo, il quale agisce, è sempre mosso da qualche fine, e questo fine è il bene fisico, o morale, presente o futuro, sia apparente, o reale. Egli è questo un teorema dimostrato colla pratica dell’uomo | (21r) in ogni suo sta126 le sue] agg. in interlineo piccoli pr. mano

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to. In fatti son altro mai tutte le passioni umane altro, che modificazioni diverse dell’istesso amor proprio? Si analizzi l’amore verso degli altri, l’odio, il timore, la speranza, il desiderio, la vendetta, la gelosia, e tal altro affetto, sono mai altro che solo amore di se stesso? Ora nel modo che tutte le forze motrici si riducono alla sola centripeta, così tutte le nostre passioni all’unico amor proprio. A tutto questo collima il nostro istinto, e le nostre piacevoli, e dispiacevoli sensazioni. Diciamolo esistere, e riprodursi è il destino di tutti gli esseri sensitivi, e con ciò anche dell’uomo. 33. Ma perché un tal essere, oltre ai bisogni fisici presenti, corre anco dietro agli immaginari, a quei di comodo, e di lusso per la comunicazione delle sue idee. Di più, essendo l’uomo un essere atto nato all’altra vita, perciò gli è stata data la ragione, donata la legge, e creato capace di sentir quella, e di osservare questa. Donde conoscesi, che in astratto tutta la legge di natura è la medesima somma ragione, o volontà di Dio radicata negli stessi essenziali degli esseri. Ciascuno agisce in forza della medesima, ed a capello obbedisce alle sante mire del loro supremo essere. Tutto il divario consiste ne’ mezzi di esercitarla. Perocchè i corpi inerti la fanno valere colla loro reazione infinita: gli esseri viventi colla loro forza di sensazioni, e d’istinti: ma all’uomo, ed a questo essere cotanto privileggiato gli è stata la sua regola comunicata | (21v) nell’istinto, e sensibilità rispetto alla conservazione del suo corpo, in quanto poi al suo spirito nel senso morale, e nella ragione. Ci guida il primo ne’ casi semplici e impensati: ci regola l’altra nella complicazione, e difficoltà degli affari. L’uno ci mena all’onestà per un principio di meccanismo, l’altra per forza di evidentissime deduzioni. E finalmente e quello, e questa ci diriggono alla felicità presente, e futura. 34. Questi sono gl’interni sentimenti della natura sì fisica, che morale. Questa è la tua coscienza, o uomo. Obbediscono tutti gli altri esseri dell’universo alle sue leggi per meccanismo, tu solo in forza della tua riflessione, ma sopra principi così luminosi, e stabili, e vibranti, ch’essi si fanno sentire dall’istesso Samoieda. Donde ne siegue, che tutte le altre scienze sono sottoposte a diverse vicende, e risoluzioni, quest’unica perirà coll’uomo. Che se i mattematici si vantano, che la sola Geometria è evidente, chiara, e dimostrabile, dico, che quella è figlia delle astrazioni; e la legge morale della natura. Quella è appoggiata all’idee, questa alle proprie sensazioni. Quella è attaccata all’immaginazione, questa ai nostri successivi bisogni. Quella è un prodotto d’ingegno, questa è figlia degli essenziali di tutti gli esseri. In fine l’una ha luogo nelle sole menti | (22r) colte, l’altra in tutti gli uomini, e quella fiorisce in alcuni tempi, laddove l’altra ha la sempiternità divina. La scienza morale adunque è più evidente della Geometria 35. Donde si fa manifesto, che l’uomo senza legge sarebbe meno d’un bruto, perchè sendo la legge il rapporto necessario, il quale passa tra gli essenziali di qualunque essere. Sicchè a voler disputare, se l’uomo abbia o nò la legge, che il dirigge è l’istesso, che ricercare se mai ci sieno nell’uomo i suoi essenziali. Di cui non v’ha cosa ad udirsi ne più assurda, e nè più sciocca. 36. Ma lasciate le ragioni astratte, il nostro argomento acquisterà lume maggiore, e rimarrà sempre più corrobborato, dove si voglia scorrere la storia antica, e

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168 l’uomo] agg. in interlineo 203 Dopo tempi sono cancellate (e perciò pressoché illeggibili) le seguenti parole: […]sto di alcuni […] di persone | l’altra] agg. in margine

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moderna de’ popoli. Si sà, che l’oriente sia stata la prima culla dell’uomo. Si sà, che i Caldei, gli Assiri, gli Eggiziani si possano gloriare d’essere stati i primi a coltivare le arti, e le scienze. In fatti, come avrebbe Ermete nell’Egitto, come Zoroastro fra Persiani, potuto rendere prosperi quegli stati, se mai essi non avessero saputo filosofare sulla natura dell’uomo, sendo troppo noto, che bona mens omnibus patet, omnes ad hoc sumus nobiles12. 37. I Cinesi antichissimi, assai prima di Confucio coltivarano la scienza morale, nel modo, che ci assicurano il P. Cuplet: Confucius supra quincentos | (22v) annos ante Christum sit natus, doctrina tamen illa, et principia politico-moralia quæ ab eo posteritati traduntur, identidem affirmat non esse sua, sed a Yao, et Xun Legislatoribus accepta13. 38. Rispetto ai Greci gli apologhi di Esopo sono noti a tutto il mondo. E il famoso Fabrizio nella sua Biblioteca, ci assicura che prima di Esopo eranvi stati degli altri molti, i quali aveano tenuto il medesimo modo di moralizzare14. Altrettanto riferì Plutarco. Sono noti i sette savi della Grecia. Ma dopo, che Socrate padre della Filosofia, e dell’onestà greca ebbe applicata questa scienza a migliorar l’uomo, istillò tale e tanto spirito di moderazione, e di virtù, che sino a noi sono già pervenuti i codici dell’umana leggislazione nelle opere immortali di Senofonte, di Platone, di Aristotile. Che più? Si ponderino le leggi di Minos, di Dragone, di Licurgo, di Caronda, di Solone, e di molti altri, non già Formatori, ma riformatori dei governi di Creta, di Atene, di Sparta, e dei Locresi; e si troverà, che tutte le loro leggi stanno in quelle della natura generalmente impiantate. Ma dopo la morte di Epicuro la Filosofia inimica degli animi codardi, come indispettita della viltà de’ Greci, se ne passò in Italia, perché meglio | (23r) brillasse la sapienza romana. 39. Lo stato del dritto naturale, oltre a molti altri è rappresentato, come in un quadro da Cicerone, Seneca, M. Aurelio, ed Epitteto. Le cui opere sono così sensate, e piene di umanità, che nel corso di tanti secoli in esse nulla si è potuto torre, aggiugnere, o modificare. Cicerone illustre consolo Romano gran Filosofo, grand’Oratore, gran statista insieme ci lasciò un trattato su le leggi della natura, ch’ei distinse assai bene dalle civili. Il suo trattato degli Uffizi si può ragionevolmente appellare l’evangelio della ragione. Leggansi le sue quistioni Tusculane, il libro de Amicitia, quello de Finibus bonorum, et malorum, l’altro de Senectute, de Fato, de Natura Deorum tutti collimano al nobile scopo di migliorare, e di perfezionare l’uomo in ogni suo stato. Onde scrisse: Hæc philosophia nos primum ad Deorum cultum, deinde ad jus hominum, quod situm est in generis humani societate, tum ad modestiam, magnitudinemque animi erudivit15. Ma che sarebbe la legge senza della 219 assicurano] così il cod.

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SEN., Ep. ad Lucilium, 44, 2. P. INTORCETTA – C. HERDTRICH – F. ROUGEMONT – PH. COUPLET, Confucius Sinarum philosophus, sive Scientia sinensis latine exposita, Parisiis, apud Danielem Horthemels, 1687, p. XIV. 14 Cfr. J. A. FABRICIUS, Bibliotheca Graeca, sive Notitia scriptorum veterum Graecorum, quorucumque monumenta integra, aut fragmenta edita exstant: tum plerorumque e mss. ac deperditis, I, Hamburgi 1714, pp. 381-382. 15 CIC., Tusculanae disputationes, I, 26, 64. 13

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sanzione penale? Onde negli Uffizi: ulciscentur illum mores sui16. Ed a che la legge, e la sua sanzione penale, dove lo spirito non fusse immateriale, ed immortale? Di qui anche scrisse: animorum nulla in terris est origo. Itaque quicquid sentit, sapit, | (23v) vivit, et viget cœleste est, ac divinum; ob eamque rem æternum sit necesse est17. 40. Dopo Cicerone Seneca Maestro di Nerone ci diede molti pezzi isolati della giurisprudenza naturale, e né la potè meglio farla sentire, che in quelle poche parole: quicquid nos meliores, beatosque facturum est, aut in aperto, aut in proximo posuit natura18. Ed altrove parlando della società dell’intero genere umano: hæc societas diligenter, et sancte colenda est, quæ nos omnes omnibus miscet, et judicat esse alienum comune jus generis humani19. Ed altrove: ut singula inter se membra consensiunt, servare totius interest, ita homines singulis parcent, quia ad cœtum geniti sumus. Salva enim esse societas, nisi amore et studio partium non potest20. Tutto è vibrante, e sodo in questo famoso, ma ricco stoico. 41. Epitteto altro stoico, ma povero, ancorchè di condizione schiavo, pure fu libero nel pensare. Egli era Frigio compatriota di Esopo, si trattenne in Roma, finchè Domiziano ne cacciò tutt’i Filosofi, perché non vi fusse in Roma chi notasse, e reggistrasse le sue scellerità. Si ritirò in Nicopoli, dove non mai migliorò la sua fortuna. È famoso il suo Manuale ripieno di sodissimi insegnamenti morali, i quali sono così energici, e vibranti, che il | (24r) non esserne urtato è segno di stupidezza, o di coscienza incallita ne’ vizi. Per conto del Dritto naturale ei riconosce in tutti gli uomini alcuni semi ingeniti, e quasi scintille di onestà, di bene, di male, di giusto, d’ingiusto, di verità, e di doveri negletti, o praticati, i quali risultano dalla norma, che l’istesso Dio ci ha dato. 42. Finalmente M. Aurelio, il quale portò uno spirito più esteso del suo vasto imperio, fu anch’esso stoico. E ben conveniva, che dopo tanti mostri morali fusse salito sul trono chi avesse minorato le pene della schiavitù umana. I suoi 12 libri pieni del più gran senso d’umanità non si saprebbero leggere, senza sentirsene penetrato, e senza ammirarne l’autore. Ei mostra alla prima trovarsi nel mondo morale, come nel fisico i mostri: ripone la natura del bene nell’onestà, e nella disonestà quella del male. Indi ci anima a non mancare ai nostri doveri, e come uomini, e come posti in dignità. Soggiugne, che un uomo, il quale pensa a migliorarsi da giorno in giorno è da aversi per divino. Passa in seguito a dire, che la legge consistendo nella nostra medesima ragione, ed essendo tutti gli uomini ragionanti, hanno adunque tutti a seguirla. Donde poi ne deduce la conformità di operare, perché siamo tutti cittadini d’una medesima cittadinanza universale. | (24v) Fu sua costante massima, che dovunque si può vivere, si può anche ben vivere. Ci inculca per ultimo a vivere coi Dei, e termina il tutto con dire, che colui vive coi Dei, il quale ai loro ordini obbedisce. 43. Tali sono i sentimenti d’un imperante rischiarato amico del cielo, e dell’uomo. O la felicità del genere umano, dove tutt’i potentati pensassero, ed agissero per tal modo! Ma seppolta Roma nelle proprie rovine, ed essendo con essa perite

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CIC., Ep. ad Atticum, IX, 12, 2. CIC., Tusculanae disputationes, I, 27, 66. 18 SEN., De beneficiis, VII, 1. 19 SEN., Ep. ad Lucilium, 5, 48. 20 SEN., De ira, I, 31, 7. 17

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ben anche tutte le arti, e le scienze, ed una notte d’ignoranza avendo ricoperta la atmosfera del sapere siccome poco si praticò l’onestà, la giustizia, così nemmeno ne fu scritto. Ma rinata la coltura nel decimo quinto secolo, quella dell’ingegno, della Filosofia, e della Giurisprudenza naturale formarano epoca colla rivoluzione degli affari politici di Europa. 44. Sono immortali le opere di Grozio, di Seldeno, di Obbes, di Puffendorff, di Cumberland, di Burlamachio, di Wollaston, di Wattel, di Ubero, di Wolfio, e di altri senza numero, massime Tedeschi, de’ quali chi ha impreso a trattare il dritto naturale dell’uomo in ogni sua parte, chi in quanto ai semplici doveri. Chi ha illustrato un autore, e chi confutato un altro. Il perché si può francamente dire, che questa scienza tra le parti della Filosofia è stata | (25r) più d’ogni altra meglio discussa, e illustrata. 45. Ma non ostante tanta chiarezza, e forza di ragioni da me finora arrecate, tanto prese dal congegno, e per così dire concatenatura dell’universo, quanto dalla notizia di tal legge avuta in ogni tempo, e luogo, nondimeno gl’inimici della verità anche più sacrosante gridano ne’ loro scritti, ciarlano in pubblico e in privato, che non v’ha in natura legge alcuna, che l’uomo è un essere limitato alla stazione presente, e che perciò nulla ha a temere, o a sperare in una vita futura. Così i ribelli della ragione, quali conviene sentire, e non punto disprezzare. Che anzi sono stati temuti dall’istesso Cicerone. Il perchè dopo aver stabilito i suoi principi della legge naturale, scrisse: perturbatricem autem harum omnium rerum Academiam, hanc ab Arcesila, et Carneade recentem, exoremus, ut sileat. Nam si invaserit in hæc, nimias edet ruinas. Quam quidem ego placare cupio, submovere non audeo. De Legibus 1° cap. 1321. (25v)

Cap. 3

Esame, e confutazione delle obiezioni

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1. Non è nostro proposito di proporre, disaminare, e confutare, quanto mai i ribelli della ragione hanno opposto intorno al nostro argomento, ma sì bene le loro più principali obiezioni. Esse sono state colla più gran forza affacciate dal nostro amico D. Carlo Antonio Pilati (Esistenza della legge nat., Ven. 1764)22. Sicchè nel modo, ch’egli l’ha presentate, le verrò quì brevissimamente a porre in mezzo, e a confutarle. 2. 1°. Dove Iddio avesse voluto assoggettar l’uomo a qualche legge morale, gli avrebbe a un tempo seminato nella sua natura tutt’i mezzi opportuni e a conoscerla, e a praticarla. Perocchè sarebbe vana la richiesta del fine, senza facilitare e contribuire alle maniere di conseguirlo. Per conoscere la legge, bisognava fornir l’uomo di ragione sempre dritta, chiara, e luminosa. Per farla eseguire, era necessaria una volontà pronta, vigorosa, e costante. Ma la prima è oscura, e offuscata;

15 288 la] il nostro pr. mano 289 del sapere] agg. in margine Cap. 3, 6 amico] agg. in margine | Esistenza … 1764] nota nel margine inferiore 21 22

CIC., De legibus, I, 39. C. PILATI, L’esistenza della legge naturale impugnata e sostenuta da C. P., Venezia 1764.

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l’altra siegue la forza di educazione. Donde gl’impugnatori della legge naturale, conchiudono o che Iddio non ha dato veruna legge all’uomo, o che si ha manifestata ai soli dotti, mediante i loro sforzi intellettivi. E dato, ch’ella fusse nota soltanto a costoro, e che i medesimi fussero obbligati d’instruire gl’idioti, come si occorre alla loro disparità di giudicare? | (26r) 3. Questa difficoltà ancorchè a prima vista sembri inestricabile, pure la sua falsità subito si manifesta. Primieramente dimando, È sempre oscura e fallace la ragione umana, massime in fatti di morale? In secondo luogo: La volontà è tale, che sempre fatalmente si determina secondo gl’impeti dei nostri appetiti ancorchè scorretti? Ecco la debolezza di chi oppone. Alla prima: È mai altro la legge di natura, che il complesso di regole di conservare il nostro essere, del quale ci appartiene il diritto, di conservare la propria spezie? Ora essendo tali regole relative ai nostri bisogni attuali, de’ quali ci rendono avvertiti le nostre medesime sensazioni, e queste determinano la nostra libera facoltà di agire, dimando nuovamente. La ragione può essere oscura, e fallace, quando essa sia prodotta da sensazioni reali piacevoli, o dispiacevoli, nella cui natura consiste la bontà, o la malignità degli oggetti esteriori? Di quì è, ch’io convengo cogli avversari, che per conoscere la legge ci bisogna una ragione retta, ma disconvengo da essi, che la medesima di rado, o non mai sia tale, mentre dati i principi chiari, e reali come sono tutte le nostre sensazioni, la ragione che ne risulta, dev’essere anch’essa dritta e luminosa. E lo svario, che frammezza fra Cicerone, Seneca, M. Aurelio, Epitteto e il volgo de’ Romani non è altro, che quelli con maggior forza di raziocinio, e dai suoi principi osservavano la necessità di essere sociale, laddove la minuta gente non faceva che sentire la sua natura, la quale chiaramente le si manifestava nelle proprie sensazioni, bisogni, senso morale, e nell’istessa ragione. | (26v) 4. Il che provato ne siegue, che la nostra volontà non è figlia solo dell’educazione, e del senso comune, ma della medesima ragione. La volontà non fa altro, che correr dietro ai lumi progressivi di questa. E se delle volte, esso non è bastante a frenare l’impetuosità degli affetti soverchio veementi, non hassi ad attribuire a mancanza di ragione, ma a debolezza di forza nella volontà relativa a quella degli appetiti per allora insuperabili. Ma quanto rari sono tai casi? Che anzi il supremo essere ha posto un certo equilibrio tra la nostra ragione, e i nostri appetiti, il quale è questo. Se gli appetiti sono soverchio veementi, essi sono di cortissima durata; se di poca forza sono durevoli. Ma questo perchè? Perché la volontà sia sempre in istato di dominarli. Donde per ultimo conchiudo, che se l’uomo opera male non nasce da mancanza di ragione, o di legge, ma dal disprezzo che si fa della medesima. Esiste adunque la legge di natura. 5. Si obbietta in secondo luogo, che se Iddio avesse sottoposto il genere umano a qualche legge, i suoi dettami incancellabili sarebbero da tutt’i popoli della terra in ogni luogo, e tempo con religione somma praticati. Ma questo è falso, perchè ciò che detesta una nazione, l’altra senza scrupolo siegue. Così il parricidio, l’omicidio, l’adulterio, il furto, la galantaria, ed altrettali in varie contrade della terra a un tempo fanno orrore, gloria, e indifferenza. Basta portare una vista anco rapida 23 si determina] agg. in margine margine

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sulla storia antica, e moderna per rimanerne convinto. La legge | (27r) adunque di natura non esiste, perchè la sarebbe di tutti gli uomini d’ogni secolo. 6. Risposta. Perchè si determini una forza universale, bisogna, che anche il fenomeno, ovvero l’effetto sia tale, altrimenti si erra, mentre è fallace una conchiusione generale dedotta da pochi casi particolari. Di tal fatta è il sofisma già esposto. Per essere fondata l’opposizione, è necessario scorrere tutt’i popoli antichi, tutt’i popoli moderni, e indi manifestare l’incostanza, e la varietà inassignabili dei loro dettami. Che cosa mai provano quattro, e dieci nazioni rispetto alla gran massa del genere umano? Di vantaggio si rubba, si adultera, si scanna, si bugìa, si tradisce, si può adunque e rubbare e adulterare, e scannare, e buggiare, e tradire impunemente perchè non v’ha legge, che tali cose vieta. O la ben tirata conseguenza! Chi non vede, che questo non è ragionare, ma precipitare. Anche in Napoli si fa altrettanto, e dove nò, contra gli stessi divieti de’ Principi. Hassi adunque a conchiudere, che in Napoli, e in tanti altri luoghi sono permesse le infamità? Forse in Napoli, ed altrove non ci sono milioni di persone, le quali detestano tali cose? Che più? Non volete far conto dei pregiudizi politici. Sicchè esiste la legge naturale. 7. In terzo luogo, si dice: Gli stessi Filosofi più consumati, ed attriti nella lettura dei libri, e nelle più profonde specolazioni; di loro chi ha negata apertamente | (27v) e chi ha dubitato della verità in generale, e ci sono stati di quelli, che in particolare hanno combattuta l’esistenza della legge di natura. Sono presso di tutti famose le sette dei Cirenaici, Accademici, Epicurei, Stoici, Pirronici, si sa finalmente, che Carneade in Roma in un giorno perorò a favore, e in un altro a disfavore della giustizia. Onde è, che Lattanzio scrivendo di tal Filosofo, disse: Erat facillimum justitiam radices non habentem labefactare, quia tum nulla in terra fuit, ut quid esset, aut qualis a Philosophis cerneretur (Instit. lib. 5 cap. 14)23. 8. Questa difficoltà è manifestamente falsa, 1° perché se alcuni di tali Filosofi, ed anche sette dubitarano, il loro dubbio nascea da mancanza di evidenza, la quale essi non sempre trovavano. 2° né tutti negarano l’esistenza della legge. 3° anche nell’ippotesi, ch’essi concordemente l’avessero negata, che mai provano contro il nostro senso interno comune. Che se Carneade perorò tanto in disfavore, che a favore della giustizia, prova altro mai, che un sforzo di eloquenza? Si aggiunge, che Carneade parlava della giustizia umana, non già divina. Anche Diodoro Crono si sforzava di combattere l’esistenza del moto, non era forse convinto, ch’egli si movea? In oltre dato tutto per vero, se ne dedurrebbe forse altro da tale obiezione, che ragionano meglio i Cafri, i Caraibi, gli Irochesi, che tai Filosofi? | (28r) [Finalmente quanti altri anche Filosofi l’hanno conosciuta, e insegnata? In quanto a Lattanzio, ed ai primi padri della nostra chiesa, e in particolare quei del terzo secolo falsamente notati d’ignoranza da Barbeirake24, è da dire, che i medesimi furono soverchio attaccati alla religione di Cristo, per cui disprezzarano la Filosofia Pagana. Un tale poco ragionevole entusiasmo si è successivamente propagato 82 Instit. … 14] nota nel margine inferiore mente espunto 23 24

93-100 Finalmente … citato] passo intera-

LACT., Divinae institutiones, V, 14. Cfr. J. BARBEYRAC, Traité de la morale des Pères de l’Église, Amsterdam 1728.

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agli odierni Casillisti, i quali detestano qualunque coltura di ragione, ed hanno in tale orrore chiunque si applica allo studio del Dritto naturale, ch’essi il riputano profano. Ed ecco risposto anche alla quarta obiezione nel libro già citato]. 9. In quarto luogo s’impugna non esistere il Dritto naturale, perchè avendo per iscopo l’amare i suoi simili, l’uomo non fa, che amare se medesimo. Egli non cerca che il proprio vantaggio, e l’utilità reale, o apparente attuale, o futuro. Questo è lo spirito dell’uomo isolato, e compagnevole, e ne meno di tanto sieguono le stesse Città, le Rep(ubbliche), e i Principati. Ed i bruti non agiscono altrimenti. Dove trovasi adunque il dritto della natura? Non filosofava forse sensatamente Carneade, quando ci dicea: Sola est utilitas, justi prope mater, et æqui25? e Tacito: id aequius, quod validius26. Così i nostri avversari, a quali in questo punto voglio loro mostrarmi una volta cortese. | (28v) 10. Sia l’utilità propria la nostra guida. Dimando. Ti è utile, o nocevole l’assassinare un altro? Ti è utile, o nocevole il perturbare il tuo vicino? Finalmente ti è utile, o nocevole il beneficare un bisognoso? E ti [è] utile, o nocevole il promuovere gl’interessi del tuo prossimo. Se tu rispondi, che ti è utile l’assassinare, e il perturbare un altro, nuovamente ti dimando, Sono, o nò irritabili, e riagiscono gli altri uomini? Se mai ripiglierai di nò, tu non conosci punto l’uomo, e non ne puoi ragionare. Se poi rispondi, ch’essi sono elastici, irritabili, e vendicativi, dunque per tuo vantaggio non li devi nuocere, perchè i medesimi risentendosi ti debbano offendere. È adunque vantaggio il non causare loro male veruno. Inoltre tu soccorrendo ai bisognosi anco con tuo incomodo, di nuovo dimando Loro fai bene, o male? Mi dirai, che loro fai del bene, sicchè ti si dee la gratitudine. Ecco il tuo utile. Mi si dica, essendo la l egge naturale, la legge del nostro utile vero, non già apparente, potea forse essere quella del solo nostro vantaggio? O la bella legge! Che se i bruti fanno altrettanto, il fanno per loro istinto, e per forza delle loro sensazioni, laddove l’uomo lo cerca per istinto, sensazioni, senso morale, e ragione. Quelli non sanno operar altrimenti, noi operiamo alla libera, e con ragione. In quelli il dritto naturale è puro meccanismo, nell’uomo è più riflessione, che istinto. Donde anco | (29r) ne deduco, che la legge di natura esiste. 11. Obiettano inoltre i difensori della licenza: Dove mai esistesse il preteso dritto della natura, esso non potrebbe andare discompagnato dalla sanzione penale, e con ciò i suoi trasgressori dovrebbero essere puniti, e al contrario premiati tutti quei, che l’osservano. Ma i più malvaggi sono i più fortunati, i più ricchi, i meglio alloggiati. La storia civile è ripiena di tai fatti. Ora senza sanzione non si dà legge. Sicchè èuna chimera il Dritto naturale. 12. Questa difficoltà quantunque abbia tutta l’aria d’insolubilità, ciò non ostante esaminata nel suo fondo, facilmente si scioglie. Non sono puniti i trasgressori della legge di natura? Dimando, Se tu sei intemperante, non isconcerti il tuo mec-

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101 quarto sec. mano in margine] quinto pr. mano 103 che] in margine 114 nuovamente sec. mano in margine] io pr. mano 116 e vendicativi sec. mano in margine] e che riagiscono pr. mano 130 al contrario] agg. in margine 25 26

HOR., Sermones, I, 8, 98. TAC., Annales, XV, 1.

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canismo sì fisico, che morale? Se tu fai male al tuo prossimo, quello riurtando forse non ti opprime? Se lo rubbi, o scortichi, non temi forse di soffrire altrettanto? Se tu mentisci chi più ti crede? Se tu assassini chi in appresso più ti difende? Fatto un male, la tua medesima coscienza non ti dilania? Che se alcuni pochi dal volgo stimati fortunati, dopo tanti misfatti impuniti, gioiscono, è apparenza. Perocchè essi portano un interno giudice, che loro accusa, e condanna insieme nella società medesima. Non vediamo forse alla giornata alcuni portati sulle ali della loro nequizia, poi finalmente cadere? | (29v) Ed all’opposto si veggono delle persone oneste delle volte oppresse, non risorgono poi portate a volo dalle loro medesime virtuose azioni? 13. In quinto luogo si aggiunge, che se mai ci fusse il dritto naturale nell’uomo, questi l’avrebbe osservato, e l’osservarebbe anco oggi, dove ei trovasi nel suo stato primitivo. Il che è falso, mentre in tale stato non ci è, che una perpetua guerra di tutti contra tutti. Arrecano in compruova molti esempi di popoli selvaggi al presente sussistenti in varie contrade della terra. L’istesso ab. Genovesi nel vol. 4 cap 6 della sua Metafisica ha scritto: Naturalem autem hunc statum inter adultos homines esse mutui belli, non ego dubito. Nam27 etc. Sicchè non si dà dritto naturale nell’uomo. 14. Questo fu il sentimento di Obbes nel suo Cittadino. E si sà, ch’egli per far la corte a Carlo II suo scolaro scacciato da Inghilterra pretese di mostrare, che l’uomo è uno schiavo nato. Libro ancorchè ripieno di apertissime contraddizioni, pure è stato copiato in questa parte da molti oltramontani, e nostri. Convengo, che spesso sono in guerra i Chirochesi, i Samoiedi, i Cafri, gli Ottentotti. Dimando Sono sempre in pace tra loro gli Europei? La guerra di quelli è passaggiera, di questi è decennale. Quelli combattono quasi disarmati, e alla rinfusa; questi armatissimi, e disciplinati; quelli per soli bisogni fisici, questi per beni ideali. Ivi | (30r) guerreggiasi in persona, quivi per mestiere. Quelli per difendersi attaccati da loro nemici, questi per ingrandirsi. Diciamolo, l’uomo non è, e nè fa male, s’egli non venga irritato. La sua natura è docile, e mansueta, la prava educazione lo guasta. Esiste adunque la legge di natura. 15. Si obbietta di vantaggio: Quanto mai è nell’uomo, non è se non che un prodotto di abiti, tutti figli dell’educazione. Senza assistenza non darebbe un passo, non articolerebbe suoni, non avrebbe idee, e con ciò sarebbe privo di giudizio, di riflessione, e di raziocinio. In una parola tutto è pregiudizio in lui così altamente radicato, che si venera infino alla tomba. Donde deducesi, che la pretesa legge non è, che un bel ricamo fatto dai Genitori sul bianco fondo della natura dei loro allievi. 16. Anche in questo punto voglio mostrarmi gentile ai miei oppositori. Sia quanto mai è nell’uomo tutto effetto di educazione paterna. Dimando, Se una cosa non è prima in potenza, potra mai ridursi in atto? Ed al contrario, dato che lo sia in atto, bisogna anche che la sia in potenza. Ora l’uomo, se per forza d’educazione 145 loro] in interlineo 148 ei] in interlineo 157 ancorchè] agg. in margine sti] in margine 176 anche sec. mano in margine] adunque pr. mano

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27 A. GENOVESI, Elementa metaphysicae mathematicum in morem adornata, Neapoli 1756, IV, 6, p. 53 nt. a.

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egli sente la legge, la conosce, e la pratica, Conviene adunque che la medesima gli sia insita, e la educazione non ci ha altra parte, che di svilupparla, altrimenti qualunque sforzo sarebbe disutile. Esiste adunque la legge di natura. 17. Dicesi inoltre. Iddio se mai avesse dato la legge all’uomo, ce l’arebbe dato, perchè l’avesse osservato, ma questi l’ha sempre | (30v) disprezzato anche a petto di tanti predicatori. Imperciocchè predicò Noè coll’arca; predicò Abramo, Isacco, Giacobbe, Moisè, i Profeti, e l’istesso Gesù Cristo; predicarono in fine tanti venerandi, e dotti padri della Chiesa, e sempre invano. A che fine adunque? Essa non è adunque insita nella nostra ragione, ma è più tosto un ingegnoso ritrovamento dei Principi, e dei Sacerdoti per così profittare della dabbenaggine dell’uomo in generale ignorante, e vile. 18. Questa obbiezione è la medesima che l’antecedente. Dicesi: L’uomo è stato sempre malvaggio. Dunque è tale di sua natura. Sicchè eccolo senza legge. O la bella conseguenza! Dicasi meglio, L’uomo è stato sempre malvaggio, perchè ha sempre disprezzato la legge. Sicchè l’aver disprezzato tante predicazioni, altro, non se ne deduce, che la sua propensione al male. E questo sforzo di vincere i suoi appetiti, e quello che il rende più virtuoso, e capace di premio maggiore. Donde è da dedurne, che la norma morale esiste, e che la medesima non è una invenzione umana. Quanto meglio filosofò Cicerone ne’ suoi divini libri delle leggi, allorche scrisse: quod si populorum jussis, si principum decretis, si sententia judicum jura constituerentur, jus esset latrocinari, jus adulterare, jus testamenta falsa supponete, si hæc suffragiis aut scitis multitudinis probarentur. Quæ si | (31r) tanta potestas est stultorum sententiis, atque jussis, ut eorum suffragiis natura vertatur, cur non sanciunt, ut quæ mala perniciosaque habeantur pro bonis, ac salutaribus? Aut cur, cum jus ex iniuria lex facere possit, bonum eadem facere non possit ex malo? Atqui nos legem bonam a mala, nulla alia, nisi naturæ norma dividere possumus. Nec solum jus, et iniuria a natura dijudicantur, sed omnino omnia honesta ac turpia. Nam et communis intelligentia nobis notas res efficit, easque in animis nostris inchoavit, ut honesta in virtute ponantur, in vitiis turpia. Ibidem cap. 1628. 19. In ultimo luogo si dice: Dove mai la legge di natura fusse data all’uomo, gli sarebbe ben anche stata conferita l’indifferenza di agire. Ma ripugna l’arbitrio di libertà nell’uomo, perchè la medesima si collide colla provvidenza divina. Sicchè è assurdo, che siavi nell’uomo ombra di norma morale. In fatti il gran Consolo Romano non potendo la libertà del suo arbitrio conciliare colla provvidenza divina, negò questa, e Baile scrisse, che Cicerone avea conchiuso da gran Dialettico. Risposta. 20. È la provvidenza la legge eterna, colla quale il supremo Essere governa il mondo. Questa legge contiene la conservazione del medesimo. L’uomo, il quale è una parte di questo universo, reggesi adunque con parte di tal legge relativa alla sua costituzione fisica, | (38v) e morale. Collima adunque la legge umana all’istesso scopo della provvidenza divina. Il perchè questa non si collide con quella, essendo

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190 sempre malvaggio] sempre in interlineo 191 altro] prediche ed altro pr. mano 195 delle leggi sec. mano in margine] degli offizi pr. mano 28

CIC., De legibus, I, 43-44.

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la prima un ramo dell’altra. Ma dove è nell’uomo la libertà? Essa consiste nella scelta de’ mezzi analoghi ai bisogni umani. Così l’ordine cosmologico detta all’uomo: Conservati. Questi sceglie i mezzi propri. Ed ecco la libertà collegata coll’ordine inalterabile del gran sistema mondano, ancorchè tra i Teologi ciò sia un mistero. Per ultimo, se Baile anch’esso gran Dialettico abbia scritto, che Cicerone nel distrigare cotal punto avesse conchiuso da gran Logico, io ripiglio, che neppure Baile conchiuse bene. Dimando, Quando nel paragonare due termini fra loro, i medesimi non sono distinti, necessita sospendere il giudizio. Il che posto, di nuovo dimando Era distinta nella mente di Cicerone l’idea della provvidenza? Di vantaggio conoscea il medesimo a fondo la natura di Dio, l’ordine mondano, e l’essenza stessa dell’uomo? Ora se tali cose gli erano oscure, bisognava adunque più tosto sospendere, e non azzardare il suo giudizio. 21. Posso adunque dalle cose fin quì discorse francamente conchiudere, che una legge eterna regola il mondo, del quale l’uomo essendo una sua parte, sicchè è sottoposto | (32r) alla medesima. Ho mostrato di vantaggio, che il perno a cui tal legge sta appoggiata è appunto la conservazione dell’universo. Sicchè la specie umana come una sua parte, hassi ben anche a conservare. Tale è il senso comune d’ogni essere della natura, il quale si fa sentire nei fossili, e nei veggetabili colla loro reazione, nei bruti coi loro istinti, e sensazioni, e finalmente nella spezie umana nelle loro tendenze, appetiti, istinti, senso morale, e ragione. 22. Donde altresì posso conchiudere, che il gran codice della ragione umana si riduce a questi precisi dettami: 1° quell’uomo, il quale sente la sua volontà particolare è un nemico della sua spezie: a volere adunque operar bene, ciascuno rettifichi se stesso, e a guisa d’un fluido si equilibri con tutti quei della sua spezie. 2° La volontà generale non è altro in ciascuno individuo, se non che un atto puro della sua ragione, la quale vigorosamente sentesi nel silenzio delle sue passioni su tutto ciò, che l’uomo può esiggere da’ suoi simili, e sopra quanto questi possono pretendere da lui. A voler adunque sentire la voce di Dio, ciascuno senta la sua coscienza. 3° Questa interna considerazione della volontà generale della propria spezie, e del suo comune desiderio, è la regola della condotta relativa d’uno all’altro particolare nell’istesso corpo | (32v) civile, d’un particolare d’una società rispetto ad un’altro di società differente, e tra società e società. Perocchè la massa del genere umano è come una gran volta, la quale si sostiene per mezzo d’una reciproca forza di coerenza, onde una pietra attaccasi coll’altra. 4° Donde si capisce, che la sommissione delle volontà particolari alla volontà generale è il vero legame delle società anche criminose. O la bella virtù rispettata nell’istesse caverne de’ fuoriusciti! 5° Donde anche si capisce, che nel dare le leggi all’uomo, bisogna che le medesime obblighino tutti, altrimenti l’essere solitario è un violento ragionatore. 6° Di due volontà una generale, e l’altra particolare, potendo questa errare, e quella nò, s’intende che a proccurare la felicità del genere umano converrebbe, che la forza legislatrice fusse presso di tutti i soli saggi. 7. Di quì anche intendesi, quale rispetto si dee ai potentati asiatici, i quali hanno riuniti nelle loro volontà particolari la leggittimità e infallibilità della volontà generale. Tali regole, se tu ragioni o uomo, ti sono evidentissime;

258 di tutti i] dei pr. mano

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ma se poi non vuoi ragionare, rinunzi alla qualità d’uomo, ed abbiati come un essere disnaturato. | (33r) 23. Ma tu dici: Sento in me la forza di esercitare i miei doveri, perchè sento quella de’ miei, e degli altrui dritti. Ma chi mai mi guida se le tendenze mi lusingano, l’istinto non si fa sempre sentire, il senso morale delle volte mi abbandona, i miei affetti sono in conflitto tra loro, la mia ragione non si sente, come in tanta complicazione di forze io posso intendere il mio interesse, e quello del genere umano, ed obbedire alla superna voce della natura, la quale è quella stessa di Dio? 24. Rispondesi, che i tuoi dritti dell’esistenza, e de’ mezzi si fanno così chiaramente sentire in forza dei principi, ed elateri già posti, che le tue medesime obbligazioni ti si presentano da tuoi bisogni figli indivisibili delle tue interne commozioni. Devi a Dio come a tuo superiore l’amore della virtù, e l’osservanza delle sue leggi. Il perchè sforzati di rendere il corpo soggetto alla ragione, e questa al tuo Creatore. Per conto de’ tuoi simili, amili come te stesso. Faccia il bene alla società umana, che il farai anche a te medesimo, mentre non potrai conservare, et migliorare il tutto, se non conservi e migliori a un tempo te stesso. Da ciò nasce, che sendo tu obbligato di prosperare la tua spezie, sarebbe un patentissimo assurdo il volerla offendere, o deteriorare ne’ suoi dritti. Questo è tutto il codice della tua ragione. | (33v) 25. Così fatta è l’armonia prestabilita da Dio nella tua specie, o uomo. Se la alteri, eccoti reo. Se la promuovi, ti fai degno di premio eterno. Ma come tu questa limiti alla sola stazione presente, avendoti fornito di spirito immortale? Bisognava adunque o che Iddio ti avesse fatto tutto fisico per non sentire la legge morale, o che ti avesse fornito di norma, per non ti astringere alle obbligazioni, o in ultimo luogo, che ti avesse dato uno spirito destruttibile per non esiggere conto delle tue azioni in una vita futura. Ma avendoti l’Essere supremo dato una legge, che ti guida, ed uno spirito che non mai muore, necessita adunque che ti presenti al Giudice tuo creatore in una vita futura. Sulle ali adunque della guida a te già indicata preparati a ben goderla.

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Cap. 4

Esistenza dell’altra vita, suoi premi, e sue pene 1. Se v’ha ricerca in Filosofia nè più difficile ad intendersi, e nè più malagevole a distrigarsi quanto il luogo, e condizione insieme dell’altra vita, così quella della sua esistenza è a tutti chiara. L’una è sconosciuta agli stessi Teologi inspirati, l’altra non che è manifesta al Filosofo, e ai sacri scrittori, ma è il senso comune della spezie umana. La prima sta intimamente attaccata all’idea dello spirito, come spirito, onde trascorrendo questi gli stretti limiti della nostra ragione attuale, ci dee essere al tutto incognita. La seconda come unita alla cognizione, che noi abbiamo del corpo, e dei nostri atti, ci è nota. Che sarebbe, dove qualche spirito fusse tra noi tornato, e lo stato ci avesse descritto dell’altro mondo? Quale consolazione non intese il tiranno superstizioso, allorchè udì dal Colombo, che ci erano altri

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287 sulle] orsù sulle pr. mano | adunque] in interlineo | già] in interlineo Cap. 4, 3 se sec. mano in margine] non pr. mano 4 quanto il] del pr. mano | così] non così pr. mano 5 è a tutti chiara] agg. in margine

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popoli da incatenare? Il nostro Archita Tarantino illustre mattematico desiderava di visitare le sfere celesti per comunicare ai suoi compatriotti i suoi lumi. La nostra curiosità và più avanti, essa influirebbe a vantaggio del genere umano, posciachè non v’ha pensiero, il quale tanto macera e contrista il nostro | (34v) interno, quanto quello della nostra condizione futura. Ma come tu cammini, parli, pensi, ti ricordi, ragioni, e ne ignori il modo? Tu guardi tanti luminosi pianeti, comete, e non sai che cosa i medesimi sono? Che! non ti è ancora tutta nota l’istessa superfizie terrestre, e poi pretendi di penetrare tale arcano divino? Cessi, deh cessi una volta di farneticarci di vantaggio. Ma sia qualunque la natura dell’altra vita, richiede il filo del nostro intrapreso discorso, richiede il nostro interesse, che quivi se ne mostri l’esistenza, e l’esistenza insieme de’ suoi premi, e delle sue pene, effetti indivisibili di quella norma morale, che Iddio ti ha altamente instillata negli stessi tuoi sensi, petto, e ragione. 2. Alla prima. L’universo, il quale somministra tutt’i materiali del suo ragionare, siccome da tanti innegabili impronti in tanti luoghi della terra, si deduce, che il medesimo è più antico di quel che ci raccontano alcuni storici, così anco deducesi, ch’esso non sarà mai per essere annientato, non per mancanza di potenza nel suo Creatore, ma perchè l’atto divino non passa mai dal volere al disvolere, e nè da questo a quello. Il perché sono oculari le perpetue, e successive rivoluzioni di tutti gli esseri | (35r) corporei di questa terra. Dee adunque esserci altresì una crisi universale, onde il tutto insieme quasi che si ripurga, e in ogni sua parte si depura. Pongasi mente alle feste luttuose degli Ateniesi, a quella della Dea Siria presso degli abitanti di Ieropoli. A questo collimarano le festività Pelori dei Tessali, i giorni Saturnali dei Babilonesi, Persiani, Sciti, Italiani. Che! non aveano forse il medesimo scopo i giuochi Eleusini? Di più, i tanti pellegrinaggi in lontanissime contrade, il numero grande degli anacoreti, ascetici, e le tante ceremonie nelle feste commemorative celebrate da tanti popoli antichi? In fine d’onde mai si destò nel volgo il pregiudizio, e il panico timore degli ecclissi, e delle comete, se non che dall’idea tante, e poi tante volte per tante rivoluzioni, e catastrofe riscaldata nella umana intorno alla prossima venuta del gran Giudice supremo? 3. Dicasi adunque, che il mondo, che siccome da tempo in tempo si è quasi rinovato, così con lentissima, e | (35v) interminabile marcia sarà altresì per l’innanzi da rinnovarsi. Di vantaggio nel modo, che il continuo passaggio degli elementi è per essi in ogni loro nuova forma quasi che una nuova vita, così lo spirito, come di sua natura impartibile continuerà mai sempre in una medesima maniera di esistere, sicchè bisogna, che a dirittura passi da questo in un altro mondo. Da questo corporeo allo spirituale. Da questo gran misto di beni e di mali, di confusione ed ordine civili, di scienza ed ignoranza, di travaglio e di quiete, di fantasia e materialità, di servitù e signoria all’altro tutto ordine, tutto lume, tutto riposo o tormento, tutto reale, tutto uguaglianza di natura. Esiste adunque l’altra vita. 42 che sec. mano in interlineo] come pr. mano 44 nel] del pr. man. 46 rivoluzioni] agg. in margine 50 Dopo Ieropoli è espunta la seguente frase di pr. mano: e dei Tabernacoli celebrata dagli stessi Israeliti 52 Dopo Eleusini è espunta la seguente frase di pr. mano: secondo il Sig.r di Voltaire, immagine dell’odierno Fragmasonismo 66 o tormento] agg. in margine

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4. È stato alla lunga provato, che lo spirito umano è immortale. Bisogna adunque che ci sia altra vita. Altrimenti, sarebbe a dirsi, che gli spiriti restino sempre quivi erranti, o pure che i medesimi vadano ad informare altri corpi organizzati della seria stessa degli animali. Nel primo caso, essendo gli spiriti di loro natura attivi, dimando: In un mondo sensibile e materiale, che cosa essi farebbero? Rimarrebbero forse oziosi? Il che sarebbe contra la natura degli spiriti di loro natura attivi. Nel secondo caso, secondo il | (36r) sentimento di Pittagora, conviene dire, o che gli spiriti perpetuamente passino non solo nell’organizzazione umana, ma ben anco in tutte le spezie, e nelle spezie di spezie degli esseri animaleschi, come anche oggidì credono i Bracmani, e gl’Indiani. Di quì è, che Pittagora, secondo tal sentimento apparato dagli Eggiziani spacciava, ch’egli si trovò nella guerra di Troia col nome di Euforbo, poi risorse col nome di Ermotimo, indi pescatore di Delo, e chiamossi Pirro, e finalmente col nome di Pittagora. A ragione quindi Lattanzio lib. 3 cap. 18 esclamò: O miram et singularem Pythagoræ memoriam! O miseram oblivionem omnium nostrum, qui nescimus, quid ante fuerimus! Sed fortasse vel errore aliquo, vel gratia sit affectum, ut ille solus lethæum gurgitem non attigerit, nec oblivionis aquam gustaverit, videlicet senex vanus, sicut otiosæ amiculæ solent, fabulas tanquam infantibus credulis finxit29. Si conosce bene, che quanto mai sognò alla prima Ferecide, e poi Pittagora, ed altri si risente di troppo fanciullaggine filosofica. Ma dato, che siavi tale trasmigrazione di anime, dimando. Errano le medesime in perpetuo, o sino ad un termine prestabilito? Esse non hanno ad errar | (36v) sempre, perché essendo esse incarcerate ne’ corpi, luendorum scelerum caussa, come sentì Platone, e l’istesso Cicerone nel principio del suo trattato de consolatione30. Sicchè dopo un dato periodo d’anni, o di secoli, necessita, che le medesime ritornino nell’altra vita. 5. Ma a che prò tante tendenze così vive all’onestà, alla gloria, all’onore, alla distinzione, al sapere, a ritrovare tante verità incognite, e alla beatitudine, quando esse fossero per natura limitate alla sola vita presente? Di vantaggio a che prò tanta scontentezza in questa per un pendio fallacissimo di godere nell’altra, dove questa fusse favolosa? Inoltre a che prò la legge morale, quando a conservarsi nell’attuale stazione sarebbero stati sufficienti il solo istinto, e le sensazioni? Che più? Disobbedita la legge, o pure che vale lo stesso, dopo che uno ha operato contra la propria coscienza, perchè questa il rimorde e cotanto il maltratta? Per ultimo d’onde mai nasce in noi il conflitto tra ‘l bene morale e fisico, tra ‘l bene presente e futuro, quando il tutto fusse ristretto alla sola condizione attuale? Queste riflessioni contengono un grado tale di evidenza, che la si fa sentire con tutta la forza dell’istesso idiota. Ecco | (37r) perché instituisce i suoi figliuoli, rispetta i suoi simili, è patriota, venera i superiori, obbedisce alle leggi, sente gl’insegnamenti, disfama i famelici, disseta gli assetati, soccorre in tutto ai bisognosi, osserva il giuramento, non lede i dritti altrui. Ma non così, dove fusse convinto del contrario. Ciascuno sarebbe offensore dell’altro, non ci sarebbe osservanza di fede, e l’istessa morte o lenta, o accelerata gli sarebbe indifferente. Oltre a ciò niuno senso di virtù sarebbe in lui, e

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77 tal] il pr. mano 29 30

LACT., Divinae institutiones, III, 18, 15. Ibid., III, 18, 18.

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la spezie umana a malappena posta al mondo, sarebbesi da gran tempo da per se stessa distrutta. Donde conoscesi dalle cose di già dette, che ancorchè i tanti mezzi, de’ quali Iddio ci ha forniti, ci conservino in questa vita, nondimeno essi altresì collimano a prosperarci nell’altra. Questa adunque esiste. 6. L’ordine del gran sistema mondano non si può conservare senza d’una immediata assistenza divina. Di vantaggio l’uomo non potrebbe nè esistere, e nè conservarsi felice in ogni suo stato, dove il medesimo non si trovi in un certo flusso e riflusso di piaceri, e di dolori relativi alla sua costituzione fisica, e morale. Per terzo l’armonia universale del mondo richiede una data subordinazione di esseri, i quali si trovano nella gran seria delle cose create, come gli anelli in | (37v) una immensa catena. In quarto luogo perchè gli enti morali operino uniformemente alle mire del loro Creatore, bisogna che siano pienamente convinti, che ogni loro trasgressione di legge sia punibile, e che l’osservanza venga premiata. Donde si fa manifesto, che il grand’Essere eterno debbia essere provvido, buono, sapiente, giusto, e sensibile. Ma se è tale, come è stato già dimostrato, è necessario adunque che esista un altra vita, 1° perchè la provvidenza richiede, che tutti gli esseri sieno felici. Sicchè lo spirito umano separandosi dal corpo, e perseverando ad esistere, come di sua natura immortale, bisogna che siavi un altro mondo dopo di questo. 2° Essendo Iddio la sorgente indisseccabile d’ogni bene umano, conviene che siccome l’uomo è in ogni suo stato beneficato, così anche lo spirito partendosi da questo vada in altro. 3° Iddio è sapientissimo, e perciò campeggia tant’ordine, e tanta subordinazione in tutt’i suoi esseri, nell’ippotesi, che lo spirito fusse immortale, non sarebbe forse un’apertissima contraddizione il non voler ammettere l’altra vita? Aggiungasi a tutto questo, che l’idea di giusto per parte degli enti morali importa, che loro si dia un | (38r) piano di leggi, di cui i medesimi sono suscettibili, ed importa per parte di Dio, ch’ei tenga conto della loro obbedienza, o disobbedienza. Ora limitati tutt’i premi, e le pene alle naturali, non sarebbe forse questo mondo fatto più tosto per i malvaggi e scellerati, che per le persone oneste e virtuose? Il che essendo un patentissimo assurdo, ne siegue, che dopo di questa vita siavi l’altra per lo spirito umano. O è forse l’eterno essere insensibile alle trasgressioni umane, talmente che il medesimo di nulla si risente, è al tutto inerte, e viva eternamente vita beata? O il grand’assurdo! E come puossi dare un Ente tanto attivo, tanto provvido, buono, sapiente, giusto, e indolente insieme d’intorno all’istesse sue leggi, e sue creature? La quale contraddizione non potendo aver luogo in Dio, è chiaro che lo spirito umano avendo necessariamente a render conto di tutt’i suoi atti, bisogna adunque ch’egli passi da questa in una vita vita futura. Sicchè la medesima esiste. 7. Baile ne’ suoi pensieri diversi in occasione della cometa apparsa nel 1680, volendo mostrare, che il passaggio di tal astro non era malefico al genere umano, come volgarmente si crede, fra le molte ragioni, ch’egli produsse ad un Dottore della Sorbona, una fu quella che le opinioni generali generalmente sono false31. | 109 gran tempo da] agg. in margine 31

Cfr. P. BAYLE, Pensées diverses, écrites à un Docteur de Sorbonne, à l’occasion de la Comète qui parut au mois de décembre 1680, Rotterdam, chez Reinier Leers, 1683, pp. 117123.

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(38v) In fatti evvi mai cosa più favolosa degli oracoli accreditati in tanti luoghi della

terra? Chi non crede, che le alterazioni dell’aria, cioè la pioggia, la siccità sieguano a capello il corso della luna? Di più, tutti sono nel sentimento, che all’arrivo della canicola sia il tempo il più caldo dell’està, e pure spesso avviene, che il mese d’agosto sia il meno caldo. Oltre a ciò si tiene per indubitato, che la vipera figliando venga ammazzata dagli stessi suoi figli. Il che è falso. Aggiungasi per ultimo a tutto questo, che dove si voglia dare ne’ giudizi la preferenza alla molteplicità de’ voti, e concependosi tutta la popolazione della terra compartita in trenta parti uguali, i mille milioni d’abitanti, secondo che si calcolano, sono da distinguersi in questa maniera, sono 19 d’idolatri, e delle undeci rimanenti, 6 sono Maomettane con le loro sette, e 5 cristiane. In oltre si stima il Cattolicismo la quinta parte dell’intero Cristianesimo e con ciò la trigesima dell’intero gran corpo religioso. Ma sia. Dato questo per vero, la pagana sarebbe la vera, perchè più numerosa. Il che è un manifestassimo assurdo. Dalchè è da dedurne con Plauto, che vale assai meglio un solo testimonio oculare, | (39r) che dieci d’udito. Pluris est oculatus testis unus, quam auriti decem32. Di quì è, che Cicerone scrivendo dell’immortalità dell’anima nelle sue Tusculane, disse, che lo fissava assai più il solo Platone quasi a un cenno di testa, che tutti gli altri filosofi, i quali avessero asserito con giuramento. Etsi enim rationem Plato nullam asserit, ipsa tamen authoritate me frangeret33. 8. Ciò detto, la credenza dell’altra vita, essendo comune a tanti popoli antichi, e moderni, può la medesima essere fallace? Tolti pochi filosofi, i quali l’hanno combattuta più tosto per prurito d’ingegno, o corruzione di cuore, tutti gli altri l’hanno meglio creduta e confessata. E se Baile dice, che vale più il giudizio di pochi letterati, che quello di tutto il genere umano, rispondo che ciò ha luogo ne’ casi astrusi e complicati, non già in quello, che è senso comune della spezie umana. Gli oracoli, l’influenze lunari, degli astri, ed altrettali pregiudizi popolari non sono figli della propria coscienza, come l’immortalità del proprio spirito, ma sì bene d’interessi politici pubblici, o privati. Bastano pochi a propagare una falsità, il lucro la divulga, il tempo l’accredita, la gabala la sostiene. Facciasi attenzione all’atmosfera dei pregiudizi di superstizione, i quali ingombrano ed hanno ingombrato da tempo in tempo, e da luogo a luogo la terra, e si vedrà | (39v) che l’interesse l’ha fatto nascere, propagare, e sostenere. E i dotti? Se parlano sono scuoiati. [9. Vengasi finalmente alle indubitate ripruove tratte dai libri sacri, massime del Nuovo Testamento. Donde si vedrà, che siccome Gesù Cristo ha reso i filosofi più religiosi, così hanno costoro fatto più ragionanti i suoi seguaci. Primieramente leggesi nel Gen. 37, che il Patriarca Giacobbe, udita la morte del suo caro Giuseppe, disse, ch’egli non avrebbe mai cessato di lacrimare, donec ad filium suum non descenderet in infernum34. Quivi per inferno intendesi l’altra vita, come è manifesto

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151 della luna] del sole pr. mano 153 il] in interlineo 156 la popolazione della terra] agg. in margine 174 Dopo lunari è espunta la seguente frase: non sono figli e 178 di superstizione] agg. in margine 181-205 Il § 9 è interamente espunto 32

PLAUT., Truculentus, II, 6, 8. CIC., Tusculanae disputationes, I, 22, 49. 34 Gen 37, 36. 33

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dall’istesso libro in quelle parole cap. 49 salutare tuum expectabo domine35. In secondo luogo tutto il libro di Giobbe sembra scritto di proposito per lo nostro assunto, e il medesimo ha forza maggiore, dove se ne faccia autore l’istesso Leggislatore degli Ebrei: quis mihi hoc tribuat, ut in inferno protegas me, et abscondas me, donec pertranseat furor tuus, et constituas mihi tempus, in quo recorderis mei? cap. 1436. Che anzi tutto acceso di spirito di contrizione, dimanda a se stesso: putasne homo mortuus, rursum vivat? Risponde: cunctis diebus, quibus nunc milito, expecto donec veniat immutatio mea37. Non è questa forse una preghiera, ch’ei faceva a Dio | (40r) per averlo propizio nell’altra vita? In terzo luogo i Salmi di Davide sono ripieni di vive immagini dell’altra vita. Leggansi i salmi 15 cap. 10, salm. 35 v. 9, salmo 43 v. 13. Il suo figliuolo Salomone sentì altrettanto. Onde nell’Ecclesiaste cap. 11: revertatur pulvis in terram suam, unde erat, et spiritus redeat ad Dominum Deum, qui dedit illum38. In quarto luogo nella Sapienza è scritto cap. 2: Nescierunt sacramenta Dei, neque mercedem speraverunt justitiæ, nec judicaverunt honorem animarum sanctarum, quoniam Deus creavit hominem inexterminabilem, et ad imaginem et similitudinem suam fecit illum39. Ne’ Maccabei lib. 2 cap. 7 raccontandosi il martirio di sette figli colla madre, l’ultimo di essi con eroica costanza d’uno Scevola così parlò al tiranno: Fratres mei modico nunc dolore substentato sub testamento æternæ vitæ effecti sunt, tu vero judicio Dei justas superbiæ tuæ pœnas exsolvas40]. 10. Ma più aperte testimonianze s’incontrano nella gran legge di Grazia, e pare che Nostro Signore ne abbia parlato con tanta chiarezza, sì per animare i suoi seguaci a disporsi meglio per l’altra vita, | (40v) e sì per torre quel velame della dubbietà, il quale traluce tra gli scritti filosofici. E chi mai più di lui potea renderci sicuri su tal punto, Onde è, che leggesi in s. Giovanni cap. 5: Scrutamini scripturas, quia vos putatis in ipsis vitam æternam habere41. 11. Presso il cronista s. Luca cap. 10: Essendo interrogato Nostro Signore, che necessitava per conseguire l’eterna vita, rispose: diliges Dominum Deum tuum42. In s. Matteo cap. 22 Cristo parlando ai Sadducei, i quali negavano la risurrezione, loro disse: de resurrectione mortuorum non legistis, quod dictum est a Deo: Ego sum Deus Abraham, Deus Isaac, et Deus Iacob? Non est Deus mortuorum, sed viventium43. Da quanto mai finora è stato discorso, manifestamente si raccoglie l’esistenza dell’altra vita. Perocchè di essa siamo appieno convinti 1° dall’indestruttibilità dell’universo, 2° dall’eternità dello spirito umano, 3° dalle nostre tendenze, 4° dagli attributi divini, 5° dal consenso di tante nazioni antiche e moderne. Finalmente sono tali, e tante 209 tra gli] dagli pr. mano 35

Gen 49, 18. Gb 14, 13. 37 Ibid. 14, 14. 38 Qo 12, 7. 39 Sap 2, 22. 40 2 Mac 36. 41 Gv 5, 39. 42 Lc 10, 26-27. 43 Mt 22, 31-32. 36

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e così luminose l’espressioni del vecchio, e nuovo Testamento, che bisogna avere la testa di piombo per negare, o porre in dubbio la sua esistenza; ed ancorchè | (41r) s’ignori la sua natura, la condizione, e in qual parte dell’immensità dello spazio ella sia, pure che interessa alla sua esistenza una tale ignoranza? Ma giacchè l’altra vita esiste, tu dici quai sono i suoi premi, e quali le sue pene? Risposta. 12. Lo spirito separato dal corpo dee in un girar di pupille acquistar una scienza tutta intuitiva, le sue sensazioni piacevoli, o dispiacevoli bisogna che siano in uguale ragione di tal scienza. D’onde n’à a seguire, che conoscendo direttamente il suo carattere, e la forza della sua legge eterna colla quale egli à vissuto, conviene che ripensando alla seria delle sue azioni, di riverbero lì si generi una intensità di piacere, o di dolore equivalente alla sua vita trascorsa. Donde anche n’à a seguire che s’inebrieranno per così dire gli eletti di dolcezze celesti senza termine, e sentiranno i malvaggi crucci eterni dalla loro stessa cognizione acquistata. 13. Ma è corporeo il fuoco che tormenta gli uni e sono materiali i mezzi onde restano gli altri in ogni lor parte beati? La qualità dello spirito è tale, che non gli convengono, se non che pene, e godimenti spirituali. Dunque e quelle e questi devono essere o amendue materiali o amendue spirituali. 14. Si risponde che ignorandosi l’essenza dello spirito come spirito, ed ignorandosi | (41v) la condizione dell’altra vita, come mai questo problema coi corti lumi della ragione puossi distrigare? Qualunque conato fa l’uomo, non puo, né sa concepire salvo che cose materiali. L’istesso Dio non ci si presenta, se non che in forma umana, gli Angioli e li demonii non li conosciamo altrimenti. Di quì l’origine dell’antropomor[f]ismo, che tanto campeggia nell’istesso Codice sacro: non sa l’uomo ne percepire e ne parlare, se non che come di sostanze sensibili. Chi mai li levasse questo linguaggio, ei non potrebbe più ne pensare, e ne parlare di cose divine, e gli stessi scrittori sacri non si sono spiegati che in questa lingua. 15. Si dice inoltre nell’evangelo essendo stato alli scellerati minacciato il fuoco eterno, sarebbe stato anche profittevole il determinare la natura de’ godimenti per chi osserva la legge? Che anzi Maometto avendo promesso un paradiso sensuale ai suoi seguaci distese con incredibile rapidità i suoi errori. 16. Ripiglio che in tale silenzio, io ci ritrovo un vantaggio per i Cristiani. Egli è il vero, che Maometto propose a i suoi settatori un Paradiso sensuale. E nel salmo 36 anco sta scritto del Paradiso cristiano: inebriabuntur ab ubertate domus tuæ, et de torrente voluptatis potabis eos44. Cio non ostante figuriamoci due predicatori, i quali vogliono convertire un gentile, | (42r) uno musulmano, e l’altro cristiano. Ciascuno descrivi e pennelleggi colle più vive immagini il suo paradiso. Donne belle e così care dice l’uno, che cascando una goccia della loro dolcezza nell’oceano gli toglie e la salsedine, e l’amarore. L’altro non propone che piaceri e diletti inconcepibili e senza termine. Ivi di continuo quasi non si mangia, non si beve, non si danza, non ci è diletto veruno; ma la sola vista di Dio ti riempie sempre di mille, e nuovi godimenti. Nell’ipotesi, che gli uditori prestino ad ambedue uguale forza di credenza, non si uniranno forse piu presto al cristiano, che al predicatore maomettano? Un 237 o amendue] agg. in margine 258 l’amarore] l’amaro pr. mano 44

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soldato animato a seguire uno dei due capitani, non siegue forse chi piu gli promette? L’interesse signoreggia l’uomo. Propone ad Archimede la soluzione di un problema, ed un festino con lautissima cena. Egli volentieri scioglierà il problema e lascerà il festino. Perche questo? perche l’utile maggiore fissa. Da cio ne siegue, che gli antichi gentili avendo una idea confusa dei contenti de’ campi elisi, erano poco destati per principio di religione a praticare l’onestà. In quanto al rapido progresso della religione maomettana non si dee ripetere dalla sensualità del suo paradiso, ma si bene 1 dallo stato di massima debolezza in cui | (42v) era allora l’impero orientale, 2° dalla corruzione grande dei costumi, 3° [d]alle armi. Che anzi è da dire, che se il medesimo avesse antisaputo ch’egli avrebbe trovato sì buone truppe a sua devozione, non avrebbe cotanto stentato a forgiare un codice ripieno di pezzi di giudaismo, e di cristianesimo, e ne si avrebbe dato tant’aria di devoto, di entusiasta e di visionario. Potrebbesi altresì ricercare 1° se l’anime tostamente separate da corpi si presentino al gran Giudice, e nell’estremo del Giudizio, restando in tale intervallo di tempo quasi morte secondo portò sentimento il Cuward, 2° assi a dire forse con Burnet, ch’esse non vedranno Dio, se non che nel giorno del giudizio per essere aggiudicate45? Inoltre dato che le medesime ricevano la sentenza nel separarsi dai corpi, a che fine dovranno altra volta comparire davanti al Giudice divino? Per ultimo sono le pene eterne, o temporali? Ed il fuoco come consuma a misura de’ misfatti commessi? Ah! Non più dubbii e quesiti misteriosi, e nè piu digressioni! 17. Ed ecco provato, che lo spirito umano è immortale, che esista una legge eterna, che le azioni morali sono imputabili all’uomo. Donde per ultimo ne ò dedotto, che esista dopo questa un altra vita. Il che posto si potrà dubbitare che l’uomo abbia a render conto della sua condotta attuale, e che a tale effetto ci debbano essere e premii, e pene | (43r) equivalenti alla qualità de’ suoi atti? Olà il tartareo Regno e i campi Elisi dei Gentili, l’Inferno e il Paradiso de’ Cristiani. Sviluppate si fatte ricerche, è tempo ch’io venga finalmente al proposito del Purgatorio. Che se ad alcuni parrà soverchio lungo quanto finora è stato trattato, al contrario non mancheranno di quelli mi tacceranno di soverchia brevità, trahit sua quemque voluntas46. (43r)

Cap. V

Necessità del Purgatorio, o sia di un luogo intermedio fra i due estremi di gia posti 5

1. La setta stoica tanto famosa sì in Grecia, che in Italia tra molte massime ebbe anche questa cioe, che tutti vizi sono di loro natura eguali, come tutte le virtù. Così Cicerone medesimo ne’ suoi paradossi s’impegnò a sostenerla, che anzi volle ancora far conoscere colla grandezza del suo ingegno, ed eloquenza, che nihil est tam incredibile, quod dicendo non fiat probabile47. Ora quantunque sembri insen282 e nè] non pr. mano 45

Cfr. TH. BURNET, De statu mortuorum et resurgentium tractatus, Roterodami 1729, pp. 34-61. 46 VERG., Eclogae, II, 65. 47 CIC., Paradoxa stoicorum, prooem., 3.

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satezza il contradire ad un tanto Filosofo e Retore insieme nondimeno il principio de’ stoici mi sembra tale da poterlo senza gran tortura di mente mostrarlo fallace; il che riuscendomi avrò perorata la causa del Purgatorio. 2. Primieramente si dice: parva res est, at magna culpa, nec enim peccata rerum eventu, sed vitiis hominum metienda sunt. In | (43v) quo peccatur, id potes[t] aliud alio maius esse, aut minus, ipsum quidem illud peccare, quoque verteris inanum est. Ruri navem evertat gubernator, an paleæ; in re aliquantulum in gubernatoris inscientia nihil interest. Lapsa est libido in muliere ignota: dolor ad pauciores pertinet, quam si petulans fuisset, in aliqua generosa ac nobili virgine, peccavit vero nihilominus, si quidem est peccare, tanquam transilire lineas, quod cum feceris culpa commissa est; quam longe progrediar, cum semel transtransieris ad augendam transeundi culpam nihil pertinet. E poco dopo: Quod si virtutes pares sunt inter se, paria esse etiam vitia necesse est, atque pares esse virtutes nec bono viro meliorem, nec temperante temperantiorem, nec forti fortiorem, nec sapienti sapientiorem, facillime potest perspici. An virum bonum dices, qui deposituro nullo teste. Cum lucrari impune posset, auri pondo decem redierit, si idem in decem millibus pondo non idem fecerit, aut temperantem eum, qui se in aliqua libidine continuerit in aliqua effuderit? Una virtus est consentiens cum ratione et perpetua constantia. Nihi[l] huic addi potest, quo magis virtus sit, nihil de me ut virtus nomen relinquatur; etenim si benefacta recte facta sunt, et nihil recte rectius; certe ne bono quidem melius quidquam inveniri potest. Sequitur igitur, ut etiam vitia sint paria: siquidem pravitates animi recte vitia dicuntur: atqui quoniam | (44r) pares virtutes sint, recte facta, quando a virtutibus proficiscuntur, paria esse debent; itaque peccata quoniam ex vitiis manant ut equalia necesse est48. Così Cicerone le cui parole mi è convenuto trascrivere a lungo per poterle in ogni loro punto di veduta esaminare, e confutare. 3. Alla prima il vizio è la volontaria trasgressione della legge, la cui conformità appellasi virtù. È dettame della ragione, che ciascun uomo sia temperante. La misura di questa virtù è il proprio bisogno. Sicchè chi si cibba per quanto si conviene è virtuoso, e chi poi trascorre altrimenti col mangiare, o col bere ch’egli opprima la sua complessione è vizioso. Donde ne siegue che tutte le virtù e tutti li vizii anno due rispetti, quello del Legislatore, e l’altro della loro influenza, o effetto, l’uno dicesi astratto e l’altro concreto. In astratto si può considerare la legge come una linea di livellazione, la quale limita la natura, e i nostri atti. Non furaberis49 o rubbasi poco o assai è sempre l’istesso: all’incontro in concreto è il notare l’influenza dell’azione, cioè se la medesima abbia più o meno nociuto, più o meno giovato a noi, ed agli altri. Donde si conosce, che nella considerazione astratta della legge ci entra la sola volontà o atto interno; nella considerazione in concreto o esterna si | (44v) considera la volontà e l’effetto, e la sua quantità. Nel primo caso il peccare è trascorrere un limite o la legge. Nel secondo è il determinare il nocumento e di quanto per rappor-

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14 In margine regesto di sec. mano: 1 Ineguaglianza delle virtù, per parte di Dio. 2° per parte dell’attore. 3° per parte dell’effetto 24 impune scr.] inpum cod. 28 nomen] in interlineo 41 una] sua pr. mano 44 abbia] agg. in margine 48 49

Ibid., III, 20-22. Rm 13, 9.

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to alli vizii, ed in quanto alle virtù, e il vedere l’utile. Donde anche si conosce che nel primo caso la misura del vizio, o della virtù consiste nel determinare l’indensità dei nostri voleri, o disvoleri, nell’altro nel determinare la gradazione del bene, o del male cagionato. Donde altresì ne siegue che la contesa si riduce a vedere, se i vizii e le virtù morali si devono considerare in astratto, o i medesimi si anno a valutare dai loro effetti. Considerandosi in astratto è l’istesso, che esaminare, se la nostra volontà è stata conforme o contraria alla volontà Divina. Considerandosi in concreto è il vedere se noi abbiamo voluto e fatto la conservazione e la miglioria della spezie umana, o pure la sua deteriorazione. Ridotto il quesito a questo punto di veduta riesce facile la sua soluzione, e dimando agli Stoici 4. Quale è il fine della legge morale? L’ò scritto e il torno a ripetere, è la conservazione e la felicità della spezie umana in generale, e d’ogni suo individuo in particolare. Dunque chi benefica l’uomo fa la volontà di Dio, e chiunque fa la volontà di Dio non può non giovare all’uomo: ed al contrario chi nuoce al suo prossimo, o sia a tutta la società umana non fa la volontà Divina, e chi non osserva questa nuoce a quella. Donde è manifesto, che il | (45r) fine architettonico della legge morale, o sia della volontà Divina è la conservazione e prosperità del genere umano. Donde è altresì manifesto, che la misura de’ vizii, e delle virtù non è soltanto la nostra semplice volontà interiore, ma si bene questa cogli suoi effetti relativi alla gradazione del bene, o del male che la medesima à causato a noi ed a’ nostri simili. 5. Essendo così a ragione Cicerone di conchiudere che siccome tutte le virtù sono tra loro eguali, il sono così anche tutti i vizii? Sarebbe adunque l’istesso ammazzare il proprio Padre, o il fratello, che uno nazionale; tradire uno amico che un ignoto; rubbare mille che cento mila; incendiare una città, che una provincia; donare un carlino, che cento ducati; dissetare o disfamare uno, che arricchirlo; liberare un sol uomo, che una famiglia dall’oppressione. O Scevola, Coclite, Attilio dove sono i vostri eroismi? O Sesto Tarquinio e Farnese nelle vostre scorrette violenze con Lugrezia ed il Vescovo di Fano non commetteste altro delitto, che quello di un semplice attentato! 6. Ma sieno le virtù tutte fra loro eguali, alle quali niente si possa aggiungere e sottrarre, poichè le medesime equivalgono ad altrettante linee rette, e non si potendo dare una retta più retta di un altra, dicasi anche che tutt’i vizii sono fra loro eguali. Dippiù | (45v) rappresentando i vizii tante curve, giacchè essi sono tante deviazioni dalle leggi, dimando. Non si possono forse da un punto ad un altro tirare infinite curve, una più curva dell’altra? Ecco che quantunque si vogliano supporre tutte le virtù eguali, neppure ne l’uguaglianza de’ vizii. E l’istesso Cicerone ne’ suoi Uffizii anche disputò, che ex duobus utilibus è da vedere qual è piu utile, similmente ex duobus honestis qual è più onesto50. 7. Aggiungasi inoltre che le virtù non sono tutte a capello uniformi. Esse sieguono la forza del temperamento sicchè all’indefinito anno altresi a variare gli 57 sua] agg. in interlineo 72 che una provincia] ed al contrario tanto sarebbe pr. mano 74 sol] agg. in interlineo | famiglia] provincia pr. mano | oppressione] oppressione di un tiranno pr. mano 82 forse] agg. in margine 87 che] agg. in margine 88 sicchè] agg. in margine | gli] anche gli pr. mano 50

Cfr. CIC., De officiis, I, 10.

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abiti morali. Sieno quattro persone di differenti temperamenti, il solo sciocco potrà richiedere l’istesso grado di temperanza nel sanguigno che nel flemmatico, e tanto in questo quanti nel colerico e malinconico. Dove mai si volesse correre dietro alla ragione arimmetica si trovarebbe che il sanguigno non sarebbe mai virtuoso, e il flemmatico mai vizioso. Conchiudesi dalle cose fin qui dette che tanto nella seria delle virtù, quanto in quella de’ vizii, o dei peccati si dà una massima progressione ascendente, nelle quali ci ritrovano i loro termini estremi, e tutte le altre virtù, e vizii sono intermedii. | (46r) 8. Conchiudesi anche che siccome a punire gli estremi peccati si dà l’inferno, ed a premiare l’estreme virtù il Paradiso, bisogna nel luogo intermedio situare il Purgatorio, altrimente conviene dire, che i vizii e le virtù interposte sieno ugualmente quelli puniti e queste premiate, o pure che Iddio nè gli uni, nè gli altri cura. Il dire in primo luogo, che Iddio non cura tai termini intermedii, non dovrebbe adunque nemmeno curare i loro estremi. Il che è assurdo; dunque se cura gli estremi, conviene anche che curi gl’intermedi. 9. In secondo luogo asserire, che Iddio come egualmente premia tutte le virtù, così punisce tutti i vizii anche mentali è contrario alla sua giustizia. E puossi concepire mai sconoscenza maggiore di questa? Il perche Arnobio portò parere, rectius multos deos esse non credere, quam esse illos tales talique existimatione sentire. Che? si potrebbe mai immaginare cosa più nè vituperosa, nè più crudele, nè più ingiusta, non dico di qualunque despota, ma dell’istesso diavolo, il dire che Iddio abbia creato tante anime per prendersi piacere de’ loro eterni eiulati? La cui ingiustizia dee giungere al segno, che voglia per lievissime colpe anche involontarie sacrificar loro a perpetui cruciati? La cui bruttezza debbia essere tale | (46v) che non si voglia qualunque pena e per qualunque tormento mai placare? O quanto duri, quanto spaventevoli sono tai arcani! E come supremo Essere mi ai fatto così condizionato, che dalle sole mie presenti e future miserie tu devi attingere il tuo piacere! E come Eterno essere per non ti privare di tal diletto, che ti eri promesso in premio della mia creazione, ai voluto bruttarti in così inaudita scelleratezza! E come Eterno Creatore ti ai recato a gloria, e ad onore di rendermi all’estremo per sempre infelice! Ah nò, io non ti ravviso in queste inezie d’ignorantissimi concionatori. Chi mi à creato e fornito di tante molle, le quali di continuo mi sospingono ad una vita contenta, non può a patto alcuno volere la mia miseria. Dicasi adunque che tra i due estremi termini di godimenti, e di pene necessita che n’esista un terzo interposto temporale il quale appellasi Purgatorio. 10. Di vantaggio a che prò tante ceremonie, libazioni, giuochi, anniversarii, offerte, sacrifizii presso degli stessi antichi Gentili, dove mai i medesimi non avessero creduto di soccorrere ai loro già defonti maggiori? E poteano essi idearsi valevoli i loro aiuti, senza credere a un tempo, che oltre il luogo delle pene, e delle delizie ve ne fusse un terzo nel quale i detenuti fossero suscettibili | (47r) de’ loro soccorsi? Mi astengo di produrre le tradizioni di tanti Popoli, ancorche potrebbero corroborare il mio assunto. Io scrivo per uomini intelligenti, i quali amano meglio di sentir

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89 sieno] così date pr. mano 92 trovarebbe] troverebbe corr. in interlineo 93 vizioso] virtuoso, siccome la forza d’azione varia pr. mano 114 tai] tanti pr. mano 121 non può … miseria] agg. in margine

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ragionare, che citare. Aggiungasi a tutto il preallegato l’autorità de’ libri santi si del vecchio, che del nuovo testamento. Ond’è che leggesi nel 2° de’ Maccabei cap. 12. sequenti die venit Iudas ut corpora prostatorum tolleret, et cum parentibus poneret in sepulcris paternis. Invenerunt autem sub tunicis interfectorum de donariis idolorum, quae apud Iamniam fuerunt, a quibus Lex prohibet Iudeos. Omnibus ergo manifestum factum est, ob hanc causam eos corruisse, omnes itaque benedixerunt iustum iudicium Domini, qui occulta fecerat manifesta, atque ita ad preces conversi, rogaverunt, ut id quod factum erat delictum oblivioni traderetur. At vero fortissimus Iudas hortabatur Populum conservare se sine peccato, sub oculis videntes quæ facta sunt pro peccatis eorum, qui prostrati sunt, et facta collatione, duodecim millia dracmas argenti misit Ierusalem offerri pro peccatis mortuorum. Sacrificium bene et religiose de resurrectione cogitans, nisi enim | (47v) eos qui ceciderant resurrecturos speraret superfluum videretur et vanum orare pro mortuis, et quia considerabat, quod hi qui cum pietate dormitionem acceperant, optimam haberent gratiam, sancta ergo et salubris est cogitatio pro defunctis exorare ut a peccatis solvantur51. Lutero e Calvino colpiti vivamente dalle preallegate parole non ebbero altro scampo, che quello di negare l’autenticità di tal libro: o il bello ritrovato! Non si trovano forse i medesimi registrati ne Canoni apostolici 84 e 85? Non ne fanno menzione Tertulliano contra i Giudei cap. 4, 5, Cipriano nel libro de exortatione ad martires, in quelle dirette ad Quirico, s. Ilario contra Constantinum Imperatorem, s. Ambrogio lib. 2° de vita beata, e s. Agostino de cura gerenda pro mortuis? Leggasi l’introduzione del P. Calmet sopra i libri de Maccabei52. 11. Altra pruova tratta dal libro di Tobia cap. 4° in cui si precetta, che si mettesse il pane, e il vino sulla tomba del giusto. Panem tuum et vinum tuum super sepulturam iusti constitue53. Terza pruova dall’Ecclesiastico al cap. 7. Il savio ci anima a dividere i nostri beni, non che tra viventi, ma anche tra morti: gratia dari in conspectu omnis viventis; et mortuo non prohibeas gratiam54. Ed altrove ci desta a lacrimare, e a soccorrere i Defonti, in mortuum produc lacrymas, et quasi dira passus incipe plorare, secundum iudicium | (48r) contege corpus illius, et ne despicias sepulturam illius55. 12. La quarta pruova si à dal salmo 37 ne[l] quale il Re Profeta pregando, egli dice: Domine ne in furore tuo arguas me, neque in ira tua corripias me56, e nel salmo 64: quoniam probasti nos Deus igne nos examinasti, sicut examinatur argentum, transivimus per ignem et aquam, et eduxisti nos in refrigerium: introibo in domum tuam57. La quinta pruova assi manifestissima in Malachia Profeta in quelle spaventevoli, ed energiche parole: ecce venit, dicit Dominus exercituum, et quis poterit

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2 Mac 12, 39-46. Cfr. A. CALMET, Commentarium literale in omnes ac singulos tum Veteris cum Novi Testamenti libros, III, Augustae Vindelicorum 1734, pp. 635-640. 53 Tb 4, 17. 54 Sir 7, 37. 55 Ibid. 38, 16. 56 Sal 38 (37), 2. 57 Ibid. 66 (65), 10-13. 52

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cogitare diem adventus eius? Ipse enim quasi ignis conflans, et quasi herba fullonum, et sedebit conflans, et purgabit filios Levi, et colabit eos quasi aurum, et argentum58. 13. È chiaro adunque dalle cose riferite del vecchio Testamento 1° che i Giudei erano persuasi, che vi anno peccati meritevoli di perdono, dopo la morte: 2° che i viventi possono e debbiano efficacemente travagliare ad abbreviare la penitenza di coloro, i quali sono morti con pieta. Altrettanto si pruova con i libri del nuovo testamento. Dove mai io volessi riferir tutto, sarei infinito. Perchè avrei a trascrivere 1° quanto mai à scritto sul nostro argomento Tertulliano in piu luoghi delle sue interpretazioni della sacra scrittura, quanto Origene sul passo di Malachia, quanto S. Basilio, o altro antico commentatore del cap. 4 e 9 d’Isaia, ed appresso quel che à scritto s. Girolamo in Ezecchiele al suo cap. 9, s. Ambrogio ne’ salmi, e | (48v) s. Agostino in piu luoghi. Aggiungasi in ultimo a tutto l’anzidetto la tradizione non mai interrotta cosi scritta che orale della Chiesa Cattolica. Le preghiere tanto frequenti a prò de’ morti, e le liturgie si antiche, che novelle, tanto generali, che particolari della nostra communione, e corroborata da tanti concilii generali, come dal Lateranense 4 sotto d’Innocenzo III, Costantinopolitano Fiorentino, e Trentino. 14. Ma saranno forse sufficienti e le tante autorità antiche e presenti si profane che sacre, e la medesima ragione dedotta dalla natura delle nostre azioni, e dagli attributi divini a far ricredere i miscredenti del Purgatorio? Sia debolezza di mente, sia corruzione di cuore, sia spirito di partito, sia finalmente pubblico, o privato interesse, io ritrovo alcuni errori, così altamente radicati ne’ petti umani, che bisognarebbe come un Russo scorticarli per rendere i loro difensori sensibili alla propria ragione. Ma esaminiamo le opposizioni degli avversarii perchè viapiu resti fortificato il nostro assunto.

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Cap. VI

Obiezioni e risposte 1. Primieramente si dice, che dove mai esistesse il Purgatorio, si dovrebbero dare anche atti morali nell’uomo, i quali fussero indifferenti, cioè nè viziosi, nè virtuosi; ma ogni azione umana è di sua natura tale, ch’essa o è consona, o dissona colla legge divina naturale, o positiva, se | (49r) consona eccola virtuosa, se dissona viziosa. Nel primo caso merita premio, nell’altro punimento. Non v’à mezzo, adunque nemmeno Purgatorio. 2. Si risponde, che ancorchè si dieno nell’uomo atti indifferenti, come l’andare a diporto, visitare un amico etc, i quali non sono nè punibili e nè meritevoli di premio, pure nella serie delle virtù si comincia da quella, ch’è come una a dieci, o come 10 a 100. Dimando sono le medesime da aversi nell’istessa ragione? Dippiù v’à delle virtù volontarie e involontarie; ed infine ci sono di quelle, le quali sono positive, e quelle che diconsi negative: dimando sono tutte valutabili ad un modo. Dicasi altrettanto de’ vizii. Si aggiunge che siccome non v’à uomo, il quale sia in ogni sua parte vizioso, o virtuoso, così nemo sine vitiis ne nascitur, optimus ille qui minimis

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175 interpretazioni sec. mano in interlineo] cognizioni pr. mano Cap. VI, 11-12 o come 10 sec. mano in interlineo] all’altra 10 come pr. mano 15 che] agg. in interlineo 16 o virtuoso] agg. in margine | nemo sine vitiis] agg. in interlineo 58

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urgetur59. Bisogna adunque, che il virtuoso per piccoli difetti non sia dannato alle pene eterne, e ne entri a godere, se non venga depurato dalle sue macchie. Sicchè necessita il luogo intermedio. 3. In secondo luogo si obbietta quel che si legge nel cronista s. Matteo cap. 12: qui dixerit contra Spiritum Sanctum, non remittitur ei neque in hoc, neque in alio sæculo60, donde i Cattolici deducono l’esistenza del Purgatorio. All’incontro gli avversari dicono, che quelle parole sono enfatiche, ch’è quanto dire che esprimono più di quello che volle intendere il Divino Maestro. Sicchè | (49v) rettificate nulla provano a favore dell’esistenza del Purgatorio. Confermano il loro sentimento con un altro passo di S. Matteo, il quale su tale proposito scrisse: non habet remissionem in æternum, sed reus erit æterni iudicii61. 4. Si risponde che dove si parli di quella spezie di peccato i riferiti cronisti convengono a capello; ma non così in altri generi di trasgressione. Non conviene adunque una minaccia confondere coll’altra. Leggasi S. Gregorio nel quarto libro dei suoi Dialoghi, S. Agostino in più luoghi, Origene Homilia 6 in exodo, Lattanzio lib. 7 delle sue divine istituzioni cap. 21, s. Basilio de Spiritu sancto, s. Ambrogio serm. 2 nel salmo 118, s. Girolamo in S. Matteo. Oltre alle preallegate si fanno all’esistenza del Purgatorio altre obbiezioni, come questa. S. Giovanni scrisse nella sua apocalisse: beati mortui, qui in Domino moriuntur62. Dunque non ci è Purgatorio. Come questa tratta dall’Ecclesiaste: Arbor quo cadet, illic in Æternum remanebit, sicchè inferno, o Paradiso per tutti. Come questa presa da s. Giovanni, qui verbum meum audit, habebit vitam æternam, et in iudicium non venit, sed transit a morte ad vitam63. Finalmente si obbietta, che il Purgatorio fu introdotto nel terzo secolo della Chiesa collo studio della filosofia Platonica. Questa, ed altrettali difficoltà degli impugnatori | (50r) del Purgatorio, e tra perchè sono frivole, e tra perchè sono state tutte distrigate dai nostri Teologi, io non mi piglio la pena di confutarle. Prima però di chiudere il presente capitolo, non mi pare fuor di proposito di accennare che tali errori prima proposti dai Waldesi e Wicleffisti, furono dipoi rinnovati da Lutero, e da Calvino. Non parlo di quello il quale fu un Frate ignorante e scorretto, il quale fece due confessioni di fede una contraria all’altra, non così Calvino uomo dotto, e moderato, il quale confessava ingenuamente che i S. Padri aveano ammesso le preghiere per i morti, ma soggiunge che i medesimi non facevano altro che quello stesso, che praticavano i Gentili, senza ch’essi riconoscessero il Purgatorio. Dippiu dicea non bisognava niente aggiungere alla dottrina degli Apostoli a quali fu incognito. 5. Orbene si abbia per vero, che non si possa introdurre altro nella Chiesa, e che non abbiamo ne a credere, ne a praticare, se non che quæ ab Apostolis tradita esse 22 all’incontro] agg. in margine 37 sicchè] agg. in interlineo 38 a morte] ad mortem pr. mano 42 state] agg. in interlineo | mi] agg. in interlineo 59

HOR., Sermones, I, 3, 68-69. Mt 12, 32. 61 Mc 3, 29; cfr. Mt 12, 31. 62 Ap 14, 13. 63 Gv 5, 24. 60

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certo liquidoque constat. Ciò posto, conviene di buona fede Calvino, che gli Ebrei aveano pregato per i morti, che ci era il tempio per tali funzioni, e i sacrifizii per espiare i peccati si de’ presenti e lontani, che de’ vivi e defonti. Non è forse questo voler ammettere le premesse | (50v) e negare la conseguenza? Conviene che ne’ tempi apostolici si pregava per i morti, conviene che non ci dobbiamo da tai tempi antichi allontanare. Conviene adunque non volendo che si deve pregare e suffragare. Egli non è altro mai questa che una manifesta impugnazione di nome, e non gia della cosa? E a dirla ingenuamente a me pare che tutta la controversia si aggiri intorno al nome Purgatorio, la quale voce non si legge né presso de’ Gentili, e nè tra i primi Cristiani. Ma che fa il vocabolo colla cosa rappresentata? Chiamasi inferno, Geenna, Limbo, Tartaro, o altro, che importa: sicchè dovrebbesi anche dire che presso de’ Greci non dovettero esistere i corpi, i cavalli, il mondo stesso, perche non s’incontrano tra i loro scrittori tai nomi. O la gran forza dello spirito di partito! 6. Il che detto, qualunque esamina da una parte la natura delle nostre azioni morali, e i divini attributi, e ripensa dall’altra la prattica di tanti popoli antichi, e presenti, i nostri santi libri, la tradizione orale, e scritta de’ Cattolici, le decisioni di tanti concilii, sì generali, che particolari non potrà non convenire che il Purgatorio esista, e che noi siamo tenuti a suffragare alle sue anime, come nel capitolo che siegue, nel qual è riposto il gran nodo del presente trattato.

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Cap° VII

Sulla necessità di suffragare alle anime del Purgatorio 1. Sempre che lo sguardo ò lanciato in questo portentoso sistema dell’universo, ò da una parte la grandezza ammirato del suo sapientissimo Architetto, ed ò dall’altra notato la debolezza dell’ingegno umano. Imperocchè sono tutti i suoi pezzi, molle, e loro usi con tale e tanta maestria congegnati, che dove un uomo si volesse intendere ed agli altri comunicare, l’intelletto gli si annienta, la lingua gli si fa muta. Di qui i tanti sforzi di Persone contrite nella specolazione delle cose. Di quì le loro perpetue vigilie. Di qui i tanti sconsigliati naufragii d’intorno alla religione. Basta in compruova di tutto richiamarsi alla memoria i tanti sistemi scientifici, e subito si vedrà la lunga seria degli assurdi, i quali da tempo in tempo sono stati insieme difesi e combattuti, ed indi altra volta rinati nuovamente distrutti. Si vedrà quale corso successivo, e periodico hanno battuto le opinioni, e gli errori. Si vedrà la mente umana sempre convolta in una ristretta atmosfera di pregiudizii, e di vecchie usanze lottare con se stessa, vincersi e distruggersi. Si vedrà come tutti i fenomeni fisici, così | (51v) anche i sentimenti morali passeggiano perpetuamente 55 il tempio sec. mano in margine] la sinagoga pr. mano 57 voler] agg. in interlineo 59 antichi] agg. in interlineo

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56 forse] agg. in margine 63 fa] a che far pr. mano

Cap. VII, 2-3 Postilla in margine: Natura della società degli enti morali, e loro reciproci doveri 8 ed agli altri comunicare] e con altri communicare pr. mano 18 In margine regesto di sec. mano: La società degli enti morali si mostra 1° dall’ istesso codice di leggislazione, 2 dal contratto sociale, 3 dai vincoli di religione. 4 Il fine, o sia la felicità è la medesiin tutti. 5 I mezzi, o le virtù per conseguirla sono gli stessi. Sicchè la soci[età] 6 obbliga di soccorrerci a vicenda.

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tra due termini estremamente lontani. Felice chi potesse tener dietro a si lento e progressivo cammino, vedrebbe, come l’idea di soccorrere i nostri defonti, ancorche registrata nell’Eterno Codice della umana ragione, instillata ne’ nostri petti, e coesistente coll’istesso Dio, nondimeno è stata anche essa sottoposta alle medesime rivoluzioni. Ma poi dico a me stesso, donde mai tale combattimento eterno sopra di un punto altamente impresso ne’ nostri animi? Dove fusse voce della natura ella sarebbe intesa da tutti, come tutti sentiamo le commozioni piacevoli, o dispiacevoli, le quali di continuo ci rendono avvertiti di ciò che dobbiamo appetire, o detestare. Se la fusse voce della natura si saprebbe il luogo del Purgatorio, come colà capitano le anime, e come sono tormentate: saprebbesi infine per qual mezzo in una distanza infinita passano le nostre offerte: poi come quelle anime sarebbero suscettibili di sollievo, e quali sarebbero gli nostri atti piu accettevoli. Olà gli arcani inestricabili! Olà il nodo gordiano del presente trattato! Io ritrovo in questo capitolo da scusare chi ne à dubbitato. Il perche ingenuamente confesso, che non prima di questo momento io ò inteso la malagevolezza dell’opera: ma è tale che ad imitazione di Alessandro si à da tagliare il nodo col negare tutto; | (52r) o mi conviene desistere dall’impresa? Mai no. Quella somma ragione la quale mi à guidato in tutto il filo dei precedenti discorsi, la medesima arà per somministrarmi lumi sufficienti a poterlo non gia toglierlo, ma discorrere al proposito. 2. Aristotile definì l’uomo un animale attaccato, socievole. Rilevatelo prima dal suo naturale istinto di essere unito, poi dalla loquela propria a far sentire agli altri i suoi interni movimenti, poi dal vivissimo desiderio di distinguersi tra i suoi simili, e questa molla con forza continuata lo porta alla gloria, all’onore alla signoria, poi dall’incentivo di rendersi sempre più migliore, poi dall’amore di se stesso, finalmente è menato alla società dal bisogno. In effetto l’uomo solitario esposto alle fiere, all’inclemenza dell’aria, ai tanti urti del suo medesimo meccanismo sarebbe per tal modo infelice, ch’egli rassembrarebbe ad un misero nocchiere sul lido vomitato dall’onde. Che! Non nasce forse l’uomo in compagnia de’ suoi Genitori? Non ci resta attaccato per tutto il tempo, che il medesimo non si sente capace di riprodursi? Dippiù vivendo tutti gli uomini in società naturale, o civile non è forse questa una aperta voce della natura, colla quale dichiara di produrci sociali? Ecco perchè Aristotile scrisse, che l’uomo solitario si deve avere, o più che uomo, o un uomo disnaturato. A ragione | (52v) quindi Cicerone portò parere, quod nemo in solitudine vitam agere velit, ne cum infinita voluptatum abundantia, facile intelligitur nos ad coniunctionem, congregationemque hominum et ad naturalem communitatem esse natos64. Seneca scrisse altrettanto: fac nos singulos: quid sumus? Præda animalium, et victimæ, ac vilissimus ac facillimus sanguis … Hanc tolle, et unitatem generis humani qua vita sustinetur, scindes65. Obbes nel suo Cittadino sentì questo istesso. Donde è che Antonino Imperadore nell’opera preallegata fu di parere ch’era più facile incontrarsi in un corpo terrestre depurato da ogni materia eterogenea, che in un uomo discompagnato dall’altro. Dicasi adunque, che la natura hà im48 Nota d’altra mano in margine: Russeu 64 65

49 un uomo] corr. in interlineo

CIC., De finibus, III, 65. SEN., De beneficiis, IV, 18.

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presso in ciascun uomo una spezie di simpatia verso tutti i suoi simili. Che anzi avendo più volte gittato l’occhio in tante classi di animali, di vegetanti, e di fossili ho ritrovato, che tai esseri per una forza primitiva sono anch’essi tutti, e quasi al pari dell’uomo compagnevoli. In effetto i cavalli, le pecore, i buoi, le capre, i lupi, i leoni, le scimie, i camelli, i castori sono socievoli. Nei volatili si ravvisa altrettanto, ed altrettanto nella seria degli animali ed in ogni spezie d’insetti. Inoltre il vedere che i pioppi amano i luoghi acquosi, gli oliveti le terre soleggiate e leggieri; chi delle piante alligna sulle cime de’ monti | (53r) chi nelle valli; infine v’à di quelle, le quali fruttificano ne’ i soli luoghi caldi, e s’intristono ne’ freddi, ed al contrario altre periscono in questi, e veggetano in quelli. Onde Virgilio: non omnis fert omnia tellus66; ed Ovidio lib. 1 de arte: Nec tellus eadem parit omnia; vitibus illa Convenit, hæc oleis, hac bene farra virent67. 4. Che più? Le pietre, i minerali, ed i metalli stessi si congregano in certe determinate contrade. Donde a me pare di poter venire in questa apertissima conchiusione, che tutti gli esseri, i quali si trovano in questa gran catena delle cose create fanno chiaramente conoscere una certa società nella loro spezie. Tutto per effetto di meccanismo, e di forza primitiva che la natura ha stampato nelle sue produzioni. Ora se in tutti i corpi terrestri campeggia uno spirito così universale di società, non sarebbe assurdo asserire, che il solo uomo sia l’unico essere isolato? Nò. L’uomo come uomo è di sua natura compagnevole. 5. Da ciò ne siegue che per questo principio di società primitiva ciascun uomo è custode nato dell’altro. Sicchè è obbligato di conservare la sua spezie. Ma non può questa conservare senza conservar se stesso. Sicchè anche ne siegue che qualunque fa il bene del tutto, necessita che faccia il bene delle parti componenti, ma ciascun uomo è parte della gran società umana; è adunque | (53v) tenuto a farsi bene. Onde Cicerone nel sentimento degli Stoici scrisse che l’uomo non nasce soltanto per se stesso, ma per tutti: non nobis solum nati sumus, sed amicis, patriæ universo generi humano68. E con ragione perche tutto è stato fatto per l’uomo, l’uomo adunque per l’altro uomo: tal è l’uomo nel aspetto di animale, vediamolo sotto il punto della sua ragione. 6. Lo spirito di sua natura si trova intimamente attaccato più agli altri spiriti, ed all’istesso suo creatore che al corpo quale informa, mentre si trova in questo per accidente, laddove la sua spiritualità l’unisce con tutti quelli della sua specie. Da ciò nasce una nuova società in lui, la quale à luogo tanto nella sua presente unione quanto colla futura: e così fatta società umana non è se non che una società di

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76 ha stampato] stampa pr. mano 77 spirito così universale] universale spirito pr. mano 78 sia] è pr. mano 82 qualunque] qualunque uomo pr. mano 84 degli Stoici] di Platone pr. mano 92 specie] spezie pr. mano 93 presente] agg. in margine 94 quanto colla futura sec. mano in margine] cogli altri eterna pr. mano | così fatta] questa pr. mano 66

VERG., Eclogae, IV, 39. OV., Ars amatoria, I, 757-758. 68 CIC., De officiis, I, 22. 67

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ragione. Imperocchè la ragione è stata quella, che gli à fatto abbandonare lo stato primitivo. Ella è dessa che lo à condennato in un gran corpo civile: ella è dessa che gli à fatto un piano di leggi analogo alla sua natura. Inoltre l’ha portato all’invenzione di tante arti, macchine, istrumenti, scienze, e d’infiniti commodi della sua vita. Da ciò ebbe origine il contratto sociale, fortificata l’obbligazione di soccorrersi a vicenda, propose le pene ai trasgressori, e promise li premi ai promotori del Pubblico vantaggio. Da questa ammirevole catena di reciprochi legami si produssero | (54r) miracolosi effetti nello spirito dell’uomo: imperocchè per essa gli s’ingenerò un nuovo e più vivo senso d’umanità, gli si moltiplicarono le forze e con cio i soccorsi, gli s’ingrandì la ragione, e per questo reso più spedito a pensare cacciò i suoi bisogni: gli si destò lo stimolo della gloria, e dell’ambizione, donde crebbe in lui l’amore del travaglio: gli s’inspirò lo spirito del patriottismo, dal quale sursero nuove virtù: gli si accesero le passioni dalle quali ne derivò l’eroismo, portato così a volo sulle ali della gloriosa emulazione non volendo si vidde finalmente condotto a goder nel magico seno di tanti beni ideali. Donde ad evidenza si conosce che la società umana è una società di ragione: il perche Cicerone il quale tanto seppe e scrisse, ne suoi divini Uffizii così sensatamente si espresse: Eademque natura vi rationis hominem conciliat lumini, et ad orationis, et ad vitæ societatem69: e nel trattato de finibus bonorum, et malorum con maggior energia disse altrettanto: Itemque formicæ, apes, ciconiaque aliorum etiam caussa quædam faciunt, multo majus hæc coniunctio est hominis: itaque natura sumus apti ad cœtus, concilia, civitates70. Donde anche si conosce che la nostra società non è sola figlia di meccanismo, ma anche di contratto sociale; ora se per natura siamo astretti a riconoscere la massa del | (54v) genere umano come un tutto impartibile del quale dobbiamo mantenere, e custodire l’unità, maggiormente siamo tenuti a ciò fare in forza di tanti patti reiteratamente giurati. 7. Di vantaggio, gli uomini sono così fatti, che i medesimi non travagliano, che per cacciare i loro bisogni, e non sono buoni, che a forza di castighi ond’è che le indigenze li rendono laboriosi, e le leggi onesti, e pure ch’il crederebbe? Nei bisogni, e nelle punizioni bastarono a mantene[re], e a prosperare la gran macchina dei gran corpi politici, mentre furono obbligati i Legislatori di rianimare nella massa del genere umano i semi di religione, che ciascuno sente radiati nel suo interno. Ed in vero quel Essere Eterno che può fare ogni tuo futuro bene, può far altresì ogni futuro male. Il qual sentimento ravvivato produsse un altro mezzo più d’ogni altro valevole a collegare e stringere il gran corpo degli enti morali. Di qui le varie religioni, la diversità delle loro sette, la differenza de’ riti, quella delle massime, e quella infine delle loro minaccie e promesse tanto in questa, quanto nell’altra vita: e dove tante religioni si sono distrutte e rigenerate insieme, la Cristiana quasi nata 98 e d’infiniti] ed infiniti pr. mano 114 majus] minus pr. mano 117 contratto sociale] nota d’altra mano in margine: Russeaux | ora] e pr. mano 118 impartibile] agg. in margine 122 loro] propri pr. mano 123 le] agg. in margine 124-125 dei gran corpi politici] del corpo politico pr. mano 127 altresì] sibene pr. mano 69 70

Ibid., I, 12 CIC., De finibus, III, 63.

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coll’uomo, come stanca in un lungo corso di secoli venne riaccesa da un uomo Dio nato nella miseria, e morto nella ignominia. | (55r) 8. Egli fu desso, il quale in tutta la sua triennale predicazione con parole ed esempii non propose a suoi seguaci altro che la fede, che amore scambievole, e reciprocità. Di qui le sue tante sensibilissime minaccie ai trasgressori. Di qui le larghe promesse a chi l’osserva: ed ecco dopo la naturale e politica società una terza di religione: ed ecco un nuovo vincolo, onde gli uomini sono obbligati a beneficarsi, e a riconoscersi come fratelli, perche figliuoli dell’istesso Eterno essere, perche vivono colle medesime leggi e nell’istesso spirito di società. 9. Aggiungasi alle cose preallegate, che il fine, ed i mezzi di questa università di esseri, sono gli stessi. Imperocchè sendo la felicità della spezie umana il fine architettonico del gran corpo degli enti morali, e non si potendo conseguire il piacere, che colla prattica delle virtù sociali, ne siegue che il genere umano formi una cittadinanza perfetta, e la volontà de’ socii è unita coi vincoli della eterna Legge fortificata da patti sociali, e dai divini legami della Religione tanto naturale e politica, quanto rivelata. 10. Così essendo condizionata la Repubblica degli Enti morali, chi adunque potrebbe dubbitare, che tutti i suoi componenti debbiano essere in ogni tempo e luogo strettamente uniti? Di più, se sono da riputarsi dell’istesso corpo tutti que’ membri, i quali vivono coll’istesso piano di leggi, collimano all’istesso scopo i loro | (55v) atti sieguono mezzi uniformi per conseguirlo; ed avendo inoltre appieno fatto conoscere, che gli spiriti umani tanto nello stato attuale, che nell’altro sono livellati da un medesimo codice di regole, che in questa e nell’altra vita non aspirano, che ad un grado di felicità analoga alla spezie: che la felicità è figlia del piacere, e che questo si consiegue mediante l’esercizio delle virtù si monastiche che civili, è adunque da dedurne, che non ostante la separazione degli spiriti da i loro corpi, e non ostante l’impercettibile distanza di questo all’altro mondo, nondimeno rimangono essi nello medesimo stato degli Enti morali e restano con noi strettamente ed eternamente attaccati. 11. Ora se per principii di umanità sei tu uomo per natura attaccato ai Samoddei, ai Lapponi, ai Messicani, ai Giapponesi, agli Etiopi, quali neppure conosci, così dei anco per la condizione della tua spezie, altresì esser unito con tutto il resto dell’umanità trapassata. Inoltre se dall’Italia un mio amico si porti nella Guinea, un mio parente nella China, ed un mio vicino nel Madascar dimando in tante distanze restano rotti, o illesi tra me e loro i vincoli di amicizia, di parentela, di conoscenza? Mai nò: dippiù, sono io, sono essi potendo, tenuti di soccorrerci in qualunque modo? Niuno ne dubbita. Il che posto, qual | (56r) differenza è tra noi, e gli Americani, e quelli dell’altro mondo, se non, che di distanza? Or bene si concepisca ingrandito cento volte più il globo terrestre, dimando resti o no tu attaccato con quelle nazioni poco innanzi accennate, o rimani dissociato da loro, perche essi si trovano in maggior distanza? È forse altro il caso nostro? Dicasi adunque che gli uf-

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136 che] agg. in margine 149 Così … morali] così essendo la Repubblica degli Enti morali condizionata pr. mano 150 componenti] agg. in margine 160-161 ed eternamente] agg. in margine 163 quali sec. mano in interlineo] che pr. mano 164 esser] agg. in interlineo 166 China] in margine

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ficii di umanità, di beneficenza, di carità, di benevolenza, e di amicizia essendo atti proprii degli Enti morali, ne risulta che i medesimi devonsi praticare verso di tutti, massime amici, parenti e conosciuti, ancorche essi sieno in una distanza indefinita. Donde anche ne risulta, che siamo indispensabilmente obbligati di soccorrere i nostri maggiori già defonti, perche la nostra e la loro società non ne fanno che una sola e indivisibile. Il che è stato dedotto 1 dall’istesso codice della legislazione naturale, 2° dal contratto sociale interminabile, 3° da principi di religione. Che se a tutto questo per ultimo si aggiunga che il fine tanto di questa, quanto dell’altra vita è la felicità, e che la medesima è figlia delle nostre virtù, io non trovo da scusare chi mai dinegasse di soccorrere i Defonti. Olà il gran nodo disciolto e l’arcano distrigato. Così fattamente sembrami stabilita la dottrina proposta, che qualunque mai osasse di negare dovrebbe mostrare, che lo spirito umano uscendo | (56v) dal corpo cambia natura, e con cio sistema di rapporti e di leggi. 2° dovrebbe far vedere che questa società sia differente da quella, e con cio dovrebbe far vedere che nell’altro mondo gli spiriti anno un nuovo piano di sensazioni, di desideri, di bisogni, e di mezzi da cacciarli: ma lo Spirito come spirito è lo stesso da per tutto, i desiderii sono li medesimi, lo scopo ove collimano è uniforme, la legge che li regola è eterna, il piacere che genera la loro tranquillità è quello stesso diletto spirituale, che noi sentiamo nel beneficare i nostri simili, nel sollevarli oppressi, disfamarli famelici, e dissetarli assetati. Di qui la gran società degli enti morali: di qui i vicendevoli rapporti: di qui i reciproci aiuti: di quì insomma l’obbligazione nostra in soccorrere i nostri defonti maggiori. Ma tu dici, dove fosse vero, che noi siamo tenuti ad aiutare i nostri maggiori defonti dovrebbesi alla prima sapere, in che luogo ed in che distanza è situato il Purgatorio, poi in qual modo pervengono colà le nostre anche più fredde offerte, poi come si rendano efficaci a inclinare la giustizia divina anche le azioni fatte da un Fuoriscito, e finalmente si sa che questa divozione è un capo di commercio di Preti messaiuoli, o di Frati scorretti e ignoranti a’ quali per vivere nel seno del piacere e della poltroneria era necessario spandere il nero velo | (57r) della superstizione e fare che i Popoli vivessero perpetuamente convolti in una profonda cecità. 12. Il quesito di soccorrere alle anime del Purgatorio abbraccia due punti, uno è quello di soccorrerle, l’altro il sapere come colà pervengono le nostre offerte. Il primo è chiaro dalle cose di gia dette, perché esse non restano dissociate da noi, perche tanto noi, che quelle siamo regolati dal medesimo piano di leggi, le quali anno per oggetto la felicità di tutti gli enti morali in qualunque loro situazione: non così il secondo perchè sorpassa gl’istessi limiti della nostra ragione. Di qui è che gli avversari falsamente passano dal punto incognito a negare quel che è manifesto: non si sa, dove è situato il Purgatorio: dunque non si dà: non si sa, come le nostre virtù influiscono a quelli dell’altra vita, non siamo adunque obbligati di soccorrerli. Quali strane conclusioni non sono mai queste? Dove tali conseguenze fossero vere e volendo essere ingenui, dovressimo negare una infinità di cose a tutti cognite, 174 essendo] sono pr. mano 183 disciolto] già dissolto pr. mano 185 osasse] dinegasse pr. mano 192 disfamarli scr.] diffamarli cod. 198 anche] in interlineo 205 come … offerte] se sieno loro di profitto pr. mano 210 quel che è] ciò ch’è pr. mano 214 cognite] ingognite pr. mano

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ancorchè niuno ne capisca il modo, onde le medesime addivengono. Dimando, chi puo negare che il feto si formi nelle donne, e in ogni spezie di animali? Avanti chi puo dubitare che ad un uomo coricato alla supina gli preme la colonna dell’aria equivalente al suo volume? Inoltre ad occhio si vedono tanti fenomeni sorprendenti si nella nostra atmosfera, come in | (57v) tutta la seria de’ corpi terrestri? Finalmente tu uomo guardi l’amico nel viso, e gli leggi in fronte i suoi pensieri, vedi vegetare le piante e non sai come; ammiri infinite perfezioni, e ti sono misteri, come ti è anco un mistero l’istesso tuo movimento di lingua, di braccia, di cuore d’intestini, di fluidi. 13. Il nostro quesito adunque si riduce a questa precisione, se tu neghi che esistano le anzi dette cose, perche non le intendi, ti opponi all’evidenza fisica, ed all’istesso tuo senso. Nel qual caso non possiamo ragionarne insieme, perchè non abbiamo termini communi; se poi concedi che tai fenomeni sono esistenti, perché oculari e sensibili, e ciò non ostante ignori le cagioni, onde i medesimi succedono; io allora ripiglio, e dicoti, che se tai effetti confessi di buona fede ancorche ti sia ignoto il modo, quale ripugnanza poi ai di confessare l’esistenza del Purgatorio, e la necessità di suffragare alle sue anime, quantunque con velame eterno ti sia nascosto ugualmente il sito di tal luogo e la maniera come colà pervengano le tue offerte e sollevano quel popolo di enti morali? Sicchè senza più arzigogolare sopra arcani inestricabili e senza passare da quantita incognite a negare le cognite, confessi la necessità di suffragare | (58r) ai tuoi maggiori defonti con quelle più efficaci maniere, che io ti presenterò nel seguente capitolo, le quali nell’atto che procurano la felicità di quelli, formano benanco la tua. 14. Ma prima di entrare in materia si sa tra noi cattolici, che il sacrifizio della Messa ed altrettali opere sieno tutti mezzi valevoli a sollevare le anime del Purgatorio, nondimeno e tra perche sono risapute da tutti, e perche mi sono proposto nel presente trattato di rianimare gli uomini alla pratica delle virtù sociali, sicche limitandomi soltanto a queste, nulla dirò di quella come fuor del mio piano: non mi s’imputi adunque a delitto tale mancanza.

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215 ne] agg. in interlineo | onde] onde sieno pr. mano 217 dubitare sec. mano in margine] negare pr. mano | ad] agg. in interlineo | preme] prema pr. mano 221 e ti sono misteri] ed è per te un mistero pr. mano 223 dopo fluidi è espunta in margine la seguente aggiunta di sec. mano:Tu ignori ciò, che hai innanzi agli occhi, e da me pretendi il distrigamento di cose cotanto lontane? 228 onde] per le quali pr. mano 236 che] le quali pr. mano | nel seguente capitolo] agg. in margine 238 ma prima sec. mano in margine] prima pr. mano 239 ed altrettali … tutti] è uno de’ pr. mano 240 nondimeno] agg. in margine | sono risapute] è risaputo pr. mano

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Cap° VIII

Della felicità degli enti morali. Delle virtù civili proprie a suffragare alle anime purganti. 5

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Questo luminoso spettacolo della natura, la quale somministra al Filosofo tutti materiali de’ suoi discorsi, all’Astronomo di ammirare l’ordine inalterabile del sistema planetario, al Fisico di conoscere la catena di tanti fenomeni terrestri, al Contadino di moltiplicare le derrate, al Pastore di accrescere i frutti del bestiame, al Mercadante di contracambiare co’ popoli lontani il superfluo di contrade remote, e fa infine apertamente intendere al Politico per quali elateri, e con quali molle possano gli Stati rendersi popolati, floridi, prosperati. Donde si vede, che nella seria di tai specolatori dell’universo l’Astronomo, e il Fisico occupano l’infimo luogo, perche essi meditano per pura curiosità, laddove il contadino, e il Pastore, e il | (58v) Negoziante, i primi col produrre, e l’ultimo col moltiplicare causano il massimo bene alla gran massa del genere umano. Ma che sarebbero i corpi civili senza la magica fermentazione delle virtù che ci semina il Politico? Guerre intestine, sedizioni, frodi, libertinaggio, rapine, ed ogni genere di bruttura lacerarebbero per tal modo e le Repubbliche, e li Principati, che gli uomini per assicurare la loro esistenza sarebbero astretti a ritornarsene nelle selve. Olà il gran bene che fa il Politico, l’amico dell’uomo, e l’amoroso Padre della sua spezie. Olà il gran soggetto, che quivi verrò ad esporre e col promovere la felicità del gran corpo degli Enti morali mediante le virtù sociali, farò che questi e quelli dell’altra vita si riconoscano, si condensino, e si suffraghino a vicenda. Qualunque agisce agisce sempre mosso da qualche fine, e il fine è il suo bene. Ciascun uomo adunque agisce per il suo bene fisico, o morale, presente o futuro, immaginario o reale. Dippiù siccome nella catena de’ fini si dà il principale, al quale servono tutti gli altri intermedi, così nella seria progressiva de’ beni ci è l’ultimo, il quale abbraccia i rimanenti. Infatti il Colono squarcia la terra, la concima, la semina, la purga dall’erbe triste, miete le biade, tritura il grano, lo sfarina per avere il pane: ed un Principe volendo muovere la guerra al suo vicino raddoppia i dazi, preme i Popoli, assolda gente, l’agguerrisce, la mette in ordine di battaglia, ed infine si azzuffa, perche? Per ottenere la vittoria, e con essa lo Stato del suo nemico. Donde si vede, che il fine architettonico nel | (59r) contadino è di coltivare la terra, e l’avere il pane, quello del Principe di ampliare il suo Regno. Questo teorema è con tale grado di evidenza dimostrato dalla storia civile di tutte le nazioni d’ogni età, che sarebbe un volerlo indebolire dove io cercassi di affortificarlo con mendicate pruove e contro chi il negasse mi appello al senso comune della sua spezie. 2. Sendo così io domando, quale è il fine architettonico del genere umano? Tu dici sono tanti in numero, quanti sono l’istessi individui: imperocche di loro chi corre dietro alle richezze, chi agli onori, chi all’ozio, chi alle scelleratezze; altri amano i giuochi, altri i diporti, altri i viaggi. Inoltre v’à di quelli, che loro diletta 1-4 Della felicità … purganti sec. mano in margine] Mezzi politici di soccorrere i defonti pr. mano 14 causano] causamo cod. 20 verrò] agg. in margine 36 comune] commune pr. mano

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la campagna, a chi la Pastorale, a chi la guerra, ed a chi la mercatura. Infine gli uomini volentieri passano da uno all’altro stato, e da questo a quello, e da quello a questo più volte: onde conta se puoi e con ciò, nemo sua sorte contentus71. 3. Sicchè tutti gli uomini non anno un solo scopo, ma ciascuno à il suo, e tutti quanti insieme essendo in un perpetuo flusso e riflusso di piaceri, e di dolori errano da un fine ad un altro, e perciò non si da tra loro fine comune o principale. 4. Ma io ripigliando nuovamente dimando, perchè l’uno cerca la richezza, l’altro gli onori, questi l’ozio, e quello i giuochi? Se tu sei ingenuo mi devi confessare che ciascuno di loro ama di essere felice. La felicità adunque è il loro fine principale: avanti, l’uno anela di viaggiare, l’altro di essere compagnevolo, | (59v) chi pastore, chi soldato, chi negoziante, perche? Anche per essere in ogni parte felice. La felicità adunque si cerca da loro: finalmente domando, a che fine il militare vorrebbe farsi frate, e questi micaletto? Il contadino ama di essere pastore, e questi calzolaio, il medico dottore, e il dottore certosino? Non nasce forse, perche ciascuno di loro desidera di trovare la felicità, che ne’ loro mestieri non anno trovato. Conchiudesi adunque che nel gran corpo degli Enti morali si da fine ultimo, e che il medesimo è riposto nella felicità. Ed ecco fatti due passi nel nostro discorso, l’uno è che ciascuno essere morale tutto dirigge ad un fine ultimo, e l’altro che questo consiste nella loro felicità. Nel che non è mai trovato disparere nelle persone sensate; il Ciel volesse che siccome tutti i filosofi alla buona convengono su tai punti, così anche fossero convenuti nell’assegnare i mezzi, i quali formano la nostra felicità, che io non sarei nella necessità di far sentire le stranezze di alcuni Filosofi e nè la voce de’ loro appetiti scorretti! 5. Epicuro il quale fiorì sotto i tempi di Aristotile, volle che la felicità fosse posta nel solo piacere, parendogli che l’uomo non potesse in ultimo voler altro, la quale opinione forse egli prese da Aristippo capo de i Cirenaici. Zenone capo degli stoici, il quale visse d’intorno all’età di Epicuro, volle che la felicità non consistesse nella sola virtù, ne egli fu il primo a dirlo, perocche prima di lui l’avea insegnato Antistene Padre de’ Cinici. Dippiu chi l’a posta nelle ricchezze, chi nella magistratura, chi nel senso della venere, chi in quello della gola. Finalmente altri l’anno | (60r) riconosciuta nella bellezza del corpo, altri ne’ beni della fortuna, ed altri in altro, ed in che nò? 6. Platone il quale solo vale più, che gli anzidetti, volendo distorre gli uomini da tutte le cose terrene gl’invitò alla contemplazione di una Idea nella quale se mai avessero potuto mirare una volta, disse, ch’essi sarebbero felici. Il quale sentimento perchè poco inteso, restò negletto: ma chiunque considera che Platone non riconoscea, che idee innate, e che le nature astratte sussistono non già negli animi nostri, ma fuori, e le medesime non sono ristrette ne da luogo, e ne da tempi, alle quali rivolgiamo l’animo. Così fatto è il nostro senso morale per la virtù, misericordia, giustizia, ed onestà. Che se tali idee eterne ed immutabili sono in noi poste vive, è

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47 comune o] commune pr. mano 50 felice] infelice pr. mano 59 l’altro] agg. in interlineo 63 le stranezze] la loro stranezza pr. mano | di alcuni Filosofi] agg. in margine 72 ed in] nel pr. mano 71

Cfr. HOR., Sermones, I, 1, 1-3.

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da ripetersi dall’invoglia del corpo, il quale per così dire appanna, e quasi nasconde il candore di cose, ma disciolto lo spirito da’ legami della materia, subito tornano a comparirci luminose e belle: e soggiungea che se gli uomini arrivassero con occhi corporali a vedere la faccia di quella eterna bontà, se ne invogliarebbero a segno, che i medesimi squarciarebbero i duri ceppi de’ loro corpi per andarla a godere: così Platone levò la felicità da questa, e la trasferì nell’altra vita. 7. Aristotile discepolo di Platone, il quale in molte cose contradisse al suo Maestro ci propose ad essere beati l’esercizio delle virtù, le quali divise in monastiche e civili, che noi diciamo contempladive e sociali. Fece tanto conto della felicità delle prime che | (60v) l’antepose alla cittadinescha come sola nobile, sola prestante, e sola degna delle forme separate e dell’intelligenze sempiterne. L’altra poi volle stabilita nella somma di tutti beni, si di corpo, e di fortuna, come di spirito. A questa felicità invitò gli uomini, lasciando la Platonica agli Dii. Di che si vede che Platone parlò della sola beatitudine spirituale, perche volle che l’uomo non fosse altro che l’animo, ne più il corpo l’appartenesse, di quel che appartengano i ceppi al carcerato. Così Seneca, Epitetto, Marco Aurelio, e tutta la setta stoica. 8. All’incontro Aristotile ebbe in mira l’uomo anche nella stazione presente, e riputò il corpo come parte integrale dell’uomo: e non si potendo dare armonia nel tutto, senza a un tempo armonizzarla i componenti. Entrava adunque con ragione nel piano della felicità Aristotelica anche il corpo: di quì i suoi bisogni, e i mezzi di cacciarli co’ beni relativi a tal sostanza. 9. L’Autorità di questi due Filosofi tenea divisi in due partiti gli uomini, ed erano dubbiosi se aveano a seguir l’uno, o l’altro; ma in tanta dubbiezza venne un nuovo Maestro, il quale senza averci punto abbandonati in questa vita coll’esercizio delle virtù Aristoteliche c’infiammò a conseguire anco la platonica beatitudine. E cosi col riconciliare il Discepolo col suo Maestro levò di mezzo ogni dubbio, assicurò i titubanti, e confermò i credenti a praticare fra le altre la tanto da lui precettata e commendata Carità: ma prima che io venga a dire in che | (61r) consista la felicità, diciamo come di passaggio che cosa ella è, acciocche il Lettore non sia distratto dalla complicazione di tal voce. 10. Il Signore Demapertuis pose la felicità nella somma di tutti i momenti felici: chiamò momento felice quello stato dell’uomo nel quale vorrebbe piu tosto essere, che non essere. Al contrario disse momento infelice quello stato, in cui non vorrebbe piutosto essere. Valutò ciascuno momento in ragione della loro intensità, e durata, cosi che venendo a, et b addolorati, si cerca il quantitativo della sensazione dolorosa in ciascuno. Sente il primo il dolore di testa come a 8, l’altro di fianco come a 4. Il primo però è stato sbattuto dal dolore come a 4, ed il secondo come a 8, sendo dunque l’intensità in ragione reciproca delle loro durate, le somme sono uguali, e con ciò il dolore di ambedue è come 3272. Questo sentimento altro non conchiude, che la felicità consiste nella somma de’ piaceri, e la miseria nel prodot116 a et b] corr. in margine 117 di] 103 partiti sec. mano in margine] classi pr. mano il dolore di pr. mano | fianco] in margine 120 come sec. mano in margine] a pr. mano 72

Cfr. P.-L. MORAEU DE MAUPERTUIS, Essai de philosophie morale, I, Berlin 1749, I, pp.

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to de’ dolori, ma chi cagiona li primi, e chi i secondi? Ora io convengo con tutti, che la beatitudine sia riposta nella privazione de’ dolori, e la loro totale privazione genera la somma felicità almeno nello stato presente. Al contrario nell’oppressione de’ dolori consiste la nostra infelicità, dunque quanto più questa somma cresce, altrettanto si aumenta la nostra miseria. Chiamo piacere quella sensazione la quale è analoga alla nostra attuale costituzione tanto fisica, che morale; per l’opposto chiamo dolore quella sensazione, la quale irrita e sconcerta | (61v) la nostra armonia si fisica, che spirituale. Di quì si capisce, che la felicità fisica consiste nella equabile oscillazione della nostra tela nervosa, e di fluidi; e la morale nell’armonia delle nostre potenze intellettive: di quì anche si capisce, che i piaceri, e i dolori si dividono in fisici, e ideali, in presenti e futuri; in reali ed immaginari, in fine tanto i dolori, che i piaceri sono piu, o meno densi, piu o meno durevoli. 11. Il che detto, si vede che la felicità umana consiste in una certa equabilità costante di corpo, e di spirito. E si vede altresì, che i dolori possono sconcertare l’uno e l’altro, mentre se ci siano piaceri positivi o no, per ora non voglio disputarci. Essendo così, la presente ricerca si riduce, chi causa i dolori, gia che la loro privazione produce la tranquillità del nostro essere? Ora io domando si può sciogliere il quesito senza rientrare nella cagione de’ nostri mali o dolori? Dippiu si possono determinare le cagioni della nostra felicità o miseria senza esaminare gli stati diversi dell’uomo, la forza del suo temperamento, e quella de’ suoi affetti? Inoltre nello stato civile, dove si danno tanti bisogni di capriccio, di pregiudizi popolari, di educazione, di economia, di politica, di superstizione non si anno forse a contare? Di vantaggio a chi manca la salute, a chi il vitto, a chi l’ingegno, a chi le braccia, a chi la volontà, a chi le forze, come costoro possono essere felici? Infine le guerre, le sedizioni, le congiure, il dispotismo, l’anarchia, la licenza, | (62r) i tremuoti, le tempeste, i volcani, le pestilenze, i morbi, ed altrettali senza numero non ci attaccano forse periodicamente? Alle quali cose ripensando Platone presso Aristotile disse che l’uomo est ludus deorum, cioè un Essere, il quale si reputa felice e pure i dei ne fanno un giuoco, e lo malmenano a vicenda. E Teofrasto cantò: Vitam regit Fortuna et non sapientia73. Donde si deduce che il vocabolo felicità è di per se vago e complicato. 12. L’uomo adunque nella sua attuale condizione non può essere in ogni sua parte felice, perche à a combattere con se medesimo, e cogli oggetti prementi. Ciò non ostante egli può godere una felicità relativa alla qualità della sua spezie. Donde ne deduco, che tutti coloro, i quali anno negata la felicità umana, anno inteso della somma; all’incontro quelli che l’anno confessata, gli anno attribuita la relativa; E questi ultimi ancorchè abbiano cotanto variato ne’ mezzi, pure convengono, che la beatitudine consiste nel godimento de’ piaceri, o nella privazione de’ dolori. Ritrovato adunque che il piacere causa la felicità, si domanda, chi mai causa il piacere? Ora poicchè quel che giova e diletta ad uno, spiace e nuoce ad un altro, e ciò che oggidì a me stesso dispiace e dannifica, domani mi ristora e mi nudrisce, sicchè nel rintracciare la cagione produttrice del piacere, bisogna aver riguardo all’uomo

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CIC., Tusculanae disputationes, V, 9, 25.

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tanto isolato, che sociale, si rispetto al suo fisico che morale; ed in fine altra è in lui la | (62v) felicità naturale, ed altra l’acquisita; ma siccome non si da virtù senza piacere, e ne questa senza di quella, sicchè a voler che un uomo sia felice, necessita che sia anco virtuoso. Per ultimo essendo le virtù molte, e tra loro diverse, la strettezza del presente trattato m’obbliga a portare una vista rapida soltanto sopra le più principali. Cap. IX

Delle virtù civili proprie a rendere felice la società degli enti morali 5

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1. Come ciascun corpo civile, così la massa degli enti morali sussiste co’ magici legami della virtù: ella è a guisa d’una grandissima volta di casa, la quale non può reggere senza della forza della coesione scambievole, che una pietra componente communica all’altra, e la medema tanto più è durevole, quanto le pietre si uniscono in maggior numero di punti e si combacino in tutte le parti della loro superfecie. Ora la forza di coesione ne corpi politici consiste nelle virtù sociali. Esse sono quelle, le quali attaccano, e stringono per tal modo i soci che di tanti milioni di milioni non se ne fa che un solo, mentre i loro abiti virtuosi, dirigendo tutte le volontà particolari ad un medesimo scopo, di tanti cuori, e di tante volontà non ne risulta che un sol cuore, ed una sola volontà. Di tal fatta fu la società Cristiana pennellataci | (63r) da S. Luca allorchè scrisse ne suoi atti apostolici erat in omnibus cor unum et anima una74. Di tal fatta era la società, che a nostri giorni l’entusiasmo stesso delle sue virtù a distrutta, e soffogata nella sua grandezza medesima, suis et ipsa Roma viribus ruit75. Quella dunque è vera società, quando di molti uomini se ne faccia un solo, ed allora ne diventa un solo, dove lo spirito di vicendevole soccorso anima tutti e li porta ad agire a pubblico vantaggio. Ed avendo provato, che gli enti morali in qualunque distanza situati non fanno, che un corpo indivisibile, ne siegue, che quelle medesime virtù, le quali promovono il bene di questi, possono, e devono altresi influire alla maggiore prosperità di quelli dell’altra vita. Ciò provato, non mi resta che di mettere brevemente in veduta le più principali virtù, e di animare i lettori a praticarle, il che riuscendomi non solo averò perorata la necessità di prosperare i nostri maggiori defonti, ma averò benanche resi quelli di questo mondo più comodi, più uniti, e più felici. 2. Alla prima si sà, che nell’uomo ci siano alcune interne commozioni dette appetiti, i quali non li fanno agire, se non che a profitto proprio; questa forza è sì 169 in margine la seguente postilla di sec. mano: Le virtù saranno distinte in religiose, in monastiche, e in politiche, e queste suddivise in quelle le quali unificano gli uomini dissociati, in quelle, che più gli addenzano, ed in quelle, che li conservano uniti. Virtù monastiche fatica, temperanza, educazione de’ figliuoli, e fortezza d’animo Cap. IX, 11 mentre] mentre che pr. mano 16 a] l’a pr. mano 17 uomini] agg. in margine 21 possono e] agg. in margine 74 75

At 4, 32. HOR., Epodes, 16, 2.

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viva in tutti, che delle volte li porta non che a nuocere e a sconcertare l’armonia universale della sua spezie, ma anche sconsigliatamente a cagionar male a se medesimo. Ora l’abito di far bene agli altri, la prontezza di rintuzzare tai moti sfrenati, e la facilità di vincere se medesimo, appellasi virtù. Donde conoscesi, che la materia, e quasi il pabolo | (63v) delle nostre virtuose azioni, ch’il crederebbe? ci è somministrato dalli medesimi nostri appetiti. Donde conoscesi, che anticamente li stoici, ed oggidì i nostri Concionatori, insegnando, che si divelgano le comone passioni, senza saperlo, minano a sradicare i materiali stessi, di quelle medesime virtù, che essi non sanno ispirare. Donde anche conoscesi, che il fondamento di qualunque virtù sia monastica o politica, sia intellettuale o prattica è riposto nel bene della società degli Enti morali. E per ultimo conoscesi, che la gradazione delle virtù siegue costantemente tanto la forza della volontà di chi agisce, quanto la maggiore o minore influenza di bene che si proccura ai suoi simili. 3. Dal che adunque ne deriva 1° che quanto è più grande il quantitativo delle azioni virtuose, tanto più una società sarà prosperosa, 2° che nella serie delle virtù quelle sono preferibili alle altre, le quali producono una somma maggiore di bene; le politiche adunque sono da anteporsi alle contemplative, onde tantum scit homo quantum operatur76; 3° che quelle azioni, le quali nuocono all’intividui, devono anche nuocere al corpo morale, e perciò sono false virtù: 4° Finalmente ne deriva, che niuna virtù è naturale, ma tutte sono effetti dell’esercizio e dell’uso. Olà Figli del Cielo la felicità vostra è nelle vostre medesime mani. 4. Venendo ad esporre le virtù, rimarrà ammirato il Legitore, ch’io incomincio dalla fatica da niuno finora posta nel ruolo delle virtù. Si bene egli | (64r) si prenderà meraviglia di me; ed io resto attonito degli altri, i quali non l’anno mai curata. Di grazia se il fine architettonico dell’uomo è la propria ed altrui conservazione, e la propria ed altrui miglioria, dimando, chi più della fatica conserva il corpo, alimenta lo spirito, migliora lo Stato? Che anzi dico che essa è benanche il fondamento di tutte le altre. Imperocchè la fatica ti allontana dall’ozio, la fatica ti appresta i comodi della vita, ti conserva il corpo sano, ti appresta un fondo di beneficare il prossimo bisognoso, ti rende temperante, ti unisce co’ tuoi simili, ti fa disprezzare i vizi, ti fa libero, ti fa onesto, ti rende sociale. Di quì è che presso gli antichi Romani l’uomo laborioso si avea per onesto, e l’uomo onesto non era che il laborioso. Se la fatiga adunque è produttrice di tante virtù, come essa deve demeritare sì glorioso nome? Ed al contrario l’uomo ozioso è anche vizioso, mentre se non facesse altro male alla società, che quello di consumare i prodotti dell’altrui fatiga, ed ispirare agli altri l’oziosità, per questo solo l’ozioso sarebbe punibile. Ecco perchè l’immortale Sesostri girava annualmente il suo Regno per vedere chi de’ suoi sudditi faticava, e gli oziosi per la prima volta erano espulsi dallo stato, e se tornavano

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39 conoscesi] da ciò conoscesi pr. mano 41 che si … simili] ai suoi simili proccurato pr. mano 54 vostre] agg. in margine 60 dico] non solo dico che la virtù ne’ corpi politici, ma pr. mano | che] agg. in interlineo 65 il] agg. in interlineo 69 agli altri l’oziosità] ad altri oziosità pr. mano 76 Cfr. L. A. MURATORI, Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti, II, Venezia 1742, p. 297.

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erano mortalmente puniti: altrettanto si prattica al presente nella | (64v) China: oh la infelicità degli stati, ove la poltroneria è onorata, e peggio se la venga santificata. Ed io sono nel sentimento, che la massa di tanti oziosi ed accattoni nel Regno, sono tutti animati da tanti corpi di poltroni esemplari. I vizii sono di tal statura, che si propongono più rapidamente delle virtù. Basta un poltrone per farne cento, ed altrettanti virtuosi stentano a produrre un solo uomo onesto. 5. Al che avendo più volte ripensato ò sempre tra me stesso detto la religione, la quale à fatto tanto bene all’uomo, che non farebbe dippiu, dove questa in nome di Dio dal quale si spera ogni bene, e si teme ogni male, gl’istillasse anche la fatiga utile? Che non farebbe dove si mostrasse il Paradiso aperto ai laboriosi, serrato agli inerti ed a fuchi di questo mirabile alveare civile? Che se il grosso dell’umanità non agisce, dove non venga illuso, potrebbesi forse essere illusione più cara, più utile, più gloriosa di questa? Che anzi, essendo l’oggetto dell’eterna legge naturale o della volontà di Dio la conservazione, e la miglioria dell’umanità in generale, e di ogni suo individuo in particolare. E non si potendo l’uomo ne conservare, ne migliorare senza un dato esercizio di corpo e senza far valere le sue forze e procurarsi i mezzi di conservarsi, ne siegue che Dio ci precetta il travaglio. Perche adunque non inculcarlo a suo nome? quale maggior bene non ne risultarebbe all’umanità | (65r) dove a vantaggio proprio, a vantaggio della sua specie dovunque sparsa, e dispersa l’uomo impiegasse le sue fatighe? 6. Da cio si conosce, che nel sacro altare del proprio cuore l’uomo non puo offerire vittima piu accetta a Dio, ne piu propizia a suoi defonti maggiori, agli amici, a conoscenti, quanto quella de’ suoi quotidiani sudori: questa nuova maniera di sacrificare, e questo nuovo genere di virtù detestata da Maestri di poltroneria esemplare, dove dalli sopravigilanti degli stati si sapesse a tempo eccitare ne’ petti giovanili poco, o niente mancarebbe a rendere armonico il gran corpo degli Enti morali. Perciocchè dalla fatiga deriva la sanità del corpo, la tranquillità dello spirito, i commodi della vita animale, il tesoro delle beneficenze, il principio dell’onestà. Da essa la giustizia, la costanza, e la prudenza. Da essa in somma il luminoso coro di tutte le virtù sociali. I primi cristiani convinti di questa manifestissima massima, lo spirito della loro santità fa quello stesso della fatiga utile. Fatigarono gli Apostoli, faticarono i loro discepoli. I primi Anacoreti furono tutti laboriosi, parchi, e liberali. La barbarie di Europa e la sua anarchia di piu secoli fu che tra tanti mali dell’umanità produsse ben anche un nuovo senso di virtù, e giunse a farci avere in orrore la fatiga e a rispettare sacri i poltroni. Da cio | (65v) la deserzione delle campagne, gli omicidii frequenti, le prede e le rapine continue, la spopolazione degli stati: da ciò l’epoca della sua decadenza: ed ancorchè il Colombo col trovare un altro mondo avesse aumentato la sfera del commercio, e rianimate le nostre braccia, cio non ostante una gran parte de’ membri di questa gran macchina civile non ancora è stata posta in azione: e quel ch’è peggio la loro inerzia ritarda il mo-

75 tanti … esemplari] tante nostre communità meridionali pr. mano 82 questo mirabile] questo pr. mano 83 potrebbesi] et potrebbe pr. mano 84 nota d’altra mano in margine: Teorica sul lavoro 98 nota d’altra mano in margine: Ottima conclusione morale, politica, religiosa! 108 decadenza] educazione pr. mano

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vimento degl’altri. E siamo culti? Ed il nostro secolo è filosofico, secolo di Lume, secolo di Economia! Credat Iudeus apella77 ch’io per me, non son sì freddo, e gonzo, che creda santo un fraticel che stia a sbatacchiare un campanel di bronzo78. Dopo della virtù della fatiga, ripongo la temperanza universale: questa non consistendo, che nella moderazione di tutti i nostri appetiti si fisici, che morali, subito si capisce la sua benefica influenza sopra tutta la sfera delle nostre azioni. Imperocchè la temperanza ti fa avere l’armonia del corpo, ti tranquilla lo spirito, ti frena l’eccesso del travaglio, quella de’ desideri, non ti fa ambizioso, nè furbo, nè ghiottone, né avaro, nè crudele, nè ingiusto; ma si bene ti rende a te stesso onesto, ti attacca alla massa della tua spezie, ti fa leale, costante, benefico, misericordioso, libero, patriota, cittadino del mondo, e del Cielo. E poiché gran parte della scontentezza umana nasce o per mancanza di commodi, o da eccesso di desiderii, chi non vede che la temperanza è dessa, la quale assicurandoti i mezzi da cacciare i bisogni, molto influisca a renderci felici. | (66r) Inoltre col frenare gli appetiti scorretti conserva una certa equabilità si nel corpo, che nello spirito, che essa sola unita alla fatiga possono essere sufficienti a render l’uomo in ogni sua parte beato. S’aggiunge a tutto questo, che il temperante lungi dal ledere i dritti altrui, ma piutosto usando bene le sue ricchezze largheggia con tutti, ed è padre de’ bisognosi. Ed eccoti, o uomo, presentato un altro genere di vittime da immolare a tuo modo sull’altare del tuo medesimo cuore. Orsù Contadini, Pastori, Artisti, Marinari fate fumare i vostri petti di questo sagro fuoco, ed animatevi a diriggerlo in sollievo de’ vostri maggiori in riconoscenza de’ benefizi da loro ricevuti, ed in effetto di quell’indivisibile legame, con cui vi stringe la communione degli Enti morali. Queste due gia discorse virtù della fatiga utile, e della temperanza sufficienti all’uomo isolato esse non bastano al socievole, e percio sono da fissare in questo altri vincoli, ed altri salutari legami. 7. Nella seria inesprimibile degli esseri mondani l’uomo non occupa un termine per la cui sussistenza Iddio à posto tanta energia di riprodursi, che il celibato violento sconcerta il meccanismo umano; ne questo sarebbe bastevole dove non avesse a un tempo istillato ne’ petti de Genitori un fuoco inestinguibile di allevare la prole, d’istruirla nelle arti, di attaccarla a suoi simili, e d’ingentilirla ne’ costumi. Da cio si | (66v) conosce che il fare un uguale uso, si riduce a semplice forza animalesca, ma formare i suoi figliuoli utili alla società umana in generale, e giovevole a quella, in cui si vive è proprio dell’uomo; Se adunque la felicità di un tutto nasce da quella de’ suoi componenti, si conosce, che la tranquillità di uno Stato è figlia della

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113-115 ch’io … di bronzo] agg. in margine 120 avere] avere abbandonato pr. mano 127 felici] felici sì nel corpo che nello spirito pr. mano 131 usando] usa pr. mano, che comunque lo corregge sostituendovi usando 138 vincoli] vingoli pr. mano 144 nota d’altra mano in margine: Nota quì bel principio! 146 figliuoli] agg. in margine 77 78

HOR., Sermones, I, 5, 100. B. MENZINI, Satire, I, 121-123, in ID., Le Satire, Napoli 1743, p. 19.

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sensata educazione della gioventù. E volete poi che questa cura non sia una virtù? Che anzi dico essere la cura paterna de’ figliuoli virtù fondamentale di ogni corpo politico. Il perchè a ragione Socrate era consueto dire, che le leggi sono dissutili in una società, perchè o i suoi membri sono buoni, o malvaggi; se buoni, essi non anno bisogno di leggi, mentre si sanno condurre: se malvaggi le disprezzano. Onde Orazio scrisse. Quid leges sine moribus? Vane proficiunt79. La educazione adunque de’ figli è una virtù, e è preferibile ad ogn’altra; e pure ch’il crederebbe contro un impeto violento della natura a prevaluto in alcuni il pregiudizio, che ti fa detestare il matrimonio, come di ostacolo sempiterno alla salvazione dell’altra vita. Di qui il tanto numero de’ celibi. Di qui la mancanza dell’industria, la propagazione della venere vaga, e la corruttela de’ costumi. Diciamolo l’uomo celibe non è dello Stato perche non ci à vincoli. Donde ne siegue che siccome è meccanismo il produrre i figli, cosi è virtù patriotica l’istruirla bene e ne’ loro corpi, e ne’ loro animi. Offerite adunque, o Fratelli, i vostri allievi al gran dio della | (67r) pace; offeriteli in riconoscenza de’ vostri maggiori; obbedite così all’interno senza della natura; ed alle mire divine, e così sarete grati a defonti ed attaccati allo Stato. O! il nobile sacrifizio! O la gran moltitudine de’ vittimari. 8. Siegue la beneficenza. Non c’è atto umano, il quale tanto ci approssima a Dio, quanto il soccorrere a bisognosi con parte de’ nostri averi. Ma che sarebbe dove tu predassi per largheggiare agli altri, o dove tu promovessi i vizi, o donassi in una sola volta cio che potessi in molti? Nel primo, e secondo caso, saresti malvaggio; nell’ultimo imprudente. Sicchè sii benefico, ma dona il tuo; sii benefico ma cogli onesti: Onde Seneca: quæramus dignissimos, quibus nostra tradamus80. Ricordati che l’uomo da bene fa le limosine a poveri; all’incontro l’uomo di stato gli occupa nel travaglio: sii in fine benefico, ma non esaurire il fondo della beneficenza col denaro in una volta, e nè donare tutto, perchè nella serie de’ bisogni i tuoi sono i primi; e ne puoi fare bene agli altri, se prima non lo fai a te medesimo. Questo sacrifizio, oltrechè quasi ti divinizza, il medesimo anche ti stringe con tutti i tuoi simili, e diventi così il massimo promotore degli interessi della communità morale. Sicchè non immitare quel frate, il quale nell’atto che ti predica la carità: Egli il cor tien dentro la sua bisaccia81.

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9. Ma imiti si bene Plinio il giovane, il quale come | (67v) leggesi dalle sue epistole pagò i debiti di un amico, aumentò la dote della figlia di un altro perche potesse meglio la dignità sostenere dello sposo; vendè ad un altro un podere meno del suo giusto prezzo; ricompensò la sua nudrice con un fondo bastante a farla sussistere senza noia; donò alla Padria una biblioteca con rendita sufficiente a mantenerla; e 155 è una] non è che pr. mano | e] ma pr. mano 161 il] agg. in interlineo 162 gran] agg. in margine 165 vittimari] vittimari dopo quelli stabiliti dalla S. Chiesa pr. mano 167 che] che ne pr. mano 172 le limosine] la limosina pr. mano | all’incontro] agg. in margine 174 una] una sola pr. mano 177 communità] communione pr. mano 179 cor tien] contiene pr. mano 180 imiti] agg. in margine 181 figlia] famiglia pr. mano 79

HOR., Carmina, III, 24, 35-36. SEN., De beneficiis, IV, 11. 81 B. MENZINI, Satire, V, 78, p. 177. 80

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fondò in fine uno stabilimento per l’educazione de’ Cittadini poveri: e donde tutto questo? supplì a tutto colla sua frugalità. Di quì è ch’egli scrisse quod cessat ex reditu frugalitate suppletur; ex qua velut ex fonte liberalitas nostra decurrit82. Moltissimi letterati, come Galileo, Erasmo, Neuton menarono una vita parca per essere più liberali. 10. La prudenza, a ragione appellata la regina delle virtù, doppiamente si prende da’ Filosofi: il suo primo significato abbraccia tutte le cognizioni delle verità tanto astratte, che pratiche, così presso degli scrittori Greci, quanto Latini. Il secondo è ristretto a dinotare quella virtù, la quale regola la scelta de’ beni e de’ mali. Essa rettifica l’intelletto, e modera la volontà, e decide sulle massime specolative, e prattiche. La prima è de’ metafisici a quali si lascia intatta. L’altra di cui quì conviene scrivere è la circospezione che l’uomo deve portare sulla condotta de’ suoi sentimenti, parole, ed azioni esteriori. 11. Rispetto ai primi i sentimenti non sono meno liberi de’ nostri pensieri, essi si destano in noi a dispetto della volontà, e partono dal fondo dell’anima, senza che il corpo ci à parte alcuna, come eccitati da sensi. Tali sentimenti possonsi in varie classi compartire. Nella prima ripongo i vani, ed i prosontuosi, da quali | (68r) s’ingenera l’ambizione, e l’orgoglio: alla seconda si riferiscono gli appetiti corporali, i quali sono tanti [eff]etti d’intemperanza: si contengono nella terza i desideri svegliati dagli occhi come ricchezze, freno ad onori. In quanto alle parole, dico che siccome il saper regolare la sua lingua è difficile, pure è necessario ed utile. Allora un uomo s’avvede di aver migliorato e perfezionato se stesso, quanto sia pervenuto a frenare la sua lingua unica interprete de’ nostri pensieri, desideri, e sentimenti. Tutti gli uomini sono innocenti, dotti, intesi, veritieri, leali prima di parlare, ma subito che i medesimi parlano, ecco il cuore nella loro lingua, e si fanno conoscere corrotti, ignoranti, bietoloni, mendaci, mancatori di fede, e spergiuri. Io posso aver appreso che il d(otto)r Menalippo paga i tre studenti che lo sentono; che Filotimo sia irreligioso, che Critone sia lascivo, sordido, e bigotto, che il Giudice Panfilo venda i suoi decreti; e che Sofonisbo nutrisca sentimenti repubblicani; ma cesseranno i miei pensieri di essere onesti, dove me li ponessi a divolgare: dippiù io so la vita del mio vicino assai meglio che il mappamondo: mi sono note le sue furberie, le sue tresche e ad una, ad una tutte le sue malignità; ma se di lui ne volessi parlare con termini troppo chiari, offenderei l’onestà, e la decenza. Nondimeno è permesso qualche volta sparlare di una persona, quando ad essa o alla sua communità facciasi vantaggio. Onde reputerei ben fatto informare un Padre di famiglia d’intorno agli andamenti scorretti di un suo figliuolo, ad un Provinciale degli regolamenti di un suo Frate libertino; ed al | (68v) Prencipe de’ progressi temerari di un suo suddito sedizioso. Essendo adunque la lingua la sfera visibile della nostra anima, perchè mediante la medesima noi valutiamo la dottrina, l’attività, e l’onestà di chiunque. 187 liberalitas nostra] agg. in margine 188 Galileo] Gallileo pr. mano che pr. mano 203 ad] agg. in interlineo 208 sono] agg. in margine so che] appresso ancorche pr. mano 214 ponessi] ponga pr. mano agg. in margine 219 reputerei] reputo pr. mano 82

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195 di cui] 211 appre216 tutte le]

PLIN., Epistulae, II, 4, 3.

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Onde Socrate diceva ad un giovanetto loquere, ut te videam83. Sicchè bisogna parlar bene: E dove cio non si possa fare, almeno si taccia: uomo adunque prudente è colui il quale parla poco, perche riflette assai. Ascoltasi Madama Polisena. Essa quantunque consapevole de’ suoi bassi natali, povera di sua casa, e stupida, pure mostrasi così piena di buon concetto per li suoi talenti, che la si crede in dritto di brillare agli occhi di tutti. Da ciò nasce che nelle conversazioni è un basso continuo. Si contrista quando altri parla: interrompe i discorsi, smentisce le verità di un racconto a malappena cominciato, intende male, risponde peggio; sempre parla, e sempre sconnette ad alta voce: il perche nel principio del suo discorso è ridicola, poi esosa, finalmente intollerabile. 12. Per ultimo è da mettere avertenza alle azioni. Se noi non avessimo che Iddio unico testimonio de’ nostri atti, niente temeremmo i giudizi umani. Ma perche oltre a Dio siamo altresi tenuti agli uomini di render conto della nostra condotta, i quali non giudicano, se non che dal difuori; siamo adunque obbligati ad operar bene per nostro medesimo vantaggio. Dicche seguita, che non basti aver la verità nel cuore, necessita eziandio, che si renda visibile collo spanderla su tutta la sfera delle azioni un color vivo perche non sieno punto, nè equivoche, e nè suscettibili di sinistra interpretazione. Eusebio è un gran metafisico, ed ancorchè veneri Iddio col | (69r) cuore, e lo rispetti, pure passa per discredente. Questo perche? Perche disprezza gli acquisti smoderati de’ Frati, condanna la loro licenza, detesta i loro capi di commercio. All’incontro Liborio quantunque abbia il cuore cancrenato, sia senza fede, e senza Dio vesta alla stoica, frequenta la secreta, è in chiesa immobile, ed in orando storce gli occhi, insomma à tanto di religione esteriore, quanto basta a gabar la gente, con tutto ciò è riputato irreprensibile, e santo dalla gente. Donde ne deduco, che la grande arte di sapere stare nel mondo consiste in due soli punti. Uno è di non far niente, che non porti seco il carattere di virtù: l’altro è di fare cio che la legge gli prescrive: il primo è la sorgente de’ buoni esempii, il secondo della pubblica onestà. Queste due massime l’ò ricavate da una serie di riflessioni fatte sù di me, e degli altri. 13. Felix, quem faciunt aliena pericula cautum84.

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Ammiriamo adunque la sapienza, e ringraziamo Dio, il quale fra tanti valevoli mezzi a santificarci ha reso quello più alla nostra portata, di cui n’è più sicuro l’effetto. Tutti possono in ciò contribuire, e massimamente i personaggi grandi, la cui sfera delle azioni come più luminosa e più estesa, può via meglio influire all’onestà de’ loro popoli sottoposti: sichè sieno i nostri sentimenti onesti, sieno i desideri umani, sieno infine le nostre operazioni per tal modo virtuose, che le riescono valevolissime a suffragare a nostri maggiori già defonti. 226 essa] e pr. mano 229 brillare] farsi brillare pr. mano 237 dal] al pr. mano 238 verità] sec. mano in margine] vista pr. mano 239 collo spanderla] con spandere pr. mano 245 è] agg. in inerlineo 247 dalla gente] da gente sciocca pr. mano 83 84

APUL., Florida, 2, 1. T. TASSO, Intrichi d’amore, I, 9.

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14. Tutte le preallegate virtù sarebbero dissutili, dove gli Enti morali non vengano con altri vincoli strettamente annodati. Che cosa mai sarebbero i corpi civili senza l’osservanza de’ patti, e senza | (69v) la prattica de’ doveri sociali? Oh la bella virtù della giustizia! Oh la sua ammirabile necessità! È la giustizia secondo Aristotile l’abito per cui l’uomo è disposto a dare agli altri cio che a loro si dee: la giustizia adunque non è altro che la prontezza di osservare i doveri, i quali abbiamo a Dio, a noi medesimi, ed agli altri. 15. Da Aristotile è divisa in commutativa, e in distribuitiva: ciascuna di loro siegue una certa particolar ragione. L’una però Geometrica, e l’altra asimmetrica, la prima quella de’ patti: la seconda de’ meriti e de’ demeriti. La commutativa ti da quanto ricevi, e ti fa serbare ad ogni patto l’uguaglianza. Ed ancorchè i beni si scambino, nondimeno il cambio non sarà mai giusto, dove non sia eguale. Ne mi si dica, che indistintamente permutiamo tutto dì e vesti, e case, e poderi, e pitture, e bestiami, e manifatture, mentre tali beni tutti si rendono uguali per mezzo della moneta lor comune misura. Donde subito si vede poter uno mancare in due modi alla giustizia commutativa, o col dar più che l’uguaglianza richiede, o col dar meno. Sebene chi da più non è in colpa, ma in errore. Per opposto colui, che da meno offende la giustizia, ed opera dissonestamente. 16. In quanto alla giustizia distributiva anch’essa va dietro ad una certa proporzione in quanto che distribuendosi e premi, e pene giusta il merito, e demerito, bisogna, che quella ragione, la quale passa tra il merito e demerito di due persone, quell’istessa a a passare tra il premio, e pena, che vuolsi dare all’uno, ed il premio e la pena, che vuolsi dare all’altro. Scartatemi dagli imperii civili questa | (70r) proporzione, ed ecco tolta dal mondo la giustizia distributiva. Orsù restatevi all’oscuro inviliti, e cenciosi uomini dotti, leali, temperanti onesti laboriosi; ed all’incontro sulle ali della vostra nobilissima presunzione e ignoranza, volate alle cariche luminose voi altri furbi, servili, adulatori, cortigiani, mentre io vado ad offerire a miei Genitori nel sagro altare della riconoscenza la gelosa prattica dei miei doveri. 17. L’altra virtù civile è la fortezza dell’animo; le cose della natura urtano per tal modo sul corpo umano, che producono in lui tutte le sensazioni armoniche, o dissonanti, le quali per lo stretto commercio collo spirito gli fanno sentire le medesime alterazioni. Sicche tali sensazioni sono nell’uomo inevitabili. Aggiungesi a tutto questo quella somma di dispiaceri, che ciascuno individuo in ogni stato dee sentire per li tanti mali domestici, politici, e di fortuna. Di qui le sue ambasce, afflizioni, miseria, dolori. Di qui il suo flusso perpetuo di piaceri, e dispiaceri: Essendo così, come un uomo può mantenersi equabile senza uno spirito d’intrepidezza, costanza, ed animosità? Donde manifestamente si vede la necessità della fortezza di cui vengo quì a parlare. 18. Primieramente s’intende per fortezza di animo quella virtù, la quale versa d’attorno al timore, e confidenza insieme di quelle cose, le quali ci compariscono ardue, terribili, e spaventevoli. Il perché Cicerone nel sentimento degli Stoici la disse: virtutem pro iustitia depugnantem85. Forte adunque è colui il quale fornito 269 e in] in agg. in interlineo 283 a a] ha pr. mano questi pr. mano 293 aggiungesi] s’aggiunge pr. mano 85

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284 scartatemi] scartatemi 303 forte] il forte pr. mano

CIC., De officiis, I, 62.

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di nobiltà di animo combatte a vantaggio commune. Nel che si vede che la sola forza morale costituisce l’uomo forte. | (70v) Questa virtù distinguesi in interna ed esterna. La prima consiste nella prontezza d’intraprendere cose grandi, ma giovevoli: la seconda è riposta in un certo ragionato disprezzo delle cose, ed in una certa equabilità di cuore, e serenità di animo nel modo che si racconta di Socrate, di Aristide, di Temistocle, di Scevola, di Attilio, di Catone, di Bruto, e di tanti Martiri della Chiesa Cattolica; onde Orazio Æquam memento rebus in arduis Servare mentem, non secus in lætis Ab insolenti temperantem Letitia …86

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19. Si conosce da tutto cio, che il vero uomo forte è colui, il quale sa ben diriggere le sue passioni. E chiunque conosce se medesimo, ritrova che non v’à cosa più malagevole di questa: onde il Savio: qui seipsum vincit, fortior est expugnatore urbium87. E Lattanzio de falsa relig. cap. 9 anche scrisse: animum vincere, iracundiam cohibere fortissimi est: … hæc qui facit non modo ego cum summis viris comparo, sed simillimum Deo iudico88. Ed in effetto chi mai potrebbe dire invitto Alcide, il quale menò vita cotanto lasciva con Unfala: chi Annibale corrotto nell’ozio di Capoa: chi infine Alessandro, Silla, Catilina, ed altri senza numero? 20. Sicchè la fortezza ti rende paziente a soffrire le vicende della fortuna, le persecuzioni eterne de’ tuoi invidiosi calunniatori, gli urti civili, gl’incomodi della tua famiglia e la bassezza del tuo stato. Divenuto così superiore di se medesimo con animo signorile, ed imperturbabile vedrai far naufragio, ed amici, e conoscenti senza punto commoversi, ma a guisa di scoglio quanto più urtato | (71r) altrettanto più resiste, goderai nel magico seno del riposo i tuoi giorni felici. Per tal modo insegnerai agli altri il pazientare le molestie, le villanie, e le ingiurie; e dal tuo esempio essi diverranno patriotici, ed umanissimi cittadini. Non è questo un luogo di scrivere un trattato di Etica, onde per non essere infinito mi restringerò a dire soltanto qualche cosa della benevolenza o carità, ch’io confondo in questo proposito. Galileo mostrò nella sua meccanica, che se all’estremità di un filo si appenda un peso proporzionato, come di una libra, egli osservò che due fili ne sostenevano quattro libre: e tre fili ne sostenevano nove, e quattro sedici; Cosi andando avanti ritrovò, che la forza de’ fili cresceano in ragione quadrata: nella gran meccanica politica addiverrebbe anche altrettanto, mentre la cospirazione delle forze a comune vantaggio produrebbe in milioni di soci una potenza infinita: ma ciò non succede, perchè? Perché in essi manca l’unione. Ma questa te la dà la reciproca benevolenza: Questa adunque è necessaria a voler sostenere, e a far floridi i corpi civili, senza della quale ci deve essere anarchia, ed anarchi[a] universale. Questa singolarissima virtù, la quale consiste nel dare e nel ricevere 304 combatte … commune] a vantaggio commune combatte pr. mano tanto più sec. mano in margine] più pr. mano

327-328 altret-

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HOR., Carmina, II, 3, 1-4. Cfr. Pr. 16, 32. 88 LACT., Divinae institutiones, I, 9. 87

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anche sola potrebbe essere sufficiente a conservare la società. Ed infatti che altro mai è la società se non che una comunione di tanti cuori quanti sono i medesimi socii? Che altro mai è la società se non che una collezione delle volontà singolari ad una sola ed impartibile volontà. Ed essendo la carità scambievole, e la carità reciproca, il divino legame onde tanti cuori e tante volontà restano avvinti insieme, | (71v) e direttamente tra loro annodati, mi pare che non ci possa essere azione nè più onesta, nè più virtuosa, e nè più cara di questa. La medesima ci è precettata dalla natura, dallo spirito della società, e dal Vangelo. Questa fa la virtù diletta di tutti gli uomini sensati, e de’ Legislatori di tanti corpi civili. Siamo adunque benevoli, e ci renderemo grati al divino Essere. Siamo caritatevoli, e saremo tutti di tutti e tutti di ciascuno, tanto in questa, che nell’altra vita. Chiudiamo questo capitolo con quella virtù, la quale dovea essere la prima: essa è la religiosità figlia del Cielo, madre della pubblica e privata onestà. L’anima del mondo morale, legame eterno fra l’essere supremo, e gli esseri ragionevoli: vincolo degli stati politici, la quale ti consola afflitto, ti modera irritato, ti fa sperare il bene futuro, godere il presente. Quella insomma la quale attacca l’uomo a Dio, ed alla obbedienza delle sue leggi per mezzo de’ sentimenti di rispetto, di sommessione, e di timore, i quali svegliano ne nostri spiriti le perfezioni dell’Ente Creatore, di dipendenza perche siamo suoi figli, e di gratitudine, perche siamo stati beneficati. Di quì l’osservanza de’ patti, la fedeltà de’ giuramenti, l’amicizia universale, l’amor de’ coniugi, la venerazione a genitori, gli omaggi al Divino Essere, la carità al Prossimo. Di quì la temperanza universale, la beneficenza, la fatiga utile, l’educazione de’ figliuoli, la prudenza, la giustizia. Di qui infine il rapporto indissolubile fra Dio e l’uomo, e fra gliabitatori di questo, e dell’altro mondo. E con ragione perché dovunque v’è felicità, ci deve essere buon ordine: l’ordine buono nasce dalla buona disciplina: questa dall’osservanza de’ patti, i patti anno forza di | (72r) giuramento, e questo dalla religione. La religiosità dunque causa la tranquillità degli Stati. 21. Il perchè sono da me reputati grandi ed incomparabili coloro i quali per destare rispetto maggiore delle loro leggi ne popoli si fecero credere organi della divinità, come Amasi presso degli Egiziani si spacciò afflato da Mercurio, Zoroastro tra Battriani dalla dia Vesta, Radamante tra Cretesi da Giove, Pittagora tra Crotonesi da Minerva. Ed alla religione di Numa riconobbe Roma la sua stupenda grandezza. E per mi tacere di tanti altri dovette alla medesima Mancolapac la fondazione dell’imperio dell’Incas, Gengis Kan quello del gran Mogollo, e finalmente la Francia non rese forse invasata di sagro furore la celebre Pulcella d’Orleans per liberarsi dagl’Inglesi? Andiamo adunque in espiazione delle nostre colpe, e di quelle de’ nostri maggiori defonti a presentare al gran Architetto dell’universo i preziosi prodotti di questo vingolo d’eterna pace. 22. Tali sono i principali mezzi di soccorrere i nostri antenati, tali spezie di vittime debbiansi immolare sugli ardenti altari de’ nostri cuori. A questo modo tutta la terra è un gran tempio, e ciascun uomo è un sagrificatore. Saranno così cresciuti i vittimari, cresciuti i sagrifizii, ed i nostri defonti maggiormente suffragati. Ma a che pro l’attuale travaglio, ed il nostro discorso, dove gli uomini rimanessero in una spezie di letargo, e privi del glorioso senso delle virtù? Il tutto adunque si chiuda con incentivi proprii a rianimarle. 382 debbiansi] dobbiamo pr. mano

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387 incentivi scr.] incontivi cod.

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Cap° X

Modo di far fiorire le virtù sociali

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1. L’uomo come le piante dee essere con som[m]a industria coltivato, altrimenti i suoi abiti morali saranno pravi, e le leggi ancorche savie, dissutili. Onde Cicerone nel lib. 5 della sua Republica: nam neque vim, nisi ita morata Civitas fuisset, neque mores nisi viri præfuissent89; ed Orazio: quid leges sine moribus, vane proficiunt90: perocchè o gli uomini sono buoni, o malvaggi. Se buoni, essi non anno bisogno di leggi, se malvaggi le disprezzano. Devono esser adunque studiosamente educati. Di quì è, che il Principe non à solamente a pensare al sostegno de’ suoi sudditi, ma bisogna altresì, che la Gioventù semensaio del gran Corpo Politico venga con saggia cura attaccata cogli abiti virtuosi agli interessi dello stato, altrimenti questo lungi dal fare la sua felicità ed aumentarne le forze, piutosto ritrovandosi queste in conflitto tra loro, in breve lo risolvono ed annientano. Ora nel modo, che i corpi fisici risultano dalla coesione de’ loro componenti, cosi gli ammassi morali anch’essi si formano, si conservano, e si migliorano coll’amicizia scambievole di chi il compone. Donde subito si vede, che la prima cura del governo è di eccitare in tutti i Padri di Famiglia un tale virtuoso entusiasmo. Devono adunque costoro a buon ora in[s]pirare ne’ loro allievi il senso di perfetta uguaglianza, quello dell’onestà, della temperanza, della fatiga utile, della giustizia, della prudenza, benevolenza, e della religiosità. Seppe Sparta per tal modo dare alla Grecia gli eroi, e seppero i Romani farsi immortali. Sopra tal punto d’appoggio anche fondarono le loro sapientissime legislazioni i Soloni, i Carondi, i Minos, i Ligurghi, gli Aristotili, i Platoni: ed a pruova è stato conosciuto, che tutti quegl’imperi anno fatto o miracolosi progressi, o miracolose perdite, a misura, che la | (73r) loro gioventù è stata bene, o male educata. 2. Egli è il vero che il clima meditato all’ingrosso non solo pare che influisca, ma che benanche fatalmente determini il morale dell’uomo, pure la storia à far avvisare, che la coltura dell’ingegno, le arti, lo spirito patriotico, e marziale si sono piu volte da quella a questa, e da questa a quella contrada indistintamente propagate. Dalla culla del primo uomo surse l’impero Babilonese, poi l’Asirio, il Caldeo, l’Egiziano, l’Indiano, indi il Medo, il Persiano, il Greco, le vaste conquiste de’ Celti, degli Sciti e delli Cartaginesi, i quali tutti furono come assorbiti dalla ferocia, ed ostinatezza de’ Romani: ma sendosi questa alla prima indebolita colle guerre civili, e poi dalla sua divisione fu finalmente sepolta nelle sue medesime ceneri dal riurto di tanti Popoli settentrionali, i quali tornarono ad esser famosi sotto i barbari nomi di Cimbri, di Goti, di Wisigoti, Ostrogoti, Alamani, Unni, Vandali, Bulgari, Eruli, Longobardi, Franchi, Tartari, Saraceni, Normanni, Mori, Arabi, Turchi. 3. Si sà, che le passioni nell’uomo sono come alcune molli ed elateri, i quali si mettono in azione coll’urto degli ogetti prementi. Si sà altresì, che la forza di tali congegni siegue la nostra disposizione fisica, e morale insieme. Di che seguita, che l’uomo sarà piu o meno grande in ogni suo abito morale, a misura che tali virtu sono vigorose. 6 proficiunt scr. ut supra p. 85] proficiscunt cod. 9 a] a che pr. mano scr.] mala cod. 35 Ostrogoti scr.] Ostrogoni cod. 89 90

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CIC., De republica, V, 1. Cfr. supra, nt. 79.

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Quanto mai è l’uomo in ogni suo stato, tutto si dee a questa sua meccanica, e chi la sa maestrevolmente usare è il figlio eletto del Cielo In effetto il desiderio della gloria guidò Annibale per le Alpi, i Romani a distruggere Cartagine, lo spirito di patriotismo ad immortalare Scevola, Coclite, i Decii, Attilio. Infine l’entusiasmo della superstizione quanti ne à portato alla morte? Che piu il fanatismo filosofico trasportò Crate a gittare tutto nelle onde, Diogene ad essere stravagante, Eraclito a lacrimare, Democrito a ridere, Epicuro a vaneggiare.| (73v) Di qui tanti geni diversi, l’amore della libertà, i tanti viaggi pericolosi, e i tanti ritrovamenti delle arti, i loro istrumenti, macchine e scienze. Le passioni adunque sono le sole, che a guisa di un celeste ardore accende, e ravviva il mondo morale. Ecco perché tutti i più grandi politici anno fatto ogni conato per farle nascere, e nate farle sempre più aumentare: ed ecco perché i maestri di tal arte presso degli antichi sono stati ragionevolmente divinizzati: ma quale mai è quest’arte? E come potrebbesi fare sprigionare il germe produttore di tali affetti veementi? E come finalmente potrebbesi allumare quel celeste fuoco, che introduce tale fremito nella nostra immaginazione, che ci sollevi al disopra di noi, e ci faccia operare effetti quasi divini? Il tutto riducesi a sapere accendere, e riscaldare ne’ petti umani i luminosi nomi di fatiga utile, di temperanza, di onestà, di gloria, di virtù, il che bisogna quivi esporre. Gli Stoici filosofi sensatissimi ed intesi a migliorar l’uomo, insegnarono, che tutto è stato fatto per l’uomo, e l’uomo istesso per l’altro uomo. Ecco perchè è di sua natura socievole e custode nato degli altrui dritti. Da questo principio deriva la sorgente de’ suoi indispensabili doveri: da questo lo scopo, dove vanno a collimare tutte le sue passioni: da questo il luminoso coro di tutte le virtù civili: da questo infine il fondamento della Fratellanza universale, per cui tutti gli uomini sparsi e dispersi su tutta la faccia terrestre si anno a riputare uguali, co’ quali sono tenuti di communicarsi i beni, reciprocarsi le forze, soccorrersi bisognosi, e sollevarsi oppressi. 4. Dal che assai bene si vede, che la gran cura degli Educatori, tutta si restringe a saper unire i loro allievi agl’interessi dello stato. Di quì la tranquillità pubblica, e domestica: di qui i Cittadini laboriosi, onesti, patriotici, onorati. Di quì insomma la sicurezza del Corpo morale, l’opulenza | (74r) de’ suoi componenti, il buon ordine ecclesiastico, militare, e civile, la sommessione a Capi, l’obedienza delle leggi, e lo spirito di società. 5. Dalchè anche si vede, che il segreto di saper formare la gioventù consiste di portare le passioni al segno di preferire l’utile pubblico al privato. Sicchè legitori, figli delle mie cure siete utili agli altri, e sarete patriotici; se patriotici sarete onesti; se onesti sarete virtuosi; se virtuosi sarete attaccati; se attaccati sarete attivi, laboriosi, umani: e se attaccati sarà tutto di tutti, e tutto di ciascuno, ma chi sviluppa, e sprigiona cotai virtuosi germi negli stati civili? 6. Io ritrovo, che educano i Principi, i Patri di Famiglia, i Preti, i Maestri di scuola, i Frati, i libri, gli spettacoli, i teatri si pubblici, che privati. Educano i Principi e colla loro vita e colla legislazione. Educano i Padri per mezzo de’ loro insegnamenti e costumi, i Maestri di scuola con parole ed esempi, i Preti e Frati nelle loro prediche, confessionali esortazioni, ed abiti morali. I libri colle loro massime: gli 48 libertà] liberalità pr. mano 58 quivi] agg. in interlineo

49 che] quali pr. mano

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56 quasi] agg. in interlineo

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spettacoli infine, e i teatri con cio, che i medesimi rappresentano: ma se addivenga, che il Principe meni vita rilasciata, e la sua legislazione sia capricciosa, complicata e vaga e contradittoria? Ecco tutti i suoi popoli corrotti; e il Segretario Fiorentino ne’ discorsi sulla prima deca di Livio osservò che intanto ci era tanta rilasciatezza in Italia nell’età sua, perche tutti i Potentati di allora erano scostumati. In secondo luogo l’educazione paterna è ristretta a soli interessi privati. Dippiù i medesimi non danno, e non possono dare altro piano, che quello stesso, ch’essi anno ricevuto. E se superstiziosi, ignoranti, stupidi, servili, pregiudicati, ambiziosi, sfacendati, giocatori, mendaci, lascivi, | (74v) ignoranti, copiati da loro figliuoli bisogna che s’incattiviscono anch’essi. Ma si consegnano agli Educatori forestieri, se ricchi, e se poveri, o commodi si danno in potere de’ Frati. Oh! la stoltezza! Quale attacco può avere il Forestiero colla tua Padria, se à rotto il vincolo colla propria? Quale interesse può avere allo stato un Mercenario fuggitivo? Dippiù quale senso di fatica, di onestà, di benevolenza, e di sommessione può istillare un Frate, il quale per non fatigare à abbandonato i genitori famelici. Inoltre tu vuoi fare un Cittadino, e lo fai vivere fuori della società? Tu vuoi fare un uomo di casa e lo allontani dalla medesima? Vuoi fare un uomo saputo, e lo allievi tra l’ignoranti? Vuoi infine fare un figlio temperante, e sensibile all’altrui miseria, e lo collochi tra ghiottoni, e nemici dell’umanità? Oh! la contradizione manifesta! 7. Per terzo bisogna, che la gioventù si modifichi secondo gli insegnamenti, e secondo la vita de’ loro maestri. Sicchè se costoro anno piano d’insegnare, e di vivere differente, la gioventù non più tende all’unisono dello stato. Di vantaggio, se i Maestri sono sofisti, superficiali, sono guastamestieri, sono pedanti, sono satirici, ambiziosi, temerari: ecco la gioventù sciolta e perduta. 8. Dicasi altrettanto de’ Predicatori, e Confessori, i quali se mai non presentano le sole massime della religione, ma divozioni false, e pregiudizi popolari, in quel caso i popoli necessariamente condotti da tali maestri di spirito conviene che lascino le virtu sociali, e corrano dietro alla apparenza, ed allo spirito d’interesse di chi predica. Finalmente, dove i teatri sieno osceni, i libri irreligiosi la massa degli spettatori bisogna che divenga anche corrotta, rilasciata, e sensibile in ogni sorta d’intemperanza. | ( 75r) Donde si conosce che una azione modellata su di un saggio piano d’educazione pubblica, e privata solamente può essere tranquilla, opulenta, riunita. Donde si conosce, che deve esservi un Anarchia universale, dove manchino le buone maniere di ben educare; la diversità deve ad ogni patto produrre intestine divisioni tra ceto, e ceto, e nello stesso ordine di Persone. Da cio quella divisione perpetua tra sudditi, e Baroni tra gli Ecclesiastici, e secolari, tra Gentiluomini e contadini, e tra costoro, e gli artigiani. 9. Onde a voler, che lo stato sia florido, sia opulento, sia vigoroso è necessario, che il tuono del pensare, ed agire in tutti sia il medesimo. Sarà tale dove gl’Imperanti abbiano una legislazione saggia, ferma e la loro vita esemplare. I Padri di famiglia siano istruiti. I Preti illuminati, e loro non si lasci catechizzare che la semplice morale di Gesucristo, e quella della Nazione; che vivano onesti massime i loro capi.

99 tu scr.] tuo cod. 103 gli] agg. in interlineo 113 anche] agg. in margine

108 se mai non] se mai pr. mano

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IL PURGATORIO RAGIONATO DI FRANCESCO LONGANO

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Sia il metodo de’ maestri di scuola uniforme, siano i medesimi conosciuti e degni di servire al pubblico: si regolino i passaggi de’ studenti: si metta freno alla voglia di studiare cio, che loro piace: siano i Teatri tante scuole di onoratezza; siano i libri sodi scientifici, utili, istruttivi. 10. Tali sono i mezzi più principali di far fiorire le virtu nell’Imperii Civili gia che le medesime sono valevoli a produrre nonche la felicità nostra, ma quella benanche de’ nostri antenati. E se la gratitudine è il compenso de’ benefizii ricevuti, ed avendoci i medesimi lasciato la vita, che godemo, gli averi che ci sostentano, e gli abiti virtuosi, i quali ci la rendono piacevole: ne siegue adunque che loro siamo tenuti di una | (75v) riconoscenza proporzionata. Essendo così, puossi ritrovar mezzo più sicuro, più proprio, e più analogo a cosi indispensabile dovere quanto la fervorosa prattica delle virtù gia indicate, le quali nell’atto che suffragano ai morti, giovano anche ai vivi? Tale è il Purgatorio ragionato. Che se mai il suo Autore saprà, che il genere umano ne trarrà profitto, il medesimo promette anche morto, che caccerà la sua testa dalla polverosa tomba per tornare a benedire, e a ringraziare Dio che l’à destato cosi benefico pensiero.

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Il Fine

131 valevoli] egualmente valevoli pr. mano 142 Dopo Il Fine seguono, di mano seriore, la terzina dantesca (Inf. IX, 61-63, con varianti lessicali): «O Voi, che siete d’intelletto sani | Mirate la dottrina che si asconde | Sotto il velame de’ miei sensi strani» (già inserita di pr. mano al termine del § 10 ma ivi espunta) e la data «1807».

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FALCO MANTUANUS DE PICTURA veloces mortuus alas explicat, atque virum clara per ora volat

I componimenti latini di Baldassarre Castiglione sono quasi tutti editi. Alcuni sono stati analizzati, anche egregiamente1, ma pochi soltanto sono compresi nelle diverse edizioni nazionali che pur si fregiano del sottotitolo di opera omnia. Sic transit … diranno i posteri, ma una sorte certamente peggiore fu riservata al suo intimo amico e protetto, Domizio Falcone. La produzione neolatina di quest’ultimo, poeta parimenti devoto a Erato ma oggi pressoché sconosciuto, è ricca di esiti a volte assai felici ma rimane quasi del tutto inedita e ancor meno oggetto di un’analisi critica filologicamente soddisfacente. Eppure sono ancora chiaramente udibili gli echi che Castiglione e Falcone pur lasciarono presso i contemporanei sia come autori dotati di una propria specificità nella letteratura neolatina, sia come espressioni di quella brillante, seppure breve, stagione del cosiddetto umanesimo mantovano. È così, dunque, che, di fronte a una tale lacuna negli studi umanistici, dai risvolti in larga parte ancora da esplorare, è parso opportuno allestire una doppia edizione critica dei due mantovani che li mettesse a confronto nel tentativo di individuare non solo quale fosse il clima culturale e letterario generale che si respirava nella Mantova di fine ’400 – inizio ’500, ma anche quali fossero gli eventuali punti di contatto a livello intertestuale fra questi due autori così diversi eppure così interconnessi, ovvero, quale ne fosse il dialogo, quali le interdipendenze2. Ebbene, nell’ambito di tale disamina e raffronto, si è presentata la necessità di interrogare una rosa di manoscritti latini fra cui due in particolare custoditi presso la Biblioteca Vaticana, il Vat. lat. 2874 e il Vat. lat. 2836. Si tratta di due codici assai interessanti non solo perché ancora inediti, ma anche e soprattutto perché uscirono entrambi dalla fucina letteraria che 1 Valga per tutti, G. PARENTI, Introduzione, edizione, traduzione e commento a quattro ‘carmina’ di Baldassar Castiglione, in Per Domenico De Robertis. Studi offerti dagli allievi fiorentini, a cura di I. BECHERUCCI, S. GIUSTI, N. TONELLI, Le Lettere, Firenze 2000, pp. 345-398, specie a pp. 355-397. 2 Cfr. Two Renaissance Friends: Baldassarre Castiglione and Domizio Falcone and Their Neo-Latin Poetry, a cura di R. LOKAJ, Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies, Arizona 2014.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 577-587.

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mirava a soddisfare con autentico fervore umanistico il gusto per le sillogi di poesie neolatine riscontrabile nell’ambito romano nel primo Cinquecento che gravitava intorno a quei fari culturali dell’epoca che furono Johann Goritz e Angelo Colocci, quest’ultimo addirittura compilatore egli stesso del secondo dei due manoscritti di cui in oggetto. Come testé annunciato, quei due manoscritti miscellanei riguardano, inter alios, sia Castiglione sia Falcone, dove il primo, autore del Libro del cortegiano, è così famoso da non necessitare neanche della più breve introduzione, mentre il secondo è coperto da un velo opaco, voluto o casuale è difficile dirlo, comunque dovuto innanzitutto a una certa confusione nell’uso delle fonti. Mantovano di nascita, coetaneo di Baldassarre e cultore anch’egli delle muse neolatine, il Dizionario biografico degli italiani sembrerebbe identificarlo con il dedicatario degli Epigrammata ad Falconem del beato Giovanni Battista Spagnoli Mantuanus (1447-1516)3. Per quanto comprensibile, tale identificazione è comunque totalmente inammissibile per un solo motivo: l’accostamento del nostro al Falco dello Spagnoli è frutto di studi indiretti e non sufficientemente ponderati, studi condotti cinquant’anni orsono da V. Cian e C. Dionisotti non su Falcone direttamente, bensì su Baldassarre Castiglione4. L’acribia del maestro e dell’illustre allievo, irreprensibile nei confronti dell’autore del Cortegiano, fu, invece, tratta in inganno a proposito del sodale. Di certo quella iniziale davanti al nome del dedicatario degli Epigrammata nella monumentale opera di sistemazione compiuta nel 1937 da Ferrarini sugli incunaboli mantovani5, Fratris Baptistae Mantuani Carmelitae theologi ad D. Falconem Protonotarium cuius beneficio ex omnibus periculis est liberatus Carmen, esercita un certo fascino, ma il fatto che segua il titolo in apposizione, Protonotarium, avrebbe dovuto destare quanto meno il sospetto di errore e così indurre i 3

Cfr. voce Falcone, Domizio, a cura di M. G. MAROTTA, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 44, 1994, pp. 333-334. 4 Mantuanus, Baptista, Epigrammata ad Falconem, in: inc. 1277 (VII E.5), Biblioteca Teresiana, Mantova, in fine: Ad D. Falconem opus hoc elegantissimum Venetiis impressum est per Iacobum de Leucho Anno nativitatis dominice. M.cccc.xcix.die.vi.Augusti, ad ff. D7v-G4v; inc. 1220 (VII B.25), Biblioteca Teresiana, Mantova, in fine: fratris Baptistae Mantuani. Tria opuscula. Daventriae impressa per me Richardum Paffraet, Anno domini MCCCCC Decima Aprilis, ad ff. D7v-G4v; in amb. ad f. D7v: Fratris Baptistae Mantuani Carmelitae theologi ad D. Falconem Protonotarium cuius beneficio ex omnibus periculis est liberatus Carmen. Cfr. pure V. CIAN, Un illustre nunzio pontificio del Rinascimento, Baldassar Castiglione, Città del Vaticano 1951 (Studi e testi, 156), pp. 16, 159, 213-216; C. DIONISOTTI, recensione a CIAN ora citato, in Giornale storico della letteratura italiana 129 (1952), pp. 31-57 a 35, 42, & 45-46; MAROTTA voce Falcone cit. 5 Cfr. C. FERRARINI, Incunabulorum quae in Civica Bibliotheca Mantuana adservantur catalogus, Mantuae 1937, p. 34. La prima correzione dell’errore di identificazione risale a G. AGOSTI, Su Mantegna I, Feltrinelli, Milan 2005, p. 7, nt. 5.

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due esimii studiosi ad interpretare l’iniziale non come la D di Domitium bensì la D di Dominum. Ma così non fu e proprio per il prestigio di quella fonte addotta un po’ affrettatamente, l’errata identificazione del nostro con il Falco dello Spagnoli, più un semplice caso di omonimia, dunque, che frutto di riscontri testuali o di analogia di Weltanschauung, avrebbe poi influenzato tutti gli studi successivi, dalla sua ricomparsa incontestata nel Dizionario biografico all’unica edizione oggi disponibile dell’oeuvre del Falcone, ovvero, un’edizione on-line di una selezione di elegie del mantovano, tutte prese passim da un solo manoscritto e pubblicate in base a criteri ecdotici e filologici non meglio specificati6. A prescindere, tuttavia, da quella D iniziale, come poterono Cian e Dionisotti aver scambiato il nostro con il Falco celebrato dallo Spagnoli? Autore di dieci egloghe virgiliane dedicate ad Alfonso V d’Aragona, vale a dire l’Alphonsus, e di una serie di esametri in onore della Vergine, ovvero le Parthenicae, Spagnoli non avrebbe mai potuto dedicare gli Epigrammata al nostro non tanto perché questi non avesse accesso ad ambienti così rarefatti ed eccelsi, a Napoli o altrove, quanto, piuttosto, perché l’autore degli Epigrammata apparteneva a certi ambienti mantovani a fine ’400 – inizio ’500 che erano tutt’altro che accondiscendenti nei confronti dei programmi umanistici perseguiti da Castiglione e dagli altri membri dell’umanesimo mantovano, fra cui il nostro Falcone. E prova ne siano non solo le tematiche e i contenuti affrontati nei rispettivi saggi di composizione musaica ma anche, e direi soprattutto, una questione di amici o nemici di parte, vere e proprie consorterie umanistiche avverse fra loro. Spia dell’esistenza di tali consorterie, ispirate a indirizzi culturali incompatibili e inconciliabili fra loro, è quanto l’edizione critica di cui sopra ha avuto la fortuna di riesumare dopo secoli di incuria a proposito di una elegia in particolare, una elegia dai colori foschi e raccapriccianti degni dell’incipit di un Amleto shakespeariano, la Prosopopoeia Ludovici Pici Mirandulani. Ludovico Pico, nipote del grande Giovanni Pico, era riuscito a spodestare dalla signoria di Mirandola il proprio fratello, Gianfrancesco7, quest’ultimo acerrimo nemico e detrattore di Castiglione8. Nemico in 6

Cfr. F. SANTI, Domizio Falcone, Carmina selecta ex Barb. Lat. 2163, in Lo stracciafoglio, a. II, n. I (n. 3), I semestre (2001), pp. 46-52, ristamp. in ID., Perché tradurre la poesia umanistica, in Testo a Fronte, 28, I semestre (2003), M 125-148 7 Cfr. F. TATEO, I due Pico e la tematica d’amore nel Cinquecento, in Giovanni e Gian Francesco Pico; l’opera e la fortuna di due studenti ferraresi, Atti del convegno I due Pico della Mirandola, Università di Ferrara, 15-17 dic. 1994, a cura di P. CASTELLI, Firenze 1998, pp. 313324, a p. 314. 8 Per la contro-offensiva che Castiglione scaglia contro Gianfrancesco Pico della Mirandola, cfr. Introduction alla Prosopopoeia Ludovici Pici Mirandulani, in LOKAJ, Two Renaissance Friends cit.

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campo umanistico, detrattore dell’autore del Cortegiano per certe presunte simpatie filo-francesi potenzialmente esiziali per il loro comune signore, il papa, perfino oppositore dell’ideologia dietro gli sforzi profusi da Giulio II per abbellire il Cortile del Belvedere, ivi compresa la bellissima statua di Ariadne che i contemporanei, Castiglione compreso, pensavano fosse di Cleopatra, se Gianfrancesco lodò le Parthenicae dello Spagnoli quale esempio più sublime della poesia cristiana contemporanea, come poteva il loro autore, destinato a diventare nel 1513 priore generale dei carmelitani scalzi, aver dedicato gli Epigrammata al nostro Falcone? Intimo amico, cliens e sodale di Castiglione, Falcone era, piuttosto, decisamente refrattario a qualsiasi enunciato che andasse oltre l’hic et nunc, specie se in bocca ai nemici di parte politica e ideologica. Sarebbe stato più coerente semmai da parte dello Spagnoli dedicargli non gli Epigrammata, ma un altro componimento, esplicitamente polemico nei confronti dell’indirizzo perseguito invece da quell’umanesimo mantovano apprezzato dall’Accademia Romana, ovvero il Contra poetas impudice loquentes9. Inoltre, non potevano Cian e Dionisotti aver desunto dagli stessi Epigrammata che il nostro Falcone non poteva in alcun modo essere il Falco dello Spagnoli? Nel 1499, «per averlo salvato da ogni sorta di pericolo»10, il futuro priore generale dei carmelitani scalzi vuole sì ringraziare un Falco, ma non di certo un Falcone di Mantova. Il Falco dello Spagnoli era, invece, un esponente di spicco della notissima famiglia dei Sinibaldi11, divenuto col tempo canonico di San Pietro a Roma12 nonché tesoriere di Sisto IV, che aveva acquistato un fondo con annessa abitazione nel prestigioso quartiere suburbano di Roma a Monte Mario che sarebbe stato consegnato alla memoria storica della città come Villa Sinibaldi. Codesto Falco era stato uno dei sette protonotarii — come già esplicitamente dichiarato, fra l’altro, nel titolo riportato per intero dal Ferrarini a f. D7v — che, assieme al grande Johannes Burchardt, formavano il Collegium apostolicorum protonotariorum, un attore sulla scena vaticana e romana, dunque, ampiamente capace, almeno stando alle lodi iperboliche dello stesso Spagnoli, di 9 Per quest’opera e il nesso con Falco de’ Sinibaldis, cfr. M. MADRID CASTRO, Baptistae Mantuani contra poetas impudice loquentes, cum Sebastiani Murrhonis interpretacione, in Humanistica Lovaniensia, Journal of Neo-Latin Studies 45 (1996), pp. 93-133, a pp. 95, 109-110, 112. 10 Cfr. supra il titulus dell’opera ma anche ibid. a vv. 13-16 (ad f. D8r): Te duce de Scyllae canibus de fauce charybdis / eruimur. Placido perfruimurque mari / Te duce cum parvo navis mea remige tutum / fecit harenosae per vada syrtis iter. 11 Cfr. Mantuanus, Baptista, Epigrammata ad Falconem, ad f. G4r: illustres Falconis avos. 12 Cfr. Calendar of Papal Registers Relating to Great Britain and Ireland, a cura di J. A. TWEMLOW, Vol. 13: 1471-1484 (1955), pp. 562-568.

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restituire le antiche glorie alla città eterna13. La commozione, inoltre, per la morte nel 1492 di un personaggio siffatto che «lo aveva salvato da ogni sorta di pericolo» sarà stata sicuramente grande e sincera, ma a sette anni dalla scomparsa di quel salvatore, quando, cioè, lo Spagnoli pubblica gli Epigrammata, ora al carmelitano di origine iberica preme ben altro. Non essendogli certo sfuggito il successo strabiliante in termini di carriera e onorificenze di altri spagnoli italianizzati affluiti da poco alla curia pontificia, al nostro Spagnoli preme ingraziarsi non tanto il manis del Sinibaldi quanto, invece, una certa fazione altolocata dell’establishment vaticano e romano allora più viva che mai. E ciò sarebbe dovuto bastare a dirimere la questione per Cian e Dionisotti, ma c’è di più in quanto esiste anche un notevole scarto cronologico fra i due Falcones. La pubblicazione degli Epigrammata avviene nel 1499 con il presunto fine di esaltare quel Falco deceduto sette anni prima nel 1492, mentre la pubblicazione di Alcon avviene nel 1507 a seguito dell’improvvisa morte di Domizio Falcone, avvenuta, invece, nel 1505. La tesi promossa da Cian e Dionisotti viene così inficiata ed esautorata dallo scarto cronologico dei tredici anni che separano la scomparsa del primo Falco da quella del secondo. In sintesi, dunque, si tratta evidentemente di un caso di omonimia basato su stretti legami con Mantova a fine ’400: il primo Falco ricco, intimamente inserito nella Roma bene di fine Quattrocento che gode di una fulminante carriera apostolica che lo Spagnoli, mantuanus sì ma con un’origine esotica particolarmente utile nel frangente, vuole elogiare per motivi che sembrerebbero di parte; il secondo, mantuanus di nascita e molto apprezzato anch’egli a Roma ma sull’altra sponda del Tevere rispetto al Sinibaldi, un Falcone, dunque, assai meno noto, di origini assai più umili. Compagno di studi di Castiglione, piuttosto, sotto Merula, Minuziano e Calcondila nella Milano sforzesca fino al 1499, anno in cui il padre di Baldassarre, Cristoforo, muore costringendo il figlio a tornare a Mantova e ad assumere tutte le incombenze del maggiorascato, il nostro Falcone è sodalis di Castiglione che questi riesce a collocare, non di certo quale protonotario presso la curia pontificia, ma quale precettore di greco e latino del fratello minore nella casa di famiglia a Casatico presso Mantova, tutto sotto l’occhio pervigile della madre, l’imperiosa Aloisa Gonzaga-Castiglione. Assurto evidentemente a una qualche notorietà in fatto di composizione neolatina anche ben oltre i confini del marchesato mantovano, Falcone Domizio, con il nome ‘Falco’, viene annoverato, insieme con Antonio Agnello, 13

Cfr. In Eundem, vv. 1-2 in BAPTISTA MANTUANUS, Epigrammata ad Falconem, ad f. E7rE7v cfr. pure ibid. f. E7r: Quid gemis ammissas [sic] aquilas priscumque decorem / Roma tuus falco te reparare potest.

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Cesare Gonzaga e Baldassarre Castiglione, nella blasonata categoria degli umanisti mantovani, indirizzo ricordato en passant sopra, nell’Aegloga appellata Alexis vergata nel 1503 da Evangelista Maddaleni, umanisticamente noto ai sodales dell’Accademia Romana come ‘Faustus’14. Fra i marginalia di mano diversa apportati successivamente allo stesso manoscritto compaiono, inoltre, anche altri due nomi, Iolla e Alcon, il primo, personaggio celeberrimo della seconda egloga virgiliana, nome che Castiglione prende per sé sia nella Tirsi sia nel suo debutto sulla scena della composizione neolatina, Alcon; l’altro, altrettanto classicheggiante, non è, naturalmente, che Falcone stesso. Inoltre, l’improvvisa scomparsa del giovane poeta mantovano commuove non solo Castiglione ma anche esponenti di spicco di quel mondo umanistico e accademico fra Urbino e Roma di cui aveva fatto parte. Pietro Bembo, ad esempio, compone un epigramma in morte di Falcone definendolo addirittura uno ‘dei poeti di Apollo’15 e Colocci lo ricorda nel Vat. lat. 3353 (un ms. affine al nostro Vat. lat. 2836) con toni più entusiastici ancora e in ben due componimenti: un epitaffio in morte e un epigramma consolatorio solennemente dedicato a Castiglione. In entrambi i componimenti Colocci dipinge l’amico defunto di Castiglione quale falcone in fatto di nomen e acies, un poeta alato, insomma, come il grande Ennio, che vola ancora sulla bocca degli uomini facondi16. A questo punto quel che bisognerebbe chiedersi non è tanto perché Bembo e Colocci, veri e propri principi della cultura umanistica del primo ’500, si siano così commossi da comporre poesie neolatine in morte di Falcone e in consolazione, poi, di Castiglione, quanto, piuttosto, come mai quello stesso poeta mantovano, morto così giovane e in circostanze mai del tutto chiarite, non sia più così rinomato oggi. Rimandando ogni discorso specifico sui componimenti di questo poeta enigmatico all’edizione critica in corso di stampa, per amore di brevità e concisione, basti qui asserire che sembrerebbe di poter concludere come la produzione neolatina di Falcone sia classificabile come un vademecum umanistico sull’amore e sull’amici14 Per il catalogo di Maddaleni, cfr. Vat. lat. 3351 f. 11b; DIONISOTTI, recensione a CIAN cit., p. 42. 15 BEMBO carm. IX, v. 17 in Pietro Bembo Carmina, Edizioni Res, San Mauro (TO) 1990, pp. 19-20. 16 Epit. Falconis poetae: Vat. lat. 3353 bis a f. 146v e f. 147r: Cui dedit ingenium pennas, cui Mantua nidum, / sydera, quae Falco vivus adibat, habet; Epigramma di condoglianze dedicato a Castiglione: Vat. lat. 3353 f. 147r: Quid? Quod Falconem capiat regale sepulchrum / Castilio aedificas: nil opus est tumulo. / Vivus ut explicuit, veloces mortuus alas / explicat, atque virum clara per ora volat. Per l’allusione ad Ennio, cfr. ENN. var. 15 (= CIC. Tusc. 1, 15, 34; ibid. 1, 49, 117; & Cato 73): Nemo me dacrimis decoret nec funera fletu / faxit. Cur? Volito vivus per ora virum.

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zia. Con disarmante disinvoltura, Falcone sviscera tali argomenti in ogni loro sfaccettatura in senso strettamente cortigiano producendo un corpus poetico diverso sì da quello di Castiglione ma da leggersi in pendant: quello di Castiglione più levigato ma più cauto, quello di Falcone forse più crudo ma proprio per questo di gran lunga più esplicito e rivelatore. Non è infatti un caso che nei primi fogli del Vat. lat. 2836 il successore di Pomponio Leto nella direzione dell’Accademia Romana, forse sulla scia di quanto aveva fatto Maddaleni precedentemente, inserisca Falcone in una bella scola di umanisti17. Non già mera classificazione agli occhi del Colocci, ma vera e propria crestomazia della produzione poetica neolatina, tale bella scola accoglie i rappresentanti dei vari generi letterari allora in voga. Girolamo Donato, Trissino e Cotta rappresentano il genere epitaphia; Picus (ovvero Giovanni Pico della Mirandola), Gabriele Altilio, Girolamo Carbone e Domizio Falcone amatoria; Hermolaus (Ermolao Barbaro il giovane) moralia; il cugino acquisito di Castiglione, Ercole Strozzi, rappresenta obscaena (ovvero Priapeia) e, pur aggiunto molto più in là nella compilazione (a f. 55v), Castiglione stesso che, verosimilmente per l’epigramma composto nel mese di aprile 1520 De morte Raphaelis pictoris, rappresenta, invece, Laus. A fronte di sì abbagliante lustro latino che rappresenta tutti i generi letterari, dai moralia agli obscaena, e sotto l’egida di un sì illustre principe e della Chiesa di Roma e della cultura neolatina tout court, ossia, il Colocci, si può ben dire come Domizio Falcone si trovasse davvero in ottima compagnia, una bella voce da udire e da considerare, almeno dal punto di vista intellettuale ed artistico, alla pari. Stando, però, alla classificazione generica dell’oeuvre di Falcone quale vademecum umanistico sull’amore e sull’amicizia, quel che desta sorpresa è il fatto che Colocci lo scelga per rappresentare non solo amatoria ma anche pictura. La scelta è sicuramente in linea con il fatto di citare Castiglione quale rappresentante di Laus in riferimento a Raffaello, ma rimane pur sempre un fatto nuovo, un dettaglio sfuggito sia ai filologi della letteratura neolatina sia agli storici dell’arte rinascimentale. E perché? Perché Colocci lo cita per un fatto clamoroso: il binomio Falcone-Mantegna. Il componimento di Falcone sotto il titolo De pictura è l’unica testimonianza del fatto che il grande Andrea Mantegna, morto un solo anno dopo Falcone stesso, ovvero, nel 1506, avesse prodotto una scena che non è sopravissuta fino ai giorni nostri, la mitica gara fra Atalanta e Ippomene. Duole dover constatare che non è dato sapere minimamente come fosse 17 Il ms. è attualmente oggetto di studio di un team di studiose, Cannata Salamone e Wellington Gahtan, le quali si apprestano a pubblicarlo. Per una introduzione, cfr. l’abstract della loro relazione presentata presso The Renaissance Society of America Annual Meeting, Washington DC 22-24 March 2012, session 30332.

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stata eseguita tale scena, se, cioè, fosse dipinta o a matita, né quali ne fossero le dimensioni, i colori usati, l’impostazione, ecc.. E non si può essere certi neanche del luogo di esecuzione o del preciso momento storico. Si è dato per scontato in passato che Mantegna l’abbia dipinta da giovane a Padova18, ma questa teoria, basata su pochi lacerti soltanto del componimento di cui in oggetto19, viene inficiata da due considerazioni. La prima è che, visto il curriculum del grande artista, è più verosimile vedere una scena del genere inserita non nel periodo padovano sulla scia del suo apprendistato sotto lo Squarcione, periodo e città in cui l’artista era immerso nelle sue intense riflessioni sull’iconografia cristiana, bensì negli ultimi anni di vita trascorsi invece a Mantova. Tale nuova ipotesi — l’esecuzione della scena a Mantova — viene sostenuta dagli studi più recenti20 perché fu questo il periodo in cui l’artista aveva abbandonato le vecchie riflessioni cristologiche per tornare a rivolgere le sue attenzioni precipuamente alla mitologia e al suo tanto amato Ovidio. Fu in quest’ultimo periodo trascorso a Mantova, infatti, che Mantegna produsse nel 1497 il suo giustamente celebre Parnassus che raffigura le favolose nozze celebrate nel 1490 fra Isabella d’Este e Francesco Gonzaga. Fu in questo periodo mantovano che produsse nel 1502 il Minerva che caccia i vizi dal giardino delle Virtù che impreziosiva il famoso studiolo di Isabella d’Este, l’unico studiolo dell’epoca commissionato ed effettivamente occupato da una donna. Fu anche allora che compì i passi successivi nell’ambizioso programma mitografico sotteso alla politica gonzaghesca, lo studio di Comus, figlio di Bacco e di Circe, dio dell’abbondanza fino all’eccesso e della joie de vivre. Tale politica artistica rivestiva così tanta importanza per i marchesi di Mantova che la morte di Mantegna, avvenuta nel 1506, non interruppe la sua prosecuzione. Il programma mitografico a Mantova fu invece affidato al successore di Mantegna presso la corte dei Gonzaga, Lorenzo Costa, che lo portò avanti egregiamente e in pieno rispetto del suo predecessore. La seconda considerazione che riguarda il luogo di esecuzione della 18

Cfr. Mantova III: Le Lettere: L’Esperienza Umanistica; L’Età Isabelliana; L’Autunno del Rinascimento Mantovano, a cura di E. FACCIOLI con prefazione di L. Caretti, 1962 in Mantova: La Storia; Le Lettere; Le Arti Voll. III, a cura di E. MARANI – C. PERINA, Istituto C. D’Arco per la Storia di Mantova, 1959-1965, a p. 382. 19 Cfr. E. BATTISTI, Il Mantegna e la letteratura classica, in Arte, pensiero e cultura a Mantova nel primo Rinascimento in rapporto con la Toscana e con il Veneto. Atti del VI convegno internazionale di studi sul Rinascimento, Firenze – Venezia – Mantova, 27 settembre – 1 ottobre 1961, Firenze 1965, pp. 23-56, a pp. 54-56, cit. in MAROTTA, voce Domizio Falcone cit., p. 334. Cfr. pure quanto Pozzi ebbe a dire in Hypnerotomachia Poliphili, a cura di G. POZZI – L. CIAPPONI, voll. 2, Antenore, Padova 1980, a vol. 2, p. 14. 20 Per una bibliografia aggiornata, cfr. L. FREEDMAN, Classical Myths in Italian Renaissance Painting, CUP, Cambridge 2011, p. 212.

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scena, e dunque anche il preciso momento storico, è il semplice fatto che Domizio Falcone deve averla vista oculis suis. Non è plausibile ipotizzare che un componimento neolatino del genere, di cui parleremo meglio fra breve, sia frutto di apprezzamenti da parte di terzi tradotti successivamente in poesia dal nostro. Quella scena Falcone la vide a Mantova perché da lì o dintorni, almeno stando ai documenti disponibili, non risulta che egli si sia più allontanato sin dal rientro dagli studi a Milano. Compì due soli viaggi, uno a Brescia nel 1504 in compagnia del marchese per assistere a una rappresentazione teatrale, l’altro a Ferrara nello stesso anno dove si vide con Castiglione per certe questioni di famiglia21. Vuoi, dunque, per il fatto che la tematica trattata nella scena rientri a pieno titolo nel gusto classicheggiante del Mantegna per così dire ‘mantovano’, vuoi per il fatto che non è dato di sapere che Falcone sia mai giunto a Padova, sembrerebbe di dover concludere come la scena sia frutto anch’essa dell’ultimo periodo di vita dell’artista. Anzi, vista la natura eccezionalmente raffinata del programma mitografico portato avanti da Francesco e Isabella alla luce della tradizionale politica gonzaghesca, e constatata l’importanza sì politica ma anche socio-culturale dello studiolo di Isabella, non è da escludere che la Gara di Atalanta e Ippomene, oggi perduta, fosse destinata precisamente a questo medesimo spazio semi-privato dove Falcone, introdotto, com’era, nella raffinata cerchia degli amici intellettuali e artisti di cui Isabella e Francesco solevano circondarsi, non avrebbe avuto difficoltà a vederla. D’altronde, come è facile immaginare, l’opera in questione, specie se frutto davvero di questa fase discendente della parabola di vita e di carriera dell’artefice, deve essere stata decisamente gravida di allusioni a quegli stessi principî sottesi alla politica gonzaghesca così cari ai marchesi mantovani. Vale a dire, come Michael Maier avrebbe canonizzato nel trattato Atalanta fugiens poco più di un secolo dopo (1617), e esattamente come Guido Reni si sarebbe cimentato in una propria interpretazione del mito da lì a pochi anni ancora (1625), il racconto ovidiano della gara fra i due amanti improbabili poteva fungere quale perfetta introduzione all’alchimia, all’elemento allegorico, cioè, sotteso alla trasformazione della politica del marchesato in questione di affari internazionali. Codesta di Mantegna, dunque, è una scena alchemica, pienamente in linea con l’idea di iniziazione che animava gran parte di quel vademecum sull’amore e sull’amicizia che è la produzione neolatina di Falcone. In altri termini, la gara alchemica rappresentata da Mantegna nella scena di Atalanta e Ippomene è perfetta21 Cfr. A. LUZIO – R. RENIER, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, a cura di A. ALBONICO, Milano 2005, a p. 36, cit. in AGOSTI, Su Mantegna cit., pp. 83-84, nt. 5; CASTIGLIONE, Lettera 27 (Ferrara, 1 Nov. 1504), in Tutte le opere di Baldassar Castiglione, vol. I, Le lettere (1497 – marzo 1521), a cura di G. LA ROCCA, Milano 1978, a pp. 34-35.

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mente conforme alla stessa idea secondo la quale l’amore e l’arte possano portare davvero alla metamorfosi, alla trasformazione, cioè, degli elementi più salienti, più intimi e, pertanto, più caratterizzanti dell’essere. Verosimilmente a causa di tale implicita valenza allegorica e di sì alta funzione socio-politica, il componimento intitolato da Colocci, Falco Mantuanus de pictura — l’opera considerata da Marotta la meglio compiuta nell’oeuvre falconesca — non dà adito a un’interpretazione del Mantegna dal punto di vista dell’uso del colore, della tecnica pittorica, della composizione e neanche della citazione pur così evidente. Di certo Falcone non anticipa qui il grande Vasari. Eppure in un certo senso è antesignano comunque di una corrente che diverrà caratterizzante di certa critica artistica foriera di grandi e importanti esiti — Falcone omaggia l’artista padovano esclusivamente dal punto di vista psicologico. Un esempio delicato di ekphrasis rinascimentale non lontano dalla Cleopatra dello stesso Castiglione, ma senza la benché minima considerazione per gli attributi normalmente associati al mito ovidiano, cioè, i pomi d’oro, l’attenzione ecfrastica di Falcone è incentrata tutta sugli occhi e sui movimenti dei due concorrenti. E come già nella propria produzione neolatina, anche qui in fatto di pittura Falcone si spende quale fine esperto dei giochi d’amore, giochi, però, che, lungi dall’essere semplici intrattenimenti da cortigiani, sono destinati, piuttosto, ad avere un’epifania alquanto luttuosa. Più un raffinato pas de deux che una gara — un elemento che Guido Reni avrebbe immortalato un secolo dopo — questo è il momento in cui Ippomene rimane attonito, totalmente avvinto dalla bellezza e dalla regalità della sua rivale, pur letteralmente nel bel mezzo di una lotta impari fra la vita e la morte. Ed è proprio questa attenzione che Falcone rivolge alla scena del Mantegna, cioè, l’indicazione che la gara in realtà porterà alla più radicale delle metamorfosi, vale a dire, alla morte, che la genialità che caratterizza il pittore — si noti il genuit pictor Mantinea al v. 5 — risplende con maggiore fulgore. A sua volta, poi, è proprio la compenetrazione, anzi l’intima comprensione delle motivazioni psicologiche e ideologiche dietro la scena da parte di Falcone che ci permette di apprezzare con quale precisa cognizione di causa avesse agito anche Colocci scegliendo il poeta mantovano quale degno rappresentante del genere critico de pictura. Descrivendo e analizzando poeticamente le varie declinazioni dell’amore su carta, per il principe dell’Accademia Romana pare che Falcone fosse più che autorizzato a dire la sua anche in riferimento ad opere, perfino così illustri, su tela. Il componimento, trasmesso dal Vat. lat. 2874 (a f. 132v), denominato X, e dal Vat. lat. 2836 bis (a f. 7v & 11v) denominato Z è, però, di difficile decifrazione in tutte e tre le trascrizioni. Cause ne sono le mani affrettate e

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la qualità stessa delle carte interessate. Pubblicato da Faccioli per la prima volta nella monumentale serie dedicata alla città di Mantova22 grazie alla peraltro non meglio precisata ‘comunicazione del prof. Eugenio Battisti’23, tale pubblicazione, però, si basava esclusivamente sul ms. Z, su quello, cioè, preparato dal Colocci e da considerarsi certamente l’optimus, ma senza specificare se tutte e due le trascrizioni nel medesimo manoscritto fossero state consultate e senza prendere in considerazione il ms. X. Con la presente comunicazione, che collaziona le tre trascrizioni nei due testimoni con qualche emendazione24, offriamo il seguente quale tentativo di ristabilire l’originale. Falco Mantuanus de pictura

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Virgineum succincta latus, nudata lacertos obvia cui teneros verberat aura sinus cuique dat aura comas retro, Schoeneïa virgo est, pallidulum iam iam praeterit Hippomenen. Spirantes genuit pictor Mantinea, tantum non movet alternos ille vel illa pedes. Praebuit et cursum pictor, currebat uterque, alter anhelat adhuc, altera anhelat adhuc. Restitit haec, iuveni non transeat, ille puellae optata attonitus respicit ora suae.

v. 1 succincta: sic Z, sed X: sucncta evidenter abbreviatum; FACCIOLI, Mantova cit., p. 382: Virginea succinta latus v. 2 obvia cui: sic Z et FACCIOLI, Mantova cit., p. 382, sed X: Obui cuique, ubi -que suppressum est v. 3 Schoeneïa virgo emend. pro X: Cenia; Z f. 7v Coeneia; Z f. 11v Caeneia; FACCIOLI, Mantova cit., p. 382: Coeneja v. 4 Hippomenen: sic Z, sed X: Ippomenenque; FACCIOLI, Mantova cit., p. 382: Hippomenem v. 6 ille vel illa: sic Z, sed X: illa vel illa v. 7 Praebuit et: sic Z, sed X: Prebuit at currebat: sic Z, sed X: anne cursabat v. 9 ille puellae: sic Z, sed X: illa puellae

22

Cfr. FACCIOLI, Mantova cit., p. 382. Cfr. ibid. Per questo personaggio, cfr. BATTISTI, Il Mantegna cit. 24 Cfr. OV., Met. (ed. Tarrant) 10, 609: Schoeneïa; ibid. 10, 660: virgo … Schoeneïa; ID., Trist. 2, 399: Schoeneia virgo; cfr. pure Priapeorum libellus in Carmina ludica Romanorum, 15-51, a cura di C. PASCAL, Torino, Paravia, 1931, 16, 1-2: Qualibus Hippomenes rapuit Schoeneida pomis, / qualibus Hesperidum nobilis hortus erat. 23

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ERMANNO MALASPINA, ALICE BORGNA, DANIELA CASO, MÉLANIE LUCCIANO, CORINNA SENORE

I MANOSCRITTI DEL LUCULLUS DI CICERONE IN VATICANA: VALORE FILOLOGICO E COLLOCAZIONE STEMMATICA* 1. Obiettivi e status quaestionis Sulla base dei cataloghi editi da É. Pellegrin e dai suoi collaboratori nei Documents, études et répertoires publiés par l’I.R.H.T.1 dal 1975 al 2010 e sulla base della bibliografia successiva2, la BAV possiede in tutto undici manoscritti contenenti il Lucullus (d’ora in avanti Luc.), ovvero il libro II della prima redazione degli Academici libri di Cicerone3, nove dei quali in * Il presente contributo nasce da una felice intuizione di Marco Buonocore ed è frutto di un lavoro guidato e coordinato da Ermanno Malaspina, discusso insieme da tutti gli Autori. In particolare, a E. Malaspina si devono i parr. 1. 3.2. 3.3. 5.1. 6.; ad A. Borgna 4.1. 4.2.; a D. Caso 3.1. 3.4., a M. Lucciano 3.6.; a C. Senore 2. 3.5. 5.2. La collazione completa dei singoli manoscritti (cfr. infra nt. 12) coincide con l’attribuzione dei paragrafi. Questo articolo è il secondo dei lavori preparatori (per il primo cfr. infra nt. 5) in vista dell’edizione critica nella Collection des Universités de France (Les Belles Lettres) di Parigi, a cura di Carlos Lévy, Terence Hunt ed E. Malaspina (in preparazione) e fa ricorso alle collazioni di tutti i manoscritti del Luc. individuati, eseguite in gran parte da E. Malaspina. Gli Autori desiderano ringraziare Michael Reeve, Andrea Balbo e Giovanna Garbarino per la loro attenta rilettura; il ringraziamento maggiore va però alla Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in avanti: BAV), che in questi anni ha accolto noi Autori consentendo la collazione autoptica dei manoscritti e fornendo copie cartacee e su pdf: la pubblicazione proprio nei Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae costituisce il coronamento della ricerca ed è un ulteriore motivo di riconoscenza verso Marco Buonocore, vero alpha et omega di queste pagine. 1 É. PELLEGRIN (éd.), Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, I (Fonds Archivio San Pietro à Ottoboni), par É. PELLEGRIN, Paris 1975; EAD. (éd.), Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, II, 1 (Fonds Patetta et Fonds de la Reine), par É. PELLEGRIN, Paris 1978; EAD. (éd.), Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, II, 2 (Fonds Palatin, Rossi, Ste-Marie Majeure et Urbinate), par J. FOHLEN, C. JEUDY, Y.-F. RIOU, Paris 1982; EAD. † (éd.), Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, III, 2 (Fonds Vatican latin, 2901-14740), par A.-V. GILLES-RAYNAL, Paris 2010. 2 Si veda da ultimo il preziosissimo Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1). 3 L’opera fu completata in questa prima versione a maggio del 45 nella villa di Astura, CIC., Att. XII, 44, 4; XIII, 13-14, 1; 14-15, 1, cfr. C. LÉVY, Cicero Academicus. Recherches sur les Académiques et sur la philosophie cicéronienne, Roma 1992, pp. 129-140; E. MALASPINA, Ephe-

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 589-620.

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E. MALASPINA, A. BORGNA, D. CASO, M. LUCCIANO, C. SENORE

forma integrale e due come excerpta. Tranne il più antico, nessuno di essi è mai stato collazionato, né integralmente né per sondaggi, e quindi il primo scopo di questo articolo è quello di fornire le informazioni essenziali sulla loro collocazione stemmatica, nell’ovvia impossibilità — e per certi versi inutilità — di una pubblicazione integrale di tutte le loro lezioni peculiari per il Luc. Tale mancanza di interesse è stata sinora giustificata dalla datazione molto bassa dei manoscritti (tranne uno) e dal loro scarso peso ai fini della costituzione dell’apparato in quanto recentiores: nessuno di essi, infatti, è presente nelle edizioni critiche di riferimento4. Non si può tuttavia dire che essi non siano almeno in parte noti per altra via, cioè grazie agli studi condotti non su Luc., ma sul testo di qualcun altro tra i dialoghi ciceroniani in essi conservati, tra i quali, come vedremo, un ruolo particolare è giocato dal De legibus (d’ora in avanti leg.). In più, quand’anche il ruolo di questi undici testimoni fosse nullo dal punto di vista ecdotico, non meno importante per il filologo è divenuto lo studio della tradizione manoscritta5, allo scopo di giungere un giorno anche per il Luc. a un livello di conoscenza paragonabile a quello di leg. e degli Academici libri6. Per poter procedere in modo sistematico all’esame dei nostri codici è necessario premettere qui un brevissimo sunto dello status quaestionis della tradizione del Luc., che si fonda integralmente su tre splendidi cimeli carolingi, Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. Lat. F 86 (B), Voss. Lat. F 84 (A) e Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 189 (V) merides Tullianae, versione on line di ID., Cronologia Ciceroniana in CD-Rom, in N. MARINONE, Cronologia Ciceroniana, a cura di E. MALASPINA, Roma – Bologna 20042, ad loc. [http:// www.tulliana.eu/ephemerides/testi/45/academ.htm]. Sui contenuti filosofici del Luc. e degli Academici rinviamo, nell’ampia bibliografia, ai due testi di riferimento, LÉVY, Cicero cit. e B. INWOOD – J. MANSFELD (eds.), Assent and Argument. Studies in Cicero’s Academic books. Proceedings of the 7th Symposium Hellenisticum, Utrecht, August 21-25, 1995, Leiden 1997. 4 Che continuano a essere le due benemerite di Otto Plasberg, la maior del 1908 (M. Tulli Ciceronis Paradoxa Stoicorum – Academicorum reliquiae cum Lucullo – Timaeus – De natura deorum – De divinatione – De fato, fasc. I edidit O. PLASBERG, Lipsiae 1908) e la minor del Dopoguerra (M. TULLI CICERONIS Academicorum reliquiae cum Lucullo, rec. O. Plasberg, Lipsiae 1922 [= Stutgardiae 1980. 1996]). Tutti gli editori successivi, compreso il più recente e serio (CICERO, Akademische Abhandlungen: Lucullus, Lateinisch-deutsch, Text und Übersetzung von C. SCHÄUBLIN, mit einer Einleitung von A. GRAESER – C. SCHÄUBLIN und Anmerkungen von A. BÄCHLI – A. GRAESER, Hamburg 1998), partono dagli apparati Plasberg, senza contributi innovativi su collazioni o stemma. 5 Cfr. per Luc. E. MALASPINA, Primae notulae ad Luculli Ciceroniani recentiores recensendos, in “Tanti affetti in tal momento”. Studi in onore di G. Garbarino, a cura di A. BALBO – F. BESSONE – E. MALASPINA, Alessandria 2011, p. 548. 6 Grazie rispettivamente a P. L. SCHMIDT, Die Überlieferung von Ciceros Schrift “de legibus” in Mittelalter und Renaissance, München 1974 e a T. J. HUNT, A textual history of Cicero’s “Academici libri”, Leiden 1998.

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I MANOSCRITTI DEL LUCULLUS DI CICERONE IN VATICANA

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e che coincide in larga parte con quella degli altri trattati del Corpus Leidense, ovvero De natura deorum, De divinatione, Timaeus, De fato, Topica, Paradoxa Stoicorum e leg. BAV derivano dal medesimo archetipo e si distinguono agevolmente in un ramo B contro un ramo AV(H)7. Mentre da V «descend the majority of late medieval and Renaissance manuscripts of Cicero’s philosophical works»8, BA, corretti l’uno contro l’altro, sono alla base di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, S. Marco 257 (F)9, manoscritto che, scoperto da Poggio nel 1416-1417 e portato a Firenze, originò a sua volta per qualche decennio una significativa produzione di alta qualità, facilmente distinguibile dai discendenti del ramo V. Sin qui quello che si può dire con certezza sulla parte più antica dello stemma codicum, mentre ancora inesplorata è la tradizione recentior, che solo nel 2011 è stata sottoposta a un conteggio — ahinoi incompleto10 — e a una prima divisione di massima tra i discendenti di F e quelli di V. A tale scopo preziosissimo si è rivelato il complesso albero prodotto da Peter Lebrecht Schmidt per leg., la cui tradizione recenziore, tuttavia, coincide solo in parte con quella del Luc.11. I manoscritti esaminati12 Chig. H. V. 147 Chig. H.VII.221 Ott. lat. 1478 Pal. lat. 1515

a. 1463 XV sec. XV sec. XV sec.

Chis Chis1 Ott Pal6

7 Il Luc. non è presente nell’ultimo testimone del Corpus Leidense, Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, BPL 118 (H). Quadro di riferimento in R. H. ROUSE, De natura deorum, De divinatione, Timaeus, De fato, Topica, Paradoxa Stoicorum, Academica priora, De legibus, in L. D. REYNOLDS (ed.), Texts and Transmission. A Survey of the Latin Classics, Oxford 1983, pp. 124-128. 8 ROUSE, De natura deorum cit., p. 126. 9 Rinviamo per la complicata questione alla rigorosa disamina di SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 121-134; per una recente voce di dissenso cfr. infra nt. 17. 10 Ai 71 testimoni listati in MALASPINA, Primae notulae cit., pp. 547-554, vanno infatti aggiunti per lo meno Napoli, Biblioteca Nazionale, ex Vienna Lat. 43 (Luc. 1r-68v) del sec. XV, discendente di V, e i brevissimi excerpta (solo ff. 43r-v) di Roma, Biblioteca Casanatense, 868, datato all’anno 1434. 11 SCHMIDT, Die Überlieferung cit.; lo stemma complessivo è accluso al volume come tavola fuori testo. Altrettanto importante è HUNT, A textual history cit., ma la compresenza in un manoscritto del Luc. e degli Academici libri, derivanti da due tradizioni medievali distinte, si riscontra solo in testimoni relativamente tardi. 12 D’ora in poi ci riferiremo a essi solo con la sigla in grassetto: per le apparenti incongruenze del sistema numerico di siglatura, dovute alla necessità di non modificare gli usi di Schmidt e/o Hunt, si veda MALASPINA, Primae notulae cit., p. 549 nt. 7. E. Malaspina ha collazionato integralmente Ott Pal6 Vat6; A. Borgna Chis Pal; D. Caso Reg Vat4; M. Lucciano

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E. MALASPINA, A. BORGNA, D. CASO, M. LUCCIANO, C. SENORE

Pal. lat. 1525 Reg. lat. 358 (excerpta) Reg. lat. 1481 Reg. lat. 1762 (excerpta) Urb. lat. 319 Vat. lat. 3245 Vat. lat. 11493

a. 1467 XV sec. XV sec. IX sec. XV sec. XV sec. XV sec.

Pal Reg1 Reg K Urb Vat4 Vat6

Risulta subito evidente la distanza cronologica tra gli excerpta carolingi di K e le restanti testimonianze umanistiche e non stupisce che proprio K, fra tutti, sia il manoscritto più studiato, così come è ormai assodata la sua generica dipendenza da F (cfr. infra par. 2.). Degli altri sono noti per leg. Urb e Vat4, anch’essi copie dirette di F13, e Reg e Vat6, ritenuti copie di Vat4. Non ci risulta, invece, che al momento qualche studioso abbia espresso giudizi sulla collocazione stemmatica dei restanti Chis, Chis1, Ott, Pal6, Pal e Reg1, almeno per i trattati del Corpus Leidense14. Secondo obiettivo di queste pagine (oltre, come detto, a fornire informazioni essenziali sulla collocazione stemmatica dei nostri undici testimoni) è quindi offrire un riscontro allo stemma Schmidt di leg., per vedere se e fino a che punto esso possa funzionare anche per Luc.15. Urb; C. Senore Chis1 Reg1 K. Altri recentiores non appartenenti alla BAV che citiamo in queste pagine sono München, Universitätsbibliothek, 528, sec. X-XI (M, apografo di F); London, British Library, Harley 5114, sec. XV (Harl3), Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 76, 3, sec. XV (Laur1) e Firenze, Biblioteca Riccardiana e Moreniana, 571, sec. XV (Ricc), tutti del ramo di F. El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo, R.I.2, sec. XIV (S), Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 17812, sec. XII (N) ed El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo, V.III.6, sec. XIII (Scor4), sono tutti vicini a V. La sigla ω indica il consenso dei poziori BAVSN(F), mentre recc vale genericamente per uno o più dei codici non della BAV successivi al sec. X; Rom è l’editio princeps di Sweynheym e Pannartz (Romae 1471). 13 Grazie a SCHMIDT, Die Überlieferung cit. ad loc., ripreso da ROUSE, De natura deorum cit., p. 128 per Urb e Vat4. 14 Quasi tutti questi manoscritti tradiscono l’aspirazione di riunire insieme quante più opere ciceroniane possibile (sia trattati sia orazioni). È quindi evidente che essi rappresentano la conflazione in unità di tradizioni manoscritte affatto diverse, il che certifica che eventuali scoperte non relative al Corpus Leidense, preziosissime per la storia del manoscritto, i nomi dei copisti e dei possessori ecc., possono però dire ben poco sullo stemma del Luc (cfr. infra nt. 58). È per noi il caso sia di Chis1 (cfr. infra par. 3.5.), sia di Urb, per quel che riguarda la presenza degli Academici libri (cfr. HUNT, A textual history cit., pp. 135-136), sia di Pal, che è uno dei due codici capostipiti del ramo φ del De finibus, studiato da L. D. REYNOLDS, The Transmission of the “De Finibus”, in Italia Medievale e Umanistica 35 (1992), pp. 6-9, e presente negli apparati del De finibus come B, con discussione in G. MAGNALDI, Il De finibus bonorum et malorum di Cicerone: due edizioni a confronto, in Bollettino di Studi latini 37 (2007), pp. 623-638 (cfr. anche infra nt. 94). 15 L’ordine in cui le schede si susseguono, a parte la prima, cronologicamente distaccata, segue una progressione logica che presuppone la collocazione stemmatica finale, che sarà riassunta nel par. 6. Per non appesantire il testo con notizie già presenti altrove, per la sto-

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2. Reg. lat. 1762 (excerpta) K – l’unico testimone carolingio K è costituito di 226 ff. pergamenacei, di dimensione 170 x 120 mm.; datato al sec. IX, è di origine francese e il florilegio ciceroniano che occupa i ff. 4-155 è da ricondurre ad Hadoardus, il cui nome è riportato sul f. 1, aggiunto da una mano del sec. XV-XVI16. Si segue oggi generalmente l’interpretazione di B. Bischoff, secondo cui Hadoardus era attivo a Corbie, dove forse svolgeva la funzione di bibliotecario dell’abbazia di Saint-Pierre: la redazione di K è da considerarsi come strettamente dipendente, anche in senso cronologico, da quella di F e non è escluso che Hadoardus abbia sovrainteso anche alla correzione reciproca di BA, sempre a Corbie, proprio in vista della stesura di F e di K17. La pubblicazione di una scelta di lezioni di K si deve a P. Schwenke, ancorché non attraverso una collazione autoptica, che in questa sede ci è possibile aggiornare e correggere per il Luc.18: il trattato ciceroniano è presente in due dei 19 capitoli in cui il florilegio è organizzato, rispettivamente nel I ai ff. 5r, 5v, 6r, 7v19 e nell’VIII, De sapientia (53v-64v), ai ff. 56v-63v. Il testo del Luc. è alterato dagli interventi di inserimento di Hadoardus, ria conosciuta dei codici e per la bibliografia non essenziale al nostro discorso si rinvia per tutti alle pagine dedicate nei cataloghi di Pellegrin e, quando disponibili, alle schede di P. L. Schmidt e/o di T. Hunt. 16 PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., pp. 402-405. Analisi molto accurata in SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 134-152, più cursoria in C. AUVRAY-ASSAYAS, Qui est Hadoard? Une réévaluation du manuscrit Reg. lat. 1762 de la Bibliothèque Vaticane, in Revue d’Histoire des Textes 8 (2013), pp. 312-315. 17 B. BISCHOFF, Hadoardus and the manuscripts of classical authors from Corbie, in Didascalia. Studies in honor of A. M. Albareda, New York 1961, pp. 41-57 [= Hadoard und die Klassikerhandschriften aus Corbie, in Mittelalterliche Studien I, Stuttgart 1966, pp. 49-63], seguito da SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 141-144, anche sulla base del confronto con un altro codice scritto dalla stessa mano e proveniente da Corbie (Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 13381). Ormai è abbandonata la tesi di C. H. BEESON, The Collectaneum of Hadoard, in Classical Philology 40 (1945), pp. 201-222, secondo cui K sarebbe originario di Tours. Da Corbie K passò nelle mani di Antoine Leconte o Le Conte (1526-1586, professore di diritto a Bourges e a Orléans, come risulta dall’ex-libris del f. 226v, Ex Bibliotheca Contii, sec. XVI) e, prima di entrare nella BAV, fu in possesso della regina Cristina di Svezia (corrisponde al nr. 1090 del catalogo di Montfaucon), cfr. PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., pp. 406-407. È tornata di recente su Hadoardus AUVRAY-ASSAYAS, Qui est Hadoard? cit., pp. 307-338, che cerca di resuscitare l’ipotesi, vecchia di più di un secolo, dell’indipendenza da F di K e della sua origine da una raccolta tardoantica: non è questa la sede per una analisi sistematica del problema, ma gli scarni dati testuali del Luc., come vedremo, confermano la ricostruzione di Bischoff. 18 P. SCHWENKE, Des Presbyter Hadoardus Cicero-Excerpte nach E. Narducci’s Abschrift des Cod. Vat. Reg. 1762, in Philologus Supplementband 5 (1889), pp. 399-588. 19 Il capitolo inizia con INCIPIT DE DIVINA NATURA COLLETIO QUEDAM SECUNDUM TULLIUM CICERONEM CETEROSQUE PHILOSOPHOS AB IPSO COMMEMORATOS, ff. 4r-12v. Indice dei capitoli di Hadoardus f. 225r.

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che non segue necessariamente l’ordine del testo; gli excerpta riguardano i seguenti paragrafi: 7-9, 19-27, 29-39, 58-59, 65-66, 91, 95-97, 108-110, 113, 115-119, 122, 124-129, 132, 134-135, 142. Ff. 5r-7v [tav. I]: 117 Est … dissensio : 118 unum … deum : infinitum … fore : 129 id bonum … semper : 118 infinitatem … gignerentur : materiam … diuina20 : 126 ita … ignorare : 117 non persequor … uideamus21 : 7 etsi … accedat : 8 nec inter nos … possumus : 127 animorum … uoluptate : 58 ut talia uisa … possent : 142 Plato … uoluit

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Ff. 56v-63v: 9 statuere … sapientis : 19 Ordiamur … amplius : non enim … acrius : 20 Adhibita … sensibus : nihil … tamen : 21 potestne … disputari potes : 22 Quod si … perceperit : 23 Maxime … aut quo modo : 24 Ipsa uero … potest : 25 illud … uideri : 26 Quid quod … adducit : 27 quod si … interesse : 29 etenim … dictum satis : 30 Sequitur … peruenit : 31 Ad rerum … dicere : 32 Volunt … disserendo : 33 Quae … notam : 34 in eo … relinquitur : 35 nam si … fides : 36 deinde … defendet : 37 His satis … adsensio : 38 et uero … erit : 39 Ubi igitur … e uita : 59 mihi porro … incognitae : 65 Ego enim … dicerem : 66 Qui enim … inuenerim : sapientis autem … concedis : 91 Sed abeo … iudicat : 95 nempe … contrario : 96 Quo modo igitur … utroque : 97 Sed hoc … inexplicabilia : 108 Primum enim … tollantur : ego enim … inpediente : 109 Hoc … probabile : 110 In incertis … probabile : 113 ut omittam … opinari : 115 discedamus … loquamur : 116 In tres … uideamus : non quaero … necessitatem : 117 omnia enim … sequatur : Non persequor … probet : 118 Princeps … figura : Melissus … discedent : 119 Cum enim … necesse erit : sint ista … nego : 122 Latent … ut uiderentur : eodem modo … pendeat : 124 redeo … corpus : tenemusne … occurrit : 125 urgebor … prava sentire : 128 possunt dicere … conprehendendi : 132 nam omnis … dissentiunt : 134 Zeno … discrepant : 135 quid illa … in bonis

La scrittura è poco regolare, personale e con qualche arcaismo22. Non ci sono titoli a margine, ma vi si trovano alcune uariae lectiones e note. All’interno del testo vi sono correzioni sia di prima mano (K1c) sia di una mano simile, ma più tarda, che usa un pennino più fine, a cui è da ricondurre l’aggiunta delle varianti a margine (K2). Nonostante si tratti di un florilegio, contenente un testo corretto, tagliato e adattato, si può confermare senza dubbio che il Luc. discende direttamente da F, come risulta da numerosi errores coniunctiui. Riportiamo di seguito alcuni casi significativi di errori comuni FK in corrispondenza di lezioni esatte BAV: 20

I quattro estratti del par. 118 sono contenuti anche nella parte più ampia riportata ai ff. 56v-63, Princeps … figura. 21 Anche questo estratto si ritrova ai ff. 56v-63, Non persequor … probet. 22 PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., pp. 402-405.

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19 qui BAVF1 qui non F2K : 26 et BAV om. FK : 117 enim BAV om. FK : 132 esse sapiens BA sapiens esse FK23

Non ci sono elementi per giungere a indicazioni più specifiche sulle relazioni tra i due manoscritti per Luc.24, mentre si può escludere una discendenza di qualsiasi altro dei codici in nostro possesso da K, non solo per il suo carattere frammentario e rimaneggiato, ma per la presenza di numerosi errori singolari, molti dei quali dovuti al gusto personale del copista o comprensibili alla luce della rielaborazione antologica del testo. Se ne riporta di seguito una breve scelta: 3

26 ratio quae ω ratio est K : 27 quo … solent om. K : 29 dictum satis ω satis dictum K : 30 eadem ω ea K : 32 et … moueri om. K : 34 autem ω autem uisu de quo agimus K : 38 Graeci … appellant om. K : 39 cuius ω quibus K : 39 agamus ω agimus K : 65 per … penates ω p(er) deum K : 66 tu quoque Luculle om. K : 122 Lucullus om. K : 127 naturae ω nature sempiterne K

3. La discendenza umanistica di F in Italia 3.1. Vat. lat. 3245 Vat4 Vat4, codice pergamenaceo dell’inizio del sec. XV, contiene Luc. (1r34r), leg. e al f. 70v un’epistola di Iacopo Bracciolini (1442-1478), figlio di Poggio (1380-1459), a Bernardo Bembo. Grazie a una frase in essa (cum phylosophiam et leges a Cicerone editas se uero Iohannis XXIII pont. tempore scriptas afferat. Vale), sarebbe possibile datare il codice durante il regno dell’antipapa Giovanni XXIII, cioè tra il 1410 e il 1415; tuttavia, secondo altri studiosi25 sarebbe meglio posticipare la data al 1417, quando Vat4 fu forse esemplato a Costanza direttamente da F, prima del definitivo viaggio di quest’ultimo a Firenze; c’è invece un accordo generale sul copista, che sarebbe Poggio stesso, pur in assenza di un’esplicita subscriptio26. 23 Nel seguente locus criticus la situazione è più complicata, ma la coincidenza FK resta evidente: 26 inuoluta ante fuerunt edd in uoluptate añ fuerunt B1 (ras.) inuoluta #### fuerunt A1 (ta A2) in uoluptate fuerunt V1 inuoluta fuerant B2 inuoluta fuerunt FK (cfr. infra nr. 4.). 24 Condividiamo la prudenza fatta propria da SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 197 nel non azzardare collocazioni stemmatiche precise su una base testuale così ridotta come quella di K e di Reg1 (cfr. infra par. 5.2). 25 SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 279-281; A. C. DE LA MARE – D. F. S. THOMSON, Poggio’s earliest manuscript, in Italia medievale e umanistica 16 (1973), pp. 180 e 190. 26 E. WALSER, Poggius Florentinus, Leben und Werke, Leipzig – Berlin 1914, p. 419, nr. 13 identifica il manoscritto con l’item 13 dell’inventario di Poggio, che recita «De legibus accademicorum… manu Poggi», seguito anche da SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 280; ROUSE, De natura deorum cit., p. 128 e da T. DE ROBERTIS, I percorsi dell’imitazione. Esperimenti di littera antiqua in codici fiorentini del primo Quattrocento, in I luoghi dello scrivere da Francesco

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La grafia è umanistica, rotonda e curata. Le caratteristiche principali, come già evidenziato da Ulmann27, sono la g allargata e la quasi totale assenza del dittongo ae, a favore di e. L’impressione generale, alimentata anche dalla mise en page con una sola colonna di scrittura, è di grande chiarezza e armonia. Le pagine del Luc. contengono un numero cospicuo di note marginali (nomi propri, termini filosofici, parole scritte in caratteri greci e correzioni), molte vergate da una mano successiva, che è stata individuata in quella di Pietro Bembo28. La presenza rilevante di correzioni, sia marginali sia interlineari, dà l’impressione di un controllo minuzioso del testo; in effetti Vat4 contiene relativamente pochi errori particolari e spicca per la correttezza delle lezioni. Come già per K, il rapporto F>Vat4 non può che essere confermato. Bastino alcune lezioni comuni alla tradizione di F come esempio29: 4

14 Xenophanem edd xeno BAV1SF1 Zenonem F2 Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Cenonem Rom alii alia : 16 charmada VS charmade B carmade A1 carneadae A2 carneade F Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom tharmada Ott om. Pal : 17 soli putet BAV putet soli F2 Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Urb Vat4 Vat6 Rom soli putat Pal : censebant V2 #enserant V1 censerant B1A1 censuerant B2A2F Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 19 qui BAVF1 qui non F2K Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 26 inuoluta ante fuerunt edd inuoluta fuerunt FK Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Rom inuoluta fuerint Ott1 Vat6 : et ω Pal om. FK Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 38 libram B1A1V2N libra B2A2FK Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Urb Vat4 Vat6 Rom libras Ott : 40 alia ω alia multa F Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 41 duo ω duobus F2 Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 45 profecit ω Pal fecit F Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 om. Chis : 63 caue om. F Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6

Petrarca agli albori dell’età moderna. Atti del Convegno internazionale di studio dell’Associazione italiana dei paleografi e diplomatisti. Arezzo (8-11 ottobre 2003), a cura di C. TRISTANO – M. CALLERI – L. MAGIONAMI, Spoleto 2006, pp. 109-134. Il codice passò da Poggio al figlio Iacopo, che lo donò in segno di riconoscenza a Bernardo Bembo (1433-1519). Dopo essere appartenuto al cardinale Pietro Bembo (1470-1547), il manoscritto passò nelle mani di suo figlio illegittimo Torquato Bembo (1525-1595), che a sua volta lo vendette a Fulvio Orsini. 27 B. L. ULMANN, The Origin and Development of Humanistic Script, Roma 1960, pp. 31-33. 28 P. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini. Contributions à l’histoire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissance, Paris 1887 (rist. 1976), pp. 193-194: la grafia non coincide con quella con cui è vergato il testo, bensì si caratterizza per un ductus corsivo. 29 Ai nrr. 4. 5. 6., che registrano tutti i codici discendenti da F da noi esaminati, sono aggiunte le lezioni di due codici non della BAV, Harl3 e Laur1 (cfr. supra nt. 12), su cui torneremo infra al par. 3.2.

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Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 69 quisquam BASNF1 Ott recc quis inquam F2 Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Urb Vat4 Vat6 Rom Quis enim inquam Reg : 76 minime ω mihi minime FM Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Reg Urb Vat4 Vat6 Rom m(ihi) mime Pal6 : 77 id esset BAVM Pal esset id F Chis Chis1 Harl3 Laur1 Reg Urb Vat4 Vat6 esse id Pal6 : ab eo del. B2A2 om. FM Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 78 Haec ω H(a)ec autem FM Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 80 inportata ω recc inportune F? Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom om. Chis : 101 sensus uisum falsum BV recc sensibus uisum f. AF Harl3 Laur1 Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom u. sensibus f. Chis Pal sensibus f. u. Chis1 : 102 ea ω Pal om. F Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 110 exercitatusque sit N Chis Ott Scor4 exercitatus BASF Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom excitus Pal : 117 enim ω Chis om. FK Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 119 ei ω Chis om. F Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom : 124 sit animus BAS Pal sit nobis N Chis animus sit FK Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 : 132 esse sapiens BASN Chis Pal sapiens esse FK Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom

Le varianti disgiuntive di Vat4 rispetto a F, sebbene non siano numericamente altrettanto significative, sono tuttavia presenti: affronteremo di nuovo l’argomento infra, quando si tratterà di definire i rapporti tra Vat4 e gli altri appartenenti alla famiglia di F, ma possiamo cominciare a segnalare le coincidenze con la tradizione di V. A questo proposito Schmidt vede in leg. un’attenta collazione di F con qualche esemplare della sottofamiglia V/p (riconducibile al Petrarca)30, che però pare nel Luc. aver lasciato tracce più modeste: 5

10 labefacta B1AV1SF Ott Pal Pal6 Urb recc labefactata B2V2N Chis Chis1 Harl3 Laur1 Vat4 Vat6 Rom labeftâ (est om.) Reg : 28 ut ω Chis Harl3 Laur1 Vat4 Vat6 om. F1 sed F2 Chis1 Pal Reg Urb : 53 uisa nihil interesset V2N Chis Chis1 Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom uisa BAV1SF Pal Reg (deest Urb) : 77 igitur ω Chis1 Pal Reg Urb om. recc Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom : 82 sole ω Chis1 Pal Reg Urb esse sole V2N recc Chis Harl3 Laur1 Ott Pal6 Vat4 Vat6 Rom : 98 sunt sumpta V2SN Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom quae sunt sumpta BAV1F Chis1 Ott Pal Reg Urb sumpta sunt Chis

Se si può concordare con l’ipotesi di Schmidt per il Bearbeitungsprozeß di Poggio31, più significativa per il Luc. è una serie di innovazioni non ri30 SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 282: «Seine sorgsame und im allgemeinen urteilssichere Kombination der beiden so verschieden, aber in ihrer Art qualitätsvollen Versionen zeitigt ein Ergebnis, das seinen Voraussetzungen, vor allem den damals umlaufenden p-Codices, bei weitem überlegen ist und einen Vergleich mit guten modernen Editionen aushält». 31 Ibid., pp. 282-283: «Konkret dürfte der Bearbeitungsprozeß so vorzustellen sein, daß

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conducibili né a V né a F, che testimonia, più che un’attività di collazione, un’azione di emendatio in prima persona, ovviamente non sempre felice32, nonché l’indipendenza di Vat4 da Pal, Reg, Chis1 e Urb (si vedano anche infra le lezioni dei nrr. 11. 12. 14.) e la costituzione di una piccola sottoclasse di manoscritti, della BAV e non, tutti, come vedremo, derivanti da Vat4 (Harl3 Ricc Vat6 Laur1 Pal6, in parte Chis). 6

4 deditus BAVSN recc Ott Pal pr(a)editus Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom editus F Chis1 Reg Urb : 5 ita ω Chis1 Ott Pal Reg tam Chis Harl3 Laur1 Urb1 Vat4 Vat6 Rom tam del. Urb? om. Pal6 : 6 ut BA1V1SF Chis1 Pal Reg Urb est V2 Ott est ut N recc om. Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom : 7 omnes qui dicere quae BA1V1SF1 omnes dicere quae V2F2 Chis1 Pal Reg Urb omnes dicere qui scire sibi Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom omnes dicere qui scire Ott recc alii alia : 14 similiter recc simile BA2VSF Chis1 Ott Pal Reg Urb similes Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 recc Rom : 16 Metrodorus om. Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom : 38 adsentietur ω assentiretur Chis1 Reg assentitur Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom : 70 qui illum ω Chis1 Pal Reg Urb qui illud Chis Harl3 Pal6 Vat4 Vat6 Rom : 71 cum hoc ω Reg Urb cum ex hoc V2N Ott recc cum h(a)ec Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom ut ex eo Chis1 cum Pal : 76 se quo ω Chis1 Pal Reg Urb quo se Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom quo sed Chis : 77 id tale ω Chis1 Pal Reg Urb id om. Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 : 102 ne sit B1A1V Ott Pal ne sic B2A2F Chis1? Reg Urb nec sic Chis11 ne sint Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom : 110 uersatus ω Chis uersatur A1cF Chis1 Ott Pal Reg Urb uersetur Harl3 Laur1 Pal6 Vat4 Vat6 Rom

Ci pare del tutto legittimo immaginare che Poggio si sia dedicato ai due trattati non con il medesimo interesse, concentrando la sua collazione con V/p e l’attenzione ecdotica in generale piuttosto sul “politico” leg. e limitando la presenza di uariae lectiones (Vat41c) nei margini del Luc.33: 7

11 essem recc Chis Chis1 Vat41c Vat6 Rom issem ω Harl3 Laur1 Ott Pal Pal6 Reg Urb Vat41 recc : 21 nobis notitiae (cie) rerum ω Harl3 Pal6 Vat4c Vat6 noticie nobis rerum Vat41 Laur1 Rom : 77 esset eiusmodi FM2 Chis1

Poggio F kopierte und dabei die zu kopierenden Partien laufend an einer | danebenliegenden p-Handschrift kontrollierte». 32 Che già ibid., p. 283 aveva correttamente individuato: «Bei dem hohem Niveau des Abschreibers nimmt es nicht wunder, daß eindeutig als Fehler qualifizierbare Abweichungen überaus selten auftreten und dann meist korrigiert sind, wodurch die verbleibende Änderungen als intentional zu gelten hätten». 33 Le Doppelfassungen individuate da Schmidt in abbondanza per leg. si riscontrano di meno nel Luc., dove come detto è attiva piuttosto la seconda mano da attribuire a Pietro Bembo. Cfr. anche ibid., pp. 284-286 per la cura di Poggio nel ripristinare i Dialogpartner di leg. con interventi interlineari in inchiostro rossastro ben riconoscibile.

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Reg Urb est eiusmodi BAV1SM1 Pal Vat41 est ut eiusmodi V2N Chis Harl3 Laur1 Pal6 Vat41c Vat6 Rom : non est VSN Harl3 Laur1 Pal6 Vat41c Vat6 non ut est B2A2FM Chis1 Pal Reg1 Urb Vat41 : 118 similes om. Chis1 Reg Vat41 (add. mrg. Vat41c del. Vat42) : 119 et famam tuam N recc Chis Harl32 (mrg.) Pal6 Vat41c (u.l. mrg.) Vat6 et flammam tuam BA1S e flamma tuum A2F2K Chis1 Harl31 Pal Reg Vat41 e flamma tuam F1 et famam tuam e flamma tuum Laur1 et famam Ott eflammatum Urb [tav. II] : 133 utram ω Chis Harl3 Laur1 Pal Pal6 Vat41c Vat6 133 urãm F Vat41 uestram Chis1 Reg Urb Rom : 145 contraxerat edd contexerat ASF Chis1 Harl31 Pal Reg Urb Vat41 Rom constrinxerat N recc Chis Harl31c (mrg.) Laur1 Pal6 Vat41c (mrg.) Vat6 ad extrinxerat Ott

Le rare disattenzioni di Vat4, di solito corrette nei codici che ne discendono, riemergono grazie all’accordo in errore con Rom, il che conferma anche per il Luc. la supposizione34 che fosse proprio Vat4 il codice preso come modello per l’incunabolo: 17 opus erit ω Harl3 Laur12 Pal6 Vat6 erit opus Laur11 Vat4 Rom : 54 multa multorum ω Harl3 Laur1 Pal6 Vat6 multorum multa Vat4 Rom : 68 effectum ω Harl3 Laur1 Pal6 Vat6 affectus Vat4 Rom : 91 quasi ω Harl3 Laur1 Pal6 Vat6 om. Vat4 Rom

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3.2. Vat. lat. 11493 Vat6 Codice in parte cartaceo e in parte pergamenaceo35, con le tipiche iniziali “a bianchi girari”, Vat6 contiene un cospicuo numero di trattati ciceroniani36 e fu vergato in Italia in una posata umanistica rotunda da Iohannes Bateman (forse originario di Cambridge) nel 145837. Il testo del Luc., su una sola colonna, con ampi margini quasi del tutto privi di annotazioni, ha una collocazione stemmatica di massima abbastanza agevole: i nrr. 4. 5. 6. dimostrano la dipendenza costante da Vat438, 34

Ibid., p. 392. Per il Luc. (174v-196r) ff. 174-179, 182-189 e 192-196 in carta; 180-181 e 190-191 in pergamena. 36 Nat. div. fin. leg. Luc. Tusc. sen. am. par. fat. Tim. 37 Subscriptio e data al f. 300v: Iohannes bateman Scripsit Anno dm^ M.#ccc.lviii. septiã / nouembris (cfr. PELLEGRIN, Les manuscrits III, 2 cit., p. 835, con i ringraziamenti ad AnneVéronique Raynal per aver messo a disposizione la scheda di Vat6 prima della pubblicazione del Catalogo nel 2010). In seguito il codice fu in possesso di M.A. Muret (1r nel margine alto: Catal. msript. Bibioth. Mureti), da cui passò al Collegio dei Gesuiti a Roma. L’arrivo alla BAV è realtivamente recente (1912), come dono di Pio X. Altra bibliografia in SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 300-301; J. FOHLEN, Colophons et souscriptions de copistes dans les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticaine, in Roma Magistra Mundi. Mélanges L. E. Boyle, Louvain-la-Neuve 1998, p. 264. 38 Con l’unica svista 26 inuoluta fuerint (nr. 4.). 35

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il nr. 14. l’indipendenza da Urb: Vat6 è quindi una delle numerose copie39 del codice di Poggio, anche se è più difficile precisare i suoi rapporti con gli altri testimoni. Schmidt per leg. ne fa un gemello di Ricc come apografi di un codice oggi scomparso esemplato a sua volta su Harl3, copia diretta di Vat440. Il quadro ci pare confermato dalle lezioni seguenti: 9

Lezioni comuni Harl3 Ricc Vat6 contro Vat4 — cfr. supra nr. 8; 45 uoluit ω Laur1 Pal6 Vat4 uolunt Harl3 Ricc Vat6 Lezioni comuni (interpolazioni) Ricc Vat6 contro Harl3 — 2 potius illum ω Harl3c illum post testimonio Harl31 illum potius recc Ricc Vat6 : 7 in nostris recc Chis1 Reg Ricc Vat6 nostris ω Chis Harl3 Laur1 Ott Pal Pal6 Urb Vat4 Rom : 16 labefactare uult B2A2V Chis Chis1 Harl3 Laur1 Ott Pal Reg Vat4 labefacta reuult A1F Urb immutare uult Ricc Vat6 labefactare uul Pal6 : 18 id perceptum Chis Harl3 Pal6 Vat4 Rom id praeceptum Laur1 quicquam id perceptum Ricc Vat6 Errori singolari di Vat6 — 2 adiunxerat … Themistocles om. : 4 decorari in Lucullo ω in Lucullo decorari : 7 summa cura studioque ω summo studio curaque : eliciant et ω eliciant aliquid et : 109 inquit ipsum ω ipsum inquit : 111 quidem ω quippe : 118 princeps om.41

Esula dagli obiettivi e dai limiti del presente articolo la ricostruzione sistematica della discendenza di F, che richiederebbe l’esame anche dei codici non presenti in BAV42; tuttavia, almeno per Laur1 va fatta una parziale eccezione, visti i suoi rapporti veri con Harl3 Ricc Vat4 Vat6 e presunti con Chis143: Laur1 è sicuramente una copia di F attraverso Vat444, come 39 Lo stemma di Schmidt ne annovera per leg. ben venti su ventisei discendenti di F (senza contare i manoscritti perduti e gli incunaboli). 40 SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 302-303 si basa per leg. su tre Sonderfehler comuni a Harl3, Vat6 e Ricc; il contributo dell’antigrafo comune di Vat6 e Ricc sono interpolazioni e la riduzione delle Doppelfassungen di Vat4 ancora presenti in Harl3, mentre le lezioni singolari e distintive di Vat6 e Ricc restano «auf der Ebene üblicher Schreibversehen». 41 Molto meno significative le varianti ortografiche, come 2 percuntando Vat4 percunctando Harl3 percontando Ricc Pal6 Vat6 : monimentis Laur1 Vat4 monumentis Pal6 Ricc Vat6 : 23 estimet Harl3 Laur1 Vat4 extimet Chis1 Pal6 Ricc Vat6 : nisi iis B2F Chis1 Harl3 Laur1 (ex em.) Pal6 Urb Vat4 nisi is Vat6. 42 Inferiori di numero rispetto al leg. (cfr. supra nt. 39): oltre a quelli citati supra alla nt. 12 (M Harl3 Laur1 Ricc), MALASPINA, Primae notulae cit., p. 553 registra nella famiglia di F per il Luc. anche Besançon, Bibliothèque Municipale, 840, Erlangen, Universitätsbibliothek, 618, olim 847 (cfr. infra par. 4.2.), Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 76, 11 e Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. fondo antico 412 (1705), a cui si aggiungono Oxford, Lincoln College, 38 e Paris, Bibliothèque nationale, lat. 6597, cfr. E. MALASPINA, La tradizione manoscritta del Lucullus di Cicerone: dal Corpus Leidense a William of Malmesbury e alla fortuna rinascimentale, in M. MARTINHO – I. TARDIN CARDOSO (edd.), Ciceronianíssimos II, São Paulo in corso di stampa, nt. 18. 43 Cfr. infra par. 3.5. 44 Non ci è possibile — né rientra negli obiettivi del presente lavoro — stabilire se il rap-

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voleva Schmidt e come dimostra, al di là di tutte le lezioni congiuntive dei nrr. 4. 5. 6. supra, soprattutto l’omissione al par. 77 (133v) della frase hic Zenonem uidisse acute nullum esse uisum quod percipi posset, che non è riconducibile a un saut du même au même, ma che coincide esattamente con l’ultima riga del f. 17v di Vat4: tale lectio singularis, quindi, certifica l’indipendenza di Laur1 rispetto a tutti gli altri testimoni della famiglia di F, nessuno dei quali presenta il medesimo errore45. In particolare, Laur1, di qualche decina d’anni più antico di Harl346, non può esserne l’antigrafo e le sistematiche coincidenze testuali tra i due47 vanno attribuite a un processo di copia da Vat4 indipendente, ma estremamente attento. Le poche lezioni ω Harl3 Laur1 Vat6 contro Vat4 Rom del nr. 8 supra non bastano per ipotizzare un intermediario comune tra Harl3 e Laur1 e si spiegano piuttosto come esito di revisioni saltuarie su qualche altro testimone (tanto discendente da F quanto da V). Tuttavia, come detto, per una risposta definitiva sarebbe necessario un esame a tappeto della tradizione di F che qui non può essere svolto. 3.3. Pal. lat. 1515 Pal6 Con Pal6 la discendenza di Vat4 tocca per la prima volta l’Italia settentrionale: il codice, del sec. XV, è vergato in scrittura gotico-umanistica attribuita all’area lombarda e contiene solo trattati ciceroniani48. Il copista, Giovanni da Velate, si firma due volte49, senza purtroppo aggiungere la data. porto Vat4>Laur1 sia quello di antigrafo>apografo diretto o se si debba postulare un passaggio intermedio, come sostenuto da Schmidt per Laur1 e Chig. H.VII.223 (cfr. infra par. 3.5.); in ogni caso, tale incertezza non ha alcuna ricaduta sui manoscritti della BAV. 45 Altrettanto esclusiva di Laur1 è la lacuna 70 quod erant …fore, la cui genesi non si può però legare altrettanto bene a qualche caratteristica formale di Vat4, dal quale deriva invece la giustapposizione 119 et famam tuam e flamma tuum (cfr. supra nr. 7.). 46 SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 297; 299 data Laur1 al 1420-1425 e Harl3 al secondo quarto del sec. 47 Testimoniate come detto dai nrr. 4. 5. 6. 48 Tusc. (2r-101v), Luc. (102r-137r), Tim. (137r-145v) e fin. (147r-236v). Cfr. PELLEGRIN, Les manuscrits II, 2 cit., pp. 168-169; per il De finibus Pal6 è un descriptus che non trova spazio nella disamina di REYNOLDS, The Transmission cit. 49 M.T. CICERONIS . DE . UNIVERSI/TATE . LIBER . EXPLICIT. / DEO . LAUS. / SI . IO. PONATUR . ET AN . SIMUL / ASSOTIETUR . ET . NES . ADDAT/TUR . QUI SCRIPSIT . ITA VOCAT’. / COGNOMEN . VERE . DE . VELATE . / DICITUR . ESSE rubricato alla fine del f. 145v (146r-v sono vuoti). I medesimi versi con poche varianti (HAN … ADATUR … VELLATE) sono ripetuti in inchiostro nero al fondo del f. 236v. Nella storia successiva del codice è nota l’appartenenza a Ulrich Fugger e il passaggio ad Heidelberg, dove fu collazionato da Ianus Gruter, che l’usò nella sua edizione, chiamandolo Palatinus tertius per Tusc., Pal. sextus (da cui la sigla da noi scelta) per le altre opere. È probabilmente sua la mano che ha sottolineato tutti i loci critici con inchiostro nero,

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Come già per Vat6, i nrr. supra 4. 5. 6. testimoniano al di là di ogni dubbio la discendenza F>Vat4>Pal6, mentre i nrr. 8. 9. segnalano la coincidenza con Harl3 e Laur1 nei rari casi di discrepanza da Vat4. La soluzione più economica, in assenza di indicazioni cogenti sulla data, sembra quindi quella di considerare Pal6 legato a Harl3, ma indipendente da Ricc Vat6 e piuttosto da avvicinare a Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. fondo antico 412 (1705)50. Gli errori singolari di Pal651, rari, ma costanti in un testo pur estremamente corretto, testimoniano che nessun altro dei codici oggi conosciuti fu esemplato a partire da questo. 3.4. Reg. lat. 1481 Reg Reg, databile con precisione al 1418 grazie a una subscriptio presente al f. 17652, contiene opere esclusivamente ciceroniane53, vergate in grafia semi-corsiva, di impianto regolare e con tratti ancora leggermente gotici; benché la mise en page preveda due colonne di scrittura, per di più alquanto serrate, si ha un’impressione di ordine e regolarità54. Reg fu copiato dal suo primo possessore, Giovanni III Abeczier, vescovo di Frauenburg, a Costanza, dove, come si è detto (cfr. par. 3.1.), si trovavano sia F sia Vat4, dal quale ultimo, secondo Schmidt, il testo di leg. dipenderebbe55. aggiungendo in margine i numeri di capitolo e in alto il titolo corrente 4 Ac. o 4 Acad., senza però apporre alcuna correzione, né marginale né interlineare. 50 Errores coniunctivi contro Harl3 Vat4 sono e.g. 3 uictoria (uictor a) : 77 esse id (esset id, cfr. supra nr. 4.) : fixum esse (fixum fuisse) : 146 uersantur (uersaretur) : 147 sit om. 51 A quelli già segnalati supra ai nrr. 4. 6. 9. (5 ita om. : 16 labefactare uul : 76 mihi mime) aggiungiamo e.g. 44 communione (ut uid..; coniungitur) : 144 uides (iubes) : 146 nec om. 52 Ad Christi laudem et beate Virginis Marie Ciceronis liber tertius de bonorum ac malorum finibus hic finitur. 1418. 53 Off. par. Tusc. sen. amic. top. leg. Luc. (108r-122r) nat. fin. Her. 54 Tra gli ortographica si segnalano le forme michi e nichil, la grafia costantemente scempia del dittongo ae e le assimilazioni costanti (e.g. appetitio). Un fenomeno notevole sono gli spazi bianchi lasciati al posto delle parole greche. Nei margini sono presenti maniculae e altri fregi decorativi per evidenziare passi considerati importanti, nonché delle note, per lo più correzioni e aggiunte di una mano successiva, ma anche, verso la fine del testo (ff. 119r121v), note di concetto per indicare i vari tipi di divergenze delle teorie filosofiche esposte nel trattato. 55 SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 292; cfr. anche J. GEISS, Mittelalterliche Handschriften in Greifswalder Bibliotheken, Wiesbaden 2009, pp. 206, 216, 220. Dopo essere appartenuto al vescovo dal 1415 al 1424, il codice entrò a far parte del patrimonio librario della Cattedrale di Frauenburg, come si legge dall’ex-libris del sec. XVII al foglio 1, Liber Bibliothecae Varmiensis. La biblioteca passò quindi nel 1626 a Gustavo Adolfo di Svezia e poi, in parte, nella collezione della regina Cristina nel 1648 (catalogato come nr. 468 nel catalogo di Montfaucon); come è noto i libri della regina giunsero in BAV nel 1690 (PELLEGRIN, Les manuscrits II, 1 cit., pp. 233-235).

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Nel Luc. Reg coincide in generale con la tradizione di F (e quindi anche di Vat4) per gran parte delle sue lezioni, come testimonia il nr. 4 supra. Tuttavia, il passo successivo dimostrato da Schmidt per leg., ovvero la dipendenza da Vat4 contro F attraverso un testimone intermedio (dal quale, oltre a Reg, sarebbero stati copiati per leg. altri tre codici)56, è da respingere per il Luc. Pur mancando per questo trattato i tre manoscritti paralleli, riscontriamo una sola lezione in tutto Luc. esclusiva o quasi di Reg Vat4 contro F57, mentre ben maggiori sono quelle disgiuntive. Ci sia concesso fare qui una duplice puntualizzazione, valida in generale e quindi anche per gli altri manoscritti che dobbiamo ancor analizzare: da una parte, una ricostruzione stemmatica diversa o anche antitetica per il Luc. rispetto a quanto sostenuto da altri studiosi per altri trattati all’interno di un medesimo codice non comporta la messa in dubbio automatica o la critica implicita delle tesi altrui, ma solo l’ennesima dimostrazione che un singolo manoscritto può essere portatore di tradizioni diverse anche per opere dalla vicenda testuale apparentemente parallela58; dall’altra, tale discrepanza è tutt’altro che problematica o in contrasto con le pratiche scrittorie del tempo. Nel caso specifico, abbiamo già notato in Vat4 una certa differenza di intervento da parte di Poggio su Luc. e su leg. e nulla vieta di pensare che mentre per quest’ultimo si sia prodotta da Vat4 la copia intermedia, a sua volta usata come antigrafo per quattro manoscritti tra cui Reg, come sostenuto da Schmidt, per le altre opere o per lo meno per il Luc. si sia agito diversamente59, pur confermando attore, data e luogo dell’operazione. Il testo del Luc., in particolare, resta sempre fedele a F dove Poggio innova in Vat4, seguendo V o meno60. Il passaggio F>Vat4>X>Reg+3 manoscritti proposto per leg., quindi, presupporrebbe nel Luc. la messa in discussione dell’autografo di Poggio come edizione autorevole e la sua sostituzione con una facies testuale palesemente più mediocre e contami56

Il Codex Wittembachianus collazionato dal Moser e oggi scomparso, Napoli, Biblioteca Nazionale, IV.G.47, e Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 6361, nessuno dei quali contiene però il Luc. (cfr. SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 287-296). 57 94 superbe ω superbis F2? Chis1 Pal Urb Vat6 Superbi Chis Reg Vat4 Rom. 58 Come già riscontrato e.g. per De finibus e Academici da REYNOLDS, The Transmission cit., p. 29 e per una tradizione diversissima da E. MALASPINA, La “preistoria” della tradizione recenziore del De clementia (a proposito di Paris, Bib. Nat., lat. 15085 e di Leipzig, Rep. I, 4, 47), in Revue d’Histoire des Textes 31 (2001), pp. 164-165; cfr. anche supra nt. 14. 59 Ricordiamo che mentre Vat4 contiene solo leg. e Luc., molti di più sono i trattati ciceroniani in Reg (cfr. supra nt. 53), alcuni dei quali estranei al Corpus Leidense e quindi per forza indipendenti da F. 60 Cfr. supra le lezioni dei nrr. 5. e 6. (in particolare ai parr. 4. 5. 7. 11. 53. 71. 82. 98. 102) e infra quelle del nr. 14.

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nata à rebours con F. Molto più lineare pensare invece che Reg, privo delle innovazioni di Poggio, derivi direttamente da F. Significativa a questo proposito è anche la presenza di lectiones singulares, principalmente sviste, omissioni e dittografie: 10 est om. : 11 Tetrilius ω terribilius : 48 sunt probabilia quae falsa om. : 73 de Democrito om. : 129 a Platone a ω a Platone et a : 135 misericordiam ω iracundiam : fortitudinis ω aegritudinis : 138 ad opinionem ad opinionem

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Infine, la caratteristica più peculiare di Reg è l’assenza quasi totale dei termini greci, laddove F come Vat4 e tutta la tradizione poziore presentano la traslitterazione, spesso approssimativa, in alfabeto latino. Gli spazi bianchi lasciati dal copista nell’attesa — spesso evidentemente vana — dell’intervento di un competente sono abbastanza rari nella tradizione del Luc. e tra i codici della BAV trovano riscontro solo in Chis1. Tale coincidenza, di per sé, non sarebbe probante, se non vi fosse una serie di errores coniunctiui ben più eloquenti, che esaminiamo nel par. seguente. 3.5. Chigi H. VII. 221 Chis1 Chis1, cartaceo, contiene le seguenti opere ciceroniane: De natura deorum, De diuinatione, Luc. (ff. 113r-152v), Timaeus, De fato, Somnium Scipionis, vergate in un’umanistica corsiva di facile lettura, con margini molto larghi e poco annotati (a parte alcune correzioni di prima mano e uariae lectiones più tardive). Di origine italiana61 e decorato con alcune miniature “a bianchi girari”, appare l’opera di un solo copista62 e forma «ein auch nach Schrift, Dekoration und Einband zusammengehöriges Cicero-Corpus» con Chigi H. VII. 223, contenente leg. e De finibus63. 61

Forse Siena (Roma per SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 298): primo possessore di Chis1 fu infatti il senese Agostino Patrizi Piccolomini (ca. 1440-1495: dal 1460 segretario privato di Enea Silvio Piccolomini, futuro Papa Pio II; dal 1484 vescovo di Pienza, vedi anche infra par. 4.1.), come risulta dallo stemma al f. 1r e dall’ex-libris al f. IV, A. Patricij Ep(iscop)i Pientini. In seguito il codice passò alla biblioteca del Duomo di Siena, da dove nel 1660 fu portato con altri a Roma dal cardinale Fabio Chigi (1599-1667), già divenuto papa Alessandro VII nel 1655: cfr. in generale R. AVESANI, Per la biblioteca di Agostino Patrizi Piccolomini, vescovo di Pienza, in Mélanges É. Tisserant, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 6), pp. 36 e 46-47, PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., pp. 362-363. Per la datazione, SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 298 propone il 1470 circa per Chig. H. VII. 223, ma le filigrane di Chis1 sono databili agli anni 1426-1435 (ancora PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., pp. 362): in ogni caso, Chis1 è posteriore a Reg. 62 AVESANI, Per la biblioteca cit., pp. 54-57; SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 298-299. 63 SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 298; 301-305: proprio a causa di questa stretta unità compositiva in due tomi abbiamo deciso di mantenere per il nostro Chig. H.VII.221 la stessa sigla Chis1 che Schmidt utilizza per il gemello H.VII.223.

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Secondo Schmidt, per quanto riguarda la tradizione di leg. Chigi H. VII. 223 sarebbe copia di Vat4, indipendente da Reg, ma passata attraverso un intermediario dal quale deriverebbe anche Laur1, che, contenendo anche Luc. oltre a leg., ci permette quei riscontri impossibili invece nel caso di Reg64. Ancora una volta, però, l’analisi del Luc. non conferma la ricostruzione stemmatica valida per leg., a parte la generica dipendenza di Chis1 dal ramo di F, al cui testo il copista si attiene (a parte l’ortografia), come dimostra supra il nr. 4. La stragrande maggioranza delle lezioni dei nrr. 5. 6. attesta invece l’indipendenza tra Vat4 e Chis1, il che conduce anche a respingere l’esistenza di un antigrafo comune tra Chis1 e Laur1, a maggior ragione sapendo già che Laur1, apografo di Vat4, ha caratteristiche incompatibili con Chis165. La già citata particolarità degli spazi bianchi lasciati per i termini greci66 e gli errori congiuntivi depongono invece a favore di uno stretto legame tra Reg e Chis1. Per tacere delle coincidenze non esclusive dei nrr. 4. 5. 6.67, troviamo omissioni, inversioni ed errori di varia natura: 36 tamen om. Chis11 Reg : 61 nos om. Chis1 Reg : 63 est om. Chis11 Reg : 85 esse om. Chis11 Reg 1 potuit in foro Chis1 Reg : 32 aliquid probabile Chis1 Reg : 38 nulli rei Chis1 Reg : 76 ueteres putarem Chis1 Reg : 84 uidebat geminum Chis1 Reg : 102 mihi nihil Chis1 Reg 9 adamauerunt] adamarunt Chis1 Reg : 18 possit] non possit Chis11 Reg : 28 e quibus] ex quibus Chis1 Reg : 32 Quasi F1 Urb nesciatur quasi F2 Chis Chis12 Pal Pal6 Vat4 Vat6 Rom noscatur quasi Chis11 Reg : 49 solet] potest Chis1 Reg : 67 opinari] assentiri Chis11 Reg : 98 sumam] incipiam Chis1 Reg : 126 an] cur Chis1 Reg : 138 complectitur] contemplatur Chis1 Reg

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Cfr. supra nt. 56. Cfr. supra par. 3.2 e nt. 45. 66 Mentre spesso a spazio bianco di Reg corrisponde spazio bianco di Chis1 (e.g. 59 epoche id est F Chis Chis12 Pal6 Vat4 Vat6 Rom epochei idest BA spatium uacuum id est Chis11 Reg epothe idest Pal epodie idê Urb), altrove il copista di Chis1 sembra essere tornato — forse in un secondo momento — a completare l’opera. E.g. 30 (Reg f. 111r col. 2 = Chis1 f. 146r) agli spazi bianchi di Reg per εννοιας e per προλημψεις corrispondono in Chis1 le traslitterazioni, apparentemente della medesima mano, ma in uno spazio scrittorio ampliamente maggiore del necessario. Poche righe sotto, Reg omette del tutto καταλημψιν, mentre Chis1 presenta una volenterosa imitazione del termine in alfabeto greco, evidentemente desunta da altra fonte. 67 Tra cui è da notare solo 38 assentiretur Chis1 Reg (nr. 6.). Altre coincidenze quasi esclusive, forse frutto di contaminazione, sono le seguenti: 7 in nostris recc Chis1 Reg Ricc Vat6 nostris ω Chis Harl3 Laur1 Ott Pal Pal6 Urb Vat4 Rom (cfr. supra nr. 7.) : 47 nullae sint ω nullae sunt recc Chis1 Reg : 61 omni ω Pal Urb omnibus V2N Harl3 Laur1 Ott Pal6 Vat4 Vat6 Rom om. Chis Chis1 Reg : 118 similes om. Chis1 Reg Vat41 (cfr. supra nr. 7). 65

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Si riscontrano però, oltre a lezioni singolari68, alcune lezioni distintive da ω Reg e congiuntive con codici che per la tradizione del Luc. discendono da V e che non sono quasi mai riprese da Vat4: 5 ament ω amant recc Chis1 : 33 ista regula est ω est ista regula est K est ista regula recc Chis1 Ott : 76 ut uoluptatem ω et u. S recc Chis1 Ott vel u. Chis : 96 ergo haec ω igitur haec recc Chis1 : 128 adfirmant ω confirmant recc Chis1 : 134 etiam om. recc Chis1 Ott : 146 quemque ω Chis1 Vat4 quaque F Reg Urb69

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In conclusione, le lezioni dei nrr. 7. 9. portano a escludere una derivazione diretta da Reg: Chis1 deve derivare da Reg attraverso un codice contaminato con V oppure essere frutto di contaminazione all’atto stesso della copia da Reg70. Anche se non è possibile al momento stabilire con precisione quale sia stata la fonte V da cui derivano le discrepanze con Reg71, l’operazione, nel complesso poco più che sporadica, non ha alterato in modo irreparabile i caratteri di Chis1 e la sua complessiva fedeltà a F>Reg. Aggiungiamo che Chis1 è portatore unico di almeno tre felici varianti, sinora accolte come congetture attribuite a filologi dal Cinquecento in avanti, due delle quali sono anzi considerate correzioni sicure. Per questo suo contributo Chis1 dovrà prendere posto negli apparati. 96 Vide Chis1 Manutius edd Video ω [tav. III] : 107 dubitare Chis1 Davisius edd dubitari ω : 109 et om. Chis1 del. Ald Halm Baiter Müller Reid

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3.6. Urb. lat. 319 Urb Urb è un codice pergamenaceo della seconda metà del sec. XV, scritto per Federico da Montefeltro (1422-1482), le cui iniziali “F.C.” si trovano al f. 2r, con le sue armi72. La titolatura Federicus Comes, abbandonata dopo il riconoscimento come Duca di Urbino nel 1474, costituisce un sicuro termi68

Come 2 audiuerat Chis1 : 7 philosophiae disciplinam Chis1 : 72 nunc hic ω nunc recc Pal nunc iste Chis1 : 81 Ne F Reg Urb nec Chis1, ma i casi sono ovviamente molti di più. 69 Si aggiungano a queste le lezioni riportate supra ai nrr. 4. 5. 6. per 10 labefacta, 53 uisa nihil interesset e 71 cum hoc. 70 Porta a preferire la seconda ipotesi, pur senza ragioni cogenti, l’emendazione di alcuni errori di Reg in Chis1 da parte di un correttore (cfr. supra nr. 8.), un’operazione che possiamo immaginare compiuta al termine della copiatura da Reg con il riscontro del secondo manoscritto. 71 Le coincidenze numericamente più significative sono con Scor4 e con New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, 284. 72 PELLEGRIN, Les manuscrits II, 2 cit., p. 544.

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nus ante73. Il copista è stato identificato in Niccolò di Antonio da Pardo de’ Ricci (Nicolaus Riccius Spinosus), che lavorava a Firenze presso l’atelier di Vespasiano da Bisticci74. Come è noto, la biblioteca del Duca fu comprata dal Papa Alessandro VII Chigi e integrata nelle collezioni del Vaticano nel 165775. Urb contiene varie opere filosofiche di Cicerone: De natura deorum (ff. 2r-59r); De diuinatione (59v-112v); leg. (114r-147v); Academica posteriora (148r-156r); Luc. (156v-189v); Timaeus (190r-197v); De fato (198r-206v). La grafia è un’umanistica rotonda molto regolare e armonica76; l’incipit di ciascuna opera, dopo il De natura deorum, è messo in evidenza da un’iniziale miniata in oro “a bianchi girari”. Il testo è distribuito lungo una sola colonna di scrittura con margini molto larghi, privi di notazioni, a parte i rinvii dei fascicoli. La fattura è attenta, con poche correzioni, apportate in generale nell’interlinea e spesso della medesima mano. Si notano anche alcune correzioni di seconda mano, di colore molto più scuro, soprattutto dal f. 168r, e forse alcune correzioni di terza mano, in una scrittura più fine e più piccola, dal f. 175v. Come per leg., anche per Luc. il manoscritto segue generalmente F, di cui è copia diretta secondo Schmidt77, con attenzione non costante al det-

73 HUNT, A textual history cit., p. 136. L’iniziale istoriata nello stesso f., che può rappresentare un busto di Cicerone barbuto con un libro in mano (PELLEGRIN, Les manuscrits II, 2 cit., p. 543), è l’opera di un collaboratore di Francesco di Antonio del Chierico — su cui cfr. M. PERUZZI (a cura di), Ornatissimo Codice, La biblioteca di Federico di Montefeltro, Ginevra – Milano 2008, pp. 53-67; 227-228 –, che organizzerà la parte figurativa della famosa Bibbia del Duca (A. GARZELLI, La Bibbia di Federico da Montefeltro. Un’officina libraria fiorentina 14761478, Roma 1977, pp. 45-87). L’interessamento del Duca per le opere di Cicerone potrebbe essere stato stimolato anche da Battista Sforza: «Il precoce acquisto di testi grammaticali e retorici suggerisce, infatti, l’influenza di Battista Sforza e del suo maestro Martino Filetico […] In un passo delle Iocundissimae Disputationes Battista domanda alla sua ancella di portarle i Paradoxa Stoicorum che sta analizzando, e il codice che contiene l’opera (Urb. lat. 318), è stato confezionato a Firenze tra il 1460 e il 1470, negli anni che Battista ha trascorso a Urbino» (PERUZZI, Ornatissimo Codice cit., p. 34). 74 A. C. DE LA MARE, Vespasiano da Bisticci e i copisti fiorentini di Federico, in Federico di Montefeltro, La cultura, a cura di G. CERBONI BAIARDI – G. CHITTOLINI – P. FLORIANI, Roma 1986, p. 94; G. M. CAGNI, Vespasiano da Bisticci e il suo epistolario, Roma 1969, pp. 60-63 sulla biblioteca del duca d’Urbino. 75 HUNT, A textual history cit., p. 136. 76 Costanti le grafie umanistiche (e.g. prouincie, questure, negociis, ocii) e le assimilazioni consonantiche (assensus, approbare ecc.). 77 Molto acuta la supposizione di SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 160, secondo cui la copia di Urb da F, nonostante il fatto che F, dal 1440 alla Biblioteca di San Marco, non fosse disponibile per la copia, né per il prestito, ma solo per la lettura, chiama in causa l’influenza di Federico da Montefeltro e di Vespasiano da Bisticci.

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tato dei correttori78 e con errori comuni anche ad altri apografi, come dimostrato supra dalle lezioni del nr. 4. I nrr. 5. e 6., per contro, provano la distanza da Chis Vat4 Vat6, l’assenza di contaminazione con V e, come per Reg, la maggiore fedeltà a F, frutto evidente di un processo di copia più umile e meno “ecdotico” di quello di Poggio con Vat4. Riportiamo qui come ulteriore riprova alcune coincidenze esclusive o quasi con F, che si aggiungono alle già citate 16 labefactare uult (nr. 9.) e 146 quaque (nr. 12): 14

43 tutentur ω F2 utentur F1 tuentur F3 Urb : 74 possit ω possint F2 Urb : 81 neque ω Ne F Reg Urb : 128 paulum ω paulo F2 Urb : 131 Aristoteles ω Aristotelis F Urb : 148 possit ω posset F Reg1 Urb

Le coincidenze con manoscritti differenti sono del tutto isolate e casuali79. Infine, le numerose lectiones singulares dimostrano che Urb non è l’antigrafo di nessuno dei codici oggi disponibili, confermando quindi la ricostruzione stemmatica di Schmidt. Urb non ha altri rapporti particolari nemmeno con Reg, se non quello di condividere F come antigrafo diretto: 15

8 potuerunt ω potuere : 9 postridie ω posteri die : 10 uideatur ω uidetur : 16 immutatione ω in mutationes : 21 series ω serues : 22 uidemus ω uidemini : 34 moueatur ω mouetur : 36 ex circumspectione ω exercitum spectione : 52 eadem sit ω ea dempsit : 53 adsensionem … genere toto om. : 54 suo quidque ω suo quoque : 59 εποχη id est ω epodie idê : 68 uitiosum ω insum : 71 argumento ω argumentatum : 80 Cumanum / Cumanam ω cum antea : 92 lubricum ω libri cum : num nostra ω numen nostra : 109 non ut Antipater ω Num tanti pater : 111 in uisis ω musis : 119 permanet ω per me et : et famam tuam ω eflammatum : 120 opusculorum ω opus oculorum

4. Manoscritti contaminati di difficile collocazione 4.1. Chig. H. V. 147 Chis Chis è un codice pergamenaceo vergato nel 146380 che contiene varie 78 Si vedano infatti 32 Quasi F1 Urb nesciatur quasi F2 Chis Chis12 Pal Pal6 Vat4 Vat6 Rom noscatur quasi Chis11 Reg : 81 possent F1 Urb (possunt) : 125 ut et quod mouebitur Vat4 Rom et quod mouebitur BAS Chis1 Reg Urb ut quod mouebitur NF2K Chis Pal recc ## et quod mouebitur F1 : 135 ecferri B?AF? nec ferri N Chis hecferri F1 h(aec) efferri recc Chis1 Pal Reg Urb efferri Harl3 Pal6 Vat4 Vat6 : 141 fuisse fixum F1 Urb (fixum fuisse F2). 79 54 potueras ω poteras S Urb : 57 ulli ω ullo Reg illi recc Urb Vat41 : 76 colore ω colere B1A1 Urb : 91 At ea ω antea K Urb : 100 qui ω quid A1V1 Urb : 115 nolumus ω uolumus B1A1 recc Urb : 123 uobis ω uos N recc Chis Urb. 80 Il copista, un certo Rodolfo, indica la data in due casi, entrambi piuttosto curiosi. Nel

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opere di Cicerone, soprattutto filosofiche81. Come sostenuto convincentemente da Hunt82, esso potrebbe essere stato scritto per Agostino Patrizi Piccolomini83, che già conosciamo per Chis1 e la cui firma compare nella seconda di copertina, sul f. I e sul f. IV84. La grafia è un’umanistica italiana semi-corsiva molto regolare e armonica; l’incipit di ciascuna opera è messo in evidenza da un’iniziale miniata in oro, spesso decorata con tralci di vite85. Il testo è distribuito lungo una sola colonna di scrittura per ogni pagina; i margini, molto larghi, non di rado ospitano note, l’appunto di parole chiave, nomi propri (spesso errati), caratteristiche grammaticali, lessicali86 e filologiche. Vi sono parecchie sviste del copista, spesso immediatamente corrette con un tratto orizzontale da quella che sembra la medesima mano; frequenti le lacune di una o due parole, a cui però viene lasciato spazio per l’inserimento, segno di una difficoltà nel leggere l’antigrafo e dell’attesa di una integrazione successiva, non avvenuta87. Le correzioni sono vergate con inchiostro più chiaro, ma non è facile distinguere le mani, dal momento che il tratto sembra sempre il medesimo; quel che è più rilevante, nepprimo, al f. 127, oltre all’indicazione cronologica si legge un giudizio di demerito sul proprio lavoro: Finis quinti et ultimi libri Tusculanarum questionum Marci Tulli Ciceronis ego Rodulfus finivi Male. A tal proposito, FOHLEN, Colophons cit., p. 252, ha notato come sia piuttosto raro che un copista nel colophon svaluti la sua opera. La data viene nuovamente registrata al f. 212r, al termine del Luc.: Ego rodulfus scripsi hunc librum tp—. pp. / Pij. .A°. D’. M° CC°CC LXIIJ & die dominico XII / octobr. hora fere VI noctis hortensius, ma già PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., p. 307 nt. 1, aveva segnalato che il 12 ottobre 1463 cadde di mercoledì e non di domenica (cfr. FOHLEN, Colophons cit., p. 255 per un dettagliato elenco dei formati con cui i copisti indicavano l’ora della copia). 81 Tusculanae Disputationes (ff. 1-127v); Academici (ff. 128r-139v); Somnium Scipionis (ff. 140r-145v); Timaeus (ff. 157-168r); Luc. (168v-212r, con titolo Thimeus poi barrato e Hortensius); Q. CIC. Commentariolum petitionis (ff. 212v-223v). 82 HUNT, A textual history cit., p. 205. 83 Cfr. supra nt. 51. 84 Il fatto che nella firma apposta sul f. IV si legga A. Patritii Episcopi Pientini dimostra che il codice era in suo possesso almeno dal 1484 (cfr. supra nt. 61). Poco prima della morte, avvenuta nel 1495, Patrizi donò gran parte della sua biblioteca all’amico e patrono Francesco Todeschini Piccolomini, futuro Papa Pio III (il cui brevissimo pontificato durò dal 22 settembre al 18 ottobre 1503): egli, volendo istituire un’imponente biblioteca a Siena, spostò nella città toscana molta della sua collezione, con ogni probabilità Chis incluso. Il codice giunse a Roma dopo più di un secolo, quando Fabio Chigi acquistò circa duecento dei manoscritti senesi (cfr. anche supra nt. 61). 85 Il f. 1 è invece miniato con l’effigie di un uomo calvo e barbuto. 86 E.g. 6 illigor a margine di inligari : 109 Pingue: de re ingenii. 87 E.g. 47 internoscatur : 86 modi : 98 quas didici. Numerose anche le lacune più ampie, di cinque o più parole, a volte evidenti sauts du même au même, e.g. 28 unum tamen illud dicere percipi posse consentaneum esse om. (cfr. infra par. 5.1.) : 79-80 Epicurus si … Timagoras Epicureus om. : 126 quidem videantur … exaedificatum om.

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pure esse sono in grado di leggere meglio l’antigrafo e di colmare le parti lasciate vuote nella prima stesura. Anche chi compila le note a margine non pare più abile del copista e dei suoi correttori, come dimostra il par. 92, ove Chis ha erroneamente criptas per soritas e anche l’annotatore, non accorgendosi dell’errore, segnala a margine proprio criptas come parola significativa. Da questo quadro generale e dalla frequenza delle omissioni si è indotti a pensare che il codice, di peculiare collocazione stemmatica, probabilmente appartenga alla fine di un ramo, piuttosto che all’inizio. A livello generale, il testo segue F per i primi 2/3 dell’opera, come dimostrano ancora una volta le lezioni del nr. 4, e nello specifico Vat4 (nrr. 5. 6.), pur con qualche disattenzione in più rispetto agli altri apografi del manoscritto di Poggio88: è del tutto verosimile che Iacopo Bracciolini, dal 1460 proprietario di Vat4, lo prestasse per la copia a un alto prelato come Patrizi89. Ma qualcosa dovette non andare per il verso giusto, perché gli ultimi 50 parr. circa del Luc. presentano una facies testuale diversa e vicina ora a (V)SN90 ora ai recentiores della famiglia, tanto da far immaginare che l’antigrafo fosse stato ritirato e sostituito con un altro. Alle lezioni dei nr. 4. 6. supra dal par. 110 in avanti aggiungiamo le seguenti: 16

105 uester ω uidetur S Chis Ott Pal Scor4 : 124 si simplex ω et si unus et simplex N Chis Ott Scor4 : 131 uoluerunt ω bonorum uoluerunt Chis Ott Scor4 : 140 alteram B1A1SN Chis Ott Scor4 Alterum B2A2F Chis1 Harl3 Pal Pal6 Urb Vat4 Vat6 Rom : 141 adquiescis/acqu- B2A2F Chis1 Harl3 Laur1 Pal Pal6 Reg Urb Vat4 Vat6 Rom asciscis/ascisis N Chis Ott Scor4

Il cambio di antigrafo si può collocare con estrema precisione alla fine del f. 197v, ove il passaggio a un nuovo fascicolo è segnalato dalla parolaguida nel margine destro (105 libero); il f. 198r non presenta alcuna annotazione al riguardo o segno di modifica. A conferma del carattere alquanto marginale di Chis sta l’abbondanza delle lectiones singulares, di cui riportiamo solo tre esempi significativi del livello di errore, sia nella parte derivante da F sia nell’ultima: 17

23 aequitatem ω quantitatem : 127 humanissima ω amenissima : 128 inlustriores ω histriones

88 Si notino infatti le omissioni (45 fecit : 80 inportune) e le inversioni (98 sumpta sunt : 101 uisum sensibus falsum con Pal). 89 Cfr. supra par. 3.1.; SCHMIDT, Die Überlieferung cit., p. 281 colloca persuasivamente la partenza di Vat4 per Venezia (cfr. supra nt. 26) negli anni 1475-76, quindi ben dopo l’allestimento di Chis. 90 Ricordiamo che V è mutilo dal par. 104 in avanti, per cui si deve ricorrere in sostituzione a SN.

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4.2. Pal. lat. 1525 Pal Pal è un codice cartaceo91, copiato nel 146792 (con ogni probabilità ad Heidelberg), e gemello di un altro codice (Erlangen, Universitätsbibliothek, 618, olim 847)93, entrambi fondamentali nella constitutio textus del De finibus94. Oltre al Luc. e al De finibus, contiene un’ampia raccolta di scritti dell’Arpinate, non solo opere filosofiche95, ma anche discorsi, tutti testi di cui il manoscritto, in varia misura, costituisce un testimone autorevole96. Del tutto ignoto, però, è il motivo per cui ad Heidelberg in quel periodo sorse un interesse così specifico per Cicerone: se vi furono ricerche da parte dei professori allora attivi nell’università cittadina, esse non hanno lasciato traccia97. Rimane senza fondamento l’ipotesi avanzata da Pellegrin, secondo cui il copista, seppur di mano tedesca, potrebbe aver effettuato la sua copia in Italia98. Non è possibile neppure individuare a chi sia appartenuto il codice prima di finire nella Biblioteca Palatina99. La grafia è una semi-corsiva leggermente inclinata; il testo è distribuito lungo due colonne di scrittura, piuttosto compatte, con molti segni tachigrafici, ma senza note marginali e apparentemente senza correzioni successive. Si riscontra una certa tendenza all’ipercorrettismo (diffinitiones, hyis), mentre peculiare è la grafia del nesso Qu- posto a inizio del periodo, con legatura alta e piuttosto ampia, segno di una certa cura formale. Non merita soffermarsi sull’affinità con il manoscritto di Erlangen, universalmente assodata100, mentre molto più complessa è l’individuazione della collocazione stemmatica dei due testimoni. Le lezioni supra ai nrr. 5. 6. ci paiono dimostrare la netta distanza da Vat4 e dal suo gruppo, so91

Filigrane ai ff. I-47 e 72-107, cfr. PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., p. 178. La data è riportata sul f. 215r. 93 Luc. 206v-225v, scrittura umanistica corsiva, senza note marginali o glosse; i ff. 1-253 furono vergati da Bernhardus Grosschedel di Remingen. 94 Rispettivamente B ed E, cfr. supra nt. 14. 95 Per Cicerone filosofo off. fin. inv. nat. div. fat. Tim. Luc. (167v-183v) sen. par. Tusc.; elenco dettagliato in PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., pp. 178-180. 96 REYNOLDS, The Transmission cit., p. 7. 97 Cfr. M. D. REEVE, Some applications of Pasquali’s “criterio geografico” to 15th century Latin Manuscripts, in G. CAVALLO (ed.), Le strade del testo, Bari 1987, pp. 3-12, in particolare p. 6. 98 PELLEGRIN, Les manuscrits classiques cit., p. 181, sulla base del fatto che le filigrane sarebbero italiane. Convincente critica in REEVE, Some applications cit., p. 5. 99 Sul f. 1 in basso vi è uno stemma che, sfortunatamente, non è stato identificato. 100 Si veda, in merito, HUNT, A textual history cit., pp. 107-109. Già C. HALM, Zur Handschriftenkunde der Ciceronischen Schriften. Programm des Maximilians-Gymnasiums, München 1850, pp. 2-3, aveva notato le strette affinità testuali, nonostante, peraltro, il contenuto e l’ordine delle opere non coincidano. 92

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prattutto quando si discosta da F. Ciò detto, sulla base del nr. 4. ci pare altrettanto difficile mettere in questione il rapporto con F, rapporto che giunge talvolta al mantenimento di varianti cadute in quasi tutti gli altri testimoni della classe (e.g. 53 uisa BAV1SF Pal Reg). Tuttavia, a parte i frequenti errori singolari101, vanno in direzione opposta le palesi concordanze con la tradizione di V, come 26 et : 45 profecit : 77 id esset : 102 ea : 124 sit animus : 132 esse sapiens Chis102. In conclusione, Pal appare un discendente di F senza legami con Vat4, ma sistematicamente contaminato con la tradizione di V. Tale stato di cose è complicato da luogo e data di copiatura, perché tutto il resto della discendenza di F, come sappiamo, si produce proprio in quegli anni tra Costanza e l’Italia centrale. Se la presenza al di là delle Alpi di non meglio identificabili discendenti di V come artefici della contaminazione non pone alcun problema, il rapporto con F può essersi prodotto in due modi diversi: o durante i secoli di permanenza a Strasburgo F diede luogo a un’attività di copiatura, la cui eco sarebbe appunto Pal, oppure uno sconosciuto apografo di F partì per la Germania (da Costanza?) dopo la riscoperta da parte di Poggio. Non abbiamo, al momento, considerazioni dirimenti in un senso o nell’altro: a favore della seconda ipotesi sta il caso di Reg, vergato come sappiamo per Giovanni III Abeczier, vescovo di Frauenburg103; a favore della prima sta invece la pervasività della contaminazione con V, che lascia piuttosto immaginare un lento processo di collazione in più fasi. 5. La discendenza di V 5.1. Ott. lat. 1478 Ott Ott, cartaceo e risalente al sec. XV, è composto di 103 ff. e presenta il Luc. (1v-50v), Catil. seguito dal gruppo SALL. Cic. PS.CIC. Sall. e infine CIC. red.sen., con la pseudoepigrafa Quinta Catilinaria e la Responsio Catilinae, un ordine che riprende in piccolo quello di Troyes, Bibliothèque Municipale, 552 (sec. XIV). Vergato in una corsiva umanistica molto difficile da decifrare e ricca di abbreviazioni, con un cambio sicuro di mano al f. 49r, homines | nonne (par. 143), fu posseduto dal cardinale Bernardino Maffei 101

E.g. parr. 16. 17. 101. 110 sempre del nr. 4. supra, cui aggiungiamo le frequenti ripetizioni, e.g. 11 dictum a catulo : 48 nihil : 120 quod tibi est : 122 intrare possit, che aiutano a distinguere Pal dal gemello di Erlangen. 102 Difficile da giudicare e forse casuale la lezione congiuntiva 66 iudico ω iudicem VS Chis Pal, comune al gemello di Erlangen. 103 Cfr. supra par. 3.4.: in assenza di lezioni congiuntive con Pal, Reg serve solo come caso parallelo: si può immaginare che nel contesto del Concilio di Costanza non mancassero prelati e umanisti di origine tedesca interessati a una copia della nuova scoperta di Poggio.

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(† 1553) e da Giovanni Angelo duca d’Altemps prima di entrare nella biblioteca del cardinale P. Ottoboni104. I margini sono stati rifilati con la conseguenza che le note più cospicue appaiono mutile105, ma il dato esteriore più evidente è la fascicolazione errata, con i ff. 12 e 13 inseriti dopo i ff. 1-11 e non dopo il gruppo 23-30, dove sarebbe stato giusto (tav. IV)106. Già con il suo piccolo formato, l’assenza di decorazioni e la scrittura non calligrafica Ott è in netto contrasto con i codici della BAV derivanti da F: evidente copia di lavoro, Ott fu vergato senza cura apparente e con una quantità esorbitante di lezioni singolari, poche delle quali sono ripristinate da una seconda mano in grado di riscontrare su un’altra copia. In tutti i gruppi di lezioni elencati supra la presenza di Ott è del tutto marginale, visto che il codice non mostra alcun segno di derivazione da F, neppure sotto forma di contaminazione episodica. L’appartenenza alla famiglia di V rende di per sé molto più problematica la sua esatta collocazione nello stemma, perché, come già si è detto, questi codici sono molto più numerosi, datano anche al sec. XIII e XIV e sono sistematicamente soggetti ad una contaminazione interna che spesso rende irriconoscibili i tratti di derivazione diretta. In attesa di un’analisi sistematica della famiglia di V, possiamo però collocare Ott almeno di massima all’interno di una classe sulla base della presenza di quattro lacune (28 Sed … percipi : 28 unum … esse : 106 habet … meminit : 114 qui … exules): pochi codici, i più antichi e meglio conservati, non ne presentano alcuna, ancora di meno ne presentano una o due, mentre in un gruppo più consistente, che fa capo a Scor4,

104 Cfr. PELLEGRIN, Les manuscrits I cit., pp. 585-586: il manoscritto risulta pochissimo studiato, al punto da non essere registrato per Quinta Catilinaria e Responsio nell’elenco di M. DE MARCO, La doppia redazione della Quinta Catilinaria e della Responsio Catilinae, in Ciceroniana 2 (1960), pp. 125-145. Michael Reeve, cui si deve quest’ultima osservazione, precisa anche (per litteras a E. Malaspina, 24 VIII 2013) che il testo della red. sen. non ha legami con il codice di Troyes, ma appartiene a un gruppo norditaliano che termina con malum gemeretis nihil (par. 12). 105 E.g. 17r 19v 41r 45v: le note riguardano la segnalazione di nomi propri e la traslitterazione di termini in greco soprattutto nelle prime pagine del Luc.; in seguito si notano correzioni (spesso errate) e l’integrazione di lacune ai parr. 46. 68. 109. 128. 106 L’ordine corretto dei fascicoli del Luc. dovrebbe essere ff. 1-10; 11+14-22; 23-30+13 (parr. 82-85); 12 (parr. 85-88)+31-39; 40-49; 50 (parole-guida alla fine dei ff. 10v, 13v, 22v, 39v, 49v). Il f. 11v termina con decretum sentitis (par. 29); il f. 12r comincia con a internosci non possit (85) e il f. 12v termina con ea uera quae essent (88); il f. 13r inizia con de uiginti (82) e il f. 13v chiude con nihil differat (85, con an internosci come parola-guida per il fascicolo successivo); il f. 14r comincia con enim me iam hoc (29); il f. 30v termina con amplius duo (82) e infine il f. 31r comincia con sibi uisa in (88).

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sono attestate le ultime tre107. Con altri sette esemplari108 Ott si colloca al fondo di questa derivazione, aggiungendo la lacuna di Sed … percipi. È implicito in tutto ciò che Ott, anche a prescindere dagli errori singolari e dalla contaminazione, presenta un testo di nessuna utilità ecdotica. 5.2. Reg. lat. 358 (excerpta) Reg1 Reg1, di origine francese109 e vergato in una gotica bastarda di lettura non agevole, risale al sec. XV ed è stato restaurato nel 2010. Composto da 108 ff. pergamenacei, contiene estratti del noto Florilegium Angelicum, composto in Francia tra il 1150 e il 1200 circa110. La particolarità di Reg1 è che nella redazione originale del Florilegium presente in AP tra i testi ciceroniani citati e antologizzati non vi era il Luc.111, che quindi fu aggiunto quando fu costituita la variante redazionale testimoniata proprio da Reg1. Il testo è alterato quanto basta a dare alle frasi un significato autonomo al di fuori del contesto, con adattamento di casi e forme verbali, omissione dei riferimenti a testi non citati, aggiunta di spiegazioni quando necessario112. 107 Questo gruppo è l’unico sinora studiato grazie a C. SENORE, Escorial V.III.6 e i suoi discendenti: un nuovo gruppo di manoscritti nella tradizione del Lucullus ciceroniano. Tesi di laurea magistrale, Università di Torino, A.A. 2011-2012, cui va il merito di aver individuato proprio Scor4 come antigrafo comune. 108 Glasgow, University Library, Hunterian Museum T.2.14 (56), sec. XIV-XV; London, British Library, Harley 6327, sec. XV; München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 15958, sec. XV; Napoli, Biblioteca Nazionale, ex Vienna Lat. 57, sec. XV; Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile, 24, sec. XV; Paris, Bibliothèque nationale, Lat. 6375, sec. XIV; Parma, Biblioteca Palatina, Parmense, 1987, sec. XV. Su questo gruppo e sulla tradizione di V in generale si veda da ultimo MALASPINA, La tradizione manoscritta cit. 109 Testimoniata dalle note di possesso o dalle subscriptiones di dom Anselme Le Michel (1v) e Lucas Fumée, canonico di Tours nel sec. XVI (108v). In seguito il codice arrivò alla regina di Svezia dopo essere passato da Paul e Alexandre Petau (cfr. PELLEGRIN, Les manuscrits II, 1 cit., pp. 68-71). 110 Composto a Orléans e alla base della Biblionomia di Richard de Fournival secondo R. H. ROUSE – M. A. ROUSE, The “Florilegium Angelicum”, its origin, content and influence, in J. J. G. Alexander – M. T. Gibson (edd.), Medieval Learning and Literature, Essays R. W. Hunt, Oxford 1976, pp. 79; 86-87. Gli archetipi della tradizione del Florilegium sono Roma, Biblioteca Angelica, 1895 (A), e Città del Vaticano, BAV, Pal. lat. 957 (P), mentre Reg1 è siglato v (cfr. ibid., p. 112). 111 Bensì molte orazioni (PS.-CIC. Pridie quam in exilium iret; CIC. red.sen. red.pop. dom. Sest. Vat. prov.cons. har.resp. Balb. Cael.), Tusc. I-IV e Verr. II, 4-5 (cfr. ibid., pp. 96-97). Il Luc. è riportato ai ff. 40v-41r di Reg1, mentre le opere ciceroniane occupano i ff. 31r-42v. Numerosi gli altri autori del Florilegium, tra cui Valerio Massimo, Sallustio, Seneca, Publilio Siro, Seneca Padre, Terenzio, Quintiliano, Plinio il Giovane e autori patristici e medievali (cfr. SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 185-186, ROUSE-ROUSE, The “Florilegium Angelicum” cit., p. 112). 112 Ibid., p. 89. Ci sono solamente tre correzioni nel Luc., due delle quali verosimilmente di prima mano (parr. 56 e 127: espunzione di una lettera e riscrittura su rasura di un quam),

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I MANOSCRITTI DEL LUCULLUS DI CICERONE IN VATICANA

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Gli estratti del Luc., riportati seguendo l’ordine dei paragrafi, sono i seguenti: 18

26 Quaestio autem … inuentio : ratio … adducit : 27 philosophia … debet : 29 duo esse … honorum : 30 Mens enim … mouetur : 34 Proprium … non potest : 44 concludi … possint esse : 56 dilucide … proprietate esse : 127 animorum … naturae : indagatio … oblectationem

Gli estratti dei parr. 26. 27. 29. 30. 34. 127. coincidono con K, anche se la scelta è più ridotta; quelli dei parr. 44. 56., invece, non si trovano in K. L’unica lezione congiuntiva in errore a disposizione punta verso la dipendenza di Reg1 dal ramo di V e in particolare dalla già citata famiglia di Scor4: 19

26 adducit post ad id recc Ott Reg1 (aducit) Scor4

A fronte di ciò, numerose lectiones singulares, che consistono soprattutto in omissioni di una o più parole, sono spesso frutto, come detto, dell’adattamento al contesto antologico. 6. Conclusioni La BAV possiede undici manoscritti contenenti il Luc.: di questi, nove (di cui uno solo parzialmente) appartengono alla famiglia di F, di per sé meno numerosa, ma più legata alla riscoperta umanistica dei classici, che ha lasciato traccia forte di sé proprio tra Roma e Firenze. Di un codice (Chis1, nr. 13) sono state individuate alcune lezioni degne di comparire in apparato, mentre per tutti gli altri il lavoro di collocazione stemmatica ha ricadute solo sulla storia della tradizione manoscritta e non sulla constitutio textus. In questo ambito, poco abbiamo potuto aggiungere alle conoscenze su K, mentre per i discendenti umanistici di F pensiamo di essere andati al di là di quanto sinora noto grazie alle meritorie indagini di P. L. Schmidt: confermata l’importanza di Vat4 come snodo della successiva attività di copia, abbiamo individuato tra i suoi apografi indiretti Pal6 insieme con il già noto Vat6, mentre ci pare dimostrata l’indipendenza da Vat4 di Reg e di Chis1, oltre che di Urb; Chis e Pal, infine, tradiscono una più marcata presenza della famiglia V come fonte aggiuntiva. Non sempre la collocazione stemmatica valida per leg. ha trovato conferma nel Luc. e in particolare per Reg Chis1 Chis Pal il risultato ci pare inedito, ancorché, come sempre, passibile di ulteriori sviluppi. mentre la terza è attribuibile al commentatore successivo, che aggiunge ai margini uariae lectiones e glosse molto difficili da leggere e spesso errate.

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In forma riassuntiva e molto schematica, i rapporti tra questi testimoni sono visualizzati nello stemma posto a fondo pagina. La famiglia di V, in generale più numerosa, è presente alla BAV con un solo codice integro, Ott, la cui esatta collocazione non è ancora individuabile, ma che comunque si situa nella fascia dei recentiores più lontana da V e più soggetta alla contaminazione interna. Quanto infine agli estratti di Reg1, con così pochi dati a disposizione non possiamo purtroppo mettere alla prova nel Luc. l’affascinante ipotesi che avanza Schmidt a proposito del testo di leg., ovvero che la versione del Florilegium nota da Reg1 derivi dall’ambiente degli umanisti padovani e si basi su di un testo ciceroniano proveniente, attraverso Petrarca, da Avignone113. Notiamo solo che il ruolo stemmatico che Schmidt concede in questo senso a Wolfenbüttel, HerzogAugust-Bibliothek, Gud. Lat. 2 (4306) e a Troyes, Bibliothèque Municipale, 552, ambedue del sec. XIV, come testimoni di un ramo di tradizione w distinto da V, può essere escluso per il Luc., pur mancando ancora una ricostruzione generale114. Si è dimostrato115 anzi che i manoscritti di Troyes e Wolfenbüttel non sono per il Luc. che copie di Scor4, a sua volta discendente, per vie che restano da scoprire, da V. L’indagine qui presentata pensiamo possa portare a due sviluppi interessanti: da una parte la definizione dello stemma completo di F allargando l’analisi anche ai manoscritti non conservati in BAV; dall’altra, soprattutto per i casi in cui la situazione stemmatica di Luc. e leg. non coincide (Reg Chis1, ma anche Chis, dalla duplice natura), sembrano necessari studi concentrati su ogni singolo testimone, allo scopo di chiarire la collocazione stemmatica di tutte le opere in essi contenute. F Reg

Vat4 Harl3 ? Rom

Ricc

V

Chis1 Pal6 Vat6

Pal

Urb

Chis

113

SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 185-192. Michael Reeve (per litteras a E. Malaspina, 20 X 2010) ha avanzato dubbi sull’identificazione di questa fonte (SCHMIDT, Die Überlieferung cit., pp. 194) e si è già detto (cfr. n. 24) che Schmidt stesso è a buon diritto estremamente prudente nella collocazione degli excerpta. 114 MALASPINA, Primae notulae cit., p. 553 e nt. 14. 115 SENORE, Escorial V.III.6 cit.

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Tav. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1762 (K), f. 5r: l’inizio degli excerpta del Luc. nel florilegio di Hadoardus.

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E. MALASPINA, A. BORGNA, D. CASO, M. LUCCIANO, C. SENORE

Tav. II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3245 (Vat4), f. 27v, l. 7: esempio di uaria lectio marginale di Poggio (Luc. 119: et famam tuam è correzione che rimonta agli apografi di V).

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Tav. III – Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. H.VII.221 (Chis1), f. 161r, l. 8 dal fondo: la lezione Vide sinora ritenuta una congettura di Manuzio per il Video di tutta la tradizione (Luc. 96).

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Tav. IV – Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 1478 (Ott), ff. 13v-14r: turbamento dell’ordine dei ff. del Luc., con il f. 13v che chiude con nihil differat (Luc. 85), segnalando an internosci come parola-guida per il fascicolo successivo, ma il f. 14r comincia con enim me iam hoc (Luc. 29).

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AUGUSTO VALDO († 1527) E UN PLINIO APPARTENUTO A MARCELLO CERVINI (INC. II. 145) Roma è sempre stata, specie dopo il ritorno dei papi da Avignone, un crocevia di letterati e artisti provenienti da varie città e paesi italiani e stranieri, spesso presenti nelle famiglie di papi e curiali o al servizio della nobiltà antica e recente; ma la storia è fatta anche di “fantasmi”, i personaggi minori che comunque hanno lasciato un segno1. Uno di questi è Augusto Patavinus o Augusto Valdo2, «aujourd’hui si pleinement retombé dans l’oubli», come scriveva Léon Dorez, ma che si era creato «une modeste, mais solide renommée d’humaniste». Le tracce di questo fantasma ci portano attraverso il mondo intellettuale italiano da Padova a Roma e uno dei suoi libri è oggi nella Biblioteca Vaticana (Inc. II 145, ex II 292)3, l’edizione della Naturalis Historia di Plinio, Treviso, Michele Manzolo, 1479, curata dal trevigiano Girolamo Bologni, probabilmente studiata da Angelo Colocci, acquistata nel 1542 da Marcello Cervini, papa per tre settimane con il nome di Marcello II, appartenuta in seguito a Fulvio Orsini. Augusto Valdo: un umanista sconosciuto Nel suo volume sulla biblioteca orsiniana De Nolhac confessa di non aver saputo identificare l’Augusto possessore del Plinio4, ma spigolando 1 M. CORTI, Metodi e fantasmi, Milano 1969, p. 8; anche P. PIACENTINI, Lettere da uno sconosciuto: l’epistolario di Lucio da Visso (Vat. lat. 2906; Vat. lat. 5127; Casanat. 294), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), p. 520. 2 L. DOREZ, L’exemplaire de Pline l’Ancien d’Agosto Valdo de Padoue et le cardinal Marcello Cervini, in Revue des Bibliothèques 5 (1895), pp. 14-20, 214-215. Preferisco adottare la forma Valdo usata dallo stesso umanista in una lettera al fratello (cfr. testo e n. 23 infra) piuttosto che quella Baldo dei ruoli dell’università di Padova (cfr. testo e n. 16 infra); dai suoi contemporanei il padovano viene in genere citato con il solo nome di battesimo o come Augusto Patavino. Non è mia intenzione affrontare il problema della tradizione pliniana, già studiata da altri, bensì di chiarire la personalità di un letterato che di Plinio si era occupato agli inizi del Cinquecento, e che era stato talvolta oggetto di discutibili “identificazioni” (cfr. n. 19 infra). 3 W. J. SHEEHAN, Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Incunabula, Città del Vaticano 1997 (Studi e testi, 380-383), III, p. 380. 4 P. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Genève – Paris 1976, p. 248 n. 2.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 621-656.

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nella letteratura contemporanea o di poco posteriore notizie su questo personaggio si rintracciano in diverse fonti, per lo più collegate fra di loro, appartenenti ad uno stesso ambiente, l’ambiente letterario e universitario di Padova, Firenze e Roma, di quell’Italia dotta degli anni a cavallo fra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento in cui gli umanisti spesso insegnavano negli studia, o si raccoglievano intorno a un “maestro” (pater era chiamato Pomponio Leto dagli amici) nei cenacoli, negli horti, nelle sodalitates, nelle accademie, e «insieme conversavano»5; in cui la curia, dove molti di questi umanisti cercavano una collocazione, era una corte e nello stesso tempo veicolo di cultura6; ma dove non erano rare anche le polemiche e le gelosie, i dispetti fra i professori degli studia, testimonianza di quegli «odii, dissidi e scontri che andavano al di là delle contese che assai spesso contrapposero, per semplice invidia personale, i protagonisti della civiltà umanistica», «conflitti religiosi e ideologici» che affiorano anche per esempio nelle polemiche fra gli umanisti romani e quelli “stranieri”, fra i letterati che facevano parte della sodalitas colocciana e i poeti coriciani, dei quali, come vedremo, Valdo aveva fatto parte, o che si sviluppavano fra gli stessi coriciani e contro Hans Goritz nei suoi ultimi anni di vita; senza dimenticare — e la cosa ci tocca da vicino — lo scambio di critiche e di pungenti osservazioni fra i primi editori della Naturalis Historia7. 5 V. DE CAPRIO, I cenacoli umanistici, in Letteratura italiana, dir. A. ASOR ROSA, Torino 1982, I, pp. 799-822. A Roma come è noto non esisteva una sola sodalitas, ma molte “accademie” «tipologicamente differenziate»; a partire dagli anni settanta del Quattrocento il termine Accademia era poi usato essenzialmente per indicare lo Studio; cfr. anche C. BIANCA, Pomponio Leto e l’invenzione dell’Accademia Romana, in Les Académies dans l’Europe humaniste. Idéaux et pratiques. Actes d’un colloque international sur les Académies humanistes (Paris, 10-13 juin 2003), éd. par M. DERAMAIX – P. GALAND-HALLYN [et al.], Genève 2008, pp. 2556; P. FARENGA, Considerazioni sull’Accademia Romana nel primo Cinquecento, ibid., pp. 57-74: 59; S. BENEDETTI, Giulio Simone Siculo, maestro, poeta e oratore, in Studi romani 55 (2007), pp. 381-415, rist. in “Ex perfecta antiquorum eloquentia”. Oratoria e poesia a Roma nel primo Cinquecento, Roma 2010, p. 60 ss. 6 Su questo vedi per esempio M. MIGLIO, Curial Humanism seen through the prism of the papal library, in Interpretations of Renaissance Humanism, ed. by A. MAZZOCCO, Leiden – Boston 2006, pp. 97-112. 7 La citazione da R. SODANO, Intorno ai «Coryciana»: conflitti politici e letterari in Roma dagli anni di Leone X a quelli di Clemente VII, in Giornale storico della letteratura italiana 178 (2001), pp. 420-450: 424, 440 n. 34, 446 ss.: la stessa edizione dei Coryciana nei tre esemplari conosciuti è un classico esempio dei dissapori e delle rivalità politico-religiose-letterarie fra i poeti; vedi anche V. FERA, Poliziano, Ermolao Barbaro e Plinio, in Una famiglia veneziana nella storia. I Barbaro. Atti del convegno di studi in occasione del quinto centenario della morte dell’umanista Ermolao (Venezia, 4-6-novembre 1993), a cura di M. MARANGONI – M. PASTORE STOCCHI, Venezia 1996, p. 202 n. 32: «La particolare situazione fitta di discordie professionali ed il conseguente clima di timori e cautele che impedivano una serena discussione, i conti-

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Alcuni scrittori non fanno cenno di Augusto da Padova, altri lo ricordano o lo esaltano; non è compreso per esempio fra i letterati nominati da Raffaele Maffei nei Commentarii rerum urbanarum stampato da Besicken nel 1506, da Lilio Gregorio Giraldi nel De poetis nostrorum temporum (1514 ca.), o da Paolo Giovio nel Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus (1527-28) e negli Elogia virorum illustrium, né è citato da Giovanbattista Giraldi Cinzio nei versi dell’autore all’opera alla fine degli Ecatommiti (1565), e fra l’altro Valdo non partecipa alle Lacrimae raccolte per Celso Mellini in occasione della sua prematura morte e pubblicate da Mazzocchi fra la fine del 1519 e gli inizi del 1520. Al di là dei luoghi comuni, delle ripetute lodi per la virtù e la sapienza, per la sua vasta cultura e l’austerità dei costumi — «terminologia generica e formulare» abbastanza diffusa presente in molte delle fonti riferibili a questo e ad altri umanisti8 — bisogna ritenere che il nostro padovano fosse effettivamente un uomo colto, in relazione con molti dei maggiori letterati dell’epoca la cui stima e amicizia è testimoniata nelle loro opere e nelle loro lettere, e il cui lavoro sulla Naturalis Historia o su altri testi latini e greci era ricercato e consultato da dotti ed editori. Una breve biografia è tracciata da Bernardino Scardeone nel De antiquitate Urbis Patavii edito nel 1560, quindi in epoca abbastanza vicina: De Augusto Baldo seu Valdo. … in Romana academia admodum floruit hoc aevo nostro Augustus Baldus, qui et Valdus appellari voluit. Dialecticae ac Rhetoricae artis scientissimus, et in Latinis et Graecis literis, quas in Graeciam profectus diligenti studio sibi conquisierat, eruditissimus: ut vix alter ei in tota Graecia conferendus inveniretur. Quin etiam cum Graecum vestitum indueret, et Graecus ab omnibus dicebatur, et vulgo fere Graecus a cunctis habebatur. Docuit e suggestu Romae, et successor factus Pomponio Laeto, Graecas literas quadraginta annos, summa cum laude professus est. Ubi sibi interim preciosam bibliothecam comparavit, tam Graecis, quam Latinis libris refertam: quam Roma capta, et ab Hispanis militibus prorsus direpta, solam servavit. Ipse vero miserabiliter in illa clade comprehensus fuit, et octingentis aureis a se frustra et male absconditis, una cum aliis fortunae bonis exutus. Quare cum post tantam iacturam suaderetur ab amicis, ut, relicta Roma, incolumem patriam peteret sicut et alii plerique quotidie factitabant. Non possum respondit ab his divelli (libros innuens) qui sibi vita pene ipsa semper fuerant chariores: nui trapianti nello Studio di forze provenienti da altri ambienti e spesso guardate con sospetto…», e gli episodi descritti in M. CAMPANELLI – M. A. PINCELLI, La lettura dei classici nello “Studium Urbis” tra Umanesimo e Rinascimento, in Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia de “La Sapienza”, a cura di L. CAPO – M. R. DI SIMONE, pref. di E. PARATORE, Roma 2000, pp. 140141. 8 La citazione da M. DE NICHILO, I viri illustres del cod. Vat. lat. 3920, Roma 1997 (Roma nel Rinascimento, inedita, 13), p. 65.

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qui soli, fortunis reliquis deperditis, unicum solatium in tanta miseria afferre ei poterant. Caeterum haud multo post tum animi, tum corporis aegritudine graviter oppressus, utpote longa iam aetate confectus, Romae extinctus est. Videtur enim ad rem paulo fuisse avidior et pusillanimis: tametsi in academia multo tempore iucunde fuerat conversatus: quod indicare videtur Pierii Valeriani clarissimi viri carmen… Quid divum atque hominum fidem subinde /… / Nil Auguste tui memor Platonis? … Vixit is quidem continenter in caelibatu, servo et ancilla unica contentus, patriae pene ignotus: interea tamen, utpote de literis bene meritus, et Romae clarus, et in universo terrarum orbe maxime celebratus9.

Non dissimile è la biografia tracciata nella Storia dell’Università degli Studi di Roma da Filippo Maria Renazzi che, riprendendo da Scardeone e dal Voss, accenna al lungo insegnamento e alla triste fine: Il Vossio narra che la vacante cattedra di Pomponio fu conferita dal Senato Romano ad Augusto Valdo o Baldo nato nella Città di Padova, che con somme fatighe e con lunghi viaggi era giunto ad acquistarsi copioso tesoro di sceltissima erudizione. Questo ancora … per quaranta e più anni continuamente istruì la gioventù nelle belle lettere, amato da tutti e stimato, singolarmente dal Bembo, che contavalo tra suoi più stretti e cari amici … avendo protratto i suoi giorni sino ai tempi calamitosi di Clemente VII, fu una delle vittime immolate dalla rapacità e ferocia di Tedeschi e Spagnoli nell’orribil sacco di Roma del 1527. Costoro al riferire di Pier Valeriano, non paghi d’avergli svaligiata la casa, servironsi a far fuoco per cuocer vivande, de’ scelti libri … e de’ dotti scritti, con cui erasi accinto ad illustrare le opere di Plinio …10.

Il Bembo nominato da Gerhard Voss è evidentemente Pietro Bembo che forse aveva conosciuto Valdo a Padova dove aveva studiato filosofia nel 1494-95; in una lettera del gennaio 1505 a Filippo Beroaldo il Giovane egli dichiara, accennando ad un luogo in cui si riunivano i sodales, forse l’Accademia coriciana della quale Beroaldo aveva fatto parte, che non vorrebbe mai scambiare la sua Venezia con uno vestro in Quirinali hortulo, e fra l’altro manda i saluti agli amici che in quel momento si trovavano nell’Urbe, 9 BERNARDINI SCARDEONII canonici patavini De antiquitate Urbis Patavii et claris civibus patavinis, libri tres, Basileae, apud Nicolaum Episcopium iuniorem, 1560, pp. 242-243 (lib. II, cl. X). Se Valdo è morto nel 1527 il calcolo di Scardeone sugli anni di insegnamento e sull’età è inesatto. 10 F. M. RENAZZI, Storia dell’Università degli Studi di Roma detta comunemente la Sapienza, Roma 1803, I, p. 231; GERARDI IOANNIS VOSSII De historicis latinis libri III, Lugduni Batavorum, ex officina Ioannis Maire, 1651, p. 615: le quattro righe dedicate da Vossio ad Augusto Valdo si riferiscono all’insegnamento e alla morte, con riferimento allo Scardeone. Vedi anche G. VEDOVA, Biografia degli scrittori padovani, II, Padova 1836, pp. 377-379, che riprende gli autori precedenti e fissa la data di nascita al 1450.

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a Fedro (l’Inghirami) e ad Augusto, quasi sicuramente il nostro padovano, saluti inviati anche in dicembre in una lettera a Nicolò Prendilacqua11. Altre indicazioni si trovano in un’epistola inviata il 28 aprile 1493 all’udinese Gregorio Amaseo dal fratello minore Girolamo12, studente in arti all’università di Padova e dottore in diritto civile nel 1491, che aveva deciso di andare a Firenze per seguire le lezioni di greco di Giano Lascaris, Varino Favorino e Angelo Poliziano che quell’anno insegnava poesia, retorica et [ad] graecos auctores interpretandum; da Firenze Girolamo scrive a Padova al fratello un lungo resoconto in cui descrive il viaggio e nomina gli eruditi che aveva cercato o incontrato, concludendo con il ricordo degli amici padovani e fra gli altri di Augusto: … Litterae ad Robertum Pucium fuere ei gratissimae; eius amicitiam primo adventu contraxi, cum Augustum Patavinum, cuiusdam nobilis filium, duce Guarino adiissem. Is autem hanelat ad lecturam Cretici speratque patris et amicorum favore habiturum esse; quod dii faxint: est enim doctissimus. Hic ille est de quo Patavii audivimus esse in Graecia et demum iam sex annos graecis incubuit, studiosissimus et benignissimus; natus trigintatres annos; hic autem ipsi Roberto Pucio, domi manens, legit. Hic Robertus fuit Pucii ditissimi filius… Robertus autem ipsum perquisivit, cum primum veni Florentiam, contubernium… Pluries apud illum pransus sum, ipso cogente13. 11 PIETRO BEMBO, Lettere, a cura di E. TRAVI, Bologna 1987, pp. 185 (ep. 198), 206 (ep. 222). Beroaldo insegnava a Roma dal 1502; anche Inghirami si trovava a Roma con alte cariche in curia, e così Valdo che però non sembra abbia mai ricoperto cariche ecclesiastiche. Niccolò Prendilacqua era stato un allievo di Vittorino da Feltre (di questi come di altri personaggi citati nell’articolo riporto solo i dati che possono interessare il rapporto con Valdo). 12 G. POZZI, Da Padova a Firenze nel 1493, in Italia medioevale e umanistica 9 (1966), pp. 191-227: 201, 211; A. F. VERDE, Lo Studio fiorentino 1473-1503. Ricerche e documenti, Firenze 1973-1994; Indici a cura R. M. ZACCARIA, III, 1, Firenze 2010, p. 360. Dopo il soggiorno fiorentino Girolamo era tornato a Padova dove nel 1505 aveva preso la laurea in arti e medicina: E. MARTELLOZZO FORIN, Sulla cronologia delle lauree di Gregorio e Girolamo Amaseo, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova 1 (1968), pp. 163-165. 13 Roberto di Antonio Pucci (n. 1463), uomo politico, cardinale sotto Paolo III; VERDE, Lo Studio fiorentino cit., I, pp. 220-222; III, 2, pp. 862-863; IV, p. 1490; secondo Verde prendeva lezioni private da Valdo. Su Lascaris cfr. anche n. 39 infra. Guarino è Varino Favorino o Varino da Favera (presso Camerino) su cui la voce di M. CERESA, in Dizionario biografico degli Italiani, 45, Roma 1995, pp. 474-477; VERDE, Lo studio fiorentino cit., III, 1, p. 346 e ad indicem. Cretico: con ogni probabilità Lorenzo da Camerino, detto Cretico perché aveva studiato greco a Candia, professore di greco (legit publice) a Padova fino al 1500 poi inviato dal senato veneto a Lisbona (1503); aveva fatto parte della cerchia di Ermolao Barbaro ed era in corrispondenza con il Sabellico. Esistono altri due Cretici: Matteo Cretico da Camerino presente a Padova negli stessi anni che si addottora in arti e medicina nel 1493 (Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1471 ad annum 1500, a cura di E. MARTELLOZZO FORIN, Padova 2001, nrr. 1644, 1646), parente o forse figlio del primo, e Giovanni Cretico da Camerino nominato da Marin Sanuto nei Diarii (Venezia 1880, vol. III, col. 736), che stranamente sembra coincidere con Lorenzo poiché “leze a Padoa in grecho” e viene mandato in Spagna

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Ed ancora una fonte dalla quale si possono trarre informazioni è una lettera che Aldo Manuzio scrive nel 1489-1490 a Caterina, madre di Alberto e Lionello Pio di Carpi, sottolineando l’importanza dell’insegnamento del greco e del latino e nominando personaggi illustri, fra i quali Ermolao Barbaro, del quale sono fatte ampie lodi come letterato e giuriconsulto. Nelle note al testo l’editore Iacopo Morelli accenna all’epistolario di Barbaro di cui si era occupato Iacopo Zeno, lamentandone però la perdita, ed elenca i suoi corrispondenti, «filosofi, letterati, bibliofili, antiquari», fra i quali Augusto Valdo Patavino14. Ermolao Barbaro, allievo come tanti altri di Pomponio Leto, si era poi addottorato nello Studio padovano (1474 e 1477) e aveva alternato attività politica e letteraria; nel 1484 aveva tenuto a Padova una lettura privata su Demostene e Teocrito prima di tornare a Venezia in novembre e riprendere l’insegnamento privato (fra i suoi uditori era forse anche Pietro Bembo), creando una sua sodalitas di dotti italiani e stranieri dai quali era amato e stimato per la sua cultura e la sua disponibilità. Si era fra l’altro appassionato allo studio di Plinio, esaminando il lavoro quasi decennale di Poliziano — iniziatore della “nuova filologia” — sull’autore latino ma criticandone alcune proposte nelle Castigationes Plinianae (Romae, Silber, 1492-1493). A prescindere dalla recriminazione di Morelli, l’epistolario non è andato completamente perduto e si è conservata fra l’altro una lettera, inviata ad Augusto da Venezia il 26 gennaio 1484, in cui si accenna ad un progetto per il quale Ermolao lo aiuterà in quanto amico e non patronus ma purtroppo priva dell’indicazione del luogo in cui si trovava il destinatario che, sembra di capire, era forse in cerca di una sistemazione. Hermolaus Barbarus Augusto s. Litteris tuis delectatus sum… eruditis hercule et elegantibus, sive, ut Catullus meus immo tuus inquit, doctis, Iuppiter, et laboriosis. Ingenium tuum, Auguste, tanti facio quanti qui cognoscit…. Quod propositum tibi esset et quid optares alias coram et nunc ex litteris tuis cognovi. Nullam praetermissurus occasionem sum, ut intelligas Hermolaum tibi non egregium patronum, ut scribis, sed studiosum et vigilantem amicum fuisse. Non video quid sperare possum cum Mivio; et enim in sententia sua perstat e Portogallo come segretario dell’ambasciatore veneziano (1503). A meno che Amaseo non voglia accennare ad uno dei tanti — latini o bizantini — vissuti a Creta e trasferiti o ritornati in Italia. Anche M. E. COSENZA, Biographical and Bibliographical Dictionary of the Italian Humanists … 1300-1800, Boston 1962, III, cd. 1949; sul magister Creticus vedi la nota di P. SAMBIN, Gregorio Amaseo e un gruppo di friulani e non friulani laureati o studenti a Padova nell’ultimo decennio del ’400, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova 8 (1975), p. 42. 14 Aldi Pii Manutii scripta tria longe rarissima a Iacobo Morellio denuo edita et illustrata, Bassani 1806, pp. 18-19, 35.

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incommobilis et omnino comites imperitos querit non peritos… 15.

Negli Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini, infine, il 20 febbraio 1479 è registrato un “Augustinus f. legum doct. d. Petri Baldi” come testimone ad un dottorato in diritto. Se Augustinus e Augusto sono la stessa persona a questo punto è possibile ricostruire una parte della sua biografia: il nostro “fantasma” era figlio del dottore in legge Pietro Baldo o Valdo, aveva frequentato lo Studio di Padova e aveva un fratello, Prosdocimo, “f. doct. iuris d. Petri” che studia a Padova nello stesso periodo e successivamente diventa lettore dello Studio16. I Valdo, secondo l’Amaseo, erano una famiglia nobile padovana e Augusto, che nel 1493 aveva 33 anni, doveva essere nato intorno agli anni sessanta del Quattrocento; nel 1484 doveva trovarsi ancora a Padova e forse a Padova aveva dato lezioni private. Allontanatosi da Padova, Valdo era stato forse a Cesena (ma è impossibile dire quando esattamente e perché) dove si era incontrato con il cesenate Francesco Uberti, autore di numerose raccolte di versi, che dedica un sonetto anche Ad d. Augustum Patavinum Romè graece (?) profitentem, evidentemente scritto quando l’umanista si trovava a Roma, stimato professore di greco: Augustum saluere iube modo Musa repertum / Quem quondam novi. Sed modo maior eo est / Hunc ego Caesenè novi. Fors novit et ille / Hubertum. Norat me Angelus ille pater. / Augustum accipio Romè modo graeca professum / laudari a doctis. Gratulor ergo sibi / gratulor Augusto Patavinè qui decus urbis / qui summis patriam laudibus extulerit17. 15

ERMOLAO BARBARO, Epistolae, Orationes, Carmina, a cura di V. BRANCA, Firenze 1943, I, pp. 81-82, II, p. 160; ibid., I, p. XCII; II, pp. 91-92 lettera a Pico su Plinio, estate 1491; sulle Castigationes Plinianae anche FERA, Poliziano, Ermolao Barbaro e Plinio cit.; V. BRANCA, L’umanesimo veneziano alla fine del Quattrocento. Ermolao Barbaro e il suo circolo, in Storia della cultura veneta dal primo Quattrocento al concilio di Trento, a cura di G. ARNALDI – M. PASTORE STOCCHI, Vicenza 1980, III, 1 (in parte ripreso in ID., Linee dell’umanesimo veneziano da Ermolao Barbaro a Pietro Bembo, in Una famiglia veneziana cit.): pp. 142-143 l’elenco dei “corrispondenti” di Barbaro. Mivio: non ho trovato traccia di un personaggio con questo nome; potrebbe essere un errore per Minio, una delle grandi famigli veneziane con membri inseriti nella vita pubblica e letteraria. 16 Acta graduum academicorum cit., nr. 585 e ad indicem. Prosdocimo fu fra l’altro amico ed esecutore testamentario di Girolamo Ramusio: F. LUCCHETTA, Girolamo Ramusio: profilo biografico, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova 15 (1982), pp. 30-31 e passim. 17 Cesena, Biblioteca Malatestiana, Comunitativo 164.5.29 (già 165. 31), f. 26rv, forse in parte autografo: trascrivo qui anche i versi seguenti dal pdf gentilmente inviatomi da Paolo Zanfini della Malatestiana: «Incolumem hunc igitur recteque uidere ualentem / Hubertus cupiat. Tu, rogo Musa refer / quod bene (?) promeritus nomen peperisse superbum / gratulor Augusto deditus usque sibi.» Francesco Uberti anche altrove, come nei versi dell’amico Anto-

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In quegli anni agli studi umanistici e forse giuridici si aggiunge l’approfondimento della lingua e della cultura greche e con ogni probabilità va collocato anche il famoso soggiorno in Grecia di cui aveva avuto notizia Girolamo Amaseo prima di partire per Firenze (durato sei anni, precisa sempre Amaseo), quindi fra il 1479 quando Augusto frequenta lo Studio di Padova e il 1489 quando si trova, come vedremo, a Firenze; soggiorno durante il quale il nostro personaggio aveva assorbito a tal punto la lingua e la cultura del posto da vestirsi e atteggiarsi a greco: ancora un topos attribuito anche ad altri umanisti, come per esempio Cristoforo Persona, bibliotecario della Vaticana nel 1484-1485 che «ab ineunte aetate eas literas imbibit in Graecia ipsa, et sub Graecis praeceptoribus, ut ex Graecia natus videretur»18, a meno che per Valdo non si trattasse di una cosciente imitazione di alcuni atteggiamenti di Pomponio Leto19. nio Costanzi da Fano è chiamato Uberto (da uber); nato a Cesena aveva forse studiato a Padova fra 1460 e 1465 (ma non risulta negli Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1461 ad annum 1470, a cura di G. PENGO, Padova 1992) o a Venezia; dopo aver alternato soggiorni a Cesena e in diverse città settentrionali in cerca di fortuna, dal 1499 si stabilisce nella sua città natale; amico di Pomponio Leto e altri umanisti, muore nel 1518. L’Angelus pater del quarto verso è forse il poco noto Angelo Vadio da Rimini, pater nel senso di patronus, maestro, forse maestro a Rimini di Uberti che gli dedica alcuni carmi, docente a Cesena dal 1476; L. PICCIONI, Di Francesco Uberti umanista cesenate de’ tempi di Malatesta Novello e di Cesare Borgia, Bologna 1903, pp. 3-4; ID., I carmi di Francesco Uberti, umanista cesenate, in Classici e Neolatini 8 (1912), p. 357; ID, Il riminese Angelo Vadio maestro a Cesena, in Il Cittadino 15, 6 (1903) [visibile su internet]; alcune notizie su Uberti anche in B. DRADI MARALDI, Carmi di Francesco Uberti per Ramiro de Lorqua, in Studi Romagnoli 44 (1993), pp. 599-601; KRISTELLER, Iter Italicum: a list of uncatalogued or incompletely catalogued humanistic manuscripts …, I, London – Leiden 1963, p. 45. 18 La citazione da P. MANDOSIO, Bibliotheca Romana seu Romanorum scriptorum centuriae, Romae 1682, p. 58, nr. 82; P. PASCHINI, Un ellenista romano del Quattrocento e la sua famiglia, in Atti dell’Accademia degli Arcadi 21 (1939-1940), pp. 45-56; A. RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, I, a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010, pp. 239-247. Persona muore forse di peste nel 1486. 19 In linea di massima non sembrano quindi accettabili l’identificazione con Lelio Antonio Augusto proposta da Zabughin (Giulio Pomponio Leto, I, Roma 1909, p. 352 n. 57) o con l’Antonio interlocutore di Alessandro Farnese (futuro Paolo III) e di Paolo Cortesi nel De hominibus doctis proposta da Ferraù (Pauli CORTESII De hominibus doctis, Palermo 1979, pp. 9, 103). Altre due “identificazioni” poco convincenti sono quelle riportate da H. WALTHER (La tradizione manoscritta della Storia naturale di Plinio il Vecchio in età umanistica. Il caso del “codex Chiffletianus”, in Studi umanistici Piceni 16 (1996), pp. 175-197: 176-177, 180 ntt. 3233, con rinvio all’articolo di DOREZ, L’exemplaire de Pline l’Ancien cit.), relative ad un benedettino Augusto Valdo Graziani detto il Padovano (cfr. K. J. SILLIG, C. Plinii Secundi Historiae Naturalis libri XXXVII, I, Hamburg 1851) o a un Publio Augusto Graziani che nel 1518-1520 aveva consultato sedici manoscritti vaticani «suivant une note qu’on a bien voulu communiquer de la même Bibliothèque» (cfr. A. BELLEY, Histoire de l’Académie Royale des Inscriptions et Belles Lettres 31, 1768, p. 260): in realtà Dorez non fa cenno di Graziani e l’unico Publio Augusto Graziani della letteratura cinquecentesca è un udinese poeta e astrologo.

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Nella prima metà del Quattrocento l’insegnamento del greco si era diffuso nell’Italia settentrionale grazie ai rapporti sempre più stretti, specie dopo il concilio di Ferrara-Firenze, fra gli umanisti italiani e i dotti bizantini trasferitisi in Italia sia per sfuggire all’invasione turca sia perché attirati da maggiori opportunità di lavoro e di guadagno; ma per imparare bene quella lingua era indispensabile recarsi in Grecia, anche perché nonostante la richiesta non erano molti i maestri di lingua greca pratici anche del latino e non era raro che abbandonassero l’insegnamento (cosa che del resto accadeva anche per i professori “latini”) attirati da un incarico in curia o presso qualche privato o preferendo diventare copisti o traduttori. Solo negli ultimi decenni del secolo, parallelamente alla diffusione della stampa, erano state create cattedre di greco a Firenze, Venezia, Padova, Milano20. E infatti Valdo negli anni novanta si trovava a Firenze dove forse teneva lezioni private poiché non risulta fra gli insegnanti o i discepoli dello Studio: la sua presenza è documentata, oltre che dalla lettera di Girolamo Amaseo del 1493, da una nota di prestito del 3 ottobre 1491 quando prende dalla libreria medicea le opere di Ermogene ed Eschine21 e da uno scambio di lettere con Alessandro Farnese, con il quale sembra essere in ottimi e amichevoli rapporti, forse conosciuto quando il futuro Paolo III si trovava nella città toscana (1486-1489) e seguiva le lezioni di greco di Demetrio Calcondila: il 3 agosto [1489] Farnese scrive a Stefano dell’Aquila, suo antico compagno a Roma alla scuola di Pomponio Leto che si trovava a Firenze, mandando anche i saluti agli amici tra i quali Augusto Valdo, Demetrio (probabilmente Calcondila), Marullo (ep. 33) 22; successivamente (la data

20

Sull’insegnamento del greco ho trovato opinioni discordanti: cfr. BRANCA, L’umanesimo veneziano cit., pp. 123-127; A. PERTUSI, L’umanesimo greco dalla fine del secolo XIV agli inizi del secolo XVI, ibid., p. 236 ss.; J. MONFASANI, L’insegnamento universitario e la cultura bizantina in Italia nel Quattrocento, in ID., Byzantine scholars in Renaissance Italy: Cardinal Bessarion and other Emigrés, Aldershot 1995, nr. XII, p. 47; CAMPANELLI-PINCELLI, La lettura dei classici cit., p. 168 ss. 21 E. PICCOLOMINI, Ricerche intorno alle condizioni ed alle vicende della libreria Medicea privata, in Archivio storico italiano, ser. III, 21 (1875), p. 288: «Io Augusto Padovano…». 22 Carteggio umanistico di Alessandro Farnese (dal cod. Gl. Kgl. S. 2125 Copenhagen), a cura di A. FRUGONI, Firenze 1950, pp. 49, 51, 78; la datazione di alcune lettere è ricostruita dal curatore. Il codice è autografo di Farnese che scrive per lo più da Firenze, poi da Roma; fra i corrispondenti lo stesso Demetrio Calcondila, Pomponio Leto, Giorgio Merula, Paolo e Alessandro Cortese, Ermolao Barbaro, membri della famiglia Pucci, ecc.; nel carteggio vi sono numerose lettere da e all’Aquilano in cui si tratta anche di codici di proprietà o annotati da Pomponio. VERDE, Lo studio fiorentino cit., III, 2, p. 894; P. CHERUBINI, Studenti universitari romani del secondo Quattrocento a Roma e altrove, in Roma e lo Studium Urbis. Spazio urbano e cultura dal Quattro al Seicento. Atti del convegno (Roma, 7-10 giugno 1989), Roma 1992, pp. 130-131.

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manca) Alessandro scrive da Roma ad Augusto Valdio (sic) dicendogli di volerlo aiutare e sollecitandolo a trasferirsi a Roma: … navavi operam diligenter ut hic ea conditione esse posses quam et virtutum tuarum cumulus et bonae litterae quibus meo quidem iudicio preditus es exigere videntur cupiens … bonis ingeniis aliquando prodesse, ad quod me illud imprimis impulit quod te iampridem urbis desyderio teneri cognoveram… Tentavi igitur … accinge te et in urbem advola in qua et virtutes tuae, ni fallor, elucescent et industria nostra tibi nullo tempore deerit… (ep. 36).

e il 20 marzo [1490] Augusto risponde da Firenze al suo “reuccio” Alessandro declinando l’offerta: Augustus Valdus Alexandro Farnesio Regulo suo optimo sal. Video sane quanti me facias qui non solum verbis et his liberioribus quid de me sentias per litteras ostendis, verum etiam ut id re ipsa cognoscam prestare conaris…. Res autem meae alio nunc in statu sunt quam vel officium istud tuum vel beneficentia eas iuvare possit. Narrarem tibi omnia, verum longae ambages et perplexae nimium se habent καὶ τῷ ὄντι λαβυρινθωδεστέρως. Quod si non alio succederent quam existimaveramus modo nihil certe magis ad rem nostram foret quam istuc properare, praesertim ad te qui nostri nimium es studiosus, sed impresenti ab re esse certo scias. Industriam quidem tuam mihi, ut scribis, nunquam defuturam spero… (ep. 38).

A Roma comunque Valdo si trasferisce alla fine degli anni novanta forse spinto da difficoltà economiche, o perché perseguitato da qualche nemico, o per la speranza di una nuova migliore sistemazione. In una raccolta di epistole in gran parte indirizzate a Paolo Manuzio, riunite nel codice Vat. lat. 3435 (numero 299 della biblioteca di Fulvio Orsini), ai ff. 60r-61v (tav. I) è conservata una interessante lettera, indiscutibilmente autoelogiativa, di Augusto al fratello Prosdocimo (Augustus Valdus Προσδο­κίμῳ fratri salutem)23 che ci presenta una situazione nuova nella vita dell’umanista: oltre alla preoccupazione per una malattia della madre e al dispiacere per la morte di Pomponio Leto, raccomanda al fratello prudenza e silenzio e si lamenta per la scomparsa delle lettere dei familiari; la prima e l’ultima parte sono dedicate alla descrizione irritata di grossi problemi, ormai superati, dovuti all’ostilità di uomini “improbi” e potentissimi che comunque non vuole nominare e di uno in particolare («Mirari tamen non desino, cur ille crimen suum gavisus fuerit divulgare»: f. 61r) 23

P. O. KRISTELLER, Iter Italicum cit., II, London – Leiden 1977, p. 363; DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini cit., p. 381. Non segnalo le correzioni e le aggiunte, inserite direttamente nella trascrizione. Per le caratteristiche della scrittura vedi oltre.

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Gaudeo mirum in modum labore[s] meos in tanta vitae meae miseria lèticiam vobis peperisse… Laetor rem evenisse ut oportuit. De tota autem negocii ratione ad vos tunc non scripsi, honori consulens boni illius senis. Res enim omni ex parte summo meo cum honore acta est. Damnum autem quo affectus fui, si fides fuisset in quibus esse debebat, potui quidem evitare, minime vero effugi propter improborum hominum miram impudentiam. Ego enim neminem nomino non sine causa. Sed res notissima est … certamen nunquam formidavi neque formido. Ipsi tamen omnes nostra presentia saepius territi sunt. Nunquam in tenebris latui. In apertum semper et contra primos steti … omnia committo fortunae quamvis nec nobis tamen desunt amici, presertim doctissimi viri qui lectiones nostras non parvi faciunt. Obiit nuper Pomponius cuius mors pene intolerabilis mihi fuit non tam propter (?) ipsius singularem doctrinam quam quia humanissimi hominis sum honorificentissima atque dulcissima consuetudine spoliatus. Sed nec ipse pudebat quamvis hominem senem ac academiae romane facile principem auditorium nostrum fequentare, saepissimeque nostra opera utebatur. Dici autem non potest quanto me amore prosequeretur (?), qui et in hac ipsa re mea primus in acie semper fuit contra omnes hostes. Inter alia verto mea infortunia hoc etiam accidit ... a seva morte amicissimo homine privatum. Adsunt etiam alii plurimi itidem doctissimi. Inter quos primus Marsus vir longe doctissimus et in academia romana nunc primus24, qui et ipse tanti me facit ut non solum de me nusquam cessit egregia praedicare verum etiam lectionibus nostris adeo delectatur ut nihil hoc tempore felicius existimet, nec publice nec private ab auditorio nostro unquam alienus. Quid quaeris. Augustus ille tuus homo paucarum (f. 60v) litterarum Romae tamen a doctissimis tanti fit, ut asserant omnes palam, iam sexaginta annos atque eo amplius, fuisse in hac Academia neminem [nell’interlineo una parola barrata e “vel latinum vel grecum” barrati] qui hac in lectione mihi fuerit anteferendus. Me quoque dicunt vatem pastores. Sed non ego credulus illis… Plura non subiungam, nisi forte etiam scire desideratis quanto cum stipendio fuerim admissus. Accipite igitur hoc quoque vestrum in gaudium tanto admissum me fuisse stipendio quanto nullus unquam ante me memoria patrum…25.

La lettera, che direi una minuta autografa sulla quale l’autore era tornato a varie riprese, come dimostrano le molte correzioni anche in inchiostri diversi, manca di datazione topica e cronica ma l’accenno alla recente scomparsa di Pomponio Leto — per il quale Pietro Marso aveva pronun24 Pietro Marso, che insegna allo Studio dal 1480-1481 e forse dal 1476: M. C. DORATI DA EMPOLI, I lettori dello Studio e i maestri di grammatica a Roma da Sisto IV ad Alessandro VI, in Rassegna degli Archivi di Stato 40 (1980), pp. 121, 126; M. DYKMANS, L’humanisme de Pierre Marso, Città del Vaticano 1988 (Studi e testi, 327), pp. 13-14. 25 Torna poi a parlare dei suoi potenti nemici che non vuole nominare e della sua vittoria, di lettere che non gli erano pervenute, raccomanda prudenza al fratello; alcune correzioni, nuovamente corrette a loro volta anche con inchiostro diverso, sono di difficile lettura.

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ciato all’Araceli il 10 giugno 1498 l’orazione funebre26 — permette di collocarla nel 1498 o al massimo nei primi mesi del 1499. A Roma Valdo tiene corsi privati e lezioni nell’Accademia, cioè alla Sapienza — dove Leto aveva insegnato retorica dal 147427 —, come testimoniano le parole nec publice nec private ab auditorio nostro… della lettera al fratello; Pomponio e Pietro Marso avevano assistito alle sue lezioni (sarebbe interessante chiarire in che modo Leto, che si era servito più volte della Naturalis Historia, «saepissime nostra opera utebatur», ma non sappiamo quale fosse l’argomento dei corsi di Valdo)28 e la sua attività di insegnante è testimoniata anche da una lettera di Vincent Lang (Vincentius Longinus), un allievo dell’umanista tedesco Conrad Celtis, che nel novembre-dicembre del 1500 scrive da Roma narrando (racconto che ricorda quello di Girolamo Amaseo) il suo viaggio dall’Austria attraverso l’Italia, l’incontro con i dotti, l’impatto con la grandezza antica e recente di Roma, la ricchezza della Biblioteca Vaticana, la presenza alle lezioni di Augusto Patavino greco et latino sermone eruditus, Pietro Marso, Antonio Volsco e altri29. Valdo continua ad interessarsi agli autori greci, prende in prestito dalla Biblioteca Pontificia Sofocle, Teocrito, Esiodo, lasciando in pegno una Iliade e un Salterio30; nel ruolo del 1514 (l’unico rimasto dopo le bolle di Leone X per il rinnovo dello Studio) risulta che dominus Augustus insegna greco alla Sapienza (de mane) e insieme con lui ritroviamo dominus Basilius, Basilio di Demetrio Calcondila, allievo poi cognato di Parrasio 26

DYKMANS, L’humanisme cit., pp. 32-34, 78-85. Sulla durata dell’insegnamento del Leto alla Sapienza V. ZABUGHIN, L’insegnamento universitario di Pomponio Leto, in Rivista d’Italia 9 (1906), pp. 215-223; ID., Giulio Pomponio Leto cit., I, pp. 203-204; DORATI DA EMPOLI, I lettori dello Studio cit., p. 122: Pomponio è nominato nei ruoli, purtroppo incompleti, per l’insegnamento della retorica degli anni 1474, 1481-1483, 1494-1496; secondo Marcantonio Sabellico, Opera omnia, J. Herwagen, Basilea, 1560, col. 460, avrebbe insegnato ventotto anni. 28 I biografi indicano Valdo come successore di Leto alla Sapienza: in realtà non è nominato nei ruoli del 1496, ma nella lettera al fratello dice di insegnare quando Pomponio era ancora vivo, quindi prima del 9 giugno 1498; inoltre Pomponio insegnava retorica e Valdo, come vedremo, greco, anche se talvolta, come nel caso di Poliziano, gli insegnamenti erano assegnati alla stessa persona. In ogni caso non poteva aver insegnato quaranta anni come dicono Scardeone e Vossio perché nel 1487 era forse in Grecia, sicuramente non a Roma. Sull’interesse di Leto per Plinio, ma soprattutto nel rapporto Leto-Perotti, cfr. G. ABBAMONTE, Diligentissimi uocabulorum perscrutatores. Lessicografia ed esegesi dei testi classici nell’Umanesimo romano del XV secolo, Pisa 2012 (Testi e studi di cultura classica, 56), pp. 163-170. 29 Der Briefwechsel des Konrad Celtis, a cura di H. RUPPRICH, München 1934, p. 436, nr. 256. 30 M. BERTÒLA, I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana. Codici Vaticani latini 3964, 3966, Città del Vaticano 1942, p. 46, tav. 10*: l’item è senza data; quello precedente è datato 1513, quello successivo 1506. 27

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(de sero)31 e dominus Varinus, Varino Favorino (diebus festis), passato da Firenze a Roma come bibliotecario dei Medici, tutti e tre con lo stipendio abbastanza alto di 300 fiorini32. Era ancora docente di greco nel 1518, teneva anche corsi privati, e doveva essere già interessato all’opera di Plinio poiché il 4 maggio di quell’anno prende in prestito un Plinio dalla Biblioteca Vaticana: “Die IIII maii 1518./ Augustus Patavinus Grecarum litterarum in Academia Romana professor primam Plinii partem commodato accepit ex bibliotheca parva secreta. Ita est. Ph(ilippus) Beroaldus bibliothecarius. Restituit. (marg.) retituit Plinii pars prima”33. La nota è firmata da Filippo Beroaldo il Giovane, bibliotecario della Vaticana dal 5 settembre 1516 al 30 agosto 1518 e la data corrisponde a quelle segnate sul f. Ir dell’incunabolo vaticano per il progredire del lavoro di collazione: a sinistra in alto in piccola scrittura corsiva in parte svanita (forse di Valdo), malamente visibile con la lampada di Wood, si legge «1518 7 aprilis / incepimus -i (?)- /1519 7 augustus explevimus 14 (?) / 1520 25 Iunii / incepimus -i (?)- / explevimus 16 octobris»34. Non è stato identificato il volume preso in prestito, ma l’unico Plinio in due parti della biblioteca Pontificia è negli attuali Vat. lat. 1956-1957, codici miniati appartenuti a Nicolò Modrussiense (m. 1478; stemma vescovile), presenti nell’ottavo banco della bibliotheca pontificia nell’inventario di Sisto IV (1481: Vat. lat. 3947), spostati nel terzo banco della parva secreta nell’inventario compilato nel 1533 da Fausto Sabeo e Nicolò Maiorano, che presentano correzioni e varianti interlineari e l’aggiunta di parole greche35. 31

Demetrio Calcondila era stato professore di greco a Padova (1463-1475) poi a Firenze e a Milano; secondo la tradizione la sua biblioteca sarebbe stata ereditata da Giano Parrasio, ma la cosa non è provata; G. CAMMELLI, I dotti bizantini e le origini dell’umanesimo. III. Demetrio Calcondila, Firenze 1954; A. PETRUCCI, in Dizionario biografico degli Italiani, 16, Roma 1973, p. 543; VERDE, Lo Studio fiorentino cit., II, pp. 178-179; IV,1, pp. 241-242; vedi anche C. TRISTANO, La biblioteca di un umanista calabrese: Aulo Giano Parrasio, Manziana [1988], in partic. p. 22 ss.: non si accenna ai libri di Calcondila. Vedi oltre una lettera di Parrasio ad Augusto. 32 I maestri della Sapienza di Roma dal 1514 al 1787: i rotuli e altre fonti, a cura di E. CONTE, Roma 1991, I, p. 5. Sugli stipendi dei lettori vedi per esempio V. FANELLI, Ricerche su Angelo Colocci. V. Il Ginnasio Greco di Leone X a Roma, Città del Vaticano 1979 (Studi e testi, 283), p. 92; DYKMANS, L’humanisme cit., p. 15. 33 Vat. lat. 3966, f. 7v: BERTÒLA, I due primi registri di prestito cit., p. 49, tav. 14*; sembra che non abbia mai preso in prestito la seconda parte. Per le note di collazione vedi oltre. Sull’impiego di Beroaldo in Vaticana cfr. RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento cit., pp. 280-283. 34 DOREZ, L’exemplaire de Pline l’Ancien cit., p. 17, legge «1518 21 apr. inceptus / 1519 7 Jun. explevimus». 35 Manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, III.1, par É. PELLEGRIN [et al.], Paris 1990, pp. 499-500; Librorum latinorum Bibliothecae Vaticanae Index a Nicolao de Maioranis compositus et Fausto Sabeo collatus anno MDXXXIII, a cura di A. DI SANTE – A. MAN-

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A Roma Valdo aveva frequentato l’ambiente accademico, si era inserito nei principali circoli culturali e forse aveva partecipato ai dibattiti, aveva conosciuto fra gli altri i sodales dell’Accademia di Pomponio Leto, Angelo Colocci, Hans Goritz, aveva fatto parte di quella schiera di dotti poeti “urbani” — boni atque eruditi viri, li definisce Blosio Palladio nella prefazione alla raccolta dei Coryciana — che si riunivano presso i mercati di Traiano negli orti di Coricio, come Augustus Patavinus è nell’elenco dei membri dell’Accademia Coriciana fato functi qui sub Leone floruerunt36. Viene lodato dai contemporanei per la sua cultura ed esperienza sia greca che latina, e non per il solo Plinio di cui parlano i biografi, poiché lo troviamo consultato da Aulo Giano Parrasio e citato da Lattanzio Tolomei che evidentemente confidavano nella sua conoscenza del greco e nella sua competenza filologica. Parrasio nel De rebus per epistolam quaesitis chiede il suo giudizio sull’interpretazione di Ovidio Metam. II, 638 ss. e sull’etimologia di Euippe: A. Ianus Parrhasius Augusto Valdo Patavino s.p.d…. Etenim quom Demetrium Chalcondylem, secundum Deum parentemque colas, ab eoque plus eruditionis in ipsis tuis pene laribus hausisse te prèdices, quam a cèteris omnibus in ipsa Grècia: meque tum in soceri37 honorem tum mea in te impulsus observantia diligas, aliquam vigiliarum mearum particulam tuo judicio subiiciendam putavi… Ovidius Metamorph. secundo Ocyrhoes filiè Chironis in equè speciem mutationem describit… Utque vagi crines … /…/ … monstra dederunt. Hoc alii sic exponunt: nam Ευίππη [nel manoscritto manca il greco], id est equa, FREDI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 457), p. 105 nr. 947; una prima e una seconda parte della Naturalis Historia collocate nel secondo pluteo superiore della parva secreta sono registrate nell’indice compilato sotto Giulio III, Vat. lat. 3968, f. 83r, nrr. 949-950. Negli stessi anni un Antonio de Valle o Valla prende in prestito la prima e la seconda parte della Naturalis Historia il 26 agosto 1517 e l’8 luglio 1522 (il volume è preso dal 2° banco della parva secreta) e un altro Plinio, oggi Vat. lat. 1955, nel 1530-1531, ma non ho trovato notizie di un suo lavoro su Plinio mentre risultano suoi alcuni versi in memoria di Celso Mellini: A. FERRAJOLI, Il ruolo della corte di Leone X. 1514-1516, a cura di V. DE CAPRIO, Roma 1984, p. 23; BERTOLA, I due primi registri di prestito cit., pp. 10, 40 n. 3, 48; esiste un altro commentatore di Plinio, contemporaneo, a nome de Valle, il francese Robert Duval, evidentemente diverso da Antonio: CH. G. NAUERT, Caius Plinius Secundus, in Catalogus Translationum et Commentariorum: Mediaeval and Renaissance Latin Translations and Commentaries, ed. by F. E. CRANZ – P. O. KRISTELLER, IV, Washington 1980, pp. 348-350. 36 Vedi l’elenco attribuito a Paolo Giovio e datato 1547 pubblicato da Vittorio Fanelli in appendice a F. UBALDINI – V. FANELLI, Vita di mons. Angelo Colocci. Edizione del testo originale italiano (Barb. lat. 4882), a cura di V. FANELLI, Città del Vaticano 1969 (Studi e testi, 256), p. 115. 37 Parrasio aveva sposato Teodora figlia di Demetrio Calcondila, sorella di Basilio docente di greco allo Studio (cfr. n. 31 supra). L’umanista aveva curato fra l’altro l’edizione delle Metamorfosi, uscita a Lione nel 1527, e nella sua biblioteca ne esistevano diversi esemplari; cfr. TRISTANO, La biblioteca di un umanista calabrese cit., pp. 37, 123, 245.

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fuit appellata [seguono citazioni da Giulio Polluce, Euripide, Igino] Cui nostrè castigationi sententièque si tu vir utraque lingua doctissimus accedes, obtrectatorum sannas floccifaciam. Vale38.

Lattanzio Tolomei (m. 1543), ambasciatore di Siena presso Paolo III, con una profonda conoscenza delle lingue, in particolare di latino, greco ed ebraico, possedeva una notevole biblioteca oggi dispersa della quale faceva parte il Vat. gr. 1169, autografo, in cui il senese aveva scritto un commento all’Antologia Greca utilizzando congetture sue e di altri autori fra i quali uno Stephanus (Robert Estienne?), Giano Lascaris, Marco Musuro e un Augustus, che dovrebbe essere il nostro padovano. Il suo nome compare nelle glosse a ottantatre epigrammi (Augustus legit…, exponit…; Musurus sic legit… Augustus et Lascaris sic legebant …; Musurus vult… Augustus vero dicit…) e stando alle indicazioni in exemplari Augusti scribitur…, Augusti exemplar / codex habet … doveva possedere a sua volta un codice dell’Antologia, fin’ora non identificato39. Pierio Valeriano lo ricorda negli Hexametri esortandolo a non abbattersi nelle sventure: Ad Augustum Valdum Patavinum / Quid divum, atque hominum fidem subinde / inclamans odiosus fatigas / Conquestus sine praemiis labores / Musarum innumeros perire nobis / Nil Auguste tui memor Platonis / ut qui haec praemia digniora Musis / Et terram magis aestimes Olympo ? /… (Venezia, Giolito 1550, c. 101v).

e ne parla anche nel dialogo De litteratorum infelicitate apparso agli inizi del 1529 in cui descrive i guasti prodotti dal Sacco del 1527 e la terribile condizione in cui erano venuti a trovarsi gli intellettuali; nel primo libro 38 Vat. lat. 5233, f. 11v; AULI JANI PARRHASII Consentini Quaesita per Epistolam ex recensione Henrici Stephani, Napoli 1771, pp. 37-38; la stessa lettera ad Augustinus Baldus patavinus è nel ms. Napoli, Biblioteca Nazionale, V F 9, f. 29rv: cfr. KRISTELLER, Iter Italicum cit., I, p. 419. 39 L’esame del codice vaticano in A. MESCHINI, Lattanzio Tolomei e l’Antologia Greca, in Bollettino dei classici ser. III, 3 (1982), pp. 23-62: 42-49 notizie su Valdo e trascrizione degli scoli in cui è nominato. Su Tolomei, dopo gli studi di G. MERCATI, vedi l’elenco dei codici identificati del senese (ma manca il Vat. gr. 1169) in J. RUYSSCHAERT, Costantino Gaetano O.S.B., chasseur de manuscrits, in Mélanges Eugène Tisserant, VII, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 237), p. 281 n. 9. Lascaris aveva a sua volta pubblicato l’Antologia Greca nel 1494 e nel 1516 aveva organizzato il Collegio greco al Quirinale (cfr. la voce di M. CERESA in Dizionario biografico degli Italiani, 63, Roma 2004, pp. 785-791). Musuro era giunto a Firenze come allievo di Lascaris nel 1492, aveva collaborato con Aldo Manuzio e altri tipografi, nel 1503 era subentrato a Lorenzo da Camerino (per cui cfr. n. 13 supra) nell’insegnamento allo Studio di Padova e fra l’altro aveva tenuto un corso sull’Antologia Planudea (cfr. la voce di P. PELLEGRINI, in Dizionario biografico degli Italiani, 77, Roma 2012, pp. 576-582).

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Lorenzo Grana, riunito con gli amici in casa di Pietro Millini, cita fra l’altro i professori dello Studio morti in malo modo e fra questi Valdo, del quale è sottolineata la fatica fatta per raggiungere tanta cultura, la sparizione nella Romana clades della sua biblioteca (ma cfr. Scardeone: bibliothecam … solam servavit), i preziosi appunti su Plinio distrutti e i fogli usati per accendere il fuoco nelle cucine, la misera morte: At non minus crudeliter occubuit Augustus Valdus Patavinus civis, qui Romae per tot annos bonas litteras tantis ab eo vigiliis, sudoribus, et peregrinationibus acquisitas professus erat, qui non solum voce, verum etiam scriptis eruditionem omnifariam ab interitu vendicabat. Quam autem miserabili mortis genere vitam finiit! Incidit enim in Romanam cladem … post cruciatus varios fame demum consumptus perhibetur (I, 30)40.

Gli scritti cui accenna Pierio non ci sono pervenuti (o non sono stati identificati) tranne le note a Plinio, il commento che presumibilmente aveva composto sull’Antologia greca e alcuni versi, ricordati insieme con quelli di Giovanni Maria Cattaneo (altro allievo di Calcondila e di Giorgio Merula) dal medico-umanista Francesco Arsilli nel De poetis urbanis, il poemetto che elenca i poeti residenti a Roma negli anni che precedono il Sacco, dedicato a Paolo Giovio e stampato nel 1524 insieme ai Coryciana: Nonne reus Musis fierem si nostra Catani / et magni Augusti laudibus ora vacent?/ Nanque simul penitus scrutantur numina Cirrhae, / Argivasque docent verba Latina deas (vv. 93-96)41.

Ed è proprio nei Coryciana che sono stati pubblicati, anonimi (adelon), tre suoi componimenti presenti in una antologia conservata in un codice della Biblioteca Colombina di Siviglia: alcuni versi sono contrassegnati dalle iniziali A.P. e in un caso è indicato il nome Augustus pat. accanto a 40 J. H. GAISSER, Pierio Valeriano on the ill fortune of learned men. A Renaissance humanist and his world, Ann Arbor 1999, pp. 116-118, 327-328 e p. 252 per la citazione infra p. 638; secondo la studiosa la stesura e la revisione dell’opera, rimasta incompleta, fu ripresa dopo il ritorno di Pierio a Belluno (1532) e continuò fino alla sua morte; v. anche PIERIO VALERIANO, L’infelicità dei letterati. Introd., comm. e cura di B. BASILE. Trad. di A. DI MAURO, Napoli 2010. 41 Coryciana, critice edidit, carminibus extravagantibus auxit, praefatione et annotationibus instruxit J. IJSEWIJN, Romae 1997, pp. 347-348; di Cattaneo nei Coryciana sono una lettera al fratello Iacopo e alcuni carmi; forse in origine avrebbe dovuto essere l’editore della raccolta; R. ALHAIQUE PETTINELLI, Francesco Arsilli e i “poetae urbani”, in L’umana compagnia. Studi in onore di Gennaro Savarese, a cura di R. ALHAIQUE PETTINELLI, Roma 1999, pp. 27-35, ried. in Bonorum atque eruditorum cohors. Cultura letteraria e pietas nella Roma umanistico-rinascimentale, Roma 2011 (Roma nel Rinascimento. inedita, 50 saggi), pp. 81-90; SODANO, Intorno ai «Coryciana» cit., p. 422.

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due distici in morte di un certo Pindaro, cioè il sublacense Gentile Santesio, forse allievo di Leto e membro della seconda Accademia Romana, familiare dal 1503 del cardinale Giovanni de’ Medici (poi Leone X), morto nel 152642. Infine troviamo Valdo fra gli autori dello scherzoso commento all’Epulum populi romani eucharisticon di Giulio Simone Siculo, scritto per celebrare il banchetto tenuto per il conferimento della cittadinanza romana a Giuliano de’ Medici, stampato nel 1513 e conservato nel codice fattizio Vat. lat. 5356; il nome di Augustus Patavinus ricorre in tre chiose43: Populus cenam donavit Magnifico. ut eam scilicet domum in crumina secum ferret (f. 115v) Et dominum populum et dominam cognoscere Romam. dominum populum dicit, maritum scilicet dominae Romae (f. 116r) Aquae dulces. Nauticus sermo (f. 123v)

Ai meriti letterari di Augusto va aggiunto anche quello di essere un valido “copista”, come dimostra la grafia accurata e corretta della prima parte di un codice della Biblioteca Nazionale di Napoli, il manoscritto greco II E 4, ex Farnesiano, con opere retoriche, che reca a f. 126v la nota Augustus Valdus scripsit et … charis etiam amicis. Il codice aveva forse fatto parte della biblioteca orsiniana ed è registrato con il numero 54 fra i libri che Orsini aveva destinato per testamento alla Vaticana (21 gennaio 1600), nella quale però non era entrato, per passare invece nella biblioteca dei Farnese dove compare nell’inventario del 1641 al momento dello spostamento da Roma a Parma44. 42

Biblioteca Capitular y Colombina, 7.1.19. Identificati da M. DERAMAIX, Christias, 1513. La forma antiquior du De partu Virginis de Sannazar et l’Academie Romaine sous Leon X dans un manuscrit inedit de Séville, in Les Cahiers de l’Humanisme 1 (2000), pp. 151-172: p. 162 ss. (pp. 168-170 notizie su Valdo); i ff. 107r-124r, sono scritti da un’unica mano; Deramaix parla esplicitamente di un «manuscrit d’Augusto Valdo» (p. 170); in una nota asteriscata all’inizio afferma che l’autore e possessore del codice è Aurelio Serena da Monopoli, che troviamo citato fra i coriciani vissuti all’epoca di Leone X (cfr. UBALDINI – FANELLI, Vita di mons. Angelo Colocci cit., p. 115), su cui da ultimo I. NUOVO – D. DEFILIPPIS, Il progetto formativo di un maestro nella Roma di Leone X. Il Carmen de studii preludiis di Aurelio Serena, in RR.Roma nel Rinascimento, 2011, pp. 87-102. IJSEWIJN, Coryciana cit., nrr. 18, 20A, 19 (mancano le iniziali A. P.). Per Pindaro cfr. FERRAJOLI, Il ruolo della corte cit., pp. 503-510. 43 Vat. lat. 5356, ff. 115v, 116r; cfr. BENEDETTI, Giulio Simone Siculo cit., pp. 71-72, 84 ss. e n. 81. 44 La lettura della nota (visibile malamente con la lampada di Wood) e la ricostruzione della vicenda sono di M. R. FORMENTIN, Augusto Valdo copista di greco, in Mathesis et philia. Studi in onore di Marcello Gigante, a cura di S. CERASUOLO, Napoli 1995, pp. 337-345. Cfr. anche Catalogus codicum graecorum Bibliothecae Nationalis Napoletanae, II, Roma 1995, a cura di M. R. FORMENTIN (Indici e cataloghi, n.s. VIII), pp. 67-68. La biblioteca Farnese era

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Per concludere si possono leggere due citazioni da Paolo Cortesi che lo ricorda nel secondo libro del De cardinalatu finito di stampare il 15 novembre 1510: De erogatione pecuniarum quae supersunt / Quid enim ego, si mihi pateret altius ascendendi iter, ex familiarium numero Hermodoro, B. Capellè, Scipioni Carteromacho, Hieremio Cusatro, Petro Gravinae, Hieronymo Florentino, Cornelio Benigno, Fabio Spoletino, Guerino Camerti, Alexandro Neapolitano, Augusto Patavino, M. Margato aut cèterorum litteratorum hominum generi non conferre deberem qui tanum [sic] vel poetica laude aut eloquentiae studio sive Grèca disciplina prèstant…. (c. 102r, capitolo sulla liberalità)45. Transfertur etiam hoc ad id hominum eruditorum genus, qui domi mercede adducti docent, velut si modo Petrus Marsus aut Sulpitius Verulanus sive Hieronymus Siculus doctissimi homines… Rursus quoque his qui in fanis ob eam rem pecunia petita docent, proptereaque minus praediti sacerdotio sint, nec tantum mercedis habeant, quantum sit ad vitam degendam satis, nihil negocii exiberi debet, quo sint in aerarios referendi; ut si Augustum Patavinum aut Guerrinum Camertem litteras graecas eos docere affirmemos, qui sunt in tyrocinio ad concionandum instituti, iure dicamus eos ab his pecuniam poscere nomine doctrinae posse, nisi tamen apertum sit, ita quosdam in summa versari egestate vitae ut magis sit his aliquid tribuendum, quam quicquam ex fortunis detrahendum suis. (c. 196v, capitolo De simonia).

Ma il Sacco del 1527 fu per lui come per tanti altri un evento traumatico: è ancora Pierio Valeriano che nel secondo libro celebra il ricordo dei dotti, ricordo imperituro nonostante la prematura morte: Valdo, che non aveva voluto fuggire in patria e non era più giovanissimo, morì per il dispiacere e i disagi, ma non scomparve il suo lavoro: Augusti Valdi scripta forte perierunt, sed eius memoria doctissimorum et eloquentium hominum testimonio celebrata euem nequaquam ignobilem aut calamitosum patietur. (Litt. inf. II 77).

stata costituita nel 1584 circa da Alessandro (Paolo III) e inventariata da Fulvio Orsini, e questo costituisce un ulteriore legame fra Augusto Valdo, Orsini, Alessandro Farnese: perché non ipotizzare che il volume fosse stato copiato proprio per l’amico Farnese? Ancora DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini cit., p. 340. 45 Se ho ben capito, secondo Ferraù questo brano vuole essere un passo «da cui emerge la speranza di una promozione cardinalizia», ma non risulta che Valdo abbia fatto parte della curia o abbia preso i voti: G. FERRAÙ, Il sistema dell’esemplarità nel De cardinalatu di Paolo Cortesi, in Filologia umanistica. Per Gianvito Resta, a cura di V. FERA – G. FERRAÙ, Padova 1997, II, p. 830, n. 40.

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Plinio e la storia dell’incunabolo II. 145 A quanto pare il Plinio si era salvato dal saccheggio del 1527. L’opera dello scrittore latino è uno dei testi della latinità classica mai scomparsi, ben noto anche nel Medioevo e utilizzato anche per singoli argomenti; ebbe grande fortuna nel Rinascimento anzi, «nel decennio tra il 1475 e il 1485 la Naturalis Historia occupò un posto preminente nella filologia umanistica: sono gli anni delle polemiche pliniane del Calderini, del Perotti e così via. Esse non sfuggirono certamente al Barbaro…»46; ebbe anche numerose edizioni fin dal 1469 in Italia e altrove, fonte di discussione fra gli eruditi: quelle uscite nel Quattrocento sono sei, alcune delle quali con ristampe47. 46 La citazione da Hermolai Barbari Castigationes Plinianae et in Pomponium Melam, a cura G. POZZI, Padova 1973, I, p. CLII; A. C. KLEBS, Incunable editions of Pliny’s Historia Naturalis, in Isis 24 (1935-36), pp. 120-121 (ma solo per gli esemplari presenti nella British Library); NAUERT, Caius Plinius Secundus cit., pp. 297-422: 334; FERA, Poliziano, Ermolao Barbaro e Plinio cit., pp. 194 ss., 204, sulla rinascita della filologia umanistica e sulle polemiche legate alle edizioni di Plinio; ID., Un laboratorio filologico di fine Quattrocento: la Naturalis Historia, in Formative Stages of Classical Traditions: Latin Texts from Antiquity to the Renaissance. Proceedings of a Conference (Erice 16-22 October 1993), ed. by O. PECERE – M. D. REEVE, Spoleto 1995, pp. 435-466; M. DAVIES, Per l’esegesi di Plinio nel Quattrocento, in Nel mondo delle postille, a cura di E. BARBIERI, premessa di G. FRASSO, Milano 2002, pp. 125-152; M. D. REEVE, The editing of Pliny’s Natural History, in Revue d’Histoire des Textes 2 (2007), pp. 107-179: 160 n. 114; La Naturalis Historia di Plinio nella tradizione medievale e umanistica, a cura di V. MARAGLINO, Bari 2012. In genere sulle edizioni e sulle conseguenti polemiche, M. CAMPANELLI, Manoscritti antichi, testi a stampa e principi di metodo: spigolando negli scritti filologici di Giorgio Merula, in La parola del testo 2 (1998), pp. 253-292. Vedi anche M. SANTORO, La polemica pliniana fra il Leoniceno e il Collenuccio, in Filologia romanza 3 (1956), pp. 162-205, e lo scambio di opinioni fra Poliziano, Pandolfo Collenuccio e Nicolò Leoniceno autore di De Plinii et plurium aliorum medicorum in medicina erroribus liber, Ferrariae, Lorenzo de Valentia (Lorenzo de’ Rossi) e Andrea da Castronovo (Andrea Grassi), 1492; A. SEVERI, Il giovanile cimento di Filippo Beroaldo il Vecchio sulla Naturalis Historia di Plinio: la lettera a Niccolò Ravacaldo, in Schede umanistiche, n.s. 24-25 (2010-2011), pp. 81-112: 83. 47 1) L’editio princeps Venezia, Giovanni da Spira, 1469, dal Paris. lat. 6805, seguita 2) nel 1470 da quella romana di Sweynheym e Pannartz curata da Giovanni Andrea Bussi con la collaborazione di Teodoro Gaza che ebbe come base il manoscritto Roma, Biblioteca Angelica, 1097, copiato da Ieronimus de Botis nel 1460 e studiato per almeno nove anni da Bussi, e il Vat. lat. 5991, rivisto anche questo da Bussi e usato in tipografia (ried. Venezia, Nicolaus Jenson, 1472); questa edizione fu ampiamente criticata fra gli altri da Filippo Beroaldo il Vecchio nella prefazione alla sua edizione, da Giorgio Merula (Emendationes in Plinium, 1471) e da Nicolò Perotti che scrisse un polemico Commentariolus alla prefazione di Bussi e curò a sua volta 3) un’edizione, sempre con Sweynheym e Pannartz, 1473, criticata quest’ultima da Domizio Calderini (Adversus Brotheum grammaticum) e accuratamente studiata da Poliziano che fra il 1480 e il 1490 collazionò il suo esemplare (Oxford, Bodl. Inc. Auct. Q.1.2) con tre manoscritti antichi, due di Firenze e uno di Ferrante d’Aragona (il così detto codex regius oggi diviso fra Oxford e Parigi) appartenuto (come dice la sottoscrizione) successivamente a Coluccio Salutati, al figlio Antonio, a Leonardo Bruni e al Panormita; 4) Parma, Stefano Corallo, 1476 a cura di Filippo Beroaldo il Vecchio (ried. Treviso, Manzolo, 1479, Parma 1480 e 1481, Venezia 1483, 1487, 1491); 5) Brescia, Angelo e Giacomo Britannico,

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Ma cosa aveva spinto Valdo, un grecista, a dedicarsi ad un autore latino, tanto da essere ricordato esclusivamente per quel suo lavoro di collazione ed emendamento? È una domanda che per ora non trova risposta, e non trova risposta, almeno per ora, un’altra domanda relativa ai testi usati per la collazione, perché Valdo annota delle sigle ma senza indicare il testo di riferimento (ognuno di noi ha del resto un suo modo “personalizzato” di abbreviare e indicare) che poteva essere sia un manoscritto sia un libro a stampa, secondo l’usanza degli umanisti e degli editori di servirsi del termine codex per indicare indifferentemente l’uno e l’altro senza specificare quali esemplari — manoscritti o a stampa — erano stati utilizzati per pubblicare il testo48. L’edizione di Manzolo appartenuta ad Augusto è quella derivata dalla parmense di tre anni prima a cura di Beroaldo il Vecchio; era stata curata da Girolamo Bologni, autore dell’iniziale apologia di Plinio indirizzata a Giovanni Bombeno “nobile letterato” trevisano, e del carme sul contenuto dell’opera. Bologni, notaio ma soprattutto umanista, autore di diverse opere e di versi ancora inediti, era vissuto a Roma alcuni anni come segretario del vescovo Lorenzo Zane ed aveva potuto avvicinare gli ambienti culturali romani, collaborando poi con Manzolo dopo il suo ritorno a Treviso (1475/76); negli Antiquarii libri duo Bologni dice di aver visto a Roma quattro manoscritti di Plinio uno dei quali presso lo Zane, di elegante fattura 1496 (ried. nello stesso anno a Venezia); 6) Venezia, Bernardino Benali, 1497 a cura di Giovanni Battista Palmario, che comprendeva anche le Castigationes Plinianae di Ermolao Barbaro uscite presso Silber, 1492-1493 (ried. Venezia 1499). Per l’edizione del 1470 cfr. P. CASCIANO, Il manoscritto Angelicano 1097, fase preparatoria per l’edizione di Plinio di Sweynheym e Pannartz (Hain 13088), in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Aspetti e problemi. Atti del seminario, 1-2 giugno 1979, a cura di C. BIANCA – P. FARENGA – G. LOMBARDI – A. G. LUCIANI – M. MIGLIO, Città del Vaticano 1980 (Littera antiqua, 3), pp. 383-394; GIOVANNI ANDREA BUSSI, Prefazioni alle edizioni di Sweynheym e Pannartz prototipografi romani, a cura di M. MIGLIO, Milano 1978; sul codex regius anche FERA, Un laboratorio filologico cit., p. 458 e passim. 48 S. RIZZO, Il lessico filologico degli umanisti, Roma 1973, pp. 7, 49 e passim. Sul “metodo filologico” degli umanisti e sull’importanza del metodo usato per primo da Poliziano (che si serviva per la collazione anche di testi a stampa) vedi per esempio E. J. KENNEY, Testo e metodo. Aspetti dell’edizione dei classici latini e greci nell’età del libro a stampa, ed. ital. a cura di A. LUNELLI, Roma 1995. Anche Ermolao Barbaro per le emendationes si serve di manoscritti e di edizioni; in un caso la sua scelta coincide con l’edizione Manzolo: cfr. Hermolai Barbari Castigationes Plinianae cit., p. 158, relativo a Nat. Hist. III, 126 e l’introduzione per il metodo usato dall’umanista. È sempre Poliziano (che nel 1490 aveva tenuto a studenti portoghesi e inglesi un corso privato su Plinio) che indica le sigle da lui usate in una nota al suo esemplare Oxford, Bodl. Inc. Auct. Q.1.2: cfr. A. MAÏER, Les manuscrits d’Ange Politien, Genève 1965, pp. 351-352; Mostra del Poliziano nella Biblioteca Medicea Laurenziana. Manoscritti, libri rari, autografi e documenti. Catalogo a cura di A. PEROSA, Firenze 1955, pp. 21-24; P. VITI, Poliziano e Plinio. Il cap. 61 della I centuria dei Miscellanea, in La Naturalis Historia di Plinio nella tradizione medievale e umanistica cit., pp. 153-160.

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e appartenuto ai Malatesta signori di Cesena, un’altro presso il cardinale Francesco Gonzaga; ma la sua edizione di Plinio gli aveva attirato numerose critiche, anche da parte di Barbaro49. Il Plinio di Valdo si era salvato perché forse in quel momento lo aveva Angelo Colocci: Onorato Fascitelli, monaco di Montecassino in quegli anni a Roma e membro dell’Accademia Colocciana, il 3 novembre 1535 scrive da Monte Cavallo (ossia dal Quirinale) a Paolo Manuzio che a Venezia era impegnato nella pubblicazione della Naturalis Historia (l’edizione manuziana esce nel 1535-1536, con una ristampa nel 1540)50, ripromettendosi di cercare esemplari di Plinio a Napoli, a Firenze e a Roma dove gli sono stati offerti da un “gentil’huomo” sedici libri “ben corretti”, e aggiunge «Ho inteso che stampate il Plinio… Vederemo anchora d’havere quel di M. Agosto, ch’è in mano del Coluzzo…»51. E il passaggio in mano dell’umanista sembrerebbe confermato da una noticina a c. d[7]r del nostro incunabolo (potrebbe essere di mano di Cervini), relativa a Nat. Hist. III, 7: Latius antiquitus donata XXIX Libertate VI corretto in donata, XXIX Libertate, e in margine in inchiostro marrone rossiccio XXIIX . colotius (seguito da una lettera sbiadita): stessa cifra indicata a f. 5r del Vat. lat. 3861 appartenuto a Colocci52. 49 D. M. FEDERICI, Memorie trevigiane sulla tipografia del secolo XV, Venezia 1805, pp. 7375, 192-195 (edizione del carme e dell’apologia con alcune varianti); G. LEONI, in Supplementi al Giornale de’ letterati d’Italia, Venezia 1722, II, pp. 116-117; la voce di R. CESERANI, in Dizionario biografico degli Italiani, 11, Roma 1969, pp. 327-331: 329 sull’edizione di Plinio; P. PELLEGRINI, Dagli studia alla Marca: echi del mondo accademico nell’Ortographia di Gerolamo Bologni, in I classici e l’università umanistica. Atti del convegno (Pavia 22-24 novembre 2001), a cura di L. GARGAN – M. P. MUSSINI SACCHI, Messina 2006, pp. 419-430. Su Michele Manzolo la voce di P. VENEZIANI, in Dizionario biografico degli Italiani, 69, Roma 2007, pp. 302-303; D. E. RHODES, La stampa a Treviso nel secolo XV, Treviso 1983, pp. 35-43: 38. Anche Bologni è ricordato nel De litteratorum infelicitate di Pierio Valeriano (I, 53). 50 Paolo Manuzio aveva pubblicato nel 1535 la seconda parte della Naturalis Historia e nel 1536 la prima e la terza parte, ristampati nel 1540; cfr. A. A. RENOUARD, Annales de l’imprimerie des Alde ou Histoire des trois Manuce et de leurs éditions, Paris 1834, pp. 114-115, 116, 119. 51 Lettere di Paolo Manuzio copiate sugli autografi esistenti nella Biblioteca Ambrosiana, Parigi 1834, p. 349; E. PASTORELLO, L’epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico 1483-1527, Firenze 1957, p. 38 nr. 290. Al Fascitelli vengono offerti sedici libri: non sembra ragionevole pensare ai soli libri I-XVI, e qui si apre un nuovo problema: erano forse gli stessi sedici che, a quanto pare, aveva consultato Valdo e che ritornano nell’inventario di Fulvio Orsini? (ma dalle glosse dell’incunabolo non sembra risultare una collazione con sedici esemplari); possibile che l’innominato “gentil’huomo” li avesse a disposizione tutti e sedici? quali testi di Plinio circolavano a Roma in quegli anni? 52 Della stessa mano potrebbero essere per esempio le varianti della parola crocutam a c. i [10]r: in marg. corocotiam (stessa forma del Vat. lat. 3861 appartenuto ad Angelo Colocci, f. 60r) e corocoteam (Nat. Hist. VIII, 107), o a c. s[7]v di in reprocibus corretto in margine con imbricibus e nell’interlineo con In eprocibus, che nel codice vaticano corrisponde a ineproci-

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La storia successiva del libro non è chiara: nel 1535 era “in mano” del Colocci e viene promesso a Paolo Manuzio; dopo Colocci sembra che lo avesse avuto un certo Giovanni de Sanitate — ma non sappiamo quando e come gli fosse pervenuto e a quanto pare lo aveva ancora nel 1548 — dal quale nel 1542 lo acquista Marcello Cervini come indicano sia, come vedremo, una lettera fra il cardinale e il segretario Angelo Massarelli, sia la nota, che sembra autografa, sul margine superiore di c. a[4] dell’incunabolo «Hunc Plinii librum ab Augusto olim diligentissime cum veteribus Plinii exemplaribus collatum, emi ego Marcellus Cervinus Romae ducatis quindecim Anno Domini MDXLII»53. L’acquisto viene fatto con l’aiuto di Antonio Blado che in quegli anni collaborava con il cardinale — di cui è ben noto l’interesse per edizioni corrette — per la pubblicazione di testi classici e patristici e proprio nel 1542 escono il commento di Teofilatto ai Vangeli e i primi cinque libri del commento di Eustazio da Tessalonica all’Iliade. Cervini, educato dal padre — appassionato studioso e bibliofilo, autore di operette a carattere scientifico — aveva raccolto una biblioteca di più di millecinquecento volumi manoscritti e a stampa, conservata parte a Roma parte a Montepulciano, per lo più confluita, per quanto riguarda i codici (poco o nulla si sa degli stampati), nel fondo Ottoboni della biblioteca del Vaticano. Il nostro incunabolo fa parte di un piccolo gruppo di libri che presentano note di possesso, di acquisto, di rilegatura o postille sicuramente di mano cerviniana o lo stemma dei Cervini, troncato, nel primo d’oro a sei gigli d’azzurro, nel secondo d’azzurro con un fascio di spighe di grano e un cervo d’oro coricato e attraversante (Ott. lat. 1616; Barb. gr. 265). Il Giovanni de Sanitate dal quale Cervini acquista il libro era forse un medico e, per quanto le “identificazioni” siano difficili e pericolose, è possibile avanzare un’ipotesi: ci piacerebbe identificare questo Giovanni con Giovanni Antracini da Macerata, dottore, letterato, poeta, medico fra l’altro di Adriano VI e deriso alla morte del papa per la sua scarsa competenza ma anche ringraziato dai Romani con l’appellativo di “liberatore della patria”. Non sono molte le notizie rintracciate sulla sua vita: forse studente poi dottore in arti e medicina a Padova alla fine del Quattrocento, membro bus (Nat. Hist. XVIII, 47). Colocci possedeva almeno due esemplari di Plinio, oggi in Vaticana, il Vat. lat. 3861 e l’edizione Venezia, Giovanni e Bernardino Rubeo da Vercelli, 1507, curata da Alessandro Benedetti (Racc. I. II. 999). Vedi Angelo Colocci e gli studi romanzi, a cura di C. BOLOGNA – M. BERNARDI, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 449), pp. 45, 76; M. BERNARDI, Lo zibaldone colocciano Vat. lat. 4831, Città dal Vaticano 2008 (Studi e testi, 454), p. 383 e n. 93. 53 P. PIACENTINI, Marcello Cervini (Marcello II), la Biblioteca Vaticana e la sua biblioteca, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, II. La Vaticana nella Riforma cattolica: crescita delle collezioni e nuovo edificio (1534-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2013, pp. 106-143: 108 e fig. 4.

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dell’Accademia Coriciana e ricordato da Arsilli nel De poetis urbanis — quindi vicino all’ambiente frequentato da Augusto Valdo —, maestro di medicina teorica alla Sapienza di Roma; durante il Sacco si era rifugiato in casa di Andrea Della Valle e risulta ancora vivo nel 153554. Da uno scambio di messaggi fra il cardinale di S. Croce, impegnato nel concilio di Trento, e Angelo Massarelli sappiamo dunque che nel 1548 il libro era in mano di questo Giovanni e che Cervini lo rivorrebbe55. Il 17 luglio 1548 il cardinale doveva avere scritto a Massarelli delle lettere (oggi a quanto pare scomparse) riguardanti il Plinio; questi il 21 luglio annota nel Diario di averle ricevute e il 25 luglio ribadisce «Scripsi ego ad cardinalem Sanctae Crucis de Plinio notato ab Augusto Patavo, quod sit [cioè “che dovrebbe essere”] penes magistrum Ioannem de Sanitate» e si impegna a recuperarlo con l’aiuto di un certo Giovanni Battista Raimondino, evidentemente un conoscente del medico, che suggerisce di parlare con la moglie e di scrivergli personalmente per far spedire il libro a Bologna dove si era trasferito il concilio56; il 28 luglio scrive Massarelli a Cervini: «… il Plinio non è più in man sua [di Colocci?], ma in mano di maestro Giovanni della sanità del quale è il libro et che però bisogna far motto a lui o alla sua moglie, ch’è costì in Roma, ma che è necessario usarvi qualche destreza, perché esso maestro Giovanni lo stima assai…», e registra nel Diario «...misique litteras Joannis Baptistae Raymondini ad magistrum Joannem de Sanctitatem (sic) super Plinio ab Augusto Patavo notato»57. Il libro era anche stato prestato a Paolo Manuzio e il primo dicembre 54 Cfr. G. MARINI, Degli archiatri pontifici, Roma 1784, I, pp. 322-325; F. VECCHIETTI, Biblioteca Picena, Osimo 1790, I, pp. 191-192 lo dice professore a Padova: negli Acta graduum academicorum cit. (1471-1500), nr. 2198, il 26 maggio 1498 un d. mag. Ioannes de Macerata figura come teste a un dottorato in arti e medicina; fra i dottori presenti è anche Prosdocimo Valdo; FERRAJOLI, Il ruolo della corte cit., p. 383; I maestri della Sapienza di Roma cit., I, pp. 3, 7; II, p. 915; IJSEWIJN, Coryciana cit., p. 398, versi 289-292; fra le icone della raccolta sono due carmi sotto il nome di Macerata. 55 È incomprensibile l’intervallo fra l’anno di acquisto (1542) e la data delle lettere (1548). Direi un po’ debole la spiegazione di DOREZ, L’exemplaire de Pline l’Ancien cit. (forse Cervini lo aveva perso). Per la corrispondenza cfr. Concilium Tridentinum. I. Diariorum pars prima, collegit et illustravit S. MERKLE, Friburgi Brisgoviae 1901, pp. 782-784, 813 e n. 2, 815, 818 e n. 8, 820 e n. 2 (ho confrontato il testo edito con il Vat. lat. 6688, ff. 231r, 232r, 233r, 267r, 270r, 274v; in latino è la parte tratta dal Diario; in italiano le lettere che Merkle riporta nelle note); Concilium Tridentinum. X-XI. Epistularum pars secunda, allegit, edidit et illustravit G. BUSCHBELL, Friburgi Brisgoviae 1937, p. 488, n. 6. Negli stessi mesi Cervini cerca anche il volgarizzamento di Plinio pubblicato da Cristoforo Landino nel 1476. 56 Dal marzo 1547 il concilio si era trasferito a Bologna. Cervini, dopo un breve intervallo, era tornato a Bologna nel gennaio 1548 e in maggio era stato richiamato a Roma. G. BRUNELLI, Marcello II, in Enciclopedia dei Papi, III, Roma 2000, pp. 125-126. 57 DOREZ, L’exemplaire de Pline l’Ancien cit., pp. 17-18: Firenze, Archivio di Stato, Carte Cerviniane, XVIII, 68, 69.

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1548 Massarelli conferma: «Ho parlato con Gio. Battista Raimondino del Plinio corretto et notato di mano di mr. Augusto Patavo» e chiede il permesso di recarsi a Venezia «pro recuperatione Plinii a D. Paulo Manutio», e il cardinale risponde: «… potrete transferire fino a Venetia con una lettera di Romulo [Cervini] a mr. Paulo Manutio per rihaver da lui quel Plinio ch’io li prestai, quale in somma è quello che fu di mr. Augusto e poi venne in mano a quel medico della Sanità, dal quale ho ritrovato haverlo comprato io per mezo di mr. Antonio Blado, percioché essendo stato laudato molto quel libbro da mr. Romulo Amaseo58 a N. S.re, a S. S.tà è venuta voglia di vederlo, come ho detto qui a mr. Antonio Manutio, et egli già n’ha scritto a mr. Paulo suo fratello. Vedete adunque recuperare il libro et di portarlo con voi fino a Bologna con ogni diligentia oportuna…». Infatti il 16 dicembre Massarelli è in partenza per Venezia, il 31 dicembre incontra Manuzio, riprende il libro, e il 12 gennaio 1549 registra «L’altra sera arrivai a Bologna… Ho portato il Plinio che mr. Paulo Mannutio mi ha dato et consegnatolo al s.or Romulo [Cervini]», con gran soddisfazione del cardinale che qualche giorno dopo risponde «Che habbiate rihavuto il nostro Plinio da mr. Paulo Manutio et consignatolo poi a Romulo mi piace». Dopo la morte di Cervini (1555), quando verso il 1574 il nipote Erennio trattava la vendita della biblioteca, Fulvio Orsini poté vederne gli stampati e sceglierne alcuni entrati poi con la sua collezione nella Vaticana (1602 circa): a f. Ir dell’Inc. II. 145 è la nota di Giuseppe Assemani «Plinio di stampa vecchia riscontrato con 16 essemplari, libro correttissimo. Ful. Urs.» confermata da un’indicazione posteriore di due diverse mani; nell’angolo superiore destro «Fulvio Orsini latino n° 6», numero che corrisponde a quello del catalogo edito da De Nolhac, dove al numero 6 dei «libri latini stampati che sono tocchi di mano di huomini dotti» è registrato «Plinio di stampa vecchia, riscontrato con XVI exemplari, libro correttissimo et coperto in tavole. fu di m. Augusto»59. L’incunabolo II. 145: descrizione Ritengo utile a questo punto dare una breve descrizione dell’incunabolo aggiungendo alcune osservazioni generali sulla scrittura e la tipologia 58 Romolo Amaseo, figlio di Gregorio, istitutore del cardinale Alessandro Farnese, dal 1544 professore alla Sapienza: R. AVESANI, Amaseo Romolo Quirino, in Dizionario biografico degli Italiani, 2, Roma 1960, pp. 660-666. 59 DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini cit., pp. 248, 382; vedi anche a p. 426 una lettera di Gian Vincenzo Pinelli a Orsini, datata 15 agosto 1582: «se nel suo Plinio dell’Augusto … sia varietà di lettione». Vale la pena ricordare che Fulvio Orsini fu familiare e bibliotecario dei Farnese e correttore di greco presso la Biblioteca Vaticana.

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delle annotazioni, lasciando ad altri l’analisi dettagliata della collazione effettuata dal nostro umanista e l’individuazione dei sedici testi di cui si era servito (ma non è facile stabilire se effettivamente la collazione è stata fatta su sedici esemplari) che potranno forse portare ad interessanti scoperte. Non è ancora stato identificato, fra l’altro, il manoscritto utilizzato per l’edizione parmense60. È possibile che il numero 1052 sul taglio dei fogli superiore e sul piatto anteriore (recto e verso) di una legatura originale in assi di legno con dorso in pelle marrone sia quello della biblioteca del cardinale di S. Croce in Gerusalemme, anche se il Plinio non compare negli inventari delle sue due collezioni librarie redatti dopo la sua morte: fra gli stampati “fuor de la libraria” è registrato un “Plinii lib. 2 de mundi Historia” [il solo secondo libro? due esemplari? un esemplare in due parti?], ma manca il numero 1052 e del resto non a tutti gli stampati è assegnato un “numero dell’indice” (la definizione, ripresa da Giovanni Mercati, è nell’inventario Vat. lat. 8185, pt. 2, f. 282r)61, un numero per lo più sovrastato da una linea e spesso inquadrato fra due punti che corrisponde al numero segnato accanto ad ogni item nell’inventario dei codici (gli stampati non hanno numero d’inventario), anche se oggi è difficile vederlo, cancellato e sostituito da altre segnature, o scomparso a causa di successive rilegature. Il volume è fittamente postillato in margine e nel testo fino a c. h3r (fine lib. VI), poi le note diventano più sporadiche, specie dopo c. u[10]r (lib. XX)62; le annotazioni, che necessitano ovviamente di uno studio più approfondito, sembrano di mani diverse (per es. cc. u[7]v-u[8]r), fra le quali è forse possibile riconoscere quelle di Cervini e di Colocci. Le note attribuibili a Valdo (ma talvolta resta il dubbio che siano opera della stessa mano) sono almeno di tre tipi, eseguite con inchiostri e penne diverse, intervenendo talvolta sugli stessi emendamenti, e denotano un la60 Un primo tentativo di identificare i testi utilizzati da Valdo si trova nella tesi inedita dell’attuale responsabile della sezione umanistica dell’Institut de Recherche et d’Histoire des textes, M.-E. Boutroue, che mi ha gentilmente inviato il suo lavoro: Pline ou le trésor du monde: recherches sur quelques aspects de la transmission et de la fortune de l’Histoire Naturelle de Pline l’Ancien (XVe-XVIe siècles), janvier 1998. 61 P. PIACENTINI, La biblioteca di Marcello II Cervini. Una ricostruzione dalle carte di Jeanne Bignami Odier. I libri a stampa, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 404), introduzione; p. XXXIII per il Plinio; pp. XXXII-XXXV per i libri con note di Marcello e Ricciardo Cervini; EAD., Marcello Cervini (Marcello II), la Biblioteca Vaticana cit., passim. Sono noti, e si riscontrano anche nelle lettere che si scambiavano, gli interessi comuni a Cervini e Colocci in campo editoriale e per la ricerca di codici. 62 Non è chiaro perché la collazione non sia completa, se per la temporanea mancanza di esemplari a disposizione o perché, per una ragione a noi ignota, Valdo non ebbe la possibilità di teminarla; forse non è un caso che il Vat. lat. 1956, che potrebbe essere il volume preso in prestito dalla Biblioteca Vaticana (vd. testo e nota 34), contenga i libri I-XX .

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voro di collazione fatto in più riprese, non dissimile da quello attuato per esempio da Bussi o da Poliziano. Le note in nero o marrone rossiccio, marginali e interlineari, sono “correzioni” da collazione (talvolta una variante è barrata). Per lo più in nero sono anche le parole greche che sembrerebbero di mano di Valdo. Le annotazioni in rosso/rosa, raramente in rosso vinaccia (es. cc. c[9]r, f4v), e verde erba sono per lo più notabilia, accompagnati in margine da segni di richiamo come maniculae o due/tre punti sopra una linea sinuosa, uno o due trattini con punti, ecc.; sono precedenti agli interventi in nero che a volte intervengono correggendo le parole. Ancora in nero, in scrittura piccolissima, sono scarse note sul margine, molto vicino al taglio dei fogli: sembrano varianti o in alcuni casi sigle con cui l’autore ha indicato i testi usati per la collazione o gli auctores. Un confronto fra le annotazioni del Plinio, in scrittura più posata ma non omogenea nella forma delle singole lettere, e la scrittura velox della lettera a Prosdocimo nel Vat. lat. 3435, alle quali si può aggiungere la nota di prestito riprodotta da Bertola, non è probante per quanto riguarda la piccola scrittura in inchiostro nero, anche perché sono testi scritti a distanza di un decennio: vedi per esempio le differenze nella parola Augustus nell’ultima riga del Vat. lat. 3435, f. 60r e alle cc. c5v, c[6]r dell’incunabolo. Ma anche le note del Plinio creano, come detto, qualche problema: nelle note in nero la scrittura è posata, abbastanza vicina alla antiqua con elementi corsivi (s e f lunghe, legamento alto ct), in altri casi è più corsiveggiante (per es. marg. c. c2v); nei notabilia in rosa e verde la scrittura è una corsiva piccola e arrotondata, più simile alla scrittura della lettera, con molti elementi derivati dalla formazione veneto-padovana dello scrivente ma anche vicina, nella forma di singole lettere, a quella di Sanvito o all’ambiente grafico romano, specie alle scritture della scuola “pomponiana” con cui Valdo quando aveva intrapreso la collazione era da tempo in contatto63. Le aste alte (l, d, b) terminano spesso con un piccolo bottone o gancetto verso sinistra, la M maiuscola, di forma capitale nella lettera, nel Plinio si presenta anche in una forma corsiva che ricorda quella del pomponiano Marco Lucido Fazini (al quale avevo pensato in un primo momento come estensore delle annotazioni in inchiostri colorati), il dittongo ae assomiglia al nesso et “a fiocco” caratteristico di Pomponio, il legamento ct si presenta alto e arrotondato o ad arco ondulato o, sempre alto, ma più aguzzo, e qua63 Sulle scritture a Roma in questo periodo è sempre valido E. CASAMASSIMA, Literulae latinae. Nota paleografica. Prefazione di S. CAROTI – S. ZAMPONI, Lo scrittoio di Bartolomeo Fonzio umanista fiorentino, Milano 1974; anche E. CALDELLI, Copisti a Roma nel Quattrocento, Roma 2006; P. PIACENTINI, Note storico-paleografiche in margine all’Accademia Romana, in Pomponio Leto e la prima Accademia Romana, Roma 2007 (Roma nel Rinascimento. inedita, 37 saggi), p. 110 ss.

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si sempre aguzzo è il legamento st che nella lettera è alto e più arrotondato, raramente si incontra il legamento sp ad arco (es. c. g1r), presente anche nella lettera, la a, soprattutto in fine di parola, è identica alla alpha delle parole greche, ma (specie nelle note in nero) si trova anche una a semigotica prolungata a sinistra da un trattino orizzontale, la g è a tre con l’occhiello inferiore chiuso, ma sporadicamente si trova la g onciale, la C maiuscola spesso include la lettera che segue, la T maiuscola è in un solo tratto e l’asta orizzontale ha il solo tratto di sinistra, si può trovare la R maiuscola in fine di parola, caratteristica è la forma della Z maiuscola in principio o nel corpo di parola (es. c. g1r). Nella lettera sono presenti anche la Q maiuscola a due in due tratti, e la h in principio di parola (ho, he) spesso lega con la lettera che segue (tav. II). Nell’incunabolo le parole greche, traslitterate nel testo, sono aggiunte in margine in caratteri greci correnti. Ho accennato a quelle che potrebbero essere sigle: le più frequenti sono una N, un segno che assomiglia a una H, talvolta con l’asta di destra sovrastata da un cerchietto a somiglianza di una P, un segno simile a una V rovesciata e soprattutto una G di tipo onciale che si trova sia sui margini esterni sia sul margine superiore recto di quasi tutti i fogli da c. d2r (lib. II, 78) a c. u[8]v (lib. XIX, 156) e ricompare sporadicamente anche più avanti. Mi sono soffermata su quest’ultima “sigla” (G), che forse indicava un esemplare, e riflettendo sulla conoscenza fra Valdo e Colocci ho effettuato un veloce confronto fra alcune delle glosse al nostro incunabolo e il Vat. lat. 3861 dell’VIII-IX sec., con i libri II-XIX, appartenuto all’umanista di Iesi che ha segnalato spostamenti e lacune nel testo, confronto che suggerisce una stretta vicinanza fra G e il codice colocciano (D delle edizioni) o un codice della stessa famiglia, anche se non mi è possibile avanzare un’ipotesi sicura. Il Vat. lat. 3861 è stato malamente copiato e impaginato, manca di alcuni fogli e passi diversi iniziano o finiscono sulla stessa riga64; G doveva presentare delle lacune indicate con deest G o deest Gal e in alcuni casi coincide con l’indicazione vetus (es. cc. t3r, t5v, u4r, u4v) (tav. III); l’inizio e la fine della collazione con G sono indicati dai due punti con tratto ondulato (a sin. per l’inizio, a destra per la fine), segno che compare anche sul margine di diverse carte accanto alla parola Galb (con la b tagliata) o Galbata (?). Non è stato possibile dare un significato al termine Galbata anche se in un primo momento si era affacciato il dubbio che potesse essere un riferimento a Giorgio Galbiate o Galbiatus, l’amanuense e segretario di Giorgio

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Cfr. Manuscrits classiques latins cit., III.2, Paris 2010, pp. 325-326.

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Merula scopritore di numerosi codici a Bobbio, fra i quali manca però un Plinio65. Alcuni esempi: come ho detto G è segnalato dal lib. II, 78 al lib. XIX, 156: 1) il Vat. lat. 3861 inizia mutilo come è indicato sul margine superiore forse di mano di Colocci: le ll. 1-4 — «asbytè et macae … cubitorum altitudini» — appartengono infatti al lib. V, 34 che continua a f. 18r, col. 2, l. 4 dal basso; dalla l. 5 il testo è «//dri de quo diximus discipulus …» (II, 187). Nell’Inc. II. 145 il testo della c. d2r, capitolo de Horologio è «… Anaximandri [dri è preceduto da segno di paragrafo] de quo diximus et Thaletis [Thaletis espunto] discipulus…»; sul margine superiore la G, sul margine destro segno di paragrafo seguito da Galbata e dai due punti con segno ondulato a sinistra, sul margine sinistro ancora i due punti con segno ondulato a sinistra (tav. IV); 2) il Vat. lat. 3861 termina mutilo a f. 173v (XIX, 156): «… miscetur ut careat urucis //». Nell’Inc. II. 145, c. u[8]v, l. 2 troviamo «miscetur ut careat erucis» corretto in margine e nell’interlineo con urucis seguito dai due punti con segno ondulato a destra; sul margine sinistro Galbata con il segno di fine, stesso segno con G sul margine superiore (da qui in poi G non è più segnalato se non sporadicamente); il passo «conduntur quoque aceto … dici possunt» (XIX, 153), che nel codice vaticano è nel testo (f. 173v, col. 2, ll. 24-26), nell’incunabolo è aggiunto a c. u[8]r in margine, l. 7 dal basso; 3) nell’Inc. II. 145, cc. e[8]v, l. 4 dal basso-e[9]r il passo che inizia «ei rherene (re espunto) quam Anticlides Celadusam…» e termina con «… platage nunc Amorgos ... emersit Caliste dicta Ex ea avulsa (var. avolsa)» (IV, 67-70) è segnato con un tratto di penna in margine; sul margine superiore G e un’altra sigla (?) .p. pp.; sul margine sinistro e nell’interlineo prima di dicta sono i due punti con segno ondulato a sinistra; sul margine destro deest in Galb e sotto Galbata 4 liber (tav. V). Nel Vat. lat. 3861, f. 18r, col. 2, ll. 4-5 dal basso «eirhene quam Anticlites» è seguito da «Neminventuntibi (sic) restantibus Mauretaniae … » (V, 34); in margine una nota (Colocci ?) rimanda al libro V, ma il passo continua a f. 19r, col. 1 «//dicta ex ea avolsa …» anche se mancano alcune parole fra Amorgos e dicta. 4) Nel Vat. lat. 3861, f. 158v termina « … rutundum levem arientino minus //» (XVIII, 124); seguono tre fogli tagliati ma non c’è lacuna nel testo che continua a f. 159r «// quod relegio (corr. religio) pervigilis …»;

65 G. MORELLI, Le liste degli autori scoperti a Bobbio nel 1493, in Rivista di filologia e di istruzione classica 117 (1989), pp. 5-33: 5 n. 2.

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una lacuna si trova fra f. 160v e f. 161r (spostato dopo f. 167)66: «… Nilus ibi coloni vice//» (XVIII, 167), «//de agro pellere torcula…» (XVIII, 230). Nell’Inc. II, 145, c. t1r «… rotundum (var. interl. rutundum) leve. Arietino minus quod religio (var. interl. relegio) …»; sul margine superiore G; a c. t3r il testo che inizia « Et quoniam de frugum /… / Nilus ibi coloni …» è contraddistinto da un segno di paragrafo in rosso; sul margine superiore è segnato G seguito da Deest G; sul margine destro G e altre “sigle” (vetus; V rovesciata seguita da trattino), e probabilmente le fonti (L.us: Livius?; Ni); mancano i due punti con tratto ondulato a indicare l’inizio e la fine della collazione. Deest G continua anche sulle carte successive fino a c. t5v: «Verum ut pariter/ … / de agro pellere torcular (corr. torcularia) …»; in margine è indicato vetus. G. APPENDICE L’incunabolo II. 145 è cartaceo, 360 ff., 50 rr., roman; mm 210 × 300; c. I membr. di guardia antico; cc. II-V cart. di guardia recenti, c. VI cart. di guardia antico che presenta una filigrana comune anche al resto del volume (bilance in un cerchio); la numerazione delle carte inizia con a2 [mancano fogli?] e termina con M2 — rilegatura: tavole in legno con dorso in pelle marrone e tracce di legacci; sul dorso segnatura attuale; segnatura [99]39; tassello con titolo “Pliniu[s] cum pluribus codic[ibus] collat[us] (?)”. — piatto anteriore: segnatura 1052 (forse Cervini); Plinius (XVI sec.); verso del piatto anteriore tassello cart. con segnatura attuale che copre in parte il numero [10]52 con barra sopra; tassello cart. con segnatura a penna 351, stampigliata 292, moderna; numero di Hain Copinger *13092 [vedi anche ISTC, ip 00791000]; piatto posteriore: all’interno, nell’angolo superiore destro una serie di numeri a penna [di cui non ho scoperto il significato], all’esterno forse tracce di decorazione. — c. Ir: segnatura Orsini 6; segnatura JR / 9939 (Giogio Grippario, 1686); H *13092; altra segnatura Orsini (mano recente); note di collazione 15181520 (vd. sopra); nota di Assemani. — c. VIr: due note lavate illeggibili; una sembrerebbe scritta in una grafia molto simile a quella di c. Ir (Valdo?). — foglio membr. di guardia posteriore: note di mani diverse (lettura in66 Il testo di f. 161v continua regolarmente a f. 162r: «vocife//rans cur caelum …» (XVIII, 251); il paragrafo 251 (= cap. XXVII) inizia a c. t[6]v.

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certa): «lune mane [barr.?] 12. 8 (?)67 / Mare serus 36 / Mercori 48 . 4”. 16/ 8 (?)»; sul verso una annotazione di difficile lettura: «Plinius (? pl con l tagliata) vlg (?) quem dedi Borg (Berg.? forse con g onciale ) / Jul. q (?)» — c. a2r: prefazione di Girolamo Bologni: Hieronymi Bononii Tarvisani ad Ioannem Bombenum amicorum optimum pro C. Plinio Secundo apologia/ [O]Rta est inter nos disseptatio Ioannes lepidissime dum pridie apud me esses ut febre acerrima…; c. a3r expl.: … C. Plinium in naturalis historiae libris vigintimilia rerum dignarum ex lectione uoluminum circiter duummilium fuisse complexum. — c. a3v: EIVSDEM HIERONYMI BONONII CARMEN EX ILLVSTRIVM OPERVM ARGVMENTIS / Plinius aeterno complectitur omnia libro /… / Aere perexiguo mille parasse puta. / TARVISII TERTIO IDVS OCTOBRES MCCCCLXXIX. — c. a4r, marg. sup.: segnatura 2130; nota di acquisto di Cervini; [testimonia de Plinio]: — Plinio il Giovane: CAIVS PLINIVS MARCO SVO SALVTEM; in marg. a penna: epi. 5 iii lib. (= ep. III, 5); inc. [P]ergratum est mihi…; in marg. in rosso l’indice delle parti: .7./ De iaculatione equestri .1. / De vita Pomponii Secundi . 2. /… / Naturalis historiae . 37.; c. a4v expl. “… possunt aemulationis stimulis excitare. Vale. — Svetonio, Vita Plinii: SVETONII TRANQVILLI IN LIBRO DE VIRIS ILLVSTRIBVS / Plinius Secundus Novocomensis equestribus militiis industrie functus … et species continet titulorum. — Plinio il Giovane: CAIVS PLINIVS [add. interl. a penna COR.] TACITO SVO SALVTEM; in marg. a penna: epi. 16. vi .lib (= ep. VI, 16); inc.: Petis ut tibi avunculi mei exitum scribam…; c. a5r expl.: … aliud omnibus scribere. Vale. — Tertulliano: ITEM TERTVLLIANI IN APOLOGETICO / Plinius Secundus cum quandam provinciam gereret … oblatos vero puniri oportere. — Eusebio: ITEM EX LIBRIS DE TEMPORIBVS EVSEBII CAESARIENSIS / Plinius Secumdus [la terza asta della m è espunta] Novocomensis orator et historicus… Periit dum invisit Vesuvium. — c. a5v, marg. sup.: tre righe di una nota lavata malamente leggibile in scrittura corsiva del XVI sec. in.; da quanto si può ricostruire con la lampada di Wood è una variante della lettera di Plinio a Vespasiano, ma la lettura è incerta: Vt obii - - - molliorem Catullu - - - et famulis. — Plinio, Naturalis Historia inc.: CAII PLINII SECVNDI NATVRALIS HISTORIAE 67 Il segno usato, diverso dall’8 dopo “Mercori”, assomiglia a quello che nel Dizionario di abbreviature latine ed italiane di A. CAPPELLI è indicato come simbolo dell’ariete.

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LIBER .I. [I

espunto] / CAIVS PLINIVS SECVNDVS Novocomensis [corr. interl. VERON] T. VESPASIANO [corr. marg. Domitiano poi barr.] SVO SALVTEM. PRAEFATIO. / [L]IBROS NATVRALIS HISTORIAE [virgola add. a penna] NOvicium [corr. su novitium] camoenis quiritum [corr. quiritium]… — c. a6v expl.: Valerius Soranus [corr. interl. Sorianus; in marg. Valerius Soranus] in libris quos epopteidon (corr. epoptidon; varianti aggiunte in marg. in caratteri greci] scripsit [corr. inscripsit] . Vale [espunto]. / Primo praefatio operis ad Domitianum [barr.] imperatorem: Libros / Item auctorum nomina ex quibus desumpsit ea quae persequitur (?) libris sex et triginta …; c. b[8]v expl.: LIBRO TRICESIMO SEPTImo (corr. marg. XXXVI) … Appione, Ori, Zoroastre, Zactalia. SVMMATIM HAEC INSVNT LIBRIS SINGVLIS

— c. c[1]r inc: CAII PLINII SECVNDI NATVRALIS HISTORIAE LIBER .II. [corr. su /AN finitus sit mundus et an unus Ca. i. / [M]VNDUM ET HOC QUOD [corr. quocumque] NOMINE alio caelum [corr. coelum] appellari [corr. appellare] libuit… [su libuit segno di richiamo; in marg. c e simbolo] (lib. II, 1); sul marg. sup.: LIBER II [corr. I]. I]

— c. L[8]v expl.: … Hispaniam quaecunque ambitur mari. (lib. 203); sul marg. sup. LIBER XXXVII [corr. XXXVI].

XXXVII,

sottoscrizione: CAII PLINII SECVNDI NATVRALIS HISTORIAE LIBRI TRICESIMITERVISII DVCTV ET IMPENSIS MICHAELIS MANZOLI PARMENSIS M.CCCC.LXXIX. REGNANTE SERENISSIMO VENETIARVM DVCE IOANNE MONCENIGHO OCTAVO KALENDAS SEPTEMBRIS68. SEPTIMI [CORR. XXXVI] ET VLTIMI FINIS. IMPRESSI

— lettera di Filippo Beroaldo il Vecchio a Nicola Ravacaldo; inc.: Ad venerabilem et ornatissimum virum Nicolaum Ravacaldum canonicum permensem (sic). Philippi Broaldi (sic) Bononiensis epistola / Publium Nigidium cui figularis rota Figuli cognomen imposuit … /…/ expl. c. [M3]r… et undique tutus contingere sydera plantis. Vale amantissime mi Nicolae, et Philippum tuum dilige. AMEN69.

68 Giovanni Mocenigo è doge dal 1478 al 1485. La data dell’edizione, 25 agosto 1479, è precedente a quella dell’apologia del Bologni, datata 13 ottobre. 69 I. AFFÒ, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Parma 1789, II, pp. 272-274. La lettera vuole sottoporre all’attenzione del Ravacaldo, canonico a Parma e arciprete a Fornovo, zio di Francesco Maria Grapaldo (sul quale vedi la voce di A. SIEKIERA, in Dizionario biografico degli Italiani, 58, Roma 2002, p. 561), alcuni emendamenti inseriti nell’edizione pliniana Parma, Stefano Corallo, 1476, curata da Beroaldo: cfr. SEVERI, Il giovanile cimento di Filippo Beroaldo il Vecchio cit. e pp. 91-109 l’edizione commentata della lettera.

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PAOLA PIACENTINI

Tav. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3435, f. 60r: lettera di Augusto Valdo al fratello Prosdocimo.

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AUGUSTO VALDO E UN PLINIO APPARTENUTO A MARCELLO CERVINI

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Tav. II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Inc. II. 145, c. c3r: annotazioni di Augusto Valdo.

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PAOLA PIACENTINI

Tav. III – Biblioteca Apostolica Vaticana, Inc. II. 145, c. u4r: collazione con G.

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AUGUSTO VALDO E UN PLINIO APPARTENUTO A MARCELLO CERVINI

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Tav. IV – Biblioteca Apostolica Vaticana, Inc. II. 145, c. d2r: collazione con G.

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PAOLA PIACENTINI

Tav. V – Biblioteca Apostolica Vaticana, Inc. II. 145, c. e[9]r: collazione con G.

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SIMONETTA PROSPERI VALENTI RODINÒ

GHEZZI E GLI ALTRI CARICATURE DI SALVATOR ROSA, BURRINI, MITELLI, MARATTI E MOLA NEI VOLUMI DI PIER LEONE GHEZZI ALLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA La fama raggiunta da Pier Leone Ghezzi1 nella prima metà del Settecento nel campo della caricatura fu tale a Roma e in Europa, che la maggior parte degli studi di tal genere realizzati in area romana in quel periodo sono stati attribuiti indiscriminatamente all’artista, con il risultato di generare una grande confusione nel suo pur amplissimo catalogo di opere grafiche, ma soprattutto di oscurare del tutto la memoria di numerosi altri artisti, che nella città eterna si sono dedicati in quegli stessi anni (ma anche prima e dopo) a quella particolare espressione artistica. Lo stesso Ghezzi contribuì a creare questo equivoco: infatti egli amava fregiarsi dell’appellativo di Cavaliere della caricatura, e quando nel 1747 offrì in vendita alla Biblioteca Vaticana alcuni dei suoi volumi di disegni, in cambio di un vitalizio di 25 scudi annui a lui concesso da papa Benedetto XIV2, scelse fra 1 Su

Pier Leone Ghezzi esiste ampissima bibliografia: si cita per tutte la monografia di A. LO BIANCO, Pier Leone Ghezzi Pittore, Palermo 1985, nonché la mostra curata sempre da EAD., Pier Leone Ghezzi, Settecento alla moda, cat. mostra Ascoli Piceno, ed. Venezia 1999. Più interessante notare qui la bibliografia specifica su Ghezzi caricaturista: M. LORET, Pier Leone Ghezzi, in Capitolium 2 (1935), pp. 300 ss.; M. ABRUZZESE, Note su Pier Leone Ghezzi, in Commentari 6 (1955), pp. 303-308, tavv. LXXXIV-LXXXVIII, D. BODART, Disegni giovanili inediti di P. L. Ghezzi nella Biblioteca Vaticana, in Palatino 11 (1967), pp. 141-154; ID., Pier Leone Ghezzi the draftsman, in Print Collector 7 (1976), 31, pp. 12-31; A. PAMPALONE, I “volti” della storia nelle caricature della collezione di Pier Leone Ghezzi, in Artisti e Mecenati, a cura di E. DEBENEDETTI Roma 1996 (Studi sul Settecento Romano, 12), p. 106 nt. 8 (I) e soprattutto Roma 1997, pp. 116-121 (II); A. LO BIANCO, Le caricature: il Mondo nuovo di Pier Leone Ghezzi, in Pier Leone Ghezzi cit., pp. 35-41; G. ROSTIROLLA, Il ‘Mondo nuovo’ musicale di Pier Leone Ghezzi, Milano 2001; M. C. DORATI DA EMPOLI, Pier Leone Ghezzi un protagonista del Settecento romano, Roma 2008; S. PROSPERI VALENTI RODINÒ, La caricatura a Roma nel Settecento in Il Settecento e le Arti, Convegno internazionale, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 2009 (Atti dei convegni Lincei, 246), pp. 257-282. 2 Papa Benedetto XIV aveva acquistato il 24 aprile 1747 per la Biblioteca Vaticana direttamente dal Ghezzi, in cambio di un vitalizio di 25 scudi mensili, più di venti volumi di disegni, inventariati sotto il fondo Ottoboniano Latino 3100-3119, per la maggior parte copie dall’antico (i volumi dall’antico vanno da 3100 a 3109, di cui 3105 disegni di P. S. Bartoli ed altri), di caricature intitolati Il Mondo nuovo (da 3112 a 3119), e oltre 6.500 calchi di cammei e intagli antichi, che costituivano un piccolo nucleo d’interesse erudito delle sue ricche collezioni: si Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 657-677.

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i molti presenti nella sua ricca e nota collezione di grafica, quattro tomi di studi dall’antico e otto di caricature, cioè i generi a lui più congeniali nei quali primeggiò. Da tale scelta emerge chiaramente che erano questi i settori della grafica ai quali egli volle legare la propria fama nel futuro, assicurandone la conservazione in quella culla del sapere e di tesori inestimabili che era ed è tutt’ora la Biblioteca Vaticana. Però, come già avanzato in un precedente saggio3, non tutte le caricature riunite dal Ghezzi negli otto volumi vaticani da lui intitolati Mondo nuovo, sono autografe. Infatti sfogliando quelle pagine stipate di figure dei più inverosimili personaggi passati per Roma tra il 1720 ed il 1756, vergate dall’inconfondibile tratto sottile ed incisivo del Ghezzi, ci si imbatte in alcuni fogli, concentrati soprattutto nel secondo volume Ott. lat. 3113, che risultano chiaramente di altra mano4. Si tratta di studi databili tra la metà del XVII secolo e l’inizio del successivo, riuniti in tre nuclei distinti posti circa a metà del volume, tutti anonimi e senza le caratteristiche — e preziose — scritte esplicative apposte in margine dall’artista5. Sono fogli veda la storia generale della vicenda in G. MORELLO, Il Museo ‘Cristiano’ di Benedetto XIV, in Bollettino dei Musei e Gallerie Pontificie 2 (1981), pp. 53-79; i volumi della Biblioteca in J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque vaticane de Sixte IV à Pie VI, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), p. 166. I volumi di disegni dall’antico 3106-3109 sono stati studiati da L. GUERRINI, Marmi antichi nei disegni di Pier Leone Ghezzi, Città del Vaticano 1971; la collezione degli zolfi da G. C. ALTIERI, Le collezioni di calchi del Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 1 (1987), pp. 7-32; il volume Ott. lat. 3110 con disegni architettonici di artisti toscani della fine del Cinquecento è stato pubblicato da J. VON HENNEBERG, Architectural Drawings on the late Italian Renaissance: the Collection of Pier Leone Ghezzi in the Vatican Library (Cod. Ottob. Lat. 3110), Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 378), con bibl. precedente. 3 S. PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi. Caricature di artisti seicenteschi nel Mondo Nuovo di Pier Leone Ghezzi alla Biblioteca Vaticana, in Disegno e disegni. Per Luigi Grassi, a cura di A. FORLANI TEMPESTI, S. PROSPERI VALENTI RODINÒ, Rimini 1998, pp. 360-377. 4 BODART, Disegni giovanili cit., p. 142, si era accorto di tale differenza stilistica, ma assegna erroneamente questi disegni, sulla base del soggetto, al periodo giovanile del Ghezzi. Altre caricature conservate alla Biblioteca Vaticana, provenienti dal lascito del marchese Benedetto Guglielmi, pubblicate dal Bodart come opere giovanili di Ghezzi, sono in realtà imitazioni, o meglio falsificazioni di un mediocre disegnatore del nostro secolo fatte su carta del Settecento, già individuato da J. BYAM SHAW (The Italian Drawings of the Fritz Lugt Collection, vol. I, Paris 1983, cat. 188, pp. 188-89), definito dalla critica PseudoGhezzi. Questi ha realizzato numerosissime caricature di soggetto teatrale o carnevalesco o satirico firmandosi sempre P. L. Ghezzi, ma senza preoccuparsi minimamente di imitarne la calligrafia (infatti la grafia di Ghezzi è sottile e secca, mentre il suo falsificatore scrive con lettere larghe e rotonde) e tantomeno lo stile, che è pesante e grossolano, piuttosto rotondeggiante, a differenza per esempio di un corretto imitatore settecentesco, Giovan Battista Internari, che imitò soprattutto lo stile del Ghezzi. Per un elenco dei fogli dello PseudoGhezzi confluiti nei musei del mondo, si rinvia a PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi cit., pp. 369-370, nt. 6. 5 P. L. Ghezzi era solito infatti apporre in calce ai suoi disegni, nel momento in cui li

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schizzati da pittori e dilettanti di ambito romano o emiliano6, che il Ghezzi conservava nella sua celebre raccolta di grafica, dispersa dalla vedova dopo la sua morte e confluita per lo più oggi in Germania7, forse con la finalità di trarne ispirazione. È su questi fogli che vorrei soffermarmi, per evidenziare un aspetto nuovo di questi volumi ‘misti’, composti cioè non solo da fogli di Pier Leone, ma anche da studi ‘infiltrati’ di altri artisti, per portare all’attenzione degli studiosi disegni che non dovrebbero rientrare nelle trattazioni a lui dedicate. È difficile comprendere il motivo per il quale Pier Leone ha mischiato disegni suoi con fogli di altri artisti — quasi una sfida per mettere alla prova futuri conoscitori? — ma senza addentrarci nel problema proponiamo qui un nuova attribuzione per alcuni di essi, tenendo ben presente le difficoltà che si incontrano nel ricercare l’autografia in schizzi frettolosi, rapidi e spesso volutamente concisi. La caricatura infatti è il genere grafico in cui l’artista si mostra più libero da condizionamenti stilistici, di scuola o accademici, schizzando con un segno abbreviato sia il personaggio deformato nei suoi caratteri più evidenti, sia scene d’interni dove si mettono in ridicolo i difetti umani. La difficoltà attributiva è accresciuta dal fatto che a questo genere si sono dedicati molti dilettanti, presenti anche nel volume vaticano, che si divertivano ad imitare o a copiare fogli di artisti noti, come ad esempio, le caricature berniniane conservate nei codici Chigi in Vaticano8. La storiografia artistica non aiuta a risolvere questo problema: sistemava nei volumi, le scritte che documentano in modo inequivocabile l’identità del personaggio, la sua attività o eventuale qualifica, la data e talvolta l’occasione in cui fu ritratto, e poi la sua sigla. Tale caratteristica, che è prova di autenticità, è evidenziata da tutti i critici che si sono occupati di Ghezzi caricaturista — Lo Bianco, Pampalone e da ultimo Dorati da Empoli — mentre invece i fogli che qui analizziamo non presentano tali scritte, salvo un caso di cui si dirà più avanti. 6 Non è chiaro il motivo per cui Ghezzi ha inserito tra le sue caricature questi nuclei di fogli non suoi in piccoli gruppi in sequenza — precisamente tra le carte 41-48, 81, 84, 98, 108, 109, 119-127, per un totale di 32 fogli, alcuni dei quali ritagliati in un formato piccolissimo da fogli più grandi — schizzi di autori diversi per stile e qualità di esecuzione, per un esame dei quali si rinvia al testo. 7 Alla morte della vedova di Pier Leone, Caterina Peroni, la raccolta fu acquistata in parte dal pittore tedesco Lambert Krahe, e da lui portata a Düsseldorf, e parte da Bartolomeo Cavaceppi (cfr. E. KIEVEN, La collezione dei disegni di architettura di Pier Leone Ghezzi, in Collezionismo e ideologia: mecenati, artisti e teorici dal classico al neoclassico, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 1991(Studi sul Settecento romano, 7), pp. 143-175), la cui ricchissima raccolta di disegni, passata poi all’allievo Vincenzo Pacetti, fu venduta dal figlio di quest’ultimo al Museo di Berlino nel 1848: per un riesame della questione, con ampia bibliografia, si rinvia a S. PROSPERI VALENTI RODINÒ,Gli artisti romani collezionisti, in Rencontres internationales du Salon du Dessin, 22 et 23 mars 2006, a cura di C. MONBEIG GOGUEL, ed. C. HATTORI, Milano 2006, pp. 67-87. 8 Questi disegni, ritenuti probabili originali del Bernini da H. BRAUER e R. WITTKOWER,

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infatti la maggior parte delle caricature conservate nelle raccolte di grafica del mondo è ancora raggruppata sotto la generica attribuzione ai Carracci — soprattutto Agostino — considerati gli iniziatori di questo genere, cui di recente si è aggiunto quello di Pierfrancesco Mola, oltre ovviamente al Ghezzi, creando non poca confusione attributiva in questo settore. Il primo foglio per il quale in base allo stile si può proporre una paternità sicura al pittore napoletano Salvator Rosa (1615-1673)9, raffigura La venditrice di veleni per uccidere insetti (tav. I). Rosa, abilissimo disegnatore, vi rappresenta una donna discinta che incede portando due ceste assicurate al collo da una cinghia, sulle quali è scritto Per Amazare le Cimici sull’una e Veleno per dar Morte / ai Topi sull’altra, seguita da un fanciullo, seminascosto da un cappellaccio, in atto di reggere una canna cui sono appesi per la coda topi morti, a dimostrare l’efficacia del veleno offerto in vendita dalla donna. Se ad un esame frettoloso la scena sembra ispirata al repertorio carraccesco tratto dalla vita quotidiana — si allude alle illustrazioni dei mestieri nelle Arti per via derivate da invenzioni di Annibale10 — si tratta invece un’ Allegoria della povera Pittura, come suggerisce la tavolozza, attributo di quell’arte, gettata a terra in primo piano, che costituisce la chiave per comprendere quest’iconografia intellettuale: la pittura, raffigurata sotto sembianze femminili, avvolta in vesti lacere perché ridotta in cattivo stato dalle avversità della vita, è costretta a cambiare mestiere ed a dedicarsi al commercio di umili oggetti. Il tono moraleggiante, legato alla decadenza dei costumi e della cultura del suo tempo, ben si addice ad un artista-filosofo, quale fu Salvator Rosa: egli tornò altre due volte sullo stesso tema, sia in un disegno alla Royal Library di Windsor11, dove la figura Die Zeichnungen des Gianlorenzo Bernini, Berlin 1931 sono oggi considerati copie da Ann Sutherland Harris (comunicazione orale). 9 Ott. lat. 3113, f. 45: Salvator Rosa, Venditrice di veleni, penna, inchiostro bruno acquerellato su carta avorio, mm 274 × 192. Nel recto sulla scatola del veleno la scritta autografa dell’artista: Per Amazare le Cimici sull’una e Veleno per dar Morte / ai Topi; nel verso analoga scritta autografa: Al Sig. Nicolo Simonelli / Mio Sig.: cfr. PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi cit., pp. 366-68, fig. 6. Su Rosa disegnatore si rinvia all’opera ancora fondamentale di A. MAHONEY, The Drawings of Salvator Rosa, New York 1977, cui si aggiunge il catalogo di U. FISCHER PACE, A. STOLZENBURG e C. VAN TUYLL VAN SEROOSKERKEN, Salvator Rosa, genie der Zeichnung. Studien und Skizzen aus Leipzig und Haarlem, Leipzig – Haarlem, Köln 1999. 10 Celebre è l’esempio della raccolta di stampe Le Arti di Bologna incise da Simon Guillain da disegni di Annibale Carracci (per la questione si rinvia a D. DEGRATIA, Prints and Related Drawings by the Carracci Famil, Washington 1979, pp. 46). 11 A. BLUNT in E. SCHILLING, The German Drawings in the Collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle, and Supplement to the Catalogue of Italian and French Drawings, London 1971, cat. 401, fig. 43; per un altro disegno di Rosa di soggetto analogo, conservato ad Haarlem, Teylers Museum, si veda MAHONEY, The Drawings cit., cat. 24.5, 25.8.

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allegorica della Pittura, derelitta e disprezzata, con la tavolozza buttata a terra in primo piano come nel nostro studio, siede mesta a contemplare le sue sciagure chiedendo la carità, sia in un foglio nella collezione Bonna a Ginevra, dove la stessa donna, molto simile a quella del foglio vaticano, è raffigurata seduta nello studio del pittore in atto di scacciare le mosche dalle tele dipinte12. Non si ritrova un soggetto simile tra i dipinti e le incisioni noti di Rosa, ma è documentato che, tornato a Roma intorno al 164950, egli dipinse per il suo agente Francesco Cordini un quadro di soggetto analogo, raffigurante l’ Allegoria della Filosofia morale oggi in collezione privata, denso di riferimenti moraleggianti, colti e letterari che hanno consentito alla critica di datare a quegli anni i disegni citati sopra13. È quello il periodo in cui l’artista filosofo, che soffrì di una certa frustrazione a Roma anche per il successo riscosso quale pittore di battaglie o paesaggi, mentre aspirava a divenire famoso per i soggetti classici e aulici, si apprestava a scrivere la Satira sulla pittura che avrebbe dovuto sancire il suo status di pittore intellettuale. L’attribuzione a Rosa del foglio vaticano è confermata dalla scritta vergata a penna nel verso del foglio: Al Sig. Nicolo Simonelli / Mio Sig., che allude chiaramente al noto marchant-amateur Niccolò Simonelli (1611 circa – 1671), guardarobiere del cardinal Flavio Chigi, collezionista a sua volta di “disegni li più eccellenti di Giulio Romano, di Polidoro. di Anibale Carracci et de’ migliori artefici, con vario museo d’intagli, gemme antichità e cose peregrine, siccome di varie pitture eccellenti” come dice il Bellori14, e soprattutto amico di pittori quali Mola — fu infatti bersaglio di molte delle sue caricature — e Salvator Rosa, come attesta un altro schizzo ‘caricato’ a lui inviato dallo stesso artista15.

12 Un’ampia analisi del disegno della collezione Bonna, più volte pubblicato, e della tematica della ‘Povera Pittura’ nei disegni di Salvator Rosa è affrontata da W. ROWORTH, ‘Poor Painting’ and the Fortunes of Salvator Rosa, in Salvator Rosa e il suo tempo. 1615-1673, a cura di S. EBERT SCHIFFERER, C. VOLPI, Roma 2010, pp. 125-138. 13 ROWORTH, ‘Poor Painting’ cit., pp. 128-130. 14 (G. P. BELLORI), Note delli Musei, Librerie, Galerie et Ornamenti di Statue e Pitture ne’ Palazzi, nelle Case, e ne’ Giardini di Roma, Roma 1664, p. 52. Sul Simonelli e la sua collezione si veda L. SPEZZAFERRO, Pier Francesco Mola e il mercato artistico romano: atteggiamenti e valutazioni, in Pier Francesco Mola. 1612-1666, cat. mostra Lugano – Roma 1989, pp. 43-49; S. PROSPERI VALENTI RODINÒ, Il disegno per Bellori in L’idea del bello. Viaggio per Roma con Giovan Pietro Bellori, cat. mostra a cura di E. BOREA – C. GASPARRI, Roma 2000, vol. I, pp. 131-39; G. CAPITELLI, “Connoisseurship” al lavoro: la carriera di Nicolò Simonelli (1611-1671), in Quaderni storici 39 (2004), 116, 2, pp. 327-528, 375-401. 15 Sui rapporti di Niccolò Simonelli (1611 circa – 1671) con Mola vedi M. KAHN ROSSI, Pier Francesco Mola e la caricatura, in Pier Francesco Mola cit., pp. 121-133; con Salvator Rosa L. GRASSI, Alcuni disegni di Pier Francesco Mola e il curioso precedente di una tormentosa vi-

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Si può suggerire un’attribuzione certa — ed escludere definitivamente la paternità del Ghezzi — anche per un altro foglio inserito nelle pagine dello stesso codice vaticano, opera dell’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718) (tav. II) in quanto studio preparatorio per l’acquaforte La condanna della ruffiana16 (tav. III), da lui realizzata nel 1696. La scena allude alla nota pena che veniva inflitta nello Stato Pontificio a partire dalla fine del XVI secolo, all’usanza di Spagna, alle ruffiane e meretrici, che consisteva nel condurre per le vie della città la donna su un asino, con un pesante copricapo e frustarla sulla schiena nuda17, come registra lo stesso Mitelli nel margine superiore della sua stampa con la precisione di un cronista, prezioso elemento per la datazione esatta del disegno: La ruffiana è frustata col bel cimiero in testa. In Bologna li 2 giugno 1696. Nonostante le numerose varianti, il riferimento all’incisione è sicuro e le differenze sono fondamentali per escludere che sia una derivazione o una copia: si tratta infatti di un primo studio, realizzato nello stesso senso e non in controparte, come di consueto per studi analoghi destinati alla traduzione grafica, che focalizza le tre figure in primo piano, protagoniste assolute della scena — la ruffiana a cavallo dell’asino, il banditore che precede la cavalcatura e l’altro che la segue — lasciando più in ombra le figure del pubblico sullo sfondo, veri spettatori di una scena da Commedia dell’arte. Nella trasposizione incisa invece, l’artista mette il pubblico sullo stesso piano dei tre personaggi principali, inserendo anche una maschera di Arlecchino, anch’essa citazione presa a prestito dal repertorio della Commedia dell’arte, con il risultato di una sovrapposizione confusa; pone un buffo copricapo in testa alla ruffiana, che raffigura con le mani legate dietro la schiena, mentre nel nostro foglio, dove sembra trattarsi addirittura di un uomo, incede più liberamente sull’asino. Oltre all’inequivocabile riferimento con la stampa, la nostra attribuzione si basa anche sulle affinità stilistiche tra il nostro foglio e i numerosi disegni noti del Mitelli, anche se questi utilizzò per lo più la matita rossa e più raramente la penna come nel nostro studio: si cenda, in Scritti in onore di Giuliano Briganti, a cura di M. BONA CASTELLOTTI – L. LAUREATI, Milano 1990, pp. 205-218. 16 Ott. lat. 3113, f. 46: penna e acquerello bruno su carta bianca, mm 202 × 267: PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi cit., pp. 364-65, fig. 3. La stampa è pubblicata da A. BERTARELLI, Le incisioni di Giuseppe Maria Mitelli, Milano 1940, cat. 329, fig. p. 61 e F. VARIGNANA, Giuseppe Maria Mitelli. I. Le incisioni. Le collezioni d’arte della Cassa di Risparmio di Bologna, Bologna 1978, cat. 433. 17 Per questa pena si veda Avviso del 18 aprile 1592, Urb. lat. 1060, citato in R. BASSANI – F. BELLINI, Caravaggio assassino. La carriera di un “valenthuomo” fazioso nella Roma della Controriforma, Roma 1994, pp. 53 e 54. Si tratta di una pena inflitta nello Stato Pontificio, e non di un episodio avvenuto, come ipotizzato da VARIGNANA, Giuseppe Maria Mitelli cit., p. 383.

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vedano per confronto alcune scene di vita cittadina vivacemente descritte nelle pagine dei due volumetti all’Archiginnasio a Bologna, o il taccuino con le carte da gioco alla Biblioteca Reale di Torino, o ancora l’album con allegorie di vizi e virtù venduto a Londra nel 1973, che presentano tutti lo stesso ductus semplificato nella resa dei personaggi popolari ancora di tradizione carraccesca18. Tra i pochi disegni del Mitelli realizzati a penna ed acquerello, tra i quali citiamo lo studio per l’incisione La Compagnia dei ruinati al British Museum19, il foglio vaticano si segnala come uno dei più alti in base alla qualità per il segno fluido del lavis ed il tratto lieve della penna, solitamente più secco nella grafica dell’artista, che qui si avvicina alla delicatezza del Canuti. Lo stesso soggetto è raffigurato anche nel foglio successivo del volume20 (tav. IV) — forse lì inserito dal Ghezzi in base all’affinità tematica con il precedente — caratterizzato da uno stile forte e marcato e da una tecnica assai pittorica di gusto neoveneto alla Mola, dove il tratto greve della penna, a ricalco della sanguigna, e l’acquerello sono fissati sulla carta quasi con una violenza grafica che richiama studi analoghi del Guercino. L’interpretazione caustica del tema ed il modo grottesco di affrontarlo, anch’essi di derivazione guercinesca, ben visibili nell’espressione grifagna dei volti del tutto contraria alla raffigurazione bonaria dei difetti umani fornita dal Mitelli, ci riportano in ambito bolognese e suggeriscono il nome di Giovanni Antonio Burrini (1656-1727), un artista che si dilettò a produrre scenette caricaturali in disegno21. Avvalora quest’ipotesi attributiva il confronto con le caricature e le scene di genere di questo pittore bolognese, quali Due uomini che discutono nel The Pennsylvania Academy of the Fine Arts a Philadelphia e soprattutto gli schizzi di varie figure nella Biblioteca 18 Figlio del più celebre Agostino, Mitelli è assai più studiato come incisore che come pittore/disegnatore: per un esame approfondito della sua attività completa resta ancora valida l’analisi accurata di VARIGNANA, Giuseppe Maria Mitelli cit., pp. IX-XLVIII, che lo riscatta dalla lettura ridanciana e popolare, inserendolo a pieno nel contesto storico del suo tempo. Per un riesame dei suoi disegni si veda A. FORATTI, Gio. Maria Mitelli e i suoi disegni inediti all’Archiginnasio di Bologna, Bologna 1914 e F. VARALLO, Un taccuino di disegni inediti di Giuseppe Maria Mitelli, in Da Leonardo a Rembrandt. Disegni della Biblioteca Reale di Torino, Atti del Convegno Internazionale di studi, a cura di G. C. SCIOLLA, Torino 1991, pp. 302-309. Il taccuino con allegorie è stato venduto da Sotheby’s, London 22.3.1973, cat. 39. 19 N. TURNER, Italian Baroque Drawings, London 1980, cat. 49. 20 Ott. lat. 3113, f. 47: sanguigna, penna, inchiostro bruno acquerellato su carta bianca, mm 200 × 273. Nello stendardo retto dal fanciullo si legge la scritta: questo il fin / sia per ladra / putana rofiana: PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi cit., pp. 365-66, fig. 5. 21 Per il Burrini disegnatore i contributi fondamentali sono: M. CAZORT – C. JOHSTON, Bolognese Drawings in North American Collections. 1500-1800, catalogo della mostra Ottawa 1982, cat. 82-84; A. CZÉRE, Disegni di artisti bolognesi nel Museo delle Belle Arti di Budapest, Bologna 1989, cat. 61-65; E. RICCOMINI, Giovanni Antonio Burrini, Bologna 1999, pp. 217-245.

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Comunale di Forlì22, tutte caratterizzate da un segno largo della penna e da una pesante acquerellatura. Anche da un punto di vista stilistico si riscontrano numerose affinità con altri fogli del Burrini di soggetto sacro23, nella definizione delle figure, nella tipologia dei volti, nella tecnica assi coloristica che sovrappone l’ inchiostro bruno acquerellato alla sanguigna, anche se la differenza del soggetto raffigurato — da una parte pietistica e devozionale e dall’altra sarcastica e corrosiva — determina ovviamente una radicale diversa espressione. Non è certamente di Ghezzi un’altra caricatura seicentesca, inserita nello stesso volume, di un cavaliere ben panciuto (tav. V), decorato di fascia e di collare, colto in posa tronfia ed arrogante, che sembra fare un gesto osceno con la mano destra. Lo schizzo è realizzato di getto con pochi tratti incisivi a matita rossa, appena più fitti nel volto, dove la matita si sofferma ad alterare i tratti umani in sembianze animalesche, secondo una consueta deformazione tipica della fisiognomica sin dall’antichità24. L’attribuzione più sostenibile per questa vivace figura mi sembra quella di Carlo Maratti (1625-1713), il più noto pittore classicista del tardo Seicento a Roma, in base a confronti stilistici con le sue caricature conservate al British Museum, al Museo Horne di Firenze e soprattutto all’Accademia di San Fernando a Madrid25, tutte realizzate a sanguigna e caratterizzate da un’analoga interpretazione del soggetto. L’artista infatti recuperò la tradizione di esponenti seicenteschi del classicismo — in particolare Annibale Carracci e Domenichino — che caratterizzavano in modo accentuato difetti della figura umana in studi dai quali emerge non tanto la caricatura di personaggi reali, quanto piuttosto la messa a fuoco di una tipologia uomo/ 22 CAZORT – JOHSTON, Bolognese Drawings cit., cat. 83-84 e p.122; RICCOMINI, Giovanni Antonio cit., cat. 26-31, figg. 122-127. 23 Ibid., cat. 17-23, figg. 113-119. 24 F. CAROLI, Storia della Fisiognomica. Arte e psicologia da Leonardo a Freud, Milano 1995. Il disegno è conservato in Ott. lat. 3113, f. 48: matita rossa su carta bianca, mm 230 × 187: PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi cit., pp. 364, fig. 2. 25 Le caricature di Maratti al British Museum (N. TURNER, Italian Baroque Drawings, London 1980, cat. 197, 198, 204-209) raffigurano un Papa e sei cardinali (forse Clemente IX con il suo seguito) e vari personaggi tra i quali abbiamo identificato Carlo Galliani e Sebastiano Resta (cfr. PROSPERI VALENTI RODINÒ, La caricatura a Roma cit., pp. 263-65, figg. 3-4), mentre i numerosi fogli conservati a Madrid sono più generici nei tratti, ma solo pochi ne sono stati pubblicati da A. PEREZ SANCHEZ, I grandi disegni italiani nelle collezioni di Madrid, Milano 1977, cat. 50 e M. MENA MARQUES, Dibujos Italianos de los siglos XVII y XVIII en la Biblioteca Nacional, Madrid 1984, cat. 209. Tra i disegni nello stesso volume si può riferite all’ambito di Maratti anche un altro ‘Studio di teste caricate’ (Ott. lat. 3113, f. 120, penna, inchiostro bruno su carta bianca, mm 202 × 277) per le evidenti analogie di stile e dei personaggi raffigurati nelle caricature di Maratti al British.

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animale. Nel foglio vaticano infatti, il volto cagnesco ben si addiceva ad un comandante o ufficiale delle guardie, come sembrano suggerire i particolari dell’abbigliamento. Si tratta di una sorta di messa in evidenza del ‘brutto ideale’ da contrapporre al ‘bello ideale’ perseguito nelle opere dipinte, che, colto nei vari aspetti della vita quotidiana, viene affidato a disegni a carattere decisamente non formale. Nella definizione di Maratti disegnatore ormai ben chiarita dagli studi, manca ancora un’analisi della sua attività di caricaturista, che occupa un posto non secondario nella sua produzione grafica e che, una volta indagata, porterà a ripercorrere necessariamente la storia di questo genere nel Seicento romano, ritenuto sinora per lo più appannaggio di Bernini e dei suoi seguaci26. Le caricature più interessanti fra quelle non autografe del Ghezzi presenti nel volume Ott. lat. 3113, sono senza dubbio i due studi incollati sulla stessa pagina raffiguranti la Predica di un padre teatino (tav. VI a, b), che in base allo stile si possono attribuire al pittore lombardo Pier Francesco Mola (1612–1666), ben noto a Roma per la sua abilità in questo particolare genere grafico27. Potrebbe costituire una conferma dell’attribuzione la scritta antica vergata sulla destra nel secondo schizzo All.mo (o Obl.mo?) amico / Pietro fran:co mola. Oltre ad una stretta corrispondenza stilistica con altri studi analoghi di Mola — citiamo quali confronti grafici e calligrafici Studio di artista al Metropolitan di New York, Addio speranze al British Museum ed Esperti che osservano un quadro nella collezione Oppè in Inghilterra28 — i disegni possiedono lo spirito acutamente corrosivo tipico delle caricature dell’artista, che nelle sue scenette satiriche prendeva spesso di mira personaggi dell’ambiente religioso romano per metterli in ridicolo29. In entrambi troviamo l’immagine vivissima di un predicatore 26 Era quanto avanzava Perez Sanchez (I grandi disegni cit., cat. 50) per i fogli di Madrid, ribadito in seguito dalla scrivente: PROSPERI VALENTI RODINÒ, La caricatura a Roma cit., pp. 257-282. 27 Ott. lat. 3113, f. 123a (disegno superiore): penna, inchiostro bruno acquerellato su carta bianca incollato sul volume, mm 150 × 210; f. 123b (disegno inferiore): penna, acquerello bruno su carta bianca incollata sul volume, mm 165 × 198. Sulla destra la scritta antica (autografa) All.mo (o Obl.mo?) amico / Pietro fran:co mola. Cfr. PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi cit., pp. 363-64, fig. 1. 28 Cfr. N. TURNER in Pier Francesco Mola. 1612-1666. I disegni cit., cat. III. 100, 104, 109. 29 Nella mostra del Mola citata, l’unico caso di soggetto caricaturale di ecclesiastici era costituito dalla Cena di frati del Teylers Museum di Haarlem (cfr. ibid., cat. III.99), perché la mostra privilegiava le caricature di Mola raffiguranti il Simonelli, tralasciando altri esempi grafici dell’artista dove invece veniva messo in ridicolo l’ambiente ecclesiastico. Su Mola caricaturista il contributo più valido rimane ancora quello di ROSSI KAHN in Pier Francesco Mola cit., pp. 121-133; nella recente monografia di F. PETRUCCI, Pier Francesco Mola (1612-1666). Materia e colore nella pittura del ‘600, Roma 2012, pp. 202-211, l’attività di caricaturista è

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pieno di foga, identificabile in base all’abito in un padre teatino, che in preda a fanatismo religioso in uno brandisce un crocifisso mentre nell’altro una croce ben più grande è portata da un accolito, che sembra impartire una predica a giudei, come era pratica durante la quaresima. Lo stesso personaggio si ritrova in un’altra caricatura dell’artista, oggi conservata a Darmstadt, dove è raffigurato in ginocchio davanti ai confratelli, sempre con il crocifisso, mentre si fustiga per penitenza, di notte alla luce di una lanterna30. Purtroppo ignoriamo l’identità di questo predicatore, che doveva essere ben noto ai tempi del Mola se ritorna in più fogli. Entrambi gli schizzi del codice vaticano presentano le forzature deformanti proprie del modo di render il ridicolo del Mola, nei volti ridotti a maschere, nei piedi e nelle dita allungati fuori misura, nelle sagome abbreviate e corsive, antiaccademiche, che possiedono la carica espressiva caratteristica della grafica dell’artista31. Più complessa l’attribuzione di un altro disegno caricato (tav. VII)32, più volte pubblicato come autografo del Ghezzi, assai noto anche grazie all’importanza del personaggio raffigurato. Si tratta infatti del soprano pontifiappena accennata (non mi sembra comunque di mano dell’artista la fig. 155, opera di un più tardo imitatore), mentre ha trovato ampio spazio nel recente volume di A. DE MARCHI, Mola. Il disegno e la pittura. Psicologia e filologia a confronto, Milano 2013. 30 Darmstadt, Hessisches Landesmuseum, inv. AE 1800. Il disegno è inedito. 31 Ann Sutherland Harris ha sollevato dubbi sull’autografia di Mola nel primo foglio, che vorrebbe spostare ad un imitatore contemporaneo, mentre sono d’accordo sull’autografia al Mola Dieter Graf, Andrea Czère e Ursula Fischer Pace. Forse sono da ricondurre al Mola anche altri due piccoli studi di teste, ritagliate ed incollate sulle pagine successive del volume (Ott. lat. 3113, ff. 126d, 127b), ma le dimensioni troppo ridotte non ne consentono una lettura agevole e quindi un’attribuzione sicura. I due fogli qui illustrati non erano sfuggiti a studiosi precedenti: W.R. JUYNBOLL (Het komische Genre in de Italiaansche Schilderkunst gedurende de Zeventiende en de Achttiende eeuw Bijdrage tot de geschiedenis van der caricatuur, Leida 1934, p. 127) che li analizza per primo, riteneva che essi fossero copie fatte dal Ghezzi da disegni più antichi e, interrogandosi su chi potesse essere l’amico del Mola autore del primo disegno, arrivava alla conclusione che fosse Pietro Testa sulla base dell’esistenza di una caricatura del Mola raffigurante questo artista conservata nel Museo Fabre di Montpellier. Il Bodart (BODART, Disegni giovanili cit., pp. 142 e 147, nt. 13) invece non accettava l’attribuzione al Mola di questi due fogli, che riteneva opere giovanili del Ghezzi, pur evidenziando l’eccezionalità di tale tipologia nel catalogo dell’artista. Come abbiamo già evidenziato (cfr. PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi cit., nt. 6, p. 370), quest’errore deriva dalla confusione generata dallo stesso Bodart sull’attività giovanile di Ghezzi caricaturista, in quanto lo studioso ritiene autografi di Ghezzi, e databili agli anni giovanili, una serie di fogli che sono invece opera di un falsificatore più tardo, ormai già ben individuato dalla critica (sull’argomento cfr. ibid.). 32 Ott. lat. 3113, f. 127: penna e acquerello bruno su carta bianca, mm 115 × 195; in basso la scritta a penna apposta dal Ghezzi Signor Bonaventura Argenti musico del cardinale Ghigi; è musico di cappella giubilato. Per la bibliografia si rinvia a ROSTIROLLA, Il ‘Mondo nuovo’ cit., cat. 377, pp. 437-39, come probabile opera giovanile di Ghezzi, e bibl. precedente del disegno.

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cio Bonaventura Argenti (1620 ca. – 1697)33, celebre musico della Cappella Pontificia — virtuoso del principe Camillo Pamphilj, di sua moglie Olimpia Aldobrandini e del cardinal Chigi, attivo nel teatro dei Barberini per il cardinal Giulio Rospigliosi — che fu amico del Mola, secondo l’attendibile testimonianza del biografo Pascoli, ed appassionato collezionista di dipinti dei più interessanti artisti attivi a Roma intorno alla metà del XVII secolo, tra i quali lo stesso Mola, Salvator Rosa, Baciccia, Giovan Battista Pace, Bonati e molti altri. L’attribuzione al Mola, qui proposta per la prima volta e con cautela, si basa su dati stilistici, oltre che cronologici: il disegno infatti va datato necessariamente entro il 1697 ed a quella data Pier Leone, nato nel 1674, era forse troppo giovane per realizzare una caricatura così acuta ed irriverente di un personaggio tanto in vista quanto l’Argenti. Invece è tipico della verve grafica del Mola la fluidità del segno, l’acquerellatura a macchia, ma soprattutto la deformazione esagerata di alcuni particolari anatomici finalizzata ad evidenziare gli aspetti emergenti del personaggio caricato, allo scopo di renderlo ridicolo: è il caso della mano gigantesca, posta a sorreggere lo spartito, e della bocca allargata a dismisura, come per trasmette visivamente l’ampiezza e la sonorità degli acuti del cantante. Ma ancor più dello stile, può costituire una conferma all’attribuzione l’amicizia esistente tra i due, Mola ed Argenti, documentata dalle fonti34, nonché dalla presenza nella collezione del cantante di varie tele del pittore: è più che probabile perciò che l’artista, come era sua abitudine, si sia dilettato di ritrarre in caricatura il suo amico e familiare, come fece con Niccolò Simonelli secondo la convincente ricostruzione della Rossi Kahn, e con altri personaggi con i quali era solito aver rapporti di consuetudine e familiarità35. Nel volume si trovano anche altre caricature sicuramente non di Ghezzi sulle quali non possiamo soffermarci, alcune di sole teste, di piccolo formato e ritagliate, ed altre più grandi, con scenette satiriche, non tutte della 33 Per notizie su questo importante protagonista del mondo musicale della Roma del Seicento si rinvia a Ibid., pp. 437-39 e S. BRUNO, Musici e pittori tra Firenze e Roma nel secondo quarto del Seicento in Studi secenteschi 49 (2008), pp. 185-217; per la sua collezione, che poco prima di morire, volle mettere in vendita a beneficio degli Oratoriani dopo averla fatta stimare da Giuseppe Ghezzi, il più noto esperto in materia si veda G. DE MARCHI, Mostre di quadri a S. Salvatore in Lauro (1682-1725). Stime di collezioni romane. Note e appunti di Giuseppe Ghezzi, Roma 1987, pp. 380-401, F. GASPARI, La musica e i quadri: Bonaventura Argenti, in Bollettino d’arte 93 (2008), 143, pp. 129-142. 34 L. PASCOLI, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, ed. Perugia 1992, pp. 188, 193: Vita di P. Mola, a cura di LANZETTA – PETRUCCI, Pier Francesco Mola cit., p. 132. 35 Cfr. ROSSI KAHN in Pier Francesco Mola cit., pp. 121-133; N. TURNER, Mola’s caricature portrait of the Genoese collector and dealer Gerolamo Panesi, in Master Drawings 47 (2009), pp. 516-519.

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stessa mano ma per la maggior parte riferibili ad un ignoto imitatore di Mola e databili alla seconda metà del secolo: si veda ad esempio il foglio con alcune teste di prelati prevalentemente di profilo e fortemente deformate36, una scena di vita conventuale e tre gentiluomini con buffi cappellacci, avvolti in ampi mantelli e caratterizzati da lunghi piedi squadrati (tav. VIII)37, del tutto analoghi a certe figure frettolosamente schizzate da Mola, ma senza la verve dei fogli autografi dell’artista. D’altronde che Mola abbia avuto numerosi imitatori e seguaci — se non veri e propri allievi, quali Boncore, Bonati, Giovan Battista Pace — è noto dalle fonti, anche se non riportano che essi si siano dilettati in questo particolare genere grafico. La presenza di questi schizzi a penna documentano che a Roma nel Seicento vi fu una notevole produzione di caricature da parte di numerosi artisti ancora per la maggior parte da individuare tra quelli citati nelle fonti e nei documenti. Si può, quale esempio, far riferimento a Pietro de’ Rossi e Pietro de Gobbi, entrambi citati nell’Archivio Chigi come autori di quadri “con personaggi ridicolosi”38 oggi non rintracciati: a differenza del secondo, ancora del tutto sconosciuto, di Pietro de’ Rossi invece Richard Hemphill ha individuato al Victoria and Albert Museum ed alla Biblioteca Nacional di Madrid una serie di scenette umoristiche ispirate alla Commedia dell’arte e tradotte in incisioni dal Mitelli, che, insieme ad un nucleo analogo al British Museum39, ha consentito di definire ormai chiaramente stile, tipologie e caratteristiche della grafica di questo dimenticato pittore, di cui non vi è presenza tra i fogli del volume vaticano. Un altro artista ben individuato dalla critica, che si dilettò in quegli anni a Roma nella caricatura, è lo scultore berniniano Angelo Maria de’ Rossi40, 36 Ott. lat. 3113, f. 120a: PROSPERI VALENTI RODINÒ, Di Ghezzi ma non del Ghezzi cit., p. 368, fig. 7. 37 Ott. lat. 3113, f. 44: recto, caricatura di tre figure maschili con cappello e mantelli; verso, due figure maschili affrontate; penna, inchiostro bruno, mm 280 × 204, incollato a bandiera sulla pagina 44 del volume. Nel volume vi sono anche altre caricature riconducibili ad un anonimo imitatore di Mola: ff. 120a, b; 124a, b. 38 V. GOLZIO, Documenti artistici sul Seicento nell’archivio Chigi, Roma 1939, pp. 151-156. 39 R. HEMPHILL, Comic Drawings by Piero de’ Rossi Etched by Giuseppe Maria Mitelli, in Master Drawings 24 (1996), 3, pp. 279-291. I disegni del British Museum (ibid., fig. 12, nt. 20) sono incollati su un volume insieme a molte caricature di Ghezzi: in analogia con i volumi conservati alla BAV, è molto probabile che anche questo volume appartenesse allo stesso collezionista, che vi riunì disegni suoi e di altri artisti-caricaturisti proprio come fece nel tomo vaticano. 40 Su Angelo de’ Rossi caricaturista vedi A. SUTHERLAND HARRIS, Angelo de’ Rossi, Bernini and the art of caricature, in Master Drawings 13 (1975), pp. 158-160; M. MENA MARQUÉS, Disegni italiani dei secoli XVII e XVIII della Biblioteca Nazionale di Madrid, Milano – Bologna – Roma 1988, cat. 79-80; ed infine H. N. FRANZ DUHME, Zum Reliefstil von Angelo de’ Rossi, in Jahrbuch der Berliner Museen 29-30 (1987-1988), pp. 218-234. Alle sue caricature note, divise tra Madrid, Berlino, Chicago pubblicate nei saggi citati sopra, va aggiunta un’altra

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caratterizzato, sull’esempio del maestro, da un segno essenziale, incisivo e graffiante, persino esagerato nel definire sagome allungate a dismisura di prelati e nobili. Non è da escludere possa essere suo lo schizzo veloce di due figure e di un profilo (tav. IX), una femminile grassoccia e ridicola nella sua acconciatura ed un prelato alto e magrissimo, sepolto sotto un ampio cappello e ridotto quasi ad una sagoma filiforme, inserito dal Ghezzi in un altro volume del suo Mondo nuovo41, che nella libertà di approccio irriverente presentano molti punti di contatto con i fogli dell’artista a Chicago, Madrid e Berlino. Il biografo Leone Pascoli racconta che compagno di Angelo de’ Rossi nel far caricature fu il pittore Francesco Trevisani42, noto soltanto per la sua vasta produzione di soggetti religiosi, arcadici e ritratti, mentre nessun foglio caricato a lui attribuito è giunto sino a noi. In conclusione, se per i disegni illustrati sopra si possono avanzare attribuzioni credibili in alternativa a quelle inventariali che li riferiva tutti indistintamente al Ghezzi, altri ne restano per i quali permangono incertezze attributive: in mancanza di elementi certi relativi sia allo stile che ai soggetti raffigurati, preferiamo non avanzare nessuna ulteriore ipotesi, memori di quanto già affermava Wittkover a proposito delle caricature dei Carracci: “The attribution of caricatures with their often purposely childlike technique, is more difficult than any other class of drawings”43. Non va comunque trascurata l’ipotesi, per alcuni dei fogli nei volumi Ottoboniani, che il giovane Pier Leone, cresciuto sotto l’ala del padre Giuseppe proprietario di una ricca collezione di disegni, possa avere eseguito per diletto caricature à la manière de imitando i grandi maestri di tal genere, in particolare Agostino Carracci, Guercino e Mola. Che il Ghezzi si esercitasse a copiare caricature di altri artisti è attestato, infatti, da un ritratto caricato del celebre Padre Oliva, generale dei Gesuiti e confessore del Bernini, che egli stesso nella glossa sottostante confessa di aver copiato da uno schizzo di Ciro Ferri44. “Caricatura della Signora Bianca”, Torino, Biblioteca Nazionale, vol. 59-4, n. 42, segnalata da M. CONFORTI, Letter, in Master Drawings 14 (1976), p. 67, un’altra caricatura a Berlino, Kuperstichabinett da aggiungere a quelle note, nell’album 79 D 32 a, forse dalla collezione Ghezzi: inv. 12927. 41 Si tratta del volume Ott. lat. 3116, f. 100 (penna, inchiostro bruno su carta bianca, mm 270 × 160), foglio che difatti non presenta scritte di Ghezzi sul personaggio e sull’autore. In quel volume non sono sicuramente di Ghezzi anche la caricatura di un ubriacone (f. II, matita rossa) e f. 190 verso, raffigurante ‘Donna che fa le pulizie’, di anonimo autore romano della fine del XVII secolo. 42 L. PASCOLI, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, Perugia 1992, p. 378. 43 R. WITTKOWER, The Drawings of the Carracci in the Collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle, London 1952, p. 123. 44 Ott. lat. 3116, f. 68: scritta di P. L. Ghezzi “Il P. Oliva Gesuita fatto da mé Cav. Ghezzi il dì 28 maggio 1728 e lo copiai da uno schizzo del S.r Ciro Ferri”.

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Tav. I – Salvator Rosa, La venditrice di veleni per uccidere insetti o Allegoria della povera Pittura. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 3113, f. 45.

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Tav. II – Giuseppe Maria Mitelli, La condanna della ruffiana. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 3113, f. 46.

Tav. III – Giuseppe Maria Mitelli, La condanna della ruffiana, incisione, Bologna, Archiginnasio.

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Tav. IV – Giovannni Antonio Burrini, La condanna della ruffiana. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 3113, f. 47.

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Tav. V – Carlo Maratti, Caricatura di un cavaliere. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 3113, f. 48.

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Tav. VIa, b – Pier Francesco Mola, Predica di un prelato, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 3113, f. 123.

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Tav. VII – Pier Francesco Mola, Caricatura del soprano Bonaventura Argenti, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana. Ott. lat. 3113, f. 127.

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Tav. VIII – Imitatore di Mola, seconda metà secolo XVII, Studio caricaturale di tre figure stanti, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 3113, f. 44.

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Tav. IX – Angelo Maria de’ Rossi?, Caricatura di donna, di prelato con gran cappello e profilo, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 3116, f. 100.

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ANDREINA RITA

LA VERSIONE LATINA DI CRISTOFORO PERSONA DEL CONTRA CELSUM DI ORIGENE NELL’ESEMPLARE DELLA VATICANA DI SISTO IV* Che la Vaticana del Platina e di Sisto IV sia stata una raccolta di manoscritti è cosa ormai nota. Gli studi, e soprattutto le fonti, hanno infatti dimostrato che in quegli anni la collezione della Bibliotheca Palatii, così come descritta negli inventari, era costituita da codici, tranne pochissime eccezioni1. E questo nonostante il contributo offerto da importanti prelati di curia all’introduzione e alla diffusione in ambito romano della nuova ars typographica. Primo fra molti, il bibliotecario Giovanni Andrea Bussi2, vescovo di Aleria, che si fece parte attiva — già dal 1468 — nell’impresa dei due prototipografi maguntini, Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz, fondatori a Subiaco, e poi a Roma, della prima tipografia stabile d’Italia. Un vasto corpus di testi classici uscì dai loro torchi romani; testi collazionati, corretti e tradotti su più testimoni manoscritti e in qualche caso su esemplari a stampa, spesso per opera dello stesso Bussi3 che, probabil* Grazie al Prefetto, mons. Cesare Pasini, per lettura e suggerimenti, e al dottor Ambrogio M. Piazzoni, per la pazienza dimostratami. Ringrazio anche l’amico Antonio Manfredi per il costante e costruttivo confronto. 1 Per la storia della Biblioteca Vaticana nell’ultimo quarto del Quattrocento, cfr. Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a c. di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1). 2 Nonostante il più volte dichiarato sostegno alla rinascita della raccolta papale, come risulta dalle prefazioni delle edizioni a stampa da lui curate, non sembra vi siano state ricadute concrete della sua attività di tipografo nella Bibliotheca Palatii, di cui si occupò tra il 1471 e il 1475. Per il ruolo di bibliotecario svolto nella Vaticana delle origini, specificamente A. MANFREDI, La nascita della Vaticana in età umanistica: da Niccolò V a Sisto IV, in Le origini della Biblioteca Vaticana cit., ad indicem e nello stesso articolo la Scheda 16 a firma di W.J. SHEEHAN (p. 205), con alcune rettifiche riguardo agli esemplari indicati come propri del Bussi secondo quanto tracciato sui volumi da una coeva mano umanistica. Tuttavia questi non possono essergli appartenuti per ragioni cronologiche, essendo stati stampati dopo la sua morte; in sintesi anche ID., Schede 8 e 9, in A. DI SANTE, La Biblioteca rinascimentale attraverso i suoi inventari, ibid., pp. 329-330. Per una sintesi bio-bibliografica sul personaggio: M. MIGLIO, Bussi, Giovanni Andrea, in Dizionario biografico degli italiani, XV, Roma 1972, pp. 565-572; anche G.A. BUSSI, Le prefazioni alle edizioni di Sweynheym e Pannartz prototipografi romani, a c. di M. MIGLIO, Milano 1978 (Documenti sulle arti del libro, 12). 3 Ibid. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 679-694.

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mente dall’autunno 1471, ricevette anche l’incarico di segretario personale di Sisto IV e di bibliothecarius4. Tuttavia, nonostante l’impegno del dotto umanista in ambito tipografico e il ruolo che egli ricoprì nella Bibliotheca Palatii, la Vaticana delle origini, nell’Index topografico della stessa, datato al 1481 e noto in due testimoni, uno dipendente dall’altro e poi stratificati singolarmente5, si trovano esplicitamente descritte come impressae soltanto cinque opere6. Tre di esse sono state finora individuate negli esemplari presenti nella collezione vaticana di fine Quattrocento e tuttora conservati nella Biblioteca pontificia. Mancano, per così dire all’appello, il testimone della Defensio Platonis, opera filosofica del cardinal Bessarione — stampata un’unica volta nel Quattrocento7 a Roma dai due chierici maguntini — assente già nell’inventario allestito tra il 1518 e il 1521, durante il pontificato di Leone X — e il Contra Celsum di Origene, nella versione latina di Cristoforo Persona. Il Persona è figura nota, ma solo in parte, agli studi sull’Umanesimo romano8: originario dell’Urbe e di nobile casato, era monaco dell’Ordine dei Guglielmiti e familiare del dotto e influente cardinale Isidoro di Kiev, greco di lingua e di cultura, ma di origine rutena, che fu sostenitore dell’unione tra cattolici e ortodossi e fu uno principali mediatori tra papato e patriarcato9. Grazie a lui, nel 1456 il Persona ottenne da Calisto III la carica remunerata di priore del monastero di Santa Balbina sull’Aventino10. 4

MANFREDI, La nascita della Vaticana in età umanistica cit., p. 202. L’allestimento dell’Index, che attesta la riorganizzazione della collezione effettuata dal Platina, fu terminato dopo la morte del bibliotecario. Venne redatto in due copie, secondo quella che, sulla base dei testimoni sopravvissuti, sembrerebbe essere una consuetudine: una di dedica — Vat. lat. 3947 — e l’altra d’uso — Vat. lat. 3952 — utilizzata per lungo tempo dal bibliotecario e dai custodes per la gestione della raccolta, cfr. DI SANTE, La Biblioteca rinascimentale cit., pp. 311-328. 6 Sulla questione M. BERTÒLA, Incunaboli esistenti nella Biblioteca Vaticana durante il secolo XV, in Miscellanea Giovanni Mercati, VI, Città del Vaticano 1946 (Studi e testi, 126), pp. 398-408 e più recentemente DI SANTE, La Biblioteca rinascimentale cit., pp. 328-336, e A. RITA, La Vaticana di Sisto IV fra libri tipografici e libri manoscritti. Alcune ipotesi di ricerca, in La stampa romana nella Roma dei papi e in Europa, a c. di C. DONDI – M. VENIER – A. ROTH (Studi e testi), in preparazione. 7 Incunabula Short Title Catalogue (d’ora in poi: ISTC): ib00518000 (Roma, prima del 28 agosto 1469). 8 Per una nota biografica con precedente sintesi bibliografica cfr. A. RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento, in Le origini della Biblioteca Vaticana cit., pp. 239-247; anche A. VILLANI, Cristoforo Persona et la première traduction en latin du Contre Celse d’Origène, in Lire les Pères de l’Église entre la Renaissance et la Réforme. Six contributions éditées par A. VILLANI, avec une préface de B. POUDERON, Paris 2013, pp. 22-24. 9 Per i suoi libri passati alla Vaticana, cfr. MANFREDI, La nascita della Vaticana in età umanistica cit., ad indicem. 10 Il Ruteno rinunciò al beneficio, ma si riservò il diritto di abitare nel monastero. La 5

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Perfettamente inserito in curia, il monaco guglielmita è ricordato come traduttore di autori cristiani11 e come esperto conoscitore di greco, lingua che possedeva con grande padronanza, o per essere vissuto per un periodo in Oriente o per formazione — fu probabilmente allievo di Giorgio Gemisto Pletone12 — e che continuò a coltivare, frequentando gli ambienti curiali legati alla riscoperta della cultura greca, e in particolare, prima la casa del Ruteno, e quindi anche la sua imponente biblioteca, poi il cenacolo culturale raccolto intorno all’influente cardinal Marco Barbo, al quale si era legato già dall’inizio degli anni ’7013, dopo la morte (nel 1463) del suo primo e potente protettore. Questa scelta, in anni allora critici per il dibattito pomponiano, lo pone accanto alla cerchia di prelati sostenitori di Paolo II Barbo. È probabile, anche se ancora non attestato da documenti, che le competenze linguistiche del Persona furono in seguito messe al servizio di papa della Rovere, che tra l’altro gli concesse una rendita di 500 ducati su benefici vacabili in Sicilia, riconfermata nel marzo del 148314. Soltanto dopo la morte di Sisto IV, il Persona ebbe un ruolo ufficiale nella curia pontificia: nel novembre 1484, fu formalmente nominato bibliothecarius15 da Innocenzo VIII Cibo, altro suo antico protettore16. Di fatto aveva già preso possesso della Bibliotheca Palatii il precedente 29 settembre, ricevendone le chiavi da un funzionario della Camera Apostolica17. Ricoprì l’incarico per pochissimo tempo: infatti morì di peste al termine dell’anno rendita connessa al priorato, poi passata al Persona, consisteva in 130 fiorini d’oro di Camera annui: P. PASCHINI, Un ellenista romano del Quattrocento e la sua famiglia, in Atti dell’Accademia degli Arcadi e scritti dei soci 21 (1939-1940), pp. 45-56: 47. 11 L. MARTINOLI SANTINI, Le traduzioni dal greco, in Un pontificato ed una città. Sisto IV (1471-1484). Atti del convegno, Roma, 3-7 dicembre 1984, a c. di M. MIGLIO – F. NIUTTA, D. QUAGLIONI – C. RANIERI, Città del Vaticano 1986 (Littera antiqua, 5), pp. 95-96, nt. 44. 12 Cfr. J. HANKINS, Cosimo de’ Medici and the Platonic Academy, in Journal of the Warburg and Courtauld institutes 53 (1990), p. 158; P.B. ROSSI, Diligenter notare, pie intelligere, reverenter exponere: i teologi medievali lettori e fruitori dei Padri, in Leggere i Padri tra passato e presente. Atti del Convegno internazionale di studi (Cremona, 21-22 novembre 2008), a c. di M. CORTESI, p. 62 nt. 67. 13 Risale a quegli anni la dedica al Barbo dell’edizione a stampa (ISTC: ij00300000) dei Sermones morales di Giovanni Crisostomo, nella versione latina a firma del Persona, sulla quale cfr. RITA, Per la storia della Vaticana cit., pp. 241, 246, con indicazioni bibliografiche. 14 PASCHINI, Un ellenista romano del Quattrocento cit., p. 47. 15 Per il documento di nomina M.G. CERRI, I documenti pontifici per la nuova istituzione, in Le origini della Biblioteca Vaticana cit., p. 375. 16 RITA, Per la storia della Vaticana cit., p. 241. 17 L’atto di presa di possesso del Persona è trasmesso dal Vat. lat. 3952, f. 210v; per la trascrizione integrale: F. D’AIUTO, Nuovi manoscritti di Nicola calligrafo, copista del «Menologio Imperiale di Mosca» (con qualche osservazione sugli inventari della Biblioteca Vaticana del 1481 e del 1484), in Studi in onore del Cardinale Raffaele Farina, a c. di A.M. PIAZZONI, I, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 477), pp. 303-401: pp. 387-388 nt. 167.

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successivo. Non fu sepolto in Santa Balbina, di cui deteneva il priorato, ma a San Marcello al Corso, chiesa romana dei Serviti, il cui titolo, dal 1484, era stato assegnato18 al cardinale Giovanni Michiel, nipote per linea materna di papa Barbo e quindi anch’egli parente di Marco Barbo. Nell’epigrafe funeraria, ora non più rintracciabile, il Persona è celebrato per la sua opera di traduttore dal greco e per il ruolo di Bibliothecae pontificis praeses19. L’edizione del Contra Celsum L’editio princeps della traduzione latina dal Contra Celsum di Origene, stampata con il titolo Contra Celsum et in fidei christianae defensionem20 — sola edizione quattrocentesca dell’opera — fu data ai torchi a Roma nel gennaio 1481 per i tipi di Georg Herolt di Bamberga, che nel colophon si sottoscrisse e datò il lavoro: Magister vero Georgius Herolt de Bamberga Romae impressit anno incarnationis Domini Millesimo quadrigentesimoctogesimo primo mense Ianuarii, Sixto quarto pontifice maximo anno eius decimo. La stampa è dunque tra le due certamente attribuite al prototipografo21, la cui attività è ancora poco nota22. Il testo fino ad allora ignoto nella vesione latina, è considerato ancora uno dei più importanti scritti apologetici della prima età cristiana, dovuto alla penna del grande esegeta alessandrino23. La bella edizione, di chiaro impianto umanistico, dai margini ampi, in un’unica colonna di 33 linee, fu stampata in formato medio-grande, in elegante carattere tondo (R112), su fogli non segnati nè fascicolati. Tuttavia al termine del testo è aggiunto il registrum quinternorum in forma verbale: 18 Hierarchia catholica medii et recentioris aevi sive summorum pontificum, S.R.E, cardinalium, ecclesiarum antistitum series, II: 1431-1503, per C. EUBEL, Monasterii 1914, p. 63. 19 V. FORCELLA, Iscrizioni delle chiese di Roma, II, Roma 1873, p. 304, nr. 934. Del documento non sembra oggi rimasta alcuna traccia. Il testo dell’iscrizione è trasmesso dal codice Chig. I.V.167, f. 241r. 20 ISTC: io00095000. 21 Oltre alla traduzione dell’Origene, Herolt sottoscrisse e datò soltanto la Vita S. Augustini (ISTC: ic00881000) opera del generale dell’Ordine agostiniano Ambrogio da Cori (Massari), con dedica al cardinale Guillaume d’Estouteville, uscita dai torchi romani l’8 dicembre 1481. 22 Sulla possibile identificazione di Herolt con il tipografo tedesco attivo in quegli stessi anni a Roma, che si sottoscrive come Georgius Teutonicus, cfr. P. VENEZIANI, Chi era Georgius Teutonicus?, in Editori ed edizioni a Roma nel Rinascimento, a c. di P. FARENGA, Roma 2005 (RR inedita. Saggi, 34), pp. 127-146, riedito in P. VENEZIANI, Tracce sul foglio. Saggi di storia della tipografia, a c. di P. PIACENTINI, Roma 2007 (RR inedita. Saggi, 38), pp. 167-185. 23 Clavis Patrum Graecorum, I: Patres antenicaeni, cura et studio M. GEERARD, Turnhout 1983, n. 1476; J. QUASTEN, Patrology, 2: The Ante-Nicens literature after Irenaeus, Utrecht – Antwerp 1953, pp. 52-57.

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vi sono indicate le prime parole stampate nella prima riga a sinistra di ciascun recto della prima metà di ogni fascicolo, costituito da quattro o cinque fogli24. L’edizione, composta da 32 fascicoli25, fu messa in vendita al costo di tre bolognini a quinterno26. Sembrerebbe aver avuto una notevole diffusione: oggi ne risultano sopravvissuti almeno 110 esemplari27, molti dei quali decorati e talvolta personalizzati con stemmi. Tra gli altri, la copia cartacea e miniata appartenuta a Federico da Montefeltro, di cui compare lo stemma nel foglio incipitario; individuato recentemente, è uno dei pochi stampati inseriti nella preziosa raccolta del duca d’Urbino, costituita, anch’essa, prevalentemente da manoscritti28. La traduzione del Contra Celsum si apre con una lettera al Persona del noto umanista greco Teodoro Gaza, databile tra il 1472 e il ’7429: essa contiene un elogio del monaco e della sua competenza di grecista, un’esortazione alla traduzione, ma anche una sorta di passaggio di testimone. Infatti, il compito di tradurre l’opera di Origene era stato affidato inizialmente allo stesso Gaza, che in tempi remoti aveva suggerito a papa Niccolò V Parentucelli di acquistare a Costantinopoli il manoscritto latore dell’opera. Il suggerimento, che si inseriva perfettamente nella linea di recupero della cultura greca e di contestuale promozione delle traduzioni in latino, auspicata e realizzata dal papa, fu prontamente accolto. Attraverso il Gaza, Niccolò V fece arrivare nella raccolta libraria papale, da lui istituita, il manoscritto pergamenaceo, ora segnato Vat. gr. 38730. In seguito il codice fu forse consegnato al grecista, che avrebbe dovuto curarne la traduzione. Ma per varie difficoltà, il lavoro non fu avviato e, a dire dello stesso Gaza, il manoscritto, conservato nella Biblioteca papale, rimase intactus31, cioè in 24

Unica eccezione l’ultimo fascicolo, costituito da soli tre fogli. Secondo lo schema: [a10, b-o8, p-s10, t-z8, A-H8, I6]. 26 Così A. MODIGLIANI, Costo e commercio del libro a stampa, in Gutenberg e Roma. Le origini della stampa nella città dei papi (1467-1477), Catalogo della mostra, Roma Museo Barracco, 13-31 maggio 1997, a c. di M. MIGLIO – O. ROSSINI, Napoli 1997, p. 94. 27 L’elenco in ISTC. 28 L’esemplare si conserva presso la Bryn Mawr College Library (Philadelphia); su di esso M. DAVIES, Non ve n’è ignuno a stampa: The printed Books of Federico da Montefeltro, in Federico da Montefeltro and his Library, ed. by M. SIMONETTA, preface J.J.G. ALEXANDER, Milano 2007, pp. 70-71, 178-181. 29 C. BIANCA, Gaza, Teodoro, in Dizionario biografico degli italiani, LII, Roma 1999, pp. 737-746. 30 L’identificazione del codice si deve a G. MERCATI, Appunti scolariani, in Opere Minori, IV, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 79), pp. 72-106: 89-97, 174-175; prima in Bessarione 36 (1920), pp. 109-143; una descrizione in R. DEVREESSE, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V, Città del Vaticano 1965 (Studi e testi, 244), pp. 180-184; anche VILLANI, Cristoforo Persona et la première traduction cit., pp. 25-27 con sintesi bibliografica. 31 Così nella lettera al Persona stampata prima del testo del Contra Celsum: «Restat igitur 25

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questo caso non tradotto. Descritto nell’inventario del 147532, nel gennaio 1477 fu richiesto in prestito dal Persona, attraverso un tal frater Placidus, presumibilmente suo confratello33. Il monaco lo trattenne presso di sé, forse a Santa Balbina per meno di un semestre e probabilmente in questo periodo allestì la versione latina, che venne data alle stampe circa tre anni dopo, nel gennaio 1481. In seguito, nel maggio 1481, il Persona restituì alla Biblioteca papale altri volumi presi in prestito e tra essi Dione e Origene34, ma non credo che quest’ultimo abbia avuto influenza sulla traduzione latina del Contra Celsum, in quei mesi già stampata. L’edizione è nota in tre varianti dedicate a tre diversi illustri personaggi: papa Sisto IV della Rovere, il doge Giovanni Mocenigo e il Senato di Venezia e infine Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona, re di Napoli. Il registrum, impresso nell’ultimo foglio, almeno nelle due varianti a Sisto IV e a Giovanni Mocenigo, tiene conto della diversa lettera di dedica. Un esemplare di ciascuna di queste due ultime varianti fu stampato in pergamena e decorato per papa Sisto IV e per il doge Giovanni Mocenigo, ai quali fu offerto appunto come testimone di dedica. Non è stata finora individuata la copia di dedica del Contra Celsum a Ferdinando d’Aragona, che tuttavia potrebbe avere caratteristiche diverse dalle altre due. Gli esemplari al momento attestati con dedica al re di Napoli, totalmente ignorata fino a poco tempo fa, non sembrerebbero presentare un registrum congruente, ma riferirsi ora all’una, ora all’altra tiratura35. Per questo è stato ipotizzato che la dedica a Ferdinando I non sia stata progettata ab origine, ma improvvisata, per rispondere a una situazione imadhuc liber iste in pontificis bibliotheca inctatus». 32 Vat. lat. 3953, f. 70v. 33 Certamente un suo collaboratore, probabilmente un guglielmita di cui per ora non abbiamo altre notizie. Sul prestito cfr. M. BERTÒLA, I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana: codici Vaticani latini 3964, 3966 pubblicati in fototipia e in trascrizione con note e indici, Città del Vaticano 1942 (Codices e Vaticanis selecti, 27), p. 8; anche RITA, Per la storia della Vaticana cit., p. 247. 34 BERTÒLA, I due primi registri di prestito cit., p. 22. 35 I due esemplari con dedica a Ferdinando I sono segnati rispettivamente: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Inc. Magliabechiano H.2.2 e Bologna, Biblioteca Universitaria, Inc. A.V.B. VIII.28. La variante con dedica a Ferdinando è stata censita per la prima volta da A. DANELONI, scheda n. 98, in Umanesimo e padri della Chiesa. Manoscritti e incunaboli di testi patristici da Francesco Petrarca al primo Cinquecento, a c. di S. GENTILE, Roma [1997], pp. 358-361; in precedenza non risultava né nell’Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, Roma, 1943-1981 (Indici e cataloghi, N.S., 1), né in ISTC; anche VILLANI, Cristoforo Persona et la première traduction cit., pp. 27-28, 46-47; il testimone fiorentino è quello descritto nel Repertorio delle traduzioni umanistiche a stampa (secoli XV-XVI), a c. di M. CORTESI – S. FIASCHI, Firenze 2008 (Il ritorno dei classici nell’Umanesimo, III. Edizione Nazionale delle traduzioni dei testi greci in età umanistica e rinascimentale, 5. Strumenti, 2), p. 1065.

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prevista, che richiedesse o meritasse un omaggio al re Aragonese. E il fatto che l’esemplare membranaceo di dedica non sia stato ancora individuato, a differenza degli altri due, confermerebbe l’ipotesi di una realizzazione non programmata. La copia offerta a Ferdinando I sembrerebbe infatti essere stata realizzata con il solo inserimento dell’epistola su volumi già stampati, che per questo non presenterebbero il registrum congruente36. Ma questa è solo un’ipotesi, che potrebbe essere smentita da un eventuale ritrovamento. I due esemplari membranacei dedicati al Mocenigo e a Sisto IV sono ora conservati rispettivamente presso la British Library (C.13 c.10)37 e la Bibliothèque nationale de France (Vélins 280). La decorazione dell’esemplare londinese, appartenuto in precedenza al console britannico a Venezia Joseph Smith (1674?-1770), bibliofilo e collezionista, è stata attribuita al miniatore di origini francesi Iacopo Ravaldi, noto anche come Maestro del Messale della Rovere38, anche se la qualità della miniatura sembrerebbe inferiore ai precedenti lavori dell’artista. Il foglio incipitario è decorato sui quattro lati con fregio di fiori e foglie d’acanto, popolato da un pavone e da otto putti, alcuni musicanti, altri — quelli nel margine inferiore — intenti a sorreggere i cerchi di alloro in cui sono miniati lo stemma di Venezia — al centro — e le armi della famiglia Mocenigo — ai lati39. Nel margine superiore della cornice, al centro, il ritratto del doge inscritto in un medaglione. Corrisponde invece alla copia di dedica allestita per Sisto IV, considerata finora dispersa, l’esemplare parigino segnato Vélins 280, oggetto specifico delle pagine successive.

36 Un esemplare proveniente dalla Biblioteca Aragonese di Napoli si conserva presso la Bibliothèque nationale de France, alla segnatura C 90. Il volume, che conosco soltanto attraverso la descrizione datane nell’inventario, è cartaceo e non ha registrum. La dedica a Mocenigo, inserita alla fine, è tratta da un’altra copia. Nonostante la provenienza dichiarata, non dovrebbe trattarsi dell’esemplare di dedica a Ferdinando: Catalogue des incunables (CIBN), Paris 1982, II, 2, p. 340, O-57. 37 Catalogue of Books printed in the XVth century now in the British Museum [British Library], IV: Italy, Subiaco and Rome, London 1963, p. 126. 38 Per l’attribuzione da ultimo L. ARMSTRONG, The Hand Illumination of Venetian Bibles in the Incunable Period, in Incunabula and Their Readers, ed. K. JENSEN, London 2003, pp. 83-113, 229-236: 234 nt. 62. Per l’attività di Iacopo Ravaldi cfr. V. GUÉANT, Du nouveau sur la production des premières années à Rome du Maître des Missels Della Rovere, in Rivista di storia della miniatura 13 (2009), pp. 141-155, con sintesi precedente. 39 Due stemmi Mocenigo, forse con riferimento ai due dogi provenienti dalla famiglia: Pietro e Giovanni. La riproduzione del foglio incipitario in L. HELLINGA, Il console Joseph Smith collezionista a Venezia per il mercato inglese, in La Bibliofilía 102 (2000), pp. 109-121: fig. 5.

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L’esemplare del Contra Celsum di Sisto IV L’edizione a stampa del Contra Celsum è descritta tra i libri della Bibliotheca Palatii già nel 1481. Il volume, uscito a Roma dall’officina tipografica di Herolt nel gennaio di quell’anno, fu dunque immediatamente inserito tra i manoscritti della Biblioteca, di cui emulava la facies40. Collocato nel sesto banco della sala pontificia, tra i libri della sezione di Theologia, è così descritto in entrambe le copie dell’Index topografico allestito dal Platina: Origenes contra Celsum a Christophoro Persona priore S. Balbinae traductus ad Sixtum quartum pont. maximum impressus, ex membranis, in serico viridi41. Il supporto scrittorio — ex membranis — e il riferimento al dedicatario individuano inequivocabilmente l’esemplare: soltanto due sono infatti le copie tirate in pergamena attualmente conosciute, che si distinguono per diversa dedica. Sempre secondo l’Index del 1481, l’esemplare destinato a Sisto IV e conservato nella Biblioteca era coperto in seta verde. E la legatura rimase la stessa per lungo tempo. Sia nell’inventario del 148442, sia in quello allestito tra il 1518 e il ’2143, la traduzione del Persona è descritta con la medesima coperta in serico viridi, ma con diversa collocazione: nel repertorio leonino, è infatti collocato nel primo bancho della bibliotheca parva secreta. L’esemplare del Contra Celsum non è più censito tra i libri della Bibliotheca Palatii a partire dall’inventario del 1533, redatto con intento patrimoniale dopo il Sacco di Roma44. Questa assenza, confermata anche in tempi recenti, ha portato a supporre che il volume fosse andato disperso tra il 1518 e il 153345. Invece essa fu temporanea e probabilmente legata a un prestito, anche se l’uscita dell’incunabolo dalla collezione papale non è attestata negli appositi registri di prestito e neppure in altri documenti finora noti. È invece certamente documentato il suo rientro. Nel 1548, dopo 40 In quell’epoca, i pochi stampati inseriti nella collezione vaticana erano, per aspetto, identici ai manoscritti, cfr. RITA, La Vaticana di Sisto IV fra libri tipografici cit. 41 Vat. lat. 3952, f. 110r, linn. 25-27; la descrizione compare anche nella copia di dedica: Vat. lat. 3947, f. 74r, linn. 27-29. 42 Vat. lat. 3949, f. 78v, linn. 2-4. 43 Vat. lat. 3955, f. 46r, lin. 13. In questa descrizione cade l’indicazione impressum, ma l’ordine degli elementi descritti e la legatura confermano la corrispondenza fra questa voce e quella dell’inventario del 1481. 44 Librorum Latinorum Bibliothecae Vaticanae index a Nicolao de Maioranis compositus et Faustus Sabeo collatus anno MDXXXIII, a c. di A. DI SANTE – A. MANFREDI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 457). Al n. 2402 sono descritti in modo cumulativo 3 volumi in quarto, legati in seta verde (in serico viridi in quarto folio), ma non credo che il Contra Celsum, nell’esemplare di dedica, sia pure a stampa, sia incluso tra questi. 45 DI SANTE, La Biblioteca rinascimentale cit., p. 329.

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la morte del cardinal Agostino Trivulzio (1485-1548)46, la Biblioteca pontificia ricevette in lascito alcuni suoi libri, tra i quali i custodi individuarono più volumi di proprietà della Biblioteca stessa, ricevuti dal cardinale forse in dono o più probabilmente in prestito e mai restituiti. E nella lista dei Libri del cardinale Trivultio quali erano della Libraria47, compare anche un Origenes contra Celsum, impressus, in membrana, in raso verde. Ancora una volta, il supporto scrittorio e l’invariata legatura identificano inequivocabilmente il volume. È certa anche l’identificazione del testimone contiguo, anch’esso presso il Trivulzio: Agatius de bello Gotthorum et aliis peregrinis historiis per Christophorus Persona e greco in latino traductus, ex membrana, in raso turchino. Si tratta evidentemente di un’altra nota traduzione del monaco guglielmita, trasmessa dal manoscritto membranaceo di dedica a Sisto IV — l’attuale Vat. lat. 200448 — allora coperto in raso azzurro, come già attestato dall’inventario del Platina (1481)49 e da quello leonino (15181521)50. Sia il Contra Celsum, sia il De bello Gotthorum tornarono nella collezione pontificia nel dicembre 1548: sono infatti elencati nel registro delle accessioni, l’attuale Vat. lat. 3963, redatto da Marcello Cervini, dove evidentemente erano annotate non solo le nuove acquisizioni, ma in generale i libri che entravano nella collezione — anche quelli già posseduti ma per qualche motivo usciti dalla Biblioteca. L’Origene è infatti descritto tra

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Poca la bibliografia sul dotto e raffinato porporato milanese, nominato da Leone X, per il quale si veda: A. CHACÓN, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et S.R.E. Cardinalium ab initio nascentis Ecclesiae, usque ad Urbanum VIII. Pont. Max, III, Romae 1677, cc. 410-411; P. LITTA, Famiglie celebri italiane, VIII: Ti-Vi, Trivulzio di Milano, Tav. II, 40; anche R. ANCEL, D’un recueil de documents appartenant à l’héritage du cardinal Agostino Trivultio, in Revue bénédictine 23 (1906), pp. 516-530; alcuni dati si ricavano da L. PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo compilata col sussidio dell’Archivio Segreto Pontificio e di molti altri archivi, IV, Roma 1912, ad indicem; per alcuni suoi volumi passati alla Vaticana: J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), ad indicem. 47 Arch. Bibl. 11, f. 6v. 48 Codices Vaticani Latini, III: Codices 1461-2059, rec. B. NOGARA, Romae 1912 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti), pp. 402-403. 49 Cfr. Vat. lat. 3952, f. 114v, linn. 26-29 (copia d’uso) e Vat. lat. 3947, f. 77r, linn. 44-45 (copia di dedica). In entrambe le redazioni del repertorio, il codice, collocato nel nono bancho della Bibliotheca pontificia è descritto come ex membranis in serico celestino cum duabus serraturis argenteis. I fermagli spariranno prima della stesura dell’inventario leonino. Analoga la descrizione datane nell’inventario del 1484: Vat. lat. 3949, f. 82v, linn. 15-18, dove il codice è ancora chiuso da fermagli. Sulla sparizione delle decorazioni preziose dalle legature vaticane, cfr. DI SANTE, La Biblioteca rinascimentale cit., pp. 345-346. 50 Vat. lat. 3955, f. 47v, linn. 9-10. Non è riferita la presenza dei fermagli.

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gli impressi, al numero 128; di nuovo se ne indica la coperta: in seta viridi51. Entrambi i preziosi volumi dedicati a papa della Rovere — uno a stampa e l’altro manoscritto — latori di traduzioni del Persona rimasero dunque al Trivulzio per un certo tempo. Al momento non è noto quando, per quale motivo e in che modo il cardinale li ebbe. La motivazione addotta in una lettera di Guglielmo Sirleto a Marcello Cervini, dell’11 aprile 154852 — coeva dunque al rientro dei libri in Vaticana — non mi sembra accettabile per motivi cronologici. A dire del Sirleto, che riferisce quanto raccontato da ms. Fausto53, i volumi furono presi dalla collezione papale da un certo Phedra54 — l’umanista Tommaso Inghirami, bibliothecarius della Vaticana di Giulio II e poi di Leone X55 — che havea tolti molti libri de la libraria et dati alla bona memoria di Trivultio. Tuttavia poichè l’inventario allestito tra il 1518 e il 1521 attesta ancora la presenza in Biblioteca dei due esemplari delle traduzioni del Persona e poiché in quella data l’Inghirami era morto da almeno due anni (1516), non fu lui che li fece avere al cardinale. La descrizione di entrambe le traduzioni del Persona manca anche nell’Index topografico56 allestito tra il 1549 e il 1555, in tre volumi in folio, dallo scriptor di origine spagnola Ferdinando Ruano57 su richiesta di Marcello Cervini, allora protettore della Biblioteca. 51

Vat. lat. 3963, f. 67r. Il riferimento all’Agathias, ovviamente elencato tra i manoscritti si trova a f. 1v; dopo il titolo, i dati codicologici: ex membrana, in velluto azuro. 52 Vat. lat. 6177, f. 119r. 53 Il custode Fausto Sabeo, per la cui attività nella Vaticana di Leone X, cfr. RITA, Per la storia della Vaticana cit., pp. 295-298. 54 La dizione un certo phedra deve attribuirsi al Sirleto e non al Sabeo che doveva ben conoscere l’Inghirami. Quest’ultimo era stato bibliotecario di papa Leone X, con il quale Sabeo aveva avuto una lunga consuetudine che lo aveva portato a contatto della Bibliotheca Palatii prima ancora della nomina a custos, databile al 1522. 55 Una prima sintesi sull’Inghirami e sul ruolo da lui svolto nella Vaticana del primo Cinquecento, in RITA, Per la storia della Vaticana cit., pp. 263-265. 56 L’inventario è trasmesso dai codici Vat. lat. 3967-3969. Conferma sull’assenza dei due volumi viene anche da J. FOHLEN – P. PETITMENGIN, L’Ancien fonds Vatican Latin dans la nouvelle Bibliothèque sixtine (ca. 1590 – ca. 1610) reclassement et concordances, Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 362). Sull’inventario: DI SANTE, La Biblioteca rinascimentale cit., pp. 325, 328 e P. PETITMENGIN, I manoscritti latini della Vaticana. Uso, acquisizioni, classificazioni, con la collaborazione di J. FOHLEN, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a c. di M. CERESA, Città del Vaticano 2012 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2), pp. 55-57, con indicazioni sull’attività del Ruano nella Vaticana nel secolo XVI, sulla quale, in generale si vedano anche gli altri articoli contenuti nel volume appena citato. 57 Sacerdote della diocesi di Badajoz, noto come copista, è figura ancora poco studiata; fu in Vaticana come scriptor latinus dall’aprile 1541. Su di lui BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 57 nt. 15 e CH.M. GRAFINGER, Servizi al pubblico e personale, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cit., p. 234 nt. 35. Sull’attività di copista anche F. DELLA SCHIAVA, Due inediti per il catalogo di Vincent Raymond de Lodève, miniatore papale, in Miscellanea Biblio-

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L’esemplare del Contra Celsum ricomparve successivamente tra i libri della Vaticana solo a partire da quello che al momento sembra essere il primo repertorio degli stampati redatto, che attesta la disposizione dei libri tipografici nella nuova sede della Biblioteca, voluta da Sisto V e realizzata alla fine del Cinquecento dall’architetto Domenico Fontana58. Compilato all’inizio del Seicento da Alessandro Ranaldi (1578-1649)59, ultimo rappresentante di una famiglia di illustri custodi vaticani, questo Indice descrive le edizioni elencandole in ordine alfabetico per autore — indicizzato sotto il nome di battesimo — e indicandone titolo, note tipografiche e collocazione. A ogni citazione è premesso un numero arabo60, forse d’inventario, che farebbe supporre l’esistenza di una precedente lista generale di stampati, in ordine numerico progressivo. L’inventario del Ranaldi è noto in due diverse stesure non contemporanee, entrambe di mano del custos61: la prima thecae Apostolicae Vaticanae, 18, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 469), pp. 189-195, con bibliografia precedente. 58 Sul nuovo edificio e sul trasferimento della Biblioteca nel palazzo sistino cfr. La Biblioteca Vaticana tra riforma cit. 59 Per Alessandro Ranaldi e la sua attività in Vaticana, almeno BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., ad indicem e in precedenza G. MERCATI, Per la storia della Biblioteca Apostolica, bibliotecario Cesare Baronio, in ID., Per Cesare Baronio. Scritti vari nel terzo centenario della sua morte, Roma [1911], pp. 85-178, riedito in ID., Opere minori raccolte in occasione del settantesimo natalizio, III (1907-1916), Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 78), pp. 201-275: 208, 273-274, con edizione di una supplica del Ranaldi a Innocenzo X, databile probabilmente al 1644-45, nella quale, elencando i suoi lavori in Biblioteca, il custode non inserisce l’indice degli stampati. La cronologia dell’attività in Vaticana dell’ultimo dei Ranaldi, potrebbe essere in parte da riconsiderare tenendo conto di una sua prolungata assenza, accennata dal Mercati (p. 208) e confermata dalla Bignami Odier (p. 350 nt. 28). Potrebbe però non essere una assenza totale, ma una diversa condizione di vita: infatti, dopo aver preso moglie, Alessandro andò ad abitare in una casa privata e dunque non serve in libraria se non due hore la mattina, come gli scriptores e non più giorno e notte come in precedenza, cfr. Arch. Bibl. 1, ff. 230r, 231r. 60 La presenza di questo numero già nell’inventario di Alessandro Ranaldi sembra smentire l’ipotesi di un primo indice numerico degli stampati risalente alla metà del secolo XVII, per la quale cfr. Dipartimento Stampati. Sezione stampati, a c. di M. CERESA, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, II, a c. di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 467), p. 747. Il numero, apposto probabilmente tra il 1599 (data di alcune edizioni) e il primo decennio del secolo XVIII, potrebbe essere una segnatura e corrispondere a un inventario topografico di libri a stampa; potrebbe anche far riferimento a una lista di consistenza, allestita per organizzare la sistemazione degli stampati nella nuova sede. Poiché opere dello stesso autore sono segnate con numeri contigui, si può ipotizzare che l’ordinamento della lista numerica sia classificatorio. 61 M. CERESA, Acquisizioni degli stampati nel corso del Cinquecento, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cit., pp. 97-98; in precedenza lo stesso autore in Dipartimento Stampati cit., p. 744, con qualche differenza sull’attribuzione: qui il Ranaldi è esplicitamente dichiarato responsabile del Vat. lat. 14477, e dunque dell’indice completo, che si dice essere stato elaborato sulla base del precedente Vat. lat. 6446, di cui però non è dichiarata la paternità. Su que-

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di esse, imperfetta — ma forse solo precedente e quindi relativa a una raccolta più modesta e/o ancora non ordinata — comunemente, considerata un brogliaccio, una minuta di lavoro, è trasmessa dal Vat. lat. 6446; l’altra, successiva, corrisponde al manoscritto Vat. lat. 1447762. In entrambe, il Contra Celsum del Persona, identificato con il numero 2663, risulta collocato nell’arm. 3 dext.64, e dunque nel terzo armadio a destra di un ambiente non precisato che si ritiene corrispondere alla prima secreta65. Secondo il sistema adottato, la descrizione non include indicazioni sul supporto e sulla legatura del volume. Il numero 26 identificativo dell’esemplare pergamenaceo di dedica a Sisto IV compare di nuovo nel repertorio avviato dallo scriptor Fioravante Martinelli (1599-1667) il 4 febbraio 1642 e rimasto incompiuto66. Ancora, nell’inventario generale degli stampati vaticani allestito tra il 1686 e il 1690 dallo scriptor greco Giorgio Grippari (1634-1694), il Contra Celsum, nell’edizione romana del 1481, in pergamena, è identificato con la segnatura 125267. Questa segnatura, annotata a penna sul volume, resterà identica e localizzerà l’esemplare fino a quando fu conservato nella Biblioteca pontificia. Del Contra Celsum, nell’edizione romana del 1481, si conservano oggi in Vaticana quattro esemplari cartacei68; la sola indicazione del supporto sti due indici già P. PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation de la Bibliothèque Vaticane à l’époque des Ranaldi [1547-1645], in Mélanges d’archéologie et d’histoire 75 (1963), pp. 602-603. 62 Il codice è datato generalmente al 1609/1610, e discende dal precedente Vat. lat. 6446, ma non ne è una semplice copia: le edizioni descritte nel testimone più recente sono in numero maggiore ed elencate in una sequenza alfabetica più corretta. Al termine di alcune lettere sono aggiunti degli Additi (cfr. ad esempio f. 15r). Si tratta o di libri stampati nel 1609 o nel 1610 (da qui la datazione del manoscritto), e quindi presumibilmente di nuove acquisizioni, o di volumi già posseduti ma sistemati in altre sezioni della raccolta vaticana, o fuori posto. In questo secondo caso, le edizioni sono identificate da un numero che manca nelle nuove accessioni. 63 I numeri contigui (25, 27, 28) sono latori di opere di Origene, la più recente delle quali in un’edizione parigina, in due volumi datati 1572-1574. 64 Vat. lat. 6446, f. 85r e Vat. lat. 14477, f. 76r. In un repertorio successivo, databile prima del 1620, secondo quanto annotato nell’esterno del piatto superiore della legatura, il volume è descritto come collocato nel primo armadio a destra: Vat. lat. 14476, f. 106r. 65 Per la disposizione dei volumi nelle nuove sale sistine, cfr. PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation cit., Tableau 3; la tavola è ristampata in CERESA, Acquisizioni degli stampati cit., p. 92 fig. 2. 66 Vat. lat. 14481, f. 3r: Origenes, Contra Celsum, libri Octo, fol. in pergameno, Romae 1481. Notizie sulla redazione dell’inventario, allestito in due copie (Vat. lat. 14481, minuta; Vat. lat. 14484, in pulito), in Dipartimento Stampati cit., pp. 747, 942. 67 Vat. lat. 14748, f. 76v. Il codice, latore del primo volume dell’inventario, è datato 1686. 68 Gli esemplari segnati Stamp. Ross. 2092 e Stamp. Chig. III.29 trasmettono la variante con dedica a Sisto IV, completa di registrum. L’esemplare proveniente dalla biblioteca rossiana non ha decorazioni e segni di possesso; quello chigiano presenta invece le iniziali maggio-

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scrittorio basta a dimostrare che nessuno di essi è identificabile con la preziosa copia membranacea di dedica a Sisto IV che fu requisita dai francesi alla fine del secolo XIX. Le condizioni imposte allo Stato pontificio dal trattato di Tolentino — l’accordo di pace stipulato nel febbraio 1797 tra Pio VI e la Francia rivoluzionaria, rappresentata dal generale Bonaparte69 — prevedevano oltre alla sottrazione di territori, anche contribuiti in denaro e in opere d’arte, che dunque furono pesantemente requisite. E tra le opere d’arte erano inclusi anche libri a stampa e manoscritti, meglio se decorati. Per questo, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 13, l’allora prefetto della Biblioteca Giuseppe Antonio Reggi (1726-1802)70, nel maggio 1798, fu costretto a consegnare al cittadino Wicar71, in virtù del mandato di procura esibito, libri e altre materie antiquarie, come richiesto dal trattato di pace; a questi furono poi aggiunti altri pochi, ma preziosissimi codici. E alcuni mesi prima c’era stata un’altra pesante confisca che aveva riguardato poco meno di 500 manoscritti (464) vaticani72. L’elenco dei libri a stampa e degli altri ri in blu e rosso e nel foglio incipitario uno stemma non identificato in corona d’alloro (torre rossa con merlatura ghibellina murata e aperta, su scudo blu). Gli esemplari Inc. III.268 e Inc. III.526 hanno invece la variante con dedica al Mocenigo. L’esemplare Inc. III.526 ha la prima iniziale miniata in stile veneziano e le altre alternate in rosso e blu; appartenne al monastero di San Giorgio Maggiore dei Benedettini, allora della Congregazione di Santa Giustina, come attesta la nota di possesso manoscritta sotto il colophon: Iste liber est Congregationis monachorum s. Iustine de Padua ordinis s. Benedicti deputatus usui fratrem Hiacintium in s. Georgio Maiore Venetiarum. Signatus 995. Mentre svolgevo questa ricerca, il volume Inc. III.268 era escluso dalla consultazione perché in disinfestazione, non ho potuto quindi verificarne le note d’esemplare. 69 Il testo del trattato è edito anche in Quaderni del Bicentenario. Pubblicazione periodica per il Bicentenario del trattato di Tolentino (19 febbraio 1797), Torino 1995. 70 Su Giuseppe Antonio Reggi, che fu anche canonico del capitolo di Santa Maria in Via lata, cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., ad indicem. 71 Il pittore Jean Baptiste Wicar (1762-1834) fu profondamente legato al governo francese: nel maggio 1798, come delegato del Direttorio, ricevette i materiali richiesti alla Vaticana. Su di lui: M. T. CARACCIOLO – G. TOSCANO, Jean-Baptiste Wicar et son temps, 1762-1834, Villeneuve d’Ascq 2007. 72 Una panoramica sulle requisizioni dei materiali della Vaticana effettuate durante l’invasione francese, in CH.M. GRAFINGER, Le tre asportazioni francesi di manoscritti e incunaboli vaticani (1797-1813), in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica. A proposito del trattato di Tolentino. Atti del convegno, Tolentino, 18-21 settembre 1997, Roma 2000 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 55), pp. 403-411. Sul passaggio dei libri a Parigi anche A. HOBSON, Appropriations from Foreign Libraries During the French Revolution and Empire, in Bulletin du bibliophile (1989), 2, pp. 255-272 (in particolare sulle collezioni vaticane, pp. 263-264) e M. P. LAFFITTE, La Bibliothèque Nationale et les «conquêtes artistiques» de la Révolution et de l’Empire: les manuscrits d’Italie (1796-1815), in Bulletin du bibliophile (1989), 2, pp. 273-323: sulla confisca dei materiali vaticani, pp. 302-313. Requisizione e recupero dei codici vaticani sono sommariamente ricostruiti in P. VIAN, «Per le cose

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materiali trasferiti a Parigi nel 1798 era stato predisposto dal bibliotecario Joseph Van Praet73, responsabile delle confische librarie, che, relativamente agli stampati, lo stilò tenendo conto degli incunaboli e delle edizioni rare che mancavano alla Biblioteca Imperiale di Parigi. La lista, relativa alla consegna effettuata dal Reggi74, non è numerata e consta di complessive 136 segnature, suddivise in due sezioni: la prima con l’elenco dei volumi estratti dai fondi aperti della Vaticana, l’altra con le scelte effettuate tra gli incunaboli della collezione del marchese Alessandro Gregorio Capponi75, acquisita per lascito dalla biblioteca pontificia nel 174676. Di ciascun esemplare è indicata la segnatura, l’autore, il titolo, il luogo e l’anno di stampa se evidenti, il formato e il supporto se membranaceo. Tra le edizioni elencate compare quella romana del Contra Celsum, firmata da Herolt e datata 1481: il volume consegnato ai francesi è membranaceo, in folio e segnato 1252. Dunque, la copia di dedica a Sisto IV, collocata già nel 1481 sui banchi della Biblioteca Vaticana tra i manoscritti e finora considerata dispersa, nel 1798 fu trasferita a Parigi come bottino di guerra. È ora da identificare con l’esemplare Vélins 280 della Bibliothèque nationale de France77. Come altri preziosi libri a stampa requisiti in seguito della patria nostra». Lettere inedite di Luigi Angeloni e Marino Marini sul recupero dei manoscritti vaticani a Parigi (1816-1819), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, 18, cit., pp. 693-799. Marginalmente, anche A. RITA, Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica. Cronologia e fonti romane, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi 470). 73 Fu anche l’autore della Note de quelques livres imprimés rares qui sont au Vatican et manquent à la Bibliothèque Nationale. Una sintesi bio-bibliografica in VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., p. 728 nt. 121. 74 Arch. Bibl. 100, ff. 59r-62r: Nota di libri ed altre materie antiquarie richieste alla Biblioteca Vaticana dalla Rep. Francese, e da mons. Reggi [aggiunto da altra mano] Prefetto consegnate al Cittadino Wicar in virtù del mandato di procura da lui esibito. Gli stampati sono elencati ai ff. 59r-61r; l’esemplare del Contra Celsum è descritto al f. 59v. 75 Notizie sulla collezione libraria, corredata da bibliografia, e sul suo passaggio in Vaticana, in Guida ai fondi manoscritti cit., ad indicem. 76 Questa seconda sezione (Arch. Bibl. 100, ff. 60r-61r), titolata Libri della Capponiana riuniti alla Vaticana, contiene 92 segnature. 77 In attesa di una più analitica descrizione dell’esemplare, si vedano: J. VAN PRAET, Catalogue des livres imprimés sur vélin de la Bibliothèque du roi, Paris 1828, VI, pp. 38-39, n. 364bis, e Catalogue des incunables cit., II, 2, p. 340, O-57; anche 1789. Le patrimoine libéré: 200 trésors entrés à la Bibliothèque nationale de 1789 à 1799, Paris 1989, pp. 266-267: scheda 197 a firma di F. DUPUIGRENET. Riguardo quest’ultima descrizione è da precisare che il volume non appartenne mai alla raccolta libraria personale di papa della Rovere, ma fu subito inserito tra i manoscritti della Bibliotheca Palatii. Sull’incunabolo anche M. MIGLIO, Parisiensia, in Roma nel Rinascimento (1993), p. 249, ristampato poi in ID., Saggi di stampa. Tipografi e cultura a Roma nel Quattrocento, a c. di A. MODIGLIANI, Roma 2002 (RR inedita, 29), p. 180. Alcuni fogli (ff. 1v, 2r, 3r) dell’esemplare, collocato nella Réserve des livres rares e non riproducibile per motivi conservativi, sono consultabili online all’indirizzo http://images.bnf.fr/jsp/index. jsp (ultima consultazione febbraio 2014).

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al trattato di Tolentino, il volume non fu restituito dopo la caduta di Napoleone. Il ritratto di papa della Rovere e le sue armi, in cerchi di alloro, collocati rispettivamente al centro del fregio superiore e di quello inferiore, nel foglio 3r, confermano l’identità del dedicatario. La decorazione a bianchi girari è attribuibile per stile al miniatore di origini tedesche e formazione fiorentina, Gioacchino de Gigantibus78. Identica nella struttura a quella di altri volumi manoscritti e a stampa miniati dall’artista in quegli stessi anni su commissione di Sisto IV e della sua curia, si caratterizza per la cornice a bianchi girari, su sfondo azzurro e oro, popolata da putti con collane di corallo, pappagallini, farfalle e conigli; è arricchita da tre medaglioni raffiguranti il papa, il suo stemma e il traduttore Cristoforo Persona, in abito religioso (tav. I). All’interno dell’iniziale H, è ritratto Origene, con il libro in mano. Il supporto membranaceo, il ritratto e lo stemma di papa della Rovere permettono di identificare nell’esemplare Vélins 280 la copia di dedica a Sisto IV, inserita dal 1481, subito dopo essere stata decorata, nella Bibliotheca Palatii. L’identificazione, già certa, è ulteriormente corroborata dalla presenza dell’antica segnatura secentesca tracciata a penna sul volume: 1252. Il numero corrisponde esattamente alla collocazione assegnata all’esemplare nella seconda metà del Seicento nel fondo in cui erano sistemati gli stampati della Biblioteca Vaticana allora denominato Prima Raccolta. Restano da precisare meglio le circostanze storiche che portarono il Persona a dedicare la versione latina del Contra Celsum a Sisto IV, circostanze che saranno oggetto di un prossimo lavoro. Basti per ora aver ritrovato l’esemplare di dedica a papa della Rovere, uno dei rari libri tipografici inseriti negli anni ’80 del Quattrocento nella collezione manoscritta della Bibliotheca Palatii.

78 Una sintesi biografica con bibliografia in F. PASUT, Gioacchino di Giovanni de’ Gigantibus, in Dizionario biografico dei miniatori italiani. Secoli IX-XVI, a c. di M. BOLLATI, Milano 2004, pp. 265-267; in seguito anche G. TOSCANO, Gioacchino di Giovanni de’ Gigantibus, in Saur Allgemeines Künstlerlexikon 54 (2007), pp. 382-383; F. NIUTTA, Il salterio di Gioacchino de Gigantibus per Sisto IV alla Biblioteca Nazionale, in Roma nel Rinascimento (2009), pp. 281-288.

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Tav. I – Bibliothèque nationale de France, Vélins 280, f. 3r.

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ZWEI FRAGMENTARISCHE URKUNDEN AUS VATIKANISCHEN HANDSCHRIFTEN 1. Reste eines chrysobullos logos des Kaisers Ioannes VI. Kantakuzenos In den Codex Vat. gr. 996 sind als Ergänzung Fragmente eines bisher unbekannten chrysobullos logos des Kaisers Ioannes VI. Kantakuzenos eingebunden. Da von dieser Handschrift noch keine gedruckte Beschreibung existiert, sei sie zunächst kurz vorgestellt. Vat. gr. 996 A (ff. 1-160) + B (ff. 161-317). 11. Jh. Ende / 12. Jh. Anfang. Pap. orient. (ff. 1-2, 314-317 Pgt.). 305/312 × 200/212 mm. 317 Bl. (gezählt 1-317). 24-28 Z. (f. 2r-v: 32-35 Z). — Inhalt: 1(1v) , (Διοδώρου Σικελιώτου ἱστοριῶν πρῶτον Cod.). Inc. Ὁ παρὼν ἱστορικὸς Διόδωρος ὁ Σικελὸς κέχρηται φράσει σαφεῖ κτλ.; des. ἡ ἱστορία τελευτᾷ (ed. Photius, Bibliothèque I. Texte établi et traduit par R. HENRY [Collection des universités de France]. Paris 1959, S. 103, 4 – S. 104, 8). 2(2r-317r) DIODOROS SIKELIOTES. (2r-41v) 1A (ohne Pinax). (41v-90r) 1B. (90r-142r) 2. (142r-207r) 3. (207r-270v) 4. (270v-317r) 5. — Mat: dünnes, gräuliches Papier (katalanisch) ohne Zigzag-Muster; vgl. unter Lit. Die ff. 1-2, 314-316 palimpsestiertes Pergament (hierzu vgl. weiter unten im Text). — Erh: Mäßig; stellenweise wasserfleckig. Einige Folien (89, 91, 94, 112, 123) von Tintenfraß angegriffen; Verstärkung im Freirand und im Falz mit einer ursprünglich transparenten, heute vergilbten Folie. Die ff. 41 und 48 in der Bindung gelockert. — L: Ursprüngliche Lagenzusammensetzung verdunkelt. 1 × 2 (2) 1 × 4 (6) 1 × 12 (18) 1 × 4 (22) 1 × 10 (32) 35 × 8 (312) 1 (313) 1 × 4 (317). — K: Keine Kustoden oder Reklamanten sichtbar. — Ls: nicht feststellbar. — S: A (ff. 1v, 2r, Z. 1-18, 2v, 313r-314r, Z. 38, 314v, Z. 2-317r): ein anonymer Mitarbeiter des Nikephoros Gregoras (vgl. BIANCONI, Eracle e Iolao [vgl. unter Lit], S. 547-548 [geringfügig abweichende Angaben] mit Abb. 11 und 12) [Tf. 2-3]; B (Titel auf f. 2r, ferner ff. 2r, Z. 18-35, 314r, Z. 38-314v, Z. 2; Marg. auf ff. 315v und 316r): (Erstidentifizerung von P. Canart; siehe zuletzt BIANCONI, La biblioteca [vgl. unter Lit], S. 416-417 [geringfügig abweichende Angaben]) [Tf. 2-3]; C (ff. 3r-312v): eine einzige geübte Hand mit Einflüssen der Kanzleischrift der früheren Komnenenzeit [Tf. 1]. Vergleichbar etwa das Chrysobull des Kaisers Alexios I. Komnenos vom Mai 1109 (vgl. P. LEMERLE – A. GUILLOU – N. SVORONOS – D. PAPACHRYSSANTHOU. Actes de Lavra I. Des origines à 1204 [Archives de l’Athos, 5]. Paris 21970, S. 300-302 [Nr. 58] mit Tf. 63); ähnlich ferner die Schrift des Vind. hist. gr. 4 (Archetypus der Anabasis Arrians), vgl. die Abbildungen bei Flavius Arrianus I. Alexandri Anabasis cum excerptis Photii, ed. A. G. ROOS, addenda et corrigenda adiecit G. WIRTH. Stuttgart 1967, Tf. 1; R. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 695-705.

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MERKELBACH – H. VAN THIEL, Griechisches Leseheft zur Einführung in Paläographie und Textkritik. Göttingen 1965, Tf. 29-31; G. CAVALLO, Conservazione e perdita dei testi greci: fattori materiali, sociali, culturali, in Società romana e impero tardoantico IV. Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura, a cura di A. GIARDINA. Rom – Bari 1986, S. 83-172 [= ID., Dalla parte del libro. Storie di trasmissione dei classici (Ludus philologiae, 10) Urbino 2002, S. 49-175, Tf. 27] (mit der plausiblen Retrodatierung dieses Codex ans Ende des 11. Jh. auf S. 159 des Nachdrucks); ID., Scritture informali, cambio grafico e pratiche librarie a Bisanzio tra i secoli XI e XII, in I manoscritti greci tra riflessione e dibattito. Atti del V Colloquio Internazionale di Paleografia Greca (Cremona, 4-10 ottobre 1998) a cura di G. PRATO (Papyrologica Florentina, 31). Florenz 2000, S. 219-238 mit Tf. 15a. — Not: Bibliotheksetikett mit der aktuellen Signatur auf dem Rücken sowie auf der Innenseite des Einbandes; Stempel der BAV auf ff. Ir, 2v und 3r. Auf fol. Ir die älteren Signaturen 990 und N°. 10. 5 Plu secr. sowie 996. Vat. gr. P.1a. Auf fol. 3r im oberen Freirand die aktuelle Signatur 996. Vat. gr. – V: (†1358/1361) (vgl. oben unter S). Der Codex ist — falls die Identifizierung mit dem entsprechenden Eintrag des Inventars des Jahres 1481 korrekt ist — seit 1481 an der Vaticana nachweisbar, siehe DEVREESSE, Le fonds grec (vgl. unter Lit), S. 103, Nr. 479. — Ill: keine. — E: Moderner Bibliothekseinband in weißem Pergament; auf dem Rücken in Goldprägung die Wappenstempel des Papstes Pius IX. [Mastai Ferretti] (1846/78) und des Kardinalbibliothekars Jean-Baptiste Pitra (1869/1889). Die aktuelle Signatur in Goldprägung auf dem Rücken. — Lit: Diodori Bibliotheca historica I, rec. F. VOGEL. Leipzig 1888 (Ndr. Stuttgart 1964), S. XVII (Sigle P, unter der falschen Signatur Vat. gr. 900); Diodori Bibliotheca historica II, rec. F. VOGEL. Leipzig 1890 (Ndr. Stuttgart 1964), S. III; S. PEPPINK, De Diodori codice antiquissimo, in Rivista di filologia e d’istruzione classica 62 (1934), S. 156-169; A. DILLER, Photius’ Bibliotheca in Byzantine Literature, in Dumbarton Oaks Papers 16 (1962), S. 389-396, hier S. 393 mit Anm. 36 [= ID., Studies in Greek Manuscript Tradition. Amsterdam 1983, S. 329-338, hier S. 333] ; R. DEVREESSE, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V (Studi e testi, 244). Vatikan 1965 (Ndr. Vatikan 2009), S. 103 (Nr. 479), S. 206 (Nr. 452), S. 289 (Nr. 429) sowie S. 437 (Nr. 76); P. BERTRAC, Codicologie et critique des textes. À propos de Diodore de Sicile V, 84, 2, in Revue d’histoire des textes 5 (1975), S. 239-242, hier S. 240-242; J. IRIGOIN, Papiers orientaux et papiers occidentaux, in La paléographie grecque et byzantine. Paris, 21-25 octobre 1974 (Colloques internationaux du Centre national de la recherche scientifique, 559). Paris 1977, S. 45-54, hier S. 54 (Datierung ins 11./12. Jh., erstmalige Identifizierung des Annotators mit Nikephoros Gregoras durch P. Canart); J. IRIGOIN, Les manuscrits d’historiens grecs et byzantins à 32 lignes, in Studia codicologica, hrsg. K. TREU (Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, 124). Berlin 1977, S. 237-245, hier S. 242 [= id., La tradition des textes grecs. Pour une critique historique. Paris 2003, S. 295-309, hier S. 302]; J. IRIGOIN, Le papier espagnol dans les manuscrits du treizième siècle, in Actas del V Congreso Español de Estudios clásicos. Madrid 1978, S. 639-642; P. CANART, Manuscrits d’Aristote et de ses commentateurs sur papier occidental ancien, in Aristoteles – Werk und Wirkung II. Kommentierung, Überlieferung, Nachleben, hrsg. J. WIESNER. Berlin – New York 1987, S. 418-

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433, hier S. 432 [= P. CANART, Études de paléographie et de codicologie. Reproduites avec la collaboration de M. L. AGATI – M. D’AGOSTINO (Studi e testi, 450/451). Vatikan 2008, II S. 831-846, hier S. 845]; Diodore de Sicile. Bibliothèque historique, livre II, éd. B. BOMMELAER (Collection des universités de France). Paris 1989, S. LILVIII; S. LUCÀ, Il Diodoro Siculo Neap. B. N. gr. 4* è italogreco, in Bollettino della Badia greca di Grottaferrata n. s. 44 (1990), S. 33-79, hier S. 60; N. G. WILSON, Ioannikios and Burgundio: a Survey of the Problem, in Scritture, libri e testi nelle aree provinciali di Bisanzio. Atti del seminario di Erice (18-25 settembre 1988), a cura di G. CAVALLO – G. DE GREGORIO – M. MANIACI (Biblioteca del «Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici nell’Università di Perugia», 5). Spoleto 1991, II S. 447-455, hier S. 449; M. MENCHELLI, Per la fortuna di Diodoro nel secolo X (Note sul Marciano gr. 375, il Vaticano gr. 130, il Neapolitano N. N. suppl. gr. 4), in Bollettino dei Classici s. 3 n. 13 (1992), S. 45-58, hier S. 58; P. CANART – S. DI ZIO – L. POLISTENA – D. SCIALANGA, Une enquête sur le papier de type «arabe occidental» ou «espagnol non filigrané», in Ancient and Medieval Book Materials and Techniques (Erice, 18-25 september 1992), ed. M. MANIACI – P. F. MUNAFÒ (Studi e testi, 357/358). Vatikan 1993 (Ndr. Vatikan 2009), I S. 313-393, hier S. 323 und S. 332 [= ID., Études (wie oben) II S. 1001-1081, hier S. 1011 und S. 1020]; P. BERTRAC, La tradition manuscrite de Diodore de Sicile: sur un ouvrage posthume de Richard Laqueur, in Revue des études grecques 106 (1993), S. 195-213, hier S. 198; A. L. GAFFURI, La teoria grammaticale antica sull’interpunzione dei testi greci e la prassi di alcuni codici medievali, in Aevum 68 (1994), S. 95-115, hier S. 113-114; C. M. MAZZUCCHI, Leggere i classici durante la catastrofe (Costantinopoli, maggio-agosto 1203): le note marginali al Diodoro Siculo Vaticano gr. 130, in Aevum 68 (1994), S. 165-218, hier S. 205, S. 208, S. 211-212; J. IRIGOIN, Titres, sous-titres et sommaires dans les œuvres des historiens grecs du Ier siècle avant J.-C. au Ve siècle après J.-C., in Titres et articulations du texte dans les œuvres antiques. Actes du colloque international de Chantilly 13-15 décembre 1994, éd. J.-Cl. FREDOUILLE – M.-O. GOULET-CAZÉ – Ph. HOFFMANN – P. PETITMENGIN (Collection des études augustiniennes. Série Antiquité, 152), S. 127-134, hier S. 133 mit Anm. 11; P. CANART, Quelques exemples de division du travail chez les copistes byzantins, in Recherches de codicologie comparée. La composition du codex au Moyen Âge, en Orient et en Occident, éd. Ph. HOFFMANN. Paris 1998, S. 49-67, hier S. 61 [= ID., Études (wie oben) II S. 1135-1153, hier S. 1147]; Librorum Graecorum Bibliothecae Vaticanae Index a Nicolao De Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno 1533, curantibus M. R. DILTS – M. L. SOSOWER – A. MANFREDI (Studi e testi, 384). Vatikan 1998, S. 53 (Nr. 431); Diodore de Sicile, Bibliothèque historique. Tome I. Introduction générale, par F. CHAMOUX – P. BERTRAC (Collection des universités de France). Paris 2002, S. LXXX-LXXI (datiert ins 11./12. Jh.), S. LXXXVII und S. XCVII (Stemma) sowie S. C; S. LUCÀ, Frammenti di codici greci in Umbria, in Bollettino della Badia greca di Grottaferrata n. s. 56/57 (2002/3), S. 107-131, hier S. 122 mit Anm. 50; D. BIANCONI, Eracle e Iolao. Aspetti della collaborazione tra copisti nell’età dei Paleologi, in Byzantinische Zeitschrift 96 (2003), S. 521-558, hier S. 547-548 mit Abb. 11 (Identifizierung der Hand des anonymen Mitarbeiters des Nikephoros Gregoras mit dem Annotator des Vat. gr. 1086); Diodore de Sicile, Bibliothèque historique II. Livre II, éd. B. ECK (Collec-

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tion des universités de France). Paris 2003, S. LV-LIX; D. BIANCONI, La biblioteca di Cora tra Massimo Planude e Niceforo Gregora. Una questione di mani, in Segno e Testo 3 (2005), S. 391-438, hier S. 416-417 (Präzisierung der Zuweisung einiger Marginalien an Nikephoros Gregoras); Index seu inventarium Bibliothecae Vaticanae divi Leonis pontificis optimi anno 1518 C. Series graeca, curantibus M. L. SOSOWER – D. F. JACKSON – A. MANFREDI (Studi e testi, 427). Vatikan 2006, S. 57 (Nr. 452); J.-B. CLÉRIGUES, Nicéphore Grégoras, Copiste et superviseur du Laurentianus 70,5, in Revue d’histoire des textes n. s. 2 (2007), S. 21-47, hier S. 36 mit Anm. 61; P. CANART, Additions et corrections au Repertorium der griechischen Kopisten 8001600, 3, in Vaticana et medievalia. Études en l’honneur de Louis Duval-Arnould réunies par J. M. MARTIN – B. MARTIN-HISARD – A. PARAVICINI BAGLIANI (Millenio Medievale, 71, Strumenti e studi n. s., 16). Florenz 2008, S. 41-63, hier S. 59; R. R. TREVISAN, Legislatori ispirati in Diodoro Siculo (1.94.1-2), in Rivista di cultura classica e medioevale 51 (2009), S. 67-98, hier S. 69-71.

Die umfangreiche Bibliographie lässt erkennen, dass der Codex bereits oft studiert wurde. Den Anlass hierfür bot vor allem die Verwendung katalanischen Papiers: Die Handschrift ist aufgrund des Duktus um 1100 zu datieren (vgl. Tf. I) und dürfte somit eine der ältesten griechischen Handschriften auf katalanischem Papier sein. Beachtung fand auch die Benutzung des Bandes durch den byzantinischen Gelehrten und Historiker Nikephoros Gregoras (†1358/61), die erstmals von P. Canart festgestellt wurde. Übersehen wurden allerdings einige Details, welche die Ergänzung des Codex unter der Leitung des byzantinischen Historikers betreffen1. Diese Ergänzung fand zwischen 1347 und 1361 statt (zu dieser Datierung vgl. weiter unten) und betraf den Anfang und das Ende des alten Buchblocks. Ein anonymer Mitarbeiter des Nikephoros Gregoras fügte vor das heutige f. 3 (das erste des alten Buchblocks) ein Doppelblatt aus Pergament ein, auf dem er im Wechsel mit Nikephoros Gregoras ein Exzerpt aus der sog. Bibliotheke des Photios (cod. 70) und den Anfang des ersten Buches Diodors ergänzte; wegen dieser späteren Ergänzung fehlt der ansonsten obligatorische Pinax zum ersten Buch des antiken Historikers. Dieses Doppelblatt ist nicht weiter auffällig und soll uns daher nicht näher beschäftigen. Anders verhält es sich mit der Ergänzung am Ende des Buchblocks (ff. 314-317), die dem Schluss des 5. Buchs galt und ebenfalls unter Beteiligung des Nikephoros Gregoras und seines anonymen Mitarbeiters stattfand. Diese Restaurierung besteht aus einem Binio auf Pergament, bei dessen Zusammensetzung die lex Gregory nicht beachtet wurde. Das erste Doppelblatt (ff. 314+317) misst 223 × 330 mm, das zweite (ff. 315+316) ist mit 220 × 322 mm etwas kleiner. Um an das etwas größere Format der Handschrift angepasst zu werden, wurden ff. 315 und 316 in einen Passe1

Siehe die annotierte Bibliographie oben, auf die hier nicht eigens verwiesen wird.

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partout-Rahmen aus Pergament eingefasst. Während auf ff. 314 und 317 außer dem eigentlichen Diodor-Text keine Tintenspuren erkennbar sind (auch unter UV-Licht nicht), ist fol. 315v (Fleischseite) offensichtlich palimpsestiert; auch ohne UV-Licht können dort die Reste einer Unterschrift des Kaisers Ioannes VI. Kantakuzenos in roter Tinte gelesen werden (vgl. Tf. II), und zwar transversa charta. Konkret lässt sich der folgende Text entziffern2: 1ὀκτακο]σιοστοῦ

ΠΕΝΤΗΚΟΣΤ(οῦ) ΠΕΜΠΤΟΥ ἔτους |2 ἐν ᾧ] καὶ τὸ ἡμέτερον εὐσεβὲς καὶ θε]οπρόβλητον ὑπεσημήνατο |4 [κράτος. †] ἸΩ(άνν)ης ἘΝ Χ(ριστ)Ω ΤΩ Θ(ε)Ω ΠΙΣΤΟΣ |5 ΒΑ]ΣΙΛΕΥΣ ΚΑΙ ΑΥΤΟΚΡΑΤΩΡ |6 ῬΩ]ΜΑΙ(ων) Ὁ ΚΑΝΤΑΚΟΥΖΗΝΟΣ† |3

Für die Restaurierung wurden also Fragmente eines chrysobullos logos des Kaisers Ioannes VI. Kantakuzenos verwendet, der zwischen dem 8. Februar (Erhebung zum Hauptkaiser) und 31. August 1347 datiert werden kann. Auf dem Verso sind keine Klebe- oder διά-Vermerke erkennbar; die Schriftgröße in der letzten Textzeile beträgt ca. 5-10 mm, der Zeilenabstand entspricht ca. 10 mm. Nach den geringen Textspuren zu urteilen, ist der Urkundenschreiber identisch mit jenem, der ein Chrysobull des Kaisers Ioannes VI. Kantakuzenos vom Oktober 1349 schrieb3. Die ursprüngliche Anordnung der Siegellöcher ist nicht mehr eindeutig zu bestimmen; erkennbar sind noch zwei horizontale Faltspuren der ursprünglichen Plica und eine vertikale (wohl sekundär). Über den Inhalt des Chrysobulls lassen sich aufgrund der Überlieferung zwei Aussagen machen. Da der Text vor 1358/61 (Tod des Nikephoros Gregoras) palimpsestiert wurde, wird er um diese Zeit nicht mehr aktuell gewesen sein; das kaiserliche Privileg dürfte somit eher eine Privatperson denn eine religiöse Einrichtung betroffen haben, die an der Weitertradierung des Urkundentextes interessiert gewesen wäre und für diese auch entsprechend gesorgt hätte. Auch mit Nikephoros Gregoras dürfte der Text nichts zu tun gehabt haben, denn andernfalls wäre letzterer wohl kaum bereit gewesen, das Dokument als Makulatur zu verwenden4. 2

Die Transkription folgt den Usancen der französischen Reihe „Archives de l’Athos“. F. DÖLGER, Regesten der Kaiserurkunden des oströmischen Reiches von 565-1453. 5. Teil. Regesten von 1341-1453. Unter verantwortlicher Mitarbeit von P. WIRTH (Corpus der griechischen Urkunden des Mittelalters und der neueren Zeit. Reihe A, Abteilung 1). München – Berlin 1965, S. 22 (Nr. 2954); vgl. N. OIKONOMIDÈS, Actes de Docheiariou (Archives de l’Athos, 13). Paris 1984, S. 186-188 (Nr. 27) mit Tf. 22. 4 Nachrichten über das Verhältnis des Nikephoros Gregoras zu Kaiser Ioannes VI. Kantakuzenos während der in Frage kommenden Zeit (Februar bis Ende August 1347) geben jedenfalls keinen Hinweis darauf, dass für Gregoras ein kaiserliches Privileg ausgestellt worden wäre; siehe die detaillierten Angaben bei H.-V. BEYER, Eine Chronologie der Lebensgeschichte 3

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2. Das Fragment eines Schreibens des Metropoliten von Monembasia Eingelegt in den Codex Vat. Pal. gr. 103 (Manuel Moschopulos), der etwa aus der Mitte des 15. Jahrhunderts stammt und dessen Hauptteil von dem sog. Anonymus Chi-Lambda [vgl. Tf. III] geschrieben wurde5, findet sich ein Schreiben des Metropoliten von Monembasia aus dem Jahre 1436, das vor der Neubindung des Codex in Rom als Nachsatzblatt fungiert haben mag6. Die Urkunde (f. 157) misst heute 192/194 × 125/157 mm und ist entsprechend dem Format der Handschrift gefaltet; die Rückseite wurde mit einem Papierstreifen verstärkt. Der rechte Freirand ist abgebrochen, wobei der Umfang des Textverlustes kontinuierlich zunimmt. Im unteren Freirand wurde ein Bibliotheksstempel angebracht, im oberen Freirand steht eine Notiz von späterer Hand [vgl. Tf. IV]7. Der Metropolit von Monembasia gewährt (Name der Partei nicht überliefert) die Nutzung von Ländereien der Metropolis am Ort Belias. Vat. Pal. gr. 103, f. 157v

γράμμα (Z. 14) µ(ην)ῒ ὀκτ(ωβ)ρ(ίῳ) κδ´ (ἰνδικτιῶν)ος ιε´ τοῦ ,ϛτουϡουμουεου ἔ[τους] [= 24. Oktober 1436]

1†Ἐπειδὴ

παρεκάλεσαν οἱ ἐν ἁγΐω πν(εύματ)ι ἀγαπητοὶ υἱοὶ τῆς ἡμ(ῶν) μετρϊότητο[ς …..] |2 οὓς τόπους ἐκοπίασ(αν) κ(αὶ) ἐκακοπάθησ(αν) εἰς τὸν ἐπϊκαλούμ(εν)ον Βηλΐ(αν), καὶ […..] |3 εὑρϊσκόμ(εν)οι γέροντες μέμνητ(αι) ποτὲ γεγονότ(ας) οὕτως ὡς αὐτοὶ νῦν ἐκοπίασ(αν) κα[ὶ ἐκακοπάθησαν …..] |4 τὸν des Nikephoros Gregoras, in Jahrbuch der österreichischen Byzantinistik 27 (1978), S. 127-155, hier S. 137. 5 Vgl. D. HARLFINGER, Specimina griechischer Kopisten der Renaissance I. Griechen des 15. Jahrhunderts. Berlin 1974, S. 18 (Nr. 15) mit Tf. 15. Von diesem Anonymus stammen die ff. IIIr, 1r-63v und 65r-153v; eine andere Hand schrieb f. 64r-v. 6 H. STEVENSON, Codices manuscripti Palatini graeci Bibliothecae Vaticanae. Rom 1885 (Ndr. Vatikan 1975) , S. 50-51 (bezieht das Datum der Urkunde fälschlicherweise auf die Entstehungszeit des Codex). Die Handschrift weist wie alle Codices Palatini Graeci einen modernen Bibliothekseinband auf: Pappdeckel in hochrotem Leder aus der Zeit um 1780, Rücken restauriert und mit den Wappenstempeln des Papstes Pius IX. [Mastai Ferretti] (1846/1878) und des Kardinalbibliothekars Angelo Mai (1853/54) versehen (vgl. I. SCHUNKE, Die Einbände der Palatina in der Vatikanischen Bibliothek [Studi e testi, 218]. Vatikan 1962 [Ndr. Modena 1989] II S. 909-912, hier S. 909). — Auf die Provenienz des Bandes weist der Vermerk Cyp. hin (f. Ir); zu dessen Deutung vgl. zuletzt F. D’AIUTO – P. VIAN, Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana. I: Dipartimento manoscritti (Studi e testi, 466). Vatikan 2001, S. 463 (möglicherweise Hieronymos Tragudistes). 7 Der Text dieser Notiz lautet: προ σε τὸν αὐθέντ(ην) | πολϊiμιτον κ(αὶ) ἀξιη (nec plura).

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κόπον καὶ τὴν ἐπϊμέλειαν αὐτῶν, δϊορίζετ(αι) καὶ δίδωσιν αὐτ[οῖς …..] |5 μ(έν)ον μ(ητ)ροπολϊαν(ὸν). καὶ τοὺς παρ᾿ αὐτῶν γενησομ(έν)(ους) καρποὺς ἐπαπ[ολαῦσαι …..] |6 ἔτϊ καὶ ἀνενοχλήτ(ως) πρὸς τὴν ἡμ(ῶν) μετρϊότητα ἢ πρὸ(ς) τ(ὸν) κατ[ὰ καιροὺς …..] |7 τόπους, ἀκλόπως τὸ δέκατον κ(αὶ) ἔχειν ἄδειαν φϋτεῦσα[ι ….. κατὰ τὴν ἐπι] |8 κρατήσασ(αν) νομήν τε καὶ σϋνήθειαν τῶν ἀμπελί(ων). ἔτϊ τ[…..] |9 ἂν καὶ βούλοιντο οἱ κατ᾿ αὐτοὺς παῖδες τὲ κ(αὶ) κληρονόμ[οι …..] |10 τόπους τοὺς χερσαίους· οὓς ἐκακοπάθησ(αν) καὶ ἐποίησ(αν) [….. καλ] |11 λϊεργεῖν κατὰ τ(ὴν) ἐπϊκρατήσασ(αν) σϋνήθειαν τῶν γεωργῶν· δι[….] |12 ἢ ἀφαιρῆσαι τί ἀπὸ τοῦ νεμϊσμένου δεκάτου, ἢ ἐπηρεᾶσ[αι ….. ὁ κατὰ] |13 καιροὺς εὑρϊσκόμ(εν)ος ἐπϊστάτης ἐκεῖσε παρὰ τῆς ἡμ(ῶν) με[τριότητος …..] |14 αυτους καὶ τὸ παρ(ὸν) γράμμα τῆς ἡμ(ῶν) μετρϊότητος καὶ ἐ[πεδόθη ….. εἰς ἀσφάλειαν] |15 μ(ην)ῒ ὀκτ(ωβ) ρ(ίῳ) κδ´ (ἰνδικτιῶν)ος ιε´ τοῦ ,ϛτουϡουμουεου ἔ[τους]. |16 †Ὁ Μονοβασ[ίας Δοσίθεος†]

—————— 3 l. μέμνηνται 5 in marg. †ἐπειδὴ manu recentiore 6 ἀνενοχλήτως litt. : ν1 e corr. 8 τ[ : lectio incerta 12 uox supra ἀφαιρῆσαι manu secunda scripta legi non potest | l. νενομισμένου 14 ἐ[ : lectio incerta | l. αὐτοὺς 15 l. ,ϛτοῦ ϡοῦμοῦεου

Die Urkunde ist stark fragmentarisch überliefert, weshalb es schwierig ist, ein sinnvolles Regest zu formulieren. Zwischen der ersten und zweiten Zeile besteht ein scheinbarer Zusammenhang, doch fällt auf, dass der Name der begünstigten Partei nirgendwo genannt ist; daher ist es notwendig, an dieser Stelle eine größere Lücke anzusetzen, der auch die Ergänzungen in den übrigen Zeilen angepasst werden müssen. Der Name des signierenden Metropoliten ist nicht überliefert, lässt sich aber ergänzen; der amtierende Metropolit von Monembasia ist seit ca. 1430/31 (1437 erstmals ausdrücklich belegt) Dositheos, vormals Metropolit von Trapezunt und Lehrer Bessarions8. Der Metropolit bestätigt (Name der begünstigten Partei nicht überliefert) auf eigene Bitte hin (Z. 1) in der Nutzung der Ländereien der Metropolis (Z. 5) am anderwärtig nicht bekannten Ort Belias (Z. 2). Der begünstigten Partei sowie deren Rechtsnachfolgern (Z. 9) wird das Recht eingeräumt, auf den genannten Ländereien Wein anzubauen (Z. 7-8); der Zehnt (Z. 7 und 12) verbleibt wahrscheinlich bei der Metropolis.

8 H. KALLIGAS, Byzantine Monembasia. The Sources. Monembasia 1990, S. 253-254; J. PREISER-KAPELLER, Der Episkopat im späten Byzanz. Ein Verzeichnis der Metropoliten und Bischöfe des Patriarchats von Konstantinopel in der Zeit von 1204 bis 1453. Saarbrücken 2008, S. 291 (mit Literatur).

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Tf. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 996A, f. 10r.

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Tf. II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 996A, f. 315v.

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RUDOLF S. STEFEC

Tf. III – Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. gr. 103, f. 70r.

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Tf. IV – Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. gr. 103, f. 157v

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MARIO VARVARO

LE ULTIME LETTERE DEL CARTEGGIO DI NIEBUHR E MAI (FEBBRAIO 1828 – GENNAIO 1829) L’inizio dei rapporti fra Barthold Georg Niebuhr (1776-1831) e Angelo Mai (1782-1854) fu segnato da una accesa polemica1. A darvi origine era stata la pubblicazione a Milano, nel 1815, dell’edizione delle lettere di Frontone2 riscoperte da Mai in un palinsesto proveniente da Bobbio e conservato nella Biblioteca Ambrosiana3. Ritenendo imperfetta tale edizione, Niebuhr l’aveva criticata nel corso di una relazione tenuta alla KöniglichPreußische Akademie der Wissenschaften. In seguito, avvalendosi dell’aiuto di due filologi che, come lui, erano membri dell’Accademia delle Scienze, aveva realizzato a Berlino un’altra edizione4 nella quale si proponeva un ordine dei frammenti diverso da quello suggerito nell’edizione milanese. Nella lettera dedicatoria premessa all’edizione berlinese Niebuhr aveva formulato rilievi critici anche nei confronti dell’edizione maiana dei frammenti dell’orazione pro Scauro5 rinvenuti in un codice ambrosiano6. Mai se ne era risentito e aveva pensato immediatamente di replicare. La tentazione di confutare gli editori berlinesi, alimentata dal disappun1 Sulle origini e sugli sviluppi di questa polemica cfr. M. VARVARO, Der Gaius der Preußen, in ZSS R.A. 128 (2011), pp. 239-262; ID., Le Istituzioni di Gaio e il Glücksstern di Niebuhr, Torino 2012, pp. 37 ss., con altra bibliografia. 2 ·M· Cornelii Frontonis opera inedita cum epistulis item ineditis Antonini Pii ·M· Aurelii ·L· Veri et Appiani nec non aliorum veterum fragmentis invenit et commentario prævio notisque illustravit Angelus Maius bibliothecæ Ambrosianæ a linguis orientalibus, Mediolani 1815. 3 Si tratta del Cod. Ambr. E 147 sup. (CLA, III, 26a-b, 27-29, 31), un codice miscellaneo ter scriptus contenente anche i celebri Scholia Bobiensia in Ciceronem. Della scoperta e della pubblicazione si trova notizia dettagliata in Mai ad Andrés, Milano 19.8.1815, in A. MAI, Epistolario, I (giugno 1799 - ottobre 1819), a cura di G. GERVASONI, Firenze 1954, pp. 108-110 [Nr. 68]. 4 M. Cornelii Frontonis reliquiae ab Angelo Maio primum editae meliorem in ordinem digestas suisque et Ph. Buttmanni, L. F. Heindorfii, ac selectis A. Maii animadversionibus instructas iterum edidit B. G. Niebuhrius C. F. Accedunt liber de differentiis vocabulorum et ab eodem A. Maio primum edita Q. Aurelii Symmachi octo orationum fragmenta, Berolini 1816. 5 Si legga quanto osservato a tale proposito da Niebuhr in M. Cornelii Frontonis reliquiae cit., p. VI: «Accedebat, quod ex Ciceronianis intellexeram, Maium neque singula folia iusto ordine disposuisse, quod ei in oratione pro Scauro accidit, et magnam emendandi materiem reliquisse.» 6 Si tratta del Cod. Ambr. R 57 sup. (CLA, III, 363).

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 707-738.

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to provato nel vedere il suo Frontone «deformato»7, si accrebbe quando lo «scopritor famoso» notò che il rilievo relativo alla sequenza dei frammenti ciceroniani non era passato inosservato ad altri editori8. Insieme alle osservazioni sull’opera di Frontone, infatti, esso aveva attirato l’attenzione di altri filologi9. La replica alle critiche presenti nell’edizione berlinese delle lettere di Frontone fu pubblicata da Mai in appendice alla seconda edizione delle orazioni ciceroniane uscita dai torchi nell’agosto del 181710. In essa egli te7 Si legga l’appunto autografo scritto da Mai in calce al Commentarius prævius alla pagina CVI del suo esemplare personale, in Vat. lat. 9632, f. 57v: «Fronto meus in editione berolinensi quam sordet! quam est humilis! quamque dispectus! Ut pictor si tabula ope diligenter elaboratam repente oblitam coeno videáretà, magnum credo acciperet dolorem; sic ego Frontonem, omnibus a me pictum et politum artis coloribus, subito deformatum, non sine magno dolore vidi. Cic. ad Att. II. 21.» 8 Cfr. gli Addenda alla Praefatio novae editionis in M. Tulli Ciceronis Orationum pro Scauro, pro Tullio, pro Flacco partes ineditae, cum scholiis ad orationem pro Scauro item ineditis. Invenit, recensuit, notis illustravit Angelus Maius, bibliothecae Ambrosianae a linguis orientalibus. Cum emendationibus suis et commentariis denuo ediderunt Andr. Guil. Cramerus, iurisconsultus, et Carol. Frid. Heinrichius, philologus, Kiliae 1816, p. XXIV. 9 In proposito si può leggere la lettera di Jacobs a Mai, [Gotha 15.3.1817], in MAI, Epistolario, I, cit., pp. 173-176 [Nr. 118]. L’articolo di Christian Friedrich Wilhelm Jacobs (17641847) sulle lettere greche di Frontone fu poi pubblicato nel 1817: F. J[ACOBS], Notae criticae in M. Corn. Frontonis Epistolas graecas, in F. A. WOLF, Litterarische Analekten, I, Berlin 1817, pp. 108-127 e (Append. notarum in Frontonem) pp. 248-250. 10 Cfr. A. MAI, De editione principe mediolanensi operum Frontonis commentationes, in appendice a ·M· Tulli Ciceronis sex orationum partes ante nostram aetatem ineditae cum antiquo interprete ante nostram item aetatem inedito qui videtur Asconius Pedianus ad Tullianas septem orationes. Accedunt scholia minora vetera. Editio altera, quam ad codices Ambrosianos recensuit emendavit et auxit ac descriptionem codicum CXLIX. vita Ciceronis aliisque additamentis instruxit Angelus Maius Ambrosiani Collegii doctor, Mediolani 1817, pp. 11-37. La replica fu stampata anche come opuscolo a parte nel settembre dello stesso anno, e poi nuovamente nel mese di dicembre con qualche aggiunta e correzione, riproducendo in apertura la lettera a Ennio Quirino Visconti (1751-1818), indicato come giudice per la definizione delle controversie relative a Dionigi, Frontone e Asconio: A. MAI, De editionibus principibus mediolanensibus fragmentorum Ciceronis atque operum Frontonis commentationes quae sunt appendices editionis alterius fragmentorum Ciceronis, Mediolani 1817. Cfr. Bekker all’Accademia delle Scienze di Berlino, Mailand 11.9.[18]17, in Archiv der Berlin-Brandenburgischen Akademie der Wissenschaften [d’ora innanzi: ABBAW], II-VIII, 252, ff. 17-18, qui f. 17rv: «Mais neuste Fünde enthält inliegendes Blatt. Die Commentationes de editionibus principibus Mediolanensibus fragmentorum Ciceronis atque operum Frontonis hinter der vor einem Monat erschienenen zweiten Auflage seines Cicero, 37 Seiten, dem Pariser | [17v] Visconti gewidmet als Dankopfer für dessen Anerkennung der Aechtheit des Mai’schen Dionysius, sind gegen den Berliner Fronto gerichtet, und bemüht so wohl die Ehre des Autors zu retten als das Verfahren des Mailänder Herausgebers zu rechtfertigen, jenes mit Gründen von folgender Stärke (S. 14): reuera si nihil est aliud teste Tullio pulchre et oratorie dicere, nisi optimis sententiis uerbisque lectissimis dicere; quo pacto Fronto in oratorum excellentium numerum uenire non debet? quae quum ita se habent, nonne est intolerabilis eorum oratio, qui Frontonem se risisse aiunt?»; Bekker a Niebuhr, Mailand 9.9.[18]17, in ABBAW, Nachlass B. G. Niebuhr 56 (Bekker), ff. 7-8, qui f. 7r:

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neva a precisare ai propri lettori di scrivere pacatamente e con moderazione, poiché l’«editore prussiano» non lo giudicasse come un suo nemico11. Per rispondere alle osservazioni formulate da Niebuhr in ordine alla sequenza dei frammenti frontoniani Mai aveva potuto contare sul notevole vantaggio di cui disponeva rispetto a chi gli aveva rivolto le critiche che tanto lo avevano amareggiato. Le sue edizioni, difatti, non erano pubblicate seguendo criteri diplomatici. Ciò impediva ai lettori di poter risalire alla posizione che le parole occupavano nel testo dell’originale, di determinare l’estensione delle lacune, di capire dove terminasse una pagina e ne cominciasse un’altra12. Anche a distanza di tempo dalla pubblicazione, invece, Mai era in grado di sapere in quale ordine i frammenti si susseguissero realmente nel manoscritto, perché nei lavori di trascrizione egli era solito appuntare tutti i dati che consentivano di individuare il numero dei fogli e dei righi13. Questo metodo di lavoro gli permetteva di ricostruire il rapporto fra il testo del manoscritto e quello stampato14, e di trovarsi così in una «Daß ávonà Mai eine zweite Auflage der Ciceronischen Fragmente erschienen ist mit einem Anhang gegen den Berliner Fronto, wissen Sie wohl schon. Ich habe diese nur durchblättern können, aber doch sattsam gesehn, was Ihnen freilich nichts neues sein wird, daß der Mann alles Urtheils völlig entbehrt: so gar läppisch deräsonnirt er. Doch das ist ein πάρεργον.» Cfr. anche Mai a Ciampi, Milano 13.2.1819, in MAI, Epistolario, I, cit., pp. 288-292 [Nr. 219]. 11 MAI, De editione principe mediolanensi operum Frontonis commentationes cit., p. 12: «Nunc quoniam res plane postulat, dicam aliquid de Berolinensi editione; sed tamen id ipsum pacate moderateque dicam, ut ne (quoniam sibi me non esse inimicum potest conscientiae suae testimonio Borussus Editor iudicare) omne veritatis patrocinium deserere videar.» 12 Questo sistema di pubblicazione del testo fu apertamente stigmatizzato da Niebuhr nel corso della sua relazione all’Accademia delle Scienze di Berlino in cui commentò l’edizione delle orazioni ciceroniane riscoperte da Mai, il cui testo fu pubblicato postumo in B. G. NIEBUHR, Ueber die zu Mailand entdeckten Schriften des M. Cornelius Fronto, in Kleine historische und philologische Schriften. Zweite Sammlung, Bonn 1843, pp. 52-72. Il metodo adottato da Mai, a suo giudizio, costituiva un passo indietro rispetto alla qualità dell’edizione del frammento liviano pubblicato da Vito Maria Giovenazzi (1727-1805) e da Paul Jacob Bruns (1743-1814). Seppur lontana dall’ideale di un’edizione filologica eccellente, infatti, essa facilitava almeno il lavoro critico sul testo, come sottolineato da B. G. NIEBUHR, Bemerkungen zu den neuentdeckten Fragmenten Tullianischer Reden, in Kleine historische und philologische Schriften. Zweite Sammlung cit., pp. 48-49. Per il giudizio che circolava a Berlino fra i membri dell’Accademia Prussiana delle Scienze sulle edizioni di Mai cfr. VARVARO, Der Gaius der Preußen cit., pp. 242-243 e ivi nt. 8; ID., Zwei wiederentdeckte Briefe Barthold Georg Niebuhrs vom 23.11.1816 und ein anonymer Aufsatz in der ‘Allgemeinen Litteratur-Zeitung’, in TR 80 (2012), p. 185. 13 Su questo metodo di lavoro cfr. F. LO MONACO, In codicibus ... qui Bobienses inscribuntur: scoperte e studio di palinsesti bobbiesi in Ambrosiana dalla fine del Settecento ad Angelo Mai (1819), in Aevum 70 (1996), p. 697. 14 La trascrizione del testo dell’epistolario di Frontone eseguita da Mai si trova in Vat. lat. 9535, ff. 1-281. Come ricordato da LO MONACO, In codicibus cit., pp. 697-698 nt. 154, questa trascrizione potrebbe rivelarsi di una certa rilevanza per una nuova edizione del testo di Frontone, in quanto eseguita in un momento nel quale la leggibilità del palinsesto non era

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posizione privilegiata rispetto a quanti non disponessero di quelle informazioni15. Mai, inoltre, poteva continuare a contare sulla collaborazione dei bibliotecari dell’Ambrosiana, ai quali poteva chiedere di controllare a distanza i palinsesti che, anche dopo la partenza da Milano, venivano negati ad altri studiosi che chiedessero di visionarli16. Non avendo l’opportunità di effettuare tali riscontri, invece, i suoi lettori potevano comprensibilmente ingannarsi nella ricostruzione dell’ordine in cui i frammenti pubblicati si susseguivano nel manoscritto17. Consapevole del vantaggio che godeva nei confronti di quanti non erano in grado di visionare i manoscritti originali, Mai lo sfruttò per replicare alle critiche rivoltegli e tentare di riabilitare così la propria reputazione di editore. Insistendo sulla erroneità delle congetture proposte da Niebuhr, egli ebbe facile gioco nell’osservare, non senza una punta di ironia mista a compiacimento, che dal frontespizio dell’edizione di Frontone pubblicata

stata ancora compromessa dagli effetti dei reagenti impiegati per la decifrazione del testo sottostante. In effetti il palinsesto ambrosiano fu ridotto in uno stato pietoso che rese particolarmente difficile le successive letture della scriptura inferior. 15 Non è da escludere che una scelta editoriale di questo tipo non fosse frutto semplicemente della superficialità o della mancanza di esperienza riscontrabile in vari aspetti dei primi lavori pubblicati da Mai. Essa, infatti, potrebbe rappresentare una delle tante manifestazioni di gelosia che lo inducevano a condividere il meno possibile le informazioni delle quali disponeva e a guardare con sospetto tutti coloro — soprattutto se stranieri — che volessero consultare i manoscritti affidati alla sua custodia, e ad adoperarsi per rendere difficoltosa per gli altri studiosi la consultazione dei cataloghi delle biblioteche che li custodivano. Come osservato da S. TIMPANARO, Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa 1980, pp. 237-239, e più di recente da LO MONACO, In codicibus cit., p. 699, nelle prime edizioni Mai si guardò bene perfino dall’indicare la segnatura dei codici nei quali aveva ritrovato i testi da lui pubblicati. Sul suo atteggiamento di invidia e gelosia nei confronti di altri studiosi, che lo portava a non mostrare codici che sospettava contenessero inediti, risulta interessante il giudizio di F. BLUME, Iter italicum, III. Archive, Bibliotheke und Inschriften in der Stadt Rom, Halle 1830, p. 96. Si legga inoltre Bluhme a Savigny, Rom 6-16.3.1822, in D. STRAUCH, Friedrich Carl von Savigny: Briefwechsel mit Friedrich Bluhme 1820-1860, Bonn 1962, pp. 58-64 [Nr. 25], specialmente pp. 62-63. In Bekker a Niebuhr, Mailand 16.8.1817, in ABBAW, Nachlass B. G. Niebuhr 56 (Bekker), ff. 5-6 (inedita), si ricordano le difficoltà incontrate nella consultazione dei cataloghi della Biblioteca Ambrosiana. 16 Lo dimostrano le lettere di Mazzucchelli a Mai, fra cui Mazzucchelli a Mai, Milano 21.7.1821, in Vat. lat. 9539, ff. 329-330 (specialmente f. 329rv), nonché quella di Mazzucchelli a Mai, Milano 12.12.1822, in Vat. lat. 9539, f. 336, il cui testo è integralmente edito in G. COZZA LUZI, Epistolario del Cardinale Angelo Mai. Primo saggio di cento lettere inedite pubblicate per cura di G. Cozza Luzi, Bergamo 1883, pp. 52-53 [Nr. 23]. 17 Tale circostanza fu peraltro esplicitamente ricordata da Niebuhr per controbattere alle critiche malevolmente rivoltegli dall’«Anonimo veronese»: cfr. Lettre au Rédacteur de la Biblioteca Italiana par B. G. Niebuhr de l’académie royale de Berlin, envoyé de Prusse à Rome, Rome 1820, p. 7. Per l’identificazione dell’«Anonimo veronese» con il conte Ignazio Bevilacqua Lazise (1782-1827) cfr. VARVARO, Le Istituzioni di Gaio e il Glücksstern di Niebuhr cit., pp. 39-44.

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nella capitale prussiana andavano tolte innanzi tutto le parole «in meliorem ordinem»18. Restava ancora da regolare, tuttavia, il conto relativo ai frammenti ciceroniani della pro Scauro. Su questo punto le cose si presentavano assai meno facili, perché i fogli palinsesti ritrovati a Torino da Amedeo Peyron (1785-1870) confermavano quanto era stato congetturato da Niebuhr a tale proposito19. Fu nel pieno di tale polemica che Mai e Niebuhr ebbero modo di conoscersi personalmente a Roma. Con la nomina ad ambasciatore e ministro plenipotenziario del re di Prussia, infatti, Niebuhr era giunto nella città eterna nell’ottobre del 181620, dopo un lungo viaggio da Berlino durante il quale aveva riscoperto nella Biblioteca Capitolare di Verona il palinsesto che tramandava le Istituzioni del giurista romano Gaio21. Circa tre settimane dopo il suo trasferimento alla Biblioteca Vaticana, dove nel frattempo era stato nominato primo custode22, Mai si era recato in visita a Palazzo 18

MAI, De editione principe mediolanensi operum Frontonis commentationes cit., p. 15 (il corsivo riproduce quello dell’originale): «In primis a fronte Operis removenda sunt verba in meliorem ordinem.» 19 In argomento cfr. VARVARO, Le Istituzioni di Gaio e il Glücksstern di Niebuhr cit., specialmente pp. 44-54. 20 Ciò risulta da Niebuhr a Friedrich Wilhelm III, Rome 11.10.1816: cfr. VARVARO, Le Istituzioni di Gaio e il Glücksstern di Niebuhr cit., pp. 103-104. 21 Sul ritrovamento del palinsesto veronese resta fondamentale C. VANO, «Il nostro autentico Gaio». Strategie della Scuola storica alle origini della romanistica moderna, Napoli 2000, spec. pp. 121-128. La monografia è stata ripubblicata in tedesco con il titolo Der Gaius der Historischen Rechtsschule. Eine Geschichte der Wissenschaft vom römischen Recht, Frankfurt am Main 2008, pp. 101-109. Questa ricerca ha inaugurato un vero e proprio filone storiografico, nell’ambito del quale ci si è occupati anche della questione della casualità della riscoperta: cfr. J. M. COMA FORT, Índice comentado de las colecciones de fuentes del Corpus iuris civilis, Cizur Menor 2008, pp. 245-253; ID., «Ein entdecktes juristisches ineditum»: a propósito del descubrimiento de las Institutiones de Gayo, in SDHJ 79 (2013) pp. 653-686; M. VARVARO, Le Istituzioni di Gaio e il Ms. Lat. fol. 308, in SCDR 22 (2009), pp. 436-437; ID., Der Gaius der Preußen cit., pp. 241-242; ID., Le Istituzioni di Gaio e il Glücksstern di Niebuhr cit., passim, su cui v. ora la recensione di U. MANTHE, in IAH 5 (2013), pp. 193-200; F. BRIGUGLIO, Barthold Georg Niebuhr und die Entdeckung der Gaius-Institutionen – tatsächlich ein „Glückstern“?, in ZSS R.A. 128 (2011), pp. 264-298, la cui tesi centrale, chiaramente formulata in ID., Le «pagine scomparse», in MEP 10 (2007), pp. 143-146, è sensibilmente modificata correggendo o rivedendo punti qualificanti della precedente ricostruzione in ID., Gai codex rescriptus, in Gai Codex rescriptus in Bibliotheca Capitulari Ecclesiae Cathedralis Veronensis curavit Philippus Briguglio, Firenze 2012, pp. 29-39; ID., Il Codice Veronese in trasparenza. Genesi e formazione del testo delle Istituzioni di Gaio, Bologna 2012. 22 Mai era arrivato a Roma il 7 novembre 1819 dopo essere stato nominato ufficialmente primo custode della Biblioteca Apostolica Vaticana con breve pontificio il 20 ottobre 1819, per succedere a Francesco Antonio Baldi (1749-1826). Tale nomina era stata preceduta da una nomina segreta avvenuta il 17 ottobre 1818. In argomento cfr. G. MERCATI, M. Tullii Ciceronis De re publica libri e codice rescripto Vaticano latino 5757 phototypice expressi, II:

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Savelli, nel quale Niebuhr aveva preso alloggio, per incontrarlo di persona e lasciargli in dono un esemplare dell’edizione di Ulfila pubblicato in quello stesso anno23. Ma Niebuhr, costretto a letto da una malattia, non aveva potuto riceverlo, e l’indomani gli aveva scritto per scusarsi dell’accaduto e ringraziarlo del dono ricevuto. Con questa lettera, scritta in latino24 e databile al 30 novembre del 181925, ha inizio la corrispondenza fra Niebuhr e Mai, che si intensificherà dopo la partenza di Niebuhr da Roma, per interrompersi nel gennaio del 1829. Tale lettera è custodita a Roma, insieme ad altre lettere di Niebuhr a Mai, nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Si deve a Giuseppe Cozza Luzi (1837-1905)26 la pubblicazione di alcune di esse nell’ambito del primo Epistolario di Mai pubblicato per festeggiarne il centenario della nascita27. Si tratta, in particolare, di due lettere che si trovano ai ff. 139-140 e 143 di un codice, il Vat. lat. 9555, che le ha tramandate insieme a molti appunti di Mai, fra cui anche quelli presi durante il suo soggiorno presso la Biblioteca Capitolare di Verona nel novembre del 181728. Nella prefazione a questo primo epistolario l’editore spiegava le ragioni per cui la sua opera si fosse limitata all’edizione di sole cento lettere. Nell’invitare alla pubblicazione di quelle rimaste inedite, egli avvertiva che Prolegomena. De fatis bibliothecae Monasterii S. Columbani Bobiensis et de codice ipso Vat. Lat. 5757, [Romae] 1934 (rist. 1983), p. 209 nt. 2; G. GERVASONI, L’ambiente letterario milanese nel secondo decennio dell’Ottocento. Angelo Mai alla Biblioteca Ambrosiana, Milano 1936, p. 66; J. RUYSSCHAERT, La nomina di Angelo Mai come successore di Baldi alla direzione della Vaticana (1800-1820), in Bergomum 77 (1983), pp. 11 ss. 23 Vlphilae partium ineditarum in Ambrosianis palimpsestis ab Angelo Maio repertarum specimen coniunctis curis eiusdem Maii et Caroli Octavii Castillionaei editum, Mediolani 1819. 24 Niebuhr avrebbe scritto in latino anche la lettera a Mai del 29.2.[1820], perché ancora non si sentiva sicuro del suo italiano: cfr. VARVARO, Zwei wiederentdeckte Briefe Barthold Georg Niebuhrs cit., p. 186 nt. 78. Tutte le lettere successive indirizzate a Mai saranno scritte, invece, in un italiano che talora tradisce influenze delle strutture sintattiche proprie del tedesco e che risulta condizionato qui e là da usi ortografici caratteristici del francese (come «laquale» in luogo di «la quale») o del latino (come «apprehensione» per «apprensione», o «voluptà» per «voluttà»). Ciò nonostante, e a dispetto di altre piccole mende ortografiche, lo stile, scorrevole e complessivamente elegante, mostra la capacità non comune di Niebuhr di esprimersi senza troppe difficoltà anche in lingue diverse da quelle che padroneggiava alla perfezione. 25 Un tratto di questa lettera (per cui v. infra, ntt. 33-34 e contesto) è stato trascritto da Mai nella sua lettera a Peyron del 22.11.1820, il cui testo (di «difficile lettura per la sovrapposizione di due inchiostri su parecchie righe e la cancellatura di parole») è integralmente pubblicato in L. PESCE, Amedeo Peyron e i suoi corrispondenti. Da un carteggio inedito, s.l. e s.d. (ma Treviso 1997), pp. 121-123 [Nr. 47]. 26 Su di lui può vedersi il giudizio espresso da TIMPANARO, Aspetti e figure cit., pp. 295 ss. 27 COZZA LUZI, Epistolario del Cardinale Angelo Mai cit., pp. 66-69 e pp. 69-75. 28 Dall’ex libris risulta che questo volume proveniva dalla Bibliotheca Cardinalis Angeli Maii, nella quale era contrassegnato dalla segnatura Ch.VI.6.

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esse si trovavano fra le carte di Mai, acquistate da Pio IX (1846-1878) per la Biblioteca Apostolica Vaticana e accuratamente inventariate da Giovan Battista de Rossi (1822-1894)29. L’indicazione deve essere stata preziosa per Hermann Schöne (18701941), che nel 1903 pubblicò il testo di sei lettere di Niebuhr conservate a Roma30. Oltre alle due già edite da Cozza Luzi, il filologo tedesco rese noto il testo di altre quattro lettere tramandate in un altro codice, il Vat. lat. 9589 (ff. 386-393), costituito dalla copia personale di Mai del secondo tomo della Scriptorum veterum nova collectio31 cui erano state incollate in appendice anche alcune lettere32, fra cui quelle di Niebuhr. A Schöne non poteva essere nota un’altra lettera di Niebuhr conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana insieme ad altre carte di Mai, ma individuata solamente nell’aprile del 1920. Dopo il ritrovamento essa fu inserita insieme ad altri autografi nel Vat. lat. 12895 e pubblicata da Giovanni Mercati (1868-1957) nei Prolegomena dell’edizione fototipica del palinsesto vaticano che tramanda il De re publica ciceroniano33. Il testo è stato poi ripubblicato da Luigi Cortesi (1929-2009) nell’ambito della Ripresa dell’epistolario di Mai stampata nel 198334. 29 Cfr. Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, II: Dipartimento Stampati – Dipartimento del Gabinetto Numismatico – Uffici della Prefettura. Archivio – Addenda, elenchi e prospetti, indici, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011, pp. 828-830, con bibliografia. 30 H. SCHÖNE, Sechs Briefe B. G. Niebuhr’s an A. Mai, in Festschrift zu Otto Hirschfelds sechzigstem Geburtstage, Berlin 1903 (Beiträge zur alten Geschichte und griechisch-römischen Alterthumskunde), pp. 492-513. 31 Scriptorum veterum nova collectio e Vaticanis codicibus edita ab Angelo Maio Bibliothecae Vaticanae praefecto, II: Historicorum Graecorum partes novas complectens, Romae 1827. 32 In appendice a questo codice è conservata anche al f. 394 una lettera di Crispi a Mai, Palermo 8.9.1846, in cui si dà notizia della traduzione dei nuovi frammenti di Diodoro Siculo rinvenuti da Mai nella Vaticana, che Giuseppe Crispi (1781-1859) aveva pubblicato a Palermo. Il primo fascicolo di questa traduzione donato da Crispi a Mai è conservato in Vat. lat. 9589, ff. 399-407 e ha per titolo: I frammenti nuovi di Diodoro Sicolo ricavati da’ palimpsesti Vaticani dal Cardinal Angelo Mai e tradotti dal testo greco in italiana favella da Giuseppe Crispi Vescovo di Lampsaco professore di lettere greche nella Regia Università di Palermo con un preliminare discorso e l’aggiunta di nuove note, ed altri rischiarimenti, e di una rivista, correzione, e scelta di varianti, Palermo 1846. 33 MERCATI, Prolegomena cit., pp. 224-225 [Nr. 1], il quale osservava (p. 224) che «La lettera non potè comparire fra quelle del Niebuhr al Mai, che dai codici Vaticani dopo G. Cozza Luzi, raccolse Hermann Schöne e pubblicò l’a. 1903, perchè solo il 17 aprile 1920 fu ritrovata e collocata con altri autografi, fra cui due lettere del Mai a Vincenzo Monti (4 aprile 1818 e 9 aprile 1819) e con una a G. Favre Bertrand (20 sett. 1824), nel Vat. lat. 12895.» Sull’edizione di Mercati è basata anche quella proposta da Vischer in B. G. NIEBUHR, Briefe · Neue Folge · 1816-1830. Herausgegeben von Eduard Vischer, I: Briefe aus Rom (1816-1823), Bern – München 1981, pp. 488-491 [Nr. 231]. 34 L. CORTESI, Epistolario di A. Mai: ripresa, in Bergomum 77 (1983), pp. 291-293 [Nr. 259].

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Le lettere a Mai conservate a Roma sono state nuovamente considerate dallo storico svizzero Eduard Vischer (1903-1996) nell’ambito della Neue Folge delle lettere di Niebuhr35. In quest’opera, tuttavia, i testi non sono stati editi sempre in versione integrale e dopo aver controllato le trascrizioni direttamente sugli autografi36. La Biblioteca Apostolica Vaticana custodisce anche la minuta autografa di una lettera di Mai a Niebuhr (Vat. lat. 10163, ff. 123v e 125r), la cui trascrizione è stata pubblicata integralmente da Mercati37. A Mercati spetta anche il merito di avere individuato il destinatario di questa lettera, la cui minuta è priva di data, ma la cui stesura è riconducibile alla metà del 182038. Meno note sono invece le lettere di Mai a Niebuhr custodite nell’Archivio dell’Accademia delle Scienze di Berlino. Esse erano state individuate nell’ambito del Nachlass di Niebuhr da Gianni Gervasoni (1901-1957). Dopo essere riuscito a procurarsi per vie diplomatiche le copie fotostatiche delle lettere39, Gervasoni ne aveva trascritto integralmente i testi per inserirli nell’epistolario che aveva in animo di pubblicare. Secondo il piano dell’opera, l’intera raccolta delle lettere di Mai sarebbe stata articolata in tre volumi, all’interno dei quali i testi si sarebbero dovuti susseguire in ordine cronologico. In occasione del centenario della morte di Mai, tuttavia, si riuscì a dare alle stampe solamente il primo dei tre volumi previsti40, che includeva le lettere dell’arco di tempo compreso fra il giugno del 1799 e l’ottobre del 1819, ossia fino al termine del periodo trascorso da Mai a Milano. Con la morte di Gervasoni, avvenuta nel luglio del 1957, la realizzazione

35 B. G. NIEBUHR, Briefe · Neue Folge · 1816-1830. Herausgegeben von Eduard Vischer, in 4 voll., Bern – München 1981-1984. 36 Ciò rende conto del fatto che nell’edizione di Vischer i testi sono riprodotti con alcune sviste, che talora sono imputabili alla circostanza di aver lavorato su copie fotostatiche. Per alcune riflessioni sull’edizione delle lettere di Niebuhr pubblicata da Vischer cfr. VARVARO, Zwei wiederentdeckte Briefe Barthold Georg Niebuhrs cit., pp. 171-209, specialmente pp. 176178. 37 MERCATI, Prolegomena cit., pp. 228-229 [Nr. 3]. 38 In essa, infatti, si allude all’interessamento di Niebuhr per aver procurato a Mai il contratto per la pubblicazione del De re publica ciceroniano con il libraio parigino LouisGabriel Michaud (1772-1858), contratto che fu poi effettivamente concluso, sicché nei primi mesi del 1823 fu pubblicata a Parigi La République de Cicéron d’après le texte inédit récemment découvert et commenté par M. Mai, bibiothécaire du Vatican, avec une traduction française, un discours préliminaire et des dissertations historiques, par M. Villemain. L’opera apparve in due edizioni: una in ottavo, di due volumi, e l’altra in dodicesimo, di tre tomi. 39 Cfr. CORTESI, Epistolario cit., p. 58. 40 MAI, Epistolario, I, cit.

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del progetto si interruppe e gli ultimi due volumi non videro mai la luce41. Venivano troncate, così, la speranze del raggiungimento dei risultati che, nelle intenzioni di Gervasoni, si sarebbero potuti conseguire con l’edizione dell’intero epistolario, fra cui la Storia della filologia classica e le Relazioni studiose internazionali42. Fra le lettere di Mai trascritte da Gervasoni e non stampate vi erano anche quelle indirizzate a Niebuhr, che vanno dal febbraio del 1821 al gennaio del 1829, e che secondo il piano dell’opera sarebbero dovute comparire pertanto nel secondo dei tre volumi originariamente programmati43. Dopo la morte di Gervasoni il progetto editoriale fu ripreso e affidato a Luigi Cortesi, il quale ha pubblicato alcune lettere del periodo romano di Mai già trascritte da Gervasoni insieme ad altre lettere scoperte successivamente44. Fra queste, però, non sono presenti le lettere inviate a Niebuhr e custodite a Berlino. Le trascrizioni eseguite da Gervasoni, comunque, erano state messe a disposizione del bizantinista Agostino Pertusi (1918-1979), che le ha compulsate per la redazione del suo articolo apparso nel 1954 sul numero speciale della rivista Bergomum dedicato alle celebrazioni del centenario della morte di Mai45. In questo scritto Pertusi ne riferisce alcuni tratti46, sia pure con rammodernamenti ortografici e qualche altra infedeltà testuale. Nel secondo volume della Neue Folge delle lettere di Niebuhr, Vischer dava notizia delle lettere di Mai a Niebuhr custodite a Berlino e invitava a pubblicarle, sottolineando la loro importanza per poter valutare l’attività di Niebuhr come filologo47. In effetti, l’edizione completa delle lettere del 41 Sulla storia della preparazione di questo epistolario può vedersi CORTESI, Epistolario cit., pp. 57-59. 42 Cfr. CORTESI, Epistolario cit., p. 60. 43 Cfr. TIMPANARO, Aspetti e figure cit., p. 269, da cui si apprende che le lettere di Mai a Niebuhr «ancora inedite, dovrebbero comparire nel vol. II dell’Epistolario». 44 Cfr. CORTESI, Epistolario cit., pp. 61-63. Come si è già avuto modo di ricordare (supra, nt. 34 e contesto), in questa raccolta è pubblicato integralmente il testo della lettera di Niebuhr a Mai del 30.11.[1819]: cfr. CORTESI, Epistolario cit., pp. 291-293 [Nr. 259]. 45 A. PERTUSI, Angelo Mai scopritore ed editore di testi classici e bizantini, in Bergomum 28 (1954), pp. 167-193. 46 Si tratta, in particolare, di squarci delle seguenti lettere di Mai a Niebuhr: 4.5.1824; 25.5.1824; 30.10.1824; 10.2.1825; 10.12.1825; 22.9.1827; 2.1.1829. La lettera del 22.9.1827 è citata anche in B. RIPOSATI, Angelo Mai nella storia della cultura, in Aevum 28 (1954), p. 360 nt. 1. 47 Cfr. B. G. NIEBUHR, Briefe · Neue Folge · 1816-1830. Herausgegeben von Eduard Vischer, II: Briefe aus St. Gallen, Bonn, Berlin (1823-1825), Bern – München 1982, p. 209 [Nr. 629]: «Beim NN liegen insgesamt 12 Br. von A. Mai an N. Der Hrsg. hat sie im Unterschied zu manchen andern nicht erschlossen. Wollte man einmal N. als Philologen behandeln, so müssten diese Briefe ohne Zweifel beigezogen werden.»

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carteggio fornirebbe un prezioso contributo per una migliore conoscenza non solo della personalità dei rispettivi autori, ma anche di un importante capitolo della filologia e dei circuiti culturali dell’Ottocento, anche in relazione alle proposte di collaborazione e di sostegno nei progetti editoriali intrapresi e dei mezzi ritenuti più idonei a realizzarli. Per l’edizione delle fonti riscoperte da Mai a Roma, infatti, fu creata un’apposita tipografia dipendente dalla Biblioteca Vaticana, «dietro gli antichi esempi di Sisto V». Il successo dell’iniziativa fu favorito dalle raccomandazioni che Niebuhr, dietro esplicita richiesta di Mai, aveva avuto modo di indirizzare al cardinale Giulio Maria Cavazzi della Somaglia (1744-1830), nominato segretario di Stato da Leone XII (1760-1829) dopo la morte del cardinale Ercole Consalvi (1757-1824)48. Dal canto suo, Niebuhr aveva comunicato a Mai la realizzazione del grandioso progetto del Corpus scriptorum historiae Byzantinae (CSHB), chiedendogli di controllare alcune lezioni sui manoscritti conservati a Roma. A Mai egli diede anche la notizia della creazione di una nuova rivista49, il Rheinisches Museum für Philologie, Geschichte und griechische Philosophie, da lui fondata a Bonn nel 1827 in collegamento con il Rheinisches Museum für Jurisprudenz edito da Johann Christian Hasse (1779-1830) e altri giuristi. Altre notizie riguardano la diffusione delle loro opere in Europa e i rapporti editoriali con i librai dell’epoca, o le polemiche di Mai con altri studiosi, come quella con Carl Friedrich Heinrich (1774-1838)50 o quella 48

Ciò risulta da Mai a Niebuhr, Roma 30.10.1824, in ABBAW, Nachlass B. G. Niebuhr 204 (Mai), ff. 6-7, qui f. 6v: «Buon pensiero e degno della di Lei efficace amicizia è stato lo scrivere al Card. Segretario di Stato in favore di questa impresa. Infatti il Cardinale mi fece noto che da V.a E.a gli era stato raccomandato questo affare, non senza proposte favorevoli in riguardo mio. Il Card. più non aggiunse; ma in quanto alla edizione inclinò per Roma, del quale avviso era io stesso: e sopra mia dichiarazione, che ciò non poteva farsi con gli scarsissimi mezzi materiali di Propaganda, fu in appresso determinata l’ordinazione di nuovi caratteri greci in numero di tre o quattro, e di cinque o sei latini. Fu anche risoluto che presso la libreria Vaticana e con dipendenza da áquestaà, si erigerebbe la nuova tipografia dietro gli antichi esempi di Sisto V. Il nuovo Papa ha grandiosi pensieri; e di questa stamperia mi ha parlato più volte, come anche dell’accrescimento de’ libri.» Si legga anche Mai a Niebuhr, Roma 10.2.1825, in ABBAW, Nachlass B. G. Niebuhr 204 (Mai), ff. 8-9, qui f. 8v: «Ciò che si fa in favore della ide͠ o Somaglia, che si risolvette dopo la lettera ata tipografia vaticana è veramente dovuto all’Em di V.a E.a a Lui. I caratteri si fanno, ed uno greco con uno latino l’avrò a giorni nel Vaticano: gli altri si proseguiranno, non però con la rapidità che io vorrei e che si usa altrove: poichè essendo quì solo un discreto Artista (gli altri sono pessimi) lavoratore di caratteri, in conseguenza è sopracarico di commissioni.» 49 La notizia può leggersi in Niebuhr a Mai, Bonn 25.8.1827, in SCHÖNE, Sechs Briefe cit., 502-505 [Nr. IV] e in B. G. NIEBUHR, Briefe · Neue Folge · 1816-1830. Herausgegeben von Eduard Vischer, IV: Briefe aus Bonn (Juli bis Dezember 1830), Bern – München 1984, pp. 244249 [Nr. 958]; cfr. PERTUSI, Angelo Mai scopritore ed editore cit., pp. 180-181. 50 La polemica a distanza con il filologo tedesco sull’edizione del De re publica di Cicerone

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con Michelangelo Lanci (1779-1867)51. Sfortunatamente l’intero carteggio fra Niebuhr e Mai non può ricostruirsi in modo completo. Alcune lettere, infatti, sono andate perdute. Ciò risulta immediatamente dal prospetto delle ventuno lettere conservate a Roma e a Berlino (delle quali una, come si accennava, è pervenuta solamente come minuta) disposte in ordine cronologico: Niebuhr a Mai Niebuhr a Mai Mai a Niebuhr Mai a Niebuhr Niebuhr a Mai Mai a Niebuhr Mai a Niebuhr Mai a Niebuhr Niebuhr a Mai Mai a Niebuhr Niebuhr a Mai Mai a Niebuhr Mai a Niebuhr Mai a Niebuhr Niebuhr a Mai Mai a Niebuhr Mai a Niebuhr Niebuhr a Mai Niebuhr a Mai Mai a Niebuhr Mai a Niebuhr

[Romæ] [Romæ] [Roma] Roma Bonna Roma Roma Roma Bonna Roma Berlino Roma Roma Roma Bonn Roma Roma Bonna Bonna Roma Roma

30.11.[1819] 29.2.[1820] s.d. (ma 1820)52 1.2.1821 30.4.1824 8.5.1824 25.5.1824 24.6.1824 22.7.1824 30.10.1824 22.1.1825 10.2.1825 18.12.1825 13.2.1826 25.8.1827 22.9.1827 5.1.1828 25.2.-2.3.1828 8.5.1828 2.1.1829 21.1.1829

costituisce uno dei fili conduttori dell’intero epistolario: cfr. Niebuhr a Mai, Bonna 30.4.1824; Mai a Niebuhr, Roma 25.5.1824; Niebuhr a Mai, Bonna 22.7.1824; Mai a Niebuhr, Roma 30.10.1824; Niebuhr a Mai, Berlino 22.1.1825; Mai a Niebuhr, Roma 10.2.1825; Mai a Niebuhr, Roma 13.2.1826; Niebuhr a Mai, Bonn 25.8.1827; Niebuhr a Mai, 25.2.-2.3.1828; Mai a Niebuhr, Roma 2.1.1829. 51 Cfr. Niebuhr a Mai, Bonn 25.8.1827, in SCHÖNE, Sechs Briefe cit., 502-505 [Nr. IV] e in NIEBUHR, Briefe · Neue Folge, IV, cit., pp. 244-249 [Nr. 958]. A Michelangelo Lanci (17791867), che lo aveva accusato di «insozzar pergamene», di «rodere e affumicare con acidi le vetustissime pergamene rescritte, per istampare frammenti, le più volte di niuna utilità», Mai replicò nel Catalogo de’ papiri Egiziani della Biblioteca Vaticana, e notizia più estesa di uno d’essi con breve previo discorso e con susseguenti riflessioni, Roma 1825, pp. VII e 75. Questo scritto, tradotto in tedesco, fu pubblicato due anni dopo con il titolo Die Aegyptischen Papyrus der Vaticanischen Bibliothek. Aus dem Italiaenischen des Angelo Mai von Ludwig Bachmann. Mit drei lithographirten Tafeln, Leipzig 1827. 52 Di questa lettera si ha solamente la minuta: cfr. supra, ntt. 37-38 e contesto.

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Se può ritenersi che siano state tramandate pressoché tutte le lettere inviate da Mai, perché Niebuhr le ha raccolte insieme al resto della corrispondenza in entrata, solo alcune delle lettere di Niebuhr a Mai sono ancora presenti fra le sue carte, oggi custodite nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Ciò si deve alla circostanza che Mai era solito conservare solamente le lettere ritenute più importanti, distruggendo le altre53, o riutilizzando la parte bianca dei fogli per scrivervi sopra alcuni appunti54. Non può escludersi che fra le carte di Mai acquisite dalla Biblioteca Vaticana si possano ancora ritrovare altre lettere di Niebuhr o le minute di lettere inviate da Mai a Niebuhr e non conservate nel Nachlass custodito a Berlino nell’archivio dell’Accademia delle Scienze. Per quanto la corrispondenza risulti oggi incompleta, la parte conosciuta merita di essere pubblicata integralmente in un’edizione che riproduca fedelmente i testi degli originali. Nel loro complesso, difatti, le lettere in nostro possesso contribuiscono a ricostruire l’evoluzione dei rapporti fra Mai e Niebuhr. Esse permettono inoltre di delineare con maggior precisione il quadro nel quale valutare le informazioni desumibili da altre fonti e di considerarle alla luce di una base documentale più ampia. Ciò consentirebbe anche di analizzare da vicino le ragioni che, probabilmente, determinarono una brusca interruzione dei contatti da parte di Niebuhr. In particolare, un’attenta analisi delle ultime lettere della corrispondenza fra i due, unitamente all’esame del contenuto di un articolo pubblicato da Niebuhr sul Rheinisches Museum55, ha indotto Pertusi a ipotizzare le cause che portarono a un nuovo allontanamento per ragioni legate alla lezione di alcuni passi di Dione Cassio editi da Mai nel secondo volume della Scriptorum veterum nova collectio, pubblicato a Roma nel 1827. Nei primi mesi del 1828 Niebuhr aveva scritto a Mai per proporgli a tale riguardo una serie di congetture, chiedendo di verificarle sui manoscritti custoditi a Roma. L’interesse manifestato da Niebuhr per tale controllo doveva essere accresciuto dal fatto che stava preparando un articolo da pubblicare in quello stesso anno nella seconda annata del Rheinisches Museum. Ma 53 Sul punto si veda quanto riferito dallo stesso Mai a Gussalli in una lettera del 14.12.1848: «Per sincerità confesso essere questo uno de’ miei difetti, di non conservare le lettere da corrispondenti almeno in massima; e vi è di più altro che io ne scrivo pochissime»; cfr. M. RAOSS, A proposito del primo volume dell’epistolario di Angelo Mai, in Bergomum N.S. 29/4 (1955), pp. 23-42, qui p. 25. 54 Cfr. COZZA LUZI, Epistolario del Cardinale Angelo Mai cit., pp. VI-VII; LO MONACO, In codicibus cit., p. 677 e nt. 82. 55 B. G. NIEBUHR, Ergänzung des Inhalts eines wichtigen Fragments von Dio Cassius, in RhM 2 (1828), pp. 588-600. Se l’ipotesi di PERTUSI, Angelo Mai scopritore ed editore cit., p. 188, coglie nel segno, è probabile che questo articolo sia stato stampato all’inizio del 1829, dopo che Niebuhr aveva ricevuto la lettera scrittagli da Mai il 2.1.1829 (infra, Nr. 3).

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la risposta di Mai si fece attendere, tanto che il 1828 si chiuse senza che Niebuhr avesse ricevuto alcuna conferma utile a rivedere l’articolo che intendeva pubblicare. Può pensarsi, pertanto, che proprio tale ritardo, unitamente al modo con cui Mai si risolse finalmente a rispondere nel gennaio del 1829, abbia urtato la sensibilità di Niebuhr, facendo riemergere il ricordo degli antichi dissapori56. Questa ipotesi può essere ora valutata alla luce delle trascrizioni integrali delle ultime due lettere scritte da Niebuhr a Mai tra la fine del febbraio e i primi di maggio del 1828, e delle ultime due scritte da Mai a Niebuhr nel gennaio del 1829. Con la speranza di poter pubblicare l’intero carteggio, si offrono intanto qui di seguito le trascrizioni integrali delle ultime quattro lettere della loro corrispondenza: [Nr. 1] Niebuhr a Mai [Nr. 2] Niebuhr a Mai [Nr. 3] Mai a Niebuhr [Nr. 4] Mai a Niebuhr

Bonna Bonna Roma Roma

25.2.-2.3.1828 8.5.1828 2.1.1829 21.1.1829

Tutti i testi sono stati trascritti con criteri diplomatici rispettando fedelmente gli originali. La grafia, pertanto, non è stata corretta né normalizzata. Ciò rende conto di eventuali incongruenze ortografiche presenti talora 56 PERTUSI, Angelo Mai scopritore ed editore cit., pp. 187-191. In effetti, la circostanza che Mai abbia risposto alle richieste di verifica che Niebuhr gli aveva formulato a quasi un anno di distanza e senza neppure scusarsi per il notevole ritardo, potrebbe aver infastidito Niebuhr, soprattutto in considerazione delle cortesie che non aveva risparmiato a Mai in relazione a varie questioni che lo riguardavano. Che tale ritardo non fosse passato inosservato si può dedurre da quanto Niebuhr scriveva nel suo articolo sulla integrazione del passo di Dione Cassio pubblicato sul Rheinisches Museum. La verosimiglianza della integrazione suggerita, infatti, presupponeva un controllo del palinsesto custodito nella Vaticana, accompagnato dalla realizzazione di un «lucido» che permettesse di «conoscere esattamente l’estensione delle lacune» (cfr. Niebuhr a Mai, Bonna 25.2.-2.3.1828, il cui testo è integralmente trascritto infra, Nr. 1). Si consideri, infatti, quanto si legge a tale proposito in NIEBUHR, Ergänzung des Inhalts cit., pp. 594-595: «Also eine sichere Herstellung läßt sich nicht leisten ehe die Stelle, welche es so sehr verdient, ganz treu dargelegt seyn wird: ein Vortheil dessen Gewährung der römische Herausgeber meiner Bitte wenigstens bis jezt noch nicht gewährt hat. Diese Bitte war durch Mittheilung der hier vorzulegenden Ergänzung des Sinnes begleitet, die, weiche sie auch zum Theil weit von den verlornen Worten ab, doch dazu leiten muß viel mehr zu lesen als dem gelang, der an dem Sinn so verzweifelte daß seine lateinische Uebersezung erst von den lezten Worten der S. 134 der Handschrift anhebt. — Mit einer solchen Abbildung wären wir da wo eine sichre Herstellung nicht fehlen könnte. Diese vorläufige wird doch auch die äussere Bedingung erfüllen, den Raum der Lücken weder unausgefüllt zu lassen, noch einen größeren zu erfordern.» Il mutato atteggiamento di Niebuhr potrebbe dedursi anche in base alla circostanza che in questo articolo egli allude a Mai chiamandolo semplicemente «der römische Herausgeber» e senza formulare più alcun complimento nei suoi confronti, come era avvenuto fino alla pubblicazione dell’opera di Agazia.

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all’interno di una stessa lettera. Le sottolineature di singole lettere o parole con linea continua o tratteggiata riproducono fedelmente quelle degli autografi. Le abbreviature non sono state sciolte57. I testi vengono pubblicati rispettando anche i capoversi e gli allineamenti degli originali58. In relazione alle lettere di Niebuhr va segnalato che nella trascrizione delle parole in greco si è preferito mantenere la legatura ȣ impiegata per scrivere il dittongo ου59. Fra i segni á à sono state incluse le parole o le lettere che negli autografi sono state aggiunte sopra il rigo. Nell’apparato delle note a pie’ di pagina si trovano riferite singole parole o lettere scritte per errore e poi cancellate o annerite, eventuali correzioni o altre indicazioni relative al testo originale. Alla segnalazione del cambio di pagina con | e al cambio di foglio con || segue fra parentesi quadre l’indicazione del numero del foglio dell’originale con rispettiva indicazione del recto o del verso. Quando sia stato conservato, alla fine della lettera è riprodotto anche l’indirizzo del destinatario. Non sono stati invece trascritti gli appunti o le annotazioni presenti sugli autografi, ma che sono di mano diversa da quella di chi ha scritto la lettera60. [Nr. 1] Niebuhr a Mai, Bonna 25.2.-2.3.182861 – BAV, Vat. lat. 9589, ff. 390-391 e f. 388 Bonna, li 25 di Febbraio 1828 Monsignore Sono 462 mesi che ebbi lo squisito piacere di ricever le Sue ecloghe Costantinia57

Per questa ragione si è trascritto, come negli originali, &c. per etc. Per le difficoltà che possono nascere talora nella individuazione dei capoversi all’interno delle lettere di Niebuhr cfr. VARVARO, Le Istituzioni di Gaio e il Glücksstern di Niebuhr cit., p. 114 nt. 318. 59 Si è invece reso con È la E maiuscola accentata, che negli originali di Niebuhr è scritta come ‘E. 60 Su alcune delle lettere conservate da Mai (come quelle del 22.7.1824 e del 22.1.1825), quest’ultimo ha annotato alcuni appunti utili alla stesura della risposta. Talora le lettere inviate a Niebuhr (8.10.1824; 13.2.1826) contengono alcune righe aggiunte di pugno da Christian Carl Josias von Bunsen (1791-1860), rimasto a Roma in qualità di ambasciatore prussiano presso la Santa Sede dopo la partenza di Niebuhr, del quale era stato segretario: cfr. F. HANUS, Die preußische Vatikangesandtschaft 1747-1920, München 1953, p. 196. 61 Il testo di questa lettera è già stato pubblicato in SCHÖNE, Sechs Briefe cit., pp. 505-512 [Nr. V]. La prima parte (sino alle parole «altri autori mendosissimi nella stampa») è pubblicata anche in B. G. NIEBUHR, Briefe · Neue Folge · 1816-1830. Herausgegeben von Eduard Vischer, III: Briefe aus Bonn (1826-1830), Bern – München 1983, pp. 268-272 [Nr. 1011]. 62 Corregge: «tre». 58

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ne63. Fu un dopopranzo che, mentre che ero uscito a spasseggiar col mio ragazzo, fu consegnato l’avviso dalla dogana che vi era stato rimesso dalla posta, venendo dalla volta d’Italia, un pachetto con libri: sospettando quel che potrebb’essere vi volai piuttosto che corressi: battendomi il cuore da apprehensione che però potrebb’esser pure qualch’altra cosa. Mi corrucciai contro la gente della dogana, i quali, per obbligarmi ricusavano di aprire, essendo64 ávenutoà io stesso, e sostenevano che si mandasse chiuso a casa: di modo che non poteva soddisfar la mia impazienza prima che vi fusse portato. Tagliati li fili in ogni cantone, strappata la tela, — quanto mi rallegrai vedendo che veramente era quel tanto desiato libro! Mi rinchiusi, non solamente ordinando ai domestici di non ammetter nessuna visita, ma anche pregando la moglie che ritenesse e consolasse i fanciulli, non avvezzi a non poter entrar in camera del padre. E così mi godeva quel tesoro, cercando prima nel Diodoro65 e Dione Cassio tutte le epoche ove la storia romana è particolarmente difettosa, e poscia abbandonandomi alla lettura della Polybiana, non posso esprimer che piacere provai incontrandovi quel passo che prova che Timeo aveva ragionato dell’origine Troiana de’ Romani66. Estingueva con voluptà e delizia una sete di sette anni, e per qualche tempo tornava ogni sera al Suo volume, leggendovi colla maggior attenzione ogni riga appartenente all’antichità classica: poichè, non ostante il mio lavoro Bizantino, non ho ancora avuto il coraggio di legger l’opuscolo di Niceforo67. Questa narrazione sia per V. S. Illma e Revma in vece di una gratiarum actio particolare; essendo persuaso che Ella ne avrà maggior soddisfazione, che se volessi estender questa diffusamente con protestazioni quanto mi stimo tenuto alla di Lei gentilezza per avermi fatto il dono68 di un libro che avrei creduto acquistar a buon prezzo pagandolo due volte quel che potrebbe costar nel commercio. Una signora Inglese, celebre per la Sua rara bellezza, ed il suo spirito, disse, che le faceva maggior piacere, di veder un uomo69 della plebe considerarla fissamente, e proromper in un elogio mezzo ridìcolo, che quando un bel ingegno le indirizzasse un elegante 63

A quest’opera si accenna più volte nelle lettere precedenti. Si tratta dei frammenti che facevano parte degli Excerpta constantiniana, un’enciclopedia voluta e diretta nella prima metà del X secolo dall’imperatore bizantino Costantino VII Porfirogenito (905-959). L’opera si articolava in varie sezioni. Due di esse, ossia quella De legationibus e quella De virtutibus et vitiis, erano state già pubblicate rispettivamente da Fulvio Orsini (1529-1600) e da Henri de Valois (1603-1676): cfr. infra, nt. 162. Poco dopo il suo arrivo alla Biblioteca Vaticana Mai scoprì nel Vat. gr. 73 la sezione De sententiis, che tramandava frammenti di storici greci, che pubblicò in Scriptorum veterum nova collectio, II, cit. 64 Corregge: «essendovi». 65 Cfr. Scriptorum veterum nova collectio, II, cit., pp. 1-131 e pp. 568-570. 66 Secondo Vischer (NIEBUHR, Briefe · Neue Folge, III, cit., p. 269 nt. 1a) Niebuhr allude ai Polybii historiarum excerpta pubblicati da Mai alle pagine 369-461 del secondo volume della Scriptorum veterum nova collectio. 67 Cfr. ΤΟΥ ΣΟΦΩΤΑΤΟΥ ΝΙΚΗΦΟΡΟΥ ΒΛΕΜΜΥΔΟΥ ΛΟΓΟΣ ΟΠΟΙΟΝ ΔΕΙ ΕΙΝΑΙ ΤΟΝ ΒΑΣΙΛΕΑ (Sapientissimi Nicephori Blemmydae oratio qualem oporteat esse regem), in Scriptorum veterum nova collectio, II, cit., pp. 611-655. 68 Segue cancellato: «che». 69 Corregge: «uomo».

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panegirico. Così V. S. Illma e Revma deve sentir ámaggiorà piacere, vedendo che uno dei più caldi ricercatori dell’antichità ha provato vividissimi trasporti considerando il Suo lavoro, di quel che un panegirico Le farebbe provar. E non già mi limito all’importanza delle Sue scoperte: riconosco con ugual piacere che il Suo lavoro è stupendo: mi ricordo l’aspetto di quelle pagine di scrittura corsiva deleta e coperta, e quanto mi sarebbe riuscito impossibile il decifrarla; ed Ella non ha dovuto tralasciar che pochi foglj! Con lo stesso elogio si deve far menzione di molte emendazioni assai felici, e dell’ordinazione molto più difficile di quel che è stata quella di verun’altra opera in questo genere. Tutto questo avrei scritto subito nel primo fervore dei miei sensi, se non fosse intervenuta una lettera del Sigr Cav. Bunsen, (il quale haveva dato il libro alla diligenza a Monaco) cuoprendo70 quella piena di amicizia che V. S. Illma e Revma gli haveva confidata per me. Il Sigr Bunsen ámià annunziava, che, chiamato a Berlino per ordine sovrano, vi farebbe una breve dimora, e ritornerebbe per via del nostro71 limes Rhenanus: essendo pronto a caricarsi di qualunque mandato per Roma. Questo doveva io tener per certissimo e differir per ciò una lettera che non vi è áaltroà mezzo di far arrivar72 a V.S. Illma e Revma senza che le costi danaro: atteso che mediante le convenzioni postali non si può pagar il porto più lontano che | [390v] a Francfort, meno di provar modi che mettono in evidente pericolo la salvezza della lettera. Da tempo in tempo il Sigr Bunsen ci ha rinnuovato al Sigr Brandis73 ed a me, quella stessa74 assicurazione: e così ho neppure ancora risposto alla communicazione che Ella mi ha fatto intorno75 a quel fastidio successole col Istituto Olandese76. Alla fine però devo pigliar una decisione77. Scrivo, e la lettera terminata aspetterà per tre giorni se non vi venga qualche certezza sul arrivo del Sigr Bunsen. In caso della negativa partirà l’epistola, e V. S. Illma e Revma scuserà una spesa che non posso risparmiarla78: se79 ási saprà cheà viene il Sigr Bunsen aspetterà pure la lettera. Incomincerò dunque, dopo questo proemio, col dichiarar, come Ella lo chiede, il mio sentimento intorno a quella lite, di cui mi parla. Non me n’hanno scritto niente da Olanda, e mi lusingo che cambieranno di opinione, giacchè sarebbe evi70

Segue cancellato: «qu». Segue cancellato: «pa». 72 Segue cancellato: «altri». 73 Nel 1816 Christian August Brandis (1790-1867) aveva accompagnato Niebuhr in qualità di segretario nella sua missione diplomatica a Roma, ma già nel novembre del 1817 fu sostituito in questo incarico da Bunsen (cfr. supra, nt. 60), in modo da poter collaborare con August Immanuel Bekker (1785-1871) ai lavori per l’edizione dell’opera di Aristotele finanziata dall’Accademia delle Scienze di Berlino. 74 Segue un segno cancellato, non più riconoscibile. 75 In SCHÖNE, Sechs Briefe cit., p. 506, si trova per un errore di stampa: «inorno», corretto in «intorno» da Vischer in NIEBUHR, Briefe · Neue Folge, III, cit., p. 270. Segue cancellato: «al». 76 Si allude all’inconveniente segnalato da Mai a Niebuhr nella sua lettera del 5.1.1828. 77 In realtà Niebuhr avrebbe aspettato fino al 2 marzo. 78 Sic. 79 Segue cancellato: «poi». 71

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dentemente ingiustissimo, (quanto poco decoro per una società erudita) che Ella, per premio di così nobil fatica dovrebbe sopportar una perdita, invece di goder meritato incorraggiamento80. Questi Signori non conoscono le difficoltà connesse con qualunque spedizione di libri da Roma verso queste parti: ma io bramerei che Ella approfittasse di questa circostanza per attirarvi l’attenzione del Governo Pontificio81. L’incommodo è mutuo, per Roma e per noi; e si potrebbe rimediare combinandosi coll’Austria: almeno per singoli libri. Per le spedizioni più grandi raccomandarei a V. S. Illma e Revma d’impiegar Lainé Duquesne82, che spediscono con accuratezza, e minor spesa di altri. I libri chiesti per l’Inghilterra si mandino senza timore di simile disputa. Ho scritto per chiedere come si voglion spediti; —83 per caso áancoraà non si è data84 risposta, ma questo non significa. Sarei di opinione che si mandassero a Livorno per esser consegnati al console d’Inghilterra: dandone avviso per la posta al Sigr Sumner, bibliotecario regio, al palazzo regio di Carleton-House, Londra: aggiungendovisi il conto, e85 chiedendo che si assegni il pagamento o a Roma o a Livorno. L’esemplare per il Baronetto Sir Alessandro Johnston86 potrebbe mandarsi insieme cogli altri: o pregarsi il Sigr Sumner che87 procuri di far Le conoscere cosa desidera il Sigr Baronetto88. Dal mio conto89 aspetto o il Sigr Bunsen, o qualche altra occasione per mandar a V. S. Illma e Revma il mio Agathias: comparso da quindici giorni90. Ella accoglierà amichevolmente queste primizie dell’edizione dei Bizantini, laquale si prosegue con ugual favore del pubblico e dei filologi: essendo che sempre in maggior numero vengono ad offrir la loro partecipazione per il lavoro, in modo che, assegnati gli autori a numero bastante di editori capaci, non è dubbioso che fra non molti anni l’impresa intiera sarà terminata. Si stampa il Cantacuzeno91, e nel corso di questo

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Sic, per «incoraggiamento». NIEBUHR, Briefe · Neue Folge, III, cit., p. 270 nt. 2a, ha notato che «Diese Stelle ist dem Hrsg. ohne den Gegenbrief, der beim NN zu suchen wäre, nicht recht verständlich. Sie betrifft die Schwierigkeit von Buchsendungen von Rom nach den Niederlanden.» 82 Di questa ditta romana Niebuhr si era servito in precedenza per le proprie spedizioni: cfr. NIEBUHR, Briefe · Neue Folge, III, cit., p. 271 nt. 3. 83 Segue cancellata una lettera non riconoscibile. 84 Corregge: «avuta». 85 Segue cancellato: «annunz». 86 Segue cancellato: «ma». 87 Segue cancellato: «face». 88 Si tratta di Sir Alexander Johnston (1775-1849). 89 Sic. 90 Agathiae Myrinaei historiarum libri quinque cum versione latina et annotationibus Bon. Vulcanii. B. G. Niebuhrius C. F. Graeca recensuit. Accedunt Agathiae epigrammata, Bonnae 1828. 91 Segue cancellato: «ed». L’opera di Giovanni VI Cantacuzeno fu pubblicata nel CSHB in tre volumi fra il 1828 e il 1832 da Ludwig Schopen (1799-1867) con il titolo: Ioannis Cantacuzeni eximperatoris historiarum libri IV. Graece et latine. Cura Ludovici Schopenii. 81

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anno usciranno, Leone Diacono92 (con molte aggiunte) — Niceforo Gregora93 — Corippo94 – áSincelloà95 ed un tomo dell’opera di Costantino Porfirogenito de ceremoniis96: nessuno senza qualche miglioramento: e tutti ridotti al97 modo osservato nell’Agazia, per le annotazioni critiche, un index graecitatis (ovvero latinitatis per il Corippo) etc. Ella vedrà che Agathias, riveduto da mestesso98, mediante il codex Rehdigerano99 ha cambiato di aspetto; e dovunque si potranno ottenere collazioni di codici di pregio il libraio non risparmierà spese per farle eseguire. In questo particolare io conto sulla Sua bontà e compiacenza. Vi è a Parigi più di un codice buono dei primi 4 libri di Procopio100, come pure degli edifizj, e degli aneddoti, ma per la guerra Gotica tutti sono mediocri. L’edizione di Maltreto101 offre le varianti di un codice Vaticano eccellente: ma non sembrano complete: e si può domandare se quello102 sia il migliore che la biblioteca possa offrire? Intorno a questo punto sarei assaissimo tenuto a V. S. Illma e Revma se Ella trovasse tempo per communicarmi una notizia completa dei codici Procopiani, e per quelli di nota la prima pagina del 5to libro comparata. Più non mi permetto di 92

L’opera di Leone il Diacono fu pubblicata nel CSHB da Carl Benedict Hase (17801864) nel 1828 con il titolo: Leonis Diaconi Caloënsis historiae libri decem et liber de velitatione bellica Nicephori Augusti e recensione Caroli Benedicti Hasii institut. Franciae acad. inscriptt. et hum. litt. socii caet. Addita eiusdem versione atque annotationibus ab ipso recognitis. Accedunt Theodosii acroases de Creta capta e recensione Fr. Iacobsii et Luitprandi legatio cum aliis libellis qui Nicephori Phocae et Ioannis Tzimiscis historiam illustrant. 93 L’opera di Niceforo Gregoras fu pubblicata nel CSHB da Schopen e Bekker fra il 1829 e il 1855 in tre volumi intitolati: Nicephori Gregorae Byzantina historia Graece et Latine cum annotationibus Hier. Wolfii, Car. Ducangii, Io. Boivini et Cl. Capperonnerii. Cura Ludovici Schopeni. 94 L’opera di Flavio Cresconio Corippo fu edita da Bekker nel CSHB, insieme a quella di Flavio Merobaude, solamente nel 1836 con il titolo: Merobaudes et Corippus. Recognovit Immanuel Bekkerus. 95 L’opera di Giorgio Sincello fu edita nel 1829 in due volumi da Wilhelm Dindorf (18021883) nel CSHB con il titolo: Georgius Syncellus et Nicephorus CP. ex recensione Guilielmi Dindorfii. 96 Sic. Nell’ambito del CSHB l’opera in questione fu edita fra il 1829 e il 1830 in due volumi, basati sull’edizione curata da Johann Jakob Reiske (1716-1774), con il titolo: De ceremoniis aulae Byzantinae libri duo, graece et latine ex recensione Io. Iac. Reiskii cum eiusdem commentariis integris. 97 Segue cancellato: «p». 98 Sic. 99 Il Codex Rehdigeranus 11, del XVI secolo, oggi conservato a Breslavia, è una copia del manoscritto di Agazia eseguita dall’umanista Thomas Rehdiger (1540-1576). 100 Le opere di Procopio di Cesarea sono state pubblicate nel CSHB da Wilhelm Dindorf fra il 1833 e il 1838 in tre volumi intitolati: Procopius ex recensione Guilielmi Dindorfii. Sulla loro tradizione testuale e sui codici impiegati per le edizioni degli scritti sulle guerre da parte di Claude Maltret (1621-1674) per il cosiddetto Byzantine du Louvre e da Wilhelm Dindorf per il CSHB cfr. D. COMPARETTI, Prefazione, in La guerra gotica di Procopio di Cesarea. Testo greco emendato sui manoscritti con traduzione italiana, I, Roma 1895, p. XV. 101 Operum Procopii Cæsariensis tomi duo, Parisiis 1662-1663. 102 Segue cancellato: «sarebbe».

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bramare: ma vorrei che Ella mi desse consiglio sopra il modo di aver un confronto esatto del migliore. Ignoro affatto a chi potrebbe darsi questo impegno. Se il Conte Leopardi103 || [391r] è a Roma, sò104 che è capacissimo di farlo bene; ma poi non so dove si trova: sono anni che non ho inteso niente. Oltre quei libri di Procopio mi preme assai di aver confronti di altri autori mendosissimi nella stampa. Ella leggerà, se non tutto Agazia in honorem editoris, almeno la prefazione e la notizia intorno la vita e l’opera storica di quel retore: e vedrà che ho profittato con trasporto dell’occasione di consegnarvi á(pag. XIX)à105 il sentimento dell’obligazione infinita che hanno a Ella, la filologia e tutti i filologi. L’ho fatto, pieno di allegrezza di quella Sua recentissima publicazione: e posso dire che fra gli contemporanei — omettendo per anche quelli che l’invidia muove a tacersi, o a far peggio — nessuno per l’indole dei suoi studj è più capace di stimar l’immensi beneficj da Ella conferiti alle lettere106. E poichè sono certo che V. S. Illma e Revma non ha nessuno più zeloso della Sua gloria e dei Suoi vantaggj, arrischierò di chiederle favori — non per me107, ma per la filologia. 1. Ella osserva che in uno dei codici rescritti vi esistono dodici foglj della politica di Aristotele (p. 584)108. Ora sà che tutti i codici di quella opera che esistono nelle biblioteche, sono recentissimi: eccettuandone in qualche modo un unico bombicino a Parigi, che appartiene al Sec. XIV, e donde sono forse copiati109 i rimanenti. Ella sà pure che l’academia Regia di Berlino ha preparato da non pochi anni un’edizione critica di tutte le opere di Aristotele. Che beneficio sarebbe, e con quanto plauso annunzierei contro i Suoi malevoli, se Ella mi110 facesse tenere un confronto di queste dodici pagine, fatto con quell’incomparabile acutezza della Sua vista111! 2. Molto112 meno mi preme, grato però áassaià sarebbe, se in qualche ora di ozio Ella si degnasse confrontar pure quel che nel gran palimpsesto si trova cavato da Agazia. 3. Se mentre che V. S. Illma e Revma preparava per la stampa questo Suo bel 103

Giacomo Leopardi (1798-1837). Sic, mentre il «so» successivo non è accentato. 105 NIEBUHR, Vita Agathiae, in Agathiae Myrinaei historiarum libri quinque cit., p. XIX: «Multo plus idem scriptor ad titulum de sententiis conferre debebat, quem nuperrime in luminis oras reduxit ill. Maius: vir iuvandis litteris divinitus saeculo nostro concessus, et, „cui nemo civi’ neque hostis quibit pro factis reddere operae pretium.” Sex folia de his excerptis superesse is nos edocet (Coll. Vaticanae scriptorum graecorum II. p. 464.): quorum collationem ab eius amicitia petissem, impetraturumque fuisse certe scio; verum opere iam profligato nolui molestus esse viro minime otioso.» 106 Corregge: «alla letterat». 107 Segue cancellato: «p». 108 Scriptorum veterum nova collectio, II, cit., p. 584 (il corsivo riproduce l’originale): «Sed enim is codex, praeter Petri reliquias, habet ita in rescriptis membranis I. Aristotelis politicorum editorum folia duodecim; nempe 301. 302. 303. 304. 305. 306. 309. 310. 330. 337. 338. 339.» 109 Segue cancellato: «tutti». 110 Segue cancellato: «ne». 111 Sul punto si veda la risposta di Mai nella parte finale della lettera del 2.1.1829 (infra, Nr. 3). 112 Corregge: «Meno». 104

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lavoro, io fossi stato a Roma godendo quel ozio che mi è concesso quì, Le avrei communicato le mie divinazioni: e quanto io sarei stato incapace solo d’investigar la scrittura sepolta, Ella avendo fatto la parte più importante ádelà lavoro, mi sarebbe forse riuscito di rintracciar certi passi che Ella ha abbandonati come illegibili113. Ora toccandomi il far ristampare le ecloghe di Dexippo, Eunapio e Menandro114, con quelle degli stessi autori de legationibus115, se io fo conoscer le mie emendazioni, mi sarebbe doloroso116 di comparire come combattendo l’esattezza della Sua edizione: però non posso sopprimerle. Mi permetta dunque di farle una proposizione. Io estrarrei quelle emendazioni dal mio esemplare: Ella farebbe un confronto del palimpsesto, e trovando che ho indovinato, o che la lezione del codice differisce dalla conghiettura quanto dallo stampato me lo farebbe sapere. Nel primo caso si adotterebbe la correzione dal codice, non come emendazione: ma riferendosi alla prefazione che annunzierebbe la Sua compiacenza di confrontar ancora una volta queste difficilissime membrane. Nel secondo si seguiterebbe pure il codice, postochè non fosse corrotta lezione. E nel terzo si direbbe, che il codice iterato inspectus, pure conferma la stampa per quanto riguarda la concordanza col manoscritto: giachè uno del X o XI secolo può esser viziosissimo, come ne fa pruova117 particolarmente il Dexippo. Ecco un saggio delle mie emendazioni. Pag. 323. dell’edizione. p. 102. del codice118. v. 2. pro ἀρετὴ — παρασκευὴ lego ἀρετῇ — παρασκευῇ119. 4. pro. ἀργῶς τισι τῇ οἰκεῖον suspicor legendum esse ¬ἀῤῥωστία τῇà120 οἰκείᾳ. 5. pro ἄξιον ἄχρι lego ἀξιόμαχοι121. 6. pro ἀν τοῖς lego ἀντιστῆναι τοῖς122. e Pag. 326. p. 92. 4. pro ὑπὸ lego ἀπὸ123. 10. ante ἂνεπίκλητον excidit124 ἂν. κ. τ. λ. L’istessa proposizione io Le fo per le ecloghe Polibiane, per le quali toccherà pure a me, come partecipando in una edizione critica di tutte le reliquie di quel 113

Sic. L’opera sarebbe stata stampata nel 1829 nel CSHB con il titolo: Dexippi, Eunapii, Petri Patricii, Prisci, Malchi, Menandri historiarum quae supersunt e recensione Imm. Bekkeri et B. G. Niebuhrii C. F. cum versione latina per Io. Classenum emendata. Accedunt eclogae Photii ex Olympiodoro, Candido, Nonnoso et Theophane, et Procopii Sophistae Panegyricus, graece et latine, Prisciani Panegyricus, Annotationes Henr. Valesii, Labbei et Villoisonis, et indices Classeni. 115 Si tratta della sezione De legationibus degli Excerpta constantiniana già editi da Fulvio Orsini (cfr. supra, nt. 63). 116 Segue cancellato: «come». 117 Segue una virgola cancellata. 118 Cfr. i passi dei Dexippi historiarum excerpta in Scriptorum veterum nova collectio, II, cit., p. 323. 119 Su queste due parole Mai ha annotato a penna: «ita». Le correzioni suggerite da Niebuhr si ritrovano apportate a penna anche a p. 323 della copia personale di Mai: cfr. Vat. lat. 9589, f. 189r. 120 Sostituisce: «παρασκευῇ». 121 Su questa parola Mai ha annotato a penna: «ita». Anche in questo caso in Vat. lat. 9589, f. 189r, si trova la correzione a penna di pugno di Mai nel senso proposto da Niebuhr. 122 Nell’esemplare di Mai (f. 189r) si trova annotato: «ἀν ..... ma nonà è ἀντιστῆναι». ¬ 123 Su questa parola Mai ha annotato a penna: «ita». Nell’esemplare di Mai (Vat. lat. 9589, f. 190v), si trova la correzione a penna da parte di Mai nel senso suggerito da Niebuhr. 124 Sopra questa parola Mai ha annotato: «manca». 114

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grande autore, l’esercitar il mestiere di critico ed emendatore, come già, leggendo ho annotato non poche emendazioni. Ella mi conosce abbastanza per non poter attribuirmi altri motivi di quelli che mi spingono. Pochissimo sensibile alla vanità, mi è indifferente che si dica che ho riscontrato bene nella mia divinazione, e moltissimo mi importa che si toglia l’occasione agli invidi e malevoli, — i quali non immaginano neppure qual lavoro Ella abbia superato, e quanto facilmente nel copiare, ricopiare, e corregger le stampe, possono nascere sbaglj, e l’attenzione esaurirsi — di permettersi osservazioni poco convenevoli, e di allegar per questo il fatto che considero come viziose le lezioni del testo stampato. Per questo metodo si otterrebbe fino a un certo segno l’istesso come se io | [391v] fossi stato presente a Roma durante la stampa. Di tutta l’opera il passo che per me è quasi125 áilà più interessante, è disgraziatamente mutilatissimo; e l’ho tanto rivolto nella mente che credo averlo supplito quanto al senso. Ecco come viene supplito: Pag. 166. dell’edizione126: p. 134. del codice127: [ὅτι, χρεῶν ἀποκοπὴν] εἰσηγουμένων τῶν δημάρχων, [ὁ νόμος] πολλάκις [μάτην προὐτίθετο, τῶν μὲν δανειστῶν αὐτῶν προσΐεσθαι μηδαμῶς] βȣλομένον; τῶν δὲ [δημάρχων αἵρεσιν διδόντων τοῖς] δυνατοῖς, ἢ τȣ�τον [ἐπιψηφίσαι τὸν νόμον ἢ] καὶ ἐκείνȣς τȣς� [128μὲν τόκȣς129 ἐπὶ τὸ ἀρχαῖον ἀναλογίσασθαι, τὸ δὲ λοιπὸν ἀποφοραῖς τρι]ετέσι κομίσασθαι· καὶ ἐν μὲν τῷ παραχρῆμα οἱ τ’ ἀσθενέστεροι ἦσαν [πρόθυμοι] καὶ τȣ� παντὸς ἁμαρτήσεσθαι [δεδιότες] προσεῖχ[ον αὐ]τοῖς καὶ οἱ εὐπορώτεροι θαρσήσαντες ὡς οὐδέτερον ἀναγκασθήσονται130 συγχωρ[ῆσαι, ἀνήναντο] ἐπειδὴ δὲ ἀντέχειν &c.131. Più oltre supplisco, v. 28. ἀγαπητὸν ἐδόκει132 [εἰ μὴ]. v. 29. παρόντι [ἡ στάσις] v. 30. ἐς τὸ [φιλοντικεῖν]133 Questi ultimi supplementi á(almeno quelli per 28 e 29)à non dubito che saranno confermati dal manoscritto se però vi rimangono vestigj della scrittura: quanto agli altri sono certissimo di aver colpito il vero senso, ma le parole possono esser diverse in molti luoghi. Parlandovisi nei passi conservati del capitale che i grandi correvano rischio di perdere, e per altre traccie, vi riconosco una legge simile alla Licinia de foenere

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Seguono alcune lettere annerite non più leggibili. Cfr. i Dionis excerpta in Scriptorum veterum nova collectio, II, cit., p. 166. 127 Segue annotato a penna, di pugno di Mai: «È impossibile la lettura». Ma a tale riguardo si veda la diversa risposta nella lettera a Niebuhr del 2.1.1829 (infra, Nr. 3). Sul punto cfr. PERTUSI, Angelo Mai scopritore ed editore cit., p. 186. 128 Segue cancellato: «τόκȣς». 129 Segue cancellato: «ὕσπερ ἐκομίσαντο». 130 Segue cancellata una parentesi quadra aperta. 131 DIO CASS., 8.37.2. Cfr. Cassii Dionis Cocceiani historiarum Romanarum quae supersunt edidit Ursulus Philippus Boissevain, I, Berolini 1895, p. 110 (fr. 37,2). Questa proposta si trova ripresa, con alcune varianti, nella integrazione del passo suggerita in NIEBUHR, Ergänzung des Inhalts cit., pp. 596-597. 132 Sopra questa parola Mai ha annotato di proprio pugno: «mi pare εὐδοκεῖν». 133 Sic, senza punto fermo. Cfr. NIEBUHR, Ergänzung des Inhalts cit., p. 597. 126

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(Livio VI. 35.)134 laquale ordinava che deducendo dalla sorte le usure pagate, il rimanente si pagasse in tre rate annue (come la dote, annua, bima, trima, die). Se poi questo si trovasse narrato legibilmente nelle ecloghe stesse, sarebbero soddisfatti pure quelli che non vogliono ammetter altro che quel che si può provar con verbi espressi. Alla fine del cap. XLI., istessa pagina, riconosco quel motto di Fabricio contro Rufino: malo compilari quam vaenire135: e credo che vien supplito a poco di presso in questo modo: Φαβρίκιος, [ἐπιφανὴς ὤν136 διὰ τὴν137 περὶ]138 τὰ πράγματα [σύνεσιν], τήν τε ἄλλην ἀρετὴν, [καὶ ἀστεῖος ἦν· ὥστε ποτὲ] καὶ πρὸ[ς ῾Ρȣφῖνον λέγειν ável — ἔφη —à139 ὅτι ἄμεινόν] ἐστὶν140 ὑπὸ τȣ� πολίτȣ [συληθῆναι]141 ἢ ὑπὸ τῶν πολεμίων πωληθῆναι142. Se poi V. S. Illma e Revma, esaminando questa pagina potesse scuoprir qualche cosa di più di quel apoftegma di Curio che esisteva al principio del cap. XLII! Forse con una piccola aggiunta di lettere si potrebbe indovinare143. — Essendo che Ella 134 Si allude alla lex Licinia Sextia de aere alieno del 367 a.C., la quale, secondo quanto ricordato da Livio, stabiliva che i prestiti potessero essere restituiti in tre rate, imputando i pagamenti prima agli interessi e quindi al capitale: cfr. NIEBUHR, Ergänzung des Inhalts cit., p. 594 nt. 2. 135 Si tratta del noto detto pronunciato da Caio Fabrizio Luscino quando sostenne la candidatura al consolato di Publio Cornelio Rufino, che pure non era suo amico e che non stimava, in un momento nel quale ciò risultava utile per lo Stato: cfr. CIC., de orat. 2.66.268. 136 Segue una parola in greco non ben individuabile perché cancellata. 137 Segue cancellato: «ἐν». 138 Sul proprio esemplare personale dell’edizione (Vat. lat. 9589, f. 109v) Mai ha annotato a penna la seguente integrazione: «διά τε τῶν ἐχθρῶν». 139 Aggiunto sul rigo: la grafia sembra quella di Niebuhr, ma potrebbe trattarsi di un appunto di Mai. 140 Sul proprio esemplare personale (Vat. lat. 9589) Mai ha segnato una diversa integrazione: «ὅτι αἰρετώτερον ἡμῖν ἐστὶν». Sul margine sinistro del f. 110v (corrispondente alla pagina 166 dell’edizione) si trova appuntato di pugno da Mai: «Vedi il Giornale tedesco detto il Museo renano del Sig.r Niebuhr fascicolo IV. del 2.o anno. cioè dell’anno 1828.» Questo appunto consente di rispondere positivamente all’interrogativo formulato da PERTUSI, Angelo Mai scopritore ed editore cit., p. 190. Da segnalare, inoltre, che fra le pagine 166 (= f. 109v) e 167 (= f. 111r) dell’edizione è stato incollato un foglietto (= f. 110), sul cui recto è stato annotato da Mai: «Nella storia romana del Sig.r Niebuhr ed. di Parigi 1840. T. VII. p. 65 si propongono i supplementi seguenti a questo pezzo di Dione. (segue la trascrizione in greco) Nello stesso volume p. 207 segg. si tenta di rettificare il celebre passo di Cic. de rep. sopra le centurie di Servio Tullio.» Sul margine esterno della pagina 167 (= f. 111r) Mai ha annotato tre proposte di emendazione di Niebuhr, e ciè: «Nieb. δυνατοῖν»; «Nieb. διὰ τοῦτο τάτε»; «Nieb. ἐπίβασιν». 141 Questa parola fu poi annotata da Mai sul suo esemplare personale dell’edizione (Vat. lat. 9589, f. 109v). 142 DIO CASS., 8.36.33 (cfr. Cassii Dionis Cocceiani historiarum Romanarum quae supersunt edidit Ursulus Philippus Boissevain, I, cit., p. 109). La conferma della correttezza di questa ultima parte della congettura può leggersi nella lettera di risposta di Mai a Niebuhr (infra, Nr. 3). 143 Corregge: «riempire».

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mi facesse il piacere di occuparsi di questa ricerca, la prego di mandarmi il risultato, se così farsi potesse, in un lucido, facendo conoscer esattamente l’estensione delle lacune. Il primo tomo dei miei Bizantini darà per la prima volta, dal manoscritto Bobbiense di Vienna, il panegirico detto al Imp. Anastasio da Prisciano, in esametri, con una prefazione in senarj144. Per altro vi sarà poco di inedito: esistono bensì scritti innumerabili non stampati di questi autori, a cominciar145 col XIII secolo, come quelli che il Boivin voleva stampar nel IV tomo del Niceforo Gregora146, ma tutta questa mole non merita la stampa. Veri libri di storia, anche prolissi e noiosi, sono un altro affare, e sarei pronto ad accogliergli. Di questa indole sono quei libri inediti del Niceforo, dal XXV in poi, che il Boivin avrebbe stampati nel 3 tomo dopo un apografo del codice Vaticano147. Può esser che il Sig.r Hase148, filologo di sommo merito, e mio amico particolare, pensi a dar quella aggiunta al Boivin, e che abbia scritto a Ella per aver o una copia più esatta, ovvero un nuovo confronto. In questo caso non dico niente. Ma se egli non ne ha communicato niente, conchiudo che non vi pensa, e di certo a canto a questa nuova edizione, sarebbe una perdita assicurata l’intraprendere la continuazione della Parigina. L’istessa considerazione si oppone al progetto di stampar quei libri nella Sua collezione: il libbrajo può astenersi dalla ristampa mentre chè ha bisogno di me: ma quando tutto sarà disposto ed ordinato, ogni autore consegnato a chi ne farà una recensione critica, allora può far senza me, e la soprintendenza, per me peso grave, passerà fra altre mani. Allora subito si ristamperà; e quella149 opera che per se sarebbe puoco prezzata, come noiosissima troverà compratori fra gli associati per la collezione intiera. Così il Sigr Weber potrebbe pagar un’onorario per áun apografo dià quei libri Niceforiani, o altri veramente storici, come lo farebbe per i confronti di Bizantini de’ quali ho parlato di sopra. Scusi che io Le parlo di queste cose150. Ella troverà, se non m’inganno, che l’esecuzione tipografica dell’Agathias è abbastanza bella: La prego di far conoscer l’impresa, e d’151interessarsi a procurarvi 144 Si allude del De laude imperatoris Anastasii, scritto da Prisciano di Cesarea per l’imperatore Anastasio I il Dicoro (ca. 430-518). Cfr. Corpus scriptorum historiae Byzantinae. Editio emendatior et copiosior, consilio B. G. Niebuhrii C. F. instituta, opera eiusdem Niebuhrii, Imm. Bekkeri, L. Schopeni, G. et L. Dindorfiorum, aliorumque philologorum parata. Pars XIX. Nicephorus Gregoras, I, Bonnae 1829, pp. 517 ss. 145 Segue cancellato: «dal». 146 Si allude all’edizione pubblicata a Parigi nel 1702 da Jean Boivin de Villneuve (16631726) con il titolo Nicephori Gregorae Byzantina historia. 147 Si tratta dei libri 24-37 della Ῥωμαϊκὴ ἱστορία di Niceforo Gregoras, poi pubblicati nel 1855 nel terzo tomo dell’edizione curata da Schopen e da Bekker (cfr. supra, nt. 93). 148 All’amicizia con Hase si accenna anche in Niebuhr a Mai, Bonn 25.8.1827, in SCHÖNE, Sechs Briefe cit., 502-505 [Nr. IV] e in NIEBUHR, Briefe · Neue Folge, IV, cit., pp. 244-249 [Nr. 958]. 149 Corregge: «quel lib». 150 Prosegue sul margine sinistro del f. 391v, in senso perpendicolare rispetto al resto del testo. 151 Prosegue sul margine sinistro del f. 391r, ancora in senso perpendicolare.

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associati. Questa domanda io la posso far senza arrossire, poichè in vece di raccogliere qualunque profitto, vi spendo152, avendo, per esempio, proposto in questo momento un premio di venti pistole, ossia 400 franchi, per carte geografiche del Impero di Giustiniano all’153epoca del suo avvenimento, e dopo la conquista d’Italia. — Le ho risposto o ancora no, intorno a quel che mi ha communicato intorno alla154 dispiacevole avventura Napolitano155? Quel che posso al bisogno assicurare è che quando io vi fui, 1823, nessuno sapeva quel che fosse in quel palimpsesto156

152 Prosegue sul margine sinistro del f. 391v, sempre in senso perpendicolare rispetto al resto del testo. 153 Prosegue sul margine sinistro del f. 390r, in senso perpendicolare. 154 Corregge: «al». 155 Sic, per «Napolitana». Si allude al frammento di un trattato latino di agricoltura di Quinto Gargilio Marziale tramandato in un codice palinsesto proveniente da Bobbio, il cod. Borbon. IV.A.8, oggi conservato a Napoli nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, fondo principale, IV A 8 (palimps. script. inf. Gargilio Marziale). Anche Niebuhr aveva avuto per le mani il manoscritto, che tramandava brani dell’Ars grammatica di Flavio Sosipatro Carisio: cfr. Mai a Niebuhr, Roma, 22.9.1827, in ABBAW, Nachlass B. G. Niebuhr 204 (Mai), ff. 16-17, qui ff. 16v-17r: «Vengo al palinsesto di Napoli. Questo è quel medesimo Carisio che fu in mano di V.a E.a e di altri Letterati, e che Ella mi disse in Roma essere in parte rescritto, ciò che anche Iannelli nel suo stampato catalogo non dissimula. Avendolo io nello scorso autunno osservato, conobbi che la principal parte della primitiva scrittura è una bibbia latina; una áassaià minore parte è il Lucano di cui V.a S.a mi aveva data notizia; un’altra anche piccola parte sono le pandette, di cui molti mi avevano data notizia. Dopo tutte queste viddi un intiero quaderno d’altra scrittura parimenti grande ma di forma non perfettissima. Avendola letta, mi assicurai che era un geoponico latino de’ perduti. Se altri prima di me siasi di ciò accorto, io non lo so. Niuno di quella biblioteca mostrò di sapere il contenuto di quel quaderno, nè di averne letto nulla: anzi il Iannelli nel suo stampato catalogo dichiara che quanto a se non sa cosa contengasi nel palinsesto, involgendo in uguale oscurità anche il Lucano e le Pandette. Ho dette tutte queste minuzie per di Lei informazione; del resto, in caso che Ella ne parlasse, io desidero che non si dia ámoltaà importanza a tal cosa; e certo che da parte mia non avessero ámaià occasione di dolersi in verun conto que’ bibliotecarii, a quali devo obligazioni per la cortesia con cui mi hanno accolto e favorito. || [17r] Io tolsi con me copia del palinsesto geoponico, ma dovetti lasciare quà e là lacune perchè avevo assai fretta, ed il palinsesto in più luoghi era assai difficile. Il rispettabile ámio amicoà prefetto Scotti, mi disse che ne leggerebbe una memoria all’Academia ercolanese, come poi fece, e che la stamperebbe. Mi annunziò poi otto mesi fa che la stampa era a metà: ma sinora non sembra ancora conchiusa, poichè io nulla più ne ho saputo. Così dunque tanto per l’aspettazione della stampa di Napoli, quanto per le lacune e lezioni dubbie, io in Roma niente ne ho stampato: ma osservo che sinora in Napoli si è fatto poco più che in Roma. Scotti mi scriveva di essersi assicurato che l’autore è Gargilio Marziale; così ne pare anche a me, poichè i passi citati da Palladio sembra che s’incontrino bastevolmente nel palinsesto.» Mai, dunque, aveva trascritto il frammento di Gargilio Marziale nell’ottobre del 1826 durante un suo soggiorno nella Reale Biblioteca Borbonica di Napoli. Il testo era stato poi pubblicato contemporaneamente da Scotti e da Mai, l’uno all’insaputa dell’altro. L’edizione di Mai è in Classicorum auctorum e Vaticanis codicibus editorum Tomus I, cit., pp. 387-413. In seguito Mai avrebbe riscoperto un altro frammento di Gargilio Marziale in due codici vaticani (contrassegnati da Mai come codex A e codex B), che avrebbe pubblicato nel terzo tomo dei Classici auctores. 156 Prosegue sul margine superiore del f. 390r, in senso inverso a quello del resto dello scritto.

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eccettuatone il Lucano157, e le Pandette: come pure io non vi ho studiato. Se i Signori Napoletani l’hanno letto, perchè non stampano, avendo l’infinito vantaggio di avere il manoscritto sotto gli occhi? Se V. S. Illma e Revma vuol farci l’onore di communicar quel che ha copiato al Museo Renano, sa con quanto piacere vi sarebbe inserito. — Si parla di nuovo della continuazione della republica del Sigr Heinrich158: quel che vi l’avrebbe mosso, sarebbe la brama di ingiuriarmi a me: giacchè io solo l’ho salvato colla sua famiglia, da rovina assoluta: e vi sono cuori infernali i quali necessariamente mordono il benefattore. Ella capisce che così non posso far niente per impedir la pubblicazione delle impertinenze dirette contro di Lei. Vale. Nbr 159 || [388r] Siamo alli 2 di Marzo, senza notizie dal Sigr Bunsen: e non voglio differir da vantaggio la spedizione di questa lettera, essendomi giunto nel tempo intermedio quella160 del Istituto regio Olandese161. A questa ho risposto in un modo che, secondo mi lusingo, metterà fine a quel litigio. Ho procurato di far intender a questi Signori che V. S. Illma e Revma non può esser risponsabile delle spese di vettura quando pure fossero esorbitanti: e questo neppure secondo lo stretto diritto, molto meno secondo l’equità la quale sola deve servir per norma in un caso di questa indole. Ho pure osservato áa essià che non hanno nessun motivo di lagnarsi che l’opera non è isolata, ma il secondo tomo di una più ampia collezione, non avendo Ella annunziato niente sopra questo particolare, e neppure invitato all’associazione, per laquale l’Istituto dietro la mia proposizione si è offerta spontaneamente. Ma per tagliar ogni difficoltà ho proposto, che Ella fosse invitato a far stampare un titolo separato per questa collezione, per quel numero di esemplari mandati in Olanda: quel titolo si potrebbe far analogo a quei di Fulvio Ursino e Valesio162. Pare imbossibile che l’affare non sia163 terminato, facendo Ella questa piccola concessione: l’ambasciata Olandese avrebbe senza dubbio cura di caricarsi di quei fogli. Mi sarebbe assai grato se V. S. Illma e Revma fosse contenta della mia intervenzione, 157

Segue cancellato: «ed». Per questa polemica relativa alla pubblicazione del De re publica di Cicerone cfr. supra, nt. 50. 159 Questa continuazione della lettera è stata scritta da Niebuhr su un mezzo foglio poi spedito insieme ai due su cui era stata scritta la prima parte della lettera. Questa appendice del 2 marzo è stata tuttavia pubblicata come lettera autonoma da COZZA LUZI, Epistolario del Cardinale Angelo Mai cit., pp. 174-176 [Nr. 91], secondo il quale questa lettera dovrebbe porsi «dopo la lettera 12 gennaio 1825» (ibid., 176 nt. 1). 160 Corregge «la»; segue cancellato: «lettera». 161 Era stato Mai a chiedere l’intervento di Niebuhr per risolvere la questione nella lettera del 5.1.1828. 162 Si allude ai cosiddetti Excerpta Ursiana relativi alla sezione De legationibus (Ex libris Polybii Megalopolitani selecta de legationibus; et alia quae sequenti pagina indicantur, nunc primum in lucem edita. Ex bibliotheca Fulvi Ursini, Antverpiae 1582) e ai cosiddetti Excerpta Valesiana relativi alla sezione De virtutibus et vitiis (Polybii Diodori Siculi Nicolai Damasceni Dionysii Halicar. Appiani Alexand. Dionis. et Ioannis Antiocheni Excerpta ex Collectaneis Constantini Augusti Porphyrogenetæ Henricus Valesius nunc primum Graece edidit, Latine vertit, Notisque illustrauit, Parisiis 1634). 163 Segue cancellato: «sopito». 158

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riconoscendovi i sentimenti della mia amicizia e della viva riconoscenza di cui sono animato per i Suoi infiniti meriti per la letteratura antica. Se Ella volesse pubblicar in Germania il commentatore di Cicerone, raggiunti i pezzi Milanesi coi Romani, credo che vi troverebbe miglior conto di quel che potrebbe riuscir di una edizione fatta in Italia. Posso domandare se Ella è pagata almeno delle spese dell’ultima edizione di Frontone? Se questo non è, sarebbero ingiustissimi quelli che chiederebbero che Ella non facesse stampar in paese estero, dove si può avere un onorario, non splendido, ma però una qualunque ricompensa della fatica. In questo e simile casi164 disponga di me. — Possiede Ella la raccolta delle Anecdota graeca di Bekker165? | [388v] Nel 1o tomo di quella (ai luoghi indicati nell’indice) in un lessico sintattico, si trovano numerosi frammenti di Dione Cassio, con indicazione dei libri. I manoscritti di Chalcondile166 che si trovano a Parigi e a Monaco sono tutti egualmente mutilati nei luoghi dove l’edizione di Parigi mette un asterisco per segno di lacuna: come p. es. alle pag. 63. 64. 66. 67. 70. 71. 82. 107. 200. 231. Le sarei assai tenuto se, ricercati quelli che senza dubbio esistono nella più splendida di tutte le biblioteche, si scoprisse uno più intiero, per ottenerne col tempo, il confronto, se si trova uno capace di eseguirlo. Hanno codici buoni del Sincello e di Teofane? A Parigi vi è uno egregio del Sincello, sfortunatamente non intiero167, ed un altro buono168, colle varianti dei quali questo importantissimo cronografo risorgirà tutto ringiovanito. S. S. Nbr

[Nr. 2] Niebuhr a Mai, Bonna

8.5.1828169

– BAV, Vat. lat. 9589, f. 387 Bonna, alli 8 di Maggio 1828.

Illmo e revmo Signore Non voglio lasciar partire il Sigr170 Cav. Bunsen senza una parola di amicizia 164

Sic. I. BEKKER, Anecdota Graeca, I: Lexica Segueriana, Berolini 1814; II: Apollonii Alexandrini de coniunctionibus et de adverbiis libri. Dionysii Thracis grammatica. Choerobosci, Diomedis, Melampodis, Porphyrii, Stephani in eam scholia, Berolini 1816; III: Theodosii canones. Editoris annotatio critica. Indices, Berolini 1821. 166 L’opera di Laonico Calcondila fu pubblicata nel 1843 da Bekker nel CSHB con il titolo: Laonici Chalcocondylae Atheniensis Historiarum libri decem ex recognitione Immanuelis Bekkeri. 167 Si allude probabilmente al codice custodito nella Bibliothèque Nationale di Parigi, il Codex Parisinus Bibl. Nat. Coislinianus 133. 168 La Bibliothèque Nationale di Parigi conserva altri due codici che tramandano la Cronografia di Sincello, il Codex Parisinus Bibl. Nat. Graecus 1711 e il Codex Parisinus Bibl. Nat. Graecus 1764, che ha lezioni migliori del 1711, 169 Il testo di questa lettera è stato pubblicato in SCHÖNE, Sechs Briefe cit., p. 513 [Nr. VI], e, con qualche svista, in NIEBUHR, Briefe · Neue Folge, III, cit., pp. 301-302 [Nr. 1023]. 170 Sic, non «Sig.r». 165

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per V. Signia Illma e Revma. Egli Le porterà il mio Agazia, dove nella prefazione, alla faccia XIX Ella leggerà un omaggio pubblico reso ai Suoi immortali meriti171. — Se, raccomandando l’impresa della edizione dei Bizantini Ella può decider, sia biblioteche pubbliche, come p. es. la Minerva172, o particolari, ad associarvisi173, Ella farà un bene ad uno che veramente col Suo coraggio e coi sagrificj a cui si risolve per174 render l’opera quanto si può perfetta — il libraio Weber —, se ne rende degno. Dopo le vacanze autunnali si presenterà alla Vaticana un giovane Tedesco per confrontar codici dei bizantini stampati, cominciando col Procopio —: sono persuaso che goderà la Sua protezione. Gli Olandesi pare che si siano fatti ragionevoli: lo conchiudo da una lettera di uno dei Signori Accademici. Ecco un cenno per invitar V. S. Illma e Revma a ricerche e scoperte: I frammenti di Scymno Chio, dati dal Holstenio175, fino al v. 161. sono tutti cavati dal Periplus Ponti Euxini, però in ordine inverso: e mancando nelle edizioni il principio di quel Periplo, ne risulta che tutto quel che nel Scymno veniva dopo, fino al Bosporo, e precedeva nel Periplo, vi manca. È per me indubitabile che il Holstenio ha cavato tutti i frammenti che cominciano col v. 162. da un manoscritto del Periplo che non era acefalo; e questo manoscritto deve averlo trattato o nella Barberiniana176 o nella Vaticana. Sarebbe una bella scoperta se si ritrovasse. Sono con somma stima e considerazione Monsignore Suo Servitor vero Niebuhr | [387v] A Sua Signoria Illma e Revma Monsignor Angelo Mai Prefetto della Vaticana, e Membro di molte Academie ecc. a Roma 171

Cfr. la lettera di Niebuhr a Mai del 25.2.1828 (supra, Nr. 1). Si tratta della Biblioteca Casanatese, istituita dai padri domenicani del convento di Santa Maria sopra Minerva per volere del cardinale Girolamo Casanate (1620-1700). Nel 1783, a seguito dell’estensione a Roma della legge sulle corporazioni religiose, al prefetto domenicano che svolgeva le funzioni di direttore della biblioteca fu affiancato un funzionario governativo. La biblioteca divenne definitivamente statale nel 1884. 173 Segue cancellato: «fa». 174 Segue cancellato: «far». 175 Lucæ Holstenii notæ et castigationes postumæ in Stephani Byzantii ΕΘΝΙΚΑ Quae vulgo ΠΕΡΙ ΠΟΛΕΩΝ inscribuntur: Post longam doctorum exspectationem editæ a Theodoro Ryckio. Qui Scymni Chii fragmenta hactenus non edita: Item dissertationem De primis Italiæ colonis & Æneæ adventu: Et alia nonnulla addidit, Lugd. Batavorum 1684. 176 La Biblioteca Barberiniana, fondata per iniziativa Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini (1568-1644), e di cui Lukas Holste (1592-1662) fu direttore, fu inglobata nel 1902 nella Biblioteca Apostolica Vaticana. 172

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[Nr. 3] Mai a Niebuhr, Roma 2.1.1829 – ABBAW, Nachlass B. G. Niebuhr 204 (Mai), ff. 18-19 Eccellenza Roma 2. Gennaro 1829. Avrà, credo, a quest’ora ricevuto V.a E.a tre miei libri, cioè il III.o tomo della Coll.e Vn͠ a177, ed i due primi dei Classici auctores178, che Le ho spediti in ossequio. Avendomi áil Sig. M.o Bunsenà significato improvvisamente che partiva in quello stesso giorno un corriere per Brusselles, il quale se ne incaricava, io non volli ritardare a V.a E.a questa mia offerta, che speravo a Lei grata, ed anche opportuna per i gloriosi suoi studi. Prescindendo da questa circostanza della pronta occasione, io non doveva mandare quel volume che ha il Geoponico di Napoli, che io stanco di quel mistero e di quel ritardo dei Napoletani, publicai così imperfetto come aveva potuto ricavarlo dal palinsesto in poche ore di pochissimi giorni. Quei Signori avendo intesa la mia publicazione, mi scrissero di mandargliela in posta, il che io feci; ed allora si risolvettero a dar subito fuori in fascicolo separato il Geoponico, molto più completo del mio libro, come poteva fare chi aveva avuto sotto occhio il codice per due anni intieri. Io dunque rifondo subito la mia edizione, che Le manderò per celere occasione179; ma intanto prego V.a S.a a non comunicare a niuno quella mia imperfetta cosa, e molto meno permettere che sia ristampata, o che se ne discorra nei Giornali. Nel rimanente credo che Le riusciranno cari il nuovo Bizantino Efremio, il Commentatore di Cicerone veramente erudito e buono, e nella ristampa del de rep. quella insigne correzione del pallas inter pecus. Vedrà ancora che nella ristampa delle cose di Cicerone ho fatto la dovuta menzione dei meriti di V.a S.a; e che sono stato giusto e cortese anche verso il Sig.r Heinrich, benchè egli tanto sia ingiusto con me; come V.a E.a mi diceva in proposito di quella sua ristampa del Cicerone, che io ancora non possiedo, dove180 voleva mostrarsi una furia181 contro chi non ha parlato di Lui altro che182 bene. E già che sono in cose mie, permettami V.a E.a di chiederle, se per di Lei proposizione e intervento potrei far acquistare a qualche libraio fiammingo ovvero ollandese, a denaro o parte denaro 177 Scriptorum veterum nova collectio e Vaticanis codicibus edita ab Angelo Maio bibliothecae Vaticanae praefecto, Tomus III., Romae 1828. 178 Classicorum auctorum e Vaticanis codicibus editorum Tomus I. Complectens Ciceronis de rep. quae supersunt Gargilii Martialis de arboribus pomiferis Sallustii historiarum et Archimedis fragmenta. Cum quinque tabulis aeneis. Curante Angelo Maio Vaticanae bibliothecae praefecto, Romae 1828; Classicorum auctorum e Vaticanis codicibus editorum Tomus II. Complectens Ciceronis antiquum interpretem item Ciceronis orationum fragmenta nuperis temporibus reperta item orationum in ·C· Verrem partes ex antiquissimo palimpsesto Vaticano. Cum duabus tabulis aeneis. Curante Angelo Maio Vaticanae bibliothecae praefecto, Romae 1828. 179 L’invio sarebbe avvenuto qualche settimana dopo: cfr. la lettera a Niebuhr del 21.1.1829 (infra, Nr. 4). 180 Segue cancellato: «si». 181 Segue una virgola cancellata. 182 Segue cancellato: «in».

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e parte libri per mio uso, o tutti libri se non si potesse altrimenti, un certo numero di Frontoni in 8.o e 4.o, e di Iuris civilis etc. in 8.o e 4.o, e di Ciceroni de rep. in 8.o e fol.o; cioè Frontoni inirca 42; Iuris incirca 34; Ciceroni meno di 20; che giaciono invenduti presso Weigel in Lipsia, e che esso vorrebbe tolti dal Negozio, ed a me non torna a conto farli rivenire in Italia. Io accorderei ogni ribasso possibile ed onesto, avendo riguardo alla difficoltà dello spaccio, che però non sarà forse tale nel Regno dei Paesi Bassi, dove non si fece spedizione. All’Academia, che m’invitò, io spedii 32. Copie del 1.o Tomo Coll.e Vn͠ a, che partirono da Livorno non più tardi del principio dello scorso 8br͠ e á1828,à come consta dalla ricevuta del Capitano di mare. Ancora però non ho riscontro, nè soddisfazione delle due spedizioni fatte. Se Va Ea | [18v] nell’occasione che mi favorirà risposta, potrà dirmi qualche cosa anche in proposito dei libri giacenti in Lipsia e di queste due spedizioni ollandesi, Le sarò molto obbligato. Passo com’è dovere alle Cose sue, che avrei anteposte, se non fosse preceduto il discorso de’ miei ultimi libri a Lei spediti. Io ricevetti l’Agazia, ed ammirai la bella edizione, e la fina critica con la quale questo Autore è stato ristabilito; e devo ben ringraziarla delle espressioni in mio favore, benchè troppo e infinitamente troppo onorifiche, che l’amicizia Le ha dettate. In quanto alle associazioni183, il Sig.r M.o Bunsen mi sarà buon testimonio che non mi è mancato nè zelo nè opera, benchè il risultato sia infelicissimo. V.a E.a abbia per associati la Vaticana e il Cav. Luigi Marini184 direttore del Censo. Le biblioteche da me ufficiate, sembrò prima che volessero ascriversi, ma poi que’ bibliotecarii si disdissero, allegando l’incerta spesa e l’incerta durata di tempo a cui non volevano impegnarsi. Nè meno Prelà185 ha voluto ascriversi, e Bomba186 essendosi maritato ed avendo già figli, protesta che non può acquistare più libri, e tenta invece di vendere almeno i suoi duplicati. Il rettore del Collegio inglese187 mi lusingava di qualche associazione di nazionali; ma sinora non mi ha potuto nulla conchiudere. Vengo al palinsesto degli storici greci da me publicati. Io non mi ricuso a qualunque confronto gradisca V.a E.a E in quanto alla difficiláissimaà188 pagina di Eunapio cod. 102. ed. 223, Ella dice e indovina bene189 varie parole. Ecco ciò che ho potuto leggere οἱ δὲ καίπερ ἀρρωστίᾳ τῇ οἰκείᾳ οὐδὲ τῶν πολεμίων τοῖς προσοίκοις ἀξιόμαχοι etc. V. 6. ἂν non può esservi ἀντιστῆναι. Pag. 326. cod. p. 92. è veramente ἀπὸ invece di ὑπὸ; ma avanti ἀνεπίκλητον non vi è ἂν. La pagina 234. del cod., 166. della ed. è affatto illeggibile. Nondimeno v. 8. ed. leggo nel cod. Φαβρίκιος διά τε τῶν ἐχθρῶν τὰ πράγματα ἐπιπρεττὴς τήν τε ἄλλην

183

Corregge: «associazione». Si tratta del Luigi Marini che nel 1823 fu proposto come marito a Paolina Leopardi (1800-1869), ma che poi sposò la marchesa Barbara Clarelli. 185 Tommaso Prelà (1765-1846), archiatra di Pio VII (1742-1823). 186 Deve trattarsi di Giovanni Battista Bomba, che insieme a Prelà faceva parte del collegio medico-chirurgico del pontefice. 187 Nicholas Patrick Stephen Wiseman (1802-1865), nominato vicerettore del Venerable English College di Roma nel 1827, ne fu rettore dal 1828 al 1840. 188 Corregge: «difficile». 189 Segue cancellato: «in». 184

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ἀρετὴν ... καὶ προ ... ὅτι αἰρετώτερον ἡμῖν ἐστὶιν190 ὑπὸ τοῦ πολίτου συληθῆναι, ἢ ὑπὸ etc. Più191 sotto avanti εἰσηγουμένων forse vi è ἀποκοπὴν, e avanti βουλομένων forse vi è παρὰ δανειστῶν. Ecco il tutto che ho potuto estrarre dalla peggiore pagina che

io abbia mai veduta. Io possedeva gli Aneddoti di Bekker, ma disgraziatamente, mi dimenticai di consultarli, quando raccoglievo i frammenti di Dione Cassio, e perdetti veramente assai belle giunte. Io poi non ho niuna difficoltà di comunicare all’Academia di Berlino le varianti o le Copie della politica parte di Aristotele esistente nel palinsesto di Pietro Protettore, se esso è l’autore di quegli avanzi politici. E nè meno mi ricuso di comunicare ogni cosa che mi venga richiesta intorno ai Bizantini di cui V.a Eccz͠ a mi parla; ma il giovane da Lei192 mentovato non è già mai comparso nella Vaticana, nè cosa alcuna mi è stata richiesta in proposito; nè del Conte Leopardi ho notizia193. In attenzione de’ cari suoi riscontri, mi ripeto sincerissimamente Servo oss.mo obb.mo dev.mo A. Mai

[Nr. 4] Mai a Niebuhr, Roma 21.1.1829 – ABBAW, Nachlass B. G. Niebuhr 204 (Mai), ff. 20-21 Eccellenza Roma 21. Gennaro 1829. Avrà, spero, V.a E.a ricevuto il III.o Volume vatn͠ o in 4.o e li due in 8.o dei classici Auctores194. Le sarà in pari tempo, come stimo, pervenuta la mia lettera in cui Le 190

Sic, per: «ἐστὶν». Corregge: «Piùs». 192 Corregge: «lei». 193 A seguito di un evento che aveva dovuto determinare la rottura dei rapporti Mai non aveva più notizie di Leopardi. Mentre catalogava i codici greci della Biblioteca Barberina, infatti, Leopardi aveva scoperto in un codice (Vat. Barb. 220, già 351) il testo completo dell’orazione pro templis di Libanio, fino ad allora nota con una grande lacuna nella parte centrale in base al codice Augustano, e ne aveva ricopiato il testo senza destare l’attenzione dei sorveglianti della biblioteca. Lo aveva mostrato a Niebuhr, che si era impegnato a far pubblicare l’edizione in Germania. In ciò fu però preceduto da Mai, che aveva scoperto lo stesso testo in altri manoscritti custoditi nella Biblioteca Vaticana e si era affrettato a pubblicarlo. Scrivendo al cugino Giuseppe Melchiorri (1796-1855), che gli aveva dato notizia della pubblicazione di Mai, Leopardi pensò che ciò fosse avvenuto per fargli un dispetto e comunque sapendo che in questo modo lo avrebbe prevenuto intenzionalmente dopo aver saputo della scoperta compiuta nella Barberina. Per una valutazione della vicenda cfr. PERTUSI, Angelo Mai scopritore ed editore cit., p. 179; J. FIGURITO, Rec. di S. Timpanaro, La filologia di Giacomo Leopardi, in Italica 33 (1956), p. 232; L. FELICI, La luna nel cortile. Capitoli leopardiani, Soveria Mannelli 2006, p. 119; S. TIMPANARO, La filologia di Giacomo Leopardi4, Roma – Bari 2008, pp. 92-94, con altra bibliografia. 194 Cfr. Mai a Niebuhr, Roma 2.1.1829 (supra, Nr. 3). 191

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promettevo migliore e compita edizione del Frammento di Gargilio195, che ora Le fo tenere in due fogli di stampa con un foglietto da inserire nella prefazione. V.a Eccz͠ a avrà la bontà di staccare dall’esemplare, e poi bruciare poichè non voglio che sia publica, l’imperfetta parte del Gargilio da me data senza il soccorso del codice nap. e del tempo necessario a perfezionare un lavoro196. Gradisca l’Eccz͠ a V.a queste tenui mie offerte, e mi conservi la preziosa e cara sua grazia. Se avrà risposta a quella mia proposta di libri giacenti in Lipsia e che vorrei trasmettere o nelle provincie Renane o in Fiandra; come anche se áavràà197 notizia da darmi intorno a quelle mie due spedizioni in Ollanda, che ancora non sono pagate. E mi dico colla massima considerazione di V.a Eccza Servo div.mo obb.mo A. Mai | [20v] || [21r] | [21v] À. S. Excellc͠ e M.r Le Chev.r͠ de Niebuhr Conseiller Intime de Sa Mè le Roi de Prusse à BONN sur le Rhin

195

Cfr. Mai a Niebuhr, Roma, 22.9.1827, in ABBAW, Nachlass B. G. Niebuhr 204 (Mai), ff. 16-17. 196 Cfr. supra, nt. 155. 197 Corregge sul rigo una parola non più leggibile.

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PER LA STORIA DEL VIRGILIO ROMANO. UNA LETTERA INEDITA DI ANGELO BATTAGLINI A MARINO MARINI (GENNAIO 1816) Alla memoria di José Ruysschaert (1914-1993), viceprefetto della Biblioteca Vaticana (1965-1984), nel ventesimo anniversario della morte; e di Alessandro Pratesi (1922-2012) 1. Il recupero del Virgilio Romano: una «soverchia delicatezza» di Marino Marini. 2. La lettera di Angelo Battaglini a Marino Marini: un chiarimento fra tanti equivoci. 3. Battaglini e Marini: due romagnoli in difesa della Santa Sede. – Appendici. I. Identificazione delle fonti delle immagini pubblicate in Antiquissimi Virgiliani Codicis fragmenta et picturae (...) [G.G. Bottari, 1741]. II. Memoria di Angelo Mercati a Pio XI sul destino dei manoscritti vaticani rimasti a Parigi (28 marzo 1923).

1. Fra i manoscritti vaticani prelevati dai Francesi nel 1797 sulla base dell’art. 8 dell’armistizio di Bologna (23 giugno 1796), reso esecutivo dall’art. 13 del Trattato di Tolentino (19 febbraio 1797), erano compresi, come è noto, il Virgilio Romano (Vat. lat. 3867; C.L.A., I, 19) e il Terenzio Vaticano (Vat. lat. 3868), codici contigui per segnature ma con origini, datazioni e storie molto diverse1. Nel 1798 a esso si aggiunse anche il Virgilio 1 Il Virgilio Romano era così descritto nella Recensio manuscriptorum codicum qui ex vniversa Bibliotheca Vaticana selecti iussu Dni. Nri. Pii VI Pont. M. prid. id. iul. an. MDCCLXXXXVII procuratoribus Gallorum iure belli, seu pactarum induciarum ergo, et initae pacis traditi fuere, Lipsiae 1803, p. 98 (sub n° 372): «IIIMDCCCLXVII. Cod. Membr. in fol. quadrato constans pagg. 901. uncialibus Litteris exarat. saec. VII. Continet P. Virgilii Bucolica, Georgica et Aeneidem cum figuris, omnia imperfecta». L’indicazione delle pagine deve essere frutto di un errore perché il manoscritto consta attualmente di 309 ff. (quindi 618 pp.). Il Terenzio Vaticano è descritto ibid. (sub n° 373). Il convoglio, con nove casse di manoscritti, partì da Roma il 13 luglio 1797. Per i dati qui sommariamente indicati e per la più ampia vicenda del recupero dei manoscritti vaticani si rinvia a P. VIAN, «Per le cose della patria nostra». Lettere inedite di Luigi Angeloni e di Marino Marini sul recupero dei manoscritti vaticani a Parigi (1816-1819), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XVIII, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 469), pp. 693-799; ove, alle pp. 765-770, anche una Cronologia essenziale degli eventi relativi alla requisizione e al recupero dei manoscritti vaticani (1796-1824 ca.). Per le prime due sottrazioni francesi, cfr. Ch. M. GRAFINGER, Le tre asportazioni francesi di manoscritti e incunaboli vaticani (1797-1813), in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica: a proposito del Trattato di Tolentino. Atti del convegno, Tolentino, 18-21 settembre 1997, Roma 2000 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 55), pp. 403-413: 403-411.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 739-770.

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Palatino (Pal. lat. 1631; C.L.A., I, 99), uno dei cinque manoscritti, fra i più preziosi della Biblioteca, in un primo momento depositati dai bibliotecari vaticani nell’Archivio Segreto nella speranza di sottrarli alla depredazione, ma successivamente anch’essi prelevati dai Francesi e trasferiti a Parigi2. Arrivato nella capitale francese il 3 settembre 1815 con l’incarico di procedere alla spedizione dei documenti dell’Archivio Segreto e al recupero dei manoscritti della Biblioteca Apostolica, Marino Marini pose fra i suoi principali obiettivi la riacquisizione dei codici più pregevoli che i bibliotecari francesi avrebbero volentieri trattenuto a Parigi. Marini stesso ha narrato con dovizia di particolari le difficoltà, le insidie, le incertezze della sua missione e di quelle complesse trattative3; e Christine M. Grafinger nel 2002 ha illustrato la particolare e a tratti tortuosa vicenda del recupero del Virgilio Romano4. La scoperta di una lettera del secondo custode della Vaticana Angelo Battaglini5, del gennaio 1816, a Marino Marini offre la pos2 «Virgilio, le Bucoliche, Georgiche, ed Eneide, scritte in foglio membranaceo a caratteri onciali nel Secolo VII. consistente in pagine tra membranacee scritte, e cartacee non scritte 571. Notato tra li Manoscritti Latini della Palatina No. 1631», Recensio manuscriptorum cit., p. 145 (in un elenco a parte, in italiano, relativo solo ai cinque manoscritti requisiti nel 1798). Con il Virgilio Palatino furono infatti prelevati il Codice B (Vat. gr. 1209), il Pentateuco samaritano (Vat. sam. 2), il Pentateuco persiano (Vat. pers. 61), i frammenti di Dione Cassio (Vat. gr. 1288). 3 M. MARINI, Memorie storiche dell’occupazione, e restituzione degli Archivi della S. Sede e del riacquisto de’ Codici e Museo Numismatico del Vaticano, e de’ manoscritti, e parte del Museo di Storia Naturale di Bologna; [...]. MDCCCXVI, in Regestum Clementis papae V ex archetypis vaticanis [...] cura et studio monachorum Ordinis S. Benedicti, Romae 1885, pp. CCXXVIIICCCXXV. Il testo fu steso a più riprese: una prima parte, appunto, nel 1816, una seconda intorno al 1824, cfr. VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., pp. 733 e nt. 175, 744 e nt. 219. 4 Ch. M. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen um die Rückgabe des Vergilius Romanus, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 227-236. Sulle vicende del codice cfr. anche L. DELISLE, rec. a M. MARINI, Memorie storiche cit., in Journal des savants, juillet-août 1892, pp. 429-441, 489-501: 499-500; e inoltre: Picturae ornamenta complura scripturae specimina codicis Vaticani 3867 qui Codex Vergilii Romanus audit phototypice expressa consilio et opera curatorum Bibliothecae Vaticanae, Romae 1902 (Codices e Vaticanis selecti, 2), pp. VII-VIII; Fragmenta et picturae Vergiliana Codicis Vaticani Latini 3225 phototypice expressa consilio et opera curatorum Bibliothecae Vaticanae, Romae 19453 (Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi, 1), pp. 19-23; J. RUYSSCHAERT, Die Geschichte des Vergilius Romanus, in Vergilius Romanus. Codex Vaticanus Latinus 3867. Beiträge von C. BERTELLI [et alii], Zürich 1986, pp. 21-31: 27. 5 Su Angelo Battaglini (1759-1842), «scrittore» prima soprannumerario (1791), poi effettivo (1795) della Biblioteca Vaticana, suo secondo custode (dal 1800), primo conservatore (nel 1810), privato dell’ufficio nel maggio 1814 e reintegrato in esso nell’agosto dello stesso anno, cfr. A. CAMPANA, Battaglini, Angelo, in Dizionario biografico degli italiani, VII, Roma 1965, pp. 222-225; J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), s.v. in indice (p. 392); Ph. BOUTRY, Souverain et pontife. Recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Rome 2002

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sibilità di ripercorrere sinteticamente, sulla scorta del lavoro dell’articolo di Grafinger, le tormentate fasi della riacquisizione del Virgilio Romano, verso l’epilogo delle quali si inserisce il nuovo documento, per più di un motivo, come si vedrà, istruttivo e interessante. Fra il 10 e l’11 ottobre 1815 Marini riottenne dalle mani francesi i manoscritti orientali, greci e latini, ma fra questi non erano compresi né il Virgilio Romano né il Terenzio Vaticano, trattenuti presso la Bibliothèque Royale. Bon-Joseph Dacier, direttore della Sezione Manoscritti, pregò il 17 ottobre Marini di intercedere presso Pio VII perché i due manoscritti fossero lasciati a Parigi: la loro perdita avrebbe rappresentato un danno non risarcibile per la biblioteca parigina6. Per giustificare e appoggiare la richiesta da parte francese si faceva inoltre notare che il Virgilio Romano era appartenuto all’abbazia di Saint-Denis e che per entrambi gli autori la Vaticana possedeva manoscritti più preziosi7. Della natura di «recentiores» del Virgilio Romano e del Terenzio Vaticano, rispettivamente rispetto al Virgilio Vaticano (Vat. lat. 3225; C.L.A., I, 11) e al Terenzio Bembino (Vat. lat. 3226; C.L.A., I, 12), Marini era in realtà perfettamente consapevole. Nelle sue Memorie storiche l’archivista vaticano scriverà: Il medesimo abbaglio presero i Commissarii francesi nel chiedere il Terenzio in cui erano già incorsi nell’usurparsi il Virgilio. I due mss. di Terenzio ch’esistono nella Biblioteca Vaticana, l’uno di essi fu sempre riputato da mio zio [scil.: Gaetano Marini] il più antico Codice ch’egli avesse veduto, e non esitava a farlo ascendere al quarto secolo [n.d.r.: si tratta del Terenzio Bembino, Vat. lat. 3226]: il secondo poi, e fu quello che i Commissarii portarono in Francia, è posteriore di cinque secoli. Quando la truppa del Re di Napoli occupò la Libreria Vaticana, fuvvi un soldato di essa che aperto l’armadio ove l’antico Terenzio si conserva, il prese, addescato da alcun ornamento di metallo dorato a cui era raccomandato, e uscito dalla libreria (Collection de l’École Française de Rome, 300), p. 665; A. RITA, Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica. Cronologia e fonti romane, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 470), pp. 72-73 e passim (per il ruolo svolto nelle requisizioni e nelle restituzioni di biblioteche romane tra la fine del Settecento e la Restaurazione). 6 Indizio dell’attenzione riservata al Virgilio Romano durante il soggiorno parigino sono le copie che allora ne vennero tratte: «Seize pages d’épreuves d’une Histoire chronologique de l’art du dessin d’un sieur d’Ecrameville, conservées au Cabinet des Estampes de la Bibliothèque nationale [scil.: de Paris], comportent trois gravures, dues sans doute à Louis Lafitte, reproduisant des miniatures du ‘Virgile Romain’ dans le goût néo-classique», J. RUYSSCHAERT, Naissances et survivances des illustrations du «Virgile Vatican» et du «Virgile Romain», in Association Internationale de Bibliophilie. Thirteenth Congress, Edinburgh, 23-29 September 1983. Transactions [...], s.l. 1985, pp. 53-69 [dell’estratto]: 66. 7 Dacier a Marini, 17 ottobre 1815; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 230. Su Bon-Joseph Dacier (1742-1823), dal 1801 direttore della Sezione Manoscritti della Bibliothèque Nationale, cfr. D. LYON, Dacier (Bon-Joseph), in Dictionnaire de biographie française 9 (1961), coll. 1464-1465.

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scarpì il metallo, e gittò il Codice per istrada, il quale rinvenuto da persona che poté conoscerne il pregio, il portò a mio zio, che, sorpreso di tale acquisto, il collocò nuovamente nel suo armario8. 8

MARINI, Memorie storiche cit., p. CCXLIII nt. 1. Per le vicissitudini, negli anni 1798-1799, del Terenzio Bembino, cfr. la nota di Gaetano Marini al f. 4v del Vat. lat. 3226 trascritta in VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., p. 737 nt. 190. La vicenda alla quale fa riferimento Marini deve essere avvenuta dopo il primo ingresso delle truppe napoletane, fra il novembre e il dicembre del 1798, perché in data 21 dicembre 1798 Giuseppe Antonio Sala scrive: «Ha qua fatto ritorno il Cittadino Bertolio [scil.: Antoine-René-Constant Bertolio] uno de’ Commissarj del Direttorio Esecutivo, il quale ha publicato una Stampa, che incomincia così. “Informati che i Napolitani ne’ pochi momenti, che sono stati in Roma, hanno commesse nel Museo, Archivj e Biblioteca del Vaticano le dilapidazioni le più vergognose, ed hanno rinnovati gli esempj di barbarie, che hanno dati altre volte in questa Città li Goti e li Vandali; decretano quanto segue ecc.». Gli ordini consistono nelle ricerche di quelli, che avessero avuto parte ad un tale saccheggio, e nelle diligenze per ricuperare le cose involate. Noi credevamo in principio che si esagerassero i danni recati dai Napolitani al Vaticano; ma in seguito abbiamo saputo che pur troppo sono di gran rilievo, avendo essi rubbato molti Quadri, Codici, Idoli e li piedi, che reggevano le due famose tavole di porfido, e che costarono 9000 scudi l’uno. Li Deputati del Governo Provisorio fecero perfino murare delle porte; ma ciononostante li Napolitani penetrarono dapertutto. La loro venuta ci sarà memorabile per molti titoli. È vero che i Francesi involarono cose assai più preziose; ma lo fecero almeno con qualche apparenza di giustizia, allegando i trattati dell’Armistizio di Bologna e della pace di Tolentino, e in fine il diritto di conquista. A buon conto Noi siamo i soli a risentire tutt’i danni, e questa povera Città ha perduto non poco del suo antico splendore», G. A. SALA, Diario romano degli anni 1798-99. Ristampa con premessa di V. E. GIUNTELLA e indice analitico di R. TACUS LANCIA, parte II: dal 1° luglio al 31 dicembre 1798, Roma 1980 (Miscellanea della Società Romana di Storia Patria, 2. Scritti di Giuseppe Antonio Sala pubblicati sugli autografi da Giuseppe Cugnoni), pp. 252253. Le truppe napoletane entrarono a Roma una prima volta il 27 novembre 1798 occupando la città per pochi giorni; la Repubblica Romana ebbe però una coda fra il dicembre 1798 e il settembre 1799. I Napoletani rientrarono in città il 30 settembre 1799, questa volta definitivamente, cfr. A. CRETONI, Roma giacobina. Storia della Repubblica Romana del 1798-1799, Roma 1971, pp. 293-320; F. BARTOCCINI, Roma nell’Ottocento. Il tramonto della «città santa». Nascita di una capitale, Bologna 1985 (Storia di Roma, XVI), p. 19. Sulla vicenda e sul codice Gaetano Marini si soffermò nello stesso 1799 con una «dissertazione», pronunciata «in una pubblica adunanza di dotti», pubblicata da M. MARINI, Degli aneddoti di Gaetano Marini. Commentario [...], Roma 1822, pp. 194-200 (cfr. anche pp. 111-112). Sulle traversie del codice cfr. anche Fragmenta et picturae Vergiliana cit., pp. 22-23; S. PRETE, Il codice di Terenzio Vaticano latino 3226. Saggio critico e riproduzione del manoscritto, Città del Vaticano 1970 (Studi e testi, 262), pp. 17-18. L’attuale legatura del Vat. lat. 3226 risale agli anni 1853-1854; è in pelle nera con cornici ornamentali dorate sui piatti, al centro dei quali gli stemmi di Pio IX (1846-1878) [ant.] e del cardinale bibliotecario Angelo Mai (1853-1854) [post.]. La legatura precedente, con le parti dorate che attrassero l’attenzione furtiva del soldato napoletano, potrebbe risalire al 1697 (o in quell’anno fu restaurata); perché al f. 1r del Vat. lat. 3226, trasversalmente, compare la seguente nota a penna (in parte svanita): «Il presente codice risarcito e legato da me Gio. Andreoli / [...]no 1697 regnante n(ost)ro Sig(nor)e Innocentio XII». Questa legatura precedente del Vat. lat. 3226 non è attualmente conservata nel fondo Legature della Biblioteca Vaticana. Documentazione interna della Biblioteca (più precisamente, un cartone presente nel Deposito Manoscritti, al posto della legatura del manoscritto) rinvia però alla mostra permanente del Salone Sistino, smantellata e non più esistente dagli anni Settanta del secolo scorso (per la

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Pur cosciente delle datazioni più basse del Virgilio Romano e del Terenzio Vaticano (e dunque del diverso valore dei manoscritti), tre giorni prima della lettera di Dacier, il 14 ottobre, Marini aveva esposto al segretario di Stato Ercole Consalvi le sue opinioni in merito, suggerendo a proposito dei due codici in discussione un atteggiamento in qualche modo diversificato. Mentre il Virgilio Romano poteva essere lasciato a Parigi, essendo «di pochissimo merito in paragone di cotesto della Vaticana», il Terenzio Vaticano «deve ripatriare, essendo uno de’ belli, ossia de’ più belli codici d’Europa, tanto per le miniature, quanto per l’antichità»9. Marini annunciava dunque al cardinale che quella sera stessa si sarebbe fatto restituire il Terenzio Vaticano non ritenendo opportuno lasciarlo nemmeno in deposito alla Bibliothèque Royale; e puntualmente compì quanto aveva dichiarato perché effettivamente, sul recto del primo f. del Vat. lat. 3868, compare la seguente nota: «Questo Codice fu recuperato dalla Biblioteca Regia / di Parigi, ove per ordine della Repubblica francese / era stato collocato l’anno 1797. / Parigi 14 Ottobre 1815»10. Due settimane dopo, il 28 ottobre 1815, Marini, scrivendo a Consalvi, poté manifestare il suo giubilo per la partenza alla volta di Roma delle casse con i documenti dell’Archivio Segreto, dell’Archivio di Propaganda Fide, dell’Archivio della Congregazione del Concilio, con i manoscritti della Biblioteca Apostolica e di quella di Bologna, e con alcune medaglie; in una cassa particolare vi erano «la serie delle medaglie d’oro, sigilli d’oro, d’arpresenza del Vat. lat. 3226 nella mostra permanente, cfr. I libri esposti nella Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1964, p. 11). Si può allora forse ipotizzare che tale legatura sia infelicemente rimasta ai Musei Vaticani nel 1999, al momento del passaggio dei Musei della Biblioteca alle competenze e all’amministrazione dei Musei Vaticani [in proposito cfr. Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, II: Dipartimento Stampati – Dipartimento del Gabinetto Numismatico – Uffici della Prefettura. Archivio – Addenda, elenchi e prospetti, indici, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 467), p. 958]. Per le figure di Giovanni e Gregorio Andreoli cfr. J. RUYSSCHAERT, La legatura romana della regina Cristina di Svezia e la bottega degli Andreoli, in Legatura romana barocca, 15651700, Roma 1991, pp. 27-30; ID., Les frères Andreoli relieurs des Chigi, Cité du Vatican 1992. 9 Marini a Consalvi, [Paris], 14 ottobre 1815; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 230. Cfr. Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano [d’ora in poi: ASV], Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2, f. 97v. Segretario di Stato fra il 1800 e il 1806 e dal 1814 al 1823, Consalvi si occupò molto e da vicino della Vaticana, dopo la morte dello Zelada (19 dicembre 1801) sino al 1806 e, di nuovo, dal 1814 al 1823; direttamente o attraverso il suo segretario (e futuro cardinale) Francesco Capaccini (1784-1845), BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 202 nt. 35. 10 GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 231 nt. 22. La nota, molto calligrafica, non è firmata e sembra essere una riscrittura posteriore; poco sotto se ne intravede infatti un’altra quasi totalmente evanida; in essa, in una riga si legge (con l’ausilio della lampada di Wood ma con sicurezza) Marini, mentre in quella sottostante appaiono chiaramente le parole Giulio Comm. (?) Ginnasi; cfr. VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., p. 762.

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gento, i preziosissimi Codici la Bibbia Sistina, e il Pentateuco Samaritano, il Terenzio, e tutti i Concordati: quest’ultima cassa è diretta a V.Em.; La prego di farla aprire alla di Lei presenza: gl’Inventarj ancora sono diretti a Lei»11. Il Virgilio Romano era dunque rimasto a Parigi. Sulla base di questa situazione, il 6 novembre 1815 Consalvi annunciò a Marini che alla fine il papa aveva deciso di lasciare il manoscritto virgiliano in dono alla Bibliothèque Royale e di recuperare quindi solo il Terenzio Vaticano. In verità il desiderio sovrano inizialmente sarebbe stato quello di lasciare ai Francesi entrambi i manoscritti ma le «rimostranze di tutti i nostri letterati» lo avevano fatto desistere, almeno parzialmente: Avrebbe voluto il S[anto]. P[adre]. secondare pienamente il desiderio del lodato Sigr. Amministratore della Biblioteca del Re, e lasciare in codesto utilissimo stabilimento col dono dei nominati due manoscritti una memoria del suo affetto verso il medesimo; ma è stato spaventato dalle rimostranze di tutti i nostri Letterati, i quali animati in favore della Biblioteca Vaticana dal medesimo zelo che muove il Sigr. Dacier in favore della Biblioteca di S. M. Cristianissima gli hanno rappresentato che alienando questi due Codici verrebbe a privare Roma di due dei monumenti più preziosi, e che i suoi sudditi vedrebbero con infinito rammarico questa perdita irreparabile [nell’originale segue, depennato: e che nella comune esultanza sarebbe questa una ragione di universale cordoglio]12. In questo disgustoso bivio, fra la necessità di dovere dar luogo alle doglianze di Roma, ed il secondare quei sentimenti di affetto dai quali S. Santità è animata verso la Francia, ha risoluto N. Sigr. di condiscendere almeno in parte ai desiderj del sopradetto Sigr. Amministratore, senza ricusarsi totalmente alle istanze dei nostri Letterati, prendendone l’opportunità dall’avere Ella già lasciato nella Reale Biblioteca come in luogo di deposito il prezioso Codice di Virgilio. Vuole quindi S. Santità, ch’Ella lasciando il nominato Virgilio nella Reale Biblioteca, partecipi al Sigr. Dacier Amministratore della medesima, che N. Sigr. ne fa un dono a cotesto Reale stabilimento, assicurandolo del dispiacere che prova nel non potergli concedere anche l’altro Codice di Terenzio per gli esposti motivi [nell’originale segue, depennato: senza incontrare il disgusto di tutti i Letterati de’ suoi Dominj, e non per voler dare ai suoi amatissimi sudditi 11 Marini a Consalvi, Paris, 28 ottobre 1815; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., pp. 231-232. Cfr. ASV, Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2, f. 117r. 12 Rimane da chiarire come siano state manifestate al papa queste rimostranze dei «letterati» romani. Le espressioni di Consalvi farebbero pensare a un documento presentato al papa ma le ricerche in Archivio Vaticano non hanno dato sinora risultati. Non si può escludere qualche intervento anche sulla stampa romana, anch’esso eventualmente da individuare. L’episodio si inserisce comunque in un più vasto movimento d’opinione. Già il 19 giugno 1814 il principe della pittura romana di quegli anni, Vincenzo Camuccini, aveva rivendicato a Roma e all’Italia le opere d’arte trafugate, cfr. D. VACCOLINI, Wicar (Giambattista), in Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII, e de’ contemporanei (....) pubblicata per cura del (...) E. DE TIPALDO, I, Venezia 1834, pp. 374-376: 375; il fatto non è ricordato da A. BOVERO, Camuccini, Vincenzo, in Dizionario biografico degli italiani, XVII, Roma 1974, pp. 627-630.

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un motivo di doglianza, nella esultazione comune per un sì felice avvenimento, per cui la Maestra delle belle arti e la Sede dei più preziosi monumenti dell’antichità, torna ad acquistare il suo antico splendore]13 .

Il papa aveva dunque optato per una soluzione di compromesso che doveva accontentare le due parti: ratificava il recupero del Terenzio Vaticano per non disgustare i «letterati» romani, ma contemporanemente acconsentiva al dono del Virgilio Romano alla Bibliothèque Royale per compiacere i Francesi. Le ragioni della diplomazia dovevano però essere così forti e cogenti che il papa — assicurava Consalvi in altro messaggio, più confidenziale, nella stessa data — era pronto, per accontentare la Corte francese, a tornare sulla sua decisione anche a proposito del Terenzio Vaticano; anche se il suo segretario di Stato sperava (e confidenzialmente comunicava a Marini) che «questa amarezza» venisse risparmiata al papa e ai suoi concittadini: Com’Ella avrà rilevato dalla contemporanea lettera di Officio, il Santo Padre si vede nella necessità di non condiscendere pienamente alle domande del Sigr. Dacier senza incontrare il disgusto di tutti i nostri Letterati. È necessario che V. S. faccia ben rilevare il pregio del dono, che Nostro Signore fà alla Reale Biblioteca, e della ragionevolezza del ricusarsi a concederle anche il Terenzio. Se però questa negativa producesse gravissimo disgusto nella Corte, ed alienasse troppo da noi l’animo di codesti Ministri, Ella me lo faccia conoscere, onde io possa riferirlo a Sua Santità per le disposizioni che crederà di prendere [le parole Ella [...] prendere sono scritte nell’interlineo, sopra le seguenti parole, depennate: Nostro Signore sebbene con dispiacere è disposto anche a fare il Sagrifizio del prezio[so] Terenzio]. Ella però procuri in ogni miglior modo di risparmiare al S. P. ed ai suoi Concittadini questa amarezza [nell’originale segue, depennato: che proverebbero per la perdita di un monumento di tanto interesse]14.

Stando ai documenti, la situazione doveva essere dunque non poco confusa o, come si dice, ancora fluida: il Terenzio Vaticano è in viaggio per Roma ma il papa sembra disposto a ripensarci e a cederlo ai Francesi. Lo stesso Virgilio Romano, che il 6 novembre 1815 pareva essere stato 13 Consalvi a Marini, [Roma], 6 novembre 1815; minuta; GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., pp. 231-232. Il testo della lettera è pubblicato in MARINI, Memorie storiche cit., pp. CCLXVI-CCLXVII; traduzione francese in DELISLE, rec. a MARINI, Memorie storiche cit., pp. 499-500; cfr. anche RUYSSCHAERT, Die Geschichte cit., p. 27. Cfr. ASV, Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2, ff. 130r-131v. 14 Consalvi a Marini, Roma, 6 novembre 1815; minuta; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 232; già in MARINI, Memorie storiche cit., p. CCLXVII. Cfr. ASV, Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2, f. 136r. Nell’angolo superiore sinistro del recto del f., a penna, è indicato: Riservata.

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definitivamente donato alla biblioteca parigina («Vuole quindi S. Santità, ch’Ella lasciando il nominato Virgilio nella Reale Biblioteca [...] N. Sigr. ne fa un dono a cotesto Reale stabilimento [...]»), in successivo messaggio di Consalvi a Marini, del 9 dicembre 1815, appare invece lasciato alla Bibliothèque Royale solo come deposito provvisorio: «Quanto al Virgilio continui pure a lasciarlo in deposito»15. L’ambiguità che si rispecchia nei documenti riflette quella originale della situazione, di cui riproduce titubanze e incertezze. Poco prima, alla fine di novembre, Marini scriveva ad Antonio Canova di credere ormai compiuta la sua missione nella capitale francese: mancavano ancora il Virgilio Romano, due manoscritti provenzali16 e quattro manoscritti che al termine di consultazioni in corso da parte di studiosi sarebbero stati restituiti. Così era avvenuto per il manoscritto di Euclide (Vat. gr. 1038), lasciato su richiesta di Dacier a François Peyrard ma ora riconsegnato da Peyrard a Dacier che lo aveva trasmesso a Marco Panvini Rosati, che precedentemente lo aveva richiesto17. Stante la fondamentale ambiguità della condizione del Virgilio Romano (donato ai Francesi o presso di loro in deposito temporaneo?), Marini si fece riconsegnare il manoscritto e lo riportò a Roma18. Non si è probabil15 Consalvi a Marini, [Roma], 9 dicembre 1815; minuta; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 232. Cfr. ASV, Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2, f. 174v. 16 Si trattava dei Vat. lat. 3204 e 3794, che poi non furono recuperati e sono ora conservati presso la Bibliothèque Nationale de France, rispettivamente con le segnature lat. 12473 e 12474; GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 233 nt. 28. Nel quarto tomo dell’inventario ranaldiano dei Vaticani latini (risalente agli inizi del Seicento), il Vat. lat. 3204 è così descritto: «Poetae Provenzales. Ex pergameno. c.s. [= chartae scriptae] 185. Antiq. In folio. Chanson que fet Girard de Bourneilli. Abans queill blanc». Accanto alla segnatura, nel margine esterno della pagina, Isidoro Carini, primo custode della Biblioteca Vaticana dal 1892 al 1895, ha scritto: «Dato ai Francesi e non più ricuperato. Oggi reca il numero 12473 nella Bibliot. Nazion. di Parigi. I. Carini» (Vat. lat. 15349, pt. 3, p. 298). Il Vat. lat. 3794 è invece così descritto: «Rime di diversi Provenzali antichi, comincia da Girardo da Brorneilch [sic]. Ex Perg. c.s. 268. Ant. In quarto. A ben cantar conven.». Accanto alla segnatura, nel margine esterno della pagina, Carini ha annotato: «Dato ai Francesi, e non più ricuperato. Oggi è il 12474 della Bibliot. Nazionale di Parigi. I. Carini» (ibid., p. 463). Sui due codici cfr. anche VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., pp. 746 e nt. 225, 762. 17 Marini a Canova, 21 novembre 1815; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 233. Per i manoscritti in questione cfr. S. LILLA, I manoscritti Vaticani greci. Lineamenti di una storia del fondo, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 415), pp. 88-89; VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., p. 709 nt. 54. Sul Panvini Rosati, cfr. ibid., pp. 713, 726 nt. 117, 745 nt. 224. Effettivamente in ASV, Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2, f. 150r-v, è conservata una lettera di Marini a Consalvi, Paris, 21 novembre 1815, con le stesse indicazioni: «L’arrivo in cotesta Capitale degli oggetti da me reclamati giustificherà la mia condotta: non manca niente, se se n’eccettui il Virgilio, due Codici provenzali, e quattro mss. da restituirsi da due particolari, che li stavano leggendo, e studiavansi per compiere un’opera loro». 18 Dopo il 17 novembre 1815 [perché nella lettera è trascritto il testo della lettera di Marini al generale austriaco Karl Müffling, che reca quella data], Marini aveva scritto a Consalvi,

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mente lontani dal vero supponendo che in cuor suo Marini non volesse lasciare, a nessun costo, a Parigi il manoscritto, ma che fosse prontissimo a farlo se incontrovertibili e chiare disposizioni superiori glielo avessero ordinato. In questo secondo caso Marini era pronto a spiegare (forse a se stesso prima che agli altri) i motivi per cui la concessione sovrana non avrebbe rappresentato per la Vaticana una grave perdita: Non posso certamente dissimulare che la lettera de’ 6 Novembre non mi trafiggesse il cuore: se una soverchia delicatezza mi ha fatto riprendere il Virgilio, non ho però compromesso la S. Sede nel ricuperarlo, giacché ai Conservatori della real Biblioteca ho affacciati motivi tali da non doversi credere che per ordine di Sua Santità io prendessi in deposito il detto Virgilio: egli è dunque in deposito presso di me, e aspetto che S. Eminenza abbia la bontà di rinnovarmi i suoi ordini circa la cessione che di esso sia per farne la Santità Sua. Non credo di aver disobbedito col non averlo lasciato in Parigi, giacché l’ordine di cedere tal manoscritto era stato procurato da me contro mia volontà, e mal volentieri dato da Sua Santità come dal contesto della lettera appare: a tale determinazione erasi il Santo Padre indotto piuttosto persuaso che io non potessi ritirare senza compromesso il codice dalle mani di quei Conservatori, anzi che deciso di privarne la Vaticana. E potea io partir da Parigi senza accanto il mio Virgilio! questo è il maggior delitto che io mi abbia commesso, e questo è forse quel delitto che mi priva della grazia di S. Eminenza: sta alla bontà di V. S. Illustrissima e Reverendissima di farmela riaquistare: io spero ch’Ella vorrà prestarsi a ciò, io umilmente ne La prego. Se Sua Santità vuol far dono a S. M. Cristianiss. del Virgilio, io il porterò all’Ambasc. di Francia, ed assicuro che simil dono sarà dalla Maestà Sua avuto in gran conto, e dico ancora, cioè ripeto ciò che altre volte ho detto, che la Vaticana non rimane spogliata di un gran monumento: codice imperfetto, in parte roso dall’inchiostro [...]19.

«Una soverchia delicatezza»: sarebbe questo il movente del recupero del Virgilio Romano da parte di Marini. Ma lo scrupolo non comprometParis, s.d.: «V. Em. non mi parla del Virgilio lasciato in deposito. Se Ella crede che la ricupera di esso sia assolutamente necessaria per cotesta Biblioteca Vaticana non ha che a scrivermelo; io mi farò un dovere di ricuperarlo subito», ASV, Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2, f. 144r. Pur senza avere ottenuto precise indicazioni in merito, pochi giorni dopo Marini scrisse al segretario di Stato: «La lettera di Vostra Eminenza de’ 6 Novembre mi ha talmente rammaricato, che l’animo mio non si è potuto tranquillizzare sino a che il mss. di Virgilio non è ritornato in mie mani. Io dunque lo possiedo e il porto meco a Roma per deporlo ai piedi di Sua Santità, cosicché il dono ch’Essa ne vuol fare alla regia Biblioteca di Parigi parta dalla sua generosità, e non mai da mio suggerimento. Io poi ho l’onore di rappresentare a V. Em. che cotesti Letterati s’ingannano di molto se il credono o più, o ugualmente prezioso dell’altro della Vaticana, stampato, ed illustrato da Bartoli. Non mi sarei mai permesso di far condiscendere cotesta Corte a un dono che dovesse ridondare a tanto svantaggio della Vaticana», ibid., ff. 163v-164r. 19 Marini a Consalvi, [Roma] Dal Palazzo Cesi Borgo Vecchio, 29 dicembre 1815; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 234. Cfr. ASV, Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2, ff. 165v-166v.

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teva la Santa Sede perché Marini aveva avuto l’accorta cura di mostrare che nel recupero non si muoveva sulla base di disposizioni superiori. In questo modo il passo poteva essere smentito senza difficoltà (nel caso il papa avesse insistito nella risoluzione di cedere il manoscritto) oppure confermato riducendo il disappunto (perché il manoscritto era di fatto già tornato in mani vaticane). Insomma, un capolavoro di equilibrio, abilità e diplomazia che soprattutto permetteva di avere in mano il manoscritto, condizione sempre preferibile a quella di non averlo, e rendeva possibile un negoziato da una posizione di forza. Le parole dell’ultimo messaggio sono scritte ormai da Roma, ove Marini era rientrato il 23 dicembre 1815, non senza disappunto di Consalvi, che avrebbe preferito rimanesse a Parigi per continuare abilmente a promuovere il recupero di quanto era rimasto nelle mani francesi20. Forse per questo, forse perché consapevole di avere utilizzato, recuperando il Virgilio Romano, una certa porzione (forse troppa) di discrezionalità, Marini scrive di temere di aver perso la «grazia» di Consalvi: il manoscritto era stato donato dal papa ai Francesi, anche se Pio VII, secondo il suo archivista, al passo era stato «indotto» dalle circostanze più che «persuaso» dell’opportunità della determinazione; e dunque Marini aveva di fatto compiuto una forzatura. Il 13 gennaio 1816 Marini chiese ancora, indirettamente, a Consalvi istruzioni sul da farsi, accludendo una valutazione («il sentimento») a proposito del Virgilio Romano scritta da Battaglini, sulla quale torneremo21. Due giorni dopo, il 15 gennaio, Marini dichiarò a Consalvi di aver ceduto il deposito del manoscritto a Francesco Baldi, il nuovo primo custode della Vaticana in carica dal 27 maggio 181422, e di ritenere così assolto il suo compito nella questione (nel frattem20

MARINI, Memorie storiche cit., pp. CCXLVII-CCXLVIII. Marini aveva creduto necessario rientrare in Italia per seguire da vicino e di persona le vicende del rientro dei documenti, che durante il trasferimento avevano corso un gravissimo pericolo; cfr. VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., pp. 707, 769. 21 «Accludo a V. S. Illustrissima e Reverendissima il sentimento del Canonico Battaglini intorno al Virgilio. La prego di aver la bontà di sottometterlo all’Eminentissimo Consalvi, da cui aspetto ulteriori ordini intorno alla cessione da effettuarsi in favore della Biblioteca reale parigina. Che se poi Sua Eminenza non degnasse farmi conoscere nuovamente la sua intenzione intorno a ciò, allora io sarò obbligato di obbedire alla lettera sua de’ 6 Nov. p[assato]. p[rossimo]», Marini a un Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore, di casa, 13 gennaio 1816; ASV, Segr. Stato, an. 1816, rubr. 67, fasc. 2, f. 44r; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., p. 233. Il destinatario potrebbe forse essere identificato con Francesco Capaccini, segretario di Consalvi (cfr. supra, nt. 9); a proposito del quale cfr. BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 332-333. 22 Su Francesco Baldi, primo custode dal 27 maggio 1814 al 23 agosto 1818, cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 188, 204 ntt. 50, 51 e 52, 209, 220 nt. 24, 307, 341; BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 660-661; e soprattutto N. VIAN, Tra il Marini e il Mai ... Francesco Antonio Baldi, in Almanacco dei bibliotecari italiani 1968, Roma 1968, pp. 159-166 [ripubblicato in N. VIAN, Figure della Vaticana e altri scritti. Uomini, libri e biblioteche, a cura

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po, l’8 gennaio 1816, era pervenuto a Roma ed era stato consegnato a Baldi anche il Terenzio Vaticano, inviato da Parigi il 12 ottobre 1815): Il Virgilio su cui attualmente si questiona è passato in deposito presso Mgr. Baldi. Siccome io sono stato attaccatissimo alla Santa Sede, a cui ho date, anche in mezzo a qualche amarezza, delle riprove di fedeltà, e di zelo, che forse un giorno saranno lette, così sono anche stato oltre modo geloso dell’onor suo, e della mia parola. L’onore della S. Sede esigeva che io secondassi la domanda che i Conservatori della real Biblioteca di Parigi mi fecero del Virgilio: io l’ho secondata lasciando loro in deposito per qualche tempo tal mss., e di più ho appoggiata ancora la richiesta che ne hanno fatta alla Stà. di N. S., facendo conoscere che la privazione di questo codice non ridondava a grande svantaggio della Vaticana. Per la qual cosa, e parmi già di avere soddisfatto alla parola data di favorire la petizione de’ Conservatori, e di avere medesimamente avuto ogni riguardo al decoro della S. Sede. Laonde veggendo che la questione ancor non finisce, io me ne lavo le mani, e lascio ai Custodi della Vaticana la difesa del loro Virgilio23.

La ricostruzione complessiva dei fatti quale emerge dall’esame delle lettere fra Marini e Consalvi (nella quale appare evidente il ruolo assolutamente decisivo dell’ecclesiastico romagnolo nel recupero del Virgilio Romano, che senza di lui, come ben aveva avvertito Delisle, sarebbe dovuto rimanere a Parigi, per esplicita indicazione del papa24) concorda con quella presentata dallo stesso Marini nelle Memorie storiche: Fui richiesto di far dono alla Biblioteca Reale de’ due famosi Codici Virgilio, e Terenzio; siccome io non era autorizzato di cederne alcuno, vi lasciai il Virgilio in deposito, e il Terenzio il portai meco sino a che mi fosse manifesta la volontà del Santo Padre sulla domanda che a nome della Real Biblioteca io era per fargli. Scrissi dunque all’Eminentissimo Consalvi, e lo pregava di non cedere in alcun modo il Terenzio, codice rarissimo per le miniature, ma non così gli parlai del Virgilio, di cui la cessione non pareami dovesse ritornare a grave svantaggio della Biblioteca Vaticana, essendo che altro Virgilio, che il precede forse di tre secoli, esista in essa, e che fu risparmiato dall’avidità repubblicana per mero sbaglio, e non per volontà di far cosa grata a Roma: egli mi rispose ai 6 novembre, che il Santo Padre acconsentiva di cedere il Virgilio, che il Terenzio però non potea lasciarlo senza incontrare il disgusto di tutti i letterati di Roma, ai quali la cessione non solo di questo di P. VIAN, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 424), pp. [21]-[28]]. Ma cfr. ora anche RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., s.v. in indice, p. 499. 23 Marini a Consalvi, di casa, 15 gennaio [1816]; cfr. GRAFINGER, Marino Marinis Bemühungen cit., pp. 234-235; ASV, Segr. Stato, an. 1816, rubr. 67, fasc. 2, f. 46r-v. 24 DELISLE, rec. a MARINI, Memorie storiche cit., pp. 499-500; la prospettiva francese di Delisle è, comprensibilmente, di disappunto ma finisce per coincidere con quella vaticana di Marini, improntata a soddisfazione e orgoglio. Di diverso parere è invece RUYSSCHAERT, Die Geschichte cit., p. 31 nt. 44, secondo il quale Delisle «zu Unrecht die diplomatische Bezeichnung „don“ (Geschenck) des Papstes wörtlich nimmt».

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codice ma del Virgiliano medesimo rincrescea all’estremo. Rilevando da questa lettera che la perdita di questi due Manoscritti dispiacea a Sua Santità non meno, che a tutti quelli i quali sanno pregiare cotali preziosi avanzi del tempo, ripresi il Virgilio dalla Real Biblioteca con tale pretesto che non compromisi alcuno, e il riportai a Roma. Non feci mai sapere ai Signori Dasier, e Langlais25 Conservatori dei Manoscritti Regi, che io fossi autorizzato far loro cessione del Virgilio, il quale Codice essi molto desideravano, e perché alcun manoscritto di Virgilio non vi è in Francia, che ascenda al sesto, o settimo secolo come il nostro, e perché pretendeano che anticamente appartenesse all’Abazia di San Dionigi. Il Terenzio era già stato sino dai 12 di ottobre mandato da me a Roma, per la qual cosa arrivò troppo tardi la seconda lettera del Sig. Cardinal Consalvi in data de’ 6 novembre, dalla quale poteasi rilevare che forse Sua Santità sarebbe condiscesa anche alla cessione di questo Codice, se il non farla avesse da noi alienato gli animi de’ Ministri francesi26.

E ancora (nella seconda parte delle Memorie storiche, scritta intorno al 1824): Dico adunque, che il Virgilio Vaticano era stato ceduto (Memorie par. XXVIII), e che non meno il Terenzio delle rarissime miniature dovea io lasciare in Parigi. Che il Virgilio palatino era uno de’ trenta nove codici ceduti ad Heidelberga. E con quale industria fossero conservati alla Vaticana questi tre celeberrimi manoscritti non è mestieri il dirlo27.

2. La sottile amarezza che trapela nelle parole finali nella lettera di Marini del 15 gennaio 1816 venne forse superata dalla nomina a cameriere segreto di Sua Santità (28 gennaio 1816) e dalla pensione annua di 120 scudi (23 febbraio 1816), che giunsero poco dopo a compensare le fatiche dell’archivista vaticano28. Quanto però ora preme rilevare è come da alcune parole di Marini in quella stessa lettera si intuisca un dibattito in corso intorno al Virgilio Romano («Il Virgilio su cui attualmente si questiona [...]»; «[...] veggendo che la questione ancor non finisce [...]»). Esattamente in questo momento si colloca la lettera di Battaglini a Marini del gennaio 1816, conservata nella Raccolta Ferrajoli degli Autografi Ferrajoli29: 25 Per Louis-Matthieu Langlès (1763-1824), cfr. VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., p. 738 nt. 193. 26 MARINI, Memorie storiche cit., p. CCXLIII. 27 MARINI, Memorie storiche cit., p. CCLXXXIV. Per la stesura della seconda parte delle Memorie storiche, che proseguiva la prima redatta nel 1816, cfr. supra, nt. 3. 28 MARINI, Memorie storiche cit., pp. CCXLVIII, CCLXX (per la nomina a cameriere segreto); pp. CCXLVIII, CCLXXI (per la concessione della pensione annua). Cfr. anche DELISLE, rec. a MARINI, Memorie storiche cit., p. 492. 29 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Autogr. Ferr. Racc. Ferr., ff. 962r962ar; un bifoglio scritto sulle prime tre facciate; la quarta è bianca. Cfr. Le Raccolte Ferrajoli e Menozzi degli Autografi Ferrajoli, introduzione, inventario e indice a cura di P. VIAN, Città

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Stimatissimo Sig. Abate Marini, Voi siete tornato da Parigi a Roma dopo soli tre mesi, a giudizio degli intendentia, immortale con 700. e più casse cariche di cose belle rapite a questa città, e ad altre dello Stato Pontificio. Ognuno ve ne deve essere grato. Non si trattava nella vostrab incombenza di quadri, di statue, di vasi, visibili ad ogn’occhio, ma bensì di oggetti tutti facili a sottrarsi alle ricerche. Io aspetto di conoscere la vostra attività in ciò, che risguardava la Biblioteca Vaticana, allor che avrete fatta la consegna formale, e spero di dovervi sempre più ammirare. Avete però avuto subito il dispiacere di sentire i gridi di certuni, e l’accusa, di avere fra altri codici mss. fatto dono alla biblioteca di Parigi del più antico Virgilio Vaticano, secondo le facoltà accordatevi dal S. Padre. Di più per il codice Virgiliano Vaticano creduto del Sec. VII. avete avuto delle lettere premurose della Segreteria di Stato per non cederlo, e non sapete da che siano nate queste premure. Quindi tra l’andare e venire delle lettere, avendo voi data parola di cederlo30, lo avete portato assai prudentemente con voi per sottometterlo al giudizio sovrano, e a vostra discolpa dopo il giudizio datovi in Parigi dà varii letterati, e particolarmente dal Sig. Ennio Quirino Visconti, che questo codice non è il più antico tra quelli detti Vaticani31. Siccome poi avete sentito vociferare, che io richiesto da S. E. Reverendissima il Cardinale Segretario di Stato [scil.: il card. Ercole Consalvi] dovei stendere un foglio riguardo a certi codici, così avete potuto dubitare, che io sia stato il promotore delle premure, che non venga ceduto il Codice Vaticano di Virgilio del Sec. VII. a Scritto nell’interlineo sopra una parola depennata (e sostanzialmente illeggibile). b Segue una parola depennata.

del Vaticano 1992 (Studi e testi, 351; Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti, 3), p. 40 (sub n° 627). Sugli Autografi Ferrajoli e sulle sette raccolte in cui sono attualmente suddivisi, cfr. P. VIAN, Autografi Ferrajoli, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, I: Dipartimento Manoscritti, a cura di F. D’AIUTO - P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 420-427. 30 Asterisco ripreso nel margine inferiore della pagina (f. 962r) con una nota, presumibilmente, di mano di Marino Marini: «Non esiste promessa di cederlo, ma lusinga che forse sarebbe stato ceduto. Si dovrebbe cedere, ma io nol cederò mai senza nuovi ordini di S. Em. Il codice è bello, ma inferiore al Vat., e al Palatino». La nota di Marini conferma ulteriormente la ricostruzione dei fatti proposta. Marini era consapevole che il Virgilio Romano era stato ceduto ai Francesi dal papa, come Consalvi aveva scritto il 6 novembre 1815, e dunque che andava consegnato ai Francesi. Ma per farlo attendeva nuovi ordini (che in realtà, sulla base della cessione del 6 novembre 1815, non erano necessari), che di fatto non vennero. La svolta decisiva nella vicenda appare dunque la decisione di Marini di riportare il manoscritto a Roma. 31 Interessante quanto qui affermato da Battaglini: Marini avrebbe portato a Roma il Virgilio Romano per «sottometterlo al giudizio sovrano» e (pare di capire) per discolparsi dall’accusa di avere ceduto il manoscritto più antico della Vaticana, valutazione considerata infondata da Ennio Quirino Visconti. Marini, nelle lettere e nelle Memorie storiche, in verità non fa un’affermazione del genere; e ci si può domandare se essa non fosse in realtà una scusa per giustificare (agli occhi francesi) il trasferimento a Roma del prezioso manoscritto (sarebbe allora questo il «pretesto» col quale «non compromisi alcuno», cui fa riferimento Marini nelle Memorie storiche).

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Vi dico in verità, che l’Eminentissimo Segretario di Stato, quando degnossi chiamarmi nel dì 26. ottobre dell’anno scorso, non mi parlò punto del Virgilio Vaticano, ma bensì dei 39. mss. Palatini, che la forza armata Prussiana aveva occupati a Parigi, e reclamava per la Biblioteca della Università di Heidelberga. Nella mia memoriac mandata a S. E. subito nel dì 27. nec verbum quidem di Codici Vaticani. Ne accadeva il discorso di questi, perché S. E. mi aveva assicurato, che tutto il rimanente si restituiva. Bensì aggiunsi a proposito queste parole[:] “Stimasi anche opportuno, che si avverta il Sig. [f. 962v] Abate Marini ad essere cauto, e di non contentarsi nella restituzione, che gli verrà fatta dei codici, di quelli soli posti nella nota mandatagli, e dati per il Trattato di Tolentino. I cinque più preziosi Codici sono quelli segnati nell’altra nota dei Libri, manoscritti, medaglie & c. levati in tempo della Repubblica Romana dal Commissario Wicart32, fra i quali appunto vi è un Virgilio stimato del Sec. VII che apparteneva alla Biblioteca Palatina. Per ciò tenga occulto questo aneddoto, e lo ricuperi con gli altri quattro”. La stessa cosa aveva già inculcato nel dare a vostra richiesta nel giorno 17. Ottobre le note tutte degli oggetti levati dai Francesi pel violento trattato, e nei primi giorni della Repubblica Romana, le quali note vi spedì la Segreteria di Stato, credo, nel giorno 18. per mezzo del Marchese Massimi con un mio biglietto d’istruzione. Mi fa maraviglia, che nulla vi fosse ricapitato in Parigi, e siate all’oscuro di tutto questo. Perciò vi ammirerò sempre più, se avrete saputo ricuperare tutto col catalogo stampato in Lipsia, in cui per altro manca l’indicazione degli oggetti rubati non dal Governo francese, ma dai particolari Uffiziali nella prima invasione, che poi ne fecero trafico33. Io dovei unire questa nota, ma posi in vista essere difficile il riacquisto degli oggetti non essendo furti del Governo, sebbene alcuni sono stati veduti in un gabinetto presso la Biblioteca di Parigi. Contuttociò sò, che avete anche di questi riportata qualche piccola cosa. Suppongo, anzi tengo per certo, che da qualcuno de’ subalterni della Segreteria di Stato, non avvertendo di qual Virgilio del Sec. VII. io parlassi, cioè del Palatino, sarà nato l’equivoco di scrivere con premura del Virgilio del sec. VII. chiamandolo Vaticano invece di Palatino. È facile il prendere degli equivoci se non si osserva ogni parola, ed ogni piccola circostanza, ed il far nascere delle incrociature34. Voi però avete operato assai bene, e delicatamente portando con voi anche c Segue una parola depennata. 32

Il pittore Jean-Baptiste Wicar (1762-1834) non fu uno dei quattro commissari francesi che il 13 luglio 1797 (23 messidoro dell’anno V della Repubblica Francese) firmarono la ricevuta dei manoscritti vaticani prelevati sulla base del Trattato di Tolentino (essi erano: Gaspard Monge, Etienne-Ambroise Berthlemy, Jean-Guillaume Moitte, Jacques-Pierre Tinet). Ma l’anno dopo Wicar requisì i manoscritti più preziosi, insieme a un cospicuo numero di incunaboli e medaglie, cfr. VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., p. 739 nt. 196. 33 Naturalmente nella Recensio manuscriptorum cit. sono elencati solo i manoscritti requisiti dai Francesi sulla base degli accordi, non il materiale sottratto surrettiziamente dai «particolari Uffiziali», che in seguito ne fecero traffico. Se la frase di Battaglini va intesa a proposito dei codici (ma il fatto non è probabile perché terminologicamente Battaglini distingue gli «oggetti» dai «codici»), si dovrebbe dunque credere che anche manoscritti non compresi nella Recensio manuscriptorum possano essere stati sottratti. 34 Nel senso di «interferenza», «confusione», cfr. S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, VII, Torino 1972, p. 765.

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il Vaticano per sottometterlo al giudizio del Sovrano, e de’ suoi ministri; vivete sicurissimo, che io mai ho fatta, ne ho dovuto far parola di questo Virgilio Vaticano, ma bensì del Palatino, come vi ho detto, e come apparisce dalla Memoria la quale richiesto stesi per il Sig. Cardinale Segretario di Stato. Desiderate poi sapere da me, se il Codice 3867. Vaticano stimato del Sec. VII., su di cui cade la vostra cessione promessa, sia il più antico Virgilio, che si abbia fra i propriamente detti Vaticani. Ma non lo è certamente, e bisogna essere un melenzo35 per asserirlo. Il più antico è quello segnato n°. 3225. che mai ha viaggiato per Parigi, e che vi mostrai a confusione di quel susurrone ignorante, giacché è giudicato dai dotti coevo al Mediceo-Laurenziano cioè del V. secolo. Ambedue questi codici, de’ quali è nota la storia, possono dirsi frammenti. Voi vedeste come il sudetto ignorante Scrittore studiava per provare il pregio, già notissimo di quello al n°. 3867. sopra l’altro del n°. 3225. credendo provarlo coll’incisione delle pitture fatta da Sante Bartoli, e pubblicata da Monsignor Giovanni Bottari36, 35 Nel senso di «tardo e limitato d’intelletto; privo di energia; goffo nel contegno; lento e impacciato nei movimenti; sciocco, balordo, inetto, incapace», cfr. S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, X, Torino 1978, pp. 21-22. Della seriorità del Virgilio Romano rispetto al Virgilio Vaticano Marini era comunque consapevole già prima del parere di Battaglini, come mostra la sua lettera a Consalvi successiva al 17 novembre 1815 (cfr. supra, nt. 18). 36 Antiquissimi Virgiliani Codicis fragmenta et picturae ex Bibliotheca Vaticana Ad priscas Imaginum formas a Petro Sancte Bartholi incisa, Romae, ex Calcographia R.C.A., apud pedem marmoreum, 1741. L’esemplare vaticano del volume (R.G. Class. S.69) reca note marginali di Gaetano Marini, frutto di una collazione con l’originale, come attesta una nota s.d. di Cesare Ramadori, apposta sul recto del f. di guardia anteriore. Pietro Santi Bartoli (1635-1700) preparò, a spese del card. Camillo Massimo (1620-1667), cinquantacinque incisioni nelle quali erano riprodotte le cinquanta miniature del Virgilio Vaticano e cinque del Virgilio Romano. Il loro modello non era però costituito dalle miniature originali ma dai disegni che ne aveva tratto nel 1631-1632 un allievo di Pietro da Cortona per conto di Cassiano dal Pozzo. Questi disegni, oggi conservati nella biblioteca del Castello Reale di Windsor, non sono in realtà copie ma «interpretazioni di gusto barocco delle miniature, più eleganti e movimentati degli originali». Le incisioni del Bartoli apparvero in un album nel 1677 e furono nuovamente edite nel 1725, a spese del marchese Filippo Camillo Massimo (1684-1735). «Nel 1741, dopo l’acquisto dei rami da parte della Calcografia Camerale, apparve per i tipi di questa un’edizione diplomatica del Virgilio Vaticano», a cura di Giovanni Gaetano Bottari, «ove il manoscritto era riprodotto pagina per pagina con testi e incisioni, ma dove comparivano anche intercalate le cinque incisioni del Virgilio Romano. Anche questa edizione ebbe due tirature successive, con identico frontespizio», J. RUYSSCHAERT, Bartoli, Pietro Santi, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1984, pp. 467-468. Cfr. anche Virgilio illustrato nel libro (secc. IV-XIX). Esposizione organizzata in occasione del bimillenario virgiliano. Itinerario, Città del Vaticano 1981, pp. 7-10, 13; RUYSSCHAERT, Naissances et survivances cit., p. 65 (per Bartoli e Bottari; l’allievo di Pietro da Cortona viene qui identificato con Pietro Testa); ID., Lectures des illustrations du «Virgile Vatican» et du «Virgile Romain», in Monuments et mémoires [de la] Fondation Eugène Piot, LXIII, Paris 1993, pp. 25-51: 27-29; D. H. WRIGHT, The Vatican Vergil. A Masterpiece of Late Antique Art, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1993, pp. 115-120. Per le illustrazioni dei due manoscritti tardo-antichi e per la loro fortuna, dello stesso Ruysschaert, sono utili e importanti (anche per compensare la mancanza del catalogo della mostra virgiliana vaticana del 1981, mai pubblicato) sette articoli pubblicati ne L’osservatore romano: del 10 luglio 1982

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anzi disse con me, che questi pubblicò il Virgilio Vaticano, come Monsignor Foggini pubblicò il Mediceo-Laurenziano37. Io non gli risposi per non svergognarlo in pubblico, e perché non merita risposta una bestialità di questa fatta. Foggini diede in luce l’intero Mediceo-Laurenziano coi caratteri incisi della forma del manoscritto adornandolo alla p. III. ossia innanzi la prefazione colla figura sedente di Virgilio ricavata dal Codice Vaticano 386738; Bottari diede alla luce le figure del Codice 3225. incise da Sante Bartoli con alcuni soli frammenti allusivi alle figure ma in carattere comune, e solo esibendo la mostra del carattere del Codice nella prefazione39. Ma se intende il latino, avrà capita finalmente la maggiore antichi(p. 3: La storia del «Virgilio Vaticano»), 12/13 luglio 1982 (p. 3: Immagini antiche dell’«Eneide» nel «Virgilio Vaticano»), 15 luglio 1982 (p. 3: La prima edizione del «Virgilio Vaticano»), 21 luglio 1982 (p. 3: «Virgilio Romano»), 24 luglio 1982 (p. 3: Immagini antiche dell’«Eneide» nel «Virgilio Romano»), 30 luglio 1982 (p. 3: Leone X editore dell’«Eneide»?), 1° agosto 1982 (p. 3: Gli altri tre codici virgiliani del V secolo). Bottari, «archéologue, philologue et aussi janséniste», fu nominato (in assenza del card. Angelo Maria Querini, di Giuseppe Simonio Assemani e di Carlo Maielli) terzo custode della Vaticana il 20 luglio 1737 (ma il breve non fu promulgato); il 5 gennaio 1739 divenne però secondo custode e, dopo quasi trent’anni, il 28 gennaio 1768 primo custode («giubilato» però subito dopo, il 1° febbraio 1768); cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 161, 165, 168, 170 nt. 14, 172 nt. 32, 180 nt. 109, 182, 335, 337. Sul Bottari cfr. l’ampia voce di G. PIGNATELLI e A. PETRUCCI, Bottari, Giovanni Gaetano, in Dizionario biografico degli italiani, XIII, Roma 1971, pp. 409-418 (a p. 412 accenno all’edizione virgiliana, la cui introduzione fu redatta e il cui lavoro fu completato da Bottari, quale conclavista del card. Neri Corsini, durante il conclave del 1740 dal quale uscì eletto Benedetto XIV: «un’impresa rimasta famosa»). 37 P. Vergili Maronis Codex antiqvissimvs a Rvfio Tvrcio Aproniano V.C. distinctvs et emendatvs qui nvnc Florentiae in Bibliotheca Mediceo-Lavrentiana adservatvr bono pvblico typis descriptvs anno MDCCXLI, Florentiae, Typis Mannianis. Pier Francesco Foggini (1713-1783) fu particolarmente legato a Bottari, come lui fiorentino, su incitamento del quale si trasferì a Roma nell’aprile 1742 e col quale condivise, nonostante la sua natura moderata e aliena da eccessi, la battaglia antigesuitica; «attaché» alla famiglia Corsini (le sue carte si trovano infatti alla Biblioteca Corsiniana di Roma), coadiutore di Bottari dal 1° febbraio 1746, Foggini fu nominato secondo custode della Vaticana il 5 febbraio 1768 e, alla morte di Stefano Evodio Assemani, primo custode il 1° dicembre 1782 (nello stesso giorno fu «giubilato»); morì il 3 maggio 1783. Battaglini conosceva bene la figura di Foggini, perché ne aveva steso un catalogo delle opere (Biblioteca Vaticana, Arch. Bibl. 42, f. 336r); cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 168-169, 180 nt. 109, 337, 351 ntt. 40-41; M. CAFFIERO, Foggini, Pier Francesco, in Dizionario biografico degli italiani, XLVIII, Roma 1997, pp. 449-453 (a p. 449, accenno all’edizione del Virgilio Mediceo). Sull’edizione del Virgilio Mediceo cfr. anche Virgilio illustrato nel libro cit., p. 13. Lo stretto legame dell’iniziativa relativa al Virgilio Mediceo con quella relativa al Virgilio Vaticano è sottolineata da Foggini nella prefazione Veris bonarum artium amatoribus, ibid., pp. X-XII. 38 P. Vergili Maronis Codex antiqvissimvs cit., p. III, pubblica infatti, in apertura della prefazione l’immagine di Virgilio, seduto con accanto un leggio e una «capsa» chiusa destinata a contenere rotoli, tratta dal f. 3v del Vat. lat. 3867. 39 L’edizione di Bottari, a differenza di quella di Foggini, non mira a riprodurre la forma delle lettere del Vat. lat. 3225; ma in Antiquissimi Virgiliani Codicis fragmenta cit., pp. 3-4, sono pubblicati gli «specimina» delle scritture del Virgilio Vaticano, del Virgilio Palatino e del Virgilio Romano.

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tàd di due secoli, che vanta quel Virgilio al n°. 3225, ed avrà imparato, che da questo furono ricavate le incisioni di Sante Bartoli. È vero però, che di 56 figure in tutto, quattro furono fatte aggiungere dal Bottari tratte dal Virgilio al n. 3867.40, ne si può negare che ancora questo manoscritto sia pregievolissimo per la sua antichità, e caratteri, e pitture, sebbene assai patito, ed imperfetto, come lo è, e forse più l’altro più antico al n°. 3225. Io non entro a giudicare, se avete fatto bene, o male a compromettere la vostra parola sulla cessione del Virgilio Vaticano del VII. secolo. Tocca al Sovrano: a me duole ogni minima perdita, la quale faccia Roma, e la Biblioteca Vaticana, e voi sapete in gran parte quanto abbia operato, perché in Roma rimanessero, come rimasero, i Papiri destinati, e scelti per l’Archivio di Parigi41, quante cose ho conservate, e quante ne ho recuperate alla Biblioteca. Quello, che sempre sosterrò, sarà, che il Virgilio al n°. 3867, il quale andò a Parigi, ed ora è in Roma sub judice non è il più antico, e il più pregievole, sebbene pregievolissimo, fra i Virgilii Vaticani, e che non siete stato ingannato dai letterati, e singolarmente dal dottissimo Sig. Ennio Quirino Visconti pratichissimo dei nostri codici per l’impiego da esso sostenuto, e che ora io sostengo42. Lasciate pure, che ragghid antichità: aggiunto nell’interlineo. 40 I calcoli sul punto sono leggermente difettosi, essendo Battaglini probabilmente stato tratto in errore dall’indicazione inesatta offerta dallo stesso Bottari che in Antiquissimi Virgiliani Codicis fragmenta cit., p. III, fa riferimento a quattro immagini provenienti dal Virgilio Romano (ma Gaetano Marini nel ricordato esemplare in R.G. Class. S.69 corregge e integra in margine l’indicazione). Bottari pubblica infatti sei immagini provenienti dal Vat. lat. 3867, oltre alle prime tre, inserite nella parte introduttiva, e per le quali indica chiaramente la provenienza «Ex Codice Vaticano 3867». Come era accaduto per l’operazione del Bartoli, che aveva in qualche modo creato l’illusione di un unico manoscritto illustrato di Virgilio conservato alla Vaticana (cfr. RUYSSCHAERT, Bartoli, Pietro Santi cit., p. 468; ID., Naissances cit., p. 65), così quella di Bottari (che dipende da Bartoli e che pubblicava le immagini dei due manoscritti in qualche modo confondendole e inserendole in un’unica serie) può avere ingenerato equivoci sulle datazioni dei due manoscritti, che possono essere stati ritenuti coevi. Ma per una più precisa attribuzione delle immagini pubblicate dal Bottari cfr. infra, Appendici. I. Identificazione delle fonti delle immagini pubblicate in Antiquissimi Virgiliani Codicis fragmenta et picturae (...) [G.G. Bottari, 1741]. La tendenza a unire le miniature dei due manoscritti in un’unica serie, ingenerando equivoci, si riscontra anche successivamente, per esempio in Virgilii picturae antiquae ex codicibus Vaticanis, Roma 1835, a cura di Angelo Mai. Nelle riproduzioni litografiche, che dipendono dai disegni eseguiti da Carlo Ruspi e conservati nel Vat. lat. 8940, solo una lettera, che segue il numero dell’illustrazione, chiarisce l’origine dell’immagine (la lettera A viene utilizzata per le immagini provenienti dal Vat. lat. 3225, la lettera B per le immagini provenienti dal Vat. lat. 3867); cfr. RUYSSCHAERT, Lectures cit., p. 29. 41 Battaglini ascrive dunque a sé il merito del mancato trasferimento a Parigi dei papiri Vaticani, buona parte dei quali era stata oggetto del celebre lavoro di Gaetano Marini su I papiri diplomatici (1805). 42 Ennio Quirino Visconti fu secondo custode della Vaticana dal 6 giugno 1783 al 1° marzo 1785, così come lo era stato Battaglini fra il 1800 e il 1809 e fra il 1814 e il 1818, cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 337, 339, 341. Marini doveva dunque aver detto a voce a Battaglini che temeva di essere stato ingannato dal Visconti che qui, invece, Battaglini difende. Per la fama, conquistatasi dal Visconti, di ingannatore dei commissari vaticani a Parigi, cfr. infra, nt. 45.

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no gli asini (ragghiano impunemente, e infamemente da più di un annoe). Addio. Casa 1f. Gennaro 1816 Vostro Servitore ed Amico Angelo Battaglini Prefetto della Biblioteca Vaticana

Vediamo di ricapitolare i passi salienti della lettera. Dopo aver lodato l’operato di Marini, che ha recuperato oggetti «facili a sottrarsi alle ricerche», Battaglini fa riferimento a voci che circolano a Roma sulla cessione del manoscritto Virgiliano più antico della Vaticana. Sull’argomento Marini ha ricevuto lettere dalla Segreteria di Stato e poiché ha sentito che Battaglini ha steso «un foglio riguardo a certi codici» potrebbe credere che dietro le pressioni vaticane vi sia appunto Battaglini. Il prefetto della Vaticana smentisce risolutamente il sospetto: il 26 ottobre 1815 ha sì incontrato il segretario di Stato Consalvi ma argomento della conversazione erano stati i 39 manoscritti Palatini latini trasferiti a Parigi e ora richiesti dalle autorità prussiane; di questi e non di altro Battaglini ha scritto a Consalvi il 27 ottobre; nell’occasione si è semplicemente limitato a raccomandare di non pensare solo al recupero dei manoscritti prelevati dai Francesi nel 1797 ma di di preoccuparsi anche dei «cinque più preziosi Codici», sottratti nel 1798, fra i quali il Virgilio Palatino, ritenuto del secolo VII. Le premure di Battaglini erano dunque per il Virgilio Palatino, non per quello Romano; l’identità di autore e datazione, al secolo VII, può avere ingenerato l’equivoco. Precisato questo, Battaglini si sofferma, ancora sollecitato da Marini, sul Virgilio Romano: esso non è sicuramente il manoscritto Virgiliano più antico della Vaticana, perché tale prerogativa è del Vat. lat. 3225, che Battaglini ha mostrato a Marini «a confusione di quel susurrone ignorante». Il Virgilio Vaticano è considerato coevo del Mediceo-Laurenziano (Firenze, e Scritto nell’interlineo sopra una parola depennata, forse mese. f Sulla seconda cifra dell’indicazione del giorno del mese vi è una macchia d’inchiostro

che rende incerta, se non impossibile la lettura. La cifra può naturalmente essere individuata fra i numeri dallo 0 al 9 (e dunque la lettera va datata con certezza fra il 10 e il 19 gennaio); sulla base dei confronti con le altre cifre utilizzate da Battaglini nella lettera, sembra meno probabile la possibilità che la cifra sia 1, 2 e 6; due leggerissimi allungamenti nel corpo centrale della macchia potrebbero far pensare al 4 (per le estremità sinistra e destra del tratto orizzontale che attraversa centralmente il numero). Ma in questo caso, se la lettera fosse stata scritta il 14 gennaio, sarebbe di un giorno successivo alla lettera di Marini a un Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore del 13 gennaio, nella quale Marini affermava di accludere anche un parere («sentimento») di Battaglini sul Virgilio Romano destinato a Consalvi (cfr. supra, nt. 21), del quale in realtà non si fa cenno nella lettera di Battaglini. A meno che il parere di Battaglini sul Virgilio Romano sia proprio la lettera di Battaglini a Marini, che in questo caso andrebbe datata a prima del 13 gennaio (dunque fra il 10 gennaio e il 12/13 gennaio). Omnibus perpensis, propendo per questa ipotesi ma la questione deve essere ancora definitivamente chiarita.

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Biblioteca Medicea Laurenziana, XXXIX, 1; C.L.A, III, 296), ed è quindi datato al secolo V. L’«ignorante» invece ha voluto sostenere la preminenza del Romano sul Vaticano, basandosi sulle incisioni di Sante Bartoli pubblicate da Giovanni Bottari (così come Foggini aveva pubblicato il MediceoLaurenziano). Si tratta di un clamoroso abbaglio: Foggini aveva ricavato dal Vat. lat. 3867 solo un’immagine, quella con la «figura sedente di Virgilio», mentre delle 56 figure pubblicate da Bottari solo 4 (in realtà 6) provenivano dal 3867 (tutte le altre erano del Vat. lat. 3225). In conclusione, Battaglini non vuole entrare nel merito della questione se Marini abbia fatto bene o male «a compromettere» la sua parola sulla cessione del Virgilio Romano (la questione era considerata ancora aperta e dagli esiti imprevedibili). La decisione spetta al sovrano: dopo aver ribadito il suo personale attaccamento alla Vaticana, il dolore per ogni sua perdita e gli sforzi da lui già compiuti per evitarle, Battaglini ribadisce solo che il Virgilio Vaticano è più antico del Virgilio Romano e che dunque sul punto Marini non è stato ingannato dai «letterati» francesi, in particolare da Ennio Quirino Visconti «pratichissimo dei nostri codici per l’impiego da esso sostenuto». Le ultime parole della lettera [«Lasciate pure, che ragghino gli asini (ragghiano impunemente, e infamemente da più un anno)»] confermano l’esistenza di vivaci polemiche sul recupero dei manoscritti vaticani, alle quali aveva già discretamente accennato Consalvi nelle lettere del 6 novembre 1815 (le «istanze dei nostri Letterati», «il disgusto di tutti i nostri Letterati») e sulle quali si vorrebbe sapere di più (forse si trattava anche di articoli su giornali e periodici). Ma altri dati meritano di essere rilevati. In primo luogo, i buoni e leali rapporti fra i due ecclesiastici romagnoli quali risultano dalla lettera di Battaglini, preoccupato appunto di salvaguardarli e di chiarire a Marini che lui non è dietro le pressioni esercitate su Marini per il recupero del Virgilio Romano. Ma interessante è anche l’accenno di Battaglini sugli strumenti di cui disponeva Marini nella sua opera di recupero. Il 17 ottobre 1815, su richiesta di Marini, Battaglini aveva steso «le note tutte degli oggetti levati dai Francesi pel violento trattato, e nei primi giorni della Repubblica Romana» (dunque sia nel 1797 sia nel 1798). Ma queste «note», inviate a Parigi il 18 ottobre dalla Segreteria di Stato tramite Camillo Massimiliano Massimi43, con un biglietto di istruzioni di Battaglini, non erano pervenute nelle mani di Marini, che dunque nel recupero si era potuto valere solo del «catalogo stampato in Lipsia», nel quale però non erano indicati gli oggetti trafugati dai singoli ufficiali francesi. La circostanza, che non sarebbe stata precisata da Marini nelle sue Memo43 Su Camillo Massimiliano Massimi (o Massimo, 1770-1840), allora sovrintendente delle poste pontificie, cfr. BOUTRY, Souverain et pontife cit., p. 719.

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rie storiche, rende ancora più meritoria la difficile fatica dell’archivista di Sant’Arcangelo, che dunque parrebbe avere avuto in mano solo la Recensio manuscriptorum codicum stampata a Lipsia nel 1803. Rimane da accertare chi sia il «susurrone ignorante»44, l’«ignorante Scrittore», contro il quale si dirigono gli strali di Battaglini (che invece risparmia, altro fatto interessante, Ennio Quirino Visconti, sul quale invece pessime erano le valutazioni di Marini e, in forma ancora più accesa, di Luigi Angeloni45). Si potrebbe pensare che non si tratti di un autore bibliograficamente lontano, perché dalle parole di Battaglini si direbbe che la persona sia stata effettivamente incontrata da Marini («Voi vedeste come [...]») e anche dallo stesso Battaglini («[...] anzi disse con me [...]. Io non gli risposi per non svergognarlo in pubblico»). Si possono avanzare in merito diverse ipotesi. Il grande avversario di Battaglini in Vaticana era, come è noto, Michele Carrega, che lo aveva denunciato per la sua condotta sotto il governo francese e che quindi meriterebbe pienamente la definizione di «susurrone» (oltre che quella di «ignorante»). Ma pare da escludere la sua identificazione perché in quel momento (siamo nel gennaio 1816) era ormai stato «giubilato» e perché, propriamente parlando, non era mai stato «scrittore» in Vaticana, ma solo coadiutore di «scrittori» con diritto a una successione che non venne provocando il suo disgusto, le dimissioni e, probabilmente, per risentimento la denuncia di Battaglini. Inoltre, considerati i difficili rapporti con Battaglini e l’acceso rancore di Carrega nei confronti delle autorità della Biblioteca Vaticana, pare arduo pensare che i tre (Battaglini, Marini e Carrega) si confrontassero accademicamente intorno alla datazione di alcuni manoscritti46. 44 Per il termine, già attestato in Cavalca, cfr. S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, XX, Torino 2000, p. 585: «Chi sparla, spettegola o critica abitualmente; chi fa continue maldicenze, chi diffama con insinuazioni o accuse più o meno velate; mormoratore, detrattore»; cfr. anche N. TOMMASEO – B. BELLINI, Dizionario della lingua italiana [...], Torino 1916, p. 1323. 45 Per la riprovazione di Marini e Angeloni nei confronti di Visconti, cfr. VIAN, «Per le cose della patria nostra» cit., pp. 724 nt. 108, 729 nt. 128, 750, 751. 46 Michele Carrega (o Carega) dal settembre 1807 era soprannumerario per la lingua latina con diritto di successione al primo degli scrittori latini che fosse mancato (Mauro Coster, Giuseppe Teoli). Non avendo ottenuto la successione di Teoli dopo sei mesi dalla sua morte, nel febbraio 1812 si ritirò dal servizio, ma ottenendo una pensione dalla Vaticana; fu giubilato il 1° giugno 1820 ricevendo però l’intero onorario di primo custode. Un trattamento dunque di grande riguardo, non del tutto comprensibile, considerata la modesta attività svolta in Vaticana. Per Carrega, cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 187-189, 208 305; RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., pp. 75-76, 435, 438. Sulla figura di Carrega, Battaglini si soffermerà a lungo nella sua autografa memoria Risposte alle Accuse [contro il Canonico Angelo Battaglini] passate da Monsignor Francesco Baldi a Monsignor Antonio Sala (Arch. Bibl. 52, pt. A, ff. 194r-228r). L’incipit del brano è rappresentativo del contenuto: «Questi è il Sig. Michele Carrega già Scrittore Soprannumerario della Biblioteca Vaticana, in cui non si sà, se sia

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Se il termine fosse da assumere nel suo valore specifico, gli «scrittori» in Vaticana erano allora (gennaio 1816) quattro: Giovanni Giorgi, per la lingua ebraica, Girolamo Amati e Leonardo Adami, per la lingua greca, Giuseppe Baldi, per la lingua latina47. Escludendo i primi tre, che avevano professionalmente pochi motivi per occuparsi del Virgilio Romano, non pare plausibile nemmeno l’identificazione con Baldi, che era fra l’altro in ottimi rapporti con Battaglini e inoltre non si è mai interessato di manoscritti tardo-antichi. La soluzione del problema potrebbe essere nell’aggettivo, «sudetto», che precede la definizione di «ignorante scrittore». Se essa non si riferisce alla precedente, quasi immediatamente contigua definizione di «susurrone ignorante» ma a una menzione già fatta del personaggio in altra parte del testo, egli potrebbe allora essere identificato con Wicar, nominato prima nella lettera, al terzo capoverso, incontrato da Battaglini a Roma nel 1798 e in seguito forse ancora da Battaglini e Marini tra la fine del 1815 e gli inizi del 1816 a Roma, ove il pittore di fatto si era trasferito, insegnando dal 1801 all’Accademia di S. Luca, e dove sarebbe morto nel 183448. La possibilità che il Wicar abbia fra il 1815 e il 1816 frequentato maggiore l’ingratitudine, l’ignoranza, o l’audacia, che lungamente ha ricoperto, e che ricopre presso alcuni con un contegno modesto, e supplichevole, ma insinuante» (ibid., f. 205v). Ma del personaggio (non esplicitamente citato) si tratta ampiamente anche nella Relazione di quanto avvenne al Signor Canonico Battaglini, e sua costante ed onorata condotta (ibid., ff. 178r-191v). Sull’accessione del volume Arch. Bibl. 52, pt. A, personalmente acquistato nel dicembre 1996 dal prefetto (1984-1997) della Biblioteca Vaticana Leonard E. Boyle (1923-1999) e a essa donato, cfr. Ch. M. GRAFINGER, Die Rückerwerbung verschollener vatikanischer Inkunabeln und Handschriften im Jahre 1810, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VI: Collectanea in honorem Rev.mi Patris Leonardi Boyle O.P. septuagesimum quintum annum feliciter complentis, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 385), pp. 211-224: 211-212. Ringrazio la collega Andreina Rita, ottima conoscitrice della tormentata storia della Vaticana tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, per preziose indicazioni a proposito del Carrega. 47 L’elenco dei nomi si trova in Ruoli del Sacro Palazzo Apostolico / Luglio 1816: Pio VII (Biblioteca Vaticana, Ruoli 408, f. 10r). In verità l’elenco comprende anche il nome di Carrega, evidentemente perché dopo le dimissioni ottenne una pensione (cfr. supra). Anche nelle Accuse contro il Canonico Angelo Battaglini passate per ordine del Cardinale Pro-Segretario di Stato da Monsignor Antonio Sala Segretario della così detta Congregazione deputata all’esame dei Disordini delle passate vicende a Monsignor Francesco Baldi nuovo Primo Custode della Biblioteca Vaticana, acciò prendesse notizie, ed informasse, ma non comunicasse al supposto Reo (Arch. Bibl. 52, pt. A, ff. 192r-194r) Carrega risulta «Scrittore latino» «all’Epoca dell’invasione» (scil.: 1809) (ibid., f. 193v), insieme a Carlo Altieri «Scrittore Latino Straordinario per grazia speciale di N. Signore (in Parigi)», Girolamo Amati «Scrittore Greco», Giovanni Giorgi «Scrittore Ebraico», Antonio Assemani «Scrittore Arabo, e Siriaco». Risulta invece essere «Scrittore Latino Coadiutore» nello Stato degl’Impiegati della Biblioteca Vaticana chiesto dal Sig. Daru Intendente della Corona e mandatogli dal Primo Conservatore, ibid., f. 154r, che è successivo alle Accuse (da datare dopo la nomina di Baldi a primo custode, 27 maggio 1814). Probabilmente questo titolo riflette più fedelmente lo status del personaggio (ma nessuno si stupirà se per questo periodo la situazione, anche in questo ambito del personale, appaia un po’ confusa). 48 Per la biografia di Wicar (1762-1834), cfr. J.-C. DUFAY, Notice sur la vie et les ouvrages de

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la Vaticana e che vi abbia potuto incontrare Battaglini e Marini, parlando di codici che erano ben noti a tutti e tre, non pare da scartare49. Wicar era solito partecipare a «salotti» artistici e culturali nei quali si discuteva di arti e di cultura: così negli incontri promossi dal generale Sextius Alexandre François de Miollis, governatore degli Stati Pontifici, nella sua villa a Magnanapoli, nelle vicinanze del Palazzo del Quirinale; così nella casa dell’incisore Tommaso Piroli, in via Gregoriana50. A conforto dell’identificazione si potrebbe aggiungere che in quegli anni Wicar era interessato a soggetti virgiliani perché del 1818 è il suo quadro Virgile lisant l’Eneide à Auguste51. Il suo ruolo nelle depredazioni del 1798 potrebbe ben spiegare l’antipatia che, nella lettera a Marini, gli riserva Battaglini. A questa ipotesi si opporrebbe però il fatto che non risulta che Wicar abbia pubblicato alcunché e Wicar, Lille 1844 (inaccessibile a chi scrive); VACCOLINI, Wicar (Giambattista) cit.; G. D., Wicar (Jean-Baptiste-Joseph), in Nouvelle biographie générale (...) sous la direction de M. le Dr HOEFER, XLV, Paris 1877, coll. 715-716; R.-ld (= ROSENWALD), Wicar (Jean-Baptiste), in (MICHAUD) Biographie universelle ancienne et moderne (...), Nouvelle édition, XLIV, Paris s.d., pp. 558-559; Jean-Baptiste Wicar et son temps, 1762-1834, éds. M. T. CARACCIOLO – G. TOSCANO, Villeneuve d’Ascq 2007. Cfr. anche RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., p. 145 e nt. 268. 49 Secondo VACCOLINI, Wicar (Giambattista) cit., p. 376, Wicar «nel 1816 fu in Inghilterra col suo quadro della vedova di Naim, e trovò belle accoglienze da’ primi artisti e sopra gli altri da Beniamino West, pittore del re e presidente della r. accademia di belle arti. Nel dicembre di quell’anno tornossi a Roma, donde più non partì se non per rivedere Firenze e per una gita a Perugia, a Città di Castello, e per le Marche». Ma l’incontro in Vaticana con Battaglini e Marini (se ci fu) dovrebbe essere avvenuto negli ultimi giorni del 1815 o nei primi del 1816; dunque, cronologicamente, non vi sono insuperabili obiezioni all’ipotesi avanzata di una presenza di Wicar in Vaticana alla fine del 1815 o agli inizi del 1816. 50 I. MIARELLI MARIANI, Seroux d’Agincourt e l’Histoire de l’art par les monumens. Riscoperta del Medioevo, dibattito storiografico e riproduzione artistica tra fine XVIII e inizio XIX secolo, Roma 2005, pp. 69, 155. 51 «Ed operò pel conte [Giovanni Battista] Sommariva il quadro di Virgilio, che legge ad Augusto il sesto libro dell’Eneide, presenti Livia ed Ottavia: di che parlò con franche parole Teofilo Betti nell’Arcadico», VACCOLINI, Wicar (Giambattista) cit., p. 376. Sul quadro virgiliano e sulla sua datazione cfr. anche G. D., Wicar (Jean-Baptiste-Joseph) cit., col. 716; R.-ld (= ROSENWALD), Wicar (Jean-Baptiste) cit., p. 559. Si può ipotizzare che Wicar abbia cercato nelle raffigurazioni di Virgilio nei manoscritti tardo-antichi della Vaticana un’ispirazione alla sua rappresentazione del poeta, che compare nella parte destra del quadro? In questo caso una datazione «alta» del Virgilio Romano avrebbe potuto fargli gioco nel conferire autorevolezza al modello scelto per raffigurare nel quadro il poeta. Come è noto, solo il Virgilio Romano (ai ff. 3v e 9r) offre due immagini, rispettivamente definite «maior» e «minor», di Virgilio, seduto, con il pluteo scrittorio e la capsa per i rotoli. Il Virgilio Vaticano, da questo punto di vista, non avrebbe dunque recato alcun aiuto. Il soggetto di Virgilio che legge l’Eneide non era comunque raro. Anche il già ricordato Vincenzo Camuccini, l’«incontrastato dittatore della pittura romana» che Pio VII aveva nominato il 12 agosto 1814 ispettore alla conservazione delle pubbliche pitture in Roma (incarico conservato sino al 1824), fu autore negli anni Trenta di un dipinto col medesimo soggetto destinato allo zar di Russia Alessandro II (il dipinto non è però ricordato da BOVERO, Camuccini, Vincenzo cit., della quale è la definizione prima riportata, ibid., p. 628).

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che quindi difficilmente potrebbe meritare il titolo di «scrittore», se non in senso piuttosto lato52. Se anche l’ipotesi d’identificazione del «sussurrone ignorante» col Wicar non risultasse fondata, si dovrà allora genericamente pensare a un intellettuale romano, forse uno di quei «Letterati» che avevano manifestato «disgusto» di fronte all’ipotesi della cessione del Virgilio Romano e che in proposito avevano organizzato un movimento d’opinione forte al punto di, come si è visto, impensierire e condizionare il papa. Premesse indispensabili di questa campagna erano chiaramente una datazione «alta» del manoscritto in discussione e una sua ri-valutazione nel confronto col Virgilio Vaticano. Esattamente il contrario di quanto invece sostenevano Battaglini e Marini. La questione rimane dunque ancora da risolvere in maniera definitiva e inoppugnabile; ma la proposizione di alcune possibilità contemplate potrà non essere inutile. Un’ultima parola merita il problema delle datazioni dei manoscritti. Come si è visto, Battaglini sostiene che il Virgilio Vaticano e il Virgilio Mediceo siano sostanzialmente coevi e risalgano al secolo V, mentre il Virgilio Romano, a suo avviso, è sicuramente più tardo e risale al secolo VII. Appare plausibile pensare che la datazione di Battaglini, che a proposito del Virgilio Romano interpretava probabilmente la coscienza dell’istituzione, abbia influenzato la datazione che compare nella Recensio manuscriptorum codicum, ove — come si è visto — il manoscritto viene datato proprio al VII secolo. Le valutazioni non sono molto distanti da quelle recentemente più accreditate che collocano il Virgilio Vaticano alla «fine del IV secolo – inizio del V», il Virgilio Romano alla «metà del VI» secolo e il Virgilio Mediceo tra la fine di aprile 494 e i mesi immediatamente successivi53. Nel giudizio Battaglini si distaccava con acutezza da datazioni precedenti o contemporanee. Per fare solo un esempio, del Virgilio Romano si era occupato Jean-Baptiste-Louis-Georges Seroux d’Agincourt nella sua L’histoire de l’art par les monuments (Paris, 1810-1823), come mostra la documentazione per l’opera conservata in Vaticana, anche se minore rilievo il manoscritto riveste nell’opera a stampa. Lo studioso francese si era infatti convinto che il codice e le sue illustrazioni (attribuite a un miniatore francese) avessero una datazione estremamente bassa, fra XII e XIII secolo54. 52 Ma di Wicar si possono ricordare almeno alcuni articoli, per quanto posteriori (ann. 1827-1828), scritti per il Giornale arcadico, cfr. VACCOLINI, Wicar (Giambattista) cit., p. 376. 53 P. CHERUBINI – A. PRATESI, Paleografia latina. L’avventura grafica del mondo occidentale, Città del Vaticano 2010 (Littera antiqua, 16), pp. 59-60. 54 G. B. L. G. SEROUX D’AGINCOURT, Storia dell’arte dimostrata coi monumenti dalla sua decadenza nel IV secolo fino al suo risorgimento nel XVI. Prima traduzione italiana, IV, Prato 1827, pp. 178-183 (per la trattazione del Virgilio Vaticano; p. 179, per la datazione del manoscritto al IV o V secolo), 258-262 (per la trattazione del Virgilio Romano; pp. 258, 261,

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3. Insomma, nella molteplicità delle precedenti e contemporanee ipotesi, le datazioni indicate da Battaglini rivelano ancora una volta la sagacia del bibliotecario e dello studioso. E pare bello concludere questa breve nota, che prende spunto da una lettera di Battaglini a Marini, lodando insieme il bibliotecario vaticano e l’archivista vaticano, due romagnoli nati a pochi chilometri di distanza (Battaglini a Rimini, Marini a Sant’Arcangelo di Romagna). In luoghi, da posizioni e con ruoli diversi Battaglini e Marini hanno difeso con intelligenza e impegno il patrimonio della Vaticana nel mezzo della violenza più grave e terribile della sua secolare storia. Quasi pudicamente Battaglini scriverà a Marini verso la conclusione della lettera: «[...] a me duole ogni minima perdita, la quale faccia Roma, e la Biblioteca Vaticana, e voi sapete in gran parte quanto abbia operato, perché in Roma rimanessero, come rimasero, i Papiri destinati, e scelti per l’Archivio di Parigi, quante cose ho conservate, e quante ne ho recuperate alla Biblioteca». Sull’altro fronte, tutte le Memorie storiche di Marini possono essere interpretate come una singolare «apologia pro vita sua», una rivendicazione del suo operato transalpino a favore della grande impresa della «recupera». I due ecclesiastici romagnoli furono anche accomunati dalla dolorosa contraddizione dell’equivoco sul loro operato, quando in buona o cattiva fede fu scambiata per cedevolezza, complicità e resa quella che forse era solo la flessibilità indispensabile per raggiungere realisticamente il massimo degli obiettivi raggiungibili in determinate circostanze. Certo, se oggi la Vaticana vanta fra i suoi tesori il Virgilio Romano lo deve solo all’intelligenza, alla fedeltà e al savoir faire di Marino Marini. Ed è bene ricordarlo. per la datazione del manoscritto ai secoli XII-XIII); le miniature di quest’ultimo, attribuite «a qualche pittore francese del duodecimo, o del decimoterzo secolo» (ibid., p. 261), sono considerate a un livello affatto inferiore rispetto a quelle del Virgilio Vaticano: «Per un’assai singolar contrapposto, è sopra un’altra copia delle opere di questo divino poeta [scil.: Virgilio], la più bella fra le conosciute quanto ai caratteri, che si trovano le pitture le più scorrette, le più sprovvedute di ragione e di gusto di questa medesima epoca» (ibid., p. 258). Al Virgilio Romano e al Virgilio Vaticano sono dedicate in SEROUX D’AGINCOURT, Storia dell’arte cit. Tavole 325, Prato 1826, rispettivamente le tavole XX-XXV e LXIII-LXV (quest’ultima con comparazione fra le immagini dei due manoscritti). Cfr. anche Virgilio illustrato cit., pp. 11-12 (nrr. 92-93, 12*-16*); RUYSSCHAERT, Naissances et survivances cit., p. 66; ID., Lectures cit., p. 29. Per la genesi e il metodo di lavoro dello storico dell’arte francese, cfr. MIARELLI MARIANI, Seroux d’Agincourt e l’Histoire de l’art cit. Seroux si faceva aiutare nelle datazioni, nelle quali non si sentiva sicuro; cfr., per esempio, il caso delle incisioni tratte da alcune miniature del Rotolo di Giosuè (Pal. gr. 431) e da manoscritti terenziani e virgiliani della Vaticana inviate il 12 luglio 1800 all’erudito veneziano Jacopo Morelli per la datazione, ibid., p. 36. Disegni, calchi e note relative al Virgilio Vaticano e al Virgilio Romano nei manoscritti vaticani di Seroux d’Agincourt si trovano rispettivamente nel Vat. lat. 9841, ff. 57r-v, 58r-v e nel Vat. lat. 9842, ff. 23r-v, 24r-v, 25r-v, 26r-v, 27r-v, 28r-v, 29r-v, 30r-v, 31r-v, 32r, 33r, 34r, 35r, 36r, 37r, 38r, 39r, 40r, 41r, 42r, 43r, 44r, 45r, 46r, 47r-v, 48r (ringrazio Valentina Fraticelli e Simona Moretti per la comunicazione). Per datazioni e valutazioni dei manoscritti virgiliani cfr. anche MARINI, Degli aneddoti di Gaetano Marini cit., pp. 111-113.

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APPENDICI I. Identificazione delle fonti delle immagini pubblicate in Antiquissimi Virgiliani Codicis fragmenta et picturae (...) [G. G. Bottari, 1741] La descrizione dei soggetti riprende quelle presenti in Fragmenta et picturae Vergiliana Codicis Vaticani Latini 3225 phototypice expressa consilio et opera curatorum Bibliothecae Vaticanae, in Vaticano 19453 (Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi, 1), pp. 37-43 (per il Vat. lat. 3225), e in Picturae ornamenta complura scripturae specimina codicis Vaticani 3867 qui Codex Vergilii Romanus audit phototypice expressa consilio et opera curatorum Bibliothecae Vaticanae, Romae 1902 (Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi, 2), pp. XVII-XXI (Vat. lat. 3867). Anche la numerazione delle immagini riprende quella offerta nei due facsimili, relativamente ai singoli codici. p. dell’edizione Bottari

riferimento esplicito di provenienza dell’immagine

fonte di provenienza

soggetto dell’immagine

p. [i]

«Ex Codice Vaticano 3867»

Vat. lat. 3867, f. 6r

«Menalcae et Damoetae certamen poeticum, iudice Palaemone» [Ecl. III, 1-9; pict. 3]

p. iii

«Ex Codice Vat. lat. 3867, f. 11v Vaticano 3867»

«Menalcas et Mopsus inter se carminibus certantes» [Ecl. V, 1-17; pict. 5]

p. xxii

«Ex Codice Vaticano 3867»

Vat. lat. 3867, f. 3v

«Vergilii imago maior cum pluteo scriptorio et scrinio voluminum» [Ecl. II, 1-4: pict. 2]

p. 5



Vat. lat. 3867, f. 1r

«Meliboeus Tytirum sub fagi umbra sedentem alloquitur» [Ecl. I, 1; pict. 1]

p. 7



Vat. lat. 3225, f. 2r

«Fortasse armenta asylo liberanda; vel secundum alios: Io in vaccam conversa» [Georg. III, 146 s., 152 s.; pict. 2]

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p. 9



Vat. lat. 3225, f. 3r

«Vitulorum vaccarumque grex et stabulum» [Georg. III, 163 s.; pict. 3]

p. 12



Vat. lat. 3225, f. 4v

«Taurorum inter se pugnae» [Georg. III, 217 s.; pict. 4]

p. 15



Vat. lat. 3225, f. 6r

«Grex ad fontem perductus» [Georg. III, 327 s.: pict. 5]

p. 18



Vat. lat. 3225, f. 7v

«Corycius senex» [Georg. IV, 125 s.; pict. 6]

p. 20



Vat. lat. 3225, f. 8v

«Cyclopes fabrili opere se exercentes» [Georg. IV, 170 s.; pict. 7]

p. 21



Vat. lat. 3225, f. 9r

«Orpheus apud inferos» [Georg. IV, 471 s.; pict. 8]

p. 23



Vat. lat. 3225, f. 10r

«Eurydice serpentum morsibus interempta; secundum alios: quomodo e conspectu evolaverit Proteus» [Georg. IV, 457 s.; 528; pict. 9]

p. 29



Vat. lat. 3867, f. 77r

«Troianorum naves tempestate iactatae» [Aen. I; pict. 12]

p. 31



Vat. lat. 3225, f. 13r

«Aeneas et Achates Carthaginis exstructionem intuentes» [Aen. I, 419 s.; pict. 10]

p. 37



Vat. lat. 3225, f. 16r

«Aeneas coram Didone constitutus» [Aen. I, 586 s.; pict. 11]

p. 39



Vat. lat. 3225, f. 17r

«Venus Cupidinem sub Ascanii specie ablegans» [Aen. I, 657 s.; pict. 12]

p. 41



Vat. lat. 3867, f. 100v

«Convivium Didonis cum Aenea, tertio quodam ignoto accubante» [Aen. I, 697; pict. 13]

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p. 43



Vat. lat. 3867, f. 101r

«Sinon coram Priamo et Hecuba e moenibus prospiciente; ad dextram equus a Graecis relictus» [Aen. II, 26; pict. 14]

p. 46



Vat. lat. 3225, f. 18v

«Laocoon taurum mactans et cum filiis ab anguibus impetitus» [Aen. II, 201 s.; pict. 13]

p. 47



Vat. lat. 3225, f. 19r

«Graeci ex equo Troiano delapsi et delabentes» [Aen. II, 254 s.; pict. 14]

p. 50



Vat. lat. 3225, f. 19v «Hectoris umbra Aeneam alloquentis» [Aen. II, 268 s.; pict. 15]

p. 55



Vat. lat. 3225, f. 22r

«Famuli flammam circa Ascanii verticem restinguentes et Creusa Aeneam a proelio retrahens» [Aen. II, 671 s.; pict. 16]

p. 57



Vat. lat. 3225, f. 23r

«Aeneas cum navibus ex oris Troianis aufugiens» [Aen. III, 9 s.; pict. 17]

p. 60



Vat. lat. 3225, f. 24v

«Aeneas prope tumulum Polydorii» [Aen. III, 19 s. et 62 s.; pict. 18]

p. 65



Vat. lat. 3225, f. 27r

«Pergamea ab Aenea exstructa» [Aen. III, 132 s.; pict. 19]

p. 67



Vat. lat. 3225, f. 28r

«Penates in somnis Aeneam admonent» [Aen. III, 147 s.; pict. 20]

p. 74



Vat. lat. 3225, f. 31v

«Sicilia insula septem consita urbibus» [Aen. III, 692 s.; pict. 21]

p. 78



Vat. lat. 3225, f. 33v

«Dido diis sacrificia offerens» [Aen. IV, 56 s.; pict. 22]

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p. 81



Vat. lat. 3867, f. 106r

«Aeneas et Dido saeviente tempestate in specu considentes» [Aen. IV, 160 ss.; pict. 15]

p. 84



Vat. lat. 3225, f. 35v

«Mercurius apparens Aeneae Carthaginem exstruenti» [Aen. IV, 259 s.; pict. 23]

p. 86



Vat. lat. 3225, f. 36v «Dido Aeneam alloquens» [Aen. IV, 305 s.; pict. 24]

p. 92



Vat. lat. 3225, f. 39v

«Dido Aeneam Carthagine solventem conspicit» [Aen. IV, 548 s.; pict. 25]

p. 93



Vat. lat. 3225, f. 40r

«Dido sibi in rogo mortem inferens» [Aen. IV, 651 s.; pict. 26]

p. 95



Vat. lat. 3225, f. 41r

«Famulae Didonem mortuam plorantes» [Aen. IV, 663 s.; pict. 27]

p. 97



Vat. lat. 3225, f. 42r

«Naves Aeneae cursu inter se certantes» [Aen. V, 114 s.; pict. 28]

p. 100



Vat. lat. 3225, f. 43v

«Eaedem naves duplici ordine dispositae» [Aen. V, 151 s.; pict. 29]

p. 102



Vat. lat. 3225, f. 44v

«Venus Neptunum alloquens» [Aen. V, 779 s.; pict. 30]

p. 104



Vat. lat. 3225, f. 45v

«Sibylla Aeneam et Achatem ad templum Apollinis adducens» [Aen. VI, 45 s.; pict. 31]

p. 106



Vat. lat. 3225, f. 46v

«Aeneas et Sibylla quatuor iuvencos diis inferis mactantes» [Aen. VI, 243 s.; pict. 32]

p. 108



Vat. lat. 3225, f. 47v

«Vestibulum in faucibus Orci» [Aen. VI, 273 s.; pict. 33]

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p. 110



Vat. lat. 3225, f. 48v

«Sibylla Cerbero offam melle saporatam obicit» [Aen. VI, 417 s.; pict. 34]

p. 111



Vat. lat. 3225, f. 49r

«Aeneas Deiphobo occurrens et Tisiphon ante portam Tartari» [Aen. VI, 494 s.; 548 s.; pict. 35]

p. 117



Vat. lat. 3225, f. 52r «Aeneas ramum in limine templi figit et campos Elysios ingreditur» [Aen. VI, 628 s.; pict. 36]

p. 120



Vat. lat. 3225, f. 53v

«Musaeus Aeneam et Sibyllam ad Anchisen et ad animas e Lethaeo amne potantes perducit» [Aen. VI, 669 s.; pict. 37]

p. 127



Vat. lat. 3225, f. 57r

«Anchises ad Inferni portas Aeneae et Sibyllae valedicens» [Aen. VI, 893 s.; pict. 38]

p. 129



Vat. lat. 3225, f. 58r

«Circe socios Aeneae in belluas transformans» [Aen. VII, 10 s.; pict. 39]

p. 132



Vat. lat. 3225, f. 59v «Apum agmen in summa lauro considens et crines Laviniae incensi» [Aen. VII, 59 s.; pict. 40]

p. 134



Vat. lat. 3225, f. 60v

«Troiani coram Latino rege» [Aen. VII, 195 s.; pict. 41]

p. 139



Vat. lat. 3225, f. 63r

«Latinus Troianos muneribus cumulatos ad Aeneam remittit» [Aen. VII, 274 s.; pict. 42]

p. 142



Vat. lat. 3225, f. 64v

«Iuno et Alecto» [Aen. VII, 323 s.; pict. 43]

p. 146



Vat. lat. 3225, f. 66v

«Cervus ab Ascanio spiculo percitus ad Silviam se recipit; certamen inter Troianos

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et agrestes» [Aen. VII, 500 s.; 519 s.; pict. 44] p. 148



Vat. lat. 3225, f. 67v

«Iuno belli portas reserans» [Aen. VII, 607 s.; pict. 45]

p. 151



Vat. lat. 3225, f. 69r

«Porca cum triginta porcellis ab Aenea prope Tiberim» [Aen. VIII, 68 s.; pict. 46]

p. 155



Vat. lat. 3867, f. 74v

«Iris Turnum alloquens» [Aen. IX, 2; pict. 10]

p. 157



Vat. lat. 3225, f. 71r

«Naves in virgines conversae» [Aen. IX, 107 s.; pict. 47]

p. 160



Vat. lat. 3225, f. 72v

«Rutuli castra Troiana obsidentes» [Aen. IX, 159 s.; pict. 48]

p. 162



Vat. lat. 3225, f. 73v

«Euryalus et Nisus absente Aenea in consilium adhibiti a Troianis» [Aen. IX, 224 s.; pict. 49]

p. 164



Vat. lat. 3225, f. 74v «Fortasse Troiani a Turno impetiti» [Aen. IX, 530 s.; pict. 50]

p. 187

«ex antiqua pictura»55





55

55 L’immagine è collocata all’inizio dell’elenco delle lezioni dell’edizione virgiliana di Leiden, 1680, e del Vat. lat. 3867.

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II. Memoria di Angelo Mercati a Pio XI sul destino dei manoscritti vaticani rimasti a Parigi (28 marzo 1923) La vicenda dei recuperi e dei mancati recuperi dei manoscritti vaticani trasferiti a Parigi era ancora considerata con attenzione agli inizi del pontificato di papa Ratti, come mostra il testo di una memoria dell’allora viceprefetto (1920-1925) e futuro prefetto dell’Archivio Vaticano (1925-1955) Angelo Mercati (1870-1955) indirizzata a Pio XI nella prima fase del pontificato, forse non solo per interesse di ricostruzione storica. In essa ha naturalmente una parte anche il recupero del Virgilio Romano. Il documento è conservato in Biblioteca Vaticana, Arch. Bibl. 237, f. 37r-v; dattiloscritto. Nel testo, verso la fine del primo capoverso, le parole non avendoli sono ripetute. Nella trascrizione il sottolineato viene reso col corsivo. Il testo edito delle Memorie storiche di Marini differisce rispetto a quello citato da Mercati in minimi particolari, non segnalati tranne in un caso (posto anziché posso), mentre si correggono fra parentesi quadre e in corsivo i riferimenti inesatti a numeri di pagine e di lettere.

28 marzo 1923 Di cinque codici Vaticani fra i 500 portati in Francia in virtù del Trattato di Tolentino non fu fatta la restituzione, vale a dire dei Vatic. lat. 3204, 379456, Regin. lat. 190 e 96457 e Vatic. gr. 99758, che ora costituiscono alla Nazionale di Parigi i numeri rispettivamente: 12473, 12474 (il Reg. lat. 190 «paraît avoir été perdu»: Delisle p. 498), 9768 e Suppl. gr. 352. Si noti che M. Marini, ritornato a Parigi ai 3 di settembre 1815 coll’incombenza «di ricuperare gli Archivi e i codici ceduti nel Trattato di Tolentino» (Mem. cit. p. CCXXXIX) dichiara ch’egli non «era autorizzato a cederne alcuno» (p. CCXLIII). Eppure, il 3204, ricuperato per la S. Sede il 14 ottobre 1815, «riconosciuto», così vi scrisse l’agente romano Ginnasi, «non utile all’Italia e prezioso per la Francia», fu [«]restituito alla Biblioteca ai 17 ottobre del 1815» (Delisle p. 498, n. 1). Deve escludersi un’autorizzazione che sia stata data dopo l’arrivo di Marini a Parigi. Infatti, a p. CCLXIV al n° 38 è riprodotta la lettera del Cardinale Consalvi in data di Roma (non Parigi, come erroneamente ha la stampa) 5 ottobre 1815, che risponde alla relazione fatta dal Marini dell’accoglienza ricevuta dai Conservatori della Biblioteca Reale e della risposta datagli «di non potere consegnare amichevolmente i codici, ma di cedere alla sola forza». Nulla, nella lettera, di facoltà generiche o specifiche per cessioni. Bisogna arrivare al 6 novembre per avere 56

Per i Vat. lat. 3204, 3794, cfr. supra. Per il secondo codice Reginense latino non rientrato da Parigi vi è forse un errore di battitura del dattilografo perché la segnatura è Reg. lat. 1964. Per i Reg. lat. 190 (Teoli: Smaragdi Abbatis Via Regia ad Ludovicum Imperatorem. Eiusdem Epistola ad Leonem III de processione Spiritus Sancti Caroli Magni nomine scripta) e 1964 (Teoli: Nithardi Abbatis Centulensis libri quatuor de dissidio filiorum Ludovici Pii Imp. et alia scripta), cfr. E. NILSSON NYLANDER – P. VIAN, I manoscritti latini della regina Cristina alla Biblioteca Vaticana: storia, stato e ricerche sul fondo, in Cristina di Svezia e Roma. Atti del simposio tenuto all’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma, 5-6 ottobre 1995, a cura di B. MAGNUSSON, Stockholm 1999 (Suecoromana, 5), pp. 143-162: 146-147. Del Reg. lat. 1964 rimasero a Parigi solo i primi 46 ff. che effettivamente costituiscono ora il Paris, Bibliothèque Nationale de France, lat. 9768. 58 Per il Vat. gr. 997, cfr. LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 89, 91. 57

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le risposte del Cardinal Consalvi (p. CCLXV ss. [CCLXVI-CCLXVII], n° 431 [43-44]) alla domanda del bibliotecario reale di ritenere i due codici di Virgilio e Terenzio, dei quali il primo il Marini aveva lasciato in deposito, mentre aveva portato seco il secondo (p. CCXLIII, § XXVIII). Nulla per altri codici. La cessione pertanto avvenne senza autorizzazione. Nel 1817 il Marini ritornò a Parigi: di quanto operò «nello adempiere gli ordini di Pio VII» per trasportare a Roma quant’era rimasto ancora a Parigi, egli dà relazione a p. CCLXXI ss., ma invano si cerca in essa un accenno a specifiche o generiche autorizzazioni di cessioni. A p. CCLXXXII è detto che «la reale biblioteca ebbesi in dono due soli codici di poesie provenzali» (il 3204 " 3794) e ciò, si aggiunge a p. CCLXXXII [CCLXXXIII], «per ordine di Pio VII». Alla stessa pagina il Marini parla di due Reginensi «mancanti», senza spiegarne il perché, contento di dichiarare che la Vaticana ne fu «abbondevolmente ristorata col codice ... di Platone»59. In fondo alla medesima pagina si legge un periodo alquanto enigmatico, che dice: «Potrebbe egli certamente pubblicare un elenco dei Codici Vaticani che non fecero ritorno all’antica loro sede, che buon grado gliene saprebbe il Pontificio Governo, perché non avendoli fatto cedere alla Francia, ogni buon diritto avrebbe di reclamarne il ricuperamento». A p. CCLXXXIV ne segue un altro parimenti enigmatico («Io piuttosto dei codici ricuperati, che dovevano per cessione fattane da Pio VII restarsi in Parigi [si direbbe che qui il Marini non intenda parlare dei soli Virgilio e Terenzio, che ricorda subito dopo] e di quelli avuti oltre il numero, che ne perveniva, tenere posto [posso] un veritiero elenco»[)], che non c’illumina sui particolari. Del Vat. gr. 997 non parlano Marini e Delisle: l’Omont nel suo Inventaire sommaire des mss. grecs de la Bibl. Nationale, III, 253 lo indica senz’altro come appunto Vatican 99760). Dobbiamo riferire col Delisle (p. 498) che il cardinale Consalvi «avait recommandé à Canova et à Marini d’apporter beaucoup de modération dans l’accomplissement de leur mission; il les avait même autorisés à nous abandonner certains articles et à transiger dans certains cas avec les gardiens des collections françaises[»], come ha fatto, e più volte vi accenna il Marini nelle sue Memorie, il Canova? (28 marzo 1923) A. Mercati (Memoria presentata da me al S. Padre) A. Mercati L’insistenza sulla mancanza di autorizzazioni specifiche per le avvenute cessioni dei codici e sulla possibilità che ne derivava di chiederne le restituzioni fa pensare che, a più di un secolo dagli eventi, le autorità vaticane ancora accarezzassero il progetto di recuperare i manoscritti rimasti nelle mani dei Francesi. 59 Si tratta del Vat. gr. 1, sulla cui vicenda cfr. LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 90-92, 194, 205, 215, 216, 218, 224, 234. 60 H. OMONT, Inventaire sommaire des manuscrits grecs de la Bibliothèque Nationale et des autres bibliothèques de Paris et des départements, III, Paris 1888, pp. 252-253. Il manoscritto, ora segnato Paris, Bibliothèque Nationale de France, Suppl. gr. 352, è un miscellaneo cartaceo del secolo XIII (ma aperto da un frammento membranaceo, del secolo X, di Giovanni Mosco).

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I FRATELLI MERCATI E IL MONDO SCIENTIFICO DI LINGUA TEDESCA* 1. I primi contatti nella Roma di Leone XIII. – 2. La costruzione del rapporto. – 3. Giovanni Mercati e gli studiosi tedeschi negli anni Venti. – 4. Gli anni Trenta: il soccorso agli studiosi «ostracizzati». – 5. Il difficile dopoguerra: dalla parte degli sconfitti. – 6. La presenza tedesca nelle celebrazioni per Angelo (1940, 1952) e Giovanni Mercati (1946, 1956). – 7. La continuità di un legame. – Appendici. I. Lettera di Paul Fridolin Kehr a Giovanni Mercati (16 dicembre 1936). II. Pro memoria di Giovanni Mercati a proposito dell’impresa di Paul Fridolin Kehr (19 gennaio 1945). III. Lettera di Giovanni Mercati a Götz von Pölnitz (15 maggio 1948). IV. Note di Giovanni Mercati a proposito dello status degli istituti tedeschi di Roma e Firenze (estate 1949).

1. Il 14 dicembre 1943 il cardinale Bibliotecario e Archivista Giovanni Mercati cercò di scongiurare il trasferimento delle biblioteche tedesche di Roma oltre le Alpi deciso dalle autorità naziste. Rivolgendosi al direttore della Bibliotheca Hertziana Leo Bruhns, incaricato della preparazione dei volumi per il viaggio transalpino, in termini accorati il porporato evocò il trasporto, ritenuto pericolosissimo «nei momenti più avversi che si possano immaginare, per lunga via continuamente bombardata dagli aeroplani», delle «pregiatissime, impareggiabili biblioteche speciali», «autentico ornamento della Roma dotta»1. Le biblioteche, come è noto, partirono, ma * Testo della relazione al convegno «Orte der Zuflucht und personeller Netzwerke: Der Campo Santo Teutonico und der Vatikan 1933-1955. Luoghi di rifugio e di reti di relazione personali. Il Campo Santo Teutonico e il Vaticano 1933-1955», in occasione del CXXV anniversario dell’Istituto Romano della Società Görres (Città del Vaticano, Campo Santo Teutonico, 21-23 marzo 2013). Nel corso dell’articolo vengono anche citati documenti posteriori al 1939 appartenenti ai fondi Archivio della Biblioteca, Carte del card. Giovanni Mercati, Carteggi del card. Giovanni Mercati. Ringrazio mons. Cesare Pasini, prefetto della Biblioteca Vaticana, per il permesso di utilizzare documenti ancora non consultabili. Il testo vede la luce anche negli atti del convegno, in lingua tedesca ma senza le quattro Appendici. 1 Brani della lettera (della quale non è stato ancora individuato l’originale, una minuta o una copia, con il testo integrale) sono pubblicati nella premessa di A. ALBAREDA, in Biblioteche ospiti della Vaticana nella seconda guerra mondiale, col catalogo dei cimeli esposti nel Salone Sistino, Città del Vaticano 1945, pp. 5-10: 9; cfr. anche H. GOLDBRUNNER, Von der Casa Tarpea zur Via Aurelia Antica. Zur Geschichte der Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, in Das Deutsche Historische Institut in Rom 1888-1988, hrsg. von R. ELZE – A. ESCH, Tübingen 1990 (Bibliothek des Deutschen Historischen Institut in Rom, 70), pp. 33-86, 62, 84-85; «Nobile munus». Origini e primi sviluppi dell’Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia Storia e Storia dell’Arte in Roma (1946-1953). Per la storia della collaborazione internazionale a Roma nelle ricerche umanistiche nel secondo dopoguerra, a cura di E. BILLIG, C. NYLANDER Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XX, Città del Vaticano 2014, pp. 771-827.

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nelle parole di Mercati vi è il tributo di un uomo e di una generazione nei confronti di una tradizione di studi alla quale dovevano buona parte della loro formazione. Il ventitreenne Giovanni Mercati era stato inviato a Roma dalla nativa diocesi di Reggio Emilia poco dopo l’ordinazione sacerdotale (21 settembre 1889), per seguire, come alunno del Seminario Lombardo, i corsi dell’Università Gregoriana2. Nel mese di dicembre fu raggiunto dal fratello Angelo, ancora chierico. Per la formazione dei due fratelli più che la Gregoriana contò la frequentazione delle molteplici iniziative che allora animavano la Roma ecclesiastica: le «Conferenze della Società dei cultori di archeologia cristiana» (fondate da Giovanni Battista De Rossi nel 1875 e divenute col tempo una sorta di accademia con riunioni mensili a S. Carlo ai Catinari), le commemorazioni promosse dal «Collegium cultorum martyrum», gli incontri della Società di studi biblici (sorta nel 1889 a Propaganda Fide per iniziativa di Orazio Marucchi), le tornate dell’Accademia dell’Arcadia. Godendo della relativa libertà garantita dalla vita «extra collegia», i fratelli Mercati entrarono così in contatto col mondo degli studiosi cattolici fervidamente attivi a Roma durante il pontificato di Leone XIII che annoverava, fra gli altri, Hartmann Grisar e Joseph Wilpert. Fu nell’Urbe, ove convivevano l’Italia provinciale e il cosmopolitismo sovranazionale degli ambienti ecclesiastici e degli istituti storici e archeologici fondati dai vari paesi, che i due fratelli si aprirono alla conoscenza della ricerca internazionale, nella quale la Germania, al termine del «secolo della storia», faceva la parte del leone3. E fu allora che incominciarono a studiare e approfondire, probae P. VIAN, premessa di R. GUASCO, Roma 1996, pp. 5-6; G. BATTELLI, Le premesse dell’Unione. Collaborazione internazionale per il salvataggio dei beni culturali durante la seconda guerra mondiale e per la Bibliografia dell’Archivio Vaticano, ibid., pp. 199-210: 203-204; A. ESCH, Die deutschen Institutsbibliotheken nach dem Ende des Zweiten Weltkriegs und die Rolle der Unione degli Istituti: Internationalisierung, Italianisierung oder Rückgabe an Deutschland?, in Deutsche Forschungs- und Kulturinstitute in Rom in der Nachkriegszeit, hrsg. von M. MATHEUS, Tübingen 2007 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 112), pp. 67-98: 72; Ch. GRAFINGER, Beziehungen zwischen Vatikanischer Bibliothek und Deutschem Historischem Institut, ibid., pp. 127-137: 128-129; Th. FRÖHLICH, Das Deutsche Archäologische Institut in Rom in der Kriegs- und Nachkriegszeit bis zur Wiedereröffnung 1953, ibid., pp. 139-179: 155. 2 Per le biografie di Giovanni e Angelo Mercati, cfr. P. VIAN, «Non tam ferro quam calamo, non tam sanguine quam atramento». Un ricordo del card. Giovanni Mercati, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 396), pp. 393-459; ID., Mercati, Angelo e Mercati, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, LXXIII, Roma 2009, pp. 596-599, 599-603. Per il primo soggiorno romano dei due fratelli, M. MACCARRONE, Il primo soggiorno romano di Giovanni ed Angelo Mercati e la corrispondenza con Giovanni Battista De Rossi, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 41 (1987), pp. 26-78. 3 Per la diffusione della cultura tedesca negli anni della formazione dei Mercati, cfr. i diversi contributi raccolti in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana: 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, a cura di C. ANTONI e R. MATTIOLI,

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bilmente da autodidatti, la lingua tedesca che poco per volta dischiuse loro un continente vastissimo e straordinario di manuali, di monografie, di periodici. Scrivendo a Giuseppe Toniolo ai primi di maggio 1898, Giovanni Mercati ricordò come sin dagli anni del Seminario, lui e il fratello Angelo, si erano rivolti alla «Borromäusverein» per ottenere sconti su manuali come quello di teologia morale di August Lehmkuhl e sul Nomenclator literarius di Hugo Hurter4. E grande impressione lasciarono in Angelo le celebrazioni, nell’aprile 1892, per i settant’anni di Giovanni Battista De Rossi, nelle quali ebbero parte eminente, fra altri, Anton de Waal ed Eugen Petersen, Eugen Bormann e Friedrich Krüger, Christian Hülsen e Franz Xaver Kraus5. Ma il modello degli studi tedeschi fu percepito anche come antagonista e minaccioso nelle sue espressioni razionalistiche e protestanti, come mostra un appunto di Giovanni risalente al periodo milanese (1893-1898): «[…] pensa, se abbi a entrare in lotta con T[exte]. u. U[ntersuchungen]. ed eguali produzioni razionalistiche»6. Il rapporto dei fratelli Mercati col mondo scientifico di lingua tedesca, anche nelle sue espressioni in latino, appare così tanto remoto quanto profondo e ramificato; li accompagnò per tutta la vita e ne segnò le esistenze, sul duplice piano, come vedremo, dei rapporti personali e delle ricerche. 2. La costruzione del rapporto si approfondì negli anni successivi. Dopo il biennio romano (1889-1891), la prospettiva di Giovanni era quella di rientrare in diocesi, per servirla «per tutta la vita», cercando nel frattempo «di erudirmi alla meglio, — scriverà Mercati stesso nell’agosto 1947 in un suo «Lebenslauf» per l’Accademia Austriaca delle Scienze — in cittadina poco fornita di libri, nella storia e letteratura ecclesiastica, specialmente I-II, Napoli 1950. Per l’ambiente milanese, cfr. Milano e l’Accademia scientifico-letteraria. Studi in onore di Maurizio Vitale, a cura di G. BARBARISI, E. DECLEVA, S. MORGANA, I-II, Milano 2001 (Quaderni di Acme, 47). 4 P. VIAN, Giuseppe Toniolo e la Società Cattolica Italiana per gli Studi Scientifici. I rapporti con gli eruditi ambrosiani e vaticani (Ehrle, Mercati, Ratti: 1897-1900), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIX, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 474), pp. 569637: 585. 5 A. MERCATI, Corrispondenza sulle feste a G. B. De Rossi, in Il Reggianello 10 (1892), nrr. 17 e 18; cfr. Scritti di Mons. Angelo Mercati, in Miscellanea archivistica Angelo Mercati, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 165), pp. IX-XXVII: IX (sub nr. 5). Per le celebrazioni in onore di De Rossi, ove nutrita fu la partecipazione degli istituti e degli studiosi tedeschi, cfr. Albo dei sottoscrittori pel busto marmoreo del comm. G. B. De Rossi e relazione dell’inaugurazione fattane nei dì XX e XXV aprile MDCCCXCII sopra il cimitero di Callisto per festeggiare il settantesimo anno del principe della sacra archeologia, Roma 1892, pp. 75-180; P. M. BAUMGARTEN, Giovanni Battista De Rossi fondatore della scienza di archeologia sacra. Cenni biografici […]. Versione dalla lingua tedesca per G. BONAVENIA, Roma 1892, pp. 79-99. 6 G. MERCATI, Tre documenti, in Card. Giovanni – Mons. Angelo Mercati […]. Commemorazioni tenute il 23 ottobre 1982, Reggio Emilia 1985, pp. 30-33: 31.

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antica, di cui avevo preso maggior gusto a Roma, e di coltivare la storia locale»7. L’inopinata chiamata alla Biblioteca Ambrosiana di Milano (1893), la conoscenza con il suo prefetto Antonio Ceriani, le scoperte nei fondi manoscritti (prima fra tutte quella del Salterio esaplo nel palinsesto O.39.sup.) lo proiettarono inaspettatamente nelle ricerche bibliche e patristiche. Così nel 1894 si propose «di coltivare per tutta la vita il campo già vasto che mi si era aperto davanti agli occhi, e di supplire al difetto di una regolare adeguata preparazione scientifica, quale si fa nei seminari speciali delle Università meglio fornite sotto la guida dei maestri più esperti»8. L’impegno, accanto a Contardo Ferrini, per l’edizione di libri perduti dei Basilici, e in seguito del Tipucito, se rappresentò una diversione che lo portò «fuori del proposito molto al di là di ogni previsione e volontà»9, fu però un’ulteriore occasione per penetrare in una tradizione di studi dominata dalla ricerca tedesca, che non a caso sarà la stessa — con Franz Dölger, Stefania Hoermann, Erwin Seidl — alla quale Mercati affidò la continuazione dell’impresa dell’edizione del Tipucito10. Il passaggio di Giovanni in Biblioteca Vaticana (1898) non fece che ampliare la dimensione internazionale delle sue ricerche e dei suoi rapporti, già segnalata dalle recensioni a opere tedesche, soprattutto nella Rivista bibliografica italiana diretta da Salvatore Minocchi11 e dalla progressiva e sempre più fitta comparsa di corrispondenti di lingua tedesca nei carteggi: per citarne solo alcuni all’interno di una galleria ben più numerosa, Hugo Hurter (dal 1893), Franz Xaver Funk (dal 1894), Franz Steffens (dal 1894), Karl Krumbacher (dal 1895), Heinrich Finke (dal 1895), Franz Xaver Kraus (dal 1895), Guido Maria Dreves (dal 1896), Erich Klostermann (dal 1896), Johann Peter Kirsch (dal 1896), Eberhard Nestle (dal 1896), Albert Ehrhard (dal 1897), Adolf von Harnack (dal 1898), Hans Lietzmann (dal 1898), Hartmann Grisar (dal 1899)12. 7 P. VIAN, Un «Lebenslauf» del card. Giovanni Mercati per l’Accademia Austriaca delle Scienze di Vienna (agosto 1947), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 396), pp. 461-479: 464. 8 VIAN, Un «Lebenslauf» cit., p. 465. 9 VIAN, Un «Lebenslauf» cit., p. 465. 10 Μ. Κριτοῦ τοῦ Πατζῆ Τιπούκειτος. Librorum LX Basilicorum summarium. Libros XIIIXXIII, edidit F. DOELGER, Roma 1929 (Studi e testi, 51); […], Libros XXIV-XXXVIII, ediderunt S. HOERMANN, nata de STEPSKI-DOLIWA et E. SEIDL […], Città del Vaticano 1943 (Studi e testi, 107); […] Libros XXXIX-XLVIII, […],[…] 1955 (Studi e testi, 179); […] Libros XLIX-LX, […],[…] 1957 (Studi e testi, 193). Per l’impegno sui testi di diritto bizantino e per la collaborazione con gli studiosi tedeschi, cfr. VIAN, Un «Lebenslauf» cit., pp. 465-468. 11 Bibliografia degli scritti del cardinale Giovanni Mercati (1890-1956), a cura di A. CAMPANA, Città del Vaticano 1957, pp. 11 (nrr. 22, 26, 27, 28), 12 (nrr. 31, 32), 14 (nrr. 48, 49), 15 (nrr. 51, 52), 18 (nr. 73). 12 Per la presenza di corrispondenti tedeschi nei carteggi di Giovanni Mercati, cfr. Carteggi del card. Giovanni Mercati, I: 1889-1936, introduzione, inventario e indici a cura di P. VIAN,

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Diverso, ma con lo stesso esito, fu l’itinerario di Angelo. Rientrato in diocesi e ordinato il 9 aprile 1893, divenne insegnante di dogmatica e di storia della Chiesa nei seminari di Marola (1893-1896) e Reggio Emilia (1896-1911), proponendosi di diffondere nel clero italiano gli strumenti più elementari del metodo storico-critico per elevarne la formazione. Si inserisce in questo periodo un’intensa attività di traduttore, che si affianca a collaborazioni a giornali (come Il Reggianello e L’osservatore romano) e periodici (come la Rivista bibliografica italiana), con recensioni e segnalazioni di nuove pubblicazioni, soprattutto straniere, nel campo delle ricerche storiche, archeologiche e teologiche. Le opere sono largamente in tedesco. Dell’ottantina di recensioni pubblicate in diverse sedi fra il 1891 e il 1919, poco meno della metà riguardano pubblicazioni in tedesco, di autore tedesco o austriaco o stampate in paese di lingua tedesca13. Una predilezione che appare evidente anche nelle traduzioni. In pochi anni Angelo tradusse, soprattutto per le edizioni romane di Pustet e di Desclée, Roma alla fine del mondo antico di Hartmann Grisar (1899; 19082; 19303), L’origine dello Stato della Chiesa di Gustav Schnürer (1899), i tre volumi della Patrologia di Otto Bardenhewer (1903), Le pitture delle catacombe romane di Joseph Wilpert (1903), Liturgia romana e liturgia dell’Esarcato di Anton Baumstark (1904), Papa Pio X di Joseph Schmidlin (1904), Lutero e il luteranesimo nel suo primo sviluppo di Heinrich Denifle (1905), Francesco d’Assisi ancora di Schnürer (1907), L’anno ecclesiastico e le feste dei santi nel loro svolgimento storico di Karl Adam Heinrich Kellner (1906), i primi tre volumi della Storia dei papi di Ludwig von Pastor (1908-1924), pubblicando anche un volume supplementare di aggiornamento (1931) sulla nuova edizione tedesca14. Nella varietà dei titoli e degli autori unico appare l’intento di queste e altre iniziative di Angelo, quello di «diffondere il senso della critica storica nel campo delle ricerche ecclesiastiche»15. Ma come mostra il carteggio (1892-1903) con Alfred Loisy, intrapreso quando quest’ultimo era ancora docente all’Institut Catholique di Parigi e di cui aveva recensito su L’osservatore romano fra il 1892 e il 1893 i primi scritti sulla formazione del canone dell’Antico e del Nuovo Testamento, Angelo affermava, nella scelta stessa degli autori, una decisa fedeltà alla Chiesa e una ferma adesione alle direttive della gerarchia, sotto il segno di un «romanesimo assoluto», Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 413; Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti, 7), pp. 617-664 («Indice dei nomi»). 13 Scritti di Mons. Angelo Mercati cit., pp. XXII-XXVI. 14 Scritti di Mons. Angelo Mercati cit., pp. XXVI-XXVII. 15 G. BATTELLI, Ricordo di mons. Angelo Mercati, in Card. Giovanni – Mons. Angelo Mercati cit., pp. 35-49: 43.

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come ebbe a esprimersi lo stesso Angelo in una lettera a Leone Tondelli del 190716. Angelo cercò allora di individuare una via media fra il conservatorismo di quanti negavano le esigenze della storia e il modernismo di quanti non consideravano quelle della rivelazione e della teologia: gli autori tedeschi del suo repertorio erano appunto un esempio di questo equilibrio raggiunto e da conservare. Impegnato nelle attività della diocesi e del cattolicesimo sociale, ma costretto con sofferenza a vivere in un «centro ascientifico» nel quale doveva procurarsi con difficoltà tutti i materiali di studio (come scriverà al Pastor il 3 settembre 1908 all’interno di una corrispondenza che già denota confidenza17), Angelo visse anche momenti di difficoltà negli ambienti cattolici di Reggio Emilia che lo spinsero a chiedere al suo vescovo il permesso di ritirarsi nella parrocchia montana di Ospitaletto, rinunciando al suo progetto di prosecuzione degli studi e di formazione del clero italiano. Il desiderio non venne assecondato; ma il fratello Giovanni riuscì a ottenere anche per lui la nomina a «scrittore» della Vaticana (28 giugno 1911): una svolta nella sua vita che innalzò il livello delle ricerche di Angelo ampliandone gli orizzonti. Che questi orizzonti fossero per i fratelli Mercati eminentemente tedeschi lo dimostra anche l’approdo dell’inquieto pellegrinaggio del fratello minore di Giovanni e Angelo, il bizantinista Silvio Giuseppe18. Dopo gli studi all’Accademia scientifico-letteraria di Milano (1896-1897) e nelle università di Napoli (1897-1898), Roma (1899-1900) e Bologna (1900-1901), nel triennio 1907-1909 «Peppino» (come era usualmente chiamato) si recò in Germania a perfezionarsi nella filologia classica e medievale, frequentando corsi di filologia per due semestri presso l’Università di Gottinga (ove ebbe a maestro Wilhelm Meyer) e per tre semestri presso l’Università di Monaco, alla scuola di Karl Krumbacher, fondatore della bizantinistica moderna. E i primi due articoli pubblicati da Silvio Giuseppe fra il 1908 e 1909 saranno nella Byzantinische Zeitschrift, rivista che aveva già ospitato contributi del fratello Giovanni19.

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BATTELLI, Ricordo di mons. Angelo Mercati cit., p. 49 nt. 34. Sei lettere, fra il 19 agosto 1906 e l’11 ottobre 1909, sono pubblicate in A. MERCATI, Lettere a L. von Pastor, in Card. Giovanni – Mons. Angelo Mercati cit., pp. 50-57. Il passo citato è a p. 55. 18 P. VIAN, Mercati, Giuseppe (Silvio Giuseppe), in Dizionario biografico degli italiani, LXXIII, Roma 2009, pp. 605-606. 19 Bibliografia di S. G. Mercati, in S. G. MERCATI, Collectanea Byzantina, con introduzione e a cura di A. ACCONCIA LONGO, prefazione di G. SCHIRÒ, II, Bari 1970, pp. 781-800: 781 (nrr. 1, 2). Il primo articolo di Giovanni nella Byzantinische Zeitschrift fu pubblicato nel 1897; era stato preceduto nel 1896 da una nota nella Theologische Quartalschrift, cfr. Bibliografia degli scritti cit., pp. 13 (nr. 39), 14 (nr. 43). 17

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3. Solo alla luce di questo profondo rapporto costruito dai fratelli Mercati con le ricerche tedesche, fra gli anni Novanta dell’Ottocento e i primi decenni del nuovo secolo, le vicende successive divengono comprensibili. Estranei per temperamento alle sbornie nazionalistiche e visceralmente antitedesche degli anni del primo conflitto, Giovanni e Angelo vissero il primo, difficile dopoguerra da posizioni di crescente responsabilità. Giovanni nel 1919 era divenuto prefetto della Biblioteca Vaticana; sei anni dopo, nel 1925, Angelo lo divenne dell’Archivio Vaticano. Proprio nelle sale della Biblioteca e dell’Archivio (a lungo dominate dalla figura di uno studioso tedesco, Franz Ehrle, che del rinnovamento impresso da Leone XIII ai due istituti fu il vero artefice) si stabilì definitivamente il rapporto dei Mercati coi ricercatori tedeschi e austriaci20. Per Angelo esso poté talvolta anche assumere la forma di scontro, come nel caso dell’espulsione dall’Archivio nel maggio 1930 di Hubert Bastgen, legato al Römisches Institut der Görres-Gesellschaft, reo della sottrazione di alcuni documenti21. Ma il più delle volte prese l’aspetto di cordiale colleganza (come avvenne, all’interno dell’Archivio, con Bruno Katterbach, Paul Melchior Krieg, Joseph Marx, in parte gravitanti intorno al Campo Santo Teutonico22) e di collaborazione (come, dall’inizio degli anni Trenta, nella bibliografia dell’Archivio Vaticano23). Naturale che i molti studiosi tedeschi incontrati negli anni precedenti 20 Per la vicenda della frizione (1902-1903) fra Ludwig von Pastor e Achille Ratti, nella quale Franz Ehrle e Giovanni Mercati svolsero un decisivo ruolo di mediazione, cfr. P. VIAN, La «grossa guerra» fra Ludwig von Pastor e Achille Ratti (1902-1903). Una contesa archivistica fra uno storico dei papi e un futuro papa, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 353-377. Al termine del suo lavoro in Archivio e in Biblioteca, Pastor nei suoi diari (27 giugno 1922) scrisse: «Dankerfüllten Herzens gedenke ich an diesem Tage der Herren des Archivs und der Bibliothek, die mir meine Arbeit stets erleichterten Msgr. Giovanni Mercati und Angelo Mercati, die ich zu meinen Freunden zählen darf, werde ich nie vergessen», L. von PASTOR, Tagebücher – Briefe – Erinnerungen, hrsg. von W. WÜHR, Heidelberg 1950, p. 748 (per rapporti con Angelo e Giovanni cfr. anche ibid., pp. 705, 787, 834). Ma si può anche ricordare l’intensa e stretta collaborazione di Mercati col gesuita tedesco Joseph Fischer (1858-1944) per la «grande opera […] sulla Geografia di Claudio Tolomeo» (Urb. gr. 82), che vide la luce nel 1932, cfr. VIAN, Un «Lebenslauf» cit., pp. 472-473. 21 Per l’episodio, cfr. S. PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati (1925-1955). Con notizie d’ufficio dai suoi Diari, in Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, Città del Vaticano 2011 (Collectanea Archivi Vaticani, 84), pp. 3-155: 49, 50. Nella vicenda il card. Ehrle avrebbe assunto un atteggiamento più morbido, deplorato da Mercati. Per altri rapporti con studiosi tedeschi cfr. ibid., pp. 68 (24 ottobre 1932), 92 (25 aprile 1936). 22 PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., pp. 18-19 e passim. 23 PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., pp. 47, 53; BATTELLI, Le premesse dell’Unione, pp. 205-210.

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nelle sale dei due istituti o entrati in contatto per corrispondenza si rivolgessero, nei tragici anni della Repubblica di Weimar (1919-1933), ai fratelli Mercati per chiedere aiuto. Il caso più significativo è quello di Paul Fridolin Kehr (in corrispondenza con Giovanni Mercati dal settembre 189724), che nel 1919 aveva assunto la presidenza dei Monumenta Germaniae Historica e negli anni Venti cumulava anche le direzioni dell’Istituto Storico Germanico di Roma (dal 1924) e degli archivi prussiani. Da tale posizione strategica, per almeno un decennio (la prima lettera di denuncia della situazione è del 17 febbraio 1922), Kehr informò costantemente Mercati della drammatica situazione dei ricercatori tedeschi, vittime della svalutazione monetaria, della rovina economica, del dissolvimento dell’autorità dello Stato25. Alle richieste di aiuto Mercati rispose su diversi piani. Innanzitutto ottenendo per ricercatori e pubblicazioni tedeschi il prestito di codici e documenti da biblioteche e archivi, procurando fotografie, fornendo lettere di presentazione per numerosi vescovi italiani. In secondo luogo, assicurando un aiuto economico a pubblicazioni di studiosi tedeschi, come le Inscriptiones Latinae Christianae Veteres (1925-1931) di Ernst Diehl, Le chiese di Roma (1927) di Christian Hülsen e l’edizione dei Moralia di Plutarco (1925) di Max Pohlenz; oppure offrendo l’ospitalità della collana editoriale della Biblioteca Vaticana, «Studi e testi», al grande lavoro di Albert Ehrhard sulla tradizione manoscritta della letteratura agiografica e omiletica della Chiesa greca. Ma Mercati fece anche di più. Alla fine di dicembre 1922, d’intesa con Franz Ehrle, da poche settimane creato cardinale, il prefetto della Vaticana scrisse a Elias Avery Lowe, un ebreo lituano che era stato allievo di Ludwig Traube a Monaco e dal 1914 insegnava a Oxford, a proposito della necessità di aiutare gli studiosi tedeschi e austriaci in difficoltà26. Lowe rispose il 1° gennaio 1923 sottolineando la difficoltà di ricevere aiuti da istituzioni e proponendo come più conveniente il coinvolgimento di singoli 24 La prima lettera conservata di Kehr a Giovanni Mercati risale al 13 settembre 1897, Carteggi del card. Giovanni Mercati, I, cit., p. 35 (nr. 558). 25 P. VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati per gli studiosi perseguitati per motivi razziali. L’appello alle università americane (15 dicembre 1938), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 427-500: 446-459. I rapporti di Kehr e Mercati vanno considerati, quasi in controluce, insieme a quelli di Kehr e Pio XI, per i quali cfr. M. F. FELDKAMP, Pius XI. und Paul Fridolin Kehr. Begegnungen zweier Gelehrter, in Archivum historiae pontificiae 32 (1994), pp. 293-327 (alle pp. 307, 320, 326, menzioni dei fratelli Mercati). 26 P. VIAN, Il paleografo e il monsignore. Elias Avery Lowe, Giovanni Mercati e un’esperienza di solidarietà internazionale negli studi umanistici nel primo dopoguerra, in Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia Storia e Storia dell’Arte in Roma. Annuario, 43: 2001-2002, Roma 2001, pp. 217-231.

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docenti americani e inglesi — «men like myself who took degrees in Germany» — che sentivano di essere in debito verso gli studiosi tedeschi. Pio XI avrebbe potuto raccomandare l’atto come «good and pious», con una dichiarazione allo stesso Ehrle o al cardinale Bibliotecario, il benedettino inglese Aidan Gasquet. Nella primavera 1923 l’iniziativa prese forma con la stesura di un appello a stampa diffuso in forma di circolare, con la costituzione di un fondo patrocinato da un comitato promotore, alimentato da offerte private e amministrato da un comitato esecutivo, che avrebbe concretamente assegnato i sussidi sulla base delle richieste pervenute. Poco sappiamo sull’effettivo successo del «fondo di Loew» (come lo definì nel luglio 1924 il gesuita Carlos Silva-Tarouca), del quale per esempio si giovò Eduard Schwartz, l’editore degli Acta Oecumenicorum Conciliorum. Ma al di là dell’apparente modestia delle sue proporzioni, l’iniziativa assume una particolare importanza, non solo come riaffermazione della «res publica literaria» nell’Europa dilaniata dagli odi nazionalistici ma anche come prova generale di quanto sarebbe accaduto una quindicina di anni dopo. Ancora nel 1924 Mercati fu il grande protagonista dei Miscellanea Francesco Ehrle, che fra i loro obiettivi avevano certo quello di rendere onore a uno studioso tedesco attraverso gli articoli di suoi connazionali, alle prese con una devastante crisi economica, politica, sociale e culturale che impediva loro perfino di pubblicare i risultati delle ricerche compiute27. Va notato come in questo costante sforzo di aiuto agli studi e agli studiosi Mercati fosse ritenuto superiore a «tutti quei tristi odj nazionali che disturbano la povera nostra Europa»28. Le parole sono di Anton Baumstark in lettera a Mercati del 14 dicembre 1922; e non a caso per un quesito l’orientalista tedesco si rivolse a Mercati e non a Eugène Tisserant che pure, «ratione subiecti» e per un’amicizia intessuta in anni precedenti a Gerusalemme, sarebbe stato l’interlocutore più indicato: «[…] non sono sicuro — spiegava infatti Baumstark — che in lui le vicende politiche dal 1914 in poi non abbiano cambiato gli antichi sensi di benevolenza […]»29. Ed è altrettanto interessante registrare le motivazioni per la risposta positiva che Mercati, nel dicembre 1923, diede a un quesito del Sostituto della Segrete-

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P. VIAN, Collaborazione degli istituti prima dell’Unione: i «Miscellanea Francesco Ehrle» (1924), in Unione Internazionale […]. Annuario, 41: 1999-2000, Roma 1999, pp. 191-208. 28 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., p. 453. 29 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., p. 453. Anche in seguito Tisserant fu ritenuto, da parte tedesca, un avversario, come mostra il parere di Friedrich Bock, secondo segretario dell’Istituto Storico Germanico in Roma, pubblicato in H. JEDIN, Storia della mia vita, a cura di K. REPGEN, con un’appendice di documenti, Brescia 1987 [ed. originale: 1984], pp. 349-350; cfr. anche ibid., p. 121.

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ria di Stato Giuseppe Pizzardo a proposito della richiesta di un consistente sussidio per la continuazione di varie riviste tedesche: è nell’interesse della Chiesa ancor più che della pura scienza il fare degli sforzi perché non cessino del tutto i periodici cattolici tedeschi per le scienze teologiche ed affini. Altrimenti il clero resterà indietro …, si disamorerà dello studio, si divezzerà dalla ricerca e produzione scientifica e ne verrà una decadenza grave. Aiutando ora la decadenza sarà minore, e meno difficile in seguito il ripigliare: il clero tedesco, che finora ha apprezzato moltissimo, forse anche eccessivamente, gli studi d’erudizione e li considerava quasi un vanto suo proprio, resterà più affezionato a Roma; finalmente sarà più agevole e sentito il consiglio di qui per un miglioramento nello spirito di qualche periodico troppo largo e per una scelta più giudiziosa dei direttori e degli scritti. Ma grande misura e criterio30.

Dunque, il soccorso alle riviste cattoliche tedesche come servizio alla scienza ma anche come contrasto alla decadenza degli studi ecclesiastici e come premessa per garantire una linea più sicura e ortodossa nelle pubblicazioni. Come spesso capita in Mercati, il perseguimento di un obiettivo poteva tradursi in una benefica molteplicità di risultati. 4. L’ultima, angosciata lettera di Kehr a Giovanni Mercati sulle difficoltà degli studi tedeschi è del 17 luglio 193231. Un anno dopo, nei carteggi, compare un altro genere di sofferenze, quelle denunciate da studiosi tedeschi di origine ebraica «ostracizzati» dal regime nazista, alla disperata ricerca di una nuova collocazione per non vanificare il loro patrimonio di conoscenze. Il primo caso a presentarsi fu quello di Richard Walzer che Mercati aveva incontrato nel 1928, presentatogli da Werner Jaeger per la collazione dei manoscritti dell’Etica a Eudemo in vista della nuova edizione promossa dall’Accademia berlinese delle Scienze32. Appena colpito dalle leggi razziali, poco prima del 25 ottobre 1933, Walzer espose il suo caso chiedendo aiuto. Quasi contemporaneamente, il 20 ottobre 1933, Friedrich Lenz (che da poco aveva dovuto abbandonare l’originale cognome Levy) mise a disposizione di Mercati le sue conoscenze dei manoscritti di Aristide per la catalogazione dei codici vaticani33. Per entrambi la risposta di 30

VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., p. 457. Ibid., p. 452. 32 Ibid., pp. 485-486. 33 Ibid., pp. 480-483. Per il caso di Lenz, cfr. anche A. CAPRISTO, «Messi inumanamente al bando della società civile». Il card. Giovanni Mercati in aiuto degli studiosi colpiti dalla persecuzione antiebraica, in corso di pubblicazione negli atti del convegno «I fratelli Mercati nella storia e nella cultura del Novecento» (Roteglia [Reggio Emilia], 13-14 ottobre 2012). Capristo integra e completa, con documenti di archivi italiani, americani e vaticani, le analisi intraprese nel 2002 sulla base dei Carteggi del card. Giovanni Mercati. 31

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Mercati fu negativa. Il Carnegie Endowment for International Peace (che in quegli anni aiutava la Vaticana nella seconda fase della sua modernizzazione) aveva ridotto gli stanziamenti e il prefetto, dal 1930, non si occupava più del personale e dell’amministrazione. Ma per entrambi Mercati incominciò a spendere tutta la sua autorità per trovare loro una collocazione esterna, inaugurando un impegno che per anni non ebbe requie. Per Lenz Mercati scrisse a un comitato olandese, poi a diverse istituzioni americane, probabilmente parlando del caso anche a Pio XI il 18 ottobre 1936. Di Walzer illustrò la situazione ad Agostino Gemelli nell’estate 1938 ma ricavandone modesti risultati poiché il francescano non poteva entrare in urto con i suoi interlocutori italiani. Nel frattempo, però, la Vaticana andava riempiendosi di «collaboratori scientifici» che provenivano, più o meno, dalle stesse situazioni di Walzer e Lenz. Nel 1934 ebbero l’ambito titolo, con le provvide conseguenze pratiche per la tutela delle persone, Jakob Hess, per l’edizione delle Vite di Giovanni Baglione34, e Stephan Kuttner, per studi canonistici35; nel 1941 Charlotte Busch, figlia di una Mendelssohn-Bartholdy e pianista, per la catalogazione di manoscritti musicali della Cappella Sistina, della Cappella Giulia e di altri fondi vaticani36. Ma ben più numerosi furono gli studiosi di lingua tedesca per i quali Giovanni Mercati, sempre d’intesa col fratello Angelo, si adoperò, da Paul Oskar Kristeller37 a Gerhart B. Ladner38. Quando la collocazione, anche temporanea, in Vaticana non risultava possibile (perché non vi erano posti disponibili o perché il campo di ricerca non era compatibile con l’impiego in Vaticana), Mercati si impegnò in tutti i modi per raccomandare il caso all’esterno, il più delle volte a università americane. Quello di Kuttner si direbbe il caso per cui Mercati, la Vaticana ma 34 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 468-469; CAPRISTO, «Messi inumanamente al bando» cit. 35 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 476-478; CAPRISTO, «Messi inumanamente al bando» cit. Su Kuttner, cfr. ora L. SCHMUGGE, Stephan Kuttner (1907-1996): The ‘Pope’ of Canon Law Studies: Between Germany, the Vatican and the USA, in Bulletin of Medieval Canon Law 30 (2013), pp. 141-165 [testo della relazione al convegno vaticano del marzo 2013]. 36 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., p. 463. Il 17 dicembre 1946, la Busch, formulando al cardinale gli auguri per gli ottant’anni, espresse «la mia profonda e sempre viva riconoscenza per la grande bontà e comprensione che Vostra Eminenza mi ha dimostrato in momenti spiritualmente e materialmente difficile [sic] della mia vita, dandomi un aiuto che mi pareva come un’ancora a cui tenermi», Biblioteca Vaticana, Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946), f.n.n. 37 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 472-476; CAPRISTO, «Messi inumanamente al bando» cit. 38 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 479-480.

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anche il Papa in prima persona più si impegnarono. «Collaboratore scientifico» della Vaticana con fondi direttamente erogati da Pio XI, inserito con un insegnamento nell’Università Lateranense, a lui si continuò a pensare anche in anni successivi per un impiego stabile come «scrittore latino», ruolo che gli venne addirittura offerto nel gennaio 1946 quando ormai da tempo Kuttner si era insediato negli Stati Uniti. Il motivo di questa preferenza particolare (nell’estate 1937 Mercati addirittura condusse Kuttner a Castel Gandolfo per presentare al Papa il Repertorium der Kanonistik da poco uscito) va senz’altro individuato nella disciplina studiata da Kuttner, la storia del diritto canonico, di interesse vitale per la Chiesa cattolica che già allora ne avvertiva il declino ma anche fondamentale per una biblioteca ricca di manoscritti canonistici come la Vaticana. Nel senso opposto giocarono invece gli interessi di Hubert Jedin39: la storia del Concilio di Trento non poteva permettergli la disponibilità a un lavoro per la Vaticana. Nel suo caso però, il 23 aprile 1939, Mercati si impegnò a provvedergli personalmente, vita natural durante, una pensione mensile perché potesse attendere alla grande opera. Lo stesso coinvolgimento personale di Mercati si verificò nel caso di Erik Peterson40, peraltro giunto a Roma per motivi diversi dall’ostracismo razziale ma anche lui senz’altro una «displaced person». Fra il 1930 e il 1939, nei difficili anni della ricerca di una collocazione nell’Urbe, fu Mercati ad aiutare direttamente Peterson, che il 1° ottobre 1939 divenne «collaboratore scientifico» della Vaticana e per il quale Mercati si impegnò con determinazione nella ricerca di un insegnamento nel Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. L’aiuto concreto, di pacchi di viveri, continuò e divenne più importante dopo la fine della guerra, quando il ritorno a Roma del benedettino Kunibert Mohlberg (che all’Istituto di Archeologia Cristiana occupava la cattedra di «Storia antica della Chiesa, della Liturgia e Agiografia») creò serie difficoltà a Peterson, che il 7 dicembre 1946 poteva scrivere a Wilhelm Neuss: «Mercati […] è l’unico in Vaticano a prendersi cura di me; purtroppo non ha una grande influenza»41. 39

Ibid., pp. 469-472. S. HEID, L’insegnamento di Erik Peterson al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, in Erik Peterson. La presenza teologica di un outsider, a cura di G. CARONELLO, Città del Vaticano 2012 (Pontificia Academia Theologica. Itineraria, 7), pp. 53-67: 56-57, 63. Era stato Mercati a chiamare a Roma Mohlberg nel 1924 per gli studi sui Sacramentari. Per il rapporto fra Mercati e Peterson cfr. anche R. FARINA, Un riconoscimento dovuto: Erik Peterson e la Biblioteca Apostolica Vaticana, ibid., pp. 23-38. 41 Cfr. le lettere (solitamente messaggi molto brevi, con poche parole di ringraziamento) di Peterson a Giovanni Mercati: 14 ottobre 1946; 31 ottobre 1946 (ma dovrebbe essere in realtà: 31 dicembre 1946); 16 dicembre 1946; 18 giugno 1947; 8 agosto 1947; 4 ottobre 1947; 7 dicembre 1947; 27 marzo 1948; 1° maggio 1948; 22 dicembre 1948. Cfr. anche il messaggio della moglie di Peterson, Matilde Peterson Bertini, Roma, 5 marzo 1949. Il 17 novembre 1946, 40

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Il soccorso prestato in quegli anni da Mercati (ma potremmo dire anche dai Mercati, tanta era l’intesa e il continuo confronto fra i due fratelli, che condividevano inoltre la stessa casa) non fu solo rivolto a studiosi di lingua tedesca perché riguardò anche italiani come Roberto Almagià, Umberto Cassuto, Gaetano De Sanctis, Anna Maria Enriques, Giorgio Falco e Giorgio Levi Della Vida42. Ma furono gli studiosi tedeschi «ostracizzati» dal loro paese a essere al centro delle parole pronunciate da Mercati il 17 giugno 1936 (dunque prima dell’applicazione delle leggi razziali in Italia), al momento dell’imposizione della berretta cardinalizia43. La Germania non venne allora mai evocata ma evidente è il riferimento nell’accenno «all’esclusivismo ingeneroso o di razza o di nazione», componente di quelle «multiformi barbarie nuove» che, «in veste di civiltà la più progredita […] con la folle arroganza di essere la misura, anzi la fonte unica della verità e del diritto e l’unica salvezza degli Stati e della Umanità», annientano «al libito di prepotenti, quasi fossero Dio, la personalità e libertà umana riducendo tutti a un gregge di schiavi». Mercati fece però, nuovamente, ancora di più. Negli ultimi giorni del 1938, nella sua qualità di Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa, stese un appello alle università americane perché accogliessero i ricerda Roma, il gesuita Augustin Bea aveva raccomandato il caso di Peterson a Mercati: sino a quel momento Peterson aveva occupato al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana il posto di Mohlberg, percependone l’onorario che copriva un quarto delle spese familiari; col ritorno di Mohlberg a Roma, Peterson aveva perduto l’insegnamento e si trovava senza mezzi, con moglie e cinque figli. Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946); cont. 64 (an. 1947); cont. 65 (an. 1948); cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn. 42 Per i casi citati, cfr. VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 461-462, 463-464, 464-466, 466-468, 483-484. Per De Sanctis, cfr. P. VIAN, Un «provvedimento segreto». La carità di Pio XII per Gaetano De Sanctis, in Strenna dei Romanisti, [LXVII], Roma 2006, pp. 669-685. Per Almagià e Levi Della Vida cfr. anche CAPRISTO, «Messi inumanamente al bando» cit. 43 VIAN, «Non tam ferro quam calamo» cit., pp. 424-425. CAPRISTO, «Messi inumanamente al bando» cit., nota giustamente che un passo del discorso del 17 giugno 1936 (laddove ricorda la volontà di Pio XI affinché «fra le tante confusioni e divisioni odierne si mantenesse all’ombra di San Pietro, come un’oasi di pace, una città di studi, dove senza distinzione di nazione, di razza e d’altro potessero convenire e sentirsi a loro agio quali ospiti benvenuti e vi divenissero come concittadini i veri studiosi d’ogni parte») costituisce un chiaro riferimento all’accoglienza allora offerta dalle istituzioni vaticane (oltre la Biblioteca Vaticana, la Pontificia Accademia delle Scienze, nella cui prima fase ancora determinante fu il ruolo di Mercati) a tutti i «veri studiosi», senza pregiudizi di carattere nazionale, «razziale» o confessionale. E tale accoglienza era esplicitamente ricollegata al volere del Papa, che Mercati informava di tutti i suoi passi. Le parole del 17 giugno 1936 furono probabilmente all’origine della non cooptazione di Mercati, nel 1937, nell’Accademia d’Italia, cfr. A. CAPRISTO, Il caso della mancata nomina del cardinal Mercati all’Accademia d’Italia nel 1937, relazione tenuta al congresso internazionale di studi storici «Studio e insegnamento della storia della Chiesa. Bilanci e prospettive per nuove letture», Roma, Pontificia Università Gregoriana, 17-19 aprile 2008; e ora in corso di pubblicazione negli atti del convegno di Roteglia (cfr. supra, nt. 33).

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catori tedeschi di origine ebraica «ostracizzati» dai loro paesi44. Un suggerimento in questo senso gli era venuto da Jedin il 10 luglio 1938 ed era stato ripetuto, a nome di Kristeller, da Augusto Campana il 3 ottobre 1938. Ma la genesi più ravvicinata dell’iniziativa va ancora una volta ricercata, come negli anni Venti, nel rapporto con Lowe. Mercati nel settembre 1938 aveva parlato al paleografo di due «refugee professors» da sistemare negli Stati Uniti e Lowe il 22 novembre 1938 chiese al cardinale una lettera da mostrare a possibili benefattori. Tutto precisamente avveniva come nel 1923. Fu l’appello che Mercati trasmise a Lowe il 15 dicembre 1938. Il cardinale nel frattempo si era mosso presso la Segreteria di Stato e l’11 dicembre 1938 ottenne risposta che in Irlanda si sarebbe potuto collocare un cattolico, mentre in Lituania «si potrà sistemare qualche professore di origine ebraica» ma con «possibilità di riuscita» solo «nel campo delle scienze sperimentali». Il 29 dicembre fu aggiunto che il governo peruviano concedeva «tre posti» in «cattedre di lingua» nell’Università centrale di Lima. Anche del testo preparato Mercati informò la Segreteria di Stato. Giunto a conoscenza dell’appello, Pio XI lo fece suo e il 10 gennaio 1939, un mese prima della morte, dispose che il documento, tradotto in latino e leggermente modificato, fosse inviato ai cardinali di Boston, Philadelphia, Chicago e Québec (New York era allora sede vacante), accompagnato da una sua lettera personale nella quale raccomandava la segnalazione credendo che «a Nostro Signore Gesù Cristo non dispiacerà questa cura e buon ufficio per coloro che appartengono a quello che fu già il suo popolo e per cui egli pianse e sulla Croce stessa invocò misericordia e perdono». Un giorno prima, il 9 gennaio 1939, il segretario di Stato Eugenio Pacelli inviò, su ordine del Papa, un dispaccio-circolare a una cinquantina di arcivescovi raccomandando l’istituzione di comitati per favorire l’emigrazione dalla Germania e la sistemazione in altri paesi, con ogni forma di assistenza, di circa 200.000 «cattolici non ariani». Nel caso degli studiosi ebrei la Santa Sede operava dunque sui «piccoli numeri», per i «cattolici non ariani» su quantità ben più considerevoli. Ma l’impegno appare lo stesso. Nella lettera a Lowe del 15 dicembre 1938, di accompagnamento dell’appello, Mercati si dichiarò consapevole che «la prima parte» del suo testo «solleverebbe un putiferio, se fosse pubblicata, e vi si vedrebbe un atto di denigrazione calunniosa, e se ne prenderebbe pretesto a chi sa quali eccessi. Sarà quindi prudente che la lettera intera sia riservata a quelli che debbono essere sollecitati a prendere in considerazione la cosa, e non data 44 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 427-441; CAPRISTO, «Messi inumanamente al bando» cit. L’appello, come precedentemente le parole del 17 giugno 1936, ci offrono la chiave per comprendere lo spirito dell’opera, silenziosa, di Mercati per gli studiosi perseguitati.

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in pasto al gran pubblico»45. D’altra parte, soggiungeva Mercati, «Quella prima parte è essenziale, perché fa vedere l’impossibilità di lavorare scientificamente in quelle condizioni»46. Il timore di un fraintendimento, forse di una strumentalizzazione del testo, era talmente vivo in Mercati che nell’ultima parte dell’appello, quasi a mostrare che il suo intervento non nasceva da considerazioni ideologiche, politiche o nazionali, ricordò che «[…] nel tempo più triste dell’assedio, e poi della depressione e penuria della Germania», si era adoperato per aiutare «imprese scientifiche di tedeschi», «sia coll’opera propria, sia col mendicare e trasmettere sussidi»47. Era un esplicito rinvio agli sforzi degli anni Venti per gli studi e per gli studiosi tedeschi. E proprio in considerazione di quegli interventi del decennio precedente Mercati, in piena continuità, si sentiva ora legittimato a intervenire per «altri seri cultori in pena, di quelle medesime discipline»48. Dunque, sembrava implicitamente spiegare il cardinale, non da sentimenti antitedeschi o specificamente antinazisti erano motivati i suoi interventi degli anni Trenta ma dalla difesa della dignità umana e per l’utilità della scienza, gli stessi moventi che l’avevano spinto negli anni Venti49. Le preoccupazioni di Mercati a proposito del possibile «putiferio» che sarebbe potuto scaturire dal testo furono condivise al momento della traduzione latina; di fatto, essa «sembra attenuare […] i toni più vivaci e accesi»50 del testo, mentre sviluppa più ampiamente il tema dell’utilità re45 Il testo della lettera in VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 437-438. Le frasi citate a p. 437. Anche nell’appello Mercati si guardò bene dal citare esplicitamente la Germania: «Ora che in Europa sommariamente si ostracizzano uomini anche di valore e di benemerenze incontestabili […]», ibid., p. 434. Così nella lettera di risposta a Lenz, del 6 novembre 1933, Mercati aveva praticato la stessa cautela, allargando il discorso a una pluralità di paesi nei quali infuriavano violenze totalitarie: «Così mi fosse dato aiutarLa! e come Lei gli altri degni e connazionali e cattolici, preti perfino e religiosi, vittime di spietati odii di partiti e di sette, che con tutte le alte proclamazioni di giustizia e di libertà, di civiltà e di progresso, onde assordano il mondo, inseviscono in parecchi stati», ibid., p. 481. 46 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., p. 437. 47 Il testo dell’appello in VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 433-436, sulla base della stesura originaria di Mercati conservata nei Carteggi Mercati. Le frasi citate a p. 435. CAPRISTO, «Messi inumanamente al bando» cit., pubblica l’appello, datato «Natale 1938», in un testo leggermente diverso, sulla base di un esemplare dattiloscritto conservato nell’Archivio della Segreteria di Stato, Affari Ecclesiastici Straordinari. I successivi riferimenti sono al testo nella stesura originaria. 48 VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 435-436. 49 Secondo BATTELLI, Le premesse dell’Unione cit., p. 204, Giovanni Mercati nella lettera a Bruhns del 14 dicembre 1943 vantò «la sua appartenenza ad accademie tedesche». Il passo non risulta nelle parti sinora note della lettera (cfr. supra, nt. 1); ricostruito forse da Battelli sulla base dei suoi ricordi, è espressione significativa del legame sentito da Mercati con le ricerche tedesche. 50 A proposito della traduzione latina dell’appello, VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., pp. 441-443. La frase citata a p. 443.

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cata alla scienza dall’aiuto agli studiosi perseguitati. Il testo latino è «[…] non solo più sintetico ma anche meno vivace e indignato, più pacato e posato, più attento alle sensibilità degli interlocutori e al tempo stesso meno severo nei confronti degli artefici del lamentevole stato di cose cui si cerca di porre rimedio. Insomma, un testo che il Papa poteva, senza rinunciare all’obiettivo per il quale era stato steso, far proprio senza timore di complicazioni diplomatiche»51. «Ogni uomo equanime, che non sia fuorviato da idee false o da informazioni fallaci, oppure da passioni di partito o d’altri interessi particolari […]»52. Il primo dato a colpire nel testo di Mercati è il suo esclusivo sviluppo sul piano della ragione e della giustizia, del «vero e dell’onesto»53. In considerazione dell’imprevedibile identità degli interlocutori, il cardinale non fa appello a princìpi religiosi o confessionali, ma in primo luogo alla dignità dei perseguitati «che sono uomini quanto noi e chiamati ancor essi al regno di Dio e alla vita eterna»54 (l’unico accenno esplicitamente religioso è proprio nelle ultime parole). Vivissima è la coscienza del dramma dell’emigrazione di quanti, «beffardamente ricoperti di obbrobrio e additati all’esecrazione financo de’ fanciulli»55, vengono fuggiti ed evitati non solo dai più facinorosi ma da tutti per pavidità, sono spogliati dal paese che li espelle ma contemporaneamente non accolti da quanti dovrebbero riceverli. Sotto il segno di questo duplice rifiuto, Mercati passa ad esaminare, «tra i disgraziati predetti»56, il caso degli «studiosi più valenti ed attivi»57, il cui numero «è sempre e dovunque piccolissimo, richiedendosi un genio particolare, una formazione lunga ed accurata, e la pratica in una rara combinazione di circostanze favorevoli allo svolgersi e al produrre dello spirito»58. Non si tratta — prosegue Mercati — di principianti ma di uomini «provati, che per anni e anni faticosamente cercarono e raccolsero, e giudicano una morte il non poter più lavorare utilmente e finire e comunicare al pubblico il frutto dei loro lavori, banditi come sono, dalle cattedre, dai laboratori, dalle accademie, dalle società, dalle librerie e non trovando più editori»59. Aiutare questi studiosi, accoglierli «sotto cielo più benigno, in centri di studio e di lavoro comodi, sia dell’antico sia del nuovo 51

Ibid., p. 443. Ibid., p. 433. 53 Ibid., p. 436. 54 Ibid., p. 436. 55 Ibid., p. 433. 56 Ibid., p. 433. 57 Ibid., p. 433. 58 Ibid., pp. 433-434. 59 Ibid., p. 434. 52

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mondo»60, non è solo «un atto di umanità e di carità privata»61 ma, nel loro caso specifico, «opera provvida, sapiente, di ben pubblico generale, anzi universale, perché dei veri progressi scientifici all’ultimo si approfitta il mondo intero»62. Come in fondo aveva ben compreso il traduttore latino, questo è il cuore dell’appello, il richiamo all’utilità sociale, alla convenienza di un’accoglienza che si rivelerebbe (Mercati si scusa per «l’espressione un po’ volgare»63) «un buon affare Americano»64, un guadagno per la società che aprirà le sue porte a uomini di un valore paragonabile a quello di Graziadio Isaia Ascoli, Moritz Steinschneider, Heinrich Rudolph Hertz e Ludwig Traube (sono i quattro nomi di studiosi, tutti scomparsi da anni, che il cardinale sapientemente sceglie dalle discipline umanistiche e da quelle scientifiche65). Si tratta davvero di «un’occasione unica»66 per scegliere i migliori «e così portare le proprie scuole superiori ad un’altezza senza pari»67. Ma un’altra caratteristica va sottolineata nel testo di Mercati. Esso nulla concede «alle colpevolizzazioni del popolo ebraico diffuse anche fra quanti erano disposti a difenderlo: per Mercati le malefatte e gli abusi addebitati agli ebrei sono in realtà riscontrabili “più o meno” in “qualunque gente, stato o classe e partito”. Non è dunque lecito evocarli pretestuosamente per legittimare una persecuzione intollerabile»68. Di poco successiva all’appello di Giovanni (e utile per conoscere il clima che si respirava allora a casa Mercati) è una durissima nota, del 22 marzo 1939, del fratello Angelo, nei diari, a proposito del suo rifiuto di partecipare all’inaugurazione della nuova sede dell’Istituto Storico Germanico nell’edificio preparato per l’Istituto Storico Austriaco a Valle Giulia e confiscato dopo l’«Anschluss»69. Perfettamente informato sulle vicende e sulla

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Ibid., p. 434. Ibid., p. 434. 62 Ibid., p. 434. 63 Ibid., p. 434. 64 Ibid., p. 434. 65 Ibid., p. 434. Il ricordo poi di Traube, in un testo trasmesso al suo alunno Lowe, non è certo casuale. 66 Ibid., p. 435. 67 Ibid., p. 435. 68 Ibid., pp. 444-445. 69 PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., pp. 105-106. Nella nota Angelo Mercati così commentava il rifiuto di partecipare all’inaugurazione: «Il governo del Reich nella sua bestialità vieta ai Tedeschi di accettare nomine ad accademie Pontificie ed ha vietato l’intervento al congresso cattolico di archeologia cristiana: a chi così bestialmente si comporta omaggi e partecipazioni? Mai». 61

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storia dell’Istituto Germanico70, Angelo non si limitò a non andare ma convinse altri esponenti vaticani (il prefetto della Biblioteca Anselm Albareda, il direttore dei Musei Bartolomeo Nogara, oltre a Giulio Battelli), a fare altrettanto. Poco più di quattro anni prima, nel dicembre 1934, il prefetto dell’Archivio Vaticano aveva presentato a Pio XI, che l’aveva approvato, il progetto di pubblicazione di un «Bullarium Judaicum», con i documenti pontifici sugli Ebrei71. 5. Gli interventi di Mercati per gli studiosi di lingua tedesca perseguitati per motivi razziali e politici si collocano quindi a tre livelli diversi: quello privato (l’aiuto prestato ai singoli studiosi trovando loro una collocazione in Biblioteca Vaticana, cercandola all’esterno o provvedendo direttamente al loro sostentamento), quello pubblico (le parole del 17 giugno 1936), quello semi-pubblico (l’appello alle università americane). L’audacia coraggiosa di un temperamento emotivo e sensibile, temperato da una costante disciplina su se stesso, si univa così, con la diversificazione delle espressioni, alla prudenza, per non provocare effetti contrari a quelli auspicati, esponendo gli interessati e la Santa Sede a possibili ritorsioni. Una linea, come è noto, condivisa ai massimi livelli. Ma la situazione si sarebbe presto ancora una volta rovesciata. Il paese conculcato dalle misure internazionali degli anni Venti, che Mercati aveva soccorso, era divenuto negli anni Trenta e Quaranta persecutore dei suoi figli di razza ebraica, che Mercati aveva aiutato in tutti i modi possibili; ora, dopo il tracollo del 1945, erano gli sconfitti a meritare vicinanza e solidarietà. Il mutamento della situazione appare evidente già in una lettera di Jedin a Mercati dell’8 giugno 1944, pochi giorni dopo l’entrata degli Alleati a Roma: «È molto duro per me, liberato dopo undici anni dall’oppressione delle leggi razziali nazionalsocialiste, correre ora il pericolo di essere internato»72. Nella stessa figura di Jedin si consumava il passaggio dal discriminato dai nazisti allo sconfitto dagli alleati. Il problema si sa70 «Il 14. VI. 1937 Mgr Kirsch mi portò per l’Archivio un dossier messo assieme da P. M. Baumgarten riguardante le vicende dell’Istituto Storico Prussiano in Roma», PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 100. 71 «6 dicembre 1934. S. S. ha approvato l’idea espostasi da me di un Bullarium Judaicum», PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 81. Sull’atteggiamento dei fratelli Mercati di fronte al censimento antiebraico nelle accademie italiane nel 1938 cfr. A. CAPRISTO, «Ai noti questionari non conviene rispondere». Pio XI, i fratelli Mercati e il censimento antiebraico nelle accademie del 1938, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XVII, Città del Vaticano 2010 (Studi e testi, 462), pp. 15-28. 72 «Es ist für mich sehr hart, dass ich, nach 11 Jahren vom Druck der nazionalsozialistischen Rassegesetze befreit, jetzt in Gefahr bin, interniert zu werden», VIAN, L’opera del card. Giovanni Mercati cit., p. 472. Sui sentimenti e sulla situazione di Jedin nella Roma appena liberata, cfr. JEDIN, Storia della mia vita cit., pp. 211-226.

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rebbe ampliato e moltiplicato negli anni successivi. Perché era un intero paese, nuovamente in ginocchio, a chiedere aiuto, e in esso molti studiosi, più o meno compromessi, con maggiore o minore convinzione, col regime nazista73 e, ancora una volta, imprese scientifiche degnissime ridotte al silenzio o all’inazione. E nuovamente i Mercati non fecero mancare la loro presenza. «In lui [scil.: Giovanni Mercati], come in suo fratello Angelo, non si avvertiva — notò Jedin — la minima concessione alla suggestione collettiva di odio verso i tedeschi» prevalente in quei mesi, anche in ambienti vaticani74. Dai documenti dei carteggi di Giovanni Mercati, ancora non consultabili, emergono già le prime testimonianze di un impegno di ampio respiro, di cui qui possiamo dare solo qualche esemplificazione. Anche qui le direzioni e gli ambiti sono diversi. Si aiutarono persone, come l’ebreo tedesco Ernst Honigmann trasferito negli Stati Uniti ma rimasto senza sussidi75; come Anneliese Maier, alla quale venne affidata la catalogazione dei manoscritti Borghesiani della Biblioteca Vaticana76; come Berthold Altaner,

73 Per la lettera che, secondo un’affermazione del diplomatico Dieter Sattler in lettera del 10 febbraio 1953, Giovanni Mercati avrebbe scritto al cancelliere federale per sostenere la nomina di Friedrich Bock, secondo segretario dell’Istituto Storico Germanico di Roma dal 1933 e compromesso col regime nazista, a direttore dell’istituto, cfr. M. MATHEUS, Gestione autonoma. Zur Wiedereröffnung und Konsolidierung des Deutschen Historischen Instituts in Rom (1953 bis 1961), in Deutsche Forschungs- und Kulturinstitute in Rom cit., pp. 99-126: 99 nt. 4. Ma la circostanza andrebbe chiarita e più sicuramente documentata (soprattutto tenendo conto del rispetto, sempre praticato da Mercati, delle altrui competenze e della sua prudente attenzione a non ingerire se stesso e l’ufficio che rappresentava in ambiti estranei). Su Bock, cfr. JEDIN, Storia della mia vita cit., pp. 130, 176, 197; R. ELZE, L’Istituto Storico Germanico di Roma, in Speculum mundi. Roma centro internazionale di ricerche umanistiche, introduzione di M. PALLOTTINO, a cura di P. VIAN, Roma 19932, pp. 182-212: 195-196. 74 JEDIN, Storia della mia vita cit., p. 216. «A Roma si diffuse nella stampa e in pubblico un senso smisurato e assurdo di scherno e di disprezzo nei confronti di tutto quanto era tedesco […]», ibid., p. 211. Per i sentimenti anti-tedeschi diffusi, per esempio, nell’ambiente de L’osservatore romano, cfr. ibid., p. 232. 75 A proposito di Honigmann Mercati deve aver chiesto informazioni ai Bollandisti, perché nei suoi Carteggi è conservata una nota con «Détails fournis par les Bollandistes, au sujet de Monsieur Ernest Honigmann», Bruxelles, 19 gennaio 1946; in calce Mercati annotò: «Raccomandato a Mgr. [Ildebrando] Antoniutti Delegato Apostolico nel Canadà»; Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946), f.n.n. Di Honigmann (1892-1954), impegnato nel progetto di una nuova edizione dell’Oriens christianus (1740) di Michel Le Quien, la Biblioteca Vaticana pubblicò, nel 1953, Patristic Studies (Studi e testi, 173). 76 Il 1° maggio 1946, da Roma, Anneliese Maier ringraziò Mercati per l’affidamento dell’incarico per la catalogazione dei manoscritti Borghesiani (col previsto compenso di 4.000 lire al mese, a partire dal 1° maggio 1946); la «profonda gratitudine» per la «bontà veramente paterna che ha voluto mostrarmi» fu ribadita, sempre da Roma, il 23 dicembre 1946 e il 23 dicembre 1947; Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946); cont. 64 (an. 1947), ff.n.nn.

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che chiese di potere soggiornare in Italia per proseguire le sue ricerche77. Si intervenne per ottenere le riabilitazioni e le reintegrazioni nell’insegnamento di Hans Heinrich Feine78, Michael Schmaus, Franz Dölger e Paul Lehmann79. Si operò per il recupero di carte che rischiavano di essere disperse e perdute, come quelle di Paul Maria Baumgarten80, e si cercò di 77 Il 3 luglio 1946, scrivendo da Würzburg, Berthold Altaner chiese l’aiuto di Giovanni Mercati per soggiorni in Italia per proseguire le sue ricerche, nella speranza di ottenere un semestre libero dall’insegnamento universitario ogni anno; Mercati gli rispose il 15 settembre 1946; Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946), f.n.n. Ricorda Jedin: «[Giovanni Mercati] Voleva per esempio far venire a Roma il patrologo Berthold Altaner — che dopo essere stato cacciato da Breslavia aveva assunto una cattedra universitaria a Würzburg — affinché potesse rielaborare la sua patrologia servendosi dei mezzi qui a disposizione. Il soggiorno a Roma sarebbe dovuto durare molti anni. Che cosa ne pensavo? La proposta mi pareva generosa e senza dubbio nell’interesse della scienza tedesca. La lettera venne scritta alla fine di settembre [1946], ma Altaner non accettò l’offerta, perché non voleva lasciare la cattedra di Würzburg e un va e vieni fra Würzburg e Roma si rivelava troppo difficoltoso», JEDIN, Storia della mia vita cit., p. 240. Negli incontri in Biblioteca Vaticana con Jedin il cardinale parlava «generalmente di questioni riguardanti studiosi tedeschi», ibid., p. 169. 78 Il 20 maggio 1946 Elly Stutz nata Windelband (vedova di Ulrich Stutz) inviò da Tübingen a Mercati una supplica per Pio XII chiedendo, per la prosecuzione dell’opera di Stutz, l’intervento della Santa Sede per la reintegrazione nell’insegnamento nell’Università di Tubinga di Hans Heinrich Feine; Mercati consegnò a Pio XII la supplica nell’udienza del 20 ottobre 1946 (una copia era stata ricevuta il 30 settembre 1946 anche da Hubert Jedin); cfr. anche le lettere di Feine a Mercati, Tübingen, 14 settembre 1946, e di Giovanni Battista Montini a Mercati, 2 aprile 1947 (un sostegno alla causa di Feine era pervenuto anche da Georg Schreiber); Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946); cont. 64 (an. 1947), ff.n.nn. 79 Il 17 novembre 1946, scrivendo da Eichstätt, Martin Grabmann presentò il caso di Michael Schmaus, Franz Dölger e Paul Lehmann, che attendevano la riabilitazione per tornare all’insegnamento. Il 10 dicembre 1946, scrivendo da Scheyern, Dölger espose direttamente a Mercati la sua situazione. Il 16 marzo 1947 Mercati scrisse a Charles Rufus Morey chiedendo (e chiarendo un equivoco precedentemente intercorso) che «venisse riesaminata secondo verità e giustizia la loro [scil.: di Schmaus, Dölger e Lehmann] causa, perché dopo essere stati prosciolti sono stati di nuovo eliminati dall’Univerità di München, dove sono desideratissimi per la loro eminente scienza ed onestà, e sono ritenuti immeritevoli affatto di quell’ostracismo»; della questione si era interessato anche Pio XII per ottenere una «revisione della cosa da parte delle Autorità di occupazione». Il 22 marzo 1948 Morey comunicò a Mercati una lettera del «chargé d’affaires» presso il governo militare in Germania a proposito della situazione di Dölger (il caso sembrava risolto in maniera soddisfacente per il Papa e per Mercati). Ringraziamenti a Mercati per gli interventi compiuti espressero Lehmann (München, 12 settembre 1947) e Grabmann (Eichstätt, 22 luglio 1948); Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946); cont. 64 (an. 1947); cont. 65 (an. 1948), ff.n.nn. 80 Le casse contenenti le carte di Baumgarten furono inviate da Eichstätt nel giugno 1945; pervennero in Biblioteca Vaticana il 6 luglio 1945; nell’udienza a Giovanni Mercati del 15 luglio 1945 Pio XII dispose che esse fossero destinate all’Archivio Vaticano, cfr. le lettere a Mercati del nunzio in Germania Cesare Orsenigo, Eichstätt, 25 maggio 1945; Eichstätt, 21 giugno 1945; Berlin, 13 agosto 1945; e la nota dattiloscritta vergata al momento dell’arrivo delle carte. Il 22 novembre 1945 Orsenigo comunicò, da Eichstätt, che, a integrazione dei precedenti invii, veniva trasmesso un piccolo involto con schede relative a Roberto Bellarmino;

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riprendere il filo interrotto di grandi lavori (come la storia della letteratura araba cristiana di Georg Graf81). Si ospitarono e sostennero pubblicazioni, come quelle di Artur Michael Landgraf82, del «Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum» dell’Accademia delle Scienze di Vienna83, dei risultati degli scavi di Efeso da parte dell’Istituto Archeologico Austriaco84; e si sostennero istituti (come l’Accademia Bavarese delle Scienze85, Carteggi Mercati, cont. 62 (an. 1945), ff.n.nn. Cfr. anche PAGANO, L’Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati cit., p. 124 (dopo la distruzione della sede della nunziatura di Berlino sotto i bombardamenti alleati [22 novembre 1943], mentre i Russi e gli Anglo-Americani stringevano nella loro morsa la città, Orsenigo nel febbraio 1945 si era rifugiato presso il vescovo di Eichstätt Michael Rackl). Il caso del recupero delle carte di Baumgarten non pare essere stato unico. Mercati deve essersi anche interessato al trasferimento in Brasile del canonista Paul Josef Hubert Muschard e poi a una sua collocazione in un’università americana (cfr. la nota del 13 maggio 1941 in Arch. Bibl. 237, f. 42r); e alcune carte di Muschard sono ora conservate in Biblioteca Vaticana. A proposito di Muschard, cfr. «Auf der gefahrenvollen Strasse des öffentlichen Rechts». Briefwechsel Carl Schmitt – Rudolf Smend, 1921-1961, mit ergänzenden Materialien, hrsg. von R. MEHRING, Berlin 20122, pp. 29, 31. Sempre in Arch. Bibl. 237, f. 45r, copia di lettera di Mercati al nunzio apostolico in Portogallo Pietro Ciriaci per agevolare il passaggio in Brasile della famiglia Schachter, che «s’indugia a Lisbona». 81 Prima del 24 giugno 1946 Giovanni Mercati aveva invitato Graf a tornare in Biblioteca Vaticana per completare la sua storia della letteratura araba cristiana, cfr. la lettera di Graf a Mercati, Dillingen, 24 giugno-23 luglio 1946. Il 15 settembre 1946, rispondendo ad Altaner, Mercati scrisse: «Al momento non converrebbe muoversi per le difficoltà strane che s’incontrano, non si capisce perché. Dal principio dell’anno si sono fatte e rinnovate con le più vive insistenze della S. Sede e mie personali e della Prefettura della Biblioteca le pratiche per il ritorno dell’ultra settuagenario Prof. Dr. G. Graf — che Ella conosce bene come l’uomo più innocuo e tutto sepolto co’ suo[i] scrittori arabo cristiani — affinché possa curare la stampa dei vol. II e III della sua Gesch. d. chr. arab. Literatur, finché è in vita, e non si è ancora riusciti»; Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946), ff.n.nn. 82 Scrivendo da Bamberg l’11 febbraio 1946 Artur Michael Landgraf ringraziò Mercati per l’impegno per la pubblicazione del Commentarius Porretanus in primam epistolam ad Corinthios, comparso nel 1945 come centodiciassettesimo volume della collana «Studi e testi»; la gratitudine per gli aiuti nella pubblicazione delle sue opere fu ribadita da Bamberg il 17 dicembre 1947; Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946); cont. 64 (an. 1947), ff.n.nn. 83 Il 24 marzo 1948, scrivendo da Vienna, Richard Meister chiese a Mercati una sovvenzione per la ripresa del «Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum» e per la pubblicazione di cinque volumi. Mercati espose il problema a Pio XII e, nonostante le gravi strettezze, il 18 aprile poté comunicare una risposta positiva (nuova stesura della lettera in data 24 aprile 1948); Carteggi Mercati, cont. 65 (an. 1948), ff.n.nn.; Arch. Bibl. 237, f. 74r-v. 84 Nel settembre 1948 l’Istituto Archeologico Austriaco chiese aiuto per la pubblicazione dei risultati degli scavi di Efeso. Mercati deve essersi rivolto, forse con la mediazione di Morey, a fondazioni americane, perché Morey il 25 marzo 1949 comunicò che la Rockfeller Foundation avrebbe trattenuto i documenti presentati dall’Accademia delle Scienze di Vienna per gli scavi di Efeso, «per future possibilità»; Carteggi Mercati, cont. 65 (an. 1948); cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn. 85 Il 25 settembre 1948 la Segreteria di Stato comunicò all’Accademia Bavarese delle Scienze la concessione di un aiuto economico, in risposta a una richiesta di aiuto (16 agosto 1948). Ringraziamenti a Mercati furono poco dopo espressi da Leopold Wenger (Obervellach,

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i Monumenta Germaniae Historica86, l’Istituto bizantino dell’abbazia di Scheyern87), imprese scientifiche (come il «Concilium Tridentinum» della Görres-Gesellschaft88), biblioteche (come quelle dell’Università di Münster89 e della Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Bonn90). Un lungo e complesso impegno fu poi richiesto dall’eredità scientifica di Kehr. 10 ottobre 1948), Mariano San Nicolò (Neufahrn, 17 ottobre 1948), Walter Meissner (München, 4 novembre 1948; 24 novembre 1948; München, 25 novembre 1948). Il 18 novembre 1948, ancora San Nicolò, scrivendo da Neufahrn bei Freising e chiedendo a Mercati che la somma rimanesse a disposizione dell’Accademia in Vaticano, affermò: «Grazie alla donazione di Sua Santità siamo ora in grado di riprendere le nostre pubblicazioni arretrate da anni ed il nostro Presidente si farà ora un dovere di inviare a S.E. Montini il ringraziamento dell’Accademia pregando che egli voglia far pervenire a Sua Santità l’espressione della nostra più profonda gratitudine»; Carteggi Mercati, cont. 65 (an. 1948), ff.n.nn. 86 Il 22 ottobre 1948, scrivendo da München, Friedrich Baethgen, presidente dei Monumenta Germaniae Historica, ringraziò Mercati «per la benevolissima mediazione, alla quale dobbiamo in gran parte il generosissimo regalo di Sua Santità il Papa. Non è d’uopo spiegare più esattamente come è ben arrivato questo regalo specialmente nel attuale momento, dove le contribuzioni dello Stato alle spese del nostro istituto sono diminuite in tanto grado in conseguenza delle difficoltà prodotte per la riforma della valuta»; Carteggi Mercati, cont. 65 (an. 1948), f.n.n. 87 Il 12 dicembre 1946, scrivendo da Scheyern, Johannes Maria Hoeck espose i suoi progetti di lavoro, nei quali era coinvolto anche Dölger; il 27 settembre 1949 Hoeck chiese aiuto per l’Istituto Bizantino dell’abbazia di Scheyern; per esso venne poi erogato un sussidio dal Papa e dalla Congregazione per la Chiesa Orientale; Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946); cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn. 88 Georg Schreiber, scrivendo l’11 agosto 1947 a Mercati da Münster, chiese aiuto per procurare la carta necessaria per la stampa di alcuni volumi del «Concilium Tridentinum»; ma il 1° ottobre 1947 Giovanni Battista Montini rispose ad Alois Hudal che non era stato possibile reperire la carta richiesta per la pubblicazione di alcuni professori cattolici tedeschi (ma non si sa precisare se la risposta riguardasse la richiesta di Schreiber); Carteggi Mercati, cont. 64 (an. 1947), ff.n.nn. L’attenzione di Mercati per la Görres-Gesellschaft è testimoniata anche da un passo di una lettera del cardinale a Jedin, Vaticano, 11 novembre 1950: «Questa mattina medesima, in una piccola memoria, che forse non rimarrà riservata, non ho tralasciato di accennare alla Società ed alle sue imprese come meritevolissime di particolari facilitazioni negli Archivi e nelle Biblioteche ecclesiastiche d’Italia», JEDIN, Storia della mia vita cit., p. 382. Il riferimento è ai Consigli [del Cardinale Bibliotecario e Archivista di S.R.C.] ai rev.di Signori direttori e custodi di biblioteche, archivi e musei di proprietà ecclesiastica in Italia al riguardo della fotografia dei cimeli loro affidati, [Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1950], datati al «Novembre 1950», ove (p. 3) la Görres-Gesellschaft è ricordata fra le «benemeritissime Società scientifiche cattoliche». 89 Il 3 marzo 1949, scrivendo da Münster, Georg Schreiber chiese aiuto per le biblioteche del Deutsches Institut für Auslandskunde e del Deutsches Institut für Volkskunde; Mercati aveva precedentemente aiutato la biblioteca dell’Università di Münster (cfr. la lettera di Christoph Weber, della Universitäts-Bibliothek di Münster, Münster, 3 marzo 1949); Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn. 90 Il 14 maggio 1949, scrivendo da Bonn, Karl Th. Schäfer, decano della Facoltà di teologia cattolica dell’Università di Bonn, ringraziò Mercati per l’invio di volumi; Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), f.n.n.

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Appena venuto a conoscenza della morte del «mio vecchio amico», il 19 gennaio 1945 Mercati stese «una particolareggiata memoria» per mettere in moto le ricerche da parte della Santa Sede del fondo affidato da Pio XI a Kehr e depositato in banche svizzere e nel contempo per individuare le carte e i documenti necessari per la conclusione dell’Italia Pontificia e, più in generale, per il proseguimento del «Papsturkundenwerk»91. I nunzi apostolici in Germania e in Svizzera, Cesare Orsenigo e Filippo Bernardini, incaricati dell’indagine, ebbero anche mandato di entrare in contatto con i superstiti della famiglia Kehr, il genero e la figlia, il barone Götz e la baronessa Gudila von Pölnitz, anche con l’aiuto di Martin Grabmann, loro conoscente, per appurare quali fossero le ultime volontà dello studioso. Almeno sino alla fine degli anni Quaranta Mercati continuò a seguire le vicende dell’impresa, cercando anche di adoperarsi per portare alla luce l’ultima opera di Kehr, l’edizione dei diplomi di Ludovico II che doveva pubblicare l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo92. Per questa diffi91 Il testo del Pro memoria è pubblicato infra, Appendici. II. L’osservatore romano dedicò a Kehr un articolo di Hubert Jedin, Paolo Kehr, il 21 gennaio 1945, p. 3. Lo storico tedesco vi affermò che «l’opera scientifica e critica del Kehr per la storia dei Papi, nell’ultimo mezzo secolo[,] fu sorpassata da uno solo: il Pastor». 92 La notizia della morte di Kehr, avvenuta il 9 novembre 1944 a Wässerndorf, nel circondario bavarese di Kitzingen (Bassa Franconia), era già nota ai Mercati, grazie a informazioni del nunzio a Berlino Cesare Orsenigo, il 10 gennaio 1945, quando Angelo la comunicò a Jedin, JEDIN, Storia della mia vita cit., pp. 216, 240. Numerose lettere di Orsenigo a Mercati, a partire da quella del 25 maggio 1945, trattano dell’eredità scientifica di Kehr e dell’impegno per chiarire la situazione relativa a essa. Già il 6 aprile 1945 (dunque dopo la memoria di Mercati del 19 gennaio 1945) Montini aveva scritto a Mercati assicurandogli che il nunzio a Berlino si stava occupando della questione. L’espressione «mio vecchio amico Prof. P. F. Kehr» è nella lettera di Mercati a Margarete Ludwig, 25 febbraio 1946. A partire dalla lettera di Grabmann a Mercati, Eichstätt, 30 settembre 1945, il tema dell’eredità scientifica di Kehr è ricorrente nelle lettere dello studioso tedesco; ma cfr. anche, fra l’altro, le lettere di: Mercati a Friedrich Bock, 24 luglio 1947; Wolfgang Hagemann a Mercati, Verona, 25 luglio 1947; e le lettere a Mercati: di Götz von Pölnitz, Schloss Hundshaupten, 5 febbraio 1948; e di Gudila Pölnitz-Kehr, Schloss Hundshaupten, 17 febbraio 1949; Schloss Hundshaupten, 1° maggio 1949; Schloss Hundshaupten, 29 settembre 1950; Schloss Hundshaupten, 28 dicembre 1950; Schloss Hundshaupten, 26 luglio 1951. Alla lettera di Gudila Pölnitz-Kehr del 1° maggio 1949, il cardinale rispose il 6 maggio 1949: «Nei pochi giorni che mi restano farò il pochissimo che posso affinché e l’ed. dei diplomi e la continuazione dell’Italia Pontificia e delle altre intraprese dal Padre Suo di b. m. siano proseguite energicamente. E l’ottimo Prof. G. De Sanctis — un cieco mirabile tutto dedito al bene e alla scienza ed operoso come un giovane non ostante gli 80 anni che porta sulle spalle — e il suo degno aiutante Prof. O. Bertolini faranno tutto il possibile cogl’insignificanti mezzi di cui dispongono, perché il lavoro sia terminato bene e tuteleranno le benemerenze e i diritti di Lei quanto i propri e direi con maggiore scrupolo ancora. Ce ne fossero e ne rinascessero degli uomini tali in buon numero a rialzare il livello morale e scientifico disceso così in basso …»; Carteggi Mercati, cont. 62 (an. 1945); cont. 63 (an. 1946); cont. 64 (an. 1947); cont. 65 (an. 1948); cont. 66 (an. 1949); cont. 67 (an. 1950), ff.n.nn. Copia di una lettera di Mercati al barone von Pölnitz, 15 maggio 1948, in qualche

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cile operazione come per molte altre appena ricordate, Mercati si avvalse della stretta collaborazione col Sostituto della Segreteria di Stato Giovanni Battista Montini e dell’appoggio presso le autorità alleate di Charles Rufus Morey, conosciuto nelle sale della Biblioteca Vaticana negli anni Venti come studioso di iconografia cristiana e autore del catalogo degli avori del Museo Cristiano, tornato a Roma dal 1945 come direttore dell’American Academy e «cultural attaché» dell’Ambasciata statunitense, figura decisiva della neonata Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia Storia e Storia dell’Arte in Roma93. A proposito della complessa vicenda delle biblioteche tedesche di Roma, per la quale nacque l’Unione, decisivo fu il ruolo di Mercati nell’ispirare le posizioni della Santa Sede e nell’offerta di ospitalità in Biblioteca Vaticana, dal 1947 sino al 1953, ai volumi dell’Istituto Storico Germanico94. Ma in questa sede è anche opportuno ricordare alcune interessanti note del cardinale dell’agosto 1949 relative al Collegio del Campo Santo Teutonico in seguito a una richiesta di informazioni (a lui trasmessa da Montini) dell’ambasciatore inglese, probabilmente in relazione con le trattative per gli istituti tedeschi che proprio in quelle settimane sembrava dovessero approdare all’«accordo del miliardo»95. Secondo Mercati ci si trovava di fronte al tentativo «di dare alla Collegiata del Campo Santo Teutonico la figura di una sezione o istituto storico della Società Goerresiana in Roma, modo ricapitolativa dell’opera svolta a proposito dell’eredità scientifica di Kehr si trova in Arch. Bibl. 237, ff. 83r-88r (cfr. infra, Appendici. III). In Arch. Bibl. 207 è raccolto un cospicuo dossier sui rapporti della Vaticana con la Pius-Stiftung, dal 1931 al 1968, con lettere, fra gli altri, di F. Baethgen, F. Bock, W. Holtzmann, G. von Pölnitz, G. von Pölnitz-Kehr, R. Smend. Cfr. anche MATHEUS, Gestione autonoma cit., p. 120. 93 Nel corso di un incontro con Montini, 20 febbraio 1946, Mercati domandò se potesse interessare Morey al recupero del fondo e delle carte di Kehr. Avutane risposta positiva, il 20 aprile 1946 inviò a Morey la memoria scritta il 19 gennaio 1945, appena conosciuta la notizia della morte di Kehr. Sullo stesso argomento Mercati scrisse a Morey il 26 aprile 1946; e Morey coinvolse nelle ricerche Federico Pfister (cfr. Morey a Mercati, Roma, 28 maggio 1946); Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946), ff.n.nn. 94 Per l’ospitalità in Vaticana ai volumi dell’Istituto Storico Germanico, cfr. R. ELZE, Das Deutsche Historische Institut in Rom 1888-1988, in Das Deutsche Historische Institut in Rom cit., pp. 1-31: 22-23; GOLDBRUNNER, Von der Casa Tarpea zur Via Aurelia Antica cit., p. 69; «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., pp. 29-30, 60; GRAFINGER, Beziehungen cit., pp. 130-137. Per l’impegno di Mercati per la biblioteca dell’Istituto Archeologico Germanico, FRÖHLICH, Das Deutsche Archäologische Institut cit., p. 161. Nell’estate 1949 Mercati stese, in almeno due occasioni, lunghe e analitiche osservazioni su un progetto di nota che la Santa Sede avrebbe dovuto inoltrare al governo italiano a proposito delle biblioteche tedesche di Roma e Firenze; Arch. Bibl. 237, ff. 136r-151r; Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn.; e infra, Appendici. IV: Note di Giovanni Mercati a proposito dello status degli istituti tedeschi di Roma e Firenze (estate 1949). Cfr. JEDIN, Storia della mia vita cit., pp. 249-251. 95 «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., pp. 36-42.

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pari agli altri simili istituti stranieri e italiani e da trattare conseguentemente allo stesso modo che essi». Pur segnalando gli strettissimi legami fra il Collegio e l’Istituto, il cardinale sottolineò la differenza storica, giuridica, amministrativa fra le due realtà; e cercando di comprendere quale fosse la vera posta in gioco e ricostruendo i possibili scenari, mise in guardia dal pericolo di una «trasformazione “costituzionale”» della Società e dell’istituto, «col rischio che alla lontana diventino molto meno cattolici o addirittura cessino di esserlo»96. Mercati ebbe sempre chiara coscienza delle responsabilità nello scatenamento del disastroso conflitto come pure della necessità di aiutare anche altri, che la guerra avevano dovuto subire senza volerla97. Ma nel secondo dopoguerra le richieste di aiuto, ancora una volta, gli pervennero pressanti soprattutto dalla Germania e il cardinale non si tirò indietro, informando costantemente e chiedendo l’appoggio del Papa, per la sua biografia sensibile a vicende e personalità tedesche98, e del Sostituto Montini, in una dimensione che attraverso i nunzi si allargò a scenari più ampi. Poco per volta le richieste divennero meno drammatiche. Ma in forme diverse continuò la particolare attenzione per le ricerche tedesche, ora aiutate, per esempio, agevolando gli «itinera» eruditi di Bonifatius Fischer in Spagna99, 96 Il 23-24 agosto 1949 Mercati stese alcune note sull’Istituto Romano della Società di Görres; Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn. [stesura manoscritta, con lettera di accompagnamento di Montini, 19 agosto 1949]; Arch. Bibl. 237, ff. 152r-157r [stesura dattiloscritta]. Nella lettera Montini scriveva: «[…] Sua Eccellenza il Signor Victor J. Perowne, Ministro di Gran Bretagna presso la Santa Sede, si è rivolto a questo Ufficio chiedendo informazioni circa la “Görresgesellschaft”, di Colonia, e l’Istituto da questa dipendente con sede nel Collegio Teutonico, in Vaticano. Poiché la suddetta domanda potrebbe avere relazione con la questione, non ancora risolta, che riguarda gli Istituti di cultura tedeschi in Roma, prego Vostra Eminenza Reverendissima di volermi indicare se nulla vieta che le notizie riportate nell’unito foglio siano comunicate al richiedente». Cfr. anche JEDIN, Storia della mia vita cit., p. 251. La preoccupazione per un possibile venir meno dell’identità cattolica in istituzioni cattoliche era particolarmente viva in Mercati nel secondo dopoguerra; ebbe ad esprimerla anche a proposito dell’Università Cattolica di Milano, entrando in discussione, sull’argomento, con Agostino Gemelli. 97 Scrivendo a Georg Schreiber il 16 febbraio 1948, Mercati annunciò l’intenzione di fare quanto si era pensato di fare già nel 1944, «allorché si conobbero meglio le distruzioni delle biblioteche di varie città universitarie e vennero richieste dalla Polonia e dai Paesi Bassi. E ora posso dire che grazie alla Benignità del Santo Padre si sta facendo quello che si può, sebbene non sia molto il disponibile e convenga aver riguardo non ad una sola nazione, e maggiore a quelle minori che subirono per forza la guerra»; Carteggi Mercati, cont. 65 (an. 1948), ff.n.nn. 98 Anche in questo caso basti solo un esempio: negli appunti di Giovanni Mercati per l’udienza con Pio XII del 15 dicembre 1946, al sesto punto è indicato: «Graf = Morey» [cfr. supra, nt. 81]; Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946), ff.n.nn. 99 Il 23 agosto 1951 Bonifatius Fischer avvertì da Beuron Mercati che avrebbe dovuto recarsi in Spagna per fotografare alcuni palinsesti biblici («specialmente il famoso codice 15 della cattedrale di León»), per il lavoro preparatorio per l’edizione della Vetus Latina; chiese

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cercando sussidi negli Stati Uniti per la ristampa della Storia dei papi del Pastor100 e sostenendo economicamente, su richiesta di Lehmann, il Thesaurus linguae Latinae101. Fra i corrispondenti più assidui degli ultimi anni, accanto alla ripresa di antiche relazioni come quella di Klostermann102, spiccano Martin Grabmann, Artur Michael Landgraf, Hubert Jedin, Alban Dold103, che informarono il cardinale del progresso dei loro studi ma anche della situazione generale delle ricerche tedesche. E non è privo di significato il fatto che proprio a Jedin nell’autunno 1950 Mercati abbia offerto di succedere a Robert Devreesse quale viceprefetto della Biblioteca Vaticana104. La proposta non fu accolta ma qualche anno dopo, nel gennaio 1956, un altro studioso tedesco, Hermann Hoberg. divenne viceprefetto quindi una lettera di presentazione del cardinale per avere accesso a biblioteche e archivi; Carteggi Mercati, cont. 68 (an. 1951), ff.n.nn. 100 Il 4 ottobre 1951 Ludwig von Pastor iunior scrisse da Innsbruck a Mercati; poiché nell’incendio dei depositi della casa editrice Herder di Friburgo (Breisgau) erano periti tutti gli esemplari rimanenti e in parte anche le pellicole fotografiche dell’edizione tedesca della Geschichte der Päpste, si chiedeva l’appoggio di Mercati per una raccomandazione (da aggiungersi a quelle degli arcivescovi di Vienna e Salisburgo) per ottenere sussidi negli Stati Uniti per una ristampa; Mercati rispose il 22 ottobre 1951 e stese la lettera richiesta il 23 ottobre 1951; Pastor ringraziò da Innsbruck per l’intervento il 31 ottobre 1951; Carteggi Mercati, cont. 68 (an. 1951), ff.n.nn.; Arch. Bibl. 237, ff. 222r-223v. 101 Il 24 aprile 1953, scrivendo da München, Paul Lehmann chiese un sostegno per il Thesaurus linguae Latinae; sulla lettera Mercati vergò una nota: «6.VI., S. Sta ha concesso Mr. 20.000. Si manderà con lett. al Card. di Monaco»; infatti il 9 giugno 1953 Montini comunicò a Mercati che il Papa aveva accolto la richiesta di Lehmann per il Thesaurus, che erano stati concessi 20.000 DM, che la somma di denaro sarebbe stata trasmessa all’arcivescovo di Monaco attraverso il nunzio in Germania; il 5 settembre 1953, da München, Paul Lehmann ringraziò Mercati per il contributo erogato, Carteggi Mercati, cont. 70 (an. 1953), ff.n.nn. Cfr. JEDIN, Storia della mia vita cit., p. 240. 102 Klostermann a Mercati, Halle, 25 marzo 1955; Halle, 11 dicembre 1956, Carteggi Mercati, cont. 72 (an. 1955); cont. 73 (an. 1956), ff.n.nn. 103 Cfr. per esempio, le lettere a Mercati di Martin Grabmann: Eichstätt, 18 dicembre 1948; di Artur Michael Landgraf: Bamberg, 19 dicembre 1948; Bamberg, 19 dicembre 1951; Bamberg, 21 dicembre 1954 (alla vigilia dell’uscita del quinto volume della sua Dogmengeschichte der Frühscholastik, con ringraziamenti a Mercati per avergli offerto la possibilità trentacinque anni prima di incominciare a lavorare in Biblioteca Vaticana); Bamberg, 24 novembre 1955; di Hubert Jedin: Bonn, 13 gennaio 1950 (nell’imminenza della pubblicazione del primo volume della Geschichte des Konzils von Trient esprime la sua gratitudine al cardinale, senza il quale l’opera non avrebbe mai visto la luce); Bonn, 7 aprile 1951; Bonn, 17 dicembre 1951; Bonn, 21 ottobre 1952; Bonn, 18 dicembre 1954; Bonn, 3 agosto 1956; di Alban Dold: Beuron, 22 dicembre 1954; Beuron, 11 gennaio 1956; Carteggi Mercati, cont. 65 (an. 1948); cont. 67 (an. 1950); cont. 68 (an. 1951); cont. 69 (an. 1952); cont. 71 (an. 1954); cont. 72 (an. 1955); cont. 73 (an. 1956), ff.n.nn. 104 In merito alla proposta di Mercati Jedin scrisse al cardinale da Bonn il 5 ottobre 1950 e da Bonn il 4 novembre 1950 (dichiarando l’impossibilità di accettare); Carteggi Mercati, cont. 67 (an. 1950), ff.n.nn. Ma cfr. anche JEDIN, Storia della mia vita cit., pp. 377-382, ove, oltre alle due lettere di Jedin, sono pubblicate le due lettere di Mercati a Jedin del 19 settembre

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dell’Archivio Segreto105. In questa duplice offerta a studiosi tedeschi, negli anni Cinquanta, delle viceprefetture dell’Archivio e della Biblioteca vi è la più evidente conferma del profondo legame dei Mercati con le ricerche tedesche. Come non appare casuale che proprio a Giovanni Mercati sia indirizzata una lettera del filologo classico Heinrich Dörrie, appena liberato dalla lunga prigionia nell’Unione Sovietica106. La gratitudine degli studiosi tedeschi è ben espressa, in una lettera del 26 dicembre 1948, da Franz Dölger di cui, come abbiamo visto, Mercati favorì la riabilitazione: Era già naturale che dedicassi i miei studi sui documenti dell’Athos al celebrato maestro della paleografia greca e della tradizione manoscritta, dell’edizione del testo e della ricerca storica. Allo stesso tempo era un non meno naturale rendimento di grazie all’uomo che, nel tempo più difficile della mia vita, con incrollabile fiducia nell’integrità della mia intenzione, non ha esitato un attimo a spendere per me, bandito, tutto il peso del suo nome e della sua dignità. Se sono riuscito a portare a compimento l’opera attraverso tutte le difficoltà lo devo in considerevole parte a questa fiducia che nelle più gravi necessità interne ed esterne mi ha sempre di nuovo sostenuto e mi ha dato la forza di combattere sino all’esito felice le subdole macchinazioni107. 1950 (con la formulazione della proposta) e dell’11 novembre 1950 (con la presa d’atto del rifiuto di Jedin). 105 L’8 gennaio 1956, scrivendo da Osnabrück, Hoberg ringraziò Mercati per la nomina a viceprefetto dell’Archivio Vaticano; cfr. anche la lettera da Osnabrück dell’8 agosto 1957; Carteggi Mercati, cont. 73 (an. 1956); cont. 74 (an. 1957), ff.n.nn. 106 L’11 gennaio 1954 Heinrich Dörrie, rientrato in Germania dopo otto anni di prigionia in Unione Sovietica, scrisse da Bremen a Mercati; e tornò a scrivergli, sempre da Bremen, il 4 febbraio 1954. Precedentemente la moglie dello studioso, Annemarie, aveva ripetutamente interessato Mercati al caso, cfr. le lettere da Bremen, del 1° novembre 1946, 9 marzo 1950 e del 27 ottobre 1950; Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946); cont. 67 (an. 1950), ff.n.nn. Heinrich Dörrie (1911-1983), docente nelle università di Saarbrucken (1957-1961) e Münster (19611980), fu studioso del platonismo e fondatore della serie «Der Platonismus der Antike». Arruolato nella Wehrmacht (1939), fu fatto prigioniero dai Sovietici poco prima della fine della guerra e internato nel campo di Plawsk; venne liberato nel 1953. Le sue relazioni con Girolamo Vitelli, Medea Norsa e Giorgio Pasquali (oltre a quelle, precedenti, con Hermann Fränkel e Max Pohlenz) spiegano forse i rapporti con Mercati, cfr. H.-D. BLUME, Heinrich Dörrie †, in Gnomon 56 (1984), pp. 185-189; Platonismus und Christentum. Festschrift für Heinrich Dörrie, hrsg. von H.-D. BLUME – F. MANN, Münster 1983 (Jahrbuch für Antike und Christentum. Ergänzungsband, 10) [con bibliografia]. 107 «Es war ja nur eine Selbstverständlichkeit, dass ich meine Studien über die Urkunden des Athos dem gefeierten Meister der griechischen Paläographie und Handschriftenkunde, der Textedition und Geschichtsforschung unterbreitete. Zugleich war es eine nicht minder selbstverständliche Dankespflicht dem Manne gegenüber, der in der schwersten Zeit meines Lebens in unerschütterlichen Vertrauen auf die Integrität meiner Gesinnung keinen Augenblick zögerte, sich mit dem ganzen Gewicht seines Namens und seiner Würde für mich Geächteten einzusetzen. Wenn es mir gelungen ist, trotz aller Schwierigkeiten das Werk zur

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6. La solidità del legame dei fratelli Mercati con gli studiosi e con le ricerche di lingua tedesca, cementata nei momenti più drammatici fra gli anni Venti e Cinquanta, appare evidente nella partecipazione di studiosi tedeschi e austriaci alle celebrazioni per i fratelli Mercati che, certo senza particolare entusiasmo dei protagonisti, furono organizzate per ricorrenze anniversarie. Il riferimento è alle iniziative per i settant’anni di Angelo nel 1940108 e alla Miscellanea archivistica Angelo Mercati nel 1952109; e a quelle della Miscellanea Giovanni Mercati, nel 1946, per gli ottant’anni del cardinale110, e della raccolta di indirizzi autografi per i suoi novant’anni (17 dicembre 1956)111, alla vigilia di una morte che avrebbe rappresentato Vollendung zu bringen, so verdanke ich dies zu einem erheblichen Teile diesem Vertrauen, das mich in grosser innerer und äusserer Not immer wieder aufgerichtet und mir die Kraft erhalten hat, die schmäliche Intrige bis zum guten Ende durchzukämpfen», Franz Dölger a Mercati, München, 26 dicembre 1948; Carteggi Mercati, cont. 65 (an. 1948), f.n.n. 108 Omaggio a mons. Angelo Mercati prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano nel LXX compleanno, con l’indice bibliografico dei suoi scritti, Archivio Segreto Vaticano 1940. Ma nelle «Adesioni» (pp. 9-18) compaiono solo tre tedeschi: «Mons. Paolo Krieg, Città del Vaticano» (p. 14), «Dott. don Giuseppe Marx» (p. 15), «D. Fedele de Stotzingen Ab. Primate O.S.B. Roma» (p. 17). 109 Miscellanea archivistica Angelo Mercati, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 165). Dei 22 articoli, 5 sono in lingua tedesca (ma Walter Holtzmann pubblicò un contributo in lingua italiana: Paolo Kehr e le ricerche archivistiche per l’Italia Pontificia, pp. 43-49; il dattiloscritto dell’articolo è conservato in Arch. Bibl. 207, ff. 149r-158r). Fra gli autori, Friedrich Bock e Karl-August Fink. 110 Miscellanea Giovanni Mercati, I-VI, Città del Vaticano 1946 (Studi e testi, 121-126). Dei 147 articoli pubblicati, 28 sono in lingua tedesca (ma più numerosi sono gli autori di nascita tedesca che scrivono in altra lingua, come, per esempio, Paul Kahle e Paul Oskar Kristeller). Fra gli autori diversi sono coloro che erano stati o sarebbero stati aiutati da Mercati; fra questi, Erik Peterson, Berthold Altaner, Martin Grabmann, Artur Michael Landgraf, Franz Dölger, Paul Lehmann, Hubert Jedin, Stephan Kuttner, Mariano San Nicolò. 111 Per l’iniziativa cfr. P. VIAN, Auguri francescani per il novantesimo compleanno del card. Giovanni Mercati (17 dicembre 1956), in Negotium fidei. Miscellanea di studi offerti a Mariano D’Alatri in occasione del suo 80° compleanno, a cura di P. MARANESI, Roma 2002 (Bibliotheca Seraphico-Capuccina, 67), pp. 373-405: 373-384; ID., La «lloable obsessió». Studiosi catalani e spagnoli per il novantesimo compleanno del card. Giovanni Mercati (17 dicembre 1956), in Revista catalana de teologia 38 (2013), pp. 1001-1024: 1002-1005. L’elenco dei partecipanti all’iniziativa (in misura minima discordante dagli autografi conservati) si trova in Nomina gratulantium, in Nel novantesimo anno del cardinale Mercati, 1866-1956, Città del Vaticano 1956, pp. 13-55. Anche in questa occasione numerosi furono gli studiosi (ma anche le istituzioni) tedeschi che parteciparono; e molti di loro erano stati, in modi diversi, aiutati da Mercati (e alcuni di essi vi fanno riferimento). Fra i molti si segnalano (ma si tratta di una piccola selezione): Berthold Altaner, Friedrich Baethgen, Herbert Bloch, Friedrich Bock, Charlotte Busch, Friedrich Wilhelm Deichmann, Franz Dölger, Bonifatius Fischer, Eduard Fraenkel, Herman-Walter Frey, Herbert Grundmann, Wolfgang Hagemann, Jakob Hess, Walther Holtzmann, Werner Jaeger, Hubert Jedin, Paul Kahle, Ernst H. Kantorowicz, Friedrich Kempf, Richard Krautheimer, Paul Krieg, Paul Oskar Kristeller, Stephan Kuttner, Gerhart B. Ladner, Artur Michael Landgraf, Paul Lehmann, Paul Maas, Theodor Mayer, Anneliese Ma-

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per molti aspetti la conclusione di un ciclo, anche a proposito dei rapporti della Santa Sede con le ricerche e con i ricercatori tedeschi112. In momenti diversi, in tutte queste sedi, la presenza degli studiosi di lingua tedesca fu particolarmente numerosa e significativa; e in esse trovarono spesso espressione proprio gli studiosi che erano stati soccorsi negli anni precedenti. Ma forse la riconoscenza degli studiosi tedeschi e austriaci per i Mercati, manifestata anche in numerosi e significativi necrologi dei due fratelli113, è più che plasticamente rappresentata nella visita che fu consentita a uno studioso tedesco, insieme a una studiosa inglese, per vedere per l’ultima volta Angelo Mercati, nei primi giorni di ottobre 1955, dopo il malore che gli aveva tolto la parola. Nell’estremo gesto di Angelo con la mano, che essi interpretarono come una benedizione, si riassume la forza di un legame tenacemente testimoniato per oltre sessant’anni114. 7. Anche in ragione della loro posizione, i fratelli Mercati sono dunque ier, Erik Peterson, Götz e Gudila von Pölnitz, Leo Santifaller, Michael Schmaus, Percy Ernst Schramm, Hermine Speier. Dell’album di auguri autografi per il novantesimo compleanno di Mercati sto preparando una descrizione e l’edizione di una scelta antologica. 112 «Professor De Sanctis und Eminenz Mercati starben im Jahre 1957 […]. Mit ihnen verlor Deutschland gelehrte Freunde. Ohne sie und andere wäre die schwierige Rückkehr deutscher Historiker in die internationale wissenschaftliche Gemeinschaft so nicht möglich gewesen», MATHEUS, Gestione autonoma cit., p. 120. Un ritorno consacrato nella partecipazione tedesca al X Congresso internazionale di scienze storiche di Roma (settembre 1955); a proposito del quale cfr. W. SCHULZE, Gli storici tedeschi al congresso internazionale di scienze storiche a Roma nel 1955, in La storiografia tra passato e futuro. Il X Congresso Internazionale di Scienze Storiche (Roma 1955) cinquant’anni dopo. Atti del convegno internazionale, Roma, 21-24 settembre 2005, a cura di H. COOLS, M. ESPADAS BURGOS, M. GRAS, M. MATHEUS, M. MIGLIO […], Roma 2008, pp. 325-339. 113 A proposito di Angelo, cfr. K. A. FINK, Angelo Mercati †, in Historisches Jahrbuch 75 (1956), pp. 524-526; F. BOCK, Angelo Mercati Präfekt des Vatikanischen Geheimarchivs (6.10.1870 bis 3.10.1955), in Archivalische Zeitschrift 53 (1957), pp. 138-152. A proposito di Giovanni: L. SANTIFALLER, Kardinal Giovanni Mercati, in Almanach der Oesterreichischen Akademie der Wissenschaften 107 (1957), pp. 345-362; H. SCHMIDINGER, Kardinal Giovanni Mercati, in Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung 65 (1957), pp. 479480; F. DÖLGER, Kardinal Giovanni Mercati 17/12/1866-22/8/1957, in Jahrbuch der Bayerischen Akademie der Wissenschaft, 1958, pp. 175-180; K. A. FINK, Kardinal Giovanni Mercati †, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Kanonistische Abteilung 14 (1958), p. 565. 114 La visita di uno studioso tedesco e di una studiosa inglese ad Angelo morente è ricordata da BATTELLI, Ricordo di mons. Angelo Mercati cit., p. 46. Ma di particolare interesse è anche l’aspro scambio epistolare (1955), fra Giovanni Mercati e Rudolf Lämmel (1879-1962, pedagogista e scrittore, autore di alcuni volumi su Galileo Galilei), tutto imperniato da parte del cardinale sull’aperta professione della praticata ricerca della verità negli studi, reso noto da Sergio Pagano durante il convegno di Roteglia (cfr. supra, nt. 33): S. PAGANO, Angelo Mercati viceprefetto e prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano (1920-1955). Appare molto significativo che questo confronto, quasi al termine della vita e con un soggetto di simile importanza, sia avvenuto con un interlocutore di lingua tedesca.

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stati forse coloro che in Vaticano, nella prima metà del Novecento, più hanno fatto per ricercatori e ricerche tedeschi. Aspetti e persino figure coinvolte in tale impegno presentano, nei diversi momenti cronologici, caratteristiche comuni che non possono passare inosservate. La presenza del paleografo Lowe nell’iniziativa alla metà degli anni Venti per soccorrere gli studiosi tedeschi piegati dal primo dopoguerra e poi nell’appello alle università americane alla fine del 1938; le modalità stesse delle due iniziative che, pur con alcune differenze, prevedevano entrambe la stesura di un testo diffuso in forma di circolare, sostenuto da una raccomandazione papale, avendo, in entrambi i casi, per destinatario il mondo accademico anglo-americano; il sostegno offerto a Kehr, alla sua Italia Pontificia e al «Papsturkundenwerk» negli anni Venti e poi, negli anni Quaranta-Cinquanta, gli sforzi per raccoglierne le spoglie e rianimarli: si tratta di fatti che mostrano con evidenza una perfetta e coerente continuità nell’impegno dei Mercati per gli studiosi e per le ricerche tedesche115. Solo considerando insieme i tre segmenti nei quali abbiamo idealmente suddiviso l’impegno dei fratelli Mercati possiamo comprenderne il senso e il significato profondo, in quanto momenti diversi di un movimento unitario. Ne abbiamo conferma anche dai vocaboli: Giovanni Mercati utilizza lo stesso termine — «ostracismo» — per gli studiosi ebrei tedeschi vessati negli anni Trenta nella loro patria e per i ricercatori tedeschi impediti dalle autorità alleate di riprendere l’insegnamento universitario fra il 1946 e il 1947116. Così facendo Mercati accomunava due esperienze diversissime, persino collocate su fronti avversi di uno schieramento politico e ideologico, congiunte solo dal bisogno di soccorso dei protagonisti. Le radici di tale impegno non vanno infatti cercate in primo luogo in 115 Anche nel già ricordato «Lebenslauf», preparato nel 1947, Giovanni Mercati ricordò il suo impegno per gli studiosi tedeschi negli anni Trenta, ponendolo in piena continuità con l’opera prestata durante e dopo la guerra, VIAN, Un «Lebenslauf» cit., pp. 475-476: «Frattanto però le calamità pubbliche richiedevano ben di più che qualche povera paginetta. Per studiosi degnissimi vittime di cieche passioni politiche da collocare alla meglio; per pubblicazioni non più in grado di farsi a causa o dell’origine dell’autore o del troppo austero carattere o della mole; e poi, sopravvenuta l’immane guerra, per l’urgenza di provvedere, in quanto era possibile, alla protezione e al ricovero dei tesori letterari ed artistici del Paese minacciati dall’alto e dal basso; e dopo ancora, per le inchieste sopra i danni prodottivi dalla guerra, per restituzioni e riaperture di biblioteche desideratissime, per rifornimenti di libri a centri devastati di studio, per agevolazioni ad utilissime grandi pubblicazioni divenute ognora più difficili; ricorsi continui alla S. Sede ed a’ suoi Uffici competenti, tra i quali si era per tutt’altra causa messo in vista il Cardinale Archivista e Bibliotecario indicendo e impiantando, per ordine di S. S. Pio XII il 1° novembre 1942 il censimento degli Archivi Ecclesiastici d’Italia». 116 Cfr. supra, nt. 79. Per l’uso estensivo del termine, presente, fra gli altri, in Giosue Carducci e Antonio Gramsci, cfr. S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, XII, Torino 1984, pp. 262-263.

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considerazioni di natura politica o ideologica. Certo, per indole e cultura, i due fratelli Mercati erano nativamente avversi alle costruzioni totalitarie della prima metà del Novecento; come sentivano un profondo debito, religioso prima ancora che intellettuale, verso il popolo della promessa e della prima alleanza. Ma innanzitutto i Mercati furono, evangelicamente, accanto ai perdenti della storia, agli sconfitti e agli oppressi; e lo furono come potevano esserlo in ragione del loro ruolo, dunque accanto agli studi e agli studiosi in difficoltà che nell’arco della loro vita per tre volte, con persone e modalità diverse, furono tedeschi, rappresentanti di una tradizione alla quale molto dovevano della loro formazione117. Così facendo i Mercati furono contemporaneamente fedeli agli obblighi della carità ma anche alle ragioni dell’umanità e, da veri uomini dell’Ottocento, a quelle della scienza.

117 Tale aspetto è sottolineato da JEDIN, Storia della mia vita cit., p. 240: «Immutabilmente fedeli e disposti ad aiutarmi furono e rimasero i due fratelli Mercati. La loro educazione e formazione scientifica risaliva ad un’epoca in cui le scienze storiche e filologiche in Germania avevano assunto una posizione di guida nel mondo. Per quello che potevano, volevano aiutare la Germania intellettuale a rimettersi in piedi».

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APPENDICI I. LETTERA DI PAUL FRIDOLIN KEHR A GIOVANNI MERCATI (16 DICEMBRE 1936) La lettera è conservata in Arch. Bibl. 207, ff. 16r-17v; un bifoglio del quale sono scritte tutte e quattro le facciate. Mercati ha tracciato doppi tratti verticali a matita verde sui margini dei ff. accanto ad alcune frasi (la vecchia scienza […] nulla; Poi sono pronti […] Göttingen; Riguardo al IX volume […] ridotti a zero).

Merano (Alb. Minerva), 16 dicembre 1936 Eminenza Reverendissima, Le notizie allarmanti sulla salute del Santo Padre mi hanno preoccupato molto, ma le ultime notizie mi fanno sperare che Sua Santità potesse presto riprendere la Sua opera grandiosa per la salvazione della civiltà118. Certamente la scienza non può pretendere di stare in prima linea, ma in ogni modo la perdita di un padrone come Pio XI. sarà per il piccolo ceto degli eruditi una vera catastrofe, perché la vecchia scienza non vale nel mondo civile di oggi più nulla. I popoli e i governi, anche quelli che ebbero ancora una certa tradizione scientifica, non vogliono o non possono curarsene di più. Che cambiamenti in pochi anni! Perciò i miei auguri di Natale per Sua Santità e per Vostra Eminenza Reverendissima e per i pocchi [sic] amici di Roma, sebbene sieno fervidi come sempre questa volta non sono privi di rassegnazione e tristezza. Io non so in quale modo potrei continuare i miei lavori. Destituto della direzione delle Monumenta Germaniae e dell’Istituto storico Prussiano a Roma119 non ho più gli aiuti di collaboratori e delle grandi biblioteche. A Berlino, in una città così colossale, politicante, commerciante, rumoreggiante non è possibile una esistenza tranquilla, come del resto è lo stesso a Roma. Invano ho ricercato nella Svizzera un asilo scientifico, ma anche in questo paese non c’è nessun interesse per i nostri studi speziali. Solamente qui, a Merano, ho potuto lavorare tranquillamente, sebbene senza biblioteche. Ma c’è qui almeno uno scienziato, il bravo professor Monticelli, quello che lavora su Ratherio120. Insomma è un affare assai serio per un editore di vecchie bolle pontificie. 118

Nelle prime ore del 5 dicembre 1936, al termine degli Esercizi spirituali della Curia romana, L’osservatore romano aveva annunciato un «indebolimento» nella «resistenza fisica» del Papa (quasi ottantenne). La notizia giunse del tutto inattesa perché nei primi quindici anni di pontificato Pio XI aveva sempre goduto di ottima salute. Per alcuni mesi, tra il 1936 e il 1937, tutto il mondo pensò che la fine del pontefice fosse prossima. La malattia si prolungò sino al marzo 1937 quando subentrò la ripresa e il Papa ricominciò a celebrare regolarmente la messa (la guarigione fu pubblicamente attribuita all’intercessione di s. Teresa di Lisieux, che il Papa aveva canonizzato il 17 maggio 1925 e della quale era molto devoto), cfr. C. CONFALONIERI, Pio XI visto da vicino, Torino 1957, pp. 331-353; Y. CHIRON, Pio XI. Il papa dei Patti Lateranensi e dell’opposizione ai totalitarismi, Cinisello Balsamo 2006 [ed. originale: 2004], pp. 412-415. 119 Kehr aveva lasciato le due direzioni appunto nel 1936, cfr. Th. SCHIEFFER, Kehr, Paul Fridolin, in Neue Deutsche Biographie, XI, Berlin 1977, pp. 396-398: 397. 120 Giuseppe Monticelli, autore nel 1933 di un volume su Raterio vescovo di Verona (890-

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In questa settimana partirò per Berlino per liquidare la mia esistenza diventata troppo difficile e per mettere al sicuro il materiale raccolto in 40 anni di lavoro. Nei primi del febbraio 1938 tornerò a Merano per continuare i lavori. Sono due o tre che mi stanno ancora al cuore, cioè il IX volume dell’Italia pontificia, già pronto per la stampa, l’ultimo della serie italiana (Benevento, le Puglie, Calabria, Sicilia e Sardegna)121. Poi l’ultimo rendiconto sugli archivi di Spagna (Burgos – Madrid – Toledo ecc.), che non ho potuto finire, troppo occupato colle edizioni delle Monumenta Germaniae ora finite; però manca poco122. Poi sono pronti per la pubblicazione quattro rendiconti sugli archivi della Francia del Nord con più di 1000 bolle inedite, compilati dal Dott. Ramackers. Questi furono destinati per le Nachrichten della Società di Göttingen123. Ho già fatto domanda, ma finora non ho avuto risposta. Temo che anche a Göttingen non c’è più entusiasmo per tale roba. Riguardo al IX volume dell’Italia Pontificia parlerò a Berlino subito coll’editore (Weidmannsche Buchhandlung), ma temo che anche egli farà difficoltà finanziarie, del resto non senza ragioni, essendo il numero degli esemplari venduti spezialmente in Italia ridotto a zero. Dunque una situazione altre [sic] che bella e buona. Ma in ogni modo, io ho avuto tutte le soddisfazioni di una vita laboriosa, di cui il merito in gran parte ha il Santo Padre, il card. Ehrle bo. me. e anche Vostra Eminenza Reverendissima. Perciò Ella può essere convinta che i miei auguri per Sua Santità e per Vostra Eminenza Reverendissima vengano sincere [sic] e riconoscenti dell’intimo mio cuore. Mi abbia sempre di Vostra Eminenza Reverendissima devotissimo obbligatissimo P. Kehr Berlin-Dahlem Spilstr. 3

974), edito a Milano da Bocca (19382); ma prolifico autore soprattutto a proposito della vita religiosa italiana: La religione nella coscienza contemporanea, Torino 1924; Italia religiosa. La religione del popolo italiano nel suo sviluppo storico, Torino 1927; Due secoli di vita religiosa in Italia: 800-1000, Torino 1928; Vita religiosa italiana nel secolo XIII. Organizzazione e rinnovamento, Torino 1932; Italia religiosa. Primo declino del cristianesimo medievale, 1305-1378, Merano 1934; Chiesa e Italia durante il pontificato avignonese, 1305-1378, Milano 1937; Fulgori di vita religiosa e nazionale nei secoli di Gregorio VII e di Alessandro III, Milano 1940; Come leggo la Bibbia ai miei coetanei, I-III, Milano 1946; I principi dell’era cristiana, Merano 1949. 121 Per i volumi dell’Italia Pontificia, cfr. infra. 122 In realtà dopo i Reiseberichte relativi alla Catalogna e alla Navarra e all’Aragona (in Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften zu Göttingen. Neue Folge, 18/2, 22/1, Berlin 1926, 1928 [Vorarbeiten zur Hispania Pontificia, I-II]), Kehr non ne pubblicò altri. 123 J. RAMACKERS, Papsturkunden in Frankreich. Neue Folge 2: Normandie, in Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften zu Göttingen. Dritte Folge, Nr. 21, Göttingen 1937; ID., […]. Neue Folge 3: Artois, ibid., […], Nr. 23, […] 1940; ID., […]. Neue Folge 4: Picardie, ibid., […], Nr. 27, […] 1942; ID., […]. Neue Folge 5: Touraine, Anjou, Maine und Bretagne, ibid., […], Nr. 35, […] 1956; ID., […]. Neue Folge 6: Orléanais, ibid., […], Nr. 41, […] 1958.

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II. PRO MEMORIA DI GIOVANNI MERCATI A PROPOSITO PAUL FRIDOLIN KEHR (19 GENNAIO 1945)

DELL’IMPRESA DI

Il testo del pro memoria è conservato in due copie, tratte con carta carbone, in Arch. Bibl. 207, ff. 19r-23r (stesura A), 28r-35r (stesura B). Le due copie, rispettivamente di cinque e otto ff., dattiloscritti nel recto (con numerazione dattiloscritta nell’angolo superiore destro del recto / al centro del margine superiore del recto dei ff.: 2-5 / 2-9), differiscono non soltanto per il diverso interlineo ma anche perché B, che (come A) presenta correzioni a mano, mostra un testo complessivamente meno perfezionato di A, che sembra essere la versione definitiva del Pro memoria124. La differenza testuale più vistosa è l’uso, nel sesto capoverso, di artiglio in A, laddove B presenta arbitrio (e il primo termine, sicuramente più espressivo e pregnante, si presenta come una lectio difficilior). Di seguito viene quindi trascritto il testo di A (segnalando al suo interno solo le correzioni manoscritte considerate più significative). Mercati trasmise al destinatario, il Sostituto della Segreteria di Stato Giovanni Battista Montini, il manoscritto e la dattilografia fu quindi curata dallo stesso destinatario; il 21 gennaio 1945 mons. Montini scrisse infatti a Mercati: «1. Provvedo a far copiare il Pro-memoria relativo al compianto Prof. Kehr e a rimetterlo tanto a Sua Santità, quanto all’Eminenza Vostra. […]. 3. È stato telegrafato a Berlino circa le pendenze dell’opera del Prof. Kehr suddetto. 4. Così è stato telegrafato per il Prof. Baumgarten» (Arch. Bibl. 207, f. 18r). Si può ipotizzare che le due dattilografie (presenti nella copia ricavata con carta carbone) siano da ricollegarsi a iniziative e momenti diversi: A, come si è detto, con interlineo più ridotto, testualmente più perfezionato, sarebbe la copia fatta allestire da Montini, destinata alla lettura di Pio XII; B, con maggiore e più comodo interlineo (erano già insorti i problemi di vista di Mercati), con una forma del testo meno rifinita, potrebbe essere la copia preparata in Biblioteca Vaticana a partire dall’originale manoscritto di Mercati prima che esso fosse trasmesso a Montini. L’originale manoscritto di Mercati di fatto non è stato sinora individuato in Biblioteca Vaticana e dovrebbe essere rimasto nelle carte della Segreteria di Stato. Se così fosse, le differenze testuali fra A e B potrebbero essere ricondotte al dattilografo della Segreteria di Stato (si spiegherebbero così le differenze negli usi grafici) e a correzioni dello stesso Mercati sull’originale, prima della trasmissione a Montini, ma dopo che ne era stata tratta la copia dattiloscritta per Mercati.

Pro memoria L’antico direttore dell’Istituto Storico Germanico in Roma, e dei Monumenta 124

A e B presentano sostanzialmente lo stesso testo; le differenze riguardano, oltre alla punteggiatura (tendenzialmente più abbondante in B) e adozione di talune maiuscole/minuscole, soprattutto usi grafici e altre particolarità. Segnalo per esempio: v’era (A) vi era (B); mal sicure (A) malsicure (B); ecc. ecc. (A) ecc. (B); parte (A) parti (B); Irlanda (A) l’Irlanda (B); pontifici (A) pontificii (B); tre parti (A) 3 parti (B); S.ri (A) Sigg. (B); il Kehr ne ha pubblicati 8 (A) il Sig. Kehr ne ha pubblicati 8 (B); l’opera doveva (A) l’opera deve (B); Sr. Kehr (A) Sig. Kehr (B); a nessuno uomo (A) a nessun uomo (B); sulla vedova (A) alla vedova (B); osservare (A) osservarle (B); meditare (A) meditar (B); la stampa (A) le stampe (B, per correzione a mano); come è stato fatto fatto (A) com’è stato fatto (B); delle altre spese (A) per le altre spese (B, per correzione a mano); delegato della S. Sede (A) delegato della Santa Sede (B); con altri (A) con gli altri (B); di Europa (A) d’Europa (B); nelle difficoltà tra le quali (A) nelle difficoltà fra le quali (B); tale caso (A) tal caso (B); documenti papali (A) documenti passati (B); somma dalla S. Sede (A) somma dalla Santa Sede (B).

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Germaniae historica a Berlino e Direttore Generale degli Archivi di Stato Prussiani Paolo Fridolino Kehr (1860a-1944) ha, con energia instancabile, per quasi mezzo secolo, cercato e fatto ricercare, in Belgio e Olanda, Francia, Inghilterra, Italia, Portogallo, Spagna e Svizzera tutti i documenti superstiti in originale e in copia dei papi anteriori ad Innocenzo III, dei quali andaronob perduti i registri all’infuori di tre residui, e dei moltissimi ritrovati faceva trarre copie esatte o per lo meno estratti di tutto ciò che v’era di importante se erano comuni e di formulario ben noto, come faceva collazionare esattamente gli atti già conosciuti da copie o da stampe mal sicure, e tutto ciò per il rifacimento in ultimo dei Regesta Romanorum Pontificum125 al completo, per quanto è possibile ora. Inoltre e delle ricerche e dei ritrovamenti il Kehr e i collaboratori hanno reso di mano in mano conto al pubblico in una lunga serie di Reiseberichte pubblicati o nelle Nachrichten o nelle Abhandlungen (secondo la mole) della Gesellschaft der Wissenschaften di Göttingen, che nella copia della Vaticana formano una fila di oltre mezzo metro, dove gli atti inediti importanti sono pubblicati e già messi così alla disposizione degli studiosi della storia ecclesiastica e civile, del diritto ecc. ecc.126. Le ricerche sono continuate fino alla guerra, e dovrebbero continuarsi ancora per anni, solo parte della Spagna e della Francia e dell’Inghilterra essendo state esplorate e rimanendo ancora da esplorare Irlanda e i paesi nordici, e i paesi cattolici o già cattolici dell’Europa Orientale. Copie, collazioni ecc. il S. Kehr teneva alla Direzione dei Monumenta Germaniae historica, dove egli e i collaboratori avevano tutte le comodità di studio, ma dove nel 1938 gli furono per oltre mezz’anno sequestrate, perché, sembra, era trapelata o s’era divinatac la sua intenzione — a me la confidò — di affidare tutto il preziosissimo materiale raccolto alla Santa Sede, la più interessata alla continuazione, ove questa apparisse dubbia nella Germania nuovissima. Contemporaneamente il Kehr aveva cominciato l’Italia Pontificia, pubblicazione quanto mai utile e comoda nel suo genere ma purtroppo ignorata o solo di nome conosciuta nella massima parte delle nostre diocesi, nella quale dei vescovati, capitoli, monasteri, spedali ecc. sono date succose notizie storiche e bibliografiche «a giorno, precise e sicure», e poi si indicano tutti i documenti pontifici relativi, editi e inediti o anche semplicemente ricordati nelle fonti, fino ad Innocenzo III; e simile opera intitolata Germania Pontificia ha pure cominciato il collaboratore di lui A. Brackmann, ma mentre di questa sono usciti fino al 1935 solo due volumi (in a B reca la data 1861; in A l’ultima cifra è corretta a mano (da 1 a 0). b andarono: corretto a mano da andavano. c divinata: corretto a mano da difinata.

125 I Regesta Romanorum Pontificum avevano visto la luce in diverse edizioni: Berlin 1851 (a cura di Philipp Jaffé), con supplemento di August Potthast (in due volumi, Berlin 18741875, per gli anni dal 1198 al 1304); Leipzig 1885-1888 (in due volumi, a cura di Simon Löwenfeld, Friedrich Kaltenbrunner e Paul Ewald). 126 I Reiseberichte del «Papsturkundenwerk» sono conservati in Biblioteca Vaticana in Sala Stampati con la segnatura Papi. I.6 (oggi, complessivamente, 24 volumi, che occupano in estensione più di un palchetto, che misura cm 96,5). Anche JEDIN, Paolo Kehr cit., fece riferimento alla raccolta dei Reiseberichte sui palchetti della Vaticana: «[…] dei 68 rapporti da farsi sugli archivi 63 erano compiuti; essi, sugli scaffali della Biblioteca Vaticana, si presentano con 16 volumi dandoci una clavis archivorum unica nel suo genere per tutta l’Europa».

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tre parti) comprendenti le metropoli meridionali e dell’ultima parte manca tuttora il lavoro accompagnatorio dei S.ri Beck e Büttner fatto sperare per quello stesso anno127, il Kehr ne ha pubblicati 8 ed attendeva alla redazione dell’ultimo o degli ultimi due comprendenti la Puglia, il Salentino, la Calabria e la Sicilia128. Purtroppo la vecchiaia, l’indebolimento della vista accelerato o aggravato dallo sforzo di terminare la pubblicazione dei diplomi dei due ultimi imperatori Carolingi129 e le difficoltà della vita e dei viaggi sopravvenute colla guerra, per cui non ha potuto ritornare e restare, come soleva e gli occorreva, in Roma, non gli avranno permesso di finirli alla perfezione e di approntarli per la stampa, ma senza dubbio l’opera doveva essere già a tal punto progredita per tutte le diocesi, che l’uno o l’altro dei suoi collaboratori, di cui si serviva nelle ricerche e nella revisione delle stampe, potrà convenevolmente supplire ciò che resta da inserire qua e colà in conseguenza degli ultimi ritrovamenti e delle ultime pubblicazioni, e vigilare la stampa, e così completare l’Italia Pontificia, tanto consultata — la dove c’è — dagli studiosi della

127 Più propriamente, sino al 1935, erano usciti, della Germania Pontificia, tre volumi, tutti a cura di Albert Brackmann (1871-1952), il secondo dei quali in due parti: I: Provincia Salisburgensis et episcopatus Tridentinus (Berlin 1910-1911); II: Provincia Maguntinensis. 1: Dioeceses Eichstetensis, Augustensis, Constantiensis (Berlin 1932); II: Provincia Maguntinensis. 2: Helvetia Pontificia (Berlin 1927); III: Provincia Maguntinensis. Dioceses Strassburgensis, Spirensis, Wormatensis, Wirciburgensis, Bambergensis (Berlin 1935). Nel 1937 Marcel Beck e Heinrich Büttner avevano pubblicato Die Bistümer Würzburg und Bamberg in ihrer politischen und wirtschaftlichen Bedeutung für die Geschichte des deutschen Ordens, Berlin 1937 (Studien und Vorarbeiten zur Germania Pontificia, 3). Di questa collana il secondo volume non fu mai pubblicato. 128 A partire dal 1907, presso l’editore berlinese Weidmann, avevano visto la luce otto volumi dell’Italia Pontificia, sive repertorium privilegiorum et litterarum a Romanis pontificibus ante annum MCLXXXXVIII Italiae ecclesiis monasteriis civitatibus singulisque personis concessorum (I. Roma [1906]; II. Latium [1907]; III. Etruria [1908]; IV. Umbria. Picenum. Marsia [1909]; V. Aemilia sive provincia Ravennas [1911]; VI. Liguria sive provincia Mediolanensis. Pars I: Lombardia [1913]; Pars II: Pedemontium – Liguria maritima [1914]; VII. Venetiae et Histria. Pars I: Provincia Aquileiensis [1923]; Pars II: Respublica Venetiarum – Provincia Gradensis – Histria [1925]; VIII. Regnum Normannorum – Campania [1935]). Solo nel 1962 e nel 1975 uscirono gli ultimi due volumi (IX. Samnium – Apulia – Lucania, edidit W. HOLTZMANN; X. Calabria – Insulae, edidit D. GIRGENSOHN usus W. Holtzmann schedis). Le parole di Mercati corrispondono perfettamente allo stato dei lavori presentato nel settembre 1951 da Holtzmann al I congresso di studi longobardi a Spoleto: «Per l’Italia Pontificia mancano ancora i due ultimi volumi che riguardano la provincia di Benevento e le altre province del Mezzogiorno, la Puglia, la Basilicata, la Capitanata, la Calabria e le Isole. Il materiale è conservato, i lavori preparatorii sono molto avanzati, ed io spero di poter eseguire nei prossimi mesi a Roma le revisioni necessarie, grazie all’incoraggiamento ed aiuto datimi dalle Autorità Vaticane, e specialmente dall’eminentissimo animatore dei nostri studi, il cardinale Giovanni Mercati», HOLTZMANN, Paolo Kehr cit., p. 49. In realtà era stato lo stesso Kehr a informare puntualmente Mercati dello stato dei lavori, cfr. la lettera da Merano del 16 dicembre 1936 pubblicata supra, in Appendici. I. 129 Fra il 1932 e il 1940 Kehr aveva pubblicato l’edizione, in tre volumi, dei diplomi dei re di Germania di stirpe carolingia (Die Urkunden der deutschen Karolinger). Ma per l’edizione dei diplomi di Ludovico II (855-875), cfr. infra.

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storia ecclesiastica e civile sia generale sia locale d’Italia e della Storia ecclesiastica generale. Assai probabilmente il Sr. Kehr avrà lasciato disposizioni precise al riguardo del volume o dei volumi predetti, ed anche della Collezione dei documenti pontifici. Ad ogni modo, poiché la Santa Sede in seguito alle confidenze fatte a me ha ogni ragione di supporlo e poiché, d’altra parte, è evidente che la cosa La interessa direttamente e molto, ed è notorio — sia pure non quanto merita — l’aiuto validissimo da Essa prestato non solo con l’appoggio morale e le raccomandazioni al Clero, ma altresì con vistose sovvenzioni pecuniarie, a nessuno uomo ragionevole potrà apparire un’ingerenza indebita il cercare delicatamente, con tutti i riguardi, di conoscere le presumibili disposizioni e il mostrare quanto le prema che siano eseguite, nella persuasione che il defunto le avrà date quali nelle odierne circostanze giudicava praticamente più opportune, e l’offrire, ove occorra, il proprio appoggio ed aiuto affinché possano essere a puntino eseguite; ed altrettanto direi al riguardo della Germania Pontificia, se per avventura fosse stata continuata, ciò che ignoro. Anzi il passo dovrebbe fare la migliore impressione sulla Vedova, alla figlia e al genero del Sr. Kehr130 ed incoraggiarli ed impegnarli ad osservare o a farle [scil.: le presumibili disposizioni] osservare, ove si trovassero in difficoltà o le incontrassero; e quand’anche non si riuscisse, l’avere tentato sarà sempre, agli occhi di quanti apprezzano gli studi seri e specialmente degli italiani e tedeschi, un nuovo atto di vigile ed illuminata ed imparziale larghezza della Santa Sede verso le imprese di vera scienza e gli scienziatie probi e laboriosi, in quanto Essa nel caso presente si interessa bensì per opere e documenti che la riguardano, ma in gran parte preparati da non cattolici e non italiani, e proverà quanto i Papi siano sicuri degli atti dei loro antecessori e desiderosi che ritornino tutti alla luce. Converrebbe però insieme far bene comprendere che la Santa Sede mantiene lo stesso atteggiamento di prima e non si preoccupa che le pubblicazioni si continuino a preparare e a fare in Germania; altrimenti potrebbero adombrarsi quasi si tenti di carpirle ai tedeschi in un momento di prostrazione; solo in seguito, ove apparisse impossibile continuarle colà o per la scomparsa della ditta editrice (Weidmann) o per il rifiuto dell’Accademia di Göttingen o per i prezzi troppo gravosi che fossero colà pretesi dai tipografi, sarebbe da meditare bene e proporre che si facciano [sic] quì (o dove il Santo Padre deciderà) la stampa, come è stato fatto per il Concilium Tridentinum131; nel qual caso l’invio qui della carte, se anche solo raccomandato d e: corretto a mano su a. e scienziati: corretto a mano da scenziati. 130 La vedova di Kehr era Doris vom Baur (sposata nel 1908). La figlia, Gudila, studiosa anch’essa di diplomatica, aveva sposato nel 1913 il barone Götz von Pölnitz (1906-1967), storico e archivista, cfr. SCHIEFFER, Kehr, Paul Fridolin cit., p. 396; M. PIENDEL, Götz Freiherr von Pölnitz, in Der Archivar 24 (1971), pp. 230-232. 131 Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, edita dal 1901 dalla Görres-Gesellschaft, per i tipi di Herder, a Friburgo in Brisgovia. Dei tredici volumi (anche in più tomi) solo il quinto (Concilii Tridentini actorum pars altera. Acta post sessionem tertiam usque ad Concilium Bononiam translatum, collegit edidit illustravit S. EHSES), pubblicato nel 1911 e dedicato a Pio X, e il tredicesimo (Concilii Tridentini trac-

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nelle disposizioni ultime, avverrebbef automaticamente132. In ultimo, ma la cosa per importanza è forse la prima, la Santa Sede ha vivo interesse di sapere quali disposizioni il Sr. Kehr abbia lasciato circa il fondo da lui raccolto per la continuazione dei viaggi di ricerca dei documenti pontifici e delle altre spese. Molto egli ebbe a principio dal Cardinale Arcivescovo di Breslavia Kopp133, e molto dalla f.m. di Pio XI, tanto che il Kehr intendeva di dare alla fondazione il nome di Pio XI134. Ignoro a quanto ammontasse il capitale, ma so che per una grande parte almeno era collocato in banche svizzere e veniva totalmente amministrato dal Kehr medesimo; so che egli era preoccupato come assicurarne la conservazione e la erogazione scrupolosa della rendita agli scopi della fondazione. Mi disse che pensava di rimettere il giudizio degli assegni ad un ristretto consiglio formato da un delegato della S. Sede (il prefetto dell’Archivio Vaticano o della Biblioteca) e da delegati delle altre istituzioni che avevano più validamente aiutato l’impresa ed avrebbero continuato ad aiutarla, come l’Accademia di Göttingen; mi disse pure che ne avrebbe discorso con la f.m. di Pio XI, di cui apprezzava molto la grande accortezza ed esperienza amministrativa, e che aveva e avrebbe consultato ancora uomini di legge e di banche ecc. per la formazione dello Statuto135. Tale preoccupazione, naturale in chi dell’impresa aveva fatto come lo scopo principale della sua vita ormai volgente al termine, molto probabilmente gli era cresciuta dopo il caso della Biblioteca Hertziana ed il caso Steinmann136, e chi sa quanti altri (non aggiungo, perché nong sono sicuro che già fosse avvenuto, lo scioglimento f avverrebbe: corretto a mano da avverrebbero. g non: aggiunto a mano, nell’interlineo. In B è rimasto perché sono sicuro.

tatuum partis alterius volumen prius complectens tractatus a translatione Concilii usque ad sessionem XXII conscriptos, ex collectionibus V. SCHWEITZER, auxit edidit illustravit H. JEDIN), pubblicato nel 1938 e dedicato a Pio XI, furono stampati rispettivamente a Roma e nella Città del Vaticano, in entrambi i casi «Typis Polyglottis Vaticanis». 132 Mercati mostra di essere consapevole della delicatezza della situazione; bisogna soccorrere l’impresa ma senza dare l’impressione ai ricercatori tedeschi di volerla «carpire», sottraendola loro in un «momento di prostrazione»; tanto più che il cardinale conosce bene, come afferma in conclusione, «la gelosia quasi morbosa del sentimento nazionale [scil.: tedesco], che suole prendere in sospetto e male interpretare anche i più ragionevoli e discreti e benevoli interventi nostri [scil.: della Santa Sede]». 133 Georg von Kopp (1837-1914), vescovo di Fulda (1891-1887) e poi principe-vescovo di Breslau (1887-1914); cardinale dal 1893. 134 Oltre agli aiuti ottenuti da Kehr da Kopp e da Pio XI, JEDIN, Paolo Kehr cit., ricordò anche l’appoggio di Giuseppe Sarto-Pio X: «A Venezia, il Cardinale Sarto, allora Patriarca, e buon conoscitore di documenti storici avendo egli stesso ordinato in modo esemplare l’archivio vescovile di Treviso, gli aprì con la sua raccomandazione le porte di tanti archivi ecclesiastici, e questo interessamento continuò quando il Patriarca divenne il Papa Pio X». 135 Mercati qui fa evidentemente riferimento ad affermazioni orali di Kehr che, come si è accennato, sino al 1936 era stato direttore dell’Istituto Storico Germanico. 136 Sul caso dell’eredità di Ernst Steinmann (1866-1934), dal 1913 direttore della Bibliotheca Hertziana, destinata poche settimane prima della morte alla Biblioteca Vaticana e impugnata dalla Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften (alla fine, nel 1938, entrarono in Vaticana solo i duplicati degli stampati, soprattutto relativi a Michelan-

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della Görresgesellschaft e la confisca dei beni di essa137); fare atto non vano e che fosse rispettato, soprattutto se vi fossero entrati delegati di Accademie cadute o che stavano per cadere sotto l’artiglio statale, non era un problema facile, né so se sia riuscito a risolverlo, e può darsi che abbia dovuto all’ultimo decidersi per la meno peggio a qualche espediente non secondo le sue idee personali. Comunque, importa assai di conoscere le sue ultime disposizioni al proposito, e a tal uopo converrà molto cautamente e delicatamente interrogare i predetti congiunti, che potrebbero anche essere gli eredi fiduciari; dico i congiunti, perché non mi consta che il Kehr, molto accorto, si aprisse, specialmente negli ultimi anni, con altri, compresi i membri dell’Istituto storico germanico e suoi vecchi collaboratori; era troppo esperto degli uomini per fidarsene. Che se anche per avventura risultasse che la fondazione fu fatta e posta sotto altro nome ed affidata ad un consiglio altrimenti composto e meno rassicurante, non per questo si dovrebbe, salvo miglior giudizio, straniarsene e mostrarne disinteresse finché nell’attività e nelle pubblicazioni si conservasse il carattere di serietà, accuratezza e serenità che il fondatore sempre volle, ma converrebbe piuttosto continuare a favorirla, specialmente se richiesti; e ciò tanto per la molteplice utilità scientifica dell’opera in sé e perché giova segnatamente a porre in vista le continue strette relazioni dei Papi con tutte le popolazioni di Europa nei secoli anche più oscuri e ferrei, quanto perché il fatto dimostrerebbe che appoggi e soccorsi sono stati finora prestati non per favori o riguardi personali, bensì per una illuminata comprensione della necessità delle ricerche a fondo quando si vuole progredire, e per un vivo desiderio che davvero si progredisca, come innegabilmente e non poco si è progredito mercé l’ingente materiale nuovo tornato alla luce138. Il medesimo atteggiamento parrebbe convenevole ove la fondazione fosse stata rimandata a tempi migliori e intanto rimessa la cosa alla fiducia della figlia, che il Sr. Kehr stimava moltissimo per la capacità e l’amore portato ai suoi propri studi, e del genero docente dell’Università, cattolico, di cui si dimostrava molto contento (come fu contento del passaggio della figlia al cattolicismo), ed essi esitassero nelle difficoltà tra le quali al pari di quasi tutti gli altri è probabilissimo si dibattano o saranno per dibattersi. Sul da fare in tale caso è inutile meditare, prima che si conoscano bene le disposizioni dell’estinto ed i pensieri dei fiduciari; se ne occuperà,

gelo), cfr. Ch. M. GRAFINGER, Die Auseinandersetzung um die «Michelangelo-Bibliothek» Ernst Steinmanns in den Jahren 1935-1938. Ein Konflikt zwischen der Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft und der Biblioteca Vaticana und seine Lösung, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 72 (1992), pp. 438-467. 137 Nel 1941 il regime nazionalsocialista aveva sciolto la Görres-Gesellschaft, di cui erano stati confiscati i beni; fu ricostituita nel 1948 (quindi, non lo era ancora, quando Mercati scriveva). 138 Mercati intende affermare che l’appoggio della Santa Sede al «Papsturkundenwerk» aveva radici e motivazioni ben più profonde degli ottimi rapporti personali fra Pio XI e Kehr e nasceva piuttosto dall’esigenza di una consapevolezza storica dell’operato del pontificato romano. Una consapevolezza storica fondata e imparziale perché fornita da ricerche condotte per massima parte «da non cattolici e non italiani», a dimostrazione che i papi sono ben «sicuri degli atti dei loro antecessori e desiderosi che ritornino tutti alla luce».

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se mai, a suo tempo qualcuno di autorità e di abilità non comune nel trattare gli uomini a cui il Santo Padre giudicherà opportuno affidare la pratica. Riassumendo, la Santa Sede ha interesse e diritto, per ragione della materia e dei precedenti di fatto, d’intervenire, incoraggiare ed offrire, occorrendo, il possibile appoggio: 1) affinché si stampi l’ultimo volume, o due già quasi terminati dell’Italia Pontificia e si continui la Germania Pontificia; 2) perché si prosegua la ricerca e la raccolta dei documenti Pontifici antichi nelle regioni non peranco esplorate e si continui la pubblicazione dei Reiseberichte relativi con la prontezza, se è possibile, e nel modo tenuto finora, che si è dimostrato molto pratico e fruttuoso; 3) di conoscere le disposizioni ultime del Sr. Kehrh, — oltre che al riguardo del compimento della Italia Pontificia e della destinazione delle copie e collazioni dei documenti papali raccolti da lui — circa la fondazione apposita per il proseguimento sino alla fine delle ricerche e per il rifacimento dei Regesta Romanorum Pontificum, per la quale aveva ottenuto vistosa somma dalla S. Sede e della quale aveva trattato con Essa. Non occorrerà raccomandare a S.E. Mgr Nunzio139 la massima cautela e segretezza, anche se mutassero, e di molto, le condizioni pubbliche, stante la gelosia quasi morbosa del sentimento nazionale, che suole prendere in sospetto e male interpretare anche i più ragionevoli e discreti e benevoli interventi nostri. 19 gennaio 1945.

h Nell’originale, per errore del dattilografo, Kehrl. 139 Cesare Orsenigo (1873-1946), di Olginate (Lecco), sacerdote dal 1896, fu nunzio apostolico in Olanda (1922-1925), Ungheria (1925-1930), Germania e (sino al 1934) Prussia; cfr. G. DE MARCHI, Le nunziature apostoliche dal 1800 al 1956 […], Roma 1957 (Sussidi eruditi, 13), pp. 133-134, 188, 219, 255; M. M. BIFFI, Il cavalletto per la tortura. Cesare Orsenigo, ambasciatore del papa nella Germania di Hitler, Roma 2006; M. LEVANT, Orsenigo, Cesare Vincenzo, in Dizionario biografico degli italiani, LXXIX, Roma 2013, pp. 580-583.

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III. LETTERA DI GIOVANNI MERCATI A GÖTZ VON PÖLNITZ (15 MAGGIO 1948) Il testo della lettera è conservato in copia in Arch. Bibl. 237, ff. 83r-88r; sei ff. (di cui sono numerati il terzo e il quinto: 2 e 3), dattiloscritti nel recto. Il primo f. reca nell’angolo superiore sinistro del recto il numero di protocollo: 312/P. Altre due copie, identiche, tratte con carta carbone, in Arch. Bibl. 207, ff. 84r-89r, 90r-94ar.

Chiar.mo Signor Barone von Poelnitz, Alla fine di aprile ho ricevuto la Sua del 5 febbraio 1948. La ringrazio delle informazioni. Vedo che sono necessari schiarimenti. Li darò per quanto posso pieni. I) Non è mai pervenuta né alla S. Sede né a me la relazione del 25 novembre 1946 da Lei consegnata al Signor Parroco B. Hack di Eichstätt. Nell’attesa di essa fu fatta ritardare sino al 17 febbraio 1948 la risposta del Reverendissimo Prefetto della Biblioteca Vaticana al Sig. Prof. Dr. R. Smend di Göttingen140, Presidente del Comitato Direttivo per la parte scientifica della Fondazione Pio XI, che in tale qualità gli aveva notificato con lettera del 5 dicembre 1946, essere il Prefetto della Vaticana membro del Comitato stesso in virtù dello Statuto della Fondazione in data 23 novembre 1931, entrato in vigore col decesso del Direttore e Amministratore a vita Prof. P. Kehr (9 Nov. 1944). Atteso che per diverse vie erasi ridomandato alla Signora Baronessa figlia del defunto, se e quali istruzioni e disposizioni ultime Egli avesse lasciato circa la Fondazione Pio XI e il compimento dell’Italia Pontificia, il silenzio durato oltre un anno (mentre erano pervenute lettere dalla Signora Baronessa e di addetti alla Biblioteca dei Monumenta Germaniae historica e di antichi membri dell’Istituto Storico Germanico in Roma) fu ritenuto un segno che ultime disposizioni circa la Fondazione Pio XI non esistevano e vigeva in pieno lo Statuto del 1931, certamente fatto secondo la volontà del Fondatore e non mutabile senza il suo consenso espresso e debitamente attestato, e si procedette alla risposta. II) L’intervento della S. Sede, dacché ebbe notizia del decesso del Sig. Direttore Prof. P. Kehr (gennaio 1945) si è limitata 1) a ricercare se esisteva ancora, e dove, il fondo Pio XI, e quanto ne fosse rimasto; 2) a prevenire gli Alleati Inglesi e Americani che esso non poteva considerarsi né trattarsi come una proprietà Germanica, ma si doveva conservare interamente a suoi scopi scientifici che interessano specialissimamente la Santa Sede elargitrice del Fondo; 3) a conoscere le ultime istruzioni e disposizioni che per avventura avesse lasciato il defunto Direttore e Amministratore, circa la continuazione delle opere e delle ricerche compiute e dirette da Lui coi mezzi del Fondo; 4) a conoscere l’esistenza e ad assicurare in sede opportuna la conservazione delle copie, fotografie ecc. da servire all’edizione degli Atti Pontifici anteriori ad Innocenzo III e degli studi relativi. Conosciuto poi tutto ciò in quanto fu possibile con tre anni di pratiche scrupolose, di per sé complicate e non secondate sempre, che sarebbe lungo esporre e non gioverebbe, la S. Sede, purché sia pienamente osservato lo Statuto e non soprav140

Rudolf Smend (1882-1975), presidente dell’Accademia delle Scienze di Gottinga; dal 1935 docente di diritto nella Georg-August-Universität di Göttingen, di cui fu il primo rettore dopo la guerra.

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vengano nuovi pericoli alla Fondazione e al Fondo, non intende ingerirsi affatto in essa, pronta nondimeno a dare, se desiderato, l’appoggio della propria Autorità ove possa giovare alle imprese varie della Fondazione. III) Il compimento dell’Italia Pontificia è desiderato vivamente dalla S. Sede, dall’Italia e da tutto il mondo degli studiosi, e naturalmente ha da farsi, in quanto è possibile, secondo le disposizioni ultime dell’autore. Peccato che ne sia perito lo scritto e che non ne fosse depositata copia alcuna altrove! Né Bock né Holtzmann141 né altri senza dubbio intenderanno contrastarle: solo è possibile che le disposizioni date alla Figlia non siano in ultimo del tutto conformi a quello che essi raccolsero prima a tempi diversi dalla bocca o da lettere del loro maestro, e di qui nasca la differenza. Comunque, la S. Sede mantiene e manterrà la propria linea di condotta indicata sopra, e il Nostro S. Padre, pur conoscendo la filiale prontezza, altamente encomiabile, della Signora Baronessa erede e di Lei esecutore testamentario a compiere un Suo Augusto desiderio, rimette totalmente alla loro prudenza, saggezza e devozione al caro defunto l’esecuzione delle sue volontà a loro ben note e segnatamente la decisione circa la domanda del Sig. Prof. Holtzmann. IV) Quanto ho riferito basterebbe da se a rivelare quale debba essere il mio contegno nella faccenda, il medesimo cioè della S. Sede, inspirato dalla giustizia, dalla stima del defunto e dal rispetto delle sue disposizioni in vita e in morte, dal riguardo alla Figlia erede e a Lei fedele esecutore ed insieme ai rispettabilissimi Membri odierni del Comitato Direttivo della Fondazione Pio XI142. Nondimeno ritengo utile aggiungere in mio nome esclusivo che, attese le difficoltà gravissime direttamente e indirettamente cagionate dalla guerra ad ogni impresa di pura scienza, le quali purtroppo dureranno molti anni ancora, avevo pensato di far proporre al Comitato per prima opera da aiutare l’Italia Pontificia, sia per l’utilità e l’eccellenza sua universalmente riconosciute, sia per riguardo all’autore e allo stato avanzatissimo degli ultimi due volumi143, nella speranza che in tal modo diventerebbero possibili 141 Walther Holtzmann (1891-1963), dal 1924 al 1926 assistente dell’Istituto Storico Prussiano di Roma e collaboratore di Kehr; dopo un periodo di insegnamento in Germania, ad Halle (1931) e poi a Bonn (1936), fu dal 1953 al 1961 direttore dell’Istituto Storico Germanico, di cui rimise in piedi la biblioteca e riavviò le attività; curò, fra l’altro, il nono volume dell’Italia Pontificia, pubblicato nel 1962; cfr. «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., p. 77. Per Bock, cfr. supra, ntt. 29 e 73. 142 Mercati seguì con attenzione, anche negli anni successivi, le vicende della PiusStiftung, come mostra per esempio lo scambio di lettere fra lui e Jedin, Bonn, 4 novembre 1950; Vaticano, 11 novembre 1950 (JEDIN, Storia della mia vita cit., pp. 380-382): l’impegno, d’intesa col prefetto della Vaticana Anselm Albareda, era quello di reinserire studiosi cattolici nel lavoro della Fondazione, in primis Johannes Ramackers, «del quale Kehr si era lodato meco [scil.: con Mercati] più d’una volta non poco». Per Ramackers. cfr. supra, nt. 123 e testo. 143 Sulla storia dell’impresa, cfr. R. HIESTAND, Die Italia Pontificia, in Das Deutsche Historische Institut in Rom cit., pp. 167-189; ID., 100 Jahre Papsturkundenwerk, in Hundert Jahre Papsturkundenforschung. Bilanz – Methoden – Perspektiven. Akten eines Kolloquiums zum hundertjährigen Bestehen der Regesta Pontificum Romanorum vom 9.-11. Oktober 1996 in Göttingen, Göttingen 2003 (Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften zu Göttingen. Philologisch-Historische Klasse. Dritte Folge, 261), pp. 11-44; ID., Die unvollendete Italia Pontificia, ibid., pp. 47-57; M. MATHEUS, Das Deutsche Historische Institut (DHI) in Rom

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i viaggi a centri di studio ben forniti delle pubblicazioni più recenti ed a luoghi (ove fosse necessario) dell’Italia meridionale e insulare, viaggi che per l’altissimo costo della vita e dei trasporti e per i disagi sono oltremodo gravosi. E mi aveva in ciò confermato l’atteggiamento primo dell’Istituto Storico Italiano di fronte ai Diplomi di Ludovico II, già stampati a metà e oltre, che conobbi per il semplice accidente che mi si pregò di trasmettere alla Signora Baronessa autrice la risposta del tutto sconfortante notificatami a voce dal latore: sconsigliai l’invio suggerendo un provvedimento di non molta spesa per continuare e finire la stampa, senza mancare alle esigenze scientifiche, provvedimento che fu accolto e continua ad eseguirsi, come la Signora Baronessa avrà visto dall’ultima lettera trasmessaLe da me144. Esposi quindi il pensiero al Reverendissimo Mons. H. Jedin e ad altri quì, e l’insinuai opportunamente in lettere al Prof. Smend, al Prof. Holtzmann e al Dr. Bock, non dubitando di un consenso e concorso cordiale all’attuazione, e risoluto a far proporre in regola nella prima riunione del Comitato dal membro P. Albareda, prefetto della Vaticana145, la concessione del sussidio146. Forse di quì prese und Paul Fridolin Kehrs Papsturkundenwerk, in Das Papsttum und das vielgestaltige Italien. Hundert Jahre Italia Pontificia, hrsg. von K. HERBERS – J. JOHRENDT, Berlin-New York 2009 (Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften zu Göttingen. Neue Folge, 5), pp. 3-12; D. GIRGENSOHN, Kehrs Regesta Pontificum Romanorum: Entstehung – Wissenschaftliche Ertrag – organisatorische Schwächen, ibid., pp. 215-257. 144 L’edizione vide la luce solo nel 1994, sia nelle collane dei Monumenta Germaniae Historica che in quelle dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo: Die Urkunden der Karolinger, IV: Die Urkunden Ludwigs II, bearbeitet von K. WANNER, München 1994 (Monumenta Germaniae Historica. Diplomata Karolinorum, IV. Ludovici II Diplomata / Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Fonti per la storia d’Italia medievale. Antiquitates, 3); cfr. pp. VIIVIII per il passaggio del lavoro da Kehr alla figlia Gudila, a Wolfgang Hagemann e infine a Wanner. 145 Il 30 settembre 1948 Mercati comunicò all’arcivescovo di Monaco, card. Michael von Faulhaber, che alla «prima seduta costitutiva del Comitato direttivo della “Pius Stiftung für Papsturkunden- und für Mittelalterliche Geschichtsforschung”, per la sorte della quale l’Eminenza Vostra Reverendissima si adoperò così validamente e con felici risultati», avrebbe partecipato il prefetto Albareda, che sarebbe partito da Roma il 7 ottobre e sarebbe arrivato l’8 successivo, Arch. Bibl. 207, f. 99r. Poco dopo, il 14 dicembre 1948, Albareda (anche a nome di Mercati) invitò Friedrich Baethgen, quale presidente dei Monumenta Germaniae Historica, a partecipare a Roma ad alcune riunioni convocate a Roma: «in dette adunanze, con il concorso di dotti di diversi paesi, saranno prese deliberazioni sull’andamento dei lavori per i “Monumenta Germaniae Historica” […] e della “Pius-Stiftung” […]», Arch. Bibl. 207, f. 112r. Della lettera fu inviata copia a Charles Rufus Morey. 146 Il 15 gennaio 1947 Mercati aveva scritto a Smend riassumendo gli interventi della Santa Sede nella questione nel modo in cui più tardi fece con Pölnitz: «fin dal gennaio del 1945, quando s’intese la morte del Kehr, la Segreteria di Stato ed io quale Cardinale Bibliotecario di S.R.C., non abbiamo cessato di ricercare per tutte le vie che ci aprivano, tanto il fondo Pio XI per salvarlo dalla confisca e dalle distrazioni che ne potevano temere, e per assicurarne l’impiego totale e col maggiore frutto nell’opera per cui era stato elargito, quanto per conoscere le disposizioni finali del Kehr, il quale negli ultimi colloqui con me si era mostrato non tranquillo sull’avvenire a causa delle mutate condizioni pubbliche e poi del sequestro per oltre mezzo anno dei materiali raccolti e delle sue carte, ed era dubbioso sul modo di provvedere efficacemente alla conservazione e all’uso di quelli e all’incolumità della fondazione», R.

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la mossa il Sig. Prof. Holtzmann, che non avrà per ombra mirato ad un’invasione dei diritti della Signora Erede né forse ponderato i rischi del trasporto delle carte rilevati da Lei. Comunque, la lettera di Lei mi fa esitare, e mi determinerebbe ad assumere fino ad oggi l’atteggiamento di chi benevolmente attende le risoluzioni, quali che siano, degli aventi diritto, se non credessi bene sottoporre un’ultima considerazione, forse non indifferente, che mi preoccupa, ignorando se dal 1931 in poi l’Italia P. fu continuata coll’uso delle rendite del Fondo Pio XI e se pubblicavasi a spese della Casa editrice Weidmann di Berlino, ora chi sa in quali condizioni ridotta. Concedendo anche il massimo, che cioè il Signor Direttore e Amministratore insieme a vita abbia sostenuto col Fondo tutte le spese di preparazione e di edizione (Egli ben sapeva quello che poteva), ha Egli poi nelle ultime disposizioni esplicitamente dichiarato questo e ordinato di continuare sino alla fine dell’opera e di farlo debitamente sapere agli Amministratori e Direttori statutarî? Altrimenti, come possono essi ritenersi in giustizia obbligati a continuare? E nell’ipotesi meno favorevole, non ritornerebbe espediente il partito a cui mi ero appigliato, impegnando alla riuscita i collaboratori offertisi che la nuova Direzione probabilmente non trascurerà di consultare? Aperta interamente l’anima mia a Loro, che mi rappresentano al vivo il caro Estinto, li prego di gradire i miei ossequi (G. Card. Mercati) Bibliotecario e Archivista di S.R.C. Al Chiarissimo Sig. Dr. G. Barone von Poelnitz Schloss Hundshaupten (13a) Post Pretzfeld / cfr. U.S. Zone

FARINA, La Biblioteca Apostolica Vaticana e il Papsturkundenwerk, in Das Papsttum und das vielgestaltige Italien cit., pp. 13-14: 14. L’anno precedente, nel 1946, il prefetto Albareda, scrivendo ancora a Smend, aveva comunicato che dopo le ricerche compiute non erano emerse altre disposizioni testamentarie di Kehr e che quindi lo Statuto del 23 novembre 1931 della Pius-Siftung poteva ritenersi in vigore; il prefetto della Biblioteca Vaticana accettava dunque di far parte della Commissione e di compiere i doveri che ne derivavano, ibid. (Farina utilizza documenti dell’Archivio della Biblioteca).

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IV. NOTE DI GIOVANNI MERCATI A PROPOSITO ROMA E FIRENZE (ESTATE 1949)

DELLO STATUS DEGLI ISTITUTI TEDESCHI DI

Nei Carteggi del card. Giovanni Mercati sono conservati alcuni documenti dell’estate 1949 che permettono di definire con maggiore precisione la posizione del cardinale a proposito della questione, allora vivacemente dibattuta, della proprietà degli istituti tedeschi di Roma e Firenze147. La Segreteria di Stato vaticana trasmise a Mercati un Appunto dattiloscritto (N° 204.421/S), Dal Vaticano, 17 giugno 1949, col quale si rendeva noto che «Il Professor Werner Heisenberg, Presidente del Consiglio tedesco di investigazioni, ha rivolto istanza al Santo Padre, facendo presente l’opportunità di lasciare immutata la situazione degli Istituti tedeschi di cultura in Italia, almeno per quanto riguarda la questione di proprietà. Stando alle informazioni che il detto Professore afferma di avere, in seno all’Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell’Arte in Roma, si starebbe discutendo un progetto secondo il quale gli Istituti tedeschi in questione dovrebbero diventare proprietà dello Stato Italiano, pur rimanendo, per 99 anni, sotto l’Amministrazione dell’Unione medesima. Tale progetto, se attuato, porterebbe, a quanto sembra all’oratore, grave pregiudizio ai buoni rapporti tra gli scienziati italiani e quelli tedeschi; egli ritiene, pertanto, più opportuno differire la soluzione della questione fino alla firma del Trattato di pace con la Germania, per risolverla, allora, nel modo più amichevole, e con trattative dirette tra le due parti interessate stesse». All’Appunto era allegato l’elenco dei cinque «Istituti tedeschi di cultura in Italia», i quattro istituti romani e l’Istituto fiorentino di storia dell’arte148. In merito all’Appunto, Mercati scrisse alcune Osservazioni:

OSSERVAZIONI SUL PROGETTO DI NOTA AL G[OVERNO]. I[TALIANO].149 L’«Appunto», che nel biglietto accompagnatorio si dice un «progetto di Nota all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede», manifesta la generosa disposizione del Santo Padre ad intervenire, dietro l’istanza rivoltagli dal Sig. Prof. W. Heisenberg, Presidente del Consiglio tedesco di investigazioni, presso il Governo Italiano, affinché si lasci «immutata la situazione degli Istituti tedeschi di cultura (5 sono indicati nell’Allegato) almeno per quanto riguarda la questione della proprietà». Il Prof. Heisenberg fa tale istanza affermando che l’Unione internazionale degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell’Arte in Roma stava discutendo il progetto di cui sopra nella Memoria del 30 giugno, evidentemente coll’idea e colla speranza, che la Santa Sede coll’intervenire presso il Governo Italiano possa rendere vano quel progetto, ma non dice in qual modo, se col rifiutare la proprietà offertagli, ovvero col rifiutare la gestione dell’ammini147 Per l’intera questione, cfr. «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., passim (in particolare le pp. 33-55, per la situazione negli anni 1948-1950 e in particolare per il 1949, anno davvero cruciale). 148 Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn. Sull’intervento di Heisenberg, cfr. ESCH, Die deutschen Institutsbibliotheken cit., p. 86. 149 Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn. Undici ff. (numerati 2-11 al centro del margine superiore), dattiloscritti, con interventi manoscritti di Mercati. Un altro esemplare, tratto con carta copiativa e senza gli interventi manoscritti di Mercati, in Arch. Bibl. 237, ff. 141r-151r. Nell’edizione del testo, il sottolineato viene reso col corsivo.

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strazione per 99 anni sotto l’Unione, o coll’obbligare i membri dell’Unione da sé dipendenti, i quali sono due, ad opporsi, o finalmente col negare all’Unione il riconoscimento di «ente morale», capace di diritti in Italia, richiestogli da molti mesi e finora non concesso, come fu detto nella cit. Memoria. Dovrebbe indurre a quel passo il «grave pregiudizio ai buoni rapporti tra gli scienziati italiani e quelli tedeschi», che verrebbe dall’attuazione del progetto, e consigliare di «differire la soluzione della questione fino alla firma del Trattato di pace con la Germania, per risolverla allora, nel modo più amichevole, e con trattative dirette tra le due parti interessate stesse, le quali però non vengono specificate se siano le quattro Alte Potenze (Francia, Inghilterra, Russia, Stati Uniti) e la Germania; oppure le meno discordi Francia, Inghilterra, Stati Uniti e la Germania; o finalmente le sole Italia e Germania, come sembrerebbe supposto dal tenore della Nota e dall’unicità del destinatario; salvo che il Sig. Prof. Heisenberg per prudenza siasi limitato per ora a chiedere l’intervento del Santo Padre presso l’Italia, e poi ottenuto questo, instare che Egli, direttamente o mediatamente, intervenga anche presso gli altri, quelli almeno più ossequenti. Tale tattica non è temerarità né malignità aspettarsela. Non conoscendosi i molteplici diversissimi «retroscena» della spinosa questione, in cui intervengono questioni gravissime e disputatissime di diritto bellico e non bellico e s’immischiano molti interessi contrastanti, di scienza e di cultura alla facciata ma di tutt’altri generi dentro, che si dissimulano con ogni cautela ma non si abbandonano mai da certe Nazionalità tenacissime, e s’indovinano all’ingrosso dal modo di agire quando se ne conosce la psicologia e la storia vera, si esita, anche se persuasi, ad esprimere, come ne sono richiesto, un parere, e per iscrupolo si è tratti a dire il meno ed a stare dal lato meno pericoloso, affine di non apparire maligni o prevenuti e di non danneggiare comunque. L’esprimerò nondimeno, benché dolga di toccare qualche tasto sgradevole a me stesso, che vorrei inesistente affatto, ma altri hanno sempre nell’orecchio e continueranno a sentire a lungo, e i Tedeschi naturalmente non toccano, quasi fosse «extra chorum». *

*

*

Adunque, se la Germania a suo tempo non avesse confidato la tutela generale de’ suoi beni ed interessi in Italia ad una Nazione neutrale bensì alla S. Sede, o se anche solo avesse accolto la generosa offerta della S. Sede stessa di prendere in consegna ed in custodia le tre biblioteche germaniche di Roma150, il Santo Pa150

Il riferimento è al tentativo della Santa Sede, negli ultimi mesi del 1943, di porre le tre biblioteche tedesche di Roma sotto la protezione della Santa Sede con la bandiera vaticana e con la nomina di tre consegnatari vaticani (Filippo Magi per la biblioteca dell’Istituto Archeologico Germanico, Deoclecio Redig de Campos per la Bibliotheca Hertziana e Giulio Battelli per l’Istituto Storico Germanico); ma «la proposta non ebbe seguito perché avrebbe significato per il Comando tedesco il riconoscimento dell’abbandono di Roma», cfr. GOLDBRUNNER, Von der Casa Tarpea cit., p. 62 nt. 119; «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., p. 6; BATTELLI, Le premesse dell’Unione cit., pp. 203-204. Più difficile è chiarire il passo a proposito della «tutela generale» dei «beni ed interessi» tedeschi in Italia. Si potrebbe pensare che essa sia stata affidata, come era avvenuto durante la prima guerra mondiale, alla Confederazione Elvetica (ANDREAE, L’Istituto Archeologico Germanico cit., p. 171; ELZE, L’Istituto Storico

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dre intervenendo per le biblioteche medesime ed includendovi anche le altre non potrebbe essere tacciato di una ingerenza indebita e importuna, perdonabile solo ad uno slancio di buon cuore e di generosità; anzi avrebbe il diritto e il dovere riconosciuto di fare quanto è lecito per conservare la proprietà alla Germania e di cedere unicamente alle forze maggiori del diritto e della ragione, quale fiduciario coscienzoso ed insieme padre comune, operante non per parzialità, ma per un’obbligazione assuntasi a tempo con tutta la buona fede e risoluto per buona fede a compierla in pieno fino all’ultimo, e sarebbe sicuro che pur gli avversi e tediati delle Sue resistenze l’ammirerebbero in fondo al loro animo, ed avrebbero in Lui fiducia, se possibile, maggiore anche per i loro propri interessi eventualmente Similmente, se la Germania co’ suoi agenti avesse privatamente ottenuto dall’altra parte un’attendibile promessa che, ove le fosse proposto un arbitrato del Santo Padre al riguardo, non sarebbe rifiutato, ed il Santo Padre, non ostante la scabrosità, non fosse stato alieno dall’assumerlo, si sarebbe potuto permettere che qualcuno degli aventi interesse o voce, stimolato dalla Germania o da amici di essa, affacciasse o facesse la proposta come propria, studiosamente evitando che fosse davvero ed apparisse una briga (si perdoni la parola) della S. Sede, anziché un vero suo sacrifizio il prestarvisi. Ma poiché la tutela fu confidata ad altri, e questi fuor di dubbio avrà già tentato senza buon successo presso il Governo Italiano e gli altri Governi tutto il possibile, e di certo l’avranno tentato privatamente in tutti i modi i Tedeschi coi loro potenti emigrati e favoreggiatori sparsi in Europa e in America, v’è motivo di meditare seriamente, prima di fare quel passo — sia pure nella forma quanto mai blanda e modesta della Nota — presso il Governo Italiano, coll’unico effetto probabilmente di metterlo in un grave imbarazzo. Lo si comprenderebbe tuttavia ancora se l’appropriazione dei 5 Istituti tedeschi all’Italia fosse una spogliazione apertamente ingiusta ed ingiustificabile, od anche se i detti beni fossero proprio necessari all’ordinaria vita intellettuale e professionale tedesca, e toglierli fosse come togliere agli operai gli strumenti del lavoro proprio, e non ad es. la radio o un cannocchiale. Ora il 1° punto è quanto mai dubbio, in generale per le teorie in voga e l’esercizio invalso ab immemorabili, anche presso i Tedeschi e come! (hanno tratto in campo perfino lo spazio vitale inteso a loro modo!), dei diritti di guerra e d’indennizzi; nel caso presente poi, per la violazione inoltre di disposizioni testamentarie sancite con la caducità del lascito e per la sovrapposizione di altre iniziative ben diverse e Germanico cit., p. 194). Ma come mi comunica il dottor Lutz Klinkhammer, del Deutsches Historisches Institut, che di cuore ringrazio, la questione va approfondita. Durante il secondo conflitto mondiale, la Svizzera, come Stato neutrale, aveva ricevuto 219 mandati individuali per tutelare gli interessi di Stati coinvolti nella guerra. In taluni casi, tale tutela valeva in entrambe le direzioni (per esempio, la Svizzera tutelava contemporaneamente gli interessi tedeschi in Inghilterra e gli interessi inglesi in Germania). Per quest’opera di tutela, grarantita per 35 Stati, la Svizzera utilizzava 153 funzionari a Berna e 1.108 funzionari nei diversi Stati. Ma la consultazione dei documenti diplomatici e tedeschi compiuta dal dottor Klinkhammer non permette al momento di affermare che la Svizzera abbia allora tutelato gli interessi tedeschi in Italia. E si può addirittura dubitare che questa tutela sia stata effettivamente affidata a uno Stato.

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più promosse come alla Hertziana, e per l’inosservanza della condizione «sine qua non» apposta dal Governo Italiano — divenuto proprietario per diritto di confiscaa al Trattato di pace, delle biblioteche degli Istituti Archeologico e Storico — allorquando proprio per «quei buoni rapporti tra scienziati italiani e scienziati tedeschi[»], s’indusse nel 1920b a ridare al Reich i due Instituti. Agendo a quel modo i dirigenti se ne spogliarono da sé e si sono dimostrati indegni di fiducia e privati di ogni ragionevole speranza di riavere quel favore straordinario dal gabbato Governo Italiano, il quale evidentemente non può più prestarsi a fare la figura di un bonario obblioso e rammollito per la semplice ragione di quei tali «buoni rapporti». Neppure l’altro motivo ha gran valore e segnatamente la portata che nel caso occorrerrebbe attribuirgli, perché nessuno può sostenere sul serio che alla vita intellettuale e professionale ordinaria dei Tedeschi siano proprio necessari quei 5 istituti, di cui 4 nella sola Roma, mentre le altre Nazioni anche grandi ne hanno appena uno, o due al più, ciascuna, ed altre non ne hanno alcuno per quegli studi speciali, che sono sì commendevolissimi e da favorire, ma non indispensabili alla vita onesta e laboriosa e fruttuosa della maggioranza stragrande di una Nazione. Gl’«Intellettuali», naturalmente infervorati per i loro «alti ideali» inorridirebbero a tale osservazione quasi fosse da rozzi barbari, inimici della cultura, ma i Governi, sui quali incombono stringentissime necessità primarie delle più comuni della Nazione, volenti o no, si debbono adattare e lascian dire. Comunque, alla Germania, quando si sarà rialzata come ardentemente desideriamo e speriamo, nessuno impedirà di rifare in Roma, se non caderà in mano del diavolo151, qualche Istituto suo proprio, meno che meno poi il Governo Italiano, ed Egli lo tratterà alla pari degli altri, se non altro, per interesse, il motore fortissimo e quasi irresistibile della politica e degli uomini del mondo. Quanto poi alla ragione ripetuta nella «Nota» del «grave pregiudizio ai buoni rapporti» ecc., che un maligno potrebbe travisare in una garbata minaccia di guerra sorda o aperta; ragione senza dubbio instancabilmente ripresentata e martellata, quasi che non possano esistere né ristabilirsi quei buoni rapporti senza la retrocessione da parte del Governo Italiano; non oserei dire che sia per commoverlo molto, e da usare con Lui come se avesse un peso decisivo per la rinuncia di quella preda, bottino o compenso, comunque si voglia chiamarlo: Egli la riterrà un vano spauracchio, sapendo benissimo che la necessità reciproca manterrà quei buoni rapporti, del resto subito ripresi, anzi non mai del tutto troncati. E poi, gli scienziati e artisti tedeschi non avranno, no, per notevole tempo qui, come nella Germania stessa, i comodi larghissimi, invidiabili, di prima, che ne facevano dei privilegiati fra tutti, e questo è veramente deplorevole; ma non li hanno più nemmeno gli studiosi Belgi, Francesi, Inglesi, Italiani, Olandesi ecc. per la a diritto di confisca: aggiunto a mano da Mercati nell’interlineo espungendo, con parentesi quadre, le parole dattiloscritte cessione, sia pure involontaria. b 1920: l’ultima cifra è stata corretta a mano da Mercati su 2, dattiloscritto. 151

Il riferimento di Mercati è probabilmente a una possibile presa del potere da parte dei comunisti (un timore evidentemente diffuso anche dopo l’esito delle elezioni del 18 aprile 1948).

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distruzione della ricchezza,c di tante biblioteche ed archivi, ecc., e per l’enorme rincaro di quanto serve direttamente o indirettamente agli studi, di che pure essi soffrono e si lamentano, e (quello che è peggio e li «indispone» e li rende sordi), fanno colpa mortale, imperdonabile, come della massima parte degli altri mali, al Reich principalmente. Di ciò, per quanto dobbiamo essere propensi a favorire ed aiutare i vinti e prostratid ed intenti a stirpare risentimenti e odî funesti ed a correggere idee false o esagerate, bisogna pure tener conto ed andar cauti a toccare certi tasti… Del resto nemmeno noi dobbiamo dimenticare un fatto dolorosissimo, che non credo negabile. Quei buoni rapporti e quegli Istituti hanno sì giovato molto in alcune discipline e sotto certi riguardi; ma sotto altri che importano moltissimo, anzi incomparabilmente di più, nel bene generale della Nazione e dell’umanità, hanno sommamente concorso da quasi un secoloe ad abbacinare e ad infettare moltissimi nostri professori universitari e loro discepoli, i filosofi, gli storici, giuristi, economisti, politici, e letterati nostri laici ecc., col funestissimo effetto di asservire lo spirito italiano, d’impesantire innaturalmente, ed avvelenare sottilmente l’istruzione pubblica e la produzione letteraria dei campi predetti e la comune dei lettori che l’hanno seguìta e la seguono come l’ultimo e più maturo e perfetto portato della scienza e della letteratura, non essendo in grado di scernere il grano dal loglio, il belletto dalla bellezza. Chi sapesse fare il bilancio del bene e del male, forse resterebbe atterrito e mediterebbe se entrava della pura scienza con quei rapporti e scambi di corsi ef con quei tanti Istituti, il cui sito medesimo: Campidoglio e poi Lutherkirche, Palazzo Giustiniani fino al 1926g, Palazzo Zuccari152, e dentro tutti Prussia e gregarî, con qualche cattolico a dimostrazione della parità ed imparzialità, imponeva e senza parlare parlava; e, conseguentemente, si domanderebbe se convenga ora porsi allo sbaraglio, senza uno stretto dovere,h con un tentativo diretto a rimettere in ultimo nelle mani medesime tutti quei focolai. Imparzialità, generosità e carità sempre, al possibile, specialmente con quanti in buona fede sono separati da noi ancorché ci sospettino e in fondo ci avversano; però anche giustizia e prudenza, ed anche equo apprezzamento degli animi e delle ragioni e dei timori degli altri, quantunque esagerati per passioni, incomprensione e meno nobili motivi. c La virgola è stata aggiunta da Mercati a mano. d e prostrati: aggiunto a mano da Mercati nell’interlineo con segno di inserimento nel

testo. e da quasi un secolo: aggiunto da Mercati nell’interlineo con duplice segno manoscritto di inserimento nel testo. f e: aggiunto a mano da Mercati nell’interlineo con segno di inserimento nel testo. g fino al 1926: aggiunto a mano da Mercati nell’interlineo con duplice segno manoscritto di inserimento nel testo. h , senza uno stretto dovere,: aggiunto a mano da Mercati nell’interlineo con duplice segno di inserimento nel testo. 152 I riferimenti sono alle diverse sedi dell’Istituto Archeologico Germanico («Campidoglio e poi Lutherkirche»), dell’Istituto Storico Germanico («Palazzo Giustiniani fino al 1926») e della Bibliotheca Hertziana («Palazzo Zuccari»), cfr. B. ANDREAE, L’Istituto Archeologico Germanico di Roma, in Speculum mundi cit., pp. 155-179: 159, 171; ELZE, L’Istituto Storico Germanico cit., p. 194; Ch. THOENES, E. GULDAN, D. GRAF, La Bibliotheca Hertziana, ibid., pp. 56-80: 56-57.

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* * * Tanto converrebbe tener presente, se l’informazione ricevuta dal Sig. Prof. Heisenberg fosse esatta e il nodo o punto cruciale della proprietà restasse tuttora intatto; ma dal cit. verbale del 20 giugno153 apparendo questa già aggiudicata all’Italia nell’ultima convenzione dei Governi di Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Italia, non sembra più possibile presentare con qualche buon successo al Governo Italiano la proposta di «differire la soluzione della questione fino alla fine del Trattato di pace», quasi che la questione riguardasse solo lui e la Germania, ed Egli la potesse rimandare e sciogliere a piacimento. Infatti dall’insieme si raccoglie chiaro che no: basta ricordare la condizione che le Biblioteche restino per 99 anni sotto la gestione dell’Unione per capire che le Potenze, risolute di non ridare alla Germania il possesso, si sono assicurate a quel modo contro la ripetizione dell’atto del Ministro B. Croce154, e che interverrebbero se qualche altro idealista o tedescofilo lo tentasse. In tali circostanze il Governo Italiano, ancorché non avesse avuto titoli particolari, non ha fatto male ad accettare la proprietà; e non farebbe (credo) bene a ritornare indietro e così a rimetterla in questione, con irritazione delle tre Potenze che lo metterebbero fuori del tutto dalle ulteriori trattative al riguardo, e forse anche col pericolo che l’orso russo si svegli (magari svegliato da qualche disperato tedesco per vendetta) e venga svegliato (non hanno forse svegliato fino il Gran Senusso155 per togliere all’Italia anche la Tripolitania?) un certo Lord semita, avente diritto alla Hertziana per devoluzione156. Tali pericoli non sono immaginari, benché gli amici Tedeschi, ai quali ho giudicato caritatevole di rivelare tale pericolo, riluttano 153 In realtà Mercati non ha precedentemente citato il verbale della seduta dell’Assemblea Generale dell’Unione del 20 giugno 1949. 154 Mercati si riferisce all’intervento di Benedetto Croce che nel 1920, quale ministro della pubblica istruzione, restituì alla Germania le biblioteche e gli istituti tedeschi che l’Italia, dopo il primo conflitto mondiale, stava per confiscare, cfr. ANDREAE, L’Istituto Archeologico Germanico cit., p. 171; ELZE, L’Istituto Storico Germanico cit., p. 194; G. DE GREGORI, «Biblioteche che debbono tornare in Italia», in «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., pp. 215-230: 216-218. 155 Il «gran Senusso» è Muüammad ibn ‘Alí as-Sanûsí (1787-1859), noto in Libia appunto col nome di as-Sanûsí al-Kabír («il gran Senusso»), fondatore di una confraternita religiosa musulmana, all’origine di uno stato territoriale vastissimo nella Cirenaica, con capitale Giarabub. Dopo l’occupazione della Libia (1911), gli Italiani stabilirono un «modus vivendi» con lo Stato senussita, durato sino al 1923 ca., quando gli occupanti dichiararono decaduti gli accordi stabiliti in precedenza instaurando con le armi la diretta sovranità su tutta la Cirenaica. Nel 1930 la confraternita fu sciolta e i suoi beni confiscati, mentre il capo senussita Omar al-Mukhtâr venne catturato e giustiziato. 156 Il riferimento dovrebbe essere a un membro della famiglia Mond, discendente di Ludwig Mond e Frida Löwenthal, amica di Henriette Hertz, con lei all’origine della Bibliotheca Hertziana. Fu con mezzi forniti da Mond che nel 1904 la Hertz acquistò il Palazzo Zuccari; e la famiglia continuò a sostenere negli anni successivi l’istituto. Sin dal 1933 Robert Mond (figlio di Ludwig), da Londra, si era opposto e aveva denunciato la nazificazione dell’istituto; nel dopoguerra può essere stata considerata la possibilità di un passaggio di proprietà della Bibliotheca Hertziana ai Mond; cfr. Ch. THOENES, Metamorphosen. Die Bibliotheca Hertziana in den 1940er und 1950er Jahren, in Deutsche Forschungs- und Kulturinstitute in Rom cit., pp. 210-234: 214, 217, 229.

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a persuadersene e continuano ad agitarsi come se non esistesse, o come si potesse sperare alcun che di buono dal «Divide…», una volta rimessa in questione la cosa. Da ultimo, non sembra temerario sospettare che la povera Italia, spogliata esosamente, implacabilmente, delle colonie stesse più antiche e vicine, a Lei necessarie per l’eccesso della popolazione e bonificate con immense spese e fatiche, non potendo ottener altro, o non ricevendo in offerta altro di onorevole e specioso al cospetto del mondo e de’ suoi intellettuali, abbia accettato a denti stretti quella proprietà, affinché la potesse presentare come un successo; e sospettare insieme che le tre Potenze da loro parte gliel’abbiano offerta come un gran regalo e compenso, e sotto la specie di fare a quel modo l’interesse di tutti gli studiosi senza distinzione di nazioni e di razze, dare un altro colpo alla Germania, la quale di quegl’Istituti di cultura in Italia e in Oriente (Costantinopoli, Cairo, Teheran ecc.) si sarebbe servita come di centri di propaganda, d’influenza politica e d’invasione, e sbarazzarsi dell’emula e concorrente all’egemonia mondiale. Se così fosse, ad intervenire con la «Nota», composta con tutt’altre prospettive, la S. Sede si esporrebbe ad essere elegantemente messa fuori della porta, come giunta a cose accomodate e fatte; e se per disgrazia, cambiato qualche umore, venisse introdotta, resterebbe impigliata in un groviglio di competizioni poco «intellettuali» e moltissimo politiche e mondane, dalle quali è prudente starsene fuori dignitosamente, se non è davvero necessario per la Sua propriai Missione e per il Suo prestigio morale e religioso. Pertanto, considerato tutto, salvo che non mi sfugganoj cose di rilievo, al momento presente non oserei d’incoraggiare a mandare la Nota, e tutt’al più a voce (se non è contro gli usi della diplomazia) mi arrischierei a chiedere qualche informazione confidenziale, e ad insinuare, offerendosene il destro, qualche buon pensiero, ma non saprei quale in concreto a quel momentok, di misericordia e di riguardi verso l’infelice Nazione estrematasi nel titanico tentativo di soggiogare a se colla forza gran parte del mondo e d’imporre alla rimanente il proprio libito e così precipitatasi nell’abisso.

i propria: corretto a mano da Mercati sul precedente propira. j sfuggano: precedentemente sfuggono, corretto a mano da Mercati nell’interlineo. k in concreto a quel momento: aggiunto a mano da Mercati nell’interlineo.

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Il testo di Mercati non è datato ma sembrerebbe essere stato sicuramente scritto dopo la seduta dell’Assemblea generale dell’Unione Internazionale del 20 giugno 1949, alla quale si fa riferimento come di evento avvenuto (di esso si conosce il verbale). Il 30 giugno 1949 Bartolomeo Nogara, direttore generale dei Monumenti Musei e Gallerie Pontificie e rappresentante la Pontificia Accademia Romana di Archeologia in seno all’Unione, inviò a Mercati lo Statuto dell’Unione e il verbale dell’adunanza dell’Unione del 20 giugno 1949157. Dopo averli letti, il 30 giugno 1949, Mercati stese una nota, di cui sono conservate tre copie dattiloscritte158.

30 giugno 1949 Veduto il verbale dell’adunanza ultima (20 giugno) dell’Unione internazionale degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell’Arte in Roma, e lo Statuto dell’Unione medesima approvato e legalizzato con atto notarile tra la fine Dicembre 1945 e i primi di gennaio del 1946, appare quanto segue: 1) Che i Governi d’Italia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti si considerano di già proprietarî delle Biblioteche germaniche e rispettivi immobili in Roma. 2) ed essi hanno deliberato di passarli in proprietà del Governo Italiano sotto forma di affitto perpetuo, 3) però alla condizione che ne dia la gestione all’Unione dei predetti Istituti o Accademie di Roma, depositaria responsabile delle Biblioteche predette fino dal ritorno in Roma; 4) la quale per il mantenimento avrà la rendita di un miliardo, dato ad hoc dai Governi al Governo Italiano, 5) e sta in trattative con questo per lo sblocco dei fitti e per il locale definitivo. 6) Ma perché l’Unione, formata come «ente morale» fino dall’origine, sia per l’instabilità dei Ministeri, sia per le solite lungaggini burocratiche, sia per l’urgenza di altre questioni ben più gravi, non ha ancora ottenuta l’approvazione Governativa di ente morale, non necessaria in altre grandi Nazioni, come Inghilterra e Stati Uniti, ed ha bisogno di averla, perché valga l’atto di accettazione di fronte al Governo Italiano stesso, 7) si tratta ora di avere le firme di tutti gl’Istituti membri dell’Unione, fra i quali sono dall’origine la Pontificia Accademia di Archeologia e poi il Pont. Istituto di Archeologia Cristiana. 8) Di questo al momento esclusivamente si tratta, e di questo solo l’Unione può trattare non entrando né potendo entrare nei primi 4 punti cardinali, che sono fuori affatto della propria competenza, e sui quali pertanto non può arrogarsi il diritto di portar giudizio né ha il dovere di pronunciarsi. 9) Ora l’intera Unione è pronta e decisa ad accettare la gestione detta sopra, come l’unica soluzione pratica rimasta per salvare le biblioteche e mantenerle a vantaggio di tutti senza distinzione, nell’interesse e per l’onore di Roma e dell’Italia; 157 Gli articoli 1-3 del primo Statuto dell’Unione sono pubblicati in «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., p. 91; nuove stesure dello Statuto furono approvate il 24 ottobre 1949 e il 4 aprile 1952, cfr. ibid., pp. 105-110, 119-124. 158 Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn.; cinque ff. (numerati 2-5 al centro del margine superiore del recto), dattiloscritti; due copie dattiloscritte, tratte con carta copiativa (una su carta velina). Un’altra copia, sempre tratta con carta copiativa su carta velina, si trova in Arch. Bibl. 237, ff. 136r-140r.

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10) né la si può impedire col rifiuto o coll’astensione di uno o due membri, 11) i quali tanto meno potrebbero ottenere che si ritorni sui punti cardinali, già pregiudicati in altra sede; e, se lo tentassero con un atto disperato e fuori di ogni opportunitàa, scoprirebbero «la corona». 12) Considerato tutto questo, il rifiuto, che importerà il ritiro dall’Unione (in quella posizione chi ci vorrà restare o avrà il coraggio di poi partecipare e aprir bocca?) sarà ed apparirà una sterile protesta fuori di luogo e in ritardo, che potrà bensì far piacere ad illusi i quali non si rendono conto delle proprie malefatte e della sfiducia totale procuratasi colla violazione delle condizioni testamentarie della Hertz e degli obblighi assunti alla restituzione concessa nel 1920b dall’Italia ed anche con la loro solita maniera d’agire, ma allo stesso tempo urterà tutti gli altri membri dell’Unione e i rispettivi Governi, e ricadrà all’ultimo sulla Santa Sede stessa, la quale, per avere permesso l’accettazione in deposito della Biblioteca dell’Istituto Storico Germanico (impinguata col furto di quella dell’Istituto Austriaco!) proprio dall’Unione stessa, avrebbe autorizzato la ricettazione di un bene mal tolto. 13) La dignità e l’imparzialità della S. Sede esigono proprio tale rifiuto? tale tentativo indiretto, obliquo e fuori di tempo e luogo, che serve solo ad intralciare una soluzione con grande pena raggiunta per salvare dalla dispersione e rendere utile [sic] a tutti nella Città eterna quelle biblioteche, e che si attuerà egualmente? non isfuggendo un risentimento presso che generale, e ciò non per la Germania cattolica, non per la Germania religiosa, laboriosa e pacifica del popolo, ma in fondo in fondo principalmente per la dirigente Germania — über Alles — inconsolabile e fremente della disfatta inattesa e de’ suoi sogni e sforzi titanici infranti ed anelante a rinnovarli potendo, ricalcitrante a sopportare le conseguenze delle sue prepotenze ed a riparare; per quella Germania che prima sprezzò gli accorati appelli della S. Sede alla giustizia ed alla pace, n’eluse gli sforzi e rifiutò l’intervento suo nobile e generoso per trattenerla dall’asportare oltre Alpi, contro i patti, le biblioteche stesse? «Salvo meliore iudicio», non sembra. La cosa è immensamente dolorosa ma fatale: per una legge inscrutabile della Provvidenza, che i «superuomini» misconoscono o dimenticano in pratica, tocca purtroppo ai miseri popoli — compresa la parte sana — di espiare duramente le colpe e le follie dei loro Governi e Duci: colà e qui e dapertutto, e sempre … «Amicus Plato, sed magis amica veritas», anche se spiacevole e odiosa. Del resto, in ben altri modi più efficaci e più esemplari, perché caritatevoli e più remoti da ogni specie di favoreggiamento politico o d’interessi al fondo dimostratisic in realtà anche politici e molto politici, la Santa Sede può aiutare gli studi scientifici d’archeologia, di storia, dell’arte ecc., dei Tedeschi, favorendoli al possibile nelle ricerche agli archivi e biblioteche e collezioni proprie o dipendenti da Essa, affinché nel minor tempo e colle minorid spese e col maggior frutto le possano compiere; sostenendo gl’istituti germanici rimasti qui in Roma sotto la sua tutea opportunità: nell’originale, per «lapsus», oppoetunità. b L’ultima cifra è corretta a mano con riscrittura su cifra dattiloscritta. c dimostratisi: nell’originale, forse per «lapsus», dimostrativi. d minori: nell’originale, per «lapsus», minore.

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la e gli altri ecclesiastici secolari e regolari in cui abbondano i tedeschi ed ai quali fanno capo anche i laici senza distinzione di religione, di razza ecc.; aiutandone le pubblicazioni degne e qui e in Germania, e soccorrendo le miserie di Accademie e Università tedesche con elargizioni di danaro con doni o scambi di libri ecc., e assumendo anche qualcuno di grandi speranze o meriti (e se la Germania in futuro riaprirà qualche istituto del genere in Roma, favorendone, ove occorra, l’entrata nell’Unione stessa), come ha fatto e continua a fare il Santo Padre, con una larghezza — date le Sue condizioni — e con una quasi parzialità, delle quali relativamente hanno molto meno approfittato altre Nazioni mandate spietamente in ruina dal Reich o trascinate da lui nel proprio abisso. Un libro bianco al riguardo, se non fosse inopportuno pubblicarlo per quel consiglio evangelico: «Nesciat manus…»159 sarebbe la risposta più eloquente, se mai qualcuno di là o dell’altra parte, osasse rimproverare la S. Sede o di parzialità politica o di assenteismo o indifferenza al riguardo degli studi anche profani. Precedentemente, il 22 giugno 1949, Montini aveva scritto a Mercati (N. 204.452/S) trasmettendogli «un riassunto di quanto all’Archivio della Segreteria di Stato risulta fatto, da parte della Santa Sede, in favore degli Istituti tedeschi di Roma», pregandolo di «completarlo per quanto riguarda i passi che Ella personalmente ha compiuto in favore degli Istituti medesimi» (il «riassunto» non è conservato nei Carteggi ove è rimasto solo il f. della lettera di Montini160). Mercati ricevette la comunicazione del 22 giugno solo il 1° luglio; sotto la datazione Mercati ha infatti scritto: «ricevuta il 1 luglio, ore 13, dopo scritta la Memoria sul punto particolare sottoposto dal Signor Bar. Bartolomeo Nogara rappresentante della Pont. Acc. di Archeologia nell’Unione degli Istituti Accademici di Archeologia, Storia e Storia dell’Arte in Roma, di cui S. Eccellenza Mons. Montini mi diede notizia la sera del 28 giugno, dandomi a leggere la lettera del Signor Barone161 / Nella Memoria accennata non ho potuto trattare di proposito — ciò che nemmeno con questa lettera mi si richiede — l’oggetto preciso dell’istanza. — Mi si richiede invece [la frase è interrotta]». La «Memoria» alla quale Mercati fa riferimento dovrebbe senz’altro essere la sua nota del 30 giugno 1949. Poiché né in essa né nelle note di Mercati vergate sulla lettera di Montini del 22 giugno si fa riferimento a un intervento più ampio, si deve dedurre che le Osservazioni (nelle quali Mercati fa riferimento alla «Memoria» del 30 giugno, nel secondo e nel terzo capoverso) sono successive al 1° luglio 1949 e che il cardinale abbia sentito il bisogno di scriverle per esprimere in maniera più chiara e completa le sue opinioni sulla complessa e intricata questione, per «trattare di proposito […] l’oggetto preciso dell’istanza». Ma per quanto frammentari, perché sicuramente parte di un insieme più vasto162, i docu159

«Te autem faciente elemosynam nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua […]», Mt

6, 3. 160

Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), f.n.n. «Il card. Mercati era profondamente preoccupato per la tutela degli oggetti di cultura: la sera si incontrava spesso con mons. Montini, allora Sostituto della Segreteria di Stato, del quale aveva grande stima e fiducia (abitavano in appartamenti vicini, alle Terze Logge del Palazzo Pontificio, dove abitava pure Nogara) e nei loro colloqui trattarono del modo di provvedere alla difesa del patrimonio storico e artistico, che interessava direttamente la Santa Sede», BATTELLI, Le premesse dell’Unione cit., p. 201. 162 Un certo numero di lettere e documenti relativi alla questione delle biblioteche tedesche è conservato in Biblioteca Vaticana, Carte del card. Giovanni Mercati, 94 (l’intero fondo non è ancora consultabile). Oltre ad alcuni stampati ed estratti (che mostrano il vivo interesse 161

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menti — la Memoria e le Osservazioni — appaiono preziosi, in quanto offrono l’ipsissima vox del cardinale sull’argomento. Nelle Osservazioni il cardinale sottolinea innanzitutto l’estraneità della Santa Sede alla questione delle tre biblioteche tedesche di Roma, dal momento che fu rifiutata la «generosa offerta» vaticana di prenderle in consegna e in custodia negli ultimi mesi del 1943, evitandone il trasferimento oltre le Alpi. Ma accanto a un motivo formale, che suggerisce alla Santa Sede la non ingerenza, si aggiungono altre considerazioni. L’«appropriazione» dei cinque istituti non può infatti essere considerata «una spogliazione apertamente ingiusta ed ingiustificabile» (per i diritti di guerra e d’indennizzi; per la compiuta violazione di disposizioni testamentarie; e per l’inosservanza della condizione del non trasferimento delle biblioteche dall’Italia sancita nel 1920), né si può pensare che essi siano «proprio necessari all’ordinaria vita intellettuale e professionale tedesca». D’altra parte — prosegue Mercati — è il «Reich» tedesco ad avere provocato con la sua politica il disastro nel quale sono ora trascinati anche altri paesi, che hanno subìto la guerra senza volerla. Ma (e forse questo è il punto cruciale e più interessante dello scritto) va messa in discussione la stessa idea di neutralità della scienza, dalla quale discendeva la richiesta «immunità della cultura» che proprio nel giugno 1949 aveva dato il titolo a un articolo di Carlo Antoni su Il mondo163. Quegli istituti, da quasi un secolo, «hanno sommamente concorso […] ad abbacinare e ad infettare moltissimi nostri professori universitari e loro discepoli, i filosofi, gli storici, giuristi, economisti, politici, e letterati nostri laici ecc., col funestissimo effetto di asservire lo spirito italiano, d’impesantire innaturalmente, ed avvelenare sottilmente l’istruzione pubblica e la produzione letteraria dei campi predetti e la comune dei lettori che l’hanno seguìta e la seguono come l’ultimo e più maturo e perfetto portato della scienza e della letteratura». Tutto questo non può essere dimenticato nella valutazione della questione nella quale — soggiunge Mercati — bisogna osservare «Imparzialità, generosità e carità sempre, al possibile, specialmente con quanti in buona fede sono separati da noi ancorché ci sospettino e in fondo ci avversano; però anche giustizia e prudenza, ed anche equo apprezzamento degli animi e delle ragioni e dei timori degli altri, quantunque esagerati per passioni, incomprensione e meno nobili motivi». Inoltre appare inutile intervenire sulla questione della proprietà degli istituti, ormai definita; secondo Mercati, è dunque meglio che la Santa Sede, in considerazione della «Sua propria missione» e del «Suo prestigio morale e religioso», non resti «impigliata in un groviglio di competizioni poco “intellettuali” e moltissimo politiche e mondane». La nota del 30 giugno 1949 (come si è visto, precedente le Osservazioni) nasce invece da un motivo contingente e più circoscritto (cioè la concessione delle firme dei rappresentanti dei due istituti vaticani, la Pontificia Accademia Romana di Archeologia e il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, necessarie per ottenere all’Unione il riconoscimento di ente morale, condizione preliminare per il passaggio all’Unione della gestione delle biblioteche per 99 anni), ma comunque collegato all’«accordo del miliardo». Mercati non si esprime dunque sui «primi 4 punti cardinali», che ritiene ormai stabiliti, ma si limita a sottolineare l’inutilità del rifiuto della firma da parte degli istituti vaticani, un rifiuto «che serve solo ad intralciare una soluzione con grande pena raggiunta per salvare dalla dispersione e rendere utile [sic] a tutti nella Città eterna quelle biblioteche». D’altra parte il cardinale sa di trovarsi di fronte a «un con cui Mercati seguì le vicende degli archivi e delle biblioteche nel periodo bellico) vi sono lettere dell’autunno 1946, anche fra Mercati e Morey, a proposito del recupero delle biblioteche tedesche dalle sedi transalpine e della possibile sistemazione dei volumi dell’Istituto Archeologico Germanico e dell’Istituto Storico Germanico a Palazzo Vidoni. Ma nel complesso la documentazione non sembra andare oltre il 1947. Cfr. GRAFINGER, Beziehungen cit., p. 131 nt. 29. 163 L’articolo Immunità della cultura, di Carlo Antoni, pubblicato ne Il mondo, an. I, nr. 17, dell’11 giugno 1949, è ripubblicato in «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., pp. 102-105.

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risentimento presso che generale» nei confronti della Germania, non «la Germania cattolica», «la Germania religiosa, laboriosa e pacifica del popolo», ma «la dirigente Germania — über Alles — inconsolabile e fremente della disfatta inattesa e de’ suoi sogni e sforzi titanici infranti ed anelante a rinnovarli potendo, ricalcitrante a sopportare le conseguenze delle sue prepotenze ed a riparare». Per questa «Germania che prima sprezzò gli accorati appelli della S. Sede alla giustizia ed alla pace, n’eluse gli sforzi e rifiutò l’intervento suo nobile e generoso per trattenerla dall’asportare oltre Alpi, contro i patti, le biblioteche stesse» non ha senso un intervento favorevole della Santa Sede. Il passaggio all’Italia delle biblioteche tedesche appare dunque al cardinale «cosa […] immensamente dolorosa ma fatale: per una legge inscrutabile della Provvidenza, che i “superuomini” misconoscono o dimenticano in pratica, tocca purtroppo ai miseri popoli — compresa la parte sana — di espiare duramente le colpe e le follie dei loro Governi e Duci: colà e qui e dappertutto, e sempre …». Ciò detto, Mercati fa notare che vi sono «ben altri modi più efficaci e più esemplari, perché caritatevoli e più remoti da ogni specie di favoreggiamento politico o d’interessi al fondo dimostratisi in realtà anche politici e molto politici» per «aiutare gli studi scientifici d’archeologia, di storia, dell’arte ecc., dei Tedeschi». E sono quegli aiuti pratici e concreti alle singole persone e alle istituzioni tedesche, di cui Mercati, la Santa Sede e il Papa stesso — come si è visto — in quegli anni furono prodighi (il Papa, nota Mercati, «con una larghezza — date le Sue condizioni — e con una quasi parzialità, delle quali relativamente hanno molto meno approfittato altre Nazioni mandate spietamente in ruina dal Reich o trascinate da lui nel proprio abisso»). I due testi di Mercati appaiono di grande interesse. Essi recano lo stigma di Giovanni Mercati, nell’analisi scrupolosa e da molteplici prospettive della questione ma anche nello sguardo disincantato e realistico sulla realtà umana, come nella riflessione a proposito dell’«interesse, il motore fortissimo e quasi irresistibile della politica e degli uomini del mondo». Evidente è poi l’intento del cardinale di improntare a imparziale equilibrio (il termine «imparzialità» è utilizzato tre volte), nel contemporaneo scatenamento della passioni, dei risentimenti, delle rivendicazioni nazionali, l’atteggiamento suo e, di riflesso, della Santa Sede in merito alla contrastata vicenda degli istituti tedeschi di Roma e Firenze («[…] per quanto dobbiamo essere propensi a favorire ed aiutare i vinti e prostrati ed intenti a stirpare risentimenti e odî funesti ed a correggere idee false o esagerate, bisogna pure tener conto ed andar cauti a toccare certi tasti…»). La severità del giudizio storico-politico sulle colpe della Germania nazista e sulle conseguenze che esse naturalmente comportano si coniuga con una piena disponibilità ad aiuti concreti a persone e istituzioni tedesche, affinché la Germania migliore possa risollevarsi. Sono gli «altri modi più efficaci e più esemplari, perché caritatevoli e più remoti da ogni specie di favoreggiamento politico o d’interessi al fondo dimostratisi in realtà anche politici e molto politici» con cui «la Santa Sede può aiutare gli studi scientifici d’archeologia, di storia, dell’arte ecc., dei Tedeschi», che effettivamente il cardinale mise in atto e praticò. Mercati appare dunque lontano dalle posizioni del gruppo di intellettuali che, intorno al nome di Gaetano De Sanctis, nell’ottobre-novembre 1950 perorarono la causa del ritorno delle biblioteche tedesche alla Germania (tra i firmatari solo Enrico Josi, docente nel Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, apparteneva al mondo vaticano)164. Ma al tempo stesso la sua posizione non può essere appiattita su quella del gruppo di studiosi che, col patrocinio di Benedetto Croce, nel novembre-dicembre 1950, si dichiararono favorevoli all’italianizzazione delle biblioteche tedesche165. L’originalità delle vedute di Mercati (coscienza 164 Il testo della petizione, indirizzata al ministro italiano degli Affari Esteri Carlo Sforza, è pubblicato in «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., pp. 111-115. Cfr. anche ESCH, Die deutschen Institutsbibliotheken cit., pp. 92-94. 165 Il testo della cosiddetta «mozione Croce» è pubblicato in «Nobile munus». Origini e primi sviluppi cit., pp. 117-118 (fra gli studiosi che vi aderirono compare anche Roberto Almagià, uno degli studiosi discriminati dal regime fascista soccorsi da Mercati). Nel testo si

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dell’ineluttabilità del passaggio delle biblioteche tedesche all’Italia e alla gestione dell’Unione, ma aiuto alle iniziative tedesche) non sembra in realtà neanche rispecchiata dalle note di Jedin nei suoi diari, secondo le quali nel 1948-1949 il cardinale sarebbe stato partecipe del progetto di rinviare la definizione giuridica della proprietà in attesa del Trattato di pace (che avrebbe sul punto probabilmente favorito la Germania)166. Si trattava, precisamente, della posizione che Heisenberg aveva chiesto alla Santa Sede di assumere nel giugno 1949. Ma almeno in quel momento le opinioni del cardinale erano ben diverse (e si può dubitare che prima e dopo esse siano sensibilmente mutate).

fa anche cenno alla contaminazione politica degli istituti tedeschi («[…] [i tedeschi] di quelle biblioteche fecero centro e strumento di attività politica»). Più o meno contemporaneo alla «mozione Croce» è un ordine del giorno, votato dall’Accademia Nazionale dei Lincei l’11 novembre 1950, che, pur astenendosi «da ogni pronuncia in merito all’attribuzione» delle biblioteche, affermava la necessità che esse rimanessero «vincolate in perpetuo alle città alle quali le finalità scientifiche ed artistiche, i modi di costituzione e la volontà dei fondatori, cementati in seguito da lunga e ininterrotta tradizione, le vollero legate, stringendo tale vincolo con mezzi anche più solidi del patto stipulato dopo », ibid., pp. 116-117. Cfr. anche ESCH, Die deutschen Institutsbibliotheken cit., pp. 94-97. 166 «Dal momento che non esisteva nessun altro in grado di accollarsi la difesa degli interessi tedeschi, mi consigliai con l’archeologo Deichmann e lo storico Hagemann […], su come si sarebbe potuto guadagnare tempo e impedire la perdita definitiva delle biblioteche. Ricevemmo attivo sostegno dal cardinal Mercati e dal direttore generale dei Musei Vaticani, Nogara, anche lui membro dell’Unione. […] La situazione generale migliorò quando nel settembre del 1948 il ministro della pubblica istruzione del Nordrhein-Westfalen, Christine Teusch, si presentò a Roma come primo esponente del rinascente assetto statuale di parti della Germania e prese contatti con i massimi uffici statali. La accompagnai da de Gasperi, dal ministro della cultura Gonella e naturalmente anche dal cardinale Mercati. Con quest’ultimo si giunse all’accordo “di fare in modo di lasciare in sospeso la questione della proprietà degli istituti” (diario 2 ottobre 1948). Questa tattica ha avuto successo; senza l’energico aiuto del Vaticano si sarebbe riusciti difficilmente a superare il pericoloso interim […]», JEDIN, Storia della mia vita cit., pp. 250-251. Sulla visita della Teusch a Roma, cfr. ESCH, Die deutschen Institutsbibliotheken cit., p. 85.

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INDICE DEI MANOSCRITTI E DELLE FONTI ARCHIVISTICHE Amsterdam, Universiteitsbibliotheek Cod. 15 358, 407 Assisi, Biblioteca Comunale 303

84

Berlin, Archiv der Berlin-Brandenburgischen Akademie der Wissenschaften II-VIII, 252 708 Nachlass B. G. Niebuhr 56 (Bekker) 708, 710 Nachlass B. G. Niebuhr 204 (Mai) 716, 731, 735-738 – Staatsbibliothek Hamilton 90 Phillipps 1894 Phillipps 1910

93 372, 409 90

Besançon, Bibliothèque municipale 840

600

Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio 3645 358, 407 Cambridge, University Library Add. 565

369

Cesena, Biblioteca Malatestiana Comunitativo 164. 5. 29 (ex 165.31) Comunitativo 167.154

627 264

Città del Vaticano, Archivio della Fabbrica di San Pietro Arm. 1, B, 3 (1592-1674) 435 Arm. 16, A, 170 (1774-1808) 434, 435 Arm. 43, D, 85 (1744) 433 Arm. 43, D, 86 (1745) 434 Arm. 43, E, 87 (1746) 434 Arm. 43, E, 88 (1747) 434 – Archivio Segreto Vaticano A.A. Arm. I-XVII, 3095 A.A. Arm. C, 10 Coll. 468 Coll. 490 Congr. Concilio, Positiones 1117 443, 444, 453-454

223 343 343 345

Ind. 4 341 Ind. 5 344 Reg. Av. 65 343 Reg. Av. 468 344 Reg. Vat. 3 192, 193 Reg. Vat. 29 32 Segr. Stato, an. 1815, rubr. 67, fasc. 2 743, 744, 745, 746, 747, 748, 749 – Archivio Storico del Vicariato di Roma Parrocchia di S. Eustachio, liber mortuorum, 1773, b. 22 431 Parrocchia di S. Eustachio, liber mortuorum, 1785, b. 24 446 Parrocchia di S. Eustachio, Stati delle Anime, 1760, b. 44 431, 446 Parrocchia di S. Eustachio, Stati delle Anime 1769, b. 53 431, 446 Parrocchia di S. Eustachio, Stati delle Anime 1771, b. 55 431 Parrocchia di S. Eustachio, Stati delle Anime 1772, b. 56 431 Parrocchia di S. Eustachio, Stati delle Anime 1793, b. 72 446 – Biblioteca Apostolica Vaticana Arch. Bibl. 1 689 Arch. Bibl. 3 415 Arch. Bibl. 9 386, 387, 415, 416 Arch. Bibl. 10 377 Arch. Bibl. 11 687 Arch. Bibl. 12 378, 412 Arch. Bibl. 15, pt. A 93, 104-151 Arch. Bibl. 15, pt. B 387, 389, 398, 399, 416, 417, 422 Arch. Bibl. 26 384, 397, 275, 421 Arch. Bibl. 28 398, 422 Arch. Bibl. 29 386, 397, 415 Arch. Bibl. 30 377, 384, 411, 414 Arch. Bibl. 40 373, 409 Arch. Bibl. 42 754 Arch. Bibl. 43 398, 422 Arch. Bibl. 52, pt. A 758, 759 Arch. Bibl. 54 416 Arch. Bibl. 55 391 Arch. Bibl. 56 388 Arch. Bibl. 58 399, 423

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Arch. Bibl. 59 Arch. Bibl. 61 Arch. Bibl. 100 Arch. Bibl. 207

INDICE DEI MANOSCRITTI

387, 416 399, 423 391, 692 793, 798, 802-803, 804-810, 811-814 Arch. Bibl. 237 769-770, 790, 793, 794, 795, 796, 811-814, 815-821, 822-824 Arch. Cap. S. Pietro C.110 192, 193 Arch. Cap. S. Pietro, Decreti, 25 442 Arch. Cap. S. Pietro, Privilegi e atti notarili, 86 442, 448-453 Autogr. Ferr., Racc. Ferr., ff. 962r962ar 750-761 Autogr. Patetta 241, cart. 11 259-274, tav. II Barb. gr. 202 387 Barb. gr. 265 642 Barb. lat. 3185 405 Barb. lat. 4882 89 Carte Mercati 97 824 Carte Mercati 123 331-424 Carteggi Mercati, cont. 62 (an. 1945) 790, 793 Carteggi Mercati, cont. 63 (an. 1946) 781, 783, 789, 790, 791, 792, 793, 794, 795, 797 Carteggi Mercati, cont. 64 (an. 1947) 783, 789, 790, 791, 792, 793 Carteggi Mercati, cont. 65 (an. 1948) 783, 790, 791, 792, 793, 795, 796, 797 Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949) 783, 791, 792, 793, 794, 795, 815-821, 822-824 Carteggi Mercati, cont. 67 (an. 1950) 793, 796, 797 Carteggi Mercati, cont. 68 (an. 1951) 795, 796 Carteggi Mercati, cont. 69 (an. 1952) 796 Carteggi Mercati, cont. 70 (an. 1953) 796 Carteggi Mercati, cont. 71 (an. 1954) 796 Carteggi Mercati, cont. 72 (an. 1955) 796 Carteggi Mercati, cont. 73 (an. 1956) 796, 797 Carteggi Mercati, cont. 74 (an. 1957) 797 Chig. H.V.147 591-616 Chig. H.VII.221 591-616, 619 tav. III Chig. H.VII.223 601, 604-605 Chig. I.V.167 682 Chig. R.IV.38 352 Ott. lat. 251 275-330, tavv. I-IV

Ott. lat. 1478 591-616, 620 tav. IV Ott. lat. 1616 642 Ott. lat. 1882 117 Ott. lat. 1904 354, 355, 401 Ott. lat. 2543 397, 422 Ott. lat. 2546 399, 423 Ott. lat. 3029 399, 423 Ott. lat. 3100-3119 657 Ott. lat. 3100-3109 657 Ott. lat. 3105 657 Ott. lat. 3106-3109 658 Ott. lat. 3110 658 Ott. lat. 3112-3119 657 Ott. lat. 3113 658-677 tavv. I-II, IV-IX Ott. lat. 3116 669, 678 Pal. gr. 103 700-701, 704-705 tavv. III-IV Pal. gr. 431 761 Pal. lat. 110 86 Pal. lat. 112 86 Pal. lat. 957 614 Pal. lat. 1515 591-616 Pal. lat. 1525 592-616 Pal. lat. 1631 392, 739-740, 751, 752, 753, 756 Racc. Patetta 218 16-17, 24-25, 28, 39-40 Racc. Patetta, s.n. [Elenco dei documenti contenuti nella collezione di autografi del Sig. avvocato Larghi Giovanni] 19 Reg. gr. 171 358, 407 Reg. lat. 190 (trasferito a Parigi e ora perduto) 769 Reg. lat. 358 592-616 Reg. lat. 886 399, 423 Reg. lat. 973 192, 193 Reg. lat. 1481 592-616 Reg. lat. 1603 290 Reg. lat. 1762 592-616, 617 tav. I Reg. lat. 1899 376 Reg. lat. 1964 (nunc Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 9768) 769 Reg. lat. 2023 98 Ross. 619 431, 441 Ruoli 408 759 Urb. lat. 276 399, 423 Urb. lat. 319 592-616 Urb. lat. 413 399, 423 Urb. lat. 1060 662 Urb. lat. 1764 399, 422 Urb. lat. 1765 399, 422 Urb. lat. 1767 399, 423

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Vat. ar. 83

222-223, 224, 230, 236, 252 tav. III Vat. ar. 141 222-223, 230 Vat. ar. 300 246 Vat. gr. 1 199-209 tavv. I-IIa, 770 Vat. gr. 32 346 Vat. gr. 73 722 Vat. gr. 81 345 Vat. gr. 127 357, 360, 362 Vat. gr. 153 384, 414 Vat. gr. 154 384, 414 Vat. gr. 155 384, 414 Vat. gr. 204 342, 343 Vat. gr. 217 373 Vat. gr. 252 90 Vat. gr. 273 373 Vat. gr. 328 345 Vat. gr. 330 355, 403, 404, 412 Vat. gr. 333 403, 406, 407 Vat. gr. 346 404 Vat. gr. 348 407 Vat. gr. 360 376, 410 Vat. gr. 365 346 Vat. gr. 369 402, 403 Vat. gr. 370 342, 343 Vat. gr. 387 683 Vat. gr. 410 403 Vat. gr. 484 373 Vat. gr. 492 346 Vat. gr. 627 373 Vat. gr. 693 373, 409 Vat. gr. 746 402, 403 Vat. gr. 747 402, 403, 406, 407 Vat. gr. 751 403, 406 Vat. gr. 752 402, 403 Vat. gr. 866 377, 411, 412 Vat. gr. 996 695-699, 702-703 tavv. I-II Vat. gr. 997 (nunc Paris, Bibliothèque nationale de France, Suppl. gr. 352) 769, 770 Vat. gr. 1038 746 Vat. gr. 1043 139 Vat. gr. 1143 377, 386, 411, 415 Vat. gr. 1144 377, 386, 411, 415 Vat. gr. 1145 377, 386, 411, 415 Vat. gr. 1146 377, 386, 411 Vat. gr. 1158 359, 373, 377, 410, 411 Vat. gr. 1169 635 Vat. gr. 1191 385 Vat. gr. 1197 388 Vat. gr. 1198 388 Vat. gr. 1202 388

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Vat. gr. 1208

334, 359, 373, 377, 379, 384, 387, 410, 414, 415, 416 Vat. gr. 1209 331-424, 740, 744 Vat. gr. 1228 416 Vat. gr. 1236 416 Vat. gr. 1263 388 Vat. gr. 1264 388 Vat. gr. 1279 388 Vat. gr. 1288 392, 740 Vat. gr. 1302 388 Vat. gr. 1306 388 Vat. gr. 1482 368, 407 Vat. gr. 1483 364, 405 Vat. gr. 1484 358, 407 Vat. gr. 1523 416 Vat. gr. 1605 343 Vat. gr. 1613 388, 416 Vat. gr. 1904 144 Vat. gr. 2125 350 Vat. gr. 2340 385, 386 Vat. lat. 1-5000 166 Vat. lat. 373 175 Vat. lat. 629 192 Vat. lat. 1347 190, 192 Vat. lat. 1493 92 Vat. lat. 1495 143 Vat. lat. 1496 175 Vat. lat. 1546 90 Vat. lat. 1610 143, 146 Vat. lat. 1670 151 Vat. lat. 1677 146 Vat. lat. 1708 90 Vat. lat. 1751 107 Vat. lat. 1754 107 Vat. lat. 1955 634 Vat. lat. 1956 645 Vat. lat. 1956-1957 633 Vat. lat. 2004 687 Vat. lat. 2043 175 Vat. lat. 2193 86 Vat. lat. 2300-2973 169 Vat. lat. 2392 175 Vat. lat. 2585 175 Vat. lat. 2649 134 Vat. lat. 2668 191, 192 Vat. lat. 2669 191, 192 Vat. lat. 2741 147 Vat. lat. 2770 113 Vat. lat. 2793 92 Vat. lat. 2836 577-587 Vat. lat. 2847 146 Vat. lat. 2856 151

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Vat. lat. 2862 Vat. lat. 2867 Vat. lat. 2874

INDICE DEI MANOSCRITTI

151 473-491, tavv. I-III 93, 102, 103, 147, 148, 149, 150, 151-152, 577-587 Vat. lat. 2897 176 Vat. lat. 2906 151 Vat. lat. 2929 143 Vat. lat. 2934 176, 190, 192 Vat. lat. 2935 172 Vat. lat. 2957 111 Vat. lat. 2990 92, 111 Vat. lat. 3132 146 Vat. lat. 3134 47-87 Vat. lat. 3195 93 Vat. lat. 3199 92 Vat. lat. 3204 (nunc Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 12473) 746, 769, 770 Vat. lat. 3217 93, 98, 101 Vat. lat. 3225 741, 743, 746, 749, 751, 753, 754, 755, 756-757, 760, 761, 763, 764, 765, 766, 767, 768 Vat. lat. 3226 741-742 Vat. lat. 3245 592-616, 618 tav. II Vat. lat. 3257 113 Vat. lat. 3309 90 Vat. lat. 3351 578 Vat. lat. 3353 111, 578 Vat. lat. 3390 90 Vat. lat. 3424 145 Vat. lat. 3435 630, 646 Vat. lat. 3436 111 Vat. lat. 3527 176 Vat. lat. 3731 399, 423 Vat. lat. 3794 (nunc Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 12474) 746, 769, 770 Vat. lat. 3804 399, 422 Vat. lat. 3805 399, 422 Vat. lat. 3807 399, 422 Vat. lat. 3835 137 Vat. lat. 3836 137 Vat. lat. 3840 176 Vat. lat. 3843 192 Vat. lat. 3861 641, 642, 647-648 Vat. lat. 3867 378, 382, 392, 739-770 Vat. lat. 3868 739, 741, 743, 744, 745, 749, 770 Vat. lat. 3893 146 Vat. lat. 3894 111 Vat. lat. 3896 110

Vat. lat. 3902 Vat. lat. 3903 Vat. lat. 3906 Vat. lat. 3920 Vat. lat. 3935 Vat. lat. 3936 Vat. lat. 3937 Vat. lat. 3939 Vat. lat. 3946 Vat. lat. 3947

123 93-94, 98, 100, 101, 112 111 142 176, 191, 192 176, 191, 192 191, 192 176, 182, 185, 191, 192 370 354, 355, 401, 633, 680, 686, 687 Vat. lat. 3948 363, 405 Vat. lat. 3949 358, 359, 686, 687 Vat. lat. 3950 363, 405 Vat. lat. 3951 365, 366, 406 Vat. lat. 3952 354, 355, 401, 402, 403, 404, 680, 681, 686, 687 Vat. lat. 3953 347, 348, 401, 684 Vat. lat. 3954 347, 348, 401 Vat. lat. 3955 363, 405, 686, 687 Vat. lat. 3957 370, 372, 409 Vat. lat. 3958 93-94 Vat. lat. 3959 346 Vat. lat. 3960 360, 36, 403, 407 Vat. lat. 3963 93, 687, 687 Vat. lat. 3964 337 Vat. lat. 3965 371, 409 Vat. lat. 3966 337, 369, 395, 6333 Vat. lat. 3967 370, 408 Vat. lat. 3967-3969 688 Vat. lat. 3968 370, 408, 634 Vat. lat. 3969 370, 408 Vat. lat. 3978 171 Vat. lat. 3993 142 Vat. lat. 3998 176 Vat. lat. 4008-4010 191, 192 Vat. lat. 4011 191, 192 Vat. lat. 4013 176, 191, 192 Vat. lat. 4015 191, 192 Vat. lat. 4023 191, 192 Vat. lat. 4024 191, 192 Vat. lat. 4025 191, 192 Vat. lat. 4028 191, 192 Vat. lat. 4039 176-177 Vat. lat. 4078 140 Vat. lat. 4094 177 Vat. lat. 4103 98 Vat. lat. 4104 98, 99, 100, 101 Vat. lat. 4105 98, 99, 100, 101 Vat. lat. 4106-4193 163, 190 Vat. lat. 4128-4174 171 Vat. lat. 4129 177

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Vat. lat. 4152 Vat. lat. 4159 Vat. lat. 4160 Vat. lat. 4162 Vat. lat. 4166 Vat. lat. 4167 Vat. lat. 4168 Vat. lat. 4169 Vat. lat. 4170 Vat. lat. 4191 Vat. lat. 4245 Vat. lat. 4252 Vat. lat. 4260 Vat. lat. 4265 Vat. lat. 4276 Vat. lat. 4302 Vat. lat. 4317 Vat. lat. 4322 Vat. lat. 4323 Vat. lat. 4325 Vat. lat. 4361 Vat. lat. 4401 Vat. lat. 4407 Vat. lat. 4410 Vat. lat. 4482 Vat. lat. 4486 Vat. lat. 4498 Vat. lat. 4509 Vat. lat. 4538 Vat. lat. 4579 Vat. lat. 4734 Vat. lat. 4772 Vat. lat. 4787 Vat. lat. 4790 Vat. lat. 4797 Vat. lat. 4817 Vat. lat. 4818 Vat. lat. 4823 Vat. lat. 4831 Vat. lat. 4832 Vat. lat. 4841 Vat. lat. 4847 Vat. lat. 4908 Vat. lat. 4924 Vat. lat. 4927 Vat. lat. 4931 Vat. lat. 4934 Vat. lat. 4939 Vat. lat. 4944 Vat. lat. 4954 Vat. lat. 4959 Vat. lat. 4965

177 177 177 177 177, 190, 192 177, 190, 192 177, 190, 192 190, 192 190, 192 134 177 113 177-178 178 128 190, 192 178 178, 192 192 178, 184 178 178, 190, 191, 192 190, 193 178, 184 287, 291, 298 287 110, 144 178 120 192, 193 178 178-179, 190, 193 89 179, 191, 193 123 94, 98, 99, 101 98 90, 101 89, 98, 100, 125, 148 357 126 179 179 179 190, 193 179 192, 193 179 179-180 180 180 192, 193

Vat. lat. 4986 Vat. lat. 5000 Vat. lat. 5001 Vat. lat. 5077 Vat. lat. 5144 Vat. lat. 5203 Vat. lat. 5233 Vat. lat. 5356 Vat. lat. 5369 Vat. lat. 5395 Vat. lat. 5404 Vat. lat. 5590 Vat. lat. 5591 Vat. lat. 5608 Vat. lat. 5612 Vat. lat. 5627 Vat. lat. 5633 Vat. lat. 5708 Vat. lat. 5751 Vat. lat. 5752 Vat. lat. 5834 Vat. lat. 5920 Vat. lat. 5991 Vat. lat. 6018 Vat. lat. 6165 Vat. lat. 6168 Vat. lat. 6177 Vat. lat. 6178 Vat. lat. 6194 Vat. lat. 6201 Vat. lat. 6211 Vat. lat. 6223 Vat. lat. 6263 Vat. lat. 6266 Vat. lat. 6295 Vat. lat. 6338 Vat. lat. 6339 Vat. lat. 6418 Vat. lat. 6420 Vat. lat. 6446 Vat. lat. 6459 Vat. lat. 6465 Vat. lat. 6531 Vat. lat. 6555 Vat. lat. 6586 Vat. lat. 6688 Vat. lat. 6742 Vat. lat. 6772 Vat. lat. 6808 Vat. lat. 6850 Vat. lat. 6925 Vat. lat. 6947

833 180 192, 193 180, 192, 193 180, 190, 193 287, 291, 293, 294, 297 287, 291, 293, 297 635 637 307 111 180, 190, 193 399, 422 399, 422 180 180, 182, 190, 193 191, 193 181 181, 190 192, 193 181 192, 193 181, 191, 193 639 181 181 191, 193 369, 370, 408, 688 374, 410 181 191, 193 181 192, 193 192, 193 287 192, 193 191, 193 192, 193 191, 193 181, 190, 193 385, 689, 690 173 192, 193 181-182, 190, 192, 193 191, 193 182, 190, 193 643 176, 182, 185, 191, 193 182, 191, 193 182, 189 132, 144 193 381

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Vat. lat. 6948 Vat. lat. 6949

INDICE DEI MANOSCRITTI

381 381, 383, 396, 411, 412, 413, 421 Vat. lat. 7002 191, 193 Vat. lat. 7007 191, 193 Vat. lat. 7009 191, 193 Vat. lat. 7123 381 Vat. lat. 7125 180, 182 Vat. lat. 7130 386, 416 Vat. lat. 7131 371, 372, 373, 381, 408, 409, 410 Vat. lat. 7132 368, 369, 378, 395, 396, 408, 411, 412, 421 Vat. lat. 7133 386, 416 Vat. lat. 7135 362, 404 Vat. lat. 7137 192, 193 Vat. lat. 7146 192, 193 Vat. lat. 7192 151 Vat. lat. 7193 190, 193 Vat. lat. 7205 93 Vat. lat. 7246 182, 190, 192, 193 Vat. lat. 7698 171 Vat. lat. 7701 182-183 Vat. lat. 7764 358, 407 Vat. lat. 7778 171 Vat. lat. 7818 183 Vat. lat. 7828 183 Vat. lat. 8078 183 Vat. lat. 8100 183 Vat. lat. 8185, pt. 2 363, 405, 645 Vat. lat. 8444 183, 190, 193 Vat. lat. 8468 183 Vat. lat. 8486 183, 192, 193 Vat. lat. 8487 183-184 Vat. lat. 8940 755 Vat. lat. 8950 192, 193 Vat. lat. 9026 192, 193 Vat. lat. 9227 191, 193 Vat. lat. 9328 184 Vat. lat. 9330 184 Vat. lat. 9331 184 Vat. lat. 9432 184 Vat. lat. 9500 184, 190, 193 Vat. lat. 9535 709 Vat. lat. 9539 710, 712, 713, 720, 721-734, tav. I Vat. lat. 9571 192, 193 Vat. lat. 9632 708 Vat. lat. 9841 761 Vat. lat. 9842 761 Vat. lat. 9852-9857 191, 193 Vat. lat. 9860, ptt. A-D 191, 193

Vat. lat. 9861-9875 191, 193 Vat. lat. 10031-10033 191, 193 Vat. lat. 10068 184 Vat. lat. 10152 184, 190, 193 Vat. lat. 10163 714 Vat. lat. 10497 184-185, 190, 193 Vat. lat. 10499 185, 190, 193 Vat. lat. 10754 185 Vat. lat. 10802 185 Vat. lat. 10803 191, 193 Vat. lat. 10807 190, 193 Vat. lat. 10883 185, 190, 193 Vat. lat. 11190 185 Vat. lat. 11493 592-616 Vat. lat. 11496 185, 190, 193 Vat. lat. 11498 176, 182, 185, 191, 193 Vat. lat. 11527 169, 172, 174 Vat. lat. 11529 185 Vat. lat. 11548 186 Vat. lat. 11565 186 Vat. lat. 11598 186 Vat. lat. 11599 186 Vat. lat. 11605 186 Vat. lat. 11606 186 Vat. lat. 11613 186 Vat. lat. 11615 186 Vat. lat. 11761 191, 193 Vat. lat. 11780 192, 193 Vat. lat. 12570 186 Vat. lat. 12571 186, 192, 193 Vat. lat. 12572 186 Vat. lat. 12579 191, 193 Vat. lat. 12806 187 Vat. lat. 12895 713 Vat. lat. 12897 187 Vat. lat. 12900 187 Vat. lat. 12904 187 Vat. lat. 12924 192, 193 Vat. lat. 12926 187, 192, 193 Vat. lat. 12944 187 Vat. lat. 12956 191, 193 Vat. lat. 12957 191, 193 Vat. lat. 13091 187 Vat. lat. 13190 381, 383, 385 Vat. lat. 13191 376, 377, 378, 204 Vat. lat. 13236 370 Vat. lat. 13264 187 Vat. lat. 13265 187 Vat. lat. 13266 187 Vat. lat. 13267 187 Vat. lat. 13268 187 Vat. lat. 13393 188

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Vat. lat. 13963 Vat. lat. 14065 Vat. lat. 14094 Vat. lat. 14164 Vat. lat. 14202 Vat. lat. 14476 Vat. lat. 14477 Vat. lat. 14481 Vat. lat. 14484 Vat. lat. 14606 Vat. lat. 14727 Vat. lat. 14731 Vat. lat. 14732 Vat. lat. 14733 Vat. lat. 14734 Vat. lat. 14739 Vat. lat. 14748 Vat. lat. 14760 Vat. lat. 14761-14780 Vat. lat. 14782 Vat. lat. 14783 Vat. lat. 14784 Vat. lat. 14785 Vat. lat. 14808 Vat. lat. 14838 Vat. lat. 14868 Vat. lat. 14869 Vat. lat. 15204 Vat. lat. 15349, pt. 3 Vat. lat. 15366 Vat. pers. 61 Vat. sam. 2 Vat. sir. 9

188 93 188 188 188 690 385, 689, 690 690 690 188 188 188 188 188 189 189 690 189 191, 193 189 189 189 189 189 189 189 153 189 746 493-575 392, 740 392, 740, 744 224

Correggio, Biblioteca comunale “Giulio Einaudi” 27-30 261 Darmstadt, Hessische Landes- und Hochschulbibliothek 101 85-86 El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio R.I.2 592, 596-599, 606, 608, 610, 612 V.III.6 592, 597, 606, 610, 613-616 W.I.2 358, 407 Erlangen-Nürnberg, Universitätsbibliothek 618 (olim 847) 600, 611-612 Firenze, Archivio di Stato Carte cerviniane 18 643 Carte strozziane, filza 353, p. 16 147-148 Miscellanea Medicea, Stamperia

Orientale, 4 (5) Miscellanea Medicea, Orientale, III, ins. 12 Miscellanea Medicea, Orientale, III, ins. 14 Miscellanea Medicea, Orientale, III, ins. 17 Miscellanea Medicea, Orientale, III, ins. 18 Miscellanea Medicea, Orientale, III, ins. 48

217 Stamperia 218 Stamperia 218 Stamperia 224, 237 Stamperia 226, 238-245 Stamperia 233-234

– Biblioteca Medicea Laurenziana lat. XXXIX, 1 89, 94, 106, 120, 126, 127, 143, 753, 754, 756-757, 761 plut. 59.1 202-205, 207, 209 tav. IIb plut. 76.3 592, 596-602, 605, 610 plut. 76.11 600 or. 47 233 or. 457 216-218, 220, 222, 235, 253 tav. IV or. 458 221, 222 or. 459 246, 254 tav. V Redi 9 93 S. Marco 257 591-608, 610-613, 615-616 S. Marco 482 133 – Biblioteca Riccardiana 571 592, 598, 600, 602, 605, 616 Glasgow, University Library, Hunterian Collection T.2.14 (56) 614 Hannover, Stadtbibliothek cod. XLII 1845

355, 401

Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit BPL 118 591 Voss. Lat. F 84 590-591, 593-600, 605, 608, 610, 612 Voss. Lat. F 86 590-591, 593-600, 605, 608, 610, 612 Leipzig, Stadtbibliothek Rep. I, 4, 47

603

León, Biblioteca de la Catedral ms. 15

795

Londra, British Library Harley 5114 592, 596-602, 605, 608, 610, 616 Harley 6327 614 Royal 12. G. VIII 142

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Milano, Archivio di Stato Bolle e brevi, scat. 8, n. 28 15, 43 Bolle e brevi, scat. 8, n. 46 15 Bolle e brevi, scat. 9, n. 26 15 Bolle e brevi, scat. 9a, nn. 9-11 16 Bolle e brevi, scat. 9a, n. 12 16 Bolle e brevi, scat. 12, n. 20 21 Bolle e brevi, scat. 12, n. 23 16, 40 Bolle e brevi, scat. 13, n. 29 16, 21 Bolle e brevi, scat. 13, nn. 31, 34, 38 16 Bolle e brevi, scat. 15, n. 38 16-17, 23, 25, 28, 40-41 Bolle e brevi, scat. 15, n. 39 17, 25, 28, 41-42 Bolle e brevi, scat. 15, n. 40 17, 26, 28, 42-43 Bolle e brevi, scat. 15, n. 50 17, 23-24, 30-31, 44-45 Bolle e brevi, scat. 15, n. 53 17-18 Bolle e brevi, scat. 15, n. 54 17-18, 24 Bolle e brevi, scat. 15, n. 55 18, 24 Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 223, n. 5 22 Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 223, n. 8 22 Pergamene per Fondi, Mantova S. Chiara, b. 224, n. 212 8 Pergamene per Fondi, Mantova S. Chiara, b. 224, n. 215 23 Pergamene per Fondi, Mantova S. Chiara, b. 226, n. 479 16, 39 Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 229, n. 964 20 Pergamene per fondi, Mantova S. Chiara, b. 230, n. 1182 20

München, Bayerische Staatsbibliothek Clm 15958 614 gr. 138 358 gr. 198 407

– Biblioteca Ambrosiana E 147 sup. G 33 inf. O 39 sup. Q 111 sup. R 57 sup. T 130 sup.

– Lincoln College 38

– Biblioteca Trivulziana 964

707 92 774 358, 407 707 494 51, 53, 63, 64, 79

Modena, Biblioteca Estense gr. 232

358, 407

Montefranco (Terni), Archivio Storico Comunale s.n. [carta sciolta, 3 giugno 1714] 431

– Universitätsbibliothek 528

592, 597-598, 600

Napoli, Archivio di Stato Cappellano Maggiore, Relazioni 767 500 – Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III II E 4 637 III A 8 358, 407 IV A 8 731 IV G 47 603 VF9 635 VIII C 19 140 ex Vind. lat. 43 591 ex Vind. lat. 57 614 New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and Manuscript Library 284 606 New York, Pierpont Morgan Library M569 [copto-sahidico 4] 396, 421 Novaglie (Verona), Monastero delle Clarisse Sacramentine s.n. [Regula di santa Chiara] 86 Oxford, Bodleian Library Arch. Selden B 6 Auct. F. inf. 1. 13 Auct. T. 5. 31 Miscell. gr. 127 Miscell. gr. 299

368 368 368 407 358, 407 600

Padova, Archivio della Biblioteca del Seminario Vescovile 24 614 122 234, 255-256, tavv. VI-VII Paris, Bibliothèque nationale de France Coisl. 133 733 fr. 1749 90 fr. 12474 90 gr. 1711 733 gr. 1764 733 gr. 1807 200, 201 gr. 2934 351 gr. 2935 200

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INDICE DEI MANOSCRITTI

gr. 3062 358, 407 gr. 3063 358, 407 lat. 6361 603 lat. 6375 614 lat. 6597 600 lat. 6805 639 lat. 9768 (olim BAV Reg. lat. 1964) 769 lat. 12473 (olim BAV Vat. lat. 3204) 746, 769 lat. 12474 (olim BAV Vat. lat. 3794) 746, 769 lat. 13381 593 lat. 15085 603 lat. 17812 592, 596-599, 605, 608, 610 Suppl. gr. 352 (olim BAV Vat. gr. 997) 769, 770 Suppl. gr. 810 391, 418 Parma, Biblioteca Palatina 1987

614

Praha, Knihovny praàské metropolitní kapituly M 130 62 Reggio Emilia, Biblioteca comunale “A. Panizzi” Turri B15/A/17 261 Ripalimosani (Campobasso), Archivio Parrocchiale S. Maria Assunta Libro III de’ Battezzati dal 1723 al 1732 493 Roma, Archivio di Stato di Roma Presidenza generale del censo, Catasto Gregoriano, Spoleto mappa 20, b. Monte Franco 446 Trenta Notai Capitolini, uff. 2, b. 604 433 Trenta Notai Capitolini, uff. 2, b. 605 446, 455-458 – Archivio Storico Capitolino Sez. 14/prot. 91 (7 feb. 1774) – Biblioteca Angelica 1097 1895

– Biblioteca Casanatense 868

837

591

– Biblioteca Corsiniana 1173

389, 417

– Biblioteca Vallicelliana A.1 A.5 F.7 K.17

376, 411 192, 193 358, 407 218

Sevilla, Biblioteca Capitular y Colombina 7.1.19 637 Spoleto, Archivio Storico dell’Arcidiocesi Spoleto-Norcia Visite pastorali, b. 1759-1767, vol. 2 443, 445 Terni, Archivio di Stato Archivio notai Terni-Torreorsina, notaio Agabito Tanchi, b. 1798 443, 444 Troyes, Bibliothèque municipale 552 612-613, 616 Venezia, Biblioteca Marciana gr. 6 lat. XIV. 291 lat. fondo antico 412 (1705) Verona, Biblioteca Civica 1017 Vich, Museu Episcopal 201

350 409 600, 602 68 346

Wien, Österreichische Nationalbibliothek 189 590-591, 594-601, 605-606, 608, 610, 612-613, 615-616 hist. gr. 4 695 lat. 9699 372 phil. gr. 21 207

425-429, 431-433

Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek Gud. gr. 34 358, 407 Gud. lat. 2 (4306) 616

639 614

Wrocáaw, Biblioteka Uniwersytecka Rehdinger gr. 186 368, 407

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INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA Basel, Universitätsbibliothek Inc. 406-407 592, 596-601, 603, 605, 608, 610, 616 Bologna, Biblioteca Universitaria Inc. A.V.B. VIII.28

684

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Ald. I.23-25 112 Ald. I.51 92, 121 Ald. III.1 113 Ald. III.7 92, 136 Ald. III.16 113 Ald. III.18 113 Ald. III.19 113, 143 Ald. III.20 92 Inc. I.33 132 Inc. II.16 106 Inc. II.114 144 Inc. II.115 113 Inc. II.145 621-656, tavv. I-V Inc. II.200, int. 1 143 Inc. II.200, int. 2 113 Inc. II.225 111 Inc. III.18 113, 143, 145 Inc. III.268 690, 691 Inc. III.526 691 Inc. IV.108 140 Inc. IV.161 141, 146 Inc. IV.169, int. 1 141 Inc. IV.169, int. 3 147 Inc. S.125-126 107 Papi I.6 805 Racc. I. I.590 217 Racc. I. II.716 121 Racc. I. II.999 642 Racc. I. II.993 92 Racc. I. III.298, int. 1 92, 108 Racc. I. IV.101 100 Racc. I. IV.890 96, 145 Racc. I. IV.1394 91 Racc. I. IV.2166 110 Racc. I. V.2238 92 R.G. Class. S.69 753, 755 R.G. Neol. VI.134 151 Sala Cons. Mss. 302-318 (rosso) 174 Sala Cons. Mss. 440 (1-9) (rosso) 260 Stamp. Chig. III.29 690 Stamp. Ross. 2092 690

Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale Inc. Magl. H.2.2 684 Magl. 11_3 217 Pal.22a.5.5 217 London, British Library C.13 c.10

685

Mantova, Biblioteca Teresiana inc. 1220 (VII B.25) inc. 1277 (VII E.5)

578 578

Milano, Biblioteca Ambrosiana S. R. 226

92

Oxford, Bodleyan Library Inc. Auct. Q. 1. 2

639, 640

Paris, Bibliothèque nationale de France C 90 685 Vélins 280 685, 692, 693, 694 tav. I Roma, Galleria Carlo Virgilio & C. Chiese e Cappelle ff. 1-5 427-429, 467-468 tavv. IX-X – Museo di Roma, Gabinetto Comunale delle Stampe MR 1508 – 13 438, 471 tav. XIII MR 1508 – 43 439 MR 1508 – 44 439 MR 1508 – 45 439 MR 1508 – 54 440 MR 1508 – 66 440 MR 1508 – 68 440 MR 1508 – 70 441 MR 1508 – 71 441 MR 1508 – 72 441 MR 1508 – 73 441 MR 1508 – 74 440 MR 1508 – 75 441 MR 1508 – 76 438 MR 1508 – 77 438 MR 1508 – 78 438 MR 1508 – 79 438 MR 1508 – 80 439 MR 1508 – 81 439 MR 1508 – 82 439 MR 1508 – 83 440 MR 1508 – 84 440 MR 1508 – 85 441

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INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA

MR 1508 – 86 MR 1508 – 87 MR 1508 – 96

441 440 437, 470 tav. XII

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Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana Inc. V 0331 108

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