Le Lettere di San Paolo. Nuova traduzione e commento [Vol. 2] 883110750X, 9788831107501

La traduzione oltremodo attenta alla portata teologica del testo con un commento, che vuole condurre il lettore a una co

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Italian Pages 978 Year 2019

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Le Lettere di San Paolo. Nuova traduzione e commento [Vol. 2]
 883110750X, 9788831107501

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LE LETTERE DI SAN PAOLO a cura

di

ALESSANDRO BIANCALANI

e

BENEDETTO Rossi

LE LETTERE DI SAN PAOLO a cura

di

ALESSANDRO BIANCALANI

e

BENEDETTO Rossi

VoLUME 2

Nuova traduzione e commento di ALESSANDRO BIANCALANI GIOVANNA CHELI CESARE MARcHESELLI-CASALE PIER GIORGIO PAOLINI BENEDETTO Rossi STEFANO TAROCCHI

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��i CANTAGA.Lll

o CITTÀ NUOVA

©

2019 Edizioni Cantagalli S.r.L- Siena Città Nuova Editrice- Roma

In copertina: Vittore Carpaccio,

San Paolo stigmatizzato (1520)

Olio su tela, Chiesa di San Domenico, Chioggia Grafica di copertina: Rinaldo Maria Chiesa Finito di stampare nel mese di febbraio

2019

dalla tipografia Arti Grafiche La Moderna, Guidonia (Roma) ISBN

978-88-311-0750-1

SOMMARIO

VOLUME

I

PREFAZIONE

7

INTRODUZIONE GENERALE

9 105 1 27 ·375

LE LETTERE AI CORINTI PRIMA LETIERA AI CoRINTI SEcONDA LETIERA AI CoRINTI

a cura di Alessandro Biancafani

533

LA LETTERA AI GAlATI

a cura di Benedetto Rossi

70 1

LA LETTERA AI ROMANI a cura di Benedetto Rossi ***

VoLUME LE LETTERE AI TESSALONICESI PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI SECONDA LETTERA AI TESSALONICESI

2

1039 1057 1 1 39

a cura di Giovanna Che/i LE LETTERE DELLA PRIGIONIA LETTERA AI FILIPPESI LETTERA A FILEMONE LETTERA AI CoLossEsi LETIERA AGLI EFESINI

1 19 1 1 1 95 1 237 1 247 1285

a cura di Stefano Tarocchi

1037

SOMMARIO LE LETTERE PASTORALI PRIMA LETTERA A TIMOTEO LETTERA A Tno SECONDA LETTERA A TIMOTEO

1 36 1 1 367 1 52 1 1 595

a cura di Cesare Marcheselli-Casale LA LETTERA AGLI EBREI

1 689

a cura di Pier Giorgio Paolini BIBLIOGRAFIA

1 853

INDICE ANALITICO

1 927

INDICE GENERALE

1 997

1038

LE LETTERE AI TESSALONICESI a cura di Giovanna Cheli

INTRODUZIONE

I.

LA CITTÀ DI TESSALONICA

Tessalonica, nel I sec. dell'era cristiana, quando Paolo intrapren­ de la missione in Europa, è la sede del proconsole della provincia romana senatoria di Macedonia (At 17,6-8) ; è una città libera, con proprie istituzioni. Paolo, in lTs 1 ,7-8; 4, 1 0, rammenta la Macedonia e l'Acaia e dice che queste due province furono raggiunte dalle notizie della conversione di un gruppo di Tessalonicesi. Le voci potevano ben diffondersi visto che Tessalonica si trovava in una posizione geogra­ fica molto buona. Affacciata sul mare Egeo con il porto Termaico, era situata sulla via Egnatia che da Neapoli (verso l'Asia minore) portava a Durazzo ed Apollonia (sull'Adriatico) , città dalla quale imbarcandosi si poteva raggiungere Brindisi, quindi Roma attraver­ so la via Appia. Questa collocazione porta fortuna alla città, nella quale fiorisce un'intensa attività commerciale e artigianale; il suo tessuto sociale si sviluppa ed organizza: nella città erano presenti corporazioni e associazioni di cui fanno menzione alcune iscrizioni. La popolazione è formata da diversi gruppi etnici che nel corso della storia si sono insediati sul suo territorio: traci, macedoni, greci, romani, ebrei di cui sono state ritrovate almeno due sinagoghe del 11-III sec. d.C. Solo gli Atti ( 1 7,1) confermano l'esistenza di una comunità ebraica, non vi sono altri documenti del tempo. Per tro­ vare testimonianze storiche bisogna rifarsi a un tempo posteriore, a partire dal quale questa presenza è ben radicata e ininterrotta, fino al secolo scorso. A Tessalonica, oltre al culto dell'Imperatore, si trovano altri culti tradizionali e misterici. Paolo porta l'annuncio del Vangelo e la fede in Gesù Cristo agli abitanti di questa città, dove giunge durante il

104 1

Giovanna Che/i

suo secondo viaggio missionario, alla fine degli anni 40 insieme a Silvano (gli Atti non menzionano Timoteo) . Partendo da Filippi, dopo 1 50 km, percorrendo la via Egnatia, i due missionari arrivano nella città Macedone. 2. E VANGEL IZZAZIONE A T ESSAL ONI CA AL TEMPO DELLA IT S E DELLA 2Ts

La chiesa di T essalonica, raccontano gli Atti degli Apostoli, nasce dall'adesione al vangelo di «alcun h> Giudei e «di un gran numero di Greci timorati di Dio e non poche donne della nobiltà» (At 1 7,4) . Paolo e Silvano, ospiti in casa di un certo Giasone, avevano da poco iniziato la loro opera di evangelizzazione quando si trovarono al centro di una persecuzione scatenata dai Giudei contro di loro. Paolo forse allude a quest'avvenimento, quando in JTs 3,4 parla di «prove» prima preannunciate e poi realmente accadute. Fu così che i due missionari dovettero abbandonare in fretta questa giovane realtà, !asciandola in mezzo alla persecuzione. Prima fuggirono a Berea poi, ancora braccati dai Giudei, ad Atene per giungere infine a Corinto, città dalla quale - tra il 49 e il 5 1 d.C. - Paolo scrisse e inviò la sua lettera ai Tessalonicesi1• In seguito a questi eventi più volte Paolo cercò di raggiungere Tessalonica, ma non riuscì a realiz­ zare questo sogno per l'ostilità giudaica (l Ts 2,17 - 1 8) . Inviò quindi il suo collaboratore Timoteo2 con il compito di sostenere la giovane comunità perseguitata e di riportare notizie dirette sulla tenuta dei cristiani (3, 1 -5). La lettera nasce come feed back delle buone notizie 1 L'ipotesi che la lettera sia stata scritta negli anni 40- 45 d.C. dipende dall'in­ terpretazione di At 1 8 . Alcuni ritengono questo capitolo degli Atti sia un mon­ taggio redazionale di Luca, che fonderebbe insieme due distinti viaggi di Paolo a Corinto: il primo avvenuto prima di andare ad Atene intorno al 45 d.C. 2 L'invio di Timoteo si spiegherebbe proprio per il fatto che non era presente al momento della prima evangelizzazione e quindi, sconosciuto ai Giudei, poté raggiungere senza ostacoli la chiesa di Tessalonica. Sogno che Paolo non riuscì a realizzare proprio per l'ostilità giudaica (2, 1 7- 1 8) .

1 042

LE LETTERE AI TESSALONICESI

ricevute da Timoteo riguardo la fede e la perseveranza dei T essa­ lonicesi; l'Apostolo ringrazia ripetutamente Dio per tutto questo (l ,2; 2, 1 3; 3,9) e gli chiede comunque di poter «rivedere il volto» dei propri figli e «completare ciò che manca alla loro fede» (3,9- 1 0) . Lo scopo della missiva è dunque duplice: da una parte rinforzare la relazione interpersonale con la comunità, dall'altra incrementa­ re il cammino dei cristiani, rafforzandone la fede, incoraggiando l'amore fraterno, sostenendo la speranza nel tempo della prova, in vista del ritorno del Signore. I temi che vengono affrontati nella seconda parte della l Ts, in­ fatti, sono sempre ascrivibili al bisogno di confortare e sostenere il cammino dei credenti a Tessalonica e non sembra nascano da una preoccupazione dottrinale. «Completare la fede» (cfr. 3, 1 0) quindi, _ non significa aggiungere qualcosa, o integrare, ma, piuttosto, svi­ luppare, approfondire, portare a maturazione il cammino di vita cristiana. I credenti sono invitati a piacere sempre più al Signo­ re, continuando a camminare secondo quello che hanno appreso (4, 1 . 1 0) ; si dice che non hanno bisogno che l'Apostolo scriva sull'a­ more perché sono istruiti direttamente da Dio (4,9) . Se il tema dominante della prima parte è quello dell'incontro con il vangelo attraverso la relazione con i missionari (si va dal pri­ mo incontro al ritorno di Timoteo 2, 1 -3, 1 3), i temi della seconda parte hanno sempre come punto di riferimento la reciprocità, sia ·che si parli della santità (4, 1 - 1 2) , del ritorno del Signore e della sorte di coloro che sono già morti (4, 1 3- 1 8), o di coloro che vivono nel tempo dell'aqesa (5, 1 - 1 1 ) , così come quando si offrono le indi­ cazioni per edificare la comunità (5, 1 2ss) . L'evangelizzazione a Tessalonica, ai tempi della l Ts, avrebbe quindi avuto necessità dell'incontro di Paolo e dei suoi collaboratori con la comunità per prolungare l'esperienza del vangelo e condivi­ dere insieme la vita. Il valore storico di l Ts è, dunque, inestimabile, visto che è una testimonianza unica sugli esordi missionari di Paolo e sulla nascita di una delle prime comunità cristiane. Come primo 1 043

Giovanna

Che/i

scritto cristiano è anche destinato a divenire modello per altri scritti che entreranno a far parte del canone del NT. Altra cosa è la 2Ts e la comunità di Tessalonica alla quale la let­ tera viene inviata. La situazione dei destinata�i della lettera è molto cambiata, nonostante tra le due lettere esistano elementi di conti­ nuità tematica. I cristiani di Tessalonica sono in crisi e l'ambiente intorno è divenuto ancora più aggressivo nei loro confronti. Alcuni dei membri della comunità, prendendo spunto dagli eventi del pro­ prio tempo, creano allarmismo circa il ritorno del Signore e la sua riunione con lui; ci sono poi coloro che vivono in modo disordinato sulle spalle degli altri, senza voler lavorare e in continua agitazione. I mittenti rispondono ai loro destinatari con uno stile di comunica­ zione tutto diverso rispetto alla lettera precedente. L'evangelizzazione, ai tempi della 2Ts, non ha bisogno del con­ tatto diretto con la comunità, quanto piuttosto di un riconosci­ mento dell'autorevolezza della lettera, della tradizione e dello stesso autore che vuole avviare i suoi destinatari a discernere i segni della parousia del Signore nel proprio tempo e spingerli a «non stancarsi di fare il bene)) (3, 1 3) . I destinatari del vangelo, al tempo della 2Ts, sembrano apparte­ nere quindi ad un'altra generazione. La datazione della lettera varia a seconda se si ritiene di autenticità paolina o meno. Oggi la mag­ gioranza degli studiosi opta per la seconda posizione e quindi, scrit­ ta da un discepolo di Paolo, la sua data di stesura potrebbe risalire intorno alla fine del I sec., tra 1'80 e il 90 d.C.; forse vicino alla 2Pt che allude alla situazione di quei cristiani confusi da falsi maestri, che stravolgono le «lettere di Paolo)) in quello che dicono riguardo al giorno del giudizio del Signore (2Pt 3, 1 5 - 1 6) . Il luogo di composizione potrebbe essere Efeso dove si conserva­ va la tradizione paolina e circolava una prima raccolta delle lettere di Paolo, alla quale l'autore della 2Ts sembra riferirsi quando appo­ ne la sua firma: ((Il saluto è di mia mano, di Paolo. Questo è il segno in ogni mia lettera: io scrivo cosh> (2Ts 3, 17). 1044

LE LETTERE Al TESSALONJCESJ 3· rTs E 2Ts: SOMIGLIANZE

E

DIVERSITÀ

Abbiamo quindi due lettere indirizzate alla chiesa di T essalonica. La l Ts è più estesa e composta da 5 capitoli; la 2Ts è più breve e composta da 3 capitoli. Le due lettere dal punto di vista formale corrono spesso in parallelo. La loro somiglianza nasce da un con­ tatto reale che l'autore della 2Ts instaura con la prima. Si confronta con essa, talvolta sembra volerla rileggere, integrare, con lo scopo di correggere alcune cattive interpretazioni escatologiche che le ven­ gono attribuite. Altro aspetto fondamentale: la 2Ts presuppone la lettura di l Ts che evidentemente è un testo significativo per i propri destinatari, come per l'Autore. Paolo e la tradizione relativa alla sua persona sono richiamati più volte da lui, per imporsi ad una comu­ nità agitata da alcuni suoi membri che creano difficoltà e dissidio. Dal punto di vista formale le due lettere mostrano molti aspetti identici, ma nella sostanza alcuni di essi, ad esempio la collegialità, svaniscono nel corso della lettera. Identico è l'indirizzo: stessi sono i mittenti, i destinatari e il saluto, anche se nella 2 Ts si notano degli ampliamenti cristologici che annunciano l'interesse cristologico di quest'ultima. I saluti corrono in parallelo tra loro (l Ts 5,23.25-28; 2Ts 3, 1 6- 1 8), evidenziando alcune differenze: nella 2Ts non si trova né la richiesta di preghiera per i miss ionari (l Ts 5,25), anticipata formalmente in 2 Ts 3, l, né si trova il saluto con il >. Ne sono segno l'alta frequenza del nome di «Dio>> e altri titoli divini (circa 60 volte), dei pronomi «noi» «voi» (47 e 84 volte), che nella lettera si diffondono creando circuiti relazionali evidenti; anche la collegialità dei mittenti e l' ecdesialità dei destinatari, già evocata dall'indirizzo, ha un seguito molto chia­ ro. Una parola va spesa per quanto riguarda il rapporto di Paolo con il collegio degli apostoli mittenti. Il ((noi» che si attiva nello scritto, ha un suo capofìla autoriale e di autorità che è Paolo: è lui il fondatore che scrive a nome di tutti. Per tre volte esce allo scoperto (2, 1 8; 3,5; 5,27) ed è interessante notare che questo non va mai a discapito della collegialità, anzi. I tre riferimenti alla prima persona, mettono ancora più in evidenza il dinamismo collegiale che emerge nelle decisioni da prendere e va a sostegno della responsabilità ul­ tima di Paolo, le cui scelte scaturiscono da. una condivisione con i suoi collaboratori e la cui autorità si mostra sempre a servizio della comunione apostolica. Questo tessuto relazionale della lettera, così vivo, rivela il suo messaggio quando lascia intendere che il vangelo è un'esperienza di relazione nelle sue varie espressioni: gli apostoli, solo a partire dal loro rapporto con Dio, possono attivarsi nel servi­ zio dei cristiani, ma anche i cristiani sono spinti gli uni verso gli altri (anche verso gli apostoli) a partire dalla stessa fonte. Il vangelo è re­ ciprocità di amore e la lettera fa di questo un messaggio fondamen­ tale, al punto che anche le esortazioni sono consegnate ai cristiani perché si attivino nel consolarsi reciprocamente attraverso di esse. Altra cosa è invece, da questo punto di vista, la 2Ts che si presen­ ta in modo impeccabile: si apre con la stessa lista di committenti, impiega frequentemente i pronomi ((noi e voi» (rispettivamente 24 e 40 volte) , il circuito trilaterale non manca (anche Dio e altri titoli divini tornano 60 volte circa) , ma tutto questo pare un'imitazione poco convinta. I nomi dei mittenti non torneranno più nel corpo della lettera né esplicitamente, né implicitamente e nemmeno nei saluti si accennerà a loro. Questa differenza è sostanziale perché de­ nota uno scarso interesse della 2Ts per l'aspetto collegiale e poca in­ sistenza sull'aspetto relazionale. Anche quando ci sono i segni di un 1048

LE LETTERE AI TESSALONICESI

certo calore, il risultato è sempre molto formale. In 2Ts emerge per due volte la prima persona singolare (2,5 e 3, 1 7), ma - a differenza di l Ts - essa non è in relazione con il collegio apostolico ed è volta a richiamare l'autorità di Paolo a garanzia di quello che si comanda e della lettera stessa, che viene così autenticata.

. Ringraziare - esortare {consolare). Le due lettere rispondono allo schema ringraziare - esortare (J Ts 1 ,2; 2, 1 3; 3,9; 2 Ts 1 ,3; 2, 1 3- 1 4 e 1 Ts 4-5; 2Ts 2, 1 - 1 2. 1 5-3, 1 8) . I l ringraziamento della l Ts contiene la prima parte della lettera (i Ts l - 3) e diffonde in tutto lo scritto il senso della gratitudine verso Dio e dell'affetto verso i fratelli che hanno accolto il vangelo. La preghiera piena di gratitudine parte dal cuore degli apostoli verso i destinatari ( 1 ,3; 2, 1 3; 3,9), ma è ricambiata da quest'ultimi che sono invitati a fare altrettanto per i missionari (5,25) e a ringraziare sempre Dio in ogni circostanza (5, 1 7- 1 8) . Intorno al ringraziamen­ to matura quindi la fiducia in Dio e nelle relazioni fraterne che si sono consolidate grazie al dono del vangelo. Nella 2Ts il ringraziamento incornicia il tema del «giusto giudi­ zio di Dio» ( l ,5) ed è collegato con la certezza della salvezza finale di coloro che hanno sofferto per il vangelo ( 1 , 1 0) , tuttavia, anche se è ripreso in 2, 1 3, esso non entra in relazione con il messaggio nel suo insieme. L'esortazione nella l Ts è un invito a comportarsi «come si è ap­ preso» dagli apostoli e a «farlo sempre più per piacere al Signore». Paolo dice che i credenti di Tessalonica già lo fanno, devono solo intensificare il loro cammino. Gli inviti di Paolo risultano quindi un incoraggiamento e uno sprone. Anche i temi escatologici trattati all'interno di questa sezione, più propriamente esortativa, risentono di questo clima sereno, che Paolo conferma con una conclusione ripetuta due volte: saremo e vivremo con il Signore (4, 1 7; 5 , 1 0) . L'esortazione nella 2Ts si riveste di toni e quadri molto più aspri che circondano il ritorno del Signore e la sua manifestazione, essen­ do certi del buon risultato finale. Anche le istruzioni assumono il 1 049

Giovanna Che/i

carattere del comando e si concretizzano in vere e proprie sanzioni da applicare in determinati casi, ma sempre a servizio della frater­ nità (3,6. 1 4) . Concludendo, nella l Ts al centro del ringraziamento e dell'e­ sortazione resta sempre la parola del vangelo che chiama, mette in relazione, diviene tradizione, conforta sulla morte e gli ultimi eventi della storia. I rapporti che nascono dalla chiamata sono e riman­ gono sereni. Ci sono le persecuzioni, ma accompagnate dalla gioia dello Spirito; c'è il dolore del distacco, ma nella certezza della riu­ nione. La consapevolezza della lotta tra ciò che è umano e divino, si risolve tutto positivamente nella comunione. Coloro che già fanno e camminano secondo il vangelo, trovano ancora qualcosa in cui migliorare e crescere, nonostante l'attesa prossima del Signore. Per la.2Ts non è la stessa cosa, il modo di comunicare- è sicu­ ramente più duro: le raccomandazioni si intensificano e le lotte si protraggono.

Annuncio e accoglienza del vangelo e delle tradizioni. La l Ts è la prima testimonianza diretta della nascita di una comunità cristiana: la parola «vangelo» torna 6 volte ( 1 ,5 ; 2,4.8 .9; 3,2) , l volta il verbo «evangelizzare» (3,6) , occorrenze che appartengono tutte alla prima parte della lettera, nella quale si ringrazia e si racconta l'inizio di un rapporto che fonda la Chiesa: quello degli apostoli e dei credenti nel Signore. I missionari, ritenuti degni di fiducia da parte di Dio per portarne l'annuncio, sono presentati con un preciso stile di vita evangelico: nessuna adulazione, nessun inganno, ma farsi a misura dei propri destinatari, come «madre e padre», in atteggiamento di totale gratuità, fino a dare loro non solo il vangelo ma la propria vita (2, 1 - 1 2) . La lTs presenta, quindi, tutta la tensione interiore dell'evangelizzatore chiamato a custodire dentro la parola umana quella divina. Grazie al vangelo, i Tessalonicesi, pochi ebrei, molti greci, passano da una vita ad un'altra lasciando, laddove è necessa­ rio, gli idoli per il Dio vivo, nell'attesa del ritorno di Gesù ( l , l O) . Il vangelo è caposaldo nella prova e nella tribolazione, non solo 1050

LE LETTERE AI TESSALONICESI

nel momento della prima accoglienza, ma nella perseveranza ( l ,6; 2, 13- 1 6). Il vangelo corre, attraverso la parola umana ( 1 ,5; 2, 1 3) : prima quella degli apostoli poi, come in una catena, di tutti coloro che si sono convertiti e testimoniano la nascita della chiesa, la gioia dell'incontro con i missionari, la scoperta di Gesù morto e risorto per gli uomini ( l ,9) . Il vangelo, una volta portato ai credenti l'an­ imncio, continua a vivere dentro ai rapporti fraterni che s'inten­ sificano, nell'amore su cui i credenti sono istruiti direttamente da Dio (4,2.9) , nel timore del ritorno del Signore. Anche per questo evento finale c'è una «parola del Signore» da pronunciare, compito affidato agli apostoli (4, 1 5) . La profezia quindi continua e non va spenta (5, 19-20) . Nella 2Ts questo tema è meno sviluppato, la parola «vangelo» torna solo 2 volte ( 1 ,8; 2, 14), mai in contesti di evangelizzazione, ma sempre apocalittici. Tuttavia le due lettere hanno in comune il termine «parola» (JTs 1 ,5.6.8; 2,5. 133; 4, 1 5 . 1 8; 2Ts 2,2. 1 5 . 1 7; 3, 1 . 1 4) . Nella l Ts se ne trova un uso ambivalente: «parola» di uo­ mini che «è parola di Dio», «parola dell'ascolto», che contiene il vangelo. C'è una fase più matura dell'annuncio, nella quale «parola» e vangelo sono intercambiabili e divengono «tradizione» da trasmet­ tere e custodire con la coerenza della vita. Il «vangelo» che «chiama alla gloria», si custodisce con la fedeltà alle tradizioni «apprese dalla nostra parola» dice l'Autore (I Ts 4,2. 1 1 ; 2Ts 2, 1 5 ; 3, I O) . Concludendo, la l Ts ruota intorno al tema dell'annuncio e dell'accoglienza del vangelo, che Paolo vuole mettere al sicuro in una comunità appena nata ed esposta fin da subito alla persecuzio­ ne. Egli rincuora quindi i suoi, irrobustendo con l'affetto la relazio­ ne interpersonale fondata sul vangelo, rendendo solida la fede che traduce il vangelo in vita e in tradizione. La 2 Ts non può restituirei una situazione iniziale di annuncio, ma invita i suoi destinatari ad essere fedeli alla tradizione del vangelo, per essere «tra quelli che hanno creduto» (2Ts 1 , 1 0) .

L 'imitazione. Questo tema viene utilizzato dalle due lettere in contesti completamene diversi. Ancora una volta la l Ts offre una 1051

Giovanna Cheli

riflessione più ampia sull'imitazione. Essa non è riferita solo, come in 2Ts, all'ambito del lavoro (2Ts 3,6- 1 2) , ma anche a quello del­ la persecuzione sofferta per il vangelo che porta i credenti ad es­ sere imitatori di Cristo (i Ts l ,6; 2, 1 4) . I Tessalonicesi seguendo la scia dei missionari «testimoni», divengono loro stessi «modello» per altri nel diffondere il vangelo ( 1 ,7) . L'imitazione, tema tipica­ mente paolino, garantisce la catena dell'annuncio che non è solo insegnamento, ma esempio di vita. Il fìlo è sottile, ma l'esortare e il consolare degli apostoli è fatto di parole e di atteggiamenti. Si­ curamente consegnare le > a stagliarsi come l'origine permanente della pace, somma di tutti i beni salvifici, dalla chiamata all'incontro finale con Dio. Paolo evidenzia così l'iniziativa gratuita di Dio nei confronti dei cristiani di Tessalonica, chiamati con il dono del vangelo a formare la sua Chiesa. Già dall'indirizzo, Paolo intende tracciare il rapporto tri­ laterale del dialogo epistolare; il «noi mittente» e il «voi destinatario» si presentano come due distinte realtà di comunione (collegiale ed ecclesiale), continuamente vivificate dalla relazione fontale di «Dio Padre per mezw del Signore Gesù Cristo>>, a loro volta in comunione tra loro. Il nome di «Dio» e gli altri titoli divini, infatti, sono diffusi in tutta la lettera in modo insistente e sono sempre inseriti nei circu­ iti relazionali che di volta in volta si presentano. 1061

PRIMA LETIERA AI TESSALONICESI

ESORDIO: RINGRAZIAMENTO E PREGHIERA PER IL DONO DEL VANGELO l ,2 - 1 o

Paolo e i suoi collaboratori ringraziano Dio e pregano per i Tes­ salonicesi ricordando la loro vita di fede, amore e speranza. Al cen­ tro di questi versetti si trova il dono del vangelo in tutta la sua vitalità, dono di Dio per i Tessalonicesi e segno della loro elezione divina. L'esordio, racchiuso tra il motivo eucaristico ( l ,2) e quello escatologico ( l , l O), si articola in tre momenti nei quali rispettiva­ mente si alternano come soggetto il «noi» mittente, il «voi» desti­ natario e «loro» abitanti delle zone vicine. Al «noi» si attribuisce il ringraziamento di Paolo e dei suoi collaboratori per la vita cristiana dei propri destinatari (1,2-5); il «voi» destinatario è soggetto dell'i­ mitazione dei missionari e del Signore e modello per gli altri ( 1 ,6-8) e proprio questi «altri» (loro) diffondono la buona notizia della con­ versione e della fede dei Tessalonicesi e della loro attesa del ritorno del Signore ( 1 ,9- 1 0) . Al centro d i ogni piccola unità letteraria s i trova un riferimento al vangelo, anch'esso soggetto attivo che si interpone nella relazio­ ne ((noi-voi» : il vangelo è giunto con potenza e Spirito Santo tra i Tessalonicesi ( 1 ,5), la Parola di Dio risuona a partire da loro oltre la Macedonia e l'Acaia ( 1 ,8) . Nell'esordio si può, quindi, individua­ re la seguente articolazione: l ,2-5, (m o i» ringraziamo; 1 ,6-8, ((voi» imitatori e modello; 1 ,9- 1 0, ((loro» narratori della fede. 2Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, facendo me­ moria nelle nostre preghiere, continuamente 3ricor­ dando l'opera della vostra fede, la fatica dell'amore, la pazienza della speranza nel Signore nostro Gesù 1 063

Giovanna Che/i

Cristo davanti a Dio e Padre nostro. 4 Sappiamo, fra­ telli amati da Dio la vostra elezione, 5perché il nostro vangelo non è giunto a voi solo con la parola, ma anche con potenza e Spirito santo e con molta ab­ bondanza, come sapete quali siamo stati in mezzo a voi per voi. 6E voi siete diventati nostri imitatori e del Signore accogliendo la parola in mezzo a grande tribolazione con la gioia dello Spirito Santo, 7così da diventare modello per tutti coloro che credono in Macedonia e in Acaia. 8Da voi infatti risuona la pa­ rola del Signore non solo in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa in ogni luogo co­ sicché non abbiamo bisogno di parlarne. 9Loro stessi infatti raccontano di noi, quale incontro abbiamo avuto con voi, e come vi siete convertiti a Dio dagli idoli per servire il Dio vivo e vero 10e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli risuscitò dai morti Gesù che ci libera dall'ira che viene.

1,2-5: «Noi» ringraziamo. Il dialogo epistolare prende le mosse dal verbo plurale «ringraziamo», con il quale Paolo mostra subito il tono collegiale della lettera. Di solito, infatti, l'Apostolo usa il singolare, mostrando tutta la sua autorità (Rm l ,8; l Cor l ,4; Ef 1 , 1 5- 1 6; Fi/ 1 ,3; J Tm 1 , 1 2; 2Tm 1 ,3). Dal verbo «ringraziamo» dipendono tre participi, tutti riferiti al «noi» apostolico: «facendo memoria» {1 ,2), «ricordando» ( 1 ,3), «sapendo» ( 1 ,4) . La chiave del ringraziamento è Ìa memoria dei propri destinatari, della loro vita cristiana; il clima è quello della preghiera e gli aggettivi e gli avverbi, che costellano i participi, richiamano la semantica della totalità: si ringrazia «sempre», per «tutti» e si prega «continuamente» . Altro aspetto fondamentale del ringraziamento per i cristiani di Tessalo­ nica è la consapevolezza della loro «elezione» (l ,4) . Paolo la porrà alla base del dialogo epistolare, da essa scaturisce gratitudine. «Rin­ graziare Dio» vuoi dire rispondere all'amore gratuito di Dio con la 1 064

PRIMA LETTERA Al TESSALONICESI

gratitudine. Paolo insiste molto su questo atteggiamento, anzitutto dandone l'esempio ( 1 ,2; 2, 1 3; 3,9) e poi invitando i Tessalonice­ si a fare altrettanto (5, 1 8) . Il ringraziamento e la preghiera sono caratterizzati dallo spazio e dal tempo: esprimono la dimensione orizzontale della relazione («per tutti voi» 1 ,2) e quella verticale del rapporto con Dio in un tempo senza misura («davanti a Dio e Padre nostro» 1 ,3; 2, 1 9; 3,9. 1 1 ) . Paolo e i suoi collaboratori ringraziano «sempre» e la preghiera fluisce in modo «incessante». L'oggetto del ringraziamento è genericamente presentato con il pronome «voi», ma la preposizione «pen>, che accompagna il pronome, lascia pre­ sagire che l'ambito del grazie è ampio e vario, sebbene si concentri solo sui destinatari. Paolo mostra la sua riconoscenza con i tre participi, , poi ne descrive il motivo. I primi due participi riguardano la memoria; il primo, «facendo me­ moria nelle nostre preghiere>>, dice che la preghiera è il contesto in cui ricordare i propri destinatari. L'Apostolo, quindi, non si abban­ dona a un ricordo nostalgico, ma esprime il proprio legame con loro attraverso il proprio legame con Dio. Il secondo presenta l'oggetto della memoria: «ricordando l'opera della vostra fede, la fatica dell'amore, la pazienza della speranza nel Signore nostro Gesù Cristo». Le tre virtù teologali, presentate nella lettera in questa sequenza (l Ts 5,28), sono una probabile creazione paolina, per esprimere sinteticamente l'esperienza cristiana. Paolo le circostanzia e parla di «opera della fede», per indicare che l'origine dell'impegno dei Tessalonicesi sta nella fede. Il termine «opera», infatti, è richiamato anche in J Ts 5, 1 3 a pro­ posito dei cosiddetti «preposti» della comunità, che Paolo invita a stimare per la loro «opera». Grazie al dinamismo della fede, il van­ gelo si traduce in vita e questa è per ogni credente l' «opera della fede» (2Ts 1 , 1 1 ) , o ciò che altrove Paolo chiama la «fede operosa» (Ga/ 5,6) . Il termine «fede>> compare per la prima volta qui nell'epistolario paolina ed è richiamato insistentemente in J Ts 3 (3,2.5.6.7. 1 0) : 1 065

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essa è adesione fedele al vangelo annunziato. Associata per due volte ad «amore» ( 1 ,3; 5,28) , Paolo ricorda spesso, direttamente o indi­ rettamente, che la fede nel Signore Gesù crea nuovi legami, non solo tra missionari e discepoli, ma tra tutti i credenti. L' «amore» ha il compito di specificare il termine «fatica», il più delle volte associato da Paolo all'impegno dell'evangelizzazione (cfr. J Cor 3,8; 2Cor 6,5; 1 0, 1 5; 1 1 ,23.27; I Ts 1 ,3; 2,9; 3,5; 2Ts 3,8) . I «preposti», ad esempio, sono definiti come «coloro che si affati­ cano» (5, 1 2) , per servire e custodire la comunità nel cammino del vangelo. I Tessalonicesi accettano e vivono ogni fatica del vange­ lo, prima accolto e poi, grazie all'amore, annunciato con la vita. Il termine «amore», caro all'epistolario paolina, nella lettera compare altre volte (l Ts 3,6. 1 2; 5,8. 1 3) e insieme al verbo «amare» ( 1 ,4; 4,9) indicano sia l'amore reciproco tra fratelli che l'amore con cui Dio ha amato ed eletto i Tessalonicesi; proprio l'esperienza di quest'a­ more divino e gratuito, educa i cristiani di Tessalonica a vivere l' «a­ more fraterno» (4,9) . Infine, il sintagma «pazienza della speranza» si riferisce alla resi­ stenza dei Tessalonicesi nel tempo della prova; essa è affrontata con speranza dai cristiani, perché sanno che tutta la storia è orientata alla salvezza. Paolo dedica molta attenzione a questa virtù: i Tessalo­ nicesi sono la sua «speranza» davanti alla venuta del Signore (2, 1 9) e si distinguono proprio per questa virtù da quelli che non credono e piangono i loro morti senza prospettiva di salvezza (4, 1 3) , mentre loro credono nella resurrezione e nella riunione finale di tutti in Cristo. Attendendo la salvezza di Dio, Paolo vede i cristiani rivestiti di un'armatura di «fede e amore>>, che ha per elmo la «speranza>>: con essa si affronta il combattimento della vita per essere pronti nel giorno della salvezza (5,8) . La specificazione che chiude l'elenco delle tre virtù, «del Signore nostro Gesù Cristo>>, può esser riferita solo a «speranza>> oppure a tutte e tre le virtù, come è preferibile: la «fede» ha infatti per fondamento Cristo, e l' «amore» trova in Lui la sua origine. Anche l'espressione conclusiva «davanti a Dio Padre nostro» (l ,3) non va delimitata a «speranza» o estesa solo alle altre 1 066

PRIMA LETIERA AI TESSALONICESI

virtù: essa è l'orizzonte di tutta la preghiera eucaristica nella quale si esprime la relazione che intercorre tra «noi apostolico», «Dio» e «voi destinatariO»». La Chiesa collocata e , due realtà per le quali si usa lo stesso verbo, allo stesso modo e tempo: il vangelo «è stato tra voi» (egenethe l , 5a)5 è quindi so­ vrapponibile a «quali siamo stati tra voi per voi» (egenethemen 1 , 5 d) . La stessa cosa accadrà in seguito per i Tessalonicesi, divenuti a loro volta «imitatori», cioè vangelo vivente come gli apostoli ( 1 ,6.7) . L'oggetto di questo «sapere condiviso>> è quindi presentato prima dal punto di vista di Paolo, che ha sentito nel suo cuore lo stesso amore elettivo di Dio per i Tessalonicesi (sapendo) e poi dal punto di vista dei credenti (sapete), che hanno colto la > risuona grazie alla fede dei destinatari, > (3,6-8) . Sgorga allora il «ringraziamento», il terzo dall'esordio, che si me­ scola alla «preghiera»: egli gioisce davanti a Dio e continua la sua preghiera per rivedere il volto dei suoi amici e perché sia completato ciò che «manca alla loro fede>> (3,9- 1 0) . Tutta l'unità letteraria ha quindi per tema il desiderio apostolico, soddisfatto parzialmente dal ritorno di Timoteo, di ristabilire un contatto diretto con la comu­ nità appena nata. Alla fine di questi versetti si trova la preghiera augurale con la quale Paolo chiude la prima parte della lettera e anticipa, sinteticamente, la seconda. In essa Paolo si rivolge a Dio 1 093

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Padre augurandosi per l'ennesima volta il ritorno a Tessalonica, la crescita nell'amore dei cristiani, la loro santità in vista della comu­ nione escatologica (3, 1 1 - 1 3) . Paolo, in questa unità letteraria, esprime tutta la sua affettività: la separazione forzata è come un «essere resi orfani» (aporphanizesthai, occorre solo in 2, 1 7), la lontananza è irresistibile (3, 1 . 5). La voglia di «rivedere il volto�� (2, 1 7; 3,6. 1 0) dei Tessalonicesi cresce progres­ sivamente e reciprocamente: prima è un «grande desiderio» di Paolo (2, 1 7), poi è «desiderio reciproco» (3 ,6) ; infine è preghiera insisten­ te dell'Apostolo (3, 1 0. 1 1 ) . Anche il sentimento della «gioia» emerge con forza (2, 1 9.20; 3,9) e si mescola con quello della «pena» (3,7) che rende «insopportabile» la separazione. La distanza ingrandisce i timori e Paolo teme che i cristiani siano «sconvolti» dalla persecu­ zione (3,3) , mentre le paure si sciolgono in fretta quando Timoteo con le sue notizie raccorcia le distanze; allora viene la «consolazione» (3 ,7) , anche se il desiderio dell'incontro non si spegne ed è racchiu­ so in una preghiera «super-traboccante», perfino eccessiva, per la fede dei Tessalonicesi (3 , 1 0) . Anche i verbi risentono del fiume di sentimenti contrastanti che affluiscono nel cuore di Paolo. Si trovano infatti verbi che esprimo­ no la fragilità dell'Apostolo e dei destinatari come «essere resi orfani» (2, 1 7) «desiderare» (3,6; l ,7), «impedire» (2, 1 8) , > e come «collaboratore di Dio nel van­ gelo di Cristo», ha quindi tutte le credenziali per rendere presente l'Apostolo e soprattutto per pronunciare una parola che rafforza e incoraggia, che viene direttamente da Dio ed è vangelo di Cristo.

3,6-10: Ritorno di Timoteo e le buone notizie che suscitano gioia, gratitudine e preghiera. Questi versetti, che costituiscono il contesto vitale della lettera, sono composti da due frasi. Il ritorno di Timoteo alleggerisce il cuore di Paolo da ogni pena, riempie di gio­ ia, consola per le buone notizie (3,6-8) ; per questo l'Apostolo rin­ grazia e la sua preghiera s'intensifica (3,9- 1 0) . Lo stile dei versetti è spontaneo e pieno di affetto, come si addice ad una comunicazione fatta «a caldo>>, dopo aver ricevuto buone notizie. Paolo, che inizia dicendo «ma ora che Timoteo da voi è tornato a noi e ci ha portato buone notizie . . . » (3,6) , non intende solo comunicare il cambia­ mento del suo stato d'animo, ma vuol far sapere ai suoi destinatari 1 1 00

PRIMA LETTERA Al TESSALONICESI

che la lettera nasce «sull'istante», «ora», dalle' notizie appena ricevute e rispecchia il presente della comunità. La descrizione lapidaria del ritorno di Timoteo è piena di enfasi proprio perché concisa1 4 : «da voi è tornato a noi», si dice, esempli­ ficando il contatto ripristinato tra la comunità mittente e quella destinataria. Paolo è preoccupato di dire tutto e subito quello che ha udito, la sua foga comunicativa è visibile, per cui affastella una serie di participi che restano in sospeso fino al verbo principale, che arriva solo in 3,7. Il primo participio segna il cambio di passo di questa unità letteraria: Timoteo «ci ha portato buone notizie» (euaggelizesthai) . Il verbo «evangelizzare» può essere stato impiegato da Paolo non in senso religioso; «lieto annuncio», infatti, poteva indicare qualunque evento positivo della società. Tuttavia l'espres­ sione «ci ha portato buone notizie della vostra fede», che Paolo usa anche in Ga/ 1 ,23 15, può far pensare che la comunità mittente ha vissuto il racconto di Timoteo come un momento di evangelizza­ zione. La scelta del verbo non pare quindi casuale: le notizie della «fede», dell' «amore», del «buon ricordo» dei missionari sono come il prolungamento del vangelo, un messaggio di Dio per Paolo e i missionari. D'altronde si deve ricordare che già in 1 ,8 si diceva ai Tessalonicesi: «da voi infatti risuona la parola del Signore non solo in Macedonia e in Acaia» e ancora: «la vostra fede in Dio si è dif­ fusa in ogni luogo». Il secondo participio s'innesta sulla notizia del «buon ricordo»; Paolo afferma che i credenti stanno «desiderando» di rivederlo e dice subito che è un desiderio reciproco: «come anche noi-voi». La reciprocità delle relazioni è sottolineata anche formalmente: tra l'inizio e la fine di 3,6 è presente un chiasmo dei pronomi per14 At 1 8,5 non concorda con la lettera e dice che Silvano e Timoteo tornano insieme da Paolo, ignorando il fatto che Timoteo possa esser tornato da solo. Ma Luca schematizza gli eventi e potrebbe aver unificato l'arrivo di Silvano e Timo­ teo in un unico momento. 15 In Gal 1 ,23 si usa l'espressione «predicare la fede» (euagge/izetai ten pistin) per indicare il ministero di Paolo.

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sonali; Timoteo è tornato «da voi a noi», ma il desiderio di rivedersi riparte immediatamente e va da «noi a voi». La consolazione di cui parla 3,7 si deve contestualizzare quindi nella relazione: «per questa ragione ci sentiamo consolati, fratelli, riguardo a voi>>. Il verbo «con­ solare» è al passivo ed ha un valore ingressivo (pareklethemen); Paolo comincia ad essere consolato a partire dalla reciprocità, «riguardo a voi»: Timoteo è inviato per incoraggiare (consolare) i credenti ed ora i credenti, chiamati ancora una volta «fratelli», consolano l' Apostolo; lo scopo della sua visita era raccogliere notizie della loro fede ed ora «ogni nostra angoscia e tribolazione» (cfr. 2Cor 7,4b-7) , dice Paolo, è consolata «a causa della vostra fede». Lo stato d'animo di Paolo è ulteriormente tratteggiato in 3,8: (3, 1 2) . Paolo si esprime con due verbi dinamici che si rinforzano reciprocamente: «crescere)) contiene, nell'etimo gre­ co, il comparativo «sempre più)) (pleonazein): nell'amore ci si può spingere sempre avanti e non si è mai arrivati; a q1,1esto si aggiunge «sovrabbondare)) (perisseuein) , per dire che non esiste una misura dell'amore, esso o è sovrabbondante o non è. Questo dinamismo dell'amore è bene esemplificato dalla progressione che segue: si ini­ zia dall'amore fraterno della comunità, «gli uni verso gli altrh) e poi si passa a quello «verso tutth gli uomini senza distinzione. Il dinamismo ha un retroterra importante ed è la relazione ecclesiale: il comparativo «come anche noi verso voh) ricorda, per l'ennesima volta, che i Tessalonicesi potranno progredire in avanti così, solo attingendo dall'esempio dei missionari che sono spinti verso «tut­ th), perché resi partecipi dell'amore divino. È proprio questo dono, riversato nei credenti, che realizza un ultimo scopo: «confermare i cuori irreprensibili nella santità>>. Si tratta di un'integrità etico-reli­ giosa, che vissuta nella santità è espressione della vita teologale dei cristiani. Tutto questo prepara alla comunione che va oltre lo spazio e il tempo, unisce a tutti i santi con i quali il Signore Gesù Cristo un giorno tornerà (3, 1 3) .

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PRIMA LETTERA AI TESSAWNICESI

SECONDA PARTE: ESORTAZIONE NEL SIGNORE GES Ù , PROGETTO DI VITA CRISTIANA PER I TESSALONICESI 4, 1 - 5,22

L'inizio della seconda parte della lettera è segnata dalla transi­ zione «per il resto, fratelli» (4, 1 ) . L'ultima intenzione di preghiera di Paolo, «completare quello che manca alla fede» · dei Tessalonicesi (3, 1 0), diviene l'orizzonte dei capitoli che concludono la lettera. «Completare» non significa aggiungere qualcosa, o integrare, ma piuttosto sviluppare, approfondire, portare a maturazione. Alme­ no due volte si dice ai Tessalonicesi che già vivono il vangelo, ma sono invitati a farlo «ancora di più» ( 4, 1 . 1 O) . Il vangelo «ricevuto» e «accolto» va trasformato in stile di vita e questo è un dinamismo continuo che il credente non può e non deve arrestare. L'idea della «progressione» accompagna tutta l'ultima parte della lettera, dove l'Apostolo sviluppa la sua esortazione o paraclesi (pa­ rakalein è ripetuto 5 volte in questi due capitoli, su 8 complessive; 4, 1 . 1 0. 1 8; 5 , 1 1 . 1 4) . I destinatari sono posti davanti alla loro chia­ mata per vivere il vangelo fino in fondo, traducendolo in stile di vita e in cammino di tutta l'esistenza. Essi possono conoscere «la volontà di Dio», accogliendo il suo invito alla «Santificazione)), ad una vita cioè eticamente irreprensibile; Iila per fare questo bisogna stare alla presenza dello Spirito Santo che rivela la dignità di ogni uomo e lo rende capace di amare (4, 1 - 1 2) . Anche quando s i affronta la questione di quelli che sono mor­ ti prima della parousia, i cristiani sono invitati ad attivare la loro chiamata; la fede pasquale trasforma il ritorno del Signore in una riunione di tutti gli uomini nel suo amore (4, 1 3- 1 8) . La dimensio­ ne escatologica, l'essere incamminati verso il giorno del Signore, rigenera la vita del credente come «figlio della luce e del giorno)), 1 1 05

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dissipa ogni mediocrità e permette di affrontare il combattimento quotidiano con fede, amore e speranza, che sono come un'«armatu­ ra)) di difesa dagli inganni della vita (5 , 1 - 1 1 ) . Infine gli ultimi versetti (5 , 1 2-22) sono dedicati da Paolo alla vita della comunità, timidamente strutturata ed impegnata nel vi­ vere relazioni evangeliche: il sostegno reciproco, fare il bene, essere lieti, rendere grazie e soprattutto lasciar ardere il fuoco dello Spirito rendono recettivi della volontà di Dio, del progetto di vita evan­ gelica che gli apostoli hanno trasmesso. Questo itinerario non si realizza mai una volta per tutte, ma si costruisce ogni giorno, pro­ gredendo sempre di più. La lettera si conclude con una nuova preghiera augurale, nella quale confluisce l'esortazione di Paolo: Dio è colui che «chiama)) e che «fa>>, che cammina con i suoi figli (5,23-24) . L'ultima frase nei saluti finali (5,25-28) , inizia con il sostantivo «grazia)) e finisce con il pronome «voi»: le due parole che forse meglio di altre esprimono l'orizzonte di tutta la lettera. Dunque l'articolazione di l Ts 4, l 5,28 va stabilita sulla base di formule che introducono gli argomenti trattati: «per il resto fratelli» (4, 1 ) e «per quanto riguarda )) (4,9. 1 3; 5 , 1 ) . Seguendo tali formu­ le si ottiene la seguente suddivisione tematica: 4, 1 - 1 2, la volontà di Dio; 4, 1 3- 1 8, il ritorno del Signore e quelli che sono già morti; 5 , 1 1 1 , il giorno del Signore e i suoi figli; 5 , 1 2-22, consigli per la vita cristiana; 5,23-28 , preghiera augurale conclusiva, epilogo. -

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PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI

LA VOLONTÀ DI DIO

4, 1 - 1 2

L'esortazione della lettera, o paraclesi, è introdotta con i versetti 4, 1 -2; essi si presentano come il richiamo a ciò che i Tessalonicesi hanno già appreso dai missionari sul modo di comportarsi e piacere a Dio: Paolo fa leva su «disposizioni» già conosciute, che sono state date «per mezzo del Signore GesÙ» (4, 1 .2; 4,6) . In questi versetti emerge con forza l'invito ad essere consape­ voli della tradizione, quando si dice «come avete appreso da noi» (4, 1 ) , oppure «sapete quali disposizioni vi abbiamo dato» (4,2) . La tradizione aiuta i credenti a tradurre in vita il vangelo (2, 1 3) . Esso diviene, allora, rispetto della persona, amore fraterno dentro e fuori la comunità e realizza così il cammino di santifìcazione al quale ognuno è chiamato. Paolo si guarda bene dal dare in merito a que­ sto delle norme legali, perché sa che la tenuta del comportamento dei credenti dipende dalla relazione con Dio. Il motivo profondo di uno stile di vita evangelico è il Signore: lui è «vindice» della corret­ tezza dei rapporti con i propri simili (4,6) , è lui che chiama alla san­ tifìcazione con il dono del suo Spirito, presente in ciascuno (4,7.8) , infine è Dio che ammaestra i suoi fedeli nell'intimo del cuore e li rende capaci di amare (4,9) . La prima unità letteraria dell'esortazione è quindi suddivisa così: 4, 1 -2: progredire sempre più; 4,3-8: la volontà di Dio è la vostra santifìcazione; 4,9- 12: istruiti da Dio ad amare.

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1 Per il resto, fratelli, vi preghiamo ed esortiamo nel Signore Gesù affinché, come avete appreso da noi il modo in cui dovete comportavi e piacere a Dio - e così già vi comportate - progrediate sempre più. 2Sa­ pete infatti quali disposizioni vi abbiamo dato per 1 1 07

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mezzo del Signore Gesù. 3Questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione: astenet.evi dalla for­ nicazione, 4saper prendere ciascuno la propria mo­ glie in santità e rispetto, 5non con la passione del desiderio, come i pagani che non conoscono Dio; 6non sopraffare e ingannare in questa cosa il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e scongiurato. 7Dio infatti non ci ha chiamati all'impurità ma alla san­ tificazione. 8Perciò chi disprezza, non disprezza un uomo, ma Dio che vi dona il suo Spirito Santo. 9Ri­ guard� all'amore fraterno non avete bisogno che vi si scriva, voi stessi infatti siete stati istruiti da Dio ad amarvi gli uni gli altri, 10e in realtà già lo fate con tutti i fratelli dell'intera Macedonia. Ma vi esortiamo a progredire ancora di più 1 1e a ritenere un onore vivere in pace e occuparvi delle vostre cose e lavora­ re con le vostre mani come vi abbiamo comandato, 12affinché vi comportiate decorosamente verso quelli di fuori e non abbiate bisogno di alcuno.

4,1-2: Progredire sempre più. Nei due versetti che aprono l'e­ sortazione Paolo invita i cristiani a progredire. Lo stile di comu­ nicazione è spontaneo e l'invito a fare «sempre di più» è rivolto ai T essalonicesi con molta delicatezza. Il vocativo «fratelli» è carico di affetto e i due verbi, «vi preghiamo ed esortiamo», che ripetono lo stesso concetto, rendono l'appello ancora più accorato. Nonostante questa pressione piena di calore, Paolo ritarda l' og­ getto dell'esortazione per soffermarsi su due digressioni comparati­ ve che valorizzano il cammino dei credenti: «come avete appreso» e «Come già vi comportate}} (4, 1 ) . Il tono dell'esortazione è quindi molto familiare; l'Apostolo parla sì con l'autorità del Signore, ram­ mentato due volte (4, 1 .2), ma è pieno di confidenza: i destinatari hanno già appreso da loro il «dovere» di camminare e di «piacere a 1 1 08

PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI

Dio)) e ora se ne constatano i risultati: «e così già vi comportate>>. «Camminare>>, già impiegato in 2, 1 2, metaforicamente è «compor­ tarsi)), secondo il corrispondente verbo ebraico halak. Lo stile di vita evangelico, basato sulle disposizioni date ai credenti «per mezzo del Signore Gesù)), deve . È Dio che santifica con il dono dello Spirito Santo (JCor 1 ,30; l Ts 4,7-8), ma è sua «volontà» che il credente collabori con lui nella sua opera di «santifìcazione». «Volontà di Dio)), infatti, non è solo il suo inter­ vento nella storia, ma anche il rapporto tra Dio e il comportamento dell'uomo (Rm 2, 1 8 ; 1 2,2; 2Cor 8,5) . Il primo ambito nel quale Dio ispira con la sua volontà sia l'azione dei credenti, che Paolo nel dare le sue disposizioni, è la relazione con il corpo proprio e altrui. Con una serie di verbi all'infinito («astenersi», «saper prender moglie)), «non sopraffare e ingannare», 4,3.4.6), che valgono come degli imperativi, la lettera ci offre un quadro completo di etica ses­ suale. Due infiniti sono negativi e uno positivo e sono disposti in modo alternato. Il primo, «astenetevi dalla fornicazione» (4,4), de­ finisce anche l'ambito degli altri due. Quello contro la fornicazione, è un comando molto ampio, che l'Apostolo usa sia per proibire la prostituzione ( J Cor 6, 1 3. 1 8; 7,2) , che per bandire forme di convi­ venza incestuosa ( J Cor 5 , 1 ) . In questo contesto, dove si parla an­ che di «passione e desiderio sfrenato)) (J Ts 4,3 . 5.6.7) , il termine fornicazione va riferito a diverse forme di disordine sessuale, frutto talvolta di pratiche idolatriche o della semplice dissolutezza delle ricche società greche. Il primo rimedio a questo atteggiamento è «saper prendere ciascuno la propria moglie in santità e rispetto» 16; è 16 L'espressione che qui è stata tradotta «prendere moglie», cioè sposarsi, let­ teralmente sarebbe > o organo sessuale maschile, qualcuno traduce in senso metaforico, «ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo in santità e ri­ spetto» (trad. CEI 2008) . Altri invece fanno lo stesso ragionamento al femminile, ed è preferibile, per il contesto relazionale indicato dall'invito ad astenersi dalla fornicazione (l Ts 4, 4-8) . Vedere tutto nell'unica direzione relazionale dell'uomo verso la donna, si spiega con il fatto che a Tessalonica predominavano culti di di­ vinità maschili con le annesse pratiche sessuali (cfr. R. FABRIS, l e 2 Tessalonicesi, Paoline, Milano 2014, 1 2 0- 1 25).

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PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI

di questo riferimento all'adulterio (4,7) . I credenti sono chiamati a vivere con rispetto, perché «il Signore è vindice di tutte queste cose»; l'Apostolo lo ha detto fin dal primo momento: Dio non resta indifferente se i credenti disprezzano la sua volontà e compiono azioni che prevaricano il prossimo. L'aggettivo «vindice» (edikos Rm 1 2, 1 9) allude al giudizio definitivo di condanna, per questo Paolo si rivolge ai credenti «scongiurandoli». Gli ultimi due versetti (4,7-8) completano questo preavviso evo­ cando la prassi battesimale con il passaggio «impurità-santificazione». L'enfasi della conclusione è racchiusa in un detto proverbiale sullo stretto legame «inviato-mandante», chi disprezza l'uno, disprezza anche l'altro. Tale proverbio è applicato al dono dello Spirito pre­ sente nell'uomo, permanentemente inviato da Dio in ogni battez­ zato: chi disprezza un uomo pieno di Spirito Santo, disprezza Dio che lo ha riempito di questo dono. La realizzazione della volontà di Dio, cioè la santificazione, è quindi frutto dello Spirito Santo: negare alle relazioni la purezza dell'amore che viene da Dio è negare il dono dello Spirito Santo.

4,9-12: Istruiti da Dio ad amare. Paolo con la formula «riguar­ do poi» cambia argomento e affronta il tema dell' «amore fraterno» che si propaga anche fuori della comunità. La figura retorica che apre questi versetti esalta il messaggio che l'Apostolo sta per dare: «riguardo all'amore fraterno non avete biso­ gno che vi si scriva». I credenti ne hanno già esperienza («già lo fate» 4, 1 0), ma il motivo più importante per cui Paolo dovrebbe tace­ re è che i Tessalonicesi riguardo l'amore-amare, sono direttamente «istruiti da Dio» (theodidaktoi 4,9) . Questo aggettivo occorre solo qui ed è coniato da Paolo per esprimere il rapporto intimo che Dio instaura con ogni sua creatura; questa istruzione, o insegnamento evoca l'azione dello Spirito Santo di cui si è parlato nel versetto precedente. I profeti avevano annunciato che tutti i figli d'Israele sarebbero stati «istruiti da Dio» (fs 54, 1 3; Ger 3 1 ,33-34) ed ora di questo se ne vede la realizzazione. Il fine dell'istruzione divina 1111

Giovanna Che/i è l'amore reciproco, «per amarvi gli uni gli altri» dice Paolo, ripe­

tendo l'espressione della preghiera augurale (3, 1 2) . Non si tratta di un'astrazione, ma di un'azione concreta che trasforma l'amore reciproco in universale; Paolo lo dice in modo iperbolico: «in realtà già lo fate con tutti i fratelli dell'intera Macedonia. Ma vi esortiamo a progredire ancora di più» (3, l O) . Gli aggettivi della totalità, «tutti» e soprattutto «intera))' insieme all'invito alla progressione continua, rendono bene l'idea dell'inesauribilità dell'amore. La philadelphia, quindi, amore fraterno che viene da Dio e raggiunge l'intera regio­ ne, conosce anche altre implicazioni pratiche che l'Apostolo presen­ ta in 4, 1 1 , con tre azioni rette dal verbo ��ritenere un onore>): «vivere in pace e occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani». Paolo ha dato l'esempio di questo stile di vita (2,9) ed ora lo pre­ senta come un «comando» finalizzato sia al buon andamento della comunità, che ad ottenere un buon influsso di essa nei suoi rapporti esterni: «affinché vi comportiate decorosamente verso quelli di fuori e non abbiate bisogno di alcuno» (4, 1 2) . In queste parole s'intrave­ de l'ideale di «decoro» e di «autarchia» delle filosofie del tempo; la lettera ne adotta il linguaggio, ma lo riadatta alla prospettiva cristia­ na: decoro e autosufficienza economica e non solo, permettono di rifiutare ogni forma di clientelismo intrattenendo comunque buone relazioni con il proprio ambiente sociale. Queste cose sono il pre­ supposto per annunciare il vangelo in piena libertà.

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PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI

IL RITORNO DEL SIGNORE E QUELLI CHE SONO G IÀ MORTI 4, 1 3 - 1 8

I versetti 4, 1 3- 1 8 insieme a 5 , 1 - 1 1 compongono, nella seconda parte della lettera, un'unica sezione; condividono infatti lo stesso tema escatologico, anche se con due prospettive diverse. La prima pericope (4, 1 3- 1 8) affronta la questione dei cristiani morti prima dell'ultima venuta del Signore, o parousia e risponde alla preoccupazione dei Tessalonicesi sulla sorte che sarebbe toccata ai loro cari defunti. N ella seconda pericope (5, 1 - 1 1 ) , invece, Paolo risponde alla do­ manda sui tempi del «giorno del Signore» e presenta lo stile di vita che il credente deve adottare per non farsi sorprendere da questo evento. Sono molte le cose in comune di queste due unità: tutt'e due sono introdotte dalla formula «riguardo a» e dall'appellativo «fratelli» (4, 1 3; 5 , 1 ) e si concludono con la stessa esortazione, «con­ fortatevi a vicenda» (4, 1 8; 5 , 1 1 ) . Anche dal punto di vista lessicale vi sono alcuni aspetti comuni che rìvelano i punti di forza delle due pericopi: «consolazione e conforto» reciproco nascono dalla «comu­ nione con il Signore)) (4, 1 7; 5, 1 0), alla quale i credenti guardano con «speranza)) (4, 1 3; 5,8); virtù che si trova all'inizio e alla fine di tutta la riflessione escatologica. Nella prima pericope l Ts 4, 1 3- 1 8, dunque, sono presenti due ambiti lessicali, quello della morte e della vita. Essi stabiliscono tra loro un parallelismo antitetico: il v�rbo «dormire» («quelli che dor­ mono)) o si «sono addormentati)), 4, 1 3 . 1 5) , usato metaforicamente, si oppone a «vivere)) («i viventi)), detti anche «superstiti)), o «rimasti)) 4, 1 5 . 1 7); di Gesù si dice che «morì e resuscitò)) ( 4, 14; la resurrezio­ ne poi è riferita anche ai cristiani 4, 1 6) . Infine, lo stesso genere di parallelismo antitetico si trova nella cornice della pericope, quando 1 1 13

Giovanna Cheli

all'inizio di essa si trova l'esperienza della «tristezza» («rattristarsi») e alla fine quella del «conforto» (4, 1 3. 1 8) . L'andamento letterario antitetico di questi versetti richiama i discorsi di consolazione, tipici dell'ambiente greco-romano. Ultimo aspetto generale del quadro escatologico è la presenza insistente del soggetto divino: Dio e Gesù Cristo, il Signore, vengono menzionati molte volte, con prevalenza cristocentrica (2 volte Dio, 2 volte Gesù con nome proprio, l volta Cristo e 4 volte Signore) . Al centro di tutta la pericope si trova, in­ fatti, «il ritorno e l'incontro con il Signore>> (4, 1 5 . 1 7) . I n questo contesto finale della storia, la relazione tra i l Signore e i suoi fedeli giunge a pienezza e anche quella del «noi» mittente con il «voi» destinatario (4, 1 3. 1 5) si trasforma e diviene un'unica realtà, prima come «noi viventi» e poi come «noi finale». Nel momento della parousia il «noi» raggiunge la sua massima espansione perché comprende anche coloro che sono già morti (4, 1 5 . 1 7) : i viventi, «insieme con loro», «saranno sempre con il Signore» ( 4, 1 7) . In questo brano, si trova un concentrato di preposizioni, che esprime con efficacia la dinamicità del rapporto dei credenti con il Signore: «con lui; con il Signore» (syn 4, 1 4. 1 7), «in Cristo» (en 4, 16) , «per mezzo di GesÙ» (dia 4, 1 4), «fino alla venuta», «incontro al Signo­ re» (eis, verso 4, 1 5 . 17) . Paolo si intrattiene in un dialogo epistolare deciso a sostenere la fede dei cristiani di Tessalonica e lo manife­ sta con alcune espressioni: «non vogliamo», «crediamo», «diciamo» (4, 1 3 . 1 4. 1 5) ; anche la descrizione della discesa del Signore dal cielo con l'incontro di tutti i credenti con lui e in lui si carica di enfasi per lo stesso motivo. Il tutto si articola nel seguente modo: 4, 1 3 , la situazione dei Tes­ salonicesi; 4, 1 4-1 5, il fondamento della speranza è nel kerygma pa­ squale e nella parola del Signore; 4, 1 6- 1 7 ,. l'incontro con il Signore; 4, 1 8, consolarsi reciprocamente. 13Non vogliamo, fratelli, che voi restiate nell'igno­ ranza riguardo a quelli che dormono, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. 1 1 14

PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI

1 4 Se infatti crediamo che Gesù morì e risuscitò, così anche Dio, per mezzo di Gesù, condurrà con lui co­ loro che si sono addormentati. 15Questo infatti vi diciamo sulla parola del Signore: noi, i viventi, ri­ masti fino alla venuta del Signore non precederemo affatto quelli che si sono addormentati. 16Perché il Signore stesso, ad un ordine, alla voce dell'arcangelo . e al suono della tromba, scenderà dal cielo e prima risorgeranno i morti in Cristo, 17 quindi noi, i viven­ ti, quelli che sono rimasti, insieme con loro verremo rapiti nelle nubi incontro al Signore nell'aria: e così saremo sempre con il Signore. 18Confortatevi dun­ que a vicenda con queste parole.

4,13: La situazione dei Tessalonicesi. Paolo non vuole che i credenti di Tessalonica a causa dell'ignoranza siano esposti alla tri­ stezza (4, 1 3) . Per questo offre un chiarimento teologico e una rispo­ sta concreta alla mancanza di speranza, riguardo al destino di quelli che sono già morti. Qualche studioso ha voluto vedere in questa piccola trattazione la risposta ad una domanda precisa che la comunità aveva inviato a Paolo tramite Timoteo, ma nel testo non si trova nessun elemen­ to che possa confermare tale ipotesi. Si può invece dedurre che la morte di qualche membro della comunità aveva messo in crisi i cre­ denti riguardo alla salvezza escatologica, generando anche qualche confusione sui vantaggi e gli svantaggi di sopravvivere o meno alla parousia. È la speranza cristiana a fare la differenza tra un credente e un pagano: il «noi» e il «loro», che Paolo distingue, dipende dalla fede in Gesù morto e risuscitato. Quindi si allude a una distinzione solo religiosa e non di tipo etnico tra cristiani e non cristiani, in una cultura dove la parola speranza si poteva trovare al massimo in qual­ che epitaffio, mentre la stragrande maggioranza delle filosofie aveva bandito questa virtù dal proprio vocabolario. Paolo e i cristiani han­ no buoni motivi per sperare e per guardare alla morte con serenità. 1 1 15

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Proprio per questo la metafora del «dormire» non si deve ritenere, come alcuni dicono, un eufemismo per trattare questo tema, ma il modo di affermare che la morte per il credente non è definitiva. Vi sono esempi di questo nella Scrittura: il profeta Daniele, cui sicu­ ramente Paolo s'ispira, parla di «coloro che dormono» e dice che poi risorgeranno (Dn 1 2,2; J Ts 4 , 1 6; 5 , 1 0). L'apostolo comunque impiega tranquillamente anche il termine «morti» (4, 1 6) .

4,14-15: Il fondamento della speranza è nel kerygma pasqua­ le e nella parola del Signore. Gli apostoli indicano con precisione i motivi della speranza richiamando il kerygma pasquale e la «parola del Signore». Il nucleo centrale della fede, la morte e resurrezione di Gesù, viene ripresentato da Paolo che, con il suo temperamento entusiasta, formula una frase condizionale un po' contorta e fretto­ losa, preoccupata di bandire l'ignoranza dei destinatari. L'apostolo, quindi, dà voce ai dubbiosi esprimendosi in modo ellittico: «Se in­ fatti crediamo che Gesù morì e risuscitò, così anche Dio, per mezzo di Gesù, condurrà con lui coloro che si sono addormentati» (4, 1 4) . Il primo aspetto difficile di questa affermazione riguarda la sua asimmetria. «Se crediamo» corrisponde a «così condurrà», il cambio del verbo lascia in sospeso il punto di partenza. Anche il soggetto è un altro: prima si crede che «Gesù morì ed è risuscitato>>, poi si passa a «Dio che condurrà». Gli studiosi notano pure che il kerygma è riportato con una formula originale, solitamente non usata da Paolo. Il soggetto non è Signore, ma Gesù (oltretutto senza Cristo), il verbo non è «risorgere» (egeiren, 36 volte in Paolo) , ma «alzarsi» (anistamai) verbo più raro (6 volte in Paolo) . Nell'ultima parte della frase, poi, Gesù da soggetto diviene me­ diatore dell'azione divina. Anche la conclusione della frase è contor­ ta, perché letteralmente sarebbe: «così anche Dio, coloro che si sono addormentati per mezzo di Gesù, condurrà con lui». Qualcuno si chiede se «per mezzo di Gesù Cristo» indichi il martirio di quelli che sono morti a causa del suo nome, ma la preposizione «per mez­ zo» ha valore di tramite e non di causa. Gesù è quindi mediatore 1 1 16

PRIMA LEITERA Al TESSALONICESI

dell'azione di Dio presso gli uomini. Il verbo «condurre» ha un alto' valore salvifico: rievoca l'esodo di Israele verso la terra promessa, figura della riunione escatologica di tutti credenti in Cristo. Questa convinzione di fede, gli apostoli la confermano con una formula solenne, di cui si capisce la funzione, ma non l'origine: «questo in­ fatti vi diciamo sulla parola del Signore: noi, i viventi, rimasti fino alla venuta del Signore non precederemo quelli che si sono addor­ mentati» (4, 1 5) . Il concetto è chiaro e risolve definitivamente le domande dei Tessalonicesi. La questione che resta aperta, invece, riguarda l'espressione «questo vi diciamo sulla parola del Signore». Molti si chiedono se si tratti di un logos apocrifo dell'apocalittica cristiana, assente nei vangeli canonici, che però veniva attribuito a Gesù; altri pensano al fatto che Paolo avesse ricevuto una partico­ lare rivelazione su questo argomento, visto che in J Cor 1 5,5 1 -52, sebbene il contesto sia completamente diverso, usa gli stessi termini. Ma le due ipotesi sono entrambe da scartare. È preferibile pensare che Paolo si voglia rifare all'autorevolezza della sua parola apostoli­ ca, ispirata dal Signore. Questa spiegazione è più plausibile visto che ne ha già parlato prima ( 1 ,8; 2, 1 3). Altro passaggio difficile riguarda l'espressione «non precederemo affatto» (già in 2, 1 6) che ha un valore qualitativo, non di spazio: l'essere avvantaggiati o meno nell'incontro finale con il Signore, pensiero caro all'apocalittica giudaica, non dipende dalla condizio­ ne in cui il credente si trova. Dietro a questa risposta, qualcuno vede l'evoluzione dell'escatologia paolina, che passa dall'idea di una venuta imminente del Signore ad un suo ritardo, con la previsione conseguente che molti dei vivi saranno già morti al suo ritorno. Il testo non dice molto al riguardo; distingue solo il gruppo dei ), ripetuto 2 volte (5, 1 .4), segnala un passaggio importante della peri­ cope, costruita dall'antitesi luce-giorno e notte-tenebre intorno alla quale si raggruppa ogni altra antitesi presente nel testo. .

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Anche le persone si dividono in due gruppi antitetici: «loro, gli altri» sono contrapposti a «voi, Tessalonicesh>, che confluiscono poi in un gruppo più grande, nel «noi ecclesiale» che riunisce Tessalo­ nicesi e missionari. Il centro del brano è il «giorno del Signore» che con il suo significato ambivalente (giorno d'ira - giorno di salvezza) , assorbe il grande conflitto tra bene e male. Esso è «rovina» per gli uni e «salvezza» gli altri (5,3 e 5,9) . La venuta del Signore divi­ derà quelli che si «ubriacano di notte» (5,7) e dormono, da quelli che «sono sobri» (5,8) e «sono svegli» (5 ,7) . Nella pericope cambia anche il modo della comunicazione, all'inizio si descrivono real­ tà opposte con l'indicativo, poi si passa al congiuntivo (con valore d'imperativo) , per spingere i credenti a «non dormire», a «vegliare» ad «essere sobri» (5 ,6) così da venir come rigenerati dalla prospettiva del giorno del Signore: allora il credente vivrà il suo quotidiano, il tempo ciclico della veglia o del sonno (il significato è reale, non più metaforico), «sempre con il Signore» (5, 1 0) . La pericope s i articola quindi in questo modo: 5 , 1 -3, «tempi e i momenti» sconosciuti; 5,4-5, i figli del giorno; 5,6- 1 0, esor­ tati a vivere l'identità cristiana; 5, 1 1 , consolarsi ed edificarsi reciprocamente.

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1 Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non ave­ te bisogno che ve ne scriva; 2infatti voi stessi sapete bene che il giorno del Signore come un ladro nella notte, così viene. 3Quando diranno: pace e sicurezza, allora all'improvviso su loro piomba la rovina come le doglie su una donna incinta e non potranno fug­ gire. 4Ma voi fratelli, non siete nelle tenebre cosicché il giorno possa sorprendervi come un ladro. 5Tutti voi infatti siete figli della luce e figli del giorno; non siamo della notte né delle tenebre. 6Non dormiamo dunque come gli altri ma vegliamo e siamo sobri. 7Quelli che dormono, infatti, di notte dormono e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. 8Noi

PRIMA LETIERA AI TESSALONICESI

invece, che siamo del giorno, siamo sobri, indossan­ do la corazza della fede e dell'amore e l'elmo speranza della salvezza. 9Perché Dio non ci ha destinati all'ira, ma al possesso della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, 10morto per noi perché, sia che sia vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. 1 1 Perciò confortatevi a vicenda ed edificatevi l'un l'altro come già fate.

5,1-3: «Tempi e i momenti» sconosciuti. La seconda parte del discorso escatologico di Paolo richiama una questione generale e cioè il senso del tempo umano e della sua fine. La lettera distingue due aspetti: il «tempo», che indica la succes­ sione dei giorni, e i «momenti» che invece sono la qualità del tempo, le sue opportunità, in questo caso quella salvifica. Una riflessione sapienziale e apocalittica attestata da molte pagine della Scrittura, di cui sicuramente i Tessalonicesi avevano sentito parlare. Paolo inizia, forse per questo motivo, con un espediente retorico dicendo di non voler «scrivere» su questo argomento, per poi farlo invece con un approccio diverso. Con una punta di ironia dice: «infatti voi stessi sapete bene» (5,2) , cioè con precisione, «che non si può sapere». Quindi l'Apostolo incomincia a trattare la questione da un altro punto di vista: «il giorno del Signore17 come un ladro nella notte, così viene» (5,2); la disposizione del versetto evidenzia l'immagine del «ladro», offrendo la prima antitesi tra «giorno e notte» e invitan­ do ad osservare la dinamica e lo stile di questo evento: «viene così!>). Tale metafora cara al NT (cfr. 2Pt 3, 1 0; Ap 3,3; 1 6,5) ricorda iflo­ gion evangelico di Le 1 2,39 e Mt 24,43, secondo il quale il ladro en­ tra nella casa nell'ora che il padrone non prevede. Solo l Ts 5,2 parla 17 La Scrittura è piena di riferimenti al «giorno del Signore» (in ebr. Yom YHWH) , che indica l'intervento di Dio giudice nella storia alla fine dei tempi (cfr. Am 5, 1 8.20; Ma/ 3,23-24; fs 1 3,9; G/ 1 , 1 1 ) . Anche Paolo lo richiama più volte: Rm 2,6; J Cor 1 ,8; 5,5; 2Cor 1 , 1 4; Fi/ 1 ,6. 1 0; 2, 1 6.

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di «ladro di notte», preparando il terreno all'antitesi luce-tenebre che verrà subito dopo. La metafora contiene quindi due messaggi: uno sull'imprevedibilità della venuta del giorno del Signore e l'altro sul conflitto «giorno-notte» davanti al quale il credente si deve sa­ pere districare. In 5,3 si trova subito un esempio concreto di questo conflitto: «quando diranno: pace e sicurezza, allora all'improvviso su loro piomba la rovina come le doglie su una donna incinta e non potranno fuggire». La frase riporta l'ambiguità della propagan­ da imperiale18 che, con il suo grido «pace e sicurezza!», ricorda lo slogan dei falsi profeti ( Ger 6, 1 3- 1 5 ; Ez 1 3, 1 0) , preludio di una rovina imminente che il cristiano deve riconoscere. Il versetto non è interessato a chi lancia questo slogan, ma alla simultaneità tra la proclamazione della sicurezza e il «piombare della rovina». Si tratta di un caso eventuale «quando diranno», allora succederà il contra­ rio. Questo modo di esprimersi è tipico della diatriba che vuole dimostrare il contrario di quello che viene detto. La rovina infatti piomba all'improvviso su chi s'illude con una falsa pace e sicurezza. I >, tra la pena di chi si autocondanna ad essere lontano dal suo volto e la rivela­ zione di chi, invece, tramite il proprio martirio, cioè l'attestazione di una fede provata, rende mirabile la sua gloria. Sapere che questo epilogo della storia si decide per ciascuno fin dal presente è come un invito e un incoraggiamento rivolto ai credenti di Tessalonica per sostenerli nel tempo della prova. Dal punto di vista dell'analisi letteraria, il testo mostra diversi aspetti ostici. Il passaggio dal ringraziamento alla digressione è diffi­ cile da interpretare. Molti studiosi si chiedono a cosa si riferisca l'e­ spressione (endeigma) si trova in una posizione sintattica difficile: potrebbe 1 1 49

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riferirsi a ciò che precede immediatamente, «persecuzione-tribola­ zione» subita e quindi essere apposizione del pronome relativo di l ,4 «che sopportate», oppure riferirsi all'insieme dei versetti l ,3-4 divenendo una sorta di apposizione di tutto il loro contenuto. Nel primo caso «segno del giusto giudizio di Dio» esplicita il senso delle tribolazioni sopportate dai Tessalonicesi. Dietro questa interpreta­ zione c'è una precisa idea biblica del dolore e della giustizia divina. Il dolore è via di purificazione e correzione in chi lo subisce (cfr. 2Mac 6, 1 2- 1 6) e la giustizia finale di Dio è retributiva: il credente che ha già sofferto e scontato i suoi errori nella vita terrena riceverà il premio della vita eterna nel mondo che verrà. Nel secondo caso si deve sottintendere il verbo «essere»: tutto ciò «è segno-indizio del giusto giudizio di Dio». Se adottiamo questa ipotesi la prospettiva diviene più positiva della precedente. Il credente è già attivato dal giudizio di Dio, vive, infatti, le prove e le tribolazioni con la per­ severanza e non con lo scoraggiamento; il suo atteggiamento non è passivo, ma rivolto al Regno e in un certo senso già in contatto con esso. Questa seconda interpretazione del termine attira l'attenzione del lettore non tanto sulla necessità della tribolazione in vista del Regno, ma sul valore della perseveranza che appunto rende prossimi al Regno. Il passaggio è dunque complicato, ma riceve luce da ciò che se­ gue: lo scopo del «giusto giudizio di Dio» è essere resi «degni del Regno di Dio, per il quale», dice l'Autore, «anche soffrite» ( 1 ,5; cfr. l Ts 2, 12. 1 4) . In queste parole è descritto sia il fine da raggiungere che il risultato implicitamente ottenuto. Una traccia di questa real­ tà è già nelle prove vissute dai T essalonicesi con perseveranza, che stanno rivelando e realizzando l'esito finale del giudizio: essi saranno «resi degni del Regno di Dio» . Si deve pensare che nell'apocalittica il giudizio finale è sempre preceduto dalla tribolazione del giusto (Mt 24,2 1 ; 1Pt 4, 1 7- 1 9), ma qui la lettera fa un passo in avanti e dice che la perseveranza nella tribolazione è un segno premonitore non solo ·della prossimità del giudizio, ma anche del suo esito. I T es­ salonicesi sono, quindi, già incamminati verso il Regno, lo rendono 1 1 50

SECONDA LETTERA AI TESSALONICESI

già attivo e presente al punto tale da sostenere con pazienza la prova. Nei versetti 1 ,6-8 si passa a descrivere l'applicazione concreta di tale giudizio. La congiunzione «se pure» che apre il discorso (tradotta «poiché») esprime certezza. La frase ellittica «se pure è giusto presso Dio» ha valore affermativo, «se pure è giusto . . . ed è giusto» 1 ( 1 ,6) . Una supposizione certa, quindi, non irreale o eventuale, da tradur­ re così: «poiché è giusto presso Dio contraccambiare con afflizione coloro che vi affliggono e a voi che siete afflitti dare sollievo insieme a noi». Dio, nella sua giustizia, ripristina l'equilibrio perduto, cioè «ricambia» con la stessa tribolazione subita dai credenti, coloro che l'hanno inflitta (cfr. Es 2 1 ,24-25; Lv 24,20) . Capovolge così la sorte degli uni e degli altri, svelmdo ai destinatari il senso della storia: essi ricevermno «sollievo con noi» ( 1 ,7) . Anche i mittenti condividono la sorte degli altri cristiani «nella rivelazione del Signore Gesù dal cielo insieme agli angeli della sua potenza» (l ,8). Con linguaggio apocalittico l'Autore dice che il (2, 1 1 ) e di attrazione per l'iniquità che si ritorce contro di lui. È Dio, infatti, a mandarla contro gli empi, così che si manifesti la loro fede nella menzogna e siano esposti al giudizio: non hanno creduto alla verità, «compia­ cendosi nell'ingiustizia» (2, 1 2). Il giudizio di Dio giunge quindi a compimento nel ritorno del Figlio e manifesta la salvezza di coloro che, invece, hanno accolto con amore la verità. In questa pericope la tensione escatologica è quasi palpabile. Essa attraversa varie fasi della storia: è nel presente, è riletta nelle scelte che ciascuno ha fatto in passato ed è prospettata nella sua fase finale verso la quale tutti, giusti ed empi, sono orientati. La prima tensione è tra il «mistero dell'iniquità» (2,3) operante nella storia e una realtà enigmatica, difficile da decifrare, definita in due riprese «ciò, o colui che trattie­ ne»2 la piena manifestazione di tale mistero. Ma la contrapposizione fondamentale nella scena apocalittica è tra il «Signore Gesù Cri­ sto» e l'«uomo dell'iniquità», detto anche «figlio della perdizione» (2, 1 .3) , tra il «Signore GesÙ» e il «senza legge» (2,8) , tra il «satana» e «Dio» (2,9) . Al centro dell'esortazione si trova quindi la «piccola apocalisse», che inizia dal versetto 2,6 e culmina in 2,8- 10. La linea temporale, tracciata dagli avverbi che costellano la prima parte della pericope («prima», è messa sotto scacco dalla «venuta .del Signore». Con la sua «piccola apocalisse», l'Autore incoraggia i destinatari nel loro cammino di vita cristiana, facendo sapere che le forze op­ poste al vangelo, operanti nella storia, sono già destinate a fallire. Il confronto (synkrisis) tra la , o «figlio della perdizione)). Non è facile capire se, appunto, l'a­ postasia sia provocata da quest'ultimo, oppure se questa figura ne rappresenti il culmine: «perché se non viene prima l'apostasia e non è rivelato l'uomo dell'iniquità, il figlio della perdizione . . . )) (2,3) . La frase resta in sospeso anche con il suo proseguo, s i comprende però che la rivelazione di questo soggetto è comunque espressione dell'apostasia, (ho anthropos tes anomias), non è da identificare con il «demonim> (né con «uomo di Beliar» 2Cor 6, 1 5) , anche se in 2,9 si dice che la sua venuta è «secondo la forza di satana>>. Nell'AT si trovano espressioni corrispon­ denti (S/ 89,23; fs 57,3-4) . Anche nel NT il termine «senza legge>> (anomia) in­ dica tutto ciò che si contrappone all'amore del prossimo (Mt 7 ,23; 1 3,4 1 ; 23,28; 24, 1 2) , oppure alla «giustizia>> (Rm 6, 1 9; 2Cor 6, 14; Eb 1 ,9) e talvolta è associato a «peccatm> ( Tt 2, 1 4; Eb 1 0 , 1 7; J Gv 3,4) . L'altro titolo con il quale questo sog­ getto misterioso si identifica è «figlio della perdizione>>, che nel NT designa la rovina escatologica riservata per i falsi profeti e maestri ( Gv 1 7, 1 2) ; cfr. R. FABRIS, l e 2 Tessalonicesi, cit., 200-20 1 .

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SECONDA LETTERA AI TESSALONICESI

qualche soggetto storico preciso. Nel versetto 2,4 l'Autore, dicendo che l'«uomo dell'iniquità» si «contrappone e s'innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio o oggetto di culto», allude ad Antioco IV Epifane ( 1 69- 1 67 a.C.), che passò alla storia per la sua empietà e divenne per questo figura tipo dell'empio. Egli profanò il tempio e fece coniare monete con sop�a la sua effige e la scritta «Antioco Dio glorioso» (cfr. lMac 1 , 1 0- 1 5.20-28.4 1 -45.54 e Dn 9,27; 1 1 ,3 1 ; 1 2, 1 1 ) . L'«uomo dell'iniquità», che ne segue le orme, per quanto abbia l'illusione di gareggiare con Dio, gareggia solo con gli idoli e si fa più grande di ciò che viene ��chiamato Dio» senza esserlo davve­ ro. Il contesto politeista del culto imperiale, mette in ridicolo il suo sforzo e mostra come egli sia una falsa divinità. La sua ostentazione di superiorità, infatti, oltre ad essere un'azione che non è capace di cambiare la sostanza delle cose, si rivela goffa nel suo risultato. Sullo sfondo di questa presentazione dell' «uomo dell'iniquità» s'intravede la vicenda primordiale della prima coppia umana che cedette alla tentazione di farsi come Dio, mangiando il frutto dell'albero ( Gen 3,5). L'eco di questo racconto delle origini raggiunge la storia con­ temporanea: il credente è invitato a riconoscere ciò che si camuffa da Dio, per sostituire Dio. Nell'«uomo dell'iniquità>> e in ciò che lui rappresenta, c'è persino un intento blasfemo, la sua autoesaltazione è tale da volersi «insediare nel tempio di Dio», azione che è propria dell'intronizzazione regale-divina e descrive quindi un'usurpazione: questo personaggio pare un dio, ma non lo è perché si appropria del tempio, un luogo che non gli appartiene. La sua ridicolizzazione è ancora più sottile: l'«uomo dell'iniquità» non suscita un'acclama­ zione spontanea da parte dei presenti; il quadro di un annunciato strapotere, si trasforma in una scena a dir poco imbarazzante. L'e­ spressione «mostrando se stesso come se fosse Dio» (2,4) ha valore di ipotesi irreale oppure ha valore dichiarativo, in questo caso si­ gnificherebbe ��mostrando se stesso (che) : è Dio», cioè «sono Dio!». Egli, in altri termini, deve ricorrere ad un' autoproclamazione, per­ ché i suoi gesti fittizi e inconcludenti non convincono nessuno. Egli non inganna solo gli altri, ma anche se stesso; il versetto 2,4 finisce 1 16 1

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con una frase che resta sospesa: «Si contrappone e s'innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio o oggetto di culto, fino ad insediarsi nel tempio di Dio, mostrando se stesso come se fosse Dio . . . ». Sta al lettore proseguire l'interpretazione degli eventi del suo tempo, svelando l'identità dell' «uomo dell'iniquità>>, personificazione del degrado dell'umanità fagocitata dal potere e lontana da Dio. Giunti al colmo di questa opposizione tra Dio e questo personaggio miste­ rioso, vi sarà un cambio di passo nella manifestazione del Signore.

2,5: Il richiamo epistolare: il ricordo del primo annuncio. La domanda retorica - (2Ts 3, l O; cfr. l Ts 3,4) è strategica dal punto di vista della comunicazione. Essa oltre ad interrompere la tensione del discorso precedente e a creare una pausa colloquiale, permette all'Autore di identificarsi con Paolo che parla in prima persona singolare ed interpella direttamente i destinatari evocando un'esperienza comune. Sia l'avverbio , sia il verbo all'imperfetto, dando l'idea di un'azione ripetuta più volte in pas­ sato, rinforzano la continuità tra il primo annuncio a T essalonica e il messaggio di questa seconda lettera che acquista, quindi, autore­ volezza apostolica davanti ai propri destinatari. Nonostante questo espediente retorico, la diversità tra il primo annuncio di Paolo, trat­ teggiato in l Ts 4, 1 3 - 5 , 1 1 e la di 2Ts 2, l ss non si può ignorare. In 2Ts non si risponde alla comunità in difficoltà sulla fine dei propri cari, annunciando la visione dei tempi finali, ma si invita a interpretare il tempo presente attraverso i segni della fine. L'Autore riprende il discorso continuando a far leva sui propri destinatari: loro conoscono ciò di cui si sta parlando. -

2,6-7: La tensione escatologica del presente e il tempo oppor­ tuno della salvezza. Il versetto 2,6 costituisce per noi uno dei punti più oscuri della lettera, ma non per i destinatari visto che l'Autore scrive: ) ricorda l' � è un fine e una conseguenza della scelta elettiva di Dio (2, 1 3): Dio per scegliere chiama, e lo fa attraverso il vangelo (cfr. J Ts 1 ,4-5; 2, 1 2) . La con­ giunzione accrescitiva «anche» sta ad indicare la sequenza puntuale delle due azioni, scegliere e chiamare. In questo processo si accenna anche al coinvolgimento degli apostoli: il , vanno due a due. Prima si ricorda il modo di agire di Dio, «ci ama e ci ha dato, per grazia, una consolazione eterna e una buona speranza» (2, 1 6), poi si invoca che «consoli i vostri cuori e li confermi in ogni parola e opera buo­ na». Al centro c'è il tema della consolazione assimilata alla speranza (2, 1 6. 1 7 ) : essa viene dall' «amore» e dal «dono» di Dio ed è per sua «grazia». Dio consola quindi e conferma i credenti che traducono «ogni parola» in «opera buona».

3,1-5: Preghiera per i missionari, fiducia nel Signore e nei destinatari, preghiera augurale. I versetti 3, 1 -5 costituiscono la seconda parte della transizione. In parallelo con la prima, essi ripro­ pongono gli stessi elementi letterari, esortazione (3, 1 -2) e preghiera augurale (3 ,5), ma in uno schema di reciprocità tra missionari e Tessalonicesi. L'esortazione si apre con la formula che segnala un cambio di passo tematico, «per il resto fratelli» (3, 1 ) , ed effettiva­ mente al centro della richiesta che gli apostoli rivolgono ai desti­ natari non ci sono più quest'ultimi, ma i missionari. L'imperativo assoluto «pregate per noi», con cui si formula l'esortazione, indica la richiesta di una preghiera abituale e non occasionale. L'intenzione, d'altronde, non è personale ma esclusivamente missionaria: «perché la parola del Signore corra e sia glorificata» (3, l ) e > anche lo sfondo drammatico di questa scelta. Questi tali, anche se tenuti a distanza, sono e restano comunque «fratelli>>, la relazione di frater­ nità non si può cancellare e va custodita. 1 1 83

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Il motivo di questa disposizione disciplinare è da cercare nel comportamento disordinato di queste persone che, contravvenen­ do all'esempio degli apostoli (3,7-8; cfr. l Ts 5, 14), interrompono la «tradizione che hanno ricevuta» e vivono egoisticamente sulle spalle degli altri. L'Autore cerca quindi di rimotivare la comunità, perché non venga meno la tradizione apostolica di lavorare per autososten­ tarsi e lo fa nei versetti 3,7-9 dove per prima torna sull'importan­ za dell'imitazione: «voi stessi sapete come bisogna imitarch> (3 ,7a) . Non dice subito cosa imitare, ma offre come oggetto di imitazione l'esempio del «noi apostolico>> . «Cosa>> imitare deriva, infatti, da «chi>> imitare per imparare a vivere il vangelo. Quindi il fondamen­ to della tradizione è nel discepolato dei credenti nei confronti degli apostoli e l'Autore dice che i suoi destinatari hanno un'esperienza diretta di tutto questo: sanno che l'imitazione è «necessaria», perché permette di custodire il vangelo non solo come dottrina ma anche come stile di vita e relazione. L'oggetto dell'imitazione è motivan­ te e presentato con due affermazioni negative e con un'avversativa positiva: «perché tra voi non siamo stati disordinati, né abbiamo mangiato gratuitamente pane di alcuno5, ma abbiamo lavorato con fatica e travaglio, notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi» (3,7c-8; cfr. J Ts 2,7.9) . Nel modo di esprimersi del mittente c'è una probabile sollecitazione nei confronti dei destinatari a fare una verifica diretta su chi stanno imitando, se gli apostoli o gli altri: l'esempio è stato dato «tra voi», dice. I missionari hanno fatto vede­ re ciò che non si deve fare, con il loro comportamento: non si deve essere disordinati, non si deve mangiare sfruttando gli altri, si deve lavorare instancabilmente e sempre. Lo scopo è quello di «non esse­ re di peso» alla comunità. Su questo argomento la 2Ts dipende da 5 L'espressione potrebbe far pensare alla pratica del . Sembra che qui gli apostoli lavorino per dare l'esempio, la libertà dell'annuncio è sottintesa e forse è più esplicita quella di essere imitabili-imitati, in un contesto culturale in cui l'esemplarità-imitazione nel rapporto «maestro-discepolo» era un principio fondamentale della pedago­ gia. Tale rapporto diviene anche espressione di paternità-figliolanza ed è il massimo al quale un missionario può aspirare. l Ts

3,10-12: Il principio evangelico «chi non vuol lavorare nem­ meno mangi)) e la seconda istruzione. L'Autore prosegue il suo di­ scorso rispettando l'alternanza tra il «voi destinatario» e i cosiddetti «disordinati» della comunità. È a loro che dedica questi tre versetti e lo fa in piena continuità con quanto detto fìno ad ora. Dopo aver parlato dell'esempio apostolico, l'autore ricorda un detto di Paolo, ripetuto più volte a Tessalonica: «quando eravamo fra voi questo vi ordinavamo: chi non vuol lavorare neppure man­ gi». Torna il verbo «ordinare>> con il quale si ribadisce la regola del rapporto «lavoro-mangiare» tramandata ora, come allora. L'ordine è composto da una formula tipica degli elenchi casistici e da un im­ perativo categorico ed è rivolto a chi non vuole lavorare per scelta, pur potendolo fare. Non vi sono chiari riscontri biblici o profani di questa regola paolina, ma sicuramente affonda le radici nell' am­ biente sapienziale (cfr. Sa/ 1 28,2; Pr 6,6- 1 1 ; 1 0,4 - 5; 1 2, 1 1 ; 1 9, 1 5; 28, 1 9). Dal rapporto lavoro-mangiare, si passa a coloro che in co­ munità sono i «senza regola» . L'Autore mostra di avere un buon rapporto con la comunità e di essere informato: «sentiamo, infat­ ti, che alcuni tra voi vivono disordinatamente e senza fare niente 1 1 85

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ma impicciandosi di tutto». Questa descrizione aggiunge al dato già noto della vita disordinata (3,6), quello di ·un vagabondaggio che finisce nel pettegolezzo. Il concetto è espresso con un gioco di parole ironico: «sfaccendati ma affaccendati in tutto». La lettera si rivolge direttamente a loro, distinguendoli dalla comunità («questi tali» 3, 12) e lo fa rinforzando l'ordine anche con il verbo «esortiamo nel Signore Gesù Cristo». L'inclusione con l'inizio dell'esortazione, di cui si riprende verbo e formula cristologica (3,6; 3, 1 2), annuncia l'approssimarsi alla conclusione. Così si chiude il comando sul tema del lavoro (3,8. 1 0. 1 1 . 1 2) , indicandone la modalità: «lavorando con tranquillità mangino il loro pane». Non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere; anche il sostantivo «con tranquillità» è scelto con cura dall'autore, perché si oppone al fare frenetico del pettegolezzo che occupa gli sfaccendati.

3,13-15: Il principio di fare il bene e la terza istruzione. Al resto della comunità che è rimasta fedele ai principi trasmessi da­ gli apostoli, non resta che mantenere la via intrapresa. Il ruolo del versetto 3, 1 3 è quello di concludere quanto è stato detto riguardo al modo di lavorare del cristiano, offrendo un nuovo principio ge­ nerale che prepara l'ultima istruzione. L'Autore torna con enfasi alla seconda persona plurale, «voi invece», caratterizzandola con una leggera sfumatura avversativa: la maggioranza dei credenti di Tessalonica, continuando a camminare sulla strada tracciata dagli apostoli, si oppone a coloro che hanno deviato divenendo «oziosi». Il titolo di «fratelli»», che compare nuovamente, è strategico perché segna la fine del discorso sul «lavoro per mangiare»» e getta un pon­ te sui versetti seguenti, nei quali è chiamato «fratello»> anche colui che non si pone nel solco della tradizione (3, 14- 1 5) . Sono quin­ di «fratelli» sia i credenti fedeli, sia gli indisciplinati (3,6. 1 5), non c'è maggioranza e minoranza. Il tema della fraternità, esplicitato nell'esortazione finale, fa quindi da sfondo a tutta la seconda parte della lettera; essa nasce sia dall'appartenenza allo stesso genere uma­ no che ogni giorno lotta per autosostentarsi e vive solidale con gli 1 1 86

SECONDA LETTERA Al TESSALONICESI

altri (l'approfittarsi degli oziosi è una distorsione della fraternità) , sia dalla condivisione della fede che genera un comune stile di vita evangelico. L'invito formulato al negativo, «non stancatevi di fare il bene», potrebbe evocare la situazione confusa della comunità: qual­ cuno era attratto dai credenti indisciplinati, dalla loro vita meno faticosa, altri reclamavano il diritto di non essere più ospitali o ge­ nerosi visto che c'era chi ne approfittava con la scusa del vangelo. Da qui l'invito a perseverare nel «fare il bene)>. L'espressione è rara c ci sono alcuni studiosi che gli attribuiscono un valore generale, «fare bene)> in «parole e in opere» (2Ts 2, 1 6- 1 7), altri pensano al significato concreto della condivisione dei beni; esisteva forse una cassa comune alla quale qualcuno non voleva più contribuire, per­ ché c'era chi ne approfittava ( Ga/ 6,9- 1 O) . L'ultima istruzione, formulata con un linguaggio casistica come i n 3, l Ob, può essere estesa non solo agli «indisciplinath reali, ma anche a quelli potenziali: ��se qualcuno non obbedisce alla nostra parola per lettera, segnalatelo per non frequentarlo, perché si ver­ gogni». Da notare che il comando centrale è: «segnalatelo!». Questa direttiva sugli indisciplinati evidenzia una crisi di autorità di chi si trovava a capo della comunità (gli apostoli-mittenti) : «non obbedi­ sce alla nostra parola», ricorda il rifiuto del vangelo stesso da parte di alcuni (1 ,8b) . La formulazione casistica della frase fa riferimento a una situazione di crisi reale, ma può essere assunta anche in una prospettiva di salvaguardia della maggioranza dei credenti: il caso di disobbedienza può intaccare gli altri, per questo si cerca di isolare chi si discosta dall'insegnamento che gli apostoli danno anche tra­ mite la lettera e che corrisponde al vangelo (J Ts 1 ,5.6.8; 2, 1 3 ; 2Ts 3, 1). La linea disciplinare che il mittente invita ad attuare è risoluta, perché la posta in gioco è molto alta: non mantenere le tradizioni che sono state apprese, come si diee qui e in 2,5, «per mezzo di parola e lettera», vuoi dire abbandonare la via del vangelo stesso. La regola del «chi non vuol lavorare neppure mangh ha tutta la forza di un comando che gli apostoli tramandano in virtù del vangelo: Gesù ha voluto lavorare (Mc 6,3) e da questo comando non ci si 1 1 87

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può astenere. L'imperativo «segnalatelo», unica occorrenza neote­ stamentaria, con l'infinito completiva «per non frequentarlo)>, sug­ gerisce sia l'azione disciplinare, sia la presa di posizione della comu­ nità che decide di «separarsi)) dagli indisciplinati, di «non mescolarsi con loro)). La pratica di «separazione» era nota nel mondo giudaico ed è attestata anche in alcuni testi neo testamentari (Mt 1 8, 1 5- 1 7; J Cor 5,9. 1 1 ; 2Gv 1 0- 1 1 ) , ma non si sa con precisione se riguardava l'Eucarestia o qualche altra espressione di vita comune. L'unica cosa di cui siamo certi è che questa esclusione non è definitiva, ma dura il tempo necessario perché il credente disordinato «si vergogni» : un provvedimento efficace se si pensa all' onorabilità che si acquisiva nel mondo greco-romano se uno godeva di buoni rapporti sociali; al contrario, la vergogna di cui si parla coincide con l'esperienza di un disagio costruttivo che fa riflettere e porta al ravvedimento.

3,16-18: Epilogo. Invocazione, autografo, benedizione di sa­ luto. La preghiera augurale e il saluto finale concludono la lettera. L'enfasi dell'invocazione è la stessa delle altre preghiere augurali, ma in questo caso l'Autore impiega la ridondanza: «lo stesso Signore della pace, vi dia pace in tutto e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi)). Il titolo «Signore della pace)) è mutuato da l Ts 5,23, ma questa volta si sostituisce Dio con Signore, in linea con l'accentuazione cristologica della lettera. Il dono della pace richiesto deve investire completamente la vita dei destinatari e ricorda le antiche benedi­ zioni d'Israele (Nm 6,25-26; fs 26, 1 6) . È un dono necessario per la comunità che si trova in un momento di divisione interna tra credenti fedeli alla tradizione e non osservanti. Anche la formula di congedo che chiude il versetto - «il Signore sia con tutti voi» - richiama i saluti biblici e liturgici antichi ( Gdc 6, 1 2; Rt 2,4; 2Cr 1 5,2; Le 1 ,28) . A proposito di saluti, l'Autore pensa bene di farne uno a nome di Paolo e di incastonarlo tra l'invocazione della preghiera iniziale e finale (3, 1 6. 1 8) . Al versetto 3, 1 7 si dice: �> (hapax nel NT: lett. escrementi) di fronte alla «sublimità della conoscenza di Cristo>> (Fil 3,8) . Il rifiuto di quanto di più essen­ ziale c'è nella fede giudaica gli fa guadagnare Cristo. Non l'amore per la rinuncia, ma la scoperta di un bene maggiore, come la perla evangelica e il tesoro del campo (cfr. Mt 1 3,44-46) . Paolo stabilisce un'opposizione netta tra due giustizie, una che deriva dalla «legge» e una dalla «fede in Cristo» (Fi/ 3,9) . Tutto è centrato su questa scelta esclusiva per Cristo (cfr. Fil 3,7.8.9) , per cui il Risorto diviene la chiave di volta della sua vita: la comunione nella sofferenza e nella morte (si usa qui il raro verbo symmorphyzo, usato solo una volta nel NT) nella speranza di giungere alla risurrezione (Fil 3, 1 0- l l ) . La sua vita di Apostolo traduce quotidianamente questi principi radicali nella realtà concreta. Se c'è qualche incertezza riguardo al traguardo finale, ciò deriva dall'obiettiva difficoltà di far fronte a questa dura lotta. Paolo non ha trovato la chiave di un successo mi­ racolistico, sta ancora lottando: le immagini che usa fanno ancora una volta pensare all'atleta che deve ancora compiere la sua corsa, e non ha ancora ottenuto la vittoria (Fi/ 3, 1 2- 1 4) . Non ha ancora raggiunto la meta, ma è nel pieno sforzo per conquistarla lui che è stato già conquistato dal Cristo. Ai Filippesi spetta il compito di far propria la sua prospettiva (Fil 3, 1 5- 1 6): anch'essi dovranno camminare nella direzione che ha intrapreso l'apostolo, farsi suoi «imitatori» (Fil 3, 1 7)9; come ha più volte invitato tutta la comunità (Fil i ,27; 2,4) . Perché spuntano 9

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Cfr. l Ts 1 ,6; 1 Cor 4, 1 6; 1 1 , 1 .

LETTERA Al FILIPPESI

all'orizzonte i nemici e gli avversari, che hanno tutta la riprovazione di Paolo: egli che non si ritiene arrivato alla meta della perfezione (Fil 3, 1 2) oppone l'ironia verso quanti si considerano perfetti (Fil 3, 1 5) : i «nemici della croce di Cristo» (Fil 3, 1 8), che sentono già di essere alla meta. Si tratta di un cristianesimo che contempla solo la gloria, senza aver nulla a che fare con la debolezza della condizione umana. Un cristianesimo che si apre non solo a tendenze giudaiz­ zanti, ma anche alle manifestazioni clamorose di fenomeni tauma­ turgici o miracolistici. Qui Paolo fa sentire tutto il peso della sua polemica, senza temere di esagerare nella condanna di coloro che «hanno in sorte la perdizione)) poiché «il ventre è il loro Dio)) (Fil 3, 1 9a) . Tutte le osservanze religiose dell'alimentazione non posso­ no giustificarli dal rovesciare i termini cui fare riferimento. Infatti «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra>> (Fil 3, 1 9 b) . Sul versante diametralmente oppo­ sto sta la situazione dei cristiani, che hanno come prospettiva una (Fil 3,20) . In questa situazione risiede il po­ tere di Cristo di trasfigurare il corpo mortale, per renderlo confor­ me al suo corpo di gloria (Fil 3,2 1 ) . La radicale trasformazione che attende i credenti non fa dimenticare la potenza della risurrezione di Cristo, che è la meta dell'agire dell'apostolo e della comunità di Filippi. C'è un'opposizione radicale fra un modello di cristianesimo che nasce dalla croce di Cristo e il modello di quanti sono nemici del­ la croce. Questa opposizione si basa in concreto sull'appartenenza ad una cittadinanza esclusivamente terrena, che esclude qualunque dimensione trascendente. Paradossalmente si tratta però di un mo­ dello di fede, che pur muovendo dall'attaccamento alle pratiche del giudaismo, cerca solo le manifestazioni più eclatanti della fede e contempla solo la dimensione della gloria, come se gli uomini fos­ sero esentati dal fare il conto con la debolezza e la precarietà della loro condizione. A questo modello affascinante quanto falso, Paolo oppone la «sublimità della conoscenza di Cristo>>, che gli fa leggere come rifiuto, come «spazzatura>>, tutte le certezze raggiunte dalla 1 227

Stefano Tarocchi

sola condizione umana. Perfino la circoncisione, la tentazione cioè di rifugiarsi nell'alveo rassicurante del giudaismo, non conta nulla senza la circoncisione del cuore: senza questa la circoncisione del corpo diventa solo una mutilazione (Fi/ 3,2) .

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LETTERA Al FILI P PESI

CONFIDENZE FINALI. EPILOGO 4,2 -23

2Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche a pensare lo stesso nel Signore. 3E prego te pure, mio fedele colla­ boratore, di aiutarle, esse che hanno combattuto con me per il Vangelo, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita. 4Rallegratevi nel Signore sempre, ve lo dirò di nuo­ vo: rallegratevi. 5La vostra amabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! 6N o n angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità fate presenti a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche con ringra­ ziamenti; 7e la pace di Dio, che supera ogni mente, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. 8Per il resto, fratelli, quanto è vero, quanto è nobile, quanto è giusto, quanto è puro, quanto è amabile, quanto è onorato, che è virtù e merita lode, tutto questo pensate. 9Ciò che avete imparato, rice­ vuto, ascoltato e veduto in me, mettetelo in pratica. E il Dio della pace sarà con voi! 10Mi sono molto rallegrato nel Signore, perché finalmente avete fatto rinascere il vostro pensiero nei miei riguardi: l'aveva­ te anche prima, ma non ne avete avuta l'opportunità di mostrarlo. 1 1Non dico questo per bisogno, poiché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasio­ ne; 12ho imparato ad essere povero, ho imparato ad essere nell'abbondanza; a tutto e per tutto sono ini­ ziato, alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'in­ digenza. 13Tutto io posso in colui che mi dà la forza. 14Tuttavia, avete fatto bene ad essere in comunione 1 229

Stefano Tarocchi

con le mie tribolazioni. 1 5Lo sapete anche voi, Filip­ pesi, che all'inizio del vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa condivise un conto di dare e avere, se non voi soli: 16anche a Tessalonica mi avete inviato il necessario una e due volte. 17Non che io cerco il vostro dono, ma cerco il frutto che ab­ bonda sul vostro conto. 18Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei doni ricevuti da Epafro­ dìto da parte vostra, che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, accetto a Dio. 19E il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza nella gloria in Cristo Gesù. 20Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. 21 Salutate ogni santo in Cristo Gesù. 22Vi salutano i fratelli che sono con me. Vi salutano tutti i santi, soprattutto quelli della casa di Cesare. 23La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito. Nel brano che conclude la Lettera, dopo alcune raccomandazio­ ni personali ed un invito pressante a mantenere un atteggiamento di grande amabilità e ricercare un sereno distacco da tutto, purché in una prospettiva realmente aperta a tutti i valori che il mondo pre­ senta, l'Apostolo riprende temi già affrontati nel corso dello scrit­ to (Fil 4,2-9) . Quindi la prospettiva muta, tanto da far ipotizzare ancora una volta la presenza di più lettere che si susseguono: Paolo ancora una volta si riferisce al proprio rapporto con i Filippesi, an­ che stavolta per lodarli di tutte le premure che gli sono state usate e chiedere infine a Dio di ricolmarli delle sue ricchezze (Fil 4, l 0-20) . A conclusione vengono infine i saluti (Fi/ 4,2 1 -23) . La gioia che percorre lo scritto (cfr. Fil l , 1 8; 2, 1 7 -28; 3, l ; 4, l ) si ripresenta anche in questa parte finale, la conclusione dove di nor­ ma Paolo rivolge i suoi saluti alla comunità. La gioia esplode come un'esortazione pressante (Fi/ 4,4; cfr. 3, 1 ; 4, 1 ) e deve diventare un atteggiamento da mostrare a tutti («affabilità», lett. "aspetto") , so1 230

LETTERA AI fiLIPPESI

prattutto in quanto ha una motivazione più che forte: «il Signore è vicino» (Fil 4,5) . Ma prima ancora, Paolo esorta alla concordia ecclesiale due donne, che dovevano avere un ruolo molto impor­ tante in questa chiesa, ma che evidentemente non facevano fede al loro nome: Evodia significa infatti "buon cammino" e Sintìche "incontro" (Fi/ 4,2) . Ci si attenderebbe anche il riferimento a Li­ dia, originaria di Tiatira, la commerciante di porpora che gran p ar­ te ebbe quando Paolo arrivò a Filippi (cfr. At 1 6, 1 4- 1 5) , ma forse nel momento in cui Paolo scrive era lontana. Molto espressiva è invece la menzione generica (Fi/ 4,3) di tutti gli altri collaborato­ ri - compresi probabilmente Timoteo ed Epafrodito - che sono stati compagni di Paolo nel combattimento per la fede, la fatica di annunciare il Vangelo (Fi/ 1 ,27) 10• Nonostante questo silenzio sui nomi, che «sono nel libro della vita», la menzione del «fedele collaboratore», in greco "Sizigo", chiamato ad aiutare Evodia e Sin­ tiche - che è comunque in evidenza insieme a Clemente (il futuro vescovo di Roma?) - potrebbe riferirsi ad un cristiano che portava proprio questo nome, anche se sarebbe un caso unico in tutta la letteratura. Ma proprio il significato di questo nome ("colui che porta· il giogo insieme", il "coniuge") ha dato ai Padri della chiesa antica il motivo per interpretare la persona come una presunta mo­ glie dell'Apostolo, addirittura la stessa Lidia (questo però contrasta con le affermazioni dell'Apostolo: cfr. J Cor 7,8), o la moglie di uno dei suoi collaboratori. Senza poter risolvere la questione, dobbiamo quindi rimanere allo scritto, che non dice niente di questa persona, se non attribuirle il compito, tutt'altro che trascurabile di essere di aiuto ad Evodia e Sintiche. La certezza della vicinanza del Signore opera anche perché i Fi­ lippesi rifuggano da ogni eccessiva preoccupazione inutile, data la continua presenza dei cristiani nelle mani di un Dio al quale pos­ sono rivolgersi con gran fiducia, certi di essere ascoltati (Fil 4,6). Non a caso si affaccia sullo sfondo il dono della pace, che protegge 1° Cfr. anche J Cor 1 5 , 1 0; 1 6 , 1 6; Ga/ 4, 1 1 ; I Ts 5 , 1 2; Rm 1 6,6. 1 2.

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saldamente la persona nelle sue dimensioni più intime con la po­ tenza di Cristo. Fra i consigli che l'Apostolo colloca in quest'appello conclusivo, spicca un invito a tenere in giusta considerazione tutto quello che i credenti possono incontrare nella loro esistenza. Pur nella fedeltà al suo stesso esempio ed insegnamento («ciò che avete imparato, ri­ cevuto, ascoltato e veduto in me, mettetelo in pratica»: Fil 4,9) essi dovranno cercare «tutto ciò che è vero e nobile, che è giusto e puro, che è amabile e onorato, che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8) . Si sente la presenza di un vocabolario della filosofia morale degli stoici, ma anche la grande apertura ai valori umani che deve sempre arricchire la comunità cristiana. L'Apostolo riprende quindi il motivo del ringraziamento (Fil 4, 1 0-20) , che alcuni autori ritengono addirittura il corpo di una brevissima lettera che ha perduto l'esordio e la conclusione ed è stata qui collocata. Si tratta appunto di un'occasione di rendere omaggio al rapporto che i Filippesi hanno stabilito con lui, attraverso la col­ laborazione di Epafrodito, un rapporto che va oltre la praticità del linguaggio delle transazioni finanziarie (, che non è un disegno riservato ad alcuni iniziati bensì è stato rivelato a tutti (Ef 1 ,9; cfr. I Gor 1 5,5 1 ; Rm 1 1 ,25; 1 6,25; Col l ,26; 2,2; 4,3) . Proprio per la portata di tale progetto esso deve essere realizzato da Colui che l'ha concepito: «il mistero della sua volontà» . In Gesù Cristo 1 307

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era stato stabilito da Dio un progetto da realizzare nel culmine, nel­ la pienezza della storia («l'economia della pienezza dei tempi»: cfr. l Cor 9, 1 7; Ef3,2.9; Col i , 1 5 . 1 9; 2,9; l Tm l ,4; Ga/ 4,4), che Dio governa attivamente e pienamente. La pienezza non è da intendersi alla fine della storia bensì nell'oggi della salvezza. Questo disegno è di ((ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose». Il termine gre­ co contiene due concetti: a) "riunire", "ricapitolare" inteso come "ricondurre ad unità", "unificare; b) "mettere sotto la sovranità di . qualcuno", cioè ricapitolare nel senso di "intestare" . La traduzione e le interpretazioni dovrebbero andare nel senso di "intestare" a lui ogni realtà, riannodare ogni dispersione nella sua potenza unifican­ te. Tutte le realtà cosmiche dalla terra al cielo si riuniscono sotto l'autorità di Cristo. La seconda strofa (E/ 1 , 1 1 1 4) si caratterizza per la triplice ripe­ tizione della formula (dn lui» (Efl , 1 1 . 1 3a. l 3b: in greco il relativo) , che sviluppa l'idea dell'unificazione in Cristo di tutte le cose. La versione italiana dovrebbe far emergere questo accento particolare: ((dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, dopo aver creduto, avete ricevuto in lui il sigillo dello Spi­ rito Santo della promessa». La benedizione spirituale in Cristo si manifesta ancora nel mistero dell'elezione, ma non più in quanto precedente alla creazione del mondo bensì all'interno della storia. Il > (lett. «forestieri») ma sono venuti in possesso della stessa cittadinanza («concittadini») dei san­ ti, cioè sono entrati a far parte allo statuto che appartiene ad Israele per nascita (cfr. Ga/ 6, 1 6) , e addirittura «familiari di Dio», vale a dire ammessi ad una comunione inaudita con lui (Ef2, 1 9) . Que­ sta comunione è fondata come una costruzione (cfr. J Cor 3,9- 1 1 ) sopra due basi: apostoli e profeti (cfr. Ef3,5) e su Cristo (cfr. Rm 1 5,20) . Nel pensiero della lettera Cristo condivide perciò l'essere fondamento della realtà cristiana con coloro che nella comunità hanno l'incarico di annunciatori (i «profeti»; cfr. J Cor 1 2,28; At 1 1 ,27; 1 3, l ; 1 5,32) oltre che gli apostoli: la comunità stessa e la sua tradizione vitale. Ma è pur sempre il Cristo la pietra angolare (cfr. fs 28, 1 6; 1Pt 2,6) che tiene ben «compaginati>> tutti i suoi elementi. Quest'ultima espressione appare anche nel linguaggio dell'anato­ mia: tutto il corpo è tenuto insieme da «giunture» (cfr. Ef4, 1 6; Col 2,2) . Tutto il corpo è «armonizzato e connesso>> con il suo capo e da esso riceve la forza per «edificare sé stesso» nell'amore (cfr. Ef4, 1 51 6) . Il Cristo compone in sé stesso ogni tensione esistente nella comunità, perché essa diventi ; Ef3, 14: «io piego le ginocchia da­ vanti al Padre») . Ma, a parte l'indicazione del v. l (il «prigioniero di Cristo»; cfr. Ef4, l ), non si hanno notizie particolari sulla sua vita, al di là della descrizione della sua figura in termini d'importanza teologica estrema, come è già stato ricordato. Si pone l'accento al fatto che il v. l, che non si lega sintatticamente con il v. 2 - un altro anacoluto! -, dia il movimento a tutta la pagina, anche se il tema della prigionia è ripreso nell'immagine delle tribolazioni, ma solo in Ef3, 1 3 (cfr. E/3, 1 4- 1 9) . Tuttavia è forse il richiamo ai pagani del v. l a dettare tutta la grandiosa costruzione sul tema del Vangelo ai 1 323

Stefano Tarocchi

pagani (vv. 2- 1 2) : è il «mistero» affidato all'Apostolo. Per questo, prima della dossologia conclusiva (E/3,20-2 1 ) , l'Autore dello scrit­ to innalza la sua preghiera al Padre per la comunità (E/3, 1 4- 1 9) . Con l'inizio del cap. 3 si avverte uno stacco con la fìne della sezione precedente: il collegamento si situa piuttosto sulla fìgura idealizzata dell'Apostolo che diventa la chiave della realizzazione del progetto di salvezza di tutti gli uomini. Paolo è presentato qui come il «prigioniero di Cristo per voi pagani» (cfr. Ef4, 1 ; Fm 1 .9) , un titolo onorifico al pari della sua designazione come apostolo, che ne caratterizza il ruolo e la missione, e non solo in rapporto ai cristiani di Efeso (E/3, 1 ) . Ma inaspettatamente il fìlo del pensiero s'interrompe, o meglio, prende la strada già indicata da quest'ulti­ mo aspetto: il ((ministero della grazia» (Ef3 ,2; lett. , impiegato anche nel contesto dell'educazione dei figli (Ef 6,4 che la CEI traduce con «fateli crescere»), indica il prendersi cura del sostentamento fisico di una persona. Quanto al verbo «curare» esso significa «riscaldare», in senso fisico ed affettivo. Quindi, vuol indicare il prendersi cura dell'altra persona, in tutte le sue sfuma­ ture, compresa quella sessuale. L'insieme che risulta è, in effetti, 1 347

Stefano Tarocchi

molto lontano da una possibile quanto fuorviante interpretazione egoistica dell'amore sponsale. E ciò è ancora più vero in quanto la lettera riprende ancora la dinamica Cristo-Chiesa, che diventa la chiave di lettura per tutte le relazioni all'interno della stessa Chiesa: Cristo si comporta con la Chiesa come fa il marito con la moglie. Ne deriva una ricchezza di contenuti che ha pochi paragoni: l'ap­ partenere a questa comunità che è la Chiesa significa ricevere dal Cristo una molteplicità di attenzioni. Ma la lettera prosegue richia­ mandosi alla. tematica nuziale, e lo fa introducendo senza soluzione di continuità la citazione di Gen 2,24 (E/5,3 1 ) . Non si tratta sol­ tanto di una citazione scritturistica quanto della riprova autorevole di questa straordinaria esperienza umana, divenuta un dato di fatto condiviso: la reciproca potente attrazione all'interno della coppia umana si spalanca ad una dimensione cristologica ed ecclesiologica, senza perdere mai di vista la concretezza delle situazioni reali. Que­ sto deve far lasciare da parte considerazioni che si focalizzano più sui dettagli che non sull'insieme. Il testo parla di «mistero»18 (nell'antica versione latina della Vulgata si legge però sacramentum) tanto per la coppia Cristo-Chiesa, quanto quella uomo-donna: è tanto grande la relazione che c'è fra un uomo e una donna, quanto quella fra il Cristo e la Chiesa. L'esortazione termina (E/ 5,33) ricordando al marito il dovere di amare la moglie «Come sé stesso» e a quest'ultima il «timore» per il marito. La sezione Ef6, 1 -9, molto più breve, riguarda i rapporti tra i figli e i genitori. Essa consta di un'unica esortazione all'obbedienza (Ef 6, l ; cfr. Co/ 3,20: «Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gra­ dito al Signore»; anche Fi/ 2, 1 2; Eb 1 1 ,8; Rm 6, 1 6). Pur nella conci­ sione, il testo della lettera completa l'esortazione con un riferimento (�mel Signore») che riconduce i rapporti della famiglia a questa di­ mensione più vasta, oltre che al luogo specifico dove l'obbedienza ·

18

Cfr.

Ef3,3.4.9; 5 ,32; 6, 19. Il Mysterion indica la rivelazione di ciò che Dio

ha compiuto nella sua volontà salvifica, ad esempio il �>; lett. "porre nell'animo": cfr. Sap 1 6,6; JCor 1 0, 1 1 ; Tt 3 , 1 0) è uno degli elementi fondamentali dell'educazione, proprio del padre verso i figli o dei capi della comunità (cfr. J Cor 4, 1 4) 19• Anche in questo caso c'è un riferimento al Signore: la vita. di una famiglia non ha aspetti che possano privarsi della sua presenza. L'ultima parte di questa sezione riguarda i rapporti tra gli schiavi e i loro padroni20• L'insegnamento della lettera è conforme al te­ nore della tradizione cristiana delle origini, che non ha mai inteso .

19

Cfr.

Co/ 3, 1 6; JTs 5 , 14; 2Ts 3, 1 5; Rm 1 5, 1 4. Co/ 3,22-25; J Tm 6, 1-2, Tt 2,9- 1 0; JPt 2, 1 8.

2° Cfr. anche

1 349

Stefono Tarocchi

combattere dal punto di vista esterno l'istituzione della schiavitù (cfr. J Cor 7,2 1 ; Fm 1 6) . Laddove in Cristo «non c'è più schiavo né libero» (Gal 3,28), come si esprime il Paolo delle grandi lettere, esiste una nuova condizione che è legata al ruolo di Cristo. Così gli schiavi devono obbedire (ancora una volta il verbo che solo este­ riormente indica sottomissione!) , seppure con «rispetto e tremore», ossia in un clima di grande attenzione (Ej6,5), sempre cercando un atteggiamento che superi l'apparenza (Ef6,6). Qui il riferimento a Cristo è duplice: si chiede l'obbedienza ((come a Cristo>> (Ef6,5) e soprattutto coloro che sono a servizio sono (> (Ef 6,6; cfr. l Cor 7 ,22), e dunque compiono la volontà di Dio, «pre­ stando servizio al Signore e non agli uomini>> (Ej 6,7) . In questo modo la condizione di schiavo è associata a quella di uomo libero nel bene che sarà stato capace di concludere (Ef6,8) . Ma anche i pa­ droni (lett. : signori) devono comportarsi con pari dignità nei con­ fronti dei loro servi, nella sottomissione reciproca che guida tutto quest'insegnamento (cfr. E/5,2 1 ) sapendo che c'è un solo Signore di tutti, e che egli non guarda in faccia a nessuno21 : egli cioè non ha preferenze nei confronti di nessuno (Ej6,9) e non c'è chi possa trarlo dalla propria parte. La parenesi sulle relazioni familiari assume dei connotati stra­ ordinariamente importanti quali il rapporto fra Cristo e la Chiesa perché ogni coppia umana possa ritrovare degli adeguati riferimen­ ti. Così mentre si parla della coppia umana, si parla anche delle relazioni fra Cristo e la Chiesa, e viceversa. Il testo parla di «mistero» tanto per la prima che per la seconda coppia: è tanto grande la rela­ zione che c'è fra un uomo e una donna, quanto quella fra il Cristo e la Chiesa. Nell'una e nell'altra si ritrovano le medesime dinamiche di dono reciproco, e l'una e l'altra si illuminano vicendevolmente. Ma quello che apparteneva allo stesso progetto della creazione (il matrimonio umano) e come tale illumina il rapporto fra il Cristo e la Chiesa, da quest'ultima relazione è profondamente influenzato 21

1 3 50

Cfr.

At 1 0,34; Rm 2, 1 1; Co/ 3,25; JPt 1 , 1 7.

LETTERA AGLI EFESINI

e caricato di nuovi significati. Fra l'altro, l'amore di Cristo per la Chiesa permette di realizzare nel concreto quel dono che, lasciato alla semplice iniziativa umana, sarebbe destinato a scomparire. Così il matrimonio viene trasportato dalla realtà della creazione a quella della salvezza e così rivestito dal di dentro di tutte le sue valenze positive, tanto da divenire un leg�me totale e indissolubile. Ana­ logamente, lasciando all'esortazione sul rapporto schiavi- padroni il suo significato più profondo all'interno della situazione sociale del tempo, emerge la relazione tra figli e genitori come chiave di rapporti fondati sul rispetto reciproco, su un'obbedienza che rinvia continuamente all'ascolto fatto di elementi vitali, sempre in quella sottomissione reciproca gli uni agli altri che caratterizza la comunità cristiana (Ef5,2 1 ) .

1 35 1

LETTERA AGLI EFESINI

L'ARMATURA PER LA LOTTA CONTRO GLI SPIRITI DEL MALE 6,10 - 20

10Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel potere della sua forza. 1 1Indossate l'armatura di Dio per po­ ter resistere alle tattiche del diavolo, 12poiché la no­ stra battaglia infatti non è contro il sangue e la carne, ma contro i Principati, contro le Potenze, contro i dominatori di questo mondo della tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. 13Per questo prendete l'armatura di Dio, perché pos­ siate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. 14State dunque in piedi: rivestendo i fianchi nella verità e indossando, la corazza della giustizia 15e i piedi, calzati e prorùi al vangelo della pace, 16Afferrando in ogni cosa lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frec­ ce infuocate del Maligno; 17 prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè è la parola di Dio. 18Attraverso ogni preghiera e supplica pre­ gando in ogni occasione nello Spirito, e per questo vigilate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi, 19e per me, perché, quando mi viene data la pa­ rola aprendo la mia bocca, mi sia dato far conoscere con franchezza il mistero del vangelo, 20a favore del quale sono ambasciatore in catene, perché possa an­ nunziarlo con quel coraggio come devo parlare. Dal quadro della vita familiare la lettera passa a descrivere la si­ tuazione del cristiano come campo di battaglia per la fede (Ej6, l 01 353

Stefono Tarocchi

20). Si direbbe che la Lettera agli Efesini ritorni alla tonalità della lunga parenesi che precede (Ef4, 1 7-6,20) , per indicare come situa­ zione ancora da raggiungere, come una lotta per migliorare quello che era già dato per acquisito. Chiude questa breve esortazione ai cristiani (E/6, 1 0- 1 7) l'invito alla preghiera per l'Apostolo (Ef6, I 820), «ambasciatore in catene» (Ef6,20) per il Vangelo. L'invito a «rafforzarsi nel Signore>> (cfr. 2Tm 2, l ; Rm 4,20: «nella fede») e «nel vigore della sua potenza» (cfr. Col l, 1 1 ; l Cor 1 6, 1 3) apre questa sezione in cui la vita cristiana è letta attraverso una serie di immagini della vita militare. Ecco quindi in successione «l'armatura di Dio» (E/6, 1 1 ; cfr. Ef6, 1 3) , ossia l'equipaggiamento completo del soldato, fatto apposta per resistere alle insidie diabo­ liche ed affrontare la battaglia contro i Principati e le Potenze (Ef 6, 1 1 - 1 2) . L'esperienza cristiana diventa una prova molto dura se occorre essere rivestiti di tutto punto, che, come indica il nome greco panoplia (cfr. Le 1 1 ,22), è la protezione dell'intera persona, la piena armatura che dovrà garantire la sua sicurezza. Quale sia infat­ ti la dimensione di questa lotta lo dice con chiarezza il E/6, 1 1 : le «insidie del diavolo» (cfr. Ef4,27), simili alle «insidie dell'inganno» (Ef4, 1 4) , che si manifestano nelle dominazioni malvagie e invisibili che risiedono in cielo (v. 1 2) . Si tratta di un potere distinto dall'uo­ mo che si manifesta attraverso ((Principati e Potestà», forze malvagie che tentano di stabilire un dominio reale sull'uomo per ricondurlo alla situazione precedente al battesimo, un paganesimo di ritorno che sarebbe estremamente rischioso per la sua fede, se il credente non fosse assistito da Cristo e dal Padre ricco di misericordia (Ef 2,4) . Così, con l'armatura divina, i credenti possono resistere nel ((giorno malvagio» (E/6, 1 3; cfr. 5 , 1 6: (>. Da essi proviene un progetto da vivere nel tempo presente e da godere in pienezza nel tempo futuro, nel "compimento". Eccone i dati: Charis, grazia l amicizia l pienezza di vita: - il dono di sperimentare l'accompagnamento di "Dio Padre e di Cristo Gesù Signore" nel lavoro ecclesiale i cui impegni esigono resistenza psico-fìsica; - questa sembra essere non tanto stabile in Timoteo (l Tm 4, 1 2 e 5,23); - la spinta a vivere secondo lo Spirito (kata pneuma) e non la carne (kata sarka) , secondo l'uomo nuovo e non l'uomo vecchio, secondo la mens Dei e non la mens hominis; nello sforzo pastorale e ascetico di far lievitare quest'ultima ( Ga/ 6, 1 6) . Eleos, misericordia, il dono di sentirsi sostenuti, compresi e inco­ raggiati da Uno che condivide una vicenda pastorale entusiasmante eppure piena di incognite e di sorprese, non di rado rischiose. Quel­ · la misericordia è il Suo progetto. Eirene, pace da parte di un "Dio di pace e non di afflizione": «Vi lascio la pace, vi dò la mia pace (Gv 1 4,27a)>>. Seminare la pace e farla crescere nelle comunità protocristiane: che fatica! Basta pen­ sare alla rimozione di afflizione, oppressione, maltrattamenti, sullo stile della mens Dei, di un "Dio che vede l'afflizione (ten thlipsin) del suo popolo" e se ne fa carico; quel suo popolo "si inchina e adora" (Es 4,3 1 ) ; sullo stile di un "pane di afflizione (arton kakoseos: -

1 370

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

maltrattamento)" perché preparato in fretta da un popolo, il suo popolo, costretto a uscire dal paese di Egitto in fretta (Dt 1 6,3) . Per questa triade (grazia, misericordia e pace) bisognerà appron­ tare e affinare le armi psicofìsiche e spirituali. Quei tre valori ango­ lari dovranno alimentare il seme che verrà seminato nel solco. Il la­ voro che si annuncia è notevole e si affaccia su tre versanti: umano, spirituale, pastorale.

Efeso c'è chi pensa diversamente. L 'antidoto della fede . (1 ,3-4) 3Come ti esortai a rimanere in Èfeso, quando fui in procinto di partire per la Macedonia, (così ti esor­ to ora a restarci ancora) affinché tu richiami certuni perché non propinino insegnamenti diversi 4e non prestino attenzione a favole mitiche e genealogie in­ terminabili (lunghi elenchi di antenati) , i quali inco­ raggiano piuttosto vane speculazioni e non la realiz­ zazione del progetto di Dio nella fede.

2. A

3 In Efeso si aggirano maestri il cui pensiero non è in armo­ nia .con la nascente «sana» tradizione apostolica (v. 3b) . Timoteo, destinato alla chiesa di Efeso3, se ne dovrà far carico proponendo il sano insegnamento, quello che accende, motiva e consolida nei credenti della terza generazione cristiana l'attaccamento (empatico) alla loro scelta e quella consapevolezza che dà corpo a una fede non affettata (v. Sb) . A tal fine il pastore in Efeso dovrà seguire nel suo lavoro una criteriologia ben precisa e assumere un appropriato stile pedagogico: nessuna autoritaria co ndanna, piuttosto un'autorevole esortazione che provenga da un cuore trasparente (ek katharas karv.

3 Cfr. l Tm 1 ,3a; At 1 9,2 1 -20,38: intera vicenda per contesto. Da At 20, 1 7 Timoteo è a Efeso quale probabile inviato di Paolo da Mileto per convocare a Mileto gli anziani-presbiteri della chiesa di Efeso. In parallelo, da Tt 1 ,5, Tito è destinato a Creta.

1 37 1

Cesare Marchese/li-Casale

dias) nelle sue argomentazioni, da una consapevolezza in grado di essere contagiosa e da una fede persuasa e sincera nei suoi contenuti (v. 5a) . Sperimentandosi, Timoteo potrà affinare profilo e metodo­ logia di azione, motivata nelle sue proposte critiche; è il senso più appropriato di anypokritou. Due gli insegnamenti incerti, tendenzialmente falsi, espressa­ mente chiamati in causa da "Paolo". Il primo. Un gruppo di falsi dottori si era infìltrato nella co­ munità di Efeso dove Timoteo era coordinatore e guida carismati­ ca (l Tm 1 ,3.6) . Essi inventavano teorie dottrinali peregrine ( 1 ,4) , interpretavano erroneamente la Scrittura (-1 ,7), non accettavano la risurrezione (2, 1 8) , proibivano il matrimonio (4,3) e dichiaravano cattive tante cose buone create da Dio (4,3) . Facevano di tutto per apparire uomini pii (2Tm 3,5), ma in realtà si adoperavano per trasformare la loro attività religiosa in una fonte di guadagno (l Tm 6,5.9- 1 0) 4 • Per realizzare il loro obiettivo, quei dottori riuscirono a influen­ zare alcune signore desiderose di novità (2 Tm 3,6-7), e soprattutto alcune vedove ancora molto giovani (J Tm 5 , 1 1 ) . Si trattava di don­ ne da poco giunte alla fede cristiana, le quali prendevano ancora pane alle "istruzioni" di iniziazione (I Tm 2, 1 1 ; 2Tm 3,6) . Erano donne ricche, disponevano di «oggetti d'oro, perle e vestiti lussuosi» (l Tm 2,9) . Proprio per questo erano nella mira dei falsi dottori; essendo ricche, potevano accoglierli e accudirli (2Tm 3,6) , secondo la prassi del tempo. Quelle signore erano curiose di apprendere: studiavano sempre (2 Tm 3,7) , si circondavano di maestri di varie discipline (2Tm 4,3), senza tuttavia raggiungere la «conoscenza della Verità» (2Tm 3,7) : Gesù i l Cristo «secondo i l mio Vangelo>> (2Tm 2,8b) . Miravano a Le Lettere Pastorali, EDB, Bologna 1 995, 97ss. Già C . MESTERS, Paolo Apostolo, un lavoratore che annuncia il Vangelo, Cit­ tadella, Assisi 1 993. 4

1 372

Cfr. C. MARCHESELLI-CASALE,

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

migliorare sempre più le loro conoscenze con l'intento di rivestire un ruolo determinante nella comunità: volevano > ,

La Legge: un assoluto insufficiente

Assolutizzare la Legge mosaica, oltretutto mal capita e "giuridi­ camente" interpretata (v. 7) , significa uscire dal circuito della sal­ vezza: « • • • dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessu­ no» (Ga/ 2, 1 6b) . La Legge infatti è "ministero di condanna" di ogni inevitabile trasgressione. Eppure la Legge è buona in sé, · ma non ha forza sufficiente per redimere. Essa, economia della Legge mosaica, mi fa conoscere il bene e il male (Rm 3,20) , l'economia delle fede invece dà anche la forza di operare il bene. Ddat (Legge Halakah prescrizioni) e Torah (Legge Haggadah insegnamenti) : due profili ben diversi5• Quanti sono alla sequela del Cristo mirano a liberarsi da Miti (fa­ vole mitiche) privi di senso, meglio, ad affrontarli illuminati dalla sapienza del Vangelo. Quei Miti portano ad accesi scontri tra credenti e non favoriscono il progetto operativo di Dio. I Cristiani giudaizzan­ ti tendono a un giusto, equilibrato e motivato rispetto della Legge, =

=

=

5

=

"] udaism has been more a religion of doing than of believing': il Giudaismo

ha posto e tende ancora a porre maggiore enfasi sull'aspetto legale piuttosto che su quello mistico, spirituale, teologico. Così PH. BIRNBAUM,

dia of]ewish Concepts, New York 1 988, 1 49- 1 50.

Ddat, in Encyclope­

Sia Gesù che Paolo, pur apprez­

zando la "bontà" della Legge, avranno molto da ridire sulla sua legale applicazione spesso

antropologicamente carente. Mt 23,4 e l Tm 1 ,8- 1 0 . 1 1

eloquente riprova.

1 374

(e non solo) ne sono

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

istruiti dall'Apostolo il quale scrive: il Dio del Sinai e il Dio di Cri­ sto Gesù è quel "Dio unico che giustificherà i (cristiani giudaizzanti) circoncisi in virtù della fede e i non-circoncisi mediante la fede" (Rm 3,30). "Se compito della Legge è rilevare l'abbondanza della colpa, compito della fede è introdurre la sovrabbondanza della redenzione" (Rm 5,2 0 ) universale, perché "compiuta per la 'discendenza' nel "Di­ scendente", il Mediatore universale (Ga/ 3, 1 9; JGv 2,2). La spinta dell'Apostolo è ad andare oltre la Legge mosaica. Essa è un buon inizio, ma non basta! Essa accusa, ma non redime per­ ché non libera dal peso della colpa causata dalla trasgressione ( Gal 2, 1 6b) . È necessario un "ministero pastorale" che sia servizio alla fede, alla grazia-dono gratuito della redenzione, all'uomo chiamato ad acquisire il "profilo di Dio". Fede e grazia che è dono gratuito di redenzione, sono un binomio inscindibile. Il Dio che dona donan­ dosi, chiede adesione di fede con le opere della fede; dal ministero della schiavitù al ministero della redenzione che libera. La Legge non è la chiave che apre le porte del Cielo: nessuno è in­ fatti in grado di adempiere tutta la Legge. Anche il credente in Cristo (Rm 7,7ss) non ne è in grado. Essa non è la regola di vita per i seguaci di Cristo, perché non è scritta nei loro cuori (Eb 8, 1 0b) . E non lo è neppure per i Pagani per i quali, non avendo la Legge, vale quella "legge naturale" che è scritta nei loro cuori e li spinge a operare di conseguenza (cfr. Rm 2, 14- 1 5 con risonanza in 2,28-29) . (In breve. Nel rapporto con Dio salvezza e Gesù salvatore non è il kata sarka bensì il kata pneuma ad avere sempre l'ultima parola: quella vincente e redentiva. Magistrale precisazione a riguardo in Rm 3,28-29. Cristo Gesù è invece la Legge unica del credente, la vera misura della sua vita; "Cristo, la verità, è la misura alla quale nessun'altra . . . può essere commisurata"6, neppure i comandamenti della Legge. 6 "Ego sum veritas . . . summum modum . . . Ipso autem summo modo nullus alius modus imponitur". Così AGOSTINO (354-430), De beata vita 4,34 quasi in dialogo con PLATONE, Teeteto 1 5 2 a il quale scrive che panton chrematon métron ànthropon éinai // l'uomo è la misura di tutte le cose; esse poi, sono in permanente divenire. 1 375

Cesare Marchese/li-Casale

b. Ireneo A riguardo il pensiero di lRENEO ( 1 30-202) in Adversus Haereses IV, 1 6,2-5 è illuminante e ispirato. Il Vescovo di Lione vede nel Decalogo del Sinai-Horeb un patto sancito da Dio con il suo popo­ lo allontanatosi dalla giustizia dei Padri (Abramo, Lot, Noè, Enoch, prima di Abramo, prima di Mosè: tutti incirconcisi eppure tutti giusti. IV, 1 6,2) : "Essi erano giusti perché avevano la potenza del Decalo­ go scritta nei loro cuori e nelle loro anime, perché amavano Dio . . . e si astenevano dall'ingiustizia verso il prossimo. Non c'era bisogno di una Scrittura che li ammonisse, perché avevano in sé la giustizia della Legge (di natura Decalogo) e ne sapevano estrarre i valori essenziali per una sana e giusta esistenza. Ma quando questa giusti­ zia e l'amore verso Dio caddero nell'oblio e si estinsero in Egitto, bisognò che Dio . . . si manifestasse per mezzo della voce; nella sua potenza fece uscire il popolo dall'Egitto affinché l'uomo diventasse ancora una volta discepolo e seguace di Dio. Lungo ben 40 anni di deserto, Dio accompagna il suo popolo con innumerevoli segni. Così Egli prescriveva l'amore verso Dio e insegnava la giustizia verso il prossimo, affinché l'uomo non fosse ingiusto né indegno di Dio. Così per mezzo del Decalogo preparava l'uomo alla sua amicizia e alla concordia con il prossimo: e tutte queste cose erano utili all'uomo, e Dio non domandava loro niente di più (IV, 1 6,3) . ( . . . ) Per preparare l'uomo a questa vita il Signore ha pronun­ ciato . . . per tutti ugualmente, le parole del Decalogo: e perciò esse rimangono presso di noi, dopo aver ricevuto ampliamento e accre­ scimento, e non abolizione grazie alla Sua venuta nella carne (IV, 1 6,4) . I precetti della schiavitù li consegnò al popolo per mezzo di Mosè; essi erano per la loro educazione, come dice lo stesso Mosè (Dt 4, 1 4) , e li abolì con la nuova alleanza della libertà, mentre quei pre­ cetti naturali, adatti agli uomini liberi e comuni a tutti, li ha accre­ sciuti concedendo generosamente a tutti di conoscere Dio come =

1 376

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

Padre per mezzo dell'adozione e di amarlo con tutto il cuore e di seguire il suo Verbo (cfr. IV, 1 6,5; allusione a Mc 1 2,28-34) "7• Dunque i Padri Patriarchi non hanno avuto bisogno del Patto, perché giusti nel loro rapporto con Dio (secondo la Torah in for­ mazione: Dt 4, 1 4) . La generazione di Egitto, schiava e limitata nella sua libertà di culto, ha bisogno di essere ripresa e ricondotta al vero Dio. Di qui la sosta al Sinai - Horeb e il Patto del Decalogo. Que­ sto richiama valori di legge naturale, osserva Ireneo, validi per tutti gli uomini in tutti i tempi. Quel Decalogo attende perfezionamento attraverso il Risorto. Questi ha già dato le sue indicazioni nella pre­ dicazione e nel suo stile di vita: le Beatitudini ne sono un sommario perenne: invito alla sequela. l Tm l ,8- 1 0. 1 1 respira questo clima. La bontà della Legge del Decalogo sta nel richiamo ai valori natu­ rali da far evolvere in uno stile di vita conforme "al Vangelo della gloria del Beato Dio che mi (Paolo) è stato affidato" (J Tm 1 , 1 1 ) . Rm 4,3 1 b: «Diamo alla Legge il suo valore». Così anche l Tm 1 ,8 . c.

Gregorio Nazianzeno

Fa eco Gregorio Nazianzeno (3 29-3 90) quando esorta a "dive­ nire partecipi della Legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in modo completo e non limitato e imperfetto, in for­ ma duratura e non precaria e temporanea" (cfr. Discorsi, Discorso 45,23-24 in PG 36,654-655). La formulazione «Vangelo della gloria del beato Iddio)) in l Tm l , 1 1 recepisce e sintetizza la questione ed è una efficace allusione al Vangelo delle beatitudini annunciato e proclamato dal Maestro di Nazareth (Mt 5,3- 1 2) . Quel Vangelo è "ampliamento e accre­ scimento, e non abolizione" della Legge mosaica, eppure notevole 7 Testo in E. BELLINI (ed.), lreneo di Lione, Jaca Book, Milano 1 98 1 , 334336. Più di recente A. CosENTINO (ed.) , lreneo. Contro le eresie: smascheramento e confutazione della falsa gnosi, 1-11, Città Nuova, Roma 2009, Libro IV, 1 6, 1 -5.

Gli scritti d i IRENEO hanno un notevole peso nella storia del pensiero cristiano.

1 377

Cesare Marcheselli-Casale

ridimensionamento della sua struttura restrittiva. Ne è riprova pro­ prio J Tm 1 ,8- 1 0. 1 1 8•

3. Passione ecclesiale: agape, via maestra per riorientare gli smarriti (1,5-7) 5Scopo tuttavia di questo (tuo) richiamo è un amo­ re-carità che proviene da un cuore trasparente, da una coscienza consapevole (buona) e da una fede (coerente) non finta. 6Alcuni di essi, essendosene al­ lontanati, si sono smarriti in discorsi privi di senso. 7Volendo essere dottori della Legge (di Dio = Scrit­ tura Sacra) , essi in realtà non comprendono né ciò che dicono né ciò su cui fondano le loro (pseudo) sicurezze (diabebaiountai) . Procedendo per amplificazione, "Paolo" ha inteso sostenere il ministero di Timoteo con istruzioni e direttive. Ora raggiunge il culmine: la perfezione di cui si deve rivestire ogni richiamo ed esortazione, non può essere che la agape, quell'amore solidale, di­ sinteressato e sempre disponibile verso Dio e il prossimo, ben de­ scritto come il primo e il più grande "comandamento" già nella Prima Alleanza (Dt 6,5; Lv 1 9, 1 8) con privilegiata risonanza nella Nuova: «Pienezza (perfezione) della Legge (pleroma tou nomou) è l'amore (agape))) (Rm 1 3 , 1 0b; Mt 22,37-40; cfr. Le 1 0,25-28.2937) , con magistrale ampliata e ispirata descrizione in l Cor 1 3,2-8a. Ancor prima: "Colui che ama l'Altro, dà visibilità e permanente compimento alla Legge, la perfeziona, la adempie in pienezza (pe­ pleroken)" (Rm 1 3,8) . Ed eccone il profilo: - Questa agape è la sola forza in grado di costruire. Essa proviene da un cuore limpido nei propri sentimenti, pensieri e progetti. È at8

Appropriato suggerimento in

2000, 44. 1 378

W. D. MouNcE, Pastoral Epistles, Nashville

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

tendibile l'allusione dialogica a Mt 5,8a: «Beati i puri di cuore», cioè pulito, cristallino, trasparente come la luce. Sono già i sensi classici veicolati dalla metafora della luce. L'elogio della agape poi, che Pa­ olo propone in l Cor 1 3,4-Ba va qui almeno richiamato perché ne è il terreno fecondo: un vero codice-tesoro per una sana antropologia, per un efficace progetto di vita. La agape è " quella virtù nella quale sono incluse tutte le altre in sommo grado e dalla quale è coperta la moltitudine dei peccati"9• Una singolare eco esplicativa in 2Tm 2, 1 9: Il Signore conosce il cuore dei suoi. Non ci si allontani da Lui, nella iniquità. E se ciò fosse, sarà sempre Lui a riagganciare lo smarrito, non perduto. - Questa agape non può essere frutto se non di una coscienza consapevole, sempre presente a se stessa e in grado di ben soppesare tutto, situazioni, persone e cose e di ben discernere pronunciandosi poi per il bene ( J Ts 5,2 1 ), anzi per il meglio. "Con sincero esa­ me, i fedeli giudichino gl'intimi affetti del proprio cuore. E se nelle proprie coscienze troveranno qualche frutto di caritiz , non dubitino della presenza di Dio in loro . . . Dilatino poi l'àmbito del proprio spirito con le opere di misericordia" (Leone Magno papa, cfr. nota 1 0) . Al contrario, il rischio per sé e per gli altri è grande: . Se crediamo in Dio e in Lui ci af­ fidiamo, ci rivestiamo anche di Lui e del suo armamento. La spada dello Spirito (Ef6, 1 7) è la più completa ed efficace e conduce l'Apo­ stolo a fissare in Ga/ 5,22 novè opere dello Spirito: «Amore solidale, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di sé>>), con l'aggiunta post pasquale del «perdono>> in Gv 20,22-23, dono dello «Spirito Santo». Ne risulta un "nuovo" decalo­ go che entra nella vita di una persona e vi costruisce il profilo di una buona coscienza, sincera e trasparente, cioè "pura". Fede (pistis) esprime anche fedeltà: credere nel Dici fedele è esser­ gli fedele in ogni momento del combattimento. Lo vuole la sequela del Maestro: J Cor 4, 1 0- 1 3. In tutte le vicissitudini sofferte da Pao­ lo, Timoteo è testimone: un vero credente. Va sempre più affinan­ do le armi per la bella e buona battaglia. Paolo lo invia a Corinto, in aiuto a quella comunità: « È un vero credente nel Signore (pistòn en Kyrù5» (l Cor 4, 1 7). Deciso nella fede e non titubante: frutto di una coscienza trasparente. v.

7. Dallafonte dei Personalia (1,20) 20Tra di essi vi sono lmenèo e Alessandro 1 399

Cesare Marchese/li-Casale

che ho consegnato a Satana (al mistero di iniquità), affinché imparino a non bestemmiare più (a non parlare più contro Dio e il mio Vangelo) .

20 lmenèo e Alessandro. Allontanarsi dalla fede è essere risucchiati dall'infedeltà (l Tm 6, 1 0) . È accaduto a Imenèo e Alessandro (menzionati anche in At 1 9,33; 2 Tm 2, 1 7 e 4, 1 4), la loro "trasparente coscienza" cresciuta nella verità del Vangelo di Paolo (cfr. Ga/ 5,22), ha avuto una forte battuta di arresto: non sono più in grado di discernere il bene dal male, rattristano lo Spirito bloccandone l'azione e non sanno più se Gesù il Cristo è in essi o no: «Esaminate voi stessi per appurare se vi­ vete nella fede» (2Cor 1 3,5). A questo punto non possono più essere impegnati nella "bella e buona battaglia del Vangelo", sono infatti disarmati. "Paolo" li consegna a Satana: l'incontro-scontro con lui, turbatore e disorganizzatore, li potrebbe riavvicinare alla "verità" del Vangelo contro il quale essi "vanno bestemmiando", opponen­ dosi ad esso e parlando ne male. Ma, stando a l Tm 6, l O, Imenèo e Alessandro potrebbero essere incorsi in uno sfrenato attaccamento al denaro, un volto specifico del Satana mammona: ottimo servito­ re, pessimo padrone. In ogni caso, qui e in altri non pochi casi di smarrimento (qual­ che menzione: J Cor 5,5, incestuoso di Corinto; 2Cor 2,7, il colpe­ vole di Corinto; 2Tm 2,24-26, gli oppositori di Efeso; J Tm 1 ,20: Imeneo e Alessandro) , la severa decisione della consegna a Satana è sempre in vista del ravvedimento e di un nuovo inizio. Proprio nello smarrimento reagisce la forza della propria umana dignità e il forte richiamo alla opzione fondamentale cristiana fatta consape­ volmente una volta per sempre. Il reinserimento nella convivialità socio-ecclesiale è sempre auspicabile. Del resto, il Maestro di Na­ zareth esorta: " . . . non opponetevi al malvagio", adoperatevi invece per il suo recupero (Mt 5,38-39). E quel maestro fa testo. v.

1 400

PRIMA

LETTERA A TIMOTEO

UN'ASSEMBLEA MINISTERIALE IN AZIONE LITURGICA NELLA CASA DEL DIO VIVENTE 2, 1 - 3, 1 6

Timoteo educhi le comunità efesine alla preghiera universale rafforzati dalla preghiera personale (cfr. CRISOSTOMO, infra, nota 5). In assemblea pasquale uomini e donne animino la celebrazione onde ricavarne il massimo vantaggio. Il presbitero-vescovo sia un autorevole vigilante-vegliante pastore. Diaconi e diaconesse curino al meglio il loro profilo etico-antropologico: personalità in crescita e comunicative. Mai dimenticare quel fatto-evento che è memoriale perenne: la 'vicenda' di Gesù il Cristo. La comunità ecclesiale ne è depositaria.

l. Preghiera universale e celebrazione pasquale (2, 1-7) a.

2

Varieforme dipreghiera (2,1-3) 1Esorto dunque, prima di tutto, che si facciano sup­ pliche preghiere intercessioni ringraziamenti a favore · di tutti gli uomini, 2per i re e per tutti coloro che sono in autorità, affinché possiamo condurre una vita serena e tranquilla in tutto onore filiale verso Dio e in umana dignità. 3Questa è cosa bella e gradi­ ta agli occhi di Dio, nostro Salvatore.

2,1-3 La preghiera, un'arma insostituibile per il "buon combat­ timento del Vangelo". Eppure, l'orazione non risolve i problemi concreti (come chiu­ dere le fauci ai leoni, portare il pranzo del contadino all'affamato, non darà il dono di immunizzarsi dal dolore, non restituirà una vita violentemente strappata ecc . . . ), "ma certo dà la forza della sop1 40 1

Cesare Marchese/li-Casale

portazione ferma e paziente a chi soffre, potenzia le forze operative interiori con la fede nella ricompensa, mostra il valore grande del dolore accolto nel nome di Dio . . . Solo la preghiera vince Dio". La preghiera è il carburante per gestire la propria vita e le sue molte situazioni spesso improvvise e impreviste. Essa "è un sacrificio spiri­ tuale (Ostia) che ha cancellato i sacrifici antichi"19•

l «Prima di tutto», e cioè ancor prima di ogni altro ministero l servizio ecclesiale, è impegno prioritario di ogni credente creare lo spazio adeguato al progetto di Dio, di universale redenzione per tutti gli uomini (v. 4) portata a compimento con la vicenda storica di Gesù il Cristo il quale, a vantaggio di tutti e di ognuno, ha in­ vestito presso il Padre la sua vita fino alla morte (v. 6), e morte di Croce (Fil 2,8b) . Ottenuta questa universale salvezza, attraverso la preghiera di impetrazione durante tutto il corso della Prima Allean­ za (atteggiamento ricorrente nei Salmi) , va ora aggiunta a essa la preghiera di ringraziamento a quel Dio della storia che si è mani­ festato 'redentore 'di tutti' (l Tm 4, l O) . È suo progetto che tutti gli uomini raggiungano la conoscenza delle verità (l Tm 2,4) : Egli è il solo e unico Dio e l'Uomo Cristo Gesù è il solo e unico Mediatore (v. 5) . E quando Paolo descrive se stesso quale "apostolo dei Genti­ li", avverte di essersi lasciato afferrare da un ministero che sorpassa ogni confine e raggiunge ogni singolo "uomo" allo scopo di farne una persona "perfetta" (Ef4, 1 3b; Co/ 1 ,28b) , un maturo credente in Cristo. Tutto questo pacchetto costituisce il clima di una preghiera de­ stinata a prendere strade diverse. Tale preghiera va fatta (poieisthai) in base a motivazioni, va cioè costruita volta per volta, all'inter­ no di una celebrazione liturgica di cui l Tm 2, 1 -8 è un tracciato attendibile. «Suppliche, implorazioni, impetrazioni (deeseis)» sono il clima generale di una preghiera pressante e continua (proseuchas) , che v.

19 Così TERTULLIANO ( 1 5 5-t230), 1 402

L 'orazione, cc. 28-29, in CCL 1 ,273-274.

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

evolve in «intercessioni (enteuxeis) » a favore di . . . e in ringraziamen­ ti (eucharistias)}) per il favore ottenuto, per la richiesta adempiuta. Il >, la quale si chiama, di volta in volta, libertà, giustizia, cultura, persona­ le responsabilità, consapevolezza nel governo e nella corresponsabile collaborazione, giusto equilibrio tra interessi individuali e colletti­ vi. Un tale stile si costruisce lungo il percorso dell'esistenza uma­ na in dialogo arante con Dio. Destinatario delle nostre richieste, Egli elargisce la sua pace che genera serenità (eremos) e tranquillità (hesuchios) . Un tale binomio non è frutto di automatismo. Egli chiede infatti il contributo di noi, creature nuove che appartengono a Cristo (Gal 3,28-29) . In ogni conflittualità e opposizione, nel "bel combatti­ mento" per la buona 'battaglia del Vangelo, "Paolo" esorta Timoteo:

20 Traduzione corrente: «In tutta pietà». Ancora: > (Fil 1 ,28a), piuttosto, «tenacemen­ te lottando», darà sempre la priorità all'annuncio del Vangelo (Fil 4,3) , secondo lo stile di Paolo, "suo padre nella fede", suo maestro nella strategia pastorale, ben visibile in quel coraggio per la verità da lui mostrato ad Antiochia di Pisidia affrontando i suoi oppositori (At 1 3,44-52) con la forza dell'argomentazione (fs 49,6 in At 1 3,47: Paolo, "posto come luce per le Genti fino agli estremi confini della terra", non da uomo, ma da Cristo Gesù stesso. Cfr. Gal 1 , 1 2) . N o n abbiamo notizia che Timoteo sia stato testimone oculare dei fatti accaduti ad Antiochia di Pisidia. Possiamo ritenere che Paolo stesso lo abbia informato (2Tm 3, 1 0-1 1). Nella gara del Vangelo (con le culture e religiosità del tempo) "si corra con tenacia" guardando a Lui, Gesù (Eb 1 2, 1 -2a) , che nella sua vicenda umana fino alla Croce ha fatto di due popoli, Ebrei e Gentili, una sola realtà e, abbatten­ do ogni barriera divisoria, «distruggendo nella sua carne (vita) la legge di comandamenti formulata in ordinanze>> (E/2, 1 4. 1 5; J Tm 1 ,8- 1 0. 1 1 ) , ha creato in se stesso un unico uomo nuovo, un unico 1 504

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

popolo dal volto nuovo: cristiano. Timoteo sa queste cose, non si stanchi mai di annunciarle. Se non sarà fiacco, mieterà ( Ga/ 6,9) . E come lui, anche tutti i 'Timoteo' della storia. 6. Mitezza, dolcezza (praupathia) . La guida carismatica di Efeso abbia dunque un lungo respiro: forte nella pazienza, mite nel com­ battimento. Sta di fatto che quanti vogliono impostare la loro vita secondo il progetto di Cristo Gesù, dovranno mettere in conto una opposizione persecutoria (2Tm 3 , 1 2) . Una tale sofferenza è alleviata dal fatto che ne è causa "Gesù il Cristo": impegnare i propri sentimenti di gioia (per averLo scelto e credere in Lui) e di sofferenza (per i contrasti subiti per la sua causa) "è uno speciale dono di Dio" (Fi/ 1 ,29), ed è motivo di co­ raggio, perché non si è soli: «Sostenete infatti la stessa lotta che già vedeste in me)) (Fi/ 1 ,30) . Si può dunque restare sereni anche nella sofferenza, essere in grado di rispondere agli spiriti inquieti e con­ testatori perdonando e operando riconciliazione, aspetto prioritario e insopprimibile nel ministero di guida carismatica. E anche argo­ mentando con «abbondante forza di persuasione, come ben sapete che fummo in mezzo a voi, per il vostro bene)) (J Ts 1 , 5b) , quando vi esposi "il mio Vangelo" (l Ts 1 ,5a; 2Tm 2,8b) : su spinta di Paolo, così anche Timoteo. Inoltre, quale "uomo di Dio", il "vegliante in Efeso" si attrezzi con l'armamentario di Dio: "con la cintura della verità ai fianchi, con la corazza della giustizia (fs 1 1 ,5; 59, 17; Sap 5, 1 8), con i sandali della pace (fs 52,7), con lo scudo della fede (Sap 5 , 1 9) , con l'elmo della salvezza (fs 59, 1 7), con la spada dello Spirito che è la Parola di Dio (E/6, 1 3- 1 7) e con molta incessante preghiera (Ef6, 1 8) . Così perfettamente attrezzati (non sfugga il settenario) , Timoteo e le co­ munità ecclesiali di ieri e di oggi e di s � mpre saranno ben in grado di condurre a buon risultato la "bella battaglia della e per la fede". Ampia e feconda è l'inter-contestualità.

b. «Combatti la bella battaglia della fede» (6,12) v.

12 "Paolo" può ora formulare una simile impegnativa richiesta. 1 5 05

Cesare Marcheselli-Casale

Quel combattimento comporta che si prenda atto delle situa­ zioni che evolvono, del proprio profilo in crescita, del ministero in continua revisione propositiva quanto a contenuti e a comu­ nicazione. Momenti in sé interconnessi, e non separabili. Così ad esempio: aver trasmesso il dono gratuito di Dio a una comunità ecclesiale destinataria della "redenzione e del perdono secondo la gratuità del suo dono-grazia, abbondantemente riversata su di essa e i suoi singoli componenti, fino a una loro risposta piena di sapienza e discernimento" (cfr. Ef 1 ,7-8) , è già aver vinto una battaglia in quanto il "mistero di iniquità" (Satana) non può più disporre di armi contrarie. Anche il proprio ministero è stato adempiuto: aver portato a conoscenza "il sovrabbondante dono gratuito di Dio" che il "Vangelo di Paolo" ha ben precisato in E/1 ,7-8. Questo "bel combattimento per la fede", questa «lotta . . . per la fede del Vangelo, senza lasciarsi in nulla atterrire dagli avversa­ ri» (Fi/ 1 ,27b-28a), ma "tenacemente lottando" (Fi/ 1 ,27a; 4,3b) , è l'azione più preziosa che si possa compiere e che trova il proprio inizio nel cuore di colui dal quale proviene la disponibilità a offrire "le proprie membra, il proprio corpo, la propria persona, le pro­ prie programmazioni quale frutto di adeguato discernimento per quella battaglia: da viventi e non da morti, attrezzati con le armi della giustizia di Dio" (cfr. Rm 6, 1 3) . Mai lasciarsi vincere dal male, piuttosto abbattere il male con il Bene (Rm 1 2,2 1 ) . Timoteo, la sua comunità ecclesiale, sono ora ben orientati al consolidamento del Vangelo dall'Apostolo, guida alla «bella battaglia della e per la fede». La risposta è immediata: esperienza della vita nuova in Cristo e forza interiore in crescente abbondanza. Questa crescita nello "forza" dello Spirito permette a Timoteo di continuare a testimoniare davanti agli occhi di tutti la «bella pro­ fessione di fede» (v. 1 2) già a suo tempo resa all'atto della sua ordi­ nazione-"investitura apostolica" (J Tm 4, 1 4; 2Tm 1 ,6: a Listra) al ministero episcopale della "vegliante vigilanza" in Efeso (I Tm 1 ,3) : la sua vita di fede e per la fede attesta la concreta attuazione di quei valori già menzionati al v. 1 1 e non solo di fronte agli uomini, ma 1 5 06

PRIMA LETTERA A TrMOTEO

anche alle creature cèlesti: « . . . poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli Angeli, agli uomini» ( J Cor 4,9) , abbiamo reso nota la «multiforme sapienza di Dio ai Principati e alle Potestà» (Ef3, 1 0) e «agli Angeli santi» (J Tm 5,2 1 ) . Quella sapienza è ), 1 4ti scongiuro di conservare (e trasmettere) il mandato (della fede) integro e irre­ prensibile fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, 1 5ala quale (Dio) rivelerà al tempo sta­ bilito.

13-14 Ti scongiuro: Paolo si rivolge di nuovo a Timoteo, come già poco prima in 5,2 1 , con tre esortazioni: - posizionati davanti a Colui che dà vita a ogni cosa, il Dio della vita (v. 1 3a) ; - posizionati davanti a Gesù Cristo, testimone della fede nel Pa­ dre, di fronte a Ponzio Pilato (v. 1 3b) ; - trasmetti la fede integra e irreprensibile (v. 1 4) . Timoteo pregusta il comportamento del Dio della vita e intrav­ vede che ogni realtà creata, il cosmo intero, «ogni cosa» sarà desti­ nataria di quella pienezza vitale che è progetto del Dio Creatore. vv.

1 5 07

Cesare Marcheselli-Casale

Consola non poco sapere che a questo progetto di vita in evoluzione verso la pienezza è chiamato a "servire" non solo Timoteo, ma ogni cooperatore che si renda disponibile. La chiamata è per ogni mem­ bro della comunità ecclesiale, la quale è corpo di Cristo e luogo con­ creto del rispettivo ministero. Quella Chiesa è «la pienezza di Lui che tutte le cose di ogni bene riempie» (E/1 ,23) . In essa si pregusta già "ora" ciò che si gusterà. Escatologia anticipata nella storia ed escatologia finale, nella metastoria: una mirabile interconnessione. Timoteo è in magnifica compagnia. Alla sua «bella professione di fede in presenza di molti testimoni» (l Tm 6, 12b) egli è attirato da Gesù Cristo Signore, testimone del Dio vero che dà vita a ogni cosa (v. 1 3a; Cv 1 8,36-37; 1 9, 1 1 ) . Tutta la Sua vicenda di fron­ te a Pilato è una testimonianza eloquente, efficace sostegno perché non si lasci sopraffare dagli oppositori. Si attenga alle indicazioni ed esortazioni della Lettera. Forniscono competenza e persuasione nel confronto. E vi è di più. Come Dio il Padre e Gesù il Figlio sono fedeli alla parola data, così lo sia anche la testimonianza di Timoteo. Glielo ricorda il frammento innologico al v. 1 3: celebrato in assemblea liturgica, esso è memoriale autorevole e continuo, motivazione per­ manente per un ministero pienamente disponibile.

15a Quanto l'Apostolo Paolo ha annunciato, predicato e scritto, in questa Lettera e in tutte le sue Lettere, va accolto, ap­ profondito, rivolto all'intera comunità cristiana e tramandato fino al "giorno del Signore", quando «saremo rapiti . . . nelle nuvole per andare incontro al Signore nell'aria . . . ed essere sempre con il Si­ gnore» (l Ts 4, 1 7b) . Dio, nostro Padre, è ben felice di ridare a noi, sua fedele comunità ecclesiale, il Figlio prediletto in un qualunque momento della storia lo riterrà opportuno. Una discreta precisazio­ ne giunge in 2Ts 2,8: «Quando sarà manifestato l'iniquo, il Signore Gesù . . . lo annienterà con lo splendore del suo 'ritorno' (Parusia)». Possiamo tuttavia ritenere che la "manifestazione" del Figlio è con­ tinua nella storia umana, una Parusia del Bene che si oppone di v.

1 5 08

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

continuo alla Parusia del male, Satana, il «mistero di iniquità» (2Ts 2,7) . A noi non resta che attendere con amore il glorioso ritorno del Risorto che, da «giudice giusto», consegnerà a ognuno, come già a Paolo, «la corona di uomo giustm> (2Tm 4,8). ·Quella parusia è già in atto: di giorno in giorno!

d. Frammento innologico: il Dio dei Padri, pietra angolare per il lavoro di Timoteo (6,1 5-16) I 5aEgli (Dio) è I S b > (Ef1 ,4a), quando la terra, informe e deser­ ta, era ricoperta dalle tenebre (Gen 1 ,2) . Quella scelta era già nel progetto di Dio, e doveva "avvenire" in Cristo. Ora Egli è venuto, il Figlio suo, il Signore Nostro. Con Lui, noi, sua comunità di fede, siamo ora coordinati in un lavoro da svolgere nei giorni storici, nel mondo da Lui voluto, con chiamata programmatica: chiamati alla comunione (eis koinonian) con Lui da quel Dio che è fedele (pistos o Theos) ( J Cor 1 ,9) . «Apostolo di Gesù Cristo>>. Gesù terreno e Cristo Risorto, Gesù della storia e Cristo della fede: due aspetti, gesuologia e cristologia, equamente presenti, sono il contenuto essenziale della fede.

lb Quanto alla «conoscenza della verità» (kai epi-gnosin aletheias), cioè la "verità" da far conoscere sperimentandola (è il senv.

1 52 5

Cesare Marcheselli-Casale

so pregnante di epi-gnosis) , è quella che risponde alla vita di fede: è il Vangelo di Paolo che è quello di Gesù il Cristo, il Risorto, quello del beato Iddio, la Sua "gloria" (cfr. I Tm 1 ,8- 1 1 : la riproposta del Decalogo) . Quella verità Paolo l'ha conosciuta per esperienza (At 9,5-6. 1 8-19: Damasco) , ne è stato afferrato, gli è stata "rivelata e affidata" perché ne trasmetta l'annuncio ( Tt 1 ,3a) : «per il Giudeo prima, poi per il Greco» (Rm 2,9- 1 0. 1 1 ) . Egli è infatti, e si au­ to-comprende ·quale «dottore delle Genti nella fede e nella verità» (J Tm 2,7: cfr. viaggi apostolici) , annuncia il Vangelo della giustifi­ cazione di fronte al Dio giusto, dell'abbattimento della tribolazione e dell'angoscia (tormento per chi opera il male) , di gloria, onore e pace da parte di quel Dio giusto che non conosce parzialità (Rm 2, 1 1 ) . Nel "capitale di questa fede autorevolmente amministrato quale apostolo-inviato allo scopo" (J Tm 1 ,4) , vivono e crescono le comunità cristiane, nel succedersi delle rispettive generazioni. Va da sé che "ogni scrittura divinamente ispirata insegna, ripren­ de, corregge ed educa alla giustizia e accompagna l'uomo di Dio nella sua crescita fino alla sua perfetta attrezzatura in vista di ogni opera buona" (cfr. 2Tm 3, 16) . Va da sé, ed è un fatto oggettivo. Va da sé anche, ed è di estrema importanza, che il capitale del­ la fede necessita di un apprendimento soggettivo: ogni credente è "uomo di Dio in fieri" e deve conoscere e sperimentare nella sua evoluzione personale quanto incisivo sia in lui il ruolo di "Dio Pa­ dre e di Cristo Gesù nostro Salvatore". Essi donano "grazia e bene­ dizione e pace" (v. 4b) , come già a Israele, oggi a noi che di quel popolo biblico, depositario della Prima Alleanza, siamo il Nuovo volto giudeo-etnico-cristiano, depositari della Prima e della Nuova Alleanza, in un fecondo rapporto interfamiliare. È il Vangelo di Paolo. Ci si muove così nel "Vangelo della gloria del beato Iddio" (l Tm l , 1 1 ) a lui affidato, si cresce in consapevolezza, se ne coglie progressivamente il potenziale evolutivo, se ne respira l'entusiasmo che ne promana quale strumento permanente di lavoro pastorale e di servizio. La dimensione oggettiva di l Tm 3, 1 6 diventa ampia1 5 26

LETTERA A TITo

mente soggettiva, base di una credibile spiritualità: un servizio-mi­ nistero al Vangelo. Quel "Vangelo di Paolo" è la "verità" per ogni credente, «quel­ la che è fondamento della vita religiosa nella fede (kat'eusebeian)» (1 , 1 b ) , terreno fecondo per quella spiritualità alla quale egli tende. Allontanarsi dal suo Vangelo e dal mondo biblico dal quale l'A­ postolo proviene e al quale egli fa continuo riferimento, espone al rischio di una discutibile spiritualità.

2a N ella storia, verso la metastoria: speranza della vita eterna. Noi, oggi, viviamo nella tensione verso la vita eterna, oggetto della nostra speranza. Ciò avverrà nel "giorno del Signore, del Cri­ sto Risorto" quando Egli trasformerà il nostro corruttibile corpo mortale in un corpo glorioso (Fil 3,2 1 ; J Cor 1 5, 42b), quando il nostro corpo, seminato nel tempo presente come "corpo animale" risorgerà oltre il tempo (nel tempo di Dio) come "corpo spirituale" ( J Cor 1 5,44)3, conforme al corpo glorioso l glorificato l trasformato del Figlio suo (vi allude Rm 8,29), per poi essere da allora in poi sempre insieme con Lui, il Risorto (l Ts 4, 1 7). Risorti anche noi come Lui e con Lui, Dio ci pone «a se dere nei cieli», cioè accanto al Cristo Risorto che ci ha «gratuitamente salvati» (Ef2,5b) ; ci mostra in tal modo la «sovraeminente ricchezza della sua grazia, in Cristo GesÙ» e ci fa testimoni della sua fedeltà alle sue promesse ( Tt l ,2b; Ef2,6-7) : Egli non può infatti mentire ( Tt 1 ,2a) . Quando poi il Cristo Risorto avrà deposto "sotto i piedi di Dio" in piena armonia la storia umana e cosmica (Ef l ,22 Sal 8,6) , allora anche noi prenderemo atto che Egli, il Cristo, « è stato costi­ tuito sopra tutte le cose» (E/ 1 ,23) le quali in Lui "si ricapitolano"; v.

=

3 Segnalo qui il mio contributo in A. PANIMOLLE (ed.), Morte e risurrezione nelle Lettere del NT, in Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica, vol. 44, Boria,

Roma 2006, 288-378, qui 3 1 4-329. Ancora interlocutorio è il contributo (filoso­ fico) di S. CorrA, Il corpo tra mortalità e trasfigurazione. Una riflessionefilosofica, in Studi Cattolici 2 1 5 ( 1 979) , 3- 1 0. 1 527

Cesare Marcheselli-Casale

rinnovate e redente in radice, esse ritrovano in Lui il loro inizio, e noi cooperiamo fin d'ora, nel te m po presente, a darne l'annuncio: - in vista della ((economia della pienezza dei tempi (eis oikono­ mian tou pleromatos ton kairon), è in Cristo (en to Christo) che av­ viene la ricapitolazione di tutte le cose (anakephalaiOsis), celesti e terrestri» (Ejl , I O), un rinnovato inizio, una rinnovata creazione; - tutto Gli viene sottomesso ( l Cor 1 5,27 Sa/ 8,7) ; - e tutto è i n Lui rinnovato i n forza del suo ministero di riconciliazione, avendo rappacifìcato nel sangue della sua Croce il mondo celeste e quello terrestre ( Col i ,20); - e avendo, in quel suo sangue, abbattuto il muro di separazio­ ne tra Giudei e Pagani (E/2, 1 4- 1 5), tra gli uomini tutti e Dio (E/ 2, 1 6- 1 8) . - Quella separazione causata dalla rigorosa osservanza delle pre­ scrizioni legali, cuore della fede ebraica, impediva un sereno rappor­ to con i Pagani, fì.no alla inimicizia. - Quella inimicizia Egli l'ha uccisa in se �tesso, nella sua morte di Croce, quel gratuito atto di amore solidale che ha disinnescato la reciproca ostilità dei due gruppi umani. È il ricapitolatore (Ef 1 , 1 0)4, l'autore di ogni nuovo inizio: "Ieri, oggi ancora, e sempre", suggerisce il dialogo con il prezioso resto innologico in Eb 1 3,8. =

2b Dio è fedele e non può mentire perché non può smentire se stesso, non può promettere ciò che poi non adempie (Nm 23, 1 9; Eb 6, 1 8) . Ebbene, Egli ha promesso, ancor prima dei tempi storici presenti, cioè da sempre, - di creare l'universo "in Cristo" che è l'immagine (il volto) visi­ bile del Dio invisibile (Co/ 1 , 1 5- 1 6), per mezzo del quale Egli "ha fatto" anche i secoli (gli eoni: il continuo succedersi delle fasi stori­ che) (Eh l ,2b) ; v.

4 Su Ef l , l O cfr. il mio contributo: Il 'Figlio Diletto ' l'amato ricapitolatore, Sardini, Brescia 20 1 6.

1 5 28

LETTERA A Tno

- di rendere noto il suo «progetto eterno da sempre stabilito in Cristo Gesù Signore nostro» (E/ 3, 1 1 ) . Egli, il Figlio, in armonia con il Padre, lo avrebbe portato a compimento "nella pienezza dei tempi", quando cioè i tempi storici ne fossero stati maturi; - Egli ha promesso di manifestare la sua Sapienza, cioè Cristo stesso, e questi crocifisso (I Cor 2,2) . Egli è la sapienza di Dio avvolta nel mistero, ora divenuta realtà visibile «per la nostra gloria» (I Cor 2,7b) , per la nostra gioia cioè e salvezza eterna che già comincia nel tempo presente nella nostra storia personale e avrà la sua pienezza solo alla fine dei tempi ( J Cor 1 5,43; 2Tm 2, 1 0) : nel compimento. - A noi «eletti di Dio, santi e prediletti» ( Co/ 3, 1 2a) è stata pro­ messa e data gratuitamente una «vocazione santa», secondo il suo progetto, in Cristo Gesù, già prima dei tempi eterni (2Tm 2,9) .

3 Paolo, l'araldo. Quella promessa è stata adempiuta nella «apparizione storica del Salvatore nostro Gesù Cristo». Questi ha abbattuto la morte e ha manifestato il· primato della vita immortale in Dio. Tutto questo è annuncio del "mio Vangelo", di me Paolo, «stabilito araldo apo­ stolo e maestro» (2Tm 2,9- 1 1 ) . Cioè, dice Paolo, tutta questa pro­ gettualità di Dio è stata affidata a una comunicazione verbale per la quale io stesso sono stato scelto e responsabilizzato. I tempi di Dio, la pienezza dei tempi, realizzati in Gesù Cristo Salvatore, continua ora nella mia persona. Enorme questo senso di responsabilità dell'a­ postolo, enorme la sua persuasione di essere un momento qualifica­ to nel percorso dell' autorivelazione del progetto di Dio salvezza nel Figlio salvatore. Il tutto secondo la Sua "disposizione (kat'epitagen tou soteros hemon Theou)" (v. 3). Quanto Paolo scrive e predica e annuncia "è Parola di Dio". Grazie al Risorto, Dio ha preordinato Lui e il suo ministero in quel preciso momento della 'storia della salvezza'. L'Apostolo ne è consapevole: - Vangelo della non circoncisione nella carne ( Ga/ 2, 7); v.

1 529

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- o della circoncisione nello spirito per opera dello Spirito (Fil 3,3) ; - Vangelo della «sovraeminente ricchezza della sua grazia l amici­ zia l misericordia (Ef2, 7b) «abbondantemente riversata in noi con sapienza e discernimento» (E/ 1 ,7-8); perché «dove ha abbondato la colpa, sovrabbondò la grazia)) (Rm 5,20) «per opera di un solo uomo: Gesù Cristo)) (Rm 5 , 1 5b; vecchio Adamo - nuovo Adamo: v. 1 4) . Fazit. Paolo è Apostolo di Cristo per progetto di Dio. È dun­ que appropriata l'attribuzione di «salvatore» a Dio Padre ( Tt 1 ,3b) e a Cristo Gesù (v. 4b) . Liberi dalla schiavitù del peccato, siamo ora "schiavi" della gratuità della redenzione, appunto per "gra­ zia". Le nostre opere buone? Sì, esse sono richieste, per la nòstra santificazione.

b. Indirizzo augurale: "scrivo a te, Tito " (1 ,4) a Tito, vero figlio a motivo della fede che ci è co­ mune: grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro salvatore ( Christou 'lèsou tou sotèros hèmon) .

4

. • •

4a Tito. Accompagnatore e collaboratore di Paolo, Tito si era come qua­ lificato e fatto valere presso l'Apostolo per la sua fede genuina per­ ché in piena sintonia con quella dell'Apostolo. Ancor più rilevante per Paolo deve essere stata la capacità di "sapienza e discernimento" manifestata da Tito nel rapporto tra fede e storia: fedeltà alla fede che pure non può prescindere dalle vicende della storia umana dei credenti, in evoluzione. Nel 49-50, al termine della prima missione apostolica, Paolo, da Antiochia di Siria, si reca a Gerusalemme e prende con sé Barnaba e Tito ( Ga/ 2, l ) . Dovrà riferire alle "colonne della chiesa di Geru­ salemme - Giacomo, Cefa e Giovanni" i risultati esaltanti del suo Vangelo della non-circoncisione predicato ai Gentili. Lo stesso Tito non fu circonciso ( Ga/ 2,3), né Paolo ha ceduto a quanti lo ritenev.

1 5 30

LETTERA A Tno

vano necessario, «perché non venissimo derubati della conquistata libertà in Cristo» (Gal 2,4-5) . In quel Sinodo-Concilio dell'anno 50 ci fu un solo impegno comune: la cura dei poveri in Gerusalem­ me (Ga/ 2, 1 0) . Tornando ad Antiochia, con la Lettera Apostolica, Paolo e Barnaba hanno con sé Giuda chiamato Barsabba e Sila (At 1 5,22.25-27) . Tito non è con loro. Quando Paolo scriverà la Lettera dalle molte lacrime (2Cor 2,4), correrà l'anno 5 5 . Egli vuole appurare se i Corinti lo accoglieranno più o meno benevolmente dopo una dolorosa vicenda che ha turba­ to il loro rapporto: un offensore . . . Tito deve esserne stato il latore e l'intermediario e il portatore di buone notizie che rallegrano il cuore turbato dell'Apostolo. Cfr. 2Cor 2,2- 1 3; 7,5-7; 8, 1 6; 1 2, 1 8. Corre l'anno 6 1 . Dopo la prima prigionia romana, Tito è con Paolo a Creta ( Tt 1 ,5) . Accompagnerà poi l'Apostolo nel suo se­ condo viaggio a Roma, da dove partirà per la Dalmazia. La notizia, dalla fonte dei Personalia, è attestata in 2Tm 4, 1 0c: Paolo avverte di essere prossimo «al momento in cui dovrà sciogliere le vele» (v. 6b) .

4b Un saluto benedicente. Due pietre angolari nel "Vangelo di Paolo" presiedono il saluto benedicente: - la «sovraeminente ricchezza della Sua grazia (charis)» (Ef2,7b) che giustifica, redime, salva e rappacifica, e - la pace (kai eirènè) con Dio, quale risultato della riconciliazio­ ne. La pace parte da Lui, va accolta e tradotta in strumento di vita nella convivialità e nella koinonia. Cosa sia la "grazia" lo può sapere e dire solo chi la sperimenta aderendo alla "chiamata santa", riconoscendo le proprie inadem­ pienze, incontrando nella propria esperienza di vita il sentimento profondo della giustificazione: sentirsi ed essere di fatto "giusti" di fronte a Dio e da Lui stesso accolti come "giustificati" e con Lui riconciliati e resi operatori di riconciliazione. (La capacità di com­ piere opere buone e ben accolte è segno eloquente che tale giustifi­ cazione è sempre in atto: "una volta per sempre") . v.

1 53 1

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Questa giustificazione del tutto gratuita da parte di Dio ne ma­ nifesta anche l'aspetto della "pace": riconciliati e rappacificati con Dio, avendo accolto nella nostra vita il suo "disegno" portato a compimento nella Croce di Gesù il Cristo e nella sua tomba vuota, dunque nel Crocifisso Risorto. In quella Sua vicenda è stato abbat­ tuto ogni muro di separazione, ogni inimicizia (Ef2, 1 4) . Avere pace con Dio e Gesù Cristo, entrambi definiti (>. Conferma eloquente al termine di un'ampia amplificatio in I Gv 3, 1 4- 1 8: «Amiamo non a parole e con la lingua, ma con i fatti nella verità>> (v. 1 8) . Quest'ultima è "Gesù" stesso; dunque «guarda­ te a Lui» (Eb 1 2,2 ) e lasciatevi trainare. E a tale equilibrio contribuisce già al v. 6 l'esortazione rivolta ai "presbiteri-anziani" : abbiano una famiglia in buona atmosfera, condizione perché un presbitero riceva il compito di episkopos, sor­ veglinate vegliante, come già n otato. La riuscita familiare, domus ec­ clesia e casa dell'uomo, troverà riscontro nella ben più ampia domus ecclesia, casa di Dio13•

3. Coraggioso confronto con opinioni contrarie alla verità (1,10-14) 1 0Vi sono infatti molti spiriti insubordinati, parolai e ingannatori, soprattutto quelli che provengono dalla circoncisione: l la costoro bisogna tappare la bocca (azzittire) perché seminano lo scompiglio (disorien­ tamento) in intere famiglie, insegnando ciò che non si deve, solo per disonesto guadagno. 12Uno di loro, 1 3 Nuove esigenze ecclesiali richiedono nuovi ministeri. Sul presbitero-epi­ scopo: non è chiamato a dominare, ma a governare; è il garante della koinonia ecclesiale. Come già in l Tm. Cfr. U. ScHNELLE, Die ersten 100jahre des Christen­ tums (30- 1 30 d.C.) , Stuttgart 20 1 5, 224-226: su Tt 1 ,5-6.7; 1 ,9; 1 ,7-9.

1 543

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proprio un loro profeta, già aveva detto: "I cretesi sono sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri". 13E tale testimonianza risponde al vero. Perciò riprendili con fermezza affinché siano sani ·nella fede 1 4e non diano più credito a favole giudaiche e a prescrizioni di uomini che ripudiano la verità. a.

Ilproblema di Creta: una sfida educativa (l, l 0- 1 1 b)

vv. 10-l lb Compito arduo: «convincere con bontà e mansue­ tudine)) (2Tm 2,25) potrebbe diventare talora impossibile là dove antiche nostalgie o inconsapevoli persuasioni si oppongono a ogni riforma. Ciò accade là dove la circoncisione della carne, condizione per una 'vera fede' nel Dio YHWH dell'alleanza ( Gen 1 7, 1 0- 1 1 ) fa resistenza alla circoncisione dello Spirito (Fil 3,3) , espressione di una fede dinamica alla sequela di Gesù il Cristo. E quando subentra il «disonesto guadagno» (v. 1 1 b) , la situazione si complica ulterior­ mente. A questo punto può diventare davvero difficile coniugare la bontà e la mansuetudine (2Tm 2,25) con la necessità di dover azzittire, «tappare la bocca (epistomizein))) (v. l l a), tagliare corto. Lo scompiglio nelle famiglie e nelle comunità ecclesiali, e comun­ que nella coscienza di singoli credenti, lo richiederebbero. O forse la procedura "iperbolica" dell'A. intende spingere alla regola d'oro della "via di mezzo"? Persuadere proponendo insistentemente l'al­ ternativa. A Creta, realtà multiculturale, e oggi ancora, in un mon­ do che tende a una cultura globale, (ri)proporre valori alternativi si ripropone come via strategica prioritaria. E poi la questione giudai­ ca degli incirconcisi che a Creta sembra aver avuto strascichi nella comunità giudeocristiana. E anche nella parte etnicocristiana, come suggerisce il v. 1 2. Un problema, dunque, quello di Creta, al tempo stesso ecumenico e interreligioso, etnografìcamente ben situato1 4 •

14 Ne

nographie, 1 544

tratta

M. VoGEL, Die Kreterpolemik des Titusbriefès und die antike Eth­ (20 1 0) , 252-266, qui 253, 26 1 .

in ZNW 1 0 1

LETTERA A TITo

b. Epimenide di Cnosso (Wsec. a. C.): autorevole conferma di un testimone antico (1,1 1a. 12-14) * Una trilogia offensiva si risolve in un acuto complimento (2, 1 2).

1 1a. 12-14 Dal problema di Creta nasce come sfida educa­ tiva, una oculata reazione pastorale. Quanto già EPIMENIDE aveva scritto dei Cretesi, rassicura "Paolo" di essere nella giusta lettura cir­ ca il loro profilo antropologico e lo porta a non giustificare quel loro atteggiamento. Anzi, decise e severe sono le misure adottate in una nuova sintesi ai vv. l 0- 1 1 : il bene sommo da salvare è la vera fede (secondo il Vangelo di Paolo) di fronte sia a nostalgici giudeo-cri­ stiani sia a Gentili che tornano sui loro passi e ripudiano la verità (v. 1 4) , vera e deplorevole apostasia. Una risonanza intercontestuale cade in Eb 4, 1 2 : «La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetra fino a dividere anima e spirito, giunture e midolla, e scuta i sentimenti e i pensieri del cuore»: De­ cisione e severità sono un'esigenza della Parola di Dio che al tempo stesso è garante di un potenziale di revisione per un riorientamento verso una fede sana (v. 1 3b) . Alla trilogia «bugiardi, male bestie e ventri pigri», "Paolo" con­ trappone un'altra trilogia: «sobrietà, giustizia, religiosità vissuta» in Tt 2, 1 2. Anche se a distanza, le due trilogie si ricontattano: magi­ strale momento redazionale con forte impulso per una programma­ dca ispirazione cristiana di vita. vv.

4. "Tutto èpuro per ipuri". Un detto divenuto celebre. Coscienza inconsapevole e vera conoscenza di Dio (1,15-16) 1 5 " Tutto è p uro per i puri ". Ma per coloro che sono macchiati e increduli, nulla è puro. La loro coscienza e la loro mente sono infatti contaminate. 16Dichia­ rano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti. 1 54 5

Cesare Marchese/li-Casale

Sono detestabili, inaffidabili, inetti per qualsiasi ope­ ra buona.

15 Accanto al senso primario di purità cultuale e rituale, si abbina qui quello etico antropologico. Colui che è puro e traspa­ rente, perché ama la Parola di verità, questi affronta ogni situa­ zione con pensieri e progetti trasparenti e corretti, nella famiglia, nella comunità ecclesiale, nella professione, nella com � nità civi­ le, e porterà buoni frutti, a concreta conferma. Per costui tutto è puro e trasparente, ogni cosa creata, il corpo umano, tutti i cibi. Tuttavia "nessuno distrugga l'opera di Dio a causa del cibo. Tutto è puro, d'accordo. Ma per chi compra e mangia carne immolata agli idoli, ben sapendo che sconvolge il fratello debole, questo è un male ( l Cor 1 0,27-33) . Perciò è bene né mangiare né bere né fare alcun' altra cosa che possa far da inciampo per il tuo fratello (Rm 1 4,20-2 1 ) «a motivo della coscienza, non la tua, intendo dire, ma dell'altro» ( J Cor 1 0,28b-29a) . Prevalga il buon senso e un discerni­ mento appropriato. Chi poi è al di fuori di questo equilibrio comportamentale e non disposto a migliorare il proprio profilo umano, questi rischia il turbamento nella mente e nel cuore, nei suoi pensieri e sentimenti (v. 1 5b) e va alla ricerca di una giustizia più legata a norme con­ cessive che non alla forza della fede e delle opere da essa ispirate. La loro vita non è guidata dalla fede fondata sulla Parola di Dio né sono fedeli a quella Parola, piuttosto sono plagiati da insegnamenti devianti come, ad esempio, la proibizione del matrimonio o della consumazione di determinate carni (immolate agli idoli e vendute poi al mercato: cfr. J Tm 4, 1 -6) . Tale insensibilità può "macchiare e contaminare" di fatto tanti altri, e creare un clima ecclesiale certo né fraterno né costruttivo. v.

16 A pensieri macchiati seguono azioni altrettanto macchiate. Argomento molto sensibile in Gd 12. I fatti smentiscono chi dice di servire Dio nei fratelli, ritenendosi attento alla evoluzione dei tempi v.

1 546

LETTERA A TITo

con ricadute nella fede chiamata anch'essa a evolvere. Una evolu­ zione lontana dal "Vangelo di Paolo" (Ef3,2.7: "a me affi dato per dono di grazia") , quindi lontana anche dal «Vangelo di Dio» (J Tm l , 1 1 ) , diventa un tormento per la comunità dei credenti. In verità, sono del tutto incapaci di compiere opere buone quanti diventano inaffidabili per una simile testimonianza ( Tt l , 1 6) . Indubbiamente un impegno di notevole peso per Tito. I l suo nome lo si può interpretare come "Valutatore": suo compito è sop­ pesare per poi decidere ciò che vale, che dà vita, spinto dalla Parola di Dio che penetra nelle intime fibre del cuore e della mente fino a formulare una "giudizio" al quale nessuno dovrebbe sottrarsi (Eb 4, 1 2) . Quella Parola è persuasiva. In questo lavoro Tito non è solo. Il Dio fedele gli è accanto e lo sostiene nello sforzo di ridurre gli effetti non certo esaltanti di quella presunta conoscenza-esperienza che quei tali dicono di avere di Lui. Ma in verità negano di fatto la Parola di Dio, la bloccano, e bloccano anche la tensione delle comunità cristiane nella fede in Gesù il Cristo.

1 547

LETTERA A TITO

ASSILLO PER IL POPOLO DI DIO 2, 1 - 1 5

. I n Tt 2 "Paolo" entra nella vita concreta di uomini e donne, giovani e anziani e anche di schiavi (lavoro dipendente), li esorta a vivere le loro situazioni lasciandosi ispirare dalla fede. Lo facciano con sana coscienza, sì che il sano insegn amento trovi riscontro nella prassi e venga onorato. Esso è «il Vangelo della gloria del beato Iddio)) a lui affidato. Da quel Vangelo, 'dono-grazia educatrice' di Dio, proviene la forza per abbattere il "mistero del male" e il soste­ gno necessario per essere fedeli al "mistero della fede", riconoscendo a Dio quel primato che Gli compete nella vita umana in coordina­ mento critico con il mutare dei tempi. Si punti a diventare compe­ tenti nella fede e a gustare il proprio profilo di credenti in Cristo Gesù: «Soppesate tutto, decidetevi per ciò che è bene» (l Ts 5,2 1 ) .

l . Dal ��ano insegnamento " occhio puntato sulle componenti ecclesiali (2, 1-·10) a.

2

Anziani e anziane (2, 1-5) 1Tu però insegna ciò che è conforme al sano insegna­ mento (didaskalia) : 2che gli anziani (uomini attem­ pati) siano sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell'amore e nella costanza; 3che le anziane (donne attempate) similmente siano santamente appropriate nel comportamento, non malèdiche (maldicenti) né schiave del molto vino; siano invece in grado di in­ segnare il bene 4per sensibilizzare le giovani (donne) ad amare i (loro) mariti, ad amare i figli, 5a essere prudenti, equilibrate (nei sentimenti) , ad avere cura della casa, operose, associate nella collaborazione con 1 549

Cesare Marcheselli-Casale

i loro mariti affinché la parola di Dio non diventi oggetto di biasimo.

l Tito esponga ciò che dà dignità e onore al sano insegna­ mento e lo faccia perché persuaso del Vangelo annunciato da Paolo Apostolo e con la dovuta attenzione a evoluzioni e involuzioni cul­ turali che a Creta non mancano, comunque destinatarie del dono gratuito della salvezza. "Annunciare il Vangelo in un mondo che cambia" sarà per lui e per tutti i futuri evangelizzatori un impegno primario: alla scuola del Vangelo e alla scuola della storia. Il Van­ gelo della giustificazione è dono gratuito di Dio in Cristo, da Lui elargito nel corso della sua intera vita terrena fino all'epilogo della Croce e della T o mba vuota. Questo Vangelo chiede ai destinatari la risposta delle opere buone che appianano la strada, purificano e santificano e animano l'attenzione ai corsi 'storici in vista di nuove risposte da parte di un Vangelo antico e pur sempre nuovo. Tito affini i metodi della sua esposizione, pronto a contemplata aliis tra­ dere: si tenga in aggiornamento permanente. Garanzia di riuscita: siamo benedetti dal Padre che ci ha benedetti in Cristo Gesù con ogni benedizione spirituale, immettendo in noi lo Spirito guida che chiude e riavvia in permanenza il flusso della benedizione rendendoci abili a benedire «Dio e Padre del Signore Nostro Gesù Cristo>> (Efl ,3) . L'insegnamento di Paolo è vero, fedele, autentico, sano, ardito. Esso è «economia, è progetto della grazia di Dio a me affidata per il vostro bene» (Ef3,2), di voi che siete «il Corpo di Lui, la sua Chiesa. Di essa io sono ministro e ho la missione affidatami da Dio, di por­ tare a compimento la sua parola in mezzo a voi» ( Col i ,25) . Quella Parola è il dono gratuito della salvezza e della non cir­ concisione, o meglio della circoncisione nello spirito, operata dallo Spirito (Fil 3,3; poi Tt 3,5b-6) , eredità dei Gentili e dei Giudei. Pietro è pastoralmente coninvolto in quel movimento di Giudei che vedono positivamente la nuova via cristiana, ma non senza "Abramo" e non senza "Mosè" (circoncisione essenziale) . Il Vangev.

1 5 50

LETTERA A TITo

lo dei "liberi e fedeli in Cristo" affidato a Paolo per gli incirconcisi si fa attento alla predicazione di Pietro al quale è affidato lo stesso Vangelo, ma per i circoncisi (Ga/ 2,7) . "Pace e gioia" proprie del Vangelo di Paolo subiscono così un rallentamento, segno chiaro di un annuncio non libero e fedele, non in grado di percepire i segni dei tempi nei quali il "Vangelo di Paolo" riconosce il dito di Dio che guida la storia del suo popolo eletto.

2-5 Componenti ecclesiali. 2 Sei esortazioni per gli uomini attempati sono il risultato di un sano insegnamento. Questi siano: - sobri: lasciarsi guidare dalla Parola di Dio in forma immediata e concreta, senza porsi al di sopra di essa; - dignitosi: degni di apprezzamento e onore in merito allo stile di vita; - assennati: ragionevoli, in grado di emettere valutazioni apprez­ zabili, guidati dallo Spirito di Dio (2Tm 1 ,7: di fortezza, non di timidezza, ma di amore solidale e di saggezza) ; - saldi nella fede: senza deplorevoli rifiuti dovuti a carenza di conoscenza e di esperienza di fede, a insegnamenti devianti e a pre­ sunte ostinate persuasioni; - saldi nell'amore: familiare e comunque quale forza nelle rela­ zioni umane (amore fraterno e amicale) improntate alla disponibi­ lità nella solidarietà. Agape: l Cor 1 3,4-Sa ne è la pietra angolare. - saldi nella costanza. Chiude il ciclo di sei esortazioni, ricadendo su ognuna di esse: costanza nella sobrietà, nella dignità del tenore di vita, nell'assennatezza, nella fede, nell'amore solidale. vv.

v.

vv 3-5 Le donne attempate (altra componente ecclesiale) . Quasi un decalogo operativo: l. comportamento appropriato come si addice ai santi, cioè ai battezzati che si sono rivestiti di Gesù il Risorto. Questi siamo tutti noi che abbiamo accolto di porci alla Sua sequela. Le donne siano .

1551

Cesare Marcheselli-Casale

"come sacerdoti"15 e si avvalgano della loro esperienza di vita coniu­ gata con la fede a favore della comunità ecclesiale; 2. non maldicenti. Un tale comportamento molto negativo le rende disturbatrici della serenità ecclesiale, operatrici di scompiglio mediante pettegolezzi e inganni; 3. non schiave del molto vino. Cfr. l Tm 3,8. Sensibilizzino le più giovani esortandole al "bene" (v. 3b) che viene così descritto: 4. amare i propri mariti (philandrous) : coordinandosi con essi per una armonica e produttiva gestione della famiglia16• Co/ 3, 1 8 propone la stessa lettura: essere obbedienti ai propri mariti nel senso di "voler essere obbedienti", cooperatrici nella gestione familiare; si impegnino nel lavoro familiare in tutti i suoi aspetti, si associno, si coordinino con i loro mariti in vista del bene familiare (hypotassesthe tois andrasin) . Una supina sottomissione non rientra nella intentio auctoris1 7• Una esigenza intercontestuale spinge a rivisitare J Cor 1 1 ,3-5: nell'ordine della creazione capo della donna è l'uomo; capo dell'uo­ mo è Cristo; capo di Cristo è Dio (vv. 3.8.9.) . I quattro elementi nell'ordine della creazione (ascendenti: donna, uomo, Cristo, Dio; discendenti: Dio, Cristo, uomo, donna) sono in reciproco coordi­ namento. Quale il peso di un simile retrofondo? Nel contesto liturgico di J Cor 1 1 ,4-5 è previsto che l'uomo «pre­ ghi e profetizzi»> a capo scoperto (v. 3a) ; che la donna preghi e pro­ fetizzi a capo coperto (v. 4a) . ( 1 5 5-230) , De cuftujeminarum 2, 1 2. È il senso proprio della forma passiva seguita dal dativo di relazione: hypo­ tassomenas tois idiois andrasin. 17 Cfr. H.G. LIDDELL R. Scorr, Greek-English Lexicon, Oxford 1 996. Hypotdssomai: to be obedient nel senso di they will be obedient, to be implied in, to be associated with. Prevale il senso del reciproco ascolto già nella classicità. 1 5 TERTULLIANO 16

-

Inoltre: "Sottomnesse ai . . . " nel senso di volontaria e produttiva collaborazione nell'àmbito della solidarietà familiare (submission in the sense ofvoluntary yielding in love) come suggerito in I Cor 1 6 , 1 6; Ef5,2 1 . Anche I Clem 38, 1 . Si ha qui una "procedura di apprendimento" che non conosce sosta. 1 552

LETTERA A TITo

Secondo J Cor 1 1 ,9 la donna è capo dell'assemblea liturgica nel momento in cui interviene nella preghiera e nella profezia. In quel momento dovrà portare sul capo il velo, segno della sua autorità. Ciò consente di ritenere che nella gestione familiare marito e moglie sono entrambi uno capo dell'altro nel rispettivo modo appropriato. Dovranno coordinarsi, onde intendersi, comunque non "copiarsi". Chiave di volta in questo quadro è il profìlo di Cristo: egli è capo dell'uomo e ha come capo Dio stesso. Secondo Eb 5,7 - testo decisivo - Egli si associa con piena condivisione e donazione incon­ dizionata al progetto del Padre "Suo Capo", a favore del Suo popolo amato (di cui Egli è Capo), fino alle più pesanti conseguenze. Così anche in Ef5,24-25 . L'unione matrimoniale è un mistero in quanto rende visibile l'amore di Cristo per la sua chiesa e la risposta di quest'ultima in piena condivisione con il suo capo e maestro. È di nuovo il senso appena suggerito, della voce verbale hypotassomai (note 1 6 e 1 7) . Ef5,25 («Voi mariti amate [agapate] le vostre mogli come Cristo ha amato la sua chiesa e si è offerto per essa») dovrebbe, proprio in quanto probabile annotazione deuteropaolina, rivestire tutto il peso di una riflessione ecclesiale posteriore antropologica­ mente più approfondita e già arricchita da positive esperienze. È la agape come praticata dal Cristo fino al dono incondizionato di sé (paredoken) a regolare le reciproche relazioni, e non altro. Sulla stessa linea con eguale motivata efficacia si muove Co/ 3, 1 8-2 1 (fa­ miglia) e 3,22-25 (servi e padroni) . Quanto segue è già oggetto del volontario confronto costruttivo: 5. amare i figli: se ne dovranno accattivare la persuasa condivi­ sione obedienziale. Una vera sfida educativa quotidiana (cfr. l Tm 2, 1 2) ; 6. essere prudenti (sophrosyne) : senso di misura, di padronanza di sé, di equilibrio si che nessuno abbia da ridire 'nei nostri riguardi', ricaduta socio-religiosa di un comportamento personale discutibile (v. 8); 7. equilibrate nei sentimenti e nelle scelte operative; 1 553

Cesare Marchese/li-Casale

8. cura della casa, cioè della famiglia, pedagoghe qualificate; 9. operose: intuitive, creative come solo la sensibilità femminile può suggerire, al di là di ogni spinta femminista; 10. collaboratrici critiche dei loro mariti, con equilibrio interio­ re, prudenza nelle scelte operative. Solo un decalogo propositivo o anche espressione di una diffusa carenza in materia, nelle comunità protocristiane a Creta? Risultato di questo decalogo: la Parola di Dio non potrà mai diventare oggetto di biasimo (v. Sb) . Fedeli a questo loro ottimale profilo, esperte della vita e salde nella fede, le "anziane" sono state "in grado di insegnare il bene" (v. 3b) 18• Nessuno potrà dire: la Parola di Dio alla quale i cristiani si richiamano non ha riscontro nella loro vita. Piuttosto quelli "di fuori" restino confusi (entrape: v. 8), quasi costretti a rivedere le loro posizioni. È la forza propositiva dell"'alternativa": un sale che non cessa di dare sapore. "Una fede cristiana che prepara ottime mogli e madri di famiglia è almeno degna di essere ammirata"19•

18

Il clima storico-culturale in cui la donna viene a trovarsi in Macedonia

(Filippi), Anatolia (Efeso), e Creta permette di rilevare quale poteva essere il giu­ sto insegnamento da riconoscerle in quelle chiese ben diverse tra loro. A Filippi {Lidia: At 1 6, 1 4.40: domus ecclesia) e a Creta ( Tt 2,3-5) risulta che essa avesse una Leadership nella "presidenza" e nell'insegnamento in quelle comunità. Argomen­ to a Creta: preparare giovani donne alla vita familiare ( Tt 2,3-5) in vista della più grande famiglia ecclesiale. Queste insegnanti, poi, sono donne mature in età e competenti nella fede. Da notare l'esplicitazione di un implicito ben attendibile, con programma da verificare in sede ecclesiale. È quanto suggerisce Tt 2,3-5 ricorrenza unica nella sua specificità. Si legga A. B. SPENCER, Leadership ofWomen in Crete and Macedo­ nia as a Modelfor the Church, in Priscilla Papers 27,4 (20 1 3) , 5- 1 5 . 19 Così G. CRISOSTOMO, Homilia in Epistula ad Colossenses, in Patrologia Greca 62,387. 1 5 54

LETTERA A TITO

b. Ipiù giovani (e le più giovani) (2,6-8) 6Inoltre esorta i più giovani a essere assennati in tut­ to, 7proponendo te stesso a tipo (forza trainante) di buone opere: insegnamento integro, comporta­ mento dignitoso, 8linguaggio sano e incontestabile (incensurabile) , in modo che, chi d è contrario, resti confuso (entrape) , non avendo nulla di male (di ne­ gativo) da ridire contro di noi. Ca) typon, an archetype serving as a function, archetypal type. Forza trainante (cfr. Accordance) .

6 «l più giovani siano assennati>}, non smodatamente esu­ beranti fino alla esaltazione, non presuntuosamente superiori agli altri, a motivo di qualche vantaggio fisico o di una acquisita più ampia sfera conoscitiva (in humanae sapientiae verbis: l Cor 2, 1 3) ; piuttosto stimino gli altri superiori a voi stessi (Fil 2,3b) . Una sana capacità di giudizio deve dare segni appropriati: nuovi modi di pen­ sare sempre in base a una consultazione quotidiana della Parola del­ la Fede in grado di far luce sugli interrogativi dei tempi in costante cambiamento20, e del «Vangelo di Paolo}} (J Tm 4,6) : essere sempre pronti a offrire le proprie persone (i propri corpi) come dono a Dio gradito, sacrificio santo e vivente, e questo "ora", nel tempo presen­ te (Rm 1 2, 1 ) . v.

20 Sull'argomento, cfr. già BASILIO m CESAREA (329-379) , Discorso ai giovani, M. Naldini (ed.) , Firenze 1 984, 88-89: la classicità sfida la novità cristiana. Con­ sultare i classici con il messaggio evangelico, cogliere ciò che è utile, riconoscere la diversità, scoprire la superiorità. La linea paolina permane e si inoltra nei secoli: non eliminarli, ma soppesarli in forza della "sapientia Crucis et Resu"ectionis". AGOSTINO, De beata vita 4,34, conferma. Nel momento storico contemporaneo la linea paolina resta prioritaria: multiculturalità e in-terculturalità e rispetto dei diversi profili culturali, evitando il soffocamento della globalizzazione (pseudo-) culturale. È richiesta una buona capacità di selezione tra i molti messaggi e di consolidamento continuo del proprio profilo cristiano.

1 555

Cesare Marchese/li-Casale

7-8 Tito: forza trainante, typos. Proponga se stesso! Sia di «insegnamento integro, comportamento dignitoso, lin­ guaggio sano e incensurabile»: tre valori in sé ottimi. Essi tuttavia, per potersi visibilmente proporre all'attenzione dei credenti, esigo­ no che Tito ne sia forza trainante, attraverso un credibile stile di vita in grado di motivare, chi ne prende atto, a compiere opere buone, quelle in particolare che rispondono di fatto al progetto di Gesù il Cristo, secondo la proposta del 'Vangelo di Paolo', "le sane parole che hai udito da me, il 'deposito' da esporre con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi" (2Tm 1 , 1 3- 1 4) . Tale esposizione sia chiara e lineare, «viva ed efficace, capace di penetrare fìno alla divisione dell'animo e dello spirito, onde discernere i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4, 12) ; sia coerente con l'insieme del messaggio bi­ blico (approccio canonico) ; sia sensibile al profilo antropologico e storico del destinatario, l'uomo in situazione. Il tutto sia trattato con santa venerazione, come richiesto dalla santità di quella Parola. Se «chi ci è contrario non avrà nulla di negativo da ridire contro di noi», anzi si vedrà spinto a riconsiderare la propria opposizione (v. 8b) , sentendosi come confuso (entrape) e costretto da tanta novità e coerenza a riconoscere la bontà dello stile di vita del pastore e del suo gregge, ciò sarà un prezioso risultato. Questa testimonianza è inoltre persuasiva per il mondo che osserva perché carica di agape, cioè di quella solidarietà disinteressata che fa dei credenti 'fratelli e sorelle' (Mc 3,34-35). Resta comunque necessario fare i conti con opposizioni pres­ soché inevitabili, ma non fatali, anche perché spesso ingiustifìcate. «Di esse non mi vergogno . . so infatti in chi ho creduto» (2Tm 1 , 1 2) ; del resto è questo il normale appannaggio di chi vuole vivere alla sequela di Cristo Gesù (2Tm 2, 1 0- 1 1 . 1 2) . L'unità prevale sul conflitto, è vero, ma il conflitto ne è un percorso produttivo. Il rapporto non è del "prima e dopo", ma del "et-et" , una ininterrotta dinamica circolare. vv.

.

1 556

LETTERA A TITO

Lavoratori e datori di lavoro: un rapporto rispettoso, produttivo e reciprocamentefedele (2,9-10) c.

9Esorta gli schiavi-lavoratori a collaborare pienamen­ te in tutto con i loro padroni-datori di lavoro: cer­ chino di accontentarli, evitino di contraddirli, 10non commettano furto di sorta, mostrino piuttosto buo­ na e piena fedeltà (lealtà), per poter così rendere ono­ re in tutto all'insegnamento di Dio, nostro salvatore. vv.

9-10 Schiavi l lavoratori dipendenti l l padroni l datori di

lavoro. Al tempo di Tito la schiavitù è molto diffusa anche tra i credenti (cfr. in Fm il caso di Onesimo?) . "Paolo" avverte la necessità di trac­ ciare un loro profilo (estraendolo dalla sua personale esperienza in questo settore sociale e umano) e di affidarlo al loro pastore perché se ne appropri e ne faccia un punto nevralgico di un corrispettivo progetto pastorale. L'argomento è prevalentemente deuteropaolino: Ef6,5-8.9; Co/ 3,22-4, l e approda ai contributi tritopaolini in l Tm 6, 1 -2 e Tt 2,9- 1 0. Le quattro testimonianze si interconnettono e sono rivestite di un'attualità permanente che attraversa i secoli. Esse possono essere trasferite nella situazione contemporanea. Ciò atte­ sta, continuità, vivacità, fantasia e apertura alla novità da parte di comunità ecclesiali attente alle trasformazioni sociali.

i) Tt 2,9- 1 0 ed Ef6, 5-8 (apporto deuteropaolino) Un primo ricco rapporto intercontestuale su base interlessicale: Oi douloi l l Oi kyrioi Il hypakouete Il kata sarka Il hos to Christo. L'esortazione di "Paolo" al pastore di Efeso (Timoteo) non porta l'attenzione sulla ricompensa in denaro da difendere anche a mezzo di rivendicazioni rivoluzionarie. Sottende al contrario (in applica­ zione allargata) la spinta a rimanere nella 'vocazione-situazione in cui si è stati chiamati' ( I Gor 7,20) , ma non con avvilente rassegna­ zione, quasi vittime di un destino ingrato, piuttosto costruendo il 1 5 57

Cesare Marchesel/i-Casale

proprio stile di servizio ai padroni- datori di lavoro, ispirati dalla fede e animati dalla speranza: - con "timore e tremore", cioè con la consapevolezza di operare sempre sotto l'occhio vigile di Dio21, - e non solo di fronte ai padroni, - ai quali va reso un rapporto riverenziale che spinge a disporsi, - nella semplicità del cuore, - a servire a loro come a Cristo Gesù, - non dunque per essere visti lodati e considerati - né per far piacere agli uomini (kata sarka) , quasi vittime di individualismi non ben coniugati con la comunità lavorativa, - ma servi di Cristo dèditi, come Lui, a contribuire al progetto di Dio nella loro vita, - svolgendo il proprio servizio come reso al Signore Dio e non agli uomini. È innegabile il richiamo a una dinamica di interiorizzazione sen­

sosta. Scopo finale dell'esortazione: la vera ricompensa verrà dal Signo­ re, per lo schiavo e per il libero, per il lavoratore e per il datore di lavoro, secondo la misura del bene compiuto, avendo saputo gestire la situazione culturale in corso. Antropologia, meritocrazia, rispetto reciproco: il vero Signore è nei cieli e non fa acceptio personarum (preferenza di persone) .

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ii) Tt 2,9- 1 O e Co/ 3,22-4, l (apporto deuteropaolino) Pur essendo in piena sintonia con Ef6,5-8 presenta significative amplificazioni. Inoltre Ef6,5 e Co/ 3,22 si corrispondono quasi in­ tegralmente: Oi douloi Il Oi kyrioi Il hypakouete Il kata sarka Il. 21

È in senso del binomio "meta phobou kai tromos''. Cfr. M. ZERWICK M. GROVENOR, Grammatica! Analysis of the Greek New Testament, PIB, Roma 1 9965, 590: conscientiously in the fear of God: immettersi consapevolmente nel timore-amore di Dio, non nella paura di Lui. 1 558

LETTERA A TITo

- I lavoratori-servi sono esortati alla "obbedienza collaborativa in tutto" (corresponsabilità, cogestione) ; - nel reciproco ascolto; - ai padroni 'terrestri', anche se questi fossero dominati dai propri interessi (carnali: kata sarka), - essi svolgano il loro lavoro "temendo il Signore" ( Co/ 3,22 fìne) e non i loro padroni (Ef6,5), - di buon animo, con automotivazione, servendo il Signore, il Cristo. - La vostra ricompensa è la Sua eredità: * la giustizia di Lui abbatte l'ingiustizia umana e garantisce la pace interiore; * Egli stesso è la nostra eredità, già nel tempo presente, quando si affrontano i problemi secondo il Suo stile. Rivestire la sua menta­ lità, quella veicolata dal "Vangelo di Paolo". - La sua ricompensa è senza parzialità. ·

iii) Tt 2,9- 1 0 e J Tm 6, 1 -2 (apporto tritopaolino) . Essenziale il contatto interlessicale: douloi, tous idious despotas in J Tm 6 , 1 e in Tt 2,9. Un passo in avanti nella intercontestualità ri­ spetto a Ef6,5-8 e a Co/ 3,22-4, l : i 'servi, schiavi, lavoratori cristia­ ni' curino il loro rapporto con il 'padrone-datore di lavoro', sia egli credente o non credente. Al di là di ogni conflittualità elaborino in sé il sentimento di un grande onore nei loro confronti. La schiavitù ceda sempre più il posto alla servitù, frutto di critico ascolto obe­ dienziale (hypakouete).

iv) Tt 2,9- 1 0 (apporto tritopaolino) Contatto interlessicale: doulous idiois despotais hypotassesthai. Anche in Tt 2,9- 1 O la ricompensa in denaro da difendere non appare essere il punto più scottante, piuttosto la esaltazione dell'in­ segnamento di Dio a vantaggio dei problemi terreni e delle persone in essi coinvolte: che siano in ascolto di quell'insegnamento traen­ done vantaggio concreto. Il comportamento del servo-lavoratore, 1 559

Cesare Marchese/li-Casale

(ben suggerito dalla voce verbale hypo-tassesthai (cfr. note 1 6 e 1 7) , è il migliore ornamento di quell'insegnamento di Dio nella storia quotidiana: ne è oggetto il 'pacchetto lavoro'. E se tutto dovesse spingere verso sconforto e delusione, resta in piedi la certezza del­ la salvezza-redenzione già data in dono: tutto è redento. Questa certezza sia coraggio e forza per una ripresa. Il pacchetto "lavoro, padrone, lavoratore" è redento e redime. Nel dialogo istituziona­ lizzato: risolvere i problemi. Esso è infatti un vero ed efficace stru­ mento di lavoro. Si può ancora dire così: la "sottomissione" del lavoratore al dato­ re di lavoro (o altrove, della donna all'uomo, della moglie al marito, dei figli ai genitori) va intesa come interdipendenza tra persone di diversa età o/e responsabilità. Esse si ritrovano collegate l'una ac­ canto all'altra non per opprimersi, bensì per sostenersi in una causa comune, quella del lavoro e/o della famiglia. Maschilismo, antifemminismo, mentalità schiavista, sottomis­ sione supina dei giovani agli anziani e dei credenti alle autorità ci­ vili e religiose, non hanno spazio nella visione umana ed ecclesiale della "sottomissione". La dipendenza che ne deriva è impropria ed eccessiva. Essa, quella ecclesiale, si alimenta invece al dono della fede che ognuno ha ricevuto, spinge a vivere un rapporto di interdipendenza coordinata con le diversità delle generazioni e delle rispettive espe­ rienze, non ha in programma l'affermazione sull'Altro, piuttosto lo scambio reciproco del dono ricevuto da Dio, una ricchezza propria da condividere con l'Altro. Progetto umano e religioso cristiano di Paolo Apostolo: "carismi" da interscambiare (cfr. Rm 1 2,3-5; 6-8) . Schiavo sì, ma di Gesù Cristo ( Tt l , l ) ; schiavi dei propri padro­ ni, ma in correttezza e collaborazione (2,9) ; noi poi «eravano schiavi di ogni sorta di passioni» (3,3) , ora lo siamo, ma di Dio e della sua opera di redenzione in Gesù il Cristo, per l'uomo-umanità intera ( Tt 2, 1 1 - 1 5 e 3,4-7) . Schiavi e servi, nella interdipendenza convi­ viale: un Genere Letterario (GL) metaforico molto espressivo. Dalla 1 5 60

LETTERA A TITo

Legge che corregge alla Grazia che educa. Le dinamiche pedagogi­ che sono ben diverse22• Sottomissione consapevole: un valore unitario, un dono al po­ polo di Dio e di Cristo riscattato da ogni illegalità e purificato dal bagno di riconciliazione, libero nella pluralità delle diversità. Una catena di consensi in "sottomissione conviviale". Via maestra al fine: dialogo aperto23•

2. Pasqua e consapevolezzt� di essere ilpopolo di sua proprietà (2,1 1-14) a.

Celebrazione della benevolenza di Dio (2, 1 1-12) 1 1 lnfatti si è manifestato l'amore gratuito (charis) di Dio portatore di salvezza per tutti gli uomini 12che ci educa (training) a respingere l'irreligiosità e i desideri mondani e a vivere con sobrietà giustizia e religiosi­ tà nel mondo presente 13mentre attendiamo la beata speranza ( l ,2) che è la manifestazione della gloria del . nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo (o: del grande Dio e del nostro salvato re Gesù Cristo) 1 4il quale (alha dato se stesso per noi (blper redimerei da ogni iniquità (c) e purificare per sé un popolo che gli ap­ partenga (dlpieno di zelo per le opere buone.

1 1 « È apparsa la grazia (charis) . . . di Dio» (v. 1 1 ), il suo volto misericordioso. È il dono gratuito che Egli fa a tutti gli uomini di v.

22 Notevole il contributo di W. EISELE, Vom 'Zuchtmeister Gesetz " zur "er­ ziehenden Gnade " (Gal 3,24-25; Tt 2, 1 1-12). Religiose Erziehung in der Paulus­ tradition, in Biblische Zeitschrift 56 (20 1 2) , 65-84. Il confronto a distanza tra Gal (protopaolina) e Tt (tritopaolina) depone per un sondaggio interlessicale e

intercontestuale. Un buon contributo alla Dialogicità. 23 Si muove su questa linea J .L. Do CASSE, Paul, esclave, et la soumission, in Sémiotique et Bible 1 37 (20 1 0) , 29-37: analisi filosofico-antropologica di rilievo con risvolti nella fede vissuta. Questa descrizione è vera, è un grande ideale, non è irreale. 1 56 1

Cesare Marchese/li-Casale

tutti i tempi del Figlio suo, il dono della sua vita intera, fino alla morte di croce e alla tomba vuota. In forza della 'obbedienza col­ laborativa' di Gesù il Cristo, della sua consapevole adesione nella fede e fedeltà al Padre (Eb 4, 1 5b) , quella "grazia" fluisce da Lui su ogni sua creatura e la riveste di redenzione, giustificazione, rappaci­ ficazione con il Padre. Tutto ciò avviene nella fede, "obbedienza di fede", dichiarazione costosa, ma preziosa (Eb 5,7) . Tale dono gratuito da parte di Dio giusto, giustifica anche quan­ ti non furono eletti nel popolo eletto. È come una necessità di quel dono estendersi a tutti (l Tm 2,4} e offrirsi a tutti e a ognuno. Se c'è stata una trasgressione che ha investito l'umanità intera, la Croce ha reso libero l'accesso alla riconciliazione, anch'essa universale. «Se Gesù il Cristo è morto per tutti, anche noi tutti siamo morti con Luh> (2Cor 5 , 1 4) , ed è quindi appropriato che anche la "grazia-vita nuova", che da quella Croce-Tomba vuota promana, venga a tutti e a ognuno partecipata (Rm 5, 1 8) . Quel dono gratuito di ricon­ ciliazione con Dio è non solo per il popolo eletto, ma anche per i "cercatori di Dio", i Gentili di tutti i tempi calamitati dal (Fi/ 2,20-22). 1617

Cesare Marcheselli-Casale

l Con Su oun . . . tu invece, "Paolo" ristabilisce il collegamento con l , 1 5 dopo l'interruzione su Onesìforo ai vv. 1 6- 1 8 (Persona­ lia) . Se quelli dell'Asia, che pur hanno accolto il Vangelo di Cristo, rifiutano il "mio Vangelo", tu resterai di certo fedele anche al "mio Vangelo" destinato ai Giudei, ma ancor più ai Gentili (Gal l , 1 2) chiamati al Suo seguito dalla sovrabbondante grazia (en te chariti) del Cristo stesso. Tu, Timoteo, vivi e sperimenta sempre più che i due Vangeli sono in continuità fino a fondersi in un unico 'lieto annuncio', e che i due destinatari, Giudei e Gentili, sono chiamati dalla sua Croce a essere una sola realtà, costruita su una sola pietra angolare (Ef l 2,20b) , in forza proprio di quell'unico Vangelo (Ef 2, 1 4- 1 6) . v.

* Charis (2,1). Ragguaglio interlessicale e intercontestuale Quale prediletto figlio nella fede dell'Apostolo, Timoteo è esor­ tato a irrobustirsi nella (J Tm 6,9- 1 0) . Di lì allo squilibrio dei sentimenti il passo è breve e subentra, sempre più insistente, il fascino degli «affari della vita comune» (v. 4a) . v.

5 L'atleta. Anche noi siamo atleti: la nostra competizione è per la diffusione del Vangelo di Paolo, che è il Vangelo di Cristo; «per la fede del Vangelo» (Fi/ 1 ,27) noi "lottiamo in piena persuasione, con armov.

1 622

SECONDA LETTERA A TrMOTEO

nia di sentimenti". N e hanno già dato testimonianza "Sintiche ed Evodia", collaboratori di Paolo nella causa del Vangelo, lottatori tenaci insieme a Clemente (Fi/ 4,3) . Come per l'atleta sportivo, an­ che gli atleti del Vangelo devono attenersi alle norme, onde non venir squalificati: la corona di uomo giusto che Paolo si ripromette è quella che il Signore, giudice giusto, consegnerà in quel giorno a lui e a chi avrà annunciato con fedeltà e perseveranza il suo Vangelo (2Tm 4,8) . Gli annunciatori di un Vangelo diverso da quello an­ nunciato dall'Apostolo, stravolgitori del Vangelo di Cristo al quale Paolo dà il suo pieno assenso, si pongono da soli al di fuori della trasmissione autentica (Ga/ 1 ,6-9) . In presenza di quanti pensano di costruire su un "fondamento non posto dal saggio architetto Pa­ olo" ( J Cor 3, 1 0), cioè sulla pietra angolare che è Gesù Cristo ( J Cor 3, 1 1 ) , Timoteo, nella sua sensibilità pastorale, non abbia timore alcuno: «il lavoro di ciascuno (di essi) verrà alla luce» (l Cor 3, 1 3) . per essere appropnatamente soppesato: " se oro, argento, p1etra preziosa, legna, fieno, paglia" (l Cor 3, 1 2) . Stile letterario affidato al potere delle immagini, in metafora: il risultato s'impone da sé. .

6 Il contadino. Dal profilo dell'agricoltore deriva una successiva esortazione: i frutti della terra sarà l'agricoltore a raccoglierli per primo e a goder­ ne; sarà poi per sua gioia e soddisfazione che ne renderà partecipi anche altri. Inoltre, lavori fino al massimo della stanchezza: vera consolazione per lo spirito, irrobustimento salutare per il corpo. vv.

7 Timoteo tiri le somme per sé! Al fine, sappia di essere do­ tato di quel discernimento che lo guida a farsi carico delle ostilità e a gestirle con saggezza, a essere in piena forma nella competizione per la fede, a lavorare fino allo strèmo. Assaporata la gioia di questo lavoro, non potrà che continuare in esso. v.

Fazit. Tre dunque i criteri messi in luce da "Paolo" per un fecon­ do servizio ecclesiale: 1 623

Cesare Marchese/li-Casale

- da combattente militare (soldato) : affrontare le contrarietà; - da atleta: investire le proprie forze nella competizione; - da agricoltore: darsi cura fino al massimo della stanchezza.

2. Ricorda e trasmetti: Gesù Cristo è risorto. Due frammenti innologici (2,8-13) 8Ricordati (mnemoneue: tesi delle LP) di «Gesù Cri­ sto, risorto dai morti (una volta per sempre), dal seme di Davide», secondo il "mio Vangelo". 9A causa di esso io subisco avversità fino alle catene, come un malfat­ tore. Ma la parola di Dio non è incatenata. 10Per que­ sto sopporto pazientemente ogni cosa a favore degli eletti, affinché anch'essi ottengano la salvezza, quella che è in Cristo Gesù insieme alla gloria eterna. a.

uRicordati

• • •

,,:

ilprimo.frammento (2,8-10)

8 Ricordati di . . . (mnemoneue) . Che il nostro pensiero e i nostri sentimenti debbano essere sem­ pre rivolti al Signore Gesù Cristo è un dato acquisito (Eb 1 2,2) . Re­ sta tuttavia da chiarire l'insistente descrizione del suo profilo per di più da non dimenticare, anzi da ben ricordare: si tratta di un nucleo · del Vangelo di "Paolo". E non si p uò sottovalutare l'aggancio inter­ lessicale (egegermenon: v. 8) a un altro più ampio nucleo del Vangelo di Paolo "ricevuto e trasmesso" in l Cor 1 5,3a-4b (egegertai: v. 4b) e perciò stesso intercontestuale. Esprimono i credenti di Efeso la loro fede in Gesù il Cristo risorto secondo il "Vangelo di Paolo"? La domanda va a Timoteo: appuri questa situazione e si regoli poi di conseguenza. Cioè? Sottolinea l'Apostolo in J Cor 3, 1 0- 1 1 : "Io Paolo", «secondo la grazia di Dio a me data e da saggio architetto ho posto il fondamento. Un altro poi vi costruisce sopra. Ognuno però guardi bene come sopraedifìca. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che è stato posto: Gesù Cristo». v.

1 624

SECONDA LEITERA A TIMOTEO

Questa dinamica sottende la predicazione dell'Apostolo e come tale deve ricadere nel ministero pastorale di Timoteo. L'Apostolo s1. muove su due 1·mee m rapporto " et . . . et " e non " aut . . . aut" . Il Gesù che egli descrive è l'atteso eletto di YHWH dal seme - seno di Davide, dunque di stirpe regale, ed è anche il Risorto dai morti, il vi­ vente. Come tale va annunciato a Giudei e Gentili. E se i Giudei ne sono ancora in attesa, il giudeo Paolo Lo ha riconosciuto e incontra­ to sulla via di Damasco e, dopo più di tr� anni di ritiro nel Deserto nabateo 1 0, Lo ha annunciato ai Gentili che lo hanno già accolto con immensa gioia, portatore di una inattesa ricchezza di grazia. In quel discendente, di stirpe davidica, essi hanno riconosciuto il Risorto. Commenta IGNAZIO DI ANTIOCHIA: "Voglio (per cibo) il pane di Dio che è la carne ·di 'Gesù Cristo della stirpe l seme di David' . . voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile. . . . Egli è la bocca veritiera per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità". (Ai Tralliani 8, 1 ; 9, 1 . Cfr. anche CLEMENTE ALESSAN­ DRINO, Paedagogus 1 ,6) . Chiara professione e testimonianza di fede nel Gesù storico, veramente (a/ethos) morto, sepolto, risorto. (Nota questione doceta) . .

.

9 La Parola di Dio non è incatenata né incatenabile. Paolo è in catene: è un detenuto "nel Signore': (Ef 4, 1 ) , e ne è causa "il mio Vangelo" . Eppure, paradosso, egli è anche un inviato per il Suo Vangelo, una Parola che non può essere ridotta all'ina­ zione. L'Apostolo pone qui la Parola di Dio e il suo Vangelo, che è predicazione a servizio di quella Parola, sullo stesso piano. Entram­ bi non possono essere costretti ( Tt 1 ,3) . Già Isaia in 5 5, 1 1 ricorda v.

10

Vi si ritira lasciando Damasco prima della morte del Re Areta, avvenuta nell'anno 39. L'ernarca nabateo perseguita Paolo a motivo della sua predicazione tenuta in Nabatea-Arabia (anni 36-39) le cui disturbanti risonanze si fanno ben sentire dopo il suo ritorno a Damasco. Di qui la fuga carambolesca sullo stile di Giosuè 2, 1 5 (Raab e le spie calate dalla finestra) ; l Sam 1 9 , 1 2 (Davide calato dalla finestra). Cfr. Anche G. FLAVIO, Antichità Giudaiche V, l 5 (Raab e le spie) . Uno stile della Bibbia per porsi in salvo. 1 62 5

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che la Parola di Dio viene immessa nel mondo; inviata ai suoi eletti, essa ritorna a Lui solo dopo aver prodotto il risultato voluto. Questa dimensione della Parola è sempre attuale, non consce arresti.

10 Tutto io sopporto pazientemente (hypomeno) . . . . perché Paolo ben sa di essere agganciato a una Parola che è vittoriosa perché contrastata. Egli ben sa che la forza di quel Van­ gelo è vincente proprio nella debolezza dei suoi annunciatori (2Cor 1 2,9) . Inoltre Paolo sopporta tutto a favore degli "eletti". Anche le sofferenze di Paolo, e oggi le nostre, sono per coloro che Dio ha preordinato alla salvezza, cioè per tutte le sue creature. Egli ha ogget­ tivamente "stabilito" per tutte le sue creature che diventino soggetti­ vamente conformi alla immagine del Figlio suo, il Risorto, aderendo a Lui. Sarà poi Egli stesso a rinsaldare i suoi nella sua "testimonian­ za", a confermarli 'fìno al suo ritorno, in una fede irreprensibile, dono gratuito della sua grazia l charis (Rm 8,30; Fi/ 1 ,29) , fedeli al Dio fedele che chiama alla "comunione con il Figlio suo Gesù Cri­ sto Signore nostro" ( J Cor 1 ,7-9) anche quanti non avessero trovato ancora la strada verso la famiglia della fede, dei credenti, dei fedeli alla sua offerta di redenzione. Sopportare tutto pazientemente eleva la qualità della sopportazione che diventa così uno strumento di annuncio. Mai stancarsi di fare il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede (Ga/ 6,9- 1 0) . Enorme il risultato: quel Risorto ci chiama, i n quel suo giorno, ad aver parte alla sua glorificazione (2Ts 2, 1 4; Rm 8,30) ; i nostri "corpi" saranno glorificati come il Suo (Fil 3,2 1 ) . In vista di un simile traguardo preordinato dal Padre per tutti (soprattutto per quelli che credono) , si può ora capire meglio l'esortazione di "Pao­ lo" a Timoteo: sii buon atleta, agricoltore e combattente per un così magnanimo progetto, e disponiti a 'sopportare tutto' 1 1 • v.

11

Un frammento di catechesi battesimale focalizza nel Risorto il fondamento del Battesimo (pasquale) . In forza della connessione con la vicenda terrena di 1 626

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b. Trasmetti: "È vero il detto ,,. Il secondo .frammento (2, 1 1-13)

1 1È vero il detto:

"se siamo morti con lui, con lui anche vivremo. 12Se perseveriamo, con lui anche regneremo. Se lo rinneghiamo, anch 'egli ci rinnegherà. 1 3 Se siamo infedeli, egli resta fedele: non può ·infotti rinnegare se stesso». 1 1-13 Il frutto copioso della sopportazione. Un chiaro frammento innico {liturgia pasquale) , tra i più com­ pleti dei dieci che sono stati individuati nelle LP, quasi una risposta della comunità al suo pastore "Paolo"-Timoteo. Nella sua struttura simmetrica e brachilogica, ben riconoscibile, trasmette un articolato insegnamento da decodificare. Fa da antefatto a questo frammento innico un pensiero gene­ rale dell'Apostolo: giunti "nel suo giorno" innanzi a Lui per vivere sempre con Lui, saremo da Lui lodati e premiati. Di qui il tono parenetico (esortatorio) : - evitiamo di giudicare e disprezzare il nostro fratello; «Ciascuno di noi dovrà rendere conto di se stesso di fronte al Dio vivente» (Rm 1 4, 1 0- 1 2 da fs 45,23; 49, 1 8) e «davanti al tribunale di Cristo ciascuno riceverà secondo ciò che ha operato>> (2Cor 5, 1 0); - "il lavoro di ciascuno verrà alla luce e il Signore, nel suo giorno, saggerà alla luce del giorno e con il fuoco (metafora: il fuoco che purifica!) la consistenza del lavoro apostolico e l'operato di ogni sua creatura" ( J Cor 3, 1 3- 1 4) . vv.

Gesù d i Nazareth fino alla Croce, quel battesimo pasquale irrompe nella vita degli operatori pastorali e missionari (come Tito e Timoteo) e ne motiva l'azio­ ne continua perennemente animata dal Vivente-Risorto. Si veda G. GouRGUES,

"Remember ]esus Christ' (2Tim 2,8. 1 1 - 1 3) . From a Baptismal Instruction to an Encouragement Addressed to Missionaries, in Proceedings ofthe lrish Biblica/ Asso­ ciation 3 1 (2008) , 1 - 1 6. 1 627

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- Il discernimento appartiene al Signore il quale «illuminerà i segreti delle tenebre e svelerà i disegni dei cuori: allora sarà lode a ognuno da parte di Dio» ( 1 Cor 4,5). L'esortazione è a non giudicare. Su questo retrofondo si collocano i vari momenti del frammento innico.

1 1 «È vero il detto» ed è imprescindibile. "Paolo" non ha dub­ bi: le comunità efesine credono nel Vangelo di Gesù il Cristo e nel suo Vangelo. Qui intende rafforzare la credibilità di una Parola che va al cuore della Redenzione: * Se siamo morti con Lui, con Lui anche vivremo. - Chiaro lessico di risurrezione: morire con; vivere con; perseve­ rare con; regnare con. Gli saremo infedeli (lapsi)? Egli resta fedele! - Riconoscibile dialogicità di "Paolo" con Paolo in Rm 6,8: "Morti con Lui, regneremo con Lui", attendibile formula protocri­ stiana e protoliturgica. - L'Apostolo ne aveva già scritto in Rm 6,6: l'uomo vecchio, il primo Adamo, è stato crocifisso e portato a morte sulla Croce, con Lui. Da quella Croce è nato l'uomo nuovo, il nuovo Adamo, reso conforme all'immagine del Risorto. In quella morte sia Lui che noi con Lui siamo stati sepolti, seminati: ne usciamo "risorti" (Rm 6,5). Da quel giorno, cioè già "oggi", noi viviamo con Lui una vita intra­ montabile, noi che siamo i membri del suo Corpo che è la sua Chie­ sa, i consapevoli di essere redenti e quanti lo diventeranno nel corso della loro storia. La Redenzione è infatti continua e universale. v.

12 Se {con Lui) perseveriamo, con Lui anche regneremo. Perseverare nel suo stile di vita, nella sua passione, sofferenza, morte, esserne partecipi per godere della sua risurrezione, già "oggi" e poi con Lui regnanti nel suo regno eterno. * Se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà. - Formula dura che può avere il ruolo di una provocazione a ri­ pensare il proprio rinnegamento, dal momento che Egli non potrà che essere in definitiva se non "fedele". Questa è la sua natura. v.

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Non si tratta di rinnegare (apostasia) . Cristo e la fede in Lui (2 Tm 2, 1 3), ma di ritirare la nostra disponibilità a prendere parte, con gioia, alla Sua sofferenza ( Co/ 1 ,24) . Così anch'Egli non ci sot­ trae il dono della redenzione, ma solo il Suo sostegno nelle avversità della vita e, con strategia educatrice, resta in attesa che anch'esse diventino educatrici. Sarà necessario ridecidere la via dello Spirito, armonizzare i nostri progetti con i Suoi. Si tornerà a godere della sua vicinanza12• PAOLO esorta (Rm 8, 1 6- 1 7) : Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo eredi di Cristo, se soffriamo con Lui di quella sofferenza che redime (Fi/1 ,29), per essere con Lui e come Lui glorificati-tra­ sformati nella risurrezione (Fil 3, l O .12) , nella sua casa, ma anche partecipi fin da "oggi" a quella novità di vita che Egli, il Nazareno, ha avviato durante il suo "regno terreno" (carta magna: le beatitudi­ ni, Mt 5 , 1 -1 2) , nella città dell'uomo in marcia verso la città futura, quella di Dio (Eb 1 3, 1 4) . Difficile coordinare questa universalità della glorificazione con le restrizioni in l Cor 6,9- 1 0: una serie di persone escluse . . . perché non disposte alla perseveranza . . . o perché, meglio, esposte al "mi­ stero di iniquità" e poco nulla combattive? Cfr. ancora Ga/ 5, 1 9-2 1 ; Rm 1 ,26-3 1 ; Ef5,5. In verità, quel complesso di scorretti comportamenti a Corin­ to (l Cor 6, 9- 1 0: korinthidzein!) sono stati annullati nel Battesimo, "lavacro di rigenerazione" ( Tt 3,5), "evento" avvenuto una volta per sempre. Si tratta ora di restare fedeli a tanto potenziale rigene­ ratore. E anche nel caso in cui quello stile di vita ormai abbando­ nato (Lasterkatalog) dovesse riemergere, si riattinga al "lavacro di rinnovamento" ( Tt 3,5), al suo permanente potenziale sacramentale ( Tugendkatalog) . 12

Torna su questo aspetto in 2Tm (e in l Tm e in Tt) con sensibilità orientale S. STANISLAs, The Agon of the Servant of Christ in the Pastoral Epistles, in Indian Theological Studies 47 (20 1 0) , 73-95 allargando il campo semantico di 'Servant' dalle guide carismatiche ai singoli battezzati.

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13 Se siamo infedeli, egli resta fedele: non può infatti rinnegare se ste�so. Impossibile? Eppure vero e incoraggiante: anche a chi gli è infe­ dele Egli resta fedele, non si può smentire . . . e ci renderà partecipi della sua vita gloriosa, noi che siamo stati partecipi della sua passio­ ne, sofferenza e morte. Questa serie di fatti sono ormai "storia di salvezza, di redenzione"; Egli stesso non può che restar le fedele, ne è dopo tutto il principale attore e attuatore 1 3• La sua fedeltà rafforza la lealtà vacillante, corregge dalle deviazioni, spinge alla shalom! Da notare il magistrale adinato: l'impossibile diventa possibile. * Non poche le risonanze di questa celebrazione innologica (2Tm 2,8. 1 1 - 1 3) sparse nel resto di 2Tm grazie anche alla fonte dei Personalia. L'attenzione critica va alla dialogicità interlessicale e intercontestuale. Il MSC stesso esige un tale passo oltre i suoi mo­ menti forti: Storia della redazione, delle tradizioni, delle forme. In questo modo è molto favorita una fondata teologia biblica e una ben motivata attualizzazione (pastorale e spirituale) : un servizio alla comunità ecclesiali 14• v.

14a Retrospettiva: A Timoteo, alle comunità dell'Asia che fanno capo a Efeso (e a noi tutti) non resta che "ricordare, non di­ menticare" (tesi delle LP) quanto 2, 1 - 1 4a propone. E in prospettiva quanto 2, 1 4b-26 sta per comunicargli. v.

13 L'infedeltà umana è debolezza frequente. La risposta del Nazareno Risorto è invece fondata sul suo stesso amore gratuito (fino alla Croce-Tomba) e sulla perenne fedeltà di Dio della quale Egli, il Figlio, è progettualmente partecipe (Tomba vuota: il Vivente sempre attivo a nostro favore: Eb 7,25). Un piccolo poema di amore solidale (con la debolezza umana) e di amorefedele perché solidale con la elezione gratuita divina. Cfr. S. BÉNÉTREAU, Mini-poeme pour une double fidelité (2Timothée 2, 1 1 -13) , in Theologie Evangelique 10, 1 (201 1 ) , 1 5 -28, qui 21-23 e 27-28. 14 Segnalo ancora M. GouRGUES, "Rememberjesus Christ" (2Tim 2,8. 1 1 -13) , cit., 1 - 1 6, qui 5-9; 9-11.

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3. A confronto con opinioni settarie (2,14b-26) Il conflitto "interculturale" rende coraggiosi ed efficaci nel con­ fronto. Timoteo, discepolo 'prediletto', sia 'lavoratore e dispensato­ re di verità', getti fondamenta solide al palazzo ecclesiale, disponibi­ le ad accogliere "vasi diversi", e governi il tutto con saggia severità e mansuetudine (2, 1 4-26)15• Smarrimenti? Possibili. a.

Lo stile ornato della metafora (2,14-21)

Quanti si oppongono alla "Parola di Verità" hanno lo scopo di disorientare i credenti. Spingendoli a schermaglie verbali di nessuna utilità, li allontanano quasi insensibilmente dalla "perfetta cono­ scenza della verità (epignosis tes aletheias)" (cfr. J Tm 2,4; Tt 1 , 1 ; 2Tm 2,25; 3,7) , 'conoscenza esperienziale' che impegna tutte le fa­ coltà della persona e non la sola mente, come è invece per la 'cono­ scenza intellettuale' (gnosis) : una vera trappola tesa da Satana (2,26) , quel 'mistero di iniquità' sempre in agguato. I "santi", battezzati e credenti, resteranno ben saldi nella fede se agganciati alla "Parola di Verità". Subordinando ad essa ogni altro tipo di conoscenza (filosofie del tempo: J Cor 1 , 1 8-25), essi contri­ buiranno a qualificare la convivialità ecclesiale, cercheranno sempre il Signore con cuore trasparente. E più che combattere con la forza, si adopereranno per convincere con la bontà, e la mansuetudine. 15 Nell'abbondanza delle immagini e metafore in 2Tm 2, 1 -13 e 2,14-26 ri­ suona il pensiero classico di DEMETRIO (350-280 a. C.), De elocutione 232: "Lo stile ornato della lettera produce piacevolezza nel lettore auraverso . . . l'uso di antitesi ed eufemismi, metafore, similitudini, allegorie. In particolare i discorsi riprensivi devono correggere senza offendere". Secoli dopo GREGORIO DI NA­ ZlANZO (329-390 d.C.), nel solco della retorica classica, scrive nella Epistola 51.5: "Le lettere non devono essere secche, sgraziate, prive di eleganza, disadorne e non curate. Come dono da inviare ad amici, esse devono essere gradevoli, ma rifuggire da ogni forma di affettazione. Apoftegmi, enigmi e proverbi conferiscono elegan­ za e urbanità all'eloquio". Il "Paolo" di 2Tm 2, 1 -26 mostra sensibilità letteraria e acume psicologico.

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Quest'ultima reprime l'ira che turba la serena attività della ragione nel discernimento della verità. b. Metafora de/lavoratore dispensatore di verità (2,14-17) 14Rammenta queste cose [a te stesso e agli eletti di Dio: v. l O], scongiurandoli di fronte a Dio a non lasciarsi indurre in vane discussioni: esse sono di nes­ suna utilità, anzi disorientano coloro che le odono. 15Cura con diligenza di porti davanti a Dio in modo degno di ogni approvazione, lavoratore che non ha di che arrossire, leale dispensatore della parola di verità. 1 6Evita (dunque) discorsi profani e vuoti: essi infatti incrementano sempre più l'empietà 17e la forza in­ quinante del loro insegnamento si propagherà come una cancrena. 14-17 Nostro compito è attestare, testimoniare, esortare, persuadere, non polemizzare. Questo stile deve essere in sintonia con la Parola di Verità esposta solo e sempre di fronte agli occhi di Dio, alla presenza di Cristo Gesù, e deve trovare riscontro nello stile di vita da noi condotto. Le schermaglie di parole nascondono spesso il segreto intento di voler a ogni costo prevalere: febbre di cavilli, litigi, invidie, contese, maldicenze (l Tm 6,4) e rivelano "una mente guasta" (l Tm 6,5a) . Scopo: trasmettere "dottrine nuove" e guadagnare ad esse nuovi adepti sottraendoli al sano insegnamento del Vangelo (di Cristo, di Paolo) . Timoteo, invece, si ponga sempre alla presenza di Dio, cerchi solo la sua approvazione, da Suo buon lavoratore e collaboratore e dispensatore della Parola di Verità della quale mai dovrà vergognarsi. Metafora del lavoratore dispensatore: come spiegare questa im­ magine? Attendibile dinamica: - consultare la Parola di Verità - cogliere il senso motivato dalla situazione di allora e di oggi, all'insegna di un'interpretazione in armonica continuità, vv.

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- appropriata per destinatari sia Giudei sia Gentili ( Ga/ 2, 7) sia giudeocristiani sia etnicocristiani, quel nuovo volto del popolo di Dio chiamato a essere sua assemblea, ecclesiale, Corpo di Cristo nel tempo (Ef 1 ,22-23), assemblea regale nel Suo Regno (2Tm 2, 1 2a), risorti con il Risono (Rm 1 1 , 1 5 con l'Israele oggi ancora alla ricerca) . - Il Timoteo di ieri e tutti i Timoteo che seguiranno nella storia cristiana saranno veri lavoratori e dispensatori della Parola di Verità rispettando ne il senso, la proposta, l'esortazione, l'annuncio e ben soppesando la situazione del destinatario: al servizio della Parola al servizio dell'uomo contemporaneo, nel rispetto delle culture ieri come oggi. Una metafora in immagine suggerisce copiose interpre­ tazioni, in convergente armonia con il 'sano insegnamento' di una tradizione che non blocca, ma promuove.

La metafora suggerisce ancora: - dispensare correttamente la 'Parola di Verità' dopo una sana riflessione pedagogica sulla propria persona: *non vergornarsi di questo lavoro; * costruire un'armonia di sentimenti in sintonia con quelli dell'Apostolo (il suo Vangelo: Ga/ 1 , 1 2; 2,7) ; *una comunanza di intenti (Fil 2,Ib) *evitare contenziosità e vanagloria; *non mirare al proprio vantaggio, ma a quello del "Vangelo di Paolo" ( Ga/ 1 , 1 2) e della comunità ecclesiale; *«stimando gli altri superiori a voi stessi» (Fi/ 2,3) . Quest'ultima esortazione, non facile, sintetizza bene la progres­ sione psicoantropologica rilevata: conditio sine qua non. Un annuncio sano non potrà mai prescindere dalla "Parola della Croce" nella quale è il sovrabbondante e gratuito dono di Dio, la redenzione universale nel cui flusso noi oggi viviamo, in movimen­ to verso una maturità umana e pastorale al seguito dell'Apostolo (parola chiave: imitazione, meglio forza trainante) : 1 633

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- l Cor 4, 1 6- 1 7 Paolo, forza trainante, esorta Timoteo a segui do,

come già sta facendo e continuerà a fare (a Corinto, poi a Efeso) . - l Cor 1 1 , l: mettetevi al mio seguito come io mi sono messo al seguito di Cristo (forza trainante; Fi/ 3, 1 2b: afferrato da Lui) . - Fi/ 3, 1 7: fate a gara nel seguire le mie orme . . . non da nemici della Croce, ma secondo la "Parola della Croce" . - 2Ts 3,7: è conveniente che voi vi mettiate al mio séguito, nella disciplina del Vangelo (forza trainante) . - 2Tm 3, 1 0- 1 1 : Timoteo richiami alla mente l'esperienza vissuta al fianco di Paolo (Personalia) . Tutto questo è via sicura verso la maturità umana (Ef4, 1 3) nella fede. È la via più sicura per tener fronte alla forza inquinante di insegnamenti rischiosi che si propagano come cancrena. c.

Inserto dalla fonte dei Personalia: Imenèo e Filèto (2,18) questi tali appartengono già lmenèo e Filèto, i quali hanno deviato dalla verità, in quanto vanno in­ segnando che (la) risurrezione è già avvenuta, e scon­ volgono in tal modo la fede di alcuni. 18A

18 È accaduto a lmenèo e Filèto: un vero smarrimento. Essi affermano che la risurrezione è già avvenuta. Come spiegare allora la nostra gioia nell'attesa del ritorno del Maestro morto e risorto? È vero! A Corinto ( J Cor 1 5 , 1 2) vi è un movimento che nega la risurrezione. Questi, paradossalmente, hanno un migliore ascolto e raccolgono intorno a sé quanti la pensano allo stesso modo. Il problema resta aperto e può in seguito avere migliori risultati. Tut­ tavia, dire che la risurrezione è già avvenuta, significa posizionare nel passato ciò che in verità dovrà avvenire nel futuro, quando la pienezza dei tempi avrà raggiunto il "compimento". I due dispensa­ tori di un tale insano pensiero non sono in armonia con la "Parola di Verità". Sano insegnamento è e resta quanto Paolo annuncia: nel Battesimo vi siete rivestiti del Risorto. «Se dunque siete risorti con Cristo», vivete da risorti, cioè ( Co/ 3, l ) . I cristiani vivano dunque da risorti nel tempo presente in attesa di entrare nell'assemblea dei "santi", nel suo Regno eterno. Quell'ingresso potrà avvenire anche subito, quando 'sorella morte' accompagnerà i credenti (e non) dal­ la vita storica a quella metastorica, in un immediato incontro con il Risorto e con il suo amorevole e giusto giudizio (Eb 9,27-28) . Parere, questo, che va sempre più riscuotendo consensi16• Così IGNAZIO DI ANTIOCHIA saluta i cristiani di Filadelfia: « . . . chiesa ricolma di gioia nella passione del Signore e irremòvibilmente certa della sua risurrezione>> (Lettera ai cristiani di Filadelfia: saluto) . d. Metafora delle solidefondamenta (2,19) 19Comunque sia, le solide fondamenta gettate da Dio resistono e portano questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che gli appartengono>> [Nm 16,5] e ancora: «Abbandoni l'ingiustizia chi invoca il nome del Signore>> [fs 26,13; 52,11]. v. 19 Abbiamo qui un nuovo punto nevralgico del Vangelo di Paolo: i chiamati eletti sono e restano i giustificati per grazia. Tra di essi vi è chi risponde fedelmente con opere dello Spirito, ma anche chi non è altrettanto fedele, cedevole al modo umano di pensare e agire. Questi atteggiamenti interiori non sono facilmente indivi­ duabili anche da parte degli interessati. L'esortazione di Paolo in l Ts 5,22: «Esaminate tutto, ritenete ciò che è bene>> è già un criterio di valutazione molto efficace. Ma ciò che resta fuori ogni discussio­ ne è la fedeltà di Dio: Egli conosce bene i suoi, ne valuta equamente pensieri e opere, essi sono proprietà di Dio redenti in Cristo Gesù (Nm 1 6,5) . Un messaggio impegnativo: chi appartiene al Risorto Figlio di Dio è motivato a un comportamento santo. Chi invoca il Suo

16

Ne segnalo il profilo con relativa documeqtazione esposto nel mio com­ mentario su La Lettera agli Ebrei, Paoline, Milano 2005 , su Eb 9,27-28.

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Nome, è spronato a seguirLo nel suo stile di vita. Chi in Lui ha consociuto la Verità, è spinto a tenersi lontano da ogni ingiustizia: «Odiate il male voi che amate Dio» (Sa/ 97, I O); chi è risorto con Lui nel bagno lustrale di «rigenerazione e rinnovamento» ( Tt 3,5b) non potrà più essere a disposizione del "mistero di iniquità"' ma "offrire se stesso a Dio come vivente dai morti, per la sua giustizia" (cfr. Rm 6, 1 3) . Chi invoca il Signore, ha definitivamente abbando­ nato tutto ciò che Gli si oppone (fs 26, 1 3; 52, 1 1 ) . Ne dovrà tuttavia prendere atto al fine di proporre al tempo presente stimoli alterna­ tivi. Una revisione resta sempre possibile. L'ingiustizia non è una fatalità imbattibile. Timoteo e i suoi non dovranno mai vergognarsi del Vangelo della giustizia, piuttosto essere persuasi che un minimo di lievito fa fermentare tutta la pasta, co-costruttori di un palazzo dalle solide fondamenta, "nella storia, verso la metastoria". Prezioso il contributo etico anticotestamentario affidato a Nm 1 6,5 (Dio assiste in modo speciale chi gli è fedele) ; a fs 26, 1 3 (solo il tuo Nome invocheremo, nostro unico Dio) e a fs 52, 1 1 (la verità nel suo Tempio esige continua purificazione) . e.

Metafora dei vasi diversi (2,20-21) 20In una grande casa però non vi sono soltanto vasi d'oro o d'argento, ma anche di legno e di terracotta: i primi per usi nobili, i secondi per usi meno nobili. 21 Pertanto, chi di fatto si conserverà incontaminato da questi tali, sarà un vaso prezioso, santificato, utile al suo padrone, sempre pronto per ogni opera buona.

20-21 Chi interpreta e dispensa la Parola di Verità (i "detti e i fatti" del Signore Gesù) non può cadere nella ingiustizia. Lo rileva "Paolo" con la metafora dei vasi diversi. È l'uso diverso a precisar­ ne la diversità. Una comunità ecclesiale in crescita ne dispone in abbondanza: - chi, nel variare del proprio comportamento di vita, con valuta­ zione critica dei tempi in cambiamento, punta invariabilmente alla vv.

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gloria di Dio (secondo la Spirito, kata pneuma) , questi è vaso d'oro o di argento, nobile e prezioso; - chi si adatta al modo umano di pensare e agire (secondo la car­ ne, kata sarka) , questi è vaso di legno o di terracotta, meno nobile. Oro: resiste alla verifica del fuoco, attesta la qualità del ministero ecclesiale e la fedeltà alla Parola di Verità. Argento: esprime purifìcazione per una vita leale e sincera, nella santità, secondo la Spirito. Oro e argento: otterranno un apprezzamento elevato da parte del Cristo giudice? Legno e terracotta: un apprezzamento inferiore? Si può ritenere essere pensiero di "Paolo" che il Cristo giudice apprezzerà gli uni e gli altri per quello che, nella sua grande casa (le comunità cristiane nella storia) avranno saputo produrre, in base alle loro capacità, anch'esse dono gratuito di Dio, in Cristo, nello Spirito (carismi: J Cor 1 2 , 1 -11) . Allontanare chi pensa e opera diversamente? Posizioni decise a riguardo non mancano Iielle LP. Vengono però controbilanciate dalla esortazione ad agire, in questi casi, nella carità (agape) e nella mansuetudine (praythimia), nella speranza di recuperare all'armo­ nia ecclesiale quanti potranno comunque contribuire alla "unità nella diversità". Anche J Cor 3,1 0- 1 5 spinge in questa direzione: il "Vangelo di Paolo" richiama il fondamento, Gesù Cristo. Su di esso potranno costruirvi in molti e in stili diversi. Nessuno tuttavia potrà cambiare quel fondamento, ma ognuno potrà costruirvi in "oro, argento, pietre preziose, legna, fieno, paglia . . . Il lavoro di ognuno sarà adeguatamente apprezzato". Ed è richiesta una ben precisa at­ tenzione: «Ognuno guardi bene a come sopraedifica» (v. 1 0b). La diversità dei vasi sia benvenuta: offre la possibilità di identifi­ care bene il ruolo di ognuno nella koinonia ecclesiale (l Cor 1 1 , 1 9) 17• 17 La diversità dei "vasi" dà motivo a U. ScHNELLE, Die ersten

100 ]ahre

des Christentums (30- 1 30 n. Chr.), Stuttgart 2015, 224-226 di rilevare una volta an­ cora la necessità di ministeri appropriati perché il "deposito" (2Tm l, 1 4) venga ga-

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f. Metodologia ecclesiale: pedagogia tra saggia severità e

mansuetut/ine (2,22-26) 22Fuggi dall'esuberanza giovanile; insegui la giusti­ zia, la fede, l'amore, la pace, insieme con tutti quelli che invocano il nome del Signore con cuore leale. 23Evita sempre le dispute insensate e non educative, ben sapendo quanto esse facciano nascere solo litigi (J Tm 6,3-5). 240ra è necessario (dei) che un servo (doulos) del Signore non sia rissoso, piuttosto cor­ tese con tutti, capace di insegnare, tollerante, 25di­ sposto in tutta mansuetudine al confronto istruttivo con quanti gli si oppongono, nella speranza che Dio voglia concedere a loro il ritorno alla perfetta cono­ scenza.della verità 26e si svincolino così dalla trappola di Satana, dal quale sono stati accalappiati, perché ne compissero il volere. 22 Fuggire . . . inseguire. Ma cosa? Nella sua qualità di tren­ tenne guida carismatica, Timoteo curi bene mente e cuore in vista di adeguate azioni pastorali, ed esorti a inseguire ciò che vale. Ecco­ ne un Catalogo di cinque valori: - giustizia l l dikaiosune (Mt 5,6. 1 O): comportamento giusto verso tutti i fratelli e sorelle nella fede, bandendo la acceptio personarum; - fede l l pistis, quella che abita nel cuore dei rigenerati e rinnovati nell'acqua lustrale ( Tt 3,5b) , in permanente ascolto della Parola di Verità, mostrandone nella vita il salutare influsso; v.

rantito nella sua trasmissione dinamica nel pieno rispetto del suo contenuto come anche dei suoi destinatari (2,20-21 ). Timoteo e Tito hanno questo c6mpito come prioritario (JTm 1 ,3; Tt 1 ,5): nuove esigenze ecclesiali richiedono nuovi ministeri. Una creatività ecclesiale guidata dallo Spirito e in ascolto dei tempi in permanente evoluzione (At 1 3, 1 -3) deve provvedere alla convivialità armonica introdotta dal Cristo Gesù ( Gv 1 3, 1 - 1 5) e recepita dal suo "afferrato" al servizio dell'annuncio universale del Vangelo e della koinonia. "Die Sache Jesu geht weitd' (W. MARxEN, La risurrezione di Gesù di Nazareth, EDB, Bologna 1 970) .

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- amore solidale l l agape (Mt 5 , 4 afflitti; 5,7 misericordiosi) . Quale ((vincolo di perfezione)) (Co/ 3, 1 4), esso abbraccia un insie­ me di momenti della koinonia ecclesiale e ne è il tenore costante in quanto "sgorga da un cuore leale, da una buona coscienza e da una fede sincera" (J Tm 1 ,5). -pace l l eirene (Mt 5,9) : non date occasione di contrasto, piutto­ sto esaminare tutto con spirito fraterno. 'Operatori di pace'. - cuore leale l l ek kataras kardias (Mt 5,8) : verso quanti venerano e invocano il Nome del Signore, cioè tutti i membri della comunità ecclesiale. Ma prima di tutto verso Dio-YHWH. Efficace richiamo in Esodo Rabba 22 (84c) : in prossimità del passaggio del Mar Rosso, gli Israeliti sono invitati alla preghiera e alla purifìcazione del cuore. Tre le esortazioni: temere Dio, credere in Lui e, con riferimento a Gb 1 6, 1 7, liberare le proprie mani da ogni ingiustizia verso Dio e gli altri. Uno stile in armonia con il Vangelo delle beatitudini e il Van­ gelo di Paolo18• 23-24 Schiavo, sì, ma del Signore. In una comunità ecclesiale che vive sotto la spinta del "Vangelo della Verità", quello di Gesù Cristo Signore e quello di Paolo, non potranno mai mancare 'domande'. Del resto, l'uomo è per natura un cercatore; si interroga e desidera risposte. Impegno gravoso per Timoteo, un servizio alle sue comunità che esige da lui una proce­ dura pedagogica appropriata. Ben riuscito ne è il profilo: ciò che al v. 23 è negatività, diventa positività al v. 24: * alle dispute insensate subentrino quelle sensate e a quelle non educative altrettante, ma educative. Segno eloquente del successo vv.

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Ma Paolo e la tradizione paolina sono in dialogo con i Vangeli o in contesa con essi? Segnalo in generale il buon lavoro di inter(con}testualità (credo nuovo nel suo genere) di Eruc K. CH. WoNG, Evangelien im Dialog mit Paulus, Gotting­ en 2012. Forse meglio o anche: Paulus im Dialog mit den Evangelien? Cfr. JCor 1 1 ,23-27; 1 5,3 (vv. 1-1 1) .

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pedagogico sarà l'assenza dei litigi (già menzionati in l Tm 6,3-5), attraverso il reciproco ascolto e il rispetto dei pareri differenti, un vero arricchimento. Per Timoteo, poi, una energica azione di mo­ derazione assembleare. Il v. 24 focalizza necessità pedagogiche imprescindibili: - Mitezza e pacatezza combattono risse e litigi. Valore psicoan­ tropologico, tanto più solido quanto più sperimentato. Timoteo si eserciterà in questo con le sue comunità cristiane, come suggerito già in J Ts 2,7: «In mezzo a voi noi fummo tenerissimi, come una madre che nutre e riscalda (al petto) i suoi figli». E lo sarà anche verso quelli "di fuori" perché non abbiano da ridire e offendere la Parola di Dio, e anche verso quanti hanno deciso di allontanarsi dalla fede e dal Vangelo dell'Apostolo, nella speranza di un loro critico ripensamento. - Capace di insegnare e disponibile all'"aggiornamento perma­ nente". È il senso di didaktikos: Timoteo, guida carismatica, e col­ laboratori nel ministero ecclesiale siano in grado di dare risposte adeguate. Ciò è possibile se il contatto con le sane parole della fede nel Signore nostro Gesù Cristo e con il Vangelo di Paolo sarà un nutrimento quotidiano (l Tm 4,6) , un dialogo continuo con «la Pa­ rola di Cristo che abita in noi abbondantemente e spinge ad amma­ estrarsi e ad ammonirsi ed esortarsi a vicenda» ( Co/3, 1 6) . La qualità della vita ecclesiale se ne avvantaggia ampiamente. - Da ultimo, una maturità umana (statura di Cristo: Ef4, 1 3) e una fede in crescita permettono di avere la dovuta resistenza anche di fronte alla sofferenza, al contrasto, alla conflittualità, alle offese indesiderate, agli abbandoni della via maestra a favore di incerte vie traverse (i superapostoli di 2Cor 1 1 , 1 3 e contesto) . N o n cedere _ all'impazienza né alla provocazione dell'offesa, un male di ieri e di oggi. Vale invece Paolo in Rm 1 2, 1 7.2 1 : «A nessuno rendete male per male (v. 1 7) . . . Non !asciarti vincere dal male. Piuttosto, vinci il male con il bene (v. 2 1 )». 1 640

SECONDA LETTERA A TIMOTEO

Dunque schiavi del Signore, liberatore e redentore, per non esse­ re schiavi delle umane vicende 1 9• vv. 25-26 Confronto istruttivo con gli oppositori: deve avvenire sotto l'occhio vigile di Dio (Padre) , l'unico che può aprire gli orec­ chi all'ascolto del Vangelo della Verità, ne favorisce la conoscenza esperienziale (epignosis), ne guida la comprensione appropriata, ne promuove la crescita. Questo sostegno è per gli oppositori come un nuovo nutrimento, è liberazione da una rete insidiosa che è il lac­ cio di Satana, il 'mistero di iniquità'. Da lui accalappiati al servizio dei suoi malsani progetti, necessitano ora di una rinascita attraverso quella Parola di Verità a loro servita con appropriatezza, mitezza e pazienza evangelica. Si tratta di ridurre all'impotenza «i Dominatori di questo mondo di tenebra, gli Spiriti del male» (Ef6, 1 2). Questa operazione antropologico-pastorale, Hluminata e stimo­ lata dalle parole della fede, va condotta con amorevole comprensio­ ne e pieno impegno da parte nostra, del Pastore e dei suoi cristiani, in armonia con il sentimento di Cristo Gesù nostro Signore, sempre da sondare (''Detti e Fatti") . Al servizio leale del «Vangelo della gloria del beato Iddio» (l Tm l , I l ), ne andrà a sicuro compimento il progetto ivi contenuto.

19 Nel suo agile e denso voi umetto Paolo Apostolo, un lavoratore che annuncia il Vangelo, Cittadella, Assisi 1993, C. MESTERS si muove bene nella Scrittura Sa­ cra e rilegge in base a essa gli interrogativi della storia nell'oggi della Chiesa. Egli intuisce e afferma la liberazione dalle schiavitù umane come libertà a noi donata nella Redenzione. Liberazione nella Redenzione. Il resto segue.

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SECONDA LETTERA A TIMOTEO

SCRITTURA E TRADIZIONE: TERAPIA EFFICACE PER I MALI DEL SECOLO 3, 1 - 1 7

Ora "Paolo" si avvale del parallelismo sia antitetico sia sintetico (vv. 5.7. 14: parole vuote e opere concrete) e fa inoltre appello alla interrelazione tra la didaskalia e la sua fonte, la Scrittura Sacra e la sua ricezione protocristiana. In nome della lealtà verso questo binomio, Timoteo non sottovaluti la troppo facile accoglienza delle novità (3, 1 3; anche 4,3-4), che espongono all'allontanamento dal Vangelo (vv. 7.9). Il succedersi di questi momenti alterni è in movi­ mento: stanno lì lì per accadere (imprevedibilità) , non sono ancora accaduti (speranza che non accadono), potrebbero accadere (attesa ansiosa) , in parte accadono (vv. 6-7: presente storico) , in parte ac­ cadranno (vv. 1 -2: futuro apocalittico) . Una piena di sentimenti di difficoltosa selezione da parte di "Paolo" fa di 3, 1 -7 un'unità letteraria difficilmente riconducibile alla penna di Paolo. Ad onta delle possibili alterne vicende, la via maestra è indicata: Scrittura e Tradizione (in fieri) (vv. 1 6- 1 7), nell'ascolto di Dio e della storia umana. Timoteo ne è all'altezza: è egli stesso "uomo di Dio".

l. Nei momenti difficili vigilante f!llerta (3,1-7) 3

1Sappi ancora questo: negli ultimi giorni si presen­ teranno momenti difficili. 2Vi saranno infatti perso­ ne egoiste, avide di denaro, vanagloriose, arroganti, maldicenti, senza amore per i genitori, irriconoscenti e prive di rispetto per le cose sacre; 3uomini incapa­ ci di amare, di curare rapporti umani, calunniato­ ri, senza misura, intrattabili, non facili a operare il bene, 4traditori, temerari, accecati in permanenza da 1 643

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se stessi, attaccati più ai beni della terra che a Dio. 50stentando solo esternamente una vita religiosa, ne rifiutano di fatto il potenziale interiore. Guardati an­ che da questa gente. 6Proprio a questo gruppo infatti appartengono quei tali che si insinuano nelle case e riescono ad accalappiare donnette cariche di peccati, in preda a desideri di ogni genere. 7Esse sono sempre pronte a imparare, ma non riescono mai a raggiun­ gere la conoscenza della verità. v. l Imminenti tempi oscuri, forse già in corso. Vi è ancora qual­ cosa che Timoteo deve conoscere in tempo utile: sono in arrivo giorni difficili, e saranno questi gli ultimi giorni (3,l)? Ultimi, cioè prossimi, imminenti, segnalati in tono apocalittico. Se ne ha la de­ scrizione al dettaglio in un Catalogo (cfr. Appendice 1 : Cataloghi di comportamento) a tinte molto oscure, diciotto constatazioni in due riprese: otto più dieci ai vv. 2-4 e un'ultima riassuntiva al v. 5a. Esse non hanno lo scopo di ingenerare timore, piuttosto di spingere ad adeguati rimedi operativi e a revisioni di vita: che essa sia secon­ do le opere dello Spirito (kata pneuma) e non secondo le correnti mode umane (kata sarka, kata anthropon) . A tal fìne un rimedio è insostituibile: Timoteo compia il suo ministero di predicatore "a tempo opportuno e importuno, in ogni occasione favorevole e sfa­ vorevole, convincendo, rimproverando ed esortando, a seconda dei casi, avendo sempre come base solida il Vangelo sicuro" (2Tm 4,2) .

2-4 anthropoi: uomini e donne. Questi destinatari sono a prima vista gli 'uomini' in generale. Ne viene descritto il profìlo attraverso il Catalogo (Lastarkatalog) in 1 8 non-valori più l'ultimo riassuntivo (v. 5a) : una "ostentata" vita di fede apre la strada a vie traverse. Al v. 8 però sono presentati come credenti instabili nella fede, in opposizione alla parola di verità. A quando questi giorni oscuri? Timoteo ha seguito da vicino il sano insegnamento e il coerente stile di vita di Paolo suo maestro (v. vv.

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SECONDA LETTERA A TIMOTEO

l O) e viene caldamente esortato a restare saldo in ciò che ha appreso (v. 14) : se ne può dedurre che quei giorni oscuri sono già in corso. Già in l Tm 4, l "Paolo" informa Timoteo che lo Spirito «di­ chiara espressamente che negli ultimissimi tempi alcuni si allonta­ neranno dalla fede)) divenendo insensibili per la Parola di Dio: pur credenti, organizzano la loro vita non più secondo fedeltà alla Paro­ la di Cristo, «attaccati più ai beni della terra che a Dio>> (2Tm 3,4) . v. 5a Da credenti, sono fedeli a forme ufficiali di devozione spi­ rituale, ma questa loro religiosità è apparente, smentita dalle con­ crete decisioni basate più sulle loro opere che non sul "dono gratui­ to di Dio in Cristo". Questa loro fede traballa, poggia infatti su un instabile fondamento.

5b «Guardati da questa gente)). Risuona qui Rm 1 6, 1 7: Paolo esorta a osservare bene le situazioni e, in esse, uomini dal profilo di­ scutibile, contrari "a ciò che hanno appreso da me, 'il mio Vangelo' e, di conseguenza, infedeli a Cristo Signore nostro, al suo Vangelo. Anche in 2Ts 3,6 (deuteropaolina) risuona un'analoga forte esorta­ zione: «Nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo tenetevi lontani da chi si comporta non secondo la tradizione ricevuta da noi (Paolo, Silvano e Timoteo))), cioè 'il mio Vangelo'. Sono vasi non preziosi. Al contrario, ((chi di fatto si conserverà incontaminato da questi tali, siuà un vaso prezioso, santificato, utile al suo padrone, sempre pronto per ogni opera buona)) (2Tm 2,2 1 ) . Allontanare costoro? Nella pedagogia pastorale fì n qui emersa, resta comunque l'impegno a favorire il buon rapporto umano e nel­ · la fede comune con quanti subiscono scossoni devianti. così già in 2Tm 2,25-26: con mitezza, comprensione e, in primis, in forza di quella fedele solidarietà del Dio d'Israele che si sperimenta in assem­ blea liturgica: il memoriale della Pasqua (iniziata al Sinai-Horeb) e ora presieduto dalla Pasqua del Figlio Gesù il Cristo ((sempre vivo per intercedere a (nostro) favore» (Eb 7,25b). v.

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6 Da riprovare fino a evitarli sono quei falsi maestri che pro­ pagano insegnamenti devianti "di casa in casa", accalappiando don­ nicciuole (diminutivo dispregiativo) incostanti, di facili comporta­ menti, attratte da presunte novità religiose, dalle tesi più variopinte, ma incapaci di valutarie e di raggiungere invece il cuore della Parola di Verità, possibile solo in armonia con una scelta di vita etica solida e fedele. v.

7 Osserva IRENEO DI LIONE: Seguendo dottrine devianti di maestri non sani, essi (e anch'esse) "camminano su strade discon­ tinue, multiformi e incerte, . . . destinate a cercare sempre e a non trovare la verità . . . . Ci si deve invece rifugiare nella comunità eccle­ siale . . . e ivi essere nutriti dalle Scritture del Signore" (Adv. Haer. V, 20,2) . Così già in 2,5 tali falsi dottori denotano una "mente guasta"; in essa permane la prevalenza di ciò che è "falso" e, riprovati dalla fede, non ne potranno mai dare buona testimonianza. Dando spazio alla fede, invece, ne riceverebbero la forza necessaria per rivedere la loro posizione e dismettere così quel senso di intelligenza indipendente, espressione di un orgoglio non sano. v.

2. La tipologia di Iannes e Mambres (3,8-9) 8Corne (i maghi) lannes e Marnbres opposero resi­ stenza a Mosè, così anche questi si oppongono alla verità; sono uomini dalla mente corrotta, non hanno dato buona prova di fede. 9Ma non faranno alcun vero progresso. La loro stol­ tezza infatti sarà a tutti manifesta, come lo fu anche quella dei due maghi antichi. 8-9 Si consideri il caso dei maghi egiziani Jannes e Jarnbres (forse figli o discepoli di Balaarn: Nm 22,22) : di fronte al Faraone si opposero a Mosè per impedire che Israele venisse liberato. vv.

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SECONDA LETTERA A TIMOTEO

In Es 7, 1 1 - 1 2 i loro nomi non vengono menzionati, ma la loro opposizione a Mosè e Aronne è chiara: i loro bastoni, gettati al suo­ lo, si trasformarono in serpenti. «Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni» (Es 7, 1 2) e oscurò così la scienza dei maghi che resta­ rono smascherati nei loro incantesimi. Come per essi, così sarà anche per i falsi maestri nella fede: pur in grado di ascoltare il Vangelo di Cristo, il Vangelo di Paolo, non ne assimilano nella fede il potenziale, preferendo regolarsi secondo le proprie presunte persuasioni. La loro sensibilità religiosa non è orientata verso il Cristo Crocifisso (cfr. J Cor 1 , 1 8-20) . Preferisco­ no la conoscenza umana l gnosis (non avvertendone i molti limiti) alla superiore conoscenza (epignosis l paratheke) che la fede propone ( J Tm 6,20-2 1 ) . Avverrà con il tempo il contrario: la Verità del "deposito l para­ theke" si imporrà con il suo peso e, come già i maghi egiziani, anche questi falsi maestri saranno smentiti. Come a dire: la Verità vuole i suoi tempi, non solo di proposta ma anche di autoaffermazione e di testimonianza (cfr. G. CRISOSTOMO . . infra, in 2Tm 3, 1 4- 1 5, p. 556) . .

3. Dalla fonte dei Personalia (3,10-11). 10Tu invece (su de) mi sei stato sempre vicino: hai seguito da vicino il mio insegnamento, il mio stile di vita, i miei progetti, la mia fede, la mia longanimità, il mio amore, la mia costanza, 1 1le mie persecuzioni e i miei patimenti, come quelli che mi capitarono ad Antiochia, a lconio e a Listra. Quali persecuzioni non ho io sopportato! Eppure, da tutte mi ha libera­ to il Signore. 10-11 Un Catalogo Decalogo. «Tu . . . mi sei stato vicino». Siamo al "come" della sequela: se­ guire l'Apostolo in alcune sue testimonianze di vita, raccolte in un vv.

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Catalogo Decalogo di dieci "virtù" (Tugendkatalog) , un prezioso vademecum per Timoteo. l. Segui il mio Vangelo. In primo luogo è il suo insegnamento che va seguito, quello da lui trasmesso (Rm 6, 1 7), a lui rivelato (Gal 1 , 1 2) , il Vangelo per gli incirconcisi (Ga/ 2;7), il "lieto annuncio" della non circoncisione nella carne, ma nello Spirito: potenza della sua risurrezione (Fil 3,3. I O-l I). Dio stesso è beato a riguardo (l Tm 1 , 1 1 ) . È il Vangelo della Sua 'sovrabbondante grazia' data a Paolo per portare a compimento il ministero della Parola a lui affidata da Dio ( Col 1 ,25). A tal fine, «benedetti da Dio con ogni benedizione spirituale in Cristo" (Ef3, l), noi ci adoperiamo per un tale annun­ cio, ben consapevoli del necessario contatto quotidiano con le "pa­ role della fede" e con il prezioso e nutriente Vangelo dell'Apostolo (l Tm 4,6) , perché ne sia abbondante l'inabitazione in noi (enoikeito en hymin plousios: Col 3,I6) che siamo il suo Corpo, la Chiesa di Lui che ne è il Capo. Nulla va tralasciato, nulla va indebitamente inserito. Fedeltà consapevole è richiesta. 2. Ricordati (tesi delle LP) : ho sopportato pazientemente ogni contrarietà al seguito di Cristo Gesù in vista della vita eterna (2Tm 2, 1 0). 3. Annuncia a ogni creatura che la via verso Dio presuppone che si giunga allo «stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 1 3), > degli uomini, attraverso il «corpo» che Dio gli ha donato, comporta l'esperienza della sofferenza e della morte, attraverso la quale Cristo è «reso perfetto>> (cfr. 2,9- 1 0; 5 ,7-8), libera gli uomini da ��colui che ha il potere della morte» (2, 1 4) e li «rende perfetti» (cfr. 1 0, 1 4) . La doppia qualifica di Figlio e di uomo che caratterizza Gesù permette di presentarlo fin dall'inizio come «sommo sacerdote mi­ sericordioso e degno di fede» in quanto mediatore tra Dio e gli 1 70 1

Pier Giorgio Paolini

uomini: misericordioso, perché ha sperimentato la sofferenza come ogni uomo; degno di fede, in quanto Figlio di Dio posto a capo della sua casa. Il suo sacerdozio, però, non ha niente a che vedere col sacerdozio antico, nato con Aronne, ma si pone in un «ordine» completamente diverso: quello di Melchisedek. Gen 1 4, 1 8-20 presenta Melchisedek come sacerdote con caratteristiche uniche ed irripetibili, nelle quali Ebrei vede profeticamente annunciate quelle del sacerdozio di Cri­ sto, successivamente proclamato tale dal Sa/ 1 09 { 1 1 0),4 (cfr. 5,5; 7, 1 7.2 1 ) . Il testo di Lv 1 6 fornisce ad Ebrei gli elementi per descri­ vere l'azione sacerdotale di Cristo. In esso è contenuto il rituale che Aronne, sommo sacerdote, deve compiere nel giorno dell'Espiazio­ ne. Egli deve purificare il santuario da tutti i peccati e da tutte le im­ purità del popolo: «purificherà il santuario dalle impurità degli lsra­ eliti e dalle loro ribellioni, insieme a tutti i loro peccati» (Lv 16, 1 6). Tale purificazione avviene per mezzo del sangue di alcuni sacrifici offerti; con il sangue di questi sacrifici egli entra nella parte più interna del santuario (il Santo dei Santi) e la asperge con il sangue: «scannerà il capro del sacrificio per il peccato, quello per il popolo, e ne porterà il sangue oltre il velo; farà con questo sangue quello che ha fatto con il sangue del giovenco: lo aspergerà sul propiziatorio e davanti al propiziatorio» (Lv 1 6, 1 5) . Terminata la purificazione egli esce dal santuario. In questo solenne entrare del sommo sacerdote oltre il velo del santuario, l'Autore di Ebrei intravede un significato profetico: Cristo che, come sommo sacerdote, entra nel «santuario celeste» dopo aver compiuto la purificazione dei peccati con la sua morte. Il sangue con cui viene compiuta questa purificazione non è quello di animali, ma il suo proprio. Il rito dell'Antico Testamento, perciò, anticipa profeticamente la realtà, cioè la morte e la resurre­ zione di Gesù e la salvezza che da esse deriva. Di conseguenza la sua opera sacerdotale si è compiuta una vol­ ta per sempre, diversamente da quella dell'antico sommo sacerdote che ogni anno doveva compiere il rito della purificazione dei pec­ cati. Cristo «è entrato una volta sola nel santuario» (9, 1 2); in 9,24 1 702

LETTERA AGU EBREI

si precisa meglio in quale santuario egli sia entrato: «Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani di uomo, immagine di quello vero, ma nello stesso cielo». E vi è entrato mediante il proprio san­ gue: «non attraverso sangue di capri e di vitelli, ma attraverso il suo proprio sangue è entrato una volta sola nel santuario» (9, 1 2) . Detto in altre parole, Egli si è offerto a Dio: «mediante uno spirito eterno offrì se stesso senza difetto a D io» (9, 1 4) . N ella sintetica espressione di l O, l O è detto: (7,22) e «mediatore>> (8,6; 9, 1 5; 1 2,24) . Essa non solo è (> richiede con1 706

LETTERA AGLI EBREI

tinua vigilanza nell'esortazione reciproca per evitare quell'indurì­ mento che porta alla infedeltà. Infatti si può avere accesso al riposo di Dio, che è ancora disponibile, solo se si rimane fedeli alle cose udite ed al sommo sacerdote degno di fede. Una prospettiva simile traspare anche dall'esortazione conclusi­ va di 1 0, 1 9-39, dove l'invito alla fede, alla speranza ed alla carità è giustificato dall'affermazione: «tanto più quanto vedete avvicinar­ si il giorno» ( 1 0,25). Verso la conclusione dell'esortazione ritorna sull'argomento del tempo dell'attesa da vivere con fede attraverso la citazione di Ab 2,3-4: «ancora poco, molto poco, colui che viene verrà e non tarderà» ( 1 0,37) . La visione del tempo è perciò quella tradizionale, anche se espres­ sa con grande ricchezza: al tempo della prima alleanza, della prima tenda subentra il tempo presente, in cui Cristo ha compiuto la sua offerta «una volta sola»; tutto nell'attesa del compimento e della pièna manifestazione. LA FEDE

Quale la risposta al dono di Dio che si è manifestato in Gesù? Ebrei risponde alla domanda dedicando alla fede una lunga trat­ tazione, dopo aver esposto nei capitoli centrali l'opera compiuta dal sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek: solo la fede infatti permette di accogliere il dono e di viverlo in modo adeguato. Tuttavia non bisogna attendere così tanto per trovare la risposta perché fìn dall'inizio l'Autore esorta i suoi ascoltatori ad accogliere il dono di Dio. Già in 2, l si trova la richiesta di «prestare maggiore attenzione alle cose ascoltate», cioè a quella parola che attraverso i testimoni proviene direttamente dal Signore: in caso contrario c'è il rischio di deviare. In 3, 1 vi è l'invito a guardare «all'apostolo e som­ mo sacerdote della nostra professione di fede, GesÙ»: Gesù è colui a cui gli ascoltatori hanno creduto ed a lui bisogna continuamente volgere lo sguardo interiore della fede. La lunga esortazione, che inizia subito dopo in 3,7, invita a guardarsi dall'infedeltà (3, 1 2), 1 707

Pier Giorgio Paolini

richiamando l'esempio negativo della generazione del deserto che non fu fedele e per questo non poté entrare nel riposo di Dio (3, 1 9) . Iniziando la parte centrale della sua trattazione, dove intende presentare l'opera che Cristo come sommo sacerdote ha compiuto, l'Autore esorta ancora i suoi ascoltatori a non essere pigri, ma ad imitare coloro che «per mezzo della fede e della costanza ereditano le promesse» (6, 1 2) : il riferimento è ad Abramo, che subito dopo viene presentato. Termi nata la trattazione l'Autore può invitare i suoi ascoltatori ad assumere quell'atteggiamento di fede che per­ mette loro di percorrere la via che Cristo ha aperto e attraverso la quale ci si può accostare a Dio: «accostiamoci -con cuore veritiero in pienezza di fede» ( 1 0,22) . Insiste ancora alla fine della stessa esorta­ zione attraverso le parole del profeta Abacuc: > ( 1 3,7) . 1 708

LETTERA AGLI EBREI

La continua esortazione è giustificata dalla preoccupazione fon­ damentale dell'autore che la fede possa venir meno dinanzi all'in­ calzare delle prove esterne, come le persecuzioni, e per il crescere di una incertezza interiore che potrebbe renderli vacillanti nell'adesio­ ne a Gesù, unico sommo sacerdote, che ha compiuto una volta sola l'offerta di se stesso per donare la salvezza di Dio. lL TESTO E

LA

SUA STRUTTURA

La struttura di Ebrei è particolarmente raffinata dal punto di vista letterario: chi ne intraprende la lettura, anche in traduzione, si rende conto di trovarsi dinanzi ad un testo pensato e sviluppato in modo sistematico. Essa è rilevabile se si presta attenzione agli ele­ menti strutturali, di cui qui vengono richiamati i principali. ANNUNZI DI TEMA

Un annunzio di tema introduce l'argomento che l'Autore inten­ de sviluppare successivamente: è riconoscibile per la sua posizione perché si colloca alla fine di una parte con lo scopo di introdurre la successiva. Questa caratteristica è accompagnata da una seconda: l'annunzio contiene un elemento di novità rispetto a quanto detto sino ad ora, elemento che sarà l'oggetto della trattazione seguente. Il primo annunzio si trova in l ,4: «divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro il nome che aveva ereditato)). Siamo alla conclusione del prologo della lettera e, rispetto a quanto detto precedentemente, l'autore instaura il rapporto tra il Figlio e gli angeli per mostrare la superiorità iniziale e finale del primo rispetto ai secondi, ciò che poi viene sviluppato a partire da l ,5 sino a 2, 1 8. Il secondo annunzio compare alla fine di questa parte ed introduce il titolo di sommo sacerdote riferito a Gesù: «doveva somigliare in tutto ai fratelli, perché divenisse sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio per espiare i peccati del popolo)) (2, 1 7). Altri annunzi si trovano in 5,9- 1 0; l 0,36-39; 1 2, 1 3. 1 709

Pier Giorgio Paolini VOCABOLARIO CARATTERISTICO

Lo svolgimento di un determinato tema richiede un vocabolario corrispondente. Di fatto in Ebrei vi sono termini prevalenti in una parte che servono allo svolgimento del tema e poi scompaiono nelle parti successive. Si può fare un esempio. In l ,4 è stato annunziato il tema che verrà svolto successivamente: il Figlio è superiore agli angeli. Il termine caratteristico è angelo che infatti compare abbon­ dantemente nella parte successiva e poi scompare quasi del tutto da Ebrei: 1 ,4 . 5.6.7. 1 3; 2,2. 5.7.9. 1 6; 1 2,22; 1 3,2. CAMBIAMENTI

DI

GENERE LETTERARIO

Ebrei alterna in modo evidente parti in cui espone una rifles­ sione sistematica, e che perciò possono essere definite trattazioni, ad altre in cui invece prevale il modo esortativo, e quindi definibili come esortazioni. Ciò che le distingue è lo stile: nelle parti espositive il tema è trattato in terza persona, mentre in quelle esortative com­ paiono il «noi» ed il woi», come elementi caratteristici, ed il vocabo­ lario dell'esortazione. La prima trattazione, quella sul Figlio di Dio, compare in l ,5- 1 4 e termina con il riferimento a «quelli che devono ereditare la salvezza». I n 2, l vi è un improvviso passaggio al noi ed all'esortazione; in 2,5 ricompare l'esposizione, centrata questa· volta su Gesù in quanto divenuto partecipe del sangue e della carne. INCLUSIONI

L'inclusione non è semplicemente il ricorrere della stessa parola sempre e comunque; perché si possa parlare di inclusione è neces­ sario che essa si trovi all'inizio ed alla fine di un'unità letteraria. Un esempio evidente di inclusione che delimita un'unità letteraria è dato da 7, 1 . 1 O. I n 7, l si parla di . 1,2b-3. Viene ora presentata la posizione unica del Figlio prima in quanto oggetto dell'azione di Dio (v. 2b) e poi come soggetto di un proprio agire (v. 3). L'agire di Dio nei confronti del Figlio ha due punti di riferimen­ to fondamentali: la creazione iniziale e l'assoggettamento finale di tutte le cose a lui. La presentazione di questi due aspetti è in realtà 1717

Pier Giorgio Paolini

invertita perché l'Autore inizia affermando che Dio ha costituito il Figlio ). Si potrebbe tradurre questa espressione con «la sua parola potente)) ' come fa la traduzione CEI, ma conviene lasciare il testo come è: la parola del Figlio, che non è certo un suono ma manifestazione della 1719

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sua potenza, regge tutte le cose così come all'inizio le ha create (Sal 33,6: «con la parola del Signore furono fatti i cieli») ; il Figlio appare perciò mediatore della creazione e della sua sussistenza. L'azione storica del Figlio è definita come «purificazione dei peccati»: «dopo aver fatto la purificazione dei peccati». Prima di af­ frontare il significato di questa espressione è necessario risolvere un problema di critica testuale. I codici che appartengono alla tradizio­ ne bizantina presentano un'altra lettura rispetto a quella riportata nella traduzione: «dopo aver fatto la purificazione dei nostri peccati per mezzo di se stesso». È particolarmente significativa l'aggiunta , che è naturale conseguenza di quanto detto antecedentemente; - nei vv. 2,5- 1 8 vi è ancora una trattazione il cui oggetto è ora Gesù, (> da lui, il santificante: per questo possono essere chiama­ ti «santi>>. Ma non si ferma qui l'indirizzo perché essi sono indicati anche come «partecipi di una chiamata celeste>>: è Dio stesso che li chiama e li invita a partecipare alla sua vita; per il momento questo l'Autore non lo dice, ma sarà chiaro dallo sviluppo successivo della lettera. Egli invita i «fratelli santi» a