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Italian Pages 392 [385] Year 1980
NUOVO TESTAMENTO COLLABORATORI Paul Althaus t, Horst Balz, Hermann WoHgang Beyer 1". Hans Conzelmann, Joachlm Jeremias t, Eduard Lohse, Albrecht Oepke t, Karl Heinrich Rengstorf, Julius Schniewind t, Wolfgang Schrage, Siegfried Schulz, Eduard Schweizer, Gustav Stahlin, August Strobel e Heinz-Dietrich Wendland a cura di GERHARD FRIEDRICH VOLUME
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LE LETTERE MINORI DI PAOLO
PAIDEIA EDITRICE BRESCIA
LE LETTERE MINORI DI PAOLO
Commento di HERMANNW.BEYER, PAUL ALTHAUS, HANS CONZELMANN, GERHARD FRIEDRICH, ALBRECHT 0EPKE Traduzione italiana di GIANFRANCO FoRZA Edizione italiana a cura di GIOVANNI OnAsso
PAIDEIA EDITRICE BRESCIA
Titolo originale dell'opera: Die kleineren Briefe des Apostels Paulus
Obersetzt und erklart von HERMANN W. BEYER t, PAUL ALTHAUS t, HANS CONZELMANN, GERHARD FRIEDRICH, ALBRECHT 0EPKE t Traduzione di Gianfranco Forza Edizione italiana e traduzione del testo biblico
© Vandenhoeck & Ruprecht, GOttingen 1962 © Paideia Editrice, Brescia 1980
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cura di Giovanni Odasso
La traduzione del testo biblico è di proprietà della Casa Paideia. Ogni riprodu zione è vietata a norma di legge.
NUOVO TESTAMENTO PIANO DELL'OPERA in 11 volumi 1. Eduard Schweizer
Il Vangelo secondo Marco 2.
Tulius Schniewind
Ìl Vangelo
secondo Matteo
3· Karl Heinrich Rengstorf
Il Vangelo secondo Luca 4· Hermann Strathmann
Il Vangelo secondo Giovanni
5. Gustav Stahlin
Gli Atti degli Apostoli
6 . Paul
Althaus
La Lettera ai Romani
7 . Heinz-Dietrich
Wendland
Le Lettere ai Corinti
8. Beyer, Althaus, Conzelmann, Friedrich, Oepke
Le Lettere minori di Paolo 9· Joachim Jeremias- Hermann Strathmann Le Lettere a Timoteo e a Tito; La Lettera agli Ebrei 10. Horst Balz e Wolfgang Schrage
Le Lettere cattoliche
1 1. Eduard Lohse
L'Apocalisse di Giovanni
LA LETTERA AI GALATI Hermann Wolfgang Beyer nuova edizione di Paul Althaus
INTRODUZIONE
Non si sa con certezza chi fossero propriamente i «Galati» ai quali Paolo indirizza la sua Lettera. In Act. 1 6 ,6 ss . si narra che durante il secondo viaggio missionario Paolo si era diret to verso la Troade partendo dalle città di Derbe e Listra in Li caonia percorrendo la Frigia e «la regione della Galazia» , fino ai confini della Misia. In questo contesto l 'espressione « re gione della Galazia » può voler definire soltanto la regione nei dintorni di Ancira, l 'attuale Ankara. Secondo Act. 1 8 , 2 3 Pao lo ha attraversato ancora questo territorio durante il terzo viaggio missionario. In questa provincia verso il 2 7 5 a.C. si erano insediate alcune tribù galliche di ceppo celtico giunte in Asia Minore come avanguardia del movimento emigratorio dei popoli . Non possediamo però altre notizie circa l 'attività di Paolo fra queste genti . È sorprendente che nei due passi degli Atti non si parli semplicemente di «Galazia» , come si fa per la Frigia, la Misia e la Bitinia, ma invece di « territorio della Galazia» . Probabilmente il redattore voleva dire che egli in tendeva esattamente il territorio intorno ad Ancira, la Gala zia in senso stretto. Esisteva infatti una provincia romana co stituita verso il 2 5 a.C. sul territorio del regno di Aminta e che talvolta gli antichi Romani chiamavano anche « Galazia» . Tuttavia essa comprendeva, oltre alla vera e propria Galazia, anche grandi parti di altri territori dell'Asia Minore come , per es . , la Pisidia, la Licaonia e l'Isauria. Quindi rimane an cora da chiarire se Paolo abbia scritto agli abitanti del terri torio della Galazia nel senso degli Atti o a quelli della pro vincia romana. Se fosse vera quest'ultima ipotesi, vi appar-
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La Lettera ai Galati
terrebbero principalmente le comunità cristiane che conoscia mo da Act. I 3 e 1 4 localizzate ad Antiochia di Pisidia , a !co nio e Derbe. Ci sono buoni motivi a sostegno di ambedue le ipotesi per cui non è possibile dare una risposta definitiva al problema . Di conseguenza, per caratterizzare questi Galati dobbiamo utilizzare soltanto ciò che si può cogliere dalla let tera stessa di Paolo . Secondo 4,1 3 , l'Apostolo è stato per lo meno due volte presso i Galati prima di scrivere la lettera. Ha portato loro il vangelo senza pretendere in alcun modo che si vincolassero alla legge giudaica benché fossero pagani . Da parte loro essi hanno accolto con gioia la lieta novella e il loro rapporto con l'Apostolo è stato straordinariamente intimo, benché egli fos se ammalato quando si fermò a predicare tra loro (4,1 2-I5 ) . Dopo il suo ultimo soggiorno nel territorio della Galazia, tuttavia, erano penetrati nella comunità elementi giudaizzan ti ostili a Paolo . I mezzi, di cui costoro si servirono nel loro lavoro, possiamo dedurli dalla sua autodifesa. In primo luogo tentarono di togliere ai Galati la fiducia nell'Apostolo , affer mando che egli non era un discepolo immediato di Gesù per ché dipendeva a sua volta dai primi apostoli di Gerusalemme. Solo questi ultimi erano i veri apostoli e predicavano l'evan gelo integrale che essi, i giudaizzanti, portavano ai Galati per «completare » ciò che Paolo aveva « iniziato» (3 ,3 ). Per pia cere ai Galati ( I , I o ) e riscuotere più facilmente successo, egli avrebbe taciuto loro che poteva essere un vero cristiano solo chi osservava la legge mosaica. Certo anche i giudaizzanti non chiedevano ai Galati di sottomettersi a tutta la legge con le sue innumerevoli prescrizioni ( 5 , 3 ; 6 , I 3 ) ; esigevano, però , che accettassero alcune delle sue disposizioni fondamentali quali, per es . , la circoncisione (.5 ,2 ss . ), l'osservanza del sa bato come pure delle feste giudaiche ( 4,1 0 ). Evidentemente erano fautori di un giudaismo di tipo ellenista che, riguardo all'osservanza della legge, era più largo di quanto non lo fos se quello palestinese.
Introduzione
I3
Questi avversari di Paolo, tuttavia, non erano stati inviati su incarico di Giacomo o di Pietro. I capi della prima comu nità di Gerusalemme avevano infatti solennemente ricono sciuto che Paolo portava ai pagani l'evangelo genuino anche se egli non imponeva loro alcuna osservanza della legge ( 2, 6-ro). In questo senso l'ora decisiva del primo cristianesimo era ormai passata quando Paolo scrisse la Lettera ai Galati . Giacomo e, in modo ancor più accondiscendente, Pietro ave vano compiuto il grande passo e avevano riconosciuto come fratelli i pagani che non si sentivano legati alla legge, ne ave vano accettati i capi come veri apostoli, e avevano stabilito che solo i giudeo-cristiani continuassero a osservare la legge. Ma in Gerusalemme s 'era già sollevata l'opposizione . Infatti all'interno della giovane cristianità c'era un folto gruppo di persone che considerava assolutamente necessario accettare la circoncisione e la legge per essere veri cristiani. Questi uomini, guidati all'inizio da alcuni ex-farisei (Act. I 5 ,5 ), si trovavano quindi in opposizione anche a Giacomo e a Pietro. Il loro odio, tuttavia, era rivolto maggiormente contro Pao lo: dove era loro possibile - e quindi anche in Galazia - ten tavano di inserirsi nelle comunità paoline per conquistare al la loro ideologia i pagani convertiti dall'Apostolo 1• Non sappiamo da chi e in che modo l'Apostolo sia stato informato dettagliatamente di ciò che era accaduto presso i Galati e che ha dato origine al suo intervento . In ogni caso egli, molto probabilmente , non era in grado di intervenire su bito in loro aiuto. Cosl dettò la lettera sperando di riuscire a ricuperare i Galati dalla falsa via su cui li avevano adescati gli avversari e nella speranza di riconquistarli al vero evangelo. Non si sa nulla di preciso sul risultato di questa azione, ma r. Ultimamente, tuttavia, si è voluto vedere negli avversari di Paolo in Galazia non tanto dei giudaizzanti, ossia giudeo-cristiani favorevoli in modo radicale alla legge, quanto piuttosto gnostici giudeo> ai � dovevamo ricordarci, cosa di cui, onestamente, mi sono dato molta cura. -
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Quando Paolo si recò la prima volta da Pietro per cono scerlo, sapeva molto bene quale importanza doveva avere questo incontro per lui personalmente e per il suo ulteriore lavoro. Certo, però, allora non intui quali violente discussioni avrebbe avuto in seguito con il capo del gruppo dei dodici e in quale misura il destino della chiesa di Cristo sarebbe di peso dal loro esito. L'Apostolo era convinto di poter riuscire ad appianare rapidamente il contrasto tra la parte ellenista e quella di lingua ebraica della prima comunità (cfr. Act. 6 } . Nei quattordici anni seguiti al suo primo viaggio a Geru salemme, però, il dissenso si era manifestato molto più pro fondo. Prima ad Antiochia e poi anche in altre località della Siria e dell'Asia minore erano sorte delle chiese costituite prevalentemente da convertiti dal paganesimo. Già prima co storo avevano tenuto frequenti rapporti con la Sinagoga giu daica, ma non avevano mai pensato di accettare la legge cul tuale di Mosè. Essi professavano la loro fede nell'unico Dio che si era rivelato nella storia d'Israele. Tuttavia rimaneva loro estraneo l'orgoglio del popolo eletto. La legge non rap-
La Lettera ai Galati
presentava per essi un dono ancora più eccelso della grazia, bensì era un mezzo per riconoscere che né con il culto né con la stessa rettitudine morale si poteva guadagnare il regno dei cieli. Paolo li ha confermati in questa loro convinzione. Dove era giunto come missionario aveva annunziato l'evangelo che gli era stato rivelato a Damasco: Gesù Cristo aveva portato a compimento la legge, l'aveva superata e aveva introdotto uel suo regno la nuova era della libertà. Paolo, però, sapeva che i primi apostoli di Gerusalemme la pensavano diversamente. Per essi , e per i loro simpatizzan ti, la circoncisione era sempre rimasta il segno dell'alleanza con Dio . Ai loro occhi la legge non aveva perduto nulla del suo carattere di sacralità, del suo splendore. Le pie usanze dei padri erano così preziose, che non le volevano abbando nare pur sapendo di essere stati redenti da Cristo. L'Aposto lo dei pagani doveva essere agitato dall'inquietante interroga tivo se i discepoli di Gesù a Gerusalemme avrebbero ricono sciuto la sua predicazione. Da parte sua non poteva rinun ciare alle convinzioni che possedeva e non soltanto perché sa peva che l'obbligo della circoncisione e dell'osservanza della legge avrebbe chiuso all'evangelo le porte del mondo, ma perché amava quella Verità che alle porte di Damasco l'ave va conquistato. Tuttavia sapeva che avrebbe lavorato inutil mente, che « avrebbe corso invano » , se si fosse infranta la unione tra le comunità da lui fondate e il gruppo dei disce poli di Gesù, che avevano accompagnato il Signore dalla Ga lilea fino al Getsemani e che avevano fatto l'esperienza della pasqua e della pentecoste. La religione della rivelazione di Dio nella storia non può prescindere dalla connessione sto rica con l'evento costitutivo su cui si forma. Perciò Paolo doveva chiarire qual era la situazione delle sue comunità di fronte a questa connessione, e ciò significava concretamente la necessità di sincerarsi se i primi apostoli e la chiesa di Ge rusalemme riconoscevano lui e il suo lavoro . Questo è stato il motivo storico del secondo viaggio di Paolo a Gerusalem-
Gal. 2,I-IO
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me. Ciò non esclude affatto che sia stata una particolare rive lazione ad avere un influsso decisivo sull a sua decisione, anzi corrisponde in pieno al modo con cui egli pose la sua vita sot to la guida di Dio. 1 -5 . Paolo parte insieme con il suo fedele collaboratore Bar naba e insieme, come testimone della sua attività, prende con sé un etnico-cristiano che gli era particolarmente vicino : Ti to . A Gerusalemme descrive ai capi della chiesa, ovviamente in un colloquio privato, il fondamento, il contenuto e i risul tati della sua predicazione. La prima conseguenza è che Tito non viene costretto a farsi circoncidere e già questa è una de cisione veramente molto importante. Dalle parole di Paolo si comprende che c'era stata la richiesta che fosse circonciso, non da parte dei primi apostoli , bensl dei «falsi fratelli in trusi>> , cosi Paolo chiama i giudaizzanti, usando un'espressio ne volutamente forte e negando loro il diritto di chiamarsi con l'appellativo cristiano di «fratelli» . Era lo stesso gruppo che aveva distrutto la pace nella vita della chiesa di Antiochia e che ora cercava di guadagnare alla propria causa i Galati . Se Paolo in questo momento avesse ceduto, ne sarebbe an data di mezzo la verità dell'evangelo, che soltanto Cristo si gnifica salvezza . Perciò Paolo ha resistito. Tra le righe si ca pisce chiaramente che in altre situazioni, dove cioè non entra in discussione il fondamento della predicazione, può essere anche disposto a compiere una circoncisione, se ciò è utile all 'attività missionaria. Perciò non si possono contrapporre tra loro il netto rifiuto di Paolo alla circoncisione di Tito, e il fatto che egli stesso più tardi, per togliere ogni ostacolo alla sua attività, abbia fatto circoncidere Timoteo, giudeo per parte di madre (Act. 1 6,3 ). I due atteggiamenti sono ugualmente paolini . Alcuni ma noscritti, è vero, presentano delle lezioni varianti e tolgo no dal v. 5 le parole «non . . . loro neanche» di modo che il senso � che ne deriva, è opposto e cioè : Paolo avrebbe ce-
La Lettera ai G.Jlati
duto un istante. I teologi della chiesa antica, che avevano nel le loro mani un simile testo, riferivano la temporanea remis sività di Paolo, che il loro testo affermava, non alla questione se Tito doveva essere circonciso o meno, bensì collegandosi direttamente con il v. 2, al fatto che Paolo era venuto a Ge rusalemme soprattutto per presentare ai capi della chiesa pri mitiva il suo evangelo e udirne il loro giudizio in materia . In questo modo essi lasciano da parte il v. 3 che invece presenta una forte sottolineatura. La loro spiegazione non è , quindi, attendibile . Del resto errato , invece, sarebbe ammet tere, con alcuni interpreti più recenti, che Paolo avrebbe fat to circoncidere Tito per amore degli intrusi, che egli chiama col nome di «falsi fratelli» . Per motivi sia linguistici sia di contenuto si deve accettare la lezione che è maggiormente te stimoniata e che è presupposta alla nostra traduzione .
6-10 . I capi della chiesa primitiva pensano in modo del tutto diverso da quei falsi fratelli. Naturalmente nel citarli Paolo si trova in una posizione difficile. :Oa una parte vuoi mettere in evidenza che proprio gli uomini che contano, le «colon ne », hanno riconosciuto lui e il suo lavoro, d'altra parte non vuoi destare la falsa impressione che egli voglia far dipendere il diritto del suo evangelo, libero dalla legge, dal giudizio dei primi apostoli. Questo spiega perché voglia dire tutto in una sola frase. Paolo è certo della sua autorità e della sua predi cazione, sia che i primi apostoli siano d'accordo o meno ( 1,8 s.). Il loro è un giudizio umano ; che valore ha di fronte al fatto che la sua vocazione è opera di Gesù Cristo? In questo 3enso egli adduce il famoso proverbio ebraico che Dio non guarda alla persona (Ps. Salom. 2 , 1 9 ; Apoc. Hen. 6 3 ,8 ; cfr. anche Rom. 2 , 1 1 ) . In ogni caso, nella lotta contro i giu daizzanti che lo combattono appellandosi ai primi apostoli, Paolo mette in evidenza che i capi della chiesa primitiva non gli hanno imposto assolutamente nulla. Non hanno dato nes suna prescrizione riguardo all'osservanza di eventuali norme
Gal.
2,1-w
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della legge, né a lui, né agli etnico-cristiani. Si sono piegati al volere divino che si è manifestato nei successi della predi cazione missionaria di Paolo. Egli non voleva che riconosces sero la sua persona, ma la forza di Dio che operava in lui. Si giunse così all 'accordo che ha aperto la via all'annuncio di Cristo nel mondo. Il dialogo franco portò a un triplice risul tato ( cfr. anche il commento ad Act. 1 5 ) : r . Le colonne della prima comunità e gli apostoli dei pagani si diedero la mano a sigillare una comunione d'ora in avanti indissolubile. Gia como è nominato per primo. Come fratello del Signore, e grazie alla sua personalità ponderata e responsabile, dev'es sere stato il vero capo della comunità primitiva. Egli eviden temente godeva la fiducia dei giudeo-cristiani poiché osserva va la legge, e tuttavia per lui l'evangelo era al di sopra della legge. Al secondo posto viene nominato Pietro con la forma aramaica del nome onorifico datogli da Gesù : Cefa, che Pao lo, ad eccezione dei vv . 7 e 8 , usa in tutte le sue lettere. Il terzo è il discepolo prediletto del Signore. Fu un'ora storica il momento in cui questi tre uomini, veramente le colonne della chiesa, diedero la mano a Paolo e a Barnaba. 2 . Nono stante che si riconosca l'unità, rimane la distinzione fra giu-· dea-cristiani ed etnico-cristiani. La divisione del campo di lavoro che era stata prevista si dimostrò irrealizzabile. Era infatti impensabile che Paolo, fuori di Gerusalemme, potes se evitare i suoi connazionali o che Pietro rifiutasse l' evan gelo a un pagano che lo avesse chiamato, come avverrà nel caso del centurione Cornelio. E neppure si poté osservare una distinzione territoriale del campo di attività come mostrano la presenza del partito di Pietro a Corinto o la sua attività a Roma. La distinzione consisteva piuttosto nella realtà di fat to che i giudeo-cristiani volevano continuare a restare fedeli alla legge, gli etnico-cristiani invece ne potevano essere esen ti. Paolo ha accettato di lasciare aperto quest'ultimo proble ma perché il suo scopo, il riconoscimento del cristianesimo dei gentili senza circoncisione, era così raggiunto. 3 . Per su-
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La Lettera ai Galati
perare in qualche modo la divergenza che continuava ancora a rimanere, Paolo accettò, come unica imposizione alle sue comunità, di versare a Gerusalemme un'offerta da raccoglie re attraverso libere donazioni caritative. Ciò non significava soltanto un sussidio per i membri bisognosi della comunità di Gerusalemme, ma allo stesso tempo aveva anche il senso di riconoscere la posizione che la prima chiesa occupava nella storia del movimento cristiano. « l poveri » era un titolo ono rifico della prima chiesa preso dal linguaggio dell'attesa mes sianica degli ebrei . Altri commentatori (come Althaus in Rom. I 5 ,2 7 ) inten dono l'espressione nel suo senso letterale . In ogni caso Pao lo ha sempre dato alla raccolta dei doni per Gerusalemme una motivazione profonda, vedendo in essa un dovere di rin graziamento a cui erano tenuti i cristiani di tutto il mondo nei confronti della chiesa più antica ( Rom. I 5 ,26 s . ; I Cor. I 6, I ; 2 Co r. 8 ,I- I 5 ; 9 ,6- I 5 ) . Inoltre l'offerta ha anche svol to il ruolo di essere un vincolo di unione al di sopra di tutti i contrasti . La tradizione dei manoscritti e la credibilità della Bibbia. Il fatto presentato nell'interpretare il v. 5 ci rende attenti ad una questione che di solito non viene nemmeno percepita dal lettore che legga la Bibbia in italiano . Da dove prendono i traduttori il testo originale su cui fondano la loro traduzio ne ? Oggi non possediamo nemmeno più uno solo dei libri del Nuovo Testamento scritto dalla mano del suo autore. La Lettera ai Galati , di cui Paolo stesso di suo pugno e a gran di caratteri ha scritto la conclusione, quella stessa che poi dei messaggeri hanno portato in Galazia, è andata perduta . Prima però è stata trascritta, forse anche parecchie volte, perché anche altre chiese la volevano avere . Anche queste trascrizioni sono andate perdute . Quella che abbiamo è mol to più recente - la più antica è del sec. III - così che tra la redazione originale e quella che ci è rimasta vi sono ·per lo
Gal.
2,I-I O
4I
meno parecchie trascrizioni. Nel frattempo possono essere ac caduti due fatti : anzitutto i copisti possono aver commesso errori, oppure possono aver facilitato dei passi che sembrava no loro difficili o possono averli corretti secondo la loro opi nione. Il loro scopo infatti non era quello di tramandare do cumenti storici, ma libri di edificazione che le chiese potessero usare. Abbiamo numerosi esempi per ambedue i procedimen ti. Le nostre edizioni a stampa del Nuovo Testamento con servano tutte e due le versioni e il lettore e il traduttore de vono decidere quale delle tradizioni considerare genuina in ogni singola variante. Certo, non tutte le differenze sono spesso così notevoli co me in Gal. 2 , 5 dove una parte dei manoscritti dice esatta mente il contrario dell'altra . Infatti l'immagine di Paolo cam bierebbe se si pensa che egli abbia ceduto e si sia «sottomes so» proprio nel momento decisivo. Qui è in gioco tutta la sua personalità. Questo è lo stato di fatto, e ciò dà molto da pensare . Non è dunque per nulla vero, come ha affermato an che il protestantesimo per un certo periodo di tempo, che Dio ha posto un significato in ogni singola lettera della Bibbia. I problemi che invece si pongono sono ben diversi : perché Dio ha permesso che in un passo così importante - e anche in al tri - avessimo tradizioni diverse su ciò che vi era in origine ? Non si mette così anche in dubbio la credibilità della sacra Scrittura ? Anzitutto si può rispondere negativamente al se condo interrogativo. In ogni settore della tradizione storica incontriamo sempre le stesse difficoltà . Dove una persona rac conta ciò che ha visto personalmente, dove si tramanda que sta narrazione oralmente o per iscritto, c'è il pericolo che si abbiano delle falsificazioni . È necessaria quindi una certa fa tica, oltre che una buona capacità critica, per riuscire a sco prire la verità. Solo così nasce la conoscenza storica. Alla pri ma domanda invece si deve rispondere : evidentemente Dio vuole che anche per ciò che riguarda la conoscenza della sua rivelazione avvenuta nel tempo non ci leghiamo mai alla pa-
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rola e alla lettera, ma siamo costretti a fare la nostra scelta personale dopo aver attentamente vagliato tutta la tradizio ne neotestamentaria. Anche nella lettura della Bibbia Dio non esclude la nostra responsabilità, anzi la chiama in causa. La parola e la lettera della Bibbia non sono la rivelazione, ma soltanto testimonianza - e quindi soggetta ai limiti propri di una testimonianza umana - di un avvenimento in cui l'azione di Dio si è presentata come realtà. Proprio per le difficoltà della tradizione siamo posti di fronte alla realtà stessa - nel nostro caso di fronte alla figura di Paolo, testimone della ve rità di Dio nella sua totalità . Proprio perché costretti a deci dere siamo portati al di là della lettera, incontriamo lo Spi rito che è il solo a dare la vita. Ciò non significa una svaluta zione della parola, al contrario le si conferisce tutta l 'impor tanza che le è propria . Paolo ad Antiochia si oppone 11
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Pietro ( 2 ,n-2 1 )
Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi sono opposto a lui a viso aperto, poiché ( per il suo atteggiamento ) aveva torto. 12 Infatti, pri ma che giungessero alcuni inviati di Giacomo, egli prendeva cibo in sieme ai pagani. Dopo la loro venuta, però, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13 Alla sua ipocrisia si unirono anche gli altri Giudei tanto che anche Barnaba si lasciò atti rare nella loro ipocrisia. 14 Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità dell'evangelo, dissi a Cefa dinanzi alla comunità radunata : « Se tu, che sei Giudeo, vivi da pagano e non da Giudeo, come puoi imporre ai pagani di seguire costumi giudaici? » . H Noi che per nascita siamo Giudei, e non «peccatori pagani» , 16 sa pendo tuttavia che l'uomo non è giustificato in base alle opere della legge, ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, siamo giunti anche noi alla fede in Cristo Gesù, per essere giustificati dalla fede in Cristo, e non dalle opere della legge ; perché dalle opere della legge , non tanto per indicare la posizione metafisica di subor dinazione di Cristo al Padre, quanto per accennare che noi
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La Lettera agli Efesini
possiamo comprendere Dio solo tramite Cristo, soprattutto nella preghiera. La chiesa si può rivolgere a Dio «nel nome di Cristo » . Il contenuto della preghiera, accanto al ringrazia mento, è la supplica per la «illuminazione» interiore, ossia per la capacità di conoscere . La conoscenza in questo conte sto non è la cognizione razionale, ma la penetrazione del >, i «santi» (Col. I ,2 6 ) , e spesso anche chi ne è il tramite (Paolo : 2 Tim. I , 1 I ; Tit. I , 3 ; gli scritti profetici : Rom. I 6 ,2 5 ) . Il nostro passo ri vela la particolare concezione della chiesa, propria della Let tera, quando definisce come destinatari del «mistero » non più semplicemente i cristiani in quanto tali, ma il gruppo ri stretto degli apostoli e dei profeti . Oggettivamente la distin zione non è troppo grande , poiché anche negli altri passi la grandezza mediatrice è la predicazione. Tuttavia si sottolinea più vigorosamente che la fede è rapportata alla testimonianza di un determinato gruppo di persone. Rispetto alla gnosi ciò
La Lettera agli Efesini
significa che non ci si può elevare alla visione prescindendo dalla dottrina tramandata. D'altra parte una siffatta delimi tazione non deve far sorgere un gruppo ristretto di «iniziati» in quanto ha uno scopo universale, come dimostra il conte nuto del mistero, ossia l'incorporazione dei pagani nel corpo di Cristo . Questo effetto viene proclamato con solennità at traverso una triade retorica di concetti (e dali 'uso del termi ne artificiosamente composto «con-corpo» ) che non fanno al tro che riprendere quanto affermato in 2 , 1 9 . Essi, appunto, e l'intero brano 2 , 1 I ss . , ci permettono di approfondire il sen so del «con» dei tre termini . La rivelazione diviene operante attraverso la predicazione . L'attenzione, ora, analogamente a quanto avviene in 2 Tim. r , r i ; Tit. 1 , 3 , viene rivolta al tra mite autoritativo del ministero della predicazione : Paolo , «il più piccolo di tutti i santi» , colui che per grazia è ciò che è . Già lo stesso Apostolo , in I Co r. r 5 ,9 , indicava appunto in questi termini il suo rapporto con gli altri apostoli. Non si tratta di un sentimento di umiltà, ma di un modo per far ri saltare l 'opera della grazia . Identico è il senso del nostro pas so che dà pertanto un vero peso all'autorità di Paolo, e non la sminuisce . Tuttavia, rispetto a I Cor. , si nota una certa iperbole artificiosa (simile a 2 Tim. r , r i ) nella quale si tra disce la mano del successore : Paolo non è più solo l'ultimo degli apostoli, ma il più piccolo di tutti i santi (si dice addi rittura : « il minimo ») . I «santi » qui non sono i cristiani in quanto tali, ma gli apostoli e i profeti . Ancora una volta ci si allontana dal linguaggio paolino . La frase che segue ha il tono tipico delle profonde affer mazioni mistiche. « Illuminazione» è uno dei grandi motivi della mistica di tutti i tempi e indica l'intuizione dei mondi superiori. Tuttavia nel nostro passo, come pure nel v. 5 e in 1 ,9 , si vuoi definire «l'economia della salvezza», il che non è affatto una realtà mistica, ma consiste nel comprendere l'annuncio dell'azione salvifìca, non tanto nel senso di inten dere determinate definizioni dogmatiche, quanto nel senso
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che l 'uditore si rende conto di ciò che è avvenuto in sé : at traverso la predicazione diviene trasparente a se stesso . Gli ultimi termini del v. 9 non si possono tradurre con certezza in quanto il vocabolo greco «eoni» che si trova a questo pun to è ambiguo . Lo si può intendere in senso temporale : «pri ma dei secoli » , o in senso personale : «prima degli eoni» , os sia i primi esseri cosmici che abitano nei cieli. A favore della seconda ipotesi si può addurre il versetto successivo dove pa re che si contrapponga la notificazione del mistero alle «po tenze» che prima ne erano state tenute all 'oscuro . Questo senso corrisponde bene alla cosmologia della Lettera . Tutta via vi sono buoni motivi anche a favore dell'interpretazione temporale. Lo schema che abbiamo colto alla base del v. 5 , e che traspare anche nel nostro contesto, è strutturato in for ma temporale (un tempo - ora ) . Identico è poi il contenuto del passo parallelo di Col. 1 , 2 4 ss . , al quale in questo punto si fa riferimento . I O- I J . Se prima i destinatari della rivelazione apparivano i
tramiti degli uffici «fondamentali» e poi i cristiani in genere (v. 8 ) , ora essa è dischiusa a tutti gli esseri cosmici. La mis sione della chiesa s 'estende fino ad abbracciare tutto il co smo, essa è il corpo di Cristo che ricolma tutto lo spazio fra il trono di Dio e la terra . La sua estensione sorpassa la sua realtà visibile . Ne consegue una determinazione della fun zione della predicazione che potrà essere molto utile a colui che deve annunziare, qualora egli non si limiti a tenere dotte disquisizioni cosmologiche sulle potenze cosmiche . Le pote stà del mondo non sono oggetto di riflessione , ma si possono solo scoprire con la parola di Dio e demitizzare, tanto per usare questo termine . In questo caso esse perdono la loro si gni:ficatività e vengono smascherate nella loro realtà di mon do . La chiesa, quindi , non solo le supera quanto a estensione, ma ne trascende anche i fondamenti, cioè essa può predicare senza timore di fronte a ogni potenza del mondo , il quale, in
La
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Lettera agli Efesini
quanto creazione , viene considerato come ambito del regno di Dio . È un asserto che trova corrispondenza nell 'insegna mento gnostico dove indica la molteplicità delle forme feno meniche della sapienza che rimane unitaria . La manifestazio ne del mondo non è una serie di dottrine su come conoscere il mondo stesso ; essa è invece un procedimento sempre nuo vo nella predicazione la quale di volta in volta ha da rappor tare la realtà creata al suo creatore e in tal modo rivela la propria originalità . Ancora una volta si sottolinea l 'anterio rità temporale del consiglio divino sulla sua realizzazione temporale evidenziata dall'osservazione che esso venne rea lizzato «in Cristo » . Si completa e si definisce cosl l 'unità fra creazione, piano salvifìco e redenzione. Il motivo dell' « ac cesso» a Dio l 'abbiamo già ritrovato in 2 , r 8 dove gli abbia mo riconosciuto il carattere di formulazione del credo della comunità . La Lettera agli Efesini ha evidentemente presente Rom. 5 ,2 e torna a inserirsi nella sua terminologia . Attraver so ampi giri il pensiero è tornato al suo punto di partenza : termina la preghiera iniziata al v . r e la Lettera si avvia alla conclusione della sua prima parte. 6. Preghiera per la conoscenza 14
( J,I4·2 1 )
Perciò io piego le mie ginocchia davanti al Padre, 15 dal quale ogni generazione nei cieli e sulla terra prende nome, 16 affinché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati, mediante il suo Spirito, nell'uomo interiore. 17 Che Cristo abiti, me diante la fede, nei vostri cuori e cosi , radicati e fondati nell'amore , 18 possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza, l'altezza e la profondità, 19 e conoscere l'amore di Cristo che oltrepassa la conoscenza affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. 20 A lui dunque, che in virtù della potenza che opera in noi può tutto fare con sovrabbondanza superiore a quanto chiediamo o pensiamo, 21 a lui la gloria nella chiesa e in Cristo Gesù in tutte le generazioni del secolo dei secoli. v.
17:
Col.
r ,23 ; 2 ,6 s.
Eph. ),14-2 1
I 45
Il rapporto di paternità che lega Dio al mondo viene descritto con un gioco di parole che in italiano si potrebbe tradurre con : davanti al Padre dal quale ogni paternità pren de nome . In questo modo, però , se ne traviserebbe il signi ficato, poiché il termine greco non significa paternità, ma tri bù. Il pensiero è che tutte le creature, sia le «famiglie» ter rene che quelle celesti , richiamano il creatore. Si evocano, poi, attraverso diversi sinonimi , i doni della salvezza implo rati : il rafforzamento interiore, l'inabitazione di Cristo, la salvezza, la conoscenza. Se si parla con tanta insistenza del l'essere interiore dell'uomo , non è per dividerlo in due parti, quasi che la fede fosse essenzialmente sollecitudine per l'in teriorità. Vi si opporrebbero i capitoli successivi con le istru zioni per la convivenza nella comunità . « L'uomo interiore» indica invece l 'indivisibilità del nuovo essere . I concetti an tropologici non caratterizzano le parti sostanziali di cui l'uo mo è composto, ma l'uomo stesso in un determinato modo di essere : il «cuore» definisce soprattutto la facoltà di deside rare e di sentire, il commuoversi e il muoversi , il riconoscere ( r , r 8 ). «L'uomo interiore » è qui praticamente identico con > di un certo tipo e «portata » . In un gioco di parole intraducibile, questo motteggio viene contrapposto al ringraziamento definito il modo di parlare adeguato (eutrapelia - eucharistia ) . Ciò che non è possibile qui, nella comunità, lo è perché non è possibile là, nel regno di Dio . Colui che costruisce la propria esistenza su questi peccati non può entrarvi . Gli scrit ti più antichi del Nuovo Testamento parlano del regno di Dio, quelli più recenti invece parlano anche del regno di Cristo e, più tardi, quest'ultimo viene identificato con la chiesa. Ma nel nostro passo non è sicuramente questo il sen so dell'affermazione. Anche il regno di Cristo è nell'aldilà e praticamente è una sola cosa con il regno di Dio . Oppure per regno di Cristo si intende l 'epoca tra la risurrezione e il suo ritorno considerata quale tempo in cui il Cristo esaltato ri-
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ceve da Dio il mandato di regnare sul mondo (e non solo sul la chiesa ; I Cor. 1 5 ,24 s . ; Mt. 1 3 ,4 1 ) . Nel nostro passo il sen so è molto chiaro : si tratta di un solo e unico regno. Il fatto che accanto a Dio si nomini anche Cristo come reggente, ha lo stesso significato di quando, nel saluto iniziale, viene pro clamata la pace da parte di Dio e di Gesù Cristo . Degna di nota, per quanto difficile da spiegare, è l'identificazione della cupidigia con l'idolatria che si trova anche in Col. 3 ,5 . Pro babilmente a questo punto ci si rifà a una proposizione della dottrina giudaica. Un analogo collegamento si trova nel T e stamento dei XII patriarchi, una miniera di esortazioni per il mondo giudaico.
6- 1 6 . Seguono , in ordine sparso, ulteriori ammonizioni. L 'av vertimento «nessuno ha parte nel regno di Dio» viene sotto lineato dalla minaccia dell 'ira di Dio . Come nel caso di 2 ,3 non si tratta di un sentimento di Dio ma dell'effetto del suo giudizio . Ne consegue l'ordine di stare lontani dai «figli della disobbedienza » . Esso viene illustrato ulteriormente da una nuova contrapposizione tra un tempo e ora, e questa volta in una nuova espressione : le due forme di esistenza non si con trappongono come ma in quanto luce e tenebre, ossia due princìpi del tutto opposti tra i quali non vi sono stati inter medi . È una concezione che ha altri paralleli, proprio in un discorso analogo, nel Nuovo Testamento (Rom. 1 3 , 1 2 ; 2 Cor. 6 , 1 4 ; soprattutto nel Vangelo di Giovanni, cfr. per es . Jo. 1 2 ,35 s . ), ma anche in altri scritti . Accanto ai passi del Nuo vo Testamento or ora menzionati, sono particolarmente in teressanti e proficui per un'esegesi del nostro testo gli scritti di Qumran - uno di questi ha per tema la «lotta dei figli del la luce contro i figli delle tenebre» - e i Testamenti dei XII patriarchi, che è intimamente connesso con Qumran. Di que sto argomento tratteremo più a fondo spiegando i vv. 6, 1 0 ss. Luce e tenebre sono qui intese come due sfere d'azione di potenze opposte (cfr. 6, 1 2 ) nelle quali ci troviamo, di modo
Eph. j,I-2I .
che la nostra forma di esistenza coincide con l'ambito che ci avvolge : noi stessi siamo luce o tenebre, e a nostra volta noi lo siamo in quanto soggetti alla nostra sfera, ossia quali «fi gli » della luce o delle tenebre (cfr. a proposito di questa espressione I Thess. 5 ,5 ; Le. 1 6 ,8 ; Io. 1 2 , 3 6 ei i testi di Qumran) . Non siamo però oggetti inanimati , ma con la no stra attività realizziamo ciò che siamo (nella nostra «vita » ) e non possiamo scaricare la nostra colpa sull'ambiente . La luce porta i suoi «frutti» . Le espressioni sono attentamente sop pesate; quale contrapposto si dice intenzionalmente non «frutti » ma «opere» delle tenebre. Si tratta infatti di azioni che rimangono sterili . Analoga è la distinzione che troviamo in Gal. 5 , 1 9 . 2 2 : le «opere » della carne e i «frutti » dello Spi rito, e in Rom. 1 3 , 1 2 : le «opere » delle tenebre e le «armi » della luce (cfr . inoltre, a questo riguardo, Eph. 6 , 1 0 ss . ) . Tut to questo mondo categoriale mostra che questi frutti non pio vono dal cielo ; l'immagine di frutto e opera può venir scam biata con quella di armatura e battaglia. Quali figli della luce con la nostra opera dobbiamo separarci dalla sfera opposta . Non si intende una preoccupazione scrupolosa, una solleci tudine negativa per voler rimanere incontaminati dal « mon do>> e non fare nulla piuttosto che rischiare qualcosa. Anche il non fare nulla è un atteggiamento di cui si deve rispondere . Non ci si deve tenere lontani dalla persona dell'altro che sta andando in rovina, ma ci si deve «dimostrare », «manifestare alla luce », si deve cioè difendere il potere di Dio contro l'at tività delle tenebre, si tratta di svelare l'essere della luce (Io. 3 ,20 s . ) . È questo evidentemente il senso dell'�scura frase del v . I 3 a : la luce è ciò che rischiara ed è, al tempo stesso , la chiarezza. Nella concezione neotestamentaria «l'illumina zione» non è uno splendore, . ma una trasformazione nella lu ce (2 Cor. 4,3-6) . Per motivare questa frase sulla luce si fa uso di una citazione . La stessa formulazione iniziale («Per ciò è detto») aveva introdotto in 4,8 un passo della Bibbia . Ora, questa citazione non si trova nella Scrittura né in altri
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scritti a noi conosciuti . La forma è poetica e sia lo stile che il contenuto ci fanno supporre l 'esistenza di testi paralleli nella gnosi , dove in realtà si trovano passi analoghi. Proba bilmente si tratta di un detto battesimale o un frammento di canto battesimale, in quanto il battesimo è tanto «risve glio» che «illuminazione ». Cristo è la luce, ma per poterla vedere è necessaria la trasformazione. Nella gnosi l 'esistenza non destata viene definita sonno, ubriachezza o morte. Colui che non è stato ridestato, «l'uomo vecchio» , non sa affatto lo stato di perdizione in cui si trova, ne fa l'esperienza solo nell 'attimo in cui viene ridestato. Soltanto allora può com prendere che prima era sprofondato nel sonno da cui è sta to salvato . Detto in altri termini : si fa l'esperienza di esse re stati peccatori grazie alla parola che ci promette la sal vezza. Lo stato di peccato non va dimostrato all'uomo attra verso un'analisi morale o psicologica, ma va manifestato at traverso la predicazione dell'evangelo . Colui che è entrato nella luce può scorgere la propria via, giudicare le proprie azioni, vedere «come cammina» , dirigere la propria vita con la ragione poiché può conoscere la volontà del Signore . La frase che invita a «profittare » del tempo è stata inserita tra il v. 1 5 e il v. 1 7 (che ne costituisce la continuazione) e deter mina una durezza stilistica e una mancanza di connessione sotto il profilo concettuale. Presa isolatamente potrebbe tro varsi alla lettera in uno scritto sapienziale giudaico (cfr . Ecc!. 9 , r o ). Nel contesto di Eph. tuttavia il «male » è nuovo, ossia inteso in senso escatologico, nel significato dell' retto verso Dio e gli uomini poiché è consapevole di dipen dere da Dio e non vanta diritti di fronte a lui . L'espressione «lavorare per la salvezza con timore e tremore» puntualizza meglio il contenuto dell'obbedienza . Quando poi Paolo con tinua : è Dio che agisce in voi, non intende fare un arguto pa radosso, ma affermare una realtà che corrisponde al messag gio di tutto il Nuovo Testamento (Phil. 3 , 1 2 ; Mt. 4 , 1 7 ; I Cor. 5 ,7 ; 1 5 , 1 0 ; I Thess. 4,7 ; Col. 1 ,2 o ; Hebr. 1 3 ,2 0 s . ). Paolo non dice : «Aiutati che il ciel t'aiuta ! » ma scrive : poi ché Dio agisce, anche l'uomo può operare . Non la nostra azione causa l'intervento di Dio, ma l'intervento di Dio ren de possibile il nostro agire. L'opera di Dio consiste nel fatto che la sua volontà si realizza nella nostra di modo che il vo lere come l 'agire, in altri termini l 'obbedienza, proviene da lui . Pertanto tutta la nuova vita del cristiano è una indisso lubile compenetrazione tra il dare divino e l'accogliere uma no . Dio è colui che opera ed egli agisce con gli uomini se condo la sua gratuita elezione . La mormorazione, che è ribel-
Phil. 2,I2-J 8
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lione alla volontà e alla richiesta di Dio, è il contrario del l'obbedienza (cfr. Is. 2 9 ,2 4 ) . I figli d'Israele mormorarono nel deserto (Ex. I 5 ss . ; Num. I 4 ss . ) . Nell'epoca che corre tra la pasqua e la parusia i cristiani sono come il popolo d 'Israe le peregrinante nel deserto, ma non ne devono imitare l 'esem pio nella loro situazione attuale, essere quindi malcontenti dello stato presente e impazienti per l'aiuto che ancora non viene. La ribellione della volontà contro Dio è accompagnata spesso dalla rivolta del pensiero, dai ripensamenti , dai dub bi . Chi invece si assoggetta a Dio è irreprensibile, semplice, senza errori ( I , I o ) . I cristiani non sono irreprensibili per for za propria ma lo divengono con l'obbedienza donata da Dio. Accanto agli integri figli di Dio vi sono gli uomini perversi e falsi . Questa differenza non deve portare i cristiani a un atteggiamento di superiorità farisaica. Dove accadesse un fat to del genere essi non operano più la loro salvezza con timore e tremore e quindi non sono più nemmeno schietti . Né essi si segregano dai loro simili perché sono migliori. Che il cri stiano viva in uno stato di pio isolamento è un'assurdità. Egli vive invece in comunione con i fratelli ( I ,2 7 s . ; 2 , I ss . ) , è ri volto al mondo che ha bisogno di lui per non andare a per dizione nella sua tenebrosità. Conducendo una simile esisten za egli ha un ragg io d 'azione straordinario . Il mondo falso e perverso, che cade da un estremo all'altro correndo verso la rovina, viene illuminato dai cristiani (cfr. Mt. 5 , I 4) . Non si diviene elementi luminosi grazie a qualità personali, ma per mezzo dell'evangelo che crea uomini nuovi . La parola della vita ha strappato i Filippesi dalle tenebre . Se ora essi le ri mangono fedeli, realizzano il loro compito sia rispetto al mon do che nei riguardi dell'Apostolo . Essi infatti nel giorno del giudizio saranno la prova che egli non ha lavorato invano . Se in questo passo Paolo parla di gloria (cfr. 4 , I ; I Thess. 2 , I 9 ; 2 Cor. I , I 4 ) non lo fa per sfoggiare in modo farisaico i pro pri meriti; egli sa che la grazia crea frutti e che l'Apostolo non può trovarsi davanti a Dio senza la comunità, anzi, le è
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strettamente legato nel bene e nel male. Il versetto succes sivo poi indica chiaramente che questa osservazione non ha nulla a che vedere con l'egoismo e con la vanagloria . La frase che inizia con il « ma» sembra inserirsi poco bene nel contesto . Poiché invece si ricollega bene al v. r , 2 6 si è tentato di trasporre qualche versetto modificando così la successione attuale. In ultima analisi, però, anche questi ten tativi non soddisfano, in quanto non riescono a spiegare per ché i vv. 2 , 1 7 s . siano venuti a finire in questo contesto . Pro babilmente Paolo interrompe volutamente la sua parenesi al la comunità e torna a parlare della sua situazione e dei suoi progetti . Egli deve tenere sempre presenti ambedue le pos sibilità : la condanna a morte e la liberazione. Anzitutto spie ga brevemente che cosa significa per lui stesso e per la comu nità la sua morte. Per illustrare la propria situazione e la sua unione con la comunità usa espressioni desunte dal linguag gio cultuale. Egli è il sacerdote (Rom. r 5 , r 6 ) il quale immo la a Dio il sacrificio della fede obbediente dei Filippesi. Egli tiene ben presente la possibilità che in questo atto sacrificale debba subire la morte ed essere così egli stesso versato come una libagione così da diventare al tempo stesso sacerdote e vittima . Se dovesse accadere ciò egli se ne rallegra ( r ,2 3 ) e i Filippesi, a loro volta, non devono essere tristi e lamentar sene, ma partecipare alla sua gioia . Sia il riferimento alla sua situazione che l 'esortazione rivolta alla comunità sono per meate dal motivo fondamentale della gioia ( 1 ,4 . r 8 ) . 1 7- 1 8 .
III PIANI PER IL PROSSIMO FUTURO
( 2 , I 9-30)
I.
La missione di Timoteo ( z , x 9-24 )
l1J Ho speranza nel Signore Gesù di inviarvi presto Timoteo, per es sere anch'io confortato sentendo come vi trovate a vostra volta. 20 Poiché non ho nessuno di uguali sentimenti che prenda tanto since ramente a cuore ciò che vi riguarda ; 21 tutti infatti cercano i propri interessi, non quelli di Cristo Gesù. 22 Voi conoscete il suo carattere e come abbia lavorato con me come un figlio con il padre, ha servito l'evangelo. 23 Spero dunque di mandarvelo non appena avrò veduto che piega prendono le mie cose. 24 Confido però nel Signore di poter venire io stesso quanto prima.
I 9 - 2 4 . Paolo parla della sua intenzione, ma non fa veri e pro pri progetti ( I Cor. I 6 ,7 ; 2 Cor. I , I ) ss . ), come usano fare altri uomini ; la sua speranza viene, invece, dalla comunione di vita con il suo Signore (v. 24). Presto invierà Timoteo ai Filippesi ; quando ciò avverrà viene detto al v. 2 3 . Dato che Paolo a questo punto parla di Timoteo in terza persona, non può essere che quest 'ultimo abbia collaborato a scrivere la lettera, anche se al v. I , I viene nominato come collabora tore. Timoteo - secondo Act. I 6 , I figlio di un'ebrea conver tita e di un greco - era noto ai Filippesi dai primi giorni del la missione condotta in mezzo a loro . La rinuncia alla pre senza del suo discepolo prediletto, anche se per breve tem po, è un notevole sacrificio per Paolo . Tuttavia egli non par la di peso e di rinuncia ma del guadagno che ne verrà dal sentire buone notizie da Filippi. Timoteo è già stato incari cato altre volte di rappresentare l 'Apostolo, per es . fu inviato a Tessalonica ( I Thess. 3 , I ss. ) e a Corinto ( I Cor. 4 , I 7 ) .
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Nessuno di coloro che sono vicini a Paolo gli è pari per di sinteresse e per fidatezza. Mentre gli altri - Paolo lo deve purtroppo ammettere - pensano a se stessi, al loro vantaggio e alla loro gloria e non a ciò che serve alla causa di Cristo ( 1 , 1 7) , Timoteo è pieno di abnegazione . Nella I Cor. 4, 1 7 Paolo lo aveva chiamato suo figlio diletto ; anche qui sta per raccontare che Timoteo lo ha servito come si farebbe con il proprio padre, ma poi non conclude la frase e si corregge : con me ha servito l 'evangelo . Infatti ambedue sono servi di Gesù Cristo ( 1 , 1 ) e colui che veramente dà la vita non è Pao lo ma la Parola (v. r 6 ; cfr. I Petr. 1 ,2 3 ; Iac. 1 , 1 8 ) . L 'Apo stolo intende inviare Timoteo a Filippi non appena vedrà chiaramente quale piega avrà preso il processo. Da parte sua è fermamente persuaso che ben presto potrà recarsi di per sona a visitare i Filippesi . Poco prima aveva parlato della propria morte ( 2 , 1 7 ) e ora progetta nuovamente di viaggia re : non si tratta di un rapido succedersi di stati d'animo, ma la sua comunione con Cristo lo rende disposto sia a morire che a lavorare ancora ( 1 ,2 1 ss. ) . Non è una speranza umana basata sulla fiducia di sé, anzi, è esattamente il contrario, è un vero pensiero cristiano che nasce dall'unione con Cristo ( 1 , 1 4 ; 2 , 1 9 ) . Poiché per la comunità è meglio che l'Apostolo rimanga in vita ( 1 ,24 s . ) , egli non pensa che il verdetto sarà di condanna, ma di assoluzione . 2 . Il ritorno di Epafrodito 25
( 2 , 2 5-30 )
Ritenni necessario mandarvi Epafrodito, mio fratello e compagno di lavoro e di lotta, vostro inviato per sovvenire alla mia necessità, u, dal momento che egli aveva nostalgia di voi tutti ed era in pensiero per ché eravate a conoscenza della sua malattia. n Sl, egli fu in punto di morte per la malattia. Ma Dio ha avuto misericordia di lui, e non sol tanto di lui, ma anche di me, perché non avessi pena su pena . 28 Ve l'ho quindi mandato con grande premura, affinché vi rallegriate di nuovo nel vederlo e io sia meno preoccupato . 29 Accoglietelo dunque nel Signore con piena gioia e abbiate grande stima di uomini come lui ; 3Q poiché per l'opera di Cristo fu vicino alla morte e ha messo a
Phil. 2,2J-JO
2!9
repentaglio la sua vita per completare ciò che ancora mancava al vo stro servizio per me. 2 5 - 3 0 . Epafrodito è un personaggio che non ci è noto da al tre fonti . Quello che di lui sappiamo lo apprendiamo da que ste righe. È straordinario notare i titoli di decoro che Paolo gli attribuisce : fratello, compagno di lavoro e di lotta. Pro babilmente abbiamo un crescendo di titoli. Ogni cristiano è fratello ; compagno di lavoro , invece, è colui che partecipa al lavoro dell'apostolo ; compagno di lotta è infine colui che gli sta accanto e lo aiuta in momenti particolarmente difficili dell'attività apostolica. Questo personaggio è stato inviato dai Filippesi con il compito di portare i doni della comunità affinché Paolo non muoia di fame in prigione (4 , 1 8 ) . Ufficial mente i carcerati venivano sostentati dalle autorità giudizia rie, ma la distribuzione dei viveri era così scarsa che non era in grado di garantire la sopravvivenza . Quando la comu nità di Filippi viene a sapere che l 'Apostolo si trova in pri gione, gli invia doni per mezzo di Epafrodito, il quale così diviene il soccorritore nel momento della difficoltà . Proba bilmente la comunità lo aveva incaricato di fermarsi accanto a Paolo per prestargli tutto l'aiuto di cui potesse aver biso gno. A quell'epoca i prigionieri non erano segregati così se veramente dalla società come avviene ai nostri giorni . Ma appena arrivato a destinazione, Epafrodito si ammalò grave mente per cui l'Apostolo vide la sua guarigione come un do no particolare di Dio. Ma la guarigione segnò per l 'inviato l'inizio di una grave forma di nostalgia, per cui Paolo decise di rispedirlo a casa. Il v. 2 6 è una chiara dimostrazione del la rapidità con cui avviene lo scambio di notizie tra il luogo di prigionia e la comunità di Filippi . Nella comunità s 'è ve nuto a sapere che Epafrodito è ammalato e pare che da Fi lippi sia giunta fino al carcere la notizia che non si è troppo soddisfatti dell'operato dell'inviato . Paolo lo scusa e lo di fende, vuole preparargli una buona accoglienza al suo ritor-
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no nella comunità, affinché lo si accetti con gioia e non si sia in collera con lui : Epafrodito è stato a un passo dalla morte a causa dell'opera di Cristo, ha rappresentato i Filippesi che erano assenti in modo tale da sostituire ciò che mancava nei loro soccorsi e cioè la presenza fisica della comunità. Perciò non lo devono rimproverare come se avesse mancato, anzi , merita onore. È da osservare che Paolo s 'impegna a difen dere i semplici collaboratori (cfr. la Lettera a Filemone) .
IV PAOLO MODELLO DELLA FEDE ( 3 , 1 -2 1 )
x . Falso orgoglio ( 3,1-6 ) 1 Per il resto, fratelli miei, rallegratevi nel Signore. Lo scrivervi sem pre le stesse cose non mi pesa, dal momento che serve alla vostra sicu rezza. 2 Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi eroi delle opere, guardatevi dallo sfregio. 3 Poiché noi siamo la circoncisione, noi che serviamo nello Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù e non con fidiamo nella carne, 4 benché anch'io potrei riporre la mia fiducia nel la carne. Se un altro crede di poter confidare nella carne, io lo posso ancora di più : 5 circonciso l'ottavo giorno, del popolo d'Israele, della tribù di Beniamino , un ebreo figlio di Ebrei, un fariseo secondo la leg ge, 6 uno zelante persecutore della chiesa, irreprensibile quanto alla giustizia prescritta dalla legge.
I . Con l'espressione «per il resto » , che equivale a «final mente» , « alla fine», Paolo introduce spesso nelle sue lettere le osservazioni conclusive ( 2 Cor. I 3 , I I ; Gal. 6 , r 7 ; 2 Thess. 3 , I ; Phil. 4 ,8 ) . Al v. 3 , I a si potrebbe benissimo ricollegare il v. 4 , I o o il v. 4 ,2 1 . Dopo aver già parlato spesso della gioia in questa lettera (vedi al v. I ,4), torna ora a toccare ancora una volta questo tasto . Egli non invita alla gioia perché è una persona allegra per natura e attorno a sé vorrebbe vedere per sone liete. La gioia di cui parla l 'Apostolo non dipende da qualità, sentimenti e situazioni naturali (cfr. 4 ,4 ), ma è fon data nel Signore. Cristo è la fonte della felicità la quale sgor ga dalla comunione con lui . Colui che è unito a Cristo può essere felice in ogni momento (4,4 ; 1 Thess. 5 , I 6 ) , perché il redentore con la sua azione salvifica ha sconfitto le potenze ostili a Dio e ha dato la possibilità di gioire in un mondo
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La Lettera ai Filippesi
completamente rinnovato. Paolo invita la comunità a questa gioia nel Signore perché vuole essere cooperatore della gioia (2 Cor. I , 2 4 ) . Le parole che seguono non s 'inseriscono bene nel conte sto . Probabilmente l'atto di scusarsi dell'Apostolo che deve scrivere sempre le stesse cose non ha per oggetto l'esortazio ne alla gioia - perché mai un invito così bello dovrebbe pe sare all'Apostolo e dare sicurezza alla comunità? - ma la rac comandazione di guardarsi dagli eretici. Se così fosse, l'al lusione non sarebbe rivolta a espressioni già incontrate nella stessa lettera, né si tratterebbe di un accenno alla predica zione orale . È invece il richiamo a trattazioni fatte dall'Apo stolo in una lettera andata poi perduta. Non è escluso che Paolo abbia scritto più lettere ai Filippesi (Polyc. , Phil. 3 , 2 ) , due delle quali più tardi sono state amalgamate a formare la nostra Phil. Il tono del cap . 3 è completamente diverso da quello di Phil. I - 2 per cui si è costretti ad ammettere che i vv . 3 , rb-4 ,9 presuppongano una situazione completamente diversa. Come i genitori devono continuamente ripetere ai figli determinate verità finché essi le abbiano assimilate, così anche Paolo non si stanca di ripetere ai Filippesi le stesse co se. Facendo loro notare i pericoli intende portarli dal dubbio alla certezza, dall'insicurezza alla sicurezza . Se finora nella sua lettera Paolo era stato cordiale , gentile, conciliante, ora diviene duro, aspro, inesorabile, sarcastico . 2 - 3 . Anche in I ,2 8 Paolo aveva parlato di avversari , ma si trattava di persecutori della comunità, mentre in 3 ,2 si rivol ge contro i seduttori . Se in I ,2 7 ss. aveva esortato all'unità , in 3 ,2 ss. mostra i limiti della comunione fraterna. Per ben tre volte si sente il «guardatevi ! » che suona come un campa nello d 'allarme. Con forte ironia egli dà degli avversari · la de finizione di cani , cattivi eroi delle opere, sfregiati . Eviden temente non si tratta di Ebrei poiché non costituivano affat to un pericolo di seduzione per la comunità etnico-cristiana
Phil. J,I-6 .
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di Filippi tanto da dover stare in guardia da essi , m a s i trat ta di cristiani giudaizzanti che vogliono rendere giudeo-cri stiani gli etnico-cristiani . I cristiani giudaizzanti sono legati alla legge e vogliono assoggettare i Filippesi al giogo della legge. Essi diffondono le disposizioni circa la purificazione, si richiamano alle opere che danno la perfezione ed esigono che anche gli etnico-cristiani si facciano circoncidere . Paolo li definisce cani . In Oriente il cane è un animale impuro (Mt. 7,6; 2 Petr. 2 ,2 2 ) come il maiale . Di solito gli Ebrei con sprezzante alterigia definiscono cani i pagani (Mt. 1 ,5 ,2 6 s . ; Apoc. 2 2 , 1 ,5 ) . Paolo riprende questo termine applicandolo a questi giudeo-cristiani; con il loro culto per la purità legale li colloca sullo stesso piano dei pagani che essi disprezzano. Essi infatti con la loro insistenza sul valore delle opere non compiono la volontà di Dio, ma sono cattivi eroi delle opere . Non sono circoncisi ma mutilati . Il vero popolo di Dio non è Israele ma la comunità (Rom. 2 , 2 9 ; 4 , 1 6 ; Gal. 3 ,7 ; 4 ,2 8 ; 6 , r 6 ) . I cristiani non possiedono la circoncisione come un segno fisico, sono essi stessi circoncisione. Paolo sostituisce la purità, la giustizia delle opere e la circoncisione di questi giudeo-cristiani con il servizio liturgico dello Spirito, il van to in Cristo e la rinuncia a basarsi su fattori naturali . Il ser vizio nello Spirito descrive la totalità dell'atteggiamento cri stiano verso Dio, la sua preghiera e la sua azione . In luogo del servizio cultuale è subentrato quello operato dallo Spi rito, che non consiste nell 'immolare sacrifici, ma tutta la vita (Rom. 1 2 , 1 s.) . Del servire nello Spirito fa anche parte il gloriarsi, che non è un vanto di se stessi, ma in Cristo e per mezzo di Cristo (cfr. 1 ,2 6 ) . È essenziale che i cristiani non ripongano la loro fiducia nella carne. Per carne non s 'inten de qui una realtà deteriorata fin dall'inizio ma definisce un �oncetto molto ampio . Esso indica l'esistenza umana con tut to ciò che le è collegato in questa epoca e in questo mondo . La carne quindi può senz 'altro essere qualcosa di positivo cui ci si affida quando non si sa nulla di Cristo, come sarebbe
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per es. il buon nome della famiglia, i costumi religiosi della casa paterna, la cultura, la religiosità. Il gloriarsi in Cristo esclude la fiducia nella carne. 4-6 . Paolo stesso aveva tutti i motivi per vantarsi della sua carne (cfr. 2 Cor. I I , I 8 ss . ) : egli possiede una serie di pri vilegi che potrebbe addurre a suo favore per cui non dovreb be affatto starsene nascosto . Non è un proselita, ma è stato circonciso l'ottavo giorno secondo le prescrizioni della legge (Lev. I 2 ,3 ). La sua non è una famiglia di convertiti , ma ap partiene con tutta la sua casata all 'antico popolo eletto di Dio. Egli può far risalire il proprio albero genealogico al pa triarca Beniamino che era tenuto in particolare considerazio ne presso i rabbini perché nato in terra d'Israele e, secondo la tradizione giudaica, aveva attraversato per primo il Mar Rosso. La famiglia di Paolo ha conservato la tradizione più genuina. Anche se dimorava all'estero non subì l'influsso el lenistico . Essa ha conservato come sante la lingua e la tradi zione, di modo che Paolo si può definire un ebreo figlio di ebrei . Ai privilegi ereditati si aggiungono poi quelli perso nali. Paolo si unì ai farisei osservanti e ne mise in atto le regole . Fu un ebreo esemplare non solo perché fedele alle prescrizioni esteriori, ma anche per il suo sentimento e il suo atteggiamento . Egli , infatti, perseguitò con zelo la comunità cristiana poiché gli sembrava che non si potesse conciliare con la legge . Secondo Gal. I , r 4 superò i suoi coetanei per zelo di modo che nessuno si poteva misurare con lui . Non di fronte a Dio, ma secondo l'opinione comune degli Israe liti egli era irreprensibile, gli uomini non potevano avere nulla da ridire su di lui . Egli osservò tutte le prescrizioni della legge, per questo doveva venir considerato giusto (cfr.
Mc. I 0 ,20).
Phil. J,?-II 2.
22j
La giustizia propria e la giustizia per fede ( 3,7-1 I )
7 Ma ciò che per me era guadagno, per amore di Cristo l'ho conside rato una perdita. 8 Ma effettivamente considero tutto una perdita di fronte all'eminente conoscenza di Cristo Gesù mio Signore, per amore del · quale tutto è divenuto per me una perdita, e lo ritengo immon dizia per guadagnare Cristo 9 ed essere trovato in lui. lo non ho la mia propria giustizia dalla legge, ma la giustizia mediante la fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, fondata sulla fede, 10 per cono scere lui, la forza della sua risurrezione e la comunione alle sue soffe renze, reso conforme alla sua morte , 11 con la speranza di giungere al la risurrezione dai morti.
7-1 1 . Ma - afferma Paolo, mettendo fine all'elencazione e
strappando il documento del suo privilegio e gettandolo nel fuoco - ciò che prima gli sembrava grande e importante ora non ha più nessuna importanza. Vi è stato un capovolgimen to totale dei valori , tanto che ciò che era un «di più» è di ventato un «di meno » , ciò di cui andava fiero è divenuto per lui una perdita. Al «ma» del v. 7 segue un secondo «ma» al v. 8 che rende ancora più forte la negazione . Se il v. 7 parla della sua conversione, subito dopo Paolo passa a parlare del presente. Il nuovo atteggiamento non fu una reazione mo mentanea, impulsiva, al suo comportamento precedente, an cor oggi egli è costante nello stesso sentire, anzi la sua idea si è fatta ancora più chiara . Tutto ciò che esiste al mondo, anche la cosa migliore che si possa vantare, non si può nem meno lontanamente paragonare con il guadagno che offre la ricchezza della conoscenza di Cristo . Conoscenza non è, se condo il significato attribuito al termine dalla filosofia greca, una certezza raggiunta tramite l'apprendimento per mezzo della quale colui che conosce si impossessa e fa suo l 'oggetto conosciuto, ma quando Paolo parla di conoscere intende esat tamente il contrario e cioè che colui che conosce viene con quistato dall'oggetto conosciuto. Le parole di ripudio non nascono da un risentimento contro il paganesimo, ma da una sovrabbondante conoscenza di Cristo . Solo per il fatto che si
La Lettera ai Filippesi
viene conosciuti da Dio e si viene inseriti nella rivelazione nasce la conoscenza (Gal. 4,9 ; I Cor. 8 ,2 s . ; 1 3 , 1 2 ) . Le paro le dell'apostolo Paolo hanno in questo passo il carattere di una confessione personale . Egli di solito chiama Cristo «il Signore », oppure, quando si unisce ad altri cristiani, «il no stro Signore» . Nel nostro passo incontriamo invece l'insolito «mio Signore» . Dall'incontro con Gesù Cristo che diviene suo Signore si ebbe il capovolgimento della scala dei valori . Tutto ciò che in precedenza era stato stimato molto , diven ne per lui una perdita, un danno , di modo che ora non ne vuole più sapere. Per la terza volta Paolo scrive : «lo riten go » e applica ciò che ha appena detto alla situazione presen te . Ciò che ha asserito circa la potenza, la totalità e la radica lità della sua conversione viene ribadito dall'espressione usa ta per indicare la «perdita » e cioè « spazzatura» , lo « sterco » che desta disgusto . Ciò che conta è solo e soltanto guada gnare Cristo che tuttavia non possiede come un bene inalie nabile, di cui può disporre a piacimento, ma come una meta verso cui deve continuamente tendere . Guadagnare Cristo significa essere trasferiti nel modo di esistere di Gesù Cristo così che sia possibile essere trovati in lui . Il v. 9 contiene · uno dei punti chiave della teologia paolina . Non esistono in fatti in Paolo due insegnamenti diversi sulla salvezza, come s 'è voluto affermare, uno etico-giuridico e uno fisico-mistico , ma essi costituiscono un'unica cosa, non si possono distin guere. L 'Apostolo spiega l'essere in Cristo per mezzo della dottrina della giustificazione. Nel giudaismo la giustificazio ne proviene dalla legge (v. 6 ) . Se l 'uomo compie le prescri zioni della legge genera la propria giustizia (Rom. r o ,3 ) . Se si vuole guadagnare Cristo è necessario rinunciare radical mente a questo tipo di perfezione. Colui che è in Cristo ha una giustizia migliore di quella giudaica (Mt. 5 ,2 0 ) . Non si tratta di una rettitudine richiesta dalla legge e conquistata dall'uomo , ma è un dono ricevuto attraverso la fede in Cri sto . La fede non è la condizione che l'uomo deve realizzare
Phil. J,J-II
227
s e vuole essere giustificato perché s e cosl fosse tra l a giusti zia della legge e quella della fede non vi sarebbe un'opposi zione autentica, ma solo una differenza di grado. La giustizia mediante la fede (Rom. 4 , I I ; 9 , 30) si basa su presupposti completamente diversi della giustificazione mediante la leg ge. La fede non è mai un 'opera da parte dell'uomo che ha per conseguenza la giustificazione, ma è un dono di Dio ( I , 2 9 ) , per cui fede e grazia vengono a coincidere (Rom. 4 , I 6 ). Questa fede che è possibile in comunione con Cristo è un'o pera della grazia divina . Perciò non si dice che la giustizia proviene dalla fede personale, ma da Dio. La giustificazione ci pone in comunione con Cristo e in Cristo siamo giustifi cati . Giustificazione ed essere in Cristo sono strettamente connessi ( 2 Cor. 5 , 2 I ; Gal. 2 , I 7 ) . Il v . I O si ricollega al v . 8 mentre il v. 9 costituisce una parentesi . Guadagnare Cristo (v. 8 ), essere in lui (v. 9 ) e conoscerlo (v. I o ) , sono espres sioni diverse della medesima realtà . Colui che conosce Cristo sa anche l 'importanza della sua morte e della sua risurrezio ne ; cioè viene inserito nella potenza della risurrezione di Cri sto e nella comunione ai suoi dolori . Con questa afferma zione egli si rivolge contro i «perfetti» di Filippi (vv . I 2 ss . ) i quali, in quanto gnostici , parlavano molto di conoscenza, ma intendevano qualcosa di molto diverso da Paolo. Non è chiaro se gli avversari negavano del tutto la risurrezione (I Cor. I 5 , I 2 ) oppure se affermavano che si è già compiuta (2 Tim. 2, I 8). Per Paolo la risurrezione di Gesù è in ogni caso una potenza (cfr. I Petr. I ,3 ) con la quale è entrato nel mon do qualcosa di nuovo poiché con essa è iniziata l 'epoca della risurrezione (I Cor. I 5 , 2 0 ) che rende possibile una vita di versa. La pasqua non si può più separare dal venerdl santo . Conoscere Cristo significa anche partecipare ai suoi dolori (Rom. 8 , r 7 ; 2 Cor. 1 ,5 ) e conformarsi alla sua morte {Rom. 6 , 5 ; 2 Cor. 4 , r o ; Gal. 6 , r 7 ; cfr. Col. I ,2 4 ) . I suoi avversari però non ne vogliono sapere (v. r 8 ) . Dolore e morte tuttavia non rappresentano uno stato permanente, ma solo una fase
228
La Lettera ai Filippesi
di transizione. Al soffrire con Cristo segue l'essere glorificati con lui (Rom. 8 , I 7 ; Phil. 3 ,2 I ), e alla morte vien dietro la vita (Rom. 6,5 .9). In Phil. 3 , I I Paolo non parla di vita ma, in polemica contro gli eretici, sottolinea la risurrezione . Il cristiano riesce a partecipare ai dolori di Cristo ed essere conforme alla sua morte perché vive nella forza della risur rezione e va incontro alla risurrezione dai morti . Non si in tende la risurrezione di tutti i morti, si dice invece che al cuni risorgeranno dai morti (Apoc. 20 ,6) : sono i cristiani (r Cor. I 5 ,23 ) che riceveranno il corpo di gloria ( 3 ,2 I ). An che gli altri vengono risuscitati, non per la vita, ma per il giudizio . Paolo vorrebbe partecipare alla prima risurrezione , anche se non potesse più essere presente alla venuta di Cristo . 3· Perfezione falsa e perfezione vera
( J,u-x6 )
12
Non come se l'avessi già ottenuto o fossi già perfetto, ma lo inseguo continuamente per raggiungerlo poiché io stesso sono stato raggiunto da Cristo Gesù . 13 Fratelli , quanto alla mia persona credo di non averlo ancora rag giunto. Una cosa però voglio : Dimentico ciò che sta alle mie spalle mi protendo invece verso ciò che mi sta davanti. 14 Corro verso il traguardo, il premio della chiamata celeste di Dio in Cristo Gesù. 15 Quanti dunque siamo perfetti, procuriamo di avere questi senti menti, e se in qualche cosa voi pensate diversamente, Dio vi rivelerà anche questo. 16 Però dal punto in cui siamo arrivati, continuiamo a procedere in avanti.
I 2- I 6 . Paolo non parla, come avviene nella mistica, del ripe tuto possesso di Dio e dell'essere posseduti dalla divinità ne gli attimi dell'estasi mistica, ma si riferisce a fatti storici, a realtà escatologiche. Anzitutto abbiamo un evento unico nel passato, quando Paolo fu preso da Cristo Gesù e la sua vita ebbe un nuovo inizio. Poi l 'Apostolo parla di un rapporto
Phil.
J,I2-I6
229
attuale. È possibile tendere al premio grazie all'azione di Cri sto con la quale egli ci prende. «Per raggiungerlo » proietta lo sguardo al futuro. Solo la perfezione eterna segna la fine di ogni lotta. Paolo si volge qui contro il fanati smo degli gnostici (dr. 3 , 1 0 s.) che si consideravano perfetti ( I Cor. 2 ,6 ss.) e affermavano di possedere la conoscenza perfetta (1 Cor. 2 , 6 ss . ) , di essere ricchi, tanto da non attendersi più nulla dal futuro ( I Cor. 4,7 ss. ; Apoc. 3 , 1 7) . A differenza di loro egli sottolinea la propria imperfezione : non ha ancora raggiunto Cristo, perciò l 'Apostolo non è giunto alla meta, non ha raggiunto la risurrezione (cfr. I Cor. 4,8 ss . ). A lui manca tutto ciò di cui si vantano i «perfetti » , non è perve nuto alla gloria escatologica, è in cammino, vive tra le due epoche. Mentre nei misteri si giunge alla conoscenza e alla perfezione per mezzo di consacrazioni, Paolo dice che tutto ciò si raggiunge con la lotta . Qui, come altrove, paragona la propria vita di cristiano alla corsa nello stadio (2 , 1 6 ; I Cor. 9 , 2 4 ; Gal. 2 ,2 ; 5 ,7 ; Rom. 9 , 1 6 ; cfr . 2 Tim 4,7) . La giusti ficazione per fede non porta a un quietismo : ciò che Dio ha dato non è un possesso inalienabile, ma un dono che va con tinuamente afferrato. Paolo non conosce una vita di quieta contemplazione, ma piena di incessante attività . A sua volta queste opere non sono un'azione meritoria compiuta con le proprie forze, non è uno «sforzo continuo di migliora mento» con cui si raggiungono mete parziali. Il cristiano può possedere solo perché è stato posseduto da Cristo (dr. I Cor. 1 3 , 1 2 ; Gal. 4,9 ; I Io. 4 , 1 9 ) . Cristo lo ha posto nello stadio e gli promette il premio, perciò l'Apostolo corre impegnan dosi con tutta la sua persona, non alla cieca, ma tenendo il traguardo davanti agli occhi . Sa dimenticare ciò . che è alle sue spalle, non si lascia sopraffare dal passato, né si volge a guardare il percorso compiuto, ma il suo sguardo rimane ri volto in avanti. È deciso a conquistarsi il premio della vit toria (cfr. I Cor. 9,25 ; I Thess. 2 , 1 9 s . ; 2 Tim. 4,8 ; Iac. 1 , 1 2 ; Apoc . 2 , 1 o ; 3 , 1 I ), ossia la vocazione celeste che proviene da .
2 30
LA Lettera ai Filippesi
Dio e viene comunicata al credente quale puro atto di grazia in Gesù Cristo . Al v. 1 5 Paolo cita il principio degli iniziati e come in I Cor. 2 , 6 applica il termine «perfetti» ai cristiani . Coloro che sono veramente perfetti e che vogliono apparte nere completamente a Dio sono proprio gli imperfetti, coloro che ancora corrono nello stadio e non hanno conquistato il premio . Essi sono consapevoli di non essere giunti al tra guardo e di dover continuamente conquistare Cristo finché egli a sua volta li avrà fatti completamente suoi e li avrà con dotti alla vocazione celeste . In questi versetti si esprime in modo caratteristico la proprietà della esistenza cristiana : il cristiano non è più l 'uomo antico, ma già ora è l'uomo nuo vo , anche se non ancora perfetto. Colui che non lo compren de, o è di opinione diversa, avrà anche questa rivelazione da parte di Dio . Probabilmente questa frase ha un intento pole mico poiché coloro che parlavano della perfezione credevano altresì di essere in possesso di particolari conoscenze per ri velazione ( I Cor. 7 ,40 ; 8 , r s . ; 1 4 , 3 7 ) . Paolo scrive loro : se veramente vi è stato rivelato così tanto come affermate con tinuamente, allora Dio vi rivelerà anche questo. Alla fine l 'A postolo esorta i Filippesi a non abbandonare la conoscenza ricevuta, ma a strutturare la propria vita in armonia con es sa. In questo modo passa al brano successivo . 4· Comportamento irreprensibile e condotta riprovevole ( J,I 7-U ) 17 Divenite miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si compor tano secondo il modello che avete in noi. 18 Molti infatti, ve l'ho detto spesso, ma ora lo dico piangendo, si comportano da nemici della cro ce di Cristo ; 19 la loro fine è la perdizione, il loro dio è il ventre e la loro gloria sta nel loro disonore ed essi guardano alle cose terrene . 20 La nostra patria, invece, è nel cielo, da dove aspettiamo pure il sal vatore, il Signore Gesù Cristo , 21 il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione , rendendolo conforme al corpo della sua gloria, se condo la potenza con la quale egli può assoggettare a sé tutte le cose .
1 7- 1 9 . Non è forse un atto di superbia contro lo spirito del-
la Bibbia il presentarsi come modello (cfr.
r
Cor. 4 , r 6 ; I I , I ;
I Thess. I ,6 ; 2 Thess. 3 , 7 ; Phil. 4 ,9 ; Gal. 4, I 2 )? Paolo non invita i Filippesi a imitarlo come se egli fosse il centro dove tutto deve convergere, ma li prega di mirare insieme con lui al traguardo verso cui egli stesso è in cammino. Paolo non si gloria quale immagine ideale degna di ammirazione, anzi, egli intende indicare Cristo ( I Thess. r ,6 s . ; I Cor. I I , I ) , che vive in lui (Gal. 2 , 20) e che è potente in lui (4, I 3 ; I Cor. I 5 , I o ; 2 Cor. 1 2 ,9 ) . Se invita i Filippesi a imitarlo è perché rag giungano la perfezione della sua imperfezione (v. I 2 ), affer rino Cristo, la sua passione e la sua risurrezione (v. r o ) e con siderino una perdita le partite in avere del loro libro della vita (vv. 7 SS . ) . Se non si dimostrasse concretamente nella vi ta quotidiana, si tratterebbe però di una falsa perfezione. Co lui che vive nello Spirito , come affermano di sé gli gnostici esaltati, deve dimostrarlo con le azioni (cfr. Gal. 5 ,2 5 ). Ma v'è un buon numero di cristiani che purtroppo si comporta in modo diverso . Essi credono di essere perfetti (cfr. al v . I 2 ) perciò non vogliono conformarsi alla morte di Cristo (v. I o ) , e poiché non conoscono l a potenza della risurrezione e l a co munione ai suoi dolori (v. I o) non prendono troppo sul se rio i peccati . In tal modo si dimostrano nemici della · croce di Cristo che è morto per redimere dai peccati. A questi «per fetti » , che con la loro condotta confermano che la loro per fezione è falsa, il significato salvifico della croce rimane ce lato . Essi credono di essere giunti già alla meta, ma quando vi giungeranno realmente la loro fine sarà la corruzione . Que sti libertini credono che a loro siano permesse dissolutezze di ogni genere ( r Cor. 6, I 2 ss. ; 1 0 , 2 3 ) . Poiché vivono già nel nuovo mondo abbandonano il corpo alle sue leggi in quanto si tratta di un valore secondario e, conseguentemente, seguo no in maniera sfrenata i loro desideri e le loro passioni . Poi ché il ventre appartiene al corpo corruttibile secondo loro non ha nulla a che vedere con il vero essere dell'uomo. Ven tre è una parola castigata per indicare cupidigie sensuali sen-
23 2
La Lettera ai Fìlippesi
za complessi, crapule e godimenti sfrenati . Essi si abbando nano al mangiare e al bere, alla sessualità e alle soddisfazioni dei sensi . Essi si pavoneggiano della loro religiosità libertina che in realtà è vergogna ( I Cor. 5 , 1 s . ) . Mentre Paolo ha sti mato una perdita il suo vanto ( 3 ,4 ss . ) , essi fanno un onore della loro vergogna . Non conoscono il sentire in Cristo ( 2 ,5 ) , il sentire proprio di colui che è veramente perfetto (v. r 5 ) e che tende alla vocazione celeste (v. 1 4 ), ma il loro sentire è impigliato nella realtà terrestre poiché non attendono il ri torno di Cristo . La loro dimora è questa casa anche se si con siderano spirituali, poiché secondo la loro teoria tutto ciò che è terrestre, corporeo, non tocca la loro esistenza vera . Il pensiero dei veri cristiani va invece alla patria celeste. Su que sta terra sono stranieri ( I Petr. r , r ; 2 , r r ; Hebr. r r , r 3 ; 1 3 , 1 4) che si comportano solo secondo le prescrizioni ricevute , come fanno coloro che sono di passaggio . Essi possiedono la loro cittadinanza in cielo e per questo tendono ad andarvi . Paolo non sa se morirà ( 1 ,2 1 ss . ; 2 , 1 7 ) o se potrà gustare il momento della parusia di Cristo . In ogni caso non attende solo la morte, ma anche l 'apparizione del redentore Gesù Cri sto sulla terra . Egli lo sottolinea contro gli gnostici libertini che non credevano nel ritorno di Cristo e che vedevano nel corpo qualcosa di inferiore. Al momento della parusia i vi venti verranno trasformati ( I Cor. 1 5 ,5 1 s . ) . In luogo del corpo mortale di umiliazione che desidera la glorificazione (Rom. 3 ,2 3 ) , è esposto alla tentazione del peccato (Rom. 6 , 1 2 ) , separa da Cristo ( 2 Cor. 5 ,6 ss .) ed è soggetto alla morte, i cristiani riceveranno il corpo celeste e glorioso del Cristo risorto ( I Cor. 1 5 ,42 ss . ; 2 Cor. 3 , 1 8 ; 4 , 1 7 ; Rom. 8 , r 8 . 2 9 ; Col. 3 ,4 ) . Cristo, che è il Figlio di Dio con potenza (Rom. 1 ,4), che siede alla destra di Dio (Rom. 8 ,34), che è il Si gnore di tutto (Phil. 2 ,9 ss . ) , che sconfiggerà anche la morte (I Cor. 1 5 ,2 5 s . ), è in grado di condurre a termine quest'ope ra presso i suoi .
Phil. 4,I-9
5 . Vivere nella gioia
23 3 ( 4,1·9)
1
Pertanto, miei cari e desiderati fratelli, mia gioia e mia corona , re state saldi nel Signore, miei cari. 2 Raccomando ad Evodia e racco mando anche a Sintiche di essere di un medesimo sentimento nel Si gnore. 3 E prego anche te, mio fedele cooperatore, prenditi cura di loro poiché hanno combattuto con me per l'annuncio dell'evangelo in sieme con Clemente e con gli altri miei collaboratori i cui nomi sono nel libro della vita. 4 Siate sempre lieti nel Signore. Ve lo ripeto : sia te lieti. 5 La vostra bontà sia nota a tutti gli uomini . Il Signore è vi cino. 6 Non preoccupatevi di nulla, ma in ogni circostanza presentate le vostre necessità a Dio con ringraziamento, nella preghiera e nella supplica. 7 E la pace di Dio che sorpassa ogni pensiero custodirà i vo stri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù . 8 Infine, fratelli, tutto ciò che è vero, che è onesto, che è giusto, che è puro, che è amabile, che dà buona fama, che in qualche modo è una virtù e una lode, sia og getto della vostra considerazione . 9 Ciò che avete imparato, ricevuto, udito e visto in me, mettetelo in pratica. E il Dio della pace sarà con .
.
VOl.
Poiché i cristiani possiedono un'altra patria, poiché rice veranno un luminoso corpo di gloria ( 3 ,20 s . ) , devono resta re saldi nel Signore ( I , 2 7 ; cfr . I Thess. 3 , 8 ) , anche se altri percorrono vie diverse e si separano dal Signore ( 3 , I 8 ) . In luogo di «restare saldi nel Signore » , Paolo può anche dire «nella fede» ( I Co r. I 6 , I 3 ; 2 Co r. I ,24 ), «nella grazia » (Rom. 5 , 2 ) , oppure «permanere nell 'evangelo » ( I Cor. I 5 , I ) . Colui che «rimane saldo nel Signore » appartiene al Signore e vie ne da lui determinato, di modo che non si allontana, ma gli è obbediente. Con ciò Paolo passa dalla diatriba con gli ere tici alla parenesi concreta rivolta ai membri della comunità. Mentre nel polemizzare contro gli eretici aveva usato termini particolarmente forti ( 3 ,2 s . I 8 s . ), si rivolge ai membri della comunità rimasti fedeli con una cordialità e un 'intimità tutta particolare. Non esita a chiamarli per ben due volte «cari» nella stessa frase ( 2 , I 2 ) , essi sono amici ( 2 ,2 ) , e davanti al trono del tribunale di Cristo sono la sua gloria ( I , 2 6 ; 2 , r 6 ) e l a sua corona ( I Thess. 2 , I 9 s . ) . I.
2 34
La Lettera ai Filippesi
2-3 . Ora Paolo prende in considerazione un caso ben deter minato verificatosi nella comunità. Il v . 2 ricorda 2 , 2 . Non si tratta, tuttavia, di una dimostrazione pratica dell'esortazione generica, in quanto 4,2 appartiene ad un'altra lettera (cfr. il commento a J , I e 4 , I o) . Tra due donne, che evidentemente esplicavano un «ministero» nella comunità (cfr . v. 3 ), è scop piata una lite . Non si dice quale ne fosse il movente, Paolo non esamina il caso nei particolari per appurare la ragione e il torto. Egli non si costituisce giudice, ma si rivolge contem poraneamente ad ambedue esortandole a sopportarsi recipro camente . Colui che è in Gesù Cristo, colui che rimane saldo in lui (v. I ) , deve anche nutrire gli stessi sentimenti del Si gnore . L 'unità della chiesa esige che tutti i suoi membri ten dano a un fine unico ; infatti Cristo è il Signore, ed egli non ammette interessi umani secondari, ma esige obbedienza . Co me non possediamo notizie più precise delle due donne, così non abbiamo nemmeno ulteriori indicazioni riguardo a colo ro ai quali Paolo si rivolge subito dopo . Egli prega un col laboratore che gli è particolarmente vicino - che forse per un certo tempo lo ha accompagnato nei suoi viaggi e ora si trova a Filippi (non è necessario che lo nomini esplicitamen te dato che a Filippi ciascuno sa chi egli intenda) - di aiutare le due donne affinché ritrovino l'armonia . Probabilmente que sto compagno fidato è Timoteo. Poiché la sezione 3 , Ib-4 ,9 proviene da un 'altra lettera ai Filippesi (cfr. 3 , 1 e 4 , r o ), non sarebbe in contraddizione con ciò che afferma al v. 2 , I 9 . Le due donne stanno particolarmente a cuore a Paolo poiché al l 'epoca della fondazione della comunità hanno preso su di loro tutti i pericoli e hanno aiutato l 'Apostolo . A questo pun to non elenca tutti i collaboratori, non è necessario, poiché Dio li conosce e non li dimentica . I loro nomi stanno nel libro della vita (Ps. 6 9 , 2 9 ; Ex. 3 2 ,3 2 s . ; Ps. 1 3 9 , 1 6 ; Dan. 7 , I o ; I 2 , I ; Le. r o , 2 o ; Apoc. 3 ,5 ; I 3 ,8 ; I 7 ,8 ; 2 0 , I 2 . 1 5 ) . Cioè, Dio li ha accolti ed eletti per la vita.
Phil.
4,I-9
235
Le affermazioni che seguono danno l'impressione di una libera successione di proverbi. In realtà esse sono stretta mente in rapporto tra di loro. Nella comunità non devono regnare le liti (vv. 2 s . ) , ma la gioia , che è resa possibile ed è donata dalla signoria di Cristo . Di questa gioia Paolo ha p�lrlato spesso nella Phil. (cfr. l 'esegesi del v . 3 , 1 ) tanto che questa lettera della prigionia può essere definita una lettera della gioia . Tuttavia egli ne parla anche in altre lettere (Rom. r 2 , r 2 ; 2 Cor. r ,2 4 ; I 3 , r r ; I Thess. 5 , 1 6 ) . Poiché essa è ge nerata dallo Spirito santo ( Ro m . 1 4 , 1 7 ; I Thess. r ,6 ; Gal. 5 , 2 2 ) , non dipende da fattori esterni o da qualità psichiche, ma accompagna il cristiano per tutta la sua vita, quindi è sempre presente, non sparisce nel momento della difficoltà e della tri bolazione . Sofferenza e gioia non sono componenti contrap poste nella vita del cristiano (Rom. 5 ,3 s . ; r 2 , r 2 ; I Thess. 1 ,6 ; 2 Cor. 6 , r o ; 8 ,2 s . ) , anzi la letizia si conferma proprio nel momento della persecuzione (cfr. l 'esegesi di r ,29 ) . Quan do gli altri sentimenti vengono meno essa risplende di splen dore invisibile . Poiché l'esortazione alla gioia si trova anche in altri passi di Paolo, non è una prova per sostenere che appartiene a Phil. r - 2 . Dove esiste la genuina gioia cristiana essa si riflette all'esterno . L'altezzoso rigore riguardo al pros simo e la gioia sono incompatibili. Perciò, esorta Paolo, bi sogna essere arrendevoli e benigni rispetto al proprio simile . Questo sentimento, però, non va riservato esclusivamente ai fratelli o a qualche amico, ma a tutti gli uomini . Il ritorno di Cristo è imminente (Rom. 1 3 , 1 2 ; I Cor. 7 ,2 9 ; 1 5 ,5 1 ; 1 6,22 ; I Thess. 4 , 1 5 ; Apoc. 2 2 ,2 0 ) . Ciò rende urgente il momento presente poiché ben presto si dovrà rispondere del proprio agire. D 'altronde questo fatto toglie anche all 'oggi il peso opprimente . Cristo, colui che porrà fine a ogni sofferenza, è ormai alle porte . La gioia del cristiano è anticipazione e ri flesso della gioia escatologica. Mentre nei capp. r-2 Paolo parla non tanto della parusia (cfr. tuttavia i vv. 1 , 1 0 . 2 6 ; 2 , r 6) , quanto della propria morte ( 1 ,20; 2 , 1 7 s . ), nei capp . 3-4 4-7 .
La Lettera
ai Filippesi
risalta maggiormente il pensiero escatologico ( 3 , I 1 . 20 s . ; 4, I-5 ) . Probabilmente questo fatto è determinato dalla diversa occasione delle due lettere. Nei capp . I -2 Paolo scrive tenen do presente l'imminente sessione del tribunale, mentre nei capp. 3-4 egli ha davanti agli occhi gli avversari che hanno una diversa concezione dell'escatologia (cfr. l'esegesi del v . 3 ,2o ) . I cristiani non debbono preoccuparsi poiché Cristo è vicino . La preoccupazione è la tentazione dell'uomo che vuo le creare da sé il proprio destino e disporre del proprio fu turo (Mt. 6 ,2 5 ) . Quando il Signore viene a noi, tutti gli in terrogativi circa il futuro hanno trovato la loro risposta . Solo Dio può determinare ciò che sarà . Perciò i cristiani non de vono preoccuparsi, ma pregare . Le due cose non si possono conciliare . L'elemento che si pone come antitesi radicale del la preoccupazione è il ringraziamento . Colui che è in grado di ringraziare ripone in Dio il suo affanno. Anche il cristiano ha difficoltà e desideri, ma li affida a colui che veramente può prendersene cura (I Petr. 5 ,6 ) . Quando egli prega non si pre senta a Dio nell'atteggiamento di colui che pretende , ma le domande sono unite al ringraziamento a Dio (I Thess. 5 , I 8 ) . Solo attraverso il ringraziamento la domanda diviene pre ghiera cristiana ( I ,3 s. I I ). Ogni preghiera di impetrazione è insieme preghiera di ringraziamento per i doni che si chie dono, poiché la domanda è fatta nella certezza che Dio con cederà ciò che gli si chiede, qualora sia vantaggioso per colui che prega (Mt. 7 ,7 ss. ; Io. 1 4 , I 3 ; 1 5 ,7 ; 1 6 ,2 3 ) . Chi ringrazia è all'ombra della protezione e della pace divina. La pace di Dio, che in definitiva è una realtà futura in quanto è la nor male condizione del mondo in Dio e cioè il bene e l 'ordine di tutte le cose nel regno di Dio, già in questo mondo pre serverà il cuore e la mente da ogni male. Questo Paolo scrive a persone che si trovano in situazione di lotta, che sono espo ste al pericolo di eresia (vv. 3 , 2 ss . ), non ancora giunte alla meta, ma in gara nello stadio (vv. 3 , 1 2 ss . ) . Come la gioia dello Spirito Santo è presente nonostante ogni difficoltà (v. 4)
Pbil. 4,I-9
23 7
e la ricchezza nonostante ogni manchevolezza (v. r 9 ) , così anche la pace di Dio è presente nonostante la lotta. I cristiani vivono , già in questo mondo , dei doni dell'altro, poiché Cri sto è risorto (cfr. l'esegesi di 3 , 1 0 ) . Dal cuore provengono i pensieri cattivi e le cupidigie, dalla mente i dubbi e le preoc cupazioni . La pace di Dio si pone come una potenza protet trice e di difesa attorno al cuore e alla mente, affinché i cre denti non ricadano nella malvagità. Ciò è al di là di ogni filo sofia e di ogni psicologia . Per mezzo di Gesù Cristo la realtà effettiva è entrata nella vita del cristiano.
In Cristo Gesù. Nella Lettera ai Filippesi si incontra otto
volte l'espressione «in Cristo Gesù» e altrettante volte la formula « nel Signore» ; inoltre abbiamo altre cinque vol te forme miste o analoghe. Sono espressioni tipiche di Paolo e si incontrano spesso nelle sue lettere . È difficile rendere in italiano questo «in Cristo» , «in Cristo Gesù», «nel Signore» e «nel Signore GesÙ » rispettando pienamente i contenuti del l 'espressione. Talvolta, infatti, la preposizione «in» sembra avere un significato di luogo, di modo che si parla della co munione con Cristo . Altre volte questo «in» sembra essere inteso piuttosto in senso strumentale, così che, per essere più aderenti al significato, si dovrebbe tradurre con «per mezzo di Gesù Cristo» oppure, evidenziando un'altra sfumatura , con «determinato per mezzo di Cristo Gesù». Spesso questi diversi significati sono strettamente uniti : per mezzo di Cri sto si giunge alla comunione con Cristo e nella comunione con Cristo non è l'uomo colui che agisce ma è Cristo, il quale determina l 'azione del cristiano . Quando perciò ricorre la for mula «in Cristo GesÙ » spesso si devono cogliere queste sfu mature. Al proposito si può osservare quanto segue : L . « In Cristo GesÙ» non è in prima linea una formula misti ca, come s'è voluto affermare, ma soprattutto un'espressione escatologica. Essa afferma l'azione di Dio nell'epoca escato logica e la presenza dei beni salvifici escatologici nella comu-
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La Lettera ai Filippesi
nità. In Gesù Cristo si rivela l 'azione salvifica di Dio (Gal. 3 , I 4 ) , in lui si manifesta il nuovo eone, per mezzo suo la sal vezza di Dio entra nella storia . «Dio era in Cristo e riconci liava a sé tutto il mondo» (2 Cor. 5 , I 9 ) Per mezzo di Cristo Gesù viene manifestato l 'amore di Dio (Rom. 8 , 3 9 ). In lui è la vita (Rom. 6 , I I ) . Vi è redenzione (Rom. 3 , 2 4 ) perché Dio in Cristo viene in terra, perché in Cristo Gesù e per mezzo di Gesù crocifisso e risorto inizia il nuovo eone. In lui di venta realtà ciò che si attendeva da Dio nell'epoca escatolo gica. Con lui inizia una nuova umanità. Chi è in lui , è tolto dal mondo adamitico del peccato e della morte ed è collocato nel nuovo eone. «Se uno è in Cristo, è una nuova creazione» (2 Cor. 5 , I 7 ) . Per mezzo di lui viene comunicata all'indivi duo la vocazione celeste (Phil. 3 , I 4 ) , si appartiene ai figli di Dio (Gal. 3 ,2 6 ) . In lui si possiede la giustizia (2 Cor. 5 , 2 I ; cfr . Gal. 2 , 1 7 ) e la libertà (Gal. 2 ,4 ) . Per mezzo di Cristo Gesù si è santificati (Phil. I , I ; I Co r. I , 2 ) , sottratti alla dan nazione (Rom. 8 , r ), custoditi (Phil. 4 , 7 ) . Il vecchio eone sus siste ancora, ma colui che è in Cristo gli è sottratto (Gal. r ,4) . Avviene cosi un fatto inaudito : uomini che si trovano nel mondo sono sottratti al mondo e partecipano ai beni escato logici della salvezza . Già in questo tempo storico sono avvolti dal Cristo crocifisso e risorto. 2 . Solo se si è compreso il senso escatologico della formula «in Cristo GesÙ » , si ha un certo qual diritto di parlare del significato mistico. In Phil. 3 ,9 Paolo scrive che ciò che con ta per lui è soprattutto guadagnare Cristo ed essere trovato in lui . Questo «essere in Cristo » esprime la comunione con il Crocifisso e il Risorto, e ha un duplice significato : positivo e negativo. Colui che è in Cristo Gesù ha trovato un altro punto centrale intorno al quale si impernia il suo pensiero , il suo parlare, il suo agire. In Gal. 2 ,2 0 Paolo dice di sé : «Non è più il mio io che vive, in me vive Cristo» . In questo passo non si parla più dell' «essere-in-Cristo » da parte del l'uomo, ma dell' «essere-nell'uomo » da parte di Cristo . Per .
Phil. 4,I-9
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il fatto che Cristo abita in me ho perduto la mia esistenza . Se già il fatto che Cristo è in me significa che non sono più io a vivere, quanto più ha valore questo «non vivere più» qualora si affermi che il mio essere è in Cristo. Colui che è in Cristo è entrato in comunione intima con lui e ciò signi fica che è inserito nella morte e nella risurrezione di Cristo. Egli ha quindi perduto il suo diritto a vivere, di modo che la vita non è che una forma di manifestazione del Cristo che vive e regna in lui. Questa comunione con Cristo dà al cri stiano tutti i beni di salvezza che Cristo ha guadagnato con la sua vita e la sua morte. 3 · Colui che è «in Cristo GesÙ» è inserito nel corpo di Cristo . Pertanto la formulazione «in Cristo » non è tanto un 'espres sione di unione individuale e mistica, ma un'espressione ec clesiologica. «Così noi , pur essendo molti, siamo un solo cor po » (Rom. 1 2 , 5 ) . In alcuni passi si può addirittura descri vere l 'essere in Cristo con « appartenere alla chiesà » (Rom. 1 6 , 7 ) . In Gal. 1 ,2 2 (cfr. I Thess. 2 , 1 4 ) si parla delle comu nità della Giudea in Cristo, in Rom. 1 6 , 1 I , invece, si parla di quelli della casa di Narciso che sono nel Signore . Per mez zo dell'opera di Dio gli stolti e i disprezzati di Corinto sono in Cristo Gesù ( I Cor. I ,3 0 ) . Le differenziazioni che avevano importanza nell 'antico eone , nella discendenza di Adamo, hanno perso significato : «Non c'è più né giudeo né greco, non c'è più né schiavo né libero, non c'è più né uomo né don na, poiché voi tutti siete uno in Cristo GesÙ» (Gal. 3 ,2 8 ) . Anche le diversità nei segni religiosi non hanno più impor tanza : in Cristo non conta più nulla né la circoncisione né l'incirconcisione ( Gal. 5 ,6 ) . Colui che è in Cristo è unito stret tamente sia a Cristo sia ai cristiani . 4 · Mentre con l 'espressione «in Cristo Gesù» nella maggior parte dei casi si descrive ciò che Dio compie sugli uomini nella nuova era del mondo, Paolo usa la formulazione «nel Signore» per indicare prevalentemente l'opera del cristiano il quale vive ancora in questo tempo, ma appartiene all'altro .
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Il suo parlare e il suo pensare, il suo sentire e il suo agire avvengono nel Signore� il quale determina tutta la vita del cristiano fino nei dettagli della vita quotidiana . Colui che è in Cristo compie tutto ciò che fa, in base a questa comunione con il Signore. Nella vita nel Signore è necessario concretiz zare tutti i doni salvifi.ci ricevuti in Cristo . In questa espres sione «nel Signore » è sintetizzato in una formula brevissima l'indicativo e l'imperativo, la richiesta e il dono, il dono e l'impegno . In ogni momento, in ogni luogo, in ogni attività, la vita del cristiano è un vivere nel Signore, che è colui che comanda e colui che agisce in coloro che sono in lui . L'affer mazione ritorna con straordinaria frequenza nelle lettere pao line . Il cristiano si rallegra (Phil. 3 , 1 ; 4 ,4 ; 4 , r o ) e lavora nel Signore (Rom. r 6 , r 2 ); ha fiducia (Phil. 2 ,2 4 ) e rimane saldo nel Signore (Phil. 4, 1 ; I Thess. 3 , 8 ) ; ama nel Signore (Rom. r 6 , 8 ) ; scrive lettere (Rom. r 6 ,2 2 ) e invia saluti nel Signore ( I Cor. r 6 , r 9 ) . I cristiani accolgono gli ospiti nel Signore (Rom. r 6 ,2 ; Phil. 2 ,2 9 ) . Anche quando si sposano ciò avvie ne nel Signore ( I Cor. 7 , 3 9 ) . Nella vita del cristiano non v 'è nulla che il Signore non dètermini e che non avvenga in base a questa intima comunione. Se il cristiano non vive più per la vita propria non può più nemmeno determinare la propria esistenza. 5. Quando Paolo parla ai suoi amici della sua attività aposto lica e missionaria non usa tanto la formulazione «nel Signo re» quanto piuttosto «nel Signore GesÙ» o «in Cristo » : egli parla in Cristo (2 Rom. 2 , 1 7 ; 1 2 , 1 9 ), dice la verità in lui (Rom. 9 , 1 ) ; prega ed esorta nel Signore Gesù ( I Thess. 4 , 1 ; cfr. Phil. 2 , 1 ), rammenta qual è la condotta in Cristo ( I Cor. -bi?), lavora in Cristo Gesù (Rom. r 6 , 3 .9 ) , ama la comunità in lui ( I Cor. r 6 ,2 4 ) . È convinto nel Signore Gesù (Rom. 1 4 , 1 4 ) e spera in lui (Phil. 2 , 1 9 ) . Egli è debole ( 2 Cor. 1 3 ,4) e ha forza in Cristo (Phil. 4 , 1 3 ) . In vista della comunità, Paolo può anche parlare del proprio vanto in Cristo Gesù ( I Cor. 1 5 , 3 1 ; Rom. 1 5 , 1 7 ; cfr. Phil. 3 ,3 ) .
Pbt1. 4, ro-2o
8-9 . Paolo conclude questa lettera interpolata (cfr. 3 , 1 ) im
partendo ai Filippesi ammonizioni apparentemente molto ge neriche. I singoli termini si trovano sia nei cataloghi di virtù di provenienza ellenistica sia nella letteratura giudaica. I cri stiani devono tendere a ciò che anche i pagani e i giudei esi gono dai loro proseliti, cioè quello che nel mondo in cui si trovano è considerato virtù . Queste verità tenute molto sul le generali si trovano nel loro ambiente naturale nella Phil. Andare contro l 'etica dei propri simili o crearsi particolari libertà ( 3 , 1 9 ; I Cor . .5 , 1 ss . ) , non è affatto un segno di vero cristianesimo. Non è bene trascurare a priori tutto ciò che i pagani o i giudei esigono o compiono con il pretesto che si tratta di cose secondarie, scadenti o non valide . Al contrario, i cristiani devono vivere queste virtù poiché sono in grado di farlo meglio degli altri . Paolo torna a rifarsi alla sua predi cazione missionaria e a riproporsi quale modello, come al v. 3 , 1 7 . Questo frammento di lettera è chiuso da una bene dizione. Pur nella lotta e nella battaglia di questo tempo, presso i destinatari vi è il Dio della pace il quale li rende certi della salvezza eterna (cfr. v. 7 ) . 6 . Il dono dei Filippcsi ( 4, I o-zo ) 1� Ho provato una grande gioia che abbiate nuovamente potuto espri mere la vostra sollecitudine per me. Voi vi davate infatti pensiero , so lo che vi mancava l'occasione . 11 Non vi parlo perché sono nel biso gno. Ho imparato, infatti, a bastare a me stesso nella mia situazione. 12
13
So accontentarmi, so vivere nell'abbondanza, a tutto sono iniziato e ad ogni cosa, ad essere sazio e ad avere fame, ad essere nell'abbondanza e nella penuria, tutto posso mediante colui che mi rende forte .
14 Tuttavia
avete fatto bene a partecipare alle mie difficoltà. 15 Voi ben lo sapete, Filippesi, che all'inizio dell'evangelo, allorché partii dalla Macedonia, nessuna comunità aprì con me una partita di dare e ave re, se non voi soli ; Hi poiché anche a Tessalonica mi mandaste una o
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due volte di che sovvenire ai miei bisogni. 17 Non che cerchi il dono, ma considero il frutto che torna a vostro credito . 18 Ho ricevuto tutto e sono nell'abbondanza . Ho più del necessario da quando ho ricevuto da Epafrodito il vostro dono, un profumo soave, un'offerta accetta, gradita a Dio . 19 E il mio Dio provvederà ora ad ogni vostra neces sità in proporzione alla sua ricchezza in gloria, in Cristo Gesù . 20 Al nostro Dio e Padre gloria per tutti i secoli dei secoli . Amen . I O- I I . L'interpolazione di un 'altra lettera paolina ai Filip pesi è terminata (vedi al v. 3 , 1 ) . I vv. 4 , 1 0-20 non sono un frammento di una terza lettera ai Filippesi andata poi per duta, come s 'è voluto ipotizzare, ma il nostro brano fa parte della lettera di ringraziamento di Paolo per i soccorsi, ai qua li aveva fatto un cenno fugace in 2 , 2 5 . Come nella Lettera ai Romani solo alla fine, dopo aver trattato il problema di chi è forte e di chi è debole (Rom. 1 4 s . ) , viene a parlare più dettagliatamente del vero motivo che ha dato occasione alla lettera, cioè il viaggio che intende fare in Spagna passando per Roma (Rom. 1 5 , 1 4 ss . ) , così fa anche nella Lettera ai Fi lippesi . Paolo si rallegra del conforto inviatogli dai Filippesi, ma non parla tanto dell'oggetto stesso quanto del sentimento dell 'amore e di comunione dal quale è provenuto il dono dei Filippesi. La comunità pensava continuamente a lui, ma la situazione non permetteva che essa potesse provvedere al l'Apostolo . Paolo non fa accuse, non si lamenta, non vanta diritti e non avanza pretese . Nel corso della sua attività apo stolica ha imparato ad accontentarsi di tutto, anche quando deve soffrire fame e sete, quando non ha di che vestirsi e do ve abitare ( I C or. 4 , 1 I ; cfr. 2 Cor. 6 ,4 ss . ) .
I n una breve poesia di due strofe, Paolo descrive la propria felicità e libertà . Innanzitutto nei primi due versetti descrive la sua situazione per mezzo del parallelismo antite tico . In un terzo versetto, che inizia con «tutto» e riassume ciò che ha detto in precedenza, egli dice come sia giunto a questo atteggiamento . I due versetti che seguono, poi, hanno 1 2-1 3 .
Phil. 4,ro-2o
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contenuto identico ma la forma è diversa. Essi non sono più un'antitesi ma un parallelismo. L'antitesi è stata assorbita all'interno di ciascun versetto di modo che compare per ben due volte. Alla :fine poi torna il motivo della resistenza a que� sta difficoltà espresso, come nella prima strofa, con il « tut to» . Paolo si trova a suo agio in ogni situazione e in ogni cir costanza. Non si tratta, però, di un dono di natura ma di una lenta maturazione in quest'arte del sapersi accontentare . Cri sto gli ha dato questa capacità, di modo che ha saputo supe rare il momento in cui era schiavo di tutte le esigenze ; sazie tà e fame, povertà e ricchezza non sono più per lui una ten tazione . Cristo gli dà la forza di rinunciare, di privarsi . 1 4- 2 0 . Ciò non lo ha portato a rifiutare il dono dei Filippesi,
al contrario, egli loda la comunità che nel momento della ne cessità dell'Apostolo non lo ha abbandonato, ma ha preso parte alle sue sofferenze. Di solito ha rifiutato il denaro o qualsiasi altra forma di sovvenzione (2 Cor. r r ,7 ; r 2 , r 3 ; I Thess. 2 ,7 ) , benché, secondo quanto egli stesso afferma, il maestro cristiano abbia diritto di farsi mantenere dalla co munità ( I Cor. 9 , 7 ; Gal. 6 , 6 ) . Si è guadagnato la vita con il lavoro delle proprie mani ( I Thess. 2 ,9 ; I Cor. 4 , 1 2 ) per eli minare fin dall'inizio ogni sospetto di egoismo ( I Thess. 2 , 5 ; 2 Cor. 7 , 2 ; 1 2 , 1 7 s . ) . Con i Filippesi Paolo ha fatto un'ecce zione (2 Cor. r r , 9 ; vedi introduzione) . Egli non si lascia do minare dai princìpi , ma quando lo ritiene opportuno e neces sario è in grado di fare scelte diverse. Se Paolo parla dell' «ini zio dell'evangelo » riferendosi a quando partì in missione dal la Macedonia, ciò non significa che la vera epoca della missio ne sia iniziata con la proclamazione dell'evangelo in Europa, dato che già prima aveva predicato in Asia Minore ; « inizio dell'evangelo» è inteso in funzione della comunità di Filippi . Quando fu annunciato loro l 'evangelo, essi ebbero il privi legio di porsi in uno stato di dare e avere con l 'Apostolo : egli diede loro la parola e a sua volta ricevette sostentamento
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( I Cor. 9 , r r ; Rom. r 5 ,2 7 ) . Nei versetti che seguono Paolo
usa l 'immagine e la terminologia dd commercio bancario . Ciò che ha ricevuto non sono doni materiali, ma è il frutto. L'offerta inviata è appunto questo frutto che viene attribuito a credito di chi la offre di modo che il capitale della comunità presso Paolo aumenta. Egli dà una ricevuta per ciò che gli è stato consegnato con le parole : ho ricevuto tutto . Egli ne ha più che a sufficienza. Ciò che essi gli hanno dato non è una tassa, che si dà a un'organizzazione, non è uno stipendio, che viene pagato a un impiegato, è un sacrificio che essi hanno immolato a Dio e Dio l 'ha accettato. L'espressione «profu mo » viene usata spesso nell'Antico Testamento in relazione all'offerta (cfr. per es. Ex. 2 9 , I 8 ; Lev. I ,9 ; 2 ,2 ; 3 ,5 ; Num . r 5 , 3 ecc . ) . Per il momento Paolo non può dare loro nulla, ma i Filippesi non rimarranno senza dono da parte di Dio. Ciò che Paolo scrive non ha il carattere di pio augurio, ma il valore di una promessa, di una parola pienamente valida. Co me in I , 3 , così anche ora egli parla in modo molto perso nale del suo Dio che li ricompenserà. La sua ricchezza è su periore alla deficienza da parte degli uomini (Rom. 2 ,4 ; 9 , 2 3 ; I I ,3 3 ) . La miseria umana non è eliminata in un attimo, ma la gloria di Dio è già manifesta in Gesù Cristo . In lui e per mezzo di lui vengono comunicati i doni di Dio, mediante la comunione a lui si partecipa alla pienezza della ricchezza di vina della perfezione escatologica. Si deve pregare e lodare ora e sempre questo Dio eternamente ricco. La sua lode non deve tacere per l 'eternità. 7. Saluti ( 4,2 1-2.3 ) 21
Salutate ogni santo in Cristo Gesù . Vi salutano i fratelli che sono con me. 22 Vi salutano tutti i santi, ma particolarmente quelli della casa di Cesare . 23 La grazia del Signore Gesù Cristo sia col vostro spirito.
2 I -2 J .
Come sappiamo, Paolo non ha scritto di persona le
Phil. 4,2I-23
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lettere ma le ha dettate (Rom. r 6, 2 2 ) . Solo le frasi conclu sive sono normalmente di sua mano ( I Cor. r 6,2 r ; Gal. 6 , r r ) . Probabilmente anche i saluti della Phil. sono stati scrit ti personalmente dall'Apostolo . Come in r , r (cfr. I ,4 . ì s . ) , all'inizio della lettera, cosi anche alla fine Paolo s i rivolge col saluto a ogni singolo santo in Cristo Gesù. I cristiani costi tuiscono una comunità alla quale si appartiene non solo in modo teorico-ideologico, ma è veramente concreta e viva . Perciò tra i singoli membri si scambiano i saluti , come avvie ne di solito in una famiglia . I fratelli che sono accanto a lui vengono messi in evidenza su tutti i santi . Si tratta dei colla boratori che lo accompagnano, mentre tutti «i santi» sono probabihnente la comunità locale, forse quella d i Efeso . In essa vengono nominati «quelli della casa di Cesare» . Non si vuole con ciò intendere parenti della famiglia imperiale ma· schiavi, o liberti, ufficiali addetti alla casa imperiale . Essi non si trovavano solo in Roma ma erano sparsi in tutto l'impero e occupavano cariche più o meno elevate, di modo che que sta notizia non è affatto una dimostrazione che la Lettera è stata scritta a Roma . Poiché Filippi era una città di veterani (vedi introduzione) , che nella loro vita erano venuti a cont::tt to prima o poi con l 'uno o l'altro della casa imperiale , si com prende il saluto particolare. L'ultimo augurio dell'Apostolo è che la grazia del Signore non si allontani mai da essi , ma li riempia completamente. Con l 'impetrazione della grazia Pao lo inizia la sua Lettera, con la stessa egli la conclude : senza la grazia di Cristo il cristiano non può sussistere.
LA LETTERA AI COLOSSESI Hans Conzelmann
INTRODUZIONE
r . Insieme con Eph. , Phil. e Philm. , la Lettera ai Colossesi appartiene al gruppo delle